Skip to main content

Full text of "Garibaldi, Vittorio Emanuele, Cavour nei fasti della patria, documenti inediti, dieci lettere di Vittoria Emanuele a Garibaldi nel 1860. Scritti di Cavour, Mazzini, Cattaneo, Pallavicino, Cosenz, Cialdini, etc., di Garibaldi all'imperatore Guglielmo I ed a Bismarck, con facsimili e quattro illustrazioni"

See other formats


UH1V.0F 

!lV'-!ARY 


Digitized  by  the  Internet  Archive 

in  2009  with  funding  from 

University  of  Toronto 


http://www.archive.org/details/garibaldivittoriOOcur 


Il 


jli 


T<1 

GIACOMO  EMILIO  CURÀTULO 


Garibaldi 
Vittorio  Emanuele.  Cavour 


NEI  FASTI  DELLA  PATRIA 


DOCUMENTI  INEDITI 


Dieci    lettere    di    Vittorio    Emanuele    a    Garibaldi    nel    1860. 

Scritti  di  Cavour,  Mazzini,  Medici,  Cattaneo,  Pallavicino,  Cosenz,  Cialdini,  etc; 
di    Garibaldi    all'  Imperatore    Guglielmo    I    ed    a    Bismarck 

Con  sessanta  facsimili  e  quattro  illustrazioni 


A 


BOLOGNA 

NICOLA    ZANICHELLI 
MCMXI 


PROPRIETÀ  LETTERARIA  E  ARTISTICA 
VIETATE  ANCHE  LE  RIPRODUZIONI  PARZIALI 


/  diritti  di  riproduzione  e  di  traduzione  sono  riservati  per  tutti  i  paesi,  compresi 
la  Svezia,  la  Norvegia  e  l'Olanda. 


Copyright  by  Nicola  Zanichelli,   1911. 


Ciascun  esemplare  di  guest'  opera  deve  portare  la  firma  del  Prof.  Doti.  Giacomo 
Emilio  Curàtulo. 


VITTORIO  EMANUELE  III 

RE  D'ITALIA 


Sire, 


In  questo  anno  sacro  al  ricordo  e  alla  celebrazione  della  più  alta 
gloria  della  Patria,  depongo  nelle  mani  della  Maestà  Vostra  questo  volume, 
nato  e  cresciuto  dal  lungo,  paziente  e  religioso  amore  d'un  Italiano  per 
quella  schiera  di  eroici  spiriti,  i  quali  nella  dolente  vigilia  della  libertà  e 
dell'unità  della  Nazione,  sono  vissuti  e  sono  morti  con  sola  e  viva  dinanzi 
agli  occhi  la  sublime  fiammeggiante  imagine  della  nuova  Italia. 

Vissuto,  per  l'arte  mia,  in  mezzo  alla  lacrimevole  quotidiana  esperienza 
degli  umani  dolori,  io,  cittadino  di  questa  nuova  Italia,  ho  sperato  di  compiere 
opera  non  indegna,  raccogliendo  e  illustrando,  nelle  ore  di  riposo,  alcune  pagine 
della  più  gloriosa  nostra  storia,  nelle  quali  sono  segnati  a  caratteri  indelebili 
di  sangue  le  titaniche  lotte  dei  magnanimi  artefici  della  Patria,  il  cozzare  vio- 
lento delle  passioni,  le  vie  e  i  metodi  della  preparazione  eroica,  diversi  a  seconda 
delle  diversità  degli  animi  e  delle  energie,  ma  nobili  tutti,  ma  tutti  intesi  con 
disperata  tenacia  e  con  invincibile  intima  concordia  ad  un  unico  e  altissimo  fine. 

Chi  studia  con  intelletto  d'amore  le  fortunose  vicende  del  passato  di 
questa  nostra  Italia,  e  con  libero  cuore  e  limpidi  occhi  contempla  l'opera  di 
ciascuno  dei  massimi  fattori  della  sua  unità,  non  può  non  riconoscere,  nello 
svolgersi  di  quelle  e  nella  missione  di  questi,  quasi  l'oscura  forza  ordinatrice 
di  un'unica  volontà  suprema. 

Nell'esule  di  tutta  la  vita,  in  Giuseppe  Mazzini,  il  suscitatore  primo  di 
una  sopita  coscienza  nazionale  italiana  ;  nel  conte  di  Cavour,  la  misura  più 
alta,  attinta  forse  mai  nella  storia  dalla  cauta  antiveggenza  diplomatica  posta 


vili 


a  servigio  di  vasti  ed  arditi  disegni;  nel  Vostro  Avo  glorioso,  il  re  che  all'  au- 
dacia e  al  valore  contemperò,  come  nessun  altro  mai,  la  saggezza  e  la  lealtà; 
in  Garibaldi,  l'espressione  più  generosa  del  più  puro  amore  della  terra  nativa 
e,  per  usare  le  parole  pronunziate  da  uno  dei  Vostri  Ministri  in  una  data 
memorabile:  la  sintesi  armoniosa  e  perfetta  di  tutte  le  antitesi,  sacerdote  e 
guerriero,  candido  come  colomba  e  sublime  come  aquila,  luce  di  aurora  e 
fulgore  d'incendio,  poesia  di  tutti  gli  ideali,  esempio  di  sofferenza  incrollabile 
verso  tutte  le  asprezze  della  realtà,  gigante  colla  forza  di  un  fanciullo. 

La  prima  serie  di  documenti  inediti,  che  trovansi  raccolti  in  questo  volume, 
e  che  ho  integralmente  trascritti  dagli  autografi  esistenti  nel  mio  archivio, 
riguarda  in  massima  parte  quel  periodo  di  storia  nostra  più  di  ogni  altro 
soffuso  di  vera  gloria,  un'epoca,  se  pure  prossima  a  noi,  già  avvolta  nello 
splendore  dell'epos  o  del  mito.  Neil' illustrarla,  o  Sire,  ho  liberamente  mani- 
festato il  mio  pensiero.  La  storia  è  ricerca  indefessa  di  luce  e  di  verità  :  e  V  una 
e  r  altra,  queste  quasi  inattingibili  mete,  non  si  raggiungono,  se  libera  e  sincera 
non  è  la  discussione,  se  il  nostro  spirito  non  è  spoglio  da  ogni  idea  preconcetta. 

Neil' augusta  Torino,  unico  rifugio,  d'allora,  in  terra  italiana  ad  ogni 
anima  insofferente  di  tirannia,  il  Vostro  grande  Avo,  il  18  febbraio  1861, 
inaugurando  il  primo  Parlamento  Italiano,  diceva  :  «  Una  valente  gioventù, 
condotta  da  un  capitano,  che  riempì  del  suo  nome  le  più  lontane  contrade, 
fece  manifesto,  che  ne  la  servitù,  ne  le  lunghe  sventure  valsero  a  scemare  la 
fibra  dei  popoli  italiani.  Questi  fatti  hanno  ispirato  alla  Nazione  una  grande 
confidenza  nei  propri  destini.  Mi  compiaccio  di  manifestare  al  primo  Parla- 
mento d' Italia  la  gioia,  che  ne  sente  il  mio  animo  di  Re  e  di  soldato  ». 

E  le  cronache  del  tempo  narrano,  che  una  salve  prolungata  di  applausi 
accolse  le  parole  di   Vittorio  Emanuele  II. 

Sono  trascorsi  cinquant' anni  da  quel  giorno  memorabile  ed  oggi  un 
popolo  libero  dall'Alpi  al  mare  acclama,  in  Roma  immortale,  Colui  che  i 
popolari  plebisciti  indicarono  primo  Re  d' Italia,  mentre  sulle  pendici  del  colle 
glorioso,  testimone  al  mondo  di  due  civiltà,  si  scopre  il  monumento  al  Padre 
della  Patria. 


DC 

Ma  i  monumenti,  o  Sire,  sono  ben  effimera  cosa,  se  essi  non  poggiano 
sulla  incontestata  virtù  di  coloro  che  si  è  voluto  onorare.  Se  una  folla  stolta 
volesse  abbattere  dal  Campidoglio  la  statua  di  bronzo  del  pensoso  Imperatore 
filosofo,  i  ombra  di  Marco  Aurelio  sorriderebbe  neW  alto  dei  cieli,  ironicamente, 
forse,  come  al  tempo  della  sua  vita  mortale,  ma  la  sua  grandezza  e  //  suo 
splendore  resterebbero  immutati  nel  cuore  e  nella  storia  delle  umane  genti. 

Gli  è  che  nessun  monumento,  per  quanto  ricco  d'oro  e  di  marmi,  e  opera 
di  mano  eccelsa  di  artista,  è  stato  mai  così  duraturo  come  quello  che  la 
Storia  ebbe  a  consacrare  nelle  sue  pagine  eterne.  Onde  bene  è,  io  penso,  che 
mentre  oggi  l' Italia  glorifica,  al  cospetto  di  tutto  il  mondo  civile,  la  sua  rina- 
scita ultima,  più  vera  e  maggiore  d'ogni  altra  che  la  precedette,  vengano  alla 
luce  alcune  pagine  di  storia  a  testimoniare  quelV  unità  di  sentire,  quella  comu- 
nanza d'intenti,  che  nell'epoca  più  memorabile  dell'azione  unì  il  cuore  del  Vostro 
grande  Avo  a  quello  del  più   popolarmente  glorioso  degli   Eroi  della  Patria. 

Sire, 

Nel  1860,  nell'anno  eroico,  mentre  un  pugno  di  prodi  compiva  nella  forte 
e  generosa  Sicilia  la  marcia  liberatrice,  che  meravigliò  il  mondo,  Vittorio 
Emanuele  e  Garibaldi,  insofferenti  entrambi,  magnanimi  cuori  di  soldati  quali 
erano,  di  ogni  diplomazia  interna  o  straniera,  cospiravano  insieme  contro  tutta 
V  Europa  reazionaria. 

Una  Monarchia  sorta  dall'unione  di  queste  due  grandi  anime  non  teme 
crollo.  E  finche  il  sole  di  Roma  saluterà,  nascendo,  la  vetta  alborata  del 
Gianicolo  e  l'alto  Campidoglio,  naturai  monumento  alzato  nel  centro  stesso 
della  Nazione,  e  il  cuor  Vostro,  o  Sire,  pulserà  con  quello  del  popolo,  rinato 
finalmente  nel  sentimento  santo  della  sua  nazionalità,  nel  sentimento  perfetto 
delle  sue  radici,  il  sorriso  della  gloria  farà  lieto  il  suolo  della  Patria,  di  tutta 
quanta  la  Patria  una  e   libera,   di  fatto  e  di  diritto. 

Roma,  ultimi  di  maggio  1911. 

GIACOMO  EMILIO  CURATOLO 


INDICI 


INDICE   DEL   VOLUME 


CAPITOLO  1. 

Nel  cammino  della  gloria 
(1848-1854). 

Ritorno  di  Garibaldi  dall'America,  nel  1848.  —  Statuto  e  formula  di  giuramento  del 
«  Battaglione  Italiano  della  Morie  ».  —  Caduta  la  Repubblica  Romana.  Garibaldi 
riprende  la  via  dell'  esilio.  —  Lettere  a  G.  B.  Cuneo  ed  alla  Madre.  —  Atto 
di  matrimonio  di  Garibaldi  con  Anita,  dall'  autografo  di  Lorenzo  S.  Fernandez, 
parroco  della  chiesa  di  S.  Francesco  di  Assisi  in  Montevideo,  dove  il  matrimonio 
fu  celebrato.  —  Commovente  lettera  inedita  di  Garibaldi  ad  Anita,  partita  da 
Montevideo  per  l' Italia.  —  11  secondo  esilio.  —  Garibaldi  nell'America  del  Nord. 
—  Stanco  di  fabbricare  candele,  parte  con  un  passaporto  rilasciatogli  dal  Mayor 
di  New-\'ork.  —  Cittadino  del  Perù,  ottiene  la  nomina  di  2."  Pilota  di  Altura 
in  Callao.  —  Una  lettera  inedita  di  Rosa  Garibaldi  al  figlio.  —  Ritorno  in  Italia 
sul  "  Commonwealth  ,,  ;  si  ferma  a  Nev^castle.  —  J.  Cowen  gli  offre,  a  nome  del 
popolo  inglese,  una  spada  di  onore  ed  un  telescopio.  —  Le  diffidenze  del  Governo 
Piemontese  cessate.  —  Lettera  di  Massimo  d'  Azeglio  a  persona  che  s  interes- 
sava della  sorte  di  Garibaldi.  —  11  Generale  a  Nizza.  —  Convenzione  autografa 
fra  Garibaldi  e  i  vari  proprietari  di  Caprera,  per  l'acquisto  dell'  isola.  —  Garibaldi 
ottiene  dal  Governo  Piemontese  il  diploma  di  Capiteujo  di  lungo  corso.  —  La 
profezia  di  Nino  Bixio  in  una  lettera  diretta  a  Garibaldi.  —  Due  pagine  del 
giornale  pastorizio  ed  agricolo  di  Garibaldi  a  Caprera,  nel  1858.  —  Passaporto 
del  Console  francese  a  Nizza,  sotto  il  falso  nome  di  «  Joseph  Pane  » ,  col  quale 
Garibaldi  doveva  andare  a  liberare  Settembrini,  Poerio  ed  altri  patrioti  rinchiusi 
nell'ergastolo  di  S.   Stefano Pag.    1-19 


Avvertenza.  —  Essendo  il  numero  dei  documenti  contenuti  nel  testo  di  questo  volume 
considerevole,  i  brani  sui  quali  bisognava  richiamare  l' attenzione  del  lettore  sono  stati  stampati 
in  neretto. 


XIV  INDICE  DEL  VOLUME 


CAPITOLO  li. 
La  camicia  rossa  nel  campo  ufficiale  della  guerra. 

La  lettera  diretta  dal  conte  di  Cavour  a  Garibaldi  nel  1859,  pubblicata  in  tutta  la  sua 
integrità.  —  Decreto  di  nomina  di  Garibaldi  a  Maggior  Generale  dell'  Esercito 
Piemontese  e  Comandante  il  corpo  dei  Cacciatori  delie  Alpi.  —  Il  «  Programma 
Italiano  »  di  Garibaldi  nel  1856.  —  Giorgio  Pallavicino  scrive  a  Garibaldi,  che 
gli  spropositi  del  Governo  non  debbono  sconfortare  i  veri  patrioti.  —  Decreto 
che  conferisce  la  medaglia  d' oro,  al  valor  militare,  a  Garibaldi  per  le  prove 
d' intrepidezza  e  di  bravura  nei  combattimenti  contro  gli  Austriaci.  —  Una  curiosa 
lettera  inedita  di  Massimo  d'  Azeglio.  —  Dopo  la  pace  di  Villafranca.  —  Lettera 
di  Garibaldi  a  Finzi  per  il  «  Milione  di  fucili  ».  —  Nuova  luce  sul  dissidio 
sorto  fra  Fanti  e  Garibaldi  nell'  Italia  Centrale.  —  Un*  importante  lettera  di  Enrico 
Cialdini  a  Garibaldi,  partente  per  1'  Italia  Centrale.  —  Fabrizi,  Bertani  e  Bargoni 
a  Salvatore  Calvino.  —  Lettera  di  Nicola  Fabrizi  al  generale  Ribotti   .  Pag.   21-33 


CAPITOLO  IH. 

Timori  e  speranze  degli  esuli  siciliani. 
Il  precursore  dei  mille. 

Un  patriota  non  abbastanza  conosciuto.  —  Salvatore  Calvino  ricusa  al  vecchio  padre 
di  chiedere  al  Re  di  Napoli  la  grazia  per  rimpatriare.  —  Interessanti  lettere  di 
Vincenzo  Fardella,  marchese  di  Torrearsa.  —  La  politica  del  carciofo.  —  Timori 
e  speranze,  degli  esuli  siciliani,  dopo  la  pace  di  Villafranca.  —  Le  due  gigantesche 
figure  del  prologo  della  spedizione  dei  Mille.  —  Rosalino  Pilo  e  Francesco  Crispi. 
—  L' opera  del  grande  statista  siciliano.  —  La  lettera  inedita  di  Crispi  a  Garibaldi, 
a  proposito  del  processo  intentato  all'  editore  dell'  epistolario  Lafariniano,  che 
provocò  la  bella  risposta  del  Generale.  —  Un  curioso  giudizio  di  Giorgio  Palla- 
vicino su  Giuseppe  Mazzini.  —  Mazzini  scrive  a  Rosalino  Pilo  subito  dopo  l' infelice 
spedizione  di  Pisacane.  —  Arresto  di  Pilo  a  Bologna.  —  Importanti  lettere  inedite 
di  Rosalino  Pilo.  —  La  sua  vita  fu  un  continuo  tormento.  —  Proclama  diretto  ai 
Siciliani  il  25  aprile  1 860,  in  Carini.  —  L' ultimo  scritto  del  precursore  dei  Mille, 
partendo  per  la  Sicilia.  —  Il  canto  della  morte.  —  Una  strana  lettera  di  Francesco 
Carrano  a  Garibaldi,  prima  che  questi  partisse  per  la  Sicilia.  «  /  Siciliani  hanno 
ragione  di  odiare  lutti  i  Napoletani  » Pag.  35-57 


INDICE  DEL  VOLUME  xv 


CAPITOLO  IV. 

La    presa    dei    vapori,    la    traversata,    Io    sbarco. 
Victor  Hugo  e  Quinet  al  Duce  dei  Mille. 

Domenico  Cariolalo  narra  la  drammatica  presa  del  "  Piemonte  „  e  del  "  Lombardo  ,, 
e  la  traversata  da  Quarto  a  Marsala.  —  I  Mille  partirono  senza  le  àncore.  —  Lo 
sbarco  e  particolari  inediti.  —  Un'  eroina  dimenticata.  —  La  grande  estimazione 
che  Garibaldi  ebbe  per  Rosalia  Montmasson-Crispi.  —  Scritti  profetici  di  Francesco 
Anzani  e  di  Giacomo  Medici.  —  Due  belle  lettere  di  Victor  Hugo  ed  Edgard 
Quinet  a  Garibaldi,  dopo  la  pubblicazione  francese  del  libro  del  Generale  «  I Mille  ». 

—  11  merito  di  Raffaele  Rubattino  e  di  G.  B.  Fauché  nella  spedizione  dei  Mille.  — 
Corrispondenza  del  Console  Sardo  di  Palermo  e  di  Marsala  col  Dittatore.  —  11 
ricupero  del  "  Lombardo  „.  —  L'  "  Utile  „  e  la  spedizione  di  Carmelo  Agnetta. 

—  Una  nobile  risposta  di  Ambrogio  Zucoli  a  Garibaldi Pag.  59-81 


CAPITOLO  V. 

Da  Marsala  a  Palermo. 
Kossuth  invoca  la  benedizione  del  Dio  della  vittoria. 

Alcuni  particolari  sconosciuti  sulla  partenza  dei  Mille  da  Marsala,  all'alba  del  12  maggio. 
—  Le  lettere  dirette  da  Garibaldi  a  Rosalino  Pilo  nella  marcia  verso  Palermo, 
dagli  autografi.  —  L'  ultimo  scritto  di  Pilo  al  Generale.  —  Un  testimone  oculare 
racconta  come  morì  Rosalino  Pilo  e  come  avvenne  lo  scontro  coi  Borboni.  —  La 
marcia  delle  squadre  siciliane.  —  Il  movimento  strategico  col  quale  Garibaldi 
ingannò  i  regi  ed  un  ordine  del  generale  Lanza,  in  autografo  di  Maniscalco.  — 
Kossuth  scrive  da  Londra  a  Garibaldi,  invocando  la  benedizione  del  Dio  della 
vittoria Pag.  83-89 


CAPITOLO  VI. 

L'  armistizio  a  bordo  dell'  "  Hannibal  „ . 
L'  "  Alter    Ego  „    di    Francesco    II    e    Garibaldi. 

Il  debutto  deJ  generale  Lanza  a  Palermo.  —  L'armistizio  del  30  maggio  e  la  drammatica 
scena  a  bordo  della  nave  ammiraglia  inglese  "  Hannibal  „ .  —  Un  cimelio  prezioso 


XVI  INDICE  DEL  VOLUME 


di  quel  memorabile  convegno.  —  Le  condizioni  imposte  dal  Borbone  nella  cabina 
dell'  ammiraglio  Mundy,  trascritte  da  Garibaldi.  —  La  capitolazione  del  6  giugno. 
—  Dieci  lettere  inedite  del  generale  Lanza  al  Dittatore.  —  L' Alter  Ego  di 
Francesco  II,  prima  di  partire  da  Palermo,  ringrazia  Garibaldi  per  tutte  le  cortesie 
usategli.   —  Documenti  storici  ed  umani Pag.  91-100 


CAPITOLO  VII. 

Dissensi  dopo  la  partenza  di  Garibaldi. 
L'opera  di  Agostino  Bertani. 

II  retroscena  a  Genova  dopo  la  partenza  di  Garibaldi.  —  Mazzini  e  Bertani  vogliono, 
a  tutti  i  costi,  la  spedizione  nello  Stato  Pontificio,  non  più  voluta  da  Garibaldi.  — 
Medici  e  Cosenz  dicono  che  bisogna  andare  in  Sicilia,  dove  si  combatte.  —  Vittorio 
Emanuele  manda  sovente  il  generale  Sanfront  da  Biagio  Garanti  per  chiedere 
notizie  di  Garibaldi.  —  L' interessamento  del  Re  alle  gesta  garibaldine.  —  1  diplo- 
matici e  gì'  intriganti  sorvegliano  il  re  ed  hanno  corrotto  persino  i  suoi  valletti  di 
camera.  —  Lettere  inedite  di  Medici,  Cosenz,  Malenchini,  Corte,  Pinzi,  Besana, 
Garanti,  Coltelletti  al  Generale.  —  Agostino  Bertani  scongiura  Garibaldi  di  nomi- 
narlo suo  unico  rappresentante  in  Genova  e  di  ordinare,  che  tutto  il  denaro 
affluisca  a  lui  soltanto.  —  La  spedizione  nello  Stato  Pontificio  fu  il  pomo  della 
discordia.  —  Bertani  contro  Medici  e  Cosenz.  —  Garibaldi,  in  tanta  tempesta, 
ascolta  tutti,  ma  segue  la  sua  volontà  soltanto.  —  Lettere  di  Enrico  Brusco  al 
Dittatore.  —  Corrispondenza  inedita  di  Bertani  a  Garibaldi.  —  Bertani  presenta 
Antonio  Mordini  ed  Alberto  Mario,  che  si  recano  in  Sicilia.  —  Una  lettera 
inedita  di  La  Farina,  mandata  a  Garibaldi.  —  Giacomo  Medici,  dopo  la  pubbli- 
cazione dell'opuscolo  «  Ire   politiche  d'oltre  tomba  »    si    difende    energicamente. 

—  Scrive  a  Garibaldi  :    «  è  grarì  favore,  se  a  noi  concedano  quel  tanto  di  capacità, 
che  ne  basti  per  andare  a  farci  ammazzare  » .   —  Antonio    Panizzi   e  Garibaldi. 

—  Importanti  particolari    sulla    spedizione  Zambianchi  e    forze    delle    quali    essa 
disponeva Pag.    1 01 -124 


CAPITOLO  Vili. 

La  politica  del  conte  di  Cavour  nel  1860. 
L' Uomo  di  Stato  e  l' Eroe. 

L'unità  d'Italia  sognata  da  principio  dal  conte  di  Cavour  non  era  l'Italia  una.  — 
Giudizi  di  Giorgio  Pallavicino  su  Cavour.  —  Pallavicino  e  Daniele  Manin. 
—  La  missione  e  la  gloria  di  Cavour  nel  riscatto  nazionale.  —   Perchè  il  gene- 


INDICE  DEL  VOLUME  xvii 


rale  Ribolli,  nel  1860,  non  andò  in  Sicilia.  —  Parlicolari  inediti.  —  Una  lettera 
di  Garibaldi  a  Paolo  Bovi  per  la  cessione  di  Nizza.  —  Le  condizioni  della 
Sicilia  dopo  il  moto  del  4  aprile.  —  Lettere  inedile  di  Nicola  Fabrizi  a  Salvatore 
Calvino.  —  Il  rifiuto  delle  carabine  depositate  a  Milano  e  la  missione  di  Francesco 
Cucchi.  —  Lettere  inedite  di  Garibaldi  a  Pinzi  e  a  Crispi.  —  Un  drammatico 
colloquio  fra  Cucchi  e  Massimo  d'Azeglio  a  Milano.  —  Cavour  aveva  dato 
l'ordine  di  non  consegnare  le  armi.  —  Le  giustificazioni  di  alcuni  storici.  — 
L'approdo  di  Garibaldi  a  Talamone  e  la  sorte  del  tenente  colonnello  Guerrini. 
—  La  quistione  delle  armi  colle  quali  partirono  i  Mille  da  Quarto.  —  Il  non 
avere  impedito  la  partenza  della  spedizione,  fu  merito  di  Cavour?  —  La  parola 
di  Garibaldi  e  le  affermazioni  dello  stesso  Cavour  chiudono  il  dibattito.  —  La 
politica  del  primo  Ministro  di  Vittorio  Emanuele  e  le  intese  amorose  colla 
Corte  di  Napoli.  —  Giudizi  non  sospetti  del  generale  Della  Rocca.  —  La  lettera 
di  Garibaldi  ad  A.  G.  Barrili,  pubblicata  nel  «  Movimento  ».  —  Un  attento 
esame  dei  documenti  già  pubblicati.  —  Cavour  sapeva  che  la  spedizione  andava 
in  Sicilia  e  non  nello  Stato  Pontificio.  —  L' ordine  d' arresto  dato  da  Cavour  a 
Persano,  se  Garibaldi  si  fosse  accostato  ad  uno  dei  porti  della  Sardegna.  — 
Un'  importante  lettera  inedita  dell'  ammiraglio  di  Persano  a  Cavour,  in  seguito 
all'ordine  di  arrestare  Garibaldi.  —  La  giustificazione  di  Cavour  presso  Persano, 
dopo  lo  sbarco  felicemente  avvenuto  a  Marsala,  non  è  in  relazione  con  i  documenti 
storici,  che  la  precedono.  —  Cambiamento  della  politica  cavouriana,  dopo  la  vittoria 
di  Calatafimi  e  l' entrata  dei  Mille  a  Palermo.  —  La  missione  Litta  Modignani 
nel  1860.  —  Il  foglio  confidenziale  del  Re  non  pervenne  nelle  mani  del  Ditta- 
tore. —  Un  brano  autografo  inedito  di  Garibaldi.  —  Ipotesi  che  sia  stato 
il  conte  di  Cavour  a  non  far  pervenire  il  foglio  autografo  di  Vittorio  Emanuele 
nelle  mani  di  Garibaldi.  —  Molteplici  ragioni  che  rendono  quest'  ipotesi  verosi- 
mile. —  Le  istruzioni  diverlend  date  da  Cavour  a  Litta  Modignani.  —  Psicologia 
cavouriana.  —  Rapporti  antichi  e  recenti  fra  Vittorio  Emanuele  ed  il  suo  primo 
Ministro.  —  //  vero  re  sono  io.  —  Rosina  Mirafiori  ed  il  conte  di  Cavour.  — 
II  documento  trovato  fra  le  carte  di  Luigi  Carlo  Farini  conferma,  che  Ira  Re  e 
Ministro  non  si  seguisse  la  stessa  politica.  —  Giudizi  di  Bolton  King  e  di 
Emile  Ollivier  sul  conte  di  Cavour.  —  Gli  sforzi  del  grande  statista  per  far 
cadere  Napoli,  prima  della  venuta  di  Garibaldi.  —  Corrispondenza  di  quei  giorni 
con  Persano.  —  Nuovo  mutamento  nella  politica  del  conte  di  Cavour  per  il 
fiasco  dei  suoi  emissari  a  Napoli  —  Bisogna  rassegnarsi  al  trionfo  di  Garibaldi.  — 
Il  pensiero  intimo  di  Cavour  verso  Garibaldi  e  i  garibaldini.  —  La  lettera  di 
Cavour  a  Costantino  Nigra  e  Raffaele  de  Cesare.  —  L'ordine  al  maggiore  Tripoti 
nel  settembre  "60,  fu  dato  senza  consultare  il  Dittatore.  —  I  sentimenti  di  Garibaldi 
verso  l'Esercito  regolare.  —  Un  giudizio  del  generale  Osio.  —  Garibaldi  non 
autorizzò  mai  il  titolo  di  garibaldino.  —  Lettera  inedita  di  Vittorio  Emanuele  al 
generale  Fanti  e  la  promessa  fatta  a  Napoleone.  —  Scritti  inediti  di  Garibaldi 
sulla  spedizione  del  1860 Pag.  125-177 


XVill  INDICE  DEL  VOLUME 


CAPITOLO  IX. 

La  spedizione  di  Giacomo  Medici. 
Carteggio  fra  V  ammiraglio  Persano  e  Garibaldi. 

L' aiuto  del  Governo  piemontese  nella  seconda  spedizione  garibaldina.  —  Carteggio 
inedito  di  Giacomo  Medici  con  Garibaldi.  —  11  luogo  dove  la  spedizione  doveva 
sbarccire.  —  Garibaldi  scrive  all'ammiraglio  PersEino.  —  Lettere  inedite  di  Felice 
Orngoni,  comandante  del  "  Franklin  ,,  a  Garibaldi.  — ■  Carteggio  inedito  fra 
Persano  e  il  Dittatore.  —  Quello  che  Persano  scriveva  a  Garibaldi  di  La  Farina.  — 
Istruzioni  segrete  date  dal  Dittatore  ai  comandanti  De  Rohan  e  Trafiletti.  —  Il 
Vice-Governatore  di  Brescia  a  Garibaldi.  —  Nicola  Fabrizi  forma  il  corp>o  dei 
"  Cacciatori  del  Faro  ,,.  —  Ricciolti  Garibaldi  racconta  la  grande  stima  che  suo 
Padre  ebbe  per  Nicola  Fabrizi.  —  I  Delegati  Consolari  Sardi  di  Pozzallo  e  di 
Catania  scrivono  al  Dittatore Pag.    179-199 

CAPITOLO  X. 

Tentativi    per    assassinare    Garibaldi. 
Leggenda  sulla  sua  morte. 

La  vita  dell'  Eroe  nelle  mani  dei  sicarii.  —  Tentativi  fatti  nel  1 859  per  uccidere 
Garibaldi.  —  Griscelli,  il  famoso  barone  di  Rimini,  e  De  Vezzani,  le  due 
celebri  spie  mandate  nell'Italia  Centrale.  —  Alcuni  rapporti  segreti,  sequestrati 
da  Luigi  Carlo  Farini,  diretti  da  Griscelli  e  De  Vezzani  al  Legato  Apostolico 
di  Pesaro  ed  Urbino  ed  al  rappresentante  del  Re  di  Napoli  in  Pesaro.  — 
Tentativi  fatti  nel  1 860  per  assassinare  Garibaldi.  —  Il  marchese  di  X'iUamarina 
scrive  al  comandante  D' Aste  per  prendere  le  opportune  misure  su  di  un  certo 
Valentini,  partito  da  Napoli  per  assassinare  Garibaldi.  —  L'ammiraglio  Persano 
scrive  a  Garibaldi  di  stare  in  guardia,  perchè  si  attenta  ai  suoi  giorni.  —  I  due 
sicarii  Luigi  Roxas  ed  Antonio  Roscitto.  —  Lettere  dall'  estero  al  Dittatore.  — 
La  leggenda  sulla  morte  di  Garibaldi,  ed  una  curiosa  manovra  dei  morenti  satelliti 
di  Francesco  li.  —  Una  stampa  anonima.  —  Garibaldi  dopo  il  1860  non  era  il 
vero  Garibaldi.  —  Altre  leggende  sorte  a  Palermo  ed  a  Napoli  intorno  cJI'  Eroe 
popolare.   —    Uno  stornello  di  F.  Dall' Ongaro Pag.  201-213 

CAPITOLO  XI. 

Le  lotte  intorno    a   Garibaldi  a  Palermo. 
Istruzioni  segrete  e  piano  del  Borbone. 

Il  primo  Ministero  sotto  la  dittatura  non  vuole  dipendere  dal  Capo  dello  Stato 
Maggiore  di  Garibaldi.   —  Protesta  inviata  a  Garibaldi.  —  Il  Dittatore  mantiene 


INDICE  DEL  VOLUME  XK 


gli  ordini  dati.  —  Decreto  dittatoriale  scritto  di  mano  del  Sirtori.  —  Indirizzo 
del  Senato  di  Palermo  a  Garibaldi  trascritto  dall'  autografo.  —  La  dimissione  del 
Ministro  Casimiro  Pisani  per  la  non  avvenuta  annessione.  —  Sua  lettera  a  Gari- 
baldi. —  Quello  che,  in  quei  giorni,  si  pensava  a  Torino.  —  Importanti  lettere 
inedite  di  Angelo  Bargoni  a  Salvatore  Calvino.  —  Un  curioso  scritto  di  Luigi 
Naselli  Flores  a  Garibaldi.  —  /  Siciliani  non  vogliono  essere  trattati  come  popolo 
conquistalo.  —  Giuseppe  Ricciardi  a  Garibaldi  —  Istruzioni  segrete  da  Napoli 
e  dalla  Calabria  al  Dittatore.  —  Piano  del  Borbone  comunicato  a  Garibaldi.  — 
Istruzioni  segrete  dalla  Calabria  Citeriore.  —  Uno  scritto  clandestino  del  Comitato 
Centrale  di  Napoli.   —  Proclami  e  Bollettini  della  rivoluzione.   .   .   Pag.  215-251 

CAPITOLO  XII. 

Cavour    e    l'indipendenza    della    Germania. 
La  politica  dell'  Inghilterra  nel  *59  e  '60. 

II  rappresentante  della  stampa  liberale  tedesca  di  Berlino  chiede  al  conte  di  Cavour 
un  dispaccio  giornaliero  in  cifre.  —  Lettera  di  risposta  di  Cavour.  —  L'  indi- 
pendenza d'  Italia  e  della  Germania  sono  per  Cavour  le  pietre  angolari  del  nuovo 
edifizio  europeo.  —  11  pensiero  di  Garibaldi  sull'  unità  della  Germania.  —  Lo 
spirito  pubblico  in  Francia  ed  Inghilterra,  nel  1860,  verso  l' impresa  di  Garibaldi. 
—  Una  lettera  di  Carlo  Arrivabene  a  Garibaldi.  —  John  Bull  del  1860  non 
era  John  Bull  del  '59.  —  Una  rara  stampa  a  colori,  pubblicata  a  Londra  nel  1859, 
«  //  bacio  di  Giuda  Iscariota  ».  — ^  La  seduta  dell'  1  1  giugno  1 860  nel  Parlamento 
inglese.  —  Una  dedica  di  Garibaldi  alla  Inghilterra.  —  Lettere  inedite  di  Gideon 
S.  Lang  a  Garibaldi.  —  Uno  storico  colloquio  con  Lord  Russell.  —  Gideon 
S.  Lang  scrive  a  Federico  Campanella.  —  L'  interessamento  del  popolo  inglese 
per  le  gesta  di  Garibaldi.  —  Lettere  inedite  di  A.  Saffi,  Ashurst,  Forbes  al  Duce 
dei  Mille Pag.  253-279 

CAPITOLO  XIII. 

Garibaldi  e    Mazzini. 
Il   Guerriero    e    1'  Apostolo. 

Il  «  Credo»  di  Giuseppe  Mazzini.  —  Mazzini  scrive  a  Madeleine  de  Mandrot.  — 
Discordia  fra  il  guerriero  e  1'  apostolo.  —  Le  accuse  dei  repubblicani  dottrinari 
contro  Garibaldi.  —  Garibaldi  non  appartenne  ad  alcun  partito.  —  I  nobili  tentativi 
fatti  per  avvicinare  le  due  gigantesche  figure.  —  Sara  Nathan  scrive  a  Garibaldi.  — 
Il  pensiero  di  Ricciotti  Garibaldi  su  Mazzini.  —  Il  dissidio  sorto  nel  '49  fra  Mazzini 
e  Garibaldi  si  acuì  nel   1867.  —  Una  lettera  di  Missori  a  Garibaldi  sulle  defezioni 


XX  INDICE  DEL  VOLUME 


avvenute  prima  della  battaglia  di  Mentana.  —  Una  lettera  di  Giorgio  Pallavi- 
cino a  Garibaldi  in  cui  gli  dice  di  guardarsi  tanto  da  Cavour  che  da  Mazzini 
e  dai  mazziniani.  —  Mazzini  scrive  a  Garibaldi  congratulandosi  per  le  gesta  compiute 
e  lo  interessa  per  la  spedizione  nello  Stato  Pontificio.  —  Il  1 860  fu  per  l' Apostolo 
r  anno  della  più  grande  amarezza.  —  Conati  fatti  per  attirare  nell'  orbita  delle  sue 
idee  Garibaldi.  —  Giudizi  di  Mazzini  su  Garibaldi  e  Rattazzi.  —  Importanti 
lettere  inedite,  dirette  da  Mazzini  a  Garibaldi,  a  Bezzi,  Pianciani,  Stefano  Canzio 
ed  agli  amici  di  Genova.  —  1  moti  repubblicani  del  '69  e  70.  —  L'  ultimo  appello 
fatto  nel  '  70  da  Mazzini  per  proclamare  la  repubblica  prima  che  la  «  Monarchia 
traditrice  profarìasse  Roma  ».  —  Un  cifrario  inedito Pag.  281-336 


CAPITOLO  XIV. 

Vittorio  Emanuele  II  e  Garibaldi. 
Mutui    rapporti  e  Carteggio    inedito. 

La  figura  di  Vittorio  Emanuele  fu  1'  unica  che  esercitò  un'  influenza  su  Garibaldi.  — - 
Ragioni  psicologiche  e  politiche.  —  «  5e  sapeste  quanto  mi  pesa  questa  livrea  di 
re  !  ».  —  La  devozione  di  Garibaldi  per  re  Vittorio  non  fu  mai  servile.  —  Giudizi 
inediti  di  Garibaldi  su  Vittorio  Emanuele.  —  Gli  sdegni  dell'  eroe  per  il  re, 
dopo  Aspromonte,  erano  il  naturale  risentimento  verso  una  persona,  che  si  è  amata 
e  che  ancora  si  ama.  —  Gli  ambasciatori  fra  Vittorio  Emanuele  e  Garibaldi 
nel  1860.  —  L'ambasciatore  più  accreditato  fu  il  marchese  Gaspare  Trecchi.  — - 
Alcune  considerazioni  sull'  ultima  lettera  diretta  da  Vittorio  Emanuele  a  Gari- 
baldi da  Napoli,  dopo  la  campagna  del  1860.  —  Certi  meriti  furono  conquistati 
a  spese  del  cuore  del  re  e  della  magnanimità  di  Garibaldi.  —  La  «  compagnia 
malvagia  e  scempia  »,  che  attorniava  Garibaldi  a  Napoli  e  il  Comitato  regionale 
piemontese  per  la  Storia  del  Risorgimento  Italiano.  —  L' ultimo  pensiero  di  uno 
fra  i  più  venerati  dei  Mille.  —  Alcuni  atti  compiuti  dal  re  a  Napoli  non 
debbono  ritenersi  1'  epressione  del  suo  animo.  —  La  testimonianza  non  sospetta 
di  un  aiutante  di  campo  di  Sua  Maestà.  —  Lettere  inedite  dirette  da  Vittorio 
Emanuele  a  Garibaldi  nel  1 860.  —  Il  re  seguiva  una  politica  sua,  all'  infuori  di 
Cavour  ;  talvolta  contro  Cavour.  —  Una  correzione  autografa  di  Garibaldi  nella 
lettera  scritta  da  Crispi  mostra  la  grande  anima  dell'  eroe.  —  Lettera  inedita  del 
generale  Della  Rocca  a  Garibaldi,  appena  cominciato  l'assedio  della  Piazza  di 
Capua.  —  Rapporti  fra  Vittorio  Emanuele  e  Garibaldi  dopo  il  1860.  —  La 
spedizione  nella  Gallizia  meditata  dal  re  nel  *64  e  che  doveva  essere  capi- 
tanata da  Garibaldi.  —  Promemoria  di  Garibaldi  contenente  le  idee  sue  da 
esporsi  al  re.  —  Un  po'  più  di  luce  intorno  ad  un  momento  storico  poco  cono- 
sciuto. Due  lettere  misteriose  di  Guerrazzi  a  Garibaldi.  —  Antonio  Mordini  scrive 
al  Generale.  —  Storico  colloquio  fra    Vittorio    Emanuele    ed    Enrico    Albanese, 


INDICE  DEL  VOLUME  XXI 


trascritto  a  Garibaldi.  -  //  re  ha  sete  di  vendetta.  —  Un  fiero  scritto  di  Giorgio 
Pallavicino  a  Vittorio  Emanuele.  —  Come  parlavano  al  re  i  martiri  della  libertà 
e    dell'  unità    della   patria Pag.   337-37 1 

Nola.  —  A  proposito  dell'  incontro  di  Vittorio  Emanuele  e  Garibaldi,  nel  1 860. 
—  Le  parole  pronunziate  da  Vittorio  Emanuele  e  Garibaldi,  nello  storico 
incontro  a  Teano Pag.  371-372 


CAPITOLO  XV. 

La  battaglia  del  Volturno  ed  il  Plebiscito. 
L'  Eroe   diventa  agricoltore. 

Descrizione  particolareggiata  della  battaglia  del  Volturno  e  di  Caserta  Vecchia  con 
i  piani  di  attacco  e  di  difesa  ;  dall'  autografo  inedito  del  generale  Menotti  Gari- 
baldi. —  Una  lettera  di  Deidery  a  Garibaldi  sulla  cospirazione  di  Cavour  e 
Farini  per  fermarlo  nella  marcia  vittoriosa.  —  Le  condizioni  di  Palermo  nel 
settembre  1860,  riferite  dal  Segretario  generale  del  Pro-Dittatore  Mordini.  — 
L' impopolarità  di  Crispi  a  Palermo.  —  Le  lotte  intorno  a  Garibaldi  a  Napoli, 
neir  ottobre  1860.  —  I  fautori  per  1'  assemblea  e  quelli  per  il  plebiscito.  — •  Corri- 
spondenza inedita  di  Bertani  con  Garibaldi.  —  Si  dimette  dal  posto  di  Segretario 
generale  della  Dittatura  e  parte  per  Torino.  —  Le  dimissioni  di  Giorgio  Palla- 
vicino da  Pro-Dittatore.  —  Duello  epistolare  fra  Carlo  Cattaneo  e  Pallavicino.  —  11 
Ministero  dimissionario.  —  Andrea  Colonna  incaricato  da  Garibaldi  di  ricomporre 
il  Ministero.  —  L' impopolarità  di  Crispi  a  Napoli.  —  Importante  lettera  diretta 
da  Pallavicino  a  Garibaldi  1'  8  novembre.  —  Mordini  insignito  anch'  egli  del 
collare  della  SS.  Annunziata.  —  Pasquale  Stanislao  Mancini  scrive  a  Garibaldi 
di  non  allontanarsi  dalla  scena  politica,  ma  di  stare  sempre  vicino  al  re.  —  Una 
bella  lettera  di  Laura  Beatrice  Mancini  al  Liberatore.  —  Pallavicino,  sul  finire 
del  '60,  espone,  in  tre  importanti  scritti  diretti  a  Garibaldi,  la  situazione  politica. 
—  Bisogna  combattere  la  volpe  con  armi  volpine.  —  Gesuitismo  cavouriano  e 
gesuitismo  mazziniano.  —  Don  Juan  di  Borbone,  pretendente  al  trono  di  Spagna 
scrive  a  Garibaldi,  rinunziando  ad  ogni  eventuale  diritto  al  trono  di  Napoli.  — 
Due  decreti  di  Garibaldi  che  assegnano  una  pensione  alla  madre  ed  alle  sorelle 
di  Agesilao  Milano  ed  alla  figlia  di  Pisacane.  — •  Una  commovente  lettera  della 
giovanetta  Silvia  Pisacane  a  Garibaldi.  —  Giuseppe  Avezzana  parte  dall'America 
per  raggiungere  Garibaldi  a  Napoli.  —  11  plebiscito  dell' 8  novembre  ed  un 
particolare  sconosciuto.  —  Un  collare  della  SS.  Annunziata  che  dà  fastidio.  — 
11  sogno  di  Garibaldi  di  affratellare  sullo  stesso  campo  le  camicie  rosse  ed  i 
cappotti  grigi  dileguato.  —  Partenza  di  Garibaldi  e  suo  arrivo  a  Caprera.  — 
Comincia  ad  annotare,  giorno  per   giorno,    le    giornate  di    lavoro    dei    pastori   ed 


XXII  INDICE  DEL  VOLUME 


il  ricavato  della  vendita  dei  formaggi  e  dei  vitelli.  —  Un  quaderno  prezioso 
del  Generale.  —  Brano  inedito  delle  Memorie  di  Garibaldi  sulla  spedizione  dei 
Mille.  —  Un'  introduzione  al  racconto  dell'  impresa  dei  Mille  ed  un  proclama 
ai  militi  della  prima  gloriosa  spedizione,  inediti.  —  Ulteriori  rapporti  fra  Vittorio 
Emanuele  e  Garibaldi.  —  Importanti  particolari  in  due  lettere  dirette  dal  generale 
Tiirr  a  Garibaldi.  —  L'  étìqueUe  di  Corte  infranta.  —  Menotti  e  Tiirr  ballano 
la    «  contradance  »    colla  Duchessa  di  Genova Pag-   373-415 


CAPITOLO  XVI. 

Garibaldi  apostolo  di  pace. 
Lettere  all'Imperatore  Guglielmo  e  a  Bismarck. 

Memorandum  diretto  da  Garibaldi  alle  Potenze,  subito  dopo  la  battaglia  del  Volturno. 

—  Vuole  la  fratellanza  dei  popoli  ed  una  sola  lingua  mondiale.  —  Garibaldi 
sognò  pure  una  sua  Religione  del  Vero.  —  Lettere  a  Filopanti.  —  La  campagna 
di  Francia  chiude  la  vita  dell'  Eroe  guerriero.  —  Quello  che  scrisse  della  strategia 
garibaldina  il  generale  tedesco  Manteuffel.  —  Ricciotti  Garibaldi  racconta  particolari 
inediti  ed  interessanti  sulla  presa  della  bandiera.  —  La  sua  spada  per  quarantotto 
ore  sotto  gli  ordini  di  S.  M.  1'  Imperatore  Guglielmo.  —  La  collera  di  Bismarck 
contro  Garibaldi  ed  uno  storico  colloquio  fra  il  Cancelliere  e  Jules  Favre.  —  Garibaldi 
avrebbe  dovuto  passeggiéire  per  le  strade  di  Berlino  con    un    cartello    sul    dorso. 

—  Un  abile  colpo  di  spirito  del  conte  di  Hérison.  —  Bismarck  e  Garibaldi  diventano 
grandi  amici.  —  Filippo  Villani  fu  il  trait  d'union  fra  i  due  personaggi.  — 
L'  ammirazione  di  Garibaldi  per  il  Cancelliere  tedesco.  ^  Scambio  d' idee  poli- 
tiche. —  Garibaldi  nel  '72  scrive  all'  Imperatore  Guglielmo  I  ed  a  Bismarck  di  farsi 
iniziatori  di  un  Arbitrato  per  la  pace  e  la  fratellanza  dei  popoli  .  .  Pag.  417-428 


ELENCO  DEI  FACSIMILI  E  DELLE  ILLUSTRAZIONI 


1 .  Statalo  del   «  Battaglione  Italiano  della  Morte  •   con  osservazioni  e  firma 

autografe  di  Garibaldi.  (Firenze,  5  ottobre   1848) Pag.    4 

2.  Formula  di  giuramento,  che  doveva  essere  sottoscritta  dai    volontari  del 

«  Battaglione  Italiano  della  Morte  » »        4 

3.  Lettera  di  Garibaldi  alla  madre.  (Maddalena,    16  ottobre    1849)  ....        »        8 

4.  Atto  di  matrimonio  di  Garibaldi  con    Anita,    in    autografo   di    Lorenzo 

Fernandez,  parroco  della  chiesa  di  San  Francesco  d'Assisi  in  Mon- 

tevideo,  dove  fu  celebrato  il  matrimonio  (Montevideo,  16  giugno  1842)       »       8 

5.  Firma  autografa  della  madre  di  Garibaldi,  in    una  lettera  a    lui  diretta. 

(Nizza,  3  gennaio   1852) »      12 

6.  Lettera  di  Garibaldi  ad  Anita,  partita  per  1'  Italia  con  Menotti,  bambino, 

e  Ricciotti,   lattante.  (Montevideo,    10  marzo   1848) »      12 

7.  Convenzione  autografa  per  1'  acquisto  di  Caprera,  stipulata  fra  Garibaldi 

ed  i  vari  proprietari  dell'isola.  (Caprera,  29  dicembre   1855).   ...       »      15 

8.  Lettera  diretta  da  Garibaldi  ad  Anita  durante  la  difesa  della  Repubblica 

Romana,  prima  che  essa  ivi  lo  raggiungesse.  (Roma,  2!  giugno  1849)       »      16 

9.  Passaporto  rilasciato  a  Garibaldi  dal    Mayor  di    New -York,  con    firma 

autografa  del  Generale.  (New- York,  2  aprile   1851) »     24 

10.  Certificato  di  secondo  pilota  di  Altura,  rilasciato  a  Garibaldi  nel  Perù. 

(Callao,  31    ottobre   1851) »     28 

1 1 .  Diploma  di  Capitano  di    lungo  corso    dato    dal    Governo    Piemontese  a 

Garibaldi,  con  firma  autografa  del  Generale.  (Torino,  8  agosto  1835)       »     32 

1 2.  Passaporto  ottenuto  da  Garibaldi  dal    Console    francese    a    Nizza ,  sotto 

il  falso  nome  di  «  Joseph  Pane  »,  in  autografo  di  Garibaldi,  e  che 
doveva  servirgli  per  andare  a  liberare  Settembrini,  Poerio,  Spaventa 
dall'ergastolo  di  Santo  Stefano.  (Nizza,  31    gennaio   1856) »     40 

13.  Originale  della  lettera  diretta  dal  conte  di  Cavour  a  Garibaldi,  con  la 

quale    gli    affida    il    comando  del  Corpo  dei  Cacciatori    delle   Alpi. 

(Torino,    17  marzo   1859) »     40 


XXIV  ELENCO  DEI  FACSIMIL.I  E  DELLE  ILLUSTRAZIONI 


14.  Decreto  di  nomina  di  Garibaldi  a  Maggior  Generale  dell'Esercito  Pie- 

montese e  di  comandante  il  Corpo  dei  Cacciatori  delle  Alpi.  (Tormo, 

17  marzo   1839) Pag.    48 

15.  11   «  Programma  Italiano  »   di  Garibaldi  (1856) »        48 

16.  Decreto  che  conferisce  la  medaglia  d'oro  al  valore  militare  a  Garibaldi 

per  le  prove  date  d' intrepidezza  e  di  bravura  nei  combattimenti  contro 

gli  austriaci.  (Torino,  24  luglio   1859) »       56 

1 7.  Lettera  del  generale  E.  Cialdini  a  Garibaldi,  partente  per  1'  Italia  Cen- 

trale. (Castenedolo,  26  agosto   1859) »        56 

18.  Lettera  di  Victor  Hugo  a  Garibaldi,  dopo  la  pubblicazione  francese  del 

libro  del  Generale   «  /  Mille  ».  (Paris,   18  septembre   1874) »       64 

19.  Lettera  di  Edgard  Quinet  a  Garibaldi  dopo  la    pubblicazione   francese 

del  libro  del  Generale  «  /  Mille  ».  (Versailles,  janvier    1875)  ...»       72 

20.  Lettera  di  Garibaldi  a    Rosalino    Pilo   dopo  la    battaglia    di    Calatafìmi. 

(Calatafìmi,    16  maggio   1860) »        76 

21.  Lettera  di  Garibaldi  a  Rosalino  Pilo.   (Partinico,    18  maggio   1860).   .   .      »        76 

22.  Lettera  di  Garibaldi  a  Rosalino  Pilo.  (Partinico,    18  maggio   1860).   .   .      »        76 

23.  Lettera  di  Garibaldi  a  Rosalino  Pilo.  (Misero  Cannone,  19  maggio  1860)     »        76 

24.  Lettera  di  Kossuth  a  Garibaldi,  nella  quale   invoca  la    benedizione    del 

Dio  della  Vittoria.  (Londres,  20  mai    1860) »        80 

25.  Ordine  del  generale  Lanza  al  colonnello  Bonanno,  in  autografo  di  Mani- 

scalco. (Palermo,  26  maggio,    1 2,30  pom. ,    1 860) »       88 

26.  Le    condizioni    dell'  armistizio ,    che    si    voleva    imporre    a    Garibaldi    a 

bordo  della  nave  ammiraglia  inglese  "  Hannibal  ,,,  in  autografo  di 
Garibaldi.  (Palermo.  30  maggio    1860) »        92 

27.  La  firma  del  generale  Lanza  in  una  lettera  diretta  a  Garibaldi.  (Palermo, 

1."  giugno   1860) »       96 

28.  Lettera    di    Giacomo    Medici    a    Garibaldi    contro    Mazzini    e    Bertani. 

(Genova,  25  maggio    1 860) »      1 04 

29.  Lettera  di  Bertani  a  Garibaldi  con    la    quale  gli    presenta   A.    Mordini 

ed  esprime  giudizi  su  La  Farina  e  Cavour.  (Genova,  8  giugno  1860)     »      120 

30.  Lettera  dell'  ammiraglio  Persano  al  conte  di  Cavour,  nella  quale  gli  chiede 

se  deve  veramente  arrestare  Garibaldi,  se  questi  avesse  toccato  le 
coste  della  Sardegna,  e  risposta  autografa  di  Cavour.  (Cagliari, 
8  maggio   1 860,  7  ore  pom.) »      144 

31.  Brano    autografo    di    Garibaldi    sul    divieto    del    passaggio    del   Faro  nel 

luglio   1860 »      144 

32.  Lettera    del    conte  di  Cavour  a  Costantino    Nigra,    in  cui  si  dice  che  i 

soldati  di  Fanti  e  di  Cialdini  non  desiderano  di  meglio  che  sbaraz- 
zare il  paese  dalle  camicie  rosse.  (Torino,  22  settembre   1860)  ...     »      168 

33.  Lettera  di  Garibaldi  all'  ammiraglio  Persano  relativamente  al  luogo  dove 

doveva  approdare  la  spedizione  comandata  da  Giacomo  Medici. 
(Palermo,    1 5  giugno   1 860) »      1 76 


ELENCO  DEI  FACSIMILI  E  DELLE  ILLUSTRAZIONI  XXV 


34.  Lettera  di  Medici  a  Garibaldi,  in  cui  gli  dice  di  essere  giunto  a  Castel- 

lamare.  (Castellamare,    17  giugno    1860) Pag.  176 

35.  Lettera    dell'  ammiraglio    Persane  a    Garibaldi    riguardante    La    Farina. 

(Palermo,  22  luglio    1860) >>      192 

36.  istruzioni  segrete  date  da  Garibaldi  al  comandante  De  Rohan.  (Palermo, 

22  giugno   1860) »      192 

37.  Lettera    dell'ammiraglio    Persane  a  Garibaldi  con  la  quale  lo  avvisa  di 

essere  sbarcata  gente  in  Palermo  col  proposito  di  assassinarlo.  (Palermo, 

9  giugno  1860) >>    208 

38.  Firma  di  Gideon  S.  Lang,  in  una  lettera  diretta  a  Garibaldi.  (London, 

6  june   1860) »     263 

39.  Lettera  di  A.   Saffi  a  Garibaldi,    con  la   quale    gli    fa    noto    l' interessa- 

mento che  la  nazione  inglese  prende  all'impresa  garibaldina.  (Oxford, 

4  giugno   1860) »     272 

40.  Lettera  di  Giorgio  Pallavicino  a  Garibaldi.  Gli  dice  di  stare  in  guardia 

tanto  da  Cavour  che  da  Mazzini.  (Torino,    19  giugno   1860) »     288 

41.  Lettera  di  Mazzini  a  Garibaldi.  (17  giugno    1860) »     296 

42.  Appello  di  Garibaldi  agli  italiani.  (Caprera,   28  novembre  1860).   ...      »      312 

43.  Lettera  di  Vittorio  Emanuele  a  Garibaldi.  (Torino,  prima  metà  di  luglio, 

1860) »     344 

44.  Promemoria  di  Vittorio  Emanuele  per  Garibaldi.  (Torino,  prima  metà  di 

luglio,  1860) »    344 

45.  Lettera  di  Vittorio    Emanuele  a  Garibaldi    dopo    l' entrata  di  questi    in 

Napoli.  (Torino,    12  settembre    1860) »     348 

46.  Lettera  di  Vittorio  Emanuele  a  Garibaldi,    in    risposta  ai  desiderio    da 

questi    espresso    di    licenziare  il  Ministero.  (Torino,    verso  il    1 5  set- 
tembre  1860) »     352 

47.  Lettera  di  Vittorio  Emanuele  a  Garibaldi,  dopo  la  battaglia  del  Volturno. 

(Ancona,  9  ottobre   1860) »     356 

48.  Lettera  di  Vittorio  Emanuele  a  Garibaldi.  (Probabilmente  da  Presenzano, 

il  25  ottobre  1860) »     364 

49.  Lettera  di   Vittorio    Emanuele  a  Garibaldi,    dopo    l' incontro    a    Teano. 

(Teano,  26  ottobre   1860) »     364 

50.  Lettera  di  Vittorio    Emanuele    a    Garibaldi,    con    la    quale    lo  prega  di 

portarsi    verso    Capua    e    d'  intendersi    col    generale    Della    Rocca . 

(Teano.  27  ottobre   1860) »     364 

51.  Brano  della  lettera  diretta  da  Garibaldi  a  Vittorio  Emanuele,  il  29  da 

Caserta,  in  autografo  di  F.  Crispi,  con  correzione  di  pugno  di  Garibaldi     »     368 

52.  Lettera  di  Vittorio  Emanuele  a  Garibaldi  in  risposta  a  quella    del   29, 

con    la    quale    il    Dittatore    gli    rimetteva    il    potere    su    dieci    milioni 
d'Italiani.  (Sessa,  31    ottobre    1860) »     372 

53.  Ultima    lettera    diretta    da    Vittorio    Emanuele    a    Garibaldi    durante    la 

campagna  del   1860.  (Napoli,  7  novembre   1860) »     372 


XXVI  ELENCO  DEI  FACSIMILI  E  DELLE  ILLUSTRAZIONI 

54,  55,  56,  57.  Piani  di  attacco  e  di  difesa  nella  battaglia  del  Volturno  e 
di  Caserta  vecchia  ;  I  "  e  2  ottobre  1 860,  disegnati  dal  generale 
Menotti  Garibaldi Pagine  375,  377,  379,   380 

58,  59.  Due  pagine  di  un  quaderno  in  cui  Garibaldi,    appena    ritornato    in 

Caprera,  nel   1860,  comincia  ad  annotare  i  lavori  agrari  e  pastorizi.  Pag.  408 

60.  Lettera  di  Garibaldi  al  principe  di  Bismarck,  in  cui  gli  propone  di  farsi 
iniziatore  di  un  Arbitrato  mondiale  per  rendere  la  guerra  impossibile 
fra  le  Nazioni.  (Caprera,  20  dicembre   1 872) »     428 


1.  Cavour »  124 

2.  Stampa  allegorica  pubblicata  in  Londra,  il   10  aprile   1859 »  256 

3.  Vittorio  Emanuele »  336 

4.  Garibaldi »  360 


GARIBALDI 
VITTORIO  EMANUELE,  CAVOUR 

NEI  FASTI  DELLA  PATRIA 


CAPITOLO  I. 


NEL   CAMMINO   DELLA   GLORIA 
(1848-1854). 


LJn  placido  mattino  di  luglio  del  1848,  un  uomo  nato  dal  popolo  con 
l'amore  per  la  patria  nel  cuore,  tornato  in  Italia  dopo  quattordici  anni  di  esilio, 
si  presentava  al  cospetto  di  un  re,  che  il  poeta  dell'  Italia  rinnovellata  nomò 
•«  r  Italo  Amleto  » . 

Come  r  anno  innanzi  dalla  lontana  terra  d' America,  palestra  di  eroiche 
gesta,  egli,  libero  pensatore,  aveva  offerto  il  braccio  ad  un  Pontefice,  che  in  un 
momento  di  fatua  ispirazione  da  una  loggia  del  Quirinale  invocava  la  benedizione 
di  Dio  suir  Italia  ;  repubblicano,  veniva  ora  ad  offrire  spada  e  cuore  a  quel 
re,  dal  quale  era  stato  condannato  alla  pena  di  morte  come  ribelle  ;  che  si 
era  fatto  il  difensore  della  patria  contro  il  dominio  dello  straniero.  Ed  il 
Sovrano,  narrano  le  cronache  di  quel  tempo,  accolse  con  principesca  cortesia 
il  biondo  guerriero  nella  sua  rossa  assisa  ;  egli  non  respinse,  ne  accettò  ;  ma 
lasciò    che  uno   dei    suoi    Ministri  rifiutasse  la  generosa  offerta  ! 

Non  per  questo  però,  il  milite  della  libertà  rimase  inoperoso,  e  la  sua  spada, 
che  aveva  combattuto  contro  la  tirannide  in  terra  straniera,  rifulse  di  gloria 
contro  i  nemici  della  patria  sulle  pianure  lombarde,  a  Luino  e  a  Morazzone  ; 
poi,  epicamente  sul  Gianicolo,  rinnovellando  al  mondo  i  fasti  dell  antica  italica 
virtude. 

Prima  di  venire  a  Roma,  durante  un  breve  soggiorno  in  Toscana,  chiama- 
tovi dal  Montanelli  e  dal  Guerrazzi  a  spalleggiare  la  Costituente,  Garibaldi, 
spinto  dal  desiderio  di  accrescere  la  sua  Legione,  ammontante  a  soli  85  uomini, 
aveva  fatto  appello  alla  gioventù  per  formare  un  battaglione  di  scelti  ed  animosi 
individui,  i  quali  avessero  la  volontà  irremovibile  di  conseguire  l' intera  indipen- 
denza d' Italia  o  morire. 

CURÀTULO  I 


NEL  CAMMINO  DELLA  GLORIA 


Una  pagina  commovente,  inedita,  della  storia  di  quei  giorni  è  il  Programma 
del  «  Battaglione  Italiano  della  morte  »,  stampato  clandestinamente  nel  luglio 
del  *48  in  Roma  e  che  qui  si  vede  riprodotto.  Le  osservazioni  scritte  alla  fine 
del  prezioso  documento,  sottoscritte  da  Garibaldi,  provano  essere  esso  lo  Statuto 
originale  mandato  al  Generale,  perchè  lo  approvasse.  La  qual  cosa  egli  fece 
il  5  ottobre,  manifestando  il  desiderio,  che  nell'  uniforme  dei  volontari  fosse  tolta 
l'insegna  della  morte  al  cappello,   lasciando  soltanto  quella  sul  petto. 

Leggendo  oggi  quel  Programma  e  la  formula  di  giuramento,  che  ciascun 
volontario  doveva  sottoscrivere,   un  senso  di  commozione  mvade  l' animo. 

«  Io  prometto  solennemente  sul  mio  onore  e  sull'anima  mia  di  combattere 
e  morire  per  la  totale  indipendenza  d'Italia  ». 

Questo  giurava  la  gioventù  italiana  nel  1 848  e  dopo  sessantadue  anni  1*  indi- 
pendenza della  Patria,  secondo  i  naturali  geografici  confini,  è  ancora  di  là  da  venire! 


* 

* 


Ma  r  alba  di  speranza  che  aveva  illuminato,  in  quell'  anno  fatidico,  il  cielo 
della  patria,  si  dileguava  sul  campo  infausto  di  Novara,  e  la  gloriosa  Repub- 
blica Romana  periva  per  opera  di  una  Repubblica  sorella. 

Una  notte  lunga,  tenebrosa,  piombò  suU'  Italia  e  fu  necessario  che  il 
sangue  di  altri  martiri  tornasse  a  scorrere  su  questo  sacro  suolo,  prima  che 
dall'albero  della  libertà  maturassero  gli  eventi  fortunosi  del  '59,  i  fasti  memorabili 
del    1860. 

L' eroe  del  30  aprile  rimette  la  spada  nel  fodero  in  attesa  di  nuovi  cimenti, 
e,  condannato  novellamente  all'  esilio,  diventa  l' umile  operaio  fabbricatore  di 
candele  di  Staten  Island,  presso  New- York.  Poi,  stanco  di  quel  mestiere,  va 
errando  per  il  mondo,  affrontando  la  tempesta  degli  oceani  con  la  tempesta 
neir  animo  ;  lontano  d' Italia,   ma  sempre  con  l' Italia  nel  cuore. 

La  via  del  secondo  esilio  fu  per  Giuseppe  Garibaldi  sparsa  di  amarezze  e 
di  dolori.  Respinto  dal  Bey  di  Tunisi  per  opera  di  Napoleone  III,  va  a  Malta; 
da  qui  ritorna  alla  Maddalena,  aspettando  le  decisioni  del  governo  piemontese 
sospettoso  del  difensore  della  Repubblica  Romana.  E  appunto  di  quei  giorni 
l'importante  lettera  inedita  seguente,  diretta  all'amico  del  cuore,  a  Giovanni 
Battista  Cuneo. 


NEL  CAMMINO  DELLA  GLORIA 


Garibaldi  a  G.  B.  Cuneo. 

Maddalena,    14  ottobre    1849. 
Fratello  mio, 

Ho  ricevuto  la  tua  del  30  settembre  e  te  ne  ringrazio,  come  pure  delle  tante 
cure  a  prò  mio.  Io  mentre  desideravo  passare  alcuni  giorni  di  quiete  colla  mia  fami- 
gliola, non  mancai  di  pormi  all'altura  della  circostanza,  preparandomi  a  qualunque 
risultato.  Non  mi  ha  sorpreso  adunque,  ciò  che  avvenne  e  sono,  come  sempre,  rasse- 
gnato a  tutto.  Ebbi  una  lettera  di  Pacheco  invitandomi  a  scegliere  Montevideo  per 
residenza  ;  egli  mi  scrive  desiderare  un  abboccamento  ed  io  gli  rispondo  :  farò  da  parte 
mia  il  possibile,  non  so  se  vi  riusciremo.  Anzitutto  io  bramavo  rimanere  in  patria; 
non  polendo,  preferirò  tornare  da  dove  venni,  qualora  non  vi  siano  inciampi.  Ho  lasciato 
r  incarico  di  rispondere  in  tal  guisa  a  Matteo  Antonini,  essendosi  a  lui  diretto  il 
Ministro  degli  Esteri  ed  aspetterò  la  decisione.  La  lettera  all'  Intendente  di  Chiavari 
è  reale;  lo  stile  è  di  Paolino  {Fabrizi?).  Mi  avrai  certamente  favorito  coi  dovuti 
ringraziamenti  ai  generosi  propugnatori  della  mia  difesa  alla  Camera  e  ti  prego  di 
salutarmeli.  Abito  in  casa  del  comandante  dell'  Isola,  che  mi  tratta  egregiamente,  come 
questa  buona  popolazione  tutta.  Passo  la  maggior  parte  del  tempo  a  caccia  e  pesca, 
procurando  di  scacciare  certa  maledetta  malinconia,  che  mi  aveva  invaso  da  qualche 
tempo.  L'affare  di  Tunisi  non  ti  avrà  sorpreso,  a  me  neppure.  La  simpathie  francaise! 
ed  a  Montevideo  li  troverei  ancor  più  belli,  più  simpatici  che  mai!  Povera  Monte- 
video  !  L' unica  ripugnanza  nel  rivederti  sarebbe  quella  ! 

TuUo  tuo 
A  tergo  della  lettera  :  G.  GARIBALDI 

G.  B.   Cuneo 

Deputalo  all'Assemblea  Nazionale 

Torino 

Due  giorni  dopo  scriveva  alla  Madre. 

Garibaldi  alla  Madre. 

Maddalena,    16  ottobre    1849. 
Amatissima  madre, 

Questa  è  per  dirvi  che  sto  bene,  e  non  so  ancora  cosa  di  me  abbia  deciso  il 
Ministero.  Passo  il  tempo  a  caccia  e  pesca.  Abbraccio  i  figli,  saluto  i  parenti  ed 
amici.  Scrissi  a  voi  ed  Augusto  varie  lettere. 

Vostro 

G.  GARIBALDI 
A  tergo  della  lettera  : 

Vedova  Rosa  Garibaldi 
Porto  Nizza  Marittima 


NEL  CAMMINO  DELLA  GLORIA 


Il  24  ottobre  del  *49  Garibaldi  partiva  dalla  Maddalena  per  Gibilterra, 
luogo  d' esilio  assegnatogli  dal  governo  piemontese  ;  lo  trasportava  il  brigantino 
da  guerra  a  vela  "  Colombo  ,,.  Ma  il  Governatore  non  gli  permise  di  sbarcare, 
e  respinto  pure  dalla  Spagna,  il  1 4  novembre  partì  per  Tangeri,  dove  alfine 
trovò  un  po'  di  riposo  fino  all'  estate  del  1850,  ospite  di  Giovanni  Battista 
Carpanetti.  Poi,  nei  primi  di  luglio,  nella  speranza  di  trovar  lavoro  come  marinaio, 
va  a  New- York,  passando  per  Gibilterra  e  per  Liverpool. 

Dissi  che  la  via  del  secondo  esilio  fu  per  Garibaldi  piena  di  amarezza. 
Egli  aveva  lasciato  l' Italia  con  l' anima  lacerata  da  una  grande  sventura  !  Là, 
nella  pineta  di  Ravenna,  alle  Mandriole,  in  un  triste  meriggio,  aveva  perduto 
la  sua  Anita,  la  dolce  compagna,  che  nelle  lontane  terre  d' America  e  sugli 
spalti  fumanti  di  S.  Pancrazio  aveva  con  lui  diviso  le  ansie  di  mille  pericoli, 
i  sorrisi  di  tante  vittorie.  Anita,  cavalcandogli  al  fianco,  lo  aveva  seguito  nella 
lunga  e  difficile  ritirata  da  Roma  a  San  Marino  ;  ma,  affranta  dalle  fatiche, 
portante  nelle  viscere  il  frutto  del  suo  amore,  spirava  nelle  braccia  del  marito, 
che,  inseguito  dagli  Austriaci  come  una  belva,  era  stato  costretto  ad  abbando- 
nare le  amate  spoglie,   ancora  calde,   alla  pietà  di  umili  contadini. 

Sulla  legittima  unione  dell'  eroe  con  Anita  Riveiro  de  Jesus  molto  fu 
discusso.  Si  disse  che  Garibaldi,  innamoratosi  della  forte  figlia  brasiliana,  la 
rapisse  dal  tetto  coniugale.  La  pubblicazione  dell'  atto  di  matrimonio  fatta  dal 
Guerzoni  pose  fine  ad  ogni  dibattito  ;  ma  l' atto  di  matrimonio  edito  dallo  storico 
garibaldino,  che  è  una  copia  in  data  «  Montevideo,  27  gennaio  1881  »,  pre- 
senta qualche  inesattezza.  Il  documento  originale  del  tempo,  scritto  tutto  di  pugno 
di  quel  Lorenzo  Fernandez,  parroco  della  chiesa  di  S.  Francesco  d' Assisi,  dove 
Garibaldi  si  era  sposato,  è  quello  che  qui  si  vede  riprodotto  in  facsimile  dall'  ori- 
ginale. Esso  porta  la  data  «Montevideo,  16  giugno  1  842  »,  tre  mesi  dopo  la 
celebrazione  del  matrimonio,   avvenuto  il  26  marzo. 


Atto  di  matrimonio  di  Garibaldi  con  Anita,  scritto  dal  Rettore  della  Par- 
rocchia, dove  essi  sposarono.  (Dall'autografo  dell'epoca). 

Certifico  }fo  el  infrascrito  Cura  Redor  de  està  Parroquia  de  S.  Francisco  de  Asis  en 
Montevideo  que  en  el  libro  primero  de  casados  de  està  Parroquia  al  folio  veinte  1; 
siete,  à  la  Vuelta  està  la  partida,   que  es  del  tenor  siguiente: 

El  dia  veinte  y  seis  de  Marzo  de  mil  ochocientos  quaranta  y  dos,  el  Presbitero 
D.  Zenon  Azpiasu  mi  lugarteniente  en  està  Parroquia  de  S.  Francisco  de  Asis  en 
Montevideo    autorizó    el    matrimonio,  que   in  facie  Ecclesiae  contrajo  por  palabras  de 


BATTAGLIONE  mmm  DELLA  MORTE 


1.  v^uesto  Battaclio><e  si  compone  di  scelti,  e  volonterosi  individui  italiani. 

2.  La  sua  insegna  porta  per  epigrafe  invariabile  «  Inteba  Indipendenza  , 
o  Morte  »  La  slessa  epigrafe  è  segnata  nel  negro  vessillo  con  cravatta  trico- 
lore, che  si  dispiega  dal  Battaglione. 

3.  Ogni  individuo  addetto  al  Battaguone  della  Morte  ,  nello  iscriversi , 
lirnierà  la  scheda  corrispondente,  e  farà  solenne  promessa  sul  proprio  onori- 
di  sostenere  la  nazionale  indipendenza  sino  al  totale  suo  conseguimento,  e  di 
non  abbandonare  le  bandiere,  finche  la  medesima  non  sia  proclamala  secondo 
i  naturali  geografìe!  confini  dell'  Italia. 

4.  Questa  solenne  promessa  verrà  confermala  ,  e  ratifìcata  ad  alta  voce 
in  ogni  Rivista  del  Comandante  il  Battaglione,  o  del  Generale,  portando  cia- 
scheduno la  mano  al  cuore,  e  la  seguente  sarà  la  formula  da  pronunciarsi: 

•  Solennemente  phometto,  e  cubo  e  meco  Voi,  Commilitoni,  promet- 
■  tete,  di  combattere,  sostenendo  l'italica  bandiera  fino  al  pieno  consegli- 

•    mento   della    NA710NALE    INDIPENDENZA    ». 

Tulli  risponderanno  •  giuro  •. 
j.  Il  Battaglione  si  comporrà  di  ottoccnlo  individui  almeno,  di  eivil  con 
dizione,  e  di  provati  principiì. 

Si  riceveranno  dagli  anni  18  ai  .10.  I  provelli .  ed  anche  maritati  si 
riceveranno  dai  io  ai  60,  purché  sia  dagli  ufTiziali  sanilarii  giustilìcalo  lo  sialo 
di  fisica  robustezza. 

I  minori  dal  14  al  18  si  riceveranno,  se  giunti  alla  prcscritla,  misu- 
ra,  e  col  consenso  de' loro  genitori;  molto  più  poi  se  al  dello  Corpo  Militare 
il  genitore  appartenga. 

6.  L'uniforme  è  descrilto  nel  Fignriiio  annesso.  I  distintivi  degli  UlTiziali 
e  Sotlo-UITiziali  saranno  stabiliti  mediante  contrassegni  particolari. 

7.  L' uniforme  é  a  carico  dell'  individuo  ;  a  carico  però  del  Governo  sarà 
l'armamento,  e  mantenimento. 

8.  Il  Generale  Gabibaloi  ha  già  a.ssunto  per  iscritto  l' impegno  di  coman- 
ilare  il  Battaglione  ,  che  si  pone  dircllamenic  sotlj  gli  ordini  Suoi. 


—  2  — 
t).  V  inramia  è  appannaggio  del  vile ,  che  ariliscc  ritirarsi  dalle  (ile ,  pri- 
ma del  icrmine  della  guerra  sacra  dell' InDireKVEN/A ,  senza  motivo  evidente- 
mcnle  legittimo,  e  comprovato. 

in.  Gli  avanzamenti  non  saranno  conrerìlì ,  che  per  capacita  ,  e  per  di- 
stinzioni nel  militare  servizio.  Sarà  indegno  d'avanzamento,  o  di  qualunque 
siasi  grado  quegli  clic  invece  della  capacità,  e  del  merito  yiuTARE  per  soSle- 
iioflo,  cercasse  invece  procurarselo  con  impegni,  od  altri  illeciti,  e  poco  ono- 
revoli niezzj.-' Questo  Articolo  dovrà  essere  da  tutti. compreso,  .ed  osservalo  in 
tutto  ìj  senso  Ultissimo  delle  parole. 

'11.  Il  tempo  che  decorrerà  dalla  sottoscrizione  alla  chiamata  sotto  le  ban- 
diere.verrà  impiegato  da  ciascun  indivìduo  nella  particolare  istruzione  intorno  al 
mestiere  delle  armi.  E  dovendo  questo  Battaglione  ancora  completarsi  del  numero 
.'^UfTiciente ,' e  regolarsi  in' modo  che  corrisponda  alla  dignità,  ed  alla  forza  del 
suo  nome,  perciò  se  frattanto  qualcuno  degl'individui  che  lo  compongono  >o- 
lesse  anticipatamente  presentarsi  al  campo,  e  prestar  T opera  sua  sotto  il 
inedesinM  SiG.  Generale  GARI6,4LDI ,  o  nella  Venezia,  o  sotto  qualunque 
altro  Coudottiero  in  Italia ,  potrà  fari»  purché  non  indossi  l'uniforme  della 
jMobte  ,  la  qoale  potrà  solo  indossarsi  dopoché  il  completo  Battaglione  avrà 
«vulo  Governativa  facoltà  ed  ordine  di  presentarsi  alla  guerra,  ed  avrà  per  la 
prima  volta  spiegato  la  sua  Bandiera- 
io. La  nomina  del  primo  Stato  Maggiore  ,  e  dei  primi  llfliciali,  e  sotto  Uf- 
ficiali  verrà  fatta  dal  Sig.  Generai  e  GAHIBAI.DI  a  pieno  sao  libito,  avuto 
^emp^e  iii  visla  anche  per  questa  prima  nomhia  1'  Arlieolo  decimo. 

13.  Il  Baitaclioxe  vien  posto  sotto  la  diretta  protezione, .e  sorveglianza 
non  solo  del  Goicrno,  ma  eziandio  di  lutti  i  CincoM-liAi  iani.  Perciò  ad  ognuno 
di  E-ssi  sarà  dato  un  elenco  dei  Soggetti  componenti  il  Battaglione racilesimo  con  la' 
relazione  delle  eroiche  imprese  di  ciascun  individuo,  le  Xerite,  e  le'promozioni 
riportale.  Verranno  però  ai  medesimi  Circoli  notificate,  come  le  prove  di  va- 
lore di  ogni  uno,  cosi  i  cenni  di  qualche  fallo  riprovevole,  o  di  zelo  intiepi- 
dito per  la  causa  llaliana,  do\e  mai  queslo  sinistro  eienlo  si  verificasse. 
Pregansi  i  Cittadini  Presidenti  dei  Circoli  medesimi  a  >olpr  lenere  nella  Sala 
delle  adunanze  pubhlicamentt;  esposto  i'  albo  dei  soggetti  che  il  Battagijone 
PEi.LA  Morte  compongono,  e  .id  ogni  circostanza  pubblicare  sotto  il  medesimo, 
con  analogo  Bollettino  le  glorie,  o  i  denierili  d'oj^ni  individuo,  a  qualunque 
grado ,  ed  a  qualunque  classe  esso  appartenga ,  non  riconoscendo  il  Batta- 
glione che  una  perfettissima  Eoi  aglianza  in  tutti  i  cittadini ,  salvo  la  più  ri- 
gorosa dipendenza ,  e  sulMrdioazione  tra  militi  nella  Gerarchia  militare.  Perciò 
verrà  dallo  stesso  Sic.  Generale  GARIBALDI  nominala  nel  Battaglione  una 
CouMissioNE  DI  Sorveglianza  die  dovrà  mettersi  in  diretta  corrispondenza  con 
i  detti  Circoli.  La  Commissione  perù  non  potrà  spedire  alcun  rapporto  se  prima 
le  cose  in  esso  esposte  non  saranno  pienamente  provale,  e  .sancite  dall'Illu- 
stre Gekerale.  I  tre  più  acciedilati  Giornali  di  Roma,  Firenze,  e  Torino  sa- 
ranno incaricati  di  pubblicare  le  prove  di  valore  e  liceversa  di  ciascfaetlun 
individuo. 


—  3  — 

li.  Nella  disgraziata  Ipolesi- (la  quale  Iddio  protcltore  d'Italia  tenga  lon- 
laoa  ),  die  lo  stesso  Signor  Genehale  GARIBALDI  restasse  prigioniero ,  o 
mancasse  ai  rivi ,  il  Battagliore  rinaito  ha  il  diritto  di  prescegliere  un  nuovo 
Generale ,  0  dal  suo  seno.  0  da  qualuhquealtro  corpo  di  Milizia  esclusiva- 
mente italiana.  0  ^.n  .      -N 

J5.  Il  Cappellano  del  Battaglione  sarà  il  Reverendo '  r  t'^»'^ '''^ 

'      IG.  Fcr  il  rimanente  il  Battaglione  si  UDiTormerà  ai  Regolamenti  discipli- 
nari in  cor^o. 


Roma  t8  Luglio  i8i8. 

ctavi'iMt.i,    0     OKr^'aic,   •■     U        ai/ojt    .i-V     oy^'  ~J'^'^'  n<*-*^  ■    ^t. 


\,vJ^ 


Originale  dello  Statuto  del  "  Battaglione  Italiano  delia  Morte  „  con 
osservazioni  e  firma  autografe  di  Garibaldi.  (Vedi  pag.  2). 


BATTAGLIONE  [TAUAI^O  DELLA  MORTE 


lo  infrascritto 
di  condizione 
domiciliato   a 

dichiaro  di  far  parte  nella  qualità  di  comune  nel  Battaglione  Ita- 
liano DELLA  MonTE  comandato  dal  Sig.  Generale  G.  GARIBALDI ,  du- 
rante l'attuai  guerra  sacra  della  Indipendenza  Italiana,  e  prometto 
solennemente  sul  mio  onore,  e  sull'anima  mia  di  seguir  sempre  fe- 
delmente l'italico  vessillo,  di  uniformarmi  alle  condizioni  del  Pro- 
gramma 18  Luglio  4  848  da  me  in  copia  ricevuto ,  e  di -combattere 
e  morire  per  la  totale  indifendenza  d'Itaua. 

Così  Iddio  mi  ajuti! 


li 


1848. 


Formula  di  giuramento  che  doveva    essere    sottoscritta    dai    volontari 
del    "  Battaglione    Italiano    della  Morte  „.  (Vedi  pag.   2). 


NEL  CAMMINO  DELLA  GLORIA 


presente  D.  Jose  Domingo  Garibaldi  naturai  de  Italia,  hijo  legitimo  de   D.  Domingo 

Garibaldi,  y  de  D"  Rosa  Raimunda  :  con  D"  Ana  Maria  de  Jesus  naturai  de  la  Laguna 

en  el  Brasil    hija    legitima  de   D.  Benito  Riveira  y  de  D'  Maria  Antonia  de  Jesus: 

habiendose  leido  una  sola  proclama  por  haberse  dispensado  las  otras  dos,  practicadas 

las  demas  diligencias,  que  previene  el  Derecho  Canonico  ;    no    recibieron    las   bendi- 

ciones  nupciales  :    siendo    testigos  de   su  otorgamiento    D.  Fabio  Semidei,  y  D'  Feli- 

ciana  Garcia  Billegas:  lo  que  por  verdad  firmo. 

LORENZO  A.  FERNANDEZ 

Està  conforme  al  originai  al  que  me  remito  en  caso  necesario  y  para  los  fines  que 
convenga. 

Montevideo,    16  de  junio  de   1842. 

LORENZO  A.  FERNANDEZ 

Eccone  la  traduzione  letterale: 

Certifico  io  sottoscritto  Rettore  di  questa  Parrocchia  di  S.  Francesco  di  Assisi  di  Monte- 
cideo,  che  nel  libro  primo  dei  matrimoni  di  questa  Parrocchia,  al  foglio  ventisette, 
vi  è  //  certificato  seguente: 

li  giorno  ventisei  Marzo  mille  ottocento  quaranta  due,  il  Sacerdote  D.  Zenon 
Azpiasu  mio  Vice-Parroco  in  questa  Parrocchia  di  S.  Francesco  di  Assisi  di  Mon- 
tevideo autorizzò  il  matrimonio,  che  in  facie  Ecclesiae  contrasse,  essendo  presenti  gli 
sposi,  D.  Giuseppe  Domenico  Garibaldi,  nativo  di  Italia,  figlio  legittimo  di  D.  Dome- 
nico Garibaldi  e  di  D'  Rosa  Raimunda,  con  D"  Anna  Maria  de  Jesus  nativa  di  La 
Laguna  nel  Brasile,  figlia  legittima  di  D.  Benito  Riveira  e  di  D°  Maria  Antonia  de 
Jesus,  essendosi  letta  una  sola  pubblicazione  per  essersi  dispensate  le  altre  due,  e  dop>o 
aver  fatte  le  altre  pratiche,  che  prescrive  il  Diritto  Canonico  :  non  ricevettero  la  bene- 
dizione nuziale:    furono    testimoni  del  loro  matrimonio  D.  Fabio    Semidei   e  D'  Feli- 

ciana  Garcia  Billegas:  il  che  attesto  e  firmo. 

LORENZO  A.  FERNANDEZ 

E  conforme  all'  originale,  al  quale  mi  rimetto  in  caso  necessario  e  per  tutto  ciò  che 
possa  convenire. 


Montevideo,    16  giugno   1842. 


LORENZO  A.  FERNANDEZ 


La  morte  di  Anita,  la  sola  donna  che  Garibaldi  amò  di  vero  amore,  fu 
per  la  sua  anima  un  grande  dolore.  Storici  e  biografi  ci  hanno  narrato  quale 
immenso  affetto  l' eroe  nutrisse  per  la  sua  compagna  ;  ma  nessuna  pagina  di 
storia  fu  mai  così  commovente  e  così  vera,  come  quella  consacrata  nella  lettera 
inedita,  che  Garibaldi  scriveva  da  Montevideo  all'eroica  donna,  partita  per  l' Italia 


NEL  CAMMINO  DELLA  GLORIA 


nel  dicembre  del  '47  con  Menotti  e  Teresita  bambini,  e  Ricciotti  ancora  lattante. 
La  lettera,  come  si  vede  dal  facsimile,  è  scritta  in  spagnuolo  ;  ne  do  qui  la 
traduzione  letterale. 

Garibaldi  ad  Anita. 

Montevideo,  marzo   IO,    1848. 
Mìa  cara  Anita, 

Incidenti  piuttosto  spiacevoli  ritardano  la  nostra  partenza  di  alcuni  giorni.  Anzani 

è  stato  colpito  dalla  sua  malattia  in  modo  molto  violento  e  Sacchi  è  stato  ferito  in  un 

ginocchio,  e  poco  è  mancato  che  non  perdesse  la  gamba  ;    però   entrambi    si   trovano 

migliorati  e  spero,  che  non  passeremo  marzo  in  Montevideo.  La  nave  che  ci  porta  si 

chiamava  "  Bifronte  ,,  quando  era  sotto  bandiera  Sarda  e  si    chiamerà  "  Speranza  ,, 

con  il  cambio  in  bandiera  Orientale.  Questa  ti  giungerà  a  Nizza  o  a  Genova,  ed  in 

qualsiasi  luogo  con  mia  Madre.  Tu  prenderai  cura  della  mia  povera  vecchia  per  amor 

mio;  tu  le  farai  dimenticare    le   preoccupazioni,  che    la    vecchiaia  le  cagiona.  E  sfata 

sempre  tanto  buona  mia  Madre!  Se  questa  ti  raggiunge  a  Nizza,  desidero    vivamente 

che   ti  trovi   contenta;   desidero,  che   tu  ti  goda  il  bel  cantuccio  di  terra,  che  mi  vide 

nascere;  che   ti  sia    caro  come   lo   è  sempre  stato    al  mio  cuore.    Tu  conosci   la    mia 

idolatria  per  l'Italia,  e  Nizza  è  certamente   uno    dei  più   splendidi    luoghi   di   questa 

patria  tanto  infelice  e  pur  tanto  bella,  e   che   io   giustamente  più  amo.  Amala    anche 

tu,  Anita  mia,  ed  io  gradirò  questo  amore.  Quando  tu  passeggi  per  i  luoghi,    che  mi 

videro  fanciullo,  ricordati  del  compagno  delle  tue  pene  che  tanto  ti  ama,  e  salutali  a 

nome  mio.  Desidero  che  tu  conosca  mio  fratello    Felice,    affinchè    possa    giudicare  da 

te  stessa,  che  mi  resta  ancora  un  fratello  buono  e  degno  di  me.  I  miei  parenti  Gustavin, 

Court,  Garibaldi,  ti  avranno,  senza  dubbio,  ben  accolto,  come  pure  mio  fratello,  Pepin, 

Giaume  e  tutti  gli  altri  amici  miei.    Sarò    eternamente   grato    a   tutti  per    quello    che 

faranno  per  te.  Abbracciami    Menotti,    Tita  e  Ricciotti  e  la  mia  cara   Mamma,  e  tu 

pensa  al  tuo  fedele 

G.  GARIBALDI 

P.  S.  -  Ti  raccomando  tutte  le  mogli  degli  ufficiali  che  mi  accompagnano. 

Questa  lettera  non  ci  rammenta  i  versi  del  Poema  ? 

«  Posa  redenta,   accanto  alla  gentile 
Mia  genitrice,  o  Anita,  e  ben  rammenti 
Quel  d' angiolo  sorriso  e  la  soave 
Di  lei  favella  incantatrice,  e  il  dolce 
Che  t' accoglieva  cunplesso,   allorché  stanca 
Del  lungo  andar  presso  l' amata  Madre 
Riedevi,  e  intorno  i  festeggianti  allegri 


NEL  CAMMINO  DELLA  GLORIA 


Tuoi  pargoletti.   Le  passate  angoscie 
Si  cancellavan  dal  tuo  cuore,   e  immerso 
Io  nell'ebbrezza  degli  affetti,  il  pondo 
Dimenticavo  degli  affanni  e  tutta 
Come  di  cielo  m' apparia  la  terra  !  » 

Parlando  della  compagna  di  Giuseppe  Garibaldi  non  so,  in  verità,  tratte- 
nermi dal  ripubblicare  dall'  autografo,  anch'  esso  da  me  religiosamente  custodito, 
la  lettera  che  egli  le  scriveva  nel  giugno  '49  da  Roma,  prima  che  Anita  quivi 
lo  raggiungesse.  Il  documento  fu  pubblicato  nel  '82,  subito  dopo  la  morte  di 
Garibaldi  ;  ma  è  bene  che  sia   rammentato  in  quest'  anno    di    sacri    ricordi. 

Roma,  31    giugno   1849. 
Mia  cara  Anila, 

lo  so  che  sei  stata  e  che  sei  forse  ancora  ammalata;  voglio  vedere  dunque  la 
tua  firma  e  quella  di  mia  Madre  per  tranquillizzarmi.  I  Gallo-Frati  del  Cardinale  Oudinot 
si  contentano  di  darci  delie  cannonate  e  noi,  quasi  per  perenne  consuetudine,  non  ne 
facciamo  caso.  Qui  le  donne  ed  i  ragazzi  corrono  addietro  alle  palle  e  bombe,  gareg- 
giandone il  possesso.  Noi  comballiamo  sul  Gianicolo,  e  questo  popolo  è  degno  della 
passata  grandezza.  Qui  si  vioe,  si  muore,  si  sopportano  le  amputazioni  al  grido  di 
«  Viva  la  Repubblica  ».  Un'ora  della  nostra  vita  in  Roma,  Vale  un  secolo  di  vita!... 
Felice  mia  Madre  di  avermi  partorito  in  un'epoca  così  bella  per  l'Italia!  Questa  notte 
30  dei  nostri,  sorpresi  in  una  casetta  fuori  le  mure  da  centocinquanta  Gallo-Frati,  se 
r  hanno  fatta  a  baionettate  ;  hanno  ammazzato  il  capitano;  tre  soldati ,  quattro  prigionieri 
del  nemico  ed  un  mucchio  di  feriti.  Noi  un  sergente  morto  ed  un  milite  ferito.  I  nostri 
appartenevano  al  Reggimento  •<  Unione  ».  Procura  di  sanare;  baciami  Mamma,  i  bimbi. 
Menotti  mi  ha  beneficiato  di  una  seconda  lettera:  gHe  ne  sono  grato.  Amami  molto. 

Tuo 
A  tergo  del  foglio:  G.  GARIBALDI 

Anita  Garibaldi 

Nizza  Marittima 

Dopo  la  difesa  di  Roma  e  la  miracolosa  ritirata,  Garibaldi  riprende  la  via 
dell'  esilio  a  lui  già  nota.  Lunghi  giorni  di  dolore  dovevano  ancora  trascorrere 
prima  che  si  dileguassero  diffidenze  e  sospetti  ;  prima  che  egli  potesse  vedere  realiz- 
zato il  gran  sogno  della  sua  esistenza  e  combattere  per  la  libertà  della  patria. 
E  l'eroe  canta  : 

«  Prosegui  il  tuo  cammin.   Proscritto  ;   un  pugno 
Troverai  sempre  d' insoffrenti  il  peso 


NEL  CAMMINO  DELLA  GLORIA 


Delle  catene.   Invano  la  birraglia 
Di  quattro  Re  t' insegue  !   Il  santuario 
Che  porti  in  cuore  per  l' Italia,  infranto 
Non  sarà  questa  volta.   A  dure  prove 
Tu  sei  serbato  ancor,   e  degli  sgherri 
Tutt'  ora  i  sonni  turberai.   L' impronta 
Del  ferro  del  tuo  baio,   alle  regali 
Stanze  stampata,  insegnerà  a'  protervi 
Che  anche  per  loro  giunge  l' ora,  e  il  pane 
Assaggeran  della  sventura,   e  il  duolo  ».  ' 

Non  mi  propongo  di  seguire  1'  eroe  in  tutte  le  vicende  dolorose,  che  gli 
occorsero  dal  '49  fino  all'  epoca  del  suo  definitivo  ritorno  in  Italia,  al  1 854. 
Ma  poiché  è  questo  un  periodo  appena  trattato  dai  suoi  biografi,  credo  utile, 
nell  interesse  della  storia,  il  pubblicare  alcuni  importanti  documenti  inediti,  che 
riguardano  il  futuro  Duce  dei  Mille  negli  anni  amari  dell'  esilio,  alla  vigilia  delle 
sue  glorie.   E  bene  intanto  tener  conto  di  alcune  date. 

Garibaldi  arrivava  in  New- York  il  30  luglio  del  1850  e  la  New-Yorl^  Tri- 
bune V  annunciava  così  :  «  La  nave  "  Waterloo  ,,  è  giunta  a  Liverpool  questa  mat- 
tina portando  Garibaldi,  l'uomo  di  fama  mondiale,  l'eroe  di  Montevideo  e  difensore 
di  Roma.  Egli  sarà  accolto  da  quanti  lo  conoscono  come  si  deve  al  suo  carattere 
cavalleresco  ed  ai  suoi  servizi  in  favore  della  libertà  ».  Rimasto  quasi  un  anno, 
lavorando  da  semplice  operaio  nella  fabbrica  di  candele  del  Meucci  in  Staten 
Island,  presso  New- York,  il  2 1  aprile  del  '  5 1  riprese  la  vita  di  marinaio  e  la 
New- York  Tribune  stampava:  «  Fra  i  passeggeri  del  "  Prometeus  ,,  che  fece 
vela  ieri  dopo  pranzo  era  il  generale  Garibaldi,  l' illustre  patriota  italiano  ed  esule, 
che  partì  in  compagnia  di  un  amico  commerciante.  Che  la  fortuna  gli  arrida  !  » 
L' amico  cui  si  allude  è  Francesco  Carpanetto,  venuto  da  Genova  per  iniziare 
una  speculazione  commerciale  fra  l' Italia  e  l' America  centrale  e  meridionale, 
servendosi  di  una  nave  di  sua  proprietà  nominata  "  S.  Giorgio  ,,  partita  da 
Genova  verso  la  fine  di  gennaio,  avendo  per  ultima  destinazione  Lima,  nel  Perù. 

Il  grande  proscritto  lasciava  New- York  con  un  passaporto  rilasciatogli  dal 
Mayor  di  quella  città.  L'importante    documento,    qui   riprodotto    dall'originale, 


'  Garibaldi  -  Poema  autobiografico  ecc.,  canto  X,  pag.  77. 
'  H.  Nelson  Gay  -  In  «  Nuova  Antologia  >   1910. 


^^K^'cZcVi^^^  ^/^  .ì;^^^C^^^ 


<«SL-<S'^^^^'>^ —  - 


Lettera  di  Garibaldi  alla  Madre.   Maddalena,    16  ottobre   1849.  (Vedi  pag.   3). 


I  :£■■ 


/i/^^r^  ^'^^^  S^^^  ^-^5^^^-^--  Z.^..->s^..  z^.:^- 


~i,^^t^>->9^ 


/Ilo  di  matrimonio  di  Garibaldi  con  Anita  in  data  del  16  giugno  1842  e  in  autografo  di  Lorenzo  A.  Fernandez, 
Parroco  della  chiesa  di  S.  Francesco  d'Assisi  in   Montevideo,  dove  essi  sposarono.  (Vedi  pag.  4). 


NEL  CAMMINO  DELLA  GLORIA 


portante  la  firma  autografa  del  Generale,  rimette  sul  tappeto  la  dibattuta  quistione 
della  cittadinanza  americana  del  Garibaldi.  11  passaporto  dice  :  «  The  bearer 
Joseph  Garibaldi,  who  has  declared  to  become  a  citizen  of  United  States  of 
America  »  (11  portatore  Giuseppe  Garibaldi,  il  quale  ha  dichiarato  diventare 
cittadino  americano)  ;  dopo,  come  di  solito,  si  danno  i  connotati,  e  si  enume- 
rano i  diritti,  che  il  portatore  del  passaporto  può  godere  e  che,  nel  caso  speciale, 
erano  quelli  stessi  dovuti  ad  ogni  cittadino  americano,   che  si  reca  all'estero. 

Garibaldi  adunque,  il  2  aprile  1851,  sebbene  non  avesse  ancora  adempito 
alle  formalità  necessarie  per  ottenere  la  cittadinanza  americana,  con  quel  foglio 
veniva  di  fatto  a  goderne.  Un  vero  decreto  di  cittadinanza  fino  al  1855  non 
gli  era  stato  dato.  Infatti,  il  9  marzo  di  quell'anno,  ritornando  in  Italia,  scriveva 
da  Nizza  al  suo  amico  Cesare  Augusto  Vecchi  una  lettera,  nella  quale,  fra 
r  altro,  diceva  :  «  Io  ho  tentato  invano  1'  acquisto  della  cittadinanza  americana 
e  per  ciò  fui  obbligato  a  prendere  un  capitano  e  venire  come  passeggiero  a 
bordo  del  "  Commonwealth  ,,  che  io  comandava.  Questo  ad  onta  di  avere 
abitato  negli  Stati  Uniti  quasi  un  anno  durante  due  soggiorni  ;  di  avere  previa- 
mente navigato  con  bandiera  americana  ed  avere  impiegati  quanti  conoscenti  ed 
amici  potei  incontrare  in  quel  paese.  La  legge  per  essere  naturalizzato  vuole  una 
dichiarazione  formale  di  voler  diventare  cittadino,  fatta  in  una  città  dell'  Unione, 
col  giuramento  di  volersi  sottrarre  dalla  sudditanza  di  qualunque  Stato  straniero, 
con  indi  un  soggiorno  di  cinque  anni  sulla  terra  americana  » . 

Nel  1 862  però,  dopo  la  tragedia  di  Aspromonte,  quando  il  Generale  si 
trovava  prigioniero  al  Varignano,  in  data  del  1 4  settembre  scriveva  la  nota 
lettera  al  Console  degli  Stati  Uniti  a  Vienna,  in  cui  si  diceva  :  «  Signore,  io 
sono  prigioniero  e  pericolosamente  ferito,  per  conseguenza  mi  è  impossibile  di 
disporre  di  me  stesso.  Tuttavia  credo,  che  se  io  sarò  restituito  a  libertà  e  se  le 
mie  ferite  guariranno,  sarà  giunta  l'occasione  favorevole,  nella  quale  potrò  sod- 
disfare il  mio  desiderio  di  servire  la  gran  Repubblica  Americana  di  cui  io  sono 
cittadino  e  che  oggi  combatte  per  la  libertà  universale  ».  ' 

Dopo  avere  traversato  più  volte  insieme  all'  amico  Carpanetto  1'  istmo  di 
Panama,  il  nostro  eroe  il  1 5  agosto  si  trovava  a  S.  Juan  de  Nicaragua  ;  di 
là  passò  a  Lima,  dove  era  già  arrivata  da  Genova  la  nave  "  S.  Giorgio  ,,. 
Fu  allora,   che  egli  potè  mettere  in  esecuzione  il  piano  da  tempo  vagheggiato,  di 


'  E.  Ximenes  -  Epistolario  di  Garibaldi,  voi.  I,  pag.  47. 

'  D.  Ciampoli  -  Scrìtti  politici  e  militari  di  Garibaldi,  pag.  291. 


IO  NEL  CAMMINO  DELLA  GLORIA 

navigare  come  capitano  di  un  legno  mercantile    e    guadagnare   così    i  mezzi  di 
sussistenza  per  se  e  per  la  sua  famiglia,   che  aveva  lasciato  a  Nizza. 

La  nave  della  quale  prese  il  comando  aveva  nome  "  Carmen  ,,  ed  appar- 
teneva al  suo  amico  nizzardo  Pietro  De  Negri,  il  quale  da  vari  anni  erasi 
stabilito  nel  Perù.  Ma  per  ottenere  quel  comando  Garibaldi  dovette  subire  un 
esame  preso  le  autorità  marittime  di  Callao  ed  ottenere  il  titolo  di  2  °  Pilota 
di  Altura.  1  documenti  che  qui  trascrivo,  traducendoli  dagli  originali  esistenti  nel  mio 
Archivio,  si  riferiscono  appunto  a  questo  esame  ;  da  essi  apprendiamo  inoltre  un 
particolare  fin  oggi  sconosciuto,  quello  della  cittadinanza  peruviana  del  Garibaldi  : 

REPUBBLICA  PERUVIANA 


SELLO  QUINTO  DOS  REALES  EN  EL  BIENIO  DE  1850  Y   1851 


Manuel  De  La  Haza  Capitan  de  Navio  de  la  Armada  Nacional,  May  or  de  Ordenes  del 
Deparlamento,  Comandante  de  Arsenales  i;  Accidental  del  Cuerpo  de  Pilotos  etc... 

Certifico,  che  in  virtù  del  superiore  Decreto  spedito  nella  stessa  data  dal  bene- 
merito Signor  Generale  Comandante  Generale  di  Marina  ho  esaminato  don  Giuseppe 
Garibaldi,  naturale  di  Genova  cittadino  del  Perii,  conforme  al  supremo  Decreto  del 
4  agosto  1 840  e  r  ho  trovato  di  sufficiente  intelligenza  nella  nautica  e  nel  pilotaggio 
e  con  abbastanza  pratica  marinara,  acquistata  in  29  anni  di  navigóizione  per  i  mari 
di  Europa  e  delle  due  Americhe,  nel  qual  tempo  ha  fatto  moltissimi  viaggi,  in  numero 
molto  maggiore  di  quello  che  si  richiede  per  aspirare  alla  classe  di  2°  Pilota  di  Altura. 

In  virtù  di  questo  esame  e  degli  Articoli  6"  e  7",  Trattato  4°,  Titolo  1'  delle 
ordinanze  di  Marina,  gli  rilascio  la  presente  carta  di  esame,  affinchè  possa  navigare 
con  bastimenti  nazionali  di  questo  commercio  con  il  titolo  di  2"  Pilota  di  Matricola. 
Egh  è  obbligato  inoltre,  ad  usare  le  carte  e  gli  strumenti  approvati  da  questo  Comando 
ed  a  presentare  al  ritorno  di  ogni  viaggio,  il  giornale  di  navigazione,  come  è  prescritto 
dall'articolo  6°  del  sopradetto  Decreto,  senza  il  quale  requisito  questo  Documento 
sarà  nullo  e  di  nessun  valore. 

Dato  nell'Arsenale  di  Callao,  addì  30  ottobre  1851. 

Firmalo:  MANUEL  DE  HAZA 

El  Ciudadano  Alejandro  Deustua,  benemerito  a  la  patria  en  grado  heroico  y  eminente 
General  de  Brigada  de  los  Ejercitos  Nacionales,  Gohernador  politico  de  la  Pro- 
vincia })  Comandante  General  del  Departamento  de  Marina  etc... 

Siccome  Don  Giuseppe  Garibaldi,  naturale  d'  Italia  e  cittadino  del  Perii,  ha  fatto 
constatare  per  mezzo  della  carta  di  esame,  che  ha  presentato  a  questo  Comando  Gene- 


NEL  CAMMINO  DELLA  GLORIA  1 1 


rale,  che  si  trova  idoneo  per  disimpegnare  l'ufficio  di  2"  Pilota  nei  bastimenti  mercantili, 
gli  conferisco  in  virtù  di  detta  carta  la  presente  nomina,  affinchè  in  conformità  al  supremo 
Decreto  4  agosto  1840  egli  possa  navigare  come  Pilota  nei  bastimenti  mercantili  nazionali. 

Pertanto,  ordino  alle  autorità  soggette  alla  mia  giurisdizione,  che  gli  siano  dovuti 
tutti  i  privilegi  cui  la  ordinanza  di  matricola,  nel  suo  titolo  8"  gli  dà  diritto  ed  in 
virtù  della  quale  egli  è  pure  soggetto  agli  obblighi  prescritti.  L'anzidetto  sarà  pure 
certificato  dalla  Capitaneria  del  Porto  e  dai  Comando  nel  quale  sarà  iscritto  e  dal 
medesimo  gli  sarà  spedita  la  matricola,  che  gli  indicherà  il  Dipartimento  cui  appartiene. 

Dato  in  Callao,  firmato  dalla  mia  mano,  timbrato  da  questo  Comando  Generale 
e  vidimato  dal  mio  segretario  il  30  ottobre   1851. 


Capitaneria  del  Porto,  Callao,  ottobre  del  1851. 


Firmato:  DEUSTUA 

In  fede  :  FEDRO  JOSE  CARRENO 


Signor  Comandante  Generale  della  Marina, 

Don  Pedro  Denegri  proprietario  del  bastimento  nazionale  "  Carmen  ,,  espone 
a  V.  S.  :  Che  dovendo  oggi  salpare  detto  bastimento  per  le  Isole  di  Chincha  a  pren- 
dere un  carico  di  guano  e  non  essendo  terminate  le  pratiche  necessarie  per  ottenere 
la  patente  del  Supremo  Governo,  onde  evitare  i  danni  che  qualunque  ulteriore  dimora 
potrebbe  occasionare  al  sopradetto  bastimento,  supplica  V.  S.  che  si  degni  ordinare 
si  dia  un  passaporto  provvisorio  fino  al  ritorno  del  bastimento  dalle  Isole  di  Chincha  ; 
favore  che  spera  ottenere  da  V.   S. 

Callao,  ottobre  31,   1851.  Finnaio:  PEDRO  DE  NEGRI 

Visto  e  risultando  che  ancora  non  si  è  spedita  la  patente  del  Supremo  Governo 
per  il  bastimento  nazionale  "  Carmen  „  e  che  la  sua  permanenza  nel  porto  occa- 
sionerebbe danni,  che  conviene  evitare:  gli  serva  il  presente  come  passaporto  per  il 
suo  viaggio  alle  Isole  della  Chincha  e  ritorno  a  questo  porto,  dove  gli  si  darà  la  patente. 

Firmalo:   DEUSTUA 

Firmalo  :  FRANCISCO  GUERRA 

La  gioia  di  Garibaldi  per  l'ottenuto  comando  fu  tale,  che  ne  scrisse  alla  Madre, 
la  quale  gli  rispondeva  con  la  seguente  lettera  inedita,  in  cui  la  sola  firma  è  autografa. 
E  questo  l'unico  autografo  che  si  conosca  della  madre  dell'eroe  dei  due  mondi. 

Rosa  Garibaldi  al  figlio. 

Nizza,  5  gennaio   1852. 
Carissimo  figlio. 

Ho  ricevuto  la  tua  cara  lettera  del  5  novembre  1851,  dalla  quale  vedo  che 
prendesti  il  comando  di  una  nave  Peruviana  in  viaggio  per  Canton.  Godo  moltissimo 


12  NEL  CAMMINO  DELLA  GLORIA 

di  tale  nuova  e  spero  che  simile  incarico  ti  riuscirà  gradito  e  fruttuoso.  Augusto  si 
darà  cura  di  vedere  il  figlio  De  Negri  qui  in  collegio  ed  informerà  i  suoi  parenti  di 
quanto  gli  occorra.  Scrivemmo  varie  lettere  a  te  dirette,  di  cui  non  sappiamo  se  ne 
ricevesti  alcuna.  Comunque  sia,  nulla  vi  era  in  quelle  di  particolare.  Esse  t'informa- 
vano che  Menotti  era  in  questo  Collegio  Nazionale  e  che  molto  vi  si  piaceva;  che 
la  Teresita  viveva  in  pensione  particolare,  ove  meglio  si  educa,  che  non  in  quella  ove 
era  prima,  e  che  il  Ricciotti,  lui  pure,  andava  ad  una  scuola  al  Porto  ;  tutti  d' altronde 
molto  sani  e  godenti  gioia  e  quiete.  Tua  zia  Angelina  ti  prega  d*  informarti,  se  sua 
figlia  Maddalena  dimora  in  Lima  e  come  vi  si  trova.  Non  sa,  a  dir  vero,  se  ella  sia 
in  quella  città,  ma  di  certo  deve  essere  nelle  circonvicine  di  quella  regione.  Tutti  i 
parenti  e  gli  amici  ti  salutano.  11  signor  Richier  specialmente  mi  prega  d' inviarti  i  suoi. 
Tutti  qui  stiamo  sani  e  più  o  meno  lieti,  ma  la  tua  presenza,  ti  assicuro,  non  lasce- 
rebbe in  nessuno  più  luogo  alla  tristezza.  Ti  abbraccio  con  affetto  di  madre. 


(x^fci^^    C/,  <:C^u^r'i^^^^^^^ 


Durante  la  permanenza  nel  Perù,  Garibaldi  adunque  ottenne  la  nomina  di 
Pilota  in  2°  dal  Comandante  delle  forze  navali  di  Callao,  come  si  vede  dal 
decreto  riprodotto  qui  in  facsimile. 

Il  10  gennaio  del  1852,  separatosi  dal  Carpanetto,  salpò  da  Callao,  porto 
di  Lima,  e  preso  il  comando  della  nave  "  Carmen  ,,  del  suo  amico  Pietro 
De  Negri,  fece  vela  per  Canton.  Si  fu  appunto,  in  quella  traversata,  durante 
la  tempesta  del  1  °  gennaio,  che  egli  ebbe  in  sogno  la  triste  visione  della 
morte  della  Madre,  visione  che  egli  stesso  dopo  descrisse  con  grande  finezza 
di  sentimento.  Nel  settembre  del  *53,  dopo  aver  fatto  molti  viaggi,  si  trovava 
a  Boston  ed  il  Boston  Dail^  Journal  di  quei  giorni  stampava  :  «  Il  generale 
Garibaldi,  1'  illustre  capo  italiano  nella  lotta  per  la  hbertà,  durante  la  rivolu- 
zione del  1 848,  giunse  in  questa  città  martedì  passato,  comandando  la  barca 
peruviana  "  Carmen  ,,.  Proveniva  dal  Perù,  dove  egli  è  stato  per  qualche 
tempo  occupato  come  capitano  di  nave.  La  "  Carmen  ,,  aveva  un  carico  di 
rame  e  di  lana.  Il  generale  Garibaldi  si  trova  attualmente  a  Nev^^-York».  Da 
Boston,  molto  scoraggiato,  scriveva  a  Cesare  Augusto  Vecchi  in  Torino  una 
lunga  lettera,  nella  quale  fra  1*  altro  si  dice  :  «  Che  vi  dirò  dell'  errante  mia 
vita  ?  Io  ho  creduto  la  distanza  potere  scemare  1'  amarezza  dell'  animo  ;  ma 
fatalmente  non  è  vero  ed  ho  trascinata  un'  esistenza  assai  poco  felice,  tempestosa, 
ed  inasprita  dalle  memorie.  Sì,  io  anelo  sempre  all'  emancipazione  della  nostra 
terra  e  non  dubitate,  che  questa  vitaccia  sarebbe  onoratissima  dedicata  ancora, 


^^. 


/%  ^,       ^a/f  y^>^  y '^  i-Zf*  i<-iy^         :cit^/>  KJ>/a-  tx 


^>«^ 


l-^ec^-     ^  (' 


A-S^A-ì^t '^'l'-c^' — -Ci'^^.ijt^    -<:.»-x.     _--<?^' ^»  w<<vlè- <•  «!!^     ^ —  ci^^    <r^/'-t^ 


'^^i-t-»^      i^     ^>i'\a   t-*-ta>  ^r.~-    <:>    t?«j;>^it<»'»t^<f 


■*"'      ^-*-T-'r  *  ci>>.-«*,      £ 


^\ 


^Zh'—^^'^<<  <—      -^?'<^  r^^a.'t.^^A^  "t^^.- 


^^*-i 


t-«>t^»0 


.^/^^^^éii:^,^*-.»-'  -^  -M^izA^^^y 


'X^J'o^     A^      <*^-^!.<!'i»-'^»-^ 


.^ 


^  ^i  ^!-<^_    ^^i  cv^i'^i.-^O-i^'t-*/        £^£^ 


Zi^  ^-  .«^.«^^^^^è:^ 


.^ìL 


^^ 


»  A^t  >V-a!--ei--*'i,«. 


^>^<^  r^^  ^  -t 


^0-4>^^<::^ 


=<y:fr-.rtt-->-*^ 


>^' 


^-^  — 


-^ 


>^,i*<r^ 


?V  ^£t^       V^'^'fc 


^^^i 


^3,^  ^^  t^ 


Ì 


jb 


Lettera  di  Garibaldi  ad  Anita  che  lo  aveva  preceduto  in  Italia. 
Montevideo,    IO  marzo   1848.  (Vedi  pag.  6). 


NEL  CAMMINO  DELLA  GLORIA  13 

or  che  è  logora,  ad  una  causa  così  santa  ;  ma  gì'  italiani  di  oggi  più  alla  pancia 
che  air  anima  pensano,  ed  io  raccapriccio  alla  probabile  idea  di  non  maneg- 
giare più  un  ferro  od  un  fucile  a  prò  dell'  Italia.  »■  Parole  che  mostrano  tutto 
lo  sconforto,   che  in  quei  giorni  dominava  l' anima   del  grande  patriotta  ! 

Finalmente,  dopo  tante  peregrinazioni,  fece  vela  per  1'  Italia  su  di  una  nave 
americana  nominata  "  Commonwealth  ,,  passando  per  1'  Inghilterra.  Infatti,  nel- 
l'aprile del  * 54  è  a  Newcastel  on  Tyne  accolto  entusiasticamente.  Fu  iniziata 
una  pubblica  sottoscrizione  per  offrire  in  un  meeting  al  grande  campione  della 
libertà,  un  telescopio  ed  una  spada  di  onore  ;  ma  Garibaldi  volle  che  il  dono 
gli  fosse  offerto  senza  pubbliche  cerimonie.  L'  I  1  aprile,  a  bordo  del  "  Com- 
monwealth ,,,  una  deputazione  presentata  al  Generale  da  Joseph  Cowen,  jun.,  offrì 
il  telescopio  e  la  spada,  opera  quest'  ultima  dei  Messrs.  Heel  and  Son  di  Birmin- 
gham con  la  seguente  iscrizione  :  «  Presenled  to  General  Garibaldi  b})  the  people 
of  Tyneside,  friends  of  European  freedom.  Newcastel  on  Tyne,  aprii  1854». 

Prima  di  lasciare  l' Inghilterra,  Garibaldi  inviava  al  Cowen  la  seguente  bel- 
lissima lettera  rimasta  sconosciuta,  non  essendo  stata  riportata  dai  suoi  biogreifì. 
Ne  dò  la  traduzione  letterale  da  una  pubblicazione  inglese  del  tempo.  ' 

*  Ship  Commonwealth  »  Tynemouth,  12  aprile  1844. 

Mio  caro  Cowen, 

La  generosa  manifestazione  di  simpatia,  con  cui  sono  stato  onorato  da  voi  e  dai 
vostri  concittadini,  da  per  se  stessa  è  più  che  sufficiente  per  ricompensare  una  vita  del 
più  gran  merito.  Nato  ed  educato,  come  sono  stato,  per  la  causa  dell'umanità,  il  mio 
cuore  è  interamente  devoto  alla  libertà:  libertà  universale,  neizionale  «ora  e  sempre  ». 
{Queste  due  parole  nel  testo  inglese  sono  in  italiano  ).  L' Inghilterra  è  una  grande  e 
potente  Nazione,  che  non  ha  bisogno  di  aiuti,  all'  avanguardia  dell'  umano  progresso, 
nemica  del  dispotismo,  1'  unico  sicuro  rifugio  dell'  esule,  l' amica  degli  oppressi.  Ma 
se  un  giorno  1'  Inghilterra,  la  patria  vostra,  dovesse  trovarsi  in  circostanze  tali  da  richie- 
dere il  servizio  di  un  alleato,  maledetto  sia  quell'  Italiano,  che  non  si  metterà  avanti  con 
me  per  difenderla.  Il  vostro  governo  ha  dato  all'autocrate  uno  scacco  ed  agli  Austriaci 
una  lezione,  in  conseguenza  tutti  i  despoti  di  Europa  sono  contro  di  voi.  Se  in  qua- 
lunque tempo  r  Inghilterra  dovesse  aver  bisogno  del  mio  braccio  per  una  causa  giusta, 
io  sarò  sempre  pronto  a  sguainare  la  nobile  e  bella  spada,  che  ho  ricevuto  dalle  vostre 


'  V.  Vecchi  -  La  Mila  e  le  gesta  di  G.  Garibaldi,   1882,  pag.  %. 
'^  Francis  Young  and  W.  Slevens  -  Garibaldi  bis  life  and  limes,  London,  S.  O.  Beeton, 
248  Strand. 


14  NEL  CAMMINO  DELLA  GLORIA 

mani.  Siate  interprete  della  mia  gratitudine  presso  i  vostri  degni  concittadini.  Io  pro- 
fondamente mi  dolgo  di  dovervi  lasciare  senza  potervi  stringere  ancora  una  volta  la  mano. 
Arrivederci,  mio  caro  amico  ;  ma  non  addio  !  Fate  un  posto  per  me  nel  vostro  cuore. 

Vostro  sempre  e  poi  sempre 
G.  GARIBALDI 

PS.  -  Al  Rio  de  la  Piata  io  ho  combattuto  in  favore  degli  Inglesi  contro  la 
tirannia  di  Roxas. 

Intanto  i  sospetti  del  governo  piemontese  si  erano  dileguati.  Massimo 
D'Azeglio,  a  persona  che  s'  interessava  delia  sorte  di  Garibaldi,  aveva  scritto  la 
seguente  lettera  inedita  : 

Ill.mo  Signore, 

Ella  m' ha  domandato,  se  posto  il  caso  che  il  sig.  Garibaldi  divenisse  capitano 
di  un  legno  mercantile  potrebbe  liberamente  approdare  a  Genova  ed  esercitarvi  il  suo 
ufficio.  Mi  fo  un  pregio  di  risponderle,  che  il  Ministero  non  vi  trova  nessuna  obbie- 
zione. Mi  creda  con  tutta  stima. 

Dev.mo 

MASSIMO  D-  AZEGLIO 

Nel  '48  una  piccola  nave,  dal  nome  simbolico  "  Speranza  ,, ,  aveva  por- 
tato in  Italia,  dopo  1  4  anni  di  esilio,  il  proscritto  di  re  Carlo  Alberto,  1'  eroe 
di  Montevideo,  il  futuro  difensore  della  Repubblica  Romana;  nel '54  un' altra 
nave  dalla  libera  terra  di  America  la  "  Commonwealth  ,,  toccate  le  coste  della 
ospitale  Inghilterra  porta  in  Italia,  dopo  un  esilio  più  breve,  ma  ben  più  dolo- 
roso, il  proscritto  di  Re  Vittorio,  il  futuro  vincitore  di  Como  e  di  Varese,  colui 
che  sarà  il  duce  dei  Mille.  Diritto  sul  ponte,  la  testa  al  vento,  lo  sguardo  fìsso 
suir  orizzonte  lontano,  il  Liberatore  veleggia  verso  la  patria  non  ancora  redenta. 


