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Full text of "Esercitazioni Scientifiche e Letterarie dell'Ateneo di Venezia"

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ESERCITAZIONI 

SCIENTIFICHE    E    LETTERARIE 

D  E  L  L' 

ATENEO  DI  VENEZIA 

TOMO  I. 


-^■'^'^^'^rìfei^i-J^iT-^^. 


VENEZIA  MDCCCXXVn 

PRESSO   GIUSEPPE  PICOTTI  EDITORE 

K   TIPOGRAFO    DELL'ATENEO. 


RICORDI  STORICI 

SULL'  ATENEO  DI  VENEZIA 

COMPILATI 
DAL    DOTT.    GAETANO    A-    RUGGIERI 

MEMBRO  ORDINARIO,  E  VICEPRESIDENTE.  ' 


Lia  città  di  Venezia  produsse  in  ogni  tempo  non  pochi  uomini,  che  vennero 
per  dottissimi  salutati,  e  godettero  nominanza  chiara  e  sublime  non  solo  per 
opere  lodate  concesse  alla  stampa,  ma  per  lo  zelo  eziandio  grandissimo,  con  cui 
si  occuparono  ad  istringcre  in  fralellevole  colleganza  ingegni  svariati,  e  coltiva- 
tori di  dottrine  diflcrenti .  Siccome  addiviene  delle  gemme  ,  che  fanno  un  ab- 
barbaglio meraviglioso  allorché,  belle  e  di  varia  natura,  sieno  commesse  con 
nobile  magistero  in  un  prezioso  castone,  cosi  accade  dei  varii  sapienti ,  che 
provvedono  mirabili  cose,  (juando  sieno  assieme  uniti,  imperciocché  si  ajntano 
m  allora  con  più  grande  fervore,  e  questi  agli  altri,  e  quelli  ai  primi  facendo 
parte  delle  proprie  cognizioni  procacciano  l'utilissmio  nsultamento  di  apporre 
il  pugnolo  e  la  briglia  all'altrui  fare,  donde  proviene  impellila  la  soverchia  pe- 
ritanza, eh' è  il  verno  delle  menti,  ed  anche  la  temerità,  che  disvia  facilmente 
dal  buon  sentiero  e  porta  ad  incespicare  in  errori.  Di  codesti  uomini  fondatori 
di  accademie  parlano  abbondevolmente  le  vecchie  e  le  carte  dei  nostri  giorni, 
ed  io  non  vuò  restarmi  a  ribadire  l'altrui  dettalo,  ma  bensì  con  animo  volonte- 
roso quivi  ricordo,  che  tre  erano  i  consessi  accademici,  che,  prima  deila  istitu- 
zione dell'Ateneo,  borivano  in  Venezia,  ed  erano  la  Pubblica  Società  di  JMedici- 
na,  l'Accademia  de'Filareti  e  l'Accademia  di  Belle  Lettere.  Il  primo  di  codesti 
consessi  aveva  in  iscopo  di  accrescere  li  Irovamentl  e  le  cognizioni  nelle  medi- 
che, fisiche  e  chimiche  discipline,  il  secondo  nelle  sacre  e  nelle  filologiche,  ed 
il  terzo  mirava  a  migliorare  quella  maniera  di  studil  lelterarii  e  poetici,  i  qua- 
li, sebbene  nel  cospetto  di  taluno  sembrino  atti  solamente  a  rendere  la  favella 
piena  di  amate  mafie,  meritano  nondimeno  di  essere  tenuti  per  assaissimo  neces- 
sarii,  aflinchè  gli  scrittori  eziandio  delle  cose  gravi  abbiano  ricchezza  di  concet- 


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ti,  e  tutta  quella  varietà  di  colori  che  si  richiede,  per  esprimere  iu  modo  piace- 
vole e  disnebbiato  ogni  sorta  di  scoperte  e  di  dottrine . 

Eranvi  adunque  in  Venezia,  divisi  in  tre  spartimenti,  gli  uomini  più  opportu- 
ni per  formare  una  sola  accademia,  in  cui  fosse  raccolto  il  Gore  del  miglior  sa- 
pere, e  non  era  necessario,  che  di  bene  annodarli  assieme  per  una  conveniente 
organizzazione,  acciocché  si  trovassero  ingagliarditi  e  poderosi  a  nobili  impren- 
dimenli.  Nell'anno  mille  ottocento  dieci  la  volontà  di  chi  reo-o-eva  l' Italia  statuì 

Co 

che  la  detta  unione  venisse  operata,  e  nel  giorno  vigcsimo  quinto  di  dicembre 
dell' istcsso  anno  comandò,  che  in  ogni  provincia  tutte  le  società  accademi- 
che, tranne  quelle,  che  avessero  in  iscopo  le  belle  arti,  si  restringessero  in  una 
sola,  la  quale  portasse  il  nome  di  Ateneo.  Parve  che  si  volesse  rendere  più  de- 
corosa la  novella  Accademia  con  questa  greca  appellazione,  essendo  forse  la  più 
accomodata  per  ricondurre  alla  memoria  l'accedere  cui  facevano  nei  tempi 
rimoti  gli  sparli  Dotti  ad  un  solo  ospizio,  per  ivi  raccogliere,  e  per  ivi  disemi- 
nare quelle  sapienze,  che  resero  tanto  venerabile  la  rimembranza  di  Omero,  di 
Platone,  di  Aristotile,  e  di  tutta  la  schiera  di  que'  sommi  antichi  che  11  segui- 
tarono . 

Ma  per  quantunque  riesca  facilmente  dimostrato,  che  varie  facoltà  riunite 
pITrano  risultamcnti  più  importanti  di  quando  stlensl  sole  ed  Isolate  ,  ciò  non 
ostante  accade  talvolta  di  osservare,  che  uomini  svcgliatissimi  si  disconoscano 
di  questa  verità,  e  dove  abbiano  l'abitudine  di  dividere  le  proprie  idee  con  o-en- 
ti  di  dottrine  parziali,  solo  con  istento  grandissimo  si  aggiustano  al  diviso  di  for- 
mar parte  di  un  congresso  diflerente,  sebbene  fiori  e  fruiti  d'ogni  sorta  possano 
ripromettersi  dal  terreno  meglio  fecondato.  Di  qui  avvenne  che  la  Pubblica  So- 
cietà di  Medicina,  quando  seppe  del  mutamento  a  cui  dessa  pure  doveva  soogia- 
cere,  conobbe  1  suoi  membri  balestrali  da  deslderii  diversi,  e  si  strinse  in  se 
medesima,  e  dopo  lunghe  discussioni  stabili  di  tentare  che  vadi  disperso  ogni  av- 
viso, che  quello  non  sia  di  conservare  inalterata  la  sua  essenza  originaria.  De- 
liberò Impertanlo  nel  giorno  diecisettesimo  di  marzo  del  mille  ottocento  undici, 
che  Francesco  Aglietti,  suo  Segretario  Perpetuo,  produca  al  Magistrato,  che  di- 
ceasi  Direzione  Generale  di  Pubblica  Istruzione,  in  Milano  una  ben  ordinata  detta- 
tura, con  la  quale  venisse  richiesta  ad  intercedere  dal  Re  lagrazla,che  la  Società 
Medica  rimanga  intatta  eziandio  in  avvenire.  Il  Segretario  Perpetuo  che  sostene- 
va 11  suo  carico  colla  valenza  in  lui  riunita  di  Magalotti  e  di  Meronte,  1  quali  re- 
sero tanto  famigerate  quelle  loro  Accademie  di  Firenze  e  di  Padova,  che  ognuno 
sa  favellarne,  dislesela  detta  preghiera,  rammemorando  anzitutto,  che  la  prima 
origine  della  Società  di  Medicina  debb' essere  riferita  al  mille  trecento,  nel 
cui  tempo  raccoglievasl  sotto  la  denominazione  di  Collegio  de' Medici  Fisici,  al 
cui  socii  la  Repubblica  impose  11  dovere  di  radunarsi  una  volta  al  mese  per  dot- 


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trinare  sulle  raalallic  oscure,  e  il' imiolc  incerta,  col  vedinienlo,  elione  fosse 
ben  conosciuta  l' andatura  particolare,  donde  provenne  cbe  quel  Collegio  fu  te- 
nuto per  la  prima  società  scientifica  d'Europa,  e  potè  senza  orn-ogiio  estimarsi 
non  inutile  ad  una  nazione,  in  cui  le  genti  vanno  sottoposte  a  morbi  affatto  ano- 
mali o  loro  |)ro[)rii  (i).  E  fatto  novero  «lei  tanti  servigi  prestati  alla  patria  in 
tempi  sovraltutto  «li  pestilenza,  e  delle  tante  calamità  risparmiate  al  resto  «l'ItJi- 
lia  ed  ai  popoli  strani,  accorrendo  col  consiglio  e  coli' opera  ad  impedire  che  il 
contagio  isbiggisse  «la  rpiesli  recinti,  per  cui  largirono  a  quella  società  beneme- 
rita e  Principi,  e  Monarchi,  ePapi  de'nobilissnni  pnvdcgi,  ed  il  sommo  fin  anco 
di  conferire  la  corona  di  medico  e  di  filosofo,  divenne  il  segretario  ad  esporre 
come  il  Senato  Veneto  con  sovrano  decreto  del  dì  decimo  del  dicembre  mille 
settecento  novantanno  le  volle  «lar  prova  immanchevole  del  suo  amore,  innalzan- 
dola alla  dignità  ih  un  corpo  da  lui  protetto,  e  fregiandola  del  titolo  glorioso  di 
Pubblica  Società  di  Medicina .  I  Riformatori  dello  Studio  di  Padova  ne  ralTer- 
marono  accordevoll  1'  esistenza,  e  con  risoluzione  del  giorno  vigesioio  ottavo  di 
febbrajo  mille  settecento  novantatre  la  provvidero  di  opportuna  abitazione  pelle 
sue  metodiche  tornate  nel  monastero  del  Gesuiti  .  Ed  essendo  accascata  quella 


(i)  11  seguente  decreto  del  Maggiore  Consiglio  della  Repubblica,  conseguito  dall'I.  R.  Archi- 
vio Generale,  è  una  prova  deiranticliità  non  dubbia  d'una  Società  medica  in  Venezia. 

MCCCLXVIII.  die  27  Maij. 

Quod  prò  honore  ciuitatis  nostre,  nec  non  per  salutem  cinium  nostrorum  statualur  quod 
omnes  medici  phvsici,  tara  de  collegio  quani  qui  per  gratiam  possit  raederi,  qui  presentialiter 
sunt  et  in  futuro  erunt  habitanles  Veneliis ,  teneanlur  semel  et  in  mense  conuenire  et  esse  si- 
mul  in  quodam  loco  liabilli  ciuitatis  nostre,  cura  et  ubi  ordiuabitur  per  priorem  suuni  adconfe- 
rendiim,  et  dispulandum  cura  sciencia  medicine  specialiter  super  casibiis  dubiis  slbi  otcurrenli- 
bus,  uel  qui  occorrere  possent  sub  pena  Unius  puncti  prò  qualibet  Vice,  qua  non  ueuirent,  et 
quura  habebiint  tria  puncta,  ipso  facto,  si  habebunt  salarium  sint  ilio  privali,  si  vero  salariura 
non  liabebunt,  non  possint  mederi  in  Venetiis  Vsque  duos  annos  tunc  prosimi,  sub  pena  libra- 
rum  XX.V.  prò  quollbet,  et  qualibet  A'ice,  qua  mederentur,  priur  antera  medicorum  qui  est 
et  erit,  per  tempum  ,  tenentur  sub  eadem  pena  punctorum,  et  librarura  XXV.  conuocare  su- 
prascriptos  medicos  ad  illum  locum,  qui  uidebitur  ei,  semel  in  mense  occasione  predicla,  ut  di- 
ctum  est.  Qui  prior  teneatur  sub  debito  sacramenti  mittere  in  scriptis  prouisoribus  comunis 
jpsa  die,  vel  sequenti,  illos  medicos,  qui  non  ueneriut,  de  quibus  penis  tam  punctorum  quam  li- 
brarura XXV.  non  possit  fieri  gratia,  donura,  reraissio,  uel  compensalio,  sub  pena  ducatorum  C. 
prò  quolibet  conailiario  et  capite.  Et  predicta  committanlur  Inquirenda  prouisoribus  comunis, 
qui  noteut  puncta  predicta,  et  exigant  penas  pecuniarias  suprascriptas,  baLentes  do  ipsis  penis 
partem,  ut  de  aliis  penis.  Verum  si  quis  suprascriptorum  medicorum  liaberet  legittìmam  cau- 
6am  Impedimenti  possit  per  ipsos  prouisores  excusare.  Ex  Novella,  ii4  f-  «'S. 


i 


stagione  lagrlmosa,,  in  cui  le  menti  ed  i  cuori  erano  per  una  furibonda  burrasca 
politica  dall'  aspra  all'  orrenda  vicenda,  di  continuo  trabalzali,  ci  successe  ,  che 
1  membri  della  Pubblica  Società  troraronsl  sopraffatti  d'attonitaggine,  per  cui 
dismessa  la  lena,  abbandonarono  le  consuete  adunanze,  e  stettero  dislacciati  per 
qualche  tempo,  linchè  il  turbine  essendosi  disperso,  essi  avverdirono  il  deside- 
rio e  la  fidanza  di  ritornare  alle  loro  abitudini  studiose,  e  da  quelli,  che  tenca- 
no  il  governo  del  reame,  ne  implorarono  solleciti  il  coricedimento. 

Non  vi  vollero  pratiche  ne  ravvoglinienti  diflicultosi,  continuò  l'Aglietti  alle- 
nando la  sua  orazione,  aftmchè  la  Società  di  ÌMedlcina  venisse  di  nuovo  rifocillata 
nella  sua  esistenza,  ma  tornarono  bastanti  ad  ogni  cosa  le  ricordazioni  de'  suoi 
meriti  vetusti,  e  del  suo  zelo  operoso  negli  ultimi  tempi  manifestato .  In  conse- 
guenza di  ciò  il  sublime  Magistrato,  che  appellavasi  Ministro  dell'  Interno,  di- 
chiarò per  un  suo  dispaccio  del  giorno  dieciottesimo  di  gennajo  dell'anno  mille 
ottocent'otto,  che  codesta  Accademia  fosse  ristabilita,  e  si  riguardasse  per  una 
società  riparata  al  presidio  della  pubblica  protezione .  Questa  fu  tanto  produtti- 
va di  fortunati  risultamenti,  che  in  seguito  ne  i  maggiori,  ne  i  minori  ftlagislra- 
ti  non  pretermisero  concessioni,  quando  veniva  ad  essi  prodotta  una  inchiesta. 
Ei  fu  per  questo,  che  nel  giorno  dieeisettesimo  di  marzo  dell' istcsso  anno  il  ^li- 
nislro  delle  Finanze  accordò  per  un  suo  decreto,  che  la  Società  Medica  dai  de- 
positi del  Demanio  fnecsse  scelta  di  quel  libri,  che  fossero  confacenti  alli  suoi 
studli,  e  potessero  servire  di  primo  fondamento  alla  formazione  di  una  sua  par- 
ticolare biblioteca:  ed  il  Principe  Vice-Re  per  uno  spaccio  del  vigesinio  sesto 
giorno  d'agosto  pur  dell'anno  mille  ottocento  ed  otto  deliberò  benignamente, 
che  la  stessa  Società,  in  iseamblo  dell'abitazione  in  addietro  posseduta  nel  mo- 
nastero dei  Gesuiti,  l'edillcio  si  avesse  per  U  suoi  usi  detto  Scuola  di  s.  Fanti- 
no ;  il  quale  edificio,  oltre  ad  esser  bello  per  nobile  architettura,  si  acconsentì, 
per  le  istanze  degli  accademici,  che  divenisse  maggiormente  abbellito,  adornan- 
do le  interne  pareti  con  lapidi,  con  busti,  e  con  monumenti,  ai  quali  in  varie 
parti  di  Venezia  avea  procacciato  la  carità  del  viventi  decorosa  stazione,  ac- 
ciocché la  memoria  rimanesse  perpetuala  di  qucgU  spenti  uomini,  che,  avendo 
professato  le  filosofie  o  le  mediche  discipline^  furono  li  benemeriti  della  patria  , 
e  la  facella  animatrice  de' buoni  studii  pei  loro  concittadini  ed  anche  per  non 
pochi  di  quelli  che  in  terre  straniere  si  rivocarono  il  grido  di  sapienti.  Dalle 
chiese  o  demolite,  o  chiuse  della  città  desiderossi  adunque  di  raccoghere  in  co- 
desto edificio  le  opere  antidette,  e  non  pel  solo  oggetto  di  renderne  piti  pom- 
posa la  forma,  ma  con  ciò  s'  ebbe  in  mira  eziandio  di  dare  occasione  agli  acca- 
demici e  di  cimentarsi  in  gagliardi  imprendimenti,  e  di  esercitarsi  in  azioni  pie- 
tose,  imperciocché  si  credette,  ed  il  crederlo  era  g'uisto,  che  avendo  sclt'oc- 
chio  quel  segni, che  viva  testimoniassero  la  valcnteria  di  cos'i  chiari  predeccsso- 


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ri,  forte  sorgerebbe  nella  mente  la  nobile  brama  d' imitarli,  e  con  facilità  gli 
aTiimi  incrmcrcbbcro  a  spargere  sulla  loro  ricordanza  quelle  laudi  di  riconoscen- 
za che  giungono  tanto  aggradite  agli  spirili  dei  trapassati.  Neil'  anno  ajipunlo 
mille  ottocento  dicci  li  Mairistrati  che  si  chiamavano  Intendenza  Generale  dei 
Beni  delia  Corona,  e  Direzione  Generale  del  Demanio,  ordinarono  con  ripetuti 
decreti  che  alla  Società  di  Medicina  i  busti  fossero  concessi  di  ÌNicolò  ed  Apol- 
lonio Massa,  di  Tommaso  Rangone  da  Ravenna,  detto  il  hlologo,  di  Viviano 
Viviani,  di  Giovanni  Fortis,  di  Valerio  e  Santorio  Santorio,  medici  tulli  e  fi- 
losoh  celebratissiini.,  ai  quali  va  debitrice  1"  Italia  di  molte  dottrine,  fra  cui  ven- 
nero tenuti  in  gran  slima  ci'  insecnamenli  circa  il  modo  del  vivere  lorfrevo,  cir- 
ca  l'intendere  come  all' uman  corpo  [)er  non  ^isibili  sovrattutto  ed  incessanti 
sue  emanazioni  siavi  uopo,  che  di  continuo  si  rifaccia,  e  forse  piìi  ili  tutto  ven- 
nero riguardale  per  pregievoli  le  |)riinc  cognizioni  ed  i  primi  precetti  intorno 
alla  natura  ed  al  trallaraenlo  di  quella  infermità,  che  per  Colombo  in  Ispagna, 
e  per  le  funeste  macchinazioni  politiche  di  Lodovico  Sforza  venne  portala  nel 
reame  di  Napoli,  donde  si  prestamente  alle  pili  belle  parli  d  Europa  si  diffusero 
i  germi  dei  più  elferati  patimenti . 

Per  codesto  tanto  favore  dei  ^Magistrati ,  e  pel  permesso  anche  ollcnulo  da 
quello  ch'era  detto  Direzione  Generale  di  Pubblica  Istruzione  di  stampare  il 
proprio  statuto,  la  Società  ebbe  incoraggiamento  a  produrre  il  ragguaglio  in  una 
pubblica  adunanza  dei  lavori  negli  anni  antecedenti  dagli  accademici  eseguiti, 
e  poscia  mandandolo  alla  luce  sotto  il  titolo  di  Sessione  Pubblica  della  Società  di 
IMedicina  di  Venezia  tenuta  nel  di  xx\  di  dicembre  dell"  anno  mdcccx,  mirò  a  di- 
mostrare che  la  bontà  del  Regio  Governo  non  a  genti  era  qui  dispensata,  che 
in  vane  s"  occupassero  o  chimeriche  esuberanze,  ma  bensì  ad  uomini  laboriosi, 
che  per  iscopo  onorato  e  sacro,  delle  loro  fatiche  e  meditazioni  il  prevenire  si 
erano  prelisso  le  infermità,  ed  il  salvare  nei  morbiferi  avvenimenti  codesta  po- 
polazione. Ne  si  tacquero  i  Magistrali  sulle  dette  cose  quando  ne  seppero, 
ma  lettere  di  benevoglienza  e  di  aggradimento  comandarono  che  alla  So- 
cietà ÌMedica  fossero  indirilte,  alCnchè  i  suoi  membri  si  sentissero  efficacemente 
caldegiiiali  a  persistere  nelf  intrapreso  cammino.  E  pervenuto  eh' ci  fu  il  Seirre- 
tario  Perpetuo  a  questo  punto  della  sua  dettatura,  raccolse  in  poco  le  cose  espo- 
ste, e  se  di  bontà,  egli  disse,  e  di  favore  fu  creduta,  fino  al  presente,  meritevole 
la  Società  di  IMedicina,  di  bontà  e  di  favore,  ella  ha  bisogno  assoluto  in  avveni- 
re., acciocché  non  addivenga  che  nel  consumamento  delle  cose  pente  rimanda 
ingojata  la  memoria  eziandio  di  un  corpo  da  tanti  secoli  esistente,  e  da  tanti 
onori  e  facoltà  s'i  largamente  guidardonato .  Per  serbarne  la  durazione  faccia 
l'amore  specchiato  cui  poi  la  ad  ogni  scientifico  ordinamento  la  Direzione  Ge- 
nerale di  Pubblica  Istruzione,  che  nel  cospetto  del  Monarca  giunga  questa  pre- 


ghiera  Leu  nrorveduta  ili  fjue'  siiflragi.^  <-!ie  sogliono  tornare  sì  produllivi  di  gra- 
zie, allorché  partano  da  Magistrati  a  cui  1'  universale  consentiineato  accordò  la 
nominanza  di  sapientissimi  e  provvidissimi  . 

Questa  supplicazione  forse  non  era  ancor  giunta  fino  al  trono,  quando  la  So- 
cietà Medica  trovossi  all'improvviso  comandata  di  coniporsi  in  Ateneo.  La  Di- 
rezione Generale  diPubblica  Islruzione'nel  sesto  giorno  di  aprile  dell'anno  mil- 
le ottocento  ed  undici  ordinò,che  questo  mutamento  fosse  tosto  effettuato,  che 
tosto  lo  statuto  venisse  rifatto.^  confonnii  la   nuova  condizione  cui  dovca  assu- 
mere la  Società  unendosi  ad  essa  altre  Accademie,  e  che  poscia  venisse  a  Mila- 
no prestamente  ispedito,  afhnchè   si  potesse   soggettarlo   agli   avvedimenti  del 
Reale  Istituto  Italiano.  Voleano  i  medici  tentare  che  la  foga    di  questo  coman- 
tlo  fosse  di  alquanto  irretita,  ma  pria  che  i  modi  ne  avessero  rinvenuto,  loro  so- 
prastarono  altre  ordinazioni,  che  imponevano  la  subita  riunione  dell'  Accademia 
dei  Filareti.  Imperciocché  il  Co.  Francesco  Cattaneo,  che  ne  era  il  presidente, 
temendo  che  nella  comandata  formazione  di  un  Ateneo  potesse  accadere    che 
Fdareti  terminassero  dissoluti,  avea  poco  prima  ai  Magistrati  di  Milano  diretto 
la  inchiesta  di  unire  alla  Società  Medica  1  Accademia  da  lui  preseduta,  e  perchè 
la  domanda  calzava   esaltamente  colla  volontà  regia,  di  li  a  poco,  cioè  nel  gior- 
no vigesimo  secondo  di  sriu^no  del  mille  ottocento  ed  undici  venne  dal  Prefetto 
di  Venezia   rivocata  la  Società  di  Medicina    ad  accosrliere  in  essa  l'Accademia 
dei    Filareti,  ingiungendo,  che  col    suo  accordo  si  dasse  opera    sollecitamente 
allo  stendere  le  nuove  regole  disciplinari . 

S'  avvidero  i  medici  da  tutto  questo  che  era  lavoro  perduto  lo  starsi  nel   di- 
visamente di  conservare  la  loro  Società  dagli  altri  corpi  separata,  e  quindi  pen- 
sarono di  rendere  più  bene  orilinata  la  loro    obbedienza,    chiamando  spontanei 
a  far  parte  del  loro  consesso  anche  la  veneta  Accademia  di  Belle  Lettere  .  Fu 
onesto  e  lodevolissimo  certamente  questo  partito,  imperciocché  se  meritavano  i 
Filareti  d'essere  congregati,  scortese  ed  aspro  sarebbe  successo  il  pretermettere 
gli  Accademici  Letterari!.  La  Società  di  Medicina  rispose  impertanto  al  Prefetto 
diVenezia  nel  di  primo  luglio    dellistesso  anno,  che  non  saprebbe  concentrare 
in  se  medesima  tutti  indistintamente  i Filareti, ed  obbliare  quei  delle  Lettere:  che 
perciò  avea  risolto  di  manifestare  a  questi,  che  d'ora  in  avvenire  formavano  par- 
te dell'Ateneo  Veneto;  e  che  tale  risoluzione  essendo  affatto  conforme  al  regio 
comando,  speravasi  che  potesse    risultare   pienamente   approvata .   Neil'  istess» 
mentre  si  richiese,  che  la  cortesia  del  Prefetto  s'interponesse,  acciocché  i  mag- 
giori Magistrati  concedessero  qualche  lasso  di  tempo,  per   produrre  lo  statuto . 
Come  poteasi  farlo  in  pochi  giorni,  quando  dovea  essere  il  risultamento  delle  ve- 
dute spettanti  ai  molti  membri  di  tre  intere  Accademie?  Se  basta  alle  volte  l'in- 
terpretazione di  una  cifra,  di  una  data,  di  un  motto  per  rendere   i  Dotti  fra  lo- 


7 
ro  in  oiùnione  discordi,  come  polrassi  immaginare    clic   debba  riuscire  agevole 

lo  stabilire  disciiiiine  alle  (juali  la  volontà  di  ognuno,  e  le   svariatissimc  inclina- 
zioni di  tanti  debbano  starsi  subordinate  ? 

Ottenuto  eli"  ella  ebbe  la  Società  Medica  a  tutta  questa  rimostranza  accorde- 
vole  approvazione,  si  occupò  nei  primi  giorni  dell'agosto  successivo  allo  statu- 
to, e  scrisse  alle  Presidenze  delle  due  altre  Accademie  aver  divisato  d'associar- 
si ad  esse  per  comporlo,  e  giacche  uno  spirito  eguale  dovea  tutte  animarle  in 
pari  modo,  desitlerare,  che  con  esse  due  membri,  scelti  dal  corpo,  intervenisse- 
ro nelle  sale  della  Società,  afiinchè  uno  sbozzo  d'  organizzazione  fosse  operato, 
il  quale  al  rinnovellarsi  dell'anno  accademico  potesse  essere  sottoposto  alle  di- 
scussioni di  un'adunanza  generale  pella  sua  conferma.  Nel  tempo  feriato  le  tre 
Presidenze, suffragate  da  altri  accademici,  si  raccolsero  puntualmente  in  tornate 
ripetute,  e  compierono  il  divisato  lavoro,  facendolo  sulle  norme  dello  statuto 
cui  aveano  i  Medici,  e  lo  chiamarono  organizzazione  provvisoria  dell'Ateneo  di 
Venezia  . 

Nel  giorno  dodicesimo  di  gennajo  dell'  anno  mille  ottocento  e  dodici  furono 
convocate  tutte  intere  le  tre  Accademie  Veneziane.,  ed  ebbe  effetto  la  prima 
adunanza  dell'Ateneo  .  Francesco  Aglietti  nel  suo  carattere  del  [ùù  benemerito 
gerarca  de' nostri  scientifici  consessi,  aprilla  con  sua  grave,  e  di  alti  concetti 
fecondissima  orazione,  salutando  come  Iratelli  tutti  gli  accademici,  ed  infiam- 
mandoli a  portare  in  quel  recinto,  prima  sacro  alla  medicina,  li  sentimenti 
dignitosi  d'ordine,  di  concordia  e  di  nobile  emulazione,  che  vi  grandeggiarono 
sempre,  e  che  soli  valgono  ed  accendere  quella  voglia  irresistibile  d  indagazio- 
ne,  che  fu  causa  in  ogni  tempo  dell'  origine,  e  de'  luminosi  progressi,  cui  ebbe- 
ro, ed  elevarono  a  sublime  splendidezza  non  poche  scientifiche  e  letterarie  col- 
leganze .  Terminata  ch'egli  ebbe  la  sua  orazione,  chiamò  i  novelli  accademici  • 
a  discutere  intorno  all'organizzazione  provvisoria  dalle  tre  Presidenze  dettata,  e 
la  mente  di  tutti  divenendo  rivolta  al  solo  scopo  della  generale  utilità  che  in 
quella  ravvisarono  espressa,  risultò  adottata  con  pienezza  di  voti .  E  dovendosi- 
credere  che  i  corpi  morali  a  simiglianza  dei  fisici  abbian  mestiere  di  organi  che 
alle  parli  diffondano  gli  elementi  di  vita,  trovossi  necessario  di  subito  affidare  il 
reggimento  dell'Ateneo  ad  alcuni  fra  suoi  membri  piii  distinti,  ne'  quali  risplen- 
dessero le  doti  e  la  virtìi  dei  prudenti,  le  doti  e  le  dottrine  dei  saggi.  Di  qui  ac- 
cadde, che  il  Co.  Leopoldo  Cicognara  fu  eletto  a  Presidente,  il  Consigliere 
Francesco  Aglietti  a  Segretario  della  classe  per  le  scienze,  il  Professore  Fran- 
cesco Dnprè  a  Segretario  di  quella  per  le  arti,  e  l'Abate  Mauro  Boni  a  Segreta- 
rio della  classe  per  le  lettere.  Conoscendo  in  questo  avvenimento  saviamente 
provveduto  ad  ogni  desiderio,  ad  ogni  volontà,  e  veggendo  finalmente  eretto  al 


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patrio  sapere  nn  nobile  riparo,  gli  accademici  si  disciolsero  da  quella  prima  adu- 
nanza ridondanti  di  esultazione  . 

Non  essendo  ricomperevole  il  tempo,  quivi  non  Intratteromml  a  riferire  d'i 
questa  organizzazione  provvisoria,  non  di  ciò  che  1'  Ateneo  abbia  dappoi  opera- 
to, ned  in  quali  mutamenti  siasi  convolto  fino  all'  anno  mille  ottocento  e  dieci- 
sette (i).  Gli  accademici,  che  n'ebbero  il  governo,  diedero  lodato  ragguaglio  di 
tutto  questo  con  le  opere  per  essi  pubblicate  sotto  1'  appellazione  di  Sessioni 
pubì^liche  dell'Ateneo  Veneto  tenute  negli  anni  mdcccxii,  mdcccxiu,  mdcccs.iv, 
iiDcccxv,  MDcccwi  c  MDCccxvii.  SÌ  faccia  nondimeno  di  ricordare  un  variamen- 
to, che  dalle  cose  a  stampa  non  ci  venne  abbastanza  chiarito,  il  quale  è,  che 
ncir  anno  mille  ottocento  e  sedici,  dopo  certi  occorrimentl  che  in  qualche  fog- 
gia riesciroiio  d'impedimento  per  la  facile  andatura  del  consesso,  si  giudicò  ne- 
cessario di  creare  un  Segretario  Perpetuo,  il  quale  servisse  per  cosi  dire  di  pun- 
to centrale  in  cui  si  potesse  in  ogni  tempo  ritrovare  raccolta  la  sapienza  di  tut- 
ta la  disciplinare  e  scienlilica  cosa  dell'Ateneo,  e  venisse  per  tal  modo  tolto  il 
pericolo,  che  nella  mutabilità  della  presidenza  succedesse  difticoltà  ne' metodi 
di  dirigere  il  corpo,  e  non  sapessero  gli  stranieri  a  chi  addrizzare  le  inchieste, 
se  addiveniva  che  lumi,  o  compartire,  o  ricevere  desiderassero  dalla  nostra  So- 
cietà. Per  le  quali  ragioni,  ed  anche  per  procedere  conforme  l'esempio  delle 
altre  Accademie,  nell'adunanza  del  dì  quarto  di  gennajo  dell'anno  istesso  si  fece 
la  proposta  d'istituire  la  carica  di  Segretario  Perpetuo,  e  venne  con  soverchiaii- 
za  di  suffragi  accettata  . 

Frattanto  ricorrendo  il  tempo ,  che  i  Scgrelarli  delle  classi  fossero  rinno- 
vali, vennero  sottoposti  a  severo  scrutinio  i  nomi  di  parecchi  membri  ordi- 
narli, che  per  cuore  appalesato  caldissimo,  e  per  cognizioni  svariate  si  erano 
rivocatl  i  comuni  raggu  irdamenti .  Ebbe  luogo  questo  fatto  nella  tornata  del 
giorno  undecimo  di  gennajo  del  mille  ottocento  e  sedici,  e  sortirono  eletti  11 
dott.  Francesco  Enrico  Trois,  il  gentiluomo  veneziano  Antonio  Diedo,  ed  il 
dott.  Paolo  Zannini,  cioè  il  primo  a  Segretario  della  classe  per  le  scienze,  11  se- 
condo di  quella  per  le  arti,  ed  il  terzo  della  classe  per  le  lettere.  A  giudizio  di 
lutti  furon  tenute  queste  elezioni  per  ottime,  e  provvidissime  ai  lodevoli  scopi 
dell'  Ateneo,  e  non  fu  dall'  avviso  di  lungi  1'  effetto,  posciacchè  li  tre  nuovi  Se- 
gretarli  testimoniarono,  per  ciò  cui  diedero  in  luce  nelle  teste  ricordate  sessioni 


(i)  Si  mandò  a  Milano  l'organizzazione,  ed  anclie  il  rapporlo  dell'unione  fallasi  della  terza 
accademia,  ed  il  Miuislro  dell'Interno  con  lettera  del  giorno  3  aprile  1812  significò  clie  l'orga- 
nizzazione veniva  trasmessa  al  R.  Istituto  pella  sua  approvazione,  su  cui  non  s'ebbe  poscia  al- 
cuna notizia,  e  elle  l'accettazione  nell'Ateneo  dell'Accademia  di  Kelle  Lelleie  fu  approvata. 


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pubbliche,  quanto  a  buon  dritto  essi  meritarono  di  Tcnire  a  quella  maggioranza 
innalzati  .  E  circa  la  scelta  del  Segretario  Perpetuo  è  mestieri  di  notare,  che 
nel  cospetto  degli  accademici  non  potè  apparire  accettevole  che  Francesco 
Aglietti,  e  nella  radunanz;i  del  giorno  vigesimo  quinto  del  medesimo  gennajo  ei 
vi  rimase  eletto,  ed  in  tale  sua  scelta  gli  animi  sentirono  quella  dolce  soddisfa- 
zione, che  si  suole  provare,  quando  s'abbia  il  convincimento  d'aver  fatto  ope- 
ra buona . 

Successi  che  furono  codesti  variamenti,  egli  era  naturale  lo  sperare,  che  do- 
Tesse  l'Ateneo  percorrere  più  splendida  vita.  Ma  siccome  nello  stazio  del  bene 
suole  spesso  accovacciarsi  eziandio  il  serpe  della  sventura,  così  a  turbare  l'incre- 
mento della  nostra  società  apparve  ncU'  anno  mille  ottocento  diecisctte  un  mor- 
bifero flagello,  detto  il  tifo,  che  furiando  dall'uno  all'altro  lato  della  popolosa 
Venezia,  ed  avendo  o  vulnerati,  o  morti,  e  nostri  amici,  e  nostri  figli,  e  nostre 
donne,  e  nostri  teneri  parenti,  e  molti  di  noi  medesimi,  da  per  tutto  erasi  sparsa 
la  desolazione,  la  quale  ogni  animo  contristando  impediva  che  l'intelletto  potesse 
negli  studii  tranquillamente  occuparsi.  Provenne  da  questa misav ventura  che  le 
tornate  furono  per  più  mesi  interrotte,  che  i  leggitori  erano  assai  scarsi  e  che 
fino  al  maggio  dell"  anno  successivo,  in  cui  1"  ira  erasi  rattemperata  del  morbo 
epidemico,  non  si  prese  alcuna  delle  misure,  che  fossero  acconcie  a  riporre  il 
corpo  accademico  nelf  attività  primitiva.  Perlochè  soltanto  nel  giorno  settimo 
di  questo  mese  del  mille  ottocento  e  dieciotto,  trovandosi  1  Ateneo  periclitante, 
avendo  il  Co.  Leopoldo  Cicognara,  dopo  un  lustro  d'indefesse  ed  utilissime  fati- 
che, rinunciato  al  carico  di  Presidente,  determinossi  il  Segretario  Perpetuo  a 
rompere  si  funesto  torpore,  e  fatta  sposizione  ai  socii  delle  cause,  che  aveano 
prosternato  l' Ateneo  in  tale  decadenza,  additò  delle  norme  per  rivocarlo  alla  pas- 
sata alacrità,  la  somma  delle  quali  si  fn  di  eleggere  senza  indugio  un  Presidente 
atto  ad  infondere  calore  all'intero  corpo,  di  dare  alle  classi  de'  Segretarii ,  che 
valgano  a  tenerle  ravvivate,  e  d' istituire  una  commissione,  all'  oggetto  d' inve- 
stigare, se  sianvi  nello  statuto  de'  germi,  che  producano  i  mali  presenti.  Intanto 
essendo  le  classi  prive  di  Segretarii,  perchè  il  loro  torno  da  qualche  mese  avean 
compiuto  gli  antecedenti,  ne  furon  sul  fatto  provvedute  le  due  per  le  Scienze  e  per 
le  Lettere  .  Doveasi  a  quella  delle  arti  pur  dare  un  Segretario,  ma  ne  rattenne 
la  scelta  il  considerare,  che  tale  incumbenza  potea  forse  con  ottimo  effetto  es- 
sere bipartita  in  maniera,  che  alle  Scienze  venissero  assegnate  anche  le  arti 
meccaniche,  ed  alle  Lettere  le  arti  liberali .  Così  facendo  si  menomava  il  biso- 
gno di  ordinare  su  cariche  troppi  accademici  in  una  volta,  e  si  coglieva  il  van- 
taggio di  rendere  più  allargato  il  campo  delle  ricolte  .  Ncll'istesso  giorno  si  fe- 
ce la  Commissione  per  rilevare  i  difetti  dello  statuto,  la  quale  risultò  composta 
dei  due  onorarli  Cav.  Guido  Co.  Erizzo,  dott.  Pietro  Pezzi,  e  dei  due  ordinarli 
3 


IO 

dott.  Paolo  Zanninl  e  dott.  Giovanni  Francesco  Avesani,  tutti  e  quattro  acca- 
demici ragf  uardevolisslmi .  Essi  praticarono  diligenti  ogni  loro  studio  in  quel- 
l'opera, e  la  diedero  dappoi  compilata,  avendo  evitato  quella  moltiplicità  di  pre- 
cetti, che  fa  delle  leggi  1  aramaliamcnto  dell'  intelletto  . 

La  malattia  epidemica,  lu  causa  per  le  dette  ragioni,  che  divenne  sleghevole 
la  nostra  colleganza,  ma  fu  anche  causa,  che  tenendo  altrove  afiaticato  il  Segre- 
tario per  le  Scienze,  ei  non  potè  tributare  al  corpo  operazioni.  11  Segretario  per 
le  Lettere  Pietro  Biagl  si  adoperava,  egli  è  vero,  senza  posa,  ma  quale  potea 
succederne  risullamento?  Il  tutto  procedeva  a  sghimbescio,  e  non  eravi  che  dis- 
amore ed  apat\a .  Furon  chiamati  più  volte  al  posto  di  Presidente  membri  de' 
più  preclari .  Ninno  volle  avventurarsi  al  reggimento  di  un  corpo  tanto  sfascia- 
to, ed  era  prossimo  al  suo  ultimo  perimento,  allorché  Francesco  Aglietti  per- 
venne ad  impedirlo  .  Ei  fece  inchiesta  autorevole  e  gagliarda  d  essere  sciolto 
dal  carico  di  Segretario  Perpetuo,  e  di  venire  surrogato  da  un  altro,  giacche 
su  lavori  differenti  e  gravissimi  la  sovrana  clemenza  avealo  comandato,  ed  era 
quindi  distolto  dal  ben  sostenere  l'accademica  incumbenza  .  Fu  a  tutti  un  cor- 
dowlio  la  forza  delle  sue  ragioni,  e  convenne  soggiacervi,  ma  si  volle  che  ancora 
ei  fosse  di  noi,  eh'  egU  avesse  bensì  un  ufficio  di  pondo  minore,  ma  che  a  statico 
del  suo  attaccamento  ci  accordasse  di  crearlo  Presidente.  Nelladunanza  imper- 
tanto  dell' ultimo  giorno  di  ottobre  del  mille  ottocento  e  dieciotto  fu  a  lui  con- 
cessa la  rinunzia  al  posto  di  Segretario  Perpetuo,  e  fu  a  lui  conferito  quello  di 
Presidente .  Nel  medesimo  giorno  venne  eletto  a  Segretario  Perpetuo  Paolo 
Zannini,  e  tanti  argomenti  s'aveano  della  sua  attività  e  delle  sue  dottrine,  che 
di  quell'onore  non  solo  lutti  lo  reputarono  meritevole,  ma  trenta  dei  socii  presentii 
vollero  di  più  legittimarne  la  scelta  sottoscrivendone  1'  atto  col  proprio  nome .  ! 

Travagliavano  nella  detta  maniera  le  cose  dell'  Ateneo,  quando  11  nuovo  Se- 
gretario Perpetuo  si  accinse  con  ogni  fervore  a  promuoverne  la  prosperazione  . 
Il  codice  disciplinare  prodotto  di  fresco  alla  Presidenza  erasl  ritrovato  assai  uti- 
le, e  questa  ne  usava  a  sua  norma,  benché  non  mal  suggettato  alla  conferma 
del  corpo,  durando  ancora  lo  slegamento  del  socii,  che  scarsi  e  sbadatissimi  fre- 
quentavano le  adunanze  .  Col  buono  alla  mano  di  questo  codice  11  dott.  Zannini 
raggiravasi  da  ogni  parte  per  rinvenire  escati  di  riordinamento  .  Ei  suppliva  al 
Segretario  per  le  Scienze,  e  d'accordo  col  Presidente  e  col  Segretario  per  le 
Lettere  immaginò  di  aprire  ogni  giorno  nell' Ateneo  una  stanza,  cui  piacque 
chiamare  Gabinetto  di  lettura,  dove  sulle  scienze,  sulle  arti  e  sulle  lettere  opere 
periodiche  vi  fossero  nostrali  e  straniere,  fogUettl  eziandio  politici ,  ed  alcuni 
de'  hbrl  più  recenti  e  più  lodati  ad  uso  di  ogni  socio .  Mirava  il  trovato  ad  ade- 
scare gli  accademici  al  raccorsi,  ad  accostarsi  fra  loro,  ad  aver  spesse  occasioni 
di  ragionare  sulla  loro  società .  Questo  trovato  fu  proposto  al  corpo  nel  giorno 


1 1 

vigcsimo settimo  d'i  gcnnajo  del  niillc  ottocento  eventi,  e  non  solo  venne  accolto, 
ma  in  quel  ili  venne  anche  stabilito,  che  il  costruire  e  l'arredare  il  Gabinetto, 
si  facesse  per  iloni  spontanei:  ed  abbenchè  la  spesa  levasse  a  molto,  essendo  ai 
Veneziani  sempre  connaturale  la  cortesia,  issofatto  furonvi  i  danari  per  sostenerla. 
Allora  si  approntò  ogni  cosa  per  aprirlo,  ed  il  Magistrato,  detto  Direzione  Ge- 
nerale di  Polizia,  nel  di  decimo  secondo  d'ottobre  del  milleottocento  e  venti 
ne  accordò  il  permesso.  Cosi  la  stanza  di  lettura  per  opra,  puossi  dire,  dt;l  solo 
Segretario  Perpetuo  fu  aperta,  e  ciò  valse  ad  isvegliare  qualche  oscillazione,  ma 
non    a  vincere  di  molto  la  cascaggine  da  sì  lungo  tempo  radicata. 

Dove  rivolgere  i  vedimenti  per  migliori  prospcrazioni  ?  Fini  il  tempo  che  il 
Segretario  per  le  Scienze  occupasse  quel  posto  .  Nel  giorno  decimo  di  maggio 
del  mille  ottocento  e  ventuno  le  due  Classi  vennero  fornite  di  nuovi  Segretari!. 
Il  dott.  Filippo  Scolari  a  quella  delle  Lettere,  e  lo  Scrittore  di  questi  Ricordi 
fu  destinalo  alla  Classe  per  le  Scienze.  La  Presidenza  se  ne  sentì  presto  porta- 
ta a  buone  speranze,  ma  lo  Scolari  durò  nel  suo  posto  non  più  di  tre  mesi,  per- 
chè venne  ad  un  pubblico  uflicio  trasferito  in  Verona .  Un  certo  caldo  nondi- 
meno erasi  di  già  disparso  per  la  società,  un  certo  discorrere,  un  certo  critica- 
re,  un  prurito  da  un  lato  pel  biasimo,  dall'altro  per  la  lode,  tutto  annunciava, 
che  il  lanijuorc  s'  andava  sciogliendo  .  Terminò  quell'  anno  accademico  coli  im- 
primere qualche  ricordanza  di  se  nella  mente  dei  socii .  Kel  tempo  feriato  il  Se- 
gretario Perpetuo  mandò  copia  dello  Statuto  ad  ogni  ordinario,  acciocché  bene 
ognuno  se  ne  potesse  conoscere,  e  sapesse  ragionarne  all'  istante  di  confermar- 
lo .  Allontanatosi  il  dott.  Scolari,  di  nuovo  nel  giorno  trentesimo  primo  di  gen- 
naio del  mille  ottocento  e  ventidue,  fu  riposto  nelT  ufficio  di  Se<rretario  della 
Classe  per  le  Lettere  Pietro  Biagi.  Giureconsulto  coni"  egli  è  non  solo  profon- 
do nella  grave  sua  scienza,  ma  anche  colto  a  dovizia  in  ogni  filosofia  e  lettera- 
tura, ritornò  al  seggio  da  pochi  mesi  abbandonato,  e  dispiegò  attività  saggia  e 
perenne,  nella  quale  venendo  ingagliardito,  non  dirò  dall'ingegno,  che  è  trop- 
po assegnato,  ma  dalla  buona  volontà,  di  chi  scrive  questi  avvenimenti,  risultò 
che  in  ogni  settimana  l'Ateneo  si  raccolse  in  adunanza  ordinaria,  che  non  man- 
carono più  leggitori,  che  le  udienze  di  spesso  furon  numerosissime,  che  a  molti 
de' più  colti  cittadini  sorse  desiderio  di  appartenere  a  questa  accademia,  e  che 
per  stringere  con  legami  non  rompevoli  la  nostra  unione  si  tennero  nel  luglio  e 
nell'agosto  di  quest'anni  mille  ottocento  e  ventidue  delle  radunanze  straordina- 
rie, alle  quali  furono  i  membri  convocati  per  |irodurre  il  frutto  delle  loro  medita- 
zioni sul  codice,  da  molti  mesi  ad  essi  trasmesso,  e  risullamenlo  ne  fu.  che  in 
molte  parti  venne  variato  e  quindi  accolto,  e  come  legillimo  in  fine  allottato.  Il 
consigliere  Aglietti  lietissimo  per  questi  indizii  di  prosjieramento  dell'accademia 
da  lui  fondata,  da  lui  al  grido  di  «timabilissima  in  addietro  prodotta,  bramando 


12 

che  non  piìi  JL-clini,  e  conoscendo  che  le  sue  occupazioni  nel  regio  Governo  tempo 
non  gli  jjotean  concedere  per  consacrarsi  ad  altro,  chiese  con  lettera  del  dì  pri- 
mo  dell'istesso  agosto  il  sollievo  del  suo  incarico,  aggiugnendo  che  dopo  averlo 
sostenuto  per  quattro  anni  egli  sperava,  che  l'Ateneo  avrebbe  conosciuto  me- 
ritevole di  favore  la  sua  inchiesta .  Poco  mancò  che  lo  sperarlo  fosse  un  so- 
gno, perchè  niuno  volea  acconsentirvi,  tutti  voleano  salvare  all' eo^ida  del  suo 
nome  la  gloria  del  corpo,  e  quando  il  resto  della  Presidenza  portò  ai  voli  l' ele- 
zione di  un  altro,  nacquero  discussioni  avventate,  perchè  non  voleasi  abbadare 
che  Aglietti,  per  esser  membro  onorario,  e  per  aver  unito  d  giro  della  sua  carica, 
avesse  diritto  alla  rinuncia,  ma  voleasi  solo  obbedire  alla  voce  del  nostro  biso- 
gno, e  si  durò  grande  stento  a  calmare  le  menti,  ed  a  condurre  questo  cambia- 
mento conforme  lo  richiedeano  sii  statuti . 

Nel  giorno  vigesimo  secondo  dell' agosto  mille  ottocento  e  ventidue  si  diven- 
ne  quindi  alla  elezione  del  terzo  Presidente  dell'Ateneo,  la  quale  accadde  nel 
Cav.  Carlo  Antonio  Co.  Gambara,  Questo  dotto  gentiluomo  s'accese  a  prò  del- 
la cosa  in  modo  ammirabile,  e  propose,  ed  ottenne  la  stampa  del  nuovo  statuto, 
che  fu  eseguita  col  titolo  di  Regolamento  dell'  Ateneo  di  Venezia,  pensò  alla 
regolarità  delle  tornate,  ed  anche  ad  allargare  i  mezzi  per  la  migliore  opportu- 
nità agli  studii  .  I  libri  che  dal  Governo  furon  concessi  alla  Società  di  Medici- 
na,  e  che  da  questa  provennero  ali"  Ateneo  stavansi  rabbatuffolati  ed  ammontic. 
chiati  con  gli  altri,  o  di  nostro  conquisto,  o  di  doni  spontanei  in  un  luogo  per 
così  dire  senza  accesso  .  Nella  radunanza  del  tredicesimo  di  febbrajo  del  mille 
ottocento  ventitré  venne  proposto  e  conseguito,  che  fosse  fabbricata  una  bl- 
bhoteca,  dove  quel  Ubri  venissero  riparati,  e  resi,  per  una  regolare  disposizio- 
ne, di  comune  vantaggio  .  Chi  il  crederebbe  ?  In  quella  del  primo  di  maggio 
dell'  istesso  anno  fu  deliberato  che  la  libreria  fosse  pagata  per  largizioni  volon- 
tarie, le  quali  furon  sì  pronte  che  in  pochi  dì  se  n'ebbe  il  valsente  .  Il  Presiden- 
te ebbe  di  pili  il  merito,  che  dopo  cinque  anni  avesse  luogo  un'adunanza  pub- 
blica, nella  quale  a  tutta  sorte  di  gravi  e  colte  persone  venisse  testimoniato,  che 
gli  accademici  si  occupano  animosi  in  utili  lavori.  I  Magistrati,  che  amatori  de* 
nobili  studii  onorarono  di  lor  presenza  quell'  azione  solenne,  concessero  i  segni 
dao-o-radimento  ai  frutti  del  buon  volere,  e  la  cortesia  degli  aflollati  cittadini 
salutò  con  festevoli  applausi  1  tentativi  d'un  drappello  di  gente  studiosa,  che  al 
decoro  della  patria  consacra  le  sue  veglie  e  le  sue  meditazioni . 

Non  però  del  continuo  furon  concortli  gli  animi  nel  procedimento  dell'  anno 
mille  ottocento  e  ventiquattro .  Con  inchiesta  del  giorno  quarto  di  gennajo  in- 
diritta alla  Presidenza,  sedici  de'membri  più  reputati  dimandarono  piena  con- 
vocazione del  corpo  per  nuove  leggi,  per  annullazione  d'  ogni  perpetuità  di  ca- 
riche .  La  Società  si  è  unita  per  trattarne  nel  giorno  decimosettimo  dell'agosto 


i3 

di  quest'anno  fuor  il' esempio  numerosissiina  .  Alla  lettura  de" molivi  di  quella 
tornata,  ed  all'udire  che  voleasi  tolta  la  perpetuità  di  un  ufficio,  successero  di- 
sputazioni  infocate  sul  non  diritto  dell'Ateneo  di  privare  una  carica  del  caratte- 
re cui  eli  avealc  conferito  .  Fallace  fu  provata  tale  sentenza,  e  mossero  per  r.v- 
venlura  queste  disputazioni  dai  riguardi  moltissimi,  cui  seppe  meritarsi  il  Segre- 
tario Perpetuo,  e  parca  disamarlo,  variando  la  natura  del  suo  posto.  Non  per 
inn-ratitudine  alle  sue  benemerenze,  ma  chiedeasi  la  riforma,  sostenendo,  che  le 
cariche  essendo  onorifiche  debhon  servire  di  stimolo  all'onesta  ambizione  ed  e- 
mulazionc  di  tutti,  e  non  riguardarsi  pel  retaggio  di  un  solo,  il  «juale  giunto  a 
possederlo,  potrebbe  a  babà  sperperarlo.  Risoluto  avendosi  nelle  discussioni 
molto  tempo,  il  Presidente  dichiarò  sciolta  1'  adunanza  per  aggiornarla  in  avve- 
nire. Codeste  vicende  per  altro  non  ritardaron  le  cose  metodiche,  e  non  fu  vero  il 
supposto,  che  per  esse  in  quest'anno  mancasse  l'adunanza  pubblica,  la  quale  per 
questo  solo  faltò, che  la  sala  maggiore  dell'Ateneo  minacciava  cadimento, perchè 
alcune  sue  parti  integrali  divennero  per  vecchiezza  disaccordale  e  scommesse. 

L'  anno  mille  ottocento  venticinque  ebbe  cominciamento  non  lieto  pelta  Pre- 
sidenza, essendosi  da  essa  staccato  Paolo  Zannlni,  che,  per  lettera  del  di  tredi- 
cesimo dicembre  poco  prima  trascorso,  rinunciò  alla  carica  di  Segretario  Per- 
petuo .  Increbbc  l'  allontanamento  di  un  uomo  sì  veggente,  e  fu  mestieri  che 
da  lui  che  qui  scrive  si  raddoppiassero  gli  sforzi  per  sostenerne  le  veci .  Le 
letture  nondimeno  di  o^ni  settimana  furono  esaltamente  eseguite,  e  nel  di  nuin- 

o  o  -  1 

to  del  maggio  di  quest'anno  venne  rijireso  11  discutere  intorno  alle  regole  di- 
sciplinari. Le  rilorme  da  parecchi  mesi  richieste,  furono  ad  una,  ad  una  dall'  Ate- 
neo accettate,  e  rlsultonne  quel  terzo  statuto,  che  trovasi  stampato  nel  tomo  pre- 
sente. Per  codeste  nuove  riforme  avvenne  il  dovere  di  eleg-gere  il  Consiirlio  Ac- 
cadcmico  ed  il  Vice-Presidente.    Nella  tornata  del  dì  sedicesnno  di  s'iuo-no  fu- 

C        CD 

rono  scelti  pel  Consiglio  tra  i  membri  della  classe  scientifica  gli  ordinarli  Marco 
Cornianl,  Stefano  Marianinl  e  Bartolommeo  Bizio,  e  tra  quelli  della  classe  let- 
teraria <t|1  ordinarli  Pietro  Belilo,  Giovanni  Bellomo  e  Luicri  Pezzoli ,  accade- 
mici  lutti,  che  diedero  prove  non  dubbie  di  aver  1'  animo  sempre  inclinato  al  la- 
voro, dove  accada  di  promovcre  1'  incremento  dell'  Ateneo .  In  quella  poi  del  dì 
trentesimo  dell' islesso  giugno  venne  innalzato  lo  Scrittore  di  queste  Ricordazio- 
ni  al  grado  di  Vice-Presidente,  ed  ei  che  sen  conobbe  immerllevole,  pregò 
fortemente  la  Società  di  sorreggerlo  nel  suo  nuovo  ministero.  Rimasto  vacante 
il  posto  di  Segretario  per  le  Scienze,  vi  venne  eletto  nel  dì  settimo  del  luglio 
successivo,  r  accorgevole  naturalista  Marco  Cornianl,  e  dopo  siile  ffiorni,  al 
posto,  da  questo  prima  occupato  nel  Consiglio  Accademico,  l' abilissimo  Pro- 
fessore di  Chirurgia  Andrea  Campana  . 

Un'  occasione  dappoi  fortunatissima  riempì  di  grande  fidanza  la  nostra  Acca- 
demia, e  codesta  ella  fu  l'arrivo  in  questa  regia  Venezia  di  SUA  MAESTÀ',  col 


i4 

TÌrtuosissimo  suo  figlio  Fbancesco  Ciiito  Giuskppk  .  L'Ateneo  conoscendo  quan- 
to l'egregio  Principe  sia  amatore  delle  scienze  e  delle  lettere,  e  di  quelli  clic 
le  professano,  implorò  la  grazia  di  riverirlo  tra  suoi  Membri  Onorarii.  Neil  adu- 
nanza del  giorno  diciottesimo  d'agosto  di  quest'anno  mille  ottocento  venticin- 
que quando  il  Vice-Presidente  annunciò,  che  S.  A.  I.  e  R.  t'  Aeiciduca  d'  Au- 
stria FftAwcEsco,  C\RLo,  Giuseppe  accolse  benignamente  la  preghiera  a  lui  fatta 
di  essere  scritto  il  primo  fra  i  nostri  Membri  Onorarii,  il  Presidente  Co.  Gam- 
bara  recitò  sul  felice  avvenimento  una  nobilissima  orazione,  e  gli  Accademici 
trascesero  in  esultazione  infrenabile,  per  cui  1'  acclamare  il  nuovo  Socio  non  fu 
-  con  detti,  o  con  favella,  ma  per  un  impeto  clamoroso  d'applausi  i  più  sonanti . 

Nel  mille  ottocento  ventisei  da  questo  fatto  venne  l'Ateneo  inanimito  non  so- 
lo a  ben  condurre  i  lavori  ordinarn,  ma  anche  a  promovere  imprese  maggiori  . 
Il  Co.  Gambara  terminò  di  essere  Presidente,  lasciando  memorie  cospicue  del- 
lo zelo  il  più  fervente,  e  quindi  nell  adunanza  del  giorno  primo  di  giugno  ven- 
ne eletto  a  quarto  Presidente  il  Segretario  per  le  lettere  Pietro  dott.  Biagi,  al 
quale  fu  in  guiderdone  de'  sostenuti  travagli  questa  carica  più  onorifica  conferi- 
ta. Nella  tornata  della  settimana  successiva  al  posto  di  Segretario  per  le  lette- 
re fu  prescelto  il  dottissimo  Abate  Giovanni  Professore  Bellomo,  e  nei  posti 
del  Consiglio  Accademico  lasciati  vacanti  dall'  ab.  Betlio  ,  divenuto  membro 
onorario,  e  dall'  ab.  Bellomo  ,  furono  preferiti  il  gentiluomo  Antonio  Dicdo  , 
ed  il  cessato  Presidente  Co.  Gambara.  Implorossi  dall'Eccelso  Governo  il  rc- 
stauramento  della  fabbrica  dell  Ateneo,  che  levava  a  forte  spendio,  e  munifi- 
centissimo,  e  fautore,  come  egli  è,  delle  studiose  istituzioni  che  accennano  all'uti- 
lità nazionale,  volle  che  la  nostra  preghiera  tornasse  pienamente  esaudita  (i). 
Consacrossi  tempo  non  poco  ad  unire  lavori  pel  tomo  presente,  e  l'Ateneo  ne 
fece  la  scelta,  e  ne  prescrisse  la  pubblicazione,  che  ora  si  produce  eseguita  . 

Da  questi  pochi  ricordi  apparisce  che  antichissima  è  la  prima  origine  della  no- 
stra società;  che  sempre  condusse  giorni  operosi,  finche  politici  impedimenti  non 
allentarono  1  suoi  passi;  che  le  mutazioni  a  cui  andiede  soggetta  non  mai  meno- 
marono i  suoi  sforzi  al  vantas-jrio  comune  diretti:  che  dove  sia  nato  contro  al 
suo  fiorimento,  o  per  colpa  dei  tempi,  o  per  quella  degli  uomini  qualche  modo 
di  ritardo,  le  furono  in  appresso,  e  raddoppiati  i  favori  dei  Governi,  e  raddop- 
piate le  forze  de'  suoi  membri,  per  cui  potè  rinnovellarsi  con  quella  maniera  di 
prestigio,  con  che  gli  infermi  veggonsi  ne'mali  acuti  risorgere  dallo  sfinimento 
all'alacrità  più  lusinghiera.  Possa  ella  durare  quanto  fu  il  riprodursi  delle  sta- 
gioni da  essa  vedute,  e  possa  il  nome  dell'Ateneo  di  Venezia  per  opere  lodevoli 
andar  sempre  ricordato  nella  memoria  degli  amatori  de' buoni  studii. 

^i)  L'Eccelso  Governo  J'i  Venezia  concesse  la  restaurazione  della  fabbrica  con  sua  risoluzio- 
ne N."  iSoio  del  giorno  28  di  settembre  dell'anno   1826. 


STATUTO 


DELL' 


ATENEO  DI  VENEZIA 


STATUTO. 


ARTICOLO  I. 

D  E  L  L'    A  T  E  N  E  O. 

1.  L'  Ateneo  si  compone  di  trentasei  Membri  Ordinarii,  dimoranti  nella  città  di 
Venezia . 

2.  A  questi  si  aggiunge  un  numero  illimitato  di  Socii  Ordinarli  Esterni,  di  Socii 
Onorarli,  di  Socii  Corrispondenti . 

3.  L'Ateneo  si  divide  in  due  Classi,  e  sono  quella  delle  Scienze  ed  Arti  e  quella 
delle  Lettere  e  Belle  Arti . 

4-  Ogni  Classe  è  composta  di  un  numero  possibilmente  eguale  di  Membri  Ordina- 
rli, ed  ha  il  proprio  Segretario  . 

5.  L' Ateneo  ha  una  Presidenza,  un  Consiglio  Accademico,  un  Bibliotecario,  un 
Archivista,  un  Cassiere  gratuiti,  ed  ha  Bidelli  pagati . 

6.  L'Ateneo  incomincia  l' anno  accademico  col  primo  giovedì  di  dicembre,  e  lo 
termina  coli'  ultimo  giovedì  di  agosto,  e  si  raccoglie  in  adunanza  ordinaria  nel 
giovedì  di  ogni  settimana,  eccettuati  qjjeUi,  ne'quali  occorra  una  festa  pub- 
blica . 

ARTICOLO  II. 

DELLA    PRESIDENZA. 

•j.  La  Presidenza  è  composta  del  Presidente,  del  Vice-Presidente  e  dei  due  Se- 
gretari) delle  Classi . 

8.  Si  unisce  in  adunanze  sue  particolari  ogni  volta  che  11  buon  governo  dell'Ate- 
neo lo  richies'g'a. 

g.  Il  Presidente  ed  il  Vice-Presidente  si  traggono  dagli  Ordinarli  e  dagli  Ono- 
rarli., gli  altri  due  dai  soli  Ordinarli  e  dalla  Classe,  a  cui  appartengono  . 

10.  Il  Presidente  dura  in  carica  pel  corso  di  tre  anni,  il  Vice-Presidente  per  anni 
cinque,  ed  1  Segretarii  delle  Classi  per  lo  corso  di  quattro. 


i8 

ARTICOLO  HI. 

DELPRESIDENTE. 

1 1 .  Il  Presidente  dell'  Ateneo  convoca  le  adunanze,  le  apre,  le  regola,  e  le  scio- 
glie . 

I  a.  Presenta  nelle  radunanze  qualunque  proposta,  che  sia  propria  degli  scopi  e 
del  reggimento  dell'  Ateneo,  e  ciò  in  qualità  di  organo  della  Presidenza . 

i3.  Appone  la  sua  firma  a  qualunque  atto  contenente  deliberazioni  dell'Ateneo. 

14..  D'accordo  cogli  altri  Membri  della  Presidenza  nomina  le  Commissioni  per 
oggetti  particolari . 

i5.  Apre  le  adunanze  pubbliche  con  un  discorso  sopra  argomento  di  sua  scelta. 

ARTICOLO  IV. 

DEL    VICEPRESIDENTE. 

16.  Il  Vice-Presidente  legge  nella  prima  adunanza  ordinaria  di  ogni  anno  il  rag- 
ffuao-lio  delle  cose  operate  dalla  Presidenza  nel  tempo  delle  vacanze. 

IT.  Fa  le  parti  di  Presidente  in  ogni  caso,  dove  questi  sia  impedito,  ed  appone 
la  propria  sottoscrizione,  dopo  quella  del  Presidente,  ad  ogni  atto  contenente 
deliberazioni  deli'  Ateneo . 

18.  Tiene  la  corrispondenza  così  interna,  come  esterna  dell'Ateneo;  scrive  la 
storia  dello  stesso.;  i  ricordi  intorno  alla  vita  degli  Accademici  defunti;  custo- 
disce 1  sigilli. 

1 9.  Invigila  pella  conservazione  di  quanto  concerna  il  luogo,  in  cui  si  raduna  l'Ate- 
neo: provvede  a  ciò,  che  fa  d  uopo  per  le  adunanze  accademiche,  e  pel  Ga- 
binetto di  Lettura,  e  ripara  ai  minuti  bisogni  della  Società . 

ARTICOLO  V. 
DEI    SEGRETARII    DELLE    CLASSI. 

20.  Li  Scgretarii  delle  Classi  compilano  i  processi  verbaH  delle  adunanze  della 
Presidenza  per  torno  annuo,  e  di  quelle  dell'Ateneo,  ciascuno  nella  propria 
Classe . 

2  1 .  Scrivono  i  rapporti  accademici,  e  li  leggono  nelle  adunanze  pubbliche . 


'9 

22.  Hanno  cura,  che  sicno  fatti  li  viglietti  d'invito,  ciascuno  per  le  letture  della 
propria  Classe,  le  (juall  avranno  luogo  possibilmente  con  perfetta  vicenda. 

23.  In  caso  di  mancanza  del  Vice-Presidente,  il  Segretario  di  Classe,  che  sia  il 
più  anziano  d' impiego,  dcbbe  farne  le  veci . 

ARTICOLO  VI. 

DEL    CONSIGLIO    ACCADEMICO. 

a4--  Il  Consiglio  Accademico  è  composto  di  sei  Membri,  tre  della  Classe  per  le 
Scienze,  e  tre  di  tpiella  per  le  Lettere. 

2  5.  I  Membri  del  Consiglio  entrano  con  voce  e  voto  deliberativo  in  tutte  le  adu- 
nanze della  Presidenza,  dove  le  deliberazioni  non  vengono  adottate  che  con  al- 
meno due  terzi  dei  voti . 

26.  Debbono  essere  Socii  Ordinarli,  e  durano  in  carica  due  anni. 

ARTICOLO  VIL 

DEL     BIBLIOTECARIO. 

2j.  Il  Bibliotecario  riceve  dalla  Presidenza,  e  custodisce  la  Libreria  dell'Ateneo. 

28.  Tiene  esatto  catalogo  dei  libri  in  essa  contenuti,  e  ne  fornisce  il  Gabinetto 
di  Lettura  e  gli  Accademici,  a  norma  delle  discipline  stabilite  dall  Ateneo . 

29.  Propone  alla  Presidenza  tutti  gli  acquisti  di  libri,  cui  creda  necessarii. 

30.  Dura  nel  suo  uffìzio  pel  corso  di  quattr'anni,  e  vien  tratto  dal  Membri  Ordi- 
narli . 

ARTICOLO  VIII. 

DELL"     ARCHIVISTA. 

3i.  L'Archivista  raccoglie  tutti  gli  atti  dell'Ateneo  fin  dalla  sua  fondazione,  li 
dispone  con  numero  progressivo,  anno  per  anno,  e  11  conserva  tenendone  l'In- 
dice . 

33.  Ha  pure  il  dovere  di  raccogliere  copia  d'ogni  cosa  letta  all'Ateneo. 

33.  Non  concede  copia  di  <pialsiasi  atto  a  veruno,  che  dopo  il  permesso  delia  Pre- 
Bidenza . 


ao 

34-  Al  fine  di  oo-ni  anno  verifica  l'esistenza  integrale  di  tutti  gli  atti  dell'Ateneo, 
e  ne  fa  rapporto  alla  Presidenza. 

35.  Darà  nel  suo  impiego  per  quattro  anni,  e  debb'  essere  Socio  Ordinario  . 

ARTICOLO  IX. 
DEL     CASSIERE. 

36.  n  Cassiere  riscuote  i  danari,  che,  per  qualunque  titolo,  Tengono  pagati  al- 
l' Ateneo . 

3^.  Ha  cura  di  tutta  l' economia  del  medesimo,  della  sua  fabbrica  e  delle  sue  mas- 
serizie . 

38.  Paga  le  spese  consuete  dell'Ateneo,  ritirando  quitanza  da  quelli,  ai  quali  dà 
11  danaro  dello  stesso  . 

3g.  Non  fa  alcun  pagamento  straordinario,  che  dopo  ordine  sottoscritto  dal  Pre- 
sidente e  dal  Vice-Presidente . 

4.0.  Nella  prima  tornata  di  ogni  anno  accademico  presenta  il  bilancio  di  quanto  fu 
amministrato  nell'anno  antecedente  .  Il  bilancio  poi  viene  dalla  Presidenza  af- 
fidato per  l'esame  a  due  Membri  Ordinarli. 

4 1 .  Il  suo  impiego  dura  quattr'  amii,  e  non  vi  può  essere  eletto,  che  un  Socio 
Ordinario  . 

ARTICOLO  X. 
DEI    MEMBRI    ORDINARII. 

4-2.1  Membri  ordinarli  debbono  dimorare  nella  città  di  Venezia  . 

43.  Hanno  per  doveri  essenziali  : 

1."  La  lettura  per  giro  stabilito  di  un  lavoro  sopra  argomento  di  libera  scelta; 
2,.°  L'intervento  alle  adunanze  dell  Ateneo: 

3.''  La  contribuzione  deliberata  dalla  Società  per  la  propria  sussistenza  econo- 
mica . 

44.  Li  Membri  Ordinarli,  essendo  1  soli,  che  essenzialmente  compongano  1  Ateneo, 
hanno  voto  deliberativo,  e  facoltà  di  proporre  ciò,  che  credano  convenire  al 
sempre  maggiore  incremento  della  Società. 


21 

ARTICOLO  XI. 

BEI  MEMBRI  ORDINABII  ESTERM. 

i{5.  I  Membri  Ordinari!  divengono  Membri  Ordinarii  Esterni  quantlo  si  traslo- 
chino fuori  di  Venezia,  e  restano  col  solo  dovere  d'inviare  ogni  due  anni  alla 
Presidenza  una  produzione  da  leggersi  alla  Società . 

46.  Gli  Ordinari!  esterni  acquistano  tutti  gli  attributi  ed  i  doveri  degli  Ordi- 
nari! di  Venezia  ogni  volta  clic  ritornino  a  soggiornare  in  questa  città. 

4.7.  Qualora  una  Classe,  per  la  riunione  di  qualche  Ordinario  esterno,  risulti 
accresciuta  di  Accademici,  non  si  potrà  in  questa  Classe  eleggere  a  Socio 
alcun  altro,  finche  non  rimanganò  posti  vacanti . 

ARTICOLO  XIL 

DEI    MEMBRI    ONORARII. 

48. 1  Membri  Onorarli  hanno  tutti  gli  attributi  accademici  degli  Ordinarii,  e 
nessuno  dei  loro  doveri . 

ARTICOLO  XIIL 
DEI    SOCII    CORRISPONDEMTl. 

49.  Li  Soci!  Corrispondenti  soggiornano  tanto  in  Venezia,  che  fuori  di  Vene- 
zia . 

50.  Li  Soci!  Corrispondenti  dimoranti  in  Venezia  hanno  per  doveri  essenziali: 
I."  L'intervento  alle  Radunanze  dell'Ateneo; 

a."  La  contribuzione  stabilita  dallo  stesso  peli'  economica  sua  sussistenza. 

5 1 .  Leggono  all'  Ateneo,  dopo  accordo  colla  Presidenza . 

Sa.  Li  Soci!  Corrispondenti,  che  non  soggiornano  in  Venezia,  interventrono  al- 
le tornate  dell'  Ateneo,  come  11  Corrispondenti  Veneziani,  ogni  volta  che  si 
trovino  in  questa  città  . 

ARTICOLO  XIV. 

DELLE  ADUNANZE  ORDINARIE  E  STRAORDINARIE. 

53.  Ogni  Adunanza  Ordinaria  comincia  colla  lettura  del  processo  verbale  dell'A- 
dunanza antecedente:  a  questa  si  fa  succedere  la  lettura  di  quegli  scritti  ac- 


22 

cadcmici,  pei  anali  l'Ateneo  fu  Invitato  a  radunarsi  in  quel  giorno:  in  ultimo 
si  trattano  gli  affari  della  Società  . 
54..  Nel  processo  verbale  si  registrano  li  nomi  degli  Accademici   intervenuti  in 
quella  Radunanza;  si  fa  un  breve  sunto  delle  cose  lette  nella  stessa;  si  espon- 
gono gli  affari  in  essa  discussi,  e  le  prese  determinazioni . 

55.  Nelle  Adunanze  Ordinarie  non  può  entrare  alcuno  individuo,  il  quale  non  sia 
Socio  dell'Ateneo,  se  non  in  compagnia  di  un  Membro  O -dinario  od  Onorario. 

56.  L"  Ateneo  si  raccoglie  in  Adunanze  Straordinarie  ogni  volta  che  la  Presi- 
denza il  creda  opportuno  ;  ed,  aftinché  sieuo  legali,  si  debbono  in  esse  osser- 
vare le  medesune  discipline  delle  Ordinarie  .  • 

ARTICOLO  XV. 

DELLE    ADUNANZE    PUBBLICHE. 

5 T.  Ogni  anno  nel  mese  di  aprile  vi  è  un' Adunanza  Pubblica.  Legge  in  essa 
prima  il  Presidente,  od  il  Vice-Presidente,  dappoi  il  Segretario  della  Glasse 
Scientifica,  ed  in  ultimo  il  Segretario  per  le  Lettere . 

58.  E  libero  per  lutti  1'  accesso  alle  Adunanze  pubbliche  . 

ARTICOLO  XVL 

DELLEELEZIONI. 

So.  Non  può  farsi  alcuna  Elezione,  se  prima  non  sia  stata  annunciata  nel  vlgliet- 
to  d' invito  per  1'  adunanza  di  quel  giorno  . 

60.  Si  tiene  per  eletto  quell'individuo,  il  quale  abbia  ottenuto  due  terzi  dei  voti 
degli  Accademici  intervenuti  :  e  fra  due  concorrenti,  quello  che  abbia,  oltre 
i  due  terzi,  conseguito  la  pluralità . 

61.  Accadutala  mancanza  di  un  Membro  Ordinario,  il  Vice-Presidente  partecipa 
l'avvenimento  a  tutti  i  Membri  Ordinarli  della  Classe,  a  cui  appartenne,  me- 
diante lettera  circolare,  e  li  richiede  di  proporre  un  individuo,  che  possa  occu- 
pare il  posto  vacante.  Tutti  li  proposti  sono  poi  messi  al  voli  di  un'adunanza. 

62.  L'Accademico  eletto  deve  leggere  un  discorso  sopra  argomento  di  sua  scel- 
ta, al  più  tardi  due  mesi  dopo  la  seguita  sua  elezione,  nel  quale  farà  una  ricor- 
dazione  onorevole  dell'Accademico  a  cui  succeda,  nel  caso,  che  questi  sia  morto. 

63.  Il  Presidente  ed  il  Vice-Presidente  sono  proposti  da  ogni  Membro  Ordina- 
rio, ed  eletti  poscia  dall'Ateneo  col  metodo  seguito  per  la  elezione  degli  Or- 
dinari! . 


64-  Li  Segrctarii  di  Classe  ed  ì  Membri  del  Consig-lio  Aceadeuiico,  sono  projio- 
sti  dagli  Ordlnaril  della  propria  Classe,  ed  eletti  dall'  Ateneo,  conforme  il  me- 
todo delle  antidette  elezioni. 

65.  I  Membri  Onorarli,  li  Socii  Corrispondenti,  il  Bibliotecario,  l'Archivista  ed 
il  Cassii.-re  sono  proposti  tlalla  Presidenza,  ed  eletti  dall'Ateneo. 

66.  I  Bidelli  sono  di  anno  in  anno  scelti  dalla  Presidenza . 

ARTICOLO  XVIL 

DELLE    MEMORIE    DELL'  ATENEO. 

67.  L'Ateneo  pubblica  per  la  stampa  i  suoi  lavori  accademici. 

68.  Tutte  le  Memorie  lette  all'Ateneo  e  consegnate  al  suo  Archivio  per  essere 
stampate,  sono  riviste  da  Commissioni  particolari,  composte  del  Segretario  del- 
la Classe,  a  cui  appartiene  l'Autore  di  ciascuna  Memoria,  e  di  due  Mem- 
bri Ordinarli,  l'uno  dei  quali  viene  scelto  dall'Autore  e  1'  altro  dalla  Presi- 
denza . 

69.  A  seconda  del  voto  di  queste  Commissioni,  la  Presidenza  propone  ali"  Ate- 
neo la  stampa  delle  Memorie  . 

-o.  Ogni  volume  delle  stesse  contiene  la  Storia  dell'Ateneo,  e  quelle  Memorie 
originali,  delle  quali  la  Società  ordinò  la  stampa  . 

- 1 .  Gli  Autori  delle  Memorie  sono  1  soli  risponsabili  delle  opinioni  e  delle  dot- 
trine in  esse  contenute , 

ARTICOLO  XVm. 

DISPOSIZIONI    GENERALI. 

^2.  Ogni  Socio  Ordinario  o  Corrispondente  deve  adempire  in  servigio  dell'Ate- 
neo le  Incumbenze  letterarie  o  scientifiche,  che  gli  vengono  affidate  dalla  Pre- 
sidenza . 

^3.  Un  Socio  Ordinario,  che  manchi,  per  due  anni  di  leggere  alla  Società,  ed 
un  Socio  Ordinario  o  Corrispondente  che  per  sei  mesi  non  paghi  la  contribu- 
zione stabdita-,  o  che  manchi  d' intervenire  per  sei  adunanze  successive  all'A- 
teneo, verrà,  dopo  discussione  di  esso  Ateneo,  cancellato  dal  catalogo  degli 
Accademici  . 

•ji.  La  Società  pronuncia  le  sue  determinazioni  a  partito  segreto,  vinto  coi  due 
terzi  dei  voti  di  un'adunanza. 

-5.  Ogni  deliberazione  presa  dall'Ateneo  coi  due  terzi  dei  voli  di  un'  adunanza 


è  leale  (qualunque  sia  il  numero  del  Sodi  intervenuti  ),  purché  l'oggetto  della 
deliberazione  sia  stato  annunciato  nel  viglietto  d  invito. 

-6.  Ogni  atto  dell'Ateneo,  contenente  una  sua  deliberazione,  debb' essere  firma- 
to del  Presidente,  e  poscia  dal  Vice-Presidente  avanti  di  passare  alla  esecu- 
zione . 

r^.  Le  memorie  spedite  dal  Membri  Ordinarli  Esterni,  dagli  Onorarli,  o  dai  Cor- 
ris|)onJentl  stranieri  sono  anteposte,  circa  il  tempo  della  lettura,  a  quelle  dei 
Membri  Ordinarli,  purché  gli  Autori  ne  rlchieggano,  otto  giorni  prima  del  di 
della  radunanza,  la  Presidenza  . 

n8.  Nessun  31embro  dell'  Ateneo  può  essere  ordinato  sopra  due  uflìcli  nel  mede- 
simo tempo . 

■jg.  Ognuno,  che  legga  all' Ateneo,  ha  l' obbligo  di  consegnare,  dopo  un  mese,  la 
copia  della  sua  lettura  all'Archivista. 

80.  Non  potrà  essere  fatta  alcuna  annullazione,  riforma  od  aggiunta  al  presente 
Statuto,  se  non  con  due  terzi  dei  voti  di  un'adunanza  dell'Ateneo,  composta 
del  numero  almeno  di  venti  Votanti,  e  ragguagliati  con  Ischeda  della  muta- 
zione, che  si  tratterà  di  fare . 


ADUNANZA  PUBBLICA 

TENUTA  NELL'  OTTAVO  GIORNO  DI  GIUGNO 
DELL'  ANNO  MDGCCXXIII. 


PROLUSIONE 

DEL  CAV.  CARLO  ANTONIO  CONTE  GAMBARA 

ALLORA  PRESIDENTE. 


J.n  un  giorno  di  tanta  solennità  per  questo  scientifico  letterario  Istilato.,  alla 
presenza  del  ben  degno  rappresentante  l'angusto  nostro  Sovrano  ,  dell  egregio 
personangio,  che  ne  sostiene  le  veci,j  dell"  illustre  capo  della  veneta  Chiesa,  del 
saggio  e  vigile  moderatore  della  provincia,  dell'  indefesso  zelante  capo  del  no- 
stro municipio,  de' distinti  magistrati  ne' diversi  rami  del  pubblico  governo, 
de'  miei  dotti  colleghi,  di  così  colti  uditori,  ben  altro  dicitore  si  converrebbe  ad 
intcrlenervi  a  preludio  delle  accademiche  relazioni,  che  presentar  vi  deggiono 
il  ipiadro  ile' nostri  scientilici  e  letterarii  lavori.  Ma  se  un  tanto  lusinghevole 
onore  di  tenervi  in  oggi  ragionamento  egli  si  è  pure  uno  dei  più  importanti  do- 
veri di  (pieir  ufficio,  cui  volle  chiamarmi  il  favore  de' miei  confratelli,  forse  a 
premio  soltanto  di  quel  fervido  zelo  ch'io  nutro  per  questo  patrio  fiorente  Ate- 
neo, liconforlarnil  ben  posso  colla  non  vana  speranza  che  lo  stesso  adempimen- 
to di  questo  mio  dovere  varrarami  ad  ottenere  da  voi  quelfindulgente  favore  , 
che  rattemprando  almeno  la  trepidazione  ch'io  sento,  tutta  gustar  mi  faccia  la 
gioia  di  un  oriorno  tanto  solenne  e  di  una  così  rajitruardevole  adunanza . 

Più  accomodato  argomento  rinvenire  non  seppi  al  mio  ragionare  che  quello 
d'  andarvi  rapidamente  accennando  le  Accademie,  che  fiorirono  in  questa  nostra 
Vinegia,  madre  mai  sempre  feconda  anche  di  colti  e  peregrini  ingegni  in  ogni 
eenere  di  scientifiche  è  letterarie  discipline  .  Non  discaro  argomento  sarà  que- 
sto per  riuscire  a  quanti  sortirono  i  natali  in  questa  antica  città,  sorta  quasi  dal- 
le onde  come  prodigio  de' Numi  per  opera  dell' induslrc  mano  dell'uomo,  e  dol- 
cemente scosso  e  lusingato  ne  verrà  il  loro  patrio  amore  all'udir  rammentare  le 
glorie  de' nostri  trnjiassati  concittadini,  tra  quali  se  molti  fiorirono  valorosi  guer- 
rieri, e  prodi  capilani,  e  profondi  politici,  e  integerrimi  ina^istrati,  molti  e  molli 
poi  furonvi  ancora,  che  con  profitto  e  con  gloria  resero  un  puro  e  costante  culto 
a  Sofia,  e  di  fiorite  pompose  ghirlande  fregiarono  delle  Muse  gli  altari.  Ma  nem- 
meno verrò  nella  mia  aspettazione  deluso  di  veder  anco  brillare  un  dolce  sorrr- 


28 

so  di  comiùaccnza  in  volto  di  tutti  queMistinli  personaggi,  che  qui  cliiamati 
dalla  voce  di  Cesare  alle  cure  della  pubblica  cosa,  sebben  vider  la  luce  sotto 
altro  cielo,  questa  nostra  patria  riguardan  pure  con  occhio  di  particolare  affet- 
tuosa dilezione,  i  sentimenti  partecipando  dell"  immortale  Francesco  nostro  cle- 
meutissimo  ed  amoroso  padre  ancor  più  che  sovrano,  e  finalmente  che  i  miei 
rao-o-uardevoli  consocii,  sebben  d'uopo  non  abbiano  di  eccitamento  e  di  sprone, 
gelosi  non  pertanto  e  superbi  delle  patrie  letterarie  dovizie,  vie  più  debbano 
accendersi  di  fervoroso  zelo  onde  maggiormente  mantenere  e  promovere  Io 
splendore  e  la  gloria  di  questo  patrio  Ateneo. 


Dacché  tratti  gli  uomini  dal  recìproco  loro  bisogno  sotto  provvide  leggi  a  vi- 
ver si  ridussero  in  socievol  consorzio  insieme  riuniti  e  congiunti,  tosto  a  goder 
cominciarono  di  que'  vantaggi  e  piaceri,  che  solo  esser  possono  il  benefico  frut- 
to delle  ben  ordinate  e  civili  società,  bene  sconosciuto  pur  anco  ed  ignoto  per 
le  selvagge  e  barbare  nazioni.  Ma  punti  ed  agitati  mai  sempre  dalla  irrequieta 
smania  di  ritrovar  nuovi  mezzi  onde  accrescere  la  loro  felicità,  paghi  non  furo- 
no di  godere  soltanto  i  generali  beneficii  ,  che  dalla  social  vita  ridondano ,  ma 
nuovo  bisogno  sentirono  di  estendere  la  sfera  delle  loro  idee,  delle  loro  cogni- 
zioni, de'  loro  piaceri,  e  di  porgere  nuovo  pascolo  alle  non  mai  sazie  facoltà  del- 
la mente,  della  immaginazione,  del  cuore . 

Ben  conoscendo  che  l' uomo  limitato  e  ristretto  tra  1  confini  delle  sole  sue  for- 
ze, dell'appoggio,  della  esperienza  e  dei  lumi  abbisogna  degh  altri  suoi  simili , 
nella  stessa  general  società  altre  più  speciah  e  più  scelte  andarono  mano  a  mano 
formando  alcuni  più  colti  ed  illuminati  tra  loro;,  che,  tutte  insieme  a  coltivar  co- 
spirando le  scienze,  le  lettere  e  le  arti,  nuove  sorgenti  alla  intera   società  di- 
schiusero, non  che  di  nuovi  diletti  e  piaceri,  di  una  solida  universale  utilità.  Ec- 
co, o  signori,  l'origine  delle  Accademie,  antichissima  origine,  che  quasi  avvolta 
si  perde  fra  le  tenebre  dei  secoU  più  remoti .  Di  fatti  fino  dai  più  antichi  tempi 
ebbero  Accademie  gli  Ebrei,  ed  è  ben  forza  il  confessare  che  in  quelle   fiorisse- 
ro 1  più  colti  ingegni  e  gli  uomini  più  scienziati,  se  la  città  di  Debir  molto  pri- 
ma di  essere  saccheggiata  da  Giosuè  (i)  veniva  chiamata  la  città  delle  Lette- 
re, se  il  possente  Nabucco  volle  che  per  la  splendida  e  fastosa  sua  corte  scelto 
venisse  un  numero  di  giovani  alle  scuole  allevati  dei  figliuoli  d' Israello,  e   se   la 


(i)  Alque  inJe  conscenJens  veiiit  ad  habilalores  Dabir,  quae  prlus  Tocabatur  Cariat.  — Sepbir, 
iJesl  civitas  Liileiaium.  los.  XI'.  i  5. 


29 

famosa  Accademia  gerosolimitana  fla  EsJra  isiitiiila  sul  monte  Sion  venne  dal 
Crisostomo  chiamata  la  Scuola  universale  ili  tutta  la  terra  (i)  . 

Egli  e  troppo  noto  che  presso  fjiiella  nazione,  che  barbari  chiamava  gli  altri 
popoli  tutti  noumeno  per  1  intimo  senso  delle  proprie  forze, che  per  orgoglio  na- 
zionale, molto  prima  dei  celebrati  deliziosi  giardini  d'  Aceademo  quelle  adunan- 
ze liorivano,  che  inseguito,  secondo  la  più  comune  opinione, dal  nome  e  dal  me- 
rito di  lui  denominate  vennero  Accademie  (2) 

Lo  stesso  Egitto,  doTe  tanti  sapienti  della  Grecia  diressero  le  dotte  loro  pe- 
regrinazioni, non  fu  ad  essa  inferiore,  ed  è  celebre  il  museo  alessandrino,  che 
ripartito  in  logge,  in  sale,  in  gabinetti,  in  giardini  destinati  alle  adunanze  lette- 
rarie, parte  formava  dello  stesso  reale  palagio,  e  che  a  sommo  splendore  venne 
innalzato  ai  tempi  di  Tolomeo  Filadclfo,  e  noli  pur  sono  i  privilegi  e  gli  onori 
dai  romani  imperatori  accordali  agli  accademici  alessandrini,  che  Imo  venivano 
dell'  ordine  equestre  insigniti  (3)  . 

Ad  imitazione  dei  Greci  ebbero  le  loro  Accademie  anche  i  Romani,  e  nei 
tempi  della  repubblica,  e  in  quelli  dei  successivi  imperatori:  e,  senza  contar  tra 
le  pubbliche  la  prima,  che  venne  dal  governo  protetta,  e  fondata  da  Asinio  Pol- 
lione,  la  famosa  Accademia  di  Augusto  (4),  che,  oltre  i  più  colti  ingegni  tra  i 
suoi  membri  vantava  il  principe  degli  epiti  e  dei  lirici  latini  poeti,  il  famoso  edi- 
Ccio  d'Adriano  cui  venne  imposto  il  nome  di  Ateneo,  egli  è  nolo,  come  lo  stes- 


(')  Veggansi  Iacopo  AllÌDgio,  Giorgio  Orsiui,  Gian-Leonardo  Enbncro  che  scrissero  Jelle  Ac- 
cademie degli  Ebrei,  e  Gotlifredo  Voekerodt,  il  quale  ci  diede  la  storia  delle  Società  lette- 
rarie, che  fiorirono  prima  del  diluvio, 
(a)  Diverse  furono  le  denominazioni  date  in  diversi  tempi  e  luoghi  alle  adunanze  letterarie  co- 
me gaboa,  labratha,  prytaoeum,  athenaeum,  lycaeum,  gyninasium,  schola,  studium,colIegium 
ed  altri.  Il  nostro  Istituto  italiano  e  quello  di  Francia  potrebbero  denominarsi  pritanei ,  poi- 
ché molte  Accademie  della  Grecia,  ove  stipendiali  venivano  gli  uomini  dotti,  erano  appunto 
denominate  pritanea.  Zenoni  T.  8,  piig.  y. 

(3)  Non  solo  i  letterati  vi  facevano  le  loro  confercn/e,  ma  vi  erano  altresì  mantenuti  di  ogni  co- 
sa colle  pubbliche  rendite  a  ciò  destinale.  Quelle  adunanze  si  tenevano  in  occasione  de'giuo- 
chi  consecrati  ad  Apollo  ed  alle  Muse,  e  dal  re  stesso  venivano  eletti  sette  per  giudici  di  quel- 
le composizioni,  che  vi  si  recitavano.  lliJ. 

(4)  Augusto  aperse  Ire  pubbliilie  biblioteche,  e  la  più  celebre  nel  suo  palazzo  sopra  grandiosi 
portici  vicino  al  tempio  di  Apolline,  ed  in  questa  fu  stabilita  da  esso  una  pubblica  Accade- 
mia composta  di  20  celebri  letterati  Virgilio,  Varo,  Tarpa,  Mecenate,  Plozio,  Valgio,  Otta- 
vio, Fusco,  l'uno  e  l'altro  Visco,  PoUione,  i  due  Messala,  i  due  Bibuli,  Servio,  Furnio,  Ti- 
bullo il  vecchio,  Pisone  ed  Orazio,  che  li  nomina  quasi  tutti  ne' Tersi  81-86  della  satira  io.' 
del  lib.  1.  Dacier.  Bemarques  si:i  T art  poélitjue  d' Borace. 


3o 

so  Aulo  Gelilo  l'attesta,  che  molti  tra  1  più  illustri  cittadini  o  ergevano   biblio- 
teche, o  le  stesse  loro  abitazioni  aprivano  ai  Ictterarii  congressi  (i). 

Poscia  fra  le  altre  nazioni  europee  sorger  si  videro  Accademie,  e  specialmen- 
te nell'Italia,  che  sola  ne  conta  più  di  tutte  insieme  le  altre  colte  nazioni  d'Eu- 
ropa, e  molta  lode  si  deve  al  ristauratore  delle  scienze,  delle  lettere  e  delle  ac- 
cademiche società  r  imperatore  Carlo  Magno,  che  diede  il  primo  impulso  alla 
fondazione  di  queste,  e  che  i  piìi  dotti  a  se  chiamati  raccolse  d'intorno,  un'Ac- 
cademia fondando,  di  cui  volle  esser  membro  egli  stessoTNon  è  quindi  meraviglia 
che  anco  nella  nostra  Vincerla  sorg-er  si  vedessero  tante  e  si  rinomate  sclentifi- 
che,  letterarie  adunanze,  e  tante  e  tali  in  essa  borirono  da  poter  a  buon  titolo 
vantarsi  che,  se  la  nostra  Italia  pel  numero  delle  Accademie  superò  tutte  le  altre 
nazioni  d'Europa,  eguagliò,  se  non  vinse  essa  sola  tutte  insieme  le  altre  città 
dell' Italia  (2). 

Non  e  già  esagerazione,  o  signori,  o  troppo  caldo  amor  di  patria,  che  ad  as- 
serire mi  muova  portare  la  nostra  Vinegia  la  palma  sovra  le  altre  città  dell'Ita- 
lia pel  numero  delle  Accademie,  che  specialmente  da  più  di  due  secoli  addietro, 
tra  noi  vennero  istituite,  mentre  attestarvi  anzi  posso  che  allo  scorgere  a  sì  alto 
grado  portata  la  coltura  delle  scienze,  delle  lettere  e  delle  arti,  la  mia  meravi- 
glia supererebbe  non  solo,  se  posslbll  pur  fosse,  la  mia  stessa  compiacenza,  ma 
che,  ad  onta  del  più  tenero  patrio  sentimento,  11  primo  sarei  forse  a  dubitarne 
lo  medesimo,  se  tolto  qualunque  dubbio  interamente  non  mi  fosse  dall'autorevo- 
le testimonianza  dei  più  riputati  scrittori  (3)  . 

Sì,  e  gli  stessi  stranieri  lo  attestano,  questa  antica  città,  che  1  mari  coperse 
delle  mercanlilj  sue  navi,  che  famose  e  temute  rese  le  bandiere  delle  sue  flotte 
coi  più  gloriosi  trionfi  riportati  dal  suol  prodi  ed  abili  capitani,  questa  città  al- 
l'Industria  commerciale  ,  allo  spirito  guerriero  unir  seppe  mai  sempre  anco  l  a- 
more  e  per  gh  ameni  e  pel  severi  studii.  e,  se  d  usar  mi  è  permesso    le   mitolo- 

(i)  Cosi  avea  fjtlo  Liir.ullo,  che  apri  nei  suoi  luoghi  di  delizia  una  biblioteca,  che  cnateneva  nu- 
merosa raccolta  di  libri  greci  e  latini,  ov'egli  accoglieva  non  solo  i  suoi  lellerati  conciltadnii, 
ma  i  greci  ancora,  che  passavano  colà,  a  conversare  in  filosofiche  disputazloni ,  ed  un  niemo- 
raLile  esempio  ne  abbiamo  in  Cicerone  che  a  tal  uso  avea  destinato  la  sua  casa  di  campa- 
gna presso  Pozzuoh,  che  nominò  Accademia,  perchè  ivi  solea  tener  conferenze  co'suoi  dot- 
ti amici,  che  produssero  le  sue  opinioni  accademiche,  ed  il  libro  de  finibus.  —  Zen.  he.  cit. 

pag.  g. 

(a)  Nel  catalogo  del  J.irchio  le  Accademie  italiane  ascendono  al  numero  di  SSo,  in  quello  dello 
Zenoni  ad  800,  non  comprendendosi  le  Accademie  di  Wnezia. 

(3)  11  Sansovino  nelle  Cronache  enella  Venezia,  il  Quadrio,  il  Crescimbenl,  d  RusccUi  e  Apo- 
stolo Zeno . 


3i 
glclic  frasi.^  ben  dir  polreV che  su  dì  questa  novella  Atene  tutti  i  favori  a  jiicna 
mano  snaigosse  ,  che  sulla  greca  già  sparse,  la  protettrice  di  lei  l' immortai  fi- 
glia di  Giove . 

Qui  colla  più  nobil  gara  e  dotti  ecclesiastici,  e  pastori,  e  colli  ed  eruditi  cit- 
txidini  il  glorioso  esempio  seguivano  di  tanti  illustri  patrizii,  che  allo  splendore 
di  antichi  natali,  di  porpore  cittadine,  di  auree  stole  e  di  ducali  corone  quello 
ao-o-liinfTcr  pur  vollero  ancora  di  esimii  cultori  e  protettori  de'  buoni  studii  e  del- 
le arti,  e  a  sempre  più  1  amore  promuoverne  e  la  coltura  ne'  loro  stessi  palagi 
Accademie  fondarono  composte  dei  più  scienziati  tra  noi,  e  di  quelli  delle  altre 
vicine  città,  al  mantenimento  e  al  decoro  delle  stesse  con  generosa  munificenza 
destinando  le  proprie  loro  ricchezze.  Queste  dotte  adunanze  con  particolare  fa- 
vore protette,  «juasi  tutte  uno  splendido  Mecenate  si  ebbero  ne' più  distinti  ma- 
gistrati, e  molle  ancora  nello  stesso  governo,  che  fino  a  trasportarsi  in  Vincgia 
invitò  Vindelino  da  Spira,  per  cui  se  ancora  forse  può  venirgli  conteso  il  vanto 
che  per  le  venete  stamperie  vedesse  il  primo  libro  la  luce,  che  siasi  stampato 
in  Italia,  quello  può  a  tutta  ragione  sostenere  d'essere  stato  il  primo  ad  intro- 
durre, e  proteggere  l' importanlissinio  ritrovamento  della  stampa  (t). 

Non  v'  ha  genere  di  scienza  o  d' amena  letteratura,  che  coltivalo  non  fosse  in 
queste  accademiche  società,  poiché  di  scienze  speculative  esclusivamente  occu- 
pavasi  r  Accademia  degli  Acuti  fondata  in  san  Nicolò  dal  padre  Marco  Antonio 
Ferrari  sotto  gli  auspicii  dei  j)rocuralori  di  Ultra:  della  più  sublime  filosofia, 
quella  dei  Discordanti  nel  i6i8;  della  platonica  quella  dei  Platonici  nel  i55o, 
come  della  naturale  quella  dei  Peripatetici,  della  teologica  scienza  quella  degli 
Assicurati  (2),  e  della  storia  ecclesiastica  l'altra  dei  Concordi  fondata  nell'an- 
no 1  ^60  nella  biblioteca  del  monastero  di  s.  Francesco  della  Vigna  dal  padre 
Flaminio  Laterra  .  La  naturale  filosofia,  ed  in  particolar  modo  la  botanica  era 
Io  scopo  degli  utili  studii  de  Filaleti,  che  vantano  per  loro  fondatore  il  celebre 
storico  veneziano  il  cavalier  procurator  Giambattista  Nani,  che  il  proprio  palagio 
alla  Giudecca  destinò  alle  accademiche  adunanze  :  la  geografia,  la  storia  e  la 
fisica  di  quella  istituita  dal  padre  Antonio  Brandarei  chierico  minore  nel  1 680,  che 
poi  per  opera  del  padre  Ricci  aggregata  venne  all'Arcadia,  e  chiamata  Partenia: 

(i)  La  sua  edizione  delie  opislole  Inmiliaii  di   Cicerone  pubblicata  l'anno  1^69  porla  in  fronle 
questi  due  versi  : 

l'i  linux  in  .Idi  iiica  Joimis  inipomit  aeneis 
Urbe  libros  Spirae  genitus  de  stirpe  Johannes. 
{^)  Fu  istituita  dal  p.  maestro  Santi.  E  diversa  da  quella  dei  Sicuri  fondata,  secondo  il  Quadrio, 
nel  1G20,  die  alzò  per  impresa  il  solo  nell'eclittica  col  motto:   Indeclinabili  gressu.  Un'altra 
Accademia  colla  stessa  denominazione  di  Assicurati   fu  fondata  in  lìurano  daJ  piovano  Giu- 
seppe Tagliapielra.  Zen.  tom.  i ,  pag.  aSa. 


32 

la  giurispriulenza,  la  storia  e  la  antichità  dell'altra  degl"  Imperfetti  nella  propria 
biblioteca  aperta  nel  16^9  dal  celebre  giurisconsulto  ed  avvocato  conte  Mari- 
no degli  Angeli  :  e  la  storia  e  la  teologia  coltivavansi  pure  in  quella  fondata  nel- 
la propria  casa  dal  dottissimo  Gio.  Palazzi  parroco  di  s.  Maria  Mater  Domini  ; 
come  in  quella,  che  egualmente  nella  propria  abitazione  aperse  nel  i  too  il  ce- 
lebre professore  Sebastiano  Melli  coltivate  venivano  la  medicina  e  la  chiruro-ia. 
A  promuovere  ancora  tra  noi  la  cosmografica  scienza  nell'  anno  1630  il  p.  Vin- 
cenzo Coronelli  generale  de'  minori  conventuali  un'Accademia  fondò,  che  dalla 
propria  impresa  della  nave  d'Argo  sopra  il  globo  terracqueo  il  nome  assunse  de- 
gli Argonauti,  ed  il  doge  Marc' Antonio  Giustiniano  non  isdegnò  di  unire  allo 
splendore  delle  ducali  insegne  l'onorevole  titolo  di  principe  di  quella  famosa 
Accademia.  Non  vennero  dimenticate  nemmeno  l'erudizione  e  la  critica;  polche 
sin  verso  la  metà  del  17.°  secolo  nel  palagio  del  procuratore  Querini  aperta  reg- 
giamo l'Accademia  dei  Paragonisti,  dove  le  più  nobili  questioni  discutevansi  di 
erudizione  :  e  quella  dei  Planomaci  tutte  rivolte  area  le  sue  dotte  fatiche  all'  u- 
lilissimo  scopo  di  render  conto  delle  opere  che  a  mano  a  mano  pubbhcate  veni- 
vano colle  stampe  (1).  Finalmente  il  tradurre  le  piìi  riputate  opere  de" greci  e 
dei  latini  scrittori,^  l'illustrare  la  vaghissima  nostra  lingua  italiana,  il  promuovere 
gli  studii  dell'architettura,  tutti  questi  cosi  nobili  lini  mossero  il  celebre  Anton 
Francesco  Doni  ad  istituire  nel  1  55o  1'  Accademia  dei  Pellegrini,  che  tra'  suol 
membri  annoverava  1  più  distinti  letterati  anche  fuori  dell'Italia,  e  a  render  ce- 
lebre questa  utilissima  accademica  società  basterebbero  i  nomi  soltanto  del  Ben- 
tivoglio,  del  Sansovino,  del  Dolce,  del  Feliciano,  del  Coccio  e  dello  stesso  illu- 
stre suo  fondatore  . 

II. 

Ma  se  con  tanto  splendore  in  ogni  genere  di  scientifiche  discipline  si  esercita- 
rono le  accennate  Accademie,  e  molte  altre  ancora  (2),  che  ben  qui  potrei  no- 


(1)  Fondatore  Ji  questa  Accademia  circa  l'anno  1740  fu  1' ab.  don  Medoro  Rossi  di  Rovigo,  ^en. 
Tom.  1 ,  png   290. 

(3)  L'Accademie  de' Fioriti  aperta  nella  casa  dei  patrizi!  Dona  a  santa  Fosca,  de' Serafici  di  cui 
fu  principe  Francesco  Morosini,  de' Pacifici  aperta  in  casa  di  Antonio  Loredan  circa  il  1670, 
deli  Allettati  fondata  da  monsig.  Fiori,  che  fu  poi  vescovo  della  Canea,  che  prese  successi- 
vamente i  nomi  degli  Approvati,  Disingannati,  Disgiunti,  Svegliali  ;  degli  Immobili  che  fiori- 
va circa  l'anno  1642  di  cui  parla  il  Crescimbeni  nella  storia  della  volgar  poesia,  de'Filadel- 
fici  istituita  dal  patriarca  di  Venezia  Gio.  Baduaro  nel  palazzo  patriarcale,  de' Suscitati  istitui- 
ta l'anno  1657  dal  p.  Annibale  Lombardelli  della  compagnia  di  Gesù,  nel  convento  de' padri 
gesuiti;  e  dell'altra  detta  di  s.  Stefano  fondala  nel  convento  degli  Agostiniani  di  s.   Stefano 


33 
minare,  se  di  venirvi  a  noia  non  temessi  a  ragione,  con  non  minor  calore  g.i 
stiidii  collivaronsi  altresì  d'ogni  amena  letteratura.  Tralascierò  di  citarvi  1  Acca- 
demia dei  Prudenti,  che  con  molta  riputazione  ai  tempi  lìoriva  di  Ercole  duca 
di  Ferrara,  che,  invitato,  del  suo  intervento,  onorolla  nel  i4^7i  'i  cui  se  ne  ven- 
ne in  Vinegia  :  quella  ilei  Dubbiosi,  che  a  fonda'ior  riconosce  nel  i55o  il  conte 
Fortunato  i^Iartinengo,  e  che  levossl  in  grande  rinomanza:  le  tre  degli  Inoltrali, 
Provveduti  e  Difesi,  tutte  da  Francesco  Loredan  istituite;  e  le  due  parimente 
degl'Industriosi  1'  una  in  casa  Gozzi  aperta,  l'altra  dal  conte  Glo.  Cattaneo  nel 
I  ^58,  ove  i  ulosohci  argomenti  trattavansi  ed  in  prosa  ed  in  verso  (i);  così  pur 
sotto  silenzio  cpiella  passerò  degl'Immaturi  nel  j6id  istituita  sotto  la  protezione 
del  cavalier  procurator  Francesco  Contarini  e  del  senatore  Andrea  Morosini , 
non  che  l'altra  degl'Informi  da  Antonio  Coluraffi  l'anno  1627  nel  palagio  di 
Alvise  da  Mosto,  che  il  primo  discorso  vi  recitò  nell  apertura,  reso  di  pubblica 
ragione  colle  stampe,  ed  al  vescovo  di  Torcello  Marco  Zeno  intitolato  . 

Ma  ■.;ome  potrò  tacermi  di  alcune  altre  riputate  Accademie,  che  con  particolar 
culto  onoraron  le  Muse,  come  tra  le  altre  quella  del  Dellici  sorta  nel  palagio  <li 
Marco  Bembo  Tanno  16^5  sotto  la  protezione  dei  procuratori  Cornaro  e  Cor- 
raro,  r  altra  detta  della  Calza,  o  dei  Cortesi  che  nel  i533,  oltre  a  molli  genti- 
luomini, ebbe  a  fondatore  Francesco  Bon  :  e  che,  cessata  ahjuanti  anni  dopo, 
più  florida  risorse  sotto  il  nome  degli  Accesi  dal  Sansovino  lodata,  dal  Ferro  e 
dal  Ruscelli? Non  minore  diritto  ad  onorevol  menzione  si  ha  l'Accademia  dei  Cac- 
ciatori (2),  che  con  unanime  concorso  sorger  fecero  gloriosa  Iacopo  Zeno,  Vin- 
cenzo Trevisano,  Iacopo  Baroni  veneziani,  Giam-Paolo  Barozzi  di  Salò,  Gian- 
Alvise  Anguissola  piacentino,  e  qualche  altro  straniero  :  ed  a  questa  ben  può 
contender  la  palma  l'Accademia  de  Dodonei ,  che  l'anno  i6^3  nel  palagio  del 
procur.  di  s.  Marco  Angelo  Corraro  sotto  la  sua  protezione,  e  di  quella  dell'al- 
tro procur.  Angelo  Morosini,  venne  istituita  da  Iacopo  Grandi  pubblico  professo- 
re nell'anatomico  teatro  eretto  poc'  anzi  in  Venezia,  e  da  Antonio  Ottoboni  ni- 
pote del  cardinal  Pietro,  che,  come  a  tutti  è  pur  noto,  sotto  il  nome  di  Alessan- 

Jal  p.  maestro  Brelenoa,  e  lasciando  molte  altre,  di  quella  degli  Animosi  istituita  dal  celebre 
Apostolo  Zeno  nel  1691,  ed  aperta  nel  palazzo  del  fu  patriarca  Grimani  nella  contrada  di 
(.  Maria  Formo?a,  di  cui  era  allora  padrone  il  N.  U.  Gian  Carlo  Grimani.  Avea  questa  per 
oggetto  il  maggior  progresso  delle  arti  e  delle  scienze,  e  la  sna  impresa,  inventata  dallo  Zeno, 
era  un'  ellera  avviticchiata  con  un  albero  col  motto  —  Tenues  grandia  —  Fu  aggregata  al- 
l' Arcadia  di  cui  divenne  una  colonia  nel  1698. 

(i)  La  maggior  parte  dei  dotti  suoi  membri  erano  patrizii.  Zen.  ibid.  pag.  287.  Moschini,  della 
Letlcrat.  ì'encz.  T.  i,pag.  286. 

(2)  Teneva  questa  Accademia  le  sue  adnnaaze  nel  monastero  de' canonici  di  castello.  Nel  1618 
era  principe  di  essa  Giuseppe  BoUani. 


31 

dro  Vili,  cinse  dappoi  la  fronte  del  pontificale  triregno.  Ben   grare    oltraggio 
io  recherei  all'illustre  memoria  del  senator  Gian-Francesco  Loredan  se  qui  di- 
menticata lo  lasciassi  l'Accademia  degl'Incogniti  (i),  ch'egli  eresse  ed  aprì  nel- 
la propria  casa  prima   dell'anno    i  63o,   Accademia  le  cui  glorie   vennero  eol- 
ie   stampe  celebrate  dal  suo    stampatore   Valvasense,  e  con  quella  in    partico- 
lar  modo  che    160  vite   conteneva   de' suoi    accademici,   composte   la   maggior 
parte  dallo  stesso  suo  fondatore,  e  che  tanta  acquistossi  riputazione  e  fama  che 
l'onore  di  appartenervi  quai  socii  ambivano  a  gara  i  più  distinti  letterati,  non 
che  dell'  Italia,  di  tutta  intera  1  Europa  .  Ma  ben  tutti   gli  encomii  ancor  poco 
sarebbero  al  celebre  fondatore  nel  i55^  dell'Accademia  veneziana  della  Fama, 
il  senator  Federigo  Badoaro,  giacche  può  dirsi  che  questa  Accademia  che  100 
socii  contava,  tra  cui  quasi  3o  (2)  patrizii,  in  se  tante  altre  ne  chiudesse,  quante 
erano  le  varie  classi  delle  particolari  facoltà  in  cui  venne  divisa;  poiché  non  solo 
nn' ampia  magnilìca  sala  del  suo  palagio,  ma  ad  ogni  classe  altrettante  separate 
stanze  assegnò,  perchè  ivi  tranquillamente  attender  potessero  i  sodi  a  preparar 
le  materie  e  gli  argomenti,  che  a  tutta  intera  la  società  venir  dovevano  proposti . 
Ne  fu  pago  soltanto  di  quasi  tutto  destinare  il  proprio  palagio,  ma  una   gran 
parte  ancora  all'Accademia  assegnò  delle  sue  rendite  per  la  decorosa  sua  conser- 
vazione, e  dono  le  fece  di  tutti  i  preziosi  manuscritti,  e  di  tutte  le  opere  stampate, 
che  in  gran  copia  con  non  lieve  dispendio  aveva  diligentemente  raccolto.  Non  il 
solo  diletto  degli  studii,  non  il  Siolo  piacere  di  dotte  conversazioni,   ma  l'amore 
del  pubblico  bene  e  della  pubblica  utilità  accendeva  quegli  zelanti  suoi  membri 
a  promuovere  nelle  giornaliere  adunanze  le  scienze  tutte  e  le  arti  pili  nobili ,  ed 
oo-ni  più  acconcio  mezzo  ad  adoperare  pel  loro  maggiore  perfezionamento,  e  quin- 
di da  tutte  parti  del  mondo  colla  più  industriosa  cnra  le  più  interessanti  notizie 
ritraevano  d'invenzioni,  d'utili  scoperte,  e  fino  di  politici  economici  affari,  che  l'u- 
tilissimo argomento  formassero  de'  loro  scientifici  e  letterarli  congressi.  Vastissi- 
me oltre  ogni  credere  erano  le  idee  di  questa  illustre  Accademia,  poiché  non  so- 
lo aveva  per  uno  del  principali  suoi  scopi  il  pubblicare  col  mezzo  de'nltldl  e  cor- 
rettissimi tipi  del  rinomato  Paolo  Manuzio,  uno  de' suoi  membri,  cui  venne  affi- 
data la  direzione  della  tipografia,  le  opere  più  riputate    uscite  in  fino  allora  alla 


(i)  Fra  i  molti  Jislinli  letterali  e  dotti  che  componevano  quest'Accademia  v'erano  ancora  i  ve- 
neti patrizii  Loredan,  Bembo,  Garzoni,  Querini  e  Pietro  Micliiel  valente  poeta  e  socio  della 
Accademia  de' Fantastici  di  Roma  fondala  da  Alberto  Fabris  nel  iGzS. —  Ab.  Malatesla  Ga- 
ruffi,  Italia  accademica  Par.  i,  pag.   18. 

(3)  IVani,  Riva,  Trevisano,  Sanudo,  Contarini,  Gabriel,  Balbi,  Mocenlgo,  Zane,  Barbarigp  , 
Tron,  Vfllier,  Giustinian,  Dalezze,  Grimani,  Bembo,  Orio,  due  Tiepoli,  due  Zorzi,  due  Mo- 
losini  e  tre  Gradenigo.  —  Zan.  Catalogo  JegT  Incogniti. 


35 
loce,  il  rintracciarne  i  più  corretti  esemplari.,  Y  arricchirle  con  eruditissime  illu- 
strazioni, ma  quelle  allrcKÌ  in  0{;ni  genere  di  sdljlle,  e  di  tulle  le  arti  m  ogni 
altra  lingua  straniera,  le  molte  de'suoi  stessi  dotti  accademici,  e  quelle  finalmen- 
te o  piìi  rare,  o  che  non  eransi  pubblicate  per  anco,  per  cui  nell'anno  susseguen- 
te in  gran  copia  alla  lieia  di  Francfort  quelle  poti;  inviare  che  avea  cominciato 
nella  propria  oihcina  ad  imprimere,  ed  in  brevissimo  tempo  un  fiorente  commer- 
cio di  libri  aprire,  e  dilatare  per  tutta  quanta  l'Europa .  Ma  tutto  questo  è  ancor 
poco.  Tra  i  più  nobili  fini,  cui  mirava  questa  utilis.sima  Accademia,  quelli  pur 
v'erano  di  ristampare  tutte  le  venete  leggi,  di  ordinarle  in  4  classi,  di  rivedere 
le  patrie  storie,  di  rettificarle  ed  accrescerle,  di  render  conto  ilei  patrii  istituti 
e  delle  piìi  ftunose  fabbriche,  di  pubblicare  i  cerimoniali  delle  rehgiose  e  civili 
solennità,  di  aver  cura  della  pubblica  biblioteca,  di  ordinare  1  libri,  di  acquistar- 
ne di  nuovi,  di  accompagnare  ad  istruzione  e  diletto  i  principi  ed  illustri  stra- 
nieri che  visitasser  Viuegia,  di  approvare  i  correttori  delle  stampe  di  tutte  le 
tipografie,  di  istruire  1  giovani  nella  cancellaria,  e  di  nulla  in  una  parola  d  in- 
tentato lasciare,  che  tender  potesse  alla  maggior  pubblica  istruitone  e  felicità. 
I  tanti  e  nobilissimi  intraprendimenti  di  così  proficua  società  voi  ben  lo  vedete, 
o  signori,  più  proprii  si  erano  di  un  potente  sovrano  Mecenate,  che  di  semplici 
forze  private,  e  deve  ben  eccitar  la  più  singolare  sorpresa,  sebben  per  le  umane 
fatali  vicende  abbia  cessato  di  esistere,  gravissimo  danno  recando  all'Italia  ed 
a  tutta  l'Europa,  clic  un  così  Vasto  disegno  siasi  potuto  immaginare  ed  esegui- 
re da  un  solo  benemerito  cittadino  tale  Accademia  fondando,  di  cui  mai  non 
sorse  l'eguale.  A  riparar  tanta  rovina  il  ai  giugno  i5g3  alcuni  letterati  di  mol- 
ta fama  e  veneziani  e  delle  vicine  città  aprirono  una  nuova  Accademia  col  titolo 
di  Accademia  veneziana  (i),  che,  presa  in  protezione  dal  veneto  senato,  dallo 
stesso  destinati  si  vide  a  protettori  sei  ragguardevoli  gentiluomini,  ed  al  como- 
do delle  sue  adunanze  ingiunto  di  raccogliersi  nella  pubblica  ducal  libreria,  e 
questa  sulle  traccie  camminò  della  prima,  ogni  ramo  coltivando  delle  scientin- 
che  e  letterarie  discipline,  non  già  a  quella  degli  accademici,  ma  alla  pubbli- 
ca reale  utilità  dirigendo  i  faticosi  lavori  e  le  indefesse  sue  cure  .  Ma  quali  ben 
meritate  lodi  non  dovrcm  tributare  a'  due  tipografi  ,  cui  già  ,  non  la  vile  ingor- 
digia di  guadagno ,  ma  il  solo  nobile  amore  di  promuovere  i  buoni  studii  ed 
il  pubblico  vantaggio,  il  disegno  inspirò  di  farsi  essi  stessi  fondatori  di  due  ripu- 
tatissime  Accademie  ?  D  celebre  Aldo  Manuzio  il  vecchio  non  fondò  forse  nel- 

(i)  I  protettori  furono  Benedetto  Tagliapietra,  Girolamo  Zeno,  Sebastiano  Friuli,  Carlo  Ruz- 
zini,  Giovanni  Tiepolo  e  Girolamo  DieJo.  Si  conservano  maouscritte  in  un  codice  dello  Zeno 
le  costituzioni  di  questa  Accademia,  che  fioriva  anche  nel  i6o8,  nel  quale  anno  Belisario  Bul- 
garini  le  dedicò  le  sue  Chiese  marginali  sopra  la  difesa  del  Mazzoni  per  la  Commedia  di  Dan- 
te. T.  8,  p.  3i. 


36 

la  propria  casa  1'  anno  i^go  la  più  antica  Accac!eniia  veneziana,  di  cui  s'  abbia 
memoria,  denominata  degli  Aldini  od  Aldina,  e  da  lui  chiamata  Neoaccademia 
o  Accademia  nuova,  lo  che  farebbe  con  molto  fondamento  supporre  esserne  an- 
che prima  di  questa  fiorite  molte  altre,  la  cui  denominazione  e  memoria  venis- 
sero appunto  dallo  splendore  di  questa  oscurale?  Egli  è  certo  però  che  il  pen- • 
sier  di  fondare  una  stamperia,  per  pubblicare  colla  possibile  maggior  perfezione 
emendate  e  corrette  le  opere  piii  reputate  de' greci,  latini  ed  italiani  scrittori,  a 
stabilirsi  lo  trasse  in  Venezia,  dove  abbondevole  copia  di  rari  ed  eccellenti  ma- 
nuscritti,  e  ragguardevol  numero  di  letterati  e  di  dotti  felicissimo  gli  promette- 
van  r  esito  di  così  nobile  mtrapresa  .  Un  Navagero,  un  Bembo^  un  Sanndo,  un 
Carteromaco,  un  Erasmo,  un  Calcondila,  e  molti  altri  distinti  letterati  socii  di- 
vennero della  Aldina  Accademia,  di  cui  resero  immortai  la  memoria  le  corret- 
tissime e  nitide  edizioni  aldine,  che  11  maggior  lustro  formano  delle  più  scelte 
biblioteche,  e  che  ben  si  devono  come  i  più  preziosi  codici  considerare  .  Emulo 
d'Aldo  nella  stessa  grandiosa  vastissima  intrapresa  fondò  parimenti  il  veneziano 
tipografo  Almorò  Albrizzi  nel  luglio  del  1772  una  nuova  Accademia  ,  cui  diede 
il  nome  di  universale  letteraria  albrizziana  società  .  Estese  egli  ancor  maggior- 
mente il  disegno  adottato  da  Manuzio,  poiché  gratuitamente  imprimeva  le  ope- 
re dei  suoi  accademici,  che  al  numero  ascendevano  di  -20  (1),  che  il  più  bel 
fiore  formavano  della  italiana  letteratura:  in  ogni  settimana  uscir  faceva  da' suoi 
torchi  un  fosrlio  universale  di  letterarie  notizie  ,  e' ciascun  mese  un  breve  coni- 
pendio  de'  più  accreditati  giornali  di  Europa,  e  non  trascorse  gran  tempo  eh  egli 
a  questa  Accademia  i  titoli  aggiunse  ancora  di  hlarmonipa  e  del  disegno.  Incredi- 
bile ed  immenso  era  de'nostri  il  fervore  per  ogni  genere  di  studii,  e  per  fondare 
Accademie,  e  troppo  a  lungo  n  andrei,  se  volessi  di  tutte  farne  menzione  (a); 
o-iacchè  senza  comprender  le  92,  che  aprironsi  nelle  città  e  borgate  del  veneto 
dominio  (3)  ,  più  di  80  in  Venezia,  comprese  le  vicine  due    isole  Murano  e  Bu- 


fi) Fino  nel  1734  conlava  questa  Accademia  fra  suoi  memljii  io  principi,  20  caidlnali,  60  pre- 
lati, 12  generali  delle  principali  religioni.  Si  trovano  stajnpdtl  in  diversi  fogli  gli  atti  e  le  me- 
morie di  questa  società,  il  cui  catalogo,  quasi  intiero,  fu  pubblicato  nella  ristampa  fatta  nel  i  yS/i 
della  biblioteca  volante  del  Cinelli.  ìhià.  pag.  34- 
(2)  Non  si  è  falla  menzione  dell'  Accademia  de' Granelleschi,  e  delle  altre  che  fiorivano  a' nostri 
tempi  perchè  notissime  tra  noi.  Oraraettendo  le  varie  riportate  dal  Zanon,  aggiungeremo  l'altra 
Accademia  medico-chirurgica  fondala  dal  rinomato  prof  Gio.  Menini,ed  aperta  la  prima  vol- 
ta l'anno  1770  coli' intervento  del  magistrato  della  Sanità —  Moschini,  della   Lctlerat.  vene- 
ziana T.  i,  pag.  298. 
(3)  Padova  ne  conta  27,  Verona  i3,  Brescia  ii,  Trevigi  8,  Vicenza  7,  Belluno  4,  eJ  altrellan- 
le  Salò,  e  Bergamo  3;  Adria,  Gapodistria,  Conegliano,  Este  e  Leodinara  2  ciascuna,  ed 
I  Crema,  Ceneda,  Rovigo,  Sacile  ed  Arcuato. 


37 
rano  (i),  ne  conia  1'  enulilissimo  udinese  Zanon  (2),  clic  mi  fu  in  tale  enumera- 
zione di  scoila,  poicliè  con  accuralissima  diligenza  |)cregrine  notizie  intorno  al- 
le Accademie  raccolse  da  parecchi  rejnitali  scrittori. 

Ma  nel  novero  delle  molte  ancora  che  io  taccio,  permettetemi  che  a  giusta 
gloria  de"  nostri  veneti  ambasciatori  1  Accademia  italiana  (A)  10  vi  ricordi,  clic, 
a  guisa  di  quella  dei  Vigilanti  italiani  eretta  in  Madrid,  venne  da  loro  fondata 
in  Parigi  a'  tempi  del  gloriosissimo  regno  di  Luigi  XIV  sotto  la  protezione  del 
cardinal  Mazzarino,  che  ciascun  sabba'to  raccoglievasi  nel  palazzo  della  veneta 
ambasceria  .  Che  più?  Tanto  viva  ed  accesa  erasi  l'emulazione,  che  cosi  uni- 
versalmente serpeggiava  negli  animi  de'  veneti  cittadini,  che  nobilissima  corse 
pur  anco  a  solleticare  ed  accendere  lino  i  teneri  e  delicati  petti  del  bel  sesso 
gentile,  e  vide  la  nostra  Vinegia,  al  dire  .del  Sandi,  con  dolce  compiacenza  le 
più  specchiate  e  nobili  dame,  trascurando  i  frivoli  pas.'^atempi,  in  accademica 
società  ragunarsi  a  recitarvi  poetici  componimenti,  ed  esercitarsi  altresì  nell'ar- 
te incantatricc  e  deliziosa  d'Euterpe  . 

Ma  dirvi  abbastanza  io  non  saprei  con  parole,  con  qua!  occhio  di  paterna  com- 
piacenza riguardati,  e  con  quanto  particolar  fervore  incoraggiati  e  protetti  ve- 
nissero così  nobili  sforzi  di  tante   accademiche  società  in  chi  le  redini  reggeva 


(1)  Una  ne  fioriva  in  Borano  sotto  il  nome  di  Assicurati  come  s'è  detto  nella  noia  2.  apag.  3i, 
e  6  ne  conta  Murano:  quella  degli  Angustiati  nel  1660  fondata  dal  sacerdote  Domenico  Gi- 
sberti,  che  si  occupava  specialmente  della  poesia  drammatica;  de'Fecondi  nel  i  724  eretta  nel 
collegio  delle  Scuole  pie;  de'Generosi  fiorente  in  quel  seminario  patriarcale  verso  la  metà  del 
«ecolo  XVI;  degli  Occulti  nel  principio  del  XVII  aperta  nella  propria  casa  dal  sacerdote  Gio. 
Morelli;  dei  Separati  fondata  dal  corpo  degl'interessati  di  Murano  nel  1675,  e  poscia  traslo- 
catasi alla  Giudecca;  e  quella  infine  de"  Vigilanti,  che  fe'sorgere  nel  1602  Gocalino  Cocalini 
da  Torcello. 

(2)  Egli  però  non  fa  parola  di  un  Ateneo  che  fioriva  in  Vinegia  sulla  fine  del  secolo  XVI.  Nel 
decorso  maggio  fu  veduto  vicino  al  convento  de' ss.  Gio.  e  Paolo  il  ritratto  di  un  ben  nutrito 
frate  Domenicano  avente  la  data  del  i565,  ov'era  detto  che  quel  frate  era  anche  socio  del- 
l'Ateneo di  Venezia.  Non  fu  più  possibile  dappoi  trovare  quel  ritratto.  Più  accurate  inda"i- 
ni  potranno  sciogliere  questo  dubbio.  Il  citato  Zanon  parla  di  un' Accademia  detta  de' ss. Gio. 
e  Paolo,  perchè  istituita  in  quel  convento,  ma  non  può  essere  il  supposto  Ateneo,  polche  il  ri- 
tratto porta  la  data  del  i  565,  e  questa  Accademia  eretta  dal  padre  maestro  Seltino  non  sorse 
che  posteriormente  d'assai  cioè  nel  1610. 

(3)  Anche  al  patrizio  Antonio  Zane  provveditore  di  Salò  e  capitano  della  Riviera  è  debitrice 
Salò  di  aver  veduto  per  opera  di  lui  dopo  /(o  anni  risorta  nel  palagio  prefettizio  l'Accademia 
degli  Unanimi  fondata  da  varii  gentiluomini  bresciani  verso  la  mela  del  secolo  XVI,  e  che 
fini  nella  terribile  peste  del  i63o.  —  Italia  accademica  delCah.  D.  Giuseppe  lUaìalesla  Ga- 
riiffi.  Par.  l,pag.  18. 


38 

del  veneto  governo,  "she  troppo  bene  riconosceva  di  quanta  importanza  .^  e  di 
qual  gloria  per  esso  medesimo  ne  fosse  il  favorire  e  proteggere  con  mano  pos- 
sente e  generosa  tanti  suoi  sudditi  e  figli ,  che  i  proprii  sudori  ed  averi  con  si 
magnanimo  ardore  consecravano  al  pubblico  bene ,  e  ad  accrescere  magu-ior- 
mente  lo  splendore  e  la  fama  della  felice  fiorente  loro  patria  . 

Furono  questi,  o  miei  dotti  colleghi,  i  luminosi  esempii  che  ci  lasciarono  i 
nostri  maggiori;  esempii,  che  se  il  sacro  e  dolce  dovere  ci  impongono  di  aver 
cara  la  loro  memoria  ,  e  di  infiorar  quelle  tombe  dove  riposano  le  onorate  lor 
ceneri,  quello  pur  anco  ci  additano  di  ricalcare  animosi  le  stesse  loro  pedate  , 
onde  non  del  tutto  renderci  indegni  di  veder  sovra  di  noi  riverberare  un  rafo-io 
di  quella  fulgida  luce,  che  cinse  le  gloriose  lor  fonti.  Or  già  non  più  come  nel- 
1  epoche  teste  rapidamente  trascorse  molte  Accademie  ad  un  tempo  con  bella 
gara  tra  loro  promuover  possono  1  buoni  sludii,  polche  da  quasi  tre  lustri  per 
disposizione  sovrana  in  questo  patrio  Ateneo  tutte  vennero  insieme  riunite  le 
accademiche  società,  che  allor  fiorivan  tra  noi .  Raddoppiamo  dunque  gli  sfor- 
zi, e  se  tolto  ci  viene  con  nobile  emulazione  di  gareggiare  con  altre  patrie  Ac- 
cademie, tutti  accesi  da  sì  generoso  sentimento  con  quelle  gareggiamo  che  pro- 
spere fioriscono  sotto  il  bel  cielo  italiano. 

Questi  eccelsi  magistrati,  molti  de' quali  ha  il  nostro  Ateneo  la  compiacenza 
di  salutare  a  suol  membri  onorarli,  generosi  ne  accorderanno  protezione  e  favo- 
re, e  tutto  sperar  possiamo  dall'augusto  nostro  Sovrano,  che  con  tanta  genero- 
sa munificenza  le  scienze  protegge,  le  lettere  e  le  arti,  premii  e  privilegi  conce- 
de a  nuove  ed  utili  scoperte,  e  tutte  rivolge  le  vigili  e  paterne  sue  cure  al  mag- 
gior lustro  e  vantago-lo  delle  scuole,  del  ginnasti  e  del  licei,  e  d'ogni  qualunque 
istituto,  che  tenda  alla  maggior  pubblica  istruzione  ed  utilità . 

Ad  avvivare  pertanto,  o  valorosi  confratelli,  il  nostro  fervore  negli  scientifici 
e  letterarii  esercizli,  a  sostenerci  nella  difficile  e  faticosa  carriera  il  nobile  or- 
goglio ne  punga  di  scendere  da  cosi  illustri  cittadini,  ed  il  pili  vivo  patrio  amo- 
re ne  accenda,  onile  colla  costanza  de" nostri  sforzi  mantenere  almeno  que'  van- 
tao'o-l,  quello  splendore  e  quella  gloria,  che  anche  per  la  coltura  delle  lettere , 
delle  scienze  e  delle  arti  acqulstossl  la  veneta  nazione,  che  collocata  dalla  sua 
antichità  fra  le  moderne  la  prima,  al  dire  di  reputato  storico  francese,  ha  tutte 
le  altre  nelle  arti  dell'  incivilimento  preceduto  (i)  . 

(i)  Darà,  Hlstolre  de  Veaise.  T.  i,  pag.  a. 


DEI    LAVORI 

FATTI  DALLA  CLASSE  PER  LE  SCIENZE 

NELL"  ANNO  ACCADEMICO   1822—1825. 

RELAZIONE 

DEL    DOTT.    GAETANO    A.    RUGGIERI 

ALLORA    SEGRETARIO   DELLA   CLASSE   MEDESIMA. 


(j  li  amatori  delle  scienze,  dell'  arti,  e  delle  lettere.,  che  son  raccolti  in  que- 
sto asilo  consacrato  alla  sapienza,  sono  uomini  mai  sempre  vogliosi  di  praticare 
in  utili  lavori  ogni  loro  capacità  ed  ingegno.  Riguardando  l'ozio  come  escalo 
del  vizio  ,  essi  l'ebbero  fidatamente  in  isdegno,  ne  mai  si  accomodarono  a  tol- 
lerare ,  che  fra  loro  avessero  un  seggio  durevole  gì'  infingardi .  Costoro ,  o 
non  ebbero  giammai  l'arditezza  d' avvicinarsi  all'Ateneo,  o  se  l'impeto  d'un 
vento  improvviso  fin  qui  traportolli,  ne  fu  breve  la  loro  dimoranza,  perciocché 
ad  essi  in  ogni  tempo  questo  loco  riuscì  terra  assai  travagliosa  e  sfruttata.  Qui 
adunque  hanno  loro  stanza  perenne  soli  accademici  operosi,  e  qui  tributano 
di  continuo  alla  patria  le  produzioni  delle  loro  studiose  fatiche .  Di  una  parte 
delle  produzioni,  che  furono  nello  scorso  anno  offerite,  io  deggio  in  quest'oggi, 
o  signori,  darvi  un  ragguaglio,  che,  tra  misure  certissime,  valga  a  rappresentar- 
ne r  andatura  e  l'essenza  .  Ma  donde  la  mia  pochezza  n'  avrà  1'  avvedimento  e 
la  voce?  Io  m'accingo  ali" impresa  con  animo  incerto  e  peritoso,  ed  a  nulla  var- 
rei certamente,  o  signori,  qualora  non  isperassi  cortesia  e  sostenimento  dalla 
vostra  benevolenza . 

I.  Se  tutte  le  cose  della  terra  esser  ponno  tenute  per  oggetti  di  curiosità  e 
di  studio,  la  formazione  del  mondo  deve  senza  dubbio  riguardarsi  per  argomen- 
to atto  a  movere,  più  d'  ogni  altro,  i  cultori  delle  fisiche  discipline  ad  ogni  ma- 
niera di  ricerche .  Suscettivo  l' ili.  sig.  Filiasi  di  alti  concepimenti,  detto  un  o- 
pera  intorno  al  diluvio,  ed  a  noi  fece  dono  di  una  parte  del  discorso,  che  deve 
precederla,  nella  quale  1'  autore  mirò  ad  estollere  gli  accademici  a  quella  mera- 


io 

viglia  sublime,  cui  fa  la  ricordanza  della  creazione  dell'  universo.  Per  conoscere 
la  sua  origine,  fu  vano,  egli  dice,  ogni  modo  di  conato,  non  metafisiche  medita- 
zioni, non  calcoli  dell'  algebra,  e  neppure  lo  immaginare  dirompimenlo  e  ruina 
di  altri  mondi.  Può  la  mente  umana  soltanto  nella  narrazione  di  Mosè  venerare 
il  prodigio,  pel  quale  Iddio  scosse  dall'inerzia  infeconda  la  stante  materia  .  Ma 
quale  fu  il  mezzo  dal  Creatore  impiegato  per  movere  questa  materia  a  compor- 
re la  tanta  varietà  delle  parti  dell'orbe?  L'accademico  diede  luogo  ad  una  sua 
opinione,  ed  immaginò  che,  per  lo  sorgere  di  un'  aura  di  foco  da  per  tutto  scor- 
rente, e  per  lo  nascere  delle  forze  irrefrenabili  di  attrazione  e  repulsione,  la  ma- 
teria prima  sia  divenuta  sommossa  ed  agitata,  e  quindi  a  poco  a  poco  sospinta 
ad  un  movimento  vorticoso,  pel  quale  girando  in  sèmedesima,  addivenne  che  ne 
furon  composti  del  globi .  Questi  globi,  dove  lievissimi  e  minutissimi,  e  dove  fat- 
ti sempre  più  maggiori  a  seconda  che  di  più  gli  effetti  sentirono  della  causa, 
che  al  moversi  in  cerchio  gli  impelleva,  produssero  operate  1'  aria,  1'  acqua,  la 
terra,  le  rupi,  e  quelle  splendide  masse  del  firmamento,  le  quali  dispargono  la 
luce,  che  ogni  cosa  vivifica,  ed  abbella . 

II.  Creato  ch'egli  ebbe  1'  Onnipotente  11  mondo,  apparecchiò  all'uomo  sulla 
terra  ogni  maniera  di  mezzo,  per  riparare  In  qualsiasi  congiuntura  al  suol  biso- 
gni .  Sostenuto  11  dott.  Levi  da  questa  verità,  e  considerando  che  1'  uomo  non 
ebbe  in  destino  di  vivere  errante  e  vagabondo,  ma  di  starsi  stanziale  in  quella 
regione.  In  cui  nacque,  divenne  ad  Inferire  che  d  suolo,  che  all'  nomo  è  patria , 
procaccia  ad  esso  quanto  egli  ha  mestieri  di  possedere  .  DI  qui  derivò  il  motivo 
di  comporre  un  lavoro  intorno  alla  necessità  di  studiare  i  patrii  naturali  prodot- 
ti^ e  sulle  peste  dei  celebratissiml  Donati,  dello  Zannlcchelli,  del  Glnnanm  e  del- 
l' Olivi,  ci  portò  a  conoscere  ,  che  11  suolo  veneto  puote  a  noi  largheggiare  ogni 
modo  di  provvedimento,  del  quale  ci  possa  avvenire  nel  corso  della  vita  di  aver 
bisoi^no,  e  ciò  tanto  rispetto  alla  vitluaria,  quanto  alla  medicina  sanativa  ,  ed 
anche  rispetto  alle  cose  utili  ed  opportune  ,  per  secondare  il  volubile  lusso,  li 
quale  sebbene  debba  tenersi  a  prima  giunta  per  vano  fantasma,  è  però  in  effet- 
to l'aminagllatore  più  dilettevole  e  meraviglioso  del  popoli  Ingentiliti.  E  passan- 
doli si"-.  Levi  dalle  generali  alle  cose  particolari,  ci  noverò  di  molti  vegetabili 
e  di  molti  animali,  affatto  sconosciuti  in  altri  suoli  ,  in  altri  climi ,  1  quali  tutti 
sono  sostanze  mangereccie,  che  foran  atte  ad  accrescere  nelle  mense  di  Miteco 
e  di  Apiclo  le  ragioni  d'affilare  all'Ingordigia  11  palalo.  Ci  ricordò  1"  autore  un 
gran  numero  di  medicamenti  Indigeni  di  queste  terre,  di  queste  acque  ,  fra  cui 
neir atriplice  del  semi  pel  recere,  nell'angelica  silvestre  un  confortativo  di  acco- 
stante fragranza,  nell'  ulva  granellata  un  domatore  poderoso  delle  strume  .  Cen- 
to e  poi  cento  essi  furono  1  prodotti ,  cui  1'  accademico  ricondusse  alla  nostra 
memoria,  1  quah  dar  possono  alle  arti  le  tinte  per  svarlatisslmi  colori,  fiocchi  di 


4i 

«età  per  sciamiti  pomnosi.^  chiocciole,  concliiglic,  madreperle,  coralli  per  com- 
porre (jiiantlo  lucenti  e  canjjiaiiti  ravvolgltnrc,  quando  monili  e  fermagli,  e  quan- 
do quelle  zone,  che,  costringendo  in  bella  forma  il  sesso  gentile  di  sotto  del 
petto,  fanno  dal  trapunto  che  rimutevoli  i  raggi  dell'iride  slavillino,  donde  av- 
yienc  quel  Laglior  seducente,  pel  quale  al  cinto  di  Venere  la  favola  attribuiva 
il  prestigio  incantatore  di  Giove . 

III.  Di  quanto  belle  e  pellegrine  produzioni  il  nostro  suolo  e  le  nostre  acque 
sieno  feraci,  prova  a  noi  diede  ancor  più  convincente  il  professore  Gaetano  Ma- 
LAcvRNK  con  le  sue  memorie  storiche  sulla  vita  e  sugli  studii  dclf  ab.  Slpfano 
Chierighin.  Ei  nacque  in  Cliioggia  nel  l'jia,  fu  educato  prima  in  Venezia,  po- 
scia nel  collegio  militare  di  Verona,  donde  uscì  alhere,  e  di  cognizioni  nelle  uni- 
versità d"  Italia  fatto  avendo  grande  raccolta,  entrò  nel  sacerdozio,  e  quindi,  pie- 
no di  Dio,  dcdicossi  all'istoria  naturale,  giacche  l'onnipotenza  dell'Eterno,  più 
che  in  altro,  s'  appalesa  nella  immensità  degli  enti  svariatissimi,  de'  quali  abbon- 
da r  universo.  Il  Chierighin  rivocossi  in  breve  la  fama  di  esimio  botanico,  ed 
operò  un  erbario,  dove  un  numero  grandissimo  eravi  raccolto  di  piante  nostrali, 
infino  allora  sconosciute.  Il  divisamente  poscia  concepe  di  fare  una  zoolooia 
perfetta  del  nostro  golfo  .  Erige  nella  propria  casa  un  museo,  ed  ivi  di  conchi- 
glie depone  le  12^2,  che  ne  formano  1'  intera  serie.  Volge  1'  animo  senza  posa 
alle  altre  produzioni,  e  vuole  nel  museo  radunati  i  disegni  dei  pesci,  degli  zoofi- 
ti molli  e  di  tutti  quegli  esseri,  che  non  resistono  al  rodimento  del  tempo .  Con 
tale  intendimento  percorre  il  golfo,  ed  essendovi  nel  mare  dei  pesci,  che  vede- 
re non  si  possono,  che  quando  sia  pacato,  e  degli  altri,  che  non  abbandonano 
i  loro  covaccioli,  che  quando  sia  in  burrasca,  egli  affidasi  alle  onde,  tanto  se 
sien  ridenti  pel  raggio  di  un  lucido  mattino,  quanto  se  l'  impeto  del  vento  le 
faccia  orrendamente  esagitate .  Dei  disegni  rappresentanti  i  pesci,  le  chioccio- 
le, i  granchii  e  gli  zoofiti  dell'Adriatico,  ei  conduce  a  compimento  il  numero  di 
17^2.  Tedeschi,  Polacchi,  Inglesi  correvano  a  Chioggia  per  istruirsi  da  quel 
museo  in  così  bella  e  difficil  parte  dell'  istoria  naturale .  I  Francesi  ne  furono 
così  meravigliati,  che  voleano  con  un  presente  di  dieci  mille  franchi,  e  con  uno 
stipendio  in  vita  accalappiarlo,  acciocché  loro  cedesse  quel  disegni.  Ei  rifiutossi 
e  fu  beato  d'  aver  per  essi  largo  compenso  conseguito  dall'  I.  R.  Altezza  del 
serenissimo  Vice-re  nostro,  e  fu  beato  del  doppio,  perchè  1'  Altezza  sua  munifi- 
centissima  volle  nella  biblioteca  del  Liceo  della  sua  diletta  Venezia,  dove  sono 
che  quei  disegni  fossero  depositati.  Raccoglieva  il  Clodiense  i  pesci;  serbavali 
in  acconcie  pozze,  e  lì  stante  su  di  essi  curvo  ed  intento,  li  disegnava  vivi  ed 
intatti,  e  con  quei  brillanti  colori  con  cui  si  vede  che  guizzano,  scattano  e  scia- 
guattansi  nelle  acque  quasi  pompa  facendo  del  dorato  lucente  dei  lor  occhi,  del- 
l' argentale  smagliante  delle  squame  e  del  frequente  screziato  della  pelle  .  Egli 


mori  carco  di  o-loria  nel  dì  i  del  settembre  1820,  e  noi  qui  restammo  fra  canti- 
lene cleo-iaclic  i)iu  ohe  mai  cordogliosi  e  dolenll  jier  la  sua  partita  . 

IV.  ]N'cll'  istoria  naturale  non  sarebbe  giunto  il  Clodlense  all'  alla  sua  fama, 
qualora  ad  altro  avesse  mirato,  che  non  al  solo  discoprimcnto  dell'  indole  e  delle 
forme.,  cui  hanno  le  cose  naturali,  studiando  esse  su  desse  medesime,  e  non  sulle 
altrui  dettature  e  sui  libri.  I  libri  sono  ciò  per  lo  intelletto,  che  sono   i  contagil 
pel  corpo.  Questi  ammalano  la  persona  e  quelli  snaturano  la  mente.  Nei  cimenti 
scientifici  nessuno  a^ivisidi  giungere  alla  gloria  del  trovatore,  iinchè  prenda  a  gui- 
da le  altrui  dottrine.  ScienCiae,,  qiiae  nunc  habentur  inutiles  sunt^  dicea  Veru- 
lamio,  ad  iiwenlionem  operum.  Dominato  il  dolt.  Pezzi  da  così  maestosi  pensa- 
menti volo'e  1"  animo  al  raccorre  osservazioni  pratiche  di  medicina  per  dar  con 
esse  al  medicanti  un'  opera,  dove  la  verità  comparisca  disnebbiata  da  ogni  ema- 
nazione teorica.  L'  accademico   lesse  la  introduzione  di  quest'  opera  fatta  nel 
.modo  di  pistola,  e  noi  udimmo   che  1'  oggetto  precipuo  della  scritta   era  il   di- 
scorrere intorno  alla  medica  sua  educazione,  acciocché  ognuno  potesse  conosce- 
re   quale  esser  dovea  la  conseguente  attitudine  sua,  per  intendere  la  favella  si 
di  spesso  oscura  delle  malattie.  Egli  narra  impertanto,  che  dopo  gli  studii  ele- 
mentari, dopo  quelli  della  letteratura,  della  filosofia,  e  dopo  la  scuola  di  medi- 
che istituzioni  in  Venezia,  recossi  a  Padova,  dove  giunse  così  provvisto  di  co- 
gnizioni e  di  accorgimento,  che  potè  intendere  quale  fosse  1'   oro  e  quale  1'  or- 
pello  di  che  luccicavano  i  precetti  di  quei  maestri.  Il  perchè,  avvistosi  ohe  dal- 
la più  parte  di  essi  non  s'  apprendeva,  che  1'  imbottare  la  nebbia,  ci  neglesse, 
in  profitto  del  tempo,  le  loro  lezioni,  e  tutto  invece  lo  spirito  applicava  agi'  inse- 
gnamenti dei  due  sommi  uomini  in  allora  Caldani  e  Dalla  Bona.  Reduce  da 
Padova,  nelle  vacanze  frequentava  lo  spedale,  dove  pochissime  medicine  doma- 
vano le  infermità  pih  varie   e  crudeli.  Di  qui  maggiormente  confermossi  nella 
idea  che  di  nullo  vantaggio  era  lo  studiare  le  malattie  sui  libri,  per  ottenere  il 
grido  di  medico  sanatore.  Ritornò  all'  università,  e,  fregiato  dell'  alloro   dotto- 
rale riedendo  in  patria,  non  mancò  d'abbellire  1'  intelletto  con  ogni  cultura  per 
le  opere  d'   Ippocrale,  di  Sjdenham,  di  Boerhaave,  di  Gaubio,  di  Baglivi,  di 
Bordeus,  di  Cullen,  ma  signoreggiato  mal  sempre  dall'  opinione,  che  le  dottri- 
ne altrui  slen  velo  alla  mente,  che  ne  offuschi  il  puro  vedere,  tutte  ci  trascurol- 
le    ed  intraprese  e  percorse  la  carriera  della  pratica  coi  più  secondi  risultamen- 
ti-  né  il  rombare  della  meteora  di  Brown  svioUo  dallo  studio  della  natura,  ma 
neo-lio-ente  guardoUa,  come  si  fa  del  lampo,  che  fragoroso  scoscende  le  nubi,  e 
poi  nullo  si  perde  nel  vano  . 

V.  Volle  eziandio  il  dott.  Campaxa,  ricordevole  della  sentenza  di  Manilio , 
artem  experientia  feci,  exemplo  monscrante  viam,  testimoniare  all'  Ateneo 
l'altissimo  pregio,  in  cui  debbon  essere  tenuti  i  fatti  della  pratica.  Ei  riferì  due 


43 

osservazioni,  1'  una  concernente  un"  ernia  incarcerata,  1'  altra  nn  epilessia,  av- 
venuta neir  istante  d'i  un  primo  parto.  Ad  una  donna  d'  anni  4 5  infiammossi  in 
un"  inguinnglia  la  grossa  borsa,  fatta  da  slogato  intestino,  e  n'era  presso  al  mo- 
rire, quando  col  taglio  non  s'  allargava  la  via  per  riporre  la  viscera .  Ma  sicco- 
me una  parte  dell'  uscito  intestino  presentava  un  globo  sì  irrosso  e  nocchioru- 
to,  che  non  poteasl  riporla,  cosi  fu  guarentita  dalle  molestie  esteriori,  copren- 
dola coi  frastagli  del  sacco,  fermati  con  punti  di  cucitura.  L'  inferma  ne  parca 
«anilicala,  rpiando  in  un  tratto  fu  colta  da  febbre,  ed  il  tumore  si  accese,  qua- 
si gavocciolo  pestilenziale.  Operossi  un'  incisione,  donde  usci  sania,  e  con  essa 
ogni  argomento  di  malattia. 

Una  dama  d'anni  i  ^  ebbe  tratto  tratto  in  gravidanza  fieri  mali  alla  testa,  i  ciua- 
li,  sgocciolando  poco  sangue  dal  naso,  lasciavanla  serena,  come  in  aprile  basta 
talvolta  una  spruzzaglia  di  pioggia  per  far  risoluta  una  nube  .  Giunse  l' istante 
del  partorire,  si  offuscano  in  un  subito  li  sensi:  spasimi  generali  randellano 
le  membra:  fuori  dall' ahibastro  dei  denti  penzola  strozzata  e  spumosa  la  lin- 
gua; estrude  l'utero  la  prole:  vi  scappa  dietro  a  sgorghi  il  sangue  vitale:  la 
Leila  partoriente  ne  riman  trafelata,  col  capo  cadente,  non  ha  più  che  le  pulsi 
un'arteria,  e,  quasi  tela  che  ragni ,  si  smagliano  i  suoi  lineamenti,  e  succedono 
le  agonìe  di  morte.  Che  fia?  S'applicano  ai  fori  del  naso  sanguette,  ed  al  suc- 
chiar, che  esse  fanno  di  poco  sangue,  l'ammalata,  quantunque  isfinita,  riapre 
gli  occhi,  le  riede  il  respiro,  sul  viso  a  poco  a  poco  la  bellezza  si  ricompone  e 
ravviva,  e  si  trova  madre  tanto  ignara  del  sofferto  disastro,  che,  se  i  nostri  fos- 
sero ancora  i  tempi  del  favoleggiare,  dir  potrebbesi  che  Lucina  fu  sì  propizia 
nel  parto  alla  suora  delle  Grazie,  che  la  volle  madre  senza  conoscersi  di  do- 
glie,  acciocché  per  divenirlo  di  nuovo  non  mai  si  mostrasse  ritrosa. 

VI.  Diceva  Elvezio  che  nei  figli  si  amano  degli  enti,  che  dopo  la  nostra  esi- 
stenza rappresentano  noi  stessi.  Io  non  dirò  che  si  amino  i  figli  per  ambizione  o 
per  altro ,  ma  dirò  che  non  v'  è  uomo,  non  v'è  belva,  che  d'  amore  non  folleggi 
per  la  sua  prole.  Se  i  figli  adunque  tanto  lusingano  l'animo,  che  il  fan  beato,  nual 
ambascia  crudele,  qual  burrasca  del  cuore  non  fia  per  l'  uomo,  in  vejrgcndo  la 
moglie,  che  nell  atto  di  farlo  padre,  sia  fatta  segno  della  rabbia  e  delta  dispie- 
tanza  dei  moibi  ?  Suffragio  a  tanto  danno  procacciò  il  dott.  Trois  con  una  sua 
memoria  intorno  alla  febbre  intermittente  piierperale  perniciosa  ,  la  quale  è 
malattia  che  sì  di  spesso  perfidia  nelle  partorienti .  Dopo  aver  riandato  le  varie 
opinioni,  che  stanno  sulla  puerperalc ,  l'accademico  le  confuta,  non  acconsen- 
tendo che  sia  il  risultamento  d'  uno  scompiglio  nella  separazione  del  latte  ,  non 
accordando  che  sienvi  epidemie  ,  che  a  buon  diritto  si  possano  appellare  puer- 
perali ,  non  concedendo  che  sia  il  sintoma  della  peritonitide  ,  ma  dicendo  ,  che 
TI  è  una  paerperale,   che  ha  il  tipo  dell'intermittenza  ,  che  è  conseguente   al- 


4i 


l'azione  snccilioa  Jclle  emanazioni  paludose,  la  quale,  sebben  congiunta  a  (logo- 
si  dei  peritoneo,  tanto  e  tanto  è  legittima,  e  mai  sempre  d'indole  nervosa.  Que- 
sta è  quella,  che  si  osserva  nel  puerperio^  la  qual  veste  le  forme  e  l'andamento 
della  perniciosa,  non  bastando  la  tlogosi  del  peritoneo  a  turbare,  ne  a  scompor- 
re la  legittimità  della  lebbre.  Ed  è  del  naturale  che  addivenendo  una  intermit- 
tente, quando  la  membrana  del  peritoneo  siasi  trovata  nello  stato  di  una  gran  di- 
stensione per  la  preceduta  gravidanza ,  debba  la  intermittente  far  sentire  i  suoi 
malefici  effetti  più  su  tale  membrana,  che  altrove  .  E  pure  del  naturale  che  con 
facilità  diveno-a  perniciosa  ,  dacché  per  lo  sgravio  del  feto  la  febbricitante  ven- 
ne tratta  nel  massimo  abbattimento.  E  se  l'indole  della  febbre  sia  la  detta,  non 
sarà  forse  la  china  china  il  rimedio  più  sanativo  ?  L'  autore  provò  la  verità  della 
sua  dottrina  per  alcune  osservazioni,  dove  il  trambusto  de'fenomeni  il  più  fer- 
vente non  valse  a  trattenerlo  dall'ordinare  la  china,  col  quale  ajnto  trasse  mol- 
te niovani  donne  dal  periglio  di  morte.  Abbiasi  co' nostri  il  sig.  Tnois  i  plausi 
d'on-ni  sposo,  per  aver  mirato  a  conquidere  un  morbo,  che  lascia  sì  di  spesso 
desolato  e  vedovo  il  letto  maritale . 

"VII.  Non  basta  però  il  cercare  nella  scelta  del  rlmedll,   che   slen  giovevoli , 
ma  vuoisi  eziandio  studiare  che  all'assafririo  non    risultino  tossicosi  .   Ouelli  che 

Co  ^- 

non  sapesse  far  uso  di  un  tale  avvedimento  ,  medico  sarebbe  al  certo  di  mente 
rozza  e  villana.  Li  signori  GAivAifi,  MAncouNi  e  Zaitnini,  allorché  udirono  del 
solfato  di  chinina,  e  seppero  che,  somministrando  di  esso  pochi  minuzzoli ,  po- 
teasl  evitare  a<jli  orfani  del  ffuslo  la  fera  stre"-Thiatura,  ed  allo  stomaco  il 
pondo  esecrato,  cui  vi  porla  la  fanghiglia  della  china  in  polve,  vollero  verifica- 
re il  fondamento  delle  laudi  al  novello  rimedio  largite,  e  nel  maggio  del  1822 
renderne  l' Ateneo  informato  .  Il  sig.  Gaivaih  farmacista  di  molta  perizia,  ricon- 
dusse alla  nostra  memoria  il  processo  di  Henry  per  fare  11  chinino,  e  si  avvisò 
di  levarne  le  mende.  Ci  notò,  che  fatte  che  abbiansl  le  due  prime  decozioni  nel- 
r  acqua,  con  1'  acido  Inacutita,  far  debbonsi  le  posteriori  con  stillata  semplice, 
e  che  quando  vogliasi  dalle  decozioni  separare  la  chinina,  non  devesl,  come 
Henry,  far  uso  della  polve  di  calce  viva,  ma  bensì  della  spenta  in  acqua  purissi- 
ma, e  ciò  per  schivare  che  la  calce  si  raggruzzoli  in  granellinl  .  Henrj  di  nulla 
dio-nità  considera  le  acque  madri  ,  ma  l'autore  le  unisce  a  quella  del  lavacri, 
e  fatto  acido  il  liquido,  che  ne  risulta,  e  dopo  averlo  evaporato,  lascia  che  af- 
freddi,  e  poscia  il  feltra  .  Il  sig.  Galvani,  circa  la  quantità  dell'acido  solforico 
che  è  necessaria  per  ottenere  dalla  chinina  il  solfato,  stabili  che  convenga  Im- 
piegare sopra  uno  di  chinina  11  decimo  di  acido,  purché  questo  sia  della  densità 
di  1,8^2,  e  «Uluto  con  sei  volte  di  acqua.  Così  procedendo  lo  strenuo  nostro 
chimico  pervenne  ad  elaborare  perfettissimi,  e  la  chinina,  ed  li  suo  solfato. 


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Vin.  Sv\<in'  il  ilolt.  ^TinrotiNr  da  Udine  dell'esalta  preparazione  del  nuovo 
rimedio,  e  volle  subito  lame  medico  sperimento.  Mandò  all'Ateneo  sei  osserva- 
zioni, dalle  quali  risulta  che  con  nove  grani  di  questo  solfato  si  spense  una  dop- 
pia terzana,  che  resistette  a  dilungo  alla  china  china:  con  dodici  deLellossi  una 
periodica,  conseguente  ad  una  gastrica:  dieci  vinsero  in  un  fanciullo  una  lunga 
febbre,  che  Tavea  reso  cachetico:  dodici  guarirono  una  vecchia,  in  cui  la  feb- 
bre era  di  fosco  e  minaccioso  andamento:  e  finalmente,  unendo  il  solfato  al  ra- 
barbaro, fu  ricomposta  la  salute  in  un  ragazzo,  che  dopo  la  scarlatina,  e  dopo 
una  irastrica  era  ridotto  magro,  incatorzolito,  pallidissimo  . 

IX.  In  aggiunta  di  queste  osservazioni  il  dolt.  Zamnini,  in  un  bello  e  nitido 
suo  ragguaglio,  ce  ne  diede  delle  proprie  .  Tre  grani  di  solfato  risanarono  in 
due  giorni  un  fanciullo  assalito  da  quotidiana:  nove  grani  non  domarono  a  pri- 
ma giunta  una  quartana,  ma  dappoi,  senza  altro  rimedio,  scomparve;  in  due 
altri  casi  s'ebbero  gli  stessi  effetti:  in  un  quinto  caso  si  trionfò  di  una  terzana 
che  impervertiva  da  circa  quattro  mesi,  per  la  quale  si  diedero  sei  grani,  ed  an- 
ticipò di  sette  ore,  e  nel  terzo  giorno  successivo  si  riprodusse  di  nuovo  :  allora 
sen  diedero  altri  nove,  e  riedette  tuttavia,  ma  più  mansueta  :  si  abbandonò  ogni 
rimedio,  e  sei  giorni  dopo  avvenne  un  parossismo  dei  più  gagliardi,  poscia  un 
altro  lievissimo,  e  di  qui  perfetta  sanazione  .  Il  sesto  caso  concerne  una  terzana 
complicata  :  si  aggiunse  a  tosse  e  dispnea,  per  sofferta  infiammazione  di  petto, 
una  periodica,  le  cui  invasioni  rincrudivano  questi  martiri.  Un'oncia  di  callisa- 
ja  troncò  la  febbre,  ma  inacerbò  gli  altri  mali.  Dopo  pochi  giorni  accadde  di 
nuovo  la  febbre  :  di  nuovo  la  callisaja  :  di  nuovo  s' inasprì  il  petto,  e  violentis- 
simamente. Si  die' il  solfato:  fermossi  la  febbre,  e  poscia  ricomparve  :  ma  iiiù 
non  s'ebbe  argomento  per  credere  che  questo  febbrifugo  accalorissc  li  pati- 
menti del  petto . 

A  queste  cure  ottenute  col  solfato  1'  accademico  uni  il  risultnmcnto  conseffui- 
lo  in  otto  altre  intermittenti  colla  chinina  semplice.  Ove  non  bastarono  sei.  otto 
grani,  produsse  pieno  efletto  il  ripeterne  la  dose,  e  sovrano  rimedio  fu  rinvenuta 
per  conquidere  eziandio  una  terzana,  congiunta  a  doglia  crudele  di  fegato,  dove 
la  china  era  riuscita  incentivo  di  acerbe  sofferenze  . 

Con  queste  lor  belle  osservazioni  non  pretesero  per  altro  gU  autori,  che  sieno 
j  nuovi  rimcdii  ragguardati  la  colocasia,  la  panacea  di  tutta  febbre  intermittente. 
Lo  scultore  sidonio,  finita  che  avea  una  di  quelle  sue  statue  divine,  nello  zocco- 
lo vi  scolpiva  PoUclcto  faceva  .  Il  discepolo  di  Agelade  s'avvisava  con  ciò  d'indi- 
care, che  sebbene  la  statua  fosse  compiuta,  egli  attendeva,  per  crederlo,  che 
ienza  mende  il  giudizio  del  pubblico  la  dichiarasse  .  L'opra  per  discoprire  la  ve- 
ra efficacia  della  chinina  e  del  suo  solfato  può  essere  per  avventura  terminata, 
ma  gli  accademici  nostri  vogliono  aspettare,  per  crederlo,  che  dal  più  de' medi- 
ci  le  loro  osservazioni  vengano  dichiarate  a  ciò  bastanti. 


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X.  Di  si^-nificazione  non  meno  importante  fu  1'  avriso  ik-l  Jott.  Luzzato  d'in- 
traltencrci  intorno  ali  utilità  d  di  arsenico  nella  cura  dei^li  ulceri  carcinomato- 
si. Egli  sulle  li-aocie  di  Richerand  volle  verilloare  la  virtù  medicatrice  di  tale  ri- 
medio in  quei  guasti  del  velamento  cutaneo,  nei  quali  vani  furon  trovati  gli  altri 
medicamenti,  non  utile  il  ferro,  e  faceva  il  fuoco  diventare  più  atroci  i  tormenti 
della  morte.  Egli  ad'lusse  buon  numero  di  osservazioni  e  di  antiche  piaghe,  e  di 
antichi  funghi,  e  l' esulceramento  di  un  porro  da  16  anni  avvenuto,  che  avea 
corroso  il  terzo  della  palpebra  inferiore,  e  gran  parte  della  radice  del  naso,  tutti 
guariti  con  poche  applicazioni  del  caustico.  Addita  le  cautele,  con  che  impiegato 
esser  debbe  questo  ajuto,  noto  sotto  V  appellazione  di  polve  anticarcinomatosa 
di  fra  Cosimo.  Adorna  in  une  il  sig.  Lu/!zato  il  suo  scritto  con  opportuna  erudi- 
zione, e  soofirelta  alla  hliera  della  critica  ben  veg'ffente  le  dubbiezze  cui  ebbero 
alcuni  sulla  utilità  dei  caustici  nella  fierezza  di  questi  mali .  E  fama  che  i  Greci 
tenessero  in  tale  stima  la  bellezza,  che  hn  credeano  di  ridurre  propizio  lo  stesso 
Nettuno,  mostrando  nuda  della  persona  sulla  spiaggia  del  mare  la  bellissima  Fri- 
ne  .  Se  i  Greci  avessero  conosciuto  un  uomo  capace  con  un  farmaco  di  vincere 
un  morbo  roditor  della  pelle,  che  è  tela  in  cui  la  natura  stampa  le  prime  e  le  . 
forme  più  cospicue  della  beltà,  avrebbero  a  quest'uomo  per  doppia  ragione  di- 
retto la  canzon  della  lode  . 

XI.  A  vasti  e  consolatorli  ragguardamenti  sospinse  il  professore  Fedhigo  gli 
animi  nostri  con  una  scritta,  cui  disse  piano  proposto  d  medici  d' Italia^  per 
comporre  una  topografia  medico-profilatica .  Dopo  il  divino  trattato  de  aere^ 
aquis  et  locis  di  quel  sommo  uomo  d'Ippocrate,  non  fuvvi  più  medico,  che  aves- 
se le  idee  ed  i  concepimenti  cosi  bene  aggiustati,  da  poter  operare  una  topo- 
grafia, la  qual  insegnasse  a  prevenire  i  morbi,  che  sogliono  sull'uno  e  sull'altro 
popolo  perfidiare.  Passa  l'autore  in  disamina  le  molte  opere,  che  vider  la  luce 
su  tale  materia,  e  ristassi  a  di  lungo  nel  cribrare  quella  del  sig.  Thouvcnel  sul 
clima  d'Italia,  e  tutte  ei  le  trova  bisognevoli  d'essere  strebbiate  dei  molti  man- 
camenti, ove  si  voglia  che  ben  servano  a  si  nobile  intraprendimento .  Di  qui 
egli  fa  sorgere  la  necessità  del  piano,  eh'  egli  propone,  nel  quale  dimostra,  che 
allora  giungerassi  ad  erigere,  fra  il  bujo  che  abbonda,  un  faro  indicatore  della 
via  diritta,  quando  fin  la  più  minima  s"  avrà  conosciuto  delle  circostanze,  o  di 
morale  vicenda,  o  di  fisica  giacitura,  le  quali  balestrano  svariatamente  la  salute 
degli  abitanti  dei  vani  paesi.  Empedocle  s'  avvide  ch'erano  emanazioni  paludo- 
se le  cause  ammorbanti  i  Salentini.  Alle  acque  di  due  prossimi  fiumi  ei  diede 
tìuovo  discorrimento,  e  le  paludi  ne  furono  inondate,  ed  i  morbi  fugati .  Possa 
il  sig.  pEDntGo,  cogli  additamcnti,  di  cui  ridonda  il  suo  piano,  prevenir  le  cagio- 
ni, che  SI  di  tanto  ammalano  i  popoli  d'  Italia,  ed  andrà  il  suo  nome  per  ogni 
bocca  benedetto,  come  quello  d"  Empedocle . 


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XII.  Un  male,  clic  di  spesso  nei  tempi  atlJietro  dilacerava  l'Italia,  e  scorre- 
va portatore  ili  mille  mali,  era  la  fame .  La  ricolta  del  frumento  cade  non  di  ra- 
do fallita  o  pel  troppo  ardore  del  cielo,  o  pel  lungo  dirompere  delle  pioggic,  o 
pel  non  rado  sterminare  delle  tempeste.  Dacché  si  ebbe  il  grano  turco,  non  po- 
tè quasi  mai  infuriare  la  lame,  non  essendo  che  11  mostro  abbominando  deiTava- 
rizia,  che  talvolta  n'  abbia  secondato  le  stragi  .  Ma  siccome  con  quella  del  be- 
ne vuoisi  l'idea  coUegarc  della  disgrazia,  fuvvl  chi  la  polenta  gialla  incolpò  di 
sostanza  insalubre,  e  per  nulla  provvista  di  ciò,  che  il  frumento  costituisce  nu- 
tritivo. Sapevasi  che  il  sig.  Zcccluni  in  Bologna  avea  rinvenuto  alquanto  glutine 
animale  nel  grano  de' Traci,  facendolo  cuocere  e  digerire  in  un  ranno  alcalino  . 
Il  sig.  Gorham  nondimeno  niegava  l'esistenza  di  parte  glutinosa.  L'  accademi- 
co sig.  Bizio  sentiva  in  contrario,  ed  operò  una  nuova  analisi  del  grano  turco^ 
e  la  lesse  air  Ateneo.  Egli  scoperse  in  questo  grano  una  sostanza  particolare, 
in  cui  evvi  azoto,  il  quale  è  un  principio,  che  sempre  comparte  alle  sostanze 
con  cui  si  unisce  li  caratteri  e  l'indole  del  glutine  animale.  Questa  sostanza 
particolare,  contenente  azoto,  egli  chiamolla  zeina.  Ci  volle  minutamente  chia- 
rire della  sua  natura,  e  ci  die'  l'analisi  pure  di  essa  zeina.  Dall'analisi  risulta, 
che  sopra  loo  di  zeina  si  hanno  parti  43  e  365  di  gloiodina:  36  e  5g3  di  zimo- 
ma:  20  di  olio  grasso,  e  quasi  nulla  di  perdita.  Gorham  non  addita  alcuno  di 
questi  elementi,  ed  appella  zeina  ciò  che  Proust  disse  ordeina,  che  è  materia, 
che  avvicinasi  alla  legnosa,  e  non  suscettiva  ad  essere  nell'acqua,  nello  spirito 
di  vino,  e  neppure  nell'etere  stemperata  .  La  zeina  all'  incontro  del  nostro  ac- 
cademico si  disciolgc  in  questi  liquidi,  e  di  qui  devesi  credere  che  si  disciolga 
pure  nei  succhi  gastrici,  e  quindi  riesca  alimentare.  Il  grano  turco  adunque 
contien  glutine  animale,  e  debbcsi  non  di  tanto  invilirlo  da  supporlo  molto  al 
frumento  pella  vittuaria  inferiore.  E  se  alcuno  vi  fosse  che,  non  potendo  conse- 
guire dalla  farina  gialla  pane  licfitato,  argomentar  volesse  mancamento  in  essa 
di  glut'me,  questi  di  molto  s' ingannerebbe,  mentre  prova  il  sig.  Bizio,  per  ra- 
gioni invincibih,  che  il  non  lievitare  delle  paste  gialle  dipende  unicamente  dalla 
combinazione  dello  zimoma  coli' olio  grasso.  Per  questa  bella  analisi  divenne 
fortemente  avvalorato  l'avviso  di  que"  tutti,  i  quali  ragguardano  nella  polenta, 
non  r  alimento  rozzo  e  villano,  ma  la  messe  cui  benefica  versò  Cerere  sulla  ter- 
ra, acciocché  n'  abbiano  largo  ristoro  gli  affaticati  coloni,  e  dolce  nutrizione  le 
genti  cittadinesche. 

XIII.  Gli  alimenti  sono  appunto  il  ristoro,  di  cui  ha  bisogno  di  continuo  il 
corpo  animale,  per  rifarsi  di  quanto  del  continuo  egli  perde.  Ove  «mancasse  co- 
desto ristoro,  tutto  nel  corpo  diverrebbe  alidlto,  e  fora  inutile  che  i  medici  tan- 
te indagini  e  studil  operassero  per  guarentir  la  salute.  Ma  come  1'  agricoltura, 
il  diremo  con  Celso,  procaccia  ai  corpi  sani  gli  alimenti,  così  la  medicina  prò- 


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caccia  ai  malati  la  sanazione  .  Col  divisamenlo  Ji  precisare  le  nozioni,,  cui  tlcL- 
bono  i  medici  possedere'nella  cura  dei  mali,  la  società  italiana  delle  scienze  pro- 
pose un  programma  pel  luglio  1822.  Il  prof.  Marzari  ed  il  sig.  Amalteo,  vennero 
alla  nostra  società,  come  rappresentanti  l'Ateneo  trivigiano,  il  primo  nella  sua 
qualità  di  presidente,  l'altro  di  segretario,  e  vi  lessero  tutti  e  due  una  loro  produ- 
zione. 1.,'antidetlo  programma  fu  l'occasione  del  lavoro  del  prof.  Marzari,  il  quale, 
strettissimo  ed  accorgevole  logico,  come  egli  è,  ed  alla  maniera  di  Bacone,  cono- 
scendosi profondamente  dei  mezzi  coi  quali  si  possa  nelle  scienze  sceverare  l'erro- 
re e  cogliere  la  verità,  fece  sentire  fin  dalle  mosse,  che  la  risoluzione  di  quel  pro- 
gramma non  può  tornare  agevole,  ma  difficilissima,  perchè  intorno  alla  eccita- 
bilità, all'  eccitamento  da  qualcuno  non  fu  mai  un'  idea  conceputa,  che  abbia  1 
caratteri  della  realtà .  Come  può  essere  esatta  1' idea  dell'eccitabilità,  quando 
si  debba  credere  che  sia  una  forza  inerente  alle  fibre  nervose  e  muscolari,  per 
la  quale,  stimolate  ch'esse  vengano,  si  contraggano,  mentre  è  noto  a  chiunque 
che  la  sostanza  dei  nervi  non  mai  per  istimolo  si  raggrinza?  Come  fia  giusta  la 
nozione  dell'  eccitamento,  se  vuoisi  con  essa  che  il  crescere  e  il  menomare  del 
senso  e  del  moto  sicno  simultanei,  dappoiché  sallo  fino  il  più  rimesso  medicon- 
zolo  che  evvi  nei  mali,  ora  aumento  del  moto  vitale  con  diminuzione  del  volon- 
tario, ed  ora  la  diminuzione  di  quello  coli'  accrescimento  delle  lorze  animali?  E 
qual  precisione  s'  attribuirà  a  quanto  fu  detto  sulle  diatesi,  mentre  sono  1'  ef- 
fetto di  svariati  principii  morbiferi,  di  cui  s'ignora  il  numero  e  la  potenza  ?  E  se 
queste  idee  son  tutte  inesatte,  come  mai  le  altre  che  da  esse  derivano  circa 
gli  stimoli,  li  controstimoli,  1'  irritazione,  si  potranno  abbracciare  per  giuste  ? 
Volendo  quindi  che  si  affili  1'  ingegno  per  risolvere  quel  programma,  si  farà, 
nuli'  altro  che  accrescere  vanamente  1'  abbondanza  delle  mediche  voci,  a  sca- 
pito della  intelligenza  .  Marco  Catone  scacciò  Diogene  e  Cameade ,  perchè 
mirarono  a  diseminare  nella  lingua  del  Lazio  voci  straniere.  Invescando  la  gio- 
ventù latina  peli'  amenità  de'  greci  concetti.  Per  quanto  grande  fosse  il  battere 
il  ribadire  intorno  ad  un  programma  s'i  strano,  non  mal  avverrebbe,  peli'  avviso 
del  professore  Marzahi,  un  risultamenlo  di  qualche  utilità,  ma  solo  il  dar  vita  a 
parole  anfibologiche,  ed  opportune  a  spargere  nebbia  ed  oscurità  nel  linguag- 
gio nativo  . 

XIV.  E  lo  zelo  di  Marco  Catone  pella  conservazione  e  prosperità  della  lin- 
gua nativa,  accese  pur  l'animo  del  sig.  Amalteo,  il  quale  produsse  una  memoria 
cui  disse:  raffrontarne nto  delle  opinioni  dei  signori  abate  Antonio  Cesari^ 
cai:  Vincenzo  Monti^  e  professore  G.  B.  Marzari  intorno  alla  lingua  italiana. 
Il  Cesari  dai  soli  trecentisti  vorrebbe  che  si  apprendesse  il  parlare,  giudicando 
che  non  siavi  bisogno  di  vocaboli  nuovi,  fuori  che  per  esprimere  cose  nuova- 
mente inventate.  Il  Monti  sostiene,  che  viva  essendo  la  nostra  lingua,  non  pos- 


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8a  (lai  morii  trecentisti  venir  pei  fezionala.,  ma  possa  essere  mitrliorata  pei  le 
leggi  grammaticali,  e  pelle  ognor  crescenti  umane  rognizioni.  11  Marzan  colla 
autorità  del  Dante,  del  Petrarca  e  del  Boccaccio  dicliiara  imperfetta  la  lingua 
del  trecento,  e  vuole  che  sia  povera,  oltre  al  comun  credere,  cioè  che  abbia  lo 
scapito  di  essere  a'  nostri  giorni  più  povera,  che  noi  fu  nel  trecento,  porche 
moltissime  delle  sue  voci  sono  andate  in  disuso,  e  nessuno  più  le  intende .  Il  Ce- 
sari teme  che  la  libertà  di  crear  nuove  voci  possa  far  perdere  la  lingua .  Il  Mar- 
zari  dimostra  che,  conservato  il  carattere  grammaticale,  non  può  mai  perder- 
si una  lingua,  e  fa  vedere  che  le  lingue  furono  spente  non  dagli  scrittori,  ma 
dai  conijuistatori.  Fatti  che  egli  ebbe  il  sig.  Aìialteo  «piesti  conlronti,  riccamen- 
te ingemmandoli  di  acute  riflessioni,  conchiuse  che  la  massima  disparità  di  que- 
sti tre  autori  stia  nel  conoscere,  o  disconoscere  la  perfezione  nella  hngua  del 
trecento.  Il  Cesari  la  riconosce,  il  Monti  ed  il  Marzari  la  disconoscono.  Il  pri- 
mo tiene  di  conseguenza  potersi  la  lingua  mantenere  inimut;djile:  i  <uie  altri 
l'hanno  per  mutabilissima:  anzi  pare  che  il  Marzari  vegga  la  pei  lezione  della  lin- 
gua lontanissima  nei  secoli  futuri,  ed  il  Cesari  nei  secoli  addietro,  anzi  solo  nel 
secolo  14.."  Addottele  quali  cose  terminò  il  sig.  Awalteo  con  un  immagine 
esemplati  va,  così  dicendo:  "Raffigurando  il  corso  perenne  dei  secoli  in  una  stra- 
da lunga  lunga,  la  quale  dall' uno  dei  capi  s'  appicchi  al  .'ccoio  del  trecento,  dal- 
l'altro scorra  infinita:  se  metteremo  i  tre  contendenti  al  luogo  di  quella  strada 
che  corrisponde  al  secol  nostro,  e  darein  loro  le  mosse,  perchè  corrano  a  raggiun- 
gere la  perfezione  della  lingua  italiana,  il  Marzari,  cui  terrà  dietro  il  Monti,  ca- 
rico del  buono  e  del  meglio  dei  secoli  trapassati  volerà  dritto  tlritto  incontro 
ai  secoli  avvenire,  il  Cesari  senza  fardello  di  sorta,  ne  degnandosi  di  spigolare 
per  via  pur  una  paroluzza,  date  loro  le  schiene,  volgerassi  a  ritroso  ". 

Qui  finirono  li  ra|ipresentanti  dell'  Ateneo  trivigiano  le  loro  letture.  Gli  acca- 
demici nostri  stavanle  udendo  con  animo  capace  e  meditante,  ma  furon  da  esse 
a  poco  a  poco  cos\  mossi  e  sospinti  che,  quasi  da  interna  forza  esagitati,  prorup- 
pero nei  plausi  più  festeggevoli  e  gagliardi.  L'Ateneo  .nostro  testimoniò  con 
questo  all'  Ateneo  trivigiano  d'  aver  accolto  con  esultazione  abbondante  la  pre- 
ziosità de'  suoi  doni  e  della  sua  fidanza. 

XV.  Per  quanto  1  difensori  della  Ungua  italiana  sieno  fra  loro  discordi  intor- 
no al  modo  di  promoverne  la  perfezione,  nessuno  di  essi  riguarda  per  peccato 
l'inventare  una  nuova  parola,  per  esprimere  un  nuovo  trovamento  .  Fu  pel  con- 
forto di  questa  nozione  che  il  sig.  Bizio  creò  la  voce  erilrogene,  ossia  generato- 
re del  rosso ,  per  dinotare  un  principio  chimico  da  lui  rinvenuto.  L  accademi- 
co scoperse  questo  principio  nell'occasione  eh' ei  faceva  1' analisi  di  una  bile 
umana,  la  quale  gli  servi  di  soggetto  per  comporre  una  bella  memoria  .  La  bile 
era  tolta  da   un  uomo  per   male  al  fegato  perito,    e   da  essa,  sciaguattata  nei- 


5o 

r  aerina,  si  ottenne  sostanza  filamentosa,  e  da  quella  neiraeqiia  bollita,  grasso  e 
fibrina.  Bollilo  il  grasso  nello  spirito  di  vino,  sei  conobije  composto  di  stearina 
ed  elaina,  e  di  un  residuo  verde.  Niiin  sapeva  di  questo  residuo,  e  il  sig.  Bizio 
soggcttollo  .1  bollitura  nello  spirito  di  vino,  il  fece  evaporare,  e  n'  ebbe  cristalli 
diafani  e  di  un  verde  bellissimo.  Il  trovato  di  questi  cristalli  è  di  un  predio  il  più 
sfolgorante  .  Nello  spirito  di  vino  si  squagliano:  aelT  acido  nitrico  disvestono  il 
color  verde  ed  arrossano  a  tanto,  clie  danno  nn  bel  colore  di  porpora .  Il  vapo- 
re,  che,  durante  il  lavoro  ,  si  svolse,  era  pretto  ossigeno.  Dunque  i  cristalli  de- 
composero l'acido  nitrico,  e  ne  bevvero  l'azoto  .  Messi  a  contatto  coli'  ammo- 
niaca, del  paro  la  decomposero,  e  ne  bevvero  eziandio  l'azoto,  ingenerando 
materia  porporina.  Combinandoli  collo  zolfo,  col  fosforo,  coll'ossigeno  ,  diede- 
ro materia  non  rossa,  ma  acidissima  .  Fatti  questi  sperimenti ,  che  dovrassi  cre- 
dere di  quella  materia  o  residuo  verde,  rinvenuto  nella  bile?  Devesi  conclndc- 
re  che  sia  un  principio  alto  a  colorire  in  rosso,  e  che  a  buon  dritto  abbiasi  ad 
appellare  eritrogene  . 

Scoperto  r  eritrogene,  immaginò  una  nuova  teorica  sulla  colorazione  del  san- 
gue .  Li'  accademico  negrigen<lo  le  opinioni  di  Deyenx  ,  Parmentier,  Fonrcroj 
e  Vauquelin  ,  trovò  quelle  di  Brun-iiatelli  «  di  Brande  e  Berzelius  le  pili  ;icco- 
modate  ai  suoi  vedimenli  .  Questi  ultimi  pensano  che  il  ferro  non  entri  nell  ar- 
rossare il  sangue  .  L'  eritrogene  che  esiste  nella  bile ,  non  potrà  pur  esistere 
negli  altri  liquidi,  non  potrà  pur  esistere  nel  chilo?  Morcet  ci  assenna  che  il 
coagulo  del  chilo  al  contatto  dell'aria  divien  rubicondo.  Dunque  nel  chilo  evvi 
eritrogene.  Se  il  chilo  ha  d'uopo  dell'  azoto  per  colorirsi  in  rosso,  non  può  que- 
sto chilo  nell'  uomo  aver  dell'  azoto  in  abbondo  colla  respirazione  ?  Lettura  ella 
fu  questa  di  pregio  nobilissimo,  e  forse  col  tempo  avverrà  che,  giungendo  i  fisi- 
ci a  verilirare  ohe  l'eritrocrene  dia  il  colore  al  sansrue  ,  si  dica  da  ognuno,  che 
debbesi  alla  scoperta  di  questo  principio  la  cns'nizionc  di  ciò,  cui  adopera  la 
natura  per  far  le  rose  della  o-uancia  e  le  frao'ole  del  labbro . 

XVI.  Se  nell'uomo  l' eritrogene  e  la  causa  che  ne  imporpora  il  san^'ue  e  le 
carni,  ond"  è  che  vi  son  uomini,  che  non  ebbero  mai  spruzzolo  di  rosso  colori- 
to ?  Forai!  questi  per  avventura  animali  non  della  razza  umana  ?  In  ortline  a 
questi  pensieri  1'  accademico  dott.  Levi  ci  fece  dono  di  una  sua  memoria  sugli 
Eliofobi.  U  autore,  dopo  aver  ricordato  che  questi  esseri  non  sono  che  una  va- 
rietà semplicissiiiia  della  progenie  degli  uomini,  ci  diede  a  conoscere  che  la  di- 
falta  di  buon  clima  è  plìi  eh'  altro  la  causa  del  loro  trahgnamcnto .  E  quivi  il 
sij.  Levi  ci  ricondusse  alla  memoria  che  ^li  Eliofobi  sono  uomiciattoli .  piii  che 
altrove,  frequenti  nell'istmo  americano:  che  son  di  statura  non  forse  maggiore 
di  quattro  piedi  ;  che  hanno  la  pelle  di  color  bianco  gessato,  spesso  gonfia  e  tu- 
inenle,alle    volte   vizza,  rugosa,  inciprignita:   i  capelli  o  arsicci,  o  lanosi   o 


5i 
«cloluli,  ovvero  lunghi  e  pendolili.^  quai  l)i;iiichi  peli  di  capra  ;  le  occhiaje  con 
cio-lia  che  sembrano  piume  di  cigno  cespuj^liale:  gii  occhi  o  rossi,  o  di  colore 
vermiglio  gialleggiante  conae  brage ,  1  quali  occhi  non  j)onno  tollerare  la  luce 
del  giorno,  i  cui  raggi,  quasi  punzecchiassero,  li  mena  ad  uno  sballilo,  ad  nno 
strangolo  di  pupille,  clic  gli  acceca.  L'accademico  in  tutto  il  suo  lavoro  nìostrò 
d'essere  a  dovizia  fornito  di  cognizioni  alla  lisica  animale  spettanti,  e  seppe  qua 
e  là  di  spesso  atlornarlo  coi  più  bei  fiori  dell'erudizione. 

XVII.  Di  uomini  ancor  più  tralignati,  e  così  dalla  razza  nmana  differenti,  che 
furon  creduti  lavolo  i,  c'mtrattcnne  l'eruditissimo   signor  Filiasi,  con  parte   di 
una  sua  memoria  intorno  ai  pigmei  di  Tiro.  Uomlcciuoli  son  (jucsti  al  dir  di  ta- 
luno, non  pili  grandi  di  un  pugno,  non    piii  grandi  di  un    cubilo,  e  di   tal    altro 
iion  più  alti  di  tre  piedi.  Ezecchiello  nella  bibbia  racconta,  che  erano  saettatori 
spertissimi,  e  che  stavano  alla  vedetta  sulle  torri  di  Tiro,  alle  cui  mura  in  s'irò 
appendendo  le  loro  laretrc  portavano  un  vaghissimo  abbarbaglio  nell  altrui  ve- 
dimcnto  .  Scaligero,  Voscio,  Vonderat,  Bannler  ed  altri  interpretarono  il   rac- 
conto d' Ezecchiello  in  modo  vario,  nessuno   accomodandosi  all'opinione,    che 
quc'[)iginei  fossero  veri  soldati.  E  perchè  non  potranno  esistere  ,  dice  1   accade- 
inico,  uomini  tanto  piccini?  Se  v'hanno  dei  popoli  giganti,  perchè  non  vi  saran- 
no dei  popoli  nani  ?  La  natura  in  un  luogo  distese  la  misura  delle   sue  scale,   e 
in  un  altro  aceorciolla.  E  fuor  di  dubbio  che  nella  versione  dei  Settanta  que'pig- 
mei  furon  detti  custodes^  e  che  il  testo  caldeo  gli  appella  capadoces^  cioè  solda- 
ti provenienti  da  Capadocia.  Qualcuno  opinò,  che  i  pigmei  delle  torri  fossero  di 
quegli  idoletti ,  che  mcttevausi  dai  Tirii  sulle  navi  a  loro  tutela.  JMa  come  pote- 
va Ezecchiello  aver  i  guardi  cosi  travedenti ,  che  scernere  non  sapesse  s"  erano 
statuette,  oppur  esseri  con  nervi  e  polsi  ?  Oltre  questo  il  signor  Filiasi  adoperò, 
per  provare  l'esistenza  de' pigmei,  le  nozioni  desunte  dal  novero  delle  varie  par- 
ti   dell'immensa  Etiopia,  nelle  quali  e  poeti,  e  filosofi,  e  naturalisti,  e  viaggiatori 
gli  hanno  saputi  uomicciuoli  in  vero  viventi .  Qui  fu  dove  1'  autore  dispiegò  eru- 
dizione infinita  nell'antica  e  moderna  geografia,  e  seppe  addolcirne  la  lezione  se- 
vera con  qualche  frusto  di  amenità  .    Fu  di   tal  tempra   il  ripetere   la  fola   delle 
battaglie  de' pigmei  colle  gru,  e  l'altra  tic  pigmei  contro  ad  Ercole.  Videro  da 
lunge  i  piccini  luomaccion  smisurato,  russante  in  sonno  profondo,  e  gli  mosse- 
ro incontro  .  Spauriti  dall'  appressarlo,  rimpiccolironsl  ancor  più   quegli   uomic- 
ciuoli, e  lenti  e  curvi  s'avanzarono  fra    loro  assiepati   e  taciturni   per   assalirlo. 
Come   pel  vento   ondeggia  nei  campi  la  messe,  così  cammln  facendo  1'  esercito 
de'pigmei  or  innanzi  or  indietro  piegava,  secondo  l'alterno  russare  di  quella  mo- 
le carnuta .   Alfin  si  dleron  cuore .  In  un  tosto  i  piccini  dlvincolaronsi   su  di  lui 
furiati  e  stridenti,  ed  avvingliiaronsi,  aggrapparonsl  alle   sue  membra.   Ei  ne  fu 
sveglio  .  Che  fia?  Sbadigliando  e  girando  una  mano,  tulli  insaccolli  pigolanti 
nella  sua  pelle  di  leone  . 


h 


52 

X\'Tn.  Calilo  di  pati-io  amore  il  sìg.  Casahiìti  alzò  1'  animo  nostro  ad  altri  no- 
mini, ad  uomini  di  antico  e  rubesto  ardimento,  a  genti  che  dalla  Venezia  ter- 
restre qui  dai  Barbari  si  ripararo  ;  che  per  fuggir  servitù  dal  limo  e  dall'  onde  si 
fabbricaron  la  patria  :  che,  sofTulti  d'  Astrea,  la  feron  grande,  imperante,  augu- 
sta .  Dall' assegnato  commercio  di  pesce  e  sale  coi  popoli  della  terra-fcrmn, 
que'  sommi  uomini  de'primi  Veneziani  un  commercio  dilungarono  vasto,  tutta 
sorte  di  mercatanzia  abbracciante,  ognor  crescevole  ed  Immenso  coi  popoli  di 
tutto  il  mondo  .  A  cotanta  eccellenza  portaronlo  le  nozioni  della  nautica,  le  qua- 
li appo  i  Veneziani  furon  s'i  grandi,  che  fin  dal  i3oo  Marin  Sanudo  conobbe  le 
proprietà  della  calamita,  e  la  sapienza  di  Andrea  Dal  Bianco,  dei  fratelli  Zeni, 
di  Cadamosto,  di  Paolo  Trevisan,  di  fra  Mauro,  e  più  di  ogni  altro  di  Marco 
Polo  giunse  hn  anco  a  discoprire  le  isole  americane,  donde  ebbe  poscia  l'argo- 
mento dell"  altissima  sua  rinomanza  il  ligure  Colombo.  Pieno  il  sig.  Casaritti  di 
queste  rimembranze  ci  diede  la  sua  memoria  sullo  stato  della  città  di  Venezia, 
e  sul  modo  di  migliorarlo  .  Florida,  oltre  ogni  credere,  e  ricchissima  come  ella 
era  in  addietro,  dispensatrice  di  merci,  da  ogni  mare,  ad  ogni  terra,  a  cotal  che 
erale  mestieri  di  grandi  fattorie  in  tutte  le  eoste  dell'  Egitto,  della  Siria,  a  To- 
lomaide,  a  Tiro,  a  Baruti,  su  tutti  i  punti  delle  foci  del  Dan,  e  fino  ad  Astra- 
can :  SI  florida  e  s'i  ricca,  come  ella  era  Venezia,  che  dava,  per  guarentire  le 
spedizioni  e  i  ritorni,  pubbliche  squadre,  composte  da  25  a  3o  galee,  il  cui  cari- 
co giungeva  per  ognuna  a  cento  mila  ducati  d'  oro,  trarupò  per  la  scoperta  del 
capo  di  Bnona-speranza  in  fatale  ruina,  le  mancarono  a  poco  a  poco  le  sorgen- 
ti del  suo  rinverdunento  e  della  vita,  ed  il  suo  commercio  cadde  prosternato 
per  sempre,  solo  che  ebbe  nell'  epoca  dell'  altra  dominazione  austriaca  una  luce 
lusinghiera,  ma  fu  striscia  cadente  nell'  oscurità  della  notte,  che  di  un  subito 
svanisce  .  Deperito  il  commercio  mancò  ogni  modo  di  prosperazionc,  e  Venezia 
rimase,  qual  è,  consunta  matrona,  a  cui  non  scorre  in  le  vene  che  poca  rugiada 
di  sangue,  ma  bensì  un  alito  di  valenza,  che  perenne  l'avviva,  e  la  sostien  mae- 
stosa. Che  far  dovrassi  adunque  per  evitar  che  tracolli  nell'estremo  sfasciume  ? 
Rieda,  dice  l'accademico,  a  s.  Pietro  1'  archimandrita  della  religione  .  Facciasi 
un  ponte  a  s.  Vitale,  che  serva  d'approcciamento  all'accademia  delle  belle  arti. 
Vadi  la  consorteria  de' commercianti  ili  nuovo  a  Rialto.  Di  Rialto  le  fabbriche 
sien  pei  pubblici  magistrati.  Le  case  ed  i  crollanti  palagi  delle  vie  più  disabitate 
sien  conversi  in  fruttevoli  vigne.  E  siccome  il  commercio  è  la  sola  fonte  che  può 
ristorarla,  e  non  più  i  Veneziani  posson  trovar  giovativo  lo  volgersi  al  mare,  di- 
stendano alla  terra  le  loro  vedute.  Terra  sopra  terra  si  abbichi,  si  alzi  nella  lagu- 
na una  strada,  che  dall'estremo  del  rio  di  s.  Alvise  metta  a  Campalto,  la  quale, 
lunga  due  miglia  e  mezzo,  larga  dieci  piedi,  e  fiancheggiata  da  due  canali,  abbia 
ai  suoi  cnpi  due  ponti  levatoi,  a  cai  possa  da  fortificazioni  impedirsi  l"  accedere 


53 

Al  "enti  ncmiclic.  Cos'i  ilottrlnnntlo  i1  signor  CASAitìffi,  sempre  sorretto  da  bei 
argomenti  esemplativi  e  ila  belle  nozioni  riguardanti  la  pubblica  economia  e  la 
storia,  giunse  a  mostrarsi  si  pieno  di  patria,  che  circa  cjuanto  la  concerne,  puos- 
gi  dire  con  Omero,  che  alli  suoi  sguardi 

«  Ciò  che  è,  che  fu^  che  fia  unto  è  presente  » . 