* 


Ritornato  in  Italia  Garibaldi  passò  il  rimanente  del  '54  a  Nizza,  facendo 
frequenti  viaggi  m  Sardegna.  In  uno  di  questi  viaggi,  colpito  dalla  tempesta  nelle 
Bocche  di  S.  Bonifacio,  non  potendo  continuare  per  Porto  Torres,  fu  costretto  a 
rifugiarsi  nelle  coste  della  Maddalena.  Innamoratosi  di  quei  luoghi  cominciò  ad  acca- 
rezzare r  idea  di  acquistare  l' Isola  di  Caprera  con  i  risparmi  fatti  nei  suoi  ultimi 
viaggi  e  con  una  piccola  somma,  che  aveva  ereditato  dopo  la  morte  del  fratello  Felice. 


NEL  CAMMINO  DELLA  GLORIA  15 

« ET  ermo, 

Anelante,   cercai  sul  derelitto 
Lido  della  Sardegna  e  te  trovai 
Caprera  venturosa.   Oh  !   caro  scoglio, 
Refugio  amato  dal  mio  cuor,   qual  donna 
Amata  !   E  se  scordar  potessi  il  Mondo 
Tra  i  tuoi  dirupi,  nulla  più  vorrei 
Desiderar  su  questa  terra,  e  un  sasso 
Chiederti  del  superbo  tuo  granito 
Per  ricoprirmi!  ».' 

Il   29  dicembre  del    1855   stipulava  con    i    vari     proprietari    di    Caprera 
la  convenzione,  che  qui  vedesi  riprodotta  in  facsimile  dall'  autografo  di  Garibaldi. 


Autografo    della    convenzione    per    l'acquisto    di    Caprera    stipulata    fra    Garibaldi    ed    i    vari 
proprietari  dell'  Isola,  il  29  dicembre  1855. 

Ma  il  mare  era  sempre  la  grande  attrattiva  del  Generale,  e  desideroso  di 
compiere  grandi  viaggi  conseguì  in  quell'  anno  il  diploma  di  Capitano  di  lungo 


'  Garibaldi  -  Poema  autobiografico  etc,  canto  XVI,  pagg.   118-119. 


16  NEL  CAMMINO  DELLA  GLORIA 

corso,  che  qui  vedesi  riprodotto.  In  esso  è  da  rilevare  la  curiosa  omonimia 
fra  il  nostro  eroe  ed  il  Console  della  marina  di  Genova. 

Di  quei  giorni  è  infine  documento  commovente,  una  lettera  inedita  diretta  a 
Garibaldi  dall'eroico  Nino  Bixio.  Innamorato  anch'egli,  come  il  suo  Duce,  della 
vita  marinara,  Bixio  aveva  avuto,  verso  la  fine  del  1855,  il  comando  della  nave  a 
vela  "  Goffredo  Mameli  ,,  e  su  di  essa  s'imbarcò  da  Genova  per  lontani  lidi. 
Temperamento  di  vero  soldato,  coraggiosissimo  ed  impulsivo,  il  più  temuto  degli 
ufficiali  di  Garibaldi,  Bixio  fu,  negli  affetti  intimi,  di  una  tenerezza  veramente 
commovente!  Le  sue  lettere  dirette  alla  moglie  Adelaide,  pubblicate  dallo  Sciavo 
e  dairOxilia,  sono  piene  di  dolcezza  e  di  bontà  e  rivelano  nell'  uomo  che  le  scrisse 
una  seconda  personalità. 

Bixio  partiva  da  Genova  sposo  da  un  anno  e  padre  da  pochi  giorni. 

Nino  Bixio  a  Garibaldi. 

Genova,  27  novembre   1855. 
Mio  caro  Generale, 

Sono  al  momento  di  partire,  e  non  posso  partire  prima  di  mandare  un  saluto  a 

Lei,  che  io  tengo  il  migliore  di  tutti  noi  quanti  siamo.  Cenni  mi  ha  recato  le  sue  due 

lettere  per  Manilla  e  per  Canton,  nonché  la  lettera  per  me.  Lei  mi  ha  fatto  piangere  ; 

eppure  a  34  anni  non  sono  più  tanto  facile  al  pianto;  ma  lei    mi    dice  cose    che  mi 

toccano  al  vivo  ed  al  cuore.  Io  la  ringrazio,  come  so  meglio,  delle  parole  che  mi  dirige 

tuttoché    sappia  di  non  meritarle  ;  ma  farò    di    tenermi    sempre    alla    portata    di   poter 

meritare,  almeno  un  poco  della  sua  stima,  alla  quale  tengo  moltissimo.  Del  resto,  mi 

stia  bene,  mio  caro  Generale,  e  Dio  voglia,  che  presto  mi  faccia   mordere  le    labbra 

per  fatti,  che  io  non  potrò  presenziare  di  persona  che  a  tempo.  Mi  scusi  della  brevità 

della  mia  ultima  riga  da  Genova,  ma  sono  piuttosto  in  faccende  ;  e  poi  mi  si  serra  il 

cuore:    lascio  qui    la    mia    famiglia,  particolarmente  la  mia  bimba   e  mia    moglie,  che 

mi  spezzano  il  cuore. 

A  lei  di  cuore 

A  tergo  della  lettera:  NINO  BIXIO 

Al  Generale  Giuseppe  Garibaldi 

Nizza 


* 


Parte  dello  spazio  di  tempo,  che  va  dal  1855  al  1858  fu  da  Garibaldi 
trascorso,  facendo  brevi  viaggi  con  un  piccolo  cutter  chiamato  "  Emma  ,,,  compe- 
rato con  i  risparmi  fatti  sul  Pacifico,   e  che  gli    serviva    a  trasportare  la  legna 


,y^^^L^  '^/  '^^^^v.  //y^j^ 


'^^A.        C<\'f^      ^-^-^ti^!^ 


à 

I 


-«^1,— --::^»«-*fc-'is-»v_ 


^ 


<^    ^^^-r^^^ifcr-^j;^^  c^^^^-^^^c^;.^ 


^ 


A^^;^, j^^béj*^^^  ^  ^^..,  .v« ^^^t^"^- 


/  - 


•  J 


IV 'V... 


Lettera  di  Garibaldi  ad  Anita.  Roma,  21    giugno   1849.  (Vedi  pag.   7). 


NEL  CAMMINO  DELLA  GLORIA  17 

ricavata  dalle  macchie,  di  cui  era  inselvata  Caprera  e  che  il  Generale  vendeva 
agli  amici  del  continente.  Nel  mio  Archivio  sono  alcuni  fogli  del  giornale  di 
bordo  del  cutter  "  Emma  ,,,  nei  quali  oltre  alle  annotazioni  riguardanti  il 
vento,  il  tempo  etc.  si  trovano  scritte,  di  pugno  di  Garibaldi,  numerose  equazioni 
algebriche  e  problemi  di  trigonometria  sferica,  che  occupavano  la  mente  del 
Generale  nelle  ore  di  ozio  delle  traversate.  Ma  quasi  tutta  la  sua  attività  fu,  si 
può  dire,  in  quegli  anni  dedicata  ai  lavori  agricoli  e  pastorizi  di  Caprera. 

Veramente  interessanti  sono  i  registri  nei  quali  Garibaldi  annotava  di  suo 
pugno  con  grande  scrupolosità  le  spese  più  minute,  i  contratti  agrari  con  i  pastori 
dell'  isola  etc.   Da  questi  registri  riporto  qui  alcune  pagine. 

Giornale  pastorizie-agricolo  di  Garibaldi  (dall'  autografo). 

1858. 

Gennaio  —  Il  9  sono    giunti  i    pastori  :    Giovanni    Piluzzi   Pronto,    Narciso   nipote    e 

Francesco  figlio. 
Idem.   —   IO  si  consegnano  agli  stessi  : 

Bovi 2 

Vacche 27 

Capre 79 

Capretti 32 

Pecore 69 

Agnelli 30 

Vitelli 13 

Bovi  agricoli 2 

Vacchette 2 

Torito I 

Idem   14  —  Si  passò  contratto  e  si  stipularono  di  comune  accordo  le  seguenti  condizioni  : 

Condizione    1°  —   Il  pastore,  figlio  e  nipote,   sono  obbligati  a  servire  per  un  anno. 

Idem  2'  — ■  Egli  deve  aver  cura  di  quanti  animali  piace  a  Garibaldi  d' incaricarlo, 
mugnere  il  latte,  far  formaggi,  butirro,  ricotta,  cagliatto  e  difendere  i  luoghi  colti- 
vati dalle  aggressioni  bestiali,   sotto  pena  di  pagare  il  danno. 

Idem  3°  —  Nel  decorso  delle  giornate,  in  cui  egli  non  avrà  occupcizioni  pastorizie, 
si  occuperà  di  agricoltura,  far  muri,  infrascare  ed  infine  qualunque  cosa  gli  venga 
comandato. 

Idem  4"  —  Egli  ubbidirà  agli  ordini  di  Garibaldi  ed  alla  persona  dallo  stesso 
designata. 

CURÀTULO  2 


18  NEL  CAMMINO  DELLA  GLORIA 

Condizione  5'  —  Il  pastore  percepisce  il  quarto  di  qualunque  beneficio,  accrescimento 

di  animali  nati,  di  cui  è  incaricato,  latte,  formaggio,  butirro,  ricotte,  cagliatto  etc. 
Idem  6"  —  Garibaldi  si  obbliga  di  alloggiarli,  nutrirli,  e  vestirli. 
Idem  7"  —  Le    bestie    perdute    o    morte    saranno    a    carico  del  pastore    e    prelevate 

dalla  sua  quarta  parte. 
Idem  8'  —  Qualunque  oggetto  di  vendita  :  bestie,  formaggio  od  altro,  il  pastore  deve 

venderli  di  preferenza  a  Garibaldi. 
Idem  9°  —  Gli  oggetti  di  vestiario  da  somministrarsi  saranno  quelli  che   abbisognano 

alla  loro  classe  e  specificati  nell'articolo   !  I . 
Idem   10'  —  Gli  alimenti  saranno  pane,  un  mogio  per  settimana    ciascuno,  e  latte  la 

loro  quarta  parte  e  carne  di  capra,  quando  piaccia  a  Garibaldi  darla. 
Idem   11"  —  Il  vestiario  d'obbligo  sarà  per  un  anno. 

1858  -  Somministrato  : 

Un  pantalone  di  panno  usato. 

Un  calzone  di  tela,  un  paio  di  scarpe  usate. 

Una  pentola,  tre  piatti. 

Un  calzone  di  tela. 

Un  pantalone  buono  ed  una  camicia  buona. 

Un  paio  scarpe  nuove. 

Due  camicie. 

Cessa  Piluzzi  e  suo  figlio  di  servire. 

Narciso  continua  colla  cura  delle  pecore. 

Narciso  riceve  due  camicie  di  colore. 

Riceve  due  calzoni. 

In  altri  quaderni  sono  scritte,  sempre  di  pugno  di  Garibaldi,  le  diverse  regole 
per  innestare,  per  trapiantare,  per  semmare  l' erba  medica,  le  canne  da  zuc- 
chero etc,  e  subito  dopo  nella  sua  calligrafìa  nitida,  come  quella  di  una  fan- 
ciulla, si  leggono  i  conti  del  grano  seminato,  quelli  dei  formaggi,  delle  patate, 
del  baccalà;   perfino  si  vede  segnato  il  soldo  dei  zolfanelli  comprati. 


* 
*    * 


Amo  chiudere  questo  capitolo,  che  comprende  documenti  garibaldini  storici 
ed  umani,  pubblicando  un  altro  prezioso  ed  importante  documento  storico  di  quel 
tempo.  E  il  passaporto  rilasciato  il  3 1  gennaio  1 856  a  Garibaldi,  sotto  il 
falso  nome  di  Joseph  Pane  dal  Console  francese  residente  in  Nizza,  passaporto 


Gennaio 

12 

Idem  .  . 

14 

Idem  .  . 

14 

Idem  .  . 

16 

Idem  .  . 

23 

Febbraio 

7 

Idem  .  . 

1 

Idem  .  . 

20 

Idem  .   . 

20 

Idem  .  . 

20 

Idem  .  . 

28 

NEL  CAMMINO  DELLA  GLORIA  19 

per  mezzo  del  quale  il  Generale,  traversando  la  Francia,  doveva  recarsi  a  Londra, 
prendere  il  comando  di  un  legno  a  vela  acquistato  da  Antonio  Panizzi,  allo 
scopo  di  far  evadere  dall'ergastolo  di  Santo  Stefano  Luigi  Settembrini,  Silvio 
Spaventa  ed  altri  insigni  patriotti,  ivi  rinchiusi  dal  Borbone.  Progetto,  come 
è  noto,  che  non  potè  essere  messo  in  esecuzione,  perchè  la  nave  a  quello 
scopo  destinata  e  che  si  chiamava  "  Isle  of  Thanet  ,,  si  era  naufragata  sulle 
coste  dell'  Inghilterra.  '  il  documento,  come  si  vede  dal  facsimile  che  ne  dò, 
porta  la  firma  di  Joseph  Pane  in  autografo  di  Garibaldi. 


'  Interessanti  particolari  si  trovano  sul  proposito  nella  recente  pubblicazione  :  The  birlh 
of  modem  Italy  -  Posthumous  papers  of  Jessie  White  Mario,  edited  whith  an  introduction 
by  the  Duke  Litta- Visconti-Arese.  London.  T.  Fisher  Unwin,   1909,  pagg.  255-256. 


CAPITOLO  II. 


LA   CAMICIA   ROSSA 
NEL   CAMPO   UFFICIALE   DELLA  GUERRA. 

(IL  '59) 


Ìl.ra  scritto  nel  libro  del  destino,  che  1'  indipendenza  d' Italia  doveva  com- 
piersi per  opera  di  popolo  e  sulla  terra  di  Dante,  abbeverata  dal  sangue  di 
mille  martiri,  il  fato,  nell'umile  marinaio  di  Nizza,  aveva  prescelto  1'  uomo  che 
doveva  guidare  il  popolo  nella  sublime  impresa  della  redenzione  della  patria. 
Che  cosa  potevano  valere,  adunque,  le  condanne  e  gli  esili  inflitti  da  Re,  le 
paure  o  le  diffidenze  di  Ministri  ? 

Dieci  lunghi  anni  erano  trascorsi  da  quel  placido  mattino  di  luglio  del  1 848, 
e  già  il  sole  della  libertà  cominciava  a  spuntare  sull'orizzonte  lontano.  Gli  eventi, 
per  l'arte  eccelsa  di  un  diplomatico  e  statista  e  per  virtù  di  un  re,  si  erano 
mutati.  Il  26  agosto  1858  Giorgio  Pallavicino,  il  martire  dello  Spielberg,  scriveva 
da  Torino  a  Felice  Foresti  una  lettera  ancora  inedita,  che  comincia  così  :  'Dira/ 
al  nostro  Garibaldi  che  Cavour  gli  vuol  parlare  e  che  uno  di  questi  giorni  lo 
aspetta  alle  ore  6  del  mattino. 

Camillo  Benso  di  Cavour,  la  più  alta  mente  politica  di  quel  tempo,  chia- 
mava a  segreto  convegno  l'uomo  della  rivoluzione,  il  quale  tornato  dall'  esilio 
aveva  scelto  a  dimora  le  roccie  granitiche  di  una  piccola  isola  ed  accettava  la 
spada,  che  questi  novellamente  offriva  per  la  indipendenza  della  patria.  In  quel 
convegno  Popolo  e  Re  si  davano  la  mano  ;  la  camicia  rossa  entrava  nel  campo 
ufficiale  dell'azione  e  le  vittorie  garibaldine  del  '59,  sulle  pianure  lombarde, 
preparavano  i  fasti  gloriosi  di  Calatafimi  e  di   Palermo  ! 

Che  se,  in  verità,  l'alleanza  con  la  Francia  segna  l'alba  della  redenzione 
della  patria,  un'altra  alleanza  non  meno  memorabile,  che  decise  dei  destini 
d' Italia,  si  compiva  nel  '59  :  il  patto  fra  il  Popolo  e  la  casa  di  Savoia,  fra 
Garibaldi  e  Vittorio  Emanuele.   Vero  è,   che  le  sfere  gallonate  guardarono  con 


22  LA  CAMICIA  ROSSA 


diffidenza  l' ingresso  delle  camicie  rosse  nel  campo  ufficiale  della  guerra  ;  che 
il  conte  Cavour,  per  non  dare  sospetti  alla  diplomazia,  voleva  che  Garibaldi 
facesse  capolino,  comparisse  e  non  comparisse  ;  vero  è,  che  il  primo  Mini- 
stro di  Re  Vittorio  molto  diffidava  del  difensore  della  Repubblica  Romana, 
dell'uomo  che  tanto  fascino  esercitava  sul  popolo  ;  ma  che  importa  ?  Lascio  ad 
altri  l'andar  sofisticando,  se  Cavour  siasi  servilo  nel  '59  dell'istituzione  del  Corpo 
dei  Cacciatori  delle  Alpi  come  uno  strumento  della  sua  politica  o  come  un  mezzo 
di  provocazione  contro  l'Austria  !  La  pagina  di  storia,  che  grandemente  onora  il 
patriottismo  della  camicia  rossa  ;  il  documento  pensato  e  scritto  dal  sommo 
diplomatico,  che  rimane  scolpito  nel  bronzo  della  Storia  è  quello,  che  egli  inviava 
a  Garibaldi  il  17  marzo  del '59,  e  che  oggi  vede  la  luce  in  tutta  la  sua 
integrità  dall'originale,  esistente  nel  mio  Archivio. 


Cavour  a  Garibaldi. 

MINISTERO  DELL- INTERNO  Torino,  addì   17  marzo,    1859. 


Il  Governo  del  Re  ha  accolto  con  soddisfazione  la  spontanea  offerta  fatta  dalla 
S.  V.  nelle  supreme  circostanze  in  cui  versa  il  paese.  Esso  è  persuaso,  che  il  saldo 
valore  e  la  provata  abilità  della  S.  V.  nelle  fazioni  di  Guerra  saranno  per  riuscire 
assai  utili  alla  Patria,  quando  il  momento  sarà  venuto  di  combattere  per  il  suo  onore 
e  per  la  sua  indipendenza. 

E  volendo  sin  da  ora  dare  alla  S.  V.  una  non  dubbia  testimonianza  della  confi- 
denza, che  in  Lei  ripone,  ha  determinato  di  affidarle  il  Comando  del  Corpo  di 
volontari,  che  si  sta  formando  nella  città  di  Cuneo. 

Il  Governo  confida,  che  l' esperienza  e  1'  abilità  del  Capo  che  destina  a  questo 
Corpo,  e  r  energica  disciplina,  che  egli  seppe  ovunque  mantenere  nell'  esercizio  del 
Comando,  suppliranno  all'  incompleta  istruzione  militare  e  al  difetto  di  coesione,  che 
accompagnano  i  corpi  di  nuova  formazione,  per  quanto  grande  sia  la  buona  volontà 
dei  singoli  membri,  che  li  compongono,  e  che  potrà  rendere  all'  evenienza  utili  servizi 
all'  Esercito  del  quale  sarà  un  aggregato. 

Alle  considerazioni,  che  saranno  facilmente  apprezzate  dal  senno  della  S.  V. 
costringono  il  Governo  del  Re  a  fare  per  il  momento  un  oggetto  affatto  confidenziale 
di  questa  comunicazione.  Ma  egli  non  ha  voluto  più  a  lungo  ritardare  di  manifestarle 
il  conio  in  cui  tiene  V  offerta  degli  utili  servizi  della  S.    V. 

C.  CAVOUR 

Al  signor  Generale 

Giuseppe  Garibaldi. 


NEL  CAMPO  UFFICIALE  DELLA  GUERRA  23 

Lo  stesso  giorno  in  cui  il  primo  Ministro  di  Re  Vittorio  scriveva  questa 
memorabile  lettera,  il  condannato  alla  pena  di  morte  ignominiosa  da  Carlo 
Alberto,  il  difensore  della  Repubblica  Romana,  1'  uomo  della  rivoluzione,  veniva 
nominato  Maggior  Generale  dell'  esercito  piemontese.  E  1'  eroe  rispondeva  con 
le  note  parole  :  «  //  Governo  del  re,  dandomi  cosi  onorevole  prova  di  fiducia, 
ha  acquistato  il  diritto  alla  mia  riconoscenza  ed  io  sarò  felice,  se  la  mia  condotta 
potrà  rispondere  alla  buona  volontà,   che  ho  di  ben  servire  il  Re  e  la  Patria  ». 


* 


Quanto  dovette  gioire  l*  anima  di  Garibaldi,  che  dopo  tanti  anni  di 
amarezze  vedeva  realizzato  il  suo  sogno,  è  facile  immaginare!  La  sua  devozione 
giammai  servile,  ma  sempre  leale  verso  Vittorio  Emanuele  ebbe,  ben  si  può  dire, 
inizio  in  quei  giorni  memorandi.  «  Io  bacerò  piangendo,  scriveva,  la  mano  che 
ci  solleva  dall'  avvilimento  e  dalla  miseria  »  ;  e  non  si  stancava  di  raccomandare 
una  Dittatura  Regia,   e  che  Vittorio  si  fosse  messo  alla  testa  dell'  esercito. 

Ben  s'  ingannano,  io  penso,  coloro  i  quali  affermano,  che  a  Garibaldi 
mancasse  il  senno  dell'  uomo  politico.  Cuore  aperto  ad  ogni  idea  generosa, 
uomo  di  fatti  e  non  di  parole,  egli  pensava,  è  vero,  che  tutte  le  quistioni 
potessero  e  dovessero  risolversi  con  la  spada,  ed  a  lui  mancò  certamente  l'arte 
dei  raggiri  del  diplomatico,  come  della  parola  egli  non  usò  mai,  se  non  per 
esprimere  il  proprio  pensiero.  Ma  Garibaldi  ebbe  fin  da  principio,  davanti  agli 
occhi  della  mente,  insieme  alla  sublime  visione  dell'indipendenza  e  dell'  unità 
della  patria,  la  sola  via,  l'unica  via,  che  poteva  condurre  alla  meta,  l'alleanza 
fra  il  Popolo  e  la  Monarchia.  Fu  questo  suo  convincimento,  senza  del  quale 
r  Italia  non  si  sarebbe  fatta,  che  gli  fece  sacrificare  sull'  altare  della  Patria  la 
sua  fede  di  repubblicano.  Né  valsero  a  farlo  deviare,  per  un  solo  momento, 
da  quel  sacro  programma  le  disillusioni  patite,  le  ingratitudini,  né  le  acri  ram- 
pogne dei  repubblicani  dottrinari,  che  non  gli  risparmiarono  accuse.  «  Circa 
alle  suggestioni  che  potrebbero  venire  da  quei  di  Londra  (Mazzini),  state 
pur  tranquillo,  scriveva  il  30  gennaio  del  '59  al  La  Farina,  io  sono  corrobo- 
rato nello  spirito  del  sacro  programma,  che  ci  siamo  proposti,  da  non  temere 
crollo  o  retrocedere,   né  davanti  ad  uomini,   né   davanti  a  considerazioni  ». 

Quale  si  fosse  il  programma  di  Garibaldi  lo  dice  il  seguente  prezioso 
autografo  inedito,  da  lui  vergato  fra  il  1855  ed  il  '56  con  quell'olimpica 
semplicità  e  chiaroveggenza,   che  sono  le  qualità  degli  esseri  predestinati. 


24  LA  CAMICIA  ROSSA 


Programma  italiano  (dall'  autografo  di  Garibaldi). 

Bisogna  fare  un'  Italia  avanti  tutto. 

L'  Italia  è  composta  oggi  dagli  elementi  seguenti  :  Piemonte,  Repubblicani, 
Murattisti,  Borbonici,  Papisti,  Toscani,  ed  altri  piccoli  elementi,  che  benché  vicini  al 
nulla  non  mancano  di  nuocere  all'  unificazione  Nazionale.  Tutti  questi  elementi  debbono 
amalgamarsi  al  più  forte  o  essere  distrutti  ;  non  e'  è  via  di  mezzo.  Il  piìi  forte  degli 
elementi  Italiani  lo  credo  il  Piemonte  e  consiglio  di  amalgamarsi  a  lui.  Il  potere  che 
deve  dirigere  l' Italia,  nell'  ardua  emancipazione  dal  giogo  straniero,  deve  essere  rigo- 
rosamente dittatorio. 

Il  programma  di  Garibaldi  è  quello  della  triade  gloriosa  di  quei  giorni,  con 
Daniele  Manin  e  Giorgio  Pallavicino.  Il  15  settembre  1855  Manin  aveva  fatto 
la  seguente  dichiarazione  : 

«  Fidèle  à  mon  drapeau  —  indépendance  et  unification  —  je 
repousse  tout  ce  qui  s' en  écarte.  Si  l' Italie  régénérée  doit  aooir  un  roi  ce  ne 
doii  étre  qu*  un  seul,  et  ce  ne  peut  étre  que  le  roi  de  Piémont  »,  ed  il 
20  maggio  1857  il  martire  dello  Spielberg  scriveva  a  Manin:  «  La  solenne 
adesione  di  Garibaldi  ai  nostri  principii  è  un  fatto  immenso  ».  Più  tardi  Pallavi- 
cino, che  combatteva  a  tutta  oltranza  il  municipalismo  piemontese  capitanato  dal 
conte  di  Cavour,  a  Garibaldi,  che  gli  aveva  raccomandato  il  prode  compagno 
d' armi  Cenni,   scriveva  la  seguente  lettera  inedita. 


Giorgio  Pallavicino  a  Garibaldi. 

Torino,  5  marzo   1858. 
Carissimo  amico. 

Tempo  fa  raccomandai  il  Sig.  Cenni  ai  Ministri  :  con  qual  risultamento  voi  lo 
sapete.  Ora  l'  ho  raccomandato  all'  Intendente  di  Genova,  ma  con  poca  speranza  di 
vedere  accolta  la  mia  raccomandazione.  Il  Governo  mal  consigliato  e  mal  servito, 
commette  in  questa  congiuntura  spropositi  imperdonabili.  Ma  gli  spropositi  del  Governo 
non  debbono  sconfortare  i  veri  patriotti.  I  quali  sapranno  fare  V  Italia,  spalleggiando 
il  Re  o  combattendolo,  secondo  gli  atti  dei  suoi  Ministri.  Intanto  è  utile,  necessario, 
indispensabile,  1'  organare  una  forza,  che  possa  in  circostanze  favorevoli  abbattere  gli 
ostacoli,  che  attraversano  la  nostra  via.  Questa  forza  noi  1'  avremo,  quando  300  mila 
italiani,  atti  alle  armi,  avranno  aderito  al  nostro  programma.  Io  sono  tutto  vostro 

GIORGIO  P.ALLAVICINO 


NEL  CAMPO  UFFICIALE  DELLA  GUERRA  25 


* 


Le  vittorie  garibaldine  sui  campi  lombardi  sono  consacrate  nelle  pagine 
della  storia  ed  il  decreto,  che  conferisce  a  Garibaldi  la  medaglia  d'  oro  per 
le  prove  d' intrepidezza  e  di  bravura  rìei  combattimenti  contro  gli  Austriaci, 
che  qui  si  vede  riprodotto  dall'  originale,  è  documento,  che  oggi  non  si  può 
avere  sott*  occhi    senza    sentirsi  invasi  da  un  sentimento   d'  intima    commozione. 

L' entusiasmo  di  quei  giorni  era  grande  in  tutti  i  cuori.  Massimo  d'Azeglio, 
due  giorni  dopo  la  battaglia  di  Magenta,  scriveva  ad  un  suo  amico  la  seguente 
lettera  inedita,  che  tolgo  pure  dal  mio  Archivio  e  che  mi  pare  sia  degna  di 
essere  conosciuta  per  le  allusioni  che  vi  si  contengono. 

Massimo  d'Azeglio  ad  un  suo  amico. 

6  giugno  1859. 
Caro  Magnelio, 

La  ringrazio  dell'  informazione,  che  m' ha  data.  La  considero  come  una  nuova 
prova  di  amicizia.  Ma  stia  pur  queto,  che  ho  ancora  V  odorato  fino  e  sento  gV  imbrogli 
e  gl'imbroglioni  a  dieci  miglia.  Perciò  non  c'era  pericolo,  che  mi  lasciassi  cogliere 
nel  vespajo,  che  mi  indica. 

Le  cose  canno  di  galoppo  e  benissimo.  Già  saprà  le  nuove,  ma  al  caso  del  no, 
gliele  dico.  Gran  vittoria  a  Magenta:  15000  fuor  di  combattimento,  5000  prigioni, 
40  pezzi  presi.  Sospensione  d'  armi  chiesta  dagli  Austriaci  per  seppellire  i  morti  negata. 
Milano  e  il  Castello  evacuato.  A  chi  arriva  prima  all'  Adda,  ora. 

Credo  che  presto  ci  rivedremo,  ma  non  per  quel  che  suppone. 

Suo  di  cuore 
MASSIMO  D-  AZEGLIO 

La  pace  di  Villafranca,  che  dai  più  era  stata  considerata  una  sventura, 
non  fu  ritenuta  tale  da  Garibaldi.  La  continuazione  della  guerra  avrebbe  forse 
condotto  alla  liberazione  della  Venezia  ;  ma  a  qual  prezzo  ?  ed  il  predominio 
francese  non  avrebbe  avuto  limiti!  Il  sogno  di  Napoleone  Ili,  di  una  Confede- 
razione itahana  con  a  capo  il  Pontefice,  sarebbe  forse  divenuto  realtà.  Garibaldi 
vedeva,   che  era  verso  l' Italia  centrale,  che  bisognava  ora  volgere   lo  sguardo, 


26 


LA  CAMICIA  ROSSA 


profittando  del  movimento,  che  vi  si  era  iniziato;  e  Giuseppe  Mazzini,  con  l'accento 
del  profeta,  tuonava  da  Londra:    «  Al  Centro,  al  Centro,  mirando  al  Sud  ». 

Verso  la  metà  di  agosto,  per  ispirazione  del  Farini,  i  quattro  nuovi  Stati 
di  Toscana,  Romagna,  Modena  e  Parma  avevano  concluso  una  lega  militare. 
Garibaldi  accolse,  festante,  l' invito  che  gli  fece  il  Ricasoli,  per  mezzo  del 
Malenchini,  di  mettersi  al  comando  dell'  esercito  toscano  ed  il  23  luglio  lanciò 
il  noto  proclama,  ispirato  ai  sentimenti  più  alti  dell'  amor  per  la  patria,  che 
terminava  così  :  «  Non  dimenticate  sopratutto,  qualunque  sia  1'  intenzione  della 
diplomazia  Europea  sulle  nostre  sorti,  che  non  dobbiamo  staccarci  dal  sacro 
programma:  Italia  e    Vittorio  Emanuele  ». 

Il  generale  Manfredo  Fanti,  nominato  Capo  militare  dell'  esercito,  ripartiva 
le  truppe  in  tre  divisioni,  comandate  rispettivamente  da  Roselli,  Mezzacapo  e 
Garibaldi.  Quest'  ultimo  fu  nominato  Comandante  in  secondo  dell'  esercito  della 
Lega  e  dopo  di  aver  chiesto  di  esser  dispensato  dal  comando  del  corpo  dei 
Cacciatori  delle  Alpi .  il  30  agosto  partiva  per  Modena ,  dove  si  trovava  il 
Quartiere  Generale  della  sua  Divisione.  Di  là,  nei  primi  di  ottobre,  lanciò  la 
patriottica  iniziativa  di  una  sottoscrizione  nazionale  per  un  milione  di  fucili,  accolta 
con  entusiasmo  ovunque. 

E  di  questi  giorni  la  seguente  lettera  inedita,  diretta  al  Pinzi  : 

Garibaldi  a  Giuseppe  Finzi. 


ESERCITO    ITALIANO 
UNDECIMA  DIVISIONE 


Quartiere  Generale  di  Bologna,    11-10- '59. 


GENERALE  COMANDANTE 
o 


Siimatissimo  e  carissimo  Amico, 


Io  devo  una  parola  di  affetto  e  di  gratitudine  per  i  sensi  gentili  prodigatimi,  per 
il  favore  con  cui  accettaste  l' idea  patriottica  del  «  Milione  di  fucili  » .  Io  non  aspettavo 
meno  dal  generoso  patriottismo  vostro,  a  me  noto  da  molto  tempo.  Io  devo  pure 
un  cenno  di  plauso  e  di  gratitudine  ai  cari  vostri  concittadini,  il  di  cui  ardore,  nel- 
r  accettare  la  sottoscrizione  da  me  iniziata,  è  certamente  augurio  felice  alla  bella, 
sublime  causa  da  noi  propugnata.  Io  sarei  fortunato,  se  in  qualunque  occasione  voleste 
comandarmi.  Sono  con  vero  affetto 

Vostro 
G.  GARIBALDI 


NEL  CAMPO  UFFICIALE  DELLA  GUERRA  27 


* 

■     * 


11  dissidio  sorto  fra  il  Fanti  e  Garibaldi  e  fra  questi  ed  il  Farini,  non 
sarebbe  avvenuto  (in  questo  tutti  concordano),  se  il  comando  supremo  dell'  esercito 
della  Lega  fosse  stato  dato  ad  un  uomo  soltanto,  al  Garibaldi.  Le  istruzioni 
emanate  da  principio  dal  Fanti  in  senso  molto  liberale,  riguardo  all'  invasione 
delle  Marche,  e  poi  ritirate  ;  1'  atteggiamento  del  Farini  prima  benevolo,  poi  ostile 
verso  Garibaldi  ;  la  presenza  a  Bologna  del  Cipriani,  persona  interamente  ligia 
a  Napoleone  ;  le  influenze  che  si  esercitarono  sulla  persona  del  re  ed  infine 
gli  intrighi  del  La  Farina,  mandato  da  Cavour  (come  poi  nell'  anno  seguente 
a  Palermo)  per  sorvegliare,  ruppero  quell'  armonia,  che  era  regnata  nei  primi 
tempi  neir  Italia  centrale.  Garibaldi,  messo  al  confine,  lo  avrebbe  certamente 
passato,  se  ordini  perentori  del  Fanti,  arrivati  all'  ultima  ora,  non  l' avessero 
impedito. 

Che  Vittorio  Emanuele,  nel  colloquio  avuto  con  Garibaldi,  il  27  ottobre  a 
Torino,  gli  avesse  dato  il  tacito  consenso  di  fare,  non  è  a  dubitare.  Ma  1'  audacia 
del  re  cospiratore,  più  che  dalla  responsabilità  del  manto  regale,  fu  vinta  dalle 
influenze,  che  su  di  lui  si  esercitarono.  La  lettera  del  re  diretta  al  Fanti  il 
29  ottobre  è  documento  abbastanza  significativo  ;  essa  è  nota,  ma  è  bene  qui 
trascriverla,  garentendone  l' assoluta  identicità  al  testo  originale  : 

Torino,  29  ottobre   1859. 
Caro  Generale, 

Temo  che  dall'  Italia  Centrale  vada  a  seguirsi    qualche    fatto,  che    turbi  lo    stato 

attuale  delle  cose.  Ho  gran  motivo  di  convincermi,  che  si  tolga  a  lei  ed  a  Garibaldi 

il  comando  delle  truppe  ;  in  questa  condizione  di  cose  credo,  che  sarebbe  meglio  che 

Lei  dia  le  sue  dimissioni  e  ritorni  qui  ;  suggerisca  la  stessa  determinazione  a  Garibaldi 

e  qualora  esso  si  rifiutasse  lasci  a  lui  la  responsabilità  di  quel  che  sarà  per  succedere. 

Arrivederla  fra  breve. 

VITTORIO  EMANUELE 

il  documento,  per  chi  vuol  leggere  fra  le  linee,  è  nella  sua  parte  finale 
abbastanza  significativo.  Il  re  non  poteva,  e  se  ne  comprende  facilmente  la  ragione, 
assumere  la  responsabilità  degli  avvenimenti,  che  si  andavano  maturando,  come 
non  volle  assumerla  I'  anno  seguente  per  la  spedizione  di  Sicilia.  Egli  sapeva  sin 
da  principio,  che  Garibaldi,  messo  al  confine,   non  era  uomo  da  starsene  con  le 


28  LA  CAMICIA  ROSSA 


mani  alla  cintola  e  se  Vittorio  Emanuele,  costretto  da  fatti  nuovi,  consigliava 
ora  il  Fanti  di  dire  a  Garibaldi  di  dimettersi,  ciò  era  per  salvare  le  apparenze  ; 
ma  intanto  lo  lasciava  libero  di  fare,  e  certo  sarebbe  stato  lieto,  se  Garibaldi 
avesse  operato.  Grandi  influenze  senza  dubbio  avevano  agito  sull'  animo  del  re  non 
solo  da  parte  di  Napoleone,  ma  anche  da  parte  di  Cavour  ;  il  quale,  sebbene  in 
quel  momento  lontano  dal  potere,  pure  ne  reggeva  sempre  le  fila.  Il  1  2  novembre 
da  Leri  egli  scriveva  al  Rattazzi  :  unico  mezzo  per  soffocare  ogni  discordia 
essere  quella  d'invitare  tosto  Garibaldi  a  deporre  il  Comando.  Due  giorni 
dopo  il  Re  chiamava  Garibaldi  a  Torino  ed  in  seguito  ad  un  lungo  colloquio, 
questi  rassegnava  le  sue  dimissioni,  lanciando  il  famoso  proclama  «  Agli  Italiani  * 
riboccante  d' ira  e  di  sdegno,  onde  1'  Eroe  non  immemore,  due  anni  dopo  can- 
tava sulla  sua  cetra  rosseggiante  di  sangue  : 

«  Vaga  lontano,   avventurier,  le  sponde 
Non  varcherai  del  Rubicone.   I   Regi 
Te  1  vietan,   consci  che  di  libertade 
Ferve  l' anima  tua.   Un  simulacro 
Voglion  di  quella  ad  abbagliar  le  plebi 
E  a  te  non  fldan  ».  ' 

Che  infine,  la  missione  di  Garibaldi,  quando  partì  per  l' Italia  centrale  si 
fosse  quella  di  agire  ;  che  essa  non  fosse  un  mistero  od  una  delle  solite  audacie 
dell'  eroe,  lo  prova  la  lettera  inedita  direttagli  dal  Generale  Cialdini  al  momento 
della  partenza. 

Enrico  Cialdini  a  Garibaldi. 

COMANDO    GENERALE 

DELLA  QUARTA  DIVISIONE  Caslenedolo,  26  agosto   1859. 


ile  ed 


amico, 


Permettete  che  io  vi  mandi  un  saluto  dal  cuore  ed  un  augurio.  Mi  dolse  di 
sapervi  partito  senza  avervi  dato  una  stretta  di  mano  e  volli  rimediarvi  in  parte  scri- 
vendovi queste  poche  righe.  Abbiate  salute  e  fortuna  e  non  dimenticate  ne  per  tempo 

ne  per  casi 

il  Vostro  affezionatissimo 

ENRICO  CIALDINI 

'  Garibaldi  -  Poema  autobiografico,  canto  XVll,  pag.    144. 


HCilicias  navales  de  la  Repùblica. 


TBRCIO  DE  LIMA. 


FARTlDODELCÀllAO. 


^1,  Qt^ll^&l  $1  IS^l  SllllQ 

•S'  COm^KBAmrS  P^aUVCIFAkXi  9S3L  SCUCIO  STAVAi 

a>£  £IOSA. 


FlIilAC10]%'. 

Estatura    ^^^^^-z^ — -- 
Edad      'HJì  Ct^ut-*^ 
Eslado    ^^-^/^-ro 
Color     i^/of^i^^-^ 
Cara       /i^a^f-t^  /£.*t^^ 
Ojos     ^^^t.^-^ — ' 
ÌHariz 
Boca  ^""^r^y 

oa 
Sefktl^s  particulares. 


^^^>^c^  ^^  ^^^Z^ 


CERTIFICA:  %^   «^^^j.^^^^^j^^^-^^  '    ^.ifc^f;*-,^^-^^ 

t^       _ 

para  e'i  servìcio  del  Eslado   en  el  ejercìcio  de  su 

prof'esion  en  los  Bajeles  de  Guerra  y  Arsenales,  se 

P»' esenterà  sieinpre  que  sea  ìlamado  el  efeclo  ;  ea 

cuya  '«ritt44iebe  gozar  del  fuero  y  privilejios  que  as 

orÀenanzas  jenerales  de  la  armada  y  de  matriculas 

roncedenàlosdesuclase,quedandopreyenidodepre- 

senlarsearefrendar  està  malricula  cada  tresraeses, 
sin  cavo  requisito  no  le  sera  vàlida  ,  y  queda  ins- 
criplo  su  nombre  en  el  libro  de  inalriculasde  ma- 
fina  con  su  coriespond.enie  filiac.on  en  el  tolio 

N  o ^asienlo  IS  ? y  de  conformidad  con  el 

Supremo  Decreto  de  5  de  Agosto  de  1840,  se  le ex- 
pide  la  presente  enei  Callao,  à  ^^e   ^^2^y^ 
dei8f/ 


Diploma  di  Pilota  in  2'  di  Altura  rilasciato  a   Garibaldi  dal  Capitano  del  Porto  di  Callao  (Perù) 

il  30  ottobre  1851.   (Vedi  pag.   10) 


NEL  CAMPO  UFFICIALE  DELLA  GUERRA  29 


* 

*     * 


Gli  avvenimenti  che  si  seguirono  sullo  scorcio  del  '59  ruppero  per  sempre 
i  buoni  rapporti,  che  prima  erano  esistiti  fra  Fanti  e  Garibaldi  e  prepararono  le 
ostilità  del  futuro  Ministro  della  Guerra  del  1  860  verso  le  camicie  rosse  durante 
e  dopo  la  campagna  di  Sicilia. 

Per  la  storia  di  quei  giorni  sono  importanti  le  seguenti  lettere  inedite  di 
Fabrizi,  Bertani  e  Bargoni  a  Salvatore  Calvino. 

Nicola  Fabrizi,  il  grande  patriota,  si  trovava  nell'  estate  del  '59  in 
Modena,  sua  patria.  Mente  equilibrata,  non  dominato  da  idee  dottrinarie, 
Fabrizi  vagliava  uomini  e  cose  con  serenità  di  giudizio.  Lo  stesso  non  si  può 
dire  di  Agostino  Bertani,  in  cui  lo  spirito  di  parte  faceva  spesso  velo  agli 
occhi  della  mente.  Fra  i  due  stava  Angelo  Bargoni,  che  fu  nel  '60  Segretario 
del  prodittatore  Mordini  a  Palermo  ;  ma  appunto,  perchè  diverso  era  il  tem- 
peramento degli  uomini ,  che  queste  lettere  scrivevano ,  il  loro  apprezzamento 
riesce  più  utile  per  illustrare  il  momento  storico  di  cui  parliamo.  Degna  altresì  di 
essere  conosciuta  è  una  lettera,  che  Fabrizi,  ritornato  in  Malta,  scriveva  al 
generale  Ribotti. 

Nicola  Fabrizi  a  Salvatore  Calvino. 

Modena,  25  agosto    1859. 
Carissimo  amico, 

Scrivo  a  voi  e  non  al  Generale  (Ribolli),  perchè  so  che  egli  guarda  le  mie  lettere 
in  prospettiva  e  voi  avete  la  pazienza  di  leggerle  ed  indovinarle.  Non  replicai  una 
visita  alla  Mirandola  per  una  serie  d'incidenti,  che  me  ne  sconsigliarono.  La  prima  è 
che  la  precedente  mia  visita,  nella  malignità  ignorante,  ebbe  un'  interpretazione  poco 
conveniente.  Si  dice  che  faceva  propaganda  tra  ufEciali  e  soldati  e  ciò  fu  riferito  all'In- 
tendenza, così  intelligente  essa  stessa  per  farne  oggetto  d' indagini.  Propaganda  di  che? 
Non  sanno  neanche  adattare  le  calunnie  alla  natura  e  alla  condizione  degli  individui  ! 
Recarmi  a  simili  inopportune  missioni,  dove  comanda  un  mio  amico  (Ribolli)  oltre 
tutto,  è  suppormi,  stando  amichevolmente  al  suo  fianco,  capace  della  magoior  inde- 
licatezza. Poi,  non  so  farmi  idea  di  che  cosa  possa  farsi  propaganda  alla  Mirandola, 
se  non  fosse  per  qualche  pretendente,  che  si  costituisse  erede  dei  Pico. 

Però,  i  nostri  amici,  con  inopportunità  ed  improntitudine,  burlano  se  stessi  e  chi 
ha  nome  di  loro  amico.  Non  vogliono  intendere,  che  nella  fase  attuale  occorre  tenerci 
in  disparte  ed  opachi  dal  lato  politico.   Noi    abbiamo    avuto    un    allarme    di    sospetti. 


30  LA  CAMICIA  ROSSA 


inquietudini  e  forse  avremmo  avuto  peggio,  se  non  era  il  tatto  politico  di  Farini.  A 
Bologna  è  stato  arrestato,  e  me  ne  duole  all'anima,  poiché  è  in  pessime  mani,  Rosa- 
lino  {Pilo)  con  un  carico  di  lettere,  circa  40,  tra  cui  so  di  certo  una  per  me,  altra 
per  il  Generale,  senza  dire  di  altre. 

Vidi  Farini,  invitato  da  lui,  e  lo  trovai  giusta  apprezzatore  delle  cose.  Ne  infatti, 
poteva  esservi  responsabilità  mia  per  ciò  che  a  me  fosse  diretto.  Seppi  l' argomento 
principale  delle  lettere  essere  il  desiderio  di  far  servire  la  situazione  del  Centro  al  Sud. 
Ma  le  lettere  sono  tutte  (da  ciò  che  ho  potuto  dedurre)  esclusive  ad  ogni  rapporto 
precedente  ;  sono  lettere  d' iniziativa  e  d'insinuazione  con  frasi  forse  di  poca  fiducia 
per  gli  uomini  predominanti  nella  situazione.  Ad  ogni  modo,  io  credo  che  anche  il  solo 
muoversi  delle  persone  oggi  sia  inopportuno  ;  non  fa  che  allarmare  in  senso  reattivo. 

E  certo,  che  le  cose  di  Bologna  non  vanno  rette,  e  dubito  assai  che  quel  paese 
che  dovrebbe  basare  la  situazione  del  Centro,  per  le  pessime  mani  che  lo  maneggiano, 
venga  meno  alla  missione  sua  ;  ma  è  pur  certo,  che  noi,  conosciuti  nelle  nostre  credenze, 
nulla  vi  possiamo  ;  anzi  vi  possiamo  solo  gettare,  pel  sospetto,  il  turbamento  e  peggio- 
rarle. Fui  ier  sera  alla  serata,    ove    Farini    mi    distinse    con    modi    cortesi  e  cordiali. 

Finisco  con  l'abbracciarvi. 

Vostro  affezionalissimo 

NICOLA 

Modena,    1 1    settembre   1 859. 
Carissimo  amico. 

Ho  le  vostre  linee.  Farò  domani  la  commissione.  Tra  dimani  e  dopo  vedrò  l' indi- 
viduo (F.  Crispi)  reduce  dal  vostro  paese  con  notizie  e  proposizioni  certe.  Mi  rego- 
lerò sovr'  esse. 

La  situazione  del  Centro  si  disegna  sempre  più  in  senso  sfavorevole.  Dio  voglia, 
che  non  si  verifichino  i  pasticci,  che  si  denunciano  dalla  stampa,  per  esempio  un'  inve- 
stitura del  solito  principe  Napoleone  da  parte  del  Re  di  Piemonte.  Ad  ogni  modo, 
nonostante  le  chiacchiere  che  recano  i  Deputati  presso  Napoleone  111,  il  Monitore  dà 
fuori  un  brutto  articolo.  L' Assemblea  bolognese  ha  rinnovata  la  delegazione  dei  poteri 
a  Cipriani.  In  Toscana  intrighi  Piemontesi.  Qui,  ove  le  cose  vanno  bene  abbastanza,  è 
luogo  troppo  stretto  e  secondario.  Il  vero  imbarazzo  è  l' intermedio  tra  qui  e  Toscana. 
L' unione  è  impossibile  dal  lato  politico  fra  i  tre  Stati  ;  e  la  lega  è  una  vera  legatura 

nelle  condizioni  in  cui  sta. 

Affezionatissimo 

NICOLA 

Agostino  Bertanì  a  Salvatore  Calvino. 

Genova,  6  dicembre   1859. 
Caro  Calvino, 

Uniformalo  e  gerarchizzato,  con  grame  teste  ed  infedeli  sentimenti  personificati 
innanzi  a  te,  tu,  mio  ottimo  ed  integerrimo  amico,  vacilli    e   ti  si  annebbia,  chinando 


NEL  CAMPO  UFFICIALE  DELLA  GUERRA  31 

il  capo  per  rispetto,   l'intelligenza  delle  cose  e  del   momento.  Buon    Dio!    E    tu    sei 
dei  migliori! 

Tu  mi  scrivi:  che  gravi  torti  hanno  Fanti  e  Garibaldi  e  che  infine  tu  credi,  che 
qualcosa  bisognava  sacrificare  alla  nemica  diplomazia. 

Lasciamo  da  parte  le  persone,  che  poco  meritano.  Ma  come  scrivi  e  predichi 
tu  i  torti  fra  il  fare  e  il  non  fare,  fra  il  volere  e  non  volere,  fra  il  dare  caparra  di 
potere  e  quella  di  non  potere  e  sapere,  fra  la  vita  e  1'  iniziativa  italiana  e  la  sogge- 
zione e  la  morte  nazionale  nell'obbedienza  allo  straniero?  Come  predichi  tu? 

Ed  il  Fanti  non  era  completamente  d' accordo  col  Garibaldi  per  fare  ciò  che  poi 
riprovò  e  tradì?  O  egli  mistificava  dapprima  Garibaldi  e  lo  accusò  d'intemperanza, 
quando  gli  parve  opportuno,  o  egli  cambiò  d'  un  tratto,  e  per  1'  obbedienza  servile  di 
cui  diede  tante  prove  e  per  la  nessuna  fede  politica  e  nessuna  energia,  che  lo  carat- 
terizzano, tradì  il  mandato  italiano,  il  collega,  la  pubblica  fede  ed  aspettativa.  Di  qui 
non  si  scappa  e  si  pubblicheranno  i  documenti. 

Anch'  io  lo  credeva  altra  cosa,  quantunque  avessi  avuto  già  da  lui  prove  baste- 
voli  nel  '49  della  sua  freddezza  ;  ma  ormai  è  giudicato.  Egli  rappresenta  un  sistema 
e  non  portò  ad  esso  che  le  sue  qualità  opportunissime  a  farlo  valere.  E  tu  vuoi  sacri- 
ficare alla  nemica  diplomazìa  la  nostra  iniziativa?  Oh!  Calvino,  tu  ti  dimentichi  di  aver 
cospirato  per  dieci  anni  per  ottenere  ciò  che  la  diplomazia  ti  contrastava,  ed  ora, 
arrivato  più  prossimo  al  tuo  lido,  alla  tua  patria,  tu  sacrifichi  alla  diplomazia  1'  ardi- 
mento santissimo  di  aiutarla  !  Oh  !  Calvino,  non  guardare  iVi  su  per  ispirarti,  ma 
ritorna  in  te. 

Tuo  a_ff.mo  amico 
AGOSTINO    BERTANI 


Infine,   Angelo  Bargoni  scriveva  1'  1  i    dicembre  ai  Calvino  così  : 

I  guai  non  finiscono  qui.  Una  cospirazione  cavouriana  contro  Rattazzi  si  fa  ogni 
dì  più  viva,  sopratutto  in  Toscana  e  in  Lombardia,  mentre  qui  il  Re  e  Rattazzi 
sono  ogni  dì  più  indignati  contro  Cavour.  Mi  si  assicura  che  il  Re,  due  sere  sono, 
ha  chiamato  a  se  parecchi  dei  più  influenti  uomini  politici  per  fare  loro  comprendere, 
come  sia  inutile  che  lavorino  per  il  ritorno  al  potere  del  Conte  di  Cavour,  E  siccome, 
per  massima  generale,  al  Re  non  si  vogliono  dare  dispiaceri,  cos)  non  glielo  vorranno 
imporre  a  suo  dispetto.  D'  altra  parte,  sembra,  che  Cavour  non  accetterebbe  di  andare 
al  Congresso,  se  non  vestendo  prima  la  qualità  di  Ministro  ed  è  questa  che  non  gli 
si  vuol  conferire.  Se  il  Congresso  va  in  lungo  e  Rattazzi  può  aprire  il  Parlamento,  la 
sua  consolidazione  sembra  certa,  perchè  si  presenterà  con  un  diluvio  di  leggi,  una  più 
liberale  dell'altra.  Così  si  dice! 

Nicola    Fabrizi,    ritornato    in   Malta    scriveva  al  generale    Ribotti,   coman- 
dante le  forze  militari  di   Modena,   la  seguente  lettera  : 


32  LA  CAMICIA  ROSSA 


Nicola  Fabrizi  al  generale  Ribotti. 

Malta,  21    ottobre   1859. 
Carissimo  Ignazio, 

Vidi  dai  giornali  il  nuovo  tuo  comando;  ne  accolsi  la  notizia  a  buon  preludio, 
sembrandomi  che  la  delicatezza  della  nuova  posizione  affidatati  indicasse  alla  fiducia 
dei  tuoi  servizi  presso  quei,  che  sanno  dei  tuoi  precedenti  politici  e  militari,  della  tua 
carriera  travagliata  nel  passato  tra  sacrifizi  ed  ingiustizie. 

Mi  fu  sensibile,  come  ad  ognuno  che  intenda  della  situazione  nostra  delicata,  il 
fatto  disgraziato  di  Parma  e  mi  parve  corrispondere  assai  bene  alla  sua  gravità,  il  con- 
tegno sin  ora  osservato  e  le  disposizioni,  che  ne  seguirono;  talché  il  giornalismo  stra- 
niero, nulla  avendo  più  ad  aspettarsi  dal  vigore  della  condotta,  siasi  poi  dato  esso 
stesso  ad  attenuare  la  portata  collettiva  del  fatto,  per  le  cause  provocanti.  E  mi  piacque 
la  forte,  subitanea,  occupazione  militare,  che  tolse  occasione,  pretesto  e  spazio  a  quel- 
r  immischiarsi  di  ospiti  vicini. 

Mi  piacque  che  Fanti,  nel  suo  breve  proclama,  ricordasse  titolo  alla  fiducia  pub- 
blica i  precedenti  dei  Capi,  ed  io,  gli  amici  comuni  ed  altri  che  non  conosci,  ci  augu- 
riamo che  questo  sfortunato  incidente  sia  ultimo  e  che  la  giustizia  esca  vera,  cioè  per 
giudizio  indipendente  da  ogni  pressione,  proporzionale  al  fatto  per  le  sue  circostanze 
di  ogni  natura. 

Avrò  gratissimo  che  Calvino,  con  le  sue  e  tue  nuove,  mi  dica  della  maniera 
vostra  di  vedere  delle  cose  del  Centro.  Io  vi  dirò  di  quelle  di  Napoli  e  di  Sicilia 
per  ciò  che  saprò  e  giudicherò.  Per  il  momento,  nonostante  il  partire  di  vascelli  inglesi 
sotto  chiamata  telegrafica,  ora  di  Palermo,  ora  di  Napoli  (ier  l'altro  due)  siamo  scon- 
fortati sulla  imminenza,  che  si  appressa.  La  banda  insorta  fu  dispersa,  dopo  che  cinque 
si  presentarono,  si  assicura  che  il  resto  della  Hotta  (vascelli  tre)  va  a  Corfìi  e  poi  ad 
Ancona,  tra  oggi  e  domani.   Se  credi  utile,  comunica  la  nuova  come  accreditata. 

Ora  io  ho  d'  uopo  della  tua  attenzione  e  farai  1'  uso  che  credi  della  mia  comuni- 
cazione. Se  sarò  assecondato  da  mezzi,  quali  che  spero  e  non  sconfortato  da  eccessivi 
intrighi  nuovi,  mi  porrò  attivamente  a  veder  di  ricomporre  relazioni  per  un  progetto 
per  cui  mi  occorre  per  altro,  prima  di  tutto,  di  essere  sicuro  dei  mezzi  per  potere 
adempiere  a  quanto  sarò  per  offrire.  Intanto  però,  Y abnegazione  più  assoluta  di  inte- 
ressi e  di  persona  in  prò  dell'  attualità  riconducendo  uomini  provati  sul  terreno,  non 
basta  per  imporsi  contro  le  mene  di  chi  vorrebbe  tutto  paralizzare  o  condurre  a  fini 
tristi.  I  quietisti  predominano  nei  Comitati  di  Sicilia  e  riescono  nel  dimostrarsi  negli 
accordi  e  poi  deluderli  ;  i  separatisti,  più  o  meno  mascherati,  li  assistono.  E  l' antica 
altalena  del  1848,  meno  la  viva  attività  di  presenza  del  Ribotti.  Ma  pure  amici  non 
mancarono  per  due  volte  al  loro  posto  all'ora  designata,  che  poi  fu  mancata.  ' 


Si  allude  all'  insurrezione  siciliana  fissata  il  4  ottobre,  poi  rimessa  al  1 0  e  fallite  entrambe. 


>'^^S^^^^ 


EC.     ^    ,  ^\  .    ^^        / 


//f'i/oA  gl'idi:  /l^/l ^  Mt/K^('^/(',i/ii  f'/.i  /r/K  c/r^Jf  i^'^/faif  ■/r.à^<(^€hetifiie^-t4'^^4 1  o  a  y 
LXOLUL  rrit-  ,/tffYf  Uf>l(i^i>yi^rc  a  Af-^ra^c  Df/ii/tit/c   </aiX^rf>famei  (A  --;:) 

Jl^ il/7Utiùtu)  Vta\A<.\uo  l'i  C'(at»»W/.iWuii.«t/ 


i^fttuimj»<i^,*^  ji<»M»«m<*'  ^'  i^y^^'^'wi/i»^;^<^ 


gì  u    iwwuww  t^^"» 


j^ 


^ 


''iW>,wii,i^,t4/»*i6if» 


■■■rf'u  r^.. 


^ 


'/ttitia-' 


^Diploma  di  Capitano  di  Lungo  Corso  rilasciato  dal  Governo  Piemontese  a  Garibaldi 

1*8  agosto   1855.  (Vedi  pag.   16). 


NEL  CAMPO  UFFICIALE  DELLA  GUERRA  33 

Se  avessi  voluto  assistere  e  secondare  lo  spirito,  ormai  vivo,  d' irritazione  contro 
la  prevalenza  di  alcune  individualità  inteme  ed  esterne  lo  avrei  potuto.  Ma  la  situa- 
zione è  molto  delicata  e  tutto  si  dissiperebbe,  con  disgrazia  generale,  in  lutti  di  fazione. 

Bisogna  vedere  di  modificare  senza  urti. 

Sento  dall'  Italia  il  riproporsi  della  così  detta  Società  Nazionale  ed  il  riprodursi 
del  Piccolo  Corriere.  Con  la  più  profonda  convinzione  e  coscienza  ti  dico,  che  il  per- 
sonale introdottosi  alla  Direzione  durante  la  guerra,  ricevendo  le  ispirazioni  della  cosi 
detta  Società  Nazionale,  fu  quello  che  sostenne  dover  dipendere  il  moto  di  Sicilia  e 
di  Napoli  da  un  ordine  di  Napoleone  III;  prometteva  una  spedizione  Franco- Sarda  ed 
allora,  come  oggi,  si  lusinga  da  parte  di  Garibaldi  e  temporeggia  tramandando  sempre 
in  aspettazione  di  nuove  complicazioni. 

I  momenti  sono  preziosi  e  da  non  implicarsi  a  risuscitare  chiacchiere  imprecanti 
e  lotte  di  fazioni.  Accettare  collettivamente  il  terreno  presente,  come  convegno  comune, 
sema  sospetto  e  senza  riserva.  Unità,  scopo  cui  tesero  mezzi  diversi,  oggi  si  presenta 
formulata  di  mezzi  e  di  modi  propri  all'  opportunità.  Suscitare  1'  affinità  di  quanti  con- 
cordano nella  necessità  del  fatto  per  il  principio,  riconoscersi  sul  terreno  dell'  attualità, 
rispettarsi  reciprocamente  per  i  principi  e  per  i  sacrifici,  che  ognuno  professò  nella 
linea  delle  proprie  convinzioni. 

Queste,  a  mio  credere,  sono  necessità  alle  quali  il  disconoscere  trascina  a  com- 
plicità in  catastrofe,  probabilmente  non  lontana  e  conseguente  a  tale  disconoscenza. 
Bisogna  completare  i  propri  sforzi,  onde  superare  gli  ostacoli  interni  da  qualunque  parte 
o  pregiudizio  siano  stati  generati.  Mi  sono  diretto  a  te  per  credere  gravi  le  circo- 
stanze, influente  la  tua  reputazione  presso  gli  uomini  di  diversa  opinione,  che  ti  amano, 
e  perchè  teco  doveva  prima  spiegarmi  per  1'  antica  nostra  amicizia  e  confidenza  in 
argomento,  che  potrebbe  farsi  ognor  più  delicato.  Ti  abbraccio. 

Tuo  aff.mo 
NICOLA 

PS.  -  Indirizza:  Sig.  Francesco  Faelli,  negoziante  -  Genova  (dentro  Malta). 

Al  Sig.   Ignazio  Ribolli 

Maggior  Generale   Comandatile  le  forze  militari 

Modena 


CURÀTULO 


CAPITOLO  III. 


TIMORI  E  SPERANZE  DEGLI  ESULI  SICILIANI. 
IL  PRECURSORE  DEI  MILLE. 


I  .  alleanza  con  la  Francia  fu  nel  '59  causa  di  molte  ed  opposte  discus- 
sioni ;  ma  specialmente  fra  gli  esuli  siciliani  la  nuova  politica  del  conte  di  Cavour 
destò  vive  preoccupazioni.  Il  fior  fiore  del  patriottismo  di  Sicilia,  rifugiato  in 
Piemonte,  attendeva  impaziente  l' ora  della  riscossa  e  mentre  alcuni,  negli  avve- 
nimenti che  si  erano  andati  maturando,  scorgevano  un  raggio  di  speranza  per  la 
oppressa  patria  lontana,  altri  grandemente  temevano.  Oggi,  che  il  sole  della  libertà 
risplende  lummoso  dall'Alpi  al  Lilibeo,  è  caro  il  leggere  le  lettere  di  quegli  esuli,  il 
vivere,  per  un  istante,  delle  ansie  che  in  quei  giorni  ne  agitavano  i  petti. 

Tra  i  molti  siciliani  rifugiati  in  Piemonte  erano  Salvatore  Calvino  e  Vincenzo 
Fardella,  marchese  di  Torrearsa.  Il  primo  aveva  preso  parte  alla  rivoluzione 
siciliana  del  1  848  ed  alla  spedizione  in  Calabria,  comandata  dal  generale  Ribotti 
e  finita  infelicemente  nelle  acque  di  Corfù.  Il  Calvino  con  Ribotti,  Giacomo 
Longo  ed  altri  fu  fatto  prigioniero  e,  condotto  a  Napoli,  stette  rinchiuso  in 
Castel  S.  Elmo  per  quattordici  mesi  ;  poi  fu  esiliato.  Modesto  quant'  altri  mai, 
carattere  adamantino,  fece  la  campagna  del  '59  con  l' esercito  sardo  ;  finita  la 
guerra  fu  nell'  Italia  centrale  nello  Stato  Maggiore  del  generale  Ribotti  e  nel  I  860, 
date  le  dimissioni,   seguì  Garibaldi  nella  gloriosa  impresa. 

Nobilissima  testimonianza  dell'  intemerato  patriota  siciliano  resta  la  lettera 
inedita  che  qui  pubblico,  scritta  al  fratello  nei  giorni  dell'  esilio,  dalla  Spezia, 
dove  il  Calvino  si  procurava  i  mezzi  di  sussistenza  dando  lezioni  di  matematica. 

Salvatore  Calvino  al  fratello. 

Spezia,  28  marzo   1858. 
Mio  amatissimo  Gaspare, 

Tu  ben  sai  che  papà  nelle  sue  lettere  degli  8  e  22  dicembre  propone  ed  insiste 
perchè  io  faccia  a  codesto  Governo  la  dimanda  per  ottenere  la  grazia  di  rimpatriare. 


36  TIMORI  E  SPERANZE  DEGLI  ESULI  SICILIANI 

E  un  affare  delicatissimo  del  quale  non  volli  scrivere  a  papà,  ne  volli  scrivervene  per 
posta,  e  credo  preferibile  tener  pronta  questa  lettera  per  te  e  fartela  giungere  con  la 
prima  occasione  sicura.  Prima  di  ogni  cosa,  ti  manifesto  il  mio  rincrescimento  per  le 
espressioni  usate  da  papà  per  indurmi  a  quel  passo,  quasi  che  io  non  ricordassi  qual 
sia  la  cadente  età  di  lui  e  della  mamma,  quasi  che  io  non  vedessi  i  pericoli  cui  siamo 
esposti  di  non  vederci  mai  più  in  questo  mondo,  quasi  che  il  mio  affetto  per  loro  e 
per  voi  tutti  avesse  bisogno,  per  stimolo,  di  tali  ricordi  ! 

Io  ti  assicuro,  carissimo  Gaspare,  e  tu  lo  comprenderai,  che  in  questa  vita  trava- 
gliata dell'  esilio,  l' unico  dolore  che  mi  punge  profondamente  il  cuore  si  è  l' essere 
lontano  da  voi  ;  il  resto  non  curo  e  disprezzo.  Il  desiderio  che  io  nutro  di  riabbrac- 
ciarvi è  sempre  in  me  vivissimo  ed  alimentato  da  una  speranza,  che  forse,  quando 
meno  ci  attendiamo,  potrà  essere  soddisfatta.  Per  affrettare  anche  di  un  giorno  questo 
momento  di  riabbracciarvi,  io  farei  qualunque  sacrifizio,  purché  nei  limiti  dell'onesto. 
Ora,  mi  rincresce  il  dirvelo,  io  credo  disonesto  il  fare  una  supplica  chiedendo  grazia 
a  Ferdinando  li,  e  mi  dispiace  che  in  questa  idea  siamo  in  perfetto  disaccordo  e 
ciò  io  inferisco  dal  consiglio  che  mi  date  ;  poiché  voi,  se  credeste  quest'  atto  diso- 
nesto non  mei  consigliereste  di  certo.  Io  ritengo  che  questa  differenza  essenziale  nelle 
nostre  opinioni  provenga,  oltre  che  dal  velo  che  fa  la  passione,  anche  dal  diverso  giudizio 
che  noi  facciamo  del  Governo  del  Re  Ferdinando.  Voi  sotto  il  giogo,  e  quasi  direi 
avvezzi  ora  di  nuovo  a  sopportare  le  catene,  non  osservate  e  giudicate  gli  atti  e  gli 
effetti  con  disperata  rassegnazione  ;  io,  libero,  inorridisco  di  un  Governo  spietato  e 
mostruoso  e  non  posso  transigere  con  esso.  Ne  queste  sono  esagerazioni  di  passioni. 
Tutta  r  Europa  civile,  anzi  tutto  il  mondo,  ha  già  anatemizzato  il  Governo  di  Ferdinando, 
come  uno  dei  Governi  più  empi,  che  abbiano  esistito  mai  al  mondo,  e  voi  non  potete 
essere  giudici  dello  stato  della  pubblica  opinione  in  Europa  su  cotesto  Governo,  poiché 
non  la  conoscete.  Il  richiamo  degli  Ambasciatori  di  Francia  e  d' Inghilterra  da  Napoli 
in  seguito  alle  barbarie  inaudite  esercitate  dal  Governo  Napoletano,  che  Gladstone 
chiamò  negazione  di  Dio,  vi  dà  una  certa  idea  della  pubblica  opinione.  Io  non  voglio 
entrare  in  molti  particolari,  ne  narrarvi  quello  che  si  pubblica  e  si  dice  dalla  stampa 
in  tutta  Europa.  Solo  sappiate,  e  ciò  basterà  a  farvi  sensazione,  che  i  Governi  dispotici 
stessi  ed  amici  di  Ferdinando,  cioè  la  Russia,  l'Austria  e  la  Prussia  lo  hanno  seve- 
ramente giudicato.  Io  dunque  penso,  come  tutta  1'  Europa  civile,  giudicando  Ferdinando 
un  mostro.  Se  voi  pensate  diversamente  me  ne  duole,  poiché  crederete  il  mio  rifiuto  un 
capriccio  e  non  vi  rassegnerete,  mentre  ripensando  l'atto  di  sottomissione  una  cosa 
disonesta,  una  viltà  e  perciò  una  cosa  impossibile,  sebbene  con  indicibile  dolore,  mi 
debbo  rassegnare.  Quand'anche  voi  aveste  ragione  e  tutta  l'Europa  torto  a  giudicare 
disonesta  la  sottomissione  ad  un  tiranno  e  molto  più  a  Ferdinando  II,  si  deve  un 
galantuomo  mettere  in  condizione  di  essere  giudicato  come  disonesto  e  vile  da  tutti 
e  specialmente  dagli  uomini  cui  professa  grande  stima?  E  non  sono  sempre  dignito- 
samente a  sopportare  l' esilio  con  la  fronte  alta  tutti  gli  uomini  più  rispettabili  dell'  emi- 
grazione, che  invecchiano  nell'esilio  e  soffrono  rassegnati?  E  quanti  lontani  dalle  famiglie? 
Quanti  vecchi  esuli  hanno  figli  in  patria,  eppure  si  rassegnano  a  non  riabbracciarli? 
Siamo  noi  che  dobbiamo  fare  quest'atto    di    debolezza  e  di   pusillanimità?  Il  vecchio 


IL  PRECURSORE  DEI  MILLE  37 


principe  di  Trabia  non  invitò  il  figlio  principe  di  Scordia?  E  morirono  entrambi,  l'uno 
in  Sicilia  e  l'altro  in  esilio  senza  vedersi?  Io  non  scriverò  mai  una  riga  per  rientrare, 
sia  in  forma  di  supplica,  sia  come  dichiarazione  di  sottomissione  dopo  ottenuta  la  grazia, 
anche  chiesta  da  altri.  Io  solamente  rientrerò,  quando  sarà  accordata  un*  amnistia  gene- 
rale, tanto  larga  da  esservi  io  compreso,  ma  senza  condizioni.  Mi  è  doloroso  il  trovarmi 
in  questa  dura  posizione  e  ti  assicuro  che  per  riabbracciarvi  mi  contenterei  che  l' esilio 
perpetuo  fosse  mutato  in  relegazione  in  Favignana,  purché  io  non  domandi  e  non  scriva 
una  riga,  ne  prima,  ne  dopo.  A  questo  mi  rassegnerei,  ad  umiliarmi  non  mai  !  Addio, 
carissimo  Gaspare,  salutami  gli  amici  e  credi  all'  affetto  del  tuo  fratello  che  caramente 

ti  abbraccia. 

SALVATORE 


* 
*       * 


L' altro  esule  siciliano,  che  aveva  portato  nei  moti  dell'  isola  natia  la  foga 
della  sua  anima  ardente  insieme  all'  influenza,  che  la  ricchezza  e  la  nobiltà  del 
casato  gli  conferivano,  fu  Vincenzo  Fardella,  marchese  di  Torrearsa.  Presidente 
del  Parlamento  siciliano  nel  1 848,  egli  aveva  retto  con  acume  di  diplomatico 
il  Mmistero  degli  Esteri.  Ripristinatasi  la  reazione  borbonica,  prese  anch'  egli 
la  via  dell'  esilio  e  stette  lungo  tempo  a  Tonno  ;  per  ragioni  di  salute  si  stabilì 
poscia  a  Nizza. 

Le  quattro  importanti  lettere  inedite,  che  qui  si  leggono  dirette  a  Calvino, 
che  egli  amava  con  affetto  di  fratello  e  l' altra  del  Calvino  a  Cadolini,  avanzo 
venerando  di  tutte  le  battaglie  dell'  indipendenza,  illuminano  sullo  stato  d' animo 
degli  esiliati  siciliani  nel  principio  del    1859. 

Vincenzo  Fardella  a  Salvatore  Calvino. 

Nizza,    15   gennaio    1859. 
Mio  carissimo  amico. 

Alla  fine  dopo  dieci  anni  di  esilio,  parmi  che  possiamo  respirare  con  tutta  la  soddi- 
sfazione di  chi  si  vede  prossimo  alla  stazione,  dopo  lungo  e  faticoso  camminare.  Ormai 
il  guanto  è  gettato  ed  a  mio  avviso  l'Austriaco,  o  in  un  modo  o  nell'  altro  dovrà  varcare 
le  Alpi.  Sarà  questo  il  vero  trionfo  della  causa  Italiana,  e  Dio  voglia  che  i  partiti  si 
avessero  la  saviezza  e  l'accorgimento  di  concorrervi  con  tutte  le  loro  forze  e  di  rimet- 
tere alla  pace  le  quistioni  di  ordinamento  interno.  Capisco  bene  che  molti  non  vedranno 
di  buon  grado  l'esercito  francese  in  Italia;  ma  essi  dovrebbero  riflettere  alla  pochezza 
delle  nostre  forze  ed  all'impossibilità  della  lotta  nello  stato  attuale  dell'Europa,  senza 
r  intervento  diretto  di  alcuna  delle  grandi  potenze  e  la  forzata  neutralità  di  qualche 
altra.  Quanto  a  me,   riguardando  sommo  bene  la  cacciata  dello  straniero  ed  ogni  altra 


38  TIMORI  E  SPERANZE  DEGLI  ESULI  SICILIANI 

cosa  da  verificarsi  in  un  periodo  più  o  meno  lungo,  non  mi  spavento  affatto  dei  sacrifizi, 
che  ci  si  fanno  travedere,  come  prezzo  dell'alleanza  francese.  Dalle  parole  della  tua 
lettera,  veggo  che  non  hai  l'intenzione  di  startene  ozioso  nel  caso  di  poter  menare  le  mani, 
ed  interessandomi  moltissimo  ogni  tua  risoluzione,  ti  prego  di  farmi  sapere  opportu- 
namente quanto  sarai  per  fare,  e  nel  caso  di  una  partenza  da  costì  non  lasciarmi  lunga- 
mente privo  di  tue  notizie. 

Sono  sicuro  che  l'incendio  una  volta  destato  si  propagherà  rapidamente  per  tutta 
la  penisola  e  quindi  veggo  già  barcollante  il  trono  di  Bomba  e  come  primo  sintomo 
di  crescente  paura,  dopo  l' amnistia  che  sai,  l' annunzio  del  Ministero  Filangieri  e  com- 
pagni ;  poscia  avverrà  la  catastrofe  che  vorrei  fosse  solenne  e  completa  ;  ma  qualcuno 
mi  sostiene  che  con  brodo  di  maccheroni  nelle  Vene  non  si  fa  nulla  di  buono.  Ti  abbraccio 

e  sono  per  sempre 

tuo  amico  aff.mo 

VINCENZO  FARDELLA 

Nizza,  31    gennaio   1859. 
Mio  carissimo  amico. 

Siamo  in  un  periodo  di  altalena  politica,  che  non  mi  scoraggia  per  nulla  e  che 
anzi,  a  mio  avviso,  servirà  a  semplificare  la  quistione  prima  di  venire  all'  inevitabile 
guerra.  Tu  vedrai  che  1'  opposizione  dell'  Inghilterra  servirà  a  mandare  in  fumo  il 
regno  di  Pomplon  e  ad  assicurare  l' intero  Lombardo- Veneto  al  Piemonte.  La  torta 
per  ora,  a  parer  mio,  non  soffrirà  altre  partizioni.  La  diplomazia  e  gli  uomini  della 
Borsa  cercheranno  di  stornare  la  tempesta  ;  ma  i  loro  sforzi  non  potranno  giungere  al 
desiderato  scopo,  perchè  la  posizione  creata  al  Piemonte  è  talmente  critica  per  quanto 
la  Francia  non  può  lasciarvelo  senza  positivo  disonore  e  diminuzione  di  influenza  in 
Europa.  A  parer  mio,  come  l' ambasciata  di  Mensikoff  ed  il  celebre  manifesto  di 
Nesselrode  fecero  inevitabile  la  guerra  di  Crimea,  del  pari  le  parole  di  Napoleone  a 
Hubner,  il  discorso  di  Vittorio  Emanuele  e  1'  ultima  dichiarazione  del  Monitore,  a 
proposito  del  matrimonio  di  Pomplon,  han  resa  certa  la  guerra  d'  Italia  o  per  meglio 
dire  r  uscita  dell'  Austria  dalla  Penisola.  Non  credere  che  Napoleone  tentenna,  e 
tieni  per  fermo,  che  quell'  uomo  è  troppo  fino  per  non  misurare  da  lontano  le  conse- 
guenze della  sua  politica  eminentemente  scaltra  ed  avveduta.  Egli  dopo  la  gran  bomba 
lanciata  ha  voluto  contare  i  morti  ed  i  feriti  e  lasciar  fare  gradatamente  quella  specie 
di  travaglio  digestivo  (perdona  il  paragone),  che  bisogna  per  istornare  l' opinione 
pubblica  da  una  corrente  d' idee  e  lanciarla  in  un'  altra  ed  in  effetto  ci  è  riuscito. 
Cosa  dicono  i  giornali  Francesi  all'unanimità?  Pace,  pace;  ma  salvo  l'onore  e  gli 
interessi  materiali  e  morali  della  Francia.  E  ciò  basta  all'  Imperatore,  che  d' altronde 
ha  di  già  annunziato,  che  quest'  interessi  sono  identici  con  quelli  del  Piemonte.  Il 
resto  lo  farà  l'Austria,  che  non  può  assolutamente  ammettere  una  quistione  italiana  e 
r  ingerenza  diplomatica  di  altra  grande  potenza  nella  penisola,  ove  sin'  ora  ha  regnato 
senza  controllo.  Qualche  mese  ancora  di  dilazione  e  vedrai  il  campo  delle  ostilità  più 
ristretto  e  meglio  spazzato.  La  Germania  si  calmerà  e  si  persuaderà,  che  il  Po  non  è 


IL  PRECURSOf^  DEI  MILLE  39 


fiume  tedesco  e  1'  Inghilterra  anch'  essa  si  rassegnerà  all'  accorcialìna,  che  si  vuol  fare 
all'  Impero  Austriaco.  Gli  articoli  del  Morning  Posi  sono  significanti  e  comunque  non 
si  deve  affatto  contare  sulle  opinioni  degli  uomini  politici  pria  di  essere  al  potere, 
pure  non  bisogna  disprezzarle  del  tutto. 

Infine,  io  credo  fermamente  alla  guerra,  perchè  la  trovo  sommamente  utile  alla 
Francia  Imperiale,  che  non  potendosi  allargare  con  le  conquiste,  ha  d'  uopo  di  gloria  e 
di  potenza  morale  e  perchè  parmi  calcolo  di  avveduto  politico  rinforzare  e  far  grande 
un  alleato  che  potrà  in  un  dato  tempo  prestare  grandissimi  servizi.  Se  Napoleone 
pensa  ad  ingrandire  la  Francia  bisogna  che  attenda  la  caduta  dell'  Impero  Turco  e  se 
allora  avrà  con  sé  200  mila  baionette  Italiane  e  la  Russia,  parmi  che  le  ambite  fron- 
tiere del  Reno  non  fossero  impossibili.  Napoli  però,  non  mi  lascia  tranquillo  ed  il 
Bombino,  appoggiato  questa  volta  dagli  Inglesi  ci  sta  nel  cuore  come  un  peso  enorme. 
Tu  dici  che  bisogna  contare  con  elementi  popolari  ;  ma  io  ti  confesso  che  in  generale 
credo  che  con  tanti  eserciti  che  calpesteranno  l' Italo  suolo,  questo  elemento  sarà  com- 
presso e  regolato  a  volontà  e  che  in  Napoli  poi  non  so  dargli  molta  importanza  a 
fronte  di  un  nuovo  Prmcipe  giovane  e  generoso  di  concessioni.  Tu  conosci  i  nostri 
vicini  e  sai  qual  fibra  tenerissima  essi  si  hanno.  Per  la  Sicilia,  credo  bene  che  farà 
qualche  cosa  e  le  auguro  con  tutto  il  cuore  ogni  bene  possibile.  Tu  sai  il  mio  pro- 
gramma :  r  Italia  una,  la  Sicilia  parte  di  essa.  L' Italia  divisa  ;  e  la  Sicilia  si  abbia 
la  sua  amministrazione,  per  non  dire  la  tremenda  parola  indipendenza  e  che  si  leghi 
con  forti  vincoli  politici  agli  stati  liberi  della  penisola;  le  parziali  fusioni  con  Napoli 
o  col  Piemonte  non  mi  vanno  a  sangue.  Non  ridere  e  rammentati,  che  ormai  io  sono 
vecchio  e  che  i  vecchi  non  possono  cambiare  le  loro  opinioni,  comunque  savii  a 
sufficenza  per  rispettare  o  non  avversare  1'  operato  della  gioventù,  che  deve  agire,  e 
deve  assicurare  le  sorti  della  patria. 

Tuo  aff.mo  amico 
VINCENZO  FARDELLA 


Nizza,   13  aprile   1859. 
Mio  carissimo  amico, 

Tu  sai  che  io  non  ho  ragioni  particolari  di  lodarmi  di  Cavour  e  quindi  saprai 
apprezzare  l' imparzialità  del  mio  giudizio.  Per  me,  egli  è  l' unico  uomo,  che  s*  innalza 
al  di  sopra  della  mediocrità  fra  quanti  ve  ne  sono  in  Piemonte  mischiati  nelle  cose 
politiche.  E  r  unico,  a  mio  avviso,  che  ha  saputo  comprendere  la  quistione  Italiana  in 
un  modo  più  largo  :  è  1'  unico  che  senza  attentare  alla  vita  politica  di  questo  Stato, 
osa  servirsene  come  di  leva  per  la  formazione  di  un  regno,  che  volere  o  non  volere 
deve  essere  la  morte  delle  idee  municipali  Piemontesi,  e  l' iniziatore,  se  non  il  fondatore, 
di  quella  nazionalità  Italiana,  che  tu  fai  consistere  nell'  unità  politica  di  tutti  i  popoli 
della  Penisola  e  che  io  riguarderò  come  di  già  esistente,  allorché  uno  Stato  forte  sarà 
cosi  solidamente  costituito  da  riassumere  in  se  gì'  interessi  maggiori  e  l' avvenire  politico 
delle  altre  frazioni  della  Penisola. 


40  TIMORI  E  SPERANZE  DEGLI  ESULI  SICILIANI 

In  quanto  alla  politica  del  carciofo,  ti  confesso  che  io  la  trovo  savia  e  che  panni 
forse  r  unica  dettata  dall'  illuminata  ragion  di  Stato  e  per  niente  legata  alla  tal  dinastia 
o  alla  tal  forma  di  Governo  ;  ed  assicurati  poi,  che  Cavour  è  1'  uomo  di  mangiarlo  tutto 
in  una  volta,  se  la  sorte  glie  ne  oSre  il  destro.  I  suoi  desiderii  non  sono  minori  dei 
tuoi,  lo  so  di  sicuro  ;  ma  non  bisogna  dimenticare  le  gravi  difficoltà  che  si  oppongono 
all'  impresa  e  i  doveri,  che  pesano  su  di  un  Ministro  che  deve  nello  stesso  tempo 
pensare  a  conservare  allo  Stato,  per  il  bene  generale,  la  posizione  e  le  franchigie 
acquistate.  Infine,  non  essendo  seguace  dell'  assurda  teoria  del  tutto  o  nulla  pare 
a  me  chiarissimo,  come  peraltro  lo  addimostra  il  buon  senso  della  grande  maggio- 
ranza della  Nazione,  che  1*  aiuto  nostro  può  essergli  dato  con  la  massima  serenità  di 
coscienza. 

Per  esser  liberi  dobbiamo  cominciare  dall'  essere  indipendenti,  ed  essendo  indi- 
pendenti saremo  nazione  ;  quindi  fuori  lo  straniero  e  da  canto  ogni  quistione  di  forma 
governativa.  Dopo  la  guerra,  disgraziatamente,  non  ci  mancherà  il  tempo  per  lacerarci 
tra  noi.  L' aiuto  francese  ci  è  necessario  ;  dobbiamo  perciò  accettarlo  senza  troppo 
sofisticare  sulla  moralità  e  le  ragioni  che  spingono  Napoleone  111.  Io  per  me  non  temo 
ne  la  sua  ambizione,  ne  l' intronizzazione  di  Principi  Francesi  nella  Penisola,  parendomi 
evidente,  che  la  diffidente  gelosia  dell'  Europa  intera  ce  ne  garentiscono.  Per  il  Con- 
gresso siamo  perfettamente  di  accordo:  o  non  si  riunisce  del  tutto  o  si  riunirà  per 
legalizzare  il  casus  belli.  Frattanto  tu  li  domandi  cosa  debbono  fare  gli  emigrati 
Siciliani  ?  E  veramente  vale  la  pena  di  farsi  una  tale  quistione,  ora  principalmente  che 
oltre  la  guerra  italiana  si  ha  la  prossima  morte  del  Re  di  Napoli,  che  può  anche 
da  un  momento  all'altro  cambiare  la  condizione  politica  del  nostro  Paese.  Quanto  a 
me,  tu  sai  la  mia  professione  di  fede  :  desidero  che  non  potendosi  1'  Italia  unificare, 
si  acquistasse  1'  Isola  nostra  quanto  più  le  sia  possibile  della  sua  autonomia,  compiendo 
però  tuttti  i  doveri,  che  in  questo  momento  le  impone  il  grande  interesse  della  guerra 
nazionale.  Riunire  l'opinione  degli  emigrati  e  farla  convenire  in  certi  punti  principali 
non  parmi  cosa  facile  ;  ma  pure,  dal  canto  mio,  sono  pronto  a  tutto  e  ripeto  a  te  ciò 
che  ho  detto  ad  altri,  che  nel  momento  crederei  di  grande  utilità  qualche  buono  scritto 
per  istruire  la  Sicilia  sul  vero  stato  di  cose  nella  Penisola  e  dell'  Europa  e  per 
combattere  le  idee  strane,  che  hanno  dovuto  lì  necessariamente  alimentare  e  il  carattere 
immaginoso  dei  nostri  compatriotti  e  i  rigori  polizieschi.  Però,  è  ben  probabile  che  gli 
avvenimenti,  precederanno  ogni  nostro  accordo  e  quanto  resta  a  fare  per  ora  agli 
emigrati  Siciliani  si  è  di  appoggiare,  per  come  e  quanto  possono,  questo  Governo  e 
tenersi  pronti  a  correre  in  Patria  appena  lo  potranno.  Per  mettersi  nelle  fila  come 
soldato,  bisogna  esser  giovani,  e  tu  cominci  ad  essere  già  nel  numero  di  quelli  che 
valgono  più  col  senno  che  con  la  mano.  Se  sarò  al  caso  di  prendere  qualche  risolu- 
zione te  ne  terrò  informato  e  tu  fa  lo  stesso  dal  canto  tuo.  Salutami  il  Sig.  Impet- 
donato  e  conservami  quell'  affetto  che  mi  è  tanto  caro  e  credimi 

tuo  amico  aff.mo 
VINCENZO  FARDELLA 


Tmllr  ilun nii-lre  . 

tcnlimòlrrs 

thmuv  ó/s^i^  i^'- 

froOl'   {/  ^  ^^f^zty'v-e^'ì 
SiiDrcils    /'Vl.Va^A-.  — 
Vc»j     — 
Ncz     —  ->7t-.-jfV 
Bourltc    — .  :^**-»^'<f  "^^ 
Burbe     -.(^'ì^.^  e,T,-^f^^- 
Mrnloo  —  -i^^Sl  — 
Visage    '^H'A^*— 

SICNES  PARTICUUiRS 


Sjgniiliii'c  (Ih  Porlour 


■jj^ca/ieiotià  M  S'/a^'f/ri)   ìèiviM  e/  ^ée/e/aetfJ  ■afe  (^Ònt^tte 


% 

'a  a  ■■' 

9 


f/cK  uu  Minnet  a/iu  e//i 


//Uo/cc^i 


'ton  eti  caJ  ae  ofàotn 


e^  ofàc 


Jlf/nólen/ c^aMe-ai'or/ vaMo/eAoaf  /ry(^if^f^  t 


ìk 


m 


^t/  a     Y&<ce     ^  ,^Xi  \-^.  -  /^^^     a  Ai^^^^j-  ' 


l*ar  le  Connul 


y'iUJi  DtLF.O.'PF.lMtmSTIKoFsiEM 


ù¥ 


Aj^m    5/.  ^^    ^^f^ 


\0A   ''^^  ^*^7l^^  FRÀNCC 
PCNTDI]  VAP  LVy/  <^^^^<y  ^fj^ 
LE  COMM!Sr»AIRK  J^PÉCJAL 


-ii:.^^ 


Passaporto  rilasciato  a  Garibaldi  dal  Console  Francese  di  Nizza  il  31  gennaio  1856 
sotto  il  falso  nome  di  "  Joseph  Pane  „  per  andare  a  liberare  Luigi  Settembrini, 
Carlo  Poerio  e  Spaventa  rinchiusi  nell'ergastolo  di  Santo  Stefano.  (Vedi  pag.  19). 


#/?- 


1^.^    aM.     //>     ^^plM^i^^f'f 


^ 


-fSl'fet-tl. 


0^0<-^fl  J'€ó^y-/Z>  l^t^t^t-Ch^^^. 


^ 


fy  a^--^^    -i-i^t^     <«.^<^  l.,t^^«,<a:^«     . 


-^^-^ céé—  c^  i^^c^t 


Cf^e^i'Z^. 


t/ e.^-C^  /p> ^^     &      't^/X-A^ -' /^-«Ls-^     -L/    t-c.^.^c>^tyi<£^€ZZo' 


—  -/ —      /7       y^ —  ^^^ — 


& 


Lettera  diretta  dal  Conte  di  Cavour  a  Garibaldi  il  17  marzo  1859, 
colla  quale  gli  affidava  il  Comando  del  Corpo   di  Volontari.  (Vedi  pag.  22). 


IL  PRECURSORE  DEI  MILLE  41 


Nizza,    18  luglio   1859. 
Carissimo  amico. 

Il  dolore  e  lo  sbalordimento  cagionatomi  dall'inattesa  pace  con  l'Austria  mi  hanno 
tolto  la  forza  di  rispondere  alla  tua  buona  lettera  del  10  corrente,  perchè  mi  è  oltre- 
modo penoso  toccare  le  nostre  piaghe,  sia  parlando  o  scrivendo.  Ma  bisogna  darsi 
pace  e  cercare  di  riacquistare  la  forza  e  la  calma  necessaria  per  giudicare  gli  uomini 
e  gli  eventi  senza  passione  e  per  attenuare  il  male  per  quanto  si  può.  Sin'  ora  io  non 
so  rendermi  ragione  di  alcun  fatto  e  cerco  con  avidità  la  causa  di  così  strani  ed 
inauditi  avvenimenti.  Come  mai  è  possibile  una  confederazione  Italiana  con  l'Austria 
padrona  della  Venezia?  Col  Papa,  col  re  di  Napoli  nemici  di  ogni  idea  di  naziona- 
lità? Io  non  lo  comprendo;  e  cosa  sarà  della  povera  nostra  Sicilia?  Continueremo  ad 
essere  calpestati  dai  lazzaroni  di  Napoli,  la  feccia  più  vile  dei  mondo.  Dammi  tue 
nuove  e  tienmi  al  giorno  dei  fatti  che  costì  avvengono. 

Tuo  amico  aff.mo 
VINCENZO  FARDELLA 

Salvatore  Calvino  a  Giovanni  Cadolini. 

Spezia,  23  gennaio   1859. 
Mio  carissimo  Giovannino, 

Dopo  le  parole  di  Napoleone,  ii  discorso  di  Vittorio  Emanuele,  il  linguaggio 
della  stampa  Europea  e  particolarmente  della  Francese  e  della  Piemontese,  dopo  gli 
armamenti  ed  i  concentramenti  di  truppa,  che  alacremente  si  fanno  da  ogni  parte,  le 
probabilità  della  guerra  all'Austria  sono  molte.  Però  non  possiamo  esserne  certi,  perchè 
Napoleone,  avendo  nemici  la  Borsa  ed  i  Leggittimisti  m  questa  quistione,  tentenna 
ancora.  Credo  intanto,  che  egli  sia  compromesso  troppo  con  tutti  e  principalmente 
col  Piemonte  e  con  l'Esercito  Francese  per  andare  indietro.  Vedremo!  Frattanto  la 
ritirata  dell'Austriaco  è  molto  probabile.  Lo  scopo  della  guerra,  quella  parte  che 
riguarda  all'  Italia,  sembra  essere  la  ripartizione  in  tre  grandi  Stati  ;  quello  del  Nord 
con  Vittorio,  del  Centro  col  Principe  Napoleone  e  del  Sud  col  primogenito  di  Bomba  ! 
Vedi  che  pasticcio  !  Vedi  che  noi  poveri  Meridionali  saremo  i  più  disgraziati  !  Ma 
chi  sa,  che  non  abbiano  fatto  i  conti  senza  l'oste.  Napoleone  per  Napoli  transige, 
per  non  avere  nemica  l' Inghilterra.  La  grave  malattia  del  Bomba  non  so  se  migliora 
o  peggiora  le  cose  ;  intanto  è  meglio  che  muoia.  Io  anzi  dubito  che  sia  morto  e  che 
non  pubblichino  la  notizia  per  accordarsi  prima  sulle  misure  da  prendere.  Nella  quistione 
attuale,  se  vi  saranno  moti  popolari,  secondo  la  loro  importanza,  le  cose  prenderanno 
diversa  direzione,  forse  non  preveduta  dai  motori. 

Questo  Governo  pare  voglia  fare  davvero  e  tutti  i  partiti  sono  concordi  nel  volerlo 
aiutare  nell'opera  di  cacciare  lo  straniero.  Il  solo  Mazzini  credo,  che  sia  in  parte 
avverso.  A  Genova  c'è  un  movimento  di  Società,  di  adunanze,  di  indirizzi  ecc.  da 
far  sbalordire.  Angelo  ( Bargoni)  son  certo  che  te  ne  avrà  scritto.  In  quanto  al  nostro 


42  TIMORI  E  SPERANZE  DEGLI  ESULI  SICILIANI 

concorso,  eccoti  il  mio  avviso.  Aiutare  il  movimento  nazionale  in  corpi  separati  lo 
credo  impossibile  ;  questo  governo  non  li  accetterebbe,  molto  più  che  alcuni  avevano 
messo  in  sospetto  le  adunanze  di  molti  patriotti  in  Genova,  sospetti  fortunatamente  ora 
dileguati.  Non  resta  che  aiutare  alla  guerra  incorporati  nei  corpi  organizzati  militar- 
mente e  la  preferenza  nei  più  disciplinati.  Credo  che  questa  sia  1'  unica  via.  Anzi  mi 
dicono,  che  questo  Governo  accetti  i  volontari  e  li  incorpori  divisi  in  diversi  corpi, 
così,  essendo  dispersi,  non  ha  motivi  di  sospettare.  11  corpo  di  Garibaldi  non  credo 
sarà  di  soli  volontari  ;  ritengo  piuttosto  sarà  un  corpo  fuso  di  truppa  organizzata,  mista 
a  volontari.  Insomma,  mi  sembra  che  non  vi  sia  scelta  :  o  incorporarsi  o  starsene  a 
vedere  ;  cosa  non  decorosa  quando  si  combatte  l'Austriaco  !  Quanto  a  me  individual- 
mente, attendo  di  vedere  che  piega  prendono  le  cose  per  risolvermi.  Ozioso  invero, 
non  vorrò  stare!  Se  ci  saranno  novità  ti  avviserò.  Tu  intanto  scrivimi,  che  io  sarò 
più  puntuale  a  risponderti.  Gli  auguri  che  ti  faccio  sono,  che  le  cose  vadano  bene 
questa  volta.   Salutami  tuo  fratello  e  ricevi  un  abbraccio  fraterno  dal  tuo 

aff.mo 

SALVATORE 
Al  Sig.  Ing.  G.  Cadolini 

Oristano  (Sardegna) 


* 
*     ■ 


Ma  i  due  esuli  siciliani,  che  scrissero  il  loro  nome  nel  bronzo  della  Storia, 
furono  Rosalino  Pilo  e  Francesco  Crispi  ;  sono  queste  le  due  figure  giganti  del 
prologo  di  quel  poema  epico,  che  fu  la  spedizione  dei  Mille.  Se,  come  giusta- 
mente fu  scritto,  a  Mazzini  e  a  Fabrizi  si  deve  il  merito  di  avere  alimentato 
nel  petto  dei  forti  figli  della  Sicilia  il  sacro  fuoco  della  libertà,  di  averli  incitati 
senza  mai  tregua  a  spezzare  le  catene  della  servitù  ed  a  mettere  da  parte  ogni 
malsana  idea  di  autonomia,  si  deve  a  Francesco  Crispi  il  vanto  di  avere  con 
coraggio,  tenacia  e  sacrifizi  preparato  l' Isola  a  ricevere  la  schiera  liberatrice  ed  a 
cooperare,  con  slancio  sublime,  alla  vittoria  finale.  Ma  un  altro  grande  merito 
si  ebbe  il  Crispi,  quello  di  essere  stato  Io  statista,  il  legislatore  della  rivoluzione. 
II  volume  di  documenti  recentemente  pubblicato  è  il  miglior  monumento,  che  a 
lui  poteva  erigersi. 

Natura  fiera  ed  inflessibile,  egli  ebbe  amici,  ma  irreconciliabili  avversari, 
non  solo  nella  seconda  parte  della  sua  vita,  quando  cioè  resse  le  redini  del 
Governo,  ma  anche  nei  tempi  memorabili  dell'  azione.  11  suo  implacabile  oppo- 
sitore di  queir  epoca  fu,  come  è  noto,  un  altro  siciliano,  Giuseppe  La  Farina, 
patriota  anch'  egli,  ma  che,  messosi  poi  ai  servizi  del  conte  di  Cavour,  per  ren- 


IL  PRECURSORE  DEI  MILLE  43 


dersi  gradito  al  suo  signore  e  per  soddisfare  la  propria  vanità,  esagerò  il  compito 
suo,  onde  egli  fu,  ben  si  può  dire,   il  pomo  della  discordia  nel  1 860  in  Sicilia. 

Gli  odi  seminati  in  quei  giorni  ebbero  il  loro  epilogo  nel  processo  inten- 
tato nel  1 869  da  Francesco  Crispi  contro  l' editore  del  famoso  epistolario 
lafariniano.  Il  veleno  istillato,  goccia  a  goccia,  nelle  lettere  dirette  al  conte  di 
Cavour  dal  La  Farina  mostrano  la  sconfinata  ambizione  dell'  uomo,  diretta  sopra- 
tutto a  criticare  ed  a  calunniare  l' opera  del  Crispi. 

Nel  novembre  del  1 869,  mentre  si  svolgeva  a  Milano  il  processo  contro 
Ausonio  Franchi  {Cristoforo  Bonavino),  editore  dell'  epistolario,  Crispi,  fortemente 
amareggiato  dalle  accuse,  che  gli  si  facevano,  sentì  il  bisogno  di  una  parola  di 
conforto  dal  solo  uomo,  che  era  al  caso  di  poter  dire  quale  era  stata  l' opera 
sua  in  tutta  la  campagna  di  Sicilia  ;  onde  egli  scrisse  a  Garibaldi  la  seguente  lettera 
inedita,   che  tolgo  nel  mio  Archivio  e  che  provocò  la  nota  risposta  del  Generale. 

Francesco  Crispi  a  Garibaldi. 

Milano,   1 1   novembre    !  869. 
Mio  Generale, 

lo  scrivo  da  Milano,  ma  voi  potete  rispondermi  a  Firenze,  dove  andrò  stasera. 
Sono  stato  qui  per  il  processo  contro  gli  editori  dell'  Epistolario  di  La  Farina.  La 
Farina  scriveva: 

«  che  sotto  la  Dittatura  furono  dati  gradi  e  comandi  ai  Borbonici  e  che  noi  per 
»  cercare  i  favori  che  ci  negava  il  paese,  ci  appoggiavamo  alle  persone  spregevoli 
»   ed  odiate; 

»  che  il  popolo  cacciò  dal  mio  Gabinetto,  a  pedate,  l' istruttore  del  Processo  di 
»   Bentivegna,  che  io  vi  teneva  a  scrivere  ; 

»  che  da  noi  la  finanza  fu  dilapidata  e  malversala  e  che  si  rubava  senza  ritegno  ; 

»  che  avevamo  disorganizzato  tutto  ed  avevamo  tutto  disordinato  ». 

lo  mi  querelai  in  Tribunale  contro  gli  Editori  del  libro  di  quel  miserabile  oggi 
defunto.  La  causa  cominciata  il  15  continuò  fino  a  ieri,  17,  e  venne  rinviata  al  27 
corrente.  Io  non  ve  ne  ho  scritto  mai,  quantunque  nel  libro  di  La  Farina  il  mio  nome 
sia  lacerato  ed  insultato.  Ve  ne  scrivo  oggi,  perchè  l'avversario,  leggendo  all'udienza 
del  16  una  lettera  vostra  al  Medici,  cercò  interpretarla  in  guisa  che  gl'ingenui,  e  sono 
molti,  dubitano  delle  vostre  intenzioni  a  mio  riguardo. 

Voi  mi  conoscete.  Nessuno  meglio  di  voi  può  giudicare  le  opere  mie,  la  mia 
moralità  come  vostro  Ministro.  Io  attendo  da  voi  tale  giudizio.  Vi  stringo  con  affetto 
la  mano. 

Vostro  di  cuore 
F.  CRISPI 


44  TIMORI  E  SPERANZE  DEGLI  ESULI  SICILIANI 

E  Giuseppe  Garibaldi  rispondeva  con  la  lettera  del  24  novembre  di  quel- 
l'anno e  già  pubblicata,  chiamando  il  Crispi  :  «  incontaminato  amico  mio,  primo 
per  senno  nella  gloriosa  nostra  impresa  e  oero  organizzatore  e  reggitore  dell'  invi- 
diato Governo  del  '60  ». 


*     * 


Rosalino  Pilo,  l'altro  grande  ma  infelice  esule  siciliano,  il  precursore  dei 
Mille,  alla  cui  memoria  vada,  in  questi  giorni  di  sacri  ricordi,  dal  petto  di  ogni 
italiano  un  palpito  di  gratitudine,  cadeva  esamine,  sei  giorni  avanti  l'entrata  di 
Garibaldi  a  Palermo,  colpito  in  fronte  da  una  palla  borbonica.  Egli  moriva  senza 
aver  potuto  vedere  realizzato  il  tormentoso  sogno  di  tutta  la  sua  vita  ! 

Nato  da  nobile  lignaggio,  ricco  di  averi,  consacrò  tutta  l'esistenza  ed  ogni 
sostanza  per  la  redenzione  della  patria.  Discepolo  di  Giuseppe  Mazzini,  fedele 
ai  dettami  del  grande  Apostolo,  cospiratore  indomito,  ebbe  quanto  e  più  del 
Maestro,  una  grande  sfiducia  nel  governo  piemontese,  da  lui  non  ritenuto  idoneo 
a  compiere  la  liberazione  nazionale.  «  Italiano  unitario  »,  come  chiamava  il  suo 
partito,  in  opposizione  a  quello  che  egli  diceva  «  municipale  costituzionale  * 
rappresentato  dal  governo  piemontese,  Rosalino  Pilo  non  vedeva  altra  via  che 
quella  dei  movimenti  popolari.  '  Scampato  per  puro  caso  alla  morte,  non  avendo 
potuto  partecipare,  come  era  stabilito,  all'infelice  impresa  del  Pisacane,  che  partito 
da  Genova  il  25  giugno  del  '57  sul  "  Cagliari  ,,,  con  Nicotera,  Falconi,  Daneri 
ed  altri  prodi  doveva  incontrare  il  Pilo  in  alto  mare,  ma  che  per  errore  di  rotta 
o  per  la  fitta  nebbia,  non  vi  riuscì,  Rosalino  se  ne  tornò  in  Genova  ed  unitosi 
a  Mazzini  ed  agli  altri  dovevano  tutti  insieme  di  sorpresa  occupare  i  forti, 
impadronirsi  di  un  vapore,  caricarvi  i  cannoni,  le  munizioni,  ed  imbarcarsi  per 
il  regno  di  Napoli  in  soccorso  di   Pisacane. 

Questo  disegno  disapprovato,  come  è  noto,  da  Garibaldi  e  che  lo  stesso 
Mazzini,  all'  ultimo  momento,  avrebbe  voluto  impedire,  venne  a  conoscenza  del 
Governo  e  Pilo  che  doveva  partecipare  all'assalto  del  forte  dello  Sperone,  riuscì 
a  fuggire  e  fu  condannato  in  contumacia.  Nei  primi  di  luglio  di  quell'anno  lo 
troviamo  rifugiato  in  Malta,  dove  gli  pervenne  la  seguente  lettera  inedita 
di  Mazzini,  che  trascrivo    dalla    copia  di  pugno    di    Rosalino  ;    lettera    che  è 


'  Paolucci  -  Rosalino  Pilo,  in  «  Archivio  Storico  Siciliano  »,  An.  XXIV,  pag.  211. 


IL  PRECURSORE  DEI  MILLE  45 


uno  dei  tanti  documenti  psicologici,  che  attestano  la  grande  tenacia  e  la  non 
comune  forza  d'animo  del  grande  esule  genovese,  che  nessun  insuccesso,  per 
quanto  tragico,  riusciva  ad  affievolire  e  che  in  quei  giorni  faceva  scrivere  a 
Giorgio  Pallavicino,  in  una  lettera  inedita  a  Felice  Foresti  le  seguenti  parole  : 
•«  Mazzini  ha  la  natura  del  gatto  ;  per  quanto  caschi  dall'alto  non  si  rompe 
mai  il  collo  ». 

Come  si  vede  Giuseppe  Mazzini,  pur  conoscendo  la  sorte  toccata  al  Pisacane, 
ignorava  ancora  i  particolari  della  spedizione  e  domanda,  se  Falcone  era  stato 
ferito.   L'eroico  Falcone  anch'egli  barbaramente  massacrato  ! 


Mazzini  a  Rosalino  Pilo. 


Caro  Fratello, 


Le  vostre  linee,  in  mezzo  a  tanti  dolori  ed  a  tanta  rovina,  mi  hanno  dato  un  vero 
piacere.  Non  dubitavo  della  tempra  vostra,  ma  non  sapevo  ove  foste,  se  libero,  se 
presto  ad  essere  attivo.  li  passato  recente  è  triste  ;  possiamo  attenuare  con  le  spiega- 
zioni, ma  non  cancellare  un  gran  fatto.  Non  basta  una  scintilla,  ma  è  necessaria  una 
splendida  vittoria.  Vi  è  in  Italia  malcontento,  desiderio  di  cangiamento  ;  ma  poco 
animo  a  slanciarsi,  poca  fede  in  se,  poco  slancio  di  sacrifizio.  Siamo  nati  ieri,  siamo 
fanciulli  ed  a  forza  di  ragionare  e  di  crederci  pratici,  siamo  decrepiti  in  fanciullezza. 
Il  Sud  (e  parlo  di  Sicilia,  come  di  Napoli)  dovrebbe  agire  ;  dovrebbe  aver  risposto 
a  Bentivegna  ed  a  Pisacane.  Non  l'hanno  fatto.  L' ultimo  caso  è  più  lamentevole  ;  la 
delusione  da  parte  della  Provincia  è  più  grave  ;  ma  anche  in  Sicilia  vi  è  guasto. 
Ragione  di  più,  perchè  noi  rimaniamo  fermi  sulla  nostra  via  di  predicazione  e  di  azione. 
Soltanto  bisogna  vedere  chiara  la  posizione.  Iniziativa  provocata  dalle  nostre  popola- 
zioni è  inutile  sperarlo.  Possiamo  cospirare,  organizzare  in  Napoli,  in  Sicilia,  altrove, 
quanto  vogliamo  :  non  sorgeranno  !  Giungeranno  sino  al  momento,  poi  si  lasceranno 
svolgere  dai  moderati  o  sopraffare  da  un  incidente.  D'altra  parte  non  v'ha  dubbio, 
che  il  popolo  della  città  è  buono,  che  il  malcontento  ed  il  desiderio  sono  universali 
e  che  una  villoria  sarebbe  seguita.  Bisogna  dunque,  procacciarsi  questa  vittoria  !  Questa 
vittoria  è  possibile,  ma  si  esigono  mezzi,  non  soverchiamente,  ma  abbastanza  forti. 
Prima,  unica  nostra  preoccupazione  deve  essere  questa.  Spendere  tanto  quanto  è  neces- 
sario per  mantenere  spirito  e  lavoro,  e  per  questo  poche  corrispondenze  e  stampa. 
Poi,  concentrare  ogni  cosa,  ogni  offerta,  piccola  o  grande,  religiosamente  e  formare 
una  somma.  Sprecare  in  viaggiatori,  in  progetti  d'armi  e  contrabbandi,  è  male.  Lo 
ripeto  :  non  riusciremo  mai  a  fare  che  inizino,  e  se  giungessero  ad  una  tale  condizione 
di  cose  da  farlo  davvero  lo  faranno  senza  i  nostri  poveri  aiuti.  Qualche  lettera  per 
occasione,  qualche  scritto  sentito,  cercando  di  rifare  parte  della  spesa  con  la  vendita 
all'  Estero.   Non  dobbiamo  fare  altro  per  l' interno.  Se  troviamo  venti  franchi,  mettiamo 


46  TIMORI  E  SPERANZE  DEGLI  ESULI  SICILIANI 


a  parte  due  per  la  stampa  tre  al  più  ;  mettiamo  i  diciasette  in  serbo  per  l' azione 
nostra.  Se  arriveremo  ad  avere  in  mano  la  certezza  di  un'  azione  nostra,  un  mese  di 
cospirazione  farà  il  lavoro  di  un  anno  o  due,  senza  poter  promettere  cosa  alcuna.  So 
cosa  vuol  dire  cercar  danaro,  però  bisogna  cercarlo.  Vi  mando  una  circolare  ;  qui  dove 
sono,  firmando,  versano.  Bisognerebbe  che  facessero  così  dapertutto.  Bisogna  insegnare 
ai  nostri  il  valore  dei  franchi  e  bisogna  dir  loro:  voi  non  appartenete  al  partito,  che 
di  nome  se  non  contribuite.  Questo  non  e'  impedisce  di  cercar  sempre  le  grosse  somme  ; 
ma  la  sottoscrizione  mensile  servirebbe,  se  non  fosse  altro,  alla  stampa  etc...  Riesciate 
o  non  riesciate,  tentate!  Dite  almeno  la  verità.  Gridate  che  un  partito  non  può  con 
onore  ridursi  all'  attività  di  un  uomo  o  di  pochi  uomini  !  Un  partito  è  una  Società  in 
grande  ;  deve  adempire  agli  obblighi  di  ogni  società.  La  carboneria  lo  faccia.  Quei 
che  dicono  di  appartenere  al  Partito  d' Azione  lo  facciano,  o  cessino  di  ciarlare  ! 
Dovunque  avete  amici,  cacciate  questo  grido  e  la  Circolare.  Avremo  fatto  almeno  il 
nostro  dovere.  E  quanto  al  resto,  agguantate  giovani  facoltosi,  donne  patriotte,  se  ne 
incontrate,  e  cercate  di  avere  qualche  offerta.  Se  vi  riuscite,  sia  che  concentriate  in 
mano  vostra,  di  Nicola  (Fabrizi)  o  mia,  non  vada  perdendosi  in  gocce  per  spese, 
che  tornano  inutili.  Ho  disegni  definiti,  ma  ora  è  inutile  discorrerne  ;  prima  abbiamo 
fondi.  Soltanto  vorrei,  che  ciascuno  di  noi  potesse  trovarne  da  qui  alla  fine  di  febbraio  ; 
a  quell'epoca  bisognerebbe  concentrare  in  mie  mani.  La  natura  del  disegno  da  scie- 
gliersi  dipenderà  in  gran  parte  dalla  cifra.  Ditemi  se  avete  nuove  di  Sicilia.  Sapete 
se  Falcone  perì  ?  Scriviamo  poco,  lavoriamo  sempre  !  non  parlo  del  passato,  ne  del 
povero  Carlo  {Pisacane),  perchè  ho  troppo  dolore  e  troppa  ira  nell'animo.  Voglia- 
temi bene. 

Vostro  aff.mo 

GIUS. 

P.  S.  -  Dove  non  si  può  ottenere  altro,  cercate  almeno  di  fare  qualche  abbonato 
all'  Italia  del  Popolo.  Perisce  per  difetto  di  collaboratori  retribuiti,  e  non  ha  denari 
per  retribuirli.  Se  trovate  corrispondenze  o  corrispondenti,  fate  che  ci  aiutino.  11  Gior- 
nale guardato  com'  è,  siccome  organo  del  partito,  è  importante. 

Rosalino  stette  in  Malta  quasi  un  anno,  ma  fu  spesso  ammalato  ;  dopo  si 
recò  a  Londra,  da  dove  nel  luglio  dei  '59,  alcuni  giorni  dopo  la  partenza  del 
Crispi  per  la  Sicilia,  si  trasferì  in  Toscana,  allo  scopo  di  cooperare  al  disegno 
di  Mazzini,  di  provocare  un  moto  nelle  provincia  papali  e  poi  nel  regno  di 
Napoli,  che  come  diversione  avesse  agito  in  favore  della  sollevazione  siciliana. 
Ma  il  1  7  agosto,  mentre  da  Firenze  si  recava  a  Modena,  fu  arrestato  a  Bologna, 
per  ordine  di  Cipriani,  insieme  al  Marangoni.  In  quei  giorni  furono  pure  impri- 
gionati Alberto  Mario  con  la  moglie.  Nei  primi  di  settembre  uscito  dal  carcere, 
riparò  a  Lugano,   dove  rimase  fino  al  dicembre  ;  poscia  andò  a  Genova. 


IL  PRECURSORE  DEI  MILLE  47 


* 
*     * 


Le  importanti  lettere  inedite  di  Rosalino  Pilo,  che  qui  pubblico  sono 
dirette  a  Salvatore  Calvino,  che  egli  amava  come  fratello,  ma  dal  quale  sovente 
dissentiva  per  essere  il  Calvino  temperamento  più  equilibrato,  scevro  da  idee  dot- 
trinarie e  non  facile  a  farsi  trasportare  dalla  passione.  Questo  dissenso  si  manifesta 
con  una  punta  d' ironia,  talvolta  assai  acre  e  pungente  e  che  deve  considerarsi 
come  r  espressione  di  un'  anima  ammalata.  Attraverso  però,  a  giudizi  spesso 
ingiusti  o  esagerati,  si  scopre  sempre  un'anima  buona,  ipersensibile,  tutta  inva- 
sata dalle  dottrine  mazziniane  ;  si  scorge  l' uomo  che  opera  sotto  l' imperio  di 
un'  idea  fìssa,   che  è  la  sua  vita  ed  il  suo  tormento. 

Perchè,  in  verità,  l'esistenza  di  Rosalino  Pilo  non  fu  che  una  serie  non 
interrotta  di  dolori  fisici  e  morali  !  11  fuoco  della  passione  che  internamente  lo 
divorava,  ne  indeboliva  sempre  più  la  sua  debole  compagine  organica.  In  una 
delle  lettere  al  Calvino,  egli  dice  :  «  Ho  scritto  a  Palermo  per  vendersi  l' ultimo 
residuo  per  mio  vitalizio;  se  mi  si  manderà  il  denaro  presto,  sarò  anch'io  in 
azione.  Per  ora  lo  stato  mio  è  di  morte,  perchè  dopo  dieci  anni  di  sacrifizi 
fatti,   vedermi  forzato  a  stare  inoperoso,   è  un  martirio  non  spiegabile!  » 

L'ultima  delle  lettere,  fu  scritta  il  25  marzo  1860  da  Genova,  un  giorno 
avanti  che  egli,  col  prode  Corrao,  partisse  per  la  Sicilia  in  una  piccola  paranza 
per  preparare  l' Isola  alla  venuta  di  Garibaldi,  che,  come  si  sa,  era  tutt'  altro 
che  decisa.  La  pericolosa  traversata,  l'arrivo  in  Sicilia  hanno  del  romantico  e 
del  meraviglioso  !  La  lettera  è  diretta  ai  suoi  due  amici.  Calvino  e  Cianciolo, 
entrambi  arruolati  nell'  esercito  sardo  ed  in  quei  giorni  al  seguito  del  generale 
Ribotti  ;  è  un  documento  umano  dei  più  interessanti  in  cui  il  grande  patriota, 
attraverso  al  più  fine  sarcasmo,  rivela  il  suo  grande  amore  per  la  patria  ed  il 
presentimento  della  morte  vicina  ! 

Pilo  e  Corrao,  sbarcati  nelle  vicinanze  di  Messina,  si  diedero  con  ardi- 
mento a  correre  per  l' isola,  infiammando  le  popolazioni  con  la  parola,  annun- 
ziando prossimo  l' arrivo  di  Garibaldi  e  cercando  che  non  si  spegnessero  del 
tutto  gli  entusiasmi  della  domata  rivolta  del  4  aprile,  scoppiata  al  suono  delle 
campane  della  Gancia.  La  marcia  dell'  eroico  Rosalino  verso  Palermo  in  mezzo 
ai  più  grandi  pericoli,  la  sua  corrispondenza  con  Garibaldi  sono  pagine  di  storia 
conosciute.  Ma  inedito  è  il  proclama,  che  il  precursore  dei  Mille  dirigeva  il 
5   aprile  del    1860  in  Carini  al   Popolo  Siciliano  e  che  qui  trascrivo. 


48  TIMORI  E  SPERANZE  DEGLI  ESULI  SICILIANI 


Proclama  di  Rosallno  Pilo  ai  Siciliani. 

FRATELLI  SICILIANI 

L'ora  è  suonata  del  nostro  riscatto.  Era  ornai  tempo,  che  fossimo  calati  in  piazza 
per  abbattere  l'infame,  mostruoso,  satanico  Governo  Borbonico.  Nostri  fratelli  di  fede 
e  di  suolo  sono  li  sostenitori  di  questa  gloriosa  insurrezione  da  voi  con  tanto  coraggio 
iniziata  ;  eglino  si  augurano  di  vedersi  seguiti  ed  onorati  di  vostra  fiducia.  Sono  con 
voi  oggi  uomini  a  voi  non  ignoti  per  essersi  trovati  nella  gloriosa  insurrezione  del  12 
gennaio  1 848  e  nella  difesa  eroica  della  città  di  Messina  del  detto  anno  ;  per  la  qual 
cosa  dodici  anni  di  esilio  essi  hanno  dovuto  e  saputo  onoratamente  soffrire.  Eglino 
sono  corsi  e  sbarcati  clandestinamente  al  primo  vostro  agitarvi  e  non  senza  forti  peri- 
coli sonosi  frammischiati  fra  voi  per  sostenere  la  insurrezione  già  incominciata,  che 
deve  distruggere  gli  sgherri  del  borbone  con  l'ottenere  dal  popolo  la  vera  libertà. 

Siciliani  fratelli!  Corriamo  tutti  ad  imbrandire  le  armi  e  procuriamo  a  tutta  forza 
di  procacciarci  le  armi  e  le  munizioni  preparate  dai  sommi  Italiani  Generale  Garibaldi 
e  Giuseppe  Mazzini.  Eglino  già  ce  le  hanno  preparate,  onde  senza  l' aiuto  straniero 
potessimo  liberarci  dall'  infame  governo  borbonico  e  dagli  stranieri  oppressori  della  nostra 
grande  Patria,   l' Italia. 

Siciliani  fratelli!  Innalziamo  in  tutti  li  paesi,  in  tutte  le  città  della  bella  e  sventu- 
rata isola  nostra,  la  bandiera  Nazionale  dei  puri  tre  colori  italiani  e  mostriamo  all'  Europa 
tutta,  che  non  siamo  figli  degeneri  della  grande  Italia  nostra  ;  mostriamo  che  il  nostro 
programma  di  rivoluzione  è  :   Unità  e  Libertà  d' Italia  e  la  Sovranità  del  Popolo. 

Siciliani,  in  questo  momento  non  discussioni  inopportune,  né  discordie  fraterne 
ci  tengano  divisi  ;  non  imbarazziamoci  per  ora  della  nuova  forma  di  Governo  da 
adottarsi  ;  lasciamo  alla  Nazione  libera  la  scelta  della  forma,  tosto  che  potranno  in  Roma, 
sul  Campidoglio,  sedere  i  rappresentanti  del  Popolo  ;  per  ora  tutti  al  grido  dell'  Unità 
e  Libertà  combattiamo  per  distruggere  il  Governo  del  despota,  che  ci  ha  oppresso  e 
ci  opprime.  Vendichiamo  il  sangue  dei  nostri  martiri  caduti  dal  '48  al  '60.  Chiunque 
cercherà  di  mettere  la  nostra  bandiera  retrograda  od  antinazionale  sia  tenuto  come 
nemico  d'Italia;  chiunque,  in  questi  supremi  momenti,  spargerà  parole  di  tradimento 
o  di  falsi  allarmi,  sia  tenuto  e  punito  come  traditore  della  Patria  nostra  e  sia  tosto 
consegnato  al  Comitato  di  Sicurezza  Pubblica,  costituitosi  per  la  nostra  difesa  e  per 
la  conquista  della  Libertà. 