XIX.  Non  della  povertà  di  Venezia,  non  del  modo  di  rivocar  gli  abitanti  a 
inn'agliardirla  per  l'oro,  ma  volle  il  sig.  Marco  Corniini  fermare  la  nostra  men- 
te colla  descrizion  topografica  di  alcune  parti  di  questa  città,  che  fia  mai  sem- 
pre oggetto  di  meraviglia  agli  strani.  Ei  ci  lesse  un  dialogo,  e  chiamollo  tra- 
gitto d  un  illustre  forestiero  al  Udo  maggiore  di  J-'^enezia  .  Fatto  1'  aere  lieve  e 
purissimo,  dacché  i  raggi  del  sole  ed  i  venti  diurni  vinsero  le  emanazioni,  che 
svolgonsi  nella  notte  dai  fondi  paludosi,  1'  accademico  s'aggiusta  in  barca  col 
suo  forestiere  per  avviarsi  al  lido .  Bei  dialoghi,  cammin  facendo,  sulla  maestà 
del  canal  maggiore,  sugli  augusti  suoi  edifizi,  sull'  impiglio  di  sorpresa  cui  fan- 
no ai  sensi  le  isole  qua  e  là  sorgenti  dalle  acque,  e  belle  dicerie  isteriche  sulle 
città  romane,  che  diedero  origine  alla  magnificenza  della  veneta  Donra.  Giun- 
ti al  lido,  parla  il  sig.  Couniani  delle  spiaggie,  dei  porti,  di  quelle  fortezze,  tut- 
te riandando  le  relative  nozioni,  e  poi  rattacca  il  dialogo  sulla  geologia  dei  lidi, 
ed  inclina  a  crederli  opra  del  corrimento  de'  fiumi,  delle  lor  torbe  e  della  sab- 
bia, cui  vi  portano  i  fiotti  del  mare  .  E  circa  il  mare  discorre  intorno  alla  natu- 
ra del  suo  fondo,  ed  il  dice  lapidoso,  e  lo  crede  lapidoso,  perchè  vi  sono  dcffli 
scogli  all'  uscita  dei  porti,  ed  evvi  qualche  sprofondamento  di  continente  pres- 
so il  Friuli.  Ma  dappoi  tutti  e  due  riaccomodatisi  in  barca  per  ritornare  a  Ve- 
nezia, addiviene  che  il  forestiere  si  contristi  per  lo  pensiero  che  il  mare  possa 
un  giorno  sormontare  li  suoi  ritegni .  Qui  l'  accademico  scioglie  la  redine  a  va- 
rie teoriche,  e  dimostra  non  potersi  credere  che  sia  per  avvenire  tanta  smode- 
ratezza nell'elevazione  delle  acque,  ed  il  non  crederlo  egli  lo  appoggia  all'opi- 
nione di  molti  savii,  ed  a  quella  di  essi  aggiunge,  bensì  con  animo  riguardoso, 
anche  1'  opinione  sua  propria,  la  quale  è,  che  ad  impedire  T  innalzamento  del  li- 
vello del  mare  abbiano  in  addietro  confluito  i  vulcani  estinti,  ed  al  presente  vi 
confluiscano  gli  attivi.  Immagina  l'autore,  che  i  vulcani  con  quel  loro  scrollare 
e  scoscendere  la  teria,  apiino  nel  fondo  del  mare  immense  vorago-ini,  ed  estru- 
dano al  di  fuori  torrenti  di  materie,  le  quali  a  suolo  a  suolo  ammontate  le  une 
sopra  le  altre,  vadano  col  tempo  incrojandosi  ed  impetrendo,  cosicché  per  que- 
sto magistero  fatte  maggiori  le  caverne  delle  acque,  e  le  esterne  barriere,  risul- 
ti impossibile  che  possa  accascare  uno  squilibrio  tra  il  continente  e  il  contenuto. 
Memoria  fu  questa  del  sig.  ConmAici  la  quale,  essendo  distesa  nella  forma  del 


H 

dialogo,  potè  esser  susccllira,  e  circa  lo  stile  e  circa  le  cose,  di  un  andamento 
dilettevole  e  vario.  INiente  per  avventura  è  più  plausibile  di  questo  metodo,  per 
rappresentare  alla  mente  oggetti  gravi,  senza  che  ne  diventi  affaticata.  Lo  stes- 
so forse  accade  dei  giardini:  la  irregolarilìi  regolata  di  quc'che  diconsi  inglesi 
Tale  talvolta,  più  che  la  consonanza  armonica  degli  altri,  a  serbar  l'animo  nella 
contemplazione  defili  os'oretti  lunjramenle  avverdito  e  lusincrato . 

XX.  Sia  questa  irregolarità  regolata,  che  dalla  ricordazionc  topografica  di 
Venezia  conceda  di  trasportarsi  a  dire  di  un  artista,  che,  adoperando  la  sesta, 
il  bulino,  il  pennello,  compose  opere  lodate  in  numero  tragrande  .  Alberto  Du- 
ro si  rese  per  le  opre  sue  famigerato  a  tanto,  che  lermò  eziandio  V  attenzione 
del  sitT.  Neu-Mayeh,  e  portoUo  a  scrivere  su  di  lui  delle  riilessionl  biografiche  per 
farne  dono  all'Ateneo.  Nacque  il  Durerò  a  Norimberga  nel  1^7 '•;  e  prima  oc- 
cupossi  nell'oreliceria,  e  poscia  nella  statuaria,  nel!'  architettura,  mirando  a  di- 
venire pittore.  Viaggiò  per  la  Germania,  e  volendo  andare  dischiattato  dalla 
turba  di  quelli, che  aveano  le  maniere  dei  Goti,  e  star  lungi  danna  moglie  avara, 
rissosa,  prepotente,  avventata,  riparossl  in  Italia.  Fu  qui  eh'  ei  compose  il  bel 
quadro  del  Salvatore  mostralo  agli  Ebrei,  ora  esistente  nel  reale  palazzo  di  Vene- 
zia, l'altro  che  è  nella  palriz'ia  casa  Grimani,  rappresentante  f  istituzione  del 
Rosario,  quello  del  marchese  Manfredini,  che  mostra  la  decollazione  di  s.  Gio- 
vanni, e  f  altro  posseduto  dal  conte  de  Thurn,  ove  si  vede  Cristo  sotto  il  pondo 
della  croce  trafelante,  e  per  una  corda  al  collo  trascinalo  sul  Calvario  da  quat- 
tro scherani.  Fu  nel  tempo  de' suol  viaggi,  ch'el  fece  grandi  lavori  alla  corte  di 
Massimiliano  I,  per  cui  venne  noverato  fra  1  nobili.  Ma  quantunque  dalla  più 
gente  fosse  11  Durerò  tenuto  per  esimio  pittore,  nondimeno  al  dire  di  Melan- 
chton, conobbe  ei  le  mende  delle  proprie  pitture,  e  volle  cimentare  Usuo  ingegno 
nell  incisione  . 

Rosch  ci  narra  che  Alberto  Duro  travagliò  in  rame  con  assiduità  sì  crudele, 
che  le  sole  incisioni  a  bulino  sono  g^,  e  le  copie  ascendono  a  aoo.  Le  stampe 
poi,  che  furono  operate  a  di  lui  Iniltazlone,  giusta  l'indice  di  Husgen,  sono  12  54-. 
Raffaello  le  tenne  per  cosi  produttive  di  pensieri,  che  di  esse  ornava  le  proprie 
stanze.  Guido  le  studiò  di  sovente  per  le  drapperie  .  Le  stampe  fra  le  altre  del- 
l'Adamo ed  Eva,  di  s.  Uberto,  quella  del  s.  Girolirno  vestito  da  cardinale,  so- 
no incise  con  quello  svariato  andamento  di  tinte,  dove  sfuggevoli,  dove  tenaci, 
che  lo  appalesano  intagliatore  accorgevole  e  nobilissimo.  Con  non  poca  mae- 
stria foggiò  incisioni  eziandio  in  legno,  ed  alcune  di  tali  stampe,  che  sono  a  chia- 
ro scuro,  reggono  nell'agguaglio  con  quelle  di  Ugone  da  Carpi.  Avrebbe  cala- 
to, diceva  il  Vasari,  che  questo  artista  sempre  spirasse  1'  aura  d' Italia  per  riu- 
scire perfettissimo  .  Ma  che  ?  Ei  fu  in  Germania  dove  non  v'  eran  maestri  mi- 
gliori di  lui,  e  a  Norimberga  dove  una  moglie  crudele  gli   stracciava  a  frusti   a 


33 

frii.sli  ili  continuo  il  more  e  l'ingegno  .  Ei  mon  nella  sua  pallia  d'anni  ^"j.  ode 
lama,  clic  innanzi  sera  abbia  il  suo  giorno  conijiiuto  pei  tormenti  che  a  Ini  diede 
mosrliera  cosi  esecranda.  Vuoi  lu  moglie  ?  diceva  Giovenale  ad  Ursinio  .  E  ncn 
hai  una  corda,  che  t'  ailoglii.j  e  ti  manca  il  Tevere  che  t'ingoj  ?  E  forza  il  dire  , 
che  la  bile  di  Giovenale  talvolta  dirompa  a  ragione  .  Questa  fcmniiiia  fu  a  Du- 
rerò cagion  di  martiri,  e  di  quello,  di  cui  sentono  le  opre  sue,  scemo  di  perfe- 
zione .  Ad  onta  però  della  qualche  secchezza,  del  qualche  sconcio,  che  abbian 
le  membra  delle  sue  figure,  ciò  non  basta  per  scacciarlo  dal  drappello  dei  som- 
mi artisti.  Che  leva  per  Tintoretto  la  qualche  sconciatura  di  una  mano,  di  un 
])iede  nelle  sue  gran  dipinture  ?  Quello  scuotersi,  quei  balzi  dell'anima,  quel  suo 
mareggio  tra  la  sorpresa  e  l'orrore  nel  vedere  un  di  lui  combattimento  navale, 
sono  un  sermonar  prepotente,  che  varr.'i  mai  sempre  a  proclamarlo  il  Pindaro 
della  veneziana  pittura  .  Sieno  difettose  alcune  parti  dei  disegni  di  Alberto, 
ma  basti  la  pcrfezion  delle  teste,  quello  sfavillamento  di  vita  che  Iraluce  dal  re- 
sto, per  salutarlo  artista  eccellentissimo .  Il  difetto  di  una  parte  vale  talvolta  a 
raddoppiare  la  bellezza  delle  altre,  e  l'Amazzone  Sarmala  si  recide  la  pop- 
pa, perche  doppia  si  sviluppi  la  forza  nel  suo  braccio  guerriero  . 

Con  ciò  la  classe  volonterosa  delle  scienze  diede  fine,  o  signori,  ai  suoi  trava- 
gli accademici.  In  Roma  il  povero  Codro,  sospinto  dalla  fame,  tulli  assonnava 
co'  suoi  versi  slombali .  Io  dovea  fin  qui  cimentare,  o  signori,  ogni  vostra  cor- 
tesia, perchè  il  carico  me  lo  impose  su  cui  mi  volle  1'  Ateneo  ordinalo  . 


DEI    LAVORI 

FATTI  DALLA  CLASSE  PER  LE  LETTERE 

NELL'ANNO  ACCADEMICO   1822—1820. 

RELAZIONE 

DEL  L'  AVVOCATO    DOTT.    PIETRO    BIAGI 

ALLORA   SEGRETARIO   DELLA   CLASSE   MEDESIMA. 


1^  on  saprei  invero  tleciclcre,  illustri  magistrati  di  potentissimo  imperato- 
re,  ciotti  professori,  egregi  accademici  ,  coltissimi  e  gentilissimi  uditori,  non 
saprei  decidere,  se  le  scienze  debbano  cedere  il  seggio  e  la  corona  d' onore  alle 
lettere  ed  alle  arti  loro  germane  ;  ma  so  bensì,  dacché  la  storia  dell'  umano  in- 
tendimento me  ne  assicura,  che  le  lettere  e  le  arti  erano  adulte,  quando  le  scien- 
ze languivano  nella  stupitUtà  d'una  lunga  infanzia  . 

Aristotele  e  Platone,  e,  ciò  eh' è  ancor  peggio,  i  loro  interpreti  e  commenta- 
tori tenevano  il  campo  nella  scuola,  allorché  Dante,  Boccaccio  e  Petrarca  ave- 
vano operato  1'  alto  prodigio  di  creare  e  perfezionare  la  lingua  ,  la  poesia  e  la 
prosa  italiana:  allorché  lo  studio  delle  lingue  dotte  ed  i  progressi  nell'arte  cri- 
tica avevano  formalo  dei  capo-lavori  della  letteratura  de"  Greci  e  dei  Latini  le 
delizie  degl' Italiani  ;  allorché  l'  Ariosto  inspirato  da  Calliope  aveva  prodotto  al- 
l'ammirazione di  tutte  le  nazioni  e  di  tutte  l'età  uno  de'|)iù  maravigliosi  poemi 
epici  che  fosse  comparso  dopo  Omero  e  Virgilio,  ed  il  Machiavelli  aveva  inse- 
gnalo a  scrivere  la  storia,  a  cavare  da  essa  1'  arte  di  reggere  i  popoli,  e  quella 
non  meno  importante  di  ordinare  gli  eserciti,  e  di  fare  la  guerra  :  allorché  in 
fine  i  Bruneleschi,  i  Bramante,  i  Peruzzi,  i  Falconelti  fabbricavano  que' templi, 
quelle  basiliche,  que'  palagi,  che  i  Raffaeli,  i  Tisiiani,  i  Coreggi  abbellivano  co- 
gl' inestimabili  loro  dipinti,  ed  i  Nicola  da  Pisa,  i  Donatelli,  i  Ghiberli  e  Mi- 
chelangeli adornavano  di  bassi  rilievi  e  di  statue  di  non  minor  pregio. 

Per  una  strana  combinazione  il  Gallileo,  che  David  Hume    |>roclama  corifeo 
di  tutte  le  scoperte  della  moderna  filosofia,  il  Viviani,  il   Torricelli,  il  Cassini  e 


58 

più  altri  matematici  ed  astronomi  fiorirono  in  tempo  clic  la  letteratura,  e  con 
essa  le  arti.^  dopo  essere  pervenute  a  toccare  la  meta  della  perlezione,  andavano 
di  giorno  in  giorno  decadendo  dalla  primitiva  loro  elegante  semplicità  per  un 
certo  vizioso  raflinamenlo  ed  uno  sfoggio  smanioso  di  capricciosi  ornamenti . 

Ma  senza  punto  disputare  di  preminenza  tra  le  gentili  e  le  accigliate  disci- 
pline, e  rinunziando  di  buon  grado  al  diritto  di  primogenitura,  che  lavorisce  le  pri- 
me, in  forza  de' più  solidi  vantaggi,  che  producono  le  seconde  ,  io  dico,  che 
que' principi,  che  tengono  gli  sguardi  rivolti  alla  posterità,  devono  impiegare  le 
più  sollecite  cure  nel  promuovere  ogni  maniera  di  studii,  se  vogliono  che  1  loro 
nomi  vengano  scolpili  nel  tempio  della  fama.  Quanti  eroi,  diceva  Orazio,  saran- 
no esistiti  prima  degli  Atridi,  ma  una  notte  caliginosa  cuopre  d'  eterno  ohbUo  i 
loro  nomi,  perchè  non  ebbero  un  poeta  od  un  istorlco  che  ai  secoli  futuri  ne 
tramandasse  per  riconoscenza  i  loro  nomi . 

Se  Pericle  avesse  impiegato  i  tesori  della  Grecia,  di  cui  Atene  n'  era  depo- 
sitaria, in  guerre  insensate  e  capricciose,  in  luogo  d' animare  il  talento  degli  ar- 
chitetti, degli  scultori  e  de' pittori  nella  costruzione  e  decorazione  dell' Odeon, 
dei  Propilei,  del  Partenone,  del  Pecile,  del  Pireo,  e  di  più  altri  sontuosi  edifi- 
zii,  e  di  proteggere  i  sommi  filosofi  ed  insigni  letterati ,  che  di  quel  suo  tempo 
horivano  :  la  storia  o  non  ne  avrebbe  fatta  alcuna  menzione,  o  ne  lo  avrebbe 
rappresentato  qual  usurpatore  d' una  potenza  quasi  regia  in  libera  repubblica, 
benché  lo  abbia  egli  fatto  con  più  circospezione  ed  artifizio,  che  non  lo  fecero  i 
Pisistrati.  Se  Augusto,  spenta  l'idra  della  guerra  civile,  pacificato  il  mondo, 
non  avesse  trasformata  Roma  di  mattoni  in  Roma  di  marmo ,  se  non  fosse  stato 
lodato  a  cielo  ne' versi  immortali  de'  cigni  di  Mantova  e  di  Venosa,  e  di  più  al- 
tri prediletti  figli  delle  nove  sorelle,  se  non  avesse  avuti  per  cortigiani  un  Me- 
cenate ed  un  Agrippa,  non  si  conserverebbe  altra  memoria  di  lui  fuorché  quella 
delle  sue  proscrizioni,  delle  sue  astuzie,  e  di  tutti  que'  mezzi  crudi  e  vili ,  che 
gli  servirono  a  farsi  tiranno  della  sua  patria,  ciò  che  non  riuscì  a  Catilina,  ne  a 
Mario,  perchè  giacquero  spenti  nel  bel  mezzo  della  loro  impresa,  ciò  che  non 
ToUe  Siila  per  magnanimità,  e  Cesare  per  debolezza .  Se  Cosimo  I  de'  Medici 
non  avesse  usata  l'arte  di  profondere  i  suoi  favori  a  quanto  di  grande  produsse 
a  quel  tempo  l'Italia,  e  se  non  avesse  in  tal  guisa  meritato  il  titolo  di  padre  del- 
le lettere,,  non  avrebbe  ottenuto  anche  1'  altro  di  padre  della  patria.,  ne  avreb- 
be, su  gli  sfasciumi  della  spenta  repubblica,  assicurata  alla  sua  famiglia  la  signo- 
ria della  Toscana,  il  papato  e  le  sue  alleanze  con  1'  augusta  casa  de'  Borboni . 
Se  infine  la  fondazione  dell'accademia  delle  iscrizioni  e  belle  lettere,  di  quelle 
delle  scienze  e  della  pittura:  se  la  protezione  e  le  ricompense  impartite  ai  padri 
della  buona  commedia  e  tragedia  francese,  ai  precettori  del  buon  gusto  nell'ar- 
te metrica,  ed  ai  maestri  della  sacra  e  profana  m  agniloquenza;  se  gì'  iocoraggia- 


59 
menti  etl  i  prem'ii  dati  ajjli  scalpelli  di  Pujct  e  di  Girardon.^  ai  |iennelli  di  Pous- 
sin., di  Le-Biun  e  de  la  Sveur,  alle  seste  di  Perraiilt  e  di  Mansard:  se  11  magni- 
lico  istituto  degl'invalidi,  splendido  monumento  di  pietà,  di  riconoscenza  e  di 
rispetto  per  la  veccluaja,  la  sventura  ed  il  valore,  l' escavo  di  quel  prodigioso 
canale,  che  unendo  il  mediterraneo  all'  oceano  facilitò  l' interna  circolazione, 
ed  impresse  nuovo  calore  e  nuova  vita  al  commercio  ed  all'  industria  nazionale  ; 
se  quel  triplice  recinto  di  baluardi  che  fece  innalzare  a  Vauban  sulla  fron- 
tiera settentrionale  del  regno  per  porre  un  freno  al  risentimento  ed  agli  am- 
biziosi progetti  dell' AUemagna,  gli  ac(piidottl  di  Mailenon  e  le  macchine  idrau- 
liche di  Maily,  audace  disfida  fatta  dall'orgoglio  dcHuomo  alla  potenza  della  na- 
tura: se  la  superba  colonnata  del  Louvre,  l'arco  di  trionfo  di  s.  Dionigi,  i  palaz- 
zi di  delizia  del  Versailles  e  di  Trianon  abbelliti  dai  superbi  giardini  di  le  No- 
tre  :  se  queste  ed  altre  opere,  degne  del  genio  e  della  fortuna  romana,  non  aves- 
sero tratto  dalla  caterva  dei  principi  oscuri  Luigi  XIV,  egli  non  avrebbe  dato 
il  suo  nome  al  secolo,  ne  ottenuto  il  soprannome  di  grande.  Di  Un  ai  posteri 
non  sarebbe  passata  se  non  la  fama  dei  tesori  e  del  sangue  profusi  in  Go  anni  di 
guerra,  il  feroce  vandalismo,  con  cui  due  volte  ridusse  in  cenere  le  pili  borite 
città  e  villaesi  del  Palalinalo,  1'  esilio  fulminato  contro  quindici  mille  lamiglie 
pacifiche,  industriose  ed  Illuminale  con  la  rivocazione  dell"  etUtto  di  JNanles,  ed 
in  line  la  dispersione  de"  dotti  tli  Porto-Reale. 

Che  se  il  favore  ed  i  premii  concessi  a  coloro,  che  al  sacerdozio  consacransi 
di  Minerva,  fecero  perdonare  l'impero  usurpato  e  la  rovinosa  amministrazione  ai 
menzionati  reggitori  d' illustri  nazioni,  qual  maggioie  gloria  da  cosiffatto  orre- 
vole patrocinio  non  ne  ridonderebbe  a  que' principi  legittimi  e  saggi,  che  non 
hanno  duopo  dell"  indulgenza  della  posterità?  L'ammirazione  e  la  riconoscenza 
non  mancherebbei'o  di  eriger  templi  ed  altari,  di  porgere  sacrifizii,  e  d'istituire 
'pubbliche  feste  alla  loro  memoria  :  il  più  lusinghiero  del  culti ,  quello  del  cuore 
verrebbe  loro  in  guiderdone  renduto . 

Ecco  l'omaggio  che  viene  dalla  presente,  e  che  verrà  dalle  future  età  prestalo 
al  Divo  FRANCEsro  I  nostro  grazioso  Signore,  che  ginnasi,  licei,  università,  isti-» 
tuti  di  scienze  e  lettere ,  accademie  di  belle  arti  richiamando  a  nuova  vita  ,  e 
conservando  in  fiore  con  liberalità  degna  dnn  principe  destinato  dalla  Provvi- 
denza al  paterno  reggimento  di  3o  milioni  d'uomini  per  suolo,  per  clima,  per 
industria  tanto  varii  e  diversi,  crea  una  nuova  era  alle  glorie  ed  al  trionfo  dell'  u- 
mano  sapere .  S'  egli  cortese  sorride  a  coleste  nostre  scientlhco-lettcrarie  eser- 
citazioni, di  cui  sono  per  dare  alla  dotta  e  cortcEc  adunanza,  che  laninii  corona, 
un  breve  saggio,  raddoppieremo  li  nostri  studii  per  renderci  vie  più  degni  di 
sua  regale  prolezione  . 

1.  Un  Invido destino  cuopre  d'eterno  obblio  i  nomi  e  le  memorie  de'  primi  tro- 


6o 

vator'i  delle  scienze  e  delle  arti,  o  per  Io  meno  lascia  in  dubbio  cui  fra  più  per- 
sone se  ne  debba  ascrivere  il  merito,  e  talvolta  ne  aggiudica  il  serto  d'onore  a 
colui  ch'ebbe  l'impudenza  di  farsene  autore,  quando  non  ne  fu  che  un  sagace 
plagiario.  Lo  scoprimento  delle  valvule  nelle  vene  ed  il  loro  ministero  nel  mo- 
vimento circolare  del  sangue  di  cui  si  glorifica  l'Harvegio;  la  contrazione  e  dila- 
tazione del  forame  dell'uvea,  trovato,  che  tanto  contribuì  a  perfezionare  la  teo- 
rica della  visione,  che  si  attribuisce  comunemente  all'  Acquapendente;  le  osser- 
vazioni intorno  all'inclinazione,  declinazione  e  variazione  dell'ago  magnetico,  di 
che  antesignano  si  è  proclamato  il  Porta:  queste  maraviglie  appartengono  esclu- 
sivamente al  nostro  fra  Paolo  Sarpi,  che  di  tutte  ne  fu  onninamente  spogliato. 
La  stessa  sorte  avrebbe  incontrato  anche  il  primo  inventore  dell'  arte  di  colorire 
il  vetro,  se  per  caso  una  scheda  scritta  di  mano  d' un  monaco  della   congrega- 
zione cistcrciense  ,  e  che  si  legge  nelle  ultime  pagine  d'  una  cronica  impressa  in 
Norimberga  nell'anno  i4-93  non  fosse  caduta  sotto  le  osservazioni   del  nostro 
socio  ordinario  abate  dalla  Valektijta  .  Coli'  appoggio  di  colesta  scheda  riuscì 
al   profondo  erudito  e  giudizioso  critico  di  assicurare  a  Paolo  da  Pergola  1  inte- 
ressante trovato  di  quel  processo,  pel  quale  nella  composizione  del  vetro  vi  si  me- 
scliiano  sostaiize  minerali,  mercè  cui  desso  assume  quale  più  si  desidera  del  set- 
templice raggio   color  vivacissimo,  senza  che,  dalla  prima  trasparenza  in  fuori, 
perdasi  veruna  delle  qualità  che  si  convengono  al  vetro  .  Lo  Zeno  ci  aveva  fat- 
to dubitare  della  patria  del  da  Pergola  ;  ma  il  nostro  accademico  il  rivendicò  a 
Venezia  ove  abbracciò  lo  stato  ecclesiastico,  fu  eletto  pievano  di  s.   Giovanni 
Elemosinano,  istituì  il  ginnasio  rjvoaltino,  ebbe  a  discepoli  illustri  personaggi, 
e  dove  tra  l'universale  compianto  cessò  di  vivere  nell  anno    1^55  .    Accompa- 
gnato alla  tomba   da  numeroso  stuolo  d'ammiratori  della  vastità  della  sua  dot- 
trina,  fu  onorato  con  orazione    funebre  e  con  iscrizione  sepolcrale  che  il  tempo 
non  ha  cancellata  .  Nella  diligente  orazione  che  a  quell'  uomo  benemerito  ha  in- 
tessiita  il  nostro  accademico,  non  ha  egli  ominesso  d' istruirci  che  il  Pergolese 
comunicò  il  segreto   al  Bernerio,  che    questi  11  legò  alla  lìglia,    che  di   esso  ne 
venne  in  cognizione  con  finissimo  stratagemma  il  Ballerino,  che  il  tramandò  alla 
sua  discendenza .    Ma  comunque   il   segreto  siasi  reso  comune  a  più  famiglie , 
certo  è  che  desso  aprì  una  ricca  sorgente  al  commercio  de  Veneziani,  essendosi 
diffuso  in  Italia  non  meno  nelle  nazioni   oltre-inare   ed  oltre-monte  il  gusto  biz- 
zarro di  rappresentare  fogliami,  animali  e  figure  d'ogni  specie  nelle  finestre  co' va- 
riopinti  vetri  .  Il   finestrone  che   dopo  tanti  anni  sussiste  ancora  nella  chiesa 
de'  ss.  Giovanni  e  Paolo  è  uno  de' più  preziosi  monumenti  che  si  possa  additare 
in  questo  genere . 

II.  Qucsl'  arte  di  formare  de'  quadri  co'minuzzoli  di  variopinti  vetri  intcrsla- 
ti  non  poteva  riuscire  se  non  imperfetta,  avvegnaché  per  collegargli  insieme  ,  e 


6i 

conservarne  la  trasjiarenza  era  d'  uopo  d' impiegare  certa  saldatura  di  piombo^ 
per  cui  non  polevasi  ingenerare  nello  spettatore  quell'  illusione  che  si  ottiene 
ne'  musaici .  Andò  essa  di  mano  in  mano  perciò  decadendo,  ne  potè  sostenere  i 
prodigi  della  pittura  risorta  ,  che  ricco  e  venusto  tema  offrì  ad  un  poemetto  in 
endecasillabi  dettato  dal  nostro  socio  ordinario  abate  professore  Pasini.  Aracne 
vendicata  dalla  natura  della  deplorabile  metamorfosi,  cui  soggiacque ,  per  aver 
osato  di  venir  al  paragone  dell'  ingegno  colla  superba  ed  invidiosa  Minerva,  è 
la  finzione,  da  cui  prende  le  mosse  il  nostro  accademico.  L'impero  della  pittura 
abbiacela  lutto  11  creato.  Le  stesse  opere  dello  scalpello  e  delle  seste  vengono 
dal  pennello  rappresentate,  moltiplicate,  ed  in  tal  guisa  proposte  all'imitazione 
degli  artisti  ed  all'  ammirazione  degli  amatori.  E  non  solo  il  fisico,  ma  il  mora- 
le eziandio  degli  esseri  organizzati  ili  natura  ragionale  o  ferina  vengono  al  vivo 
espressi  dall'industrioso  dipintore:  egH  n' esprime  i  pensieri,  i  sentimenti,  le  pas- 
sioni. I  mezzi  per  ciò  fare  sono  i  colori:  quindi  il  nostro  autore  percorre  rapi- 
dissimamente sopra  le  materie  minerali,  vegetabili  ed  animali  dalle  quali  si  trag- 
gono .  Nel  descrivere  poscia  le  preparazioni  fec'  egli  bella  nwstra  di  peregrine 
cognizioni  nella  chimica.  Dal  subbietto  e  dalla  materia  della  pittura,  trascorre 
l'autore  ad  annoverare  le  varie  e  diverse  maniere  di  dipingere  a  fresco.,  all'  acque- 
rello ,  air  olio,  air  encausto  .  Dopo  gli  studil  ed  i  tentativi  inutilmente  fatti  per 
riprodurre  quest'  ultima  foggia  di  dipinti ,  si  può  ornai  ascriverla  al  novero  delle 
arti  perdute.  Il  bel  colorire  della  scuola  veneziana  infiamma  di  nuovo  1  estro  del 
nostro  poeta,  che  nelle  opere  dei  Bellini,  dei  Vecellii,  dei  Caiiarl  e  dei  Bassani 
ne  addita  degli  ognor  parlanti  esemplari.  Ne  la  gloria  de' nostri  pennelli  è  anco- 
ra spenta:  l'  età  presente  vide  fugato  per  sempre  dalle  tele  quel  colorir  tene- 
broso, che  unito  ad  un  ammanierato  disegnare  formava  l' obbrobrio  della  pittu- 
ra .  Il  nostro  accademico  pone  fine  al  suo  poemetto  offrendo  corone  a'  moderni 
nostri  maestri,  e  con  saggio  accorgimento  paga  un  tributo  di  giuste  lodi  alle 
bene  intese  composizioni  degli  uni,  al  corretto  disegnare  degli  altri,  al  bel  co- 
lorire di  tutti .  Né  fu  questo  il  solo  componimento ,  di  che  il  professore  arricchì 
la  nostra  storia  accademica .  Abbenchè  col  saggio  critico  sopra  le  sedici  prime 
odi  di  Orazio  per  lui  composto  abbia  posto  la  falce  in  un  campo  da  tanti  erudi- 
ti prima  di  lui  mietuto;  nondimeno  la  sua  scrittura  fu  aggradita,  contenendo  essa 
più  esattezza  nella  parte  cronologica  ed  islorica  ,  più  sagacità  nel  dichiarare  il 
senso  figurato,  più  buon  gusto  nell'  accennare  le  bellezze  del  favorito  suo  au- 
tore . 

III.  L'  uomo  è  un  modello  esposto  alle  osservazioni  di  tutti  gli  artisti.  Il  pit- 
tore ne  imita  il  colorito,  lo  statuario  i  contorni,  11  poeta  le  passioni  ed  il  riilico- 
lo .  Le  grandi  perturbazioni  d'animo,  quelle,  che  atte  sono  a  destare  11  terrore 
e    la  pietà,  formano  il  soggetto  della  tragedia  .  La  prima  nazione  che  correndo 


62 

sulle  orme  impresse  dai  Greci  dischiudesse  l'arringo  tragico  si  fu  l' italiana , 
Il  nr-lodramma,  cni  diede  intiero  perfezionamento  mediante  le  riforme  dello  Ze- 
no ed  il  genio  del  Metaslasio,  la  desviò  lungo  tempo  dalla  tragedia  :  nondimeno 
per  alcuni  pochi  saggi  dati  del  suo  valore  anche  in  questa  foggia  di  poetare  ave- 
va abbastanza  dimostro,  che  verrebbe  il  giorno  in  cui  sarebbesi  appalesata  emu- 
la degli  antichi,  e  vincitrice  de'  moderni  anche  nel  trattare  il  pugnale  ed  i  ve- 
leni di  Melpomene.  Ne  il  sublime  in^^egno  che  doveva  condurre  la  trao-edia  a 
tanta  elevazione  guari  tardò  a  comparire  .  In  sul  declinare  del  secolo  18."  Asti 
fide  rivivere  Sofocle  nel  conte  Allìeri .  E  siccome  le  nazioni  contano  certe 
epoche  luminose,  nelle  quali  veggojio  ad  un  istesso  tempo  sorgere  in  folla  gì'  in- 
gegni smisurati  e  subluni,  cosi  l' Italia  a  poca  distanza  dal  primario  suo  tragi- 
co salutò  riverente  e  collocò  nell'  insubre  Panteon  i  Lagrange ,  gli  Oriani ,  i 
Volta,  i  Botta,  i  Lanzi,  i  Visconti,  iMorcelli,  iFilangeri,  i  Canova;  e  per  tacer 
di  cento  altri,  quel  fiero  Isolano,  di  cni  l'ultimo  fato  rese  famoso  uno  scoglio  del 
grande  oceano,  cui  devoti  s'accostano  i  naviganti  per  visitare  l'umile  tomba, 
che  ne  serra  le  ceneri,  e  placarne  l'ombra,  che  vi  si  ao-o-ira  intorno  sde"-nosa  , 
spargendone  a  piene  mani  ghirlande  di  fiori.  Il  sonno  d'Italia  fu  quello  de'  forti, 
che,  lungi  d' infiacchire  e  di  spegnere  i  germi  di  grandezza,  non  fa  che  infonder 
loro  nuova  virtù  e  nuova  vita:  il  perchè  in  sul  destarsi  la  si  vide  generare  in  un 
subito  quanto  le  scienze,  le  lettere  e  le  arti  hanno  giammai  prodotto  di  più  stu- 
pende ne'  secoli  andati . 

L' invidia,  abbietta  passione  de' piccioli  spiriti,  non  potè  all'aspetto  di  sì  gran- 
de ventura  d'Italia  trattenere  i  suoi  venefici  morsi:  ed  il  primo  da  essa  furiosa- 
mente assalito  si  fu  T  Astigiano  .  Un  critico  di  gran  fama  ,  autore  d'  un'  opera 
intitolata  Corso  di  letteratura  drammatica^  diede  il  primo  di  tutti  il  segnai  del- 
l' attacco  .  Prevenuto  egli  in  favore  del  romanticismo.,  ed  idolatra  di  Sakespear 
e  di  Lopez  di  Vega,  non  trova  perfezione  se  non  ne'  mostri  del  teatro  inglese  e 
spagnuolo,  ne'  quali ,  in  mezzo  alla  fanghiglia  di  scene  plebee  ,  incontransi  a 
quando  a  quando  de'  tratti  veramente  sublimi  .  Un  cieco  amore  di  parte  dettò 
quindi  a  quel  severo  critico  la  dura  sentenza  ,  che  scrisse  contro  all'  Alfieri ,  di 
cui  trovò  la  musa  priva  di  nobiltà  e  di  grazia:  il  poema  lavorato  sopra  certe 
idee  di  stoicismo  pinttostochè  sopra  il  giuoco  di  esaltate  passioni  ;  i  personago-i 
abbozzati  sopra  semplici  astrazioni,  e  perciò  uniformi  e  stucchevoli:  i  versi  pri- 
vi d' armonia  a  segno  di  lacerare  gli  orecchi  con  le  dissonanze  le  più  insoppor- 
tabili :  nello  stile  nemmeno  una  scintilla  di  fuoco  animatore,  e  povertà  assoluta 
(li  espressioni  figurate  :  finalmente  il  bianco  ed  il  nero  gettato  a  piene  mani,  per- 
chè ignorava  l'autore  l'arte  diflicilissima  deo-li  ombre^mamenti,  delle  mezze  tin- 
te  e  degli  accordi . 

Ma  nell'istante  che  i  critici  italiani  bandivano  la  croce  addosso  ali  autore  del 


63 
Corso  di  letteratura  drammatica.,  ed  avevano  presi  a  cami/ionc  Gingucnè  e  Sis- 
mondi,  il  thiarisslnio  nostro  presidenle  cav.  Gambaha  gridò  di  nuovo  alle  ar- 
mi colla  versione  d"  un'  epistola  mista  di  prosa  e  di  versi ,  che  hngesi  scritta 
dall'  eliso,  nella  quale  si  attaccavano  con  più  furore  che  giudizio  tutte  le  ope- 
re e  lo  stesso  morale  carattere  dell'  Astigiano .  L' anonimo  narra  in  coslU'atta 
scrittura  11  commovimento  generale  del  regno  della  morte  e  delle  ombre  all'  ar- 
rivo dell'  autore  della  Virginia,  dei  Bruti  I  e  II,  dell  Agldc  e  del  Timaleone:  lo 
spavento  concepito  da  Plutone  di  perdere  scettro  e  corona  pel  congiurare  di 
«mesto  terribile  repubblichista:  il  di  lui  superbo  rihulo  di  sottomettere  la  sua 
persona  e  le  sue  opere  all'inesorabile  tribunale  d'  averno  :  1'  egoismo  per  cui  nie- 
ga  di  accordare  1'  accesso  nel  solitario  luogo,  ove  s'  è  invenlrato ,  alle  anime 
de' morti  più  famosi,  che  s'  affollano  per  conoscere  un  uomo  cosi  singolare;  narra 
in  fine  il  favore, che,  mediante  il  celeste  messaggero  Mercurio,  gli  procacciano 
presso  al  sire  del  tartaro  Apollo  e  Minerva  :  ecco  la  macchina  di  questa  fred- 
«lissima  diceria ,  la  quale  termina  colla  abbiettissima  satira  che  tutte  le  opere 
dell'Alfieri  possono  appena  darsi  in  cambio  di  quell'obolo,  che  i  defunti  pagano 
al  nocchiero  d' Acheronte  pel  tremendo  tragitto,  e  che  l' Areopago  infernale  le 
condannò  ad  essere  affogate  nelle  onde  letee  e  disperse  ncll'  obblio  sempiterne . 
Il  dlvisamcnto  del  nostro  accademico  nell  offrire  all'Ateneo  questa  sua  fatica  de- 
v'  essere  stato  quello  d  innuzzohre  gì  ingegni  italiani  a  prendere  la  chfesa  d'  uno 
de'  macririori  luminari  che  abbiansi ,  Ma  ov'  è  1'  Achille  che  non  isde^ni  d'  ab- 
bassar  1"  asta  contro  un  Tersite  ? 

IV.  Nella  luminosa  carriera  aperta  dalf  Alfieri  a^l'  injiegni  italiani  sonosi  slan- 
ciali con  maravlglioso  successo  gh  autori  dell'  Aristodemo,  del  Nabucco,  della 
Medea  e  dell'  Ippolito,  ed  ultimamente  venne  al  paragone  delle  sue  forze  in  que- 
sta fatta  di  malagevoli  componimenti  II  dolt.  Jacopo  Mantovani  dandoci  di  suo 
valore  non  dubbio  saggio  colla  tragedia  dell'  Ecuba .  Euripide  aveva  trattato 
questo  subbietto  due  volte,  avvisando  io  che  ad  Ecuba  appartenga  la  parte  di 
protagonista  anche  nelle  Troadi  ;  ma  la  visibilissima  moltiplicità  d' azione ,  l'in- 
verosimiglianza e  l'indecenza  del  personaggio  d'Ecuba  hanno  spogliati  questi  poe- 
mi d'  ogni  altro  pregio,  fuorché  di  quello  degli  ammirabili  squarci  di  eloquenza 
sublime  e  patetica,  di  che  abbonda  quel  poeta,  che  segnò  l'  epoca  della  declina- 
zione dell'  arte  .  Il  Dolce  ed  il  Corio  osarono  trattare  lo  stesso  aro-omento;  ma 
se  anche  fossero  venuti  a  capo  di  schifare  i  difetti  del  poeta  greco,  non  sep- 
pero ne  ordire  il  nodo,  ne  condurre  la  peripezia  convenevolmente,  ne  usare  di 
quello  stile  grave  ed  a  trageilia  accomodato  per  poter  aspirare  all'onor  del  co- 
turno. Il  Mantovani  all'  opposto,  dato  di  tergo  a' suoi  antesignani,  trovò  ne'  mi- 
lografi  minori  opportune  tradizioni  onde  lavorare  sopra  una  più  vasta  tela  il  suo 
poema.  Tal  è  il  personaggio  d  Iliona,  figlia  d'Ecuba,  sorella  di  Polidoro,  mo- 


64 

glie  di  Polinncslore,  di  cui  il  poeta  con  singolare  avvedutezza  si  valse,  per  ren- 
dere probabili  gli  avvenimenti  accaduti  prima  e  dopo  1  arrivo  della  flotta  argiva 
nella  Tracia,  per  collegargli  insieme  in  guisa  che  spontaneo  ne  sorgesse  il  vilup- 
po, e  per  preparare  con  insigne  artifizio  la  peripezia,  eh'  è  la  parte  nella  quale  il 
poeta  manifestò  piìi  che  in  altra  il  suo  ingegno .  Potrebbesi  forse  desiderare 
più  movimento  nel  terzo  atto,  più  verosimiglianza  nel  modo,  con  che  Polinne- 
store  spegne  il  figliuolo  Difilo  credendolo  Polidoro;  potrebbesi  desiderare  che 
Ulisse  fosse  più  acconciamente  calcato  sul  conio  de' poemi  omerici  :  potreb- 
besi desiderare  che  si  levasse  qualche  maccatella  allo  stile,  che  in  generale  rie- 
sce fluido,  nervoso,  caldo  e  pittoresco  :  ma  a  cosiffatte  critiche  osservazioni  ri- 
sponde il  supremo  legislatore  del  buon  gusto  in  ogni  maniera  di  poesia ....  ubi 
plnra  nitent  in  Carmine^  non  ego  paucis  offender  maculis . 

V.  Cerchisi  pure  di  screditare  con  freddi  ed  insipidi  scherzi  il  raro  talento 
d'improvvisare  in  poesia,  che  natura  impartì  esclusivamente  al  bel  paese  ove 
il  sì  sitona^  dappoiché  le  persone  assennate,  che  sono  in  caso  di  comprenderne, 
non  dirò  già  solamente  la  difficoltà ,  ma  il  prodigio,  non  lascleranno  di  averlo 
in  quel  pregio  che  merita.  Sino  dal  secolo  decimoquarto  v'ebbero  improvvisa- 
tori in  Italia,  ma  dall'età  AtW  Accolli^  del  Brandolini^  del  Notturno.^  del  Per- 
fetti^ del  Serio.^  della  Corilla  Olimpica  e  d'infiniti  altri  che  vennero  dappoi  sino 
al  Gianni.^  non  v'  ebbe  esempio  che  siasi  impovvisata  un'  mtiera  tragedia  sopra 
un  tema  qualunque  cavato  a  sorte  dall'  urna  ove  ogni  spettatore  poteva  gettarvi 
il  suo.  Eppure  noi  fummo  testimonli  di  tale  portento,  cui  a  fatica  si  presterà  fe- 
de da'  posteri .  Ne  per  trovare  si  prode  atleta  occorre  d' intraprendere  lunghe 
peregrinazioni,  avvegnaché  Venezia  ci  offrì  il  più  valoroso  di  essi  in  Luigi  Ar- 
minio  Carrer,  che  forse  ad  un  girare  di  ciglio  scoprirete  assiso  nel  recinto  di 
questa  sala .  Aveva  egli  compito  appena  il  corso  di  belle  lettere,  allorché  lo  si 
vide  venire  parecchie  fiate  a  così  arduo  cimento  in  mezzo  a  coltissima  adunan- 
za, ed  uscirne  vittorioso  fra  gli  applausi  della  più  viva  ammirazione.  Divisare 
la  condotta  della  favola  ,  proporre  gT  interlocutori ,  e  distribuirne  fra  loro  le 
parti  principali  ed  episodiche:  assegnare  spazil  proporzionati  all'esposizione  del 
soggetto,  al  succedersi  degli  avvenimenti,  da  cui  ne  deve  derivare  l' intreccio 
e  la  conclusione  :  osservare  nella  condotta  dell'  azione  le  leggi  delle  tre  unità  ; 
versificare  il  dialogo  adattandolo  convenientemente  a'  personaggi  :  ecco  ciò  che 
nello  spazio  di  pochi  minuti  seppe  fare  la  forza  sorprendente  della  fantasia  di  co- 
testo giovinetto  di  belle  speranze .  Ebbe  egli  non  pertanto  il  saggio  accorgi- 
mento di  non  lasciarsi  illudere  da  queste  lodi  momentanee,  e  conobbe  che  per 
acquistare  verace  e  solida  gloria  doveva  commettere  non  già  ali"  aere,  che  per 
breve  atomo  conserva  la  vibrazione  del  snono,  ma  bensì  alle  fide  carie  i  frutti 
di  questo  suo  insigne  talento  pel  più  difficile  de'poemi,  dopo  aver  arricchito  lo 


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spirito  di  più  altre  cognizioni,  e  massimamente  di  quella  della  scienza  del  cuore 
umano,  allorché  in  preda  egli  si  trova  delle  più  violente  passioni.  Ne  dissimu- 
lò a  se  stesso  i  difetti  de'  primi  saggi,  che  diede  alla  luce,  anzi  rinfrancalo  dagli 
esempi  di  (pie'  due  immortali  [loeti,  che  incominciarono  la  loro  carriera  dramma- 
tica colla  Cleopatra  e  col  Giustino.,  e  che  terminarono  col  Saul  e  col  Demofoon- 
tó,  tornò  allo  studio  con  più  ardore  e  perseveranza  di  prima.  Il  pubblico,  cui  offrì 
la  prima  suilala  fatica  nella  rappresentazione  della  tragedia  mtitolata:  la  sposa  ai 
Messina:  ondeggiò  lungamente  tra  l'approvare  ed  il  disapprovare,  non  suonan- 
dogli intiero  nel  cuore  né  il  sì.,  né  il  no  ;  se  non  che  alla  perfine  11  mal  genio 
prevalse.  Ma  qualunque  sia  stato  1'  esito  ch'ebbe  in  sulla  scena,  l'intiero  poema 
fu  giudicalo  dagl'intelligenti  adorno  di  tali  pregi  per  non  meritare  che  uno  Zoilo 
il  condannasse  siccome  un  aborto  infelice  senza  capo  ne  piedi.,  e  simile  in  tut- 
to a  quel  mostro  di  cui  parla  Orazio  ai  Pisoni .  Ma  il  malefico  insetto  non  andò 
impune  ;  imperciocché  1'  egregio  nostro  membro  ordinario  sig.  Luigi  Pezzoli 
ne  lo  schiacciò  con  la  dotta  apologia,  che  ne  compose,  con  che  nell'atto  di  prov- 
vedere alla  tlifesa  del  giovine  poeta,  diede  di  suo  forte  e  generoso  animo  un  lu- 
minosissimo esempio  .  Se  questa  dissertazione,  in  cui  risplende  il  candido  amore 
della  verità  espressa  in  purissimo  e  lucidissimo  eloquio,  non  fosse  divenuta  di  pub- 
blica ragione  mediante  la  stampa,  farei  conoscere  piti  alla  distesa  con  quali  pa- 
tentissime  ragioni  l'autore  abbia  dimostro  che  la  sposa  di  Jllessina.,  per  la  scel- 
ta del  soggetto,  la  condotta,  l'interesse,  i  caratteri  e  lo  stile,  si  dovesse  porre  in 
fra  gli  ottimi  poemi  di  questo  genere .  Ma  posciachè  la  pubblicazione  di  que- 
st'  opuscolo  m'  impedisce  di  parlarne,  mi  permetterò  unicamente  di  considerare 
che  l'autore,  rincorando  il  valoroso  alunno  di  Apollo,  cui  si  tentò  di  tarpare  leali 
e  di  arrestarne  l'alto  volo,  salvò  forse  ali  italiano  parnaso  uno  de' più  canori 
suoi  cigni . 

VI.  Nel  secolo,  in  cui  l' italiana  Melpomene  dispensava  onorevoli  serti  a'  suol 
favoriti,  era  convenevol  cosa  che  si  rovistassero  di  nuovo  gli  archivii  dell'  erudi- 
zione, e  che  da  essi  si  traessero  fuori  le  notizie,  che  in  copia  li  dotti  vi  avevano 
ammassate  sulle  origini  della  poesia  drammatica.  Nulla  di  più  facile,  quanto  lo 
spazzare  dalla  polvere  e  dalle  ragnatele  delle  biblioteche,  ove  stavano  inventra- 
te, le  faragginose  scritture  del  Casaubono,  dell' Einsio,  del  Dacier,  dello  Spa- 
nemio,  del  Mazzoni,  e  di  più  e  più  altri  rinomati  uomini,  che  di  proposito  ne  trat- 
tarono: ma  chi  avrebbe  avuto  il  coraggio  ,  il  tempo  e  la  perseveranza  di  distri- 
gare dai  viluppi  delle  opposte  sentenze  quelle  poche  notizie  che  ci  abbisognano 
per  conoscere  le  dette  origini ,  se  non  fosse  stato  il  nostro  socio  ordinario  sig. 
Giovanni  Kiieglianovich  Ai-binoni  con  la  memoria  che  ci  ha  presentata  sulla  sa- 
tira de' Greci  e  de  Latini?  Per  essa  ci  viene  dato  comprendere  qualmente  al  poe- 
ma satirico,  alla  tragedia,  alla  commedia,  e  a  tutta  quanta  in  generale  1'  arte 
9 


66 

rapprcsentatoria    e    drammatica    diedero  nascimento  le  feste   dionisiache ,  le- 
nee ,  fallagogiche ,    trietericlie  ec.    clic   nel   tempo  della   vendemmia  celebra- 
ransi   nell'  aperta   campagna  dagli  agricoltori  in  onore  di  Bacco.^  che  credevasi 
essere  il  primo  che  insegnò  a  coltivare  la  vite,  ed  a  spremere  da'  grappoli  il  vi- 
vificante liquore .    Nulla   di  più  naturale  che  per  un  cosi  segnalato  benefizio   si 
cantassero  inni   al  padre  Libero^  che  si  celebrasse  il  suo  ritorno  trionfale   dal- 
le Indie,  e  di  quegli  eroi  che  lo  avevano  seguito  nella  sua  spedizione ,  e  che  per 
fargli  onore  li  più  devoti  fra  suoi  adoratori  si  travestissero  da  Sileni ,  da  Fauni, 
da  Satiri  danzando,  cantando,  e  sacrificandogli  il  capro  che  col  velenoso  morso 
amarissimo  reca  morte  certa  alla  vite .  Ne  si  dura  fatica  a  credere  che  la  turba 
avvinazzata  prendesse  ogni  più  sconcio  vezzo  e  atteggiamento,  che  l' uno  si  fa- 
cesse beffe  deir  altro  col  contraffare  i  parlari  ed  i  gesti,  che  s  incominciasse  col- 
le buffonerie,  e  si  terminasse  cogh  strapazzi  e  colle  coltella .    E  fu  al  certo  sag- 
gio consiglio  d' uomini   avveduti  e  prudenti,  acciò  la  gioja  in  pianto  non  dege- 
nerasse,  al  coro  de' baccanti  aggiungere   prima  uno,  poscia  due,  ed  in  fine  tre 
personaggi  tragici,  che  rappresentando  in  sul  palco  la  parte  d'  eroi   e   di  semi- 
dei, noti  per  le  lagrimevoli  loro  vicende,  destassero  la  pietà  ed  il  terrore  nella 
moltitudine  accorsa  a  quello  spettacolo.  E  siccome  l'esperienza  fece  toccar  con 
mano  ,  che  ottenevasi   lo  stesso  effetto  col  mordere   il  ridicolo   ed  i  vizii  degli 
uomini,  introducendo  per  intermezzo  personag-gi  comici,  cosi  prese  voga  la  com- 
media forse  più  accetta  alla   moltitudine ,   che   ama  di  pascere  la   naturai   sua 
mahgnità   con  le  vespe    eie    nm'ole  d'Aristofane,  che  di  piangere  sui   tristi 
casi  di  Edippo  tiranno  e   di  Ajace  flagelli/ero  di  Sofocle  .  Vedutane  1'  utilità 
per  istruirne  il  popolo  divertendolo,  tutti  gli  spettacoli  dell'  arte  rapprcsentato- 
ria passarono  dalla  campagna  alla  città  .  La  tragedia  si  perfezionò,  la  comme- 
dia cambiò  subbictto  e  stile,  essendo  all' africa  succeduta  la  mezzana^  ed  a  que- 
sta la  nuova  :  ma  il  popolo  non  volle  esser  fraudato  giammai  del  favorito  suo 
poema  satirico  .  Il  Ciclope  di  Euripide  è  l' unico'  che  il  tempo  non  ci  abbia  invo- 
lato .  I  canti  detti   siili  furono  introdotti   quasi  per  compenso   della   commedia 
mezzana  proscritta  .    Nel  passare  che   fecero  le  arti   e   le  lettere    dai  Greci  ai 
Latini,  la  rapprcsentatoria  quantunque  si  trovasse  nello  stato  di  sua   primiera 
rozzezza ,  nondimeno  non   era  ad  essi   del  tutto  ignota.  Probabilmente    aveva 
avuto  origine  dalle  feste  consuali  instituite  da  Romolo  .  Un  naturale  spontaneo 
entusiasmo  inspirava  ai  bifolchi  li  versi  alterni   saturnii  e  fescennini  senza  mi- 
sura  e  senza  numero ,  tutto  al  più  con  qualche  cadenza,  versacci    inconditi   e 
gretti,  eh' e'  cantavano  fra  li  salti  ridevolidl  una  danza  grossolana.  Siffatta  liber- 
tà di  motteggiare  oltre  un  secolo  si  sostenne:  ma  incominciando  il  mal  giuoco 
ad  imperversare   contro  le  oneste  cose   e  persone,  fu  di  mestieri  provveder  al 
disordine  con  leggi  che  condannarono  il  detrattore  dell'  altrui  fama  al  bastone 


6, 
e  al  capestro.  Roma  dcsertata  da  peste  straordinaria  richiamò  dall  Etrurla  ì;1ì 
spettacoli  scenici  per  placare  gli  Dei .  Oltre  a  due  secoli  dopo  comparve  alla 
luce  del  mondo  Livio  Andronico,  che  fu  il  primo  a  rivolgere  gli  animi  a  favole 
teatrali  di  sua  invenzione  .  Non  si  sbandirono  per  altro  le  salire,  ma  accoppiale 
alle  atetlane  degli  Ojc/ servirono  d  intermezzo  .  Le  satire  furono  dette  epodi ^ 
perchè  venivano  recitate  alla  fine  delle  opere  serie.  Un  somigliante  costume 
ebbe  spaccio  sino  ad  Augusto .  A  Livio  Andronico  successe  Nevio,  che  trasse 
gli  argomenti  delle  sue  composizioni  dalla  greca  commedia  vecchia .  Nevio  ce- 
dette r  alloro  ad  Ennio  ,  che  cominciò  ad  introdurre  1'  uso  de'  discorsi  satirici, 
ossia  sermoni,  ne'  quali  fu  imitato  da  Pacuvio  e  Lucillio.  Questo  nuovo  modo 
di  satireggiare,  fu  perfezionato  da  Orazio,  «la  Giuvenale  e  da  Persio  .  Un'altra 
specie  di  satira,  la  menippea  cioè  o  verroniana^  composta  di  verso  e  prosa,  fu 
coltivata  :  il  libro  di  Seneca  per  la  morte  di  Claudio ,  la  cena  di  Trimalcione 
di  Petronio,  ed  i  C«.jar/ dell' imperatore  Giuliano  sono  di  questo  numero.  Se 
Quintiliano  però,  Plinio  ed  Orazio  dissero  Ialina  l' invenzione  del  discorso  sa- 
tirico, ossia  del  sermone,  pare  che  non  abbiano  preso  errore  per  vanità  nazio- 
nale.  Dopo  questa  scorsa  rapida  sulla  storia  degh  spettacoh  scenici,  e  partico- 
larmente del  poema  satirico  e  della  satira  de'Lalini,  il  nostro  accademico  con  fino 
discernimento  ci  accenna  le  tUfferenzc  ,  che  tra  questi  ed  i  Greci  in  cosiffatta 
maniera  di  composizioni  esistono:  nel  che  per  nostro  avviso  consiste  uno  de' pre- 
cipui pregi  della  dotta  e  giutliziosa  sua  dissertazione. 

VII.  Il  flagello  satirico  non  rimase  ozioso  nelle  mani  degl'Italiani.  Quel  terri- 
bile Ghibellino  di  Dante  fu  il  primo  a  servirsene  nella  sua  cantica  dell'inferno, 
cacciando  in  quelle  bolge  papi,  imperatori ,  condottieri  di  eserciti,  legislatori, 
artisti  e  letterati  antichi  e  moderni,  ed  applicando  ai  peccati,  che  loro  si  com- 
piacque di  attribuire,  li  convenienti  snpplicii .  Nacque  quindi  la  satira  in  Italia 
col  nascere  si  può  dir  della  lingua  e  della  poesia,  essendo  slato  l'Alighieri  // 
miglior  fabbro  del  parlar  materno^  che  le  muse  lattdr  più  eh'  altri  mai.  Il  nostro 
socio  corrispondente  sig.  Filippo  Scolari  con  un  suo  ragionamento  sulla  piena 
e  giusta  intelligenza  della  divina  commedia  di  Dante  ^  si  è  proposto  di  consi- 
derare questo  immortale  poema  sotto  un  cosi  vasto  punto  di  vista  che,  secon- 
do e'  si  protesta,  in  cinque  secoli  di  studii  e  di  relative  scritture,  le  quali  poche 
non  furono,  non  si  presentò  ad  altro  sguardo  giammai.  E  quantunque,  a  senso  di 
lui,  un  solo  uomo  non  basti  alla  illustrazione  di  Dante,  s  impegna  nondimeno  di 
far  conoscere ,  che  qualunque  strada  al  conseguimento  dell'  allo  fine  non  eli  è 
ignota.  Di  tali  premesse  venendo  al  concreto,  dichiara  essere  suo  proposto  il 
;•  dare  agi"  Italiani  la  Divina  Commedia  di  Dante  Alighieri  così  per  ogni  parte 
>'  chiarita,  che  la  mente  dell'  autore  nell'averla  dettata  in  quello  e  non  in  altro 
»  modo  sia  seguita,  e  che  per  quanto  è  possibile  sia  tolta  di  mezzo  qualsivoglia 


68 

«  dubbiezza,  o  per  lo  meno  ridotta  all'  ultimo  punto  di  differenza,  e  notati  qiie'  luo- 
»  ghi  al  rischiaramento  pieno  de'  quali  tutti  li  mezzi  dell'  arte  critica  si  manlfe- 
n  stassero  insufficienti  ".Discorre  a  dilungo  nel  citato  suo  ragionamento  il  nostro 
accademico:  i."  sujjli  importanti  vantairiri  che  dallo  studio  di  Dante  devonsi 
attendere  ;  2."  sulla  necessità  di  raffrontare  li  testi  a  penna  con  le  stampe  per 
fissarne  possibilmente  la  più  genuina  lezione  ;  3."  sugli  ajuti  che  cavare  si  po- 
trebbero per  chiarirne  ogni  oscurità  e  dicifrarne  ogni  enigma  dalla  conoscenza 
esatta  delle  cause  ,  che  lo  hanno  indotto  a  scrivere ,  dalle  circostanze  di  tem- 
po e  di  persone  ,  nelle  quali  ha  scritto,  dai  fatti  e  dalle  istorie  cui  ha  egli  in- 
teso di  alludere;  4-"  sullo  studio  da  farsi  onde  penetrare  nel  sentimento  dell'o- 
pera, svolgendone  li  quattro  sensi,  nei  quali  la  si  può  considerare,  litterale  cioè, 
■allegorico,  morale  ed  anagogico .,  ossia  mistico:  5."  sulla  risoluzione  del  proble- 
ma ,  se  le  cantiche  dell'  Alighieri  contengano  una  prima  e  principale  allegoria^ 
e  se  dessa,  a  differenza  di  quelle  escogitate  dal  Dionisi,  dal  Biagioli ,  dal  Lom- 
bardi e  dal  Marchetti,  sia  quale  viene  esposta  per  la  prima  volta  in  questo  sag- 
gio: 6.°  s'intrattiene  sull'insufficienza  de' metodi  sino  ad  ora  praticati,  ed  ac- 
cenna la  via,  per  la  quale  sotto  auspicii  migliori  potrebbesi  raggiungere  la  me- 
ta. La  parte  più  importante  di  codesta  dissertazione  è,  per  mio  avviso,  la  ricerca, 
se  si  debba  ammettere  senza  contrasto  la  spiegazione  che  dà  1'  autore  alla  pri- 
ma e  principale  allegoria  del  poema  di  Dante,  se  sia  questa  nuova  e  diversa  da 
quella  che  vi  ha  data  il  Dionisi  nella  sua  serie  di  aneddoti  ed  il  Perticari  nel- 
r opera,  che  alzò  tanto  grido  in  Italia  sul  patriotismo  di  Dante .  Se  l'opuscolo 
non  fosse  ornai  divenuto  di  pubblica  ragione ,  non  si  lascierebbe  senza  gli  op- 
portuni schiarimenti  questa  interessante  ricerca  ,  dalla  quale  ne  risulterebbe 
che,  quantunque  decorata  sia  da  nomi  famosi  l'opinione,  che  il  fine  delle  tre  can- 
tiche dell'Alighieri  sia  essenzialmente  nazionale  e  politico,  dessa  urta  e  s'infran- 
ge nel  canto  sesto  del  purgatorio,  nel  trigesimo  del  paradiso,  e  nelle  due  let- 
tere, che  il  furibondo  Ghibellino,  cacciato  di  patria,  esule  e  ramingo ,  indirizzò 
r  una  all'imperatore  Arrigo,  l'altra  a'  principi  italiani. 

Vili.  Si  è  notato  che  la  satira  in  Italia  nacque  gemella  ad  un  parto  stesso 
con  la  lingua  e  con  la  poesia,  ma  1'  Alighieri  fu  portato  a  giovarsene  dall'  istes- 
so  argomento  del  suo  poema,  conciossiachè  non  poteva  parlar  dell'inferno,  sen- 
za parlare  dei  dannati  e  de' loro  supplicii,  non  già  dal  proposto  di  fare  un  poema 
satirico  ad  imitazion  de'  Latini.  Tanti  poi  sono  gli  scrittori,  1  quali  con  mirabile 
successo  hanno  squassata  la  sferza  di  Orazio  e  di  Giuvenale  ,  che  inutile  torna 
di  ripararsi  in  Dante  per  mostrar  che  l'Italia  non  mancò  d'impadronirsi  anche 
di  questo  genere  di  poesia,  e  di  signoreggiare  in  esso .  Ma  tra  i  satirici  italiani 
moderni  o  si  riguardi  la  moralità  ed  utilità  dello  scopo,  o  la  novità  ed  elevazio- 
ne del  pensiero,  o  l'artifizio  ingegnosissimo  nel  maneg-o'iarlo.,  o  riguardisi  l'incom- 

1  -'  00  co^o 


69 
paraLìle  eccellenza  dei  versi,  la  prima  palma  la  si  debbc  per  mio  giudizio  a 
Giuseppe  Pariiii .  Sopra  il  ili  lui  poema  del  giorno  il  nostro  socio  ordinario  con- 
te Lsuno  ConiTiANi  degli  AiGAftOTii  ci  offerse  un  saggio  di  dotte  e  giudiziose  con- 
siderazioni .  Quel  fuoco  di  patriotici  e  liberali  sentimenti,  di  cui  arse  il  nostro 
poeta  tutta  sua  vita,  gli  dettò  «pie'subiimi  poemetti,  //  mattino^  il  mezzo  giorno^ 
il  vespero^  la  notte.,  ne'  quali  col  mezzo  di  fina,  dllicata  e  mordacissima  ironia 
si  propose  di  richiamare  i  degeneri  nipoti  alle  prische  cittadine  virtù,  e  genero- 
se abitudini  degli  avi.  E  siccome  i  grandi  formano  quella  classe  sopra  la  quale 
si  foTffiano  i  mezzani  ed  1  piccioli,  cosi  il  Parini  sopra  li  vizii  ed  i  difetti  de' primi 
sparse  nel  suo  giorno  il  ludibrio .  Orazio,  Boileau,  Pope  ed  Ariosto  piìi  che  il 
fiele  il  riiUcolo  della  satira  convenevolmente  adoprarono  ;  ma  nessimo  de'  valo- 
rosi antesignani  del  Parini  concepì  Tidea  d'un  poema  apparentemente  didatti- 
co, che  constasse  d'una  continuata  ironia,  fonte  principale  del  ridicolo  .  L  facile 
respingere  la  violenza  e  l'ingiuria,  che  derivano  dalla  declamazione  e  dal  sar- 
casmo :  è  anche  facile  render  baja  per  baja,  ma  è  difficilissimo  lo  schermirsi 
dalla  finezza,  onde  1'  ironia  sotto  l'apparenza  di  lode  volge  in  ridicolo  le  cose, 
cui  siamo  più  affezionati,  con  una  specie  di  sorpresa,  che  si  fa  all'  anima  là  dove 
meno  se  lo  aspettava  .  Ma  la  somma  difficoltà  stava  nella  continuazione  dell'iro- 
nia per  r  intiero  decorso  de' poemetti.  Per  ciò  fare  vichiedevasi  una  s'mgolare 
maestria,  sì  nella  naturalezza  de' pretesi  insegnamenti,  e  si  nella  esquisitezza 
de' sali,  e  ncH'  aria  grave  e  importante  data  ai  pregiudizii  per  non  offendere  la 
ver  osimi  o-lianza  del  senso  figurato .  Ordine  mirabile  nella  condotta,  fecondità 
neir  invenzione,  novità,  opportunità  e  grazia  negli  episodii,  e  giustezza  e  bel- 
lezza nelle  immagini,  e  graduata  importanza  di  affetti  appajono  nell'opera,  e  pre- 
sentano all'  anmio  quanto  vi  ha  di  vago  e  di  grande  proporzionatamente  al  sog- 
getto, riscaldano  tratto  tratto  l'immaginazione,  e  suscitano  un  continuo  diletto, 
che  moderatamente  solluchera  lo  spirito  ed  il  cuore,  e  perciò  più  gradevol  rie- 
sce. Quanto  allo  stile  mirò  per  l'un  de"  lati  il  Parini  alla  precisione  e  proprietà 
de'  vocaboli,  e  specialmente  degli  epiteti  usati  da  Orazio  :  per  1"  altro  alla  varie- 
tà imitatrice,  armonia  ed  eleganza  di  Virgilio .  Il  perchè  un  carattere  speciale 
donò  egli  a'  suoi  versi  che  a  tutta  prima  si  riconosce,  ne  può  con  altri  confon- 
dersi, e  si  meritò  d'  essere  denominato  dal  principe  de' tragici  italiani. 

»  Primo  pittar  del  signoril  costume  » . 


IX.  Ma  se  il  Parini  inventò  una  foggia  di  satireggiare  del  più  acconcio  e  bel 
modo  che  fare  si  potesse  per  correggere  i  guasti  costumi  e  le  fradiccie  abitudi- 
ni dei  ricchi,  sono  del  pari  d' invenzione  tutta  italiana  le  satire  giocose,  di  cui  il 
Pulci  col  suo  Morgante  ci  porse  forse  il  primier  saggio  .  A  questa  specie  di  com- 


ponimenti  pare  che  ridur  si  possa  la  georgìca  del  fico  ^  di  cui  il  socio  corrispon- 
ilenle  abate  DviMisTrto  presentò  al  nostro  Ateneo.  Non  è  già  che  a  certi  rispetti 
considerare  non  la  si  possa  del  genere  didattico,  e  porla  al  concorso  della  corona 
poetica,  se  non  colla  cohu'azione  dell'  Alamanni,  colle  api  del  Rucellai  e  colla 
riseide  dello  Spolverini,  con  altri  minori  poemi  a  Pomona  sacri  e  a  Vertnnno  ; 
ma  dominando  in  essa  dal  principio  al  fine  la  parte  giocosa  e  satirica,  è  forza  in- 
titolarla sermone.  Il  poemetto  delfico  del  nostro  autore  è  ben  diverso  da  quel- 
lo, che  forma  il  tema  del  capitolo  del  Molza,  cui  fece  le  chiose  il  Caro,  scam- 
biandogli il  titolo  di _^co  in  quello  di  fiche ide .  Essendo  la  musa,  che  inspirò 
que'due  bacalari  solenni,  una  sgualdrinella  da  chiasso,  lurono  usate  le  voci  ^co 
e  fiche  ide  in  senso  metaforico:  ma  la  musa  del  nostro  sermonatore,  essendo  fem- 
mina di  buoni  costumi,  senza  essere  per  altro  in  cose  di  mondo  schifiltosa  al  tut- 
to, e  spigolistra  oltre  il  dovere ,  fu  il  fico  usato  in  senso  proprio  e  si  largheggiò 
un  poco  nelle  frasi  ove  si  descrisse  la  seguita  metamorfosi  della  ninfa  Ficaja  nel- 
l'albore, che  produce  quel  saporitissimo  frutto .  Potrebbe  venir  in  mente  a  qual- 
che sazievol  pedante  di  rinfacciare  al  nostro  autore  di  aver  Imitato  Ovidio  nella 
accennata  metamorfosi;  ma  non  sarebbe  diflicile  di  costrino-erlo  al  silenzio  col 
pregarlo  da  quindi  innanzi  prima  di  portare  de'  cos\  spropositati  giudizii,  eh  sce- 
verare l'ignobll  greggia  de'  servili  copisti,  da  que'rari  ingegni,  che  furono  dotati 
del  peregrino  talento  di  una  nobile  e  libera  imitazione .  Che  se  porre  si  volesse 
al  paragone  la  metamorfosi  di  Dafne  con  quella  di  Ficaja,  si  dovrebbe  conveni- 
re che  la  descrizione,  che  ne  fa  il  latino  poeta,  è  più  rettorica,  e  quella  dell'ita- 
liano più  pittoresca:  che  l'uno,  tutto  dicendo,  nulla  lascia  pensare  al  lettore,  e 
l'altro  all'opposto  gli  lascia  indovinare  tutto  ciò,  che  con  artifizio  gli  nasconde, 
mostrando  gli  oggetti  principali  in  iscorcio,,  e  trascurando  i  secondarli  ;  che  1"  A- 
pollo  di  Ovidio  è  un  guascone  pieno  di  millanterie,  e  quello  di  Dalmistro  è  più 
modesto  e  riservato  nel  parlare  di  se,  che  1'  uno  ha  molte  chiacchere  e  termi- 
na coir  abbracciare  un  arbore  ,  1'  altro  viene  ai  fatti  e  termina  coli'  accop- 
piarsi due  volte  amorosamente  con  la  ninfa:  nel  qual  accoppiamento  vuoisi 
indicare  il  doppio  fruttar  della  pianta  cantata:  il  primo  fa  la  figura  di  novizio 
nell'arte  di  amare,  il  secondo  si  mostra  per  quel  seduttor  veterano,  quale  vie- 
ne proverbiato  dal  nostro  poeta .  Nulla  dirassi  di  quella  parte  di  codesto  ser- 
mone, che  della  coltivazione  tratta  del  fico.,  nella  quale  fa  bella  mostra  il  nostro 
accademico  di  eguale  perizia  nell' agricoltura,  e  nella  proprietà  e  perspicuità 
de'  vocaboli  e  delle  frasi  .  I  quadri  degni  di  Vernet  e  di  Pussino  ,  che  s' incon- 
trano a  quando  a  quando,  e  le  graziose  fantasie  sparse  qua  e  là,  mentre  sferza- 
no 11  vizio  de' bifolchi,  servono  a  ravvivare  l'attenzione  del  lettore.  Sonovi  alcuni 
cplsodii  così  leggiadri  e  saporiti  che  farebbero  onore  al  Baldovini  scrittore  del 
famoso  lamL'nto  di  Cecco  da  Varlungo.  Tali  mi  pajouo  essere  quelli  di  Tofiano, 


di  Lapo,  tli  N»-ncio  :  ma  la  serenala  eli  Cecco  a  Ghita  in  variato  metro  forma  il 
più  ghiotto  boccone  di  tulio  ([nel  com|)onimento  . 

X.  Alle  siffylle  insnirazioni  di  miifajraja  e  sollazzevole,  cui  dobbiamo  le  bizzar- 
re fantasie  del  Pidci,  del  Berni,  del  Foitiguerri  avvisò  il  nostro  accademico  sig. 
BAnTOLAMMEO  Gajida  clic  abbia  somministralo  argomento  1'  opera  originale  na- 
ta sotto  il  nostro  cielo  dei  reali  di  Francia^  che  fu  da  lui  tratta  a  nuova  vita 
con  la  nitidissima  e  correttissima  edizione,  che,  dopo  le  tante  sconcie  e  spro- 
positate che  la  precedetlero,  videsi  uscire  da' suoi  tipi,  e  di  cui  la  dotta  ed  ele- 
gante prefazione  formò  l' intrattenimento  d'  una  delle  nostre  ordinarie  adunan- 
ze. Se  questo  discorso,  nel  quale  il  nostro  accadeniico  correndo  sulle  orme  del 
Giraldi,  del  Pigna,  del  Quadrio,  del  ^^arlon,  del  Ginguenè  ci  dà  notizia  delle 
curiose  storie  de'  cavalieri  erranti,  che  in  tre  diverse  classi  dividonsi,  cioè  nella 
tavola  rotonda,  nell'  origine  dei  Gaulesi  e  nelle  avventure  di  Carlo  Magno  e 
de'  suol  dodici  paladini,  di  cui  1'  antefatto  trattasi  nei  reali  di  Francia  :  se 
questo  discorso,  nel  quale  si  prova  che  l'ultima  delle  jnenzionate  opere  pel  mi- 
rabile, che  ne  forma  il  generale  disegno  e  le  parli  nelle  quali  Irovasi  distribuita, 
riuscì  tale  da  starsene  onoratamente  tra  quelle  le  quali  servirono  a  mansuefare 
e  ad  ingentilire  gli  uomini,  ed  a  far  valere  fra  le  genti  la  cortesia,  la  fortezza,  il 
valore,  la  magnanimità  ;  se  questo  discorso  in  fine  in  cui  si  dà  ragione  del  per- 
chè al  reali  di  Francia  toccasse  il  destino  di  vivere  bensì  più  degli  altri  roman- 
zi di  cavalleria,  ma  poverello  e  tapino,  sbandito  dagli  scaffali  de' letterati,  in  odio 
alle  donne  colte  e  gentili,  e  confinalo  a  posarsi  sul  banco  di  qualche  ozioso  fat- 
torÌDO,  o  per  le  stalle  dei  contadini:  se  questo  discorso  non  fosse  venuto  alla  lu- 
ce delle  lettere,  io  mi  sarei  sollecito  a  commendarne  la  scelta  erudizione,  il  ni- 
tido stile,  i  fiori  di  Hngua  di  che  va  copiosamente  adorno  . 

In  un  tempo  nel  quale  per  l'onore  della  letteratura  fu  deliberala  la  correzio- 
ne del  vocabolario  della  lingua  italiana,  reclamala  principalmente  dalle  scienze 
e  dalle  arli,  che  di  troppo,  nella  compilazione  dell'  ultimo,  furono  neglette,  e  che 
per  questa  ragione  e  per  1'  altra  delli  prodigiosi  progressi  eh'  elleno  fecero,  ri- 
chiedono che,  stacciate  prima  dagl'inlarinati,  vengano  poi  registrate  siccome  ca- 
noniche quelle  voci,  di  che  le  une  e  le  altre  soffrono  estrema  penuria  per  non 
dire  privazione  ;  in  un  tempo  che  per  le  dotte  cure  di  que'  sonmii  sapienti,  che 
furono  di  questa  nobilissima  fatica  incaricati,  il  pubblico  vede  moltiplicarsi  più 
splendide,  e  alla  pi'u  castigala  lezione  restituite  le  ristampe  de'  classici  d'  ogni 
fatta,  ed  uscire  dalla  polvere  delle  biblioteche  nuovi  tesori  di  favella,  in  tempo 
così  propizio,  fu  al  certo  ottimo  divisamento  quello  del  prelodato  signor  Gamba 
d' illustrare  con  erudito  proemio,  e  migliorare  colla  confrontazione  dei  codici  a 
penna  e  delle  edizioni  più  rare  e  pregiale  il  testo  di  lingua  intitolato:  i  fiori  di 
retlorica  di  frale  GuidoUu  da  Bologna—  Se  anche  questa  sua  fatica  non  fosse 


«livenata  proprietà  del  pubblico  mediante  la  stampa.^  mi  converrebbe  essere  assai 
largo  di  lodi  in  verso  l' egregio  editore,  ne  mancherei  di  mettere  in  bella  vista 
le  sue  dotte  ricerche  sul  tempo  in  cui  visse  l'autore,  sopra  il  vero  suo  nome,  ca- 
sato e  condizione  di  vita,  sul  merito  dell'  opera  che  più  imitazione  ,  che  tradu- 
zione può  dirsi  del  trattato  dell'  invenzione  di  Cicerone,  e  sulle  inlinite  mende 
da  cui  dovette  il  nostro  insigne  tipografo  ripurgarla  . 

Ne  pago  appieno  il  Gambì  di  avere  bene  meritato  dalle  lettere  e  dalla  tipo- 
grafia, mercè  le  opere  accennate  sopra  i  romanzi  cavallereschi  e  di  testi  di  lin- 
gua, volle  cogliere  nuova  più  sudata  ed  onorevole  palma  colla  pubblicazione 
della  galleria  dei  letterati  ed  artisti  più  illustri  delle  venete  provinole  ,  nella 
quale  ebbe  a  cooperatori  due  esimii  ingegni  in  ogni  maniera  di  sapere  il  prof. 
Zesdriki  ed  il  sig.  Francesco  Negri  .  Del  prodromo  dell'  opera  e  di  parecchi  fra 
gli  articoli  biografici  di  sua  penna  ne  presentò  il  nostro  Ateneo  ;  di  che  pure 
vienmi  niegato  di  favellarvene,  dacché  tutte  le  persone  di  gusto  hanno  arricchi- 
to di  questa  gemma  le  loro  bibilioteche .  Si  possono  assomigliare  lavori  di  que- 
sta fatta  a  quelle  sorprendenti  imitazioni  della  camera  ottica,  che  in  brevissimo 
spazio  rappresentano  le  opposte  grandiose  prospettive  della  natura  e  dell'  arte, 
senza  nulla  togliere  all'integrità,  alla  bellezza  ed  alla  grazia  dell'  originale  . 

XI.  Nel  trattare  di  biografia,  ridotta  però  a  dimensioni  più  naturali  e  pro- 
porzionate s'  accostò  alla  meta  anche  il  nostro  socio  ordinario  sig.  dott  Paravia, 
raccoglitore  solerte  delle  veneri  tutte  di  nostra  lingua  e  di  nostra  letteratura  . 
Tra  le  molte  scritture  di  questo  genere  che  conserva  inedite,  e  di  cui  vorrà  ar- 
ricchire la  storia  letteraria,  di  quelle  sole  ci  viene  dato  di  fare  ricordo  eh'  egli 
distese  sopra  le  vite  e  le  opere  di  Francesco  Rczzano  e  di  Onofrio  Minzoni . 

La  vita  del  primo,  che  mori  canonico  della  cattedrale  di  Como  sua  patria, 
nulla  ci  offre  che  1'  avverso  destino  de'  letterati  non  ci  rammenti  :  fu  povero,  af- 
flitto ,  perseguitato  .  Fra  le  sue  opere  quella  che  meritò  di  passare  alla  posteri- 
tà, e  eh'  egli  intraprese  sotto  gli  auspicii  del  cardinale  Prospero  Colonna,  e  per 
consio-lio  di  Alessandro  Botta  Adorno,  si  è  la  versione  libera  in  ottava  rima  del 
libro  di  Giobbe,  per  entro  al  quale  vi  si  scorgono  pitture  maravigliosc,  di  che  po- 
trebbero andar  superbi  Lodovico  e  Torquato  .  Le  versioni  in  sciolti  del  Cerutti, 
del  Leone,  la  stessa  censura  del  Giordano  non  fecero  che  vie  più  assicurare  la 
primazia  al  Rezzano,  di  che  al  dì  d'  oggi  egli  ne  gode  senza  contrasto  il  posses- 
so .  A  così  alto  grado  di  fama  non  lo  avrebbe  per  certo  fatto  salire  il  poema, 
cui  gli  piacque  intitolare  il  trionfo  della  Religione  ,  non  contenendo  esso ,  se 
non  un'istoria  ecclesiastica  in  versi,  che  muove  dalla  venuta  del  divino  riparato- 
re, ^  progredisce  sino  alla  fine  dell' ultimo  secolo.  I  cantici  AeW anima  medi- 
tante^ benché  sparsi  qua  e  là  de'più  eletti  modi  scritturali,  ed  ovunipie  aspersi 
di  singolare  unzione  di  affelto.j  nondimeno  compariscono  un'inspirazione  più  del 


73 
cnore  che  dell' ingegno .  Ordinò  il  Rezzano  in  morendo,  che  in  un  col  suo  frale 
Tenisse  deposta  ncU'  avello  quesl'  ultima  produzione  della  sua  penna,  che  per 
quanto  sembra  egli  amava  per  preferenza  .  Sarebbe  difficile  indovi  nare  il  segre- 
to fine  di  così  singolare  disposizione,  che  non  può  essergli  per  altro  stata  sug- 
gerita che  da  un  sentimento  di  esìmia  pietà. 

Di  Onofrio  Minzoni  ci  narrò  il  nostro  autore  che  nato  in  Ferrara,  educato 
nel  collegio  de'  Gesuiti,  divenuto  uomo  di  chiesa  fece  nella  teologia  e  nell"  elo- 
quenza del  pergamo  (che  gli  meritò  l'onore  d'una  medaglia)  maravighosi  pro- 
gressi .  Fu  egli  il  più  formidabile  flagello  delle  sette  giansenistica  e  democrati- 
ca, perturbatrici  delle  coscienze  e  dell'  ordine  sociale  sotto  il  pretesto  di  non  so 
quale  idealismo  di  perfezione  reUgiosa  e  civile  .  L' esilio,  la  confisca  ,  tutte  le 
umane  sciagure  accumulatesi  sopra  il  suo  capo,  e  da  lui  con  animo  risoluto  e 
fermo  sofferte,  non  valsero  per  indurlo  a  fare  co'  suoi  antagonisti  ne  pace  ,  ne 
tregua  .  AI  calmarsi  delle  procelle  rivide  la  patria,  ove  mori  fra  l' universale  cor- 
doglio de'  suoi  concittadini,  che  onorarono  la  sua  memoria  con  orazione  funebre, 
solenni  esequie  ed  elegiache  cantilene.  Sessantatre  sonetti,  una  canzone,  un  ca- 
pitolo, uno  sciolto,  due  cantici  scritturali,  ecco  le  composizioni  poetiche  con  le 
quali  il  Minzoni  si  presentò  alla  posterità.  Egli  si  formò  il  gusto  e  lo  stde  con 
lo  studio  dell'Ariosto  e  del  Dante:  quindi  riuscì  facile  e  sublime,  naturale  e  ro- 
busto .  Quel  suo  niaraviglioso  sonetto  :  Quando  Gesù  coli'  ultimo  lamento.^  l'al- 
tro: Ove  sono  li  Scipi fulminanti:  quelli  sopra  Mandricardo  e  Rodomonte  pre- 
sentano tocchi  di  pennello  i  più  sorprendenti  .  Indarno  il  Sismondi  tentò  macu- 
lar Io  splendore  di  questo  poeta,  avvegnaché  il  nostro  autore  con  opportune  ri- 
flessioni ribaldi  ogni  falsa  sentenza,  ed  oppose  alle  censure  del  Ginevrino  gli 
elogi,  che  del  Minzoni  ne  fece  quell'ingegno  soprano  del  Monti. 

XII.  Ma  le  perle  della  bibbia  dettate  in  idioma  alemanno  da  S.  E.  reveren- 
dissima monsignor  Ladislao  PincHEnio,  che  aggiunse  nuovo  splendore  a  questa 
insigne  cattedra  patriarcale  olivolense,  e  di  cui  ci  offrì  un  saggio  di  traduzione 
I  egregio  nostro  conte  cavalier  presidente  Gambara,  fecero  dimenticare  il  Giob- 
be del  Rczzano,  ed  i  cantici  scritturali  del  Minzoni .  Questa  insigne  cattedra 
olivolense,  che  diede  alla  Chiesa  un  papa  nella  santità  di  Gregorio  XII,  che 
diede  alla  venerazione  de' fedeli  un  santo  nel  patriarca  Lorenzo  Giustiniani,  che 
diede  alla  repubblica  delle  lettere  sacre  e  profane,  tra  li  molti,  due  personaggi 
celebri  in  Gregorio  Corrano  e  Lodovico  Flangini,  l'ultimo  de' quali  sentì  mol- 
lo avanti  nelle  greche  e  latine  lettere,  e  che  nella  versione  à^^  argonautica  di 
Apollonio  Rodio  v\-<t%%(t  un  monumento  perenne  alla  sua  memoria,  questa  insigne 
cattedra  ebbe  la  beila  sorte,  dopo  le  tante  sue  vicissitudini,  di  accoghere  un  pre- 
L'ito,  che  la  restituì  a  tutta  la  prisca  sua  fulgidissima  luce. 

L'  epico  poema  la    Tunisiade^  cui  diede  argomento  la  famosa  spedizione  di 


IO 


7i 

Carlo  V  contro  a!  pirati  (Ielle  coste  di  Barbarla,  ch'ebbe  uno  scopo  non  meno 
pietoso.^  ma  ben  pili  utile  all'  umanità  di  quello  di  Gotlredo  Buglione,  aveva  di 
già  resa  celebre  la  musa  del  rispettabile  nostro  prelato  :  ma  deposta  la  cetra  di 
Torquato  quasi  profana,  stese,  per  santificarsi,  la  mano  alla  davidica,  da  cui  ne 
trasse  suoni  maestosi  e  soavi,  cantando  gli  alti  portenti  ilcUa  legge  scritta  . 

Elia,  Eliseo,  i  Maccabei  sono  i  tre  poemetti,  co' quali  al  dire  del  nostro  acca- 
demico intrecciò  monsignore  questo  poetico  monile .  In  tre  canti  sono  divisi  il 
primo  e  l'ultimo,  ed  in  due  soli  11  secondo .  Quella  specie  di  esametro  eh'  è  pro- 
prio della  poesia  alemanna,  benché  diverso  da  quella  de'  Latini ,  fu  dall'autore 
prescelta  .  Nel  trattare  subbietti  così  sublimi  ed  augusti  parve  al  chiarissimo 
poeta  una  specie  di  profanazione  l'abbandonarsi  ai  voli  della  feconda  e  vivace 
sua  immaginazione,  come  se  si  fosse  trattato  eh  stendere  la  mano  all'incensiere, 
od  all'arca  di  Geova.  Laonde  attinse  nei  salmi,  nelle  profezie,  nei  cantici  uno 
stile  sempre  elevato  e  misto  d" epica,  d"  elegiaca  e  di  lirica  poesia;  la  dolcezza 
insinuante  di  Davidde,  la  sublimità  di  Giobbe,  la  maestà  d'Isaia,  la  grazia  e  l'e- 
leganza di  Ezechiello,  l' ardenza  e  la  forza  di  Geremia,  ecco  il  vario  sorprenden- 
te colorito  della  poesia  delle  perle  dell'  antico  testamento  . 

Il  nostro  accademico  ci  fece  intendere  il  perchè  escluse  dal  saggio  di  sua  tra- 
duzione ogni  maniera  di  verso  rimato,  e  s' attenne  allo  sciolto,  alternando,  a 
quando  a  quando,  con  esso  la  prosa  a  seconda  che  più  all'  una  che  all'  altro  gli 
parve  che  lo  chiamasse  il  soggetto  dell'  opera  .  Auspice  il  delfico  nume  de'  poe- 
tici lavori  de'  quali  il  conte  cav.  Gambara  arricchì  la  nostra  storia  accademica, 
ottennero  tutti  un  pari  tributo  d' ammirazione  :  ma  per  quest'  ultimo  gli  siamo 
altresì  debitori  di  nostra  riconoscenza,  avendoci  fatto  conoscere  nel  venerabile 
nostro  pastore  uno  de'  più  felici  cultori  delle  muse  alemanne . 

Nate  in  sull'  Istro  non  isdegneranno  esse  da  quind"  innanzi  di  far  vaga  pompa 
delle  loro  ingenue  e  maschie  bellezze  in  sul  Pò,  ove  le  Veneri  e  le  Grazie  le  at- 
tendono .  Nello  scambievole  commercio  nulla  v'  è  da  perdere  e  molto  da  guada- 
gnare per  le  arti  e  le  lettere  italiane  ed  alemanne.  Divenute  di  già  comuni  la  re- 
ligione, le  armi,  le  leggi,  il  reggimento,  le  dignità,  lo  diverranno  anche  le  lingue, 
1  lumi,  le  amicizie,  i  connubii  e  gli  affetti  :  di  già  l'ottimo  padre  e  principe  nostro 
fiammeggiante  di  gioja  abbraccia  con  eguale  trasporto  d'  affetto  1'  amata  sua  tì- 
o-liuolanza,  di  cui  la  concordia  delle  menti  e  de'  cuori  rende  vie  più  formidato 
in  sulla  terra  il  suo  nome. 


ESERCITAZIONI 


SCIENTIFICHE  E  LETTERARIE. 


1 


DELL'   UNGE    MAGICA 

DEGLI  ANTICHI 

MEMORIA 

DEL    SIGNOR    FRANCESCO    NEGRI 

MEMBRO    ONORARIO. 


ly  eir  alta  amichila  hannovi  molli  falli  e  cose,  che  per  intera  deficienza  di 
tracce  e  di  documenti  deludono  affatto  la  sagacità  de'  curiosi ,  e  costringonli  o 
a  disperare  o  a  sognare  :  ma  molte  ancora  vi  sono,  che  men  ritrose  si  lasciano 
pur  vedere,  benché  attraverso  una  colai  nebbia,  che  ne  confonde  i  contorni  e 
le  più  minute  fattezze  ne  offusca.  Su  queste  ultime,  a  dir  vero,  può  con  più  ala- 
crità cimentare  il  filologo  la  propria  perspicacia  ed  assoggettarsi  alla  fatica  del- 
le ricerche,  poiché  la  speranza  lo  accompagna  duna  qualche  riuscita.  E  questa 
speranza  io  pur  nutro  nell'  accignermi  ora  a  porre  in  chiaro  la  natura,  le  specie 
e  l'uso  d'un  istromento  familiare  alle  antiche  maliarde,  che  col  nome  d' Unge 
trovasi  ricordato  ne"  greci  autori:  nome  che  avendo  servito  in  varii  tempi  a  si- 
gnificar cose  varie,  fece  nascere  alcuna  volta  confusione  d"  idee  e  disparità  di 
giudici!,  siccome  sempre  avviene  quando  v'  abbiano  molti  che  tocchin  gli  argo- 
menti di  volo,  e  ninno,  che  in  essi  profondamente  s'interni. 

Il  primo  a  trattar  ddl'lingo,  a  quel  ch'io  sappia,  fu  Pindaro,  che  nellode  IV 
tra  le  pitiche,  raccontando  alla  sua  foggia  enfatica  quali  soccorsi  soprannaturali 
avesse  Giasone  avuti  nella  sua  gloriosa  navigazione  in  Coleo,  dice,  fra  le  altre 
cose,  che  per  guadagnar  il  cuore  della  maga  Medea  fu  provveduto  da  Venere 
d'  uniinge.  Riporto  qui  il  testo  volgarizzalo  alla  lettera  . 

Tioriia   ù  ò^vm'mf  ^i>iaiii 

Tpotxvctfjtcv'  OCXvfxwc^zv 


7» 

TTfÙTtP    ai^fU'^OKTI  ,     'Ktm^    T    ITTUOI- 

Sà;  iKhita.THìtcrtv  a-oipèv    Aìa-on'ou» 
o<ppoi  Mh^hok;  •OiKecov  OLfpiXoi- 
T  cù^à  TTo^eita.  S'  EA^iàj  avmv 
èv  ^psa-t   zouofiei>aji> 

La  Dea  dalle  acutissime  saette 

Cipride  fu^  che  prima 

Agli  uomini  dal  cielo  vario-pinta 

Un  Unge  recò^  furente  augello 

A  ben  connessa  avvinto 

Rota  di  quattro  razzi^  e  incantatricì 

D'  Esone  al  savio  figlio  insegnò  preci^ 

Onde  a  Medea  la  tema 

De'  genitor  togliesse^  e  col  flagello 

Della  Persuasion  entro  il  suo  ardente 

Petto  del  greco  suol  desio  destasse . 

Ecco  ciò,  che  a  questo  passo  nota  it  greco  glossatore  o  scoliaste  del  poeta  :  Un- 
ge è  un  uccello  di  piume  svariate  e  di  collo  lungo^  che  ha  lingua  infuori  spor- 
gente, e  che  sempre  torce  intorno  ed  agita  il  collo .  Credono  le  maliarde^  che 
quesi  uccello  sia  di  gran  sussidio  negli  amorosi  incanti^  poiché^  pigliatolo  ,  il 
legano  ad  una  qualche  rota^  cui  vanno  intorno  girando  nel  mentre  che  canta- 
no. Alcuni  anche  dicono  eh'  esse  dopo  avergli  estratte  le  budella  le  avvolgo- 
no alla  rota  (  i  )  .  Dalla  definizione  dell'Iinge  egli  passa  a  dichiarare  il  resto  del 
luogo  pindarico,  e  leggendovi  TTOiKt'Xajf  'ivyyat.  nTpuxvsifxoi''  ìv  «At/rw  ^eu^aa-ct 
xt/K^S),  si  affatica  per  mostrare  come  il  nrpaxuix/uop'  (  parola  composta  da  -nrp^KK; 
quattro  e  da  xytluyi  gamba  )  sta  benissimo  aggiunto  all'uccelio,  quasi  uccello  di 
quattro  gambe,  e  con  istiracchiatura  mirabile  dice  potersi  qui  metaforicamente 
intendere  le  due  gambe  vere  ed  inoltre  le  due  ali,  giacche  per  tutti  questi  quat- 
tro membri  l'uccello  veniva  alla  rota  annodato.  Poscia,  pentito  forse  della  vio- 
lenta spiegazione,  ed  avendo  già  avvertito  che  la  voce  xen'fjiti  se  significa  gamba 
significa  anche  razzo  di  rota^  aggiunge,  che  alcuni  in  vece  di  TiTpa.Kvi;/.Of  accu- 
sativo, leggono  TiTpoLKVoifxovi  dativo,  e  cos'i  trasportano  1'  epiteto  dall'  ìóyya.  al 
7i.vx.Xui ,  cioè  dall'  uccello  alla  rota,  talché  venga   ad  esprimere  rota   di    quattro 

(i)  Schol.  ad  od.  pyth.  IV,  v.  38o,  edit.  Heyne  toni.  II,  p.  r>77. 


,  '9 

razzi.  Finalmente,  per  nulla  ommetlere,  ricorda,  che  alcuni  il  nome  d  ìjj.;.« 
danno  tanto  all'  uccello,  quanto  alla  rota  . 

Queste,  che  pur  sono  stilicherie  graninialicall,  gioveranno  in  appresso  ad  il- 
luminar l'argomento  .  Intanto  per  aggiungcrvcne  anch  io  di  mie,  avvertirò  che 
il  TfTpaxyafxoy'  applicato  all'  'ìuyytx,  come  lesse  da  prima  lo  scoliaste,  si  trova 
veramente  in  lutti  i  codici  ed  in  alcune  tra  le  vecchie  edizioni  di  Pindaro,  e  che 
il  primo  ad  adottare  il  TSTpaìii'XfjiOfi  aggiunto  al  iivK>>a>  fu  Enrico  Stefano,  il  cui 
esempio  venne  seguito  da  tutti  gli  altri  editori.  Correzione  in  vero  opportunissi,- 
nia,  che,  senza  turbare  la  frase  od  il  metro,  apporta  non  lieve  ajuto  alla  perspi- 
cuità del  senso  (  i  )  . 

Ora  qual  fosse  questa  rota  veggiamo  .  Stando  al  solo  Pindaro,  che  kvìì>.o<;  la 
chiama,  o  sia  cerchio^  potrebbesi  credere  una  rotella  delle  comuni;  ma  esami- 
nando parecchi  altri  autori  greci  e  latini,  che  di  questo  magico  arnese  fanno 
parola,  il  troviamo  per  lo  più  chiamato  pófx/2o;  rhombus.j  il  che  viene  a  denotare 
rocchetto  ofilatojo  in  toscano,  e  nel  nostro  vernacolo  rocchello  .  Io  m'immagi- 
no adunque  che  li  quattro  razzi  fossero  quattro  sottili  asticciuole  eguali  e  paral- 
lele ben  conCtte  di  parte  e  d' altra  a  giusta  distanza  in  due  piastrelle  rotonde  e 
bucate  nel  centro,  aflinchè  per  esse  passasse  a  guisa  di  perno  un  lungo  ferro, che 
dall'  un  capo  fosse  tenuto  fermo  in  man  della  maga,  ed  intorno  a  cui  il  mobile 
rocchetto  girar  si  facesse .  La  materia  del  rocchello  poteva  forse  essere  il  le- 
gno, ma  talvolta  fu  certo  il  bronzo  come  avremo  occasion  di  vedere.  Lo  sco- 
liaste di  Licofrone  (2)  vuole  che  si  costumasse  anche  di  cera,  e  che  la  venehca 
dopo  avervi  attaccato  l'uccello,  ovvero  ravvoltele  di  lui  budella  ,  ponessevi 
.«otto  accesi  carboni,  onde  arrostirle,  intendendo  così  di  ardere  il  cuor  dell'a- 
mante, il  che  pare  strano,  poiché  prima  che  le  viscere  o  1'  uccello  si  rosolasse- 
ro, sarebbesi  squagliato  il  rocchetto.  Meglio  l'intende  Celio  Rodigino  nelle  sue 
lezioni  d  Antichità  (3)  dicendo,  che  alla  rota  di  cera  si  attaccava  l'uccello,  e 
che,  fattolo  alquanto  girare,  la  si  finiva  col  gettare  ogni  cosa  nel  luoco  . 

In  quanto  all'  linge,  egli  è  fuor  di  dubbio  che  nel  suo  primitivo  senso  si  dee 
per  essa  intendere  un  uccello  .  Oltre  Pindaro,  cel  dichiarano  Aristotele,  Plinio 
e  molti  altri  .  Se  si  avesse  a  prestar  fede  agli  scolii  di  Teocrito,  noi  dovremmo 
tenere  per  fermo  che  fosse  quell'uccello  detto  dai  Latini  motacilla^  o  alla  greca 
sisopygis  o  sisura^  che  vale  squassacocla^  siccome  cutrettola.ìo  dicono  i  Tosca- 
ni, o  con  ancor  più  calzante  voce  coditremola,  poiché  per  certo  nativo  suo  vez- 

(1)  Vedi  l'Hejne  nelle  noie  a  Pindaro  l.  I,  p.  289. 

(2)  al  V.  3io  della  Cassandra. 

(3)  Lib.  IX,  e.  4- 


8& 

zo  dimena  sempre  il  corpo,  e  specialmente  la  coda  (i).  Ma  non  so  quanto  bene 
ad  essa  si  convengano  i  segni  additati  dal  commentator  di  Pindaro  sulle  tracce 
d'Aristotele  (2):  imperciocché  altro  è  dimenare  il  collo,  altro  la  coda.  Inoltre 
la  coditremola  non  si  distingue  per  lunghezza  di  collo,  ne  per  lingua,  che  spor- 
ga in  fuori  dal  becco,  e  molto  meno  ha  1'  altra  qualità  accennata  anche  da  Pli- 
nio, come  propria  della  solalinge,  delle  unghie  grandi  a  guisa  di  gazza,  due  nel 
dinanzi  e  due  interne  (3)  .  Talché  io  dubito  che  se  ad  alcuna  gentil  maga  mo- 
derna venisse  il  ticchio  di  valersi  d'  una  cutreltola  per  qualche  amorosa  malia, 
non  troppo  bene  le  riuscirebbe  la  prova,  e  le  converria  piuttosto  mandare  in 
cerca  d'  un  collotorto  o  torquilla^  che,  secondo  la  definizione  fattane  dal  sommo 
naturalista  Buffon,  congiunge  in  se  tutte  le  qualità,  che  l'Iinge  aver  deve  (4). 
Qual  ch'ella  si  fosse,  egli  è  certo,  che  non  adoperavasi  dalle  pazze  femmine  se 
non  se  negl'  incanti  amorosi  :  quindi  è  che  fu  anche  detta  per  antonomasia  uc- 
cello di  Venere  (5).  Ne  basta  ciò.  La  calda  fantasia  greca,  che  fece  da  tutto 
pullulare  il  mirabile,  cominciò  a  spacciare  anche  intorno  ad  essa  di  belle  favo- 
lette  .  L' linge  in  fatti  non  vestì  già  sempre  piume,  ne  fu  sempre  armata  di  ro- 
stro e  di  branche  .  Essa,  secondo  qualcuno,  fu  una  delle  nove  figlie  di  Piero  re 
di  Tessaglia,  che  insieme  colle  sorelle  ardi  sfidare  al  canto  le  nove  Muse,  della 
qual  audacia  portarono  esse  la  pena  col  perdere  le  umane  forme  (6)  :  ma  que- 
sta è  opinione  poco  seguita .  La  più  comune  è,  che  fosse  figlia  d'Eco  e  della 
Dea  Persuasione,  ed  alquanto  dedita  alle  fattucchierie,  e  che  quindi  ajutasse  la 

(i)  Oltre  gli  scolii  teocritei  all'idil.  II,  v.  17,  e  quelli  di  Licofrone,  anche  Niceforo  in  Synes. 
De  insomn.  p.  36o  malamente  prese  l'Iinge  per  la  coditremola:  riìii  H  iiyyyce  pàji»  òpvéov  hvat 
«fi  aiiòv  rnv  óufuiv  ■  Dicono  esser  l'Unge  uccello,  che  sempre  move  la  coda.  Esichio  poi  fauna 
cosa  stessa  del  cinclo  e  dell' iinge,  perchè  anche  il  cinclo  ha  l'uso  di^agilare  le  parli  dereta- 
ne, dal  che  acquistò  l'altro  nome  di  /.ivotihoi;  ma  questo  è  uccello  d'acqua  diverso  dalla  co- 
dilremola,  che  abita  in  terra;  e  quindi  Esichio  fece  nascere  Ira  iinge,  coditremola  e  cinclo 
una  gran  confusione. 

(2)  Hist.  Animai,  lib.  II,  e.  XII. 

(3)  Plin.  lib.  XI,  §.  107-  Omnibus  (ayibus)  qualerni  digiti,  tres  in  priore  parte  ,  unus  a  calce. 
Sic  deest  quihusdam  longa  crura  habentihus.  lynx  sola  utrinque  hinos  habet.  Eadem  linguam 
serpenlium  similem  in  magnam  longiludineni  porrigii,  collum  circumagit  in  aversum  .  Ungues 
ei  grandes  ceu  graculis . 

(4)  Buffon  Hist.  Nat.  des  Oiscaux .  Genre  XXI. 

(5)  Lo  scoliaste  di  Teocrito:  ^'vy^,  Spnov  'Appch'riii,  e  Cirillo  nel  suo  Glossario:  l'uy^  ,/rutìl- 
Ja;  la  qual  voce  (se  pur  non  va  letto  torquilìa  come  sospetta  il  Munkero)  si  può  spiegare:  a 
Venere  Fruii  dieta  est  frutilla  iynx ,  quia  Veneri  dicala  est.  Vedi  Scalig.  alla  voce  Frutinal 
in  Festo. 

(6)  Antoninns  Liber.  Melamorph.  e.  IX  cum  u.  Muukeri  p.  61. 


8i 

fanciulla  Io  per  far  di  se  innamorar  Giove  ;  il  che  risaputosi  dalla  gelosa  Giuno- 
ne, questa  ne  prese  sì  gran  collera,  che  oltre  all'  avere  cambiata  in  giovenca 
l'odiata  rivale,  cambiò  in  uccello  anche  l'infelice  mezzana  (i)  .  Altri  finalmente 
la  vogliono,  non  solo  conciliatrice  defili  amori  di  Giove,  ma  a  dirittura  sua 
amante  ;  ond'  è  a  stupirsi  ancor  meno,  che  Giunone  col  mutarla  in  uccello  ne 
prendesse  solenne  vendetta  (2) .  Delirii  sopra  delirii  ;  giacche  in  sostanza  la  fa- 
vola non  fa  che  convalidare  la  volgar  credenza,  che  nell'Iinge  risedesse  una  vir- 
tù concihatricc  d'  amore  .  Ora  questa  supposta  virtù  riuscivale  fatale,  poiché  o 
si  uccideva  e  le  si  traevano  le  viscere  per  attortigliarle  al  rocchetto,  o,  se  pur 
era  in  vita  lasciata,  al  rocchetto  legavasi  qual  delinquente.  Intorno  però  al  mo- 
do di  legarla,  io  non  m'  accordo  collo  scoliaste  di  Pindaro .  Egli  per  servire  al 
suo  intento  se  la  figurò  stretta  per  le  ali  e  pe'  piedi.  Io  al  contrario  osservo,  che 
il  mistero  di  quest'  uccello  si  riponea  soprattutto  nella  perpetua  instabilità  del 
suo  collo,  siccome  immagine  di  quella  Inquietudine  e  smania,  che  prova  chi  pre- 
so da  forte  amore  impazzisce .  Ora  di  questa  instabilità  sarebbesi  in  parte  per- 
duto l'effetto,  tostochè  si  fosse  sì  strettamente  legata  e  crocifissa  al  rocchetto. 
Credo  adunque  che  pe'  due  piceli  soltanto  si  legasse  in  guisa  che  tentando  essa, 
com' è  naturale,  di  sprigionarsi  lanciandosi  altrove  colle  ali,  ed  in  quell  agitazio- 
ne radiloppiando  i  giri  del  collo  e  lo  squassamento  del  corpo  venisse  ad  impri- 
mere il  suo  moto  neir  ordigno,  così  che  per  cagion  sua,  senz  altro  impulso,  esso 
roteasse.  Su  tal  punto  non  e'  è  autor  che  dia  lume  preciso,  onde  men  timide  pon- 
nosi  avanzare  le  congetture  . 

E  duopo  adesso  vedere  se  lo  scoliaste  eh  Pindaro  il  vero  dicesse  che  il  nome 
A' Unge  alle  volte  siasi  dato  anche  al  semplice  rocchetto:  e  chiameremo  prima  ad 
esame  il  famoso  intercalare  dell'  idilHo  II  di  Teocrito,  cui  la  maga  Simeta  re- 
plica ben  dieci  volte  in  quella  sua  passionatissima  cantilena  : 

r 

iòy^  «Ax6  rò  T^vov   èfxòii  ttoti    ^cofÀ»  nr  a»op«J 
Unge  al  tetto  mio  quel  giovin  t raggi. 

Nulla  per  verità  qui  si  scorge,  che  faccia  credere  invocalo  il  rocchetto  piut- 
tosto che  r  uccello  :  anzi  stando  alle  greche  note  dovremmo  credere  invocato 
r  uccello,  poiché  espressamente  ci  dicono,  che  Simeta  nel  suo  apparato  magico 
tenea  una  cutrettola,  e  che  ad  essa  sono  dirette  quelle  parole  della  canzone  .  Ma 
i  chiosatori  di  Teocrito  non  godono  fama  ih  fini  critici.  Al  parere  del  padre  Pa- 
gnini  furono  grammatici  de'bassi  tempi,  che  compendiarono  le  osservazioni  d' al- 

(i)  Scliol.  PinJ.  ad  Nein.  IV,  v.  56. 

(3)  Schei.  Tlieoc.  1.  e.  et  Suida  Lexicon  t.  II,  p.  i  5g. 


82 

tri  più  antichi  rammassando  senza  scelta  il  buono  e  il  caltiro  (i);  ed  il  Longpier- 
re  area  già  prima  avvertito  che  A'  ordinario  in  quegli  scolii  il  cattivo  supera  il 
buono  (3).  D'altra  parte  si  osserva  che  poco  appresso  la  maliarda  facendo  voti 
contro  il  garzone,  che  amorosamente  perseguita,  esce  in  queste  parole  : 

X' aJj  ìiyii^' oli  pófJtl5o(;  0  xiiT^ìisoi;  ^  «0  'A^poS/TO; 

'il?  «ft'»'05  %ifOiV3  ttÓ^'  àfxeiipyicri  ^ópjta-if  . 

Qual  per  virtù  di  Venere  s'  aggira 

(Questo  rombo  di  bronzo,^  tal  costui 

Giri  e  rigiri  alle  mie  soglie  innanzi . 

E  certo  pare,  che  qui  si  alluda  a  quelF  linge  e  prima  e  dopo  tanto  ripetuta  . 
Che  se  r  autore  avesse  inteso  per  essa  un  uccello,  qui  avrebbe  nominato  questo 
come  principale  corredo,  anzi  che  il  rombo.  Ben  ciò  conobbe  anche  THarles 
moderno  commentatore  di  Teocrito,  e  quindi  aflermò  per  l'Unge  doversi  inten- 
dere un  rombo,  e  non  altro  (3).  Lo  stesso  mostrò  di  credere  1'  elegante  scrittore 
rasusino  ab.  Raimondo  Cunich,  che  così  voltò  l'intercalare: 

Rhombe,  malum  traile.,  rhombe.^  malum  ad  mea  limina  Delphin . 

Il  dotto  Mazzoni  nella  difesa  di  Dante  (3)  pose  in  campo  11  testimonio  di  Ser- 
vio, il  quale  nel  commento  all'  egloga  VII  di  Virgilio  riportando  1'  allegato  ver- 
so greco  il  tradusse  così  :  O  turbo.,  maritum  meum  domum  adducilo.,  e  questo  in 
vero  sarebbe  altro  valido  appoggio:  che  turbo  e  rhombus  è  lo  stesso.  Ma  non  so 
di  qual  testo  di  Servio  si  valesse  il  Mazzoni,  polche  nel  mio  aggiunto  a  Virgilio 
nella  bella  edizione  del  Masvlclo  leggo  :  O  Ijnx  trahe  tu  illum  mcam  ad  do- 
mum virum  ;  e  così  Servio  lasciò  in  dubBio  qual  sentenza  seguisse  :  accortezza 
imitata  di  recente  da  un  illustre  concittadino  del  Cimich,  1'  ab.  Bernardino  Za- 
magna,  che  nel  vestir  di  latina  eleganza  Teocrito  ritenne  la  voce  Ifnx.,  e  si  tras- 
se bellamente  d'impaccio.  In  quanto  poi  alla  turba  degl"  italiani  volgarizzatori 
del  o-ran  bucolico,  cominciando  dal  Salvlni,  e  progredendo  col  Regolotti,  col 
Vicini,  col  Bucchettl,  col  Pagnlnl,  col  Rossi,  convlen  confessare  che  tutti,  for- 
se per  l'iverenza  all'  autorità  degli  antichi  scollasti,  cambiarono  veramente  l' lin- 
ee teocritea  in  una  cutrettola  :  ma  tanto  consenso  di  persone,  che  cammìuaro- 

(1)  Prefaz.  alia  trai,  di  Teocr. 

(2)  PreF.  à  les  idyl.  de  Theoc, 

(3)  FaÌU.  Ljpsiens.  1780  ad  idyl.  II,  v.  17. 

(4)  Tom.  I,  p.  37. 


83 
no  tutte  l'una  sulle  tracce  dcH*  altra,  non  basta  a  contrappcsare  il  giudizio  di 
clii  cammina  sulle  uniche  tracce  della  ra<rione. 

Pognam  tuttavia  non  bene  ancora  provalo,  che  Teocrito  per  Unge  intendes- 
se il  solo  rombo,  ecco  che  a  persuaderci  un  po'  meglio  intorno  ad  un  tal  nome 
applicato  al  solo  stromento  ci  si  offre  un  passo  dei  delti  memorabili  di  Socrate 
raccolti  da  Senofonte,  in  cui  la  cortigiana  Teodota  prega  il  filosofo  a  prestarle 
lliiige  per  girarla  contro  di  lui  :  il  che,  come  osserva  1'  Ernesto,  potrebbesi  a 
stento  cre<ler  detto  di  un  uccello  (i).  Abbiamo  di  più.  Suida  nel  definir  l'Iinge 
pone  per  primo,  oh'  essa  è  un  piccolo  stromento  cosi  nomato  perchè  con  quello 
le  venefiche  usano  voltare  a  se,  e  allettare  i  cuori  degli  uomini.  Aggiugne  poi 
essere  anche  un  uccello,  che  ha  la  proprietà  medesima  ove  si  leghi  ad  una  ro- 
ta (2) .  Ma  per  finir  di  togliere  le  dubbiezze,  viene  da  ultimo  un  epigramma  di 
autore  ignoto,  ma  che  però  dal  sapor  dello  stile  si  riconosce  essere  de'  buoni 
tempi .  Ben  a  ragione  Federico  Jacobs  nelle  sue  note  alla  greca  antologia  eb- 
be a  dire  :  nihil  hoc  epigrammate  illustrius  ad  docendum  ijngis  formam  et 
usum  .  In  esso  la  maga  Nico  oriunda  di  Larissa  in  Tessaglia,  ove  la  genia  de'  fat- 
tucchieri prosperò  assai  bene,  dedica  a  Venere  1"  immagine  d'  un'  linge  scolpita 
in  amatista  e  legata  in  oro.  Forse  costei  per  essere  vecchia  rinunziò  ad  un'  arte, 
che  tornavale  vana,  giacche  al  far  de' conti  la  vera  linge,  che  attrae  gli  amado- 
ri,  eir  è  la  gioventù  congiunta  alla  bellezza  e  alla  grazia  .  Io  qui  lo  riporto,  ag- 
giuntavi la  versione.^  se  non  elegante,  almeno  fedele  (3)  . 

"iti'y^  ri  N/xaj   «'  ;|^  liaTrcyrioy  f}^Kety 

Xpuo-o)   votxiXBeìa-a   liotvyiog  ì^  a'^s^t-Va 
'.  y?\U7rw,  (TOi    Kiì'ra.ty  KvTrpi ,  (plXov  xTéujioi', 

r.opftipfVK;  afifù  /xot)\si>iji  rpi^ì  fxé(rtrai  ìe^^tra 
tyk;  Aa.pia-(rouì\q   Trctlyviei  (papfÀctx/loi; . 

Questa  di  Nico  linge^ 

Che  al  mare  il  nocchie r  fura^ 

(l)  Memor.Socr.  Dici.  lìb. HI,  e.  XI.  àWx  Sia  ti  Sics,  ìfii,  Att cWcSapov  71  ec.  Ma  perchè  cre- 
di tu,  disse  Socrate,  che  questo  Apoìlodoro  e  Antistene  da  me  non  si  partan  giammai?  e  per- 
chè e  Cehele  e  Simmia  vengan  da  Tele  a  trovarmi?  Sappi  hene,che  queste  cose  non  si  fanno 
senza  molli  filtri,  senza  incanti,  senza  Ungi.  Prestami  dunque  tu  l'Unge,  rispose  Teodota,  ac- 
ciò io  ìa  tiri  prima  a  te.  Dio,  soggiunse  Socrate,  io  non  voglio  essere  tirato  verso  te,  ma  voglia 
che  tu  venga  da  me,  ce, 

{3)  Tom.  II,  p.  iSg.  eJiz.  del  Kuslero. 

(3)  .Inth.  Graec.  Brunck.  inter  iÌKnrora.  tom.  Ili,  p.  I7a. 


E  a  uscir  fanciulle  astringe 

Da  custodite  mura^ 
Che  d  oro  è  adorna^  e  in  bella 

Viva  amatista  scolta  , 

E  in  mezzo  a  cui  d  ugnella 

Sta  rossa  lana  avvolta  , 
Questa  qual  caro  arnese 

A  tó,  di  Cipro  Dca^ 

In  voto  ecco  qui  appese 

La  maga  larissèa  . 

Ognuno  qui  ravvisa  l' finge  definita,  non  come  uccello,  ma  come  ordigno  ro- 
tondo, intorno  a  cui  stava  ravvolto  uno  stame  .  E  che  altro  poteva  egli  essere  , 
se  non  il  rombo  o  rocchetto  ?  A  sì  chiara  testimonianza  antica  l' innestarne  una 
di  autore  italiano  e  moderno  parrebbe  soverchio.  Pure  Francesco  Redi  fu  sì 
dotto  nel  greco  e  sì  ne' suoi  giudicli  pesato  ,  che  giovami  qui  poterlo  addurre 
come  uno  di  que',  che  nell'  Unge  riconobbero  a  prima  vista,  non  tanto  un  vola- 
tde,  quanto  un  istromento.  Nella  fantastica  sua  canzone  dell' iVican^o  amoroso, 
in  cui  con  tanto  garbo  raccolse  ed  annicchiò  tutte  le  superstiziose  pratiche  del- 
la stregoneria,  anco  dell'  linge  fa  memoria  come  d'  uno  stromento  (i): 

Spargi  queir  ossa  e  quelle 

Polvi  incognite.)  o  Filli^  e  il  freno  allenta 

Della  magica  Unge  al  giro  estremo  . 

Ne  in  fatti  credasi  che  per  essere  11  rocchetto  scompagnato  dall'  uccellino 
mancasse  della  misteriosa  virtù,  e  ne  soffrissero  sconcio  le  magiche  operazioni . 
Abbiamo  esempli  non  pochi,  massime  ne'  poeti  latini,  grand'  imitatori  de'  greci , 
pe' quali  si  vede  di  quant'  uso  fosse  negl'  Incanti  il  solo  rombo.,  o,  come  Orazio 
chiamollo,  11  turbine .  Egli  è  desso,  che  fingendosi  vinto  dalle  malie  di  Canldla, 
e  quasi  morto  di  struggimento  per  la  troppa  efficacia  del  suo  rocchetto,  la  prega 
e  scongiura  a  far  che  girl  retrogrado,  perchè  si  mitighi  l'i  suo  tormento:  Citum- 
que  retro  volve.,  volve  turbinem  (2) .  Ma  talvolta  esso  perdeva  la  scorrevolezza 
ed  arrestavasì,  n^  volea  rispondere  alla  mano  di  chi  1'  agitava .  Era   questo  in- 

(i)  Opere  del  Redi.  ediz.  ven.  Ioni.  Ili,  p.  agS. 

(2)  Horat.  epod.  XVII.   Taluno  legge  solve,  solve  turbinem,  e  convien  dire  cosi   leggesse  anclie 
l'Ariosto,  che  nel  canto  Vili  del  Furioso  cantò: 

Immagini  albniciar,  suggelli  torre, 

E  nodi  e  rombi  e  turbini  disciorre. 


85 
faustissimo  augurio,  e  ben  el)Lc  a  tremarne  Properzio  quando  in  una  malattìa 
della  sua  cara  Giulia  ne  fece  l' esperimento  (i): 

Deficiunt  magico  torti  sub  cannine  rhombi^ 

ond'egli  ne  cavò  funesti  presagi  di  morte,  cìie  tuttavia  non  si  avverarono.  Ma 
Cintia  al  contrario  provoUo  attivo  anche  troppo  in  suo  danno,  allorché  per  mez- 
zo d'  esso  una  perversa  rivale  le  rapì,  od  ella  sospettò,  che  le  rapisse  il  suo  Pro- 
perzio. Così  a  lei  fa  dire  l' istesso  poeta  (2): 

Non  me  morihus  illa,  sed  herbis  improba  vicit, 
Staminea  rhombi  ducitur  ille  rota. 

Questa  gran  forza  di  svegliare  nuovi  affetti ,  o  di  ridestare  gli  spenti  le  fu  ap- 
propriata anche  da  Lucano  là  dove  impiega  nulla  men  di  mezzo  un  libro  della 
sua  Farsaglia  a  parlare  di  stregonecci  (3)  : 

qiios  non  concordia  mixti 
Alligai  ulta  tori.^  blandaeque  potentia  formae 
Traxerunt  torti  magica  vertigine  rhombi. 

Ma  questo  è  poco.  Quando  il  rombo  cadea  in  mani  perite,  quai  furono  quelle  di 
certa  Filenide.  la  cui  morte  è  ironicamente  pianta  da  Marziale,  valea  fino  a  trar 
la  luna  dal  ciclo.  Morta  Filenide,  egli  dice  (4): 

Quae  mine  thessalico  lunam  deducere  rhombo 
Valeat  ? 

Esso  per  ultimo  era  di  non  poco  uso  anche  fuor  delle  malie  d'amore;  e  di  vero 
11  troviamo  ne'Fasti  d'Ovidio  adoperato  da  una  vecchia  negli  annuì  sacrificii, 
che  le  donne  di  Roma  facevano  alla  dea  Muta  (5)  : 

Tum  cantata  ligat  cumjusco  licia  rhombo  . 

Da  questa  leggenda  di  passi,  oltre  il  porsi  in  chiaro  1'  applicazione  della  voce 
Unge  al  rocchetto,  non  pochi  lumi  si  traggono  eziandio  intorno  al  modo  di  usar- 
lo, ed  alla  sua  supposta  potenza  .  Esso  in  prima  volea  essere  sempre  accompa- 
gnato da  un  canto.  Il  canto  era  il  primo  elemento  ùe'magici  sacrificii,  e  quello 
che  dava  r  anima  al  resto .  Inquanto  al  modo  di  farlo  girare  potrebb' essere 
che  ciò  fosse  per  via  dello  stame  fermato  dall'  un  capo,  e   a  molti  doppi  ravvol- 

(0  Proper.  lib.  II,  el.  28,  v.  35.  (31  Vhars.  l!b.  TI,  t.  458.  (5)  Fastor.  lib.  II,  v.  575. 

(2)  U.  lib.  Ili,  ci.  4,  T.  33.  (4)  Marlial.  lib.  IX,  epig.  3o. 


86 

to  al  cilindro,  il  quale,  presolo  la  maga  dall' altra  eslrcmltà,  con  impelo  si  svol- 
gesse, e  per  la  reazione  del  rocchetto  da  se  tornasse  a  raggomitolarsi .  Pur 
sembra  più  naturale,  che  Io  stame  non  fosse  che  un  simbolo,  e  per  nulla  con- 
corresse a  dar  moto  alla  girandola,  ma  che  ci  avesse  parte  soltanto  la  mano  di 
chi  la  reggea .  Esservi  stato  mistero  anche  intorno  la  parte  ver  cui  si  torceva , 
imparasi  dall'  addotto  passo  di  Orazio  .  Se  la  maga  lo  svolgea  pel  buon  verso  lo 
struggimento  cresceva  nel  cuor  dell'amante  perseguitato  :  se  per  la  parte  oppo- 
sta, railentavasi  il  fuoco .  Inalterabile  inoltre  doveva  essere  la  materia  e  il  color 
del  filo,  che  lo  fasciava .  Egli  h  probabile,  che  le  budella  dell'  uccellino  linge 
fosse  lo  slame  più  di  tutti  efhcace  ;  ma  questo,  per  quanto  sembra,  di  rado  usa- 
vasi.  Il  più  comune  era  di  lana  di  pecora  tinta  in  rosso  .  La  lana  anticamente 
godea  di  sommo  credilo  .  Di  lana  si  faceano  le  bende  dei  re  .  Di  fasce  di  lana 
cino-evansi  le  are  de'  numi  e  de'  semidei.  Nulla  dunque  aravi  di  più  proprio  in  ri- 
ti, che  pur  aveano  del  sacro,  intervenendovi  sempre  qualche  deità  o  celeste  o 
infernale.  Per  uno  stesso  rispetto  negl' incantesimi  esigevasi  il  color  di  porpora» 
come  il  più  prezioso. 

Cingi  la  tazza  di  purpurea  lana^ 

cos'i  ordina  in  sulle  prime  l'incantatrice  di  Teocrito  alla  sua  fantesca,  ed  il  Redi 
con  patente  imitazione  : 

Tre  fiate  intorno  cingo 

Il  nappo  d  or  con  la  purpurea  lana . 

Clemente  Alessandrino  ripone  le  lane  bionde  (  gp/«  Truppci  )  tra  le  cose  inser- 
vienti a'  maliardi:  ma  pare  eh*  egli  intendesse  lane  rossiccie  di  lor  natura,  non 
artefatte  (  i  ) .  Congiunti  tutti  questi  requisiti  nell'  linge,  era  infallibile  la  sua 
possanza .  O  foss'  ella  augello  legato  al  rocchetto,  o  fosse  il  rocchetto  solo,  la 
mao-a  per  esso  vedea  ben  presto  strascinarsi  a' suoi  piedi  1'  amato  giovinastro, 
che  da  prima  mal  docile  alle  sue  lusinghe,  o  per  accortezza  o  per  noja,  se  l'era 
sviato.  Quando  pur  costui  fosse  slato  in  mezzo  all'  oceano,  tratto  da  forza  irre- 
sistibile dovea  rivolgere  la  prora  al  caro  lido .  Che  se  f  incanto  da  qualche  prez- 
zolata strega  facevasi  in  prò  d'un  uomo  qualunque,  non  eravi  stanza  cosi  ripo- 
sta, non  chiarislelli,  non  spranghe  cos\  robuste,  che  valessero  ad  infrenare  l'am- 
maliata fanciulla  dal  superarle  per  correre  in  braccio  al  suo  amatore .  La  greca 
voce  9  Axeiy  attirare,  usata  da  Teocrito  e  dall'  autor  dell'epigramma,  spiega  ab- 

(i)  Stromaium  IIL.  VII,  $.  4- 


8: 

bastanza  questa  peculiar  sua  proprietà.  Lo  dimostra  altresì  il  senso  metaforico, 
in  cui  venne  presa  la  voce  lingc^  ora  tli  desiderio  intenso  e  invincibile,  come  in 
Pindaro  (i):   '\vyyi  l"i>iX°H'^'   "''"P 

Rapir  mi  sento  da  un'  Unge  il  core. 

Ora  di  seducente  dolcezza,  come  nei  Persiani  d' Eschilo: 

"\vyy»  ftoi  S?t'  iyoL^uy  ìmpeoi/  vTTOfxifJinla-ìteii; 
De  cari  amici  tu  t  Unge  in  mente 
Or  mi  richiami. 

E  nell'  Ippodamla  di  Sofocle  parlandosi  della  bellezza  di  Pelope  : 

To/aV  Se»  ò'4«  iiiyyot  ^xpannt'ou' 

Tal  nel  guardo  ha  un  Unge  predatrice  ; 

ora  di  forza  attraente,  come  in  Eliodoro:  «Vapa/wTt;'  i^si  Tzpò^  ywauKO.!;  ivyya 
vpt/o-c;  *flL!  ?^u^o;  ,  L' oro  e  le  gemme  hanno  un'  Unge  infinita  per  le  donne  (2): 
ed  in  Sinesio  nella  sua  lettera  ad  Ercolano:  jro'X'Xai  Trpónpep  vttÒ  w  KaTaK>^iia- p.Z 
tÙv  c»  tc«5  (7n<;-o>a.'ii;  ìvyyenv  avrai;  è^yi?^tjyèitp .  Gran  tempo  e,  eh  io  rimasi 
preso  dal  profluvio  d!  Ungi^  che  hanno  le  tue  lettere  .  Li  quali  passi,  ed  altri 
che  taccio,  egli  e  a  credere  che  fossero  presenti  a  Suida  allorché  nel  suo  les- 
sico dettò  quel  canone  grammaticale,  'ìvy^  td  ìqnXxov  mv  liaJoiaji  eie,  Ìtti^vixIoji 
Hjìj  ìfùiTtt .  Unge  è  tuttociò  che  induce  ne IF animo  desiderio  ed  amore  .  Un  al- 
tro consimil  canone  piantò  anche  Niceforo  Gregora,  cioè,  che  Unge  in  origine 
si  chiamasse  una  foggia  di  cetra  di  dolcissimo  suono,  e  che  per  traslazione  tal 
voce  fosse  adoperata  a  signihcare  ciò  eh'  è  caro  e  giocondo:  e  l'  altrove  citato 
glossator  di  Licofrone  a  puntino  con  lui  s'accorda  .  Ma  da  costoro  si  allontanò 
afiatto  Proclo  il  poeta,  allargandone  il  significato  e  spogliandolo  d'  ogni  qualità 
lusinghiera  e  piacevole .,  allorché  ne'  suoi  oracoli  caldaici  egli  chiama  fo^ixi»  ti 
Iv-^yfc,  le  idee  intellettuali  ed  archetipe  in  Dio  esistenti,  e  sulle  quali  Dio  foo-- 
giò  tutti  gli  esseri  creali . 

Questo  è  il  poco,  che  intorno  all'  Unge  mi  accadde  di  raccogliere  e  di  os- 
servare ;  e  questo  poco  parrà  a  taluni  soverchio  trattandosi  di  cosa,  che  appar- 
tiene alla  fallacissima  e  detestabilissima  magia .  E  certamente  se  noi  guardassi- 
mo alla  sua  essenza,  non  meriterebbe  quest'  arte,  che  poco  o  molto  di  essa  si 
facesse  menzione  .  Grande  è  il  discredito,  in  cui  tiensi  oggidì  appo  la  gente  let- 
terata e  colta,  ne,  la  Dio  mercè,  trova  gran  fautori  nemmeno  tra  gl'idioti  e  ple- 

(i)  Nemeor.  od.  IV,  v.  56.  (a)  Aelhiop.  lib.  IV. 


88 

bei .  Ma  crederem  noi ,  che  in  maggiore  stima  fosse  presso  gli  antichi,  quasi  che 
tra  loro  non  vi  fossero  ingegni  saggi,  spregiudicati  ed  accorti?  S'è  vero  che  ap- 
punto da  essi  dobbiam  ripetere  il  buono  e  il  meglio  delle  umane  con-nizioni,  non 
fia  difficile  persuaderci  che  chiunque  negli  andati  secoli   si  sollevò  sulla  sfera 
de'milensl  e  de' rozzi,  non  potè  certamente  credere  che  canti,  erbe,  iiietrc,  se- 
gni, pentacoli,  ordigni  ed  altre  siffatte  ciance  avessero  relazione  o   proporzione 
alcuna  con  sostanze  immateriali  e  invisibili,  potessero   turbare    le  ferme  lef^^i 
della  natura,  e  valessero  fino  a  violentare  eli  affetti  ed  il  libero   volo    deofi  ani- 
mi.  Quel  gran  decoro  del  nome  italiano,  il  MalTel,  che  tanto  vide,  tanto   seppe 
e  tanto  scrisse,  con  molta  diligenza  frugò  ne'  migUori  classici  greci  e   latini,  ne 
però  seppe  rinvenir  traccia   che  alcun  d' essi  della  magia  altramente  sentisse, 
che  come  d'una  semplicità  popolare  e  d'un  inganno.  Gli  unici,  che  mostrarono 
darle  qualche  peso,  e  la  semlnaron  nel  popolo,  furono  i  poeti .  In  origine  il  loro 
ufficio  fu  di  parlare  al  volgo,  e  parlando  piacergli .  Né  certo  più  opportuno  mez- 
zo essere  vi  poteva  per  dilettare  e  sorprendere,  che  quello  di  accreditare  le  fo- 
le magiche,  siccome  sorgente  inesausta  di   belle  invenzioni,   di  fantasie  strava- 
ganti e  di  maraviglie,  che  le  menti  commovono  e  abbagliano .    Aggiungasi   che 
il  volgo,  siccome  conscio  della  propria  ignoranza,   è   talvolta  anche   indiscreto 
nella  smania  di  sapere  e  di  conoscere  i  prlncipil  delle  cose  :  ne  certo  i  poeti  per 
lllimilnarlo  potevano   uscire  dal  termini  alla  lor  arte  prescritti,   ne  penetrare 
ne' recessi  dell'  astrusa  filosofia,  ne  col  mezzo  di  raziocinii  e  eh  astrazioni  metter- 
si a  svolgere  certe  verità,  che  non  sarebbero  poi  state  ne  ricevute,  ne  intese  . 
V  hanno  in  fatti  nel  mondo  fisico  certi  fenomeni,  e  nel  morale  certi  accozzamen- 
ti di  casi,  che,  non  dirò  un  poeta,  ma  un  filosofo  stesso  de' più  profondi  durereb- 
be fatica  ad  intendere  ed  a  dicifrare  .  Quanto,  per  esemplo,  non  saria  difficile  il 
rendere  adeguata  ragione  perchè  un  animo  rimasto  lungamente  torpido  e  fred- 
do alle  lusinghe  d'un  leggiadro  oggetto,  tutte  in  un  punto,  e  senz'  apparente 
cagione,  di  quello  si  accenda,  ver  quello  corra,  e  meni  smanie  e  svenga  per  bra- 
ma di  possederlo  ?  Con  pochissima  fatica,  ricorrendo  alla  magia,  1  poeti  spiega- 
rono il  mistero,  ed  il  volgo  ne  rimase  contento .  Eccoti  una  tessala  strega,  che  , 
o  per  sé  o  in  favor  d'  altri,  opera  arcani  sacrlfizli,  torce  un  rocchetto,  canta  una 
appassionata  canzone,  invoca  strane  deità,  e  col  loro  soccorso  produce  nell' assa- 
lito cuore  la  trasformazione  improvvisa  . 

Perdonisi  dunque  a'  poeti,  se  non  già  per  Intima  persuasione,  ma  per  puro  ri- 
piego e  puntello  della  lor  arte  ricorsero  alle  malie  e  a'  prestigi,  e  si  perdoni  non 
meno  a  chi,  de' poeti  amico,  spende  talvolta  alcun  poco  d' inchiostro,  onde  facili- 
tare rintelligenza  delle  amabili  lor  bizzarrie. 


,  SOPRA  LE  VARICI 

CONSIDERAZIONI 

DEL    CAV.     GIAMBATTISTA    PALETTA 

PROFESSORE  DI  ANATOMIA  E  CHIRURGIA 
MEMBRO    ONORARIO. 


JL  ulti  11  canali  del  corpo  vivente  conducenti  sangue  o  linfa,  o  altri  umori,  so- 
no soggetti  ad  ampliazionc  e  ristrlngimento .  E  per  non  parlare  dei  difetti  di 
tutti  lì  canali,  mi  limito  a  fare  parola  di  quella  espansione  delle  tonache  venose, 
che  porta  il  nome  di  varice  o  kirsos .  Dessa  si  è  osservata  tanto  nelle  vene  in- 
terne delle  cavità,  quanto  in  quelle  degli  arti:  nei  quali  le  varici  accadono  piìi 
frequentemente  che  altrove,  e  sono  forse  gli  arti  inferiori  la  sola  regione  del  cor- 
po, in  cui  possano  aver  luogo  i  prcsrdii  chirurgici  . 

Questa  espansione  è  tanto  più  facile  ad  accadere  nelle  vene,  in  quanto  che 
sono  dotate  di  tonache  più  sottili  e  più  cedevoli  di  quelle  delle  arterie  ,  e  nello 
stesso  tempo  sono  si  tenaci,  che  sopportano  la  forza  dilatante  a  segno  da  supe- 
rare quattro  volte  e  più  il  diametro  delle  arterie  corrispondenti;  ed  in  fatti  nel- 
r  uomo  vivente  si  videro  talvolta  distese  enonnemeutc,  e  non  superandosi  1'  o- 
stacolo,  per  cui  il  sangue  resta  in  esse  trattenuto,  si  videro  lacerarsi  con  gran- 
dissima effusione  di  sangue;  e  come  esse  si  distendono  frequentemente,  ed  in 
tutta  la  periferia,  il  che  non  avviene  alle  arterie,  così  sono  soggette  a  rompersi 
più  soventemente  nelle  donne  pregnanti  e  nei  soggetti  affaticati. 

Sono  concordi  ffll  anatomici  nell"  assegnare  due  tuniche  alle  vene  senza  con- 
corso  di  libre  carnose,  1'  una  esterna  fioccosa,  che  tiene  alle  vicine  parti,  interna 
r  altra  più  compatta,  difficilmente  separabile  dall'  esterna  molto  liscia,  lubricata, 
mollo  più  flessibile  dell'interna  delle  arterie,  ed  in  molti  luoghi  piegata  a  val- 
vola .  E  questa  formazione  delle  valvole,  cred'io,  è  una  delle  cause  concorrenti 
jiiia  formazione  delle  varici.  Imperocché  ove  la  membrana  internasi  ripiega  per 


90 

costituire  il  lembo  libero  della  valvola,  ivi  scorgcsi  una  sinuosità:  e  siccome  il 
margine  libero  è  più  crasso  del  restante,  alquanto  fd)roso  e  splendente;  e  sic- 
come la  convessità  della  valvola  riguarda  1'  ampiezza  del  canale  ed  in  basso ,  e  * 
l'orilizlo  è  rivolto  insìi  verso  il  cuore,  è  chiaro  che  viene  costituito  una  sorta  di 
borsetta,  entro  cui  viene  il  sangue  a  fermarsi.  Ed  il  sangue  soffermato  deve  par- 
zialmente dilatare  la  vena,  donde  ne  avviene  la  varice  nodosa;  il  che  tanto  pili 
facilmente  accadrà,  in  quanto  che  i  rami  maggiori  sono  forniti  di  valvole  dop- 
pie o  triple,  nella  concavità  delle  quali  e  più  propenso  il  sangue  ad  arrestarsi  » 
specialmente  se  vi  concorrono  altre  cagioni,  che  si  oppongano  al  movimento  del 
sangue,  come  le  legature  degli  arti  e  l'ostruzione  delle  viscere  addominali,  o 
r  esercizio  violento  e  le  percosse,  che  infievoliscono  la  tonicità  delle  vene  . 

Considerando  chele  valvole  sono  mancanti  nelle  vene  del  cerebro,  della  ver- 
tebrale, delle  epatiche,  delle  renali,  delle  uterine,  nella  vena  porta  e  nella  cava, 
si  può  dubitare  dell'uso,  che  fu  ad  esse  assegnato,  cioè  di  sostenere  la  colonna 
del  sangue  e  di  impedirne  più  o  meno  il  retrocedimento  :  di  ostare  acciò  il  san- 
gue, che  scorre  per  il  tronco,  non  contrasti  con  quello,  che  viene  riportato  dai 
ramicelli  laterali  .  E  considerando  dall'  altra  parte  che  le  valvole  furono  im- 
partite alle  vene  o  molto  piccole  o  molto  divise ,  e  più  lontane  dall'  influenza 
delle  arterie,  come  quelle  della  faccia,  del  collo,  della  lingua,  delle  tonsille  , 
delf  addomine,  alle  iliache,  a  quelle  degli  arti;  ed  aggiungendovi  che  la  forza 
delle  vene  scema  coli' andar  degli  anni,  laddove  si  accresce  quella  delle  arterie, 
io  argomento  che  le  valvole  abbiano  tutt'  altro  ufficio,  che  quello  di  sostenere  la 
colonna  superiore  del  sangue  . 

Benché  le  vene  abbiano  sufficiente  forza  elastica  con  cui  promovono  il  san- 
gue :  benché  i  tronchi  venosi  toccati  con  acidi  forti  contraggansl  più  fortemente 
delle  arterie  ;  tuttavolta  venendo  meno  il  moto  impresso  al  sangue  venoso,  sia 
peli' attrazione  quasi  capillare  ,  sia  peli' azione  muscolare,  ha  bisogno  di  essere 
rianimato  per  mezzo  di  altro  artifizio .  Si  è  osservato  che  le  vene  valvolose  ac- 
compagnano fedelmente  i  muscoli  volontarii  :  quindi  si  è  detto  che  i  muscoli 
neir agire  affrettavano  il  corso  del  sangue  venoso.  Ma  i  muscoli,  coli' intumidire 
e  premere  le  vene  frapposte  o  sovrapposte,  spingerebbero  egualmente  il  sangue 
all'innanzi  ed  all' indietro,  stantechè  le  valvole  non  chiudono  con  accuratezza  il 
lume  del  canale  . 

Se  ponghiam  mente  alla  struttura  delle  vene  sottoposte  all'  azione  del  mu- 
scoli volontarii,  vedremo  che  l'  artifizio,  per  cui  viene  mantenuto  o  accelerato  11 
corso  del  sangue  venoso,  consiste  nella  interposizione  delle  valvole  a  certe  di- 
stanze nel  canal  venoso .  Da  ciò  segue  che  11  sangue  percorrendo  un  tratto  del 
canale  ed  incontrando  un  impedimento  viene  a  battere  contro  le  pareli  del  ca- 
nale, dalle  quali  ribattuto  acquista  un  movimento  composto  quasi  di  due   colon- 


V 

ne,  che  unendosi  si  attortigliano,  e  passano  con  impeto  per  la  fessura  lasciata 
dalla  valvola  entro  il  tronco  superiore  per  accpiistare  di  poi  nuova  celerità  alla 
prima  valvola  contro  cui  viene  ad  urtare,  non  altrimenti  che  1'  acqua,  battendo 
contro  i  fianchi  «lei  portoni  semichiusi  nei  grandi  canali,  spiccia  con  mirabile  for- 
za dalla  fenditura,  che  rimane  fra  li  due  sostegni,  forza  accresciuta  anche  dalla 
pressione  dell'acqua  retrostante  e  da  quella  dell'atmosfera. 

Detcrminato  cos'i  l'uso  delle  valvole,  chiara  cosa  è,  che  venendo  ritardato  l'in- 
flusso della  colonna  sanguigna  nei  tronchi  maggiori  per  ostruimento  òi  qual- 
che viscera,  o  per  compressione  della  vena  cava:  o  che  venendo  a  mancare  l'a- 
zione muscolare  spezialmente  sopra  le  vene  sottocutanee,  come  nei  sedentarii  e 
negli  stazionarii,  tanto  le  valvole ,  quanto  le  pareti  del  canale  venoso  saranno 
fortemente  distese  dalla  colonna  sanfj-uijjna  tardamente  mossa,  si  infievoliranno, 
e  dilatandosi  daranno  luogo  agli  arresti  del  sangue.  Questo  sangue  si  addensa 
talvolta  in  grumi  duretti,  come  se  fosse  al  contatto  dell'aria. 

Le  varici  sarebbero  per  se  stesse  sopportabili  se  non  arrecassero  gravi  di- 
stensioni dolorose,  e  rompendosi  non  lasciassero  uscire  molto  sangue  con  moto 
affatto  inverso,  cioè  col  retrocedimento  del  sangue  della  colonna  superiore  .  Le 
vene  delle  estremità  inferiori  sono  accompao-nate,  ed  anche  attorniate  da  molti 
ramieclli  nervosi .  Questi  sono  somministrati  principalmente  dal  nervo  safeno , 
così  denominato  dal  Winslow.  ed  eirren-iamente  delineato  da  Leonardo  Fischer 
nella  tavola  HI,  fig.  I,  n.  266.  Questo  nervo  discendendo  dalla  coscia  sulla  gam- 
ba sparge  ifj  ramoscelli,  e  più  basso  si  ravvolge  intorno  alla  safena,  e  mettendo 
altri  l 'j  ramicelli  tra  maggiori  e  minori,  i  quali  si  disperdono  nel  periosteo  del- 
la tibia,  nella  cellulare  pinguedlnosa  e  nella  cute  . 

Ella  è  cosa  ben  singolare  che  il  sangue,  che  lacera  la  vena,  rompa  altresì  la 
cute,  e  scaturisca  liberamente,  e  non  si  estenda  piuttosto  nella  cellulare  sotto- 
cutanea dopo  di  avere  aperta  la  vena .  Imperocché  nel  salasso,  se  la  cute  non  è 
rimpelto  alla  ferita  della  vena,  il  sangue  passa  di  sotto ,  e  forma  ecchimosi. 
E"li  accade  soventemente  di  osservare  che  le  regioni  varicose  vanno  sogget- 
te  a  parziali  ingorghi  ed  infiammazioni,  specialmente  risipelatose,  le  quali  ri- 
corrono più  d'  una  volta .  Da  ciò  risulta  chiaro  che  si  è  formata  infiammazione 
adesiva  :  che  essa  nel  dissiparsi  ha  assorbito  parte  del  tessuto  cellulare,  parte 
del  venoso  e  del  cutaneo  .  Perciò  la  cute  e  la  vena,  nei  luoghi  ove  segue  la  rot- 
tura,  trovansi  fortemente  attaccate  insieme,  e  nello  stesso  tempo  sono  assotti- 
gliate assai  più  nel  luogo  della  rottura,  che  altrove  .  Perciò  crepando  la  vena  e 
la  cute  il  sangue,  a  motivo  dell'intima  aderenza  di  dette  parti,  non  può  passare 
nel  tessuto  cellulare,  ma  per  retta  via  sortirà  fuori  del  vaso  .  La  crepatura  segue 
più  facilmente  in  detto  luogo,  perchè,  a  motivo  delf  aderenza,  la  cute  e  la  vena 
perdendo  la  naturale  mollezza  rimangono  dnretle  e  rigide  ,  onde  non  prestan- 


9»  ...  .       ' 

dosi  alla  espansione,  più  presto  si  rompono .  Non  è  difficile  lo  scorgere ,  se  siavi 

aderenza  :  il  punto  che  fa  prominenza  ,  ed  ove  per  la  sottigliezza  della  cute  11 
sangue  traspare  attraverso  di  essa,  ed  ove  la  cute  non  si  può  far  scorrere  sopra 
la  varice,  è  quello  in  cui  si  è  fatta  T  aderenza.  Per  lo  più  il  detto  punto  è  cir- 
condato da  un  disco  rossiccio  o  livido,  che  si  estende  talvolta  a  tutta  la  gamba 
inferiormente  ai  gastrocnemii. 

Siccome  r  adesione  delle  parti  e  la  ulcerazione  hanno  sempre  origine  da  un 
periodo  più  o  meno  grave,  più  o  meno  rinnovato  d' inhammazione  :  così  deesi  ri- 
parare ad  essa  più  prontamente  che  sia  possibile  co'  mezzi  ordinarii,  e  cogli  an- 
tiflogistici, e  colla  quiete  .  Ma  per  lo  più  si  giunge  tardi  al  riparo  dell'  accensio- 
ne, e  si  riscontrano  già  ascessi  formati  nella  cellulare  circondante  la  vena,  i 
quali  raramente  comunicano  tra  di  loro.  Anche  la  tunica  interior  venosa  parteci- 
pa dell' inhammamento,  e  si  rinviene  più  spesso  rosseggiante,  e  talvolta  occupata 
da  coasult  o  gelatinosi  o  sano-uio-ni .  È  bene  tuttavia  di  non  aprire  la  vena  se 
non  nel  caso  di  forte  aderenza:  perchè  sopravvenendo  perdita  di  sangue  si  nuo- 
cerebbe alla  ferita,  dovendo  applicare  stuelli,  e  comprimere  la  piaga  . 

Gli  scrittori  di  chirurgia  si  sono  sempre  occupati   del  modo  di   guarire   radi- 
calmente le  varici .  Celso  (Med.  lib.  VII,  e.  3  i  )  si  spiegò  in  poche   parole  di- 
cendo :  Vena  omnis,  quae  noxia  est^  aiit  adusta  tabescit.^  aiit  manu  exciditnr, 
I  moderni  però  hanno  adottati  mezzi  più  miti,  e,  conoscendo  meglio  la  circola- 
zione del  sanjjue,  si  avvisarono  di  impietrare   una  uniforme   e   continuata  com- 
pressione  per  le  varici  degli  arti .  Questa  consiste  nell'  applicazione  di  una  ben- 
da, di  calze  di  tela  resistente  o  di  pelle  di  cane,   o  nel  listare  tutto   il  membro 
con  cerotto  adesivo .  A  tale  miirlioramento  di  cura  furono  verosimilmente  indot- 
ti dai  perniciosi  effetti  derivati  dai  metodi   proposti .  Imperocché  all'  adustione 
nel  cadere  dell'  escara  sopravvenivano  fatali  perdite  di  sangue  ;  ed  in  seguito  al- 
la recisione  si  risvegliavano  doglie  acerbe,  infiammazioni  e  febbri  perniciosissi- 
me .  Coi  presidii  adottati   dai   moderni  si    ottengono  i  meilesimi  effetti,    come 
usando  del  mezzi  violenti,  e  sono  anche  più  sicuri  e  più  durevoli  .  Più  sicuri,  in 
quanto  non  apportano  pericolo  dell'  esistenza,  più  durevoli  perche,  continuando 
a  praticare  lo  stesso  presidio,  tutto  il  sistema  venoso  dell'  arto  viene  contenuto  e 
corroborato  senza  che  in  alcun  punto  il  sangue  possa  forzare  le  pareti  delle  ve- 
ne .  Laddove   coli' adustione   o    colla  recisione    non  si   può  levare  che  un   solo 
o-ri.ppo  varicoso,  e  venendo  quindi  otturato  o  distrutto  quel  tratto  di  tronco  ve- 
noso, il  sangue  non  tralascerà  di  fare  sforzo  contro  altri  tronchi  venosi   di  già 
troppo  infievoliti . 

Non  mi  dilungherò  sul  modo  col  quale  debb' essere  applicata  la  fascia,  che  si 
può  leggere  in  varii  trattati  ;  dirò  bene  che  la  sua  azione  può  essere  avvalora- 
ta bagnandola  con  acqua  alluminosa,  con  tintura  di  mirra,  con   aceto  semplice 


93 

o  lilargirizzato,  o  con  altri  astringenli  .  Dirò  altres'i,  ove  le  varici  sì  cstenJono 
lungo  la  coscia  ,  di  avere  trovali  assai  iiroficui  li  pantaloni  jircpaiati  di  maglia 
elastica,  sia  di  lana  o  di  cotone.  Suppliscono  alla  fasciatura  le  calze  o  stivaletti 
di  tela  forte  o  di  pelle  conciata  e  tagliata  sulla  configurazione  dell'arto  .  Ma  le 
listcrelle  di  cerotto  adesivo  possono  pareggiare  la  fasciatura  e  le  calze,  qua- 
lora si  potessero  ,  o  convenisse  levarle  a  volontà  ,  come  si  pratica  colla  fa- 
scia e  colle  calze,  delle  quali  è  bene,  che  durante  la  notte  l'arto  ne  sia  spo- 
gliato . 

Non  ostante  questi  provvedimenti  è  utile  qualche  volta  incidere  per  Io  lun- 
go le  varici,  onde  lar  sortire  il  sangue  fortemente  aggrumato,  il  che  si 
dee  praticare  nelle  vene  della  parte  superior  della  gamba,  affinchè  possa  escire 
il  sangue  inferiore,  il  quale  con  dolce  pressione  delle  mani  si  fa  salire  verso 
r  incisione .  Ma  essendo  evacuato  il  sangue  grumato,  spilla  talora  con  molta  vi- 
vacità il  sangue  (hiido,  cosicché  difliclle  riesce  lo  arrestarlo.  Allora  si  appone 
un  piumacciolo  grossetto  di  hlacciea  sulla  vena,  indi  una  compressa  di  tela , 
poi  si  ritiene  con  fasciatura  alquanto  stretta  comprimente  tutto  il  tronco  veno- 
so ed  1  laterali,  da  cui  parte  il  sangue.  Se  esistesse  ulcera  si  inciderà  la  vena 
più  vicina  e  più  dilatata  nel  contorno  di  essa,  e  preferibilmente  si  aprirà  quella 
più  prossima  ed  attaccala  alla  cute  . 

L'  amputazione  della  varice  è  bene  descritta  da  Celso  (de  Med.  lib.  VII)  . 
Quando  la  varice  nel  tronco  fra  due  valvole  si  è  mollo  dilatata,  e  si  è  ripieo'a- 
ta  a  foggia  d' intestino  tenue,  contenendo  molto  sangue  coagulato,  si  dee  pro- 
curare da  prima  di  ammollirla  co'  cataplasmi,  col  malvacci ,  coi  bao'nuoU  e  si- 
mili, i  quali  non  portando  buoni  effetti,  fu  consigliata  da  molti  l'amputazione  del 
tronco  varicoso  . 

Con  lunga  incisione  si  separa  la  vena  dai  tegumenti,  si  solleva  dalle  parti  sot- 
toposte, SI  fanno  due  legature,  una  superiormente  1'  altra  inferiormente,  per 
contenere  il  sangue,  e  frammezzo  alle  legature  si  recide  totalmente  il  tronco 
varicoso.  Altri  recidono  il  tronco  varicoso  senza  praticare  le  legature  .  Più  fa- 
cile si  h  qnest'  operazione  quando  la  vena  non  è  aderente,  e  che  si  può  staccarla 
dal  tessuto  grassoso  più  agevolmente  .  Questa  operazione,  quasi  dimenticata,  è 
stata  ripro  lotta  a'  giorni  nostri,  ed  ha  avuto  qualche  successo  fra  le  mani  di 
Flajani  e  <li  Evcrardo  Home  :  ma  generalmente  1'  esito  di  tale  procedimento  fu 
disastroso .  IMi  sia  lecito  di  addurre  due  osservazioni  di  estirpamento  varicoso 
una  favorevole,  l'altra  letale. 

Ad  un  robusto  contadino  avente  la  gamba  sinistra  varicosa  estirpai,  il  n-iorno 
4  aprile  dell'anno  i8i5,  un  pezzo  di  magna  safena,  che  era  il  più  saliente,  e 
lungo  due  dita  traverse.  Non  praticai  legatura  di  sorta,  e  mi  accontentai  di  se- 
pararlo dalla  cute    e  dalla  cellulare  per  poterlo  sollevare.  La  ferita  riesci  tra- 


versale   e  cinque  dita  traverse  sotto  il  ginoccliio  a  motivo  della  figura  tor- 
tuosa. 

Esaminato  tostamente  il  pezzo  di  vena  estratto,  si  vide  ripiegato  a  foggia 
di  S  romano,  e  mantenuto  in  tale  piegatura  da  compatta  cellulare,  che  lo  attor- 
niava .  Le  tonache  erano  elastiche  d'assai  e  dure,  il  lume  maggiore  del  natu- 
rale,  in  guisa  da  emulare  quelle  d'  un'  arteria,  dalle  quali  a  vero  ilire  non  si  sa- 
rebbero distinte,  se  non  si  fosse  saputo  da  qual  parte  esse  furono  cavate . 

La  ferita  fece  un  lungo  corso  di  suppurazione  per  più  d'  un  mese,  nel  qual 
periodo  fu  anche  attaccata  da  non  lieve  cancrena,  e  solamente  verso  il  fine  di 
maggio  si  vide  progredire  verso  la  guarigione,  la  quale  fu  compiuta  al  terminar 
di  giugno .  La  lentezza  alla  guarigione  debbesl  attribuire  in  gran  parte  alla 
cancrena ,  ed  in  parte  ancora  al  taglio  traversale .  Il  contadino  fu  munito  di 
calza  espulsiva,  e  qualche  mese  dappoi  si  restituì  alla  città  per  farci  osservare 
che  era  perfettamente  guarito  , 

Un  panattiere  d'anni  55,  affaticandosi  nel  suo  mestiere,  contrasse  varici  alla 
gamba  sinistra,  la  quale  nel  terzo  inferiore  della  tibia  fu  più  volte  molestata 
da  piaghe  d' indole  cronica .  Trasportato  allo  spedale  civile  presentò  tre  pia- 
ghe quasi  sferiche  con  orli  callosi ,  ed  una  serpentina  diramazione  della  safena 
interna  quasi  tutta  ampliata  in  varici .  Il  di  29  luglio  181^  passai  alla  incisio- 
ne dei  tegumenti,  che  con  fili  cellulari  forti  tenevano  alla  vena  ed  alla  sottopo- 
sta aponeurosi,  ed  estrassi  un  pezzo  di  due  pollici  traversi  del  tubo  venoso  nella 
parte  interna  della  tibia  quattro  dita  sotto  il  ginocchio  .  Il  sangue  spillò  da  am- 
bo le  estremità  recise  con  forza  come  fosse  un  canale  arterioso.  Si  compres- 
se il  sangue  con  istueUi  di  fila  intrise  nella  colofonia,  e  colla  fasciatura  espulsi- 
va .  Questo  pezzo  dimostrò  ugualmente  che  le  tonache  venose  per  antecedente 
floTQsi  s' ino-rossano  senza  diminuzione  del  lume,  ed  acquistano  elasticità  e  con- 
sistenza arteriosa. 

Nel  terzo  giorno  si  risvegliò  febbre  forte  con  calore,  si  cavò  sangue  abbon- 
dante, che  fu  cotennoso,  e  si  diedero  bevande  diluenti.  Nel  quarto  vi  fu  maggior 
calore  parziale  alla  gamba  con  rossore  risipilaceo,  per  cui  si  fece  altra  emissione 
di  sangue  cotennoso,  e  si  ordinarono  bevande  nitrate .  Alla  quinta  giornata  ap- 
parve assai  abbattuto  di  forze  :  sussisteva  il  caler  locale  alla  gamba,  ma  il  ros- 
sore crasi  dissipato  .  Erano  i  polsi  celeri  con  doglia  laterale  al  petto  ed  affan- 
no .  La  suppurazione  scarseggiava,  e  1'  apparecchio  stava  aderente  alla  ferita  . 
Si  applicano  vescicanti  alle  braccia,  si  dà  la  mistura  del  Minderer  e  la  limonea . 
Languiva  assai  più  1'  ammalato  nel  giorno  seguente  con  Istertore  e  polsi  defi- 
cienti .  L'  addomine  era  della  mollezza  naturale,  e  la  cute  urente  .  Alla  sera 
muore . 


^ 9'^^ 

Apertosi  all'  indomani  il  pclto  destro.,  ove  per  l' innanzi  sì  lagnò  di  qual- 
che do"Tia,  si  riscontrò  il  polnione  aderente  a  tutta  la  superficie  delia  pleura, 
ed  il  parenchima  di  esso  lutto  intasato  fli  sangue,  o  come  dicono  alcuni  epatiz- 
zato .  Il  sinistro  polmone,  come  pure  il  pericardio  ed  11  cuore  nulla  offrirono  (U 
morboso . 

La  cava  ascendente,  e  tutta  la  ramificazione  inferiore  si  vide  ripiena  di  san- 
gue; ed  esaminata  più  particolarmente  la  cava,  la  iliaca  e  la  safena  interna  si 
potb  notare  il  notabile  ingrossamento  delle  tonache,  la  loro  consistenza  ed  una 
sorta  di  solcatura  lungo  il  tubo  venoso  portata  come  da  altrettante  fibre  car- 
tiose,  che  facevano  rialzo  nell'interno  della  vena  .  La  safena  inoltre  contene- 
va un  lungo  filo  di  sangue  aggrumato  senza  fibrina,  le  cui  tonache  avevano  un 
color  rosso  sbiadato,  e  le  vene  influenti  accresciute  di  calibro,  di  consisten- 
za ,  talché  tatto  il  sistema  venoso  di  quella  parte  si  potè  dire  varicoso ,  se  la 
varice  consiste  nell  aumentato  volume  e  consistenza,  e  nel  giro  serpentino  del- 
le vene.  11  color  del  polmone  e  delle  vene  non  dinotava  infiammazion  locale:  ma 
trovavansi  ad  un  dipresso  in  quello  stato,  in  cui,  nelle  febbri  nervose,  succe- 
de una  sorta  di  suggellazione  nel  tessuto  cellulare  sottocutaneo  e  nelle  vi- 
ce 

scerc  . 

Dair  anzidetto  pare  che  risulti  essere  le  vene  delle  gambe  soggette  a  due  fa- 
si, cioè  all'attenuazione  ed  all'ingrossamento.  Quelle  poste  nella  estremità 
gracile  e  lendinosa  della  gamba  s'ingraciliscono,  si  fanno  aderenti  alla  cute,  e 
scoppiano  soventemente  profundendo  sangue  .  Quelle  all'  opposto  della  gamba 
carnosa  si  accrescono  di  volume  e  di  luce,  e  presentano  canali  assai  resistenti . 
Il  troncamento  parziale  di  questi  canali  per  cagione  di  varice  non  è  dunque 
esente  da  pericolo  .  Questo  pericolo  può  derivare  dalla  lesione  dei  nervi,  che 
inducono  generale  aLbattimento  o  doglie  pertinaci,  come  si  è  veduto  e  scritto, 
specialmente  nei  salassi  dal  piede  e  dal  braccio.  Può  altresì  derivare  dal  cam- 
biamento di  stato  delle  vene  medesime,  assumendo  esse  una  natura  quasi  arte- 
riosa, e  più  suscettibile  di  flogosi .  Infine  la  condizione  del  sangue  deve  variare, 
accumulandosi  esso  maggiormente  ne'  vasi  dilatati,  e  divenendo  meno  spedito 
il  ritorno,  tolta  essendo  la  confluenza  nel  tronco  principale.  Aggiungasi  a  tutto 
ciò  che  il  troncamento  parziale  non  previene  la  formazione  di  altre  varici:  im- 
perocché essendo  il  sistema  dell'una  o  dell'altra  safena  indebolito  e  ddatato,  il 
sangue  in  maggior  copia  in  esso  contenuto  forzerà  le  pareti  del  vasi  laterali ,  e 
le  solleverà  in  varici  più  o  meno  grosse. 

Non  cos'i  avviene  nelle  varici  di  alcune  altre  parti,  diverse  forse  per  la  loro 
indole  e  per  le  parti  su  cui  crescono.  Io  recherò  in  proposito  due  osservazioni 
sjieltanti  alle  vene  della  lingua  e  della  bocca  . 


9^ 

Una  giovane  nubile,  bene  regolata  nelle  sue  funzioni  corporali  fino  dalla  pu- 
bertà, ebbe  a  soffrire  varici  in  bocca  .  Una  ben  grossa  esisteva  alla  guancia  si- 
uislra  interiormente  :  un'  altra  sul  dorso  della  lingua  dalla  banda  destra  :  una 
terza  sotto  la  lino-ua  dalla  banda  sinistra  tra  il  freno  ed  il  fondo  della  bocca. 
Tutte  queste  varici  furono  incise  dal  mio  chiarissimo  collega  Monteggia  ,  ma 
Inutilmente,  perchè  ricomparivano  in  poche  settimane.  Nell'anno  i8i5  aven- 
do io  presa  la  determinazione  di  levarne  via  dei  pezzetti  della  parete  dilatata 
formante  sacco,  ne  avvenne  una  discreta  suppurazione,  e  stabile  guarigione  in 
modo  che  nell'agosto  1816  niuna  delle  dette  varici  era  ricomparsa. 

Invece  se  ne  formò  una  sotto  la  mascella  inferiore  in  poca  distanza  dalla  sin- 
fisi, a  cui  non  potendo  prestare  pressione  sicura  per  arrestare  il  sangue  in  caso 
di  estirpazione  ,  si  procurò  di  contenerla  con  molla  elastica  .  Ma  la  figlia  non 
reggendo  alla  pressione  della  molla  fu  abbandonata,  e  frattanto  sostenne  la  va- 
rice con  nastro  pendente  dalla  cuflia .  In  maggio  18 1  ^7  spuntò  altra  sorta  cU  va- 
rice sotto  la  lino-ua  ai  lati  del  freno,  che  teneva  rialzata  la  membrana  del  fon- 
do  della  bocca .  Toccando  questa  ra'  immaginai  di  portare  scemamcnto  alla  va- 
rice esterna  del  mento,  mi  azzardai  a  levarne  porzione  considerabile  di  quel- 
la membrana  fitta  e  densa,  sotto  cui  stava  un  vacuo,  e  con  mia  soddisfa- 
zione gettò  poco  sangue,  e  presto  si  rimarginò  la  membrana  senza  più  solle- 
varsi . 

La  varice  esterna  alla  base  della  mascella  rimase  del  primiero  volume  :  perciò 
convenendo  distruggerla  a  motivo  della  difformità  e  del  peso,  che  arrecava,  vi 
si  applicò  la  potassa  caustica,  e  produsse  profonda  escara,  caduta  la  quale  restò 
distrutta  la  varice,  ma  la  piaga  continuò  lungamente  a  gemere,  ed  in  fine  guari 
stabilmente . 

Quando  si  credeva  di  avere  soffocata  questa  generazione,  ecco  che  ahra  va- 
rice si  sollevò  nell'interno  della  guancia  destra.  Come  questa  era  recente  mi 
avvisai  d' inciderla  per  lo  lungo  senza  estirparla,  sperando  che  le  pareti  colla 
suppurazione  si  avvicinerebbero ,  e  formerebbero  un  cordone  impervio.  Forse 
per  essere  la  bocca  sempre  bagnata  da  umori  scialivah  1"  agglutmamento  non 
si  effettuò  secondo  l'espettazlone,  ed  invece  dall'interiore  della  vena  squarciata 
spuntò  una  sostanza  fungosa,  che  di  giorno  in  giorno  crescendo  e  disturbando  la 
masticazione,  ne  cedendo  ai  deprimenti,  fu  d'  uopo  allacciarla  per  ben  due  vol- 
te rasente  alla  guancia,  e  farla  cadere  mortificata  .  Dopo  questa  operazione  la 
piao-a  andò  ben  presto  a  cicatrice  . 

Questo  fatto  me  ne  rammenta  un  altro  di  un  gruppo  varicoso,  esistente  nel- 
l'interiore della  guancia  in  una  donna  maritala.  Queste  varici  tenevano  11  mez- 
zo della  guancia,  e  si  sollevavano  anche  al  di  fuori  per  modo  che  si  esitava  a  de- 
cidersi da  qual  lato  esse  dovevano  essere  prese  .  Considerando  riescire  più  spe- 


97 
dita  la  cicatrizzazione  nell'interno  tlcUa  bocca,  da  quella  parte  appunto  con 
adattata  pinzetta  si  alferrò  il  gruppo  venoso,  e  si  recise  incontanente.  Il  sangue, 
che  fu  copioso,  si  arrestò  con  lilaccica  bagnata  nello  spirito  vctriolico  allungato. 
La  guarigione  fu  senza  recidiva .    . 

In  ordine  alle  varici  di  bocca  mi  giova  di  ricordare  un'  operazione  fatta  da 
me,  sono  già  parecchi  anni,  sopra  un  gentiluomo,  al  quale  era  sorta  una  varice 
grossa  come  una  castagna  nel  mezzo  del  labbro  inferiore  precisamente  sopra 
r  epitelio.  Non  oravi  luogo  a  discutere  qual  fosse  il  miglior  partito  da  pren- 
dere. Si  Irattò  come  un  labbro  leporino  .  In  conseguenza  fatta  una  incisione  pi- 
ramidale colla  base  in  aito  e  1'  apice  inferiormente,  si  levò  tutto  il  pezzo  del 
labbro  contenente  l'intiera  varice.  Indi  si  portò  a  cicatrice  senza  verun  acci- 
dente colla  nota  cucitura  attorcigliata  . 

Possano  queste  considerazioni  essere  un  tema,  su  cui  altri  ragionando  ed 
egperimenlando,  ne  risulti  uno  sviluppo  più  esteso  della  teorica  delle  varici . 


DELU  ORIGINE 

COMl'OSIZIONE  E  DECOMPOSIZIONE  DEI  NIELLI 

ESERCITAZIONE 

DEL  COMMENDATORE  LEOPOLDO  CO.  GIGOGNARA 

MEMBRO    ONORARIO. 


-Lja  copia  Immensa  de'  cattivi  libri,  che  inevitabilmente  ingombra  le  biblio- 
teche, e  fa  venire   il  capo  giro  agli   studiosi  e  agli  avidi  di  novità,   le   gratuite 
asserzioni  di  fatti  non  provati,   le   ommissioni  importantissime    prodotte  dall'in- 
curia e  spesso  dalla  dolosità  degli  autori  hanno  posto  la  critica  in  tanta  neces- 
sità di  esercitare  severamente  i  suoi  diritti  e   la  sua   sferza,  che  ormai  fassi   as- 
solutamente necessario  per  chi  scrive,   e   vuol  porsi  sotto   l'egida  incontamina- 
ta della  verità,  di   produrre  ad   ogni  passo  le  autenticità  luminose  di  que' fatti 
e  di  quei  delti  contro  dei  quali  la  diffidenza  era  meno  armata  e  meno  vigilante, 
poiché  la  pubblica  fede,  a  dir  vero,  non  era  sì  di  frequente  malmenata  e  sorpre- 
sa .  Ne  venne  quindi  bisogno  urgentissimo  agli  scrittori  per  comprovare  le  loro 
asserzioni,  non  solo  d' impinguare  i  loro  scritti  di  citazioni,  ma  di  riportare  per 
esteso  copiosissimi  documenti   e  testimonianze  ,  aumentando   1  volumi   con  ap- 
pendici, le  quali  spesso  superano  la  mole  del  testo,  e  fu  creduto  per  sino  neces- 
sario di  corredare  le  opere  con   ogni  autenticità  pi'u  scrupolosa  ;  e  li  fac  simile 
non  solo  dei  disegni,  ma  per  sino  della  scrittura  furono  altrettanto  indispensabi- 
li al  materiale  d'un  lavoro  scientifico  o  letterario,  come  alla  compilazione    d'un 
atto  d'accusa  :  condizione  amarissima  di  chi  scrive  ,   ingrata    quanto   alle   volte 
quella  di  un  giudice  processante:  mentre  per  altra  parte  gli  autori  trovansl  espo- 
sti ad  una  guerra  ostinata  e  interminabile  con  tutti  coloro,  che,  amici  delle  te- 
nebre, tremano  in  faccia  all'odiata  luce  del  vero.  Dalla  gravità  delle  quali  con- 
siderazioni, più  direttamente  applicabili  alle  opere  di  alto  argomento,   ne  viene 
che  anche  in  quelle  di  una  seconda  importanza  1'  andamento  suol   esser  confor- 
me, polche  portano   inevitabilmente  impresso  il   carattere  dell'età  in  cui  sono 
prodotte  . 


ItDO 

E  polche  le  ricerche  sulle  origini  e  sulla  storia  delle  arll  nostre  sembrano 
in  questo  momento  accolte  con  qualche  favore  ,  sia  per  rivendicarle  da  alcu- 
ne usurpazioni.^  sia  per  esporle  in  tutto  il  loro  splendore,  ossia  per  ritornarle 
dallo  smarrito  al  più  sicuro  sentiero,  da  cui  parvero  deviare,  così  non  pochi  fu- 
rono gli  scrittori,  che  a  queste  lunghe  e  penose  indagini  consacrarono  le  loro 
vigilie .  Ma  quanto  è  egli  mai  difficile  il  fare  un  buon  libro  in  tali  materie,  e 
come  facilmente  e'  illudiamo  di  aver  tutto  visto,  scoperto  e  prodotto,  mentre 
talvolta  per  chi  vien  dopo  con  più  accuratezza  cercando,  non  restano  soltanto 
poche  minute  ariste  da  spigolarsi  qua  e  là,  ma  manipoli  intieri  si  trovano,  che 
per  troppa  precipitazione  e  cieca  fidanza  furono  ommessi  dal  mietitore  ! 

Campo  ubertoso  per  queste  indagini  aveva  offerto  a  molti  scrittori ,  e  spe- 
cialmente inglesi  e  tedeschi,  l'arte  dell"  intaglio  a  buhno,  i  cui  primordii  pa- 
revano contenersi  tra  l' insistente  solerzia  alemanna  e  la  finezza  degl'  ingegni 
italiani .  E  stavami  appunto  io  ponendo  ogni  cura  intorno  a  quelle  prime  ope- 
re, che  contemporaneamente  alle  impressioni  fortuite  del  Fmiguerra  fecero 
strada  al  toglier  di  mezzo  ogni  questione  di  preferenza,  e  garantire  all'  Italia  il 
primato  assoluto  dell'impressione  ,  g-iacchè  a  ben  altra  antichità  è  spettante 
quello  dell  intaglio  a  bulino,  il  quale  colla  patina  di  venti  secoli  vediamo  adulto 
solcare  le  patere,  o  vogliam  meglio  dire  l' opposto  lato  degli  specchi  forbiti,  in 
cui  le  dame  italiane  prima  del  romano  dominio,  e  le  greche  raffiguravano  i  loro 
vezzi  e  le  loro  sembianze  (i)  .  Quando  apparve  1' opera  d'uno  scrittore  fran- 
cese 11  sig.  Duchesne^  che,  corredata  di  tavole,  di  citazioni,  di  elenchi  copio- 
sissimi, intese  a  riempire  nella  storia  di  questi  studii  il  vuoto  lasciato  nella 
grand' opera  del  sig.  Bartsch,  o  per  meglio  dire,  trattandosi  in  questa  dei  Niel- 
li^ divenne  il  prolegomeno  di  quella  . 

Non  può  in  vero  negarsi  alle  intenzioni  di  questo  scrittore  il  tributo  della  pub- 
blica riconoscenza,  ma  era  io  si  lun^e  nell'  attualità  delle  mie  ricerche  dal  vo- 
ler  fare  la  critica  a  un  autor  benemeritb,  e  lodato  in  ispecie  da'  giornali  più 
accreditati  di  Francia,  che  avrei  ben  preferito  d' ignorare  il  merito  di  questa 
produzione,  ma  la  connessione  dell'  argomento  non  può  più  permettermi  di  sepa- 
rare il  mio  lavoro  e  1  miei  studii  dalle  osservazioni  su  quanto  viene  esposto  da  un 

(i)  Mentre  ia  viaggiava  per  mia  istruzione  e  diporto  la  Germania  e  l' Ingliilterra,  inteso  a  racco- 
gliere notizie  di  etruschi  monumenti,  e  segnatamente  delle  patere  metalliche,  ho  potuto  di 
ognuna  inviare  al  cav.  Ingliirami,  pel  suo  insigne  lavoro,  l'impronta,  ossia  la  stampa,  quandi» 
in  iscagliola,  quando  in  carta,  adoperando  appunto,  senta  riflettervi, gli  stessi  mezzi, che  servi- 
rono ai  primi  impressori  di  Nielli,  mediante  ia  pressione  dei  fogli  a  mano,  essendo  impossi- 
bile passarle  sotto  il  torchio,  non  tanto  per  la  fragilità  del  metallo  fuso  e  non  malleabile,  quanto 
per  aver  tutte  l'orlo  rilevato  dalla  parte  che  sono  intagliate  a  bulino,  modo  con  cui  da  ognuno 
51  possono  ottenere  stampe  di  opere  della  più  remota  antichità  eoa  una  fedeltà  insuperabUe. 


iqi 

recentissimo   autore  salito  in  rinomanza.^  lasciando  poi  al  pubblico  volo  il  rende- 
re a  ciascuno  quel  tributo  i-oin|ietcntc,  che- saprà  meritarsi. 

Sono  spesse  volte  intralciale  le  questioni  e  le  ricerche  intorno  a  questi  ge- 
neri di  lavori,  poiché  si  è  confusa  1  antichità  dei  tentativi  sulle  lamine  per  ope- 
ra del  bulino  con  T  antichità  o  la  preminenza,  che  debbc  assegnarsi  ai  iirimi  in- 
tagli che  sono  stati  impressi  sopra  una  carta,  da  cui  ebbe  origine  la  calcocra- 
fia.  Ma  su  di  questo  è  stato  scritto  già  con  bastevole  chiarezza  ed  evidenza  da- 
gli storici  dell'  arte,  e  nessuna  stampa  può  mostrarsi  con  data  certa,  che  sia  an- 
tecedente il  I  |52,in  cui  il  Finiguerra  stampava  i  suoi  Nielli,  sebbene  ragion  vor- 
rebbe che  anche  prima  di  quell'  epoca  potesse  aver  egli  stesso  fatta  la  medesi- 
ma esperienza.  Che  se  a  piena  luce  è  dimostrato  che  a  questo  orefice  nel  i^Sa 
venne  pagata  la  Pace  niellata  per  la  chiesa  di  s.  Giovanni,  e  se  l'occhio  accu- 
rato degl  intelligenti  nellarte  riconosce  anteriore  a  questa  Pace  l'altra  lamina 
da  lui  lavorata  parimente  a  Niello,  ove  figurasi  l'adorazione  dei  Re  Magi,  di  cui 
esistono  cinque  prove  stampate  a  mano  (  e  non  quattro  siccome  credesi  dal  siff. 
Duchesne  ):  vuoisi  per  lo  stesso  argomento  con  savia  deduzione  inferire  che 
anche  prima  dell'anno  citato,  il  medesimo  artefice  avesse  ottenuto  lo  slesso  risul- 
tamento  dell'impressione  su  d'  un  suo  lavoro  anteriore  (i). 

(i)  Il  sig.  Duchesne  in  questo  luoj^o,  non  disposto  ad  accordare  quanto  il  retto  senso  detta  agli 
osservatori  più  diligenti,  attacca  un  po'  inurbanamente  gli  autori  italiani  dicendo:  Lanzi  ou 
plutòt  iMzzara  dans  une  note  (come  se  tutte  le' note  alla  storia  pittorica  fossero  dettate  dal 
cav.deLazzara  )  parie  de  celle  pièce  ;  et  en  la  Jonnant  à  Finiguerra,  il  la  suppose  anlérieure  de 
dix  ans  à  V  Assomption.  Non  seulement  celle  assertion  me  paroit  douleuse  mais  le  la  reettr- 
de  mime  comme  toutà-fait  erronee.  E  di  un'evidenza  troppo  palmare  che  sull'incertezza  di 
date,  per  istabillre  l'antichità  maggiore  o  minore  delle  opere,  bisogna  attenersi  al  relativo 
grado  di  maestria  che  l'artefice  possedeva,  talché  si  dirà  sempre  posteriore  quell'epoca,  in 
cui  si  veggano  maggiormente  perfezionale  le  pratiche  dell'arte  sua,  e  tanto  più  in  quella,  che 
dipendendo  dal  disegno,  era  in  quel  tempo  pel  suo  sviluppo  in  evidenza  maggiore:  e  poiché 
pel  convincimento  di  lutti  gì' intelligenti  fra  le  due  lamine  dell'Assunzione  e  dell' Adorazione 
do' Magi  rilevasi  mollo  maggior  intelligenza  nel  disegno  della  prima  che  della  seconda,  sembra 
ragione  assai  evidente  quella  di  giudicare  di  parecchi  anni  anteriore  la  lamina  ove  l'arte  vedesi 
meno  adulta,  quand'anche  siavi  incertezza  dell'anno  in  cui  sia  stata  compita.  Converrebbe 
altrimenti,  se  non  all'epoca  del  lavoro,  rinunciare  all'  artefice,  ed  atlribuiila  ad  altro  bulino, 
che  piuttosto  la  propria  che  una  maggior  infanzia  dell'arte  facesse  palese.  Dalle  quali  osserva- 
zioni vedrassi  non  essere  né  dubbiosa,  né  erronea  l'asserzione,  che  leggesi  nelle  note  del  Lan- 
zi ,  essendo  ben  misero  argomento  quello  di  fondare  un  contrario  parere  sul  maggiore  o  mi- 
nor numero  delle  prove  in  carta  od  in  zolfo  (  che,  come  primi  tentativi,  riduconsi  a  pochissi- 
me ],  e  delle  quali  siamo  Incertissimi  se  non  ve  n'abbiano  di  celale  dall'  incuria  o  dall'  ac- 
cidente, argomento  che  si  ritorcerebbe  contro  lo  stesso  autore,  ogni  qual  volta  venissero  a 
scuoprirsi  alcune  prove  di  quel  INiello,  che  por  la  maggior  scarsezza  attuale  egli  giudica  mcri- 
larc  un'anteriorità  di  lavoro. 


102 

Le  ricerche  colle  quali  11  sig.  Duchesne  inconiincla  il  suo  libro  intorno  1'  ori- 
gine eil  il  significato  del  vocabolo  Niello^  fanno  ampiamente  conoscere  oh'  egli 
completamente  ignorava  l'esistenza  di  un  autore  altrettanto  prezioso  quanto 
chiaro  nel  suo  modo  di  esporre,  che,  avendo  scritto  nell'undecimo  secolo,  ci  ha 
conservate  importanti  memorie  intorno  le  antiche  pratiche  delle  arti ,  non  es- 
sendovi per  gli  artefici  moderni  finora  alcun  manuale  migliore  di  quello,  trovan- 
dosi con  ingenua  tradizione  per  tal  mezzo  comunicate  le  pratiche  da'  piìi  remoli 
tempi  ao-li  odierni,  e  così  perspicuamente  che  non  potrebbesi  ottenere  di  più  da 
qualunque  vivente  scrittore .  E  non  solamente  conservasi  in  molle  insigni  bi- 
blioteche il  codice  prezioso  di  questo  autore,  ma  celebratosi  fino  dal  1"]"]^-  da 
Lesslng  in  una  dissertazione  stampata,  ma  fattosi  noto  dal  Morelli  nel  iTyQ 
coir  indice  illustrato  de' manoscritti  Naniani,  fu  poi  stampato  nel  i  yS'j  a  Brun- 
swick in  una  collezione  di  opuscoli  cominciata  da  Lessing  e  finita,  da  Cristiano 
Lelst,  non  già  tradotto  in  tedesco,  ma  nella  sua  propria  lingua  originale,  tal  co- 
me trovasi  scritto  nel  codice  di  Wolfenbutel.  Porta  questo  per  titolo  Tlieophi- 
li  presbiteri  diversarum  artium  scheduìa^  e  nel  codice  Canlabrigense  vi  appa- 
risce con  un  secondo  nome  :  Theophilus  Monacus  qui  et  Rugerius ;  de  omni 
scientia  artis  plngendi .  Incipit  IractcUus  lumbardicus ,  (jualiter  temperantur 
colores . 

Intorno  le  qaali  varie  denominazioni  dell'autore  e  preziosità  di  pratiche  con- 
servateci, io  ho  scritto  a  lungo  nel  primo  volume  della  Storia  della  Scultura  , 
incidentemente  però  a  una  questione  interessantissima  suU'  antichità  della  pittu- 
ra a  olio  da  Teofilo  insegnata  con  tanta  precisione  ed  accuratezza,  che  non  sa- 
prebbesl  esprimere  altrimenti  a' nostri  tempi,  e  non  ivi  indicata  come  nuova 
scoperta,  ma  come  antica  pratica,  usata  verosimilmente  in  Italia ,  giacche  cre- 
dette di  dover  intitolare  quel  primo  libro  :  Tractalits  lumbardicus  .  La  qual 
chiarezza  d' insegnamenti  non  fallaci,  conduce  necessariamente  il  lettore  a  sup- 
porre altrettanta  fedeltà  e  precisione  in  tutte  le  altre  pratiche  dal  solertissimo 
monaco  insegnate  ;  le  quali  cose  non  pare  dovessero  ignorarsi,  o  preterirsi  da 
uno  scrittore  moderno,  che  presenta  il  suo  primo  lavoro  intorno  a  una  materia 
nuova,  che  piacegli  di  riguardare  come  prolegomeno  dell'  opera  di  Bartsch  (  i  ) . 

Bastava  leggere  la  gentile  e  modesta  prefazione  ai  tre  libri  di  Teolilo  per  in- 
vogharsi  di  conoscere  che  cosa  egli  esponeva  nei  diversi  capitoli  intorno  ai  Nielli, 
e  poiché  infine  di  questa,  eh' egli  intitola:  Prologus  libri  primi  (*)^  dice  che  biso- 

(i)  Se  però  l'autore  del  saggio  sui  Nielli  avesse  letta  con  attenzione  l'opera  del  signor  Bartsch, 
avrebbe  anche  trovato  che  questo  diligentissirao  Tedesco  non  ommise,  in  proposito  dei  Nielli, 
di  ricordare  il  libro  di  Teofilo  alla  seconda  pagina  del  suo  XIII  volume. 

(*)  Vedi  al  fine  nell'Appendice  A. 


io3 
gna  con  fatica  e  assiclnith  leggere  ,   e  iiTnirimcrsi  nella   mente  gì'  insegnamenti 
da  lui  esposti.^  e  dedotti  dalle  pratiche  di  tutti  i  popoli,  così  vengonsl  da  lui   in- 
dicando i  luoghi,  che  pel  vario  genere  de'lavori  sono  saliti  in  molta  rinomanza. 
Quam  si  diligentius  perscruteris   illic  im'enies  quidquid  dtversorum  colorum 
generihus  et  mixturis  habet  Grecia ,  quidquid  in  electrorum  operositati  seu 
Nigelli  varietale  noyit  Ruscia^  quicquid  ductili  velfusili  seu  interrasi/i  opere 
distinguit  Arabia^  quicquid  in  vasorum  diversitate  seu  gemmarum  ossuutm'e 
sculptura  auro  decolorat  in  Italia^  quicquid  in  fenestrarum  pretiosa  varìetate 
diligit  Francia^  quicquid  in  auri^  argenti^   cupri.^   et  ferri^  lignorum^  lapiduni' 
que  subtilitate  solers  laudat  Germania^  etc.  E  poiché  cita  la  Russia  per  le  ope- 
re di  Niello,  così  avrebbe  potuto  riconoscersi   dall'  autore    del  moderno  libro, 
che  le  quattro  lamine  da  lui  citate   in  un'appendice  colle   lettere  AA,  come  di 
cattivo  gusto  piene  d' inscrizioni  in  caratteri  russi^  sono  appunto  opere  russe  , 
e  non  certamente  fatte  in  Germania  al  principio  del  XV III  secolo^   com'  egli 
crede,  poiché  sonosl  da  lunghissima  età  mantenute  dagli  orefici  russi  quelle  abi- 
tudini e  quelle  pratiche  non  mai  dimenticate,  le  quali  non  dall'Italia,  ma  dalla 
Grecia  direttamente  si  diramarono  in  quelle    regioni  settentrionali  con  tutte  le 
arti,  mentre  i   gran  fiumi,  che  mettono  nel  Mar  Nero  furono  il  mezzo  delle  re- 
lazioni e   del  commercio  tra  le  frontiere  dell'Europa   e  dell'Asia.   Le  città  di 
Kiow  e  di  Novogorod  lungo  il  Dnicper  contano  un'antichissima  data  dalla  loro 
edificazione,  e  i  ruderi  che  rimangono  degli  antichi  lor  monumenti,  i lavori  d'ar- 
gento e  d'oro,  quelli  di  elettro  e  di  niello  attestano  evidentemente  la  cultura  di 
quelle  contrade  ben  anteriormente  all'epoca  del  risorgimento  delle  artiinltaha. 
Sino  da  quegli  antichi  tempi  i  Wolodomiri  s' imparentarono  cogl' imperatori  d' O- 
rientc,  e  con  Enrico  L,  re  di  Francia,  e  i  santuarii  dell'  impero  russo  s' ingemma- 
rono di  finissimi  lavori,  spesso  confusi  colle  opere  bizantine  dalle  quali   trassero 
origine  e  imitazione,  e  molti  se, ne  veggono  nelle  raccolte  d'antichità,  e  persino 
le  cupole  e  i  quadri  di  santa  Sofia  si  copiarono  nelle    chiese   di  Iv.iow  e   di  No- 
vojrorotl,  e  si  tradussero  in  linjiua   illirica   li  santi  Padri,  mettendo    in   eara  di 
politezza  e  di  civiltà  quei  popoli  colle  nazioni  del  mezzo  giorno.   Che  se  dopo  il 
124.0  fu  riseppellita  la  Russia  in  uno  stalo  di  nuova  rozzezza,  finche  sotto   i  re- 
gni di  Pietro  e  di  Caterina  furono  evocati  dallltalia  i  genii  dell'arte  e   del  bel- 
lo, è  tuttavia  da  sapersi,  ne  doveva  dal   sig.  Duchesne    ignorarsi,  che   non  mai 
si  perdettero  le  pratiche  deiNieUi,  tuttora  esistenti,  come  fede  ne  fanno  le  odier- 
ne manifatture  di  quel  paese. 

E  senza  ondeggiare  in  troppa  incertezza  di  ricerche,  e  in  vaghe  interpreta- 
zioni sul  significato  di  questo  vocabolo  Niello,  proveniente  come  ognun  vede 
dalla  voce  latina  nigellus:  e  senza  ricorrere  per  ciò  al  dizionario  del  Menagio,  o 
al  glossario  del  Duchange  per  trarre  deduzioni  o  congetture.,  con  molta  semplicità 


io4 

ed  evidenza  avrebbe  trovalo  il  chiarissimo  autore  francese,  che  nel  codice  di 
Tedilo  scritto  nell'  XI  secolo  si  tratta  in  diversi  capitoli  del  modo  di  comporre, 
applicare,  e  pulire  il  Niello  ,  siccome  pratica  da'  più  antichi  tempi  conosciuta, 
ed  iri  esposta,  non  meno  perspicuamente  di  quello  che  il  Cellini  non  ce  ne  rag- 
guagli cinque  secoli  dopo  nel  suo  Trattato  della  oreficeria,  il  solo  che  sembra 
essere  stato  conosciuto  dal  sig.  Duchesne.  Anzi  in  questo  luogo  è  da  osservarsi, 
che  il  Trattato  della  orefioeria,  pubblicato  nel  i568,  fu  ridotto  a  nitida  lezione 
dagli  editori  col  sopprimere  alcune  credute  superfluità,  mentre  utilissimo  rie- 
scir  pareva,  appunto  in  questo  articolo  del  Nielli,  il  consultare  li  codici  di  detta- 
tura orlgmale  del  Celimi,  siccome  abbiamo  noi  fatto,  valendoci  di  quello  pre- 
ziosissimo della  Marciana,  nel  quale  le  poche  varietà,  che  s'incontrano,  ajutano 
piuttosto  che  intralcino  l' intelligenza  di  queste  pratiche  :  il  qual  capitolo  nella 
sua  prima  forma  non  sarà  discaro  leggere  al  Ime  di  questa  memoria  (*). 

E  piacendo  il  fare  qualche  ricerca  Intorno  a  ciò  che  può  aver  dato  origine 
aMl  antichi  Nielli,  ovvero  all'  arte  di  associar  metalli  a  metalli,  si  nei  vasella- 
mi che  nelle  altre  opere  di  più  minuta  oreficeria,  senza  risalire  al  Cintico 
de' Cantici  là  dove  lo  sposo  promette  alla  sua  diletta  armllle  d'oro  tutte  screzia- 
te d'argento  (  cap.  I,  v.  1 1  ),  abbiamo  ampie  descrizioni  in  Omero,  ove  la  superfi- 
cie variocolorata  dello  scudo  d'  Achille  lascia  argomento  di  riconoscere  pratiche 
singolari  dintarslamenti  metallici,  e  permette  la  deduzione  assai  ragionevole, 
che  anche  ad  uno  stesso  metallo,  sia  co'  velaftil  dello  smalto ,  sia  con  altro  pro- 
cedimento venisse  variocolorata  la  superficie  medesima.  E  Pausanla  descrisse  lo 
scettro  del  Giove  di  Fidia  di  più  metalh  commesso,  e  In  pregio  sommo  tene- 
vansi  al  tempo  di  Seneca  le  suppellettili  d'  argento,  in  cui  fossero  inserti  orna- 
menti d'oro  massiccio:  e  Cicerone  abborrisce  11  sottile  artificio  di  Verre, che, sot- 
to velame  di  ammirazione  d'un  vasellame  d'argento,  lo  spogliò  tutto  delli  preziosi 
lavori  di  tarsia  in  oro  che  lo  fregiavano;  cose  tutte  che  non  Isfuggirono  al  sig. 
Gusllelmo  Bechi,  e  che  riferì  accuratamente  illustrando  molti  vasi  ed  uten- 
sili  ercolanesi ,  ove  argento ,  rame  e  varie  misture  trovansl  nei  bronzi  con  linis- 
gimo  magistero  intarsiate  .  Singolare  e  in  proposito  di  queste  osservazioni  un 
luogo  di  Plauto,  riportato  appunto  dal  detto  scrittore,  in  cui  prendendo  motivo 
dalla  voce  generica  i\e\ljalin'i  ferruminare^  con  cui  esprimevasl  qualunque  cosa 
tenacemente  coli'  altra  attaccata,  se  ne  serve  egli  poi  ad  esprimere  due  boc- 
che strettamente  congiunte  In  dolce  bacio,  del  modo  stesso  che  a  noi  potrebbe 
prender  vaghezza  In  queste  disquisizioni  di  usare  in  tal  proposito  con  slmll  tras- 
lato la  voce  niellare.  Conchiude  11  citato  Illustratore  benemerito  de'  monu- 
menti  ercolanesi,  quell'infaticabile  Plinio.,   che   abbracciò   nella   sua   opera 

C)  YeJi  al  fiae  nella  appendice  B. 


103 

quanto  la  natura  e  torte  avean  fatto^  ci  parla  di  due  specie  di  saldature^  che 
a  (fuesle  due  arti  dovevan  forse  servire^  cui  egli  dà  il  nome  J«  iSejvterjv^,  e  che 
compone  di  questi  ingredienti  ;  di  borace  unito  a  rugine  di  ottone  mescolata 
con  urina  d' iinòerbe  garzoncello^  e  con  nitro^  pestate  poi  con  ottone  in  un 
mortaro  pure  di  ottone  ;  e  a  voler  farla  più  tenace  vuole  vi  si  aggiunga  un 
poco  (toro  e  una  settima  parto  d'argento^  il  tutto  pestato  insieme  coi  soprad- 
detti ingredienti^  e  fu  trovato  un  vase  a  modo  di  cratere  in  Pompei  di  forma 
eccellente^  e  con  molto  garbo  di  varii  ornamenti  fregiato,  i  quali  por  t  Akts 
Emblbtica  screziati  di  laminette  et  argento  spiccano  mirabdmente  sul  colore 
cupo  del  bronzo  {\).  Questi  non  sono  positi vamentc  Nielli,  egli  è  vero,  ma 
in  queste  mislure,  in  questi  intarsiamenli  è  tanta  l'affinità  del  lavoro,  che 
r  una  cosa  all' altra  dando  motivo,  si  disvela  il  legame-  e  il  progresso  di  ogni 
arte,  e  si  rende  ragione  dello  sviluppo  delle  cognizioni  umane . 