Siciliani  !  Bando  ai  rancori  privati  ;  rispetto  sopratutto  alla  proprietà  e  subordina- 
zione ai  vostri  capi  ed  alla  Legge. 

Siciliani  !  Corriamo  in  massa  alle  armi  ;  siano  nostre  armi  li  fucili,  le  ronche,  le 
accette  e  tutto  quanto  può  offendere  il  nemico;  valiamoci  dell'arma  popolare;  la 
granata  o  bomba  all'  Orsini  per  sterminare  i  nostri  nemici  ;  non  date  quartiere  ai  birri 
soldati  e  Capitani  d' armi,  che  marciano  alla  testa  della  truppa  Napoletana  e  che  essendo 
Italiana,  fin'  oggi  non  ha  inteso  il  suo  dovere  di  essere  truppa  Italiana  e  non  ha  voluto 
imitare  il  bello  esempio  che   la  truppa  Toscana  gli  diede.  Li  ricchi  nostri  concittadini 


ILPRESIBEHTE  DEL  CONSÌ&LI0  BEI  MINISTRI 


cJ'ulLcy^ioyo:>iy.i}vu^    clt/  o^^ay^'c>     ^^eneta/^     Ùct/cU/lO 


>i-u^'<y 


Decreto  firmato  da  Cavour  col   quale    Garibaldi   è    nominato  Maggior  Generale 
Comandante  del  Corpo  dei  Cacciatori  delle  Alpi.  (Vedi  pag.   23). 


CJyr^^f  ^  ^^?5??^i^    ;^%à^  ^L 


^}^^l-o 


:»v.      -•»-»«/-< 


e''^  ^?*'  '=^-^.    y^£-<^^S^      i%''^^«^       i^-^a^^f-^^  e-i^C^iZ       J^a^ei-at*i« 


<^^-^^?feC7~^^     ^ 


12y  '-^^c^H^Z^^-ii.-D      — 


Il  "  Programma  Italiano  „  di  Garibaldi  scritto  di  sua  mano  verso  il   1856. 

(Vedi  pag.  24). 


IL  PRECURSORE  DEI  MILLE 


49 


si  apprestino  ad  aiutare  con  generose  e  forti  offerte,  in  questi  supremi  momenti,  con 
l'oro,  il  paese  e  non  vi  sia  cittadino,  anche  poco  agiato,  che  non  porti  il  suo  obolo 
al  Comitato  insurrezionale,  onde  ai  nostri  fratelli  che  combattono  non  manchi  il  neces- 
sario di  vitto,  munizioni  ed  armi.  Tutte  le  Congregazioni  religiose  soddisfino  da  parte 
loro  al  presente  appello  ;  non  si  metta  il  Comitato  di  sicurezza  e  difesa  pubblica  nella 
dura  circostanza  di  prendere  misure  efficaci  per  ottenere  quello  che  di  dovere  ogni 
buon  patriotta  nostro  concittadino  e  corporazioni  religiose,  in  simili  frangenti,  devono 
spontaneamente  compiere  verso  la  Patria  comune. 

Siciliani,  concordi  ed  uniti  combattiamo  il  Borbone  e  morte  agli  infami  satelliti 
ormai  nemici  d' Italia  ! 

Siciliani,  con  la  concordia,  il  sacrifizio,  l'audacia  e  la  fermezza  di  proposito  vince- 
remo ;  abbiate  certa  coscienza  di  ciò  ! 

Animo  dunque,  corriamo  tutti  all'armi,  perchè  la  causa  nostra  è  santa  per  essere 
la  causa  del  Popolo  per  il  trionfo  della  Nazionalità  ! 

Viva  l' Italia,  Una  e  Libera  !  Viva  la  Sovranità  del  Popolo  !  Viva  la  Sicilia  ! 
Viva  Roma  !  Viva  il  Popolo  Italiano  ! 


Rosalino  Pilo  a  Salvatore  Calvino. 


Mio  carissimo  Salvatore, 


14,  Alfred  Place  Bedford  Square. 

Londra,    li    30   maggio   1859. 


Dopo  lunghissimo  tempo,  mi  pervenne  una  tua  breve  letterina  ed  in  essa  trovai 
il  rimprovero  di  silenzio  da  mio  canto  verso  di  te;  ma  io  non  credo  di  meritare  il 
rimbrotto,  perchè  scrivendo  al  nostro  Federico  lo  pregai  sempre  di  mandarti  le  mie 
lettere,  perchè  scrivere  a  lui,  intendevo  scrivere  a  te,  e  mi  sarebbe  piaciuto  in  tempo 
opportuno  conoscere  da  te  direttamente  le  ragioni  del  tuo  preso  servizio  sotto  una 
bandiera  fin'  oggi  non  unitaria  ed  alleata  a  Napoleone,  che  non  sosterrà  mai,  a  mio 
credere,  la  costituzione  della  nostra  Patria  Una  e  Libera.  Basta,  tu  credesti  di  non 
scrivermene,  ed  io  non  posso  muovertene  lagno. 

Amico  mio,  oh!  non  puoi  credere  quanto  mi  rincresca  non  poterti  essere  a  fianco 
e  di  vivere  al  tuo  lato  li  pericoli  della  guerra  ;  spero  che  la  fortuna  ti  sarà  propizia  ; 
spero  che  tu  e  tutti  gì'  Italiani,  che  ti  somigliano,  non  deporrete  le  armi  fino  a  che  non 
sarà  r  Italia  nostra  Una  e  Libera,  ed  in  tutte  le  provincie  libera  dalla  presenza  di 
stranieri.  Ho  troppa  buona  opinione  di  te  per  dubitare  di  ciò.  Ho  troppa  buona  opi- 
nioni dei  volontari  corsi  sotto  le  armi  per  temere,  che  le  depongano  prima  di  aver 
conquistato  l' Unità  della  Patria  nostra.  Fate  di  tutto,  perchè  il  grido  dell'  Unità  del- 
l'Italia  sorga  sin  da  principio  di  questa  guerra,  per  Dio!  Non  si  cambi  il  Gran  Duca 
di  Toscana  per  Plomplon  e  via  discorrendo.  Si  dichiari  che  vogliamo  essere  Italiani  ; 
si  dichiari  che  non  vogliamo  Tedeschi,  né  Francesi. 

Amico  mio,  vorrei  scriverti  a  lungo,  ma  non  lo  posso  ;  ho  scritto  una  lunga  lettera 
ad  Angelo  nostro  (Bargoni)  ;  prendine  contezza,  vi  ha  anche  un  rimprovero  per  te.  Non 

CURÀTULO  4 


50  TIMORI  E  SPERANZE  DEGLI  ESULI  .SICILIANI 

ti  scrivo  a  lungo,  perchè  ancora  convalescente  di  1 8  giorni  di  grave  malattia  ;  ora  sto 
meglio,  ma  affranto  di  forze  e  abbattuto  di  morale  per  le  tante  contrarietà  avute.  Fra 
li  dispiaceri  che  mi  ho,  non  è  lieve  quello  di  trovarmi  mancante  di  mezzi  pecuniari 
per  potere  lasciare  Londra  e  recarmi  in  un  punto  dove  potrei  combattere  e  spendere 
la  mia  vita  per  la  Patria  nostra  sotto  vessillo  unitario,  non  infesto  da  Francesi  ancora. 
Basta  :  ho  scritto  a  Palermo  per  vendersi  l' ultimo  residuo  del  mio  vitalizio  ;  se  mi  si 
manderà  il  denaro  presto  sarò  anch'  io  in  azione  ;  per  ora  lo  stato  mio  è  di  morte, 
perchè  dopo  IO  anni  di  sacrifizi  fatti,  vedermi  forzato  a  stare  inoperoso  è  un  martirio 
non  spiegabile. 

Addio,  mio  caro  fratello  ;  se  lo  potrai,  dammi  le  tue  nuove.  Ho  letto  un  dispaccio 
del  28  maggio,  che  dice  il  Generale  Ribotti  essere  riuscito  ad  entrare  in  Parma  ed 
essersi  proclamato  nel  Carrarese  ed  in  Parma  lo  aderimento  al  Governo  Sardo.  Tu 
sarai,  credo,  con  Ribotti  e  quindi  mi  congratulo  del  vostro  trionfo  ;  salutami  Ribotti. 
Addio,  ti  lascio  ;  accetta  un  bacio  fraterno  dal  sempre 

luo  aff.mo  amico 
ROSALINO   PILO 

Lugano,    IO  novembre   1859. 
Mio  amatissimo  Salvatore, 

Finalmente  dopo  tanto  tempo,  mi  è  stato  concesso  di  vedere  i  tuoi  caratteri  e  di 
rilevare  dal  contesto  del  tuo  foglio,  che  la  nostra  amicizia  non  si  è  punto  affievolita. 
E  bene  che  tu  sappia  che  io  non  prestai  mai  fede  alle  ciancie,  che  mi  scrissero  ;  né 
feci  motto  al  nostro  Bargoni  di  quanto  mi  si  era  scritto,  non  mai  perchè  io  avessi 
riposto  fede  a  quello  che  mi  si  era  vergato,  ma  piuttosto  per  conoscere  la  causa  del  tuo 
lungo  silenzio,  del  non  aver  nemmeno  riscontrato  ad  un'  ultima  lettera,  che  da  Londra 
t'inviai;  dubitai  che  tu  fossi  meco  in  freddo  per  non  esserci  trovati  d'accordo  negli 
ultimi  fatti,  come  si  era  previsto,  col  tradimento  di  Villafvanca  e  con  una  maggiore 
influenza  da  padrone  dell'uomo  infame  del  2  dicembre  sulla  sventurata  Italia  nostra. 
Basta,  speriamo  che  gì'  Italiani  non  depongano  le  armi  senza  vendicar  Perugia,  e  se 
non  prima  avranno  ottenuto  libertà,  unità  ed  indipendenza  da  tutta  specie  di  stranieri. 
Amico  mio,  non  posso  fare  a  meno  di  dichiararti,  che  sono  ben  lieto  di  aver  constatato 
da  questo  tuo  foglio  del  6,  che  la  tua  amicizia  non  mi  si  è  punto  diminuita  e  che 
sempre  possiedo  il  tuo  affetto  da  fratello. 

Conoscevo  le  mene  dei  signori  indipendentisti  e  le  conobbi  minutissimamente  dal 
mio  passaggio  a  Parigi.  Figurati  che  mi  fu  dato  conoscere  e  positivamente,  che  se 
durava  la  guerra  una  spedizione  Plomploniana  sarebbesi  fatta  dalla  Corsica,  comandata 
da  un  tal  Franchetti  o  Fraschetti  e  con  l' appoggio  di  vari  dei  nostri  fra  i  quali  Enrico 
F.  {Fardello),  Giacinto  C.  {Carini),  Cricchio  etc.  La  spedizione  dovevasi  comporre 
di  due  o  trecento  corsi,  vestiti  da  Zuavi  e  con  un  falso  proclama  di  Garibaldi.  Plomplon 
doveva  essere  proclamato  Re  di  Sicilia.  Tutto  questo  lo  seppi  prima  in  Londra,  per 
confidenza  fattamisi  da  uno,  che  doveva  far  parte  della  spedizione    e  poscia  ne    ebbi 


IL  PRECURSORE  DEI  MILLE  51 

conferma  a  Parigi  e  Marsiglia  da  altri,  che  mi  credevano  alla  conoscenza  di  tutto, 
per  avermene  io  mostrato  inteso.  In  Parigi  vidi  Fabrizio  Viilafranca  con  Carini  e  da 
loro  appresi  che,  essendo  in  campo  dopo  la  pace  e  la  conferenza  di  Zurigo  un  Con- 
gresso per  stabilire  un  nuovo  assetto  d' Italia,  al  marchese  di  Torrearsa  dagli  indipen- 
dentisti si  era  affidata  la  missione  di  perorare  e  presso  Napoleone  111  e  presso  Pal- 
merston,  la  causa  loro,  ossia  il  ricupero  della  costituzione  del  1812  adallata  ai  tempi. 
Vedi  un  po'  che  tenacità  insana  d' uomini  !  Oh  !  sì,  i  suddetti  indipendentisti  sono 
stati  fatali  ! 

E  bene  che  sappi,  che  dal  nostro  partito  sino  dagli  ultimi  di  luglio,  si  era  spedita 
persona  (Crispi)  in  Messina,  Catania  e  Palermo  con  mezzi  che  giunsero,  e  si  era 
stabilito  da  tutti  i  Comitati,  costituiti  però  da  elementi  discordanti  tra  loro  di  opinioni, 
che  il  4  ottobre  si  sarebbe  fatta  la  rivoluzione.  Tutto  era  pronto  ;  202  (Agazzini)  era 
per  r  oggetto  in  Firenze  ed  io  ero  pure  colà  per  andare  in  Catania,  appena  si  riceveva 
r  avviso.  In  quel  frattempo,  si  pensò  che  io  facessi  una  corsa  sino  a  Modena  per 
vedere  Ribotti,  te,  Fabrizi,  Cianciolo;  ero  fornito  di  lettere  di  202  (Mazzini),  che 
trattavano  della  importanza  di  portare  a  fine  quel  piano,  che  ora  si  conviene  essere 
indispensabile  a  compiersi.  Giunto  in  Bologna,  per  mancanza  di  partenza  del  treno, 
dovetti  fermarmi  la  notte  e  venni  arrestato.  Dopo  tre  perquisizioni  si  rinvennero  le 
lettere  :  ma  quello  che  più  si  cercavano  si  erano  proclami  di  202  (Mazzini)  d' insurre- 
zione repubblicana,  e  ciò  per  avviso  dato  dalle  Polizie  combinate.  Francese  e  Toscana. 
Il  mio  arresto  durò  40  giorni  e  fu  fatale  per  ciò  che  verrò  a  dirti.  La  persona  che 
si  era,  sin  dagli  ultimi  di  luglio,  portata  in  Sicilia  (Crispi),  dopo  preso  accordo,  fu 
dai  nostri  dell*  interno  spinta  a  portarsi  a  Firenze  presso  202  (Mazzini)  per  dirgli 
che  il  4  si  sarebbe  fatto  il  moto,  per  richiedergli  un  proclama,  che  potesse  abbrac- 
ciarsi da  tutti  e  per  farmi  andare  in  Catania  prima  del  4,  dicendo  di  esservi  atteso 
e  che  mi  si  era  preparato  il  sito  per  starvi  nascosto  sino  al  giorno  dell'  insurrezione. 
Fatalmente  io  ero  in  prigione  ;  I  amico  spedì  il  Proclama  ed  annunziò  il  mio  arresto. 
Neil'  intervallo  gì'  Indipendentisti  ed  i  Lafariniani  sopratutto,  si  diedero  moto  a  metter 
dissidi,  ed  amici  del  La  Farina  dalla  Toscana,  avvertiti  da  quelli  dell'  interno  del 
convenutosi  movimento  da  farsi  con  la  nostra  cooperazione  e  con  i  mezzi  da  noi 
somministrati,  scrissero  in  Catania  ed  in  Palermo  perchè  non  muovessero,  dappoiché 
una  rivoluzione  in  quel  momento  avrebbe  rovinato  1'  Italia  ;  e  con  la  solita  infamia 
davano  dell'  Austriaco  all'  individuo,  che  si  ebbe  l' audacia  di  portarsi  in  Sicilia  e 
starvi  per  più  tempo.  Nel  frattempo  di  queste  brighe  infami,  i  nostri  dell'  interno,  in 
minor  numero  nei  Comitati  dirigenti,  ci  avvisarono  prima,  che  si  era  posposto  il  movi- 
mento del  4  e  poscia  scrissero  che,  nonostante  l'opposizione  del  Comitato  di  Palermo, 
si  sarebbe  fatto  il  movimento  e  così  la  persona,  che  era  stata  in  Sicilia,  si  rimise  in 
viaggio  con  altri  nostri  di  Malta  ;  ma  passati  da  Messina  furono  avvertiti  di  non  pren- 
dere terra,  perchè  si  era  di  nuovo  pensato  a  non  agire.  Io  già  mi  avevo  la  libertà  e 
stavo  in  attenzione  di  chiamata  ;  avevo  scritto  a  Garibaldi,  che  da  me  era  stato  in 
Firenze  parlato  sul  proposito  di  fornirmi  di  un  Passaporto;  intanto  me  ne  cercai  uno, 
ma  r  ebbi  tardi  e  mi  servirà.  Se  io  non  fossi  stato  arrestato  e  mi  fossi  potuto  abboccare 
con  voi  il  4,  senza  fallo  io  mi  sarei  trovato  al  posto  e  sono  certo    che    i  Lafariniani 


52  TIMORI  E  SPERANZE  DEGLI  ESULI  SICILIANI 

e  gì'  Indipendentisti  non  sarebbero  riusciti  nelle  loro  infami  mene.  Le  quali  che  cosa 
hanno  prodotto  ?  Che  la  Polizia  è  giunta  a  conoscere  i  preparativi  ed  ha  cercato  di 
prendersi  le  armi  dei  cittadini  passando  all'  arresto  di  molti,  che  si  erano  mostrati 
attivi.  L'  1 1  ottobre,  dietro  denunzia  del  fratello  di  Scordato,  il  famoso  ladro,  la 
Polizia  cercò  disarmare  i  campagnoli  della  Bagheria,  Santa  Flavia,  Ficarazzi  etc.  ed 
una  specie  d' insurrezione  ha  avuto  luogo  ;  sono  corse  notizie  contradittorie,  ma  tuttavia 
nulla  di  positivo  si  sa.  Io  sono  pronto  ad  andare  e  forse  mercoledì  prossimo  non  sarò 
in  questa,  ma  in  viaggio  verso  casa  ;  tu  rispondi  alla  presente  a  rigor  di  posta.  Rispon- 
dendo, fammi  conoscere  tutto  quanto  si  è  dai  Generali  amici  stabilito,  onde  nel- 
r  interno  possa  portare  buone  notizie  e  deciderli  a  fare,  se  già  non  sono  in  campagna  ; 
perchè  dicesi,  come  avrai  veduto  dai  giornali,  che  verso  Castrogiovanni  vi  ha  una 
forte  banda  con  alla  testa  li  fratelli  Mastricchi. 

Nicola  (Fabrizi)  e  tornato  forse  costà?  Ti  domando,  perchè  ieri  ricevei  lettere  da 
Malta  da  Crispi  e  Tamajo  e  non  mi  si  parla  appunto  di  Nicola  ed  è  strano.  Se  è  costà 
digli,  che  202  {Mazzini)  mi  scrive,  che  aspetta  sue  lettere  ed  abbracciamelo.  Vidi 
Interdonato  ed  Errante  in  Milano  ;  nelle  poche  ore  che  vi  stetti  con  l'agente  di  Polizia  di 
Bologna,  parlai  con  li  suddetti.  Giovannino  {Interdonato)  mi  premurava  a  che  202  {Maz- 
zini) rivolgesse  tutti  gli  sforzi,  perchè  si  facesse  in  Sicilia.  L*  accertai  che  da  più  tempo 
costì  si  era  da  noi  tutto  rivolto  e  che  giusto  si  sperava  il  movimento;  lo  rimproverai 
del  suo  non  concorso  e  rimproverai  lui  e  tutti,  che  non  si  erano  dati  e  non  si  davano 
pensiero  a  radunare  mezzi  per  agire  e  si  lasciava  202  {Mazzini)  solo  a  fare  spese  di 
viaggiatori  e  di  materiali  ;  Io  rimproverai  pure  di  non  aver  risposto  mai  giusto  a  pro- 
posizioni mie  fattegli  per  mezzo  di  Angelo  {Bai  goni)  durante  il  mio  soggiorno  a  Londra, 
e  precisamente  nel  principio  della  guerra,  quando  gli  dicevo  di  metterci  d'  accordo 
sul  campo  dell'  Unità,  terreno  comune.  Lo  trovai  ora  disposto  a  fare  e  mi  disse,  che 
tornava  in  Genova  e  Spezia  e  sarà  certo  colà.  Se  potrò  vederlo  prima  di  portarmi 
in  casa,  saprò  con  chi  è  in  relazione  ;  se  tu  il  sai  comunicamelo,  e  dimmi  pure  come 
posso  fare  per  mettermi  in  contatto  con  tuo  fratello  e  legarlo  ai  nostri.  Se  non  avessi 
avuto  il  pericolo  di  essere  costà  pure  arrestato,  sarei  venuto  ;  ma  purtroppo  un  secondo 
arresto  mi  nuocerebbe.  Addio  mio  più  che  amato  fratello,  t'  auguro  buona  fortuna, 
salutami  Ribotti,  Vincenzo  {Cianciolo),  Mistretta,  Campo,  Pisani,  se  trovansi  costà. 
Dimmi,  Regio  ha  preso  servizio  ?  Salutamelo.  Salutami  Cosenz,  se  Io  vedi,  Bixio  e 
Medici  ed  il  FrappoUi,  se  mi  ricorda  più.  Addio,  vogliami  bene  ed  in  attenzione  di 

tuo  pronto  riscontro,  dandoti  un  bacio  fraterno  passo  a  segnarmi 

tutto  tuo 

ROSALINO 

PS.  -  All'  amico  Bert.  {Bertoni)  dirai,  che  ricevei  la  sua  lettera  e  che  sapendolo 
in  viaggio  non  gli  rispondo,  che  1'  abbraccio  e  spero  di  vederlo,  se  la  fortuna  ci  sarà 
propizia  ai  quattro  Cantoni.  ' 


E  il  luogo  più  centrale  di  Palermo,  dove  s' incrociano  Via  Toledo  e  Via  Macqueda. 


IL  PRECURSORE  DEI  MILLE  53 


Lugano,  22  novembre  1859. 
Mio  carissimo  Salvatore, 

La  mia  partenza  la  ho  dovuta  postergare  per  più  motivi,  starò  forse  fino  al  29 
od  ai  primi  di  dicembre  in  questa  ;  quindi  puoi  scrivermi  ed  accusarmi  ricezione  della 
presente.  Nella  tua  lettera,  datata  da  Bologna,  non  trovai  il  biglietto  per  tuo  fratello; 
mandamelo,  potrà  servirmi.  Mi  perdonerai,  se  con  ritardo  rispondo  alla  succennata  tua 
lettera,  ma  causa  ne  è  stata  una  malattia  delle  solite,  che  mi  ha  per  ben  quattro  giorni 
tormentato.  Amico  mio,  sapevo  da  qualche  giorno  che  forti  dissensi  esistevano  fra 
Garibaldi  e  Fanti,  ne  conoscevo  i  motivi,  e  sapevo  pur  troppo  che  il  primo,  pensava 
di  dimettersi,  se  non  si  poneva  fine  una  volta  alla  inazione  da  parte  delle  nostre  truppe, 
e  se  non  si  poneva  termine  dal  farsi  giocare,  guidare,  e  comandare  dall'empio  assassino 
del  2  dicembre,  assassino  al  '49  di  Roma  ed  oggi  d' Italia  tutta  in  Villa/ranca.  Amico 
mio,  ritengo  che  Vittorio  Emanuele  ha  rovinato  la  causa  d'  Italia  ed  anco  quella  di 
sua  famiglia  col  continuare  a  stare  schiavo  del  suo  alleato,  che  tradì  a  Villafranca. 
Vittorio  Emanuele  ha  pure  arrecato  molto  danno  all'  Italia  col  mancare  alle  promesse 
date  al  Garibaldi  sin  dall'  ultimo  ottobre,  cioè  di  fargli  passare  la  Cattolica,  tosto  che 
gli  avesse  dichiarato  di  trovarsi  in  forze  d'  assalire  e  combattere  i  papalini  e  portarsi 
avanti  ;  Vittorio  Emanuele,  se  veramente  campione  dell'  Unità  e  libertà  d'  Italia  voleva 
farsi  tuttavia  ritenere,  doveva  secondare  i  consigli  del  Garibaldi  ;  dappoiché  non  v'  era 
e  non  vi  ha  salute  per  l' Italia  per  liberarsi  dal  giogo  straniero  e  dai  tiranni,  che 
r  opprimono,  se  non  la  marcia  di  coleste  ardimentose  truppe  nostre.  Sì,  la  loro  marcia 
verso  Perugia  e  gli  Abruzzi  avrebbe  suscitato  la  rivoluzione  in  tutte  le  provincie,  che 
gemono  sotto  il  dispotismo  di  Antonelli  e  del  Borbone,  e  l' Italia  d' un  subito  si 
sarebbe  trovata  unita  sotto  il  vessillo  tricolore  e  con  un  potente  esercito  da  farsi 
rispettare.  Dappoiché  la  rivoluzione  in  Napoli  e  Sicilia  ci  dava  e  ci  darà  (se  si 
riuscirà  a  promuoverla)  200  mila  soldati  ed  una  squadra,  che  unita  a  quella  del 
Piemonte  potrebbe  arrecare  positivi  vantaggi.  Vittorio  Emanuele,  nel  mancare  alle 
promesse  date  a  Garibaldi  e  neW accettare  invece  la  dimissione  sua  ha  rovinato  la 
causa  d'Italia. 

Il  Fanti  poi,  ha  avuto  gravissimo  torto  nell'  osteggiare  il  passaggio  delle  nostre 
truppe  al  di  là  della  Cattolica,  unica  e  sola  àncora  di  salvezza,  che  si  avea  l' Italia 
per  liberarsi  del  nuovo  sedicente  protettore  e  costituirsi  forte,  libera,  e  potente  Nazione. 
Sì,  per  me  è  stata  una  fatalità  il  trovarsi  il  Fanti  costà  generale  in  capo.  Egli  ha  ben 
servito  Napoleone  col  farsi  prescegliere  da  Vittorio  Emanuele  e  dai  suoi  Ministri  al 
Garibaldi.  Quesl'  ultimo  poi  ha  mancato  verso  l' Italia,  non  dichiarando  chiaramente  il 
motivo  del  suo  ritiro  dall'  azione  ;  egli  non  doveva  cedere  alle  preghiere  del  Re  Vit- 
torio Emanuele,  accondiscendendo  a  tenere  occulto  il  vero  motivo  del  suo  ritiro.  Egli 
doveva  restare  al  campo  e  far  noto  il  suo  pensiero  all'  armata,  mettersi  alla  testa, 
agire  rivoluzionariamente,  e  lo  poteva  e  lo  doveva  per  la  salute  d'  Italia.  Egli,  se  si 
fosse  deciso  ad  oprare  in  detta  guisa,  avrebbe  salvata  la  causa  della  Patria,  dappoiché 
tutta  r  Italia  avrebbe  operato  portenti  al  suo  marciare  e  da  soli,  gli    italiani  si  sareb- 


54  TIMORI  E  SPERANZE  DEGLI  ESULI  SICILIANI 

bero  resi  indipendenti,  liberi  ed  uniti.  Ho  letto  1'  ordine  del  giorno  del  Fanti  messo 
fuori,  dietro  il  ritiro  di  Garibaldi.  Egli  consiglia  la  calma,  consiglia  di  aspettare  rasse- 
gnatamente la  riunione  del  Congresso.  Ma  cosa  mai  di  buono  1'  Italia  potrà  aversi  da 
un  Congresso  di  rappresentanti  di  despoti  e  di  eterni  nemici  nostri?  Ah!  sì,  Fanti  con 
tutta  la  sua  scienza  militare  è  stato  questa  seconda  volta  (atale  alla  Patria  nostra  ;  dico 
seconda  volta,  perchè  al  '48  in  Milano  prestò  tristi  servigi  all'  Italia.  Fanti,  Cipriani, 
Ricasoli,  Cacour,  D'Azeglio  e  lutto  la  caterva  dei  ministri  piemontesi  e  fra  questi 
La  Mormora,  col  suo  odio  ai  corpi  volontari  ed  al  Garibaldi,  hanno  rovinato  l' Italia 
e  fatto  r  interesse  di  Napoleone  IH. 

Ancora  io  spero.  Spero  che  gì'  Italiani  si  scuoteranno,  apriranno  gli  occhi,  insor- 
geranno tutti,  come  un  solo  uomo,  e  con  un  Vespro  si  libereranno  dai  nemici  interni 
ed  esterni.  Se  disgraziatamente  la  speranza,  che  ancora  serbo  non  avrà  il  suo  eflettua- 
mento,  allora  non  meno  di  altri  cinquant'  anni  di  schiavitù  l' Italia  dovrà  sopportare. 
Addio,  mio  buono  amico.  Ti  lascio,  salutami  Vincenzo  {Cianciolo),  se  è  costà  e  gli 
altri  amici,  che  mi  ricordano  e  particolarmente  Cosenz  e  Bixio.  Scrivimi  presto,  saluta 

Ribotti.  Addio. 

Tuo  ajff.mo 

ROSALINO 

Lugano,  3  dicembre   1859. 
Carissimo  Salvatore, 

Ho  ricevuto  due  tue  righe  in  data  del  29  scorso  novembre  e  le  riscontro  tosto 
brevemente,  perchè  mi  è  forza  sortire,  onde  recarmi  al  Comissariato  di  Polizia,  dove 
sono  stato  chiamato  e  si  tratterà  forse  di  volere  internare  li  tre  o  quattro  emigrati,  che 
siamo  qui  e  ciò  per  ragioni  di  buon  vicinato  col  Piemonte.  Uno  già  è  stato  intimato 
a  partire,  il  Marangoni,  giovane  un  po'  leggiero,  ma  non  cattivo.  Basta  ;  sentirò  se  mi 
toccherà  di  dovermi  portare  in  Locamo  e  di  là  poi  in  Zurigo,  se  piacerà  ancora  di 
perseguitarci.  Mario  è  nella  stessa  mia  condizione  ;  tu  non  pertanto,  riscontrando  alla 
presente,  indirizzami  in  questa  la  risposta. 

Non  rivengo  su  Fanti  e  sull'  ordine  datosi  d' acquartieramento  nelle  caserme 
d' inverno  delle  truppe  dei  provvisori  Governi  dell'  Italia  Centrale,  né  sul  famoso  ordine 
del  giorno  di  Mezzacapo  ;  purtroppo  le  nostre  viste  dal  breve  foglio  del  29,  vedo  che 
sono  diverse  e  quindi  accetto  la  tua  proposta  di  rimandare  a  miglior  tempo  e  quando 
a  voce  un  giorno  ci  sarà  dato  di  ragionare  suU'  argomento  dolorosissimo.  Intanto,  per 
ora,  ti  suggerisco  di  procurarti  li  due  numeri  del  giornale  //  Progresso,  che  si  stampa 
in  Milano,  e  precisamente  i  numeri  del  30  novembre  e  I  *^  dicembre  corrente  ;  mi 
piacerebbe  che  li  leggessi. 

Ti  mandai  in  Bologna,  con  la  stessa  data  della  lettera  che  ti  fu  consegnata,  un 
opuscolo  di  Alberto  Mario;  lo  ricevesti?  Oggi  ti  mando  altro  opuscolo,  stampatosi  in 
questa  da  noi,  dietro  di  aver  ricevuto  il  manoscritto.  Credo  che  troverai  poco,  anzi 
sono  certo  nulla  a  ridire  su  quanto  Maz.  {Mazzini)  ha  consacrato  in  quelle  60  pagine. 
L'  opuscolo  costa  un  franco.    Se  puoi  farne    smaltire  fra  li  nostri  un  buon  numero  di 


IL  PRECURSORE  DEI  MILLE  55 


copie,  te  ne  sarò  grato,  molto  più  che  mi  sono  indossato  io  il  peso  del  pagamento  di 
franchi  500  di  spesa  tipografica  e  di  invio.  Il  bighetto  per  tuo  fratello  non  esiste  nel 
foglietto  che  mi  mandasti,  se  vuoi  rimandami  due  righe  ;  dappoiché  io  per  muovermi, 
dopo  tutte  le  cose  successe,  mi  attendo  nuove  lettere  dei  nostri.  Ho  visto  che  in  Genova 
è  giunto  un  Francesco  Campo,  che  slava  a  capo  del  movimento  della  Bagheria  ;  fin  oggi, 
non  ho,  sul  proposito  del  di  lui  arrivo,  notizie  particolari. 

Addio  ;  ora  ti  lascio,  pregandoti  di  dirmi  dove  trovasi  Vincenzo  {Cianciolo)  e  se 
è  costà  nel  salutarmelo  digli  che  sono  curioso  di  sapere  la  causa  del  suo  silenzio. 
Addio,  salutami  Ribotti  ed  accetta  una  fraterna  stretta  di  mano  dal  tutto  tuo 

aff.mo   amico 
ROSALINO 

Lugano,   12  dicembre   1859. 
Mio  amatissimo  Salvatore, 

Sono  possessore  della  tua  dell' 8  e  sento  che  tu  avesti  la  mia  del  3,  ma  non 
l'opuscolo  e  ne  sono  dolentissimo  ;  mi  piacerebbe  che  così  tu  che  Ribotti  e  tutti  li  buoni 
lo  leggeste  ;  potrai  in  Milano  procurartelo  da  Bargoni,  richiedendolo  all'  amico   Sarto. 

La  tua  letterina  per  tuo  fratello,  la  prima  che  mi  spedisti,  la  trovai  ed  ora  la 
seconda  che  m' inviasti  ;  ne  ho  due  ;  non  è  difficile  che  fra  pochi  giorni  io  ne  possa 
fare  la  consegna,  perchè  domani  lascerò  Lugano  e  venerdì  m'  avvierò  per  casa.  Tu, 
Ribotti  e  tutti  li  nostri,  non  mancate  di  fare  quello,  che  è  di  sacro  dovere  (se  la  si 
farà)  nel  caso  che  non  si  potesse  disporre  di  Pianell  e  suoi.  Per  ora  ti  raccomando 
di  tener  per  te  solo  queste  linee. 

Addio,  mio  amatissimo  fratello,  se  si  riuscirà  ci  riabbracceremo  ;  se  farò  viaggio 
inutile  e  scamperò,  allora  darò  un  addio  a  tutto. 

Addio,  mille  saluti  con  rimproveri  a  Vincenzo  {Cianciolo).  Ad  Angelo  {Bargoni), 
quando  lo  vedrai,  salutamelo  carissimamente  e  digli  che,  nonostante  che  tutto  il  pre- 
sente volga  al  male  per  1'  Italia  nostra,  pure  non  sono  ancora  disperato  al  punto  di 
non  riabbracciarlo  in  Roma.  Digli  che  rilegga  quella  lettera,  che  da  Londra  gli  scrissi 
sul  principio  della  guerra,  pregandolo  di  conservarla  ;  potrà  servirgli,  se  per  caso  andrò 

a  farmi ,  per  far  conoscere  quali  erano  le  mie  idee  e  per  qual  principio  mi 

muovo;  digli  pure,  che  parto  non  con  convinzione  di  riuscire,  ma  per  non  mancare 
alla  chiamata  ed  al  paese  e  perchè  ho  ferma  convinzione,  che  solamente  il  Mezzo- 
giorno potrà  salvarci  e  si  riuscirà,  se  voi  tutti  subitamente  aiuterete  (7  moto  al  grido 
dell'  Unità  e  col  puro  vessillo  tricolore. 

Addio,  scusa  se  la  presente  è  scorretta  ;  la  ho  scritta  di  tutta  fretta  essendo  stretto 

dal  tempo.  Ricevi  un  fraterno  abbraccio  e  credimi  sempre  uguale  in  fede  politica  ed 

amicizia.  Addio. 

Tuo  aff.mo  amico  e  fratello 

Sig.   Capitano  Salvatore  Calvino  ROSALINO 

(Preme)  Rimini 


56  TIMORI  E  SPERANZE  DEGLI  ESULI  SICILIANI 


Ultima*  lettera  scrìtta  da  Rosalino  Pilo  prima  di  partire  per  la  Sicilia 

Genova,  li  25  marzo   1860. 
Miei  cari  Salvatore  e   Vincenzo, 

Non  segno  di  vita  ne  da  te,  capo  di  uno  Stato  Maggiore,  ne  dall'  illustre  barone 
Capitano,  mi  ho  avuto.  Se  fossero  cominciate  le  battaglie,  che  da  più  tempo  si  aspettano, 
vi  avrei  pianto  come  morti  sotto  italica  fervida  pugna  ;  ma  purtroppo  vi  so  morti, 
aspettando  che  le  battaglie  si  inizino  dai  Croati  al  servizio  del  Papa  e  da  quelli  al 
servizio  del  Bombino,  degno  figlio  di  papà,  che  sta  nel  regno  dei  cieli,  e  che  sono  certo 
lo  si  vedrà  col  tempo  dichiarato  Sanlo  dal  venerabile  Collegio  dei  Cardinali  e  Papa. 
Ma  basta  alle  celie,  miei  cari  amici,  vi  dò  un  saluto  ;  io  Cado  ad  adempiere  il  mio 
dovere;  fate  voi  col  vostro  Generale,  che  mi  saluterete,  il  resto.  Ricordatevi  che  siete 
stati  rivoluzionari  e  devoli  ad  un  principio  non  attuato.  Ricordatevi  che  V  Italia  non 
finisce  alla  Cattolica,  ricordatevi  e  tenete  per  fermo,  che  se  non  si  libera  il  Mezzo- 
giorno dalla  schiavitù  ed  oppressione  nella  quale  giace,  le  libertà  che  si  hanno  le 
Provincie  del  centro  e  del  nord  sono  poggiate  su  fragile  base  e  dureranno  per  quel  tempo, 
che  piacerà  agli  sgherri  francesi  ed  austriaci,  che  sono  quelli  che  al  presente  coman- 
dano in  Italia. 

Non  vi  fate  illudere  dagli  inni,  dalle  feste  e  fanfaronate  Cavouriane.  Io  non  dispero, 
anzi  ho  fede,  che  la  gioventù  italiana  si  scuoterà  davvero  ed  aprirà  gli  occhi.  Io  spero 
che  la  maggioranza  della  gioventù,  in  tempo  ancora,  si  avvedrà  che  i  Francesi  in  Italia 
non  vi  sono  venuti  per  sentimento  magnanimo,  ma  per  mantenervi  padronanza  e  per 
spirito  di  conquista,  molto  più  dopo  il  fatto,  che  oggi  ha  confermato  quello  che  si 
rivelò  da  Mazzini  sin  da  quando  vi  fu  il  colloquio  di  Plombières  fra  Napoleone  ed 
il  nuovo  Farinata  :  Cavour,  in  cui  quest'  ultimo  da  Sultano  aveva  ceduto  tutto  il 
Nizzardo  che  è  Italia,  a  Napoleone,  più  la  Savoia  con  la  promessa  di  cooperazione 
di  propaganda,  perchè  la  Toscana  fosse  caduta  nelle  mani  di  Plomplon.  Quest'  ultimo 
fatto  non  si  è  ancora  potuto  tradurre  in  effetto  per  la  propaganda  contraria  salutare 
del  partito  unitario,  non  creato  e  sostenuto  con  martirii  dagli  adoratori  del  conte  Fari- 
nata, ma  creato  e  sostenuto  per  30  anni  dall'  ottimo  patriota  Mazzini,  oggi  come  Cristo 
rinnegato  ed  anche  calunniato  e  biasimato  dai  suoi  più  attivi  discepoli,  banditore  per 
più  e  più  anni  dei  principii,  che  solo  potranno  fare  l' Italia  una  e  libera. 

Con  dolore  ho  rimarcato  voi  due,  miei  cari  amici  e  fratelli  di  lavoro,  alquanto 
raffreddati  al  punto,  che  troverete  queste  mal  vergate  linee  forse  demagogiche  e  scritte 
da  cervello  leggiero;  ma  pure  io  prima  di  lasciare  questo  suolo,  per  forse  mai  pili 
tornarvi,  ho  voluto  scrivervi  in  termini  da  fratello  e  schiettamente  manifestarvi  quello 
che  penso,  e  ricordarvi  il  vostro  debito  verso  l' Italia  nostra,  non  perchè  temo  che  voi 
lo  abbiate  dimenticato,  ma  per  incitarvi  ad  attività  e  perchè  facciate  la  vera,  la  giusta 
e  santa  proficua  propaganda  in  tutta  la  gioventù,  che  sta  sotto  le  armi.  Molte  cose  sul 
proposito  vorrei  scrivervi,  ma  non  ne  ho  il  tempo  e  poi    sarebbe    superfluo    per    voi, 


MINISTERO  DELLA  CUERRA 
seghi:  I  \R BAIO  <;ei\i:kaìi: 


Divisione,  del  Personale  Numero  d'Ordiiu-    ^ff3. 


\'<cXoX,    llllltltXlC,  coft'  aiiiicpuv^i/  Aoy>\ixò6o\òjo  ^v   Xixe 


if/VV^-- 


1  £A^     oS-t^tx^^f^^W^c/^^ 

Decreto  che  conferiva  in  nome  di  S.  M.  il  Re  la  Medaglia  in  Oro  al  valor  militare 
a  Garibaldi  per  le  prove  date  d' intrepidezza  e  bravura  nei  combattimenti  contro 
gli  Austriaci  nel  maggio   1859.  (Vedi  pag.  25). 


COMANDO  GENEUALE 

(^^^■^-^  n  E  LI.  A  ^— ^,^3 

J^aa^a    ^'vrW^nc   y^J^ ^ 


^^. 


■^ 


^^^^ià^J.^..^:^^.^.,,:,^^^^^:^::^^^^ 


mentre 


Lettera  diretta  da  Enrico  Cialdini  a  Garibaldi 
questi  si  trovava  nell'Italia  Centrale.  26  agosto  1859.  (Vedi  pag.  28). 


IL  PRECURSORE  DEI  MILLE  57 


che  conoscete  la  storia  passata  del  nostro  paese.  Ricordatevi  solo,  che  anche  Napoleone  I, 
allorquando  era  generale  Buonaparte  si  presentò  come  liberatore  in  Italia  e  (ini  come } 
Lo  sapete. 

Addio,  mille  baci,  e  un  addio  fraterno  ricevete  dal  vostro 

aff.mo 
ROSALINO  PILO 
* 


Un  documento  curioso,  che  trovo  nella  mia  raccolta,  scritto  quattro  giorni 
prima  della  partenza  di  Garibaldi,  è  la  lettera  che  dirigeva  al  Duce  dei  Mille 
uno  dei  prodi  difensori  di  Venezia  e  poi  capo  di  Stato  Maggiore  di  Garibaldi 
nella  campagna  del  '59. 

Francesco  Carrano  a  Garibaldi. 

Torino,  2  maggio   1860. 
Mio  Qenerale, 

Sento  dal  nostro  Calvino  che  si  va  :  ma  dove  ?  Se  in  Sicilia,  io  resto  poiché  non 
sarei  buono  ad  altro  colà,  che  a  creare  imbarazzi.  /  Siciliani  hanno  ragione  di  odiare 
lutti  i  Napoletani,  perchè  questa  è  la  terza  volta,  che  in  tre  rivoluzioni  sono  da  quelle 
truppe  insensate  e  cieche,  vinti  e  repressi.  In  ogni  modo  mandatemi  una  vostra  parola. 
Vogliatemi  bene  e  credetemi 

castro  amico  aff.mo 
FRANCESCO  CARRANO 

Quasi  a  delucidare  il  contenuto  di  questa  curiosa  lettera.  Salvatore  Calvino 
scriveva  nelle  sue  Noie  sulla  spediziorìe  dei  Mille  :  «  A  Torino  cercai 
d  indurre  i  miei  amici  Enrico  Cosenz  e  Francesco  Carrano  a  prender  parte 
alla  spedizione  ed  essi,  con  mia  meraviglia,  mi  addussero  la  difficoltà  di  essere 
Napoletani  ;  pregiudizio  indegno  di  tali  uomini,  che  credevano  ancora  poter 
rimanere  risentimento  in  Sicilia  verso  i  Napoletani,  perchè  il  Borbone,  adoperava 
truppe  napoletane  per  tenere  in  soggezione  la  Sicilia  !  Vedi  come  anche  gli 
uomini  di  grande  levatura  soggiacciono  ai  volgari  pregiudizi  e  ne  fui  dolentissimo, 
essendo  io  ammiratore  ed  amico  affezionatissimo  di  quei  due  specchiati  patriotti  *. 

Infatti  né  Cosenz,  né  Carrano  seguirono  Garibaldi  nella  prima  spedizione  ! 


In  F.  Guardione  -  //  dominio  dei  Borboni  in  Sicilia  dal  1830  al  1861 .  V.  il,  pag.  386. 


CAPITOLO  IV. 


LA  PRESA  DEI  VAPORI,  LA  TRAVERSATA,  LO  SBARCO. 
VICTOR  HUGO  E  QUINET  AL  DUCE  DEI  MILLE. 


L/air  autografo  del  tempo,  inedito,  di  Domenico  Cariolato,  uno  dei  «  Mille  » 
e  dei  più  valorosi  soldati  di  Garibaldi,  apprendiamo  particolari  interessanti  e 
sconosciuti  sulla  presa  del  "  Piemonte ,,  e  del  "  Lombardo ,. ,  la  notte  del 
5  maggio  ;  una  scena  degna  della  penna  di  Shakespeare  ed  alla  quale  il  Cario- 
lato prese  parte.  Il  racconto  pieno  di  verità  e  di  colore  della  partenza  da 
Quarto,  della  traversata,  dell'urto,  per  fortuna  d'Italia,  scongiurato  col  "Lom- 
bardo ,,  ed  ogni  altro  particolare  scritto  dal  Cariolato  appena  finita  la  campagna 
di  Sicilia,   acquista  importanza  di  documento  storico. 

Domenico    Cariolato    narra    la    drammatica    presa   del  "  Piemonte  „  e    del 
"  Lombardo  „  e  la  traversata  da  Quarto  a  Marsala  (dall'autografo). 

Le  disposizioni  per  la  nostra  partenza  erano  state  date  dall'  ardito  condottiero  per 
il  27  aprile;  ma  per  vari  incidenti,  che  si  frapposero,  fu  obbligato  a  protrarre  la 
nostra  partenza  al  3  maggio. 

La  mattina  di  quel  giorno  istesso  fu  fatta  una  scelta  dal  Titano  di  30  giovani, 
fra  i  quali  fui  anch'  io,  e  posti  sotto  il  comando  del  bravo  marinaro  Bixio  dovevamo 
impadronirci  dei  due  vapori.  Ciò  fu  eseguito  con  la  celerità  di  30  patrioti,  che  non 
avevano  altro  in  cuore,  che  di  sollecitare  l'ora  della  pugna  contro  gli  sgherri  del 
tiranno  e  render  la  santa  libertà  alla  patria  nostra. 

Allo  scoccare  della  mezzanotte  del  5  maggio,  secondo  le  istruzioni  ricevute  dal 
nostro  Capitano,  ci  portammo  al  Molo  Vecchio.  Colà  fummo  divisi  e  imbarcati  su  due 
piccoli  canotti,  uno  di  questi  diretto  alla  volta  del  "  Piemonte  ,,  e  l' altro  a  quella  del 
"Lombardo,,  e,  protetti  dall'oscurità  della  notte  e  dal  profondo  silenzio  che  regnava 
dovunque,  adagio,  adagio  giungemmo  sotto  ai  predetti  vapori  e  nel  guizzar  di  un  baleno 
fummo  a  bordo. 


60  LA  PRESA  DEI  VAPORI.  LA  TRAVERSATA.  LO  SBARCO 

Sorpreso  l' equipaggio  nel  suo  profondo  sonno,  la  prima  nostra  cura  fu  quella 
d' impadronirci  del  boccaporto  dei  marinai,  che  non  tardarono  a  destarsi  esterrefatti 
dalla  sorpresa.  Parecchi  tra  questi  gridavano  a  piena  gola  :  «  Soccorso,  soccorso  »  ;  ma 
noi,  prevedendo  che  una  tal  cosa  dovesse  succedere,  ebbimo  cura  di  chiudere  il 
boccaporto,  onde  la  voce  non  potesse  echeggiare  fuori  e  giungere  agli  orecchi  di 
qualcuno,  che  potesse  frapporre  un  ostacolo  ai  nostri  disegni.  Noi  cercammo  con  tutti 
i  mezzi  di  persuadere  quella  gente.  Parte  si  persuase  alle  nostre  buone  parole  e  parte 
per  paura,  vedendoci  muniti  del  necessario.  Fatto  ciò,  vennero  a  bordo  quei  pochi 
marinai,  che  erano  stati  chiamati  a  tal  uopo  da  Livorno,  e  sotto  la  direzione  del  Bixio 
ci  mettemmo  all'  opera.  Uno  dei  30  venne  incaricato,  come  esperto  meccanico,  di  alle- 
stire la  macchina  del  "  Piemonte  ,, . 

Garibaldi  prevedendo  che  lo  stridere  delle  catene  nel  levare  le  ancore,  destar 
potesse  nella  placida  notte  qualche  sospetto,  aveva  comandato,  che  fossero  imbottite  le 
estremità  delle  catene,  che  sopravanzavano  a  bordo  e  che  fossero  sfilate  nel  profondo 
del  porto  ;  e  così  partimmo  senza  gli  strumenti,  in  cui  ripone  V  ultima  sua  speranza  il 
marinaio,  che  si  trova  sopraffatto  dalla  burrasca.  Ma  questa  non  venne  per  virtù  di 
quella  stella,  che  accompagna  ovunque  l' uomo  provvidenziale  d' Italia. 

Una  volta  pronta  la  macchina  del  "Piemonte,,,  mettemmo  l'antenna  del  mede- 
simo verso  r  imboccatura  del  porto  ;  quindi  col  massimo  silenzio  passando  sopra  una 
piccola  barchetta  tra  i  due  bastimenti,  porgemmo  a  quei  del  "  Lombardo  ,,  l'estremità 
di  due  grossissime  funi,  che  stavano  legate  a  poppa  del  "  Piemonte  ,, ,  onde  rimorchiarlo. 
Quel  vapore,  per  ordine  del  Generale,  aveva  tuttavia  la  macchina  spenta.  E  questa 
fu  un'  astuzia  per  ingannare  la  corvetta  da  guerra  francese,  nel  caso  in  cui  uscendo 
dal  porto  avesse  chiesto  quale  fosse  la  nostra  destinazione.  Certo,  che  gli  si  sarebbe 
risposto,  che  noi  si  rimorchiava  quel  vapore  fino  a  Spezia  per  mettere  in  riparazione 
la  macchina. 

Alla  comparsa  di  quel  legno  francese  nel  porto  di  Genova,  fummo  presi  da  un 
grandissimo  timore,  dubitando  che  il  medesimo  fosse  venuto  colà  per  impedire  la  nostra 
partenza.  Cessata  questa  paura,  noi  fummo  gli  uomini  più  felici  di  questa  terra. 

Usciti  dal  porto,  alle  quattro  del  mattino  del  6,  vedemmo  in  lontananza  una 
quantità  di  barche  in  balìa  dell'  onda,  che  si  staccavano,  come  un  quadro  pittoresco, 
dall'orizzonte  colorito  dai  primi  raggi  dell'aurora  di  un  bel  di. 

Avvicinandoci  coi  piroscafi,  vedemmo  che  quelle  barchette  contenevano  una  quan- 
tità di  persone  una  sopra  l'altra,  intirizzite  dal  freddo.  Chi  era  coperto  da  mantello, 
chi  no.  Taluno  era  avvolto  in  una  meschina  coperta,  che  per  dividerla  col  compagno, 
che  non  l' aveva,  non  copriva  ne  1'  uno  ne  1'  altro.  Quella  gara  era  degna  di  chi  lasciava 
un  soffice  letto  per  cominciare,  in  una  così  disastrosa  notte,  la  vita  del  vero  soldato 
italiano.  Tutti  questi  generosi  avevano  gli  occhi  rivolti  all'  imboccatura  del  porto. 
Chi  erano? 

I  Mille,  che  aspettavano  i  legni  di  trasporto  con  la  medesima  ansietà,  che  il 
popolo  di  Israele  aspettava  la  luce  dopo  le  tenebre  di  Egitto  !  Giunti  colà  il  Generale 
diede  ordine,  che  si  arrestasse  la  macchina  e  in  un  momento  fummo  circondati  da 
quella  nobile  e  generosa  gioventù,  che  per  sollecitare    l'imbarco,  onde    recarsi  presto 


VICTOR  HUGO  E  QUINET  AL  DUCE  DEI  MILLE  61 


nel  luogo  della  pugna,  si  arrampicava  da  ogni  parte  sul  piroscafo  con  pericolo  di  cadere 
nel  mare,  ed  alcuni  realmente  vi  caddero. 

Quando  tutti  furono  giunti  a  bordo,  caricammo  quei  pochi  viveri,  che  il  Generale 
aveva  procacciato  per  mezzo  di  vari  buoni  patriotti  di  Genova.  Consistevano  in  biscotto, 
cacio  ed  acqua.  Ciò  fatto,  Garibaldi  ordinò  di  levare  le  due  grosse  funi,  che  rimor- 
chiavano il  "  Lombardo  ,, ,  avendo  il  medesimo,  secondo  gli  ordini  ricevuti  prima  della 
partenza,  acceso  la  macchina  durante  il  tragitto. 

Il  mare  con  la  sua  placidezza  sembrava  favorire  l'ardua  impresa,  il  cielo  era 
sereno,  come  il  volto  dell'  ardito  Capitano.  I  Mille  disinvolti  e  gai  !  E  cielo  e  terra 
parevano  presagire  pompose  vittorie  e  gloriosi  giorni  alla  patria. 

E  noi  fummo  fortunati  invero  ;  quei  magnanimi,  che  con  tanta  intrepidezza  ed 
abnegazione  avevano  tentato  prima  di  noi  l'ardua  impresa,  erano  caduti.  Capo  di 
quella  era  un  uomo  prode  e  generoso,  è  vero  ;  ma  cadde.  Per  nostra  ventura  noi  non 
guidava  un  uomo,  ma  un  Titano. 

Dopo  due  giorni  di  cammino  giungemmo  a  Talamone.  Colà  e'  impadronimmo  di 
tre  pezzi  di  artiglieria  e  di  molte  munizioni.  Trasportati  a  bordo  cotesti  materiali  da 
guerra,  partimmo  lieti  cantarellando,  alla  volta  di  S.  Stefano,  altro  paese  della  Toscana, 
per  provvedere  vettovaglie,  che  a  Talamone  non  avevamo  trovato. 

Giunti  a  quel  villaggio,  ad  una  frazione  dei  Mille  fu  ordinato  di  scendere  a  terra 
e  far  provvista  di  pane  e  cacio  ;  ma  per  la  mancanza  del  tempo,  non  se  ne  potè  fare 
che  poca  provvigione.  Sceso  quel  drappello,  venne  salutato  dagli  abitanti  del  paese, 
che  spinti  dalla  curiosità  erano  accorsi  in  folla  e  tutti  facevano  a  gara  per  sapere  cosa 
fosse  quell'ammasso  di  gente,  che  trovavasi  a  bordo  dei  due  vapori.  Quelli  risposero 
che  erano  garibaldini,  che  andavano  a  fare  una  gita  di  piacere  col  loro  Generale. 
Appena  pronunciate  tali  parole,  la  notizia  fu  propalata  nel  villaggio  e  la  popolazione 
cominciò  a  fare  dimostrazioni. 

E,  da  notare,  in  questa  circostanza,  una  cosa  che  non  è  di  lieve  onore  per  l'eser- 
cito Sardo,  oggi  esercito  Italiano.  Trovavasi  in  quel  villaggio  di  presidio  una  coorte 
di  800  bersaglieri,  i  quali  appena  saputo  il  nostro  arrivo,  a  torme  affrettavansi  ad  accor- 
rere alla  spiaggia  per  far  lieta  accoglienza;  gli  uni  tratti  da  curiosità,  gli  altri  dalla 
speranza  di  vedere,  se  fra  quei  Mille  vi  fosse  taluno  dei  loro  commilitoni  di  Lombardia. 

Tutti  chiedevano  il  luogo  della  nostra  destinazione  e  noi  non  nascondemmo  il  vero 
ai  valorosi  fratelli  di  Palestre  ;  dicemmo  apertamente,  che  stavamo  per  tentare  uno  sbarco 
in  Sicilia,  onde  suscitare  ivi  una  ribellione,  che  ponesse  fine  all'  esosa  tirannide  bor- 
bonica, rompendo  le  irrugginite  catene,  che  da  lunga  pezza  stringevano  quei  popoli  e 
fare  l' Italia  una  e  indipendente.  A  tali  parole  gli  eroi  di  S.  Martino  rimasero  attoniti 
per  stupore  e  per  invidia  ;  e  potevasi  scorgere  sui  loro  volti  il  dolore  suscitato  in 
quegli  animi  ardenti  di  non  poter  essere  anche  loro  in  tanto  periglio  e  in  tanta  gloria. 

Per  più  di  un'ora  s'alternarono  ed  "  ilerarono  le  accoglienze  oneste  e  liete,,, 
come  direbbe  Dante,  quel  divino  ingegno,  che  solo  saria  stato  degno  di  cantare  quella 
sublime  epopea! 

Debito  di  disciplina  richiamò  quelli  nelle  loro  militari  funzioni  ;  mentre  noi,  di  bel 
nuovo,    salimmo   sui   nostri   legni   dopo   aver   caricato   il   carbone  e  le   vettovaglie.  11 


62  LA  PRESA  DEI  VAPORI,  LA  TRAVERSATA.  LO  SBARCO 

Generale  diede  il  segnale  della  partenza,  quando  ecco  un  nugolo  di  quei  magnanimi 
bersaglieri  invadere  tutto  ad  un  tratto  il  vapore,  ov'era  il  Duce,  arrampicandosi  su 
per  la  carena  con  le  carabine  su  gli  omeri,  e  gridando  a  squarciagola,  che  volevano 
seguirci  !  Sublime  entusiasmo  ;  ma  il  loro  comandante  giungeva,  implorando  l' aiuto  di 
Garibaldi  per  indurli  a  disbarcare. 

L'  Eroe  intravide  il  pencolo  cui  andava  incontro,  se  avesse  trattenuto  a  bordo 
quegli  animosi.  Indossò  la  vecchia  assisa  da  Generale  dell'armata  regolare  per  essere 
più  prontamente  obbedito  da  quei  generosi  e  li  invitò  a  scendere  a  terra  con  lui  e 
con  sommo  dolore  si  affrettarono  ad  ubbidirlo.  Giunto  in  piazza  li  fece  schierare  dal 
loro  comandante  ed  ivi  li  arringò  e  li  invitò,  in  nome  della  patria  medesima  per  cui 
ardevano  di  gettarsi  in  nuovi  cimenti,  a  rimanere  fermi  al  loro  posto  ;  allegando  loro 
per  motivo  il  dovere  non  solo,  ma  il  pericolo  che  correvano  le  nostre  sorti,  ove  aves- 
sero lasciato  quel  punto  strategicamente  importantissimo  sguarnito  di  presidio  e  perciò 
esposto  alle  scorrerie  dei  mercenari  del  Papa,  i  quali  si  aggiravano  in  quei  dintorni 
a  mo'  di  fiere,  bramose  di  piombare  nelle  provincie  di  Toscana  per  suscitare  reazioni 
e  discordie  civili.  Detto  ciò,  li  ringraziò  del  loro  zelo  per  la  causa  della  patria  e  poi 
risalì  sulla  tolda  del  suo  battello. 

Questa  piccola  rivista  finì  con  sonori:  «  Evvica  Garibaldi!  »  e  tutti  rimasero  al 
loro  posto,  eccettuati  5  bassi  ufficiali,  che  appena  sciolti  i  ranghi  si  affrettarono  a  deporre 
le  loro  assise  militari,  e  profittando  della  confusione  del  popolo,  che  accompagnava  il 
Generale  a  bordo,  si  mischiarono  al  corteo  e  salirono  sul  vapore.  Giunti  che  furono 
sulla  nave  nostra,  prima  cura  fu  quella  di  nascondersi  nel  magazzino  del  carbone,  onde 
sottrarsi  dalla  continua  vigilanza  dei  loro  superiori,  nel  caso  in  cui  fossero  ritornati  a 
bordo  col  pretesto  di  salutare  di  bel  nuovo  il  Generale.  Cotesti  generosi  infatti,  non 
sortirono  dal  carbone,  se  non  quando  ci  fummo  allargati  di  20  miglia  dalla  costa. 

Partimmo  da  Santo  Stefano  con  quell'entusiasmo,  che  non  si  desta  che  nei  cuori 
di  coloro,  che  sanno  di  compiere  un  sacro  dovere,  offrendo  di  buon  grado  la  vita  alla 
patria.  Benché  in  preda  alle  onde  ed  agitati  dal  continuo  moto  delle  ruote  del  piro- 
scafo, pur  non  di  meno  passammo  la  notte  tutti  quanti  lieti.  Il  buio  ne  secondava, 
perchè  a  noi  era  necessaria  la  più  grande  oscurità,  onde  non  essere  scoperti  dalle 
molte  navi  da  guerra  borboniche,  che  percorrevano  le  acque  del  Mediterraneo  per 
catturarci. 

Il  giorno  seguente  apparve  in  tutto  il  suo  splendore  Febo,  che  coi  suoi  raggi 
venne  a  riscaldare  quella  parte  di  valorosi,  che  per  ristrettezza  di  locale  dovettero 
sdraiarsi  sulla  tolda,  esposti  alla  penetrante  umidità,  che  tramanda  l' acqua  salsa.  La 
notte  seguente  fu  notte  di  terrore,    perchè    credemmo  di  essere  scoperti  dal  nemico! 

Durante  il  nostro  cammino  i  vapori  tenevansi  a  lunga  distanza  l' uno  dall'  altro  : 
se  ciò  fosse  per  non  dare  alcun  sospetto,  ovvero  per  non  rimanere  vittime  tutti  e  due, 
in  caso  di  uno  scontro  coi  fedelissimi  Borbonici,  non  saprei  dire  ;  però,  quello  ove 
era  a  bordo  il  Generale  andava  sempre  il  primo.  Il  "  Lombardo  ,, ,  comandato  dal 
prode  Bixio,  era  scomparso.  Garibaldi  cominciò  a  dubitare,  che  gli  fosse  accaduto 
qualche  sinistro  e  diede  tosto  ordine,  che  si  rallentasse  la  macchina.  Ciò  fatto,  aspet- 
tammo lungo  tempo  senza  mai    veder    comparire    il    desiderato    compagno   di  viaggio. 


VICTOR  HUGO  E  QUINET  AL  DUCE  DEI  MILLE  63 


Cresceva  a  bordo  ognor  più  il  turbamento  e  ben  tosto  si  diffuse  in  tutti  gli  animi  ; 
tal  che  il  Generale  si  decise  a  rintracciare  l'altro  vapore,  e  a  tal  uopo  diede  ordine 
di  volgere  l' antenna  del  piroscafo  alla  volta  del  cammino  da  noi  già  percorso. 
Quand'  ecco  apparire  nella  profonda  oscurità  della  notte  e  a  pochissima  lontananza 
un  legno  ;  ma  non  potevasi  distinguere,  se  fosse  a  vela  o  a  macchina.  Esso  veniva 
dalla  via  opposta  a  quella,  che  avrebbe  dovuto  tenere  Bixio.  Questo  maggiormente 
accertava,  che  non  poteva  essere  il  "  Lombardo  ,,  ;  bensì  un  legno  nemico.  Fu  quello 
il  vero  momento  in  cui  il  Duce  ebbe  campo  di  conoscere  di  qual  tempra  si  fossero 
gli  uomini,  che  lo  seguivano. 

1  nostri  giovanotti,  a  tale  vista,  posero  tutti  mano  alle  armi  e  per  ottenere  miglior 
risultato  in  caso  di  lotta,  levarono  le  baionette  dai  loro  fucili,  onde  essere  più  lesti 
in  caso  di  rembaggio.  In  quel  terribile  momento,  che  avrebbe  deciso  la  nostra  sorte, 
se  nemici  fossero  stati,  regnava  sul  nostro  legno  il  più  profondo  silenzio  e  tutti  stavano 
in  attenzione  degli  ordini  del  Generale. 

I  supposti  nemici  esitando  ad  avvicinarsi,  il  Generale  fece  dare  dalla  tromba 
marina  il  chi  va  là  ?  più  di  una  volta,  ma  nessuno  rispondeva  ;  poi  fece  metter  fuori 
delle  fiaccole  per  segnale,  ma  neppur  questo  giovò  ad  iscoprirli.  Allora  mi  die  ordine 
di  staccare  la  campana  dei  comandi  di  bordo,  che  trovavasi  sul  ponte  del  Capitano  e 
trasportarla  sulla  prua  della  nostra  nave,  acciocché  potessero  udire  meglio  il  nostro  suono 
di  richiamo  ;  ma  tutto  questo  fu  vano.  Allora,  il  Generale  comandò  di  osteggiarlo.  Il  nostro 
macchinista  diede  tutta  la  forza  possibile  alla  macchina.  Al  timone  si  mise,  dietro  ordine  del 
Generale,  l'esperto  capitano  di  mare  Rossi,  e  Garibaldi,  stando  sul  ponte,  dava  gli  ordini. 

Noi  andavamo  velocemente  e  quelli  fuggivano  ;  ma  in  un  baleno  fummo  loro 
addosso.  Fortunatamente  1'  uomo  provvidenziale  ebbe,  a  pochi  metri  di  distanza,  l' ispi- 
razione di  gridare  a  piena  gola  :  «  Bixio  !  Bixio  !  »  Dio  volle,  per  buona  ventura 
d' Italia  nostra,  che  quello  rispondesse  :  «  Sono  io.  Generale.  Credeva  di  essere  inse- 
guito! »  A  queste  parole  il  Generale  diede  immediato  comando  al  timoniere  di 
divergere  l'antenna  della  nostra  nave,  perchè  l'arresto  della  macchina  non  sarebbe 
più  stato  in  tempo  per  impedire  l' investimento  dei  due  legni,  e  ciò  fu  eseguito  con 
una  rapidità  degna  di  un  grande  nautico,  qual' è  il  capitano  Rossi. 

Non  potrei  descrivere  con  parole  il  giubilo  d' ambo  le  parti  all'  atto  del  ricono- 
scimento. Fu  un  grido  di  gioia  sulla  bocca  dei  Mille.  In  quel  momento  passammo 
dalla  morte  alla  vita,  anzi  ci  sembrava  di  essere  risorti  a  vita  novella  ! 

Finalmente,  il  quinto  giorno  vedemmo,  ad  immensa  distanza,  apparire  la  terra 
sicula.  A  quella  vista  i  Mille  salutarono  la  classica  Isola  con  un  grido  di  esultanza. 
Il  Generale  diede  immediatamente  disposizioni  per  il  personale.  La  prima  cosa  fu 
quella  di  raccomandare  caldamente,  che  tutti  stessero  sdraiati,  onde  non  dare  sospetto 
che  quei  legni  fossero  carichi  di  soldati.  Poi  raccomandò  a  quelli  che  stavano  di 
vedetta  suH'  albero  di  trinchetto  con  buoni  cannocchiali  un'  esatta  sorveglianza,  affinchè 
potessero  avvertire  sollecitamente  il  Generale,  se  apparissero  navi  con  qualunque  bandiera 
neir  esteso   orizzonte  del  Mediterraneo  alla  loro  vista. 

A  bordo  regnava  il  più  perfetto  silenzio.  Nuli' altro  udivasi  che  le  sole  voci 
delle  vedette,  che  avvertivano  il  Generale  in  questo  modo:  «  Un  legno  da  guerra  a 


64  LA  PRESA  DEI  VAPORI.   LA  TRAVERSATA.  LO  SBARCO 


destra,  che  veleggia  verso  Nord-Est  ».  Poco  dopo  altro  grido  dei  vigilanti,  che 
annunciavano  un  altro  legno  da  guerra  a  sinistra,  che  veleggiava  a  Levante.  Così 
continuò  lunga  pezza  questo  alternare  di  voci,  che  per  noi  tutti  suonavano  morte. 

Confesso  che  quelli  furono  i  momenti  più  agitati  della  mia  vita.  Tutto,  in  quei 
supremi  istanti,  mi  si  parò  dinanzi  agli  occhi!  La  patria  che  avrebbe  perduto  il  suo 
più  grande  Capitano,  i  miei  dolci  congiunti,  nonché  i  cari  amici  ! 

Tutto  questo  rivolgimento  negli  animi  nostri  era  suscitato  forse  dalla  paura 
della  morte?  No  per  Dio!  I  pericoli  li  conoscevamo  prima  di  cimentarci  nell'ardua 
impresa,  poiché  avevamo  la  certezza  che  i  fedelissimi  Borbonici  portavano  l'ordine 
ricevuto  dal  loro  clementissimo  Sovrano  di  mandarci  tutti  a  satollare  la  fame  degli 
storioni  e  dei  pescicani!  Ma  ciò  fu  indarno,  poiché  eravamo  predestinati  dal  fato  a 
rovesciare  il  trono  della  più  esecrata  tirannide. 

Finalmente,  avvicinandoci  sempre  più  verso  terra,  giungemmo  a  sapere,  che 
quell'ombra  di  terra,  che  da  una  immensa  distanza  avevamo  visto  spuntare  sull'ampio 
orizzonte,  era  1'  Isola  della  Favignana. 

Alla  vista  di  quel  castello,  che  trovasi  sulla  vetta  dello  scoglio,  mi  caddero  le  lacrime 
pensando  a  quei  cari  amici,  a  quegli  eroi,  che  tre  anni  prima  partivano  da  Genova  col 
medesimo  disegno  di  proclamare  la  santa  libertà  da  un  punto  all'altro  della  penisola. 
Mirando  con  obbrobrio  le  mura  diroccate  di  quell'  ergastolo,  dicevo  fra  me  e  me  : 
«  Dio  solo  sa,  se  noi  potremo  vendicarvi,  o  magnanimi  !  O  se  pure  ci  toccherà  subire 
egual  sorte  o  forse  peggiore  ancora  »  !  Fra  questi  pensieri  non  esitai  rivolgere  la  parola 
al  Generale,  accennandogli  il  luogo,  dove  gemevano  i  compagni  dell'  eroico  Pisacane. 
Egli  mi  rispose  col  solito  suo  sorriso  :  «  Non  dubitate  ;  fra  poco  quei  valorosi  faranno 
parte  delle  nostre  file  ».  E  ciò  avvenne! 

Il  Generale  volgeva  sempre  intorno  il  cannocchiale  ;  certo  in  quel  momento  supremo 
studiava  il  modo  di  poter  trarre  in  inganno  i  Borbonici,  che  coi  loro  legni  da  guerra 
girovagavano  a  pochissima  distanza  dalla  costa.  Tutto  ad  un  tratto,  diede  ordine  al 
timoniere  di  portarsi  con  la  punta  del  piroscafo  in  linea  retta  suH'  Isola  della  Favi- 
gnana. Questa  sublime  idea  dell'astuto  condottiero  giovò  a  coprirci  dalla  vista  dei 
Borbonici,  che  bordeggiavano  dalla  parte  opposta. 

Con  questo  stratagemma  arrivammo  quasi  sotto  la  suaccennata  isola.  Frattanto ,  i 
legni  borbonici  si  allontanavano  sempre  più  da  Marsala,  e  noi  si  passava  inosservati 
alla  loro  vista.  Quando  il  Generale  vide,  che  era  il  momento  opportuno  per  fare  la 
traversata,  comandò  che  si  desse  tutta  la  forza  alla  macchina,  e  si  mise  egli  stesso 
al  timone,  suggerendo  in  pari  tempo    a    Bixio  di  fare  altrettanto. 

Appena  fuori  dalla  mascherata,  cademmo  sott'  occhio  dei  sorveglianti ,  i  quali  non 
tardarono  a  venire  a  cognizione,  che  quei  due  vapori  erano  precisamente  quelli  che 
andavano  cercando  ;  cambiarono  istantaneamente  direzione  e  si  misero  alla  nostra  volta 
con  tutta  velocità. 

Il  Generale  accennò  col  portavoce  a  Bixio  di  sforzare  la  macchina,  essendo  di 
minore  velocità  di  quella  del  "  Piemonte  ,, . 

Non  si  può  immaginare  quale  fosse  la  nostra  posizione  in  quel  decisivo  momento. 
Noi  divoravamo  cogli  occhi  il    tragitto,  che    ci    mancava    per    giungere    a  salvamento. 


^. 


Victor  Hugo  a  Garibaldi 
a  proposito  della  pubblicazione  francese  del  libro  del  Generale       I  Mille  ».  (Vedi  pag.  73). 


VICTOR  HUGO  E  QUINET  AL  DUCE  DEI  MILLE  65 

Finalmente  approdammo  a  Marsala.  All'  imboccatura  del  piccolo  porto  di  questa  città 
trovammo  una  fregata  inglese,  di  cui  il  Generale  seppe  trarre  profitto  ponendovisi 
dietro.  In  tal  modo,  lasciava  il  passo  libero  al  "  Lombardo  ,, ,  cui  appena  giunto  in 
porto  Garibaldi  diede  ordine  di  investire  contro  terra ,  onde  rendere  meno  lungo  il 
tragitto  da  bordo  a  terra.  Ciò  fu  fatto  per  sollecitare  lo  sbarco  del  personale,  perchè 
i  Borbonici  avevano  durante  la  corsa  guadagnato  cammino. 


* 
*     * 


Sullo  sbarco  di  Garibaldi  in  Marsala  non  ripeterò  quello,  che  già  è  stato 
diffusamente  narrato.  Amo  solo  intrattenermi  su  due  punti,  che  sono  stati  più 
specialmente  oggetto  di  dibattito  e  sui  quali  ancora  da  alcuni  si  discute. 
L' uno  meno  importante  dal  punto  di  vista  politico,  ma  non  trascurabile  per 
la  storia  cittadina,  riguarda  l' accoglienza  fatta  dai  Marsalesi  alla  schiera  libera- 
trice ;  r  altro  concerne  il  preteso  aiuto,  che  le  navi  inglesi,  "  Argus  ,,  e 
"Intrepid,,  stazionanti  nel  porto  di  Marsala,  avrebbero  dato  al  momento  dello 
sbarco  ai   Mille. 

Dirò  brevemente  dell'  una  cosa  e  dell'  altra  con  la  più  scrupolosa  esattezza, 
come  ho  appreso  in  Marsala,  mio  luogo  natio,  da  vari  testimoni  oculari  e 
soprattutto  dalla  venerata  memoria  di  mio  Padre,  presente  in  quel  giorno 
memorabile.  Ma  debbo,  anzitutto,  correggere  due  inesattezze,  in  cui  involon- 
tariamente è  caduto  il  De  Cesare  nella  Fine  di  un  Regno.  Quel  marinaio, 
che  fece  da  pilota  a  Garibaldi  per  entrare  nel  porto  di  Marsala  si  chiamava 
Antonio  Strazzeri,  non  Alberto,  e  contrariamente  a  quanto  afferma  lo  storico 
ora  citato,  egli  fu  fatto  salire  da  Garibaldi  a  bordo  del  "  Piemonte  ,,  nelle 
acque  di  Maretimo,  dove  lo  Strazzeri,  uscito  la  mattina,  come  di  solito,  dal 
porto,  si  era  recato  a  pescare  sulla  sua  piccola  barca.  Infatti,  questa  entrava 
in  Marsala  a  rimorchio  del  "  Piemonte  ,, ,  come  affermano  tutti  coloro,  ancora 
viventi,   che  assistettero  allo  sbarco. 

Oddo,  nel  suo  libro  /  Mille  di  Marsala  scrive:  «  I  vapori,  a  tutta  forza, 
si  dirigono  verso  il  porto  ;  incontrano  barche  peschereccie  ;  ne  chiamano  una,  il 
padrone  di  essa,  un  certo  Strazzeri,  sale  sul  "  Piemonte  ,, ,  Garibaldi  lo  inter- 
roga su  molte  cose.  I  vapori  si  avanzano  ;  uno  di  essi  rimorchia  la  barchetta 
del  pescatore,  già  sono  vicini  ;  Strazzeri,  pratico  di  quel  mare,  fa  da  pilota  ; 
egli  sta  fra  Garibaldi  e  Castiglia,  dirigendo  il  "  Piemonte  „  nell'entrata  diffìcile 
del  porto  ».  Lo  Strazzeri  adunque,  salì  a  bordo  del  "  Piemonte  ,, ,  contrariamente 

CURÀTULO  5 


66  LA  PRESA  DEI  VAPORI,  LA  TRAVERSATA,  LO  SBARCO 


a  quanto  afferma  il  De  Cesare,  che  dice  di  averlo  saputo  da  Francesco  Crispi  ; 
ma  evidentemente    dovette   fraintenderlo. 

Vengo  ora  a  parlare  dell'  accoglienza  fatta  dai  cittadini  di  Marsala  alla 
schiera  liberatrice.  La  prima  impressione  che  il  popolo  si  ebbe,  è  facile  il  com- 
prenderlo, fu  di  stupore  !  Nessuno  si  aspettava  lo  sbarco.  La  città  era  ancora  sotto 
r  impressione  del  moto  dell'  8  aprile,  eco  di  quello  del  4  di  Palermo  e  per 
cui  erano  stati  fatti  numerosi  arresti.  Alcuni  patrioti,  fra  i  quali  Abele  Damiani, 
erano  riusciti  a  mettersi  in  salvo,  rifugiando  in  Malta.  Il  6  maggio  era  passata 
la  colonna  del  generale  Letizia  facendo  molti  arresti,  disarmando  tutti  gli  abi- 
tanti,  compresa  la  colonia  inglese,   lasciando  nel  paese  un'  impressione  di  terrore. 

Svanito  però,  quel  momentaneo  ed  umano  sentimento  di  stupore,  l' acco- 
glienza che  i  marsalesi  fecero  al  Liberatore  fu  tale,  che  Garibaldi  stesso,  in  seguito, 
avendo  saputo  da  Abele  Damiani  le  incresciose  polemiche,  che  si  eran  fatte  su 
quell'accoglienza,  volle  consacrarla  alla  storia  nel  famoso  discorso  tenuto  in  Marsala, 
il  1 9  luglio  1862,  quando  vi  ritornò  per  rifare  la  strada  di  due  anni  avanti  : 
la  prima  tappa  del  calvario  di  Aspromonte  ! 

«  Sono  passati  due  anni,  Garibaldi  disse,  dacché  toccai  questa  terra  coi 
mille  prodi,  che  m'accompagnavano.  Voi  ci  accoglieste  festosi  ed  erano  momenti 
di  pericolo,  di  vero  pericolo!  Allora  eravamo  pochi,  i  nostri  nemici  erano  molti, 
perciò  erano  momenti  di  grande  pericolo;  ma  voi  ci  accoglieste  festosamente, 
io  lo  ricordo  ».  La  parola  del  Generale  tronca  ogni  ulteriore  discussione  su 
questo  punto. 

Ma  r  altro  argomento  sul  quale  ancora  da  taluno,  e  non  sempre  in  buona 
fede,  si  discute  è  quello,  che  riguarda  l' aiuto  che  le  navi  di  S.  M.  Brittannica, 
avrebbero  dato  a  Garibaldi  per  compiere  lo  sbarco. 

Si  può  affermare,  in  modo  assoluto,  che  un  vero  aiuto,  un  aiuto  voluto 
non  ci  fu  e  che  nessuna  intesa  precedente  vi  era  stata  fra  l' Inghilterra  e  Gari- 
baldi. Oltre  che  dalla  discussione  avvenuta  nel  Parlamento  inglese,  ciò  risulta 
provato  dalle  stesse  pubblicazioni  dell'  Ammiraglio  Mundy  e  dei  Comandanti  le 
navi,  il  Marryat  dell'"  Intrepid  ,,  ed  il  Winnington-Ingram  dell'  "  Argus  ,,,  che 
la  mattina  dell'  1  1    maggio  stanziavano  nel  porto  di  Marsala. 

Il  Trevelyan,  un  inglese  studioso  appassionato  del  Risorgimento  Italiano  e 
specialmente  dell'  epopea  garibaldina,   ha    trattato    esaurientemente    questo    argo- 


'  Da  un  manifesto  dell'epoca   fatto   stampare  da  A.  Sarzana.  Sindaco  di   Marsala   nel 
1862  e  che  venne  destituito  telearaficamente. 


VICTOR  HUGO  E  QUINET  AL  DUCE  DEI  MILLE  67 

mento.  Del  resto,  che  i  comandanti  le  navi  inglesi  ignorassero,  che  in  quel  giorno 
dovesse  avvenire  lo  sbarco  di  Garibaldi,  non  si  può  mettere  in  dubbio,  quando 
si  pensa  che  lo  sbarco  in  Marsala  non  era  ancora  nella  mente  dello  stesso 
Garibaldi,   ma  nel  volere  di  Dio  ! 


* 

*     * 


Se  però,  nessun  diretto  è  voluto  aiuto  fu  dato  da  parte  delle  navi  inglesi, 
è  certo  che  anche  allora  la  buona  stella  d'  Italia  illuminò  il  cammino  di 
quei  prodi  e  che  la  presenza  a  terra  dei  marinai  inglesi  sconcertò,  come  ebbe 
a  scrivere  lo  stesso  Garibaldi  nelle  sue  Memorie,  i  comandanti  le  navi  Borbo- 
niche e  diede  tempo  di  compiere  lo  sbarco.  «  Il  nostro  sbarco  è  dovuto,  scrisse 
F.  Crispi,  all'  intuito  di  Garibaldi  e  all'  aiuto  di  Dio,  il  quale  era  con  noi,  come 
lo  è  sempre  per  le  cause  giuste  e  per  la  libertà  dei  popoli.  Noi  non  ebbimo 
V aiuto  di  alcuno  ». 

I  Garibaldini  appena  entrati  in  Marsala,  fecero  fascio-armi  nella  piazza 
detta  della  Loggia.  Garibaldi  emanò  il  noto  proclama  e  con  la  sciabola  sulla 
spalla  destra  si  mise  a  passeggiare  solo,  con  aria  evidentemente  molto  preoc- 
cupata, sotto  i  portici  del  palazzo  municipale.  Intanto  il  Decurionato,  come 
allora  si  chiamava  la  Giunta  Municipale,  si  riunì  e  poco  dopo  entrava  nella 
sala  consiliare  lo  stesso  Generale,  avvolto  nel  suo  poncho.  A  dire  dei  testi- 
moni sopraviventi,  appariva  molto  nervoso  ;  anzi  un  aneddoto  curioso  è  il 
seguente. 

Avendo  egli  chiesto  una  carta  della  Sicilia  e  non  essendovene  che  una 
dell'  agro  marsalese,  appesa  al  muro  in  un  quadro,  fu  messa  sott'  occhi  del 
Generale  sopra  un  tavolo.  Ad  uno  dei  Decurioni,  il  più  giovane,  l'avvocato 
Di  Girolamo,  che  gì'  indicava  le  tre  strade  provinciali,  che  da  Marsala  vanno 
rispettivamente  a  Salemi,  a  Trapani  ed  a  Mazzara,  il  Generale  domandò  se 
Salemi  era  città  montuosa  e  quali  i  suoi  abitanti,  ed  avendo  il  giovane  avvocato, 
che  non  aveva  capito  il  latino,  cominciato  a  fare  una  conferenza  su  Salemi, 
Garibaldi,  nervosissimo,  diede  un  pugno  sul  tavolo,  mandando  in  frantumi  il 
vetro,  che  ricopriva  la  carta  topografica  e  con  voce  irata  disse  :  «  Ma  non  è 
questo  che  voglio  sapere!  ».  In  quel  momento  un  uffìziale  garibaldino  chiese 
di  urgenza  un  abboccamento  col  Generale  e  questi  lasciò  immediatamente  la 
Decuria. 


68  LA  PRESA  DEI  VAPORI,  LA  TRAVERSATA,  LO  SB.ARCG 

Garibaldi  lasciava  Marsala  1'  alba  del  I  2  ;  cavalcava  una  giumenta  bianca 
regalatagli  dal  sig.  Sebastiano  Giacalone  ;  su  di  essa  egli,  il  27  maggio,  entrava 
in  Palermo.  L' eroe  ebbe  sempre  una  grande  affezione  per  la  fortunata  bestia, 
cui  aveva  posto  nome  "  Marsala,,,  ed  in  Caprera  la  seguente  iscrizione 
segna  il  luogo,  dove  essa  giace  sepolta:  «  Qui  giace  la  "  Marsala  ,,  che  portò 
Garibaldi  in  Palermo  nel   1860,   morta  il  5  settembre    1876,  di  anni  30  ». 

I  Mille  marciavano  con  la  carabina  in  spalla  ed  una  pagnotta  infilzata 
nella  baionetta.  Anche  Bixio,  Carini,  La  Masa,  Nullo,  Missori  ed  altri  furono 
forniti  di  cavalli.  Il  colonnello  Orsini  ritardò  la  partenza  per  conchiudere  con 
un  certo  G.  B.  Russo,  fabbricante  di  polvere,  un  contratto  per  la  consegna 
di  una  quantità  della  stessa  ;  contratto  che  fu  poi  lealmente  eseguito. 

Fra  la  schiera  dei  Mille  vi  era  una  donna  :  Rosalia  Montmasson,  la  fedele 
compagna  di  Francesco  Crispi  nell'esilio  e  nei  giorni  dell'amarezza.  E  poiché 
la  storia  deve  essere  giusta  con  tutti  e  ricordare  ai  posteri  non  soltanto  i  nomi 
di  coloro,  che  assursero  alle  più  alte  vette  della  rinomanza  e  la  fortuna  compensò 
con  giorni  di  letizia  e  di  benessere  gli  anni  del  carcere  e  dell'esilio,  ma  onorare 
anche  i  militi  oscuri,  che  tutto  diedero  alla  patria  e  nulla  raccolsero  per  se, 
bene  è,  io  penso,  che  sieno  rammentate  le  belle  pagine  che  l'eroica  compagna 
dello  statista  siciliano  scrisse  nel    1860  col  sacrifizio  della  propria  vita. 

Rosalia  Montmasson  nacque  nel  1 826  in  Saint-Jorioz  sul  lago  di  Ansi  in 
Savoia.  Francesco  Crispi  la  incontrò  nella  via  dell'esilio  ;  fu  amato  da  lei  ;  egli  l'amò 
e  la  fece  sua.  Nell'amara  vita  dell'emigrazione  l'ebbe  fedele  compagna  al  suo 
fianco  ;  e  se  amore  di  donna  può  raddolcire  le  avversità  della  fortuna,  Rosalia 
Montmasson  fu  balsamo  alle  piaghe  del  compagno  e  dello  sposo.  Cospiratrice 
anch'  essa,  questa  fiera  savoiarda,  scrive  Giacomo  Oddo,  disinteressata,  piena 
di  coraggio,  ardita  più  di  quanto  una  donna  suole  essere,  dall'  anima  vivace, 
anzi  di  fuoco,  dalla  parola  pronta,  dall'  animo  schietto,  nata  alla  libertà  ed 
all'  indipendenza,  seguì  i  passi  del  marito  ed  in  talune  circostanze  fece  lunghi 
viaggi  per  servire  alla  causa  dei  popoli  in  ciò,  che  voleva  esser  fatto  ali*  insaputa 
dei  potenti  e  della  loro  polizia. 

Quando  Rosalino  Pilo  e  Corrao  partirono  sopra  un  legno  a  vela  per  la 
Sicilia,  Crispi,  Garibaldi,  Bixio  e  Bertani  pensarono  alla  necessità  di  avver- 
tirne i  liberali  di  Messina,  affinchè  a  quei  due  generosi  facilitassero  il  disbarco 
ed  il  viaggio  nell'  isola.  Ma  ne  per  dispacci,  ne  per  lettere  ciò  riusciva  possibile  ; 
si  voleva  persona  a  cui  fosse  ben  affidato  il  segreto  e  sulla  quale  gli  occhi  della 
polizia  non  venissero  a  fermarsi.  La  Montmasson  si  assunse  il  difficile  incarico, 
ed    imbarcatasi    sopra    un    vapore    postale    giunse  in  Messina,  adempì   alla  sua 


VICTOR  HUGO  E  QUINET  AL  DUCE  DEI  MILLE  69 

missione,  continuò  il  viaggio  fino  a  Malta,  portò  notizie  a  Fabrizi  e  ne  ricevette 
da  lui  ;  poscia  ritornò  in  Messina,  s'  informò  dello  stato  delle  cose  e  ripartì 
per  Genova,  dove  recò  lettere  e  corrispondenze  dei  liberali  di  Messina  e  di 
Malta.  Quanto  giovasse  l'opera  di  questa  donna  è  facile  cosa  il  comprendere;  per 
lei  si  potè  conoscere  in  Sicilia  la  spedizione  di  Pilo  e  Corrao  ;  per  lei  si  poterono 
rannodare  in  unità  d'azione  Genova,  la  Sicilia  e  Malta  ;  per  lei  i  disegni,  le  aspi- 
razioni, la  rivoluzione  volarono  dalle  spiaggie  della  Liguria  a  quelle  della  Trinacria. 

Era  il  4  maggio,  continua  lo  storico  dei  «  Mille  di  Marsala  »,  quando 
la  moglie  di  Crispi  esternava  al  marito  il  desiderio  di  accompagnarlo  in  Sicilia. 
Crispi  credette  distoglierla  da  tale  proponimento,  dicendole  che  Garibaldi  non 
voleva  donne  nella  spedizione.  A  questa  risposta  ella  si  tacque  ;  ma  appena 
avutone  il  destro,  voltasi  al  Generale,  gli  manifestò  il  suo  voto  e  caldamente 
pregollo,  perchè  non  le  negasse  tal  grazia.  Garibaldi  la  guardò  (forse  in  quell'  istante 
volò  col  pensiero  alla  sua  estinta  compagna)  e  stendendole  la  mano  le  disse  : 
«  Venite  dunque,  se  cost  vi  piace  ;  ma  ricordatevi  che  vi  esponete  a  grave  rischio 
e  pericolo,  e  che  io  non  posso  risponder  di  nulla  ».  Da  quel  momento  Rosalia 
Montmasson  appartenne  alla  spedizione  ed  a  Calatafimi  compi  prodigi  di  valore 
e  di  carità,  apprestando  cure  amorose  di  sorella  e  di  madre  ai  feriti  di  quella 
memorabile  battaglia. 

Garibaldi  ebbe  sempre  per  Rosalia  Montmasson  grande  ammirazione  ed 
amicizia.  Nel  novembre  del  '66,  passando  da  Firenze  egli  era  andato  a  farle 
visita  e  da  Caprera   le   scriveva  : 

Garibaldi  a  Rosalia  Montmasson-Crispi. 

Caprera,  5  novembre   1866. 
Ma  bien  chère  Madame  Crispi, 

Je  suis  fier,  que  vous  ayez  bien   voulu    lenir    mon    coussin.    Pouf   mes   cheveux, 

quoique  biancs,  il  seront  tous  à  votre  disposition  la  première  foi,  que  j'  aurais  le  plai- 

sir  de  vous  baiser  la   main.    Mes  affectueuses    salutations    à    loules    les    personnes    de 

votre  maison  si  hospitalière,  sans  oublier  mon  petit  Joseph. 

Votre  de\>oué 

G.   GARIBALDI 
* 

Lo  sbarco  di  Garibaldi  a  Marsala  è  la  prima  tappa  di  quella  marcia 
gloriosa,  che  rimase  memorabile  nella  Storia. 


70  LA  PRESA  DEI  VAPORI,  LA  TRAVERSATA,  LO  SBARCO 

Tredici  anni  avanti,  il  4  settembre  1 847  Giacomo  Medici  aveva  scritto 
da  Montevideo  a  Nicola  Fabrizi  una  lunga  ed  importantissima  lettera  rimasta 
inedita,  che  qui  pubblico  integralmente. 

«  Credi  tu,  scrive  con  spirito  profetico  il  Medici,  che  mille  uomini 
agguerriti  e  beri  ordinati  sotto  la  direzione  di  un  capitano  come  Garibaldi, 
piombando  d' improvviso  sull'  Italia,  varrebbero  a  portare  V  insurrezione  tanto 
avanti  da  sortirne  facilmente  vittoriosa  ?  Bene,  questi  mille  uomini  si  trovano 
in  questo  punto,  si  possono  disporre  ed  applicare  allo  scopo  nostro  con  pron- 
tezza, con  segreto  e  con  sorprendente  facilità  ».  Dopo  tredici  anni  i  mille 
uomini,  capitanati  da  Garibaldi,  partivano  non  più  da  Montevideo,  ma  dallo 
scoglio  di  Quarto,  male  ordinati  e  male  agguerriti  e  piombando  d' improvviso 
sulla  Sicilia  decisero  le  sorti  d' Italia  ! 

Ma  un  altro  patriota,  il  prode  fra  i  prodi  dei  Legionari  di  Garibaldi  nelle 
guerre  di  America,  Francesco  Anzani,  quindici  anni  prima  in  una  lettera  diretta 
il  5  aprile  del  '45  a  Manfredo  Fanti,  aveva  vaticinato  una  spedizione  capi- 
tanata da  Garibaldi.  «  Credo,  scriveva  l' Anzani,  che  presto  toccheremo  tifine 
di  questa  guerra  crudele  e  disastrosa  ed  in  allora,  te  lo  assicuro,  penseremo 
seriamente  ad  una  spedizione  in  Italia.  Non  ci  mancano  gli  elementi  necessari: 
una  ufficialità  decisa  e  coraggiosa,  alcuni  bastimenti  di  guerra  a  nostra  dispo- 
sizione, un  bravissimo  marino  pieno  di  coraggio  ed  amor  patrio, 
quale  è  il  Colonnello  Garibaldi  alla  direzione  ». 

Il  povero  Anzani  non  ebbe  la  gioia  di  partecipare  ai  grandi  avvenimenti 
garibaldini  in  Italia.  Nei  primi  di  luglio  del  '48,  agonizzante,  stringendo  la 
mano  di  Giacomo  Medici,  allora  repubblicano  intransigente,  e  che  si  mostrava 
crucciato  della  partenza  di  Garibaldi  per  il  campo  di  Roverbella,  dove  si  era  recato 
per  offrire  la  spada  a  Carlo  Alberto,  l' Anzani  proferiva  le  profetiche  parole  : 
«  Medici,  non  essere  severo  con  Garibaldi;  è  uomo  il  quale  ha  ricevuto  dal 
cielo  tale  fortuna,  che  è  necessità  assisterlo  e  seguirlo.  L'avvenire  d' Italia  da 
esso  dipende.  E  predestinato  !  » . 

Giacomo  Medici  a  Nicola  Fabrizi. 

Montevideo,  4  settembre  '47. 
Caro  Nicola, 

Passano  i  mesi,  poi  gli  anni,  e  se  andiamo  di  questo  passo  trascorrerà  infruttuo- 
samente anche  la  vita  !  Quando  penso  che  in  questo  punto,  benché  remotissimo 
dall'  Italia,  sono  tali  elementi  da  poter  tentare  per  ^^sa  una  impresa  più  evidente  ed 
efficace  di  qualunque  altra  operata  nei  nostri  tempi,  a  me  sembra  che  in  luogo  della 


VICTOR  HUGO  E  QUINET  AL  DUCE  DEI  MILLE  71 

quasi  dimenticanza  in  cui  siamo  lasciati,  dovresti  te  ed  altri  pensare  seriamente  a  noi 
e  studiare  il  modo  di  mettere  questi  mezzi  in  attività. 

Credi  tu  che  1000  uomini  agguerriti  e  ben  ordinati  sotto  la  direzione  di  un  capi- 
tano come  il  G.  {Garibaldi)  piombando  d' improvviso  sull'  Italia  varrebbero  a  portare 
r  insurrezione  tanto  acanti  da  sortirne  facilmente  vittoriosa  ?  Bene  ;  questi  mille  uomini 
si  trovano  in  questo  punto,  si  possono  disporre  ed  applicare  allo  scopo  nostro,  con  pron- 
tezza, con  segreto  e  con  sorprendente  facilità. 

Qui  siamo  assediati  da  forze  superiori  e  vittoriose,  tutto  il  territorio  di  questa 
Repubblica  essendo  caduto  in  poter  loro  ;  per  modo  che,  ridotti  alla  sola  Capitale, 
questa  viene  dilesa  dalla  Legione  Italiana  forte  di  600  uomini,  da  un  Battaglione  di 
500  Biscaini,  dalla  Legione  Francese  di  1000  uomini,  e  da  600  Indigeni  la  maggior 
parte  negri  ;  poi  alcune  centinaia  di  uomini  della  marina  francese  ed  inglese.  Ora 
però  r  Inghilterra,  avendoci  traditi,  rimane  soltanto  la  protezione  delle  forze  nazionali  e 
della  Francia,  che  bloccano  i  porti  del  nemico  ;  se  poi  viene  a  mancare  anche  questo 
appoggio,  la  resa  è  quasi  inevitabile. 

Egli  è  appunto  nella  crisi  del  dover  capitolare,  che  le  Legioni  otterranno  o  si 
prenderanno  facoltà  di  cercar  asilo  altrove,  ed  è  quasi  certo  che  Io  stesso  vincitore 
vedrà  di  buon  occhio,  anzi  aiuterà  la  ritirata  di  un  agente  a  lui  tanto  funesto. 

Dato  poi  il  caso,  che  la  Francia  (caso  da  non  credersi)  s'impegnasse  nel  far 
prevalere  questo  partito,  soccorrendolo  con  truppe  e  con  moneta,  coi  quali  mezzi  si 
darebbe  subito  fine  a  questa  guerra,  non  vi  è  dubbio  che  in  allora  le  stesse  Legioni 
avranno  diritto  di  congedarsi  non  solo,  ma  oltre  di  ciò  ottenere  da  questo  Governo, 
in  riconoscenza  dei  loro  servigi,  i  mezzi  e  facilità  di  trasporto  per  dove  vorranno 
ritirarsi. 

Sì  neir  una  che  nell'  ahra  delle  due  estremità  sopradette,  avrebbe  facile  esecuzione 
la  nostra  impresa,  purché  fosse  già  in  ordine  e  si  avessero  i  mezzi  convenienti. 

La  Legione  Italiana,  sia  di  un  modo  sia  di  un  altro,  tende  a  traslocarsi  in  Italia  : 
ne  occorre  a  muoverla  stimolo  alcuno,  interesse  ;  alla  chiamata  di  G.  (Garibaldi) 
pochi  o  nessuno  rimarrebbero  indietro.  Ma  voglio  calcolare  soltanto  sopra  500,  così  che 
il  restante  per  arrivare  al  numero  di  mille  bisognerebbe  metterlo  insieme  con  indigeni. 
Francesi  o  più  facilmente  col  Battaglione  di  Baschi  per  esser  più  legato  di  simpatia 
alla  nostra  Legione,  per  essere  gente  avventuriera  ed  aver  capi  amici  di  G.  {Gari- 
baldi). Non  bisogna  però  dimenticare  che  è  gente,  cui  più  di  qualunque  altro  argo- 
mento la  persuade  la  moneta. 

Se  adunque,  le  cose  d'  Italia  sono  mature  (e  se  no  fate  che  lo  sieno)  tu,  Pippo 
{Mazzini),  e  con  voi  quelli  che  fra  i  nostri  fossero  disposti  con  mezzi  a  dar  spinta 
ad  un  movimento  d'importanza  tanto  palpabile,  io  credo  che  con  poco  più  di  200 
mila  franchi  ci  si  darebbe  perfetto  compimento. 

Molti  sono  i  modi,  ma  quello  che  mi  sembra  più  degli  altri  efficace,  sarebbe  che 
quelli  che  danno  i  mezzi  delegassero  uno  di  loro  confidenza  a  presenziare  il  modo 
come  vanno  impiegati.  Lo  stesso  incaricato  si  porterebbe  a  New- York  ;  comprerebbe 
una  nave  capace  per  5  o  6  cento  uomini  (può  costare  come  60.000  franchi)  e  vi 
caricherà  per  50.000  franchi  di  viveri  adattati    al    mare,    e  si    dirigerà    qui,   dopo  di 


72  LA  PRESA  DEI  VAPORI,  LA  TRAVERSATA,  LO  SBARCO 

essersi  procurato,  per  mezzo  di  Foresti,  documenti  od  altro,  che  serva  a  far  credere, 
che  qui  venga  a  cercar  gente  per  trasferirla  in  una  colonia  negli  Stati  del  Nord 
America  (questa  è  soltanto  misura  di  precauzione  che  può  venir  bene  a  taglio).  Il 
restante  del  danaro  servirebbe  a  persuadere  il  Corpo  dei  Baschi  o  altri  a  seguirci, 
quindi  ad  accrescere  i  mezzi  di  trasporto.  Intanto,  qui  abbiamo  disponibili  una  Goletta 
ben  armata  in  guerra,  capace  per    150  uomini,  più  armi  e  munizioni  in    abbondanza. 

Caro  Nicola,  pensaci  e  fa  che  altri  ci  pensi  seriamente;  mi  sarò  male  o  non 
abbastanza  spiegato,  ma  questo  che  ti  scrivo  è  scevro  di  illusioni,  è  semplice  verità. 
Il  progetto  è  vasto  ed  i  risultati  immensi,  eppure  facile  ad  eseguire,  soltanto  può  andar 
perso  per  mancanza  di  denaro  o,  avendolo,  per  esser  stati  troppo  lenti  nell'  intrapren- 
dere, perchè  questa  è  cosa  che  dovendosi  fare  e  potendo,  conviene  farla  subito. 

G.  {Garibaldi)  ed  Anzani  sono,  non  si  potrebbe  meglio,  disposti,  ed  è  tanta  in 
loro  la  smania,  che  senza  frapporre  tempo  ed  intralciare  questo  con  altri  movimenti 
vorrebbero  fare  subito  sia  con  molti  sia  con  pochi  in  qualunque  modo,  e  ti  assicuro 
questi  due  capitani  riunire,  in  sommo  grado,  le  più  preziose  qualità  sì  militari  che 
rivoluzionarie,  e  sarebbe  veramente  grave  colpa  che  l' opera  loro  in  un  con  quella 
della  Legione  andasse  a  sfogare  altrove,  benché  ciò  non  avverrà  mai,  trattandosi  dei 
capi  e  di  alcuni  altri  ;  i  quali  sono  decisi,  a  dispetto  di  tutto,  di  far  da  soli,  se  non 
lo  possono  accompagnati.  Intanto,  aspettiamo  da  Pippo  (Mazzini)  decisioni  importanti  : 
tu  fai  male  a  non  scrivermi  ;  se  non  Io  merita  l' amicizia  il  dovrebbe  l' importanza  delle 
cose  politiche  sul  che  ti  ho  scritto  una  lunga  lettera  e  ne  attendo  impaziente  il  riscontro. 

Sono  due  mesi  che  mio  padre  è  partito  per  l' Italia,  cosi  che  sono  più  tranquillo. 

Anthony  dev'  essere  sempre  più  contento  di  me  ;  molti  sono  i  vantaggi  commer- 
ciali che  ne  derivano,  mi  sarà  grato  sapere  come  si  comporta  con  te  e  che  affari 
fate  insieme. 

Ricordati  adunque  di  noi,  e  sta  sicuro  che  dovendo  tentare  un  movimento  non 
troverai  luogo  dove  siano  elementi  ne  migliori  ne  più  adatti  di  questi,  perchè  il 
Governo  si  può  dire  dipende  in  grande  parte  dalla  volontà  di  G.  {Garibaldi),  e  non 
credere  che  la  distanza  ne  gì*  intoppi  per  mare  possano  in  nulla  contrariare  un'impresa 
ben  ordinata. 

Ora  si  sta  aumentando  la  Legione  ;  v'  è  probabilità  si  possa  renderla  forte 
almeno  di  800. 


Addio,  scrivi  subito  al  tuo  amico 


Francesco  Anzani  a  Manfredo  Fanti. 


G.  MEDICI 


Montevideo,  5   aprile  del   1845. 
Amico, 

Dopo  sette  anni  alfine  seppi  di  tue  notizie.  L' amico  Giuseppe  Marocchi,  che 
venne  a  dare  in  questi  paesi  dopo  le  ultime  catastrofi  succedute  in  codesto  regno,  mi 
parlò  a  lungo  di  te  e  di  molti  altri  amici,  dei  quali  ignoravo  interamente  la  sorte. 
Ho  inteso  ancora  con  piacere  da  questo  amico,  che  sempre  ti  conservi  buon  italiano 


da    pan)    J^/'^^/^'^ 

i/i,  ìfoipi'i—  y^i»  "'^  ^   ^  j^~^ 


/ 


f  I 


M 


''fth 


ci-  'il    ai    ^  A/    ^^-^Z    ^  ^ 


pili  U'im^ 

\VV]  (Itili,      Ì(Ui^'"    '"^^^ 


Edgard  Quinet  a  Garibaldi 
a  proposito  della  pubblicazione  francese  del  libro  del  Generale   «  I  Mille  ».  (Vedi  pag.  74). 


À 


VICTOR  HUGO  E  QUINET  AL  DUCE  DEI  MILLE  73 


nel  mezzo  della  corruzione  generale.  Io  te  Io  confesso,  non  avrei  mai  creduto,  che 
moltissimi  dei  nostri  compagni  d'arme  fossero  tanto  deboli,  per  assicurarsi  un  pezzo 
di  pane  nella  casa  dello  straniero,  di  tradire  i  loro  principii.  Eppure,  per  nostra  ver- 
gogna, mi  si  assicura  che  non  furono  pochi  ! 

Non  ti  parlo  del  mio  viaggio  in  Italia,  ne  del  poco  o,  per  meglio  dire,  nessun 
profitto  che  tirai  della  mia  missione,  ne  della  mia  prigionia  ed  esilio  in  America. 
Troppo  lunga  ne  saria  la  descrizione.  Sappi  solo  che,  appena  arrivato  a  Montevideo, 
ritornai  all'  antico  mestiere.  Ho  militato  in  una  provincia  del  Brasile,  chiamata  Rio 
Grande  del  Sud,  che  si  era  sollevata  contro  l'Impero,  proclamando  la  sua  indipen- 
denza e  governo  repubblicano.  In  seguito,  essendosi  formata  una  Legione  Italiana  in 
Montevideo  per  difendere  1'  indipendenza  di  questo  paese  contro  le  ingiuste  preten- 
sioni del  governo  tirannico  di  Buenos-Ayres,  mi  vi  sono  cacciato  dentro  con  mani  e 
piedi  e  sono  già  più  di  due  anni,  che  questo  corpo  forma  1'  ammirazione  tanto  degli 
abitanti  del  paese,  che  degli  stranieri. 

Credo  che  presto  toccheremo  il  fine  di  questa  guerra  crudele  e  disastrosa,  ed  in 
allora,  te  lo  assicuro,  penseremo  seriamente  ad  una  spedizione  in  Italia.  Non  ci  mancano 
gli  elementi  necessari.  Un'  ufficialità  decisa  e  coraggiosa,  alcuni  bastimenti  di  guerra  a 
nostra  disposizione  un  bravissimo  marino  pieno  di  coraggio  ed  amor  patrio, 
quale  è  il  Colonnello  Garibaldi  alla  direzione,  la  simpatia  di  tutti  gli  abitanti 
di  questa  repubblica.  Infine,  se  questa  volta  non  si  farà  niente  la  colpa  non  sarà  nostra. 

I  miei  saluti  a  tutti    gli    amici  e  principalmente  a  Castelli,    uno    dei    pochi   che 

merita  tutti  i  riguardi,  e  tu  conservati  sempre. 

Tuo 

FRANCESCO  ANZANl 

* 
*     * 

Dopo  cinquant'  anni,  in  verità,  non  è  senza  un  sentimento  di  commozione, 
che  si  rileggono  i  giudizi,  gli  scritti  e  i  discorsi  pronunziati  nel  1 860  dai  più 
eminenti  personaggi  d'  Europa  sulla  marcia  prodigiosa  di  Garibaldi  ;  soprattutto 
lo  scritto  di  George  Sand  ed  il  meraviglioso  discorso  pronunziato  da  Vittor  Hugo 
nel  suo  esilio  di  Jersey,  il  1 8  giugno  di  quell'  anno.  Ma  degne  anche  di  essere 
conosciute  sono  le  due  bellissime  lettere  di  Victor  Hugo  e  di  Edgard  Quinet 
all'  eroe  leggendario,  quando  fu  pubblicata  1'  edizione  francese  del  libro  del 
Generale  /  Mille  e  che  tolgo  dalla  mia  raccolta.  {Vedi  facsimili). 

Victor  Hugo  a  Garibaldi. 

Paris,   18  septembre   1874. 
Cher  Garibaldi, 

Votre  lettre  m'émeut  et  je  sens  rémuer  pour  vous  mon  vieux  coeur  de  frère. 
Oui,  raccontez  vous  mème  vos  actions  superbes,  racontez-les  à  1'  Italie,  racontez-les  à 
la  France,  racontez-les  au  monde. 


74  L^  PRESA  DEI  VAPORI,  LA  TRAVERSATA,  LO  SBARCO 

Les  Mille  seront  glorieux  comme  1*  ont  élé  les  Dix-Mille,  avec  ceci  de  plus 
qu'  ils  sont  vaincu,  et  qu'  ils  ne  sont  pas  illustres  pour  avoir  reculé,  mais  pour  avoir 
avance.  Comme  Xénophon,  vous  faites  l'epopèe,  et  après  l' avoir  faite,  vous  la  dites; 
mais  vous  étes  plus  grand  que  Xénophon.  Il  n'avait  en  lui  que  l'ame  de  la  Grece, 
vous  avez  en  vous  l' ame  des  peuples. 

Cher  Garibaldi,  je  vous  embrasse.  VICTOR  HUGO 

Edgard  Quinet  a  Garibaldi. 

ASSEMBLÉE  NATIONALE  Versailles,  janvier   1875. 


Cher  grand  Garibaldi, 

Avant  de  vous  remercier,  j'  ai  voulu  vous  lire  et  vous  relire.  Je  viens  de  passar 
à  travers  toutes  les  émotions  de  vos  Mille,  et  ce  qui  domine  tout,  e'  est  le  sentiment 
d'une  merveille. 

Oui,  votre  éxpédition  est  le  miracle  de  l' àme,  de  l' eroisme  ;  je  ne  connais  rien 
dans  le  passe,  qui  lasse  tant  d'  honneur  à  la  nature  humain.  Quelques  jeunes  gens, 
mal  armès,  sans  equipages,  sans  artillerie,  sans  ressources  d'  aucun  genre,  mais  à  leur 
téte  un  grand  homme,  détruisent  une  armée  puissante  et  conquièrent  deux  royaumes. 
Cela  ne  e'  était  pas  vu  depuis  l'antiquité.  C  est  la  victoire  de  l' esprit  sur  la  matière, 
d'  un  grand  coeur  sur  tous  les  calculs  de  la  force  reglée,  disciplinée,  savante,  injuste. 
Voilà  pourquoi  la  parole  me  manque  pour  dire  ce  que  je  sens.  J' admire,  je  bénis, 
je  célèbre  en  mon  coeur,  et  je  me  tais. 

Dans  votre  récit,  je  vous  chercais  à  chaque  pas  ;  par  un  modestie  sublime,  unique 
jusqu'  à  ce  jour,  le  chef  de  l' éxpédition,  celui  qu'  en  est  1'  àme,  semble  vouloir  se 
dérober  aux  yeux;  il  exalte  les  Mille  et  il  ne  dit  rien  de  lui.  Il  fait  tout;  il  est  par- 
tout,  et  il  est  le  seul  dont  il  ne  parie  pas. 

C*  est  là,  cher  grand  homme,  ce  qui  distingue  votre  récit  de  tous  les  récits  mili- 
taires  faits  par  des  chefs  d' éxpédition. 

Tous,  depuis  Xénophon,  se  mettent  en  lumière  dans  leur  histoire  ;  ils  se  donnent 
le  premier  rang.  Vous  ètes  le  premier  jusqu' ici  des  commandants  d' armée,  qui  ait 
oublié  le  chef  pour  ne  glorifier  que  l' armée. 

Mais    la    posterité    saura    vous    découvrir,   parmi    les  Mille.    Elle    vous    fera    la 

parte,  que  vous  ne  vous  étes  pais  faite.  Vous  ne  vous  déroberez  pas  à  la  reconnais- 

sance  de  peuples. 

Pour  toujours,  votre 

EDGARD   QUINET 

* 
*     * 

Prima  di  chiudere  questo  capitolo  amo  intrattenermi  su  di  un  argomento,  che 
ancora  è  discusso  ;  del  merito  che  rispettivamente  ebbero  il  Fauché  e  Rabattino 
nella  spedizione  dei  Mille. 


VICTOR  HUGO  E  QUINET  AL  DUCE  DEI  MILLE  75 

In  una  pubblicazione  piccola  di  mole,  ma  densa  di  fatti  è  stato  giustamente 
rivendicato  a  Giovanni  Battista  Fauché  il  merito  di  avere  apprestato  i  vapori, 
che  trasportarono  la  falange  liberatrice.  '  Quel  merito  si  era  voluto  attribuire  a 
Raffaele  Rubattino  e  non  mancano   ancora   oggi  coloro  che  lo  sostengono. 

È  vero,  che  i  due  vapori  appartenevano  alla  Società  che  portava  il  nome 
di  R.  Rubattino  e  C,  ma  è  da  notare,  che  questi  aveva  da  due  anni  lasciata 
la  gerenza  dell'  amministrazione,  che  era  stata  assunta  dal  Fauché.  Nella  pub- 
blicazione citata  si  trovano  narrate  le  peripezie  cui  andò  incontro  quest'  ultimo 
per  r  atto  patriottico  compiuto  e  che  finirono  colla  perdita  del  posto. 

Già  Garibaldi  nelle  Memorie  aveva  reso  il  giusto  omaggio  al  merito  del 
Fauché;  ma  nella  mia  raccolta  trovo  due  lettere  dirette  nel  '60  al  Generale 
dal  Fauché  e  dal  Rubattino,  che  mi  par  utile  nell'  interesse  della  storia  di 
pubblicare. 

Giovanni  Battista  Fauché  a  Garibaldi. 

Genova,    16  giugno   1860. 
Mio  caro  Generale, 

Spero  che  anche  la  mia  del  9  corr.  sarà  ormai  in  suo  potere. 

Io  non  posso  trovare  qui  aiuto  nelle  mie  idee  per  fondare  la  compagnia  nazio- 
nale di  navigazione  a  vapore.  Al  contrario  Rubattino  ed  i  suoi  amici  mi  continuano 
una  guerra  iniqua  con  la  mira  di  rovesciarmi.  Io  faccio  sforzi  immensi  per  resistere; 
ma  ho  poca  speranza  di  riuscita,  poiché  mi  mancano  appoggi. 

Ella  sa  bene,  mio  Generale,  qual  parte  io  presi  nella  eroica  sua  spedi- 
zione. La  nazione  me  ne  dovrà,  certo,  riconoscenza.  Ella,  mio  Generale,  mi  ha 
bastantemente  mostrato  la  preziosa  stima  in  cui  mi  tiene.  Ella  e  Bixio  mi  dissero,  che 
costì  io  sarei  richiamato.  Io  verrò  adunque;  verrò  dove  l'opera  mia  può  tornare  utile 
alla  patria,  e  dove  può  essere  apprezzata.  Qui  mi  si  perseguita. 

Ventinove  anni  di  esperienza  amministrativa  mi  rendono  abbastanza  sicuro,  che 
posso  fare  qualche  cosa  di  bene  e  le  mie  cognizioni  della  parte  marittima  molto  più 
me  ne  incoraggiano.  Della  mia  fede  e  della  mia  onestà  politica,  ne  diedi  prova. 

lo  posso  avere  la  Direzione  degli  eiffari  della  Marina.   Credo  questa  parte  impor- 
tantissima in  Sicilia.  Mi  chiami  dunque  e  presto. 

Bixio,  credo  bene,  applaudirà  la  mia  determinazione.  Ella,  mio  Generale,  avrà  così 
una  nuova  caparra  della  mia  buona  disposizione. 

Sento  che  il  "  Lombardo  ,,  è  sempre  arenato  in  Marsala.  Io  vorrei,  con  un  altro 
vapore,  venirne  a  fare  il  ricupero.  Poi,  con  poco,  si  può  acquistarlo  ed  avere  così 
un  eccellente  battello. 


'  Pietro  Fauché  -  G.  B.  Fauché  e  la  spedizione  dei  Mille,  Roma,  1895. 


76  LA  PRESA  DEI  VAPORI,  LA  TRAVERSATA.  LO  SBARCO 


Tosto  che  Ella  avrà  letto  la  presente,  colla  prima  partenza  di  vapore  per  Cagliari, 
voglia  incaricare  qualcuno  di  darmi  un  avviso  telegrafico  ;  perchè,  se  io  devo  aspettare 
il  ritorno  del  vapore,  perdo  due  settimane  almeno.  L'avviso  basta  che  esprima  una 
sola  parola  di  affermativa,  presa  da  un  argomento  qualunque,  perchè  io  già  compren- 
derò benissimo  tutto,  anche  senza  alcuna  chiara  spiegazione. 

La  prego  di  fare  i  miei  saluti  a  Bixio. 

Io  sono  disposto,  venendo  di  non  Venire  colle  mani  vuote,  come  suol  dirsi:  Ella 
mi  ha  già  conosciuto  abbastanza.  Mi  creda,  Generale,  con  affezione  particolare 

lutto  suo 
G.   B.  FAUCHÉ 


L'  importanza  di  questo  documento  per  il  suo  contenuto  e  per  la  persona 
cui  è  diretto,  è  grande!  "  Ella  sa  bene,  mio  Generale,  scrive  il  Fauché,  qual 
parte  io  presi  nella  eroica  sua  spedizione.  La  nazione  me  ne  dovrà,  certo,  rico- 
noscenza ,,.  Avrebbe  il  Fauché  scritto  così  a  Garibaldi,  che  doveva  bene  sapere 
come  erano  andate  le  cose,  se  il  merito  di  avere  apprestato  i  vapori,  non  fosse 
a  lui  dovuto?  La  lettera  inoltre  ci  apprende  la  guerra  iniqua,  che  gli  muoveva 
il  Rubattino  in  Genova,  che  finì  col  fargli  perdere  il  posto.  Infatti  il  1 8  giugno 
il  Rubattino  gli  toglieva  la  procura  della  direzione  della  società,  che  aveva 
tenuto  fino  dal    1858. 

Che  la  guerra  era  mossa  al  Fauché  per  avere  egh  apprestato  i  due  vapori, 
indirettamente  lo  prova  la  lettera  del  Rubattino  al  Garibaldi  in  data  del  7  giugno, 
che  qui  trascrivo.  Se  fosse  vera  o  no,  la  voce  corsa  con  insistenza  m  quei  giorni 
a  Genova,  1'  essere  cioè  il  Rubattino  andato  a  Torino  per  presentare  al  Mini- 
stero una  protesta  per  il  fatto  dei  vapori  presi  da  Garibaldi,  non  potremmo 
affermare  ;  ma  la  lettera  da  lui  scritta  al  Generale,  che  qui  riporto,  non  mostra 
altra  preoccupazione  che  quella  dell*  interesse  personale. 

Garibaldi  riconobbe  tanto  V  opera  patriottica  compiuta  dal  Fauché  che  lo 
invitò  a  Palermo,  ed  il  30  giugno,  appena  arrivato,  stringendogli  la  mano,  gli 
disse:  "  Io  vi  debbo  eterna  riconoscenza  e  la  Sicilia  vi  deve  molto;  se  per- 
deste la  vostra  posizione,  io  vi  riparerò  degnamente  ,,.  Il  primo  luglio,  il  Con- 
siglio dei  Ministri,  su  proposta  del  Dittatore,  nominava  il  Fauché,  Commissario 
generale  della  marina  ed  egli  restò  a  quel  posto  fino  al  1 7  settembre,  epoca 
in  cui  fu  nominato  Segretario  di  Stato  della  marina.  Il  I  5  ottobre,  sotto  la  pro- 
dittatura Mordini,  fu  promosso  al  grado  di  Capitano  di  vascello  di  prima  classe 
e  fece  parte  di  quel  Ministero,  che  decretò  l' annessione  della  Sicilia  al  Regno 
d' Italia.   Ecco  ora  la  lettera  del  Rubattino. 


si 


:^'^ir^^  \|^^ii 


^  ^'is 


X 


1 


'>)ìrAì 


co 


-o 

V 


a 

.2 
"co 

IO 


o 

a. 

o 

-o 

_o" 

CL 

o 

e 


o 

a: 


19 

-a 


a 


^i^irj,^ 


^:^%at^  // .^^^l^  /f^ 


/^yio     -<^-2'  à-tf^-^^^^ 


_  "^^^T^^ì/^-o      ,a^    -^^<^^ifiA  c-c^yi-^   '-^3^^      -tyé>^../^/K^t-^^       ', 


?  ^^ ^      y^y,'^,^^^^..>^c^  '    ^   Y^^<,^^^i^     ::^ó^e' — 


t'X^ 


Garibaldi  a  Rosalino  Pilo.   Partinico,    18  maggio    1860.   (Vedi  pag.   84). 


( 


-é^-i^   y^^f^à^^- 


z>^«^ 


y^-r^. 


'-rx^^ 


'/7  (K.       /*>. 


^i^^yU^ 


^Pe-v^    -^-t-^- 


^^:c 


^^f^  /t^   <^-^ 


^^A^t-t^^^'^^ 


i^-^^-        r^C  r?l/'1-<j:?t-  yft-S^  -■>~t7  .i»—    <iL^  .«.^^^.^ /5>ly^^         i^  ^-^é^c^ 


^^ 


^<^^ 


■C-      £>^ 


y 


£,.^f~^i^Ì->.^ 


'  ff—iii^  -^.-^  -c-^^!^    


^'C'-^^t'X^ 


-C-t^^-^      C; 


.^- 


""^V    'y<!;\..'t^,^e^<r^yi^ 


Garibaldi  a  Rosalino  Pilo.   Parfinico,    18  maggio    1860.  (Vedi  pa^.  84). 