Ma  sembra  poter  anche  dedursi  argomento  dalie  più  antiche  pratiche  che  in 
queste  arti  avevano  gli  Egizi!  ed  i  Persiani,  oltre  i  Grreci,  smaltando  con  varii 
colori  1  metalli,  col  solcare  prima  le  piastre  a  ciò  preparate  mediante  il  bulino, 
ed  abbassando  il  piano  destinato  al  fondo  della  comp.osizione,  il  quale  venivariem- 
pito  di  smalto  più  opaco,  perchè  più  spesso,  riserbando  un  sottil  velo  di  smalto 
vitreo  su  tutta  la  superlicie  del  lavoro,  sotto  cui  trasparivano  poi  li  tratti  del  bu- 
lino, esprimenti  le  ligure,  le  pieghe  e  i  più  sottili  lineamenti,  come  se  fossero  ve- 
duti attraverso  un  cristallo  per  lo  più  d'una  tinta  azzurrina.  E  poiché  non  è  dub- 
bia la  cognizione  e  la  pratica  dello  smaltare  presso  gli  antichi  popoli  de'  quali 
abbiamo  fatto  parola,  così  giova  anche  credere  cha  a  questo  modo  di  lavori  ri- 

(i)  Vogliamo  In  questo  luogo  recare  anche  nn  allro  squarcio  Jello  stesso  sig.  Guglielmo  Bechi 
relativo  a  queste  antiche  meccaniche,  e  grato  sicuramente  a  chi  legge.  Prosegue  dopo  la  spie- 
gazione della  voce  ferruminare;  a  Se  queste  intarsiature  erano  sollevale  sulla  superficie  piana 
Il  0  sferica,  che  adornavano,  chiamavansi  allora  emhìemaia,  e  I'  arte  che  le  operava  dicevasi  dai 
«  Greci  embìetica:  che  nome  le  dessero  i  Latini  non  mi  è  noto,  e  solo  rilevo  da  s.  Girolamo 
«  che,  allorquando  questi  ornamenti  erano  d'oro,  chiamavansi  con  un  Iranslato  inc/usores  auri 
«  gli  artefici  che  li  operavano.  Si  può  congetturare  da  molti  vasi  del  regio  museo,  che  l'arte 
u  emblelica  avesse  due  modi  ad  ornare  le  suppellettili  di  metallo;  uno  rivestendo  d'una  soltil 
«  foglia  d'altro  metallo  gli  ornamenti  od  emblemi  di  già  rilevati  e  condotti  comedi  abozzo  sul 
n  metallo  dell'utensile;  l'altro  incastrando  e  saldando  sul  metallo  della  suppellettile  questi  era- 
«  blerai  a  guisa  di  borchie,  o  belli  e  lavorali,  o  s'i  vero  greggi,  rifinendoli  poscia  con  ceselletti 
«  già  messi  in  opera;  i  quali  metodi  si  osservano  amendue  praticati  nei  loro  varii  utensili  di 
n  bronzo  dai  Pompejani  e  dagli  Ercolanesi.  Se  poi  queste  intarsiature  formavano  una  slea- 
li sa  superficie  con  il  metallo  della  suppellettile  che  adornavano ,  dicevansi  allora  crustae;  e 
«  l'arie,  che  le  operava,  dicevasi  dai  Greci  empeslicn.  Quest'arte  empeslica  dei  Greci  è  la  lau- 
«  sm,  o  lavoro  alla  dunuiicUina  io  graude  uso  nel  cinquecento  per  fregiare  di  oro  1«  armata- 
«  re  di  acciajo.  Incavuvauo  ec. 
1/» 


io6 

feriscasi  iJ  passo  (li  Plinio  ove  dice:  Tìngit  JEgy'ptus  et  argentum^  et  in  vasis 
annubìm  siiiim  spectet.,  pingit  non  caelat  argentum  (lib.  53,  e.  46  )  .  Il  che 
escludirnlo  aflatto  che  il  lavoro  fosse  eseguito  a  martello,  lascia  ra<rionevolmen- 
tc  supporre  che  questa  materia  colorante,  stesa  sulla  superlicie  metallica,  fosse 
quella  appunto,  che  dallo  smalto  riceve  lucentezza  e  trasparenza,  e  la  conserva; 
giacche  inverosimile  ci  sembra  che  dagli  antichi,  in  tante  belle  meccaniche  del- 
l' arte  maestri,  si  colorasse  1'  argento  in  altro  modo,  togliendovi  coli'  opacità  di 
tinte,  che  non  fossero  cristalline,  il  suo  vero  splendore  . 

Aggiungasi,  che  appunto  le  opere  piìi  vetuste  che  noi  abbiamo  di  simili  lavori 
veggonsi  pressoché  tutte  in  tal  modo  eseguite,  anche  nei  tempi  bassi,  e  probabil- 
mente secondo  le  non  perdute  pratiche  e  tradizioni  di  tempi  migliori.  L.e  chie- 
se pi'u  antiche  non  sono  povere  di  siffatti  avanzi  di  arti  vetustissime,  e  si  con- 
servano memorie  visibili  ancora  sui  calici,  le  paci,  le  croci  e  gli  altri  arredi  del 
Santuario.  Venezia,  Padova,  Brescia,  Udine,  Milano,  Monza,  Cremona,  Firen- 
ze, Subiaco,  Monte-Cassmo  possono  fornire  ampia  materia  a  queste  ricerche  . 

Ma  convien  riconoscere  che  fragile  e  dilicata  riuscendo- la  superlicie  smaltata 
di  vetro  trasparente  sull'argento  o  suU'  oro,  per  quanto  lasciasse  scorgere  al  di- 
sotto la  solerzia  ingegnosa  degli  operatori  a  bulino,  resta  a  desiderare  che  ve- 
nisse praticato  un  metodo  più  durevole,  piìi  compatto,  che  senza  attenuare  la 
vaghezza  del  lavoro  resister  potesse  a  qualche  urlo  leggiero,  o  stropicciamen- 
to negli  usi  de'  varii  utensili,  a  cui  voleva  adattarsi ,  e  ciò  senza  pericolo  di  ve- 
der sì  sovente  danneggiati  li  preziosi  incrostamenti  smaltati.  Sia  questo  un  mo- 
tivo o  no  per  cui  si  desse  mano  al  metodo  dei  Nielli,  noi  non  vorremmo  allac- 
ciarci la  giornea  per  sostenerlo.  È  peraltro  vero  che  i  Nielli  linamente  adoperati 
nel  XV  secolo  da  un  numero  considerabile  di  artelici  italiani,  vennero  surrogati 
ai  lavori  indicati  finora,  trovato  essendosi  che  la  solidità  del  Niello  non  toglieva 
al  metallo  la  trasparenza,  lasciando  alla  nitidezza  di  questo  tutto  il  suo  splendore 
nei  lumi,  e  non  riuscendo  minimamente  opaca  la  parte  delle  ombre,  poiché  il 
solfuro  metallico  che  riempie  i  solchi  del  bulino,  ricevendo  un  pulimento  non 
dissimile  dalla  lucentezza  dell'argento  stesso  ,  non  vien  privato  il  lavoro  della 
conveniente  vaghezza  e  preziosità  cherichiedesi:  oltre  a  che  presenta  nella  egua- 
glianza della  sua  superficie  una  resistenza  considerabile  a  qualunque  urto  ,  for- 
mando una  piena  adesione  colla  lamina  alla  quale  si  congiunge  e  s'  identifica, 
siccome  a  corpo  del  medesimo  genere ,  non  da  esprimersi  col  vocabolo  latino 
ferruminare^  ma  col  più  espressivo  niellare^  poiché  in  fatto  neri  sono  gli  og- 
gretti  che  spiccano  sulla  bianca  superficie  dell'  argento,  e  s'immedesimano  con 
quella  . 

Prova  di  questa  resistenza  e  solidità  di  lavoro  si  ha  più  evidente,  qualora  in 
vece  di  dedurla  diiUe  piccole  e  preziose  laminell*  degli  orafi  del  secolo  XV  si 


'107 

risalga  a  più  grossolani  lavori .  A  cagion  d'esempio,,  se  si  osservano  in  Roma  le 
polle  ili  broni!o  di  s.  Paolo  fuor  ilellc  mura  die  nel  ioto  furono  falle  a  Costan- 
linopoli  a'd  inslar  di  quelle  clic  chiudono  gl'ingressi  della  basilica  di  e.  Marco,  si 
troverà  che  grossolanamente  presentano  una  specie  di  Niello,  poiché  gl'incavi 
del  bronzo  sono  riempiti  di  solfuro  d'  argento,  rame  e  piombo,  come  venne  ana- 
lizzato dal  prolessorc  Gnuseppe  Bianchi:  e  ne  riferì  il  fatto  nella  sua  tanto  lo- 
data opera  della  Sacristia  Pistojese  il  chiarissimo  sig.  cav.  Ciampi  in  proposito 
di  altre  consimili  opere  esistenti  in  quel  santuario;  e  non  è  meraviglia  che  l'avi- 
dità de' ladroni  staccasse  dalle  porte  le  mani  e  i  volti  delle  figure,  che  vi  erano 
inserte  ed  apparivano  d'  argento  puro  e  s[)lendente,  lasciando  non  tocco  il  sol- 
furo, che  per  1"  atro  suo  colore  mostrava  essere  materia  bituminosa  e  di  nessun 
valore  . 

L'esame  e  la  cognizione  pratica  di  tulle  queste  meccaniche  delle   arti  divie- 
ne ogni  giorno  sempre  più  necessaria,  sia  che  vogliasi  conoscere    a  quali  gradi 
di  dottrina  e  d"iniie£:no  erano  salili  i  nostri  mairsiori,  sia  che  vogliasi   ritentare 
alcuno  dei  sentieri  smarriti  che  si  erano  da  loro  calcali  con  tanto  successo:  che 
se  un  po'  più  di  cura  il  benemerito  autore  francese  avesse   posta  nell'  esame   di 
queste  pratiche  non  avrebbe  occupato  veruna  pagina  nel  confutare  gli  sbagli  di 
Lessing  troppo  grossolani,  allorquando  il  dotto  archeologo,  male  spiegando  1'  at- 
to testamentario  di  Leodebode  abbate  di  Fleuri  nel  VII  secolo  ,  non  volle  am- 
mettere che  le  due  tazze  dorate  di  Marsiglia  da  esso  lasciate  in  legato,  le  quali 
avevano  nel  centro  due  croci  niellate^  potessero   essere  veri   Nielli:^  e  piuttosto 
che  convenire  in  questa  naturale  e  semplice  spiegazione,  piuttosto  che  ammet- 
tere la  voce  niellés^  sostituisce  l'altr-a  nillées^  vocabolo  blasonico,  concludendo 
(con  più  strana  interpretazione  )  che  l'arte  del  niellare  era  forse  la  stessa   che 
quella  dell'  encausto  degli  antichi .    Se  il  sig.  Duchesne  avesse   ben  conosciuto 
che  cosa  sia  il  lavoro  &\Y  agemina^  non  l'avrebbe  confuso  colla  damaschina  (i), 
la  quale  agemina  non  consiste,  siccome  egli  dice,  à  piacer  des  filels  d'or  et  d'ar- 
gent  sur  des  placques  de  cuiyre  ou  d  acier^  où  Us  se  trouyent  fixés  au  moyen 

(i)  Che  presso  li  Francesi  la  voce  tìumiisijuiniire  abbia  leoulo  luogo  di  agemina,  perchè  loro  man- 
chi il  vocabolo  espresso  die  spiega  rjuesla  specie  di  lavoro,  servendosi  d'una  voce  sola  per  in- 
dicare diverse  pratiche  tra  loro  diverse,  non  è  meraviglia.  iWa  sembra  potersi  circoscrivere  il 
lavoro  alla  ilamaschina ,  con  più  proprietà  di  vocabolo  e  vera  derivazione    a  certo  genere  di 
manifatture  avente  una  particolare  celebrità  per  essere  fatte  a  Damasco ,  o  ad  imitazione  di 
quelle,  essendo  tuttora,  come  furono  in  ogni  tempo,  celebralisslme  certe  armi,  lame  e  lavori 
latti  in  quella  città  dell'Oriente  quand'anche  non  voglia   applicarsi   questa  denominazione   a 
tutti  quei  lavori ,  che   presentano  varietà  di  superficie  con  intarsiatura  diversa,  o  che  anche 
con  svenata  modificazione  dello  slesso  metallo  sono   disegnali   ed   ornati   a   guisa    delle   stelle 
che  portano  lo  «tesso  nome. 


io8 

d'un  mordant  .^  mentre  questa  ^  l'agemina  spuria  e  falsa.,  la  quale  per  poco  stro- 
finamento o  per  intemperie  si  guasta;  ma  se  avesse  gittate  gli  òcchi  su  alcuni 
scritti  (li  autori  anclie  recenti.j  e  se  non  potendo  visitare  le  ofiicine  ricchissime 
degli  Orientali,  avesse  visitato  le  sontuose  fabbriche  d'armi  di  Versailles,  avreb- 
be veduto  che  i  lavori  all'  agemina  che  oggi  vi  si  fanno,  intarsiando  i  fili  d'  oro 
nel  solchi  aperti  a  sottosqnadra  con  finissimo  artificio  ncH'acciajo,  non  possono 
pili  escirnc,  ogni  qual  volta  che  dal  martello  visiono  fatti  entrare  a  forza,  e  per  la 
duttilità  di  questo  metallo  prezioso,  presentano  una  durata  di  lavoro  che  nul- 
la ha  che  fare  coUe  applicazioni  a  mordente,  o  colle  opere  d'encausto  (i).  E 
similmente  non  avrebbe  posto  alcun  dubbio  che  un  Niello  antico  non  possa  fa- 
cilmente decomporsi  sciogliendo  a  tutta  perfezione  la  materia  che  riempie 
i  solchi  della  lamina  d'  argento,  onde  trarne  a  piacere  qualche  stampa ,  come 
se  mai  la  lamina  non  fosse  slata  niellata  .  Effli,  per  provare  il  contrario  di 
quanto  siamo  per  dimostrare,  allega  la  circostanza  d'  un  piccolo  niedaglio- 
ne  di  sette  linee  di  diametro  appartenente  al  sig.  di  W^ellesle_y,  dal  quale  essen- 
dosi squammato  il  Niello  a  pezzetti,  tentò  di  farne  tirare  alcune  prove  moderne, 
é  pretende  che  in  tal  caso  abbiansi  a  riconoscere  le  prove  posteriori  al  distacco 
del  Niello  ,  non  solamente  per  V  intensità  del  nero  e  la  qualità  della  carta 
(sebbene  non  sia  impedito  l'usare  quando  si  voglia  un  nero  piìi  languido ,  e  pro- 
curarsi qualche  fogUetto  di  carta  antica)   ma  ancora  per  la  imperjezione  della 


(i)  Possono  su  (li  ciò  leggersi,  una  Dissertazione  del  cliiarissimo  ab.  Daniele  Francesconi  tVi/orno 
ad  una  inneità  lavorata  d'oro  e  di  varii  altri  metalli  all'  agemina,  stampala  in  Venezia  nel  1801  ; 
e  la  Storia  della  Scultura  voi.  V  (edizione  seconda)  cap.  Vili  pag.  49y-  In  proposito  dei  la- 
vori all'agemina,  e  relativamente  all'etimologia  del  vocabolo  e  all'antichità  di   (jueste  mani- 
fatture è  da  leggersi  ciò,  che  trovasi  nei  viaggi  di  Pietro  della  Valle   nella  sua  prima  lettera 
del  di  17  marzo  161 7  là  dove  (  pag    55)  parlando  dei  varii  popoli  che  abitano  Sphahan  scrive  : 
Ci  sono  finalmente  i  Maomettani,  i- quali  pur  son  di  due  sorti,  una  è  il  volgo  e  l' universale  :  e 
ti  chiama  un  tale  propriamente  Agenti  0  Agiami,  che  viene  da  Agem  o  Agiam,  col  qual  nome  si 
chiama  generalmente  la  Persia,  comprendendoci  la  Partia,  la  Media  e  tutte  le  altre  provincie 
di  queste  impero.  E  tanto  si  usa  questo  nome,  quanto  l'altro,  Pars,  al  paese.  Parsi,  all'  uomo  : 
che  è  Persia  e  Persiano.  E  questi  molte  volte  non  si  dicono  ne  pronunziano  Pars  e  Parsi;  ma 
Pars  e  Farsi  per  le  ragioni  cavate  dalla  prima  lingua  ehraica  che  il  P  c'oli'  F  si  confondono . 
Di  maniera  che  in  queste  parti  tanto  è  dir  Parsi  quanto  Agiami:  dal  qual  nome  Agiami  deri- 
va quel  nostro  italiano  dei  lavori  alla  agiamina,  cioè  d' incastrar  Foro  e  F argento  nel  ferro  : 
i  quali  lavoìi  in  questo  paese  devono  aver  avuto  origine,  come  in  fatto  oggidì  si  usano  molto, 
henché  in  Italia  si  facciano  più  belli  e  con  più  disegno. 

Siccome  nella  lettera  V  (pag.  435)  parlando  della  polla  maggiore  nella  meschita    di  Sidla- 
■  nia  è  detto;  La  porta  di  questa  cappella  maggiore  è  serrata  con  una  ferrata  molto  grande,  la 
quale  ferrata  tutta  da  capo  a  piedi  è  lavorata  all'  agiamina  con  intarsiature  d'oro  e  d' argento: 
opera  certo  non  men  pulita  e  gentile  che  ricca  e  riguardevole . 


'"9 

pi'ot'n.^  poiché  alcuni  frammenti  rimangono  (al  suo  dire)  nei  tagli  più  dilicati^ 

e  impediscono  la  perfezione  della  stampa.^  mentre  negli  altri  tagli  ^  vuoti  intc- 
rumente  dal  Niello^  la  prova  riesce  vigorosissima .  Intorno  hi  fjual  asserzione 
gli  esperimenti  da  me  fatti  prima  che  mi  venisse  alle  mani  l'opera  del  sic.  Du- 
chesne,  mi  avevano  confermalo  in  una  totalmente  contraria  opinione,  che  piace- 
mi  esporre  alle  osservazioni  e  alla  pratica  di  ogni  altro  che  vago  sia  di  far  nuo- 
■vo   sperimento  . 

E  prima  di  tutto  mi  sia  permesso  epilogare  in  poclie  parole  il  modo  della 
composizione  dei  Nielli  secondo  il  metodo  di  Teohlo  Monaco,  o  del  Cellini,  che 
in  sostanza  sono  pienamente  conformi,  siccome  potrà  riscontrarsi  leggendoli  al- 
la distesa  nell'  Appendice  di  questa  Memoria  (*). 

Preparate,  essi  dicono,  una  laminelta  d'  argento  pvirissimo  senza  lega,  e  incide- 
te col  bulino  diligentemente  il  soggetto  che  volete  in  essa  rafGgurato,  marcan- 
do profondamente  il  fondo  e  le  parti  oscure  con  tagli  serrati,  acciò  abbiano  net 
tal  mezzo  i-isalto  e  splendore  le  parli  luminose  .  Formale  quindi  la  sostanza  che 
dcbbe  servire  di  atramento  per  riempire  li  tagli,  cioè  il  vostro  inchiostro  metal- 
lico, e  sia  qnesto,  nelle  proporzioni  indicate,  composto  di  argento  purissimo,  ra- 
me, piombo,  zolfo  :  e  quando  la  preparazione  è  fusa,  ben  mescolata,  e  poi  fred- 
da, rompasi  In  piccole  granella  come  il  panico  o  '1  miglio.  Stendasi  poi  sulla 
laniincUa  della  spessezza  d' una  costa  di  cortello,  e  pongasi  al  fuoco  acciò  si 
strugga,  e  con  un  ferretto  caldo  cerchisi  di  bene  spianarla  sulla  superficie  inta- 
gliala, al  modo  che  fassl  da  quelli  che  stagnano  i  metalli,  avendo  cura  di  prima 
mettervi  un  poco  di  resina  di  borace,  onde  meglio  segua  la  coesione  metallica. 
Quando  tulio  è  raffreddalo,  levate  con  lime  e  raschiatori  il  più  grosso  del  Niel- 
lo, finche  si  cominci  a  scuoprire  l'argento,  e  fermatevi  quando  siete  a  quel  pun- 
to per  non  ferirlo,  sostituendo  alle  lime  una  stecca  di  tiglio,  o  un  pezzo  di  canna 
dal  lato  del  midollo,  e  strohnando  con  acqua,  carbon  pesto  e  Iripolo  finche  ven- 
gansi  a  scuoprire  le  parli  luminose,  e  rimanga  il  lavoro  liscio  sjiianato  e  tulio 
traccialo  di  nero  sulla  splendente  superficie  dell'argento.  Questo  metodo,  che 
per  essere  chiarissimo  sembra  eziandio  facihssimo,  va  soggetto  a  molte  piccole 
inavvertenze,  che  possono  produr  gravi  effetti,  ed  esige  pratica  e  diligenza  al  di 
là  di  qualunque  espressione . 

Ciò  conosciuto.;  ed  eseguilo  secondo  le  pratiche  della  chimica  e  dell'orefi- 
ceria de'  più  antichi  no'stri  maestri,  i  quali  tanto  erano  pieni  di  abilità  e  di  dot- 
trina per  comporre  quanto  erano  rimasti  addietro  nelle  esperienze  tielle  decom- 
posizioni, parve  che  anche  si  potesse  mediante  i  sussidii  tlella  moderna  scienza 
migliorare,  disfacendo  completamente    ciò  che  erasi  fallo.    Meco  rivolgendo  la 

(*)  VeJi  al  fine  nell'Appendice  C. 


1  IO 

cosa  in   pensiere  sembravami  eziandio  che  m  pili  d'una  guisa  potesse  tentarsi 
la  decomposizione  dei  Nielli,  senza  minimamente  alterare  la  finitezza  del  lavoro, 
senz'  avventurarsi  all'incerto  e  ineguale  spediente  di  far  sortire  la   sostanza  ne- 
ra, squammandola  in  fragmenti,  e  senza  aver  timore  che  un'azione  di  caldo  pari 
a  quella,  che  s' introdusse  nei  tratti  del  bulino  senza  danneggiarli,  la  facesse  an- 
che da  quelli  escire  con  facilissimi  spedienti .  Intorno  le   quali   cose  consultato 
avendo  il  chiarissimo  sig.  Melanili'i,  professore  di  chimica  nell'  università  di  Pa- 
dova, ed  eccitato  a  ciò  anche  dal  valente  ingegnere  Japelli,  cui  tutto  ciò,  che 
dalla  umana  mente  può  scaturire  mette  a  tortura  il  fortissimo  e  lucido  ino-eo-no. 
mi  prefissi  la  decomposizione  del  primo  Niello  che  mi  fosse  venuto   alle  mani  . 
A  questo  vivissimo  mio  desiderio  soccorse  1  egregio  mio   amico  cavaliere    Gio- 
vanni de  Lazzara,  cui  fu  dato  debito  (  tUcasi  per  parentesi  )  dal  sig.  Duchcsne 
di  un  errore  del   Lanzi  nella  Storia  pittorica,  non  per  altro  se  non  perchè  lo 
storico  toscano  ebbe  cortesemente  dal  de  Lazzara  qualche  sussidio  nel  suo  lavo- 
ro in  ciò  che  riguarda  le  arti  veneziane,  non  già  in  ciò  che  alle  cose  toscane  era 
spettante;  e  non  doveva  mai  idearsi  che  questo   benemerito  amatore   de'  nostri 
studi  dovesse  essere  risponsabile  degli  abbagh  presi  dal  Lanzi  intorno  due  Nielli 
toscani  che  mai  dal  cavalier  padovano  furono  veduti,  per  il  che  troppo  male   si 
addice  all'autore  francese  con  sì   debole   ar£-omento  il  nominare  le  chevalier 
Jean  de  Lazzara  dont  les  connoissances  soni  furtement  en  defaut  dans  la  no- 
te relative  à  la  Paix  gravée  par  Mathieu  de  Jean  Dei  (i)  .  Di  fatti  il  cavalie- 
re de  Lazzara  mi  fu  cortese  di  alcune  piccole  piastre  d'  argento  niellate  del  dia- 
metro di  nove  linee,  le  quali  esistevano  in  un  ostensorio  di  ragione  della  chiesa 
dell' abbazia  di  Carrara,  avuto  nel    XVI  secolo  in   commenda  da  varii  prelati 
della  casa  Medici,  d'  uno  de'  quaU  quesl'  ostensorio  verosimilmente  poteva  esse- 
re dono,  sì  che  per  deduzione  ragionevole  li  Nielli  potrebber  anche  giudicarsi 
opera  fiorentina. 

Scelto  adunque  il  pili  intatto  di  questi,  affinchè  non  fosse  il  menomo  prmci- 
pio  di  separazione  del  solfuro  d'  argento  dalla  lamina,  e  posto  in  un  crogiuolo 
d'argento  con  una  dose  di  potassa  caustica,  accadde  che  appena  si  trovò  la  ma- 
teria in  ebuUizione,  e  ne  rimase  svaporata  l'acqua,  il  Niello  venne  attaccato  e 
sciolto  dal  lluido  caustico,  e  in  pochi  minuti  la  lamlnelta  rimase  interamente  de- 
tersa, come  se  fosse  allora  allora  escita  dalla  mano  dell'  orefice  intagliatore. 

A  convincimento  poi  che  il  lavoro  di  bulino  non  aveva  menomamente  sof- 
ferto in  questa  decomposizione,  e  che  i  tagli   erano  tutti  vuoti  uniformemente, 

(i)  Questa  Pace  non  fu  imi  niellata,  e  neppure  fu  compiuto  interamente  il  suo  lavoro  a  La- 
lino.  RappreSKiita  la  conversione  di  s.  Paolo,  e  in  una  nota  del  Lanzi  (tom.  I,pag-  88)  dicesi 
erroneamente  die  fuj^li  tolto  il  Niello  per  esjihiare  il  lavoro,  riducendo  la  lamina  quale  usci 
di  sullo  il  biiliau  dell' arf^e.ìliere . 


e  snsccttiblli  <l'  essere  impressi  in  caria,  feci  tirare  im  numero  (V  esemplari  ba- 
stevole a  dare  la  prova  evidente  che  un  Niello  antico  può  vuotarsi  perletlamen- 
te  e  stamparsi,  come  avrebbe  potuto  ciò  operare  il  suo  autore  prima  fli  riem- 
pire i  tagli  della  nera  sostanza  metallica .  Un  solfuro  d"  argento  ed  uno  smalto 
sono  ben  dun<{ue  due  cose  assai  diverse  tra  loro,  e  '1  chimico  processo  che  serve 
alla  soluzion  della  prima,  non  sembra  applicabile  a  sciogliere  la  seconda.  La 
quale  cosa  da  noi  viene  avvertita  in  questo  luogo  ad  emenila  della  confusione  in 
cui  potrebbe  trovarsi  chi  legge  a  pag.  i  g  dell'  opera  del  sig.  Duchesne  (  in  pro- 
posito della  Pace  di  Matteo  Dei,  alla  quale  suppose  il  Lanzi  erroneamente  che 
fosse  stato  levato  il  Niello,  e  poi  stampata  )  //  siijfic  de  savoir  ce  que  d  est  qu' 
un  email.,  pour  sentir  qiì  il  rì  y  a  encore  eu  aucun  moyen  chimique  ni  meca- 
nique  de  dissoudre  ou  d"  enlever  F  email  de  dessus  une  planche  de  metal  at'ec 
assez  de  précision  pour  la  mettre  dans  le  cas  de  produire  des  epreuves .  Otr 
tenuto  questo  risultamento  nel  piccolo  medaglione  indicato,  mi  venne  alle  mani 
un  secondo  lavoro  in  niello  di  maggior  dimensione,  che  assoggettai  alle  stesse 
esperienze  ,  le  quali  pienamente  corrisposero,  e  mi  porsero  una  elegantissima 
slampa  di  tre  figure,  che  rappresentano  s.  Sebastiano,  s.  Cristoforo  ed  il  Bam- 


bino di  bellissimo  disegno  , 


Sparita  dunque  questa  impossibilità^  rimane' alla  volontà  de'curiosi  e  de' pos- 
sessori di  antichi  Nielli  fli  avventurarli  a  questa  esperienza,  se  può  realmente 
dirsi  avventurarli  o\e  sia  dimostralo  che  escono  dal  crogiuolo  nel  modo  stesso 
che  furono  lavorati  dall'antico  intagliatore.  Nessun  oggetto  pertanto  avrebbe 
questo  disfacimento,  quando  non  fosse  quello  di  stampare  alcuni  esemplari,  e 
mettere  a  carissimo  prezzo  in  commercio  alcune  stampe  di  un'  esimia  rarità; 
la  qualcosa  potrebbe  farsi  soltanto  da  qualche  avido  speculatore,  ne  certamen- 
te si  vorrà  ottenere  da  chi  pone  naturalmente  gran  pregio  nella  rarità  e  nel- 
r  unica  laminetta  d'  argento,  di  cui  non  siano  mai  o  quasi  mai  state  moltipli- 
cate   le  impronte. 

Che  se  da  questo  passo,  importante  nell'arte  e  contrario  a  quanto  crasi  fino- 
ra asserito,  derivasse  un  secondo  tentativo,  egualmente  felice,  di  repristinare  il 
Niello  nella  sua  antica  forma ,  riempiendolo  nuovamente  di  solfuro  d'argento, 
meno  difficoltà  s' incontrerebbe  dai  possessori  di  simili  preziosità  a  diffender- 
ne  le  l'impronte  con  parsimonia  di  esemplari  :  potendo  essi  in  tal  modo  rice- 
vere preziosi  concambii.  Ma  ciò  è  sì  lunge  dall'essere  impossibile,  che  basta 
osservare  gli  attuah  NielH  di  Russia  per  convincersi  eh  è  fattibile:  e  di  fat- 
ti avendo  posta  mano  con  ogni  cura,  e  segnile  le  prescrizioni  de' citati  maè- 
stri perla  composizione  dei  Nielli,  ho  potuto  convincern)i  che  una  diligente 
pratica  (  avventurando  da  prima  mediocri  lavori  di  bulino  destinati  alle  esperien- 
ze  ed  ad  educare  l'artefice)  può  in  breve  condirre  ad  intraprendere  le  opere 


I  12 

più  fine  ed  accurate  senza  tema  di  restare  in  difetto .  Era  ben  più  difficile  lo 
scioglimento  che  la  concrezione  della  materia,  e  se  posso  offrire  del  primo  pie- 
nissimi risultamenli  all'  oculare  ispezione  di  ogni  amatore,  posso  egualmente  pre- 
sentare non  ispregie  voli  tentativi  della  seconda ,  quantunque  il  pennello  eia 
penna  abbiano  bens'i  occupato  le  ore  del  viver  mio,  ne  io  abbia  che  per  puro 
esperimento  consecrati  alcuni  momenti  alla  diligente  investigazione  di  queste 
meccaniche  d'oreficeria  . 

Ridotta  a  dimostrazione  evidente  la  pratica  di  queste  operazioni ,  rimane  a' 
curiosi  investigatori  delle  prime  produzioni  della  calcografia  a  conoscere  qua- 
li e  quanti  fossero  li  tentativi -che  possono  dirsi  simultanei  a  quelli  del  Finio-uer- 
ra,  a  pregiarne  la  rarità,  e  a  rivendicarne  a  molti  altri  paesi  d' Italia  i  nomi  se- 
polti forse  da  oscura  dimenticanza,  e  che  avrebbero  ottenuto  una  luce  maggiore, 
se  d'ogni  paese  vi  fosse  una  buona  biografia  di  artisti.  E  questo  è  precisamen- 
te ciò  che  il  sig.  Dachesne  ha  tentato  di  fare  nella  sua  opera,  raccogliendo  da 
molti  possessori  di  Nielli  stampati  o  di  laminette  non  vuote  di  Niello  copiosissimi 
elenchi .  Diremo  noi  co/?/owj//n/,  ma  però  ben  lunge  dall'essere  ridondanti, 
siccome  attende  vasi  ragionevolmente  da  coloro  che,  sulla  fede  delle  sue  asser- 
zioni, speravano  di  trovare  in  quelle  tavole  epilogato  quanto  di  più  msigne  e 
prezioso  sia  conosciuto  in  questa  materia.  Per  la  qual  cosa  non  sembra  circo- 
spetto abbastanza  1'  autore  là  dove  asserisce  (pag.  89)  Je  suis  fonde  à  eroine 
(jLÌ  il  en  existe  bien  peu  d  autres  que  ceux  qui  se  trouvent  dans  le  catalo- 
gue  qui  va  salire .  Fra  poco  vedremo  quanto  sia  ciò  lunge  dal  vero ,  prima 
di  che  giova  giltare  uno  sguardo  sulle  più  antiche  tra  queste  produzioni,  e  sui 
tentativi  che  condussero  all'  arte  calcografica . 

Da  ognuno  si  è  scritto,  e  la  memoria  si  è  diligentemente  conservala  della  fa. 
mosa  Pace  del  Flniguerra,  la  quale  ha  dato  luogo  a  lunghe  discussioni  e  dis- 
sertazioni .  DI  essa  la  reale  Galleria  di  Firenze  conserva  la  piastra  niellata  ori- 
g'male;  due  zolfi  ricavali  In  antico  stanno  deposti  l'uno  nella  collezione  del 
marchese  Durazzo  a  Genova,  l'altro  in  quella  del  duca  di  Bucklngam  a  Lon- 
dra; e  quest'  ultimo  è  appunto  lo  zolfo  che  appartenne  al  marchese  Seratti  (  di 
cui  vien  recala  nelle  note  del  Duchesne  una  dissertazione  illustrativa  da  lui 
tradotta  ),  e  finalmente  di  questo  rarissimo  Niello  si  allega  esistere  una  prova 
in  carta  nella  biblioteca  reale  di  Francia,  per  una  scoperta  che  dicesl  fatta  dal- 
l'ab.  Zani  In  Parigi,  contro  la  quale  è  ancora  inedita  una  dissertazione,  che  sa- 
rà fra  non  mollo  pubblicata  dal  professor  Vitali  di  Parma,  il  quale  spera  pro- 
durre con  buoni  argomenti  le  prove  di  uno  sbaglio  od  inganno,  da  cui  sono  sta- 
ti sorpresi  tanto  il  conoscitore  italiano,  quanto  gli  esperti  custodi  del  gabinetto 
francese  (1). 

(i)  Tengo  il  famoso  disegno  della  pace  di  Maso  Finiguena  ,  che  fu  posseduto  dal  Manette,  sul 


ii3 
È  rlùaro  che  gì"  impronti  c«vati  in  zolfo,  per  rilevare  in  tal  modo  lo  slato  del- 
l'incisione  avanti  di  riempirla  di  Niello,  siccome  presentano  1  contorni  e  i  itratti 
in  incavo,  non  possono  essere  stati  fusi  sulla  lamina,  ma  sappiamo  che  su  quella 
veniva  fatto  un  impronto  in  finissima  argilla,  la  quale  esprimendo  in  rilievo  tut- 
to il  lavoro,  offriva  la  facilità  di  ripeterlo  incavato  qualora  su  d'essa  veniva  fuso 
Io  zolfo  squagliato,  per  cui  quest' ultimo  diveniva  un  few  simile  del  Niello  mede- 
simo .  Di  questo  modo  essendosi  operato  nei  primi  tentativi ,  si  è  allora  tenuta 
una  strada  un  poco  più  lunga  :  poiché  se  colla  pressione  della  mano  si  consegue 
dallo  zolfo  una  stampa  facendo  penetrare  nei  solchi  un  po'  di  materia  nera  oleosa 
e  stendendovi  sopra  una  carta  inumidita,  lo  stesso  risultamento  potevasi  a  dirit- 
tura ottenere  sulla  laminettà  d'argento.  Ed  è  falsissimo  ciò  che  in  questo  propo- 
sito si  asserisce  dallo  Zani,  che  non  poteasi  mettere  una  sostanza  nera  oleosa 
sulla  piastra  d'argento  per  vedere  l' efletto  del  chiaroscuro,  facendola  entrare 
nei  tagli,  e  ripulendo  la  superficie  col  palmo  della  mano  nel  chiari,  poiché,  se- 
condo questo  scrittore  ignaro  delle  pratiche  dell'  arte,  /'  untume  rimasto  nei 
solchi  avrebbe  poi  impedito  al  Niello  di  attaccarvisi^  mentre  ognuno  dee  sape- 
re e  conoscere  assai  facilmente,  e  lo  stesso  Cellinl  il  prescrive ,  che  avanti  di 
niellare  le  lamine  bisogna  farvi  una  buona  lisciva  o  cenerata,  che  interamente 
da  ogni  qualunque  bruttura  deterga  il  metallo  . 

Per  quanto  dunque  essere  possano  stati  di  una  secondaria  necessità  questi  ca- 
vi in  zolfo  e  in  argilla,  sono  però  mai  sempre  rarissimi  e  preziosi,  poiché  fece- 
ra  strada  al  maltiplicare  in  modo  più  sempUce  le  stampe  sui  fogli ,  ed  oltre  alli 
due  nominati,  ed  alli  quattordici  (superstiti  fra  molti  altri  periti  o  dispersi)  che 
stavano  accomodati  nei  compartimenti  d'  un  altarino  portatile  in  Firenze  presso 
i  Camaldolesi,  rappresentanti  la  Passione  di  Gesù  Cristo  (che  poi  passarono  in 
Inghilterra,  e  nel  1824,  alla  vendita  del  gabinetto  Sjkes,  furono  acquistati  per 
quattordici  mille  franchi  )  poco  altro  si  conosce  che  in  questa  fragil  materia  siasi 
salvato  dalla  voracità  del  tempo.  E  conviene  riflettere  che  qualunque  prova  in 
zolfo,  la  quale  in  se  stessa  presenta  le  figure  e  i  caratteri  da  sinistra  a  destra  , 
non  può  dare,  egualmente  che  il  Niello,  una  stampa  in  carta,  che  rovesciando 
nell'impressione  il  soggetto  inverte  anche  1  caratteri  alla  maniera  orientale  da 
destra  a  sinistra. 

ijUaU  ha  egli  scrino  alcuna  cosa  di  propria  mano.  Prezioso  mi  è  questo  rìescito,  poiché  serve 
mirahilmente  a  comprovare  chela  stampa  di  Parigi  pubblicata  dallo  Zani  non  è  verace,  né  può 
provenire  dalla  originale  Pace,  come  ho  dimostrato  nel  terzo  de  miei  ragionamenti  inediti. 
lislratto  (li  lettera  del  professore  di  lingua  ebraica  in  Parma  sig.  Pietro  Vitali,  scritto  al  cele- 
bre bibliotecario  sig.  Angelo  Pezzana.  Si  aggiunge  che  il  sig.  Vitali  acquistò  questo  disegno 
dall'erede  dello  Zani,  al  quale  (secondo  le  osservazioni  dello  stesso  Vitali)  prima  di  morire  era- 
no entrati  molti  dubbii  sulla  propria  scoperta. 


t.4 

Furono  alcuni  incautamente  d'  avviso  che  diverse  antiche  stampine,  perchè 
impresse  appunto  a  rovescio,  offrissero  prova  non  dubbia  d' essere  tratte  da  la- 
mine destinate  a  niellarsi,  induzione  che  può  fare  strada  all'errore,  se  non  viene 
accompagnata  da  cauto  esame  di  occhio  espertissimo ,  poiché  abbiamo  anche 
una  quantità  di  antiche  stampe,  le  quali  presentano  lo  stesso  difetto,  come  si 
vede  in  tutte  quelle  copie  che  diconsi  di  controparte^  essendo  ciò  provenuto  dal 
non  essere  ancora  abituati  gli  artisti  a  copiare  rovesciando  il  soggetto  in  uno 
specchio:  precauzione  di  cui  i  moderni  non  abbisognano  quasi  mai,  venendo 
addestrata  per  tempo  la  gioventù,  che  si  dedica  a  quest'  arte,  a  rovesciare  il  sog- 
getto fino  da' primi  lineamenti,  acciò  torni  al  suo  verso  riell'  imprimere  . 

Guai  però  a  chi,  sedendo  giudice  di  simili  preziosità,  non  pronunzia  col  ret- 
to senso  dell'  arte,  tutto  fidando  a  tradizioni  soltanto  o  a  notizie  qualche  volta 
fallaci .  Nelle  cose  dell'arte  l'impero  più  forte  non  fia  mai  quello  dell'opinione, 
mentre  le  sentenze  sono  quelle  appunto  che  capovolgono  ogni  cosa  e  spargono 
tenebre  nella  luce  . 

Al  Finiguerra  soltanto  non  limitò  quindi  mai  l' Italia  il  metodo  di  niellare  e 
tirare  le  prove  in  carta  o  in  zolfo  avanti  d'infondere  1" atramente  metallico  nei 
solchi,  mentre  altrove  e  in  Lombardia,  e  nei  paesi  veneti,  fu  ciò  eseguito;  e 
ricchissimi  lavori  vennero  così  ornati  per  sacri  arredi,  per  giojeUi,  per  stipi,  che 
ricoperti  e  intarsiati  di  Nielli,  lasciarono  alcune  poche  prove  in  carta  a  benefi- 
cio de'curiosi  e  degli  avidi  amatori  de' primi  tentativi  calcografici .  E  questi  ci- 
melii,  raccolti  per  la  piìi  parte  in  pochissimi  gabinetti,  hanno  offerto  argomento 
alla  formazione  di  molte  tavole  ed  elenchi  utilissimi  pubblicati  in  fine  dell'opera 
del  sig.  Duchesne  .  Alla  lodevolissima  intenzione  dell'autore  di  riunire  un  qua- 
dro il  più  completo  che  da  lui  si  potesse  di  questi  primi  tentativi,  non  corrispose 
peraltro  un  successo,  come  speravasi,  immancabile,  e  ciò  per  le  troppe  ommis- 
sioni,  che  da  noi  vorrebbersi  pure  iscusare  ove  non  venisse  da'  possessori  di  la- 
mine niellale  della  prima  importanza  e  preziosità,  o  di  rare  stampe,  mossa  una 
giusta  querela,  ed  ove  non  accadesse  che  pel  convincimento  di  troppi  abbagli 
e  preterizioni  non  si  avesse  a  spargere  una  funesta  dubitazione  sulle   altre   cose 

asserite  . 

E  del  nlellatori  singolarmente  parlando,  quando  vogliasi  lasciare  il  primato  al 
Finio-uerra,  che  esimio  e  classico  capo  scuola  da  noi  sarà  sempre  riconosciuto,  e  a 
Matteo  Dei,  di  cui  sono  più  lavori  a  Firenze,  siccome  abbiamo  ricordato,  e  ad 
Antonio  del  Pollajolo  valentissimo  disegnatore  ma  non  altrettanto  insigne  nel- 
rinta°-lio  a  bulino  (benché  fra  primi  che  il  tentassero  in  dimensioni  cospicue, 
sicché  le  sue  stampe  vanno  celebratissime  più  per  la  rarità  che  pel  gusto  dei 
tagli  )  questi  primi  luminari  sono  già  ben  noli  e  celebrati  dal  Lanzi  e  da  altri 
tre  Fiorentini,  che  in  solerzia  biografica  non  furono   adeguati  finora  dagli  altri 


ii5 
popoli  (Ull'Itaria:  ma  e  chi  sarà  <la  lanlo  per  riconoscere  a  chi  appartengano  poi 
anche  quei  tanti  antichi  Nielli,  che  o  avanti  il  Finigaerra ,  o  contemporanea- 
mente, Ofl  anche  dopo  per  oltre  nn  secolo  vennero  intagliati  ?  La  serie  di  questi 
autori,  ignorata  e  oscurissima,  offre  un  numero  considerabile  di  artisti,  che  il  trar- 
re dalle  tenebre  sarebbe  opera  di  lunghe  e  faticose  ricerche,  intorno  alle  quali 
gli  storici  ffnora  non  hanno  posto  gran  cura;  e  pareva  il  luogo  d'  onore  serbalo 
al  sig.  Duchcsne,  ma  sembra  eh'  egli  abbia  preferito  di  vagare  troppo  leggier- 
mente sul  campo  delle  conghietture,  siccome  fa  a  cagione  d'esempio,  per  tace- 
re di  altro,  là  dove  attribuisce  al  Pollaiolo  un  Niello,  che  rappresenta  il  marti- 
rio di  s.  Lorenzo,  che  il  Bandinelli  compose  e  Marc'  Antonio  Raimondi  intagliò 
in  rame,  soltanto  perchè  vi  legge  la  marca  P,  non  avendo  posto  mente  che  il  di- 
segno del  Bandinelli,  e  la  stampa  di  Marc'  Antonio  sono  posteriori  alla  morte 
del  Pollajolo,  il  quale  non  raggiunse  l'aureo  secolo,  e  morì  nel  14.98.  Poco  gli 
sarebbe  costato  attribuire  questo  lavoro  a  tutt'  altri,  se  non  anche  a  quel  Pel- 
legrino, di  cui  egli  con  molta  sagacltà  va  cercando  d'  interpretare  le  varie  sigle 
su  d'una  serie  numerosa  di  piccoli  Nielli  che  trovansi  in  tutte  le  collezioni  .  E 
quando  ancora  si  fosse  dal  sig.  Duchesne  ignorato  che  il  martirio  di  s.  Lorenzo 
fu  eseguito  e  pubblicato  dal  Raimondi  la  prima  volta  sotto  il  pontificato  di  Cle- 
mente Vn,  tanti  anni  dopo  la  morte  del  Pollajolo,  (  intorno  alla  quale  classica 
stampa  nacque  contesa  singolarissima  tra  l' intagliator  bolognese  e  il  (hsegnator 
fiorentino  dinanzi  al  papa  medesimo,  decisa  con  tanta  saviezza  ed  acume  dalla 
Santità  sua,  circostanze  narrate  nella  storia  dell'  arte  e  della  massima  notorietà) 
quand'anche  tutto  ciò  si  fosse  ignorato,  o  perduto  di  vista,  doveva  sapere  che 
il  Pollajolo  non  era  vago  di  servirsi  degli  altrui  disegni,  che  anzi  i  suoi  propri , 
tenuti  in  altissimo  pregio,  dava  ad  eseguire  ad  altri  come  esimio  disegnatore  e 
sommo  maestro  (')  . 

E  qui  non  conviene,  celebrando  ben  giustamente  il  merito  degli  orefici  fio- 
rentini, che  diedero  le  mosse  in  Toscana  ad  ogni  perfezionamento  nelle  arti,  pre- 
terire il  valore  di  cent'  altri  artefici,  che  da  ogni  altra  parte  d' Italia  moveano 
del  pari  spingendo  l'incremento  di  questi  studi  con  una  insistenza  e  nn  coraggio 
Straordinario  .  Se  non  bastano  a  far  fede  di  questo  le  poche  tradizioni,  che  at- 

(i)  Riportiamo  qai  un  passo  del  manoscritto  originale  del  Cellini ,  piuttosto  che  la  lezione  del 
«no  testo,  stampato  e  corretto  o  mutilato  dagli  editori:  Antonio  figlio  d' un  pollaiolo,  il  quale 
così  sempre  fu  chiamato:  questo  fu  orefice,  e  fu  sì  gran  disegnatore,  che  non  tanto  che  tutti 
gli  orefici  si  servirono  de' suoi  lellissimi  disegni,  i  quali  erano  di  tanta  eccellenza  che  ancora 
moiri  scultori  e  pittori,  io  dico  dei  migliori  di  quelle  arti,  si  servirono  de' suoi  disegni,  e  con 
quegli  e'  sifeciono  moltissimo  onore.  Quest' uomo  fece  poche  altre  cose,  ma  solo  disegnò  mi- 
ralilmenle,  e  a  quel  gran  disegno  sempre  attese. 


1.6 

traverso  l'incuria  dei  posteri   è  la  calìgme  dei  tempi  giunsero  fino  a  noi,  deb- 
bono togliere  ogni  dubbiezza  le  varietà  di  carattere  nei  disegui   di   queste   pri- 
me opere,  nelle  quali  1'  origine  delle  diverse   scuole  disvelasi,   e  le  non   diflicili 
iscrizioni  che  trovansl  sui  Nielli,  dinotanti  o  il  donatore  o  1"  autore ,  e  spesso  la 
nazione  presso  cui  furono  intagliale  ;  dalle  quali  cose  ciascuno  dedurrà   con  pie- 
na evidenza  che    gran  maestro   di   Nielli  era   certamente   Francesco  Francia 
orefice  e  pittore  bolognese,  a  cui  venne  fatta  eseguire  una  natività  inserita  in  una 
bellissima  Pace  niellata  per  ordine  di  Filippo  Stancano  bolognese,  come  trova- 
si inciso  sul  Niello  medesimo.  Conservasi  attualmente  nell'  accademia  di  Bolo- 
gna non  tanto   questo  come  altro  prezioso  Niello  dello  stesso  autore   rappre- 
sentante una  crocifissione,  ed  ha  le  arme  dei  Pepoli  e  dei  Bentivogli,  al  cui  ser- 
vigio il  Francia  operava  come  orefice,  pittore  e  conlatore  di  monete  bellissime 
e  rarissime.  E  leggansi  le  altre  inscrizioni  che  su  diversi  Nielli  si  trovano,  come 
in  quelli  ove  una  donna  rlvolgesl  ad  un  gatto,  ed  è  scritto:  va  in  la  caneya^  ed 
altri  ove  leggesi  Mantengave  Dio^  Bona  Fortuna^  chiaramente  dinotanti,   an- 
che per  chi  fosse  incerto  giudice  dello  siile  del  disegno,  la  loro  appartenenza  al- 
le scuole    venete  e  lombarde  ,  ed  altrettanto  da  queste  derivanti   come   le  pri- 
me carte  da  giuoco  Impresse  In  rame  ove  sta  scritto  :  Famcjo^   Cortesan^  Zin- 
tiloma^  Chavalier^  Hooce^  ec.  E  se  ciò  non  bastasse ,  possono  servire  di  traccia 
ad  Iscuoprlre  1  più  antichi  intagliatori,  tanto  per  le  opere  di  Niello  come  per  quel- 
le di  rame,  il  conoscersi  che  dal  Vasari,  dal  Lailzi  e  dagli  storici  di  ogni  età  non 
si  ricusa  questo  merito  al  Caradosso  e   a  Daniele  Arcioni  milanesi ,   a  Forzore 
Spinelli  aretino:  e  conghletturasl  da  alcuni  tentativi  di  stampe  oscure  che   per 
sino  Nlcoletto  da  Modena,  Gio.  Antonio  da  Brescia,  e  lo  stesso  Marc'  Antonio 
Raimondi  avessero  in  quel  delicato  artificio  fatti  1  loro  primi  tentativi.  Ma  il  più 
volte  qui  citato  Celllul  avrà  avuto  per  certo  raglonevol  motivo  di  celebrare  co- 
loro eh'  egli  nomina  con  particolare  affezione    e  con  molta  stima  come  1'  Ame- 
righi,  Michelangelo  da  Plnzidlmonte,  Salvatore   Guascontl,  ed  altri  parecchi, 
per  non  citare   que'  tanti   che  dall'  enciclopedia  metodica  dello  Zani  trasse  con 
molta  accuratezza  il  moderno  autore  francese  (i).  Anzi  èbello  qui  rilevare  l'imr 


(i). Menzione  assai  onorevole  meritò,  ed  ottenne  quel  Pellegrino  che  in  più  modi  segnò  i  suoi 
Nielli,  i  quali  in  numero  di  6i  gli  sono  dal  Duchesne  attribuiti;  ma  non  possiamo  con  evi- 
denza che  basti  ben  riconoscere  Come  la  lettera  C,  preceduta  spesso  dalle  altre  iniziali,  con 
cut  gli  piacque  contrassegnare  i  suoi  lavori  debba  farlo  ritenere  per  Cesenate,  poiché  potrebbe 
voler  significare  tanto  Cesenate,  come  Cenlese,  o  d' altra  qualunque  città  che  cominci  colla  terza 
lettera  dell'alfabeto.  Che  se  si  dovesse  anche  ciò  dedurre  dalla  verosimiglianza  delle  conghiet- 
ture,  sembra  che,  riconoscendosi  i  di  lui  lavori  posteriori  all'epoca  di  F.Francia,  s' avesse  quasi 
a  ritenerlo  per  uno  degli  orefici  suoi  scolari,  e  più  probabilmente  nativo  della  vicina  città  di 


"7 
parzialità  dello  slesso  Cclliiii  col  recare  alla  distesa  il  di  lui  testo  originale  quasi 

interamente  mutilato  dagli  editori,  e  si  renderà  da  noi  in  tal  modo  piena  giustizia 
al  merito  di  uno  de"  luminari  dell'arte  in  Germania,  il  quale  sembra  aver  attinte 
da<^r  Italiani  non  solo  le  sue  cognizioni,  ma  aver  rivaleggiato  per  sino  col  Fini- 
guerra.  Questi  è  Martino  Schongaver,  nato  circa  il  i44o,  morto  nel  1^99,  e  cLe 
sebbene  abbia  soggiornato  e  sia  morto  a  Colmar,  è  però  originario  e  nativo  di 
Augusta,  siccome  con  buoni  documenti  e  sana  critica  è  provato  dal  Bartsch. 
Questi  è  quel  celeberrimo  intagliatore  tedesco  che  ha  preceduto  il  Durerò  nel- 
r  arte,  e  ha  molto  avanzati  i  metodi  dell'  incisione  in  rame.  I  Francesi  lo  chiama- 
vano beau  Martin^  e  gl'Italiani  il  denominano  ancora,  in  Toscana  particolarmen- 
te ,  buon  Martino^  e  di  costui  cosi  riferisce  lo  storico,  ove  parla  degli  orefici 
e  niellatori  fiorentini .  «  Martino  fu  orefice  e  fu  oltramontano  di  quelle  città  lo- 
)>  deschc .  Questo  fu  un  gran  valent'  uomo  si  di  disegno  e  d' intaglio  di  quella 
»  lor  maniera,  e  perchè  già  e'  si  era  sparso  la  fama  per  il  mondo  di  quel  nostro 
»  Maso  Finiguerra,  che  tanto  mirabilmente  intagliava  di  Niello,  e  si  vede  di 
«  sua  mano  una  Pace  con  un  Crocefisso  dentrovi  insieme  con  i  due  ladroni,  e 
n  con  molti  ornamenti  di  cavagli  e  di  altre  cose,  fatta  sotto  il  disegno  di  Anto- 
»  nio  dal  PoUajolo  già  nominato  di  sopra,  ed  intagliata  e  niellata  di  mano  del 
n  detto  Maso  (questa  è  di  argento  nel  nostro  bel  s.  Gio.  di  Firenze)  (1)  .  Ora 
n  questo  valent' uomo  todesco,. nominato  Martino  virtuosamente,  e  con  gran  di- 
«  sciplina  si  mise  a  voler  fare  la  detta  arte  del  Niello,  e  fece  quest'  uomo  da  be- 

Cenlo,  meglio  interpretnnJo  l'allegala  inscrizione  DE  OPVS  PEREGRINI  CE^  posla  sollo 
una  piastra  niellata  rappresentante  la  risurrezione,  e    posseduta  dal  sig.  Voodborn  ;  oltre  di 
che  non  troTaudosi  mai  il  dittongo  dopo  il  C.  siccome  nelle  iscrizioni  latine  Tedesi  usato  nel- 
la parola  C^.SENA ,  cresce  maggiormente  l'argomento   in  favore  dell'  interpretazione  Ccn- 
tensis. 
(i)  È  fatale  il  dover  convincerci  spesse  volte  dello  smarrimento  di  tante  preziosità,  poiché  non  è 
da  dubitare  che  questa  Pace  citata  dal  Cellini  sommo   conoscitore,   appartenere  potesse  mai 
ad  altro  intagliatore  che  al  Finiguerra  :  ma  questa  più  non  si  trova ,  né  si  conosce  a  Firenze 
od  altrove;  poiché  forse  dispersa  nel  1627  quando   furono  consegnate  molte  argenterie  del 
s.  Giovanni  alla  repubblica  per  batter  moneta,  in  occasione  dell'assedio  di  Firenze,  come  ac- 
cennò il  Gori,  potrebbe  aver  corso  la  sorte  infelice  di  tanti  altri  preziosi  lavori  fusi  e  coniati .  Fa 
però  meraviglia  al  chiarissimo  cav.  Montalvo,  cui  da  noi  venne  comunicato  questo  passo  del 
Cellini,  che  dal  Con  il  quale  scailabellb  i  registri  di  spese  del  magistrato  dell'arte  di  Calimala, 
ove  trovò  gli  appunti  del  costo  delle  due  Paci  ancora  esistenti,  oltre  quella  notissima  di  Matteo 
Dei,  non  si  trovasse  notata  anche  quest'altra  Pace  della  crocifissione  del  Finiguerra,  non  es- 
sendo da  supporsi  che  per  non  esistere  più  a  suo   tempo  egli  non  avesse  a  farne  menzione 
particolare,  come  fece  di  tante  altre  preziosità  già  attinenti  a  quella  basilica  ch'egli  illustrava, 
e  che  più  non  erano  quand'egli  scrisse.  E  certo  che  questo  nionumenlo,  o  non  esiste,  o  tro- 
vasi nascosto  in  parte  remota,  e  indubitatamente  più  non  si  vede  a  Firenze. 


•ii8 
n  ne  molte  opere,  e  perchè  egli  benissimo  conosceva  di  non  poter  afriVàrle  a 
55  quella  bellezza  e  virtù  del  nostro  Finigiierra,  pure  come  persona  virtuosa  vol- 
)'  se  spendere  la  sua  virtù  in  qualche  cosa  che  fusse  utile  agli  altri  uomini.  Egli 
«  si  mise  a  intagliare  in  certe  piastre  di  rame,  e  in  quelle  cominciò  a  girare  il 
»  bulino  (che  cos'i  si  chiama  per  nome  quel  ferrollno  con  cui  s' intaglia)  di  mo- 
»  do  ch'egli  intagliò  dì  molte  belle  storiette  molto  ben  composte,  e  molto  bene 
»  e  virtuosamente  osservate  le  ombre  e  i  lumi;  e  secondo  quella  loro  maniera 
n  todesca  erano  bellissime  » .  Se  il  Bartsch  riferisce  che  Martino  era  in  relazio- 
ne, e  tanto  stimato  da  Pietro  Perugino,  sarebbe  stato  anche  assai  pago  di  po- 
ter citare  il  conto  che  se  ne  faceva  in  Toscana  dal  Cellini  stesso,  e  avrebbe  ag- 
giunto volontieri  questa  nuova  palma  al  suo  nazionale;  che  se  è  pur  sempre  bel- 
la cosa  r  essere  lodato  a  laudalo  viro^  bellissima  poi  diventa  lesserlo  da  uno 
straniero .      ' 

Per  quanto  però  sia  numerosa  la  serie  degli  elenchi  prodotti  dal  sig.  Du- 
chesne  per  dare  all'Europa  un  motivo  di  ammirazione  nella  quantità  di  questi 
primi  sperimenti  della  calcografia,  che  fra  lamine  e  stampe,  non  compresavi  un 
Appendice,  egli  fa  ascendere  sino  al  copioso  numero  di  4*8  articoli:  e  per  quan- 
to eo'li  suddivida  la  materia  per  ogni  verso,  presentando  venti  tabelle  ,  nondi- 
meno le  ommissioni  e  gli  abbagli  son  tali  e  sì  dimostrati,  che  il  lettore  rimane 
ingolfalo  in  una  folla  di  supposizioni  non  avverate,  e  di  incertezze  ,  che  a  scu- 
sarle non  basta  quell'indulgenza  benevola  che  meritano  gli  autori  di  tali  ri- 
cerche, imbarazzati  dalle  distanze  e  dalle  tradizioni,  che  rendono  o  impossibi- 
le o  difficile  r  ispezione  oculare  sugli  oggetti  de'  loro  studi  (i)  . 


(,)  ELENCO  DELLE  TABELLE. 

I.  Nielli  incisi  dal  Finiguerra. 

a.  dal  Pellegrini . 

3. da  dirersi  orefici  iolaglialori . 

4.  della  biblioteca  reale  di  Francia. 

5.    del  gabinetto  Durazzo  in  Genova. 

6.  del  gabinetto  Trivulzio  a  Milano. 

8.  del  gabinetto  Poniatowski  in  Polonia. 

g.  del  gabinetto  del  duca  di  Bnckingam  in  Ingliillerra , 

IO.   che  erano  nel  gabinetto  Sykes,  e  passarono  altrove. 

I  I.  della  collezione  del  sig.  WooJborn. 

la.  di  diversi  musei  e  gabinetti. 

i3.    tuttora  io  piastre  d'argento. 

14.  -^^—  in  argento,  e  stampali  in  carta. 
l5   in  zolfo  soltanto. 


'|9 
E  sarei  io  ben  iniliscrclo  se  facendosi  dal  sig:.  Diichesne  ciò  che  agli  stranle- 

ri  è  così  famigliare  (  vale  a  dire  lo  storpiare  senza  riguardo  i  nomi  dei  vivi  e 
dei  morti  )  volessi  qui  far  querela  per  aver  egli  sostituito  al  mio  nome  quello  di 
Leone,  o  cercassi  di  riconvenirlo,  perchè  dcgl'  intagli  veduti  da  Glo.  Antonio 
da  Brescia  egli  con  istrana  amalgamazione  voglia  farne  un  autor  solo  con  Gio. 
Andrea  Vavassore  detto  Vadagninl  da  Venezia,  e  togliere  in  tal  modo  un  au- 
tore «lai  mondo  (i),  o  volessi  andar  spigolando  le  piccole  inesattezze  che  isfug- 
gir  possono  ad  ogni  scrittore  per  quanta  diligenza  egli  ponga  nelle  sue  ricer- 
che (2)  ;  ma  non  saprei  perdonargli  che  abbia  sognata  una  collezione  Ponia- 
towski  in  Polonia,  mentre  tutto  ciò  eh'  egli  attribuisce  a  quella  appartiene ,  co- 
me ognun  sa,  alla  galleria  di  Firenze  ;  e  di  ciò  ebbi  anche  conferma  dalla  gen- 
tilezza dal  cav.  Ramirez  di  Montai vo,  che  quegli  oggetti  custodisce  gelosamente 
nella  reale  galleria .  Difatti  di  sei  lastre  niellate  che  possiede  la  galleria  di  Fi- 
renze, comprese  le  due  famose  Paci  di  s.  Giovanni,  il  Duchesne  non  le  ne 
assegna  che  tre  solamente,  e  descrive  le  altre  spacciandole  come  esistenti 
una  volta  nel  museo  Poniatowski  ;  ed  è  da  notarsi  che  tra  queste  ultime  è  la 
crocifissione  da  lui  descritta  sotto  il  numero  95,  che  è  la  Pace  incisa  e  niel- 
lata dal  Dei  nel  i4.55  per  s.  Giovanni,  della  quale  parla  il  Gori  nella  sua  ope- 
ra :  lìlonumeìita  sacrae  vetustatis  insignia.  Oltre  di  che,  tolti  dal  museo  po- 
lacco e  rivendicati  alla  galleria  fiorentina  i  tre  Nielli  del  numeri  5^,  g5,  gì 
non  restano  che  li  166  e  192,  che  in  sostanza  sono  li  medesimi  ripetuti  dall'au- 
tore senz' avvedersene  sotto  il  numero   i6j    nel  gabinetto  Sikes  :   cosicché   se 

16.  Nielli  ili  cui  esistono  sole  quattro  slampe. 

17. di  cui  ne  esistono  tre  solamente. 

18.  di  cui  esistono  sole  due  stampe. 

I  g. prima  d'essere  forati  dai  chiodi. 

ao.  descritti  da  Bartsch  sotto  la  categoria  di  stampe  degli  antichi  maestri  italiani. 

(i)  Questa  asserzione  trovasi  nell'opera  del  Duchesne  a  pag.  /(6  non  solo  contro  il  voto  du  sa- 
vant  et  eccellent  ahhè  Zani  (ch'egli  cosi  Io  denomina  anche  contraddicendogli),  ma  contro  una 
serie  non  tanto  di  opinioni  che  di  fatti,  la  quale  servirebbe  a  provare  il  contrario  con  tanta 
lacidezza  quanta  n'è  nella  faccia  del  sole. 

(a)  Fra  queste  inavvertenze  sfuggite  alcune  però  possono  condurre  in  errore  di  fatto  importante, 
siccome  quella  che  incontrasi  a  pag.  35  in  cui  dimenticando  le  precauzioni  suggerite  dal  Cel- 
lini  nella  preparazione  della  composizione  del  Niello,  là  dove  prescrive  il  doversi  romperlo 
con  grande  avvertenza,  acciò  non  vada  in  polvere,  e  le  granella  non  &\zuopiù  minute  del  mi- 
glio o  del  panico,  siccome  l'autor  francese  però  traduce  a  pag.  ia3  afin  que  les  grains  ne 
soient  pas  plus  grosse  du  millet  et  rien  de  plus  ni  de  moins,  si  dimentica  poi  tutto  questo, 
ed  esporrebbe  un  niellatore  a  ruinare  interamente  il  lavoro,  qualora  stendesse  (siccome  egli 
nel  luogo  indicato  prescrive)  la  composizione  sui  lavori  preparati  ridotta  in  polvere:  fors^u'c/- 
le  itoti  devenue  cassante,  cloit  cnsuite  pillée,  hrojée  et  tamisée  en  poudre  trèsjine. 


ognuno  si  riprende  il  suo,  sparisce  dall'opera  del  Duchesne  la  tabella  VIIT. 
Per  vero  dire  le  cose  di  Firenze  in  materia  d'  arti  non  sono  poi  tanto  oscure 
da  non  dover  piensimente  essere  conosciute  da  tutti  li  cultori  di  questi  stu- 
di .  Ben  più  scusabile  sarà  1'  autore  francese,  se  fidatosi  alle  relazioni  falla- 
ci dell'  incisore  e  mercante  signor  Vendramini,  asserì  falsamente  che  la  bella 
prora  di  un  Niello  del  Finiguerra  che  figura  1'  adorazione  de'  Magi,  la  quale  sta 
pur  anco  in  casa  Martelli,  sia  l'identica  da  lui  acquistata  in  Milano,  e  mostrata 
all'autore  in  Parigi  nel  i8z5:  epoca  appunto  in  cui  io  stava  ammirando  presso 
lo  stesso  ball  Martelli,  fra  le  sue  rare  e  preziose  stampe,  questa  prova  di  Niello 
singolarissima,  eh'  egli  gelosamente  conserva,  e  della  quale  non  è  per  certo  dis- 
posto menomamente  a  privarsi.  Per  le  quali  cose  oltre  il  debito  di  rettificare  l'er- 
rore, ne  viene  la  conseguenza  che  nella  tabella  XVI,  ove  si  registrano  1  Nielli 
conosciuti  per  quattro  [irove,  bisognerà  porre  questa  dell'  adorazione  dei  Ma^ 
che  sia  in  casa  Martelli  per  quinta,  egualmente  che  nella  tabella  XVIII  il  trion- 
fo di  Galatea,  indicato  da  due  sole  prove,  verrà  posto  a  tre,  giacche  da  noi  pure 
se  ne  possiede  un  magnifico  esemplare.  Dopo  queste  osservazioni  accidentali  su 
due  oggetti  che  ci  sono  caduti  sott'  occhio  può  temersi  che  siavi  altra  indicibile 
quantità  di  emende  da  fare  a  questo  lavoro  . 

Ma  ciò  di  che  abbiamo  maggiormente  meravigliato  si  è,  che  il  sig.  Duchesne^ 
avendo  ottenuto  di  poter  visitare  le  collezioni  dell'Inghilterra,  abbia  pienamente 
io-norato  che  il  duca  di  Hamilton  possiede  li  più  grandi  Nielli  e  preziosi  che 
possano  vedersi,  i  quali  cuoprivano  tutto  l'epistolario  di  Paolo  II,  e  sono  di 
mole  e  di  magnilicenza  straordinaria.  Fu  nel  i  ^98  che  manomessi  li  palaz- 
zi vaticani,  comprese  le  due  cappelle  Sistina  e  Paolina,  furono  venduti  tutti  gli 
arredi  preziosi  a'  rigattieri,  da'  quali  il  cardinale  Hertzan  ricomprò  molte  cose, 
e  specialmente  messali  miniati,  che  mandò  alla  sua  chiesa  in  Ungheria  ove  si 
trovano  al  presente,  e  meritare  potrebbero  i  viaggi  colà  di  qualche  dotto  illu- 
stratore .  I  due  volumi,  cioè  1'  evangeliario  e  1'  epistolario  di  papa  Paolo  II  furo- 
no in  quelle  masse  d'oggetti  venduti,  ma  per  essere  legati  in  lamine  d'argento 
con  cornici  massiccie  e borchionl  dorati,  venneio  disciolti  e  venduti  a  peso,  salve 
le  lamine  niellate  che  passarono  in  commercio .  I  Nielli  hamiltoniani  compone- 
vano tutta  la  superficie  del  messale  ,  inseriti  essendosi  agli  angoli  quattro  sog- 
getti per  parte  ,  e  due  più  grandi  stando  posti  nel  centro  delle  faccie  ,  cosicché 
possono  riguardarsi  come  dieci  composizioni,  delle  quali  non  è  agevole  rileva- 
re con  sicurezza  a  chi  degli  artisti,  però  contemporanei  al  pontefice,  debbansi 
attribuire  essendo  da  notarsi  che  gli  anni  del  pontificato  di  questo  papa  vene- 
ziano  collimavano  appunto  coir  epoca  migliore  de' niellatori,  immediata  al  Fini- 
guerra,  cioè  in  quel  momento  che  l' arte  poteva  dirsi  in  tutto  il  suo  fiore  .  Li 
so<T"-etti  tutti  sono  tratti  dalle  sacre  pagine,  e  relativi  al  carattere  del  libro  che 


121 

erano  destinali  a  fregiare,  bellissimo  essendo  fra  gli  altri,  e  non  comune  quello 
di  Daniele  nella  fossa  de'  Leoni,  soggetto  che  esige  molta  perizia  di  disegno 
trattandosi  di  argomento  poco  ripetuto  da'  primi  disegnatori  . 

Parassi  poi  bene  le  meraviglie  ogni  culto  viaggiatore,  se  oltre  il  silenzio  del 
si"-.  Duchesne  sui  Nielli  hainiltoniani ,  da  lui  siensi  sin  anche  ignorati  li  più 
grandi  e  più  ricchi  che  si  conservano  a  Venezia  nella  galleria  Manfrin.  Questi 
coprivano  l'cvangclario  dello -stesso  papa,  e  formano  lo  stupore  d'  ogni  amato- 
re di  simili  preziosità.  Noi  non  conosciamo  infatti  un  complesso  più  grandioso 
di  questo  in  tutta  la  storia  dell'arte,  poicht;  anche  tolte  dalla  rapacità  de'  viola- 
tori del  santuario  le  cornici  che  intersecavano  le  varie  parti  di  questo  lavoro  , 
la  pura  superlicie  niellata  da  ciascun  lato  non  è  minore  di  quattordici  oncie  di 
altezza  in  una  larghezza  di  poco  men  che  dicci  oncie  :  dimensioni  straordinarie 
per  quante  esser  possano  le  divisioni  di  tutta  la  superficie  in  compartimenti  per 
esser  niellata.  Agli  angoli  d'una  parte  sono  quattro  dottori  della  Chiesa,  e 
nel  mezzo  delle  quattro  fasce,  che  ricingono  il  centro  con  ricchissimi  ornati  di 
arabeschi  figurati,  e  con  putti  che  suonano  varii  istrumenti ,  veggon  i  ripetuti 
gli  stemmi  del  cardinale  Giovanni  Bai vo  vescovo  di  Albano,  che  nel  ii6^  ri- 
cevette il  cappello  da  Paolo  II,  benché  di  oscuri  natali ,  ma  che  pe'  suoi  talenti 
portato  al  grado  eminentissimo  avrà  in  tal  circostanza  gareggiato  co'  grandi  nel 
presentare  al  pontehce,  siccome  era  costume,  il  più  splendido  omaggio  che  per 
lui  si  potesse  ,  onde  la  magnificenza  del  tributo  servisse  a  squassare  dalle  sue 
spalle  la  polvere  abbietta  del  paterno  mulino  (i).  Nel  centro  della  facciata,  in 
un  gran  quadrato  posto  diagonalmente,  figura  il  battesimo  di  s.  Giovanni,  supe- 
riormente è  1  ultima  cena,  e  inferiormente  la  risurrezione  di  Lazzaro:  soggetti 
trattati  nella  larghezza  di  sei  onde  ,  cosicché  le  copiose  figure  non  mancano 
di  apparervl  in  bellissime  dimensioni  .  La  faccia  opposta  egualmente  compartita 
cogli  stemmi,  gli  arabeschi  ed  i  putti  che  suonano,  presenta  negli  angoli  li  quat- 
tro evangelisti ,  nel  centro  la  nascita  del  Redentore,  superiormente  lannuu- 
ziazione  e  i  profeti,  e  inferiormente  l' adorazione  del  re  . 

In  quell'epoca  insigne  in  cui  operavano  Sandro  Botticelli,  il  Ghirlandajo,  e 
Filippo  Lippl  col  di  lui  figlio,  li  quali  si  resero  insigni  per  ogni  sorta  di  minute 
composizioni,  celebrate  nella  storia  del  Lanzi  (  leggendosi  particolarmente  di 
quesVuhìrao  che  ritraeva  in  ogni  pittura  le  usanze  dell'antichità^  e  di  cui  il 
Cellini  vide  parecchi  libri  di  antichità  da  lui  disegnate ,  e  '1  Vasari  crede  fosse 


(i)  Joannes  Salve,  alias  Balves,  nalione  Gallus  Andegavensis  Albani  episcopus ,  et  legalus  in  Mar- 
ca obscuris  parenlibus ,  molitore  enim  seu  sarcinatore ,  seu  nerius  calceolaria  patte,  sed  ingerito 
clarus,  cardinalis  creatus  a  Paulo  II  Barbo  veneto  in  prima  crealione  a  D.  1467.  Ciaconio 
Tol.  II,  pag.  1107. 

16 


I  22 

uno  de" primi  ad  ornare  la  pittura  moderna  con  inserirvi  grotteschi,  trofei,  ar- 
mature, vasi ,  edilicii  );  in  quell'epoca  famosa,  e  in  tal  maniera  caratterizzata, 
avrebbero  potuto  esser  niellate  da  orefici  valentissimi,  che  pur  erano  tutti  con- 
temporanei, le  storie  descritte,  le  quali  offrono  ragionevoli  conghietture,  nel 
silenzio  di  fatti  più  positivi,  per  essere  attribuite  a  taluno  di  questi  maestri. 

E  se  le  principali  opere  di  questo  artificioso  e  difficile  lavoro  del  INielli  igno- 
ravansl  dal  nominato  moderno  illustratore  di  questa  parte  di  storia  dell'arte,  più 
circospetto  esser  poteva  nel  far  credere  a'  suoi  lettori  che  poco  o  nulla  rimane- 
va a  citarsi  in  tal  materia  ;  e  doveasi  piuttosto  da  lui  che  da  me  render  con- 
to d' una  bellissima  Pace  niellata  con  un  divolisslmo  Redentore  che  nei  "-ior- 
ni  solenni  offresi  nella  cattedrale  di  Modena  al  bacio  dei  principi,  eh'  è  in  bella 
dimensione  e  dietro  cui  sta  scritto  in  visibili  caratteri,  S.  Geminianl  de  3Iutina 
Jacob  Porta  Mut.fecit  )4^86.  Artefice  taciuto  non  solo  dal  Tirabosehi,  che  rac- 
colse le  notizie  degli  artisti  modonesi,  ma  dagli  storici  tutti  dell'arte.  Per  la  pri- 
ma volta  noi  la  presentiamo  alla  luce  ben  paghi  di  rendere  omaggio  alla  veri- 
tà(.). 

E  poteva  essersi  veduta  e  citata  la  sontuosa  Pace,  che  si  conservava  nell'insi- 
gne collegiata  di  santa  Maria  in  Vado  di  Ferrara,  non  che  le  molte  altre,  le  qua- 
li o  in  gelosa  custodia  vengono  serbate  nei  santuari!,  o  passarono  ad  arricchire 
li  collettori  di  simili  preziosità  .  E  non  erano  sì  scarse  le  notizie,  che  sarebbersi 
potute  procurare  dai  luoghi  di  difficile  accesso,  per  conoscere  la  copia  delle  ope- 
re che  rimangono  ad  illustrarsi,  per  quanto  s' abbiano  a  compiangere  le  molte 
che  rimasero  distrutte  . 

Ne  debbono  certamente  preterirsi  i  bellissimi  Nielli,  che  vcggonsl  in  Cremo- 
na presso  11  chiarissimo  conte  Ponzoni,  e  presso  quella  chiesa  capitolare:  ne 
puossi  passare  sotto  silenzio  ciò  che  nel  Frinii,  in  Udine,  in  Cividale,  in  'Venzo- 
ne  tiensi  con  molta  gelosia  custodito,  e  che  serve  mirabilmente  a  tracciare  la 
strada  per  cui  si  pervenne  a  questo  genere  di  lavori,  partendo  dalle  opere  di 
bulino  ricoperte  di  smalti,  e  gingnendo,  siccome  abbiamo  da  principio  notato, 
ai  più  solidi  risultati  del  Niello.  E  si  noteranno  di  simili  curiosità  nella  cattedra- 
le di  Padova,  nel  santuario  di  s.  Antonio  :  se  ac  troverìmno  in  Verona ,  in  Bre- 

(i)  Il  cronista  moJonese  LanolloUo  licoiJa  questo  artefice  con  Antonio  e  Filippo  Porlo  come 
bravo  orefice.  CreJesi  poi  che  questo  esser  possa  quel  Porlo  (letto  Glo.  Battista  Jal  Vedria- 
ni  {Notizie  de' fjtllori  modonesi  p3^.  45)  valentissimo  nell'arte  d'intagliare  a  bulino  appog- 
giandosi airaulorili  del  Lancilolto,  tanto  più  che  nella  cronaca  di  questi  non  riuscì  al  Tira- 
boschi  di  trovare  un  Gio.  Ballista  Porlo,  polendo  essere  che  il  Vedriani,  nien  esperto  di  lui 
nel  rilevare  antichi  caratteri  (  e  massime  i  perversi  come  quello  del  Lanciiotto  ),  abbia  tollo 
Giacomo  par  Gio.  Ballista.  Queste  notizie  ci  furono  comunicale  dall'avvedutezza  del  chiaris- 
simo conte  Mario  Valdrighi  zelante  indagatore  di  tutte  le  patrie  prezlosilù  in  merito  di  arte. 


123 

scia,  e  pressoché  dovunque  siano  salite  in  fama  di  splendore  anliclie  basiliche  o 
santuarii.  iNè  soltanto  ove  le  comunicazioni  siano  agevoli  o  praticate ,  ma  per  si- 
no divergendo  dalle  grandi  strade,  e  negli  alpestri  Abruzzi  internandosi,  e  visi- 
tando le  abbazie  e  gli  eremi  ove  la  pia  solerzia  de'cenobiti  ricovra  va  le  arti  dal 
centro  d  Italia.,  o  profughe  le  ospiziava  dopo  la  caduta  di  Costantinopoli.  Le 
quali  cose  sembrano  evidentemente  dnnoslrare  quanta  maggior  copia  di  questi 
lavori  siasi  fatta  piìi  che  non  credesi,  quanta  ancor  ne  rimanga,  e  quali  diligen- 
ze si  esigano  per  presentare  un  catalogo,  se  non  completo,  di  gran  lunga  più  este- 
so di  quello  che  è  slato  teste  pubblicato. 

E  chi  senza  inlinile  cure  e  indagini  potrà  render  conto  dei  molti  possessori 
di  queste  rarità,  se  nell'  opera  grandiosa  che  ci  vicn  posta  sott' occhio  troviamo 
ommesse  le  cose  principali  ?  Da  noi  percorrendosi  soltanto  le  note  de' Nielli  a 
stampa,  che  furono  posseduti  dal  sign.  Carlo  del  Maino  nel  i8o4,  e  dal  conte 
Marino  Pagani  di  Belluno  (i),  (per  non  deviare  in  piìi  lontani  paesi  ove  saranno 
per  certo  stati  e  forse  anche  sono  altri  raccoglitori  )  si  trovano  in  questi  due 
soli  elenchi  dodici  Nielli  non  conosciuti  ne  citati  dal  sig.  Duchesnc,  li  quali,  di- 
ligentemente riscontrati,  mancano  nelle  serie  da  lui  prodotte  ,  e  nel  giro  che 
avranno  fatto  s'  ignora  ove  possano  avere  stanza  in  questo  momento.  Potevano 
poi  bene  essere  citati  tanto  il  Maino  possessore  di  60  Nielli,  come  il  Pagani  di 
1 2  :  benché  le  collezioni  siano  disclolte,  che  la  loro  condizione  non  è  diversa  da 
quella  del  gabinetto  Sikes,  ne  della  collezione  Poniatowski  (che  doveva  piut- 
tosto intitolarsi  della  galleria  di  Firenze  ),  le  quali,  sebbene  più  non  esistenti, 
hanno  trovato  luogo  nelle  tabelle  da  noi  indicate  . 

Le  quali  cose  avvertite,  rimarrà  sempre  vivo  il  desiderio  di  veder  riformati 
gli  elenchi  citati,  e  la  compiacenza  di  vederli  accresciuti  di  gran  numero  di  ope- 
re msigni,  che  vi  meritavano  luogo;  e  sarà  più  evidente  il  convincimento  che, 
per  comporre  un  buon  libro,  non  v'  è  indagine  che  basti  per  asserire  di  aver 
esaurito  le  fonti  e  data  perfezione  al  lavoro  (2). 

(1)  Il  slg.  cav.  Gio.  de  Lazzara  ci  ha  conservate  le  noie  dei  Nielli  dei  citali  raccoglitori  eslesa 
colla  massima  diligenza,  e  da  noi  cogli  elenchi  del  Duchesne  confrontale. 

(2)  Vedasi  all'Appendice  D. 


APPENDICE      A. 


PROLOGO  DEL  PRIMO  LIBRO  DI  TEOFILO  MONACO 


Teofilo,  umile  prete,  servo  de' servi  di  Dio  indegno  del  nome  e  della  profes- 
sione di  monaco  augura  11  conseguimento  dell'  eterna  mercede  a  tutti  quelli  che 
mirano  a  tener  lontano  da  loro  l'ozio  della  mente,  e  il  divagamento  dell'  animo 
con  alcuna  utile  occupazione  della  mano,  e  con  qualche  dilettevole  meditazione 
delle  cose  nuove  . 

Abbiamo  letto  nel  principio  della  creazione  del  mondo  1'  uomo  essere  stato 
creato  ad  immagine  e  similitudine  di  Dio,  ed  animato  dal  soffio  dell'  eterno  Spi- 
rito, e  distinto  a  preferenza  d' ogni  altra  creatura  di  tanta  altezza  e  dignità,  che 
fattosi  capevole  di  ragione,  e  di  una  parte  della  prudenza ,  del  consiglio  e  del- 
l'ingegno di  Dio  meritasse  esser  messo  a  parte  del  libero  arbitrio,  onde  di  li- 
bertà dotato  niuna  cosa  dovesse  meglio  desiderare  che  la  volontà  del  suo  Crea- 
tore, e  niuna  cosa  dovesse  meglio  intendere  che  a  venerare,  e  temere  la  di  lui 
potenza . 

Abbiamo  letto  che  quest'  uomo  incannato  miseramente  dall'  invidia  del  de- 
monio, ancorché  per  colpa  della  sua  disobbedienza  perdesse  il  privilegio  d' es- 
sere immortale,  tuttavia  egli  potè  s\  fattamente  tramandare  a  tutta  la  genera- 
zione della  sua  posterità  il  pregio  della  scienza  e  dello  intelletto,  che  per  chiun- 
que vorrà  porvi  cura  e  desiderio  gli  verrà  fatto  aggiugnere  ad  ogni  vastità  di 
sapere  e  al  conseguimento  d'  ogni  arte  come  per  suo  ereditario  diritto .  L'  uma- 
na industria  proponendosi  questo  intendimento,  e  nelle  diverse  sue  operazioni 
correndo  dietro  ai  guadagni  e  ai  piaceri ,  finalmente  coli'  avanzare  degli  anni 
giunse  all'età  vaticinata  dalla  religione  cristiana;  ed  avvenne  che  quelle  cose 
che  la  divina  provvidenza  avea  create  a  lode  e  gloria  del  suo  nome  il  popolo 
inchinevole  a  Dio,  esse  convertiva  in  suo  ossequio  ed  onore  . 

Laonde  quello  che  il  sagace  provvedimento  de'nostri  maggiori  tramandò  fino 
all'  età  presente  non  abbia  a  vile  la  pia  devozione  de'  fedeli,  e  l'uomo  abbracci 
con  desiderio,  e  ponga  opera  in  acquistare  ciò  che  Dio  largheggiò  come  retag- 
gio all'umana  stirpe.  Del  quale  conseguimento  non  siavi  chi  si  vanti  quasi  di  cosa 
da  se  stesso,  e  non  d'altronde  ottenuta,  ma  se  ne  compiaccia  umilmente  nelSio-no- 
re,  da  cui  tutto  abbiamo,  e  senza  cui  nulla  è  :  e  non  solo  i  concessigli  beni  si 
guardi  dal  riporre  ne'  secreti  ricettacoli  dell'  invidia  o  del  cuore  tenace,  ma,  ri- 
mossa ogni  iattanza ,  li  distribuisca  con  animo  ilare  a  chi  semplicemente  li  ri- 
chieggia,  e  paventi  la  sentenza  evangelica  di  quel  trafficante  che  simulando  la 


125 

somma  guadagnata  ad  usura,  e  logliondosi  dal  riconsegnarla  al  suo  padrone, 
privalo  d'  ogni  benefizio,  per  giudizio  di  propria  bocca  pronunciato,  mcrilossi  la 
taccia  di  servo  malvagio.  Sentenza  che  io  (uomicciatolo  indegno,  e  presso  che 
senza  nome)  d' incorrere  paventando,  liberamente  offerisco  a  que'  tutti  che  umil- 
mente agognano  lo  imparare  quanto  a  me  gratuitamente  concede  la  degnazione 
divina^  che  è  larga  dispensatrice  con  tutti,  e  non  disprovvede  nessuno:  e  gli  fo 
avvisati  di  riconoscere  in  me  la  bontà,  e  la  larghezza  ammirare  di  Dio,  siccome 
ancora  li  esorto  ad  avere  per  fermo  eh'  eglino  pure,  operando,  lo  avranno  soc- 
correvole nel  lavoro.  Conciossiachè  come  iniquo  e  detestcvole  è  all'uomo  cer- 
care con  attentato  anibizioso,  e  con  rapina  usurpare  in  qualunque  guisa  ciò  che 
è  indebito  o  vietato,  cosi  del  pari  ad  ignavia  gli  viene  apposto  e  a  stoltezza 
r  abbandonare  mtentato,  od  avere  in  poco  conto  quanto  gli  è  per  diritto  dovu- 
to, e  da  Dio  Padre  dato  in  retaggio. 

Qualche  dunque  tu  sia,  carissimo  figlio,  cui  Dio  mise  nell'animo  d'investiga- 
re il  campo  delle  diverse  arti  latissimo,  ed  applicarvi  intendimento  e  diligenza 
per  raccorne  ciò  che  più  aggradi,  guardati  dall' avere  a  vile  tutte  le  prezio- 
se ed  utdi  cose,  come  se  quelle  spontaneamente  fuor  di  speranza  fossero  germo- 
glio di  terreno  domestico  :  che  sciocco  negoziante  si  è  quello  che  avendo  all'im- 
pensata trovato  un  tesoro,  scavando  la  terra,  non  diasi  cura  di  levarlo,  e  con- 
servarlosi.  Che  se  vili  arbusti  a  te  producessero  V  incenso,  la  mirra  e  i  balsa- 
mi eletti,  o  se  le  domestiche  fonti  non  che  V  olio,  il  latte  ti  corressero  e  il  mele, 
o  se  per  urtica  e  cardo,  e  tali  altre  gramigne  dell'orto  a  te  venisser  crescendo 
nardo,  cannella  e  aromi  d' ogni  specie,  forse  che  questi  spregiando  come  vili 
prodotti  domestici,  n"  andresti  tu  errando  per  terre  e  per  mari  a  far  procaccio 
degli  stranieri  inferiori  di  qualità  se  non  anco  più  \ili?  Ciò  sarebbe  certamente, 
anche  per  tuo  giudizio,  grande  stoltizia:  poiché  sebbene  sia  costume  il  riporre 
nel  miglior  sito,  e  serbare  con  gelosa  custodia  tutte  le  cose  preziose,  ed  acqui- 
state con  grandi  sudori  e  molto  denaro,  nondimeno  se  anche  per  avventura 
vengono  talvolta  possedute  senza  dispendio,  o  si  ravvisino  pari,  o  mio-Hori,  con 
non  dissìmile  cura,  ed  anzi  con  maggior  attenzione  si  custodiscono  . 

Imperciocché,  mio  dolcissimo  figlio,  il  quale  Iddio  per  questa  parte  reseinlc- 
ramcnte  beato,  onde  ti  vennero  gratuitamente  offerte  tali  cose,  che  parecchi 
attraverso  de' mari,  mettendo  a  sommo  repentaglio  la  vita,  e  dalla  necessità 
travagliati  di  patir  fame  e  gelo,  o  sfiniti  dal  perpetuo  servigio  prestato  ai  sapien- 
ti, non  mai  però  stanchi  della  bramosia  d  imparare,  si  procacciano  con  intollera- 
bile fatica,  rivolgi  gli  occhi  a  codesta  schcdiila  delle  diverse  arti,  e  rileir"-ila  con 
tenace  memoria,  ed  ;.niala  di  grande  amore  .  La  quale  se  vorrai  disaminare  con 
attenzione  vi  rinverrai  per  entro  quanto  ne' generi  e  nelle  misture  dei  diversi 
colori  possiede  la  Grecia,  quanto   dell'attività  degli  elettri,   o  della   varietà  del 


I  26 

Niello  conobbe  la  Russia.j  quanto  nelle  arti  del  cesellare,  del  fondere,  del  trafo- 
rare distino-ue  l'Arabia,  e  tutto  ciò  che  nella  diversità  de' vasellami,  o  nella  scul- 
tura  delle  gemme  e  degli  ossi  usa  intarsiare  d'  oro  l'Italia,  e  tutto  ciò  che  nella 
preziosa  varietà  delle  hnestre  ama  la  Francia,  non  che  tutto  ciò  che  de' sottili 
lavori  in  oro,  in  argento,  in  rame,  in  ferro,  in  legno  ed  in  pietra  apprezza  la  so- 
lerte Germania.  Le  quali  cose  quando  avrai  ripetute  fiate  riletto  ,  e  fitto  bea 
addentro  nella  tenace  memoria,  fa  che  quantunque  volta  abbia  tu  cavato  buon 
uso  dal  mio  travaglio  supplichi  per  me  la  misericordia  di  Dio  onnipossente,  che 
sa  bene  non  averle  io  scritte  o  per  amore  di  umana  laude,  o  per  cupidigia  di 
mortai  guiderdone,  ne  per  livore  d' invidia  aver  io  cosa  sottratta  che  sia  rara  e 
preziosa,  o  di  quella  riservatane  a  me  solo  cognizione,  ma  bensì  ad  incremento 
d'onore  e  gloria  del  suo  nome  esser  venuto  io  a  soccorso  delle  necessità  di  mol- 
ti, e  miralo  a'  loro  progressi . 


APPENDICE     B. 

TRATTATO   DELL'  OREFICERL\  DI  BENVENUTO   CELLINI 

CODICE  DELLA.  MARCIANA  XLIV.  CLASSE  IV. 
DelC  arte  del  Niello . 

E'  si  piglia  un  oncia  d'argento  finissimo,  e  due  oncie  di  rame  benissimo  pur- 
gato, e  tre  oncie  di  piombo  quanto  più  purgato  e  netto  che  sia  possibile  di  aver- 
lo, di  poi  si  piglia  un  coreggioletto  da  orefice  il  quale  sia  capace  a  struggervi  i 
detti  tre  metalli .  E  in  prima  piglieral  1'  argento  cioè  oncie  una,  e  il  rame  oncie 
due,  e  metteragli  in  detto  coreggiolo ,  e  il  coreggiolo  metterai  nel  fuoco  a  ven- 
to di  manticetti  da  orefice,  e  quando  l'  argento  e  il  rame  sarà  bene  strutto  e 
bene  mescolato,  mettivi  dentro  il  piombo,  e  subito  tiralo  indrcto ,  e  piglia  nn 
carboncino  colle  molle,  e  con  esso  mescola  benissimo  .  E  poiché  il  piombo  per 
sua  natura  fa  sempre  un  poco  di  stiuma,  levala  con  il  detto  carbone  il  più  che 
tu  puoi,  tanto  che  li  detti  tre  metalli  siano  bene  incorporati  e  ben  netti  ,  Di 
poi  farai  d'  avere  in  ordine  una  boccetta  di  terra,  tanto  grande  quanto  si  è  un 
di  tua  puo-nl  tenendogli  stretti,  e  la  detta  boccia  vuol  avere  la  bocca  stretta 
quanto  un  dito  che  vi  entri  dentro,  di  poi  empi  la  detta  boccia  insino  a  mezzo 
di  zolfo  benissimo  pesto,  ed  essendo  la  tua  materia  bene  strutta,  così  calda  la 
gitterai  nella  detta  boccia,  e  subito  la  turerai  con  un  poco  di  terra  fresca ,   te- 


nfindovi  sopra  la  mano  con  buon  pezzo  di  pannacelo  lino,  come  è  a  dire  nn  sac- 
caccio  vecchio:  e  in  menile  che  e' si  Iredda  dimenerai  conlinnamcnte  la  mano , 
tanto  che  sia  Irctldo  .  E  come  gli  è  freddo  cavalo  di  detta  boccia  rompendola , 
e  vedrai  che  per  virtù  di  quel  zolfo  gli  avrà  preso  il  suo  color  nero:  e  avvertisci 
che  il  zolfo  vuol  essere  del  più  nero  che  potrai  trovare,  e  la  boccia  potrai  prov- 
vedere da  rpielli  che  partiscono  l'oro  dall'  aricnto.  Di  poi  piglierai  il  tuo  Niello, 
il  quale  sarà  in  più  grani  (gli  è  bene  il  vero  che  quel  dimenare  con  la  mano  in 
mentre  che  gli  è  caUlo  nel  zolfo,  tutto  si  fa  perchè  egli  si  metta  insieme  il  più 
ch'egli  è  possibile)  e  come  e" sia  lo  piglierai,  mettendolo  di  nuovo  in  un  corog- 
ffioletlo  e  lo  farai  fondere  con  destro  fuoco  mettendovi  su  un  jrranellctto  di  bo- 
race,  c  così  lo  rifonderai  due  o  tre  volte,  e  ogni  volta  romperai  il  tuo  Niello, 
guardandogli  la  sua  grana  infino  a  tanto  che  tu  lo  vedrai  benissimo  serrato,  e 
allora  il  detto  Niello  avrà  le  sue  ragioni,  e  starà  bene  . 

Ora  conviene  che  io  t' insegni  il  modo  di  adoperarlo,  il  qual  modo  si  doman- 
da niellare,  siccome  si  è  ragionato  in  prima  dello  intagliare  o  in  argento  o  in 
oro,  perchè  in  altro  metallo  non  si  niella  .  Piglierassi  quel  lavoro  che  si  sarà  in- 
tagliato, e  perchè  volendo  che  il  niellato  venga  senza  bucolini,  e  unito  e  bello, 
bisogna  larlo  bollire  nell'  acqua  con  molta  cenere,  che  sia  nettissima ,  e  sia  ce- 
nere di  quercia  (la  qual  voce  si  chiama  per  arte  fare  una  cenerata):  di  poi  che 
la  tua  opera  sarà  stata  in  nel  calderone  a  l>ollire  per  lo  spazio  d'un  quarto  d  ora, 
e'  si  piglia  la  «letta  opera  intagliata,  e  si  mette  in  un  vaso  o  catinella  con  acqua 
freschissima  e  nettissima,  e  con  un  pajo  di  setoline  nette  strofina  benissimo  la 
tua  opera  acciò  che  quella  sia  netta  da  ogni  sorta  di  bruttura,  di  poi  vedrai  di 
accomodarla  in  su  una  cosa  di  ferro  lunga,  tanto  che  tu  la  possi  maneggiare  al 
fuoco,  la  quale  lunghezza  dee  essere  tre  palmi  incirca,  o  quel  più  o  manco  che 
ti  si  mostrerà  il  bisogno,  secondo  la  qualità  della  tua  opera,  ma  avvertirai  che  il 
ferro  dove  tu  la  leghi  non  sia  ne  troppo  grosso,  né  sottile:  vuol  essere  di  sorte 
che  quando  ti  metterai  per  niellare  la  tua  opera  al  fuoco,  bisogna  che  il  caldo 
sia  eguale,  perchè  se  gli  scaldassi  prima  o  1'  opera  o  il  ferro  tu  non  faresti  cosa 
buona,  imperò  avvertirai  a  tal  cosa  bene.  Di  poi  piglierai  il  detto  Niello,  e  por- 
tato in  suir  ancudine,  o  in  su  il  porfido,  tenendolo  in  una  gorbia  o  cannone  di 
rame,  perchè  quando  tu  pesti  quello  non  schizzi  via.  Avvertirai  che  il  detto  sia 
pesto,  e  non  macinato,  e  vorria  essere  pesto  molto  eguale .  E  farai  eh'  ei  sia 
grosso  come  granella  di  miglio,  o  di  panico,  e  non  manco  niente .  Di  poi  metti  il 
detto  Niello  pesto  in  certi  vasetti,  o  ciottoline  invetriate,  e  con  aequa  fresca  e 
netta  lo  laverai  molto  bene  acciò  e'  sia  pulito,  e  netto  da  polvere,  e  da  ogni  al- 
tro imbratto,  che  Ini  avesse  acquistato  nel  pestarlo .  Fatto  questo  piglia  una  pa- 
Uttina  di  ottone  o  di  rame,  e  distendilo  .sopra  quella  opera,  che  tu  avrai  inta- 


12b 

gliata,  e  farai  eli' e'  vi  sia  sopra  delta  opera  alto  quanto  e  nna  costa  di  un  col- 
tellctto  da  tavola.  Di  poi  vi  gratterai  sopra  un  poco  di  borace  ben  pesta:  avver- 
lisci  che  la  non  fosse  troppa:  di  poi  metterai  certe  legiietle  sopra  ad  alcuni  po- 
chi carboncini.^  le  quali  siano  fatte  accendere  dal  vento  del  tuo  mantice  alla  fab- 
brica ;  e  latto  questo  accosta  piano  piano  la  tua  opera  al  detto  fuoco  di  legne  , 
e  comincia  a  dargli  il  caldo  destramente ,  tanto  che  tu  vedrai  a  cominciare  a 
struirsere  il  Niello .  Avvertiscl  che  come  il  Niello  si  cominci  era  a  struffeere  , 
abbi  avvertenza  a  non  gli  dare  tanto  caldo  che  la  tua  opera  s'infuocasse  tanto 
che  la  si  facesse  rossa,  perchè  facendosi  troppo  calda  la  viene  a  perdere  la  sua 
forza  naturale,  e  diviene  molle  in  modo  che  il  Niello  (  che  ha  la  maggior  parte 
di  piombo).^  quel  piombo  comincia  a  divorare  la  tua  opera,  la  quale  sarà  fatta 
di  argento,  o  s'i  veramente  d'oro,  e  per  questa  via  tu  perderesti  le  tue  fatiche  : 
imperò  abbi  ben  cura  a  questo,  perchè  questo  importa  quasi  quanto  lo  averla 
bene  intagliata . 

Ora  torniamo  un  poco  indietro ,  e  poi  seguiteremo  inslno  al  fine .  Io  ti  dico 
che  quando  avrai  la  tua  opera  sopra  le  fiamme,  e  che  tu  vedrai  cominciare  a 
disfarsi  il  detto  Niello,  farai  d'avere  un  filo  di  ferro  un  poco  grossetto  ,  e  farai 
che  il  detto  sia  sticciato  dalla  testa  dinanzi,  la  qual  testa  tu  terrai  nel  fuoco , 
e  quando  il  detto  Niello  comincierà  a  volersi  struggere  piglia  subito  il  tuo  (ilo 
di  ferro  caldo,  e  strofinalo  sopra  il  detto  Niello,  perchè  essendo  f  uno  e  l'altro 
caldo  tu  te  ne  farai  come  se  e'  fosse  una  strutta,  e  in  quel  modo  avvertirai  a  di- 
stenderlo bene  acciò  ch'egli  eutri  a  riempire  benissimo  il  tuo  intaglio.  Di  poi 
che  la  tua  opera  sarà  fredda,  comincierai  con  una  lima  gentile  a  limare  il  Niel- 
lo, e  come  avrai  limato  una  certa  quantità ,  la  quale  non  sia  tanta  però  che  tu 
scuopra  il  tuo  intaglio,  ma  farai  d'  esservi  presso  allo  scuoprirsi ,  piglia  la  tua 
opera,  e  mettila  in  su  le  cinigie,  o  si  veramente  in  su  un  poco  di  brace  accesa, 
e  come  la  detta  opera  sarà  calda ,  allora  pigberai  un  brunitojo  di  ferro,  cioè 
d'acciajo  temperato,  e  con  un  poco  d'  olio  brunirai  il  tuo  Niello,  aggravando 
tanto  la  mano  quanto  comporta  la  opera,  usando  quella  discrezione,  che  ti  si 
appresenta  secondo  la  occasione  .  Questo  brunire  si  fa  solamente  per  riturare 
certe  spugniuzze  che  alcune  volte  vengono  nel  niellare,  e  il  brunire  nel  modo 
detto  le  rlserra  benissimo  a  chi  avrà  la  pazienza  con  un  poco  di  pratica  .  Di  poi 
piglia  il  tuo  rasojo,  e  finisci  di  scuoprire  il  tuo  intaglio  :  di  poi  piglia  tripolo  e 
carbone  pesto,  e  con  una  canna  fatta  piana  dal  midollo  con  dell'  acqua  tanto  stro- 
finerai la  tua  opera  che  tu  la  farai  unita  e  bella  . 

Discretissimo  lettore,  non  ti  meravigliare  se  io  mi  sono  allungato  troppo  con 
Io  scrivere  :  sappi  che  io  non  ho  detto  alla  metà  di  quel  che  importa  a  quest'  ar- 
te, che  veramente  vuole  tutto  un  uomo,  il  quale   non  intraprenda  di  voler  fare 


129 

altra  arte  che  questa  detta  .  Io  in  nella  mia  giovinezza  di  quindici  insino  a  di- 
ciotto anni  lavorai  molto  di  questa  arte  del  Niello,  e  la  feci  sempre  con  i  miei 
disegni,  ed  erano  molto  lodate  le  mie  opere . 


APPEIVDIGEG. 

CODICE    DI    TEOFILO    MONACO 

LIB.   III.   CAP.   XXVII. 

Del  Niello . 

Prendi  argento  puro,  e  dividilo  in  due  parti  di  peso  eguale,  aggiugni  una  ter- 
za parte  di  rame  puro,  le  quali  tre  parti  unirai  in  un  crogiuolo.  Peserai  indi  tan- 
ta quantità  di  piombo  che  equivalga  alla  metà  del  rame  che  hai  unito  all'argen- 
to :  e  presa  una  porzione  di  zolfo  croceo  lo  ridurrai  in  parti  minute ,  avendo  in 
altro  vasetto  di  rame  il  piombo  e  una  metà  di  questo  zolfo;  il  cui  residuo  porrai 
in  altro  vasc  .  Quando  sarà  liquefatto  il  rame  e  1'  argento  li  mescolerai  con  un 
cannello  di  carbone,  e  subito  vi  rifonderai  il  piombo  e  il  zolfo  che  erano  nel 
vasetto  di  rame,  e  seguirai  a  mescolare  fortemente,  e  prontamente  verserai  tut- 
ta la  mistura  nell'  altro  vase  ove  ponesti  il  residuo  zolfo,  e  appena  deposto  il  pri- 
mo crogiuolo,  prendi  il  secondo  ove  trovasi  tutta  la  fusione ,  e  ponilo  al  fuoco 
acciò  sia  bene  liquefatto,  e  di  nuovo  mescola  il  tutto  :  poi  cola  la  composizione 
nel  ferro  infusorio  percuotendolo  alquanto  prima  che  si  raffreddi,  indi  riscahlalo, 
e  ripercuotilo  di  nuovo,  e  cosi  proseguirai  finché  tutta  la  sostanza  si  franga,  poi- 
ché la  natura  del  Niello  è  tale  che  se  si  percuote  freddo,  subito  si  decompone  , 
si  rompe,  si  contrae,  ne  debbesi  tanto  riscaldare  finche  si  arroventi,  poiché  su- 
bito si  fonde,  e  cola  in  cenere  .  Triturato  poi  il  Niello  lo  porrai  in  un  vasetto 
profondo  e  grosso,  e  sovrapponendovi  acqua  lo  romperai  con  un  pistello  finche 
sia  ridotto'  minuto,  e  porrai  il  più  fino  in  una  penna  d' oca  otturandola,  conti- 
nuando a  frangere  il  più  grosso,  finché  sia  atto  ad  esser  posto  esso  pure  in  altra 
penna  . 

CAP.  xxvin. 

Dell'  applicare  il  Niello , 

Riempiute  cos'i  diverse  penne  di  Niello,  prendi  un  granello  di  borace  ,   e  ma- 
cinalo con  acqua  finché  divenga  torbida,  e  bagna  con  questa  la  laniinella  che 


i3o 

bramì  niellare  scuotendovi  poi  sopra  la  penna  col  Niello,  di  modo  che  tutta  ri- 
manga diligentemente  coperta:  indi  accendi  molti  carboni,  e  su  questi  posto  il 
lavoro  cuopri  con  avvertenza  di  modo  che  sopra  del  Niello  non  possa  cadere  al- 
cun carbone,  e  quando  è  fuso  farai  colare  per  ogni  dove  la  materia  inclinando  il 
piano,  stando  avvertito  che  il  Niello  non  cada  interra,  e  se  col  primo  calore 
non  fosse  in  ogni  parte  riempito,  bagnalo  di  nuovo  colla  detta  acqua ,  rimettilo 
al  fuoco,  e  fa  che  non  siavi  ulterior  bisogno  di  ripetere  questa  operazione  . 

GAP.  XXXI. 

Delt applicare  il  Niello. 

Quando  applicherai  il  Niello  fondendolo  sulla  piastra  d'argento  arroventerai 
nn  ferro  quadrangolare,  lungo  e  sottile  prendendolo  con  la  tenaglia,  tenendo 
ben  fermo  con  un'  altra  il  Niello,  e  col  ferro  rovente  stropicciavi  sopra  in  tut- 
ti 1  luoghi  che  vuoi  bene  annerire,  acciò  tutti  li  solchi  siano  ben  pieni  :  e  tolto 
dcd  fuoco  con  una  lima  eguale  appiana  dolcemente  11  Niello  finche  si  traveda 
r  argento  in  modo  che  appena  possano  1  solchi  cominciare  a  scorgersi,  e  col  fer- 
ro raschiatore  togli,  ed  eguaglia  le  asperità  della  lima,  e  ciò  che  rimane  indore- 
rà, la  quale  indoratura  farai  come  segue . 

GAP.  XL. 

Della  pulitura  del  Niello  . 

Dopo  che  avrai  però  raschiate  col  ferro  diligentemente  tutte  le  parti  che  so- 
no niellate,  avrai  della  pietra  nera  e  tenera  cosi  che  lievamente  possa  incider- 
si, e  raschiarsi  coli' ugna  colla  quale  stropiccierai  il  Niello  bagnato  di  saliva, 
spianandolo  diligentemente,  ed  egualmente  finche  tutti  1  lineamenti  veggansl 
interamente,  e  sia  eguagliato  da  ogni  parte.  Avrai  ancora  una  stecca  di  tiglio  gros- 
sa, e  lunga  come  il  pollice,  secca,  e  tagliata  in  piano,  sulla  quale  porrai  quella 
polvere  umida  procedente  dallo  stropicciamento  della  pietra  colla  saliva,  e  con 
questa  assiduamente  strofinerai  il  Niello  con  dolcezza,  aggiugnendo  sempre  sa- 
liva per  tenerlo  inumidito,  finche  sia  lucido  per  tutto  ;  indi  piglia  un  po' della 
cera  che  formasi  nell'  orecchio,  e  dopo  aver  ben  deterso  il  Niello  con  un  pan- 
nolino, ungilo  con  questa  cera,  e  con  pelle  di  cervo  stropiccialo  finche  diven- 
ga per  tutto  splendente . 


]3i 

APPENDICE     D. 

Int  orno  a  molte  principali  opere  di  Niello  non  cit  ale  dal  Duchesne . 

Immenso  h  il  numero  de'  Nielli  preziosi  dei  quali  è  conosciuta  1'  esistenza  in 
più  luoghi,  dopo  aver  anche  indicati  li  principali  esistenti  in  Venezia  e  in  Iseo- 
zia,  li  quali  slavano  una  volta  (come  ognuno  sa  )  nel  tesoro  delle  cappelle  pon- 
tificie .  E  belHssimo  è  il  Niello  nel  diametro  di  tre  pollici  al  centro  d'una  patena, 
che  si  vede  fra  i  sacri  arredi  della  confraternita  di  s.  Rocco  in  Venezia,  ov  e 
figurata  la  capanna  colla  nascita  del  Redentore,  la  Vergine,  s.  Giuseppe,  gli 
animali  del  presepio,  e  diversi  pastori,  con  una  gloria  d' angioletti  ;  e  similmen- 
te messo  di  Nielli  è  il  calice  cui  serve  la  patena  indicata^  ornato  il  piede  da  otto 
piccole  figurine  elegantissime,  e  sono  li  quattro  evangelisti,  li  ss.  Pietro  e  1  ao- 
lo,  s.  Prosdocimo  e  s.  Giuseppe .  • 

Nella  sacristia  della  cattedrale  di  Padova  trovansi  inscrizioni  e  lammette  di 
Niello  inserite  nel  piede  de'  reliquiari,  calici  e  croci .  Ma  segnatamente  distia- 
guonsi  due  Nielli,  che  formano  li  coperchi  d'una  navicella  da  incenso,  che  vetk- 
slnel  santuario  di  s.  Antonio,  segnata  num.  2^^  ove  nell'uno  sono  raffigurati 
due  martiri,  o  nell'  altro  un  Redentore  in  mezzo  a  due  angeli  di  bello  e  gentil 
lavoro . 

In  Verona  a  sant'  Anastasia  sul  piede  d'  un  ricco  calice  dorato  trovansi  tre 
elegantissimi  Nielli,  ma  della  pih  remota  antichità,  un  s.  Michele,  un  s.  Giorgio, 
e  un  simbolo  eucaristico  . 

In  Brescia  sono  troppo  conosciuti  li  quattro  stemmi  niellati  posti  nel  celebra- 
tlssimo  dittico  qulriuiauo,  stemmi  appartenenti  alla  famiglia  Balbo  da  cui  ven- 
ne il  dittico  acquistato  dal  cardinale  Quirini.  E  nel  duomo  della  stessa  città  tre 
se  ne  veggono  nel  reliquiario  della  santa  spina,  ed  altrettanti  di  bellissimo  la- 
voro in  una  pisside,  che  figurano  una  3Iadonna ,  un  Redentore  e  un  simbolo 
eucaristico .  Egualmente  che  in  s.  Faustino  ma^^iore  si  ammirano  tre  Nielli  in- 
fissi  ad  una  croce,  che  rappresentano  tre  santi,  tutti  però  in  piccole  dimensioni. 
E  non  solo  nella  città  capo  luogo  di  questa  industriosa  provincia,  ma  si  trovano 
alcune  di  simili  curiosità  anche  in  diverse  chiese  del  contado . 

Nel  Friuli  si  custodiscono  preziosità  distinte  in  questa  materia ,  e  segnata- 
mente nella  cattedrale  di  Udine  trovasi  un  giojello,  che  appartenne  a  saula  Eli- 
sabetta regina  d'  Ungheria,  donato  da  Carlo  IV  imperatore  alla  chiesa  quando 
visitò  il  di  lui  fratello  patriarca  nel  1 368,  ove  in  un'  iscrizione  sono  alternati  ca- 
ratteri e  rossi,  e  neri  con  Niello  così  variotinto  su  d'una  laminetta  d'  argento,  li 
che  vedremo  rinnovarsi,  e  ne  terremo  parola  al  fine  di  questa  Aj)pendice  . 

A  Gividale  del  Friuli  trovasi  il  busto  d'  argento,  che  contiene  il  capo  di  san 


l32  ,      ■ 

Donato,  ordinato  dal  capitolo  li  5  maggio  i3^{.  ed  eseguilo  da  maestro  Dona- 
dino  qu.  Brimorio,  orefice  di  Cividale,  lavoro  tutto  arricchito  di  copiosi  Nielli , 
e  smalti  con  ligure  di  santi .  E  veggonsi  ivi  anche  altre  suppellettili  sacre  ,  con 
piedi  e  superficie  niellate,  giojellate,  smaltate,  poiché  in  quella  collegiata  di  san- 
ta Maria  si  conserva  una  serie  di  vetustissimi  e  preziosi  monumenti  non  tanto 
del  medio  evo,  che  dei  bassi  tempi  romani,  e  longobardi,  e  bizantini,  cose  tutte 
non  solamente  illustrate   dai  due  celebratissimi  prelati  della  Torre,   come   dal 

Gori,  dal  Bianchini,  dal  Bonarroti,  dal  Rubeis,  dal  Coletti,  e  da  quant'  altri 
esaminarono  le  antichità  sacre  e  profane  .  Monumenti  tutti  che  nuovo,  e  interes- 
santissimo esame  meritar  potrebbero  adesso  anche  dal  lato  delle  meccaniche 
loro  artiliciose .  Molti  di  questi  lavori  attestano  li  primi  passi  nell'  arte,  essendo 
intagli  puri,  altri  sono  riempiti  di  smalti  colorati  trasparenti  ed  opachi  ,  altri 
messi  a  Niello,  e  tutti  osservabili  per  la  loro  alta  antichità.  Altrettanto  può  dir- 
si di  parecchie  antichità  di  quei  contorni,  come  della  celebre  croce  di  Venzone, 
che  meriterebbe  per  se  sola  una  eruditissima  illustrazione  . 

Ne  solamente  la  Pace  che  abbiamo  citata  in  Modena  merita  ricordarsi ,  ma 
molte  altre  attentamente  indagando  se  ne  trovano,  ed  una  non  meno  insigne  of- 
frir potrei  ali  ispezione  degli  amatori  di  queste  antichità,  che  fra  diversi  miei 
Nielli  io  conservo  composta  di  quattro  parti .  La  prima  e  principale  consiste  in 
un  soggetto  ove  figura  la  nascita  del  Redentore  con  animali,  pastori  ec.  nell'al- 
tezza di  tre  pollici,  e  larghezza  di  due  e  quattro  linee  :  nella  lunetta  supcriore 
sta  un  Redentore  sostenuto  da  due  Angeli,  e  lateralmente  sono  due  pilastrini 
con  gentili  arabeschi . 

Ma  in  questo  luogo  accade,  fra  molte  cose  che  di  tal  genere  preziose  ^i  con- 
servavano pochi  anni  sono,  il  citare  le  notizie  raccolte  dal  solertissimo  primice- 
rio capitolare  della  cattedrale  di  Cremona  nionsig.  Antonio  Dragoni,  uomo  pie- 
no di  vera  dottrina  e  patrio  amore,  col  quale  hannosi  a  compiangere  le  immense 
bellezze  in  ogni  modo  di  oreficeria  barbaramente  gettate  nel  crogiuolo  quando 
accaddero  le  fatali  ultime  invasioni  di  queste  contrade.  La  notizia  di  queste  ope- 
re, sebben  perdute  in  gran  parte,  oltre  lo  spargere  molta  luce  sulla  ricchezza  di 
cui  rigurgitava  1" Italia,  serve  anche  a  far  conoscere  li  nomi  di  parecchi  orefici, 
e  11  meccanismo  di  alcune  pratiche,  e  le  denominazioni  loro,  quando  propriamen- 
te, e  quando  con  tro|ipo  inesattezza  citate  dai  cronisti . 

Trovansi  da  prima  citate  due  Paci  .  Tabula  una  de  argento  superdorato  , 
quae  appeìlatur  oscnlatoriwn  in  cujus  orlo  sunl  X  gemme  pretiose^  et  in  me- 
dio nomen  D."'   J.  Xpli  niellatum . 

Item  aliud  osculatorium  in  quo  est  Passio  D.  IV.  J.  Xti  sculpta  figuris  ro- 

tondis  in  argento:  in  basi  sunt  incise  littere  T.  F.  et  in  chemasia  sacrum  Xci 

nomen  eodem  opere  niellato  . 


i33 
Item  unum  demonslratorium  ile  argento  superdorato  cum  statuls  et  figuris 
ornalum  lapidibus  pretiosis  cum  cristalìo^  et  in  basi  signum  crucis .,  et  nomea 
D.  J.  Xpti  opere  Niellato  cum  littcris  T.  F. 

Di  curioso  interesse  divenne  il  far  ricerca  della  spiegazione  di  queste  iniziali 
che  indicavano  un  niellatore  orefice  designato  col  proprio  nome,  e  con  iniziali 
conformi  a  quelle  del  primo  maestro  Toscano.  Difalti  trovossi  che  il  card.  Pie- 
tro Camporr  donò  al  capitolo  di  Cremona  Aliud  dcmonstratorium  ex  aranui 
deaurato  informam  templi  baptismatis  nostri  cum  octo  turribus  in  angulis  prò 
dcmonstrando  maxilla  b.  Barnabe  opus  vetustissimum  qui  ab  beato  Facio  Au- 
rifice  (  e  qui  abbiamo  un  santo  orefice  con  opere  di  sua  mano  riconosciute)  la- 
boratum  creditur  prò  demonstranda  maxilla  b.  Barnabe  ap.  ecclesie  nostre 
fondatoris^  cum  medulla  in  medio  pomi  posterius  elaborata  per  magistrum 
Tlìomam  Fodrium  artificem  expertissimum  qui  multa^  et  pulcra  opera  fecit  ope- 
re pulcherimo  niellato  ut  hec  medulla  que  demonstrat  effigiem  s.  Barnabe  ap. 
cum  bacalo  et  libro  in  manibus  habente  (  sic  )  et  inscriptio  s.  Bar.'  ap.  eccle- 
sie Cremonensis  i."  episcopus .  Hoc  in  una  parte  cum  litteris  T.  F.  In  alia  au- 
tem  parte  medulle  que  est  sculpta  cesello.,  et  monstrat  imaginem  epis.'  sine  no- 
mine   sunt  scripta  verba  hec   in  eadem  medulla  argentea  opus    Tho- 

me  Fodri  anno  i465.  Ej'usdem  artificis  sunt  ornamenta  ex  argento  .  Si  cono- 
sce da  ciò  come  questo  prezioso  monumento  aveva  appartenuto  forse  fino  a  quel 
momento  alla  persona  del  vescovo  od  altra  ragguardevole,  e  divenne  nel  iGzj 
per  dono  del  cardinale  Campora  proprietà  capitolare  .  Tommaso  Fodri  intanto 
lavorava  contemporaneo  a  Tommaso  Finiguerra ,  e  qualora  la  solerzia  di  qual- 
che cultore  de' nostri  studi  mirasse  a  dare  una  storia  dell' oreficeria,  potrebbe 
da  queste  cronache  preziose  trarre  le  plìi  belle  noti;!le,  e  far  conoscere  come 
non  ad  un  solo  centro,  ma  in  tutta  l' Italia  contemporaneamente  era  splendore 
di  arti,  e  d'ingegnosi  e  finissimi  lavori  . 

Insigni  in  questo  capitolo  cremonese  erano  le  croci  così  descritte:  Crux  ar- 
gentea siipcrdorata  cum  quatuor  brachiis.,  arma  seu  insignia  canonice  Cremo- 
nensis cum  duodecim  gemmis^  et  cristallis  durissimis^  et  in  una  parte  nomeii 
S.  M:  et  in  altera  exaltatio  ejusdem  D."  M.'  N:  opere  sibilato. 

Item  alia  crux  de  quatuor  brachiis  quae  appellatur  patriarcalis^  et  quepor- 
tatur  ante  canonicos  ex  argento  superdorata  laborata  per  medium  opere  co- 
lorato nigro.,  et  turchino.  Ed  ecco  quei  lavori  che  in  precedenza  dei  Nielli,  e 
contemporaneamente  erano  com|)osti  di  smalti  cerulei  probabilmente  alternan- 
do, ed  mtcrsecando  i  lavori  d'  un  modo  con  quelli  d'un  altro,  siccome  si  è  nota- 
to nel  corso  di  questa  memoria  .  E  1'  exaltatio  (  che  vuol  dire  1  assunzione  della 
Vergme  )  ci  fa  conoscere  un  Niello  prezioso  di  molte  figure,  e  quanto  più  prezio- 
so tanto  è  più  da  compiangersene  la  perdita . 


i34 

In  un  elenco  di  libri  ad  uso  della  psalmodia  compilato  fino  dal  i265  dal  cano- 
nico Oddo  de  Sommi,  trovasi  fatta  menzione  di  un  lavoro  con  questa  precisio- 
ne .  ^liud  magnum  ariti phonarium  dmnum  pariter  notatum inclusum 

duobus  Integumentis  de  argento  et  auro  cum  figuris  insculptls  domini  Serva- 
toris  in  prima^  et  D.'  N.'  Marie  in  altera^  et  cum  eoram  nominibus  coloratisi 
et  ornamentis  opere  lineato  laboratis .  Opus  Faciiveronensis .  A.nclie  qui  chia- 
ro appariscono  due  cose,  l' una  i  lavori  a  bulino  ricoperti  di  smalto,  siccome  ab- 
biamo più  volte  indicati,  e  1'  età  all' incirca  di  questo  santo  orefice  veronese,  del 
quale  fra  i  molti  lavori  che  possedeva  il  capitolo  non  si  conserva  più  che  una 
croce,  la  quale  anticamente  portavasi  per  antesignano  nelle  processioni  solenni, 
lavorata  dal  detto  santo  nell'anno  1262  pesante  iBg  onde.  Escono  verso  il  pie- 
de di  questa  due  braccia  a  foggia  di  cornucopia,  sull'  uno  de'  quali  è  la  statua 
della  Vergine,  sull'altro  quella  di  s.  Giovanni  posti  laterali  alla  croce  come  sul 
Calvario .  Il  Cristo  è  pur  esso  assai  bene  lavorato .  Alle  quattro  estremità  della 
croce  sono  quattro  busti  di  alto  rilievo  de' ss.  Pietro  e  Paolo,  s.  Imerio  vescovo  e 
protettore  principale  di  Cremona,  e  s.  Eusebio  cremonese  abate,  discepolo  e  suc- 
cessore di  s.  Girolamo  nel  suo  monastero  di  Betelemme .  Nella  parte  posteriore 
nel  luogo  di  Cristo  evvila  statua  intera  della  Vergine  atteggiata  come  l'assunta, 
ed  altri  quattro  busti  s.  Omobono  protettore  principale,  s.  Marcellino  e  Pietro 
protettori  e  s.  Girolamo  dottore .  E  leggesi  nel  necrologico  cremonese  in  data 
18  gennaro  laii  in  giorno  di  lunedi  un'  interessante  memoria  relativa  a  questo 
fraler  Facius  auri  et  argenti  optimus  fabbricator  natione  veronensis^  che  viag- 
giò in  sua  vita  per  18  volte  peregrinando  a  s.  Giacomo  di  Galizia.  Ma  fra'  sin- 
golari lavori  d'  oreficeria  di  questa  cattedrale  bellissima  è  la  croce  che  tuttor  si 
conserva  lavorata  dal  1^70  al  1478  da  Ambrogio  Pozzi  e  da  Agostino  Sacchi 
orefici  milanesi,  come  da  lutti  li  registri  si  vede.  Ricca  di  fogliami,  tempietti, 
statue  neir  altezza  di  un  piede  ciascuna,  essa  presenta  nel  suo  totale  un  altezza 
di  oltre  cinque  braccia  ,  Sta  scritto  sulla  stessa  croce  Ambrosius  de  Puteo^  et 
Au^ustinus  de  Sacchis  ambo  mediolanenses  i^tS  hanc  crucem  fecerunt . 

Nel  tiiq.  Dominus  Galeatius  de  Ponzano  presentavit  ad  altare  S.M.  Ma- 
joris  calicem  de  argento  deaurato  ponderis  ondar,  xxr.  opus  Innocentii Bron- 
zetti aurificis  cremonensis.  In  pomo  ejusdem  calicis  sunt  quatuor  figure  seu 
busta  ss."  Homoboni^  Himerii^  Marcellinì^  et  Petri;  et  in  pede  est  dormitio 
B.  M.  T).'  N.'  opere  novissimo  videlicet  inniellato . 

14.80.  D.'""  Albertus  de  Ala  canonicus  donavit  segretario  nostro  prò  missis 
canonicorum  tria  parva  luminaria  palmata  ex  argento  elaborata  per  manum 
Innocentii  Bronzetti  supradicti.,  et  in  extremitate  palme  est  scutum  capitali  eo- 
dem  opere  inniellato  cum  coloribus  rubro  super  albo  seu  crux  alba  duplex 
super  rubro . 


i5oo.  D.""'  Andreasius  de  Cavaìcabobus  can.""  donavit  unum  calicem  de 
argento  deaurato  cum  certis  figuris  in  pede  coloratis  opus  Petri  de  Campo 
(padre  del  famoso  pittore  Bernardino  Campo  )  aurificis  exìmit. 

1 54-5.  Altobellus  de  Cambis  donavit  unum  pulchrum  demonstratorium  scu 
tabernaculum  in  quo  est  caput  b.  Himerii  de  argento  super  dorato  cum  smal- 
this  quatuor  in  pede.  Et  hoc  opus  fece  runt  face  re  de  sua  pecunia  etc. 

i55o.  Magnifcus  D.""'  Jo.  Petrus  Mattarus  donavit  unum  pulchrum  par- 
vum  Crucifixum  de  argento  deaurato  altare  s.  Marine.^  opus  Hieronimi  de 
Prato  etc.  elahoratum  est  cum  smaltho.,  et  Niello  . 

i564.  f^enerabilis  vir  Nicolaus  Sfrondatus  epis.  (che  fu  poi  papa  Grego- 
rio XIV  )  donavit  capitalo  nostro  unam  pulchram  crucem  patriarcalem  de  ar- 
gento superdorato  .  Opus  perfectissimum  Francisci  de  Prato  aurificis  eccimis 
sculptoris^  et  pictoris . 

ì  Sgg.  Cesar  Specianus  episc.  cremon.  donavit  sacristie  nostre  unum  pul- 
chrum calicem  prò  missis  canonicalibus  pontificatisi,  cum  figuris  insculptis  in 
pede  seu  basi.,  et  angeli  cum  libro  cum  septem  sigilUs  portantes  calicem ,  que 
sigilla  sunt  niellata  cum  littcris  hebraicis  . 

i6»5.  Petrus  Campora  card.  S.  R.  E.  et  epis.  noster  nobis  dono  dedit  unum 
pulchrum  tabernaculum  seu  ostensorium  ex  argento  deaurato  cum  figuris  ro- 
tundis  unciarum  L  elahoratum  per  Franciscum  Manarium  aurificem  capituli 
nostri .  Figure  representant  etc.  Questo  Manai'a  buon  cesellatore,  e  bravo  in 
far  di  Niello  fioriva  verso  li  iGi^. 

Ma  il  giojello  più  prezioso  che  esisteva  in  questo  sacrario  era  il  messale  do- 
nato al  capitolo  da  Gregorio  XIV,  fatto  lavorare  a  Roma  al  momento  che  as- 
sunse il  pontificato,  e  spedito  a  Cremona  verso  la  metà  del  i5gi.  Questo  era 
ricchissimamente  ornato  d'oro  e  d'argento,  e  nelle  due  esterne  faccle  erano  due 
Nielli  preziosissimi,  i  quali  potrebbero  essere  stati  anche  opere  d'un' epoca  ante- 
riore, e  forse  contemporanea  ai  Nielli  degli  evangeliarii  di  Paolo  II,  di  cui  abbia- 
mo parlato,  qui  collocati  ad  ornamento  di  più  ricco  e  più  moderno  lavoro . 
L'uno  rappresentava  l'assunzione  della  Vergine  al  cielo,  e  gli  apostoli  che  mi- 
ravano il  sepolcro  vuoto.  L'altro  esprimeva  la  lapidazione  di  s.  Stefano,  perchè 
il  vescovato  di  Cremona  ha  il  doppio  titolo  di  S.  M.  Assunta  e  di  s.  Stefano . 
Anche  r  arme  del  papa  da  una  parte,  e  quella  del  capitolo  dall'  altra  erano  mc- 
raviffliosamente  lavorate  . 

Nel  qual  sacrario  la  copia  dei  lavori  niellati  non  era  minore  di  quelli  lavorati 
ih  smalto,  de'  quali  pure  si  custodiva  esatto  registro,  e  senza  confondere  le  pre- 
rogative degli  uni  con  quelle  degli  altri .  Se  non  che  la  voce  niellare  vedevasi 
adoperata  indistintamente  anche  per  li  riempimenti  dei  solchi  con  una  sostanza 
rossa  non  però  di  smalto,  come  provano  alcune  antiche  iscrizioni,  tanto  in  que- 


i36 

sii  Nielli  di  Cremona,  clie  in  quelli  del  Friuli,  e  di  parecchie  altre  sacrestie  ;  dal 
che  si  deduce  bensì  che  non  si  confondeva  la  denominazione  dello  smallare  col 
niellare,  ma  egualmente  però  si  scorge  che  il  niellare.^  escludendo  lo  smalto,  non 
voleva  significare  soltanto  il  negro  come  avrebbe  dovuto  per  la  derivazione  del- 
la voce  nigellus^  ma  si  adoperava  anche  per  altre  sostanze  colorate,  al  modo 
che  dicesi  per  una  specie  di  convenzione,  e  impropriamente  d'un  casaWo ferrato 
tT  argento . 

In  Cremona  però  non  dobbiamo  preterire  di  ricordare  li  Nielli  che  tiene  in 
serbo  gelosamente  il  colto  e  gentil  cav.  march.  Giuseppe  Ala  Ponzone  ;  e  pri- 
mieramente li  due  medaglioni  legati  in  uno,  che  presenta  per  conseguenza  due 
faccle  di  sedici  linee  di  diametro .  Questo  gentil  lavoro  oCfre  da  un  lato  l' adora- 
zione dei  Re,  e  dall'altro  lo  sposalizio  di  santa  Caterina,  con  a  piedi  le  effigie 
forse  de' donatori,  e  in  alto  in  un  cartello  Ai'e  Regina  Coeli .  Lavori  elegantis- 
simi, copiosi  di  figure,  e  rimarcabili  pel  gusto  del  disegno .  In  secondo  luogo  un 
piccolo  Ecce  Homo  in  un  diametro  di  otto  linee  ;  e  finalmente  un  medaglione  o 
per  dir  meglio  un  rosone  ornamentale  per  essere  attaccato  a  qualche  parte  di 
abbigliamento,  o  di  mobiliare,  come  lo  provano  i  fori  praticati  in  tutto  il  giro , 
il  quale  presenta  nella  sua  svariata  superficie  trqjlo  lavoro,  cioè  di  finissimo  mo- 
saico, di  smalto  e  di  niello,  avente  nel  centro  una  cifra  o  geroglifico  orientale  . 
Monumento  dei  più  singolari  nei  quali  io  mi  sia  avvenuto  . 

Che  se  allrettante  cure  si  desse  un  solerte  indagatore  per  raccogliere  da  tut- 
te le  città  d'Italia  i  materiali  d'un' opera  riguardanti  li  Nielli,  o  le  antiche  orefi- 
cerie, troverebbe  forse  un  campo  ubertosissimo  per  ricerche  e  nozioni  della  più 
grande  importanza,  e  avrebbe  modo  di  convmcersi  quanto  siamo  lontani  dall'  a- 
vere  finora  esaurite  queste  curiose  e  interessanti  investigazioni. 


SOPRA  IL  PASSO  DELL'  ENEIDA 

Orabunt  causas  melius 

OSSERVAZIONI 

DELL' AB.  ANTONIO  DOTT.  MENEGHELLI 
PROF.  DI  DIRITTO  MERCANTILE  NELL'  I.  R.  UNIVERSITÀ  DI  PADOVA 

MEMBRO    ONORARIO. 


Jl'  gli  ^  pur  tempo ,  o  signori ,  eh'  io  vi  palesi  col  fatto  starmi  profondamente 
scolpita  noli'  animo  questa  vostra  società  ragguardevole,  e  che  il  mio  troppo 
lungo  silenzio  muove  soltanto  da  quelle  cagioni,  che  sovente  al  più  fermo  vole- 
re si  oppongono .  Nel  darvi  però  questo  pegno  qualsiasi  della  mia  estimazione 
non  vi  aspettate  eh'  io  cominci  dalle  consuete  proteste ,  o  della  tenuità  del  mio 
ingegno  ,  o  della  scelta  dell'argomento,  non  di  molto  attemprato  alla  gravità  e 
all'importanza  di  quelli,  di  cui  solete  far  tema.  Quand'  anche  fossero  ingenue  , 
voi  per  lo  meno  le  avreste  in  conto  d' inutili ,  che  alla  qualità  del  subbietto  ,  e 
al  modo  con  cui  viene  trattato,  non  all'intinta  o  intempestiva  modestia  del- 
l' autore,  mira  chi  legge,  o  chi  ascolta.  Ben  dirò,  senza  mancare  al  vero  e  al 
pudore  ,  che  la  brevità  cui  mi  studiai  di  provvedere ,  conta  un  qualche  diritto 
alla  vostra  indulgenza:  che  ne  dovete,  a  mia  fé,  saper  grado  a  un  dicitor  dis- 
adatto o v'abbia  l'inatteso  talento  di  farvi  ber  poche  stille  di  quella  noja,  che 
pur  troppo  suol  regalare  in  buon  dato . 

Voi  avrete  presente  quel  passo,  in  cui  Virgilio  nel  sesto  dell'  Eneida,  dopo  di 
aver  affibbiate  al  padre  Ancliise  le  parti  di  vaticinatorc  della  futura  grandezza  dì 
Roma ,  e  di  aver  noverati  sino  a  Fabio  gli  eroi ,  che  tanto  doveano  operare  col 
senno  e  con  la  mano  a  prò  della  lor  patria,  getta  un  rapido  sguardo  sopra  le  altre 
nazioni,  e  accordando  ad  esse  il  talento  d'imprimere  vita  ai  marmi  ed  ai  bron- 
zi ,  di  trionfare  degli  animi  meno  arrendevoli  col  prestigio  della  eloquenza  ,  dì 
mi.<!urare  i  campi  azzurri  del  cielo,  e  additar  le  vie  dalle  rotanti    sfere  segnate, 

dice  che    ai  soli  Romani  stava  serbata  la  gloria  di  siffnoregeiare  tutte  le  genti, 
lo 


.38 

(li  dettar  imperiosi  la  pace,  magnanimi  perdonando  al  vinti,  inesorabili  stermi- 
nando i  superbi. 

«  Excudent  ali!  spirantia  mollius  aera  ; 

"  Credo  eqnidem;  vivos  ducent  de  marmore  vultus; 

»  Orabunt  causas  melius,  coelique  meatus 

"  Descrlbent  radio,  et  surgentia  sidera  dicent . 

"  Tu  regere  imperlo  populos.  Romane,  memento; 

"  Hae  tibi  erunt  artes:  pacisque  imponere  morem, 

"  Parcere  subjectis ,  et  debellare  superbos  . 

A  questo  quadro  degno  di  un  tanto  pittore ,  arride  in  gran  parte  quel  vero, 
che  non  fallisce  ai  poeti  avvedutamente  presaghi  del  passato  non  dell'avvenire  ; 
ne  v'  ha  dubbio  che  i  Romani,  solo  intesi  a  maneggiare  1'  aratro  al  di  dentro, 
la  spada  al  di  fuori,  per  lunga  pezza  furon  stranieri  alle  arti  tutte  del  bello  e  alle 
scienze,  come  gli  è  certo,  che  anche  dopo  invasa  la  Sicilia,  distrutta  Cartagine, 
soo-o-iosata  la  Grecia,  a  tale  non  giunsero  da  contare  nelle  arti  imitatrici  un  Fi- 
dia,  un  Apelle,  nelle  descrittive,  che  alla  metrica  eloquenza  appartengono,  un  Pin- 
daro, un  Omero,  e  nelle  scienze  esatte  e  razionali  un  di  que'taati  che  onorarono 
il  suolo  dell  x\ttica  e  il  retrno  del  Tolommei.  Ne  altrimenti  andava  la  cosa  in 
que'  giorni ,  in  cui  11  nostro  poeta  cantava  le  dogliose  vicende  di  Enea  .  Vi  avea 
molta  dovizia  di  tele  e  di  marmi  presi  d^i  popoli  soggiogati,  ma  non  e'  era  un 
pennello,  uno  scarpello  emulatore  di  que'  prodiga  .  Cicerone  è  il  primo  che  fa- 
cesse tenere  alla  filosofia  della  Grecia  il  linguaff^io  del  Lazio,  e  a  buon  diritto 
gloriandosi  della  difficoltà  superata,  ingenuo  confessa  di  aver  sostenute  le  parti 
di  semplice  spositore  delle  dottrine  di  quelle  scuole  .  Cesare  per  la  riforma  del 
calendario  ricorse  all'  opera  di  Sosigene,  che  non  era  certo  romano  ;  e  vi  avea 
pur  anco  sulle  pareti  del  tempio  sacro  a  Quirino  un  quadrante  solare,  che  un  di 
segnava  le  ore  in  Catanea.  È  vero  che  la  poesia  avea  spiegati,  o  cominciava  a 
spiegare  meno  ignobili  vanni:  ma  è  vero  d'altronde,  che  i  più  tra" poeti  dei  giorni 
d'Auo-usto,  disperando  di  tentare  un  nuovo  cammino,  seguirono  l'orme  de' Gre- 
ci, reputandosi  di  assai  avventurati  qualor  venia  loro  di  parer  nuovi,  non  già  nel- 
le idee  ma  nella  maniera  di  atteggiarle ,  di  colorirle;  di  disputare  la  palma  ai 
loro  maestri,  non  col  fecondo  talento  che  crea,  ma  con  la  lima  paziente  che  ag- 
gentilisce, e  dà  l'ultima  politura  agli  altrui  concepimenti.  Virgilio,  quel  Virgi- 
lio stesso  di  cui  parliamo,  ne  fa  pienissima  prova  .  I  suoi  versi  e'  incantano  ;  tut- 
to abbella  ed  infiora ,  tutto  è  verità  e  proporzione,  ma  la  materia  assai  di  fre- 
quente è  presa  d'  altrove  ;  e  certo  non  è  lieve  la  distanza  che  corre  fra  il  modi- 
ficare e  il  creare  :  questo  sa  del  divino,  quello  non  è  al  di  sopra  dell'uomo .  Lo 


che  ci  mostra  come  l'autor  dell'  Eneicla  in  tutti  gì'  indicati  argomenti  desse  a 
ragione  la  preferenza  alle  altre  nazioni,  se  là  pure  dove  i  Romani  più  avean 
palesato  d'ingegno  e  di  attitudine,  si  mostravano  allievi  de"  Greci. 

Ma  ciò  che  al  vero  non  mi  sembra  di  molto  conforme  gli  è,  che  anche  nel  ma- 
gistero della  parola  agli  altri  popoli  si  accordi  il  primato  :  orabunt  causas  melius^ 
quando  i  rostri  di  Roma  risuonaroiio  della  magniloquenza  degli  Ortensii,  degli 
Anlonil,  dei  Crassi,  e  sopra  tutti  dei  Tullli.  Curiosità  mi  sospinse  a  indagar  la 
cagione  di  questa  preminenza,  o  falsa,  o  per  lo  meno  non  assentita  da  tutti,   e 
prima  di  chiederne  ragione  a  me  stesso,  interrogai  que'  non  pochi  commentato- 
ri, che  tentaron  di  spargere  la  luce  desiderata  sopra  molti  passi  di   quel  divino 
poema,  e  soventemente  non  ci  dieder  che  tenebre  .  Trovai  nella  corrente  il  più 
scrupoloso  silenzio,  solilo  partito  di  chiosare  sino  alla  noja  i  tratti  intesi  da  tutti, 
e  di  preterire  quelli  che  più  abbisognano  di  schiarimento  ;  ne  mi  parve  che  co- 
gliesser  nel  segno  quei  pochi,  che  qualche  motto  fecero  in  sul  proposito.  L'Hej- 
ne,  lasciando  le  cose  come  stanno,  dice  che  :    G-raeci  praestabant  eloquentia^ 
et  quidem  forensi ^  lo  che  in  fatto  vale  quanto  il  passo  virgiliano  :  orabunt  cau- 
sas melius .  L'  Emmeness  dà  in  una  ridevole  cicalata  per  farci  sapere,  che  pen- 
de pur  anco  la  lite  intorno  alla  maggioranza  di  Demostene  e  di  Cicerone,  quan- 
do Virgilio  dà  per  decisa  la  controversia ,   e  non  vuole  che  gli   oratori   romani 
s'  abbian  la  palma  .  IVihil  detrahendum  literatae   Graeciac .  Habuit  tamen  Ro- 
ma in  eloquentia  viros^  quos  Graeciae  opponere  potuit  ;  verbis   utar  qnae  de 
Aesopo  dixit  Phaedrus  (  lib.  a.  fab.  io).  Occupavit  Demosthenes  ne  primus 
foret  Cicero^  qui  tamen  studuit  ne  solus  esset  Demosthenes  eloquentiae  prin- 
ceps .  Il  de  la  Cerda  poi  è  di  avviso  che  il  Cantore  del  ÌMincio,  sempre  inteso  a 
farla  da  cortigiano  con  Ottavio  prode  nelt'  armi,  abbia  voluto  negare  ai  Romani 
ogni  pregio  in  tutto  ciò  che  tiene  alle  arti  pacifiche,  per  magnihcarli  in  quel  va- 
lore che  li  rese  signori  del  mondo  noto  (i).   Ut  verum  est^  gratiam  principum 
valere  plurimum  apud   subditos  !  Certe  Maro  scripsit  suo  lenocinans  prin- 
cipi Augusto^  qui  artibus  militaribus  praestitit^  quis  illi  ut  daret  unice  ,  non 
dubitavit  artes  alias  Romanis  adicuere.    Ma  prode   nell' armi  non  erasi   inve- 
ro mostrato  ii  nipote  di  Cesare,   e  ben  lo  seppero   i  campi  di  Filippi ,  la    bat- 
taglia navale  contro  il  figlio  di  Pompeo,  e  quella  di  A.zio,  dove  o  pugnò  col  brac- 
cio altrui,  o  torse  pallido  il  guardo  dalle  schierate  legioni.  E  quanto  ai  versi.:  Tu 
regere  imperio  populos^  Romane^  memento  etc.  sol  pe'  Romani  lusinghieri  e'  mi 
sembrano,  giacche  assai  prima  di  Ottavio  Roma  era  giunta  all'apice  della  gran- 


(i)  I  talenti  militari  del  uuuTO  paJrooe  Ji  Roma. 


"io 


tlezza,  ne  per  I'  opre  di  quel  fortunato  usurpatore,  ma  pei  brancll   de  suoi   citta- 
dini era  per  cos'i  dire  l'arbitra  di  tutta  la  terra  (i) . 

Qual  è  dunque  la  ragione,  che  indusse  Virgilio  a  non  accordare  ai  Romani 
neppur  nell'  arte  del  dire  alcun  titolo  di  maggioranza,  se  le  poste  a  campo 
da' suoi  commentatori  non  possono  trovare  una  lieta  accoglienza?  Io  mi  ci'Cilo, 
che  un'intima  persuasione  di  un  deciso  primato  de' Greci  anche  nella  eloquenza 
l'abbia  indotto  a  far  tlire  al  padre  Anchise  in  aria  di  vaticinio  :  orabunt  causas 
meliìis .  Piacciavi  di  risalir  col  pensiero  all'epoca,  in  cui  qucU'  illustre  poeta  an- 
dava creando  l'Eneida  .  Tutto  ciò  che  sapeva  di  greco  era  prezioso  agli  occhi 
de'Romani .  Molti  obbliavano  la  lingua  patria  per  consacrarsi  a  quella  dei  Pe- 
rieli, e  niuno  credea  di  poter  salire  in  qualche  celebrità,  se  dalle  greche  fonti 
non  attingesse  il  sapere .  Frutto  di  tanto  fervore  per  le  lettere  greche  fu  la 
smania  di  grecizzare,  smania  a  cui  non  seppe  resistere  lo  stesso  Tullio,  che  gio- 
vanetto compose  parecchie  declamazioni  in  greco  (2),  adulto  scrisse  i  fasti  del 
suo  consolato  (3  ,  e  da  cui  potè  a  stento  guardarsi  il  Venosino  che  verseggiar 
volea  in  greco  (4).  I  meno  casti  non  conobbcr  misure,  e  ben  presto  vi  ebbero 
quattro  storici,  quali  un  L.  LucuUo  (5),  un  Aulo  Albino  (6),  un  Q.  Fabio  (^)  , 
un  Lucio  Cincio  Alimento  (8),  che  in  quella  lingua  narrarono  le  gesta  gloriose  di 
Roma  .  E  a  tanto  giunse  la  cosa,  che  sotto  l' impero  di  Nerone  occupò  il  posto 
della  latina,  divenendo  l'idioma  dell'urbanità,  dell'ameno  conversare,  del- 
le grazie  e  della  dissolutezza,  come  raccogliamo  da  Giovenale  (g)  .  Ma  ritor- 
nando ai  giorni  di  Ottavio,  sappiamo  che  i  padri  mandavano  i  loro  figli  in  Ate- 
ne ,  perchè  vi  fossero  instituiti ,  e  che  vi  accorreano  solleciti  i  più  assennati  , 
e  i  più  leziosi  fra  i  cittadini,  quelli  per  apparar  qualche  cosa,  questi  per  seguire 
la  moda  .  Gli  amici  delle  scienze  accigliate  avean  tuttodì  fra  le  mani  le  opere 
dell'Accademia.^  della  Stoa,  del  Peripato,  ne  contenti  che  quelle  dottrine,  per 


(i)  Giova  inoltre  riflellere,  non  esser  poi  vero  che  Virgilio  neghi  in  quel  passo  ai  Romani  ogni 
altitudine  DRll'arti  e  nella  eloquenza;  e  il  De  la  Cerda  doveva  osservare,  che  V excuJent  ahi 
spirantia  mollius  aera  e  Voiahunt  causas  melius ,  mirano  a  toglier  loro  ogni  titolo  di  premi- 
nenza, non  già  ad  escluderli  onninamente  dalle  arti  imitatrici  e  descrittive. 

(2)  De  dar.  Orat.  XX. 

(3)  Pro  Àrchia. 

(4)  Sat.  lib.  I.  Sat.  X. 

(5)  Cic.  ad  Alticum  Fp.  i3,  lib.  i. 

(6)  Auliis  Gellius.  Noci.  Atticae  lih.  11,  e.  8. 

(7)  D)  on.  Alicarnas.  Anliquit.  roman.  liL    1,  e.  6. 

(8)  Ibidem. 
(9)Sat.  X. 


le  cnre  di  Cicerone,  avessero  cominciato  a  tenere  la  linffna  del  Lazio,  voleano 
raefiun"-ernc  i  sensi  in  quella  con  cui  erano  state  dettate  .  I  cultori  delle  lette- 
re amene,  e  niìi  fra  questi  i  consecrati  alla  ridente  poesia,  tenendo  qua^i  per 
dimostrato,  che  le  muse  greche  avessero  eflìgiato  il  bello  per  guisa,  che  vano 
fosse  il  tentare  nuovi  ardimenti ,  nuove  foggie  e  nuovi  colori ,  imploravano  da 
quelle  del  Tebro  di  essere  inspirati  cos'i,  che  lor  venisse  di  piegare  a  quelle  gra- 
zie native,  a  quelle  veneri  ammaliatrici  l'  austera  lingua  dei  figli  di  Romolo  .  E 
già  nell'alto  che  Orazio,  il  dolce  amico,  cercava  sulla  cetra  latina  i  modi  di  Pin- 
daro, il  nostro  Virgilio  faceva  conserva  del  più  bel  fiore  di  Teocrito,  di  Omero, 
di  Esiodo,  per  abbellire  e  ingemmare  i  suoi  carmi  .  Qual  meraviglia  pertanto  , 
che  incatenato  dalla  dominante  opinione  dell'alto  sapere  dei  Greci,  e  più  dal 
fatto  proprio  convinto  in  ciò  che  teneva  all'arte  da  lui  professata:  nel  bollore 
dell'  estro  gli  sia  caduto  quell'  orabunt  causas  melius  ;  e  che  dal  ben  noto  valo- 
re di  quella  nazione  in  tanti  rami  svariati  d'arti ,  di  scienze  e  di  lettere,  argo- 
mentasse che  a  niuiio  pur  la  cedesse  nella  eloquenza,  quantunque  ei  non  ci  aves- 
se appressate  le  labbra,  ne  accinto  si  fosse  a  bilanciare  i  pregi  degli  oratori  di 
Atene  e  di  Roma?  E  con  tanto  più  di  fidanza  potea  darla  vinta  alla  Grecia, 
quanto  era  pur  vero,  che  quella  fama  stessa,  la  quale  a'  Greci  spirava  propizia 
per  dipingerli  solo  eguali  a  se  stessi  nella  filosofia,  nelle  arti  imitatrici,  e  in  quel- 
la sacra  ad  Apollo,  teneva  il  più  lusinghiero  linguaggio  intorno  al  pregio  de'  suoi 
oratori,  singolarmente  di  un  Demostene,  che  valeva  per  tulli . 

Ma  ben  lungi  che  una  debile  conghiettura,  e  la  fama,  non  sempre  verace,  sic- 
no  state  le  sue  consigliere,  sia  pure,  lo  che  mi  sembra  e  più  probabile  e  di  tan- 
to uomo  più  degno,  che  matura  disamina  l'abbia  determinato  a  dare  ai  Greci 
anche  in  questo  la  palma  .  Che  ne  vorremo  quinci  concludere  ?  Che  lo  potea 
fare  a  buon  dritto,  e  che  preferendo  il  rivale  di  Eschine  all'  oratore  di  Arpino, 
non  altro  mostrò  se  non  che  la  rapida  e  veemente  eloquenza  dell'  uno  gli  andava 
a  sangue  più  della  ricca  e  maestosa  dizione  dell"  altro  .  Gli  è  da  oltre  diciotto 
secoli,  che  i  pareri  dei  dotti  sono  in  tale  argomento  divisi,  e  chi  esalta  a  ciclo 
Demostene,  chi  dà  le  prime  a  Cicerone ,  senza  che  siasi  per  anco  decisa  la  li- 
te. Quintiliano  (  i  ),  che  pur  mostra  di  stare  per  Tullio,  teme  le  querele  del  mol- 
ti che  a"  suoi  giorni  davan  la  preminenza  a  Demostene  .  Rapin  ne'  suoi  pa- 
ralleli è  per  Cicerone,  e  Io  è  (  risum  teneatis  amici])  perchè  a  lui,  non  a  De- 
mostene, è  toccata  la  bella  sorte  di  leggere  la  rettorica  di  Aristotile,  e  quinci 
di  conoscere  1  costumi  e  le  passioni  degli  uomini ,  senza  di  che  ne  v'  ha,  ne  vi 
può  essere  grandiloquenza  .  Feaelon  (2)  trova  mille  pregi  nelle  orazioni  di  Tul- 

(i)  Inst.  lib.  X. 

(3)  Dìalugbi  sulla  elixjucnza. 


.42 

lio,  ma  la  schietta  natura,  il  fuoco,   la  rapidità,  la  veemenza,  che   brillano   in 
(juelle  del  greco  oratore,  quasi  suo  malgrado  l'astringono  ad  anteporlo.  Blair  (i), 
David  Hume  (2),  la  Starpe  (3)  veggiono  in  quello  del  Lazio,  la  varietà,  l'uber- 
ta,  lo  splendore,  il  moltiforme  talento,  che  in  parte  fa  gustar,  contro  i  Verri,  i 
Catilina,  gh  Antonii,  la  forza  e  la  precision  di   Demostene,  ed  ha  la  tranquilla 
dignità  di  un  Isocrate  quando  difende  i  Miloni,  gli  Archia;  ma  quando   rivolo-o- 
no  il  pensiere  all'  indole  della  eloquenza,  che  meglio  conviene   alle  popolari   as- 
semblee, sentono  di  dover  pregiar  sopra  ogni  altro  1'  autore   delle   Olintiache  . 
Qual  istupore  pertanto ,   che  Virgilio  dottissimo  nelle  lettere  greche  e  latine  , 
anche  dopo  il  più  rigoroso  confronto  siasi  deciso  a  favor  di  Demostene  ,   e  a  lui 
solo  mirando  facesse  dire  al  padre  Anchise:  orabunt  causas  melius^  quando  pur 
v'  ebbero  tanti  e  tanti  dotti,  che  nella  successione  de' secoli  al  pari  di  lui  la  sen- 
tirono ?  Se  mi  chiedete  com'  io  la  pensi,  vi   dirò ,  che  quando  nel   segreto  della 
mia  stanza  m' intrattengo   con  Cicerone,   dalla   voluttà  che  mi  destano   le  sue 
maestose  orazioni,  e  molto  pi  ù  nel  vederlo  egualmente  grande  nel  deliberativo 
e  nel  giudiciario,  quando  si  scaglia  contro  i  nimici,  i  cospirator   della    patria,  e 
quando  difende  1'  onore,  il  patrimonio,  la  vita  dei  cittadini,  doppia  attitudine  che 
non  sempre  trovo  in  Demostene,  mi  sento  inchinato  a  dargli  la  preferenza .  Ma 
quando  riavuto  un  po' dall' ebbrezza  rifletto  alla  diversa  situazione   dei  due  ora- 
tori, parmi  che  la  quistione,  soprattutto  nelle  arringhe  politiche,  non  possa   es- 
sere così  agevolmente  decisa;  che  anzi  avuto  riguardo  al  loro  carattere,  e  più 
all'indole  de'tempi,  alle  circostanze,  al  governo,  alla  tempra  degli   uditori,  sia 
forza  concludere,  che  quanto  l'uno  è  grande  nel  veemente,  nel  forte,  tanto  pure 
sia  l'altro  colle  sue  forme  dignitose  e  sonanti.  Che  perciò  assai  male  avrebbero 
provveduto  al  meditato  trionfo,  se  permutate  le  armi  e  lo  stile,  di  cui  si  giova- 
rono, Demostene  avesse  tenuto  cogli  Ateniesi  impazienti  e  leggieri  il  linguaggio 
assennato  e  armonioso  di  Cicerone,  e  questi  servito   si  fosse  coi  gravi  Romani 
della  rapida  e  concisa  dizione   dell'oratore   ateniese.   Ma   io  non  fo  che  opina- 
re, e  rispetto  abbastanza  i  voti  discordi  di  tanti  uomini  illustri,  per  non  darmi  a 
credere,  che  cosi  facilmente  decider  si  possa  la  cosa;  e  che  perciò  Virgilio,  in- 
terrogato il  proprio  gusto,  e  più  sostenuto  dall'opinione  dominante   a   qne' gior- 
ni, piegar  potesse  con  qualche  diritto  a  favore  del  focoso  Demostene  . 

Ma  che  un'intima  persuasione,  non  già  vaghezza  di  togliere  ai  Romani  quel 
serto  onorevole,  lo  determinasse  a  cosi  divisare,  1' argomento  ,  o  signori,  dal 
sacrifizio  eh'  egli  fece  In  quel  passo   alla  più  bella  delle  occasioni  di  lusingare 


(1)  Lezioni  di  reltorica. 
(1)  Saggio  sull' eluijuenza .. 
(3)  Liceo  ec. 


i43 

l'amor  proprio  di  Angusto,  o  di  rendere  meno  odioso  il  delitto  di  cui  poteva 
essere  accagionato.  Quantunque  meno  iperbolico  nelle  guise  ,  meno  prodigo 
degli  altri  poeti  neil"  infiorar  le  catene  del  nuovo  despota,  nel  magnificare  quel- 
le virtù  che  non  avea,  pure  non  lasciò  di  offrirgli  devoto  qualche  granello  d' in- 
censo. L'altrui  esemplo,  e  più  la  gratitudine  pel  riavuto  podere,  pel  favore 
speziale  con  cui  era  guardato ,  ve  lo  astringeano  :  ed  è  perciò  che  veggiamo  in- 
tesa la  sua  musa  festosa,  quando  a  celebrare  la  munificenza  del  nuovo  signore, 
che  lo  ridona  alle  usurpate  campagne  dalla  militare  violenza  (i),  quando  a  di- 
pingere i  giorni  di  Ottavio  colle  tinte  del  secolo  avventuroso  di  Saturno  (2), 
qnando  a  ingiungere  allo  scorpione  di  ritirar  le  sue  branche  perchè  Augusto, 
un  dì  cangiato  in  nuovo  astro,  possa  stare  a  suo  agio  fra  le  costellazioni  del  cie- 
lo (3) .  Ora ,  se  nel  passo  di  cui  parliamo,  Virgilio  avesse  dato  le  prime  alla  ro- 
mana eloquenza ,  gli  sarebbe  caduto  in  acconcio ,  anzi  non  avrebbe  potuto  di- 
spensarsi dair  encomiare  quel  Cicerone ,  pel  cui  labbro  tant'  alto  fra  i  Romani 
era  salita  quell'  arte  ;  e  il  nome  di  Cicerone  gii  apriva  spontaneo  il  cammino  a 
nuove  lodi  d'  Augusto.  É  abbastanza  noto  come  quell'oratore  nel  triumvirato  di 
Ottavio,  di  M.  Antonio  e  di  Lepido ,  quasi  in  sull'  istante  siasi  decìso  a  favore 
del  primo  ,  e  come  il  secondo  fulminato  dalle  filippiche  abbia  perduto  pres- 
so il  popolo  e  i  padri  coscritti  quella  opinione  ,  che  sola  potesse  dargli  la 
maggioranza,  tanto  necessaria  per  giungere  alla  signoria  sospirata  di  Roma  sul- 
la rovina  dei  due  rivali  non  meno  ambiziosi .  Ed  è  pur  certo  che  quanto  riesci 
funesto  ad  Antonio  il  franco  perorare  di  Tullio ,  altrettanto  tornò  utile  ai  dise- 
gni di  Ottavio  che  un  uomo  arbitro  della  comune  opinione,  gli  si  motrasse  cosi 
propenso  da  credere  ornai  necessario  alla  salute  della  repubblica  (4) ,  che  un 
solenne  decreto  approvasse  quanto  il  nipote  di  Cesare  aveva  operato,  o  fosse 
per  operare .  Non  è  di  questo  luogo  il  farsi  a  chiedere  ,  perchè  1'  amico  svi- 
scerato delia  libertà  e  della  indipendenza  di  Roma,  prendesse  parte  pe'suoi  op- 
pressori, e  favorisce  piuttosto  l'uno  che  l'altro.  A  me  basta  di  stare  alla  cortec- 
cia dei  fatti,  e  questi  mi  assicurano  che  Ottavio  dovette  l'aurora  di  sua  Tandez- 
za  al  favore  di  Cicerone .  Ottavio  non  obbiiò  le  cure  ufficiose  di  tanto  uomo, 
e  l'eblje  presenti  nel  più  periglioso  momento,  quando  preso  da' triumviri  l'atro- 
ce partito  di  proscrivere  quanti  poteano  ostare  alle  loro  mire,  Antonio  chiese  In 
testa  di  lui,  che  col  prestigio  della  parola  e  con  V  influenza  della  sua  autorit, 
aveagli  reso  avverso  U  fiore  di  Roma  (5)  .  Augusto  si  oppose   con  tutto  il  cai 


a 
o- 


(1)  Buco).  Eglog.  I. 

(2)  Eslog.  4. 

(3)  GeorgicoQ  lib.   1. 

(4)  Philip.  3. 

(5)  Plut.  m  Vit.  Cicr. 


14i 

re  all'inchiesta  di  Antonio,  e  già  avrebbe  spiegata  la  maggior  fermezza,  se  le 
strette  a  cui  eran  ridotti  gli  affari,  o  di  tutto  sagrificare  all'  irrequieta  ambizio- 
ne, o  di  lasciare  il  campo  a  più  destri  cospiratori,  non  l'avesse  obbligato  a  un'  ab- 
borrita  condescendenza .  E  invero  a  caro  prezzo  pagò  Antonio  la  vita  di  Ci- 
cerone, giacche  non  gli  venne  accordata  se  non  a  patto  di  cedere  a  Ottavio 
quella  dello  zio  materno  Lucio  Cesare,  come  Antonio  ed  Ottavio  comperaron  da 
Lepido  la  morte  di  Emilio  Paolo  di  lui  fratello,  concedendogli  delle  altre  vitti- 
me a  loro  non  meno  care.  Questa  brama  di  serbare  in  vita  il  buon  oratore,  e 
l'assentire  alla  di  lui  morte,  solo  perchè  non  si  dlscioglicsse  quel  triumvirato, 
da  cui  forse  dipendeva  la  propria  sicurezza,  e  senza  dubbio  la  vagheggiata  ti- 
rannide, poteano  aprire  11  varco  a  Virgilio  a  dipingere  il  nipote  di  Cesare  non 
istraniero  alla  riconoscenza,  e  giusto  apprezzatore  dei  pregi  oratorii  di  Cicero- 
ne, purché  avesse  ai  Romani  concessa  una  decisa  preminenza  sui  Greci,  o  per 
lo  meno  la  gloria  di  divider  con  essi  la  palma .  Ma  non  fece  motto  dei  rostri  di 
Roma,  ne  tampoco  del  merito  sommo  di  Tullio  nell'arte  della  parola:  e  quasi 
che  mai  stati  ci  fossero  i  primi,  mai  avesse  parlato  11  secondo,  alle  altre  genti  lar- 
go concede  il  talento  di  felicemente  arringare,  chiudendosi  ogni  via  alla  lode  di 
quel  Cesare  che  pur  soleva  lodare  .  Vuol  dunque  dire,  che  bilanciati  1  pregi  di 
Demostene  e  di  Cicerone,  credette  decisa  la  qulstione  a  favore  del  primo  ;  e  In 
conseguenza,  al  Greci,  non  al  Romani  doversi  il  vanto  di  sovranamente  eloquenti. 
Ne  vale  1'  opporre,  che  Virgilio  non  potesse  dar  mano  agli  encomii,  perchè 
Cesare,  ben  lungi  dal  voler  fermamente  la  salvezza  di  Tullio,  lo  sagrificò  all'  al- 
trui vendetta,  non  meno  che  alla  propria  ambizione,  comportando  che  Antonio 
potesse  dispor  de'  suoi  giorni  .  Imperciocché  le  sole  sembianze  del  buon  volere 
poteano  bastare  a  que'  poeti,  le  cui  lodi  al  nuovo  signore  eran  d'  altronde  fon- 
date sul  maggior  dui  delitti,  vo'  dir  quello  di  aver  fabbricata  la  propria  gran- 
dezza sulle  rovine  della  libertà  latina,  a  prezzo  di  stragi,  di  sangue,  di  proscri- 
zioni .  Nel  caso  nostro  Ottavio  avea  almeno  lottato  con  Antonio  per  guarentire 
la  vita  di  Cicerone  .  Al  delitto  fortunato  e  potente,  giammai  mancaron  gì"  in- 
censi, ne  Auo-usto  negli  annali  delle  nazioni  è  il  solo  a  cui  sleno  stati  profusi . 
Potea  dunque  con  più  di  ragione  odorarne  alcun  poco  per  aver  lascialo  tralu- 
cere, che  sapea  stimar  Cicerone,  e  che  non  avea  dimenticati  1  beneGzil  di  quel 
labbro  eloquente  .  Ma  sia  che  Virgilio  dovesse  stendere  un  velo  sopra  un  avve- 
nimento o  equivoco,  o  avverso  alla  gloria  di  Ottavio,  avrebbe  mal  dato  alle  al- 
tre genti  un  titolo  di  maggioranza,  se  per  intima  persuasione  avesse  creduto  di 
poter  porre  1  Romani  tra'  primi,  o  almeno  di  valutarli  a  ninno  secondi  nell'  arte 
dell'arrlncrare  ?  Ma  intorno  all'  orabunt  causas  melius  abbastanza  fia  detto  :  ove 
nn  solo  accento  aggiungessi,  mi  sembrerebbe  di  mancare  a  quanto  promisi  sin 
dalle  prime,  cioè  di  farvi  bere  non  molte,  ma  poche  stille  di  noja . 


i4ó 
SOPUA  L\  ZOOPEDIA 

APPRESSO  GLI  ANTICHI  GRECI  E  ROMANI 

SAGGIO 

DELL'     ABATE    PIETRO    BETTIO 

PREFETTO     DELLA    MARCIANA 

MEMBRO   ONORARIO. 


Oùxdìi  •  .  •  .  tÙ  Suoix  \tyv/jitv,  il  vat^pÓTiìxiv  ippovèt  »>  xàxiot  SiavoìiTai , 

fili    Stavoùi:iti-  Idilli   fpcviUii  ÒXof ,   fjithi  x>x''iiilcei    'iiyov ,  àahvìì  iì  i^" 

icKt/^ov  KtKTÌiff^iti ,  àairtp  ò^aKfuòv  cijjijSK.>-jirToviit  xj   TirctpxyiJLivcv . 

Plulnrchus  de  Soleit.  Animai,  in   T.  X.  p.  i6    ejus   Oper.   Lipsiae 

1778  in  8.» 

Avvegnaché  gli  animali  abljlano  una  tarda  inlelligenza,  e  ragionino  ron 
minore  aggiustatezza  dell'uomo,  non  conviene  consiJfrarli  lolalinen- 
te  privi  ili  discernimento  e  di  raziocinio,  ma  dotati  di  (queste  l'acuità 
deboli  e  torpide  quasi  occhio  guercio  e  cisposo. 


1 /iianlnnque  volte  trattener  ci  vogliamo  nella  investigazione  delle  pratiche 
e  costumanze  rielle  antiche  nazioni ,  ricca  e<l  inesausta  miniera  ci  somministra- 
no i  classici  scrittori  greci  e  latini,  atta  non  solo  a  soddisfare  la  nostra  curiosità, 
ma  eziandio  ad  eccitare  in  noi  sorpresa  e*l  ammirazione.  Egli  è  quindi  che  nu- 
merosa folla  di  dotti,  dietro  i  lumi  della  critica,  ridotta,  per  dir  così,  a  mate- 
matica dimostrazione,  non  credette  disdicevole  ai  proprii  talenti  il  dedicarsi  al- 
l'illustrazione di  qualche  antica  costumanza,  somministrando  a  merito  delle  pro- 
prie investigazioni  materia  abbondante  alle  voluminose  raccolte  di  greca  e  ro- 
mana erudizione,  le  quali  si  potrebbero  a  dismisura  aumentare  dopo  quelle  dei 
Gre  vii,  dei  Gronovii,  dei  Sallencre  e  dei  Poleni  .  Gli  studii  infatti  degli  eru- 
diti nuovi  eccitamenti  trovarono  per  le  munifiche  largizioni  dei  sovrani  tut- 
ti d  Europa  ,  dirette  ad  innalzare  a  gara  ricchi  musei  ,  ed  a  proteggere  a 
proprie  spese  utilissimi  scavamenti,  pei  qaali  vennero  a  novella  vita  richiamati 
»9 


ii6 

que'  preziosi  monumenti  in  marmo  ed  in  bronzo,  che  sarebbero  stati  distrptti 
dalla  ignoranza  e  dalla  barbarie,  se  quasi  provvida  madre  la  terra  non  li  avesse 
nel  suo  seno  occultati  per  secoli  e  eccoli,  serbandoli  a  tempi ,  ne' quali  illumi- 
nate e  colte  dinnastie  formar  dovevano  la  felicità  delle  popolazioni .  I  ^^inkel- 
mann  ed  i  Visconti,  con  tanl'altri  moderni  archeologi ,  nuovi  sussidii  sommini- 
strarono ai  coltivatori  della  rimota  antichità,  dettando  canoni  sicuri,  non  solo 
per  separare  i  monumenti  antichi  dai  moderni,  le  copie  dagli  originali,  le  ripe- 
tizioni dagli  archetipi  ;  ma  eziandio  per  riconoscere  le  immagini  da  prima  igno- 
te o  male  appropriate,  per  descrivere  le  statue,  i  gruppi,  1  bassirilievi ,  per  in- 
terpretare le  antiche  epigrafi,  e  per  distinguere  V  un  dall'altro  i  lavori  etruschi, 
greci  e  romani . 

Fra  le  curiosità  antiche  non  mi  sembra  certamente  che  la  conoscenza  della 
educazione  data  dagli  antichi  agli  animali,  la  quale  Zoopedia  appellar  si  potreb- 
be, rimaner  debba  del  tutto  trascurata.  E  perchè  l'abilità  de'  moderni  nell' ad- 
destrare gli  animali  veramente  sorprende,  e  niente,  per  quanto  io  sappia,  fu 
scritto  in  generale  sull'attività  e  bravura  degli  antichi  nell' educare  questa  qua- 
lità di  esseri  animati  ;  risolsi  d  illustrare  questo  punto  di  curiosa  erudizione,  af- 
fine di  esibire  un  saggio  di  quanto  i  Greci  ed  i  Romani  giunsero  colle  loro  istru- 
zioni ad  ottenere,  tanto  se  all'  utile,  quanto  se  al  solo  diletto  aver  si  voglia  ri- 
Suardo,  contento  se  potrà  questo  mio  abbozzo  eccitare  altrui  ad  intraprendere 
opera  e  più  estesa,  e  più  eruditamente  trattata,  siccome  il  meriterebbe  la  vasti- 
tà dell'argomento.  Lontano  però  dall' intrattenermi  sulla  sagacia  de' bruti,  come 
quella  che  dieile  soggetto  di  un'  opera  a  Plutarco,  niente  del  pari  dirò  dell'  uso 
fatto  di  queste  irragionevoli  creature  o  nella  cavallerizza,  o  nella  caccia,  o  nel- 
l'ao-ricoltura,  inutile  giudicando  il  ripetere  quanto  tante  volle  dagli  antichi  e  dal 
moderni  fu  abbondantemente  trattato  . 

Perchè  poi  del  continuo  restiamo  sopraflatti  da  scaltri  ciurmatori,  i  quali  da 
lontani  paesi  venuti  annualmente  ci  chiamano  con  apparati  magnifici  e  con  lar- 
ghi Inviti  a  godere  spettacoli  sorprendenti  di  cavalli  indovini,  di  cani  maravi- 
gllosi,  di  fiere  ammansate,  di  uccelli  ciarlieri,  ed  il  più  delle  volte  a  carico  de' 
nostri  borselli  partiamo  da  loro  pieni  di  promesse  e  nulla  più:  invece  di  ricerca- 
re con  Melisso  e  Samio,  secondo  Palefato  (i),  se  sia  possibile  veritìcarsi  attual- 
mente quanto  fu  altra  volta  effettuato,  esaminai  piuttosto,  se  quello  che  a'  dì 
nostri  si  vede,  siasi  ne'  più  rimoti  tempi  eseguito  :  alieno  affatto  dal  far  rivivere 
la  già  vecchia  qulstlone  sul  merito  d'invenzione  degli   antichi  a  preferenza   dei 


(i)  P.ilaephatus  de  lacredibil.  in  Piologo:  A  o  lì  s^ays  ìirx.tà  tbj  uuty^x^ii  MsKajcv  y^  2a,ii.0¥- 
Ev   «j^X;^'  Xf^ci'TKj)  eViv  «  ijitiro^  xxì  vùv  èrti- 


'47 
moderni,  collo  scegliere  alcuni  fatti  sorprendenti,  ma  depurati  però  da  ogni 
sospetto  di  favolosi  .  '  '      . 

Cliiunnuc  ci  riferisce  fatti  di  non  comune  conoscenza,  la  taccia  d'  impo- 
store incontra  o  perchè  nuovi  ci  compariscono,  o  perchè  ne  ignoriamo  la  cau- 
sa nrodiillricc  :  e  non  potendo  farci  toccare  con  mano  la  loro  realtà,  allo  sgra- 
ziato isterico  non  rimane  difesa  a  propria  giustificazione  .  Se  infatti  taUmo  pri- 
ma delie  chimiclie  attuali  scoperte,  e  prima  del  supposto  incombustibile  Lion- 
net  avesse  letto  nel  Banchetto  dei  Sofisti  di  Ateneo  (i),  che  Ippoloco  descri- 
vendo le  nozze  «li  Garano  macedone  racconta,  essersi  in  quella  solennità  intro- 
dotte alcune  femmine,  le  quali  nude  si  voltolavano  sopra  taglienti  spade,  e  fuor 
della  bocca  mandavano  fiamme  di  vivo  fuoco,  forsechè  non  se  l'avria  cosi  facil- 
mente trangugiata,  e  nel  numero  delle  fole  avrebbe  uno  de'  primi  posti  a  tale 
narrazione  accordato  .  Del  pari  tra  le  istoriche  imposture  si  sarebbe  collocato 
il  riferito  da  Plinio  (2)  degl'individui  delle  famiglie  dell' Agro  Fallsco  presso 
Roma,  chiamate  Irpie,  i  quali,  nell'annuo  sacrificio  sul  monte  Soratte  offerto  ad 
Apollo,  passeggiavano  sopra  cataste  di  ardenti  legna  senza  riportare  alcun  dan- 
no dalla  violenza  del  fuoco. 

Alcuni  fatti  certamente  sorprendono,  ma  non  per  questo  conviene  rigettarli 
quasi  prette  menzogne.  Di  tal  carattere  sono,  a  mio  credere,  quelli  appunto  che 
leggonsi  intorno  alle  istruzioni  date  agli  animali  nelle  opere  dei  classici  greci  e 
latini  scrittori  :  1  quali  fatti  però,  ove  con  qualche  principio  di  giusta  critica  sia- 
no esaminati,  non  risultano  ne  incredibili,  né  riferiti  per  ingannare  la  posterità  . 
E  vaglia  il  vero,  chiara  testimonianza  ritrovasi  in  Plutarco  (3)  che  gli  antichi 
a  SI  fatto  genere  d  istruzione  si  applicarono,  assicurandoci,  che  gli  animali  ap- 
presero ad  eseguire  ne'  teatri  moli,  ravvolgimenti  e  danze,  non  che  a  far  cono- 
scere «li  ritenere  a  memoria  quanto  aveano  appreso  a  merito  dei  loro  istitutori . 
In  olire,  si  sa,  esservi  stata  appresso  i  Romani  la  classe  degli  schiavi  mansue- 
tarii^  perchè  dedicata  all'  ammaestramento  delle  fiere,  della  quale  appunto  can- 
tò Manilio  (4)  : 


(i)  lilb.  IV,  cap.  ly. "KxV  intfs  »,'  imiutva^yii  yoìm'xtf ,  «s  ^ìfìi  xu^iTÙfiti ,  «^  v'p  ix  irà  7Ó(ia'rc{ 

ìx-iirtr^Tai  yufiv^i ■ 
(s)  Historiae  Natur.  lib.  YII,  cap.  11. 

(3)  Dialog.  Grillus,  inter  Opera  Lipsiae   1778.  T.  X,  p.  ia3.  IVtoi  Si  »;  ISa'is  tv  Uarioif  xcci-a- 
x\ijH5  xj  y_ooHH(  xj'cacTfif  ira^ioi^ÓKii  it,'  xmìJHf  il'  àvìxiiToii  itiiu  palliti  axii/JÌTif  txl.ixrxoutiu 

(4)  AslroDom.  lib.  IV,  Ter.  23^. 


•48 

1)  Oiiarinippdiim  omne  cenus  positis  Gomitare  magistris 
»  E\orare  tifrres,  rabiemque  auferre  leoni, 
"  Ciimqiie  clcphante  loqui,  tantamqiie  aptarc;  loquendo 
n  Artibus  humanis  varia  ad  spectacula  moletn. 

E  Seneca  fra  gli  altri  lo  stesso  conferma  quando  scrisse  (i):  Certi  sunt  do- 
mitores  ferarum^  qui  saevissiina  animaiui^  et  ad  occursum  exterrentia  homi- 
nem docerit  pati  jugum  :  ncque  asperitatem  excussisse  contenti^  usque  in  con- 
tubernium  mitigant.  Aggiungasi  a  tutto  questo  per  istabilire  credibili  que'  fatti, 
che  ad  esporre  mi  accingo,  la  riflessione,  che  raccolgonsi  da  autori  contempora- 
nei, da  quelli  cioè  i  quali  scrissero  in  un  tempo,  in  cui  sarebbero  stati  convinti 
di  mendacio  narrandoli  come  eseguiti  ne'  pubblici  spettacoli,  ed  in  faccia  ad  im- 
mensa folla  di  popolo  .  Argomento,  pel  quale  Giusto  Lipsio  scrivendo  a  Giano 
Hauten  (2)  concliiude  :  De  fide  igitur  veterum  cur  ambigimus?  A  n  fallere  nos 
voluerunt  de  compacto?  Nnc  potuerunt  quidem  in  re  quotidie  omnium  oculis 
sensibnsque  exposita^  et  in  qua  miracula  milleni  aliquot  homines  simul  vide- 
runt^  id  est  theatra  tota .  In  forza  adunque  di  tali  ragioni  ,  e  di  tant'  altre  che 
addur  si  potrebbero,  fra  le  quali  l'ultima  non  sarebbe  quella  della  concorde  te- 
stimonianza degli  scrittori,  suppongo  abbastanza  assicurata  la  realtà  dei  fatti  che 
a  prova  del  mio  assunto  addur  si  potranno  . 

Quale  fosse  lo  sfarzoso  vivere,  e  lo  smoderato  lusso  dei  re  di  Cipro  non  v'  ha 
chi  possa  ignorarlo .  Cosa  non  v'  era  che,  appena  desiderata ,  non  fosse  loro  a 
qualunque  prezzo  esibita  .  Niente  dovea  molestarli,  e  sebbene  il  disgusto  da 
cause  naturali  ed  irreparabili  derivasse,  tutto  studiar  si  doveva  perch(3  con  la 
minore  attività  agire  dovesse  sulle  delicate  membra  di  quelli  intolleranti  sovrani. 
Da  un  frammento  infatti  della  già  perdutasi  commedia  il  Soldato  di  Antifane 
conservatoci  da  Ateneo  rilevasi,  che  diminuivasl  loro  l'affanno  dell'estivo  calore 
col  mezzo  delle  colombe,  le  quali  mettevansi  in  attività  non  appena  a  lauta  men- 
sa assidevansi .  Eccone  1' artificio  dal  comico  istesso  descritto  (3).  Iinma'nna 
l'autore  ,  che  ritornato  un  certo  alla  patria  da  Cipro  venga  da  un  suo  amico  in- 
contrato, e  quindi  insieme  la  discorran  così: 

A.  Dimmi,  amico:  vi  fermaste  in  Cipro  lunga  pezza? 

B.  Sino  al  terminar  della  guerra. 

A.  Dimmi  tei  priego  :  dove  particolarmente  ? 

B.  In  Pafo,  dove  ho  veduto  cosa  assai  magnifica,  e  quasi  quasi  incredibile  . 


(0  Episiol.  LXXXV,  lib.  XI. 

(a)  lipistolar.  Misreilan.  Cenlur.  I,  epièt.  1. 

(3)  Athenaei  Dipnosopliisl.  libr.  VI|  cap.  LXXI. 


'49 

A.  È  permesso  il  «aporia? 

B.  Le  colombe   ila  per  loro  senz'  altro  artificio  rinfrescano  l'aria  al   re   nel 

momento  del  pranzo  . 

A.  E  come  ciò  ?  Come  mai?  Purché  sappia  questo  da  te,  ommetto  quello  che 

più  m'  interessa  . 

B.  Gli  si  ungeva  il  capo  con  certo  balsamo  composto  da  un  frutto  della  Si- 
ria, del  quale  dicosi,  che  le  colombe  sian  ghiotte .  Tratte  queste  dal  soave  odo- 
re gli  volavano  attorno  per  poggiare  sopra  la  di  lui  testa  :  ma  alcuni  giovani  che 
gli  stavano  accanto  le  allontanavano:  e  così,  alzandosi  ed  abbassandosi,  ed  a  non 
molta  distanza  sempre  svolazzando,  le  veci  faceano  di  agile  ventaglio,  in  modo 
di  eccitare  grazioso  e  non  molesto  venticello . 

Ne  a  questo  soltanto  fu  limitata  dagli  antichi  la  educazione  delle  colombe  . 
Si  sa  che  il  si^.  cav.  reff.  consifrliere  bibiiot.  ab.  Morelli  pubblicò  sin  dall'  an- 
no  i8o3  erudita  dissertazione  sopra  alcuni  viaggiatori  veneziani  poco  noti^ 
nella  quale  (i)  dietro  la  relazione  di  Ambrogio  Bembo  dell'anno  i6'j2  trovasi 
indicata  la  curiosa  usanza  (praticata,  siccome  da  varii  autori  si  narra  (2),  ezian- 
dio in  altri  paesi),  che  in  Aleppo  attaccandosi  sotto  le  ale  delle  colombe  i  fo- 
gli interpreti  dei  sentimenti  delle  lontane  persone,  queste  portassero  in  men  di 
tre  ore  in  Aleppo  la  notizia  dell'  ingresso  di  qualunque  nave  nel  porto  di  Ales- 
sandretta.  Meno  ingegnosi  però  non  furono  in  questa  parte  gli  antichi.,  sapendo- 
si da  Frontino  (3),  che  il  console  Irzio  col  mezzo  delle  colombe  mandava  qua- 
lunque avviso  a  Bruto  assediato  in  Modena  da  Antonio:  cosa  la  quale  fece  dire 
a  Plinio  ('{)  :  (^uid  valium  et  vigil  obsidio  ,  atque  etiam  retia  amne  portenta 
prof  nere  Antonio^  per  coehim  eunte  nuncio?  Quale  poi  fosse  1'  artificio  usato 
dagli  antichi  per  ottenere  sì  fatto  stratagemma  ,  ce  lo  descrive  il  medesimo 
Frontino:  Idem  (Hirtius)  cotumbis^  qtias  inclitsas  ante  tenehris  et  fame  adfe- 
cerat^  epistolas  seta  ad  collum  religabat^  easque  a  propinquo^  in  quantum  po- 


(1)  Morelli.  Dissertazione  sopra  alcuni  viaggiatori  eruditi  veneniani  poco  noli,  pubblicala  per  le 
nobili  nozze  Manin-Giovanelli.  In  4°  Venezia,  i8o3,  pag.  Sa. 

(2)  Pani'iroli  Guidonis  rerum  meniorabilium  P.  II.  Francufurli,  1660,  p.3i. —  Joannis  Hugonis 
a  Linscholeo ,  nescrlptio  Insulae  Ormuz.  Gap.  VI.  —  Sebastiani,  Viaggio  nell'Arcipelago. 
Roma,  1687.  4°  nella  lettera  dedicatoria. —  Tasso  Torquato,  Gerusalemme  liberata,  canto 
XVIII,  stanza  XLIX  e  segg.  —  Ariosto  Lodovico,  l'Orlando   furioso,  canto  XV,  stanza  XC. 

Dopo  letto  il  presente  saggio  usci  in  Milano  nel  18^2  l'opera  di  Michele  Sabbagh  pubbli- 
cata già  da  Silvestro  di  Sacy,  e  tradotta  in  italiano  da  Antonio  Cattaneo,  intitolala:  la  co- 
lomba messaggiera,  nella  rjuale  trovasi  raccolto  ijuanU)  esiste  sull'uso  fallosi  delle  colombe  ia 
varii  paesi  per  comunicare  notizie. 

(3)  Slratagemmalum  fib.  Ili,  cap.  XIII,  §.  VII. 

(4)  Hislor.  Nalur.  l.b.  X,  cap.  XXXVII. 


1 5o 

terat  moenìbus  loco  errtittebat .  Illae  lucis  cibique  avidae  altissima  aedificiorum 
petentes  excipiebantur  a  Bruto^  qui  eo  modo  de  omnibus  rebus  certior  fiebat  : 
utique  postquam  disposilo  quibusdam  locis  cibo  Columbus  illuc  dovolare  insti- 
tuerat . 

Non  trascurarono  gli  antichi  eziandio  I'  arte  di  avrezzare  gli  uccelli  o  nell'  i- 
mitare  la  voce  umana,  o  nel  modulare  il  proprio  canto  a  raigurate  note  musica- 
li .  E  noto  infatti  il  Xa7pe  Kctìa-otfi  dei  pappagalli  diretto  a  Cesare  ritornato 
vittorioso  dalla  battaglia  di  Azio .  Nella  vita  poi  di  Apollonio  scritta  da  Filostra- 
to curioso  aneddoto  ritrovasi,  dal  quale  rilevasi  lo  studio  impiegato  allora  nel- 
r  addestrare  gli  augelli  (i).  Apollonio  si  abbatte  in  certo  giovane,  che  sciope- 
rone allatto  e  privo  di  qualuncpie  idea  tutte  occupava  le  ore  nell'istruire  rosi- 
gnuoli,  gazze,  merli,  pappagalli,  riducendoli  capaci  d'imitare  la  umana  favella,  e 
di  accompagnare  col  canto  il  misurato  suono  de' flauti.  Interrogatolo  adunque 
dell'arte  sua,  ed  inteso  quale  fosse:  Giovinolto  ,  soggiunse  Apollonio,  sei  ben 
pazzarello  nel  darti  pensiero  e  briga  di  avvilire  e  corrompere  que'  poveri  ani- 
maletti. Non  vedi  tu  infatti  quale  pessimo  servigio  loro  presti  ?  Li  privi  dell  uso 
di  quella  voce  che  natura  generosa  lor  diede,  e  che  soave  ed  aggradevole  h  tan- 
to da  non  poter  essere  eguagliata  da  musicali  stromenti:  ili  pili  parlando  tu  la 
propria  lingua  assai  male,  infondi  la  tua  rozzezza  e  la  tua  ignoranza  in  quegl'm- 
nocenti  ammaletti,  che  han  la  disgrazia  di  averti  a  precettore. 

Nel  consolato  di  M.  Servilio  e  C.Sestio  un  corvo  fu  dal  popolo  romano  giu- 
dicato degno  degli  onori  della  sepoltura  ,  onori  con  tanta  parsimonia  accordati 
ai  principali  soggetti  di  Roma:  e  ciò  perchè  giunse  ad  un  grado  di  ammirabile 
perfezione  nell'  imitare  la  umana  favella  .  Eccone  il  fatto  daPlinio  descritto  (6): 
51  Reddatur  et  corvis  sua  gratia,  indignatione  quoque  populi  romani  testata, 
n  non  solum  conscientia .  Tiberio  principe ,  ex  foetu  supra  castorum  aedem 
«  genito  pullus  ,  in  appositam  sutrinam  devolavit,  etiam  religone  commendatus 
11  ofiicinae  domino.  Is  mature  sermoni  assuefactus,  omnibus  matutinis  evolans  in 
>'  rostra,  forum  versus,  Tiberium  ,  dein  Germanicum  et  Drusum  Caesares  no- 
n  minatim,  mox  transeuntem  populum  romanum  salutabat,  postea  ad  tabernam 
»  remeans,  plurium  annorum  assiduo  officio  mirus.  Hunc  sive  aeinulatione  vi- 
5)  cinitatis ,  manceps  proximae  sutrinae,  sive  iracundia  subita,  ut  voluit  vide- 
51  ri ,  escreraentis  ejus  posita  calceis  macula  ,  exanimavit  :  tanta  plebei  conster- 
«  natione,  ut  primo  pulsus  ex  ea  regione,  mox  et  inleremptus  sit,  funtisipie  in- 
»  numeris  aliti  celebratiim  exequlis,  constractum  lectum  super  Aethiopuin  duo- 
»  rum  humeros ,  praecedente  tibiclne ,   et  coronis  omnium  generum,  ad  rogum 


(i)  De  Vlla  Apolliinii  lib.  VI,  cap.  XV. 
(a)  Hislor.  Natur.  )ìb.  X,  cap.  XLIll. 


"  usqne,  qii'i  constnictns  destra  viae  Appiae  ad  secnndnm  lapidcm,  in  campo 
«  Rediculi  appellato ,  fuit  »  .  Ne  già  conviene  supporre  alterata  od  incredibile 
la  relazione  di  Plinio,  siccome  taluni  il  più  delle  volte  si  danno  a  credere,  subito 
che  ritrovano  negli  antichi  scrittori  cose  o  non  comuni,  o  del  tutto  ignote  ad 
essi .  Imperciocché  di  tale  attività  de'  corvi  il  chiarissimo  sig.  di  Buffon  ce  ne 
assicura  dicendo  (i):  u  Non  sculement  le  corbcau  a  un  grand  nombre  d'  infle- 
"  xions  de  voix  répondant  à  ses  differentes  afl'cctions  intèrieures,  il  a  encore 
r,  le  talent  d'  imilcr  le  cri  des  autres  animaux,  et  mème  la  parole  de  1'  homme  ". 
Non  meno  delle  gazze,  dei  corvi,  del  rosignuoli,  del  pappagalli  rendeansi  dagli 
antichi  capaci  di  articolare  umani  vocaboli  e  tordi  e  storneUl.  Dei  primi  abbia- 
mo le  prove  in  Plinio,  dal  quale  siamo  assicurati  di  averne  veduto  uno  appresso 
la  moglie  di  Claudio  Cesare  (2) .  u  Agrippina  turdum  habuit  (juod  nunquam  an- 
•1  te  imitantem  sermones  hominum,  cum  haec  proderem  "  .  K  Stazio  lo  stes- 
sa riferisce  dello  stoi'nello  ,  quando  cantò  (3): 

u  Auditasqne  memor  peaitus  demittere  voces 
n  Sturnus  "  . 

La  quale  abilità  di  addestrare  stornelli  trovasi  celebrata  eziandio  da  Plinio  (4), 
che  nel  tempo  istesso  C  insegna  il  metodo  d' istruirli ,  dicendo  :  «  Habebant 
V  et  Cacsares  juvenes  sturnum,  itera  luscinias  ,  graeco  atque  latino  sermone 
y  dociles,  praeterea  meditantes  in  diem,  et  assidue  nova  loquentes,  longiore 
»  etiam  contextn .  Docentur  secreto,  ut  ibi  nulla  aUa  vox  misceatur ,  assidente 
«  qni  crebro  dicat  ea  ,  qnae  condita  velit,  ac  cibis  blandiente  "  . 

E  senza  dubbio  degna  di  ammirazione  1'  instancabile  pazienza  di  quelli  che 
a  dì  nostri  addestrano  a  varii  esercizii  piccoli  animaletti  ,  quali  sono  i  car- 
dellini. Azioni  infatti  veggonsi  operare  maravigliose  e  sorprendenti,  tanto  si 
mostran  docili  al  capriccio  dell'uomo.  «  A  l'  egard  de  la  docilitè,  (dice  il  sig. 
«  di  Buffon)  (5)  du  cardonnerel,  elle  est  connue,  on  lui  apprend  sans  beaucoup 
n  de  peine,  à  cxdcuter  divers  mouvemens  avec  précision,  à  faire  le  mort,  à  met- 
«  tre  le  leu  à  un  petard,  à  tircr  des  petits  seaux  qui  contiennent  son  boire  et 
»  son  manger  » .  Ma  non  per  questo  gli  antichi  la  cedono  ai  moderni  :  «  Mini- 
»  mae  aviura,  leggesi  in  Plmio  (6),  cardueles  imperata  faciunt ,  nec  voce 
"  tantum,  sed  pedibus  et  ore  prò  manibus  '» . 

(1)  Uistoire  Natur.  des  Oiseaux,  par  Sennini.  T.  Vili,  p.  21. 

(a)  Histoi'iu  Nnliir.  lib.  X,  cap.  LIX. 
(3)  Sjlvarum  lib.  Il,  ecloga  IV. 

<,)  Hislor.  Nalar.  lib.  X,  cap   XLII. 
(S)  1   e.  T.  XII,  p    i5o. 

(b)  lli8l.  Nalur.  lib.  X,  cap.  XLII. 


l52 

Mentre  Tossilo  nel  Persa  di  Plauto  (i)  ordina  a  Pegnio  certa  faccenda,  lo 
sollecita  dicendogli  : 

r> Face 

«  Rem  hanc  cum  cura  geras  : 
«  Vola  curriculo  . 

e  Pegnio  risponde  : 

« Istuc  marinOs  passer 

»  Per  circum  solet  '^ . 

Ora,  secondo  i  commentatori ,  fra' quali  lo  Scaligero,  vuoisi  per  marinus 
passer  intendere  lo  struzzo  :  u  E  Feste  disclraus  (cosi  lo  Scaligero)  passerem 
«  marlnnm,  esse  struthiocamelum  »  :  interpretazione  la  quale  confermata  vie- 
ne eziandio  dall'  eruditissimo  naturalista  del  sedicesimo  secolo  Corrado  Ge- 
snero,  che  dopo  riportato  il  passo  indicato  di  Plauto,  soggiunge  :  uQuod  ego  de 
«  strutbiocamelo  acceperim,  non  de  pisce  (2)  » .  Qualuntjue  siane  la  interpreta- 
zione, sarà  sempre  vero  che  l'attività  di  questo  animale,  nello  strascinare  11  coc- 
chio pel  circo,  sarà  o  di  volatile,  o  di  pesce.  Oltrachè  egli  è  certo  avere  gli  anti- 
chi aggiogato  ai  carri  gli  struzzi  sino  dal  tempo  di  Tolommeo  Fllàdelfo,  compro- 
vandosi ciò  da  Ateneo,  allorché  (3)  descrive  la  grandiosa  festa  sotto  quell'impe- 
ratore celebrata  nell'  Eo-llto,  dove  arreca  l'autorità  di  Calisseno  di  Rodi  autore 
dell'istoria  di  Alessandria,  il  quale  lasciò  scritto,  esserslin  quella  circostanza  ve- 
duto vàrie  carrette  strascinate  da  capri,  da  elefanti,  da  buoi,  ed  otto  tratte  ilagli 
struzzi . 

Furono  i  Sanili  primi  degli  altri  nell' addomesticare  1  pavoni,  ed  a  loro  esem- 
pio se  ne  propagò  la  educazione  in  altre  regioni  :  lo  impariamo  da  Menodoto  ci- 
tato da  Ateneo  (4^),  il  quale  ci  assicura,  che  nel  tempio  consacrato  a  Giunone 
si  vedevano  in  Samo  i  pavoni  starsene  m,  nsuetl  e  totalmente  addomesticati  . 

Allorché  Nerone  pertossi  nell'  isola  di  Rodi,  fra  gli  onori  tributatigli,  ci  fu  la 
comparsa  di  un'  aqmla,  la  quale,  diretto  il  rapido  suo  volo  verso  l  imperatore,  da 
per  se  gli  si  pose  a  lato  senza    più   abbandonarlo,  compiacendosi  quasi    dell'  ap- 


(1)  Persa  Act.  II,  scen.  Il,  v.  17. 

(1)  De  Avibus.  Tiguii,  i55''>,  pag.  709. 

^3)  OipQOSophist.  Lìb.  V,  cap.  XXXIII.  E'hspaVTav  à?f/.ara  àìiih  àxo3iTÌ<i(!tt?x,  ^  ffvvapi'hs 

(4)  Ivi  lib.  XIV,  cap.  LXX. 


i53 
plauso  fattole  dal  sovrano  .  Un  tale  spettacolo  scosse  la  fantasia  del  poeta  Apol- 
loniila,  che  oc  ne  trasmise  la  memoria  con  un  epigramma  già  pubblicato  nella 
n-refa  antoloo-ia  (i),  dettandogli  la  poetica  adulazione,  che  al  pari  che  a  Gio- 
ve r  aquila  giaceva  tranquilla  accanto  a  Nerone  . 

Si  abbandoni  l'infido  elemento  dcllaria,  e  Tonde  solcando  esaminiamo  se  la 
industria  degli  antichi  nell'  educare  i  loro  abitatori  sia  stata  inoperosa  .  Effetto 
di  naturale  istinto  egli  è  lo  guizzare  de'  pesci  a  galla  dell'  acqua  non  appena  vi 
si  gittano  briciole  di  pane  :  ma  che  rlducansi  domestici  cogli  uomini  esser  non 
può  se  non  forza  di  educazione.  Quindi  alla  sola  educazione  conviene  accorda- 
re quanto  colla  tcslimonianza  di  Ninfodoro  Siracusano  impariamo  da  Ateneo  (2), 
cioì:,  che  i  lupi  marini  e  le  anguille  del  fiume  Eloro,  il  quale  bagna  il  castello 
dello  slesso  nome  nella  Sicilia  non  Innge  da  Siracusa,  cransi  costituiti  mansue- 
ti a  segno  di  correre  alla  sponda  qualunque  volta  fossero  chiamati ,  e  di  prende- 
re, senza  paventare,  dalle  palme  delle  mani  degli  educatori  il  pane  loro  esibito. 
Di  più  ancora,  come  testimonio  di  vista  a  narrare  continua,  che  nella  città  di 
Arctusa  presso  la  Calcide  alcune  anguille  ornate  di  smaniglie  doro  e  d'argen- 
to, quasi  ninfe  superbe  per  così  ricchi  fregi,  pronte  ali"  invito  ricevevano  il  ci- 
bo, e  questo  molto  più  volentieri  prendevano  se  consisteva  in  tresco  cacio,  o 
nelle  viscere  delle  vittime  offerte  agli  Dei  .  Ne  già  fu  ignoto  a  Plinio  tale  spet- 
tacolo, scrivendo  egli  cosi  (3)  :  a  E  manu  vescuntur  pisces  in  pluribus  quidem 
»  Caesaris  villis,  scd  quae  veteres  prodidere,  in  stagnis,  non  piscinis  admirati, 
»  in  Eloro  Siciliae  castello,  non  procul  Siracusis  :  item  in  Labrandei  Jovis  fonte 
»  anguillas  :  hae  et  inaares  additas  gerunt  "  . 

Che  se  consultare  si  voglia  Luciano,  troviamo  che  dopo  la  descrizione  del 
magnifico  tempio  della  Dea  Siria,  racconta  (i)  di  aver  ivi  veduto  uno  stagno, 
in  cui  si  alimentava  molta  copia  di  pesci  di  varie  specie,  i  più  grandi  de'  quali 
contraddistinti  con  proprio  nome,  al  solo  pronunciarsi  di  questo  si  avvicinavang 


(1)  Aniliologia  graeca,  a  Bruncklo  et  Jacobs .  T.  II,  pag.  I2j,  XIV. 

O'  irpìi  tyà  WcSiciTiv  àvéy^vTcs  ifpòi  òovii 

O'  irp't  KffXafi'Ja.j  «.tTo'«  iVomb, 
TfJ-.irtTi;  ToVe  Tvpaòj  àyà  TXaTuV  >iep  àipSàsì 

H'Ai/Jc'y  H'iXi'k  vrnjc)  Òt'  «X'  ì^ipcv . 
K«va  J  iuf-'iSitii  ìtt  ìafifji ,  Xdft  <T'jvii:n( 

l^pivTcpcf ,  n  ^iyyav  Tjtiìa  <rìv  ìsocima)/- 

(a)  Dipoosophist.  lib.  Vili,  cap.  III. 

(3)  Hist.  Natiir.  lìb.  XXXI  l,  cap.  II. 

(4)  Didlogus  de  D';a  Sjria,  cap.  XLV. 


i5i 

alla  persona .  Aggiunge  in  oltre,  die  alcuni  da  lui  parecchie    fiate  veduti  porta- 
vano un  fiorellino  d'oro  attaccato  allo  spino. 

Cosa  dir  si  dovrà  dei  delfini,  secondo  Antigono  Caristlo  1  più  mansueti  tra 
gli  animali  marittimi?  Basta  su  di  ciò  consultare  la  dissertazione  di  Stellerò  (i), 
Pietro  Martire  de  rebus  oceanicis  (2),  e  Corrado  Gesnero  (3) .  Impariamo  poi 
da  Eliano  (4)  che  Leonide  Bisanzio  navigando  verso  l' Eolida ,  passando  per 
una  città  chiamata  Pleroselena  ammirò  in  quel  porto  un  delfino ,  il  quale  viveva 
con  que' cittadini  quasi  fijssero  suoi  ospiti .  Cotesto  animale  aveva  sortito  sin  dal- 
la prima  età  la  sua  educazione  da  certa  donna  e  da  suo  marito  in  fijrma  tale 
che,  avendo  un  piccolo  pargoletto,  il  proprio  figliuolo  ed  il  delfino  contempora- 
neamente nutrivano.  Crebbero  ambedue  insieme,  e  dalla  promiscua  educazione 
conservarono  a  vicenda  il  più  tenero  affetto .  Il  delfino  infatti  non  si  allontanò 
più  da  quel  porto,  e  non  avendo  bisogno  che  gli  ospiti  suoi  gli  somministrasse- 
ro il  giornaliero  alimento,  ne  andava  egli  medesimo  in  cerca  per  le  acque,  met- 
tendo a  parte  della  propria  preda  i  benefici  suoi  educatori,  che  fijrnivano  così 
la  parca  mensa  di  cibi  non  compri.  Se  il  giovane  amico  dalla  sponda  del  mare 
chiamava  il  delfino,  pronto  vedeasi  a  galla  dell'  acqua  venirgli  incontro  festoso 
senza  indugiare  .  Protesta  Leonide  che  a  godere  tale  spettacolo  accorrevano 
tutti  li  forestieri,  come  ad  una  delle  maggiori  meraviglie  di  quella  città ,  e  che 
quindi  grande  guadagno  al  giovane  ed  a' suoi  genitori  ne  derivava  .  Dalla  seguen- 
te poetica  descrizione  lasciataci  da  Oppiano  (5)  si  può  giudicare  quale  sorpresa 
facesse  negli  spettatori .  Udiamola  dalla  versione  latina  riportataci  da  Andrea 
Cirino  (6)  : 

5» Cum  prope  ludit  in  undis, 

»»  Pene  natat  piscis  blandus,  sequiturquc  natantem, 

»  Et  latus  adjungit  lateri,  mento  quoque  mentum, 

»  Et  caput  inclinat  capiti,  velut  oscula  carpat . 

n  Tu  dicas  cupidum  pectus  cum  pectore  velie 

»  Jungere,  tara  magno  puerum  prope  nabat  amore . 

»  Sed  cum  clamatus  delphis  stat  litora  juxta , 

K  Demulcetque  caput  juvenis,  dorsumque  natanti* 


(1)  Magasino  d'Amburgo  XI,  p.  177. 

(2)  Decad.  Ili,  llb.  Vili. 

(3)  Aqualll.  Histor.  p.  SgS. 

(4)  Histor.  Animai,  lib.  Il,  cap.  VI. 

(5)  De  Piscatione  lib.  V. 

(6)  Ciriaus,  de  natura  pisciura.  Venetiis,  i653,  pag.  jag. 


i55 

w  KnsiHt,  exceptus  piscis  quocunqne  jubcbat 

n  Vectabat  puerum  laetiis.  Jubcl  ire  per  allum? 

"  Obscqnitiir  .  Porlus  gestii  sulcare  palentes  ? 

"  t*er  purtus  vubitur  .  Cuplat  si  litora  juxta, 

"  A.nnuit,  et  cari  piieri  praecepta  capessit. 

«  fVlollis  equus  flexis  non  tantum  paiet  habenis-^ 

»  Nec  canis  assuetus  tantum  vcnantibus  auilit, 

n  Quantum  nec  fróeno  delpliin,  nec  tractus  habenis 

»  Vailil  subjectus  pueri  «juocunque  voluntas 

n  Imperai » 

Sorprcnile  ugualmente  la  murena  di  Crasso  Romano  il  Censore,  la  quale 
quasi  avvenente  fanciulla,  ornata  di  gemme  e  d'  oro  ,  era  stata  da  Crasso  av- 
vezza ad  obbedire  alla  sua  voce,  ed  a  prendere  dalle  proprie  mani  il  cibo .  Cosi 
teneramente  1'  amava  che  giunta  a  morte  non  potè  trattenersi  dal  versare  co- 
piose le  lagrime  .  Allora  fu  quando  Dominio  suo  collega  lo  motteggiò  nel  sena- 
to per  aver  pianto  una  murena .  Ma  Crasso  :  Se  io  piansi  (  gli  rispose  )  di  una 
bestia  la  perdita,  hai  ben  ragione  di  maravigliarti  tu  ,  il  quale  allorché  rimane- 
sti privo  delle  tre  mogli  non  versasti  nemmeno  una  lagrima  (i). 

Se  gli  antichi  furono  intesi  ad  istruire  volatili  e  pesci ,  non  trascurarono  pe- 
rò i  rettili .  Tra  questi  infatti  sono  i  serpenti  riguardati  da  loro  in  modo  specia- 
le come  quelli  i  quali  erano  contemplali  eziandio  sotto  aspetto  di  religione  .  Per 
conoscere  ciò  basta  scorrere  la  dissertazione  di  Giovanni  Lami  sopra  i  serpenti 
sacri  (2),  nella  quale  del  culto  loro  prestato,  e  dei  varii  monumenti  a  loro  rifles- 
sione eretti  pienamente  c'istruisce.  Qualunque  sia  stata  la  venerazione  è  certo 
che  di  renderli  domestici  si  dilettarono  gli  antichi.  Il  celebre  serpente  Lanu- 
vino  era  custodito  e  mantenuto  da  una  vergine  restandocene  innegabile  argo- 
mento  nelle  due  medaglie  riportate  da  Begero  (3)  l' una  della  famiglia  Papia ,  e 
l'altra  della  famiglia  Roscia  .  Altra  prova  sulT  addestramento  dei  serpenti  ci  si 
presenta  in  un  antico  bassorilievo  in  questa  biblioteca  marciana  di  Venezia  esi- 
stente ('1).  Sopra  tutti  questi  antichi  monumenti  infatti  vedesi  la  serpe  neiratto 
di  prendere  il  cibo  dalle  mani  :  fatto  che  Properzio  (5)  ricorda  così: 

«  llle  sibi  admotas  a  Virgine  corripit  escas  »  . 

(i)  Macrobii  Saturnal.  lib.  II,  cap.  XI,  el  Aellaai  Histor.  animai,  lib.  YIII,  cap.  lY. 
(a)  Sculla  di  disseriazioni.  Venezia  8."  T.  I,  P.  II. 

(3)  Thesaur.  lirandeburg    T.  Il,  p.  SGtì  et  58i.    • 

(4)  /.anelli,  antiche  statue  della  libreria  di  s.  Marco  in  Venezia,  T.  II,  tav.  X. 

(5)  Lib.    lY.  oleg.  Vili. 


i56 

Assai  piìt  ammirabile  è  la  descrizione  Jattaci  da  Eliano  dei  serpenti  man- 
tcnnli  da^li  E<jiziani.  Riferisce  esli,  che  Filarco  nel  duodecimo  libro  delta  sua 
Istoria  a  noi  sconosciuta  racconta,  che  questi  animali  scherzavano  coi  fanciulli 
senza  ilanneggiarli,  e  cliiamati  sbucavano  fuori  dal  loro  covaccioli.  Finitoli 
pranzo,  i  padroni  della  casa  apprestavano  sulla  mensa  certa  piettanza  di  farina 
stemprata  nel  vino  e  nel  mele  .  Al  crepitar  delle  dita  erano  invitati  al  pranzo  i 
serpentelli,  i  quali  strisciandosi  e  graziosamente  fischiando  comparivano  pronti 
schierandosi  intorno.  Alzando  quindi  la  testa  coglievan  tranquilli  dalla  mensa  11 
cibo  apparecchiato,  del  quale  riempiutisi  a  sazietà  ritornavano  Indietro  .  Di  più 
ancora,  avevano  questi  rettili  accesso  eziandio  nelle  stanze  notturne,  senza  ti- 
more di  risentirne  danno.  Una  sola  precauzione  però  si  usava,  ed  era  ,  che  do- 
vendosi taluno  alzare  dal  letto  in  mezzo  al  bujo  notturno,  premesso  colle  dita  il 
noto  segno,  le  già  addestrate  serpi,  le  quali  trovavansi  in  giro  per  la  stanza  su- 
bito si  ritiravano  entro  1  lor  nascondigli  per  non  recar  danno-ai  benefici  padroni 
se  dallo  scalzo  lor  piede  fossero  calpestati . 

Se  mai  sopra  la  narrazione  di  Eliano  dubbio  insorgesse  pel  grado  di  cre- 
denza che  prestar  gli  si  deve,  ci  può  convincere  della  verità  del  suo  racconto  il 
curioso  aneddoto  arrivatoci  del  cliiarlssiino  nostro  cardinale  Pietro  Bembo.  Una 
lettera  latina  infatti  esiste  scritta  da  Giorgio  della  Torre,  prefetto  dell"  orto 
botanico  in  Padova  al  patriarca  di  Venezia  Luigi  Sagredo  (i),  dalla  quale  ri- 
levasi l'amore  soverchio  di  quel  dotto  cardinale  ai  serpenti.  In  questa  infatti 
riferisce  11  Torre,  di  avere  inteso  dalf  ab.  Vincenzio  Gradenigo  erede  del  Bem- 
bo, non  che  da  Guglielmo  Sokierio,  testimonii  ambedue  degni  di  fede,  che  quel 
sommo  letterato  raccolse  nella  villa  Bozza  del  territorio  padovano  numero 
grande  di  serpenti,  dando  generosi  guiderdoni  a  que'  rustici,  1  quali  di  simili 
animali  lo  presentavano:  e  quindi  (continua  il  Torre)  «  Angues  in  sinu  fovebat, 
«  nec  blandirl  illis  deslnebat,  in  propriaque  domo  stare,  alique  praeciplebat  .  .  . 
«...  Itaut  domns  ea  anguium  asjlum  vlsa  sit,  et  nullus  domesticorum,  noeta 
«  praesertim,  absque  suo  serpente  cubare  potuerit:  quod  et  ab  llllus  loci  In- 
n  colis  etlam  in  praesens  asseritur  .  Nec  exile  testimonium  amoris  erga  serpen- 
n  tes  tanti  viri  sit,  quod  si  ejusmodi  animai  Inter  eundum  occisum  reperlretur. 
»  totam  illam  diem  aegre  et  susplciose  transigere  consuevlsse  tradunt  " . 

Vasto  campo  a  scorrere  ci  si  presenta  ogni  volta  che  le  istruzioni  dagli  an- 
tichi date  al  quadrupedi  raccogliere  si  voglia,  ed  è  ben  ragionevole ,  che  se 
tanto  valsero  nell'addestrare    i  volatili,  1  pese;    ed   1  rettili,  abbiano    assai  pih 


(i)  Codice  ms.  conservato  fra  gl'italiani  della  reale  Libiioleca  palatina  di  3.  Marco  ia  Venezia 
Nuin.  CCXXVI  della  classe  VII,  pag.  43i. 


'^7 
ngnzzato  il  loro  ingegno  per  tlilellarsi  dì  quelli  che    hanno   maggiore  vicinanza 

con  l' uomo,  e  che  dalla  natura  sortirono  più  perfetta  organizzazione . 

Raccontandoci  Svetonio  (i)  e  Dione  Cassio  (a)  ,  che  l' imperatore  Caligola 
aveva  eretto  magnifica  stalla  marmorea  col  presepe  d'  avorio  al  suo  cavallo  per 
nome  Incitato^  e  che  coperto  di  gualdrappa  di  porpora  intessula  d'  oro  e  di 
gemme,  avea  destinato  al  suo  servigio  numerosa  famiglia,  facendolo  nutrire  di 
orzo  dorato,  e  bere  in  vaso  d'  oro  ;  dir  certamente  si  dovrebbe,  che  le  abilità 
da  rpiesto  animale  acquistate  in  forza  di  costante  educazione  fossero  sorpren- 
denti, e  quasi  quasi  portentose.  E  ciò  molto  più  se  rilletter  si  voglia  che  destina- 
to lo  aveva  alla  dignità  consolare,  non  che  a  quella  di  suo  sacerdote  in  compa- 
gnia della  moglie  Cesonia,  e  di  chiunque  a  così  grande  onore  aspirasse  a  prezzo 
di  cento  scsterzii.  Ma  come  mai  formar  si  potrebbe  argomento  di  legittima  dedu- 
zione dai  capricci  di  un  imperatore,  il  quale  avendo  avuto  da  Cesonia  dopo  il 
trentesimo  giorno  delle  sue  nozze  una  figliuola,  non  arrossì  di  ordinare  pubbli- 
ci solenni  ringraziamenti  agli  Dei  pel  miracoloso  favore  accordatogli  di  essere 
divenuto  in  così  breve  tempo  e  sposo  e  padre  ? 

Atteniamoci  adunque  a  fatti  innegabili,  fra  i  quali  l'ultimo  luogo  non  merita- 
no certamente  i  così  celebri  cavallerizzi  dai  Latini  desultorii^  e  dai  Greci 
ùixtfiiTnToi  chiamati.  Imperciocché  questi,  nell'atto  in  cui  a  briglia  sciolta  i  ca- 
valli correvano,  dall'  uno  sull'altro,  e  da  questo  su  quello  balzavano,  senza  che  i 
generosi  destrieri  rallentassero  il  loro  corso  :  esercizio,  da  cui,  come  dice  Sve- 
tonio (3)  ,  non  era  aliena  la  gioventù  romana,  equos  desultorios  agitaperunt 
nòbilissimi  juvenes . 

In  quale  forma  sorprende  il  marziale  stratagemma,  che  dai  cavalli  nelle  ro- 
mane testuggini  eseguiasi  ?  Furono  queste  istituite,  siccome  Dion  Cassio  (^) 
fra  gli  altri  ci  riferisce,  non  solo  per  espugnare  le  fortezze,  ma  eziandio  per 
combattere  contro  gli  arcieri .  Al  vedere  l'oste  vicina,  mentre  colle  taro-he  co- 
perti strettamente  a  pie'  fermo  attendevanla  i  soldati,  que'  cavalli  tutti  ad  un 
tempo  s  inginocchiavano,  fingendo  d'essere  dalle  numerose  freccie  colpiti. 
Tranquillo  corrcagli  allora  addosso  il  nemico  per  goderne  lo  spoglio,  ma  ad 
un  sol  punto  rizzandosi  nuovamente  i  cavalli,  spargevano  la  confusione  e  la  stra- 
ge nei  credutisi  vincitori . 

Sebbene  da  Platone,  anziché  applauso,  un  filosofico  rimprovero  abbia  riscos- 
so Anniceride  di  Cirene  allorché  fece  vedere  al  filosofo  la  sua  maestria  nel  gul- 

<0  Calig.  cap.  LV. 

(•.)  Hisl.  Ro.n.  lib.  XXXVII,  cap.  LIV,  et  lib.  LIX,  cap.  IV  et  XXVlll 

(3)  In  Caesar.  cap.  XXXIX. 

(4)  Lib.  XLIX,  cap.  XXX. 


i58 

dare  i  cavalli:  sorprese  però  cUiunque  accorse  a  godere  lo  spettacolo  .  Imper- 
ciocché Anniceride  montato  il  cocchio,  ed  agitati  i  generosi  destrieri,  per  più  e 
più  volte  girò  nell'  accademia,  ricalcando  esattamente  colle  ruote  la  circonfe- 
renza per  la  prima  volta  descritta,  senza  che  in  nessun  punto  si  potesse  ricono- 
scere di  aver  egli  o  dall'uno  o  dall'altro  canto  declinato  (i)  .  Sommo  era  lo 
studio,  secondo  Massimo  Tirio  (2),  che  da  quel  di  Cirene  faceasl  nell'  istruire  i 
cavalli  . 

Ma  i  Sibariti  non  si  lasciaron  però  superare  dal  popolo  di  Cirene.  Eliano  (3), 
ed  Ateneo  (4)  ce  ne  porgono  curiosi  argomenti.  A  tale  grado  cotesti  popoli  ave- 
vano spinto  il  loro  lusso,  che  nell'atto  in  cui  banchettavano,  quanto  dilettevole 
altrettanto  sorprendente  spettacolo  offerivano  loro  i  cavaHl .  Al  grato  e  delica- 
to suono  de'  flauti  danzavano  ritti  sui  pie'  di  dietro,  tutti  eseguendo  i  ravvolgi- 
menti ed  i  moti  dal  suono  espressi,  imitando  graziosamente  coi  pie' dinanzi  i  ge- 
sti di  esperti  ballerini  .  Costò  per  altro  assai  caro  a  que'  lussureggianti  popoli 
così  raffinato  piacere  .  Infatti  mossa  loro  la  guerra  dai  Crotoniati,  questi  collo- 
carono nel  campo  li  suonatori  de' flauti,  e  dato  il  segno  della  battaglia,  anziché 
battere  i  timpani  strepitanti,  e  dar  fiato  alle  ranche  trombe  marziali,  1  delicati 
flauti  a  suonare  si  posero  .  Allora  i  cavalli  sibariti  erettisi  su  due  piedi  incomin- 
ciarono i  soliti  graziosi  balletti,  e  a  dispetto  della  sferza,  del  freno  e  dello  spro- 
ne, carollando,  passarono  cogli  armati  cavalieri  sul  dorso  al  campo  nemico  . 

Felici  però  i  Crotoniati,  che  i  Sibariti  non  ebbero  in  pronto  il  ripiego,  già 
usato,  secondo  Polluce  (5)  dai  Magnesi!,  secondo  Eliano  (6)  dagl'Ircani,  e  se- 
condo Strabone  (y)  dai  Galli  .  Se  le  numerose  coorti  da  codesti  popoli  messe 
in  attività  avessero  saputo  sostituire  alla  perduta  cavalleria  ;  forsechè  il  favore 
di  Marte  sarebbe  stato  loro  propizio .  Avrebbe  certamente  sorpreso  lo  scaltrito 
nemico  la  furia  dei  cani,  dei  quali,  oltre  le  ricordate  nazioni,  servironsi  ne'  pri- 
mi attacchi  eziandio  i  Colofornii,  per  quanto  asserì  Plinio  (8)  :  »  Propter  bella 
»  Colophornii,  itemque  Castabalenses  cohortes  canum  habuere  :  hae  primae  di- 
11  mlcabant  in  acie  numquam  detrectantes  :  haec  erant  fidelissima  auxilia,  nec 
35  stipendlorum  indiga  "  . 


(i)  Var.  Hislor.  lib.  II,  cap.  XXVII. 

(2)  Dlsseit.  VII. 

(3)  Hislor.  Animai,  llb.  XVI,  cnp.  XXIII. 

(4)  Llb.  XII,  cap.  XIX. 

(5)  Lib.  V,  cap.  V. 

(6)  Hislor.  Animai,  lib.  YII,  cap.  XXXVIH. 

(7)  Geogiaph.  lib.  IV. 

(8)  Hislor.  Nalur.  lib.  VIII,  cap.  XL. 


1 5^ 
E  cosa  infatti  non  ottennero  gli  antichi  dai  cani  ?  EliogaLalo  dilettavasi  di 
sottoporli  ad  un  cocchio,  e  farsi  trarre  da  loro  nel  recinto  del  reale  palazzo  per 
le  sue  eamna"-nc:  »  Cancs,  scrive  Lampridio  (i)  ,  fpiatcrnos  ingentes  junxit  ad 
>!  curnim,  et  sic  est  vectatus  intra  doinum  rcgiam,  idqiie  privatiis  in  agris  suis 
«  fecit  "  .  I  ricchi  premil  da  Nerone  profusi  ai  guidatori  de'  cavalli  aveano  insu- 
perbito cotesta  gente  vile  e  mercenaria  a  tale,  che  oro  bastante  non  v'era  per 
saziare  la  loro  ingordigia  ogni  volta  che  a  dare  pubbliche  feste  1  consoli  ed  i 
prelori  erano  obbligati.  Aulo  Fabrizio  non  volle  assolutamente  sottostare  alia 
loro  indiscretezza  :  e  cjuindi,  per  quanto  Dione  ci  narra  (2),  sostituì  nel  circo 
i  cani  ai  cavalli,  facendoli  prima  con  la  massima  diligenza  ammaestrare  in 
modo  (li  riscuotere  l' applauso  e  l'ammirazione  di  tutti  gli  spettatori . 

Dappoiché  Plutarco  non  credette  di  passare  sotto  silenzio  il  giuoco  di  un  ca- 
ne da  lui  veduto  in  Roma  nel  teatro  di  Marcello,  giudico  io  pure  di  non  dove- 
re dispensarmi  dal  riportarlo  in  confermazione  del  mio  assunto.  Era  vi  un  mae- 
stro de'  pantomimi,  il  quale  facea  rappresentare  una  favola  alquanto  difficile 
per  la  moltiplicità  degli  attori  .  Fra  questi  ci  entrava  un  cane .  Ora  uno  de'  per- 
sonaggi doveva  nell'azione  far  credere  agli  spettatori  di  avvelenare  la  persona 
rappresentata  dal  cane  :  a  tale  però  che,  non  essendo  sufficiente  la  quantità  del 
veleno,  cadere  dovesse  in  cosi  profondo  letargo  da  farsi  credere  estinto.  Giun- 
to infatti  il  momento  il  cane  riceve  il  tozzo  di  pane  avvelenato.,  lo  mangia,  e 
fingendo  di  sentire  entro  se  stesso  la  corrosiva  attività  del  veleno,  si  altera, 
trema,  traballa,  ne  più  potendo  alzare  la  testa  perde  a  poco  a  poco  moto  e  re- 
spirazione, distendendosi  sul  suolo  quasi  esanimato  cadavere.  Gli  altri  attori 
corrono  allora  per  soccorrerlo,  ma  invano .  Lo  scuotono  ed  ci  non  si  muove . 
Lo  strascinano  su  e  giù  pel  teatro,  e  finge  di  non  sentire  .  Continua  intanto 
l'azione  .  Quand'ecco  giunti  al  determinato  segno,  il  cane  incomincia  a  palpita- 
re, e  quasi  da  profondo  sonno  destato,  si  dimena,  alza  la  testa,  guarda  all'  intor- 
no .  Fan  tutti  le  meraviglie,  ed  egli  alzatosi  dando  di  allegrezza  e  di  compia- 
cenza non  equivoci  segni  a  quello  si  avvicina  festoso,  a  cui  doveva  secondo  l'in- 
treccio del  dramma .  Plutarco  (3)  protesta,  che  l'abilità  di  questo  animale  sor-  • 
prese  l' imperatore  Vespasiano,  e  tutti  insieme  gli  spettatori,  cosicché  dal  muto 
silenzio  in  cui  giaceva  immerso  il  teatro,  si  passò  ai  più  dichiarati  applausi, 
ed  alle  dimostrazioni  di  approvazione  . 

Si  crederà  forse,  che  eziandio  le  simie  perfette  imitatrici  delle  azioni  dell"  uo- 
mo possano  aver  luogo  in  questo  mio  saggio  .  Veramente  dipendendo  le    ope- 

(i)  Vita  EUogabjli  cap.  28. 

(2)Lib.  LXI,enp.   VI. 

(3)  De  solertia  aniinalium,  operum  eJit.  lipsicnsis  1778    T.  X,  p.  54- 


i6o 

razioni  di  questi  animali  più  dal  loro  naturale  istinto  e  dalla  figura  del  loro  corpo 
di  quello  sia  dalla  educazione,  fui  d'avviso  che  onimettere  si  dovessero,  e  ciò  tanto 
più  perchè  gli  antichi  non  ne  faceano  gran  caso.  Eliano  infatti  (i)  considera  la 
siiuia  r  animale  il  più  perverso  dogiii  altro  ,  e  la  ragione  ne  adduce  col  riferirci 
orribile  fatto.  Attenta  nutrice  prende  il  suo  tenero  pargoletto,  scioltolo  dalle  fa- 
sce Io  bagna  con  acqua  tepida:  quindi  nuovamente  involto  ne'pannilini,  lo  ripo- 
ne entro  la  culla.  Stavasi  non  veduta  ad  osservarla  una  simia.  Non  appena  allon- 
tanatasi la  nutrice,  entra  per  la  finestra  nella  stanza  .  Riscalda  1'  acqua  ,  sfa- 
scia l'infelice  bambino,  gliela  versa  rovente  sulle  delicate  membra  dandogli  la 
più  tormentosa  morte . 

Allontaniamo  adunque  noi  pure  da  così  perverso  animale  le  nostre  investiga- 
zioni., e  chiediamo  invece  al  re  Mitridate  a  chi  affidava  se  slesso  quando  al  dolce 
sonno  si  abbandonava  tranquillo  .  Era  11  suo  palazzo  cinto  da  un  corpo  di  solda- 
tesca ,  ma  presso  alla  stanza  del  suo  riposo  teneva  sempre  un  toro  ,  un  cavallo, 
ed  un  cervo  da  se  stesso  ammansati  ed  istruiti  (2).  Se  alcuno  infatti  si  avvicina- 
va,  muggendo  il  primo,  nitrendo  l'altro,  ed  alzando  11  terzo  la  propria  voce  de- 
stavano r  addormentato  monarca  ,  allora  solamente  cessando  gli  animali  di  av- 
visarlo quando  egli  medesimo  d'  essersi  scosso  dava  Indizio  alle  incorruttibili 
sue  guardie . 

Ne  conviene  meravigliarsi,  che  a  tale  nffizlo  11  pauroso  cervo  sia  stato  pre- 
scelto .  La  vergine  sacerdotessa  riferita  da  Pausania  (3)  comparendo  ne'  pub- 
blici luoghi  montava  un  cocchio  tratto  dai  cervi  ,  e  parimente  l'imperatore  Au- 
reliano entrò  nel  Campidoglio  strascinato  da  questi  animali .  «  Fult  alius  currus 
n  (dice  Vopisco)  (4)  quatuor  cervis  junctus,  qui  fuisse  dicllur  regls  Gothorum  : 
v>  quo,  ut  multi  memoriae  tradiderunt,  Capitolium  Aurelianus  invectus  est,  ut 
«  illic  caederet  cervos,  quos  cum  eodem  curru  captos  vovisse  Jovi  optimo  maxi- 
«  mo  ferebatur  " .  E  secondo  Lamprldlo  (5),  Eliogabalo  «  processit  in  pubbli- 
n    cum  quatuor  cervis  junctis  ingentibus". 

Se  ci  sorprende  11  leggere  che  gli  antichi  giunsero  in  forza  dell'educazione  a 
tocrllere  la  naturale  timidezza  al  cervi,  non  è  meno  sorprendente  il  sapere ,  che 
attaccarono  al  loro  cocchll  e  tigri  e  leoni .  Di  quelle  infatti  non  solo  da  Sveto- 
nlo  (6),  ma  da  Plinio  (7)  sappiamo,  che  Augusto  nel  consolato  di  Q.  Tuberone 

(i)  Hist.  Animai,  lib.  VII,  cap.  XXI.  K««o»$iV«Tol'  ìì  àptt  tÙi  «mi'  vÌUkoì  m'v  ,  4  In    irKÌot  tv 
0  0  vHfXTit   f/i(iàtS«i  tÒv  at/'jpK'Trcv . 

(2)  Ivi  lib.  VII,  cap.  XLVI. 

(3)  Achaica,  seu  lib.  VII,  cap.  XVIII.  . 

(4)  Vila  Auieliani  irnp.  ' 

(5)  I.  e.  cap.  XXVIIl. 

(C)  Anglisti  vila,  cap.  XX. 

{7)  Uistor.  naturai,  lib.  Vili,  cap.  XVII. 


i6i 
e  di  Fabio  Massimo  «  IV.  nonas  maias  ihcatri  Marcelli  dedicalione  tigrin  pri- 
«  mus  oinniam  Romae  oslendit   in  cavea  mansiiefactum  »  :    e  secondo  Lampri- 
dio  (i)  dopo  Augusto,    Eliogabalo   u  junxit  et  ligres  Liberum   sese   rocans". 
Quindi  Marziale  cantò  (2): 

»  Lambere  securi  dcxtram  consueta  magistri 
n  Tigris  ab  hircano  gloria  rara  jugo  ". 

Riguardo  ai  leoni  poi  abbiamo  da  Plinio  la  seguente  testimonianza  (3  :  «  Ju- 
«  go  subdidìt  cos,  primusquc  Romae  ad  currum  junxit  M.  Antonius,  et  quidem 
»  civili  bello  cura  dimlcatum  esset  in  pharsalicis  campis  ».  Non  eccita  certa- 
mente la  nmana  invidia  la  sorte  di  Annone  cartaginese ,  il  quale  fu  il  primo  ad 
ammansare  1  leoni.  Imperciocché  fu  egli,  in  premio  della  sua  abilità,  condannato 
a  morte,  e  ciò  perchè,  come  continua  Plinio:  «  Nihil  non  persuasurus  vir  tam 
»  artificis  ingenii  videbatur:  et  male  credi  libertas  ci,  cui  in  tantum  cessisset 
!)  etiam  feritas  "  . 

Ne  gli  antichi  soltanto  sottoposero  i  leoni  al  giogo,  ma  fecero  ancora  di  più  . 
Domiziano  infatti  era  giunto  ad  ottenere  da  un  leone  addomesticato,  che  mentre 
avea  tra  le  zanne  una  lepre,  ad  una  voce  abbandonava  la  preda,  senza  più  toc- 
carla quando  prima  non  glielo  avesse  permesso  .  Per  lo  che  Marziale  adulando 
l'imperatore  lo  costituisce  superiore  a  Giove  ({): 

55  Aethereas  aquila  puerum  portante  per  auras 

«  Illacsum  timidis  unguibus  haesit  onus: 
«  Nunc  sua  Caesareos  exorat  praeda  leones 

»  Tutus,  et  ingenti  ludit  in  ore  lepus: 
n  Quae  majora  putas  miracula?  summus  utrique 

»  Auctor  adest:  Haec  sunt  Caesaris,  illa  Jovis. 
In  vista  di  azioni  così  ammirabili  operate  dai  leoni  Stazio  con  sorpresa  escla- 
mò (5)  : 

»  Quid  tibi  constrata  mansuescere  profuit  ira, 

"  Imperiumque  pali,  et  domino  parere  minori  ? 

s>  Quid?  quod  abire  domo.^  rursusqne  in  claustra  reverti 


(1)  Vita  Heliogabali. 
(a)  Spectaculor.  lib.  epigram.  XVIII. 
(3)  Uistor.  nalur.  lib.  Vili,  cap.  XVI. 
(4)T>ib.  I,  epigram.  VII. 
(  i]  Sylvarum  lib.  II. 
ai 


162 

"  Suetus,  et  a  capta  jam  sponte  recedere  praeda  ? 
"  luscrtasque  inanus  la*o  dimittere  niorsu  ? 

Sorprende  per  verità,  che  gli  uomini  abbian  potuto  vincere  la  ferocia  presso- 
ché indomabile  del  leoni  e  delie  tigri,  e  quindi  sian  giunti  a  tanto  di  sottoporli 
ai  loro  capricci  . 

«  Chiunque  però  fu  il  primo  (  come  un  dotto  italiano  ragiona)  (i)  a  formar 
«  l'ardito  progetto  di  soggiogare  al  suo  dominio  1" elefante,  quella  macchina  mo- 
51  struosa  e  gigantesca  tra'  quadrupedi,  o  fu  cieco  da  non  vederlo  svellere  colla 
H  sua  girevole  proboscide  piante  robuste ,  sollevar  in  aria  e  lanciar  in  distanza 
n  sassi  enormissimi ,  o  se  non  fu  temerario  merita  di  occupare  un  luogo  distinto 
»  tra'  più  sublimi  filosoli  "  .  Giusta  riflessione  in  forza  della  quale  dobbiamo  ri- 
manere stupefatti  insieme  con  Marziale  (2),  che 

»  Nigro  bellua  nil  negpt  magistro  "  . 

Frutto  certamente  dell'  umana  indostria  e^b  è ,  che  macchine  di  tanta  mole 
si  lascino  signoreggiare  dall'  uomo,  e  lo  servano  sotto  l' aratro  ed  il  carro ,  che 
portino  lettighe  e  torri,  anzi  che  divengano  oggetto  di  delizia  e  di  lusso  :  «  lis 
»  arant,  dice  Plinio  (3),  iis  yehuntur,  haec  maxime  novere  pecuaria  :  iis  militant 
»  dimicantque  prò  finibus  » .  E  quindi  quel  profondo  naturalista  tracciandoci 
l'indole  e  la  docilità  dell' elefante  ,  lo  dipinge  cosi(^):  «  Maximum  est  ele- 
n  phas,  proximumque  humanis  sensibus  :  quippe  intellectus  illis  sermonis  patrii , 
»  et  Imperiorum obedientia,  ofiiciorumque  quae  didicere  memoria:  amoris  et  gio- 
ii riae  voluptas  :  immo  vero  (  quae  etiam  in  homine  rara  )  probitas,  prudentia  et 
"  aequitas  " .  Se  nel  suo  giudizio  siasi  ingannato  riconosciamolo  dai  fatti . 

L'  artifizio  col  mezzo  del  quale  gl'Indiani  ammansavano  gli  elefanti  esposto  ci 
viene  da  Eliano  (5)  .  Ritrovandone  essi  alcuno  nella  prima  età  entro  il  covile  ^ 
perchè  debole  ancora  ed  inesperto  lo  riducean  facilmente  colla  dolcezza  dei  ci- 
bi ad  obbedire  ai  loro  comandi .  Ma  qualora  arrivavano  ad  ingannarne  qual- 
cheduno  già  adulto  coprendo  spaziose  fosse  di  giunchi  e  di  canne  ;  non  appena 
precipitatovi  dentro,  strettamente  con  grosse  funi  legandolo ,  lo  raccomandava- 

(1)  L'autore  della  transazione  anonima  (die  si  sa  essere  stato  il  p.  Clarizia  napoletano)  stam- 
pata in  giunta  all'opera  di  Lodov.  Dutens,  origine  delle  scoperte  attribuite  ai  moderni  cap. 

VII,  5.  vili- 

(,!)  Lil).  I,  epigram.  CV.  ' 

(3)  Hislor.  nalur.  lib.  VT,  cap.  XIX. 

(4)  1.  0.  lib.  VITI,  cap.  I. 

(5)  Hislor.  animai,  lib.  IV,  cap.  XXIV,  e  lib.  X,  cap.  X. 


i63 
no  a  forti  ed  annose  quercia  in  modo  che  per  nessun  lato  aggirar  si  potesse .  I^a- 
sciavanlo  in  cosi  penosa  situazione  lino  a  tanto  clic  «li  stanchezza  e  di  sommos- 
sionc  le  traccia  non  gH  si  vedessero  dipinte  sugU  occhi .  Assicurati  allora  della 
debolezza  di  quello  sciauralo  animale,  presentandogli  colle  proprie  mani  il  ciho, 
gli  si  avvicinavano.  Lo  ricusava  da  prima,  ma  estenuato  dalla  fame,  cogli  oc- 
chi languidi  e  mezzo  chiusi  lo  ncevca  in  seguito  tranquillamente  ;  e  dopo  alquan- 
ti giorni  confortatosi,  non  più  come  nemici,  ma  come  benehci  padroni  mirava  li 
suoi  soggiogatori.  Ciò  ottenuto  apprestavangli  in  copia  orzo,  fichi,  uve,,  cipolle, 
e  mele  .  Resosi  mansueto,  a  poco  a  poco  sciogliendolo,  in  breve  tempo  condu- 
ceano  ad  eseguire  ogni  cosa  quell'ammansato  elefante,  il  quale  colla  ferocia  ave- 
va perduto  eziandio  la  sua  libertà  naturala  . 

Incredibile  adunque  non  riesca,  se  dallo  stesso  Eliano  (i)  ci  viene  racconta- 
to, che  gli  elefanti  furono  avvezzati  a  danzare  a  suon  di  flauto  ,  rallentando  ed 
accelerando  i  loro  passi  secondo  la  varietà  dei  tuoni .  Egualmente  non  ci  sarà 
dubbio,  che  sortendo  il  re  dal  suo  palazzo  (z)  gli  elefanti  ad  un  cenno  del  lo- 
ro custode,  ed  al  suono  de'  musicali  strumenti  gli  prestassero  di  adorazione  e  di 
rispetto  gli  omaggi,  e  ciò  molto  più  da  che  fecero  altrettanto  coli' imperator  Do- 
miziano, siccome  rilevasi  da  Marziale  (3)  : 

»  Quod  pius  et  supplex  elephas  te,  Caesar,  adorat, 

"  Hic  modo  qui  tauro  tam  metuendus  crat: 
»  Non  facit  hoc  jussns,  nulloque  docente  ma^islro  ; 

»  Crede  mihi,  nunien  sentit  et  llle  tnum. 

Quanto  questi  animali  sono  giudiziosi  nell' apprendere,  altrettanto  si  compiac- 
ciono di  bene  riuscirvi  ,  a  grado  tale  che  ogni  studio  ini|ii('£-ano  per  eseguire 
quanto  loro  insegnano  gli  educatori .  A  prova  di  ciò  ecco  il  riferitoci  da  Plutar- 
co (4)  .  Fra  i  varii  elefanti  dal  loro  istitutore  ammaestrati  uno  ve  n'era,  il  qua- 
le, perche  d  ingegno  tardo  nell'  apprendere,  riscosse  varie  battiture  .  Tale  trat- 
tamento dispiacque  all'  animale,  e  fu  quindi  veduto  più  volte,  quasi  novello  De- 
mostene allo  specchio,  ripetere  alla  luce  della  luna  gli  escrcizii  per  lui  cotanto 
difficili,  procurando  di  correggersi  da  que' difetti  e  da  que'  viziosi  scorci  di  cor- 
po, che  dalla  sua  ombra  rilevava  sul  suolo  :  «  Cerlura  est  (  ce  lo  conferma  Pli- 


(i)  Hislor.  animai   llb.  XII,  cap.  XI. 

(a)  Arislolelis  llislor.  animai,  llb.  IX,  cap.  XI. 

(3)  Lib.  I,  epigramma  XVII. 

(4)  De  solerlia  animai,  operiira  T.  X,  pag.  35,  an.   1778.   O'fiìil  vunjòi  ij-ìii   «V   "^li   ~;o'>   -lài 


.64 

!i  nio)  (i)  unum  tardioris  ingenii  in  accipicndis  quae  tradebantur,  sacpius  casti- 

j>  g-atuin  verberibus,  eadem  illa  meditantcìn  noctu  repertum  «  . 

Ma  sorprende  assai  piìi  il  latto  narratoci  da  Ateneo  appoggiato  all'  autorità 
di  Filarco  (z),  e  ripetutoci  eziandio  da  Eliano  (3) .  Mentre  Antigono  assediava 
la  città  di  Megara,  la  moglie  del  custode  degli  elefanti  diede  alla  luce  un  bam- 
bino, e  trenta  giorni  dopo  11  parlo  la  madre  perdette  la  vita.  Allora  1'  elefante, 
appresso  il  quale  fu  posta  del  pargoletto  la  culla,  manifestò  i  più  affettuosi  sen- 
timenti verso  queir  infelice  bambino:  cosicché  qualora  la  mercenaria  nutrice 
prcndealo,  se  mai  ritardasse  a  rimetterlo  nuovamente,  l'  animale  dava  segni  del- 
la più  profonda  tristezza,  anzi  per  tutto  quel  tempo  si  asteneva  per  lino  dal  ci- 
bo. Era  il  bambuio  dalle  mosche  infastidito?  Eccovi  l'elefante,  che  preso  uà 
ramuscello  lo  scuote,  e  lo  solleva  così  da  quelle  molestie  .  Si  desta  e  vagisce  ? 
Pronto  vi  accorre,  agita  la  culla  con  la  proboscide,  ne  cessa  da  quell'  azione 
se  non  quando  nuovamente  il  sonno  lo  colga ,  Potrebbe  tenera  madre  usare  at- 
tenzioni maggiori  di  queste  ? 

Ezechielle  Spaidiemio  ({)  nella  sua  opera  de  praestanda  numismatum^  e  Gi- 
berto Cupero  parlando  degli  elefanti  r.appresentati  sulle  antiche  medaglie  (5), 
ne  pubblicarono  una  di  Antioco  Epifane  cognominato  Dionisio,  sopra  il  rovescio 
della  quale  vedesi  un  elefante  portante  il  fanale  colla  proboscide  .  Sarebbe  for- 
se questo  animale  stato  adoperato  per  guidare  nel  buio  della  notte  1  propril  pa- 
droni con  fanali  accesi?  Se  ne  dubiterebbe  forse?  A  tale  uso  appunto  se  li  fece 
servire  Giulio  Cesare  (per  quanto  ci  attesta  Dione  Cassio)  (6)  allorché  nell'ul- 
timo giorno  del  suo  trionfo,  dopo  la  cena,  coronato  di  fiori  si  portò  al  suo  palaz- 
zo tra  la  folla  del  popolo  esult;mle,  precedendolo  parecchi  elefanti,  i  quali  ac- 
cese fiaccole  portavano  colla  proboscide:  fatto  della  oui  verità  ci  conferma Sve- 
tonio  (7)  dicendo  :  «  (  Caesar  )  adscendit  Capitolium  ad  lumina,  quadraginta 
«  elephantis  destra  atque  sinistra  lychnuchos  gestantibus  » . 

L' imperatore  Germanico  diede  nel  circo  spettacoli  sorprendenti .  Infatti  fu- 
rono condotti  dodici  elefanti  di  fiorite  ghirlande  adorni  (8),  che  a  passo  misura- 
to e  grave  camminando,  dopo  varii  giri,  e  varii  giuochi  di  danze  eseguite  al  suo- 


(j)  Hlstor.  nalur.  lib.  Vili,  cap.  III. 

(3)  Dipaosopìiist.  lib.  Vili,  cap.  LXXXV. 
(.3)  Histoi-.  animai,  lib.  XI,  cap.  XIV. 

(4)  Dlsseitalionum,  1706,  T.  I,  p.  170-720. 

(5)  Supplement.  ad  thesaur.  antiqui!.  R.  et  G.  T.  Ili,  p.  74. 

(6)  Histor.  Rom.  lib.   XLIII,  cap.  XXII. 

(7)  Vita  Julii  Caesaris,  cap.  XXXVII. 

(8)  Àeliani  Hist.  animai,  lib.  II,  cap.  XI. 


i6d 
no  de'miisicali  strumenti,  ad  un  cenno  del  loro  educatore  si  divisero,  e  pronti  si 
collocarono  intorno  alla  mensa,  sopra  la  tjuale  di  pane  e  di  carni  copioso  appre- 
stamento trovarono .  Ottenuto  il  permesso  stesero  le  pieghevoli  proboscidi,  e 
colla  maggiore  moderazione  si  servirono  del  cibo  loro  apparecchiato  senza  mo- 
strarsi ingordi  ed  indiscreti .  In  seguito  que' commensali  furono  servili  con  bic- 
chieri ripieni  d'  acqua,  con  1'  avanzo  della  quale  leggermente  per  ischerzo  spruz- 
zarono i  vicini  spettatori.  Eguale  scherzo  lu  eseguito  in  Roma  dall'  elefante 
mandato  in  dono  al  pontefice  Leone  X  nel  i5i4.  da  Emmanuele  re  di  Portogal- 
lo. Eccone,  dietro  1'  autorità  di  Aurelio  Sereno  (i),  la  esposizione  del  sig.  Gu- 
glielmo Roscoe  (2)  .  »i  Lorsque  le  cortège  passa  devant  le  palais  pontificai ,  à 
«  l'une  des  croisées  duquel  le  pape  s'  étoit  place,  l' elephant  s'arrtla,  et  plia 
»  trois  fois  le  genou  devant  sa  Saiuteté.  Le  quadrupede  mit  sa  trompe  dans  un 
»  grande  vase  plein  d'eau  qu  il  pompa,  et  répandit  ensuite  sur  la  foule  des  spe- 
si ctatcurs,  et  mème  en  abondance  sur  ceux  qui  étoient  aux  fenètres  du  palais, 
y>  scène  qui  réjouil  infinimeut  Leon  X  »  .  Continua  poi  Eliano ,  che  partendo 
dalla  mensa  gli  elefanti,  quasi  esperti  gladiatori  lanciando  giavelotti  eseguirono 
parecchi  giuochi  ginnastici ,  e  finalmente  uno  stendendosi  sopra  morbido  letto 
entro  vaga  lettiga  apprestato,  tìngendosi  leggiadra  puerpera  fu  da  quattro  dei 
più  addottrinati  presa  la  lettiga  sul  dorso,  e  Ira  gli  applausi  girarono  intorno  al 
circo.  In  confermazione  dell'esposto  ecco  la  testimonianza  di  Plinio  (3):  «  Vul- 
»  gare  erat  per  auras  arma  jacere  non  auferentibus   ventis,  atque   intcr  se  gla- 

»  dialorios  congressus  edere lecticis  ctiam  ferentes  quatcrnis  singulos  , 

T)  puerperas  imitantes  " . 

Non  contenti  gli  antichi  di  condurre  a  tale  grado  di  ammirazione  1'  addestra- 
mento degli  elefanti  ,  che  vollero  inoltre  farci  conoscere,  che  furono  eziandio 
capaci  di  larli  camminare  sojira  corde  ben  tese;  »  Elephantcm  minius  aethiopsju- 
»  bel  subsidere  in  genua,  et  ambulare  per  funem  «  ,  scrive  Seneca  (i).  Negli 
spettacoli  infatti  dati  da  Nerone  e  da  Galba  fu  condotto  ,  come  Dione  Cas- 
sio (5),  Svetonio  (6)  e  Plinio  (7)  raccontano,  un  elefante  sopra  la  volta  del  cir- 
co da  un  cavaliere  romano,  discendendo  quindi  per  la  fune  medesima  nell'are- 
na :  «  Nolissimus  eques  roraanus   elcphanto  supersedens  per  catadromura  decii- 


(i)  Opera.  Romae,  i5i4. 

(a)  Vie  et  pontificai  de  Leon  X,  Iraduile  de  l'Aoglais  par  Hert-y.  T.  II,  p.  287. 

(3)  Hislor.  nalur.  lib.  Vili,  cap.  II. 

(4)  Epist.  LXXXV. 

(5)  Hislor.  Rom.  lib.  LXI,  cap.  XVII. 

(6)  Vilae  Neronis  cap.  XI,  et  Galbae,  cap.  VI. 

(7)  Hislor.  nalar.  lib.  Vili,  cap.  III. 


i66 

«  curi'lt  »  .  Ma  se  può  computarsi  tra  le   mera?iglie  il  camminare  sulla   fune  ; 
u  Miruin   (soggiunge  Plinio)  maxime,  et  aJversis   quidem  funibus  subire  ,   seJ 
»  regredì  magis  utique  pronis  »  .  Intorno  al  quale  fatto,  veramente  quasi    incre- 
dibile ,  sebbene  da  tutti  riferito,  il  Reimaro  (i)    resta   sorpreso,  e  Giusto  Li- 
psie (a)  convinto  dalle  testimonianze  di  fatto  esclamò:  »  Et  quae  frons  ultra  ob- 
"  duret  contra  tot  et  tales  testes  "?  Lo  Spon  (3)  non  ha  difficoltà  eo-li   pure  di 
prestar  fede  a  così  rispettabili  scrittori.  Olao  Borrichio  (4)  ricordando  gli  spet- 
tacoli celebrati  in  Roma  nel  circo  di  Flora   fa  menzione  di  tale  esercizio   degli 
elefanti .  Qumdi  non  potendo  concepire  in  qual  modo  sopra  una  fune  avesse  sa- 
pulo passeggiare  uno  di  questi  animali  incapace  di  congiungere  e  cambiare  nel- 
la slessa  direzione  le  zampe,    si  tranquillò  quando  dall'  illustre  Gonibewille  gli 
fu  provato  che  non  una  ma  due  funi  paralelle  gli  serviano  di  strada,  a  Quod  elc- 
"  phantorum  ludicrum  cum  olim  non  satis  assequerer,  illiistris  Gombewillaeus 
!)  Parisinus  ex  antiquo  numismate  significavit ,  elephantos  quod  in  uno  funiculo 
»  divaricata  nescirent  colligere  crura,  duabus  chordis  paralellis  incedentes  du- 
»  sisse  choreas  "  . 

A  fronte  di  questo  però  e  l'altezza,  e  la  distanza,  e  la  elasticità  delle  funi  fa- 
ratino  sempre  conoscere  quanto  valessero  gli  antichi  nel!'  istruire  gli  animali  al- 
l'ora quando  tratta  vasi  di  ritrarne  sollazzo.  E  quindi,  se  i  volatili,,  i  pesci,  i  retti- 
li, 1  quadrupedi,  eziandio  i  più  fieri,  furono  ai  capricii  della  loro  educazione  sot- 
tomessi, esclamiamo  noi  pure  da  poetico  entusiasmo  insiem  con  Marziale  (ì)  tras- 
portati : 

«  Quis  spectacula  non  putet  deorum  ! 


(i)  Annotaliones  ad  1.  e.  Dionis. 
(j)  Opeium  T.  II,  p.  37. 

(3)  Recherches  curieuses  d'anliquité  p.  4<4- 

(4)  Antiqua  urbis  Rom.  facies  in  Thes.  Giaevii,  T.  IV,  p.  i  548. 

(5)  Lib.  I,  epigrum.  CV. 


ESAME  RAGIONATO 

SUL  LIBRO  DELLE  MONETE  DE' VENEZLiNI  DAL  PRllNCiriO  ALFINE 
DELLA  LORO  REPUBBLICA,  PARTE  PRIMA 

DEL    CONTE    LEONARDO    MANIN 
CIAMBELLANO  DI  S.  M.  L  R.  A. 

MEMBRO    ORDINARIO.    • 


JL/o  studio  delle  patrie  cose,  rauoore  di  verità,  l'ardente  carità  della  patria 
me  in  altri  tempi  invogliarono  a  riconoscere  ,  se  le  tradizioni  da'  nostri  storici 
confermate,  ritenessero  infatti  in  lor  medesime  quelle  verità,  che  a  tutti  accet- 
tevoli  le  rendessero,  e  quindi  col  lume  di  vera  critica ,  col  confronto  degli  og- 
getti, con  la  discussione,  procurai  a  tale  convincimento  portarle,  che  in  materia 
di  puro  fatto  più  oltre  ottenere  non  puossi  .  Queste  tutte  cose  insieme  riunite 
1'  animo  mio  in  tal  guisa  commossero,  allorché  le  voci  si  sparsero  che  una  im- 
portante scoperta  fatta  aveasi  di  nuove  viniziane  Monete,  le  quali  dal  secolo 
quinto  fino  al  duodecimo  con  non  interrotta  serie  procedevano,  e  che  già  innon- 
davano, ed  ingombravano  ovunque  i  più  cospicui  musei;  e  la  mia  commozione 
vie  più  si  accrebbe,  allorché  si  dissero  da  un  venerando  letterato  protette,  ac- 
colte, magnificate  a  segno,  di  far  loro  prendere  posto  fra  la  serie  degli  impera- 
tori romani,  e  quella  dei  nostri  dogi,  quantunque  dalle  nostre  più  antiche  cro- 
nache ad  epoche  assai  posteriori  la  origine  delle  viniziane  Monete  si  attribuisca. 
Che  più?  Tale  fu  la  persuasione,  tale  il  convincimento  prodotto  dall'autorevole 
personaggio,  a  cui  piacque  di  scorrere  le  venete  storie  degli  antichi  tempi  con 
r  appoggio  di  siffatti  documenti,  tutte  le  idee  e  le  memorie  sovvertendo,  che  fi- 
no allora  conservato  aveasi,  che  il  benemerito  dottore  Menizzi  con  quel  felice 
spirilo  d'indagine,  che  Io  caratterizzava,  e  che  lo  ha  altre  volle  accompagnato 
sempre  in  difficili  e    laboriose  opere  di  confronto,  tendenti  ad  illustrare  con  ra- 


i68 

ra  e  squisita  precisione  alcuni  rami  della  importante  scienza  monetaria,  cercò  di 
autenticare  la  verità  di  siffatti  discoprimenti  .  Ed  infatti  egli  rese  pubblico  con 
le  stampe  del  Picotti,  neir  anno  1818,  una  lunga  e  detagliata  memoria  delle 
Monetede'Viniziani. dal  principio  alfine  della  loro  repubblica:  Parte  prima,  nel- 
la quale  si  rappresentano,  e  s' illustrano  più  di  cenquaranta  monete  ,  se  ne  leg- 
gono i  tipi,  se  ne  verificano  i  saggi,  si  producono  in  essa  alcune  tavolette  in- 
scritte dei  nomi  degli  antichi  tribuni  alle  monete  corrispondenti,  si  offrono  del- 
le testimonianze  sincrone  le  pia  autorevoli,  infine  di  rassicurare  si  tenta  i  timori, 
di  persuadere  gì'  increduli,  di  soddisfare  la  espettazione  degli  eruditi .  Nel  tem- 
po stesso  però  che  1'  autore  propone  a  disamina  tutte  queste  cose,  non  ommette 
di  render  conto,  come  alcuni  aveanlo  fatto  accorto,  che  tutto  ciò  che  a  nuova 
scoperta  attrlbuivasi,  non  era  che  l'opera  della  più  sagace  impostura,  non  esi- 
stendo ne  pubblici  ne  privati  documenti,  che  in  alcuna  delle  sue  parti  la  appog- 
giassero, o  la  confermassero  (1)  ;  e  lo  consigliavano  a  non  voler  dar  principio 
alla  sua  opera  con  invenzioni  infelici  :  ma  sordo  a'  sì  utili  su-ro-erimenti.  e  fatto 
forte  dall'autorità  di  chi  avealo  nelle  scoperte  guidato  e  condotto,  imprimer  fece 
la  sua  memoria,  che  ora  mi  accingo  a  confutare.  Il  dimostrarne  la  erroneità  con 
argomenti  tratti  dalla  stessa  natura  della  scoperta,  e  quali  all'occhio  il  meno  esper- 
to potranno  accertare  essere  questo  l' effetto  della  più  sfacciata  impostura,  è  il  cam- 
po, che  io  tenterò  di  percorrere;  ne  dee  parere  strano,  che  dopo  avere  per  sì  lun- 
go tempo  atteso,  che  altri  più  di  me  d' ingegno  fornito  in  questa  discussione  en- 
trare volesse,  ne  alcun  altro  veggendo  che  da  vero  sentimento  di  patria  affezione 
animato  a  rischiarare  la  verità  si  ponesse,  siami  avvisato  di  produrre  questa  disami- 
na sull'autenticità  e  legittimità  di  quelle  monete  e  di  que' piombi  che  si  disse- 
ro reliquie  obbliate  di  antichi  musei  fatalmente  periti  (2).'  E  forse  che  taluno 
per  più  prudente  cosa  tenuto  avrebbe  che  cader  nell'  obblio  si  lasciasse  sì  mal 
sostenuta  scoperta,  che  alla  fine  all'onore  della  p  itria  è  di  massimo  ornamento; 
ma  questa  non  abbisogna  di  spoglie  non  sue,  che  già  assai  di  onore  le  proprie 
arrecaronle:  e  se  l' inganno  pur  anco  a' stranieri  arrivò:  se  nella  opera  impressa 
in  Pisa  nell'anno  1821  della  zecca  e  delle  monete  deg^li  antichi  marchesi  della 
Toscana,  in  una  lunga  nota  (3)  se  ne  dimostra  la  falsità,  dichiarando  la  impostu- 
ra così  evidente  da  non  meritare  nemmeno  la   nostra  attenzione ,  è   ben  giusto 


(1)  Delle  monete  de' Viniziani  dal  principio  al  fine  della  loro  repubUica  :  Parie  prima.  Vene- 
zia PicoUi  181 8,  pag.  7. 

(2)  Relazione  accademica  letta  nell'Aleneo  di  Venezia  l'anno  i8i4  dal  sig.  consigliere  professo- 
re Francesco  Aglietti. 

{"},)  Della  zecca  e  delle  monete  degli  anliclii  marchesi  della  Toscana,  edizione  seconda  emenda- 
ta. Pisa  1821,  pag.  19  e  p.ng.  i45. 


169 

che  essa  qui  pnrc  sia  smascherata,  dove  allo  se  ne  fece  lo  schiamazzo,  e  che  a 
convincere  si  giunga  non  poter  essere  assolutamente  legittime  quelle  monete, 
che  non  corrispondono  in  guisa  alcuna  alle  fin  qui  conosciute:  che  quelle  lami- 
nette  di  piombo,  che  i  nomi  di  alcune  famiglie  conservano,  illustri  da  se  stesse 
per  la  loro  origine  nobilissima,  presso  la  tarda  posterità  dalla  ruggine  del  tem- 
po ricoperte,  qualche  pregio  o  valore  non  acquistino  :  infine  che  quella  società 
chiamata  scuola  Corraria  dei  Sovienti ,  sconosciuta  a'  suoi  giorni ,  e  ne'  secoli 
successivi,  e  della  quale  le  cronache  nostre  parola  alcuna  non  fanno,  delle  anti- 
che patrie  memorie  conservatrice  non  si  dica,  ma  ritorni  nel  suo  niente,  da  cui 
miseramente  è  sortita  per  vivere  pochi  istanti  fra  le  mani  di  caldi  ed  appassio- 
nali amatori,  che  più  di  cuore,  che  di  critica  forniti,  tutto  ciò  abbracciano,  che 
in  qualunque  guisa  all'onore  della  patria  è  diretto.  Questo  è  1'  assunto  che  io 
imprendo  a  trattare,  e  spero  di  poter  giungere  all'oggetto  contemplato  di  sma- 
scherare la  falsità  e  l'impostura. 

Non  puossi  certamente  in  modo  alcuno  dubitare,  che  i  meravigliosi  principii  di 
questa  nostra  città  di  Venezia  riconoscere  si  debbano  dalle  correrie  dei  barbari 
settentrionali,  i  quali,  messe  più  volte  a  soqquadro  le  provincie  dello  imperio  ro- 
mano, e  ridotto  questo  all'ultimo  eccidio  e  sovvertimento,  obbligarono  gli  abita- 
tori di  quelle  a  trasportare  la  loro  sede  fra  le  maremme  e  le  paludi  delle  Vene- 
zie, ove  altre  volle  un  pacifico  asilo  rinvennero,  che  dalla  ferocia  di  quelli  li  pro- 
teggesse. Di  tali  verità  tutti  siano  convinti,  e  da  questa  lo  stesso  autore  della 
memoria  prende  le  prime  mosse,  assicurando  che  dalla  città  di  Aquileja  distrut- 
ta, i  nobili  e  i  popolari  in  Grado  si  rifuggirono,  portando  seco  le  loro  ricchez- 
ze, le  reliquie  dei  santi,  e  i  tesori  dello  errario  e  della  chiesa  .  Se  dunque  tut- 
to ciò  e  vero ,  ed  una  simile  tradizione  è  accertata  e  confermata  dagli  storici 
più  antichi,  sembrami  essere  utile  lo  esaminare  quali  fossero  le  monete  dalle  qua- 
li sarà  stato  composto  il  pubblico  errario  nelle  provincie  da' nostri  maggiori  ab- 
bandonate .  Ella  h  opinione  generale  e  comune,  e  dagli  eruditi  tutti  accolta  ed 
abbracciata,  che  quelle  che  noi  chiamiamo  medaglie  dagli  antichi  trasmesseci, 
altro  non  fossero  che  monete  :  a  prova  di  che  osserviamo,  che  in  molte  di  queste 
medaglie,  che  furono  coniate  innanzi  alla  epoca  del  romano  imperio ,  ed  allora 
che  la  repubblica  romana  da' suoi  cittadini  era  governata,  trovasi  il  valore  del 
denaro,  del  quinario,  del  sesterzio  segnato,  il  che  non  sarebbesi  certamente  fat- 
to, se  di  moneta  trattato  non  si  avesse:  nell'epoche  poi  successive  de'romani 
imperatori,  quante  non  presentano  il  nome  di  moneta  Augusti^  di  sacra  mone- 
ta y^ ugustorum  a  denotare  con  precisione  la  loro  natura?  Di  più  sappiamo  dai 
più  celebri  nntiquarii,  che  le  città  dichiarate  colonie  latine  a  distinzione  delle 
altre  genti  soggette  alla  devozione  de' Romani,  nelle  loro  libertà  e  ne' loro  mae- 


J  70 

strati  contiiuiavano,  ed  i  ciltailini  di  quelle  a  dividere  gli  onori  e  le  dignilà  del- 
la repubblica  chiamati  renlvano  ;  ma  Roma  era  sempre  la  sede  del  romano  im- 
perio, il  nome  del  dominio  sempre  romano  ,  e  quelle  monete  che  nelle  sogget- 
te Provincie  si  spacciavano  dalla  zecca  di  Roma  uscite,  altro  impronto  non  ave- 
vano che  il  romano,  non  avendo  voluto  ne  il  senato,  ne  gl'imperatori  romani, 
che  le  città  avessero  moneta  propria  (1)  ;  ed  essendo  inutile  a  vero  dire  il  coniar 
monete  in  più  luoghi  d' Italia,  allorché  si  immensa  quantità  in  Roma  coniavase- 
ne.  E  bensì  vero,  che  secondo  le  peculiari  circostanze  dei  tempi,  in  que' paesi 
ne' quali  le  truppe  stanza  facevano  per  Impedire  le  aggressioni  dei  barbari,  dai 
quali  era  lo  impero  minacciato,  da'  maestrati  romani  opportuno  e  conveniente 
giudicossi  di  battervi  monete  pel  comodo  maggiore  di  pagare  gli  eserciti;  e 
quindi  nominate  si  veggono  le  zecche  di  Scizia,  di  Aquileja,  di  Lione  ,  di  Ar- 
les  e  di  Treveri,  oltre  a  molte  altre.  Ed  infatti  alcune  monete  veggonsi,  che,  i 
nomi  degl'imperadorl  nel  diritto  conservando,  olirono  nel  rovescio  in  abbrevia- 
tura i  nomi  delle  città  e  delle  officine  in  cui  furono  coniate  ;  e  vaglia  il  vero  si 
legge  in  alcune  A.  Q.  ovvero  A.  Q.  I.  Aquileja^  in  altre  A.  Q.  O.  B.  F.Aquì- 
lejae  officina  secunda  fabbrica.  A.  Q.  S.  Aquileja  signata.,  e  di  queste  sonvl 
frequentemente  battute  verso  la  fine  del  terzo  secolo  cristiano  (2)  .  Successa  la 
divisione  dello  impero  romano,  ed  i  popoli  settentrionali,  non  più  incontrando  la 
forza  e  1'  agguerrito  valore  delle  armi  romane,  a  grandi  torme  ad  innondare  la 
Italia  entrarono  da'  loro  duci  capitanati,  e  ponendovi  nuovo  governo,  fissaronvi 
11  dominio  regale,  conservando  però  tuttavia  le  usanze  de'Romani  anche  in  pro- 
posito delle  monete .  Per  queste  ordinarono  che  la  stessa  primitiva  loro  forma 
avessero,  e  riponendo  nel  diritto  la  effigie  degl'  imperatori,  nel  rovescio  i  nomi 
dei  re  s' inscrivessero .  Di  ciò  ci  ammaestra  il  dottissimo  slg.  conte  Gio.  Rinal- 
do Carli  nella  sua  opera  delle  zecche  d'Italia,  il  quale  aggiunge,  che  se  in  tut- 
te le  altre  parti  come  in  questa  i  re  gli  antichi  Romani  imitarono  ,  bisognerà 
dire  che  non  solo  in  Ravenna,  ma  in  Milano,  in  Aquileja,  ed  altrove  facessero 
col  proprio  impronto  le  monete  coniare  (3).  Che  se  ella  è  così,  necessariamente 
conchiudere  dovrassi  che  ne' paesi,  dai  quali  gli  antichi  padri  nostri  derivarono, 
di  questa  sorte  monete  adoperato  avranno  ;  e  tali  appunto  sono  quelle  che  si 
conservano  nel  ricchissimo  museo  raccolto  già  dal  chiarissimo  monsignor  Gio. 


(i)  Maffei.  Verona  illustrata.  Verona  1732,  col.  i!\j. 

(2)  Instiluzione  anliquario-numismatica.  Roma  1773,  pag.  218. 

(3)  Delle  monete  e  delle  iostìtuzioni  delle  zecche  d'Italia.  Dissertazione  di  don  Gian  P>iaaIdo 
Carli.  Mantova  i754-  tomo  I,  pag.  go. 


'7' 

Agostino  Gradcnigo  vescovo  di  Ceneda,  e  con  molta  flottrina  ed    erudizione   il- 
lustrato dal  senatore  Giacopo  di  lui  fratello,  padre  del  vivente  N.H.  Pietro  Gra- 
denigo  di  santa  Giustina,  dotto  egli  pure,  e,  quel  che  è  più,  saggio  e  critico  rac- 
coglitore di  antiche  medaglie,  che  seppe  li  proprio  studio  da  questa  mondiglia 
purgato  e   netto  conservare ,   e  che  con  gentile  condiscendenza   di   esaminarle 
attentamente  mi  permise  .  Queste  con  verità  appartengono  al  qumto  secolo  del- 
la Era   cristiana  ,   e  succedono  alle   imperatorie  monete  come    un  anello  della 
grande  catena  monetaria  ;  ma  fu  appunto  allora,  e  non  prima  che  i  nostri  padri 
fuCffcndo  nelle  vicine  isolette  si  ricoverarono,  fu  allora  che  le  ricchezze,  le  reli- 
quie  de' santi,  e  i  loro  più  preziosi  effetti  trasportarono,  ed   è  Len  verisimile, 
•che  non  già  gli  artisti   e  i  monetarii  per  coniar  monete,  ma  bensì  queste  in  tan- 
ta copia  seco  portassero,  che  a' domestici  loro  usi  servire  potessero:  ne  erasi  an- 
cora in  sì  fatta  guisa  la  traslocazione  loro   decisamente  stabilita  per  divisare  il 
trasporto  pur  anco  de' monetarii ,   e  della  materia  per  verificare  un  tliritto  che 
non  avevano,  e  che  non  immaginavano  nemmeno  di  poter  godere,  soggetti  sem- 
pre alle  romane  discipline    ed  al  governo  romano.   Ma  si  faccia  per  ora  tregua 
al  ragionamento,  e  si  pongano  al  paragone  le  nuove  scoperte  monete  con  quelle 
che  ne' musei  si  conservano  e  di  Teodorico,  e  di  Witige,  e  di  Baduela   re  tut- 
ti de' Goti,  che  regnarono  dopo  la  metà  del  quinto  secolo,   e  furono  contempo- 
ranei air  epoca  sì  accuratamente  segnata  nelle  famigerate  monete  .   L  per  dar 
principio  dalla  loro  propria  figura ,   queste   ultime  ci  sono  offerte  alcune  volte 
quadrale    ed  irregolari,  altre  volte  oblonghe,  e  solo  di  rado  rotonde:  quelle  dei 
Goti  rotonde  tutte  hanno  solo  in  alcuna  parte  perduta  la  propria  forma  corrosa 
dal  tempo   e  dall'uso  ;  le  monete  scoperte  presentano   lunghe   iscrizioni  e  leg- 
gende, che  coprono  la  loro  superficie,  le  antiche  monete  dei   re  non  hanno  che 
sigle,  o  monogrammi,  e  nel  contorno  inscritti  coi  nomi  dei  re   quelli  pur   anche 
degl'  imperatori  ;  e  prima  di  ragionare  su  queste  stesse  iscrizioni  si  esaminino  1 
caratteri,  e  si  vedrà  che  1  monogrammi  dei   re  sono  inscritti  con  lo   stesso    ca- 
rattere romano,  che  le  medaglie  imperatorie  presentano,  mentre  i  caratteri  del- 
ie scoperte  monete,  e  per  la  rozzezza  e  la  grossezza  delle  linee  rette,   e  per  la 
durezza  angulare  delle  curve  si  appalesano  posteriori  di  varii  secoli,  e  sembrano 
appartenere  a  quei  tempi  ne' quali  la  introduzione  de' caratteri  tedeschi  l'antica 
costumanza  avea  superato  .  Veggasi  la  lettera  D  nel  Dominus  di  Anastasio  (  fig. 
j  ):  essa  è  formata  da  una  leggera   e  sottile  stanghetta,  e  da  una  curva  gentile, 
mentre  la  stessa  lettera  nella  moneta  di  Grado  (iig.  2  )  che  porta  il  nome  di  Or- 
so Giustiniano,  non  offre  che  la  sopravvenienza  di  molti  secoli ,   ne  si  può  certo 
farla  passare  come  appartenente  al  quinto  secolo,  mentre  le  si  dà  una  impronta 
del  decimo   o  dell' undecimo,  in  cui  aveano  presa  stanza  li  caratteri  gotici.     I^a 
vera  moneta,  che  pili  sta  d  appresso  e  nelle  forme  e  nelle  leggende   a  quelle   in 


'7' 

Italia  dai  re  introdotte,  si  è  quella  cte  riconosciuta  e  pubblicata  dal  veneto  pa- 
trizio e  senatore  Domenico  Pasqualigo,  porta  nna  croce  con  quattro  palle  ne- 
gli angoli,  e  l'epigrafe  nel  contorno  Christus  Imperai:  enei  rovescio  un  tempiet- 
to di  fronte  nel  ventre  di  cui  sta  scritto  Veneci  (tìg.  3  ),    moneta    che   molto  a 
quelle  di  Berengario  assomiglia,  e  che  corrisponde  perfettamente  a  quella  cate- 
na, che  nella  connessione  delle  idee  sempre  esistette:  ecco  la  moneta  propria  di 
Venezia  dappoi  che  uno  stabile  reggimento  si  prese,  ecco  sostituito  il  Cristus 
Imperai  ai  nomi  degli  imperatori   e  dei  re  :   ecco   il  nome  di  Venezia  prendere 
il  luogo  delle  città  nelle  quali  le  monete  conia vansi;  ecco  per  l' interno  commer- 
cio adoperata  una  moneta,  che  equivale  al  piccolo  denaro;  ecco  infine  i  denari 
venetici  prendere  posto  nelle  pubbliche   e  private  contrattazioni .   Convengono 
a  queste  quelle  per  1'  esterno  commercio  destinate,  e  che  conservando  nel  rove- 
scio il  tempietto  con  la  Venecia^  nel  dritto  i  nomi  degli  imperatori  Lodovico, 
e  Courado  ed  Enrico  presentano,  finche  giunti  alla  metà  In  circa  del  nono  seco- 
lo, e  dopo  la  translazione  del  santo  glorioso    corpo  del   protettore   san  Marco  , 
quelle  susseguitano,  che  nel  diritto  rappresentano  mezzo  lo  busto  dell'  evangeli- 
sta s.  Marco  di  fronte  in  un  dentellato  cerchiello,  e  intorno  dopo  una  croce  la 
epigrafe  S.  Marcus  I^eneci:    e  nel   rovescio  il   nome    dell'Imperatore   Enrico 
hanno  inscritto  (fig.  i),  le  quaU  tutte  ritengono  la  idea  e  la  immagine  dell'anti- 
co carattere  romano:  finche  il  patriarca  di  Grado  Orso  Orseolo,  tenendo  come 
vice-doge   per  un  anno  intero  11  dogado  nell'  anno  mille  e  trentauno,  per  la  pri- 
ma volta  11  proprio  nome  nella  moneta  d' inscrivere  ordinò.  Il  Dandolo  nella  sua 
cronaca  lasciò  scritto  che  questo  vice-doge  monetam  parvam  sub  ejus  nomine^ 
ut  vidimus^  excudifecit  (i).  Questa  espressione  di  uno  de' più  antichi  cronisti, 
osservando  simile  particolarità,  e  dichiarando  di  averla  veduta  ci   fa   a   ragione 
conchiudere  che  quegli  fosse  11  primo  ad  inscrivere  il  proprio  nome  sulle  mone- 
te, esemplo  susseguitalo  poscia  dai  dogi  suoi  successori:  prima  dunque  del  vi- 
ce-doge Orseolo  le  monete  battute  in  Venezia  non  portavano  1  nomi   dei  dogi  ; 
ecco  con  una  sola  linea  atterrati  tutti  i  ragionamenti,  che  far  si  possono  a  favo- 
re delle  scoperte  monete,  che  tutte  portano  1  nomi  dei  dogi    dall'anno   seicento 
e  novantasetle  all'  anno  mille  e  trentauno,  dal  primo  doge  Paoluccio  Anafcsto 
al  vice-doge  Orseolo.  Riconosciuta  ora  la  vera  serie  progressiva  delle  monete 
che  in  queste  lagune  ebbero  corso,  leggerissima  obbiezione  ne  forma  la  famosa 
lettera  del  famigerato  secretarlo  del  re  Teodorico  Cassiodoro  ai  tribuni  marit- 
timi delle  Venezie  (2),  dalla  quale  dedurre  si  vuole,  che  i  Veneti  in  queste  pa 
ludi  ritirati,  una  nuova  moneta  propria  coniassero  per  mantenere  lo  interno  po- 


(1)  Andrea  Dandolo  Cronaca,  libro  IX,  capitolo  4to,  parte  prima. 

(3)  M.  Auielii  CassioJori  variarura  lib.  XII.  Genèye.  Gamonet  iSSy,  pag.  407- 


,;3 


polare  commercio.  CassìoHoro  in  cissa  ricorda,  che  nna  nuova  fonte  di  denaro 
nelle  saline  ritrovarono.,  non  già  perchè  di  questa  una  nuova  moneta  formasse- 
ro ,  ma  perdile  queste  cagione  furono,  che  le  monete  de'  circonvicini  paesi  con 
affluenza  corresservi  ;  ecco  il  perchè  dica  col  fiorito  suo  stile,  Moneta  illic  quo- 
dammodo  percutitur  victualis.,  quelle  saline  indicando,  che  loro  tenevano  il  luo- 
go della  zecca  .  Che  se  tutto  quello  che  in  questa  lettera  si  legge,  la  idea  rap- 
presenta di  un  popolo  ricco,  comodo  e  tranquillo,  che  un  proprio  governo  presso 
di  se  stabilito  avesse,  seco  però  la  conseguenza  non  viene  che  fino  dal  suo  primo 
nascimento  a  coniare  monete  proprie  incominciasse  .  Ricche  e  popolose  erano 
a  quel  tempo  tutte  le  città  d'Italia,  e  si  governavano  da  se  co'  proprii  municipii, 
ma  le  coniate  monete  portavano  i  nomi  degl  imperatori  o  dei  re ,  né  si  ritro- 
vano fino  al  decimo  secolo  monete  loro  proprie .  Avevano  queste  isolette  un  in- 
terno prodotto,  del  quale  tutti  1  vicini  «indavano  in  traccia,  e  quindi  il  denaro 
loro  affluentemente  procurava,  ne  di  fabbricarne  di  proprio  alcun  bisogno  senti- 
vano, quand'anche  ad  esse  il  diritto  attribuir  si  volesse  di  coniarlo,  il  che  fu  sem- 
pre riconosciuto,  fino  aquclf  epoca,  come  un  diritto  regale,  ed  appartenente  solo 
agi'  imperatori  ed  ai  re  supremi  signori  di  quelle  provincie  ;  ed  è  a  dir  vero 
cosa  ben  degna  di  riso  il  far  credere,  che  una  moneta  vi  fosse,  nella  quale  eravi 
inscritto  la  stessa  parola  da  Cassiodoro  adoperata  Plclualis.j  producendone  an- 
che il  tipo  (i),  dimenticandosi  poi  che  egli  aggiunto  vi  abbia  lo  avverbio  ^«o- 
dammodo^  che  nella  nostra  itahana  favella  suona  in  certa  guisa^  o  per  così  di- 
re^ e  che  non  somministra  certamente  la  idea  precisa  dell'  esistenza  reale  di 
questa  moneta  .  E  giacché  l'andamento  del  mio  dire  mi  condusse  a  riconoscere 
lo  stile  e  la  forma  delle  leggende,  che  si  ritrovano  nelle  scoperte  monete  non 
posso  ommetteredi  fare  osservare  che,  con  novità  di  esempio,  la  maggior  parte 
ricorda  avvenimenti  particolari  di  poca  importanza  generale,  il  che  non  si  scor- 
ge che  nelle  antiche  monete  abbia  avuto  luogo .  Fra  le  più  singolari  sono  quel- 
le che  annunziano  la  pace  e  la  unione  stabilita  nella  elezione  del  metropolita 
ili  Grado,  quelle  che  nella  inscrizione  il  cambiamento  delle  monete  accertano: 
Moneta  nova  Insulas  Venet.  V  altra  di  cuojo  di  Paolo  Corelio,  la  quale  per  non 
lasciar  dubbio  del  perchè  siasi  di  tal  genere,  porta  la  epigrafe  :  Moneta  ohsi- 
dionalis  Iiìsulae  Cardeanae  :  quella  coniata  in  onore  di  Karsete  generale  dello 
imperatore  Giustiniano  con  la  epigrafe:  Narset.  Praefect.  Clas.  e  nel  centro 
una  croce  inalberata  sur  due  gradini,  e  dal  rovescio  un  tempietto  con  la  parola 
nel  centro  Grad.^  ed  all'  intorno  lustìnian.  Imper.  non  ritenendo  però  alcima  di 


(i)  Delle  monete  de'^  iniziarli  dal  principio  al  fine  della  loro  repubblica,  parie  piiroa.  Vene- 
aia.  PicoUi  i8i8,  pag.  38. 


'7i 

esse  i  caratteri  tic' tempi  che  loro  sono  attribuiti.    Nc-lla  medaglia   attribuita   al 

pAtriarca  di  Grado  Marciano,  evvi  la  croce  patriarcale,  cioè  a  doppie  braccia, 
la  quale  non  incominciossi  ad  usare  dai  patriarchi,  che  nel  concilio  di  Laterano 
tenuto  nell'anno  iai5  (i).  Che  dirò  della  moneta  provinciale  delle  isole  vene- 
te, che  sembra  profetizzare  mille  anni  innanzi  Y  odierna  provinciale  moneta  ; 
quando  pure  il  falsario  da  questa  non  abbia  la  idea  presa  d'immaginare  quella? 
Dalla  qualità  delle  iscrizioni  si  passi  ai  loro  caratteri .  Si  dia  per  poco  una  oc- 
chiata a  quelle  monete  riportate  nella  memoria  e  qui  aggiunte  (fig.  4-  5  ),  se- 
gnate con  la  epoca  della  invenzione  di  s.  Marco,  ed  alle  altre  nella  stessa  me- 
moria riferite,  le  quali  avendo  nelle  epigrafi  il  nome  del  protettor  nostro  s.  Mar- 
co accusano  la  stessa  epoca,  e  furono  infatti  le  sole  che  nella  riposlzione  del  san- 
to corpo  ad  accertarne  la  epoca  nella  cassa  si  chiusero ,  e  qual  contraddizione 
non  offrono  fra  loro  nella  forma  dei  caratteri  e  nelle  leggende  ?  Le  prime  hanno 
le  lettere  formate  a  capriccio,  e  le  altre  conservano  le  antiche  forme .  Come  mai 
puossi  alla  stessa  epoca  attribuire  le  surriferite  monete  (al  n.  3,  e  al  n.  4)  le  une 
col  Cristus  Imper.  le  altre  col  s.  Marcus^  e  quella  in  oggi  attribuita  a  Glusti- 
nian  Partecipazio  (fig.  6),  mentre  in  tal  guisa  i  caratteri  loro  differiscono?  Qual 
distanza,  non  dirò  d'anni,  ma  di  secoli  non  avvi  nei  caratteri  e  nelle  iscrizioni 
delle  due  monete  (fig.  7,  8)  che  pure  amendue  appartengono  allo  stesso  doge 
Giovanni  Dandolo,  ma  altra  differenza  non  hanno  che  1'  una  legittima  fu  con- 
servata nel  sullodato  museo  Gradenicro„  e  l'altra  uscì  alla  luce  fra  le  nuovamen- 
te  scoperte  :  oltre  però  ai  caratteri,  ed  alla  qualità  delle  iscrizioni  non  si  dee 
sorpassare  che  la  maggior  parte  di  queste  nuove  monete  le  epigrafi  loro  presen- 
tano in  linea  retta,  ne  tampoco  la  brevità  delle  antiche  numismatiche  frasi  con- 
servano, mentre  nelle  legittime  antiche  medaglie  o  monete ,  le  epigrafi  sono 
ne' contorni  segnate,  e  nei  campi  non  vi  sono  che  sigle  od  incise  figure  .  Prima 
di  dar  fine  a  questa  parte  del  mio  esame  sui  tipi  e  sulle  iscrizioni  si  osservi  in- 
trodotto fino  dall'anno  ottocenottantaotto  il  simbolo  del  protettore  nostro  san 
Marco,  cioè  il  leone  alato  che  vuoisi  dall'  autore  della  memoria  per  la  prima 
▼cita  sotto  il  doge  Pietro  Tribuno  adoperato,  mentre  e  Guido  Antonio  Zanet- 
ti nella  illustrazione  delle  viniziane  monete  ne  riporta  una  sotto  il  doge  Fran- 
cesco Dandolo  all'anno  iSaS,  ed  è  la  prima,  che  ei  sappia,  stampata  con  tal 
conio  ;  ed  il  benemerito  presidente  conte  Carli  credette  la  prima  essere  sta- 
ta impressa  con  questo  simbolo  sotto  il  doge  Marco Cornaro  all'anno  i365,  cioè 
quasi  cinque  secoli  dopo  la  epoca  indicata  nelle  nuove  scoperte.  Esaminate  co- 
sì le  iscrizioni  che  riportano  i  fatti  ed  i  nomi  passiamo  all'  altra  parte  delle  stes- 
se, che  porta  gli  anni  della  salute  nostra  con  sì  scrupolosa  esattezza  registrati  da 

(1)  Tbomass.  Oisc^ilina  ecclesiastica.  Pars  IV,  lib.  I.  cap.  XXXIX. 


.,5 


non  ommetteme  alcuno,  e  solo  nelle  epoche  a  noi  più  vicine  lasciandoli,  come  si 
avrà  riconosciuto  nella  moneta  del  Dandolo,  forse  per  non  esser  contraddetto 
dalle  stesse  monete  di  que'  tempi,  che  tuttavia  sussistono,  e  le  quali  secondo 
r  universale  costume  non  appalesano  la  epoca  loro  che  col  nome  del  dogi .  Dalla 
bellissima  opera,  di  cui  sono  autori  i  Maurini,  e  che  porta  per  titolo  :  De  f  art 
de  verifier  les  dates  si  conosce  chiaramente  che  dappoiché  lo  stabilimento  fisso 
delle  indizioni  sotto  Teodosio  il  Grande  avca  negli  atti  pubblici  occupato  il  luo- 
go alle  Olimpiadi  ad  oggetto  di  contraddistinguere  le  date,  nel  sesto  secolo  in 
Italia  da  Dionigi  il  piccolo  fu  introdotto  1'  uso  di  calcolare  gli  anni  da  quelli  di 
Gesù  Cristo  (i)  variandosi  però  in  alcuni  luoghi  il  loro  inconiinciamento,  poi- 
ché dall  Incarnazione  alcuni,  altri  dalla  nascita  del  Verbo  diedero  principio: 
ne  Si  universale  ancora  resa  erasi  questa  istituzione  in  luogo  delle  indizioni,  che 
il  de  Monaci  ci  riporta  un  decreto  imperiale  del  sesto  secolo ,  in  cui  leggesi  di- 
stinta la  epoca  con  la  data  delle  indizioni,  e  con  gli  anni  del  regno  di  quello  im- 
peratore ,  ma  non  si  indicano  quelli  dell'  Era  cristiana  :  ne  vale  il  conghieltura- 
re,  che  essendosi  in  Grado  insieme  al  beato  JNiceta  patriarca  d'Aquileja  rifuggi- 
li i  principali  fra  gli  ecclesiastici  di  quella  città,  i  primi  d'essi  gittate  avranno  i 
fondamenti  di  questi  calcoli .  Dottissimi  e  santissimi  monaci  da  più  di  due  se- 
coli prima  esistevano,  ma  alcuno  non  immaginossi  di  attribuire  giammai  ad  essi 
questa  nuova  forma  di  calcolazione,  e  nelle  opere  di  Eusebio,  e  nella  continua- 
zione di  s.  Girolamo  in  antichissimi  codici  preservate  gli  anni  della  salutare  no- 
stra riparazione  registrati  non  veggonsi ,  e  solo  dal  copisti  molti  anni  appresso 
introdotti  furono.  Ma  v'è  ancora  di- più!  Le  antiche  monete,  che  dall'  antichità 
più  remota  fino  a'nostri  giorni  sono  pervenute,  di  qualunque  nazione  esse  siano, 
o  greche,  o  romane,  o  regie,  o  de' nostri  dogi  altra  epoca  non  registrano  che 
quelle  particolari  delle  città  o  delle  colonie,  alcune  gli  anni  della  potestà  tribu- 
nizia, o  quelli  de'  consolati  degl'  imperatori,  altre  quelli  de'  regni  loro,  come  ge- 
neralmente si  osserva  in  quelle  del  basso  imperio  greco  da  Giustino  a  Teofilo, 
nelle  quali  gli  anni  dell'imperio  sono  in  latino  carattere  scritti:  quelle  de'nostrl 
dogi  nuli"  altra  epoca  portano  che  11  nome  del  doge  dalle  più  antiche  che  si  con- 
servano fino  a'  giorni  nostri,  e  se  quegli  che  immaginò  sì  aperta  fallacia  avesse 
alcun  poco  di  criterio  avuto  ,  avrebbe  certamente  ommesso  nelle  sue  monete 
ciò,  che  è  in  palese  contraddizione  con  il  generale  costume  degli  zecchieri.  Ma 
già  assai  si  discosse  sulla  verità  di  queste  monete,  perchè  sieno  come  false  e  il- 
legittime tutte  rifiutate,  le  quali,  come  felicemente  spiegossl  uu  moderno  scritto- 
re di  queste  stesse  parlando,  quasi  Pallade  armata  dal  cervello  del  gran  tonan- 
te in  questi  ultimi  anni  fuori  scapparono,  ne  mal  Ira  gli  scrigni  de' numismatici  e 

(i)  L'art  Je  veriCer  les  Jates  in  dissertationc  proevia,  pars  prima,  p.  a. 


l;;6 

dell  anliquarii  si  chiusero  .  Si  conchiuda  adunque  che  esse  sono  false,  e  perchè 
alcun  scffno  dcHanlico  monetario  sistema  non  conservano,  non  hanno  i  caratte- 
ri  tli  quelle  età,  non  portano  le  epigrafi  delle  altre  monete,  e  infine  contraddico- 
no in  ogni  forma  a  tutte  le  maniere  di  que'  tempi . 

E  poiché  il  nostro  scrittore  a  convalidare  vie  più  le  sue  favorite  monete,  ac- 
compagnarle gli  piacque  di  alcune  laminette  di  piombo,  che  in  serie  progressiva 
e  non  interrotta  i  nomi  de'  tribuni  ci  riportano,  i  quali  nelle  isole  di  Grado  ,  di 
Rivaalta,  di  Eraclea  e  di  Torcello  governarono ,  sarà  utile  per  ribattere  que- 
sto nuovo  argomento  il  riconoscerle  esse  pure  per  false,  e  in  ogni  parte  alla  tra- 
dizione che  fin  qui  ebbesi  di  quelle  tribunizie  famiglie  contraddicenti .  Le  prime 
laminette  ci  danno  i  nomi  de'  tribuni  di  Grado,  e  non  sono  che  una  nuda  e  sem- 
plice ripetizione  di  que'  nomi  e  di  quelle  epoche,  che  nelle  monete  si  lessero, 
il  che  fa  evidentemente  conoscere  essere  le  stesse  fattura  della  stessa  mano .  E 
però  a  dir  vero  assai  straordinario  che  fra  tante-  famiglie  tribunizie ,  che  dalla 
vicina  Aquileja  a  Grado  rifuggirono,  e  i  cui  nomi  nelle  cronache  nostre  rlcor- 
dansi,  si  poche  ve  ne  siano  nelle  lamine  registrate,  e  per  contrario  quelle  si  tro- 
vino, che  la  origine  loro  da  altre  parti  riconoscono  .  Se  pel  buon  desio  degli 
studiosi  della  patria  storia  nella  società  Corraria  riuniti,  queste  memorie  si  or- 
dinarono, ed  incisero,  come  mai  trascuraronsi  1  nomi  delle  piìi  celeberrime  fa- 
miglie d' Aquileja  che  si  conoscono  dalle  storie  in  Grado  trasferite  ,  quali 
sono  1  Lumiaci,  gl'Julii,  i  Lucei,  i  Glzl,  1  Proti,  i  Tornei,  i  Pini,  1  Cuppi,  i 
Costantini,  e  tanti  altri  dal  Candido  nella  sua  storia  d' Aquileja  ricordati,  i  qua- 
li a  que'tempi  fiorirono,  e  in  queste  lagune  cercarono  asilo,  ma  che  forse  troppo 
presto  si  estinsero ,  perchè  la  fama  non  ne  sia  giunta  all'incisore  valente  di 
que'piombi,  il  quale  tratto  tratto  ripete  in  lor  vece  1  nomi  di  famiglie  tuttora 
esistenti,  o  che  da  poco  estinte  si  conservano  nella  memoria  di  lutti .  Come  mai 
potè  immaginarsi  da  Aquileja  fuggito,  anzi  per  primo  tribuno  di  Grado  ricono- 
sciuto queir  Orso  Giustiniano,  se  la  origine  di  quella  famiglia  vuoisi ,  secondo 
la  comune  tradizione,  dalla  Grecia  ripetere,  ed  abbia  solo  fra  le  principali  nel- 
l'ottavo secolo  a  risplendere  incominciato,  un  individuo  di  questa  famiglia  tro- 
vandosi all'anno  ottocento  sottoscritto  nell'atto  di  fondazione  della  chiesa  di  san 
Giorgio?  Come  mai  la  famiglia  Corelio,  che  deesl  interpretare  per  Correr,  può 
fra  le  tribunizie  di  Grado  annoverarsi,  se  questa  non  trovasi  tra  le  famiglie  che 
da  Aquileja  si  ritirarono,  e  d'  altra  parte  la  sua  antica  provenienza  per  tradizio- 
ne da  Aitino  si  conta,  ed  avrebbe  ritrovato  il  suo  luogo  più  opportunemente  fra 
i  tribuni  di  Torcello,  che  fra  quelli  di  Grado?  Que' che  dall'antica  Padova  al 
rc^simento  di  Rivaalta  spediti  furono,  e  che  l'antico  nome  usarono  de'  consoli, 
perchè  non  figurano  sulle  tavolette  fra  i  tribuni  di  quella  isoletta  ;  ed  era  pure 
cosa  naturale  che  ritrovandosi  al  governo  di  quella  parte  si  trattenessero  con 


'77 
i)ih  loro  agio,  ne  fossero  nella  patria  loro  ritornati,  che  da'  barbari  era  siala  fle- 
vaslata  e  distruUa  ?  Perchè  ricordandosi  in  una  moneta  all'anno  63^  la  citlà  di 
Torcello  episcopale  dichiarata  :  '/V/ric*?/// cjVjfa^  episcopali.';  declarata.,  non  si 
rcoislra  in  quell'anno  fra  i  tribuni  di  Torcello  quell' Aurio  tribuno  che  primo 
con  Paolo  vescovo  verso  l'anno  635  trasportar  fece  la  sede  vescovile  di  Aitino 
a  Torccllo,  e  che  dall' anonimo  altinale  (i)  viene  chiamato  fribunus  et  pria- 
cepsì  ed  in  sua  vece  fra' tribuni  di  quell'isola  un  Giacopo  Giustiniano  s'intro- 
duce e  per  dlclolto  anni  successivi  in  quella  dignità  confermato  si  vuole  .  Trop- 
po palesemente  si  conosce,  che  la  malizia  e  la  artilìziosa  frode  a  queste  lamine 
ed  a  quelle  monete  diedero  origine  per  trappolare  il  denaro  di  alcune  famiglie 
di  ricchissinji  musei  fortunate  posseditrici,  mentre  i  nomi  illustri  di  quelle  trat- 
to tratto  in  tutte  le  serie  ripetuti  si  veggono,  e  fino  lo  stesso  nome  dà  principio, 
e  chiude  le  varie  serie  . 

Ma  queste  lamine  e  questi  piombi  furono  incisi  per  ordine  e  commissione  del- 
la società  Corraria  dei  Sovienti,  la  quale  dall'  unirsi  in  una  casa  di  quella  fami- 
glia ai  Bari  prese  tal  nome.   Questa  società   ha  ella  giammai  esistito?  Un    tal 
quesito  a  cui  potrebbesi  con  sicurezza  matematica  negativamente  rispondere, 
ci  conduce  ad  esaminare  se  veramente  a  quella  epoca   nelle  piìi   rinomate   citta 
d'Italia  tal  sorta  di  società  instituita  fosse.  Da' più  accurati  esami  io  ritrovo  che 
solo  al  cadere  del  secolo  quintodecimo  in  Rimini  ebbe  luogo    la   prima   accade- 
mia, che  poca  vita  e  pochissimo  nome  acquistò  .   D' altra  simile  che  in  quel  tor- 
no in  Firenze    unissi,  ci  rese  conto  il  dottissimo  ora  defunto  p.  Domenico  Maria 
Pellegrini  domenicano  osservante ,  fu  bibliotecario  della  Zeniana ,   nel  suo  som- 
mario dell'  accademia  della  Fama,  stam|>ato  a  brani  nel   giornale  di  Padova  di- 
retto dai  nobili  fratelli  da  Rio  al  num.  XXII,  pag.  3  della  prima  serie,  e  lo  stes- 
so ci  assicura  pur  anco,  che  in  Venezia  circa   a  quel  tempo  Aldo    il   vecchio  in 
sua  casa  un'  accademia  fondato  aveva  a  somiglianza  di  altre  in  Firenze,   in  Na- 
poli, in  Roma,  la  quale  dal  nome  del  suo  fondatore    Aldina  appellavasi;   ora    io 
dico,  se  la  società  dei  Sovienti  avesse  esistito,  e  solo  cinquanta  anni  innanzi   al- 
l' accademia  di  Aldo  ,  questa  avrebbe  fatto  di   quella  qualche  cenno  o  parola  . 
Di  pili  all'anno  i  56o,  instituita  già  l'accademia  della  Fama,  che  in  tanti   rami 
di  scienze  e  di  arti  versava,  e  nella   quale  pubblica  professione   si  faceva  delle 


(i)  In  una  delle  sessioni  Jell' Ateneo  JtU'anno  i8iG  JjI  lev.  don  Sanie  Valentina  cappellano 
«Icll'arcicoDiraternita  di  s.  Rocco  fu  una  cronaca  illiislrala,  creduta  da  lui  per  quella  dell'a- 
Doniino  altinate  più  volte  nella  cronaca  del  doge  Dandolo  citata,  ed  il  sig.  Giacopo  Filiasi,  eoa 
quella  giudiziosa  critica  die  lo  distingue,  giudicò  egli  pure  che  il  secondo  e  quarto  opuscolo, 
che  anicndue  di  cose  ecclesiasliohe  trattano^  formino  parte  della  vera  cronaca  altinale  da  lua- 
go  tciupo  smarrita. 
3i 


'-8 


patrie  storie,  per  11  che  nella  siippllca  al  principe  ed  alla  serenìssima  signoria  dal- 
la  stessa   presentata,  richiede    dì  ottenere  il  privilegio  di   stampare   e   vende- 
re le  opere  in  quella  indicate ,  dichiara  «  che   essendo   le   storie  di    questo  se- 
«  renissimo  stato  bisognose  di  miglioramento  in  molte  parti,  l' accademia  stes- 
»  sa    offre  di  rivederle,  e  tutte  insieme  ordinatamente  congiungerle  y< .   Dun- 
que all'anno  i56o  non  aveasi  cognizione  veruna  di  una  società,   che  fra  i  suoi 
membri  contava  i  cittadini  piìi  illustri  e  famosi  di  questa  patria,  di  una   società 
che  avea  di  già  ordinato,  ed  in  serie  disposte  le   più  antiche  storie  della  patria 
da  poco  più  di  un  secolo  innanzi,  ed  a  perpetua  memoria  sopra  lamine  di  piom- 
bo incise .  Che  se  non  già  fra  la  classe  delle  letterarie  società,  ma  sì  fra  quelle 
che  menarono  gran  fama  e  rumore  le  nostre  cronache  ricordano  la  famosa  com- 
pagnia della  Calza,  che  era  una  società  di  gentiluomini  vlniziani  con  qualche  fo- 
restiero, e  di  sangue  principesco  ancora,  i  quali  con  buona  licenza  dei  capi  del 
consiglio  del  dieci,  e  con  sopraintendenza  del  magistrato  dei  provveditori  del 
comune,  insieme  erano  uniti  ad  oggetto  di  esercitare  tra  loro,  per  dovere  indi- 
spensabile, scambievoli  uffizli  di  amicizia,  e  di  ricrearsi  con  onesti  trattenimehtl 
e  piacevoli  diporti;  le  stesse  con  tanta  accuratezza,  benché  senza  ordine  e  sen- 
za critica,  di  ogni  cosa  fecero  ricolta,  e  delle  più  minute  interne  cose  si  occupa- 
rono, e  grandi  notizie,  e  piccolissimi  fatti  delle  più  cospicue  famiglie  registraro- 
no, nulla  ci  dissero  della  società  dei  Sovienti,  che  altro  arguire  ci  rimane  se  non 
che  non  abbia  infatti  esistito  ?  Ci  sono  presenti,  rese  di  pubblico  diritto  con   le 
stampe,  le  opere  di  uomini  sommi,  che  fiorito   avevano  nell'  epoca  assegnata  a 
questa  società,  el  di  cui  nomi  siccome  giunsero  a  noi  per  altre  gesta  cospicui,  così 
ci  sarebbero  anche  in  questa  parte  preclari  pervenuti,  e  nulla  ricordano  di  essa. 
Nell'elogio  da  Giorgio  Trapesunzio  tessuto  alla  memoria  del  procnratore   mes- 
ser  Fantino  Michlel  morto  nell'anno  mille  quattrocento  e  trentatre  (i)  ,   fra  le 
virtù  egregie  di  questo  esimio  cittadino  non  si  parla  di  quella  società,  di   cui  fu 
detto  membro.  Quanti  codici  assai  pi'u  antichi  della  società  del  Sovienti  si  con- 
servano nelle  biblioteche  di  questa  città,  senza  che  i  tarli  corrosi  li  abbiano,  e 
di  quanti  ne  fa  parola  e  Marco  Foscarini  letteratlssimo  nostro  doge,  ed  Aposto- 
lo Zeno  chiaro  lume  dei  letterati   e   dei  dotti,  e  raccoglitore   accuratissimo  di 
cronache?  Che  se  alcune  di  queste  perirono,  ciò   principalmente  successe   per 
que'tanti  incendii,  ai  quali  fatalmente  ne* tempi  addietro  questa  città  fu  sogget- 
ta, incendii  che   rispettato  non   avrebbero  i  piombi  delle   lamine  conservatrici 
de'  fatti  più  interessanti   e  delle  memorie  più  insigni,  i  quali  sarebbero  stati  in 
eo-ual  modo  dal  fuoco  distruggitore  consunti .   Ma  dove   esiste  il  decreto  che  a 
queste   società  affida   la  cura  di  raccogliere  le  patrie  storie ,  e  chi  ci  assicura 

(i)  Vita  di  Guarino  veronese  Jel  cav.  Rosmini,  lem.  3,  i8o6.  Brescia,  voi.  2  Jo,  pag.  86. 


'79 
della  commissione  avuta   dall'incisore?  Etl  ceco  clic   sempre  nella   stessa  guisa 

parlando,  si  produce  per  testimonianza  una  medaglia  segnata  A  (  lig.  9)  in  cui 
sta  scritto  :  Pro  studio  historiae  societatis  Corrariae  ordinantis.  A.  mcdxxxviu^ 
ed  altra  segnata  B.  (fig.  \o^:  A  Paulo  Corrano  ordinata  Joan  -  A  Pastoribus. 
V.  jìl.  Fcc. ,  e  nei  fmc  della  memoria  si  accompagnano  le  plumbee  tavolette,  le 
quali  interpretano  il  grande  arcano,  come  siansi,  oltre  tante  altre  cose,  conservati 
pur  anco  gli  stampi  delle  monete;  e  sopra  queste  due  medaglie,  e  sopra  queste  ta- 
volette, si  piantano  le  fondamenta  più  stabili  di  quel  castello  che  vi  si  è  al  diso- 
pra innalzato  .  Queste  medaglie,  queste  lamine,  queste  monete  furono  incise  da 
certo  Giovanni  Pastorion,  che  nell'anno  \!^'h'6  in  zeccagli  stampi  della  moneta 
lavoraTa,  e  le  tavolette  ebbero  dalla  sottoscrizione  del  primicerio  di  s.  Marco 
Pietro  Foscari,  e  del  cancelliere  grande  Giovanni  Piumazio  maggiore  corrobo- 
razione. Esaminiamo  in  primo  luogo  chi  sia  questo  Giovanni  Pastorione.  Il  po- 
ter con  evidenza  matematica  dimostrare,  che  questo  uomo  fra  i  lavoratori  degli 
stampi  nella  pubblica  zecca  non  mai  abbia  avuto  luogo,  ella  è  cosa  di  somma 
difficoltà,  siccome  per  far  ciò  converrebbe  che  fossero  i  nomi  di  essi  registrati 
con  precisione:  egli  è  però  certo,  e  pubblici  documenti  ci  assicurano,  che  que- 
gli che  gli  stampi  delle  monete  lavorava  intagliatore  chiamavasi  :  difatti  in  una 
legge  del  i3o8  adi  7  maggio  si  nomina  Giovanni  Albico  intagliatore  degli  stam- 
pi della  moneta  :  Quod  fiat  gratta  lohanni  Albico  intajatori  stamparum  ad 
monetam:  legge  riportata  anche  dal  chiarissimo  sig.  Girolamo  Zanetti  nella  sua 
memoria  dell'orgine  di  alcune  arti  principali  appresso  i  Viniziani  (1);  e  più  da 
vicino  ancora  ai  tempi,  nei  quali  si  vuole  che  il  Pastorione  abbia  esistito,  ritro- 
•w>  che  neir  anno  i4^o4  morì  Giacopo  Sesto,  e  fu  in  santo  Stefano  sepolto,  del 
quale  nel  sepoltuario  di  Gio.  Giorgio  Palfer,  quale  originario  esisteva  presso 
Apostolo  Zeno,  questa  iscrizione  conserva  vasi:  MCCCCIV  sepoltura  di  ser  Gia- 
como Sesto  intagliatore  alla  moneta:  e  forse  che  questo  Sesto  puossi  della  stes- 
sa famiglia  riconoscere  di  quel  Marco  Sesto,  del  quale  il  sullodato  Zanetti  ci 
offre  nella  anzidetta  memoria  una  medaglia  coniata  all'anno  i3g3,  medaglia  che 
secondo  la  di  lui  opinione  si  ravvisa  chiaramente  essere  di  conio  e  non  di  getto, 
e  perciò  appunto  crede  che  esso  uno  de'  maestri  della  pubblica  zecca  esser  po- 
tesse, chiamati  a  quel  tempo  intajatori:  ne  è  nuovo  che  l'arte  d  intagliare  i 
conii  fosse  divenuta  da  più  secoli  la  proprietà  di  certo  numero  di  persone,  e  di 
famiglie  presso  le  quali  gelosantente  come  un  secreto  custodivasi  .  Se  la  poca 
distanza  dei  tempi  di  questi  due  Sesto,  da  quelli  ne' quali  vuoisi  esistito  il  Pa- 
storione congetturare  facesse,  ohe  questi  potesse  a  quelli  succedere,  il  non  ave- 
re d  Pastorione  adoperato  il  nome  d' intagliatore^  potrebbe  far  tenere  per  erro- 

(i)  Ongiae  di  alcune  arti  principali  appresso  i  Tinizianl,  libri  Juc,  pag.  100. 


i8o 

nea  la  con^etlnra:  tanto  più  che  la  ristrettezza  della  lamina,^  nella  quale  dovea 
la  propria  teslimonianza  incidere,  avrebbelo  dovuto  a  quella  parola  appigliare, 
piuttostochè  la  lunga  frase  adoperare,  die  laora  i  stampi  della  monea;  essendo 
il  primo  titolo  in  uso  generalmente.  Ma  quand'anche  il  Pastorione  fosse  della 
zecca  l'intagliatore  senza  il  nome  adoperarne,  non  regge  al  confronto  la  meda- 
glia di  questo  con  quella  di  Marco  Sesto  (fig.  12)  quantunque  la  sola  differenza 
siavi  di  cinquanta  anni  circa  tra  esse.  La  medaglia  di  Sesto  ricorda  la  primitiva 
origine  di  quelle  lettere  negli  antichi  romani  caratteri,  quella  di  Pastorione 
offre  vaghi  segui,  che  indicano  ciò  che  vogliono,  perchè  dall  interpretazione  ac- 
compagnati, ma  che  da  se  soli  ed  isolati  non  lascerebbero  luogo  a  conoscere, 
se  casuali  segni  essi  fossero  o  lettere.  Quanta  differenza  non  havvl  tra  la  C  di 
Sesto  e  quella  di  Pastorione,  tra  1'  E  dell'uno,  e  quello  dell'  altro,  tra  la  R  del 
primo  e  quella  del  secontlo?Ma  non  solo  fra  queste  due  medaglie  tale  differenza 
apparisce,  evvene  una  ma^igiore  ancora  trai  caratteri  adoperati  dagli  zecchieri  di 
que'tempi,  ed  è  perciò  che  una  moneta  pur  anco  del  doge  Francesco  Foscari 
(fio-.  1  1  )  incisa  mi  jiiacque  di  aggiungere  affmchè  ognuno  a  proprio  agio  possa 
un  confronto  instituire  .  Per  chiudere  finalmente  1'  esame  su  queste  lettere  non 
si  dee  trascurare  le  belle  osservazioni  fatte  dal  dottissimo  monsignor  canoni- 
co Braida  di  Udine,  il  quale  a  lungo  ragionando  su  di  un  preteso  sigillo  appar- 
tenente a  s.  Cromazio  vescovo  di  Aqulleja,  che  unito  alle  scoperte  monete  ed 
alle  lamine  di  piombo,  vide  a  quel  tempo  la  luce ,  e  sul  quale,  ricusandolo  il 
dotto  autore  per  sincrono,  fino  dalla  prima  edizione  di  quelle  opere  i  proprii  dub- 
bii  dimostra,  ma  più  apertamente  lo  nega  nella  seconda  edizione,  sciolti  già  1 
vincoli  di  riverenza  verso  il  venerando  letterato  protettore  della  scoperta  (1)  . 
Dalle  lettere  si  passi  ad  esaminare  e  riconoscere  il  linguaggio  adoperato  dall'  in- 
cisore, il  quale  non  si  attenne  all'  uso  della  nazione  di  quella  età  ,  molli  gram- 
maticali errori  ritrovandosi,  che  in  secoli  cosi  vicini  a"  tempi  de'  Romani  non 
doveano  aver  luogo, e  molto  meno  all'uso  de" tempi  posteriori,  cioè  dopo  il  iijoo, 
alla  quale  epoca  vuoisi  la  testimonianza  incisa,  perciocché  alcune  antiquate  vl- 
nizlane  parole  adoperaronsl  frapposte  ad  altre  di  nuovo  conio  ,  e  che  non  leg- 
gonsl  nelle  cronache  di  que'tempi,  nel  nostro  dialetto  dettate.  La  parola  sche- 
retura  non  era  in  uso  fra  noi,  ma  dicevasi  scriptura  da' Latini  togUendola,  o 
per  dir  meo-Ilo  ritenendo  dell'antico  linguaggio  la  voce,  ovvero  scretura^  parola 
che  più  vicina  alla  voce  latina  più  ne  ricorda  1"  origine  :  antiche  le  monete  si 
chiamano,  che  avrebbersi  antique  dovuto  dire,  od  anco  antixe^  come  alcuna 
volta  nelle  cronache  ritrovo;  la  dignità  di  procuratore,  della  quale  dlcesi  alcimi 


(1)  SaDcli  Chroinatu  episcopi  aijuilejensis  scripta.  Utiai  iSaS,  pag.  LXil,  e  seg 


i8i 
Ira'  rnemhrl  della  società  investiti,  non  cliianiasi  nelle  cronaclie  con  (jiicsta  vo- 
ce, ma  ricordata  si  trova  con  quella  di  percolador  (r)  .  Voce  di  nuovo  conio  è 
enstoria  ^  tale  è  cuexta^  enxieme  e  molte  altre,  ohe  dalle  cronache  di  que' tem- 
pi risultano  aflalto  nuove.  Scorso  così  il  nostro  esame  sulle  circostanze  partico- 
lari d-elle  adoperate  voci,  vejjgasi  chi  (picgli  sia,  che  di  questa  testimonianza  ci 
renda  certi.  Si  vuole  che  Pietro  Foseari,  all'anno  i(J38,  il  primicerio  di  san 
Marco  foss«,  che  vide  e  confermò  quanto  nella  testimonianza  sta  inciso  ;  ma  a 
quella  epoca  non  era  il  Foseari  ancor  primicerio,  giacche  il  senatore  Flaminio 
Corner  in  un  documento  riportato  nelle  sue  chiese  venete  illustrate  (2)  ci  assi- 
cura, che  la  dignità  di  primicerio  era  a  fjucl  tempo  co|)erta  da  Michele  Mario- 
ni,  ommesso  e  dal  Sansovino  e  dall'  Ughelli  nella  serie  dei  primiccrii .  Si  vuo- 
le che  Giovanni  Piumazio  fosee  il  cancelliere  grande,  che  nellanno  i4-38 
abbia  questa  scrittura  roborata  e  confermata,  e  non  accorsesi  che  nella  cro- 
naca del  Sansovino  stampata  (3),  e  che  gira  per  le  mani  di  tutti,  leggesi  essere 
stato  questo  1'  ultimo  anno  in  cui  visse  Francesco  Bevazzano,  già  da  dieci  anni 
successore  al  Piumazio,  il  quale  a  canceHier  grande  rimase  eletto  nel  i^^oS,  e 
mori  neir  anno  mille  quattrocenvensette.  Si  pongoivo  fra  i  possessori  delle  mo- 
nete mcsser  Marco  Zustinian  procurator  de  Ultra,  mcsser  Fantin  Michiel,  e 
dalle  serie  dei  procuratori  (|)  si  riconosce  morto  il  primo  nel  i346  cioè  quasi 
on  secolo  prima  della  incisione  delle  lamine,  ed  il  secondo  già  da  quattro  anni 
defunto:  si  fanno  contemporanei  e  il  detto  Marco  Zustinian,  e  Leonardo  Zusti- 
nian fratello  del  santo  patriarca,  ed  evvi  tra  loro  la  distanza  di  un  secolo  .  Si 
rammenta  tra  gli  studiosi  della  patria  storia  il  doge  Francesco  Foseari,  che  da 
tutti  gli  scrittori  del  suo  tempo,  e  più  particolarmente  dal  succitato  Flaminio  Cor- 
ner è  riconosciuto  come  un  cittadino  per  ogni  sua  gesta  prcclarissinio,  ma  af- 
fatto ignaro  di  lettere  (5) .  In  fine  un'  unione  di  tante  falsità  la  giurata  testimo- 
nianza del  Pastorione  raccoglie  e  riunisce,  che  non  lascia  che  maggiormente 
confermare  la  presunzione  che  dell'altrui  dabbenaggine  ritrar  si  voleva  profitto. 
Arrossisce  a  questo  hiogo  la  critica  dì  avere  i  proprii  argomenti  adoperati  per 
ismascherare  im' impostura  che  cede  tosto  al  primo  affrontarsi  della  verità.  Fal- 
se sono  le  monete  perchè  non  reggono  al  confronto  di  quelle  che  si  conoscono 


(i)  Nel  Jialetto  firenlino  usavasl  Julle  persone  idiote  e  roize  la  voce  jiericolalùie ,  invece  Ji 
procuratore,  molto  in  ciò  avvicinandosi  a  quella  del  nostro  dialetto,  percol/ulor.  Se  il  falsa- 
rio fosse  btalo  uu  idiota  di  que' tempi  avrebbe  egli  pure  nelle  sue  tavolette  usata  tal  voce. 

(a)  Ecclesiae  Venetae  auctore  Flaminio  Cornelio  Decadis  XllI,  pars  prior,  pag.  201. 

(3)  Sansovino.  Venezia  descritta  libri  XIII.  Venezia  i663.  Cronico  Veneto  in  fine  pag.  4?;. 

(4)  Libro  manoscritto  delle  serie  dei  procuratori  di  san  Marco  agli  anni  i34C  e  i4o3. 

(5)  Flaminii  Cornelii  opuscula  IV.  Venetiis  lySS.  ia  vita  Francisci  ì'uscari,  pag.  i63. 


i8a 

le<^itlitne  de'ternpi  medesimi,  n^  nelle  epigraG,  ne  nel  caratteri,  ne  nelle  forme. 
False  le  tavolette  che  riportano  nomi  non  ricordati  dalle  cronache  più  antiche, 
ed  ommettono  quelli  che  da  queste  ci  giunsero  ,  Falsa  la  testimonianza  del  Pa- 
storlone,  perchè  la  professione  propria  d' ignorare  fa  mostra  con  altro  nome  chia- 
mandola, e  frasi,  parole,  caratteri   adopera  che  a  quel  tempo  nel   viniziano  dia- 
letto non  costumavansi,  ed  a  confermare   e  autenticare  la  sua  asserzione,  qual 
Buovo  Samnelc,  richiama  dalle  ombre  gli  estinti,  e  gli  avvenire  onorevoli  incari- 
chi de' cittadini  predice.  Si  applaude  adunque  meritamente  a  coloro,  che  al  pri- 
mo anntmzio  di  questa  scoperta  non  si  lasciarono  imporre  ne  dall'autorità  dello 
scopritore  per  tanti  titoli  sommo  e  degno  della  venerazione  nostra,  ne  dalla  im- 
portanza della  scoperta,  che  tutte  capovolge  le  notizie  hn  qui  ricevute   relativa- 
mente all'  antichità  delle  viniziane  monete,  ma  ben   tosto   la  verità  e  la  legitti- 
mità posero  in  dubbio,  e  si  compianga,  che  ben  lo  merita,  la  debole  condiscen- 
denza di  quell'uomo,  che  in  mezzo  agli  studii  più  cari  delle  monete,  bramoso  di 
dare  un  più  antico  principio  a  quella  serie  di  monete,  che  con  infinito   studio  e 
cura  fino  agli  ultimi   anni  della  viniziana  repubblica  aveva  riunito,  si  lasciò  im- 
porre dalle  voci  di  chi  per  le  molte  cognizioni  nella  letteraria  carriera  era  reso 
cospicuo  e  famoso  ;  ma  tolgasi  dal  mondo,  se  pur  si  può,  una  serie  di  falsità  sto- 
machevoli, e  s'impedisca,  che  quegli  che  ha  l'ingegno  per  ereditario  spirito    in- 
clinato all'arte  di  mentire  la  età  (i)  in  si  fatta  guisa  ne  abusi  a  danno   e    nocu- 
mento altrui;  ne  alcuno  saravvi,  io  credo,  della  patria  si  amante,  e  della  sua  glo- 
ria sì  vago,  che  di  appoggiare  la  di  lei  fama  desii  sopra  mentite  e  vane    spoglie, 
che  ahi!  troppo  presto  potrebbero  essere  scoperte  e  smascherate,  come  io  mi  lu- 
singo di  aver  dimostrato . 


(i)  Tra  gli  anliquarii  di  Venezia  si  distinse  sempre  la  famiglia  Meneghetti,  ed  abbiamo  alle  stam- 
pe lo  elogio  di  Alvise  Menegbetti  incisore  ed  antiquario,  scritto  dal  professore  dell'universi- 
tà di  Padova  don  Gio.  Prosdocimo  Zabeo,  e  Ietto  nell'ateneo  di  Venezia  al  3o  marzo  i8i5, 
nel  quale  fra  le  lodi  date  a  questo  incisore,  v'è  quella  che  sapeva  l'arte  di  mentire  le  et<ì,  e 
non  solo  imitava  l'antico,  ma  lo  riproduceva,  sicché  i  suoi  lavori  si  tennero  per  Greci  del  buon 
secolo.  La  stessa  arte  di  mentire  le  età  fu  pure  tentala  da' suoi  discendenti,  sicché  alcuno  evvi 
tra  quelli,  che  fu  riconosciuto  autore  sciagurato  di  queste  monete,  e  di  queste  lamine,  che  si 
dissero  scoperte  iu  vecchie  casse  di  famiglia. 


G  LI 

AVARI 

PISTOLA 

A     LEOPOLDO     CICOGNARA 

DI     LUIGI     PEZZOLI 

MEMBRO  DEL  CONSIGLIO  ACCADEMICO  . 


>c,  mentre  di  suclor  bagna  la  dura 

Gleba,  che  rompe  trafelato  ed  ansio 
Per  aver  poscia,  o  non  aver  fors'  anco 
Pan  che  lo  sfami,  ingiuriose  voci 
Manda  al  cielo  Timone,  e  sen  corruccia 
Con  quel  non  equo  partitor  de'  beni 
Olimpio  Giove,  a'  suoi  casi  infelici 
Pietà  mi  nasce  :  ma  non  è  poi  dico 
De' Numi  il  Padre  che  a  s'i  dure  strette 
Metta  r  umana  razza ,  onde  qucst'  ubbia 
A  inalberarsi,  ed  a  piatir  con  lui . 
L'  uomo  a  r  altro  uomo  è  lupo,  e  ne  le  aperte 
Gole,  se  cali  Io  scandaglio,  indarno 
IVovar  fondo  ti  speri  .  E  dessa  1"  ampia 
Vorajro  immensa  che  trantrugia  e  sorbe 
Quanti  tesori  in  se  chiude  la  terra 
Che  Vespuoci  e  Pizzaro  ebbero  scorta . 
E  <|ueir  arcigno,  de  1'  umana  stirpe 
Od'iator,  dal  fondo  dell' Inietto 
Brava  il  Tonante  ?  Ma  Golconda  forse 


i84 


Non  dà  diamanti,  California  perle, 

Auree  masse  il  Perù  ?  Qual  arte  mai 

Di  nuova  cupidigia,  il  ricco  incarco 

Che  per  tanto  gran  mar  d'  Europa  i  liti 

Attinse  al  fin,  tra  chiavistelli  e  spranghe 

In  ferrea  tomba  a  seppellir  ne  viene 

Tra  noi  così,  che  men  tenace  in  grembo 

Natura  il  tien  ne'  cavernosi  abissi 

Del  biondo  Potosì?  Che  se  di  luce 

Raggio  mai  cala  in  que'  ciechi  sepolcri 

E  r  Avarizia  che  leva  il  coperchio 

Per  dar  al  pondo  pondo.  Io  la  conosco 

Cotesta  donna,  e  la  scontrai  sovente 

Per  via,  che  avea  Frode  ed  Usura  al  fianco, 

E  Pietà,  che  di  un  passo  i  passi  suoi 

Va  precedendo,  a'  cittadini  smunti 

Vista  cara  e  temuta  .  Il  pan  di  un  giorno 

Che  costei  reca,  vai  di  un  anno  il  prandio 

Che  costei  toglie,  e  se  patir  non  vuol 

Che  al  suon  di  tuba  il  potleretto  tuo 

Il  gabelller  ti  venda,  essa  ti  purga 

La  (liffalta  del  censo  .  Al  dì  del  patto 

Vien  con  1"  abbaco  Usura  .  O  tu  di  Samo 

Prode  calculator,  facesti  mai 

Nascer  somma  di  zero,  e  tal  che  ricco 

Patrimonio  la  sconti? —  /  t'  ho  redento 

Da  r  ugna  pubblicane^  e  il  nome  tuo 

Tolsi  al  disnor  di  critica  gazzetta  . 

Che  !  ti  speravi  a  guest'  età  quel  hambo 

ly  ogni  suo  aver  sperperalor  Poplicola 

Che  snudò  sé  per  ricovrire  altrui? — 

Gagnoli  pur  la  maladetta  arpia, 

E  dentro  a  le  spolpate  ossa  1'  estremo 

Sangue  ricerchi,  che  a  quell'  alto  colle, 

Lieo[)oldo,  ove  tu  stanzi  in  mezzo  al  coro 

De  r  arti  belle,  e  eh"  io  più  sotto  guardo 

E  col  disio  guadagno,  i  rei  latrati 

Non  giunser  anco.  Ivi  l'alloro  eterno 

Fiorisce  a  le  tue  tempie,  e  gloria  alligna  ; 


i8S 


Messe  cotesta  che  dai  campi  arari 
Sbarba  la  man,  come  gramigna  o  cardo . 
Voce  di  Febo  non  piaggia  l'orecchio, 
Cui  martellando  va  da  mane  a  sera 
L' allo  sonar  del  conì'ato  argento . 
E  a  noi  non  solo  sonatori  esperti 
De  le  tibie  di  Euterpe,  abborrimcnto 
Hanno  e  dispetto  gli  Attali  ch'io  canlo^ 
Ria  a  quanti  v"  à  de  le  gentili  cose 
E  maestri  e  seguaci,  e  a  sé  pur  anco, 
Se  qualche  raggio  di  splendida  fama 
Venisse  ne  la  notte  balenando 
l)f  le  lor  menti .  Gli  vedrai  tu  quindi 
()uesti  colali,  impensieriti,  in  viso 
l*ortar  pinto  il  colore,  e  la  profonda 
Malanconia  de  l' oro .  Incidi,  amico, 
E  nolomizza .  Ne  le  molli  celle 
Memorative,  di  morir  torrei 
Se  altro  trovi  che  cifre  arabe  e  conti. 
Conti  mille  e  diversi,  e  quel  non  mal 
Del  viver  corto,  e  de  1'  estinto  Creso. 
O  santo  Apollo,  l'orecchiuto  Mida 
E  tuo  lavoro,  e  '1  disegnasti  allora 
Per  r  Adamo  de' ricchi.  Ora  è  vendetta 
De  la  vendetta  tua,  se  i  sacri  ingegni 
Picchiano  in  vano  agli  usci  non  udenti. 
Aperti  al  mimo,  a  la  bagascia,  al  sozzo 
Venditore  di  talami,  al  trincato 
Fineez  di  Temi,  e  al  giuntator  nefario  . 
Peste  sì  ria  non  ammorbava  un  tempo 
Gli  atrii  di  quest'  albergo,  asilo  e  tempio 
Di  virtù  cittadine,  ove  le  prime 
Aure  spirò  di  vita,  e  i  lumi  chiuse 
Il  padre  della  patria,  in  mar  Pompeo 
In  senato  Catone.  Ai  buon  Penati 
\  oliò  faccia  fortuna,  e  i  palrii  annali 
Diranno  ancor,  che  di  Vitrnvio  è  quella 
M.irmorea  mole,  di  Palladio  questa: 
Se  ili  più  vuoi  saj)er.  da  la  fantesca 

24 


.86 


Udrai,  dal  remigante,  il  nome  e  1  fasti 
De  r  ospite  novello.  Essi  da  l'alto 
Daran  principio  a  la  preclara  istoria  . 
Come  da  Pelestrina,  algoso  nido 
Di  peschereccia  torma,  a  la  Signora 
Venne  del  mar,  co  l'irto  feltro  in  testa 
Ed  il  giulecco  a  un  omero  imbracciato. 
Penzoloni  su  1'  altro,  e  sgambucciato 
U  eroico  padre,  e  che  uno  sellilo  avea 
De  r  avito  tesor.  Magico  schifo! 
Di  tartana  in  saettìa,  quindi  converso 
In  caravella  e  in  flotta  onnipossente, 
Che  da  Bisanzio  o  dal  Tamigi  a  noi 
Giunse  di  merci  grave,  a  lar  contante 
Solo  a  r  algebra  noto.—  O  il  lungo  giro 
•    Di  nestoree  succession! —  T'inganni. 
Io  che  ti  parlo,  lo  stupendo  ò  visto 
Prodis'io,  e  la  leggiadra  metamorfosi. 
O  più  di  Giove  e  di  Titano  adunque 
Potentissimo  Iddio  Mercurio,  padre 
De' ladri  e  mercatanti!  E  tua  la  scuola 
De  la  divina  alchimia,  e  non  è  sola: 
Che  opra  è  da  eroe  lo  aggrumolar  de  1'  Asia 
L' oro  e  le  pompe,  ed  imitar  di  Sparta 
Le  vestimenta,,  e   \  fragrale  banchetto. 
Usi  salvietta  e  piatto  il  morbidetto 
Bocchin  di  dama,  o  '1  roseo  Sibarita, 
Poiché  la  carta  che  le  acciughe  involse. 
Basta  per  uom  che  del  boccal  cretoso 
Calice  à  fatto,  e  del  dito  forchetta. 
Clio,  di  storie  maestra,  a  la  tua  penna 

Conscirno  un  nuovo  nome,  e  non  lo  tolsi 
Dal  vincitor  del  Ponto,  o  da  quell'altro 
Dei  Parti  domalor,  dal  parlic'  oro 
Domo.  Il  nostro  campion  non  vesti  usbergo. 
Ferro  non  strinse,  e  nazioni  emunsc 
Placidamente:  quest'illustre  ingegno 
Inosservato  visse,  ed  un  cantuccio 
Di  vendereccio  fondaco  nascose 


Tania  virlìi.  Piacque  a  natura  sempre 
Oprar  molto  tacendo.  Ei  non  conobbe 
Lie  dotte  scuole,  e  nominanza  ottenne, 
Titoli  e  fresri .  Inganno  è  dunque,  incanno 
Dir  che  sol  da  Minerva  uomo  s'illustra, 
Ovvero  oro  è  Minerva  .  E  qui  le  tele 
Stan  di  Parrasio,  e  di  Lisippo  i  bronzi, 
E  i  marmi  di  Miron.  Vuoi  maggior  prova 
Di  sapì'enza  ?  In  ordine  distinto 
Les-ffi  e  vedrai.  Baiavi  ingegni  e  franchi. 
Britanne  menti,  e  d' Italia  maestra 
Ecco  raccolto  il  fior  .  Questi  volumi 
Godon  la  pace  qua  che  ne  la  tomba 
Hanno  i  suoi  padri .  E  chi  oseria  toccarli  ? 
Il  mio  signor,  dal  dì  che  sul  mercato 
Ne  fé'  r  acquisto,  cimentonne  il  peso 
E  la  virtù  con  la  stadera  in  mano . 
Altri,  cui  traTge  curiosa  brama 
Di  visitar  le  pellegrine  soglie 
E  '1  signor  fortunato,  in  fra  i  cristalli, 
Le  seriche  cortine,  ed  i  graticci 
Tenti  spVarne  il  titolo  e  la  pompa. 
Di  te  parlai  sin  ora.^  or  vieni,  ricco. 

Che  con  te  pai'lo.  Me  creò  natura. 

Fortuna  te .  Quanto  poteva  io  darti 

To' la  mi  disse,  e  di  campagne  e  navi 

E  di  tesor  vece  ti  tenga  questa, 

E  una  penna  fra  i  diti,  i'  mi  trovai . 

Vedi  tesor  di  piuma  !  E  pur  con  questa 

Il  mio  campo  lavoro,  ed  ogni  sera 

Mieto  tal  messe,  che  con  altri  spesso 

Ne  la  divido  e  pel  doman  riserbo 

Campo,  e  no  biada  .  O'  qualchcdinio  quindi 

Che  mi  prospera  orando  il  mio  terreno, 

Nessun  che  me  lo  invidii.  Io  di  natura 

Figlio,  de'  doni  suoi  colgo  quel  meglio 

Che  spontanea  a  me  porge,  e  nega  sempre 

A  mercenaria  mano,  e  in  vita  mia 

Non  conobbi  soperchio,  ozio,  od  Invidia . 


i8; 


i88 


Qualche  volta  fortuna  oro  in  mie  mani 
Precipitò,  divenne  oro  in  mie  mani 
Acqua  che  casca  in  gronda  e  non  fa  pozza . 
Cosi  varcai  di  nostra  vita  il  mezzo, 
Sì  toccherò  la  fine.  Illustri  teste 
Vidi  andar  per  la  polve,  ed  eminenti 
Troni  crollar  .  Fortuna  ire  e  redire, 
E,  come  sferza  del  palèo,  del  mondo 
Tal  giuoco  farsi,  non  perciò  di  cuore 
Viltà  mi  prese,  o  1  notturno  rimorso 
Mi  toccò  mai  con  la  man  fredda  il  petto . 
Pianger  del  mio  sangue  civil,  dolermi 
Agli  altrui  casi,  dispettarmi  all'onta 
Della  patria  scaduta,  ecco  i  miei  falli. 
Per  cui  non  ebbi  penitenza  o  scorno  . 
Tu  che  ài  ferma  la  rota  onde  quaggiuso 
S'avvicendano  i  beni,  un  ben  godesti 
Uno  di  tanti  almen  ?  Quel  primo  e  dolce 
Che  altri  si  goda .  Tu  che  ne'  disastri 
De  r  oppugnata  patria ,  lo  vedea  solo 
Solo  spiegar  serena  fronte  in  mezzo 
Degli  aggrottati  cittadini  volti , 
Quasi  cometa  che  d' infausto  lume 
Riflette  i  nembi  che  le  fan  corona  . 
Ma  delitto  più  grave,  era  (noi  taccio) 
Il  pianger  tuo  come  rideano  tutti, 
E  disiar  che  la  Discordia  e  Marte 
Duri  a  le  porte,  insin  che  abbia  la  fame 
Conversa  in  oro  1'  esecrata  incetta . 
Ahi  scellerata  sete  a  quanto  iniqua 
Desìanza,  per  te  questa  non  giunge 
Nostra  ingordigia  !  Ora  che  Sirio  incenda 
La  messe  sitibonda,  ora  che  il  pianto 
De  le  nimbose  Plejadi  sommerga 
Le  crescenti  speranze,  e  che  mature. 
Anzi  che  falce,  grandine  le  incolga  . 
E  chi  trattò  de' miei  diritti  à  scritto, 

(Bugiarda  penna!)  che  del  tuo  soverchio 
S'  empirla  l'altrui  vóto,  e  che  puntello 


Sarcstb  a  mìa  ruina,  e  t'arrci  visto 

Ne'  famelici  giorni  andar  picchiando 

Di  porta  in  porta,  e  offrir  pane  non  chiesto?. 

Ma  pietà  tu  di  me,  se  di  te  mai 

Non  la  sentisti,  o  più  di  quel  metallo 

Che  adori  duro  !  Di  fiaccarti  hai  preso 

Meglio  le  lacche,  ed  abbronzar  la  pelle 

Al  soUionc  ,  anelitando  a  gnisa 

Di  stanco  bracco,  che  a' cavalli  tuoi 

Torcere  un  pelo,  onde  a  la  prima  fiera 

Tali  sien  poi  che  il  vetturale  e  4  fieno 

Ti  rendan  essi,  e  del  servigio  il  prezzo . 

Ti  prurisce  la  carne  ?  amor  non  nacque 

Sotto  aurei  tetti,  e  più  dolce  non  torna 

Su'  talami  di  rose .  Il  can  per  via 

Cuopre  l'amata  cuccia .  Imita,  e  al  buio 

DI  qualche  trivio,  o  di  sozza  callaja 

La  sgualdrinella  che  ti  diede  il  fiore 

Segui,  e  scantona  col  mantello  agli  occhi. 

Ippocrate  potrà  guarir  la  piaga 

De  r  affetto  plebeo,  quella  non  mai 

Del  borsellino  esausto  .  Or  vuoi  compiuto 

Darmi  il  ritratto?  A  buon  scrittore  i' debbo 

Questa  figura.  Etti  venuto  mai 

Spiar  que'  monti  che  han  gravido  il  grembo 

Di  prezì'ose  cose  !  Orrido  aspetto 

Gli  rende  a  1'  occhio  ingrati,  a  l'andar  scabri. 

Filo  d'erba  non  spunta  in  su  le  brulle 

Spalle,  e  inutll  sarà  che  il  viatore 

Di  un  frutto  inchieda,  onde  recar  ristauro 

A  r  arse  labbia,  orror  mesto  per  tutto, 

Solitudin,  silenzio,  rena,  sasso. 

Tal  mia  musa  ti  osserva,  e  tal  fra  noi 

Maggioreggi  villano .  Oh  se  le  mani 

Mettesse  nnqnanco  il  mio  Leopoldo  in  questi 

Rigidi  stagni  di  stipato  argento, 

Coni'  risoluto  in  fiumicelli  e  rivi 

Scorrer  vedreilo  e  serpeggiar  per  tutto 

A  dar  vita,  colore  e  spirto  e  lena 


189 


igo 


A  la  virili  che  inarkiita  giace 

Per  mancanza  d'umor  che  la  ristori, 

E  sementi  in  germogli,  e  fiori  in  frutti 

Vedrei  cangiarsi,  e  giardin  farse  il  mondo 

Di  foresta  di  sterpi  aridi  e  bronchi. 

Allor  le  sante  muse  e  '1  divo  Apollo 

Che  non  han  lauro  onde  sedersi  all'  ombra, 

Ridesterian  quell'  armonia  che  Bembo 

Derivò  un  di  da  latin  plettro  o  greco 

Su  queste  live  all'  arti  belle  amiche: 

E  dov'  è  pialla,  remo,  ozio,  o  delillo 

Vedremmo  1  lampi  di  quel  primo  padre 

Di  nostra  scuola,  e  de'  color  maestiO;, 

Di  Ferracina  e  di  Canova  ingegni  . 

Io  questo  dico,  e  '1  dico  a  que  che  sanno 

Com'  ei  cerchi,  conosca,  e  onori  il  bello. 


Rota.  Io  scriveva  questi  versi  uel  giugno   1798  in  Venezia. 


X'-i'.'    !■  ^.  .   '■■.':■/ 


^::,,„.;,fi.,  ,/-/    . 


SOPPxA  LA  VITA  E  I  DIPINTI 

D  I 

FRA  SEBASTIANO  LUCIANI 

SOPRANNOMATO  DEL  PIOMBO 

SAGGIO 

DELL'    AVVOCATO    PIETRO    EIA  Gì 

MEMBRO  ORDINARIO  E  PRESIDENTE  DELL'  ATENEO  • 


SOMMARIO. 

J.  l  soggetto  che  s' imprende  di  trattare  è  importante  non  meno  per  gli  arti- 
sti., che  per  li  dotti  —  Sebastiano  Luciani  nato  in  Venezia  nel  i^So  da  Lucia- 
no Luciani -^  U  educazione  cK  egli  rice^-e  nelle  lettere  e  nella  musica  ap- 
palesa la  buona  condizione  di  sua  famiglia  —  Ristaurazione  delle  buone  disci- 
pline in  Italia  :  il  Luciani  partecipe  del  generale  fermento  si  dedica  alla  pit- 
tura e  s''  accosta  a  Giovanni  Bellini  — Miglioramenti  che  apporta  alla  pittu- 
ra cotesto  caposcuola —  Il  grandioso  stile  di  Giorgio  BarbarelU  muove  il  Lu- 
ciani ad  ascriversi  al  novero  de'  suoi  discepoli Giunge  ad  imitarlo  a  tale 

perfezione.,  che  li  dipinti  del  discepolo  vengono  presi  in  iscambio  di  quelli  del 
maestro:  suoi  primi  ritratti.,  sua  tavola  pel  maggior  altare  di  s.  Giovanni  Criso- 
stomo., suoi  portelli  delC organo  in  s.  Bartolommeo—Il  Luciani  conduce  la  tavo- 
la della  visitazione  per  la  chiesa  di  s.  Biagio  di  Lendinara.  e  F  altra  perla  chie- 
sa di  Grigliano  rappresentante  la  resurrezione  di  nostro  Signore  :  luogo  ove  fu- 
rono condotti  ed  età  di  cotesti  dipinti —  Si  va  indagando.,  se  abbiasi  a  rivendi- 
care al  Luciani  la  famigerata  tavola  posta  nel  presbiterio  di  s.  Nicolò  di  Tre- 
vìgi:  si  prendono  in  csavie   le  opinioni  del  p.  Federici.,  delf  abate  Lanzi  e 


dell  anonimo  autors  dell  articolo  che  si  legge  ne/ gìorualc  sulle  scienze  e  le'-' 
tare  delle  provincie  venete  iV.  i  5,  settembre  1822  pag.  i5o  —  frenata  in  Ve- 
nezia nel  iSog  di  Agostino  Chigi  soprantendente  alle  rendite  della  camera  apo- 
stolica sotto  il  pontificato  di  Giulio  II:  sue  dovizie^  sontuosità  del  suo  vivere^ 
sua  regale  munificenza  nel  proteggere  gli  studii  e  le  arti  belle  —  Segreta  le- 
gazione  a'  Veneziani  per  lo  scioglimento  della  lega  di  Cambray  desiderata 
dal  detto  pontefice  è  la  probabile  cagione  della  missione  di  lui  in  Venezia  — 
Quivi  forma  la  conoscenza  del  Luciani^  s'  invaghisce  del  suo  colorito  giorgio- 
nesco^  e  lo  persuade  di  seguirlo  a  Roma  promettendogli  d  impiegare  i  pennel- 
li di  lui  nei  dipinti  de'  suoi  magnifici  edifizii  —  //  Luciani  giunge  a  Roma  col 
Chigi  in  tempo  che  papa  Giulio  dava  egli  pure  un  possente  impulso  alle  ar- 
ti liberali  ed  agli  ameni  e  gravi  studii  e  preparava  il  secolo  di  Leone  X,  alla 
fama  ed  alla  gloria  del  quale  dev  essere  associato —  Ali  arrivo  del  Luciani  il 
Sanzio  ed  il  Bonarotli  dividevano  tutti  i  suffragi  di  Roma  e  deli  Italia^  degli 
artisti  e  degli  amatori  —  Carattere  di  cotesti  due  altissimi  ingegni^  differenti 
vie  per  le  quali  giungono  nel  diverso  lor  genere  a  toccare  il  sublime  nelF  ar- 
te —  //  Luciani  tratta  i  pennelli  in  concorrenza  di  Raffaello  e  del  Peruzzi  ne- 
gli a  fresco  del  palazzo  Chigi  in  Trastevere  detto  ora  la  Farnesina  —  Michiel. 
angelo  adocchia  i  dipinti  dal  Luciani^  s' innamora  del  lucido^  saporito  e  mor- 
bido suo  colorito^  lo  pone  sul  buon  cammino  rispetto  al  disegno^  e  lo  costitui- 
sce suo  campione  per  opporlo  all'  emulo  Raffaello  —  Quest'  ultimo  suscita  un 
rivale  a  Michielangelo  in  iscultura^  dando  a  scolpire  a  Lorenzetto  Fiorentino 
r  Elia  ed  il  Giona^  ajutandolo  co'  proprii  disegni  e  ritoccandogli  di  propria 
mano  i  modelli  — •  Giudizio  del  Bellori  intorno  al  Giona  —  //  Luciani  dipinge 
in  Viterbo  un  deposto  di  croce.,  in  Perugia  una  natività  di  nostra  Donna.,  in  s. 
P ietro  Montarlo  in  Roma  la  flagellazione  di  nostro  Signore:  nel  disegno  di  que- 
ste e  più  altre  tavole  fatte  altrove  si  ammira  il  profitto  che  tratto  aveva  dalle 

lezioni  del  Bonarotli  rispetto  al  disegno  //  Luciani  dipinge  la  gran  tavola 

della  resurrezione  di  Lazzaro  a  competenza  della  trasfigurazione  di  nostro  Si- 
gnore di  Raffaello^  e  nel  difficile  paragone  divide  i  suffragi:  la  resurrezione  di 
Lazzaro  fu  di  recente  acquistata  dal  governo  brittanico  per  i^ooo  lire  ster- 
line —  Morte  di  R.affaello  —  //  Luciani  occupa  il  primo  seggio  della  pittura 
in  Pioma  —  Stupenda  tavola  rappresentante  s.  Nicolò  vescovo  mirense ,  // 
Precursore  6  t  apostolo  Andrea  condotta  per  Agostino  Chigi.,  compita  sei  ah- 
ni  dopo  la  morte  di  lui  —  Cagione  del  lento  procedere  del  Luciani  ne'  suoi  la- 
vori., e  della  prodigiosa  rapidità  di  Raffaello  —  //  martirio  di  s.  Agata  ;  nuo- 
vo capo-lavoro  del  Luciani  che  si  conserva  nella  ducale  galleria  di  Firen- 
2.^  — //  Luciani  riesce  a  nessuno  secondo  ne"  ritratti:  lettera  curiosa  di  Clau- 
dio Tolommei  sopra  tale  subbietto  —  Ritratti  di  Clemente  VII.,  Adriano  VI., 


Paolo  III^  Caterina  dei  Medici  regina  di  Francia  e  di  più  nitri  pmin^nti  per- 
sona'gì  condotti  da  Sebastiano  —  Fra  tutti  i  più  niarnvig/iosi  e  i  più  decanta- 
ti sono  quelli  di  Giulia  Gonzaga,  Pietro  Aretino  e  Giambattista  SiH-ello  — 
Roma  presa  (T assalto  e  divenuta  preda  di  soldatesche  avide  ed  efferate  — 
//  Luciani  chiuso  nelP  assediato  castcl  Sani'  Angilo  con  papa  Clemente 
VII  ;  sue  lettere  alt  Aretino  —Fuga  de'  più  valorosi  artisti  dallo  stato  pontifìcio 
dopo  quelli  miseranda  catastrofe;  languore  estremo  delle  arti — Clemente 
conferisce  il  bn  'leficio  di  apporre  il  bollo  ai  decreti  della  cancellarla  apostoli- 
ca al  Luciani  che  veste  l  abito  di  s.  Domenico  —  Suo  trovato  di  colorire  al- 
r  olio  sul  muro  e  sopra  i  marmi^  e  suoi  lavori  in  questo  genere  —  Suo  lieto 
vivere^  suoi  capitoli  bcrnieschi  e  sua  morte. 


Vera  reJit  fncies,  nssimulnln  perii 
PtriiON.  Satj'i'.  cap.  80. 


Dì 


<\  Tra  Sebastiano  del  Piombo  nato  in  Venezia  dalla  famiglia  Luciani  nulla 
scrisse  Carlo  Riilolli,  come  se  figlio  delia  scuola  veneziana  stalo  e"  non  fosse  , 
o  non  I' avesse  fenduta  chiara  coi  magistero  de'suoi  pennelli.  Giorgio  Vasari 
Sdisse  molto,  non  però  tutto  ne  il  meglio  di  cotesto  insigne  dipintore,  anzi  egli 
guastò  ciò  che  scrisse  con  quel  suo  amore  di  parte,  che  scema  tanto  di  fede 
a  SUOI  racconti  e  di  peso  a' suoi  giudizii .  Poco  e  senza  la  solita  accuratezza  e 
ponderazione  ne  scrisse  1'  abate  Luigi  Lanzi ,  considerato  avendolo  nulT  altro 
che  un  gregario  della  scuola  giorgionesca,  ed  avendogli  perciò  consagrate  in 
quella  sua  opera  magistrale  pochissime  linee .  Forse  non  aveva  vedute  che  le 
opere  della  sua  prima  maniera,  e  s'era  strettamente  attenuto  al  parere  di  An- 
tonio Zanetti,  che  avealo  cpialificato  per  un  perfetto  Imitatore  del  Barbarelli 
suo  secondo  maestro,  e  nulla  più.  Il  p.  Federici  copiò  in  parte  il  biografo  areti- 
no, ed  in  parte  compose  di  suo  capriccio  un  romanzo  pieno  zeppo  di  assurdità 
e  di  anacronismi.  Di  abbeccedarli,,  biografie,  orazioni  elo£Ìstiche  ed  altre  ciance 
canore,  che  intorno  al  Luciani  furono  scritte,  sarebbe  tempo  perduto  il  tener 
conto. 

Pure  se  c'è  pittore,  per  mio  avviso,  che  meriti  le  disquisizioni  de'  dotti  e  lo 
studio  degli  artisti,  non  che  di  tutti  in  generale  i  cultori  delle  arti  ingenue,  il 
f^ucianièdi  rpieslo  numero.  L'essersi  formata  una  manieia.,  rlie  partecipa  nell"  1- 
stesso  tempo  della  scuola  veneziana,  della   romana   e   della   tiorcntlna  :  l'aver 


avuti  jiLi-  inacslrl  un  Giovanni  Bellini  ed  un  BarbarcHi,  per  commilitone  un  Mt- 
cbelangclo,  per  rivai»;  nii  Raffaello:  l'essere  stato  sostenuto  nella  battuta  lumi- 
nosa carriera  da  nobilissimi  e  potentissimi  mecenati  :  1'  aver  infine  prodotti  «le' 
capolavori,  a"  quali  il  volger  de*  secoli  altro  non  fece  che  vie  più  accrescere  la 
rinomanza  ed  il  pregio;  tutto  ciò  un  complesso  forma  di  tali  singolari  e  notevo- 
li circostanze,  che  rendono  la  vita  di  questo  valoroso  dipintore  meritevole  della 
pili  scria  attenzione  di  ogni  classe  di  lettori . 

Senza  punto  badare  se  peso  sia  proporzionato  alle  forze  de'  miei  omeri,  confor- 
memente al  precetto  del  Venosino,  spinto  unicamente  da  una  smaniosa  passio- 
ne per  tutto  ciò  che  concerne  alle  arti  belle,  io  avrei  osato  dettare  la  vita  di 
Sebastiano  Luciani:  ma  poco  più  sapendosi  di  cotesto  valoroso  dipintore  di 
quanto  scrissenc  il  poc'anzi  citato  biografo  aretino,  ho  dovuto  circoscrivere  li 
miei  stiidii  nei  limiti  di  una  più  esatta  enumerazione  e  più  ampia  illustrazione  del- 
le sue  opere,  fatica  a  mio  intendimento  feconda  di  fiori  e  frutti  non  pochi.  Trat- 
tavasi  di  revocare  dall' obblio  alcuni  di  lui  dipinti,  di  ricordazionc  meritevolissi- 
mi, de' quali  non  se  n'era  fatta  menzione  nelle  scritture  già  pubblicate,  quantun- 
que lo  stile,  la  tradizione  e  le  epigrafi  stesse,  che  portavano  impresse  facessero 
indubitata  fede  chea  Sebastiano  appartenevano.  Si  doveva  con  migliori  testimo- 
nianze di  storia  e  con  lumi  maggiori  di  critica  discutere  di  nuovo  la  questione  , 
se  in  fra  i  prodigi  del  suo  pennello  si  avesse  dovuto  annoverare  la  tavola  della 
cappella  di  s.  Nicolò  diTrevigi.  A  penetrare  più  addentro  nella  filosofia,  che  ave- 
va inspirato  il  pittore  nell'inventare  e  comporre  i  suoi  quadri,  e  a  far  comprende- 
re quanto  avanti  egli  sentisse  nel  segreto  dell'  arte  di  contraffar  la  natura  col- 
la mao-ia  de'  colori,  era  duopo  se  ne  facesse  quella  più  particolareggiata  descri- 
zione, che  da'  precursori  erasi  lasciata  desiderare  .  Conveniva  dalle  esagerazio- 
ni purgar  dell'invidia,  e  a  più  vere  e  giuste  dimensioni  ridurre  quelle  armi  adiu- 
trici  che  "-li  aveva  prestate  il  Sonarotti  per  renderlo  più  gagliardo  nel  sostene- 
re lo  scontro  degli  emuli  :  ed  era  mestieri  di  fare  lo  stesso  rispetto  alla  gloria  , 
che  acquistata  aveva  Sebastiano  nelle  strepitose  gare,  ch'ebbe  a  sostenere  col 
grande  Raffaello . 

La  protezione,  di  che  gli  hi  largo  Agostino  Chigi,  nome  che  chiaro  risplende 
nco-li  annali  delli  tre  famosi  pontificali  di  Alessandro  VI,  di  Giulio  IF  e  di  Leo- 
ne X,  non  meno  che  ne'  fasti  delle  arti  belle,  cui  potentemente  ha  egli  promos- 
se: gl'incoraggiamenti  e  le  ricompense  che  a  larga  mano  profuse  sopra  di  lui  il 
cardinale  Giulio  de'  Medici,  il  quale  si  assise  sulla  cattedra  di  s.  Pietro  sotto  il 
nome  di  Clemente  VII:  la  stima  grandissima,  in  che  ebbclo  Claudio  Tolomei  e 
quel  terribile  uomo  di  Pietro  Aretino,  il  quale  se  appena  mediocre  riuscì  pitto- 
re, fu  di  pittura  conoscitor  dotto  e  profondo  :  ecco  alcuni  episodii  con  più  altri, 
che,  per  amore  di  brevità,  di  accennare  si  tralascia,  li  quali  diffondendo  molta  lu- 


19^ 
ce,  e  non  iscarso  ornamento  aggiungendo  alla  vita  ed  alle  opere  del  Luciani , 
meritavano  di  venir  disgombrati  dalle  incertezze  ed  oscurità,  j)cr  quanto  con- 
eenti vanto  le  poche  notizie  cli'èmmi  venuto  fatto  di  razzolare  . 

A  serbar  mondo  dalla  muffa  il  cervello  ne'  prossimi    decorsi  anni,  in  certi  ri- 
lafli  di  tempo  che  gli  ozii  campestri  mi  concedettero,  misi  insieme,  alla  spiccio- 
lala co<Tliendola,  siffatta  messe.   E    perchè  Dante  dice  che  "  non  vi  fu  scienza 
senza  ritener   1"  inteso  "  cosi  ho  notato  in  certe   schede  ciò  di  che  fatto  aveva 
tesoro:  ma  se  a  disporl»'  secondo  la  ragione  de' tempi  ed  a  rannodarle   in    ordi- 
nata orazione  non  mi  avesse   incitato  un   illustre   maritaggio,  cui  erami  venuto 
fantasia  di  festeggiare,  un  soffio  di  vento  ne   le   avrebbe  al  certo   sgominate    e 
disperse,  a  similitudine  delle  foglie  su  le  quali  incisi  stavano  gli  oracoli  sibillini; 
tant'era  la  sbadataggine,  con  che  io  guardava   questo  informe  centone  tessuto 
a  catafascio.  Ma  che!  nel  timore  che  l'edizione  dell'opuscolo  giungesse  ad   are 
deserte,  a  faci  spente  ed  a  mense  levate,  mi  accinsi   al  lavoro  del  mio  musaico 
con  tale  una  precipitazione,  che  grave  scapito  ne  risentì  il  mio  scritto  non   me- 
no rispetto  all'esattezza  de' fatti,  che  alla  maturità  de'  giudizii.  A  fine  pertanto 
che  non  mi  si  bandisca  la  croce  addosso  ho  dovuto  stendere   una  mano  soccor- 
ritrice a  cotesto  mio  difforme  figliuolo,   non  già  mosso  dalla  temeraria  presun- 
zione di  renderlo  un  Apollo,  ma  sì  dalla  fiducia  di  fare  in  modo,    ch'e'non  com- 
parisca un  Vulcano,  o  tale  altra  sconcia  figura,  ed  ecco  in  brevi  accenti  il  per- 
chè rifeci  il  già  fatto,  ed  a  nulla  perdonando,  posi  all'opuscolo  il  meno  sfoo-fia- 
to  e  più  modesto  titolo  di  Saggio  intorno  alla  vita  ed  ai  dipinti  di  fra  Sebastia- 
no Luciani  soprannomato  del  Piombo. 

Dovrei  forse  rimproverarmi  di  aver  troppo  diffusamente  discorso  intorno  alli 
due  corifei  delle  scuole  romana  e  toscana  :  ma  non  so  io  vedere  il  come  aves- 
si potuto  resistere  al  seducente  pensiero  di  far  conoscere  nel  Luciani  un  deo-no 
rivale  di  Raffaello  ed  un  valoroso  campione  di  Michielangelo,  avvegnaché  alle 
volte  il  veneziano  pittore  ristretto  nell'armatura  formidabile  del  fiorentino  ebbe 
a  disputare  la  palma  all'urbinate,  e  potè  senza  ombra  di  superbia  sul  suo  conto 
ripetere  «  ed  io  fui  terzo  fra  cotanto  senno  "  ?  Potrebbe  sembrare  altresì  che 
la  digressione  del  sacco  di  Roma  siavi  stala  cacciata  di  ntro  a  solo  fine  d'in- 
grossare il  volume  ;  ma  se  il  Luciani  al  tempo  di  quella  lugubre  e  sanguinolenta 
Iliade  si  trovò,  in  compagnia  di  Clemente  VII  e  di  molti  cardinali,  prelati,  arti- 
sti e  letterati  del  suo  seguito,  chiuso  nell'assediata  nnole  di  Adriano,  e  se  da 
quella  munilissima  rocca  scriveva  all'Aretino  lettere  di  aneddoti  curiosi  ri|)ienc  ; 
e  perchè  mai,  ommcttcndo  di  parlarne,  avrei  dovuto  lasciare  un  vuoto  nella 
vita  del  mio  pittore?  Forse  per  non  annodarvi?  In  ([uesto  caso  ni' eia  diiopo  di 
gettare  la  penna,  e  lasciare  ad  ingegni  più  felici  ed  esperii  correre  cotesto  ar- 
ringo. Se  noi  feci,  incolpatene  quella  festevole  accoglienza,  quell  iudulgeulc  sor- 


196 

riso,  con  che  rlegnate  per  istituto  costante,  ornatissi mi  accademici,  le  mie 
quisquiglie  ascoltare,  nelle  quali  la  volontà  eh'  è  molta  tiene  in  bilico  l' ingegno 
eh'  è  poco . 


Luciano  Luciani  veneziano  fu  padre  a  quell'insigne  pittore,  che  nelle  biogra- 
fie e  negli  abbeccedarii  pittorici  viene  comunemente  chiamato  fra  Sebastiano 
del  Piombo^  sia  a  cagione  dell'  ufticio  che  poscia  in  Roma  sostenne  di  apporre 
li  bollo  a'  decreti  della  cancelleria  apostolica,  uffizio  conferitogli  dalla  munificen- 
za di  Clemente  VII,  sia  per  lo  fratesco  abito  assunto.  Una  lettera  scritta  dallo 
stesso  Sebastiano  all'  immortale  Michelangelo  Bonarotti  nel  di  ag  dicembre 
i52o  ci  chiarisce  che  tale  erasi  il  nome  del  padre  di  lui  (i):  un'  altra  lettera  di 
Claudio  Tolomei  a  Sebastiano  indiritta  del  ffiorno  ao  afrosto  i54.3  ci  toglie  o£-ni 
dubbiezza  intorno  al  cognome  (2) .  Il  padre  Federici  senza  punto  curarsi  di  re- 
care m  mezzo  mallevadori,  franchissimo  asserisce  che  la  famigha  Luciani  appar- 
teneva all' ordine  de' commercianti,  e  che  dessa  crasi  divisa  in  due  rami,  di 
cui  r  uno  continuò  a  starsene  in  Venezia  e  l'altro  trapiantossi  in  Trevigi .  Il  cu- 
rioso si  è  che  il  buon  Federici,  affettando  circospezione  e  ritenutezza  ove  do- 
veva appalesare  un  po' di  ardimento,  non  s'arrischia  decidere,  se  Sebastiano 
abbiasi  a  considerare  propagine  dell'  una  o  dell'  altra  di  quelle  due  schiatte  . 
Bastava  certamente  a  lavarsi  la  coscienza  da  ogni  scrupolo  ch'egli  si  fosse  com- 
piaciuto di  leggere  quella  stessa  lettera  4  dicembre  i53i ,  che  Sebastiano  in- 
viò al  suo  amico  Pietro  Aretino,  e  ch'egli  stesso  diede  alla  luce  fra  li  documen- 
ti giustificativi  delle  sue  memorie,  avvegnaché  in  essa,  parlando  di  Venezia,  la 
denomina  espressamente  patria  mia  (3)  .  Di  piìi  :  lo  stesso  Federici  e'  instruisce, 
che  Sebastiano  in  tutti  que' dipinti,  che  all'ammirazione  de' posteri  tramandò 
col  propio  nome,  vi  aggiunse  costantemente  nell'epigrafe  veneziano.  Sia  que- 
sto un  picciol  saggio  dei  manifesti  abbagli  presi  dal  prefato  scrittore:  in  pro- 
gresso se  ne  noteranno  di  più  madornali  («). 

A  qualunque  ordine  di  cittadini  appartenesse,  convien  dire  che  agiata  si  fosse 
la  condizione  della  famiglia  Luciani,  che  diede  alla  luce  il  nostro  Sebastiano, 
se  fu  assai  per  tempo  nelle  amene  discipline  instituito  con  tale  una  diligenza, 
mercè  della  quale  riuscì  non  ispregevole  poeta,  massime  nelgenere  berniesco , 
e  se  nella  musica  vocale  ed  istrumentale  in  assai  fresca  età  divenne  eccellentis- 
simo. Coteste  di  lui  virtìi  congiunte  ad  un  umore  alleo-ro   e  ad  un   ameno  con- 


(a)  Memorie  trevigiane  sulle  opere  di  disegno  voi.  I,  cap.  6,  eiliz.  i8o3,  p.  117. 


'97 
versare  lo  renJelter  carissimo  alle  rende  |iiìi  cospicue  palrizie  famiglie  .  altiicl 
«li  beoli  ingegni,  presso  alle  quali  ebbe  libero  accesso,  e  feslcTolc  accoglienza 

cortese . 

Aveva  Sebastiano  tocco  qucU'  età,  nella  quale  i  germi  delle   nobili   e  genero- 
se passioni  si  sviluppano,  e  si  accendono  le  ignee  scintille  di  quel  genio  pel  bel- 
lo, di  che  pochi  esseri  privilegiati  nascono  insigniti.  Di  quel  tempo   l'Italia   no- 
stra, trascorsi  avendo  tutti  i  periodi  d'  una  diuturna  barbarie,    cammmava  con 
ispessi  e  lunghi  passi  verso  la  civiltà,  benché  non  fosseio  onninamente  scompar- 
se le  cagioni  che  ne  1'  avevano  ritardata.  Se  ne  dividevano  tuttavia  le  sparse  e 
lacere  membra  quelle  tante  sue  tumultuarie  repubbliche  e  que'  tanti  suoi  tiran- 
neUi:   spente  al  tutto  non  erano  le  guelfe  e  ghibelline  fazioni  e  1'  altre  non  men 
fatah  de' bianchi  e  de" neri ,  ingenerate  da  vituperose  cagioni  a  chi  sa  di   storia 
notissime,  e  che  in  atrocissime  guerre  civili  erano  ite  a  hnire:    numerose  solda- 
tesche di  ollramonte,  delle  discordie  cittadine  approfittando  degl'  Italiani,   vali- 
cavano le  alpi,  lasciando  dietro  alle  loro  tracce   torrenti  di  sangue  e  vaste  soli- 
tudini :  finalmente  bande  mercenarie,  inutile  schermo  di  quo' paesi,  apro  de'qua- 
11  In  tempo  di  guerra  osteggiavano,  e  funesta  cagione  ad  essi  di  morti  e  di  rapi- 
ne in  tempo  di  pace,  ponevano  il  colmo  alla  miseranda  di  lei   condizione.  Non- 
dimeno un  generale  fermento  fatto  aveva  rinascere  per  l' Italia  i   bei  tempi   di 
Pericle  e  di  Augusto;  le  lettere  avevano  dischiuso  l'airlngo  alle  arti,  ed  il  secolo 
di  Giulio  e  di  Leone  incominciava  a  spargere  quella  luce  che  non  doveva  più 
mai  tramontare,  od  ecrlissarsi.  Scosso   da    siffatto  generale  fermento  anche   il 
Luciani,  senza  punto  abbandonare  i  geniali  studil   della  poesia  e  della  musica, 
avvisò  dedicarsi  alla  jilttura,  ed  accontossi  a  tale  scopo  con  quel  Giovanni  Bel- 
lini, 11  quale,  quantunque  grave  per  anni  e  per  fatiche,  pur  pure  11  primo  seggio 
occupava  ne' pittorici  ludi. 

Questo  principe  della  pittura  veneziana,  rispetto  alla  prima  epoca  del  suo  fio- 
rire aveva  colla  più  recente  di  gran  lunga  migliorata  la  sua  pristina  maniera,  a 
tal  che  può  dirsi  il  suo  stile  tinto  in  certo  modo  del  colore  di  due  età .  Senza 
ammettere  che  le  opere  di  Giorgio  Baibarelli.,  detto  altramente  Giorgione  da 
Castelfranco,  suo  disceiiolo,  abbiano  prodotto  in  esso  lui  simile  miglioramento , 
cosa  che  potrebbe  soggiacere  a  non  lievi  difficoltà,  avemlo  egli  [>er  lunghissimo 
corso  di  anni  adoperati  i  pennelli  con  egual  grido  di  merito  e  con  eguale  af- 
fluenza di  lavori,  si  dee  credere  piuttosto  che  dotato  qual  era  il  Bellini  ilinsfc- 
gro  naturalmente  giudizioso  e  ferace,  e  da  una  diuturna  e  sicura  esj)erienza  il- 
luminato, abbia  da  se  stesso  a  maggior  perfezione  i  suoi  dipinti  condotti  senza 
che  l'altrui  esempio  abbia  a  lui  servito  d'incitamento. 

Ria  siasi  avvenuto  il  felice  cangiamento  per  effetto  del  naturale  progresso 
della  prelodata  scuola  belliniana,  ovvero  per  un" imitazione    dell'arte  rinnovata 


'9» 

con  migliori  praliche  dal  Barbarelli,  certo  h  che  Giovanni  Bellini,  ricco  di  tut- 
te le  doltrine  della  vecchia  scuola.j  lasciò  indietro  nella  corsa  carriera  a  grande 
distanza  i  suoi  antesignani .  Ed  in  vero  fu  per  lui  che  le  forme  delle  fagure  com- 
paivero  abbellite  d'un  più  grandioso  carattere  ;  per  lui  fu  che  più  calde  e  sapo- 
rite riusciron  le  tinte,  e  più  naturali  1  passaggi  dall'  una  all'  altra  :  fu  per  lui  che, 
mercè  del  difficile  magistero  dell'  ombre  e  de'  lumi,  gli  oggetti  ricevettero  mag- 
giore rilievo;  per  lui  liaalmente  fu  che  con  opportune  degradazioni  si  giunse  ad 
accennare  i  punti  diversi  della  scena  pittorica,  dal  che  ne  risultò  quel  perfetto 
accordo,  quella  dolce  armonia  che  tanto  apportan  diletto  ad  ogni  maniera  di 
spettatori.  La  proprietà,  lo  spirilo,  la  grazia  e  la  vivezza  che  il  Bellini  seppe 
dare  alle  arie  de'  volti,  la  nobiltà  appalesò  di  sua  fantasia,  e  nel  disegno  de  nu- 
di die'sa<yo-io  di  sue  non  iscarse  cognizioni  nella  simmetria,  anatomia  e  prospet- 
tiva (a) . 

Tutto  ciò  apprese  con  sorprendente  facilità  il  nostro  Sebastiano  :  ma  appena 
adocchiò  i  dipinti  del  Barbarelli,  conobbe  che  1'  arte  pittorica  nell'ofticina  del 
suo  vecchio  maestro  aveva  fatto  bensì  progressi  non  lievi,  ma  con  passi  timidi  e 
circospetti,  mossi  da  una  fredda  e  calcolatrice  ragione;  laddove  in  quella  del- 
l'animoso suo  condiscepolo  aveva  pel  solo  effetto  del  soprano  di  lui  genio  in  bre- 
ve spazio  raggiunta  la  meta.  Potevasi  assomigliare  il  Barbarelli  a  quel  navigan- 
te, che,  aunojato  di  remigare  rasente  il  lido,  spiega  al  vento  le  vele,  e  spinge  co- 
rao-o-loso  il  navio-lio  nel  vasto  oceano,  senz'  altra  scorta  fuor  quella  dell'  amico 
astro  che  lo  anima  e  guida  . 

Due  verità,  che  quantunque  di  facile  investigazione,  pure  erano  sfuggite  a' suoi 
precursori  (  di  che  ampia  fede  ne  fanno  1  loro  dipinti  ),  colpirono  il  pronto  inge- 
gno del  Barbarelli,  e  la  spinta  diedergli  a  quell'  altissimo  volo  eh'  e'  appresso 
spiccò .  Osservò  eo-li  le  forme  delle  figure  non  esser  di  mera  superficie  compo- 
ste, ma  ben  anche  di  profondità,  e  perciò  le  linee  de'  contorni  insinuandosi  e 
curvandosi  in  tutti  i  sensi,  dileguarsi  allo  sguardo  dello  spettatore  ;  osservò  inol- 
tre appartenere  al  pittore  l'esprimere  non  le  sole  figure,  ma  sì  ancora  la  vita 
ch'esse  respirano,  e  gli  affetti  da  cui  trovansi  animate  (b). 

Laonde  quelle  Hnee  taglienti,  ove  s'  arrestava  la  timida  mano  dell'  artista 
dalla  sola  scienza  guidato  nella  pratica  dell'arte,  scomparvero  al  tocco  anima- 
tore dal  franco  pennello  del  Barbarelli .  Esso  a  forza  di  mezze  tinte  e  di  passag- 
gi soavi  di  lumi  e  di  ombre  talmente  sfumò  i  contorni,  che  giunse  a  perderli 
affatto,  dando  ao-li  o^o-elti    quella  perfetta  rotondità  e  morbidezza  ,  che   hanno 


(a)  Vedi  r incomparabile  opera  della  piltura  veneziana  di  Antonio  Zanetti. 

(i)  Vedi  l'elogio  del  Giorgioue  scritto   J;dla   maestra   mano  del  cav.  Leopoldo   Cicognara  presi- 
dente emerito  dell' inip.  rag.  accademia  di  belle  arti  in  Venezia. 


'99 
in  naliira.  Coli'  uso  noi  di  rrrlii  colori.^  ina  rerKliiti  ila  sì  macsira  mano  lucidi  e 

fiammeggianti,  apparir  fece  sello  la  supcriicie  delle  parti  ignudo  de'corpi  ama- 
ni  lo  scorrere  del  vivo  sangue  ed  il  fuoco  infonditor  della  vita,  sicché  diresti  che 
carni  vere  tu  vedi  e  tocchi.  La  bellezza  de'  volti  delle  figure  di  questo  esimio  pit- 
tore non  e  gii  nc\Y  àlen^  ma  hensì  nella  natura^  la  quale  offre  spontanea  a  con- 
temiilare  in  copia  i  modelli  agli  alunni  suoi  favoriti.  L'espressione  nei  dipinti 
del  Barbarelli  e  per  lo  meno  eguale  alla  bellezza  de' suol  originali;  e  le  dieci 
tavole  rappresentanti  la  favola  di  x\more  e  Psiche,  descritte  dal  cav.  Ridolfi, 
(  se  esistessero  )  basterebbero  sole  a  dimostrare  l'inesauribile  fecondità,  con 
che  e'.dipinsc,  e  la  verità  con  che  espresse  tutte  le  triste  e  liete  fasi  di  un'amo- 
rosa passione. 

Misurando  Sebastiano  col  pensiero  l'infinito  intervallo  che  tra  il  Bellini  ed  il 
Barbarelli  passava ,  eh'  è  quanto  dire  tra  una  vaga  aurora  ed  uno  splendidissimo 
mezzogiorno,  trovò  conforme  al  suo  genio  libero  ed  elevato  il  continuare  i  suoi 
studii  piltoricl  sotto  gì'  insegnamenti  di  colui,  che  spezzate  aveva  quelle  servili 
catene,  nelle  quali  languiva  in  ristretta  e  povera  condizione  la  pittura,  e  che  le 
aveva  dato  il  vero  carattere  d'arte. 

Il  perchè  acconciatosi  col  Barbarelli  non  andò  guari  che  a  tal  grado  di  per- 
fezione giunse  ad  imitare  la  maniera  di  lui,  che  le  dipinture  del  discepolo  ven- 
nero prese  in  iscambio  di  quelle  del  maestro .  Pare  che  i  ritratti  di  due  eccel- 
lenti musici,  amici  di  Sebastiano,  Verdelotto  ed  Uberto,  abbiano  dapprincipio 
esercitata  la  magia  della  sua  tavolozza.  Il  biografo  aretino  ci  narra  che  la  ta- 
vola del  maggior  altare,  la  quale,  restituita  di  recente  a  nuova  vita  da  assai  de- 
stro pennello,  si  ammira  in  s.  Giovanni  Crisostomo  di  Venezia  fu,  al  primo  suo 
comparire  alla  luce,  giudicata  opera  del  Barbarelli,  cotanto  avanti  nel  suo  gran- 
dioso siile  penetrato  avca  Sebastiano.  Ne  men  degna  al  certo  del  Giorgione 
ella  mi  sembra  o  alla  composizione  si  risguardi,  o  al  disegno,  od  infine  alla 
espressione  ed  al  colorito.  Le  architetture,  il  paesaggio,  le  arie  delle  teste,  ii 
nudo,  le  pieghe  de' panni,  gli  atteggiamenti  delle  figure,  i  contrapposti  delle 
masse,  delle  ombre  e  de' lumi,  il  rilievo  che  ne  risulta,  tutto  ciò  un'opera  an- 
nunzia di  pennello  maestro.  Il  disegno  a  contorni  e  con  qualche  ombreggia- 
mento, che  il  caldo  amatore  e  mecenate  delle  arti  belle  conte  Benedetto  Val- 
marana  eseguir  fece  di  cotesto  raro  dipinto  dall'esperte  mani  di  un  disegnatore 
e  di  un  incisore  del  paro  abili,  porgerà  al  lettore  se  non  altro  un'  idea  della  sag- 
giamente ordinata  <lisposizione,  e  del  perfetto  riposo  che  per  entro  vi  regna. 

Nel  momento,  in  che  uscirono  alla  luce  cotesti  maravigliosi  dipinti  ili  Seba- 
stiano, sino  a  che  pos'  egli  stanza  ferma  sulle  sponde  del  Tevere,  è  giuocoforza 
credere  che  lavori  in  gran  copia  a  questo  egregio  artista  non  slcno  venuti  a 
mancare .  E  delle  sue  primissime  opere  avremmo  un  saggio  nella  chiesa  nostra 


ano 

di  s.  B.utolomnaeo,  se  il  rislaaratore  non  avesse  dovuto  rifarle,  seado  cTie  quasi 
del  tulio  erano  perdute .  Ma  sarebbe  patentissinao  errore  il  pensare  che  a  que- 
st  egioca  appartenesse  quella  tavola  d'  altare,  la  quale  il  più  beli'  ornamento  co- 
stituisce della  chiesa  di  s.  Biagio  di  Lendlnara,  in  cui  sta  fisrurata  la  visitazio- 
ne  di  nostra  Donna  e  santa  Maria  Elisabetta  con  s.  Giuseppe  e  s.  Zaccaria,  ta- 
vola nella  storia  dell'arte  ricordata  siccome  un  capolavoro  di  passar  degno  alla 
pili  tarda  posterità.  Dissi  che  sarebbe  follia  il  supporre  che  Sebastiano  abbia 
pennelleggiato  questa  tavola  prima  di  aver  fissato  suo  domicilio  nella  città  dei 
setto  colli,  perocché  quel  correttissimo  disegno,  eh' è  uno  certamente  de'  princi- 
pali suoi  pregi,  debb'  essere  stato  1'  effetto  dello  studio  nelle  opere  di  Raffaello, 
e  particolarmente  in  quelle  di  Michielangelo  suo  mecenate  e  il  terzo  de'  suoi 
maestri.  Laonde  in  Roma  gli  sarà  slato  commesso  il  lavoro,  ed  in  Roma  avral- 
lo  ad  esecuzione  condotto .  La  forza  e  la  freschezza  di  questo  dipinto  conserva- 
tissimo  è  tale,  che,  se  7)on  portasse  impresso  d  nome  del  pittore  ed  il  millesi- 
mo, non  si  crederebbe  che  avesse  sofferte  le  ingmrie  di  oltre  tre  secoli,  di  cui 
non  mostra  al!  osservatore  il  più  lieve  vestigio  . 

Il  dramma  pittorico  viene  rappresentato  fuori  d'  un  loggiato  in  vista  del  più 
bel  paesaggio  della  Giudea .  Le  due  principali  figure  otfronsi  tosto  allo  sguar- 
do dello  spettatore  nel  punto  più  interessante  del  fatto;  a  questo  s'nniscono  con 
maraviglioso  accordo  le  altre  due  accessorie,  e  servono  naturalmente  di  con- 
trapposti a  farle  trionfare .  A  chi  mira  que'  volti  delle  sante  donne  sembra  avvi- 
so di  vedere  una  parte  di  paradiso,  e  dalla  bocca  della  madre  del  Precursore 
pargli  udire  quelle  affettuose  parole  uscir  fuori  che  a  testimonianza  dell'Evan- 
gelista indirizzò  alla  Vergine  sua  cugina;  «  Come  tu  qui?  La  madre  del  mio 
5'  Dio  si  degna  di  entrare  ne"  miei  tetti?  Qual  mai  miracoloso  effetto  sopra  di 
«  me  produsse  il  suon  degli  accenti  del  tuo  saluto,  che  colpirono  il  mio  udito  ! 
55  Sento  che  il  figlio,  cui  porto  nelf  utero  balza   di  un  gaudio  ineffabile  (a)  51  (4^). 

Ci  potrebbe  venir  apposto  a  negligenza  soverchia,  se  prima  di  uscire  da  Len- 
dinara  non  ci  facessimo  ad  osservare  quel  principe  degli  Apostoli  che  a  buona 
ragione  gelosamente  si  custodisce  in  casa  Petrobelli  come  una  cara  gemma  . 
L' epigrafe  che  vi  si  legge  non  lascia  dubitare  che  desso  stato  non  sia  colorito 
da  Sebastiano  contemporaneamente  alla  visitazione  teste  memorata  .  Che  se 
per  avventura  ci  mancasse  questa  prova,  la  quanto  diligente  ,  altrettanto  pitto- 
resca descrizione,  che  ne  ha  fatta  il  fortunato  possessore  in  un  gentile  suo  foglio, 
costrmo'erebbe  chicchessia  ad  ascriverla  a  cotesto  esimio  dipintore.  L'aria  aper- 
ta clic  ne  forma  il  campo,  e  che  d'  un  trasparente  cilestro  si  tinge,  rende  più  ri- 
levata la  figura  del  sauto,  che  stassi  in  pie  ritta  in  sulla  falda  d' un  colle  mossa 

(a)  Merita  Ji  esser  letto  il  bellissimo  opuscolo  sulle  arti  leadiaaresi  Je!  BraaJolèse. 


201 

5 


in  (lirrnitoso  alteirsiamcnlo .  Uno  splendido  cerchio  di  jfloiia  gli  ricingc  la  testa 
di  cui  1  divoti  |>ensi(!ri  scorgonsi  al  cielo  con  intenso  affetto  rivolti.  Da  qualun- 
que punto  tu  il  guardi,  e' ti  guarda;  le  carni  son  fresche,  sanguigne,  morbide,  la 
harba  gri"-ia,  con  tale  leggerezza  di  pennello  trattata,  che  1'  occhio  ingannato 
una  naturale  pilosa  massa  vi  scorge,  ne  v'è  che  la  mano  che  possa,  stendendo- 
visi  sopra,  sciogliere  l'illusione.  Il  panneggiamento  cioè  la  tunica  orlata  di  fran- 
ge alle  due  estremità  alla  foggia  raffaellesca,  ed  il  pallio  che  gli  cade  maestosa- 
mente dagli  omeri  a  larghe  pieghe  e  parte  del  corpo  gì' involge,  in  un  co' calza- 
ri che  gli  stringono  i  piedi,  tutto  ciò  rende  la  ligura  sagliente  e  spiccata .  In 
somma  anche  in  questa  tavola  il  grandioso  stile  del  discepolo  del  Giorgione  si 
ammira  . 

Duolml  non  poter  alla  distesa  discorrere  sopra  un  altro  pregevolissimo  dipin- 
to che  nella  chiesa  di  Grigliano  rapiva  in  dolcissimo  Incanto  l'occhio  e  la  mente 
dell'artista  e  dell'  amatore,  ma  che  il  tempo  e  l'  incuria  ci  hanno  invidiato.  Es- 
so rappresentava  la  resurrezione  del  Salvatore,  ed  offriva  a  chi  sapevalo  legge- 
re un  parlante  esemplare  degli  effetti  della  percussione  del  lume  diretto  sopra  i 
corpi  che  tocca  e  scorre:  e  del  lume  rillesso,  che  nasce  di  rimbalzo,  ove  il   pri- 
mo finisce  senza  più  riprodursi .  La  vivissima  luce  infatti,  che  dal   divino  corpo 
del  Vincitore  della  morte  e  dell'  inferno  diffondevasi ,  toccava  e  scorreva,  al  di 
sotto,  sullo  scoperchiato  marmoreo  sepolcro;  al  fianco  sinistro   sopra  un  s.  Lo- 
renzo,   portante  in    sugli  omeri    l'arnese   del    suo   martirio:    al   destro  sur  un 
Battista  :  e  pili  addentro,  cioè  nel  fondo  della  scena,  si  diffondeva  sopra  gh  ab- 
barbagliati ed  atterriti  centurioni .  Questa   vivissima   luce  poi   da  tutti  1  punti, 
sui  quali  incideva,  a  vicenda  riflettevasi  e  rimbalzava  .  E   sapendo    quel   dotto 
artista  diversi  essere  i  fenomeni  ottici,,  che  jrenera  il  lume,  secondo  che  diversa 
è  la  densità  de'  corpi  sopra  de' quali  a  cader  va,  così  aveva  egli  saputo,  da  mae- 
stro suo  pari,  scemare  il  riflesso  del  lume  cadente  sopra  le  carni,  e  tratteggian- 
do, con  legger  tocco  di  pennello,  l' ombre  più  soavi  e   più   dolci ,  costrinsele  a 
comparire  jtiorbide  e  tondeggianti  :  all'  opposto  accrebbe  1'  effetto  ilei  lume  ca- 
dente su  i  panni,  sul  marmo  del  monumento   e  sopra  gli  altri  oggetti  più  densi, 
facendo  l'  ombre  i)iù  crude  e  più  risentite .  Ma  lo    già   mi    avveggo  che  quanto 
più  in  quella  tavola  vi  facessi  conoscere   la  scienza  del   pittore,  tanto  più  v  in- 
crescerebbe  la  perdita,  slcchi  fia  meglio  volger  la  prora  altrove. 

Se  ad  accrescere  le  orrevoll  palme  dal  nostro  Sebastiano  mietute  nel  pitto- 
rico agone,  fosse  necessario  celebrarlo  siccome  autore  di  quella  famosa  tavola, 
che  allo  sguardo  stupefatto  dell'amatore  e  dell'artista  si  offre  nell'  antica  chiesa 
di  s.  Nicolò  di  Trevigi,  potremmo  prenderci  a  campione  il  padre  Feilerici,  e  quel 
brano  citare  delle  memorie  trivigiane  delle  opere  di  disegno.,  ove  scrissene  al- 
la distesa.  Se  non  che  dopo  il  contrario  giudizio  proferito  dal  chiarissimo  abate 

36 


202 

Lanzi,  e  virilmente  difeso  In  un  erudito  discorso,  che  leggasi  ne!  giornale  delle 
scienze  e  lettere  delle  provincie  venete  N.  i5,  settembre  i522,  pag.  i5o,  la 
bilancia  rimane  per  lo  meno  in  bilico  :  ed  il  prendere  partito  in  tanta  lite  e  fra 
COSI  valorosi  atleti  ci  verrebbe  da'  prudenti  e  modesti  uomini  ascritto  a  consi- 
glio arrisicato  ed  inverecondo  .  Confortati  nondimeno  dalla  considerazione,  che 
non  fu  mai  vietato  l' osservare  con  occhio  di  artefice  le  statue  dei  numi,  gettia- 
mo su  queste  carte  alcuni  nostri  dubbii,  senza  punto  violare  quella  neutralità  , 
della  cui  osservanza  ci  facciamo  una  leffffe . 

Gioverà  ad  agevolare  lo  scioglimento  del  nodo  sull'autore,  od  autori  di  co- 
testo dipinto,  che  rintracciare  ci  siamo  proposti  in  fra  le  tenebre  di  tre  secoli , 
e  per  tentare  un'uscita  in  mezzo  al  conflitto  di  contrarie  opinioni,  il  preludere 
dalla  descrizion  del  medesimo  . 

Quale  s'addice  a  regina,  stassi  in  elevato  trono  assisa  nostra  Donna  ritto  te- 
nendo in  sul  destro  ginocchio  il  suo  divino  figliuolo  ignudo.    Sovrastale  magni- 
fica cupola  sostenuta  da  archivolti,  cui  sorreggono  eleganti  colonne  di  marmo  co- 
ronate da  capitelli,  con  voluta  agli   angoli  e  con  teste   sculte  ne'  campi ,  della 
quale  la  parte  concava  adorna  scorgesi  di  musaici  .  Figure  di  Evano-clisti  entro 
a' medaglioni  adornano  il  beli'  attico:  tutto  il  lavoro  architettonico  è  del  mio-Hor 
gusto  che  dire  si  possa,  e  sta  a  capello  con  le  regole  della  più  bene  intesa  pro- 
spettiva lineare  .  Al  fascino  che  desta  la  celeste  tìsonomia   della  Vero-hie   e  del 
bambino,  aggiunge  nuovo  Incanto  un  angeletto,   che  siede  in   su  i  gradini  del 
trono  coperto  di  un  tappeto  di  velluto  verde  tutto  intento  a  strimpellare  un  chi- 
tarrlno  per  accompagnare  co' musici  modi  1'  angelica  salutazione.  In  que'  volti, 
in  quelle  mosse  scorgi  le  grazie  così  familiari  a  Raffaello  perfettamente  Imitate. 
A  destra  stansi  ritti  il  santo  fondatore  dell'  ordine  de'  Predicatori,  s.  Nicolò  ve- 
scovo di  Mira  e  Benedetto  XI,  il  quale   nato   in  Trevlgl    da  povera   ed  oscura 
gente  illustrò  la  religione  di  s.  Domenico,  la  porpora    cardinalizia,   la  tiara  e  la 
Chiesa  che  lo  ascrisse  al  novero  de' suol  beati,  e  più  che  tutto  la  patria  fortuna- 
ta che  gli  fu  culla.  A  sinistra  nello  stesso  atteggiamento  scorgonsi  lAngelo  del- 
le scuole,  poi  s.  Girolamo  ed  in  fine  s.  Liberale.  Non  troverebbe  l'invidia  ove 
emendare  il  disegno  di  queste  sei  figure  :  non  saprebbe  l'arte  immaginare  mosse 
più  convenienti  a'varll  affetti  di  fede,  di  venerazione,    di   pietà  che  cadauna  di 
esse  manifesta,  ed  11  contrasto  delle  magnifiche  vesti  del  pontefice,  del  cardina- 
le, del  vescovo,  con  l'umile  tonaca  e  bianca   guascappa  e  col  nero    cappuccio 
de"  ss.  Tommaso  e  Domenico,  con  1'  abito  di  tribuno  militare  romano  del  santo 
protettore  della  città,  presentando  masse  di  varli  colori   artlfizlosamente  oppo- 
sti e  deo'radatl,  che  formano  sbattimento  e  servono  a  far  vie  meglio  spiccare  le 
figure  .  Il  sangue  scorre  sotto  la  pelle  di  que'  volti,  tu  vedi  scintillare  di  celesti 
affetti  l  vividi  occhi,  tu  vedi   muoversi  orando  le  labbra  tinte  di  splendente  rubi- 


2o3 

no  :  i  cor[)l  di  que'  santi  uomini,  clic  non  furono  guasti  ilalle  sozzure  de"  vizli,  ti 
pajono  uscire  nropriamcntc  in  quel  punto  dalle  mani  del  Creatore . 

Colpito  il  Federici  dal  maraviglioso  innesto,  che  di  primo  lancio  si  ammira 
in  questa  tavola  per  un  canto  del  tuono,  dello  spirito,  del  sapore,  della  nettez- 
za e  lucidità,  della  sfumatezza  e  de' contrasti  dell'originale  e  grandiosa  maniera 
del  Giorgione,  e  per  Taltio  della  purità  del  disegno,  della  forza  dell'  espressio- 
ne, della  rigorosa  osservanza  delle  leggi  prospettiche,  cioè  dell'  accorciamento 
delle  linee  e  della  degradazione  de' colori,  ed  in  ultimo  dell"  ineffabile  grazia 
del  tutto  insieme,  pregi  questi  posseduti  in  grado  eminente  dal  grande  Raffael- 
lo, concluse  (  e  ijuesta  volta  giustissima  fu  la  conclusione  di  lui  )  che  nuli  altro 
pittore,  air  infuori  di  Sebastiano,  potuto  avrebbe  condurre  quel  mirabil  dipinto. 
E  quale  altro  mai,  salvo  che  lui,  dopo  di  aver  tanto  avanti  sentito  nel  fare  di 
uno  de  più  rinomati  capiscuola  veneziani  ,  benché  poco  più  di  cinrpie  lu- 
stri contasse  di  età  allorché  espatriò,  ebbe  maggiore  opportunità,  più  belle  e 
pili  avventurose  occasioni  di  perfezionarsi  collo  studio  degli  stupendi  prodigi 
del  principe  de'  romani  pittori,  avendo  soggiornato  nella  città  di  Romolo  per  ol- 
tre otto  lustri?  Ogni  pittore  espresso  mostra  nelle  opere  jiroprie  11  suo  fare  :  ma 
quello  di  Sebastiano  per  una  felice  commistione  delle  maniere  di  que' due  som- 
mi esemplari,  che  ad  imitare  prese,  e  per  gì'  insegnamenti  di  Michielangclo,  ha 
tale  un'impronta  ed  un  carattere,  che  non  può  al  certo  con  altri  confondersi. 