^J^i^^^:^    «^ 


^tyfy^L^rtt^  y  ^ 


^s 


yi^' 


^ 


é^^ZA^       -^^Z  ór^ '^^^'^ 


p/W> 


/r-»^- 


^ A^  e^i,      ^^/t-^^*-      A  é-^e^'l^^ 


Garibaldi  a  Rosalino  P,lo.   Misero  Cannone,    19  «.aggio    1860.  (Vedi  pag.  85). 


I 


VICTOR  HUGO  E  QUINET  AL  DUCE  DEI  MILLE  77 

Raffaele  Rubattino  a  Garibaldi. 

Genova,  7  giugno   1869. 
Carissimo  Generale  ed  Amico, 

Non  vi  parlerò  della  mia  ammirazione,  ne  dell'entusiasmo  che  destate,  giacche 
sapete  bene  essere  voi  in  questi  tempi  l' idolo  di  tutti  i  popoli  civili.  Ma  scrivo  ricor- 
rendo all'amico,  non  al  capo  della  grande  spedizione,  per  dirvi  una  parola  dei  miei  affari. 

Dio  avesse  voluto,  ch'io  fossi  stato  in  grado  di  dare  più  che  non  toglieste!  Nes- 
suno, spero,  dubiterà  del  mio  amore  alla  causa  che  voi  difendete  con  tanto  eroismo; 
ma  nella  stretta  suprema  dei  miei  affari,  minacciata  la  mia  società  di  fallimento,  stavo  forse 
per  scongiurarne  la  rovina,  rinnovando  col  Governo  il  contratto  postale,  quando  la  man- 
canza dei  due  battelli  rischia  forse  di  rendere  impossibile  questo  accomodamento,  spìnto 
io  probabilmente,  senza  rimedio,  a  quello  scioglimento,  che  cercavo  di  evitare  con 
tanti  sacrifizi. 

Voi  conoscete  le  moltiplicate  disgrazie,  che  colpirono  la  mia  società  per  capire, 
senza  che  io  mi  dilungi,  come  sono  le  cose  e  quanto  è  vero  quello  che  vi  dico. 

Scrivetemi  dunque,  in  che  possa  sperare  e  quando,  affinchè  io  mi  faccia  forte  di 
queste  speranze,  e  di  una  vostra  parola  presso  chi  può  rilevare  ancora  questa  società 
disfatta. 

Il  vostro  tempo  è  troppo  prezioso,  perchè  io  vi  dica  della  mia  personale  posizione. 
Ne  parleremo  a  momenti    più    riposati.    Intanto,  ve  ne  prego,  scrivete  a  me  che  sono 

(7  vostro  aff.mo  amico 
RUBATTINO 

* 

*   * 

Trova  qui  giusto  posto  una  corrispondenza  inedita,  che  ebbe  luogo  fra  il  con- 
sole sardo  di  Palermo,  quello  di  Marsala  e  Garibaldi,  a  proposito  di  uno  dei 
due  vapori  che  avevano  trasportato  i  Mille. 

L'  1  1  maggio,  dopo  che  lo  sbarco  a  Marsala  era  felicemente  avvenuto, 
Garibaldi,  per  non  dare  in  preda  al  nemico  il  "  Lombardo  „ ,  che  come  è  noto, 
si  era  arenato  all'imboccatura  del  porto,  ordinò  di  farlo  affondare  aprendo  i  rubi- 
netti delle  macchine.  La  corrispondenza,  che  qui  si  legge  riguarda  appunto  il 
ricupero,  che  più  tardi  si  voleva  fare  di  quel  piroscafo.  Ho  trascritto  pure  una 
lettera  diretta  dal  console  sardo  in  Marsala  a  Garibaldi  riguardo  al  vapore 
Utile  ,,  comandato  dal  capitano  Lavarello.  L'  "  Utile  ,,  aveva  condotto  in 
Sicilia  i  volontari  capitanati  dai  valorosi  Carmelo  Agnetta  e  Fardella;  la  spedi- 
zione, partita  da  Genova  la  notte  del  25  maggio  con  70  uomini,  3000 
fucili  e  60  casse  di  munizioni,  sbarcò  anch'  essa  in  Marsala  e  rappresenta, 
cronologicamente,    la  seconda  spedizione  fatta  nel    1 860  in  Sicilia. 


78 


LA  PRESA  DEI  VAPORI.  LA  TRAVERSATA.  LO  SBARCO 


II  Console  Sardo  di  Palermo  a  Garibaldi. 


CONSOLATO  DI   S.  M.  SARDA 

IN   PALERMO 


Palermo,    16  giugno   1860. 


N.  719 


lUuslrissimo  Signore 

Il  R.  Delegato  Consolare  Sardo  in  Marsala,  con  suo  rapporto  del  12  stante, 
n.  1 28,  del  quale  mi  fo  un  dovere  compiegarlene  copia,  m' intrattiene  suH'  arenamento, 
in  quelle  vicinanze,  del  piroscafo  il  "  Lombardo  ,,  e  della  possibilità  di  poterlo  salvare. 

Le  comunico  ciò  per  di    Lei    intelligenza    e    mi   approfitto    dell'  opportunità    per 

ridedicarle  i  sentimenti  del  mio  ossequioso  rispetto. 

//  Console 

G.    BOCCA 
All' lll.mo  Signore 

Sig.   Generale  G.   Garibaldi 

Dittatore  in  Sicilia 


Il  Console  Sardo  di  Marsala  al  Console  Sardo  di  Palermo. 

REGIA    DELEGAZIONE    CONSOLARE 
DI  S.  M.  SARDA  IN  MARSALA 


N.  128 


Marsala,  12  giugno   1860. 


Signore, 

Il  vapore  "  Lombardo  „ ,  che  fu  uno  dei  due  legni  che  portava  in  queste  spiagge 
il  generale  Garibaldi  con  la  colonna  degli  italiani,  rimase  all'  imboccatura  di  questo 
porto  affondato  in  acqua  per  disposizione  dello  stesso  signor  Garibaldi ,  onde  non 
darlo  in  preda  ai  legni  Napoletani,  che  erano  in  quel  tempo  in  questi  paraggi. 

L'  anzidetto  piroscafo  è  senza  alcuna  custodia,  e  continuamente  vi  si  commettono 
degli  spogli.  Ora  mi  si  assicura,  che  potrebbe  agevolmente  salvarsi  ed  io  lo  reputerei 
necessario,  poiché  potrebbe  totalmente  perdersi,  se  un  forte  vento  o  da  scirocco  o 
da  ponente  lo  assalisse.  Non  volendo  io  intanto  prendere  da  me  stesso  alcuna  inge- 
renza in  quest'  affare,  mi  rivolgo  a  Lei,  pregandola  di    darmi    le    sue  istruzioni ,  alle 

quali  sarò  a  conformarmi. 

//  Delegato  Consolare 

SEBASTIANO    LIPARI 
All'  lll.mo  Sig.  Console 

di  S.  M.  Sarda  di   Palermo 


VICTOR  HUGO  E  QUINET  AL  DUCE  DEI  MILLE  79 

Il  Console  Sardo  di  Marsala  a  Garibaldi. 

Marsala,  24  giugno   1860. 
Signor  Generale  Dillatore, 

Avrei  voluto  darmi  allo  rialzamento  del  Vapore  il  "Lombardo,,  che  qui  portò 
Lei,  signor  Generale,  con  la  colonna  degli  Italiani  ;  generosi  tutti  che  correste  al  soccorso 
dell'  infelice  Sicilia,  immersa  nel  dolore  di  un'  abbominevole  tirannia,  se  non  fossi  stato 
informato,  che  qui  veniva  come  incaricato  il  signor  Santocanale.  Mi  davo  pensiero  a 
tale  rialzamento  per  la  esecuzione  dei  di  Lei  ordini,  dei  quali  mi  onorava  nel  giorno 
in  cui  lasciava  questa  fortunata  città;  e  prima  che  il  fuochista  del  Vapore  si  fosse  da 
qui  allontanato,  mi  faceva  dichiarare  in  quali  luoghi  si  erano  aperti  i  rubinetti  del 
Vapore  e  mi  diceva  che  innanzi  alla  caldaia  si  sono  aperti  quattro  rubinetti  ed  un 
altro  sotto  la  macchina,  che  pompa  l'acqua  nella  caldaia  ed  altri  due  ai  piedi  dell'asi- 
netto.  Soggiungevami  pure,  che  forse  sono  anche  aperti  i  due  rubinetti  di  estrazione 
e  che  le  chiavi  di  tali  rubinetti  dovrebbero  trovarsi  al  piede  della  scala.  Aveva  io  di 
già  disposto  sette  pompe,  onde  avvalermene  per  vuotare  il  Vapore  e  stavo  per  richia- 
mare da  Favignana  Leonardo  Ettore,  abile   palombaro. 

Ho  creduto  bene  ciò  rassegnare  a  Lei,    signor  Generale   Dittatore,  perchè  se  il 

crederà,  possa  darmi  quelle   disposizioni,  che  opinerà  nella  sua  saggezza  convenevoli. 

Le  soggiungo,  che  qui  trovansi  vendibili    sessanta  bottacci    di  polvere    inglese,  venuti 

da  Malta,  che  si  potrebbero  acquistare  al  prezzo  di  Oz.  26,20  per  ogni  quintale.  Serva 

ciò  per  la  di  Lei  alta  intelligenza  e  nel  caso  crederà  farne  acquisto  mi  potrà  dare  i 

di  Lei  ordini. 

Con  il  più  profondo  rispetto  passo  a  rassegnarmi 

//  Cittadino 

SEBASTIANO  LIPARI 

Marsala,  21    giugno   1860. 
Eccellenza, 

Mi  fo  un  pregio  di  confermare  all'È.  V.  i  due  rapporti  del  1.  e  15  corr.  ed 
ora  mi  si  presenta  l' occasione  di  compiegarle  una  lettera  di  due  individui  rimasti  qui 
ammalati  e  raccomandati  dal  Capo  dello  Stato  Maggiore  di  V.  E.,  sig.  Sirtori,  i  quali 
si  metteranno  ben  tosto  in  viaggio  per  raggiungere  il  loro  Generale. 

Con  sommo  mio  dispiacere,  è  corsa  voce  che  il  vapore  sardo  «  Utile  »  che  per 
mia  opera,  quando  venne  in  questa  con  la  colonna  degli  italiani  guidata  dal  signor 
Agnetta  e  colonnello  Fardella  non  fu  preda  del  vapore  napoletano  per  lo  impegno,  che 
ebbi  a  farlo  subito  ripartire,  sia  stato  arrestato  dai  Napoletani  nelle  acque  di  Monte 
Circelli  con  taluni  italiani,  che  venivano  al  soccorso  della  Sicilia,  e  che  sia  stato  condotto 
a  Gaeta.   Speriamo  che  la  notizia  non  fosse  veridica. 

Su  tale  proposito  mi  credo  in  dovere  di  portare  a  conoscenza  della  E.  V.  un 
certificato,  che  spontaneamente  mi  volle  lasciare  il  bravo  e  coraggioso  capitano  Fran- 
cesco Lavarello. 


80 


LA  PRESA  DEI  VAPORI,  LA  TRAVERSATA.  LO  SBARCO 


Fra  pochi  giorni,  per  qualche  affare  di  servizio,  mi  troverò  obbhgato  di  trasferirmi 

m  cotesta    Capitale  e  ciò  mi  darà   occasione  di  venirla  ad  ossequiare   personalmente. 

Con  i  sensi  della  più  distinta  stima  sono 

dell' E.    V.  Dev.mo  servitore 

SEBASTIANO  LIPARI 
A  S.  E.  il  generale  Garibaldi 

Diltatore  in  Sicilia. 


Certificato  rilasciato  dal  capitano  Lavarello  dell'  "  Utile  „  al  Console  Sardo 
di  Marsala. 

REGIO  VICE  CONSOLATO 

DI  S.  M.  IL  RE  DI    SARDEGNA 

IN  MARSALA 


N.  715 


Porto  di  Marsala,  1°  giugno   1860. 


A  bordo  del  battello  a  vapore  /'"  Utile,, 

lo,  capitano  Francesco  Lavarello,  mi  sento  in  obbligo  di  coscienza  di  dichiarare 
al  sig.  Console  di  S.  M.  Sarda  residente  m  Marsala,  signor  Sebastiano  Lipari,  che, 
nelle  poche  ore  di  mia  dimora  in  questo  porto,  ho  ricevuto  dallo  stesso  immensa  assi- 
stenza e  favori  e  per  mia  spontanea  gratitudine  gli  rilascio  il  presente  foglio. 

Il  Comandante  del  Battello  1'"  Utile,,,  di  bandiera  Sarda 

FRANCESCO  LAVARELLO 

# 

*     * 


Mi  sembra  pure  opportuno  di  pubblicare  un  altro  documento  inedito,  che 
anch'  esso  può  essere  utile  per  la  storia  della  spedizione.  E  una  lettera  di 
Ambrogio  Zucoli,   proprietario  di  una  Società  di  vaporetti  di  Genova. 

Per  maggiore  intelligenza  rammenterò,  che  allorquando  Garibaldi  per  il 
numero  dei  volontari  radunati  si  accorse  che  il  solo  vapore,  che  aveva  promesso 
Fauché  non  sarebbe  stato  sufficiente,  pensò  di  rivolgersi  allo  Zucoli  e  conchiuse 
con  lui  il  noleggio  di  un  altro  vapore  che  aveva  nome  "  Roma  ,, .  Quando 
però  a  Villa  Spinola,  il  Generale,  discorrendo  in  presenza  di  Bixio,  col  Fauché 
dei  mezzi  di  trasporto  necessari  all'impresa,  questi  promise  di  apprestare  oltre 
al  "Lombardo,,  anche  il  "Piemonte,,,  si  rese  inutile  il  noleggio  già  contrat- 
tato del  "  Roma  ,, ,  che  del  resto  era  un  vapore  assai  piccolo,  che  non  avrebbe 
potuto  soddisfare  al  bisogno.  Garibaldi  però  in  quei  supremi  momenti,  non  dimenticò 


^,UxWe;    JjCi^^J-^^   c^rV^e^ 


/' aUIa^cJ Ct^  xJiKALtéaM*- 


Kossuth  scrive  a  Garibaldi  invocando  la  benedizione  del  Dio   della  ViUoria. 

(Vedi  pag.  89). 


VICTOR  HUGO  E  QUINET  AL  DUCE  DEI  MILLE  61 

di  scrivere  allo  Zucoli  una  lettera  in  data  del  5  maggio,  poche  ore  prima  della 
partenza,  offrendogli  un'  indennità  per  la  rottura  del  contratto.  La  nobile  lettera 
dello  Zucoli,  che  qui  segue,   è  la  risposta  alla  lettera  del  Generale. 


Genova,   17  giugno   1860. 
Mio  caro  Generale, 

Posso  appena  oggi  rispondere  al  suo  prezioso  biglietto  del  5  maggio  prossimo 
passato,  col  quale  ella  mi  offre  un'  indennità  per  i  disturbi  del  non  combinato  noleggio 
del  piroscafo  "  Roma  ,, .  Ho  accettato  caldamente  il  di  lei  gentile  invito,  ma  ho  creduto 
e  credo  mio  dovere  non  accedere  alla  di  lei  proposta,  essendo  troppo  dolente,  che  la 
piccolezza  dei  miei  legni  non  mi  abbia  permesso,  che  ella  non  ne  avesse  approfittato 
per  sì  giusta  causa  ;  del  resto,  ne  io  ne  l' Amministrazione  da  me  diretta  ha  avuto 
scapito  dal  di  lei  rifiuto,  e  se  vi  ha  un  dolore  si  è  quello,  che  il  nostro  materiale 
non  abbia  potuto  servire  allo  scopo.  E  fortuna  per  me,  che  questo  Comitato,  secondo 
il  mio  divisamento  di  iniziare  un  servizio  tra  Genova  e  Palermo,  mi  abbia  generosa- 
mente animato,  affittando  il  "  Veloce  ,,  per  un  mese.  Io  non  ho  esitato  e  mi  permetto 
di  consegnare  questa  mia  al  cap.  Giuseppe  Faggloni,  mettendolo  sotto  la  di  lei  salva- 
guardia. Attendo  a  momenti  un  bastimento  a  vapore  dall'  Inghilterra,  che  adempirà 
forse  al  suo  dovere  nel  mese,  se  pure  il  Comitato  vorrà  continuare,  o  non  volendo, 
servirà  per  mio  ordine. 

Dire  a  lei  di  proteggere  il  Capitano  è  inutile.  So  soltanto,  che  ella  generoso, 
com'è,  non  isdegnerà  favorire  il  raccomandato  del  sempre  di  lei 

SerW)  ed  amico  per  la  vita 
AMB.  ZUCOLI 


CURÀTULO 


CAPITOLO  V. 


DA  MARSALA  A  PALERMO. 

KOSSUTH  INVOCA  LA  BENEDIZIONE  DEL  DIO 
DELLA  VITTORIA. 


La  prima  sosta,  che  i  Mille  fecero  dopo  aver  lasciato  Marsala,  fu  nel 
feudo  di  Chitarra  e  Buttagana  ;  ivi  i  garibaldini  si  rinfrancarono,  bevendo  del 
buon  vino,  che  un  certo  signor  Alagna  aveva  messo  a  loro  disposizione.  Il 
Generale  mangiò  pane  e  formaggio. 

Verso  sera  la  colonna  giunse  a  Rampingallo,  a  metà  strada  tra  Marsala 
e  Salerai,  feudo  del  barone  Mistretta;  quivi  passarono  la  notte  per  proseguire 
r  indomani  verso  Salerai.  Fu  in  quello  storico  casale,  che  corainciarono  a  raggiun- 
gerlo le  bande  arraate  capitanate  dai  fratelli  Sant'  Anna,  dal  barone  Mocarta 
ed  Alberto  Mistretta,  che  si  trovavano  sparse  in  quelle  vicinanze.  Ripresa 
la  marcia  la  mattina  del  13,  la  colonna  giunse  a  Salerai  nelle  prime  ore  del 
meriggio.  Non  è  qui  il  caso  di  intrattenersi  sui  decreti  ivi  emanati,  che  sono 
a  tutti  noti.  A  Salerai  la  banda  arraata  di  175  uomini  capinata  da  Giuseppe 
Coppola  di  Monte  Sangiuliano  si  unì  a  Garibaldi  ed  anche  Fra  Pantaleo,  l'Ugo 
Bassi  del    1 860,   si  aggregò  alla  schiera  liberatrice. 

La  partenza  da  Salerai,  la  battaglia  di  Calatafimi,  il  passaggio  per  Alcamo 
e  Partinico,  l' arrivo  al  campo  di  Renda,  il  movimento  strategico  col  quale 
Garibaldi  ingannò  i  regi,  che  lo  inseguivano  a  Corleone,  mentre  egli  il  26  a  sera 
occupava  la  montagna  di  Gibilrossa,  alle  porte  di  Palermo  ;  infine  la  battaglia 
del  ponte  dell'  Ararairaglio  e  1'  entrata  a  Palerrao  sono  aweniraenti  ormai  narrati 
dagli  storiografi.  Ma,  sebbene  conosciute,  non  tornerà  discaro  il  vedere  qui  ripro- 
dotte con  qualche  breve  illustrazione,  le  lettere  scritte  in  quei  giorni  memorabili  da 
Garibaldi  al  «  Precursore  dei  Mille  »,  a  Rosalino  Pilo,  il  grande  patriota 
siciliano  colpito  in  fronte  da  una  palla  borbonica  il  21  maggio.  Le  lettere 
si  seguono  per  ordine  cronologico.   {Vedi  i  facsinìili). 


84  DA  MARSALA  A  PALERMO 


Garibaldi  a  Rosalino  Pilo. 

Calatafimi,   16  maggio  1860. 
Caro  Rosalino, 

Ieri  abbiamo  combattuto  e  vinto;  i  nemici  fuggono  impauriti  verso  Palermo.  Le 
popolazioni  sono  animatissime  e  si  riuniscono  a  me  in  folla.  Domani  marcerò  per 
Alcamo.  Dite  ai  Siciliani,  che  è  ora  di  finirla  e  che  la  finiremo  presto.  Qualunque 
arma  è  buona  per  un  valoroso  :  fucile,  falce,  mannaia,  un  chiodo  alla  punta  di  un 
bastone. 

Riunitevi  a  me  ed  ostilizzate  il  nemico  in  quei  dintorni,  se  più  vi  conviene.  Fate 

accendere  dei  fuochi  su  tutte  le  alture,  che  contornano  il  nemico  ;  tirar  quante  fucilate 

si  può,  di  notte,  alle  sentinelle  e  posti  avanzati;  intercettare  comunicazioni,  incommo- 

darlo,  infine,  in  ogni  modo.  Spero  ci  rivedremo  presto. 

Vostro 

G.  GARIBALDI 

La  mattina  del  1 7  Garibaldi  arrivò  in  Alcamo  ;  la  sera  riprese  la  marcia 
ed  il  18  entrava  in  Partinico,  dove  i  soldati  borbonici  avevano  commesso  atti 
di  orrore.  Rosalino,  intercettata  la  corrispondenza  del  nemico,  1*  aveva  spedita 
al  Generale  ;  nello  stesso  tempo  gli  aveva  chiesto  armi  e  munizioni.  Garibaldi, 
non  possedendo  ne  l' una  cosa,  ne  1'  altra,  raccomanda  a  Rosalino  di  dire  ai 
Siciliani,  che  col  ferro  faranno  più  che  col  fuoco. 

Partinico,   18  maggio   1860. 
Caro  Rosalino, 

E  tempo  di  marciare  verso  Palermo;  approfittare  dell'entusiasmo  del  popolo  e 
dello  sconforto  dei  Regi.  Fate  quanto  vi  ho  detto  nell'antecedente  e  più,  se  potete. 
Io  marcio    verso  Monreale  e  sarò  vicino  a  quel  punto  questa  sera. 

Avvicinatemi  per  le  munizioni  e  vi  farò  parte  di  quelle  che  abbiamo.  Assicurate 

però  i  nostri  prodi,  che  col  ferro  faremo  pili  assai  che  col  fuoco  contro  i  nostri  nemici. 

Con  affetto 

Vostro 

G.  GARIBALDI 
E  lo  stesso  giorno  Garibaldi  gli  scriveva  un'  altra  lettera. 

Partinico,   18  maggio  1860. 
Caro  Rosalino, 

Bisogna  dire  ai  nostri  prodi  di  Carini,  che  si  preparino  a  coadiuvare  l'opera 
nostra   di   domani.   Io  marcerò   alle  3   pom.    verso   Monreale.   Frattanto  si  accendano 


KOSSUIH  INVOCA  LA  BENEDIZIONE  DEL  DIO  DELLA  VITTORIA  85 


falò  questa  notte  su  tutte  le  alture,  che  avvicinano  Palermo  e  si  molestino  i  Regi  con 

fucilate  di  notte  in  tutte  le  posizioni  che  occupano,  e  di  giorno  in  ogni  modo  possibile. 

Dile  ai  bravi  Siciliani,  che  un  ferro  qualunque   nelle  loro  mani   vale  un  fucile. 

A'''^'^-  Vostro 

G.  GARIBALDI 

Dopo  di  avere  accampato  nell'altipiano  di  Renda,  la  mattina  del  19  il 
Generale  si  spinse  fino  alle  prime  case  di  Pioppo,  a  cinque  chilometri  da 
Monreale  ;  quivi,  da  un*  altura  chiamata  sin  dai  tempi  degli  Arabi  Misel- 
cannone  (non  Misero-Cannone,  come  Garibaldi  per  errore  scrisse)  inviò  al  Pilo 
la  seguente  lettera. 

Misero-Cannone,   19  maggio  1860. 
Caro  Rosalino, 

Ho  risposto  alla  lettera  vostra  annessa  ai  dispacci  sequestrati.  Non  posso  per  ora 
mandarvi  munizioni  e  cannoni.  Penso  marciare  verso  Monreale  nelle  ore  tarde  della 
giornata.  Con  la  vostra  gente  coadiuvate  il  possibile  alle  nostre  operazioni,  incommo- 
dando  il  nemico  in  ogni  modo. 

Dite  ai  vostri  compagni:  che  in  Lombardia  ed  in  Sicilia  noi  abbiamo  sempre 
vinto  il  nemico,  che  aveva  cannoni  e  noi  no;  che  i  Siciliani  sanno  perfettamente  com- 
battere a  ferro  freddo  e  che  in  ogni  modo  noi  vinceremo.  Osservate  i  nostri  movimenti 
con  mezzi  svelti  e  sicuri,  e  regolatevi  in  conseguenza. 

Si  stanno  confezionando  munizioni,  e  subito  che  ne  avrò  delle  pronte  ve  ne  farò 
parte.  Salutatemi  i  vostri  bravi  compagni.  „ 

G.  GARIBALDI 

Rosalino  il  giorno  seguente  riceveva  un  dispaccio  da  Sirtori,  che  lo  pre- 
murava, a  nome  del  Generale,  di  marciare  sollecitamente  sopra  S.  Martino  per 
cooperare  con  lui  su  Monreale  e  lo  pregava  di  avvisarlo  appena  vi  sarebbe 
arrivato.  11  dispaccio  fu  spedito  dal  Sirtori  alle  ore  2  pom.  del  20  dal  campo 
presso  Renda.  Eseguito  immediatamente  l'ordine,  Rosalino  arrivò  la  sera  a 
San  Martino  ed  inviò  tosto  il  seguente  dispaccio,  che  è  l' ultimo  scritto  del 
patriota  siciliano  ucciso  nelle  prime  ore  del  giorno  seguente. 

San  Martino,  20  maggio,  ore  10  pom. 

Arrivato  qui  con  250  uomini.  Domattina  richiamerò  Conrao  coi  1 50  uomini  dal  Monte 
della  Neviera.  Le  altre  (squadre)  spero  arriveranno  fra  stanotte  e  domani  di  buon'ora. 

Al  Monastero  di  Valverde  nella  strada  di  Monreale,  ad  un  miglio  da  Palermo, 
4  grossi  cannoni  mascherati. 

Al  Generale  Garibaldi 


86  DA  MARSALA  A  PALERMO 


La  mattina  del  21  Garibaldi,  avendo  visto  il  nemico  avanzarsi  per  la 
cresta  del  Boarra  sino  a  Pioppo,  comprendendo  che  non  si  sarebbe  più  mante- 
nuto sulla  difensiva  e  ritenendo  ancora  in  vita  Rosalino,  gli  mandava  la  seguente 
lettera,   di  cui  la  sola  firma  è  autografa. 

Misero-Cannone,  21    maggio   1860. 
Caro  Rosalino, 

Ciò  che  fece  il  nemico  questa  mattina,  non  è  altro  che  una  ricognizione. 

Da  parte  vostra  continuate  ad  ostiHzzare  e  ad  allarmare  il  nemico  quanto  è  possibile. 

Dite  poi  ai  vostri  Picciotti,  che  se  vogliono  andare  a  Palermo  a  liberare   il  loro 

Paese,  che  si  conformino  a  fare  la  guerra  provvisti  di  tutto  qualche  volta,  e  mancanti 

di  tutto  qualche  altra. 

Vostro 

G.  GARIBALDI 
*     * 

L'ultima  lettera  che  Rosalino  Pilo  aveva  scritto  partendo  per  la  Sicilia  era  stata 
per  il  suo  amico  Salvatore  Calvino  (vedi  Gap.  111).  Essa  era  il  canto  della 
morte  !  ed  il  fato  volle  che  Galvino,  distaccato  da  Garibaldi  per  andare  a  rag- 
giungere il  Pilo  dovesse  assisterne  la  tragica  fine.  I  particolari  del  doloroso 
episodio  si  desumono  da  un  autografo  inedito  del  Calvino,  che  è  anche  impor- 
tante per  le  notizie  riguardanti  la  marcia  delle  squadre  siciliane  in  quei  giorni. 

Salvatore  Calvino  racconta  come  morì  Rosalino  Pilo. 

«  11  giorno  19  maggio  1860  il  Generale  Garibaldi  mi  spediva  dal  passo  di  Renda 
colla  squadra  di  Paolo  Cocuzza,  forte  di  cento  individui,  a  raggiungere  Rosalino  Pilo, 
che  trovavasi  alla  testa  di  una  banda  di  circa  ottocento  uomini  sulle  alture  di  San 
Martino,  un  Convento  di  frati  Benedettini  poco  distante  da  Palermo.  Raggiunsi  il  Pilo 
sul  far  della  sera  e  gli  recai  le  istruzioni  di  molestare,  in  tutti  i  modi,  il  nemico  di 
giorno  e  di  notte. 

La  mattina  del  20  le  pioggie  dirotte  e  la  temperatura  rigidissima  non  permisero 
alle  bande  di  restare  sulle  posizioni  che  occupavano,  sfornite  di  case  e  di  capanne  ; 
onde  il  Pilo  ordinò  che  si  andasse  alle  case  nuove  di  Sagana  per  ricoverarsi.  Ivi 
giunse  ordine  del  Generale  Garibaldi  di  andare  al  Convento  di  San  Martino  per 
molestare  al  solito  il  nemico  ;  ma  con  ingiunzione  di  non  impegnare  con  esso  un  serio 
combattimento,  se  non  quando  il  Generale  cominciasse  un  attacco  generale  sopra 
Palermo.  Pernottammo  nel  Convento  di  San  Martino,  mentre  il  compagno  del  Pilo, 
il  bravo  Giovanni  Corrao,    tenevasi  con  alquanta  gente  sulle  vicine  alture.  Al  fare  del 


KOSSUTH  INVOCA  LA  BENEDIZIONE  DEL  DIO  DELLA  VITTORIA  87 

giorno  21,  il  Pilo  ordinava  la  sua  gente  per  distribuirla  sulle  alture  circostanti, 
poiché,  essendo  il  Convento  dominato  da  queste  alture,  era  prudenza  farle  occupare  e 
mettersi  di  fronte  ai  Borbonici  in  attitudine  di  osservazione.  Il  nemico,  che  era  nel 
forte  di  Castellaccio  sopra  Monreale,  distaccava  dalla  fortezza  alcune  compagnie  e 
le  faceva  situare  sopra  le  alture,  che  si  stendevano  dal  Castellaccio  verso  le  nostre 
posizioni.  Alcuni  delle  nostre  bande,  veduto  il  movimento  dei  Borbonici,  credettero 
che  non  si  avanzassero  per  occupare  quelle  posizioni  per  mettersi  in  osservazione, 
ma  che  venissero  ad  attaccarci,  onde  spingevano  il  Pilo  ad  ordinare,  che  ci  avan- 
zassimo ad  incontrarli.  11  Pilo  fece  di  tutto  per  ricondurli  alla  ragione,  spiegando 
loro,  che  il  movimento  che  faceva  il  nemico  era  lo  stesso  che  intendevamo  far  noi, 
colla  differenza  che  pel  nemico,  che  nel  forte  di  Castellaccio  stava  sicurissimo,  era 
una  ricognizione,  mentre  per  noi,  che  ci  trovavamo  nel  Convento  in  una  posizione 
dominata  dalle  alture,  era  necessità  di  difesa.  Le  bande  insorte,  disgraziatamente,  non 
hanno  la  disciplina  delle  truppe  regolari,  e  quando  non  si  può  persuaderle,  bisogna 
trarne  quel  partito  che  si  può. 

Fatto  il  Pilo  ogni  sforzo  per  frenare  quella  gente,  e  visto  che  sarebbe  andata 
incontro  al  nemico  alla  spicciolata,  pensò  essere  migliore  consiglio  di  condurla  ordi- 
natamente al  combattimento,  facendosi  guidare  dagli  eventi.  Occupate  le  posizioni, 
rimpetto  a  quelle  del  nemico,  da  tutte  le  nostre  forze,  essendoci  già  riuniti  colla  parte 
che  comandava  il  Corrao,  i  Borbonici  ed  i  nostri  cominciarono  il  fuoco  alle  ore  6,30 
circa  a.  m.  Respingiamo  il  nemico  da  alcune  posizioni  e  lo  riconduciamo  sulla  cima 
di  un'  altura  detta  il  Cristo,  se  ben  mi  ricordo,  che  è  collegata  col  Castellaccio  da  una 
bassa  collina.  Questo  monte  del  Cristo  è  più  elevato  dell'  ultima  posizione  da  noi  occu- 
pata e  dalla  quale  avevamo  sloggiato  il  nemico.  Ciò  malgrado  tenevamo  non  solo  la 
posizione,  ma  coi  nostri  tiri  impedivamo,  che  truppe  dal  Castellaccio  andassero  a  rin- 
forzare il  nemico.  Erano  le  8  antimeridiane  all'  incirca,  quando  una  palla  borbonica 
colpiva  il  prode  Rosalino  Pilo  sul  capo  e  lo  fece  cadere,  privo  di  sensi,  a  pochi  passi 
di  distanza.  Accorsi  col  Corrao  e  col  medico,  ma  il  caduto  non  udì  la  voce  degli 
amici,  e  fra  non  molto  la  sua  vita  generosa  fu  spenta  ! 

11  Corrao  ed  io  continuammo  a  vegliare  l' azione  sino  ad  un'  ora  pom.  11  nemico 
intanto,  visto  che  i  nostri  fuochi  gì' impedivano,  che  truppe  da  Castellaccio  andassero 
ad  ingrossare  le  file,  fece  sì  che  da  quel  forte  e  anche  da  Monreale,  partissero  dei 
distaccamenti,  che  facendo  più  lungo  cammino  andassero  a  rinforzarlo  coperti  dallo 
stesso  monte,  che  occupava.  In  quell'ora,  diventati  di  numero  importante  i  Borbonici 
SI  avanzarono  ed  i  nostri,  mancanti  di  munizioni  invano  chieste  al  Quartiere  Generale, 
che  ne  era  sprovvisto,  sforniti  di  forze  per  le  fatiche  e  pel  lungo  digiuno  (non  avendo 
preso  cibo  dal  giorno  precedente)  furono  costretti  a  ritirarsi. 

Corrao  ed  io,  poiché  la  ritirata  già  si  convertiva  in  fuga,  rimanemmo  gli  ultimi 
per  frenare  la  gente  e  corremmo  gravissimo  pericolo  di  essere  uccisi  o  fatti  prigionieri. 
Alcune  squadre  si  ridussero  a  Montelepre,  altre  in  paesi  circonvicini,  o  raggiunsero 
il  generale  Garibaldi.  Restammo  sul  posto  un  numero  così  sparuto,  che  credemmo 
più  opportuno,  dopo  di  aver  scritto  ai  monaci  di  S.  Martino  che  ritirassero  il  cadavere 
del  Pilo,  di  raggiungere  la  gente,  che  in  maggior  numero  erasi  ridotta  a  Montelepre. 


88  DA  MARSALA  A  PALERMO 


Fatti  accorti  dall'accaduto,  poiché  le  bande  erano  composte  di  buoni  e  di  cattivi 
elementi,  con  Corrao  ed  altri  buoni  patrioti,  che  erano  alla  testa  di  esse,  si  deliberò 
di  organizzarle,  purgandole  degli  elementi  cattivi  e  riducendole  a  tre  o  quattrocento 
individui  scelti  specialmente  tra  coloro,  che  si  erano  condotti  coraggiosamente  nella 
azione.  Corrao  specialmente  assunse  l'incarico  di  organizzare  e  comandare  la  gente 
ed  io  r  indomani,  22,  andai  a  raggiungere  il  generale  Garibaldi  con  Pietro  Tondù 
e  col  Rev.  Salvatore  Calderone,  che  con  tre  suoi  fratelli  ci  aiulaoa  non  col  crocefisso, 
ma  col  fucile,  per  informare  Garibaldi  del  numero  e  dello  stato  delle  bande  e 
chiedergli  istruzioni.  Trovammo  il  Generale  al  Parco,  ove  era  andato  per  vie  impra- 
ticabili. Approvò  la  riorganizzazione  delle  bande  e  le  istruzioni  furono  le  medesime  : 
molestare  sempre  il  nemico,  non  impegnare  un  combattimento,  che  contemporaneamente 
all'  attacco  generale  di  Palermo. 

Il  23  ritornammo  a  Montelepre. 

Il  24  si  riorganizzarono  le  bande,  che  avevano  di  già  rioccupato  le  alture  di 
S.  Martino  e  restarono  ivi  sotto  il  comando  di  Corrao,  che  assunse  di  eseguire  le 
istruzioni  ricevute.  Con  Pietro  Tondù  e  con  G.  B.  Marinuzzi  andai  a  Torretta  e  la  sera 
a  Carini,  ove  eccitammo  i  Municipi  a  fornire  denaro,   munizioni  e  viveri  alle   bande. 

Il  25  partii  da  Carini  con  Marinuzzi  per  raggiungere  Garibaldi  e  per  fargli 
noto,  allo  stesso  tempo,  lo  stato  migliore  delle  truppe  di  Corrao.  Passammo  la  notte 
sopra  un  monte  vicino  S.  Giuseppe  delli  Mortilli,  ove  era  una  banda  di  quel  paese, 
comandata  da  un  certo  Migliore,  ed  il  26  passammo  avanti  gli  avamposti  borbonici 
della  Piana  dei  Greci  e  raggiungemmo  il  Generale  in  Misilmeri.  Demmo  a  lui  tutti 
i  ragguagli  delle  bande  di  Corrao  e  delle  truppe  borboniche  di  Piana  dei  Greci  e  la 
sera  partimmo  per  Palermo. 

La  mattina  del  27  ho  la  fortuna  di  entrare  da  Porta  Termini  a  fianco  del  gene- 
rale Garibaldi,  del  generale  Tùrr  e  del  capitano  Stagnetti. 

Sento  il  dovere  di  tributare  il  dovuto  elogio  al  coraggio  mostrato  dal  povero  Pilo 
e  dal  Corrao  nel  fatto  del  21  che,  sebbene  non  abbia  importanza  come  fatto  militare 
(che  anzi  doveva  essere  evitato,  come  era  prescritto,  e  come  il  Pilo  desiderava),  pure 
ha  dato  occasione  di  provare  come  questi  ed  altri  bravi  al  cospetto  dei  Borbonici 
poco  curavano  la  vita. 

Inoltre,  è  giusto  che  dichiari  che  il  Pilo,  nei  pochi  giorni  che  fui  presso  di  lui,  mi 
faceva  i  più  alti  elogi  di  molti  patrioti,  che  seco  lui  dividevano  le  fatiche  ed  i  pericoli 
e  m' indicava  specialmente  tre  di  essi  G.  B.  Marinuzzi,  Pietro  Tondù  ed  Andrea 
Ramacca,  come  caldissimi  patrioti,  preparatori  e  parte  principale  dei  moti  di  quei  paesi  ». 


* 


E  noto  come  il  movimento  strategico  col  quale  Garibaldi  aveva  ingannato 
i  Borbonici  era  riuscito  a  tal  segno,  che  la  colonna  von  Mechel  e  Bosco  si 
era  data  ad  inseguirlo  verso  Corleone.   Il  generale  Lanza  esultava  e  con  lui  il 


COMHESSiRIATO  STRIIOROINARIO 


^'aaha   Llt %i\.<K=%nù  w  e>i«>\U. 


•»l|>;irllnirnla  ilrll»  Flu»»»« 


lluin. 


U<j(jtVl> 


'--^ jr  ^ U  ^<t,. 


it^'U^y^/^ ^/f^-^ 


<i"/^   /^^      . 


'^/^ 


<«;',/„  _  ^^ 


7 


Ài^d^ 


^itt/y^^i^W 


ó 


^^^- 


'-?v^,- 


,      f^^^ 


Ordine  del  generale  Lanza,  Alter  Ego  di  Francesco  II  al  colonnello  Bonanno 
in  autografo  di  Maniscalco,  26  maggio    1860.  (Vedi  pag.  89). 


KOSSUTH  INVOCA  LA  BENEDIZIONE  DEL  DIO  DELLA  VITTORIA  89 

famoso  Maniscalco,  il  quale  il  giorno  26,  la  vigilia  dell'  entrata  di  Garibaldi 
a  Palermo,  alle  ore  1 2  e  mezzo  scriveva  per  incarico  del  Generale  in  Capo, 
di  suo  pugno  nel  gabinetto  di  quest'  ultimo  il  dispaccio  seguente  al  colonnello 
Bonanno.   {Vedi  facsimile). 

COMMISSARIATO  STRAORDINARIO 
COLLE 

FACOLTÀ  DELL'ALTER  EGO  IN  SICILIA  ^6  maggio   1860,    12  e  mezza  merid. 


Sua  Eccellenza  al  Colonnello  Bonanno, 

Tenga  fermo  il  divieto  di  far  penetrare  in  Monreale  ufficiali  stranieri.  La  banda 
di  Garibaldi  in  rotta,  si  ritira  disordinatamente  pel  distretto  di  Corleone.  Egli  è  incalzato. 

IL  GENERALE  IN  CAPO 

Dalla  libera  Inghilterra  intanto,  fino  dal  20  maggio,  era  arrivata  la  voce  del 
grande  patriota  ungherese  Luigi  Kossuth  per  invocare  sul  Liberatore  la  benedizione 
del  Dio  della   Vittoria.   {Vedi  facsimile). 


Kossuth  a  Garibaldi. 

Londres,  ce  20  Mai  1860. 
General, 

Le  porteur  Mr.  Zaffiro  Gemignani  se  rend  en  Sicile  en  qualité  de  correspondant 
du  journal  Morning  Post. 

Sur  la  demand  de  la  redaction  du  dit  journal,  je  lui  donne  ces  lignes,  pour  lui 
servir  d' introduction. 

Que  la  benediction  du  Dieu  de  la  victoire  veìlle  sur  Vous  dans  Votre 
grande,  noble,  et  glorieuse  entreprise  est  V  ardent  souhait  de 


A   l'illustre  Garibaldi. 


Votre  amie  et  admirateur 
KOSSUTH 


CAPITOLO  VI. 


L'ARMISTIZIO   A   BORDO  DELL' "  HANNIB  AL  „. 
L' "ALTER  EGO,,  DI  FRANCESCO  II  E  GARIBALDL 


Lyopo  la  sconfitta  del  generale  Landi  a  Calatafimi,  la  posizione  del  prin- 
cipe di  Castelcicala,  comandante  in  capo  le  armi  di  Sicilia ,  divenne  insoste- 
nibile. Chiamato  dal  re  nel  mese  di  marzo,  egli  aveva  assicurato  che  1'  isola 
era  tranquillissima,  mentre  quasi  contemporaneamente  scoppiava  1'  insurrezione 
del  4  aprile.  Gli  avvenimenti  di  quegli  ultimi  giorni  diedero  1'  ultimo  colpo, 
e,  riuscite  vane  le  pressioni  di  re  Francesco  su  Filangieri,  il  I  5  maggio  veniva 
nominato  Commissario  Straordinario,  con  tutti  i  poteri  dell'  Alter  Ego,  il  siciliano 
Ferdinando  Lanza,   un  vecchio  di   72  anni,   un  vero  generale  da  operetta! 

Il  debutto  del  Lanza  fu  il  proclama  ai  Siciliani  del  1 8  maggio ,  in  cui, 
dopo  le  solite  promesse,  aveva  avuto  il  coraggio  di  dire  :  «  Nel  nome  augusto 
del  Re,  ampio  e  generoso  perdono  accordo  a  tutti  quei  che ,  ora  traviati , 
faranno  la  loro  sottomissione  alla  legittima  autorità  ».  Il  popolo  di  Palermo 
rispose  a  quel  proclama  il  giorno  20  con  un  manifesto  affisso  su  tutti  i  muri 
della  città  e  che  terminava  con  queste  parole  :  «  Tenetevi  pure  il  generoso 
perdono,  o  figlio  di  una  corte  pretesca....  Risparmiateci  novelli  insulti;  rispar- 
miateci la  vergogna  di  vedere  più  oltre  il  vostro  nome  a  pie  di  proclami  ed 
ordinanze....  Non  ci  fate  arrossire....  per  voi!  È  questa  l'ultima  risposta,  che 
dal  popolo  si  dà  agli  agenti  della  Jena  di  Napoli.  Un'  ultima  risposta  ancora.... 
col  moschetto!  Viva  l'Italia!   Viva  Vittorio  Emanuele!   Viva  Garibaldi!». 

Gli  avvenimenti  erano  andati  precipitando.  Garibaldi  il  27  entrava  trion- 
fante in  Palermo  e  la  mattina  del  30  un  parlamentario  era  stato  mandato  dal 
generale  Lanza  per  ottenere  un  armistizio  dal  filibustiere  Garibaldi  divenuto , 
ipso  facto.  Sua  Eccellenza  Garibaldi.  Questi  rispose  che  non  avrebbe  avuto 
difficoltà  di  accordare  quanto  gli  si  chiedeva,  che  avrebbe  conferito  ad  un'  ora 


92  L'ARMISTIZIO  A  BORDO  DELL'  "  HANNIBAL  ,. 

pomeridiana,  a  bordo  della  nave  ammiraglia  inglese,  con  i  due  generali  borbo- 
nici, e  che  r  armistizio  sarebbe  cominciato  a  mezzogiorno,  dando  ordini  perchè  il 
fuoco  cessasse  un  ora  prima. 

Come  è  noto,  quell'  armistizio  di  poche  ore  fu  una  vera  fortuna  per  i 
garibaldini,  i  quali  non  avevano  più  munizioni  !  Infatti,  la  mattina  Garibaldi 
aveva  mandato  al  marchese  D'  Aste,  comandante  la  fregata  sarda  "  Governolo  ,, , 
un  giovine  palermitano,  suo  fidato,  un  certo  Alessandro,  per  chiedere  della 
polvere,  ma  era  stata  rifiutata.  Tale  rifiuto  il  Generale  non  dimenticò  mai,  ne 
parlava  sovente  e  ne  scrisse  nelle  sue  Memorie. 

Non  m*  intratterrò  sul  conflitto  avvenuto  nella  mattinata  in  piazza  della 
Fieravecchia  fra  la  colonna  von  Mechel  e  Bosco,  che  ritornava  da  Corleone , 
dove  era  andata  ad  inseguire  Garibaldi  e  le  squadre  capitanate  da  La  Masa, 
dal  Sirtori  e  poi  da  Garibaldi  stesso,  il  quale  poco  mancò  non  rimanesse 
ucciso  per  una  bomba  scoppiatagli  vicino.  L'  episodio  è  stato  esaurientemente 
narrato  da  tutti  gli  storici  ed  è  certo  che  se  il  Wilmot,  Luogotenente  bor- 
bonico, non  fosse  riuscito  a  persuadere  i  Regi  a  retrocedere,  le  cose  sareb- 
bero andate  male  per  i  garibaldini,  i  quali,  come  si  disse,  non  avevano  più 
munizioni. 

*     * 

Quando  i  generali  Letizia  e  Chretien ,  i  due  delegati  borbonici  per  la 
conferenza,  si  trovarono  al  Molo  della  Sanità,  Garibaldi  —  scrive  1'  ammira- 
glio Mundy,  la  cui  narrazione  interessantissima  fu  riportata  dal  Guerzoni  "  e 
recentemente  anche  dal  Trevelyan  —  era  là  prima  di  loro ,  facendo  segnali 
col  fazzoletto  ai  soldati  del  forte  di  Castellamare,  i  quali,  sebbene  fosse  stato 
chiesto  r  armistizio,  facevano  fuoco  su  di  lui.  I  due  generali  borbonici ,  che 
avevano  sperato  di  trattare  soltanto  con  1'  ammiraglio  inglese ,  rimasero  sorpresi 
quando  si  videro  nella  stessa  lancia  col  filibustiere  !  Essi  non  sapevano  dove 
volgere  lo  sguardo,  quando  Garibaldi,  dopo  di  loro,  prese  posto  nel  battello  e 
l'ufficiale  inglese  comandò  ai  marinai:  «  out  boathooks»,  «  shove  off».  La  loro 
sorpresa    si    accrebbe    quando,  salendo    sull' "  Hannibal ,, ,  la  sentinella    salutò 


'  Mundy  -  H.  M.  S.  "  Hannibal  „  at  Palermo   and  t^Caples  durìng  the  ìtalian  revo- 
lution, 1859-61. 

^  G.  Guerzoni  -  Garibaldi,  voi.  Il,  pag.   109  e  seguenti. 

'  M.  Trevelyan  -  Garibaldi  and  the  thousand,  pag.  318  e  seguenti. 


'^j^^.tz:^'^^^ 


L'armistizio  che  si  voleva  imporre  dal  Generale  Lanza  a  Garibaldi  a  bordo  della  nave  ammiraglia  inglese  "  Hannibal  „ 
il  30  maggio  1860  e  che  Garibaldi  copiò  di  suo  pugno  nella  cabina  dell'Ammiraglio.  (Vedi  pag.  93). 


L-"  ALTER  EGO..  DI  FRANCESCO  II  E  GARIBALDI  9i 

Garibaldi  —  che  in  quell'  occasione  aveva  messo  fuori  il  suo  uniforme  di 
Generale  piemontese  —  cogli  stessi  onori  accordati  a  loro ,  che  erano  i  rap- 
presentanti del  re  di  Napoli. 

La  drammatica  scena,  che  si  svolse  nella  cabina  dell'  ammiraglio  Mundy, 
avrebbe  potuto  servire  a  Guglielmo  Shakespeare  per  un  episodio  di  una 
sua  tragedia,  come  il  pennello  di  Rembrandt  ci  avrebbe  dato  un  quadro 
meraviglioso,  se  avesse  potuto  ritrarre  sulla  tela,  nella  luce  misteriosa  della  cabina 
dell' "  Hannibal  ,, ,  i  vari  personaggi  di  quello  storico  convegno  nelle  loro 
diverse  uniformi,  e  la  figura  di  Garibaldi  farsi  terribile  alla  proposta  di  presen- 
tare un'  umile  petizione  a  S.   M.  il  Re  di  Napoli. 

Ma  di  quel  memorabile  convegno  resta  un  foglio  di  carta,  formato  proto- 
collo, di  manifattura  inglese,  di  colore  bleu  pallido,  che  lascia  vedere,  a  tra- 
sparenza, lo  stemma  dell'  Inghilterra  e  che  il  Dittatore  prese  dal  tavolo  dell'  ammi- 
raglio Mundy  per  copiarvi  di  suo  pugno  le  condizioni  dell'  armistizio,  imposte 
dal  Lanza  per  mezzo  del  generale  Letizia,  e  che  questi  —  come  afferma  lo 
storico  La  Cecilia  —  aveva  presentato  per  iscritto  a  Garibaldi.  Trascrivo  il 
prezioso  documento,  dal  quale  si  apprende  con  esattezza  quali  furono  le  condi- 
zioni imposte  dal  Borbone  in  quella  memorabile  conferenza ,  e  che  fino  ad  oggi 
erano  slate  pubblicate  incomplete  dai  diversi  storici,  a  cominciare  dal  La  Cecilia 
venendo  al  Guerzoni,  alla  Mario,  al  Bizzoni  etc. 

Condizioni  dell'  armistizio,  imposte  dal  Borbone  il  30  maggio  a  bordo  del- 
l' "  Hannibal  „ ,  trascritte  di  mano  di  Garibaldi  nella  cabina  dell'ammi- 
raglio Mundy  {Vedi  facsimile). 

1 ."  -  Sospendersi  le  ostilità  per  quel  tempo  che  si  giudicherà  fra  le  parti. 

2.°  -  Rimanere  i  belligeranti  ciascuno  nelle  posizioni  in  cui  si  trovano  in  questo 
momento. 

3.°  -  Che  fosse  permesso,  durante  l' armistizio,  di  fornire  i  viveri  giornalieri. 

4.°  -  Trasportare  i  feriti  a  bordo  dei  reaH  legni  e  fare  imbarcare  le  famiglie 
dei  militari. 

5.°  -  Il  Municipio  dirigerebbe  un'  umile  petizione  a  S.  M.  (D.  G.)  per  appagare 
gli  onesti  desideri  della  città  ;  petizione  che  sarebbe  sommessa  a  S.  M. 

6."  -  Provvedersi  di  viveri  i  reclusi  del  R.  Albergo  e  delle  famiglie  rifugiate 
nel  monastero. 

7."  -  Potere  durante  1'  armistizio  fornirsi  di  viveri  le  truppe,  pigliandoli  dal  castello. 

LANZA 


'  G.  La  Cecilia  -  Storia  degli  uliimi  avvenimenti  della  rivoluzione  siciliana,  pag.  131. 


94  L'ARMISTIZIO  A  BORDO  DELL*  "  HANNIBAL  „ 

La  conferenza  cominciò  alle  2, 1 5  del  pomeriggio  ed  il  Letizia  aprì  11 
fuoco,  protestando  per  la  presenza  dei  comandanti  le  navi  estere,  che  stanziavano 
nel  porto  di  Palermo  :  Lefevre ,  comandante  la  fregata  francese  "  Vauban  ,,  ; 
il  Palmer,  la  fregata  americana  "  Iroqois  ,,  ;  il  marchese  D'  Aste,  il  legno  sardo 
"  Governolo  ,, .  Soltanto  il  comandante  la  fregata  austriaca  non  aveva  voluto 
intervenire  !  Ma  il  generale  borbonico  protestò  più  vivamente  per  la  presenza 
di  Garibaldi,  asserendo  che  il  pensiero  del  generale  Lanza,  nel  proporre  la  con- 
ferenza, era  stato  quello  di  stabilire ,  d'  accordo  con  Y  ammiraglio  Mundy ,  i 
termini  dell'armistizio,  che  il  capo  dei  ribelli  (Garibaldi)  poteva  accettare  o 
rifiutare. 

«  Garibaldi  —  continua  il  Mundy  —  mantenne  la  sua  calma  abituale 
davanti  al  linguaggio  insolente  del  Delegato  borbonico  ;  ma  il  Palmer  ed  il 
Lefevre  si  mostrarono  indignati,  finche  il  Mundy,  dominando  la  situazione, 
disse  che  egli  da  parte  sua  non  intendeva  agire  come  mediatore  ;  che  aveva 
offerto  la  sua  cabina  come  terreno  neutro,  dove  le  due  parti  avrebbero 
potuto  conferire  in  condizioni  uguali.  Il  Letizia  si  calmò  ;  ma  la  tempesta  non 
tardò  a  scoppiare  pochi  minuti  dopo,  e  questa  volta  da  parte  di  Garibaldi,  il 
quale,  alla  lettura  della  quinta  condizione  dell'  armistizio,  cioè  che  «  il  Municipio 
dirigerebbe  un'  umile  petizione  a  Sua  Maestà  per  appagare  gli  onesti  desideri 
della  città  » ,  balzò  in  piedi  e  tuonò  :  «  No  !  il  tempo  delle  umili  petizioni  al 
Re  o  a  chicchessia  è  finito;  oltre  ciò,  oggi  non  ci  sono  più  municipalità....  La 
municipalità  sono  io.   Io  rifiuto  il  mio  consenso  !  » . 

La  conferenza  —  soggiunge  1'  ammiraglio  inglese  —  non  avrebbe  avuto 
esito  alcuno,  se  il  Letizia  in  fondo  non  fosse  preparato  ad  accordare  ogni 
cosa,  malgrado  il  suo  contegno  arrogante  ed  offensivo,  che  però  non  era  quello 
del  suo  collega  Chretien.  Onde,  vedendo  che  Garibaldi  si  mostrava  perfetta- 
mente indifferente  alla  rottura  delle  negoziazioni,  ritirò  la  condizione  dell'  unìile 
petizione,  e  fu  firmato  un  armistizio,  che  doveva  durare  fino  al  mezzodì  del 
giorno  seguente. 

Prima  di  lasciare  la  nave  ammiraglia  e  mentre  il  Mundy  parlava  con  1 
Generali  borbonici,  Garibaldi  chiese  al  Palmer,  comandante  la  fregata  americana, 
ed  al  marchese  D'Aste  della  polvere,  di  cui  era  rimasto  privo.  Il  D'Aste  si  rifiutò, 
come  si  era  rifiutato  la  mattina,  quando  Garibaldi  gli  aveva  mandato  uno  dei 
suoi  allo  stesso  scopo  ;  il  Palmer  sembra  che  desse  la  poca  polvere  che  aveva  ; 
al  resto  —   scrive  il  Guerzonl  —  pensò  la  provvidenza! 

Garibaldi  lasciava  1'  "  Hannibal  ,,  verso  le  ore  5,  assai  preoccupato  per 
la  mancanza  di  munizioni, ^tanto  che  gli  era  balenata  in  mente    l'idea    di  una 


L'  ••  ALTER  EGO  „  DI  FRANCESCO  II  E  GARIBALDI  95 


ritirata  sulle  montagne.  Ma,  giunto  al  Palazzo  Pretorio,  dopo  di  avere  arringato 
il  popolo,  che  da  tre  ore  attendeva  1'  esito  della  conferenza,  ed  aver  detto  che 
stava  ora  ai  forti  figli  della  Sicilia  il  decidere,  se  essi  volevano  spezzare  Y  ultimo 
anello  di  quella  catena,  che  sì  lungamente  li  aveva  avvinti  al  servaggio,  un  urlo 
terribile,  simile  al  ruggito  di  un  leone,  rimbombò  nella  piazza:  «Guerra! 
Guerra!  ». 

« Oh  !   son  tant'  anni  ! 

E  mi  risuona  ancor  1'  alto  rimbombo 

Di  quel  grido  terribile  di  sdegno 

E  di  disprezzo!...   E  mi  par  1'  irta  vedere 

Nero  -  cigliuta  ed  inarcata  fronte 

De' superbi  liberti.   "A  morte!  Guerra! 

,,  E  seppellirci  sotto  le  ruine 

,,  Della  natia  città,  pria  che  segnare 

,,  L'  atto  nefando  di  servaggio  e  d'  onta ,, . 

E  qui  Palermo  io  riconobbi,  e  degna 

Delle  passate  glorie  !   E  nelle  vie 

Nacquero  i  baluardi,  e  sulla   fronte 

Sino  de'  bimbi  io  la  certezza  lessi 

Della  vittoria  ». 

E  la  guerra  continuò  !  L'  armistizio  fu  1'  indomani,  a  richiesta  del  generale 
Lanza,  prolungato  fino  al  3  giugno  ;  ma  il  Governo  di  Napoli,  visto  che  ogni 
resistenza  sarebbe  stata  inutile,  si  decise  a  capitolare,  ed  il  giorno  6  fu  firmata 
dal  Letizia,  dal  Garibaldi  e  dal  colonnello  Bonopane,  questi  per  parte  del  generale 
Lanza,  la  capitolazione,   il  cui  testo  è  stato  pubblicato  da  quasi  tutti  gli  storici. 

Il  7  giugno  più  di  20  mila  soldati  borbonici,  comandati  dal  generale  Lanza 
e  da  von  Mechel,  lasciavano  il  palazzo  reale,  la  cattedrale  e  la  Fieravecchia, 
e  tutta  r  armata  del  Borbone ,  forte  di  24  mila  uomini ,  fu  in  dodici  giorni 
imbarcata  sui  legni  napoletani.  11  1 9,  mentre  Garibaldi  ritornava  da  Castella- 
mare,  dove  era  andato  ad  incontrare  la  spedizione  Medici,  che  era  felicemente 
sbarcata,  l' ultimo  residuo  dell'  esercito  borbonico  lasciava  Palermo,  si  evacuava 
il  forte  e  venivano  lasciati  liberi  i  sette  detenuti  politici,  che  vi  erano  stati  rinchiusi. 
Lo  stesso  giorno  Y Alter  Ego  di   Francesco  II  lasciava  Palermo! 


Garibaldi  -  Poema  autobiografico  etc. ,  canto  XX,  pagg.   165-166. 


96  L'ARMISTIZIO  A  BORDO  DELL' •■  HANNIBAL  „ 

Trascrivo  qui  dagli  originali  del  mio  Archivio  dieci  lettere  dirette  in  quei 
giorni  dal  generale  Lanza  a  Garibaldi  ;  lettere  che  per  la  forma  e  per  il 
contenuto  sono  degne  di  essere  conosciute.  Esse  vanno  dal  1 .°  giugno  al  1 9, 
il  giorno  della  partenza  del  Lanza  e  si  completano  con  quelle  pubblicate  nel 
volume  F.  Crispi  e  i  Mille.  I  detenuti  politici,  dei  quali  si  fa  cenno  nelle 
lettere  del  1 ."  e  del  1 8,  erano  i  sette  gentiluomini  palermitani  arrestati  il  7 
aprile  dal  Maniscalco.  La  loro  liberazione  era  stata  chiesta  dal  Dittatore, 
ed  il  Lanza  gli  aveva  risposto  con  la  risetvatissima  del  primo  giugno.  I  pri- 
gionieri appartenevano  alla  classe  più  aristocratica  di  Palermo  ;  essi  erano  : 
il  duca  di  Cassero,  Don  Ottavio  Lanza  dei  principi  di  Butera  dell'  ordine 
di  san  Filippo  Neri,  figlio  del  principe  di  Trabia ,  già  ministro  del  Culto  a 
Napoli  sotto  il  regno  di  Ferdinando  II,  il  marchese  di  San  Giovanni,  il  barone 
Riso,  il  principe  di  Monteleone  Pignatelli,  il  principe  di  Niscemi  figlio,  ed  il 
principe  di  Giardinelli. 

Il  generale  Ferdinando  Lanza,  Alter  Ego  del  Re  di  Napoli,  il  1 8  giugno 
si  accomiatava  da  Garibaldi  con  «  r  più  sentiti  ringraziamenti  per  tutte  le  cor- 
tesie usategli  »  e  si  faceva  premura  di  avvisarlo  che  «  il  frumento  depositato 
nel  lazzaretto  trovavasi  intatto  ». 

Si  poteva  essere  più  cavallereschi  di  così  con  un  ex....  filibustiere} 

L'  "Alter  Ego  ,,  di  Francesco  II  a  Garibaldi. 

COMANDO    IN   CAPO 

DELLE  ARMI  E  DELLA  STAZIONE  NAVALE  Palermo,    1°  giugno    1860. 

OLTRE  IL  FARO 


Signor  Generale, 
(Risercatissima) 

Quanto  Ella  desidera  è  nelle  mie  intenzioni  di  fare,  cioè  la  liberazione  dei  dete- 
nuti politici,  di  cui  forma  effetto  il  riverito  suo  foglio  di  oggi  stesso,  e  però  sono  dolente 

non  poterla  contentare  pel  momento. 

//  tenente  generale 

Al  signore 
Sig.  generale  Garibaldi 

Palermo 


L-  ••  ALTER  EGO ,.  DI  FRANCESCO  II  E  GARIBALDI 


97 


COMANDO   GENERALE 

DELLE  ARMI  IN  SICILIA 


N.  184 


Palermo,   15  giugno   1860. 


Signor  Generale, 


L' Aiutante  Maggiore  Marotta,  che  era  del  9°  Battaglione  Cacciatori,  rimanevasi 
in  Monreale  ove  tuttora  rattrovasi. 

E  poiché  egli  era  membro  del  Consiglio  di  amministrazione  di  detto  Corpo,  era 
quindi  in  possesso  della  contabilità  del  Battaglione,  al  quale  deve  dare  conto  ancora 
di  una  resta  di  lire  868,05. 

Cosicché,  prego  Lei  di  far  presentare  al  cennato  Consiglio  in  questo  campo  il 
Marotta  per  dare  le  debite  delucidazioni,  che  in  opposto  denegandole,  gì'  importereb- 
bero una  macchia  incancellabile  al  suo  onore. 

//  generale  in  capo 

Al  signore  FERDINANDO   LANZA 

Sig.  generale  Garibaldi 

in  Palermo 


COMANDO  IN  CAPO  DELLE  ARMI 
IN   SICILIA 


Palermo,  16  giugno  1860. 


N.   188 


Signor  Generale, 


11  Capellano  dei  Veterani  D.  Girolamo  Di  Marzo  mi  ha  ufficiato  di  trovarsi 
infermo  nella  sua  abitazione  in  Palermo,  desiderando  di  raggiungere  il  suo  destino  non 
appena  si  sarà  guarito  ;  sarebbe  perciò  della  bontà  di  Lei  permettere,  che  egli  si  abbia 
un  ordinativo  per  aver  libero  il  passaggio. 

//  generale  in  capo 

Al  signor  generale  Garibaldi  FERDINANDO   LANZA 

Palermo 


COMANDO  IN  CAPO  DELLE  ARMI 

IN    SICILIA 


N.  194 


Signor  Generale, 


Palermo,   16  giugno   1860. 


Sarebbe  della  sua  bontà  far  tenere  l' accluso  ufficio  al  Signor  Minneci,  fornitore 
del  Casermaggio  Militare,    ingiungendogli  di  dare    una  risposta  al  medesimo,  che  per 


CURÀTULO 


98  L'ARMISTIZIO  A  BORDO  DELL' "  HANNIBAL  „ 

di  Lei  mezzo  mi  farebbe  tenere,  o  pure  recarsi  personalmente  a  darla  in  questo  campo. 
Le  sarei  grato  di  un  riscontro. 

//  generale  in  capo 

Al  signor  generale  Garibaldi  FERDINANDO   LANZA 

Palermo 


COMANDO  IN  CAPO  DELLE  ARMI 
IN   SICILIA 
♦ Palermo,   16  giugno  1860. 

N.  195 

Signor  Generale, 

Fra  le  due  parti  combattenti  venne  stabilito,  che  le  regie  truppe  avessero  l'estremo 
avamposto  a  Santa  Lucia  del  Borgo,  e  che  il  posto  di  Porta  San  Giorgio  dovesse 
esser  coperto  dai  suoi  soldati  e  non  dalle  squadre,  rimanendo  la  strada  dello  stesso 
Borgo  come  terreno  neutro  da  potersi  trafficare  dai  naturali  di  Palermo  senza  armi  e 
le  truppe  regie  avessero  libera  comunicazione  col  Forte  Castellamare.  Ora,  le  ripetute 
squadre  si  fanno  lecito  farsi  vedere  a  gruppi  armati  nel  terreno  neutro,  e  nel  momento 
che  scrivo  si  osservano  7  individui  col  fucile,  prossimi  al  posto  Santa  Lucia  ;  sarebbe 
nella  consueta  compiacenza  di  Lei  emettere  ordini  precisi  ad  ovviare  tale  inconve- 
niente, che  potrebbe  condurre  a  tristi  conseguenze,  malgrado  gli  ordini  severi  da  me 
emanati  alle  truppe  sotto  i  miei  ordini. 

//  generale  in  capo 

A l  signor  generale  Garibaldi  FERDINANDO   LANZA 

Palermo 


COMANDO  IN  CAPO  DELLE  ARMI 

IN   SICILIA 
« Palermo,   17  giugno  1860. 

N.  211 

Signor  Generale, 

Ho  saputo  che  vari  individui  trattenuti  dalle  squadre,  perchè  dispersi  o  sortiti 
dagli  OspedaU,  desiderano  rientrare  nelle  file  dei  corpi  ai  quali  essi  appartengono  e 
ne  vengono  impediti  dalle  squadre  medesime. 

Prego  perciò,  la  di  lei  bontà  voler  fare  in  modo,  che  essi  possano  ritornare  alle 
bandiere  senza  tema  alcnna. 

//  generale  in  capo 

Al  signor  generale  Garibaldi  FERDINANDO   LANZA 

Palermo 


U  '•  ALTER  EGO  „  D\  FRANCESCO  II  E  GARIBALDI 


99 


COMANDO  IN  CAPO  DELLE  ARMI 
IN    SICILIA 


Palermo,   18  giugno   1860. 


N.  171 


Signor  Generale, 


Andando  a  muovere  per  la  Capitale  e  sapendo  di  esservi  ancora  dei  feriti  ed 
ammalati  sotto  cura  per  diversi  punti  dell'Isola,  come  quelli  rimasti  a  Calatafimi  ed 
altri  Comuni,  sono  a  pregare  la  di  Lei  bontà  affinchè,  quando  costoro  saranno  al  caso 
di  poter  muovere,  fossero  mandati  in  Napoli,  potendo  Ella  avvertirne  con  anticipo 
quel  Comando  Generale,  onde  spedire  qualche  legno  a  riaverseli. 


Al  signor  generale  Garibaldi 

Palermo 


Il  generale  in  capo 
FERDINANDO   LANZA 


COMANDO  IN  CAPO  DELLE  ARMI 
IN    SICILIA 


Palermo  ,    1 8  giugno   1 860. 


N.  216 


Signor  Generale, 


Siccome  fra  domani  o  dopo  domani  andrò  a  muovere  col  rimanente  della  truppa 
di  mio  comando,  così  giusta  quanto  Ella  piacevasi  farmi  sentire  per  lo  mezzo  del  gene- 
rale Letizia  e  colonnello  Bonopane,  la  prego  essere  compiacente  disporre,  che  i  suoi 
avamposti  da  quest'oggi  non  permettano  l'entrata  nel  mio  campo  a  qualunque  individuo, 
che  vi  vorrebbe  entrare  senza  plausibile  ragione,  come  pure  di  allontanare  le  squadre, 
che  farebbe  sostituire  dai  suoi  soldati. 

Profitto  di  questa  occasione  per  esprimerle  i  piìi  sentiti  ringraziamenti  miei  per  tutte 

le  cortesie  usatemi. 

Il  generale  in  capo 

Al  signor  generale  Garibaldi  FERDINANDO   LANZA 

Palermo 


COMANDO  IN  CAPO  DELLE  ARMI 
IN   SICILIA 


Palermo,   18  giugno  1860. 


N.  226 


Signor  Generale, 


Siccome  domani  a  mezzogiorno  la  guarnigione  di  Castellamare  ne  uscirà  per  andarsi 
ad  imbarcare  al  molo,  così  la  prego,  giusta  il  convenuto,  di  mandare  quivi  i  suoi  sol- 


100  L'ARMISTIZIO  A  BORDO  DELL'  "  HANNIBAL  ., 

dati  per  impedire,  che  le  squadre  e  la  gente  curiosa  si  metta  sugli  spalti  ed  entri  nel 
Forte,  producendovi  inconvenienti. 

Come  pure  la  prego  di  fare,  verso  la  istessa  ora,  trovare  al  molo  qualcuno  dei 
suoi  Ufficiali  di  Stato  Maggiore  per  riceversi  i  sette  detenuti,  finito  che  sarà  l'intero 
imbarco  delle  truppe. 

Mi  giova  finalmente  prevenirla,  che  il  frumento  depositato  al  Lazzaretto  trovasi 
intatto,  ma  sarebbe  però  mestieri  mettervi  persona  a  custodia  per  evitare,  che  qualche 
mano  possa  profittarne,  ora  che  quel  locale  sarà  abbandonato  dalla  truppa. 

Il  generale  in  capo 
Al  signor  generale  Garibaldi  FERDINANDO   LANZA 

Palermo 

COMANDO  IN  CAPO  DELLE  ARMI 

IN   SICILIA  Palermo,    19  giugno   1860. 


Signor  Generale, 

Movendo  io  con  la  Colonna  sotto  i  miei  ordini,  prego  la  di  Lei  bontà  disporre, 
che  non  sia  molestata  la  casa  della  signora  Duchessa  di  San  Martino,  sita  vicino  la 
5'  Casa,  che  ho  occupato  fino  al  momento  della  mia  partenza. 

Accolga  i  miei  anticipati  ringraziamenti. 

//  generale  in  capo 

Al  signor  generale  Garibaldi  FERDINANDO  LANZA 

Palermo 


CAPITOLO  VII. 


DISSENSI   DOPO   LA   PARTENZA   DI   GARIBALDI. 
L'OPERA  DI  AGOSTINO  BERTANl. 


VJaribaldi,  salpando  da  Quarto,  aveva  scrìtto  al  Bertani  la  lettera  a 
tutti  nota,  che  ritengo  opportuno  qui  ripubblicare ,  affinchè  si  possano  meglio 
comprendere  e  valutare  gli  avvenimenti,  che  si  svolsero  in  Genova  dopo  la 
partenza  dei  Mille.  Sulla  base  di  numerosi  documenti  inediti  balza  fuori  in  queste 
pagine  tutto  il  retroscena  di  quei  giorni  agitati  dal  turbine  delle  passioni.  ' 

Genova,  5  maggio  1860. 
Mio  caro  Bertani, 

Spinto  nuovamente  sulla  scena  degli  avvenimenti  patri,  io  lascio  a  voi  i  seguenti 
incarichi  : 

Raccogliere  quanti  mezzi  sarà  possibile  per  coadiuvarci  nella    nostra    impresa. 

Procurare  di  far  capire  agli  italiani,  che  se  saremo  aiutati  dovutamente,  sarà 
fatta  r  Italia  in  poco  tempo  e  con  poche  spese  ;  ma  che  non  avranno  fatto  il  loro 
dovere,  quando  si  limiteranno  a  qualche  sterile  sottoscrizione. 

Che  r  Italia  libera  di  oggi,  in  luogo  di  centomila  soldati ,  deve  armarne  cin- 
quecentomita  ;  numero  non  certamente  sproporzionato  alla  popolazione  :  e  che  tale 
proporzione  di  soldati  I'  hanno  gli  Stati  vicini ,  che  non  hanno  un'  indipendenza  da 
conquistare.  Con  tale  esercito  I'  Italia  non  avrà  più  bisogno  di  padroni  stranieri ,  che 
se  la  mangiano  a  poco  a  poco  col  pretesto  di  liberarla. 

Che  ovunque  sono  Italiani  che  combattono  oppressori ,  là  bisogna  spingere  gli 
animosi  e  provvederli  del  necessario  per  il  viaggio. 

Che  r  insurrezione  siciliana  non  solo  in  Sicilia  bisogna  aiutarla,  ma  nell'  Umbria, 
nelle  Marche,  nella  Sabina,  nel  Napoletano  etc.  ,  dovunque  sono  nemici  da  combattere. 


'  Si  legga  pure  sul  proposito  il  bel  volume  pubblicato  dal  Senatore  Alberto  Dallolio  :  La 
spedizione  dei  Mille  nelle  memorie  bolognesi.  Zanichelli,  Bologna,   1910. 


102  DISSENSI  DOPO  LA  PARTENZA  DI  GARIBALDI 

10  non  consigliai  il  moto  della  Sicilia;  ma  venuti    alle  mani    quei    nostri    fratelli, 
ho  creduto  obbligo  di  aiutarli. 

11  nostro  grido  di  guerra  sarà  :    «  Italia  e  Vittorio  Emanuele  »  e  spero  che  anche 

questa  volta  la  bandiera  italiana  non  riceverà  sfregio.  Con  affetto 

Vostro 

G.  GARIBALDI 

Agostino  Bertani  restava  adunque  in  Genova  1'  Alter  Ego  di  Garibaldi. 
Patriota  dei  più  caldi,  egli  aveva  accettato  il  programma  del  duce  del  Mille  ; 
ma  d'  indole  poco  conciliante,  dottrinario  come  il  Mazzini  ed  il  Cattaneo ,  ai 
quali  era  legato  da  antica  e  costante  amicizia  e  dalla  stessa  fede  repubblicana, 
il  Bertani,  non  può  tacersi,  suscitò  non  poche  difficoltà  in  seno  a  quel  nucleo 
di  patrioti,  che  erano  rimasti  a  preparare  le  altre  spedizioni  in  aiuto  di  Garibaldi, 
combattente  in  Sicilia.  I  dissensi  non  avvennero  soltanto  con  Giacomo  Medici 
ed  Enrico  Cosenz,  ma  col  Pinzi  e  col  Besana,  i  quali  ultimi  erano ,  come  è 
noto,  alla  direzione  del  Comitato  per  il  «  Milione  di  Pucili  ».  Costoro  volevano 
trarre  dal  Governo  piemontese  tutto  quell'  aiuto,  che  era  possibile  di  ottenere 
senza  comprometterlo  agli  occhi  della  diplomazia ,  mentre  il  Bertani  combat- 
teva, per  principio  fisso,  il  Governo. 

Il  pomo  della  discordia  fu  la  spedizione  nello  Stato  pontificio,  che  Garibaldi, 
è  vero,  aveva  consigliato  quando  partì  da  Quarto  ;  ma  che  da  lui  fu  poi  abban- 
donata, quando  in  Sicilia  le  cose  erano  tutt'  altro  che  sistemate  e  si  aveva 
bisogno  urgente  di  uomini  e  di  armi.  I  documenti  che  qui  si  leggono,  illuminano 
r  importante  momento  storico  e  meritano  di  essere  presi  in  tanta  maggiore  con- 
siderazione, in  quanto  sono  tutte  lettere  dirette  a  Garibaldi  dai  principali  perso- 
naggi di  queir  epoca.  Ciascuno  fa  giungere  la  propria  voce  all'  uomo,  che  tutta 
Italia  salutava  in  quei  giorni  come  il  suo  «  Liberatore  »,  e  che  affascinava  il 
mondo  con  i  suoi  prodigi  di  valore. 

Udremo  la  voce  calma  di  Giacomo  Medici,  dello  strenuo  difensore  del 
«  Vascello  »  ;  quella  affettuosa  di  due  prodi  soldati,  il  Corte  e  il  Malenchini  ; 
la  voce  sobria  del  Pinzi  e  del  Besana  ;  il  pensiero  sereno  di  Enrico  Cosenz  ; 
quello  amichevole  del  Coltelletti  ;  la  voce  devota  di  Biagio  Caranti ,  il  futuro 
segretario  del  prodittatore  Pallavicino,  che  ci  fa  noto  1'  interessamento  che  Re 
Vittorio  prendeva  ai  successi  di  Garibaldi,  ed  udremo,  infine,  la  parola  appas- 
sionata, concitata,  e  talvolta  supplichevole  di  Agostino  Bertani,  il  quale,  rimasto 
solo  a  sostenere  una  linea  di  condotta  non  creduta  idonea  dagli  altri,  prega, 
scongiura  Garibaldi  di  proclamarlo  /'  unico  e  cero  rappresentante  del  di  lui 
programma  in  Genova. 


L'OPERA  DI  AGOSTINO  BERTANI  103 

Giacomo  Medici  a  Garibaldi  (  Vedi  facsimile). 

Genova,  25  maggio  1860. 
Caro  Garibaldi 

Riceverai  con  questa  un  carico  d'  armi  e  munizioni  spedite  in  battello  a  vapore. 

Capirai  che,  per  mettere  insieme  un  tanto  soccorso,  ho  dovuto,  oltre  a  Bertani, 
La  Farina  e  Finzi,  ricorrere  ad  una  cassa  più  forte ,  che  se  continuerà  a  rimanerci 
aperta,  io  potrò  presto  raggiungerti  con  duemila  uomini  ed  altri  quattro  o  cinquemila 
fucili  e  corrispondenti  munizioni. 

Malenchini  ed  io  facciamo  di  tutto  per  mettere  in  tuo  aiuto  il  concorso  di  tutti 
i  partiti  liberali  e  non  avere  il  Governo  realmente  ostile  ;  ma  non  so  per  qual  motivo 
il  partito  mazziniano  e  V  avanzato  del  Bertani  lavorino  invece  in  senso    di    dissolvere. 

Mi  pare  non  sia  il  momento,  mentre  voi  combattete,  di  occuparci  di  quistioni 
politiche,  e  per  me  non  Vedo  V  ora  di  trovarmi  con  te. 

Ti  raccomando  il  latore,  che  mi  pare  un  buon  ufficiale,  come  pure  Vassallo  e 
Fardella,  quasi  tutti  di  questo  distaccamento.  Addio. 

Tuo  affezionatissimo 
MEDICI 

Vincenzo  Malenchini  a  Garibaldi. 

Genova,  25  maggio   1860. 
Mio  Generale, 

Profitto  dell'  occasione  per  dirle,  che  con  Medici  faccio  quel  poco  che  posso 
per  secondare  il  di  Lei  desiderio,  nella  speranza  di  riunirci  tutti  insieme  in  Sicilia: 
nella  Sicilia  libera  ed  italiana! 

Medici  si  adopra,  con  attività  giusta  e  ferma,  alla  quale  io  interamente  deferisco. 

L'  Italia  commossa  applaudisce  al  successo  della  sua  spedizione.  Ho  fede  che 
presto  applaudirà  alla  di  Lei  completa  vittoria. 

Sempre  suo  amico  ^-  MALENCHINI 

Clemente  Corte  a  Garibaldi. 

Torino,  25  maggio   1860. 
Mio  caro  Generale, 

Il  trovarmi  a  Londra  mi  ha  impedito  di  partire  con  Lei  e  ne  ho  molto  rammarico. 
Sono  qui  da  qualche  giorno  con  Medici,  e  spero  che  presto  potremo  raggiungere  Lei 
e  gli  antichi  nostri  compagni. 

L'  entusiasmo  in  favore  di  Lei  e  della  santa  e  giusta  nostra  causa  è  grande  qui, 
grande  a  Londra,  grande  ovunque  ! 

Con  auguri  di  felice  successo  e  speranza    di    potervi    partecipare,  Le  sono,  con 

filiale  rispetto  ed  affezione 

CLEMENTE  CORTE 


104 


DISSENSI  DOPO  LA  PARTENZA  DI  GARIBALDI 


Giuseppe  Finzi  a  Garibaldi. 

Illustre  Generale, 


Torino,  9  giugno  1860. 


Gli  sforzi  della  Direzione  pel  «  Milione  di  Fucili  »  ,  da  voi  delegata ,  riescono 
finalmente  coronati  da  successo,  ed  attraverso  i  più  gravi  e  svariati  ostacoli  si  compie 
ora  una  spedizione  sotto  la  condotta  del  bravo  colonnello  Medici ,  da  voi  designato, 
sulla  cui  importanza  ed  efficacia  attendiamo  il  vostro  imparziale  giudizio ,  unico  con- 
forto a  noi,  dopo  ì'  amore  di  cooperare  al  bene  di  questa  nostra  travagliata  Patria, 
che  invochiamo  sempre  una,  concorde  ed  intera. 

Fedeli  alla  nostra  divisa,  di  agire  sempre  con  consiglio  amico  a  questo  nostro 
Governo  italiano,  ebbimo  comuni  i  pensamenti  col  colonnello  Medici,  e  conforme  alla 
sua,  fu  la  nostra  condotta  ;  dovemmo  però  discostarci  da  Bertani,  non  già  negli  intenti 
e  nei  mezzi,  bens)  nel  modo  di  applicarli:  noi  cogliamo  trarre  dal  Governo  italiano 
il  maggiore  aiuto  possibile,  associandolo  ai  nostri  divisamenti  e  sospingendolo  senza  posa  ; 
temprando  però  la  nostra  condotta  per  modo  da  non  creargli  degli  imbarazzi,  che  lo 
paralizzino. 

Bertani  non  acconsente  in  questa  veduta:  s'inspira  da  sé  stesso,  e  si  atteggia,  se 
non  ostile  al  Governo,  almeno  come  Governo  non  vi  fosse  o  non  dovesse  esservi. 

Siate  voi,  illustre  Generale,  nostro  giudice,  e  diteci  se  come  facciamo,  ne  potremo 
mai  fare  altrimenti,  meritiamo  tuttavia  la  vostra  fiducia. 

Le  stupende  vostre  gesta  sono  ammirate  da  tutta  Europa  ;  già  scompaiono  i  fatali 
preoludizi  lungamente  nutriti  contro  di  voi,  ed  il  convincimento  che  l' Italia  può  essere, 
si  fa  strada,  attraverso  1'  entusiasmo  dei  popoli,  infino  ai  gelidi    Gabinetti  diplomatici. 

Deh  !  non  sorga  mai  evento,  che  turbi  quest'  ora  di  provvidenziale  sorriso  sullo 
svolgimento  del  nostro  destino,  ed  indicandoci  dissidenti  e  ciechi  delle  esigenze  del- 
l' epoca,  converta  le  simpatie  soccorrevoli  in  invincibili  rennitenze. 

Generale,  in  mezzo  alla  riconoscenza,  onde  vi  è    devota  tutta    1'  Italia ,  abbiateci 

tra  i  più  grati  e  devoti  amici  vostri. 

Per  la  Direzione 

GIUSEPPE  PINZI 
Enrico  Besana  a  Garibaldi. 


DIREZIONE  DEL  FONDO 

pei  il 
"  Milione    di    Fucili  „    a    Garibaldi 


Contrada  di  S.   Dalmazio,  n.   5. 

Milano,  9  giugno   1860. 


N.  1099 


Generale, 

La  Direzione  si  tiene  altamente  onorata  delle  vostre  lettere  del  17  e  28  scorso 
maggio,    pervenutele    regolarmente.    Essa  plaude  di  tutto  cuore  ai  vostri  successi,  ed 


//y^ 


£U*<^     i^^-».^^^    ey^i.^—    /-.^      (^ 


C?^/i'*W^      -_ 


/^«i-VaCr^     ^^ 


Lettera  di  Giacomo  Medici  a  Garibaldi.  Genova,  25  maggio    1860. 

(Vedi  pag.    103). 


L'OPERA  DI  AGOSTINO  BERTANI  105 


esulta  vedendo  trionfare  in  voi  la  causa  del  giusto,  della  libertà  e  della  indipendenza 
d' Italia.  Le  vostre  notizie  le  giungono  desideratissime.  Con  essa,  tutti  i  buoni,  gì'  Ita- 
liani tutti,  accolgono  con  avidità,  col  massimo  interesse  e  piacere,  i  particolari  concer- 
nenti r  eroica  spedizione  da  voi  capitanata.  Appena  le  tante  e  gravi  vostre  occupa- 
zioni ve  lo  permettano  date  —  la  Direzione  ve  ne  prega  —  più  frequenti  ragguagli 
da  potersi  pubblicare.  Solo  le  vostre  parole  bastano  a  destare  l' entusiasmo. 

La  Direzione  si  adoperò  sempre,  con  alacrità,  a  disimpegnare  gì'  incarichi  da  voi 
affidatele:  essa  fa  continue  istanze  a  coloro  che  tengono  a  disposizione  delle  somme 
devolute  alla  vostra  sottoscrizione,  e  ne  affretta  la  trasmissione. 

Essa  ebbe  la  soddisfazione  d*  incassare,  per  tal  modo,  ragguardevoli  somme,  le 
quali  ha  erogato  interamente  a  vantaggio  della  causa  dei  fratelli  siciliani. 

Così  fu  precipuamente  coi  fondi  forniti  dalla  Direzione,  che  si  poterono  acqui- 
stare i  vapori  coi  quali  sta  per  salpare  la  forte  spedizione  Medici. 

Slanle  le  tante  e  Dice  pratiche  fatte  dallo  scrivente  presso  il  Ministero  si  potrà  final- 
mente passare  al  ritiro  delle  armi,  che  giacevano  nel  deposito  di  Milano. 

Duemila  carabine  Enfield,  cinquemila  fucili  francesi,  cento  revolvers  Colt,  conse- 
gnati dalla  direzione  al  predetto  colonnello  Medici,  e  branditi  da  giovani  animosi  com- 
pletamente equipaggiati,  saranno  al  certo  di  grande  efficacia. 

Alla  Direzione  non  restano  ora  che  i  quattromila  fucili  prussiani.  Essa  dispone, 
perchè  vengano  debitamente  riparati,  e  si  farà  premura  di  spedirveli  con  una  prossima 
spedizione,  o  come  meglio  troverete  di  ordinare. 

Generale,  la  Direzione  continuerà  ad  adoprarsi  con  tutto  lo  impegno,  onde  por- 
tarvi aiuti;  vi  arrida  sempre  favorevole  la  sorte  come  sin' ora;  cessi  quell'odioso  governo, 
che  è  un  insulto  all'  odierna  civiltà  ed  alla  dignità  dell'  uomo  ;  che  l' Italia  nostra  sia  ! 

Con   tali   voti,  o  Generale,    la   Direzione  vi  esprime  i   sensi  della  più  sincera  e 

rispettosa  amicizia. 

Per  la  Direzione 

ENRICO    BESANA 
Enrico  Cosenz  a  Garibaldi. 

Genova,  9  giugno  1860. 
Generale, 

Nel  mentre  avevo  combinato  di  raggiungervi  a  Palermo  con  Medici,  avendo 
saputo  che  la  città  veniva  sgombrata  dai  borbonici  e  che  per  ora  non  si  combatte, 
ho  ceduto  alle  istanze  di  molti  amici,  i  quali  desiderano,  che  si  venga  preparando  una 
terza  spedizione.  Io  quindi  rimango;  ma  vi  pregherei  caldamente.  Generale,  di  volermi 
indicare  in  una  vostra  lettera  dove  e  quando  la  credete  più  opportuna,  poiché  vi  hanno 
qui  fabbricatori  di  progetti  più  o  meno  aerei,  che  si  fanno  scudo  del  vostro  nome. 

Non  sarebbe  meglio  riunire  tutti  gli  sforzi  in  Sicilia  e  da  quella  base  partire  per 
la  conquista  o  rivoluzione  della  terraferma  ? 

Vi  saluto  ed  attendo  con  premura  gli  ordini  vostri. 

Vostro 

ENRICO  COSENZ 


106  DISSENSI  DOPO  LA  PARTENZA  DI  GARIBALDI 

SOCCORSO  A  GARIBALDI 

Genova,  li  10  giugno  1860. 

CASSA    CENTRALE    IN    GENOVA  *     * 


Generale, 

Sono  restato  nell'  oggetto  di  poter  guidare  una  terza  spedizione  di  armi  ed  armati  ; 
ma  quello  che  io  vi  prego  caldamente  farmi  conoscere  si  è  il  punto,  ove  meglio  cre- 
dete, che  si  debba  dirigere.  Vi  ha  chi  vorrebbe  che  si  andasse  per  le  Marche  e  per 
colà  penetrare  negli  Abruzzi,  altri  in  Terra  di  Laooro,  altri  in  Sicilia,  lo  penderei 
piuttosto  per  quest'  ultima  opinione,  se  le  forze  napoletane  si  concentrano  in  Messina  ; 
perchè  così  si  formerebbe  un  nucleo  d'  esercito.  Perdonate  la  mia  insistenza  e  cre- 
detemi sempre 

Vostro 

ENRICO  COSENZ 

Biagio  Garantì  a  Garibaldi. 

Torino,  2  giugno  1860. 
Carissimo  Generale, 

Approffitto  di  un*  occasione  sicura  per  mandarvi  di  mie  e  chiedervi  di  vostre 
notizie.  Dopo  che  ebbi  la  fortuna  di  abbracciarvi  a  Quarto,  caddi  gravemente  infermo, 
e  fui  in  pericolo  di  vita.  Ora  però  miglioro  e  quantunque  vi  scriva  ancora  dal  letto, 
sono  però  in  grado  di  parlare  e  scrivere  per  eccitare  questa  gente  tiepida  a  correre 
in  soccorso  della  santa  causa  che  voi  propugnate,  contento  a  sì  meraviglioso  volere. 
Voi  al  contrario,  in  così  poco  tempo,  quante  gloriose  opere  avete  fatto  !  Io  seguo  le 
notizie  che  giungono  di  Sicilia,  con  quella  trepidanza,  che  ha  origine  nella  più  sin- 
cera e  calda  amicizia. 

//  Re  manda  sovente  il  generale  Sanfront  a  domandarmi,  se  ho  di  vostre  notizie. 
Quanto  sarei  lieto  di  soddisfare  alla  generosa  ansietà  del  Re  Galantuomo! 

Quando  Tiirr,  da  Telamone,  scrisse  poche  righe  alla  Pallavicino  e  le  mandò  un 
vostro  proclama  e  un  ordine  del  giorno,  io  li  feci  prontamente  tenere  al  Re  e  ne  fu 
lietissimo.  Se  non  voi,  che  avete  troppo  prezioso  il  tempo,  ma  Tiirr  o  qualche  altro 
vostro  fidato,  mi  facesse  pervenire  un  rapporto  di  quanto  avete  già  fatto,  spoglio  di 
tutte  le  contraddizioni,  che  corrono  costì,  io  sono  certo  che  non  gli  si  potrebbe  fare 
regalo  più  gradito.  Ma  badate  bene,  che  bisogna  procedere  con  tutta  la  massima  pru- 
denza, perchè  i  diplomatici  e  gì'  intriganti  lo  sorvegliano  costantemente  ed  hanno  cor- 
rotto persino  i  suoi  valletti  di  camera.  Voi  li  conoscete,  e  sapete  di  quanto  essi  sono  capaci. 

A  proposito  d' intriganti,  badate  bene  che  viene  giù  il  La  Farina,  ed  ora,  che  è 
passato  il  pericolo,  verrà  per  cogliere  i  fruiti;  ma  voi  lo  conoscete  e  non  avete  bisogno 
dei  miei  avvertimenti  per  guardarvi  da  lui. 

Voglio  dirvi  una  mia  idea  :  badate  se  essa  vi  pare  attuabile.  Quando  chiamerete 
il  popolo  siciliano  al  plebiscito,  ponete  ad  esso  la  condizione,  che  i  ministri  sardi  non 


L'OPERA  DI  AGOSTINO  BERTANI  107 

possano  alienare  altra  parie  d'Italia;  altrimenti,  mentre  voi  unirete  la  Sicilia,  forse  l'Italia 
perderà  la  Sardegna  e  noi  poveri  piemontesi  che  da  12  anni  sopportiamo  sacrifici  di  ogni 
genere,  perchè  un  tempo  si  chiamava  Gallia  Cisalpina,  forse  ci  Oenderanno  alla  Francia. 
Organizzate  quanto  più  prontamente  vi  è  possibile  forze  regolari.  Date  ai  reggi- 
menti il  numero  progressivo  ai  nostri,  cioè,  53,  54  etc.  Promulgate  lo  Statuto  Sardo 
e  le  altre  leggi  cardinali,  onde  cominciare  1'  annessione  legislativa,  prima  che  sia  fatta 
la  politica.  Oh  !  potessi  essere  al  vostro  fianco,  per  sventare  gì'  intrighi  di  tutti  coloro, 
che  cercheranno  di  farsi  belli  dei  risultati  ottenuti  dal  vostro  valore  e  dal  sangue  dei 
valorosi  vostri  compagni  d'armi! 

Circondatevi  di  uomini  franchi,  schietti.  Direte,  che  mi  arbitro  darvi  consigli. 
Non  è  a  titolo  di  consiglio,  che  vi  dico  tutto  ciò.  Voi  sapete  quale  amicizia  vi  pro- 
fessi, quanta  venerazione  abbia  per  voi  e  vi  dico  con  franchezza  ciò,  che  parmi  potrà 
rendervi  più  facile  la  grande  impresa,  che  avete  generosamente  tentata  e  condotta 
fin'  ora  con  tanta  sagacia  e  valore. 

I  Pallavicini  vi  salutano  caramente.  Salutatemi  tanto  Tiirr  e  Menotti.  Guardate, 
che  darò  qualche  biglietto  di  raccomandazione  a  dei  miei  amici  e  connazionali,  che 
vengono  a  raggiungervi.  Voi  avrete  la  bontà  di  dir  loro  una  parola  d' incoraggiamento. 

Fateci  sapere  ciò  di  cui  principalmente  abbisognate,  acciò  possiamo  adoperarci  a 
procurarvelo. 

La  Pallavicino  ha  già  spedito  48  e  più  casse  di  oggetti  atti  alla  medicazione  dei 
vostri  gloriosi  feriti. 

Insomma,  tutti  pensiamo  a  voi  ed  ai  vostri  ;  voi  pensate  qualche  volta  a  noi,  quando 
le  gravi  occupazioni  vostre  ve  lo  permettono.  Dite  a  Tùrr  che  ci  scriva.  Anche  i 
Pallavicini  fanno  la  stessa  raccomandazione. 

Permettetemi,  che  vi  abbracci  caramente  e  che  mi  protesti  qual  sono 

Vostro    aff.mo    amico 
BIAGIO  GARANTI 

L.  Coltelletti  a  Garibaldi. 

Genova,  31   maggio  1860. 
Amico, 

Per  chi  vi  conosce  come  io,  le  vostre  gesta  non  sorprendono  I  Voi  siete  l'uomo  man- 
dato da  Dio  a  liberare  1'  Italia  e  quindi  i  portenti,  che  operate  hanno  del  soprannaturale. 

Avanti  dunque,  finche  la  vostra  missione  non  sia  compiuta.  Le  benedizioni  degli 
Italiani  fanno  scudo  alla  vostra  vita,  ma  per  Dio  !  non  la  esponete  tanto  ;  essa  non  è 
più  vostra,  è  dell'  Italia  ;  e  questa  infelice  cadrebbe  con  voi. 

La  vostra  Dittatura  è  la  risoluzione,  che  più  conveniva  ed  approvata  da  tutto  il 
mondo,  che  tiene  per  certo  non  la  deporrete,  finche  1'  Italia  non  sia  unita. 

Tanti  saluti  a  Menotti  e  credetemi  sempre  vostro  leale  amico 

L.  COLTELLETTI 

P.  S.  -  Bertani  ed  io  ci  occupiamo  per  mandare  ad  effetto  le  vostre  istruzioni. 
Medici  non  si  comprende    ancora.    Non    ci  lasciate    privi  di    lettere  per  carità.  Vale. 


108  DISSENSI  DOPO  LA  PARTENZA  DI  GARIBALDI 

Genova,  9  giugno  1860. 
Caio  Generale, 

Spero  avrete  ricevuta  la  mia  consegnata  a  Dumas.  Io  non  ho  che  ripetervi  quanto 
vi  dissi  nel  dispaccio  :  che  sopra  tutto  diffidiate  di  La  Farina  e  a  nessun  patto  lasciale 
la  Dittatura.  Gli  occhi  di  tutto  il  mondo  sono  fissi  su  di  voi,  dunque  non  vi  fidate 
che  di  voi  solo. 

Qui  ieri  sera  si  è  parlato  in  Borsa  del  prestito  ;  ma  nulla  si  potè  conchiudere 
per  la  poca  confidenza  dei  borsaiuoli. 

Posto  che  trovaste  denaro  assai,    vedete  se   non  sia  meglio  spedirne  per  Cagliari, 
e  di  là  per  Genova.   Mi  pare  l' espediente  migliore. 

Perchè  non  scrivete,  perdio!  una  riga  al  vostro  amico? 

L.  COLTELLETTI 

P.  S.  -  Teresa  e  Deidery  saranno  fra  noi  per  il  15.  Salutate  Menotti  e  Bixio. 
Carlotta  con  i  figli  vi  baciano  la  mano. 


* 
*      * 


Ecco  ora  le  lettere  dirette  da  Agostino  Bertani  a  Garibaldi  e  che  si 
seguono  per  ordine  cronologico  e  come  tutte  le  altre  ho  fedelmente  trascritto 
dagli  originali  autografi. 

Bertani  a  Garibaldi. 

SOCCORSO  A  GARIBALDI 


Genova,  li  23  maggio  1860. 

CASSA  CENTRALE  IN  GENOVA  ** 


(Qui  è  stampala  la  noia  lettera    scritta    da    Garibaldi  a  Bertani, 
il  5  maggio,  che   ho  in  principio  del  capitolo   ripubblicala). 

Caro  Generale, 

Vi  prego  di  gittare  1'  occhio  su  queste  carte.  Io  ho  accettato  nella  parola,  e  nello 
spirito  il  programma  vostro,  che  voi  sapete,  quanto  sia  anche  il  mio  ;  l' ho  diffuso 
ovunque  colla  unita  circolare,  e  non  ne  devierò  d'  un  capello.  Ho  fatto  ogni  sforzo 
per  compierlo  e  credo  di  avere  già  preparato  il  paese,  in  modo  ne  possiate  disporre 
fin  d'ora.  Ma  voi  partito,  mi  si  attraversò  la  via  dai  vostri  stessi  amici,  contrastan- 
domi il  denaro! 

Quelli  che  voi  avete  autorizzati  a  raccogliere  sussidi  per  la  Sicilia,  limitano  all'  isola 
il  loro  intento,  avversando  il  proposito  di  quel  più  largo  campo  di  azione,  che  solo 
può  salvare  la  Sicilia  e  1'  Italia. 


L- OPERA  DI  AGOSTINO  BERTANI  109 

Per  tagliar  corto  a  questa  opposizione,  è  necessario  che  tutti  i  mezzi  refluiscano 
là,  ove  è  il  vostro  programma,  lo  vi  prego,  perciò,  di  far  qui  pervenire  un'  istruzione 
vostra  nei  seguenti  termini  : 

«  Alla  mia  partenza  per  la  Sicilia  commisi  al  sig.  Bertani  l' attuazione  di  un 
programma  sul  modo  col  quale  intendeva  si  dovesse  dagli  Italiani  soccorrere  la  Sicilia. 
Esso  corrisponde  al  concetto,  che  io  ebbi  dalla  Pace  di  Villafranca,  circa  la  via  che 
tutti  dovevamo  battere  per  salvare  la  patria;  e  la  proposta  del  "  Milione  di  Fucili  „, 
il  progetto  di  passar  la  Cattolica,  e  la  fondazione  della  Società  la  "  Nazione  armata  „ 
sono  altrettanti  sforzi  per  condurre  il  paese  nella  strada,  che  la  Rivoluzione  siciliana 
aperse  poi  larga  e  luminosa.  Affinchè  quel  programma  possa  più  presto  e  più  facil- 
mente compirsi,  urge  che  il  sig.  Bertani,  che  ne  è  il  solo  depositario,  possa  anche 
disporre  di  tutti  i  mezzi,  che  il  patriottismo  di  ciascuno  va  raccogliendo.  Io  sollecito 
perciò,  la  Commissione  del  "  Milione  di  Fucili  „  e  tutti  quelli,  che  si  sono  fatti  col- 
lettori di  soccorso  per  la  Sicilia  ad  affidare  tosto  ogni  mezzo  raccolto  al  sig.  Bertani, 
continuando  nella  loro  patriottica  impresa  coli'  usato  fervore  » . 

Ricevo  adesso  la  vostra  lettera  da  Salemi.  '  Vivano  i  trionfi  vostri,  e  di  cotesti 
bravi;  il  cuore  d'Italia  palpita  commosso  per  voi  e  tutti  i  suoi  figli  prediletti! 

Adempirò  gì'  incarichi  che  mi  date. 

La  Commissione  pel  «  Milione  di  FuciH  »  ,  ed  io  cogli  aiuti  che  vi  sono  noti, 
vi  spediamo  oggi  armi  e  munizioni. 

//  Medici  si  è  lasciato  per  debolezza  deviare  dal  vostro  programma,  riguardo  al 
Pontificio,  fino  ad  avversare  qualunque  impresa,  che  non  sia  una  seconda  spedizione 
in  Sicilia,  che  stassi  preparando  e  che  egli  capitanerà.  Io  continuo  a  lavorare  pel  pili 
largo  progetto  nel  Pontificio  negli  Abruzzi  e  nelle  Calabrie;  e  se  i  più  noti  capitani 
mi  verranno  meno,  andranno  per  essi  i  giovani.  Voi  vedete  anche  da  ciò  quanto  sia 
urgente,  che  mandiate  le  istruzioni,  che  sopra  vi  raccomando. 

Lo  Zambianchi,  dopo  uno  scontro,  ha  dovuto  ritirarsi,  e  per  ragioni  che  potete 
immaginare  ;  tento  ora  inviarlo  in  Sicilia. 

Vi  raccomando  di  prestare  la   massima    attenzione    al    progetto    di    prestito    che 

vi  unisco. 

Vostro  sempre 

AGOSTINO  BERTANI 

Come  si  vede  dalla  lettura  di  questa  lettera  i  dissensi  fra  Bertani  ed  il 
Medici  e  la  direzione  del  Comitato  del  «  Milione  di  Fucili  »  cominciavano 
già  sin  dal  25  maggio.  La  causa  della  discordia  era  l*  invasione  nello  Stato 
pontificio,  non  voluta  dal  Cavour  perchè  avrebbe  suscitato  le  proteste  di  Napo- 
leone 111,  non  desiderata  dal  Pinzi  e  dal  Besana,    perchè  non   credevano  pru- 


'  La  lettera  di  Garibaldi  scritta  da  Salemi  porta  la  data  del  1 9  maggio  e  fu  pubblicata 
dalla  Mario  neW Agostino  Bertoni  e  i  suoi  tempi,  voi.  Il,  paig.  36. 


DISSENSI  DOPO  LA  PARTENZA  DI  GARIBALDI 


dente  di  urtare  la  volontà  del  Governo,  creandogli  imbarazzi  ;  non  creduta  utile 
infine,  in  nessun  modo,  ne  dal  Medici,  ne,  come  vedremo,  dal  Cosenz,  i  quali 
vedevano  che  la  maggiore  urgenza  ed  il  dovere  del  momento  era  quello  di 
aiutare  Garibaldi  in  Sicilia  e  liberare  l' isola  completamente.  Bertani  vuole 
essere  il  supremo  direttore  di  ogni  cosa  ;  gli  mancano  i  mezzi  pecuniari  e  sol- 
lecita Garibaldi  di  mandare  le  istruzioni,  che  egli  stesso  gli  detta.  Riguardo  al 
progetto  di  prestito,  che  viene  raccomandato,  avrò  occasione  di  parlarne  in  seguito, 
pubblicando  sul  proposito  due  lettere  dell'  avv.   Enrico  Brusco. 

SOCCORSO  A  GARIBALDI 

Genova,  li  31   macsio   1860. 

CASSA    CENTRALE    IN    GENOVA  "^^ 


Caro  Generale, 

Un  certo  De  Micheli,  che  arriverà  col  battello  portante  armi  costì,  vi  darà  mie 
letter»  pressanti.   Mi  raccomando  per  esse. 

La  guerra  dei  lafariniani  vuol  farmi  impotente  per  eseguire  il  Vostro  programma  : 
aiutatemi,  mandandomi  pieni  ed  esclusivi  poteri  come  Vostro  rappresentante. 

Posso  mandarvi  30  mila  fucili  e  qualche  cosa  di  meno  di  15  mila  franchi.  Sono 
fuciH  prussiani  usati,  ridotti,  dell'armata,  in  ottimo  stato.  E  importantissimo,  che  voi 
siate  indipendente  per  l' armamento.  //  Governo  qui  non  vi  potrebbe  servire  così  presto. 
Se  li  volete,  scrivete.  Io  intanto,  conto  di  farli  venire  qui.  Potreste  armare  il  popolo 
e  servirvene  per  la  Calabria,  lo  ne  comprai  già. 

Mi  si  attraversa  ogni  cosa  per  lo  Stato  Pontificio.  Medici  abbandonò  e  adesso 
quel  progetto  sono  io  il  solo  a  proteggerlo  ;  ma  ho  il  popolo  che  lo  vuole.  Rispondetemi. 

Vostro  di  cuore 
A.  BERTANI 

SOCCORSO  A  GARIBALDI 

Genova,  H  1°  fliuono   1860. 

CASSA   CENTRALE    IN    GENOVA 


Caro  Generale, 

Per  mezzo  di  Borelli  di  Mantova,  che  vi  mando  espressamente,  voi  avrete  quanto 
m' interessa  come  e  più  della  vita,  ed  ansioso  attendo  il  vostro  riscontro. 

Qui  si  tenta  di  giuocarvi  ancora,  opponendosi  all'esecuzione  del  vostro  programma. 
Guardatevi  dai  Lafariniani  come  dagli  aristocratici.  E  causa  di  democrazia,  non  d'altro, 
e  con  ciò  di  libertà  ! 

Rispondetemi  per  mezzo  di  Borelli  a  tutto,  a  tutto! 


L'OPERA  DI  AGOSTINO  BERTANI  III 

Voi  potete  fare  davvero  l' Italia  ;  siete  provvidenziale.  Per  altra  via  non  si  pub. 
Combiniamo  e  guidiamo  le  forze.  Siamo  ansiosi  di  notizie  di  Bixio  e  Sirtori  e  degli 
altri.  Leggete,  se  potete,  cosa  dissi  di  voi  in  Parlamento. 

Vostro  di  cuore  ed  anima 
A.  BERTANI 

P.  S.  -  Mi  si  chiede  conto  di  un  Riccardo  Luzzatto  sotto  Bixio.  Si  potrebbe 
saperne?  Vi  raccomando  caldamente  Alessandro  e  Carlo  Antongini.  Di  nuovo  addio. 

Vostro,  vostro,  vostro 
A.  BERTANI 

* 
*      * 

Nella  lettera  che  segue,  anch'  essa  del  1  °  giugno,  si  ripetono  le  stesse  idee, 
quasi  con  le  stesse  parole,  ma  con  maggiore  vivacità,  espresse  in  quella  del  25, 
alla  quale  sembra  che  Garibaldi  non  abbia  risposto.  E  una  vera  febbre,  che 
divora  il  Bertani  ;  egli  è  contro  tutti.  Il  suo  temperamento  poco  conciliante  è 
causa  di  discordie;  nulla  egli  tralascia  per  influire  sull'  animo  di  Garibaldi.  La 
sua  attività  è  straordinaria.  Importante  è  la  lettera  del  La  Farina,  che  il  Ber- 
tani trascrive  in  copia  a  Garibaldi  per  metterlo  in  guardia  ;  lettera  che  non  hi 
pubblicata  nell'  epistolario  lafariniano. 

DOTT.   A.   BERTANI 

Genova,  li   1"  giugno   1860. 

VIA    NUOVISSIMA.    Num.    15  '66 


Caro  Generale, 

Io  ho  accettato,  ne//e  parole  e  nello  spirito,  il  programma  vostro  che  voi  sapete 
quanto  sia  anche  il  mio;  1'  ho  diffuso  ovunque  coli'  unita  circolare  e  non  ne  devierò 
di  un  capello.  Ho  fatto  ogni  sforzo  per  compierlo  e  credo  di  avere  già  preparato  il 
paese  in  modo,  che  voi  ne  possiate  disporre  fin  d' ora.  Per  l' insurrezione  dell'  Umbria, 
delle  Marche  e  del  Continente  napoletano  comperai  1 5  mila  fucili,  ed  altri  25  mila  eguali 
offro  a  voi,  affinchè  possiate  fare,  in  un  subito,  1*  armamento  dell'  Isola,  indipenden- 
temente dal  Governo  Piemontese,  che  vi  darà  armi  solo  a  patto  di  sostituire  all'  ini- 
ziativa nazionale  V  intrigo  diplomatico  che  già  voi  esperimentaste.  1  fucili  sono  quelli 
dismessi  dall'armata  prussiana,  a  capsula  bene  inteso,  ed  abbastanza  buoni  ancora  e 
del  calibro  di  quelli  di  Piemonte.  Vi  costeranno  dai  1 3  ai  15  franchi  l'uno  e  li  potete 
avere  tutti  in  pochi  giorni,  solo  che  mi  scriviate  subito  di  mandarveli. 

Debbo  avvertirvi  però  che,  partito  voi,  mi  si  attraversò  la  via  dai  vostri  stessi 
amici,  contrastandomi  il  denaro.  Quelli  che  voi  avete  autorizzato  a  raccogliere  sussidi 


112  DISSENSI  DOPO  LA  PARTENZA  DI  GARIBALDI 

per  la  Sicilia  vogliono  limitare  all'  Isola  il  loro  intento  :  ma ,  per  acquistare  il  favore 
del  paese,  che  approva  il  progetto  di  più  larga  azione  propugnato  nel  vostro  programma, 
fanno  vedere  di  averlo  essi  pure  adottato  ;  mentre  di  fatto  lo  avversano.  A  me  poi 
attribuiscono  di  lavorare  per  la  Repubblica.  Io  feci  le  piìi  solenni  dichiarazioni  di 
volere  attenermi  al  programma  vostro  ;  ma  per  tagliar  corto  alla  opposizione  è  neces- 
sario che  dove  trovasi  il  vostro  mandato  refluiscano  anche  tutti  i  mezzi.  Io  vi  prego, 
perciò,  di  far  qua  pervenire  una  istruzione  vostra  nei  seguenti  termini: 

«  Partendo  per  la  Sicilia  commisi  al  dott.  Bertani  1'  attuazione  di  un  programma 
sul  modo,  col  quale  io  intendeva  si  dovesse  soccorrere  dagli  Italiani  la  Sicilia.  E  la 
stessa  via,  che  io  indicai  proponendo  il  "  Milione  di  Fucili  ,, ,  cercando  passare  la 
Cattolica,  instituendo  la  nazione  armata;  e  questa  via  apersero  poi  a  tutti  larga  e 
luminosa,  i  Siciliani.  Ma,  affinchè  quel  programma  possa  più  facilmente  e  più  presto 
compiersi,  urge  che  il  dott.  Bertani,  che  ne  è  (7  solo  incaricato,  possa  disporre  di 
tutti  i  mezzi,  che  il  patriottismo  di  ciascuno  va  raccogliendo.  Io  sollecito ,  perciò ,  la 
Commissione  pel  "  Milione  di  Fucili  ,,  e  tutti  quelli  che  si  sono  fatti  collettori  di 
sussidi  per  la  Sicilia  ad  affidare,  di  mano  in  mano,  ogni  mezzo  raccolto  al  signor 
Bertani.  Che  gì'  Italiani  sappiano  una  volta  guardarsi  dagli  addormentatori  e  la  Patria 
sarà  salva!  ». 

Ricevetti  la  vostra  lettera  da  Salerai;  vivano  i  prodi!  Adempii  agli  incarichi, 
che  mi  deste.  La  Commissione  pel  «  Milione  di  Fucili  »  ed  io,  cogli  aiuti  che  vi  sono 
noti,  vi  spedimmo  il  25  sera  armi  e  munizioni.  Medici  si  è  lasciato  per  debolezza 
deviare  dal  vostro  programma  riguardo  al  Pontificio;  ma  non  monta,  perchè  se  per 
questa  impresa  mancheranno  i  più  noti  capitani,  andranno  per  essi  dei  giovani.  Voi 
vedete  quanto  sia  urgente  perciò,  che  mi  mandiate  poteri  pieni  ed  esclusivi. 

Lo  Zambianchi  dopo  uno  scontro  ha  dovuto  ritirarsi  ;  la  sua  impresa,  quantunque 
commessagli  da  voi,  fu  dai  governatori  avversata,  ed  egli  è  ora  in  prigione. 

Vi  unisco  un  progetto  di  prestito,  al  quale  vi  prego  di  prestare  la  massima  atten- 
zione. Vi  mando  il  mio  discorso  al  Parlamento  per  Nizza  ed  una  lettera  per  chiarire 
la  mia  posizione  con  La  Farina.  Addio,  addio. 

Vostro,   Vostro 
A.  BERTANI 

Generale  leggete: 


Lettera  di    La  Farina  al  dott.  Pietro  Monteverde  di  Piacenza,  attualmente 
Intendente  a  Massa. 

Torino,   18  gennaio   1860. 

Avrà  veduto  a  quest'  ora  la  misera  fine  del  Ministero  Rattazzi.  Rovinò  Garibaldi, 
si  suicidò  e  lasciò  molto  più  potente  di  prima  la  Società  Nazionale.  Questa  povera 
Società  Nazionale  e,  adunque,  ancora  buona  a    qualche  cosa ,  se    ha    potuto  efficace- 


L'OPERA  DI  AGOSTINO  BERTANI  113 

mente  cooperare  a  togliere  il  paese  da  una  situazione  anormale,  che  avrebbe  rovinato 
la  causa  italiana.  Per  meglio  intendere  da  quale  crisi  siamo  usciti,  basti  sapere  che 
Brofferio,  Garibaldi  e  compagni  avevano  proposto  al  Re  nientemeno  che  la  sospensione 
delle  libertà  costituzionali....  Ringraziamo  la  Provvidenza,  che  ci  ha  dato  un  Re  galan- 
tuomo ed  una  sede  di  governo  tranquilla,  onesta  e  costante  come  questa  buona  città 
di  Torino. 

* 
*      » 


Dissi  di  sopra  come  il  dissenso  fra  Bertani  e  Medici  cominciasse  pochi 
giorni  dopo  la  partenza  di  Garibaldi  da  Quarto.  Quel  dissenso  non  si  placò 
mai  nel!'  animo  del  Bertani.  Nella  pubblicazione  che  questi  fece  nel  1 869  del 
citato  opuscolo  :  /re  politiche  d' oltre  tomba,  egli  non  solo  dava  delle  puntate 
a  Garibaldi  e  ad  altri  uomini  del  partito  d' azione,  ma  specialmente  a  Medici. 
A  questi  rivolgeva  l' accusa  di  avere  avversato  la  spedizione  di  Garibaldi 
in  Sicilia  e  di  avere,  contro  la  volontà  di  quest'  ultimo  e  cedendo  alle  istiga- 
zioni del  La  Farina,  condotta  la  seconda  spedizione  in  Sicilia,  anziché  nelle 
Provincie  pontifìcie. 

A  queste  accuse  il  Medici  rispose  —  com'  è  noto  —  con  un  breve  ed 
esauriente  scritto:  Una  pagina  di  storia  del  1860,  dove,  fra  l'altro,  egli 
accenna  alle  mali  arti  dei  mazziniani,  i  quali  avevano  insinuato  nell'  animo  di 
Garibaldi  che  egli,  il  Medici,  era  «  venduto  anima  e  corpo  a  Cavour  ed  al  La 
Farina  »  ;  che  era  andato  in  Sicilia  non  già  per  cooperare  al  di  lui  successo , 
ma  per  osteggiarlo,  riuscendo  così  a  raffreddare  i  cordiali  rapporti,  che  sempre 
erano  esistiti  fra  di  loro. 

«  Arti  certamente  non  leali  —  scrive  Giacomo  Medici  —  smentite  dai 
fatti  !  Un*  amicizia  che  datava  da  Montevideo ,  diventata  sacra  sulle  mura  di 
Roma,  non  si  poteva  distruggere  in  un  giorno  ;  e  Garibaldi  potè  toccare  con 
mano,  che  la  mia  missione  anche  in  Sicilia  era  quella  di  combattere  nemici 
sui  campi  di  battaglia  ».  «  Ciò  che  accade  a  me  —  soggiunge  —  seguì  pure 
ad  altri  amici  e  compagni  d'  arme  di  Garibaldi.  Si  direbbe  che  gli  uomini,  i 
quali  si  adoperavano  a  questo  fine,  si  fossero  prefissi  di  isolare  Garibaldi,  spe- 
rando di  condurlo  fx>i  a  modo  loro.  E  nella  prima  parte  del  loro  intento  pro- 
babilmente riuscirono  ;  nella  seconda  non  credo.  Perocché  Garibaldi  é  di  tal 
tempra,  che  mentre  pare  dia  ascolto  ai  consigli  altrui,  mantiene  sempre  celato 
ed  in  riserva  quello  sul  quale  egli  si  determina,  e  che  é  il  suo  proprio  ». 
■K  Un'altra  qualità  —  continua  il  Medici  —  che  possiede  Garibaldi,   è  quella 

CURÀTULO  « 


114  DISSIDI  DOPO  LA  PARTENZA  DI  GARIBALDI 

di  non  credersi  infallibile  ;  e  se  talvolta  gli  avviene  di  cadere  in  qualche  equivoco, 
egli  conforta  gli  amici  ad  obliare  con  modi  di  una  gentilezza  e  modestia,  che 
dimostrano  tutta  la  grandezza  e  nobiltà  dell'  animo  suo.  Io ,  che  durante  la 
campagna  del  1  860,  trangugiai  in  silenzio  gli  amari  effetti  di  quella  opposizione, 
che  mi  si  faceva  intorno  a  Garibaldi,  non  potei,  a  guerra  finita ,  trattenermi 
in  un  giorno  di  sconforto  dall'  accennarglielo  in  una  lettera,  e  la  risposta  che 
ne  ebbi  fu  la  seguente  : 

Brescia,   14  aprile  1862. 
Caro  Medici, 

Nella  tua  lettera  del  3  ho  osservato  una  certa  tinta  di  melanconia,  che  mi  addolora. 

Io  conosco  di  avere  con  te  qualche  torto  ;  e  certo  mi  proverò  di  provarti  in  ogni  occasione 

che,  comunque  ti  sia  stato  dispiacente  il  mio  procedere,  ciò  non  deriva  da  cattiva  volontà. 

Per  te  sono  non  solo  amico,  ma  fratello  :  ed  ove  involontariamente  ti  avessi  dispiaciuto, 

il  mio  cuore  me  ne  ha  avvertito  subito.  Perdonami  adunque,  ed  amami,  che  io  sento 

di  meritarlo.  Quanto  alle  miserie  di  cui  siamo  vittima,  poco  m' importano  e  tu  devi  fare 

lo  stesso.  Addio  di  cuore. 

Tuo  per  la  vita 

G.  GARIBALDI 

Ecco  il  linguaggio  —  soggiunge  il  Medici  —  dell'  uomo  grande,  che  ha  una 
sola  passione,   la  Patria  e  che  non  dice  mai  nulla  di  se  e  non  si  vanta  di  nulla». 

Mi  è  sembrato  opportuno  riportare  questo  brano  dell'  opuscolo  del  Medici 
per  la  sua  grande  importanza  ed  il  compagno  d' armi  di  Garibaldi  inviava  a 
quest'  ultimo  quella  pubblicazione  con  la  seguente  caratteristica  lettera  inedita, 
che  è  nella   mia  raccolta. 

Giacomo  Medici  a  Garibaldi. 

Palermo,  3  luglio  1869. 
Caro  Garibaldi, 

Accompagno  con  affettuoso  saluto  e  poche  righe  l' unito  mio  opuscolo,  in  cui  si 
contengono  alcuni  dati  storici,  con  i  quali  ho  voluto  ristabilire  la  verità  dei  fatti,  che 
il  dott.  Bertani  nel  suo  scritto  Ire  politiche  aveva  svisata,  a  scapito  dei  miei  principi  e 
del  mio  carattere. 