Succede  dello  stile  d'un  classico  artista  ciò  che  d'un  classico  scrittore  addi- 
viene: hanno  ambidue  una  tutta  loro  propria  fisonomia,  per  cui  di  rado  succede 
che  si  prenda  in  iscambio  1'  uno  per  1  altro.  Vn  dotto  filologo  nel  diciferare  un 
codice  palimpsesto  riconosce  a  prima  giunta,  se  un  frammento  sia  di  Livio,  di 
Sallustio,  di  Tacito,  di  Cicerone  oratore  o  filosofo,  cosa  che  non  gli  tornereb- 
be egualmente  arrcvole.,  se  si  trattasse  della  numerosa  o-regfria  di  que' dozzinali 
scrittoracci,  i  quali  hanno  tutti  poco  più  poco  meno  lo  stesso  visaggio.  Se  li  mo- 
numenti delle  arti,  de"  quali  vassl  adorna  la  nostra  età,  non  soggiacciono  a  quel 
deplorabile  naufragio,  a  cui  quelli  soggiacquero  delle  età  prische,  facile  impre- 
sa riuscirà  a"  posteri  sceverare  le  opere  de'  sommi  artisti,  ne  saravvi  chi  mala- 
mente confonda  Buonarotti  con  Canova,  Tiziano  con  Correggio,  Palladio  con 
Sammichieli .  Il  perchè  se  nulla  di  più  avesse  addotto  il  Federici  di  ciò,  che  te- 
sté abbiamo  accennato,  per  assicurare  a  Sebastiano  la  gloria  di  quel  dipinto,  sa- 
rebbe al  certo  mancata  l' esca  ad  ogni  disputazione . 

Ma  rovistando  egli  smanioso  nell'archivio  polveroso  di  quell'antico  convento 
di  s.  ÌNlcolò,  e  scartabellando  que' libracci,  ne' quali  stava  registrata  ogni  spesa 
occorsa,  si  avvisò  di  avere  scoperto  il  novero  delle  spese  ch'eransi  fatte  nel  co- 
lorire la  gran  tavola:  ed  eccoue  in  brevi  parole  la  genesi .  A  dipintore  di  quella 
tavola  fu  condotto  fra  Marco  Pensabcn  frate  dell' ordine  di  s.  Domenico.  Per  es- 


ao4 

so  comparve  Vellor  Belliniano  a  cui  fu  sborsata  la  caparra.  L'opera  fu  trova* 
ta  mollo  bene  avanzafa  quando  infermò  il  dipintore,  cui  fu  frattanto  dato  a  suc- 
cessore frate  Marco  Maraveja  figlio  della  stessa  regolagli  quale  depose  i  pennelli 
tostochc  il  primo,  risanatosi,  potè  di  nuovo  riprenderli.  Ma  non  aveva  coteslui  al 
tutto  colorita  la  tavola  quando  fuggito  dal  convento  e  fattosi  disertore  dall'or- 
dine si. dovette  rivolgersi,  non  già  a  frate  Maraveja,  di  cui  s'ignora  il  destino, 
ma  a  Giovanni  leronimo  da  Venezia,  onde  vi  desse  1'  ultima  mano .  Se  gli  scar- 
tafacci prodotti  dal  Federici,  da'  quali  ne  trasse  la  siffatta  novella,  meritassero 
fede,  ecco  uscir  fuori  dal  tenebroso  regno  dell'  obbiio  due  pittori  onninamente 
Ignoti  alla  storia  dell'arte,  ed  un  terzo  non  bene  conosciuto:  ecco  tre  pittori 
che  alle  stesse  scuole  veneta  e  romana  di  Sebastiano  avrebbero  apparata  l'arte, 
trattone  il  medesimo  grado  di  profitto,  e  sarebbero  giunti  a  tale  perfetta  imita- 
zione della  sua  maniera  da  non  potersi  aJjbastanza  distinguere  i  dipinti  degli  uni 
«la  quelli  dell'altro:  ecco  Giove  preso  da  Alcmena  invece  di  Anfitrione  e  la  fa- 
vola di  Plauto  divenire  una  storia. 

Quantunque  di  ampia  capacità  in  fatto  di  erudizione  si  fosse  1'  esofago  del 
veronese  p.  Federici ,  e  però  larghi  sorsi  inghiottisce  e  grossi  bocconi  ,  senza 
alterar  punto  le  funzioni  della  laringe,  pure  s'  avvisò  anch'  egli  che  il  produrre 
alla  luce  per  la  prima  volta,  dopo  più  secoli  ,  tre  valorosi  pittori ,  due  de'  quali 
furono  suoi  correliglosi,  non  era  a  giorni  nostri  derrata  vendereccia  per  quanto 
la  si  desse  a  buon  mercato.  Il  perchè  vuole  che  si  creda  che  in  quelle  note  seri' 
tasi  una  cosa  e  se  ne  debba  intendere  un  altra^  o  per  dir  meglio  che  sotto  il  no- 
me diano  si  abbia  avuto  in  me/ite  di  significarne  un  altro.  E  venendo  tosto  alla 
spiegazione  del  suo  concetto,  compone  egli  bravamente  una  favola  di  tutto  suo 
conio,  la  quale  1  tempi  sconvolge,  ed  i  fatti  istorici  meglio  avverali.  Niente  meno 
infatti  gli  venne  in  mente  che  di  trasformare  11  frate  Marco  Pensaben  in  Sebastia- 
no Luciani,  supponendo  che  l'ultimo  abbracciasse  la  regola  de' Predicatori,  e  vi 
ottenesse  parecchi  ministeri,  venti  anni  prima  che  ne  vestisse  ''  abito  :  supponen- 
do che  avesse  studiato  nelle  opere  travagliate  da  Raffaello  in  Roma  nelle  sale 
e  logge  del  Vaticano,  prima  eh'  egli  ne  avesse,  non  che  guidato  a  compimento 
ed  esposta  alla  pubbhca  vista,  ma  nemmeno  intrapresa  nessuna;  supponendo  che 
lavorasse  nella  tavola  di  Trevigi,  quando  dipingeva  in  Roma  la  gran  tavola  della 
resurrezione  di  Lazzaro  in  concorso  della  trasfigurazione  dell'  Urbinate  :  dando 
infine  di  cozzo  in  infiniti  altri  errori  di  cronologia,  di  storia  e  di  sana  critica  . 

Eppure  se  anche  il  Federici  non  trasognò  nel  trovamento  e  nella  trascrizio- 
ne che  fece  di  quelle  note,  se  anche  le  si  dovessero  ammettere  siccome  genui- 
ne ed  esalte,  cos'i  tutte  d'un  pezzo  e  senza  esame,  facile  gU  si  presentava l'  uscita 
da  un  labirinto,  di  cui  egli  stesso  erasi  fatto  architetto,  senza  ricorrere  alle  ali 
d' Icaro  per  rinnovare  1'  esempio  di  quella  compassionevol  ruma  .  Come  infatti 


203 

non  ci  somministrano  qua'scailafacci  il  piìi  debole  raggio  di  luce.,  che  vaglia  a 
farti  conoscere  fjuale  si  l'osse  il  soggcllo  di  quei  qui.dro  :  coniC  in  esso  non  si  ri- 
scontra veruna  epigrafi',  la  quale  indichi  chi  siane  stalo  il  dijiintore,  ed  in  qi'.al 
tempo  lo  si  sia  condollo,  e  come  d'altronde  quella  tavola  che  appesa  slassi  nel 
punlo  di  mciizo  del  coro  nella  maggior  cappella  di  s.  Nicolò,  se  tulle  non  falli- 
scono le  regole,  le  congellurc,  gli  argomenti  che  si  sono  premessi,  non  può  es- 
sere uscita  che  dai  pennelli  di  Sebastiano:  cosi  è  facil  cosa  il  concludere,  che 
qualunque  si  fosse  il  nome,  la  patria,  l'istituto  di  quo'  primi  pillorelli  che  im- 
brattarono quella  tavola  Ira  gh  anni  iSzo  e  iSzi,  devcsi  consentire  che  poste- 
riormenle  la  sia  stata  dal  dello  Sebastiano  con  le  sue  ammaliatrici  mcslichc  ri- 
dipinta .  Nulla  di  più  naturale  quanto  che  la  prima  condotta  da  tanleciani,  in 
mezzo  a  tante  vicende,  riuscisse  pilturaccia  indegna  di  sovrastare  alle  altre  tro- 
vanllsi  in  quell'augusto  tempio  per  gli  artisti  di  oscura  fama,  e  per  conseguen- 
za di  povero  ingegno,  eh' eranvi  stati  impiegali:  nulla  di  più  naturale,  quanto 
che  quella  comunità  religiosa  vi  abbia  fallo  riparo,  col  valersi  nel  rifarla  di  un 
classico  pittore  che  aveva  la  fama  adeguala  di  Raffaello.  A  muovere  dall'anno 
i52o,  nel  quale  la  siQatta  tavola  fu  da  prima  collocata  nella  sua  nicchia,  Seba- 
stiano sopravvisse  ventisette  anni,  non  essendo  mancalo  se  non  nel  ló^^.  Qual 
diflicollà  pertanto  che  come  condusse  in  Peonia  la  tavola  della  visitazione  per 
s.  Biagio  di  Lendinara  nel  i525,  e  quella  della  resurrezione  per  Grigliano,  ivi 
pure  conducesse  l'altra  pel  maggior  altare  di  s.  Nicolò  di  Trevigi?  Questa  na- 
turale e  ragionevole  supposizione  abbaile  d'  un  solo  colpo  l'obbiezione  dell'im- 
possibilità che  nell'istesso  tempo  avesse  Sebastiano  potuto  trovarsi  in  Roma  e 
nc"pacsi  della  veneta  terra-ferma  . 

Che  poi  diremo  della  sentenza,  che  al  tutto  opposta  alla  presente  nostra  con- 
clusione ha  periata  sopra  d  siffatto  dipinto  il  chiarissmio  ab.  Lanzi  ,  il  quale 
tanto  beli'  ordin  serbò,  e  tanta  luce  sparse  ragionando  sulla  moderna  pittura  de- 
gl  Italiani,  quanto  Winckclmann  sopra  la  scultura  degli  Egizii,  degli  Etruschi, 
de'  Greci  e  de  Romani  i  Diremo  che  malgrado  delle  vaste  sue  cognizioni,  del 
fino  suo  discernimento, liilmente  quell'esimio  maestro  lasciossi  imporre  dagl  in- 
diixcsli  scarlabelli  stampali  del  Federici,  che  senza  punlo  curarsi  di  allingere 
alla  sorgente,  di  cui  si  spacciavano  una  emanazione,  non  solo  ha  bonariamente 
creduta  l'esistenza  de' due  suol  confratelli  pittori,  sino  a" tempi  nostri  rimasti  igno- 
ti, su  di  che  non  gli  vogliamo  muovere  querela:  ma,  ciò  eh  è  peggio,  lor  fece  l'o- 
nore di  crederli  ili  così  peregrino ino-egno  provveduti  nell'arte  da  poter  quell  in- 
estimabile dipinto  condurre,  al  quale  un  terzo  pittore  di  cgual  valentia  avrebbe 
dato  compimento .  T,e  diflicollà,  che  gli  si  affacciarono  alla  mente  per  prendere 
l'animosa  risoluzione  di  conservare  nell'antico  suo  possesso  Sebastiano,  difficoltà 
alle  quali  trovar  non  seppe,  o  non  volle  pronto  lo  scioglimento,  il  sedussero  a  con- 


ao6 

sentire  a  cosa  del  lutto  inverosiinile.^  ed  è  che  non  già  ne' tenebrosi  secoli  ottavo 
e  nono^  ma  bensì  in  mezzo  alla  sfolgorante  luce  del  sestodecirao  stali  siensi  due 
pittori,  i  quali  disegnavano  come  Raffaello  e  Michielangelo,  e  che  colorivano  come 
Giorgione  e  Tiziano,  e  che  in  onta  di  tanto  merito  sieno  vissuti  e  morti  scono- 
sciuti a'  contemporanei  del  paro  che  a' posteri.  Tale  supposizione  tanto  meno  è 
credibile,  (juantochè  appartenendo  que' pittori  alla  numerosissima  e  dottissima 
famio-lia  de  frali  di  s.  Domenico,  sopra  la  quale  tanto  splendore  avrebbero  diffu- 
so, è  cosa  al  tntlo  inverosimile,  che  nessuno  de'  loro  confrati  avesse  bruciato  un 
grano  d'incenso,  e  gettato  un  sol  fiore  sulla  lor  tomba.  Arroge  che  siccome  non 
ci  vengono  additate  di  cotestoro  opere  anteriori  o  posteriori  alla  tavola  in  disami- 
na, cosi  ad  ammettere  l'opinione  del  Lanzi,  conveniva  menargli  buono  èsservi 
stati  due  valorosi  dipintori  che  a  toccare  giungessero  i  sommi  apici  della  perfe- 
zione, senza  passare  pel  gradi  Intèrmedil ,  e  che  con  un  fìat  una  sola  opera 
creassero  al  tutto  perfetta,  compiuta  la  quale  In  densa  nuvola  si  avviluppassero, 
onde  sottrarsi  allo  sguardo  deirli  ammiratori  ed  alla  tromba  della  fama.  Laonde 
cotesta  luminosa  meteora,  che  per  effetto  di  un  fenomeno  inconcepibile  appena 
comparsa  disparve,  sarebbe  sfuggita  alle  diligenti  ricerche  del  biografo  aretino, 
che  per  tutta  Italia  peregrinò  vago  di  ammassar  notizie  intorno  alla  vita  ed  alle 
opere,  non  già  soltanto  dei  primarll  cultori  delle  arti  sorelle,  ma  di  quegli  ezian- 
dio di  minor  nome  per  trasmetterle  a' secoli  futuri. 

Raccogliendo  per  un  Istante  le  ali  rapide  del  pensiero  suH' articolo  del  gior- 
nale altrove  citato,  non  possiamo  esimersi  dal  fare  su  di  esso  alcune  critiche 
osservazioni .  L' estensore  del  suddetto  articolo  confederossl  col  Lanzi  contro  al 
Federici,  ed  ogni  studio  e  sforzo  impiegò  per  privare  il  Luciani  dell'onore  di 
aver  colorilo  la  tavola  di  cui  parlia'no  .  Sarebbe  tempo  perduto  venire  con  lui 
ad  uno  scontro  formale  sia  allorché  adopera  le  Istesse  armi  del  Lanzi,  che  furo- 
no da  noi,  per  quanto  ci  pare,  rintuzzate  e  spuntate,  sia  quando  ritorce  contro 
al  Federici  quelle  altre,  che  dal  Federici  Islesso  furono  sguainate  e  delle  quali 
si  è  provata  da  noi  l'inefficacia  al  ferire .  Ma  essendo  di  tutto  suo  conio  la  pro- 
posizione (i  che  1  vecchi  scrittori  1  quali  parlano  di  cotesto  dipinto  dicono  che 
^^  si  era  incomincialo  da  un  religioso  de' predicatori  e  perfezionato  da  un  disce- 
n  polo  di  Tiziano  "  ci  crediamo  In  diritto  di  chiedergli,  quali  sieno  cotesti 
vecchi  scrittori^  quali  sieno  le  di  loro  opere  edite  ed  Inedite,  che  narrano  que- 
sto fatto,  perocché  egli  non  cita  ne  1  primi,  ne  le  seconde,  e  noi  d'  altronde  in- 
tendiamo usare  la  fede  In  cose  più  reverende,  che  non  sono  al  certo  le  sue  pa- 
role .  Se  non  che  vuoisi  credere,  senza  punto  nuocere  alla  verità  del  fatto,  es- 
!fcv\\  stati  de  vecchi  scrittori^  1  quali,  seguendo  il  rumore  d'una  tradizione 
passata  di  bocca  in  bocca,  e  ripetuta  a  guisa  di  eco  di  età  in  età,  abbiano  ascrit- 
to a'  pennelli  maestri  di  un  individuo  de'  Predicatori  quella  tavola,  senza  indi- 


20^ 

carne  il  nome  ed  il  casato:  ciò  r.on  escluderebbe  che  quell'individuo  de' Predi- 
catori sialo  non  fosse  il  Luciani.j  il  f|iia!e  vestì  l'abito  di  s.  Domenico  dappoi 
clic  gli  lu  conferito  il  benelizio  del  piombo,  come  appunto  lasciò  scritto  il  Riga- 
monti  nella  sua  guida  di  Trevigi. 

È  cosa  più  probabile,  secondo  il  nostro  avviso,  che  1'  estensore  dell'articolo 
siasi  persuaso  di  aver  letto  in  que  vecchi  scrittori  ciò  eh  essi  di  scrivere  non 
avrannosl  mai  sognato  .  Imperciocché  soggiacque  allo  stesso  deplorabile  abba- 
glio, sia  desso  d'occhi  o  di  mente,  quando  squadrata  avendo  ben  bene  ed  esa- 
minata quella  tavola  venne  nella  seguente  sentenza.  »  Le  ligure  a  chi  le  guar- 
ii da  si  offrono  come  al  naturale,  quando  sono  quasi  gigantesche,  dov'è  da  no- 
51  tare  la  lina  accortezza  del  pittore  per  conseguire  suo  effetto  .  Di  mano  in  ma- 
«  no  che  la  figura  si  discosta  dalla  pianta,  ne  aggiunse  progressivamente  alla 
n  proporzione  che  dovrebbero  avere  le  varie  parti,  sicché  le  teste  in  proporzio- 
n  ne  con  le  piante  crescono  d'un  quarto.  E  nonostante  a  clii  le  guarda  dal  bas- 
ii so  riescono  sì  proporzionate  e  nelle  parti  e  nella  somma,  che  più  non  polrcb- 
»)  bero  esserlo  se  fossero  offerte  per  modelli  "  .  Chi  direbbe  che  la  supposìa  fi- 
na accortezza  del  pittore  sia  una  baja?  Eppure  così  è,  mentre  sognò  l'anonimo 
autore  allorché  disse  che  il  pittore  siasi  avvisato  di  fare  le  fig;ire  colossali  (  co- 
me sarebbero  l'  Ercole  e  la  Flora  Farnese),  e  sognò  non  meno  quando  aggiun- 
se eh'  egli  accrebbe  le  vane  parti  delle  medesime  a  mano  a  mano  che  discosta- 
vansi  dall'occhio,  cosicché  tra  le  teste  ed  i  piedi  vi  si  frapponga  il  divario  d'un 
quarto. 

Non  negheremo  noi  già  essere  in  generale  e  secondo  le  regole  della  propor- 
zione visuale  verissimo,  che  mirando  noi  gli  oggetti  attraverso  1'  aria  atmosferi- 
ca più  o  manco  pregna  di  vapori  nella  quale  si  trovano  immersi,  la  nostra  vista 
giunge,  per  così  dire,  all'  oggetto  attraverso  un  vetro  soggetto  a  diversi  gradi 
di  ajipannamento  :  ed  è  appunto  sopra  questo  fatto  certissimo  che  tutta  fondasi 
la  scienza  della  prospettiva  aerea.  Si  sa  comunemente  che  tutti  gli  oggetti  si 
presentano  a' nostri  occhi  in  forma  di  piramide,  di  cui  il  vertice  ossia  1"  angolo 
é  nelf  occhio  e  la  base  nell'  oggetto,  e  che  cotesto  angolo  tanto  più  s'impiccio- 
lisce quanto  più  ci  allontaniamo  dall'  oggetto  a  cagione  dell'interposizione  del- 
l' aria  o  de'  vapori,  sicché  finisce  collannientarsi  affatto  e  sparire  .  Gli  antichi 
conobbero  essi  pure  cotesta  teorica  delle  degradazioni  in  ragione  delle  distanze; 
di  che  puossi  citare  a  mallevadore  Platone  nel  dialogo  intitolato  il  Sofista,  e 
Vitruvio  nella  prefazione  al  lib.  ■;  della  sua  arte  edificatoria .  Loniazzo  nel  suo 
magistrale  trattato  della  pittura  cita  gli  esempi  delle  figure  scultc  nella  colon- 
na trajana  e  le  statue  colossali  di  Monte  Cavallo  per  provare  che  gli  antichi 
scultori  quanto  più  gli  oggetti  si  allontanavano  dall'occhio,  tanto  più  ne  gf  in- 
grandivano. Ciò  stesso,  sotto  certi  rispetti,  si  osservava  anche  in  architettura, 


2o8 

come  l'insigne  critico  e  profondo  erudito  sig.  ab.  d.  Daniele  Franccsconi  pro- 
fessore emerito  e  bibliotecario  di  Padova  lo  diede  a  conoscere  nella  nota  della 
lettera  creduta  di  Baldassar  Castiglione,  e  da  Ini  rivendicata  a  Raffaello  Sanzio, 
nella  cjual  nota  così  la  discorre  :  «  Si  sa  che  gli  architetti  a  fine  che  le  fabbri- 
»  che  grandi  appajano  di  una  data  proporzione  di  parti,  queste  realmente  le 
«  formano  di  una  proporzione  diversa,  calcolando  essi  quello  che  1'  aria  mangia 
n  ossia  regolandosi  coli' ottica  .  Perciò  anche  un  modello  in  picciolo  fa  una  sen- 
"  sazione  assai  diversa  da  una  fabbrica,  purché  eseguita  puntualmente  sul  mo- 
"  dello  medesimo  .  Egli  è  parimente  osservato  che  gli  antichi  nelle  membrature 
11  delle  cornici  facevano  Inclinati  davanti  que' listelli,  che  all'occhio  devono  ap- 
"  parire  perpendicolari  n .  La  scienza  e  la  pratica  delle  siffatte  regole  furono,  ri- 
spetto alla  pittura,  rinnovate  da  Lionardo  da  Vinci,  posciachè  stava  nell'  ada- 
mantino libro  de' destini  irrevocabilmente  segnato,  che,  spenta  la  Grecia,  il  ger- 
me di  ogni  buon  frutto  dovessero  i  moderni  coglierlo  nell'  Italia . 

Rade  volte  succede  che  nella  pratica  delle  arti  germane  abbiansi  ad  alterare 
le  proporzioni:  ciò  avviene  in  que' soli  casi,  ne' quali  tra  il  punto  della  visuale 
dello  spettatore,  e  quello  dell'  oggetto,  tale  si  frappone  distanza  per  la  quale 
vengono  a  diminuirsi  considerabilmente  di  questo  le  dimensioni  .  Ecco  ciò  che 
non  poteva  in  verun  modo  accadere  rispetto  alla  tavola  di  s.  INicolò,  conciossia- 
chè  dal  pavimento  del  presbiterio  al  basamento  di  essa  havvi  uno  spazio  di  pie- 
di 1 4  e  mezzo,  dal  quale  è  duopo  detrarre  piedi  4  e  mezzo,  che  tanti  se  ne  cal- 
colano in  un  uomo  di  statura  ordinaria  dalla  pianta  all'occhio,  cosicché  l' inter- 
vallo ridurrebbesi  a  IO  piedi  e  nulla  piìi  .  Ma  suppongasi  pure  che  l'occhio 
dello  spettatore  per  giungere  al  vertice  del  capo  delle  figure,  che  popolano 
quella  tavola,  debba  percorrere  uno  spazio  di  altri  sei  piedi:  anche  in  tale  ipo- 
tesi, la  distanza  sarà  di  1 6  piedi,  ossia  di  8  braccia,  la  quale  nessuna  od  una 
soltanto  impercettibile  diminuzione  recar  debbe  alla  reale  grandezza  degli  og- 
getti. Sarebbe  stato  un  insensato  11  pittore,  se  a  cagione  della  distanza  fatte 
ne  avesse  colossali  le  figure  e  lo  sarebbe  stato  del  pari  nell'accrescere  la  testa 
d'  un  quarto  al  paragone  de' piedi  :  ma  egli  non  pretese  di  fare  ne  l'una  cosa, 
ne  l'altra .  Convlen  dire  che  quando  1'  anonimo  dettò  quel  suo  articolo  gli  si  ag- 
girassero per  mente  1'  Apollo  posto  all'  ingresso  del  porto  dell'  isola  di  Rodi, 
che  aveva  282  piedi  di  altezza,  ovvero  lo  smisurato  pensiero  di  quello  scultore 
eh'  erasi  proposto  di  formare  del  monte  Athos,  alto  54  miglia,  una  stalpa  di 
Alessandro,  che  portasse  una  città  in  cadauna  mano  . 

Ornai  di  troppo  abbiamo  travalicata  la  meta  in  parlando  di  questa  tavola.  Se- 
guiamo il  nostro  Sebastiano  in  quel  nuovo  teatro,  ove  giunse  a  rivaleggiare  col 
grande  Raffaello,  e  dove  con  esso  lui  i  suffragi  degli  amatori  e  degli  artisti  di- 
vise .  E  per  dare  qualche  ordine  al  nostro  discorso  indagheremo  prima  di  ogni 


209 

altra  cosa  chi  abbialo  indotto  a  scambiar  Venezia  con  Roma  :  poi  f|nalc  di  quel 
temj)o  godessero  favore  presso- a' sommi  jiontefici  le  arti  del  disegno:  i  valentuo- 
mini in  Ime  fra'  (jiiali  contcndeansi  i  primi  onori  del  merito  . 

Agostino  Chigi  di  Siena  passava  (fl)  pel  più  ricco  mercatante  che  s'avesse  l'Ita- 
lia in  sul  declinare  del  secolo  decimo  quinto:  egfi  godeva  inoltre  una  rendita  di 
■joooo  scudi  d"  oro  .  Stabilita  avendo  assai  per  tempo  la  sua  dimora  in  Roma,,  po- 
tè sostenere  il  suo  credilo  con  l'integrità  e  la  destrezza,  doli  sue  connaturali, 
durante  i  pontilicati  di  Alessandro  VI,  Giulio  II,  Leone  X  e  Clemente  VII, 
non  meritando  di  essere  ascritti  al  siffatto  novero  quelli  di  Pio  III  e  di  Adriano 
VI,  essendo  il  primo  durato  pochi  giorni,  ed  il  secando  pochi  mesi .  Carlo  Vili, 
che  con  la  stessa  facilità  invase  ed  abbandonò  1  Italia,  ebbe  ricorso  alla  pecu- 
nia del  Chigi  per  pagare  il  suo  esercito;  e  senza  li  presti,  de' quali  fu  egli  largo 
a  Cesare  Borgia,  questo  famoso  eroe  del  Machiavelli,  non  avrebbe  sottomessa 
la  Romagna.  Fu  egli  soprantendente  alle  rendite  della  camera  apostolica  sotto 
il  burrascoso  pontiHcato  di  Giulio  II,  e  la  saggia  ed  illibata  sua  amministrazio- 
ne nulla  lasciò  desiderare  a  quel  terribilissimo  Papa,  che,  salve  le  chiavi  di  Pie- 
tro, sguainò  la  spada  di  Paolo ,  di  tutto  ciò  di  che  ebbe  duopo  per  venire  a  ca- 
po de' suoi  ambiziosi  e  più  che  pontificali  progetti  e  delle  sne  ardite  conquiste  . 
Se  non  che,  oltremodo  riconoscente  qucil  uomo  straordinario  a  così  segnalati 
servigi  del  suo  questore,  volle  chi;  la  famiglia  Chigi  s'  annestasse  per  così  dire, 
in  quella  della  Rovere,  adornando  con  verdi  foglie  di  quercia  e  ghiande  d' oro 
le  armi  sue  gentilizie  . 

Esercitò  il  Chigi  poco  piii,  poco  meno  la  stessa  influenza  sotto  Leone  X  ;  n^a 
ciò  che  fece  passare  il  suo  nome  alla  posterità  sono  gl'incoraggiamenti,  de" qua- 
li, con  munificenza  più  che  da  principe,  fu  prodigo  verso  i  le  Iterati  e  gli  artisti. 
Dal  torchi  della  tipografia  da  lui  fondala,  non  già  per  amor  di  guadagno,  ma 
per  bramosia  di  promuovere  gli  studii,  uscirono  le  prime  edizioni  che  sonosi  fat- 
te in  Roma  di  Pindaro  e  di  Teocrito,  arricchiti  di  assai  scolii  e  commenti,  e  sen- 
za l'operosa  protezione  che  concesse  a  Cornelio  Benigno  da  Viterbo  famigera- 
to poliglotlo  e  filologo  di  quel  tempo,  1'  Almcgesto  di  Tolomeo  non  avrebbe  ve- 
duto, almen  per  allora.,  in  Roma  la  pubblica  luce  .  Il  magnificenlissimo  palazzo 
che  fece  edificare  in  sul  confine  di  strada  Giulia  e  l'altro  amenissimo  in  Tras- 
tevere, celebrato  da  Blosio  Palladio  e  da  Gallo  Egidio,  ed  assomigliati  a  quel- 

(ii)  ììuyle  Diclionnniie  Jusloriqiie  el  crilìque.  Chij^ì.  Jiiìes  II.  Ma  ron  molto  più  fruito  si  possono 
consultare  le  iSolizie  intorno  Raffaele  Sanzio  ilaCrhino  ed  il  Paragone  relativamente  n  meriti 
di  Giulio  II  e  Leone  X,  dell'avvocato  don  Carlo  Fea,  il  di  cui  versatile  ingegno  e  vasta  erudi- 
zione, ora  componendo  opere  proprie,  edora  illustrando  le  altrui,  con  ben  5o  scritture  pub- 
blicate, seppi;  alla  giuriaprudt-nzaj  alla  filologia,  all'arcbeologia,  e  persino  alla  storia  naturale 
recare  serylj^i  importantissimi. 
3; 


2  10 

li  fatali  rii  Alcina  e  di  Armida,  le  tliic  cappelle  l' una  fabbricata  a  nostra  Don- 
na  della  Pace,  I'  altra  alla  Lauretana,  e  le  preziose  sculture  ed  1  maravigliosi  di- 
pinti, con  che  le  adornò,  dimostrano  abbastanza,  ch'egli  non  fu  soltanto  il  Me- 
cenate, ma  altresì  l' Agrippa  del  secolo  di  Giulio.  I  suoi  suntuosi  conviti,  ne'qua- 
h  bene  spesso  il  sommo  pontefice  ed  i  più  illustri  porporati  annoreravansi  fra  i 
commensali,  furono  paragonati  per  la  squisitezza  ed  il  gusto  a  quelli  di  Trimal- 
cione,  per  la  copia  ed  il  fasto  a  quelli  di  Vitellio:  in  somma  quest'uomo  celebre 
meritò  di  essere  il  proavo  di  Alessandro  VII,  ed  il  ceppo  d'  una  numerosa  ed  il- 
lustre prosapia  di  cui,  se  declinò  per  avventura  la  fortuna,  mantengonsi  le  pri- 
sche glorie  in  tutto  il  loro  splendore . 

Agostino  Chigi  confidente,  forse  unico,  de'disci^ni  di  Giulio,  e  certamente 
poi  principale  veicolo  per  cui  ne  li  traeva  ad  effetto  fornendogliene  i  mezzi  col 
mantenere  ad  ognora  ben  provveduto  1'  erario,  dovea  trovarsi  in  Venezia  alla 
metà  circa  del  iSog  .  Si  ricorda  tuttora  con  maraviglia  e  stupore  quella  famosa 
congiura  formata  nel  precedente  anno  i5o8  in  Cambrav  da  pressoché  tulli  i  re 
dell'  Europa,  nella  quale  avevano  giurato  la  distruzione  di  quella  repubblica  e 
patteggiata  la  divisione  delle  sue  spoglie.  L'interesse  politico  di  tutta  la  gran- 
de famiglia  europea,  quello  degli  stati  presi  individualmente,  che  si  erano  con- 
federati, i  disastri  che  taluno  di  essi  sofferti  aveva  nello  scontrarsi  nelle  sue  ar- 
mi, la  debita  fede  a' recenti  trattati  di  triegua  e  di  pace,  i  sussidii  che  avevano 
ricevuti  ne' loro  più  urgenti  bisogni  e  gli  ostaggi  che  dati  aTeano  mediante  la 
consegna  di  città  e  di  terre,  l' obbligazione  che  tutto  il  mondo  pervenuto  a  ci- 
vMk  aveva  contratto  con  una  repubblica,  che  fattasi  schermo  alle  formidabili 
armi  ottomane,  massime  dopo  il  secondo  Maometto,  aveva  impedito  una  nuova 
barbarie  forse  peggiore  dell' ;dtra  di  fresco  estinta:  tutte  queste  gravi,  oneste  e 
sacre  rao-ioni  dimostravano,  che  subiti  più  che  sao'ori  consisb  erano  stali  il  fo- 
mento  di  quella  confederazione  . 

Giulio  che  n'era  stato  il  motore  e  1'  anima,  fu  il  primo  ad  accorgersi  dell"  er- 
rore suo  :  e  dopo  la  battaglia  di  Ghiara  d'  Adda,,  che  fece  perdere  a  Veneziani 
in  un  sol  giorno  pressoché  tutto  il  loro  dominio  in  terra-ferma,  avvisò  che  pro- 
strato il  più  forte  tra' principi  italiani,  nulla  avrebbe  potuto  togliere  la  balia  agli 
oltramontani,  che  con  poderosa  oste  avevano  varcate  le  alpi,  di  occupare  e  di- 
videre li  principati  piìi  deboli  della  penisola,  nelle  di  cui  viscere  grossi  e  minac- 
ciosi campeggiavano.  Il  perchè  dev'egli  avere  spedito  l'intimo  suo  confidente 
Chigi  a  Venezia,  non  già  col  pubblico  carattere  di  suo  legato,  cosa  che  troppo 
disdiceva  ai  riguardi  di  sua  dignità  ed  a  quelli  dovuti  a'  monarchi  ch'egli  stesso 
aveva  aizzati  a  confederarsi ,  e  ad  unirsi  alle  armi  sue  vittoriose,  ma  bensì  per 
segretamente  eccitarli  a  sottomettersi  al  santo  padre,  e  ad  implorare  l'assolu- 
zione dalle  incorse  censure,  a  rendere  alla  Chiesa  romana  ciò  che  al  proprio  pa- 


2  I  t 

Irimonio  appartener  pretendeva  ;  e  per  inspirar  loro  fidanza  che  ponendo  in 
opera  tali  espedienti  il  nembo  dissipato  andrebbe  da  quella  stessa  mano  che 
addensato  lo  avea  a  loro  nltimo  eccidio  .  Questi  segreti  maneggi  del  Cliigi  riu- 
scirono felicemente:  ed  allorché  Giulio  ebbe  piegali  a'suoi  voleri  i  Veneziani, 
mutato  consislio  e  lineiia£:"'lo,  incominciò  a  irridare  dal  Vaticano  che  conveni- 
va  discacciare  gli  oltramontani  dall'Italia,  e  suonare  a  stormo  per  congregare 
da  tutte  parti  bande  di  soldati  per  ottenere  f  inlento,  e  minacciare  anatemi  cou- 
tra  iiue' principi  che  fossero  osi  di  resistere  a'suoi  imperiosi  voleri  ed  a  contra- 
stare a  Luigi  XII  nelle  pianure  di  Ravenna  il  dominio  di  Milano  e  la  conquista 
del  regno  di  Napoli . 

Nell'occasione  che  l'accorto  Chigi  con  sorde  pratiche  faceva  prevalere  negli 
atterriti  animi  de' Veneti  le  mene  del  suo  padrone,  ebbe  a  conoscere  Sebastiano 
Luciani,  ed  invaghitosi  del  belf  umore,  del  vario  talento  nell'arie  musicale  e 
nella  poetica,  ma  più  di  tulio  nella  giorgionesca  maniera,  che  nelle  dipinture  di 
lui  bellamente  spiccava,  gli  propose  di  seguirlo  a  Roma,  ove  in  concorrenza  di 
altri  valenti  artisti  avrebbe  maneggiato  il  pennello  nel  principesco  palazzo  teste 
mentovato,  che  sopra  i  disegni  e  sotto  la  direzione  del  suo  compalriolla  Bal- 
dassare  Peruzzi  eretto  aveva  in  Trastevere.  Accettò  il  Luciani  la  propizia  oc- 
casione che  gli  si  offriva  di  perfezionarsi  nell'  arte  ;  ed  eccolo  tra  fanno  i5io  e 
i5i  I  adottare  irrevocabilmente  Roma  per  patria  . 

Se  avrà  recato  al  nostro  pittor  maraviglia  il  vedere  l'aspetto  bellicoso  che 
offriva  la  sede  di  papa  Giulio,  e  tulle  le  terre  del  pontificio  dominio,  la  sua  men- 
te si  sarà  rallegrata  in  ve^^endo  che  il  vasto  genio  di  lui  anche  in  mezzo  al  ru- 
more  ed  al  trambusto  delle  armi ,  ogni  industria  e  ogni  mezzo  aveva  con  felice 
successo  adoperalo  per  far  rivivere  in  Italia  gli  studii  e  le  arti  greche  e  latine  • 
Avrà  egli  con  un  sentimento  misto  di  ammirazione  e  di  riconoscenza  notato  che 
Giulio  aveva  fatti  deporre  a  Bramante  i  pennelli,  che  non  senza  gloria  aveva 
trattali  in  Milano,  e  che  indovinato  avendo,  per  quella  specie  d'istinto  ch'era  in 
lui  virt'u  naturale,  1'  ingegno  superiore  che  avrebbe  nell'arte  vitruviana  spiega- 
to, aveva  posti  a  contribuzione  i  sublimi  di  lui  concepimenti  per  erigere  a  san 
Pietro,  sulle  rovine  dell  antico,  quel  nuovo  tempio,  che  per  la  grandezza,  la  va- 
rietà e  l'estensione  sorpassò  quanto  la  Grecia  avea  prodotto  di  più  maraviirjio- 
so  nel  secolo  di  Alessandro,  e  Roma  ne'  tempi  più  splendidi  della  repubblica  e 
deU'impero,  e  per  costruire  que' corridoi,  che  aprirono  una  comunicazione  tra  i 
giardini  del  Belvedere  e  il  palazzo  pontihcio  del  Vaticano,  non  solo  ammirabili 
per  f  ampiezza,  la  solidità  e  l'eleganza,  ma  perle  diflicollà  nascenti  dail  ine- 
guaglianza del  suolo  valorosamente  superate:  opere  che,  al  dire  del  Vasari,  più 
facilmente  si  crederebbero  nate  per  arte  magica  che  concepite  dal  pensiero  ed 
eseguite  dalla  mano  deU'  uomo  . 


212 

Del  jiredoni'ii'o  poi,  eli' esercitava  Giulio  sulle  altrui  volontii,  n'era  un  lesli- 
iiionio  nariante  l'essergli  venuto  fallo  di  persuadere  a  quella  trascendente,  ma 
in  pari  tempo  caparbia  e  riollosa  anima  del  Buonarolti  di  cogliere  que' pennelli, 
che  al  suono  dell  imperiosa  sua  voce  gettati  aveva  Bramante:  con  che  operò 
che  quel  divino  s'aprisse  in  pittura  una  via  da  lui  per  anco  non  tentata,  segnan- 
do ne"  freschi  della  Sistina,  con  que'  suoi  profeti  e  con  quelle  sue  sibille,  le  lu- 
minose impronte  dell'originale  e  vasto  suo  ingegno.  Operato  questo  prodigio, 
aveva  Giulio  consentito  al  Buonarolti  di  ripigliar  lo  scarpello:  ed  aflmehè  gli 
ultimi  apici  del  grande  stile  in  iscultura  toccasse,  gli  ordinò  di  eseguire  quell'  ol- 
trammirabile  monumento  sepolcrale  ,  cui  destinò  a  riposo  delle  sue  ceneri,  sul 
quale  meglio  che  sopra  quello  del  magno  Trivulzio,  addicevasi  V  epigrafe:  rjui 
nunquam  qniei'it^  quiescit .  Ne  sfuggì  al  pronto  e  penetrante  acume  di  Giulio 
che  Raffaello  Sanzio  da  Urbino  sarebbe  stato  il  principe  de' moderni  pittori,  ove 
la  munificenza  d'un  monarca  di  alto  intelletto  gliene  avesse  presentata  la  ojipor- 
tunità:  da  cotale  cagione  mosso  gli  dischiuse  il  nobilissimo  degli  arringhi  nelle 
sale  e  loo-'^e  del  Vaticano,  ove  quel  valoroso,  con  le  stupende  sue  composizioni, 
nelle  quali  rappresentando  dottamente  i  più  sublimi  misteri  della  religione ,  le 
più  memorabili  epoche  della  storia,  i  fasti  della  poesia  e  que' della  fdosolia,  im- 
mortale rendette  il  suo  nome  .  In  quel  torno  di  tempo  Ghilio  aveva  altresì  da- 
to Ineominciainento  al  museo,  che  divenne  poscia  uno  de' più  begli  e  ricchi  or- 
namenti del  Vaticano,  avendo  congregato  in  Belvedere  i  dissotterrati  preziosi 
monumenti  delle  arti  prische,  tra' quali  annoveravansi  il  Laocoonte,  1'  Apollo,  il 
torso  d'  Ercole,  la  Cleopatra,  la  Sallustia  Barbia  Oibiana,  l  Alcide  Conimodia- 
no,  con  più  e  più  altre  rinomatissime  sculture.  Ne  Giulio  intento  alla  rislaura- 
zione  delle  artiobblìo  quella  delle  lettere,  mentre  per  testimonianza  del  cardinal 
Bembo  ad  imitazione  de' Pisistrati,  de  Tolommei,  degli  Attali,  degli  Augusti, 
e  dcìli  romani  pontefici  Sisto  IV  e  Nicolò  V  aveva  arricchita  la  biblioteca  vatica- 
na, se  non  di  molti,  almeno  di  rari  e  preziosi  codici  di  classici  scrittori  greci  e 
latini.  Egli  fece  fiorire,  per  quanto  que'  burrascosi  tempi  il  comportavano,  ogni 
fatta  di  studii,  procacciando  alle  cattedre  dell'  archiginnasio  romano  uomini 
per  iscienza  celebratissimi  ad  istruzione  degli  allievi.  I  fasti  della  letteratura  ri- 
corderanno non  senza  entusiasmo  che  quel  Giulio  papa,  che  più  presto  portò 
r  elmo  che  la  tiara,  fece  festosa  aecoirlieuza  e  ricolmò  di  favori  e  di  benefizil 
quel  Giannantonio  Flaminio  da  Imola,  che  dotto  in  ogni  maniera  di  lettere  fu 
patire  del  più  dolce,  del  più  amabile,  del  più  modesto  fra  i  poeti  latini  del  suo 
secolo  .  Ne  s;!  incoraf^s-iamenti  ed  i  iiremii  ao-li  artisti  ed  ai  dotti  a  larg;a  mano 
profusi  forman  l' unico  titolo  che  abbia  glorioso  renduto  il  regno  di  Giulio. 
Osila  e  Civitavecchia  munite  di  buone  fortificazioni:  acquedotti ,  cloache ,  fon- 
tane altre  riparale   ed  altre  di  nuovo  costrutte  ;   chiese,   monaslerii,  strade,  la 


2l3 

cnrìn,  la  zocca  da  Ini  cdificatn  :  parte  «lei  ponliricio  dominio  rivendicato.,  e  parte 
con  Tarmi  accresciuto:  cinque  milioni  di  ducati  d'oro  lasciali  nell'erario:  ceco 
una  serie  di  opere  clic  attestano  l' eccellenza  di  sua  amministrazione  :  ed  ecco 
chi  librava  le  sorti  di  Roma  quando  11  Luciani  colà  arrivò  .  E  questa  quella  pri- 
ma epoca  di  rislaarazionc,  della  quale  fu  egli  speltatore  ed  in  qualche  guisa 
partecipe,  e  che  giunse  alla  meta  durante  il  ponùlleato  di  Leone,  il  quale  me- 
ritava s'i  bene  di  spartirne  la  gloria  con  Giulio,  ma  non  già  di  esclusivamente 
arrotarla  a  se  solo  (a).  Discorso  avr.ido  del  Chigi  e  di  Giuho,  ci  rimane  ora 
a  parlare  de'  valentuomini  fra"  quali  in  Roma  dispulavansi  acremente  i  primi  ono- 
ri del  merito,  quando  il  Luciani  vi  stabilì  il  suo  soggiorno.. 

Raffaello  avvenente  della  persona,  di  maniere  cortesi,  provveduto  in  copia  di 
beni  di  fortuna,  diviso  tra  l'ambizione  del  cardinalato,  a  cui  Leone  X  era  de- 
terminato «li  promuoverlo,  e  quello  d'impalmare  la  nipote  del  cardinale  Bibie- 
na,  viveva  col  fasto  e  colle  agiatezze  di  un  principe:  e  tale  mostravasi  agli  sguar- 
nii del  pubblico,  allorché  accompagnato  da  ben  cinquanta  valenti  pittori  reca- 
vasi a  corte  in  qualità  di  gentiluomo  di  camera  e  di  prefetto  della  fabbrica  del 
tempio  di  s.  Pietro  e  degli  scavi  de' sepolti  avanzi  preziosi  dell'  antica  Roma . 

All'opposto  Michiclangx'lo  d'un  umor  cupo,  d'  un  carattere  fiero  viveva  alla 
stoica .  Egli  amava  la  solitudine  ne'  recessi  domestici,  nell'  officina,  ove  i  più  al- 
ti ed  arditi  concepimenti  eseguiva  della  cupola  del  Vaticano  ,  dell'  universale 
giudizio  e  del  Mosè,  e  amavala  finanche  nelle  passeggiate,  che  a  bel  diporto  fa- 
ceva. La  lettura  sua  più  favorita  fu  la  divina  commedia  di  Dante,  la  quale  a  dis- 
misura crescer  facevagli  i  suoi  concetti  e  qucll"  atrabile,  che  altamente  predoral- 
navalo.  Lungi  dall'  esser  nato  per  far  la  corte  ai  potenti  e  ricchi  signori  provo- 
cò a  sdegno  i  dalla  Rovere,  i  Medici  co' suoi  modi  risoluti  e  col  suo  franco  par- 
lare, e  ricevette  la  visita  del  pontefice  Paolo  III  e  di  dieci  cardinali  non  già 
come  alto  di  cortesia  e  di  beuivoglienza,  ma  quasi  un  tributo  pagato  alla  supe- 
riorità del  suo  ffcnio. 

Fu  anche  al  tutto  diversa  la  via  battuta  da  questi  due  ingegni  soprani. 

Ln  gusto  naturale  [ler  la  scelta  del  bello,  una  facihtà  intellettuale  di  estrarre 
da  molle  particolari  bellezze  vedute  nella  natura,  nei  dipinti  dei  precursori,  e 
corretti  su  i  capilavoro  dell'antica  scultura  per  comporne  una  di  perfetta,  un 
sentimento  vivacissimo,  e  quasi  non  dissi  un  estro  per  concepire  gli  aspetti  for- 
mati dall'  attività  momentanea  d'una  passione,  una  scorrevolezza  di  pennello  ub- 
bidientissima  a' concetti  dell'immaginativa  :  ecco  le  prerogative  che  Raffaello 
ebbe  congenite,  col  favor  delle  quali  giunse  ad  essere  l'Apelle  dei  moderni  pit- 
tori . 

(il)  Si  veggaDO  le  citale  notizie  •lei  rliiarissimo  avvocato  Fei. 


21^ 

Da  ciò  nacque  che  in  generale  il  disegno  di  lui  riuscisse  franco,  preciso,  gra- 
zioso, netto  €  diligente.  GÌ' ignudi  del  suo  incendio  di  Borgo  mostrano  ch'egli 
perfettamente  intendeva  la  ragione  de'muscoli,  se  non  al  pari  di  Michielangelo, 
cjuanto  almeno  ad  un  plttor  si  conviene.  Ne  l'espressione  ne' suoi  dipinti  è  mi- 
nor del  disegno,  avvegnaché  non  vi  sia  moto  dell'  animo,  non  siavi  carattere  di 
passione  noto  all'  etica,  e  di  pittura  capace,  ch'egli  non  abbia  notato,  espresso, 
variato  in  cento  maniere  e  sempre  convenientemente.  Alla  squisitezza  dell'espri- 
mere Lionardo  fu  il  primo  che  aperse  la  via;  ma  poi  Raffaello  gli  tolse  la  palma. 
Vuoisi  sapere  se  avess'  egli  sagrificato  alle  grazie  per  impetrarne  propizio  il  fa- 
vore ?  SI  osservino  1  suoi  dipinti:  ed  ove  s'incontri  vita,  dolcezza,  brio,  dicasi 
pure  avere  Aglaja,  Eufrosina  e  Talia  il  suo  pennello  guidato  .  Tutte  le  Madon- 
ne di  lui  non  avranno  per  avventura  la  bellezza  della  Venere  medicea  e  della 
tanto  lodata  figlia  di  Niobe  ;  ma  quel  modesto  sorriso,  che- manifesta  il  candore 
dell  animo  e  1'  amore  «lei  tìglio  :  ma  l'atteggiamento,  11  gesto,  la  mossa,  le  pie- 
ghe de' vestiti  tutto  e  poi  tutto  è  grazia.  Venere  è  bella:  toglile  il  cinto,  le  to- 
gli la  grazia .  Giunone  ad  allettare  il  marito  ha  bisogno  di  cotesto  cinto  ;  e  se 
dal  cuore  di  Giove  non  fossero  nate  le  grazie  nel  momento  che  del  suo  capo 
lisciva  Minerva,  questa  Dea  sarebbe  rimasta  senza  callo  e  senza  adoratori.  Non 
si  dirà  che  sia  andato  innanzi  al  Correggio,  pur  pure  tra  l' uno  e  l' altro  le  di- 
stanze non  sono  infinite.  Ma  ced' egli  di  molto  al  caposcuola  parmense  :  cede 
a  Tiziano  nel  colorito  .  Ne' freschi  fa  miglior  coloratore,  che  ne'  dipinti  a  olio  : 
ed  in  questi  ultimi  riusc'i  pi'u  perfetto  ne'  ritratti,  che  ne' quadri  istorici  e  mitolo- 
gici. La  premura  del  grande  stile  gli  fece  trascurare  quella  dell'impasto  e  del- 
le tinte  .  E  sebbene,  a  giudizio  di  Mengs,  nel  chiaroscuro  il  Correggio  lo  sor- 
passi, e  sebbene  egli  non  ardisse  dipingere  le  prospettive  di  sotto  in  su,  certo  e 
che  fu  esattissimo  osservatore  di  tutte  le  regole  a  segno,  che  ne'  suoi  schizzi  fu 
trovata  la  scala  di  degradazione  .  Neil'  Invenzione  e  nella  composizione  sorpas- 
sò qualunque  esempio  da  lui  veduto  moderno  o  antico .  Egli  ebbe  1  industria  di 
far  capire  tutte  le  parti  del  dramma  pittorico,  cui  si  propose  di  rappresentare  , 
cogliendo  quel  momento  che  rende  chiaro  allo  spettatore  ciò  che  si  è  fatto,  ciò 
che  si  fa,  ciò  che  debbe  farsi  .  In  ogni  suo  quadro  il  protagonista  si  palesa  al  ri- 
guardante da  se  medesimo  :  1  gruppi  divisi  di  luogo  sono  riuniti  dalla  principale 
azione  ;  le  masse  de'  pieni  e  de'  vuoti  sono  equilibrate,  non  già  a  norma  del  va- 
lore, ma  slbbene  ad  imitazione  della  scelta  natura .  Conchiuderemo  la  lunga 
analisi  col  dire  essere  ogglmal  parere  comune  che  Raffaello  sia  11  principe  della 
pittura  moderna  . 

Michielangelo,  ch'ebbe  un  numero  di  panegiristi  per  lo  meno  eguale  a  quello 
de'  suol  detrattori,  che  viene  perciò  rlsicuardato  per  più  che  un  nume  dagll'uni, 
e  per  manco  d'un  uomo  dagli  altri,  e  sulle  cui  opere  si  continua  a  giudicare  con 


2lS 

nuclle  sfesse  linone  o  cndìve  prevenzioni,  con  le  fjnali  si  giudicò  <la'  suoi  con- 
tcmnoranci;  Michielangclo.j  dicevasi.^  jiare  clic  abbia  voluto  essere  consiilcrato 
dalla  posterità  come  scultore,  piuttostocliè  come  pittore  ed  architetto,  avendo 
egli  impiegati  i  primi  e  gli  ultimi,  non  meno  che  i  migliori  anni  della  sua  vita  io 
iscolpire .  IVondimeno  si  prenda  pure  in  esame  cotesto  immenso  e  straordinario 
inn-e^rno  ,  siccome  maestro  in  tutte  generalmente  le  arti  del  dlscffno,,  e  si  vecn-a 
a  nual' ardua  meta  abbia  egli  dirizzato  l'arditissimo  volo. 

Le  arti  erano  adulte  al  tempo,  in  cui  cominciò  a  fiorire  il  Buonarolti .  Ed  a 
tacere  del  Brunelleschi,  che  coli' innalzare  il  colossale  cdiCzio  di  santa  IMaria 
del  Fiore  aveva  dimostralo,  che  i  moderni  in  architcllura  avrebbero  fatti  gli 
stessi  miracoli  ne  più  ne  meno,  che  fecero  gli  antichi,  Tommaso  Guidi,  sopran- 
nomato  il  Masaccio  nelle  istorie  di  s.  Pietro  dipinte  nella  cappella  Brancacci 
della  chiesa  del  Carmine,  colla  somma  intelligenza  mostrata  nello  scortare  e 
muovere  le  ligure,  nel  disporle  secondo  le  più  esatte  regole  della  prospettiva  li- 
neare ed  aerea,  e  colf  aggrupparle  in  guisa  da  formare  l'unità  dell'azione  col- 
r  esprimere  i  varii  affetti  dell'animo,  e  col  dare  infine  alle  medesime,  mediante 
il  magistero  del  colorito,  rilievo  e  morbidezza,  aveva  aperta  la  strada  e  segnate 
tutte  le  impronte  e  le  massime  del  moderno  stile .  Colali  dipinti  maravigliosi  fu- 
rono il  canone  tlel  Vinci,  del  Sanzio  e  del  medesimo  Buonarolti .  Quest'ultimo 
aveva  mollo  studiato  ne'bronzi  e  ne' marmi  dal  Donatello  e  dal  Gliiberti:  però 
più  eh'  altri  conosciuto  avea  1'  eccellenza  dell'antico  in  quella  inestimabile  col- 
lezione distaine,  la  quale  ad  erudimerito  de'giovani  artisti  e  ad  ornamento  e  de- 
coro del  suo  più  che  regale  soggiorno  aveva  procacciato  Lorenzo  de' Medici 
soprannominato  il  Magnifico . 

L'  occhio  penetrante  del  Buonarolti  scoprì  assai  di  leggieri  che  i  suoi  con- 
temporanei erano  dnbitosi  e  perplessi  tra  1  imitazione  della  natura,  quale  si  of- 
fre alle- considerazioni  dell'artista,  ovvero  quale  può  l' immaginazione  concepir- 
la, spogliandola  de"  suoi  diletti  e  riduecndola  ad  un  idea,  qualmente  fecero  gli 
antichi,  di  che  intiera  ragione  ci  rendono  i  loro  scritti  e  le  opere  che  lasciato  ci 
hanno.  Convenne  il  Buonarolti  che  gli  ultimi  si  tiovcssero  imitare:  se  non  che 
fu  «r  avviso  che.  imitandoli,  si  potessero  sorpassare,  malgrado  della  perfezione 
del  disegno  e  della  diligenza  della  loro  esecuzione.  Senti  che  non  si  sarebbero 
giammai  fatti  que' progressi,  de' quali  l' arte,  a  suo  intendimento,  era  suscettiva 
quando  rolla  non  si  fosse  guerra  a  quelle  rigide  leggi,  che  sino  a  quell  istante 
si  erano  venerale  con  una  specie  di  culto  superstizioso  . 

Fece  egli  dipendere  sì  fatti  progressi  dalla  conoscenza  profonda  delle  forme 
organiche  della  costriizione  de'  corpi  umani  e  dagli  esterni  loro  movimenti,  os- 
servati in  qualunque  possibile  punto  di  vista:  ed  a  tal  fine  per  dodici  intieri  an- 
ni con  grave  scapito  di  sua  salute  attese  allo  studio  profondo  dell'anatomia  con- 


2l6 

giuntaraenle  a  quello  delle  leggi  ottiche  e  prospelticlie .  Da  questi  clementi  e 
non  altronde  risultò  il  suo  fare,  la  sua  maniera  si  in  iscultura  e  sì  in  pittura  .  Il 
perchè  nello  studio  dell'  uomo  e'  non  vide  che  il  fisico,  ossia  un  composto  di  os- 
sa, di  muscoli,  di  nervi  e  di  vene .  L'estrema  facilità,  che  acquistò  nel  far  bril- 
lare nel  suo  esattissimo  disegno  le  molle  di  questo  meccanismo  animale,  gli  fe- 
ce naturalmcote  preferire  que'  soggetti,  ne'  quali  poteva  far  bella  mostra  di  tali 
peregrine  sue  cognizioni . 

Ma  chi  non  vede,  che  11  sapere  anatomico  nell'artista,  quando,  scosso  ogni 
freno,  signoreggia  tutte  le  altre  qualità,  cui  debb'  egli  possedere  a  giungere  al- 
la perfetta  imitazione  della  natura,  sacrinca  onninamente  all'energica  espressio- 
ne della  forza  corporea  la  forza  morale  dell'  animo  e  del  sentimento  ?  Ed  ecco 
ciò,  che  è  avvenuto  al  Bnonarotti .  Occupato  egli  a  muovere  le  sue  ligure  ed  a 
presentare  ogni  nuovo  ardito  e  terribile  scorcio  (  nel  che  al  certo  non  ebbe  chi 
Io  eguagliasse  )  obbliò  al  tutto  che  avessero  elleno  un  intelletto  ed  un  cuore, 
la  ragione  e  gli  affetti .  Laonde  tempo  sarebbe  perduto  il  cercare  espressione 
nella  testa  delle  sue  ugure,  grazia  e  bellezza  nelle  sue  composizioni  :  basti  il  di- 
re eh'  egli  trascurò  di  accennare  le  infinite  variazioni  delle  età,  de'  sessi,  delle 
condizioni  e  dei  costumi .  La  forza  muscolare  e  nervosa  in  infinite  guise  atteg- 
giata, un  umore  pensoso  e  triste  impresso  ne'  volti  de'  suoi  personaggi,  sono 
queste  e  non  altre,  le  qualità  che  capo  il  rendettero  della  sua  setta  . 

La  più  grandiosa  e  memorabile  opera  che  uscita  sia  dal  pennello  del  Buona- 
rotti,  quella  che  destò  piìi  rumore,  si  fu  l'universale  giudizio  che  dipinse  a  fre- 
sco nella  Sistina,  inspirato  Aa\  genio  dell'  x\.lighieri .  In  essa  rappresentando 
io-nudi  angeli,  diavoli  ed  uomini,  parte  beali  e  parte  dannati,  e  ponendoli  ia 
molti  svariati  atteggiamenti  potè  lasciare  un  testimonio  parlante  della  sua  pro- 
fonda scienza  anatomica.  Ma  vuoisi  che  un  vero  miracolo  dell'arte  si  fosse  il 
suo  cartone  della  guerra  di  Pisa,  preparato  per  competere  col  Vinci  nella  sa- 
la del  palazzo  pubblico  di  Firenze .  I  contemporanei  del  Buonarotti  hanno  am- 
miralo in  quel  cartone  uno  de'più  eccellenti  esemplari  di  disegno  pei  nuovi  scor- 
ci, per  le  terribili  mosse,  pel  non  più  olire,  in  una  parola,  di  quella  eccellenza 
in  cui  venn'  crii  riverito  principe .  Si  pianse  per  perduto  codesto  disegno,  e 
n  ebbe  mala  voce  Baccio  Bandinelli  partigiano  del  Vinci:  se  non  che  il  sig. 
Quatremere  de  Quincy  nella  storia  della  vita  e  delle  opere  di  Raffaello  ci  nar- 
ra che  uno  schizzo  dell'Intiera  composizione  comparve  a  Londra  con  ogni  dill- 
ccnza  inciso  dallo  Schiavonettl,  e  pare  sia  quella  stessa  copia  in  piccole  dimen- 
sioni, che  per  testimonianza  del  Vasari  ne  fece  Sebastiano  da  san  Gallo,  e  che 
dopo  la  distruzione  dell'  originale  non  volle  che  da  nessuno  più  si  ricopiasse  . 
Dappoi  che  cessarono  gli  esercizil  atletici  nella  Grecia,  ed  1  gladiatorll  a  Ro- 
ma, non  v'  ha  eseiiqiio  che  siasi  poluto  studiare  il  disegno   del  nudo   con  tanto 


ai7 

profitto,  come  si  fece  in  qncl  dipinto  ed  in  quel  cartone;  e  tutti  convengono 
che  lo  stesso  Raffaello  abbia,  alla  vista  di  questa  opera  don  genio  veramente 
trascendente,  ingrandilo  ili  molto  la  sua  prima  maniera  . 

O  si  rifletta  pertanto  all'umore  e  al  carattere  di  Raffaello  e  di  Michielangelo, 
o  alle  diverse  vie,  per  le  quali  1  uno  nel!'  invenzione,  nella  composizione  e  nel- 
r  espressione,  e  I"  altro  nel  disegno  giunsero  a  toccare  i  sommi  apici  della  per- 
fezione, o  air  essere  eglino  venuti  al  paragon  de'  pennelli  nell'  esecuzione  di 
opere,  che  adornare  doveano  il  primario  tempio  del  mondo,  ed  essere  esposte 
all'inesorabile  giudizio  del  pubblico  per  secoli  e  secoli:  o  si  guardi  ali  interes- 
se cui  gli  stessi  loro  nicccnali  avevano  di  alimentare  pe'  vantaggi  dell'arte  quel- 
lo spirito  di  emulazione,  cbe  ardeva  ne'  petti  di  que'  due  preclari  artisti,  certo 
è  che  la  rivalità  non  tacque  ne' loro  animi,  e  che  rendendosi  maggiori  di  se  me- 
desimi, disputaronsi  la  corona  .  Osiamo  nondimeno  asserire,  che  se  i  dipinti  del 
Vaticano  assicurarono  al  Sanzio  il  trionfo  presso  alle  persone  di  gusto,  quello 
della  Sistina  lo  assicurò  al  Buonarotti  presso  agli  eruditi  nelle  teoriche  delle 
due  arti  pittorica  e  statuaria  (a) . 

Mentre  Roma  divisa  trovavasi  in  due  partiti  di  Michielangioleschi  l'uno  (ed 
era  il  mcn  numeroso  ),  di  Raffaelleschi  l'altro,  Sebastiano,  come  altrove  si  è 
detto,  vi  capitò  in  compagnia  del  Chigi.  E  sapendo  quel  bravo  uomo  che  a  ren- 
dere gì  ingegni  maggiori  di  lor  medesimi,  è  duopo  cacciar  loro  ne'  fianchi  lo 
sprone  dell'  emulazione,  volle  che  concorressero  a'  freschi  della  loggia  di  quel 
suo  palazzo,  che  fu  poscia  detto  Farnesina^  Sebastiano  e  Raffaello .  La  volta 
era  stata  già  dallo  stesso  Peruzzi,  pittore  non  meno  che  architetto  eccellente, 
dipinta,  gli  archetti  pitturati  furono  da  Sebastiano  con  istorie  mitologiche; 
finalmente  volle  il  Chigi  che  nella  favola  della  Galatea,  che  doveasi  rappre- 
sentare, la  ninfa  uscisse  da'  pennelli  di  Raffaello,  ed  il  Polifemo,  che  stavale  al- 
lato, da  quelli  di  Sebastiano .  Se  il  veneziano  pittore  in  quella  difficile  gara  non 
apparve  da  meno  del  sanese  e  dell'  urbinate,  può  ben  dirsi  aver  lui  operato  un 
vero  prodigio . 

La  fama  altissima,  a  cui  era  salito  Raffaello  in  Urbino,  a  Siena,  a  Firenze  e 
da  ultimo  a  Roma,  ove,  per  consiglio  di  Bramante,  un  Giulio  II  gli  aveva  ad- 
dossato r  incarico  di  adornare  co' suoi  lavori  di  pennello  le  sale  del  Vaticano; 
le  quattro  grandi  composizioni  che  aveva  di  già  eseguite  nella  sala  della  segna- 


(a)  Nel  comporre  cotesto  paralello  di  Raffaello  e  Ji  Michielangelo  ebbi  soli' occhio  la  storia  pit- 
torica della  Italia  del  Lanzi;  l'altra  della  sciillura  del  cav.  Cicogoara  ,  e  V  Histoire  de  la  ne 
et  des  ouvrages  de  Raphael  par  Quatremere  de  QuincJ  :  oltre  al  Bellori ,  al  Vasari  ed  altri 
aolichi . 


2.8 

tiirn,  la  ilispiita  suH'Eucarislin,  la  scuola  d'Atene,  il  Parnaso,  e  la  pili  famosa 
epoca  che  abbia  avuta  la  civile  e  la  canonica  giurisprudenza,  e  che  sole  basta- 
te sarebbero  ad  immortalarlo  :  questa  fama,  queste  opere,  dicevasi,  fatto  avreb- 
bono  cader  di  mano  la  tavolozza  ed  i  pennelli  a  qualsiasi  più  ardimentoso  pitto- 
re, dovendo  dipingere  a  competenza  di  lui  sull'intonaco  stesso. 

Non  furono  questi  per  altro  se  non  i  crepuscoli  primi  di  quella  bella  aurora, 
che  stava  per  ispuntare  per  Sebastiano .  Alcuni  suol  dipinti  all'  olio  alla  manie- 
ra giorgionesca,  ne' quali  le  figure  balzavano  fuori  del  quadro  pel  grande  rilie- 
vo, e  sanguigne  e  palpitanti  e  pastose  apparivano  le  carni,  e  perciò  al  tutto  vi- 
ve, gran  rumore  menarono  in  Roma,  ove  al  magico  incanto  di  quel  colorito,  a 
quella  grazia  e  morbidezza  di  contorni  si  desiderò  di  giungere,  ma  non  si  giun- 
se unquemai .  Lo  stesso  Micliielangelo  rimase  a  tal  vista  incantato:  e  siccome 
quella  sua  grande  e  fiera  anima  avrebbe  creduto  abbassarsi,  misurandosi  alla 
scoperta  anche  collo  stesso  Raffaello,  pensò  di  prendersi  a  campione  Sebastia- 
no, e  postolo  sul  buon  sentiero,  rispetto  al  disegno,  farlo  trionfare,  con  quel  suo 
sorprendente  colorito,  dell'Urbinate.  E  volendo  in  faccia  al  mondo  conservare 
il  diritto  di  sedere  a  giudice  di  tanta  lite,  se  prestò  ajuto  a  Sebastiano  col  con- 
siglio e  coir  esempio,  fecelo  colla  segretezza  maggiore  ;  ma  il  biografo  aretino 
che  fu  suo  discepolo,  avvisandosi  di  fargli  onore,  tutto  nelle  sue  scritture  svelò. 

Dal  Vasari  o  da  altro  qualsiasi  seppe  il  Sanzio  la  segreta  trama,  ne  possiamo 
a  questo  passo  tralasciare  di  chiarire  il  nostro  lettore  quali  pensieri  egli  formas- 
se in  mente  per  vendicarsene  .  Il  Sanzio  si  era  mostrato  peritissimo  nell'  artifi- 
zio della  plastica,  cli'è  il  modello  della  scultura,  lavorando  egli  stjsso  in  creta, 
in  istucco  o  In  altra  materia,  come  si  vede  nei  tanti  ornati  delle  loggie,  a  talché 
egli  ebbe  11  merito  di  riprodurre  quest'  arte.  Da  ciò  è  facile  il  congetturare 
ch'egli  avrebbe  conseguito  il  nome  di  eccellente  scultore,  se  la  pittura  ed  ulti- 
mamente 1'  architettura  gli  avesse  concesso,  nella  cosi  breve  età  eh'  egli  visse, 
di  attendere  a'  marmi .  Nondimeno  trafitto  aspramente  nel  cuore  in  veggendo 
che  il  Buonarotti,  coli'  ammaestrare  nella  scienza  del  disegno,  quell'  insigne 
coloratore  del  Luciani  si  studiava  di  sfrondargli  1'  alloro  nell'  arringo  pittorico, 
avvisò  suscitargli  contro  degli  scultori,  che  gli  contrastasser  le  prime  paline  in 
queir  arte,  nella  quale  sedeva  dittatore,  rendendoli  forti  de'  suoi  consigli  ed 
aiuti.  Laonde  il  Sanzio  allogò  al  fiorentino  Lorenzetto  le  due  statue  del  Gio- 
na e  deli'  Elia,  che  abbellire  dovevano  la  cappella  Chigi  alla  Lauretana,  ma 
gliene  fornì  1  disegni,  e  ne  ritoccò  colla  maggior  diligenza  con  le  proprie  mani 
i  modelli.  Ne  venne  egli  meno  nella  difficile  prova,  avvegnaché,  in  partlcolar 
modo  il  Giona,  a  sentenza  del  Bellori,  riuscì  una  dflle  più  insigni  statue  della 
scultura  moderna^  e  facilmente  la  migliore^  di  una  maniera  tenera  e  delicata^ 
nella  quale  mai  pre\:dse  il  Buonarotti  .  Pugnavano  li   due   acerrimi  emulatori 


219 

col  mezzo  de"  loro  campioni  aflorlificati  dalle  armi  poderose  de' loro  ralorosi  du- 
ci, e  le  l'iigne,  cooperando  a  ridurre  a  sempre  miglior  condizione  le  arti  col  pro- 
durre de' sempre  nuovi  capolavori,  verranno  al  certo  considerate  de^ne  di  eter- 
na lode  (5).  Ma  si  ripigli  1'  enumerazione  ^\\c  fatiche  del  nostro  pittore. 

Destò  vivissima  sensazione  un  Cristo  morto  coli' addolorata  sua  madre,  che 
Io  piange,  operato  da  Sebastiano  per  la  chiesa  di  san  Francesco  di  Viterbo . 
La  scena  di  questo  lui^ubre  spettacolo,  feccia  il  pittore  in  paese  oscuro,  onde 
mostrare,  che  alla  vista  dell'  Uomo-Dio  spento ,  si  scolorì  il  maggior  astro,  e 
tutta  la  natura  vestì  negre  gramaglie  .  Se  1'  occhio  critico  del  dotto  artista  po- 
trebbe ravvisare  nella  risentita  muscolatura  del  Redentore  la  matita,  il  carbo- 
ne, o  la  penna  di  Michielaiigelo,  dovrebbe  per  lo  contrario  ammirare  nel  colori- 
to di  quelle  carni,  morte  bensì,  ma  pure  incorruttibili,  le  quali  fra  poco  doveva- 
no essere  viviGcate  dal  divino  di  lui  spirito,  quel  rilievo,  che,  mediante  certa  de- 
gradazione di  lume  e  d' ombra,  ebbero  in  sorte  gli  allievi  della  scuola  veneziana, 
fino  da"  tempi  del  suo  masgior  lustro,  di  felicemente  ottenere .  Il  dolore  della 
Vergme  poi  e  le  lagrime  eh'  ella  versa  sono  quali  si  convengono  alla  madre  di 
un  Dio  ;  quanto  più  mostrano  di  calma  e  di  dignità,  tanto  trapassano  più  il  cuo- 
re dell'intenerito  riguardante.  Il  merito  di  espressione  così  sublime  il  nostro 
Luciani  non  lo  divide  con  chicchessia. 

Ma  già  il  nome  di  Sebastiano  volava  su  tutte  bocche,  dal  che  nasceva  che 
prima  di  condurre  a  termine  un  lavoro  prcsentavaglisi  propizia  occasione  d'  in- 
traprenderne un  altio.  Dopo  la  tavola  di  Viterbo  impertanto  vennegli  proposta 
la  dipintura  d'una  cappella  in  san  Pietro  inMontorio;  ed  egli  di  buonissimo  gra- 
do accettonne  il  partito,  avendo  già  replicate  volte  fatto  il  saggio  di  sua  valen- 
tia, ed  avendo  altrettante  il  favore  ottenuto  del  pubblico  suffragio .  Se  dovessi- 
mo porger  fede  al  Vasari,  tutta  quella  cappella  fu  dipinta  da  Sebastiano  sopra 
nn  cartone  in  piccole  dimensioni  datogli  dal  Buonarotti:  ma  non  possiamo  di- 
spensarci dal  dubitare  intorno  alla  verità  di  tide  asserzione,  perocché  c^li  stesso 
ci  confessa  che  il  cartone  da  lui  veduto  era  in  grandi  dimensioni  e  fatto  di  ma- 
no dello  stesso  Sebastiano . 

Altro  è  infatti  che  il  Buonarotti  sia  stato  maestro  di  più  perfetto  diseo'no  a 
Sebastiano,  ed  altro  è  poi  che  quest'  ultimo  sia  debifore  al  primo  anche  della 
invenzione  e  composizione  di  tutti  i  propri  dipinti,  e  lino  dei  contorni  delle  figu- 
re sugi  intonachi  delineate  e  sulle  tele:  cosicché  nuli' altro  e'  fatto  abbia  fuor- 
ché servilmente  copiare  i  suoi  concetti,  e  colorire  sopra  gli  stessi  suoi  calchi . 
Converrebbe  supporre  che  un  pittore  che  contò  a  maestri  un  Bellini  ed  un 
Giorgione:  che  ammirare  si  fece  per  essere  giunto  ad  imitare  perfettamente  il 
secondo  di  essi  nelle  tavole  di  altare  di  s.  Gio.  Crisostomo  di  Venezia,  di  s. 
Biagio  di  Lendinara  e  di  s.  Nicolò  di  Trevigi  ed  in  altri  prestantissimi  lavori  ; 


320 

che  innamorò  del  sapore,  della  nnionc  e  pastosità  delle  sue  tinte  quel  CliigI,  il 
quale  teneva  a' suoi  slipendii  il  Sancse  e  l' Urbinate,  1  quali  considerali  era- 
no r  uno  il  Vitruvio  e  1'  altro  l' Apelle  di  quell'  età  ;  che  per  tale  altissimo 
suo  pregio  sorprese  Roma  e  Io  stesso  Buonarotti  innanzi  che  contraesse  alcuna 
famigliarità  ed  amicizia  con  esso  lui,  e  il  cui  giudizio,  attesa  la  vasta  e  profonda 
cognizione  delle  teoriche  delle  arti,  in  peso  ed  autorità  quello  vantaggia  di  tutte 
le  accademie  e  dell"  intera  moltitudine,  converrebbe  supporre,  dicevasi,  che  un 
pittore  di  questa  fatta  nuir  altro  sapesse  tranne  il  pretto  colorire.  Ma  chi  sa 
che  il  Vasari  pecca  di  parzialità,  quando  si  tratta  de'suoi  Toscani;  chi  sa  che 
la  prevenzione  gli  stende  densissimo  velo  agli  occhi,  allorciiè  parla  del  Buona- 
rotti, d  quale  fu  suo  maestro;  eh»  tultociò  non  ignora  riceve  le  sue  asserzioni, 
semprechè  sieno  di  verosimiglianza  ignude  e  di  mallevadori,  con  quella  circo- 
spezione che  suggerita  viene  dai  dettami  d' una  critica  giudiziosa . 

Dopo  tale,  .il  parer  nostro,  inevitabile  digressione,  rappiccando  il  filo  all'  inter- 
rotto discorso  su  i  dipinti  della  cappella  di  san  Pietro  in  Montorio,  noi  possia- 
mo merqar  vantaggio  dal  giudizio  che  ne  dà  lo  stesso  Vasari,  senza  che  m  que- 
sto caso  sospetto  di  parzialità  tolga  o  scerai  la  fede  al  medesimo  .  "  Quand'an- 
"  che  Sebastiano,  die'  egli,  non  avesse  fatta  altra  opera  che  questa,  per  lei  so 
»  la  mciiterebbe  esser  lodato  in  eterno:  perchè  oltre  alle  teste  che  sono  molto 
»  benfatte,  si  fanno  ammirare  in  questo  lavoro  alcune  mani  e  piedi  bellissimi: 
«  e  ancorché  la  sua  maniera  fosse  un  poco  dura,  per  la  fatica  che  durava  nelle 
«  cose  che  contraffaceva,  egli  si  può  nondimeno  fra  i  buoni  e  lodati  artchcl  an- 
«  noverare  "  .  In  parlando  poi  della  transhgurazione  eh'  e'  dipinse  nella  volta, 
accenna  il  Vasari  che  le  figure  sono  vivissime  e  pronte^  e  dopo  di  avere  notnto 
che  vi  aveva  impiegati  sei  anni,  soggiunge  ,  che  l'opera  per  comune  sentenza 
essendo  stata  fatta  bene  le  male  lingue  si  tacquero . 

In  quel  torno  di  tempo,  nel  quale  Sebastiano  profondeva  con  lenta,  ma  sper- 
ta  mano  i  prodigi  della  sua  tavolozza  in  san  Pietro  in  Montorio,  del  pari  sudate 
e  nobili  palme  coglieva  anche  altrove  .  Quella  natività  di  nostra  Signora,  che 
condusse  per  la  chiesa  di  sant'  Agostino  in  Perugia,  e  quella  flagellazione  cne 
operò  per  la  chiesa  degli  Osservanti  in  Viterbo,  meritarono  di  essere  ricordale 
con  lode  dal  chiarissimo  abbate  Lanzi,  alle  cui  accuratissime  ricerche  e  finissi- 
mo «"usto  non  isfuggirono  :  quantunque  il  Vasari  nella  biografia  del  Luciani 
non  ne  faccia  pnnto  menzione  .  La  flagellazione  passa  per  la  miglior  dipintu- 
ra che  vanti  Viterbo,  e  pare  aver  essa  tolto  il  merito  della  preminenza  all' al- 
trove da  noi  memorata  tavola  della  Pietà,  figlia  dell'  «stesso  pennello,  la  quale 
servì  per  la  chiesa  di  san  Francesco  pur  di  Viterbo  . 

Ma  r  epoca  «lell'ovazione  e  del  trionfale  alloro,  che  doveva  ottenere  il  nostro 
Sebastiano  nella  città  eterna,  era  giunta,  e  gli  dischiuse  la  via  quel  Giulio  car- 


231 

cimale  de'  Medici,  che  fu  poi  salulalo  pontefice  sommo  scilo  il  nome  di  Cle- 
mente VII. 

Raffaello  cof^l' immollali  suoi  dipinti  della  seconda  sala  vaticana  aveva  toc- 
co l'apogeo  del  merito,  della  rinomanza  e  della  fortuna  .  L' incendio  di  Borgo, 
l'Eliodoro,  la  miracolosa  liberazione  di  san  Pietro,  e  quella  di  Roma  dalle  armi 
di  Attila,  mercè  dcH'apparizione  a  quel  formidabile  condottiero  de' due  Principi 
degli  Apostoli,  sono  quattro  poemi  degni  della  tromba  epica  dell'  Ariosto  e  del 
Tasso .  Lo  stile  di  Raffaello,  ingranditosi  gradatamente,  era  pervenuto  a  quel- 
la perfezione,  a  cui  non  fu  dato  di  giungere  ad  altro  moderno  pittore.  I  cartoni 
apparecchiati  per  la  gran  sala  di  Costantino,  e  le  infinite  altre  opere,  colle  quali 
aveva  egli  di  qua  e  di  là  dalle  Alpi  adornati  1  templi  e  le  pinacoteche  de'  prin- 
cipi e  degli  opulenti  protcggitori  delle  arti,  attestavano  una  terza  maniera  nel 
fare  di  Raffaello,  che  nulla  più  lasciava  a  desiderare  in  uomo  mortale  .  Ecco 
quell'Ercole  invitto,  con  che  doveva  misurarsi  il  nostro  Sebastiano  .  Non  si 
trattava  già  di  fare  un  Polifemo  allato  ad  una  Galatea,  com'era  avvenuto  nella 
Farnesina,  ma  siLbenc  di  trattare  sopra  una  vasta  tela  due  miracoli  operati  dal 
divino  Riparatore  .  Fu  dunque  dal  prelodato  cardinale  de'  Medici  proposto  a 
Raffaello  per  tema  della  sua  tavola  la  transfigurazione,  ed  a  Sebastiano  la  re- 
surrezione  di  Lazzaro . 

Un  morto  che  risorge  alla  voce  di  Dio  che  lo  chiama,  ed  alla  vista  di  un'  inte- 
ra città  accorsa  al  sorprendente  prodigio,  e  un  soggetto,  che  per  essere  esatta- 
mente trattato,  una  conoscenza  esige  profonda  del  cuore  umano.  Non  un  so- 
lo, cento  sono,  e  tutti  diversi  gli  affetti  che  fa  nascere  nell'animo  de' circostan- 
ti, quella  maravigliosa  sospensione  delle  leggi  «Iclf  ordine  naturale;  affetti  che 
il  pittore  trasportandosi  in  tutte  le  possibili  situazioni  esprimer  debbe  conde- 
gnamente. S'  egli  dipinge  sul  volto  e  negli  atti  di  tutti  lo  stupore  cagionato  lo- 
ro dall'alto  portento,  cade  in  una  noiosa  e  ridicola  monotonia,  e  dalla  verità  si 
allontana:  se  si  accinge  a  variarli,  quale  studio  non  debbe  egli  spendere  per 
conoscerli  a  fondo  e  per  esprimerli  convenevolmente, onde  non  dar  di  cozzo  nel 
falso  e  neir  esagerato  !  Naviga  egli  in  un  mare  procelloso  e  pieno  di  scogli,  e 
se  abbandona  coli' occhio  per  un  istante  la  stella  ch'esser  gli  dee  fidata  scor- 
ta, o  con  la  mano  lo  scandaglio  che  gli  deve  accennare  la  prolondilìi,  tutto  è 
perduto  . 

Ma  coir  inventare,  comporre,  disegnare  e  colorire  questa  famosa  tavola  alla 
1 1,  larga  8  piedi  e  cinque  oncie,  fé'  mostra  del  suo  bello  e  prestante  ingegno 
il  nostro  Sebastiano,  e  si  assicurò  un  titolo  alla  immortalità.  Lr»  scena  è  stipa- 
ta di  gente  accorsa  allo  strepitoso  miracolo,  cosicché  ne'  vani  degradati  piani 
della  prospettiva  tu  annoveri  teste  infinite  .  Lazzaro,  il  protagonisla  del  dram- 
ina,  che  trovasi  tra  1'  elemità    che  lascia,  ed  il  tempo   a    cui   fa  ritorno;    tra  il 


222 

morto  ed  il  vivo;  tra  il  desto  e  l'addormentato,  viene  rappresentato,  così  rispet- 
to al  fisico,  come  al  morale,  quale  s'addice  alla  straordinaria  sua  situazione  .  A 
similitudine  del  feto,  che  per  forza  d'una  legge  meccanica  muove  mani  e  piedi 
per  lacerare  l'involucro,  che  stretto  lo  tiene  nell'alvo  materno ,  Lazzaro  seduto 
sull'orlo  dell'avello,  sostenuto  quinci  e  quindi  da'  servi,  cerca  sprigionarsi  dal 
lenzuolo  e  dalle  fascio,  nelle  quali  trovasi  inviluppato.  I  suoi  occhi  cercano  quel 
taumaturgo,  la  cui  voce  lo  evocò  dal  regni  della  morte  ;  e  se  le  forze  non  gli 
mancassero, mostra  chiaramente  che  gli  sislancierebbe  a"  piedi  per  adorarlo.  Il 
Redentore  stassi  in  pie'  ritto,  e  mentre  la  sua  faccia  composta  a  maestà  e  la 
sua  destra  alzata  in  segno  d"  impero  manifestano  un  Dio,  che  sottomette  le 
creature  all'irresistibile  sua  volontà,  con  la  sinistra  rivolta  a  Lazzaro ,  il  con- 
forta ad  uscire  d'impaccio,  a  levarsi  su,  ed  a  godere  di  quella  nuova  vita,  che 
gli  ha  donata.  La  Maddalena  genuflessa  con  l'una  mano  che  tiene  sul  petto, 
mostra  la  compunzione  ognor  più  viva  de'  passati  suoi  falli,  e  con  Y  altra  che 
stende  al  Redentore,  il  ringrazia  di  averle  ridonato  il  fratello .  Marta,  che  non 
può  sostenere  ne  l'aspetto  d'un  Dio,  ne  l'aspetto  del  tremendo  prodigio,  confu- 
sa ed  esterrefatta  si  cuopre  con  ambe  le  mani  il  viso,  e  all'atterrito  sopracciglio 
fa  ombra .  San  Pietro  con  un  ginocchio  a  terra,  e  a  giunte  palme  adora  il  Re- 
dentore: sant'Andrea  sembra  stupefatto,  e  fuori  di  se  a  quella  vista,  e  la  nobi- 
le sicurezza  di  san  Giovanni  appalesa  eh'  e'  punto  non  si  sorprende  che  1'  uomo 
Dio  sconvolga  1'  ordine  della  natura,  la  quale  è  tutta  opera  sua .  Tu  scorgi  qua 
un  gruppo  di  persone,  che  a  vicenda  s'abbracciano  pel  contento,  che  quel 
Cristo,  di  cui  seguono  le  orme,  dia  cos\  strepitosi  e  certi  indizìi  di  sua  divinità 
e  della  verità  della  sua  missione  :  di  là  vedi  altro  gruppo,  ove  coloro  che  si  sen- 
tono venir  meno  a  quello  spettacolo,  appoggiano  il  capo  sulle  spalle  del  loro  vi- 
cino per  non  cader  tramortiti  ;  finalmente  tu  ne  miri  un  terzo,  ed  è  di  coloro, 
che  colpiti  dall'increscioso  e  ributtante  odore  della  nauseosa  putrefazione,  che 
nel  quattriduano  L;izzaro  andava  formandosi,  si  vanno  turando  con  le  mani  le 
nari,  con  che  danno  a  diveder  chiaramente  che  del  miracolo  non  havvi  chi  pos- 
sa dubitare .  La  varietà  delle  fisonomie,  quella  delle  mosse  e  del  colore  de'  pan- 
ni giudiziosamente  disposte  pei  contrasti,  le  masse  dell'ombre  e  de'  lumi ,  il  ri- 
lievo di  lutti  gli  oggetti,  mercè  della  fluidità  di  linee  ondeggianti,  di  contorni 
sfumanti  :  la  verità  in  fine  del  colore  che  imita  perfettamente  la  natura  :  tutti 
questi  pregi  riuniti,  che  tre  secoli  non  hanno  ne  distrutti,  ne  menomati,  mostra- 
tao  ad  evidenza  là  mano  maestra  che  dipinse  il  si  gran  quadro . 

Giovanni  Vendramini,  bassanese,  che  occupa  di  questi  giorni,  nel  trattare 
magistralmente  il  bullino,  quel  seggio  distinto  che  altra  volta  occupavano  in 
Londra  i  due  fratelli  Luigi  e  Nicolò  Schiavonetti,  ha  già  a  quest*  ora  inciso 
questo  stupendo  quadro  della  resurrezione  di  Lazzaro   in  dimensioni  eguali  al- 


223 

la  Iransfitr'irazione  «li  Pv affaldilo.,  pubblicata  dal  celebratissimo  cakografo  Mor- 
jrlicn .  In  tal  guisa  l'Italia  vede  rinnovarsi  tra  due  egregi  incisori,  egualmente 
suoi  lìiili,  quella  istessa  nobile  gara,  di  cui  fu  spettatrice,  traque'due  dipin- 
tori solenni. 

Questa  tavola  della  resurrezione  di  Lazzaro  fu  posta  nel  concistoro  in  paragone 
alla  transfio-urazione  di  Raffaello:  e  Z'(?hc//c,  dice  il  Vasari,  le  fatiche  di  Raffaello 
por  C  estrema  grazia  e  bcllc::za  loro  non  avessero  pari^  furono  nondimeno  an- 
che qiielìe  di  Sebastiano  universalmente  lodate  da  ognuno  .  Cotal  lode  uni- 
versale data  alla  tavola  di  Sebastiano  gli  merco  la  grazia  del  cardinale  de'  Me- 
dici :  e  le  larnhe  rimunerazioni  che  riportonnc,  il  fecero  risguardare  pel  prima- 
rio pittore  di  Roma,  dopo  che  precocemente  chiuse  gli  occhi  il  grande  Raf- 
faello, ad  esclusione  di  tutti  gli  allievi  di  lui,  non  eccettuati  tampoco  1  più  fa- 
mosi .  La  posterità  assegnò  a  cotesto  dipinto  il  grado  che  meritavasi;  e  se  alle 
meraviglie  della  pittura  risorta  ascrisse  la  detta  transfigurazione  di  Raffaello, 
il  san  Pietro  martire  di  Tiziano,  il  giudizio  universale  di  Michielangelo ,  il  san 
Girolamo  del  Correggio,  la  cena  di  Leonardo  da  Vinci,  la  deposizione  di 
Croce  di  Daniello  da  Volterra,  la  comunione  di  san  Girolamo  del  Domenichi- 
no,  non  tralasciò  di  ascrivervi  la  resurrezione  di  Lazzaro  del  Luciani  .  Questa 
tavola  spedita  dal  cardinale  de'31edici  alla  cattedrale  di  IVarbona,  luogo  di  sua 
cpiscopal  residenza,  formò  poscia  parte  della  decantata  pinacoteca  del  duca  di 
Orleans,  la  quale  ne'  fortunosi  tempi  della  rivolta  fu  trasportata  in  Ino^hilterra, 
ove  rimasto  quel  principe  per  tutto  il  tempo  che  durò  la  cacciata  de"  Borbo- 
ni dalla  Francia  col  suo  numeroso  seguito  senza  sussidii,  dovette  venderla  ad 
un  pubblico  incanto .  Della  sola  resurrezione  si  sono  ricavate  1^,000  lire  ster- 
line. Presentemente  è  la  gioia  preziosa  di  una  quadreria,  che  11  governo  bri- 
tannico acquistò  per  67  mila  lire  sterline  a  vantaggio  di  que'  giovani,  che  allo 
studio  si  dedicano   delle  arti  belle  (a) . 

Se  andasse  esultante  Agostino  Chigi  nel  contemplare  giunto  al  colmo  della 
gloria  nello  studio  pittorico  il  suo  Sebastiano,  mercè  della  da  lui  valorosamen- 
te condotta  tavola  della  resurrezione  di  Lazzaro,  può  figurarselo  di  leggieri  il 
lettore,  ove  non  gl'incresca  rammemorare  che  il  Chigi  fu  quegli,  che  dal  primi 
saggi  che  aveva  veduti  da  quel  dipintore  nel  maneggio  del  pennello,   ebbe  ad 


(«)  Di  (juesle  Dotizlc  e  di  più  allre,  clie  mi  furono  di  grande  ajuto  nella  compilazione  di  questo 
Saggio,  sono  debitore  al  slg.  Alvise  Aibrizzi,  il  quale  possedè  una  preziosa  raccolla  di  libri  e 
di  oggetti  di  belle  ai  li  di  che  tiene  una  non  comune  perizia  in  conseguenza  de'suoi  studii, 
de' suoi  viaggi  e  del  suo  commercio,  ed  al  quale  io  mi  reputo  in  dovere  di  qui  dare  unapub- 
blica  e  solenne  testimonianza  di  riconoscenza. 


Zìi 


argomentare  con  quel  suo  squisitissimo  gusto  e  finissimo  tatto  nelle  arti  inge- 
nue, di  che  trovavasi  per  una  specie  di  naturale  istinto  dotalo,  a  quali  arditis- 
simi voli  avrebbe  egli  le  agili  penne  in  processo  di  tempo  drizzale .  Ni;  si 
slette  il  Chigi  in  sul  tributare  sterili  alti  di  ammirazione,  e  vane  lodi  ed  ap- 
plausi a  Sebastiano  ;  ma  ansioso  di  procacciargli  novelle  palme,  e  di  tornargli 
utile  mecenate,  volle  che  1'  altra  gran  tavola  colorisse,  eh'  egli  poi  non  vide 
compita,  e  che  il  torrente  della  rivoluzione  travolse  in  Parigi  nella  pinacoteca 
dell'  imperatrice  Giuseppina,  la  quale  in  conto  tenevala  della  più  preziosa 
gemuta  di  quella  ricca  sua  collezione,  donde  varcò  in  appresso  ali"  altra  di  Mo- 
naco, quando  cessò  di  vivere  1"  illustre  donna  (6)  . 

San  Nicolò  vescovo  di  Mira,  che  fu  altra  volta  capitale  della  Licia  nell'Asia 
minore,  n'  è  il  protagonista  .  Le  reliquie  di  lui  trasportate  di  furto  a  Bari  nel 
regno  di  Napoli  per  sottrarle  alla  profanazione  saracinesca  formano  ivi  1'  og- 
getto della  venerazione  della  Chiesa  latina,  non  altramente  che  della  greca. 
AdornoUo  il  pittore  di  tutta  la  maggior  pompa  episcopale,  cosicché  tu  gli  vedi 
scendere  dagli  omeri  e  camice,  e  croce,  e  stola,  e  dalmatica,  e  fimbriato  piviale, 
mentre  i  serici  sandali  gli  avvolgono  i  piedi.  Stringe  con  la  destra  il  pastorale, 
e  con  la  sinistra  il  volume  de' sacri  riti  sostiene.  Assorto  stassi  il  gran  santo  in 
Dio,  e  se  vacue  ed  attente  orecchie  gli  presti,  parratti  udire  il  suono  delle  da- 
vidiche salmodie  uscire  articolate  dalle  mirabilmente  mosse  sue  labbra.  D'oro 
e  di  gemme  Intessuti  sono  i  sacri  indumenti,  ne' quali  tu  scerni  espresse  dall' in- 
dustre  pennello  foglie,  fiori  e  figure  rappresentatrici  di  sacre  storie  con  una  ve- 
rità che  t'invita  a  stender  la  mano  ad  iscio^liere  il  ben  tessuto  ins-anno  ;  e  la 
soffice  e  luccicante  superficie  de' velluti  così  ove  il  lume  cade,  come  ove  sfugge, 
fanno  contrasto  agli  aurei  gemmiferi  arredi.  Sovrastano  al  santo  sopra  leggere 
nufroletle  da  soave  zeffiro  airitate  due  a^nolelti.,  che  ne  be' volti  non  picciola 
parte  portano  di  paradiso  ;  essi  gli  tengono  sospesa  sul  capo  la  sontuosa  mitra 
in  atto  di  coronare  la  veneranda  canizie.  Hacci  a  destra  di  lui  il  Precursore,  al- 
le cui  carni  abbronzate,  alla  chioma  scarmigliata,  al  negletto  onore  del  mento, 
alle  ispide  ferine  pelli,  che  cuoprono  porzione  di  sua  nudità,  l'abitator  del  deser- 
to tu  subito  riconosci,  che  di  mele  e  di  locuste  si  nutre,  e  che  alle  turbe,  che  il 
sieguono,  con  insolita  tren>enda  voce,  simile  al  fragore  di  molte  acque,  che  pre- 
cipitano giù  per  la  china  di  dirupato  monte,  annunzia  la  venuta  del  tanto  atte- 
so Messia,  inlima  austera  penitenza  per  accoglierlo  condegnamente,  mentre  al- 
la vindice  ira  sua  abbandona  quella  generazione  di  vipere,  che  confessar  noi 
vorrà .  Sostiene  il  Ballista  un  libro  riccamente  coperto  ;  sopra  cui  vestito  di 
candido  ricciuto  finissimo  vello  assiso  stassi  il  mansueto  agnellino,  vittima  inno- 
cente al  grande  sacrifizio  espiatorio  e  propiziatorio  designata:  e  giù  il  senti  fle- 
bilmente belare  alla  vista  dell'  amaro  calice  che  vuotar  debbe  sino   alla  feccia . 


I 

225 

Il  prodigioso  magistero  Jcl  chiaroscuro  ti  fa  reclorc  il  braccio  e  la  mano  del 
santo,  il  libro  e  1'  agnello  così  spiccati  e  saglicnti,  che  fuori  del  quadro  crede- 
resti vederli,  ed  alla  niente  tosto  li  ri<;orrono  le  parole  che  scrisse  Plinio  alla 
7Ìsta  dell'Alessandro  fulminante  d'Apcllc:;^rf/,q^/^/  eminere  vidcniur  et  fulmen 
extra  tabulam  esse  ■  A  sinistra  poi  dell'  antistite  mircnse  grave  sorge  per  vene- 
rabile aspetto  l'apostolo  Andrea,  che  ne  ascolta  e  ne  accompagna  divotamente 
le  preci.  Un  panno  di  porpora  gli  avvolge  le  membra,  e  gli  s'innalbera  dappres- 
so quella  stessa  croce,  sopra  la  quale  doveva  confessare,  spirando  fra  i  martirii, 
la  verità  della  missione  del  divino  Maestro.  Quale  artiliziosamente  divisato  con- 
trasto nasca  dalle  maestose  gale  del  vescovo,  dal  succinto  vestir  dell'apostolo, 
dalle  spo"lie  selvaffire  del  Precursore  e  dalla  vaiietà  dei  colori  non  havvi  chi 
noi  ravvisi.  Le  arie  de'  santi  volti,  ove  la  luce  traspare  della  futura  glorihcazio- 
ne,  la  convenevolezza  del  portamento  e  la  prontezza  della  mossa,  le  larghe  pie- 
ghe de' panni,  il  rilievo  degli  oggetti,  tale  fanno  nascere  un  accordo,  un'  armo- 
nia, un  sapore,  che  quanto  è  facile  il  concepirlo,  altrettanto  1  esprimerlo  è  ma- 
lagevole . 

Lo  stesso  Sebastiano  talmente  rimase  soddisfatto  di  cotesto  suo  insigne,  di- 
pinto, che  volendo  tramandare  a' posteri  la  prova  eh'  era  parto  de'  suoi  pennelli 
non  solo,  ma  che  inoltre  tenevalo  per  lavoro  al  tutto  perfetto,  vi  scrisse  sopra 
anno  millesimo  quingentcsimo  trigesimo  fecit  Schastianiis^  e  vi  aggiunse  poscia 
fecit  prò  Angustino  Cìiigi .  (^iKslo  scr'wcvc  due  volte  nell' istessa  epigrafe  il 
tempo  perfetto  del  verbo  fare,  ci  richiama  alla  memoria  1'  aneddoto  della  tavo- 
la dell'Annunziala  di  Tiziano,  il  quale  persuaso  che  nulla  aflatto  mancasse  a  quel 
suo  dipinto,  malgrado  delle  critiche  di  certi  scioli  protervi,  cancellò  sdegnato 
il  tempo  imperfetto  del  verbo  fare,  cioè  lìjaciebat  che  aveavl  apposto  prima 
per  modestia,  e  invece  scrissevi  \mpa/ìcale  := fecit  fecit . 

Non  vuoisi  negare  che  la  morte  di  Rafl'aello,  dall  italiana  e  da  tutte  le  nazio- 
ni europee,  già  avanzate  nella  civiltà  e  nel  gusto  per  le  arti,  deplorata,  non  sia 
riuscita  di  danno  anche  a  Sebastiano,  quantunque  in  Roma  posto  lo  avesse  nel 
primo  seggio  delta  pittura,  di  che  fede  certa  ce  ne  rende  il  biografo  aretino . 
Cessato  lo  stimolo  dell'emulazione,  certo  è  che  si  sarà  raffreddato  il  fervore  di 
studiare  e  quello  di  lavorare,  che  renduto  aveano  sollecito  e  pronto  Sebastiano 
pi 'u  che  la  sua  natura  forse  noi  comportava.  Non  si  debbe  per  altro  così  di  leg- 
gieri ed  alla  lettera  ammettere  quella  accusa  di  lento  ed  irresoluto  che  gli  vie- 
ne data  dal  biografo  aretino,  il  quale  alle  volte  non  adopera  uè  tempo,  uè  mi- 
sura per  maturare  e  moderare  li  suoi  precipitati  ed  enormi  giudizii . 

Dna  delle  ragioni,  per  le  quali  procedeva  adagio  ne  suoi  lavori  Sebastiano, 
forma  il  suo  più  beli"  elogio .  Imperciocché  ciò  derivava  da  quell  ultimo  apice  di 
perfezione,  a  cui  conduceva  egli  i  dipinti,  cosicché  rilevate,  vive,  sanguigne  e 
29 


226 

fiaminej^g'ianli  apparla:io  le  figure  ila  lui  ra|iprcsenlatc,  Io  die  non  si  otlienc  se 
non  sovraj)ponen(lo  colore  a  colore,  e  degradando  i  contorni  per  via  di  mezze 
tinte  e  con  tocco  legger  di  pennello,  e  ciò  sino  a  che  ogni  linea  fondendosi  e 
perdendosi  faccia  nascere  l'illusione,  che  stendendovi  la  mano  sentir  si  dovesse 
il  largo  ed  il  profondo  delle  membra  e  delle  vesti,  ove  alcuno  s'invogliasse  di 
palparle  .  Cotal  miracolo  dell'  arte  di  rendere  in  apparenza  solidi  i  corpi  lineari 
e  superficiali,  lor  dando  tutte  le  dimensioni,  non  è  slato  operato  che  da  Giorgio- 
ne,  da  Tiziano,  dal  Correggio  e  da  Sebastiano  . 

Protogene  si  rendette  famoso  tra  i  greci  pittori  per  qnell'  ultimo  grado  di 
perfezione  che  dare  voleva  a' suoi  dipinti,  mercè  una  diligenza,  di  cui  fu  model- 
lo od  esemplare  a  se  stesso,  come  lo  fu  tra  i  moderni  Sebastiano.  Il  liglio  del 
sole  e  della  ninfa  Acanto,  il  bellissimo  lalisso  che  i  Rodiani  venerarono  fjual  lo- 
ro fondatore  ed  eroe,  dipinto  che  venne  lodato  a  cielo  da  tutti  gli  scrittori  del- 
l'antichità,  gli  costò  ben  sette  anni  di  assiduo  lavoro,  quantunque  nuli' altro  rap- 
presentasse, che  un  cacciatore  e  l'  ansante  suo  veltro  .  Plinio  ci  narra  che,  so- 
vrapponendo uno  sull'altro  quattro  strati  di  colore,  erasi  egli  avvisato  di  con- 
servare cotesto  suo  dipinto  per  mille  secoli  e  mille.  Certo  è  che  la  Venere  Ana- 
diomène di  Apelle,  che  avea  costato  a'  Romani  al  tempo  di  Augusto  cento  talen- 
ti euboici,  e  che  il  più  bel  fregio  lormava  del  tempio  dedicalo  a  Giulio  Cesare, 
trovavasi  sotto  l' impero  di  Nerone  al  tutto  guasta  dalla  carie,  e  che  all'  oppo- 
sto il  lalisso  di  Protogene  risplendeva  di  sempre  nuova  bellezza  nel  tempio  del- 
la Pace,  che  Vespasiano  avea  addobbato  delle  più  ricche  e  preziose  spoglie 
della  distrutta  Gerusalemme.  Forse  esisterebbe  tuttavia  e  lo  si  additerebbe  in 
fra  i  capolavori  dell'antichità,  se  stalo  fosse  locato  nel  Panteon,  piuttoslochè 
nel  tempio  della  Pace,  che  fu  deplorabil  preda  di  voraci  fiamme  nella  stagione, 
in  che  infuriava  sopra  i  Romani  quella  belra  sanguinaria  di  Commodo . 

Fa  di  mestieri  altresì  riflettere  che  Sebastiano  incominciava,  continuava  e  li- 
niva  le  proprie  pitture  senza  collaboratori,  a  differenza  di  Raffaello,  di  cui  veg- 
gonsi  in  tanto  numero  moltiplicali  gli  originali  e  le  copie,  e  condotti  quadri  tan- 
to macchinosi,  sì  a  fresco,  e  sì  all'  olio,  perchè  aveva  cinquanta  allievi,  dei  qua- 
li 1  più  capaci  impiegava  nell' abbozzare  i  suoi  disegni,  dandovi  poi  egli  stesso 
l'ultima  mano  .  Se  a  Giulio  Pippi,  a  Gianfrancesco  e  Luca  Penni,  a  Perino 
Buonaccorsi  dello  del  Vaga,  a  Giovanni  da  Udine,  a  Polidoro  da  Caravaggio, 
a  Benvenuto  da  Garofalo,  a  Raffaello  del  Colie,  e  così  a  tanti  altri,  de'  quali 
per  brevità  si  tacciono  1  nomi,  si  dovesse  rendere  ciò  che  apposero  di  proprio 
nelle  opere  dell'Urbinate,  resterebbe  di  lui  poco  più  dei  cartoni  e  dei  tocchi 
finali  . 

In  ultimo  luogo  è  da  dire  che  se  Sebastiano  non  eseguì  le  pitture  allogategli 
dal  Chigi  alla  Madonna  del  Popolo  nella  cappella,  ove  gli  si  doveva  erigere  un 


227 

momimcnto  sepolcrale:  se  non  compiè  l'altra  nella  chiesa  della  Pacc.^  ove,  di- 
ce il  Vasai-i.,  elio  quella  parte  che  j e  ce  è  bellissima  pittura;  anche  le  monache 
di  Monte  Lucci  in  Perugia  aspettano  11  quadro  dell"  Assunta,  che  s'  era  obbli- 
galo di  far  loro  RalTaello  con  iluc  scritture  una  dell'  anno  i5o5,  l'altra  dell'anno 
1 5  1 6  :  malgrado  che  gli  fosse  stata  anticipata  una  parte  del  prezzo  convenuto  ; 
e  la  famiglia  Dei  di  Firenze,  se  mal  per  avventura  anche  al  di  d'  oggi  sussiste, 
aspetta  del  pari  che  RalTaello  compisca  quella  cappella,  che  s'  era  impegnato  di 
dipnigere  nella  chiesa  dello  Spirito  santo. 

Per  altro  questo  scioperato  •  ed  accidioso  uomo  di  Sebastiano  (al  dire  del 
biografo  aretino  )  dnpo  la  morte  di  Raffaello,  ed  in  tempo  che  nulla  aveva  a 
temere  ne  da  lui,  uè  dalla  numerosa  sua  scuola,  che  al  solo  grido  del  suo  nome 
aveva  egli  fugata  e  dispersa,  compose  quel  terribile  quadro  del  martirio  di  san- 
ta Agata,  che  ignuda  stassl  fra  1  carnefici  che  le  strappano  le  poppe ,  e  fa  rab- 
brividire ed  agghiacciare  il  sangue  a  chi  la  mira .  La  composizione,  11  disegno, 
l'espressione,  il  colorito  sono  In  questo  quadro  ciò  che  può  immaginarsi  di  più 
perfetto  :  desso  è  una  vera  inspirazione  del  genio .  Il  Vasari  lo  chiama  cosa  ra- 
ra, ne  potè  astenersi  dallaggiungere  che  desso  non  è  punto  inferiore  a  mol- 
ti quadri  bellissimi  che  sonovi  di  mano  di  Raffaello  d  Urbino  ,  di  Tiziano  e  di 
altri.  Ecco  però  avvicinate  tutte  le  distanze,  ecco  sciolte  tutte  le  controversie, 
ecco  collocato  Luciani  su  quell'altare,  che  nel  tempio  della  pittura  gli  è  dovu- 
to .  Cotesto  spettacolo  tragico,  in  cui  non  mancano  a'  personaggi  che  lo  rappre- 
sentano, se  non  gli  accenti,  fu  fatto  di  commissione  del  cardinale  d'Aragona.' 
Passò  poscia  nella  pinacoteca  di  Guidubaldo,  duca  di  Urbino  ,  ed  ora  si  trova 
riunito  a  molti  insigni  monumenti  di  pittura  nella  galleria  di  Firenze,  ove  splen- 
de quasi  stella  fulgidissima . 

La  sant'Anna  In  sant'Agostino,  ed  il  san  Sebastiano  nella  sagrestia  de' padri 
Serviti  di  Perugia,  passano  per  opere  del  valorosissimo  nostro  pittore.  Lo  sba- 
dato di  lui  biografo  o  non  si  curò  di  conoscere,  ovvero  non  si  curò  di  descrive- 
re molti  de' suoi  dipinti .  In  tal  guisa  l'accusa  di  accidia,  onde  vituperollo,  pren- 
deva un  colore  di  maggior  probabilità . 

La  parte  della  pittura,  nella  quale  non  fu  ad  alcuno  secondo,  a  non  dire  che 
andò  innanzi  a  tutti  il  nostro  Sebastiano,  è  stata  quella  de'  ritratti  .  Siccome  la 
pittura  neir  aurea  età  del  suo  risorgimento  non  fu  che  una  fedele  Imitazione  del- 
la natura,  cosi  1  sommi  artisti,  dato  bando  ad  ogni  fantasia  e  ad  ogni  capriccio, 
se  trattavasi  di  persone  umane  ne"  quadri  di  composizione  prendevano  a  model- 
lo le  viventi ,  come  quelle  le  quali  più  perfette  ed  accomodale  lor  sembravano 
essere  a  quel  soggetto,  che  intendevano  rappresentare  :  e  se  qucll  individuo  che 
eletto  avevano  per  beli'  aria  di  testa  non  era  poi  nel  resto  delle  membra  confor- 
mato secondo  le  desiderate  proporzioni  ,  copiavano  la  sola  testa,  ed  altro  indivi- 


228 

iluo  ccrcarauo.j  clic  m^ni'jra  avesse  avuto  piuben  coiiii)Icsse.  Per  tal  modo,  senza 
forse  avvedLTScne,  mentre  a  niiH' altro  alla  per!i?iL'  andavano,  che  alla  iinitazio- 
ne  (Iella  natura,  pervenivano  al  bello  ideale  .  Se  ad  un  pittore  pertanto  chiesta 
si  fosse  ragione  di  personaggi  di  diverso  sesso,  età,  condizione  popolatori  del  suo 
quadro,  egli  potuto  avrebbe  additare,  come  Zcusi,  al  dire  di  Cicerone,  allorché 
volle  effigiare  un'  Eiena,  (juali  parti  ad  imitar  prese  avesse  da  tale  e  tale  al- 
tro individuo,  adducendo  anch' ei  la  ragione  del  greco  pittore  ,  la  qual  e  che 
non  gli  era  avviso  di  poter  rinvenire  compilate  in  un  sol  corpo  le  qualità  tutte , 
eh'  e'  cercava ,  spettanti  alla  verace  bellezza,  conciossiachè  la  natura  alla  sem- 
plice operando  ninna  cosa  in  tutte  sue  parti  perfezionò:  ncque  enim  piitavit 
omnia  quae  quaereret  ad  vcnnstatem  uno  in  corpore  se  reperire  posse  ^  ideo 
quod  nihil  simplice  omnibus  ex  partibus  natura  cacpolivit. 

Per  questa  cagione  tale  acquistarono  una  facilità  i  pittori  di  quell"  epoca  di 
ritrarre  le  immagini  delle  persone  viventi,  migliorandole  nel  copiarle,  che  nien- 
te vi  sarebbe  a  maravigliare  se  come  le  uve,i  veli,  le  cornici,  i  libri  dipinti  han- 
no incannati  irli  animali  e  sii  uomini,  il  ritratto  di  Carlo  V  a  cavallo  latto  da 
Tiziano,  e  posto  sopra  una  loggia  abbia  agli  occhi  del  medesimo  figlio  di  lui  in- 
generato una  tale  illusione,  che  scoperto  il  capo  in  atto  riverente,  gli  si  sia  ac- 
costato indirizzandogli  il  discorso,  e  che  il  cardinal  Cesi,  datario  apostolico,  sia- 
si genullcsso  dinanzi  all'altro  di  Leone  X  eseguito  da  Raflaello,  presentando- 
gli delle  bolle,  aflinchè  le  sottoscrivesse. 

Il  Vasari  anuli'  esso  dipintore  e  contemporaneo  di  Sebastiano  non  esita  pun- 
to in  alfermare  che  nei  ritratti  era  egli  a  tutti  supcriore  ;  che  i  personaggi  che 
eflìgiò  paremno  propriamente  vivi  che,  oltre  alla  perfetta  rassomiglianza,  erano 
pitture  rare  e  stupende^  che  si  custodivano,  quali  preziosissime  gioj'e:  che  l'in- 
tera Firenze,  madre  e  nutrice  delle  arti  belle,  in  veggendonc  taluni  ebbe  a  ma- 
raviirliare:  che  riuscì  egli  nelle  teste  e  nelle  mani  eccellentissimo. 

Uomini  per  ingegno  e  dottrina  celebratissimi  che  furono  sollevati  ad  eminenti 
seoiri  non  "-ià  dall'aura  della  cieca  ed  instabii  fortuna,  ma  sì  da  quella   ben  niìi 

eoo  ^11 

gloriosa  delle  proprie  virtù,  sonosi  mostrati  estremamente  solleciti  di  essere  ri- 
tratti da'pennelli  di  Sebastiano  .  Fra  le  molte  testimonianze  quella  citeremo 
soltanto,  che  per  chiarezza  di  nome  tutte  le  avanza .  Claudio  Tolomei  famoso 
non  solo  per  essersi  fatto  sdottorare  con  quella  stessa  solenne  pompa ,  con  che 
era  stato  addottorato,  ma  per  aver  voluto  altresì  ridurre  1  versi  italiani  al  me- 
tro ed  all'  armonia  de' latini;  Claudio  Tolomei  che  fondò  in  fra  le  altre  l'accade- 
mia della  T'irtù  composta  d  ogni  maniera  di  scienziati  per  hssare  il  testo,  dl- 
chiarire  i  passi  oscuri  ed  ambigui,  esporre  con  bene  accomodate  immagini  la 
dottrina,  illustrare  con  l'ajuto  dell'archeologia  il  trattato  dell'arte  cdihcatoria 
del  Vitruvio  Polione  :  Claudio  Toloi.nei  che  servì  la  casa  jMedicea  e  la  Farnese 


239 

in  oravissline  lor-azioni  presso  a' primi  potcnlnli  del  mondo,  e  che  in  quella  gui- 
sa stessa  die  Cicerone  ilifcsc  il  re  Dejotaro  arringò  innanzi  a  Carlo  V  la  causa 
del  pontefice  Clemente  ^'II:  Claudio  Tolomei  che  lasciò.^  oltre  ad  un  epistolario, 
delle  orazioni  degne  della  commendazione  dell'  immortale  storiografo  della  rc- 
puLhlicn  delle  lettere  italiane:  Claudio  Tolomei  che  pesar  sapeva  sopra  giuste 
Lilancic  il  valor  degli  artisti,  come  quegli,  che  ne  possedeva  la  scienza,  e  ne 
conosceva  le  meccaniche:  Claudio  Tolomei,  diccvasi,  impiegò  ogni  più  seducen- 
te lenocinio  di  parole  in  una  sua  lettera  del  di  20  agosto  1  543  per  indurre  Se- 
bastiano a  fargli  il  ritratto  .  L'  espressioni  ond'  è  concepita  questa  lettera  torna- 
no s\  (attamente  in  onore  del  pittor  nostro,  che  ci  crediamo  in  dovere  di  trascri- 
Tcrne  uno  squarcio,  u  Parmi  (  scriveva  egli  )  che  se  l'eccellenza  della  cosa  dc- 
n  sidorata  iscnsa  in  quatciic  parte  il  desidcratore,  che  io  debba  ragionevolmente 
«  essere  iscusato  di  questo  mio  desiderio,  perchè  lo  desidero  cosa  eccellentissi- 
«  ma,  desiderando  di  essere  ritratto  per  la  divinisslma  vostra  mano,' da  cui  esco- 
n  no  opere  che  invaghiscono  l'animo,  nutriscono  l'intelletto  :  le  quali  con  ma- 
»  raviglia  sono  considerate  da'  dotti,  con  istupor  mirate  dal  volgo  .  Kè  son  già 
n  di  quel  severo  giudizio  che  fu  Alessandro  Magno,  il  quale  non  voleva  che  al- 
«  tri  lo  dipingesse,  se  non  Apelle  :  anzi  per  lo  contrario,  purché  voi  mi  dipinge- 
«  ste,  non  mi  curerei  che  mille  altri,  men  che  mezzani  dipintori  mi  dipingesse- 
>)  ro,  e  forse  maggiormente  apprezzerei,  e  molto  più  cara  mi  sarebbe  la  vostra 
«  bellissima  dipintura  .  Potrei  con  molti  preghi  e  con  varie  ragioni  assalirvi,  e 
»  lo  farci  forse  s'io  non  conoscessi  che  per  voi  stesso  più  di  me  siete  a  ciò  fare 
)i  infiammato  :  onde  mi  parrebbe  far  troppo  gran  torto  all'  amorevolezza  vostra, 
n  se  io  volessi  con  luoghi  di  rettorica  e  con  forza  di  argomenti  espugnarvi.  So- 
li lo  vi  dirò  che  quando  da  voi  mi  venga  grazia  tanto  singolare,  come  spero,  al- 
1)  lora  mi  parerà  aver  guadagnato  uno  specchio,  il  quale  io  sempre  chiamerò 
«  specchio  divino,  perchè  in  quello  vedrò  voi  e  me  stesso  insieme  .  Voi,  veden- 
>i  do  neir  immagine  mia  la  vostra  singolare  virtù  e  il  vostro  maraviglioso  artifi- 
»  zio:  me  vedendo  nell'  arte  vostra  espressa  vivamente  la  mia  immagine, la  qua- 
li le  mi  sarà  continuo  stimolo  a  purgare  1'  anima  di  molti  suoi  mancamenti,  non 
j)  solo  per  quel  rispetto  per  lo  qual  Socrate  volea  che  i  giovani  si  guardassei^ 
))  nello  speecliio,  ma  molto  più  perchè  vedendovi    dentro  molti  luminosi  rajro-l 

"  delle  vostre  virtù  mi  si  accenderà  l'anima  a  bel   desiderio  d'onore   e  di  d-Io- 

c 

"  ria  "  .  Non  si  può  leggere  questa  lettera,  ordita  con  singolare  artifizio  orato- 
rio, senza  sovvenirsi  di  quella  che  indirizzò  Cicerone  a  Lucejo  aftinché  la  storia 
della  guerra  catilinaria,  del  suo  esilio  e  «lei  suo  ritorno  scrivesse,  lettera  che 
passa  ben  a  ragione  per  un  miratolo  di  eloquenza  .  Anzi  quando  si  richiamino 
alla  m  emoria  le  parole  =  ardeo  cupiditate  incredibili^  neqtie^  ut  ego  arbitrar^  re- 
prehendcnda,  iiomcii  ut  nostrum  scriptis  illustretur  et  cclebretur  luis:  e  tutto 


quel  più  che  per  b^evlt^  si  tralascia,  è  gluocoforza  convenire  che  il  Toloinel 
stiuliò  d'imitare  nella  lettera  teste  riportata  il  romano  oratore'.  A  noi  basta  di 
aver  dimostro  che  da  personaggi  preclarisslmi  cosa  d' inestimabile  valore  consi- 
deravasi  essere  da  questo  insigne  dipintore  tramandati  a'  posteri . 

E  cosi  per  certo  la  cosa  doveva  essere ,  se  i  sommi  pontefici,  demente  VII, 
Adriano  VI,  Paolo  IH,  se  Caterina  de'  Medici,  che  divenne  poscia  regina  di 
Francia,  vollero  essere  da  lui  ritratti  ;  se  si  compiacquero  che  da  questo  incom- 
parabile pennello  venissero  trasmessi  alla  posterità  i  loro  volti  Ferdinando  mar- 
chese di  Pescara,  Marc'  Antonio  e  Vittoria  Colonna,  il  generale  dell'  armi  del 
gran-duca  Cosimo  I,  Giambattista  Savcllo  e  il  celeberrimo  ammiraglio  geno- 
vese Andrea  Doria:  se  inline  si  sono  ascritti  a  vanto  di  essere  ritratti  da  lui  An- 
tonio Francesco  degli  Albizi,  Baccio  Valori,  Federico  da  Bozzolo  e,  per  tacere 
di  altri  parecchi,  1'  ambiziosissimo  degli  uomini  Pietro  Aretino,  la  più  bella  non 
solo,  ma  la  più  casta  infra  le  donne  di  quell'età  Giulia  Gonzaga,  che  impalmò 
ed  amò  sempre  del  più  tenero  affetto  conjugale  Vespasiano  Colonna,  comunque 
vecchio  ed  infermo  . 

Ne  far  dobbiamo  le  maraviglie,  se  per  testimonianza  del  Vasari,  l'  effigie  di 
costei  riuscì  pittura  divina^  allorché  ci  porremo  a  considerare  la  somma  perizia 
della  mano  che  la  condusse,  ed  i  pensieri  da'  quali  la  mente  di  lui  doveva  esse- 
se  assalita  e  riscaldata,  mentre  ili  quella  tela  distendeva  le  famigerate  sue  me- 
stiche .  In  essa  donna  contemplare  egli  doveva  certamente  una  moderna  figlia 
di  Leda,  in  pensando  che  la  fama  delle  angeliche  di  lei  forme  divulgatasi  sino 
neir  oriente  avevano  Invaghito  Solimano  imperatore  de' Turchi,  il  quale  l'ar- 
dente desiderio  aveva  concepito  d'impossessarsene  di  viva  forza  per  d'essa  for- 
mare r  ornamento  più  vago  del  suo  serraglio.  Del  divisato  rapimento  fatto  egli 
ebbe  ministro  il  più  audace  de'  seguaci  di  Maometto,  il  troppo  celebre  Barba- 
rossa,  che  alla  testa  d'un  numeroso  stuolo  di  masnadieri  non  mancò  d' irrompe- 
re improvvisamente  nella  terra  di  Fondi,  e  di  penetrare  nel  castello,  ove  la 
Giulia,  orba  del  marito,  solitaria  viveva  nell'  esercizio  d'  ogni  virtù .  Per  buona 
sorte  il  colpo  andò  a  vuoto:  ma  la  fantasia  del  pittore  immaginando  che  fosse 
ilo  ad  effetto  avrà  veduto  scoppiar  di  nuovo  le  scintille  della  combusta  Troia, 
avvegnaché  i  principi  italiani  per  vendicare  1'  onta  da  quel  barbaro  all'  onor  na- 
zionale, ed  alla  religione  degli  avi  recata,  inanimiti  da  quello  spirito  cavallere- 
sco e  guerriero,  di  cui  pieni  erano  in  quell'  età,  ad  imitazione  de'  principi  greci, 
oste  poderosa  in  mare  ed  in  terra  avrebbero  congregata,  ed  accostatisi  alle  con- 
scie mura  di  Costantino  chiesta  avrebbero  la  novella  Elena  all'infame  suo  rapi- 
tore .  Nel  bel  mezzo  dell'epica  visione  il  pittore  sarassi  immaginata  l'espugna- 
zione di  quella  metropoli  tanto  più  certa  e  sicura  quanto  che  combattuto  avreb- 
bero quegli  eroi  non  già  per  la  perfida  moglie  di  Menelao  che  il  ruzzo  di  tanti 


23l 

cimai  avca  ilisbramato,  ma  per  flonna  vereconda  e  puclica,  clic  avea  ricusata  la 
ilcslra  di  tanli  potenti  e  gentili  signori,  e  clic  per  dinotare  clic  avrebbe  serbata 
perpetua  fede  al  freddo  cenere  dell'  estinto  marito  scelto  avcasi  per  impresa 
un  amaranto,  o  fior  d'amore,  postovi  il  mollo  =  non  morituro. 

Pietro  Aretino  che  fu  amantissimo  della  musica  :  che  sacrificò  a  Taha  ed  a 
Melpomene  con  qualche  successo,  ed  a  Calliope  con  nessuno:  che  quanti:nfiiie 
nella  parie  sclenliiìca  delle  arti  belle  molto  avanti  sentisse,  pure  non  giunse  ad 
essere  più  che  un  mediocre  pittore;  che  con  la  stessa  (acilità  e  nel  tempo  sles- 
so scriveva  la  parafrasi  de'sette  salmi  di  penitenza,  e  11  trattalo  sull' umanità  del 
fin-linolo  di  Dio,  e  componeva  1  sedici  laidi  sonetti  sotto  altrettanti  osceni  grup- 
pi pitturati  da  Giulio  Romano  ed  incisi  da  3Iarc'  Antonio  Pvaimondi,  non  che  i 
troppo  famosi  dialoghi  della  genealogia  e  del  sozzi  fasti  delle  cortigiane  romane: 
che  con  uno  stratagemma,  che  usalo  da  altri  avrebbelo  strascinato  sul  rogo, 
con  la  minaccia,  cioè,  di  fuggire  In  Turchia,  e  di  farsi  maomettano,  se  non  ve- 
niva con  o"-nl  più  squisita  agiatezza  mantenuto,  guadagnò  l'amicizia  ed  esercitò 
la  liberalità  di  Giovanni  de' Medici  condottiero  prestante  delle  bande  nere:  che 
fu  condecorato  di  catene  e  medaglie  d'oro  e  di  titoli  onorifici,  ed  arricchito  con 
cospicue  pensioni  dai  due  emuli  Carlo  V  e  Francesco  I  in  guiderdone  di  vilis- 
sime  adulazioni,  onde  colmolll  in  isciolta  e  legala  orazione:  che  rappresentando 
nelle  sue  scritture  versatili  11  personaggio  ora  d'empio  ed  ora  di  santocchio,  slet- 
te in  sul  punto  di  disonorare  la  porpora  cardinalizia  ,  alla  quale  sotto  11  pontifi- 
cato di  Giulio  III  osò  di  aspirare:  che  morì  in  mezzo  ad  una  violenta  convul- 
sione di  risa,  aflinchè  come  in  vita,  cosi  anche  in  morte  tutto  in  lui  dimostrar 
piovesse  rinllucnza  degli  strani  capricci  di  cieca  fortuna  :  Pietro  Aretino,  diceva- 
sl,  per  una  colale  conformità  d'  ingegno  e  di  gusti  visse  In  Istrettissima  amicizia 
con  Sebastiano  (^),  e  fu  da  lui  colla  maggior  ddigenza  ed  amore  ritratto.  Il 
biografo  aretino  dopo  aver  la  effigie  di  lui  lodata  come  somigliantissima  e  stu- 
pendissima pittura  soggiunge  «  che  vi  si  vede  la  differenza  di  cinque  o  sci  sor- 
»  ta  di  neri,  eh'  egli  ha  addosso,  velato,  raso,  cremeslno,  damasco  e  panno  : 
«  ed  una  barba  nerissima  sfilata  tanto  bene,  che  più  non  può  essere  il  vero  e  na- 
si turale  ».  Pende  dalle  pareti  della  sala  del  comune  d'Arezzo  questo  ritratto, 
ma  il  tempo  struggitore,  tale  ne  fece  un  guasto,  cui  1'  arte  non  si  curò  di  ap- 
porvi riparo,  che  appena  locchio  per  mezzo  alle  spesse  screpolature  ed  alla  ne- 
ra fuliggine  può  discuoprirvl  qualche  debole  vestigio  dcll'anlico  dipinto. 

ÌVon  v'ebbe  sicuramente  veruno  ne  prima,  ne  poi  che  lo  uguagliasse  nell' effi- 
giare guerrieri  :  tanto  era  lo  spirito  e  la  fierezza  che  infóndeva  in  que' sembian- 
ti .  Tra  le  molte  altre,  l'effigie  ch'esiste  nella  regia  galleria  di  Firenze,  rap- 
presentante un  Incognito  capitano,  fa  di  ciò  piena  fede  :  ed  è  molto  probabile 
essere  quell'incognito  il  Savello  teste  nominato.    Ha  costui  armalo  il  petto  ili 


233 

un  corsaletto  di  brunito  acciajo  affibbiato  a  due  coreggiuoll  clic  gli  calan  da- 
gli omeri,  e  tenendo  la  destra  sull'  impugnatura  delia  spada,  presenta  quasi  in- 
tera la  faccia  in  fermp  e  risoluto  atteggiamento .  Folta  bipartita  barba  di  co- 
lor castagnuolo  gli  orna  il  mento  e  le  guance  ;  ha  in  capo  un'  ampia  berretta , 
guarnita  di  aurei  bottoncini  e  di  pennacciilo,  e  indosso  una  camicetta  'allacciata 
da  collo  con  cordellina  di  lino,  ed  una  sopravveste  bigia  trinciata  sui  lombi,  di 
sotto  alla  quale  emergon  le  maniche  del  sajo  di  drappo  chermisi.  Il  campo  offre 
allo  sguardo  una  campagna  nuda  con  nel  fondo  una  fortezza,  e  nel  primo  piano 
alcune  piante  di  alloro,  che  sembran  sorgere  spontanee  al  destro  lato  della  fi- 
gura per  coronarne  i  trionfi.  Il  caldo  e  fosco  color  delle  carni,  la  sicurezza  e  se- 
verità dello  sguardo,  la  mossa  pronta  e  risoluta,  e  l'  alta  e  maestosa  presenza 
palesano  un  uom  di  gran  forza  e  dì  gran  cuore  .  E  questa  fierezza  e  austerità 
di  carattere  domina  con  mirabile  accordo  su  tutte  le  parti  del  quadro:  cosic- 
ché tu  non  iscorgi  ne  verdeggiar  la  campagna,  ne  il  cielo  rider  sereno ,  ma  si 
da  tetra  nebbia  offuscato  il  campo:  e  mentre  un  lume  quieto  e  ristretto  rischia- 
ra in  volto  il  guerriero,  percuote  poi  vivamente,  e  contrapposto  ad  ombre  ga- 
gliarde fa  balenare  il  lulgore  delle  pupille  e  deli'arinatura  a  guisa  di  lampi  guiz- 
zanti da  un  ciel  tempestoso.  E  ben  si  accompagna  a  tanto  vigore  di  chiaroscu- 
ro, calor  di  tinte,  pienezza  di  tocco,  fermezza  ed  energia  di  contorni,  da  far 
quasi  parere  che  ad  animar  questa  tela  siansl  felicemente  uniti  il  robusto  pen- 
nello di  Giorgione,  e  Io  stile  terribile  di  Michielangelo .  (  Vedi  reale  galleria 
di  Firenze  illustrata  voi.  2,  pag.  laj  )  . 

Mentre  un  magico  incanto  tanto  ne'  dotti  valenti  artefici ,  quanto  negli  ama- 
tori e  nella  moltitudine  producevano  i  dipinti  di  Sebastiano,  un  orrido  nembo 
s'addensò  nell'anno  i52^  fopra  la  città  eterna,  che  a  miseranilo  e  lacrimevole 
stato  ridussela  .  La  totale  disfatta  a  Marignano  dell'armata  di  Francesco  I  re 
di  Francia,  e  la  prigionia  di  lui  avevano,  com'è  noto  per  le  storie,  tale  un  ter- 
rore sparso  ne'  principi  italiani  delia  possanza,  dell'armi  e  de'  progetti  dell'  im- 
peratore Carlo  V  ,  che  accostatisi  tra  di  loro  formarono  quella  sanca  lega^  che 
..^fu  sorgente  infausta  di  guerra,  di  saccheggi,  d'incendil,  di  pesti,  di  carestie,  e 
^«li  cento  altre  orrende  maledizioni  e  malanni .  Clenaente  VII,  della  casa  Medi- 
cea, fu  l'anima  di  questa  santa  Icga^  la  quale  tanto  più  increbbe  ali  imperatore 
rispetto  al  pontefice,  quanto  che  slato  era  sino  a  quell'istante  uno  de' suoi  con- 
federati in  vigore  dei  più  solenni  trattali . 

Oltre  ai  risentimento  di  Carlo,  erasi  tirato  addosso  Clemente  l'ira  de"  Co- 
lonnesi,  de'  quali  fatto  avea  demolire  i  magnifici  palagi,  devastati  e  confiscati  i 
poderi,  e  sotto  pena  di  morte  mandati  in  bando  i  personaggi,  ond'  era  composta 
quella  magnatizia  famiglia  .  Lasciatosi  appresso  ingannare  da  una  larvata  e 
mentita  pace,  aveva  licenziate  quelle  così  delle   bande  nere^  che  il  nerbo  for- 


233 
mavano  tìelle  sue  soldatesche,  dalla  conservazione  delle  quali  dipendeva  la  di- 
fesa di  sua  persona,  di  Roma  e  de'  suoi  dominii .  Poslero-ato  osni  riguardo  ai 
seguiti  accordi,  Carlo  duca  di  Borbone,  divenuto  governatore  delle  anni  cesa- 
ree in  Italia,  s' intalenlò  di  rivolgere  contro  alla  capitale  del  mondo  cristiano 
un'  armata  forte  di  trentamila  combattenti,  tra'  quali  moltissimi  gli  errori  se- 
guitavano del  wittemberghese  riformatore .  Ne  1  confederati  lontani  e  dispersi, 
ne  le  milizie  collettizie  hanno  potuto  guarentirla,  talché,  all'  insaputa  di  Cesare, 
d'assalto  fu  presa,  e  a  sacco  posta,  a  ferro  ed  a  fuoco  miseramente. 

Uoraini  inermi  a  mlgliaja  con  ogni  maggior  sevizie  uccisi;  altri  con  Istudiata 
crudeltà  torturati,  perchè  svelassero  tesori  nascosti  il  più  delle  volte  immagina- 
rli :  sacerdoti  spenti  presso  a  quegli  altari,  ove  avevano  cercato  un  asilo  ;  altri 
in  altissime  dignità  ecclesiastiche  costituiti,  divenuti  11  ludibrio  della  più  vile  ca- 
naglia, e  trascinati  sotto  le  forche  per  esservi  appesi:  matrone  e  vergini,  non 
eccettuate  nemmeno  le  consagrate  al  Signore,  da  que'  brutali  ne'  loro  stessi 
domestici  e  reverendi  rlcinti  col  più  detestabile  vitupero  violate  ;  templi  e  vasi 
sacri  profanati:  ogni  più  sagrosanla  cosa  attinente  alla  religione,  empiamente 
rapita  e  conculcata  :  abborninazionl  sopra  abbominazioni  :  tutti  1  ricchi,  o  fos- 
serlo  o  avesser  fama  di  esserlo,  ridotti  a  barbara  servitù,  sottoposti  ad  ogni 
più  bestiale  ed  obbrobrioso  ministero,  e  condannati  ad  enormi  taglie  per  riscat- 
tarsi :  palagi  sontuosi  e  ville  a  delizia  dedicate  di  principesche  famiglie,  divenu- 
te preda  del  fuoco  e  del  ferro,  colla  distruzione  de'  clmelil  delle  arti  antiche  e 
moderne,  de'  quali  nessun  conto  tenevano  quegli  efferati  e  ingordi  mostri;  fat- 
to infine  in  quella  città,  ricca  delle  dovizie  di  tutto  il  cattolico  mondo,  tal  bot- 
tino, che  le  storie  non  ne  ricordano  il  maggiore  e  più  sterminato  . 

Può  ascriversi  a  prodigio,  se  in  quella  prima  Improvvisa  irruzione  11  pontefice 
co' cardinali  e  prelati  a  lui  meglio  affezionati,  e  che  formavano  la  sua  corte,  non 
meno  che  con  quegli  insigni  letterati  e  valorosi  artisti,  co'  quali  manteneva  un 
famigliare  consorzio,  pel  corridojo  del  palazzo  Vaticano,  riparati  si  sono  in  Ca- 
stel sant'Angelo,  che  sarebbe  stato  preoccupato  dal  nemico,  se.  In  luoo-o  di 
sbandarsi  per  uccidere  e  mettere  a  ruba,  avesse  pensato  a  toglier  loro  que- 
st' unico  rifugio.  Tra  1  begli  spiriti  che  divisero  la  cruciosa  sorte  del  papa  in 
quel  munltlssimo  asilo,  trovossl  anche  il  nostro  Sebastiano  musico,  poeta  e  pit- 
tore, di  che  due  lettere  da  lui  stesso  scritte  a  Pietro  Aretino,  rendono  piena  ed 
indubitabile  testimonianza  (a)  (8,  g)  . 

Doveva  al  certo  quel  bizzarro  umore  di  Sebastiano  in  si  duro  frangente  esse- 
re di  qualche  conforto  all'  afflìtto  pontefice,  se  confidogll  il  segreto  rancore  che 

(li)  Vedi  jMuratori  negli  Anuali,  Coicclardioi  nelle  itlurie,  il  cav.  Iacopo  Bunaparte  nella  narra- 
xiuae  iv\  sacco  di  Roma. 
3o 


23i 

molestavalo  di  non  avere  fra  tanti  cortigiani  e  tanti  scienziati  chiusi  in  quella 
rocca  con  seco,  uno  solo  che  avesse  saputo  scrivere  coli' avvedimento  di  sa- 
gace politico  un'  epistola  esortativa  a  Cesare,  affinchè  accorresse  a  scampare 
da  tanti  guai  il  capo  visibile  della  Chiesa,  e  la  desolata  città,  1'  uno  tenuto  pri- 
gione, l'altra  con  insolita  e  non  più  udita  crudeltà  manomessa  e  straziata  da  una 
masnada  di  canibali.  Il  perchè  avrebbe  desiderato  in  tanta  e  s\  misera  distretta 
impiegare  la  penna  di  quello,  a  suo  intendimento,  ingegno  maraviglioso  ed  uni- 
co deU'Aretmo.  Questo  aneddoto  ci  chiarisce  esser  vero  che  costui  senza  vere- 
condia davasi  il  vanto  che  la  fama  del  glorioso  suo  nome  trovavasi  diffusa  «  là 
"  dove  nasce  e  dove  muore  il  sole  ",  e  che  i  principi,  che  esigevano  dagli  altri 
uomini  tributo,  a  lui  solo  erano  costretti  pagarlo  .  Su  di  che  sparge  gran  luce 
una  curiosissima  lettera  che  il  Tornielli  scrisse  ali  Aretino,  della  quale  noi  non 
possiamo  resistere  alla  tentazione  di  riportare  un  brano .  «  Non  sapete  voi,  dl- 
y>  e  egli,  che  con  la  penna  vostra  in  mano  avete  soggiogato  più  principi  che 
«  ogni  altro  potentissimo  principe  con  I'  arme  ?  La  penna  vostra  a  quale  non 
5)  mette  terrore,  a  quale  non  è  formidabile,  a  chi  anche  non  grata,  a  chi  non 
»  cara  ove  si  mostra  amica  ?  La  penna  vostra  si  può  dire  che  vi  ha  latto  trion- 
j)  fator  quasi  di  tutti  i  principi  del  mondo,  che-  quasi  tutti  vi  sono  tributarli  et 
»  come  infeudati .  Meritereste  essere  chiamato  Germanico,  Pannonico  ,  Galli- 
51  co,  Hispanico  et  finalmente  insignito  di  que'  titoli  i  quah  si  devono  agh  antl- 
n  chi  imperatori  romani,  secondo  leprovincie  per  loro  soggiogate:  che  se  quelli 
Il  soo-trioo-arono  le  provinole  per  forza  d'arme,  et  per  essere  più  di  loro  potenti 
«  non  era  gran  meraviglia,  maggior  meraviglia  assai  è,  che  un  privato  inerme 
»  abbia  soo-o-iogatl  infiniti  potenti:  che  l'un  potente  l'altro  non  è  meraviglia- . 
We  o-ià  il  Tornielli  soltanto  usava  un  tale  linguaggio  colf  Aretino,  ma  ben  an- 
che Alfonso  marchese  del  Vasto  generaHssimo  delle  armate  d'ItaHa  di  Carlo  V. 
Avrebbe  voluto  Sebastiano,  che  1'  Aretino,  suo  intimo  amico,  a  cui  regalato 
aveva  quel  prodigioso  ritratto,  del  quale  si  è  tenuto  superiormente  discorso ,  e 
che  tuttavia  serbasi  nella  sala  del  consiglio  di  Arezzo ,  avesse  cercato  impiego 
nella  corte  di  Roma,  alla  quale  utilissimi  servigi  avrebbe  egli  renduti ,  massime 
in  questi  ultimi  procellosi  tempi,  e  dalla  quale  considerabilissimi  premii  e' avreb- 
be riportati.  Della  hberalità  di  papa  Clemente  VII  nel  guiderdonare  le  perse- 
ne che  avevano  acquistati  titoli  alla  sua  stima  e  riconoscenza  ,  el)be  il  nostro 
Sebastiano  una  luminosa  attestazione  ncU"  anno  i53i  (vedi  Nota  N.  3  )  m  oc- 
casione che  rendettesi  vacante  l'uffizio  lucrosissimo  di  apporre  il  bollo  ai  decre- 
ti della  cancelleria  apostolica,  per  darsi  al  cui  esercizio,  dicesi,  lui  aver  dovuto 
trarsi  addosso  l'abito  di  domenicano,  e  iniziarsi  agli  ordini  minori.  Dall'anno  i  52  7, 
epoca  memoranda  del  sacco  di  Roma,  sino  al  i53o,  in  cui,  posate  le  armi  e  pa- 
cificate le  cose  d'Italia,  fu  Carlo  V  coronato  in  Bologna  da  Clemente  VII  col 


a35 
ferreo  diadema  re  de' Romani,  le  calamità  che  aflllsseroRonia  furono  cosi  enor- 
mi, che  que'  pittori,  scultori  ed  architetti,  i  quali  per  lo  innanzi  la  popolarono, 
abbandonarono  quella  miserabii  città,  e  si  condussero  altrove  in  traccia  di  mi- 
gliore fortuna.  Se  in  questo  intervallo  la  storia  delle  arti  opere  non  rammenta 
di  grido  dai  pennelli  uscite  di  Sebastiano,  di  ciò  non  deesi  accagionare  quel 
lento  ed  irresoluto  modo  di  procedere,  che  gli  si  appone,  ma  si  bene  i  macelli, 
gl'incendii,  i  saccheggi,  le  pistolcnze,  le  carestie,  e  sino  le  prodigiose  inonda- 
zioni, con  cui  il  fiorire  degli  studii  e  delle  arti  mal  si  confanno.  Fuggono  spa- 
ventate le  muse  il  rauco  squillo  delle  trombe  guerriere,  i  gemiti  di  chi  muo- 
re, lo  squallore  della  povertà;  esse  invocate  rispondono  ove  regna  la  pace  ,  la 
civiltà,  il  lieto  ed  agiato  vivere,  e  l'amore  del  bello. 

Ci  narra  il  biografo  aretino,  che  dall'  istante,  in  cui  del  pingue  benefizio  del 
bollo  fu  investito  fra  Sebastiano,  e  in  cui  potè  con  le  rendite  che  ne  trasse,  al- 
legra vita  menare  fra  gli  agi  e  i  piaceri,  s' infiacchì  in  esso  lui  quel  vivo  amore 
per  r  arte,  che  avealo  spinto  a  misurarsi  col  divino  Raffaello,  ed  a  bilanciarne 
la  virtù  e  la  fama .  Laonde  di  mala  voglia  inducevasi  a  metter  mano  a'  pennelli, 
ed  a  travagliare  lodevoli  opere,  segnatamente  di  vasta  orditura .  Da  ciò  egli  de- 
sume non  esser  sempre  vero,  che  i  preniii,  che  posti  vengono  da'principi  a' valo- 
rosi artisti  e  letterati  servano  a  questi  di  sprone  per  correre  più  animosi  nella 
palestra,  ed  aggiungere  in  tal  guisa  alle  antiche  nuove  corone,  poiché  la  libe- 
ralità usata  da  Clemente  verso  Sebastiano  ha  prodotto  un  effetto  al  tutto  con- 
trario . 

In  quanto  a  noi  siamo  d'  avviso  non  potersi  senza  ingiustizia  condannare  fra 
Sebastiano,  se  contando  ormai  delf  età  sua  il  decimo  lustro,  e  nulla  mancando- 
gli (  mercè  della  munificenza  di  Clemente  )  per  vivere  una  vita  meno  laboriosa 
e  tapina,  e  indipendente  affatto  dai  mutabili  giudizii  dell'incostante  moltitudine 
e  dalle  perigliose  gare  dei  prodi  emuli,  siasi  deliberato  godere  del  favore  della 
sua  presente  fortuna .  Non  è  già  eh'  egli  onninamente  cessato  abbia  di  esercita- 
re le  malie  della  sua  tavolozza  :  imperciocché  ne'  sedici  anni  che  sopravvisse  al 
«conferitogli  ufiìzio  del  piombo ,  non  poche  tele  animò,  le  quali  vennero  celebra- 
te a  cielo  dallo  stesso  biografo  aretino,  e  delle  quali  onorevol  menzione  per  noi 
altrove  si  è  fatta . 

E  slato  anzi  dopo  quello  per  esso  lui  faustissimo  avvenimento  che  il  segreto 
trovò  di  dipingere  all'  olio  sul  muro.,  meglio  che  fatto  non  aveva  Andrea  dal 
Castagno,  Antonio  e  Pietro  del  Pollajolo,  benché  l'esperienza  abbia  dimostro 
che  malgrado  della  mistura  di  sostanze  resinose,  di  cui  era  composta  Y  arriccia- 
tura, alla  quale  sovrapponevasi  1'  intonaco,  i  dipinti  a  questa  maniera  operati 
anneriscono  anch'  essi,  benché  più  tardi  di  quegli  altri,  che  con  diverso  prece- 


:36 

dimento  facevansi:   di    che   la   flagellazione  posta  nella  chiesa   di  s.  Pietro  in 

Montorio,  travaglio  di  fra  Sebastiano,  è  una  prova  parlante . 

Del  pari  1'  artitìzio,  col  quale  condusse  pitture  ad  olio  sul  marmo  è  un  suo 
posteriore  trovato,  e  a  simil  guisa  operò  un  maraviglioso  deposto  di  Croce  con 
nostra  Donna  che  lo  piange,  per  don  Ferrante  Gonzaga,  il  quale  invioUo4n  do- 
no alla  corte  di  Spagna  ad  onta  delle  diflicoltà  del  trasporto  (io). 

Arroge  a  ciò  che,  secondo  tutte  le  probabilità,  papa  Clemente  coli' impiega- 
re nella  cancellaria  apostolica  Sebastiano  e  coli'  obbligarlo,  come  dicesi,  per 
rendersene  capace,  di  arrolarsi  alle  insegne  di  san  Domenico,  intese  di  premia- 
re le  passate  maraviglie  de' suoi  dipinti  ed  i  servigi  a  lui  personalmente  presta- 
ti, e  non  già  d'incitarlo  a  farne  di  nuovi.  Poteva  ben  prevedere  quell'accorto 
pontefice  che ,  cessato  il  pungolo  del  bisogno,  il  fervore  ,  nel  trattare  giorno  e 
notte  i  pennelli  per  campare,  sarebbesi  in  lui  rallentato.  L'uomo,  che  si  affati- 
cò molto  per  la  gloria,  merita  di  riposare  da  sezzo  sopra  le  palme  mietute  ;  e  le 
pensioni  che  si  accordano  a' veterani  d'ogni  sagata  e  togata  milizia,  mostrano 
quanto  sia  vero  il  nostro  concetto  .  E  degna  di  essere  tramandata  a' posteri  la 
risposta  che  diede  fra  Sebastiano  ad  un  cotale,  che  gli  vibrava  aspro  rimprove- 
ro di  quella  lentezza,  con  .che  irresoluto  stendeva  alle  tele  una  tarda  mano  . 
«  Tanto  meglio,  gli  rispose,  per  quella  frotta  di  bravi  pittori  che  morirebbero 
»  di  fame,  se  io,  che  nella  comune  opinione  loro  sovrasto,  coltivassi  con  raag- 
"  glore  ansietà  l'arte  mia  e  fossi  più  sollecito  di  guadagno  »  . 

Felice  colui  che  giunge  a  disingannarsi  per  tempo  della  vanità  delle  umane 
cose  e  della  falsa  gloria  che  vi  coglie  chi  colloca  in  essa  ogni  suo  pensamento  ! 
Felice  colui.,  che  conversando  in  mezzo  a  scelta  brigatella  di  amici,  rende  lieti 
d'  una  letizia  verace  gli  anni  estremi  del  viver  suo  !  Così  adoperò  il  poeta  di  Ve- 
nosa, che  in  candida  e  tenera  amicizia  vivendo  con  Pollione  nobilitato  dall'allo- 
ro dalmatico  e  da  quello  delle  muse,  da  Messala  Corvino,  eh'  esercitò  la  musa 
di  Tibullo,  da  Munazio  Planco  di  cui  hannosi  tante  elegantissime  lettere  a  Ci- 
cerone, da  AfTrippa  che,  vinto  Sesto  Pompeo,  meritò  la  corona  rostrale  e  che 
arricchì  Roma  di  sontuosi  edifizii,  dai  Pisoni,  dai  Lollii,  e  da  più  altri  chiari  ed 
eruditi  ingegni,  non  invidiò  il  soggiorno  dell'Olimpo  e  le  celestiali  vivande  al  pa- 
dre de'  numi.  Così  fece  il  nostro  fra  Sebastiano,  che  l'ore  sparti  nel  dotto  con- 
versare col  Molza,  col  Berni,  col  Casa  e  col  familiarissimo  suo  Gandolfo  Pori- 
ni:  che  tra  que' begli  umori  sedette  re  de' banchetti  che  loro  spessamente  im-, 
bandiva,  ne'  quali  una  mano  ne  avara.^  ne  prodiga  ministrava  squisite  vivande  e 
generosi  liquori;  che  versi  a  gara  con  esso  loro  compose,  ne'  quali  sparge vansi 
a  larffa  misura  il  "■iocondo  riso  e  1'  attico  sale,  non  mai  degenerante  in  satirico 
fiele  ;  che  gli  ultimi  anni  di  sua  vita  in  tal  foggia  festosamente  spendendo,  giovò 


23^ 

a  se  stesso  e  non  nocque  alimi,  ed  usò,  senza  punlo  abusare.,  di  que'bcni,  de'qua- 
11  stala  gli  era  Jiberale  fortuna  (i  i). 

Nemico  delle  pompe  le  abi)orri  anche  oltre  al  sepolcro  .  Il  perchè  ordinò  tc- 
nisse  dispensato  a" poveri  quel  danaro,  chea  vanamente  onorarlo  dopo  morte  si 
avesse  inteso  di  profondere  ne'  funerali.  Di  febbre  infiammatoria  morì  nel  bel 
mezzo  del  declmoterzo  lustro  l'anno  i547  '"  Roma.  Poteva  per  altro  dire  co- 
me Orazio  =  non  omnls  moriar  multaqiie  pars  mei  v'Uahit  Libitinam^^YW cg\ì 
infatti  in  que' preziosi  dipinti,  cui  l'infrenabil  corso  de' secoli,  ed  il  torrente  del- 
le umane  vicende  non  travolsero  nel  vortice  del  nulla.  L'incisione  che  fatta  ven- 
ne delle  più  pregevoli  fra  le  sue  opere,  il  farà  vivere  eziandio  quando  tutte  sa- 
ranno perite;  e  se  fatalmente  verrà  tempo,  nel  quale  ne  questa  pure  debole  om- 
bra del  suo  valore  rimanga  intatta  ,  il  non  morituro  suo  nome  già  nel  tempio 
della  fama  scolpito  volerà  alle  età  più  rimote  accanto  a  quelli  de'  Zeusi  e  degli 
Apelli  . 


t38 

ANNOTAZIONI. 


d)  Ciò  apparisce  dalla  seguente  lettera,  la  quale,  essendo  d'  altronde  interessante,  ci 
piace  di  riportare  colle  giuntevi  osservazioni,  tratta  e  l'una  e  l'altre  dall'  opuscolo:  Al- 
cune memorie  di  Michielangiolo  Buonarotù  damss.  per  le  nozze  di  Clemente  Cardina- 
li con  Anna  Bovi .  Roma  ,  nella  Stamperia  de  Ronianis  1823.  in  ù.vo 

Lettera  di  Sebastiano  del  Piombo  (a)  a  MichieV  Angelo  Buonarotti . 

Fuori 

Domino  Michelangelo  Sculptori  in  Firenze  (b) . 

Dentro 

»  Compare  carissimo  mio  .  Già  molti  zorni  ricevj  una  vostra  a  me  gratissima,  la  qualle 
V  vi  ringrazio  summamente  vi  havete  degnato  accelarmi  per  compare  vostro;  e  de  le  ce- 
ì:  rimonie  de  le  donne  a  casa  nostra  non  si  usano.  Basta  a  me  me  siate  compare.  E  per 
«  quest'altra  vi  manderò  l'agna  (e)  . 

u  O  già  molti  ziorni  feci  batizzare  el  putto  et  oli  messo  nome  Luciano  che  è  el  nome  di 
»i  mio  padre  .  Et  de  messer  Domenico  Boninsegni  se  lui  vorà  degnare  essermi  compare 
«  mi  farà  singular  a  piacere ,  perchè  non  voglio  se  non  homini  da  bene  per  compari . 


(a)  Scrissi  Lettera  di  Sebastiano  del  Piombo,  perchè  tale  é  l' antonomasia  per  la  quale  Sebastiano 
di  Luciano  veneto  comunemente  è  conosciuto.  L'ufficio  però  del  Piombo  gli  fu  conferito  assai 
dopo  questa  lettera,  cioè  da  papa  Clemente  VII  nell'anno  ifìSi,  come  ricavasi  dalla  lettera 
del  Frate  all'  Aretino  (V.  Leti.  Pittoriche).  Piglio  questa  occasione  per  dire  che  tutto  ciò  che 
scrisse  il  p.  Federici  nelle  memorie  Irivigiane  tendente  a  provare  che  il  nostro  Frate  sia  lo  stes- 
so che  fra  Marco  Pensaben.,  non  mi  quadra  né  punto  né  poco. 

(b)  L'  originale  è  presso  il  signor  J'odhurne  in  Inghilterra . 

(e)  Qui  parlasi  fin  dal  principio  di  un  comparatico  di  Sebastiano  con  Michielangiolo,  il  quale  do- 
vrà ricevere  in  dono  /'agna,  simbolo  del  Battista.  E  dal  costume  antichissimo  che  il  compare 
è  quello  che  impone  il  nome  al  bambino  quando  accompagnalo  al  fonte,  par  chiaro  che  il  fi- 
glio fosse  di  Michielangiolo  assente,  non  di  Sebastiano  che  il  faceva  battezzare  e  nominare. 
Ma  celibe  fu  il  Buonarotti!  Come  sciogliereste  il  nodo,  umanissimi  lettori, se  non  supponendo 
un  figlio  naturale  di  Michielangiolo  concepito  in  Firenze,  e  portato  a  nascere  in  Bonui!'  Anche 
messer  Domenico  Boninsegni,  del  quale  si  parla,  sembra  che  avesse  navigato  non   altrimenti  . 

Queste  però  sono  curiose  indagini  che  lascio  ad  altri:  feci  già  troppo  spargendo  il  diibhio . 
Anzi  ne  chiedo  perdono  a  Michielangiolo,  al  Boninsegni,  alle  due  creature,  e  a  quanti  vorran- 
no che  si  creda  il  cf>nlrario. 


r<  Oltra  ài  questo  vi  fo  intendere  come  io  ho  finila  la  tavola  (t?),  et  olla  portata  in  Pa- 
"  lazzo,  et  pii'i  presto  è  piaciuta  a  ognuno,  cho  dispiaciuta,  ecepto  agli  oi-dinaii  (■"),  ma 
"  non  sano  che  dire.  A  me  basta  che  mo.  s-  Rmo  me  iia  decto  che  io  1'  ho  contentato  più 
'^  di  quello  che  lui  desiderava .  Et  credo  la  mia  tavola  sia  meglio  disegnala  che  a  e  pan- 
«  ni  de  razi  che  son  venuti  da  Fiandra  (/)  ■ 

55  Ilora  havendo  io  facto  dal  canto  mio  a  presso  che  '1  debito  io  ho  ricercato  da  bavere 
«  tutte  fine  del  pagamento  mio.  Et  mo.  s.  Rmo  mi  ha  decto  che  lui  vuole  che  secondo 
"  che  convenissimo  insieme,  e  con  messer  Domenico,  vole  che  vuj  judichate  questa  ope- 
!5  ra .  Benché  per  venire  presto  a  conclusione  io  la  remeteva  in  sua  s.  Urna.  Lui  non  voi 
"  per  niente .  Et  oli  monstrato  el  conto  del  tutto:  Et  lui  ha  voluto  che  ve  lo  mandi,  et. 
«  cusi  ve  lo  mando  :  el  che  vedete  el  tutto .  Et  cusi  vi  prego,  se  mai  mi  facesti  a  piacere, 
«  vogliate  fare  questo  senza  suspicion  alcuna  perchè  m.  s.  Rmo  et  me  liberamente  la  re- 
!■>  metemo  in  vui .  Basta  che  avete  visto  1'  opera  principiata,  et  è  quaranta  figure  in  tutto 
!'  senza  quelle  del  paese.  Et  in  quest'opera  gli  è  il  quadro  del  cardinale  Rangone  che  va 
n  a  questo  conto  che  là  visto  Domenico  et  sa  de  che  grandezza  glie  (g)  .  Io  non  ve  dirò 
n  altro .  Compar  mio  vi  prego  expeditela  presto  innanli  che  mo.  s.  Rmo  si  parta  da  Roma 
«  per  che  a  diverlo  a  vui  son  al  verde. 

«  Cristo  sano  vi  conservi.  Raccomandateme  a  mess.  Domenico  .  Et  a  vuj  mi  racco- 
»  mando  per  infinite  volte  (  a  di  29  decembre  i5io)  (h). 

»  Vostro  Compar  fidelissimo 
!'  Sebastiano  pittore  in  Roma  »  . 


[il)  Per  questa  tavola,  considerato  quel  che  clicesi  dopo,  ìntendesi  forse  il  gran  quadro  della  ri- 
surrezione di  Lazzaro,  che  in  concorrenza  della  trasfigurazione  di  Baffaello  dipinse  il  nostro 
Sebastiano  pel  cardinale  Giulio  de'  Medici  che  fu  poi  papa  Clemente  ì  11,  il  quale  esimio  la- 
voro fu  nìandalo  alla  chiesa  di  Xarbona  in  Francia,  della  quale  il  cardinale  era  aicivescevo  , 
e  di  lift  comperalo  dal  duca  d'Orleans  reggente  di  Francia,  e  ne  decorò  la  propia  galleria 
fino  all'anno  lygS.  fenduta  questa,  passò  il  quadro  in  Inghilterra  nella  pinacoteca  di  Lord 
Angestingh  ,  dove  al  presente  si  ritrova  intattissimo. 

[e)  lìceplo  agli  ordinari;  interpreto  eccettuali  quelli  a' quali  ordiuariamente  non  piacciono  i 
lavori  miei,  cioè  la  scuola  di  liaffirUo . 

if)  ISuovo  testimonio  della  rivalità  e  parlilo  Michielagnolesco  di  Sebastiano  contro  Ixnffaello  :  e 
allude  agli  arazzi  del  faticano . 

{g)  IS'ulla  sappiamo  di  questo  quadro  del  card.  Rangone:  essendo  mentovalo  cosi  per  iscorcio,  r 
come  giunta  del  quadro  grande,  potria  credersi  un  ritrailo  del  cardinale.  11  possessore  dell'au- 
tografo dice  over  un  disegno  di  opera  clic  Sebastiano  dipinse  pel  lìangone  :  chi  sa  •'  Gli  e  pe- 
rò da  notare  die  il  fasori  nella  l  ita  di  Sebastiano  scrive,  aver  costui  dipinto  una  santa  Aga- 
ta ignuda  e  marliriizata  alle  poppe  per  il  caidinale  d' Aragona  :  e  notisi  che  il  cardinale  d' A- 
ragona  mancò  nel  i  5  1  9,  e  che  il  cardinale  Ercole  lìangone  fu  diacono  di  santa  Agata  ;  e  quin- 
di esser  probabile  che  facesse  dipingere  la  santa;  però  nel  f asari,  in  luogo  del  cardinale  d'A- 
ragona, per  leggerissimo  scambio  di  lettere,  avrassi  d'ora  in  avanti  a  leggere  il  cardinale  de' 
Rangoni. 

(/i)  Questa  data  è  sbagliata  nell'apografo  perchè  nel  i5io  Ulichiehingiolo  era  in  Roma,  non  in 
Firenze;  perchè  nel  i5io  non  erano  venuli  gli  araizi  tessuti  in  Fiandra  »u  1  cartoni  di  lluf- 


2)0 


(a)  =  Lettele  ài  M.  Claudio  Tolomcì  —  Venezia.  Giolito  t553.  A  carte  gS  evvi  una 
lunga  lettera  a  fra  Sebastiano  in  data  di  Roma  20  agosto  l545,  nella  quale  lo  ringraiia 
della  esibizione  cortese  fattagli  da  Sebastiano  di  voler  spontaneamente  fargli  il  suo  riti-at- 
to. La  lettera  è  cosi  diretta  :  a  frate  sebastfano  Luciano;  dal  che  vedesi  che  il  cognome  suo 
era  veramente  Luciani  o  Luciano  ;  cognome  d'  altronde  noto  per  le  veneziane  famiglie, 
che  il  portano  anche  oggidì .  11  vicario  generale  della  diocesi  di  Venezia,  morto  pochi 
anni  fa,  era  un  monsig.  Luciano  Luciani,  dotto  e  pio  uomo,  di  cui  tuttor  vive  un  fratello 
nomato  Giuseppe  direttore  del  negozio  Remondini . 

(3)  Nello  stesso  libro:  Lettere  al  iìgnor  Pietro  Aretino,  alla  faccia  io  avvi  la  seguen- 
te di  Sebastiano  . 

A  e  unico  messer  Pietro  Aretino,  come/rateilo  llonorando  . 

n  Carissimo  fratel  mio  ;  credo  vi  maravigliarete  de  la  negligenlia  mia,  et  sia  stato  tan- 
«  to  a  non  vi  scrivere  la  causa  è  stata  per  non  avere  havuto  materia  che  meriti  al  prez- 
M  zo.  Hora  che  Nostro  Signor  me  ha  fatto  Frate,  non  vorria  ve  desti  ad  intendere  che  la 
«  frataria  m'abbi  guastato.  Et  che  non  sia  quel  medesimo  Sebastiano  Pitiore  buon  com- 
n  pagno,  che  per  il  passato  io  son  sempre  stato:  però  me  rincresce  che  io  non  posso  esser 
»  insieme  con  i  miei  cari  amici  et  compagni  a  godere,  quello  che  Dio  et  nostro  patrone 
n  Papa  Clemente  mi  ha  dato.  Credo  non  accade  narrarvi  in  che  modo,  et  che,  et  come, 
n  basta  Messer  Marco  nostro  comune  fratello  ve  dirà  el  tutto,  et  a  che  modo  senza  di- 
V  mandarlo,  ne  sapere  cosa  alcuna,  basta  io  son  Frate  piombattor,  ciò  e  l' offitio  che  havea 
"  Frate  Mariano,  et  viva  Papa  Clemente.  Et  Dio  volesse  me  havesti  creduto  pacientia 
»  fratello  mio  .  Io  credo  bene  et  benissimo  .  Et  questo  è  il  frutto  de  la  mia  fede,  et  dite 
«  al  Sansovino,  che  a  Roma  si  pesca  offitij,  piombi,  capelli,  et  altre  cose,  come  voi  sa- 
»  pete,  ma  a  Venetia  si  pesca,  Anguele,  e  Menole,  e  Masanette,  et  però  con  supportatio- 
«  ne  de  la  patria  mia,  io  non  dico  per  dir  male  de  la  patria,  ma  per  aricordare  le  cose 
n  di  Roma  al  nostro  Sansovino,  quale  voi  et  lui  insieme  le  sapete  meglio  di  me,  et  al  no- 
55  stro  carissimo  compare  Titiano  vi  degnarete  ricomandarmi  fratescamente,  et  a  tutti  li 
«  amici,  et  a  Giulio  nostro  musico.  El  nostro  Monsignor  de  Vassona  se  ricomanda  per 
"  infinite  volte  ». 

AUi  IIII  decembre  MDXXXI.  El  vostro  quanto  Fratello 

Fra  Sebastiano  Pittore. 


faello;  e  perchè  il  Rangone,  die  si  mentova  nella  lettera  fu  creato  cardinale  del  l5i3.  Sono 
infine  tante  le  ragioni  che  si  oppongono  e  si  chiare,  che  sarebbe  massiccio  errore  il  crederla  di 
queir  anno:  trasportiamola  piuttosto  al  iSao,  che  Michielangiolo  in  quell'anno  lavorava  an- 
cora in  Firenze:  e  in  quell'anno,  quasi  a  concorrenza  della  trasfigurazione  di  Raffaello, 
espose  fra  Sebastiano  il  quadro  della  risurrezione  di  Lazzaro . 
JV.B.  Questa  lettera  è  scritta  in  dialetto  veneziano:  com'era  tlunf[ue  Sebastiano  islilnilo  nelle 
lettere  e  poeta?  Il  sig.  Qualremer  de  Quincy  si  è  incontralo  Dell' istessa  diffi' oltà  rapporto 
a  Raffnpllo:  io  mi  riporto  alle  ragioni  che  ha  egli  addotte  per  abbatterla.  Potrei  anche  citare 
1  epistolario  del  Canova  rallioiilandu Jc  lettere  della  prima  con  quelle  della  seconda  sua  età. 


2i. 

Questa  lettera  è  un  bel  monumento  dell' aniitizia  di  Sebastiano  verso  Pietro  Aretino; 
ma  però  cotesta  amicizia  sembra  che  siasi  scemala  in  progiesso,  per  non  dire  perduta  ; 
leggendosi  nel  libro  terzo  delle  Lc«ere  t?/  Pietro  Aretino  (  Veneiia.  Giolito.  1.546.  in 
8.VO  a  pag.  285,  386)  le  due  seguenti  a  Tiziano,  l.a  prima  da  Venezia  nel  gennajo  i,i46, 
che  dice  cosi:  Che  Sebasti/ino  dipintore  vi  hahbia  detto  nel  dargli  voi  i  saluti  che  gli  ho 
fier  una  certa  caritade  de  la  maestà  antica  mandati:  dite  a  Pietro  che  il  sapere  eh'  io 
son  frale,  gli  è  in  vece  di  risposta;  molto  e  molto  di  ciò  lo  laudo:  imperciocché  essendo 
essi  di  chierica,  come  in  eJ)etto  pur  sono,  et  egli  confessando  di  tali  in  verità  pure  es- 
sere, merita  commendatione  grandissima  avenga  che  chi  è  si  fatto,  e  noi  niega  è  de- 
gno di  trasformarsi  in  chi  egli  vorria  essere  :  e  non  può .  La  seconda  è  pur  da  Venezia 
nel  gennajo  dell'anno  stesso  i.t/jG,  e  vi  si  legge  :  Altro  non  so  che  dirmi  circa  la/rate- 
ria  di  Sai/astiano  per  il  che  non  mi  tiene  più  in  memoria  ;  se  non  che  in  lo  scordarsi 
eli  io  gli  sia  stato  fratello  mi  dimentico  ch'egli  fusse  mai  virtuoso. 

(4)  Il  Luciani  ha  ripetuto  lo  stesso  soggetto,  percioccliè  ima  non  meno  perfetta  tavola 
della  Visitazione  esiste  nella  pinacoteca  del  re  di  Francia,  di  che  ne  rende  testimonianza 
il  Catalogo  ragionato  dei  quadri  d"l  re  con  un  compendio  della  vita  dei  pittori  fatto  per 
ordine  di  sua  maestà.  Tomo  primo  che  concerne  la  scuola  fiorentina  e  la  scuola  ro- 
mana, del  sig.  Lepide,  segretario  perpetuo  ed  istoriografo  delf  accademia  reale  di  pit- 
tura e  scultura.  A  Parigi  dalla  stamperia  reale  an    1733. 

Descrizione  di  due  quadri  di  Sei/astiano  del  Piombo  . 

La  visitazione  della  Vergine.  Quadro  dipinto  sopra  la  tavola  alto  5  e  largo  tre  piedi 
ed  11  pollici.  Figure  di  grandezza  naiiirale  . 

Il  quadro  è  bellissimo  e  contiene  due  delle  più  essenziali  parti  della  pittura,  buon  co- 
lorilo e  grande  carattere  di  disegno:  vi  si  scorge  1'  allievo  di  Giorgione  adottato  da  VA- 
chielangelo  . 

Rappresenta  r  abboccamento  di  Maria  colla  cognata  Elisabetta  e  l'istante  nel  quale 
quelle  due  sante  donne  si  rallegrano  e  congratulano  con  seco  stesse  a  vicenda  1'  una  di 
ricevere  la  visita  della  madre  del  suo  Dio,  e  1'  altra  delle  grazie  che  ha  ricevute. 

La  s.  Vergine  è  scortata  da  due  donne.  Dietro  s-  Elisabetta  evvi  una  scala  sulla  cui 
sommità  ravvisasi  un  uomo,  che  s' intrattiene  con  assai  altre  persone  e  che  sembra  infor- 
marle di  ciò  che  si  tratta  :  è  desso  fuor  di  dubbio  il  sacerdote  Zaccaria. 

Le  principali  figure  di  questo  quadro  non  sono  rappresentate  che  sino  alle  ginocchia, 

(.1)  Descrizione  delle  pitture  di  Riif/'aello  di  Urbino  di  G.  P.  Bellori.  ^ 

Non  mancò  RatTaello  all'  artifizio  della  plastica,  che  è  il  modello  della  scultura,  lavo- 
rando di  rilievo  in  creta  o  stucco,  o  in  altra  materia  :  arte  rinnovata  nella  sua  scuola, 
come  avanti  si  è  detto,  in  tanti  ornamenti  delle  loggie  .  Un  ammirabile  esempio  ce  ne 
lasciò  Raft'aello  sollecitato  da  Michielangelo .  Esaltava  questi  smisuratamente   Sebastiano 

Veneziano  discepolo  di  Gioi-gione,  che  avea  portato  a  Roma  un  buon  culoiiio;  e  perchè 
il 


2^2 

costui  mancava  nel  (disegno,  non  lo  ajulava  solo  co'  suol  disegni  e  cartoni,  ma  gli  n'foc- 
cava  r  opere,  per  far  contrasto  a  Raffaello,  il  quale  sdegnava  concorrere  con  Sebastiano, 
minore  (  a  suo  credere  )  di  ogni  suo  discepolo  .  Chiamato  però  Lorenzetto  scultore  Fio' 
rentino,  gli  allogò  due  statue  nella  cappella  di  Agostino  Chigi  al  Popolo,  Giona  ed  Elia. 
Si  applicò  egli  al  Giona  con  disegni  e  con  ritoccare  il  modello,  tanto  che  Lorenzetto 
condusse  una  delie  più  insigni  statue  della  scultura  moderna,  e  facilmente  la  migliore,  di 
una  maniera  tenera  e  delicata,  nella  quale  mai  prevalse  Michielangelo.  biede  Giona  te- 
nendo un  piede  ancora  nella  bocca  aperta  della  Balena,  quasi  ne  sia  uscito  fuori,  svelan- 
dosi da  un  lenzuolo,  ed  è  finto  giovine  per  simbolo  della  resurrezione  ;  e  la  testa  che  è 
bellissima,  si  riconosce  imitata  dall' Antinoo.  Laonde  si  può  raccorre  quanto  facilmente 
Raffaello  avrebbe  conseguito  il  nome  di  scultore,  se  la  pittura  gli  avesse  dato  spazio  di 
attendere  a'  marmi  nell'età  sua  breve  :  degno  veramente  di  essere  coronato  in  tutte  tre 
le  arti  del  disegno,  come  ora  dimostreremo  in  ultimo  dell'architettura.  Quest'  arte  rite- 
nendo r  istesse  forme  dell'  ingegno  di  Raffaello  rende  immortale  il  suo  nome  . 

(6)  Il  mio  amico  dott.  Tommaso  Grapputo  avvocato  emerito,  ed  ora  pretore  in  s.  Vito 
del  Friuli,  conosciuto  vantaggiosamente  nella  repubblica  delle  lettere  per  molte  leggia- 
dre produzioni  di  genere  erotico,  condite  de' più  bei  fiori  di  nostra  lingua,  era  il  posses- 
sore di  cotesta  famigerata  tavola  .  Nell'elogio  inedito  di  fra  Sebastiano  del  Piombo  eh'  egh 
compose,  ci  dà  1'  esatta  descrizione  di  cotesto  prezioso  dipinto  che  veniva  da  lui  possedu- 
to, e  ci  narra  il  come  ne  sia  slato  spogliato  con  vituperevole  inganno  da  un  falso  amico, 
e  le  sorti  che  corse,  dopo  un  tale,  a  lui  funesto,  avvenimento .  Egli  stesso  lo  vide  rifulge- 
re nella  menzionata  quadreria  in  Parigi,  poi  nell'altra  di  Monaco  di  Baviera:  ne  pianse 
amaramente  la  crudelissima  perdita,  ed  anche  al  di  d'  oggi,  non  può  rammentarsene  sen- 
za una  viva  emozione  di  dolore  . 

(7)       i55y  i5  giugno.  Pietro  Aretino  a  M.  Sebastiano  Pittore  Frate  del  Piombo. 

Ancora  padre  che  alla  fratellanza  nostra  non  bisognasse  altre  catene,  ho  voluto  cinger- 
la con  quella  del  comparatico,  acciò  che  la  sua  benigna  e  santa  consuetudine  sia  orna- 
mento della  amicizia,  che  la  virtù  istessa  ha  stabilita  fra  noi  due  eternamente.  Piacque  a 
Dio  che  fosse  femmina  la  creatura,  e  che  io  per  non  traviare  dalla  natura  de'padri,  aspet- 
tava pur  maschio,  come  se  non  fosse  vero  che  le  femmine,  dal  sospetto  dell'  onestà  in 
fuori,  la  quale  ben  guarda  chi  è  uomo  dabbene,  ci  sieno  di  più  consolazione.  Ecco:  il 
maschio  nei  12  o  nei  i5  anni  comincia  a  rompere  il  freno  paterno,  e  toltosi  alla  scuola  e 
all'ubbidienza  è  cagione  che  chi  lo  ha  generato  e  partorito  ne  languisca  ;  e  quel  eh' è 
peggio  sono  le  villanie  e  le  minacele  con  le  quali  il  di  e  la  notte  assalgono  i  padri  e  le 
madri,  onde  ne  seguita  le  maledizioni  ed  i  castighi  della  giustizia  e  di  Dio.  Ma  la  fem- 
mina è  la  sede  ove  si  adagiano  gli  anni  canuti  di  chi  la  creò,  ne  passa  mai  ora  che  i  suoi 
genitori  non  godano  dell'amorevolezza  sua,  la  quale  è  una  sollecita  cura  ed  una  frequen- 
te sollecitudine  in  verso  l'uso  de  i  loro  bisogni .  Tal  che  non  si  tosto  viddi  il  mio  seme 
con  la  mia  somiglianza,  che  sgombrato  dal  cuore  il  dispiacere,  che  altri  si  piglia  per  ciò, 
fui  vinto  in  muJo  che  la  tenerezza  della  natura  che  in  quel  punto  sentii  tutte  le   dolcezze 


2^3 

elei  sangue.  Ma  il  dubitare  eh'  ella  morisse,  senza  assaggiare  dei  giorni  della  vila,  fu  ca- 
gione che  le  feci  dare  il  battesimo  in  casa,  per  la  qual  cosa  un  genliluomo  in  cambio  vo- 
stro la  tenne  secondo  il  costume  cristiano,  ma  io  non  ve  ne  ho  fatto  più  tosto  molto  per- 
chè d'  ora  in  ora  abbiamo  creduto  che  se  ne  volasse  in  paradiso,  ma  Cristo  me  1'  ha  ri- 
serbaia  per  trastullo  dell'ultima  vecchiezza  e  per  testimonio  dell'  essere  che  altri  a  me  ed 
io  ad  altri  ho  dato;  onde  lo  ringrazio  pregandolo  che  mi  conceda  il  vivere  sino  al  cele- 
brare delle  nozze  sue .  In  questo  mezzo  bisognerà  che  io  diventi  il  suo  giuoco,  perchè 
•noi  siamo  i  buffoni  de' nostri  figliuoli,  la  loro  semplicità  tuttavia  ci  calpesta,  ci  tira  la  bar- 
ba, ci  percuote  il  volto,  ci  sveglia  i  capegli  onde  ci  vendano  i  baci,  con  cui  gli  saggiamo,  e 
gli  abbracciamenti,  con  che  gli  leghiamo  per  cotale  moneta .  IVIa  non  è  diletto  che  egua^ 
gliasse  un  tanto  piacere,  se  la  paura  dei  sinistri  loro  non  ci  tenesse  ognora  [gli  animi  in- 
quieti .  Ogni  lagrimuccia  ch'essi  versano,  ogni  voce,  ogni  sospiro  che  gli  esce  di  bocca 
ci  scuotono  l'anima .  Non  cade  fronda,  né  si  aggira  pelo  per  1'  aria  che  non  paja  piombo, 
che  gli  caschi  sopra  il  capo  uccidendogli,  né  mai  la  natura  gli  rompe  il  sonno  o  gli  sazia 
il  gusto  che  non  temiamo  della  loro  salute,  sicché  il  dolce  è  stranamente  mescolato  con 
r  amaro,  e  quanto  più  vaghi  sono,  più  acuta  è  la  gelosia  del  perdergli.  Iddio  mi  gimrdi 
la  mia  figliuola,  che  certo  essendo  ella  di  un'  indole  graziosissima  mancarei  s'  ella  patis- 
se, non  pur  morisse  .  Adria  è  il  suo  nome  che  ben  doveva  cosi  nominarla,  poiché  in  grem- 
bo delle  sue  onde  per  volontà  divina  è  nata  ,  e  me  ne  glorio  perché  questo  sito  é  il  giardi- 
no della  natura,  onde  io  che  ci  vivo  ho  provato  dieci  anni  che  ci  sono  vissuto  più  conten- 
tezze, che  chi  è  stato  costi  in  Boma  disperazioni .  E  quando  la  sort«  mi  avesse  concesso 
lo  starci  insieme  con  voi,  mi  terrei  felice,  benché  ancora  stiamo  assenti  io  tengo  un  gran 
dono  l'esservi  amico,  compare  e  fratello  . 

(8)  Nel  Libro:  Lettere  scritte  al  signor  Pietro  Aretino  .  Venezia  per  Francesco  Mar- 
colini  i552.  Libro  primo,  facce  i  2  e  i3,  leggonsi  le  due  seguenti  di  Sebastiano . 

»  All'  unico  signor  Pietro  Aretino. 

»  Fratello  honorando:  Son  doi  giorni,  che  papa  Clemente,  mangiando  in  Castello  più 

«  presto  pan  de  dolori,  che  vivande  magnifiche;  disse  con  un  sospiro  che  si  fece  sentire, 

"  se  Pietro  Aretino  ci  fusse  stato  appresso,  noi  forse  non  saremmo  qui  peggio  che  prigio- 

«  ni,  però  che  ci  havrebbe  detto  liberamente,  ciò  che   si  diceva  in  Roma,   de  lo   accordo 

"  Cesareo  trattato  per  il  Feramosca,  et  il  Vice-Re  di  Napoli,  tal  che  noi    non  havremmo 

«  posto  la  nostra  buona  volontà  in  mano  de  tali.  Sua  Santità,   Compar  caro;   allegò  in 

»  simil  proposito,  il  Sonetto  che  gli  deste,  nel  caso  de  la  presa  del  Christianissimo  a  Pa- 

"  via,  cosa  che  a  pensarci  fa  tremare  il  cuore  de  tutti  i   vostri   amici  :   perché   non  se  udì 

"  mai,  che  uno  huomo,  havesse  tanto  ardire  de  dare  a  un  si  gran  maestro  le   sue  vergo- 

"  gne  in  iscritto.  Benché  la  sua  Beatitudine  guardò  a  la  bontà  del  vostro  animo;  che  con 

"  tutto  il  cuore  gli  disse  il  vero.  Mastro  .Andrea  che  non  aveva  altro  in  bocca,  che  il  suo 

'■>  Pietro,  è  suto  amazzato  da  certi  Spagnuoli,  senza  sapere  il  perché,  ne  il  per  come  et  è 

"  dolto  a  ciascun  buon  compagno  per  certo  .  La  mia  donna,  vi  si  raccomanda,  et  dice 

»  che  solo  a  V.  S.  ha  obligo  ,  tra  quanti  praticarono  con  me  . 

Di  Roma  il  XV.  di  maggio  MDXXVII. 

Il  vostro  Bastian  Pittore. 


(g)  '•  Al  dh'ìno  signor  Pietro  Aretino  . 

«  Compare  fratello  et  patrone,  è  pur  vero,  che  i  Pietri  Aretini  bisogna,  che  ci  nascili* 
il  no,  io  dico  ciò  che  ha  detto  il  disperato  papa  Clemente,  in  Castel  sant'Angelo.  Sua  San- 
"  lilà  ha  fatto  imporre  a  tutti  i  dotti,  che  faccino  una  lettera  a  lo  Imperatore,  recoman- 
"  dando  a  la  Maestà  sua  Roma  ogni  di  saccheggiata  peggio,  che  prima,  et  il  Tebaldeo  , 
n  insieme  con  gli  altri,  serratisi  per  tal  cosa  in  gli  Studi;  hanno  fatto  presentare  le  lor 
V,  lettere  a  nostro  Signore,  il  quale  lettone  quattro  versi  per  una;  le  gettò  là;  con  dire  che 
"  da  Voi  solo  era  materia  tal  suggetto.  In  fine  egli  vi  ama  et  assai  assai,  et  un  di  qual- 
«  che  cosa  sarà  ,  al  dispetto  dogli  invidiosi,  pur  sanità. 

«  Di  Roma  nel  XXVU. 

«  Vostro  Bastiano  Pittore  «  . 

(io)  Vettor  Soranzo  scrive  da  Roma  in  data  8  giugno  i53o  a  Pietro  Bembo  cosi:  Do- 
vete sapere  che  Sebastianello  nostro  f^enetìano  ha  trovato  un  secreto  dipingere  in  mar- 
mo a  olio  bellissimo  il  quale  farà  la  pittura  poco  meno  che  eterna .  I  colori  subito  che 
sono  asciutti  si  uniscono  col  marmo  di  maniera  che  quasi  impetriscono,  et  ha  fatto  ogni 
proi-a  et  è  durevole .  Ne  ha  fatto  una  imagine  di  Christo  et  halla  mostrata  a  S.  Sig. 
(  Vedi  Lettere,  da  diversi  re  et  principi,  et  cardinali  et  altri  huomini  dotti  a  mons.  Pie- 
tro Bembo  scritte.  In  Venetia ,  appresso  Fran.  Sansovjno  MDLX.  a  carte  no  ). 

(i  i)  Che  Sebastiano  si  dilettasse  talor  ili  poetare  ne  fanno  testimonianza  i  biografi  suoi, 
fra'  quali  il  Vasari,  e  sulla  lor  fede  sono  ito  tratto  tratto  ricordando  in  queste  Memorie 
anche  cotesto  suo  valore.  Però  io  dubito  se  sieno  fino  a  noi  pervenute  poesie  che  dir  si 
possano  con  certezza  uscite  della  sua  penna:  imperciocché  non  potre'  io  mai  cosi  alla  cie- 
ca, come  fa  il  Vasari  (*),  attribuirgli  quel  capitolo  berniesco  che  stassi  sotto  il  nome  di 
Sebastiano  fralle  Opere  di  Messer  Francesco  Berni  ;  capitolo  che  potrebbe  non  esser  fat- 
tura sua,  ma  si  cosa  d'altri  in  suo  nome,  e  forse  secondo  le  sue  idee  scritta.  E  dubitar  me 
ne  fa  il  vedere,  che  nelle  Opere  del  Berni  di  tutte  le  edizioni  quel  capitolo  è  posto  fra 
quelli  di  autori  incerti,  e  vi  si  dice  in  alcune  Risposta  in  nome  di  fra  Sebastiano  del 
Piombo.  Inoltre  per  poco  che  si  ragguagli  il  dettato  delle  quattro  lettere  sue  sopra  rife- 
rite, con  quello  delle  terzine  ,  vedesi  esser  1'  uno  assai  diverso  dall'altro.  Vero  è  che  da 
uno  stesso  scrittore  vario  stile  s'  usa  in  scrivendo  lettere  in  prosa  familiari,  e  in  iscriven- 
do capitoli  in  versi.  Ma  parmi  che  qui  troppa  distanza  siavi  nelle  due  maniere  di  scrittu- 
ra ;  neir  una  delle  quali,  cioè  nelle  lettere  si  ravvisa  il  V^eneziano  misto  al  Romano  incol- 


(*)  Dice  il  Vasari  :  Fu  ancora  suo  grandissimo  amico  mssser  Francesco  Berni  fiorentino  che  gli 
scrisse  un  capitolo,  ni  (futile  rispose  fi  a  Sebastiano  con  un  altro  assai  hello,  come  quelli  che 
essendo  universale  seppe  anco  a  far  versi  toscani  e  builcvoli  accomodarsi. 


2Ì5 


to,  è  nel  c;i|ii(olo  si  scorge  un  Toscano,  o  almen  chi  molto  versato  era  nello  studio  di 
quella  |jurissinia  favella  . 

Sottopongo  però  al  giudizio  de'leggitori  il  detto  capitolo  di  fra  Sebastiano  premettendo 
la  proposta  del  Heini,  con  alcune  annotazioni  tratte  dalla  edizione  che  dell'  Opuie  l)urle- 
sclie  fece  in  Lpndia  Paulo  Rolli . 


CAPITOLO 
DI    M.    FRANCESCO    DERNI. 

A     FRA     BÌ9T1AN     DEL    FIO.MUO    (n) . 


Padre,  a  me  più  che  agli  altri,  reverendo, 
Glie  son  reverendissimi  cliianiati, 
E  la  lor  riverenza  io  nolla  intendo: 

Padri,  ripulazion  di  quanti  frati 

Ha  lioggi  il  mondo,  e  quanti  n'Iiebbe  mai, 
Fino  a  quei  goffi  degl'  Ingliiesuati: 

Che  fate  voi  dapoi  eh'  io  vi  lasciai 

Con  quel,  di  chi  noi  siam  tanto  divoti. 
Che  non  è  donna,  e  me  ne  innamorai  , 

lo  dico  iMicliel'  Agnol  Buonarroti, 

Che  quando  io  '1  veggio,  mi  vien  fantasia 
D'  ardergli  incenso,  e  attaccargli  i  voli  . 

E  credo,  che  sarebbe  opra  più  pia. 

Che  farsi  bigia,  o  bianca  una  giornea, 
Quand'un  guarisse  d'una  malattia  . 

Costui  cred'io,  che  sia  la  propria  Idea 
Della  scultura  e  dell'architettura. 
Come  della  giustizia,  monna  Astrea. 

E  chi  volesse  fare  una  figura. 

Che  le  rappresentasse  ambedue  bene. 
Credo  che  faria  lui  per  forza  pura  . 

Poi  voi  sapete  quanto  egli  è  dabbene. 

Coni"  ha  giudizio,  ingegno,  e  discrezione. 
Come  conosce  il  vero,  il  bello,  e  '1  bene  . 

Ilo  visto  qualche  sua  composizione. 
Sono  ignorante  e  pur  direi  d" bavelle 
Lette  tutte  nel  mezzo  di  l'iatone. 


Si  ch'egli  è  nuovo  Apollo,  e  nuovo  Ape  Ile, 
Tacete  unquanco,  pallide  viole, 
E  liquidi  cristalli,  e  fere  snelle. 

Ei  dice  cose,  e  voi  dite  parole: 
Così,  moderni  voi  scarpellalori, 
E  anche  antichi,  andate  tulli  al  sole  e'/)  . 

E  da  voi,  padre  reverendo,  in  fuori 
Chiunque  vuole  il  mestier  vostro  fare. 
Venda  più  presto  alle  donne  i  colori. 

\  oi  solo  appresso  a  lui  potete  stare, 
E  non  senza  ragion,  si  ben  v'  appaja 
.Amicizia  perfetta,  e  singulare  . 

Bisognerebbe  haver  quella  caldaja 
Dove  il  suocero  suo  Medea  rifrisse 
Per  cavarlo  di  man  della  vecchiaia . 

O  fosse  viva  la  donna  d'  Ulisse, 
Per  farvi  tutt'  e  due  ringiovanire, 
E  viver  più,  che  già  Titon  non  visse. 

A  ogni  modo  è  dishonesto  a  dire. 

Che  voi  che  fate  i  legni  e  i  sassi  vivi, 
Habbiate  poi  coni'  asini  a  morire  . 

Basta  che  vivon  le  querci  e  gli  ulivi, 
I  corbi,  le  cornacchie,  i  cervi,  e  i  cani, 
E  mille  animalacci  più  cattivi. 

]\la  questi  son  ragionamenti  vani. 

Però  lasciangli  andar,  che  non  si  dica . 
Che  noi  sian  mammalucchi,  o  luterani . 


(a)  Sia  a  png.  28  ilei  libro  piiinn  dell'opere  liirluiehe  ili  M.  Francesco  Bcnn  c"J  iiUii.  Iwpressc 
in  J\iapoli  nel  1723.  8.  colla  falsa  ilala  di  Firenze  i555. 

(ft)  .inJate  al  sole  come  piante  inutili  svelle  e  le  cui  radici  s' espongono  al  iole  perdi' ei  le  disec- 
clii  (Rolli).  In  J'cnezia  il  basso  popolo  ha  una  simil/rae  di  dispie^io  martliia  al  sol,  tratta 
aiuto  i/u/ji  de'  cor.daiiiiclt  alla  bellina  espoili  al  sole  per  alcuna  ni  e  sulla  pubblica  via. 


246 

Pregovi,  padre,  non  vi  sia  fatica, 

Raccomandanni  a  Michel'  Agnol  mio  , 
E  la  memoria  sua  tenermi  amica  . 

Se  vi  par' anche,  dite  al  Papa,  ch'io 
Son  qui:  e  1'  amo,  e  osservo,  e  adoro  , 
Come  padrone,  e  vicario  di  Dio. 

E  un  tratto,  ch'andiate  in  concistoro. 
Che  vi  sien  congregati  i  cardinali. 
Dite  a  Dio  da  mia  parte  a  tre  di  loro. 

Per  discrezion  voi  intenderete  quali. 
Non  vo,  che  mi  diciate,  tu  mi  secchi: 
Poi  le  son  cirimonie  generali  . 

Direte  a  Monsignor  di  Carnesecchi 

Ch'  io  non  gli  ho  invidia  di  quelle  sue  scritte 
Né  di  color  che  gli  tolgon  gli  orecchi .  (r) 


Ilo  ben  martel  di  quelle  zucche  fritte  , 
Che  mangiammo  con  lui  1'  anno  passato. 
Quelle  mi  stanno  ancor  negli  occhi  fitte  . 

Fatemi,  padre,  ancor  raccomandalo 
Al  virtuoso  Wolza  gaglioffaccio. 
Che  m'  ha  senza  ragion  dimenticato. 

Senza  lui  mi  par  esser  senza  un  braccio. 
Ogni  di  qualche  lettera  gli  scrivo  , 
E  perch'  eli'  è  plebea,  dipoi  lo  straccio  . 

Del  suo  signore,  e  mio,  ch'io  non  servivo,  (d) 
Or  servo  e  servirò  presso,  e  lontano. 
Ditegli,  che  mi  tenga  in  grazia  vivo. 

Voi  lavorate  poco ,  e  state  sano , 

Non  vi  paja,  ritrar  bello,  ogni  faccia,  (e) 
A  Dio  caro  mio  padre  fra  Bastiano, 

A  rivederci  a  Hostia  a  prima  laccia .  (/) 


RISPOSTA 


)  N        NOME 


DI  FRA  SERASTIANO  DEL  PIOMBO  (g). 


Com'  io  bebbi  la  vostra,  signor  mio. 
Cercando  andai  fra  tutti  i  Cardinali, 
£  dissi  a  tre  da  vostra  parte  a  Dio  • 

Al  medico  maggior  de  i  nostri  mali,  (/;) 
Mostrai  la  data,  onde  ei  ne  rise  tanto , 
"Che  '1  naso  fé'  due  parti  degli  occhiali . 

Il  servito  da  noi  pregiato  tanto  (i) 
Costà,  e  qua  sicome  voi  scrivete, 
N'  hebbe  piacere,  e  ne  rise  altrettanto  . 


Ma  quel  che  tien  le  cose  più  segrete  (A) 
Del  medico  minor  non  ho  ancor  visto, 
Farebbesi  anco  a  lui  se  fussi  prete . 

Sonci  molt'  altri ,  che  rinniegan  Christo, 
Che  voi  non  siate  qua,  né  dà  lor  noia  : 
Che  chi  men  crede  si  lien  manco  tristo  . 

Di  voi  a  tutti  caverò  la  foja 

Di  questa  vostra,  e  chi  non  si  contenta 
Affogar  possa  per  la  man  del  Boja. 


(e)  tolgon  gli  orrechi.  Quel  monsignore  era  di  qualche  magistrato  in  Roma ,  e  perù  tenuto  a  dar 
udienza  a'  curiali;  i  disonesti  ed  ignoranti  de^ quali  son  chiamati  Moxzorecchj  come  se  a/orza 
di  grida  andasser  a  mozzare  le  pazienti  orecchie  de'  Giudici  (Rolli  ). 

(d)  Del  suo  signore,  ybrie  il  cardinale  di  Medici  (Rolli). 

(e)  Non  vi  paja,  cioè  non  vi  paja  degno  di  lodeiZ  dipingere  la  sembianza  d'  ogni  faccia  ;  lo  con- 
siglia a  dipinger  solo  faccie  riguardevoli  0  per  bellezza  o per  merito  personale  (Rolli). 

(/)  a  prima  laccia .  A  Primavera .  Laccia  è  un  pesce  di  mare  che  a  primavera  viene  neW  acqua 

dolce . 
ig)  Questo  Capitolo  si  legge  a  pag.  I25  della  delta  edizione  nel  libro  primo, 
{h)  Al  medico  maggior  papa  Clemente  FU.  (Rolli). 

(')  Il  servito  forse  il  cardinal  di  Medici.  Lo  chiama  poi  medico  minore.  (Rolli). 
;/.)  quel  che  tien  qualche  favorito  del  detto  cardinale.  (Rolli). 


La  carne,  che  nel  sai  si  purga,  e  stenla,  (/) 
Che  saria  buon  per  carnovale  ancora, 
Di  voi  pili  che  di  se  par  si  contenta  . 

Il  nostro  Buonarruoto,  che  v'  adora. 
Visto  la  vostra  ,  se  ben  veggio,  parmi, 
eli'  al  Ciel  si  lievi  mille  volte  ognora. 

E  dice,  che  la  vita  de'  suoi  marmi 

Non  basta  a  fare  il  vostro  nome  eterno. 
Come  lui  fanno  i  vostri  divin  carmi. 