Era  perciò  indispensabile,  che  come  documenti  io  v'  inserissi  talune  tue  lettere. 
Ho  dovuto  anche  emettere  giudizi,  che  ti  riguardano.  Se  mai  in  ciò  avessi  errato, 
vorrai  essere  meco  indulgente. 

Certo  è  che  alieno,  come  sono,  da  ogni  polemica,  fu  bene  a  malincuore,  se  uscii 
dalla  usata  riserva  ;  ma  questa  volta  non  si  trattava  di  me  soltanto,  vi  era  di  mezzo  la 


L'OPERA  DI  AGOSTINO  BERTANI  US 

fama  di  quei  bravi  giovani  della  seconda  spedizione,  che  più  volte  tu  hai  veduto  combat- 
tere e  guidasti  alla  vittoria  I 

E  ben  dura  cosa  vedere  talvolta  avvocati  e  dottori,  con  un  tratto  di  penna,  erigersi 
a  giudici  supremi,  e  quasi  inappellabili  della  politica  e  della  guerra,  ed  è  gran  favore 
se  a  noi  concedano  quel  tanto  di  capacità,  che  ne  basti  per  andare  a  farci  ammazzare. 

Ti  saluto  di  cuore. 

Tuo  ajff.mo 

G.  MEDICI 


Relativamente  al  progetto  di  prestito,  che  il  Bertani  aveva  raccoman- 
dato al  Generale  nella  lettera  del  25,  si  leggano  le  due  seguenti  lettere  del- 
l' avvocato  Enrico  Brusco  ed  un'  altra  del  Bertani. 

Enrico  Brusco  a  Garibaldi. 

SOCCORSO  A  GARIBALDI 

Genova,  li  25  maggio   1860. 

CASSA    CENTRALE   IN    GENOVA  ^^ 


Generale, 

Nel  mentre,  che  con  tanta  virtù  di  sacrifizio  e  di  eroismo  voi  combattete  per 
l'impresa  della  Sicilia,  incombe  ai  rimasti  l'obbligo  di  preparare  i  mezzi  di  aiutare 
non  solo  il  trionfo  del  moto  siciliano,  ma  l'attuazione  dell'intiero  programma  vostro, 
che  è  la  esplicazione  e  l' adempimento  della  Causa  Nazionale. 

Ora,  a  questo  non  si  può  giungere  con  semplici  volontarie  elargizioni  :  maggiori 
mezzi  vi  abbisognano,  che  possano  corrispondere  alla  grandezza  dell'impresa. 

Sembrò  pertanto,  a  molti  patriotti  italiani,  a  vari  Comitati  della  Penisola,  alla 
coscienza  insomma  dei  più,  che  potrebbesi  ottenere  lo  scopo,  emettendo  un  prestito, 
che  potrebbe  essere  di  50  milioni  a  quelle  condizioni  ravvisate  migliori  per  assicurare 
r  esito  di  tale  operazione.  Ma,  per  essere  sicuri  del  successo  della  stessa,  per  darle 
una  garanzia,  che  sarebbe  accettata  da  ogni  patriota  italiano,  dovrebbe  emettersi  sotto 
la  responsabilità  del  vostro  nome  ;  dovrebbe  essere  da  voi  domandato  e  questa  è  l' opinione 
di  tutti  ;  questa  è  la  speranza  di  chi  vorrebbe  fare  una  volta  l' Italia  ! 

Volete  accordare  il  vostro  consenso  a  questa  proposta?  Se  sì,  avvertiteci  subito, 

perchè   subito   possa   mettersi   ciascheduno   all'opera:  e  noi  confidiamo,   che  allora  si 

riuscirà,  e  in  vostro  nome,  a  fare  veramente  l' Italia  e  presto. 

Per  il  Comitato  della  Nazione 

ENRICO  BRUSCO 

A  piedi  della  lettera  di  pugno  di  Bertoni  si  legge: 

Vi  raccomando  il  progetto 

A.  Bertani 


116  DISSIDI  DOPO  LA  PARTENZA  DI  GARIBALDI 

SOCCORSO  A  GARIBALDI 

Genova,   16  giugno   1860. 

CASSA    CENTRALE   IN    GENOVA  *     ^ 


Generale, 

Ho  ricevuto  la  vostra  lettera  del  10  corr.  colla  quale  mi  autorizzate  a  contrarre 
un  prestito  per  la  Sicilia. 

Nel  ringraziarvi  dell'  incarico,  mi  fo  un  dovere  di  parteciparvi,  che  ho  già  preso 
gli  opportuni  concerti  con  Bertani  per  eseguire  immediatamente  i  vostri  ordini,  e  speriamo 
che  ne  verremo  a  capo. 

11  Paese  non  può  non  rispondere  al  vostro  appello  e  darvi  i  mezzi  per  compiere 
la  generosa  e  patriottica  impresa.  Mi  unisco  però,  al  Bertani  per  domandarvi  i  regolari 
decreti,  che  ci  facilitino  l'opera. 

Gradite  i  saluti  cogli  augurii  del  Vostro 

ENRICO  BRUSCO 

Il  Generale,  come  si  vede,  aveva  risposto  al  Brusco  autorizzando  il  prestito  ; 
lo  stesso  aveva  scritto  al  Bertani.  Ma  dopo,  in  una  lettera  del  1  7  luglio  diretta 
a  quest'  ultimo,  diceva  delle  difficoltà  che  erano  sorte  in  proposito,  prevalendo 
in  Palermo  l' avviso  di  effettuare  il  prestito  nell'  isola. 

Le  lettere  che  seguono  del  Bertani  a  Garibaldi  sono  di  un  crescendo 
rossiniano  ;  il  dissenso  con  Medici  si  è  accentuato.  E  una  vera  ossessione  nella 
mente  del  Bertani  l' invasione  nello  Stato  pontificio  e  preme  la  mano  su  Garibaldi 
per  avere  pieni  poteri.  Venuto  meno  il  Medici,  le  sue  speranze  si  fondano  su 
Cosenz  ;  ma  anche  queste  dovevano  presto  svanire  !  Seguendo  l' ordine  crono- 
logico, trascrivo  prima  le  due  belle  lettere  con  le  quali  egli  presenta  al  Dittatore 
Antonio  Mordini,  tempra  di  cavaliere  antico,  colui  che  sarà  il  Prodittatore  della 
Sicilia,  ed  Alberto  Mario,  soldato  valoroso,  scrittore  arguto,  discepolo  fedele  di 
Giuseppe  Mazzini,   amico  del  cuore  del  Bertani. 

Bertani  a  Garibaldi.  {Vedi  facsimile). 

SOCCORSO  A  GARIBALDI 

Genova,  li  8  giugno  1850. 

CASSA   CENTRALE   IN    GENOVA  *"     * 


Caro  Generale, 

Antonio  Mordini,  fiorentino,  Deputato,  dei  nostri,  viene  costì  a  recarvi  aiuto  colla 
sua  capacità,  lealtà  ed  abilità  per  debellare  i  vostri  nemici! 


L'OPERA  DI  AGOSTINO  BERT ANI  117 

Egli  ha  fatto  le  migliori  intelligenze  con  Cattaneo,  l' uomo  più  illustre  nelle  scienze 
politico-amministrative  in  Italia. 

La  Farina  tentò  di  fare  tanto  male  costì,  quanto  ne  ha  fatto  all'  Italia  del  Nord, 
addormentandola  e  rendendola  stupida. 

Non  mi  sono  pentito  mai  tanto  dei  falli  miei,  come  d' avervi  rimesso  fra  i  piedi 
La  Farina.  Ed  egli  forte  di  un  vostro  mandato  mi  ha  fatto  il  maggior  male  possibile. 

Attendo  i  vostri  pieni  poteri  ed  esclusivi  qui,  perchè  possa  buttare  per 
aria  lo  Stato  Pontefìcio. 

Ebbi  i  vostri  poteri  pel  prestito  e  la  vostra  lettera  del  31  maggio.  Grazie!  Grazie! 

Stasera  raduno  i  banchieri. 

Mi    racconiando;    tenete   duro    contro    La   Farina  e  Cavour,  altrimenti 
moriamo  asfittici  nell'isola. 

Mordini  vi  potrà  essere  di  grande  utilità. 

Vi   prego   di   farmi   avere    regolarmente  la  nota    dei   morti  e  dei   feriti.    Acerbi 
dovrebbe  farlo. 

Vostro  di  cuore 
A.  BERTANl 

SOCCORSO  A  GARIBALDI 

Genova,  li  9  giugno  1860. 

CASSA   CENTRALE    IN    GENOVA  *     * 


Caro  Generale, 

L'amico  Alberto  Mario  viene  a  voi  coi  miei  voti,  coi  miei  desideri  di  esservi 
vicino,  e  viene  ad  offrirvi  servizi  militari  di  braccio,  di  penna,  di  devozione  in  quella 
qualunque  carriera  voi  vogliate  avviarlo. 

Intorno  a  voi  s'aggruppano  gli  uomini  i  più  ardenti  e  devoti,  quelli,  che  hanno 
pugnato  e  patito  e  che  sperano  in  voi,  perchè  l' Italia  sia  una,  libera,  e  degli  italiani. 

Mario  è  uno  dei  valenti  campioni  della  lotta,  che  si  preparò  e  si  rafforzò  in  dodici 
anni  di  scaramuccie  nei  giornali  ed  in  tanti  sacrifizi  individuali  ma  solenni,  che  sarebbe 
sconoscenza  il  dimenticare  e  non  pensare  ad  esso. 

Mario  vi  ama  e  vi  stima  quanto  meritate,  e  sarà  fido  a  voi  come  l'amico  il  più 
franco  e  leale.   Io  sono  lietissimo  di  sapervelo  al  fianco. 

In  Mario  voi  troverete  un'anima  generosa,  ma  accorta  ad  un  tempo,  per  difendervi 
contro  le  mene,  nelle  quali  gli  uomini  della  vostra  tempra  sono  presso  che  sempre 
perduti.  L'aiuto  degli  onesti  e  dei  fidi  vi  difenderà  a  tutta  oltranza. 

Addio  Generale  ;  1*  Italia  si  farà  quest'  anno,  se  voi  terrete  fermo  in  Sicilia  il 
vessillo  della  libertà  e  farete  armare  tutto  il  paese,  mentre  i  vostri  compagni  d'armi  e 
d' idea  vi  prepareranno  altre  Provincie  libere  per  le  quali  possiate  sentire  che  V  Italia  è  fatta. 

Vostro  di  cuore 
AGOSTINO  BERTANl 


118  DISSIDI  DOPO  LA  PARTENZA  DI  GARIBALDI 

SOCCORSO  A  GARIBALDI 

Genova,  li  9  giugno  1860. 

CASSA   CENTRALE   IN   GENOVA  ^     * 


Caro  Generale, 

Per  attuare  il  prestito  occorre: 

«  Che  voi  mandiate,  col  ritorno  dell'  amico  latore,  un  Decreto  dittatoriale,  contro- 
firmato da  chi  spetta,  perchè  sia  un  atto  governativo.  In  questo  decreto  autorizzerete 
me  a  contrarre  un  prestito  in  nome  vostro  come  Dittatore  ». 

Poi  occorre  : 

«  Che  dichiariate  con  altro  o  collo  stesso  Decreto  quali  fondi,  o  entrate,  o  pos- 
sessioni, serviranno  a  garentire  il  prestito,  che  io  contrarrò. 

»  Finalmente,  mandatemi  una  facoltà  di  disporre  del  denaro  del  prestito  secondo 
gli  ordini  ed  intelligenze  fatte  con  voi,  rendendo  i  conti  a  voi,  e  io  vi  comprerò 
cannoni  e  fregate  ». 

Con  questa  facoltà,  che  attendo  il  più  presto  possibile,  il  prestito  è  fatto. 

Ora  ad  altro  : 

Sapete  che  Medici  non  ha  voluto  attendere  alla  spedizione  dell'  Umbria  e  delle 
Marche.  Egli  ha  creduto  fare  bene,  stando  anche  un  po'  troppo  con  La  Farina. 

Cosenz  rimane  per  quell'impresa,  se  l'approvate,  e  per  passare  negli  Abruzzi. 
Egli  è  con  me. 

Ora,  in  mome  suo,  vi  prego  di  scrivermi  quando  credete,  che  sia  il  momento 
opportuno  per  incominciare  e  dove.  Io  me  l' immagino,  che  risponderete  subito  ;  ed  io 
vi  dico,  che  subito  è  impossibile.  Ci  vogliono  altri  1 5  giorni,  e  poi  sarà  cosa  che  fatta 
in  nome  vostro  e  del  vostro  grido  di  guerra,  sarà  degna  di  entrambi. 

Rispondete  quindi,  di  grazia,  che  volete  il  molo  e  la  vittoria  il  più  presto,  e 
completa  possibile. 

Vi  manderemo  altre  armi  e  munizioni  ed  armati,  se  ne  vorrete  ancora,  ma  fate 
grazia,  fate  unico  centro  presso  il  vostro  incaricato. 

Ho  ricevuto  anche  la  vostra  lettera  del  31    maggio,  la  prima  da  Palermo. 

Sono  avvertito  da  un  negoziante  di  Londra,  che  furono  là  comprati  e  si  cercavano 
mezzi  di  trasporto  per  70  mila  fucili  in  Sicilia.  Si  sospetta  una  compra  ed  una  mena 
Napoleonica.  All'  erta  ! 

All'erta  col  La  Farina  e  compagnia! 

Eccovi  l'ultima  parola  per  ora  del  Vostro  affezionato 

AGOSTINO  BERTANI 

Il  Bertani  scriveva  nello  stesso  foglio  quest'  altra  lettera  : 

Caro  Generale, 

Ho  trovato  chi  mi  darebbe  qui  fondi  con  tratta  sopra  voi  costì.  Fatemi  grazia, 
avvisate,  col  mezzo  il  più  pronto  possibile,  il  signor  Gerolamo  Tessi  di  Malta,  agente 


L'OPERA  DI  AGOSTINO  BERTANI  119 

della  Casa  Rocca  di  qui,  se  accetterete  e  soddisferete  le  mie  tratte  e  fino  a  qual  somma. 
Rocca  è  disposto  con  altro  banchiere,  il  Parodi,  per  qualche  milione.  Appena  avuto 
l' avviso  telegrafico  del  Tessi  qui,  io  toccherò  i  denari.  Intanto,  si  organizzerà  il  prestito 
alquanto  meglio. 

Dietro  consiglio  di  persone  capaci,  vi  propongo  i  due  Decreti  uniti.  Ne  ricono- 
scerete l'importanza.  Ogni  ostacolo  è  sgombrato  e  voi  rimarrete   padrone  del  campo. 

Oltre  e  meglio  che  coi  fucili  già  proposti,  vi  posso  forse  nel  mese  far  avere  costì 
100  mila  fucili  tutti  eguali,  buoni,  ed  a  discreto  prezzo.  Ma  fondi  e  prestito  e  regolare 
autorizzazione  per  esso. 

Rispondetemi  di  grazia,  sono  momenti.  Voi,  armi  e  libertà  in  Sicilia,  e  V  Italia 
sarà  fatta  in  quattro  e  quattro  otto. 

Vostro 
A.  BERTANI 


«  Considerando  che  la  Causa  Nazionale,  che  si  agita  in  Sicilia  ha  bisogno  di 
grandi  mezzi  per  trionfare  ; 

»  Considerando,  che  non  solo  gì'  Italiani  per  la  solidarietà  d' interessi,  ma  altri 
popoli,  sentendo  il  debito  di  aiutare  una  causa  giusta  e  generosa,  vogliono  concorrere 
a  questa  opera; 

»  Considerando,  che  per  evitare  le  dispersioni  dei  fondi,  e  somministrare  le  mag- 
giori garanzie  agli  offerenti,  interessa  stabilire  un  solo  centro  fuori  dell'  Isola,  incari- 
cato di  raccogliere  ed  erogare  questi  mezzi  ; 

»  IL  DITTATORE  DECRETA: 

»  Art.  !'')-£  instituito  in  Genova  un  unico  centro  per  le  finanze  della  Sicilia 
fuori  dell'  Isola  ; 

»  Art.  2°)  -  A  questo  è  data  facoltà  di  promuovere  le  sottoscrizioni,  ricevere 
e  riunire  tutte  le  somme  offerte  in  qualsiasi  luogo  sì  dai  privati  che  dai  corpi  morali, 
contrarre  prestiti  tanto  in  Italia  che  fuori,  e  prestare  tutte  quelle  garanzie,  che  saranno 
specialmente  indicate  ; 

»  Art.  3°)  -  Il  dott.  Agostino  Bertani  viene  proposto  alla  direzione  di  questo 
ufficio  col  titolo  di  Ricevitore  Generale. 

»  In  virtù,  etc. 

»  Visto  il  Decreto  etc. 

»  IL  DITTATORE  DECRETA: 

»  Articolo  unico  -  Il  dott.  Agostino  Bertani,  Ricevitore  Generale  per  le  Finanze 
della  Sicilia  fuori  dell'  Isola,  è  munito  di  pieni  poteri  per  provvedere  quanto  occorre 
all'  armamento  completo  dell'  Isola  ». 


120  DISSIDI  DOPO  LA  PARTENZA  DI  GARIBALDI 

Il  bisogno  di  fondi,  intanto,  aumentava  ed  il  Bertani  in  data  del  I  2  spediva 
al  suo  amico  avv.  Sulliotti  di  Cagliari  un  telegramma,  che  questi  inviava  al  Generale 
con  la  seguente  lettera  : 

Cagliari,   17  giugno  1860. 
Il  imo  sig.  Generale, 

Fino  dal  12  ho  ricevuto  l'accluso  dispaccio  n.  15899,  con  incarico  di  rimetterlo 
prontamente  alla  S.  V.  III. ma  in  Palermo.  Per  mancanza  di  occasione  non  lo  potei 
mandare  prima  ;  ora  profitto  della  partenza  dell'  "  Icnusa  „  per  compiere  tanto  dovere.  Altra 
copia  ne  ho  consegnata  al  capitano  Cianciolo,  il  quale  è  partito  ieri  dal  nostro  porto 
coi  vapori,  che  conducono  i  volontari  guidati  dal  colonnello  Medici.  Il  Cianciolo  è 
incaricato  di  una  missione  presso  la  S.  V.  e  a  questo  scopo  è  partito  il  1 0  da  Genova  ; 
voglio  augurarmi  arriverà  prima  della  presente  alla  sua  destinazione. 

Attendo  un  cenno  di  riscontro  per  accusarmi  recapito  della  presente,  onde  io  ne 
possa  telegraficamente  avvertire  il  deputato  Bertani  ;  attendo  pure  qualsiasi  ordine  dalla 
S.  V.  per  trasmetterlo  nello  stesso  modo  alla  sua  destinazione,  essendo  stato  di  tanto 
incaricato  dallo  stesso  dott.  Bertani.  Ho  l'onore  di  dirmi  della  S.  V.  Illma 

Dev.mo  Servitore 
Aw.  ANNIBALE  SULLIOTTI 
Dispaccio  del  Bertani: 

Avo.  Sulliotti  -  Cagliari 

Mandate  con  qualunque  spesa  il  seguente  dispaccio  a  Palermo  al  generale  Garibaldi. 
«  Presentatevi  alla  Casa  Ingham  e  Whitaker  ed  l.  e  V.  Florio  ;  fatevi  dare  cre- 
denziali o  tratte  Inghilterra  e  Francia  a  mio  favore,  intendetevi  costì  con  i  medesimi 

per  l'equivalente.  Urge  danaro  ». 

BERTANI 

Le  speranze  riposte  sul  Cosenz  per  1'  invasione  dello  Stato  pontificio  erano 
svanite  ;  ma  il  Bertani  spera  ancora  nella  parola  autorevole  di  Garibaldi  e  scrive 
la  seguente  lettera.  (Si  veggano,  in  proposito,  le  due  lettere  del  Cosenz  a  Gari- 
baldi del  9  e    10  sopra  trascritte). 

SOCCORSO  A  GARIBALDI 

Genova,  li   17  giugno   1860. 

CASSA   CENTRALE   IN    GENOVA  ^     ^ 


Caro  Generale, 

Vi  mando  il  primo  vapore,  che  farà  le  corse  quanto  più  regolari  sarà  possibile, 
fra  qui  e  Palermo.  Vedete  che  ci  adoperiamo. 


^^^^^'OXSOJ^  §^\IMV"  ^^^^  ^'f'UA^^   YS-^ 


C0v^^  /c-xjuAy^^ 


-1 


A^<^/^    c.t^/^    ./r~/A'      l^^XyiuA'   lA^i 


^O^/ZilJ^     ^^^^^'^r/Ay^'  j^^'cA^ 


J^^A^  '  cj  <i/Uc^^^(y^i  '  '^iyr^f  \n/t^UcJ 


-V 


U 


//j    ^  /   '       ,^ 


Agostino  Beitani  a  Garibaldi,  8  giugno    1860; 
presenta  Antonio  Mordini  al  Generale  e  dà  dei  giudizi  su  La  Farina  e  Cavour.  (Vedi  pag.  1  16). 


L'OPERA  DI  AGOSTINO  BERTANI  121 

Vi  confermo  le  mie  antecedenti  e  vi  raccomando  ogni  cosa. 

Ribotti  mi  fa  dire  di  abboccarmi  con  Cavour  per  irìtendersela.  Vorrebbero  ravvi- 
cinarsi a  Voi.  Io  vorrei  mettere  per  condizione  la  libera  e  consentita  invasione  del  ter- 
ritorio pontificio.  Ma  voi  raccomandatelo,  ve  ne  prego,  imponetelo  a  Cosenz,  che 
ritornò  oggi  da  Torino,  freddo  come  un  ghiaccio  per  l'Umbria  e  Marche  per  l'influenza 
governativa. 

Dipende  dalla  vostra  parola  i  avere  Cosenz  con  noi  o  di  lasciarlo  andare  ai  suoi 
destini  e  fare  senza  di  lui. 

L'  Avvocato  Ponte  è  il  corriere  che  ritornerà  coi  vostri  dispacci  a  me.  Dipen- 
derà dai  vostri  ordini  la  sua  partenza  e  la  strada  che  prenderà  per  ritornare.  Appena 
avuti  un  po'  di  denari  da  costì  avrete  nitro,  polvere  e  piombo. 

1  fucili  viaggeranno  nella  prossima  settimana  da  Londra  a  qui.  Li  avrete,  i  primi 
30  mila,  a  buonissimo  prezzo  e  buoni,  benché  riformati.  I  secondi  a  prezzi  conve- 
nienti e  bene  riformati.  Potete  contare  per  il  15  di  luglio,  se  ho  denari,  di  avere 
costì   100  mila  fucili.  Al  resto  penso. 

Ma  serbatemi  I'  unità  di  potere  in  nome  vostro.  Ve  ne  scongiuro. 

Con  affetto  vostro 
A  BERTANI 


A  dimostrare  ancora  più  lo  stato  d'  animo  del  Bertani  in  quei  giorni, 
durante  i  quali  egli  avrebbe  voluto  far  denaro  dai  sassi  ed  il  dolore  che  pro- 
vava, vedendo  che  le  somme  raccolte  non  andavano  a  lui,  è  caratteristica  la 
lettera  scritta  al  Generale  per  presentargli  un  inglese,  il  doti.  Callaway,  che 
veniva  raccomandato  a  Garibaldi  anche  dal  Panizzi  da   Londra. 


SOCCORSO  A  GARIBALDI 

Genova,  li   17  giugno   1860. 

CASSA   CENTRALE    IN    GENOVA  ^     *" 


Caro  Generale, 

Vi  presento  il  sig.  doti.  Callaway,  inglese,  raccomandato  dal  comune  amico 
Panizzi.  Egli  vi  porta  dei  danari. 

Gli  inglesi,  sempre  eccentrici,  vogliono  portare  Vasi  a  Samo  e  denaro  a  Voi, 
quindi  non  ho  potuto  ottenere  lasciasse  qui  il  suo  denaro. 

Se  voi  poteste  persuaderlo  a  scrivere  ai  suoi  compaesani  che  paghino  a  me,  sarebbe 
ottima  cosa. 

Vostro 
A.  BERTANI 


122  DISSIDI  DOPO  LA  PARTENZA  DI  GARIBALDI 

Antonio  Panizzi  a  Garibaldi. 

British  Museum,   4  giugno   1860. 
Mio  illustre  e  caro  Amico, 

Il  signor  Tommaso  Callaway,  che  ti  recherà  la  presente,  è  ammiratore  caldissimo 
tuo,  amatore  della  nostra  Italia  e  nemico  acerrimo  dei  despoti  di  tutto  il  mondo.  EgU 
viene  a  raggiungerti  per  servir  la  causa,  come  potrà  meglio.  È  chirurgo  di  professione  ; 
ma  è  agiato  di  beni  di  fortuna  ;  ha  viaggiato  molto,  servito  nelle  truppe  ed  è  pronto 
a  far  di  tutto  per  servirti.  Lo  troverai  franco,  onesto  e  sincero  amico  nostro.  Spero  che 
i  suoi  servigi  ti  possano  tornare  utili. 

Dio  ti  mantenga  salvo  per  la  salute  e  l'onore  della  nostra  patria!  Credi  all'ammi- 
razione, stima  e  rispetto,  che  nutre  per  te 

il  tuo  sincero  amico 
A.  PANIZZI 

Bertani  nelle  lettere  del  25  maggio  e  del  1°  giugno  a  Garibaldi  aveva 
scritto  della  sorte  toccata  allo  Zambianchi.  Intorno  a  questa  spedizione,  che  è 
stata  chiamata  una  diversione,  ne  scrisse  anni  fa  il  generale  Pittaluga  e  più 
recentemente  l' egregio  e  colto  capitano  Del  Bono  dell'  Archivio  storico  dello 
Stato  Maggiore,  nonché  il  senatore  Cadolini.  Sul  proposito  è  importante  la 
seguente  lettera  inedita  del  garibaldino  Cesare  Orsini,  che  poi  si  battè  da 
prode  in  Sicilia,  al  suo  colonnello,  che  ritengo  fosse  Benedetto  Cairoli. 

Dalle  carceri  di  Fortezza  da  basso. 

Firenze,  4  giugno  1860. 
Mio  Colonnello, 

Già  Ella  sarà  informato  della  spedizione  Zambianchi  ;  io  però  non  voglio  man- 
care al  mio  dovere,  che  credo  di  essere  quello  di  darle  alcuni  dettagli  su  ciò  che 
riguarda  il  modo  con  cui  ci  ha  guidati  il  nostro  Capo. 

Non  so  quali  fossero  le  istruzioni,  che  egli  aveva  ricevuto  dal  Generale,  ma  certo 
erano  o  di  passare  il  confine  o  no.  Nel  primo  caso,  noi  dovevamo  gettarci  nella  mac- 
chia della  Maremma,  lasciare  da  parte  i  paesi  abitati  e  giungere  ad  Orvieto,  dove 
vi  era  un  solo  distaccamento  di  25  gendarmi  ;  oppure,  ingrossata  la  colonna  colla  com- 
pagnia di  Sgarallino,  che  veniva  da  Livorno  con  altri  volontari  armati,  che  l' infatica- 
bile Siccoli  ci  spediva  continuamente,  arrivare  a  Viterbo,  dove  vi  era  un  battaglione 
di  Cacciatori  indigeni,  che  è  il  più  mal  visto  dal  Governo  papale,  perchè  è  composto 
di  gioventù  bravissima.  In  questi  due  punti  avremmo  vinto  sicuramente  e  ci  sarebbe 
stato  facile  lo  sviluppare  l' elemento  rivoluzionario  e  formare  subito  una  colonna  di  2000 
uomini.  Nulla  di  ciò  fu  fatto! 


L'OPERA  DI  AGOSTINO  BERTANI  123 

Nessuna  comunicazione  tenne  Zambianchi  col  Bertani,  ne  cogli  altri  amici  del 
Generale.  Egli  si  slanciò  verso  il  confine  a  marcie  trionfali  ed  /  solili  canti  ed  evvica, 
visite,  pranzi,  toast,  eie,  in  tutti  i  paesi  della  Maremma.  A  Scanzano  tre  giorni  di 
inutile  fermata  ;  a  Petigliano  otto  ;  non  aveva  relazioni  nell'  interno  ;  non  aveva  una 
spia  da  potersi  fidare,  ma  grandi  rodomontate,  vittorie  in  aria  etc.  lo  mi  sforzavo  a 
metterlo  nella  via  più  prudente,  ma  sempre  inutilmente.  Intanto  il  Governo  pontificio, 
avvertito,  fece  muovere  un  reggimento  di  Svizzeri  da  Civitavecchia  ed  un  altro  da 
Roma;  cosicché  le  due  vie  di  Orvieto  e  Viterbo  ci  erano  tagliate.  Nonostante  egli 
voleva  passare  il  confine  e  lo  passò. 

Noi  tutti  eravamo  contenti,  perchè  volevamo  almeno,  anche  morendo  infruttuo- 
samente, che  il  Generale  vittorioso  in  Sicilia  non  avesse  potuto  lamentarsi  di  noi. 
Invece  di  percorrere  quella  seconda  strada  coperta,  e  così  sorprendere  qualche  punto 
dei  nemici;  invece  di  usare  tutte  quelle  astuzie  necessarie  ad  una  piccola  colonna, 
che  va  incontro  a  due  o  tre  reggimenti  regolari,  Zambianchi  camminò  diritto  sulla  via 
maestra,  come  un  corpo  che  va  ad  una  parata.  Alle  Grate  io  entrai  con  venti  uomini 
nel  paese,  che  alle  prime  si  mostrò  favorevole  e  ci  somministrò  i  viveri  etc...  Zambianchi 
intanto,  sceglieva  fuori  del  paese  e  lungo  la  via  uno  spazio  dove  accampare  la  colonna. 
Appena  trovatolo,  fece  fare  i  fasci,  e  senza  curarsi  ne  di  posti  avanzati,  ne  di  guardie, 
di  nulla  infine,  lasciò  che  Uffiziali  e  soldati,  tutti,  abbandonassero  le  armi  ed  entrassero 
in  paese. 

Io  che  mi  trovavo  colà,  incaricato  di  spedire  i  viveri  al  campo,  mi  vidi  addosso 

questa  invasione  di  truppa,  che  subito  si  sbandò    dirigendosi  ai  caffè,    bettole    etc 

senza  disciplina,  perchè  Zambianchi  non  aveva  saputo  acquistare  il  prestigio,  che  vale 
assai  più  di  tutti  i  codici  militari.  Mi  accingevo,  dopo  due  ore  di  fermata,  a  requisire 
armi  e  cavalli,  quando  all'  improvviso  entra  in  paese  uno  squadrone  di  gendarmi  a 
cavallo,  con  alla  testa  il  colonnello  Pimondan  francese,  e  vari  Uffiziali.  Essendosi 
avveduti  che  ci  avevano  colto  di  sorpresa,  s' imbaldanzirono  e  cominciarono  a  correre 
pel  paese,  scaricando  colpi  a  destra  ed  a  sinistra,  senza  però  ferire  nessuno.  Perchè 
sono  sempre  i  soldati  del  Papa. 

I  primi  a  far  fuoco  furono  i  pochi  uomini,  che  aveva  raccolto  io  sulla  piazza  e 
che  seppero  dirigere  così  bene  i  loro  colpi,  che  atterrarono  cinque  o  sei  gendarmi. 
Appena  inteso  il  nostro  grido  di  allarme,  tutti  accorsero  a  prendere  le  armi  ;  alcuni  non 
poterono,  perchè  era  intercettata  una  parte  della  strada  ed  allora  gli  posso  giurare, 
che  i  soldati  hanno  mostrato  di  essere  veri  soldati  di  Garibaldi,  poiché  chi  con  baionetta, 
chi  con  sciabola,  con  sedie  dei  caffè,  tavolini  ecc.  pugnarono  con  un  esito  tale  da 
sbalordire  ;  sempre  però  facendosi  scudo  dell'  ignoranza  e  viltà  dei  nemici.  I  tenenti 
Guerzoni  e  Licardi,  essi  soli  furono  gli  eroi  della  pugna,  perchè  armati  di  un  solo 
revolver,  alla  intimazione  di  arrendersi  fattagli  dal  colonnello  francese,  risposero:  "  I soldati 
di  Garibaldi  muoiono,  ma  non  si  arrendono  ,,.  Poscia,  fatte  le  loro  scariche  di  revolver 
scavalcarono  5  gendarmi  ed  un  uffiziale.  A  tal  vista  il  resto  fuggì  e  cadde  in  mano  di 
altri  nostri  soldati  sparsi  qua  e  là  ;  25  morti  lasciarono  sul  terreno  i  gendarmi,  molti 
feriti  e  12  cavalli  in  nostro  potere.  Noi,  un  ferito  gravemente  e  quattro  leggermente. 
La  popolazione  ci  faceva  fuoco  dalle  case.  Sono  tutti  preti  e  basta  ! 


124  DISSIDI  DOPO  LA  PARTENZA  DI  GARIBALDI 

Dopo,  il  Colonnello  per  tema,  diceva,  di  essere  circondato  dagli  svizzeri  si  ritirò 
nuovamente  in  Toscana,  dove  fu  ordinato  lo  scioglimento  e  disarmo  della  colonna.  Io 
non  mi  opponevo,  ma  almeno  esigevo  che  ciò  fosse  fatto  con  dignità.  Un  giorno  dopo 
tale  imposizione,  partì  solo,  lasciando  la  colonna  in  balìa  non  si  sa  di  chi,  ma  si  può 
dire  delle  truppe  Piemontesi. 

L'incaricalo  del  Re  ci  promise  che  non  saremmo  siati  molestati  e  siamo  slati  tutti 
incarcerati.  Ecco  come  il  Governo  ricompensa  gli  sforzi  del  Generale  ! 

Intanto,  io  la  prego  di  accettare  questa  mia  narrazione  fatta  senza  alcuna  pretesa, 
ma  collo  scopo,  che  il  generale  Sirtori,  Bixio  e  lei  conoscano  la  verità,  e  che  quando 
da  qui  a  pochi  giorni,  se  sarò  liberato,  potrò  raggiungerli  in  Sicilia,  non  si  creda  che 
alcuna  responsabilità  tocca  a  me  ed  ai  miei  compagni  del  mal  esito  della  spedizione. 

Mi  creda  di  cuore 

Suo  Vero  amico  e  sertìo 
CESARE  ORSINI 


li  documento  che  segue,  anch'  esso  riguardante  la  spedizione  Zambianchi, 
è  scritto  da  Stefano  Siccoli  ;  quel  garibaldino  che  era  stato  mozzo  di  Garibaldi 
quando  questi  comandava  la  "  Carmen  ,,  e  che  poi  raggiunse  il  Generale  in 
Sicilia,  seguendolo  in  tutta  la  campagna  fino  a  Napoli  mancante  di  una  gamba, 
che  gli  era    stata  amputata  in  America. 

Forze   delle   quali  disponeva  il  colonnello   Zambianchi  alla   sua   entrata   nello    Stato 
Romano.  (Ne  Malenchini,  ne  Dolfi  vollero  appoggiare  l'impresa!) 

237  uomini,  uniformati  con  blouse  rossa  e  buffetterie. 

130  fucili  a  fulminante. 

22  carabine  dei  bersaglieri. 

40  moschettoni  di  cavalleria. 

50  fucili  a  pietra. 

20  fucili  da  caccia. 

13  pistole  a  pietra. 

8  revolvers. 

1  cassa  di  granate  a  mano. 

15000  cartucce  col  loro  fulminante. 

2000  fulminanti  di  riserva. 

2000  lire  in  mano  al  Comitato  di  Grosseto  da  me  istituito. 

Maggiore  STEFANO  SICCOU 


CAMILLO   BENSO  DI   CAVOUR 


CAPITOLO  Vili. 


LA  POLITICA  DEL  CONTE  DI  CAVOUR  NEL  1860. 
L'UOMO  DI  STATO  E  L'EROE. 


*  Lasciate  che  dicano  !  Non  siamo  noi  abbastanza  contenti  di  aver  fatto 
ciò  che  facemmo?  E  se  domani  volessero  scrivere,  che  Cavour  comandava  il 
Piemonte  ,,  e  Farini  il  "  Lombardo  ,, ,  che  ne  importerebbe  a  noi?  Purché 
facciano  1'  Italia  o  purché  la  lascino  fare  a  noi,  noi  stessi  diremo  che  fecero 
tutto  essi.  Addio  !  Tenete  desti  i  vostri  compagni  di  Pisa  e  arrivederci  sulla 
via  di  Roma  !   » 

Così  nel  1 865  Garibaldi  rispondeva  ad  un  suo  giovine  ospite,  che  in 
Caprera  lo  pregava  gli  dettasse,  nell'  interesse  della  verità,  la  storia  della  spe- 
dizione dei  Mille. 

Da  queir  epoca  fino  ad  oggi  si  è  discusso  e  polemizzato  intorno  all'aiuto, 
che  il  conte  di  Cavour  avrebbe  dato  alla  partenza  della  gloriosa  impresa 
garibaldina,  che  rappresenta  l' avvenimento  più  audace  del  secolo  XIX,  il  fatto 
più  memorabile  nella  vita  dell'  eroe. 

•«  La  storia  ricorderà  le  virtù  del  gran  Capitano,  la  strategia  e  le  risorse 
nel  campo  di  battaglia,  il  coraggio  col  quale  seppe  vincere  un  nemico  dieci 
volte  superiore  di  forze,  ma  l'  epopea  di  Garibaldi,  il  suo  grande  poema  è  la 
campagna  del  1860.  Dittatore  e  Capitano,  libero  delle  sue  azioni,  ha  provato 
quanto  egh  sapeva  e  quanto  poteva  ». 

Dopo  cinquant'  anni,  credo  che  la  storia  possa  essere  fatta  senza  preoc- 
cupazioni ;  come  risulta  al  lume  della  critica  ed  all'  esame  dei  documenti  già 
noti  e  di  quelli  rimasti  inediti.   Che  se,  per  avventura,  la  verità  tornerà  sgradita 


'  F.  Crispi  -  Garibaldi.  Profilo  in  «  Nuova  Antologia  »,  giugno   1882. 


126  LA  POLITICA  DEL  CONTE  DI  CAVOUR  NEL  1860 

ad  alcuni,  non  potrà  mai  oscurare  la  gloria  o  menomare  la  gratitudine ,  che 
ogni  italiano  sente  per  il  grande  che  riposa  a  Santena,  per  il  sommo  uomo  di 
Stato,  la  cui  figura  è  ormai  entrata  nel  dominio  della  storia,  come  quella  di  uno 
dei  massimi  fattori  della  redenzione  della  patria. 

Chi  oserebbe  disconoscere  i  grandi,  gli  immensi  servigi  resi  dal  conte  di 
Cavour  alla  grandezza  d'  Italia?  Ma  la  grandezza  d'  Italia  fu  nella  mente  del 
primo  Ministro  di  Vittorio  Emanuele  II,  nei  primi  anni  in  cui  egli  resse  le  fila 
del  Governo,  quella  sognata  da  Giuseppe  Mazzini  nelle  cospirazioni  e  nell'esilio  ; 
voluta  da  Garibaldi  fin  da  quando,  lasciate  le  terre  d'America,  ancora  echeggianti 
degli  atti  di  eroismo  compiuti ,  veleggia  cogli  avanzi  della  sua  Legione  verso 
la  patria? 

«  L*  unità  d'  Italia,  sognata  da  principio  dal  conte  di  Cavour  non  era 
r  Italia  una.  Essa  era  ancora  il  regno  di  Eugenio  Beauharnais  :  un'  Italia  ben 
diversa  da  quella,  che  con  l'apostolato  mazziniano  fu  creata  dalla  rivoluzione».' 

L'  unità  d'  Italia  anelata  dagli  uomini  del  partito  di  azione  —  a  che  il 
negarlo  ?  —  era  ritenuta  dal  Ministro  piemontese  un  sogno  irrealizzabile ,  il 
prodotto  di  menti  esaltate. 

Il  19  settembre  del  '56  Giorgio  Pallavicino  scriveva  a  Daniele  Manin: 
«  Le  cose  nostre  prendono  una  piega,  che  non  mi  garba.  I  Murattisti  acqui- 
stano forza  di  giorno  in  giorno ,  ed  io  non  dubito  di  segrete  intelligenze  fra 
Murat  ed  il  Ministero  sardo.  Noi  siamo  in  uggia  ai  Ministri  del  Re,  pei 
quali  il  concetto  dell'  "  unità  italiana  ,,  è  un  vero  spauracchio.  Intanto,  si 
lusinga  il  bravo  Garibaldi,  per  corbellarlo  in  appresso.  Mi  duole  all'  anima 
per  quel  valentuomo,  il  quale  presta  fede  alle  parole  di  Camillo  Cavour. 
Senza  un  cambiamento  di  Ministero  in  Piemonte,  V  Italia  non  si  farà  in  eterno  : 
abbilo  per  Vangelo  » .  E  nell'  epistolario  fra  il  Pallavicino  e  Daniele  Manin, 
pubblicato  dal  Maineri,  in  una  nota  dello  stesso  Pallavicino,  si  legge  :  «  Cavour, 
in  seguilo,  sforzato  dagli  avvenimenti,  contribuì  a  fare  V  Italia,  ma  suo  mal- 
grado e  in  qual  modo  ?  » .  Più  tardi ,  il  primo  ottobre  dello  stesso  anno ,  il 
martire  dello  Spielberg,  scriveva  :  «  Noi  abbiamo  nel  piemontesismo  un  nemico 
sommamente  pericoloso,  un  nemico  implacabile.  I  Piemontesi,  tutti  i  Piemontesi 
—  dal  conte  Solaro  della  Margherita  all'  avvocato  Angelo  Brofferio  — 
sono  macchiati  delta  stessa  pece.  All'  Italia  con  una  metropoli:  Roma,  essi 
preferiscono  un' Alta  Italia  con  due  capitali:  Torino  e  Milano.  Camillo  Cavour 


'  Italo  Raulich  -  In  «  Rassegna  Contemporanea  »,   1909. 


V  UOMO  DI  STATO  E  V  EROE  1 27 

è  piemontesissimo !..  Allora  solo  noi  potremo  avere  speranza  d'incatenarlo 
al  nostro  carro,   quando  gli  avremo  posto  il  coltello  alla  gola.  » 

La  corrispondenza  di  quell'  epoca  fra  i  due  grandi  patrioUi  è  del  più 
alto  interesse.  In  una  lettera  di  Manin  in  data  27  settembre ,  si  dice  : 
«  Cavour  è  una  grande  capacità  ed  ha  una  fama  europea.  Sarebbe  grave 
perdita  non  averlo  alleato;  sarebbe  gravissimo  pericolo  averlo  nemico.  Credo 
bisogna  spingerlo  e  non  rovesciarlo.  Conviene  lavorare  incessantemente  a  for- 
mare r  opinione.  Quando  V  opinione  sarà  formata  ed  imperiosa,  sono  persuaso 
che  ne  farà  la  norma  della  sua  condotta  » .  E  più  oltre  soggiunge  :  «  Se  in 
seguito,  la  pubblica  opinione  domanderà  imperiosamente  V  impresa  italiana,  e 
Cavour  vi  si  rifiuterà,  allora  vedremo.  Ma  io  credo  Cavour  troppo  intel- 
ligente e  troppo  ambizioso  per  rifiutarsi  all'  impresa  italiana,  quando 
la  pubblica  opinione  la  domandasse  imperiosamente.  »  E  si  rilegga 
pure  nello  stesso  epistolario  la  lettera ,  che  Pallavicino  dirigeva  a  Cavour  il 
25  giugno  1860,  che  termina  con  le  seguenti  parole:  «  Oggi,  per  sommo 
beneficio  della  Provvidenza,  V  eroica  Sicilia  vi  offre  V  occasione  d' impegnarvi 
alla  causa  patria  con  uno  di  quegli  atti  d'italianità  splendidi  e  solenni,  che 
non  lasciano  altrui  balìa  di  retrocedere  ;  afferratela,  e  avrete  salvato  V  Italia  /  » .  ' 

In  verità,  fu  soltanto  verso  la  seconda  metà  del  1 860,  che  1'  unità  d'Italia 
cominciò  ad  apparire  nella  mente  di  Cavour  di  esito  probabile.  In  una  nota 
lettera,  inviata  il  3  agosto  di  quell'  anno  al  Cabella,  Cavour  afferma  che  «  se 
la  grande  impresa  era  reputata  un  utopia  due  anni  avanti,  ora  poteva  dirsi 
di  esito  probabile  »/ 

In  un'altra  lettera,  pur  essa  pubblicata  e  diretta  al  Rattazzi,  nel  '56, 
all'  epoca  del  Congresso  di  Parigi,  si  dice  :  «  Ho  avuto  una  lunga  conferenza 
con  Manin  :  è  sempre  un  utopista,  non  ha  dimesso  1'  idea  di  una  guerra  schiet- 
tamente popolare,  crede  all'  efficacia  della  stampa ,  in  tempi  procellosi  ;  vuole 
V  unità  d' Italia  ed  altre  corbellerie  ;  ma ,  nullameno ,  al  caso  pratico ,  se  ne 
potrebbe  tirar  partito  ».■' 

Il  nome  di  Roma  è  nel  cuore  di  Garibaldi  e  di  Mazzini  fin  dalla  fine 
del  1 848.  Cavour  fìssa  gli  occhi  su  Roma,  dopo  che  gli  austriaci  erano  già 
stati  cacciati  dalla  Lombardia  ;  quando  era  avvenuta  l' annessione  dell'  Italia 
Centrale  e  la  liberazione    del    regno  delle   due  Sicilie  ;   quando,   come    ebbe    a 


'  Daniele  Manin  e  Giorgio  Pallavicino.  «  Epistolario  politico  ».  Milano,  1878,  pag.  430. 
*  A.  Luiio  -  La  Spedizione  Medici-Cosenz.  In  *  Lettura  »,  giugno  1910,  pag.  491. 
'  E.  Oilivier  -  L'Empire  Liberal.  C.  IV.  pag.  5%. 


128  LA  POLITICA  DEL  CONTE  DI  CAVOUR  NEL  1860 

scrivere  Gaspare  Finali,   «  il  proclamare  Roma  futura  capitale  d'Italia  era  una 
necessità  storica  e  politica,  che  non  poteva  sfuggire  al  suo  sagace  intelletto  ».' 

Che  se,  rispetto  a  Roma,  secondo  1'  uomo  illustre  ora  citato,  Bettino 
Ricasoli  va  innanzi  a  Cavour  ;  un  altro  uomo,  io  affermo,  va  innanzi  a  Cavour 
rispetto  alla  liberazione  del  Mezzogiorno  :  e  questi  è  Luigi  Carlo  Farini.  Che 
se  gli  entusiasmi  del  Farini  durante  la  campagna  di  Sicilia  s'  intiepidirono,  ciò 
avvenne  appunto  quando  egli  entrò  a  far  parte  del  Governo  con  Cavour,  e 
subì  r  influenza  di  questi. 

L'  ideale  nasce  grande  nell'  animo  di  Garibaldi  e  tale  esso  resta,  sia  che 
lo  allieti  il  sorriso  della  fortuna,  sia  che  lo  conturbi  la  palla  di  Aspromonte  ; 
r  ideale  nella  mente  di  Cavour  diventa  grande,  mano  mano  che  il  partito  di 
azione,   creato  dall'  apostolato  di  Giuseppe  Mazzmi  lo  ha  reso  reahzzabile. 

Cavour,  fu  detto,  concepiva  la  grandezza  d'  Italia  non  come  un  concorso 
equanime  di  parti  alla  formazione  di  un  intero,  ma  come  un  Piemonte  ingrandito, 
come  una  dilatazione  piemontese,  e  Guerrazzi  sentenziava  :  «  L' Italia  è  troppa 
per  il  Piemonte  che  vuole  piemontizzare  » .  Neil'  uomo  di  Stato  è  il  partito,  la 
regione  che  domina  ;  nell*  eroe  è  solo  1'  ideale,  la  visione  di  un'  Italia  libera  dalle 
Alpi  al  Lilibeo.  Per  il  conseguimento  di  questo  ideale  egli  versa  il  suo  sangue  ; 
e  repubblicano,  si  spoglia  da  ogni  idea  preconcetta  di  dottrina  e  proclama  quel 
motto,   che  soltanto  poteva  unificare  la  patria  :    «  Italia  e  Vittorio  Emanuele  » . 

Ne  valsero  a  distoglierlo  da  questo  sacro  programma  la  ingratitudine  dei 
conservatori  o  le  disillusioni  patite  ;  né  la  tragedia  di  Aspromonte  o  le  rampogne 
del  partito  repubblicano,  che,  con  Giuseppe  Mazzini  alla  testa,  lo  accusava  di 
avere  rinnegata  l' antica  fede  e  di  essere  zimbello  della  monarchia. 

Questo  significa  essere  veramente  grande  !  Non  è  che  Cavour  mal  tollerasse 
r  ombra,  che  su  di  lui  gettava  la  gloria  di  Garibaldi  ;  ma  egli  non  voleva  che 
r  Italia  si  sottraesse  all'  egemonia  della  sua  regione  ;  che  il  partito  monarchico 
si  esautorasse  davanti  al  partito  unitario,  che  la  corona  d' Italia  fosse  messa  sul 
capo  del  suo  Re  dalle  mani  soltanto  del  popolo  e  della  rivoluzione  personi- 
ficati in  Garibaldi. 

*     * 

Per  quanto  riguarda  l' impresa  del  1 860,  in  verità,  si  può  comprendere 
il  desiderio  di  alcuni  di  voler  rivendicare  al  Cavour  il  merito  di  averla  voluta 


'  Gaspare  Finali  -  La  vtVa  politica  di  contemporanei  illustri,  pag.   143. 


L'UOMO  DI  STATO  E  L'EROE  129 

ed  aiutata  anche  alla  partenza  da  Quarto.  Sarebbe  certamente  bello,  il  poter 
aggiungere  ai  rami  di  cui  è  intessuta  la  corona,  che  cinge  la  fronte  del  primo 
ministro  di  Vittorio  Emanuele  li,  quella  e  più  ricca  fronda  di  quercia,  che 
germogliò  dall'  avvenimento  maggiormente  glorioso  del  nostro  Risorgimento  ;  ma 
non  si  può  giustificare,  come  ciò  non  essendo  possibile  dimostrare  sulla  base 
di  documenti  storici  inconcussi  ed  irrefragabili,  alcuni  se  ne  mostrino  quasi 
crucciati. 

Si  diano  pace  !  io  vorrei  poter  dir  loro  :  II  conte  di  Cavour  fu  un  grande 
uomo  politico  nel  senso  più  alto  della  parola,  il  più  grande  uomo  di  Stato  e 
diplomatico  del  suo  tempo,  il  discendente  più  vero  di  Niccolò  Machiavelli.  La 
sua  gloria  non  risiede  soltanto  nell'  aver  mandato  1'  esercito  del  piccolo  Piemonte 
alla  guerra  di  Crimea  ;  non  scaturisce  soltanto  dalla  parte  da  lui  presa  al  Con- 
gresso di  Parigi  od  al  convegno  di  Plombières,  dall'  aver  intimato  la  guerra 
all'  Austria  con  il  concorso  di  una  grande  potenza  ;  né  infine,  dall'  aver  saputo 
fare  della  questione  italiana  una  questione  europea.  La  sua  vera  e  maggiore 
gloria  è  1'  aver  saputo  incanalare,  nell'  interesse  della  dinastia  sabauda  e  dell'  Italia, 
le  onde  turbinose  della  rivoluzione,  dominato  e  disciplinato  elementi  discordi  e 
potenti,  r  aver  saputo  trarre  profitto,  con  l' acume  del  suo  alto  senno  politico, 
dei  sacrifizi  e  delle  vittorie  degli  uomini  del  partito  di  azione.  Questa  fu  la  sua 
missione  ;  per  questo  Camillo  Benso  di  Cavour  assurge  alle  più  alte  vette 
della  gloria  come  diplomatico  ed  uomo  di  Stato.  La  sua  figura  non  sarà  certa- 
mente mai  popolare,  perchè  egli  non  offrì  ne  la  sua  vita,  né  il  suo  sangue 
suir  altare  della  patria  ;  non  soffri  né  carceri,  né  esili  ;  ma  il  voler  fare  di  lui, 
perchè  acquisti  questa  popolarità,  un  personaggio  diverso  da  quello  che  fu  e 
che  doveva  essere  nell'interesse  d'Italia  significa  toglierlo  dal  posto,  dove  la 
Storia  lo  ha  messo  e  per  cui  il  suo  nome  vivrà  nella  memoria  delle  generazioni 
future.  Ed  io  penso,  che  se  il  grande  uomo  potesse  dal  sommo  dei  cieli  ritor- 
nare fra  i  vivi  non  plaudirebbe  certamente  all'  opera  di  coloro,  i  quali  oggi 
vogliono  quasi  raffigurarcelo  vestito  da  garibaldino. 


*     * 


Egli  è  vero,  che  quando  nell*  aprile  del  1 860  giunse  in  Torino  la  notizia, 
che  la  rivoluzione  era  scoppiata  in  Palermo,  Cavour  fece  chiedere,  per  mezzo 
del  Fanti  al  generale  Ribotti,  se  questi,  date  le  dimissioni  di  generale  piemon- 
tese,  volesse    recarsi    in  Sicilia  a   capitanare    l' insurrezione.    Ma    non  è  esatta 

CURÀTULO  9 


130  LA  POLITICA  DEL  CONTE  DI  CAVOUR  NEL  1860 

l'affermazione  del  generale  Pittaluga  *,  che  il  saggio  Rihotti  misurasse  la  por- 
tata ed  il  significato  dell'  incarico  offertogli  e  che,  col  semplice  buon  senso, 
facesse  cadere  nel  nulla  la  meditata  missione.  Ben  altra  fu  la  ragione  ;  essa 
r  apprendiamo  da  Calvino,  il  quale,  come  si  è  detto,  si  trovava  in  quell'  epoca 
capitano  di  Stato  Maggiore  nell'  Italia  Centrale,  al  seguito  del  generale  Ribotti  ; 
e  nessuno  meglio  di  lui,  che  del  Ribotti  era  amicissimo,  potè  sapere  come  erano 
andate  le  cose. 

Il  Calvino  nelle  sue  Note  sulla  spedizione  dei  Mille,  '  dopo  di  avere  nar- 
rato la  gita  del  suo  generale  a  Torino  per  intendersi  con  Cavour,  scrive  :  «  Dopo 
qualche  giorno,  Ribotti  ritornò  assai  malcontento,  avendo  trovato  Cavour  e  Fanti 
titubanti;  essi  volevano  aspettare  qualche  giorno  per  vedere  la  piega,  che  pren- 
devano le  cose  a  Palermo,  fiibotti  voleva  andar  subito,  perchè  diceva  essere 
assurdo  l' aspettare.  Tardando,  se  la  rivoluzione  avesse  vinto,  1'  aiuto  sarebbe 
arrivato  inutile;  come  sarebbe  stato  inefficace,  se  fosse  stata  già  spenta.  Allora 
(continua  il  Calvino)  dissi  al  Ribotti,  che  io  lo  avrei  seguito,  se  egli  si  fosse 
recato  in  Sicilia  ;  ma  poiché  ciò  non  avveniva,  e  sapendo  che  il  generale  Gari- 
baldi voleva  andarvi  a  capo  di  una  spedizione,  io  ero  risoluto  a  seguirlo.  Egli 
non  seppe  contraddirmi  ;  diedi  le  mie  dimissioni  gh  ultimi  giorni  di  aprile  I  860  e 
le  recai  io  stesso  a  Torino  col  rapporto  del  Ribotti  al  generale  Fanti,  il  quale 
tentò  invano  dissuadermi  per  il  pericolo  grande  dell' impresa  ». 

E  da  notare  d'altra  parte,  che  nell'  animo  del  conte  di  Cavour,  Gari- 
baldi non  aveva  lo  stesso  posto  del  Ribotti  !  Le  diffidenze  ed  i  sospetti  verso 
il  difensore  della  Repubblica  Romana,  verso  1'  uomo  che  tanto  fascino  eser- 
citava sul  popolo,  erano  tutt'  altro  che  svaniti  ;  in  quei  giorni,  ancor  più  egli 
ne  diffidava  per  l' interpellanza  presentata  dal  Generale  sulla  cessione  di  Nizza  ; 
interpellanza  svoltasi  nella  memorabile  seduta  del  1  2  aprile. 

Che  cosa  non  aveva  tentato  Garibaldi  per  impedire,  che  la  terra  che  lo 
aveva  visto  nascere  non  fosse  venduta  allo  straniero?  Dopo  di  avere  invano 
cercato  d' influire  sull'  animo  del  re  per  mezzo  del  Tiirr,  scrisse  lettere  di 
fuoco  agli  amici  lontani,  pregandoli  ad  affrettarsi  a  mandare  indirizzi  e  pro- 
teste. Al  Bovi  di  Bologna,  suo  compagno  d'  armi  d' America,  che  con  un 
braccio  amputato  Io  seguì  poi  nella  spedizione  di  Sicilia,  scriveva  la  seguente 
lettera  inedita  : 


*  Generale  Pittaluga  -  La  ditìersione.  Note  garibaldine  sulla  campagna  del  1 860,  pag.  46. 
"  In  Guardione  -  Loco  citalo. 


U  UOMO  DI  STATO  E  L- EROE  131 


Garibaldi  a  Paolo  Bovi. 

Torino,  6  aprile   1860. 


^aro 


Bovi, 


Abbisogno  dalla  città  di  Bologna  di  un  indirizzo,  che  esprima  il  desiderio  che 
il  Parlamento  non  sanzioni  la  vendita  vergognosa  di  Nizza  a  Napoleone.  Vedete  i 
nostri  amici  e  procurate  di  averlo  al  più  presto,  con  quante  firme  potete  e  lo  dirigerete 
a  me.  Lo  spero  dall'amicizia  vostra  e  dal  generoso  patriottismo  dei  nostri  bravi  Bolognesi. 

Vostro  sempre 
G.   GARIBALDI 

La  seduta  al  Parlamento  subalpino  del  12  aprile  1860  rimase  memorabile; 
essa  fu  recentemente  rievocata  dalla  penna  scultoria  del  senatore  Giovanni  Fal- 
della. «  La  melopea  di  Terenzio  Mamiani  serìtiva  la  traversata  delle  Acca- 
demie. La  melodia  della  \>oce  di  Garibaldi  era  di  uri  metallo  primitivo.  Ad  un 
tratto  quel  metallo  si  fa  corrusco:  —  Io  sarei  forse  più  adatto,  egli  annunzia, 
a  prendere  una  carabina,  che  non  a  discutere  alla  presenza  di  onorandissimi 
sapienti  —  ».'  Ed  il  Guerzoni  scrive  :  «  Il  Generale,  dopo  la  seduta  della  Camera, 
era  uscito  dal  palazzo  Carignano  con  V  anima  ribollente  d' ira  e  di  amarezza, 
nauseato  di  quella  politica  barattiera  e  codarda,  e  guardava  da  quell'  istante 
il  conte  di  Cavour  con  lo  stesso  occhio  con  cui  si  guarderebbe  colui,  che  ha  strap- 
pato dal  braccio  vostra  madre  e  l' ha  gettata  al  mercato  ».  ' 

Cavour  non  ignorava  questi  sentimenti  di  Garibaldi  ;  le  sue  diffidenze  si 
accrebbero  e  nell'eroe  popolare  egli  vide  d'allora  in  poi  il  più  potente  nemico 
suo  e  della  monarchia. 

E  noto  altresì,  che  quando  il  Generale  si  decise  a  partire,  le  notizie  venute 
dall'  isola  erano  sconfortanti.  Dopo  il  moto  di  Palermo  del  4  aprile,  al  suono 
della  campana  della  Gancia,  Fabrizi  aveva  scritto  da  Malta  le  due  seguenti 
lettere,   degne  di  essere  conosciute. 

Nicola  Fabrizi  a  Salvatore  Calvino. 

Malta,    19  aprile   1860. 
Carissimo  Calvirìo, 

Come  vi  preveniva  in  una  mia  di  or  sono  otto  giorni,  scoppiò  il  movimento  a 
Palermo  ed  alle  varie  notizie  degno,  ma  anticipò  di  quattro  giorni  il  convenuto,  dicesi 


'  G.  Faldella  -  La  Camera  dei  Deputati  nel  1860,  in  «  Nuova  Antologia  »,  1°  luglio  1909. 
''  G.  Guerzoni  -  Garibaldi,  voi.  II,  pag.   10. 


132  LA  POLITICA  DEL  CONTE  DI  CAVOUR  NEL  1860 

per  una  delazione  e  fu  origine  di  molti  danni,  e  forse  occasione  fatale  !  Messina  fu 
tardiva  a  seguirlo  ;  però  la  forza  vi  prese  un'  attitudine  atroce.  Si  cominciò  il  fuoco 
contro  un  paese  appena  agitato  ;  furono  scarcerati  i  ladri,  che  con  la  polizia  si  die- 
dero a  rubare  e  la  cittadella  scaricò  qualche  bomba  ;  ciò  gettò  il  terrore,  disperse,  e 
fece  abbandonare  la  città.  L'ottimo  Rosalino  {Pilo)  col  suo  compagno  (Corrao)  arri- 
varono r  1 1  a  notte,  ricoverandosi  in  un  paese  quasi  sconosciuto  ed  è  Rosalino  che 
ci  scrive.  Potete  figurarvi  l'ambascia  dell'animo  nostro!  Aspettiamo  per  istruzioni  un 
barlume,  che  possa  guidarci.  Ho  l'animo  tormentato  in  corpo  malato  !  Catania  fu  fre- 
nata dall'  Intendente,  che  per  esser  nipote  di  Ruggero  Settimo,  ancorché  sbirro  bor- 
bonico, passa  per  liberale  e  persuase  la  buona  gente  ad  aspettare  le  sorti  di  Palermo. 
Palermo  non  comunicava,  sino  a  ieri,  con  alcuna  delle  provincie.  Le  barche  portano 
voci  assai  contradditorie,  sintomi  poco  propizi  in  generale.  Ma  la  crisi  è  grande,  e 
se  è  vero  che  il  Re  di  Napoli  dispone  della  sua  armata  d'  Abruzzo  per  credersi  ras- 
sicurato dalla  parte  delle  Marche,  mentre  Napoli  sta  quieta  o  in  dimostrazioni  minime, 
veggo  male  assai.  Bisogna  dirlo  :  non  cessate  di  raccomandare  di  spedir  gente  per 
intendersi  e  fare  arrivare  materiali.  Se  fosse  possibile  a  Rosalino  (Pilo)  di  raccogliere 
un  po'  di  gente,  faremo  il  possibile    noi    pure  di  soccorrerlo.    /   direttori    mancano  di 

concretazione  e  il  popolo  manca  di  capi.  Vi  abbraccio  in  tutta  fretta. 

Ajff.mo 

NICOLA 

Malta.  21   aprile   1860. 
Carissimo  Calvino, 

Le  ultime  nuove  dell'insurrezione  sono  del  18,  arrivate  ieri  con  vapori  da  guerra 
inglesi  e  da  lettere  inglesi  da  Palermo. 

Palermo  occupata  dalle  truppe,  assediata  dall'  insurrezione  !  Le  truppe,  avendo 
preso  Monreale,  si  vocifera  da  ieri  in  poi  ripreso  dagli  insorti.  Il  resto  dell'  isola 
pressoché  interamente  sottomesso  ;  squadre  di  cinque-seicento,  dominano  le  campagne. 

R.  {Rosolino)  e  l'amico  suo  (Corrao)  lasciarono  Messina  ed  i  dintorni  il  16  e 
dopo  sforzi  riuscirono  a  ristabilirvi  comunicazioni  con  Catania,  cui  resistette  il  genio 
di  quel  paese  confidente  nell'  Intendente,  perchè  nipote  di  Ruggero  Settimo.  Da  Tra- 
pani alternative,  come  vi  dissi  ;  ma  le  barche  vengono  poco  favorevolmente  espressive, 
sia  per  paura,  o  per  verità  di  situazione  ! 

//  fatto  è  che  Palermo  con  l'onor  suo  scrive  {se  abbandonata)  una  brutta  pagina 
per  il  Regno  di  Napoli  e  per  la  maggior  parte  della  Provincia  e  proporzionalmente 
per  tutta  V  Italia  libera.  Ogni  diversione,  che  avesse  imbarazzato  il  Governo  di  Napoli 
sarebbe  stata  salutare;  forse  di  assoluta  salvezza.  C'è  ancora  il  tempo,  ma  per  poco. 
Noi  dipendiamo  da  disposizioni  di  R.  {Rosalino)  ;  io  da  qualunque  circostanza,  che 
ci  dia  un  palmo  di  terreno  e  pochi  uomini,  che  ci  attendano.  Ma  se  Napoli  non 
muove  o  una  diversione  qualunque  non  sorge,  o  un  incidente  straordinario  non  s' immi- 
schia, Palermo  potrà  resistere,  ma  non  durare  e  vincere.  Addio  in  fretta. 

Ajff.mo 

NICOLA 


L- UOMO  DI  STATO  E  L- EROE  133 

P.  S.  -  Un  abbraccio  a  Ribotti.  Avvisate  sempre  in  Malta  dove  vi  trovate;  e 
se  sapete  cose  che  possano  deciderci,  allora  Em.  Scebras  il  punto  di  convegno.  li 
grido  di  Palermo  (u  quello  del  Centro  d' Italia  :  Unità  e  annessione.  R.  (Rosolino)  e  il 
suo  compagno  erano  a  Termini  il  1 6  e  all'  ultimo  momento  gli  amici  di  Messina 
inviavano  notizie,  che  erano  arrivati  a  Cefalìi.  La  lettera  di  R.  {Rosolino)  a  me,  data 
del  1 3  sera,  mentre  si  decideva  a  partire.  La  condotta  di  quei  due  è  veramente  pro- 
digiosa e  degna  del  loro  paese.  La  notizia  fu  data  a  Messina  il  1 3  con  Tondìi.  Riguardo 
air  incidente  che  accenno,  accadendo,  lo  sapreste  prima  di  avvisarvi  io. 

A  me  pare,  che  la  quistione  della  nazionalità  italiana  si  decida  molto  fondamentale 
restando  monca,  pregiudicatissima  con  1'  impostarsi  di  questo  moto,  che  mette  fuori  di 
azione  il  punto  dimostratosi  unico  vitale  al  sud. 

Scrivo  a  Messina  perchè  dirigano  le  notizie  a  Orlando,  che  le  comunicherà  a  voi. 


* 

*      * 


Il  conte  di  Cavour  sapeva  che  la  rivoluzione  era  stata  domata  ;  e  lo  stesso 
Garibaldi,  come  è  noto,  non  si  sarebbe  deciso  alla  partenza,  se  Crispi  non  si  fosse 
presentato  a  lui  con  un  dispaccio  in  cifre  e  parole  convenzionali  «  fabbricato  sia 
detto  in  sua  lode,  scrisse  il  Turr,  da  lui  medesimo,  e  che  decise  alla  spedizione  >».' 

Agostino  Bertani,  in  un  opuscolo  di  poche  pagine  pubblicato  nel  '69, 
e  causa  di  acri  polemiche,  scrive  :  «  Sirtori  nel  1 860,  al  ritomo  dalla  visita 
a  Cavour,  narrommi  che  questi  rifiutatosi  a  dare  qualsiasi  soccorso,  interpellato 
cosa  pensasse  della  fortuna  di  quegli  arditi  patriotti,  rispose,  sorridendo  e  fregan- 
dosi le  mani:  io  penso  che  li  prenderanno  ».'  Ma  senza  fondarsi  sull'afferma- 
zione del  Bertcmi,  che  in  molte  pagine  di  quello  scritto  si  espresse  in  maniera 
partigiana,  è  certo  che  Cavour,  a  conoscenza  di  tutto,  riteneva  l' impresa  una  vera 
follia  ;  e  non  potendo  impedirla,  come  egli  ebbe  ad  affermare  pochi  giorni 
dopo,  per  le  immense  simpatie  che  la  spedizione  destava,  fece,  come  suol  dirsi, 
di  necessità  virtù,  mostrando  di  aiutarla.  In  verità  però,  ciò  egli  fece  con  mezzi 
irrisori,  ordinando  al  La  Farina  di  dare  i  mille  vecchi  fucili,  che  si  trovavano 
nei  depositi  della  Società  Nazionale  e  che,  scrive  Garibaldi  :  «  Io  accettai  senza 
rancore;  liberalità  pelosa  delle  volpi  altolocate,  e  realmente  noi  fummo  privi 
dei   nostri  fucili,    che  restarono  a  Milano  *.' 


'  S.  Tùrr  -  Risposta  all'opuscolo  di  Bertani  "  Ire  politiche  d'oltre  tomba  ,, .  1869,  pag.  6. 
"  A.  Bertani  -  L'  Epistolario  di  La  Farina  in  «  Ire  politiche  d'  oltre  tomba  ».  Firenze, 
1869.  pag.  61. 

^  G.  Garibaldi  -  Memorie  autobiografiche.  Edizione  diplomatica,  pag.  306. 


134  LA  POLITICA  DEL  CONTE  DI  CAVOUR  NEL  1660 

Il  dono  dei  pessimi  fucili  fu  fatto  dopo  che  erano  stati  rifiutati,  come  si 
sa,  quelli  eccellenti  che  si  trovavano  presso  il  Comitato  del  «  Milione  di  Fucili  » 
in  Milano  ;  rifiuto  che  fino  ad  oggi  si  è  voluto  attribuire  a  Massimo  d'Azeglio  ; 
il  quale  vero  è  che  obbiettasse  «  non  potere  ammettere,  che  si  potesse  avere 
un  rappresentante  presso  il  re  di  Napoli  e  mandare  fucili  in  Sicilia  »';  ma 
che,  essendo  Governatore  di  Milano  agli  ordini  di  Cavour,  doveva  necessaria- 
mente obbedire  quest'  ultimo. 

Garibaldi  aveva  inviato  a  prendere  i  fucili  il  Crispi  ;  ma  avvertito  delle 
difficoltà,  che  si  mettevano  avanti,  scrisse  da  Torino  le  seguenti  due  lettere,  che 
non  sono  nel  mio  Archivio,  ma  delle  quali  ho  potuto  avere  copia  e  che  non 
mi  risulta  siano  state  mai  pubblicate.  Una  è  diretta  al  Pinzi,  che,  come  è  noto, 
insieme  al  Besana  era  alla  Direzione  del  Comitato  del  «  Milione  di  Fucili  », 
r  altra  al  Crispi. 

Garibaldi  a  Finzì. 

Torino,    19  aprile   1860. 
Caro  Fimi, 

Potete  assicurare  d'Azeglio  sulla  verità  della  destinazione  delie  armi  e  sulla  fiducia 
di  Crispi.  Se  d' Azeglio  insistesse  sulla  lealtà  governativa,  non  indugiate  a  recarvi 
qui.  Faremo  in  modo  di  far  torre  il  veto. 

Vostro 
GARIBALDI 

Garibaldi  a  Crispi. 

Torino,   19  aprile   1860. 
Caro  Crispi, 

In  questo  momento  ho  scritto  al  Pinzi.  Non  mancate  di  accortezza,  poiché  non 
sono  pochi  gli  uomini  disposti  a  contrariarci.  Se  d'Azeglio  continuasse  a  tergiversare, 
ostacolando  così  la  nostra  impresa,  non  indugiate  a  ritornare  qui  con  Pinzi. 

Vostro 
GARIBALDI 

Il  rifiuto  delle  carabine  fu  dato  per  ordine  di  Cavour. 
La  verità  1'  ho  appresa  alcuni  anni  fa  dalle   labbra    di    un  valoroso,   che 
fu  uno  dei  Mille,   dal  senatore  Francesco  Cucchi. 


'  Lettera  di  Massimo  d'Azeglio  a  Monsieur  Benda,   15  maggio   1860. 


L'UOMO  DI  STATO  E  L'EROE  135 

Fallito  nella  missione  il  Crispi,  Garibaldi  aveva  inviato  Francesco  Cucchi, 
delle  qualità  diplomatiche  del  quale  il  Generale  ebbe  spesso  a  servirsi  per  mis- 
sioni assai  delicate.  Fra  Cucchi  e  d'Azeglio  ebbe  luogo  un  dialogo  assai  vivace  : 
il  primo  stava  in  piedi  nel  gabinetto  del  Governatore  ;  e  poiché  questi  teneva 
un  contegno  piuttosto  altezzoso  e  non  gli  aveva  offerto  nemmeno  da  sedere,  il 
baldo  garibaldino  prese  posto  da  se,  comodamente,  su  di  una  poltrona,  incro- 
ciando una  gamba  suU'  altra.  Al  rifiuto  che  il  d'Azeglio  opponeva,  l'altro  faceva 
osservare  che  dopo  tutto  quelle  armi,  non  appartenendo  al  Governo,  non  si  aveva 
il  diritto  di  sequestrarle  ;  ma  d'Azeglio  mostravasi  inflessibile  ed  avendo  il  Cucchi, 
a  più  riprese,  insistito  nel  nome  di  Garibaldi,  quegli  troncò  di  botto  la  discus- 
sione, dicendo  :  Insomma,  io  ho  avuto  ordini  perentori  dal  Cavour  di  non  con- 
segnare le  armi.  La  discussione  aveva  assunto  un  tono  assai  violento,  tanto  che 
r  inviato  di  Garibaldi  lasciò  il  d' Azeglio  senza  salutarlo,  dicendogli  che  un 
anno  avanti,  in  quello  stesso  luogo,  egli  era  stalo  ricevuto  da  un  Governatore 
austriaco  in  forma  assai  più  cortese. 

Garibaldi  nelle  sue  Memorie  scrive  :  «  Coloro  che  avevo  mandato  a  ricevere 
i  fucili  a  Milano  trovarono  alla  porta  del  deposito  i  carabinieri  reali,  che  inti- 
marono di  non  pigliare  un  solo  fucile!   Cavour  aveva  dato  un  tale  ordine  ». 

E  fuori  di  dubbio  adunque,  ed  ogni  argomentazione  contraria  cade,  che 
nel  1 860  il  divieto  di  prendere  le  buone  carabine  esistenti  in  Milano  fu  dato 
da  Cavour  ;  come  poi  per  ordine  di  Cavour  furono  le  stesse  armi  lasciate  pren- 
dere per  la  seconda  spedizione  capitanata  da  Giacomo  Medici  ;  quando,  cioè, 
non  era  più  da  dubitare  che  dell'  impresa  di  Garibaldi  vi  era  da  trarre  profitto. 
E  le  carabine  questa  seconda  volta  furono  date,  malgrado  che  Massimo  d'Aze- 
glio, ancora  Governatore  di  Milano,  non  vi  consentisse  e  per  questo  più  tardi 
abbandonasse  quel  posto. 

11  1 6  luglio  egli  scriveva  al  Persano  :  «  //  Governo  {Cavour)  mi  ha  ordi- 
nato di  consegnare  i  fucili  e  li  ho  consegnati.  Con  tutto  questo  non  posso  dirti 
che  mi  sia  andata  molto  a  genio  tutta  questa  commedia.  Avrei  amato  meglio 
una  dichiarazione  ed  una  condotta  aperta,  piuttosto  che  usare  tante  arti  delle 
quali,  del  resto,  nessuno  è  stato  dupe.  Garibaldi,  lui,  non  aveva  Ministro  a 
Napoli  ;  lui  è  andato  avanti  mettendoci  la  pelle  !  Evviva  la  sua  faccia  !  Ma 
noi?  Basta,   lasciamola  fi/  ».  ' 


'  G.  Garibaldi  -  Memorie  autobiografiche.  Edizione  diplomatica,  pag.  306. 
'  Carteggio  jra  Massimo  d'Azeglio  e  D.  Pantaleoni,  pag.  430. 
*  C.  di  Persano  -  Diario,  pag.  91. 


136  LA  POLITICA  DEL  CONTE  DI  CAVOUR  NEL  1860 

Massimo  d'  Azeglio  aveva  poca  attitudine  all'  arte  e  alle  malizie  della 
diplomazia,  nelle  quali  Cavour  era  maestro  ;  non  è  però  giusto,  per  scagionare 
quest*  ultimo  di  un  episodio  increscioso,  addossare  al  primo  responsabilità,  che 
non  ebbe.  Governatore  di  Milano,  il  d'Azeglio  era  sempre  un  subordinato  del 
Cavour  e  non  poteva  non  ubbidirgli.  Egli  ubbidì  all'  ordine  ricevuto  la  prima 
volta  con  grande  entusiasmo,  non  consegnando  le  armi,  perchè  quest'ordine  si 
accordava  con  le  sue  idee;  ubbidì  ugualmente  la  seconda  volta  consegnandole, 
malgrado  che  egli  fosse  di  opinione  contraria  ed  in  seguito  si  dimettesse.  D'Aze- 
glio, scrisse  Giovanni  Faldella,  fu  «  un  ingenuo  della  più  bell'acqua  classica 
e  della  più  buona  pasta  apostolica  »  e  1'  illustre  scrittore,  volendo  attenuare 
r  acre  giudizio  dato  dal  Cavour  sull'  ingenuità  azegliana  :  «  a  l'  è  na  ciùla,  a  V  e 
na  ciùla  »,^  soggiunge:  «  Se  per  qualche  parte  della  vita  politica  del  d'Aze- 
glio i  posteri  dovessero  ratificare  la  proclamazione  fatta  dal  furibondo  Cavour, 
sarebbe  giustizia  aggiungere  un  epiteto  e  dire,  che  d' Azeglio  fu  qualche  volta 
un  minchione  st,  ma  un  eroico  minchione  ». 

La  questione  dei  fucili  coi  quali  furono  armati  i  Mille  è  essenzialissima, 
se  si  vogliono  considerare  i  rapporti  fra  Garibaldi  e  Cavour  durante  i  prepa- 
rativi della  spedizione,  scrive  il  Guerrini;  '  e  per  giustificare  Cavour  di  aver 
dato  le  carabine  inservibili  della  Società  Nazionale  e  negate  le  buone,  che  si 
trovavano  a  Milano,  si  affretta  soggiungere,  che  il  Governo  sardo,  *  non  potendo 
ne  dovendo  palesemente  amtare  la  spedizione,  anzi  poiché  esso  doveva  e  voleva 
simulare  opposizione  per  coprire  1'  aiuto,  il  palese  divieto  del  trasporto  dei  fucili 
da  Milano  non  può  che  parere  opportuno  ». 

La  giustificazione,  per  quanto  sottile,  non  riesce  a  persuadere.  Sorge  spon- 
tanea la  domanda  :  forse  che  il  trasportare  mille  buone  carabine  da  Milano  a 
Genova  con  le  dovute  cautele,  come  fu  fatto  per  la  seconda  spedizione,  quando 
il  Governo  comprese  che  dall'  impresa  di  Garibaldi  vi  era  molto  da  profittare, 
avrebbe  più  facilmente  scoperto  1'  aiuto  {se  serio  aiuto  si  voleva  dare),  che  appre- 
standone mille  rugginite  direttamente  a  Genova? 

Era  però,  nel  volere  di  Dio  che  la  spedizione  dovesse  riuscire  e  per  essa  farsi 
r  unità  d' Italia  ;  onde  quello  che  fu  un  grande  sconforto,  al  momento  della 
partenza,  divenne  poi  un  coefficiente  non  trascurabile  di  vittoria  ! 


'  M.  Ricci  -  Rilratti  e  profili  politici  e  letterari.  Firenze,   1882. 

'  G.  Faldella  -  Prefazione  al  Carteggio  inedito  jra  Massimo  d'Azeglio  e   D.  Panta- 
leoni,  pagg.   115-116. 

^  D.  Guerrini  -  Rivista  storica  del  Risorgimento  Italiano.  Voi.  I,   1908,  pag.  773. 


L-  UOMO  DI  STATO  E  U  EROE  I  37 

Senza  i  fucili-catenacci  del  conte  di  Cavour,  mi  diceva  un  valoroso  dei 
Mille,  il  colonnello  Cariolato,  noi  non  avremmo  vinto  a  Calatafimi  !  Fu  il  comando 
disperato  di  Garibaldi:  «  Alla  baionetta!  confondetevi  col  nemico!  »  deter- 
minato dall'  assoluta  mancanza  di  funzionamento  dei  nostri  fucili,  che  come  leoni 
ci  spinse  all'  estremo  attacco  e  che  decise  della  vittoria  ! 

Cavour,  adunque,  non  diede  a  quei  generosi,  che  si  votavano  alla  morte, 
che  vecchi  fucili  ed  ottomila  lire  per  mezzo  del  La  Farina.  11  denaro,  che  Gari- 
baldi si  ebbe  alla  partenza  da  Quarto,  venne  in  parte  dalla  famiglia  Cairoli, 
pronta  sempre  a  versare  sull'  altare  della  patria  sangue  e  denaro.  La  madre  dei 
Cairoli,  Donna  Adelaide,  portante  ancora  il  lutto  del  suo  primogenito,  morto 
r  anno  avanti  combattendo  contro  gli  austriaci,  si  presentò  a  Garibaldi,  condu- 
cendogli il  figlio  minore  Enrico  (Benedetto  era  già  presso  il  Generale)  e  lire 
settantamila;  denaro  ricavato  dalla  vendita  di  una  proprietà  presso  Groppello. 
Le  altre  somme  furono  date  dal  Besana,  il  quale  aveva  pure  apprestato  armi 
e  munizioni,  come  si  rileva  da  una  lettera  da  lui  pubblicata  e  rimessa  in  luce 
dal  Guerzoni.  La  sorte  che  quelle  armi  e  le  relative  munizioni  si  ebbero,  è  nota  ; 
essa  si  presterebbe  ad  interpretazioni  odiose,  che  sono  da  respingersi.  Caricate 
sopra  due  paranze,  che  dovevano  aspettare,  con  un  fanale  alla  prua,  il  "  Pie- 
monte ,,  ed  il  "  Lombardo  ,,  all'  altezza  di  Bogliasco,  furono  abbandonate  dal 
capo  delle  paranze,   uno  sciagurato  :   un  certo  Selle.  ' 

E  un  fatto  storico  intanto,  che  non  ammette  discussioni,  che  senza  l'approdo 
a  Talamone,  avvenuto  la  mattina  del  7,  e  senza  1'  audacia  di  Garibaldi  di  far 
chiedere  al  comandante  il  forte  di  Orbetello  quante  munizioni  e  polvere  si  avesse, 
quel  pugno  di  prodi  sarebbe  partito  per  la  liberazione  di  un  regno  senza  una 
sola  cartuccia. 

Da  quanto  ho  detto  e  documentato  si  può,  senza  offendere  la  verità,  par- 
lare di  vero  ed  efficace  aiuto  da  parte  di  Cavour,  quando  i  Mille  partivano 
in  quelle  condizioni?  E  dove  sono  «  gli  apprestamenti  alla  partenza,  al  viaggio  ,, 
di  cui  fece  tanto  rumore  Nicomede  Bianchi  ?  *  Dove  gli  aiuti  di  cui  pariava 
r  illustre  storico  Alessandro  Luzio,    che  ci  aveva    fatto   sperare  avere  in  mano 


'  Da  una  conversazione  da  me  avuta  con  Donna  Elena  Cairoli. 

'  Guerzoni  -  Garibaldi.  Voi.  I!,  pag.  38. 

'  Per  ulteriori  dettagli  su  questo  episodio  si  legga  1'  opuscolo  :  Dichiarazione  presentala 
allo  illustre  Gen.  Garibaldi  da  Gaspare  Ballanti  il  18  luglio  1860  sul  vapore  di  mare, 
che  li  conduceca  da  Palermo  a  Patti,  onde  dare  V  attacco  a  Milazzo. 

*  N.  Bianchi  -  Storia  documentata  della  diplomazia  europea  in  Italia.  Voi.  Vili,  pag  289. 


138  LA  POLITICA  DEL  CONTE  DI  CAVOUR  NEL  1860 

documenti  decisivi  sul  proposito?  Cavour,  se  veramente  avesse  voluto,  senza 
compromettersi,  non  avrebbe  potuto  fare  di  più?  Ed  il  merito  di  avere  chiuso 
gli  occhi  ;  di  aver  lasciato  fare,  può  lontanamente  rivaleggiare  col  sacrifizio  che 
compiva  quel  manipolo  di  eroi? 

Pure,  non  v'  ha  chi  non  vegga  come,  specialmente  nell'  occasione  del  cin- 
quantenario della  data  memorabile,  alcuni  abbiano  raddoppiato  gli  sforzi  per 
rivendicare  al  Cavour  il  vanto  di  avere  favorito  ed  aiutato  la  spedizione  dei 
Mille,  anche  alla  partenza  da  Quarto  !  E  stato  scritto,  fra  1*  altro,  che,  poiché 
nella  lettera  del  Garibaldi  al  Tiirr  per  il  colonnello  Giorgini,  comandante  il 
forte  di  Orbetello,  chiedente  le  munizioni,  si  dice  che  esse  dovevano  servire 
«  per  una  spedizione  patria,  che  non  può  comparire  ufficiale  »;  queste  parole, 
insieme  all'  affermazione  del  Generale  al  De  Labar,  comandante  il  presidio  di 
Talamone  (che  gli  negava  un  piccolo  cannone  da  5),  che  la  «  spedizione  che 
egli  Garibaldi,  capitaneggiava,  era  riconosciuta  ed  autorizzata  dal  Governo, 
queste  parole,  è  stato  affermato,  permetterebbero  di  asserire  che  Garibaldi  potesse 
scrivere  quello  che  scrisse  senza  offendere  la  verità  ». 


* 
*    * 


Si  è  inoltre  detto,  che  il  modo  come  finì  il  processo  del  colonnello  Gior- 
gini e  r  essersi  esso  svolto  a  Torino  invece  che  a  Firenze,  dove  per  giurisdi- 
zione avrebbe  dovuto  trattarsi,  significherebbe  un  opportuno  riserbo  sull'  inci- 
dente, che,  conosciuto,  avrebbe  messo  in  chiaro  come  l' impresa  di  Garibaldi  era 
di  nascosto  favorita  da  Cavour.  Ma  chi  non  comprende,  che  tanto  la  lettera 
del  Garibaldi  al  Tiirr  per  il  colonnello  Giorgini,  quanto  l'affeimazione  del  Gene- 
rale al  Comandante  il  presidio  di  Talamone,  non  furono  che  semplici  strata- 
gemmi di  guerra,  messi  in  opera  dall'  ardito  Condottiero  per  ottenere  quello 
che  nel  momento  supremo  gli  era  indispensabile,  e  che  per  una  fatalità  disa- 
strosa gli  era  venuto  a  mancare  al  momento  della  partenza?  E  lo  stratagemma, 
non  fu  forse  rilevato  dallo  stesso  Tiirr,  da  quasi  tutti  i  biografi  di  Garibaldi  e 
da  Garibaldi  medesimo?  Ne  mi  sembra,  che  la  lealtà  dell'  eroe  debba  per 
questo  soffrirne  ;  poiché  nessuno  oserebbe  accusare  Garibaldi  di  avere  offesa  la 
verità,  quando  ciò  egli  fece  per  riparare  ad  una  estrema  necessità  del  momento 
e  per  uno  scopo  così  nobile  e  grande! 


'  N.  Brancaccio  -   Garibaldi  a   Talamone.  Memorie  storico-militari,  Fase.  I,    1909. 


L' UOMO  DI  STATO  E  L- EROE  139 

Né,  d'altra  parte,  il  modo  come  si  svolse  il  processo  contro  il  povero 
colonnello  Giorgini,  mi  pare  sia  argomento  atto  a  suffragare  la  tesi,  che  la  par- 
tenza dei  Mille  sia  stata  favorita  da  Cavour.  Tutt'  altro  ! 

Il  Giorgini,  è  bene  rammentarlo,  fu  arrestato  qualche  giorno  dopo  aver 
consegnato  le  munizioni  e  durante  il  processo  che,  si  noti  bene,  non  finì  prima 
del  29  giugno,  avrebbe  corso  serio  pericolo,  se  non  fosse  venuto  in  suo  aiuto 
il  Tiirr,  il  quale,  ammalatosi  in  Sicilia,  fu  obbligato  a  lasciare  per  poco  i  suoi 
compagni  ed  intraprendere  una  cura  sul  continente.  Nel  mio  passaggio  per 
Torino,  scrive  il  Tiirr,  seppi  che  il  comandante  della  fortezza  di  Orbetello 
era  stato  arrestato  e  rinchiuso  in  quella  di  Alessandria.  Andai  tosto  da  Sua 
Maestà  dicendogli,  che  se  qualcuno  meritava  di  essere  processato,  ero  io  ;  giac- 
ché io  avevo  indotto  il  Comandante  in  errore,  avendogli  fatto  credere  che 
agivo  per  ordine  del  re.  11  re  mi  disse,  sorridendo  :  «  E  vero,  noi  abbiamo 
un  conto  da  regolare  ;  mi  avete  svaligiato  una  fortezza  » .  «  Ma  la  corona  di 
Vostra  Maestà,  gli  risposi,  si  è  arricchita  della  Sicilia  e  ben  presto  lo  sarà 
anche  di  Napoli  ».  Il  re  mi  promise  che  al  Comandante  non  sarebbe  fatto 
alcun  male  ;  però  mi  ordinò  di  parlarne  al  Ministro  della  guerra,  generale  Fanti, 
al  quale  feci  una  minuta  esposizione  del  modo  come  furono  date  quelle  munizioni. 
In  seguito  a  ciò,  ottenni  che  il  processo  non  avesse  corso  per  il  comandante 
Giorgini. 

* 
*     * 

Dicono  alcuni,  che  il  grande  merito  di  Cavour  nel  *60  fu  quello  di  non 
avere  impedita  la  spedizione  di  Sicilia. 

Ora,  a  parte  la  considerazione  che  i  sentimenti  che  egli  in  quell'  epoca 
nutriva  per  Garibaldi  dovevano  consigliarlo  a  non  preoccuparsi  gran  che  del 
pericolo,  che  questi  correva  in  un'  impresa  che  egli,  Cavour,  aveva  sconsigliato 
ad  uno  dei  suoi  generali,  perchè  la  riteneva  follia  ;  a  parte  questo,  è  da  inda- 
gare, 5e  anche  volendolo,  Cavour  avrebbe  potuto  impedire  la  spedizione. 

Garibaldi  scrive  :  «  Mi  si  dirà  che  il  Governo  poteva  impedire  quella 
spedizione,  se  l'avesse  avversata.  Io  dico  di  no,  perchè  l'opinione  pubblica  era 
divenuta  irresistibile,  tostochè  si  ebbe  notizia  dei  movimenti  insurrezionali  della 
Sicilia,  neir  aprile  del  '60  ;    ma  se  il  Governo   si  asteneva  dal  frapporre    un 


'  S.  Tiirr  -  Loco  citalo. 


140  LA  POLITICA  DEL  CONTE  DI  CAVOUR  NEL  !860 

assoluto  impedimento  alla  partenza  della  spedizione,  non  tralasciò  di  suscitarci 
un  infinità  di  ostacoli  ».  ' 

Dieci  giorni  dopo  la  partenza  della  spedizione,  Cavour  scriveva  a  Ricasoli  : 
«  Che  Garibaldi  faccia  guerra  al  re  di  Napoli  non  si  può  impedire.  Sarà  un  bene, 
sarà  un  male,  ma  era  inevitabile.  Garibaldi  trattenuto  violentemente 
sarebbe  divenuto  pericoloso  all'  interno  ».^  Quest'ultimo  concetto  espresso 
dal  Cavour  concorda,  in  sostanza,  con  quanto  afferma  Garibaldi  nel  brano  sopra 
citato.  Infatti,  se  si  esamina  attentamente  il  facsimile  dell*  autografo  che  ne  ha 
dato  r  Arno,  sotto  ad  una  cancellatura  di  mano  stessa  di  Garibaldi,  si  legge  : 
«  //  Governo  corroborato  dalla  speranza  di  vedersi  sbarazzato  per  sempre  da 
una  mano  di  rompicolli,  fece  st  che  si  dovette  avere  V  aria  di  chiudere  un  occhio 
alla  partenza  della  spedizione  ». 

Intanto,  è  bene  prender  atto  e  constatare  che  per  Cavour  il  muover  guerra  al 
re  di  Napoli  era  dubbio,  se  potesse  essere  un  bene.  Ciò  a  sostegno  di  quanto  avrò 
occasione  di  dire  più  oltre,  intorno  alla  politica  seguita  in  quell'  epoca  dal  primo 
ministro  di  Vittorio  Emanuele.  E  si  noti,  che  molti  dei  soliti  puntini,  così  cari  al 
Chiala,  precedono  il  brano  della  menzionata  lettera  al  Ricasoli,  nella  pubblicazione 
che  quegli  ne  fece.  Luigi  Chiala  aveva  l'abitudine  di  rendere  monchi  alcuni  docu- 
menti, come  a  me  è  capitato  di  potere  constatare  con  un  documento  originale  alla 
mano.  E  lecito  quindi  il  supporre,  che  molto  più  di  quello  che  egli  pubblicò  ed  altri 
brani  più  compromettenti  si  dovessero  contenere  in  quella  lettera.   Ma  non  basta  ! 

Cavour,  dopo  di  avere  scritto  al  Ricasoli,  il  giorno  dopo  scrive  al  colon- 
nello Cugia,  suo  intimo  amico  :  «  La  spedizione  di  Garibaldi  è  un  fatto  gra- 
vissimo. Tuttavia  reputo  che  non  si  poteva,  ne  si  doveva  impedire.  Essa  era 
apertamente  favorita  dall'  Inghilterra,  e  mollemente  contrastata  dalla  Francia. 
Molti  dei  nostri  amici  e  dei  più  devoti  la  secondavano.  Dovevo  io  mettermi  in 
opposizione  con  questi?  Sarebbe  stato  un  errore,  che  avrebbe  credo 
creato  difficoltà  grandissime  all'  interno  ». 

A  che  vale  adunque,  1'  andare  sofisticando  per  sostenere  il  contrario,  se  è 
lo  stesso  Cavour,  che  afferma  in  lettere  scritte  a  due  suoi  amici,  quindi  lettere 
non  diplomatiche,  pochi  giorni  dopo  la  partenza  della  spedizione  di  non  averla 
egli  ne  approvata  ne  aiutata,  ma  soltanto  subita} 


'  C.  Arno  -  Garibaldi  e  Cauour  e  la  Spedizione  dei  Mille.    In  «   Rivista   storica    del 
Risorgimento  Italiano  >•.  Fase.  I,    1908. 

'  L.  Chiala  -  Raccolta  delle  lettere  del   caritè  di  Cavour .  Voi.  III. 
'  L.  Chiala  -  Ibidem. 


L- UOMO  DI  STATO  E  L- EROE  141 

Per  comprendere  la  condotta  de!  conte  di  Cavour  in  quei  giorni  memorabili 
bisogna  conoscere,  come  suol  dirsi,   quello  che   bolliva  in  pentola  ! 

Il  grande  diplomatico  non  voleva  compromettere  le  intese  amorose  da  lui 
iniziate  con  la  Corte  di  Napoli.  A  Torino  —  a  che  il  dissimularlo  ?  —  non 
erano  ancora  svanite  le  dolci  speranze  di  un  accordo  col  Governo  delle  due 
Sicilie  e  si  temporeggiava.  La  missione  del  Villamarina,  inviato  dal  Governo 
sardo  presso  la  Corte  di  Napoli,  era  stata  quella  «  di  sgombrare  i  sospetti,  che 
impedivano  il  riawicirxarsi  di  quella  Corte  al  Governo  sardo,  preparando  così 
la  via  ad  accordi  più  stretti  e  di  maggiore  vantaggio  alla  patria  italiana  »,  *  e 
si  raccomandava  «  di  badare  di  non  dare  il  minimo  impulso  a  moti  violenti, 
giacche  qualsiasi  rivoluzione  nelle  due  Sicilie,  sarebbe  riuscita  ruinosa  all'  Italia».' 

Una  simile  missione,  ma  senza  risultato,  era  stata  data  al  marchese  di  Grop- 
pello  ed  al  conte  di  Salmour.  Il  primo,  per  i  suoi  buoni  rapporti  col  conte  di 
Siracusa,  si  era  fatto  da  questi  promettere  di  preparare  1'  animo  del  nipote,  il 
futuro  re  Francesco,  a  sentimenti  italiani  ;  1'  altro,  il  Salmour,  era  stato  inviato 
da  Vittorio  Emanuele  in  missione  straordinaria  per  condolersi  per  la  morte  di 
Ferdinando  II  e  per  salutare  il  suo  successore;  ma  ciò  in  apparenza,  perchè  lo 
scopo  vero  della  missione  era  stato  ben  altro. 

Il  Salmour,  amico  intimo  del  Cavour,  tanto  che  questi  non  avendolo  nel 
1 860  riassunto  all'  antico  ufficio  di  Segretario  generale  agli  Esteri,  sapendolo 
a  Nizza  in  difficoltà  pecuniarie  per  le  sue  abitudini  di  gran  signore,  gli  aveva 
spontaneamente  aperto  un  credito  illimitato  sul  proprio  banchiere  nizzardo,  il  Sal- 
mour, dico,  aveva  avuto  le  seguenti  istruzioni  :  «  Procurare  V  unione  delle  due 
Corti  in  stretta  comunanza  di  pensieri  e  di  opere  ed  indurre  il  nuovo  Principe 
ad  assicurare  col  Piemonte  V  impresa  dell'  indipendenza  nazionale.  Stipulare 
una  lega  offensiva  e  difensiva  con  la  reciproca  guarentigia  dell'  integrità  dei 
due  Stati.  »  '  Cavour  faceva  riflettere  poi,  ali*  inviato  sardo  :  «  essere  utile  V  al- 
leanza delle  due  maggiori  monarchie  italiane,  e  che  la  quistione  siciliana  era 
da  lungo  tempo  la  piaga  insanabile  del  Governo  Napoletano. 

La  politica  del  conte  di  Cavour  ci  è  anche  palesata  da  un  personaggio 
autorevole  e  non  sospetto  :  dal  generale  Enrico  Della  Rocca  aiutante  di  campo  di 
S.  M.  «Al  principio  del  1859  Napoli  e  la  Sicilia,  egli  scrive,  sembravano,  se 
non  rassegnate,   assopite  sotto  1'  implacabile  dispotismo  di  Ferdinando  II.  Morto 


'  N.  Bianchi  -  Loco  alalo,  pag.  650. 

'  Lettera  di  Cavour  al  Villamarina.  Torino,  30  gennaio   1860. 

'  R.  De  Cesare  -  La  Fine  di  un  Regno.  Voi.  H,  1909,  pag.  44. 


142  LA  POLITICA  DEL  CONTE  DI  CAVOUR  NEL  1660 

lui,  nella  primavera,  rinacquero  le  speranze  del  partito  liberale  ;  tanto  più  che 
Francesco,  suo  primogenito,  era  figlio  di  Maria  Cristina  di  Savoia,  una  delle 
quattro  figlie  di  Vittorio  Emanuele  I,  sorella  della  duchessa  di  Lucca,  del- 
l' imperatrice  d'  Austria,  della  duchessa  di  Modena.  Il  conte  di  Cavour  appro- 
fittò di  questa  circostanza  per  tentare  un  trattato  d'  alleanza  del  Piemonte  col 
giovane  Sovrano.  A  tale  scopo  gli  aveva  mandato  un  nostro  caro  amico,  il  conte 
Ruggiero  Gabbaleone  di  Salmour,  dotato  di  un  tatto  finissimo  e  di  modi  squi- 
siti. Invano  l' Ambasciatore  straordinario  tentò  di  persuadere  Francesco  II,  eh' egli 
avrebbe  tutti  i  vantaggi  in  queW  unione  e  salverebbe  V  Italia,  già  tutta  in  ar- 
denza da  gravi  complicazioni,  che  potevano  anche  compromettere  il  suo  trono. 
Francesco  non  volle  intendere  nulla,  e  protestò  che  nulla  sarebbe  stato  cambiato 
alle  forme  di  Governo  lasciate  da  suo  padre,  del  quale  avrebbe  fedelmente  con- 
tinuate le  tradizioni  politiche. 

Cavour,  contmua  il  Della  Rocca,  tornato  al  Ministero,  aveva  mandato 
ambasciatore  residente  a  Napoli,  il  marchese  Pes  di  Villamarina,  con  istruzioni 
di  riprendere  le  trattative  iniziate  da  Salmour  ;  il  Villamarina  incontrò  i  medesimi 
ostacoli.  Franceschiello,  come  famigliarmente  chiamavano  il  re  di  Napoli,  rimase 
irremovibile. 

Ma  nelle  istruzioni  date  al  Salmour,  vi  era  di  più  !  Cavour  faceva  osser- 
vare, che  il  nuovo  re  non  poteva  di  un  sol  colpo  risolvere  difficoltà  inerenti 
alle  condizioni  storiche  della  Sicilia  ;  ma  che  egli  «  poteva  impedire,  che  il  male 
si  aggravasse  ed  usare  tutti  i  migliori  espedienti  per  mettere  in  buona  con- 
cordia i  Siciliani  con  i  Napoletani  ;  che  la  Corte  di  Torino  era  pronta  a  met- 
tere in  opera  tutti  i  mezzi  morali,  che  possedeva  per  raccomandare  la  concordia, 
la  moderazione,  V  unione  di  tutte  le  Provincie  del  reame  e  tanto  più  volentieri 
essa  eserciterebbe  questo  ufficio,  in  quanto  che  giudicava  la  disgiunzione  poli- 
tica della  Sicilia  dal  reame  di  Napoli  come  una  sventura  nazionale  irre- 
parabile ».' 

Ma  era  appunto  questa  sventura,  che  noi  si  voleva  far  succedere,  scrisse 
un  patriota  siciliano  !  «  Noi  vi  contavamo,  anzi  lavoravamo  da  dieci  anni,  perchè 
essa  succedesse  ed  eravamo  corrisposti  a  via  di  torture  e  stragi.  Fortuna  per 
noi,  che  Francesco  II,  dei  bei  consigli  che  gli  venivano  dal  Piemonte  non  volle 
sentirne  ;  come  non  volle  neppure  sentire  il  timore  dell'  irreparabile  sventura  ;  e 


'  Generale  Enrico  Della  Rocca  -  Autobiografia  dì  un   Veterano,  pag.  29. 
'  N.  Bianchi  -  Loco  citato,  pag.   125.  «  Istruzioni  di  Cavour  a  Salmour  ». 


f  UOMO  DI  STATO  E  L' EROE  143 


ciò  non  per  suo  intendimento  soltanto,  ma  anche  per  quello  che  gli  suggerivano 
i  suoi  Ministri,  che,  educati  alla  scuola  del  padre,  mettevano  in  dispregio  ciò 
che  si  poneva  innanzi  sia  dal  Piemonte,  sia  da  altre  potenze,  a  turbare  il  cosi- 
detto  equilibrio  europeo  ». 


•K- 


Tale  essendo,  sulla  stregua  di  documenti,  il  pensiero  e  la  politica  del  conte 
di  Cavour,  pensiero  e  politica  così  distanti  da  un'  Italia  una,  ben  si  comprende 
come  la  spedizione  dei  Mille  dovesse  apparire  all'  uomo  di  Stato  piemontese, 
che  continuava  a  portare  le  pagliuzze  per  fare  il  nido  con  re  Francesco,  un  fatto 
gravissimo  ! 

Ma  un  documento,  che  dimostra  a  chiare  note  come  egli  nulla  tralasciasse 
per  non  urtare,  non  tanto  le  suscettibihtà  delle  potenze  estere  quanto  e  più  i 
rapporti  con  la  Corte  di  Napoli,  è  l' ordine  perentorio  dato  al  Persano  di  arre- 
stare Garibaldi,  ove  questi  si  fosse  accostato  ad  uno  dei  porti  della  Sardegna  ; 
la  qual  cosa  non  solo  poteva  accadere  per  ragioni  imperiose  di  mare,  ma  che 
doveva  aver  luogo,  come  ebbe  ad  affermare  lo  stesso  Garibaldi  nella  sua  lettera 
diretta  nel  1 869  ad  Anton  Giulio  Barrili,  direttore  del  giornale  //  Movimento, 
subito  dopo  la  pubblicazione  del  Diario  dell'  ammiraglio  Persano  ;  lettera  che  è 
una  stringente  requisitoria  della  politica  cavouriana  e  fiera  risposta  alle  accuse 
del  partito  repubblicano.  Giova  il  tornarla  oggi  a  pubblicare. 

Caprera,  25  agosto   1869. 
Caro  Barrili, 

Date  posto,  vi  prego,  ad  alcune  osservazioni  sul  "  Diario  ,,  dell'ammiraglio  Persano. 

La  mia  corrispondenza  con  1'  ammiraglio,  comincia  il  4  giugno  1 860  (vedi  lettera 
riferita  in  detto  "  Diario  „).  I  combattimenti  da  Calatafimi  a  Palermo  sono  del  15, 
26,  28,  29  e  30  maggio  ;  dopo  quei  giorni,  armistizio  e  capitolazione  dell'  esercito 
borbonico. 

Egli  è  quindi,  dopo  il  felice  esito  della  spedizione,  coronata  dagli  anzidetti  fatti 
d'arme,  che  cominciano  gli  amorì  cavouriani. 

Sarà  superfluo  avvertire,  che  al  popolo  dei  Vespri  bastarono  le  notizie  del  nostro 
sbarco  e  dei  primi  felici  successi,  perchè  l"  isola  intera  fosse  in  armi  contro  l' oppres- 
sore, a  cui  non  restavano  che  le  fortezze  di  Milazzo,  Messina,  Augusta   e    Siracusa. 


'  R.  Salvo  di  Pietraganziii  -  //  Piemonte  e  la  Sicilia.  Voi.  I,  pag.  413. 


144  LA  POLITICA  DEL  CONTE  DI  CAVOUR  NEL  1860 

Si  sa  pure,  che  cosa  facemmo  di  tali  fortezze  e  che,  sbarazzato  Milazzo,  1'  eser- 
cito meridionale,  coadiuvato  dalle  popolazioni  in  armi,  proseguì  vittorioso  fino  al 
Volturno. 

Perchè,  se  la  spedizione  dei  Mille  doveva  essere  aiutata  in  ogni  miglior  modo 
possibile  dal  Governo  monarchico,  perchè,  dico,  non  ci  si  permetteva  di  prendere  le 
nostre  15  mila  buone  carabine,  che  possedevamo  in  Milano,  acquistate  dai  fondi  del 
«  Milione  di  fucili  »  ? 

E  perchè,   in  quella  vece,  si  permise  al  La  Farina  di  concederci  mille  cattivi  fucili  ? 
E  perchè  la  protezione  ed  aiuto  millantati  non  cominciarono  dalla  nostra  partenza 
da   Quarto  ? 

E  perchè,  quando  si  combatteva  ancora  nelle  vie  di  Palermo,  ove  si  fabbricava 
una  libbra  di  polvere  per  adoperarla  subito,  il  comandante  D'Aste  del  "  Governolo  „ 
ancorato  in  quel  porto,  rispondeva  ad  un  giovine  palermitano  mio  inviato  :  «  Non  vi 
darò  polvere,   ritiratevi  »  ? 

//  divieto  governativo  di  passare  sul  continente  è  fatto  storico.  1  maneggi  del  La  Farina, 
per  conto  di  Cavour,  per  trattenerci  nell'  isola  sono  storici  del  pari. 

Persano  è  conoscenza  mia  di  lunga  data,  cioè  dal  Rio  della  Piata  fino  all'  epoca 
accennata  dalle  sue  lettere.  E  debbo  confessare,  che  nella  circostanza  in  cui  stetti  suo 
prigioniero  a  bordo  del  "  Carlo  Alberto  ,,  da  lui  comandato  nel  1849,  io  ne  rice- 
vetti molte  gentilezze.  Non  è  strano  quindi,  che  io  Io  trattassi  con  distinzione  nel  1860, 
ed  egH  a  me  fosse  personalmente  cordiale. 

Ciò  non  toglie,  che  egli  mi  assicurò  di  aver  avuto  ordine  d' inseguirmi 
e  d'  arrestarmi  ;  e  ciò  non  fu,  perchè  felicemente  la  spedizione  che  avrebbe 
dovuto  costeggiare  la  Sardegna  per  giungere  alla  parte  occidentale  del- 
l' isola,  fu  sviata  verso  la  Toscana  per  circostzunze  impreviste,  e  perciò  non 
caddi  nelle  ugne  della  squadra  italiana. 

Perchè  si  continuò  tutto  il  tempo,  che  durò  la  spedizione  a  suscitare  la  Sicilia 
contro  di  me  col  prelesto  dell'annessione,  ed  obbligandomi  finalmente  a  lasciare  l'eser- 
cito sul  Volturno,  alla  vigilia  d' una  battaglia,  per  recarmi  a  placare  la  popolazione 
dell'isola? 

Ed  i  maneggi  degli  agenti  cavouriani  sul  continente  napoletano  per  suscitare  una 
rivoluzione  contro  il  Borbone  prima  del  nostro  arrivo,  per  toglierci  il  merito,  mentre 
il  Governo  sardo  protestava  amicizia  a  quell'infelice  Francesco  II? 

E  il  calcio  dell'  asino  dato  dallo  stesso  Governo  sardo  a  quel  monarca  coi  40  mila 
uomini  destinati  a  combattere  la  rivoluzione  personificata  in  Garibaldi?  (Lettera  di 
Farini  al  Bonaparte)  ! 

Se  tutto  ciò  sia  aiuto  e  protezione,  lo  lascio  pensare  agli  Italiani! 
Si  dica  dunque  piuttosto,  che  quando  la  spedizione  dei  Mille  e  l' odio  delle  popo- 
lazioni meridionali  contro  il  borbonismo  lo  avevano  scosso  al  punto  da  non  lasciar 
dubitare  della  sua  caduta,  allora  il  solito  sfogliatore  del  carciofo,  stupito  da  tanti  eventi 
a  cui  non  si  aspettava,  e  continuando  nei  meschini  destreggiamenti,  gettava  la  mano 
sulla  Sicilia,  rimandando  a  tempi  migliori  e  dopo  un  altro  cumulo  di  astuzie  e  di 
menzogne,  il  raccogliere  la  foglia  continentale. 


r;  ni\isio\i:  wvali:  svì;iu 


^ 


tUc^J^f^^ 


.■IMhte.''  (yA<y  /uu^>e^ay    <!^<^a/2ìa^^  ..^c^Juty-  /<>At.*£^<^/. 

4^^  'TTfd^     j2,--^«:-*o>^  -/^^t^ti-^^^^j^  Xe^-^ji^  ^^,,//tJ^Lji/  e/>A^*-^f<Jy 
g/   ^^^.>!ys«.*/^^«tZ/    y^    ^j:4^^    ,/^^^^fW  A^^.*t.<^<y''il^ 


Lettera  autografa  dell'ammiraglio  Persane  al  conte  di  Cavour,  8  maggio  1860,  nella 
quale  gli  chiede  se  deve  sul  serio  arrestare  Garibaldi,  toccando  le  coste  della 
Sardegna,  e  risposta  autografa  del  conte  di  Cavour.  (Vedi  pag.    146). 


C-  iX-t-Xy^.   .^^ — 


..^■^    ■^^^'■z.^J^y^^^^e^'^^   -i^*J^—^: 


Brano  autografo  di  Garibaldi  sul  divieto  di  passare,  nel   1860,  il  Faro.  (Vedi  pag.    154). 


ì 


L- UOMO  DI  STATO  E  L- EROE  145 

Così  non  pensava  l'Italia  lanciata  lealmente  nella  via  di  rigenerazione  intera  e 
stanca  dell'  ignominioso  cammino,  in  cui  ora  l' hanno  obbligata  a  sdraiarsi. 

Garibaldi  ha  promesso  di  arrestare  Mazzini,  dice  Persane  1  Tutti  sanno,  che  Mazzini 
fu  da  me  protetto  a  Napoli  contro  l' ira  popolare  suscitata  dai  Cavouriani  ;  e  perchè 
lo  avrei  arrestato  a  Palermo?  L'idea  sola  mi  fa  ribrezzo. 

Siccome  molti  archimandriti  del  dottrinarismo  mi  hanno  chiamato  fanciullo  ;  io, 
fanciullo  o  no,  ho  la  coscienza  di  non  aver  mai  piegato  al  capriccio  dei  potenti,  ne 
ai  consigli  dei  dottrinari;  quando  gli  uni  e  gli  altri  volevano  sviarmi  dal  sentiero  del 
mio  convincimento  e  ne  risulta  che  qua  e  là  da  certi  imbrattafogli  epistolari  e  diplo- 
matici si  vede  accennato:  «  il  fanciullo  Garibaldi,  sempre  male  altornialo,  mal  consi- 
gliato, in  preda  ora  al  Mazzini,  ora  cieco  servo  alla  monarchia  ». 

Intorno  a  ciò,  bramerei  si  facessero  meno  parole  ;  e  che    gì'  Italiani    ricordassero 

aver  bisogno  di  rilevare  il  loro  decoro  nel  mondo. 

Addio,  ed  abbiatemi  sempre  vostro 

G.  GARIBALDI 


L'ammiraglio  Persano  nel  Diario  della  campagna  navale  del  1 860-6 1 
pubblicato,  si  noti  bene,  nove  anni  dopo  V  impresa  dei  Mille,  glorificando  la 
condotta  di  Cavour,  sente  il  bisogno  di  scusarla  in  qualche  particolare. 

E  prezzo  dell'  opera  l' esaminare  attentamente  alcuni  dei  documenti  già 
noti  e  dopo  leggere  quello  decisivo,  rimasto  fin  oggi  inedito  :  il  testo  della  let- 
tera scritta  tutta  di  pugno  del  Persano  al  Cavour  1'  8  maggio  1 860,  in  risposta 
all'  ordine  ricevuto  di  arrestare  Garibaldi,  se  questi  si  fosse  accostato  alla 
Sardegna  ;  lettera  che  il  Persano  credette  bene  di  non  pubblicare  in  tutta  la 
sua  integrità  ! 

Si  tenga  presente  che  il  3  maggio,  quando  la  partenza  di  Garibaldi  era  stata 
decisa,  1'  ammiraglio  riceveva  istruzioni  da  Cavour  di  partire  da  Livorno  «  senza 
fare  uso  delle  macchine  e  di  recarsi  ad  incrociare  con  i  legni  "  Maria  Ade- 
laide ,, ,  "  Vittorio  Emanuele  ,,  e  "  Carlo  Alberto  ,, ,  fra  il  Capo  Carbonaro 
e  quello  dello  Sperone  dell'  isola  di  Sant'  Antioco  della  Sardegna  ».  Persano 
entrava  nel  golfo  di  Cagliari  il  giorno  7  e  nella  notte  veniva  raggiunto  dalla 
Ichnusa  ,,  comandata  da  Saint-Bon,  che  gli  recò  un  ordine  ministeriale  in  data 
del  6,  in  cui  si  diceva  «  di  aderire  alle  richieste,  che  potrebbero  essergli  fatte 
dal  Governatore  di  Cagliari  ».  '  Ciò  prova  che  fino  dal  giorno  3,  Cavour  agiva 
e  dava  ordini  secondo  un  piano  nella  sua  mente  stabilito.  Il  dispaccio  mandato 
al  Governatore  di  Cagliari  e  comunicato  al  Persano,  diceva:   «  Garibaldi s' est 


'  D.  Ghiaia  -  Loco  citalo.  Voi.  HI. 

CURÀTULO  IO 


146  LA  POLITICA  DEL  CONTE  DI  CAVOUR  NEL  1660 

embarqué  avec  400  (?)  volontaires  sur  deux  oapeurs  de  Rubattino  pour  la  Sicile. 
S' il  entre  dans  un  pori  de  la  Sardaigne,  arrétéz  V  expédition.  Au  hesoin,  je 
vous  autorise  à  disposer  de  l' esquadre  commandé  par  le  compie  Persane.  » 
Quest'  ordine  fu  fatto  seguire  dall'  altro  :  «  N'  arrétéz  pas  V expédition  en  plein 
mer;  seulement  si  elle  entre  dans  un  pori  ». 

Ora  questo  secondo  dispaccio,  che  il  Persano  cerca  di  far  comparire  favo- 
revole alla  spedizione,  mentre  sul  primo  non  si  sofferma,  in  sostanza  non  lo  è. 
Infatti,  a  giudizio  dei  competenti,  non  sarebbe  stato  possibile  ad  una  squadra 
ancorata  in  Sardegna,  pur  volendolo,  1'  arrestare  in  pieno  mare  due  vapori  par- 
titi da  Genova  alla  volta  della  Sicilia,  senza  sapere  la  rotta  che  essi  tenevano, 
come  del  pari   sarebbe  stato  difficile  il  coprirli  e  difenderli. 

Cavour,  seguendo  la  direttiva  della  sua  pohtica  ed  i  sentimenti  del  suo 
animo,  non  aveva  alcuna  ragione  di  preoccuparsi  della  spedizione  in  alto  mare; 
egli  r  abbandonava  nelle  braccia  del  fato.  Quello  che  invece  preoccupava  il  diplo- 
matico e  per  cui  dava  ordini  perentori  si  era,  che  Garibaldi  si  fosse  accostato  alla 
Sardegna  ;  la  qual  cosa  lo  avrebbe  seriamente  compromesso,  non  tanto  davanti 
alle  potenze  estere,  sapendo  egli  essere  1'  Inghilterra  apertamente  favorevole  e  la 
Francia  non  ostile  ;  ma  davanti  alla  Corte  di  Napoli. 

Avanti  di  procedere  alla  disamina  dei  documenti  e  per  meglio  potere 
giudicare  la  condotta  posteriore  del  conte  di  Cavour,  giova  tener  presente  quel 
brano  del  primo  dispaccio,  dove  si  dice:  «  Garibaldi  s' est  embarqué  avec 
400  (?)  volontaires  sur  deux  vapeurs  de  Rubattino  pour  la  Sicile  ».  Come 
vedremo,  ciò  è  in  contrasto  con  quanto  lo  stesso  Cavour  scriveva  al  Persano 
il  1 4  maggio,  appena  aveva  avuto  la  notizia  ufficiale,  che  la  spedizione  era 
felicemente  sbarcata  in  Marsala  ed  il  conte,  a  notte  tarda,  rincasava  a  Torino, 
modulando  1'  arietta  sua  preferita  :   «  Di  quella  pira  V  orrendo  fuoco  »  ! 

Leggiamo  intanto  l' importante  lettera  fin'  ora  rimasta  inedita,  che  il  Persano 
scriveva  al  Ministro,  appena   ricevette  l'ordine  di  arrestare  Garibaldi. 

Persano  al  conte  dì  Cavour  {Vedi  facsimile). 

REGIA  DIVISIONE  NAVALE  SARDA  Cagliari,  addì  8  maggio   1860. 

7  ore  pomeridiane. 

Eccellenza, 

Manco  forse  al  dovere  nell'  indirizzarmi  a  V.  E. ,  ma  il  caso  non  ammette  dila- 
zione; quindi  le  chiedo  di  perdonarmi  se  fallisco,  e  voler  soltanto  considercire  il  mio 
passo  nel  suo  buon  intendimento. 


L- UOMO  DI  STATO  E  f  EROE  147 

Eccomi  a  V.  E. 

Nel  mio  giudizio  mi  sembra  difficile,  che  il  Governo  non  fosse  informato  della 
spedizione  G.  (Garibaldi).  Su  tale  congettura  mi  dico:  Se  il  Governo  non  ha  creduto 
di  fermarla  colà,  perchè  vorrà  arrestarla  nei  porti  della  Sardegna?  Da  ciò  vien  naturale 
il  mio  argomentare,  che  gli  ordini  mandati  al  Governatore  siano  per  ragioni  di  diplo- 
mazia ;  e  tanto  maggiormente  mi  ci  confermo,  riflettendo  al  dispaccio  in  cifre  di  lasciar 
libera  navigazione  in  alto  mare. 

Ora  il  Governatore  di  qui,  ai  cui  inviti  mi  è  ordinato  per  il  dispaccio  di  V.  E. , 
di  aderire,  mi  chiede  che  io  fermi  la  spedizione  di  cui  è  parola ,  ove  1'  incontri  nei 
porti  dello  Stato,  e  mi  manda  alla  Maddalena  a  tale  proposito,  come  luogo  cui  egli 
crede  il  G.  {Garibaldi)  sia  per  far  sosta  momentanea;  e  ritiene  il  "  Vittorio  Ema- 
nuele „  in  questo  golfo  allo  stesso  oggetto,  essendo  voce  che  pure  a  Cagliari  sia 
per  toccare. 

10  mi  penso  che  ne  alla  Maddalena,  ne  a  Cagliari  si  fermerà  il  G.  (Garibaldi)  per 
r  appunto  perchè  sono  gì'  indicati  ;  ma  ove  prendessi  abbaglio  ed  avessi  ad  incontrarlo 
in  quel  sorgitore,  devo  o  non  devo  efficacemente  agire  per  ritenerlo,  secondo 
mi  è  stato  ingiunto?  Voglia  1'  E.  V.  rispondermi  per  telegrafo  Malta,  se  intende  di 
no  ;  e  Cagliari,  se  intende  di  sì.  Io  mi  regolerò  sempre  da  non  compromettere  la  politica 
del  Governo.  V.  E.  conti  su  me  per  la  vita  e  per  la  morte.  Si  può  dare  grande 
apparenza  di  azione  e  far  nulla:  ciò  sarebbe  per  la  risposta  no;  mentre 
si  può  far  molto  e  comparire  far  nulla:  questo  sarebbe  per  il  caso  sì. 