A  quai  non  nuoce  né  state,  né  verno. 
Da  tempo  assenti,  e  da  morte  crudele. 
Che  fama  di  virtù  non  ha  in  governo. 

E  come  vostro  amico,  e  mio  fedele, 
Disse  a  i  dipinti ,  visto  i  versi  belli, 
S'appiccan  voti,  ed  accendon  candele  . 

Dunque  io  son  pur  nel  numero  di  quelli. 
Da  un  goffo  dipintor  senza  valore. 
Cavalo  da  pennelli,  ed  alberelli. 

Il  Bernia  ringraziale  mio  signore. 
Che  fra  tanti  egli  sol  conosce  il  vero 
Di  me,  che  chi  mi  stima  è  in  grand' errore. 


Ma  la  sua  disciplina  il  lume  intero 
Mi  può  ben  dare ,  e  gran  miracol  fia, 
A  far  d'  un  buoni  dipinto  un  daddovero. 

Cosi  mi  disse,  ed  io  per  cortesia 
Vel  raccomando  quanto  so  e  posso 
Che  fia  apportator  di  questa  mia. 

Mentre  la  scrivo  a  verso  a  verso,  rosso 
Divengo  assai,  pensando  a  chi  la  mando  , 
Sendo  al  mio  non  professo  grosso,  e  mosso. 

Pur  nondimen  cosi  mi  raccomando 
Anch'  io  a  voi,  ed  altro  non  accade, 
D'  ogni  tempo  son  vostro,  e  d'ogni  quando. 

A  voi  nel  numer  delle  cose  rade. 
Tutto  mi  v'offerisco,  e  non  pensate 
Ch'  io  manchi ,  se'  1  cappuccio  non  mi  cade 

Cosi  vi  dico,  e  giuro  e  certo  siate, 

Ch  io  non  farei  per  me  quel,  che  per  voi: 
E  non  m'habbiate  a  schifo,  come  frate. 

Comandatemi ,  e  fate  poi  da  voi. 


(/)  La  carne  intende  di  monsignor  Pietro  Carnesecchi.  (Rolli). 


"49 
CONSIDERAZIONI  FISIOLOGICHE 

SUL 

SENSO    DEL    BELLO 

E  SUL  MODO  DI  RENDERLO  PIÙ  SICURO  E  PIÙ  PRONTO 

MEMORIA 

DI    STEFANO    DOTTOR    GALLINI 

PKOFESSORE  DI  ANATOMIA  SOBUME  E  FISIOLOGIA  NELL'  I.  H.  UNIVERSITÀ  DI  PADOVA 

MEMBRO  ONORARIO. 


INTRODUZIONE. 

i^uantunqne  io  non  sia  stato  molto  eccitato  nella  mia  prima  educazione  ad 
esercitare  quel  senso,  che  ci  fa  gustare  le  bellezze  della  natura,  e  o-iudicare  dei 
capi  d' opera  delle  belle  arti  ;  e  quantunque,  dedicato  in  seguito  agli  studii  filo- 
sofici, e  soprattutto  a  quello  della  fisica  animale  e  de'suoi  rapporti  con  la  patolo- 
gia e  con  la  medicina  pratica,  abbia  molto  trascurato  un  esercizio  simile,  pure 
ho  letto  con  piacere  e  con  molta  attenzione  sino  dall'  anno  1808  i  ragionamen- 
ti sul  Bello  c\xt  il  dotto,  egregio  ed  erudito  cavaliere  Cicognara,  benemerito 
presidente  dell  accademia  delle  belle  arti  di  Venezia,  ha  in  quel  tempo  pubbli- 
cati. Questo  non  deve  recare  meraviglia  .  Egli  con  molta  chiarezza  ha  esposti 
gli  altrui  pensamenti  sulla  natura  e  sulle  varietà  del  Bello,  e  vi  ha  ag^-iunte  con 
molto  ingegno  alcune  osservazioni  per  determinare  possibilmente  in  che  consi- 
sta il  Bello  assoluto,  e  da  che  dipendano  i  varii  aspetti  sotto  i  quali  il  Bello  ven- 
ne, e  viene  considerato  .  Convien  inoltre  rillettere  che  la  sola  totale  mancanza 
di  esercizio  di  quel  senso  avrebbe  potuto  rendermi  incapace  di  giudicare  se  ret- 
tamente o  no  abbiano  pensato  e  pensino  quelli,  chq  tentarono  e  tentano  di  co- 
noscere le  circostanze  diverse  da  cui  quella  grata  sensazione  risulla,  che  il  bel- 
lo, il  grazioso,  il  sublime  nell'opere  della  natura  e  dell'arte  eccita  in  noi.  Un 
3a 


esercizio  qualunque  ti*  esso  senso,  quanJ'  anche  non  sia  portato  al  sommo  grado, 
non  può  togliere  ilei  tutto  la  capacità  di  gustarlo,  e  può  soltanto  renderci  tardi 
a  distinguere  tutte  le  varie  gradazioni  del  Bello,  o  può  piuttosto  lasciarci  inetti 
ad  esprimere  con  parole  le  cause  del  giudizio  a  cui  determinano  . 

Nella  memoria  suW  educazione  delle  jacoltà  ìntellcltuali  suggerita  dalla  co- 
stituzione fisica  del  cervello^  pubblicata  nell'anno  1809  tra  quelle  dell'  accade- 
mia di  scienze,  lettere  ed  arti  di  Padova,  bo  mostrato  quanta  sia  l'inlluenza  del- 
l' attenzione  dell'  anima  alle  impressioni  fatte  dagli  oggetti  sui  sensorli  esterni,  e 
da  questi  trasmesse  al  centro  massimo  dei  nervi  ed  al  cervello  ove  essa  risiede . 
In  proporzione  dell'  attenzione  che  1'  anima  presta,  la  formazione  delle  idee  più 
o  meno  chiare  consiste,  e  consiste  pure  la  maggior  o  minor  rettitudine  de'giu- 
dizii,  de' ragionamenti  e  delle  determinazioni.  Ma  io  ho  mostrato  nella  stessa  me- 
moria come  avvenga  che  si  possa  alle  volte  giudicare  rettamente  ed  operare 
conseguentemente  senza  poter  esprimere  in  parole  tutte  le  serie  d' idee  e  di  cir- 
costanze, che  ci  conducono  ai  giudizii  ed  alle  determinazioni. 

Io  sono  ben  lontano  dal  volere  con  questo  far  credere  che  abbia  acquistato 
r  attitudine  di  giudicare  rettamente  sulle  bellezze  della  natura  e  dell'arte,  ab- 
bcnchè  non  abbia  la  capacità  d'esprimere  prontamente  le  serie  d'idee  che  mi 
fanno  giudicare.  Ho  avuta  l'occasione  nella  mia  gioventù  di  percorrere  alcuni 
paesi  della  Francia,  dell'Inghilterra  e  della  nostra  Italia.  Ho  potuto  trattener- 
mi lungamente  nelle  gran  capitali  Parigi,  Londra,  Najioli,  Roma,  Firenze,  non 
che  in  varie  città  dell'or  resino  Lombardo- Veneto,  e  non  ho  trascurato  mai  di 
osservare  tante  bellezze  della  natura  e  dell'  arte,  che  in  ogni  città  più  o  meno 
numerose  si  trovano  .  Ma  confesso  ingenuamente  che  quantunque  1'  osservare  e 
rivedere  quelle  bellezze  mi  abbia  dato  e  mi  dia  molto  piacere,  pure  non  sono 
mai  stato  occupato  con  quell'  interesse  e  con  quell'  attenzione  che  conviene  per 
divenire  quello  che  dicesi  intelligente.  Le  cause  però  e  le  circostanze  tutte  per 
cui  all' occasione  di  alcune  impressioni  fatte  das'U  ocj-^etti  sui  sensorii  esterni 
r  uomo  non  solo  prova  sensazioni  grate  o  moleste,  ma  può  ancora  formarsi  e  ri- 
fiveo-liare  alcune  serie  successive  d' idee,  di  ofiudizii,  di  racrionamenti  e  di  deter- 
minazioni,  le  quali  ultime  lo  portano  ad  esprimere  le  interne  sue  percezioni,  ed 
a  produrre  oggetti  che  possano  eccitare  negli  altri  simili  percezioni:  tutte  que- 
ste circostanze  hanno  sempre  eccitata  la  mia  curiosità .  E  questa  doveva  tanto 
più  vivamente  invogliarmi  a  considerare  le  circostanze  che  concorrono  a  pro- 
durre la  sensazione  ed  i  giudizii  sul  Bello,  quanto  è  noto  che  in  proposito  alle 
impressioni  in  noi  prodotte  dalle  bellezze  della  natura  e  dell'arte,  due  cose  co- 
stantemente si  osservano  .  La  prima  e  che  quelle  impressioni  siano  così  moltipli- 
ci  che  tutte  le  idee  corrispondenti,  le  quali  conducono  a  formare  1  giudizii  e  le 
determinazioni  relative,  e  quindi  a  risvegliare  le  serje  di  quelli  e  di  queste,  altr* 


Tolte  formati  o  altre  volte  avute,  non  sono  ne  da  tutti.,  ne  sempre  chiaramente 
distinte,  abbenchè  i  giudizii  di  molti  siano  retti,  ed  abbenchè  le  determinazioni 
atte  a  far  produrre  opere  beile  siano  appunto  quali  convengono.  La  seconda  cosa 
da  osservarsi  a  questo  proposito  è  che  le  impreasioni  dell'opere  belle  siano  sem- 
pre di  tal  natura^che  un  senso  di  piacere  accompagna  sempre  le  idee  che  vi  corri- 
spondono, e  che  conducono  a  formarne  i  giudizii.  Io  doveva  dunque  essere  ten- 
tato ad  esaminare  se  quello  che  la  fisiologia  suggerisce  circa  le  circostanze,  che 
accompagnano  la  formazione  delle  idee  e  de'  giudizii  in  generale,  e  la  produzio- 
ne in  particolare  di  sensazioni  grate o moleste,  manifestasse  l'origine  de'giudizii 
retti  che  fanno  sul  Bello,  e  delle  pronte  determinazioni  che  hanno  a  produrre 
opere  belle  quegli  stessi  che  non  sanno  esprimere  tutte  le  serie  d'  idee  che  li 
conducono  a  giudicare  rettamente  ed  a  operare  conseguentemente  ;  e  se  mani- 
festasse pure  l'origine  di  quei  giudizii,  che  fecero  distinguere  il  Bello  in  assolu- 
to, in  relativo,  in  capriccioso  ec. 

So  benissimo  che  simili  indajrini  in  jrrazia  delle  ardite  deduzioni.,  che  alcuni  o 

Do  ' 

troppo  vani  o  troppo  precipitosi  hanno  fatte,  furono  giudicate  da  molti  tenden- 
ti a  stabilire  dottrine  giustamente  riprovate  .  Conosco  pure  che  altri  in  grazia 
dell'  attenzione  troppo  intensa  che  esigono  per  arrivare  ed  arrestarsi  a  ciò  sol- 
tanto a  cui  possono  giustamente  condurre,  le  hanno  relegate  o  paragonate  agli 
inutili  e  sterili  sforzi  dell'  antica  metalisica .  Quindi  n'è  risultato  che  o  per  una 
ragione  o  per  1'  altra  queste  indagini  sono  in  generale  trascurate,  ma,  s  io  non 
m'inganno  di  molto,  il  tisiologo  può  con  franchezza  dedicarsi  e  progredire  in  si- 
mili ricerche  senza  bisogno  e  senza  timore  di  oltrepassare  i  dovuti  limiti.  Per 
un  tale  oggetto  il  lislologo  non  ha  da  esaminare,  e  molto  meno  da  attaccare  le 
proposizioni  che  ai  metafisici  ed  ai  teologi  appartengono  :  come  ho  mostralo 
nella  memoria  sulf  indipendenza  dalla  fisiologici  dalle  questioni  metafisiche^ 
fisiche  e  c/ftw/'cAe,  pubblicata  in  Venezia  l'anno  i8o5  ed  inserita  nel  volume  ot- 
tavo della  scelta  di  opuscoli  scientifici  e  lelterarii .  Non  ardisco  a^rgiuno-ere 
che  alcuni  abbiano  disprezzate  le  mie  proposizioni,  perchè  sono  appoggiate  a 
semplici  e  per  lo  più  ovvie  osservazioni  .  J\on  credo  che  quegli  il  quale  dopo 
avere  fatte  seimllle  esperienze,  e  sagrificati  ((uattrouiille  animaletti  protesta  di 
non  avere  ancora  conosciuta  bene  la  verità  che  cerca,  meriti  pi"u  fiducia  di  quel- 
lo, che,  riunendo  soltanto  alcune  pure  ovvie  osservazioni,  e  progredendo  con  re- 
golari induzioni,  presenta  qualche  proposizione  utile  nelle  sue  applicazioni .  Il 
determinare  certamente  le  circostanze,  in  cui  o  per  cui  1'  uomo  ha  alcune  idee, 
forma  alcuni  giudizii,  prova  sensazioni  or  grate  or  moleste,  dev'essere  d'una  som- 
ma utilità,  perchè  queste  considerazioni  conducono  non  solo  a  determinare  il 
modo  con  cui  la  facoltà  di  formare  le  idee  e  di  giudicare  rettamente  possa  es- 
sere resa  più  sicura  ed  energica,  ma  a  conoscere  ancora  la  grande  influenza  che 


252 

il  SCUSO  fli  piacere  o  ili  molestia  ha  nei  giuJizii  formati  sulle  impressioni  contem- 
poraneamente ricevute  e  trasmesse  al  cerTcUo  .  Queste  consitlerazioni  possono 
soprattutto  manifestare  clie  a  questo  senso  grato  o  molesto  che  sia  più  volte 
eccitato  in  associazione  con  alcune  impressioni,  le  quali  non  concorrono  a  costi- 
tuirlo, debhansl  attribuire  i  giudizii  erronei  e  capricciosi:  e  simili  considerazio- 
ni possono  farci  arrivare  a  conoscere  alcune  misure  necessarie  per  evitare  gU 
errori . 

Ne'miei  scritti  fisiologici  e  soprattutto  nella  memoria  già  citata  usull'educa- 
!i  zione  delle  facoltà  intellettuali  suggerita  dalla  costituzione  hsica  del  cervello" 
io  ho  cercato  di  determinare  le  circostanze,  che  possono  rendere  più  sicura  e 
piii  energica  la  facoltà  di  giudicare  rettamente  e  di  operare  conseguentemente, 
ed  air  occasione  di  render  ragione  di  alcune  strane  simpatie  ed  antipatie  ho  fat- 
to qualche  cenno  sulle  circostanze,  in  cui  il  senso  grato  o  molesto  viene  prodot- 
to, e  sugli  errori,  a  cui  può  far  cadere  l'uomo  in  particolare.  Non  dispiacerà,  mi 
lusino-o,  che  prima  di  occuparmi  delle  stesse  varietà  de' giudizii  sul  Bello,  che  da 
diverse  persone  e  in  diverse  circostanze  furono  pronunziati  e  sostenuti,  io  pre- 
metta una  rapida  esposizione  di  tuttociò,  che  1"  osservatore  fisiologo  può  dire  di 
certo  sul  modo  di  rendere  sicuri  e  retti  i  giudizii,  e  conseguenti  le  determinazio- 
ni stesse,  e  sull'influenza  che  il  senso  di  piacere  deve  avere  nella  varietà  de'  giu- 
dizii sino  a  farli  comparire  capricciosi.  Forse  ricordando  quello  che  ho  cercato 
di  mostrare  nella  già  citata  memoria  cesserà  il  timore  die  quelle  investigazioni 
possine  portare  ad  errori  giustamente  riprovati,  come  qualcuno  ha  cercato  e  for- 
se cerca  ancora  di  far  credere  :  e  forse  potrà  risultare  che  simili  ricerche  non 
siano  piìi  trascurate  da  quelli  che  potrebbero  meglio  far  avanzare  la  scienza 
dell'educazione. 

PARTE  PRIMA. 


Nella  memoria  or  citata  più  volte  ho  mostrato  che  il  numero  e  la  forza  delle 
impressioni  fatte  nei  sensorii  esterni,  il  particolare  sensorio  da  cui  esse  impres- 
sioni sono  ricevute  e  trasmesse  al  centro  massimo  dei  nervi  ed  al  cervello,  ed  il 
vario  grado  di  prontezza  e  di  celerità,  che  i  nervi  hanno  od  acquistano  nel  tras- 
metterle, abbiano  una  grande  influenza  sulla  facoltà  residente  nel  centro  massi- 
mo e  nel  cervello,  o  sull'  anima  a  cui  essa  facoltà  appartiene,  end  essa  possa 
formare  le  idee,  i  giudizii,  i  ragionamenti  e  le  determinazioni,  ed  abbiano  anco- 
ra molta  influenza  nell'  associazione  che  le  idee,  i  giudizii,  i  ragionamenti  e  le 
determinazioni  acquistano  per  riprodursi  in  alcune  circostanze .  Ma  io  ho  fatto 
soprattutto  vedere  che  il  vario  grado  d' intensione  o  d'  estensione  con  cui  la  fa- 


2^ 

colta  residente  nel  centro  massimo  del  nervi  e  nel  cervello  opera,  o  per  dire  più 
chiaramente,  ho  mostralo  che  il  vario  grado  d'intensione  o  di  estensione,  con  cui 
l'^aninia  applica  la  sua  allenzione  alle  impressioni  medesime,  dia  a  (juelle  opera- 
zioni tutte  maggior  sicurezza,  maggior  rettitudine,  maggiore  prontezza,  e  faccia 
che  compariscano  effetti  di  varie  facoltà,  le  cpiall  però  possono  esser  ridotte  al- 
l'intelletto,  alla  immaginazione  ed  alla  volizione. 

Ho  mostrato  inoltre  che  i  ragazzi  giudicano,  ragionano  e  si  determinano,  pri- 
ma di  poter  prestare  quell'attenzione  intensa  alle  operazioni  loro,  la  quale  è  ne- 
cessaria per  essere  conscil  e  per  poter  rendere  conscii  gli  altri  della  ragionevo- 
lezza delle  stesse  .  Ho  mostrato  ancora  che  molti  uomini  adulti  sono  riputati 
avere  un  buon  senso  naturale,  il  quale  portato  a  un  certo  grado  licevc  il  nome 
di  genio,  quando  essi  sanno  giudicare  rettamente  e  determinarsi  conseguentemen- 
te senza  arrivare  ad  essere  cosi  conscii  da  poter  esprimere  in  parole  le  serie 
d'  idee,  di  giudizii  e  di  ragionamenti,  con  cui  soltanto  potrebbero  rendere  con- 
scii gli  altri.  Finalmente  con  la  storia  de" progressi  nell'educazione  de  laiiciul- 
11  ,  e  nella  civilizzazione  delle  società  ho  confermato  che  allorquando  l'anima 
presta  un  certo  grado  di  attenzione  alle  impressioni  trasmesse ,  prodotte  o  ri- 
prodotte nel  cervello,  il  fanciullo  possa  acquistare,  e  1'  uomo  adulto  possa  con- 
servare l'abitudine  di  giudicare  rettamente  e  di  determinarsi  conseguentemen- 
te, ed  ho  fatto  vedere  che  l'uno  e  l'altro  acquista  questa  abitudine  prima  certo 
di  poter  distinguere  ed  esprimere  in  parole  tutte  le  serie  successive  di  giudizii  e 
di  determinazioni.  Tutto  dipende,  io  scrissi,  dalla  somma  rapidità  con  cui  le 
Impressioni  trasmesse  col  mezzo  dei  nervi  dai  sensorii  esterni  al  cervello,  e  da 
questo  agli  organi  del  moto  animale,  e  lutto  dipende  ancora  dalla  somma  pron- 
tezza dell'anima  a  formarsi  le  corrispondenti  percezioni,  giudizii  e  determinEzioni, 
le  quali  ultime  influiscono  nella  trasmissione  delle  impressioni  a'  diffcr»  nti  orga- 
ni dei  moli  animali:  rapidità  e  prontezza  che  non  lascia  allanima  il  tempo  per 
così  dire  necessario  a  ben  distinguere  le  impressioni,  e  ad  assegnare  a  ciascuna 
un  segno,  e  molto  meno  un  nome  corrispondente  per  esprimere  le  idee,  e  ren- 
dere conscii  gli  altri  delle  stesse. 

Dietro  queste  osservazioni  ho  creduto  poter  dire  francamente  che  i  metenfisicl 
hanno  maggiormente  involto  nelle  tenebre  questo  argomento,  confondendo  mal 
a  proposito  la  coscienza  e  la  capacità  di  render  conto  della  retliludine  de'  pro- 
pri giudizii  e  delle  proprie  determinazioni  conia  facoltà  di  giudicare  rettamente 
e  di  determinarsi  coerentemente.  Aggiunsi  anzi  che  1  grandi  analizzatori  del- 
le loro  idee,  a  torto  si  maravigliano  che  1  fanciulli  giudichino  ed  operino  retta- 
mente, e  con  maggior  torto  essi  disprezzano  quelli  che  hanno  reso  abbastanza 
attivo  il  così  detto  buon  senso  naturale.  La  differenza,  lo  scrissi,  tra  quelli  che 
più  si  vantano,  e  che  più  sono  ragione\oli  o  piuttosto  ragionatori,  e  quelli   che 


254 

giudicano  ed  operano  per  il  cos\  detto  buon  senso  naturale,  non  consiste  in  ciò 
che  i  primi  giudichino  e  si  determinino  più  rettamente  e  più  prontamente  del 
secondi,  ma  consiste  in  ciò  soltanto  che  i  primi  possono  distinguere  ed  esprime- 
re con  segni  esterni,  e  soprattutto  con  parole  le  serie  successive  e  concatena- 
te di  giudizii  e  di  determinazioni,  che  11  conducono  ad  alcuni  risultamentl,  men- 
tre gli  altri  non  lo  possono  . 

Sono  poi  queste  proposizioni  da  relegarsi  tra  gì'  inutili  e  sterili  sforzi  dell'  an- 
tica metafisica?  Io  ho  detto  fino  dal  principio  di  quell.»  citata  memoria  :  a  Sarò 
«  molto  contento  del  mio  lavoro  se  sembrerà  che  abbia  resa  più  facile  e  più  ag- 
»  gradevole  l'educazione  ai  fanciulli,  allontanando  dai  metodi  di  educare  ogni  at- 
»  to  di  violenza,  e  se  apparirà  che  abbia  manifestata  l'eccellenza  della  somma  del- 
51  le  cause  di  ogni  cosa,  mostrando  eh'  ella  ci  ha  costituiti  in  modo  che  possiamo 
5>  essere  portati  a  meglio  giudicare  ed  operare,  quando  gì' istitutori  non  sloppon- 
»  gono  alle  naturali  nostre  disposizioni ,  che  allora  quando  si  sforzano  a  pren- 
j)  derne  troppa  cura  "  .  Io  mi  lusingo  essermi  avvicinalo  a  questo  scopo  avendo 
nella  terza  parte  di  quella  memoria  mostrato,  che  dalle  precedenti  verità  risul- 
tava che  neir  educare  1  fanciulli  s'I'  Istitutori  dovessero  limitarsi  ad  eccitarli  al- 
l'attenzione  sulle  impressioni  prodotte  dai  diversi  oggetti,  che  possono  metter  in 
azione  11  loro  cervello,  e  tutto  al  più  disporre  gli  oggetti  in  modo  che  operino 
con  un  dato  ordine  .  E  siccome  una  moltlplice  coesistenza  d' Impressioni  nel  cer- 
vello ed  una  somma  prontezza  dell'anima  a  percepirle  ad  un  tratto  è  natural- 
mente conveniente  all'  uno  ed  all'  altra  piuttosto  che  il  predominio  d'  una  sola 
Impressione  nel  cervello  e  l' intensa  attenzione  dell'anima  a  quella  sola ,  cosi 
dissi  e  confermai  con  un  rapido  cenno  sul  varii  argomenti  di  scienze  e  d'  arti, 
e  specialmente  sull'arte  del  parlare  e  sulla  scienza  grammaticale,  che  non  con- 
venga mai  cominciare  l'educazione  dall'  obbligare  1  fanciulli  a  distinguere  e  for- 
marsi le  idee  semplici,  astratte,  generali,  la  cui  distinzione  e  formazione  non  può 
precedere  ,  ne  ha  preceduto  mal  la  formazione  delle  idee  complesse .  Di  più  ho 
fatto  osservare  che  1  fancluUi  abituati  a  giudicare  ed  a  determinarsi  rettamente 
sopra  queste  ultime,  ed  eccitati  ad  accrescere  sempre  più  intensamente  l'atten- 
zione, devono  già  da  se  stessi  distinguere,  e  distinguano  in  fatto  prontamente  e 
chiaramente  le  impressioni,  a  cui  le  idee  semplici  ed  astratte  corrispondono  nel- 
la loro  anima.  Queste  impressioni  come  comuni  a  molti  di  quegli  aggregati 
d' impressioni,  a  cui  le  idee  complesse  corrispondono,  sono,  dissi  allora,  la  causa 
di  quella  concatenazione  di  giudizii  e  di  determinazioni,  per  la  quale  quelli  e  que- 
ste si  riproducono  in  seguito  quasi  da  per  loro,  e  per  la  quale  i  fanciulli  posso- 
no rendersi  conscii,  e  remler  conscli  gli  altri  della  rettitudine  dei  giudizii  loro,  e 
della  ragionevolezza  delle  loro  determinazioni.  Ho  particolarmente  insistito  a  mo- 
strare che  lasciando  1  fanciulli  Uberi  di  ffiudicare  e  volere,  non  avvenga  mal  che 


255 
fiale  le  mcflcslnoe  circostanze  ed  applicato  lo  slesso  grado  di  attenzione,  giudichi- 
no ed  operino  dÌTcrsamcnle,  e  però  non  rettamente.  Ho   dedotto  anzi  da  questa 
clic  nuanlunniie  nessuno  abbia  innate  le  massime  e  le  regole  che  sono  osservate 
nei  retti  giudizil  e  nelle  saggie  determinazioni,  pure  ciascuno  debba  distinguere 
le  medesime  idee  da  cui  esse  massime  o  regole  risultano,  e  qumdi  aggiunsi  che 
ciò  che  dicesi  buon  senso  o  senso  comune  si  poteva  far  consistere   in  questa  co- 
mune disposizione  a  distinguere  e  formarsi  le  stesse  massime  e  regole  generali . 
Ma,  per  trattare  più  particolarmente  dell'oggetto  della  presente  memoria,  gio- 
va ricordare  ancora  avere  io  sostenuto  nella  medesima  memoria,  che  l'uniformi- 
tà de'giudizii  e  delle  operazioni  negl'individui  che  convivono  insieme  non  derivi 
da  una  meccanica  tendenza  all'  imitazione,  che  alcuni  fdosofi  si  compiacquero 
d' immaginare  come  proprietà  della  materia  animale.,  distinta  pure  dall'allra  pro- 
prietà che  dicesi   istinto.  Si  può  leggere  a  questo   proposito  la  memoria   del  fu 
professore  Alberto  Zaramellin  inserita  nel  volume  secondo  de'  saggi   scientifici 
e  letterarii  dell'accademia  di  Padova,  pubblicato  nel  l'jSg  .  Io  non  ho  mai  vo- 
luto entrare  nel  labirinto  delle  metafisiche  questioni,  cioè  se  T  istinto  apparten- 
ga "o  no  alla  sola  materia  organizzata  ;  se  la  conservazione  del  proprio  individuo 
e  la  propagazione  della  propria  spezie  dipendano  soltanto  da  esso  istinto,  e  se  gli 
animali  abbiano  un'  anima  proporzionata  alla  diversa  loro  organizzazione .  Io  mi 
sono  sempre  contentato  di  dire  che  delle  azioni  attribuite  all'istinto  o  attribuite 
all'anima  noi  non  possiatao  fissare  bene  i  limiti,  e  che  altro  non  possiamo  dire  se  non 
che  esse  tutte  sono  prodotte  da  una  facoltà  particolare,  che  prende  varii  aspetti  e 
vario  nome  dal  diverso  grado  d' intensità  con  cui  opera  o  dai  varii  oggetti  a  cui 
si  applica.  Mi  parve  soltanto  ancora  più  certo  che  le  azioni  intellctluali  dell'uo- 
mo siano  sempre  cosi  superiori  a  quelle  degli  animali,  che  la  facoltà  da  cui  quel- 
le sono  prodotte  deve  essere  ancora  più  singolare .  Io  ho  bensì  detto  e  ripetuto 
in  più  occasioni  che  quantunque  la  varietà  delle  azioni  animali,  le  quali  sono  pro- 
dotte non  inconseguenza  degli  stimoli  immediatamente  applicati  agli  organi  del 
moto,  ma  in  conseguenza  delle  impressioni  trasmesse  a  questi  organi  dal  centro 
massimo  dei  nervi  e  dal  cervello,  dipendesse  dalle  associazioni  che  le  impressio- 
ni formavano  tra  loro  nel  cervello  stessa,  pure  conveniva  distinguere  le  associa- 
zioni formale  dal  numero  delle  volte  che  le  stesse  impressioni  furono  contempo- 
raneamente o  con  un'  immediata  successione  trasmesse,  prodotte  e  riprodotte 
nel  cervello  da  quelle  associazioni  che  dovevano  formarsi  in  grazia  della  conti- 
nuità o  contiguità  dell'estremità  nervose  nel  cervello  stesso  .  A  questa  continui- 
tà o  contiguità  sembranmi  dovute  le  azioni  propriamente  dette  d'istinto,  che  so- 
no pronte  ma  costanti  e  necessarie  nella  loro  produzione  dietro  determinate  im- 
pressioni fatte  nei  sensorii  esterni,  e  che  quando  hanno  congiunta  l'attenzione 
dell'  anima,  non  divengono  che  più  pronte  e  più  viraci,  mentre  per  le  altre  il  di- 


356 

Terso  grado  di  attenzione  dell' anima  influisce  molto  non  solo  nel  variarne  la 

prontezza,  la  forza  ed  il  numero,  ma  nel  costituirle  ancora  rette  e  tra  loro  con- 


seguenti . 


Non  ho  poi  negato  che  1'  uomo  vivamente  o  piacevolmente  impressionato  da- 
gli oggetti  che  lo  circondano,  e  parimente  dalie  produzioni  dell'arte  e  dalle  azio- 
ni stesse  degli  altri  uomini  si  senta  disposto  a  esprimere  le  sue  percezioni  diver- 
se in  parole,  in  produzioni  simili  ed  in  azioni  simili,  smo  a  dare  agli  oggetti 
stessi  che  ne  sono  suscettibili  quella  forma  che  piìi  si  avvicina  alla  osservata  ed 
ammirata  .  Ma  non  ho  potuto  mai  persuadermi  che  questo  dipenda  da  una  mec- 
canica tendenza  all'imitazione.  Io  ho  considerato  piuttosto  che  quell'imitazione 
risulti  dall'intimo  legame  ed  associazione  tra  le  operazioni  dell'intelletto,  del- 
l' immaginazione  e  della  volizione,  per  cui  ogni  percezione,  la  cui  formazione  con- 
sistendo nella  distinzione  delle  impressioni  a  cui  corrisponde,  appartiene  all'in- 
telletto, eccita  sempre  V  immaginazione  a  riprodurre  le  serie  d' impressioni  al- 
tre volte  o  contemporaneamente  o  con  un'immediata  successione  trasmesse  al 
cervello,  e  qumdi  le  serie  di  percezioni  corrispondenti:  e  la  percezione  e  l' im- 
maginazione determinano  sem|)re  la  volizione  a  produrre  i  movimenti  proporzio- 
nati ed  adattati  ad  esprimere  le  idee,  i  giudizii,  le  emozioni,  le  affezioni  ec.  ec. 
Questo  legame  è  così  valido  e  così  pronto  ne' suoi  effetti  nell'uomo,  che  alla  vi- 
sta d'  un  suo  simile,  posto  in  circostanze  di  avere  qualche  emozione,  affezione  o 
determinazione,  l'immaginazione  sua  riproduce  in  lui  stesso  e  nel  suo  cervello 
le  impressioni  corrispondenti  alle  circostanze  di  quello,  che  osserva,  alle  quali 
però  separatamente  almeno  sia  stato  altre  volte  esposto,  e  quindi  egli  stesso  pro- 
va in  quell'istante  una  simile  emozione,  affezione  o  determinazione.  Il  celebre 
Adamo  Smith  nell'  insigne  sua  opera  teorica  de  sentìmentrmorali^  attribuisce 
questi  sentimenti  a  quella  capacità  eh'  esso  poi  chiama  simpatia  naturale  ,  per 
cui  un  uomo  può  mettersi  per  mezzo  dell'immaginazione  all'unisono  con  le  al- 
trui circostanze  per  conoscere  come  giudicherebbe  ed  opererebbe  in  quel  dato 
caso,  o  per  confrontare  con  fondamento  il  giudizio  oh'  esso  od  un  altro  farebbe 
sul  medesimo  oggetto,  da  cui  ricevono  le  stesse  impressioni,  allorché  sono  posti 
in  circostanze  diverse  . 

Io  ho  poi  cercato  di  mostrare  in  generale,  che  essendo  gli  uomini  tutti  costi- 
tuiti presso  a  poco  similmente,  avvenga  che  quando  gli  oggetti  e  le  cireostanze 
sono  simili,  ed  eguale  pure  è  il  grado  di  attenzione  prestata,  le  idee,  i  giudizii  e 
le  determinazioni  devono  essere  simili,  cioè  l'intelletto,  l'immaginazione  eia 
volizione  devono  operare  similmente  e  manifestarsi  con  le  stesse  operazioni  in 
tutti .  Ma  ad  onta  di  tutto  questo  ho  mostrato  non  potersi  dire  che  questa  con- 
formità nelle  operazioni  derivi  da  una  meccanica  tendenza  all'  imitazione,  giac- 
ché quella  stessa  capacità  di  avere  percezioni,  giudizii  e  determinazioni  simili  è 


resa  più  sicura  e  più  variata  non  solo  ilall'aziouf  più  volle   rlpcluta  delle  elesse 
cause,  e  dalla  varietà  delie  circostanze  a  cui  uno  fu  ed  è  esposto:  ma  dal  diver- 
so o-rado  ancora  d'intensa  azione  delia  facoltì»  residente  nel  cervello.,  cioè  dal  di- 
t>  ^  ... 

verso  grado  di  attenzione  dell'  anima.,  il  quale  diede  e  dà  ad   alcune  im|>ressioni 

in  preferenza  ad  altre  maggior  forza  e  maggior  prontezza  a  riprodursi  ed  a  ripro- 
durre quelle  che  altre  volte  furono  ad  esse  successive.  Che  giova  portare  l'esem- 
pio degli  uccelli  che  imitano  i  suoni  successivi  prodotti  dagli  organetti  arlifizia- 
li?  La  contiguità  o  continuità  dei  nervi  dell'udito  con  quelli.,  che,,  trasmettendo 
le  impressioni  ai  muscoli,  mettono  in  azione  quelli  che  servono  a  modulare  la  vo- 
ce., quantunque  essa  contiguità  o  continuità  non  siano  con  tutta  csallczza  note 
per  mezzo  dell  anatomia,  possono  e  devono  jirodurre  un  effetto  così  costante  e 
sicuro  da  potersi  questo  considerare  nel  numero  delie  azioni  clic  si  dicono  istin- 
tive .  L'  uomo  stesso  quando  nasce  sordo  è  certamente  muto,  e  le  parole  devo- 
no essere  udite  dal  fanciullo  per  essere  dallo  stesso  pronunziate,  abbenchè  in 
scTuito  esso  possa  e  sappia  variarle  in  proporzione  alle  sensazioni  die  prova  o 
alle  idee  che  vuole  esprimere  . 

Io  ho  insistito  molto  su  questa  verità  che  l'imitazione  non  sia  effetto  di  una 
meccanica  proprietà  della  materia  animale  pure  organizzata,  ma  sia  prodotta  in 
conseguenza  del  legame  intimo  tra  l' intelletto,  l' immaginazione   e  la  volizione, 
perchè  srave  danno  risulta  nell'educazione  della  gioventù,  quando   gì  istitutori 
obblio^ano  1  fanciulli,  come  gli  animali.,  a"  quali  si  fanno  eseguire  alcuni  movimen- 
ti, a  ricevere  soltanto  ripetutamente  le  stesse   inalterabili   serie  d' impressioni, 
ed  a  formare  gli  stessi  giudizii   e  ad  avere  le   stesse  determinazioni.  Conviene, 
io  sempre  dissi,  lasciare  che  i  fanciulli  giudichino  e  si  determinino   da  loro,   ec- 
citandoli   soltanto  all'  attenzione,  acciocché   le   idee  si   pingano    più   vivamente 
nella  loro  immaginazione,  e  possano  esse  più  prontamente  riprodursi  ai  momen- 
to che  occorrono  .  La  imitazione  nel  primo  caso  risulta  imperfetta,  e  certamen- 
te più  languida,  e  spesso  non  riconoscibile,  perchè  lo  stesso  istitutore  non  sem- 
pre distingue  tutte  le  circostanze,  e  non  può  in  conseguenza  farle  imitare  tutte 
con  lo  stesso  ordine,  nel  medesimo  numero  e  con  la  stessa  forza .  Quùidi  allor- 
ché il  fanciullo  è  messo  in  libertà  di  giudicare  ed   operare   in  conseguenza  alle 
impressioni  clie  riceve  o  che  nuovamente  si  riproducono  e    s'  associano,  non  sa 
più  giudicare  ed  operare  dietro  le  massime  insegnategli,  perchè  in  fatto  non  ha 
che  ripetuto  meccanicamente  i  ragionamenti  e  le  operazioni   del  suo  precetto- 
re. Il  fanciullo  quindi  si  dee  trovare  incerto  quando  nuove   impressioni  si  asso- 
ciano, siano  esse  trasmesse  per  la  prima  volta  al  cervello  o  siano  prodotte  e  ri- 
prodotte in  questo.  Alla  |)agina  ia6  della  più  volte  citata  memoria  cliiaiamen- 
te  aggiunsi:  "E  per  qual'  altra  ragione  se  non  per  la  differenza  tra  la  meccani- 

»  ca  imitazione  e  la  disposizione  naturale  di  Riprodurre  ciò  che  altre  volte  è  stato 
33 


258 

"  percepito,  risulta  che  in  tulle  le  produzioni  delle  arti  liberali  o  nieccanìclie  una 
"  copia  viene  distinta  da  una  originale,  e  che  quelli  i  quali  sanno  copiare  esatta- 
li mente  una  bella  opera  nonne  sanno  fare  una  bella  originale?  E  per  qual'  altra 
"  ragione  quelli  i  quali  conoscono  e  seguono  le  regole  tutte  nel  giudicare  del- 
l' le  opere  di  gusto  compariscono  pedanti  piuttosto  che  critici,  quando  nello  stes- 
11  so  tempo  non  abbiano  un  senso  del  Bello  o  una  capacità  naturale  di  gu- 
11  starlo  ?  " 

Del  resto  io  non  sono  11  primo  che  abbia  distinto  la  sensibilità  del  nerTi  e 
tli^l  cervello  dalla  capacità  di  sentire  e  di  avere  sensazioni  o  Idee  corrispondente 
alle  Impressioni  trasmesse  contemporaneamente  col  mezzo  del  nervi  al  centro 
massimo  di  essi  ed  al  cervello  ;  dalla  quale  capacità  sleno  pure  regolati  corri- 
spondentemente tutti  1  moti  animali  conseguenti  .  Non  sono  pure  11  primo  a  di- 
re che  vi  siano  molti  movimenti  e  molte  operazioni,  a  cui  1'  anima  influisce  sen- 
za una  distinta  conoscenza  anzi  senza  comparire  di  attendervi  .  Il  Roussel  die- 
tro le  Idee  di  Bordeu  nel  saggio  sulja  sensibilità  pubblicato  pochi  anni  sono  In 
seguito  alla  sua  opera  srstéme  physique  et  moral  de  la /emme  ^  disse  dover- 
si confessare  che  le  libre  del  corpo  vivente  abbiano  un  moto  proprio,  una  pro- 
pria sensibilità,  giacche  questo  moto  e  questa  sensibilità  sussiste  pure  qualche 
momento  dopo  la  separazlon  di  esse  fibre  dal  corpo  di  cui  facevano  parte.  Ma 
questo  fenomeno,  continuò  egli,  poco  e'  interessa  .  Senza  esaminare  In  cosa  con- 
sista questo  effetto  particolare  della  sensibilità  o  questa  spezie  di  vita  parziale 
che  risiede  nelle  fibre  de"  corpi  organizzati,  basti  il  sapere  che  tutte  le  parti  di- 
verse riunite  per  formare  un  Individuo  vivente  sono  subordinate  ed  assoggetta- 
te a  un  principio  attivo,  che  regola  e  modifica  i  loro  moti  In  ragione  di  certe  cir- 
costanze che  lo  determinano  all'azione  .  Il  corpo  vivente  è  diretto  da  questo 
principio  eh' è  unico,  e  da  cui  emanano  tutti  1  moti,  ed  a  cui  tutte  le  sensazioni 
si  riferiscono  e  tutte  le  affezioni.  Questo  principio  è  1'  anima  stessa,  benché  es- 
sa non  possa  avere  una  piena  conoscenza  di  tutte  le  sue  operazioni  .  In  seguito 
lo  stesso  Roussel  fa  osservare  che  queste  operazioni  alle  quali  sembra  che  l'ani- 
ma non  faccia  attenzione,  siano  più  numerose  di  quello  che  comunemente  si 
crede,  e  siano  pure  tra  quelle  che  l'uomo  eseguisce  con  molta  difficoltà.  I  mo- 
vimenti che  la  pratica  di  tutte  le  arti  esige,  e  tutti  quelli  che  si  chiamano  volon- 
taril  per  essere  la  prima  volta  almeno  eseguiti  dietro  una  sensazione  o  Idea  ed 
una  determinazione  distinta,  a  cui  corrispondono,  compariscono  in  seguito  dive- 
nire Indipendenti  dalla  volontà  nello  stesso  modo  che  lo  divengono  le  contrazio- 
ni di  alcune  parti  che  alcuni  fanno  ad  ogni  Istante  solo  perchè  le  hanno  fatte  si- 
no dalla  loro  infanzia.  E  non  si  deve  forse  aggiungere  che  alcuni  movimenti  e 
quelli  particolarmente  delle  alternative  Inspirazione  ed  espirazione,  quantunque 
conscguenti  a  Impressioni,  a  cui  un  senso  molesto  corrisponde,  e  quantunque  di- 


sSg 
rcllì  a  logllere  quelle  impressioni,  pure  siano  spesso  prodotti  e  variamente  pro- 
porzionali senza  clìe  l'anima  possa  averne  distinta  la  sensazione  determinante.^  e 
sempre  poi  senza  che  sia  conscia  della  direzione,  con  cui  le  impressioni  devono 
farsi  progredire  con  maggior  forza  per  mettere  in  azione  determinati  muscoli,  e 
mollo  più  senza  conoscere  i  muscoli  che  devono  muoversi? 

Tutto  tjucslo  conferma  cliiaramente  la  proposuione  qui  sopra  ricordata,  che 
neir  educazione  de' lanciulli  giovi  lasciarli  giudicare  ed  operare  da  sì;,  disponendo 
solo  gli  oggetti  in  modo  che  facciano  loro  con  certo  ordine  le  impressioni,  ed  ec- 
citando essi  fanciulli  all'attenzione  sulle  sensazioni  che  vi  corrispondono.  Ma  tut- 
to questo  conferma  ancora  1'  altra  proposizione  da  me  enunciata  alla  png.  gg  del- 
la [liìi  volte  citala  memoria,  cioè  che  negli  argomenti  complicati,  come  sono  quel- 
li di  politica,  di  morale,  di  commercio,  o  nelle  arti  della  guerra  e  nell'  esercizio 
pratico  della  medicina,  non  basta  la  teorica,  ma  ci  voglia  la  pratica.  Non  basta 
cioè,  scrissi  allora,  svoglierc  con  1'  osservazione  e  distinguere  quei  generali  prin- 
cipii  che  servono  a  compendiare  le  cognizioni  nostre,  ed  a  facilitare  il  modo  di 
rendere  ragione  dei  casi  particolari,  nel  che  consiste  la  teoiica,  ma  conviene  più 
di  tutto  abituarsi  a  conoscere  e  percepire  ad  un  tratto  tulli  i  rapporti  delle  idee 
complesse.  Ora  quelli  che  sanno  giudicare  e  gustare  il  Bello  nelle  opere  della 
natura  e  dell'  arte,  e  molto  più  quelli  che  riescono  a  produrre  qualche  cosa  che 
meriti  \l  nome  di  Bello,  devono  essersi  abituati  a  percepire  ad  un  tratto  tutti  i 
rapporti  delle  impressioni  contemporaneamente  ricevute  e  trasmesse  al  cervello, 
alle  quali  corrisponde  la  sensazione  del  Bello.  Per  (piesto  soltanto  essi  sanno 
giudicare  o  gustare  il  Bello,  sanno  dare  alle  loro  opere  le  qualità  del  Bello  sen- 
za potere  sempre  render  conto  di  tutte  le  circostanze  da  cui  sono  determinati 
a  quel  giudizio,  da  cui  hanno  provata  quella  grata  sensazione,  e  da  cui  furono  in- 
dotti a  produrre  quell'opera  bella.  E  poi  certissimo  quanto  dissi  alla  pa"-ina 
log  di  della  memoria  cioè  che  «  le  idee  generali  e  le  leggi  del  bello,  del  subli- 
»  me,  del  perfetto  non  furono  formate  prima  che  siano  state  esaminate  e  ijiudi- 
"  cale  le  produzioni  naturali  ed  artiGziali;  e  indubitatamente  non  prima  che  sia 
»  stato  fatto  un  bel  poema,  una  bella  pittura,  una  bella  statua,  un  bel  palazzo . 
"  Esse  leggi  furono  dedotte  dopo  che  era  stato  esaminato  il  modo  particolare 
»  con  cuil  veniva  affetto  il  senso  degli  uomini  da  quelle  produzioni.  Omero 
«  col  solo  suo  genio,  senza  sapere  certamente  le  leggi  dell'  arte  poetica  com- 
«  pose  quel  poema,  che  la  posterità  ammirò  ed  ammira  ancora,  e  le  prime  sta- 
M  tue,  le  prime  pitture,  i  primi  palazzi  che  piacquero  furono  fatti  non  dietro 
»  le  leggi  stabilite  o  dietro  un  archetipo  della  bellezza  e  della  perfezione  ,  ma 
n  per  esprimere  soltanto  riunite  molte  cose  che  piacquero  al  loro  arteliee  in  ciò 
»  che  avea  veduto  nelle  produzioni  della  natura,  o  in  ciò  che  aveva  osservato 
n  essersi  prodotto  da  altri  »  .  Nella  pagina  seguente  aggiunsi  ancora  :   >i  Si  pa- 


260 

j)  ragonino  lo  produzioni  di  molti  uouiinl  tli  genio  che  non  hanno  bene  ap- 
»  prese  o  bene  distinte  le  leggi  del  gusto  nelle  belle  arti  con  le  produzioni 
j)  dei  piti  esatti  osscrratoii  delle  regole,  mentre  apparirà  che  quelle  dei  primi , 
"  come  di  Omero  e  di  Shakespeare,  sono  ammirabili  ad  onta  che  abbiano 
"  tanti  tratti  rozzi  e  non  delicati,  e  quelle  dei  secondi,  quantunque  di  mageio- 
«  re  raflmatezza  e  regolarità  non  hanno  quella  grazia,  quella  forza,  quella  su- 
n  blimità  che  eccita  un  vero  piacere  e  una  grande  ammirazione  !; . 

PARTE  SECONDA. 

Venendo  ora  al  ragionamenti  sul  Bello  del  cavaliere  Cicognara    che  diedero 
occasione  alla  presente  memoria,  io  trovo  giusto   con  lui   che  la  sensazione    del 
Bello  nasca  in  conseguenza  delle  impressioni  prodotte    dalla  forma  e  dal  colore 
delle  cose,  egualmente  che  da  una  certa  disposizione  dei  suoni,  in  modo  che  gli 
oggetti  belli  possano   distinguersi  in  due  classi .   Nella  prima    devonsi  mettere 
quelli  che  appartengono  al  disegno,  e  che  operano  col  mezzo  della  luce  sull'or- 
gano della  vista,  e  nella  seconda  gli  altri  che  appartengono   alla  musica,   e   che 
operano  col  mezzo  dell'  aria  sull'organo  dell'udito  .    Trovo  parimente  ragione- 
vole che  il  numero  degli  accordi,  che  costituiscono  certe  leggi  armoniche,  siano 
le  sorgenti  di  quelle  grate  oscdiazioni,  che  col  mezzo  dell'  udito  la  musica  ci  co- 
munica, e  che  in  grazia  del  numero  e  deo-li  accordi  la  poesia  e  l'eloquenza   fac- 
ciano lo  stesso  effetto .  Convengo  inoltre  che  1"  incertezza  delle  opinioni  di  vari! 
autori  sull'esistenza  e  natura  del  Bello  assoluto  e  sulla  causa  della  grata  sensa- 
zione che  il  Bello  negli  oggetti  appartenenti  al  disegno  sempre  produce,  debba 
condurre  a  pensare  che  in  quegli  oggetti  stessi  la  magia  consista  nella   propor- 
zione .  Conviene  certo  definir  questa  essere  la  relazione  che  hanno  le  parti  delle 
cose  tra  loro  per  comporre  un  tutto  che  sod<hsfi  quando  le  impressioni  sono  con- 
temporaneamente o  con  un'istantanea  celerità  trasmesse  al   sensorio  o  al  cen- 
tro massimo  dei  nervi  ove  risiede  l'  anima,  che  ha  la  facoltà  di  provare  una  sen- 
sazione corrispondente  .  Finalmente  mi  sembra  verissimo  che  quantunque  le  con- 
sonanze siano  proprie  dell'armonia  musicale,  pure   esse  siano  in   tutte  le   cose, 
mentre  alcune  vicinanze  di  colori  si  rifuggono,  altre  si  amano,  e  certe  dimensio- 
ni comparate  tra  loro  si  rendono  odiose,  altre  grate  a  guisa  appunto  delle    voci 
musicali,  e  queste  leggi  armoniche  formano  la  vera  proporzione  delle  cose. 

Convien  dunque  convenire  con  lo  stesso  Cicognara  che  la  difficoltà  non  stia 
nel  persuadersi  dell'esistenza  di  questa  proporzione  da  cui  il  Bello  assoluto  di- 
pende o  in  cui  consiste,  come  sta  nel  misurarla  .  La  moltiplicità  de' rapporti  tra 
le  varietà  e  le  gradazioni  dei  colori,  e  tra  le  dimensioni  delle  parti  che  formano 
un'opera  bella,  deve  far  si  che  divenga  più  facile  osservare  e  percepire  ad  uà 


zGi- 
tratto  le  proporzioni  liillc  nelle  opere  die  sì  esaminano,  o  a  cui  si  dà  mano,  di  quel- 
lo che  numerarle  e  distinguerle  con  precisione,  e  mollo  meno  facile  è  l'esprimerle 
tulle  con  segni  esterni  e  con  parole  per  rendere  conscii  gli  altri  del  retto  giudizio, 
e  delie  corrispondenti  deteiinmazioni.  Lo  slesso  cav.Cicognara  giudiziosamente 
asserisce  esservi  de'  canoni  e  delle  proporzioni,  che  si  sentono  senza  pure  cono- 
scerle, o  indipendentemente  da  qualunque  convenzione,  le  quali  operano  nel  no- 
stro interno  per  mezzo  dei  sensori),  su  quali  esercitano  la  loro  potenza.  Per  que- 
sto io  credo  avere  toccato  giusto  alla  pag.  120  della  mia  memoria  citata,  dicen- 
do che  al  proposito  delle  belle  arti,  in  luogo  di  opprimere  gl'iniziandi  con  le  re- 
gole generali  e  col  principi!  i  pili  semplici  ed  astraiti,  giovi  maggiormente  il  col- 
pire la  loro  immaginazione  ed  eccitare  la  loro  attenzione  e  curiosità,  facendo 
loro  osservare  e  gustare  le  belle  opere  di  musica,  di  pittura,  di  scultura,  d'ar- 
chitettura, e  inducendoli  a  poco  a  poco  ad  arrestare  la  loro  attenzione  a  ciò  che 
più  ha  loro  fatto  una  grata  sensazione,  od  ìnducendoii  a  fare  qualche  cosa  di  si- 
mile. 

Io  non  intendo  con  ciò  di  disprezzare  le  regole  generali  ed  1  principii  delle 
diverse  arti  .  Esse  regole  facilitano  1  progressi  delle  belle  arti  come  fanno  per  le 
scienze  e  per  le  altre  arti  tutte.  Pretendo  che  convenga  fare  che  l'iniziando  eser- 
citi il  senso  interno,  che  fa  giudicare  delle  opere  belle,  e  che  determina  ad  ese- 
gtiirne,  piuttosto  che  esso  sia  obbligato  prima  ad  applicare  quellintensa  attenzione 
che  può  largii  conoscere  la  concatenazione  di  tutti  1  suoi  giudizii  e  di  tutte  quel- 
le determinazioni  che  rapidamente  può  formare  ed  avere .  Io  areva  già  scritto 
in  quella  memoria  che  l' attenzione  del  fanciullo  limitala  alla  sola  percezione 
delle  impressioni  per  distinguerle  perfettamente  e  per  formarsi  distinte  e  pre- 
cise le  idee  corrispondenti,  poteva  Inlluire  alla  pi'u  pronta  formazione  o  distin- 
zione delle  idee  astratte  e  generali,  e  quindi  poteva  influire  nell"  accelerare 
1  progressi  della  facoltà  ragionatrice .  Ma  ho  aggiunto  che  a  questo  modo  facen- 
do violenza  o  nieltendonn  ostacolo  all'immaginazione,  (la  quale  vuol  sempre  as- 
sociare e  far  succedere  ai  nuovi  aggregati  d' impressioni  ricevute  e  trasmesse 
quelle,  che  altre  volle  furono  contemporanee  o  immediatamente  successive  ad 
alcune  di  quelle  che  compongono  1  nuovi  aggregati),  quell'  intensa  attenzione 
impediva  la  formazione,  la  successione  e  1'  espressione  di  tutte  le  interne  perce- 
zioni, di  tulli  gf  interni  sentimenti  ed  emozioni  e  di  tutte  le  loro  gradazioni.  Il 
fanciullo  quindi  diviene  bensì  più  esattamente  conseguente  ne'  suol  giudizii  e 
nelle  sue  azioni,  masi  mostra  sempre  diretto  da  quella  fredda  ragione  che  viene 
ammirata,  ma  che  non  diletta  ne  attrae  .  Ed  alla  già  citata  pag.  lao  aggiunsi: 
"  Qualunque  cosa  avrà  nel  fanciullo  eccitato  una  curiosità,  un  desiderio,  una 
■•  volizione,  gli  ostacoli  all'  esecuzione  accresceranno  l'attenzione  sua,  e  lo  ren- 
«  deranno  atto  ad  apprendere  1  principii  dell'  arte  ed  a  svoglierll  da  per  sé  ". 


262 

Non  è  oga^etto  del  presente  mio  iliscoiso  il  determinare  le  leggi  di  quelle 
proporzioni  che  costituiscono  il  Bello  assoluto,  e  molto  meno  di  esaminare  se  gli 
esperimenti  suo-li  spettri  colorati  e  sulla  successione  d' un  colore  immaginario  do- 
po r  impressione  viva  d'  un  colore  reale  possano  condurre  a  stabilire  le  leggi 
dell'  armonia  e  della  consonanza  tra  i  varii  colori,  per  le  quali  leggi  alcuni  og- 
getti producono  il  senso  della  soddisfazione  e  del  piacere  proprio  del  Bello.  Mi 
basta  aver  indicato  che  quantunque  la  scoperta  e  la  determinazione  di  esse  pro- 
porzioni possano  guidare  quello  che  si  dedica  a  queste  arti  belle  per  rendersi 
più  sicuro  e  più  pronto  ne'  suoi  progressi,  sia  però  vero  che  la  sua  attenzione 
applicata  agli  oggetti  belli  possa  fare  che  giudichi  bene,  e  ne  produca  di  simili 
prima  di  avere  bene  distinte,  e  senza  pure  avere  distinte  tutte  le  circostanze  e 
tutte  le  leggi  che  le  costituiscono  tali .  Devo  piuttosto  come  argomento  più  ap- 
partenente al  fisiologo  esaminare  primieramente  la  ragione  per  cui  tante  clas- 
sificazioni del  Bello  furono  fatte  sino  a  farci  dubitare  che  esista  un  Bello  asso- 
luto .  Devo  poi  in  secondo  luogo  determinare  la  ragione  per  cui  un  senso  di 
piacere  sia  sempre  congiunto  col  giudizio  delle  bellezze  della  natura  e  dell"  ar- 
te, e  per  cui  questo  senso  di  piacere  possa  produrre  il  Bello  relativo,  il  Bello 
arbitrario,  il  Bello  capriccioso  ec. 

Io  non  mi  trattenirò  ora  a  parlare  del  tre  generi  di  bellezza  nei  quali  il  cav. 
Cicognara  distribuisce  le  opere  degli  artisti,  e  i  quali  caratterizzano  le  tre  epo- 
che delle  arti,  principio  cioè,  progresso  e  perfezione.  Sia  che  l'artista  si  pro- 
ponga d'imitare  gli  oggetti  come  si  presentano  all'occhio  suo,  sia  che  ne  scel- 
ga alcuni  e  ne  ricusi  altri,  senza  pure  aggiungervi  cosa  alcuna,  e  senza  alterare 
le  disposizioni  e  le  proporzioni  delle  parti,  sia  finalmente  che  riunisca  le  parti 
più  perfettamente  proporzionate  di  molti  oggetti  simili  per  formarne  uno  solo 
a  scelta  sua  propria,  sempre  quello  che  ci  fa  considerare  veramente  Bello  un  og- 
getto, consiste  nell'  osservare  in  esso  la  imitazione  di  ciò  che  la  natura  ha 
fatto  di  più  eccellente  e  perfetto,  e  dipende  dal  trovare  più  o  meno  esattamen- 
te seguite  le  leggi  generali  del  Bello  assoluto .  Ma  non  è  lo  stesso  del  Bello  che 
il  .p.  Andre  chiama  di  sistema,  e  eh'  è  fina  a  un  dato  punto  arbitrario  e  capriccio- 
so. Sembra  che  1'  educazione,  le  abitudini,  il  commercio,  la  moda,  il  bisogno, 
il  governo,  la  religione  ,  V  età  stessa  e  le  circostanze  della  vita  facciano  alle  vol- 
te e  ad  alcuni  trovar  bello  quello  che  non  lo  è  certamente  dietro  le  leggi  del 
Bello  assoluto . 

Per  rendere  ragione  di  queste  varietà  di  giudizil  sul  Bello ,  lo  ricorderò  che 
quantunque  alcuni ,  considerando  portare  le  impressioni  degli  oggetti  belU  una 
interna  soddisfazione  o  una  grata  sensazione,  abbiano  creduto  che  non  vi  fosse 
un  Bello  assoluto,  ma  che  fosse  bello  quell'oggetto  che  piace,  non  ostante  sia 
più  vera  l'opinione  che  il  Bello  non  sia  tale  perchè  piaccia,  ma  che  piaccia  ap- 


2G3 

punto  per  esser  Bello .  Ora  è  necessario  riflcUcrc  clic  il  senso  del  piacere  a  fjua- 
lunniic  oo'n-etlo  sia  riferito  e  da  qualunque  parte  sieno  trasmesse  le  impressio- 
ni a  cui  corrisponde  ,  nasce  sempre  o  corrisponde  a  una  certa  proporzione  e 
srradazione  nella  forza  di  tutte  le  impressioni,  che  sono  contemporaneamente  ri- 
cevute dalle  diverse  estremità  nervose,  e  da  esse  contemporaneamente  trasmes- 
se al  centro  massimo  dei  nervi  ed  al  cervello  .  A  misura  che  le  impressioni  in 
massa  trasmesse  deviano  da  quella  certa  proporzione  e  gradazione  di  forza,  il 
senso  diviene  molesto  .  Questi  due  sensi,  come  ognun  può  riflettere  in  se  mede- 
simo, sono  i  regolatori  sommi  di  quelle  determinazioni,  per  cui  le  impressioni,  di- 
stribuendosi contemporaneamente  dal  centro  massimo  e  dal  cervello  ai  varii  or- 
gani del  moto  animale,  occasionano  nel  caso  del  senso  grato  i  moti  di  quegli  or- 
gani così  proporzionati,  che  servono  a  ritenere  ed  avvicinare  gh  oggetti,  o  fanno 
in  qualche  modo  rinnovare  le  impressioni  che  produssero  esso  senso,  e  nel  caso 
del  senso  molesto  le  impressioni  occasionano  i  moti  che  servono  ad  allontanare 
gli  oo-o-etti,  o  fanno  evitare  possibilmente  le  impressioni  che  produssero  la  mole- 
stia. Era  poi  ben  naturale  che  la  somma  Causa  delle  cose  tutte  dovesse  far  cor- 
rispondere questi  due  sensi  alla  massa  delle  impressioni  tutte  contemporanee,  ac- 
ciocché le  successive  determinazioni  ed  i  conseguenti  moti  animali  avessero 
sempre  quella  proporzione  capace  a  provvedere  al  ben  essere  ed  alla  preservazio- 
ne di  tutto  r  individuo.  Tale  è  anzi  la  previdenza  della  somma  Causa  delle  cose 
tutte,  che  quando  le  impressioni  tutte  contemporaneamente  arrivate  al  centro 
massimo  ed  al  cervello  eccitano  un  senso  grato  o  molesto  di  somma  forza,  la  fa- 
coltà residente  nel  centro  massimo  dei  nervi  e  nel  cervello  o  1'  anima  a  cui  ap- 
partiene la  facoltà  di  provare  il  senso  grato  o  molesto  corrispondente,  si  mostra 
tutta  occupata  delle  pronte  sue  determinazioni  dirette  ora  a  ritenere  e  rinnovare 
le  impressioni  a  cui  un  senso  grato  corrisponde,  ora  ad  allontanare  quello  a  cui 
il  senso  molesto  corrisponde  'o  almeno  a  minorarne  la  forza.  Quindi  l'anima  non 
può  nell'un  caso  e  nell'  altro  avere,  per  così  dire,  il  tempo  di  distinguere  le  par- 
ticolari impressioni  che  la  portano  ad  alcuni  giudizii  e  ad  alcune  determinazioni 
per  rendersi  conscia  e  rendere  conscii  gli  altri  della  rettitudine  di  quelli  e  della 
coerenza  ili  queste .  Ognuno,  ripeto,  riflettendo  attentamente  in  se  stesso  può 
trovare  confermate  queste  proposizioni. 

Ma  dalle  osservazioni  moltiplici  che  ho  raccolte  ed  esposte  a  questo  proposi- 
to nel  primo  saggio  pubblicato  nell'anno  i  792,  ed  in  più  numero  ancora  e  con 
maggiore  precisione  ne' miei  nuovi  elementi  della  fisica  del  corpo  umano,  risul- 
ta chiaramente  die  le  impressioni  arrivate  contemporaneamente  al  cervello  da 
tutti  gli  organi  atti  a  riceverne  ed  a  trasmetterle  a  quel  centro  massimo,  quan- 
do esse  sono  le  abituali  o  della  forza  la  piii  consueta  non  danno  occasione  ad  al- 
cun senso  distinto  ne  grato  ne  molesto  .  Le  impressioni  però  a  cui  o  l'uno  0  l'ai- 


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tro  senso  dovreMie  corrispondere.  Sono  di  certo  ricevute  e  trasmesse  non  solo 
al  centro  massimo  ed  al  cervello  ,  ma  di  là  ancora  agli  organi  del  moto,  1  quali 
corrispondentemente  sono  messi  in  azione.  Di  ciò  ne  fa  indubitata  fede  la  con- 
tinuazione dei  moti  alternativi  dell'inspirazione  e  deirespirazione,  e  molto  più  la 
rana  proporzione  con  cui  essi  due  moti  si  alternano  secondo  il  sito,  da  cui  con- 
vien  allontanare  le  cause  delle  impressioni,  che  più  concorrerebbero  ad  eccitare 
Hn  senso  molesto.  Ma  ordinariamente  questo  senso,  di  cui  le  impressioni  corri- 
spondenti danno  prontamente  occasione  a  quei  moti  alternativi  diflercnte mente 
proporzionati,  non  è  in  alcun  modo  distinto.  Dalle  stesse  osservazioni  esposte 
nelle  or  citate  opere  risulta  inoltre  che  quando  le  impressioni,  contemporanea- 
mente ricevute  e  trasmesse  da  tutti  1  sensorii  esterni  e  da  tutte  le  superficie 
delle  interne  cavità  o  canali  al  centro  massimo  dei  nervi,  non  sieno  di  tal  forza 
che  facciano  corrispondere  un  senso  grato  o  molesto,  allora  1'  anima  possa  di- 
stinguere indipendentemente  da  essi  due  sensi  le  impressioni  fatte  in  qualche  sen- 
sorio esterno  a  misura  che  nell  uno  o  nell'  altro  sono  fatte  con  qualche  grado 
preponderante  di  forza  . 

Nelle  stesse  sensazioni  grate  o  moleste  1'  anima  manifesta  di  distiniruere  tra 
loro  le  impressioni  per  la  forza  e  la  direzione  con  cui  queste  sono  trasmesse  al 
centro  massimo  ed  al  cervello  ove  essa  risiede  ;  giacche  riferisce  quei  sensi  al 
sito  ove  le  preponderanti  sono  fatte .  Essa  dunque  nel  caso  che  alle  impressioni 
tutte  non  corrisponda  alcun  senso  grato  o  molesto,  che  tutta  la  sua  attenzione 
occupi  per  formare  le  determinazioni  corrispondenti  ad  essi  sensi,  può  distingue- 
re le  impressioni  trasmesse  da  qualche  esterno  sensorio.  La  fisiologia  difiitti  mo- 
stra essere  i  sensorii  esterni  costituiti  in  modo  che  il  medesimo  corpo  nello  stes- 
so sensorio  esterno  e  nel  medesimo  istante  fa  una  medesima  impressione  in  mol- 
tiplici  punti  o  estremità  di  filamenti  nervosi.  Dimostra  inoltre  che  questi  fila- 
menti moltiplici  riunendosi  in  un  cordone  quando  si  dirigono  al  centro  massi- 
mo devono  condensare  le  impressioni  come  in  una  nell'  atto  che  le  trasmettono, 
■e  quindi,  quelle  arrivate  al  centro  massimo,  devono  essere  per  la  sola  loro  con- 
densazione preponderanti  alle  altre,  che  vi  arrivano  per  altre  direzioni  .  Io  ho 
cercato  di  far  conoscere  nelle  citate  opere  che  col  distinguere  queste  impressio- 
ni e  col  riferirle  non  solo  al  sensorio  esterno  da  cui  sono  ricevute  e  trasmesse , 
ma  alla  causa  esterna  diversa  che  le  produsse,  1'  anima  si  forma  le  sue  idee  cosi 
dette  sensitive.  Ho  cercato  inoltre  di  far  conoscere  che  quelle  impressioni  con- 
servano la  loro  preponderanza,  anzi  ne  acquistano  nel  progredire  dal  centro 
massimo  per  quei  filamenti  nervosi  che  variamente  si  separano  e  si  riuniscono 
di  nuovo,  e  formano  varii  centri  successivi  come  subalterni  al  massimo,  e  co- 
stituenti le  varie  parti  del  cervello  e  del  cervelletto.  Ma  l'anima  potendole  di- 
stinguere nelle  varie  loro  composizioni,  decomposizioni  e  nuove  composizioni  si 


265 

forma,  col  distinguerle,  le  altre  sue  idee  composte,  generali,  astratte,  che  i  meta- 
fisici già  provano  essere  il  riaultamento  della  composizione  d'idee  sensitive,  od 
essere  parti  in  cui  queste  si  possono  dividere,  o  finalmente  essere  il  risultamento 
di  nuove  composizioni  di  queste  parli  medesime  .  L  noto  poi  ai  metafisici  che 
tutte  queste  idee  non  sensitive  formano  il  diverso  legame  di  tutte  le  idee  per  cui 
più  o  meno  prontamente  le  impressioni  corrispondenti  riproducono  le  altre,  che 
più  spesso  furono  contemporanee  o  immediatamente  successive,  e  per  cui  l'anima 
ha  le  Bue  coerenti  serie  di  giudizii,  di  raziocinii,  di  determinazioni,  le  quali  a  mi- 
sura appunto  che  più  spesso  sono  riprodotte  con  lo  stesso  ordine,  si  rendono  co- 
si pronte  che  le  idee  diverse  sono  pure  espresse  in  parole  senza  una  distinta  per- 
cezione dell'anima. 

Io  non  ripeterò  qui  quanto  ho    detto  a  questo  proposito  nella  sezione   prima 
del  capo  settimo  del  citalo  saggio  di  osservazioni,  pubblicato  nel  1792,  ma  ri- 
corderò soltanto  alcune  osservazioni  che  provano  non  potere  sempre  1  anima  di- 
stinguere le  impressioni  corrispondenti  alle  idee,  al  giudizii  ed  alle  determina- 
zioni prontamente  conseguenti,  abbenchè  esse  impressioni   siano   trasmesse   dai 
sensorii,  e  progrediscano  con  una  preponderanza  sopra  le  altre  contemporanee, 
manifestandosi  con  moti  animali  corrispondenti  e  soprattutto  con  quelli  coi  qua- 
li l'uomo  modula  la  voce  e  forma  le  parole.  Alla  pag.  2o3  di  esso  saggio  scrissi: 
«<  A  quanti  non  succede  che,  quando  vengano   interrogati  all'  improvviso  e  con 
n  forza  su  un  qualche  soggetto,  rispondano  prontamente  e  giudiziosamente  nello 
n  stesso  modo  e  forse  meglio  che  quando  si  mettono  in  orgasmo  per  essere  con- 
»  scii  di  rispondere  a  proposito?  Ma  allora  essi  lo  fanno  come  involonlariameu- 
"  te,  e  spesso  contro  le  fissate  loro  determinazioni.  A  quanti  non  accade  che  nei 
»  casi  pericolosi  producano  improvvisamente  alcuni  moti  mirabili,  che  non  dipen- 
»  dono  dalla  sola  riproduzione  delle  serie  d'idee  altre  volte  avute,  e  delle  serie 
»  di  moti  altre  volte  prodotti,  ma  da  una  nuova  combinazione  di  quelle  e  di  que- 
«  sii?  L'uomo  di  spirito  che  brilla  nelle  società  per  le  sue  facezie  non  si   serve 
»  certo  di  una  seria  attenzione  per  associare  quelle  idee  e  per  distinguere  con 
»  precisione  se  siano  adattate  o  no  al  caso  :  ma   le  esprime  in  parole  senza  che 
«  l'anima  ne  sia  conscia  del  loro  valore  .  E  chiunque  si  sforza  con  la  riflessione 
»  per  essere  faceto  non  merita  alcuna   considerazione  .   Così,  continuai  io   alla 
»  stessa  pagina,  le  orazioni  le   più  energiche,    le    più   adattate,  le  più   efQcacl 
"  non  sono  sempre  le  più  studiate,  o  quelle  nelle  quali  1'  oratore  con  la  sua  at- 
«  tenzione  sembri  avere  più  cooperato,  ma  sono  piuttosto  le  estemporanee.  Co- 
»  me  altrimenti  spiegare  il  fenomeno  di  quelli,  i  quali,  per  quanto  studio  faccia- 
»  no,  non  sanno  alle  volte  accozzare  le  parole  per  esprimere  i   loro  sentimenti: 
»  ma  se  stanchi  di  riflettere  pensano   a  tutto  altro   o  dormono  la  notte  intera 

»  tranquillamente,  conoscono,  all'applicarsi  di  nuovo  anco  improvvisamente  a  quel 
34 


266 

n  soggetto,  come  ranno  accozzate  le  parole  per  esprimere  tutto  ciò  che  sento- 


ri no  "  ? 


Io  ho  poi  fatto  osservare  più  volte  nel  citato  saggio  e  in  altre  opere  succes- 
sivamente pubblicate,  che  quando  le  impressioni  fatte  dai  corpi  introdotti  e  so- 
prattutto dai  lluidi  circolanti  nelle  superficie  delle  interne  cavità  e  canali,  e  da 
queste  superGcie  trasmesse  al  centro  massimo   dei  nervi,  possano  preponderare 
di  forza,  queste  non  possano  essere  distinte  dall'anima  indipendentemente  da 
un  senso  grato   e  molesto  che  vi  corrisponde  .  I  corpi  introdotti  nelle  interne 
cavità,  e  soprattutto  i  fluidi  circolanti,  i  quali  producono  quelle  impressioni  pre- 
ponderanti, passano  successivamente  per  le  altre   cavità  e  canali   costituenti  il 
sistema  vascolare,  e  ovunque  ne  producono   di  preponderanti.    Quindi  la  mag- 
gior massa  delle  impressioni  contemporaneamente  ricevute  e  trasmesse  al   cen- 
tro massimo  diviene  sempre  di  quella  forza  per  cui  deve  corrispondere  un  senso, 
che  sarà  grato  o  molesto  a  misura  ch'esse  impressioni   son  tra  loro  in  certa  pro- 
porzione di  forza  o  sono  devianti  da  questa  proporzione .  In  questo  caso  il  senso 
grato  o  molesto  viene  riferito  al  sito  ove  cominciarono  a  trasmettersi  le  prepon- 
deranti,  perchè  esse  sempre  crescono  di  forza  e  mantengono  la  loro  preponde- 
ranza. Io  ho  fatto  anco  conoscere  che  quando  le  impressioni  tutte  e  le  stesse  in 
conseguenza  impressioni  fatte  nelle  superficie  delle  interne  cavità  e  canali  siano 
egualmente  cresciute  di  forza  e  superiori  al  grado  ordinario,  fJlora  il  senso  gra- 
to o  molesto  che  vi  corrisponde,  viene  riferito  al  sito  dove  le  più   numerose  im- 
pressioni sono  nell'istante  ricevute  e  trasmesse  al  centro  massimo,  e  quindi  a  un 
sito  vicino  al  cuore  o  al  cuore  medesimo.  In  quel  sito  o  all'intorno  sono  certa- 
mente più  moltiplicate  le  impressioni  contemporaneamente  fatte  dal  sangue  cir- 
colante nella  superficie  delle  interne  cavità  del  cuore  e  de'  tronchi  sanguigni,  e 
quelle  dell'aria  atmosferica  nella  superficie  interna  de' polmoni  .  Quindi   io   non 
ho  dubitato  di  asserire  che  il  senso  grato  o  molesto   sia  più  generalmente   cor- 
rispondente alla  forza  degli  urti,  che  il   sangue  circolante   e    1'  aria  atmosferica 
producono  a  misura  che  la  respirazione  e  la  circolazione  sono  libere  o  impedite. 
Queste  impressioni  sono  continuamente  e  con  brevissimi  intervalli  trasmesse  al 
cervello,  ed  esse  sono  di  forza  eguale,  e  moderatamente  accresciuta   dall'  ordi- 
naria nel  caso  che  sia  eccitato  un  senso  grato,  e  sono  ineguali,  e  di  forza  somma- 
mente accresciuta,  allorché  il  senso  corrispondente  sia  molesto .   Siccome  dun- 
que queste  impressioni  del  sangue  circolante  e  dell'aria   introdotta  ne'  polmoni 
sono  certamente  le  più  numerose  in  un  minore -tratto  possibile,  e  possono,  anzi 
devono  essere  condensatissime  nell' arrivare   al  centro   massimo  dei  nervi,  così 
nel  caso  che  tutte  le  impressioni  siano  di  egual  forza  il  senso  grato   o  molesto 
corrispondente  deve  riferirsi  al  cuore,  o  al   sito  intorno  a  questo . 


*6, 
Io  dissi  quindi  alle  pag.  208,  aog  della  introduzione  alla  fisica  del  corpo  uma- 
no sano  ed  ammalato,  pubblicata  nel  1802.  u  Con  questi  principii  non  sembrerà 
»  strano  che  un  dotto,  il  quale  abbia  scoperta  una  verità  dopo  molta  fatica,  che 
»  un  generale,  il  quale  abbia  vinta  una  battaglia  per  le  sue  direzioni  e  per  le  dÌ8po- 
n  sizioui  date  alle  forze  aflìdategli,che  un  amante,  il  quale  si  riconcilia  con  la  sua 
n  bella,  e  che  un  maldicente,  il  quale  ha  avuto  occasione  di  malignare  anco  i  più 
n  onesti,  provino  lutti  un  egual  piacere.  Questo  è  prodotto  dalla  circolazione  che 
»  tenuta  oppressa  si  restituisce  alla  sua  libertà  e  che  nei  primi  che  riacquista  la 
»  libertà  è  un  poco  più  accelerata  e  più  viva  del  solito  .   Il  piacere,  che  in  tutti 
»  questi  casi  si  riferisce  al  cuore  o  ne' suoi  contorni,  è  accompagnato  da  una  libe- 
»  ra  ed  eguale  alternazione  dei  moti  della  respirazione,  la  quale  prima  era  opprcs- 
»  sa  e  al  possibile  impedita,  e  la  quale  influisce  sempre  nell  accelerare  o  ritardare 
»  corrispondentemente  la  circolazione  »  .  Aggiungerò  ora  a  tutto  questo  che  ap- 
punto perchè  dalla  regolarità  od  irregolarità  del  moti  alternativi  della  respirazio- 
ne e  della  circolazione,  piuttosto  che  da  altri  segni,  lo  stato  di  salute  o  di  malattia 
si  manifesta,  nessuna  meraviglia  deve  esservi  nell' osservare  che  alle  impressio- 
ni, le  quali  danno  occasione  a  quel  movimenti  sia  stata  dalla  provvida  natura  ac- 
cordata la  preferenza  di  eccitare  il  senso  grato  o  molesto,  e  che  soltanto  quando 
le  impressioni  più  abituali  e  più  numerose  non  concorrono  ad  eccitare  o  l'uno  o 
l'altro  senso,  l'uomo  possa  tranquillamente  attendere  a  formarsi  le  idee,  e  ad  ese- 
guire i  lavori  dell'Intelletto  e  dell' immaginazione,  e  ad  esprimerli  consegni  ester- 
ni e  confuso  spezialmente  delle  parole.  La  provvida  natur?  ha  voluto  con  questo 
che  l' uomo  possa  tranquillamente  attendere  a  queste  ultime  operazioni,  quando 
nessun  senso  molesto  l'avverte  che  le  impressioni  fatte  nelle  superficie  delle  in- 
terne cavità  e  canali  potrebbero  nuocere  alla  sua  salute,  e  che  le  cause  di  esse 
devono  essere  allontanate . 

Ma  pel  particolare  soggetto  di  questa  memoria  ora  è  da  avvertirsi  che  le  stes- 
se impressioni  fatte  soltanto  nel  sensorii  esterni  dal  corpi  circostanti  possono  di- 
venire COSI  preponderanti  sulle  altre  contemporaneamente  trasmesse  in  massa  al 
cervello,  e  possono  mantenersi  progressivamente  tali  nello  stesso  tempo,  che  ora 
si  succedono  con  certa  proporzione  di  celerità  e  di  forza,  ora  deviano  da  que- 
sta proporzione .  Nel  primo  caso  eccitano  da  se  sole  un  senso  grato,  e  nel  se- 
condo fanno  corrispondere  un  senso  molesto  .  Questi  sensi  occupano  sempre 
l'attenzione  dell'anima,  che  allora  non  riferisce  le  impressioni  preponderanti  al- 
la causa  esterna,  che  le  produce  in  modo  da  formarsi  le  idee  pure,  ma  si  forma 
piuttosto  le  affezioni  o  avversioni  alle  slesse  cause  esterne.  Queste  affezioni  ed 
avversioni  con  la  frequente  successione  e  riproduzione  si  convertono  in  passioni, 
in  simpatie  ed  in  antipatie,  le  quali  compariscono  ragionevoli  e  capricciose  se- 
condo che  il  senso  grato  o  molesto  è  veramente  eccitato  ora  dalla  proporzione, 


268 

ora  dalla  non  proporzione  di  forza  nelle  impressioni  ricevute  e  trasmesse  da  qual- 
che sensorio  esterno  e  nell'azione  della  causa  esterna  che  le  produce:  ovvero 
secondo  che  esso  viene  eccitato  da  impressioni  più  volte  contemporaneamente 
ricevute  e  trasmesse,  le  quali.^  riproducendosi  prontamente,  concorrono  a  costitui- 
re esso  senso,  benché  sia  riferito  alle  impressioni  ed  alle  cause  esterne  delle  im- 
pressioni preponderanti  fatte  in  quell'istante  medesimo  in  qualche  esterno  sen- 
sorio .  Non  parlo  delle  impressioni  fatte  da  alcuni  corpi  sui  sensorii  esterni  del 
tatto,  del  gusto  e  dell'  odorato,  che  difficilmente  possono  accrescersi  di  forza 
senza  influire  nei  moti  alternativi  del  cuore  e  de' polmoni,  e  quindi  nell' accre- 
scere la  celerità  e  la  forza  delle  impressioni  successive  del  sangue  e  dell'  aria 
atmosferica  nelle  superficie  delle  cavità  del  cuore  e  delle  vescichette  polmonari. 
Il  senso  orato  o  molesto  può  in  questo  caso  corrispondere  all'insieme  delle  im- 
pressioni tutte  ricevute  e  trasmesse  anco  dalle  superficie  delle  interne  cavità  e 
canali .  Intendo  di  parlare  di  quelle  sole  impressioni,  che  vengono  ricevute  e 
trasmesse  dai  sensorii  esterni  della  vista  e  dell'  udito  .  Neil'  occhio  e  nell'  orec- 
chio le  proporzioni  armoniche  o  non  armoniche  tra  le  impressioni,  che  alcuni 
corpi  o  col  mezzo  di  moltiplici  raggi  di  luce,  o  col  mezzo  di  moltiplici  oscilla- 
zioni dell'aria  atmosferica,  fanno  arrivare  sino  alla  polpa  del  nervo  ottico  e  del- 
l' acustico  ,  possono  produrre  e  producono  un  senso  or  grato  or  molesto ,  indi- 
pendentemente ancora  da  alcuna  preponderanza ,  oltre  1'  ordinario  ,  delle  im- 
pressioni contemporaneamente  ricevute  e  trasmesse  dalle  superficie  delle  inter- 
ne cavità  e  canali .  Il  senso  grato  e  molesto  non  può  allora  essere  rilento  al 
cuore  e  ai  suoi  intorni,  quantunque  non  sia  distintamente  riferito  ne  all'  uno 
ne  all'  altro  de'  due  sensorii,  della  vista  cioè  e  dell'  udito ,  ne  alle  cause  del- 
le impressioni  ivi  fatte  .  Queste  cause  esterne  non  possono  cosi  facilmente  co- 
noscersi, e  molto  meno  si  possono  confrontare  le  proporzioni  della  celerità  e 
forza  delle  impressioni  successivamente  o  contemporaneamente  fatte  e  trasmes- 
se. Ma  è  certo  che  quel  senso  che  allora  si  prova,  occupa  interamente  l'atten- 
zione dell'anima,  la  quale  in  conseguenza  riceve  cos'i  rapidamente  le  percezioni 
corrispondenti,  e  le  conseguenti  determinazioni,  che  non  può  rendersi  conscia  di 
ciascuna,  e  molto  meno  rendere  conscli  gli  altri  di  esse  ;  ma  essa  però  manifesta 
giudicare  rettamente,  e  dar  occasione  ai  moti  conseguenti,  i  quali  nel  caso  di 
opere  belle,  di  cui  giudica,  concorrono  a  produrne  di  similmente  belle . 

Gli  uomini,  che  si  trovano  in  queste  circostanze,  rassomigliano  molto  a  quelli, 
1  quali,  per  non  avere  distinte  le  idee  con  cui  formano  alcuni  giudizi!  ed  alcune 
determinazioni  negli  affari  della  vita  o  in  alcuni  fatti  di  scienze  fisiche,  non  san- 
no esprimere  in  parole  le  serie  progressive  delle  idee  avute  per  rendere  conscil 
gli  altri  della  rettitudine  dei  loro  giudizii  e  della  ragionevolezza  delle  loro  de- 
terminazioni prese  ed  eseguite.  Meritano  poi  gli  uni   e  gli  altri  essere  per  questo 


disprezzali?  e  si  dee  credere  tulio  questo  un  puro  cflello  meccanico,  quando  un 
certo  grado  di  attenzione  dell'  anima  è  necessario,  affnichè  gli  uni  e  gli  altri 
formino  retti  giudizii  ed  abbiano  determinazioni  corrispondenti  ?  Io  non  ripete- 
rò dunque  all'  occasione  dei  retti  giudizii  che  alcuni  fanno  sul  Bello,  e  all'occa- 
sione delle  determinazioni  che  fanno  loro  eseguire  opere  belle,  io  non  ripeterò., 
diceva,  quanto  ho  scritto  suH'  inlluenza  che  la  costituzione  fisica  del  cervello 
può  avere  in  queste  rette  operazioni .  Nel  caso  presente  si  può  aggiungere  che 
il  senso  «rrato  del  Bello,  il  quale  dee  occupare  tutta  l'attenzione  dcllanima,  può 
maggiormente  impedire  ch'essa  sempre  distingua  le  impressioni  particolari  per 
cui  giudica  rettamente  e  rettamente  si  determina  a  produrne  di  simili,  e  quindi 
non  possa  esprimere  in  parole  le  cause  de'  suoi  giudizii  e  delle  sue  determina- 
zioni . 

Ma  si  domanderà  certamente,  come  alcuni  artisti  non  attendendo  a  imitare  fe- 
delmente o  servilmente  i  soli  bei  modelli  della  natura  o  i  soU  bei  capi  d'  opera 
dell'  arte,  arrivino  a  formare  opere  belle  simili  ma  originali?  ed  attendendo  rigo- 
rosamente all'imitazione  e  soprattutto  alle  regole  fissate  da  alcuni  maestri  del- 
l'arte producano  bensì  opere  regolari,  ma  non  sempre  belle  e  mai  con  un  carat- 
tere di  originalità?  Io  dirò  che  quello,  il  quale,  in  luogo  di  copiar  fedelmente 
opere  belle  della  natura  e  dell'arte,  osserva  attentamente  molte  di  esse  in  qual- 
che modo  simili,  può  variamente  essere  impressionato  dalle  singole  parli  per  la 
maggior  proporzione  armonica  che  hanno  tra  loro  e  per  cui  concorrono  ad  ac- 
crescere la  forza  del  senso  grato  del  Bello.  Quindi  nel  determinarsi  a  comporne 
una  simile  deve  pur  dare  una  qualche  proporzione  diversa  ad  alcune  parti  se- 
condo che  più  gli  fece  percepire  l'  armonia  tra  loro,  e  deve  per  ciò  far  risultare 
un'  opera  simile  ma  originale  e  non  perfettamente  imitante  alcun'  altra .  All'op- 
posto quegli  che  si  limita  a  imitar  esaltamente  le  proporzioni  di  opere  f^iudica- 
te  belle,  potrà  farle  similmente  belle,  ma  esse  ricorderanno  perfettamente  i  mo- 
delli che  ha  seguito,  e  la  sua  opera  sarà  lodata  come  copia,  e  mai  come  origina- 
le. Il  celebre  Canova,  come  il  Missirini  fece  osservare  nel  darci  i  ragguagli  sulla 
vita  di  quell'artista  immortale,  soleva  dire  fino  dalla  sua  gioventù  di  non  volersi 
occupare  a  copiare  le  statue  antiche  per  quanto  belle  fossero,  perchè  a  questo 
modo  non  avrebbe  mai  fallo  un"  opera  originale  .  Ma  il  Canova,  osservando  at- 
tentamente le  opere  belle  della  natura  e  dell'  arte,  imitò  il  metodo  degli  antichi, 
e  si  è  formato  quel  genio  originale  ch'essi  avevano  acquistato  collosservare  at- 
tentamente le  opere  belle  della  natura  e  dell'  arte.  Ogni  qual  volta  il  Canova 
volle  far  opere  simili  ha  sapulo  dare  a  ciascuna  un  carattere  nuovo  ed  origina- 
le, alle  volte  supcriore  alle  opere  degU  antichi  maestri . 

Lungi  dunque  dall'  insistere  a  volere  che   gli   artisti  seguano   esattamente  le 
stabilite  leggi  delle  proporzioni  armoniche,  siano  essi  pinttoslo   indotti   a  osscr- 


vare  molte  opere  belle  con  quell'  attenzione  che  sola  può  far  loro  acquistare 
r  abitudine  di  siiidicar  rettamente  e  di  determinarli  come  fosse  un  fulmine  ad 
operare  ed  accozzare  all'  improvviso  le  singole  parti  con  quelle  proporzioni  più 
giuste,  che  nelle  diverse  opere  simili  ha  fatto  in  loro  maggior  impressione,  ed  ha 
concorso  ad  accrescere  loro  il  senso  grato  nell'atto  di  osservarle.  E  già  verissi- 
mo che  seguendo  esattamente  le  regole  stabilite,  gli  artisti  spesso  compariscono 
soltanto  copisti,  ed  alle  volte  ancora  cattivi  copisti  appunto  per  non  essere  da 
sh  giudici  dell'armonia  nelle  proporzioni.  Quello  però  che  in  ultimo  luogo  deve- 
si  avvertire  è,  che  il  senso  grato  d'un' opera  bella,  che  si  osserva  o  che  si  vuol 
eseguire,  può  non  corrispondere  alle  proporzioni  del  tutto  armoniche  tra  le  im- 
pressioni preponderanti  fatte  ne' nostri  sensorii  dalle  diverse  parti  dell'opera 
stessa.  Esso  senso  alle  volte  può  corrispondere  a  slmili  proporzioni  nelle  impres- 
sioni preponderanti,  che  in  massa  sono  contemporaneamente  ricevute  e  trasmes- 
se al  centro  massimo  ed  al  cervello .  Una  pretesa  scoperta  di  nuovo  metodo  o 
di  nuova  riunione  di  proporzioni,  un  applauso  ottenuto  per  la  sola  novità  intro- 
dotta può  eccitare  l'azione  del  sistema  nervoso  tutto,  sino  a  produrre,  come  ac- 
cennai, quell'alternazione  regolare,  ma  più  forte  del  solito,  dei  moti  della  respi- 
razione e  della  circolazione,  per  cui  il  senso  grato  sia  associato  alle  impressioni 
d'un' onera  che  si  osserva  o  che  si  eseguisce,  la  quale  senza  quelle  circostanze 
non  avrebbe  prodotto  un  senso  grato  distinto  .  Simili  circostanze  rendono  ragio- 
ne del  Bello  relativo,  e  molto  più  del  capriccioso,  di  moda  o  irragionevole,  co- 
me nelle  affezioni  stesse  co' nostri  simili  o  con  altri  ogjjetti  esterni  nascono  le 
simpatie  strane,  e  non  generalmente  corrispondenti  alle  impressioni  di  oggetti 
simili  . 

Alla  pag.  25  1  del  primo  saggio  di  osservazioni,  pubblicato  nel  i'j92,ho  scrit- 
to che  essendo  abituati  ad  alcune  serie  d'idee  e  di  moti  conseguenti  arriva  che 
le  une  e  gli  altri  si  succedano  così  rapidamente  che  1'  anima  non  percepisce  cia- 
scuna di  quelle,  e  non  è  conscia  della  sua  determinazione  per  ciascuno  di  questi 
moti .  Aggiunsi  poi  che  quando  1'  anima  fa  attenzione  ad  alcune  idee  e  ad  alcuni 
moti  susseguenti  può  rendere  la  riproduzione  così  pronta  che  in  seguito  le  sem- 
bri succedersi  esse  senza  le  intermedie,  che  in  fatto  devono  riprodursi  come  causa 
le  une  delle  altre .  Dissi  precisamente  :  «  Il  piacere  di  raccogliere  dinaro  dipende 
«  dalle  idee  che  si  riproducono  nella  mente  dei  piaceri  o  comodi  ottenibili  con 
»  questo  mezzo,  e  però  quando  l' anima  vede  il  dinaro  l' idea  corrispondente  ri- 
"  sveglia  le  idee  delle  cose  che  si  possono  procurare  con  esso,  e  queste  idee  o 
«  le  corrispondenti  impressioni  riprodotte  mettono  il  cervello  in  quello  stato  per 
5»  cui  viene  a  lei  eccitata  una  grata  sensazione .  Ora  se  alla  vista  del  dinaro  il 
!i  cervello  passa  rapidamente  a  quest'  ultimo  stato ,  e  l' anima  non  fa  gran- 
«  de  attenzione  che   a  questo,  è  facile  che  ella  si  abitui  a  connettere   la  sen- 


n  saziòne  grata  coli'  idea  del  dinaro,  e  trovi  realmente  piacevole  la  possessio- 
n  ne  di  questo  »  .  Aveva  già  scritto  precedentemente  che  il  piacere  recato  ad 
un  amante  da  un  pezzo  di  carta  scritta  dalla  sua  bella  o  da  tutt'  altra  cosa  indif- 
ferente certo  in  altra  circostanza  dipenda  dalla  riproduzione  nel  suo  cervello  di 
quello  stato  in  cui  trovavasi  allorché  vicino  ad  essa  contemplava  le  sue  grazie  e 
bellezze . 

Per  quanto  dunque  io  creda  non  convenire,  pure  nelle  belle  arti,  d' insistere 
rigorosamente  sulle  regole  lissate  da  alcuni  gran  maestri,  ma  essere  più  utile 
che  gì  iniziandi  osservino  da  se,  e  si  abituino  a  gustare  il  Bello  nelle  opere  della 
natura  e  dell'arte,  io  sono  sempre  convinto  delia  necessità  di  far  attenzione  ad 
alcune  accessorie  circostanze  che  possono  far  giudicare  belio  e  preferibile  quel- 
lo che  non  è  infatto,  e  che  in  generale  ai  buoni  conoscitori  non  comparisce  tale. 
Ma  sono  io  tra  quelli  che  si  compiacciono  e  giudicano  bello  un  lavoro  per  qual- 
che circostanza  estranea  al  lavoro  medesimo?  In  ogni  modo  non  conviene  più 
oltre  abusare  della  pazienza  di  chi  mi  ascolta.  Io  sarò  molto  contento  se,  confer- 
mando che  il  fisiologo  può  penetrare  e  render  ragione  delle  azioni  delie  facoltà 
intellettuali  senza  cadere  in  proposizioni  giustamente  riprovate,  comparirà  anco- 
ra che  abbia  indicate  alcune  applicazioni  utili  a  rendere  più  sicuro  e  più  energi- 
co il  senso  del  Bello. 


Z'ji 


INTORNO  AL  PIÙ  UTILE  MODO 

DI  APPLICARE  LO  STUDIO  DELLA  GRECA  FILOLOGIA 
ALLA  INTERPRETAZIONE  DI  OMERO 

DISCORSO 

DELL' AB.    GIO.    LUIGI    BELLOMO 

PROFESSORE  DI  LETTERATURA  CLASSICA  LATINA  E  DI  FILOLOGIA  GRECA. 

NEL  R.  LICEO  CONVITTO  DI  VENEZIA. 

SEGRETARIO  DELLA  CLASSE  PER  LE  LETTERE. 


Jjenchè  sèmpre  grande  e  sempre  yenerato  nome   quello  sia  di  Omero,  a 
cui  l'età  nostra  coltissima  il  vanto  confermò  di  sommo  fra  i  poeti:  ciò  nondimeno 
r  esibire  presentemente  a  voi,  dottissimi  membri  dell'  Ateneo  veneziano,  alcune 
osservazioni  intorno  a'  di  lui  poemi,  può  sembrare  argomento  men   conveniente, 
percbè  troppo  reso  ormai  trito,  e  perciò  meritarsi    la  nota  taccia  del  Satirico  : 
Occidlt  miseros,  crambe  repetita,  magistros. 
E  chi  di  fatti  ignora  i  nomi  di  tanti  filologi  ,  1  qnali  dalla  più  rimota  antichità 
fino  a"  di  nostri  diedero  opera  ad  illustrare  questo  poeta?  e  chi  non  fece  plauso 
a'riputali  lavori  d'un  Hejne  e  del  Wolff,  per  cui  in  questi  ultimi  tempi   sembra 
che  siasi  portala  la  critica  omerica  al  più  alto  suo  grado  ?   Senonchè   qualora  ri- 
fletter vogliate  allo  scopo  particolare,  che  in  questo  lavoro  mi  prefiggo,  ed  alla  di- 
versità de'  mezzi  eh'  io  mi  propono-o  di  adoperare  ;  forse  comparirvi  potrà,  quasi 
direi,  nuovo   il    divisamento,  e   non  mai  per  lo  innanzi  tentato  .  Il  motivo  prin- 
cipale perchè  generalmente  i  pih  de' giovani  studenti,  ed  anche  delle  colte  per- 
•  sone  rifuggono  dalla  greca   filologia,   considerata  a  tutto  rigore  come  studio  di 
lingua,  egli  è,  perche    raggirati  senza  termine   fra  le   spine  delle  grammaticali 
minuzie,  non  veggono  qnal  se  ne  ricavi  utilità  da   cotanta  fatica,  e  quindi  si  af- 
frettano   al  più  presto  di  uscire  dall'  intricato  gineprajo ,   abbandonando   per 
sempre  si  lungo  ed  incomodo  studio  : 

Inconsulti  abeunt,  sedcmque  odcre  Svblllac  . 
35  ■  l  J 


Ciò  per  altro  non  avverrebbe,  qualora  con  mano  toccar  si  facesse,  e  co'  fatti 
espprimcntare  che  la  greca  filologia,  considerata  appunto  come  stndio  ili  lingua, 
si  annoda  per  mille  rapporti  colle  lettere,  colle  scienze   e  colle  arti  :  e  che  per- 
ciò sta  in  perfetta  armonia   co' bisogni   e  cogl' interessi   della  presente   sociale 
cultura.  Questo  sarebbe  appunto  ciocche  io  mi  proporrei  di  fare  nella  spiegazio- 
ne de'  poemi  di  Omero,   intrattenendo  gli   studiosi  in  una  serie  di  osservazioni, 
che  sempre  si   riferissero   a  qualche  ramo  della  nostra  letteraria  e   scientifica 
cultura,  della  quale  non  evvi  al  certo  persona  alcuna  bennata  e  gentile,  che  non 
brami  adornarsi  la  mente .  Omero  trascegliesi  poi  a  preferenza  d'ogni  altro  gre- 
co autore;  e  ben  a  ragione:  perciocché  noi  consideriamo  anche   oggidì   questo 
poeta  quale  stiniavalo  a' suoi  tempi  Vitruvio,  poetarum  parc.nlem^   pliilologice- 
Cjue  omnis  diicem  :  ed  è  quegli  altresì,  che  più  forse  di  ogni  altro,   si  è  sempre 
cercato  di  tradurre  convenientemente  in  italiano .   Ora  ecco  il  modo    col   quale 
parnii,  ch'estender  potrebbesi  sopra  una  materia  non  nuova  un  nuovo   corso   di 
lezioni .  Premesse  poche  compendiose  notizie  delle  quistioni  che  si   agitano  og- 
gidì da'  dotti,  specialmente  di  Germania  e  d'Inghilterra,  intorno  alla  persona  di 
Omero,  all'  autenticità  de'  di  lui  poemi,  ed  all'indole  della  lingua  da  lui  adopra- 
ta  :  offrirei  ad  argomento   delle   diverse  lezioni   i  passi   scelti  e  più  pregevoli 
dell'  Iliade,  quelli  cioè,  che  dal  concorde  suffragio  di  tutti  i  secoli  vennero  sem- 
pre riputati  come  altrettanti  tipi  del  bello  incontrastabile  ed  universale  per  tut- 
te le  più  colte  nazioni .  Vi  si    dovrebbe    porre  innanzi  il  sommario    del  libro  in- 
tero,  affinchè  piìi  facilmente  potesse  intendersi  il  tratto  scelto,  qualora  veggasi 
quale  anello  formi  dell'  azion  principale,  e  come  stia  ne'  suoi  rapporti  col  tutto . 
Oo-ni    lezione  poi  dovrebbe  cominciare  del  leggere  il  passo  dell'  originale   nuo- 
vamente trasportato  in  volgare  con  una  traduzione  inerente  al  testo  quanto  più 
potrassi  fedele,  la  quale  verreblie  confrontata  a  quando  a  quando  colla  versione 
pur  prosaica  o  del  Cesarotti,  o   di  qualche    altro  celebre   traduttore  .   Appiè  di 
questo  volgarizzamento   dovrebbe  porsi  una  tavola  sinottica  delle  osservazioni 
puramente  grammaticali,  per  non  lasciare  digiuni  coloro  che  fanno  incetta  uni. 
camcnte  di  così  fatte  ghiottornie .  Siccome   però  a   giovani  si  parla  nello  studio 
elementare  della  lingua  ormai  dirozzati;  così  basterebbe    ristringere  queste  os- 
servazioni alle  parole  meno  ovvie,  ed   a  quelle    metamorfosi  di  voci   le  più  stra- 
ne, e  che  più  le  deviano  dalla   loro  radice,  o  che  con  altre  in  apparenza    simili, 
le  confondono  .  Bensì  questa  parte  della   lezione  ad    un  utile   ed    insieme    dilet- 
tevole esercizio  di  critica  potrebbe  spesse  volte  somministrare  occasione.  I  poe- 
mi d"  Omero:  e  1  Iliade    particolarmente,  a  noi  trasmessi  per  mezzo  della   serie 
di  tanti  secoli,  passar   dovendo   ora  per  le   mani  di  presuntuosi  Aristarchi,  ora 
per  quelle  di  Zoili  villani,  e  soffrire  l'onte  della  barbarie  de' tempi  unite  a  quel- 
le della  ignoranza  de'  copisti  ;  soggiacquero    a  notabili  alterazioni  sia   nella  mu- 


«75 
tazione  di  alcune  voci,  sia  nella  collocazione  de'  versi,  ed  anche  per  cagione 
d"  interpolazioni.  Profittando  pertanto  de'  lumi,  che  ci  somministrano  i  più  re- 
centi filologi  ;  qualora  avvenga,  che  il  passo  da  noi  spiegato  nella  lezione  sof- 
ferto avesse  alcuna  di  queste  alterazioni,  non  solo  esser  dovrebbe  nostra  cura 
quella  d' indicare  le  indagini  de'  critici  più  accreditati  ;  ma  ben  anche  fattone 
un  ragionato  confronto,  trascegliere  la  miglior  lezione .  Siffatto  esercizio  var- 
rebbe non  solo  ad  aguzzare  f  intelletto  nella  critica  puramente  letteraria,  ma 
contribuirebbe  pur  anche  ad  uno  scopo  più  sublime,  a  vie  più  sviluppare  ne'glo- 
vani  la  stessa  facoltà  ragionatrice,  praticamente  addestrandola  in  questa  dotta 
palestra  . 

La  seconda  parte  della  lezione  dovrebbe  comprendere  lo  studio  ragionato 
dell'etimologie .  Siffatto  studio  è  appunto  d'una  primaria  utilità,  perchè  apre  un 
fertile  e  spazioso  campo  alle  meditazioni  del  psicologo,  immedesima,  per  cosi  di- 
re, la  lingua  greca  colla  latina  e  colla  italiana,  la  innalza  ad  essere  compagna 
ed  ausiliaria  delle  nostre  scienze  e  delle  arti  nostre,  alle  quali  anche  oggidì  è 
in  possesso  di  somministrare  i  più  acconci  ed  espressivi  vocaboli .  Ne  già  alcuno 
havvi  tra  voi,  coltissimi  accademici,  il  quale  appien  non  conosca  quanto  sia  no- 
bile ed  importante  agli  occhi  del  filosofo  pensatore  l' etimologico  studio  .  Men- 
tre pel  grammaticuzzo  tutto  questo  suol  ridursi  a  scrupolosamente  notomiz- 
zare  i  casi,  i  tempi,  i  temi,  le  radici,  l'eccezioni;  al  filosofo  porge  i  mezzi,  onde 
risalire  a' principil  stessi  della  umana  natura,  ed  alla  considerazione  di  quella 
hngua,  che  il  chiarissimo  Cesarotti  chiama  »  iiicoata^  e  in  un  certo  senso  unifor- 
»  me,  la  quale  servì  di  base  comune  alla  immensa  famiglia  di  tutte  le  lingue 
»  dell'universo:  e  della  quale  gli  eruditi  di  alta  sfera  scopersero  in  ciascheduna 
»  Iraccie  profonde  e  sensibili  --^ . 

Ciascuno  pertanto  de'  tratti  omerici,,  de' quali  si  è  premessa  la  litteral  traduzio- 
ne, potrebbe  fornire  per  la  seconda  parte  della  lezione  un  numero  scelto  di  vo- 
caboli, i  quali  si  dovrebbero  decomporre  in  quegli  elementi  primitivi,  ne'  quali 
appunto  spesso  riscontrasi  la  più  meravigliosa  analogia  tra  la  lingua  greca  da 
un  canto,  le  lingue  orientali  e  le  celtiche  dall'altro.  Qui  cadrebbe  in  acconcio 
l'esaminare  quelle  voci,  che  il  soprallodulo  Cesarotti,  chiama  giustamente  ter- 
mini-figure per  distinguerle  dalle  altre,  eh'  ei  chiama  termini- cifre  .  Quelle  pri- 
me non  devono  passare  inosservate,  appunto  perchè  risplendono  d'una  bellezza 
tutta  lor  propria,  la  quale  nasce  dal  rapporto,  eh'  esse  hanno  coli'  oggetto ,  che 
significano.  E  quanto  da  questo  Iato  non  rilucerà  la  bellezza  delle  parole  gre- 
che adoprate  con  inarrivabil  maestria  dal 

«  Primo  pittor  delle  memorie  antiche  "  ? 

Fatte  queste  preliminari  osservazioni  sugli  elementi  costitutivi  di  quella  data 
Toce,  si  dovrebbe  in  secondo  luogo  passare  ad  esaminarla  ne'  suoi  varil  signifi- 


376 

cali,  i  quali  ricevellc  dall'  uso  in  tempi  dirersi,  ma  die  sempre  più  o  meno  si 
avvicinano,  o  si  riferiscono  per  qualche  legame  a  quella  primitiva  idea,  di  cui 
era  slato  segno  il  vocabolo  nella  sua  origine  antica.  Egli  è  da  questo  lato,  che 
lo  studio  dell'etimologia  acquista  un  nuovo  grado  d'importanza:  giacche  le  pa- 
role a  cagione  principalmente  delle  diverse  idee,  di  cui  passarono  ad  esser  se- 
gni in  tempi  diversi,  equivalgono  per  la  storia  degli  umani  pensamenti  a  ciò  che 
sono  le  medao-lie  e  le  iscrizioni  antiche  per  la  storia  de' fatti  .  Indi  converrebbe 
discendere  ad  osservare,  se  quel  dato  vocabolo  sia  stato  ricevuto  nella  lingua 
latina  ed  italiana,  e  in  qual  significato .  Siffatto  esame  sarebbe  da  farsi  con  una 
particolare  accuratezza  appunto  perchè  trattasi  di  voci,  le  quali,  secondo  l'uopo, 
si  usano  di  sovente  anche  oggidì  dagli  autori,  allorché  vogliono  comunicare  agli 
altri  i  concepimenti  della  loro  mente  in  fatto  di  scienze,  lettere  ed  arti .  Per  la 
qual  cosa,  se  di  voce  trattasi  adottata  dalla  lingua  latina,  dovrebbe  distinguer- 
si in  quale  tra  le  diverse  età  di  detta  lingua  sia  stata  introdotta  ed  in  qual  senso 
usata  da^li  autori  di  quell'età:  indi  esaminare,  se  siasi  introdotta  nella  italiana 
favella  passando  pel  canale  della  latina:  oppure  se  direttamente  gli  scrittori  ita- 
liani abbiano  attinto  al  greco  fonte.  Comunque  poi  sia,  sempre  gioverebbe  l'avver- 
tire, se  questo  vocabolo  trovisi  già  registrato  nel  dizionario  della  Crusca,  oppu- 
re se  o-iri  in  corso,  solamente  perchè  venne  autorizzato  dall'  uso.  Da  un  tale  esa- 
me tre  vantaggi  ricavare  potrebbonsi  quanto  a  ciò,  che  presentemente  forma  il 
soo-irelto  dco-li  studii,  e  l'argomento  della  lettura  d'ogni  colta  persona:  i.°  Po- 
trebbesi  aumentare  il  dizionario  etimologico  di  tutti  i  vocaboli  usati  nelle  scienze^ 
arti  e  mestieri,^  che  traggono  origine  dal  greco ^  già  compilato  in  Milano  l'anno 
1 8  1 9  ;  il  quale  comechè  offra  raccolte  1 5,ooo  voci  di  questo  genere,  manca  ancora 
di  molte  non  meno  necessarie  ed  usitate  di  quelle,  che  vi  si  trovano  registrate: 
2."  Potrebbcsi  cooperare  all'impresa  del  cav.  Monti  per  la  sua  applauditi^  Pro- 
posta di  alcune  correzioni  ed  aggiunte  al  vocabolario  dalla  Crusca^  per  quan- 
to ris"-uarda  a  voci  italiane  prese  dal  greco,  e  che  sfuggite  pur  fossero  al  guar- 
do linceo  di  questo  sommo  letterato  e  poeta:  3."  Potrebbe  somministrarsi  non 
iscarsa  suppellettile  di  vocaboli  greci,  ammessi  bensì  dall'uso  di  riputati  italiani 
scrittori,  ma  non  registrati  nella  Crusca,  a'  dotti  e  diligenti  compilatori  del  di- 
zionario della  lingua  italiana^  che  si  va  stampando  attualmente  in  Bologna  do- 
po l'anno  1819  ;  tanto  pih,  che  da  essi  «  restano  invitati  i  letterati  a  voler  aju- 
«  tare  quell'opera  col  loro  consiglio  e  colle  loro  fatiche  ». 

La  terza  parte  della  lezione  comprender  dovrebbe  un  esame  critico  delle  più 
celebri  traduzioni  di  Omero .  Avendo  infatti  già  conosciuto  il  senso  inerente  al- 
l'orio-inale  nella  prima  parte  ,  ed  avendo  nella  seconda  valutato  la  forza  di  alcu- 
ne più  notabili  espressioni:  riuscirebbe  ormai  più  agevole  l' instituire  un  confron- 
to critico  de'  varii  modi,  co' quali  1  più  riputati  traduttori  sonosi  sforzati  di  ren- 


»77 
dere  latine  od  italiane  le  oniciit  lie  Li-llczze.  Ne  già  con  questa  censura  delie 
trarluzioni  pretcnderebbesi  di  derogar  punto  al  merito  di  ciascun  de' traduttori . 
Non  h  certo  vergogna  il  snccumbcre  per  chi  vuole  ad  Ercole  strappare  la  cla- 
va, ed  armi  adopra  di  tempra  mcn  lina:  giacche  non  può,  se  non  chi  acciccar  si 
lascia  da  uno  smodato  amcr  patrio,  ritrovare  forze  eguali  tra  il  greco  e  l'italia- 
no lino-uaTgio.  In  (juesti  due  casi  solamente  noi  crederemmo  di  poter  a  buon 
dritto  tacciare  il  traduttore:  i."  Quando  la  propria  lingua  somministrar  poten- 
doci delle  equivalenti  espressioni,  egli  le  abbia  trascurate:  2.°  Quando  abbia 
acro-iimto  o  sottratto  arbitrariamente  con    discapito  dell'originale .    Da  un   tale 

no  IO 

esame  critico  intorno  alle  traduzioni,  bensì  ne  potrebbero  derivare  due  utili 
conseguenze.  La  prima  che  s'indurrebbero  i  giovani  studiosi  a  non  trascara- 
re  cos\  facilmente  la  greca  fdologia,  considerata  pure  come  studio  di  lingua  ; 
poiché  si  accorgeranno  di  quanto  rimanga  scemato  il  diletto,  allorché  sono  co- 
stretti di  mirar  le  bellezze  di  Omero  nelle  traduzioni,  quasi  attraverso  di  altret- 
tanti vetri  colorati,  che  ne  alterano  e  scompongono  i  lineamenti  più  delicati  e  ca- 
ratteristici. Avvedrebbonsi  col  fatto,  che  per  quanto  siano  lodevoli  gli  sforzi 
de' più  valenti  traduttori,  il  leggere  Omero,  quale  essi  cel  presentano,  è  come 
(siami  permesso  di  qui  citare  questa  spiritosa  immagine  di  Cervantes  )  «  se  ri- 
"  sguardassero  al  rovescio  i  tappeti  di  Fiandra ,  dove  sebbene  si  distinguano  le 
n  figure,  sono  però  sempre  piene  di  fila,  che  le  imbrattano,  e  non  si  scorgono 
»  cos'i  appariscenti,  come  nel  contorno  "  .  Il  secondo  vantaggio  che  per  ogni  col- 
ta persona  dee  sommamente  apprezzarsi,  egli  sarebbe  il  perfezionamento  del 
proprio  gusto  .  Questo  non  potrebbe  non  raffinarsi  naturalmente  sì  coli' avere 
sotto  agli  occhi  i  passi  più  scelti  di  Omero,  in  cui  le  bellezze  sono  tutte  schiette 
e  natie,  scevre  da  ogni  ammanieramento  ^  come  pure  coli'  esercizio  di  doverle 
spesso  analizzare  parlitamente,  onde  decidere  con  fondamento  se  abbiano  i  tra- 
duttori anche  più  valenti  colto  nel  segno.  Più  intimamente  altresì  giunger  po- 
trebbesi  a  conoscere  l'indole  della  lingua  italiana,  e  l'estensione  reale  delle  sue 
forze,  confrontando  insieme  le  migliori  espressioni,  colle  quali  garego-iarono  fra 
loro  i  traduttori,  procurando  tutti  di  superarsi  a  vicenda  nel  medesimo  arringo. 
Quale  sia  la  più  felice  e  la  più  acconcia  espressione  apparirà  appunto  più  chia- 
ramente colla  forza  de' confronti,  nella  stessa  guisa,  che  agli  occhi  tostamente 
risalta  la  maggior  vivacità  e  leggiadria  d'  un  colore,  posto  in  vicinanza  ed  in 
graduazione  cogli  altri . 

Omero  fu  poi  per  tutte  l'età  sì  del  Lazio,  che  dellltalia,  quel  poeta  la  cui 
lettura  sempre  giovò  quanto  mai  a  sublimare  la  fantasia,  ed.a  porgerle  il  suo 
più  gradito  nutrimento  : 

«  Adspice  Maconidcn,  a  quo  ceu  fonte  perenni 
•5  Valuni  Pieriis  ora  riganlur  aquii. 


i^8 

Parecchi  traili  plb  belli  dell'Iliade  hanno  servilo  di  modello  ai  poeti  latini 
ed  italiani,  e  talora  anche  rivestiti  d'abbigliamenti  o  Ialini  od  italiani,  compaio- 
no a  formare  una  parte  ricca  e  brillante  nelle  loro  poesie .  Allorché  pertanto 
queste  imitazioni  s  incontrino  co'  tratti  da  noi  trascelti  per  argomento  della  le- 
zione dovrebbero  aggiungersi  a  costituirne  1' ultima  parte  ;  ed  in  questa  ci  fa- 
remmo a  pouderare  con  qual  felicità  di  successo  siansi  trapiantati  questi  fiori 
di  suolo  straniero  nel  Ialino,  ovvero  nell'  italiano  Parnaso  .  Una  siiTatta  disami- 
na non  solo  tornerebbe  per  se  stessa  dilettevole  mollo;  ma  di  nuovo  varrebbe 
insieme  per  altra  via  a  perfezionare  il  senso  del  bello ,  giacche  insegnerebbesl 
col  fatto  stesso,  come  si  possa  dalla  lettura  de'  classici  libare  i  succhi  migliori, 
onde  trasfonderli  ne'  propri  letterarii  componimenti . 

Quando  pure  scritto  venisse  un  corso  di  lezioni  col  metodo  indicato,  le  quali 
a  tutti  si  estendessero  i  punti  di  vista  teste  considerati  ;  allora  si,  che  rimarreb- 
be, se  mal  non  m'appongo,  sbandita  la  noja  e  la  sterilità  sinora  compagne  indi- 
visibili neir  insegnamento  della  greca  filologia,  considerata  semplicemente  come 
studio  di  lingua.  Omero  basterebbe  egli  solo  a  conciliare  gli  animi  avversi,  of- 
frendo argomenti  ognor  nuovi  di  utili  e  dilettevoli  lezioni.  Per  siffatta  guisa  e 
il  puro  ellenista,  e  r  erudito  profondo,  gli  studiosi  delle  belle  lettere  e  delle 
belle  arti ,  i  dotti  che  professano  le  scienze  pili  gravi  ed  austere,  e  finalmente 
qualunque  siasi  persona  vaga  soltanto  d"  una  lettura  amena  sarebbero  per  ritro- 
Tare  un  intrattenimento  adatto  a'  loro  ingegni  diversi,  ed  un  cibo  gradito  al  gu- 
sto di  ciascuno  d'essi.  Parrebbe  conseguentemente,  che  se  per  cagione  de  leg- 
gitori noi  ci  tnjviamo  nel  caso  medesimo  notato  dal  Venosino  lib.  2,  ep.  2: 

prope  dissentire  videntur 

Poscentes  vario  multuin  diversa  palato  ; 
1'  esito  nondimeno  non  dovrebbe  essere  il  medesimo: 

«  Quid  dem?  quid  non  dem  ?  renuis  tu  quod  jubet  alter  : 
"  Quod  petis,  Id  sane  est  invisum,  acldumque  duobus . 

Siccome  però  altro  è  il  vedere  un  nuovo  metodo  solamente  in  teorica  e  per 
astrazione,  ed  altro  è  il  vederlo  posto  in  atto,  e  praticamente  adoprato  ;  così 
non  isdegni  la  gentil  vostra  attenzione,  o  accademici,  di  osservare  il  mio  divisa- 
mento  vie  meglio  dilucidato  in  un  abbozzo  di  lezione,  nella  quale  prendo  a  spie- 
gare il  celebre  passo  di  Omero,  dove  si  dipinge  Apollo  saettante  il  campo 
de'  Greci .  Questo  io  lo  sottopongo  alle  saggie  vostre  rillessioni,  diviso  appunto 
nelle  tre  parti,  ch'essenzialmente  compor  dovrebbero,  come  ho  già  detto  più 
sopra,  r  intera  lezione  . 


*79 
PARTE  PRIMA. 

//  volgarizzamento  littcrale . 

Lib.  ».  della  Iliade  dal  v.  43   al  5j. 

Sf^   itpar  iv\S(JLCvoi;'  7»   ^' sx?\ve  <t<o7lSoi   A7ró>\X&'/. 
Bi)   Sf   KctT  ny^vfÀTroio  Kstpl/juav  xecófiCAioz   xHp, 
To^'  ufjLCia-m   f^^"   ocfjnpmpeipfaTe   (fcpérplw, 
E'x.>oiy^a'  K  ap  '  oigoì  Ìtt    uyiuf  )(^ùìO(/.ivcto , 
Alili   xivvi^cJtvi;'   Ò  8'  n'/'f  fvxTi    foiKù)/;. 

Aetvri   le  x.?\ayy^  yfver  apyvpéoio  (Stelo  . 
Otypif;  IJiìv  7rpòÌTVf   E/ra;^erp,  ìy  K'Jj'cti;   ap5  a  ? , 
Avmp  ÌTTeiT  avitÌTi  /SeAo^   ensTrsoxìi;   A(fieÌ!; 
BaA?i'.  «/«  8f  TTVpoit   vexveni/  naionv   Sra^.etatl . 

»  Cosi  disse  orando  (cioè  il  sacerdote  Crise);  lo  udì  Febo  Apollo:  e  tosto 
»  scese  dalle  cime  d'Olimpo,  adirato  in  cuore,  l'arco  avendo  sugli  omeri ,  e  la 
«  d' oo-n'-intorno-chiusa  faretra.  Risuonavano-acutamente  i  dardi  siiffli  omeri 
«  dell'  adirato  nel  mentre  egli  moveasi  :  ed  el  venia  simile  a  notte  .  Quinci  col- 
ri  locossi  in  disparte  dalle  navi,  e  vibrò  lo  strale:  terribil  suono  ne  uscia  dall'  ar- 
n  fi-cntco  arco.  Prima  colpiva  solo  i  muli  ed  i  cani  veloci;  ma  di  poi  la  saetta 
«  (li-amarczza-ripicna  drizzando  contro  gli  uomini  scoccava,  ed  ognor  pire  di  ca- 
»  daveri  ardeansi  molte  »  . 

Ommesse  le  picciole  differenze,  che  potrebbero  notarsi  tra  il  sopra  riportato 
voliiarizzaniento,  e  cpiello  già  conosciuto  del  chiariss.  Cesarotti:  una  soia  è  pe- 
rò troppo  notabdc,  perchè  non  sia  qui  degna  di  essere  avvertita,  ed  è  al  verso 
48.  ^'ì^er  STTur  asrov'cst^f  hcÒp  .  Il  soprannominato  traduttore  colla  comune  de- 
gli altri  spiega  in  tal  guisa:  «  si  assise  poscia  in  disparte  dalle  navi  ".  Ma  come 
mai,  se  descrivcsi  Apollo,  che  avvampante  di  sdegno  scende  dall' Olimrio  per 
vendicarsi  sopra  i  Greci,  il  Nume  eoniincierebbe  poi  la  sua  vendetta  coli"  assi- 
dersi? ^'^Ofxcu  e  uno  di  que' verbi,  che  hanno  più  faccie,  e  diverse  dilicate  modi- 
ficazioni di  significato .  Peraltro  quando  riflettasi,  eh'  E"^o/ua<  viene  dalla  radice 
16,  porre^  si  può  inferire,  che  nel  suo  significato  racchiude  questo  verbo  una 
relazione  al  collocarsi.^  porsi  in  situazione .  Disse  pur  ottimamente  Ugo  Fosco- 
lo sopra  un  tal  passo .  .  .  .  i.  ^^o(xau  e  verbo  solenne  in  Omero,  e  lo  assegna  a 
«  tante  e  sì  diverse  situazioni  di  animo  e  di  corpo,  che  il  nostro  sedere,  menoab- 
n  bondantc  di  significati  propri  e  traslati,  tradirebbe  le  più  volte  1  inlcndimen- 


i8o 

»  to  del  poeta qui  significa  piantarsi  deliberatamente  .  Chiunque  vide  la 

5)  statua  di  Apollo  saettante  Immagini  distintamente  1'  aspetto  e  le  mosse  del 
»  Febo  Omerico  »  .  Senonchè  per  riguardo  alla  prima  parte  della  lezione,  basti 
ora ,  o  signori ,  questo  picciolo  saggio,  giacche  temerei  d'  abusare  della  vo- 
stra pazienza,  se  piìi  alla  lunga  su  tale  argomento  proseguissi  il  meno  adatto 
a  meritarsi  da  questo  luogo  la  vostra  attenzione . 

PARTE  SECONDA 

Studio  ragionato  cT  etimologie , 

I. 

Comincieremo  primieramente  dall'  esaminare  il  senso  preciso  de'  due  vocabo- 
li <Ìoi^o(;  ATro'X>\coii ,  associati  insieme,  locchè  a  prima  vista  parrebbe  una  mera 
tautologia .  ^o70oi;  però  è  composto  delle  due  parole  ipoimeo ,  andare  spesso  ,  e 
(Sta  con  forza,  con  impeto  ;  ma  ipotmca  anche  significa  insanire^  e  perchè  sap- 
piamo che  insania  e  furore  erano  1  segnali  di  quella  inspirazione,  che  preve- 
deva il  futuro,  et  rabie  fera  corda  tument;  cosi  ^oì/So^  passò  a  significare  in 
Apollo  appresso  i  Greci,  ed  anche  appresso  i  Latini  V  attributo  di  prevedere, 
o  predire  11  futuro  .  Quindi  VirgiHo  nel  3.°  dell'Eneide: 

4i  Quae  Phoebo  pater  omnipotens,  mihi  Phoebus  Apollo 
"  Praedixit,  vobis  Furiarum  ego  maxima  pando  ; 
Pare,  che  propriamente  chiamassero  Phoebus  il  figliuolo  di  Latona,    ogniqual- 
volta significare  voleano  il  potere  di  vaticinare  11  futuro:  alla  quale  supposizione 
è  favorevole  anche  questa  strofa  del  lirico  latino  nel  Carmen  seculare. 
u  Augur,  et  fulgente  decorus  arcu 
»  Phoebus  ctc. 
Egli  è  però  da  notarsi  ancora ,  che  potendosi  decomporre  (poìfioi;  nelle  due  vo- 
ci (pà><;  luce,  e  /S/o;  vita,  significherebbe  allora  luce  della  vita  metaforica  deno- 
minazione, la  quale  forse  dopo  i  tempi  di  Omero  valse  a  fare,  che  si  attribuisse 
a  questo  nume  medesimo  anche  il  cocchio  del  sole.  Quanto  poi  all'  altro  termine 
ATrÓTkuy-,  ommettendo  tutte  le  altre  etimologie,  quella  adotteremo,  per  cui  deri- 
vandolo da  óXXvfjii  Significa  far  perire^  distruggere;  locchè  ben   conviene  al  fi- 
gliuolo di  Latona,  sì   comi;   uccisore  del  serpente  Pitone,  e  sì  come   quegli  che 
tante  stragi  far  potea,  vibrando  1"  arco  terribile  d'argento,  e  tra  le  stragi  la  pe- 
ste, che  allora  appunto  recava  1'  esterminio  a' miseri  Greci  sotto  le  mura  di  Tro- 
ja .  Per  altro  nessuna  delle  addotte  etimologie    piacerebbe   all'  eruditiss.  mons. 
Bianchini,  il  quale  nella  sua  storia  universale  provata  con  monumenti  mostra- 


si  favorcTole  ad  ammettere,  che  A-to'^àoi;  significhi  il  nome  incerto  di  persona, 
che  anticamente  inventò  lo  splendore  della  facella,  ricavandolo  da  ebraiche  fon- 
ti cioè.  da.  ""jlVs  M/i  certo,  e  facendo  derivare  da  i^''  splendore  il  nome  diFebo, 
ed  il  vcrbo^a'fi;  splendere,  onAa  :fa.iniv  si  di(;c  ancora  il  Sole,  tfax  appresso  di 
noi  la  facella.  Così  A,pollo  Plioebus  sai'ebbe  un  cerio  inventore  della  facella  ^ 

^. 

kfjitpyifKpian  (paperlui .  Sono  arabednc  vocaboli,  pe'quali  resta  veramente  scoK 
pito  l'oggetto  ;  ipxpiTpct  è  composto  da  if/pa  portare,  e  da  Tpcóa)  ferire,  dal  quale 
il  francese  idioma  conserva  anche  oggidì  il  suo  trouer.  A^^inpfipw;  poi,  che  si- 
gnifica da  ogni  intorno .(  a,ix<pì  )^  chiuso  o  coperto  (  ep/;p<y  )  ;  vale  precisamente 
a  porci  la  faretra  sotto  agli  occhi  da  ogni  altro  oggetto  distinta.  Faretra  k  fa- 
retrato accolti  dagli  scrittori  latini  dell'  età  d'oro  sono  pure  ricevuti  come  ter- 
mini di  pretta  lingua  italiana,  giacche  trovansi  sanzionati  dal  vocabolario  della. 
Crusca . 

IJI 

ÉtXcty^oui .  È  uno  de' termini  i  piìi  espressivi  nati  dalla  onomatopea  ca/,  c/ffj 
comune  a  molte  lingue,  per  cui  esprimesi.un  suono  acre,  penetrante  ed  acuto, 
quale  esser  suole  lo  strido  delle  aquile,  delle  gru,  o  di  altri  consimili  uccelli  . 
Dalla  voce  KXa^ai.  gli  scrittori  latini  dell"  età  d'  oro  ricavarono  con  poco  divario 
clango,  clangor,  classicum  in  signilicato  di  tromba  o  di  corno .  Clangore  e  vo- 
ce pur  passata  nella  lingua  italiana,  e  che  già  trovasi  registrata  nel  vocabolailo 
dellii  Crusca  . 

IV 

Tó^oy  e  pure  formato  da  una  primitiva  onomatopea,  che  trovasi  anche  in  al- 
tre lingue,  in  cui  la  lettera  t,  accompagnata  dalle  sillabe  ac,  «jt,  e  simili,  espri- 
me tuttocio,  che  manda  suono  di  ripcrcuotimento  :  e  quindi  pure  nell'  ebraica 
favella  C)?fl  percuotere .  La  voce  iv^oy  originariamente  signiljca  freccia.^  ed 
qnche  arco  ;  ma  la  sua  parola  derivata  ti^ikoi  passò  a  significare  veleno  ;  onde 
Plinio  1.  16.  Hist.  Nat.  «  Sunt  qui  et  toxica  bine  appellata  dicunt  venena, 
>i  tjuae  nunc  tosica  dicimus  quibus  sagittae  tinguntur  '> .  Il  vocabolario  della 
Crusca  accettò  la  voce  tossico^  ma  potrebbe  aggiungervi  tossicologia^  voce  oggi- 
dì universalmente  adoprata  per  significare  trattato  de'  veleni:  ne  rifiutare  tossi- 
codendro^  voce,  colla  quale  i  botanici  chiamano  "  un  albero  dell'  America,  il 

»  cui  odorato  o  toccato  avvelena  » . 

36 


202 


Nfitr/.  Già  yò^  ^t;xTO^  si    è  il    nox    de' Latini  ;  ma   sarebbe   di   quella    clas- 
se, che    il  chiarissimo    Cesarotti   chiama    termini   cifre,  perchè   difatti  neppur 
la  greca  linr^iia  non  ci  offre  nessuna  spiegazione  di  questo  vocabolo  per  riguar- 
do air  idea,  di  cui  è  segno.  Qualche  erudito  crede  bensi  di  ritrovarlo  nella  hn- 
gua  celtica  ;  giacche  secondo  il  di  lui  insegnamento,  presso  i   Celti   il  monosil- 
labo ni  significava  luce^   ed  x,   ovvero  s  esprime  fuga^   ovvero  assenza.  La 
greca  voce  vv^ ,  venne  preferita  alla  latina  in  molti  composti,   adoprati  parti- 
colarmente  nella  storia    naturale .   Nycticorax    (  tvKTiMfa^ ,  xopa^  coirò  )  fu 
da  prima  voce  di  latinità  barbara  :   ma  poi   dagli  scrittori  di  storia  naturale 
adottata  per  indicare  «  uccello   notturno  di  crocidare  spaventoso  e  lugubre  »  ; 
voce  che  trascurata  dal  vocabolario  della  Crusca  leggesi  registrala  nel  diziona- 
rio della  lingua  italiana  compilato  in  Bologna.  Avremmo  però  desiderato  di  ri- 
trovare del  pari  in  questo  dizionario  nittalopi  per  significare  quella   malattia  di 
occhi,  che  impedisce  il  vedere  di  giorno,  nia  non  già  di  notte  .  Questa  voce  tro- 
vasi reffislrata  nel  dizionario  etimologico  di  vocaboli,  che  traggono  origine  dal 
greco  (  composta  da   vi/^.,  ed  ÓTrnfxou  vedere  )  :  e  presso  i  Latini  già  nictalops 
cominciò  ad  essere  adoperato  a' tempi  di  Plinio   e  di  Prisciano,  il  qual  secondo 
lo  usa  nel  sopra    notato    senso .    I  piii    recenti  scrittori  di    botanica  hanno  an- 
che introdotto  nittagia  (  ctyctì  condurre  )  per  significare  u  una  pianta,  i  cui  fiori 
»  si  dilatano  durante  la  notte  «  e  nittante  {vv^    ed  olv^oc;  fiore  )  per  significare 
«  quel  genere  di  piante,  di  cui  una  spezie  porta  i  fiori,  che  apronsi  sul  lar  della 
!)  notte,  e  cadono  sul  mattino  » .  Ma  già    altri  vocaboli    pure  sarebbero  da  indi- 
carsi, composti  dalla  voce  vù^  se  amor  di  brevità  non  mi  costringesse  a  passarli 
sotto  silenzio. 

VL 

*'«&*'.  Il  termine  ovatv'\co  veèov  àa.  vaZq,  róiv^  ci  ricorda  tosto  ciocche  osser- 
varono alcuni  filosofi  ,  spiegando  la  formazione  meccanica  del  linguaggio  pri- 
mitivo, cioè  che  colla  liquida  ;2,  gli  uomini  cominciarono  dall' esprimere  le  cose, 
che  agiscono  sopra  materie  scorrevoli  e  liquide;  e  quindi  anche  nell'ebraico 
linguaggio  rrjN  nave .  Dal  greco  passò  nel  latino ,  e  quindi  nell'  italiano 
larga  copia  di  vocaboli,  che  per  ora  trasando  tutti,  siccome  troppo  noti  alla  vo- 
stra erudizione  ;  ma  non  lascio  però  di  osservare,  che  la  stessa  voce  nocchiero  è 
tutta  greca  ycti'K?\iìfio^.  Già  abbastanza  il  cav.  Monti  nella  celebre  sua  proposta 
ha  dimostrato  intorno  a  questa  voce,  quanto  cerna  malamente  il  Frullone  .  Or 
qui  basterà,  che  noi  notiamo  il  preciso  significato  di  questa  voce   nella   lingua. 


a83 
a  cui  i  Latini  Jcll'  età  antica  la  involarono  1  primi,  e  quindi  gì"  Italiani  segnen- 
Jo  il  loro  esempio.  N^Jx^Mpo;  vale  propriamente  chi  possedè  la  nave^  o  n  è  il 
padrone  (  x^ijpo;  eredità,  possesso):  onde  citasi  quel  passo  di  Plutarco:  tctù- 
7W-  ficv  ex'XìyeTOLt  KV/Sipe^m^,  Kott  x.u/5epy>{T^jju  ravK>^eipo; ,  Qui  pure  avvertire 
potrebbonsi  i  giovani  particolarmente  studiosi  di  scienze  politico-legali  sul  par- 
ticolar  senso  o  distinto,  che  nell'  editto  politico  austriaco  si  attribuisce  alle 
due  voci  nocchiero  e  pilota  :  giacche  «  Pilota  è  quel  desso,  che  presiede  al  go- 
»  verno  del  naviglio  dalla  poppa  fino  all'  albero  di  mezzana  ;  ed  il  nocchiero  pre- 
n  siede  dall' alber  di  mezzana  sino  alla  prora  ".  Finalmente  suggeriremo  a' dot- 
ti compilatori  del  più  volte  citato  dizionario  etimologico  di  vocaboli  che  trag- 
gono origine  dal  greco  che  colà  vi  aggiungano  nocchiero^  ommesso  certo  per 
dimenticanza,  non  già,  perchè  non  sia  uno  de  vocaboli  i  più  necessarìi  ed  usila- 
ti^  che  affermano  di  avere  colà  raccolti. 

VII. 

etfyvpe'oio.  L'argo  argentato  di  Apollo  ci  somministra  per  ultimo  occasione  di 
osservare  la  voce  o  apyvpuc  da  cui  deriva,  colla  quale  tiene   tanta  parentela   la 
latina  argcntum  .  Solamente  però  dalla  etimologia  della  greca   impariamo,  che 
venne  così  denominato  questo  metallo  da  una  delle  sue  qualità,    che  n'  è  la  più 
appariscente,  cioè  dal  suo  candore,  mdicatoci  da  a.pyè(;  bianco^  donde  pure  per 
la  stessa  ragione  ricavossi  Jpyi^^oi; ,  dpyi)ì^oi;,  argilla.  Colla  voce   dpyvpot;  sono- 
si  formati  molti  composti,  che  devono  essere  osservati .  Argiraspide   è  termine 
storico  non  registrato  dalla  Crusca,  bensì  dal  dizionario  italiano  di  Bologna  per 
indicare  i  soldati  macedoni  che  portavano  scudi  (  eterni  e,  scudo  )  d'argento.  So- 
no poi  bellissimi  composti    idrargirio   e    litargirio,  de'  qnali   Plinio    il   naturali- 
sta arrichì  la  lingua  latina:   il  dizionario  poi  della    Crusca   non   degnò  d'acco- 
glienza che  il  solo  litargirio  o  litargiro .    Furono  ben  più  benigni   i  compilatori 
del  dizionario  di  Bologna,  i  quali  nel   registrare  Idrargirio,   ci  resero  avvertili 
insieme,  che  già  questo  vocabolo  adottato  venne  dal    celebre  Torricelli  in  una 
delle  sue  lezioni .  Leggesi  pure  notato  in  quel  tlizionario  argirocomo.,  come  ter- 
mine astronomico,  ed  aggiunto  di  cometa  «  che  ha  il   colore  della   chioma  ar- 
«  gcntino  «  .  Due  voci  inoltre  di  storia  naturale  meritano  d'  essere  considerale, 
argiropo   per   significare  una  spezie  di    pesce,  che  ha  l'iride  de'suoi  occhi  (  ài 
"  (i)7Tè(;  occhio  )  argentina  :  e  per  ritornare  alla  stessa  omerica  desinenza    argi- 
I^JO;    colla   quale  significasi   u  un  genere  di  jiianle  cosi  dette  per  le  loro  foglie 
»  di  un  bianco  d' arjrento  " .  Alle  ouali  voci  aTo-'uinTcremo  arfriria..  come  termine 
di  medicina,  che  si  dà  «  a  quella  spezie  di  cateratta  bianca,  mollo   risplcnden- 
n  te,  per  cui  chiamasi  anche  argentina  "  .  E  qui,  ne  longo  sennone  morer  tein- 


pora^  benché  molto  ancora  rimarrebìje  da  mietefe,  do  fine  a  questa  parte  della 
lezione,  che  contener  dee  lo  studio  ragionato  di  greche  etimologie. 

PARTE  TERZA 

■Saggio  critico  delle  traduzioni. 

I. 

Thaduzioite  del  CuJriCHio^, 

»)  Talibns  orantem  Phoebus,  fletusque  clentem 
.    Audiit,  et  summi  celso  de  vertice  Oljmpl 
Obscuro  fàciem  nimbo  circumdalus  almam 
Descendit  :  non  ille  arcus,  pharetramque  decoram 
Oblitus,  non  tela  humero  quae  mota  sonabant 
Turbidus  obstantes  lapsu  dum  trajicit  auras. 
Ut  venrt,  classi  adversus  conscendit,  et  acrem 
Contenditqae  arcumtorvns,  celereraque  sagittam 
Expulil,  inde  aliam  atqne  aliam  :  striduntque.^  volantque 
Tela  Dei,  horrendumque  àrgenteus  insonat  arcus  . 
Principio  celeresque  canes,  montanaque  stravit 
Jumenta,  hinc  ipsos  jaculis  incessit  acutis 
Funera  funeribus  cumulans,  semperque  recenti 
igne  pyrae  latos  passim  fulsere  per  agros  >» . 

Applaudiamo  pure,  se  cos'i  piace,  al  versificatore  elegante  ,  che  tutta  6i  fa 
sentire  la  magniliccnza  e  T  energia  della  lingua  latina,  ma  non  possiamo  tribu- 
targli uguali  encomii,  qualor  lo  si  risguardi  come  fedele  traduttor  di  Omero  . 
Versi  1 4  «'■gli  impiega  per  tradurne  dieci  soli  di  Omero  :  ciò  basta  a  farci 
presentire,  che  1'  omerica  rapidità,  pregio  caratteristico  d'una  narrazione,  ver- 
rà ritardata  con  intoppi,  «  caricata  di  voci  superflue  .  Inutile  è  primieramente 
aacì  Jletus/jue  cientem  già  espresso  dall' originale  nel  verso  precedente  coW (fxa* 
Ja'xpfa:  e  da  lui  Stesso  \xSiàoX\.o  :  luat  miseri  idcrimas.,  luctum/jue  parentis  . 
Veggasi  poi  quanto  siano  oziosi  i  due  epiteti  sictrmii  olympi.,  celso  de  vertice: 
Omero  semplicemente  nap'uMcoii  ^TwiÀTrion .  —  Obseurofaciem  nimbo  circumdatus 
almam  descendit  —  esprime  con  un  equivalente  l'omerica  immagine  :  .'§'  y,'ii  ivxrt 
eomui;  :  ma  non  ne  ha  la  sublimità  :  oltreché  è  collocato  arbitraria  mente ,  pri' 
»na  che  si  descriva  come  Apollo  fosse  armato,  con  effetto  infelice  .   Non  ille  oh- 


285 
litiis  arcus  si  riferisce  al  to^'  dfxoitnv  ix^"  bell'originale  ;  ma  quanto  inoppor- 
tunamente non  ne  inclebolisce  1'  idea  !  Quanto  poi  non  nuoce  alla  semplicità 
ed  alla  vivacità  dello  stesso  il  tradurre  eLvii  xivh5c*'tc^  con  un  verso  sonoro,  ma 
carico  di  oziose  parole!  turbidus  obstantcs  lapsu  dura  Irajicit  auras.  Si  accumula- 
no poi  diiiuovi  gli  aggiunti  soperchi:  iitvcnit^  ton'iis^  acrew.,  cclerem.^  epiteto  che 
dato  a  sagittam^  si  ripete  due  versi  dopo,  dandolo  a  canes.  Sembra  a  prima  vista 
terribile  questo  tratto,  ond'  esprimesi  1'  atto  di  lanciare  le  freccie  micidiali  :  cc- 
leremque  sagittam  expulit,  inde  aliam  atque  aliam,  striduntquc,  volantque  tela 
•Dei:  ma  se  questa  pittura  ben  converrebbe  ad  un  Messenzio,  ad  un  Turno,  ma- 
le si  addice  ad  un  nume  di  primo  ordine,  che  ottiene  lo  scopo  della  sua  vendet- 
ta con  quel  semplicissimo.  .  .  .  fxevx  S' lèy  i'etxe.  Sembra  perciò ,  che  Virgilio 
dotato  di  quel  suo  finissimo  discernimento  abbia  voluto  ritrarre  questa  medesi- 
ma semplicità  d' azione  in  Apollo,  che  decide  a  favore  d'Augusto  la  battaglia 
d'Azio; 

»  Actius  haec  cernens  arcum  intendebat  Apollo 

»  Desuper:  omnis  eo  terrore  jEgyptus,  et  Indi, 
"  Òinnis  Arabs,  oinnes  vertebant  terga  Sabaei  ». 
Ne    Properzio    va  molto  lunge   da  Virgilio   per  dipingere    la  stessa  azione    di 
Apollo  nella  battaglia  dAzio^  solo    che  si  mostra  insieme   piii   scaltrito  corti- 
giano: 

>i  Dixerat  (cioè  Apollo  )  et  pharelrac  pondus  consumit  in  arcus: 

Pro\ima  post  arcus  Caesaris  basta  fuit  : 
Vincit  Roma,  fide  Phoebi,  dat  femlna  poenas: 
Sceptra  per  lonias  fracta  vehuntur  aquas  . 
Egualmente  senvplice    e  subHmc  si  è   il    pensiero  dell'  epico  greco,  il  quale  con 
un  sol  verso  esprime  e  l'aitò  del  vibrar  l'arco,  e  la    terribile  strage  universale 
d'uomini,  che  ne  fu  l'immediato  effetto: 

Ba^^X' xteì  le  7Tt/pa.t   vitLÓuv  xaJcfn  ^afieiul. 
Ciò  pure  cercarono  d' emulare  i  due  poeti  latini,  ne'  passi   sopraccitati  ;  ma  nel- 
la traduzione  riesce  dilavato  in  due  versi,  ommessa  quella  particolarizzazione  di 
somma  eviilcnza  :  otTola-i  /JAo^  iX^Trivxìc,  apieìi;  ^aX>:s;  la  quale  immagine  sra- 
lilsce  e  si  perde  nelle  idee  tanto  trite  :  bine  ipsos  jaculis  incessit  aciitis . 

n. 

TflADLZIOSE   DEL  CesaHOTTI  . 

'Così  pregò,  l'intese  Apollo,  e  tosto 
Scende  precipitevole  dall'  alte 


a86 

Cime  d'Olimpo,  inacerbito  11  core. 

A  tergo  ha  1'  arco,  e  la  faretra,  e  i  dardi 

Strepitando  suU'  omero  rimbalzano 

Mentre  el  s' aranza  Iratamente,  e  piomba 

Vestito  di  caligine:  alle  navi 

S' asside  in  vista,  e  già  e  già  scocca  .  Orrendo 

Stride  per  l'aere  un  cigolio  confuso 

D' invisibili  strali  :  1  fidi  cani 

Pria  ne  fur  colti  ;  ma  ben  tosto  a'  dardi 

Fur  segno  mnani  petti .  Il  fatai  arco 

Posa,  o  tregua  non  ha,  morti  su  morti  . 

Cadon  d'intorno  accatastati,  e  tutto 

Ampio  rogo  feral  rassembra  il  campo  n . 

Il  chiarissimo  Cesarotti  non  va  giudicato  veramente  sulle  norme  rigorose  de- 
gli altri  traduttori,  se  non  in  quei  tratti,  ne'  fpiali  si  propose  di  trasportare  in 
italiano  i  sensi  dell'originale,  e  di  gareggiare  con  esso ,  quale  si  è  appunto  il 
passo,  che  ora  abbiamo  riferito  . 

Ne  può  negarsi  al  certo  clie  non  vi  risplendano  alcuni  lampi  di  luce:  rapidità 
nella  narrazione;  forza  nelle  tinte.  Se  non  che  giudicato  poi  da  quella  sana  cri- 
tica a  cui  r  orio-inale  stesso  serve  di  modello,  vi  s' incomineieranno  a  scorgere 
difetti  tali,  per  cui  in  generale  può  a  dritto  affermarsi  del  di  lui  lavoro.j  che  non 
avendo  potuto  farlo  più  bello,  il  volle  invece  fare  più  ricco.  Vediamone  di  volo 

le  prove  : Apollo  .  .  .  tosto  scenda  precipitevole  ....   Omero  semplicemente 

/Sm  li  KOLT  aXófiTToto  Kdf'jiLicav  \  c  quando  si  rilletta  che  qui  si  tratta  dun  nume  di 
primo  ordine,  vedrassi  tosto,  eh'  è  di  lui  indegno  ogni  precipizio.  —  A  tergo  ha 
l'arco  e  la  faretra:  (luestaiaivelra.  è  rimasta  spoglia  del  suo  epiteto,  che  sì 
ben  la  distingue,  ctix^yipcpéot  .  —  l  dardi  strepitando  sulF  omero  rimbalzano  ^ 
mentre  ei s'avanza  iratamente.  E  infelicemente  espresso  il  x/fuS'C^ro?  col  s' avan- 
za iratamente  :  ^\acche  avanzarsi  in  nealro  passivo  non  si  affii  bene  all'indole 
della  llnn-ua  italiana;  non  significando  propriamente  muoversi^  ma  venir  innan- 
zi acr/uistando.,  profittare,  approdare,  aggrandirsi.  Non  ci  vanno  neppure  a  gra- 
do i  dardi  che  strepitano.  Ancorché  non  trovisi  in  italiano  una  voce,  eh'  espri- 
ma la  bellissima  onomapotea  l'uXciy^cu)  ;  potea  pur  trovarsi  qualche  modo  più 
adatto  a  significare  quel  suono,  che  viene  rimandato  da' dardi  urtantisi  msieme . 
—  Ei  piomba  vestito  di  caligine  :  il  testo  semplicemente  :  o  S' tt'it  andava.  Sen- 
te dello  stile  biblico  quel  vestito  di  caligine,  ma  per  nulla  ha  da  fare  col  vero 
senso  dell'originale,  dove  il  nume  stesso  è  quegli,  che  discende,  simile  alla  not- 
te, ó  S  me  l'VKTÌ  loUui;.  —  Alle  navi  s'asside  in  vista,  già   abbastanza   si  è 


detto  nella  parte  prima  della  lezione  su  questa  inopportuna  interpretazione  del- 
l' etew.  U  in\istbili  strali:  Perchè  l'aggiunta  di  «juesto  epiteto?  Il  poeta  non 
Tuole  per  ora  avvertila  questa  circostanza,  intento  a  render  tutto  visibile,  pal- 
pabile, e  quindi  disse  apj-fpg'0,0 /S/or<j  I  fidi  cani  pria  ne  fur  colli:  il  testo  no- 
mina i  muli  o  i  giumenti,  siccome  quelli,  che  furono  i  primi  colpiti  dalla  peste; 
e  ciò  si  accorda  con  quanto  suole  avvenir  realmente,  secondochè  attestano  gli 
storici  delle  odierne  epizoozie  ;  onde  riputarsi  dee  affatto  riprensibile  questa  om- 
missione  ;  ne  possiamo  lodare  la  sostituzione  dell' epitelo  ^c?i  dato  a' cani,  invece 
di  ve/oc/,  come   ha  l'originale  xt/ta^    apj-«;  :   giacche  veloci   vale   ad   ingrandir 

maggiormente  la  prestezza  de'  colpi.  Il  fatai  arco  posa  0  tregua    non  ha  : 

fatale  è  aggiunto  comune,  ne  esprime  quella  forza  tutta  particolare  della  paro- 
la f;^-f;TrfLx6?  freccia  d amarezza-ripiena  .  —  Morti  su  morti  cadon  dintorno 
accatastati^  e  tutto  ampio  rogo  f crai  ras  sembra  il  campo  .  Accordiamo,  che 
questo'  tratto  rappresenti  un  quadro  terribile  della  vendetta  d'  un  nume  irato  ; 
ma  neir  italiano  pressoché  tre  versi  adopransi  per  significare  1'  energia,  la  sem- 
plicità, la  brevità  di  questo  solo  omerico  che  quei  tre  in  se  racchiude: 
/Sa/À  '  auii  ti  Trnpoù  maJcov  ìtalofn  ^ct^e^au  . 

III. 

TnADuzioKE  DI  Ugo  Foscolo  . 

Sì  disse  orando,  e  l'udì  Febo  Apollo. 

Da"  vertici  d'  Olimpo  acerbo  in  core 

Precipita,  alle  spalle  agita  l'arco 

E  tutta  chiusa  la  faretra,  i  dardi 

Van  tintinnando  al  dorso  dell'irato 

Che  vien  simile  a  notte .  Delle  navi 

Piantasi  in  vista,  disfrenando  il  dardo  , 

E  orrendo  un  suon  mandò  l'arco  d'argento. 

Pria  l'armento  de'muli,  e  i  can  veloci 

Invade,  e  quindi  la  mortai  saetta 

Fere  gli  umani .  Ardean  pire  fì'equenti 

Di  perpetui  cadaveri . 

Questa  traduzione  può  chiamarsi  fedele ,  paragonata  colle  due  precedenti  ; 
ma  non  è  tale,  che  sfugga  da  ogni  taccia.  Generalmente  spiace  una  eerta  sprcz- 
zatura:  per  cui  gl'incisi  scarseggiano  di  particelle  congiunzionali,  mentre  n*  è 
dovizioso  l'originale,  ed  intreccia  con  grazia  le  transizioni  delle  diverse  idee 
con  que'    tu  8^,  jueV,  «p.  In  somma  se  1'  originale  adopra  ciocche  i  retori  chia- 


a88 

mano   il   polisinteto  ;    "k    fuor  di  ragione,   che  il  traduttore    vi   contrapponga, 
V asindeto  ■  Non  piace  neppure  ch'el  termini  la  descrizione  con    un   emistichio, 
dove  Omero  ha  la  cadenza  d'un  verso  armonioso: /SaXA*  «/«  Se /7!;pa/  viKvmp  xdf- 
evTo  òaLfx^ad  e  con  ciò  il  riposo  dell'orecchie  si  accorda  con  quello  della  mente. 
Non  lodiamo.^   che  si  traduca  /SJi  precipitai,  e  valga  su  lai  proposito  1'  osservar 
zione  già  fatta  sopra  lo  scende  precipitevole   del   Cesarotti,  ne   che   i'^uv  ave- 
re si  volgarizzi    per  agitare ,   laddove   trattasi  per    ora  di  solamente   mostrare 
quali  siano  le   armi  di   quel   nume.   — /  dardi  van  tintinnando:  ci  semhrn  de- 
bole questa  espressione  in  confronto  del  suon  terribile  di  (\ue\\' éK>^ety^ajii  ;  giac- 
che tintin  «  è  voce  fatta  per  esprimere  il  suono  del  campanuzzo  "  ;  e  quindi  me- 
glio conviene  ad  un  suono  qualunque,  che  riesca. dolce  e  gradito,  quale  non  man- 
davano certamente  allora,  i  dardi  di  Apollo  .   Con  una  vivace   0|)posizione  ci  fa 
Catullo  nel  Carmen  64  sentire  la  vera  forza  del  tinnitus^  e  quindi  del  tintinno. 
»  Plangebcmt  ahi  proceris  tympana  palmis , 
Aut  tereti  tenuestinnitus  aere  ciebant . 
Ardean.  pire  frequenti  di  perpetui  cadaveri  .•  Egli  è  veramente  strano  que- 
sto epiteto  di  perpetui  dato  a'  cadaveri,   che  sta  per  l' avverbio   del  testo   ami, 
ma  questo  nell'originale  accresce  terribilmente  la  forza  del  Tnifol  iiouovn;  e  non 
già  di  Kx,vuy  . 

ly. 

TllADUZIONE,  DEL  CAV.  MpNTI  . 

'•  Sì  disse  orando.  L'ud\  Febo,  e  scese 
Dalle  cime  d'Olimpo  in  gran  disdegno. 
Coli'  arco  sulle  spalle,  e  la  faretra 
Tutta  chiusa.  Mettean  le  freccie  orrendo, 
Sugli  omeri  all'irato  un  tintinnio 
Al  mutar  de' gran  passi;  ed  ei  simile 
A  fosca  notte  giù  venia  .  Piantossi 
Delle  navi  al  cospetto;  indi  uno  strale 
Liberò  dalla  corda,  ed  un  ronzio 
Terribile  mandò  l' arco  d' argento . 
Prima  i  giumenti,  e  i  presti  veltri  assalse. 
Poi  le  schiere  a  ferir  prese,  vibrando 
Le  mortifere  punte,  onde  per  tutto 
De  gli  esanimi  corpi  ardean  le  pire . 


i89 
Non  può  negarsi  a  questa  traduzione  sulle  altre  la  palma.  Monti  sta  più  di 
tutti  Ticino  ad  Omero;  non  sì  però,  che  qualche  neo  non  appaja  anche  in  si  bel 
corpo.  —  Mcltean  le /recete  orrendo  augW  omeri  all'irato  un  tintinnio.  Già 
più  sopra  abbiam  censurato  questo  tintinnio:  ma  qui  vuoli  dar  lode  al  fino  dl- 
fcernimento  del  nostro  poela.^  il  quale  con  quell'  aggiunto  di  orrendo  vi  pose  un 
gran  correttivo.  Peraltro  non  se  ne  mostra  ancora  pienamente  soddisfo:  giac- 
che nel  saggio  recentissimo  che  ci  diede  dell"  Iliade  tradotta  in  ottava  rima 
escluse  affatto  il  tintinnio,  come  può  vedersi  nella  stanza,  che  qui  trascriviamo. 

«  Così  prega:  l'udì  Febo,  e  fremendo 
D'ira  dal  ciel  spiccossi,  e  scese  al  basso 
Col  sonante  alle  spalle  arco  tremendo 
E '1  chiuso  d'ogni  parte  aureo  turcasso: 
Mettean  sul  tergo  all'adirato,  orrendo 
Ciangor  le  freccie  al  muovere  del  passo. 
Giù  calandosi  a  notte  atra  simile 
Piantossi  a  fronte  deli'  acheo  navile  . 

Ed  ei  simile  a  fosca  notte  giù  venia  .  E  testo  qui  non  parla  di  discesa:   ma 
dice  semplicemente:  o    B"   ufi  e  pvxtÌ  (oikcui;'.  «  procedea  simile  alla  notte  (in  tal 
guisa    osserva  il  cav.  Andrea  Mustoxidi,   nome   sì  caro  alle  greche  muse  )  :   e 
"  m' immagino  ad  un  tempo  il  Dio  invisibile  per  \  oscurità,   che  lo   cinge,  e  il 
«  diffondersi  di  questa  stessa  oscurità  per  tutto  il  campo  .    Oltra  a  ciò  vegeto  la 
»  progressione  del  movimento  di  lui,  come  veggo  quello  di  Teti,  ch'emerge  dal 
»  mare  simile  a  nebbia  »  .    Diasi   poi  al  Monti  la   lode  d'  avere  il  primo  nella 
spiegazione  del   verbo    '^o^oi  indovinato   il  senso  del  testo  ;   solo    potrebbesi 
desiderare,   che   non  avesse   tralasciata  la   circostanza   espressa  dall'avverbio] 
«TTow'^L^i  in  disparte^  o  da  lunge .  Nel  chiudersi  della  descrizione,   oltreché  vi 
saranno  di  quelli,  a  cui  forse  potrebbe  sembrar  prosaico  quel  per  tutto.,  si  è  tras- 
curato  di  tradurre  oueì  tratto  di  pennello,  che  aggiunge  un  grado   di   maggiore 
terrore  all'omerica  pittura  .  In  ciò  a  noi  sembra  assai  felice  la  versione  del  mar- 
chese Scipione  Maffei  nel  suo  primo  canto   dell'  Iliade,  che  fu  già    stampato   a 
Londra  nel  i  ^36. 

n  Ma  di  poi  contra  gli  uomini  vibrando 
Il  mortifero  strai  spinse,  onde  molte 
Avvampavano  ognor  pire  ferali. 


h 


ago 


Thaduhone  del  Leowi  . 

"  Così  pregò:  Io  ascollò  Febo  Apollo: 
E  con  l'arco  alle  spalle  e  la  faretra 
Tutta  chiusa,  di  sdegno  acceso  in  core 
Giù  dalle  cime  dell"  Olimpo  scese . 
Del  nume  irato  al  muoversi  un  acuto 
Suono  mettean  all'omero  gli  strali; 
E  procedea  come  la  notte .  Ei  lungi 
Piantossl  in  vista  delle  achive  prore, 
E  la  freccia  vibrò:  mandonne  orrendo 
Un  sonoro  tremor  l'arco  d" argento. 
I  muli  prima,  ed  i  veloci  cani 
Invase,  e  la  mortifera  saetta 
Scagliando  trafiggea  quindi  le  schiere  . 
E  sempre  di  cadaveri  gli  spessi 
Roghi  ne  ardean 

In  questo  volgarizzamento  vedesi,  che  il  traduttor  più  recente  ha  profittato 
del  meglio,  che  gli  offriano  le  versioni  precedenti,  onde  rendere  più  pregevole 
e  perfetto  il  suo  lavoro:  non  sì  però,  che  abbia  saputo  andarne  esente  da  colpe. 
Noi  poi  ci  contenteremo  di  notarne  solo  qualcuna  . 

Del  nume  irato  al  muoversi  un  acuto 
Suono  mettean  all'omero  gli  strali  . 
Certo  non  è  punto  elegante  la   ripetizione   di  quegli  stessi  casi,  al  muoversi^ 
alt  ornerò^  e  discara  riesce  l'uniforme  armonia  de' due  versi:  ma  quanto  non  nuo- 
ce poi  alla  vivacità  di  questa  pittura  la  collocazione  delle  parole,    così  cangiata 
nella  traduzione  !   Basta  il  confrontarla  con   quella   dell'  orginale,  che    qui  può 
trasportarsi  in  italiano,  collocando  tutte  le  voci,  come  stanno  nel  testo  : 
'E'K'ha.y^Mi  B'  ctp  'oÌToì  e^'  eófj.eun  yuofxaioio 

A[/T»    X/^nS'éiTOf  .     .    .    . 

»  Risuonavano-acutamente  gh  strali  sugU  omeri  dell'adirato,  nel  mentre 
»  eo-li  moveasi  "  .  Piantossl  in  vista  delle  acìwe  prore  .  Vi  sta  di  soperchio 
queir  achive;  ne  già  nominandosi  /zac/,  di  altre  potea  intendersi  che  delle  gre- 
che; giacche  i  Trojani  non  aveano  flotta  —  Mandonne  orrendo  un  sonoro  tra- 
viar l'  arco  d'  argento.  Perchè  stemperare  quel  robusto  K'hu.yyi  con  una  peri- 
frarsi  sonoro  tremar':  Se  altro  non  polca  farsi,  era  miglior   partito  ricorrere  ad 


2f)l 

uno  termine  eijui valente,  come  fece  appunto  il  Monti;  sorla  di  ripiego    a  cui  pri- 
ma appigliossi  anche  11  Malfei  nel  suo  tentativo  di  volgarizzare    l'Iliade  .   Inlatli 


così  egli  traduce 


dirimpetto 

Alle  navi  si  assise,  indi  uno  strale 
Scoccò,  ronzando  orribilmente  1"  arco 


Artrentalo. 


Ne  si  approverà  da  tutti,  che  Trupou  si  traduca  per  roghi. —  E  sempre  dicada- 
yeri  gli  spessi  roghi  ne  ardeari.  Ancorché  Irov'isi  luna  parola  indistintamente 
scambiata  per  l'altra;  vuoisi  però  avvertire  che  non  sono  sinonimi;  giacche  pyra 
est  lignorum  congeries;  roguj  cumjam  ardere  coeperit  dicitur  ;  biistum  vero  iam 
exustum  vocatur.  Quem  ordinem  servai  poeta  diccns:  Constitiierc  pjras:  Itcm: 
»'  Suhjectisque  ignibus  atris^  tercircum  accensos  decurrere  rogos:  Ileni  postea: 
Semuataque  scrvat  busta:  così  Servio  nel  suo  commento  a  Viigilio  lib.  XI,  ed 
Omero  vuol  qui  dire  precisamente  pire^  cioè  cataste.  Alla  proprietà  della  qua! 
voce  se  non  avea  badato  il  Cesarotti,  posero  mente  con  maggior  lode  il  march. 
Maflei,  il  cav.  Monti  ed  il  sig.  Ugo  Foscolo  nelle  sopra  riferite  traduzioni. 
Inoltre  la  descrizione,  che  qui  termina,  in  quanto  a' mali  apportati  dallo  sdegno 
di  Apollo,  nell'originale  acconciamente  pur  s'accorda  coli' armonia  delle  parole, 
ed  il  sentimento  che  cammina  del  pari  con  essa  vi  ha  giunto  al  suo  fine  una  pau- 
sa segnata  dalia  cadenza  d'un  verso  intero.  Il  traduttore  pertanto  che  qui  pone 
invece  un  mezzo  verso  e  parola  troncata  manca  doiìpiamente;  e  perchè  trascu- 
ra una  regola  dettata  dal  codice  del  Buongusto;  e  perchè  non  adempie  ad  uno 
de' doveri  di  un  buon  traduttore,  che  si  è  quello  di  non  iscemare,  potendolo,  la 
bellezza  dell'originale. 

E  qui  nuovo  stuolo  di  traduttori  valorosi  ancora  mi  si  para  dinanzi,  quale 
un  Ridolh,  un  Ceruti,  un  Fiocchi,  ed  altri  ch'entrarono  con  diversità  di  suc- 
nel  difficile  arringo.  Ma  di  troppo  oltrepasserei  i  limiti  del  tempo  prescritti  a 
questa  diceria,  se  di  ciascuno  particolarmente  analizzare  volessi  i  lavori,  e  d'al- 
tronde la  intrinseca  dilhcoità  di  esprimere  fedelmente  le  bellezze  deli'  ori o ina- 
le  resta  già  pienamente  comprovata,  ncppur  quelli,  che  vanno  tra  i  piii  famosi 
in  tale  palestra,  non  hanno  potuto  toccare  perfettamente  il  segno .  Quanto  a 
tutti  gli  altri  poi  che  più  deboli  di  forze  si  accinsero  nondimeno  all'  impresa 
di  tradurre  Omero ,  si  può  applicare  quel  detto  di  Seneca  :  svinici  Leuncm 
excipiunt . 


293 

SULLi  PERDITA  DI  TENSIONE 

CHE  SOFFRONO  GLI  APPARATI  VOLTIANI  QUANDO  SI  TIENE  CHIUSO 
IL  CIRCOLO,  E  SUL  RIACQUISTARE  CH'  ESSI  FANNO  LA  TENSIONE 
PRIMITIVA  QUANDO  SI  SOSPENDE  LA  COMUNICAZIONE  FRA  I  POLI. 

MEMORIA 

DI  STEFANO  DOTTOR  MARIANINI 

PROFESSORE   DI  FISICA  NEL   R.   LICEO   CONVITTO   DI   VENEZIA 
E   MEMBRO  DEL  CONSIGLIO  ACCADEMICO. 


jf\ vendo  osservalo  che  il  rame  e  molli  altri  eleltromotori  ili  |iriiiia  classe, 
niiando  avcan  perdiilo  una  parte  della  loro  elellroniotricit:!  per  aver  messo  m 
circolo  r  elettrico  stando  accoppiati  allo  zinco,  essi  ricuperavano  la  (orza  pri- 
miera tolti  che  fossero  per  qualche  tempo  dal  loro  accopi)iamento  (1).  egli  era 
naturale  che  io  lossi  portato  ad  immao'inare  alcune  particolari  deduzioni.  Io  fui 
indotto  a  crédere,  che  dove  fpiegli  clctlroniotorl  avessero  riprodotto  lo  stesso 
fenomeno  eziandio  allorquando  venivano  destinati  a  far  circolare  I  elettrico  ne- 
gli apparati  coni|)osti..  dot essero  qiie£;li  ap|>arati  perdere  una  parte  della  loro 
energia  tenendo  i  poli  in  comunicazione,  e  dovessero  dappoi  riacquistarla  la- 
sciando per  qualche  tempo  interrotto  il  circolo  elettrico.  L'esperienza  non 
isment'i  sillatta  induzione. 

Un  apparato  a  corona  di  tazze  di  quaranta  coppie  di  rame  e  zinco  segregale 
dall  acqua  di  mare  dava  una  scossa  che  era  vivamente  sentita  fino  alla  terza  fa- 
lange dei  diti  che  s' immer^'evano  nelle  due  tazze  esterne,  (^-hinso  quindi  il  cir- 
colo con  un  arco  di  pioinho,  e  lasciato  così  per  dicci  minuti,  si  aflievolì  talmen- 
te l'apparato,  che,  tolto  larco  metallico,  e  sostituite  immediatamente  al  suo 
luogo  le  dita,  jiiii  non  avevasi  la  menoma  scossa,  ma  ripetendo  di  tratto  in  tratto 
l'immersione  delle  dita  non  si  tardò  a  sentire  delle  delioli  scossarelle.,  che  anda- 
vano successivamente  rinforzandosi,  finche  dopo  quattro  o  cinque   minuti   si   fe- 

(i)  Intorno  a  questo  fallo  lo  ebbi  l'onore  di   favellare  più  d'una  volta   al  nostro  Ateneo,  come 

piinssi  vedere  nel  min  «imio  ili  esperienze  elellromvlrirhe  ai  5s-  ^''^  ^7'   ""  ^   ' '"■ 
38 


29i 

cero  gagliarde  quanto  da  principio.  Tornai  a  chiudere  il  circolo  coli'  arco  me- 
tallico per  dieci  minuti,  e  svanirono  ancora  le  scosse,  le  quali  nuovamente  com- 
parvero in  [liono  vigore  lasciando  per  qualche  minuto  intercettata  la  corrente  . 
Ne  mai  cessarono  di  aver  luogo  siffatte  alternative  ,  sebbene  abbia  proseguito 
tali  prove  per  non  poche  ore  . 

Dietro  questo  fatto  io  mi  persuasi  che  tornerebbe  utile  il  far  operare  alter- 
nativamente vari!  elettromotori,  quando  si  trattasse  di  tenere  una  sostanza  sot 
toposta  alla  corrente  elettrica  per  lungo  tempo.  Ma  per  non  andar  a  tentone 
nello  istituire  tal  sorta  di  esperienze,  credetti  prezzo  dell'opera  lo  studiare  que- 
sto fenomeno  in  se  stesso.  E  innanzi  tutto  mossi  a  rintracciare,  se  alcuno  aves- 
se già  fatto  soggetto  de'  propri  studi!  siffatto  fenomeno  :  ma  altro  non  mi  è  ve- 
nuto di  trovare,  se  non  che  esso  fu  notato  di  passaggio  dal  Ritter  e  dai  profes- 
sori Configliachi  e  BrugnatelU.  Il  fisico  di  Jena  nella  celebre  sua  opera  sulle 
pile  a  caricarsi  dice,  che  1'  apparato  voltiano  nel  caricare  le  pile  secondarie  per. 
de  una  porzione  della  sua  tensione  elettrica,  che  poi. ripiglia  da  se  (i):  ed  i  fisi- 
ci di  Pavia  dicono  essere  utile  il  lasciar  riposare  le  pile  voltaiche  quando  sicno 
slate  per  qualche  tempo  adoperate  ,  perchè  si  distruggano  le  pile  secondarie, 
che  neir  uso  si  formano  in  esse,  le  quali  operando  In  senso  contrarlo  ne  affievo- 
liscono la  tensione  (2). 

Nulla  avendo  pertanto  rinvenuto  nelle  molte  opere  consultate  a  questo  ogget- 
to, salvo  i  cenni  teste  ricordati,  ho  divisato  di  intraprendere  una  serie  di  espe- 
rienze dirette  a  determinare:  i."  la  perdita  di  tensione,  che  nelle  varie  circo- 
stanze soffrono  gli  elettromotori  ordinarli  quando  sta  chiuso  per  qualche  tempo 
il  circolo  :  2.°  il  tempo  che  gli  elettromotori  stessi  Impiegano  a  riacquistare  la 
tensione,  che  per  1'  azione  del  circolo  elettrico  hanno  perduta  .  La  sposizione 
pertanto  delle  esperienze  dirette  a  questo  duplice  scopo  e  del  eorollaril  relativi 
ad  esse  formerà  l'argomento  delle  due  prime  parti  di  questa  memoria.  Ma  gli 
apparecchi  elettromotori  perdono  della  loro  energia  anche  senza  che  sieno  mes- 
si In  comunicazione  1  loro  poli  .  Ho  perciò  intraprese  alcune  esperienze  per  rin- 
tracciare la  cagione  di  questo  spontaneo  indebolimento  degli  elettromotori,  che 
riferirò  nella  terza  parte .  Seguirà  a  questa  la  relazione  di  alcuni  esperimenti 
risguardantl  1  fenomeni  medesimi,  considerati  in  elettromotori  di  natura  diversa, 
e  terminerò  colf  accennare  alcune  applicazioni  generali,  a  cui  sembrami  che  pos- 
sano dare  occasione  1  rlsultamentl  ottenuti  dalle  mie  esperienze  . 


(1)  V.  Journal  de  pliysique  et  d' Hisloire  naturelle  t.  67,  pag.  355. 

(2)  V.  La  memoria  sui  conduttoii  unipolari  e  bipolari  dui  professori  P.  Configliaclii  e  I;.  Bru- 
gnalelli  nel  giornale  di  Csica,  chiraica  ec.  di  Pavia,  anno  1808  a  carte  352. 


PARTE     PRIMA 


Della  perdita  di  tensione  che  soffrono  gli  apparali  elettromotori   ord 
quando  sta  chiuso  per  gualche  tempo  il  circolo . 


Ì95 


'mar  a 


1 ,  Un  eleltromotore  a  corona  di  tazze  di  otto  coppie  di  rame  e  zinco,  le  pia- 
stre del  quale,  nuove  ma  non  lucenti,  presentavano  una  superficie  attiva  di  cir- 
ca tre  centimetri  quadrati,  ed  11  liquido  conduttore  era  dell'acqua  di  pozzo  te- 
nente in  soluzione  la  centesima  parte  del  suo  peso  d'idroclorato  di  soda,  mo- 
strava una  tensione  di  1  1  gradi  ad  un  elellrometro  del  Volta  a  paglie  sottili  , 
avvalorato  da  un  discreto  condensatore .  Ho  messo  in  comunicazione  i  poli  del- 
l'apparato ponendo  le  estremità  d'  un  arco  metallico  fatto  d'un  filo  di  ottone  di 
quasi  due  millimetri  di  grossezza  nelle  due  tazze  estreme,  e,  dopo  d'aver  lascia- 
to chiuso  il  circolo  per  un  minuto,  levai  il  detto  arco,  ed  esplorai  immediata- 
mente la  tensione  col  mezzo  de'  due  stromenti  sopra  indicati,  e  la  trovai  di  gra- 
di sette.  Appena  l'elettromotore  ebbe  conseguita  la  primiera  forza,  chiusi  di 
nuovo  il  circolo,  e  dopo  due  minuti  trovai  la  tensione  ridotta  a  sei  gradi .  Tor- 
nata che  fu  la  tensione  dell'apparato  ad  undici  gradi  (1),  chiusi  il  circolo  ed 
esplorata  la  tensione  dopo  tre  minuti  la  rinvenni  di  cinque  gradi  crescenti. 
Chiuso  per  cinque  minuti,  la  tensione  si  ridusse  a  gradi  quattro . 

I  risullamenti  d'un' altra  serie  d'esperienze  istituite  con  un  apparato  slmile  al 
precedente  furono  come  segue   . 

Tensione  dell'apparato  innanzi  di  chiudere  il  circolo  .       gradila 

Chiuso  il  circolo  per     5'      .  .  .  9  | 

10    .  .  .  8  i 

3o     .  .  .  8  scarsi 


I 
2 
5 

10 

r 

10 
20 
3o 

60 


6 


i 


4  scarsi 


(1)  Notiamo  una  volta  per  sempre,  che  ove  non  è  detto  ejpressamente  il  contrario  rlevesi  inten- 
dere che  ad  ogni  prova  si  è  aspettato  che  l'apparecchio  avesse  la  tensione  con  cui  si  cominciò 
la  serie  delle  esperienze. 


*96 

Da  queste  esperienze  rilevasi  i."  che  la  diminuzione  di  tensione  dell'appara- 
to elettromotore  segue  rapidamente  ne"  primi  momenti  che  sta  chiuso  il  circolo, 
e  negl'istanti  successivi  va  sempre  più  rallentandosi  :  2."  che  vi  è  un  limite  oltre 
il  quale  per  quanto  tempo  si  tenga  chiuso  il  circolo,  più  non  iscema  la  tensione 
elettrica. 

Devesi  per  altro  notare,  che  se  si  tenesse  chiuso  il  circolo  per  varie  ore,  cre- 
scerebbe ancora  di  qualche  poco  la  perdita  di  tensione:  ma  in  tal  caso  1'  appa- 
rato non  può  pili  dirsi  come  da  principio  a  piastre  nuove,  e,  come  vedremo  al 
§.  1 6,  gli  elettromotori  a  piastre  usate  si  comportano  diversamente  da  quelli  a 
piastre  nuove  . 

2.  Se  la  causa  delle  perdite  di  tensione  che  fa  l'apparato  voltiano  consiste  , 
com'  è  di  fatto,  nelle  alterazioni  di  elettromotricità  relativa,  che  la  corrente 
elettrica  induce  nelle  piastre  (1),  egli  è  chiaro  che  qualora  la  corrente  divenga 
più  o  meno  energica,  dovranno  pur  variare  le  perdite  di  tensione,  che  avranno 
luogo  tenendo  chiuso  il  circolo  per  un  dato  tempo. 

La  iorza  delle  correnti  elettriche  può  alterarsi  con  variare  o  il  numero  delle 
coppie  dell'elettromotore,  o  la  conducibilità  del  liquido  frapposto  ad  esse,  o 
quella  del  deferente  con  cui  si  stabilisce  la  comunicazione  fra  i  poli . 

Con  due  apparati  voltiani,  uno  di  sedici  coppie,  l'altro  di  ventiquattro,  ed  in 
tutto  il  resto  eguali  a  quello  descritto  superiormente  vennero  istituite  delle  espe- 
rienze analoghe  alle  precedenti,  e  si  ebbero  i  risultamenti  che  seguono  . 


Apparato  a  1 6  coppie . 


Prima  di  chiudere  il  circolo 
Chiuso  il  circolo  per   5" 

IO 

3o 
1' 


Tensione 

22=' 

i5 
i3 
12 

IO  1 


9 

8  circa 

1 

&\ 

6  abbondanti 


6  scarsi 


(i)  V.  il  §.  II  della  memoria  sulle  pile  secondarie  inserita  nel  tomo  dell'anno  1826  del  giorna- 
le di  fisica  ec.  di  Pavia. 


apparato  a  z^  coppie. 


«97 


Prima  ili  chiiulcrc  il  circolo 
Chiuso  il  circolo  iier     . 


Tensione 

. 

33 

5"     . 

2  0  circa 

3o    . 

i5 

i' 

>i 

3       . 

1  1 

5 

9 

IO 

8  scarsi 

20 

11 

3o        . 

1 

6o        . 

6  circa 

9°^ 
!  20  ;     ' 

5- 

Confronlamlo  questi  risultamenti  o  fra  loro  o  con  quelli  del  paragrafo  antece- 
<lcnte,  si  vede  che  quando  è  maggiore  il  numero  delle  coppie  delf  apparato,  più 
grande  è  la  perdita  di  tensione  ch'egli  fa  in  un  dato  tempo,  ed  arriva  più  tardi 
a  quel  limite,  oltre  il  quale,  per  quanto  cresca  il  tempo  per  cui  sta  chiuso  il  cir- 
colo, più  non  decresce  la  tensione. 

3.  Due  eletlroinotori  di  otto  co])pie  simih  a  quello  del  §.  i."  furono  montati 
uno  con  acqua  distillata  ed  uno  con  acqua  piovana  tenente  in  soluzione  una  quar- 
ta parte  del  suo  peso  d' idroclorato  di  soda.  Eccone  i  risultamenti. 

apparato  ad  acqua  distillata  . 


Prima  di  chiudere 

il  circolo    . 

• 

12 

Chiuso  per  3o 
i' 
3 
6     . 

• 

•■ 

1 1   scarsi 
3 

9 
8 

12    • 

2U   j 

3o( 

•                    • 

• 

7 

6oi 

Apparato  ad  acqua  tenente  in  soluzione  |  cT  idroclorato  di  soda . 

Tensione 
Prima  di  chiudere  il  circolo  ,  .  .  12 


Chiuso  per  .  .  3o' 
1'  . 
3  . 
6    . 


8 

7 
6 

4 


3o  ) 

60  r 

Dal  confronto  di  queste  esperienze  si  deduce  che  ove  il  liquido  è  più  condutto- 
re, 1 .°  più  rapida  è  la  perdita  di  tensione  che  si  ottiene  tenendo  chiuso  il  circo- 
lo, 2.°  più  tardi  si  perviene  a  quel  limite,  oltre  il  quale  non  si  perde  più  in  ten- 
sione per  quanto  si  protragga  la  comunicazione  fra  i  poli,  3."  la  perdita  che  l'ap- 
parato soffre  prima  di  giungere  al  detto  limite  è  più  grande  . 

4.  I  risultamenti  dell'esperienze  istituite  variando  la  conducibilità  dell'  arco, 
mediante  il  quale  si  stabilisce  la  comunicazione  fra  i  poli  dell'  elettromotore  , 
furono  analoghi  a  quelli  che  si  ottennero  variando  la  conducibilità  del  liquido 
posto  fra  coppia  e  coppia  . 

5.  Ora  potrebbesi  domandare  per  qual  ragione  quando  la  corrente  elettrica 
è  resa  meno  energica  dall'  imperfezione  del  liquido  deferente  cessi  così  presto 
dal  diminuire  la  tensione  delf  apparato.  E  egli  forse  che  una  corrente  animata 
da  una  tensione  di  sette  gradi  (  che  è  il  limite  osservato  nell'  elettromotore  mon- 
tato con  acqua  distillata)  non  abbia  forza  di  scemare  la  tensione  medesima  al- 
lorché il  liquido  è  poco  deferente?  L"  esperienza  mostra  il  contrario:  imperoc- 
ché avendo  allestito  un  apparato  di  sole  cinque  coppie  con  acqua  distillata,  la 
tensione  del  quale  non  arrivava  neppure  ai  sette  gradi,  avendo  tenuto  chiuso 
11  circolo  per  due  minuti,  la  tensione  si  ridusse  a  circa  cinque  gradi  .  Ne  vale  il 
dire  che  in  questa  esperienza  la  corrente  elettrica  sebbene  animata  da  soli  set- 
te gradi  di  tensione  sia  più  energica  di  quella  dell'  apparato  di  otto  coppie  quan- 
do questo  è  pur  ridotto  alla  tensione  medesima,  perchè  in  esso  vi  è  un  maggior 
numero  di  alternative  di  conduttori  umidi  e  metallici:  giacche  avendo  montalo 
un  elettromotore  di  otto  coppie,  delle  quali  cinque  soltanto  erano  attive,  cioè 
fatte  di  rame  e  zinco,  e  le  altre  erano  del  tutto  inoperose  ,  come  che  formate 
di  archetti  di  rame,  chiuso  il  circolo  per  due  minuti,  la  tensione  si  ridusse  a  cin- 
([ue  gradi  e  mezzo,  laddove  da  prima  era  di  quasi  sette. 

Dopo  parecchie  indagini  credo  di  essere  pervenuto  a  dare  una  spiegazione 
soddisfacente  di  tale  fenomeno  :  ma  questa  dipende  da  alcune  cose  che  spettano 
alla  parte  che  segue .  Noi  la  troveremo  al  5-  '-• 


^99 
PARTE    SECONDA 

Sul  tempo  che  impiegano  gli  elettromotori  a  riacquistare  la  tensione  che  per 
r  azione  del  circolo  elettrico  hanno  perduta . 

6.  L' online,  che  tenni  nel  riferire  le  esperienze  relative  alla  prima  parte,  ver- 
rà pure  seguito  nel  descrivere  quelle  istituite  per  conoscere  con  qual  legge  gli 
annarecclii  voltiani  ripigliano  la  primiera  tensione  . 

Un  apparato  a  corona  di  tazze  di  otto  coppie  nuove,  simile  in  tutto  a  quello 
del  §.  1.",  la  cui  tensione  era  di  gradi  12,  venne  chiuso  col  sohto  arco  metaUico 
per  un  minuto,  e  la  sua  tensione  erasi  ridotta  a  gradi  ^.  Esplorata  la  tensione 
mezzo  minuto  dopo  che  fu  aperto  11  circolo ,  la  trovai  di  quasi  nove  gradi  :  do- 
po 1'  la  trovai  di  gr.  10,  dopo  a,  gr.  1 1  ',  e  finalmente  dopo  due  minuti  e  mez- 
zo ripigliò  la  sua  primiera  tensione  di  i  a  gradi . 

Lo  stesso  apparato  tenuto  chiuso  per    5  minuti  presentò   i  seguenti   risulta- 
menti  : 

Appena  aperto  il  circolo  la  tensione  era  di  gradi     5 
dopo  3o'  .  .  .  .  .  "]  l 

r  .....         8  2 

3  loi 

5  ',   circa  ....        12 


Chiuso  l'apparato  medesimo  per  un  quarto  d'ora:   appena  aperto   il  circolo 
la  tensione  era  di  gradi    4-  scarsi 
dopo  1  '  .  72 

3.8^ 
7  circa  .12 


Da  queste  esperienze  si  vede: 

1."  Che  la  tensione  che  riacquista  l'elettromotore  ne' primi  istanti  che  sta 
aperto  il  circolo  è  molto  maggiore  di  quella  che  riacquista  negli  ultimi:  in  quel- 
la guisa  appunto  che  la  perdita  di  tensione  è  grande  ne' primi  istanti  che  sta 
chiuso  il  circolo,  ed  assai  piccola  al  paragone  la  perdita  fatta  negli  ultimi. 

1.°  Che  in  generale  quanto  più  sta  chiuso  il  circolo,  più  lungo  riesce  il  tem- 
po necessario  al  riacquisto  della  tensione  primitiva  . 

■j.  Per  conoscere  poi  il  rapporto  fra  il  tempo  che  sta  chiuso  il  circolo  e  quel- 
lo che  l' elettromotore  impiega  a  ricuperare  la  tensione  perduta,  vennero  isti- 
tuite, con  un  apparato  a  corona  di  tazze  di  otto  coppie,  molte  esperienze,  delle 
quali  seguono  i  principali  risultaroenti  medii. 


ioo 


Tempo  clic  stelle  chiuso 
il  circolo. 


Tempo  in  cui  l'apparalo  riacquisto 
la  tensione  primitiTa. 


5  '       .         . 

i'  circa 

3 

o" 

2  scarsi 

1 

.        2Ì 

3 

.        .         .     3^ 

5 

5  circa 

8 

.     6  1  circa 

2 

,5^ 
3of 

•         •     7 

Dai  quali  risultamenli  si  vede,  che  fra  il  tempo  che  il  circolo  sia  chiuso  e 
quello  che  1'  elettromotore  impiega  a  ricuperare  la  sua  tensione,  ovvi  un  rappor- 
to che  varia  nel  modo  seguente:  Quando  il  tempo  che  sta  chiuso  il  circolo  è  bre- 
ve, riesce  in  proporzione  molto  più  lungo  quello  che  impiega  a  ricuperare  la 
tensione  perduta  ;  ma  il  rapporto  fra  il  secondo  tempo  ed  il  primo  va  scemando 
a  misura  che  questo  cresce,  e  ciò  finche  i  due  tempi  sono  eguali  :  dopo  di  che 
il  tempo  del  riacquisto  è  minore  del  tempo  della  perdita:  e  hnalmcnte  quando 
la  perdita  di  tensione  ha  conseguito  il  suo  massimo,  diviene  costante  il  tempo 
voluto  a  ricuperare  la  tensione  primiera. 

8.  Per  determinare  come  varia  il  tempo  necessario  al  riacquisto  della  ten- 
sione perduta  quando  nell'elettromotore  varia  il  numero  delle  coppie  vennero 
istituite  molle  esperienze,  delle  quali  basterà  il  riferire  qui  le  seguenti. 

Apparato  di  otto  coppie.,  la  cui  tensione  era  di  gradi  i  2. 

a)  Chiuso  il  circolo  per  un  minuto  : 

Appena  che  fu  aperto,  la  tensione  era  di  gradi   ^ 
Dopo  o  .  So'  .  .  .  .  .IO  circa 

1  .  3o J 1 

2  .    3o 12 

b)  Chiuso  per  due  minuti  : 

Ap|)ena  aperto           .          .          .          .          .       6  * 
Dopo  o'.  3o"         .         .         .         .          -9 
10  I 


I 

2 

3  .  3o 


1 1 

12 


3oi 


e)  Chiuso  per  tre  minuti  ; 
Appena  aperto 
Dopo  o'.  3o" 
1 

3       . 
5  circa 


5ì 
8 

9 

101 

2 

12 


Apparato  di  i  a  coppie . 

Tensione  primitiva 

a)  Chiuso  il  circolo  per  un  minuto  : 

Appena  aperto  il  circolo 
Dopo  o'  .  3o' 

1  .  .  . 

3  .  3o  circa 

b)  Chiuso  il  circolo  per  due  minuti  ; 

Appena  aperto 
Dopo  o.'  3o 

1  .  .  . 

2  .  .  . 

4  .  3o 

e)  Chiuso  il  circolo  per  tre  minuti  : 
Appena  aperto  . 
Dopo  o'.  So 

1  .  .  . 

3  .        .         . 
j  .  3o  circa 


gradi  i8 


gradi 


IO 

i4 
i5 
i8 

Si 

3 

12 

i5 
i6 
i8 

6 
1 1 
i3 
i5 
i8 


Da  queste  esperienze  pertanto  si  comprende,  i.'  Che  quanto  maggiore  è  il 
numero  delle  coppie  dell'  elettromotore,  maggior  eziandio  è  il  tempo  richiesto 
a  riacquistare  la  tensione  perduta  in  un  dato  tempo .  2."  Che  11  tempo  speso  da 
un  elettromotore  a  maggior  numero  di  coppie  nel  ricuperare  un  dato  numero  di 
gradi  di  tensione  è  minore  di  quello  che  \'  impiega  un  apparato  men  numeroso  . 

9.  Due  eiettromolori  di  otto  coppie  vennero  allestiti  uno  con  acqua  distilla- 
ta, e  r  altro  con  acqua  di  pozzo  tenente  In  soluzione  i  del  suo  peso  d' idroclora- 
tp  di  soda  . 

Il  primo  di  questi  apparati,  cioè  quello  ad  acqua  distillata,  la  cui  tensione 
era  di  gradi  undici,  essendo  stato  chiuso  per  sei  minuti,  si  ridusse  a  gradi  ot- 
to, e  ripigliò  la  sua  tensione  primitiva  dopo  tre  minuti  che  fu  aperto  il  circolo . 


3o2 

La  tensione  dell'  apparato  ad  acqua  salata  che  era  pure  di  undici  gradi  fu  ri- 
dotta ad  otto  col  tener  chiuso  il  circolo  per  mezzo  minuto,  e  ritornò  di  gradi 
undici  dopo  circa  due  minuti  che  fu  tolta  la  comunicazione  fra  i  poli . 

In  un  altro  esperimento  l' apparato  ad  acqua  distillata  stette  chiuso  per  un 
quarto  d'ora;  la  sua  tensione  si  ridusse  a  sette  gradi,  e  dopo  quattro  minuti  ri- 
pigliò i  suoi  undici  che  aveva  da  principio .  L'  apparato  ad  acqua  salata  fu  pure 
ridotto  a  sette  gradi  di  tensione  col  tenerlo  chiuso  per  un  minuto,  e  ripigliò  i 
suoi  undici  gradi  col  tenerlo  aperto  per  due  minuti  e  mezzo  . 

La  conseguenza  piìi  importante  che  si  ricava  dal  confronto  di  queste  espe- 
rienze si  è,  che  :  Ove  il  liquido  che  separa  le  coppie  è  piìi  deferente,  poste  tutte 
le  altre  cose  pari,  impiegasi  meno  tempo  a  riacquistare  la  tensione  perduta . 
Gioverà  per  altro  il  notare  altresì  che  T  accrescere  la  conducibilità  del  liquido 
non  fa  mai  scemar  tanto  il  tempo  necessario  al  riacquisto  della  tensione,  quan- 
to fa  scemare  quello  che  impiega  a  perderla  allorché  il  circolo  sta  chiuso  . 

1  o .  Variando  1'  arco,  mediante  il  quale  si  mettono  in  comunicazione  i  poli,  si 
è  osservato  che  ciò  non  ha  inlluenza  sul  tempo,  che  1'  apparato  impiega  a  ripi- 
gliare la  tensione  primitiva,  essendo  esso  o  maggiore  o  minore  secondo  che  il  li- 
quido, in  cui  sono  immerse  le  coppie,  è  più  o  meno  deferente,  o  l'elettromotore 
più  o  men  numeroso  di  coppie,  o  la  tensione  perduta  più  o  meno  grande . 

1 1 .  Avendo  osservato  che,  in  generale,  quando  l' arco  che  chiude  il  circolo  è 
un  cattivo  deferente,  si  affievolisce  di  assai  poco  la  tensione  degli  elettromoto- 
ri, volli  pur  vedere  se  fosse  veramente  sempre  necessario  che  il  circolo  venisse 
sospeso  perchè  si  riavesse  la  tensione  . 

I  poli  d'  un  elettromotore  a  corona  di  tazze  di  dodici  coppie,  rame,  zinco  ed 
acqua  molto  salata,  vennero  messi  in  comunicazione  per  cinque  minuti  con  arco 
metallico,  e  la  tensione  ch'era  di  gradi  i8  si  i-idusse  a  sei  gradi.  Repristinato 
che  fu  nella  sua  primiera  tensione  il  detto  apparato,  venne  chiuso  per  cinque  mi- 
nuti come  prima,  ma,  trascorso  questo  tempo,  i  suoi  poli  vennero  messi  in  co- 
municazione mediante  uno  strato  d'  acqua  di  pozzo  della  grossezza  di  35  centi- 
metri frammezzato  da  sei  diaframmi  di  rame,  e  ciò  fatto,  fu  levata  la  comunica- 
zione formata  dall'  arco  metallico  .  Qui  pertanto  il  circolo  elettrico  non  venne 
interrotto  neppure  per  un  istante,  ma  solo  reso  più  lento  per  questo  nuovo  arco 
assai  meno  conduttore  del  primo  .  E  tolto  poscia  anche  questo  dopo  cinque  mi- 
nuti, la  tensione  si  trovò  di  gradi  nove  abbondanti . 

Gli  elettromotori  adunque  possono  ripigliare  parte  della  tensione  perduta  an- 
che senza  sospendere  affatto  la  circolazione  dell'  elettrico,  ma  solo  rendendone 
più  difficile  il  trascorrimento  mediante  un  conduttore  più  imperfetto  fra  i  suoi 
poli . 

12.  Ora  noi  possiamo  in  qualche  modo  render  ragione  del  vedersi  limitata  e 


So3 
non  indefinita  la  perdila  ili  tensione,  che  fanno  gli  elettromotori,  allorché  è  chiu- 
so il  circolo,  massimamente  se  la  corrente  è  di  non  grande  energia.  Infatti  se  la 
causa,  qualunque  poi  sia,  che  produce  la  restituzione  della  tensione  opera  ezian- 
dio senza  che  s'intercetti  il  circolo,  ne  segue  che,  quando  i  poli  dell' cleltromo- 
lore  comunicano  fra  di  loro,  abbiamo  sempre  due  forze,  una  delle  quali  (  la  cor- 
rente elettrica  )  tende  a  diminuire  V  elettromotricità  delle  coppie,  e  (juindi  la 
tensione,  e  1'  altra  tende  a  ripararla  :  e  quando  la  corrente  per  la  perdita  di  ten- 
sione sia  indebolita  al  segno  che,  quanto  essa  toglie  ad  ogni  istante  di  elettro- 
motricità, altrettanto  ne  restituisca  la  forza  riparatrice,  non  deve  più  accadere 
veruna  perdita  di  tensione,  per  quanto  a  lungo  si  protragga  la  comunicazione 
fra  i  poli  dell'  apparato . 

PARTE  TERZA. 

Sult  indebolimento  che  soffrono  gli  elettromotori  senza  che  sieno  messi 
in  comunicazione  i  poli . 

i3.  Se  un  apparecchio  voltiano  sta  montato  per  molto  tempo,  sebbene  i  suol 
poli  non  vengano  mai  messi  in  comunicazione  fra  di  loro,  o  solo  rare  volte  e  per 
pochi  istanti,  pure  la  sua  energia  scema  d'ordinario  notabilmente,  ed  altresì  la 
sua  tensione .  Le  esperienze  fin  qui  riferite  mi  fecero  sospettare  che  questo  in- 
debolimento spontaneo  degli  elettromotori  provenir  potesse  dall' esservi  sempre 
in  essi  una  debole  circolazione  di  elettrico  a  cagione  delf  imperfetto  isolamento. 
Ed  in  questo  sospetto  venni  confermato  dall' osservare  che  un  apparato  a  coro- 
na di  tazze  di  quaranta  coppie,  che  stette  allestito  per  qualche  mese,  dava  co- 
stantemente indizii  di  tensione  alquanto  più  forte  nelle  giornate  asciutte,  che  non 
nelle  umide  .  Sembra  infatti  assai  probabile  che  1'  umidità  dell'  ambiente  costi- 
tuisca una  comunicazione  fra  i  poli,  e  dia  quindi  origine  ad  una  circolazione  elet- 
trica, che  affievolisce  la  tensione  dell'elettromotore;  laddove  poi  la  diminuzione 
di  umidità  toglie  la  detta  comunicazione,  o  la  rende  almeno  più  imperfetta  (il 
che  è  pur  sufliciente  dietro  quanto  dicemmo  al§.  1 1),  e  quindi  l'apparato  riacqui- 
sta o  in  tutto  o  in  parte  la  tensione  perduta . 

i4.  Ma  potrebbe  essere  che  anche  prescindendo  da  qualsivoglia  comunicazione 
fra  1  poli  dell'apparato,  pure  la  tensione  venisse  a  scemarsi  per  la  sola  circo- 
stanza di  trovarsi  le  piastre  a  contatto  del  liquido.  Per  vedere  adunque  se  tale 
circostanza  potesse  per  se  sola  valere  a  scemare  la  tensione  dell'  apparato  in- 
dipendentemente dal  circolo  elettrico,  ho  disposto  un  apparato  a  corona  di  un- 
dici coppie  in  modo  che  la  comunicazione  metallica  fra  la  piastra  di  rame  e 
quella  di  zinco  di  ciascuna  coppia  si  potesse  togliere  o  rinnovare  ad  arbitrio  e 


senza  bisogno  di  rimuovere  le  piastre  dal  loro  posto.  A  canto   a  questo   disposi 
un  altro  apparato  d'egual  numero   di   coppie  disposte  al  modo  ordinario.    Le 
piastre  d'entrambi  questi  apparati  erano  nuove,  e  la  parte  di  ciascuna  che  s' im- 
mergeva nel  liquido  era  di  circa  tre  centimetri  quadrati .  Esplorata  la  tensione, 
la  quale  nell'  uno  e  nell'  altro  era  di  circa  quindici  gradi,   e  tolte  nel  primo  ap- 
parato le  comunicazioni  metalliche  fra  le  piastre  di  zinco  e   quelle  di  rame,  per 
CUI  non  poteva  aver  luogo  veruna  comunicazione  di  elettrico,  comunque  venisse 
per  avventura  ad   inumidirsi  l'ambiente,  li  riposi  in  luogo   ov' erano   garantiti 
dalla  polvere  .  Ognivolta  poi  che  voleva  esperimentare  la  tensione  di  questi  ap- 
parati ne  montava  ancora  un  terzo,  sempre  con  piastre  nuove  ed  eguale  in  tut- 
to al  secondo:  e  questo  era  destinato  a  far  conoscere  se  il  condensatore  e  l'elet- 
Iroraetro  agivano  o  no  come  il  primo  giorno  . 

Dopo  10  giorni  osservai  le  tensioni  dei  detti  apparati,  ed  ho  veduto  che: 
La  tensione  dell'  elettromotore  montato  di  recente  era  di  gradi    16 
Quella  dell' apparato  a  piastre  disgiunte  .  .  .  .      16  circa 

Quella  dell'apparato  montalo  al  modo  ordinario       .  .  .      i5   circa 

Dojio  1 5  giorni ,  essendo  la  giornata  molto  più  umida  di  quella  in 

cui  si  fece  1'  osservazione  precedente  : 
La  tensione  del  primo  de'  detti  apparati  era  di         .  .  .      i5 

Quella  del  secondo        .  .  .  .  .  .  .  .      i5 

Quella  del  terzo  .  .  .  .  .  .  .  .  .      i3  circa 

Dopo  4o  giorni  essendo  la  giornata  molto  asciutta,  tutti  e  tre  gli  apparati  of- 
frirono la  tensione  di  1  ■j  gradi  abbondanti . 

Le  prove  fatte  dopo  tre  mesi  mostrarono  costantemente  che  il  secondo  ed  il 
terzo  apparato  avevano  una  tensione  alquanto  maggiore  di  quella  dell'apparato 
montato  di  recente,  il  che  proveniva  dall' essersi  notabilmente  accresciuta  1'  elet- 
tromotricità  relativa  delle  piastre  di  rame,  le  quali  pel  lungo  soggiorno  nell'acqua 
salsa  eransl  molto  ossidate  alla  superficie . 

Da  queste  esperienze  risulta  che  la  sola  circostanza  di  trovarsi  le  piastre  a 
contatto  del  iluido,  nulla  o  ben  poco  influisce  a  diminuire  la  tensione  dell'  ap- 
parato elettromotore;  ma  bensì  vi  concorre  l'imperfetto  isolamento  de' suol  poli. 
i5.  Giovi  qui  per  altro  il  notare  che  male  si  apporrebbe  chi,  vedendo  non  di- 
minuire se  non  di  pochi  gradi  la  tensione  di  un  elettromotore  che  rimane  mon- 
tato per  lungo  tempo,  giudicasse  che  poca  avesse  pure  ad  essere  la  perdita  di 
forza  dell'apparato  per  rispetto  agli  altri  effetti.  Imperocché  il  liquido  va  a  per- 
dere notabilmente  della  sua  conducibilità,  specialmente  ove  sia  acqua  acida  o 
salata,  mentre  1'  acido  si  consuma  combinandosi  ai  metaUi,  ed  il  sale  decompo- 
nendosi in  acido  e  base,  il  primo  si  unisce  al  metalli,  e  la  base  si  trasporta  in 
gran  copia  oy'è  la  saldatura  del  rame  collo  zinco.  Divenuto  quindi  pococondut- 


3o5 
torc  il  liquido,  meno  energica  riuscir  dove  la  corrente  clellrica .  Aggiungasi  a 
ciò  clic  quando  le  coppie  elettromotrici  stanno  per  lungo  tempo  a  contatto  dei 
li(iuidi  pare  che  si  aduni  alla  lor  superficie  tale  materia,  che  altera  in  meno  la 
conducibilità  delle  medesime.  Ilo  veduto  moltissime  volle  che  un  apparato  a  co- 
rona di  tazze,  il  quale  per  essere  stato  allestito  per  molti  e  molti  giorni  aveva 
perduto  notabilmente  della  sua  forza  di  scuotere  e  della  tensione,  ricuperare  to- 
sto e  r  una  e  1'  allra  col  solo  eslrarre  le  coppie  dal  liquido,  asciugarle  e  rimetter- 
le ne'laoghl  di  prima  .  Così  ho  pur  veduto  ,  e  prima  di  me  lo  ha  notato  il  prof. 
De  la  Rive  (i),  che  una  corrente  elettrica  attraversante  un  conduttore  liquido 
intercettato  da  diaframmi  metallici ,  veniva  rallentata  maggiormente  quando  i 
detti  diaframmi  erano  divenuti  lordi  per  essere  stati  a  contatto  del  liquido,  e  le 
cose   tornavano  come    da  principio  quando  si  pulivano  i  diaframmi  slessi. 


PARTE   QUARTA. 

Esperienze  relatwe  ai  fenomeni  precedenti  considerati  negli  elettromotori 

di  natura  diversa . 

i6.  L'  aver  osservato  che  quando  le  piastre  degli  elettromotori  sono  ossida- 
date,  i  fenomeni  di  cui  parliamo  si  comportano  diversamente  da  quando  sono  lu- 
centi, ed  il  sapere  che  le  correnti  elettriche  non  alterano  1'  elettromolricità  re- 
lativa di  tutti  1  metalli  allo  stesso  modo  (2),  mi  determinò  ad  istituire  alcune 
esperienze  sopra  elettromotori  formati  da  metalli  diversi  da  quelli  con  cui  sono 
fatti  gli  ordinarii  apparati  voltiani .  Incomincerò  dal  riferire  le  esperienze  istitui- 
te sovra  elettromotori  non  diversi  per  la  natura  delle  piastre,  ma  solo  per  il  po- 
limento  delle  medesime  . 

Un  elettromotore  di  undici  coppie,  le  cui   piastre,   e   specialmente   quelle  di 
zinco  ,   erano   molto  ossidate,    e  la  tensione  del  quale  era  di  undici  gradi  come 
quella  di  un  apparato  nuovo  di  otto  coppie,  col   quale  venne  posto  a  confronto 
somministrò  1  risultamenti  che  sefruono: 

D 


(1)  V.  Annales  de  rhimie  et  de  pliyslqvie,  février  iSaS. 
(3)  V.  Saggio  di  espciienze  eletlromelriclie,  aiticulo  li,  sciioiie  seconda. 
39 


3o6 

Tempo  per  cui  stelle 
chiuso  l'apparalo. 

Tensione . 

l' 

3 
3o 

gradi  5 

4  2 
3 

60 

zi 

'rf    .    . 

2 

Tempo  impiegato  a  ricuperare 
la  tensione  primitiva. 


3' 

circa 

4 

6 

circa 

9 

10 

circa 

I  risultameuti  deli'  apparato  a  piastre  nuore  sono  i  seguenti: 


■j  circa 
6 


2'.  So  circa 
.     3.  3o 


I  principali  corollarli  che  possono  dedursi  da  queste  esperienze  sono  i  se- 
guenti : 

1."  La  tensione  che  1'  apparato  a  piastre  nuove  perde  in  un  dato  tempo  è 
minore  di  quella  che  perde  1'  apparato  a  piastre  ossidate . 

2.°  La  massima   perdita   di  tensione   che  fa  1'  apparato  a  piastre  nuove  è 
minore  di  quella  che  fa  1'  apparato  a  piastre  ossidate . 

3."  L'  apparato  nuovo  giunge  più  presto  che  il  vecchio  a  quel  limite,  oltre 
il  quale  più  non  cresce  la  perdita  di  tensione  col  tener  chiuso  il  circolo . 

1  ^.  Varie  esperienze  vennero  pure  istituite  con  elettromotori  a  coppie  di  oro 
e  zinco,  ed  a  coppie  di  piombo  e  zinco  :  ed  i  risultamenti  di  queste,  confrontati 
con  quelli  degli  apparati  ordinarii  mostrarono  :  1."  Che  nell'elettromotore  a  cop- 
pie d'oro  e  zinco  la  perdita  di  tensione  è  più  rapida  che  non  nell'apparato  ordi- 
nario, e  giunge  in  brevissimo  tempo  a  quel  limite,  oltre  il  quale  più  non  iscema 
la  tensione  dell'apparato,  e  riacquista  più  presto  la  tensione  perduta;  2."  Che 
r  apparato  a  coppie  di  piombo  e  zinco  perde  più  lentamente  la  tensione  elettrica 
che  non  l'apparato  a  rame  e  zinco. 

Noi  sappiamo  che  1'  effetto  prodotto  sulla  calamita  dall'  elettromotore  piombo 
e  zinco  e  assai  più  cospicuo  di  quello  prodotto  dall'oro  accoppiato  allo  zinco  (1). 
A  rendere  pertanto  più  grande  la  differenza  fra  gli  effetti  elettro-magnetici   di 


(i)  V.  Saggio  citalo  pag.   lao. 


3n^ 
queste  clue  coppie  elcttroniotiici  deve  ccrlanientc  influire  «1  fenomeno  che  ora 
abbiamo  accennato.  Imperoccliè  se  la  coppia  di  pioniljo  e  zinco  perde  più  lenta- 
mente la  tensione,  deve  agire  per  lutto  il  teinj)o  che  1'  ago  calamitato  impiega 
a  compiere  la  sua  declinazione  con  più  energia  di  quel  che  farebbe  se  quella 
perdila  fosse  ])iii  rapida:  e  la  coppia  d'  oro  e  zinco  deve  operare  con  meno  for- 
za di  (juel  che  farebbe,  se  il  decremento  nella  elettromotncilà  fosse  più  lento. 
Dissi  però  che  quo' decrementi  di  tensione  più  rapidi  nella  coppia  d'oro  e  zinco, 
meno  in  quella  di  piombo  e  zinco  debbono  contribuire  a  rendere  più  cospicue 
le  differenze  fra  gli  cflctti  elettromagnetici,  non  già  che  questi  esser  possano 
la  causa  unica  produttrice  delle  differenze  stesse.  Perchè  ciò  fosse  converrebbe 
che  l'oro  accoppiato  allo  zinco  tanto  perdesse  di  elettromotricità  da  divenire 
inferiore  al  piombo:  ma  poi  abbiamo  veduto  che  l'oro  in  tale  circostanza  non 
divien  mai  neppur    inferiore  all' argento  in  elettromotricità  relativa. 

Molte  altre  esperienze  avrei  istituite  con  elettromotori  di  diversa  natura  se 
avessi  potuto  valermi  di  apparati  a  colonna  :  ma  questi  riescono  quasi  del  tutto 
inetti  a  tal  sorta  di  indagini,  perchè  i  panni  bagnati  che  separano  le  coppie  non 
offrono  un  conduttore  di  costante  forza,  neppure  durante  la  stessa  esperienza  . 
Acciocché  essi  potessero  servire  converrebbe  che  il  conduttore  di  seconda  clas- 
se fosse  ridotto  pressoché  al  minimo  di  umidità,  come  si  è  fatto  nelle  pile  dette 
a  secco.  ' 

18.  Due  di  siffatte  pile,  che  non  ha  molto  ebbi  in  dono  dal  celebre  inventore 
delle  medesime  11  sig.  prof  Zamboni,  mi  diedero  opportunità  d'istituire  varie 
esperienze,  di  cui  spero  non  sarà  superfluo  riferire  le  principali. 

Gli  elementi  delle  pile  zamboniche  constano,  com'è  noto,  di  un  disco  di  carta 
così  detta  d'  argento,  sul  rovescio  della  qnale  è  spalmata  della  polvere  di  car- 
bone ossidalo,  e  il  deferente  di  seconda  classe  che  separa  una  coppia  dall'  altra 
è  il  solo  umido  che  naturalmente  aderisce  alla  carta  .  Le  due  colle  (piali  ho  spe- 
rimentato erano  l'una  e  l'altra  di  i5oo  coppie,  e  la  tensione  che  manifestavano 
ai  poli  era  di  circa  quattordici  gradi  all' elettrometro  a  paglie  sottili  senza  il 
sussidio  del  condensatore  . 

I  poli  d' una  delle  dette  pile  furono  messi  in  comunicazione  fra  di  loro  col 
mezzo  di  una  striscia  di  piombo,  e  lasciati  così  per  un  minuto.  Appena  tolta  la 
detta  comunicazione,  vidi  che  la  tensione  dai  i4  gradi  era  discesa  ai  sei.  In  un 
altro  esperimento  simile  la  tensione  perduta  in  tre  minuti  fu  di  nove  gradi .  In 
un  terzo  perdette  dieci  gradi  in  8  minuti  :  ed  in  un  quarto  esperimento  perdet- 
te 1  o  gradi  e  mezzo  in  quindici  minuti . 

Avendo  tenuto  chiuso  il  circolo  in  una  delle  dette  pile  per  venti  minuti,  la 
sua  tensione,  esplorata  subito  dopo  che  fu  aperto  il  circolo,    era    di  due  gradi . 

Le  tensioni  poi  osservate  a  diversi  intervalli  di  tempo  furono  come  segue  : 


gradi 

4 

, 

5 

crescenti 

. 

6 

7 

quasi 

9 
1 1 

i4 

3o8 

Dopo    1     che  fu  aperto  il  circolo. 

2 

3 

5 
8 

12 
21 

Ripetute  le  precedenti  esperienze  tenendo  in  comunicazione  i  poli  non  con 
un  arco  metallico,  ma  con  un  conduttore  umido,  e  precisamente  col  tenere 
un'  estremità  della  detta  pila  a  contatto  colla  lingua,  e  l'altra  fra  due  dita  inu- 
midite con  saliva,  ottenni  risultamenti  identici. 

Ne  è  punto  necessaria  una  comunicazione  continuata  fra  i  poli,  perchè  s'inde- 
bolisca notabilmente  la  tensione  in  simili  apparati,  bastando  ancora  una  serie  di 
comunicazioni  istantanee  ripetute  a  intervalli  di  tempo,  purché  questi  non  siano 
talmente  lunghi  che  l'  elettromotore  non  possa  aver  di  già  ripigliata  tutta  la 
tensione  perduta  in  una  comunicazione  fra  i  poli,  quando  si  rinnova  la  comunica- 
zione medesima. 

Tenendo  in  mano  un  estremo  d'  una  delle  dette  pile,  e  toccando  per  trenta 
volte  coir  altro  estremo  una  foglia  di  piombo  tenuta  nell'  altra  mano,  lasciando 
scorrere  un  minuto  secondo  fra  un  contatto  e  1'  altro,  e  procurando  che  simili 
toccamenti  fossero  istantanei,  la  pila  perdette  tre  gradi  delle  sua  tensione  . 

Ripetuto  r  esperimento  dopo  che  la  pila  ebbe  riacquistata  la  sua  tensione  na- 
turale: fatti  sessanta  toccamenti  come  sopra,  la  tensione  perduta  fu  di  quattro 
gradi . 

La  stessa  colonna  perdette  pure  quattro  gradi  di  tensione  eseguendo  solo 
Tenti  toccamenti,  ma  che  si  succedettero  con  molta  rapidità. 

Noi  vediamo  adunque  dalle  sin  qui  riferite  esperienze  che  le  pile  zamboniche  si 
comportano  come  gli  altri  elettromotori  per  rispetto  ai  fenomeni  di  cui  parlia- 
mo: eccetto  che  quando  si  varia  la  conducibilità  dell'arco,  mediante  il  quale  si 
mettono  in  comunicazione  i  poli,  non  varia  sensibilmente  la  tensione  perduta  in 
un  dato  tempo  .  Ma  questo  non  deve  punto  recar  meraviglia,  giacche  essendo 
già  difficoltato  assaissimo  il  trascorrimenlo  dell'  elettrico  in  simili  apparati,  e 
per  essere  assai  cattivo  il  conduttore  di  seconda  classe  che  separa  le  coppie,  e 
per  essere  assai  grande  il  numero  delle  alternative  umide  e  metalliche,  per  cui 
deve  passare  1'  elettrico  stesso,  poco  o  nulla  si  altera  1'  energia  della  corrente 
medesima  col  variare  anche  di  moltissimo  la  conducibilità  dell'  arco  clic  con- 
giunge lun  polo  coir  altro  . 


Sog 
PARTE  QUINTA. 

Di  alcune  applicazioni  a  cui  possono  dar  luogo  i  fenomeni  fin  qui  considerali. 


19.  Se  adunque  gli  apparati  elettromotori.,  qualunque  essi  sieno,  decrescono  in 
tensione  quando  per  essi  facciamo  circolare  1'  elettrico^   e   riprendono  il  vigore 
primiero  allorché  tiensi  per  qualche  tempo  sospeso  il  circolo:  noi  potremo  sen- 
za dubbio  tener  sottoposta  una  sostanza  all'azione  d'una  corrente  elettrica  per 
quanto  tempo  vorremo,  senza  che  la  tensione  che  anima  la  corrente  stessa  decre- 
sca oltre  un  dato  limite   col  far   uso  dell' azione  alterna  di  più  elettromotori.  A 
tal  uopo  converrà  determinare  prima  di  tutto  con  un   esperimento   preliminare 
il  tempo  che  impiega  l' elettromotore  a  perdere  una  data  tensione  quando  i  suol 
poli  sono  messi  in   comunicazione  mediante  la  sostanza   che  vuole  sottoporsi  al 
cimento,  e  quindi  il  tempo  che  ruhiedesi  onde  1"  elettromotore  riacquisti  la  ten- 
sione perduta .  Fingiamo  per  es.  che  in  un  dato  caso  1"  apparato   spenda  1  o  mi- 
nuli  a  perdere  quindici  gradi  di  tensione,  ed  in  venti  minuti  di   riposo  ricuperi 
la  tensione  perduta:  allora  si  sceglieranno  tre  elettromotori  eguali  che   verran- 
no destinati  ad   agire   sulla   data  sostanza   uno  dopo  l'altro,  e  ciascuno  per  10 
minuti,  per  cui  tutti  e  tre  avranno  alternativamente  dieci  minuti  di   azione  e 
venti  di  riposo   per   tornare   al  vigor   primitivo  .  3Ia  gli   elettromotori  perdono 
coir  andar  del  tempo  parte  della  tensione  per  l'imperfetto  isolamento:  il  liqui- 
do, in  CUI  pescano  le  coppie,  si  decompone  e  perde  della  conducibilità,  e  la  cor- 
rente elettrica  viene  a  rallentarsi  anche  per  altre   circostanze  ;   onde  in  capo  a 
pochi  o  a  molti  giorni,  secando  i  casi,  la  forza  de' tre  apparati  avrà  sofferto  de- 
trimento non  ostante  che    agissero   alternativamente  .  Si    terranno  perciò  altri 
tre  elettromotori  eguali  ai  primi,  che  si  allestiranno  e  si  sostituiranno  ad  essi,  e 
così  si  avrà  tutto  1'  agio  che   basta   per  poter   ridurre  i  primi  tre  apparati  allo 
stato  primiero,  e  rimetterli  poi  in  azione  quando  gli  altri  tre   avranno  bisogno 
di  ristauro .  Ed  in  questa  guisa  potrassi  tener  soggetta  la   sostanza   all'  azione 
circolante  dell'  elettrico,  continuata  senza  la  più  piccola  intermittenza  per  lutto 
quel  tempo  che  sarà  più  a  grado,  e  senza   che  la  forza   della  corrente  non  mai 
decresca  oltre  un   dato  limite .  Il   meccanico  poi  saprà  agevolmente   ideare   il 
consegno,  perche  le  alternazioni  si  compiano  da  se  anche  in  assenza  dell'  cspe- 
rimcntatore . 

20.  Ella  è  nota  la  bella  applicazione  che  lo  Zamboni  immaginò  di  fare  delle 
sue  pile  a  secco  per  conseguire  un  orologio  che  andasse  per  un  tempo  indefini- 
to, senza  biso^^no  di  ricaricarlo  .  Bla  o  sia  per  l'imperfezione  delle  pile  stesse, 
ossia  perchi;  11  meccanico  volle  obbligarle  a  produrre  una  quantità  di  molo  non 


3io 

jiroporzionata  alla  forza  variabile  delle  medesime,  o  sia  Gnalmcnte  pel  deperi- 
mento di  tensione  elettrica,  a  cui  vanno  esse  inevitabilmente  soggette  coll'uso; 
il  fatto  è  che  molti  tentativi  non  partorirono  il  bramato  effetto .  Egli  è  ben  ve- 
ro che  il  genio  dello  Zamboni  con  aver  dato  a' suoi  elettromotori  un  alto  grado 
di  perfezionamento,  con  aver  ridotta  al  minimo  la  forza  necessaria  a  tener. ri- 
montato un  orologio,  e  coli'  aver  moltiplicate  le  colonne  al  segno  che  per  quan- 
to vengano  a  perdere  di  tensione,  sempre  posseggono  im  residuo  di  forza  suffi- 
ciente all'  effetto,  sembra  ora  mai  pervenuto  al  pieno  conseguimento  del  suo  fi- 
ne .  Ma  sembrami  pure  assai  jn-obabile  che  coli'  aver  riguardo  alle  prove  da  noi 
fatte  rispetto  alle  perdite  di  tensione,  che  questi  congegni  soffrono  o  per  l' im- 
perfetto isolamento  dei  loro  poli,  o  per  l' uso  che  se  ne  fa,  potrassi  o  con  più  si» 
curczza,  o  con  minore  diflicoltà  conseguire  l'orologio  perpetuo.  Infatti  ad  im- 
pedire le  perdile  di  tensione  prodoLle  dall'  imperfetto  isolamento  gioverà  il 
garantire  la  custodia  del  congegno  colla  presenza  d' una  sostanza  molto  igno- 
inetrica:  e  ad  ovviare  al  difetto  proveniente  dalla  perdita  di  tensione  cagionata 
dalle  ripetute  comunicazioni  fra  i  poli  delle  colonne,  basterà  adattar  le  cose 
in  modo,  che  quando,  per  essersi  affievolita  la  tensione  di  un  ordine  di  pile,  il 
peso  dell'orologio  incominci  a  discendere,  sia  da  questo  stesso  movimento  mes- 
so .in  attività  un  altro  ordine  di  pile,  e  lasciato  in  riposo  quello  che  operò  fino  a 
quel  momento,  onde  possa  riacquistare  il  vigore  primitivo,  per  subentrare  poi 
all'  altro  quando  per  la  perduta  tensione  più  non  sia  in  grado  di  tener  caricato 
r  orolo'rio  ed  abbia  bisogno  di  riprender  lena  col  riposo . 

ai.  L'  azione  alterna  degli  elettromotori  sembrerà  forse  poco  adattata  a  quel- 
le esperienze,  nelle  quali  la  comunicazione  fra  i  poli  devesi  fare  per  via  di  con- 
duttori di  prima  classe,  come  accade  nelle  sperienze  elettro-magnetiche  ed  in 
altre .  Infatti  siccome  ove  l' arco  che  unisce  i  poli  sia  metallico,  brevissimo  è  il 
tempo  che  l'  elettromotore  impiega  a  perdere  una  gran  parte  della  sua  tensione, 
ed  assai  lungo  quello  che  ci  vuole  per  ricuperarla;  malagevole  al  certo  riusci- 
rebbe il  dover  far  agire  alternativamente  quindici,  venti  od  anche  più  elettro- 
motori per  tener  soggetto  un  filo  metallico  ad  una  corrente  elettrica,  la  cui  for- 
za o  tensione  non  discenda  mal  oltre  un  dato  limite  .  E  ciò  tanto  più  perch'e  ci 
Torrebbero  poi  altrettanti  apparati  da  sostituire  ai  primi  ove  questi  abbiano  bi- 
so<rno  di  ristauro .  Ma  se  mal  non  mi  appongo  avvi  un  ripiego  per  poter  istituire 

di  simili  esperienze  anche  con  due  soli  elettromotori  accompagnati  ed  aiutati  nel 
modo  che  dirò  da  altri  due  . 

Riflettasi  primieramente  che  per  gli  effetti  ,  pei  quali  l'arco  che  congiunge  i 
poli  esser  deve  metallico,  poco  importa  che  l' elettromotore  sia  di  poche  coppie, 
che  anzi  un  numero  grande  di  coppie  è  più  dannoso  che  utile  .  Richiamiamo  in 
oltre  alla  memoria  che  le  alterazioni  di  elettromotricità  prodotte  da  una  correa- 


3ii 

te  elettrica  vengono  facilmente  distnilte  da  una  corrente  contraria  (i);  per  cui 
se  r  azione  d'una  corrente  ha  portato  una  diminuzione  di  tensione  in  un  appa- 
recchio volliano  per  l'alterazione  indotta  da  essa  nella  elcltromotricità  relativa 
delle  piastre,  l'azione  di  una  corrente  diretta  in  senso  opposto  ritornerà  l'appa- 
ralo alla  tensione  primitiva  induccndo  nelle  sue  piastre  un'alterazione  di  elct- 
tromotrlcità  contraria  alla  prima .  Giovi  riferire  alcun  esperimento  in  propo- 
sito . 

Un  elettromotore  di  sei  coppie,  la  cui  tensione  era  di  circa  nove  gradi ,  ne 
perdette  cinque  col  tener  chiuso  il  circolo  per  tre  minuti;  tolto  l'arco  metalli- 
co che  congiungeva  i  due  poli,  si  misero  questi  in  comunicazione  coi  poli  d'un 
altro  apparato  a  corona  di  4»  coppie,  ina  in  modo  che  la  corrente  elettrica  di 
questo  era  diretta  in  senso  contrario  a  quella  del  primo  .  Dopo  mezzo  minuto  fu 
tolta  siffatta  comunicazione,  ed  esplorato  immediatamente  1'  apparato  di  sei  cop- 
pie, si  vide  che  egli  aveva  già  conseguita  la  sua  primitiva  tensione  .  Ed  ho  pur 
veduto  che  molte  volte  con  questo  mezzo  si  ridona  la  forza  perduta  ad  un  elet- 
tromotore in  un  tempo  assai  più  breve  . 

Ne  solo  si  può  ridonare  con  tal  metodo  la  tensione  perduta,  ma  puossi  ezian- 
dio accrescere  quella  che  l'apparato  ha  naturalmente  .  Il  detto  apparalo  di  sei 
coppie,  che  aveva  una  tensione  di  nove  eradi,  messo  in  comunicazione  omoni- 
ma (2)  con  l'elettromotore  di  /^o  coppie,  in  capo  a  due  minuti  mostrava  una 
tensione  di  dieci  gradi  abbondanti . 

Per  vedere  poi  se  realmente  a  questi  aumenti,  du-ò  così,  artificiali  di  tensio- 
ne elettrica  corrispondeva  un  accrescimento  di  forza,  giacche  sappiamo  che  non 
sempre  dalla  tensione  di  un  elettromotore  si  può  argomentare  della  sua  forza  e- 
lettro-magnetica,  anche  quando  la  tensione  non  dipende  dal  numero  delle  cop- 
pie ond"  è  costrutto  (3),  ho  istituito  alcune  esperienze  sidle  perdite  di  forza  elet- 
tromagnetica che  soffrono  gli  apparati  voltiani  quando  sta  chiuso  il  circolo,  e 
sul  riacquistare  che  fanno  la  forza  stessa  allorché  il  circolo  viene  interrotto,  ov- 
vero r  elettromotore  vien  fatto  attraversare  da  una  corrente  contraria  alla  pro- 
pria . 

Un  elettromotore  di  otto  coppie  faceva  declinare  un  moltiplicatore  magneti- 
co di  circa  otto  gradi:  chiuso  il  circolo  per  un  minuto,  la  declinazione  operata 
non  era  più  che  di  tre  gradi,  e  tornò  a  produrre  l'effetto  di  prima  dopo  12  mi- 
nuti ch'era  aperto.  Ma  se  invece  di  lasciare   1'  apparato  in  riposo  dopo   ch'era 


(i)  V.  Saggio  citalo  §.  Sa  e  segg. 

(a)  Cioè  in  modo  che  il  polo  positivo  d'un  apparalo  comunicasse  col  positivo  dell'altro,  ed  il  ne- 
gativo col  negativo  ■ 
(3)  V.  Saggio  citato  §.  ga  e  segg. 


3l2 

stato  chiuso  per  un  minuto,  si  metteva  in  comunicazione  omonima  con  un  appa- 
ralo di  io  coppie,  ripigliava  la  sua  forza  di  prima  in  i5'  ed  anco  più  presto  .  Ne 
ommettcrò  qui  di  notare  che  se  si  prolunga  di  qualche  minuto  1'  azione  del  se- 
condo elettromotore  sul  primo,  consegulsce  questo  tale  forza  elettroma"-netica 
da  portare  una  decrmazlone  ben  anche  tripla  di  quella  che  produce  natural- 
mente . 

Ma  il  confronto  fra  le  alterazioni  di  tensione  e  le  alterazioni  di  forza  ma^neti- 
ca,  cui  possono  andar  soggetti  gli  apparecchi  voltianl  formerà  il  soggetto  di  al- 
tro ragionamento  :  bastando  le  cose  qui  notate  a  far  comprendere  come  si  pos- 
sa con  due  elettromotori  a  picciol  numero  di  coppie  assoggettare  un  filo  metal- 
lico a J  una  corrente  elettrica,  la  cui  forza  non  iscemi  mai  oltre  un  dato  grado , 
sempre  che  questi  vengano  scortati  da  altri  due  elettromotori  molto  più  nume- 
rosi di  coppie,  ciascuno  de'  quali  venga  destinato  a  repristinare  la  tensione  d'uno 
de'  primi,  ed  in  un  tempo  non  più  lungo  di  quello  che  impiega  a  perderla,  facen- 
do scorrere  per  esso  una  poderosa  corrente  elettrica  contraria  a  quella  da  cui  è 
invaso  quando  i  suoi  poli  comunicano  per  via  dell'arco  metallico. 

Veduta  la  possibilità  di  mantenere  colT  azione  alternala  di  più  elettromotori 
una  corrente  elettrica  sempre  attiva  sovra  una  sostanza,  sembra  lecito  lo  spe- 
rare nuovi  progressi  nella  scienza  elettrica.  Non  ignoro  peraltro  che  le  cose,  le 
quali  meditate  in  astratto  sembrcmo  promettere  le  applicazioni  più  lusingliiere  , 
non  sempre  venendo  alla  pratica  corrispondono  all'espettazione  .  Ma  qualunque 
sia  per  essere  il  destino  dell'azione  alterna  degli  apparati  voltiani,  che  sarà  dei 
fatti  il  deciderlo,  paghi  saranno  i  miei  voti,  se,  per  giudizio  di  questo  rispelta- 
bile  consesso,  io  avrò  con  questo  mio  lavoro  aggiunto  alcun  che  alla  scienza  de- 
gli elettromotori . 


9iS 
NUOVO 

GALYANOMETRO  MOLTIPLICATORE 

PROPOSTO  E  DESCRITTO 
DALLO      STESSO. 


J.  uttl  i  fisici  che  ripeterono  la  bella  esperienza  dell'  Oersted  relativa  all'azio- 
ne dell"  elettricità  sulle  calamite,  conobbero  che  l'ago  magnetico  potevasi  im- 
piegare come  strumento  misuratore  dell'energia  delle  correnti  elettriche:  ed  il 
valentissimo  Schweiger  riflettendo  che  il  filo  metallico  congiungente  gli  estre- 
mi d'  un  elettromotore  esercitava  in  qualunque  suo  tratto  un'azione  eguale  sul- 
la calamita,  ebbe  prima  d'ogn'  altro  la  felice  idea  di  ripiegare  molte  volte  il  filo 
congiuntivo  al  di  sopra  e  al  di  sotto  della  calamita  stessa  per  accrescere  l' effetto. 
E  siccome  un  ago  magnetico  fornito  d'  un  semplice  filo  metallico  che  passa  al 
di  sopra  o  al  di  sotto  di  esso  fu  detto  voltimetro  o  galvanometro,  così  lo  stromen- 
to  schweigcriano  venne  appellato  voltimetro  o  galvanometro  moltiplicatore. 

Desideroso  di  dar  maggiore  estensione  ad  alcune  sperienze,  intorno  alle  qua- 
li ebbi  più  volte  l' onore  di  trattenere  questa  dotta  adunanza,  mi  procacciai 
l'anno  scorso  da  Milano  uno  di  siffatti  moltiplicatori .  Accintomi  peraltro  al-  " 
le  sperienze,  non  tardai  a  conoscere  che  di  poco  egli  superava  in  isqnisitezza  i 
galvanometri  semplici  da  me  usati:  e  riflettendo  alla  costruzione  di  quello  stro- 
mento  mi  è  sembralo  di  rilevare:  i."  Che  il  filo  metallico  impiegato  in  esso  non 
fosse  disposto  in  guisa  da  proilurre  tutto  l'effetto,  che  per  esso  sarebbesi  potuto; 
2.  Che  in  generale  tale  congegno  non  poteva  riuscire  il  piii  adattata  ove  si 
trattasse  di  osservazioni  richiedenti  quakhc  esattezza. 

i."  La  disposizione  del  filo  congiuntivo  che  passa  al  di  sopra  e  al  di  sotto  del- 
l' ago  a  modo  di  orditura,  cioè  in  modo  che  tultc  le  j>orzioni  di  esso  operanti 
sul!"  ago  riescano  parallele  e  fra  loro  ed  all'asse  magnetico,  o  prossimamente  ta- 
li, non  è  certamente  la  più  opportuna  ad  ottenere  la  maggiore  d(!yiazione  del- 
l' ago  con  una  data  quantità  di  filo .  Infatti  nel  primo  istante  che  il  filo  è  invaso 
dalla  corrente  elettrica,  le  porzioni  del  medesimo  che  trovansi  nello  stesso  ina- 
ne verticale  dell'asse  magnetico  sono  le  sole,  che  esercitano   un'  azione   diretta 

suir  ago,  laddove  tutte  le  altre  non  operano  che  obìiquamcntc.  e  (piindi  il  loro  ef- 
4o 


Si4 

fftto  è  mitiore,  giacche  giusta  la  legge  del  Biot  1'  azione  di  ciascuna  molecola 
del  filo  su  ciascuna  molecola  australe  o  boreale  dell'ago  è  tanto  minore  quanto 
più  cresce  il  quadrato  della  distanza,  e  quanto  maggiore  è  il  seno  dell'  angolo 
formato  dalla  distanza  stessa  colla  direzione  del  fdo .  Alloraquando  poi  l'ago 
abbia  incominciato  a  muoversi,  tutte  quante  le  porzioni  del  iilo,  nessuna  eccet- 
tuata, non  esercitano  su  di  esso  che  un'  azione  obbliqua. 

Egli  è  per  questo  che  io  credetti  miglior  consiglio  disporre  il  filo  congiuntivo 
in  modo  che  tutte  le  sue  porzioni,  che  vanno  al  di  sopra  o  al  di  sotto  dell'  ago 
calamitato  s' incrocicchiassero  nel  mezzo,  ossia  in  modo  che  vi  fosse  un  tratto 
di  hlo  e  sopra  e  sotto  dell'  ago,  che  riuscisse  parallelo  al  medesimo,  e  nello  stes- 
so piano  verticale  quando  1  ago  è  nella  sua  posizione  naturale,  che  ve  ne  fosse 
un  secondo  tratto,  che  tale  riuscisse  quando  l'ago  è  deviato  p.  es.  di  un  gra- 
do, un  terzo  che  venisse  ad  essere  parallelo  all'ago,  quando  declina  di  tre  gra- 
di, e  cosi  via  via.  In  questa  guisa  operando,  qualunque  sia  la  deviazione  dell'  ago, 
finché  esso  non  si  trovi  fuori  dell'orditura,  vi  sarà  sempre  un  tratto  di  filo  che 
opererà  su  di  esso  con  tutto  quel  grado  di  forza  di  cui  è  suscettibile,  oltre  di 
che  sarà  pure  l'ago  sottoposto  all'azione  obbliqua  di  tutte  le  altre  porzioni. 

«."  Lo  stromento  schweigeriano  non  può  riuscire  il  plìi  opportuno,  ove  tratti- 
si di  misurare  colla  dovuta  precisione  le  declinazioni  indotte  nella  calamita  dal- 
le correnti  elettriche  :  imperciocché  o  si  guarda  la  calamita  dirigendo  1'  occhio 
verticalmente  su  di  essa,  e  l'orditura  del  filo  impedisce  che  si  rilevi  esattamen- 
te di  quanto  declini,  o  si  vuole  guardarla  evitando  che  fra  essa  e  l'occhio  sia  il 
filo  metallico,  e  allora  riesce  difficile  g-iudicare  sulla  declinazione  della  medesl- 
ma:  giacché  movendosi  l'ago  in  un  piano  alquanto  distante  da  quello  su  cui  so- 
no segnati  1  gradi,  se  la  punta  osservata  si  discosta  dall'occhio,  la  visuale  la  fa 
apparire  andar  molto  più  lontano  di  quanto  realmente  va,  e  se  l'ago  muovesi  in 
senso  contrario,  molto  minore  appare  all'occhio  la  deviazione  operata. 

Per  togliere  tale  difetto  credetti  opportuno  di  adattare  la  graduazione  late- 
ralmente all'ago  e  di  collocare  una  setola  fissa  al  centro  dell'aspo  medesimo  la 
quale  movendosi  con  esso  indicasse  le  sue  deviazioni . 

Queste  furono  le  principali  considerazioni  che  mi  indussero  a  costruire  il  gal- 
vanometro  moltiplicatore,  che  mi  è  dato  di  sottoporre  al  giudizio  vostro,  sapien- 
tissimi accademici,  e  che  passo  a  descrivere  brevemente  . 

Il  pezzo  principale  del  mio  stromento  é  un  piccolo  telaio  d'  ottone  lungo  circa 
quattordici  centimetri  e  largo  undici.  Ciascuno  de' lati  maggiori  consta  di  due 
regoli,  inferiore  l'uno,  superiore  l'altro,  che  lasciano  fra  essi  l'intervallo  di  otto 
mllllraetri;  e  gli  altri  due  minori  sono  fatti  di  lastra  d'  ottone  posta  verticalmen- 
te, ed  alquanto  piegata  in  arco  :  e  dovendo  su  questo  passare  il  filo  metallico 
vennero  coperte  esattamente  di  filo  di    seta  all'  oggetto  che  il  filo   congiuntivo 


3i5 
rton  vcnisse'a  oonlallo  coli' ottone,  e  clic  i  vaiil  lialli  del  medesimo  aTCSscro 
a  rimanere  piti  stabilmente  nella  posizione  in  cui  sarebbonsi  collocati . 

Il  filo  di  rame  ricoperto  di  seta,  che  si  usa  negli  altri  galvanometri  ,  quello 
almeno  che  io  ho  potuto  avere,  lo  trovai  sì  fragile  che  non  si  poteva  distendere 
a  dovere  sul  telaio  .  Ho  pertanto  fatto  «so  di  fil  di  rame  inargentato  e  coperto 
di  vernice  :  e  questo  e  come  aggomitolato  sul  telaio  in  modo  che  tutti  i  tratti 
che  riescono  al  di  sopra  o  al  di  sotto  dell'ago  s'incrocicchiano  nel  mezzo. 

Alla  metà  d'uno  de' lati  maggiori  del  telalo  è  raccomandata  una  piccola  asta 
di  ottone,  normale  al  lato  medesimo,  alla  cui  estremità  corrispondente  al  pun- 
to di  mezzo  del  telaio  porta  il  perno  su  cui  si  colloca  1  ago  magnetico.  Que- 
sto è  munito  d'  una  setola  fissa  al  suo  centro  e  formante  angolo  retto  col 
medesimo,  di  maniera  che  le  declinazioni  orientali  o  occidentali  dell'ago  ven- 
gono a  corrispondere  a  declinazioni  australi  o  boreali  della  setola  .  Dcssa  poi 
non  si  estende  se  non  dalla  parte  opposta  dell'  asta  che  porta  1'  ago  ,  essendo 
dall'altra  parte  contrabbilanciata  da  un  pezzeto  di  cera  . 

Al  secondo  poi  de'lati  maggiori  del  telaio  e  applicata  una  striscia  d'avorio 
divisa  in  sessanta  gradi,  trenta  dalla  parte  australe,  e  trenta  dalla  boreale,  ed  in 
modo  che  quando  il  telaio  è  situato  colla  sua  lunghezza  parallela  all'ago  cala- 
mitato, l'estremità  della  setola  corrisponde  alla  metà,  ossia  allo  zero  della  detta 
divisione. 

L'asta  che  porta  r  ago  magnetico  non  è  fissa,  ma  può  ritirarsi  in  modo  da 
portar  l'ago  fuori  dell'orditura  de" fili,  afimchè  si  possa  facilmente  levare  ra2;o 
medesimo  e  sostituirne  altro  più  o  meno  pesante.  Con  che  Tistromento  rendesi 
alto  non  solo  a  dare  indizi!  vaghi,  ma  a  misurare  con  precisione  e  gli  effetti  dì 
una  corrente  voltiana  di  minima  forza,  e  quelli  d'una  corrente  di  forza  notabile . 

L' istromcnto  è  chiuso  in  una  scatola  circolare  di  legno  a  coperchio  traspa- 
rente per  garantire  l'ago  dagli  urti  «lellaria.  I  due  capi  del  filo  moltiplicatore 
sporgono  fuori  della  scatola  per  un  tratto  di  circa  due  jiicdi,  e  le  estremità  so- 
no avvolte  in  foglie  di  stagno  per  poterle  più  agevolmente  applicare  a  contatto 
delle  coppie  elettromotrici  .  f.a  .scatola  è  sostenuta  da  tre  viti  che  servono  a 
livellarla  .  ÌNella  tavola  qui  unita  veggonsi  delineati  il  prospetto,  il  profilo  eia 
pianta  dello  stromento. 


Xr()\  0  (..M  A  AXOMKT  KO    M  01  /l' IP  I  .IC  A  TORE 


DELT   INFINITO 

METAFISICAMENTE  E  MATEMATICAMENTE  CONSIDERATO 

MEMORIA 

DELL'AB.  FRANCESCO  MARIA  CAV.  FRANCESCHINIS 

I-ROFESSORE  DI  MATEMATICA  APPLICATA  E  (JEODESIA 
NELL'I,  R.  UNIVERSITÀ  DI  PADOVA 

MEMBRO   ONORARIO, 


11  soggetto  della  presente  memoria  quanto,  illustri  socii,  è  per  se  stesso  gra- 
ve ed  importante,  altrettanto,  come  suole  av?enire  di  tutto  ciò  che  grandemen- 
te ne  interessa,  arduo  si  è,  e  malagevole  a  trattarsi.  Diffatti  qual  umano,  sia  pur 
quanto  si  voglia  peregrino,  ingegno  potrà  degnamente  e  adequatamente  par- 
lare dell'infinito  ;  il  quale  altronde  si  strettamente  legato  si  mostra  con  1'  origi- 
ne e  col  progresso  delle  nostre  idee,  e  con  la  natura  delle  nostre  affezioni? 
Poiché  la  umana  mente  non  può  nelle  sue  indagini  restarsi,  se  non  giunga  al 
corjcetto  di  un  essere  sapientissimo  infinito,  che  sia  l'autore  di  ogni  cosa:  e  il 
cuor  nostro  vagando  con  Y  affetto  per  tutti  i  creati  oggetti  sente,  che  niuno  di 
essi  può  soddisfare  pienamente  l'innato  desiderio  di  felicità,  il  quale  perciò  ar- 
gomentasi essere  obbiettivamente  infinito.  Che  se  la  importanza  di  formarsi  del- 
l'mfinito  un  giusto  concetto  operò,  che  i  più  chiari  ingegni  lungamente  sopra 
di  esso  meditassero,  la  indicata  difficoltà  di  ben  afferrarne  la  essenza,  e  dichia- 
rarne la  proprietà  di  esso,  fece  che  quelli  in  varie  sentenze  sopra  alcuni  punti 
si  dividessero,  e  non  abbastanza  esattamente  sopra  molti  altri  si  spiegassero; 
talché  puossi  sicuramente  affermare,  che  non  sarebbe  perduta  opera  il  tentare 
di  rischiararne  maggiormente  non  solo  la  idea  principale ,  ma  tutte  quelle  che 
in  qualche  modo  le  sono  affini,  e  sembrano  partecipare  dell'  esser  suo  .  Ora  sif- 
fatto tentativo  da  me  fatto  sarà  il  soggetto  della  presente  memoria,  e  di  altra, 
che  a  questa  succederà  ;  le  quali  al  vostro  giudizio  sottoposte  aspetteranno  tran- 
quillamente da  esso  di  sapere,  se  io  mi  dovrò  in  qualche  pregio  averle,  o  se  do- 
vrò alla  dimenticanza  condannarle  . 

E  perchè  nulla  lasci  in  tale  argomento  a  desiderare  :  cioè  perche  il  consideri 
in  tutti  gli  aspetti,  discorrerò  di  esso  e  come  piace  ai  mctahsici.   e   come  usano 


3i8 

i  matematici .  Ed  acciocché  le  nozioni,  che  io  m'ingegnerò  di  ben  determinare, 
abbiano  dalle  ajiphcazionl  nnova  dilucidazione  e  conferma  farommi  con  la 
scorta  di  esse  ad  esaminare  due  opere,  l' una  delle  quali  è  intitolata  :  DelC  infi- 
nito ereato.,  titolo  che  porta  con  se  la  sua  confutazione,  come  vedremo  ;  1'  al- 
tra :  Del  calcolo  delle  probabilità^  diretta,  a  quel  che  sembra,  a  mostrare  la  pos- 
sibilità dell" attuai  ordine  dell'universo  indipendentemente  da  una  sapienza  or- 
dinatrice :  opera  non  meno  dell'  altra  portante  in  fronte  11  carattere  dell'  assur- 
dità .  Le  quali  opere  dalle  penne  uscirono  (  chi  il  crederebbe  ?  )  di  due  profon- 
dissimi pensatori,  ma  dettate,  come  vedrassi,  da  un  animo  intieramente  tra  lo- 
ro opposto  . 

Comunemente  chiamasi  inhnito  quello,  in  cui  non  si  veggono,  ossia  non  si 
concepiscono  limiti .  Ma  basta  egli  a  dehnire  l' infinito  il  dire  che  nel  concetto 
di  esso  non  entran  limiti  ?  O  non  conviene  inoltre  che  la  idea  che  lo  rappresen- 
ti ne  offra  la  esclusione  reale  di  ogni  qualsiasi  limitazione  ?  Il  non  vedere,  o  il 
non  conoscer  limiti  nel  concepimento  di  qualsivoglia  cosa  vuol  egli  dire  ch'essa 
non  ne  abbia,  o  non  ne  possa  avere  ?  Se  uno  che  non  sapesse  la  terra  nostra 
aver  contini,  dove  camminasse  per  essa  lunghi  e  lunghi  anni  nella  stessa  dire- 
zione senza  vederne  il  fine,  dedurrebbe  egli  perciò  con  sano  giudizio  esser  ella 
infinita  ?  Ma  se  in  qualche  oggetto  presente  all'  animo  vedesse  uno  cliiaramen- 
te,  che  la  natura  di  esso  esclude  necessariamente  ogni  limite,  potrebbe  egli  re- 
star dubbioso  che  tale  oggetto  non  fosse  veramente  infinito?  E  questa  reale 
esclusione  di  ogni  limite  chiaramente  concepita  non  sarà  ella  una  idea  positi- 
va? E  non  sarà  quindi  diversa  da  quella  formata  con  la  successiva  rimozione 
dei  limiti,  la  quale  non  Inchiudc  mal  la  esclusione  reale  e  necessaria  di  ogni  li- 
mite ?  Perciò  se  la  idea  formatasi  a  quel  modo  vorrassi  chiamar  la  idea  dell'  in- 
finito negativa,  non  sarà  per  altro  mal  la  vera  Idea  dell'infinito  stesso. 

Che  se  negasi  aver  noi  la  Idea  dell' infinito  positiva,  perchè  egli  è  impossibile 
che  una  mente  finita  comprenda  l' infinito,  ciò  altro  non  mostra  se  non  che  con- 
fondesi  la  Idea  di  un  oggetto  con  la  comprensione  di  esso  ;  le  quali  due  cose  so- 
no tra  loro  molto  diverse  :  polche  la  comprensione  importa,  che  la  percezione, 
o  la  Idea  della  mente  si  coestenda  In  certo  modo  a  tutta  1'  ampiezza  del  sogget- 
to, dove  la  idea  chiara  e  distinta  di  esso  non  consiste  In  altro,  che  ncll  inten- 
dere, e  nel  rappresentare  la  Idea,  che  ne  costituisce  la  essenza. 

Ma  rifuffcre  ora  la  majririor  parte  de'  filosofi  dal  convenire,  che  la  idea  del- 
l'infinito  sia  in  noi  una  Idea  positiva,  perchè  sentono  essi,  che  non  potrebbero 
derivarla  né  dal  sensi,  ne  dalla  rillessione  al  modo  aristotelico,  o  loklano,  e 
molto  meno  secondo  11  sistema,  che  stabilisce  ogni  maniera  d' Idee,  non  essere 
che  una  sensazione  trasformata ,  Ma  di  ciò  non  è  ora  mio  Intendimento  di  fa- 
yellare . 


\ 


3if) 
Slaljilito  perlanlo,  clic  la  itlea  deli'  infinito  assoluto  inchiudc  necessariamente 
la  reale  e  positiva  esclusione  ili  ogni  limite,  resta  subito  dimostrato,  che  l' infi- 
nito assolato  non  può  aversi  che  nella  pienezza  dell'  essere  ;  cioè  che  non  è  al- 
tro che  l'essere  universale,  ossia  l'essere  senza  restrizione  :  onde  Dio,  che  è 
appunto  questo  essere  infinito,  ben  definì  se  medesimo,  quando  da  Mese  inter- 
rof.-ito  chi  egli  si  fosse,  rispose  senz' altro ,  ^g'o  ^«m  (/iti  siim:  Io  sono  quegli 
che  sono,  cioè  r  essei-e  senza  limitazione  veruna  .  Quindi  saranno  espressioni 
improprie  per  designar  cosa  che  sia  assolutamente  infinita  il  dire  che  è  infinita 
nel  suo  genere,  o  nella  sua  specie  :  poiché  chi  dice  un  genere  o  una  specie  di- 
ce manifestamente  un  limite,  lo  che  distrugge  la  idea  dell'infinito  assoluto. 

Ma  prima  d'inoltrare  nella  considerazione  dell'  infinito  secondo  la  fissata  no- 
zione, cioè  che  non  sia  che  l'essere  senza  restrizione,  gioverà  esporre  quello 
che  di  altre  idee  convicn  dire,  che  hanno  con  esso,  o  sembrano  avere  molta  af- 
finità. E  prima  diremo  delle  idee  universali,  le  quali  ne  conducono  all'idea 
dell'  indefinito  e  dell'  indeterminato  . 

Pensano  non  pochi  metafisici,  che  noi  considerando  in  molte  idee  singolari 
quello  eh'  esse  hanno  di  comune,  prescindendo  da  quello  ch'esse  hanno  di  pro- 
prio, ci  formiamo  le  idee  universali .  Cos\  dove  in  un  pioppo,  in  un  frassino,  in 
un  lauro,  od  anche  in  un'  erba,  in  un  Gore  io  non  consideri  che  ciò  che  trovasi 
aver  luogo  allo  stesso  tempo  in  ciascuno  di  quegli  oggetti  mi  formo  la  idea  uni- 
versale del  vegetabile  .  Lo  stesso  dicasi  dell'  idea  universale  dell'  uomo,  che 
in  me  si  desta  dal  considerare  in  Tizio,  in  Cajo,  in  Cesare,  in  Antonio,  quello 
che  veggo  apiiartcncre  a  ciascuno,  cioè  1'  animalità   unita  alla  razionalità. 

Altri  poi  dei  metafisici  e  de'  più  gravi,  cominciando  da  Platone,  cui  seguitò 
con  molti  altri  sant'Agostino  e  sant' Anselmo,  metafisici  sommi,  indi  Cartesio, 
Malebranchio,  e  non  pochi  altri  de' più  solenni  tra' moderni,  hanno  pensato  che 
le  idee  universali  e  le  essenze  delle  cose  sussistessero  non  solo  negli  animi  no- 
stri in  quanto  da  noi  si  concepissero:  ma  fuori  anche  di  noi,  e  prima  che  si  con- 
cepissero, né  fossero  ristrette  da  luo^o,  né  da  tempo  :  "  alle  quali,  come  dice  il 
5»  Zanolti  (  Filos.  mor.  parte  /,  e.  5  ),  rivolgiamo  lanimo  per  un  avviso  che  ne 
«  danno  gli  oggetti  singolari,  secondo  che  a  noi  si  presentano,  onde  ci  pare  di 
«  trarle  e  di  pigliarle  da  essi  :  ma  le  abbiamo  d'altronde  " .  Comunque  poi  in 
noi  si  trovino  queste  idee  universali  sembrami  doversi  di  esse  stabilire  due  co- 
se. La  prima,  che  non  sono  altrimenti  una  confusa  percezione  di  molti  partico- 
lari, come  volevano  Spinoza  ed  Obbesio,  ed  in  seguito  anche  \^olfio,  e  molti 
altri,  senza  forse  avvedersi  della  malizia  di  quei  due  primi,  che  dietro  siffatto 
pensamento  volevano  escludere  dalla  intelligenza  divina  le  idee  universali,  e 
quindi  le  idee  archetipe  :  appunto  perchè  fondate,  secondo  la    loro  tlefinizione, 


320 

sopra  un  imperfelto  modo  di  concepire  ;  e  quindi  indegna  di  Dio  ;  la  seconda 
che  non  sono  un  mero  nulla,  come  espressamente  afferma  il  Condillac . 

E  primieramente  distinguerò  con  Gerdil  (  Orig.  del  senso  mor.  §.  ^3.  )  due 
classi  d  idee  universali  .  La  prima  si  è  di  quelle  idee  che  ne  presentano  una  for- 
ma o  qualità  in  quanto  è  applicabile  a  molti  soggetti:  e  la  seconda  <li  quelle  in 
cui  si  considera  un  soggetto,  in  quanto  è  suscettibile  di  pili  forme  o  qualità  dif- 
ferenti .  La  idea  universale  del  triangolo  equilatero  è  del  primo  genere,  quella 
della  figura  in  generale  è  del  secondo.  Dirassi  che  queste  non  siano  per  se  stes- 
se idee  chiare  e  distinte  l  E  vorrassi  che  la  prima  non  sia  che  una  confusa 
percezione  di  molti  triangoli  equilateri,  e  la  seconda,  ossia  la  estensione  figura- 
bile, non  sia  che  una  confusa  percezione  di  tutte  le  forme,  o  di  tutte  le  ligure 
ch'essa  può  prendere? Che  se  la  idea  del  triangolo  equilatero,  e  quella  della  esten- 
sione figurabile  sono  per  se  stesse  non  solo  chiare  e  distinte,  ma  semplicissime, 
come  diverranno  esse  universali  ?  Non  in  altro  modo,  se  non  per  lo  intendere,  o 
concepire  che  sono  applicabili  ad  un  numero  senza  fine,  la  prima  di  soggetti 
e  la  seconda  di  forme  :  e  la  idea  di  questa  applicabilità  unita  all'  idea  di  quel- 
lo che  costituisce  la  essenza,  o  la  idea  del  triangolo  equilatero,  o  della  figura 
in  generale,  applicabilità,  che  chiaramente  si  concepisce,  rende  le  suddette  idee 
universali .  E  come  la  mente  non  può  abbracciare  che  imperfettamente,  e,  se  si 
vuole,  che  confusamente  il  numero  dei  soggetti  e  delle  forme,  a  cui  quel  sog- 
getto o  quella  forma  si  estende,  così  si  volle  far  credere  che  le  idee  universali 
non  fossero  che  una  confusa  percezione  di  molti  particolari,  e  perciò  indegne  di 
Dio.  Ma  non  le  idee  universali,  al  modo  che  dichiarate  le  abbiamo,  arfromento 
sarebbero  d'imperfetto  modo  d  intendere:  ma  sibbene  quelle  di  precisione,  con 
cui  da  taluni  voglionsi  le  universali  confondere  :  le  idee  cioè  delle  qualità  che 
staccansi  in  certa  guisa  con  la  mente  da  altre,  con  cui  sono  essenzialmente 
connesse,  onde  poterle  più  distintamente  considerare,  come  costumano  i  geo- 
metri, ì  quali  nell'idea  del  solido  che  componesi  della  triplice  dimensione,  tut- 
toché le  tre  dimensioni  non  possano  divisamente  sussistere,  ora  fissano  latten- 
zion  loro  sopra  due,  ed  ora  sopra  di  una  sola,  prescindendo  dalle  altre  per  po- 
ter meglio,  attesa  la  limitazione  della  umana  intelligenza,  dedurre  prima  le  pro- 
prietà delle  linee,  poi  delle  superficie,  e  quindi  dei  solidi  stessi . 

Sarà  poi  strana  opinione,  per  non  dir  altro,  quella  di  farsi  a  credere,  che  le 
idee  universali  sieno  un  mero  nulla,  ossia  che  non  abbiano  realità  alcuna  indi- 
pendentemente da  quella  delle  cose  particolari.  Il  termine  reale  può  avere  dop- 
pia significazione;  cioè  o  prendesi  per  opposizione  al  niente,  o  si  adopera  per  si- 
gnificare la  esistenza  propriamente  detta .  Se  prendasi  nel  primo  senso,  e  di- 
casi reale  con  la  maggior  parte  dei  metafisici,  tutto  quello  a  cui  corrisponde  una 


321 

nozione,  le  idee  universali  non  saranno  altrimenti  nulla  fli  reale,  poiché  hanno 
una  nozione  che  le  ra|)presenla  .  Che  certo  niuno  dirà  di  concepir  nulla,  ossia 
di  non  aver  nulla  di  presente  allo  spirito,  quando  contempla  la  idea  universale, 
o  la  essenza  del  triangolo  equilatero,  o  quando  la  estensione  considera,  in  quan- 
to è  suscettibile  di  prendere  ogni  maniera  di  ligure.  Distinguendo  poi  la  doppia 
maniera  «li  essere,  che  può  convenire  alle  cose,  l'uno  intelligibile  ed  obbiettivo, 
l'altro  subbiellivo  e  di  propriamente  detta  esistenza,  concedendo  al  Condillac 
che  alle  idee  universali  non  compete  la  esistenza  propriamente  detta,  anzi  af- 
fermando, ohe  non  la  possono  avere  ;  giaccliè  tutto  quello  che  esiste  deve  esse- 
re determinato  e  parlicolare,  e  quindi  concedendo  che  non  sono  in  questo  senso 
reali,  sostenghiamo  aver  esse  un  essere  obbiettivo  e  intelligibile,  e  perciò  rea- 
le, non  altrimenti  che  i  possibili  tutti  e  le  essenze  delle  cose,  le  quali  se  non 
avessero  una  realità,  non  si  sa  come  le  cose  esistenti  subbiettivamente  avessero 
potuto  esser  lormate.  Ne  i  j)iìi  sani  metalisici  parlaron  mai  delle  cose  puramente 
possibili,  come  di  cose  subbiettivamente  esistenti,  ma  solo  come  di  quelle  che 
essendo  intelligibili  hanno  un  essere  obbiettivo  pel  quale  le  dicono  reali  .  Per- 
ciò alla  domanda  che  il  Condillac  si  fa  :  n  Dov'erano  le  creature  prima  che  Dio 
5>  le  avesse  create  "  ?  non  risponderemo  già  con  esso  lui  :  «  La  risposta  è  facile  : 
»  perchè  è  lo  stesso  che  domandare  dove  erano  prima  che  fossero  ?  Al  che  ba- 
5)  sta  rispondere,  che  non  erano  in  alcuna  parte  " .  Ma  diremo  eh'  esse  emi- 
nentemente esistevano  di  un  rao<lo  obbiettivo  ed  intelligibile  nella  intelligen- 
za infinita,  e  ili  un  modo  perciò  reale,  e  che  erano  pure  gli  esemplari  o  le  idee 
archetipe  delle  cose  medesime  alla  esistenza  ridotte  dalla  onnipotenza  divina  . 
Che  se  egli  vuole  che  in  noi  sia  prima  la  idea  dell'esistenza  delle  cose,  che  nun 
quella  della  loro  possibilità:  ciò  non  sarà  mai  nell'  ordine  assoluto  delle  cose 
stesse,  poiché  l'essere  intelligibile  ed  obbiettivo,  ossia  di  possibilità  deve  prece- 
dere quello  di  esistenza  propriamente  detta:  giacche  quelle  cose  solo  possono 
ricevere  la  esistenza  subbiettiva,  che  hanno  1'  essere  obbiettivo  o  d' intelligibi- 
lità, cioè  che  sono  possibili,  i  quali  non  sono  che  gli  archetipi  delle  medesime, 
e  sarebbe  così  strano  il  dire  che  Dio  creasse  cose  di  cui  non  avesse  nella  sua 
intelligenza  leseroplare  o  l'archetipo,  come  che  uno  statuario  facesse  un  o-run- 
po  di  più  statue,  senza  averne  concepita  antecedentemente  la  idea  e  la  composi- 
zione .  Ne  la  difficoltà  di  ben  definire  l'esistenza  propriamente  detta,  è  ragione 
bastante  per  togliere  ogni  realità  ai  possibili  :  né  devesi  confondere  la  possibilità 
astratta,  che  può  dirsi  esser  ciò  che  non  implica  contraddizione,  con  le  cose  pos- 
sibili, poiché  la  idea  possìbile  del  triangolo  equilatero  rettilineo  non  solamente 
comprende  la  idea  negativa  di  non  implicar  contraddizione  :  ma  presenta  una 
realità  positiva,  cioè  d  concetto  di  uno  spazio  chiuso  da  tre  linee  rette  eguali . 

4' 


322 

Ma  la  esislt-nza  obbiettiva  delle  idee  universali  è  cosi  da  ciascuno  di  noi  sen- 
tita, che  non  è  che  per  esse,  che  noi  giudichiamo  e  ragioniamo  delle  cose  in 
oo-ni  o-enere,  e  che  le  scienze  si  formano  e  le  arti:  mentre  non  è  che  connetten- 
dovi  in  esse  molte  idee  particolari  si  fanno  per  così  dire  i  diversi  corpi  delle 
scienze  ed  arti  diverse  .  Riflettendo  sulle  proprie  interne  operazioni,  come  av- 
verte Gcrdil  (  Orig.  del  senso  mor.  ),  e  sugli  oggetti  di  esse  acquistiamo  noi 
le  idee  astratte  universali  dell'unità  e  della  distinzione  o  pluralità  :  quelle  della 
identità  e  diversità,  della  somiglianza  o  della  dissomiglianza,  del  più  e  del  me- 
no: e  puossi  aggiungere  quelle  dell'ordine,  della  perfezione,  del  giusto,  dell'in- 
giusto, dell'onesto  e  del  turpe,  che  esprimono  l  sommi  generi  delle  cose  tra  di 
loro,  e  con  noi,  le  quali  tutte  inchiudono  un  qualche  aspetto  d  infinità,  essendo 
tutte  applicabili  ad  una  moltitudine  indeterminata  o  di  soggetti,  o  di  modi,  o  di 
azioni.  E  di  quelle  cose  molte  cose  mi  si  affacciano  degne  di  essere  avvertite, 
delle  quali,  per  non  disviarmi  dal  soggetto  principale,  non  ne  accennerò  che  due 
delle  più  generali:  la  prima  delle  quali  si  è,  che  quelle  idee  o  forme  universali 
regolano  e  determinano  per  modo  i  nostri  giudizii,  che  noi  delle  affezioni  delle 
cose  particolari  giudichiamo  sempre  per  un  tacito  confronto,  che  noi  facciamo 
delle  qualità  delle  cose  pai'licolari  con  quelle  forme  o  idee  universali  che  in  noi 
sono,  in  qualunque  modo  vi  entrassero  o  si  formassero  .  Così  confrontando  due 
cose  fra  loro  per  conoscere  se  sieno  eguali  o  simili,  o  diverse,  secondo  quel 
rispetto,  per  cui  le  paragono,  applico  a  ciascuna  la  nozione  dell'egnaglianza, 
della  somiglianza  o  della  diversità;  e  da  questa  comparazione  ne  deduco  se  sia- 
no eguali  o  slmili,  o  diverse,  e  sino  a  qual  punto .  Così  avviso,  che  ordinate  o 
no,  diciamo  le  cose,  e  più  o  meno  perfette  :  perchè  appunto  abbiamo  le  Idee 
del  più  o  meno  perfetto.  Ora,  secondo  san  Tommaso  {pag-  i,  ques.  2,  art.  2), 
noi  non  conosciamo  il  più  e  il  meno  perfetto,  che  riferendolo  al  sovranamente 
perfetto.  Poiché,  dic'egli,  delle  cose  diverse  diconsi  il  più  e  il  meno  secondo 
che  si  accostano  a  qualche  cosa  che  lo  sia  massimamente ,  Lo  stesso  bassi  da 
sant'Agostino,  da  Cartesio,  da  Malebrancbio,  da  Gerdil,  ed  altri  sommi  metafi- 
sici moderni:  nonché  dagli  antichi  Platone,  Aristotile  ed  altri.  In  secondo  luo- 
go avvertiremo  quelle  idee  esser  rigorose,  immutabili  e  costanti ,  tuttoché  alle 
volte  ne  sembrino  inesatte,  variabili  ed  arbitrarie .  Vogliono  1  materialisti  che 
la  nozione  astratta,  per  esempio,  dell'  eguaglianza  che  si  ricava  (  e  ciò  si  con- 
ceda )  dalla  sensazione  dei  due  angoli  che  forma  una  linea  condotta  sopra  di 
un'  altra  perpendicolarmente,  e  descritte  ambedue  con  matita  o  con  inchiostro, 
non  sia  essa  pure  che  un  prolungamento  della  sensazione  da  cui  fu  astratta  . 
Ma  nella  idea  della  eguaglianza,  come  in  quella  dell'  unità  ec.  matematicamente 
dimostrasi  non  potervi  essere  del  più  e  del  meno .  Ora  se  1'  eguaglianza  o  l'uni- 
tà Ideale  fosse,  dice  Gerdil  {dis.  del.  man.  di  spieg.  gli  atti  intellettuali).,  affé- 


ìli 
zione  tli  organo  corporeo,  non  potrebbe  esser  la  medesima  in  soggetti  differen- 
ti, e  ilovrebbe  necessariamente  soggiacere  a  differenze  di  pili  e  di  meno,  co- 
me avviene  di  tutte  le  sensazioni .  INIa  le  idee  di  eguaglianza,  di  unità,  ec.  sono 
rigorosamente  e  in  tulli  le  medesime.  Dunque,  ec.  JNè  perchè  si  astraessero 
dalle  sensazioni  ne  seguirebbe  eh'  esse  pure  esser  dovessero  sensazioni .  «  Si 
r>  estrae,  dice  il  citato  autore,  luce  dalla  percossa  dell' acciajo  e  della  pietra  fo- 
«  caja  :  ne  da  ciò  segue  che  la  luce  sia  in  se  stessa  percossa,  o  particella  di 
«  pietra  focaja  e  di  acciajo  "  . 

Egli  è  poi  da  meravigliarsi  grandemente,  che  si  riproducessero  in  questi  ultimi 
tempi  contro  le  matematiche  alcune  delle  viete  accuse  già  prodotte  da  Sesto 
Empirico,  e  rinovate  principalmente  da  Obbcsio,  e  ciò  da  uomini  grandissimi: 
non  già  contro  la  loro  certezza,  ma  in  qualche  modo  contro  la  loro  solidità,  at- 
tribuendo il  pregio  della  evidenza  di  cui  si  vantano  all'  esser  esse  una  scienza  di 
mera  creazione  dui  matematici  stessi,  e  puramente  arbitraria  .  Così  tra  gli  altri 
il  Plinio  della  Francia  e  il  sig.  Beguelin  accademico  di  Berlino;  i  quali  vollero 
far  credere,  che  le  verità  geometriche  non  sieno  in  se  stesse  reali,  ma  di  pura 
definizione,  e  sup|)osizione  arbitraria  :  e  che  a  questo  si  debba  che  le  matemati- 
che scienze  sieno  suscettibili  di  maggior  evidenza,  che  non  quelle  di  altre  par- 
ti della  filosolia  ,  perchè  creansi  essi  gli  oggetti,  sui  quali  si  esercitano,  e  si 
fanno  essi  delle  definizioni  a  piacere  ;  dove  negli  altri  rami  della  filosofia  si  con- 
siderano gli  oggetti  come  sono  in  se  stessi  :  perciò  disputando  due  fisici,  o  due 
melafisici  tra  di  loro,  accaderà  soventi  volte,  che  uno  rifiuti  le  definizioni  del- 
l' altro  .  Ma  dicendo  prima  dell'  oggetto  dei  geometri ,  che  si  è  l' idea  indeter- 
minata o  indefinita  dello  steso  in  (pianto  è  figurabile  ;  non  è  già  tale  idea  idea 
di  formazione,  ma  iilea  derivata  in  noi  dalla  sensazione,  e  come  tale  contiene  in 
sé  stessa  determinazioni  essenziali,  che  lo  spinto  non  può  in  alcun  modo  altera- 
re; poiché  viene  così  determinata  dalla  triplice  dimensione,  che  non  può  aver- 
ne ne  più,  ne  meno:  e  le  proprietà  che  in  siffatta  idea  scuoprono,  e  deducono  i 
geometri  tanto  hanno  di  realità,  e  così  lontane  sono  dall'essere  arbitrarie,  che 
rappresentano  lo  stato  reale  delle  cose,  coiie  vedesi  nell'applicazione  della 
geometria  all'  agrimensura,  alla  meccanica,  e  alle  arti  e  mestieri  diversi.  Quello 
poi,  che  all'arbitrio  concedcsi  del  geometra,  si  !"  il  consideri^re  nell'idea  unifor- 
me dello  steso  uno  spazio  chiuso  da  tre  lince,  anziché  da  quattro  o  da  cinque., 
e  il  farlo  altrui  conoscere  per  via  di  una  definizione  nominale:  ne  potrebbe  già 
egli  proporsi  davanti  agli  occhi  il  triangolo,  il  quadrato,  il  pentagono  ec.  se  que- 
sti non  si  contenessero  nella  idea  dello  steso  come  modi  o  determinazioni,  se 
non  attualmente  esistenti,  almeno  come  possibili,  e  perciò  reali .  A  parlare  esat-" 
tamente,  dice  Gerdll,  ne  il  geometra,  né  l'aritmetico  non  creano  altrimenti  gli 
oggetti,  dei  quali  si  occupano:  ma  conviene  che  1'  uno  e  l'altro  li   tragga  dalla 


32i 

iiatiir.-i  (Ielle  cose,  cioè  dalle  determinazioni  possibili  dell' estensione,  come  so- 
pra si  disse,  e  dei  numeri .  Il  geometra,  clie  componesse  delle  definizioni,  che 
ninna  relazione  si  avessero  con  gli  oggetti  reali,  non  ne  darebbe  che  dei  sogni  e 
delle  chimere.  Il  vantaggio  poi  che  ha  la  geometria  sulle  altre  parti  della  filosofia 
si  è  il  poter  sciegliere  nelle  determinazioni  della  estensione  quelle  che  a  lui  pm 
giovano  per  isviluppare  quelle  relazioni,  che  il  conducono  a  stabilire  i  suoi  teo- 
remi: come  dall' altro  canto  sarà  debitore  dell  evidenza,  che  la  segue  in  quasi 
tutti  i  suoi  passi  non  meno  che  1  aritmetica  e  l'algebra,  all'fssere  il  loro  oggetto, 
cioè  la  quantità  continua  e  discreta,  suscettibile  di  una  infinità  di  determinazioni 
e  combinazioni,  che  presentano  delle  idee  semplici  perfettamente  determinate,  e 
di  cui  è  molto  più  facile  il  coglierne,  e  seguirne  le  relazioni:  dove  gli  oggetti 
delle  altre  scienze  naturali  ne  conducono  il  più  delle  volte  a  delle  idee  comples- 
se che  inohiudono  gran  numero  d' idee  semplici  non  facdi  ad  esser  conosciute, 
e  molto  meno  ad  esser  determinate  nelle  mutue  loro  relazioni,  e  che  non  hanno 
il  più  delle  volte  il  vantaggio,  che  hanno  le  idee  matematiche  di  esser  soccorse 
dalla  immaginazione  . 

Similmente  male  avviserebbe,  chi  le  idee  universali  ed  astratte  dell'  ordine, 
della  perfezione,  dell'  onestà,  della  giustizia,  le  dicesse  fittizie  ed  arbitrarie:  per- 
chè nelle  idee  da  quelle  derivate  scorgesse  qualche  cosa  di  non  ben  detcrmina- 
to, ed  in  tutti,  che  le  hanno  di  non  uniforme,  anzi  alle  volte  di  contrario  .  Poi- 
ché distinguendo  le  idee  primigenie  e  universali,  dalle  derivate  e  particolari, 
non  è  dubbio  che  le  prime  non  sieno  in  tutti  mai  sempre,  e  costantemente  le 
medesime,  ne  variarsi  mai  per  vicissitudine  alcuna,  ne  per  distanza  di  luogo  o 
di  tempo:  e  quindi  non  abbiano  una  realità,  ed  un  essere  dal  nostro  arbitrio  in- 
dipendente .  E  certo  come  in  ogni  tempo  in  ogni  luogo  da  tutti  gì'  intelletti  si 
concepì  sempre,  e  si  concepisce  tuttavia  la  somma  dei  tre  angoli  di  un  triango- 
lo eguale  a  due  retti,  cosi  tutti  dissero,  e  diranno  mai  sempre,  che  il  concetto 
dell'ordine  gli  presenta  una  unità  nella  varietà,  e  che  la  giustizia  sta  nel  dare 
ad  oo^nuno  il  suo;  onde  ben  disse  Montesquieu,  che  prima,  che  vi  fossero  delle 
lego-1  fatte  eranvi  delle  relazioni  di  giustizia  possibili  :  cosicché  chi  dicesse  che 
non  vi  ha  niente  di  giusto  o  d'ingiusto,  che  quello  che  ordinano  o  proibiscono 
le  leggi  positive,  è  quanto  dire,  che  prima  che  fosse  tracciato  un  cerchio  tutti  i 
rao-o-l  non  erano  ecruali.  Che  se  addiviene  alle  volte,  che  sulla  criustizia  o  la  in"-iu- 
stizia  di  una  lite,  o  sull'  onestà  o  non  onestà  di  un'  azione  non  si  convenga:  an- 
zi parlando  dell'  onestà,  se  accade  che  alcune  cose  presso  alcune  nazioni  si  cre- 
dessero oneste,  che  da  altri  popoli  stimavansi  turpi,  ciò  non  vuol  dire,  che  quel- 
le prime  generali  idee  o  sentimenti  non  fossero  in  tutti  comuni  :  ma  solo  che 
ne'principii  rimoti  o  nelle  massime,  che  derivansi  ragionando  dal  priucipii  primi 


323 

possono  gli  uomini,  ciascuno  a  suo  modo  ragionando  e  secondanilo  delle  parti- 
colari prevenzioni,  rcnire  in  contrarie  sentenze .  E  come  appunto  di  due  orato- 
ri, che  slimano  sinceramente  in  una  causa  aver  ciascuno  la  giustizia  dalla  sua, 
non  si  diri  mai  eh'  essi  abbiano  una  idea  tra  loro  diversa  della  giustizia  in  ge- 
nere; COSI  dirassi  la  nozione  generale  dell'onesto  e  del  turpe  non  essere  in  co- 
loro diversa,  che  credono,  diversamente  ragionando,  la  tal  azione  particolare 
r  uno  turpe,  e  l'altro  onesta.  Similmente  se  alcuni  pensano  talvolta  ima  tal  di- 
stribuzione di  cose  disordinata,  che  ad  altri  sembrerà  ordinala,  ciò  avverrà  per- 
chè gli  uni  la  vorrebbero  ordinata  di  un  modo.,  gli  altri  di  un  altro.  Così  quelli 
che  amando  che  in  una  biblioteca  fossero  i  libri  distribuiti  per  ordine  di  mate- 
rie, chiamerà  disordinata  quella,  in  cui  non  vedesse  1  libri  distribuiti  secondo  il 
modo,  che  a  lui  piace  :  ma  invece  11  vedesse  disposti  secondo  la  legge  o  dei 
tempi,  o  delle  nazioni,  o  della  forma,  o  grandezza  dei  volumi  :  ma  non  perciò  di- 
rà mai  non  esservi  ordine,  dove  vedrà  una  varietà  di  cose  condotte  da  una  leg- 
ge comune,  anzi  dirà,  la  biblioteca,  quando  conosca  il  principio,  che  ne  deter- 
minò la  collocazione,  essere  bensì  ordinata:  ma  quell'ordine  non  piacergli.  Quin- 
di dalla  diversità  dei  giudizi!  non  trarrebbesi  mai  argomento  di  dubitare  della 
realilà  e  della  costanza  de  principii,  che  li  determinano,  dove  si  volesse,  o  si 
sapesse  separare  nelle  cose  e  nelle  arti,  principalmente  sia  di  p-oduzione  sia 
d' imitazione,  quello  che  è  fisso  e  inalterabile,  da  quello  che  è  mutabile  ed  ar- 
bitrario . 

E  per  (hre  ora  alcuna  cosa  dell'  indeterminalo  e  dell'  indefinito,  che  son  pu- 
re nozioni,  che  con  quelle  dell'infinito  si  associano,  e  ricordato,  che  desse,  co- 
me 1' universale  altro  essere  non  hanno ,  che  r  intelligibile  ed  obbiettivo,  ne 
gioverà  dalle  matematiche  ripeterne  la  dichiarazione.  E  cominciando  dall'idea 
della  quantità  universale,  che  in  se  comprende  tutto  quello,  che  è  suscettibile 
di  accrescimento  e  di  diminuzione  oltre  ogni  termine  assegnabile,  riconosciamo 
in  tale  idea  ([uelle  inchiuse  dell' indeterminalo  e  dell'indefinito:  polche  la  idea 
della  quantità  universale  non  si  limita  ad  alcuna  specie,  ne  ad  alcun  modo  di 
quantità  .  Dall'  altra  parte  supponendo  una  quantità  qualunque  secondo  la  sua 
natura  crescere  in  qualsiasi  maniera,  o  diminuirsi  senza  che,  astrattamente  par- 
lando, si  possa  un  limite  concepire  nel  progresso  dei  suoi  incrementi  o  de'  suoi 
decrementi,  oltre  il  quale  non  possa  progredire,  mi  formo  la  idea  dell'indefinito 
o  dell'infinito  in  potenza  .  E  1' infinito  attuale  matematico  non  si  concepisce, 
che  come  un  limite  dei  rapporti  crescenti,  al  quale  possono  sempre  più  accostar- 
si senza  mal  arrivarvi  :  come  lo  zero  si  prende  come  il  limite  dei  rapporti  sem- 
pre decrescenti,  e  sempre  ad  esso  zero  accostantisi  senza  che  mai  il  ran-iriunn-a- 
no.  Parmi  poi  non  bene  definisse  l'Eulero  la  quantità  universale,  dicendo,  ch'es- 
sa, olire  1  numeri  di  qualunque  sorta,  comprendesse  anche  l' infinito   e  Io  zero, 


326 

e  gì'  immaginarii  :  poiché  la  quantità  universale  uel  suo  astratto  concetto  non 
potrà  mai  contenere  se  non  delle  quantità:  e  lo  zero  e  l' inlmilo,  e  molto  meno 
gì' immaginarli  non  sono  quantità  in  verun  modo:  oltre  di  che,  se  pur  le  dette 
espressioni  o  valori  vi  entrano  nelle  formole,  non  meno  che  le  quantità  negati- 
ve, le  quali  pure  isolatamente  prese  sono  impossibili,  ciò  non  è  che  in  seguito 
delle  operazioni,  che  sopra  le  quantità  e  i  numeri  si  fanno  . 

Al  modo  di  considerare  le  quantità  come  cognite  e  come  Incognite  si  aggiun- 
se quello  di  considerarle  come  variabili  e  come  costanti  ;  distinzione,  che  non 
dalla  natura  generale  delle  quantità,  ma  dal  modo  si  tragge  con  cui  vengono  le 
quantità  considerate  nelle  questioni  e  problemi  che  si  propongono.  I  problemi 
indeterminati  sembra  ne  aprissero  la  strada  a  considerar  le  quantità  come  va- 
riabili; nei  quali  problemi  inchiudendosi  in  una  equazione  due  incognite,  1"  una 
di  esse  poteva  ricevere  tutti  i  valori  dipendenti  dalla  indeterminata  variabilità 
dell'  altra  .  Come  la  maniera  di  considerare  le  quantità  in  quanto  variabili  ne 
portò  a  quella  di  formar  varii  ordini  d' infiniti  e  d'inliniteslinl  matematici,  quan* 
do  se  ne  ammetta  una,  o  per  meglio  dire  varii  ordini  di  quantità  che  crescano 
o  decrescano  oltre  qualunque  quantità  assegnabile:  giacche  è  certo  che  in  una 
equazione  o  funzione  di  più  variabili  la  funzione  stessa  conterrà  valori  infinita- 
mente infiniti:  e  ciò  a  più  ordini  secondo  il  numero  delle  variabili:  giacche 
ognuna  diventa  quantità  universale  :  e  secondo  altresì  la  potenza  a  cui  saranno 
le  quantità  suddette  elevate.  Lo  stesso  dicasi  degl'infinitesimi  . 

Il  metodo  del  coefficienti  indeterminati  si  è  quello,  a  parer  mio,  che  aperse  il 
primo  la  strada  all' analisi  sublime,  appunto  promovendo  e  coltivando  la  idea 
dell  indeterminato  .  Ognun  sa  che  per  esprimere  il  valore  di  una  funzione,  se 
lìnsrasi  una  serie,  in  cui  ogni  termine  abbia  un  coefficiente  indeterminato,  la 
quale  ascenda  secondo  le  potenze  della  incognita  e  variabile,  in  grazia  dell"  as- 
soluta indeterminazione  della  variabile  ridotta  l'equazione  tra  due  pohnomii 
eguale  a  zero,  non  può  dessa  verificarsi,  senza  che  ciascun  termine  non  sia  se- 
paratamente eguale  a  zero,  appunto  perchè  1'  assoluta  indeterminazione  esclu- 
de qualunque  relazione  tra  di  essi:  lo  che  ne  dà  il  modo  di  procurarci  tante 
equazioni,  quanti  sono  i  suddetti  coefficienti,  dalle  quali  nasce  la  determinazio- 
ne del  coefficienti  medesimi,  e  quindi  di  tutta  la  serie  .  Farmi  quindi  che  11  ca- 
so contemplato  da  Gregorio  Fontana  {Disqiiis.  XII.  Phjs.  Matli.  ),  il  quale 
indurrebbe  una  limitazione  nel  metodo  dei  coefficienti  indeterminati,  non  si  com- 
prenda nel  metodo  medesimo  sino  che  la  variabile  sta  nella  sua  piena  ed  asso- 
luta indeterminazione:  ma  che  appunto  così  quel  caso,  come  altri  che  si  trova- 
no nella  serie  dello  sviluppo  delle  funzioni  secondo  il  metodo  delle  funzioni 
analitiche,  quando  nella  variabile,  o  nella  forma  della  funzione  s  introduce  qual- 
che cosa  che  restringa  in  qualche  modo  la  pienezza  della  indeterminazione. 


Dell'  idea  ilccTindelcriTrmatJ  giorossi  fLlicemente  il  Carnet  nello  spiegare  i 
nrincipii  metafisici  dei  nuovi  calcoli  suLlinii ,  conrie  vedrassi  nella  memoria  se- 
gnentc,  nella  quale  esaminerò  le  principali  maniere  diverse,  sotto  le  quali  mol- 
ti illustri  matematici  ce  li  hanno  presentali,  e  non  lasciano  pur  anco  di  consi- 
derarli . 

Intanto,  per  giungere  a  ben  determinare  la  idea  dell'infinito  assoluto,  dimo- 
strerò non  poter  questo  aver  luogo  nella  quantità  ;  ed  in  ciò  giovcrcmmi  delle 
cose  scritte  da  Maclaurin  e  da  Gerdil:  le  quali  consistono  principalmente  nella 
dimostrazione,  che  una  serie  di  numeri  naturali,  co'  quaH  numeri  astratti  può  de- 
signarsi qualuntpe  moltitudine,  o  serie  di  cose  sì  successiva,  che  permanente, 
non  può  divenire  attualmente  infinita  .  Difatti  la  serie  de' numeri  naturali,  che 
comincia  dall'unità,  e  va  con  tal  legge  che  il  numero,  che  segue,  non  sorpassa 
r  antecedente,  die  di  una  unità,  se  divenisse  infinita,  dovrebbe  darsi  in  essa  il 
passaggio  dal  finito  all' infinito,  cioè  dopo  un  termine  finito  dovrebbe  trovarsi 
quello,  che  divenuto  fosse  infinito;  ma  un  termine  qualunque  non  sorpassa  l'an- 
tecedente, che  di  una  unità  :  dunque  il  finito,  aggiungendovi  ad  esso  la  unità 
diventerebbe  infinito.  Che  se  invece  di  un  termine  si  prendesse  la  somma  di 
molli,  o  di  tulli  i  termini  antecedenti,  come  questa  sarebbe  sempre  finita,  ritor- 
nerebbe sempre  lo  stesso  argomento;  ciò  che  dovrebbe  darsi  il  passeggio  dal 
finito  all'infinito:  e  che  questo  farebbesi.con  l'aggiungere  al  finito  la  unità.  Ne 
r  argomento  verrebbe  meno  col  dire  che  fondasi  sull'idea  dell  infinito,  idea  per 
lo  meno  inade(|uata  e  confusa.  Poiché  quantunque  per  le  cose  dette  siffatta  idea 
non  sia  altrimenti  tale,  la  esposta  dimostrazione  non  ha  tampoco  bisogno  di  no- 
minar 1  infinito:  perchè  tutta  sta  nella  legge  che  conduce  quella  serie,  la  quale 
si  è  che  ogni  termine  non  sorpassi  l'antecedente  che  di  una  unità,  dal  che  ne 
segue,  che  non  potrà  mai  cessare  di  essere  finita:  lo  che  è  quanto  dire,  che 
non  potrà  mai  divenire  infinita:  e  questa  dimostrata  impossibilità  di  una  serie  di 
termini  attualmente  infinita  vale  egualmente,  se  questa  serie  risulti  dalla  posi- 
zione simultanea  di  questa  infinità  di  termini,  o  se  compongasi  della  posizione 
successiva  di  questa  stessa  quantità  di  termini,  che  supporrebbonsi  essere  gli 
uni  agli  altri  succeduti  :  essendo  evidente  che  il  numero  considerato  in  sé  stes- 
so risulta  egualmente  dalla  posizione  successiva,  che  dalla  posÌ2Ìone  simultanea 
dei  termini  che  lo  compongono. 

Ora  se  la  materia  è  quantità  o  grandezza,  non  potrà  mai  essere  infinita.  Può 
quindi  questo  principio  applicarsi  a  dimostrare  che  la  materia  non  può  essere 
da  se  :  perchè  dove  fosse  da  sé,  avrebbe,  come  la  esistenza,  necessario  tutto  ciò 
che  avesse  :  perciò  i  limiti  da  cui  fosse  ora  circoscritta,  non  potendo  essere  infi- 
nita, li  avrebbe  necessariamente  :  lo  che  distrufffferebbc  la  essenza  della  naan- 

OD  1 


3a8 

tità   o  della  grandezza,  che  è  di  poter  essere  accresciuta  o  dliniauita  oltre  ogni 
termine  assegnabile  . 

Ma  potrebbe  la  materia,  tuttoché   creata,  aver  esistito  ab  eterno^   e  potrà  il 
mondo  presente  contare   una    eternità,   come  suol  dirsi  a  parte  ante?  cioè  può 
esser  corso  un  tempo  attualmente  inhnito  dalla  sua  creazione  in   poi?   Così  la 
pensarono  non  pochi  scolastici  con  Aristotile,  i  quali  riconoscendo  l'impossibili- 
tà dell'  infinito  attuale  nella  quantità  permanente  non   credevano    con  egual  si- 
curezza che  questo  inhnito  fosse  impossibile  in  una  sene  di  termini    successivi. 
Ma  il  progresso  delle  umane  cognizioni  avendo,  come  si  dicliiarò,  ciò  pure  evi- 
dentemente dimostrato,  resta  posto  fuori  di  ogni  dubbio,  che  il  mondo  attuale 
non  può  avere   esistito   ab  eterno  :  perchè,  come  dice  Gerdil,  se    ciò  fosse,  la 
presente  rivoluzione  del  sole  sarebbe  stata  preceduta  da  una  serie  infinita  di  ri- 
voluzioni :  che  se  non  fosse  la  detta  sene  tale,  cioè  inhnita,    sarebbe   dunque  fi- 
nita, e  avrebbe  avuto   un   cominciamento  assegnabile:  e   non  sarebbe    eterna 
contro  la  supposizione.  Ma  una  serie  infinita  di  rivoluzioni   stabilisce,  ossia  non 
è  che  una  serie  composta  di  un  numero  infinito  di  termini    o  di    unità  ;  poiché 
l'unità  astratta  è  applicabile  ad  ogni  data  rivoluzione  .  Se  dunque   questa  serie 
è  dimostrata  geometricamente  impossibile  ,  sarà  dimostrata  egualmente  impos- 
sibile 1'  eternità  del  mondo  con  la  suddetta  impossibilità  essenzialmente  connes- 
sa.   Altronde  gioverà  col  suddetto   autore  osservare    esser  manifesta   contrad- 
dizione il  supporre  che  Dio,  creando  il  mondo,  potesse  dargli  una  esistenza  eter- 
na a  parte  ante .   Chi  dice  eterno  in   questo    senso  dice  la  esclusione  di  ogni 
principio .  Ma  Dio,  creando  11  mondo,  gli  dà  un  principio  :  non  potrebbe  dunque 
il  mondo  essere  eterno  a  parte  ante . 

Non  posso  ora  dilungarmi  a  mostrare,  come  il  suddetto  principio,  che  forma 
un  nuovo  nesso  tra  la  metafisica  e  la  matematica,  si  applichi  felicemente  a  mag- 
giormente confutare  la  opinione  di  Clarke,  già  combattuta  da  Leibnizio,  intor- 
no alla  natura  dello  spazio,  il  quale  esso  voleva  altro  non  essere  che  la  im- 
mensità di  Dio  ;  e  come  resti  di  un  colpo  atterrato  il  celebre  sistema  del- 
/'//i/?rti7o  crealo  di  Malebranchio,  sistema  caricato  dall'illustre  d' Aguessau  di 
mille  quabficazioni  odiose,  e  da  esso  non  creduto  in  alcun  modo  di  Malebran- 
chio,  del  quale  rispettava  grandemente  i  talenti  e  la  virtù:  ma  che  dallo  stile 
e  dai  principil  in  esso  dominanti  mostrasi  chiaramente  appartenere  al  suddetto 
autore .  Ma  nella  seo-uente  memoria  esamineremo  distintamente  1'  opera  suddet- 
ta nelle  sue  varie  relazioni  con  la  metafisica,  con  la  matematica  e  la  teologia . 
Come  pure  i  sistemi  confuteremo  degli  atomisti,  e  di  tutti  gli  altri  che  stimano 
dall'  azzardo  poter  esser  derivata ,  abusando  del  calcolo  delle  probabilità,  la 
presente  coordinazione  delle  fisiche  cose,  come  asserì  moderno  chiarissimo  au- 


329 
torc  in  un'opera  sul  calcolo  appunto  delle  probabilità,  tuttorliè  già  convenien- 
temente discussa  <lal  celebre  prof.  Rufiini .  Intanto  contro  i  delti  sistemi  ante- 
ciuerò  le  due  seguenti  considerazioni,  che  verranno  in  seguilo  poste  in  maggior 
lume.,  tanto  piii  oiie  noi  furono  per  anco  abbastanza,  l.a  prima  si  è  che  in  tutte 
le  supposizioni  de' sistemi  suddetti  limitasi  ih  molto  lo  azzardo., il  (piale  per  s!.'  stes- 
to, e  molto  meno  ne' casi  da  loro  proposti  non  soffre  determinazione  o  restri- 
zione alcuna.  La  seconda  che  supposta  pure  possibile  una  serie  attualmente  in- 
finita d  istanti  successivi  (piale  avrebbcsi  dall  eternità  a  parte  ante,  questa  è 
ben  lontana  dal  jiotcr  esanrire  tulle  le  possibili  combinazioni  e  coordinazioni 
deijll  elementi  della  materia,  pel  di  cui  esaurimento  vorrebbevi  una  serie  d'istan- 
ti successivi  inhnitamcnle  infinita  . 

Ritornando  ora  all'  idea  dell' infinito  assoluto:  richiameremo  ciò  che  jjià  ac- 
cennammo, cioè  che  le  essenze  delle  cose  e  le  verità  necessarie,  che  non  so- 
no che  le  necessarie  relazioni,  che  le  cose  hanno  tra  loro,  sono  immutabili,  e 
perciò  non  soggette  a  successione  niuna  :  lo  che  esclude  la  idea  del  tempo  ; 
qtpindi  -Si'ranno  pure  eterne,  come  sono  infinite  .  Onde,  se,  come  avverte  Plalo- 
n'j.',  (ieVe  esservi  una  esatta  corrispondenza  Ira  gli  oggetti  e  le  facoltà  relative, 
sie~ti©*i]e  le  dette  essenze  e  varietà  o  i  possibili  non  esistono  che  in  una  somma 
Intelligenza,  che  li  concepisce,  e  li  comprende,  così  supporranno  esse  una  intel- 
ligenza infinita  ed  eterna  :  ne  il  numero  inUnito  di  esse  implicherà  contraddizio- 
ne con  le  cose  dette  della  rijiiignanza  di  una  serie  di  termini  attualmente  infini- 
ta, giacche  le  ilelte  essenze  s  idenhiicano  in  allodi  semplicissima  inteHiiieuza, 
la  (piale  somma  semplicità  si  è  il  carattere  principale  dell'  infinito  assoluto  cioè 
di  Dio:  essendo  esso  1"  essere  senza  restrizione,  cioè  1'  essere,  che  ogni  essere 
ossia  ogni  perfezione  racchiude,  alla  quale  non  si  arriva,  se  non  loi^liendo  al- 
l'essere  o  alla  jierfezione  o^ni  limitazione,  o  composizione:  e  quindi  riducendo- 
la  allo  stalo  di  una  esattissima  semplicità:  giacche  la  composizione  non  nasce 
che  dalle  determinazioni  iiarlicolari,  che  limitano  la  estensione  dell'  idea.  E 
parlando  delia  intelligenza  ,  vedesi  chiaramente  in  essa,  che  il  progresso  alla 
perfezione  va  di  pari  passo  col  jirogresso  alla  semplicità  .  Poiché  comprendendo 
in  noi  la  intelligenza  e  reminiscenza,  che  richiama  le  cose  passate,  e  fantasia, 
che  le  idee  compone  e  divide,  e  ragione  che  dai  prmeipii  deduce  le  conseguen- 
te, dove  quella  divenisse  infinita  tutte  le  altre  facoltà  lasciando  le  loro  limitazio- 
ni verrebbero  a  identificarsi  in  un  alto  semplicissimo  d  intelligenza  :  mentre  tut- 
to il  passalo  sarebbe  presenti  tutte  le  possibili  combinazioni  delle  idee,  e  ne  prin- 
cipii  vedrebbonsi  tutte  le  conseguenze.  Vedremo  altresì  chiaramente  nella  me- 
moria, che  a  questa  succederà,  come  a  spiegare  1'  origine  e  la  formazione  del 
mondo  non  si  disse  mai  cosa  ne  più  filosofica,  ne  più  geometrica  delle  parole  ; 
In  prirtcipio  crcavit  Deus  coeluin.j  et  terram  . 
4^ 


33] 
DELL'  ANALISI 

DEL    LOGLIO    ( lolium  temulentum  LiNN.) 
E  DEL  LOLINO,  E  DEL  GLOJOLOLICO 

DISSERTAZIONE 

V 

DI    BARTOLOMEO   BIZIO 

MEMBRO   DEL   CONSIGLIO   ACCADEMICO. 


JLja  pigra  noncuranza,  o  la  troppo  ardente  sete  di  guadagno  portò  di  soven- 
te gli  agricoltori  a  lasciare  T  ottimo  grano  così  sconciato  di  mondio-Ha,  che  la 
soverchiante  abbondanza  del  loglio  contenutovi  bastasse  così  a  trasnaturare  il 
pane  con  esso  grano  formato,  che  tal  rea  qualità  ricevesse  da  produrre  una  ma- 
niera di  nocevole  ebrezza  a  coloro,  che  di  tal  pane  si  fossero  cibati .  Questo  fat- 
to non  isfuggì  alla  cognizion  degli  antichi  :  e  forse  fu  per  ciò,  che  11  cantore  di 
Enea  nominando  questa  perniciosa  gramigna:  Infelix^  disse,  lolium  et  steriles 
dominantur  avenae^  quasi  con  quella  voce  notar  volesse  le  tristi  conspcrnenze, 
che  ne  tornarono  dalla  sua  mescolanza  col  grano  .  Sembra  adunque  strana  co- 
sa, che  una  proprietà  di  quel  seme  così  notoria  agli  antichi,  e  per  più  prnove  e 
continue  raffermata  agli  odierni,  non  abbia  tuttavia  punto  in  modo  alcuno  la  in- 
vestigatrice  curiosità  de'  chimici,  e  portatili,  come  di  altre,  così  anche  allo  stu- 
dio di  questa  peculiare  semenza  .  Pure,  ossia  che  le  molte  cose,  che  loro  si  of- 
frlano  bisognevoli  dell'opera  chimica,  non  abbiano  loro  lasciato  tempo  da  badar 
troppo  a  quella  di  che  parliamo,  ossia  che  non  l'abbiano  creduta  meritevole  di 
attenzione,  certo  e  che  nlun  lavoro  io  conosco,  11  quale  mi  faccia  fede  esservi 
stata  persona,  che  nello  esame  del  loglio  siasi  In  verun  modo  occupata.  Il  per- 
chè sono  venuto  in  deliberazione  di  porre  la  falce  eziandio  in  questa  messe,  spe- 
rando di  non  dovermene  tornare  senza  il  frutto  di  qualche  non  ispregevole  ma- 
nipolo :  e  piacquemi  tanto  più  <larmi  a  questo  lavoro,  (pianto  che  riputai  non 
dover  essere  senza  buona  ragione,  che  quella  semenza  vada  fornita  di  sì  polcn- 


332 

te  virtù.  A.nzi  lo  crcflcva,  che  potesse  avvenire  di  essa,  quello  che  è  avvenuto 
di  molte  altre  sostanze  dotate  di  singolare  efficacia,  le  quali  furono  trovate  spe- 
cificamente valevoli  contro  alcune  malattie  :  sicché  potendosi  anche  del  lofflio 
sperare  il  medesimo,  ne  seguirebbe  altresì,  eh'  io  verrei  a  dare  con  questo  mio 
tenue  lavoro  la  prima  mossa,  per  fornire  la  medicina  di  un  farmaco  al  quale  non 
fu  pensato  fino  al  presente.  Forse  avverrà,  che  anche  nell'avvenire  niun  profitto 
se  ne  cavi  da  ciò:  tuttavia,  non  sapendo  quale  promettermi  delle  due, ho  stima- 
to di  dover  compiere  questo  mio  lavoro  sperimentando  sovra  di  me  (  come  ve- 
dremo più  innanzi  )  tutta  intera  1  efficacia  del  loglio. 

Le  qualità  narcotiche  della  mentovata  semenza  tenendo  comechessia  a  quel- 
le, che  1  oppio  suole  produrre,  fecero  sì  eh  io  adoperassi  irfi  uttuosamcnte  ogni 
maniera  di  chimiche  ricerche,  le  quali  avesSer  vista  di  condurmi  alla  separazione 
di  un  alcali  organico.  Molte  furono  le  cose,  eh  io  ho  osservate  in  tali  numerosis. 
sime  indagini,  e  forse  alcuna  di  esse  non  tornerebbe  disutile  esser  notata  per 
ìspafTere  qualche  lume  sovra  la  natura  degli  alcali  organici  :  ma  perchè  esse  nulla 
dicono  al  fine  del  presente  lavoro,  mi  passerò  di  esse  senza  spendervi  sopra  al- 
cun tempo,  ed  entrerò  senza  più  nella  descrizione  di  quegli  pperimenti,  che  ser- 
vono a  far  conoscere  1"  intima  composizione  del  loglio,  e  altresì  gli  efletti  che 
opera  nell'  animale  economia. 

§.I. 

Effetti  dell  alcoole  sovra  la  farina  del  loglio  . 

Essendomi  assicurato,  la  mercè  di  speciali  sperimenti,  che  l'acqua  dimorando 
sopra  la  farina  niente  si  pigliava  del  principio  attivo  del  loglio,  ho  cominciato 
infonderne  quattro  libbre  veneziane  nelf  alcoole  della  gravità  in  ispezie,  0,85  ; 
ed  ho  contiimato  a  ripetere  le  infusioni,  finche  I'  alcoole  durò  levando  alcuna  co- 
sa alla  farina.  Allora  messe  insieme  tutte  le  infusioni  alcooliche,  ed  aggiuntovi 
due  libbre  d'accpia,  feci  poi  distillare  1' alcoole  a  bagnomaria.  Finita  che  fu  la  di- 
stillazione dell  alcoole,  ho  avuto  in  residuo  un  liquido  di  colore  gialliccio  con 
in  fondo  un  sedimento  resinoso  in  fiocchi  leggeri  bianchi .  Il  liquido  fu  separato 
dalla  posatura  la  mercè  di  un  sifone,  e  poscia  con  acqua  stillata  lavai  legger- 
mente la  materia  resinosa,  unendo  l'acqua  della  lavatura  al  liquido  dianzi  no- 
minato . 

Ora  veggendo  essere  assai  difficile  1'  asciugamento  spontaneo  della  materia 
resinosa,  per  una  colale  affinità  che  avea  con  1'  acqua,  la  quale  portavala  (qua- 
si direi)  alla  condizione  d'idrato,  accelerai  l'asciugamento  ponendola  a  svapo- 
rare a  bagnomaria  .  Asciugata  che  fu  perfettamente  la  menzionata  materia  resi- 


333 
uosa.,  mi  tornò  in  is<inamc,  con  poca  o  nulla  aderenza  Ira  loro,  fragilissime,  fa- 
cilmente polverizzabili,  di  colore  leggermente  gialliccio,   e  di  sapore    alquanto 


amaro 


Questa  materia,  die  dava  vista  d'una  sostanza  particolare,  non  bastò  però  a 
lusingare  punto  le  mie  speranze:  conciossiacliè  in  que'rooUi  lavori,  ch'io  avca 
fatti  per  lo  innanzi,  avessi  incontrato,  tutte  volte  la  merc'e  dell' alcoole,  buona 
dose  di  materia  grassa,  ed  altresì  un  colai  principio,  che  se  per  qualche  rispet- 
to può  uguagliarsi  alle  resine,  per  pili  altri  n'  è  tuttavia  lontano  le  mille  miglia: 
sicché  non  potca  non  cre<lere,  che  in  quella  materia  resinosa  non  vi  trovassero 
qucduc  priucipii,  ch'io  avca  altre  volle  conosciuto  esservi. 

§.n. 

Esame  della  materia  resinosa  stata  separata  dalF  alcoole  . 

Essendomi  accertato  che  1'  alcoole  a  freddo  agiva  fino  a  un  cotal  termine  so- 
Tra  la  materia  resinosa,  oltre  il  quale  non  adoperava  pi'u  alcuna  azione,  lascian- 
do anzi  in  residuo  un  principio  non  punto  solubile  nelf  alcoole  freddo,  il  quale 
per  le  sue  proprietà  fu  da  me  chiamato  glcij'ololico ,  ho  cominciato  le  mie  inda- 
gini riducendo  prima  in  polvere  la  materia  resinosa,  e  quindi  trattandola  con 
alcoole  e  ripetendo  1'  azione  di  questo  liquido  non  solo  finche  cessò  di  tornarmi 
colorito,  ma  fino  al  termi  ne  che  niun  intorbidamento  portasse  versandone  pic- 
cola cosa  neir  acqua.  Allora  messe  insieme  tutte  le  infusioni  alcooliche,  e  fel- 
trate che  furono,  le  feci  distillare  a  bagnomaria,  fino  al  punto  di  avervi  levato 
all'incirca  sette  ottave  parti  dell'alcoole  adoperato,  e  la  materia  che  non  fu  at- 
taccata dair  alcoole  freddo,  ossia  il  glojololico,  lo  abbandonai  ad  uno  spontaneo 


asciugamento  , 


La  soluzione  alcoolica  ristretta  così,  come  ho  <l<:tto  poc'  anzi,  la  travasai  in 
una  bacinella  di  vetro,  e  quivi  la  lasciai  piìj  giorni  per  vedere  che  avvenisse  la 
mercè  di  una  lenta  svaporazione  :  ma  passati  alcuni  giorni  null'altro  mi  venne 
separato  che  jioca  materia  grassa  nel  fondo  del  vase  :  sicché  nulla  sperando  di 
meglio,  se  pili  avessi  indugiato  lasciando  là  quella  materia,  pensai  di  terminare 
quell'esperimento,  cacciando  via  tutto  l'alcoole  a  quel  temperato  calore  che  dà 
il  bagnomaria .  Fatto  ciò,  fui  rassicurato  che  1'  alcoole  freddo  non  solo  avea  le- 
vato alla  materia  resinosa  la  sostanza  grassa,  ma  eziandio  un  altro  principio  : 
perciocché  quello  che  mi  restò,  svaporalo  che  fu  l"  alcoole,  non  fu  una  sostanza 
assai  molle,  qual  è  la  materia  grassa  del  loglio  al  temperato  calore  del  bagno, 
ina  bensì  una  sostanza  solida  contuttoché  fornita  d'un  colai  jrrado  di  mollezza  . 
Per  la  qual  cosa,  sicuro  comio  era  che  in  quest'ultima  materia  dovea  essere  la 


334 

sostanza  grassa,  ho  stimato  di  poter  segregare  le  due  sostanze,  valendomi  del- 
l'etere, il  quale  sapea  arerà  speciale  alììnità  con  la  materia  grassa.  Infatti  fa- 
cendo sperienza  della  virtù  di  quel  menstruo,  la  cosa  seguì  al  modo  ch'io  m'era 
figurato:  conciossiachè  l'etere  abbia  efficacemente  attaccata  quella  sostanza  to- 
gliendovi la  materia  grassa,  e  lasciando  in  residuo  1'  altro  principio  che  vi  era 
unito  :  il  quale  mi  tornò  a  modo  di  una  polvere  o  meglio  accozzamento  di  minu- 
tissime scaglie  quasi  bianche  perfettamente  ;  la  quale  sostanza,  essendo  ancora 
imbrattata  da  piccola  cosa  di  sostanza  grassa,  l'ho  tornata  infondere  nell'etere,  e 
finalmente  asciugata  .  Questa  materia  avuta  al  modo  d'una  polvere  leggerissima 
è  dessa  una  sostanza  particolare  del  loglio,  il  perchè  l' ho  nominata  Ialino .  Ma 
cosi  di  lei,  come  anco  degli  altri  principii  fin'  ora  cavati  dalla  mentovata  semen- 
za, mi  riservo  di  parlarne,  quando  avrò  finito  di  noverare  le  mie  sperienze  ana- 
litiche . 

§.  in. 

Esame  della  soluzione  acquosa  restata  dopo  distillato  F  alcoole  . 

Distillato  che  fu  l' alcoole,  e  separata  la  materia  resinosa,  che  fu  trovata  nel 
fondo  del  limbicco  a  modo  di  posatura,  ho  messo  a  svaporare  quella  materia 
acquosa,  dopo  avervi  anche  unito  il  liquido ,  ond'  io  avea  lavata  la  sostan- 
za resinosa  dianzi  detta.  Svaporato  che  fu  il  liquido,  mi  restò  una  materia  estrat- 
tiva di  colore  oscuro,  di  sapore  amaro  disgustoso,  ed  all'  aria  alquanto  delique- 
scente . 

Gli  acidi,  così  minerali,  come  vegetabili,  producevano  un  forte  intorbidamen- 
to nella  soluzione  acquosa  dì  questa  materia,  il  quale  penava  a  dare  in  fondo, 
se  prima  di  versarvi  l'acido,  non  era  unita  alla  soluzione  piccola  cosa  d'  ammo- 
niaca: allora  versandovi  l'acido,  il  precipitato  seguiva  prontamente  e  in  abbon- 
danza, il  quale  veduto  che  fosse  nel  liquido  era  quasi  bianco.  E  polche  mi  fui 
prmia  accertato  che  il  lolmo  era  così  precipitato  dagli  acidi,  così  anche  non  pe- 
nai troppo  ad  accorgermi,  che  quella  posatura  era  formata  di  glojololico,  unito 
a  piccola  cosa  di  loliao,  portato  in  quella  soluzione  per  opera  del  glojologlico 
stesso . 

Essendomi  assicurato,  la  mercè  di  sperienze  fisiologiche  (le  quali  vedremo 
più  avanti  )  che  In  questa  materia  estrattiva  era  il  principio  attivo  del  loglio, 
numerosissime  furono  le  sperienze  che  feci,  per  vedere  di  separarlo  .  Adoperai 
infatti,  così  gli  alcali,  come  la  magnesia,  dopo  il  trattamento  cogli  acidi,  e  senza 
aver  prima  adoperato  l'azione  loro;  facendola  agire  a  freddo,  ed  ajutando  la  sua 
azione  col  calore ,  ma  sempre  con  vano  risultato  :  cosicché  deliberai  di  spe- 
rimentare il  più  squisito  modo,  che  sia  per   la  separazione   degli  alcali  organici, 


335 

e  tll  più  altri  principii  iinmediali  vcgelaLlIi,  per  vedere   se  esso  bastasse  a  con- 
durmi a  niic^liorar  termine,  che  non  fecero  le  altre  sperienze  adoperate. 

Fatta  adunque  la  soluzione  acquosa  della  materia  estrattiva,  in  essa  versai  a 
poco  a  poco  tanto  sottoacetato  di  piombo,  che  bastasse  a  capello  a  darmi  sepa- 
rata tutta  quella  materia,  ch'era  alta  a  precipitare  per  opera  di  quel  sale.  Fat- 
to ciò,  e  lasciata  la  materia  in  luogo  riposalo  per  alcune  ore:  versai  tutto  sopra 
un  leltro,  e  colato  che  fu  il  liquido,  lavai  con  diligenza  il  precipitato,  unendo 
l'acqua  della  lavatura  al  liquido  ch'era  colato  il  primo.  La  materia  che  ri- 
mase so[)ra  il  leltro  ,  la  feci  asciugare  perfettamente  a  Icntisimo  calore. 

Per  separare  dal  liquido  l'eccesso  del  sale  di  piombo  che  vi  poteva  essere, 
vi  feci  passare  attraverso  una  corrente  di  gasse  acido  idrozolforico,  e  quindi  fel- 
trato che  fu  per  separarvi  il  precipitato  prodottosi,  il  feci  svaporare  a  bagnoma- 
ria, per  cacciar  via  1'  acido  che  vi  era  rimase  . 

Portala  così  la  materia  a  perfetto  asciugamento,  la  tornai  a  sciorre  nell'  acqua 
e  sovra  una  parte  di  questa  soluzione  provai  l'azione  della  magnesia,  colla  qua- 
le vcggendomi  tornar  a  nulla  ogni  prova,  deliberai  di  asciugarla  nuovamente  . 
Questa  sostanza  estrattiva  (ch'era  di  color  oscuro  e  secca  così  da  potersi  rom- 
pere e  stritolare  )  la  trltturai  coli"  alcoole  purissmio,  il  quale  la  attaccò  pronta- 
mente, lasciando  in  residuo  una  materia  niucilagmosa  di  tal  natura,  che  non  fu 
potuta  essere  precipitata  dal  sottoacetato  di  piombo . 

Messa  a  svaporare  la  soluzione  alcoolica,  riebbi  la  materia  allo  stato  di  per- 
fetto asciugamento .  E  inutile  eh'  io  dica  che  provata  la  svaporazione  spontanea 
ed  ogni  altro  mezzo  onde  polca  argomentarmi  di  avere  alcuna  cosa  cristallizzata, 
se  fosse  stala  materia  da  ciò:  tutto  mi  tornò  inutile:  il  perchè  sciolta  una  por- 
zione di  essa  nell'  acqua,  e  provatovi  sopra  in  varie  guise  l' azione  degli  alcali  e 
della  magnesia  nulla  mi  venne  separalo:  se  non  che  facendola  bollire  con  lulti- 
ma  sostanza  nominata,  vi  si  combinò  interamente,  tranne  piccolissima  cosa  di 
materia  colorante  gialla,  ma  seccata  diligentemente  e  infusa  nelf  alcoole  puris- 
simo :  esso  non  operò  alcun  effetto,  e  perciò  nulla  mi  venne  separalo  di  quello 
eh"  io  cercava  .  Per  la  (jual  cosa  vcggendo  quella  materia  tenacissima  a  non  si 
risolvere  in  altri  elementi,  ho  credulo  essere  da  considerarla  un  principio  imme- 
diato vegetabile,  il  quale  lo  chiamai  principio  amaro  a  cagione  del  suo  sapore . 
La  sola  cosa  che  sconciava  la  semplice  natura  di  questo  principio  amaro  era 
una  tenue  ([uanlità  di  acelato  di  potassa,  che  mi  venne  manifestato  per  opera 
deir  idroclorato  di  platino  :  il  quale  ha  dovuto  essere  ingeneralo  dalla  dccom[)o- 
sizione  del  (oslalo  tli  potassa  che  si  trovava  nella  semenza. 

Restandomi  ora  da  conoscere  la  natura  del  precipitato  prodottosi  per  opera 
del  solloaeetato  di  piombo,  seccato  che  fu  quel  precipitato,  e  recatolo  in  fina 
polvere  lo  stemperai  nell'acqua   stillata;  e  poscia  feci  passare   attraverso   al  li- 


336 

cjuiJo  una  corrente  di  gasse  aculo  idrozolforico.    Decomposto  così   il  nreci|)ìta- 
to,  versai  la  materia  sopra  un  feltro ,    ed  il  liquido  colò  d  un  colore  assai  oscu- 
ro .  Allora  lo  versai  in  una  bacinella   di  vetro,  e  lo  feci  svaporare  a  bagnoma- 
ria .  La  materia  clie  mi  è  restata  dopo  la   svaporazione   la  tornai  a  sciorre   ncl- 
I  acijua,  e  la  soluzione  mi  tornò  quasi   intera  :   conciossiachè  non  siami  restato 
in  residuo  che  tenuissima  quantità  di    lolino  sconciato  da  piccola  cosa  di  mate- 
ria colorante,  die  v'  era  unita .  Stimai  di  dover  esaminare  questa  soluzione  col- 
le carte  reagenti,  e  mi  venne  fatto  di  ritrovarla  acidissima.  Allora  volendomi  ac- 
certare della  natura  di  qucH'  acido,  posi  in  azione  1'  opera  di  parecchi  reagenti  ; 
onde  mi  venne  veduto  che  colla  barite  era  prodotto  un  precipitato,  il  quale  era 
prontamente  redisciolto  dall'acido  nitrico   e   dall' idroclorico  .  Versandovi   poi 
dell'  acetato  di  piombo  era  anche  in  questo  caso  prodotto  un  precipitato,  il  qua- 
le, raccolto  e  seccato,  si  fondeva  per  opera  del  calore:  sicché  entrai  in  sospetto 
quello  essere  acido  fosforico.  Se  non  che  la  quantità  del  precipitato  che  diede  in 
fondo  co'  menzionati  reagenti  era  buona   pezza  minore  di  quello  che    avrebbe 
dovuto   essere,  se  quello  ch'era  in  soluzione  fosse   stato  tutto  acido  fosforico: 
anzi  quando  adoperai  la  barite  terminò  d'ingenerarsi  precipitato  assai  prima  che 
tutto  r  acido  fosse  neutralizzato,  il  perchè   stimai   doverci  essere  un  altro  acido 
diverso  dal  fosforico  . 

Ora  essendomi  accertato,  per  quello  che  ho  detto  più  sopra,  che  non  era  al- 
cun alcah  organico,  ne  altra  base  salificabile,  tranne  picciolissima  cosa  di  po- 
tassa, nella  materia  che  mi  è  rimasta  in  soluzione  dopo  gli  effetti  del  sottoace- 
tato di  piombo:  ed  essendomi  anzi  assicurato,  che  nell'  acido  ch'io  cercava  di 
conoscere  e'  era  una  cotal  quantità  di  glojololico  unito  a  del  lolino,  argomentai 
fondatamente  che  il  precipitato  che  mi  fu  prodotto  per  opera  del  sottoacetato  di 
piombo  fosse  una  comliinazione  tripla  di  sottoacetato,  e  di  glojololico,  il  quale 
tenesse  seco  piccola  cosa  di  lolino  :  il  perchè  decomponendo  io  il  precipitato 
coir  acido  idrozolforico  dovea  seguirne  lo  svincolamento  dell'acido  acetico,  e 
perciò  nella  soluzione,  dello  studio  della  quale  mi  occupava,  dovea  esservi  dopo 
l'acido  fosforico  assai  abbondantemente  r  acetico  .  Infatti  cominciai  a  saturare 
r  acido  colla  potassa  pura  ;  ne  seguì  incontanente  un  abbondante  precipitato  di 
glojololico  unito  a  poco  lolino ,  e  materia  colorante .  Feltrai  la  soluzione  assai 
prima  di  arrivare  al  termine  della  neutralizzazione,  perchè  il  glojololico  cogli  al- 
tri principii  non  fosse  tornato  sciogliere  dall'  alcah  :  e  dopo  feltrato  il  liquido 
terminai  di  neutralizzarlo  colla  potassa.  Allora  feci  svaporare  la  soluzione  salina 
lino  a  secchezza:  e  quindi  la  trattar  con  pochissimo  alcoole  puro:  il  quale  mi 
sciolse  quasi  tutta  la  materia,  non  essendomi  restato  in  residuo  che  piccolissi. 
ma  cosa  di  sostanza  salina . 


35; 
La  soluzione  ayula  ncll'alcoole  la  feci  svaporare  nuovamente.^  e  (jiiando  il  sa- 
le fu  secto  jierfettamente,  lo  decomposi  la  mercè  «lell  acido  zolforico,  e  ne  ebbi 
puro  acido  act-tico  .  Il  resto  della  materia  salina  che  non  fu  potuta  sciogliere 
dall'alcoolc  era  puro  fosfato  di  potassa.  Sicché  l'at^ido  del  quale  volea  conosce- 
re la  natura  era  acido  acetico  misto  a  piccolissima  cosa  di  acido  fosforico . 


§.  IV. 

Azione  deir  acqua  fredda  sopra  la  farina  del  loglio. 

Se  si  adopera  l'azione  dell'  acqua  sopra  la  pasta  del  loglio  a  quel  modo  oh' è 
usato  farsi  sopra  la  pasta  di  frumento,,  da  cento  parti  di  faima  ne  abbiamo  nove 
di  glutine  secco:  il  quale.,  come  ho  potuto  assicurarmi,  è  formato  di  zimoma,  e 
di  g'ojolo!ico  (i).  Importando  però  alla  dirittura  delle  mie  analitiche  ricerche  di 
vedere  ciò  che  1'  acijua  portasse  via  a  quella  farina  ch'era  prima  stata  infusa 
nell'alcoole,  ho  scelto  per  questo  lavoro  la  fredda  stagione  delf  inverno;  e  sicu- 
ro pel  freddo  eh'  era  che  movimento  intestino  non  potea  ingenerarsi,  ho  ripetu- 
te le  infusioni  acipiose  piìi  volte,  cioè  fino  a  tanto  che  l'acf|ua  mi  tornò  senza 
nulla  aver  preso  di  que'principii  onde  solca  nelle  prime  infusioni  acquose  essere 
impregnata.  Allora  messe  insieme  queste  inlusiom,  e  feltrate  bene,  le  feci  sva- 
porare: se  non  che  portato  lo  scaldamento  alla  bollitura,  segui  un  leggero  intor- 
bidamento, profiotto  da  una  porzione  di  zimoma  rappigliatosi  per  opera  del  ca- 
lore. Veduto  ciò,  levai  il  vase  dal  fuoco,  e  la  niercè  della  feltrazione  raccolsi  tut- 
to il  zimoma  che  si  era  coagulato  ;  continuando  poscia  la  svaporazione  del  liqui- 
do fino  a  che  la  materia  fu  recata  alla  consistenza  di  estratto.  Avuta  la  materia 
in  (|uello  stato,  la  tornai  sciogliere  nell'acqua  stillata,  la  quale  mi  lasciò  in  re- 
siduo assai  pili  di  zimoma  che  non  fu  quello  separato  dalla  bollitura.  Questa 
operazione  la  ho  ripetuta  un  altra  volta  per  separarvi  altra  piccola  cosa  di  zi- 
moma, con  la  quale  ultima  soluzione  fu  levato  alla  materia  estrattiva  tutto  il 
zimoma,  che  avea:  conciossiachè  svaporato  nuovamente  e  scioltone  piccola  co- 
sa nell'acqua  nulla  rimase  che  non  fosse  portato  in  perfetta  soluzione.  Se  sopra 
questo  estratto  ac(pioso  avessi  adoperato  l'azione  dell'alcoole,  avrei  separato 
una  sostanza  somigliante  a  quella  che  una  volta  da'  chimici  era  chiamata  estrat- 
tivo:^ ma  avve<lutomi  che  operando  a  questo  modo  io  nulla  altro  faceva  che  ave- 
re una  mescolanza  di  materia  colorante  gialla,  di  zucchero,  e   di  fosfato   di  po- 


(i)  Forse  c'è  aoclie  piccola  cosa  di  materia  grassa. 
43 


338 

tassa  con  poco. acido  acetico,  ho  stimato  meglio  sciogliere  l'estratto  nell'acqua, 
e  poscia  versarvi  a  più  riprese  una  soluzione  di  soltoacctato  di  piombo,  finche 
il  versamento  di  nuova  soluzione  non  desse  più  precipitato  alcuno.  Allora  la- 
sciato il  liquido  per  alcune  ore  in  luogo  riposato,  perchè  fosse  ben  compiuta  T  a- 
zione  del  sottoacetatOj  terminai  adoperando  la  feltrazione  per  aver  separato  il 
precipitato  bianco  ingeneratosi  .  Avuto  questo  il  lavai  alquanto  con  acqua  stilla- 
ta facendolo  finalmente  asciugare  ad  un  calore  temperatissimo . 

Per  sapere  accortamente  se  nulla  fosse  restato  nel  liquido,  che  non  fosse  en- 
trato in  combinazione  colf  ossido  di  piombo  del  sottoacelato,  ho  fatto  passare 
primamente  attraverso  al  liquido  una  corrente  di  gasse  acido  idrozolforico  per 
levarvi  tutto  l'ossido  di  piombo  che  fosse  restato  in  soluzione  .  Allora  feltrato  il 
liquido  nuovamente  e  sejiar. itovi  il  zolfuro  ingeneratosi,  il  feci  svaporare  a  ba- 
gnomaria, ed  ebbi  in  residuo  un  poco  di  materia  zuccherosa  incristallizzabile  uni- 
ta a  piccolissima  cosa  di  materia  colorante . 

Restavami  ora  a  sapere  quello  che  fosse  in  combinazione  col  sottoacetato  di 
piombo  nel  precipitato  di  cui  ho  fatto  parola  più  sopra,  la  qual  cosa  a  conve- 
nientemente conoscere  portò  eh  io  stemperassi  quel  precipitato  nell'  acqua,  e 
quindi,  nel  modo  adoperato  teste,  vi  facessi  passare  attraverso  il  gasse  acido  idro- 
zolforico: fatto  questo  ebbi  una  soluzione  alquanto  colorita  di  giallo:  e  svapora- 
ta a  bagnomaria  fino  al  termine  di  estratto  anzi  sodo  che  no,  stemperai  questo 
nel  modo  migliore  possibile  nell'alcoole  puro,  il  quale  portò  via  il  poco  acido 
acetico  che  v'era,  ed  altresì  una  cotal  dose  di  materia  colorante,  lasciando  ia 
residuo  una  abbondante  quantità  di  mucilagine  alquanto  colorita  di  giallo . 

§.v. 

Azione  delt  acgua  bollente^  ed  eziandio  de  IP  acido  idrùclorico  allungato 

sopra  la  stessa  farina . 

Dopo  che  l'acqua  fredda  ha  finito  d'agire  sopra  la  farina  del  loglio,  ho  co- 
minciato a  farla  bollire,  ripetendo  più  volte  questa  operazione .  Se  non  che  mo- 
strandosi nella  fine  anche  l'azione  dell'acqua  bollente  assai  debole  sopra  11  pic- 
colo residuo  delle  bolliture,  ne  ho  rafforzato  la  sua  virtù  coli' acido  idioclorico 
allungato .  Cosi  operando  sono  pervenuto  a  separare  dalla  farina  tutto  1'  acido 
che  vi  era,  e  nell'acqua  acidulata  non  ho  trovato,  oltre  1'  acido,  che  tracce  me- 
nomisslme  di  calce  e  di  ferro.  La  piccolissima  cosa  di  materia  insolubile  che  mi 
restò  dopo  le  bolliture  con  l'acqua  acidulata,  mi  parve  altro  non  essere  che  la 
buccia  del    seme  recata  in  piccolissime  particelle  dall'azione  della  macina,  e 


339 
perciò  passate  per  lo  staccio  in  unione  colla  farina;  sicché  la  composizione  della 


semenza  ilei  loglio  risulta  essere  di 
Amido  , 

Miioilagine  eh' è  precipitata  dal  sottoacetato  di  piombo; 
Zimoma  ; 
Olojololico; 
Materia  grassa; 
Princi|)io  amaro; 

Mucilagine  che  non  può  essere  precipitata  dal  sotloacetalo  di  piombo  ; 
Materia  colorante  gialla  ; 
Lolino; 

Zucchero  incristallizzabile; 
Foslato  di  potassa  ; 
Materia  insolubile . 
Acido  acetico,  calce  e  ferro  ? 

§.  VI. 

Del  Lolino  . 

In  quel  tempo  eh'  io  cominciai  dar  opera  agli  studii  chimici,  trovai  la  scienza 
non  solo  latta  adulta  e  virile,  ma  cosi  grande  e  gigantesca  da  invilire  coloro, 
che  fossero  stati  per  darsi  a  studiarla  con  animo  non  dirò  di  levarsi  in  rinoman- 
za, ma  di  uscire  come  che  sia  dalla  oscura  mediocrità.  La  chimica  vegetabile 
ed  animale  era  forse  quella  parte  di  scienza  la  meno  cercata,  tuttavia  erano  già 
scoverti  cr|i  alcali  organici  :  gravissimo  trovato  e  della  più  alta  importanza .  Io 
allora  non  avea  sperienza  alcuna  di  mia  ragione,  che  valesse  a  lermarmi  nel  giu- 
sto concetto  di  que'  singolari  principii  :  tuttavia  ne  restai  per  modo  persuaso  e 
capace,  che  a  smuovermi  non  sarebbero  bastate  le  ingegnose  sottigliezze  del 
Bonastre,  quand'anche  il  celebre  Pelletier  non  avesse  di  loro  mostrato  la  leg- 
gerezza e  vanità  :  conciossiaohè  siami  sempre  paruto  troppo  ragionevole  il  cre- 
dere, che  quella  stessa  virtii,  onde  le  piante  ingenerano  gli  acidi,  possano,  anzi 
debbano  ingenerare  gli  alcali,  che  cogli  acidi  naturalmente  si  uniscono.  Questo 
misurato  governo  veggiamo  tenersi  fedelmente  dagli  esseri  inorganici  ed  esser 
quasi  ordinamento  necessario  alla  loro  permanenza  e  durazione .  E  perchè  non 
vorrà  farsi  altrettanto  degli  esseri  organizzati,  che  assai  piì»  della  materia  morta 
bisognano  di  spegnere  la  mordacità  degli  acidi ,  afimchij  non  esca  di  quella  mi- 
sura che  porta  il  delicato  loro  temperamento?  Sola  l'avversione  alla  novità  pe- 
lea andare  in  cerca  di  sottigliezze  per  impugnare  fatti  sì  ragionevoli,  e  da  cosi 


3{o 

saldi  argomenti  sostenuti,  come  sono  il  numero  grande  di  bellissime  sperienzc 
sngli  alcali  organici  del  Peiletier. 

Tuttayia  comechè  io  creda  dover  essere  tenuta  per  indubitata  Y  esistenza  de- 
gli alcali  organici,  le  proprietà  del  lolino,  ch'io  ora  son  per  descrivere,  ci  fanno 
evidentemente  conoscere  esservi  di  tali  sostanze,  le  quali  non  essendo  ragione 
da  doverle  tenere  in  conto  di  alcali  organici,  non  di  meno  si  portano  in  tal  gui- 
sa cogli  acidi  e  coi  sali  da  somigliare  moltissimo  a  quelle  singolari  sostanze. 

Il  lolino  è  in  iscaglie  piccolissime,  assai  leggere,  alquanto  lucenti  messe  che 
sieno  alla  luce  diretta  del  sole  o  d'  una  lampada,  e  bianco  quasi  perfettamente. 
Esso  ha  un  leggero  odore  piuttosto  spiacevole  che  no,  e  quasi  scipito,  e  la  sua 
gravità  in  ispezie  è  maggiore  di  quella  dell'  acqua. 

Ci  vogliono  circa  quattro  mila  parti  d"  acqua  bollente  per  iscioglierne  una  di 
lolino.  e  neir  acqua  fredda  è  perfettamente  insolubile:  tuttavia  la  soluzione  fat- 
ta a  caldo  resta  qual  è  anche  nel  freddamento. 

L'  alcoole  ne  scioglie  la  duocentesima  parte  scaldato  che  sia  fino  all'  ebuli- 
zione,  conciossiachè  a  freddo  non  faccia  troppo .  Egli  è  perciò  che  una  soluzio- 
ne satura  di  lolino  fatta  a  caldo  s'intorbida  assai  pel  freddamento. 

Gli  olii  essenziali  ne  sciolgono  pochissimo  a  caldo,  e  l'etere  non  ne  scioglie  in 
verun  modo.  Esso  non  arrossa  punto  le  carte  azzurre,  ne  ritorna  il  color  azzur- 
ro a  quelle  state  arrossate  dagli  acidi,  quand'anche  numerosissime  volte  sieno 
tornate  tuffare  dopo  V  asciugamento  nella  sua  soluzione  alcoolica:  il  perchè  sem- 
bra potersi  conchiudere,  ch'esso  non  appartenga  agli  alcali  organici.  Provatomi 
per  farlo  cristallizzare  col  mezzo  dell'  alcoole  non  ci  ho  potuto  riuscire,  percioc- 
ché, non  essendo  troppo  solubile  nell'  alcoole,  le  particelle  sono  troppo  lontane 
tra  loro  per  potersi  regolarmente  aggregare,  e  perciò  a  misura  che  1'  alcoole 
svapora,    anziché  cristallizzare  dà  in  fondo  a  modo  di  posatura. 

La  soluzione  alcoolica  di  lolino  fatta  a  caldo  e  intorbidatasi  per  opera  del 
freddamento,  è  renduta  trasparente  col  versamento  d'alcune  gocce  d'acido  zol- 
forico,  nitrico,  idroclorico,  fosforico,  idriodico,  acetico,  ossalico,  gallico,  tarta- 
rico e  va  discorrendo. 

Lo  stesso  fanno  la  soluzione  di  barite,  quella  di  deutocloruro  di  mercurio  e 
idroclorato  di  calce,  d'acetato  di  piombo  e  di  rame,  di  sotto  carbonato  di  potas- 
sa e  di  soda;  di  soprazolfalo  di  potassa  e  di  alumina,  di  sopratartrato,  e  sopra- 
ossalato  di  potassa;  ed  in  generale  quelle  di  tutti  1  soprassali  e  di  tutti  1  sotto- 
sali alcalini. 

La  calce  e  la  magnesia  in  iscambio  di  dissipare  1'  intorbidamento  ,  vi  produ- 
cono un  leggero  precipitato  bianco,  e  lo  slesso  fanno  il  soltoacetato  di  piombo,  lo 
zolfato  di  rame  ed  il  protonitrato  di  mercurio.  L'  idroclorato  di  platino  vi  prò 
duce  anch'esso  un  precipitato  bianco,  ma  troppo  più  abbondante  de'  reagenti 
menzionati . 


3^1 

L' idroclorato  di  ferro  ingenera  un  precijùtato  copioso  di  colore  arancio,  e 
r  idroclorato  d'oro  un  precipitato  anch'esso  copioso,  il  quale  è  bianco  da  prin- 
cipio, e  poscia  volge  a  color  giallo  oscuro. 

Quello  poi  eh'  è  da  notarsi  è,  che  la  soluzione  aleoolica  di  lolino  intorbidata 
pel  rrcddamcnlo  ,  si  la  trasparente  anche  col  solo  versamento  dell'  acijua  .  Ba- 
sta aggiungervi  una  sesta  parte  d'  acqua  che  la  soluzione  aleoolica  è  renduta 
diafana  incontanente,  e  prima  che  si  produca  l' intorbidamento  bisogna  aggiun- 
gervi d'artpia  una  quantità  uguale  a  quella  della  soluzione.  Dopo  questo  termi- 
ne tutta  l'acqua  che  si  versa  opera  un  nuovo  intorbidamento  latticmoso.  Que- 
sto fatto  potrebbe  far  credere  a  tutta  prima  che  il  lolino  fosse  più  solubile  nel- 
Talcoole  allungato  che  nel  puro;  ma  io  stimo  che  non  sia  da  dimenticarsi  che  il 
lolino  e  solubile  anche  nell'acqua.  Il  perchè  l'acqua  che  si  aggiunge  dissipa 
l'intorbidamento.,  per  questo,  che  scioglie  il  lolino  separatosi  dall'  alcoole  . 

Avveilutomi  che  potea  essere  molto  allungatala  soluzione  aleoolica  senza  che 
seguisse  intorbidamento,  ho  stimato  che  fosse  bene  di  provare  che  che  operas- 
sero alcuni  reagenti  sovra  la  soluzione  così  allungata,  la  quale  per  rispetto  a 
molle  sostanze  insolubili  nell  alcoole  dovea  tornare  più  acconcia  a  mostrarmi 
sinceri  e  lucidissimi  gli  elTetti  prodotti  . 

Ho  cominciato  adunque  dagli  acidi,  e  tutti,  tranne  l'acetico,  produssero  un  in- 
torbidann-nto  latticinoso:  d  che  dovea  essere  appunto  per  la  proprietà  che  ma- 
nifestarono gli  acidi  di  rendere  trasparente  la  soluzione  aleoolica  torbida:  giac- 
che se  ciò  dovea  provare  che  le  combinazioni  che  il  lolino  forma  coirli  acidi  so 
no  più  solubili  nell'  alcoole  che  non  è  il  lolino  stesso,  dovea  anche  seguirne  che 
nella  soluzione  aleoolica  molto  allungata  fossero  meno  solubili  del  lolino  stesso; 
conciossiachè  fossemi  ralTermato  per  molte  sperienze  antecedenti,  che  le  com- 
binazioni di  lolino  cogli  acidi  erano  affatto  insolubili  nell'acqua.  Egli  è  perciò 
che  se  nella  soluzione  acquosa  di  lolino  si  versa  un  acido  forte,  segue  inconta- 
nente un  intorbidamento  latticinoso,  avvegnaché  sia  sciolto  in  dieci  mila  parti 
d'acqua.  Di  qua  ne  viene  che  gli  acidi  sieno  i  reagenti  più  squisiti  per  iscoprirlo 
dovechessia:  conciossia-liè  trovandosi  anche  in  una  soluzione  aleoolica,  basti  so- 
lo allungarla  con  l'acqua  perchè  non  fallisca  1  effetto  . 

I  soprassali  alcalini  fanno  nella  soluzione  aleoolica  allungata  il  medesimo  de- 
gli acidi  .  In  contrario  tutti  gli  alcali,  e  tutti  1  sottocarbonati  alcalini  non  produ- 
cono alcun  intorbidamento:  per  questo  appunto  che  gH  alcali  fanno  col  lolino 
delle  combinazioni  solubilissime  nell'  acqua. 

La  barite  vi  produce  un  leggero  intorbidamento  bianco,  e  la  calce  e  la  ma- 
gnesia un  leggero  precipitato . 

II  protozolfato  di  ferro,  e  il  zolfaio  di  zinco  producono  un  copioso  precipita- 
lo di  colore  bianchiccio;  quello  poi  di  rame  lascia  limpida  la  soluzione. 


L' Idroclorato  di  ferro  e  di  platino  ingenerano  un  abbondante  precipitato  di 
colore  bianchiccio;  e  quello  d'  oro  un  precipitato  ancora  più  abbondante,  gial- 
lo dapprima,  e  poche  ore  dopo  volgente  al  rossiccio.  L' idroclorato  di  calce  non 
produce  alcun  effetto  . 

Il  nitrato  di  barite  e  di  magnesia  producono  un  leggero  intorbidamento  ;  e 
quello  di  calce  poco  precipitato.  Il  protonitrato  di  mercurio  ingenera  un  abbon- 
dante precipitato,  ma  in  fiocchi  bianchi,  e  il  deutonitrato  un  uguale  precipitato 
in  fiocchi  giallicci.  Finalmente  col  nitrato  d'argento  dà  in  fondo  una  leggei  "^si- 
ma posatura  di  colore  porporino  scuro  .  Il  fosfato  di  potassa  e  di  soda  ingene- 
rano un  leggerissimo  precipitato  bianco  in  fiocchetti. 

Col  sottoacetato  di  piombo  si  ha  una  tenue  posatura  bianca,  e  coli' acetato 
neutro  dà  in  fondo  un  precipitato  in  fiocchi  giallicci,  e  con  quello  di  rame  in  fioc- 
chi bianchi  . 

Il  tartrato  di  potassa  antimoniale  produce  un  leggero  precipitato  bianco  in 
fiocchi,  e  il  clorato  di  potassa  produce  anch'esso  un  precipitato  bianco,  ma  te- 
nui s  sì  mo  . 

Il  deutocloruro  di  mercurio  finalmente  ingenera  un  intorbidamento  latticino- 
so  somigliante  a  quello  prodotto  dagli  acidi. 

In  tutte  le  reazioni  menzionate  abbiamo  o  de"  composti  binarii  che  forma  il 
lolino  coMi  acidi  e  cogli  alcali,  o  de' composti  ternarii  ch'esso  forma  co' sali  :  e 
qui  è  da  notare  un'  altra  singolarissima  proprietà  incontrata  in  questa  sostanza  . 

Abbiamo  detto  pi'u  sopra  che  gli  alcali  formano  col  lolino  delle  combinazio- 
ni solubilissime  nell'  acqua.  Se  dunque  nella  soluzione  alcoolica  fenduta  torbi- 
da per  opera  dell'acqua  si  versa  un  poco  d'ammoniaca,  la  soluzione  è  fatta  lim- 
pida incontanente  ;  ma  se  dopo  1"  ammoniaca  si  versa  un  acido  qualunque  tor- 
na di  presente  l'intorbidamento:  il  quale  non  è  dissipato  versandovi  eziandio  del- 
l' amnoniaca  in  tanta  quantità  da  esservene  molta  sopra  la  saturazione  dell  aci- 
do. Questo  fatto  mi  sembra  assai  curioso  e  singokare:  imperciocché  mettiamo 
che  il  loUno  faccia  coli' acido  zolforico  uno  zolfaio  insolubile  nell'acqua:  questo 
zolfaio  di  lolino  dovrebbe  certamente  esser  decomposto  dallammoniaca,  ed  il  lo- 
lino riuscirne  separato  ;  cosicché  riversandovi  ammoni  ica  in  eccesso  il  lolino  do- 
vrebbe sciogliersi  nuovamente,  e  perciò  il  hquido  farsi  limpido  e  trasparente  ; 
ma  questo  è  ciò  che  non  segue  :  dunque  bisogna  dire  che  l' ammoniaca  (  e  cosi 
dicasi  degli  altri  alcah  )  e  il  lolino  facciano  delle  combinazioni  triple  cogli  aci- 
di, sovra  le  quali  non  adoperano  piìi  azione  alcuna  gli  alcali,  o  almeno  non  sono 
più  atti  a  scioghere  le  combinazioni  di  alcali  e  lolino,  dopoché  furono  combi- 
nate coo^li  acidi  ;  giacche  l'alcali  eh'  è  versato  s' impossessa  effellivamenle  dell'a- 
cido e  rende  neutra  la  soluzione  . 


Bis 

Lo  stesso  scjrnc  se  il  lolino  ^  prima  combinato  cogli  acitli,  e  poscia  venga 
decomposto  col  mezzo  degli  alcali  ;  cotalcLè  in  tutti  i  casi  sembra  eh'  esso  in- 
contri eli  notabili  cangiamenti  nelle  sue  proprietà  per  opera  degli  alcali.  Questo 
fatto  potrebbe  fornire  agi'  impugnatori  degli  alcali  organici  un  forte  ajipicco 
da  puntellare  le  loro  sottigliezze,  ma  è  anche  da  rillelterc  che  il  lolino  si  discosta 
per  alcuni  rispetti  da  quelle  smgolari  sostanze. 

Da  quello  che  ho  detto  finora  e  facile  vedere  non  poter  essere  possibile  la 
combinazione  diretta  del  lolino  cogli  acidi  ;  imperciocché  facendo  esso  de  com- 
posti insolubili  nell'acqna,  non  è  modo  che  sia  adoperato  il  quale  dia  una  vera 
combinazione,  sembrando  quasi  legge  generale  anche  delle  comliinazioni  inor- 
ganiche, che  per  produrle  acconciamente  faccia  duopo  che  il  liquido,  entro  il 
quale  si  producono,  abbia  qualche  rispetto  di  aftinità  colle  combinazioni  che  s'in- 
ffcncrano  :  e  ciò  vie  più  se  uno  de"-!'  ingredienti  è  insolubile,  com'  è  nel  caso 
nostro  il  lolino,  e  tenda  a  proilurre  delle  combinazioni  perfettamente  insolubili . 
E  se  fossero  gli  acidi  potenti  adoperati  a  freddo,  o  ajutati  dal  calore  nell'  atto 
di  attaccare  il  lolino  vi  portano  eziandio  una  notabile  alterazione,  la  quale  è 
provata  da  più  ragioni  :  tra  le  quali  c'è  quella  che  il  lolino  separalo  per  opera 
degli  alcali  da  queste  combinazioni  acide,  è  sconciato  in  tutte  le  STie  qualità,  ed 
è   solubile  negli  alcali  stessi . 

Per  avere  adunque  nel  modo  il  più  acconcio  le  combinazioni  del  lolino  cogli 
acidi,  bisoirna  servirsi  del  mezzo  dell' alcoole  .  Per  far  ciò  si  unisce  l'acido  con 
r  alcoole,  e  quindi  vi  si  aggiunge  a  più  riprese  il  lolino:  badando  di  ajutare  la  so- 
Inzione,  la  mercè  d'  un  moderato  calore,  e  terminando  d'acixiuo-nere  lolino.  quan- 
do  si  vede  compiuta  sovra  di  esso  1'  azione  del  solvente .  Così  operando  si  arriva 
ad  avere  le  combinazioni  del  lolino  cogli  acidi,  ed  eziandio  averne  di  cristallizza- 
te, quando  si  metta  la  prima  soluzione  ad  una  spontanea  svaporazione,  e  si  tor- 
ni a  sciogliere  la  materia  ncU"  alcoole,  mettendola  poscia  a  svaporare  come  pri- 
ma, dopo  averla  imbianchita  col  carbone,  quando  il  caso  lo  chiedesse  . 

Io  non  ho  potuto  estender  troppo  queste  indagini,  così  per  aver  dovuto  fare 
"■ran  getto  di  questo  nuovo  principio,  per  accertarmi  bene  delle  sue  proprietà, 
come  per  la  difficoltà  di  avere  altra  semenza  di  loglio  per  cavarne  di  nuovo.  Tut- 
tavia quello  ch'ho  già  fatto  mie  più  che  sufficiente  per  accertare  i  chimici  del- 
l' esistenza  di  queste  nuove  combinazioni,  le  quali  dovrebbero  esser  considerate 
come  veri  sali,  se  il  lolino  fosse  da  tenersi  per  alcali:  ma  io  non  posso  per  al  pre- 
sente entrare  in  questo  giudizio,  così  per  non  tornar  esso  in  verun  modo  il  co- 
lore azzurro  alle  carte  arrossate  dagli  acidi,  come  e  via  più  per  non  avermi  po- 
tuto accertare,  eh'  esso  operi  neutralizzazione  cogli  acidi,  e  per  non  averlo  tro- 
vato nella  semenza  legato  in  combinazione  con  alcun  acido . 


3U 

Tuttavia  comechè  lo  non  avessi  alcuna  ragione  da  credere  nel  lolino  un  alca- 
li organico,  pure  ho  voluto  sperimenf,are  il  modo,  onde  si  fossero  portate  le  sue 
combinazioni  suggcttate  al  potere  dell'elettrico.  Ordinato  perciò  un  apparecchio 
a  corona  di  tazze  di  ceneinqnanta  coppie,  congegnato  secondo  i  principii  del  mio 
illustre  amico  prof.  Marianini  :  anzi  quel  medesimo  ond'  egli  consegai  il  premio 
nazionale,  il  (juale  sovra  gli  altri  di  uguale  superlicie  produce  effetto  assai  più 
energico  e  poderoso,  fu  posta  al  polo  positivo  in  un  vasellino  di  vetro  la  com- 
binazione acida  di  lolino  sciolta  nelfalcoole,  e  col  mezzo  di  fili  d' amianto  in- 
zuppati nelC  alcoole,  fu  messo  il  primo  vasellino  in  comunicazione  con  un  altro, 
nel  quale  messovi  acqua  stillala  iu  poi  fatto  comunicare  col  polo  negativo .  L'  a- 
mianto  fu  inzuppato  nelfalcoole,  perchè  immergendolo  nella  soluzione  acida  non 
dovesse  portarvi  sconciamento  o  decomposizione,  come  avrebbe  fatto  se  in  iscam- 
bio  di  alcoole  avessi  adoperato  1'  aequa  per  inzupparlo .  Ho  procacciato  poi  di 
vantaggiare  la  poca  conducibilità  dell" alcoole  con  ingrossare  molto  l'aggrega- 
mento dei  fali  d  amianto,  e  quindi  porgere  se  non  più  facile,  almeno  strada  più 
ampia  all'elettrico:  ed  infatti  così  per  questo,  come  per  la  forza  grande  della 
pila,  dopo  pochi  minuti  che  muoveva  la  corrente  elettrica,  si  vide  il  lolino  (por- 
tato al  polo  negativo)  mostrarsi  quasi  alla  superficie  dell  acqua  intorno  al  filo 
congiuntivo:  dal  quale  a  leggerissimi  fiocchi  si  giva  staccando,  versandosi  pel  li- 
quido :  sicché  il  lolino  combinato  cogli  acidi  si  porta  per  rispetto  all'  elettrico  a 
quel  modo  che  sogliono  gli  alcali.  Queste  sperienze  non  lasciano  alcun  dub- 
bio, cosi  per  aver  io  adoperalo  nel  farle  tutta  la  possibile  diligenza,  come  e  via 
più  per  averle  fatte  in  compagnia  del  menzionato  mio  amico  signor  professor 
Marianini . 

Il  lolino  stemperalo  che  sia  nell'acqua  e  in  tale  acconcio  messo  sotto  una  cam- 
pana di  grande  capacità  ed  abbandonata  alla  spontanea  decouiposizione,  se  la 
temperatura  è  a  venti  gradi  circa  sopra  lo  zero  del  R.  non  tarda  troppo  a  esalare 
quell'odore  spiacevole,  che  dà  allo  incirca  lo  zimoma  fermentando.  In  questa 
fermentazione  si  ha  cogli  altri  prodotti  della  spontanea  decomposizione,  1  inge- 
neramento  d"  un  acido,  del  quale,  per  la  piccola  quantità,  non  Iu  potuto  cono- 
scere la  natura:  tuttavia  può  credersi  dover  essere  stato  acido  acetico. 

Messo  che  sia  il  lolino  all'  azione  del  fuoco  si  annerisce  prontamente,  bolle,  e 
si  gonfia  innalzando  molti  vapori  di  color  giallo  ,  e  continuando  molto  sovra  di 
essa  1'  azione  del  fuoco  fino  cioè  airarroventamento  del  recipiente  di  vetro,  ne 
segue  l'intera  sua  decomposizione,  risolvendosi  in  acqua,  olio  giallo  fetidissimo, 
sottoearbonato  d'ammoniaca  e  gasse  acido  carbonico:  rimanendo  poi  in  residuo 
nel  recipiente  destillatorio  un  carbone  leggerissimo  di  lucidezza  argentina  ;  in 
una  parola  somigliante  a  quello,  che  dà  la  decomposizione  della  sostanza  musco- 
lare.  Anche  11  fetidissimo  odore  che  sprigionasi  in  quella  decomposizione   è  11 


Zio 
medesimo  clic  dà  la  carne  pro|)riamcnlc  della  :  il  [icrcljè  testa  acccrtatamente 
itrovato,  che  il  lolino  contiene  mollo  azoto  .unitamente  al  carbonio,  all'  ossige» 
no,  all'idrogeno:  mostrandoci  anche  in  ciò  una  cotale  fratellanza  cogli  alcali  or- 
ganici che  sono  lutti  sostanze  azotate. 

Prima  di  unire  qneslo  articolo  bisogna  anche  che  faccia  notare  qualche  av- 
Tcrlenza  per  la  migliore  preparazione  del  lolino.  Per  avere  adunque  questa  nuo- 
va sostanza  scevra  al  possibile  di  materia  colorante  ;  trattata  che  sia  a  freddo 
la  materia  resinosa  cavata  dal  loglio,  nel  modo  detto  da  principio  ,  coli  alcoole 
puro  ,  si  mette  a  distillare  T infusione  alcoolica,  e  si  bada  bene  che  non  passi  di 
alcoole  più  delle  sette  ottave  parti  di  quello  che  era:  anzi  sarà  meglio  vedere  che 
sia  meno  la  quantità  distillata  di  quello  che  ho  detto  ,  piuttostochè  travalicare 
quel  termine,  conciossiachè  importi  moltissimo  che  la  materia  sia  asciugata  len- 
tamente, e  la  mercè  ili  continua  agitazione,  afiinchè  intorno  al  vase  non  inron- 
tri  soverchio  asciugamento;  il  quale  porterebbe  l'effetto  di  legare  cos'i  il  lolino 
con  un  poco  di  principio  colorante  giallo,  dal  quale  sarebbe  poi  impossibile  di- 
seredarlo . 

Avuto  così  il  lolino  unito  alla  materia  grassa,  bisofjna  infonderlo  ncll"  etere.,  li 
quale,  sciogliendo  prontamente  la  materia  grassa,  lascia  il  lolino  in  |)iccoIe  sca- 
glie bianche  quasi  perfettamente  .  Raccolto  che  sia  bene  il  lolino  nel  fondo  del 
vase,  si  decanta  la  soluzione  eterea;  e  si  torna  a  versare  un  poccolino  di  etere 
per  isceverarlo  al  possibile  da  tutta  la  materia  grassa:  allora  non  resta  altro  che 
riversarlo  sopra  un  feltro  ed  asciugarlo. 

Non  devo  però  tacere  che  una  piccolissima  cosa  di  lolino  è  portata  via  dalla 
materia  grassa,  la  quale  tuttavia  lino  a  un  certo  termine  può  esservi  levata,  ri- 
petendo ancora  l'azione  dell'  etere  sulla  materia  grassa  . 

§.VII. 

Del  glojololico^  e  della  materia  grassa . 

Ho  chiamato  glojololico  un'  altra  sostanza  particolare  trovata  nella  semenza 
del  loglio  da  ^Ao/aSw^ ,  viscoso,  e  lolium  loglio  (i)  che  vale  materia  viscosa  del 
loglio,  dalla  sua  proprietà  di  essere  attaccaticcia  ed  clastica  prima  del   suo  pcr- 


(i)  L'associameoto  (li  due  voci  cavale  Ja  lingue  diverse  per  creare  una  parola,  stnnipa  (  secon- 
do ravvisainento  de' retori)  nella  parola  stessa  (con  tutlocljè  se  ne  abbiano  moUiasiini  esem- 
pi) poco  sincero  e  gastigato  conio.  Tuttavia  mi  sono  permesso  di  trasandare  questa  dullrina 
de' retori,  stimando  di  procacciare  al  mio  vocabolo  non  solo  maggior  chiarezza,  ma  eziandio 
più  facile  e  grata  termiDazione. 

44 


3i6 

fetto  asciugamento  .  Questo  nuovo  principio  è  quello  che  ci  rimane  dopo  cava- 
to il  lolino  dall'estratto  resinoso.  Esso  è  insipido,  inodoroso,  di  colore  castau-ni- 
no  veduto  in  massa,  e  biancliiccio  recato  che  sia  in  lina  polvere  . 

Neil' alcoole  freddo  è  perfettamente  insolubile,  e  cosi  nell' etere,  negli  olii 
essenziali  e  nell  acqua:  anzi  non  è  che  solo  l' alcoole,  il  quale  lo  sciolga  la  mer- 
cè del  calore  ;  con  l'acqua,  in  ispezialità  s' è  in  polvere  fina,  si  ammollisce,  e  cre- 
sce notabilmente  di  volume . 

L' acido  acetico  concentrato,  e  l'acido  idroclorico  sono  que' menstrui,  che 
sciolgono  il  glojololioo  con  la  maggioie  tacilità;  conciossiachè  lo  sciolgano 
bene  anche  a- Ireddo,  e  via  meglio  e  in.  maggiore  quantità,  se  la  forza  loro  sol- 
vente è  ravvalorata  dal  fuoco.  L  acido  acetico,  operando  a  freddo  sovra  di  es- 
so, prima  di  sciorlo  lo  trasmuta  in  una  maniera  di  gelatina  assai  voluminosa,  la 
quale  poi  col  calore  del  luoeo  è  squagliata  e  sciolta  prontamente. 

L  acido  zolforico  operando  la  soluzione  del  glojoiolico  a  freddo  fa  all'  incir- 
ca come  r  acido  acetico  concentrato. 

Quello  poi  degli  aciill  che  adopera  in  modo  particolare  è  il  nitrico.  Esso  at- 
tacca il  glojoiolico  con  somma  prontezza:  pioduce  una  eflervescenza  lenta  sima 
notabile,  cagionata  da  sprigionamento  di  gasse  azoto,  e  trasmuta  la  materia  in 
una  sostanza  di  color  giallo  aranciato,  della  quale  poco  ne  resta  sciolta  nel  li- 
quido, e  il  rimanente  si  depone  nel  fondo  ilei  vase.  Raccolta  questa  materia,  e 
lavata  bene,  essa  è  acida  tuttavia.  Si  scioglie  nell  aicoole,  e  la  soluzione  avuta- 
ne è  decomposta  dalT  acqua:  negli  alcali  poi  è  sommamente  solubile,  e  possono 
queste  soluzioni  allungarsi  moltissimo  con  l'  acqua  senza  che  avvenga  intorbida- 
mento . 

Il  glojoiolico,  sciolto  che  sia  nell'  acido  acetico,  torna  anche  solubile  nell'  al- 
coole e  nell  acqua  :  perciocché  la  soluzione  acetica  di  glojoiolico  può  essere 
molto  allungata  coi  menzionati  liquidi,  senza  che  segua  intorbidamento  .  Se  pe- 
rò la  mentovata  soluzione  sia  allungata  con  l'acqua,  allora  versandovi  un  alcali 
segue  pronto  intorbidamento,,  il  quale  non  può  essere  dissipato  mettendovi  an- 
che di  alcali  assai  più  di  quello  che  bisogna  alla  neutralizzazione  dell'acido.  Se 
poi  la  soluzione  fosse  allungata  con  alcoole,  allora  gli  alcali  non  producono  alcun 
intorbidamento,  il  che  dee  appunto  seguire  :  conciossiachè  il  precipitato  pro- 
dotto dall  ammoniaca  m-lla  soluzione  allungata  con  1'  acqua  sia  solubilissimo 
nell'  alcoole  :  <1  onde  ne  senfue  che  anche  il  iTlojololico  incontra  delle  reali  com- 
binazioni  cogli  acidi  e  cogli  alcali  :  perciocché  non  potendo  essere  sospetto  alcu- 
no che  l'acido  acetico  operando  sovra  di  esso  ne  abbia  sconciata  la  natura,  ed 
essendo  bene  provato  che  1'  operamento  dell'  acido  ne  ha  scambiato  le  proprie- 
tà, ne  viene  da  se  l'illazione  cìie  ciò  non  voglia  esser  venuto  che  per  opera  d'un 
intima  combinazione  . 


3{7 
Quello  che  fa  1'  acido    acclico   Io  f;inno  ali  incirca  anche  l'idroclorico,   ed  il 

zoliorico,  (|uando  però  sia  Ijonc  com|)iiila  a  freddo  fazione  di  questi  acidi  sovra 
il  glojoiolico:  se  non  die  queste  combinazioni  diversilicano  in  ciò,  che  i  precipi- 
tali prodotti  dagli  alcali  sono  tornali  sciogliere  prontamente  da  una  sovrabbon- 
danza di  alcali . 

Il  glojoiolico  conae  si  combina  cogli  acidi,  cosi  anche  si  combina  cogli  alcali  e 
senza  provare  alterazione  veruna  :  sì  veramente  che  non  dimori  troppo  a  lungo 
cogli  alcali,  e  non  sia  fatto  bollire  :  conciossiachè  dimorand"o  dieci  o  dodici  ore, 
e  via  più  facenilolo  bollire  con  la  potassa  pura,  o  con  soda,  sciTua  un  notabile 
sprigionamento  di  ammoniaca,  e  la  formazione  altresì  dell'  acido  idrocianico, 
jdrozolforico,  e  carbonico,  in  una  parola  di  que  prodotti  che  dà  la  fibrina  bolli- 
ta negli  alcali  :  la  qual  cosa  mi  sembra  troppo  singolare  e  degna  di  attenzione, 
non  vi  essendo  tra  i  principii  immctliati  de' vegetabili  alcun' altra  sostanza  che 
più  del  glojoiolico  si  accosti  alla  fibrina,  anzi  sembri  con  essa  una  cosa  mctlesi- 
ma.  Potrebbe  essere  che  il  zimoma  si  portasse  a  questo  modo  ma  fino  ad  ora 
non  abbiamo  alcuna  spcrienza  che  cel  raffermi. 

Avendo  io  voluto  sperimentare  come  si  portassero  coli' elettrico  le  combina- 
zioni acide  del  lolino,  ed  essendone  seguitato,  come  si  è  veduto  più  sopra,  risul- 
tali soddisfacenti,  ho  voluto  anche  provare  quelle  del  glojoiolico,  adoperando 
nel  modo  slesso  che  feci  con  quelle  del  lolmo  .  II  glojoiolico  adunque  si  lìortò 
anch' esso  al  polo  negativo,  se  non  che  in  isrambio  di  mostrarsi  come  il  lolino  al- 
la superficie  del  liquido,  comparve  al  fondo  del  vasellino,  dov'era  1' estremila 
del  filo  congiuntivo  ;  rendendo  quivi  molto  latteo  il  liquido  . 

Essendomi  in  tal  guisa  accertato  che  così  il  lolino  come  il  glojoiolico  erano 
al  modo  degli  alcali  elettropositivi  rispetto  agli  acidi,  ho  voluto  anche  vedere  co- 
me si  fossero  portale  coli"  elettrico  le  combinazioni  a  freddo  del  glojoiolico  co- 
gli alcali.  Infatti  speiimentate  queste  soluzioni  al  moilo  che  ho  detto  più  sopia, 
il  gloiololico  scambiò  incontanente  di  luogo,  e  si  portò  ài  polo  positivo:  sicché 
esso  i)er  risiietto  agli  alcali  divenne  elettronegativo  :  ond  è  che  possiamo  infe- 
rirne, clic  così  il  lolino  come  il  glojoiolico  tengono  il  luogo  degli  acidi  nelle  loro 
combinazioni  enfili  alcali,,  e  (niello  dc"'li  alcali  nelle  loro  combinazioni  cooli  acidi. 
Stemperato  finalmente  il  glojoiolico  nell'accjua  ed  abbandonato  alla  spontanea 
decomposizione,  si  portò  assai  diversamente  del  lolino  :  conciossiachè  anche  in 
questa  di'composizionc  m'  abbia  raffermato  la  sua  analogia  colla  fibra  animale, 
dandomi  ilopo  gii  altri  prodotti  f  acido  idrozoHorico  e  f  ammoniaca  .  Questo 
fatto  mi  dispensa  dal  dover  notare  quello  che  mi  è  tornato  dalla  sua  decomiio- 
sizione  per  opera  del  fuoco:  il  perchè  terminerò  col  dire  che  sì  1'  una  come  l'al- 
tra maniera  di  decomposizione,  mi  chiarì  accertalainenle,  ch'esso,  oltre  l' ossi- 
geno,  f  idrogeno  e  il  carbonio,  contiene  anche  mollo  azoto  . 


3;8 

Prima  di  fiiiiie  questo  articolo  devo  dire  anche  ima  parola  della  materia 
grassa  trovata  in  questa  semenza.  E  poiché  le  proprietà  delia  materia  orassa 
che  viene  incontrata  in  quasi  tutte  le  analisi  organiche,  sono  sempre  le  medesi- 
me, tranne  il  colore,  che  sembra  doverle  essere  estraneo,  così  mi  fermerò  poco 
a  discorrere  della  materia  grassa  del  loglio,  ne  parlerò  che  di  quelle  poche  pro- 
prietà che  specificamente  le  appartengono  . 

Essa  dopo  essere,  come  le  altre  solubile  nell'alcoole,  e  via  pih  nell'etere,  è 
molle,  di  color  gialliccio,  e  di  sapore  amaro.  Se,  sciolta  che  sia  nell'alcoole,  è  ab- 
bandonata ad  una  svaporazionc  spontanea,  essa  cristallizza  in  tavole  quadrate  e 
romboidali.  Finalmente  per  disgregarla  interamente  dal  lolino,  a  cui  si  tiene  te- 
nacemente unita,  basta  stemperarla  nell'acqua,  e  quindi  l'aria  bollire  colla  ma- 
gnesia .  Il  lohno  forma  con  questa  sostanza  un  composto  insolubile,  e  la  mate- 
ria grassa  vi  resta  meccanicamente  combinata  :  il  perchè  la  mercè  dell' alcoole 
essa  vlcn  separata  in  istato  puro  , 

§  Vili. 

Degli  effetti  che  operano  le  varie  sostanze  tratte  dal  loglio  nelt  uomo  sano . 

Il  fine  principale  ond'  io  mi  sono  messo  a  indagare  l' intima  composizione  della 
semenza  del  loglio  quello  era  di  conoscere  quel  cotale  principio,  che  opera  effetti 
tanto  singolari  e  curiosi  nel  magistero  della  vita.  Il  perchè  non  potendo  io  essere 
accertalo,  che  per  opera  della  sperienza,  della  virtù  delle  diverse  sostanze  ch'io 
ho  cavato  colle  mie  chimiche  indagini  dalla  mentovata  semenza,  ho  fermato 
di  farne  sperienze  sovra  di  mio  fratello  e  di  me  stesso,  per  essere  in  tal  modo 
meglio  assicurato  della  sincerità  degli  effetti,  così  pel  duplicato  raffrontamcnto 
eh'  io  ne  Institulva,  come  anche  perchè  non  si  assuefacesse  alla  forza  del  veleno 
quell'  individuo  sovra  il  quale  soltanto  lo  avessi  continuato  le  mie  sperienze,  e 
quindi  mi  fosse  mancato  per  lo  svario  portato  dall'  assuefazione  sicuro  argo- 
mento per  la  giusta  estimazion  degli  effetti . 

Fu  adunque  stabilito  di  prendere  le  diverse  sostanze  del  loglio  con  bene  misu- 
rato avvicendamento,  fra  mio  fratello  e  me,  e  la  prima  sostanza  che  fu  sperimen- 
tata, fu  la  materia  estrattiva  cavata  dalle  infusioni  alcooliche  (i).  Questo  estrat- 
to adunque  fu  preso  per  la  prima  volta  impastato  col  pane  polverizzato  e  nella 
dose  di  solo  un  grano:  ma  non  ne  essendo  da  questa  piccola  dose  seguitato  al- 
cun effetto,  fu  essa  a  mano  a  mano  cresciuta   fino  a  dodici  grani .  Questa  nota- 


(i)  Veggasi  §.  Ili,  face.  334- 


3,'9 
bile  dose  «li  estratto  fu  |irrs.-i  di  Luon  mallino  a  stomaco  digiuno.  Cora'  essa  fu 
ingliiottita  non  travalicarono  quindici  minuti  che  nello  stomaco  fu  manifestata 
una  sensazione  di  calore  temperata  s'i,  ma  chiara  e  indubitata,  come  chiara  e 
indubitata  fuezianilio  una  uguale  sensazione  di  calore  alla  aorta.  Un"  ora  appres- 
so si  notarono  alcuni  brividi  qua  e  colà  e  un  leggerissimo  dolore  alle  einocchia. 
Il  polso  si  fece  intanto  più  esaltato  ed  energico;  un  battito ,  un  tremore  parve 
che  la  sensazione  dicesse  essere  allo  stomaco,  e  forse  meglio,  a  tutta  la  perife- 
ria della  regione  epigastrica  :  il  qual  sintomo  tornò  a  mio  fratello  (eh"  è  di  me 
più  vigoroso  e  robusto)  sovra  misura  incomodo  e  molesto.  Questi  effetti  si 
manifestarono  circa  tre  ore  dopo  aver  inghiottita  la  sostanza  del  loglio:  e  furono 
anche  accompagnali  da  una  respirazione  stentata  ed  affannosa.  Dopo  di  ciò  la 
velenosa  sostanza  durò  a  produrre  i  suoi  effetti.,  ingenerando  una  gravezza  nota- 
bile alla  testa,  ed  in  spezialità  agli  occhi,  i  quali  divennero  così  essi,  come  le 
palpebre,  turgidi  e  rubicondi  per  lo  injettamcnto  de' vasi  sanguigni,  i  quali  era- 
no per  opera  del  veleno  a  quella  condizione  portati  che  suole  indurre  la  flon-osi. 
Questa  maniera  d'  ebbrezza,  questo  turbamento  delle  naturali  funzioni  portato- 
si alla  testa,  riusciva  finalmente  in  un  vero  dolor  di  capo,  il  quale  durava  di 
sovente  tutta  la  giornata  :  anzi  lu  un  giorno  in  cui  capitando  la  sera  il  dolore  fu 
esacerbato  per  modo  da  non  potermi  più  stare  senza  andarmene  a  letto.  Que- 
sti effetti  furono  notabili  e  cospicui,  ed  a  produrli  bastarono,  come  diceva,  do- 
dici grani  di  estratto:  ma  è  da  notarsi  che  i  maggiori  effetti  furono  prodotti  con 
via  maggiori  quantità  di  quella  sostanza:  conciossiachè  io  abbia  portato  la  dose 
fino  a  20  grani:  tuttavia  anche  con  la  dose  di  soli  otto  o  dieci  grani  .olirono  po- 
tuti notare  alcuni  piccoli  effetti. 

Si>esse  volte  ho  voluto  veder  consumata  1"  efficacia  del  veleno  senza  mette- 
re impedimento  alla  progressione  de'suoi  effetti,  ma  altre  furonvi  nelle  quali  ho 
cercato  tU  fermare  eli  operamenti  suoi  perniciosi,  e  mi  sono  avveduto  eh'  io 
conseguiva  assai  facilmente  il  mio  intento,  se  pigliava  a  modo  di  limonea  gli 
acidi  minerali  e  vegetabili  nel  momento  che  rendevasi  alfannosa  la  respirazione, 
e  si  manifestava  quel  tremito  allo  stomaco  ed  a  tutta  la  regione  epigastrica. 

Raffermatomi  cogli  argomenti  notati,  che  in  quella  sostanza  era  tutta  l'effica- 
cia del  loglio,  e  assicuratomi  anche  bene  che  in  quell'estratto  c'era  il  lolino,  io  non 
dubitava  di  avere  nel  lolino  tutta  intera  la  virtù  del  loglio.  Il  perchè  cominciai 
a  prendere  a  minime  ilosi  quella  nuova  sostanza,  impastandola  colla  midolla  del 
nane:  ma  sempre  senza  poterne  notare  il  più  piccolo  elletto.  Tuttavia  non  mi 
potendo  capacitare  che  ninna  virtù  fosse  in  quel  principio,  il  quale  anzi  io  crede- 
va averne  moltissima,  durai  a  sperimentarlo,  portando  le  dosi  fino  a  sei  ed  otto 
crani.  Allora  mi  avvidi  ch'esso  con  tutto  che  ninno  producesse  degli  effetti  narco- 
tici dell'estratto,  durava  però  a  produrre  quella  sensazione  di  calore  nello  stoma- 


ò5o 

co,  la  qaale  non  vi  portando  però  sconcertamento  e  disordine,  v'  induceva  anzi 
un  soave  eccitamento,  che  le  funzioni  ravvalorava  di  quel  viscere;  conciossiachè 
tanto  mio  fratello,  che  io  abbia  notato  più  che  per  lo  innanzi  voglia  e  bisogno 
di  cibo  in  que'giorni  che  avea  preso  il  lolino  .  Ma  questo  comechè  ci  abbia 
fatto  conoscere  una  nuova  virtù  nel  lolino  (la  quale  per  essere  avuta  per  indubi- 
tata vuole  ancora  molte  sperienze)  nulla  poi  ci  chiari  del  principio  narcotico 
del  loglio,  anzi  compiuta  l'analisi,  e  fatte  le  molte  sperienze  sopra  i  varii  princi- 
pii  che  giunsi  a  separare,  niente  mi  venne  trovato  di  quello  che  io  cercava  :  co- 
talchè  arrivai  al  termine  del  lavoro  trovandomi  in  quella  stessa  ignoranza  on- 
d'era  dapprincipio  .  Ciò  potrebbe  provare  la  mia  poca  perizia  nell'analisi  orga- 
nica :  ma  quando  si  guardi  alla  via  ch'io  ho  tenuto,  credo  che  potrà  anzi  prova- 
re r  insuflìcienza  de' mezzi  che  abbiamo  finora,  per  conoscere  l'intima  composi- 
zione degli  esseri  organici,  de'quali  a  lavorare  gli  elementi  ha  di  tali  ingegni  il 
magistero  della  vita,  che  mal  possono  raffrontarsi  con  quelli  che  sono  in  potere 
dell'uomo  per  iscoprirli. 

Ho  adunque  dovuto  finire  il  mio  lavoro  senza  aver  separato  dall'estratto  quel- 
l'efficacissimo principio,  del  quale  le  sperienze  fatte  suU"  animale  economia  mi 
raffermarono  l'esistenza:  ne  ciò  sembra  dover  essere  stato  per  difetto  di  tenta- 
tivi ,  conciossiachè  moltissime  sieno  state  le  indagini  che  adoperai  per  segre- 
garlo, come  si  può  vedere  all'  articolo  terzo  di  questo  mio  lavoro  :  senza  le  mol- 
le altre  che  non  furono  notate  per  ragione  di  brevità  . 

Se  io  dovessi  fare  qualche  supposizione  per  dire  che  sia  di  quella  singolare 
sostanza,  stimerei  esser  da  crederla  una  combinazione  ancora  sconosciuta  del 
lolino,  ma  ciò  per  al  presente  non  può  avere  alcun  vantaggio  sopra  il  valore  di 
una  semplice  supposizione  .  Il  perchè  io  mando  a'  chimici  il  mio  lavoro  col  tio- 
vato  delle  due  nuove  sostanze  lolino  e  glojoloUco ;  e  colla  certa  indicazione  di 
quel  composto  organico,  ond'è  che  si  contiene  il  principio  narcotico:  sperando 
che  questa  mia  prima  opera  aguzzi  1'  altrui  curiosità,  e  la  porti  così  avanti  da 
giifgnerc  a  quell'ultima  scoperta,  per  arrivare  alla  quale  ho  io  lavorato  moltissi- 
mo, ma  senza  frutto  immaginabile:  se  quello  non  è  di  avere  innanzi  ogn'altro 
dato  opera  a  questa  analisi,  e  di  aver  anche  mostrato  dove  realmente  esista  il 
principio  narcotico. 


ESAME  MEDICO 

DELLE  ACQUE  TERMALI  DI  MONTE  ORTONE 

DEL    DOTTOR 

EUSEBIO      VALLI 

MEMBRO    ORDINARIO    ESTERNO 
DIRETTO 

AL    SIC.    PROFESSORE    CAV.    REZZA 

ISPETTORE  DI  SANITÀ  MILITARE. 


1  medici  risguardano  le  terme  del  monti  euganei  qual  rimedio  universale,  e 
v'  inviano  quindi  ammalati  d'  ogni  maniera:  emoftoici ,  catarrosi.^  ipocondriaci, 
podagrosi.,  oslruzionarii,  scrofolosi,  sifilitici,  scabbiosi,  ec. 

Incaricato  io  pel  corso  di  due  anni  del  servizio  medico  all'ospitale  di  Monte 
Orione,  Ilo  potuto  agevolmente  scoprire  l'impostura  e  la  mala  fede  di  que"  me- 
desimi, che  hanno  scritto  dei  grossi  volumi  sopra  tale  soggetto. 

Secondo  r  analisi  del  sig.  Mandruzzato,  2^  libbre  d'acqua  minerale  di  Mon- 
te Orione  contengono: 

Gas  idrogeno,  forse  carbonizzato  in  minima  ed  incerta  dose 
Gas  ossigeno  in  picciola  dose  egualmente  incerta 
Carbonato  di  calce  ....  grani  g3  i 
Solfato  di  calce      .....  »    iSt 
Muriato  di  soda      .....             55  489 
di  calce             .         .         .         .             »     28 . 

Si  può  egli  fare  un'  applicazione  felice  delle  acque  tcrmiili,  allorché  V  analisi 
non  determini  la  quantità  dei  gas,  che  le  mineralizzano,  ne  la  natura  dei  princi- 
pii  cui  esse  contengono?  In  ragione  questo  lavoro  chimico  non  è  necessario,  e 
r  esame  medico  fornisce  sempre  risultamcnti  più  sicuri .  Il  prmcipio  più  attivo 
delle  acque  termali  è  senza  dubbio  il  calorico:  la  sua  azione  viene  singolarmente 


352 

esercitala  sul  sistema  arterioso  e  muscolare.   Egli  agisce  pure  come  sllmalante 

sui  nervi,  e  paralizza,  e  addormenta  per  cosi  dire  il   sistema  linfatico  .   Gli  altri 

prlncipii  componenti  le  acque  (io  intendo  sempre  parlare  delle  terme  di  Monte 

Orione)  concorrono  soltanto  in  parte  alla  produzione  dei  fenomeni  che  le  sono 

propri). 

Queste  acque  non  hanno  alcuna  azione  sul  veleno  venereo,  ne  sopra  le  acri- 
monie, che  s"  ingenerano  alla  pelle,  o  che  sono  il  prodotto  delle  glandule  linfa- 
tiche .  Alcuni  fatti  potranno  convincerci  intorno  alla  verità  delle  enunciate 
proposizioni . 

PRIMO  ORDINE  DI  FATTI. 

Costituzione  stcnica^  originaria  od  acquisita^  predisponente  alle  emorragie  , 
infiammazioni  e  flemmassie  croniche  . 

Antonio  Odrar  del  3." battaglione  dalmata,  giovane  ben  complessionato,  robu- 
sto, attaccato  da  dolori  reumatici  sputa  sangue  al  terzo  bagno  . 

Giacomo  Galoche,  del  io6.  '  rewirimento  di  linea,  aveva  fatto  sedici  bagni 
ed  otto  fangature,  allorché  venne  colto  da  un  dolore  vivo  e  puntorio  al  petto  . 
La  respirazione  si  fece  d'  assai  difficoltosa,  il  polso  duro  ed  aveavi  molta  agita- 
zione. Gli  si  amministrarono  dei  deprimenti  ed  al  3. ^  giorno  cessarono  tutti 
i  fenomeni . 

Pietro  Martrè,  del  29.''  reggimento  di  linea,  sputa  del  sangue,  dopo  aver  fat- 
to 23  bagni  e  21  fangature.  La  dieta  ed  i  controstimolanti  lo  ristabilirono 
prontamente . 

Questi  due  mditari,  di  già  attempati,  non  erano  uè  pletorici,  ne  cagionevoli 
al  petto,  ne  intemperanti .  La  loro  malattia  consisteva  in  un  reumatismo  musco- 
lare. Li  fenomeni,  da  cui  furono  colti,  provennero,  a  mio  parere,  da  una  lenta 
accumulazione  di  eccitabilità  nei  polmoni,  ed  i  cangiamenti  bruschi  dell'atmosfe- 
ra, come  gli  errori  nel  regime  di  vita  non  avrebbero  potuto  qui  occupare,  che 
un  posto  secondario  . 

Bertoluzzi,  caporale  d'  un  battaglione  fisso  in  Venezia,  soggetto  all'emottisi, 
soffriva,  da  due  anni,  dolori  articolari.  Volendo  esperimentare  li  bagni,  egli  eb- 
be alla  seconda  prova  tutti  li  sintomi  della  peripneunionia.  Io  gli  ordinai  un  ge- 
neroso salasso,  una  tisana  emetizzata,  la  dieta  .  All'  indomani  il  polso  era  men 
duro,  meno  frequente,  e  minorato  il  dolore  costale  ;  gli  spuli  si  osservavano  an- 
cor tinti  di  sangue .  Si  replicò  la  stessa  bevanda.  Al  terzo  giorno  cessò  del  tut- 
to la  febbre,  gli  spuli  erano  mucosi,  e  picciolo  il  dolore .  Al  quinto,  1'  ammalato 
era  convalescente . 


3,-3 

Conclion,,  Liigailiere  nel  3."  rogpiinenlo  dei  tlragoni.  cLbe  a  provare  li  mede- 
simi aoeidenli  ali  ottavo  bagno,  e  venne  a  un  dipresso  trattato  nella  stessa  ma- 
niera. Questi  aveva  ricevuto,  tre  anni  prima,  un  colpo  di  punta  al  petto,  ed  il 
dolore  si  faceva  sentire  al  luo"-o  della  ferita  . 

Il  sig.  P,'i^<ises,  capitano  dei  volteggiatori  del  6."  reggimento  di  linea,  uomo 
di  una  certa  età,  che  faceva  le  fangature,  onde  procurare  alle  sue  gambe  mag- 
gior licssibilità  e  forza,  ebbe  un'emorragia  nasale,  e  le  emorroidi,  querelandosi 
nello  stesso  tempo  di  una  grande  oppressione  al  petto.  Temendo  di  una  ridon- 
danza generale  di  umori,  io  gli  comandai  il  ri[)oso,  ed  un  regime  severo  .  Passa- 
to d  pericolo,  egli  contuiuò  nella  propria  camera  l'intrapreso  trattamento,  e  si 
trovò  benissimo.  Questo  fatto,  ed  altri  molti  di  egual  natura  fanno  prova  evi- 
dente delfinlluen/a  marcata  dei  vapori  delle  acque  termali  sull'organo  principa- 
le tlella  respirazione  . 

Io  lio  osservato  costantemente  clic  le  malattie  cagionate  dal  ba^ni  e  dal 
fanghi  erano  passeggiere,  e  che  non  eravi  bisogno  di  molto,  per  vincerle,  allor- 
quando pure  esse  si  presentavano  con  un  apparato  importante  .  Sare^jbe  egli 
possibile  di  prevenire  queste  affezioni,  e  tali  malattie  secondarle,  facehdo  fare 
nel  principio  li  bagni  e  le  fangature  poco  pili  che  tepidi,  e  di  corta  durata,  ed 
abituando  per  tal  modo  gì'  infermi  ad  una  temperatura  sempre  pili  alta?  Sì  cer- 
tamente. Ma  siKallc  precauzioni  sono  vuote  d'  elfetto  per  gli  emoftolci,  o  quel- 
li che  hanno  la  disposizione  ad  esserlo,  per  1  sanguigni,  per  gli  asmatici,  ed  i 
predisposti  alla  tisi,  soprattutto  alla  tisi  florida  e  scrofolosa,  e  per  lutti  coloro 
in  fine,  che  hanno  il  petto  debole  e  maltrattato.  La  mia  asserzione  è  basata  sul- 
l'esperienza. 

Flemmassic  croniche .  Oazetti ,  del  5."  di  linea  Italiano,  era  tormentato  da 
lungo  tempo  da  una  reumatalgia  lombare  .  I  bagni  non  g-li  davano  verun  sollie- 
vo, e  le  fangature  accrescevano  grandemente  i  suoi  dolori .  Io  gli  feci  applicare 
un  vasto  vescicante  ai  lombi,  e  se  ne  stette  passabilmente  bene  per  sei  o-iorni . 
A  questo  momento  la  malattia  si  rinnovò  con  plucchè  mal  di  veemenza  ;  1'  op- 
pio non  gli  procurava  che  una  calma  momentanea  .  Stanco  di  vedere  il  mio 
ammalalo  in  soflerenze  si  atroci,  lo  volli  assoggettare  ad  un  trattamento  mercu- 
riale.  Questo  metodo  corrispose  alla  mia  aspettazione  ed  a'  miei  desiderii . 

Bertolucci,  caporale  del  cannonieri  italiani,  attaccato  da  dolori  fissi  alle  arti- 
colazioni, aveva  fatto  3o  bagni,  peggiorando  ogni  giorno  .  Quantunque  non  sap- 
pia mai  essere  apatista,  pure  convenne  lasciarlo  soffrire  come  tanti  altri,  e  così 
facendo  ,  risposi  alla  questione  da  voi  sig.  Ispettore  propostami  :  quali  sieno  i 
casi  in  cui  le  acque  termali  riescano  o  utili,  o  dannose?  Io  impresi  Imalmenlc  a 
soccorrere  il  paziente:  gli  amministrai  11  mercurio  per  frizioni,  ed  egli  guarì . 

45 


3ói 

La  lombaggine,  i  dolori  articolari,  e  pressoché  lutti  li  reumalismi  apparten- 
gono in  origine  alla  famiglia  delle  flemmassie,  e  non  degenerano,  che  quando 
siano  antii  Ili .  Ora,  per  vincerli  è  mestieri  attenersi  a  certi  debilitanti,  soprat- 
tutto alle  frizioni  mercuriali .  Io  non  le  ho  risparmiate,  e  la  mia  pratica  non  mi 
è  riuscita  sfortunata. 

In  ultima  analisi  i  bagni,  le  fangature  non  possono  convenire,  che  nei  reuma- 
tismi atonici  dopo  ferite,  contusioni,  fratture,  ed  in  quc" reumatismi  che  succe- 
dono a  febbri  nervose  e  periodiche:  ma  questi  dolori  reumatici  non  entrano, 
per  quanto  mi  sembra,  che  nella  classe  delle  nevralgie  . 

SECONDO    ORDINE   DI   FATTI. 

Nevralgìe^  Nevrosi . 

Nevralgie.  Il  sig.  V ,  uomo  attempato,  di  debole  costituzione  e  malsa- 
na, è  stato  per  tutta  la  sua  vita  preda  di  mali  nervosi,  i  quali  si  sono  appalesati 
sotto  mille  e  mille  forme  differenti .  Egli  venne  attaccato,  sono  circa  due  anni , 
da  un  dolore  alla  testa,  che  occupava  tutta  la  cufha  aponeurotica .  Lua  settima- 
na non  era  per  anco  trascorsa,  che  il  dolore  abbandonò  questo  luogo  per  tras- 
ferirsi al  collo  ed  alle  s|ialle,  e  di  là  alle  estremità  inferiori,  ove  lissò  lasuasede. 
I  muscoli,  i  legamenti,  le  aponeurosi,  il  periostio,  le  ossa  medesime,  tutto  era 
sotto  il  suo  tirannico  impero  .  Il  malato  soffriva  orribilmente  durante  la  notte; 
e  siccome  le  vertigini,  due  anni  prima,  1' aveano  minacciato  d'una  apo])!essia, 
efli  aveva  della  ripugnanza  per  1'  oppio.  Se  gli  fece  credere,  che  li  bagni  dì 
Monte  Ortone  1'  avrebbero  tratto  ila  tal  penosa  situazione,  o  che  gli  avrebbero 
p<'r  lo  meno  procurato  sollievo  .  Egli  vi  si  recò,  e  fece  prova  dei  bagni,  clelle 
faniTature  e  de' mercuriali  :  ma  peggiorò,  e  per  la  violenza  dei  dolori  In  astret- 
to dì  ricorrere  all'oppio.  Quindici  o  venti  goccie  di  laudano  liquido,  in  due 
oncie  di  aceto,  gli  fecero  passare  una  notte  molto  tranquilla .  Il  malato  aumen- 
tava osrnl  giorno  la  dose  del  divino  rimedio,  e  sì  trovò  ristabilito  in  meno  di 
dieci  giorni. 

Il  sig.  Sago,  luogotenente  nei  battaglioni  dalmatini,  avea  dei  dolori  erranti  j 
vaghi,  delle  polluzioni  notturne,  era  giovine,  forte,  e  di  stirpe  greca,  ed  abbiso- 
gnava di  tutt'  altro  fuorché  di  acque  calde  .  Il  fatto  gliene  diede  la  dimostra- 
zione . 

Lic  acque  sarebbero  bensì  indicate  nel  dispertismo,  ed  il  libertino  impotente 
trar  ne  potrebbe  un  eccellente  partito .  Uno  dei  padroni  dei  bagni  vecchi  di 
Abano  non  si  riconosceva  uomo,  che  allorquaQdo  si  applicava  i  fanghi  al  peri- 
neo ed  alle  parti  sessuali . 


Sò'J 

Una  donna  fredda,  come  il  ghiaccio,  crudele  per  tcinpcramento,  sterile,  pri- 
va de'inestrui,  consigliata  dal  suo  vecchio  medico,  che  non  era  uomo  da  molto, 
recossl  a  fare  li  batrni  alla  Balla^jia.  Due  mesi  dopo  la  siirnora  era  incinta  :  al 
d'i  d'offri  ella  è  madre  di  due  li^li,  il  suo  carattere  è  cambiato,  e  divenne  un 
modello  di  vu  lìi. 

Il  ritorno  delle  evacuazioni  soppresse  non  è  un  effetto  costante  dell'azione 
delle  accpie  termali  .  L'  osservazione  da  me  riferita  è  forse  1'  unica  nella  storia 
della  medicina.  Si  sa  che  la  sopjM-essione  delle  regole,  dell'emorroidi,  cagiona 
sovente  le  convulsioni,  l'ipocondria,  la  melanconia,  ed  i  bagni  non  farebbero 
che  inasprire  ed  irriftare  di  più  il  sistema  nervoso.  I  visceri  divengono  forse,  con- 
seguentemente a  questa  medesima  causa,  ostruiti  ed  attaccati  da  una  lenta  in- 
hanimazione  ?  Si  forma  forse  uno  spandimenlo,  fascile,  l'anasarca?  In  tulli 
questi  casi,  cosa  evvi  a  sperare,  o,  a  meglio  du'c,  cosa  non  debbesi  temere  dal- 
1  uso  delie  acque  ?  Ritorniamo  a  bomba  . 

La  sig."Pizarro  di  Vi(;enza,  affetta  da  sciatica,  fece  uso  delle  unzioni  mercu- 
riali. INel  corso  di  questa  cnra,  il  suo  corpo  si  coprì  di  una  eruzione  vescicolare 
pruriginosa,  ed  il  dolore  cessò.  Si  sospesero  le  liegagioni  ed  al  termine  di  i5 
giorni  r  eruzione  incominciò  a  scomparire,  e  f  ammalata  si  querelò  ben  tosto 
•li  un  dolore  alla  scapola  destra.  Essendosi  dileguata  onninamente  1'  eruzione, 
il  dolore  si  fissò  di  nuovo  sopra  il  nervo  femoropopliteo.  L'ammalata  ebbe 
delle  altre  eruzioni,  le  quali  costantemente  furono  susseguitale  dalla  scomparsa 
della  sciatica.  In  mezzo  a  tali  alternative,  ella  aveva  goduto  di  una  buona  sa- 
lute, di  maniera  che  le  persone,  che  per  essa  prendevano  interesse  la  lusingava- 
no di  una  jruarinfione  radicale.  Onesto  fu  un  soffno .  I  medici  della  città,  non 
sapendo  ove  rivolgersi,,  la  inviarono  ai  bagni  d  Abano  .  Questa  dama,  che  na- 
sceva da  una  donna  irritabile  ed  affetta  da  acrimonie,  aveva  ereditalo  da  sua 
madre  una  organizzazione  e  delle  disposizioni  analoghe.  La  malattia  era  com- 
posta di  due  elementi:  estrema  sensibilità  e  vizio  umorale,  contro  dei  quali 
a  nulla  valirono,  ne  i  bairni,  ne  le  fangature,  ne  le  doccie:  ma  siccome  esiircva  la 
qualità  delle  circostanze  che  il  tulio  si  ponesse  a  prova,  cos'i  conveniva  che  la 
povera  ammalala  soffrisse  dolori  più  tormentosi  della  morte,  e  che  si  avventu- 
rasse al  rischio  di  perdersi  per  sempre. 

Io  ho  avuto  la  conoscenza  del  sig. . . .,  nativo  di  Mondovi  in  Piemonte,  che.  da 
tre  anni,  era  stato  attaccato  della  sciatica.  La  gamba  erasi  resa  di  mollo  ema- 
ciala, le  forze  muscolari  assai  deboli,  il  tlolore  era  quasi  nullo:  egli  fu  guarito  col 
mezzo  delle  fangature.  Queste  aumentando  1' afihisso  del  sangue  alla  parte  aflet- 
ta,  vi  determinarono  una  più  abbondante  secrezione  di  sostanza  midollare,  in  cui 
risiede  eminentemente  il  principio  della  vita  (V imprtuin /acicns  d'Ipocralc).  Il 
uervo  in  questi  casi  tidvolta  divenne  egli  stesso  atroiico:  altre  volle  egli  è  irri- 


356 

tato  da  una  materia  acre  che  si  è  depositala  nella  sua  guaina.  Qucst'  è  l' iscliia- 
de  i-era  postica  del  Cotunnio.  Io  ho  credulo  di  ravvisarla  nella  persona  di  Giu- 
seppe Savozini  del  2.  '  di  linea  italiano,  nel  di  cui  traltamcnto,  senza  far  uso 
alcuno  di  vescicanti,  le  unzioni  mercuriali  sole  lo  rimisero  in  salute  . 