Nella  peggiore  delle  ipotesi  V.  E.  getti  tutto  su  me  e  sia  sicura  del 
segreto,  dovesse  costarmi  la  vita. 

11  Governatore  di  Sassari  ha  gran  premura  di  avermi  alla  Maddalena,  ciò  mi 
pone  in  guardia  per  la  ragione  che  V.  E.  potrà   intendere. 

Siccome  poi,  militarmente  parlando,  io  devo  ubbidire  prima  di  tutto  V.  E. ,  tenga 
per  positivo  che  gli  ordini  avuti  saranno  eseguiti,  ove  non  mi  venga  con- 
tramandato. 

Con  profondo  rispetto 

di  V.  E. 

il  Contrammiraglio  Comandante  la  Squadra 
PERSANO 

Nella  stessa  lettera,  come  si  vede  dal  facsimile,  Cavour  scriveva  di  sua  mano 
il  testo  del   telegramma  di  risposta  :    «  Le  Mìnistere  est  décide  pour  Cagliari  » . 

*      * 


Si  ponderi  bene  il  contenuto  di  questa  lettera.  Le  riflessioni  che  in  essa 
si  contengono,  le  domande  che  il  Persano  rivolge  al  Ministro  sono  cosi 
stringenti  ed  esposte  con  quella  chiarezza  e  precisione,  che   certamente  esigeva 


148  LA  POLITICA  DEL  CONTE  DI  CAVOUR  NEL  1860 

la  gravità  dell'  ordine  ricevuto  ;  onde  la  risposta  laconica,  imperativa,  vergata  di 
mano  del  Cavour  e  telegrafata  al  Persane  non  può  dar  luogo  a  dubbi  sulle 
vere  intenzioni,  che  in  quel  momento  animavano  il  primo  Ministro  di  Vittorio 
Emanuele. 

«  Si  può  —  scrive  l'Ammiraglio  —  dare  grande  apparerìza  di  azione 
e  far  nulla  :  ciò  sarebbe  per  la  risposta  no  {Malta)  ;  mentre  si  può  fare  molto 
e  comparire  far  nulla  :  questo  sarebbe  per  il  caso  si  {Cagliari)  ».  E  un  po'  prima 
egli  domanda  :  «  Devo  o  non  deoo  efficacemente  agire  ?  »  La  parola  «  effi- 
cacemente »   è  sottolineata  nell'  autografo  del  Persane  ! 

Si  poteva  essere  più  chiari  di  così? 

Ma  ben  s'  ingannava  l' ingenuo  ammiraglio  !  Altro  che  ragioni  di  diplo- 
mazia, per  le  quali  bastava  dare  grande  apparenza  di  fare  e  far  nulla  !  Cavour 
voleva  che  si  facesse  sul  serio  ;  il  suo  pensiero  laconicamente  manifestato  nel 
telegramma  di  risposta  :  «  Le  Ministere  est  décide  pour  Cagliari  »  viene  fuori 
chiaro,  senz'  altre  possibili  interpretazioni,  dopo  di  avere  letto  in  tutta  la  sua 
integrità  la  lettera  direttagli  dal  Persano.  Il  quale  nove  anni  dopo,  quando  era 
bello  rivendicare  al  Cavour  il  merito  di  avere  voluta  ed  aiutata  la  spedizione, 
arzigogola  così  :  «  Questo  specificarmi  che  la  decisione  era  stata  presa  dal  Mini- 
stero mi  fa  comprendere  che  egli,  Cavour,  opinava  diversamente  ;  quindi  per  tran- 
quillarlo mi  faccio  premura  di  replicargli  :  Ho  capito  e  risolvo  di  lasciar  procedere 
l'ardito  condottiero  al  suo  destino,  ove  mai  approdasse  nei  porti  in  cui  erami 
ingiunto  di  arrestarlo,  facendo  ogni  mostra  atta  a  far  credere  sul  serio  essere 
io  stato  neir  intendimento  di  trattenerlo  » .  ' 

Oh  !  la  grande  perspicacia  del  signor  di  Persano  !  Gli  era  agevole  scrivere 
in  quel  modo  dopo  l' esito  fortunato  della  spedizione  ;  dopo  che,  per  fortuna 
d'  Italia,  gli  ordini  ricevuti  non  avevano  potuto  essere  eseguiti  !  Ma  avrebbe 
egli,  servitore  umilissimo  del  conte  di  Cavour,  agito,  come  nove  anni  dopo  scri- 
veva, se  Garibaldi  si  fosse  accostato  ad  uno  dei  porti  della  Sardegna?  Egli, 
che  termina  la  lettera  dicendo  :  V.  E.  tenga  per  positivo,  che  gli  ordini  avuti 
saranno  eseguiti,  ove  non  mi  venga  contramandato} 

Io  penso  che  se  Cavour  avesse  potuto,  quando  il  Persano  pubblicò 
quel  Diario,  ritornare  fra  i  vivi  avrebbe  preso  per  un  orecchio  1'  ammiraglio 
per  tutte  le  vanità  e  le  bugie  di  cui  egli  ha  infarcito  quel  libro  !  E  ci  vuole 
davvero  un  grande  feticismo,  che  annebbi  la  mente    per    affermare,  come  oggi 


'  C.  di  Persano  -  Diario,  pag.  20. 


L"  UOMO  DI  STATO  E  L"  EROE  149 


ha  fatto  taluno,  che  l' ordine  di  arresto  fu  dato  dal  Cavour  per  assicurare 
alla  spedizione  una  valida  tutela  nel  caso  di  un  cattivo  incontro  con  la  flotta 
borbonica  ! 

Ciò  che  avvenne  in  seguito  è  noto  ;   ma  è  bene  vagliarlo  cum  grano  salis. 

Il  1 4  maggio,  Cavour  avuta  la  notizia  ufficiale  dello  sbarco  felicemente 
avvenuto  in  Marsala,  presago  del  successo,  da  abile  nocchiero,  mutò  rotta  e  lo 
stesso  giorno,  quasi  per  giustificarsi  davanti  al  Persano  dell'  odioso  ordine  datogli 
di  arrestare  Garibaldi,   confermatogli  telegraficamente,  scrive  : 

Signor  Ammiraglio, 

Ho  trasmesso  al  Governatore  di  Cagliari  1'  ordine  di  fare  arrestare  la  spedizione 

del  generale  Garibaldi,  quando  mi  venne  assicurato  che  egli  intendeva  sbarcare  sulla 

sponda  romana.  Ora  che  il  Generale  è  in  Sicilia  e  che  i  legni  sui  quali  era  imbarcato 

sono  distrutti,  non  è  più  il  caso  di  ritornare  sulle  passale  istruzioni  ;  ma  bensì  di  proo- 

Vedere  alle  esigenze  delle  eventualità,  che  possono  essere  la    conseguenza    del   tentativo 

dell'  audace  Generale.  Ella  dovrà  quindi  riunire  nel  golfo  di  Cagliari  i'  intera  squadra 

sotto  i  suoi  ordini,  etc. 

CAVOUR 


Come  si  vede,  Cavour  si  prepara  a  raccogliere  il  frutto  dell*  impresa  ;  ma 
tiene  a  giustificarsi  agli  occhi  del  Persano  dell'  ordine  datogli  di  arrestare  GaribcJdi. 

E  strano,  che  un  uomo  di  cosi  alto  intelletto  abbia  potuto  avere  una 
grande  opinione  del  Persano  ;  ma  come  ebbe  a  scrivere  il  conte  di  Salmour, 
che  conobbe  intimamente  il  Cavour,  questi  «  s'incapricciava  facilmente  di 
quelli  che  gli  tornavano  realmente  utili  »  ;  ed  il  Persano  era  certamente  una  di 
quelle  tempre  di  uomini,  che  al  grande  diplomatico  tanto  servivano  ! 

Se  non  che,  la  giustificazione  che  egli  avesse  dato  quell'  ordine,  quando 
gli  era  stato  assicurato  che  Garibaldi  intendeva  sbarcare  sulla  sponda  romana, 
non  corrisponde  ai  fatti.  Il  dispaccio  del  7  inviato  al  Governatore  di  Cagliari 
è  chiaro  :  in  esso  Cavour  afferma  quello  che  tutta  Genova  sapeva  e  che  il 
Governo  non  ignorava.  «  Garibaldi  s'est  embarqué  avec  400  (?)  volontaires 
pour  la  Sicile  ».  Dunque  per  la  Sicilia  e  non  per  le  sponde  romane,  come 
invece  dopo  egli  afferma  !  Ne  nel  secondo  dispaccio,  dove  si  dice  di  non  arre- 
stare la  spedizione  in  pieno  mare,  ma  soltanto  se  si  fosse  accostata  in  un  porto 
della  Sardegna,  si  fa  alcun  cenno  a  possibile  sbarco  sulla  sponda  romana. 
Questo  secondo  telegramma  è  in  rapporto  al  primo,  in  cui  si  parla  dell'  imbarco 
di  Garibaldi  per  la  Sicilia. 


150  LA  POLITICA  DEL  CONTE  DI  CAVOUR  NEL  1860 

Oltre  a  ciò,  le  istruzioni  date  al  Persane  fino  dal  3  maggio  di  partire  da 
Livorno,  dove  si  trovava  ancorato  con  la  squadra,  confermano  come  il  Ministro, 
sapesse  fin  d' allora,  che  nessuna  seria  spedizione  si  avesse  intenzione  di  fare  sullo 
Stato  Romano  ;  perchè  diversamente  egli  non  avrebbe  ordinato  all'  ammiraglio 
di  allontanarsi  dalla  costa  e  andare  in  Sardegna.  Era  in  quest'  isola,  che  Cavour 
aveva  la  certezza  che  Garibaldi  si  sarebbe  fermato,  andando  in  Sicilia;  ne  si 
può  infine  dire  che  egli  avesse  avuto  sentore  della  sosta  del  Generale  a 
Talamone,  perchè  i  due  dispacci  al  Governatore  di  Cagliari,  in  cui  si  parla 
dell'  imbarco  di  Garibaldi  per  la  Sicilia  portano  la  data  del  7  ;  del  giorno 
stesso  di  queir  approdo,  dal  Garibaldi  non  preveduto  e  che  il  Ministro  non 
aveva  potuto  ancora  conoscere. 

Ogni  diversa  interpretazione  adunque,  sulla  condotta  del  Cavour  in  rapporto 
alla  spedizione  dei  Mille  alla  partenza  da  Quarto,  si  noti  bene  :  alla  partenza 
da   Quarto,  non  resiste  all'esame  dei  documenti  storici  e  al  lume  della  critica. 

«  /  Mille,  disse  Francesco  Crispi,  nella  sua  eloquenza  tacitiana,  ebbero 
sul  mare  Garibaldi  e  Dio  !  Sbarcati,  ebbero,  da  Marsala  a  Palermo,  Garibaldi 
ed  il  Popolo  siciliano  ».  ' 


* 

*    * 


Continuando  ad  esaminare  la  politica  del  grande  statista  in  quell'anno 
memorabile  debbo  intrattenermi  di  un  altro  argomento,  sul  quale  in  questi  ultimi 
tempi  si  è  molto  discusso. 

Che  Vittorio  Emanuele,  con  una  lettera  ufficiale  inviata  a  Garibaldi  il 
27  luglio  1 860,  gli  avesse  proibito  di  passare  nelle  Calabrie,  è  cosa  che  si 
sapeva  ;  ma  un  autografo  messo  in  luce  dal  Guerrini  nel  1 909  '  proverebbe, 
come  anche  il  re  desiderasse  e  consigliasse  quel  passaggio.  Latore  di  questo 
segreto  foglio  sarebbe  stato  lo  stesso  conte  Giulio  Litta  Modignani,  il  quale  in 
quei  giorni  ebbe  la  missione  di  portare  al  dittatore  la  lettera  ufficiale  del  re. 
In  questo  secondo  foglio  Vittorio  Emanuele  scriveva  : 

«  Ora,  dopo  avere  scritto  da  re,  V.  E.  le  suggerisce  di  risponderle  presso 
a  poco  in  questo  senso,  che  so  già  essere  il  suo.  Dire  che  il  Generale  è  preso 


'  F.  Crispi  -  /  Mille  e  la  Sicilia,  discorso  tenuto  al  Politeama  "  Garibaldi  ,,  in  Palermo 
il  27  maggio  1885,  pag.  6. 

'  D.  Guerrini  -  //  Risorgimento  Italiano.  Rivista  storica.  Fascicolo   1,   1909. 


L- UOMO  DI  STATO  E  L- EROE  151 

di  devozione  e  riverenza  per  il  re  ;  che  vorrebbe  poter  seguire  i  suoi  consigli; 
ma  che  i  suoi  doveri  verso  l'Italia  non  gli  permettono  d' impegnarsi  di  non 
soccorrere  i  Napoletani,  quando  questi  facessero  appello  al  suo  braccio  per 
liberarlo  da  un  governo,  nel  quale  gli  uomini  leali  e  i  buoni  italiani  non  possono 
aver  fiducia.  Non  potere  adunque  aderire  ai  desideri  del  re,  volendosi  riservare 
la  sua  libertà  d'azione  ». 

10  ho  già  esposto  in  un  pubblico  scritto  '  le  non  poche  ragioni  per  le 
quali  questo  autografo,  venuto  fuori  dopo  cinquant'  anni  dall'Archivio  di  un  uffi- 
ciale di  ordinanza  del  re,  apparisse  misterioso  e  sostenni,  come  non  risultava 
provato  essere  esso  pervenuto  nelle  mani  di  Garibaldi  ;  dimostrai  anzi  come 
risultasse  precisamente  il  contrario. 

Vi  sono  molte  cose  che  non  si  riescono  a  spiegare,  quando  ci  facciamo  a 
considerare  attentamente  questo  autografo  confidenziale  del  re. 

Non  si  comprende  anzitutto  il  fatto  che,  mentre  il  Litta  non  mancò  di 
annotare  nel  suo  Diano  ogni  piccola  notizia,  perfino  l'ora  in  cui  andava  a 
coricarsi  ;  che  Garibaldi  lo  invitò  a  déjeuner,  che  lo  fece  sedere  alla  sua  destra, 
che  il  trattamento  fu  buono  ed  abbondante  e  che  Garibaldi  mangiò  di  buon 
appetito  ed  allegramente,  si  fosse  poi  dimenticato  di  segnare  un  fatto  così  im- 
portante quale  sarebbe  stato  l' ordine  ricevuto  da  Sua  Maestà  di  farsi  resti- 
tuire dal  dittatore  il  segreto  foglio,  ovvero  1'  averlo  il  Generale  per  delicatezza 
ridato.  Ma,  pur  ammessa  una  deHe  due  ipotesi,  non  si  riesce  a  comprendere, 
come  un  documento  così  compromettente  per  la  persona  del  re  ;  che  questi  non 
aveva  voluto  fosse  lasciato  nelle  mani  di  Garibaldi  o  che  il  dittatore  aveva  pei 
delicatezza  restituito,  non  si  riesce  a  comprendere,  dico,  come  esso  poi  restasse 
nelle  tasche  di  un  semplice  ufficiale  di  ordinanza,  perchè  tale  era  il  Litta  in 
queir  epoca,  e  come  esso  venga  fuori  dopo  cinquant'  anni  dalle  sue  carte. 

Non  è  verosimile  d' altra  parte  ammettere,  che  il  re  non  avesse  richiesto 
al  Litta,  al  ritorno  della  missione,  il  compromettente  autografo,  che  questi  si 
fosse  dimenticato  di  restituido,  o  infine  che  Sua  Maestà  gliene  avesse  fatto 
grazioso  dono,   come  si  è  voluto  affermare. 

11  Guerrini  scrive  :  •«  Reduce  a  Torino,  il  Litta  Modignani  rese  perso- 
nalmente conto  al  re  della  missione  compiuta;  il  re  lasciò  al  Litta  Modignani 
l'originale  della  seconda  lettera,   che  esce  oggi  per  la  prima  volta  dopo  quasi 


'    CE.  Curàtulo  -    Lettera  aperta   al   tenente   colonnello   D.  Guerrini.  in    «  Rivista 
storica  del  Risorgimento  Italiano  ♦,  fascicolo  IIl-IV,   1909. 


152  LA  POLITICA  DEL  CONTE  DI  CAVOUR  NEL  1860 

mezzo  secolo  dall' Archioio,  dove  fin' ora  è  stato  gelosamente  custodito  per  docu- 
mentare un  punto  di  storia  nostra  ». 

Non  so  in  verità,  come  si  possa  fare  una  simile  affermazione,  quando 
nessun  documento  la  conferma  e  quando  lo  stesso  Litta,  il  quale,  come  si  disse,  non 
tralasciò  di  annotare  ogni  piccolo  particolare  e  specialmente  di  quelli  che  potes- 
sero solleticare  la  sua  vanità,  non  ne  fece  parolai 

Ne  mancai  di  rilevare  il  fatto,  che  la  ricezione  di  un  documento  così 
importante  non  venne  mai  a  conoscenza  ne  allora,  ne  dopo,  dei  più  fidi  ed 
autorevoli  compagni  di  Garibaldi,  come,  ad  esempio,  il  Crispi  ed  il  Tiirr.  Il 
primo,  commemorando  nel  1 897  la  battaglia  di  Milazzo,  diceva  :  «  La  vit- 
toria di  Milazzo  ci  aprì  la  via  del  continente.  E  nella  reggia  di  Napoli  se  ne 
capì  la  importanza  e  si  tentò  per  mezzo  della  diplomazia  di  evitarne  le  conse- 
guenze. Il  26  luglio  giungeva  un  messo  di  Vittorio  Emanuele  con  una  lettera 
a  Garibaldi.  Il  re  chiedeva  al  vittorioso  capitano  di  arrestarsi  nella  sua  marcia. 
Francesco  Borbone  rinunziava  al  dominio  della  Sicilia,  la  quale  sarebbe  stata 
libera  di  disporre  dei  suoi  destini.  Napoleone  III  proponeva  al  gabinetto  britan- 
nico d'  intervenire  con  le  flotte  per  impedire  ai  volontari  il  passaggio  dello  Stretto. 
E  chiaro  in  ciò  il  segreto  pensiero  della  Francia,  che  lo  manifestò  dappoi  in 
tutti  gli  atti  suoi  durante  il  periodo  della  nostra  costituzione  nazionale.  Garibaldi 
rispose  con  un  rispettoso  rifiuto.  John  Russell  rispose  a  Napoleone  consigliando 
ed  imponendo  il  non-intervento  nelle  cose  italiane.  Il  Borbone  così  era  abban- 
donato al  suo  destino  » . 

Ne  il  fatto  venne  a  conoscenza  del  Tiirr,  il  quale  sapeva  tutto  ciò  che  si 
passava  fra  il  re  e  Garibaldi  ;  quel  che  è  più,  non  ne  fece  mai  cenno  lo  stesso 
Garibaldi  nei  suoi  numerosi  scritti  pubblici  e  privati,  pubblicati  molti  anni  dopo, 
quando  nessuna  ragione  vi  sarebbe  stata  di  mantenere  il  segreto.  Risulta,  invece, 
avere  il  Generale  affermato  il  contrario  ! 

Garibaldi  nelle  sue  Memorie,  che  il  Guerrini  riconosce  essere  racconto  one- 
stamente storico,  dice  :  «  Non  avere  il  re  consentito  il  passaggio  dello  stretto 
di  Messina  »  e  nella  lettera  diretta  al  Barrili,  pubblicata  nel  1 869,  di  sopra 
trascritta,  il  Generale  categoricamente  afferma  :  «  //  divieto  governativo  del  pas- 
saggio sul  continente  è  fatto  storico  ». 

Come  mai,  osservavo  in  quel  mio  scritto,  soltanto  oggi,  quando  tutti  coloro 
che  potrebbero  testimoniare  sono  morti,  vien  fuori  un  documento,  che  riguarda  un 
momento  storico  così  controverso,  che  avrebbe  dovuto  essere  messo  in  luce  nei 
momenti  in  cui  intorno  ad  esso  si  discuteva  ;  quando  ferveva  la  lotta  contro  il 
partito  garibaldino,  per  distruggere  le  pubbliche  affermazioni  contrarie  del  Gari- 


L"  UOMO  DI  STATO  E  L- EROE  153 

baldi  ?  Come  mai,  non  pensò  a  pubblicarlo  Io  stesso  Litta  dopo  la  morte  del 
re  ?  Né  mancai  di  fare  osservare  le  molte  e  strane  contraddizioni,  che  si  notano 
nel  Diario  e  la  solita  riprovevole  abitudine  di  mettere  dei  puntini,  in  quei  luoghi 
nei  quali  più  che  mai  è  necessario  //  parlar  chiaro.  Questi  puntini,  che  si  trovano 
nel  Diario  del  Litta  e  che  lo  rendono  monco,  sarebbe  bene  sapere  (e  non  credo 
sia  indiscrezione  il  dimandarlo),  se  esistono  nel  manoscritto  originale  o  se  non 
rappresentano  reticenze  di  chi  lo  ha  pubblicato. 

Fra  le  tante  contraddizioni,  rilevai  che  mentre  il  22  luglio  Litta  annota, 
che  il  re  gli  aveva  dato  due  lettere  per  Garibaldi,  una  diplomatica  e  l' altra 
confidenziale.  Io  stesso  giorno  scrive  alla  moglie:  «  Mi  recai  dal  re,  mi  lesse  la 
lettera,  mi  diede  molte  istruzioni  e  mi  congedò  »,  ed  il  giorno  dopo  rivela  alla 
moglie,  senza  alcun  riserbo,  tutta  la  sua  missione  e  scrive  :  «  La  mia  missione 
consiste  nel  consegnare  una  lettera  a  Garibaldi  del  re,  in  cui  è  detto  di 
fermarsi  e  non  entrare  nelle  Calabrie,  e  ciò  per  poter  dire  alla  diplomazia, 
che  si  è  fatto  il  possibile  per  non  distruggere  la  dinastia  napoletana  ;  ma  poi 
la  mia  parte  segreta  consiste  nel  lasciar  capire,  che  se  è  capace  di  fare, 
faccia  pure  » . 

A  chi  credere,  di  grazia  ?  al  Litta  che  scrive  alla  moglie  privatamente, 
senza  riserbo,  ovvero  al  Litta  che  scrive  un  Diario,  infarcendolo  di  notizie  e 
di   apprezzamenti  che  sono,   a  giudizio  di  tutti,  non  sempre  conformi  a  verità  ? 

Che  Vittorio  Emanuele  abbia  dato  istruzioni  di  parlare,  e  di  consegnare  il 
foglio  confidenziale,  soltanto  nel  caso  che  lo  avesse  ritenuto  indispensabile,  si 
può  ammettere.  Che  il  Litta  abbia  parlato  col  dittatore,  nel  senso  delle  idee 
personali  del  re,  dopo  avergli  consegnato  la  lettera  ufficiale,  Io  credo  ;  ma  che 
quel  foglio  pervenne  nelle  mani  di  Garibaldi,  ora  come  allora,  dico  :  è  da  provare. 

Né  ripeterò  le  osservazioni,  che  allora  ebbi  a  fare  intorno  alla  busta  con- 
tenente r  autografo  reale  e  che  hanno  pur  esse,  in  una  quistione  così  complicata, 
il  loro  valore.  Basta  dare  uno  sguardo  al  facsimile,  che  ne  fu  dato,  per  essere  col- 
piti dal  fatto,  certamente  insolito,  che  detta  busta  non  presenta  alcuna  lacerazione, 
né  sulle  due  faccie,  né  sugli  angoU  e  che  il  sigillo  reale  è  completamente  intatto 
in  ogni  sua  parte  ;  ciò  che  dimostra  com'essa  dovette  essere  aperta  da  uno  dei 
margini  con  un  sottile  tagliacarte  e  con  tale  scrupolosa  diligenza,  che  non  poteva 
essere  adoperata,  se  non  da  chi  ne  aveva  l' interesse. 

Tutte  queste  considerazioni  fecero  uscir  di  gangheri  1'  egregio  scrittore,  che 
queir  autografo  aveva  messo  in  luce  ;  e  me  ne  dolsi. 

Me  ne  dolsi,  perchè  se  la  storia  é  ricerca  di  luce  e  di  verità,  l'  una  e  l'  altra 
non  si  ottengono  senza  una  discussione  libera  e  sincera.   Né  quelle  mie  osserva- 


154  LA  POLITICA  DEL  CONTE  DI  CAVOUR  NEL  1860 


zioni  possono  essere  ritenute  superflue,  quando  si  tratta  di  dover  discutere  un 
documento  così  importante,  e  sull'appoggio  del  quale  chi  lo  ha  pubblicato  si  è 
affrettato  a  dedurre  le  due  seguenti  ipotesi  ;  delle  quali  una  certamente  né  logica 
ne  verosimile  ;  che,  cioè,  se  Garibaldi  nel  '60  si  decise  a  passare  il  Faro  ciò 
egli  fece,  perchè  sospinto  dai  consigli  del  re  e  del  conte  di  Cavour,  compar- 
tecipe del  diplomatico  maneggio  ;  l'altra,  annunziata  con  una  certa  timidità,  che 
anche  la  storica  lettera  scritta  da  Garibaldi  al  re,  alla  vigilia  della  partenza  da 
Quarto,   gli  fosse  stata  da  quest'  ultimo  dettata. 

Ebbene,  alle  argomentazioni  allora  addotte,  tendenti  a  dimostrare  come 
non  risulta  provato,  che  il  segreto  foglio  del  re  sia  pervenuto  nelle  mani  del 
dittatore,  io  sono  oggi  in  grado  di  portare  una  prova  esauriente  :  un  brano 
inedito,  scritto  di  pugno  di  Garibaldi,  che  qui  si  vede  riprodotto  in  facsimile 
ed  il  cui  originale  trovasi  nella  mia  raccolta  garibaldina,  fra  i  tanti  numerosi 
appunti  e  brani  autografi  dell'  eroe.   Garibaldi  scrive  : 

■«<  Monarchia  m'  ha  impedito  tre  volte  :  andare  in  Sicilia,  pas- 
sare il  Faro,  passare  il  Volturno  ». 

Si  potrebbe  obbiettare,  che  Garibaldi  non  dice:  il  re  m'ha  impedito,  ma 
monarchia  ;  come  nella  lettera  al  Barrili  non  disse  :  il  divieto  del  re,  ma  i7  di- 
vieto governativo.  Ora,  a  parte  1'  osservazione  che  se  una  distinzione  Garibaldi 
avesse  voluto  fare,  l' avrebbe  fatta,  la  sua  affermazione  distrugge  ad  ogni  modo 
la  tesi  di  alcuni  storici,  con  tanto  calore  sostenuta,  che  cioè  il  Governo  {Cavour) 
desiderasse  il  passaggio  del  Garibaldi  sul  continente. 


* 
*     * 


Stando  così  le  cose,  a  me  sembra  che  non  si  possa  uscire  da  questo 
dilemma  ;  o  le  affermazioni  di  Garibaldi  sono  false,  o  l' autografo  confidenziale 
del  re  messo  in  luce  in  piena  buona  fede,   è  apocrifo  ! 

Ma,  se  la  prima  ipotesi  è  da  mettersi  da  parte,  perchè  essa  non  solo  con- 
trasta con  la  lealtà  di  Garibaldi  da  tutti  riconosciuta,  ma  urta  contro  la  logica  ; 
poiché  nessuno  di  coloro  i  quali  allora  avrebbero  dovuto  smentirlo  sorsero  a  farlo  ; 
d'  altra  parte,  non  si  può  negare  autenticità  al  segreto  scritto  del  re,  perchè  esso 
è  in  armonia  non  solo  col  noto  temperamento  di  Vittorio  Emanuele,  ma  con 
quanto  in  questo  volume  è  luminosamente  provato  :  1'  esservi  stato,  dopo  1'  en- 
trata della  schiera  liberatrice  in  Palermo,  un  carteggio  diretto  fra  Re  e  Capi- 
tano del  Popolo,  dal  quale  risulta  che  queste  due  gigantesche  figure  nel  1 860 


L'UOMO  DI  STATO  E  L'EROE  155 


cospiravano  in  barba  a  tutte  le  diplomazie  ;  come  Vittorio  Emanuele  non  fosse 
sempre  d'  accordo  col  suo  primo  Ministro,  ma  che  invece  seguisse  la  sua  politica 
personale.  «  Si  fidi  di  me  e  di  nessun  altro  »,  scrive  il  re  a  Garibaldi  in  una 
delle  lettere,  che  in  questo  volume  si  leggono. 

Né  mi  par  giusto  impicciolire  1'  importanza,  che  indubbiamente  ha  quel 
segreto  autografo  e  che  illustra  ancor  più  la  maschia  figura  di  Vittorio  Ema- 
nuele per  servirsene  come  un'  arma  di  partito  ;  come  documento  dal  quale  si 
possa  dedurre,  che  il  passaggio  di  Garibaldi  sul  continente  si  debba  ai  consigli 
del  re  segretamente    datigli,    compartecipe,    anzi  ispiratore,   il  conte  di  Cavour  ! 

Chi  vorrebbe  sostenere  che  Garibaldi,  partito  da  Quarto  con  mille  uomini 
male  armati  e  senza  munizioni,  sbarcato  miracolosamente  a  Marsala,  vittorioso 
a  Calatafimi,  a  Palermo,  a  Milazzo,  non  avrebbe  completato  l' impresa  senza  il 
consiglio  del  re  e  del  di  lui  Ministro  ?  Egli,  quel  Garibaldi  che  si  era  rifiutato  a 
fare  l' annessione  tanto  desiderata  da  Cavour  e  che  voleva  incoronare  Vittorio 
Emanuele,   re  d'  Italia  in  Campidoglio  ? 

Si  è  detto,  che  poiché  nella  lettera  di  risposta  del  dittatore  al  re  si 
seguono  le  traccie  indicate  nell'  autografo  confidenziale,  questa  sarebbe  la  prova 
decisiva  che  quello  scritto  pervenne  nelle  mani  di  Garibaldi. 

In  verità,  tenuto  conto  delle  stranissime  e  misteriose  circostanze,  che  si 
notano  intomo  a  questo  segreto  foglio  del  re,  il  fatto  con  tanta  enfasi  indicato 
come  decisivo,  che  nella  risposta  di  Garibaldi,  si  noti  bene,  conosciuta  da 
mezzo  secolo,  si  vorrebbero  vedere  seguite  le  traccie  dello  scritto  reale,  venuto 
alla  luce  oggi  soltanto  ;  ed  il  volere  sostenere  che  Garibaldi  scrisse  come  un 
giovinetto,  al  quale  si  dettano  le  traccie  per  un  componimento  ;  questo  fatto,  se 
mai,  potrebbe  avvalorare  il  sospetto,  in  alcuni  già  sorto,  della  non  autenticità  di 
quello  scritto  ;   la  qual  cosa  è  da  escludere. 

Senza  però  dilungarsi  in  discussioni,  non  è  inutile  il  rilevare,  come  l'anda- 
mento della  risposta  di  Garibaldi  non  si  può  affermare  sia  tale  da  non  potersi  dire, 
che  essa  non  risponda  alla  lettera  ufficiale  del  re.  Ma  vi  è  ancora  da  osservare, 
che  in  questa  quistione  noi  discutiamo  sulla  base  di  documenti  non  storicamente 
accertati  nel  loro  testo  preciso.  Noi  infatti  non  conosciamo,  né  il  testo  autografo 
della  lettera  ufficiale  che  Vittorio  Emanuele  scrisse  a  Garibaldi,  né  quello  della  rispo- 
sta fatta  da  questi  al  re.  Il  presunto  testo  della  prima  ci  fu  dato  nel  '60  da 
un'agenzia  francese,  1'  Agenzia  Bullier  ed  i  giornali  italiani  ne  fecero  la  traduzione. 
Di  essa  se  ne  hanno  due  versioni  :  una  é  quella  pubblicata  dal  Bandi,  l'altra  dalla 
Mario.  Non  parlo  poi  della  risposta  del  Garibaldi  al  re,  della  quale  se  ne  hanno 
ben  cinque  versioni,  alcune  delle  quali  in  data  del  27  luglio,   altre  del  I  0  agosto. 


156  LA  POLITICA  DEL  CONTE  DI  CAVOUR  NEL  1660 

L'  on.  Rava  ha,  poco  tempo  fa,  messo  in  luce  un  importante  documento  ', 
trovato  fra  le  carte  del  Farini  e  che  suona  così  : 

Messina,  30  luglio  1860. 
Sire, 

Io  penso  di  passare  il  15  del  venturo  mese,  piuttosto  prima.  Avrei  bisogno  ancora 
di  10.000  fucili  con  baionetta,  prima  di  quell'  epoca.    Saluto    la  M.    V.   con  affetto. 

Dev.mo  sempre 
G.    GARIBALDI 

P.  S.  -  La  M.    V.  farà  un  gran  bene,  mandandomi  alcune  centinaia  di  sciabole 
per  cavalleria. 

Il  re  inviava  questa  lettera  al  Farini,   aggiungendovi  di  sua  mano  : 

Caro  Farini, 
Guardi  di  fare  il  possibile  per  queste  cose  richieste  dal  Generale. 

VITTORIO  EMANUELE 

Non  io  potei  essere  sorpreso  alla  lettura  dell'  importante  autografo  pub- 
blicato dall'  on.  Rava  ;  una  delle  tante  lettere,  che  debbono  essere  state  scritte 
in  quei  giorni  da  Garibaldi  al  re,  e  che  è  a  sperare  saranno  ora  messe  in  luce  ; 
ora  che  conosciamo  quelle  del  re  al  dittatore.  Ne  mi  sorprese  il  fatto,  che  1'  illustre 
uomo  che  quel  documento  pubblicava,  avesse  ravvisato  in  esso  la  risposta  di 
Garibaldi  al  foglio  confidenziale  di  Vittorio  Emanuele  ;  non  conoscendo  egli  quello 
che  oggi  dai  documenti  da  me  editi  viene  provato  a  luce  meridiana,  che  cioè 
fra  il  re  e  Garibaldi  vi  fu  nel  *60,  dopo  l' entrata  vittoriosa  a  Palermo,  unità 
di  sentire,  per  cui  queste  due  figure  restano  indissolubilmente  unite  nella  storia 
del  nostro  Risorgimento. 

Da  una  delle  lettere  dirette  dal  re  al  Garibaldi  (vedi  Gap.  XIV),  si  vede 
come  già  fino  dai  primi  di  luglio  Vittorio  Emanuele,  per  mezzo  del  conte  Amari, 
aveva  fatto  pervenire  a  Garibaldi,  che  gli  aveva  manifestato  1'  intenzione  di 
passare  nelle  Calabrie,   un  promemoria,   nel  quale  si  diceva  :  «  Notì  partire  per 


'  Io  «  Nuova  Antologia  »,  febbraio  191 1. 


L'UOMO  DI  STATO  E  L'EROE  157 

Spedizione  Napoli  senza  che  io  lo  sappia  per  non  imbrogliare  i  miei  progetti  e 
per  essere  sempre  d'  accordo  » . 

11  passaggio  nelle  Calabrie  era  adunque  nel  cuore  di  Garibaldi,  come  in 
quello  del  re,  assai  prima  del  foglio  confidenziale,  che  il  Litta  avrebbe  conse- 
gnato al  dittatore  alla  fine  di  luglio,  e  la  lettera  messa  in  luce  dal  Rava  deve 
ritenersi  non  in  relazione  a  quel  foglio,  ma  alla  corrispondenza  precedente  avvenuta 
fra  quei  due  grandi  personaggi.  Ecco  perchè,  in  una  pubblica  lettera  ',  io  dicevo  : 
«  La  missione  data  nel  1860  al  conte  Giulio  Litta  Modignani,  la  quale  oggi 
assurge  ad  importanza  di  un  fatto  storico  di  primissimo  ordine,  diventerà,  quando 
noi  avremo  conosciuta  tutta  la  storia  vera  di  quei  giorni,  niente  altro  che  un 
semplice  episodio  ». 

* 
*    * 

Ma  ritornando  all'  autografo  del  re,  trovato  nell'Archivio  Litta,  se  tanto  le 
esplicite  affermazioni  contrarie  di  Garibaldi,  quanto  l'autenticità  di  quello  scritto 
sono  da  ammettersi,  è  mestieri  prima  che  qui  manifesti  il  dubbio,  che  nella  mia 
mente  si  è  venuto  formando  in  questa  questione,  l' indagare  non  tanto  se  Cavour 
fosse  a  conoscenza  del  diplomatico  maneggio  del  re,  perchè  di  questo  non  è 
a  dubitare,  è  lo  stesso  Litta  che  lo  afferma  ;  ma  è  da  sapere  piuttosto,  se  Cavour 
desiderasse  anch'  egli,  in  quel  momento,  il  passaggio  di  Garibaldi  sul  continente. 

lo  affermo,  che  per  sostenere  simile  tesi  bisogna  o  non  conoscere,  o  dimen- 
ticare la  direttiva  politica  del  conte  di  Cavour  in  quei  giorni  memorabili. 

Bolton-King,  r  illustre  storico  inglese  profondo  conoscitore  del  nostro  Risor- 
gimento, paragonando,  come  altri  han  fatto,  1'  opera  di  Cavour  con  quella  di 
Bismark,  dice  :  «  che  in  questi  due  grandi  uomini  vi  è  di  comune  una  qualità  : 
la  disposizione  a  mentire,  quando  il  mentire  serve  ai  loro  fini  »,  e  si  affretta 
a  soggiungere,  «  che  mentre  le  bugie  di  Bismarck  arrivavano  a  valanghe,  le 
bugie  di  Cavour  arrivavano  ad  una  ad  una  ».  ^ 

Emile  Ollivier  scrive  del  Cavour  :  «  //  se  faconna  aux  duplicilés  volpines, 
qui  sont  la  condition  de  certains  succès»,  e  soggiunge:  «  Il  n'avait  pas  hésité, 
nonobstant  sa  droiture,  à  devenir  un  fourbe  sans  retenue,  lorsqu'  il  aoait  cru 
ne  pouvoir  arréter  autrement  la  revolution  ».  ^ 


'  In  *  Giornale  d'Italia  »,  5  febbraio   1911. 

*  BoUon-King  -  Storia  dell'  Unità  Italiana.  Voi.  II,  pag.  238, 

'  Ejnile  Ollivier  -  L'  Empire  Liberal.  Tomo  IV,  pagg.  568  e  574. 


158  LA  POLITICA  DEL  CONTE  DI  CAVOUR  NEL  1860 

II  giudizio  di  questi  due  storici  non  italiani,  la  cui  autorità  è  da  tutti  rico- 
nosciuta, non  è  da  trascurarsi. 

In  nessun  altro  periodo  della  sua  vita  politica  il  grande  Ministro  mise  in 
pratica  i  dettami  di  Niccolò  Machiavelli,  quanto  nel  1 860  !  Nella  solitudine 
forzata  di  Leri,  dopo  il  disinganno  di  Villafranca,  Cavour  lesse  il  Principe  e  seguì 
i  suggerimenti  del  grande  Segretario  della  repubblica  fiorentina  :  «  seppe  essere  volpe 
a  conoscere  ì  lacci  e  leone  a  sbigottire  i  lupi  »,  e  praticò  la  massima  che 
«  nelle  azioni  di  tutti  gli  uomini,  dove  non  è  giudicio  da  reclamare,  si  guarda 
al  fine  ». 

Nei  mesi  di  luglio  e  di  agosto  l' arte  più  fina  del  grande  diplomatico  fu 
adoperata  per  il  conseguimento  della  sua  meta  ;  che  era  quella  di  troncare  la  marcia 
vittoriosa  di  Garibaldi  con  l'annessione  pronta  della  Sicilia  e  la  caduta  di  Napoli 
per  opera  dei  suoi  più  fidi  agenti,  colà  inviati  :  Visconti- Venosta,  Pinzi,  Ribotti, 
De  Vincenzi,  Oliva,   Nisco,   Mezzacapo,   Schiavoni  ed  altri. 

Raffaele  De  Cesare,  storico  non  sospetto  di  garibaldinismo,  con  frase  molto 
espressiva,  scrive  :  «  Cavour  in  quelV  epoca  non  aveva  requie  »  e  Giovanni 
Faldella,  come  un  pittore  della  nuova  scuola,  che  prende  dalla  tavolozza  i  colori 
e  li  butta  sulla  tela  per  ottenerne  effetti  e  contrasti  più  vivi,  discorrendo  della 
politica  del  Ministro  piemontese,  dice  :  «•  Qui  nel  settentrione,  il  mago  Cavour 
alimenta,  regola  e  spinge  la  macchina  prodigiosa;  uccella  il  conte  di  Siracusa, 
accivetta  Liborio  Romano,  addormenta  come  una  sirena  la  flotta  partenopea, 
rimpasta  la  Farina,  che  non  va  in  crusca  ». 

Per  dimostrare  che  nel  luglio  del  1 860,  Cavour  fosse  dell'  opinione  del 
re,  che  anch'  egli  cioè,  desiderasse  il  passaggio  di  Garibaldi  nelle  Calabrie,  si 
è  citata  una  sua  lettera  al  Persano  del  23  di  quel  mese,  portata  in  Sicilia 
dallo  stesso  Litta.  Ma  1'  impressione,  che  si  ha  oggi  leggendo  quella  lettera  ; 
oggi  che  si  conosce  il  segreto  foglio  di  Vittorio  Emanuele  è,  che  re  e  Mini- 
stro in  quei  giorni  cospirassero  per  conto  proprio  ed  in  contrasto  1'  uno  all'  altro. 

Il  conte  Giulio  Litta,  scrive  Cavour  al  Persano,  recasi  in  Sicilia  apportatore 
di  una  lettera.  Si  noti  bene  che  è  detto  di  una  lettera;  e  consiglia  l'ammiraglio 
«  di  non  influire  sulle  determinazioni  di  Garibaldi  riguardo  al  passaggio  sul 
continente  ».  Nessun  lontano  accenno  si  fa  del  desiderio  suo,  che  questo  passaggio 


'  N.  Machiavelli  -  //  Principe,  cap.  XVIII. 

'  R.  De  Cesare  -  La  Fine  di  un  Regno.  Voi.  11,  pag.  366. 

'  G.  Faldella  -  Commemorazione  di  Garibaldi.  Torino,  4  luglio   1907. 


L' UOMO  DI  STATO  E  L' EROE  159 


avvenga.  Ora  se  si  considera,  che  in  tutto  il  resto  della  lettera  si  danno  al  Persane 
chiare  e  precise  istruzioni  sulla  condotta,  che  egli  deve  tenere  con  Garibaldi  ; 
se  si  pensa,  che  nella  frequente  corrispondenza  il  Ministro  si  aprì  sempre  col 
Persano  senza  alcun  riserbo,  mettendolo  a  parte  di  ogni  segreto,  esprimendo  giu- 
dizi compromettenti,  affidandogli  missioni  segrete,  delicatissime,  il  suo  riserbo  in 
quel  punto  fa  pensare,  che  il  Cavour  seguisse  in  quel  momento  una  politica  diffe- 
rente da  quella  del  re,  e  che  per  non  scoprirsi,  ciò  che  sarebbe  certamente 
avvenuto  se  egli  avesse  dato  al  Persano  ordini  contrari  e  categorici,  si  limita  a 
consigliarlo  di  non  influire  sulle  determinazioni  di  Garibaldi. 

Non  si  potrebbe  in  verità  spiegare,  perchè  proprio  e  solo  in  quel  punto 
della  lettera,  che  riguardava  l' esplicito  desiderio  del  re  e  che  questi  non  aveva 
esitato  di  manifestare  a  Garibaldi  con  un  foglio  confidenziale  scritto  di  sua  mano, 
il  Cavour  dovesse  esprimersi  in  maniera  sibillina,  limitandosi  a  dire  al  Persano 
di  non  influire  sulle  determinazioni  di  Garibaldi  ;  quando  poi,  nella  stessa  lettera 
gli  scrive  :  «  Fece  e  farà  ottimamente,  conservando  col  generale  Dittatore  ottime 
relazioni.  La  consiglio  però,  a  non  confidare  senza  riserva  in  lui.  Ricordi,  che 
egli  ha  vissuto  più  anni  in  America  e  più  ancora  nella  solitudine,  ha  quindi 
contratto  abitudini  di  eccessivo  riserbo  e  di  necessaria  diffidenza  ».  Parole  prezio- 
sissime per  compiere  quell'  indagine  psicologica  indispensabile,  se  si  vuole  spiegare 
tutta  la  politica  di  quei  giorni  del  grande  statista. 

Se,  replico,  il  re  per  manifestare  il  suo  personale  desiderio,  contrariamente  a 
quanto  aveva  espresso  nella  lettera  ufficiale,  non  aveva  esitato  di  scrivere  di  sua 
mano  a  Garibaldi  un  foglio  confidenziale  ;  perchè,  se  questo  stesso  desiderio 
animava  il  suo  Ministro,  non  doveva  questi  in  quel  momento  stesso  manifestarlo 
al  Persano,  invece  di  consigliare  quest'ultimo  a  non  influire  sulle  determinazioni 
di  Garibaldi,  come  invece  egli  stesso  ebbe  chiaramente  a  manifestare  più  tardi 
allo  stesso  ammiraglio? 

In  una  lettera  posteriore  Cavour  scriveva  al  Persano  :  «  Sono  lieto  della 
vittoria  di  Milazzo,  che  onora  le  armi  italiane  e  che  deve  contribuire  a  persuadere 
r  Europa,  che  gì'  Italiani  sono  decisi  ormai  a  sacrificare  la  vita  per  riconquistare 
patria  e  libertà.  Io  la  prego  di  porgere  al  generale  Garibaldi  le  mie  sincere 
congratulazioni.  Dopo  sì  splendida  vittoria  non  vedo  come  si  potrebbe  impedirgli 
di  passare  sul  continente.  Sarebbe  stato  meglio,  che  i  napoletani  compissero  od 
iniziassero  l'opera  rigeneratrice.  Ma  poiché  non  vogliono  o  non  possono  muoversi, 
si  lasci  fare  a  Garibaldi.  L'  impresa  non  può  rimanere  a  metà.  La  bandiera 
nazionale  inalberata  in  Sicilia  deve  risalire  il  regno  ed  estendersi  lungo  le  coste 
dell'  Adriatico,   finché  ricopra  la  Regina  del  mare.  Si  prepari  dunque  a  piantarla 


160  LA  POLITICA  DEL  CONTE  DI  CAVOUR  NEL  1860 

con  le  proprie  mani,  caro  ammiraglio,  sui  bastioni  di  Malamocco  e  sulle  torri 
di  San  Marco  ». 

Avrebbe  Cavour  scritto  «  non  vedo  come  si  potrebbe  impedire  a  Gari- 
baldi di  passare  sul  continente  »,  se  prima  qualcuno  quel  passaggio  non  avesse 
cercato  di  ostacolare?  E  chi  mai  aveva  potuto  essere  costui,  se  non  lo  stesso 
Cavour?  Il  re?  Ma  il  re  non  aveva  manifestato  privatamente  a  Garibaldi  il  suo 
desiderio,  che  il  passaggio  dello  stretto  avvenisse? 

In  questa  lettera,  io  credo,  noi  abbiamo  la  prova  della  condotta  del  vero 
discendente  di  Niccolò  Machiavelli. 


*     * 


Ma  qui  sorge  spontanea  una  domanda  :  qual  mutamento  era  avvenuto  sulla 
scena  politica,  perchè  il  grande  statista,  da  esperto  pilota,  dovesse  ordinare 
macchina  indietro,  cambiare  di  rotta,  desiderare  il  passaggio  di  Garibaldi  sul 
continente  ed  il  compimento  da  parte  dell'  eroe  popolare  dell'  altra  metà 
dell'  impresa  ? 

Che  r  annunzio  della  vittoria  di  Milazzo  dovette  impressionare  Cavour  e 
convincerlo  sempre  più  del  non  comune  valore  di  Garibaldi,  è  da  2unmettersi  ; 
ma  la  mente  sua  era  mente  di  matematico.  Cavour  agiva  pensatamente,  non 
per  impulsi.  Come  un'aquila,  egli  sapeva  piombare  dall'  alto  e  far  sua  preda 
la  conquista  degli  altri  ;  ma  egli  non  era  uomo  da  lasciarsi  trascinare  dall'entu- 
siasmo del  momento.  Egli  aveva  nel  suo  alto  intelletto  politico  un  piano  pre- 
stabilito da  attuare,  una  meta  da  conseguire  ;  non  era  uomo  da  rinunziarvi  per 
la  nuova  vittoria  di  Garibaldi,  che  grandemente  ne  aumentava  il  prestigio. 

Oltre  a  ciò,  del  valore  e  dell'  audacia  di  Garibaldi,  egli  aveva  avuto  non 
dubbie  prove  ;  quindi  se  la  vittoria  di  Milazzo  potè  entusiasmarlo  fino  al  punto 
da  farlo  correre  col  pensiero  all'  italico  vessillo  «  sventolante  sulla  torre  di  San 
Marco  »  per  mezzo,  si  noti  bene,  del  valore  dell'  ammiraglio  di  Persano, 
ma  non  per  quello  di  Garibaldi  ;  non  è  eunmissibile  d' altro  lato,  che  l' esito  di 
quella  battaglia  sia  stato  il  vero  movente,  che  fece  mutare  la  direttiva  della  sua 
politica. 

La  verità  è,  che  in  quei  giorni  si  era  venuto  preparando  a  Napoli,  non  una 
vittoria,  ma  un  fiasco  ;  il  fiasco  degli  emissari  ivi  mandati  dal  Cavour,  perchè 
la  bella  Partenope  cadesse  senza  l'aiuto  di  Garibaldi.  Fra  gli  emissari  era  il 
giovane  Emilio  Visconti- Venosta,   «  il  più  autorevole  degli  agenti  di  Cavour  » 


L- UOMO  DI  STATO  E  L- EROE  161 

scrive  il  De  Cesare  ;  quel  Visconti- Venosta,  soggiunge  il  Persano,  «  andato  a 
Napoli  a  soffiare  nel  fuoco  ». 

La  tempesta,  che  in  quei  giorni  dovette  agitare  1'  anima  e  la  mente  del 
conte  di  Cavour  dovette  esser  ben  grande  !  Che  egli  non  avesse  requie  ;  che  un 
giorno  vedeva  dileguarsi  il  sogno  con  tanto  amore  carezzato  di  far  cadere  Napoli 
senza  l' aiuto  di  Garibaldi,  mentre  il  dì  seguente  gli  tornava  a  nascere  nel  cuore 
la  speranza  di  vedere  quel  sogno  realizzato,  è  chiaramente  provalo  dalle  lettere 
da  lui  scritte  in  quell'  epoca  memorabile. 

Dopo  quella  del  25  al  Persano,  gliene  invia  un'altra,  per  mezzo  del 
Nisco,  il  1  "  agosto,  nella  quale  gli  dice  :  «  Non  aiuti  il  passaggio  del  gene- 
rale Garibaldi  sul  continente,  anzi  veda  di  ritenerlo  per  via  indiretta  il  più 
possibile  »  e  contemporaneamente  scrive  al  Villamarina  :  «  E  grandemente  desi- 
derabile, che  la  liberazione  di  Napoli  non  proceda  per  opera  di  Garibaldi  ; 
giacche  ove  ciò  avvenga  il  sistema  rivoluzionario  prenderà  il  posto  tenuto  dal 
partito  costituzionale  monarchico  ».  Il  3  agosto  torna  a  raccomandare  al  Per- 
sane «  di  fare  quanto  può  per  far  scoppiare  il  moto  a  Napoli  »;  il  5  scrive 
ad  un  suo  intimo  amico  :  «  Dieu  veuille  que  Garibaldi  ne  nous  devance  pas 
à  Naples,  ou  qu  il  n  arrive  pas  sans  y  trouver  un  gouvemement  a\)ant  Liborio 
Romano  à  sa  téte  »  ;  infine  in  data  del  1 6,  con  accento  disperato,  scrive  al 
Ricasoli  :  «  Se  Napoli  racchiude  elementi  di  rivoluzione  essa  deve  scoppiare, 
altrimenti  io  non   so  che  farci  e  bisogna   rassegnarsi  al  trionfo  di  Garibaldi». 

Ma  tutti  gli  sforzi  del  sommo  statista  s'  infransero  contro  le  ineluttabili 
difficoltà  delle  circostanze  ! 

Il  1 2  settembre  Cavour  scriveva  ad  un  suo  amico  :  «  Vous  savez  tout 
ce  que  j' ai  fati  pour  devancer  Garibaldi  à  Naples.  J' ai  poussé  l'audace 
jusqu'au  point,  ou  elle  pouvait  aller  sans  courir  le  risque  de  voir 
éclater  la  guerre  civile,  et  je  n'aurais  pas  méme  reculé  devant 
cette  éxtremité,  si  j'avais  pu  espérer  d'avoir  pour  moi  l'opinion 
publique  ».' 

Il  conte  di  Cavour,  scrive  lo  storico  della  Fine  di  un  Regno,  convinto  a 
malincuore,  che  un  pronunciamento  a  Napoli  non  era  più  possibile;  che  un'azione 
diversa  e  distinta  da  quella  di  Garibaldi  sarebbe  stata,  al  punto  in  cui  erano 
giunte  le  cose,  occasione  di  far  correre  il  sangue  (Cavour  però,  ci  fa  sapere 
nella  lettera  ora  citata,  che  non  avrebbe  indietreggiato  anche  davanti  a  questo 


'  L.  Ghiaia  -  Loco  citato.  Voi.  Ili,  pag.  3. 
CURÀTULO 


162  LA  POLITICA  DEL  CONTE  DI  CAVOUR  NEL  1860 

estremo,  se  avesse  avuto  per  sé  l' opinione  pubblica),  telegrafò  al  Persane  di 
non  insistere.  Egli  aveva  preso  il  suo  partito  e  decise  la  spedizione  nelle  Marche 
e  neir  Umbria  per  continuarla,  occorrendo,  nel  Napoletano.  Spedizione  decisa, 
come  è  noto,  dopo  il  beneplacito  di  Napoleone  dato  a  Chambéry  ai  due 
inviati  Cialdini  e  Farini,  con  le  parole  ripetute  in  una  lettera  autografa  a  Vittorio 
Emanuele,  che  il  generale  Della  Rocca  ebbe  occasione  di  vedere  :  «  Allez, 
allez,  mais  sourtout  faites  vite  ». 

Non  è  più  a  Napoli,  egli  tuonava  da  Torino,  che  possiamo  acquistare  la 
forza  morale  necessaria  a  dominare  la  rivoluzione,  è  ad  Ancona  ;  ed  al  Gual- 
terio  scriveva  :  «  L'  ora  di  agire  nell'  Umbria  e  nelle  Marche  si  avvicina.  Il 
Ministero  è  deciso  non  solo  di  secondare,  ma  bensì  di  dirigere  il  movimento. 
Giunta  l'ora  di  agire  saremo  non  meno  decisi,  non  meno  audaci  del  Bertani  » 
e  ad  altri  :  «  La  monarchia  non  può  permettere,  che  Garibaldi  le  dia  tutto  ; 
deve  anch'essa  conquistarsi  qualche  cosa  ». 

E  la  monarchia  ricalcava  1'  opera  della  rivoluzione,  e  1'  esercito  piemontese 
vittorioso  faceva  quella  marcia,  che  già  Garibaldi  aveva  un  anno  prima  dise- 
gnato da  Rimini  e  che  Napoleone   111  aveva  impedito  ! 


* 


Dopo  quanto  sono  venuto  esponendo  sulla  stregua  di  documenti,  dopo  avere 
rilevato  il  mistero,  che  avvolge  1'  autografo  confidenziale  di  Vittorio  Emanuele, 
dirò  francamente  il  forte  dubbio,  che  nella  mia  mente  si  è  venuto  formando  su 
questa  questione. 

Con  la  più  grande  riverenza  verso  il  sommo  uomo  di  stato,  il  culto  della 
cui  memoria  non  è  in  me  inferiore  a  quello  che  altri  gli  tributa  ;  con  tutto  il 
rispetto  al  conte  Litta,  a  me  sembra  che  non  vi  sia  che  una  sola  ipotesi,  la  quale 
possa  riuscire  a  dileguare  1'  aria  di  mistero,  che  avvolge  quel  segreto  autografo 
reale  ;  una  sola  ipotesi,  che  possa  mettere  d' accordo  il  fatto,  altrimenti  incom- 
prensibile, dell'autenticità  del  documento  con  le  esplicite  affermazioni  contrarie 
di  Garibaldi  ;  che  possa  spiegare  come  un  documento  di  natura  tanto  delicata 
e  compromettente  per  la  persona  del  re  diretto  a  Garibaldi,  invece  di  restare 
nelle  mani  dell'  uno  o  dell'  altro,  rimanesse  invece  presso  colui,  che  aveva  avuto 
la  missione  di  portarlo  insieme  alla  lettera  ufficiale. 


*  Generale  Enrico  Della  Rocca  -  Loco  citalo,  pag.  36. 


L- UOMO  DI  STATO  E  L- EROE  163 

L*  ipotesi  che  sia  stato  il  conte  di  Cavour  stesso  a  non  fare  giungere  nelle 
mani  del  dittatore  quel  foglio,  che  sconvolgeva  tutto  il  piano  architettato  con 
r  arte  più  eccelsa  della  sua  mente  politica,  potrà  a  prima  vista  sembrare  assai 
ardita.  Ma  è  poi  essa  così  inverosimile  ed  insostenibile  P  Io  credo  che  no,  ed 
in  suo  sostegno  militano,  oltre  a  quanto  ho  di  sopra  esposto,  non  pochi  argo- 
menti di  fatto  ed  altri  di  natura  psicologica. 

Dei  primi,  a  me  pare  che  tre  sieno  d'  importanza  grandissima  e  danno 
alla  mia  ipotesi  una  grande  probabilità  di  certezza.  L'  uno  è  il  riserbo,  anzi  più 
che  il  riserbo,  il  segreto  tenuto  dal  Litta,  durante  tutta  la  sua  vita,  dell'  esi- 
stenza di  questo  autografo,  che  vien  fuori  oggi  soltanto,  frugando  nel  suo  Archivio. 
Si  osservi  che  il  Litta  moriva  nel  marzo  del    1878. 

Il  secondo  argomento  è  il  seguente.  Il  conte  Litta  ci  fa  sapere  di  essersi 
recato,  dopo  avere  veduto  il  re  che  gli  consegnò  la  lettera  ufficiale  ed  il  foglio 
confidenziale  per  Garibaldi,  dal  Cavour  col  quale,  egli  scrive,  «  si  scherzò  pia- 
cevolmente sulla  parte  garibaldina,  che  andavo  a  rappresentare  »  e  contempo- 
raneamente, in  una  lettera,  alla  moglie  dice  di  essere  stato,  dopo  la  visita  al  re, 
dal  Cavour  col  quale,  sono  sue  parole,  «  ebbi  un  colloquio  ed  istruzioni  molto 
divertenti  ».  Si  noti,  che  queste  due  ultime  parole  nel  Diario  sono  stampate 
in  carattere  corsivo  ;  la  qual  cosa  significa,  a  dire  del  Guerrini  che  nella  pre- 
fazione a  quella  pubblicazione  lo  avverte,  che  nel  manoscritto  originale  quelle 
parole  si  trovano  sottolineate. 

Ora,  quali  poterono  essere  queste  istruzioni  molto  divertenti,  delle  quali 
il  Litta  parla  sottolineando  la  frase?  Debbono  esse  riferirsi  soltanto  alla  doppia 
parte,  che  questi  andava  a  rappresentare  presso  Garibaldi?  Ammesso,  che 
abbia  potuto  scherzarsi  piacevolmente  sulla  parte  garibaldina,  che  il  Litta  andava 
a  rappresentare,  questi  però  parla  di  istruzioni  ricevute  dal  Cavour  ;  e  quali 
esse  poterono  essere?  E  forse  indiscreto  il  supporlo  oggi  che,  insieme  alle  affer- 
mazioni categoriche  del  Garibaldi,  noi  vediamo  venir  fuori  dalle  carte  del  Litta, 
dove  rimase  gelosamente  custodito  per  ben  cinquant' anni,  il  segreto  foglio  del 
re,  che  sconvolgeva  completamente  il  piémo  politico  del  suo  primo  Ministro? 
I  giuochi  di  bussolotti,  nei  quali,  come  disse  Massimo  d'Azeglio,  il  conte  di 
Cavour  era  abilissimo,  '   furono  anche  questa  volta  eseguiti? 

Ma  un  altro  argomento  non  meno  importante  vi  è  da  considerare,  ed  è 
che  fra  Vittorio  Emanuele  e  Garibaldi  prima  di  quell'epoca  vi  era    stato   un 


'  R.  Bontadini  -   Vita  di  Francesco  Arese,  pag.  297. 


164  LA  POLITICA  DEL  CONTE  DI  CAVOUR  NEL  1860 


carteggio  autografo  non  meno  compromettente  e  quel  carteggio  rimase  non  negli 
Archivi  degli  ufficiali  di  ordinanza  del  re  o  di  altri,  che  avevano  avuto  la  mis- 
sione di  portarlo,   ma  presso  Garibaldi. 

In  un  foglio  autografo  del  re  portato  dall'Amari  nei  primi  di  luglio  (pedi 
Gap.  XIV)  Vittorio  Emanuele  di  sua  mano,  scriveva: 

Riguardo  alla  lega  (col  re  di  Napoli),  non  accetto;  strascinerò  in  lungo 
facendo  proposte  e  contro  proposte  che  lui  {il  re)  non  possa  accettare. 

Riguardo  ad  impedire  a  Garibaldi  di  continuare  secondo  la  domanda 
della  Francia,  mi  ci  sono  opposto. 

Fare  subito  annessione  e  manderò  Depretis. 

Non  fidarsi  che  di  me  e  di  nessun  altro. 

Non  partire  per  spedizione  Napoli,  senza  che  io  lo  sappia  per 
non  imbrogliare  i  miei  progetti  e  per  essere  sempre  d'accordo. 

Stabilita  lega  tra  Austria,  Russia  e  Prussia  contro  di  me  per  quest'anno 
venturo. 

Io  prendo  le  mie  misure  per  fare  convenzione  con  la  Francia  per  fare 
attaccare  V  Austria  sul  Reno,   quando  ci  attaccherà. 

Tanti  saluti  al  mio  amico  Garibaldi. 

Come  si  vede,  Vittorio  Emanuele  qui  paria  contro  tutta  1'  Europa  reazio- 
naria e  contro  la  Francia,  e  parla  pure  di  spedizione  per  Napoli  ;  argomenti  che 
lo  avrebbero  grandemente  compromesso.  Ebbene,  questo  foglio  rimase  presso 
Garibaldi  ! 

Bisogna  riportarsi  con  la  mente  e  con  1'  anima  a  quei  giorni  memorabili, 
nei  quali  uomini  ed  ideali  erano  cotanto  diversi  da  quelli  della  generazione  nostra, 
tutta  intenta  a  tenere  gli  occhi  sul  listino  della  Borsa  ;  a  quei  giorni  animati  deJ 
turbine  delle  sante  passioni,  in  cui  le  vie  ed  i  metodi  per  raggiungere  la  nobile 
mèta  erano  diversi  ;  in  cui  mentre  Garibaldi  guerreggiava  sui  campi  di  battaglia, 
Cavour    cospirava    nel  suo  gabinetto. 

Lotta  di  veri  titani  fu  quella,  che  si  combattè  in  quell*  epoca  !  Che  se 
r  audacia  di  Garibaldi  non  aveva  limiti  nel  campo  aperto  della  battaglia,  l'au- 
dacia del  conte  di  Cavour  non  era  inferiore  in  quello  tenebroso  della  politica. 


L- UOMO  DI  STATO  E  L- EROE  165 

Egli  non  era  uomo  da  arrestarsi  facilmente  davanti  alle  difficoltà,  che  gli  si  pre- 
sentavano e  da  non  osare,  per  i  suoi  fini,  di  magnetizzare  perfino  un  ufficiale  di 
ordinanza  del  re,  che  aveva  avuto,  si  noti  bene,  una  missione  politica  e  non  mi- 
litare ;  una  missione  politica  che  mandava  in  aria  tutto  il  suo  piano. 

Voi  sapete  quello  che  io  ho  fatto  per  prevenire  Garibaldi  in  Napoli.  Ho 
spinto  l'audacia  fin  dove  essa  poteva  arrivare!  Così  egli  scriveva  ad  un  suo 
amico  nella  citata  lettera  del    1 2  settembre. 

Che  la  politica  del  re  e  del  suo  primo  Ministro,  nei  riguardi  di  Garibaldi, 
fosse  in  quei  giorni  divergente  ;  che  fra  Vittorio  Emanuele  e  Cavour  non  vi 
fosse  accordo,  ne  abbiamo  anche  una  prova  nella  lettera  del  Garibaldi  al  Te 
del   30  luglio  da  Messina,   trovata  fra  le  carte  del  Farini. 

Vittorio  Emanuele  rimise  la  lettera  del  Generale  con  una  sua  aggiunta 
autografa,  che  raccomandava  la  richiesta  di  Garibaldi  non  al  conte  di  Cavour, 
che  era  il  suo  primo  Ministro,  ma  al  Farini. 

Ora,  che  il  re  non  siasi  rivolto  al  Fanti,  il  quale  come  Ministro  della  guerra 
sarebbe  stato  la  persona  più  adatta  per  soddisfare  la  richiesta  di  armi  del  Gari- 
baldi, si  può  spiegare  ;  se  si  pensa  che  dopo  il  dissidio  sorto  nell'  Italia  Centrale, 
fra  quei  due  personaggi  non  vi  era  più  buon  sangue  ;  ed  il  re  questo  non  ignorava. 
Ma  il  fatto  di  essersi  egli  rivolto  al  Farini  e  non  al  Cavour  avvalora  1'  affermazione, 
che  in  quei  giorni,  nei  riguardi  di  Garibaldi,  non  vi  fosse  fra  il  re  ed  il  suo  primo 
Ministro  accordo. 

Non  era  questa,  del  resto,  la  prima  volta  in  cui  fra  Vittorio  Elmanuele  e 
Cavour  questo  accordo  era  mancato  ;  in  cui  l' opinione  di  quest'  ultimo  avrebbe 
voluto  prevalere  su  quella  del  re. 

Nel  famoso  colloquio  avvenuto  la  notte  di  Monzambano,  dopo  la  pace  di 
Villafranca,  colloquio  al  quale,  come  scrisse  Isacco  Artom,  poche  scene  di  Sha- 
kespeare potrebbero  essere  paragonate,  avendo  Vittorio  Emanuele  detto  al  Cavour, 
il  quale  lo  consigliava  di  abdicare,  che  a  questo  doveva  pensarci  lui,  che  era 
il  re,  il  ministro  rispose  :  «  //  re  ?  il  vero  re  sono  io  »  ed  al  Nigra,  in  una 
lettera  del  22  settembre,  il  cui  originale  è  nel  mio  Archivio  e  che  più  oltre  si 
legge,  pariando  di  Garibaldi  e  dei  garibaldini,  che  1'  armata  di  Fanti  e  Cialdini 
non  avrebbe  desiderato  di  meglio  che  di  buttare  a  mare,  Cavour  dice  :  «  Le 
Roi  est  décide  à  en  finir.  D'  ailleurs,  je  n'  admetterais  pas  d*  hésitation  ». 
Ciò  che,  in  sostanza,  significa  che  egli,  Cavour,  non  avrebbe  esitato  di  agire 
anche  contro  la  volontà  del  re. 

E  sempre  lo  stesso  leitmotiv  che  domina  :   il  vero  re  sono  io  I 


166  LA  POLITICA  DEL  CONTE  DI  CAVOUR  NEL  1860 

Dissi,  come  a  sostegno  della  mia  ipotesi  militano  non  solo  argomenti  di  fatto, 
ma  altri  di  natura  psicologica,   che  è  bene  qui  di  prendere  in  giusto  esame. 

Fra  Vittorio  Emanuele  e  Cavour  non  esistette  mai  una  vera  simpatia  ;  lo 
afferma  un  personaggio  autorevole  e  non  sospetto,  Michelangelo  Castelli,  amicis- 
simo del  Cavour. 

Non  era  soltanto  la  diversità  del  temperamento,  che  disuniva  questi  due 
personaggi  ;  anima  aperta  di  soldato  1'  uno,  1'  altro  abilissimo  nell'  arte  dei  rag- 
giri o  dei  giuochi  di  bussolotti,  come  diceva  il  buon  d'Azeglio.  Ma  gli  è,  che 
fra  Re  e  Ministro  vi  era  stato  un  incidente,  che  aveva  lasciato  nell'  animo  del 
primo  traccie  indelebili  ;  che  aveva  soffocato  ogni  germe  di  simpatia  per  Cavour 
e  che  giova  richiamare  alla  memoria  per  la  psicologia  di  questi  due  grandi  fattori 
dell'  unità  della  patria. 

Vi  fu  un'epoca,  scrive  Michelangelo  Castelli,  in  cui  il  conte  di  Cavour  temette, 
che  Vittorio  Emanuele  finisse  per  sposare  la  bella  Rosina  Mirafiori,  ed  in  cui 
egli  si  credette  in  obbligo,  per  alte  ragioni  politiche,  di  cercare  ogni  mezzo  per 
allontanarlo  da  essa.  Anche  in  quella  occasione  1'  audacia  di  Cavour  fu  immensa 
ed  essa  arrivò  a  tal  punto  che,  dice  il  Castelli  «  potevano  nascere  scandali  gra- 
vissimi». «  Io  doveva  cercare,  continua  l'amico  del  conte  di  Cavour,  di  arre- 
starlo in  una  via,  che  non  poteva  che  riuscire  fatale  per  tutti.  Ricordo  di  avergli 
detto,  presente  Costantino  Nigra,  tutto  ciò  che  poteva  suggerire  la  situazione  ;  di 
averlo  affrontato  francamente,  condannando  il  tentativo  che  faceva,  sia  come  Mi- 
nistro politicamente,  sia  come  uomo  privato,  entrando  in  segreti  cui  non  era  lecito 
ad  alcuno  di  scrutare  ;  ma  tutto  fu  inutile,  finché  Cavour  giunse  al  punto  in 
cui  dovette  convincersi,  che  non  rimaneva  più  che  fermarsi  e  ringraziare  la  sorte 
se  era  ancora  in  tempo  » . 

«  L'  ultima  volta,  nel  1 860,  che  Cavour  entrò  Presidente  del  Consiglio 
dei  Ministri,  l'ostacolo  principale,  è  sempre  il  Castelli  che  parla,  sorse  da  quanto 
ho  qui  sopra  narrato.  Il  Re  mi  fece  chiamare  ed  entrò  in  tutti  i  particolari 
dicendo  :  «  La  mia  sola  posizione  m' impedì  allora  di  chiedere  ra- 
gione a  Cavour  ;  furono  cose  da  coltello  ;  ma  devo  pensare  ora  al 
paese.  »  Egli  sapeva  quale  era  stata  la  mia  condotta  in  tale  circostanza  e  voleva, 
che  io  lo  assicurassi  dell'animo  di  Cavour.  Era  passato  del  tempo  da  quei  giorni, 
ed  io  sapevo  come  la  pensava  Cavour,  perchè  me  ne  aveva  parlato  molte  volte, 
spiegandosi  schiettamente  ;  non  esitai  adunque  a  dare  al  re  le  più  ampie  assi- 
curazioni su  tal  proposito.  Riferii  tutto  al  conte  di  Cavour,  il  quale  m' incaricò 
d'  impegnare  la  sua  parola  d*  onore,  che  giammai  più  avrebbe  pronunziato  il 
nome  della  Signora,  dolente  del  passato.  Fatta  la  risposta  al  Re,  questi  si  mostrò 


L'UOMO  DI  STATO  E  L'EROE  167 

persuaso,  ma  fissandomi  in  volto,  disse  :  «  Sì  rende  garante  lei  della  parola 
del  conte  ?  ».  ' 

Ora,  precedenti  come  questi  debbono  certamente  aver  lasciato  traccie  nel- 
r  animo  di  quei  due  grandi  personaggi,  anch'  essi  soggetti  alle  passioni  umane  e 
sono  coefficienti  psicologici  degni  di  essere  tenuti  in  conto. 

Si  consideri  poi,  che  la  bella  Rosina,  la  Signora,  come  la  chiamava  il  re, 
era  a  conoscenza  di  tutto  il  retroscena,  e  riteneva  nel  suo  animo  il  conte  di 
Cavour  come  suo  nemico  ;  si  pensi  che  essa  esercitò  un  grande  ascendente  nel- 
r  animo  di  Vittorio  Emanuele  e  che  nel  1 860  partì  con  lui  da  Torino,  accom- 
pagnandolo ad  Ancona,   negli  Abruzzi  ed  a  Napoli. 

Che  fra  Vittorio  Emanuele  e  Cavour  nel  luglio  '60  non  si  seguisse  la 
medesima  politica,  nei  riguardi  di  Garibaldi,  lo  apprendiamo  anche  dal  La  Va- 
renne,  il  quale  il  1.°  luglio,  appena  sceso  dal  castello  di  Torino,  dove  aveva 
avuto  un  colloquio  con  Sua  Maestà,  scriveva  al  Crispi  :  «  Ho  chiarito  al  Re 
la  situazione  a  Palermo.  Sua  Maestà,  che  è  al  corrente  di  tutto  e  segue  mi- 
nuziosamente r  affare  mi  ha  detto,  che  desidera  V  accordo  tra  V  altro  partito 
Siciliano  e  Voi;  accordo  che  vi  darà  la  forza  sufficiente  per  governare  risolu- 
tamente, organizzarvi  e  prendere  le  vostre  precauzioni  contro  l'invasore.  Ho 
raccontata  tutta  la  storia  del  signor  La  Farina.  Il  re  estremamente  con- 
trariato, mi  ha  manifestato  il  suo  vivo  rammarico  per  la  condotta 
del  sig.  di  Cavour  e  del  suo  agente  in  questa  circostanza,  soggiungendo  che 
avrebbe  fatto  in  modo,  perchè  fosse  richiamato  subito  ».  E  più  oltre  soggiunge  : 
«  In  conclusione,  Vittorio  Emanuele  è  con  voi  ;  corpo  ed  anima. 
Egli  ha  piena  fede  in  Garibaldi,  ma  teme  qualche  tradimento  mazziniano, 
che  potrebbe  rovinar  tutto  e  compromettere  per  molti  anni  le  sorti  d' Italia. 
Tenete  ciò  presente  » .  ' 

Infine,  ad  ancor  meglio  documentare  la  divergenza  politica  fra  Re  e  Mi- 
nistro, riporto  un  brano  di  una  cronaca  di  quell'  epoca  assai  rara,  e  che  non  è 
quella  citata  dal  De  Cesare.  In  essa,  in  data  del  24  luglio  si  legge  :  «  La  si- 
tuazione è  più  complicata  che  mai  ;  ognuno  segue  la  sua  via.  Tutte  le  autorità 
discordanti  ;  conflitto  di  influssi  contrari  sconcertano  1'  opinione  :  la  diplomazia, 
il  signor  di  Cavour,  Vittorio  Emanuele,  mostrano  di  non  intendersi,  ed  ope- 
rano separatamente.  In  questo  garbuglio,  vi  ha  un    uomo,    un    solo    uomo 


'  M.  Castelli  -  Appurili  biografici   sul  conte  di  Cavour.  In  «  Ricordi  di  Michelangelo 
Castelli  »,  pag.   126  e  seg. 

'  Francesco  Crispi  e  i  Mille,  pag.  240. 


168  LA  POLITICA  DEL  CONTE  DI  CAVOUR  NEL  1860 

logico,  immutabile,  inflessibile,  che  va  innanzi  senza  deviare  di  un  capello,  che 
sfida  le  potenze,  le  leggi  ed  anche  le  opinioni  :  cotesto  uomo  è  Garibaldi,  quel 
Garibaldi  che  prenderà  Napoli  » .  ' 

La  politica  del  primo  Ministro  di  Vittorio  Emanuele  fu  nel  '60  ecces- 
sivamente e,  sia  detto  con  sopportazione,  ingiustamente  diffidente  verso  Garibaldi. 
Essa  ci  viene  così  riassunta  da  Francesco  Crispi  :  «  Al  1 860  Garibaldi,  sal- 
pato da  Quarto,  poco  mancò  non  lo  arrestassero  nelle  acque  della  Sardegna. 
Dittatore  di  Sicilia  e  di  Napoli,  la  sua  amministrazione  fu  continuamente  insi- 
diata ed  i  suoi  uomini  continuamente  bersagliati  dalle  calunnie.  Nulla  di  meno 
giunto  a  Marsala,  egli  aveva  proclamato  :  Vittorio  Emanuele  Re  d' Italia  ;  tutti 
i  suoi  decreti  portavano  in  capo  le  parole  :  «  Vittorio  Emanuele  »  ed  erano  in 
nome  del  re  intestate  le  sentenze  dell'  autorità  giudiziaria  e  tutti  gli  atti  pubblici. 
Dopo  il  suo  ingresso  a  Palermo,  fu  elevato  lo  stemma  reale  in  tutti  i  pubblici 
edifizi  e  lo  stemma  reale  fu  impresso  nelle  bandiere  » . 

E  dopo  ciò,  perchè  dubitare  di  lui  ?  Perchè  dubitare  degli  uomini  suoi  ? 
Vi  era  forse  uno  solo  fra  coloro  che  lo  circondavano,  che  non  volesse  l' Unità 
con  la  Monarchia  ?  Garibaldi,  imbarcatosi  a  Quarto,  aveva  inalberato  la  bandiera 
con  lo  scudo  di  Savoia,  tanto  che  alcuni  cittadini,  i  quali  non  credevano  in 
quella  bandiera,  non  vollero  imbarcarsi  ed  altri  scesero  a  Talamone.  Sul  finire 
del  luglio  del  1860  il  mondo  ufficiale  gli  suscitò  ostacoli  per  passare  il  Faro. 
L' impresa  siciliana  sarebbe  stata  infeconda,  se  i  garibaldini  non  avessero  cacciato 
Francesco  Borbone  dalla  sua  capitale.  Allora  si  temè,  che  se  la  rivoluzione  fosse 
penetrata  sul  continente,  la  monarchia  ne  avrebbe  patito.  Impertanto,  i  nostri 
avversari  congiurarono  con  un  generale  borbonico  {Nunziante)  e  con  un  Ministro 
fedifrago  {Liborio  Romano)  e  mandarono  emissari,  perchè  avessero  provocato 
un'  insurrezione  militare.  Si  ideò,  strano  progetto,  che  si  desse  provvisoriamente 
il  Governo  ad  un  principe  borbonico,  affinchè  questi  avesse  preparato  il  nuovo 
regno  di  Vittorio  Emanuele.  Vani  conati,  che  spiegavano  il  malvolere  e  susci- 
tavano sospetti  in  un  momento,  in  cui  era  necessaria  la  concordia  per  il  compi- 
mento dell'  unità  nazionale.   Coteste  sono  macchie  che  non  salgono  in  alto,  ma 


'  Garibaldi  e  la   conquista    delle    Due    Sicilie,  raccontata  da    un    testimonio    oculare. 
Livorno,   1861,  pag.  211. 


1  Z.      ^/^-' 


^1  iy\A>  f.4i' <'  fyVtfJttt.', 


y^<tV        tjL.v^^     tJ^ix/     vtr vt*tyfe4~      e^     '^^-'-'  e^-^^ifv lA^i-^t-v 

tAyt.ti    l/t^f/        </*♦    "     J  éJLiJt^J^J       O^Hytm^         e^-C^-H^-    t/L€M^     aA^£d-, 

f/<'      elei'-     i,tin^-     Pm'>     tl»>  afiy^jiym.my^ìi        t^^t    e.1.^^^ 
l<t  et //t  fi      o-ii'  -Mx*.»»/    e-^"-<>^    1^  ctM^V      /  ttt-^^i  Al'"" 4^ 
t-ZI^'V.  ./,...>    A'"'    l'^nii^/ii'     ^^MJuJtxfMlt    '  C.J  f-^'Y;^'/ 


tj.A/tJLJ    »^y%^  ^J.tf^i^       /^t.tJ-^'^'>Cc^ji_^^!Ly      <t  -f    r-/^^    «ii-^i/t-eYx-- 


■  ■ ti- 


£a^//^iJ  ~  èy  M^c^^  c^»ii^,  vV/«-    7::,<Y  /,/  j^M^^^'^^t^j 

etJfx*^tJL->i       rt/'LXMJyJ        C^jL>-erv<-'l         «.^  <^JrZy«-^-«-r  t«<-*-f^        Z-M^*«t*- 


Lettera  autogiafa  del  conte  di  Cavour  a  Ccslanlino  Nigra.  22  settembre  1860,  in  cui 
si  dice  che  i  soldati  di  Fanti  e  di  Cialdini  non  desiderano  di  meglio,  che  sbaraz- 
zare il  paese  dalle  camicie  rosse.  (Vedi  pag.    171). 


L'UOMO  DI  STATO  E  LEROE  169 

si  arrestano  sotto  i  gradini  del  Irono.  11  7  settembre  1860  Garibaldi  entrò 
trionfante  in  Napoli,  ed  il  primo  suo  atto  fu  di  affidare  la  squadra  napoletana 
all'  ammiraglio  Persane.  Quale  pegno  maggiore  si  poteva  avere  da  lui  ?  ' 


* 


Quanto  ho  fin  qui  esposto  non  ha  avuto  altro  scopo,  che  la  ricerca  della 
verità.  Onde  il  richiamare  oggi  alla  memoria  l' invio  a  Palermo  del  La  Farina 
per  cercare  di  togliere  autorità  a  Garibaldi  o  il  rileggere  alcune  lettere  dirette 
in  quei  giorni  dal  grande  statista,  significa  volere  oscurare  i  meriti  di  lui  ;  ma 
desiderio  di  compiere  quell'  indagine  psicologica  che,  a  mio  modesto  modo  di 
vedere,  è  indispensabile  per  comprendere  la  condotta  del  Ministro  piemontese 
verso  Garibaldi  in  quei  giorni  memorabili. 

Delle  tante  lettere  scritte  in  quei  giorni  dal  Cavour  basta  citarne  una  per 
tutte  :  quella  del  1  3  luglio  al  Persane,  la  quale,  come  scrisse  il  Guerzoni,  storico 
da  tutti  riconosciuto  imparziale,  potrà  forse  onorare  la  previdenza  del  Cavour, 
ma  non  la  sua  lealtà.  «  Sarebbe  difficile,  egli  scrive,  argomentare  da  quel 
documento  contenente  le  istruzioni  di  un  complotto  contro  Garibaldi,  quali  dei 
tre  personaggi  :  se  il  conte  di  Cavour,  l' ammiraglio  Persano  o  il  comandante 
Piola,  facesse  la  più  triste  figura.  //  conte  di  Cavour  cospirava  con  un  ammi- 
raglio del  re  ed  un  ministro  di  Garibaldi  stesso,  tentando  ammutinargli  contro 
o  portargli  via  la  flotta.  L' ammiraglio  doveva  farsi  complice  della  trama, 
dando  a  Garibaldi  degli  ufficiali  di  marina  infidi,  disposti  a  un  dato  momento 
ad  abbandonarlo  e  tradirlo.  Il  Piola,  ministro  della  marina  di  Garibaldi,  voluto 
da  lui  e  depositario  della  sua  fiducia,  doveva  dare  V  ultima  mano  al  complotto, 
mettendo  a  bordo  quegli  ufficiali  e  consegnando,  al  momento,  anche  la  squadra  » . 

«  Fortunatamente,  soggiunge  il  Guerzoni,  quel  disegno,  nato  da  un  triste 
incubo  del  conte  di  Cavour,  non  ebbe  bisogno  di  essere  mandato  a  compimento  ; 
ma  quel  disegno  prova  però,  che  se  Garibaldi  credeva  di  essere  attorniato  da 
insidie,  non  aveva  tutti  i  torti  ». 

Pur  troppo  il  triste  incubo,  di  cui  parla  lo  storico  garibaldino,  non  abbandonò 
Cavour  che  nei  momenti  in  cui  la  psiche,  mano  mano  che  si  attenua  la  compagine 


'  F.  Crispi  -  Commemorazione  di  Garibaldi.  Bologna,   1884. 
"'  G.  Guerzoni  -    Garibaldi.  Voi.  Il,  pag.    1 32. 


170  LA  POLITICA  DEL  CONTE  DI  CAVOUR  NEL  1860 

organica,  acquista  maggiore  luminosità,  sul  letto  di  morte!  Fra  le  ultime  parole 
proferite  nell'  agonia  dal  grande  Ministro  furono  queste  :  «  Garibaldi  è  un 
galantuomo!  ». 

Ma  per  meglio  conoscere  il  pensiero  intimo  di  Cavour  verso  Garibaldi  ed 
i  garibaldini,  è  documento  prezioso  la  lettera  diretta  il  22  settembre  1 860  a 
Costantino  Nigra,  nostro  ambasciatore  presso  Napoleone  III.  Il  documento,  che 
Luigi  Chiala  aveva  pubblicato,  mutilandolo  nei  punti  più  importanti  e  più  signi- 
ficativi, fu  da  me  in  tutta  la  sua  integrità  messo  in  luce  anni  fa,  appena  avevo 
avuto  la  fortuna  di  acquistarlo  per  la  mia  raccolta  storica  ;  e  poiché  esso  venne 
allora  a  conoscenza  di  pochi,  parmi  utile  oggi  il  ripubblicarlo.  Ma  un'  altra 
ragione,   in  verità,   mi  spinge  a  farlo  ;  essa  è  la  seguente. 

Raffaele  De  Cesare,  storico  geniale,  ma  tinto  della  più  genuina  e  classica 
pece  moderata,  avendo  avuto  un  giorno  occasione  di  vedere  in  casa  mia  l'im- 
portante autografo  cavouriano,  rimase  sorpreso  ;  e  non  potendo  essere  messa  in 
dubbio  r  autenticità  del  documento  per  la  sua  provenienza,  mise  avanti  l' ipotesi 
che  esso  avesse  potuto  essere  scritto  dal  Cavour  per  ragione  diplomatica.  La  solita 
ragione  diplomatica,  la  quale  si  mette  avanti  quando,  per  il  sostegno  della  tesi 
prediletta,  torna  acconcio  l' interpretare  allo  rovescio  gli  scritti  di  Cavour  ;  salvo 
però,  ad  accettarli  quali  sono,  se  a  quella  tesi  essi  convengono!  Il  De  Cesare 
quindi,  pensava  che  quella  lettera  non  rispecchiasse  il  sentimento  intimo  di  Cavour 
e  volle  chiederne  notizie  a  colui,  che  solo  poteva  essere  al  caso  di  darle  pre- 
cise e  sicure  :   allo  stesso  Nigra  cui  la  lettera  era  stata  diretta. 

Il  vecchio  ambasciatore,  chiuso  a  tutti  come  una  cassaforte,  faceva  eccezione 
per  il  De  Cesare,  col  quale  amava  sovente  intrattenersi  intorno  a  momenti  sto- 
rici sconosciuti  e  assai  delicati,  lasciando  quell'abituale  riserbo,  che  la  vita  di 
diplomatico  lungamente  vissuta  gli  aveva  conferito.  Egli  adunque,  anche  questa 
volta,  e  con  grande  mio  compiacimento,  si  aprì  con  lo  storico  della  Fine  di  un 
Regno  ;  e  dissi  con  grande  mio  compiacimento  perchè,  in  verità,  non  poteva 
essere  convalidata  con  maggiore  autorità  e,  vorrei  aggiungere,  con  maggiore 
solennità,   l' importanza  di  un  documento  della  mia  raccolta  storica  garibaldina. 

Raffaele  De  Cesare  nella  sua  opera  Roma  e  lo  Stato  del  Papa,  riferisce, 
in  parte,  i  particolari  della  sua  inchiesta  e  conclude  col  dire  :  «  La  lettera 
è  vera  ».  ~ 


'  Marchesa  Giuseppina  Benso   di   Cavour  -   Malattia    e   morte    del  conte  di  Cavour. 
In  «  Letture  del  Risorgimento  Italiano  »  di  G.   Carducci,  pag.  525. 

'"  R.  De  Cesare  -  Roma  e  lo  Stato  del  Papa.  Voi.  II,  pag.  59  e  seg. 


L'UOMO  DI  STATO  E  L'EROE  171 

Cavour  a  Costantino  Nigra  (Vedi  facsimile). 

22  septembre  (1860). 
Morì  cher  Nigra, 

Vous  avez  ralson.  Demandez  à  1'  Empereur  une  audience  de  congé.  S' il  insiste 
pour  que  vous  restiez,  nous  ne  nous  montrerons  pas  trop  susceptibles  ;  mais  s' il  n'  insiste 
pas,  vous  vous  bornerez  à  lui  exprimer  votre  regret  de  devoir  vous  éloigner  de  Paris 
par  suite  d'  événements  qu'  ont  pu  lui  déplaire  ;  en  manifestant  l' espoir  de  voir  bientòt 
se  rétablir  les  relations  intimes,  qui  doivent  exister  entre  nos  deux  pays. 

Ne  cherchez  pas  à  justifier  par  des  arguments  subtils  notre  conduite.  Avouez 
qu'  aux  yeux  de  la  diplomatie  elle  est  blàmable.  Ce  qui  nous  absous  e'  est  la  néces- 
sité,  oìi  nous  étions  d' agir  pour  sauver  le  cause  de  l' Italie  des  excès  de  la  revolution. 
N'a\)arìl  pu  arrèter  Garibaldi  à  Naples,  il  fallail  à  tous  prix  V  arrèier  dans  les  états 
Romains,  sans  cela  il  nous  aurail  enlrainé  à  un  ruine  ceriaine,  quand  mème  il  aurail 
renoncé  à  marcher  sur  Rome.  En  ne  l' arrelant  pas,  il  aurail  marche  jusqu  à  nos 
frontières  et  aurail  boulecersé  le  pa\;s. 

Garibaldi  esl  un  illumini,  enioré  par  des  succès  inespérés.  Il  croil  avoir  recu  une 
mission  providenlielle  et  Sire  aulorisé  pour  l' accomplir  de  lous  le  moyens.  Maintenant 
il  s'imagine  que  e' est  avec  les  hommes  de  la  revolution  qu' il  doit  marcher.  11  s'ensuit 
qu'  il  seme  sur  la  route  le  désordre  et  1'  anarchie.  Si  nous  ne  portions  pas  remède  à 
cet  état  de  chose,  1*  Italie  périrait  sans  que  l'Autriche  $'  en  mèlat. 

Nous  sommes  décidés  à  ne  pas  le  souffrire.  Déclarez-le  bien  nellement  à  V  Empe- 
reur ;  si  Garibaldi  persévère  dans  la  Moie  funeste  oli  il  est  engagé,  dans  quinze  jours 
nous  iron  rélablir  V  ordre  a  Naples  et  a  Palermo,  fallut-il  pour  cela  jeter  tous 
les  Garibaldiens  à  la  mer. 

L*  immense  majorité  de  la  nation  est  avec  nous.  Les  débats  du  Parlement  le 
prouveront.  Gianduia  est  furieux  cantre  Garibaldi.  La  Garde  nationale  de  Turin 
marcherait  contre  lui  si  besoin  était. 

Les  soldats  de  Fanti  et  de  Cialdini  ne  demandent  pas  mieux  que  de 
débarasser  le  pays  des  chemises  rouges. 

Dites  à  r  Empereur  de  n' avoir  inquiétude  à  cet  égard.  Nous  avons  attendu, 
nous  avons  été  conciliant,  méme  faible,  en  apparence,  pour  avoir  le  droit  de  frapper  et 
de  frapper  lort,  lorsque  le  moment  serait  venu.  Il  fallait  attendre  que  ces  Messieurs 
jettassent  le  masque  monarchique  qu'  ils  portaient.  Maintenant  le  masque  est  jeté  et  nous 
iron  de  l' avant.  Le  Roi  est  décide  à  en  finir.  D' ailleurs  je  n'  admettrai  pas 
d'  hésitation. 

Votre  présence  à  Turin  me  sera  fort  utile.  Si  je  vais  à  Naples,  je  vous  confierai 
la  régence  du  ministère  des  affaires  étrangères. 

J'  ai  envoyé  plusieurs  telegrammes  à  Fanti  pour  connaìtre  les  noms  des  offìciers 
frangais  morts,  blessés  ou  prissoniers,  mais  jusqu'  ici  e'  est  à  peine  si  j'  ai  réussi  à 
obtenir  la  note  de  nos  propres  morts. 


172  LA  POLITICA  DEL  CONTE  DI  CAVOUR  NEL  1660 

Rassurez  le  noble  faubourg  ;  les  fils  des  croisés  seront  renvojés  dans  leurs  familles, 

guéri,  j'  espère,  de  la  manie  de  convertir  les  Italiens. 

Croyez,  tnon  cher  Nigra,  à  mes  sentiments  dévoués. 

C.  CAVOUR 


* 


Dunque  la  lettera  è  vera,  esclama  il  De  Cesare  ;  e  per  scagionare  Cavour 
dei  sentimenti  manifestati  verso  Garibaldi  si  affretta  a  richiamare  alla  memoria 
il  colloquio  avuto  luogo  a  Caserta  fra  il  dittatore  e  Silvio  Spaventa,  quando 
Garibaldi,  battendo  con  la  punta  della  sciabola  sul  pavimento,  disse  :  «  Cavour 
ha  il  cuore  più  duro  di  questo  marmo  e  Napoleone  III  ha  la  coda  di  paglia 
alla  quale  darò  fuoco  »  ed  al  tempo  stesso  rievoca  il  famoso  ordine,  che  si 
volle  fosse  stato  telegrafato,  nel  settembre  di  quell'  anno,  al  maggiore  Tripoli  in 
Teramo  :    «  Ricevete  i  Piemontesi  a  fucilate  ». 

Non  è  un  fuor  d'  opera,  il  soffermarsi  sulle  due  rievocazioni  del  De  Cesare  ; 
sebbene  sulla  prima,  non  mi  pare  sia  il  caso  di  attribuirvi  quell'  importanza,  che  lo 
storico  citato  vorrebbe.  A  Garibaldi,  uomo  di  azione,  anima  aperta  alle  più  grandi 
audacie  per  ogni  nobile  scopo,  le  astuzie  ed  i  raggiri  della  diplomazia,  anche 
quelle  che  potevano  avvantaggiare  la  causa  italiana,  apparivano  odiosi.  Egli  cre- 
deva, che  ogni  impedimento  si  potesse  e  si  dovesse  vincere  con  la  spada  ;  si 
aggiunga  poi,  che  la  cessione  della  sua  Nizza  era  la  piaga  insanabile  del  suo 
cuore  ed  il  motivo  del  dissidio  con  Cavour.  Riguardo  però  al  dispaccio  al  Tripoli, 
è  bene  spendere  qualche  parola,  onde  chiudere,  una  volta  e  per  sempre, 
questa  quistione  non  su  affermazioni  personali,  ma  sulla  base  di  documenti 
irrefragabili. 

Quel  dispaccio,  che  si  disse  essere  stalo  spedilo  per  ordine  di  Garibaldi 
da  Berlani,  in  quell'  epoca  Segretario  della  Dittatura,  non  fu  mai  spedito  ;  ne 
valsero  a  trovarne  il  testo  le  faticose  ricerche  del  De  Cesare.  L*  ordine  invialo 
dal  Berlani  al  maggiore  Tripoli,  il  23  settembre  diceva  :  «  Se  /  Piemontesi  volessero 
entrare,  dite  loro  che  prima  di  permetterlo  dovete  chiedere  istruzioni  al  Dittatore.  » 
Quest'ordine,  checche  dicano  alcuni,  è  ben  diverso  dall'  altro,  col  quale  si  sarebbe 
ordinato  di  ricevere  i  Piemontesi  a  fucilate. 


'  Carteggio  della  campagna  del  1860-61   pubblicato  nelle  «  Memorie  storico -militari 
del  Corpo  di  Stato  Maggiore  ».  Fascicolo   1,  pag.  50. 


L'UOMO  DI  STATO  E  LEROE  173 


Agostino  Bertani,  natura  certamente  non  scevra  di  passione,  ma  leale,  se 
queir  ordine  avesse  dato,  non  lo  avrebbe  smentito  così  solennemente,  come  fece 
neir  opuscolo  Ire  politiche  d' olire  tomba  ;  ivi,  rivolgendosi  a  Crispi,  scrive  : 
«  Anch'  io,  che  non  ho  i  tuoi  meriti,  sopportai  lungamente  il  peso  del  dispaccio 
attribuitomi  a  Napoli  :  di  ricevere  i  Piemontesi  a  fucilate.  E  non  valsero  le  dene- 
gazioni e  le  testimonianze  ;  il  vero  senso  del  dispaccio  fu  falsato  per  ottenere 
fede.   Se  non  lo  scrissi  lo  pensai  e  tutto  fu  detto». 

Che  r  ordine  del  Bertani  abbia  un  tono  un  po'  spavaldo,  non  si  può  negare  ; 
ma  occorre  riportarsi  a  quei  giorni  di  passione  e  di  lotta  ;  bisogna  pensare  che 
Bertani  era  il  Segretario  generale  della  Dittatura  e  che,  dopo  tutto,  perchè  non 
dirlo  ?,  in  quel  momento  il  padrone  di  casa,  nel  territorio  napoletano,  era  Gari- 
baldi,  lui  che  ci  aveva  messo  la  pelle,  come  ebbe  a  scrivere  d'  Azeglio  ! 

Ogni  discussione  però  cessa,  quando  rimane  provato  che  non  solo  il  dit- 
tatore non  autorizzò  Bertani  a  spedire  quel  dispaccio,  ma  che  esso  fu  dato  a  sua 
insaputa  e  Garibaldi  lo  disapprovò. 

In  un  lungo  e  importantissimo  scritto  autografo  del  Generale,  che  in  altra 
occasione  mi  deciderò  a  pubblicare  in  tutta  la  sua  integrità,  affinchè  nulla  venga 
sottratto  al  giudizio  dei  posteri,  si  legge  :  «  A  Napoli  vidi  Bertani  la  seconda 
volta,  ove  fu  nominato  Segretario  generale  della  Dittatura  e  da  dove  fulminò 
il  famoso  telegramma  al  Comandante  della  frontiera  :  "  di  non  lasciare  entrare 
r  esercito  italiano  nello  Stato  di  Napoli  „  ;  ciò  arbitrariamente  senza  con- 
sultare il  Dittatore».   Che  si  vuole  di  più? 

Garibaldi  non  mandò  al  Tripoli  altro  dispaccio,  che  quello  nobilissimo  del 
25,  in  cui  si  diceva  :  «  Se  i  Piemontesi  entrano  nel  nostro  territorio  accoglieteli 
come  fratelli  »  ^  ed  appartengono  alla  storia  le  parole  pronunziate  dal  dittatore 
e  riferite  dal  Villamarina  a  Cavour;  «  All'  udire  che  i  soldati  Piemontesi  si  appa- 
recchiavano ad  entrare  nelV  Umbria  e  nelle  Marche,  Garibaldi  manifestò  gioia 
schiettissima  ». 

Questi,  non  altri,  erano  i  sentimenti  del  duce  dei  Mille  verso  1'  esercito 
piemontese  ;  il  quale,  capitanato  da  Fanti  e  Cialdini,  a  dire  dello  stesso  Ca- 
vour, non  desiderava  di  meglio,  che  sbarazzare  il  paese  dalle  camicie  rosse 
e  buttare  tutti  i  garibaldini  a  mare  !  Tali  sentimenti  non  vennero  mai  meno 
neir  anima  dell'  eroe,  anche  nei  momenti  più  dolorosi  della  sua  vita,  quando  la 
palla  di  Aspromonte  lo  atterrava  sulla  via  di  Roma. 


'  A.  Bertani  -  Loco  dialo,  pag.  87. 
'  Carteggio  della  campagna  eie.  -  L< 


,oco  dialo,  pag.  31. 


174  LA  POLITICA  DEL  CONTE  DI  CAVOUR  NEL  1660 

Garibaldi  in  ogni  occasione  impedì,  che  i  soldati  dell'esercito  regolare 
abbandonassero  le  fila,  trascinati  dall'  immenso  fascino  che  il  suo  nome  esercitava. 
Ed  è  bello  il  sentire  oggi  affermare  da  uno  scrittore  militare,  il  tenente  colon- 
nello Guerrini,  già  insegnante  di  Storia  nella  Scuola  di  guerra  a  Torino,  come  : 
«  Garibaldi  non  abbia  mai,  in  nessuna  circostanza,  messo  i  volontari  in  contrap- 
posto coi  soldati  regolari,  ma  sempre  glorificato  questi  ultimi  »  ;  come  è  anche 
ragione  di  orgoglio  il  preannunzio,  che  questo  egregio  storico  ha  fatto,  di  un 
suo  libro  dal  titolo   «  La  sapienza  militare  garibaldina  ». 

Non  meno  caro  è  altresì  il  riportare  qui  il  pensiero  di  un  uomo  di  cultura 
profonda  e  soldato  d' indomito  valore  prima  sui  campi  lombardi,  poi  all'  assedio 
di  Capua  e  nella  campagna  del  '66  ;  di  colui  che  fu  1'  educatore  di  Vittorio 
Emanuele  III. 

11  generale  Osio  nel  suo  Diario,  l'indomani  della  morte  dell'eroe,  annota: 

3  giugno,  sabato.  —  Apro  1'  "  Opinione  ,,  listata  in  nero  e  vi  trovo  l' annunzio 
della  morte  di  Garibaldi.  Ecco  un'altra  grande  individualità,  ecco  un  altro  dei  fattori 
d' Italia  che  sparisce  dalla  scena  del  mondo.  Noi  che,  di  tanto  in  tanto,  dovevamo 
subire  gli  scatti  della  sua  stravagante  natura  e  gli  abusi,  che  nel  nome  di  lui  si  opera- 
vano, noi,  dico,  trovavamo  Garibaldi  qualche  volta  incomodo.  Ma  i  posteri  lo  chia- 
meranno un  Eroe  e  lo  considereranno  come  un  mito  leggendario  di  amor  patrio  il  piti 
puro,  di  valore,  di  disinteresse;  come  una  forza  a  cui  nulla  resistè  mai  e  che  attirava 
le  masse  con  un  fascino  paragonabile  solo  a  quello  dei  grandi  profeti,  degli  apostoli, 
dei  fondatori  di  religione. 

IO  giugno,  sabato.  —  Sono  ritornate  le  Commissioni  e  le  rappresentanze  da 
Caprera.  L' impressione  generale  è,  che  tutto  quanto  Veniva  direttamente  da  Garibaldi 
era  nobile,  bello,  buono,  generoso. 

E  poiché  mi  trovo  a  discorrere  dei  sentimenti  di  Garibaldi  torna  qui  utile 
il  far  conoscere  un  importante  brano  di  un  suo  scritto. 

Garibaldi  non  ha  mai  autorizzato  il  titolo  di  garibaldino. 

«  Alcuni  chiederanno,  perchè  io  non  menziono  i  Garibaldini,  ed  io  rispondo  : 
1.*)  Che  mai  ho  autorizzato  quel  titolo. 

2.°)  Che  gli  uomini  del  '34  con  Mazzini,  del  '40  al  servizio  delle  Repubbliche 
Americane,  del  '59,  del  '60,  del  '66  al  servizio  dell'  Italia  monarchica  e  dittatoriale, 
del  *67  a  Monterotondo  e  Mentana,  e  del  '70  e  '71  alla  difesa  della  Repubblica 
Francese  ;  tali  uomini,  dico,  non  sono  esclusivi,  non  appartengono  a  partiti.  I  loro 
principi  repubblicani  consistono  nel  bene  dell'Italia  e  dell'  umanità  ». 

G.  GARIBALDI 


LUOMO  DI  STATO  E  LEROE  175 

Questi,  replico,   erano  i  sentimenti  di  Garibaldi. 

Vero  è  che  alcuni  lo  accusarono  di  avere  avuto  l' audacia  di  inviare, 
r  I  I  settembre  del  1 860,  per  mezzo  del  Treccili,  una  lettera  a  Vittorio  Ema- 
nuele, invitandolo  a  licenziare  il  Ministero  e  promettendogli,  dopo  di  avere  fugato 
i  Francesi  da  Roma,  di  proclamarlo  re  d' Italia,  sul  Campidoglio.  Ma  gli  per- 
donino la  nobile  audacia  ! 

Chi  sa  !  Forse,  se  in  quell'epoca  non  fosse  stata  data  una  certa  promessa, 
chi  sa,  se  l'audacia  di  Garibaldi  non  ci  avesse  condotto  a  Roma  dieci  anni 
prima  e  più  italianamente  ;  senza  aspettare  che  le  armi  tedesche  fiaccassero  a 
Sedan  l' orgoglio  e  la  potenza  di  Napoleone   III  !   Chi  sa  ! 

Generale,  si  ricordi  che  Garibaldi  non  dece  passare  il  confine  del  regno  di 
Napoli;  così  io  diedi  parola  all'  Imperatore.  Questo  si  legge  nella  seguente  impor- 
tante lettera  inedita,  diretta  da  Vittorio  Emanuele  al  Fanti,  il  20  settembre  1 860.  ' 

Fatale  coincidenza  di  date  !  Dieci  anni  prima  della  breccia  di  Porta  Pia  ! 

Vittorio  Emanuele  al  generale  Fanti. 

Veneria,  li  20  settembre  1860. 
Caro  Fanti, 

La  ringrazio  di  quel  che  fece  ad  onore  e  gloria  delle  nostre  armi.  Io  sono  piena- 
mente soddisfatto  e  1'  Italia  tutta  le  sarà  riconoscente.  Ora  sbrighi,  al  più  presto,  la 
questione  di  Ancona  e  subito  che  la  piazza  si  sarà  resa,  conto  di  andarla  a  raggiun- 
gere e  combineremo  di  marciare  sugli  Abruzzi  con  uno  o  coi  due  corpi  di  armata, 
per  potere  andare  a  Napoli,  se  però  l' Austria  non  ha  progetti  offensivi  ;  ciò  che  non 
credo,  perchè  fin'  ora  non  ha  dato  segni  di  vita.  Non  so  quale  sarà  la  condotta  di 
Garibaldi  ;  ma  se  segue  la  via  iniziala  ed  alla  quale  cerco  di  porre  un  freno,  essa  sarà 
certamente  cattiva  e  bisognerà  prendere  qualche  determinazione.  £aso  mi  scrive  che 
m' invitava  a  sciogliere  il  Ministero  e  che  mi  proclamerebbe  re  d' Italia  sul  Campidoglio, 
dopo  che  egli  avrebbe  fugato  i  Francesi  da  Roma.  Si  ricordi,  Generale,  che 
Garibaldi  non  deve  passare  il  confine  del  regno  di  Napoli;  così  io  diedi 
parola  all'  Imperatore. 

Fra  breve  spero  di  vederla  in  Ancona  e  e'  intenderemo  meglio  a  viva  voce.  Ma 
credo,  che  sarò  obbligato  di  andare  io  stesso  a  chiedere  a  Napoli,  se  si  fa  l' annessione, 
sì  o  no.  Caro  Generale,  rinnovo  a    lei    ed   a    tutto    l' esercito    le  mie  congratulazioni. 

//  suo  affezionatissimo 
VITTORIO   EMANUELE 


'  L' originale  non  si  trova  nel  mio  Archivio. 


176  LA  POLITICA  DEL  CONTE  DI  CAVOUR  NEL  1860 


Brano  Inedito  di  Garibaldi    sulla  spedizione  dei    Mille,  in  risposta  ad  una 
pubblicazione  del  colonnello  Frapolli  {Dall'  autografo). 

E  ormai  noto,  che  si  volle  rivoluzionare  Napoli  prima  del  mio  arrivo  in  quella 
Capitale  e  che  perciò  si  spesero  ingenti  somme  e  s'inviò  nel  mezzogiorno  tutto  quanto 
la  setta  aveva  di  piìi  emmente  nel  militare  e  nel  civile.  //  principale  motivo  di  tante 
mene  era  quello  di  togliermi  le  redini  delle  cose  e  così  poter  dire,  che  di  noi  più  non 
si  abbisognava  ! 

Tutti  sanno  quanto  si  adoperavano  gli  agenti  della  setta,  e  nelle  Capitali  e  nelle 
Provincie,  per  dissuadere  i  volontari  dall'  arruolarsi  e  dal  raggiungerci,  proibendone 
r  imbarco  nell'  Italia  settentrionale. 

Tutti  sanno,  che  per  due  volte,  prima  della  battaglia  del  Volturno,  io  fui  obbli- 
gato di  allontanarmi  dall'  esercito  in  presenza  di  un  nemico  ancora  potente,  per  andare 
la  prima  volta  a  Palermo  a  placare  il  popolo,  che  avevano  suscitato  col  grido  :  «  Vogliamo 
l'annessione!  ».  La  seconda  a  Napoli,  dove  facevano  gridare  per  le  strade:  «  Morte 
a  Mazzini  »,  mentre  il  povero  popolo  non  sapeva,  se  Mazzini  si  trovasse  a  Napoli. 

Delusa  nelle  sue  speranze  di  fermarci  cogli  intrighi  e  la  corruzione,  la  setta  spa- 
ventò il  mondo  diplomatico  e  gridò  a  tutta  gola:  «  Non  li  vedete?  Nulla  può  arrestarli! 
Già  sono  sulla  via  di  Roma,  di  Venezia,  di  Vienna,  i  rivoluzionari  !  >>  e  cosi  poterono 
gli  eroi  del  colonnello  Frapolli  muovere  1'  esercito  contro  di  noi  :  gì'  Italiani  ad  una 
guerra  fratricida.  {Documenti  diplomatici  di  quell'epoca,  firmati  da  Farini). 

Demenza,  stoltezza,  scelleraggine  della  setta,  che  se  avesse  invece  avuto  un  po'di 
vergogna  di  veder  schiava  la  terra  nativa,  avrebbe  potuto  chiedere  l' esercito  per  la 
occupazione  delle  Marche  e  dell'  Umbria  ;  ritirare  quella  nuvola  di  agenti  provocatori,  che 
offuscavano  ed  appestavano  l' Italia  meridionale  ;  permettere  ai  volontari  di  tutta  la  penisola 
di  raggiungerci  ed  aiutarci  con  mezzi  materiali.  L'  Italia  era  fatta  certamente  allora  ! 
Perchè,  non  vengano  a  canzonarci  i  teorici,  col  pretesto  delle  fortezze  !  11  modo  con  cui 
noi  sappiamo  farle  cadere  non  lo  conoscono  loro  ;  e  prova  ne  siano  i  forti  di  Castellamare, 
di  Milazzo  etc;  quest'ultimo,  padroni  come  erano  i  Borbonici  del  mare,  formidabilissimo. 

//  pretesto  della  Francia  era  pure  vano  ed  il  suo  Imperatore  avrebbe,  per  certo, 
fatto  buon  viso  alla  nostra  occupazione  di  Roma,  senza  esporsi  una  seconda  volta  alla 
reprobazione  del  popolo  di  Parigi.   Poi  i  fatti  compiuti  etc. 

Furono  dunque  altri  i  motivi,  che  arrestarono  la  rivoluzione  del  '60  e  non  quelli 
allegati  dal  sig.  Frapolli  e  compagni,  cioè  che  la  rivoluzione  non  aveva  direttori  e  che 
i  volontari  non  avevano  capi  nei  combattimenti.  Concludo  col  dire,  che  i  cenni  storici 
del  signore  suddetto  altro  non  sono,  che  un'  alterazione  della  verità  ed   una  calunnia. 

Fu  più  legale  la  spedizione  di  Sicilia  nel  1860  di  quella  di  Roma  nel  1867  ? 

(Dall'autografo  di  Garibaldi  inedito). 

Assai  meno  legale  fu  la  prima  non  avendo  io  in  Sicilia,  allora,  veruna  rappresen- 
tanza, all' infuori   del    diritto  e  del  dovere  di  propugnare  la  causa    degli   schiavi  a  cui 


-««asoBODsai»- 


Lettera  autografa  di  Garibaldi  all'ammiraglio  Persano,    15  giugno   1860, 
relativa    al    luogo    dove    la    spedizione    Medici    doveva    sbarcare.    (Vedi    pag.    182). 


^-'^«^-Z-^-  p    •*--«.-»    /Crt^--*^  < 


^^v 


-y^-. 


^^^^'' 


.^3^^-, 


^«s: 


r 


•  *•-<'  * 


^-$     .xm:^ 


^^_ 


y%.*>v^     ^z^- 


^' 


-^  ^^^^. 


/^ 


V 


/^ 


.,.         ^. 


^-         ^'^ 


^^-^/^ 


^ 


--   ^^  2^^^^-*'^^y/Ì>-»       , 


Giacomo  Medici  scrive  a  Garibaldi  di  essere  giunto  a  Castellamare.  il    17  giugno   1860. 

(Vedi  pag.    183). 


L-UOMO  DI  STATO  E  LEROE  177 

ho  consacralo  V  intera  mia  vita.  Invece,  più  del  diritto  suddetto,  esiste  per  me  quello 
della  rappresentanza  legale.  Poiché  niuno  più  ignora  oggi,  che  io  sono  mandatario  del 
popolo  romano  sotto  il  titolo  di  Generale  romano  con  pieni  poteri,  costituiti  dal  Governo 
proclamato  dal  suffragio  universale. 

La  differenza  sola,  che  esiste  tra  la  spedizione  del  '60  e  quella  del  '67  si  è,  che 
la  prima  fu  felice  ed  il  Governo  se  ne  pappò  il  prodotto  di  alcune  ricche  foglie  del 
carciofo,  frutto  del  sangue  di  molti  generosi  italiani.  Mentre,  non  essendo  felice  questa 
ultima,  il  Governo  si  fa  vilmente  accusatore  nostro  per  compiacere  alla  libidine  di  domi- 
nazione di  un  dispregevole  tiranno. 

Ognuno  sa,  che  anche  nella  spedizione  del  '60  il  Buonaparte  tentò  di  gettare  il 
suo  veto,  e  che,  ligio  agli  ordini  suoi,  questo  Governo  gettò  nella  bilancia  contro  di 
noi,  anche  a  rischio  di  una  guerra  fratricida,  che  il  buon  senso  ed  il  patriottismo  nostro 
seppero  evitare.  (Nota  del  Farini  a  Buonaparte:  «  Andiamo  a  combattere  la  rivoluzione 
personificata  in  Garibaldi  »). 

Nel  '60  una  squadra  Italiana  perseguì  la  spedizione  e  questa  ebbe  la  fortuna  di 
non  essere  incontrata.  Nello  stretto  di  Messina  erano  pronti  i  vascelli  francesi  per  impe- 
dire il  passaggio  ed  una  nota  dell'  Inghilterra,  con  allora  un  Ministro  energico,  impose 
il  non  intervento  al  2  dicembre.  Fu  dunque  la  spedizione  del  '60  contrariata  dal  Governo 
Italiano  e  dall'  Imperatore  menzogna,  come  questa  ;  con  la  differenza  ripeto,  che  quella 
fu  felice,  con  grossissima  preda  appropriata  da  questo  Governo  senza  fatica  e  pericolo. 

Mi  si  vorrà  imputare  di  avere  agitato  il  paese  e  non  lo  niego  ;  quella  fu  la  mia 
missione  di  tutta  la  vita,  cioè  accennare  al  paese  i  suoi  doveri  ed  i  suoi  diritti,  e  dal 
'48,  in  cui  ebbi  la  fortuna  di  direttamente  lavorare  per  il  mio  paese  sino  ad  oggi,  io 
credo  non  essermi  smentito. 

Discussioni  in  Parlamento  relative  alla  Sicilia  mi  hanno  messo  nell'  obbligo 
di  fare  di  ragione  pubblica  le  seguenti  verità,  senza  entrare  nei  meriti 
del  barattiere  di  Nizza.  {Dall'  autografo  di  Garibaldi,  inedito). 

1  Mille  contavano  per  la  spedizione,  su  20  mila  fra  fucili  e  carabine  in  buono  stato, 
che  si  trovavano  a  Milano  ed  altrove,  appartenenti  al  «  Milione  di  fucili  »,  cioè  agli 
slessi  «   Mille  ».  E  Dio  sa  !  quanto  sarebbero    stati  utili  ai  Siciliani  in   quell*  epoca  ! 

//  Governo  di  Cavour  non  volle  permettere,  che  si  toccasse  una  sola  di  quelle  armi 
e  ci  fece  dare,  quando  si  accorse  che  era  arduo  attraversare  la  via  a  chi  voleva  dividere 
le  gloriose  pugne  siciliane,  mille  fucili  suoi,  che  credo  non  esagerare  asserendo,  che  su 
dieci,  nove  non  prendevano  fuoco  (vorrei  vedere,  chi  impedirà  agli  italiani  di  aiutare  i 
romani  e  /  veneti,  il  d)  in  cui  quei  poveri  schiavi  meneranno  le  mani  contro  i  loro  tiranni). 

Nel  combattimento  di  Palermo,  trovandosi  gl'italiani  esausti  di  cartuccie,  ed  essendo 
conoscente  mio  il  Comandante  del  legno  sardo  da  guerra,  stazionato  nel  porto,  mandai 
un  decente  giovane  palermitano,  Alessandro,  per  chiedere  un  po'  di  polvere.  Ales- 
sandro tornò,  credo,  un  giorno  dopo,  per  esservi  molto  pericolo,  e  mi  disse  :  «  Sono 
slato  a  bordo  del  legno  sardo,  ho  presentato  al  Comandante  il  vostro  biglietto  ed  egli 
mi  ha  caccialo  da  bordo  dicendomi:   Voi  potete  essere  una  spia  ». 

CURÀTULO  12 


CAPITOLO  IX. 


LA  SPEDIZIONE  DI  GIACOMO  MEDICI. 
CARTEGGIO  FRA  L'AMMIRAGLIO  PERSANO  E  GARIBALDI. 


Se  nessun  valido  aiuto  fu  dato  dal  Governo  piemontese,  personificato  nel  conte 
di  Cavour,  alla  partenza  dei  Mille  da  Quarto,  lo  stesso  non  può  dirsi  dopo 
che  la  spedizione  era  felicemente  sbarcata  in   Marsala. 

Cavour,  pur  continuando  a  diffidare  di  Garibaldi,  si  diede  ad  aiutarlo, 
prima  fornendo  di  armi  e  cartuccia  la  piccola  spedizione  di  Carmelo  Agnetta, 
partita  da  Genova  la  notte  del  25  maggio;  poi,  dopo  le  vittorie  di  Calatafimi 
e  di  Palermo,  per  mezzo  della  flotta  comandata  dall'  ammiraglio  di  Persano, 
il  quale  il  6  giugno  gettava  l'ancora  nel  porto  di  Palermo  e  protesse  la  spedi- 
zione comandata  da  Giacomo   Medici. 

E  intorno  a  questa  spedizione,  che  si  riferiscono  i  documenti  inediti  che 
qui  trascrivo  dagli  autografi  e  consistenti  in  cinque  lettere  di  Medici  a  Gari- 
baldi, tredici  del  Persano  al  dittatore,  una  di  Garibaldi  all'  ammiraglio.  Delle 
lettere  del  Medici,  una  soltanto,  quella  del  1 2  giugno  fu  dal  Persano  pubbli- 
cata nel  suo  Diario,   ma  non  conforme  all'  originale. 

Non  è  del  resto,  come  avremo  occasione  di  vedere,  questo  il  solo  docu- 
mento,  che  r  ammiraglio  pubblicò  non  perfettamente  conforme  all'  autografo. 


Giacomo  Medici  a  Garibaldi. 

Cagliari,    12  giugno   1860. 
Caro  Garibaldi, 

Sono  giunto  stamane  in  rada  di  Cagliari  con  due  battelli  a  vapore  carichi  ;  aspetto 
stanotte  altro  vapore  carico  da  Livorno  con  Malenchini  ed  un  Klipper  americano  a 
rimorchio.   Domani  notte  saremo,  spero,  tutti  riuniti  in  flottiglia  ;  ma  quanto  a  direzione 


180  LA  SPEDIZIONE  DI  GIACOMO  MEDICI 

non  so  dove,  ne  come  ;  aspetto  notizie  ed  istruzioni,  a  norma  di  quanto  ti  scrissi  pre- 
cedentemente. Scrivimi  con  mezzo  di  bastimenti  da  guerra  sardi. 

A  rivederci  presto. 

Tuo  aff.mo 

Totale  spedizione:  ^  medici 

3500  uomini 
8000  fucili 
400  mila  cartuccia 

A  tergo  della  lettera,  di  carattere  del  Persane,  si  legge  quanto  segue  : 
«  Autografo  di  Medici  al  generale  Garibaldi;  gli  notifica  il  suo  arrivo  a 
Cagliari  con  3500  uomini  ». 

Le  altre  quattro  lettere  di  Medici  sono  completamente  inedite  ;  due  di 
esse  furono  da  Garibaldi  comunicate  al   Persane. 