Luiiri  Scancini  del  2.°  di  linea  italiano,  era  assalito  da  un  dolore  allo  scroto 
ed  al  testicolo  sinistro,  dolore  che  si  propagava  lungo  il  cordone  spermatico, 
terminando  alla  cresta  dell  ileo,  ed  alla  regione  lombare  .  L'  ammalato  soflrl- 
va  in  modo  orrendo  durante  la  notte.  Questa  nevralgia,  eh'  io  chiamerò  scroto- 
lombare,  procedeva  in  origine  da  un  abscesso  allo  scroto.  I  bagni,  le  fangatu- 
re, le  doccie  furono  impiegate  a  vicenda,  ma  senza  profitto. 

Il  tic  non  diferisce  dalla  nevralgia  di  cui  ho  latto  parola,  che  per  la  regione 
cui  egli  occupa.  Io  ho  veduto  ai  bagni  d'  AJ>ano  un  giovine  prete  (  D.  Nicolò 
Scipioni  di  Venezia)  che  ne  era  stato  colto.  Tanto  le  acque,  che  i  fanghi  e  le 
doccie  non  fecero  altro  che  condurlo  a  peggiori  sofferenze . 

Uno  speziale  di  Vicenza,  cui  visitava  insieme  al  sig.  Thiene,  ci  ha  comprovato 
n  sue  spese,  che  11  tic  doloroso,  questa  infernale  malattia,  resisteva  non  solo 
alle  acque  termali,  ma  ancora  alla  china,  alla  valeriana,  al  muschio,  ai  mercuria- 
li, al  ferro,  al  fuoco,  agli  stessi  veleni. 

Nevrosi.  Francesco  Duzin,  fuciliere  nel  2."  reggimento  di  linea  del  3."  batta- 
glione, affetto  da  una  semi-paralisi  al  braccio  destro,  in  seguito  di  una  febbre 
nervosa,  usci  dall'  ospitale  perfettamente  risanato,  dopo  aver  fatto  nove  bagni  e 
sei  fan<Talure.  La  malattia  non  contava  una  vecchia  data;  egli  non  era  per  nul- 
la emaciato,  ne  avea  perduto  la  sensibilità  nelle  membra  .  Fatalmente  io  non 
posso  citare  che  questo  solo  esemplo  di  guarigione  . 

Le  paralisi,  che  sopravvengono  alle  febbri  nervose  (adinamlco-atassiche  di 
Piuel)  provengono  dalla  scossa,  o  sconcerto  di  qualche  occulta  molla  del  siste- 
ma nervoso,  o  da  un  deposito  critico  che  comprima  il  tale  o  tal  altro  nervo.  Le 
paralisi  di  questa  specie  deludono  quasi  sempre  gli  sforzi  combinati  della  na- 
tura e  dell'  arte . 

Una  damigella  veneziana,  dell'ordine  patrizio,  fu  rinchiusa  in  un  convento 
dal  suol  barbari  parenti,  1  quali  non  volevano  ch'ella  si  maritasse  con  un  certo 
giovine,  nelle  cui  vene  non  scorreva  11  sangue  trojano.  Piena  d' Immagmazione, 
di  fuoco,  di  bisogni  la  infelice  giovane  aveva  delle  estasi  frequenti.  Ella  scapita- 
va oo-ni  giorno,  ne  avendo  la  forza  di  dominare  le  sue  passioni,  terminò  col  per- 
dere r  uso  degU  arti  inferiori .  La  paralisi  crasi  comunicata  al  braccio  destro, 
quando  ella  fu  inviata  al  bagni  d'  Abano  .  VI  arrivò  In  uno  stato  compassione- 
vole ed  in  un  mese  e  mezzo  all'  Incirca  la  si  vide  partire  in  uno  stato  assai 
buono  . 


357 
Antonio  Giacconi,  «lil  i.  ili  linea  italiano,  soggetto  al  male  caduco,  essendo 
stato  «;ollo  da  un  forte  attacco,  restò  paralizzato  nelle  estremità  inferiori  :  la  pa- 
raplcia  fissò  il  termine  degli  accessi .  Questo  giovine  era  di  una  struttura  atle- 
tica e  ben  nutrito:  le  estremità,  ancorché  colpite,  conservavano  una  vegetazio- 
ne prosiìcra,  ma  ninna  senslljililà,  di  moilo  che  si  poteva  irritarle,  punztcchiar- 
le  senza  che  l'ammalato  dasse  indizio  della  menoma  sensazione  .  11  tronco  del 
sno  corpo,  che  sembrava  accorciato,  gravitava  talmente  sopra  le  sue  gambe, 
che  allor(piando  l'ammalalo  faceva  del  tentativi  per  mettersi  in  piedi,  o  per 
camminare  con  1'  appoicg'o  delle  stampelle,  egli  cadeva  a  terra  come  una  pie- 
tra.  Minacciato  dalla  soffocazione  tutte  le  volte  ch'egli  stava  per  3  o  4  minuti 
nel  ba^no,  fu  obbligato  di  abbandonarli,  e  di  limitarsi  all'  uso  delle  fangature . 
Queste  pure  lo  agitavano,  e  tale  agitazione  andava  ciascun  giorno  crescendo; 
ciocche  lo  pose  nell'  impossibilità  di  continuarne  l'uso.  Fu  nel  torno  di  qucKl'  e- 
poca,  ch'io  gli  ordinai  una  pomata  mercuriale,  nelle  proporzioni  di  un  grosso, 
fino  ad  uno  e  mezzo  di  sublimato  corrosivo,  sopra  un'  oncia  di  grasso  di  porco . 
Al  quarto  giorno  di  ri«cst'operazione  l'ammalato  si  accorse,  che  la  pianta  dei 
piedi  e  le  estremità  dei  pollici  erano  un  poco  sensibili  al  tatto,  ed  egli  riferiva  a 
queste  medesime  parti  la  sensazione  di  una  fiamma  ardente,  ed  una  specie  di 
formicolamento.  Questa  fiamma,  estendendosi  a  poco  a  poco,  restituì  la  sensibi- 
lità e  la  vita  alle  membra  paralizzate,  ed  il  malato  nel  decimo  giorno  divenne 
capace  di  camminare  con  le  gruccie.  Le  sue  forze  pure  ristabilironsi,  ma  con 
molta  lentezza  .  In  questo  mentre  sua  madre  venne  a  vederlo,  e  questa  visita 
gli  fece  nascere  il  desiderio  di  recarsi  a  compiere  la  cura  nel  seno  della  sua  fa- 
miglia, che  abitava  a  Padova.  Cedendo  alle  sue  replicate  istanze,  io  lasciai  che 
se  ne  partisse . 

Un  certo  Genois,  sotto-officiale  nel  i."  reggimento  di  linea  italiano,  aveva 
nna  contraltura  alla  gamba  destra,  in  conseguenza  di  un  colpo  di  palla  ricevu- 
to nella  coscia  .  Le  fangature  gli  resero  in  pochi  giorni  abbastanza  liberi  e  l'e- 
stensione ed  il  movimento  dell'  arto  .  Al  momento  della  ferita,  i  filamenti  nervo- 
si che  si  portano,  e  si  distribuiscono  al  muscoli  estensori,  rimasero  ofrcsi,  don- 
de provenne  una  specie  di  parafisi  di  questi  medesimi  muscoli.  Sotto  1'  applica- 
zione delle  fangature  questa  paralisi  fu  vinta,  e  d'  allora  in  poi  li  muscoli  flesso- 
ri, contrabbilanciati  dai  loro  antagonisti,  non  si  trovarono  più  in  uno  stato  forza- 
to di  contrazione  .  Essendosi  ristabilito  l'equilibrio,  rimaneva  ancora  in  tutti  i 
muscoli  un  grado  di  atonia .  L'  ammalato  credeva  di  poter  rimediarvi  continuan- 
do i  bagni,  ma  non  tardò  a  disingannarsi .  La  gamba  incominciava  a  ricadere 
nella  prima  condizione  .  Non  si  deve  ignorare  che  1  muscoli,  1  quali  sicno  stati 
per  qualche  tempo,  o  paralizzati,  od  in  contrazione  spasmotlica,  conservano 
sempre  la  disposizione  a  ricadere  nel  medesimo  stato  .  j\è  meno  debbesi  ignora- 


358 

re  che  li  ao-enli,  i  quali  vi  abbiano  una   volta  ristabilita  1'  armonia,    ed  il  buon 
ordine,  favoriscono  in  seguito,  ed  avvivano  questa  disposizione  latente. 

Il  sig.  Nicolò  BrouUon  sotto-tenente  nel  6."  reggimento  degli  ussari,  tutto 
stroppiato  dalle  ferite;  entrò  nell'ospedale  il  a  di  giugno:  nel  6.'  egli  gettò  via 
una  delift  sue  stampelle,  ed  al  termine  di  io  giorni  abbandonò  anco  l'altra, 
saltando,  e  facendo  delle  capriole .  Il  popolo  stupefatto  suole  ascrivere  a  mira- 
colo tali  avvenimenti,  e  lo  speculatore  destro  nasconde  sotto  il  velo  di  simili 
guarif^ioni  clamorose  tutti  i  mali,  cui  producono  queste  terme. 

Una  dama  di  Mantova  soffriva  delle  convulsioni,  che  sembravano  avere  11  lo- 
ro centro  all'epigastrio,  perocché  a  questa  regione  ella  riferiva  sempre  la  prima 
sensazione  molesta.  La  signora  aveva  inoltre  dei  tluori  bianchi,  di  que' fluori  pe- 
stiferi, che  infettavano  al  toccarli .  Avendo  fatto  molti  bagni,  tutto  le  andava  al- 
la pecrgio,  ed  io  le  diedi  il  consiglio  di  abbandonare  Abano.  La  mia  opinione  non 
era  quella  del  sig.  Mandruzzato.  Questi  pretendeva  ch'era  bene,  ed  anzi  molto 
bene,  che  si  avessero  degli  accessi  convulsivi  più  frequenti  e  più  forti .  La  sig. 
Platis  non  ne  fu  persuasa,  e  partì . 

La  sig.  Albertini  di  Verona  perdette  il  suo  sposo,  nell'età  in  cui  i  bisogni  fi- 
sici si  fanno  ancora  sentire  imperiosamente  :  ella  divenne  dappoi  triste,  ipocon- 
driaca, amica  della  solitudine.  La  mestruazione  non  fu  più  regolare  :  sopravven- 
ne uno  scolo  tinto  di  sangue,  e  di  tempo  in  tempo  alcuni  dolori  lancinanti  alla 
matrice  .  Se  le  fece  praticare  i  bagni  termali  ;  lo  scolo  aumentò,  1  dolori  si  fece- 
ro sentire  con  più  frequenza  e  forza.  L'ammalata  che  si  credeva  minacciata 
da  un  cancro  all'  utero,  passò  dei  giorni  in  una  agitazione  mortale  .  Alla  fine  el- 
la abbandonò  Abano. 

Il  si<f.  Derider  Alemanno,  dimorante  a  Fiume,  uomo  da  35  a  36  anni,  ipo- 
condriaco fino  dal  ventre  di  sua  madre,  faceva  li  bagni  d'  Abano  dietro  il  con- 
sio-lio  di  molti  medici .  La  malattia  si  fece  più  grave  nei  primi  giorni,  e  diventò 
ancora  più  ribelle  in  seguito.  Aveasi  mancanza  totale  d'appetito,  flatuosità  con- 
tinue, talvolta  costipazione,  talvolta  diarrea,  stringimenti  di  cuore,  debolezza, 
ed  an"-ustie  tali,  da  fargh  temere  la  morte,  ed  a  cui  aggiungevasi  una  profonda 
melanconia  .  La  china  non  gli  procurò  sollievo  alcuno,  io  lo  decisi  a  partire . 

L' ipocondria  al  pari  di   tutte  le  affezioni  di  un  tal  genere,  che  provengono 
da  un  eccesso  di  eccitabilità  nervosa,  naturale  o    acquisita,  o    che  sono  alimen- 
tate dalla  morbifica  condizione  di  qualche  viscere,  tutte  queste  affezioni  si  bur- 
lano delle  terme  dei  monti  euganei . 
Vediamo  ora,  cosa  esser  possano  nqlle  malattie  linfatiche  . 


TERZO  ORDINE  DI  FATTI. 

MalatLie  linfatiche . 

Il  sig-,  Diibant  capo  battaglione  del  7."  reggimento  italiano  ,  aveva  preso  la 
s  filule  ail  epoche  dillerenti,  ed  aveva  sempre  subito  un  consegr.ente  li  altanien- 
to  .  Egli  stava  bene,  allorché  essendo  obbligato  di  fare  un  lungo  cammino  a  pie- 
di .,  venne  sorpreso  dalla  pioggia,,  e  rimase  per  alcune  ore  cogli  abiti  bagnali  in 
dosso  .  Poco  tempo  dopo,  gli  comparve  un  tumore  al  collo,  il  quale,  malgrado 
i  medicamenti  locali  ed  interni,  passò  in  suppurazione .  Questo  tumore  fu  sus- 
seguito da  un  secondo,  poscia  da  un  terzo,  da  un  quarto  ce,  i  quali  avendo  suc- 
cessivamente suppurato  giunsero  a  formare  una  catena  di  sordide  cicatrici.  Dei 
dolori  alle  gambe,  ed  un  ingorgamento  al  ginocchio  destro  furono  la  ragione 
per  cui  questo  ammalato  venne  a  Monte  Orione  .  Egli  mi  consultò  (perciocché 
mi  trovò  alloggiato  nell'  albergo  della  sua  dimora)  ,  ed  io  gli  dissi  che  le  acque 
termali  rinnovellerebbero  la  malattia  delle  gianduia,  e  che  d'  altronde  io  noj  ri- 
scontrava in  lui  il  grado  di  forza  necessario  per  resistere  ai  bagjii  .  Egli  non  mi 
dieile  ascolto,  e  n'ebbe  torto.  Al  12."  bagno  le  sue  antiche  cicali  lei  s' inf  sm- 
marono  tutte  all'intorno,  e  comparve  un  nuovo  tumore  .  I  dolori  si  fecero  più 
intensi  :  avvenne  «lei  peggioramento  e  delle  minaccie  al  petto  .  Spaventato  da 
questi  accidenti  se  ne  parti,  maledendo  i  bagni,  le  fangature  ed  i  medici. 

Il  cavaliere  Sinistri,  capitano  dei  cacciatori  reali  italiani,  ricevette  nclT ulti- 
ma campagna  un  colpo  <li  lancia  sol  lo  le  coste  spurie,  il  quale,  essendo  diretto 
dal  basso  in  alto,  aveagli  forato  il  diafragma,  e  leso  profondamente  i  polmoni. 
Da  ciò  la  provenienza  di  sintomi  gravissimi .  La  cura  fu  lunga  e  burrascosa  . 
Quest'  officiale  presentava  tutti  i  segni  di  una  lisi  tubercolosa  ;  afonia,  tosse  sec- 
ca, tormentosa,  jiicrola  febbre,  sudoi  i  notturni,  emaciazione  .  Io  volea  sul  fatto 
congedarlo,  ma  avendomi  pregato  di  aver  cura  di  lui,  gli  prescrissi  nello  stesso 
giorno  2^  grani  di  mercurio  dolce,  e  dell'acqua  gommosa  per  bevanda.  In  po- 
chi giorni  la  febbre  ed  i  sudori  cessarono  del  tutto;  la  tosse  non  lo  molestava 
che  qualche  momento  alla  notte  ed  al  mattino  .  L'  ammalalo,  trovandosi  molto 
meglio,  credette  di  poter. cimentarsi  alle  fangature,  per  hbcrarsi  da  un  reuma- 
tismo. Io  mi  opposi,  ma  egli  le  fece  a  mio  malgrado.  La  tosse,  la  febbre,  i  su- 
dori ricomparvero  subitamente,  e  questo  bravo  soldato  partì  ammalato  egual- 
mente, che  quando  era  entrato  nell'  ospitale  . 

L'  applicazione  del  fanghi  sopra  le  gianduia  mascellari  destò  una  tisi  tuberco- 
losa a  Margnit  dell' 8."  reggimento  d'artiglieria  a  piedi:  e  Martino  Charricr, 
granatiere  del  5.'  di  hnea  francese,  e  Dehaje  cacciatore  della  compagnia  scici- 
la  ne  furono  aspramente  attaccati  al  petto  .  Dessi  erano  scrofolosi . 


36o 

Pietro  Michiel,  caporale  tlei  volteggiatori  del  2."  battaglione  Jcl  S."  re<Tgl- 
mento,  aveva  un  ingorgo  ai  visceri  del  basso  ventre,  ed  alle  glandiile  degl'  in- 
guini .  Gli  si  applicarono  1  fanghi  sull'addome,  ed  al  i^."  giorno  spulò  sangue  . 
Io  non  dubito  cìie  le  glandule  linfatiche  dei  polmoni  non  fossero  interessate  al 
pari  di  quelle  degl'  inguini  .  Le  ostruzioni  sono  qualche  volta  complicate  con 
una  infiammazione  lenta  dei  visceri  o  del  peritoneo  che  li  avvolge,  ed  allora  1 
bagni  e  le  fangature  possono  accelerarne  il  corso,  e  dar  luogo  a  fatali  conse- 
guenze . 

Prego  Cavraco  del  5.  battaglione  dei  Dalmati,  era  affetto  da  una  malattia 
alla  milza,  conscguentemente  ad  un  colpo  violento  fatto  snll  ipocondrio  sinistro. 
Egli  faceva  le  fangature,  ma  questo  stimolo  gli  eccitava  frequenti  accessi  di 
febbre,  ed  i  dolori  si  facevano  sentire  sempre  più  intensi .  Sebbene  1'  ammalato 
ivi  fosse  giunto  per  essere  sottoposto  ai  nostri  esanà,  nondimeno  io  non  volli 
spingere  le  cose  al  di  là  del  termine  fissato  dalla  prudenza.  Dopo  averlo  lascia- 
to tre  giorni  in  ri|)oso  ,  lo  feci  sortire  . 

Conoscendo  il  modo  d' azione  di  queste  acque  sul  sistema  nervoso  e  linfatico  , 
era  agevole  di  prevedere  quali  fossero  i  loro  effetti  nelle  malattie  veneree  (1). 
L'esacerbazione  dei  dolori,  perchè  l'energia  nervosa  si  trova  esaltata,  è  uno 
dei  danni  cui  portano  queste  acque,  e  la  maggior  durata  ed  ostinatezza  della  ma 
lattla  è  un  secondo ,  perchè  le  acque,  paralizzando  i  vasellini  assorbenti ,  fissa- 
no in  qualche  maniera  il  veleno  sopra  le  parti  da  lui  occupate  .  L'  esperienza, 
che  va  mal  sempre  piìi  lungi  dal  ragionamento  dei  medici  analizzatori  e  filosofi, 
ciba  discoperto  una  terza  verità,  ed  è,  che  i  bagni  e  le  fangature  fanno  più 
pronto  lo  sviluppo  d"  una  sifilide  latente  . 

Pietro  Vial,  caporale  nel  5."  di  linea  francese,  aveva  dei  dolori  muscolari,  ed 
osteocopi,  che  si  esacerbavano  nella  notte.  Fino  dalla  mia  prima  visita  io  gli 
aveva  chiesto,  se  questi  dolori  provenivano  per  avventura  da  causa  venerea. 
Egli  mi  rispose,  che  dessi  erano  le  conseguenze  delle  fatiche  della  guerra,  e 
parve  pure  sdegnato  della  mia  domanda  .  Dieci  giorni  dopo,  essendogli  compar- 
se delle  ulceri,  ci  conobbe,  che  li  miei  sospetti  non  erano  irragionevoli,  ed  eb- 
be la  buona  fede  di  confessarmelo. 

Il  sig.  Leder,  capitano  nel  2."  battaglione  dei  pontonieri,  uomo  di  cinquanta, 
e  qualche  anno,  si  querelava  di  un  dolore,  che  dall'occipite  si  estendeva  ai 
muscoli  del  collo  ed  alle  omoplate .  I  bagni  del  pari  che  le  fangature  e  le 
doccle  gli  facevano  passare  delle  nolll  terribili,  e  al  8.'  giorno  s'  accorse  di  ave- 


(i)  Che  queste  acijue  possano  agire  come  reattivi,  e   neuliallzzare  11  iirus  venereo,  e  la  materia 
produttrice  della  scabbia  e  degli  erpeti,  non  viene  sostenuto  dai  l'atti. 


36i 
re  un  esostosi  iicH'allo  dello  sterno.  Io  tee]  inlcmlere  al  sig.  Leder  la  necessità 
a'inlrajìrcnderc  una  cura  mercuriale,  ed  egli  si  uniformò  a' miei  consigli.  La  sa- 
livazione non  tardò  a  manifestarsi,  ed  ecco  un  motivo  maggiore  di  dubitare  sul 
vero  carattere  della  malattia  .  Il  mercurio  è  la  pietra  di  paragone  ;  e  tra  li  mi- 
litari, trattali  coi  mercuriali,  non  vi  sono  slati,  che  11  siiililici,  i  quali ,  facendo 
i  bagni,  abbiano  salivate  .  Si  avrebbe  torto  di  riguardare  le  esostosi  e  le  perio- 
slosi,  come  segni  infallibili  dell  esistenza  del  veleno  venereo. 

QUARTO  ORDINE  DI  FATTI. 

Malattie  cutanee^  erpeti  e  scabbia . 

Uno  dei  nostri  buoni  medici  ha  creduto  di  riscontrare  un  intimo  rapporto  fra 
le  malattie  linfatiche,  e  quelle  della  pelle.  Se  la  teorica  è  falsa,  egli  è  sempre  ve- 
ro,  che  le  acque  termali,  che  sono  inutili,  o  dannose  per  le  une,  lo  sono  egual- 
mente per  le  altre . 

Gli  effetti  prodotti  da  queste  acque  negli  scabbiosi  sono:  un'eruzione  più  ab- 
bondante, e  prurito  più  sensibile  e  talvolta  insopportabile  :  esse  non  fanno  al- 
cun bene,  ancorché  si  continuino  a  dilungo.  Si  potrebbe  per  altro  renderle  pro- 
fittevoli, attivandole  col  solfuro  di  potassa.  Ed  al  bagni  infatti  preparati  in  tal 
maniera  Giuseppe  Giosepock  del  3."  battaglione  dei  volteggiatori  dalmati,  e 
Martin  Quanovlck,  tutti  e  due  scabbiosi,  debbono  la  loro  guarigione  .  Voi  non 
mi  chiederete  il  perchè  io  non  11  abbia  trattati  tutti  nella  stessa  maniera,  per- 
ciocché sapete,  che  fra  i  medicamenti  da,vol  mandati  a  quest'ospitale,  non  vi 
era  il  solfuro  di  potassa  .  Del  resto  per  pronunciare  con  equità  sulla  eflicacia  o 
non  efiicacia  di  un  rimedio  qualunque,  conviene  starsi  in  una  perfetta  inazione, 
e  farla  da  semplice  spettatore. 

Queste  terme,  che  non  hanno  alcun  potere  sulla  scabbia,  non  debbono  nem- 
meno averlo  sulle  malattie,  che  riconoscono  per  causa  una  scabbia  ripercossa . 
Io  non  credo  che  l' Acorus  scabiei.,  che  fu  scoperto  nelle  pustole  dei  rognosi,  si 
porti  pel  canale  dei  linlatici  nel  torrente  sanguiirno.,  e  che  quindi  poli  circoli  per 
tutto  il  corpo,  e  che  per  via  egli  prescelira  di  occupare  il  tale,  o  tal  altro  orga- 
no, o  parte,  ma  credo  che  la  materia  psorica,  non  possa  essere  recata  in  circo- 
lazione, che  per  mezzo  degli  assorbenti .  Siccome  poi  1  bagni  rendono  questo  si- 
stema inerte,  e  (piasi  paralitico,  così  penso  che  questa  materia  non  verrà  rias- 
sorbita, e  le  maialile,  che  ne  dipendono,  rimarranno  sempre  nel  loro  sluto  .  I 
fatti  si  accordano  colla  teorica  . 

Boecher,  caporale  nel  9.°  reggimento  d'infanteria  di  linea,  e  Bcrlon  Laurent 

nel  ^.°  d'  artiglieria  a  piedi,  aflllttì  ambedue  da  dolori  per  una  medesima  causa, 

4(i 


36j 

cioè  a  dire  per  retrocedimenio  della  scabbia,  non  si  Irovarano  per  nulla  meglio, 
dopo  aver  praticato  i  bagni .  Si  è  egli  mai  veduto,  che  i  bagni,  i  fangiii  e  le 
doccie,  abbiano  fatto  svanire  dei  depositi  di  rogna  ?  Succede  degli  erpeti,  co- 
me delle  scabbie,  che  i  bagni  non  fanno,  che  aggrandirne  l'estensione,  e  rende- 
re questi  mali  vie  più  pruriginosi  e  molesti .  Io  ho  riscontrato  negli  erpetici  in 
generale  un  carattere  iniquo  e  collerico.  Le  acrimonie,  qualunque  elle  si  sieno, 
modihcano  il  morale  d'  una  maniera  sui  generis^  fanno  nascere  e  delle  inclina- 
zioni e  delle  passioni  irresistibili  .  Si  dice  che  1  leprosi  sieno  divorati  dalla  lus- 
suria . 

Durante  un  bimestre  sono  entrati  nella  mia  divisione    i3  erpetici,  dei    quali 
6  hanno  subito  il  trattamento  mercuriale. 

Eccovi  signore,  lo  stato  degli  uni  e  degli  altri. 


Nome  e  Cognome,  t    Reggimento. 


Sala 

Granderi 

Mac|ueville 

Bouglrand 
Paiaìs 
Williams 
Lamblatte 


della 
malattia. 


Numei 

dei 
Bao;ai 


2.°  Pontonleri     3  anni 


3."  Dragoni 
Ila  Linea 

i3  Linea 

2."  Ponlonieri 

6.1  Cacciatori 


I  anno 
3  anni 

a  anni 
i8  mesi 
I  anno 


'9 

a4 

i4 


4.°  Artiglieria     5  anni      |      26 
a  piedi. 


Risultati . 

Non  guarito, né 
miglioralo 

idem 

idem 

idem 
idem 
idem 
idem 


Osservazioni  . 


Erpete    uuiversaie 
migliare. 

Erpete   migliare. 

Erpete    universale 
migliare. 


Erpete  alle  gambe. 

Erpete  crostoso. 

Erpete  alla  parte 
superiore  interna 
della  coscia . 


363 


STATO  degli  Erpeti  trattati  colla  pomata  di  Cirillo^  ed  il  liquore 
di  IVan-Swietcn. 


Nome  e  Cognome. 

Reggimento. 

Invasione 

della 
malattia . 

Numero 
delle 

Frega- 
gioni . 

Risultati. 

OsSEKViZIONI. 

Moinpey . 

6.0  Cacciatori 

4  anni 

i8 

Guarito 

Erpete  migliare. 

Durey . 

idem 

II  anni 

IO 

idem 

Erpete  crostoso  al- 
l'estremità. 

Claude. 

2."  Artiglieria 
a  piedi 

3  anni 

20 

Migliorato. 

Erpete  migliare  al- 
la   parie    interna 
superiore      della 
coscia. 

Gardes. 

idem 

I   anno 

20 

Guarito 

Erpete    provenien- 
te da  scabbia  re-  ' 
trocessa. 

Doncelle. 

io6  linea 

I  S  anni 

8 

Non  guarito. 

Erpete  universale. 

Grandi . 

Infanteria 

3  anni 

3 

idem 

Erpete  ulceroso. 

Quest'ultimo.,  sonVentlo  oltrcmodo  alle  geno'ìve,  non  voile  più  continuare  le 
fcernao-ioni .  Efrli  iicrò  avrebbe  dovuto  incolpare  meno  il  mercurio,  che  li  bagni. 
Gli  ammalati  affetti  da  una  malattia  scorbutica  limitata  alle  gengive  ed  ai  den- 
ti., .si  lamentavano  tutti  d'aver  male  alla  bocca,  abbenchè  non  facessero  che  1 
soli  bagni.  Forse  questo  fenomeno  non  fu  bene  osservato,  ed  avvenne  che  MM... 
N.  .  .  .  trovò  ragione  rli  dire  che  le  acque  termali  eccitano  la  salivazione  quanto 
il  mercurio  .  Tutti  i  me<lici  convengono,  che  le  acque  solforose  posseggano  una 
virtù  singolare  contro  o-li  erpeti  ;  ma  negli  erpeti  inveterati  e  ribelli,  ove  esista 
infarcimento  alle  glandule  linfatiche  addominali,  non  sarà  forse  lodevole  il  far 
precedere  una  cura  mercuriale,  od  alternarla  con  gli  stessi  bagni  ?  Io  assogget- 
to le  mie  opinioni  all'  uomo,  che 

"  E  lo  maestro  di  color  che  sanno  " . 

Questo  rapporto,  che  sottopongo,  o  slg.  Ispettore,  alle  vostre  riflessioni,  jire- 
veggo,  prima  d'  inviarlo,  che  verrà  trovato  in  contraddizione  agli  elogi  ed  alle 
mcravio-lie.  che  vi  furono  in  addietro  presentate  ilal  miei  antecessori.  Ma  era  mai 
possibile,  che  essi  potessero  arrivare  a  ben  conoscere  il  vero,  quando,  adope- 
rando le  ac(jue,  usavano  continuamente  anche  la  medicina  attiva?  Mon  potreb- 


364. 

Le  essere  accadulo.,  clie  alliibiiissero  alle  terme  ciò,  cKc  era  risultato  necessa- 
rio dei  medicamenti  somministrati?  Mi  si  decantò  la  guarigione  di  uno  scab- 
bioso :  cercai  sollecitamente  di  saperne  il  nome,  e  venni  in  cognizione,  che  lo 
scabbioso  era  un  militare,  il  quale  avea  fatte  quattordici  fregagioni  con  una  po- 
mata antipsorica.  Presso  di  noi  (in  Toscana)  le  donne  dottoresse  conside- 
rano i  pidocchi  edi  cimici  come  lo  specifico  dell'itterizia,  facendoli  inghiotti- 
re col  o^iallo  dell"  uovo .  Se  i  poveri  itterici  si  adatteranno  a  questo  solo  mezzo 
per  o-uarire  ,  conseguiranno  dessi  mai  la  salute  r 
Ho  r  onore  di  essere. 


VALLI. 


36S 

SAGGIO 

DI     TRADUZIONE     ED     ILLUSTRAZIONE 
DI     PLINIO     IL     GIOVANE 

DEL    DOTTORE 

PIER-ALESSANDRO   PARAVIA 

MEMBRO   ORDINATIIO. 


ILLUSTRI  ACCADEMICI. 

U  no  de'  maggiori  vantaggi,  che  derivar  possono  agli  studi  dalla  instituzio- 
ne  delle  letterarie  accademie,  a  me  par  che  sia  questo  :  che  coloro,  i  quali  at- 
tendono a  qualche  opera  di  lunga  lena  e  di  non  lieve  importanza,  presentando- 
ne un  saggio  a  queste  dotte  adunanze,  possono  in  colai  guisa  sperimentare  il 
giudizio  del  pubblico,  eziandio  prima  che  la  sua  opera  sia  al  tribunal  del  pub- 
blico assuggeltata  ;  e  possono  quindi  averne,  e  profittare  eziandio  di  quegli  av- 
visi e  di  que'  conforti,  i  quali,  se  recati  sono  dopo  la  pubblicazione  del  libro,  ar- 
rivano quasi  sempre  o  intempestivi  o  molesti.  Il  che  stando,  niuno  mi  condan- 
nerà, io  spero,  se,  attendendo  io  da  qualche  tempo  a  traslalare  ed  illustrar  le 
opere  di  Plinio  A  giovane,  mi  sono  deliberato  di  oflerirvene  un  sao-gio  ,  per 
aver  sul  merito  del  mio  lavoro  lautorevol  vostro  giudizio,  il  quale  o  via  piìi 
m'  incuori  all'  impresa,  se  esso  mi  sarà  propizio,  o  mi  conlbrti  invece  a  trala- 
sciarla, se  mi  sarà  avverso.  E  perchè  quando  taluno  è  innamorato  dell'  autor 
che  traduce,  trova  in  lui  ogni  cosa  eccellente,  ancor  che  tale  in  eflctto  non  sia; 
cos'i  io,  dovendo  recitarvi  alcune  pistole  del  mio  Plinio,  per  non  errare  nella  scel- 
ta, ho  deliberato  di  cavar  fuori  da'  dicci  libri  di  esse  quelle  j)ochc,  che  il  sig.  di 
NolI  reca  per  esemplari  nelle  sue  Lccons  laliiics  de  litterature  et  de  Vìorale  . 
E  certo  ch'esse  sono  assai  piacevoli  a  leggersi,  siccome  quelle  che  vanno  quasi 
tutte  in  descrizioni  e  racconti,  e  condite  poi  sono  di  quelle  savie  riflessioni  e  di 
quella   benigna  morale,   che  formano  il  proprio  carattere  di  questo  amabile  e 


366 

virtuoso  scrittore  .  Se  la  traduzione  delle  suddette  lettere  vi  sarà  un  saffo-lo  del 
mio  modo  di  traslatar  Plinio,  le  note  che  vi  ho  apposte  vi  saranno  un  saggio 
del  mio  modo  d  illustrarlo.  Voi  vedrete,  che  con  queste  note  io  non  ad  altro  in- 
tesi, che  a  chiarire  que' passi  del  mio  autore,  i  quali  accennando  a  persone,  a 
costumanze  ed  a  fatti  troppo  lontani  da  noi,  non  avrebbon  forse,  senza  questo 
aluto,  potuto  accomodarsi  all'  universale  intelligenza  .  La  materia  di  queste  no- 
te io  la  trassi  da  quelle  opere,  che  mi  parevano  poterla  somministrare  più  abbon- 
dante e  sicura,  senza  che  a  ciò  mi  fosse  d'  uopo  di  ricorrere  all'  infinita  schiera 
de' commentatori;  che  se  cion nonostante  io  mi  sarò  scontrato  in  alcun  luoeo  con 
essi,  voi  che  pratici  siete  di  sì  fatti  studi,  dall'  indole  stessa  delle  mie  annotazio- 
ni facilmente  vi  accorgerete,  come  si  possa  ripeter  ciò,  che  hanno  detto  i  prece- 
denti commentatori,  senza  offender  per  questo  nella  taccia  di  avergli  copiati.  Il 
testo,  sul  quale  lavoro  la  mia  traduzione,  è  quello  datoci  dal  Gierig  nella  secon- 
da sua  edizione  delle  lettere  e  del  panegirico  di  Plinio  (Lipsia  i8o6.tom.  2,8.  ); 
e  questa  lezione  in  tanto  ho  fedelmente  seguito,  in  quanto  da  coloro  che  sanno 
IO  la  vidi  universalmente  pregiata  .  Se  non  che  essendomi  in  un  sol  luogo  dilun- 
gato da  essa,  vuole  giustizia  che  io  ve  ne  rechi  i  motivi,  perchè  giudicar  possia- 
te se  di  ragione,  o  se  a  torto  lo  le  sia  stato  infedele . 

Tutti  gli  antichi  scrittori,  i  quali  hanno  discorso  sulla  famosa  eruzione  del 
Vesuvio  a' tempi  di  Tito,  ci  dicono  eh  essa  avvenne  nell'anno  di  Cristo  ^9;  ma 
in  che  tempo  di  quell'  anno  sia  essa  propriamente  accaduta,  nessuno  ce  ne  lasciò 
memoria:  toltone  l'abbreviator  di  Dione,  ilqual  ci  avvisa, che  ciò  fu  au^wm/zoy'rtni 
ad  exUuin  verge/iCe.jO  più  strettamente  sub  ìpsum  autuinni eJiitum^secoiu\o  ì"m- 
terpretazione  degli  accademici  ercolanesl  nella  loro  dissertazione  isagogic  1  (p.I, 
e.  XI).  Solo  Plinio  il  giovane  è  quegli,  che  di  un  sì  terribile  disastro  non  pu- 
re ci  tramandò  la  più  esatta  e  minuta  narrazione  che  desiderar  mai  si  possa,  ma 
notò  eziandio  il  giorno  preciso,  in  cui  fece  il  Vesuvio  quella  memoranda  eruzio- 
ne; e  ciò  in  quel  passo  della  lettera  16  del  lib.  VI,  dove  si  parla  della  nuvola 
apparsa  a  Miseno,  la  quale  fu  il  foriero  di  quella  calamità.  Ma  che?  Quel  passo 
e  cosi  vano  ne"  codici  e  nelle  slampe,  è  così  combattuto  da' critici  e  da' com- 
mentatori, che  a  volerne  fermare  la  vera  lezione  par  quasi  opera,  non  che  diffi- 
cile, disperata.  Secondo  il  testo  del  Gierig,  quel  passo  dice  così:  Erat  (Plinio 
il  vecchio)  iMiseni^  classemque  imperiò  praesens  regehat .  Nonwn  kalendas 
septembres  bora  fere  septima^  mater  mea  indicai  e/,  apparare  nubem  inusitata 
et  magnitudine  et  specie.  Stando  adunque  a  questa  lezione,  si  direbbe  che  il 
Vesuvio  abbia  incominciato  ad  eruttare  a' 24  di  agosto  di  quel  fatalissimo  anno 
■jg.  Ma  ciò  ammettendosi,  come  si  spiegherà  poi  \  essersi  trovati  in  Ercolano  e 
castagne  e  fichi  secchi  ed  uva  passa,  1  quali  frutti,  secondo  che  ne  avvisano  1 
lodati  signori  accademici,  non  si  raccolgono  e  non  si  diseccano  in  que'paesi  in- 


.      .  .  '^^7 

nanzi  ilei  mese  di  ollolirc?  E  cliiaro  pcrianlo,  che  la  lezione   nonum  kalendas 

jeyy^emZ'rzj' non  può  stare ,  e  che  bisogna  stabilirne  un'altra,  la  cjiiale  meglio 
s'accordi  co' fatti.  Tra  le  varie  lezioni  di  quel  passo,  quella  che  s'incontra  ])iìi 
di  sovente  è  Non.  Kal. ,  o  IX.  Kal.  :  ma  siccome  non  è  probabile,  che  Plinio 
vi  abbia  ommc^so  il  nome  del  mese,  che  nel  nostro  caso  era  troppo  decisivo  : 
così  sorge  il  sos|)elto,  che  in  origine  si  dovesse  leggere  A'oc.  Kal.^  cioè  alle 
calende  di  novembre  :  e  che  in  seguito  gì'  imperiti  amanuensi,  in  Iuoto  di  Nov. 
abbiano  scritto  Non.  Siccome  poi  quel  Non.  Kal.  niente  spiegava,  così  qualcu- 
no ci  avrà  aggiunto  di  proprio  il  mese  di  settembre,  il  qnale  per  le  cose  anzidet- 
te non  può  cerio  convenire.  Scrivasi  adunipie  Noy.  Kal..,  ed  allora  si  avrà  il 
giorno  preciso  della  eruzione  del  Vesuvio,  che  fu  al  primo  di  novembre  .  Al- 
lora si  spiegherà  come  abbiano  potuto  trovarsi  fra  le  reliquie  di  Ercolano  delle 
pigne  co'lor  nocciuoli,  che  per  testimonianza  degli  accademici  ercolanesi  non  si 
raccolgono  in  que'  luoghi,  che  nel  mese  di  novembre  (  non  essendo  probabile 
che  fossero  quelli  dell'anno  avanti,  poiché  in  tal  caso  si  sarian  putrefatti  ):  si 
renderà  altresì  ragione  e  del  tappeto,  da  cui  si  rinvenne  coperto  nn  bellissi- 
mo pavimento  a  musaico,  e  dei  resti  di  mi  fuoco  acceso  nell'atrio  di  una  ca- 
sa, intorno  al  quale  bisogna  dire  che  la  gente  si  stesse  riscaldando:  da  ultimo  si 
accorderà  col  nostro  Plinio  la  testimonianza  dell'  abbreviatore  di  Dione,  il 
quale  facendo  cader  quel  disastro  in  sullo  scorcio  di  autunno,  viene  in  di  gros- 
so a  dir  quel  medesimo  che  dice  il  mio  autore. 

Che  se  in  questo  passo  della  lettera  i6  del  lib.  VI  io  ho  dovuto  dar  vinta 
la  causa  agli  accademici  ercolanesi  in  paragone  del  Gicrig,  in  un  altro  luogo 
non  meno  agitato  e  controverso  della  sopraddetta  lettera,  io  ho  dovuto  tener 
le  parti  <lel  Gicrig  in  confronto  degli  accademici  ercolanesi  .  Dice  adunque 
Plinio,  che  suo  zio,  mentre  era  in  sull'  uscir  di  casa  per  recarsi  a  veder  più  da 
presso  il  fenomeno  del  Vesuvio,  ricevette  un  biglietto  di  Retina,  moglie  di  Ce- 
sio Basso,  che  lo  pregava  a  volerla  sottrarre  da  quel  pericolo  .  Ora  il  credere- 
ste ?  Di  quella  povera  Retina  non  pochi  commentatori  hanno  fatto  un  paese  ; 
tutto  all'opposto  di  quel  cotale,  che  trasformò  il  monte  Ararat  in  un  contempo- 
raneo di  Noè  .  Ma  a  ritenere  che  la  Retina  ivi  nominata  sia  una  donna,  non 
m'induce  già  il  non  trovar  mai  ricordato  dagli  antichi  scrittori  questo  paese  di 
Retina  :  poicjiè  se  era  esso  un  borgo  di  Ercolano,  abitato  da  pescatori,  remi- 
ganti e  sì  fatta  altra  gente  che  vive  del  mare  (Diss.  isag.f.  82  ),  nessuna  ma- 
raviglia è  che  gli  antichi  non  l'abljiano  nominato  :  ma  Jjcnsì  mi  recano  a  cre- 
derlo le  parole  stesse  di  Plinio  il  giovane,  le  quali,  secondo  la  lezione  del  Gic- 
rig, dìcon  cosi  :  Egrediehatur  domo:  accepìt  codicillos  Rectinae  Caesii  Bassi\ 
imminenti  pcricvlo  exterritae  (nam  •villa  ejiis  svbiacebat.,  ncc  alla  nisi  navi- 
Liis  fugo  );  ut  se  tanto  discrimini  criperct.^  orabat .  Ora    in  luogo    di  lejrgere 


368 

Rectinae  Cesiì  Bassi\  Icgglaino  per  un  momento,  come  vogliono  alcuni ,  Re- 
tinae  classiarii  :  ed  allora  verremo  a  sapere,  che  i  classiarii  di  Relina,  alter- 
riti  da  quel  pericolo,  pregarono  il  loro  prefetto,  che  era  in  Miseno,  a  voler  ac. 
correre  in  loro  scampo  .  Ma  se  in  Retina  vi  erano  i  classiarii,  è  clhIo,  che 
grandi  o  piccioli  ci  saranno  stati  eziandio  de' navigli:  e  se  ci  erano  i  navigli, 
perchè  non  salirvi  sopra,  e  scampar  cosi  da  quel  disastro  ;  intanto  più  che  non 
vi  era  altro  modo  da  fuggir  che  per  acqua  ?  Ma  qui  rispondono  gli  accademici 
ercolanesi,  che  la  severa  disciplina  militare  de' Romani  non  permetteva  a'  clas- 
siarii e  statioiie  sine  piaefecti  venia  discedere.  Ma  lasciando  stare,  che  i tempi, 
m  cui  avvenne  la  famosa  eruzion  del  Vesuvio,  non  erano  assai  lontani  da  quelli, 
di  cui  parla  Plinio  medesimo,, ^«anz  siispecta  virUis.,  iiieriia  in  pretio^quum  du- 
cibiis  auctoritas  nulla.,  nulla  mililibas  verecundia.,  nuscjuam  imperium.,  nus- 
quam  obsequium  ec.  (  Vili,  kJ.):  non  è  poi  da  credersi,  che  la  severità  della 
disciplina  romana  andasse  tant  oltre  da  obbligare' i  classiarii  di  Retina  a  resta- 
re m  quel  posto,  quando  a  restarvi  ci  andava  della  lor  vita.  Che  se  anche  ciò 
voglia  tenersi,  dovevano  allora  i  classiarii  di  Retina  cambiar  le  spressioni  del- 
la loro  domanda,  e  non  già  pregar  Plinio  ut  se  tanto  discrimini  eriperet  (  poi- 
ché aveano  navi  da  ciò  ),  ma  bensì  ut  sibi  veniam  discedendi.,  o  vero  ut  sibi 
discessum  concederei .  Non  basta.  Plinio,  al  ricever  quel  biglietto,  cambia  con- 
siglio, e  in  luogo  di  una  liburnica,  che  era  un  legnetto  a  due  ordini  di  remi,  fa 
uscire  le  quadriremi,  non  Rectinae  modo  (  sono  parole  di  Plinio  il  giovane  ), 
sed  multis  laturus  auxilium.  Ora  se  Relina  fosse  stato  un  paese,  era  egli  un 
parlar  proprio  il  dire,  che  Phnio  volava  al  soccorso  non  pur  di  Retina,  ma  di 
molti?  O  non  era  anzi  conveniente  l'  a^or-iungervi  un  locis  o  vicis?  Ne  mi  si  on- 
ponga  l'essersi  trovati  ne'hioghi  adiacenti  alla  supposta  Retina  armature  ed  altri 
monumenti  di  classiarii  :  conciossiachè  se  la  tlotta,  custoditrice  del  mediterra- 
neo, avea  le  sue  stanze  in  Miseno,  niente  v'  è  di  più  facile,  che  i  soldati  e  gli 
ufìfiziali  che  la  componevano,  o  quando  erano  congedati,  o  quando  si  godevano 
le  lor  vacanze,  si  spargessero  per  tutti  que'  luoghi  amenissimi,  de'  quali  molti 
di  loro  saranno  stati  natii,  e  quivi  lasciasser  memoria  della  lor  ilimora.  Né  man- 
co mi  si  opponga  T  analogia  del  nome  dell'antica  Retina  con  quello  dell'  odier- 
na Resina,  come  se  questa  succeduta  fosse  nel  luogo  di  quella:  poiché  se  per 
attestazione  degli  accademici  ercolanesi  in  tota  illa  ora  quoddam  petrolei  ge- 
nus  liquidae  Resinae  simile  innatat.,  e  chiaro  che  la  nuova  città  può  da  questa 
circostanza  aver  pigliato  il  suo  nome,  senza  che  ci  bisogni  ripeterlo  dall'antica 
Retina,  la  quale  avrebbe  sempre  tanta  analogia  con  la  moderna  Resina,  quan- 
ta ne  ha  la  ragia,  da  cui  questa  deriva  il  suo  nome,  con  le  reti,  da  cui  si  vuol 
derivato  il  nome  di  quella.  Che  se  negli  antichi  scrittori  non  trovasi  fatta  men- 
zione di  Retina  paese,  ben  trovasi  In  una  lapida,  recata  dal  Grutero  e  dal  Rez- 


369 
zonico  (D'tSfj.  Plin.)  ,  falla  ricordanza  di  Retina  donna:  anzi  la  Retina  della  la- 
pida sarebbe  figliuola  di  quella  nominata  da  Plinio,  se  si  dovessero  su  ciò  seguire 
le  inffcnose  conirliielturc  del  Rezzonico  .  Glie  se  anche  non  si  leggesse  il  no- 
me  di  Relina  nella  lapida  ffruteriana,  non  perciò  si  dovria  escludere  la  esisten- 
za di  questo  nome:  poiché  se  da  lìiifiis.  come  mi  avvisa  il  dolio  Labus  ,  si  de- 
rivano i  nomi  di  Riifius^  Puifìriius,  Paifinus^  Rufìna:  se  da  Rchurriis  quelli  di 
Reburrius^  Reburrinus,  Rehurrina  ;  può  similmente  da  Rctiis^  da  cui  si  for- 
marono Retius.,  Rcticìus^  ec.  essersi  formato  anche  Retina. 

Leggasi  aduntpie  quel  passo  tanto  a<TÌIato  secondo  la  lezione  del  Gierig,  ed 
allora  tutto  andrà  co'  suoi  piedi .  Si  vedrà  che  la  villa  di  Retina  essendo  sug- 
gella al  Vesuvio,  e  non  polendosi  scampar  che  per  acqua,  essa  scrisse  un  Li- 
glietto  a  Plinio,  perche  avendo  questi  un  infero  navilio  sotto  i  suol  ordini, 
volesse  spiccarne  un  legno  onde  sottrarla  da  quel  pericolo  .  Plinio,  che  era  for- 
se amico  di  Retina,  se  prima  i)cr  mera  voo-lia  di  veder  da  presso  quel  fenomeno, 
si  era  fatto  allestire  un  picciol  legnello,  al  ricever  quel  higlietto  fece  uscire  le 
quadriremi,  troppo  necessarie  per  ricoverare,  non  solo  Relina  con  la  sua  gente, 
ma  molti  eziandio  th  coloro  che  aveano  lor  ville  luns;0  rpiella  spiaggia  amcnissi- 
ma.  Che  se  la  mina  del  Vesuvio  lo  impedì  da'  recare  a  Retina  quello  scampo, 
di  cui  lo  avca  tanto  pregato,  non  rimane  però  eh"  egli  non  ne  avesse  la  voglia, 
e  che  non  gli  si  debba  per  ciò  la  lode  di  animo  misericordioso  e  gentile . 

Ma  sia  hnc  a  queste  discussioni,  che  non  sono  forse  senza  noja,  e  ve^jnamo 
alle  lettere  di  Plinio,  che  non  sono  certo  senza  diletto . 


4/ 


3^0 

LETTERA  33  DEL  LIBRO  IX. 

A    e ANINIO. 

IMI  diede  innanzi  un  sofjgetto,  il  qnale,  benché  abbia  1'  aria  di  falso,  è  vero, 
e  degno  di  codesto  tuo  giocondo.^  sublime  e  poetico  ingegno:  e  mi  diede  innanzi 
mentre  che  cenando  si  contarano  da  questo  e  da  quello  varie  storietle  maravi- 
glìose  .  L' autore  merita  ogni  fede  ;  sebbene  a  che  parlar  di  fede  con  un  poeta  ? 
Questi  però  è  tal  autore,  che  ben  gli  potresti  credere,  ancorché  tu  avessi  a 
scrivere  un'istoria  .  In  Africa  vicino  al  mare  c'è  la  colonnia  d' Ippona  (i):  vi  ri- 
man  d'appresso  uno  stagno  navigabile,  da  cui  si  forma,  a  guisa  di  lìume,  una  la- 
guna, la  quale  alternativamente,  secondochè  il  llusso  e  riflusso  la  ritira  o  sospin- 
ge, ora  va  al  mare  ed  ora  torna  allo  stagno  .  Quivi  ogni  età  non  ha  altra  occu- 
pazione che  quella  del  pescare,  del  navigare  ed  eziandio  del  nuotare  ;  in  ispe- 
zieltà  1  fanciulli,  i  quali  vi  sono  condotti  dall'ozio  e  dal  passatempo  .  Questi  ri- 
pongono lor  gloria  e  valore  nell' ingolfarsi  in  alto  mare;  e  quegli  è  da  più,  che 
più  si  lasciò  addietro  la  sponda,  del  paro  che  i  nuotatori .  In  cos'i  fatta  gara,  un 
cotal  fanciullo,  più  audace  degli  altri,  cercava  d'ingolfarsi  ben  innanzi:  ed  ecco 
un  delfino  (2)  gli  si  fa  incontro,  ed  ora  precede  il  fanciullo,  ora  il  seguita,  or  l'at- 
torneggia;  da  ultimo  il  leva  su  e  lo  depone  :  lo  piglia  di  nuovo,  e  sulle  prime  il 
trasporta  tremante  in  alto  mare:  poco  poi  si  volge  al  lido,  e  lo  ritorna  a  terra  e 
a'compao-ni.  Ne  va  la  nuova  per  tutto  il  paese;  tutti  corrono  a  veder  quel  fan- 
ciullo come  un  miracolo  ,  e  lo  interrogano,  e  lo  ascoltano,  e  lo  ridicono  agli  al- 
tri .  Il  giorno  vei^nente  si  riversano  sul  lido,  e  guardano  al  mare,  e  s'  altro  v'ha 
che  al  mare  si  rassomigli .  I  fanciulli  si  mettono  a  nuotare  :  v'  è  tra  loro  quel  di 
ieri,  ma  più  guardingo  .  Ed  ecco  il  delfino,  che  torna  proprio  a  quell'ora,  che 
torna  proprio  a  quel  fanciullo.  El  fugge  con  tutti  gli  altri  .  Il  delfino,  come  per 
invitarlo  e  chiamarlo  indietro,  esce  dalf  acqua,  poi  s  immerge  e  fa  mille  giravol- 
te. Ciò  si  rinnova  il  secondo,  il  terzo  e  molti  altri  giorni  appresso;  in  sin  che 
quelle  genti,  allevate  fra  le  acque,  si  vergognarono  del  lor  timore  .  Vi  si  acco- 
stano, scherzan  con  esso,  lo  chiamano;  e  poiché  è  sì  piacevole,  lo  toccano  ezian- 
dio, e  lo  accarezzano  .  Alla  prova  divengono  più  audaci.  Sopra  tutti  il  fanciullo, 
che  primo  lo  aveva  sperimentato,  nuota  a  paro  con  lui,  gli  salta  sopra  a  caval- 
cioni, si  fa  portare  e  riportare,  crede  d'esser  conosciuto  ed  amato,  ama  egli  stes- 
so: sil'un  ohe  l'altro  ne  sente  ne  inspira  timore:  questi  ognor  più  si  fa  confi- 
dente, quegli  più  mite  (3)  .  Vanno  con  lui  degli  altri  fanciulli,  che  gli  son  dat- 
torno con  ammonizioni  e  conforti .  E  fu  anche  maraviglioso,  che  in  compagnia 
di  quel  delfino  ve  ne  avesse  un  altro,  ma  in  persona  di  spettatore  e  di  sozio.  Im- 
perciocché niente  e' faceva  o  sopportava  di  ciò,  che  vedea  fare   all'altro:  bensì 


3;, 

il  coriilnceva  e  riconduceva,  sì  come  facean  col  fanciullo  gli  alili  fanciulli .  Ed  è 
incredibile,  benché  non  sia  nien  vero  delle  cose  sopraddette,  clie  quel  delfino, 
recatore  e  compagno  di  giuoco  de"  ragazzi ,  costumando  altresì  di  venire  a  ter- 
ra e  di  sciugarsi  nell'arena,  come  si  era  riscaldato,  tornava  a  gitlarsi  in  mare  . 
Un  tratto  eh'  egli  era  sul  lido,  certo  è,  che  Ottavio  Avito,  legato  del  proconso- 
le (4),  con  un  culto  superstizioso  lo  profumò  d  unguenti  :  e  ch'esso  a  quell'odore 
insolilo  fuggì  nelle  acque,  ne  fu  veduto  che  dopo  molti  giorni  languido  e  mesto  ; 
ma  poi,  tornategli  le  forze,  ripigliò  gli  scherzi  e  gli  uffizi  di  prima.  Concorreva- 
no a  quello  spettacolo  tutti  i  magistrati  :  per  la  cui  venuta  e  dimora  il  povero 
comune  ii'anilava  con  queste  nuove  spese  in  conquasso  (5).  Da  ultimo  il  paese 
stesso  perdeva  la  sua  tranquillità  e  la  sua  ritiratezza  .  Fu  preso  di  toglier  segre- 
tamente di  mezzo  la  cagione  di  tanto  concorso  .  Le  quali  cose  con  che  pietà, 
con  che  garbo  saprai  tu  compiangere,  abbellire,  esaltare  !  Sebbene  e'  non  fa 
duopo  che  tu  finga  od  inventi  checchessia:  basta  che  niente  si  scemi  di  ciò  che 
è  vero .  Addio  . 

LETTERA  27  DEL  LIBRO  VH. 

A    S  U  R  A. 

Quest'ozio  dà  a  me  l'opportunità  di  apprendere,  a  te  d'insegnare  .  Io  però 
desidererei  vivamente  di  sapere,  se  tu  pensi,  che  le  lantasime  siano  qual  cosa, 
ed  abbia  ciascuna  la  sua  propria  forma,  e  sia  un  qualche  nume:  o  vero  se  siano 
cose  inani  e  fallaci,  che  ricevon  sembianza  dal  timore.  Che  vi  siano  in  effetto, 
io  son  recato  a  crederlo  singolarmente  da  ciò,  che  mi  fu  detto  essere  interve- 
nuto a  Curzio  Rufo  (6).  Questi,  tuttavia  povero  ed  oscuro,  si  era  accontato 
col  nuovo  governatore  dell'Africa:  sul  cader  del  giorno,  e' spasseggiava  pc' por- 
tici, ed  ecco  gli  si  appresenta  l'immagine  di  una  donna,  più  grande  e  bella  del 
naturale,  che  a  lui  tutto  tremante  dice:  Sé  esser  F Africa^  annunziatrice  deca- 
si  a  venire  ;  che  però  egli  andrà  a  Roma^  vi  sosterrà  i  primarii  iifficii.  e  poi 
tornerà  governatore  supremo  in  quella  stessa  prof,  incia^  e  quivi  morrà  .  Ciò 
avvenne  a  un  puntino  .  Di  più  nell  appressarsi  a  Cartagine,  e  nell'  uscir  della 
nave,  vuoisi  che  la  stessa  figura  gli  si  facesse  incontro  sul  lido  .  Certo  è  ,  che 
gravato  dal  male,  dalle  cose  passate  pronosticando  le  future,  dalle  propizie  le 
avverse,  mentre  niuno  de' suoi  sconfidava,  egli  solo  disperò  di  riaversi  .  Ma  non 
è  forse  via  più  terribile,  e  non  meno  maraviglioso  ciò  che  io  son  per  dirti,  quale 
mi  fu  teste  narrato?  V'era  in  Atene  (7)  un'ampia  e  conimoda  casa,  ma  infame  e 
pestifera.  Nel  silenzio  della  notte  un  suon  di  ferri,  e,  aguzzando  l'orecchio,  uno 
strepilo  di  catene  si  udiva  prima  da  lunge,  poi  più  da  presso  :  quindi  appariva 


uno  speUro  (8) ,  un  vecchio  magro  e  squalliJo,  con    la  barba  lunga.,  ì  capelli 
scarniifliati.^  che  recava  e  scoteva  i  ceppi  al  pietli,  le  catene  alle  mani .   Onci' è 
che  per  la  paura  gli  abitanti  di  quella  casa  passavano  in  ihira  ed  affannosa  veglia 
le  notti:  alla  veglia  tenea  dietro  il  morbo,  e   a  questo,  crescendo  il  timore,   la 
morte  .  Perocché  anche  di  giorno,  benché  non  ci  fosse  lo  spettro,  la  sua  imma- 
gine stava  davanti  agli  occhi;  si  che  la  tema  durava  piìi  che  la  cagione  di  essa  . 
Il  iierchè  la  casa  era  deserta  e  solitaria,  e  tutta  lasciata  in  balia  di  quel  mostro. 
Era  però  scritto  al  di  fuori,  se  mai  qualcuno,  ignorando  un  tal  disastro,  volesse 
o  comperarla  o  torla  a  pigione  .   Capila  ad  Alene  il  hlosofo   Atenodoro  (9),   e 
leo'se  la  scritta  ;  udito  il  prezzo,  e  sospettando  e  dubbiando  per  la  viltà  di  esso, 
eli  fu  contato  ogni  cosa  ;  ma  nondimeno,  anzi  vie  maggiormente  e' la  prende  a 
pin-ione.  In  sul  far  della  notte,  ordina  gli  sia  apparecchiato   un  letto   nel  primo 
opj)artamenlo,  chiede  le  tavolette  (io),  lo  stilo  ed  un  lume,  e  manda  1  suol  nel- 
le stanze  più  inlime  :  egli  si  mette  a  scrivere  con  tutta  l'intensione  dello  spirito, 
deo^li  occhi,  della  mano,  aftinché  la  mente  disoccupata  non  dia  corpo  alle   cose 
narrate  ed  a  vani  timori .  Da  principio,  un  silenzio  notturno,  com'è    da  per  tut- 
to: poscia  un  agitar  di  ferri  e  un  muover  di  catene:  egli   ne  alza    gli  occhi,   ne 
Tiosa  lo  stilo,  ma  allorza  1'  animo  e  sta  in  orecchi;  allora  s"  addoppia  lo  strepito, 
si  fa  più  dappresso,  già  è  sulla  porta,  già  è  dentro;  e' volta  gli  occhi,  e  vede  e  ri- 
conosce la  figura  chu  gU  fu  detta  .  Stava  in  piedi,  e  facea  cenno   con   la  mano, 
quasi  un  che  chiama;  egli  a  rincontro   le   accenna  di  soprastare  un  poco,   e   di 
nuovo  si  pone  a  scrivere;  ma  mentre  scriveva,  l'altra  gli  agitava   le  catene  sul 
capo:  e'  vede  nuovamente  ch'essa  gli  facea,  come  prima,  de" cenni  ;  non  bada  di 
più,  prende  il  lume  e  la  segue  .  Essa  andava  a  lento  passo,  come  se  le  gravasse- 
ro i  ferri:  poscia  che  giunse  al  cortile  della  casa,  sco  sparve  di  repente,  abban- 
donando il  compagno  .  Rimasto  solo,  per  contrassegnare  il  luogo,   vi  pone   del- 
l'erbe  e  delle  foglie  spiccate.  Il  giorno  appresso  va  da'  magistrati,  e  gli  avvisa 
perchè  vogliano  far  iscavare    quel  luogo.    Vi  si  trovano,  frammiste  e  ravvolte 
con  catene,  delle  ossa,  che  il  cadavere,  putrefatto  dalla  terra  e  dagh  anni,  avea 
lasciate  nude  e  corrose  dai  ferri  ;  si  raccolgono,   e   si   seppelliscono  a  spese  del 
pubblico;  dopo  questi  funebri  riti  la  casa  non  fu  più  visitata  dagli  spiriti.  Io  per 
verità  presto  fede  a  chi  mi  accerta  di  tutte  queste  cose:  ma  io  pure  ne  ho  qual- 
cuna da  accertarne  gli  altri  .  Marco,  che  non  è    senza  lettere,    è   mio  liberto  . 
Un  suo  minor  fratello  dormiva  con  lui  sotto  le  stesse  coltri.    A  questo  parve  di 
vedere  un  che  si  sedea  sul  suo  letto,  gli  accostava  de'  coltelli  al  viso,  ed    ezian- 
dio o-li  tao-liava  dal  cocuzzolo  de'capeUi .  Come  fu  giorno,  si  trovò  col    cocuzzo 
spelato,  e  i  capelli  gittati  sul  letto.  Poco  tempo  appresso  un   altro  fatto    consi- 
mile acquistò  fede  al   precedente  .    Un   giovinetto  dormiva  neh'  appartamento 
de'  suoi  insieme  con  molti  altri  .  Entrarono  per  le  finestre   (secondo  eh'  ei  nar- 


373 

rn)  line  vestiti  d\  bianco.,  tosaron  lui  che  dormiva.,  e  se  ne  andarono  per  donde 
cran  venuti.  La  luce  del  giorno  mostrò  eh'  egli  pure  era  tosato,  e  i  capelli  qua 
e  colà  sparsi.  Niente  ne  derivò  di  notevole,  se  non  forse  ch'io  non  ne  sono 
uscito  reo  :  e  il  sarei  stato,  se  Domiziano,  a'  cui  tempi  avvennero  queste  cose, 
fosse  iiiii  a  lun^o  vissuto.  Imperciocché  nel  suo  scrittoio  si  rinvenne  un  memo- 
riale, presentato  contro  di  me  da  Mezio  Caro  (11);  e  però  costumandosi  di  la- 
sciar crescere  i  capeUi  a'  delinquenti,  si  può  conghietturare,  che  i  crini  recisi 
de' miei  siano  stati  un  indizio  dell'evitato  pericolo  che  mi  sopraslava.  Ti  pre- 
ro  adunque  a  voler  ai^iizzare  il  tuo  intelletto.  La  cosa  è  degna  che  tu  la  esami- 
ni a  luno-o  e  sottilmente;  ne  io  pure  sono  indegno  che  turni  faccia  copia  del  tuo 
sapere  .  Ed  ancorché,  secondo  il  tuo  solito,  tu  sia  per  pesare  le  ragioni  d' entram- 
be le  parti,  fa  tuttavia  di  determinarti  pi'u  all'una  che  all'altra,  affinchè  tu  non 
mi  debba  lasciar  partire  dubbioso  ed  incerto,  quando  lo  non  per  altro  li  ho 
consultato,  che  per  finire  1  miei  dubbil .  Addio  , 

LETTERA  16  DEL  LIBRO  VI. 

A     TACITO. 

Chiedi  che  lo  ti  scriva  la  morte  di  mio  zio,  affinchè  tu  possa  con  più  verità 
tramandarla  a'  futuri.  Te  ne  so  grado.  Imperciocché  io  ben  veggo,  che  un'  im- 
mortai gloria  s'  apparecchia  alla  morte  di  lui,  ove  sia  da  te  celebrata  .  Poiché 
quantunque  nella  mina  di  bellissimi  paesi  (12),  egli,  del  pari  che  1  popoli  e  le 
città,  sia  con  memorando  esempio  perito  in  guisa  da  viverne  quasi  eterna' 
mente:  quantunque  molte  e  durevoli  opere  egli  abbia  composte  (i3):  tutta- 
via la  immortalità  de'  tuoi  scritti  sarà  non  picciola  giunta  alla  sua.  In  cifetto 
io  stimo  fortunati  coloro,  a'  quali  si  concede  per  favor  degli  Dei  o  di  far  cose 
degne  di  essere  scritte,  o  di  scriver  cose  degne  di  essere  lette  :  fortunatissimi 
poi  coloro,  a' quali  è  concesso  e  l'uno  e  1'  altro  .  IMio  zio  sarà  di  questo  numero 
in  grazia  de'  suoi  scritti  e  de'  tuoi .  Il  perché  io  non  pure  adempio  di  buona  vo- 
glia ciò  che  tu  mi  domandi,  ma  eziandio  lo  pretendo.  Egli  era  a  Miscno  (i^) 
che  comandava  in  persona  alla  flotta  .  Al  primo  di  novembre,  verso  le  sette 
ore,  mia  madre  lo  avvisa  essere  apparsa  una  nuvola  d'insolita  forma  e  crandez- 
za.  Egli  dappoiché  era  stato  al  sole  e  al  bagno  freddo,  avea  fatto  colezionc  a 
letto,  e  studiava:  chiede  le  pianelle,  e  monta  sur  un  luogo,  donde  si  polca  me- 
glio vedere  quella  maraviglia  .  Una  nube  (  chi  la  osservava  da  lunge  non  sapea 
ben  da  qual  monte  :  sì  conobbe  di  poi  ch'essa  venia  dal  Vesuvio)  una  nube  sor- 
geva, di  tal  qualità  e  sembianza,  che  nessun  albero  1'  avrebbe  meglio  espressa 
di  un  pino.  Imperciocché  rizzandosi  come  sur  un  tronco  grandissimo,  si  allaro^a- 


3;^ 


va  in  una  specie  di  rami  :  io  penso  clie  sollevata  dallo  spirar  del  vento,  poi  ab- 
bandonata al  cessar  di  quello,  o  vinta  dallo  stesso  suo   peso,    si  dileguasse   per 
l'aria;  ed  appariva  or  candida,  or  lorda  e  macchiata,  secondo  che  s'impreo-na- 
va  di  terra  o  di  cenere  .  Illustre  spettacolo,  e  degno   di   esser  guardato  più  da 
presso  da  un  uom  dottissimo,  com'  era  lui .  Comanda  gli  si  allestisca  una  libur- 
nica  (i5),  e  mi  dà  agio  di  andar  con  lui  se  mi  piace.  Risposi  ch'io  preferiva  di 
studiare;  e  per  ventura  egU  stesso   m'avea  dato  qual  cosa  da  scrivere  .   Lisciva 
di  casa,  quando  ricevè  un  biglietto  di  Relina,  moglie  di  Cesio  Basso,  la  quale, 
atterrita  dall'  imminente  disastro  (  poiché  la  sua  villa  vi  era  sottoposta,  ne  si  po- 
lca scampar  che  per   acqua  ),  il  pregava   a  volerla  liberare  da  tanto  pericolo . 
Egli  muta  consiglio  ;  e  ciò  che  avea  con  posata  cura  incominciato,  è  tutto  ardo- 
re nel  compierlo.  Fa  uscire  le  quadriremi  ;  vi  monta  sopra  egli  stesso,  per   soc- 
correre non  pure  a  Retina,  ma  a  molti  altri,  poiché  quella  spiaggia   per  la  sua 
amenità  formicava  di  gente.  Egli  s' appressa  colà,   donde  gli  altri   scampano; 
e  m  mezzo  al  pericolo  regola  il  corso  e  dirige  il  timone  con  si  impavido   animo, 
da  poter  dettare  e  notare  tutti  i  movimenti  e  gli  aspetti  di  quel  fenomeno  come 
gli  si  rappresentavano  agli  occhi .  Già  la  cenere  cadea  sulle  navi,  tanto  piìi  cal- 
da e  fitta,  quanto  ci  più  si  veniva  accostando,  e  pomici  altresì,  e   pietre  nere, 
arse  tutte  e  stritolate  dal  fuoco  (16):  già  era  apparso  d'improvviso  un  guado,  già  il 
lido  per  la  mina  del  monte  era  fatto  inaccessibile.  Egli  esitò  alquanto  se  dovea 
dar  indietro,  poi  disse  al  piloto,  che  a  ciò  lo   confortava  :  La  fortuna  ajiita  gli 
audaci^  andiamo  da  Pomponiano.  Questi  era  a  Stabia  (17),   ma  sicurato   dal 
frapposto  seno  (18)  :  però  che  il  mare,  per  lo  girare    e  incurvarsi  del  lido,  non 
v'  entra  che  a  poco  a  poco .  Quivi,  benché  non  fosse  ancora   imminente  il  peri- 
colo, tuttavia  alla  vista  di  esso,  il  qual  crescendo  si  faria  pili  vicino,  avea  fatto 
recar  sulle  navi  le  sue  bagaglie,  per  assicurarsi  lo  scampo,  caso  che  si   quietas- 
se il  vento  contrario  .  Col   favor   del  quale   arrivato   in  quel  punto  mio  zio,  ab- 
braccia l'  amico  tremante,  lo  incuora,  il   conforta:  e  per  alleviare    l'  agitazione 
di  lui  con  la  calma  sua  propria,  vuol   essere  recato  nel  bagno;  come   fu  lavato, 
siede  a  tavola,  pranza  tutto  allegro,   o,  ciò  che  è  più,  in  sembianza   di  allegro  , 
In  questo  mezzo  risplendeano  da  più  luoghi  del  Vesuvio  delle  fiamme  assai    dif- 
fuse e  degh  alti  incendii  (19),  il  cui  chiarore  e  la  cui  luce  si  accresceva  per    la 
scurità  della  notte.  Lo  zio,  per  calmare  l'altrui  timore,  andava  dicendo,  che  quel- 
le che  ardevano  eran  le  ville  lasciate  in  balia  del  fuoco  da'  paurosi  coloni,  e  però 
abbandonate  e  deserte.  Quindi  si  pose  a  dormire,  e  in  fatto  il  suo  dormire   non 
fu  che  troppo  vero  .  Imperciocché  per  la  soverchia  mole   del  corpo   essendo  la 
sua  respirazione  assai  grossa   e  sonora,  era  questa  udita  da  coloro,  che  il  codia- 
vano d'in  sulla  porta.  Ma  nel  cortile,  per  cui  si  andava  a  quell'  appartamento,  si 
era  per  tal  guisa  ammonticchiata  la  cenere  mista  alle  pietre,  che  per  poco  ch'ei 


si  fosse  fermalo  nella  stanza.,  non  avila  poluto  più  uscirne  (20)  .  Svegliato,  ci 
n' esce,  e  ritorna  a  Pomponiano  e  agli  altri,  che  non  avean  chiuso  occhio. 
Fanno  consulta  fra  loro,  se  debbano  rimanere  in  casa,  o  vero  uscire  all'  aper- 
to; perocché  da' frequenti  e  lunghi  tremuoli  barcollava  la  casa,  e  come  smossa 
da"  fondamenti,  or  mostrava  di  cader  da  una  parte,  or  dall'  altra  (2  1).  E  a  uscir- 
ne di  fuori,  si  temea  nuovamente  la  caduta  delle  pietre,  ancorché  tenui  e  con- 
sunte (22)  .  Il  conllilto  de' pericoli  fece  però  sceglier  quest'ultimo  partito; 
prevalendo  in  lui  una  più  matura  riflessione,  negli  altri  un  più  forte  timore.  Si 
pongono  sulla  testa  de' guanciali,  e  gli  stringono  con  fazzoletti;  il  che  fu  loro  di 
schermo  a  ciò  che  cadeva  dall'  alto  .  Già  altrove  facea  giorno,  ma  colà  era  not- 
te, più  scura  e  fitta  di  tutte  quante  le  notti;  ancor  che  molte  fiamme  e  varii  lu- 
mi la  rompessero  (28)  .  Egli  volle  uscir  sul  lido,  e  guardar  da  vicino  se  fosse 
da  mettersi  in  mare:  ma  questo  era  tuttavia  procelloso  e  contrario.  Quivi  di- 
steso sur  un  povero  lenzuolo,  dimanda  e  bec  per  due  volte  dell'  acqua  .  Intanto 
le  fiamme,  e  un  odor  sulfureo  annunziator  delle  fiamme,  fa  che  gli  altri  fugga- 
no, ed  ei  si  risenta.  Sostenuto  da  due  servi,  si  leva,  e  spira  nel  punto  istesso  ; 
impeditogli,  sì  come  io  penso,  dalla  soverchia  caligine  il  respiro,  e  serrato  lo 
stomaco,  che  già  di  sua  natura  era  debole,  stretto  e  soggetto  ad  un  frequente 
bruciore  (ii).  Come  fu  giorno  (  era  il  terzo,  a  computar  da  quello  della  sua 
morte  ),  il  corpo  di  lui  fu  trovato  intero  ed  illeso,  con  indosso  i  medesimi  pan- 
ni, e  in  tale  atteggiamento,  che  parca  più  presto  d'  uom  che  dorme,  che  d'uom 
eh' è  morto.  Io  e  mia  madre  eravamo  frattanto  a  Miseno  .  Ma  ciò  non  pertiene 
all'  istoria  ;  ne  tu  altro  da  me  volesti  sapere,  fuori  che  la  sua  morte .  Farò  dun- 
que punto  .  Aggiungerò  solo  :  che  t'  ho  fedelmente  esposto  tutto  ciò,  che  ridi 
io  medesimo,  o  che  (  non  ricordandosi  singolarmente  che  i  fatti  veri  )  intesi  su- 
dilo dopo  dagli  altri .  Tu  ne  cava  fuori  il  meglio  :  poiché  altro  è  scrivere  una 
lettera,  ed  altro  un'istoria;  altro  parlare  ad  un  amico,  ed  altro  al  pubblico.  Ad- 
dio . 

LETTERA  zi  DEL  UBRO  I. 

A  BEBIO  ISPANO. 

Svetonio  Tranquillo  (2  5),  mio  camerata,  vuol  comperare  quel  poderetto.  il 
quale  dicesi  che  il  tuo  amico  sia  per  vendere.  Io  ti  prego  a  far  sì  eh'  e'  lo  acqui- 
sti per  quel  che  vale .  Imperciocché  a  tal  patto  e'  si  goderà  di  averlo  compe- 
rato. Da  che  un  cattivo  acquisto  é  sempre  spiacevole,  massime  perché  sembra 
accusare  la  scioccaggine  di  chi  lo  ha  fatto .  Del  resto  questo  poderetto  (  pur- 
ché gli  attagli  il  prezzo  )  ha  molte  qualità,  che  seducono  il  cuore  del  mio  ami^ 


3;6 

co;  la  vicinanza  della  città,  T  opportunità  della  strada,  la  mediocrità  della  ca- 
sa, la  tenuità  del  Campetto,  più  atto  a  ristorarlo  spirito,  che  a  faticarlo.  Poi- 
ché agli  nomini  studiosi,  com'  è  costui,  è  più  che  sofìGciente  tanto  terreno  da 
potere  alzar  la  testa,  ricrear  gli  occhi,  passeggiar  lentamente  lungo  1  confini, 
diportarsi  per  un  solo  sentiero,  una  per  una  conoscere  le  sue  viticelle  e  noverar 
gli  alberettl  .  Queste  cose  io  ti  ho  detto,  affmchè  sempre  più  tu  conosca  quan- 
ta egli  a  me,  ed  io  a  te  avrei  obbligazione,  se  questo  poderuzzo,  il  quale  per  si 
fatte  doti  si  raccomanda,  e'  potesse  far  suo  a  tali  patti  da  non  dovere  in  segui- 
to pentirsene  .  Addio  (26). 

LETTERA  24  DEL  LIBRO  IV. 

A   FABIO   VALENTE. 

Avendo  io,  non  ha  guari,  arringato  davanti  ai  quattro  tribunali  dei  Cen- 
to (27),  mi  risovvenne  che  da  giovane  ho  del  pari  arringato  davanti  a  que'  tri. 
bunali .  La  mia  mente,  secondo  il  solito,  andò  più  innanzi  :  io  cominciai  a  rian- 
dare quali  mi  fossero  stati  compagni  della  fatica  nell  un  tribunale,  quali  nel- 
l'altro.  Neil' uno  e  nell'altro  io  era  il  solo  che  avessi  arringato  :  tanti  sono  ì 
mutamenti  che  produce  o  la  caducità  delle  cose,  o  la  instabilità  della  fortuna  ! 
Alcuni  di  coloro,  che  allora  aveano  meco  arringato,  son  morti,  altri  esiliati  ;  que- 
gli fu  dagli  anni  e  dalle  malattie  consigliato  a  tacere  :  questi  si  gode  volon- 
tario un  ozio  dolcissimo  ;  chi  comanda  agli  eserciti  :  chi  è  sottratto  alle  cure 
civili  dal  favor  del  principe.  E  intorno  a  noi  medesimi  quante  cose  si  son  can- 
giate !  Lo  studio  ci  fu  cagion  di  onori,  poi  di  pericoli,  e  nuovamente  di  ono- 
ri .  Utile  ci  fu  l'amicizia  de'  buoni,  poscia  dannosa,  ed  ora  torna  ad  esserci  uti- 
le (28)  .  Se  noveri  gli  anni,  ti  pare  un  attimo  :  se  le  vicende,  un  secolo  .  Il  che 
ci  può  insegnare,  a  non  disperare  e  a  non  confidar  di  niente,  in  veggendo  che 
si  succedono  tanti  mutamenti  in  questa  ruota  così  girevole .  Io  poi  soglio 
aprirti  ogni  mio  pensiero,  ed  ammaestrarti  con  quegli  stessi  precetti  ed  esem- 
pi, co'  quali  ammaestro  me  medesimo  ;  il  che  fu  cagione  che  io  ti  scrivessi.  Ad- 
dio . 

LETTERA   16  DEL  LIBRO  V. 

A   MARCELLINO. 

Ti  scrivo  questa  lettera  nella  più  gran  mestizia.  La  figliuola  minore  del  no- 
stro Fondano  è  morta  (29):  della  qual  fanciulla  non  vidi  mai  cosa  più  gioconda  e 


3,7 

più  cara,  pììi  tlrgna  dì  una  vita,  non  ilirò  piìi  lunga,  ma  riuasi  eterna .  Non  erano 
ancor  compiuti  i  suoi  «pialtoriUci  anni.^  e  già  aveva  una  prudenza  da  vecchia  e 
una  gravila  da  matrona  :  e  con  tutto  ciò,  univa  la  dolcezza  puerile  al  pudor  ver- 
ginale. Oh  conti' ella  s'  avvinghiava  al  collo  paterno  !  oh  con  che  affetto  e  mode- 
stia ai>bracciava  noi.^  amici  di  suo  pa<lre  !  oh^  come  amava  ella  le  balie,  i  peda- 
goghi (3o),  i  maestri,  ciascun  secondo  suo  grado!  Con  che  attenzione,  e  con 
che  sentimento  leggeva!  Com'era  sobria  e  riservata  ne' giuochi  !  Con  che  mo- 
derazione, con  che  pazienza,  anzi  con  che  fermezza  sostenne  l'ultima  malattia  ! 
Obbe<liva  a'  medici,  confortava  le  sorelle  ed  d  padre,  e  destituta  delle  forze  del 
corpo,  si  reggeva  ella  slessa  col  vigore  dell'animo.  Questo  le  si  mantenne  insino 
ali  ultimo  respiro,  ne  si  aflievoli  o  per  la  lunghezza  del  male,  o  per  lo  timor  del- 
la morte;  ond'è,  che  più  lunga  e  più  grave  cagion  ci  lasciasse  di  desiderio  e  di 
dolore  .  O  morte,  certo  funesta  ed  acerba  !  O  tempo  del  morire  più  duro  ancor 
della  morte  !  Era  già  hdanzata  ad  un  ottimo  giovane,  era  già  fermato  il  giorno 
delle  nozze,  già  noi  ci  eravamo  Invitati.  La  quale  allegrezza  in  che  mestizia  si  è 
mai  cangiata  !  Io  non  ti  posso  esprimere  con  parole  che  ferita  mi  sia  stata  al 
cuore,  allorché  seppi  aver  lo  slesso  Fondano  ordinato  (poiché  il  dolore  è  gran 
trovatore  di  lutti),  che  tutto  ciò  eh'  egli  avria  speso  in  vesti,  in  perle  ed  in  o-cm- 
me,  il  fosse  ora  in  incensi,  in  unguenti  e  in  profumi  (3i).  Egli  è,  per  vero  dire, 
uomo  addottrinato  e  saggio,  come  colui,  che  ancor  giovinetto  si  dedicò  a'  più 
profondi  studii  e  alle  arti;  ma  ora  e'dispregia  tutto  ciò  che  sovente  intese  e  che 
lesse;  e  posta  in  non  cale  ogni  altra  virtù,  non  respira  che  pietà.  Tu  gli  darai, 
non  sol  perdono,  ma  lode,  se  porrai  mente  a  ciò  ch'egli  ha  perso.  Imperciocché 
egli  ha  perduto  una  figliuola ,  la  quale,  non  che  i  costumi,  ritraeva  le  fattezze 
e  l'aspetto  di  lui,  ed  era  con  maravigliosa  rassomiglianza  suo  padre  maniato  . 
Però  se  tu  gli  scriverai  circa  a  questo  dolore  sì  giusto,  ti  ricorda  di  adopeiar 
conforti,  non  già  di  troppa  forza  e  a  modo  di  correzione,  ma  bensì  blandi  ed 
umani .  E  a  far  sì  ch'ei  li  riceva  più  facilmente,  conferirà  non  poco  lo  scorrer 
del  tempo .  Perocché,  come  una  ferita  ancor  recente  paventa  la  mano  del  me- 
dico ,  poi  la  sojiporta,  e  da  ultimo  la  brama  ;  così  un  recente  dolor  dell'  animo 
ricusa  e  abborrisce  1  conforti,  quindi  li  desidera,  e  da  poi  che  gli  furono  beni- 
gnamente recali ,  si  acquieta  .  Addio  . 

LETTERA  1 1  DEL  LIBRO  VI. 

A  MASSIMO  . 

O  giorno  beato!  Scelto  per  consigliere  dal  prefetto    urbano  (Sì),   ho   udito 

ad  arringare  l'un  contra  l'altro  due  giovani  di  ottima  indole  e  di  ottima  speraii- 

48 


37S 

za,  Fosco  Salinalore  (33),  ed  Uinltlio  Quailrato  (ìi):  un' cgrpo-ia  coppia,  la 
quale  non  pure  de'  nostri  tempi,  ma  delle  lettere  stesse  sarà  un  "-iorno  ornamen- 
to .  Hanno  entrambi  una  probità  maravLgliosa,  una  salda  fermezza,  un  contegno 
nobile,  una  pronunzia  schietta,  una  voce  maschia,  una  memoria  tenace,  un  "ran- 
de ingegno  e  un  pari  giudizio  .  Le  quali  cose  tutte  mi  dilettarono  :  ma  quella 
in  ispczieltà,  ch'essi  sguardavano  a  me,  come  a  ior  duce  e  maestro,  e  a  chi  "-li 
ascoltava  mostravano  d'imitarmi,  e  di  camminare  sulle  mie  orme.  Oh  dunque 
(  tornerò  a  dirlo  )  beato  giorno,  e  da  segnarsi  da  me  con  bianchissima  pietra  ! 
Poiché  che  cosa  evvi  mai  di  più  giocondo  per  il  pubblico,  che  de'  o-iovani  illu- 
stri cerchino  la  loro  riputazione  e  celebrità  dagU  studii  :  o  di  più  desiderato  per 
me,  che  da  quelli  che  tendono  al  bene  io  sia  come  pigliato  a  modello?  Io  prego 
gli  Dei,  che  questo  gaudio  mi  duri  perpetuo  ;  li  prego  altresì  (  e  tu  ne  sarai  te- 
stimonio ),  che  tutti  coloro,  i  quali  si  pregieranno  d'imitarmi,  vogliano  esser 
mitrliori  che  io  non  sono  .  Addio  . 


*& 


LETTERA  9  DEL  LIBRO  VII. 

A  FOSCO. 

Tu  mi  chiedi  in  qual  modo  lo  pensi  che  tu  debba  studiare  nel  ritiro,  di  cui 
eodi  da  sì  gran  tempo.  E  utilissimo,  e  predicato  da  molti,  il  tradurre  o  di  gre- 
co in  latino,  o  di  latino  in  greco  ;  col  qual  genere  di  esercizio  si  acquista  la 
proprietà  e  lo  splendor  delle  voci,  la  copia  delle  ligure,  la  forza  della  spressione, 
e  soprattutto  il  mezzo,  la  mercè  della  imitazione  de'migliori,  di  riuscire  a  Ior  si- 
mio-lianti  ;  le  quali  cose  tutte  avrebbon  gabbato  chi  legge,  ma  non  possono  sfug- 
gire a  chi  traduce  .  Per  tal  modo  s' ingenera  e  sapere  e  giudizio  (35).  Ne  ti 
nuocerà,  quelle  cose  che  hai  letto  per  guisa  da  ritenerne  la  sustanza  e  1'  argo- 
mento, scriverle  tu  stesso  come  per  gara,  e  ragguagliarle  con  quelle  che  hai 
Ietto,  ed  esaminare  attentamente  dove  l'uno  sia  migliore  dell'altro.  Grande 
conforto,  se  tu  il  vantaggi  in  qual  cosa;  gran  vergogna,  se  egli  in  tutto.  Ti  gio- 
Tcrà  talvolta  scegliere  1  più  illustri  passi,  e  con  questi  entrare  in  lizza  .  La  qual 
lizza  è  temeraria,  ma  non  riprovevole,  essendo  segreta:  benché  noi  veggiamo 
più  d'Sino  mettersi  con  Ior  gran  lode  a  sì  fatti  cimenti,  e  pieni  di  confidenza,  ol- 
trepassar coloro.^  cui  si  stimavan  beati  di  tener  dietro  .  Potrai  altresì,  tlopo  che 
l'avrai  dimenticato,  riandar  quello  che  hai  scritto,  e  molte  cose  ritenere,  molte 
escludere  :  interlinearne  una,  cambiarne  un'altra  .  E  pieiì  di  fatica  e  di  noia  , 
ma  appunto  proficuo  perchè  diflicile,  quel  riscaldarsi  a  un  nuovo  foco^  quel  rav- 
vivare gli  spiriti  abbattuti  e  vinti,  quell'  aggiungere  in  fine  a  »n  corpo  già  forni- 
to delle  nuove  membra,  senza  però  scompigliare  le  prime  .   So  che  oggi   la   tua 


maggiore  occupazione  è  quella  dell'  arringare  :  ina  non  li  consiglierei  già  sem- 
pre a  (jueslo  esercizio  di  comporre  contenzioso,  e  quasi  Laltagliero .  Impercioc- 
ché sì  come  il  terreno  con  varii  e  diversi  semi ,  così  il  nostro  ingegno  si  coltiva 
or  con  l'uno,  or  con  l'altro  genere  di  studii .  Voglio  che  talora  tu  pigli  qualche 
punto  di  storia,  che  tu  scriva  con  più  d'accoratezza  <|ualche  lettera.  Perocché 
eziandio  nelle  arringhe  sono  spesso  necessarie  delle  descrizioni,  non  pur  istori- 
che,  ma  quasi  poetiche  :  e  nelle  lettere  si  esige  unostil  puro  e  stringato.  Ti  con- 
cedo altresì  di  ricrearti  co'  versi,  non  già  frequenti  e  lunghi  (che  ciò  non  si  può 
far  che  nell'ozio),  ma  arguti  e  brevi,  che  fanno  opportuna  diversione  alle  occu- 
pazioni e  alle  cure,  per  quantunque  sian  gravi.  Son  detti  giuochi  ;  ma  questi  giuo- 
chi fruttano  talvolta  non  minor  gloria  degli  studii  più  scrii;  e  però  (conciossia- 
che  perchè  non  ti  conforterò  io  co'  versi  a  far  de'  versi  ?) 

Qual  si  loda  la  cera,  allor  che  molle 

E  docil  segue  la  maestra  mano, 

E  li  prescritto  lavor  compie,  e  ne  finge  ^ 

Or  la  casta  Minerva,  ora  Gradivo, 

Or  Venere,  o  di  Venere  il  figliuolo  ; 

Qual  la  sacra  onda,  non  pur  spegne  il  foco, 

Ma  spesso  anco  d'aprii  1  erba  e  i  lioretli 

Educa  al  prato  ;  tal  l"  umano  ingegno 

Con  accorta  vicenda  alle  più  miti 

Arti  debbe  piegarsi,  e  averle  a  guida  (36)  . 
A  questo  modo  adunque  non  pure  i  grandi  oratori,  ma  altresì  1  grandi  uomi- 
ni o  si  ricreavano  "o  si  esercitavano,  anzi  facevano  l' una  cosa  e  1' altra  ad  un 
tempo  .  Imperciocché  fa  maraviglia,  come  in  grazia  di  questi  lavoretti  si  acui- 
sca r  animo  e  si  ricrei  .  Poiché  essi  racchiudono  gli  amori,  gli  odii,  gli  sdegni, 
la  pietà,  la  cortesia,  tutto  in  somma  che  accade  non  pur  nella  vita,  ma  eziandio 
ne'  tribunali  e  nelle  piazze  .  Ed  hanno  ancora,  del  paro  che  tutti  gli  altri  versi, 
questo  vantaggio  :  che  stretti  dal  legame  del  metro,  gustiam  poi  meglio  la  pro- 
sa, e  scriviamo  più  volontieri  ciò  che  il  confronto  ci  fa  apparire  più  facile.  Io  ti 
ho  scritto  forse  piìi  cose  che  non  mi  avevi  richiesto  :  una  j)c-rò  ne  lasciai  fnora  . 
Poiché  non  ti  ho  dello  ciò.  chi!  a  mio  "ludizio  dovessi  Icjrgcre  ;  se  bene  io 
tei  dissi,  dicendoti  ciò  che  dovresti  scrivere.  Baderai  a  scegliere  accuralamen- 
te  gli  autori,  ciascun  nel  suo  genere  :  poiché  é  i!  dello:  non  legger  molti,  ma 
Viotto.  (^)uali  essi  siano,  è  tanto  nolo  e  provalo,  che  non  fa  di  mestieri  ch'io  te 
gli  adiliti:  e  d'altra  jiarte  io  sono  andato  così  in  lungo  con  questa  lettera,  che 
mentre  ti  consiglio  in  qual  modo  tu  debba  sludiare,  ti  ho  rubato  il  tempo  di 
farlo .  Che  non  rijugli  adunque  le  tavolette,  e  non  iscrivi  qual  cosa  di  ciò  che  ti 
ho  detto,  o  vero  ciò  che  hai  cominciato  tu  stesso?  Addio. 


38ò 

LETTERA  20  DEL  LIBRO  VH. 

A   TACITO. 

Ho  letto  il  tuo  libro,  e  il  più  accuratamente  clic  seppi,  ho  notato  ciò  che  mi 
parve  da  cangiarsi  o  da  togliersi.  Imperciocché  noi  siamo  accostumati,  io  a  di- 
re la  verità,  tu  ad  ascoltarla  con  piacere  .  Che  niuno  tollera  di  esser  maggior- 
mente ripreso,  di  coloro  che  'meritano  di  esser  maggiormente  lodati .  Ora  io 
m'  aspetto  da  te  il  mio  libro  con  le  tue  osservazioni .  Oh  lieta  e  bella  vicenda  ! 
Oh  quanto  mi  diletta  (  se  pur  gli  a  venire  si  cureranno  punto  di  noi  ),  che  si 
narri  da  per  tutto  con  che  concordia,  schiettezza  e  lealtà  noi  siam  vissuti  (3^)  ! 
Sarà  un  fatto  splendido  e  raro,  che  due  uomini,  quasi  eguali  di  tempo  e  di  ufQ- 
cii,  di  qualche  rlputazion  nelle  lettere  (  perocché,  parlando  ad  un  tempo  di  me, 
bisogna  che  anche  di  te  io  parli  più  rimessamente  ),  siansl  1'  un  1"  altro  ajutatl 
negli  studii.  Io  certo  sin  da  giovinetto,  essendo  già  tu  rinomato  e  glorioso,  de- 
siderava di  scgnirti,  di  essere,  e  di  esser  tenuto 

Prossimo  a  te,  ma  prossimo  d'un  tratto 
Molto  lontano  (38). 

E  v'  avea  molti  illustri  ingegni  ;  ma  tu  solo  (  a  ciò  condotto  dalla  somiglian- 
za dell'  indole  )  mi  parevi  il  più  facile  ad  imitarsi,  e  il  più  degno  d'  essere  imita- 
to. Ond'  è  che  via  più  godo,  se  parlandosi  di  studii,  noi  siamo  insiem  nominati, 
se  a  chi  ragiona  di  te  io  corro  subito  al  pensiero .  V  ha  di  coloro,  che  sono 
preferiti  ali  uno  e  all'  altro  di  noi  .  Ma  pur  che  ci  uniscano,  niente  mi  cale  del 
dove.  Poiché  quello  io  stimo  il  primo,  che  è  a  te  più  vicino  .  Anzi  tu  dei  altresì 
aver  osservato,  che  1  testatori  (  salvo  che  non  sia  un  particolare  amico  dell'uno 
o  dell'  altro  di  noi  )  ci  lasciano  gli  stessi  legati,  e  questi  in  ugual  misura.  Il  che 
tutto  mira  a  ciò,  che  ogni  dì  più  ci  amiamo  1'  un  l"  altro  :  posciachè  gli  studii,  1 
costumi,  la  fama,  e  il  supremo  giudizio  degli  uomini  ci  legano  con  tanti  nodi . 
Addio . 

LETTERA  36  DEL  LIBRO  IX. 

A  FOSCO. 

Tu  mi  domandi  come  io  di  state  dispensi  le  ore  nella  mia  villa  di  Tosca- 
na (Sf)).  Mi  sveglio  quando  più  mi  piace,  il  più  delle  volte  verso  la  prima  ora 
del  giorno  (4.0),  spesso  anche  prima,  di  rado  più  tardi.  Le  finestre  rimangon 
chiuse  ;  imperciocché  lo  spirito  si  nodrisce  maravigliosamente  nel  silenzio  e  nel- 
le tenebre  .  Allontanalo  e  sciolto  da  qualsivoglia  distrazione,   e  abbandonato   a 


38i 
-  me  solo,  non  già  gli  occlù  con  1'  anima,  ma  Lensì  seguo  l' anima  con  gli  occhi, 
i  quali  vcggon  le  cose  slesse  che  vede  la  mente,  ognora  che  altro  non  veggo- 
no .  Io  penso  se  ho  alcun  che  per  le  mani,  penso  alle  parole,  come  fa  chi  scrive 
e  corregge,  e  penso  a  più  o  men  cose,  secondo  che  mi  è  stalo  più  o  mcn  fa- 
cile di  comporle  e  ritenerle.  Chiamo  un  copista,  e  schiuse  le  finestre,  detto  ciò 
che  avea  composto:  ei  parte,  lo  chiamo  di  nuovo,  e  di  nuovo  poi  lo  licenzio. 
Alle  quattro  o  cinque  ore  (  poiché  non  ho  un'  ora  fissa  e  misurata  ),  io  mi  di- 
porto, secondo  il  tempo,  o  nel  sisto,  o  nel  critloporlico  (4')  5  rumino  e  detto 
quel  che  mi  resta  :  monto  in  carro.  Quivi  pure  fo  lo  stesso  che  camminando  o 
stando  a  Ietto  .  Dura  quella  mia  applicazione,  ajutata  dallo  stesso  camhiar  di 
oggetti  :  torno  a  dormire  un  tantino,  poi  spasseggio  ;  indi  leggo  ad  alla  e  ferma 
voce  qualche  orazione  greca  o  latina,  non  tanto  per  cagion  della  voce,  quanto 
del  petto  ;  anche  quella  però  si  rafforza  del  pari .  Torno  a  spasseggiare,  mi  un- 
go, fo  qualche  esercizio,  e  vo  al  bagno .  Mentre  pranzo,  se  non  v'  è  che  la  mo^ 
ghe,  o  pochi  amici,  si  lec^'ge  un  libro:  dopo  il  pranzo  si  fa  luogo  a' commedian- 
ti, o  vero  a' suonatori  di  lira:  quindi  io  mi  diporto  co  miei  di  casa,  fra"  quali  ve 
n'  ha  di  addottrinati .  Così  con  la  varietà  de'  parlari  si  passa  la  sera,  e  presto  si 
compie  la  giornata,  benché  lunghissima.  Talvolta  si  altera  alcun  poco  que- 
st'ordine :  poiché  se  rimasi  a  letto,  o  passeggiai  per  un  pezzo,  finito  una  volta 
di  dormire  e  di  leggere,  io  non  già  in  carro,  ma  (  ciò  eh" è  più  breve,  perchè 
più  spedito  )  monto  a  cavallo.  Vengono  gli  amici  dalle  vicine  ville,  e  mi  ruba- 
no una  parte  del  giorno,  e  spesso  mi  servono  di  opportuna  interruzione  nelle 
mie  fatiche .  Talvolta  io  vo'  alla  caccia  (^2),  ma  non  senza  le  tavolette,  onde 
riportar  qual  cosa,  ancor  che  niente  abbia  preso  .  Concedo  del  tempo  eziandio 
a'  contadini,  ma  non  a  bastanza,  secondo  che  lor  ne  pare  :  e  le  loro  rustiche 
querele  non  fanno  che  rendermi  più  cari  i  nostri  sludii  e  codeste  occupazioni 
tittadinesce  .  Addio, 


382 

ANNOTAZIONI 


(i)  Le  Ippone  erano  due,  l'una  detta  lìegia,  clie  ette  per  vescovo  sant'Agostino,  l'altra  Diar- 
rhjta,  perchè  irrigala  dalle  acque.  Di  quest'ultima,  che  era  colonia  romana,  qui  parla  Plinio. 

(2)  Questo  fatto  del  delfino  d' Ippona  è  pur  raccontalo  da  Plinio  il  vecchio  [hist.  nat.  lib.  g, 
e.  8);  al  qual  proposilo  soggiunge  il  Sonnini  {hist.  nat.  des  cétacées):  «  Quelqu'exagération 
((  qu'il  y  ait  dans  ces  fails  .  .  .  on  ne  peul  pas  douler  qu'ils  (i  delfini)  ne  se  rassemtlent  au- 
«  tour  des  bàtimens,  et  qu' avec  lous  les  signes  de  la  confiance  et  d'une  sorte  de  satisfaclion, 
<(  ils  ne  s'agitent,  se  courtenl,  se  replient,  s'élancent  au  dcssus  de  l'eaux,  piroueltent,  retom- 
«  beni,  bondissent  et  s'élancent  de  nouveau  pour  piroueller,  tomter,  tondir  et  s'élever  en- 
«  core.  Celle  succession,  ou  plulòt  celle  peipeluilé  de  mouvemens,  vient  de  la  bonne  pro- 
le portion  de  leurs  muscles,  et  de  ractivilé  de  leur  système  nerveux.  « 

(3)  Circa  alla  speziale  affezione  del  delfino  verso  i  fanciulli,  ascolliamo  nuovamente  il  Sonnini 
(liid.):  «  Mécénas  Fatius  et  Flavius  Alfius  ont  écril  dans  leurs  chroniques  ,  suivant  Pline, 
»  qu'un  dauphin,  qui  avoit  pénélré  dans  le  lac  Lucrin,  recevoil  tous  les  jours  du  pain  qua 
))  lui  donnoil  un  jeune  enfant,  qu  'il  accouìoit  à  sa  voix,  qu'il  le  perloit  sur  son  dos,  et  quo 
»  l'enfant  ayant  péri,  le  dauphin,  qui  ne  revit  plus  son  jeune  ami,  mourùl  bientòt  de  cha- 
»  grinu.  Ricorda  poi  il  Sonnini,  come  Falanlo,  naufragato  presso  le  coste  d'Italia,  fu  salva- 
to da  un  delfino;  e  come  Arione,  minaccialo  di  morte  da'  suoi  marinai,  gillalosi  in  acqua, 
fu  raccolto  da  un  delfino,  tocco  dalla  dolcezza  della  sua  lira,  e  fu  trasportalo  in  un  porlo  vi- 
cino. Quindi  è  che  noi  veggiamo  il  delfino  ,  non  pur  riverito,  ma  divinizzato  da  mitologi, 
da  artisti,  da  poeti;  e  persin  gli  astronomi  ne  hanno  fallo  una  costellazione  del  cielo. 

(4)  I  legati  de'  proconsoli  erano  i  loro  luogotenenti,  e  di  solilo  si  eleggevano  dal  senato.  Col 
consenso  del  loro  proconsole  potevano  farsi  accompagnare  da'  littori,  i  quali  però  stima  il 
Morcelli  (  tlissert.  elei  Ultori)  che  non  saranno  siali  più  di  due.  Ciò  mostra  la  dignilà  e  I9 
splendor  di  quel  posto,  che  però  era  ambilo  persino  da'  pretoriani  e  da'  consolari.  Il  nostro 
autore,  quando  fu  mandalo  governatore  in  Bitinia,  ebbe  per  legato  Servilio  Pudente ,  sicco- 
me ne  avvisa  egli  stesso  nella  leti,  io  del  lib.  X. 

(5)  Questi  magistrati  vorranno  essere  stali  i  legati,  i  prefetti,  i  tribuni,  e  gli  altri  addetti  al 
proconsole ,  i  quali  in  passando  per  le  città  della  provincia  erano  per  solilo  e  mantenuti  e  re- 
galali da  esse,  come  per  segno  di  ospitalità  e  per  debito  di  clientela.  Già  si  sa,  che  la  legge 
Giulia  ordinava  alle  città  ed  ai  luoghi  per  cui  passavano  i  governatori,  di  somministrar  loro 
legna  da  fuoco  e  foraggi.  Niente  quindi  di  più  facile,  che  siasi  allargata  questa  legge  in  favo- 
re eziandio  de'  magistrali  minori,  e  che  vi  si  abbia  compreso  qualche  articolo  di  più,  oltre  i 
foraggi  e  le  legna  da  fuoco . 

(G)  Tacito  nel  lib.  XI.  degli  annali  con  que'suoi  tocchi  da  maestro  ci  descrive  assai  bene  Cur- 
zio Rufo;  udiamolo.  De  origine  Curili  Ilufi,  tjuein  gladiatore  genitum  quidam  prodidere, 
«eque  falsa  prompserim,  et  vera  exsequi  pudet .  Poslcjuam  adolait  sectator  quaesloris,  cui 
Àfrica  obligerat,  dum  in  oppido  Adrumelo  vacuis  per  medium  dici  porlicihus  secretus  agitai , 
oliata  ei  species  mulielris  ultra  modum  humanum,  et  andito  est  vox:  Tu  es  Rufe,  qui  in 
tane  provinciam  prò  consule  venies.  Tali  ornine  in  spem  sulla 1 1/ s ,  digressusque  in  iirlem,  et 
largitione  ainiconim ,  simul  acri  ingcnio,  quaeSturam,eLmox  noliles inter  candidatos  praeHirani 


383 

prìnclpis  suffragio  asseiiiiìliir  :  cimi  hhcc  ir/A/y  Tìlerìiis  Jeclccus  natalium  ejus  velavissct:  Cur- 
tius niiTus  viilelui-  itiilii  e\  se  natus.     Longa    post    linee  srnecln,  el  niJtcrsiis  siipmnres  tristi 
adiiliilione,  arrognns  ininniilius,  inlcr  pares  ilifficilis ,  consiliare  imperivm  ,  trhimpln  insiapia, 
ac  postremo  Àjricam  ollhiiiit  :  atque  ili  dcfunetus.  fatale  praesagium  implevit.  Quanto  all'opi- 
nione di  Giusto  Lipsio  (in  Tacit.)  e  ili  altri,  die   questo   Curzio  Rufo   sia   il   Quinto  Curzio 
autore  della  elegante  storia  di  Alessandro  il  Grande,  essa  è  non  poco   invalidala   dal   silenzio 
di  Plinio  e  di  Tacito,  i  (juali    narrandoci    tanti  particolari    di  Curzio  Rufo,  se  quesli   fosse 
stato  letterato  e  scrillorc,  pare  clie  non  avreWjon  lascialo  di  dircelo. 
(;)  Qui  comincia  la  traduzione,  che  di  (picsla  lettera  fece  con  la  solila  sua  eleganza,  brncliè  con 
soverrliia  larghezza,  monsig.  Giovanni  Bottali,  e  die  si  legge  nella  /.e:ionc  sopra  la  novella  I 
della  giornata  VII   del  Decamerone,  dove  pure  molte  cose  sono  toccate  circa  alle  lanlasime  e 
agli  spettri:  V.  Lezioni  di  monsig.  Gioranni  fiottali  sopra  il  Decamerone.  Firenze,  i8ii,  8." 
lo.  2."  log.  88  e  seg. 
(8)  Il  fallo  di  questo  spettro,  insienne  con  molli  altri,  è  recato  dal  Tarlarotti  (  Eisposta  alla  let- 
tera del  conte  Carli  intorno  all'origine  e  falsità  della  domina  de  maghi  e  delle  slrcglw),  per 
provare  la  esistenza  do' folletti  ;  del  che  si  ride  il  Maffei  nella  sua  arte  magica  dileguata.  A. 
clii  amasse  di  occuparsi  in  queste  materie,  io  potrei   additare   Alessandro  d'Alessandro  nel 
libro   2,    cap.   g  gcvialiiim  dieriim  ;    Girolamo  Maggio    nel  lib.   4,   «ap-    '2    variariim  leetio- 
num;   i\  hnvatero  de  spectiis  ;   Carlo   Federigo   Romano    de   existenlia  spectroium  ;  Gw^aom 
Knrico  Deckero  nella   sua  spectrologia  ;  i  quali  autori  lutti    bastano    a  formare  una  picciola 
biblioteca  di  diavoleria. 
(i))  Atenodoro  fu  filosofo  stoico,  nativo  di  Tarso,  e  carissimo  ad  Augusto.   Tulli  sanno  il  me- 
morabile consiglio  ch'ei  diede  a  questo  imperadore,  di  recitare  nel  bollor  dell  ira  le  ventiquat- 
tro lettere  dell'alfabeto;  ma  non  tutti   forse  sanno  l'altra   lezione,  alquanto  più  sena,  eli'  eL 
diede  al  medesimo  Augusto.  Qnosli  soleva  far  tradurre,  chiuse  in  lettiga,  nelle  sue  stanze  le 
femmine  che  più  gli  piacevano.  Accadde  un  tratto  ch'ei  mandasse  a  pigliare  la  moglie  di  uq 
amico  di  Atenodoro,  mentre  che  il  filosofo  era  appunto  dal  marito  di  essa.  A   tale  messaggio 
tulli  impallidiscono  e  si  turbano:   ma  Atenodoro    li   cava   d'impaccio.    Si  veste  con  gli   abiti 
della  moglie  del  suo  amico,  ed  entra  in  lettiga  in  luogo  di  essa .  Immagini  ognuno  la  sorpresa 
dell'imperatore  nell' accorgersi  di  quosto  scambio.  Ma  il  filosofo  Io  riprese  dicendogli  :  E  che? 
^on  temi  adiintpie,  che  qualcuno,  per  farti  del  male,  adoperi  l'artificio  medesimo,  che  io  ho  usato 
per  farti  uno  scherzai'  Dopo  ciò  vuoisi  che  Augusto  andasse  piii  ritenuto  in  cotall  faccende. 
(io)  Piigillares ,  dice  il  testo.  I  pugillari  erano  di  varia  specie,  siccome  ha  notato  il  dolio  Mor' 
celli  nella  prima  delle  sue  dissertazioni  dello  scrivere  degli  antichi  /?om«ni  (  Milano,  1832, 
8."  )  ;  ma  i  più  usitati  erano  quelli  con  le  tavolette  incerate  ;  essi  corrispondevano,  per  un  cer- 
to rispetto,  a'  nostri  portafogli,  poiché  servivano  a  picciole  scritture  ed  annotazioni,  e  non  mai 
a  lunghe  opere,  le  quali  si  scrivevano  ordinariamente   snlla  carta  papiracea  0  pergamena.    Il 
basso  rilievo  pubblicato  dal  Boldelti    (osserv.  sopra  i  cim.  1.  a,  e.  2),  e  ripetuto  in  fronte  del- 
la suddetta  dissertazione  del  Morcelli,  ci  mostra,  come  fossero  queste  tavolette,  e  come  ti  si 
andasse  sopra  con  lo  stilo  o  grafio,  il  quale  solcando    la  cera    a  guisa  di  aratro,  fece  nascere 
fra'  latini  il  vocabolo  figurato  di  exarare  in  significato  di  scrivere. 
(11)  Mezio  Caro  (o  Caro  Me«io,  secondo  Tacito),  fu   uno  di  que'tanli  delatori,  che  troTaron 
ascolto  e  favore  presso  l'imperador  Domiziano.  Egli  accusò   Erennio  Senecione  perchè  avea 
composto  la  vita  di  Elvidio  Prisco;  e  Fannia,  vedova  di  Elvidio  .  perchè  a  petizione  di  lei, 
Sreuoio  avsa  scrino  quell'opera.  La  morie  dell'  uno  e  l'esilio  dell'altra  furono  la  dolorosa 


384 

conseguenza  Ji  si  fatta  accusa.  II  nome  (Il  Mezio  Caro  è  consegnalo  all' Infamia  de'secoli  non 
solo  dalle  lettere  di  Plinio  il  giovane  (I,  5.  VII,  19),  ma  altresì  dai  versi  di  Giovenale  (Sat. 
I,  V.  35,  36),  e  dalla  nobile  ira  di  Tacito  nella  vita  di  Agricola. 

(12)  Le  città  di  Ercolano,  Pompei  e  Stabia,  ed  altri  luoghi  minori  della  Campania,  che  rimaser 
tutti  sepolti  dalle  ceneri  del  Vesuvio,  e  che  tutti  sono  diligentemente  ricordati  dagli  accade- 
mici ercolauesi  nel  capo  XII,  della  loro  dissertazione  isagogica. 

(i3)  Le  opere  di  Plinio  il  vecchio  sono,  una  per  una,  ricordate  da  Plinio  il  giovine  nella  leti.  5 
del  libro  HI;  io  qui  non  farò  che  recarne  i  titoli:  Del  tirar  d'arco  a  cavallo,  libro  uno.  — 
Della  vita  di  Pomponio  Secondo,  libri  due.  -  Delle  guerre  di  Germania,  libri  venti.  —  Tre 
libri  di  eloquenza,  divisi  in  sei  volumi.  --  Delle  parole  di  dubbio  senso,  libri  otto.  --  Trenta- 
nn  libri  di  storie,  in  continuazione  di  quelle  di  Aufidio  Basso.  --  Della  storia  naturale,  libri 
trentasette.  Lasciò  poi  morendo  censessanta  volumi  di  Commentarli,  scritti  d'arabe  le  facce, 
e  in  lettera  minutissima.  Fa  pietà  che  tutte  queste  opere,  salvo  i  libri  della  storia  naturale , 
siano  andate  miseramente  perdute. 

(i4)  Bisogna  distinguere  col  dotto  Romanelli  {antica  topati:  istor.  del  regno  di  Napoli.  Nap. 
i8ig,  tom.  3,  f.  5o4  e  segg.)  la  città,  il  promontorio  ed  il  porto  di  Miseno.  La  città  era  nel 
sito,  che  oggi  si  appella  Casaluce,  dove  sorgono  alcune  povere  case  di  pescatori.  Il  promonto- 
rio è  presso  la  città  ed  il  porto,  cui  oggi  ancora  si  dà  il  nome  di  Monte  Miseno  ;  e  non  è  già 
il  Monte  Precida,  come  si  sforzò  di  provare  Marcello  Scotti.  Il  porto  finalmente,  presso  il  qua- 
le sorgeva  la  splendida  villa  di  LucuUo,  aprivasi  in  un  picciolo  seno  interno  fra  il  detto  pro- 
montorio, e  l'opposta  punta  di  Bauli,  detta  de' Penn/i.  È  soverchio  il  dire,  che  a  Miseno  stan- 
«iava  una  della  due  flotte,  stabilite  da  Augusto  per  la  custodia  del  doppio  mare  d'ItaUa,  men- 
tre che  l'altra  dimorava  a  Ravenna. 

(i5)  I  Liburni,  che  furono  i  primi  padroni  della  navigazione  de' nostri  mari,  furono  eziandio  i 
primi  ad  inventare  certe  barche  agili  e  leggere,  che  da  loro  presero  il  nome  di  lihurniche.  Zo- 
sirao  e  il  p.  Parlati  { Illyr.  sacr.  in  prolcg.)  hanno  contrastato  ai  Liburni  questa  invenzione; 
ma  il  co.  Giovanni  Kraglianovich  Albinonl,  con  l'autorità  di  Vegezio  e  di  Appiano,  l'ebbe 
ad  essi  restituita.  Veggansi  le  sue  memorie  per  la  storia  della  Dalmazia  (Zara  1809,  tom.  T, 
f.  65  e  segg.),  dove  altre  cose  son  dette  circa  a  queste  libumiche ,  le  quali  erano  per  solito 
a  due  ordini  di  remi,  e  per  l'impeto,  con  cui  si  lanciavano,  emulavan  l'effetto  delle  più  forti 
macchine  rostrate.  I  Dalmati,  successori  de' Liburni,  non  furono  men  periti  nella  scienza  del- 
la navigazione;  e  però  noi  li  reggiamo  utilmente  impiegati  da' Romani  nelle  loro  flotte.  Ne 
recherò  per  pruova  la  seguente  inscrizione  di  un  opllone  della  hburnica,  chiamata  Nettuno, 
la  qual  si  legge  nella  Guida  di  Pozzuoli  del  Sarnelli  a  e.  18,  e  nell'opera  leste  citata  del  Ro- 
manelli a  f.  607. 

D.  M. 
G.  VALERIO  FINITO  OPTI 
ONI  LIBVRN.  NEPT.  EX  CLAS. 
PR.  MISEN.  NAT.  DALM.  AN.  LV 
MILIT.  AN.  XX Villi  VIXIT 
M.  APPONIVS  FIRMVS 
GERES.  B.  M.  F. 
L'  erudito  sig.  Clemente  Cardinali  ci  diede  il  catalogo,  cosi  delle  liburniche,  come  di  tutte  le 
altre  navi  romane  nel  N."  V.  voi.  I.  delle  memorie  romane  di  antichità    e  di  belle  arti.  Ro- 
-ma  i8:<4i  ^-Yo 


385 

{i6)  Cenare  adunque  e  pomici  e  pietre  furono  la  materia,  sotto  la  quale  reslaron  sepolti  i  liicM 
adiacenti  al  Vesuvio;  e  non  già  lava,  o  materia  llquitla  infocala,  come  da  taluni  si  stima. 
Quanto  al  guado  apparso  tF improvviso, il\  cui  qui  parla  Plinio,  esso  si  è  formalo  dal  concorso 
di  ceneie,  arena  e  pietre  in  quel  sito,  per  cui  un  trailo  di  mare  restò  come  cliluso  fra  questa 
ruina  e  la  sponda  opposta.  Kccó  il  perdio  la  ■^etta  sponda  (oltre  die  per  lo  cader  di  tanta 
materia  dal  monte)  per  lo  improvviso  apparire  di  questo  guado  divenne  inaccessibile. 

(17)  Stabia  era  ab  antico  un  celebre  casltllo,  il  qual  distrutto  da  Siila  nella  guerra  sociale  si 
convertì  poi  in  diverse  ville  qua  e  là  sparse  per  que' contorni  ;  si  come  ci  avvisa  Plinio  slesso 
nel  llb.  3,  cap.  5  dflla  sua  storia  nat.  Rimasta  sepolta  nella  eruzion  dtl  Vesuvio  un'altra 
Stabia  sorse  sul  monte  Lattario,  dove  è  oggi  la  (illà  di  Lettere  ;  e  questa  ebbe  da  tempi  an- 
tichissimi il  suo  vescovo,  poiché  troviamo  che  del  ^99  un  Orso  vescovo  di  Stabia  sottoscrisse 
al  sinodo  romano  tenuto  sotto  papa  Simmaco.  Pare  che  sin  dal  sesto  secolo  gli  Slablani  sia- 
no discesi  dal  monte,  e  stabilitisi  nel  sottoposto  seno  ,  quivi  abbian  fondato  la  nuova  città 
che  negli  antichi  codici  è  detta  Caslnim  maris ,  o  Ciiitas  Castri  maris  de  Stalia ,  e  che  o^ei 
chiamasi  Castcllamare. 

(18)  In  effetto  consultando  la  carta  topografica  dell'antica  Italia  cìstlberina  ,  che  ci  diede  il  lo- 
dato sig.  ab.  Romanelli,  chiaro  si  vede,  che  da  Ercolano  venendo  a  Stabia,  il  lido  s'incurva 
e  forma  un  seno  di  mare,  il  quale  essendo  frapposto  tra  il  Vesuvio  e  la  città  di  Stadia  che 
è  detta,  rendea  gli  abitanti  di  questa  assai  più  sicuri  dall'eruzione  di  quello,  che  non  eran  gii 
abitanti  delle  città  di  Ercolano  e  Pompei,  le  quali  vi  giaceano  immediatamente  suicplte.  È 
inutile  però  avvertire,  che  questa  sicurtà  durò  assai  poco,  essemlo  siala  anche  la  povera  Sta- 
bia incòlta  dal  nied^'simo  destino  delle  al  re  città  e  luoghi  adiacenti  al  ^'esuvio. 

(19)  Il  dirsi  da  Plinio,  che  il  Ve^uvio  ardeva  in  più  luoghi  (pìurihus  hicis),  fa  prova,  che  non 
tutta  dulia  bocca  del  monte  scoppiò  la  materia  rh'ei  conteneva,  ma  che  questa  si  aperse  ezian- 
dio tante  uscite,  quante  eran  le  fessure  che  si  vedeano  in  quel  monte,  prima  ancora  de' tem- 
pi di  1  ito,  come  ci  attestano  Slrabone  (lib.  V.),  e  Lucio  Floro  (lib.  III).  Osservisi  adun'iue 
con  gli  accademici  ercolanesi  (dissert.  isugog.),  quanta  sia  la  esaltezza  di  Plinio,  che  chiama 
flammns  Inlissimas  ((ìamme  assai  dilluse)  qiulle  che  uscivan  da'  fianchi  del  monte, e  sì  sleiiJe- 
vano  per  la  sottoposta  pianura,  e  alla  incendia  (alti  incendii)  quelle  che  dalla  bocca  del  mon- 
te  salivano  in  alto. 

(aol  In  folti  la  piova  delle  pomici  e  della  cenere  scagliate  dal  Vesuvio  crebbe  poi  tanto,  che,  a 
detta  degli  accademici  ercolanesi   (1.   e.  /.    86),  essa  arrivò    a  Stabia   all'altezza   di  circa  uov» 

palmi . 

(21)  I  treiiuioli  e  gli  scotimenti  di  terra  furono  i  forieri  e  i  compagni  di  quella  eruzione  terribi- 
le ;  e  in  grazia  di  essi  molte  case  ed  altri  edifizi  perirono,  che  l'ardente  piova  del  Vesuvio 
avria  bensì  sepolti,  ma  lasciati  in  piedi.  Per  tacer  d'altri  latti,  basti  quello  che  ci  raccontano 
gli  accademici  ercolanesi,  di  aver  trovato  al  di  dietro  del  tempio  d'  Iside  in  Pompei  uno 
scheletro  seduto  ad  una  mensa  di  marmo,  su  cui  slavano  delle  ossa  di  pollo,  de' gusci  d'uo- 
TO,  e  dei  vasi  di  creta  ;  il  che  mostra  che  quell"  infelice,  il  qu:ilf  era  l'orse  il  custode  del  tem- 
pio, fu  schiacciato, mentre  desinava, dalle  ruine  della  stanza,  la  qual  cadde  per  tremuotOj  pri- 
ma che  la  città  fosse  sepolta  dall'eruzione  del  Vesuvio. 

(aa)  Non  bisogna  credere,  che  le  pietre  che  scagliava  il  Vesuvio  fossero  tulle  sottosopra   di  pari 

grosscaiia.  Abbiamo  infatto  veduto,  che  mentre  Plinio  s'indirizzava  in  soccorso  di  Retina,  ca- 

devan  delle  pietre  sulla  ."sua  quadrireme,  mentre  che  delle  allre  ne  cadevan  nel  mare,  in   nio- 

ilu  da  formare  una  specie  di  diga,  lì,  chiaro  dunque,  che  le  prime  erau  le  pietre  più  leggiere, 

49 


33G 

come  son  finr^IlR  (ini  nominate;  le  altre  poi  erano  le  più  grosse,  clie  ammontlccliianJosi  nel 
mp'lesimo  silo,  ne  t'ormaron  fjuel  tjundo,  di  cui  si  è  ragionalo  più  sopra. 

(33)  Che  In  eruzione  del  Vesuvio,  fra  gli  altri  fieri  accidenti,  sia  stata  accompagnata  anche  da 
quello  della  scurità,  ne  abbiamo  una  prova  nell'essersi  trovati  a  Pompei,  sullo  strato  delle  po- 
mici, de*  cadaveri  con  appresso  delle  lanterne;  il  che  mostra,  non  tanto  che  quegl' infelici  fu- 
ron  colli  di  notte,  quanlo  che  una  nuvola  di  fumo  e  di  fuoco  tolse  loro  d'improvviso  il  rag- 
gio del  sole,  siccome  narra  Sililino  :  Deinde  nwgnii  copia  ignis  ,  fiiinique,  ila  ut  omnein  ae- 
rcm  obscumret,  occullareique  solem  non  aliter  ac  si  cle/ecmel.  Igilu/\  ex  die  iiox,  et  ienthiae 
ex  luce  fnctae  erant. 

(94)  Svetonio,  o  chi  è  altro  l'autore  dp|Ie  vite  degli  uomini  illustri,  ci  racconta  con  queste  pa- 
role la  morte  di  Plinio  il  vecchio:  fi  pulveris  ae  fuviUae  opprcssus  est,  ce/,  ut  quidam  exisli- 
mant,  a  servo  suo  occisus,  quem  aestu  deficiens^  ut  necem  sibi  niatuiaief,  oraverat.  Il  Rezzo- 
nico  (Tìisq.  Plin.)  ainuiettetido  quest'ultima  opinione,  tenta  di  giuslilicarla  e  con  la  consuetu- 
dine de'  Koinani  di  liberarsi  con  una  volontaria  morte  da'  dolori  della  vita,  e  col  sistema  di 
filosofia  di  Plinio  il  vecchio,  il  qu  d  non  pare  che  sentisse  dirittamente  sulla  immortalità  del- 
l'anima. Ma  ehi  non  vede,  che  qui  la  scusa  è  peggior  della  colpa?  La  signora  di  Genlls  ha 
descrlllo  ancor  ella  la  morte  di  Plinio  il  vecchio  nel  suo  Libro:  Les  Tableaux  de  m.'  le  Coni- 
te  de  Forbin.  Paris,  1817;  e  quantunque  ci  assicuri  che  c^ est  uniquement  un  morceau  d' hi- 
stoire,  vi   fe^e  però  tali  frange,  che  ne  riuscì  il  più  grazioso  romanzetto  del  mondo. 

(a'i)  Svetonio  fu  figliuolo  di  un  tribuno  di  legione,  ed  amicissimo  del  nostro  Plinio,  che  gli 
scrisse  più  leitere,  e  gl'impetrò  da  Nerazio  Marcello  il  tribunato  militare,  e  da  Trajano  il  di- 
ritto de'  tre  figluioli.  Fu  segretario  delfimperadore  Adriano,  del  quale  però  venne  in  disgra- 
zia, perchè  apud  Sahinani  uxorem  injuasu  ejus  familiarius  se  lune  egeral ,  quarn  leveicntia 
domus  aulicae  postuLtbat.  Le  (juali  parole  di  Sparziano  (in  vita  Hadi:),  come  che  siano  state 
variamente  interpretate  ,  pare  che  spieghino  un  troppo  ardilo  disprezzo  di- Svetonio  verso 
quella  imperatrice ,  anziché  una  poco  onesta  famigliarità  con  lei;  la  quale  non  poteva  dal  ma- 
rito, benché  la  odiasse,  essergli  mai  comandata.  Delle  molte  opere  di  Svetonio  non  ci  restana 
chele  vite  degl'illustri  grammatici,  una  picciola  parte  di  quelle  de' retori ,  e  le  vite  de' 1  a; 
primi  Cesari.  Queste  ultime  ebbero  un  fiero  accusatore  nel  signor  Linguet  ( Hist.  des  révolut. 
de  'enip.  rem.),  il  quale  taccia  Svetonio  di  bugiardo  e  d'impostore;  ma  a  si  fatte  accuse  rispo- 
se trionfalmente,  secondo  suo  costume,  il  Tiraboschi  nella  prefazione  del  tom.  IL  della  sto- 
ria della  leti,  italiana. 

(26)  Questa  lettera  é  una  delle  sei  di  Plinio  il  giovine,  che  il  Rollio  reca  per  esemplari  nel  suo 
aureo  libro  de  la  manière  d'enseigner  et  d'  étudier  les  belhs-lettres  par  rapport  à  l'esprit  et  au 
coeur.  Part.  I,c.  e.  Nella  traduzione  francese  del  Sacy,  che  ci  pone  di  contro,  si  duole  ilRollin 
di  non  trovare  que'  diminutivi  dell'  originale  agellitm,  viticulas,  arbusculas,  praediolum,  che 
danno  tanta  vaghezza  al  componimento;  ma  ciò,  più  che  ad  imperizia  del  traduttore,  è  da  tri- 
buirsi  a  povertà  di  quella  lingua.  Sia  lode  al  cielo,  che  della  nostra  non  sì  può  dire  altret- 
tanto. 

(27)  I  cento,  detti  da'Latini  centumviri,  erano  giudici  scelti  fra  le  35  tribù  di  Roma,  tre  per 
ciascuna  tribù.  Essi  conservarono  il  nome  di  cento,  ancora  che  non  formassero  mai  al  punti- 
no questo  numero;  essendosene  contati  persino  i8o,  siccome  si  ha  dalla  lettera  33,  lib.  VI. 
del  nostro  autore.  Essi  si  dividevano  in  quattro  tribunali,  e  tutti  quattro  si  radunavano  nel- 
la basilica  Giulia.  Le  cause  testamentarie,  e  quelle  di  successione  erano  particolarmente  de- 
volute a  questi  giudici . 


387 

(aS'i  Plinio,  eh'  era  Ip^alo  In  amicizin  con  gli  uomini  più  illustri  Jel  suo  tempo,  polè,  in  gra- 
zia di  essi,  e  delle  sue  virili  e  del  suo  sapore,  aprirsi  la  strada  agli  onori,  essendo  stalo  sot- 
to Domiziano  questore,  tribuno  della  plebe  e  pretore.  Ma  negli  ultimi  anni  clie  regnò  Do- 
miziano, egli  vide  cacriati  da  Roma  i  filosofi,  messi  a  morte  od  in  bando  i  più  ragguardevoli 
suoi  amici,  e  sé  medesimo  designato  fra  le  vittime  di  quel  geloso  imperatore.  Morto  il  quale, 
e  successogli  Nerva,  e  poco  stante  Trajano,  il  nostro  autore  non  pur  ricoverò  molti  de'  suoi 
amici,  ma  avendo  ripiglialo  la  via  degli  onori,  arrivò  al  segno  di  esser  console  e  governato- 
re della  Bitioìa  e  del  Ponto.  Ecco  adunque  i  tre  stadi  della  vita  di  Plinio,  a'  quali  accenna 
in  questa  lettera. 

(ag)  Il  sig.  Fréville  nel  tomo  I  delle  vite  de  fancvilU  celebri  tradotte  da  Francesco  Ambro- 
soli  (Milano  1836,  16."  )  ba  inserito  la  vita  di  questa  giovinetta,  della  quale  e'  fa  un  si  caro 
ritratto,  che  non  è  alcuno,  che  in  leggendolo  non  si  senta  tirato  ad  amarla.  La  suddetta  vita 
si  chiude  con  la  presente  lettera  di  Plinio  volgarizzata  con  la  solita  sua  eleganza  dal  suddetto 
signor  Ambrosuli. 

(3o)  Su'  pedagoghi  che  si  davano  alle  fanciulle  romane,  odasi  il  chiar.  sig.  ab.  Luigi  Polidori 
nella  sua  dissertazione  intorno  agli  usi  delle  antiche  dorme  romane  (Milano  1823,  8."  ,  f.  20 
e  seg.).  i(  Forse  i  Romani  ebbero  questa  costumanza  dai  Greci,  appo  i  quali  ,  essersi  per  sif- 
»  fatta  guisa  provveduto  all'educazione  delle  femmine,  oltre  Euripide  ed  Omero,  cel  mostra 
1)  un  basso  rilievo  illustrato  da  Winchelmann  ( Monum.  ineJ.  t.  2.  f.  120  ),  dove  è  fadile  ravvi- 
»  sare  un  pedagogo  in  quel  vecchio  barbato,  e  con  calzoni  all'uso  de' Fri^i  ,  il  quale  sostie- 
»  ne  tra  le  sue  braccia  spirante  una  delle  figlie  della  infelice  Niobe.  Spettava  a  costoro  ac- 
»  compagnarle,  istruirle  ne'  proprii  doveri  con  più  diligenza  di  quello  che  far  sapessero  le 
»  nutrici,  insegnar  loro  la  fuga  del  vizio,  l'amore  alla  virtù,  e  difenderle  dalle  insidie  degli 
»  arditi  giovinastri.  Quindi  erano  per  lo  più  d'età  provetta,  gravi  nel  portamento,  severi  nel 
w  volto  ( Si-et.  in  Ner.  cap.  87  j,  e  tenuti  in  onoranza,  quantunque  fossero  talvolta  di  condi- 
»  zione  servile  »  . 

(3i)  L'uso  di  profumare  i  cadaveri  risale  sino  ai  tempi  degli  Fbrii,  se  pure  per  quelle  parole  che 
dice  Geremia  (XXXIV,  5.)  al  re  Sedecia:  Sed  in  pace  morieris,  et  secimdum  comhijstiones 
patnim  tuorum  ....  sic  coinburent  te,  si  debbo  intendere,  non   già   il   bruciarsi    de'  cadaveri, 
ma  bensì  degli  aromi,  con  cui  si  profumavano  i  loro  letti.   I  Romani  poi  costumavano   unger 
d'aromi  i  loro  morti,  gitlar  mirra,  incenso  e  cassia  su'  loro  roghi,  e  da  ultimo  profumarne 
le  ossa;  onde  dice  con  bel  frizzo  Giuvenale  (IV,  109,  1  10)  in  proposilo  di  Crispino: 
Et  uiatulino  sudans  Crispinus  amomo, 
Quantum  vix  redolent  duo  funera. 
Veggasi  l'erudita  nota  che  fa  a  questo  luogo  il  conte   Camillo  Silvestri  nel  suo   Giuvenale  e 
Persio  spiegati  in  versi  volgari  ed  illustrati.  Padova  «711,  4-" 

(3a)  Molte  ed  import.nnti  erano  le  attribuzioni  del  prefetto  urbano,  specialmente  al  tempo  de- 
gl'imperadori  ;  esse  in  gran  parte  corrispondevano  a  quelle  che  oggi  sono  esercitate  dal  di- 
rettore generale  di  polizia.  La  sua  giurisdizione  si  estendeva  non  solo  in  Roma,  ma  altresì  a 
cento  miglia  di  distanza  dalla  città.  Pare,  che  allorché  amministrava  la  giustizia,  appartenes- 
se a  lui  la  scelta  de' consultori,  uno  de'  quali  fu  appunto  il  nos-tro  Plinio. 

(33)  Di  Fosco  Salinatore,  di  nazione  patrizio,  e  che  menò  in  moglie  una  figliuola  di  Serviano, 
parla  il  nostro  autore  nella  lettera  26  del  lib.  VI  con  quelle  solite  lodi,  con  cui  parla  de' 
SUOI  amici,  chiamandolo:  Studiosus,  literatus,  etiam  disertus  ;  puer  sitnplicitute,  comitale  /uve- 
nis,  senex  gravitale. 


388 

(34)  Anche  Jl  Uinldio  Quadralo  fa  un  mat^nifico  elogio  il  nostro  autore  nella  lelt.  24  del  lib. 
VII.  Basii,  che  (a  giovane  bellissimo  e  semjira  costiirnato  ;  olia  viveva  con  una  sua  zia,  paz- 
za per  li  pantomiini,  e  ch'egli  schifò  sempre  di  vederli  si  in  teatro,  che  in  casa.  Questa  sua 
lia,  che  lo  lasciò  erede  p'?r  dae  terzi  ,  fu  Umidia  Quadratila,  una  ricca  sfondala  ,  non  solo 
perchè  manteneva  una  fami'^lia  di  pantomimi,  ma  altresì  perchè  fu  essa  che  a'  Cassinesi  fab- 
bricò l'aa&teatro  ed  il  tempio, che  forse  vi  era  annesso, siccome  si  ha  dalla  seguente  inscrizione 
riportala  dal  canonico  Gianfrancesco  Trulla  a  fac.  4' 6  delle  sue  dii:seiUi:iioni  istoriche  dellt 
antichità  alifane.    Napoli,  1776,  4-° 

VMIDIA.  .  C  .  F  . 
QVADRATILLA. 
AMPHITHEATRVM  .ET 
TEMPLVM  .  CASIINATIBVS 
SVA  .  PECVNIA  .  FECIT 
Il  leggersi  in  questa  inscrizione  Umidia  favorisce  via  più  la  opinione  del  Gierig  ,  che  adottò 
questa  lezione  (e  per  conseguenza  anche  quella  di  Umidio),  anziché  l'altra  di  ISumidio  e  Nu- 
midia,  che  incontrasi  in  altre  edizioni  di   Plinio  il  giovine. 

(35)  Non  si  può  meglio  dimostrare  l'  utilità  del  tradurre,  che  ricordando,  come  i  più  grandi  scrit- 
tori non  abbiano  sdegnato  un  siffatto  esercizio.  Basti  per  tutti  l'esempio  di  Cicerone,  il  quale, 
fra  le  altre  cose,traslalò  di  greco  in  latino  le  due  famose  orazioni  di  Eschine  e  di  Demostene 
per  la  corona;  siccome  ne  avvisa  egli  stesso  nel  suo  libro:  de  optimo  genere  oratoium.  Al  pro- 
posito della  qual  traduzione  ,  che  ora  è  perduta,  mi  piace  ripetere  ciò  che  ne  scrive  l'illustre 
traduttor  francese  di  Cicerone,  il  sig.  de  Tourreil:  «Quel  dommage,  qu'une  copie  qui  existoit 
«  encore  du  temps  de  s.  Jerome  ,  ....  ne  soit  pas  venue  jusqu'  à  nous  ?  Elle  nous  enseigne- 
«  roit  à  bien  traduire:  elle  apprendroit  l'art  de  secouer  à  propos  le  joug  d'une  triste  exacti- 
<(  tude, et  d'une  sujétlon  oulrée:  enfin  elle  prescriroit  à  la  fois  les  bornes  de  la  timidité  judi- 
«  cieuse,  et  de  l' heureuse  hardiesse.  Cicéron  vérilablement  indique  la  méthode  qu'il  faut  sui- 
«  vre:  mais  l'exemple  instruit  tout  autrement  que  le  précept". 

(36)  Questi,  ed  alcuni  esametri,  che  si  leggono  nella  leti.  4  del  lib.  VII, sono  isoli  versi,  che  ci 
siano  pervenuti  di  Plinio,  quantunque  non  siano  i  soli  ch'egli  abbia  scritto,  comesi  pare  dalla 
sopraddetta  lettera,  e  dalla  decimaquaila  del  libro  IV.  Non  è  però  a  dolersi,  che  siano  anda- 
ti in  sinistro;  poiché  ben  si  vede  da"  versi  della  presente  lettera  che  poco  ci  avrebbe  guada- 
gnato il  gusto,  e  da  quelli  dell'altra  che  molto  ci  avria  scapitalo  la  morale.  E  invano  si  fa  egli 
forte  nella  lett.  3  del  lib.  V  dell'esempio  di  alcuni  uomini  onesti,  che  scrisser  versi  lascivi;  e 
invano  nella  detta  lettera  i4  del  lib.  IV  ripete  in  sua  difesa  i  versi  di  Catullo: 

Nara  castum  esse  decet  pium  poetam 

Ipsum,  versiculos  nihil  necesse  est; 
poiché  l'esempio  dei  molti  non  iscusa  l'errore  di  un  solo,  e  una  vita  costumatissima  non  to- 
glie lo  scandalo  di  un  libro  guastator  de' costumi. 
(3;)  La  stretta  amicizia,  che  era  tra  Plinio  e  Tacito,  ha  fatto  nascere  molti  ragguagli  tra  questi 
due  scrittori;  quello  che  ne  fa  il  celebre  traduttore  ed  illustratore  inglese  di  Plinio,  lord 
Orrery,  ci  sembra  degno  di  esser  qui  riferito.  Dopo  aver  detto  quali  opere  ci  restino  dell'uno 
e  dell'  altro,  soggiunge:  «  Le  opere  di  Tacilo  sono  scritte  con  lutto  l'ordine  e  la  dignità  di 
«  un  istorico,  l'epistole  di  Plinio  con  tutta  la  schiettezza  e  il  buon  cuore  d'un  amico  priva- 
„  lo.  L'istoria  e  gli  annali  col  solo  lor  titolo  risvegliano  la  nostra  attenzione;  per  le  letlei-e 
«  fainiliaii  ha  meno  stimolo    la   nostra    aspettativa.    Le  opere  di  Tacito  sono  state  pubbli- 


389 

«  cale  con  buon  gusto  e  Jiscernimenlo;  Tepiitole  Ji  Plinio  a  guisa  delle  opere  delle  Sibille 
«  Sudo  state  abbandonate  alla  discrezione  de' venti.  Lo  stile  dell'uno  e  dell' altro  autore  è  sta- 
li to  condannato  a  ragione.  L'affettazione  di  Plinio  non  può  qualcbe  rolla  scusarsi;  il  dir 
«  conciso  di  Tacito  non  può  spesse  volle  intendersi.  In  Plinio  sempre  offende  quella  sua  sete 
<(  di  fama;  in  Tacito  quel  suo  giudicar  decisivo,  e  spesso  erroneo.  Plinio  ci  stanca  colle  di- 
«  gressioni;  Tacito  .ippena  ci  dà  tempo  di  respirare.  Plinio  è  qualche  volta  troppo  delicato; 
i(  Tacito  è  perpetuamente  troppo  aspro.  Tali  erano  le  loro  umane  fragilità,  e  i  difetti  della 
«  lor  penna  ;  ma  i  lor  sentimenti  e  le  lor  virtù  sono  egualmente  in  entrambi  inimitabili  e 
«  grandi  ii .  (V.  Lettere  di  Plinio  il  giov.  tradotte  dal  Can.  Tedeschi.  Livorno  17 ''9,  tom.  2 
f.  155—56.) 

(38)  All'emistichio  yirgillano  ìortgo,  sed  proximiis,  intenallo  (.\eneid.  1.  5.  v.  Sao,  ove  fi  parla 
di  Salio,  che  nella  corsa  vien  dietro  a  Niso),  ho  fatto  corrispondere  la  traduzion  del  Caro, 
salvo  che  in  luogo  di  prossimo  a  lui,  mi  fu  duopo  scrivere  prossimo  a  le. 

(39)  Plinio  il  giovine  avea  molte  ville,  ma  le  due  principali  erano  la  Laurentina  e  quella  di  To- 
scana. Nella  descrizione  delia  prima  egli  spende  tutta  la  lettera  17  del  lib.  II;  della  seconda 
la  lettera  6  del  libro  V.  Queste  due  lettere  hanno  dato  cagione  a  molti  eruditi  ed  architetti 
di  delineare  i  piani  di  queste  due  ville;  io  nominerò  Parfait,  Castel,  Rrubsacio,  Scamozzi,  e 
sopra  tutti  Fellbien  e  Marqiiez.  A  Dio  piacendo,  mi  propongo  di  entrar  ancor  io  in  questo 
campo,  il  quiil  non  parrai  che  sia  stato  cosi  mietulo,  che  non  ne  resti  tuttavia  qualche  spiga. 

(40)  Il  Gli  Ebrei  e  i  Romani  spartivano  sempre  in  dodici  ore  il  giorno  naturale,  ed  in  altrettan- 
n  te  la  notle.  Tali  ore  pertanto  variavano  di  durala  continuamente.  Un'ora  di  state,  in  que- 
i<  sti  climi,  era  lunga  quanto  due  circa  del  verno  durante  il  giorno  naturale;  era  tutto  il  con- 
11  trarlo  la  notte  »  {Cagnoli,  notizie  aslron.  §.  474).  T)opo  ciò,  è  facile  conoscere  a  quali  ore 
del  nostro  orologio  corrispondano  sottosopra  quelle  che  Plinio  ricorda  in  questa  lettera. 

(.41)  Il  crittoporliuo  era  un  portico,  se  non  lutto,  in  gran  parte  almeno  sotterra,  di  cui  mollo  si 
giovavano  i  Romani  per  godervi  la  frescura  in  tempo  di  stale.  A  renderlo  ancor  più  fresco, 
vi  si  costruiva  o  al  di  sopra,  o  sul  davanti  un  altro  portico  sopra  terra,  detto  con  greca  voce 
xjstus.  E  come  quello  era  utile  nella  state  per  fuggire  gli  ardori  del  caldo,  cosi  questo,  che 
era  aperto  ed  io  plaga  di  sole,  era  utilissimo  nel  verno  per  ischivare  i  rigori  della  stagione. 

(4*)  Plinio  era  amantissimo  della  caccia,  ma,  a  quel  che  pare,  e'vi  facea  poca  fortuna;  poiché 
avendo  un  tratto  preso  tre  cignali,  ne  scrive  a  Tacilo,  come  di  cosa,  che  il  dee  far  ridere  e 
maravigliare.  Veggasi  la  leti.  6  del  lib.  1,  dove  ribadisce  il  concetto  delle  tavolette  e  dellu 
stilo,  ch'ei  recava  seco  alla  caccia  ut  si  miiints  vacuas,  plenas  taincn  ceras  reporturern. 


OSSERVAZIONI  METEOROLOGICHE 

DEL    DOTTOR 

ANTONIO     CANONICO     TRAVERSI 

PROVVEDITORE    DEI.     R.     LICEO 

MEMBRO  ONORARIO. 


SUNTO  GENERALE 


Delle  Osservazioni  Meteorologiche  fatte  dalVAniio  1811  all'Anno  1822. 


i8ii 


/  Baromclrielii,' 

Medie  .  ./  Teriiionictr  ielle 

\.  Igromcliiclic 

/  Barometiiche 

Termnmetrlclie 

Igrometiiclic 

Baroiiielriolic 

Tcriiiomelriche 

Igroinclriclic 

Pioggia  e  (Iella  Neve  liq. 


itaS 


Massime  J 

Minime.  .{ 
Quantità  della 


28:i.o38 

28:2,2^8 

12,11 

11,004 

t  86,799 

85,458 

a8:8,o 

28:7,7 

26,5 

26,5 

100 

100 

='7:4,9 

27:3,5 

—  6 

—  ^^1 

62 

60 

22:9  ,' 

37:6  ,', 

28:i,555 
1 1^175 
85,8 1 3 
28:7,6 
28,5 

100 
27:3,8 
_{,5 

61 
**  7*+  '- 


1814 


.8i5 


28:05498 

10,934 

85,768 

28:6,0 

25,3 

100 

27:1,5 

-4,2 

59 
39:3  -k 


28:0, 197 

'0,997 
87,33 

28:5,5 

23,8 

100 
27:4,0 
-3,8 

55 
3o:io 


1816 


28:0,15 
10,293 
88,5 1 4 
28:6,0 

23,6 

100 
27:2,3 
—  3,8 

58 
39:8:1 


1817 


28:0,787 
1 1,206 
88,299 
28:6,3 

24,2 

100 
27:8,6 
—  1,6 

2  5:4  A 


1818 


1819 


28:0,9 
11,633 
85,963 
28:6,0 

i4,7 

99 
27:44 
-3,. 

80:2  li 


28:0,288 
1 1,6925 
87,675 

28:6,9 
26,7' 
100 

27:5,0 

-:'r.7 
48 

3i:5  tk 


1820 


28:0,533 

11,467 

88,.44 
28:5,7 
2  5,9 

100 
27:0,7 
—  6,2 

46 
24:10 


1S2 1 


1822 


27:11,662  28:0,341 

11,201  11,0285 

85,819  86,56i 

28:9,0  28:7,1 

24,1  28,3 

100  96 

27:1,0  27:6,3 

—  1,8  3,2 

36  59 

23: IO  h  23:4  à 


IN  TUTTO  IL  PEKIODO. 


28:0,827 

11,23, 

86,845 
28:9,0  II  giorno  7  febbraio  1821  di  sera. 
26,  7  II  giorno  8  luglio  18 ig  mezzogiorno. 
1 00  in  inollissinii  giorni  del  periodo  . 
27:0,1  li  giorno  3  marzo  1820  niozzogiorno, 
—  6,  2  11  giorno   i3  gennaio  1820  nialtina. 
36  II  giorno  10  febbraio  1821  mezzogiorno. 
Media  pollici  3o  lince  6  ,1. 


VENTI  DOMINANTI  IN  TRE  OSSERVAZIONI  PER  OGNI  GIORNO. 


S.O.   O.S.O. 


2  3 

26 
3i 
16 
i3 
28 
28 
36 
i5 

24 
4o 
22 


39   .1;  2  5  f. 


O. 

Te" 

27 

j6 
18 

23 

■  6 

3o 
20 
18 

■9 

22 
l5 


O.N.O. 

'9 
i5 

20 

■9 
44 
i5 

3o 
26 

i4 
21 
21 
i4 


N.O.  N.N.O. 


1 1 

6 

48 

1 1 
'\ 

38 
18 
i5 

52 

r 
20 

26 

26 

2  3   ,1 


21 
82 
61 

5i 

25 
22 
18 

•4 
I  2 

7 

5 

i5 


QUALITÀ  DELLE  GIORNATE. 


Serene   Nuvolose    Piovose 


1  ;" 
143 
116 

1  2  1 
129 

ii3 
i5o 
.67 
i5o 
126 

"9 
180 


28  ,',  I  i4o  k 


5o 

4- 

45 

46 
62 
46 

39 
4- 
42 

56 
74 
76 

5i  A 


32 

46 

49 
4. 
36 
43 
46 
44 
54 
58 
56 
54 


Nebbiose 

34 
28 
26 

48 
33 

'■l 
37 
24 
28 

'7 
37 
3o 

3o  ,^f 


Nevose 

7 
I 

I 

5 
8 

7 
2 
2 
I 

9 


3  != 


Teropor. 

12 
18 

i3 

18 

'9 

'7 
■  8 
21 
33 
1  2 
'7 

25 


Venlose 

70 

5o 
79 

52 
52 

54 
61 
55 

37 
68 

57 
68 

58  ' 


Variabili 

107 
io3 
i48 
i4o 
18. 
i53 
121 
109 
ii3 
i3i 
172 
109 


1 1 
i5 

9 
3 

4 

9 
16 

3 


GraD(lÌDc 


128,',  )     9 


i 


SUNTO  GENERALE 

Delle  Osservazioni  Meteorologiche  fatte  nell'Anno  1823. 


Medie  .  J 

Massime  J 

\ 

Minime.  .< 
Quantità  della 


Barometriche  . 
Termometriche 
Igrometriclie  . 
Barometriche  . 
Termometriche 
Igrometriche .  . 
Barometriche  . 
Termometriche 
Iffrometrlche .  . 


Pioggia  e  della  Neve 


Gennajo 


liq. 


27:1  1,476 

o.Sgo 

8g,73i 

28:5,5 

5,4 

95 
27:8,7 

-4,9 

76 
4: 10,". 


Febb 


rajo 


Marzo 


27:9,860 
4,6  5o 

28:2,9 

95 
26:1 1,5 
_.,8 

80 

5:2  li 


^27:11,419 
I       6,227 
86,45 1 
28:2,6 

|3,2 

95 

27:4,5 

—  ',7 
63 

3:6  A 


Aprile      Maggio  |  Giugno 


Luglio 


27:10,973 

9,i5i 

90,589 

28:2,9 

'3,9 

95 

27:5,1 

-3,2 

2:7  il 


28:0,206 
1 4,1 44 

86,754 

28:3,0 

18,7 

95 
27:8,0 

-7,5 

7' 

4:511 


27:10,189 

■6,3744 
86,5 
28:0,7 
21,5 

95 
27:8,5 
—  1 1,8 

72 
3:2  A 


Agosto    Settemb.'l  Ottobre  iNoveuib.   Dicenib. 


87:11,119 

18,019 

84,452 

28:13 

22,2 

94 

27:7,1 

—  12,8 

70 

1:6  k 


28:0,0944 
19,111 

82,822 

28:1,5 

23,8 

94 
27:10,0 

—  l4,2 

70 

0:2  ,'5 


27:11,909 

i6,3o8 

86,978 

28:3,3 

22,0 

96 
27:9,0 

—  «0,7 
70 
4:8  .% 


11,5 12 

4^806 

89,312 

89,478 

28:3,1 

28:5,6 

16,7 

11,6 

96 

95 

27:6,3 

27:7,0 

—  6,0 

—  0,9 

75 

7' 

6:11  !| 

o:3  l'i 

IN  TUTTO  L'ANNO. 


3,3o4 
90,882 
28:5,3 

9,0 

95 
»7=7'7 
—  0,9 

75 

2:7  l'i 


27:1 1.7014 
IO ,  333 
87  ,  964 
28:5,6  addi  1 3  novembre  sera . 
23,  8  addi  (i  aj;oslo  mezzogiorno. 
96  lì  3o  scttcìnb.  .srra,c  li  5  ottobre  mattina . 
26:1  1,5  lì  2  ii-bbiM|o  sera  . 
—  4,  9  li  4  gennajo  mnllina. 
63  lì  2 1  marzo  mezzogiorno  . 
Pollici  4o  lince  3  'i. 


VENTI  DOMINANTI  IN  TRE  OSSERVAZIONI  PER  OGNI  GIORNO. 


QUALITÀ  DELLE  GIORNATE. 


\Sosto 

■ìctteiiibre 

lOltobre 

IVovembre 

|Oicembre 

In  tutto 
I  anno 


SUNTO 

Delle  Osservazioni  Meteorologiche  fatte  neirAniio  i8'2/j.. 


Gennajo 

Febbrajo 

Marzo       Aprile      Maggio 

Giugno 

Luglio 

Agosto    Settemlj. 

1 
Ottobre   Noveinb.   Dicenib. 

IN  TUTTO  L'ANNO. 

/  li.ii  unirli  irlir 

28.1,688 

28:0,536    2-:  IO,  iSg  2j:i  i,33g  27:1  1,8^3  27:io,8i>6 

28:0,492 

27:1  i,63o  27:1 1,673 

27:11,14.927:11,989   28:1,623 

1                          2;:  11.912 

Ml.'lllC   .   .-    'riTrilOMH'tl'Ì<;lM' 

'-.'^97 

i^'jii    j        5,802 

9,089      i3,797 

.5,5^4 

18,390 

18,425    1     16,362 

11,3.3        6,894 

4,723 

IO.,  5 5 1 

\  Igrometriche 

86,3 1  2 

89^^99 

86,go3 

85,2  1 1 

84,3oi 

84,856 

84,2o4 

84,290 

86,833 

89,806       88,333 

9'5925 

86 ,  836 

/  ^«iroiMt'll'IlrllI' 

28:5,5 

28:7,0 

28:3,i 

28:4,. 

28:3,6 

28:1,2 

28:2,0 

28:1,1 

28:2,3 

28:3,9 

28:4,4 

28:6,2 

28:7,0  II  giorno  8  fclibrajo  mallina. 

Massimi.'  /  'rcrinninolriclic 

5,8 

10,0 

12,1             1 6,0 

18,7 

21,0 

24,7 

23,9 

20,9 

16,6 

11,9 

8,3 

24,  7  II  giorno  i5  luglio  al  mezzogiorno.     ^ 

\  Ij^ioinclriclii; 

96 

95 

96             95 

96 

95 

9^ 

96 

96 

96 

96 

96 

96  In  varj  giorni  dell'anno  . 

■ 

/  Bariimnli  irlii; 

ir.  .'    rrnnoinrli  ii:lii- 

\  If^roinclriclii; i 

27:5,6 

27:3,0 

26:1 1,3      27:5,1 

27:8,7 

27:7,8 

27:10,0 

2  7=9-.7 

27:8,0 

27:6,2 

27:5,4 

27:7,8 

26:1  1.3  11  giorno  :',  inar/o  sera. 

1 

INliiiii 

—  =''7 

_.,8 

0,3 

4,6 

9-- 7 

9,6 

12,0 

i3,o 

10,0 

5,6 

2,8 

1,5 

2,  7  11  giorno   18  gciinajo  nialliiia. 

1 

7* 

76 

67 

70 

65 

69 

7> 

7* 

70 

56 

56 

76 

56  I  giorni  3i  ollob.  e  16  nov.  al  ;,  giorno. B 

Quarililà 

ilrihi  l'inj^i^la  e  ili'lla  Neve  .  . 

=-t\ì 

=  ^.^      l'i 

3:3,",         1:10  = 

2:5  = 

3:ioA 

4:0  = 

KIOA 

2:3  11 

8:3  h 

1:11  A 

1:1  1" 

Polliei  3  1  linee  5  , j . 

VENTI  DOMINj* 

LNTI  IN  TRE  OSSERVAZIONI  PER  OGNI  GIORNO. 

N.N.O. 

QUALITÀ 

DELLE  GIORNATE. 

Geiiniijo 

N. 
1       8 

N.N.E. 
1 1 

N.E. 

E,N. 

E.     E. 

E.S.E 

S.E. 

S.S.E. 

S. 

S.S.O. 

S.O. 

O.S.O. 

0. 

O.N.O. 

NO. 

Serene 

Nuvolose 

Piovose 

Nebijiuse 

Nevose 

Tcmpor. 

Vcnlose 

Variabili 

Brina 

f;i-.Mi.i 

1 

2 

1 

— 

1 

4 

— 

1 

9 

2 

—         1 1 

i5 

8 

1 

2 

1 

— 

6 

8 

3 

— 

Fobhrajo 

3 

1 

^ 

i5 

4 

3 

3 

1 

.3 

2 

— 

— 



— 

1 

10 

9 

5 

— 

— 

— 

1 

10 

— 

- 

Marzo 

1             . 

2{ 

10 

4 

1 

3 

2 

*9 

1 

I 

2 

1 

— 

6 

4 

8 

6 

6 

— 

2 

— 

7 

'7 

— 

- 

A|)rili' 

3 

2                l6 

9 

3 

5 

4 

8 

i5 

1 1 

3 

6 

— 

— 

4 

10 

9 

4 







4 

11 

— 

- 

\Lisgio 

2                 i3 

i          4 

8 

6 

■  5 

16 

18    {     4 

— 

1 

1 

'    1    - 

10 

6 

10 





3 

4 

i5 

— 

1 

Giiifiiio 

— 

2 

1  1 

8          7 

2 

6 

i3 

21 

9 

— 

2 

2 

— 

4 

3 

1        6 

5 

1 1 

— 

— 

3 

4 

'9 

— 

- 

Luf^lir) 

— 

i 

2  I 

.2           7 

8 

3 

1 1 

'7 

9 

1 

i^~ 

1 

__ 

— 



— 

.9 
19 

2 

4 





'■>■ 

5 

10 

— 

- 

A  posi  11 

—     1 

6 

33 

1 1 

6 

3 

4 

8 

.6     1 

4   1    - 

— 

— 

—            I     ,       1 

3           4 

1 



1 

7            9 

— 

- 

Setteiiilire 

—     ! 

6 

28 

'7 

4    i 

1 1 

3           3 

8 

4    i      3 

1 



1            1     1     — 

1      '6 

3 

5 

__ 



2 

1           1 1 

"~ 

- 

Ottnhre 

1 

6     ! 

^2     , 

2 

1       '    ' 

IO 

5     .       3 

2 

3           5 

3 

2 

'            7 

_ 

1 

8 

6 

1 1 

. . 

__ 

' 

3          17 

- 

Novembre 

6                12 

.il) 

1 

i      ,     1 

1 

— 

-    1       3 

2 

3 

6 

4 

1 



12 

11           3 

4 





3     1       7 

1 

- 

Diceiulire 

7     1     3o 

20            

'            2 

— 

—         — 

— 

I 

— 

3 

16 

_           3 

1 1 

1 1 

i3 

3 

8 



2     1        7 

— 

— 

In  liilln 
l'anno 

3.         83 

3/{  1    i     ,,0 

<6 

52 

3-       fi: 

i',o 

69    '     22 

23 

32 

i 
5          28          32 

,/,f,               Si     '        67       '        .5 

.1                   '2 

<7        '4- 

4 

1 

! 


SUNTO 

Delle  Osservazioni  Meteorologiche  fotte  nell'Anno  1825. 


■'■'  - 1 1       ^-i 

xvv^l 

LV. 

J-IU 

1 

a 

LIC      j 

UCli 

1 

-i.11 

IIL 

; 

lOZ 

J. 

Gennajo 

Febbrajo 

Marzo 

Aprile       Maggio 

Giugno 

Luglio 

Agosto    Settemb.' 

Ottobre 

Novemb.  Dicemb. 

IN  TUTTO  L'A^NO. 

• 

/  Barometriche  .  .  . 

Medie  .  ./  Termometriche.  . 

'  Igrometriche   .  .  . 

jl 

28:2,355 

28:2,539  :  18:1,578 

18:0,981     28:0,123  ^  i8:o,o3o 

27:11,915 

28:0,090    28:0,082 

28:1,301 

27:1 1,81 1  21:1 1,281 

28  :  0,672 
■  0 ,  529 

2,782 

2,677 

5,176 

10,366 

13,723 

16,526 

17,862 

17,722   j     1.4,747 

9,816 

7.457 

7.493 

86,592 

83,i52 

84,i83 

83,3  00 

84,182 

82,855 

85, 204. 

85,2i5 

86,5 11 

89,215 

92,311 

93,871 

86 ,  407 

/  Barometriche  .  .  . 

28:6,1 

28:5,9 

28:5,0 

»8:4,2 

28:2,0 

28:1,5 

28:2,1 

28:1,, 

28:3,0 

28:4,7 

28:3,8 

28:3,5 

28:6,1  II  d'i  3o  gennajo  1  giorno  e  3i  gen 
24,  6  II  d'i  20  Inolio  al  mezzogiorno. 

.  raat. 

Massime  J  Termometriche  .  . 

6,8 

■■>^ 

12,1 

16,1 

'9.1 

23,1 

2 1,6 

24,0 

18,8 

.4,7 

12,8 

11,0 

V  Igrometriclie .... 

96 

96 

95 

95 

95 

97 

96 

96 

96 

98 

97 

98 

98  II  d'i  4  ottob.  sera,  0  23  dicemb.  '  giorno.     U 

/  Barometriche  .  .  . 

INIinime.  .^  Termometriche.  . 

\  Idrometriche  .... 

27:7,5 

27:5,5 

27=9'.5 

«7:7'4 

27:7,5 

27:8,0 

27:9,' 

27:7,1 

27:5,0 

27:1,0 

27:7,1 

27:6,0 

27:1,0  II  d'i  20  olUibre  al  mezzogiorno 

—  0,5 

—  2,1 

-0,9 

5,. 

4,7 

10,2 

.1,8 

>>,9 

9,0 

2,6 

1,8 

4,0 

—  2,  1  II  d'i  9  febbrajo  mattina. 

55 

63 

58 

56 

68 

64 

65 

69 

70 

70 

78 

79 

55  II  d'i  6  gennajo  al  mezzogiorno. 

Quantith  della  Pioggia  e  della  Nev 

e  liq. 

1:7.'^ 

^    = 

0:7  ,r 

o:5,^ 

^^9 

'■■■9  a 

46  è 

3:o,-V 

2:1  h 

3:4.^ 

2:9  à 

6:8  .", 

Pollici  3o  linee  8  ,V 

VENTI  DOMINANTI  IN  TRE  OSSERVAZIONI  PER  OGNI  GIORNO. 

QUALITÀ 

DELLE  GIORNATE. 

Gennajo 

N. 

N.N.E. 

N.E. 

E.N.E 

.     E. 

E.S.E 

S.E. 

S.S.E. 

S. 

s.s.o. 

s.o. 

o.s.o. 

0. 

O.N.O. 

N.O. 

N.N.O. 

Serene 

Nuvolose 

Piovose 

Nebbiose 

Nevose 

Teiupor. 

Ventose 

Variabili 

Brina 

Gl'UD(lÌDe 

7 

i5 

il 

12 

1 

2 

1 

I 

— 

— 

— 

4 

— 

3 

— 

— 

14 

9 

4 

4 

— 

— 

5 

8 

1 

— 

•  Febbrajo 

1 

i5 

36 

3 

6 

3 

— 

4 

. 

— 

— 

a 

— 

— 

12 

16 

4 

— 

— 

— 

— 

3 

8 

5 

— 

Marzo 

2 

i    !      37 

i4 

8 

2 

3 

7 

8 

6 

— 

— 

2 

— 

— 

— 

i3 

8 

5 

— 

2 

— 

1 1 

10 

— 

— 

Aprile 

— 

2 

«9 

5 

9 

9 

6 

7 

2i 

12 

2 

1 

2 

I 

1 

— 

12 

6 

5 

— 

— 

— 

1 

12 

— 

— 

Maggio 

I 

3 

.6 

IO 

i 

1 

5 

8 

28 

10 

— 

— 

3 

I 

— 

3 

9 

7 

10 

— 

— 

' 

6 

i5 

— 

— 

Giugno 

2 

1 

22 

10 

12 

6 

2 

3 

16 

8 

1 

— 

2 

— 

2 

3 

9 

5 

1 1 

— 

— 

4 

3 

16 

— 

— 

fLuglio 

I 

4 

i4 

'7 

9 

7 



5 

2 1 

6 

2 

— 

1 

— 

6 

12 

5 

1 1 

— 

— 

3 

I 

.4 

— 

2 

Agosto 

I 

2 

*7 

1 1 

I 

5 

9 

1 2 

i3 

5 

4 

— 

— 

—           2 

I 

16 

5 

8 

— 

— 

4 

2 

10 

— 

~~ 

Spttemhre 

i 

2 1 

10 

1 

4 

i3 

26 

7 

2 

2 

— 

— 

_         _ 

— 

25 

2 

3 

— 

— 

I 

' 

3 

— 

"^ 

:  Ottobre 

3 

4» 

2 

5 

6 

« 

3 

6 

2 

— 

1 

— 

9 

— 

'7 

6 

8 

— 

— 

1 

4 

S 

~ 

*~~ 

Novembre 

_           3 

57 
3i 

3 

1 

_ 

6 

5 

5 

3 

3 

— 

— 

4 

— 

5 

17            8 

i 

— 

— 

2 

8 
8 

1 

~ 

Diocinljre 

hi  tuli,, 
l'unno 

8 

3           2 

6 

4 

2 

2 

— 

— 

— 

— 



1 

1 

22        i4 

1 

— 

1 

1 

~,,. 

2-1      ì      ,8 

36  S 

.o5 

H    '    i- 

r,! 

0' 

.^8 

63 

iG 

8 

.3 

5 

24 

20 

\     i<9 

9G  i     87 

6 

Z 

i5 

4o 

120 

1 

2 

SUNTO 

Delle  Osservazioni  Meteorologiche  fiitte  neirAnno  1026. 


Gennajo 


SBiiiomefriche ii  27:10,516 
Termomutriclic .'      '^9'3 
Igrometriche 85,8oo 

/  Baroiiieiriclie '  28:'>,ioo 

Massime.:;  Termometriche.  .  .  . 

V  Igrometriche 

/  Barometriche 

Minime.  .<  Termometriche I  —  4^000 

'  Igrometriche i      65,ooo 

Qiiantilà  (Iella  Piogj^ia  e  della  Neve  . 


Febbrajo 


Marzo 


28:3,858   27:11,100 


Aiirile      Maggio     Giugno 


Lugli 


Agosto    SetteuiL. 


Ottobre  iNovemb.   Dicemb. 


4.,238 
gi,3oo 


7,34.0 
88,^00 


71900 
96,000 

27:6,600   27:10,000 

—  o,4oo 

75,000 


28:6,100     28:6,000 
7,goo  i3,ioo 

97,000       97,000 
27:6,200 
2,  4oo 
69,000 


28:3, 5oo     28:1,000 


I  5,3  00 

97,000 

27:5,100 

3,^00 

61,000 


18,200 
97,000 
27:6,800 

7,aoo 


28:2,800 

2^,000 

98,000 


28:2,800 
26,800 
96,000 


ig,66o 
83,900 
28,2,000 
24,200 
96,000 


27:10,100  27:10,000  27:10,500 


io,goo 


71,000    I    6^,000 


13,900 
65,000 


18,900 
70,000 


i5.6oo 
go,  I  o  o 
28:2,500 

2  5,100 

98,000 

2  7:g,ooo 

io,3oo 

78,000 


I 


28:0,  ono  27:g,goo     28:0,880     28:o,33o     28:0,860  27:1  i,5oo    28:0,14.0 
io,3oo       12,243    j   i6,8iìo    I    ig,2oo 
85,6oo       88,i83  '   8o,3oo   1   83,6oo 


9 1 ,00  o 
28:2,500 
i6,4oo 
99,000 
27:6,000 
7,200 
78,000 


27:9,960    28:0,200 


IN  TUTTO  L'AÌNNO. 


6,i5o 
92,800 


3,800 
98,400 


28:2,200     28:8,400 


8,5o 


g8,ooo     gg,ooo 
27:8,000      27:5,800 


700       — 1,000 


76,000 


28  :  0,760 


10,790 
87,865 


lin.  8:7      noi.  1  1.  9,5  poi.  2  1.2,2  poi.  1  1.  1,0  poi. 4  1.3.2  poi. 2  1.0,8  p.4  1.  1 1,4  poi. 2  1.8,8  p.4  1. 1  0,8  poi. 5  1.6,9  po'- 9  '-350     lin.  g,4 

il  1  '  ,  i  I  I  I  ! 


28:6,100  II  dì  27  febbrajo  mattina. 
26,800  II  di  2  Inolio  dopo  mezzogiorno, 
gg,  000  18  olici),  mal.,  e  Si  dicemb.  sera 
27:3,000  11  d'i  26  nov.  dopo  mezzogiorno. 
—  4o  000  11  d\  ig  gennajo  mattina. 
61,000  II  di  29  aprile  dopo  mezzogiorno. 
Pollici  4'  linee  0,7. 


VENTI  DOAllNANTI  IN  TRE   OSSEPxVAZIONI 

PER  OGNI  GIORNO. 

QUALITÀ 

DELLE  GIORNATE. 

Gennajo 

N. 
6 

N.N.E 

.:  N.E. 

EN.E 

'e. 

E.S.E 

1 
SE. 

1 

S.S.E. 

S. 

s.s.o. 

S.O. 

O.S.O. 

0 

ONO. 

NO. 

N.N.O. 

Sereno 

1 

Nuvolo 

Pioggia 

Nebbia 

Neve 

1 

Tempor.     Vento    Variabile 

Brina 

Giaoiliof 

18 

65 

1 

6 

— 

— 

— 

— 

— 

8 

— 

— 

— 

— 

— 

— 

16 

9 

— 

1 

1 

_           5 

4 

4  J 

- 

Febbrajo 
Marzo 

1 

'9 

1       23 

9 

12 

1 

— 

8 

1 

'— 

— 

— 

— 

— 

— 



16    . 

1 1 

2 

8 

6 

1 

—           2 

6 

1 

- 

3 

2 

22 

6 

'      8 

5 

8 

10 

i4 

7 

1 

— 

— 

G 

1 

— 

10 

3 

4 

2 

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1 

8 

1 1 

— 

1 

.\prile                 3 

4 

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9    1       3 

5 

i 

4 

1 1 

20 

7 

— 

1 

— 

— 

— 

12 

6 

8 

I 

— 

— 

4 

9 

— 

- 

Maggio 

'     1 

4 

16 

9 

7 

6 

3 

1 1 

18 

9 

2 

— 

— 

2 

1 

4 

5 

6 

5 

1 

— 

3 

8 

12 

— 

- 

'Giugno 

■     i 

5 

9 

7 

6 

12 

1 

7 

20 

10 

4 

1 

3 

2 

2 

1 

1        IO 

6 

10 

2 

_ 

8 

3 

4 

— 

1 

Luglio         1 

1 

18 

•  4 

8 

4 

8 

1 

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18 

7 

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2 

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1 

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7 

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6 

4 

18 

— 

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.Ago  .sto             — 

.7 

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8 

9 

6 

4 

4 

28 

6 

5 

1 

1 

— 



4 

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5 

6 

___ 

2 

4 

2 

— 

— 

Settemlire       — 

3     j 

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6    1 

7 

5 

1 

9 

9 

1 

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4 

8 



1 

■  10 

3 

5 

1 

__ 

I     i       5 

12 

— 

- 

Ottobre              8 

4 

65            , 

1 

9 

—     ' 

— 

2 



8 







1 

I 

7 
6 

2 

10 

_ 

_ 

_     [       8 

12 

1 

- 

Novembre         1 

18 

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9 

1 

1 
—            1 

3 

I 

1 

4 

1 

.^ 

_ 

9 

4 

16 

1 



1          10 

4 

1 

— 

Dicembre         19 

T      1     .. 

1 1 

^5 

3 

^1 

'     1 

2 

— 

— 

— 

2 

2 

— 



— 

^1 

1 1 

6 

3 

6 

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I 

9 

i3 

— 

In  tutto      ! 
l'anno            44 

io8 

347         8,      ' 

6{        43 

28 

58 

.14 

67 

38 

.. 

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i4 

6 

63 

.4. 

54 

7' 

20 

4 

i4     i     62 

08 

1 

3 

CATALOGO 

DE'     MEMBRI     COMPONEMTI 

U  ATENEO  DI  VENEZIA  w 


PRESIDENZA 

f.     PIETROdott.  BUGI  Presidente.  *   GAETANO    ALFONSO    dott.    RUGGIERI 

Vice-Presidente  - 
^     MARCO  nob.   CORNIANI  segretario  della   *  GIOVANNI  ab.  prof.  BELLOMO,  segretario 

Classe  per  le  Scienze  ed  Arti  Mecca-  della  Classe  per  le  Lettere  ed  Arti  Libe- 

nicbe  •  rali . 

CONSIGLIO  ACCADEMICO 

MEMBJU  DELLA  CL.4SSE  SCIENTIFICA .  MEMBRI  DELLA  CLASSE  LETTERARIA. 

STEFANO  professore  MARIANINI,  /  ^,i.  »    CARLO  ANTONIO  cav.  conte  GAMBARA. 

*  BARTOLOMMEO  BIZIO.  *   ANTONIO  nob.  DIEDÓ. 

*  ANDREA  dott.  CAMPANA.  *  LUIGI  PEZZOLI. 

BIBLIO  TECARIO .  ARrniVISTA  . 

*  PIETRO  ab   prof  PASINI.  ì-    PIER' ALESSANDRO  dott.  PARAVIA, 

CASSIERE. 
•S-    GIOVANNI  ANTONIO  VIDALI. 

MEMBRI  ONORARII  DIMORANTI  IN  VENEZIA. 

*  AGLIETTI  dott.  Francesco,  prof   di  medici-  *   Bettio  ab.   Pietro,  bibliotecario  palatinale 

na,  consigliere  di  Governo,  membro  pen-  di  s.  Marco. 

sionario  del  Ces.  R.  Istituto.  •!•  Calco  Grotta  cav.  co.  Francesco,  ciamber- 

■*■     .\iT*  Domenico,  consigliere  di   Governo,  lano . 

direttore  del  Demanio.  *  Cicoc.var\  cav.  co.  Leopoldo  ,   conimend. 

(i)  Se  mila  formazione  ilei  presente  catalogo  si  .T\esse  pretermesso  qualche  accademico,  egli 
dovrà  chiui'iroe  la  Presìdeoza,  accioccLé  l' omniìssione  venga  corretta. 


Ciccio  ab.  Anloiilo ,  consigliere  dì  Gover- 
no, ispettore  in  capo   delle   Scuole  Ele- 
mentari . 
CoNTARiNi  S.  E.  co.  Alvise,  consigliere  in- 
timo ,  graiide  scudiere  . 
Correr  conte  Teodoro . 
Eruzo  conte  cav.  Guido. 
FiLusi  cav.  Jacopo,  direttore  generale  dei 

Ginnasii. 
G.\LYAGN'A  barone  Francesco,   consigliere 

aulico,  V^ice-Presidente  del  Governo. 
Giudici  ab.  Filippo,  consigliere  di  Gover- 
no. 
Innocente  Giuseppe,  chimico  e  prof,  di  Sto- 
ria Naturale  nel  Liceo  . 
KiJBECK.  barone   di  Kubach   Luigi ,  consi- 
gliere aulico,  direttore   generale    della 
Polizia  . 
INJartinengo  conte   Girolamo  Silvio  ,  com- 
mendatore della  Corona  Ferrea. 
INlicHEL  conte  Marco  \ntonio  . 
IMniaT  cav.  Giovanni  Francesco,  console 

di  Francia . 
Mo.vico  illustrissimo  e  reverendissimo  mon- 
signore Jacopo  ,   patriarca   di  Venezia  , 
primate  della  Dalmazia,  cappellano  del- 
la corona  del  regno  Lombardo-Veneto. 
Mora  nob.  Bartolommeo  . 
McLAzzANi  barone  Antonio,  consigliere  di 

Governo. 
Paolucci  marchese  Amilcare,  comandante 
superiore  della  Marina . 


Passy  (De)  Cristoforo,  consigliere   di  Go- 
verno . 
Patro.m  S.    e.  commendatore  Francesco  , 
consigliere  intimo,   presidente   dell'  Ap- 
pello . 
PpLEcrR  cav.  Francesco  Saverio,  consigliere 

di  Governo. 
PiNDEMONTE  marchese  cav.  Ippolito,  mem- 
bro pensionarlo  del  Ces.  R.  Istituto  . 
QuF.RiNi  Stampaglia  S.  E.  Alvise,  consiglie- 
re intimo,  gran  Siniscalco  . 
Renier  cav.  conte    Daniele,  consigliere   di 

Governo  . 
Salvigli  don  Lodovico,  consigliere  aulico  , 

e  presidente  del  tribunale  civile  . 
SiiRBENSKY  barone  Filippo,  ciamberlano,   e 

consigliere  di  Governo. 
SoRANzo  conte  Tommaso,  ciamberlano  . 
Spalr  S.  e.  conte  Giovanni,  consigliere  in- 
limo, presidente  del  Gov  erno. 
Slchias  Soraal,  arcivescovo  di  Siunia,  ed 
abate  generale  de' monaci   Mecbitaristi. 
Thurn  conte  Gio.  Battista,  ciamberlano,  ca- 
valiere, consigliere  di  Governo,  e   dele- 
gato provinciale. 
TiEPoLo  nob.  conte  Domenico  .\lmorò . 
■  Traversi   canonico   dott.  Antonio,  provve- 
ditore del  Liceo  . 
Zendrini  ab.  Angelo,   professore  emerito, 
membro  onorario  del  Ces.  R.  Istituto. 


MEIVIBRI  ORDINARII  DIMORANTI  IN  VENEZU. 


CLASSE  DELLE   SCIENZE. 


AvESANi  Guido,  ingegnere. 
Bizio  Bartolommeo,  chimico. 
Calogera'  dott.  Alessandro,  medico  . 
Campana  dott.  Andrea,  prof  di  chirurgia. 
CoamANi  nob.  Marco,  naturalista. 
fl,'.^t,i^u--'G-  Frari  dolt.  Angelo,  consigliere  di  Governo. 

Marani  dolt.  .Andrea,  prof  di  Ostetricia. 
y^<^c    *W7.,.i»:«     IMarhnini dott.  Stefano,  prof  di  fisicanel Li- 
ceo . 
^¥1-     C/'/»*'^t  *•        Parolini  nob.  .\lberto,  naturalista  . 

Quadri  Antonio,  segretario  di  Governo. 


Rima  dott.  Tommaso,  cliirurgo  primario 
neir  Ospedale  civile . 

Ruggieri  dott.  Gaetano  Alfonso,  secondo 
aggiunto  dell'  I.  R.  Magistrato  di  Sanità 
Marittima. 

Santi  Lorenzo,  prof  di  architettura. 

Trois  dott.  Francesco  Enrico,  medico  pri- 
mario dell'Ospedale  civile. 

ViD.iLi  Giovanni  .\nlonio,  chimico  . 

Zannimi  dott.  Paolo,  medico  ordinario  del- 
l' Ospedale  civile . 


4o5 


CLASSE  DELLE  LETTERE. 


AvESANi  3oH.  Glo.  Francesco,  giureconsulto. 

Battacia  Micliele,  isloriograt'o . 

Bei.lomo  ab  Gio.,  prof  di  filologia  nel  Liceo. 

BiAGi  dott.  Pietro,  giureconsulto. 

Casarini  Luigi,  segretario  della  congrega- 
zione centrale. 

CoRNiANi  nob.  Lauro,  segret.    di  Governo. 

DiEDo  nob.  Antonio,  segretario  dell"  Acca- 
demia delle  belle  arti  . 

Gamba  Dartoloinmeo  ,  aggiunto  alla  Mar- 
ciana . 

Gambara  cav.  conte  Carlo  .Antonio. 


Garofolo  dott.  Federico,  giureconsulto. 

Manin  conte  Leonardo,  ciamberlano. 

Parvvia  dott.  Pier' Alessandro. 

I'eìzuli  Luigi  . 

PiANTON  canonico  dott.  Pietro,  regio  cen- 
sore . 

Rossi  dott.  Giovanni,  consigliere  giudizia- 
rio . 

TiPALDo  dott.  Emilio,  professore  di  Storia 
al  Liceo  di  Marina. 

Zandome.\echi  Luigi,  professore  di  Scultura. 


-cr: 


y. 


I 


MEMBRI  CORRISPONDENTI  DIMORANTI  IN  VENEZIA, 


Albrizzi  conte  Giuseppe  . 

Anichi.m  Tommaso,  chimico  . 

Arriconi  dott.  Renato  ,  segretario   di   Go- 
verno . 

AucHER  padre  Gio.  Battista,   vicario    gene- 
rale de' monaci  Mecbitaristi . 

Bazzarini  Antonio. 

Beni  dott.  Francesco,  consigliere  giudizia- 
rio. 

Bernardi  dott.  Francesco . 

Bianchi  Luigi  . 

Bianchini  Bernardo,  chimico. 

Biondelu  Bernardo. 

BoNFADiNi  Giuseppe  Vincenzo,  patrizio  ve- 
neto . 
•  .V--  l7^-  Cicogna  Emmanuele  Antonio  . 
t-;-v.<^m-^-    Dandolo  conte  Girolamo  . 


Dezan  ab.  Gio.  Maria,  prof,  nelle  Scuo- 
le Elementari. 

Fai;ris  .\ndrea,  chirurgo. 

Fappani  dott.  Agostino,  membro  della  con- 
gregazione centrale. 

Franceschims  dott.  Domenico. 

Lazzari  ab.  Giuseppe,  parroco  di  s.  Luca.    -f.  ^-^ 

Lazzari  prof  Francesco,     .-.^...u^ ^u^  ,t^j^  ^ 

Levi  dott.  Mosè  Giuseppe. 

Manin  dott.  Daniele. 

Keu  Mayr  dott.  Antonio,  commissario  su- 
periore di  Polizia. 

Papadopoli  Antonio. 

Sagredo  nob.  Agostino  Gherardo.    C ^■^^^-^'-^^  ^ 

Treves  Iacopo.         .  '.-  ^ ■,    (5-i-,-v-_^> 

Weber  Giovanni  Davide. 


--•-^t  ,  w 


MEMBRI  ONORARII  ESTERNI. 


BTiE&LAVlÀ. 
WiTTE,  professore  Carlo. 

B^VNHi. 
Inzaghi  S.  e.  conte   Carlo  ,  ciamberlano  , 
consigliere  intimo,  commendatore  e  Go- 
vernatore. 

KEULAOV. 
Pyrker  S-  e.  reverendiss.   Gio.  Ladislao, 
conisigliere  inlimo,  patriarca  ed  arcive- 
scovo . 


milà:so. 

CossoNi  march,  cav.  Antonio,  consigliere 
di  Governo 

FoiLioT  conte  de  Crenneville,  Lodovico 
Carlo.  Gran  maggiordomo  di  S.  A. 
I.  R.  il  Vice-re  . 

Grimm  cav.  Vincenzo,  consigliere  aulico, 
direttore  di  cancelleria  di  S.  A.  S.  Vi- 
ce-re . 


4o6 

Paletta  cav.    Gio.  Battista,  professore   di 
chirurgia  ed  anatomia  . 

Tnn-ULZK)  marchese  Giovanni  Iacopo. 
NAPOLI. 

Ronchi  dott.  Salvatore,  medico  di  S.  M. 
P/IDOfA. 

Franceschinis  ab.    Francesco  Maria ,  cava- 
liere e  professore . 

Francescom  ab  prof.  Daniele,  bibliotecario, 
membro  onorario  del  Ces.  R.  Istituto. 

Gallim,  professore  Stefano  . 

Meneghelli  ab.  professore  Antonio. 

PoLCASTRo  conte  cav.  Girolamo. 

Zabeo  ab.  prof.  Prosdocimo  . 

PAru. 

Scarpa  prof.  cav.  .\ntonio,  membro  pensio- 
narlo del  Ces.  R.  Istituto,  direttore  del- 
la facoltà  medico-chirurgica  . 
BOMJ. 

ZuRLA  S.  E.  cardinale  Placido  ,  Vicario  di 
S,  S.  Leone  XII. 


TRRriSO. 

Marzari  professore  Giovanni  Battista. 
VIENNA. 

Sua  Altezza  Imperiale  e  Reale  il  Serenissi- 
mo Arciduca  d'Austria  FRANCESCO, 
CARLO,  GIUSEPPE. 

GoEss  S.  E.  conte  Pietro,  barone  di  Ka- 
rolsberg,  Gran  maggiordomo  di  S.  A.  I. 
R.  Francesco,  Carlo,  Giuseppe,  ciam- 
berlano,  e  consiglier  intimo. 

HosT  prof  Nicola,  archiatro  di  S.  M.  I. 
R.  A. 

Stifft  barone  e  cav.  Andrea,  consigliere  di 
stato,  e  di  conferenze,  primo  medico  di 
S.  M.  I.  R.  A.,  direttore  dello  studio 
medico  dell'impero,  presidente  della 
facoltà  medica . 

TUrreim  barone  Luigi,  consigliere  aulico. 


MEMBRI  ORDINARII  ESTERNI. 


BASSàKO. 
Barbieri  ab.  professore  Giuseppe. 

BELLUNO. 
ZANinsi  dott.  Gio.  Battista,  avvocato. 

BOLOGNA. 
TojDiAsiNi  professore  Iacopo. 

BRESCIA. 
Arici  prof  Cesare,   membro   onorario  del 
Ces.  R.  Istituto  . 

COSTE  ff  ASOLO. 
Dal  ÌVIistro  ab.  Angelo,  arciprete. 

LONDHA. 
Davy  prof  Onofrio,  segretario  della  socie- 
tà reale . 

MILANO. 
Locatelli  prof  cav.  Iacopo  . 
Rosa  dott.  Giovanni,  medico  particolare  di 

8.  A.  I.  R.  il  Vice-Re . 
Rosmini  cav.  Carlo  . 

PADOVA. 
Bonato  prof  Giuseppe  Antonio  . 
Brera  Valeriano  Luigi,  consigliere  e   pro- 
fessore, membro  onorario   del  Ces.   R. 
Istituto  . 


Caldani  prof.  Floriano. 
Dal  Kegro  prof  Salvatore  . 
Fanzago  prof  Francesco,   e  direttore  del- 
l' Ospedale  civile. 
Fedrigo  prof  Gaspare  . 
Melandri  prof  Girolamo  . 
Mandruzzato  prof  Salvatore . 
Renier  prof  Stefano ,  membro  onorario  del 

Ces.  R.  Istituto  . 
Ruggieri  prof  Cesare. 
Scolari  dott.  Filippo  . 
Zecchinelli  dott.  Gio.  Maria. 

PAVIA. 
Marabelli  prof  Francesco  . 
Zambelli  prof  Andrea. 

PISA. 
Barzellotti  prof  Iacopo. 
SACILE. 
Sandi  nob.  Marco  . 

TRIESTE. 
KoHEN  dott.  Joel. 
Romano  .Antonio,  ingegnere. 

VDERZO. 
AnALTro  nob.  Francesco. 


MEMBRI  CORRISPONDENTI  ESTERNI. 


ioj 


ALESSAISDUÌA  D'EGITTO. 
Pozzoni  dott.  Antonio,  consigliere  di  Stato, 
e  console  generale  di  S.  M.  l'Imperato- 
re delle  Russie . 

CHÌOGGU. 
''t  t  •.  (-<.      Naccari  cavaliere  Fortunato  Luigi. 
COSTAyTIISOPOLl. 
Catani  dott.  Gio.  Battista. 
CREMA. 
Bonzi  conte  Orazio,  avvocato  . 

CREMONA. 
Schizzi  conte  Fulchino. 

GE.yorA. 

Gagliuffi  ab.  prof.  Faustino . 

LONDRA. 
Jaues  prof.  Gio.  Battista  . 
MILANO. 
Duca  dott.  Gio    Battista,  direttore  dello 

Spedale  maggiore . 
Maffei  cav.  Andrea. 
Sacco  cav.  Luigi  . 

MONTJGNJNA. 
Penolazzi  dott.  Ignazio. 

MONZA. 
Bellani  canonico  Angelo. 
MORTARA. 
RIarianini  dott.  Gio.  Battista  . 

NAPOLI. 
Gargali.o  marchese  Tommaso. 
MrcLiARi  dott.  Pietro ,  segretario  pei-petuo 
dell'accademia  medico-chirurgica. 
PADOVA. 
Carrer  Luigi  Arminio. 
Casa  (Dalla)  prof.  Vittorio. 
CoNFicLiAccHi  ab.  prof.  Luigi . 
Crescini  Iacopo  . 
Lencuazza  nob.  dott.  Leonello. 
Malacarne  dott.  Gaetano  Vincenzo. 
/Ji**^-V#**^1V1enin  ab.  prof  Lodovico. 
MoNTESAMo  dott.  Giuseppe. 
Penada  prof.  Iacopo. 

Rio  (da)  nob.  ISicolò  direttore  della  facol- 
tà filosoficomalemalica  . 
Jr^'  fuo''  Santini  prof.  Giovanni  . 
Vedova  dott.  Giuseppe. 


PARIGI. 
Balbi  nob.  .Adriano. 

PARMA. 
PezzANA  Angelo,  bibliotecario  ducale. 
Speranza  Carlo,  prof  di  clinica . 

PAVIA. 
ZuccALA  prof  Giovanni. 

PESARO. 
Paoli  conte  Domenico. 

PIO!  E  DEL  CAIRO. 
Marianini  dott.  Pietro . 

PORTOGRUARO. 
MuscHiETTi  canonico  Giovanni.        /»V.«-»' 
ScARSELLiM  dott.  Vincenzo,  pretore. 

POSTJOMA. 
MoNico  Giuseppe ,  arciprete  e   segretario 
dell'  Ateneo  Trivigiano. 

ROfEREDO  DI  TRENTO. 
Fontana  ab.  prof  Valerio  . 
ROVIGO. 
Bellini  Gio.  Ballista,  dott.  di  Chirurgia. 

SAN  VITO  DI  PORTOGRUARO. 
Grapputo  dott.  Tommaso,  pretore. 

SEBENICO. 
VislAM  doti.  Roberto.  /,',  ^-^^CJ 

SPILIMBERGO. 
Pezzoli  dott.  Gio.  Battista. 

TRV.:sTO. 
Giovanelli  conte  Eenedetlo. 

TREVISO. 
Agostini  dott.  Antonio,  segretario  dell'Ate- 
neo. 
BoTTARi  dott.    -Antonio,   consigliere  giudi- 
ziario. 
Ghirlanda  dott.  Gaspare,  segretario  perpe- 
tuo dell' -Ateneo. 
PoLA  cavaliere  Paolo. 

TRIESTE. 
Cimano  Gio.  Paolo,  dott.  di  chirurgia  . 
Frizzi  dott.  Benedetto. 
RonDoiiNi  dott.  Lorenzo,  protomedico  del- 
la sanità  marittima. 

VDINE. 
Cernaz.vi  Giuseppe . 
Mantovani  dott.  Jacopo . 


4o8 

Marcolini  dott.  Francesco  Maria  . 

VERONA. 
Orti  nob.  Giovanni  Girolamo  . 


ne  ENZA. 
Catcllo  prof.  Tommaso  .     /  'wc»j  (", 
Tiene  prof.  Domenico . 

ZANTE. 
Carvela'  dott.  Francesco  . 


-2^iJ-''     Cr't^'cf      / 


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INDICE. 


BELLOMO. 

I5ETTI0 
BIAGI     . 


BIZIO     .... 

Catalogo  de'  Membri 
CICOGNA R A  .     . 
FRAÌNCESCHINIS. 

GALLINI    .    .     . 

GAME ARA.    .    . 

MANIN   .... 

MA  RIANIMI    .     . 

MENEGHELLI  . 

NEGRI    .     .    .  . 

PALETTA    .     .  . 

PARAVIA    .    .  . 

PEZZOLI    .     .  . 

RUGGIERI      .  . 


Statuto  dell'  Ateneo 
TRAVERSI.  .  . 
VALLI    .    .    .    . 


Pag. 


Inlorno  al  più  utile   modo  di  applicare   lo  studio  della 

gieca  filologia  alla  interpretazione  di  Omero  . 
Sopra  la  Zoopedia  appresso  gli  antichi  Greci  e  Romani       " 
Sopra  lavila  e  i  dipinti  di  fra  Sebastiano  Luciani  sopran- 
nomato  del  Piombo    ......'» 

Relazione  dei  lavori  fatti  dalla  classe  per  le  Lettere  nel- 

l'anno  accademico    i822-a5.  .         .         .         « 

Dell' .\nalisi  del  Loglio   {lolium  Cemulenlum  "Lms.)  del 

Lolino  e    del  Glojololico   ...... 

componenti  1'  .Ateneo         ....... 

Dell'  origine,  composizione  e  decomposizione  dei  Nielli       » 
Dell"  infinito  metafìsicamente   e  matematicamente   consi- 
derato      ......... 

Considerazioni  fisiologiche  sul  Senso  del  Bello,  e  sul  mo- 
do di  renderlo  più  sicuro  e  più  pronto.  .  .  » 
Prolusione  letta  nell'adunanza  pubblica  del  giorno  8  giu- 
gno >3i3.          ......." 

Esame  ragionato   sul  libro  delle   Monete   de' Veneziani 

dal  principio  al  line  della  loro  Repubblica    .  .  " 

Sulla  perdita  di  Tensione  che  soffrono  gli  apparati  voltiani  " 
Nuovo  Galvanometro  Moltiplicatore  .  .         .  « 

Sopra  il  passo  dell'  Eneida  Orabunt  causas  melius      .         n 
Dell' linge  magica  degli  antichi  .  .  .  .  " 

Sopra  le  Varici         .  ......" 

Saggio  di  traduzione  ed  illustrazione  di  Plinio  il  giovane  " 
Gli  Avari         ........         n 

Relazione  dei  lavori  fatti   dalla  classe  per   le  Scienze  Del- 
l'anno  accademico    1812-1825.  ...■>■> 

Ricordi  storici  sull'  Ateneo         ...... 

Osservazioni  Meteorologiche      ...... 

Esame  medico  delle  .\cijue  termali  di  Monte  Ortone  « 


270 

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