Rada  di  Cagliari,    14  giugno  '60. 
Caro  Garibaldi, 

Questa  è  la  terza  e  sarà  l' ultima  lettera,  che  da  qui  ti  scrivo.  Spero  stasera  ricevere 
tue  notizie  ed  istruzioni  ;  aspetterò  fino  domani  a  mezzogiorno,  e  poi  mi  metterò  in  marcia, 
seguendo  la  rotta  descritta  nei!' accluso  piano,  del  quale  mando  copia  anche  al  conte 
Persane. 

Siccome  poi  i  miei  vapori  figurano  di  proprietà  americana,  portiamo  bandiera 
americana,  ed  è  con  noi  il  capitano  americano  De  Rohan,  che  figura  essere  il  proprie- 
tario. Questi  ha  stimato  bene  di  rivolgersi  direttamente  al  Comandante  dell'  "  Iroquois  ,,, 
che  si  trova  a  Palermo,  informandolo  della  rotta,  che  si  terrà  ;  senza  però  dire  il  vero 
scopo  nostro  e  tutto  nella  lusinga,  che  detta  nave  da  guerra  americana  si  decida  ad 
incrociare  per  incontrarci  ed  all'occorrenza  proteggere  la  nostra  bandiera.  Siccome  è 
probabile,  che  tu  sia  in  buoni  rapporti  col  comandante  dell'"  Iroquois  ,,,  potresti  forse 
deciderlo  in  favor  nostro. 

Sono  in  pena  pel  ritardo  della  nave  americana  partita  da  5  giorni  da  Genova 
con   1200  uomini  rimorchiata  da  un  vaporino,  e  non  se  ne  ha  alcuna  nuova. 

Sono  indeciso,  se  dirigermi  a  Marsala,  oppure  addirittura  in  Palermo  :  inclino  però, 

per  quest'ultimo  partito,  se  non  ricevo,  entro  24  ore,  notizie  sulle  quali  basarmi  meglio; 

ad  ogni  modo  partirò  coi  tre  vapori,  che  stasera  avrò  pronti  di  tutto,    come  pure  gli 

uomini  organizzati  ed  armati  a  combattere.  Tanto  per  tua  norma. 

Tuo  aff.mo 

MEDICI 

P.  S.  -  Tu  riderai  di  vedermi  così  imbrogliato  in  queste  cose  di  mare,  e  di  più 
tormentato  sempre  dal  mal  di  mare. 


CARTEGGIO  FRA  LAMMIRAGLIO  PERSANO  E  GARIBALDI 


181 


A  tergo  della  lettera,  di  mano  del  Persane  è  scritto  :  «  Medici  al 
generale  Garibaldi  e  da  questi  a  me  mandata,  perchè  sapessi  i  movimenti  del 
Medici  e  potessi  proteggerli  ». 


Caro  Garibaldi, 


Cagliari,    14  giugno  '60. 


Dopo  scritta  l' altra  mia,  che  riceverai  con  questa,  ho  calcolato  che  se  io  partissi 
dimani  sarebbe  forse  troppo  presto,  perchè  tu  avessi  tempo,  dopo  ricevuta  la  presente, 
di  combinare  il  modo  di  proteggere  la  spedizione.  Per  cui,  senza  trascurare  di  fare 
quanto  più  potrai,  come  se  io  partissi  dimani,  disponi  le  cose  anche  come  se  partissi 
dopo  domani  (tempo  e  mare  permettendo).  Ma  io  confido,  che  stanotte  giungerà  qualche 
vapore  da  Palermo  con  notizie  ed  istruzioni,  che  mi  tolgano  da  tanta  incertezza.  Addio. 

Tuo  aff.mo 
MEDICI 

P.  S.  -  II  punto  di  San  Vito,  mi  pare  conveniente,  come  anche  quello  di  Sfer- 
racavallo ;  ma  ci  vorrebbe,  in  ogni  caso,  qualche  bastimento  da  guerra  nostro  o  americano, 
che  ci  fiancheggiasse. 


Intanto  da  Trapani,  saputosi  prossimo  l' arrivo  di  altri  volontari,  si  stava 
in  guardia.  Il  Governatore  di  quel  Distretto,  il  giorno  1 3,  scriveva  a  Garibaldi 
il  seguente  foglio  : 


SEGRETERIA 

del 
GO\'FJ^NATORE  DEL  DISTRETTO 
DI  TRAPANI 


Trapani,   13  giugno    1860. 


Signor  Dittatore, 

Stamane  si  è  presentata  una  corvetta  a  vapore  napolitana  nelle  nostre  acque, 
venendo  da  maestro  ;  passò  al  di  qua  di  queste  Isole  Formiche,  arrivò  innanzi  Marsala, 
e  voltando  di  nuovo  per  maestro,  passò  fuori  Favignana  colla  rotta  verso  Maretimo  ; 
quindi  si  è  messa  in  crociera  dietro  lo  stesso. 

Sembra  avere  di  mira  di  opporsi  ad  un  possibile  sbarco  di  italiani,  lo  perciò,  ho 
spedito  una  barchetta  armata  a  vele  ed  a  remi  con  persona  di  fiducia,  cui  ho  dato  il 
santo,  che  la  spedizione  di  Genova  fosse  per  arrivare  ed  uscir  fuori  a  vedere,  se  possa 
avvisare  i  nostri  delle  mosse  della  succennata  corvetta.  Nel  mentre  ho  fatto  abbassare 
la  bandiera  tricolore,  che  sventolava  sopra  il  Castello  di  S.  Caterina,  e  che  era  il  con- 


182  LA  SPEDIZIONE  DI  GIACOMO  MEDICI 

venuto  segno  della  sicura  entrata  in  questa  o  in  Marsala.  Però,  ho  lasciato  quella  della 
Colombaia  e  l'altra  di  Marsala  per  indicare,  che  in  terra  trovano  sicurezza. 
Serva  ciò  di  sua  intelligenza. 

//  Governatore 
Al  signor  Generale  G.  Garibaldi  GIROLAMO  B.  ADt^GNA 

Dittatore  in  Sicilia. 

Per  seguire  l' ordine  cronologico,  trascrivo  ora  la  lettera  diretta  da  Gari- 
baldi a  Persano. 

Quest'  ultimo  nel  Diario  scrive  :  «  La  partenza  del  Medici  da  Cagliari 
entr' oggi  stesso,  mi  determina  a  segnalare  senz'altro  al  "  Carlo  Alberto  ,,  ed 
alla  "  Gulnara  ,,  di  tenersi  pronti  a  muovere  da  queste  acque  al  primo  segnale, 
ed  ai  comandanti  loro  di  venire  a  bordo  a  prendere  le  istruzioni,  concernenti 
la  missione  che  devono  adempiere.  Significo  intanto,  al  generale  Garibaldi  questa 
mia  risoluzione,  e  l' ordine  che  sarà  dato  ai  regi  legni  di  scortare  la  spedi- 
zione Medici  a  salvamento,  venendo  anche  a  partiti  estremi,  occorrendo.  11  Gene- 
rale mi  risponde  la  seguerìte  lettera  autografa  »:' 

Ammiraglio, 

Mi  avete  proprio  data  una  cara  notizia,  e  ve  ne  attesto  la  mia  viva  gratitudine. 
Sotto  r  egida  vostra  potente  vivo  tranquillo.  Credo  anch'  io  come  voi,  che  sarà  meglio 
che  la  flottiglia  venga  direttamente  qui.  Significo  quindi  al  Medici  d'  entrare  addirit- 
tura nel  piccolo  porto,  ove  1'  aspetterò.  Con  affetto 

G.  GARIBALDI 

La  lettera  autografa  di  Garibaldi  invece,   dice  fedelmente  così  : 

Garibaldi  all'  Ammiraglio  Persano  (  Vedi  facsimile). 

COMANDO  GENERALE 
DELL'ESERCITO  NAZIONALE  Palermo,   15  giugno  1860. 


Ammiraglio, 

M'  avete  proprio  dato  una   cara  notizia    e    ve    ne   sono    tanto  riconoscente.   Sotto 
r  egida    vostra    potente  io  credo  anche  che  sarà  meglio,    che    Medici    venga    qui  con 


'  C.  di  Persano  -  Diario  etc,  pag.  45. 


CARTEGGIO  FRA  L'AMMIRAGLIO  PERSANO  E  GARIBALDI  183 


tutta  la  flottiglia  e  che  entri  addirittura  nel  porto  piccolo  —  cioè,  nella  calla  a  levante 
del  castello  —  attaccando  la  parte  orientale  della  calla.  Io  lo  aspetterò  dunque,  in 
detto  punto,  preparato,  se  a  caso  per  proteggerlo.  Con  affetto 

Vostro 
G.  GARIBALDI 

P.  S.  -  Ricevo  la  vostra  seconda  lettera  :  coli'  "  Authion  ,,  mandavo  (a  dire)  a 
Medici  di  venire  nel  golfo  di  Castellamare.  Ditemi  allora,  se  lo  devo  aspettare  in  questo 
porto  o  in  quel  golfo. 

Vostro  sempre 

Ammiraglio  Persona 
Comandante  in  capo  la  Squadra  Italiana. 


A  tergo  della  lettera,   anche  di  mano  di  Garibaldi,   sta  scritto  : 

Medici  nella  sua  lettera  mi  parla  di  Marsala  e  sarebbe  male  che  prendesse  quella 
direzione  per  motivo  della  Corvetta  napolitana  sul  Maretimo.  In  ogni  modo,  io  sono 
tranquillo  quando  voi,  Ammiraglio,  volete  essere  tanto  buono  d' impegnarvi  in  questa 
faccenda. 

Vostro  sempre 


La  spedizione  Medici  arrivava  in  Sicilia  precisamente  il  1 7  giugno  notte. 
Essa  componevasi  dei  vapori  "  Washington  ,, ,  "  Franklin  ,,  ed  "  Oregon  ,,. 
Medici  era  sul   "  Washington  ,,  e  Malenchini  sul   "  Franklin  „. 

I  particolari'  dello  sbarco  del  Medici,  avvenuto  a  Castellamare,  si  rilevano 
dalle  seguenti  lettere.  Malenchini  imbarcato  sul  "  Franklin  „  sbarcava,  presso 
Castellamare,   a  Favarotta,   nel  luogo  detto   Trappeto. 

Giacomo  Medici  a  Garibaldi  {Vedi  facsimile). 

Castellamare,   1 7  notte,  giugno  *60. 
Caro  Garibaldi, 

Eccomi  giunto  a  Castellamare,  punto  scelto  dietro  consiglio  del  Comandante  la 
"  Gulnara  „  venuto  al  mio  incontro.  Il  "  Franklin  „  con  Malenchini  e  i  Toscani  furono 
in  tempo  avvisati  e  sbarcarono  a  Favarotta. 

Quando  mi  giunse  1'  avviso  di  Bixio  la  mia  gente  era  già  a  terra  stanca,  e  pensai 
bene  lasciarla  rinfrescare.  Quanto  alle  armi  e  munizioni  le  sto  scaricando  e  le  avvierò 


184  LA  SPEDIZIONE  DI  GIACOMO  MEDICI 

per  Alcamo  e  Palermo  :  sarà  la  strada  che  terrò  anch'  io,  partendo  dimani  verso  sera  ; 

a  meno  che  tu  non  disponga  altrimenti. 

Scusa  la  brevità  di  un  uomo  stanco  e  male  in  salute. 

Tuo  affezionatissimo 

MEDICI 

P.  S.  -  Sono  inquieto  sulla  sorte  del  reggimento  Corte  imbarcato  sulla  nave  ame- 
ricana rimorchiata  dall'  "  Utile  „ ,  del  quale  non  si  sa  cosa  sia  avvenuto. 

Castellamare,    18  giugno   1860. 
Caro  Garibaldi, 

Partirò  stasera  alle  sei  ;  sarò  ad  Alcamo  alle  9,  seurò  a  Partinico  alle  3  a.m.  domani. 
Da  Partinico,  insieme  colla  gente  di  Malenchini,  partirò  domani  sera  per  giungere  a 
Palermo  posdomani  all'  alba  :  tanto  pel  tuo  avviso  e  pel  caso  tu  avessi  ordini  diversi 
a  darmi. 

Sono  a  piedi  :  se  mi  facesti  trovare,  almeno  a  Partinico,  uno  dei  tuoi  cavalli,  anzi 
tre  o  quattro,  perchè  anche  Malenchini,  Simonetta  e  Carissimi  sono  con  me,  sarebbe 
un  aiuto  ;  quantunque  dopo  essere  stato  in  mare,  anche  le  lunghe  marcie  a  piedi  mi 
sembreranno  tanto  zucchero. 

Bada,  che  se  si  presentano  a  te  ufHciali  stranieri  avventurieri,  senza  una  mia  racco- 
mandazione, non  prendere  impegni  di  sorta  con  loro.  Ti  assicuro,  che  la  gioventù,  che 
porlo  meco  è  tale  da  dare  i  migliori  soldati,  come  i  migliori  ufficiali  e  tutto  per  devo- 
zione a  te  ed  alla  causa  nostra.  Addio,  caro  Garibaldi. 

Tutto  tuo  affezionatissimo 
MEDICI 

P.  S.  -  Saluta  Bixio.  Ho  ricevuto  la  sua  lettera  ;  i  vapori  partiranno  per  Trapani 
a  tua  disposizione. 

Ulteriori  notizie  sullo  sbarco  della  spedizione  Medici  si  hanno  dalle  due  lettere 
dirette  a  Garibaldi  da  Felice  Orrigoni,  un  grande  amico  del  Generale  e  che  coman- 
dava il  "  Franklin  „.  Da  una  di  esse  si  rileva  anche  l'aiuto  che  aveva  dato 
a  questa  spedizione  il  Console  americano  di  Genova. 

Felice  Orrigoni  a  Garibaldi. 

Di  Bordo  del  "  Ben.  Franklin  „ ,   17  giugno  *60. 
Caro  Garibaldi, 

Sono  a  bordo  del  "  Franklin  „ ,  e  se  non  ho  tuoi  ordini  in  contrario,  riparto  inune- 
diatamente  per  Cagliari  per  carbone  ;  indi  per  Genova  per  armi  ed  armati.  Se  non  ho 


CARTEGGIO  FRA  L'AMMIRAGLIO  PERSANO  E  GARIBALDI  185 

ii  piacere  di  abbracciarti,  riceverai  le  qui  accluse  carte,  che  ti  riguardano  per  favore 
del  comune  amico  Malenchini. 

Saprai,  che  siamo  tutti  con  bandiera  americana,  e  che  le  bandiere  sono  coperte 
da  Mr.  De  Rohan,  antico  amico  tuo,  che  ti  diede  una  sciabola  in  Gibilterra  ;  l' altra 
da  Mr.  Nevens,  amico  e  segretario  del  Console,  che  viene  come  presta-nome,  a  sue 
spese  e  pericolo  ;  1'  ultima  da  me.  Dovresti  per  riconoscenza,  anzi  gratitudine,  dirigere 
prima  al  Console  americano  Mr.  L.  Patterson  in  Genova,  che  ha  fatto  per  noi  tutto 
quanto  potè,  giocando  la  sua  posizione,  nonché  agli  altri  soprannominati,  due  parole 
autografe  di  ringraziamento,  che  a  mio  giudizio,  ed  a  detta  loro,  è  l' unica  ricompensa 
cui  agognino. 

Vidi  Lombardi  a  Cagliari,  e  con  mille  cose  per  te  m' informò,  che  Menegolo,  di 
lui  fratello,  volle  assolutamente  venire  con  te.  Egli  è  un  eccellente  ufficiale  telegrafico, 
e  potrebbe  servirti  in  simile  capacità  con  una  fedeltà  e  segretezza  incomparabile.  Scrivi 
dunque,  due  righe  in  Sassari  a  Vincenzo,  aggiungendovi  due  righe  di  permesso  per 
imbarcarsi  su  qualche  piroscafo  regio  per  recarsi  in  Sicilia.  Addio,  sta  sano,  salutami 
Menotti  e  gli  amici;  a  rivederci  fra  poco  per  mettermi  a  tua  disposizione. 

FELICE  ORRIGONl 

P.  S.  -  Ti  raccomando  il  figlio  dell'  amico  Adamoli  di  Varese,  che  venne  col 
Vaporino.  Tutti  i  particolari  del  viaggio  li  saprai  da  Malenchini.  Addio. 


Trapani,   18  giugno   1860. 
Caro  Garibaldi, 

Sono  in  Trapani  a  tua  disposizione  col  "  Ben.  Franklin  „,  e  ti  spedisco  oggi  stesso, 
col  mezzo  il  più  celere,  tutto  il  resto  dell'armamento,  che  non  potei  sbarcare  senza 
troppo  pericolo  pel  Vapore,  essendo  già  le  otto  del  mattino  quando  salpai.  Bixio  ti 
avrà  narrato  la  causa  di  questo  ritardo,  che  occorse  mentre  eravamo  fermi  nella  cabina 
per  aspettare  una  sua  lettera  per  Medici.  Bisogna,  che  pensi  a  farmi  avere  subito 
un'  altra  ancora  ed  una  catena  di  6  o  7  lunghezze,  e  3  inches  and  6/8  of  an  inch, 
icitfi  an  anchor  in  proporiion. 

Saprai  a  quest'  ora,  che  capitan  Lavarello,  senza  dirne  il  perchè,  e  senza  che  io 
Io  potessi  indovinare,  lasciò  il  bastimento  ;  sono  dunque  solo  con  Gattorno,  capitano 
in  2°.   Sono  però,  sempre  disposto  a  servirti  in  tutto  e  per  tutto,  ed  in  qualsiasi  modo. 

Nella  speranza  di  presto  abbracciarti  sono 

Tutto  tuo 
FELICE  ORRIGONl 


P.  S.  -  Ti  spedisco  quanto  segue  : 


Casse  fucili     64 

Fiaschette,    vestiario,    buffetterie;    colli     68 
Fucili  sciolti 144 


186  LA  SPEDIZIONE  DI  GIACOMO  MEDICI 

Carabine  Enfield 40 

Casse  cartuccie 2 

Cappotti 44 

Ti  avverto,  che  appena  giunto  mi  sono  valso  del  sig.  Agostino    Bulgarella    e    la 
roba  è  già  partita  prima  di  ricevere  la  cara  tua  da  Alcamo. 

Tutto  tuo 
FELICE  ORRIGONl 

* 
*      * 

Della  spedizione  Medici  doveva  far  parte  anche  Clemente  Corte.  Partito 
con  i  suoi  da  Cornigliano  1'  8  giugno  su  di  alcune  barcacce,  il  Corte  aveva 
raggiunto  in  alto  mare  il  klipper  americano  "  Charles  and  Jane  „  ,  al  comando 
del  capitano  Wathson,  che,  a  rimorchio  del  vaporino  "  Utile  ,,,  doveva  raggiungere 
il  Medici  a  Cagliari.  Ma,  nella  traversata,  i  due  legni  furono  catturati  dalle  fregate 
napolitane  "  Fulminante  ,,  e  "  Fieramosca  ,,  e  rimorchiati  a  Gaeta  vi  rimasero 
fino  al  30  giugno,  venendo  rilasciati  per  intercessione  del  Governo  americano. 
Fu  solo  allora,   che    il  Corte  con  i  suoi  potè  raggiungere  Garibaldi. 

Trascrivo  ora,  anch'  esse  dagli  originali,  le  lettere  inedite  del  Persano  a 
Garibaldi,  riferentisi  alla  spedizione  Medici.  Farò  seguire  a  qualcuna  di  esse  un 
breve  commento   per  maggiore   intelligenza  del  lettore. 

L*  ammiraglio  di  Persano  a  Garibaldi. 

GABINETTO  PARTICOLARE 
DEL  CONTR"  AMMIRAGLIO 

COMANDANTE  LA  SQUADRA  ^'^'^'   '^  8'"g"o   '860. 


Caro  Generale, 

I  vostri  desideri  sono  ordini  per  me,  quindi  1'  "  Authion ,,  toccherà  Cagliari  nella 
sua  andata  a  Genova. 

Partirà  domani  sera.  Con  ammirazione  ed  affetto 

Vostro  affezionatissimo 
C.  DI  PERSANO 

P.  S.  -  Questa  sera,  dopo  la  mezzanotte,  partirà  il  "  Governolo  „  per   Messina 
a  tutela  dei  R.  sudditi. 


CARTEGGIO  FRA  L'AMMIRAGLIO  PERSANO  E  GARIBALDI  187 

Questa  lettera  è  in  risposta  ad  una  direttagli  da  Garibaldi,  in  cui  lo  pregava 
di  far  passare  il  comandante  Piola  per  Cagliari,  onde  consegnare  una  lettera  al 
Medici.  ' 

GABINETTO  PARTICOLARE 
DEL  CONTR"  AMMIRAGLIO 
COMANDANTE  LA  SQUADRA  Addì    15  giugno    1860. 


Il  Comandante  dell'  "  Ichnusa  „  dice,  che  Medici  non  partirà  più  il  15,  cioè  oggi; 
ma  che  partirà  domani,  istruitemi  in  conseguenza.  Il  ritardo  darebbe  loro  tempo  di 
ricevere  la  vostra  lettera,  mandata  coli'  "  Authion  ,, . 

Tulio  vosiro 
C.  DI  PERSANO 

GABINETTO  PARTICOLARE 
DEL  CONTR' AMMIRAGLIO 
COMANDANTE  LA  SQUADRA  Palermo.    15  giugno    1860. 


Caro  Generale, 

Ho  bisogno  di  sapere,  se  Medici  è  partito  oggi  o  se  partirà  domani,  onde  man- 
dargli incontro.  Medici  mi  scrive  oggi.  11  comandante  dell*  "  Ichnusa  ,,  mi  assicura,  che 
hanno  scritto  a  voi  che  partirà  domani  ;  avendo  cambiata  idea  schiaritemi  su  cotal  punto. 
//  Valentini,  mandato  per  assassinarvi,  è  ritornalo  ieri  sera  a  nuoto  a  bordo  della 
fregala  napoletana  "  Partenope  „ ,  vestilo  a  modo  dei  vostri.  Egli  rapportò  che  venne 
da  voi,  che  vi  baciò  la  mano,  che  si  disse  diseriore  di  altro  corpo  che  non  di  marina, 
e  che  trovandosi  che  altri  disertori  del  corpo,  che  nominò,  erano  pronti  a  provare,  che 
egli  non  vi  apparteneva,  temendo  di  essere  conosciuto,  si  diede  a  gambe  per  salvarsi. 
Ciò  che  preme  ora  è  il  Medici  ;  sapere  se  ha  lasciato  Cagliari  oggi,  o  se  la 
lascierà  domani. 

Con  affetto  vostro 
C.  DI  PERSANO 


Di  quel  tale  Valentini,  di  cui  si  fa  menzione  nella  lettera  del  Persane  e  che 
era  stato  mandato  da  Napoli  per  assassinare  Garibaldi  avrò  occasione  di  parlare 
a  lungo  nel  Capitolo  X. 


'  C.  di  Persane  -  Diario,  etc,  pag.  41. 


188  LA  SPEDIZIONE  DI  GIACOMO  MEDICI 


GABINETTO  PARTICOLARE 
DEL  CONTR"  AMMIRAGLIO 
COMANDANTE  LA  SQUADRA  ^^^'    '^  giugno   1860. 


Caro  Generale, 

Mando  r  "  Ichnusa  „  ad  incontrare  Medici,  partito  oggi  15  alle  ore  11  antimeri- 
diane da  Cagliari.  Ditemi,  se  può  venir  qui  direttamente  ;  anzi  segnatemi  ciò  che  deve 
fare,  ed  io  glielo  farò  dire.  Aocenga  che  puh. 

Tutta  la  flottiglia  era  riunita  a  Cagliari,  1'  "  Utile,,  compreso,  ed  il  "  Klipper  „  a  vela. 

Di  fretta,  ma  con  cuore 

Vostro  affezionatissimo 

C.  DI  PERSANO 

GABINETTO  PARTICOLARE 
DEL  CONTR"  AMMIRAGLIO 

COMANDANTE  LA  SQUADRA  Palermo,    16  giugno,  mattina. 


Caro  Generale, 

Penso  sia  meglio  il  golfo  di  Castellamare,  che  non  Palermo.  Scrivo  quindi  al  colon- 
nello Medici  pel  primo.  Lo  sbarcare  qui  potrebbe  dar  luogo  a  pretesti,  per  non  resti- 
tuire gli  ostaggi. 

Se  volete  altrimenti,  ho  ancora  tempo,  perchè  aspetto  la  vostra  risposta  prima  di 
spedir  fuori  la  "  Gulnara  ,, .  Così  sarà  il  terzo  Vapore  che  mando,  onde  dare  infor- 
mazioni e  non  farne  mancare  a  Medici.  Non  vorrei  però,  vi  fosse  Mazzini.  Speriamo 

che  no. 

Tutto  vostro 

C.  DI  PERSANO 

Gli  ostaggi  di  cui  si  parla  erano  i  sette  gentiluomini  palermitani,  fatti  pri- 
gionieri il  7  aprile  e  che,  come  si  disse  nel  Gap.  VI,  erano  stati  rinchiusi  nel 
forte  di  Gastellamare. 

GABINETTO    PARTICOLARE 

DEL  CONTR- AMMIRAGLIO  _,i  1 1       •  iQ/r> 

raiermo,   1/  giugno   lo6U. 
COMANDANTE  LA  SQUADRA 


Caro  Generale, 

Il  "  Carlo  Alberto  „  arrivato  in  questo  momento,    rapporta   che   non  ha  trovalo 
nessun  incrociatore  napoletano,  ne  al  Maretimo,  ne  a  Trapani,  ne  a  Marsala. 


CARTEGGIO  FRA  L'AMMIRAGLIO  PERSANO  E  GARIBALDI 


169 


Si  può  quindi  credere,  quasi  con    certezza,    che  la  spedizione  non  corre  nessun 
pericolo. 

Le  notizie  date  dal  Console  di  colà  non  si  devono  attribuire,  che  ad  un  eccesso 
di  zelo.  Con  affetto 

//  Contr' Ammiraglio  comandante  la  Squadra 
Al  prode  generale  Garibaldi  C.  DI  PERSANO 

Dittatore  in  Sicilia 
per   V.  Emanuele  II,   re  d'Italia 

Palermo. 


R.  DIVISIONE  NAVALE  SARDA 


Palermo,   18  giugno   1860. 

I    ora  aniimeridiana. 


Caro  Generale, 


Arriva  in  questo  momento  la  "  Gulnara  ,,. 

E  fortuna  che  l'abbiamo  mandata  ad  incontrare  la  spedizione,  perchè  essa  abbi- 
sognava di  guida.  La  "  Gulnara  „  servì  di  esploratore. 

Alle  8  di  stasera  entrarono  a  buon  termine  nel  golfo  di  Castellamare  ;  ma  il 
Klipper  ,,  e  1'"  Utile  „  non  erano  arrivati  a  Cagliari;  il  che  non  so  spiegarmi  dopo 
la  nota,  che  abbiamo  avuta  da  Medici,  in  cui  si  segnava  come  faciente  parte  del  con- 
voglio. Ma  così  è.  Pazienza.  Speriamo  ancora.  Medici  intanto  e  tre  dei  suoi  legni 
sono  in  salvo.  Mazzini  non  è  con  loro. 

Dio  protegge  l' Italia  ! 

Tutto  vostro,  con  quel  cuore  che  mi  sapete 

Il  Contr' Ammiraglio 

C.  DI  Pt-RSANO 

P.  S.  -  Nel  pomeriggio  di  oggi  spedisco  la  "  Gulnara  „  a  Cagliari  per  incon- 
trarvi e  rimettere  la  corrispondenza  al  corriere,  che  parte  mercoledì  per  Genova.  Cosi, 
se  voleste  qualche  cosa  per  quelle  parti,  bisognerebbe  che  mi  faceste  tenere  le  vostre 
commissioni  a  bordo,  prima  di  mezzogiorno  od  a  mezzodì  più  tardi. 


GABINETTO  PARTICOLARE 

DEL  CONTR'  AMMIRAGLIO 

COMANDANTE  LA  SQUADRA 


20  giugno  1860. 


Caro  Generale, 

Il  ministro  Farini  mi  scrive  di  dire  che  Montecchi  è  a  Londra,  «  et  quc  si  le 
goutìernement  de  Sicile  voulait  profiter  de  lui,  il  serait  en  état  de  pouvoir  procurer  des 
batiments  de  guerre  avec  cannons  perfectionnés.  Qu'on  repond  par  télégraph  ». 


190  LA  SPEDIZIONE  DI  GIACOMO  MEDICI 

Aspetto  quindi,  che  vogliate  dirmi  in  conseguenza,    giacche  mando  un  piroscafo 

a  CagHari  questa  sera  alle  ore  9. 

Tutto  vostro,  con  quel  cuore  che  mi  sapete 

Aff.mo 

C.   DI   PERSANO 
GABINETTO  PARTICOLARE 

DEL  CONTR- AMMIRAGLIO  .    ,  ,.    __      ,  . ,_ 

Addi  22,  1860. 

COMANDANTE  LA  SQUADRA 


Generale, 

La  "  Gulnara  ,,  ha    scortato    il  vapore  il  "  Veloce  ,,  nel    golfo  di  Castellamare 

con  80  passeggeri.   Nove  persone  furono  sbarcate  dalla  "  Gulnara  ,,  di  cui  vi  acchiudo 

i  nomi.  Tenetemi  sempre  col  massimo  affetto 

Tutto  vostro 

C.   DI   PERSANO 


Palermo,  addì  22  giugno   1860. 
Mio  caro  Generale, 

Ricevo  r  invito  che  vi  unisco,  ma  mi  pare  strano  che  mi  venga  dal  Console,  essendo 
la  persona  di  cui  si  tratta  mandata  per  ordine  vostro.  Sono  in  dubbio  ;  quindi  oso 
disturbarvi  col  domandarvene  prima  di  accordare  il  passaggio  chiestomi.  Vostro  del 
miglior  cuore  e  colla  massima  venerazione. 

C.    DI    PERSANO 


Ignoro  a  che  cosa  alluda  il  Persano  in  questa  lettera ,  ne  mi  fu  dato 
trarne  notizia  dal  suo  Diario. 

Palermo,  addi  24  giugno   1860. 
Generale, 

Sarà  fatto  quanto  mi  domandate  pel  vapore  "  Veloce  „. 

Con  affetto  Sempre  vostro 

C.   DI   PERSANO 

Qui  si  parla  della  richiesta  da  parte  di  Garibaldi  di  fare  scortare  da  Cagliari 
a  Palermo  il  capitano  marittimo  Giuseppe  Faggioni,  che  doveva  portare  dei 
volontari.' 


'  C.  di  Persano  -  Diario,  etc,  pag.  55. 


CARTEGGIO  FRA  L'AMMIRAGLIO  PERSANO  E  GARIBALDI  191 


Addi  25  giugno  1860. 
Generale, 

Le  diserzioni  della  squadra,  per  incitamento  dei  vostri,  vanno  dichiarandosi 
ogni  giorno. 

Questa  cosa  è  assolutamente  antitaliana,  e  mi  accora  non  poco  il  vedere,  che 
mentre  io  mi  adopero  tutto  per  voi,  a  mio  rischio,  mi  si  venga  a  bordo  a  sedurre  la 
mia  gente  e  tentare  alla  disciplina. 

Sono  sicuro,  Generale,  che  voi  non  ne  avete  conoscenza  :  ricorro  quindi  franca- 
mente alla  vostra  lealtà  per  avermi  restituiti  i  mancanti,  che  so  positivamente  arruolati 
nelle  file  delle  vostre  truppe,  senza  che  possa  sapere  in  quale.  Dobbiamo  tutti  com- 
battere per  la  stessa  causa  ;  perchè  dunque  togliermi  uomini,  che  servono  allo  stesso 
oggetto  ? 

Ho  proibito,  con  dispiacere,  1*  entrata  a  bordo  di  ognuno  di  terra  ;  vedete  a  che 
sono  ridotto,  comparire  inurbano  ;  e  Dio  sa  se  lo  sono  ! 

Vengono  pure  da  me  ogni  giorno  dei  vostri  a  chiedermi  passaggio  per  Genova, 
disertando  la  nostra  bandiera  ;  e  non  solo  ebbero  rifiuto,  ma  furono  rimproverati  per 
il  loro  passo. 

Perdonate  la  mia  franchezza  e  tenetemi  sempre  con  vero  affetto 

Tutto  Vostro 
C.   DI    PERSANO 


Anche  questa  lettera,   che  il  Persane  dice    essere    rimasta    senza    risposta 
fu  da  lui  pubblicata,  come  al  solito,  differente  dall'  originale. 

GABINETTO  PARTICOLARE 

DEL  CONTR"  AMMIRAGLIO  .,,^^,      ,.       .„.^ 

Addi  22  luglio  1860. 
COMANDANTE  LA  SQUADRA 


Carissirrìo  Generale, 

Vi  mando  la  lettera  che  ricevo  da  La  Farina.  Egli  non  sa,  ne  poteva  supporre, 
che  io  ve  1'  avrei  mostrata.  Io  non  lo  conosco,  se  non  dacché  mi  fu  presen- 
tato a  Cagliari.  Sentitelo,  e  per  il  bene  d'Italia  cessi  ogni  freddura;  oso 
supplicarvene.  Vostro  ad  ogni  prova. 

C.   DI   PERSANO 

Il  Persane  nel  Diario  parla  della  lettera  ricevuta  da  La  Farina,  scrit- 
tagli nel  momento  in  cui  questi  stava  per  essere  espulso,  e  soggiunge  :  «  Peccato 
invero,  che  un  così  capace,  onesto  e  leale  uomo  non  possa  andare 


192  LA  SPEDIZIONE  DI  GIACOMO  MEDICI 

ai  versi  del  Generale  Dittatore!  Devono  essere  pur  cattivi  quelli 
che  ne  sono  la  causa  ».  Mentre  adunque  egli  nel  Diario,  pubblicato  nove 
anni  dopo  la  spedizione,  scrive  cosi  sul  conto  di  La  Farina,  a  Garibaldi,  nel  60, 
nella  lettera  sopi  a  trascritta  (  vedi  facsimile  )  aveva  scritto  :  «  Io  non  lo  conosco, 
se  non  dacché  mi  fu  presentato  a  Cagliari  ». 

* 

*     * 

Dopo  r  arrivo  della  spedizione  Medici,  Garibaldi  si  aspettava  la  terza, 
quella  capitanata  dal  Cosenz,  nonché  i  volontari  partiti  da  Livorno  ;  onde  così 
procedere  alla  liberazione  del  resto  dell'  isola.  In  data  del  22  giugno,  egli  scriveva 
le  seguenti  istruzioni  segrete  ai  comandanti  De  Rohan  e  Traffìletti.  11  De  Rohan 
veniva  poi  raccomandato  dallo  stesso  Garibaldi,  con  lettera  del  1 8  maggio  1861, 
al  conte  di  Cavour  ed  a  S.   M.   per  i  servizi  resi  nella  campagna  di  Sicilia. 

Garibaldi  al  comandante  De  Rohan.  (Vedi facsimile). 

Palermo,  22  giugno  '60. 
Istruzioni  segrete  al  comandante  de  Rohan, 

Il  comandante  de  Rohan  prenderà  il  comando  dei  "  Washington  „ ,  lo  preparerà 
con  tutto  il  necessario,  per  mettersi  in  viaggio  al  più  presto  possibile.  La  sua  desti- 
nazione sarà  per  Genova,  ove  imbarcare  gente  per  condurla  in  Palermo. 

Essendo  pronto  alla  partenza,  egli  passerà  al  mio  Quartier  Generale  per  rice- 
vere ulteriori  istruzioni. 

In  tutto  ciò  che  riguarda  la  sua  missione,  egli  ha  pieni  poteri.    11  maggiore  Sic- 

coli  è  incaricato  di  provvederlo  del  carico. 

G.  GARIBALDI 

Garibaldi  al  comandante  Traffìletti. 

COMANDO  GENERALE 
DELL- ESERCITO  NAZIONALE  Palermo,  22  giugno  '60. 


Istruzioni  segrete  al  comandante   Traffìletti, 

Il  comandante  Traffìletti  prenderà  il  comando  dell'"  Oregon  „,  lo  preparerà  con 
tutto  il  necessario  per  mettersi  in  viaggio  al  più  presto  possibile. 


'  Vedi  la  pubblicazione  fatla  dal  «  Comitato  Piemontese  per  la  storia  del  Risorgimento 
Italiano»  nel  primo  centenario  della  nascila  di  Camillo  Cavour.  Torino  1910,  pag.  31. 


GABINrJTO  PARTICOLARK 

OKI  co»rr«  AMiRACLio  ^.'i^C.uS  t  ^     ^<i«^-;,.^ii^ 

COMANDANTE  LA  SQUADRA 


■^. 


:>i>^^^2,*ti-^^^-^ 


Lettera  dell'ammiraglio  Persane  a  Garibaldi  riguardante  La  Farina. 

(Vedi  pag.    191). 


Istruzioni  segrete  autograie  di  Garibaldi  al  comandante  De  Rohan.   (Vedi  pag.    192). 


CARTEGGIO  FRA  L'AMMIRAGLIO  PERSANO  E  GARIBALDI 


193 


La  sua  destinazione  sarà  per  Livorno,  ove  imbarcherà  gente  per  condurla  in 
Sicilia.  Essendo  pronto  alla  partenza,  egli  passerà  al  mio  Quartiere  Generale  per  rice- 
vere ulteriori  istruzioni. 

In  tutto  ciò  che  riguarda  la  sua  missione,  egli  ha  pieni  poteri.  Il  maggiore  Sic- 
coli,  che  va  con  lui,  provvederà  per  l' imbarco. 

L'  attività  di  Garibaldi,  in  quei  giorni,  era  veramente  sovrumana.  Le  spe- 
ranze di  liberare  completamente  l' isola  dal  Borbone  si  erano  rafforzate  per  il 
nuovo  contingente  di  volontari.  Il  28  giugno,  egli  aveva  ricevuto  il  seguente 
dispaccio  : 

TELEGRAFI  SARDI 

Stazione  di  Genova.  Ricecimento. 

Presentato  alla  stazione  originaria  di  Parigi  il  giorno  18  giugno,  alle  ore  pom.  5,56. 

Ricevuto  il   19  giugno,  alle  ore  ant.  5,15. 

TESTO  DEL  DISPACCIO: 

General  Garibaldi, 

Palerme,  poste  Génes. 

100  mille  fusils  ootre  disposition,  je  pars.  Donnez  vos  ordres  Hotel  Malte,  Génes. 

PERELLI  ERCOLINI 

E  pure  di  quei  giorni  la  seguente  lettera  inedita. 

II   Vice-Governatore  dì  Brescia  a  Garibaldi. 

GOVERNO 
DELLA  PROVINCIA   DI  BRESCIA 

Brescia,  14  giugno  1860. 


N.  7500/1136 


Secondo  i  desiderii  espressi  da  V.  S.  111. ma  col  foglio  p.  p.  maggio  diretto  alla 
Deputazione  di  questa  provincia,  veniva  consegnata  al  signor  maggiore  Giovanni  Ferrari 
la  somma  di  lire  italiane  90.000  (novantamila),  quale  prezzo  di  tre  mila  fucili  da  lei 
ceduti  alla  Provincia  stessa  per  uso  della  Guardia  Nazionale,  nonché  l'altra  somma 
di  lire  italiane  8.000  (ottomila),  quale  introito  della  sottoscrizione  al  milione  di  fucili 
da  lei  medesima  proposta. 

Trovandosi  però,  ora  in  cassa  per  quest'  ultimo  titolo,  un  ulteriore  introito  di  italiane 
lire  9234,63,  che  la  Deputazione  Provinciale  nella  seduta  di  ieri  ha  dichiarato  di  met- 


CURÀTULO 


13 


194  LA  SPEDIZIONE  DI  GIACOMO  MEDICI 

tere  a  piena  disposizione  della  S.  V.  111. ma,  così  mentre  io  mi  pregio  di  raggua- 
gliamela per  sua  direzione  e  norma,  starò  in  attenzione  di  conoscere  il  mezzo,  che 
verrà  da  lei  designato  pel  versamento  dell'  indicata  somma. 

Colgo  con  vero  piacere  l' occasione  per  tributarle,  lll.mo  signor  Generale,  i  sensi 
della  speciale  mia  considerazione. 

IL  VICE-GOVERNATORE  * 

Airill.mo  signor  generale  G.  Garibaldi 

Palermo. 


Per  comprendere  meglio  questo  documento,  bisogna  tenere  presente  la  lettera 
che  il  27  aprile,  Depretis,  governatore  di  Brescia,  aveva  scritto  a  Garibaldi 
pubblicata  da  Jessie  White  Mario."  Depretis,  dopo  che  la  spedizione  di  Gari- 
baldi era  partita,  si  era  dimesso  da  governatore  di  Brescia  ed  eletto  Deputato 
aveva  votato  contro  la  cessione  di  Nizza.  Le  98.000  lire  di  cui  si  parla 
nella  lettera  a  Garibaldi  furono  poi  versate  nelle  mani  di  Bertani  e  figurano 
nel  Resoconto,  da  lui  fatto,  come  ricevute  dalla  Cassa  provinciale  di  Brescia. 
I  fucili  comperati  con  detta  somma  per  la  Guardia  nazionale  vennero  dal  Depretis 
restituiti  a  Garibaldi  per  la  rivoluzione.  A  maggiore  intelligenza,  giova  ripubblicare 
la  lettera,   che  allora   scriveva  il  Depretis  a  Garibaldi  : 

Caro  ed  illustre  amico. 

Mi  faccio  un  dovere  di  notificarvi,  che  la  Deputazione  provinciale  di  Brescia  ha 
deliberato  quest'oggi  di  acquistare  i  tremila  fucili,  che  le  furono  somministrati  dietro 
vostro  ordine  dalla  Commissione  pel  milione  di  fucili,  residente  a  Milano.  Il  prezzo, 
in  ragione  di  Hre  trenta  ciascun  fucile,  verrebbe  pagato  nel  termine  di  tre  mesi  o  a 
voi  direttamente,  o  a  persona  munita  di  vostro  mandato.  La  Deputazione  provinciale 
si  farà  un  dovere  di  effettuare  i  pagamenti  anche  prima  della  scadenza  suddetta  nella 
misura  dei  fondi  provinciali,  che  avrà  disponibili. 

Vi  prevengo  pure,  che  la  stessa  Deputazione  provinciale  avrebbe  deliberato  di 
mettere  a  vostra  disposizione  le  somme,  che  si  sono  raccolte  nella  Provincia  e  furono 
versate  nella  Cassa  Provinciale,  e  queste  verrebbero  parimenti  pagate  a  chi  si  pre- 
senterà munito  di  vostro  mandato.  La  somma  ora  incassata  sarebbe  di  circa  ottomila  lire. 
Di  tutto  ciò  avrete,  spero,  fra  breve  termine  la  notizia  ufficiale. 

Credetemi  qual  mi  dico,  con  distinta  stima  vostro 

devotissimo 

A.   DEPRETIS 


'  Nel  documento  la  firma  è  illeggibile. 

'  Jessie  White  Mario  -  A.  Bertoni  e  i  suoi  tempi,  voi.  IH,  pagg.  38-39. 


CARTEGGIO  FRA  L'AMMIRAGLIO  PERSANO  E  GARIBALDI  195 

Quel  Giovanni  Ferrari  di  cui  si  fa  menzione  nella  lettera  del  Vice- 
Governatore  ed  al  quale  furono  consegnate  le  lire  98,000  fu  un  prode  bresciano. 
Aiutante  del  generale  Giacomo  Durando  nella  difesa  di  Venezia,  capitano  nei 
bersaglieri  lombardi  nel  1 849,  amico  e  compagno  di  Manara,  si  preparava 
ora  ad  andare  in  Sicilia  a  combattere  con  Garibaldi. 


* 

*      * 


Debbo  qui  spendere  qualche  parola  sulla  venuta  di  Nicola  Fabrizi  in  Sicilia 
e  sulla  formazione  del  Corpo  dei  Cacciatori  del  Faro. 

Ricciotti  Garibaldi,  un  giorno,  chiese  a  suo  Padre  quali  degli  uomini,  che 
egli  aveva  avuto  compagni  nelle  avventurose  vicende  della  sua  vita,  godettero 
tutta  la  sua  ammirazione.  Il  Generale  rispose  :  «  Ricciotti  potresti  contarli  sulla 
punta  delle  dita  della  mano  »  ;  ma  il  figlio  insistendo,  Garibaldi  disse  :  «  Francesco 
Anzani,    Giuseppe  Avezzana,   Nicola  Fabrizi....  ». 

Qui  Garibaldi  si  tacque,   pensoso  :  ne  volle  più  continuare. 

Nicola  Fabrizi  è  una  delle  più  nobili  figure  del  nostro  Risorgimento.  Cospi- 
ratore e  soldato  valoroso,  mente  equilibrata,  spirito  critico  ed  equanime,  egli  ebbe 
pari  al  merito  dell'  opera  compiuta,  una  grande  modestia.  Alto,  magro,  dalla 
figura  di  profeta,  dalla  barba  lunga  e  folta  che  ne  contornava  la  faccia,  Nicola 
Fabrizi  anche  in  tempo  di  pace  parlava  sottovoce,  come  se  stesse  sempre  a 
cospirare,  mi  diceva  un  giorno  Raffaello  Giovagnoli.  Condannato  a  morte  nel  '3 1 , 
perchè  complice  di  Ciro  Menotti,  chiuse  la  sua  carriera  militare  come  Capo  di 
Stato  Maggiore   di    Garibaldi    alle    porte    di    Roma,    nella    campagna  del  '67. 

Giuseppe  Cesare  Abba,  che  nel  1 860  vide  il  patriota  modenese  al  Faro, 
lo  tramandò  ai  posteri  con  queste  parole  :  «  Vidi  Nicola  Fabrizi  ;  una  figura 
da  condottiero  biblico.  Se  quest'  uomo  fosse  comparso  m  un  congresso  di  re  a 
domandare  giustizia  per  l' Italia,  i  re  si  sarebbero  alzati  a  riverire  in  lui  il 
popolo,  che  può  dare  un  cittadino  della  sua  sorte.  Semplice,  non  mai  acci- 
gliato, pare  che  spanda  intorno  un'  aura  di  benevolenza  ;  passa  e  si  vorrebbe 
mettersi  a  camminargli  dietro,  sicuri  di  andare  con  lui  a  buona  mèta.  Se  un 
fanciullo  gli  si  abbracciasse  alle  ginocchia,  in  un  momento  che  per  Fabrizi  fosse 
di  vita  o  di  morte,  egli  si  chinerebbe  a  carezzarlo.  Dai  tempi  di  Ciro  Menotti 
va  innanzi  costui  !  Ha  creduto  ;  gli  è  cresciuta  la  fede  ogni  dì,  non  si  è  mai 
volto  addietro  :  gli  anni  non  gli  hanno  fatto  cadere  le  penne  ed  ebbe  sempre  cer- 
tezza di  vedere  il  gran  giorno  d' Italia.   Ora  che  si  comincia  a  sapere,   come  il 


1%  LA  SPEDIZIONE  DI  GIACOMO  MEDICI 

dittatore  potè  lanciarsi  a  questa  impresa,  si  sa  che  Fabrizi  da  Malta,  Crispi 
e  Bixio  in  Genova  gli  hanno  messo  nella  coscienza,  che  1'  Italia  si  deve  farla 
in  quest'  anno  o  forse  mai  più  » . 

Il  Quartiere  Generale  di  Nicola  Fabrizi  fu  sempre  il  suo  luogo  d'esilio  : 
r  isola  di  Malta.  Là  egli  cospirava  e  si  manteneva  in  continua  corrispondenza 
col  flore  dei  patriotti  di  Sicilia  e  del  continente.  La  sua  scrittura,  inintelligibile, 
era  1'  incubo  degli  amici  ed  il  leggere  le  sue  lettere,  scritte  nei  giorni  dell'  esilio, 
non  è  lieve  fatica  per  gli  studiosi  della  storia,  che  hanno  occasione  di  compul- 
sare i  di  lui  autografi. 

Quando  Garibaldi  si  ritirò  su  Piana  dei  Greci  mandando  l'artiglieria,  coman- 
data dall'  Orsini,  verso  Corleone  per  ingannare  i  Borbonici,  inviò  contempora- 
neamente a  Malta,  Castiglia  e  Mustica  per  avere  delle  armi  da  quel  comitato, 
diretto  da  Fabrizi  e  da  Giorgio  Tamajo.  Dopo  varie  peripezie  i  due  patriotti 
siciliani  giunsero  al  destino,  e  mentre  il  Mustica  ripartiva  subito  alla  volta  di 
Genova  sul  vapore  il  "  Quirinale  „ ,  in  cerca  di  altre  armi  e  munizioni,  il 
Fabrizi,  condotto  da  Salvatore  Castiglia,  con  pochi  uomini  e  1 500  fucili,  il 
7  giugno  sbarcava  a  Pozzallo,  trovando  in  quel  luogo  larghi  aiuti,  specialmente 
per  opera  del  Delegato  consolare  sardo,  il  quale  aveva  scritto  il  giorno  avanti  a 
Garibaldi  la  seguente  caratteristica  lettera. 


Il  Delegato  Consolare  Sardo  in  Pozzallo  a  Garibaldi. 


DELEGAZIONE  CONSOLARE 

DI  SARDEGNA 

IN    POZZALLO  Pozzallo,  6  giugno    1860. 


Signor  Generale, 

Un  umile  e  tenue  penna,  mossa  però  da  un  cuore  fervido,  che  si  sente  altamente 
italiano,  e  quale  rappresentante  di  quel  Re  {Dio  guardi)  grande  e  glorioso,  di  cui  il 
serto  viene  intrecciato  colle  magiche  parole  Montebello,  Magenta,  Solferino,  si  rivolge 
oggi  a  Colui,  che  col  proprio  sangue,  unito  a  uomini  generosi  e  di  sommo  valore  gli 
hanno  acquistato  il  santo  diritto  di  libertà  !....  Deh  !  Che  Ella  si  degni  di  accettare  i 
miei  sentiti  !....  si  pienamente  sentiti,  voti  di  gratitudine  ;  nonché  quelli  di  una  popola- 
zione intera,  che  ogni  dì,  ogni  ora  non  fa  che  dar  libero  campo  ai  moti  del  suo  cuore, 
gridando:    Viva  l'Italia!....    Viva    Vittorio  Emanuele  !....    Viva  Garibaldi!.... 

Mi  corre  l'  obbligo,  sì  per  la  carica  affidatami,  che  per  essere  vero  cittadino  quale 
mi  credo,  sottometterle  che  questa  mia  residenza  Consolare  è  la  più  vicina  all'  isola  di 


CARTEGGIO  FRA  L'AMMIRAGLIO  PERSANO  E  GARIBALDI  197 

Malta,  e  come  tale,  molti  disbarchi  di  emigrati  e  di  gente  magnanima,  che  viene  in 
soccorso  della  nostra  santa  causa  sonosi  avverati,  ed  in  ognuno  di  essi  da  me  non  si 
è  giammai  trascurato  di  andarvi  all'  incontro  e  riceverli  con  quelli  onori,  che  si  con- 
veniva, come  parimenti  si  praticò  pel  signor  Castiglia,  il  quale  gliene  potrà  far  fede. 
Ugualmente  non  ho  tralasciato  di  mettere  a  disposizione  della  Nazione  tutti  i  legni 
della  mia  casa  di  commercio,  che  tiene  un  traffico  attivo  con  suddetta  isola  ed  ho  avuto 
la  sorte,  che  se  ne  sono  avvalsi,  facendo  trasportare  emigrati,  cannoni,  fucili,  munizioni, 
ed  altro.  In  tale  stato  di  cose  mi  animo  pregarla,  anzi  supplicarla,  che  qualora  creda 
onorarmi  di  qualche  comando,  mi  farebbe  una  grazia  particolare,  una  grazia  che  mi 
renderebbe    al   sommo    felice  e    superbo.    Con    tale    speme    e    lusinga,   ho    l'onore    di 

segnarmi 

//  delegato  consolare  di  Sardegna 

EUGENIO  AVITABILE 
Sig.  Generale  G.  Garibaldi 

Dittatore  in 

Palermo 

Oltre  al  Console  Sardo  in  Pozzallo,  anche  quello  di  Catania  si  era  messo 
a  disposizione  del  Generale,   inviandogli  la  seguente  nobile  lettera. 

Il  Delegato  Consolare  Sardo  in  Catania  a  Garibaldi. 

DELEGAZIONE  CONSOLARE 
DI  SARDKGNA 

IN  CATANIA  Catania,   Il   giugno   1860. 


Ill.mo  Signore, 

Se  la  politica  del  Governo,  che  ho  l'onore  qui  di  rappresentare,  non  permette 
alcuna  ingerenza,  anzi  impone  la  massima  circospezione  nei  fatti,  che  nell'  isola  succe- 
dono, pure  non  posso  trattenermi  di  dirigerle  queste  brevi  righe,  onde  manifestare,  con 
tutta  r  effusione  dell'  animo,  i  sensi  della  mia  più  alta  stima,  ammirazione  e  deferenza 
verso  di  Lei,  signor  Generale,  che  animato  dal  più  santo  e  puro  amor  di  patria,  con 
coraggio  singolare  ed  unico  al  mondo,  si  è  accinto  a  sì  ardua  impresa,  sfidando  i  più 
tremendi  pericoli.  Ma  vi  è  un  Dio,  che  veglia  sui  supremi  destini  delle  Nazioni,  ed 
Egli  sorridendo  alla  fine  all'  infelice  ed  oppressa  Italia,  benedice  le  di  Lei  armi  e  bene- 
dirà sino  alla  fine  l' alta  meta  di  ogni  italiano  ! 

Come  per  tutta  1'  Isola,  come  per  1'  Europa  intera  e  per  tutto  il  mondo,  è  pure 
qui  idolatrato  il  di  Lei  nome  ;  dall'  imo  all'alto  della  popolazione  si  comprende  la 
santità  della  causa,  e  Catania  mostrerà  sempre  di  non  restare  indietro  fra  le  altre  sue 
italiane  sorelle. 


198  LA  SPEDIZIONE  DI  GIACOMO  MEDICI 

Accolga,  signor  Generale,  i  miei  ardenti  voti  per  la  di  Lei  persona,  cotanto 
necessaria  pel  bene  della  Patria  ;  disponga  di  me  in  tutto  quello  che  possa  credermi 
utile  nella  mia  pochezza  e  si  degni  gradire  i  sensi  della  mia  profonda  stima  e  consi- 
derazione. 

//  delegalo 

ANTONINO  GIUSTI 
A  S.  S.  Ill.ma 

Signor  Generale  G.   Garibaldi 
Dittatore  in  Sicilia 

Palermo. 


Appena  sbarcato,  Fabrizi  si  diresse  alla  volta  di  Siracusa  e  di  Messina, 
cercando  di  trarre  profitto  dell'  entusiasmo,  che  i  successi  di  Garibaldi  avevano 
suscitato  per  raccogliere  volontari  ;  ed  il  patriottismo  anche  di  questa  parte  della 
Sicilia  rispose  al  nobile  appello.  Onde  il  Fabrizi,  in  data  del  16,  poteva  scri- 
vere al  dittatore  la  seguente  lettera,  colla  quale  gli  annunziava  di  avere  formato 
il  primo  nucleo  di  un  corpo  di  volontari,  al  quale  aveva  dato  il  nome  di 
Corpo  dei  Cacciatori  del  Faro. 

Nicola  Fabrizi  à  Garibaldi. 

Palazzolo,   16  giugno  1860. 
Mio  Generale, 

Dopo  quanto  ebbi  l'onore  di  scriverle,  nella  mancanza  delle  sue  disposizioni,  io 
ho  seguito  quei  movimenti  ai  quali  era  destinato,  mentre  che  dalle  Provincie  di  Catania 
e  Messina  mi  venne  avvisato,  che  mi  si  attendeva  con  impazienza.  E  difatti  ho  ridotto 
il  tanto  difficile  convoglio  in  modo  da  trafficarsi  su  muli  ;  ne  ho  lasciato  una  piccola 
quantità  nella  provincia  di  Noto  e  vado  a  lasciarne  altrettanta  in  Catania,  portandone 
il  grosso  nella  provincia  di  Messina. 

A  maggiore  sicurezza  del  convoglio  istesso  e  a  preparare  un  utile  elemento  al 
paese,  io,  tuttoché  scarso  di  mezzi,  ho  ricevuto  tutti  quei  volontari,  che  sono  venuti  a 
trovarmi  uniformandosi  alla  regolarità  della  nostra  marcia  ed  in  questa  Provincia  mi 
han  fatto  seguito  molti;  tanto  che  arrivato  in  Noto  con  17,  ne  ho  fino  ad  ora  125,  ed 
è  tanto  più  rilevante  in  quanto  che  è,  col  pretesto  della  leva,  che  il  partito  reazionario 
cerca  guadagnare  terreno. 

Da  quello  che  ho  dovuto  osservare  nella  mia  marcia  m  argomento  politico,  ne  ho 
scritto  al  suo  Ministro  dell'  Interno,  essendo  cose  che  riguardavano  l' autorità  di  Lui, 
e  voglio  credere,  che  ne  l' avrà  informato. 

Frattanto  ciò  che  con  maggiore  interesse  vengo  ad  esporle,  è  che  al  momento  della 
mia  partenza  da  Noto,  persone  apposite  da  Siracusa  venivano  ad  avvisarmi  di    avere 


CARTEGGIO  FRA  L'AMMIRAGLIO  PERSANO  E  GARIBALDI  199 

a  Lei  diretta  comunicazione  del  come  le  trattative  intraprese  con  alcuni  ufficiali  di 
quella  Guarnigione,  fossero  tanto  inoltrate  da  potere  con  la  sicurezza  dei  loro  posti 
produrre  un  movimento  militare  per  la  cessione  della  Piazza  col  suo  materiale;  ma 
che  la  conclusione  di  questo  fatto,  oltre  di  richiedere  una  autorizzazione  ufficiale  presso 
chi  la  tratterebbe  dalla  parte  nostra,  esige  anche  la  scelta  di  una  persona  autorevole 
e  conosciuta. 

E  probabilmente  la  vicinanza  del  nemico,  che  tiene  i  partiti  in  vigore  nonostante 
il  procedere  dei  successi  più  lontani. 

Debbo,  per  sentimento  di  verità  e  di  riconoscenza,  dirle,  come  la  condotta  di 
alcune  primarie  famiglie  della  città  di  Noto  sia  stata  d' impulso  a  questo  slancio  di 
arruolamento  ;  giacche,  oltre  all'  accoglienza  ospitale  fatta  al  nostro  arrivo,  furono  esse 
le  prime  a  dare  i  loro  figli  ai  nostri  ruoli,  inviandoli  alla  caserma  nel  tempo  stesso, 
che  durava  il  breve  nostro  soggiorno  :  primo  fra  tutti  il  Governatore  di  Noto  in  tale 
generosa  abnegazione  diede  il  proprio  figlio  ;  vi  fu  chi  ce  ne  diede  due.  Alcune  signore 
si  misero  a  capo  di  una  soscrizione  per  provvedere  mezzi  di  abbigliamento. 

Mi  parve  in  tale  iniziativa  potermi  arbitrare,  fino  al  ricevimento  di  ordini  precisi, 
di  dare  il  nome  a  questo  arruolamento  di  Corpo  di  Cacciatori  del  Faro,  denotante  così 
il  destino  attuale  a  quella  Provincia  verso  cui  restano  a  dirigersi  i  principali  sforzi. 

Neil'  assoluta  mancanza  di  ogni  relazione  col  centro  politico  e  militare  dopo  il 
mio  arrivo  in  Sicilia,  voglio  lusingarmi  che  questa  mia  condotta,  spinta  dal  sentimento 
della  circostanza,  non  possa  incontrare  la  di  Lei  disapprovazione. 

N.  FABRIZl 


CAPITOLO  X. 


TENTATIVI    PER    ASSASSINARE   GARIBALDI. 
LEGGENDA  SULLA  SUA  MORTE. 


La  vita  di  Garibaldi  fu  più  volte  la  meta  della  mano  di  sicarii.  Già 
nel  1859,  quando  egli  era  nell'  Italia  Centrale,  il  Governo  pontificio  ed  il  borbo- 
nico avevano  cercato  di  farlo  assassinare  col  pugnale  o  col  veleno.  A  tale  scopo 
era  stato  inviato  colà,  insieme  ad  un  certo  Alpi,  quel  tale  Griscelli,  il  famoso  barone 
di  Rimini,  celebre  spia  di  diversi  governi,  che  Tanno  dopo  troviamo  a  Palermo, 
agente  segreto  cavouriano,   espulso  da  Garibaldi  insieme  a  La  Farina. 

Nel  mio  Archivio  si  trovano  le  copie,  fatte  fare  nel  '59  da  Farini ,  di 
alcune  lettere  del  Griscelli  ;  il  quale  in  quell'occasione  aveva  preso  il  nome  di 
De  Vizzani.  Sono  documenti  caratteristici  di  questa  losca  figura,  che  per  ren- 
dere più  preziosa  la  sua  missione,  inventava  notizie  e  fatti  con  una  fantasia 
ariostesca.  Due  delle  lettere  sono  indirizzate  a  monsignor  Tancredi  Bella,  Legato 
apostolico  di  Pesaro  e  Urbino  ;  le  altre  a  monsignor  Sommariva,  rappresentante 
di  S.  M.  il  re  di  Napoli  presso  la  Legazione  apostolica  di  Pesaro.  Il  Fcirini, 
dittatore  dell'  Emilia,  messo  a  parte  della  congiura  che  si  ordiva  contro  Gari- 
baldi, fece  intercettare  all'  ufficio  postale  di  Modena  le  lettere  delle  due  spie  e, 
dopo  averne  fatta  prendere  copia,  le  rimandò  al  loro  destino.  Trascrivo  qui  inte- 
gralmente,  senza  mutare  l' ortografia,   le  lettere  del  Griscelli. 

Griscelli,  il  famoso  barone  di  Rimini,  a  Monsignor  Bella,  Legato  apostolico 
di  Pesaro  e  Urbino. 

Fuori:  A   Son  Eminence  Monseigneur  T.  Bella,  Legai  Aposlolique  à  Pesaro. 

N.    15.  (Bollo  postale  di  Verona). 

Entro  :  indirizzo  come  fuori. 


202  TENTATIVI  PER  ASSASSINARE  GARIBALDI 


Testo  della  lettera  : 


Momeigneur, 

Ma  mission  à  travers  l'Armée  revolutionnaire  a  été  une  suite  de  renseignements 
precieux.  Renseignements,  Monseigneur,  que  j'  ai  eu  1'  honneur  de  vous  adresser  de 
Fayence,  de  Ferrare,  de  Rovigo  et  de  Verone.  Mais  ma  visite  à  Verone,  ou  j'  etais 
venu  pour  m'  eclairer  sur  les  forces  que  nous  pouvions  compter ,  m'  a  brisé  le  coeur 
—  pas  d' hommes,  pas  de  direction,  pas  de  Cornile....  Rieri,  Rien,  Rien  !  !  ! 

Monsieur  le  Commandeur  d' Alpi,  seul,  est  le  seul  homme,  qui  soit  digne  de 
passer  le  Po.  Mais,  pére  d'  aimable  famille,  et  epoux  d'  une  epouse  adorée,  on  lui  a 
Uè  les  mains,  en  le  mettant  dans  1'  impossibilité  de  servir  la  cause  que  par  son  talent, 
par  son  devouement  et  son  coeur,  son  courage  et  1'  energie  qu'  il  employdrait  pour  le 
triomphe  de  la  religion  et  de  1'  humanitè  sont  soumises  a  S.  A.  I.  de  Modene ,  qui 
5'  amuse  à  Vienne  avec  son  beau  frère  de  Chambord,  qui  tous  deux  oublient  que  la 
Sainte  empoulle  à  été  ecrasée  sous  les  murs  de  la  Bastille,  attendent  que  le  Droit 
Divin  par  1'  huile  de  S.'  Remy  et  Chilperich,  les  conduisent  sur  leur  trone  :  de  France 
et  de  Modene. 

Cette  deception,  Monseigneur,  n'  a  fait  qu'  enflammer  mon  courage,  parce  que  nos 
moyens  nous  permettent  de  gagner  sans  eux.  Et  votre  gioire  n'  en  sera  que  plus  grande  ! 
Je  recommande  à  votre  discrelion  de  Ministre  de  Dieu  les  noms  ci-après: 

Roselli,  General  à  Rimini,  que  j'  ai  connu  particulièrment  a  Bologna,  ou  il  etait  avec 

Falicon  ;  nous  avons  mangé  à  la  méme  pension  au  Canon  d' or  plus  d'  un  mois  ; 

il  m'  a  bien  regu  à  Rimini  ;  se  vend. 
Cenni,  aide  de  camp  de  Garibaldi,  avec  lequel  je  suis  lié  depuis  long  lemps,  se  vend 

et  s'  engagé  à  me  mettre  Sylla  {Garibaldi)  dans    une    volture,  dans  laquelle  je 

serais  ;  je  vous  jure,  Monseigneur,  que  l' ours  sera  baillonné  ou  poignardé,  et  que 

mort  ou  vii,  Sylla  arriverà  à  Pesaro,  ou  il  passera  le  Po. 
Vincesini,  capitain  avec  Fanti,  mon  ami  et  compatriote,  fera  tout  ce  que  vous  ordon- 

nerez  ;  il  attend !  !  ! 

Leca,  mon  compatriote,  chargé  des  écritures  de  1*  Armée ,  viendra  à  Pesaro  avec  sa 

compagnie,  dès  que  Monseigneur  1' ordonnera  ;  il  est  ò  S.  Archange. 

Avec  moyens,  Monseigneur,  avec  le  secours  du  Clergé  et  des  masses,  qui  souffrent, 
nous  chasserons  les  Pillards  de  Garibaldi  de  Legations.  Cette  gioire  sera  a  Monsei- 
gneur seul  ! 

De  la  prudence,  du  courage;  que  peu  de  gens  connessent  votre  pian  d' altaque 
et  celui  que  vous  choisirez,  Monseigneur,  soit  un  battaille  rangée,  une  reaction  avec 
r  achat  des  Chefs,  1'  enlevement  du  Monstre,  le  poignard....  ou  le  vin  !  !  I  Je  vous 
garantis  de  la  reusite. 

Faites-le  savoir  par  plus-tot  possible,  soit  par  le  telegraphe  à  votre  Noble  amie 
Alpi,  soit  par  lettre.... 


LEGGENDA  SULLA  SUA  MORTE  203 

Votre  tres  umble  serviteur  attend  et  croyez,  Monseigneur,  que  le  plaisir  de  faire 
trionpher  notre  cause  ne  lui  (era  pas  dementir  son  passe. 

Le  Banqueroutier  Cipriani  a  fait  un  affiche  dans  les  places  de  son    Empire  ;    un 
reglement,  dont  je  vous  envois  quelques  articlcs. 

Il  est  defendu  de  mendier. 

Il  est  defendu  de  chanter. 

Il  est  defendu  de  (aire  de  la  musique. 

Il  est  defendu  de  rester  dans  une  ville,  si  on  n'y  a    pas  ou    des    renles,    ou    un 
emptoi.  On  arretera  tous  les  oisifs,  et  on  leur  fera  payer  Jes  amendes  et  de  la  prison. 

Le  nouveau  Neron,  Farini,  n' en  dit  pas  long  dans  les  siens....  ;    mais    e' est    du 
bon,  trois  fois  bon,  pour  une  reaction. 

Tous  les  employés  de  la  police  de  l' ancien  Gouvernement  sont  destitués  !....  quels 
auxilieres  pour  nous  !  Je  suis  avec  respect,   Monseigneur, 

le   Ires    devouc   seroUeur 
Mon  adresse:   G.  de   Vizzani  -   P.   R.  S,>.?;  G.  DE  VIZZANI 

Verone 


Fuori  :  A  Son  Eminence  Monseigneur  T.  Bella,  Legai  Apostolique  à  Pesaro.  -  Presse. 

(Bollo  postale  di  Verona). 

Entro  la  lettera  :  A  Son  Eminence  Monseigneur  Bella,  Legai  du  S.   Pére  à  Pesaro. 

Testo  della   lettera  : 
Eminence, 

y  ai  eu  r  honneur  de  vous  écrire  deux  rapports  :  le  premier  d' Imola,  le  second  de 
Ferrara,  dans  lesquels  je  vous  ai  donne  tous  les  renseignements  sur  les  villes,  sur  les 
populations,  sur  l' armée,  leurs  position,  leur  nombre  et  les  noms  de  leurs  chefs  ;  je  vous 
disais  de  vous  méiìer  du  voiturier  et  de  Herva,  qui  sont  deux  espions  de  la  police 
de  Rimini.  Dans  celui-ci,  Excellence,  je  ne  vous  parlerai  que  de  la  possibilité  de  la 
reaction....,  soit  en  achetant  un  General,  soit  en  le  faisant  disparaitre  par  le  plomb,  le 
poignard,  ou  le  poison  ! 

La  reaction  marche  à  pas  de  geants  dans  les  Legations  ;  nos  ennemis  eux  mémes 
font  les  affaires  de  1'  Eglise  en  faisant  ce  qu'  il  font. 

Aujourd'  bui,  on  a  affiché  dans  toutes  les  Communes  de  la  Romagne  un  reglement 
interieur  copie  sur  celui  de  1'  Empire  Frangais,  ou  il  est  dit  :  "  Defense  de  mendier  ; 
defense  de  jouer  ;  defense  de  chanter  dans  les  rues  ;  defense  d' y  faire  de  la  musique  ; 
defense  d'  étre  oisif  ;  arreter  tous  ceux  qui  n'  ont  pas  des  moyens  d'  existence  ;  chasser 
des  Legations  ceux  qui  n'  ont  pas  domicile  élu.  Aussitot  que  cet  affiché  a  été  pose,  des 
gruppes  d'  hommes  se  formaient  et  des  imprecations  avec  des  mota  de  trahison,  d'enfamie 
étatient  lancés  à  haut  voix  contre  le  Gouvernement.  J'  assure,  Excellence,  que  ce  regie- 


204  TENTATIVI  PER  ASSASSINARE  GARIBALDI 

ment  nous  a  fait  plus  de  partisans  que  les  dix-mille  soldats,  qui  sont  à  Pesaro.  Encore 
deux  ou  trois  affiches  come  ga,  et  les  affaires  vont  loules  seules.  Tout  ce  peuple  et  ces 
familles  aisées,  qui  ont  été  volées  et  pillés  et  dont  les  impositions  fsont  encore  doublces, 
demandenl  une  reaction. 

Deux  officiers  surs,  energiques  et  devoués,  un  est  à  la  Catolica,  l'autre  est  avec 
Garibaldi,  s' engagent  à  contrairer  leur  compagnie  pour  une  reaction.  Un  General 
demande  à  se  vendre,  si  S.  Saintété  lui  donne  200,000  livres  et  le  grade  de  Comandant 
en  chef  à  Rome.  Le  cuisinier  de  Garibaldi  est  une  connaissance  de  Paris, 
qui  pour  de  l'argent  empoissonnerait  Jesus  Crist.  Voilà  nos  moyens,  tous  certains 
et  tous  tres  puissants. 

Prevenez  Rome  et  Naples  ;  et  j'  attends  vos  instructions  avec  la  plus  vive  impa- 

tience  et  comptez  sur  un  fait  certain.  En  attendant  vostre  reponse,  Exellence,  je  suis 

avec  le  plus  profond  respect  votre  servileur 

Signé  :  E.  DE  VEZZANl 

Mon  adresse  est  :  E.  de  Vezzani 

à   Verone,  poste  restante, 
y  attends  vos  ordres. 

Griscelii,  il  famoso  barone  di  Rimini,  a  Monsignor  Sommariva,  rappresen- 
tante il  Re  di  Napoli  presso  la  Legazione  apostolica  di  Pesaro. 

Fuori  :  Monsieur  Sommariva,  Répresentant  S.  M.  le  Roi  de  Naples  chez  S.  Em.  le 
Legai  Apostolique  à  Pesaro. 

Entro  la  lettera  :  A  Monsieur  Sommariva,  Répresentant  S.  J^.   le  Roi  de  Naples. 

Testo  della  lettera  : 

Monsieur, 

La  précipitation  à  faire  partir  hier  mon  rapport  par  le  courrier  de  soir  m'a  fait 
oublier  les  faits  ci  aprés,  dignes  d' appeller  toute  votre  attention.  Il  n'  y  a  pas  encore 
des  depots  d'  armes  ni  a  Pesaro,  ni  a  Naples.  Je  vous  1'  assure.  Je  vous  assure  aussi, 
que  je  le  sauraì,  dès  qu' il  y  en  aura  par  les  amis  {d' anciens  amis,  d' anciens  fréres 
d' armes)  qui  sont  l' un  chez  Garibaldi,  et  l'autre  chez  Fanti;  27000  fusils  sont 
arrivés  a  Ferrara  cette  semaine  à  l' adresse  de  Garibaldi,  qui  a  ordonné  que  ces  fusils 
soient  dirigés  sur  S.  Marino.  En  faisant  voir  cette  lettre  à  S.  Em.  Tancredi  Bella,  il 
ordonnera  que  ses  trouppes  doublent  de  vigilance  du  coté  d' Urbino.  Le  journal 
"La  Nacion ,,  si  contraire  aux  interéts  de  votre  Maitre  s'imprime  en  Toscane  et  est 
porte  à  Naples  par  les  marins  des  batteaux  à  vapeur.  Ecrire  que  la  douane  sorveille, 
et  elle  prendra  le  paquet  entier. 

Il  n'  y  a  pas  à  Naples  de  Comité  proprement  dit,  chargé  d'  une  direction  politique. 
Toutes  ces  alarmes,  ces  arretations,  et  les  proclamations  Muratistes  sont  des  inventions 


LEGGENDA  SULLA  SUA  MORTE  205 

et  des  affaires  de  Police.  Dites  qu'  on  charge  des  controleurs  actifs,  intelligents  et 
devoués  et  le  Gouvernement  verrà,  qua  ces  sont  ceux  qui  sont  chargée  de  Ics  saisir, 
Ics  proclamalions  qui  le  font. 

Je  suis  dans  une  impatience  fébrile,  en  attendant  votre  response  à  fin  de  savoir 
si  mes  rapports,  que  j'  ai  envoyé  de  Fayenee,  de  Ferrare  et  de  Rovigo  vous  sont  arrivés 
en  main. 

Souvenez-vous  bien,  que  nous  avons  un  General,  deux  officiers,  1'  aide  de  campo 
et  le  Cuisinier  du  nouveau  Siila  {Garibaldi)  avec  nous  et  pour  nous,  que  nous  avons 
aussi  tout  le  clergé.  L.  L.  Em.  d' Imola,  de  Fayenee,  de  Bologne  et  de  Ferrare,  que 
j'  ai  vu,  me  V  ani  assuré.  Le  Venerable  Cardinal  de  Bologne  :  Viale  Prelà,  prendra 
un  fusil  pour  la  reaction. 

N'  oubliez  pas  non  plus,  que  le  peuple  souffre,  que  la  division  de  Mezzacapo  est 
en  revolution,  que  Ics  hommes  qu'ont  une  famille  à  défendre,  des  biens  à  conserver, 
demandent  une  reaction,  et  nous  préteront  la  main  pour  la  faire  reussir  celle  reaction; 
des  qu'  il  verront  des  hommes  (pour  la  pousser  et  la  faire  triompher)  actifs,  energiques, 
avec  les  armes  à  la  main  et  non  avec  les  Pastorales  sur  le  papier. 

Le  peuple  des  Legations  est  tellement  revenu  de  ses  erreurs  et  tellement  outré 
de  se  voir  humilié  et  chassé  de  chez  lui,  que  le  25  courant,  à  Fayenee,  on  a  place 
les  armes  de  Savoie  sur  la  porte  de  la  Mairie,  à  7  heure  Je  malin  ;  que  je  jure  en 
conscience  et  devant  Dieu  que  pas  un  Cappeau,  pas  une  casquette  ne  s'est  leve  et 
que  pas  un  cri  de   W.    V.  Emanuele  n  a  pas  été  prononcé. 

il  y'  a  un  mois,  que  le  peuple  à  qui  1'  on  avait  promis  l' age  d'  or  criait  devant 
une  image  du  Roi,  Homme  Galant. 

Ne  soyez  ni  surpris,  ni  inquiet  de  me  savoir  à  Verone.  /'  ai  Moulu  Voir  tout,  aoant 
d  engager  ma  vie.  ]'  ai  voulu  entendre  aussi  les  partisans  des  Duchés  ;  en  m'  en  retournant, 
je  passerai  en  Toscane  pour  ne  pas  me  montrer  à  Rimini.  En  passant  et  en  repassant 
par  les  Legations,  j' eveillerais  les  soup?ons  de  la  police.  En  passant  par  les  Duchés, 
je  sais  si  nous  pourrons  compter  dessus  et  j' arrive  tout  nouveau  à  Rimini  pour  preparer 
ou  le  poignard,  ou  le  stylet,  ou....  le  vini!  Activez,  poussez  Rome  et  Naples,  parce  que 
j' attends  pour  agir  et  de  1'  argent  pour  dépenser  en  marchant. 

A  vous  de  coeur 
Mon  adresse  :  Mr.  G.  de   Vezzani  G.  DE  VE2ZANI 

Poste  réstant  à   Verone. 


A  monsieur  Sommariva,  Agenl  secret  de  S.  M.  le  Roi  de  Naples 

Pesaro. 
Monsieur, 

Je  vous  ai  écrit  d'  Imola,  d' ou  je  vous  annongais  que  j' irai  jusqu'  à  Bologne  et 
de  la  à  Ferrara.  Je  suis  à  Rovigo  et  en  route  pour  Verone  pour  le  service  de  Dieu, 


206  TENTATIVI  PER  ASSASSINARE  GARIBALDI 

de  r  Eglise,  et  de  la  Religion.  Je  vous  donnais  donc,  dans  le  rapport  d' Imola,  des 
renseignements  sur  l' esprit  des  populations,  qui  demandent,  à  grands  cris,  une  réaction 
sur  les  armées  des  Légations,  depuis  la  Catolica  j'usqu'à  Imola,  leur  nombre,  les  noms 
de  presque  tous  leurs  Chefs  et  leurs  position  actuelles,  qui  sont  entièrement  differents 
des  renseignements  Herva  ;  qui  je  vous  prie  de  ne  plus  occuper,  parce  que  e'  est  un 
Agent  de  la  police  de  Rimini. 

Nou»  avons  un  General,  des  Officies,  et  le  peuple  en  masse  pour  une  réaction.  Seu- 
lement  depéchez-vous,  parceque  la  réaction  se  fera  sans  vous  et  elle  sera  au  profit  de 
Mazzini.  Un  aide  de  camp  de  Garibaldi,  qui  a  sa  mère  à  Roma,  se  charge  de  me 
le  litìrer  dans  une  coiture.  Cet  aide  de  camp  a  sa  mère,  qui  est  comblèe  de  bienfaits 
par  le  S.  Pontife.  Le  general  Garibaldi  sort  tous  les  soirs  seul  dans  les  campagnes; 
il  singe  Whashington.  —  Toutes  les  fois  qu'  il  va  à  Bologne,  ou  à  Modena,  //  i;  va 
toujours  la  nuit;  un  seul  aide  de  camp  l' accompagne  !... 

J' ai  envoyé  trois  rapports  à  S.  E.  et  j' ai  oublié  de  lui  faire  part  du  fait    suivant. 

Cinq  prétres,  qui  ne  voulaient  pas  livrer  leur  Eglise  au  prétorien  de  Garibaldi, 
ont  été  attachés  par  le  cou  et  conduits  dans  les  prisons  de  Bologne. 

J  attends  avec  impatience  de  vous  une  lettre  avec  des  instructions  et  de  l'argent 
pour  me  mettre  à  l' ouvre,   dont  je  vous  garantis  le  succés  par  mon  passe. 

En  attendant  votre  réponse,  je  suis  avec  respect 

Vostre  Irés  obéissant  serviteur 

G.  DE  VEZZANl 

poste  restante  à   Verone. 


*     * 


Anche  nel  1 860  furono  fatti  tentativi  dal  Governo  borbonico  per  assas- 
sinare Garibaldi. 

Il  Ministro  sardo,  marchese  di  Villamarina,  avuto  sentore  della  congiura, 
si  era  affrettato  di  avvisarne  il  marchese  d'Aste,  comandante  il  "  Governolo  ,, 
con  due  lettere,  che  il  Persano  menziona  nel  suo  Diario  ed  il  cui  contenuto 
apprendiamo  dalle  copie  esistenti  nel  mio  Archivio,  di  carattere  di  Basso,  allora 
segretario  di  Garibaldi  ;   il   quale,   dopo  averne  fatto  prendere  copia,  le  restituì. 

Persano  scrive  :  «  Non  perdo  un  momento  ;  corro  io  stesso  ad  informare 
il  Generale.  Ma  se  egli  si  mostra  riconoscente  dell'avviso  ed  a  chi  glielo  manda, 
altrettanto  è  noncurante  del  pericolo,  che  lo  minaccia.  L'  ho  sempre  conosciuto 
così  fin  da  Montevideo,  nel  1 845,  ove  mi  trovavo  al  comando  del  R.  brigan- 
tino r  "Eridano  ,,.  Fu  solo  per  compiacermi,  giusta  le  mie  reiterate  istanze, 
che,   sorridendo,  ne  fece  parola  ad  un  suo  Aiutante  di  campo  ;  ma  sì    legger- 


LEGGENDA  SULLA  SUA  MORTE  207 

mente,  che  mi  sono  creduto  in  dovere  di  parlargliene  io  poi,  e  con  che  calore 
si  pensi  ».'  Ed  il  giorno  9,  egli  scriveva  al  dittatore  la  lettera  inedita,  che  qui 
trascrivo  dopo  le  due  menzionate  del  Villamarina. 

Il  Marchese  di  Villamarina  al  comandante  d'Aste. 

(Copie) 

LEGATION   DE   SARDEGNE 

(Confidenziale)  Napoli,    5    giugno    1860. 


Ill.mo  sig.   Comandante, 

Ho  r  onore  di  porgerle  i  miei  vivi  ringraziamenti  per  le  interessanti  notizie  con- 
tenute nel  rapporto  del  1"  corrente  mese  di  giugno,  che  subito  trasmisi  a  S.  E.  il 
conte  di  Cavour. 

Certo  cav.  Luigi  Galvani,  veneziano,  dimorante  da  più  anni  a  Napoli,  si  è  recato 
presso  di  me,  onde  farmi  avvertito,  essere  partito  alla  volta  di  Palermo  un  tale 
Valentini,  caporale  di  marina,  giovane  di  alta  statura,  il  quale  si  sarebbe  volontaria- 
mente offerto  per  attentare  alla  vita  del  generale  Garibaldi.  Benché,  io  non  faccia  gene- 
ralmente gran  caso  di  tali  asserzioni,  credo  nulladimeno,  nell'attuale  situazione  delle 
cose,  doverla  pregare  di  farne  parola,  se  ciò  è  possibile,  a  chi  di  ragione,  affinchè 
qualora  un  individuo  di  simil  nome  si  presentasse,  sia  convenevolmente  sorvegliato. 

Gradisca  signor  Comandante  ecc. 

//  ministro 
All'Ill.mo  sig.  Marchese  d'Aste  VILLAMARINA 

Comandante  della  R.  pirofregata  sarda  "  Governalo  „ 

Palermo. 


LEGATION  DE  SARDEGNE 


Ill.mo  sig.   Comandante, 


8  giugno   1860. 


Profìtto  della  partenza  del  vapore  inglese,  per  trasmetterle  la  qui  annessa  lettera 
diretta  al  Duca  della  Verdura,  cui  prego  di  farla  recapitare  il  più  prontamente  possibile. 
Col  mezzo  dell'avv.  Galvani  già  menzionato  nella  mia  precedente,  mi  pervennero  nuovi 
ragguagli  intorno  al  caporale  Valentini  ;  è  uomo  di  circa  30  anni,  alto  e  magro  della 
persona,  pallido  in  viso,  con  occhi  celesti. 


'  C.  di  Persane  -  Diario  etc. ,  pag.  36. 


208  TENTATIVI  PER  ASSASSINARE  GARIBALDI 

Da  sorgenti  diverse,  e  non  indegne  di  fede,  mi  risulta  inoltre  essere  stato  inviato 
allo  stesso  fine  un  tale  Giosafatte  Tallarino,  già  celeberrimo  bandito  calabrese.  Egli 
imbarcavasi  il  6  corr.,  alle  ore  23  sul  legno  mercantile  alla  volta  di  Palermo.  Dicesi 
accompagnato  da  IO  o  II  individui  per  secondarlo.  La  prego  adunque,  signor  coman- 
dante, di  volere  con  ogni  maggior  diligenza,  trasmettere  questi  nuovi  particolari  a  ciò 
sia  provveduto  prontamente  e  come  si  conviene. 

Colgo  questa  opportunità  per  offrire  i  miei  anticipati  ringraziamenti  e  rinnovarle 
le  proteste  della  mia  distintissima  considerazione. 


lll.mo  Signor  Marchese  d'Aste 

Comandante  della  R.  pirofregata  sarda  "  Governalo  ,, 

Palermo. 


L'Ammiraglio  di  Persane  a  Garibaldi  {Vedi  facsimile). 


GABINETTO  PARTICOLARE 


//  ministro 
VILLAMARINA 


DEL  CONTR'AMMIRAGLIO 

COMANDANTE  LA  SQUADRA  A^'^'  ^  8'"8"°  ^^^^- 


Caro  Generale, 

Ora  che  sono  le  1 1  di  sera,  un  Ufficiale  della  marina  napoletana,  condotto  da 
altri  suoi  compagni,  quali  remiganti,  è  venuto  per  confermarmi  quanto  scrisse  Villa- 
marina.  La  cosa  parrebbe  dunque,  assai  più  vera  che  non  ci  sembrava.  State  quindi 
sulle  vostre  guardie  e  fate  le  ricerche  necessarie  :   lo  dovete  all'Italia. 

Mi  rapportò,  che  anche  si  ritiene  imminente  in  Napoli  un'  insurrezione  contro  la 
casa  regnante.  Iddio  lo  voglia,  e  faccia  che  non  gridino  Murai. 

Addio,  buona  notte  e  tenetemi  per  la  vita 

Tutto  vostro 

C.    DI   PERSANO 
P.  S.  -  Chi  vi  reca  questa  lettera  è  mio  figlio. 


Questa  lettera  è  in  rapporto  con  quella  diretta  a  Garibaldi  dallo  stesso 
Persane  pochi  giorni  dopo,  il  1  5  giugno,  e  che  già  trascrissi  nel  Capitolo  IX. 
In  essa  si  diceva  :  «  Il  Valentin!  mandato  per  assassinarvi  è  ritornato  ieri  sera, 
a  nuoto,  a  bordo  della  fregata  napoletana  "  Partenope  ,, ,  vestito  a  modo  dei 
vostri.  Egli  rapportò,  che  venne  da  voi,  che  vi  baciò  la  mano,  che  si  disse 
disertore  di  altro  corpo  che  non  di  marina,  e  che  trovandosi  che  altri  disertori 


GABINETTO  PARTICOLARE 

DEL  CONTR'  AM)IIRA(;LI0 

COMAiNDANTL  LA  SQUADRA 


>^-^<-<.  <?     3^*^rt^   /^(f-^ 


£/  /l/.e.^%><^-^fv     A..e-^    t^f^i.yùyr^^x^^y^^r^c^'  i^^^-tut^-^o-^ef 


Q( / 


^    ;^»-t^ 


^^Ziy/^t^Ày'^^^  tx^iyc^/tJLy'  c^Aa^-^  ./-<^:^c.'' J^^^^ 
^^t^^^f^yj^Ay  ,<>f<J  /^^Jt^^if^y  ,,<^t<y  z^r^^«>/<M. 

^/^f-^l-c'fJ ^  ^^  À  fKyy--<-*^  /'  ^.'li.xy  /'y^<^*<J ^7^ù()^<.<^-^ 
^^y<^  <^-^^  /-^/-'- 


Lettera    dell'ammiraglio    Persane    a    Garibaldi.    Palermo,  9  giugno   1860. 
Lo  avvisa  essere  sbarcata  gente  per  assassinarlo.  (Vedi  pag.  208). 


LEGGENDA  SULLA  SUA  MORTE  209 

del  corpo  che  nominò,  erano  pronti  a  provare  che  vi  apparteneva,  temendo  di 
essere  conosciuto,  si  dette  a  gambe  per  salvarsi  ». 

Questo  episodio,  che  dalla  lettera  originale  risulta  essere  accaduto  il  giorno 
1 4,   nel  Diario  è  inesattamente  riportato  come   avvenuto  il    1 9. 

Ma  vari  altri  tentativi  furono  fatti  dal  Governo  borbonico  nel  '60  per 
togliere  la  vita  a  Garibaldi.  In  alcune  istruzioni  segrete  inviate  da  Napoli  al 
Generale  e  che  in  fine  a  questo  Capitolo  ho  trascritto,  si  dice  :  «  Ella  a  quest'  ora 
ha  già  ricevuto  degli  avvisi,  che  riguardano  la  sicurezza  dei  suoi  preziosi  giorni  : 
ora  debbo  dirle,  che  due  emigrati  napoletani  di  pessima  condotta  :  Luigi  Roxas 
ed  Antonio  Roscitto  saranno  già  arrivati  in  Sicilia  con  sinistre  intenzioni.  Essi 
probabilmente  domanderanno  di  entrare  nel  suo  esercito;  li  faccia  strettamente 
sorvegliare  ». 

Perfino  dall'  estero  pervenivano  lettere  in  questo  senso,  scritte  da  gente 
fanatica  per  il  nome  dell'  eroe.  Da  Dover,  un  certo  Stella  scriveva  a  Garibaldi 
la  seguente  curiosa  lettera  : 

M.  Stella  a  Garibaldi. 

Dover,   13  giugno  1860. 
Caro  Generale, 

Io  non  so,  se  questa  lettera  arriva  nelle  vostre  mani,  ma  vi  scrivo,  al  rischio,  due 
parole  d*  importanza.  Vi  aspetta  un  tradimento  da  parte  di  chi  non  ve  1'  aspettate  : 
state  all'erta! 

Per  salvare  l' Italia  e  conservarvi  la  vostra  vita,  necessita  una  forza  maggiore  di 
uomini  al  vostro  comando  e  al  più  presto  possibile.  Io  potrei  realizzare  un'  idea  mia 
per  contribuire  ad  una  felice  soluzione  ;  ma  io  non  sono  conosciuto  da  Voi  per  doman- 
darvi r  autorizzazione  di  quello,  che  io  vorrei  fare,  e  che  io  non  potrei  senza  il  Vostro 
consentimento.  Per  cui  vi  prego,  in  nome  dell'  amore  alla  Patria,  scrivete  direttamente 
a  me,  o  mandate  persona  di  vostra  fiducia,  se  ne  avete  una  qui  a  Dover  ;  io  credo 
che  fareste  meglio  a  dirigervi  direttamente  a  me,  perchè  quello  che  io  vi  chieggo  non 
vi  può  compromettere.  Io  dunque,  vi  chieggo,  che  mi  autorizziate  a  procurarvi  uomini, 
volontari,  armi  e  qualunque  altro  necessario,  per  venirvi  in  soccorso,  lo  attenderò, 
e  forse  otterrete  un  Capo  degno  di  Voi. 

Mi  direte  altresì,  come  io  posso  dirigere  per  la  corrispondenza. 

Dirigete  a 

M.  M.  Stella 
(Ship  Hotel)  Dover  -  Inghilterra. 

Tutto  ai  vostri  ordini.  STELLA 

CURÀTULO  14 


210  TENTATIVI  PER  ASSASSINARE  GARIBALDI 

Il  partito  borbonico,  non  essendo  riuscito  ad  uccidere  Garibaldi  durante 
la  campagna  di  Sicilia  e  di  Napoli,  cercò  dopo  di  spegnere  l'entusiasmo  che  il 
di  lui  nome  destava,  facendo  credere  alle  masse,  che  il  vero  Garibaldi  era  morto 
nel  '60,  e  che  quello  che,  dopo  quell'anno,  si  diceva  fosse  Garibaldi  era  invece 
un  altro   individuo  ! 

Sul  proposito,  documento  veramente  curioso  e  che  trovo  nella  mia  raccolta 
è  un  foglietto  a  stampa,  mandato  agli  uomini  del  partito  liberale  accompagnato 
da  una  lettera  anonima,  scritta  evidentemente  da  una  spia.   La  lettera  dice  così  : 

29  giugno  1865. 

Il  partito  borbonico  immaginò  una  strana  manovra.  Fece  stampare  in  Inghilterra 
ed  impostare  a  Londra  a  destinazione  dell'  Italia  uno  scritto  senza  indicazione  della 
stamperia,  tendente  a  convincere  il  popolo  italiano,  che  Garibaldi  morì  a  Capua  nel 
1860,  in  seguito  a  ferite  ricevute  nel  combattimento.  Questo  scritto  è  destinato  ad 
avere  nel  mezzodì  dell'  Italia  una  grande  pubblicità.  Ecco  i  nomi  di  alcune  delle  persone 
alle  quali  fu  trasmesso. 

1.  -  Copolino,  a  Formio  di  Gaeta. 

2.  -  Giulio  Bucci,  a  Mola  di  Gaeta. 

3.  -  Luigi  Caccietta,  a  Piedimonte  d'Alife. 

4.  -  Al  Capitano  della  Guardia  Nazionale  a  Caserta  di  S.  Prisco. 

5.  -  Colini,  avv.,  a  Capriate. 

6.  -  Pasquale  Montanari  cap.,  a  Traetto. 

7.  -  Luigi  Sticco,  a  S.   Maria  di  Capua. 

8.  -  Felice  Stocchetti  a  Piedimonte  d'Alife. 

9.  -  Luigi  Crismo,  medico  a  S.  Maria  di  Capua. 

IO.  -  Al  Capitano  della  Guardia  Nazionale  di  Casa  Tulla  a  Caserta. 

11.-  Abate  Giuseppe  Falcone  a  Caserta. 

12.  -  Mons.  Vincenzo  Gola  ad  Aversa. 

13.  -  Luigi  Forcina  a  Formio  di  Gaeta. 

14.  -  Pasquale  Spina  a  Formio  di  Gaeta. 

E  ad  osservarsi,  che  tutti  questi  individui  abitano  all'  antico  Regno  di  Napoli. 
Un  esemplare  dello  scritto  a  stampa  è  stato  pure  trasmesso  al  signor  Vacca,  senatore 
a  Firenze. 

Il  foglietto  a  stampa,  mandato  insieme  alla  lettera,  è  il  seguente  : 

MORTE  DEL  PRETESO  EROE 

La  setta,  forza  occulta,  diabolica,  che  muove  anche  i  Sovrani  senza  avvedersene 
contro  i  loro    propri    interessi,  è    giunta    a    far    continuare    e    dar    vita    ad    un    uomo, 


LEGGENDA  SULLA  SUA  MORTE  21 1 

Garibaldi,  che  col  mettere  in  esecuzione  le  infami  teorie  del  Mazzini  ha  messo  a 
soqquadro  il  mondo  tutto  !  Ma  egli  non  è  più  !  Ed  a  disingannare  i  gonzi  e  special- 
mente le  artistiche  associazioni,  per  opera  dei  settari  quasi  in  tutti  i  paesi  installate, 
le  quali  mensilmente  pagano  una  tangente  per  venire  a  capo  della  utopica  Unità  Italiana, 
mi  accingerò  a  mettere  loro  sott' occhio  le  seguenti  prove  per  dimostrarne  la  sicura 
morte,  sfidando  chicchessia  a  volerle  rintuzzare.  Son  certo  però,  che  l'avvelenata  penna 
del  lurido  rivoluzionario  giornalismo  non  giungerà  a  smentirle  e  a  ritenere  nell'  inganno 
tanta  povera  gente. 

Il  corifeo,  in  abito  rosso,  morì  dietro  ferite  ricevute  in  sulla  strada  nuova,  tra  il 
villaggio  S.  Angelo  in  Formis  e  S.  Maria  di  Capua  ;  ed  il  suo  freddo  cadavere,  chiuso 
in  tre  casse,  delle  quali  una  di  zinco  venne,  circa  la  metà  di  ottobre  del  1860,  alle 
ore  4  e  mezzo  pomeridiane,  disceso,  alla  presenza  di  pochi  marinai  tra  i  quali  Domenico 
Forcina  di  Mola  di  Gaeta,  nel  bacino  della  Darsena  di  Napoli,  accompagnato  da  un 
individuo  del  suo  Stato  Maggiore,  in  abito  garibaldino,  dell'età  di  anni  40,  basso  e 
pienotto,  che  dirottamente  piangeva  ;  le  lagrime  asciugando  con  un  fazzoletto  bianco. 
Di  là,  messo  su  di  una  fregata  a  vapore,  salpò  per  Genova,  ove  con  la  massima  segre- 
tezza gli  resero  i  funebri  onori.  Tutto  ciò  potrà  essere  constatato  da  un  tal  Maccariello 
di  S.  Prisco,  presso  S.  Maria  di  Capua,  celebre  ladro  e  galeotto,  il  quale,  al  pari 
del  moro  del  1849,  era  il  fido  compagno  e  corriere  del  Dittatore,  e  che,  confuso, 
povero,  addolorato,  ne  piange  tutt'  ora  la  grave  perdita  :  perdita  grandemente  sentita 
da  tutti  i  repubblicani,  che  spesso  fra  di  loro  accennano,  non  volendo,  alla  morte  di 
Garibaldi.  Così  di  fatti,  si  è  molto  pianto,  come  ben  so,  dal  sig.  Luigi  Sticco,  Capitano 
della  Guardia  Nazionale  di  S.  Maria  di  Capua  e  dal  Delegato  di  Polizia  di  Pozzuoli 
e  dal  decotto  padre  Pantaleo,  che  per  mantenere  viva  la  memoria  di  Garibaldi  finge  di 
essere  stato  a  Caprera  e  dispensa  agli  operai  ed  alle  famiglie  fanatiche,  da  cui  potrà 
ritrarre  qualche  danaro  per  vivere,  oggetti  e  trastulli,  che  egli  battezza  come  una 
volta  appartenuti  a  Peppariello  ! 

Inoltre;  perchè  nel  meglio,  quando  ferveva  la  guerra  sotto  Capua,  anzi  quando 
i  garibaldini  stavano  per  perdere,  e  necessaria  era  quindi  la  presenza  ed  il  comando 
di  Garibaldi,  perchè  costui  tutto  ad  un  tratto  spariva?  Mi  si  adduca,  per  ciò,  una 
plausibile  ragione  e  non  quella  frivolissima,  che  cioè  a  Garibaldi  fu  giocoforza  partire, 
perchè  così,  venne  imposto  dal  Piemonte,  che  mal  ne  soffriva  la  cattiva  influenza  ! 
Dappoiché,  se  fosse  stato  così  avrebbero  dovuto  sciogliersi  anche  i  corpi  garibaldini, 
i  quali,  al  certo,  erano  fedeli  strumenti  e  membri  di  un  tanto  capo  !  Mentre  invece, 
costoro  continuarono  a  combattere  coi  Piemontesi  fino  alla  resa  di  Capua,  in  cui  sotto 
lo  più  stretto  divieto  a  nessun  camiciotto  rosso  fu  lecito  entrare  ;  cosa  che  sommamente 
dispiacque  a  tutti  i  volontari  garibaldini. 

Il  preteso  Eroe  di  Caprera,  nel  partire  1'  ultima  volta  da  Napoli,  perchè  partì  solo 
con  le  patate,  pochi  maccheroni  e  castagne,  giusta  i  giornali  rivoluzionari  ?  e  non  invece 
menò  seco  la  figlia  ed  i  figli,  che  afflitti  e  mesti  poco  dopo  partirono  anch'  essi,  accom- 
pagnati dal  Colonnello  Deideri  e  la  sua  famiglia?  Era  morto  e  partì  cadavere! 

Siccome  quell'altro,  che  lo  si  dice  piantare  i  porri,  coltivar  le  piante  del  giardino, 
pescare  a  Caprera,  sedere  nel  Parlamento  etc. ,  non  è  d' esso  ;  perchè  molti  ve  ne  sono 


212  TENTATIVI  PER  ASSASSINARE  GARIBALDI 

della  sua  fisionomia,  ed  io  mi  ricordo  di  un  tale  Alfonso  de  Sortis,  garibaldino,  che 
in  tutto  lo  rassomigliava  ;  ed  a  battezzarlo  per  l' Eroe  la  rivoluzione  è  spinta  per  non 
far  perdere  il  gran  prestigio  del  nome,  che  nelle  ardue  imprese  è  la  molla  principale 
a  muovere  e  tirarsi  dietro  la  plebe  ignorante. 

Ne  alcuno  del  partito  piemontese,  in  altri  termini  ministeriale,  potrà  dire  che  non 
sia  desso,  perchè  non  vi  sarebbe  più  allora  il  tornaconto  ;  mentre  ben  si  sa,  che  i  due 
partiti,  detti  Italianissimi,  vanno  d' accordo  negli  infami  segreti  mezzi  e  quindi  amici, 
finche  in  ultimo  1'  uno  non  cacci  l' altro,  sebbene  tendano  a  scopo  differente  :  l' uno  per 
l'unità  repubblicana,  l'altro  per  l'unità  monarchica.  Ed  ecco,  perchè  nel  Parlamento, 
niuno  osò  rivelare  e  discoprire  il  non  vero  Garibaldi,  ad  onta  delle  lizze  nate  con 
esso  lui.  E  poi,  quante  volte  sedette  nel  Parlamento?  Una  sola!  e  per  il  fatto  fiasco 
a  Torino,  in  sulle  mura  della  Locanda,  dove  prese  alloggio,  si  affìssero  dei  cartelli  col 
motto:   «  Morie  a  Garibaldi  »,  cioè  si  voleva  dire:  è  morto  il  vero  Garibaldi! 

E  come  simile  ingiuria  a  chi  pur  donato  aveva  le  provincie  meridionali  al  Re 
Galantuomo  ?  Fa  meraviglia  !  E  non  fa  meraviglia  émcora  come  il  Garibaldi,  se  vivente, 
non  facesse  rispettare,  secondo  l' adagio,  il  cane  pel  padrone,  i  garibaldini,  che  famelici, 
a  torme,  presentatisi  il  giovedì  Santo  sotto  il  Banco  di  S.  Giacomo  a  Napoli  per  avere 
del  danaro  da  far  Pasqua,  furono  presi  dai  soldati  piemontesi  a  calata  baionetta,  rima- 
nendone feriti  anche  alcuni?  Perchè  è  morto  e  freddo  cadavere!  Altrimenti  già  da 
gran  tempo  sarebbe  di  nuovo  corso  nelle  Provincie  Meridionali  ed  avvalendosi  della 
anarchia  in  cui  giacciono,  avrebbe  costituito  la  repubblica,  unico  suo  pensiero,  la  quale 
solo  con  l'anarchia  puossi  ottenere.  E  poi,  chi  ce  ne  assicura  dell'esistenza?  Non  sono 
tutte  persone  mosse  da  spirito  di  parte?  Ogni  altro  non  è,  se  non  colui  che  forse  lo 
vedrà  allora  per  la  prima  volta,  e  che  ritiene  per  Garibaldi  quello  che  tale  sente  accla- 
mare !  Il  certo  si  è,  che  taluni  marinari  dell'  Isola  della  Maddalena  e  Caprera  affermano 
di  non  aver  mai  veduto,  dopo  la  battaglia  del  Volturno,  fra  di  loro  il  vero  Garibaldi  ! 

Dopo  queste  serie  riflessioni  nutro  fiducia,  che  non  più  i  poveri  artisti  e  mercanti 
si  faranno  abbindolare  dai  birbi,  che  cercano  di  iscriverli  nelle  così  dette  Società 
Operaie  ;  e  che  quel  quattrinello,  che  mensilmente  pagano  ad  impinguare  il  patrimonio 
di  iniqui  settari,  lo  impiegassero,  invece,  per  la  loro  civile  e  religiosa  educazione  e 
della  loro  famigliuola  ;  e  loro  siano  di  esempio  gli  artisti  ed  i  negozianti  delle  provincie 
ironicamente  redente,  i  quali  colla  rivoluzione  credevano  di  acquistare  mari  e  monti, 
ma  vivono  nella  più  squallida  miseria  col  tardo  pentimento  in  core  !  !  ! 


*      * 


11  mezzo  al  quale  ricorreva  il  partito  borbonico  per  spegnere  nel  popolo 
1  entusiasmo  verso  Garibaldi  dopo  il  '60,  se  da  un  lato  era  degno  dei  morenti 
satelliti  di  Francesco  II,  (il  documento  di  sopra  trascritto  ne  è  una  prova),  non 
poteva  però  non  far  breccia  nella  fantasia  di  un  popolo  superstizioso  e  credulo 
come   il  napoletano  ;  onde  la  leggenda,   che  il  vero  Garibaldi  fosse  già  morto. 


LEGGENDA  SULLA  SUA  MORTE  213 

suscitò  nel  popolino  non  poche  ed  animate  discussioni.  E  mentre  alcuni  sostenevano, 
che  r  Eroe  con  la  camicia  rossa  non  poteva  morire  ;  altri  asserivano  che  non  si  trat- 
tava di  un  solo  Garibaldi,  ma  di  dodici  fratelli,  tutti  biondi  e  valorosi,  portanti  tutti 
la  camicia  rossa  ed  una  spada  fatata  con  la  quale  uccidevano  qualunque  nemico. 

Del  resto,  già  fin  dal  1 849,  dopo  la  battaglia  di  Palestrina,  il  nome  di 
Garibaldi  era  divenuto,  fra  i  soldati  Borbonici,  fonte  di  mille  leggende  !  Raccon- 
tavasi,  ad  esempio,  che  egli  aveva  venduto  l'anima  al  diavolo  per  mettere  sotto- 
sopra r  Italia  con  l'aiuto  di  un'  infinità  di  folletti,  che  erano  i  suoi  legionari  ;  e 
se  si  volessero  raccogliere  tutte  le  leggende,  che  si  formarono  mtorno  all'  Eroe, 
ci  sarebbe  da  scrivere  un  volume  molto  interessante. 

Il  popolo  di  Palermo  al  quale  Garibaldi  per  1'  aspetto,  per  la  foggia 
di  vestire  e  per  le  gesta  compiute  era  apparso,  più  che  altrove,  1'  uomo  dei 
miracoli,  lo  mise  in  rapporto  con  Santa  Rosalia,  protettrice  di  Palermo  ;  e  poiché 
questa  Santa  apparteneva  alla  famiglia  Sinibaldi,  così  per  una  certa  analogia 
di  nome,  il  popolo  nella  sua  fantasia  immaginosa  pensò  ad  una  discendenza 
dell'  Eroe  dalla  Santa  ;  la  quale  lo  proteggeva  e  lo  rendeva  invulnerabile.  Si 
credeva,  ad  esempio,  che  Garibaldi  aveva  avuto  in  dono  da  Santa  Rosalia, 
durante  il  tragitto  da  Quarto  a  Marsala,  un  cinturino  di  cuoio  bianco,  che  egli 
portava  sempre  in  mano  e  col  quale  scacciava  le  palle  e  le  bombe  nei  giorni 
della  battaglia.  La  leggenda  inoltre,  narrava  che  il  Dittatore  ogni  sera,  non  visto, 
si  ritraeva  in  luogo  appartato  e  parlava  con  la  Santa.  Questa  lo  ammaestrava 
sulle  mosse  e  le  imprese  da  farsi  e  gli  diceva  le  parole,  che  egli  doveva  pro- 
nunziare ai  soldati,  perchè  combattessero  da  valorosi.  La  notte  che  precedette 
la  battaglia  del  Volturno  il  popolo  raccontava  che  Garibaldi  venne,  inosservato, 
a  Palermo  a  supplicare  la  Santa,  perchè  l' indomani  gli  stesse  sempre  a  fianco  e 
lo  facesse  vincere.  Santa  Rosalia  accondiscese,  e  la  battaglia  di  Capua  fu  vinta  ! 

Francesco  Dall'  Ongaro,  in  uno  dei  suoi  celebri  «  Stornelli  »  canta  con  i 
seguenti  versi  un'  altra  leggenda  su   Garibaldi  : 

E  nato  d' un  demonio  e  d' una  Santa 
In  un  momento,   che  han  sentito  amore  ; 
Gli  è  tutto  il  padre,   quando  il  ferro  agguanta, 
Ma  della  madre  ha  la  dolcezza  in  core. 
Quando  combatte,   il  genitor  gli  manda 
La  sua  feroce  ed  invincibil  banda  ; 
Quando  riposa,  gli  sorride  in  viso 
Un  raggio  che  gli  vien  dal  paradiso. 


CAPITOLO  XI. 


LE   LOTTE   INTORNO   A   GARIBALDI   A   PALERMO. 
ISTRUZIONI  SEGRETE  E  PIANO  DEL  BORBONE. 


Le  lotte  che  si  agitavano  a  Palermo  intorno  al  Dittatore ,  nei  mesi  di 
giugno  e  di  luglio,  per  la  pronta  annessione  della  Sicilia,  erano  state  accresciute 
da  un  dissidio  fra  i  componenti  il  primo  Ministero  sotto  la  dittatura  e  Gari- 
baldi, in  seguito  agli  ordini  da  questi  emessi,  che  i  ministri  dovevano  dipendere 
dal  Sirtori,  capo  dello  Stato  Maggiore.  11  conflitto,  rimasto  sconosciuto,  si  rileva 
da  un  documento  inedito  della  mia  raccolta,  che  trascrivo  dall'  originale.  Lo 
scritto  colle  firme  autografe  fu  certamente  ispirato  e  redatto  da  Francesco  Crispi, 
sebbene  vergato  da  diversa  mano  ;  ad  esso  fa  seguito  la  copia  del  decreto  ditta- 
toriale, emanato  il  giorno  dopo,  redatto  di  pugno  del  Sirtori  ;  da  quest'  ultimo 
documento  si  apprende  come  le  ragioni  addotte  dai  Ministri  nella  loro  protesta 
non  fossero  accolte,  e  mantenute  invece  le  precedenti  disposizioni.  La  qual  cosa 
dimostra,  come  Garibaldi  seguisse  sempre  negli  atti  del  suo  governo  la  sua 
volontà,  conservando  quella  libertà  di  azione,  che  qualcuno  avrebbe  voluto 
mettere  in  dubbio. 

Il  primo  Ministero  della  Dittatura  a  Garibaldi. 

SEGRETERIA  DI  STATO 

Palermo,  6  giugno   1860. 

Signore, 

I  Segretari  di  Stalo  hanno  ricevuto  comunicazione  dei  di  Lei  ordini,  con  cui 
dispone,  che  i  medesimi  dipendono  dal  capo  dello  Stato  Maggiore  Generale  come 
emanazione  dei   Dittatore. 

I  Segretari  di  Stato,  i  quali  accettano  con  gratitudine  la  di  Lei  persona  come 
Capo  Civile  e  Militare  della  Sicilia,  trovano  una  incompatibilità  nella  loro    esistenza, 


216  LE  LOTTE  INTORNO  A  GARIBALDI  A  PALERMO 

qualora  il  servizio  da  loro  diretto  debba  dipendere  da  tutt'  altra  autorità  o  persona, 
che  non  sia  quella  del  Dittatore. 

La  Dittatura,  tre  volte  conferita  nel  Piemonte  al  Re,  ci  ha  dato  1'  esempio  del 
modo  come  è  stata  esercitata.  Il  Re  ebbe  sempre  presso  di  se  un  Ministro  Segretario 
di  Stato  per  gli  affari  civili  e  politici.  Ed  il  suo  Capo  dello  Stato  Maggiore  Gene- 
rale limitavasi  alle  operazioni  strategiche  della   campagna. 

Ella  può,  signor  Generale,  dare  all'  attuale  Capo  dello  Stato  Maggiore  altro  titolo, 
altre  funzioni  ;  ma  in  questo  caso  egli  assume  un  nuovo  carattere,  e  lascia  per  1'  eser- 
cizio delle  nuove  funzioni  la  sua  qualità  di  Capo  dello  Stato  Maggiore.  E  finche  ciò 
non  venga  ordinato,  ogni  potere  che  gli  si  dia  muta  1'  andamento  dell'  amministrazione 
e  mette  la  confusione  nell'  esercizio  dei  vari  poteri. 

I  Segretari  di  Stato  sono  pronti  all'  esecuzione  di  qualunque  ordine,  che  venga 
da  Lei.  Ma,  responsabili  innanzi  a  Lei  dello  incarico  assunto,  non  possono  sobbcU'carsi 
allo  stesso,  senza  accennare  i  mezzi  che  ne  rendono  possibile  1'  attuazione. 

In  conseguenza,  i  sottoscritti  la  pregano  a  volere  prendere  in  seria  considerazione 
le  osservazioni,  le  quali  non  hanno  altro  scopo,  se  non  quello  di  potere  corrispondere 
alla  fiducia,  che  si  è  degnata  riporre  su  loro. 

I  Segretari  di  Stato 

BARONE  PISANI 
GIOVANNI  RAFF.AELE 
DOMENICO  PERANNl 
GREGORIO  UGDULEN.A 
VINCENZO  ORSINI 
FRANCESCO  CRISPI 
ANDREA  GUARNERI 

Decreto  Dittatoriale  scritto  di  mano  del  Sirtori. 

Palermo,   10  giugno  1860. 

II  Generale  Dittatore,  convinto  della  necessità  di  un  Governo  Militare  e  di  un 
forte  concentramento  di  poteri,  finche  tutta  1'  Isola  non  sia  Ubera  dalle  forze  nemiche, 
decreta  : 

Art.  r  —  1  Segretari  di  Stato  di  qualsiasi  dipartimento  ed  ogni  altra  autorità 
civile  e  militare,  dipenderanno  dal  capo  dello  Stato  Maggiore  Generale,  siccome 
rappresentante  immediato  del  Generale  Dittatore. 

Art.  2"  —  Ogni  volta  che  il  Generale  impartisce  ordini  diretti  ai  Segretari 
di  Stato  e  alle  altre  Autorità  civili  e  militari,  il  capo  dello  Stato  Maggiore  Gene- 
rale ne  sarà  tosto  avvertito  per  cura  di  coloro  medesimi,  che  ricevessero  detti  ordini  ; 
ciò  a  fine  di  mantenere  assoluta  unità  nel  Comando  e  la  piena  armonia  nell'  esecuzione. 

Art.   3    —  Il  Capo  dello  Stato  Maggiore  Generale  è  incaricato  del  presente 

decreto. 

IL  DITTATORE 


ISTRUZIONI  SEGRETE  E  PIANO  DEL  BORBONE  217 

Si  era  appunto  in  quei  giorni,  nei  quali  gì'  intrighi  lafariniani  avevano 
raggiunto  il  diapason  più  elevato,  creando  intorno  a  Garibaldi  una  situazione 
difficilissima,  e  bisognava  essere  eroe  per  dominare  sì  grande  tempesta  e  conservare 
quella  serenità,   senza  la  quale  non  si  sarebbe  raggiunta  la  nobile  meta. 

Dopo  la  formazione  del  terzo  Ministero  sotto  la  dittatura,  che  manteneva 
Orsini  alla  Guerra,  portava  La  Loggia  agli  Esteri,  Amari  all'  Istruzione,  Errante 
alla  Giustizia  ed  Interdonato  all'  Interno,  il  Senato  di  Palermo  aveva  presentato 
a  Garibaldi,  il  I  5  giugno,  un  nobile  indirizzo,  che  sebbene  noto,  trascrivo  qui 
integralmente  dall'  originale  colle  firme  autografe  dei  Senatori  e  nel  quale  nessun 
accenno  si  faceva  sull'  annessione. 

Il  Senato  di  Palermo  al  Generale  Garibaldi. 

A  GIUSEPPE  GARIBALDI 

DITTATORE  IN  SICILIA 
IN    NOME  DEL  RE  VITTORIO  EMANUELE 

A  voi,  terrore  dei  nemici  d' Italia,  a  voi,  vindice  invitto  delle  sciagure  della  Patria 
comune,  il  Senato  di  questa  città,  interprete  dei  voti  del  popolo,  offre  il  tributo  della 
più  viva  gratitudine. 

Noi  duravamo,  fin  dal  4  aprile,  la  lotta  aspra  e  mortale,  per  frangere  il  ferreo 
giogo  borbonico  e  redimerci  da  un  principe  a  nostra  maggior  vergogna  nato  in  Italia, 
ma  turpe  vassallo  dello  straniero. 

Questo  nemico  nostro  e  d' Italia  tutta  erasi  molto  innanzi  preparato  al  minacciato 
cimento  ;  ma  questo  popolo,  tutto  spregiando,  insorse  quasi  inerme  al  solo  grido  d' Italia 
e  del  magnanimo  RE  VITTORIO  EMANUELE.  Sopraffatto  in  città,  pugnò  sui  monti,  e 
vi  sostenne  il  benedetto  vessillo  dell'  italiano  riscatto.  Pendeva  la  lotta  terribile,  ma 
incerta.  Dubbie  erano  le  nostre  sorli  e  grave  il  pericolo,  quando  voi,  compresa  l' impor- 
tanza del  nostro  riscatto,  qui  correste  a  pugnare  fra  noi,  circondato  dai  più  bravi  e 
generosi  campioni  dell'  italiana  libertà. 

Dal  giorno  in  cui  voi  ed  i  vostri  prodi  metteste  il  piede  su  questa  terra,  la  vittoria 
doveva  esser  nostra. 

E  Io  fu. 

Il  vostro  nome  atterrò  i  nemici  comuni.  Intorno  a  voi  accorsero  le  popolazioni  tutte 
dell'  isola  ;  voi  le  infondeste  la  fede  del  vincere,  voi  le  guidaste  vittoriose  in  seno  alla 
nostra  città  a  scacciare  gli  strumenti  del  dispotismo. 

La  città  intera  insorse  a  coadiuvare  la  grande  opera  vostra,  ma  Palermo  procla- 
mava voi  il  liberatore  della  Sicilia  ;  Palermo,  ove  voi  avete  colto  la  più  bella  palma 
tra  tutte  quelle,  che  onorano  la  vostra  vita. 


218  LE  LOTTE  INTORNO  A  GARIBALDI  A  PALERMO 

Grazie,  o  prode  !  Guidateci  ora  a  novelli    cimenti.  Il  Dio  della    vittoria    e  della 

giustizia  sarà  sempre  con  voi  ;  che  l' odialo  nemico  d' Italia   sparisca  da  questo    suolo, 

onde    stringerci    lutti    liberi,  concordi  e  forti,  intorno    alla    gloriosa    Croce    di    Savoia, 

simbolo  della  redenzione  d' Italia. 

GIULIO  BENSO,  DUCA  DI  VERDURA  -  Pretore 
PRINCIPE  DI    S.AN  CATALDO    -  Sena/ore 

ANTONINO  FEDERICO 
SALV.ATORE  DE  CARCAMO  » 

Al  generale  G.  Garibaldi  p^^^O  AMARI 

Ditlalore  ìtì  SALVATORE  CUSA  » 

Sicilia  VINCENZO  FA  VARA  » 

Dopo  alcuni  giorni,  per  le  mene  incessanti  di  La  Farina,  una  deputazione 
del  Consiglio  civico  si  presentava  a  Garibaldi  per  manifestargli  il  desiderio  del 
popolo  di  volere  1'  annessione  immediata  della  Sicilia.  Ed  il  Generale  rispose  : 
«  essere  venuto  a  combattere  per  1'  Italia  e  non  per  la  Sicilia  sola  »  ;  che 
egli  «  non  poteva  aderire  a  quel  desiderio,  senza  precludere  da  se  stesso  la  via 
della  sua  impresa.  Perchè,  fatta  l'annessione,  il  Governo  sardo  non  avrebbe  potuto 
tenere  in  Sicilia  Garibaldi  e  il  suo  esercito,  il  quale  già  cominciava  a  minac- 
ciare il  Regno  di  Napoli,  senza  mettersi  in  gravissime  complicazioni.  Una  volta 
annessa  la  Sicilia  al  Regno  sardo,  o  il  Governo  doveva  licenziare  e  sciogliere 
i  volontari  di  Garibaldi,  ciò  che  non  era  facile  e  poteva  iniziare  una  guerra 
civile,  o  permettere  che  quest'  esercito  ed  il  suo  popolo  passasse  dall'  isola  nelle 
Calabrie  ;  ciò  che  sarebbe  stata  una  grave  offesa  ai  diritti  internazionali  e  un 
potente  motivo  cJle  suscettibilità  della  diplomazia  europea  ». 

Il  rifiuto  di  Garibaldi  venne  approvato  dall'opinione  pubblica,  non  senza  però 
le  proteste  dei  sobillati  dal  La  Farina.  Qualcuna  di  queste  proteste  fu  dignitosa, 
come  quella  del  barone  Casimiro  Pisani,  che  si  dimise  dal  Ministero  insieme  al 
marchese  di  Torrearsa.  Il  Pisani  mandò  a  Garibaldi  la  seguente  lettera  inedita. 

Casimiro  Pisani,  Ministro  della  Dittatura,  a  Garibaldi. 

Palermo,  24  giugno  1860. 
SigTìore, 

Ducimi  profondamente  che,  in  giorni  così  importanti  per  la  Sicilia,  io  abbia  dovuto 
abbandonarmi  da  Voi  ;  dall'  uomo  nella  cui  virtù  ciascuno  di  noi  confida  e  pone  oggi 
ogni  speranza  di  salvezza.  Ma  la  risposta  da  Voi  data  al  Consiglio  civico  di  Palermo, 
che  credendo  di  andare  a  seconda  delle  vostre  intenzioni,  vi  porgeva  forse   inoppor- 


'  La  Cecilia  -  Storia  degli  ultimi  rivolgimenti  siciliani.  Voi.  I,  pag.    171. 


ISTRUZIONI  SEGRETE  E  PIANO  DEL  BORBONE  219 

tunamente  un  indirizzo  che  Voi  rigettaste,  m' impose    1'  obbligo    di    rinunziare    ad    un 
ufficio,  il  quale  io  d'  altronde  sentiva  essere  troppo  grave  soma  per  le  mie  spalle. 

Io  ebbi  r  onore  di  dirvi,  a  voce,  tutte  le  ragioni,  che  mi  spingevano  a  fare  quella 
rinunzia  ;  e  Voi  degnaste  cortesemente  ascoltarle,  benché  venissero  alquanto  in  oppo- 
sizione alla  volontà  da  Voi  con  militare  franchezza  espressa  e  promulgata  ;  onde  non 
è  d'  uopo,  che  io  qui  le  ripeta.  Solamente  vorrei  far  noto  a  tutti,  e  persuadere  ciascuno 
dei  miei  concittadini,  che  la  discrepanza  di  opinioni  non  mi  ha  separato  da  Voi  ;  che 
entrambi  miriamo  allo  stesso  scopo,  tendiamo  allo  stesso  fine  :  la  liberazione  dell'  intera 
Italia,  e  che  in  altro  non  differiamo  se  non  nella  scelta  della  via  da  tenere;  differenza 
che  anche  potrebbe  trovare  facile  spiegazione  nel  divario,  che  passa  tra  Voi  e  me. 
Voi  uomo  di  alta  mente  e  di  gran  cuore,  sprezzando  le  scabrosità  del  cammino,  vi 
levate  a  volo  e  volete  correre  dirittamente  alla  sublime  meta  ;  io,  nella  mia  picciolezza, 
messo  in  apprensione  alla  vista  difficoltà,  penso  che  si  debba  andare  di  passo,  compiere 
ciò  che  si  è  bene  incominciato,  e  poi  passare  a  nuove  imprese;  aggrandire,  insomma, 
a  pezzo  a  pezzo  il  regno  d'  Italia,  annettendovi  le  provincie,  che  riescono  a  frangere 
il  giogo  ed  a  ripigliare  la  loro  indipendenza  e  con  le  forze,  in  questo  modo  accresciute, 
aspettare  1'  occasione  di  portare  efficace  aiuto  alle  provincie,  che  rimangono  tuttavia 
oppresse  dal  duro  servaggio. 

Fatta  questa  dichiarazione,  non  mi  resta  che  caldamente  raccomandarvi  questa  cara 
e  travagliata  Sicilia  :  rassodate  la  sua  sorte,  ve  ne  scongiuro  ;  non  la  lasciate  in  preda 
alle  fazioni,  che  potrebbero  insorgere  alle  occulte  insidie  od  all'  aperta  violenza  degli 
aborriti  borbonici.  Pensate,  che  portando  intempestivamente  nel  regno  di  Napoli  il 
terrore  del  vostro  nome  e  delle  vostre  valorose  armi.  Voi  potreste  forse  giovare  a  chi 
meno  apprezzate,  a  chi  potrebbe  destramente  valersi  dell'  opera  vostra,  senza  neppure 
sapervene  grato.  Sia  la  Sicilia  la  vostra  patria  ;  amate,  come  Voi  sapete  amare,  questa 
vostra  madre  di  adozione,  la  quale  non  è  indegna  di  si  illustre  figlio. 

Gradite,  signor  Generale,  i  sensi  di  profonda  stima,  coi  quali  ho  il  bene  di 
soscrivermi 

Vostro  gratissimo  amico  e  sincero  amiratore 
BARONE  PISANI 


Ma  per  avere  un'  idea  più  esatta  dell'  ambiente  di  quei  giorni,  è  bene 
conoscere  anche  quello,  che  si  pensava  a  Torino.  Sul  proposito  sono  importanti 
le  seguenti  lettere  inedite,  che  di  là  Bargoni    scriveva    al    Calvino  in  Palermo. 

Angelo  Bargoni  a  Salvatore  Calvino. 

Torino,  21    giugno   1860. 
Mio  carissimo  amico, 

1  vostri  prodigi  trovarono  un'  eco  di  plauso  e  di   commozione   dapertutto,   anche 


m 


questa  fredda  città.  Io,  tradito  da  voci  che  correvano  a   Genova,    sperava    proprio 


220  LE  LOTTE  INTORNO  A  GARIBALDI  A  PALERMO 

nella  guarigione  di  Rosalino,  che  meritava  davvero,  come  tu  dici,  di  rivedere  libera 
la  sua  Palermo.  Non  v'  è,  che  un  coro  di  lodi  e  di  compianto  sulla  sua  tomba  :  ma 
pur  troppo  è  tomba  ;  e  quel  suo  cuore  onesto,  leale,  e  generosissimo  ha  finito  di  battere  ! 
Immaginati,  se  ne  fui  dolente,  per  lui  e  per  te;  che  avesti  il  dolore  di  perderlo  così 
repentinamente. 

Tu  intanto,  di  pericolo  in  pericolo,  te  la  cavasti  egregiamente  colla  soddisfazione 
di  avere  finalmente  menato  le  mani.  Meno  male  una  ferita,  se  fu  tanto  leggiera  da 
permettere  alla  tua  fermezza  di  non  badarvi  durante  il  combattimento  e  da  poter  essere 
curata  senza  aiuto  degli  scortichini. 

Alla  tua  carissima  da  Talamone  già  risposi.  Faccio  propaganda  delle  tue  notizie. 
A  tutti  fece  piacere  il  sentirti  Direttore  del  Ministero  della  Guerra. 

Ora,  ti  obbligo  a  perdere  dieci  minuti  del  tuo  tempo  prezioso  e  ad  ascoltarmi. 
Si  tratta  di  Sicilia  e  d' Italia. 

Noi  abbiamo  sul  conto  vostro  notizie  contradittorie.  Ti  accludo  due  corrispondenze 
dell'  Opinione  :  se  ne  fosse  vero  il  contenuto,  sarebbe  stata  carità  di  patria  il  non 
pubblicarle.  Se  il  contenuto  è  esagerato,  e  lo  deve  essere,  è  bene  scoprirne  1'  autore 
e  combattere  il  giornale,  che  pubblicò.  Ma  occorre  una  relazione,  calma,  fredda,  impar- 
ziale e  sopratutto  onesta,  cioè  tua. 

L'  Espero  annunziò  lo  sbarco  di  La  Farina  a  Palermo  fra  un  clamoroso  entusiasmo. 
La  Gazzetta  di  Torino  parlò  di  simpatie  e  vive  dimostrazioni,  che  gli  furono  fatte. 
L'  Opinione  tacque.  Il  Diritto  ed  altri  giornali  la  smentirono.  L'  ammiraglio  Persane 
parve  confermarle;  ma  altre  fonti  pervenute  al  Governo  le  negarono.  A  chi  credere  ? 
Manca  assolutamente  sulle  vostre  condizioni  civili  una  voce  imparziale  ed  onesta, 
che  esponga  le  cose  con  esattezza.  Ed  è  gran  danno  !  Non  puoi  credere  il  bene,  che 
si  sarebbe  fatto,  se  essa  fosse  venuta.   Il  generale  Ribotti  è  richiesto  ad  ogni  momento 

o  da  Cavour  o  da  Farini  per  informazioni,    consigli   etc Ma    come   fa    a    giovarvi 

efficacemente,  se  ci  lasci  così  all'  oscuro  e  fra  tante  incertezze  e  contraddizioni  ? 

Dalle  interpellanze  passo  alle  confidenze.  Anche  qui  ho  bisogno  della  tua  atten- 
zione e  di  conoscere  le  tue  intenzioni  su  ciò  che  sono  per  dirti,  anche  allo  scopo  di 
sapermi  regolare  in  avvenire  ;  se  pure  il  telegrafo  non  cangerà  da  un  momento  all'  altro 
lo  stato  delle  cose. 

Arde  la  guerra  tra  i  La  Fariniani  e  i  Bertaniani.  I  primi  sono  a  gruppi  ed  oggimai 
mancano  di  direzione  :  vi  fu  perfino  qualche  tentativo  di  ricostituzione  della  Società 
Nazionale  con  altri  auspici,  ma  fu  un  fiasco  ;  ad  ogni  modo  la  Società  Nazionale  diede 
danari  ed  anche  in  misura  discreta.  Il  Governo  si  è  servito  di  essa  ;  ma  ora  non  può 
più  farlo,  perchè  è  rimasta  acefala,  tanto  più  essendosi  dimessi  alcuni  Vicepresidenti. 
D'  altra  parte,  il  Governo,  finche  non  vi  sia  dichiarazione  di  guerra,  non  può  far  molto 
scopertamente  ;  donde  la  necessità  d' intendersi  con  Bertani.  Convinti  di  questa  neces- 
sità e  sopratutto  dei  vantaggi  di  un  ravvicinamento  in  cosa  tanto  importante,  io  e  Regnoli 
accettammo  di  tentarlo.  Trovammo  Bertani  assai  dominalo  dall'idea,  forse  esagerata, 
della  potenza  sua  e  dei  suoi,  e  ad  un  tempo  dalla  diffidenza  verso  il  Governo  ed  alcuni 
Ministri  in  particolare.  Si  venne  alle  condizioni  :  (ricordati,  che  queste  cose  sono  per 
te  solo).  //  Governo  si  dichiarava  pronto  a  fornire  a  Garibaldi  i  mezzi  di  ferire  i  Borboni 


ISTRUZIONI  SEGRETE  E  PIANO  DEL  BORBONE  221 

al  cuore,  andando  a  Napoli.  Ma  siccome  è  Pippo  (Mazzini)  nell'isola,  e  gli  uomini  che 
sono  intorno  a  Garibaldi  gli  sono  amici,  cos)  teme  o  dice  di  temere,  che  si  voglia  o  si 
desideri,  un  d]  o  l' altro  di  fare  un  colpo  e  cambiar  la  bandiera  :  domanda  perciò,  una 
garanzia.  E  per  tutta  garanzia  vuol  mandare  una  persona,  che  abbia  all'  uopo  dei  poteri 
in  tasca  :  persona  che  Garibaldi  sceglierebbe  fra  una  nota  presentata  dal  Governo. 
Credo  infondato  il  timore,  ma  non  sconveniente  la  dimanda.  Il  Dottore  volle  alla  sua 
volta,  che  non  si  parlasse  di  altra  persona,  fuorché  di  Depretis  e  che  invece  di  pro- 
messe vi  fossero  fatti.  Si  aiutasse  cioè,  la  spedizione  di  Cosenz  e  si  fornissero  i  mezzi 
per  avere  un  legno  da  guerra.  Il  Governo  accettò  subito  il  nome  di  Depretis,  che 
interpellato  da  noi  si  disse  pronto.  Ma  siccome,  contemporaneamente,  arrivò  Amari 
coir  incarico  ufficiale  di  rappresentare  la  Sicilia  presso  il  nostro  Governo,  così  Cavour 
domandò,  se  doveva  trattare  con  Amari  o  con  Bertani  ed  esternò  il  desiderio  d' intendersi 
verbalmente  e  senza  intermediari.  Siccome  e'  era  ordine,  che  per  farlo  venire  a  Torino 
si  dovesse  ricorrere  a  Mauro  Macchi  si  parlò  a  quest'  ultimo,  che  deve  aver  guastato 
tutto  !  Invece  del  Dottore  arrivò  una  sua  lettera  a  me,  la  più  strana,  la  più  inconce- 
pibile ! 

11  Generale,  io,  Regnoli  ce  ne  siamo  lavati  le  mani;  ed  oggi  o  domani  incomin- 
ceranno i  soliti  scandali,  che  noi  italiani  siamo  costretti  a  vedere  ripetersi  tutti  i  momenti, 
per  quistioni  di  persone,  anche  nelle  cose  più  gravi.  Tutto  cesserebbe,  se  il  rappre- 
sentante ufficiale  di  Garibaldi  fosse  un  uomo  della  portata  necessaria  in  queste  contin- 
genze. Ma  tu  conosci  il  conte  Amari,  mettilo  fra  Bertani  e  Cavour,  e  di'  se  è  capace 
di  uscirne  !  Cosenz  ha  una  lettera  di  Garibaldi  che  lo  chiama,  non  più  in  Calabria  ma 
in  Sicilia.  Il  Dottore  dice  che  Cosenz  vuol  partire  e  che  per  riuscire  si  darebbe  anche 
al  diavolo  ;  ma  che  esso  non  conosce  ne  i  progetti,  ne  i  mezzi  del  Dottore  medesimo. 
E  perchè  glieli  ha  taciuti  ?  Del  resto,  il  Dottore  crede  di  poter  fare  la  nuova  spedizione 
anche  senza  il  Governo,  esservi  in  ciò  solo  quistione  di  giorni.  Ma  anche  la  quistione 
di  giorni  è  suprema  ! 

Quel  che  tu  chiami  Gianduia,  benché  sia  Meneghino,  soffia  ad  alimentare  la  irre- 
conciliabilità del  Dottore  col  gridare,  che  il  Governo  non  è  di  buona  fede.  Io  salto 
questa  quistione  e  guardo  ai  fatti.  I  fatti  sono,  che  la  spedizione  Medici  costa  al  Governo 
quasi  due  milioni  e  che  fu  portata  da  una  nostra  nave  da  guerra. 

Garibaldi  avrebbe  fatto  una  santa  cosa  nominando  tutl'  altri  che  il  conte  Amari. 
Per  esempio,  il  tuo  generale  Ribotti  era  persona  adatta,  perchè  uomo  d' azione,  che 
conosce  cotesto  paese,  che  ha  relazioni  amichevoli  col  Governo  e  con  Ministri  esteri 
e  che  può  intendersi  col  Dottore.  Il  fatto  è  irreparabile?  Lo  temo.  Rimane  una  via 
per  accomodare  tutto,  mi  pare.  Nel  momento  più  o  meno  vicino  che  Garibaldi  lascerà 
r  isola,  dovrebbe  lasciare  i  suoi  poteri  civili  a  Depretis.  Egli  riaccomoderà  tutto  ed 
anche  così  s'imporrà  agli  intriganti  e  sventerà  le  mene  separatiste,  che  si  attribuiscono 
al  vostro  patriziato.   E  ciò  possibile  ? 

L'  Opinione,  in  un  articolo  di  fondo,  mantiene  la  veridicità  delle  sue  corrispon- 
dente contro  le  smentite  del  Diritto;  ma  conchiude  che  La  Farina  non  può,  né  deve 
essere  fatto  Ministro  in  Sicilia,  perchè  lo  fu  quando  rientrarono  i  Borboni  e  perciò 
divenne  e  rimase  impopolare.  Credo  inutile  mandarti  1'  articolo. 


222  LE  LOTTE  INTORNO  A  GARIBALDI  A  PALERMO 

Tra  i  900  catturati  del  Clipper  americano  sono  :  Titta  Fardella,  Natoli,  Campo, 
non  Cianciolo,  che  saprai  altrove.  In  un  diverso  altrove  e  il  nostro  amico,  che  chiama- 
vamo il  Ministro.  Si  crede  nella  prossimità  di  un  tentativo  rivoluzionario  a  Napoli,  ove 
certo  la  polizia  è  diventata  cieca,  perchè  non  vede  gli  uomini,  le  armi  e  le  munizioni, 
che  vi  entrano  tutti  i  giorni.  Ma  sembra  vero,  che  Garibaldi  non  possa  muoversi 
dall'  isola,  finche  non  abbia  maggiori  forze,  perchè  i  siciliani  non  si  prestano  alla  leva. 

Vivi  sano  e  felice  nella  felicità  del  nostro  comune  paese,  che  sta  per  essere  assi- 
curata interamente.  Mandami  o  trova  alcuno,  che  mi  mandi  ragguagH  biografici  minu- 
tissimi del  nostro  povero  Rosalino.   Mio  caro,  ricevi  un  abbraccio  dal 

Tuo  aff.mo 
ANGELO  BARCONI 


Torino,  29  giugno   1860. 
Mio  carissimo. 

Le  cose  sono  cangiale  di  assai  dopo  quella  mia  lettera,  perciò  occorrono  nuove 
spiegazioni.  Tu  dovresti  mandarmi  proprio  il  diario  della  cita  inlima  di  Garibaldi. 
Ha  nominato  un  vice-dittatore.  Poi  ha  dichiarato  di  volere  ritardare  l' annessione.  Poi 
il  vice-dittatore  si  è  dimesso.  Poi  fu  promulgata  la  legge  elettorale.  Poi  si  riparla,  che 
il  vice-dittatore  rientri  al  potere.  Sono  le  solite  notizie  di  Napoli,  che  hanno  provocato 
tutte  queste  vicende,  in  parte  contradittorie. 

Quale  parte  giuoca  La  Farina,  che  il  «  Piccolo  Corriere  »  dice  non  potere  uscir 
di  casa,  senza  che  la  popolazione  gli  corra  incontro,  e  lo  saluti  e  gli  baci  le  mani? 
Avete,  o  fortunatamente  non  avete  pericoli  di  dissidenze  civili?  La  costituzione  separata 
con  un  vice-re  potrà  tentare  alcuno,  sopratutto  nei  paesi  ancora  occupati  ?  La  peste 
del  separatismo  è  veramente  distrutta  ?  E  intorno  alle  disposizioni  popolari  dobbiamo 
credere  a  chi  ci  dice  i  siciliani  recalcitranti  alla  leva,  o  a  chi  asserisce  il  contrario  ? 
Sono  vere  le  innumerevoli  diserzioni  di  Napolitani  da  Messina  e  altrove  ?  Ecco  alcune 
delle  domande,  a  cui  si  desidera  una  risposta  precisa,  veritiera  ed  imparziale. 

Di  qui  poco  posso  dirti.  Cosenz  si  affretta  a  venire,  e  il  Governo  gli  dà  tutto. 
11  dottore  {Bertani)  mi  scrisse,  che  se  avesse  aspettato  alcuni  giorni  gli  avrebbe  dato 
tutto  egli  stesso.  Ma  da  quell*  epoca  è  già  scorsa  una  settimana  ed  il  dottore  lamenta 
ancora  la  mancanza  di  denaro.  Ieri  faceva  appello  colle  stampe  anche  ad  un  prestito, 
cui  fu  autorizzato  da  Garibaldi.  Ma  non  si  fanno  prestiti  in  aria  ;  bisogna  eleggere  una 
commissione  ed  esporre  dei  patti  etc Ma  col  dottore  le  commissioni  diventano  impos- 
sibili, perchè  egli  pone,  per  prima  condizione,  l'assoluta  dipendenza  da  lui.  Va  bene 
che  è  l'alter  ego;  ma  il  mondo  distingue!  D'altronde,  perchè  un  prestito  si  faccia  è 
necessario  un  decreto  di  cotesto  Ministero  delle  Finanze  colla  firma  del  Dittatore. 
Credo,  che  la  dittatura    non    escluda    la    regolarità.    Con    un    abbraccio,    mi  confermo 

Tuo  aff.mo 
ANGELO  BARCONI 


ISTRUZIONI  SEGRETE  E  PIANO  DEL  BORBONE  223 


Torino,    r  luglio   1860. 
Carissimo  amico. 

Ti  ringrazio  dei  dolorosi  e  più  minuti  ragguagli,  che  mi  dai  sulla  morte  del  nostro 
eroico  amico  Rosalino  e  attendo  il  resto.  Nomini  S.  Domenico  :  è  forse  il  luogo  dove 
si  tengono  i  cadaveri  mummificati?  Se  trasportate  quelle  illustri  ceneri  in  Palermo, 
(atelo  in  momento,  in  cui  ciò  possa  aver  luogo  con  ogni  pompa  militare  e  civile  ! 

/  parliti  sono  sempre  ingiusti.  Da  quanto  mi  dici,  veggo  che  i  timori  di  questo 
Governo  erano  ispirali  da  cosi),  e  pub  immaginarsi  da  chi.  D'altra  parte  lessi,  che  si 
accusa  il  nostro  Governo  di  aver  dato  ordini  a  Medici  di  fare  imprigionare  a  Cagliari 
Mario  e  la  moglie,  e  di  avere  invitato  Garibaldi  a  fare  altrettanto.  Mi  pare  assurda 
r  accusa,  perchè  a  Cagliari  l' ordine  sarebbe  stato  dato  ad  altri  che  a  Medici,  se  lo 
si  fosse  voluto  dare  ;  e  con  Garibaldi,  che  io  sappia,  il  Governo  non  ha  rapporti  diretti 
e  non  li  avrebbe  voluti  cominciare  con  la  certezza  di  un  fiasco!  Pure  le  son  cose, 
che  si  scrivono  da  costì  e  si  aggiunge  pure,  come  fai  tu,  il  nome  di  Mordini  fra  i 
repubblicani,  cosa  che  il  Governo  stesso  non  può  più  ammettere,  perchè  questi  è 
deputato. 

Le  notizie  da  Napoli  sono  eccellenti  ;  e  la  costituzione  inaugurata  con  lo  stato 
di  assedio  è  proprio  un  frutto  degno  di  quella  Reggia.  Le  parole  dette  in  Parlamento 
da  Mancini  e  sopratutto  da  Poerio  avranno  un'  eco,  sperasi,  eccellente  ! 

Ricevi  un  affettuosissimo  abbraccio  dal 

Tuo  amicissimo 
ANGELO  BARGONI 


Torino,  15  luglio  1860. 
Mio  caro  amico, 

Ho  ricevuto  la  carissima  tua  del  9  andante.  Quanto  te  ne  ringrazio!  La  tua 
lettera  l'ho  letta  per  intero  al  solo  Generale  {Ribolli),  lì  suo  tenore  voleva  comuni- 
carlo al  «  Diritto  ».  Ma  quel  direttore,  senza  prima  sentirne  la  lettura,  mi  ha  mostrato 
il  desiderio,  che  ne  facessi  un  articolo.  L'ho  fatto,  e  te  lo  comunico.  Ti  piacerà?  Lo 
spero.  Mordini  aveva  scritto  a  Marazio,  che  tu  mi  autorizzavi  a  fargli  stampare  la  tua 
lettera.  Invece,  tu  mi  dicevi  il  contrario.  Ma  ora,  quel  che  è  fatto  è  fatto  !  Ho  lasciata 
la  sola  parte,  che  riguarda  /'  opposizione  di  Pippo  {Mazzini),  perchè  gli  fa  torlo. 

Che  cosa  dica  e  faccia  La  Farina,  qui  tornato,  te  lo  spiega  V  «  Espero  » ,  suo 
organo.  L'articolo,  che  lo  riguarda  può  credersi  scritto  da  La  Farina  stesso.  Come 
insozzarsi  a  confutarlo?  Bisogna  rompere  la  faccia  al  caperai  Fabiola,  e  per  verità 
oi  sono  offese  sanguinose  contro  voialtri  !  A  me  darai  mezzo  di  spiegare  le  stragi  ivi 
accennate.  Ti  comunico  anche  ciò,  che  dice  1'  «  Opinione  ».  Forse  riceverete  tutto 
costì  ;  ma  ti  sarebbe  meno  facile  vederli.  Ciò  che  non  ho  visto  io,  è  il  «  Piccolo 
Corriere  »  d'oggi,  che  pure  amerei  tanto  avere  sott' occhio. 


224  LE  LOTTE  INTORNO  A  GARIBALDI  A  PALERMO 

Non  so,  se  il  racconto  dello  stato  d' anarchia,  che  La  Farina  dipinge  a  tutti  coi 
più  foschi  colori,  riguardo  alla  vostra  Isola,  o  se  la  notizia  delle  due  altre  fregate  a 
voi  disertate,  o  se  un  altro  movente  qualunque  sia  quello,  che  ha  determinato  il  Governo 
a  chiamare  per  telegrafo  Depretis  da  Stradella  e  a  pregarlo  di  partire  per  costì,  nel 
punto  stesso  che  Minoli  gli  faceva  eguale  preghiera  a  nome  di  Garibaldi.  Depretis 
non  attendeva  che  un  cenno  o  dal  Governo  o  da  Garibaldi,  ed  ora  perciò  parte. 
Garibaldi  aveva  dato  incarico  di  chiamarlo  al  marchese  Trecchi,  celebre  donnaiuolo  ; 
ma  Trecchi  se  ne  dimenticò  o  trovò  chi  volle  farglielo  dimenticare.  D' altra  parte, 
Cavour  disse  ripetutamente  a  Ribotti,  che  il  Governo  voleva  far  partire  Depretis  ;  ma 
che  Depretis  non  voleva  andare  per  stare  sotto  gli  ordini  di  Garibaldi,  volendo  partire 
solo  come  commissario  straordinario.  Ribotti  non  è  ancora  persuaso,  che  ciò  è  comple- 
tamente falso.  Comunque  sia,  il  fatto  è  favorevole  e  basta.  Depretis  farà  di  tutto  per 
partire  domani  sera.  Non  so  come  trovasti  così  certo,  eh'  io  venissi  con  lui.  Sarei  venuto 
certissimamente,  se  fossi  stato  deputato.  Invece,  anche  stavolta  feci  fiasco  !  Come  depu- 
tato mi  sarei  potuto  offrire.  Qual  sono,  no  ;  sembrerei  un  sollecitatore  d' impieghi  e 
nulla  pili.  D*  altronde,  Depretis  mi  conosce  da  poco  tempo,  e  per  relazioni  altrui,  più 
che  per  conoscenza  diretta.  Quando  sarà  costì  e  gli  mancasse,  cosa  impossibile,  il 
personale  per  formarsi  il  Gabinetto  privato  e  qualcuno  gli  ricordasse,  che  io  sarei  pronto 
a  venire,  verrei  subito,  e  verrei  con  trasporto,  sia  per  la  soddisfazione  d'amicizia  di 
lavorare,  ne  sopra  ne  sotto,  ma  teco,  sia  per  la  soddisfazione  patriottica  di  contribuire, 
in  qualche  modo,  all'  opera  della  definitiva  costituzione  dell*  unità  italiana,  perchè  ormai 
vi  giungiamo,  vo'  credere,  di  sicuro. 

Qui  l'opinione  pubblica  e  commossa  e  in  parte  fuorviata;  una  numerora  classe 
di  persone  da  diversi  anni  non  prende  le  sue  ispirazioni,  che  da  questo  o  quel  giornale. 
Inoltre,  oi  sono  i  portavoce  della  vostra  vittima  (La  Farina),  che  pei  caffè  e  nei  clubs 
spargono  notizie  orrende!  Ma  i  nomi  dei  nuovi  ministri:  Amari  lo  storico.  Errante  e 
Interdonato,  faranno  del  bene  ;  e  più  ne  farà  la  notizia,  che  Depretis  parte  per  cast). 

Quando  il  generale  (Ribalti)  doveva  partire  per  Napoli,  Amos  (Ronchei,  aiutante 
di  Ribotti)  fece  una  gita  a  casa  sua  e  poi  andò  ad  aspettarlo  a  Genova.  Il  Generale 
sai,  che  non  scrive;  ed  Amos  è  ancora  là.  Ora  il  Ministero  ha  deciso  che  Ri'ootti 
vada  anche  senza  passaporto  regolare,  purché  vada.  Ed  egli  va.  Credo,  che  parta 
domani  o  per  Genova,  o  per  Livorno.  C'è  la  convinzione,  che  la  faccenda  caschi 
entro  il  mese  !  * 

Qui  si  aspettano  gli  ambasciatori  che  manda  Napoli,  già  sbarcati  a  Livorno, 
trattivi  del  cattivo  tempo,  mentre  facevano  rotta  per  Nizza,  onde  sbarcarvi  la  Greca, 
che  va  a  Parigi  e  Londra.  Non  combineranno  nulla,  perchè  le  domande  del  nostro 
Governo  sono  inaccettabilissime. 

Amari  è  tornato  costì.  Bisogna  svestirlo.  Nessun  uomo  serio  vorrà  fare  il  rappre- 
sentante del  Dittatore,  finche  Bertani  ne  è  Valter  ego.  Dunque    bisogna,  non  c'è  via 


'  Si  allude  alla  caduta  di  Napoli  per  opera  degli  emissari  del  Cavour. 


ISTRUZIONI  SEGRETE  E  PIANO  DEL  BORBONE  225 


di  mezzo,  fare  rappresentante  Bertani  stesso  ;  ne  il  Governo  nostro  può  rifiutarlo,  perchè 

deputato  al  Parlamento  ed  amico  di  Depretis.  Macchi,  d'altronde,    mi   dice    che   ora 

Bertani  è  in  relazione  anche  col  Re,   all'  infuori  del  Ministero.   L'  •<    Unità  Italiana  » 

di  Genova  lavora  al  solito,  male!  Ha  una  corrispondenza  da  Palermo,  che  giudica  i 

nuovi  Ministri  in  modo  stolido  e  poco  favorevole  ad  un  tempo.    Fa    giungere    i    miei 

saluti  al  maggiore  Cadolini  ed  al  capitano  Cianciolo,  e  salutami  Pisani  e  gli  altri  amici. 

Amami  e  credimi  sempre 

Tutto  tuo 

ANGELO  BARCONI 

P.  5.   -  Il    *<   Piccolo  Corriere  ^>    fa    le    difese  di  La  Farina,    ma    fu   impossibile 
trovarlo.   L'  «   Espero  >   solo  ne  parlò,  e  te  lo  mando. 


Torino,  20  luglio   1860. 
Mio  carissimo, 

11  nuovo  Ministero  ha  nomi  eccellenti.  Ma  Amari,  uomo  europeo,  doveva  essere 
agli  Esteri,  almeno  pro-forma.  Sta  bene  agli  Interni  la  capacità  di  Interdonato.  Ed  ottimo 
effetto  fa  la  presenza  di  Errante,  che  personifica  il  purismo  dell'  onestà.  La  venuta  di 
Depretis  completa  il  quadro.  E  i  buoni  effetti  già  si  vedono  nell'  essersi  Garibaldi 
mosso  da  Palermo  per  andare  al  campo  di  Medici,  a  mascherare  forse  la  prossima 
discesa  sul  continente.  Non  ho  bisogno  di  dirti  quanto  piacere  mi  faccia  il  sentirti 
accanto  al  Dittatore.  Il  generale  {Ribotti)  mi  disse  domenica,  che  sebbene  si  sia  persi- 
stito a  rifiutargli  il  visto,  voleva  partire  con  qualunque  altro  passaporto,  che  si  trovasse 
e  gli  promisi  di  trovarglielo  ;  col  mezzo  di  Minoli  glielo  avrei  trovato.  Ma  mi  levò  la 
commissione,  dicendosi  certo  di  trovarlo  a  Genova  per  se  e  per  Amos  {Ronchei). 
Invece,  sino  a  ieri  1'  altro,  non  avevano  nulla.  E  sì  che  per  fare  qualche  cosa  davvero, 
non  e'  è  tempo  da  perdere.  A  dirtela  poi  schietta  io  preferisco,  che  sia  cos).  Se  un 
altro  prende  la  direzione  di  un  moto  a  Napoli,  questo  assume  un  carattere,  passi  ancora 
la  parola,  piemontese,  e  può  trovarsi  sopra  una  linea  diversa  di  quella  su  cui  Gari- 
baldi porterebbe  il  moto  nelle  Provincie,  che  venisse  occupando.  Di  qui  una  serie  di  guai, 
tra  cui  non  ultimo  quello  di  trovarsi  paralizzati  ad  estendere  il  moto  nello  Slato  Ponti- 
fìcio, cosa  tanto  temuta  da  questi  Signori  Ministri.  Nondimeno,  nelle  Marche  ed  Umbria 
si  lavora  sempre.  Pichi,  Zambeccari  ed  Annoni  volevano  tentarvi  qualche  cosa  ;  ma 
non  possono  essere  seguiti.  Ora  si  vocifera,  che  si  tenga  pronto  Pianciani  e,  per  Dio, 
è  tempo  che  cessi  di  scrivere  per  operare  con  la  spada  !  Le  notizie  dell'  esercito  di 
Lamoricière  sono  sempre  eccellenti  :  diserzioni,  anunutinamenti,  etc...  E  quando  Gari- 
baldi compaia  sul  confine  par  certo,  che  gli  indigeni  diserteranno  in  massa  ! 

Non  mi  hai  risposto  niente  sulle  informazioni  biografiche,  che  ti  chiesi  per  Rosa- 
lino  {Pilo),  lo  vorrei  fare  una  cosa  esatta;  per  ciò  bisogna  avere  i  particolari  dalle 
persone,  che  lo  avvicinarono  nelle  diverse  epoche  della  sua  vita.  E  a  dirti  intiero  il 
mio  pensiero,  vorrei  profittare  di  questa  sua  vita  per  parlare  con  moderazione  di  forma, 

CURÀTULO  15 


226  LE  LOTTE  INTORNO  A  GARIBALDI  A  PALERMO 

ma  con  franchezza  e  senza  mezzi  termini,  dei  servizi  resi  dal  partilo  repubblicano 
all'  Italia  in  questi  ultimi  anni.  Anche  ciò  è  rendere  omaggio  alla  sua  memoria  ;  e  poi, 
è  tempo  che  si  osi  dire  la  verità.  E  vero,  che  le  Cassandre  1'  hanno  detta  ;  ma  1'  hanno 
detta  con  Hnguaggio  che  non  poteva  essere  creduto,  perchè  alla  loro  volta  non  avevano 
giustìzia  per  gli  altri  partiti.  Io  ho  cercato  e  fatto  cercare  un  ritratto  del  nostro  povero 
amico  ;  ma  fino  ad  ora  invano.  Quello  che  teneva  a  Genova,  egli  stesso,  sopra  il  tavolo, 
dove  si  trova  ?  Non  si  può  riprodurlo  ? 

Avrei  curiosità  di  sapere  come  si  condusse  e  dove  si  trova  il  conte  Capaci,  che 
era  intendente  di  Palermo  pel  Borbone.  ' 

Possiedo  il  Piccolo  Corriere  con  l' integrale  difesa  di  La  Farina,  ma  lo  avrete 
costì.  Bisogna  in  Palermo  rispondergli.  Stampare  due  colonne  a  fronte  :  la  sua  difesa  e 
le  confutazioni  ;  sprecare  qualche  centinaio  di  lire  ;  farne  un  opuscolo  ;  mandare  migliaia 
di  copie  e  venderli  a  pochi  centesimi  per  la  Sicilia.  Pare,  che  ogni  riga  meriti  una 
parola,  che  metterà  in  luce  la  sua  mala  fede.  E  vero,  che  si  tratta  ormai  di  un  uomo 
morto  ;  ma  quella  sua  difesa  è  così   riboccante  di  ingiurie  da  non  poterla  subire  in  pace. 

Mio  caro  amico,  continua  a  scrivermi  e  ricevi  un  abbraccio  dal 

Tuo  aff.mo 
ANGELO  BARGONI 

Infine,   a  meglio  illustrare  l'ambiente  di  quei  giorni  in  Palermo,  così  carico 
di  elettricità,  si  legga  la  seguente  caratteristica  lettera,  che  trascrivo  dall'originale. 

Luigi  Naselli  Flores  a  Garibaldi. 

Palermo,  li   13  giugno   1860. 

Signor  Generale, 

Il  mio  vecchio  amico  Giuseppe  Ricciardi  mi  ha  scritto  da  Genova  il  24  dello 
scorso  maggio,  mandandomi  per  lei  la  letterina,  che  troverà  qui  annessa  e  che  mi  è 
giunta  ieri  sera.  In  quella  a  me  diretta  trovai  il  paragrafo  seguente,  e  che  il  Ricciardi 
mi  ha  incaricato  di  comunicarle. 

«  Vorrei  deste  costì  la  maggiore  pubblicità  possibile  ai  motivi  che  mi  vietarono 
di  far  parte  della  spedizione  cui  mi  dolse  tanto  più  di  non  aver  potuto  partecipare, 
in  quanto  che  il  mio  nome  trovasi  a  pie  dei  Proclami  diretti  dal  Generale  agli  abitanti 
del  reame  di  Napoli.  I  miei  nemici  profitteranno  al  certo  di  cotal  fatto  per  scagliarmi 
la  pietra,  dimentichi  di  ciò  che  osai  in  Calabria  pressoché  solo  nel  1 848  e  del  duplice 
esilio  ventiquattrenne  >. 


Il  fratello  di  Rosalino  Pilo. 


ISTRUZIONI  SEGRETE  E  PIANO  DEL  BORBONE  227 


Profitto  di  questa  occasione,  signor  Generale,  per  lagnarmi  amaramente  con  lei 
dei  modi  più  che  villani,  che  ebbi  a  subire  ieri  da  parte  di  uno  dei  di  lei  commili- 
toni, colonnello  Tùrr. 

Venliquattranni  di  onesti  servizi  nell'  Amministrazione  militare  francese,  dei  quali  1 8 
attivamente  nell'  armata  di  Africa  ed  il  posto  di  Maggiore  Ispettore  alle  rassegne,  che 
occupai  nell'esercito  nazionale  siciliano,  nelle  vicende  del  1848-49,  decisero  i  miei 
amici  politici  a  confidarmi  le  medesime  funzioni  presso  questo  Intendente  Generale, 
r  ottimo  sig.  Acerbi. 

Questi  mi  diede  ieri  incarico  di  prendere  in  custodia  il  locale,  che  teste  occupava  nel 
quartiere  di  S.  Giacomo  la  Vice-Intendenza  militare  del  cessato  Governo  borbonico,  e  nel 
quale  i  regi  han  lasciato  intatti  gli  archivi  di  quell'Amministrazione  e  tutte  le  stampe,  libri 
e  registri  ed  altri  documenti  utilissimi  per  l'armata  nazionale  siciliana,  che  deve  organizzarsi. 

10  mi  sono  quindi  recato  ieri  dal  signor  Tiirr  per  domandare  la  cessione  alla 
Intendenza  di  quel  locale  da  lui  destinato  allo  Stato  Maggiore  di  uno  dei  battaglioni 
acquartierati  a  S.  Giacomo,  locale  che  ho  trovato  in  disordine. 

11  signor  Tijrr  rifiutossi  formalmente  alla  cessione  di  quel  locale,  e  rispose  villa- 
namente in  presenza  di  un  impiegato  della  sciolta  Vice-Intendenza,  che  mi  accompagnava 
e  con  parole  indegne  di  un  sedicente  Uffiziale  Generale  e  patriota. 

Tutt'  altro  men  di  me  penetrato  dei  riguardi,  che  debbonsi  a  degli  stranieri,  che 
sotto  il  di  lei  comando  han  fatto  gloriosamente  risorgere  la  pressoché  abbattuta  rivo- 
luzione siciliana,  avrebbe  risposto  per  le  rime  al  signor  Tùrr;  ma  vecchio  patriotta  a 
57  anni;  passati  nell'esilio  26  anni,  indefessamente  lavorando  per  l'italiana  rigenerazione, 
io  ho  creduto  dover  fare  atto  di  abnegazione  e  mi  sono  quindi  limitato  a  voltar  le 
spalle  al  signor  Tiirr  e  andar  via. 

Ma  siccome  so,  che  simili  disgustose  scene  hanno  già  avuto  luogo  con  altri  miei 
compatriotti,  e  che  la  riproduzione  delle  stesse  potrebbe  essere,  sopratutto  in  Sicilia,  dove 
gli  elementi  di  discordia  non  mancano,  oltremodo  nociva  alla  sacrosanta  causa  italiana,  io 
la  prego,  signor  Generale,  di  far  conoscere  al  signor  Tiirr  e  agli  altri  suoi  commilitoni, 
che  i  siciliani  non  intendono  essere  trattati  da  loro  come  popolo  conquistato 
e  che  importa  agli  uni  e  agli  altri,  che  si  usino  scambievolmente  quei  riguardi  e  quella 
moderazione,   dai  quali  e  come  italiani  e  come  patrioti  essi  non  dovrebbero  mai  dipartirsi. 

Mi  creda,  signor  Generale,  coi  sentimenti  della  più  alta  stima  e  venerazione 

Devotissimo  suo 
LUIGI  NASELLI  FLORES 

Maggiore   Ispettore 
alle  Rassegne  dell'  ElMrcilo  nazionale  siciliano. 


G.  Ricciardi  a  Garibaldi. 


Egregio  signor  Generale, 


Genova,  il  24  maggio   1860. 


Annovero  fra  i  più  gravi  dolori  della  mia  vita  quello  di  non  aver  potuto  partire 
con  lei  la  mattina  del  6  maggio,  siccome  aveva  divisato  ad    onta  dei    di    lei   consigli 


228  LE  LOTTE  INTORNO  A  GARIBALDI  A  PALERMO 

in  contrario.  Ma  ahimè  !  fui  costretto  esclamare  :  Spiritus  adest,  caro  aulem  infirma  est. 
Spero  che  il  signor  Giaccio  ed  altri  due  o  tre  da  me  incaricati  ad  hoc,  le  abbiano 
esfwsto  i  motivi,  che  mi  obbligarono  a  scendere  dal  Lombardo  alle  4  e  mezza  anti- 
meridiane del  dì  6  stante,  e  che  ella  perciò  non  sia  stata  meravigliata  di  non  trovarmi 
nella  nobile  schiera  da  lei  capitanata  con  tanta  gloria  ed  utilità  della  nostra  carissima 
Italia.  Dopo  un  quarto  di  secolo  speso  a  prò  della  sacra  causa,  dovetti,  a  cagione  delle 
deboli  forze  del  corpo,  rinunziare  ad  unire  i  miei  sforzi  a  quelli  dei  generosi  da  lei 
guidati  all'  impresa  più  bella  e  gloriosa,  che  sia  stata  mai  tentala  a  prò  della  grande 
patria  comune  !  Nella  speranza,  che  non  voglia  affatto  dimenticarmi  in  mezzo  alla  gioia 
dei  suoi  trionfi,  la  prego,  caro  Generale,  di  accogliere  i  miei  più  cordiali  saluti. 

a  RICCIARDI 

ISTRUZIONI  NAPOLETANE. 
ANNOTAZIONI  PER  S.  E.  IL  GENERALE  GARIBALDI. 

{Dall'  autografo). 

1.  -  11  governo  di  Napoli  ha  teste  spedito  in  Messina  un  giovine  ufficiale  del 
genio  Biagio  de  Benedictis  per  accrescere  le  fortificazioni  dei  forti  Gastellaccio  e 
S.  Salvatore  nei  dintorni  della  cittadella.  Questo  uffiziale  è  stato  sempre  di  patriottici 
sentimenti  ed  è  disposto  a  rendere  qualunque  servizio  alla  patria,  anche  a  prezzo  della 
sua  vita.  Egli,  partendo,  mi  ha  lasciato  un  motto  d' ordine,  che  io  le  trasmetto,  onde 
ella  possa  mettersi  prontamente  in  relazione  con  lui.  11  motto  d'ordine  è  questo:  Dieci 
giugno  milleottocentossessanta  alla  Croce  di  Malia. 

2.  -  Una  gran  parte  degli  Uffiziali  del  genio  e  dell'artiglieria  della  guarnigione 
di  Capua  vorrebbero  disertare,  se  trovassero  un  mezzo.  Questo  è  il  fiore  dell'  esercito 
e  potrebbero  rendere  i  più  grandi  servizi.  Essi  vorrebbero  con  un  suo  proclama  essere 
assicurati  dei  loro  gradi  e  della  loro  vita  :  dico  della  loro  vita,  perchè  il  Governo  ha 
diabolicamente  fatto  spargere  nelle  file  dell'  esercito,  che  ella  ha  consegnato,  loro  mal- 
grado, tutti  i  disertori  alle  autorità  napoletane.  Aspetto  questo  suo  proclama,  che  sarà 
cura  mia  di  far  pervenire  alla  sua  destinazione  :  ella  potrà  servirsi  dello  stesso  mezzo, 
che  le  porterà  questa  carta  per  inviarmelo.   Mi  dia  intanto,  istruzioni  per  questi  Uffiziali. 

3.  -  Ella  a  quest'ora  ha  già  ricevuto  degli  avvisi,  che  riguardano  la  sicurezza 
dei  suoi  preziosi  giorni  :  ora  debbo  dirle  che  due  emigrati  di  pessima  condotta.  Luigi 
Roxas  e  Antonio  Roscitto,  saranno  già  arrivati  in  Sicilia  con  sinistre  intenzioni:  essi 
probabilmente  chiederanno  di  entrare  nel  suo  esercito  :  li  faccia  strettamente  sorvegliare. 

4.  -  Ella  saprà,  a  quest'ora,  la  cattura  di  un  legno  americano  e  di  un  vapore 
sardo  a  12  miglia  da  Capo  Corso  con  volontari  italiani.  Villamarina  si  conduce  ener- 
gicamente, ma  sventuratamente  è  poco  o  nulla  appoggiato  dallo  incaricato  d'afiari  ame- 
ricano. L'avverto  intanto,  per  dichiarazioni  avute  dal  Capitano  del  legno  sardo,  che  il 
Giuda  che  ha  avvisato  il  Governo  di  Napoli  sta  a  bordo  coi  volontari,  poiché  uno 
dei  volontari  ha  tentato  fuggire,  ma  è  stato  ritenuto  dai  compagni. 


ISTRUZIONI  SEGRETE  E  PIANO  DEL  BORBONE  229 

5.  -  li  Governo  di  Napoli  ha  già  ordinato  una  formidabile  spedizione  contro  la  Sicilia  : 
saranno  due  corpi  di  20  mila  uomini  ciascuno,  comandati  forse  dal  generale  Pianell, 
quello  famoso  degli  Abruzzi.  Bosco  è  stato  fatto  colonnello,  per  non  so  che  bravura, 
ed  ha  il  comando  di  tre  battaglioni  cacciatori,  i  movimenti  sono  diretti  da  Napoli  dal 
generale  Filangieri  ;  il  generale  Clary,  distintosi  per  gli  eccidi  di  Catania,  è  stato  fatto 
Maresciallo  di  Campo.  Le  guardie  urbane  del  Continente  sono  state  mobilizzate.  La 
indisciplina  nelle  truppe  è  giunta  al  colmo  :  queste  minacciano  di  massacrare  i  loro 
Ufiìziali,  che  riguardano  come  traditori.  Avant'  ieri  un  Aiutante  maggiore  del  1 3"  cac- 
ciatori disse  al  suo  battaglione,  ordinato  nel  quartiere  :  Figliuoli,  è  cenulo  il  tempo  di 
arricchirsi!  Non  e'  è  da  fidare  in  truppe  simili. 

6.  -  Le  trasmetterò,  se  Io  crede  opportuno,  una  memoria  sulla  fortezza  di  Capua, 
che  è  formidabile  ed  è  posta  sulla  strada  di  Napoli  ;  elaborata  da  Uffìziali  del  genio 
ed  artiglieria  :  vi  è  indicato  il  modo  di  attacco  ed  i  punti  deboli  della  piazza.  Me  ne 
scriva  e  l' avrà  subito. 

7.  -  Ho  creduto  di  conservare  l'anonimo,  ma  avrà  tutte  le  assicurazioni  possibili  dal 
porgitore.  Del  resto,  se  lo  crede,  non  esiterei  a  dire  il  mio  nome.  La  prego  di  scrivermi 
per  lo  stesso  mezzo  e  darmi  istruzioni,  se  lo  crede  diriga  al  signor  Giorgio  Valenti. 

P.  S.  -  Il  Governo  napoletano  mette  in  libertà  tutti  i  facinorosi  e  quelli  di  Favi- 
gnana  e  li  getta  sulle  coste  della  Sicilia,  sperando  di  provocare  il  disordine  e  l'anarchia. 


ANNOTAZIONI  SULLE  CONDIZIONI  DI  NAPOLI  E  DELLA  CALABRIA. 
AL    GENERALE    GARIBALDI. 

{Dall'autografo). 

20  giugno   1860. 

Le  condizioni  del  Reame  napoletano  sono  in  gran  parte  diverse  da  quelle  della 
Sicilia.  In  questa,  il  movimento  rivoluzionario  ha  potuto  concentrare  nei  dintorni  di 
Palermo,  luoghi  montuosi,  epperò  di  convenienti  posizioni,  e  popolarli  di  uomini  armi- 
geri. Napoli,  per  contrario,  è  circondata  quasi  interamente,  da  pianure  abitate  da  popoli 
piuttosto  molli.  Questa  differenza  fa  che  nel  Continente  la  insurrezione  dovrà  più  lun- 
gamente durare,  perchè  l' onda  rivoluzionaria  si  porti  dalle  provincie  sulla  capitale,  la 
conquista  della  quale  deve  decidere  il  trionfo. 

Nelle  Provincie  la  gran  maggioranza  dei  liberali,  stanchi  tutti  della  persecuzione 
del  Governo,  ha  accettata  l' idea  dell'  unità  italiana,  per  modo  che  oltre  gli  uomini 
guasti  dai  favori  del  potere,  non  si  ha  ora  che  il  solo  partito  annessionista,  niuno  pre- 
stando più  fede  ad  una  dinastia  avvezza  allo  spergiuro  ed  essendo  caduta  quasi  inte- 
ramente la  vecchia  aspirazione  murattiana.  Nella  capitale  poi  la  presenza  della  Corte, 
i  suoi  immediati  favori,  han  corrotto  o  cattivato  un  maggior  numero  di  creature  ;  ed 
il  pregiudizio  che  Napoli  non  debba  divenire  città  di  provincia  aliena  pure  dalla  causa 
italiana  alcune  menti  volsari. 


230  LE  LOTTE  INTORNO  A  GARIBALDI  A  PALERMO 

Il  Comitato  napoletano  è  in  comunicazione  con  quelli  delle  provincie  e  vi  eser- 
cita la  sua  influenza.  Ha  mediocri  mezzi  di  stampa,  scarso  di  denaro.  Le  Puglie,  volon- 
terose, non  possono  nella  loro  parte  piana  prestare  la  loro  opera  che  per  diversioni, 
perchè  troppo  esposte  all'  azione  della  cavalleria. 

Le  altre  provincie  sono  abbastanza  disposte  al  movimento,  ma  quelle  di  Basilicata, 
Salerno  e  delle  due  prime,  Calabria  sopra  tutto,  sono  pronte  ad  iniziarlo. 

La  provincia  di  Cosenza  offre  come  sicuri  1300  uomini,  800  già  provveduti  di 
armi  da  caccia,  oltre  quelli  che  si  riunirebbero,  appena  che  il  movimento  fosse 
cominciato.  Sarebbe  necessario  un  buon  numero  di  armi  per  le  Calabrie,  ma  si  aspet- 
tano le  notizie  opportune  per  fare  conoscere  il  punto  preciso  in  cui  potrebbero  essere 
ben  ricevute. 

La  provincia  di  Basilicata,  più  animosa,  offre  d' iniziare  il  movimento  e  non  chiede 
ne  armi,  ne  denaro.  Quella  di  Salerno  crede  poter  disporre  di  3000  uomini  armati 
e  risoluti  ;  ha  in  cassa  4000  ducati  e  ne  domanda  altri  1 200  per  potersi  mantenere 
10  o  13  giorni.  Il  contado  di  Molise,  il  Principato  ulteriore,  Benevento  e  la  parte 
montuosa  della  Puglia  accorrerebbe,  con  tutti  i  mezzi,  alla  insurrezione.  Le  altre 
parti  la  seconderebbero  almeno  con  fatti  parziali  e  con  dimostrazioni  inermi.  Dovunque 
gli  insorti  cercherebbero  di  impadronirsi  delle  casse  pubbliche  per  mantenersi,  rispet- 
tando la  proprietà  privata. 

Generalmente,  si  dichiara  che  sia  imprudente  di  far  cominciamento  alla  insurre- 
zione senza  preventivo  largo  soccorso  di  denaro. 

Nella  capitale  vi  è  un  nucleo  rivoluzionario  abbastanza  bene  disciplinato  e  risoluto, 
che  le  sinistre  tradizioni  della  plebe  ed  i  rigori  della  poHzia  hanno  finora  impedito 
di  ampliare  ;  ma  è  sperabile  che  cominciata  la  insurrezione  se  ne  allargherebbe  di 
molto  la  sfera.  Nei  Comuni  circostanti  si  ha  un  buon  numero  di  gente  pronta  ad 
accorrere.  In  generale  si  difetta  di  armi,  e  sarebbero  circa  2000  fucili.  II  punto 
preciso  dove  questi  dovrebbero  sbarcare  sarà  fatto  noto  col  primo  mezzo  al  Comitato 
di  Genova. 

Su  queste  notizie  gettate  in  carta,  così  in  fretta,  si  vuol  sapere  dal  magnanimo 
Eroe,  destinato  dalla  Provvidenza  a  compiere  la  redenzione  d'  Italia  quando  il  movi- 
mento debba  incominciare  e  qual  piano  debba  seguirsi. 

Non  sarà  superfluo  il  far  noto,  che  dal  Comitato  di  Genova  si  fa  sperare  come 
prossimo  l'arrivo  in  Napoli  di  taluni  capi  militari,  che  potrebbero  dirigere  le  bande 
insorte  fino  allo  sbarco  delle  spedizioni. 

Con  altro  rapporto  si  farà  sapere  tutto  quello,  che  si  potrà  conoscere  intorno  ai 
movimenti  delle  armi  regie  ed  i  loro  piani  di  difesa. 

P.  S.  -  Dopo  la  presente  relazione  ci  si  è  fatto  sapere  che  le  Calabrie,  princi- 
palmente quelle  di  Cosenza  e  Catanzaro,  non  solo  sono  pronte  ad  insorgere,  ma  non 
possono  ritardare  il  movimento  senza  pericolo  delle  persone,  già  entrate  in  troppo 
grave  compromissione  verso  il  Governo. 


ISTRUZIONI  SEGRETE  E  PIANO  DEL  BORBONE  231 


Le  armi  di  cui  avrebbero  bisogno,  oltre  quelle  che  già  hanno,  cioè  4000  fucili 
circa  colle  corrispondenti  munizioni,  dovrebbero  essere  trasportate  al  più  presto  alla 
marina  di  S.  Eufemia,  nel  golfo  dello  slesso  nome. 

I  molti  Comuni  della  Terra  di  Lavoro  e  buon  numero  di  uomini  sono  pronti  a 
prendere  le  armi  ed  a  correr  sia  nelle  altre  provincie,  dove  già  fosse  cominciata  la 
lotta,  sia  alla  Capitale.  Per  essi  e  per  Napoli  sono  indispensabili  almeno  2000  fucili, 
che  dovrebbero  essere  trasportati  alla  spiaggia  fra  le  Sancta  di  Satria  '  e  quelle  di 
Castel  Volturno,  e  propriamente  in  un  punto  intermedio,  ma  più  vicino  a  Satria,  dove 
è  un  Casino  del  Re  molto  visibile  a  chi  viene  dal  mare. 

Quelle  Sancta  di  cui  si  parla  sono  poste,  1'  una  sulla  foce  del  lago  di  Satria,  l'altra 
su  quella  del  Volturno,  e  il  punto  dello  sbarco  è  precisamente  presso  la  foce  dei  regi 
laghi,  là  dove  mette  capo  una  strada  per  le  carrette.  L' approdo  dovrebbe  avvenire 
sul  cadere  del  giorno,  perchè  si  abbia  il  tempo  di  caricare  i  carretti  e  giungere  al 
luogo  del  deposito,  prima  che  spunti  il  nuovo  sole.  Dovremmo  essere  avvertiti  dell'arrivo, 
almeno  tre  giorni  innanzi,  per  apprestare  i  mezzi  di  trasporto  e  far  trovare  sulla  spiaggia 
un  uomo,  il  quale  agiterà  un'  asta  con  sopra  un  cappello  bianco  nelle  ore  del  giorno, 
ed  un  lume  in  quelle  della  notte,  facendo  piegare  sempre  un  po'  più  verso  il  punto 
in  cui  la  nave  deve  approdare  ;  quando  questa  sarà  entrata  nella  direzione,  l'asta  sarà 
agitata  m  senso  verticale  e  finalmente  piantata  a  terra. 

Nel  precedente  rapporto  si  omise  far  motto  degli  Abruzzi,  perchè  le  relazioni  in 
quella  linea  erano  ancora  monche  ;  ma  ora  taluni  uomini  stanno  per  partire  colla  mis- 
sione di  stabilirle  più  strettamente.  Si  crede,  che  talune  bande  sieno  quivi  insorte,  sebbene 
ancora  poco  numerose  ;  ma  la  notizia  dovrebbe  essere  confermata. 

Si  buccina  che  due  Napoletani,  i  quali  hanno  combattuto  in  Lombardia  con  brevetto 
del  Generale  Garibaldi,  corrotti  ora  dal  Governo,  canno  in  Sicilia  ad  attentare  ai 
giorni  dell'  Eroe. 

I  rigori  del  potere  rendono  difficile  anche  il  raccogliere  denaro.  Ciò  non  pertanto, 
qui  ve  ne  ha  abbondantemente  per  la  cospirazione,  ma  quasi  nulla  per  mantenere  le  bande 
armate  dopo  le  insurrezioni;  le  quali  mancheranno  di  mezzi,  se  le  casse  pubbliche, 
di  cui  cercheranno  d' impadronirsi,  non  ne  forniranno  abbastanza. 

Sono  alle  dette  bande  indispensabili  i  capi  militari,  e  la  Basilicata  sopra  lutto  li 
domanda,  come  condizione  sine  qua  non.  11  Bertani  li  aveva  promessi,  ma  non  li  ha 
spedili. 

Per  quanto  si  è  potuto  sapere,  il  Governo  prepara  una  spedizione  di  24.000 
uomini  per  la  riconquista  della  Sicilia  da  parte  di  Messina,  secondo  un  piano  che  si 
attribuisce  al  colonnello  Luigi  Cianculli. 

La  spedizione,  secondo  la  voce  più  accreditala,  dovrebbe  essere  comandata  dal 
generale  Nunziante,  Duca  di  Mignano. 

IL  COMITATO  SUPERIORE  NAPOLETANO 


'  Chiamansi  Sancta  in  quelle  contrade  alcuni  luoghi  boscosi. 


232  LE  LOTTE  INTORNO  A  GARIBALDI  A  PALERMO 


PIANO    DEL    BORBONE. 
{Dall'  aulografo) . 

Annolazioni.  —  Il  Re  ha  scritto  una  lettera  a  Lamoricière  per  domandargli  un 
abboccciinento  a  Terracina  o  a  Gaeta  e  sottomettergli  un  piano  militare,  il  quale  consiste 
nella  divisione  del  Regno  di  Napoli  in  cinque  grandi  comandi  superiori:  1°,  a  Napoli, 
2",  ad  Aquila  e  Campobasso,  3°,  a  Vierti  e  Taranto,  4",  in  Calabria,  con  colonne 
volanti  all'  uso  arabo,  5",  in  Sicilia. 

La  Marina  bloccherà  Palermo  ;  per  terra  ó.CXX)  uomini  sortiranno  da  Messina 
per  avanzarsi  verso  Cefalìi  fino  a  Termini  ;  6.000  uomini  sbarcheranno  a  Marsala 
marciando  sopra  Salemi  ;  dove  giunti,  si  divideranno  in  due  colonne.  La  prima  pren- 
derà a  sinistra  verso  Trapani  ;  la  seconda  seguirà  la  riviera  bellica,  fino  a  che  abbia 
potuto  congiungersi  colla  colonna  uscita  da  Messina. 


Oltre  che  da  Napoli,  arrivavano  a  Garibaldi  inviti  ed  istruzioni  segrete 
dalla  Calabria,  scritte  su  pezzi  di  carta  con  caratteri  piccolissimi.  Ne  trascrivo 
qui  alcuni. 

IL  COMITATO  DI  CALABRIA  CITERIORE 
ALL'  EROE  ITALIANO  GIUSEPPE  GARIBALDI,  SALUTE. 

(Dall'  autografo). 

Cosenza,  7  giugno  1860. 
Signor  Generale, 

Il  popolo  della  Calabria  citeriore  fin  dal  principio  della  guerra  d' indipendenza, 
la  cui  storia  porterà  in  cima  il  Vostro  nome  e  lo  rimanderà  ai  più  tardi  nepoti,  quale 
simbolo  d' indescrivibile  patriottismo,  di  virtù  incontaminata,  di  sublime  disinteresse, 
di  eroici  sacrifici,  di  sovrumano  ardire,  ha  durato  gli  sforzi  più  terribili  dovendo  lan- 
guire in  una  inerzia  incompatibile  con  cuori  ferventi  e  volontà  decise  a  sacrificare 
tutto  pel  bene  della  Patria.  Senza  sgomentarsi  però,  dietro  la  pace  di  Villafranca, 
tutti  gli  sforzi  diresse  allo  scopo  di  preparare  il  movimento,  che  deve  por  termine  ai 
dolori  d'  Italia,  ed  ha  motivo  di  rallegrarsi  dell'  opera  sua.  Allorché,  in  novembre 
ultimo,  il  vostro  slancio  patriottico  venne  fatalmente  impedito  e  distolto,  ritenete  che 
il  vostro  sacrificio  fu  da  noi  pienamente  diviso  !  Non  ci  fu  ignoto  fin  dal  principio, 
che  da  noi  si  aspettava  una  scossa  potente  e  decisiva  pei  destini  della  Penisola  ;  e 
questo  riguardo,  unito  alla  tema  di  attraversare  io  svolgimento  di  essi,  calmò  il  nostro 


ISTRUZIONI  SEGRETE  E  PIANO  DEL  BORBONE  233 

entusiasmo.  Nulladìmeno,  senza  desìstere  dalla  iniziata  impresa,  raddoppiammo  le 
premure  ai  nostri  capi  di  Napoli  per  procurarci  uno  sbarco  di  uomini,  di  armi  e 
munizioni  e  almeno  disporre,  che  una  parte  delle  altre  provincie  del  continente  napo- 
letano concorresse  al  moto.  Poteva  in  tal  caso  supplirsi  al  difetto  di  uomini  istrutti 
al  mestiere  delle  armi,  ma  non  mai  a  quello  degli  altri  mezzi  necessari  ed  indispen- 
sabili. Le  calde  nostre  preghiere  restarono  per  allora  non  appagate  ;  ci  si  raccomandò 
di  attendere  fiduciosamente  il  segnale  ;  appianate  talune  difficoltà  della  politica  europea 
r  insurrezione  della  prode  ed  eroica  Sicilia  ci  ha  reso  impazienti  ;  ma  coli'  animo  deli- 
berato a  procurare  il  vero  bene  d' Italia  abbiamo  fatto  pervenire  il  nostro  appello  a 
Napoli,  Salerno,  Basilicata  e  nelle  due  altre  Calabrie.  Fin  d'allora  abbiamo  vissuto 
giorni  di  supplizio  e  di  morte!  L'incertezza  della  sorte  dei  fratelli  dell'isola  prima, 
poi  qualche  disaccordo  intorno  alla  opportunità  del  moto  tra  noi  e  le  altre  provincie, 
e  la  permanenza  del  difetto  di  mezzi,  fra  i  quali  non  ultimo  quello  di  Capi  militari, 
accrebbe  e  va  perpetuando  lo  strazio  del  nostro  cuore. 

Il  vostro  arrivo  in  Sicilia  fu  1'  eco  del  riscatto  italiano.  Non  sono  cessate,  è  vero, 
le  titubanze  delle  confinanti  provincie;  ma  una  vostra  parola  basterà  a  scuotere  tutti 
ed  armonizzar  tutti.  Fin'  ora  ci  è  stato  impossibile  accogliere  da  Voi  tale  oracolo  ; 
speriamo  che  ora  ci  arrida  miglior  fortuna.  Vi  sono  noti  i  nostri  bisogni,  le  nostre 
condizioni;  a  Voi  non  rimane  che  disporre  di  noi.  Una  sola  vostra  parola,  un  solo 
accento,  una  promessa  sola;  e  noi  siam  pronti  ad  affrontare  qualunque  sacrifizio! 

Il  vostro  cuore  magnanimo  non  esiterà  un  istante  di  interessarsi  alla  sorte  di 
sventurati,  ma  volonterosi  italiani.  L' Eroe  di  Varese  non  fu  mai  sordo  al  grido  del 
dolore  !  Vi  offriamo  da  questo  medesimo  istante  la  Dittatura  :  assumetela  con  quella 
di  Sicilia  e  disponete  di  noi.  Qui  non  vi  sono  orecchie,  che  per  accogliere  il  grido 
d'Italia  e  Vittorio  Emanuele!  Non  altre  aspirazioni  che  le  unitarie;  e  Voi,  la  più 
salda  speranza  d' Italia,  siete  l' arbitro  dei  nostri  cuori. 

IL  COMITATO  DELLA  CALABRIA  CITERIORE 
A   Sua  Eccellenza 

il  Generale  Giuseppe  Garibaldi 

Dillalore  della  Sicilia 

Palermo 

AL  GENERALE  GIUSEPPE  GARIBALDI 
IL  COMITATO  DELLA  CALABRIA  CITERIORE,  SALUTE. 

{Dall'  autografo). 

9  giugno   1860. 

Da  due  giorni  è  qui  cominciato  il  mobilizzamento  della  guardia  urbana.  1  diversi 
contingenti  sono  per  lo  più  formati  dai  congedati  dell'  armata. 

Nella  Basilicata  si  stava  facendo  la  stessa  cosa  sin  da  ieri  l'altro.  S' ignora  che  cosa 
succederà  di  questa  agglomerazione  di  forza.   Da  alcuni  si  pretende,  che  si  destini  a 


234  LE  LOTTE  INTORNO  A  GARIBALDI  A  PALERMO 

guardia  del  littorale.  Da  altri  alla  custodia  di  Cosenza.  E  tutta  gente  malissimo  armata,  per 
la  maggior  parte  mal  contenta,  e  solo  fra  i  congedati  offre  qualche  elemento  pericoloso. 

Nella  nostra  Provincia,  le  coste  dell'  Jonio  sono  già  munite  di  cordone  marittimo, 
il  quale  è  fornito  degli  urbani,  che  vi  attendono,  e  da  una  compagnia  di  soldati  del 
12°  linea  e  di  un'altra  compagnia  di  gendarmi,  la  quale  nello  stesso  tempo  presta 
molti  altri  servizi.  Neil'  Jonio,  Cariati,  Rossano  e  Corogliano  offrono  più  facilitazioni 
per  uno  sbarco. 

In  Cosenza  il  presidio  è  di  tre  compagnie  del  12",  una  compagnia  di  gendarmi 
e  di  squadriglie,  specie  di  briganti  in  uniforme,  che  ammontano  a  circa   150. 

Nella  marina  del  Tirreno  ancora  non  vi  è  cordone,  ma  forse  si  metterà.  Non  vi  è 
truppa  di  linea,  ma  solo  dotazioni  di  gendarmi  in  piccolo  numero. 

Per  uno  sbarco  nel  Tirreno,  Paola  offrirebbe  la  maggiore  facilitazione.  Poscia 
Sant'  Eufemia,  o  Marina  di  Nicastro,  nella  provincia  di  Catanzaro,  e  quindi  Sapri  in 
quella  di  Basilicata.  Ma  dovrebbesi  sempre  preferire  Paola,  perchè  offrirebbe  una 
strada  rotabile,  molte  barcaccie  per  lo  sbarco,  molti  carri  e  carretti  pel  trasporto  del 
materiale,  e  molte  bestie  da  soma  per  quello  dell'  artiglieria. 

IL  COMITATO  DELLA  CALABRIA  CITERIORE 

Il  documento  che  segue  è  uno  scritto  clandestino  emanato  dal  Comitato 
Centrale  di  Napoli,  che  era  in  continua  relazione  col  Bertani  e  con  Garibaldi. 
Questo  Comitato  aveva  per  motto  la  parola  "  Ordine ,, ,  impressa  su  tutti  i  proclami. 

Ordine. 

COMITATO    CENTRALE    DI    NAPOLI. 

{Dall'  autografo). 

Un  avvenimento  importantissimo  si  prepara.  Esso  è  tale  da  destare  entusiasmo 
anche  nei  sassi.  Capitanato  da  uomini  conosciutissimi,  non  si  deve  lasciarlo  solo.  Non 
possiamo  indicarvi  il  luogo  ;  ma  le  notizie  vi  arrivano  prima  di  noi  ;  accorrete  con 
tutte  le  forze,  qualunque  siano  le  armi.  Terrete  preparati  due  o  almeno  un  messo  riso- 
luto, intelligente  abile,  il  quale  si  recherà  sul  luogo  dell'  avvenimento,  presentandosi  a 
Wilson  {Fanelli)  in  nome  di  Hudson  e  di  Falanza.  Se  avete  notizie  del  fatto  prima, 
che  vi  fosse  partecipato  da  noi,  agirete  con  forza  e  ce  ne  avviserete  celerissimamente. 
Vi  facciamo  tenere  il  segno  per  essere  riconosciuti. 

* 
*      * 

Per  r  interesse  storico  che  hanno,  credo  utile  qui  trascrivere  dalle  rare  stampe 
di  queir  epoca  da  me  raccolte,  alcuni  proclami,  istruzioni,  bollettini  della  rivo- 
luzione, emanati  nel  '60  dal  Comitato  Unitario  Nazionale. 


ISTRUZIONI  SEGRETE  E  PIANO  DEL  BORBONE  235 


COMITATO  UNITARIO  NAZIONALE 


Concitladini  ! 

Una  classe  di  politici  senza  forte  fede  politica,  e  senza  forti  aspirazioni  nazionali, 
v'  inculcò  r  inerzia  ne'  silenzi  di  una  fiera  servitù  e  siegue  stolidamente  ad  insinuarla 
oggi  che  fatti  magnanimi  sovrastano  e  santi  doveri  e*  incalzano  ad  agire. 

Se  non  che  il  genio  del  popolo  in  due  parole,  Garibaldi  e  Vittorio  Emanuele, 
di  già  comprese  la  vitale  quistione  del  giorno,  determinando  e  mezzo  e  fine. 

Al  presente  la  classe  medesima,  devota  ad  uomini  la  cui  incapacità  non  è  ugua- 
gliata che  dalla  cieca  e  forsennata  ambizione,  si  studia  a  tutta  lena  di  disseminare 
discordie  e  calunnie,  per  raccogliere  fiacchezza  e  servitù,  che  ne  sono  le  inevitabili 
conseguenze. 

Concittadini  ! 

Voi  deste  l' iniziativa  ;  il  vostro  martirio  ha  ingigantito  la  lotta  ;  debito  nostro  è 
compiere  la  gloriosa  impresa  :  siate  fidenti. 

L'  aiuto  de'  nostri  giungerà  d'  ora  in  ora.  Ma  1'  onor  nostro  comanda  non  aspettar 
tutto  d'  altrui.  Date  prove  adunque,  di  saper  combattere  e  vincere  da  soli. 

Ecco  il  nostro  programma  : 

Unità  —  Respingete  ogni  altra  combinazione  politica  :  rigettate  ogni  concessione 
che  l'attraversa. 

Libertà  —  Emancipatevi  dalla  trepidante  scuola  degli  evirati  politici,  e  scher- 
nite le  paure,  che  questa  scuola  vi  predica  tuttodì. 

Sovranità  della  Nazione  —  Il  paese  salvi  il  paese  ;  la  forza  collettiva  rivendichi 
i  suoi  diritti  imprescrittibili.  Il  paese  si  costituisca  in  nome  di  questo  dritto;  elegga  a  Re 
dell'  Italia  ringiovanita  e  forte  VITTORIO  EMANUELE,  col  trono  nell'  eterna  città  di  Roma. 

Napoletani  !  Italiani  d' ogni  provincia  !  perseverate  sotto  la  nostra  bandiera,  gareg- 
giate ed  attuate  il  nostro  programma,  e  ben  tosto  sarete  potenti  ed  invidiati. 

Il  Comitato  Unitario  Nazionale  rifugge  dal  mal  vezzo  di  metter  fuori  una  colluvie 
di  programmi  ed  ordini.  Queste  parole  sono  il  complesso  di  tutte  le  sue  aspirazioni. 
I  fatti  diranno  il  resto  col  linguaggio  più  convincente. 


IL  COMITATO  UNITARIO  NAZIONALE 


COMITATO  AZIONE 
UNITARIO    NAZIONALE 


ALLA  GUARDIA   NAZIONALE  DI  NAPOLI 


Giovani  della  Guardia  Nazionale  ! 

ì  momenti  sono  solenni:  voi  siete  chiamati  a  compiere  un  santo  dovere;  gli  sguardi  e  le 
speranze  di  tutti  sono  rivolti  su  di  voi,  e  voi  non  mancherete  a  voi  stessi,  all'onore,  alla  patria. 


236  LE  LOTTE  INTORNO  A  GARIBALDI  A  PALERMO 

Una  dinastia  esecrata,  cui  furono  gioja  le  nostre  sventure  ;  una  dinastia  che  la 
civiltà  ha  posta  in  bando,  che  si  è  pasciuta  delle  nostre  lagrime,  che  ha  torturato  i 
migliori  fra  i  nostri  cittadini  e  bombardate  le  più  belle  nostre  città,  una  dinastia  il  cui 
nome  sarà  in  tutte  le  lingue  sinonimo  di  crudele,  oggi  si  precipita  alla  fuga  fuori  di 
questo  Eden  d'  Italia  dinanzi  al  lampo  della  spada  di  Garibaldi,  arcangelo  di  guerra. 

Serrate  le  vostre  file,  e  con  calma  e  fermezza  difendete  le  sostanze  e  1'  onore  dei 
cittadini  ;  accogliete  fra  le  vostre  braccia  quei  soldati  che  si  ricordano  di  essere  italiani, 
e  siate  pronti  a  qualunque  evento. 

L' inevitabile  tempo,  il  giorno  supremo  è  giunto  pe'  Borboni  di  Napoli.  La  rivo- 
luzione spazza  la  mala  pianta  che  si  adagia  su  questa  terra  :  il  mondo  civilizzato  accoglie 
con  gioia  la  lieta  novella,  e  ci  augura  migliori  destini. 

Mostriamo  dunque  al  mondo,  che  noi  siamo  degni  della  libertà  e  degli  alti  destini 
a  cui  aspiriamo. 

Propugnate  il  grande  pensiero  unitario,  che  è  l'espressione  del  paese.  Siate  baluardo 
incrollabile  contro  qualunque  attentato  di  sfrenatezza,  e  scudo  alla  proprietà  ed  alla 
vita  dei  cittadini. 

Non  a  caso  usiamo  a  voi  un  tale  linguaggio.  Gli  avvenimenti  marciano  più  rapidi 
delle  nostre  speranze  ;  la  soluzione  è  vicina.  Calmi  ma  fermi,  ma  irremovibili,  uniamoci 
tutti  in  un  sol  volere,  in  un  sol  grido  :  Viva  l'unità  d'Italia,  viva  Vittorio  Emanuele  re 
d' Italia,  viva  il  Dittatore  Garibaldi  ! 

Napoli,  26  agosto. 

IL  COMITATO  UNITARIO  NAZIONALE 


ALL'ESERCITO    NAPOLETANO 


Ufficiali,  Sotto  Ufficiali,  Soldati  tutti! 

A  voi  che  ancora  potete  intenderci,  per  1'  ultima  volta  stendiamo  fraternamente 
la  mano  in  questi  supremi  momenti.  Voi  mostrate  di  essere  valorosi,  ed  ogni  volta  che 
i  soldati  napoletani  hanno  combattuto  per  una  causa  santa  furono  eroi  ;  Venezia,  Goito, 
e  Curtatone  ricordano  mirabili  fatti.  Noi  abbiamo  ancora  fiducia,  che  fra  poco  voi  schierati 
sotto  il  vessillo  dell'  unità  d'  Italia,  al  fianco  degli  altri  fratelli  italiani,  pugnerete  le  sante 
battaglie  della  patria  ed  eternerete  il  vostro  nome. 

Il  nostro,  il  vostro  paese  ha  bisogno  di  voi  ;  1'  Italia  tutta  vi  apre  le  braccia,  e 
Venezia  memore  de'  valorosi  guidati  dall'  immortale  generale  Pepe,  vi  aspetta  e  spera 
da  voi. 

Fra  voi  evvi  massima  parte,  che  sente  tutta  la  santità  della  causa  eppure  non  osa 
distrigarsi  da  una  rete  di  soprusi,  di  violenze,  d' inganni  e  di  spie  di  cui  il  Borbone 
vi  circonda.   Molti  fra  voi  temono  compromettere  la  futura  esistenza  delle  loro  famiglie  ; 


ISTRUZIONI  SEGRETE  E  PIANO  DEL  BORBONE  237 

e  noi  a  questi  precipuamente  ci  rivolgiamo,  assicurandoli  che  siano  fidenti,  e  che  noi 
stendiamo  loro  la  mano  lealmente,  come  si  fa  tra  fratelli,  tra  figli  d'una  medesima 
madre:  che  come  sacre  stimiamo  le  sostanze  dei  cittadini,  così  vi  promettiamo  di 
garantire  e  tutelare  e  serbare  le  vostre  condizioni.  Nei  soldi  vostri,  nei  vostri  gradi, 
nel  ruolo,  nelle  pensioni,  infine  negli  emolumenti  tutti  voi  sarete  rispettati. 

Confortate  dunque  le  vedove,  gli  orfanelli,  confortate  gli  onorevoli  vecchi  militari 
e  fate  che  tutti  confidino  in  noi. 

Fate  che  non  si  versi  più  sangue  fraterno  ;  non  vi  opponete  alla  vittrice  spada  di 
Garibaldi  ;  unitevi  a  lui  ed  avrete  la  vostra  parte  nel  grande  riscatto  d' Italia. 

Siate  nostri  fratelli,  unitevi  a  noi  nel  pensiero  unitario,  nelle  aspirazioni  di  28  milioni 
di  Italiani  e  formeremo  tutta  una  famiglia  sotto  il  re  galantuomo  Vittorio  Emanuele. 

Con  Vittorio  Emanuele  e  Garibaldi  alla  testa,  noi  saremo  padroni  dei  nostri  destini 
e  rispettati  da  tutte  le  potenze. 

Viva  r  unità  d' Italia,  \>i\)a    Vittorio  Emanuele,  vioa  il  Dittatore  Garibaldi  ! 

Napoli,  26  agosto. 

IL  COMITATO  UNITARIO  NAZIONALE 


COMITATO  AZIONE 
UNITARIO   NAZIONALE  Dal  Bosco  di  Vandra ,  27  agosto   1860. 


PROCLAMA 


Popoli  della  Campania  ! 

Vi  sono  de'  momenti  in  cui  il  fremito  delle  battaglie  echeggia  di  rupe  in  rupe, 
di  città  in  città,  ed  arma  il  braccio  de'  più   renitenti. 

Chi  non  sente  quella  voce  è  un  sciagurato  che  merita  commiserazione,  perchè 
Dio  degradò  la  sua  natura. 

Giuseppe  Garibaldi  evocò  il  genio  della  vittoria,  e  ricordò  agli  Italiani  che  in 
essi  fremeva  la  grande  anima  di  Roma. 

Chiunque  può  armare  il  braccio  di  un  ferro,  ci  segua. 

Noi  li  condurremo  alla  vittoria,  perocché  un  ordine  imperscrutabile  di  cose  conduce 
necessariamente  alla  vittoria  un  popolo,  che  vuol  diventare  ncizione  al  cospetto  del  mondo 
e  che  costante  combatte  per  questo. 

E  r  Italia  sarà  ! 

Vioa  /'  unità  d' Italia,  viva   Vittorio  Emanuele,  viva  il  Dittatore  Garibaldi  ! 

COMANDO  DELLA  LEGIONE  CACCIATORI  DEL  VESUVIO 


238  LE  LOTTE  INTORNO  A  GARIBALDI  A  PALERMO 

COMITATO  AZIONE 
UNITARIO   NAZIONALE 

BOLLETTINO   DELLA   RIVOLUZIONE 


N.  9    —    28    agosto. 

Dall'  Indipendente  di  Messina  : 


Messina,  26  agosto. 


il  generale  Sirtori  riceve  in  questo  momento  il  seguente  dispaccio  dal  Dittatore: 
Le  due  brigale  :  Melendez  e  Briganti  si  sono  arrese  a  discrezione.  Siamo  padroni 
delle  loro  artiglierie,  armi,  animali,  materiali,  e  del  forte  del  Pizzo. 

G.  GARIBALDI 

11  Comandante  militare  della  provincia  di  Messina,  Nicola  Fabrizi,  riceve  in  questo 
momento  il  seguente  dispaccio  dal  Dittatore  : 

Palmi,  25   agosto    1860. 

La  nostra  marcia  è  un  trionfo,   le  popolazioni  sono  frenetiche:  le   truppe  regie  si 

sbandano. 

G.  GARIBALDI 

Viva  l'unità  d'Italia,   cica   Vittorio  Emanuele,  cica  il  Dittatore  Garibaldi! 

IL  COMITATO  UNITARIO  NAZIONALE 

COMITATO  AZIONE 
UNITARIO   NAZIONALE 


BOLLETTINO  DELLA   RIVOLUZIONE 


N.    10    —    28    agosto. 

//   Governo  Pro-Dittatoriale  Lucano  al  Comitato  Unitario  Nazionale  di  Napoli. 

VITTORIO   EMANUELE  RE  D' ITALIA 
II  Generale  Garibaldi  -  Dittatore    delle    Due    Sicilie 


//  Governo  Pro-Dittatoriale  Lucano 


ORDINA 


Art.    I .   —  L'Amministrazione  generale  della  provincia  è  affidata  ad  una  Giunta 
centrale  di  amministrazione. 


ISTRUZIONI  SEGRETE  E  PIANO  DEL  BORBONE  239 

Art.  2.   —  La  Giunta  suddetta  sarà  composta  di  sette  direttori  e  di  un  Presidente. 
Art.  3.   —  1  sette    direttori    sono    Capi    di    altrettanti    offici,  e  ciascuno    avrà  un 
aggiunto  di  sua  scelta  ed  un  corrispondente  numero  d' impiegati. 
Art.  4.   —   Saranno  incombenze 

del  primo  officio  : 

Guerra  —  Forza  pubblica  —  Guardie  nazionali  —  Armi  —  Munizioni  —  Alloggi  — 
Barricate  —  Telegrafi   —  Spedali  militari  —  Ambulanze  ; 

del  secondo  officio  : 

Finanze  —  Esazione  di  ogni  natura  —  Offerte  —  Prestito  nazionale  —  Dazi  diretti 
ed  indiretti  —  Poste  e  procacci  ; 

del  terzo  officio  : 

Sicurezza  pubblica  —  Giornale  uffiziale  —  Lavori  pubblici  provinciali  e  municipali  — 
Amministrazione  delle  prigioni  —  Statistica  ; 

del  quarto  officio  : 

Amministrazione  provinciale  e  municipale  —  Affari  demaniali  ; 

del  quinto  officio  : 

Istruzione  pubblica   —  Agricoltura  —   Industria,    commercio  —  Servizio   forestale  — 

Salute  pubblica  ; 

del  sesto  officio  : 

Grazia  e  giustizia  —  Pubblicazione  degli  atti  del  governo  ; 

del  settimo  officio  : 

Affari  ecclesiastici         Amministrazione  di  beneficenza. 

Art.  5.  —  Ciascun  direttore  provvederà  indipendentemente  al  buon  andamento 
degli  affari  del  proprio  officio.  —  Per  quelli  di  maggior  rilievo,  e  per  ciò  che  concerne 
la  parte  governativa  ed  il  progetto  degli  atti  del  governo,  le  deliberazioni  saranno 
prese  da  tutti  i  direttori  in  periodiche  tornate  da  fissarsi  dal  presidente,  il  cui  voto 
è  preponderante  in  caso  di  parità. 

Art.  6.  —  Con  i  direttori  corrisponderanno,  secondo  la  diversa  natura  degli  affari, 
tutti  i  Comitati,  le  Commissioni  e  le  Giunte  municipali. 

Art.  7.   —  Ciascun  direttore  è  risponsabile  degli  atti  del  suo  officio. 

Art.  8.  —  Gli  atti  del  Governo  saranno  firmati  dai  pro-dittatori  e  dal  direttore 
dell'  officio  correlativo  e  controsegnati  dal  presidente  della  giunta  centrale. 

Art.  9.  —  E  nominato  presidente  della  Giunta  centrale  il  signor  Francesco 
Antonio  Casale. 

Art.    IO.   —   Sono  nominati  direttori: 

del   I  "  officio  il  signor  Francesco  Livot  ; 
del  2"  officio  il  signor  Ercole  Ginistrelli  ; 
del  3"  officio  il  signor  Saverio  de  Bonis  ; 


240  LE  LOTTE  INTORNO  A  GARIBALDI  A  PALERMO 

del  4°  officio  il  signor  Giacomo  Racioppi  ; 

del  5°  officio  il  signor  Niccola  Alianelli  ; 

del  6°  officio  il  signor  Angelo  Spera  ; 

del  7°  officio  il  rev.  arciprete  Gerardo  Lapenna. 

Potenza,  il  dì  25  agosto   1860. 

Pel  Dittatore  Garibaldi 

I  Pro  -  Dittatori 

N.   MIGNOGNA    -    G.    ALBINI 
I  Segretari 
GAETANO  CASCINI    —  ROCCO  BRIENZA   -  NICOLA   MAGALDI 
GIAMBATTISTA  MATERA  -   PIETRO  LACAVA 


VITTORIO   EMANUELE  RE  D'ITALIA 
II    Generale    Garibaldi    -    Dittatore    delle    Due    Sicilie 


//  Governo  Pro-Dittatoriale  Lucano 

Visto  il  nostro  Atto  de'  19  agosto   1860: 

Nella  considerazione,  che  il  personale  delle  Autorità  ed  impiegati  tutti  messi  alla 
direzione  e  dipendenza  dell'  Amministrazione  civile  di  questo  capoluogo  è  stato  rego- 
larizzato per  la  volontaria  accettazione  di  coloro,  che  han  riconosciuto  il  nostro  nuovo 
esordito  reggimento  civile  ; 

Nella  considerazione,  che  simile  disposizione  è  necessaria  per  le  altre  autorità, 
impiegati  di  questo  capoluogo  e  dei  diversi  distretti,  circondari  e  comuni  della 
Provincia  : 

ORDINA 

I ."  A  tutte  le  Autorità  ed  impiegati  de'diversi  uffici,  officine  e  dipendenze  diverse 
di  questo  capoluogo,  distretti,  circondari  e  comuni  della  Provincia,  che  fra  tre  giorni 
dalla  pubblicazione  del  presente  atto  dichiarino  innanzi  ai  Sindaci  dei  rispettivi  municipi, 
se  intendono  accettare  il  novello  ordine  di  cose,  redigendone  analogo  verbale. 

2.°  Che  scorso  il  termine  prescritto  e  non  adempiendo  le  Autorità  tutte  ed  impie- 
gati di  ogni  specie  a  quanto  si  è  di  sopra  prescritto,  restano  dichiarati  dimissionari 
di  fatto  senza  aver  mai  diritto  a  pretendere  cariche  di  qualunque  genere  nell'avvenire. 

Potenza,  il  dì  24  agosto  1860. 

Pel  Dittatore  Garibaldi 

I  Pro -Dittatori 

N.   MIGNOGNA    -    G.    ALBINI 
I  Segretari 
GAETANO  CASCINI  -  ROCCO  BRIENZA  -  NICOLA  MARIA  MAGALDI 
GIAMBATTISTA  MATERA  -  PIETRO  LACAVA 


ISTRUZIONI  SEGRETE  E  PIANO  DEL  BORBONE  241 

VITTORIO   EMANUELE  RE  D' ITALIA 
Il    Generale    Garibaldi    -    Dittatore    delle    Due    Sicilie 


Nicola    Mignogna    e    Giacinto    Albini,    Pro  -  Dittatori  : 

Considerando,  che  ogni  lieve  turbolenza  può  spingere  le  popolazioni  a  gravi  fran- 
genti ed  arrestare  il  rigeneramento,  al  quale  con  tante  cure  e  sacrifìci  il  Governo 
provvisorio  intende  ; 

Considerando,  che  sotto  l'aspetto  di  volere  assicurare  vantati  diritti  si  nasconde 
bene  spesso  lo  spirito  più  maligno  d' insensata  reazione,  che  bisogna  con  severissime 
pene  prevenire; 

DETERMINANO  QUANTO  SEGUE  : 

Art.  1."  Chiunque,  sotto  qualsiasi  pretesto,  senza  autorizzazione  o  mandato  dal 
Governo  Provvisorio,  organizzi  bande,  sieno  o  no  armate,  o  faccia  parte  delle  mede- 
sime o  dia  istruzione  per  organizzarsi,  turbando  in  modo  qualunque  l'ordine  pubblico, 
sarà  punito  di  morte  ; 

1."  La  Guardia  nazionale  è  principalmente  incaricata  di  arrestare  e  condurre  nelle 
carceri,  a  disposizione  del  Governo  provvisorio,  gli  autori  di  simili  reati  ed  i  loro 
complici. 

Dato  a  Potenza,  24  agosto    1860. 

I   Pro- Dittatori 

N.  MIGNOGNA   -    G.  ALBINI 
I  Segretari 

GAETANO  CASCINI  -  ROCCO  BRIENZA   -   NICOLA  MARIA  MAGALDI 
GIAMBATTISTA  MATERA  -  PIETRO  LACAVA 


COMITATO   AZIONE 
UNITARIO   NAZIONALE 


BOLLETTINO   DELLA  RIVOLUZIONE 


N.    1  I    —   29  agosto. 

//  Governo  Pro-Diltalore  Lucano  al  Comitato  Nazionale    di    Napoli. 

Potenza,  27  agosto. 

Sono  incredibili  gli  sforzi  di  volontà  e  di  sacrifizi,  che  fa  questa  Basilicata.  Non 
è  da  deplorarsi  finora  alcun  atto  anarchico  nei  numerosi  volontari  e  nei  paesi. 

Il  Governo  Pro-Dittatoriale  ha,  mercè  il  divino  favore,  la  fiducia  e  la  simpatia 
di  tutti. 

curAtulo  16 


242  LE  LOTTE  INTORNO  A  GARIBALDI  A  PALERMO 


Qui  tutto  procede  con  grande  energia  ed  è  commovente,  che  le  persone  più  emi- 
nenti della  Provincia  si  (anno  pregio  de'  più  faticosi  lavori  sempre  con  armi  al  braccio, 
e  i  Preti  degnissimi  e  i  Frati,  novelli  Savonarola,  e  le  sacre  vergini  dei  chiostri.  Pare 
incredibile  !  Al  suono  armonioso  delle  bande  musicali,  le  donne  e  tutti  di  ogni  età  e  di 
ogni  condizione,  non  fanno  da  mane  a  sera  che  trasportar  sassi  e  tavole  e  quanto  altro 
occorre  alla  costruzione  delle  barricate.  Delle  strade  e  di  tutti  i  punti  più  importanti 
della  Provincia  nulla  vi  diciamo,  poiché  già  sapete  come  meglio  di  15,000  armati  a 
cavallo  ed  a  piedi  li  guerniscono.  Alla  loro  testa  vanno  i  più  ricchi  e  distinti  signori 
della  Basilicata  come  sono  :  il  marchese  Cotinelli,  il  marchese  Donnaperna  ;  il  signor 
Fittipaldi  di  Anzi,  il  signor  Fortunato  di  Rionero,  nipote  dell'ex  ministro,  Assalto  di 
Potenza,  il  barone  Attolino,  il  signor  Ginestrelli,  il  cav.  Vigiani  ;  tutti  alla  testa  delle 
loro  bande  vanno  incontro  ad  ogni  disagio. 

Insomma,  la  rivoluzione  di  questa  Provincia  è  completa,  poiché  tutti  i  ceti  vi  hanno 
preso  parte  e  1'  entusiasmo  supera  ogni  immaginazione.  Danari  non  ne  mancano  :  difet- 
tiamo solamente  di  armi  ;  ciononostante  quelle  che  abbiamo  sono  suffìcientissime  a 
sostenerci  in  caso  di  attacco.  1  nostri  hanno  predato  in  Auletta  40  centinaia  di  galletta, 
6  botti  di  vino,  150  prosciutti,  varie  botti  di  spirito  d'anici,  molti  barili  di  polvere 
e  95  fucili. 

Fate  che  la  rivoluzione  sia  generale,  per  poter  dire  all'  Europa  intera,  che  noi 
siamo  popoli  degni  della  libertà.  Abbiamo  notizie  sicure  delle  Puglie  ;  il  giorno  di  oggi 
era  destinato  per  la  insurrezione,  come  pure  della  provincia  di  Salerno.  Speriamo  che 
adempiano  alle  promesse  ;  in  tal  caso  fra  giorni  ci  riabbracceremo  a  Napoli. 

Viva  r  unità  d' Italia,  viva    Vittorio  Emanuele,    viva  il  dittatore  Garibaldi. 


COMITATO  AZIONE 
UNITARIO    NAZIONALE 


COMITATO  UNITARIO  NAZIONALE  DI  NAPOLI 


BOLLETTINO   DELLA   RIVOLUZIONE 


N.    13   —   30  agosto. 

La  rivoluzione  si  dilata  con  la  celerità  del  fulmine  ;  e  come  una  fiamma  agitata 
dal  potente  soffio  di  Dio  circonda  da  tutti  i  lati  la  casa  dell'empio.  Gli  eserciti  fug- 
gono dinanzi  ai  passi  dell'  uomo  fatale  o  si  convertono  a  lui  :  le  fortezze  cedono  al  solo 
rumore  delle  sue  trombe. 

Le  lettere  che  riceviamo  da  Calabria  ci  narrano  come  i  distretti  di  Castrovillari, 
di  Rossano  e  di  Nicastro  insorsero  primi,  e  come  tutte  le  Calabrie  siano  in  completa 
rivoluzione.  In  Castrovillari  la  gendarmeria  si  unì  agli  insorgenti.  A  Rossano  fu  disar- 
mata.   A    Cosenza    la    truppa    non    fece  atto  di  opposizione  al    movimento    nazionale. 


ISTRUZIONI  SEGRETE  E  PIANO  DEL  BORBONE  243 

Abbiamo  fiducia,  che  il  generale  Caldarelli  voglia  fare  atto  di  adesione  al  nuovo 
governo  unitario  e  così  risparmiare  lo  spargimento  di  una  sola  stilla  di  sangue. 

Molte  compagnie  della  divisione  del  generale  Bosco  sono  disertate.  Speriamo,  che 
tutta  la  divisione,  fra  pochi  giorni,  innalzerà  il  vessillo  dell'Unità  nazionale. 

Uno  sbarco  dei  nostri  si  è  operato  ad  Ostuni.  Lecce  ha  spezzate  le  catene 
borboniche. 

Si  può  affermare  con  sicurezza,  che  fra  pochi  giorni,  non  vi  sarà  una  città  sola, 
un  solo    paesucolo  che  non  inalberi  la  bandiera  nazionale  al  grido  di: 

Viva  l'unità  d'Italia,   oioa    Vittorio  Emanuele,  viva  il  dittatore  Garibaldi. 


Molto  importanti  sono  i  due  seguenti  proclami,   che  accennano  alle  mene 
dei   cavouriani  per  far  cadere  Napoli  prima  della  venuta  di   Garibaldi. 


COMITATO  AZIONE 
UNITARIO   NAZIONALE 


Napoletani  ! 

Varie  Provincie  sono  nel  pieno  possesso  de'  diritti  loro  e  se  ne  valgono  per  adem- 
pire al  dovere,  che  tutti  gì'  Italiani  hanno  di  ricostituire  l' Italia  Una.  E  le  cose  ormai 
sono  in  tale  stato,  che  la  vigliacca  monarchia  borbonica  è  nel  suo  crollare.  Questo 
glorioso  movimento  è  un  prodotto  di  quell'  idea  Italiana,  che  da  secoli  si  sta  elabo- 
rando e  che  ora  è  diventata  guida  di  popolo.  Non  un  partito  è  padrone  del  campo 
d'  azione  ;  ma  il  popolo  italiano  guidato  dal  valore  e  dalla  grandezza  eroica  di  Gari- 
baldi. Ecco  il  pensiero  da  cui  si  è  fatto  e  si  fa  dirigere  sempre  il  Comitato  Unitario  : 
per  noi,  e  re  e  generali  e  sacrifizi  e  vittorie  non  sono  che  mezzi  per  raggiungere  la 
Unità  Italiana,  raggiungerla  per  la  virtù  del  dovere,  per  la  grandezza  dei  sacrifizi, 
per  l'opera  e  gli  sforzi  del  popolo  italiano.  La  meta  ormai  si  tocca  con  mano  ;  e 
bisogna  evitare  solo  gì'  intrighi  di  chi  è  sempre  pronto  a  svegliarsi  in  uomini,  che 
intrigano  per  trar  profitto  delle  vittorie  del  popolo.  A  sventare  simili  insidie  ci 
vogliono  idee  determinate,  chiare,  seguite  insino  all'  ultimo  ;  ci  vogliono  affetti  non 
solo  puri,  ma  vigili  e  illuminati.  Vincere  è  il  primo  passo,  ma  importante  è  altresì 
d'agire  in  modo,  che  della  vittoria  si  cavi  buon  frutto  e  s' impedisca  che  i  mestatori 
d'oggi,   addormentatori  di  ieri,   facciano  traviare  il  moto. 

Napoletani,  noi  con  fiducia  invochiamo  il  vostro  senno  politico.  Guardiamoci  dagli 
adulatori  :  dinanzi  al  grandioso  concetto  dell'  Italia,  chi  adula  è  un  imbroglione  ;  e  la 
popolazione  che  accogliesse  l' adulazione  sarebbe  dissennata.  Voi  siete,  Italiani,  parte 
nobilissima  d' Italia  ;  e  tali  ancor  sono  i  generosi  abitanti  delle  Provincie.  Non  a  Voi, 
non  a  Noi,    che    sol    per  compier    doveri  vi  rappresentiamo,  ne  a  nessuna  frazione  è 


244  LE  LOTTE  INTORNO  A  GARIBALDI  A  PALERMO 

dato  di  decidere  le  sorti  di  sei  milioni  d'  uomini,  con  incomposti  intrighi  diplomatici  o 
di  uomini,  che  amano  mestare  nel  disordine  delle  idee,  che  da  per  tutto  cercano  di 
produrre. 

Il  Comitato  Unitario  ha  il  dovere  di  parlar  franco.  Son  dichiarati  nemici  d' Italia, 
coloro  che  si  dan  da  fare  per  condurre  Napoli  a  pronunziamenti,  a  manifestazioni,  a 
governi  provvisorii  indipendentemente  da  Garibaldi,  uomo  integro  e  puro,  e  perciò 
temuto  dai  cavouriani  e  lafariniani  :  i  quali  cercano  ingradimento  d'  una  provincia  italiana, 
non  la  ricostituzione  dell'  Italia  una,  senza  alcun  predominio  d'  una  provincia  su  d'  un'altra. 
Noi  cerchiamo  il  Piemonte  non  come  figliuoli  prodighi,  che  per  grazia  sieno  ammessi 
nella  famiglia  italiana,  ma  come  uomini  liberi,  che  delle  varie  provincie  vogliono  fare 
la  grande  unità  nazionale.  Napoli  per  noi  non  è  la  testa,  che  debba  pensare  per  le 
Provincie,  ma  è  braccio  e  mente  che  unita  alle  altre  braccia  e  menti  deve  concorrere, 
come  nobilissima  città  allo  scopo  comune.  GÌ'  intriganti  vogliono  fare  senza  Garibaldi 
e  talvolta  si  servono  maliziosamente  senza  mandato  del  suo  nome. 

Non  è  che  il  Comitato  Unitario,  il  quale  per  l' intermezzo  del  dottor  Bertani  ha  man- 
dato da  Garibaldi;  e  noi  siamo  con  lui,  perchè  egli  è  per  l'Italia.  Perciò  noi  avvertiamo 
il  pubblico,  che  vi  sono  insidiatori  contro  i  nostri  propositi,  e  ricordiamo  agi'  intriganti 
che  se  è  lor  difficile  il  vincere,  assai  facile  è  disonorarsi. 

Viva  V  unità  d' Italia,  viva  Vittorio  Emanuele  re  d' Italia,  viva  il  Dittatore 
Garibaldi  ! 

Napoli,  30  agosto   1860. 


COMITATO  AZIONE 
UNITARIO   NAZIONALE 


Napoletani  ! 

Pubblicammo  ieri  un  manifesto  a  voi  diretto,  che  esprimeva  sensi  italiani.  Tra  gli 
altri  passi  v'  era  questo  :  «  Per  noi,  e  re  e  generale  e  sacrifizi  e  vittorie  non  sono  che 
«  mezzi  per  raggiungere  1'  unità  italiana,  raggiungerla  per  la  virtù  del  dovere,  per  la 
*  grandezza  de'  sacrifizi,  per  1'  opera  e  gli  sforzi  del  popolo  italiano  ».  Qualcuno  ha 
detto  :  Qui  si  accenna  a  repubblica.  E  abbiam  così  avuto  altra  prova,  che  uno  degli 
effetti  del  lungo  dispotismo  è  d' insegnare  nelle  menti  un  impeto  vivacissimo  a  sotti- 
lizzare in  tutto,  a  investigare  le  intenzioni  altrui,  a  vedere  in  alti  e  sinceri  propositi 
una  tendenza  verso  ciò  che  si  teme.  Noi  consideriamo  nella  storia  non  l' azione 
dell'  umano  braccio,  ma  1'  azione  magnanima  della  provvidenza  ;  poiché  nella  storia  si 
manifesta  Dio.  Ora  il  corso  storico  delle  cose  vuole  1'  unità  d' Italia  ;  e  a  fronte  del 
volere  di  Dio,  che  cosa  sono  gì'  individui,  se  non  mezzi  di  cui  si  serve  ?  L'altissimo 
scopo  provvidenziale  è  1'  unità.  Garibaldi,  Vittorio  Emanuele,  il  popolo  italiano  con 
le  loro  imprese,  col  loro  disinteresse  ed  eroismo  non  sono  che  i  mezzi  potenti,  di  cui 
Dio  si  serve.  Ora  è  quistione  di  repubblica  ?  Dissennato  sarebbe  chi  pensasse  a  repub- 


ISTRUZIONI  SEGRETE  E  PIANO  DEL  BORBONE  245 

blica,  quando  si  deve  ricostruire  la  nazione.  Ecco  il  proposito  fermo  degli  italiani  d' ogni 
partito  ;  fare  l' Italia.  Uniamoci  tutti  e  1'  Italia  sarà.  Vittorio  Emanuele,  re  che  onesta- 
mente ha  serbato  lo  statuto,  è  chiaramente  indicato  dalla  provvidenza  per  essere  stru- 
mento d'  unità.  Noi  r  accettiamo,  e  l'  Italia  sarà. 

Viva  l'unilà  d'Italia,  viva  Vitlorio  Emanuele  re  d'Italia,  viva  il  Dittatore  Garibaldi. 

Napoli,  31    agosto   1860. 


COMITATO  AZIONE 
UNITARIO  NAZIONALE 


COMITATO  UNITARIO  NAZIONALE  DI  NAPOLI 


BOLLETTINO   DELLA   RIVOLUZIONE 


N.    17  —  2  settembre. 

IN  NOME  DI  VITTORIO  EMANUELE  RE  D' ITALIA 

E   DEL   GENERALE   GARIBALDI    DITTATORE    DELLE  DUE  SICILIE 

IL  GOVERNO  PROVVISORIO  DI  SALERNO 


ORDINE    DEL   GIORNO 

Volontari  Salernitani  ! 

Avete  compiuta  la  nostra  gloriosa  rivoluzione  :  ora  vi  riunite  armati  sotto  ta  ban- 
diera, onde  difenderla  e  sostenerla. 

Mi  desideraste  per  vostro  capo  ed  io  accettai,  fiero  di  tanto  onore,  trepidante, 
perchè  in  me  non  potete  ne  dovete  attendervi  altro,  che  un  desiderio  vivo  di  dividere 
i  vostri  pericoli  e  le  vostre  fatiche.  Ricordatevi,  che  io  calcolo  sul  vostro  coraggio  e 
patriottismo,  senza  di  che  sarebbero  inutili  le  vostre  fatiche. 

Ricordatevi,  che  il  nostro  grido  è  l' unità  italiana  e  che  quindi  non  dobbiamo 
soltanto  essere  pronti  a  combattere  i  regi  borbonici  ;  ma  bensì  a  correre  alla  guerra 
suprema,  che  deve  punire  e  scacciare  l' abborrito  tedesco  al  di  là  delle  Alpi. 

Vi  raccomando  concordia  e  fratellanza  fra  voi,  fiducia  ed  obbedienza  ai  vostri 
capi.  Desiderio  ardente  di  servire  la  patria  per  lutto  e  sempre,  e  con  ogni  vostro  sforzo. 

Ricordatevi,  che  non  è  combattendo  che  il  soldato  dà  vera  prova  di  se  ;  ma 
bensì  nel  sopportare  i  disagi,  le  privazioni,  le  fatiche,  perchè  il  giorno  di  combatti- 
mento è  giorno  di  premio  pel  soldato,  che  difende  la  Patria. 

Coraggio  dunque,  disciplina  e  volontà  ferma  di  conseguire  lo  scopo  del  gran 
movimento  italiano,  e  uniti  a  27  milioni  d' italiani  gridate  con  me  :  «  Viva  l' Italia 
unita,  viva  Vittorio  Emanuele,  viva  Garibaldi  ». 

Firmato  :  //  Comandante  militare 
LUIGI  FABRIZI 


246  LE  LOTTE  INTORNO  A  GARIBALDI  A  PALERMO 

Ogni  giorno  è  testimone  di  una  nuova  vittoria  :  ogni  sera  il  nostro  Dittatore  si 
riposa  sopra  un  nuovo  campo  di  battaglia. 

Sono  scorsi  appena  pochi  mesi,  da  che  il  despota  di  Napoli  minacciava  il  nuovo 
regno  italiano;  il  despota  superbo  di  IO  milioni  di  oppressi  con  un  esercito  di  140  mila 
uomini,  ed  una  flotta  di  meglio  che  100  legni  da  guerra,  ora  fugge  davanti  la  spada  di 
Calatafimi.  Quei  IO  milioni  oggi  diventano  liberi  cittadini.  Il  redi  Napoli  fu:  questa 
ombra  del  medio  evo  proiettata  in  pieno  secolo  decimonono  svanisce  dinanzi  alla  luce 
della  civiltà. 


Dispaccio  telegrafico  elettrico  ricevuto  in  Sala  il  31    agosto   1860: 

A  Sala  —  //  Dittatore  Garibaldi  al  Prodittatore  diovanni  Matina,   di   risposta. 

•«  Restate  fermi  ed  organizzate  la  vostra  rivoluzione.  Non  fa  bisogno  venirmi 
all'  incontro,  sarò  io  che  verrò  quanto  prima  tra  voi  ;  dite  al  mondo  che  ieri ,  con  i 
miei  prodi  Calabresi,  feci  abbassare  le  armi  a  diecimila  soldati  comandati  dal  gene- 
rale Ghio;  il  trofeo  della  resa  fu  dodici  cannoni  da  campo,  diecimila  fucili  ,  trecento 
cavalli,  un  numero  poco  meno  di  muli  ed  immenso  materiale  da  guerra.  Trasmettete 
in  Napoli  ed  ovunque  la  lieta  notizia.  Addio.  Parto  per  Rogliano  ». 

D'Agrifoglio  31,  ore  8  ant. 

L' impiegato  di  servizio 

GAETANO    CICERARO 


Dispaccio  telegrafico  elettrico  da  Sala  il  31    agosto   1860  : 

«  Viva  Garibaldi  e  1'  Unità  d'  Italia  su  tutta  la  linea.  Vi  do  una  delle  buone 
notizie.  Ieri  al  giorno  fu  disarmata  una  colonna  di  diecimila  uomini  comandati  dal  gene- 
rale Ghio.   11  Dittatore  adesso  è  partito  da  qui  per  Rogliano.  Stasera  sarà  in  Cosenza  ». 

D'Agrifoglio  31,  ore  9  ant. 

L' impiegato  di  servizio 

GAETANO    CICERARO 

DISPACCI. 

4  settembre   1860,  ora    I    pom. 

♦  Stamattina  alle  ore  9,30  si  è  proclamato  il  Governo  Provvisorio   in  Ariano  ». 


«  Le  Bande  del  Malese  sono  già  a  poche  miglia  distanti  da  Isernia  ». 


ISTRUZIONI  SEGRETE  E  PIANO  DEL  BORBONE  247 


Ci  perviene  il  seguente  proclama  : 

GOVERNO    PROVVISORIO    IRPINO 

Ariano,  3  settembre   1860. 
Fratelli  Irpini, 

Quest'  aria  che  ne  circonda,  dai  sospiri  dei  più  illustri  martiri  della  sventura 
infiammata,  ci  pone  nelle  vene  il  fuoco  sacro  d'  odio  alla  tirannide  e  ci  scrive  sul  cuore  : 
vendetta  del  fraterno  oltraggio. 

Questo  vessillo  che  tanto  ne  allieta  e  che  segna  il  termine  dei  nostri  dolori,  è 
per  la  regia  dei  Borboni  il  panno  funerario. 

Quel  Dio  che  depone  i  potenti  ha  segnato  per  1'  Italia  il  termine  degli  affanni 
suoi.  Salutiamo  la  terra  dei  portenti  e  degli  eroi,  indipendente  ed  una,  sotto  popolare 
scettro  del  re  guerriero. 

Irpini  !  il  vostro  valore  è  noto.  Il  cherubino  della  guerra  è  con  noi,  con  lui  pugniamo 
da  forti,  e,  se  anco  ci  vedessimo  tronche  le  braccia,  con  lui  e  per  lui  pugneremo  coi 
petti  e  r  ultimo  sospiro  nostro  sarà  : 

Viva    l'unità    d'Italia,    viva    Vittorio   Emanuele   re   d'Italia,    viva    il    Dittatore 

Garibaldi  ! 

Air  armi,  all'  armi  ! 

R.  BRIENZA 


COMITATO  AZIONE 
UNITARIO   NAZIONALE 


COMITATO  UNITARIO  NAZIONALE  DI  NAPOLI 


BOLLETTINO   DELL  A  RI  V  O  LU  ZI  O  N  E 


N.  23  —  4  settembre. 


La  rivoluzione  si  propaga  ogni  dì  più,  sempre  con  Io  slesso  Programma  ed  il 
medesimo  grido  :  Unità  d"  Italia,  Vittorio  Emanuele,  Re  d' Italia  e  Garibaldi,  Dittatore. 
Un  corriere  or  ora  giunto  ci  reca  i  particolari  della  insurrezione  e  del  Governo  Prov- 
visorio proclamato  in  Ariano. 


AL  COMITATO  UNITARIO  NAZIONALE  DI  NAPOLI. 

Miei  carissimi  amici. 

Ho  ricevuto  la  vostra  lettera  e  vi  ringrazio  in  nome  di  tutti  per  la  premura,  che 
vi  date  per  il  felice  esito  della  causa  dell'  Unità   Nazionale. 


248  LE  LOTTE  INTORNO  A  GARIBALDI  A  PALERMO 

Già  in  Ariano  sono  raccolti  più  di  600  persone  ;  questa  notte  si  aspetta  De  Marco 
con  altri  mille;  piccoli  contingenti  arriveranno  nella  giornata  di  domani.  Dopo  dimani 
arriveranno  quelli  di  Molise  e  forse  anche  quelli  di  Piedimonte;  in  una  parola  per 
il  giorno  5  vi  saranno  un  4000  uomini  e  per  il  giorno  7  conto  dare  battaglia  al  gene- 
rale Flores,  che  si  avanza  da  Bari  ed  è  già  alla  Cerignola.  Flores  ha  un  reggimento 
di  linea,  due  battaglioni  di  cavalleria,  con  600  gendarmi  e  mezza  batteria  ;  in  tutto 
oltre  2000  uomini. 

Spero  co'  miei  volontari  rendere  un  servizio  notevole  alla  Patria  ;  in  tutti  i  casi 
son  pronto  co'generosi,  che  mi  seguiranno  a  versare  il  sangue  per  la  causa  nazionale. 
Il  Governo  provvisorio  sarà  proclamato  domani  ;  i  componenti  sono  il  colonnello 
De  Conciliis,  Vito  Purcaro  e  il  Padre  Nitti;  il  Segretario  generale,  Rocco   Brienza. 

Ariano,   3  settembre   1860. 

//  vostro  amico 

VINCENZO   CARBONELLl 


COMITATO  AZIONE 
UNITARIO    NAZIONALE 


COMITATO  UNITARIO  NAZIONALE  DI  NAPOLI 


BOLLETTINO   DELLA   RIVOLUZIONE 


N.  24   —   4  settembre,  ore    IO 


pom. 


IL  GOVERNO  PRO-DITTATORIALE  LUCANO 
AL  GENERALE  DITTATORE  GIUSEPPE  GARIBALDI,  SALUTE. 

Signore, 

La  insurrezione  Lucana  non  s' iniziava  che  nel  nome  vostro,  il  quale  felicemente 
riassume  la  santa  Idea  dell'  itala  nazionalità. 

E  noi,  che  ci  troviamo  al  potere  nel  nome  vostro,  e  per  rassegnarlo  a  voi  quando 
vi  piaccia,  sentiamo  indeclinabile  il  dovere  di  esprimervi  i  voti,  le  speranze  e  le  feli- 
citazioni di  questa  civile  e  meravigliata  popolazione. 

Per  fare  ciò,  basterà  tradurre  a  brevi  e  schiette  parole  quello  che  fu  ed  è  gene- 
rale, irresistibile,  quasi  ispirato  movimento  di  unica  e  cospirante  famiglia. 

1  Lucani  non  tendono  se  non  a  quello,  cui  tutta  l' umanità  tende  :  la  civiltà  ;  ai 
Lucani  altro  non  è  a  cuore,  se  non  quello  che  i  Popoli  civilissimi  già  conseguirono  : 
la  Hcizionalità  ;  nei  coraggiosi  Lucani  altra  aspirazione  non  palpita  se  non  quella  che 
caratterizza  la  forza  del  vostro  genio  guerriero  :  far  l' Italia  indipendente,  libera,  una  ; 
che  è  dire  :  onorata,  felice,  potente  ;  eh'  è  dire,  farla  completamente  tersa  dalle  onte  che 
le  inflissero    secolari    tirannidi  e  solennemente    inaugurarla  a  passi  grandiosi  pel  cam- 


ISTRUZIONI  SEGRETE  E  PIANO  DEL  BORBONE  249 

mino  del  vero  Progresso.  E  il  Dio  de'  cristiani  benedirà  ;  quel  Dio  che  sulla  vostra 
fronte  scrisse  :  il  puro  Patriota,  il  maggior  Prode,  l' incomparabile  decoro  d"  Italia 
che  sorge. 

Generale,  l'ardente  gioventù  lucana  è  con  voi:  fate  cenno,  e  il  fiore  de' prodi 
reputerà  sua  gloria  il  seguirvi  ovechesia.  Dittatore,  il  senno  de' Lucani  è  all'ordine 
del  giorno:  disponete,  ed  il  fiore  delle  capacità  Lucane  si  farà  bello  dell'ordine,  cui 
saprete  indirizzarlo. 

Accogliete,  o  Valentissimo,  queste  che  sono  sincere  manifestazioni  de'  cuori  lucani 
e  del  cuor  nostro:  non  isgradite,  o  Magnanimo,  queste  che  sono  lodi  dovute  a  merito 
che  quasi  non  ha  riscontro  nella  storia. 

Potenza,    T  settembre   1860. 

N.  MIGNOGN.^        C.  ALBINI 


IL  GOVERNO  PRO- DITTATORIALE  SALERNITANO 
AL   COMITATO    UNITARIO    NAZIONALE    DI   NAPOLI 


Sala,  3  settembre   1860. 

Qui  siamo  in  entusiasmo  ed  in  lavoro:  l'opera  dell'organizzazione  procede.  Il 
Dittatore  Garibaldi  sarà  fra  noi  in  giornata,  e  forse  in  giornata  del  pari  muoveremo 
con  forti  colonne  su  Salerno.  !  Regi  sono  scoraggiati  ed  avviliti;  questa  nostra  gio- 
ventù è  piena  d' ardore.  Vi  saluta  il  Pro-Dittatore  Mignogna,  che  parte  in  sul  momento 
per  andare  incontro  a  Garibaldi. 

Vioa  l'unità  d'Italia,   viva    Vittorio  Emanuele  re  d'Italia, 
viva  il  Dittatore  Garibaldi. 

Il  Pro-Dittatore 

GIOVANNI  MATINA 


UNITA    D'ITALIA 


VITTORIO    EMANUELE  RE  D' ITALIA 
Il   Generale  Garibaldi  -   Dittatore  delle  Due  Sicilie 

Il  Pro-Dittatore  della  Provincia  di  Salerno: 

Volendo  fare  esperimentare  ai  popoli  del  Salernitano,  che  tanto  volonterosamente 
han  concorso  all'istallazione  del  nuovo  Governo  Unitario  Italiano  ed  al  movimento 
insurrezionale  della  Provincia,  i  benefizi  del  nuovo  regime  ; 


250  LE  LOTTE  INTORNO  A  GARIBALDI  A  PALERMO 

DECRETA 

I ."  Un  indulto  ampio  è  concesso  in  tutto  il  perimetro  di  nostra  giurisdizione  agli 
imputati  e  condannati  per  qualunque  siasi  delitto  ed  a  tutti  i  multati  a  pene  pecuniarie  ; 

2."  Sono  esclusi  dal  presente  indulto  tutti  gli  imputati  o  condannati  per  reazione,  e 
gli  imputati  per  asportazione  di  armi  senza  autorizzazione. 

Sala,  3  settembre    1860.  Pel    Dittatore    Garibaldi 

11  Pro-Dittatore 
GIOVANNI  MATINA 

COMITATO  AZIONE 
UNITARIO   NAZIONALE 


COMITATO  UNITARIO  NAZIONALE  DI  NAPOLI 


BOLLETTINO   DELLA   RIVOLUZIONE 


N.  27    —   5  settembre. 

Due  telegrammi  militari  trasmessi  da!  Governo,  dopo  il  consiglio  di  questa  notte  : 

Comando  generale  ad  Afan  De  Rivera  : 

«  Tutta  la  truppa  che  è  in  Salerno  si  concentri  a  Nocera  passando  per  Cava,  e  si 
metta  subito  in  movimento,  tenendo  occupata  la  posizione  di  Cava  con  due  battaglioni. 
»  Attenderà  1'  arrivo  dell'  altra  divisione  ». 

Da  Napoli,  5  settembre  alle  ore  2  ant. 

Comando  generale  al  Governatore  d'  Avellino  : 

«  Nel  caso  la  posizione  della  truppa  esigesse  imperiosamente  ritirarsi  innanzi  a 
forze  maggiori,  passerà  ad  occupare  le  gole  di  Monteforte,  donde,  essendo  (orzata  da 
gravi  perdite,  ripiegherà  per  Nola  a  Nocera». 

Da  Napoli,  5  settembre,  ore  2  ant. 


Riportiamo  gli  altri  due  telegrammi  giunti,  oggi  non  perchè  rechino  nuove  notizie, 
ma  perchè  confermano  quelle  da  noi  già  date. 

Gallenga  ad  Ulloa  : 

«  Brigata  Calderelli  unita  a  Garibaldi,  a  Sapri  quattromila  sbarcati.  Altri  sbarchi 
in  punti  più  vicini  a  voi.  Tutto  perduto  da  parte  vostra.  Vi  avviso  da  amico  privato 
quantunque  vostro  nemico  politico  » . 

Eboli,    I    e  mezza  ant.  5  settembre. 


ISTRUZIONI  SEGRETE  E  PIANO  DEL  BORBONE  251 

Afan  De  Rivera  al  colonnello  Anzani  : 

«  Si  è  saputo  da  due  sottuffìziali  reduci  da  Calabria,  che  la  brigata  Caldarelli  si 
è  unita  a  Garibaldi.  Che  Garibaldi  è  in  Auletta. 

»  Che  in  Sapri  si  è  avverato  uno  sbarco  di  4000  uomini  comandati  dal  generale 
Tùrr  ». 


ULTIMI    DISPACCI. 


La  brigata  di  Bosco  si  è  rifiutata  di  battersi  ;  quella  dei  Bavaresi  si  è  tutta  rivoltata. 

Nel  ricevere  queste  notizie,  il  Borbone  ha  chiamati  tutti  i  Maggiori  della  Guardia 
Nazionale  e  loro  ha  indirizzate  queste  precise  parole  '■ 

*  Giacche  il  vostro....  (ripigliando)  il  nostro  comune  amico  D.  Peppe  si  avvicina, 
»  la  mia  incombenza  ha  finito  ;  ora  incomincia  la  vostra.  Mantenete  la  tranquillità  ;  ho 
»  dato  ordine  alla  truppa  di  rientrare  dietro  capitolazione  ». 

Dopo  di  che  ha  disposto  la  sua  partenza,  la  quale  è  imminente. 

Viva  V  unità  d' Italia,  viva  Vittorio  Emanuele,  re  d' Italia,  viva  il  Dittatore 
Garibaldi. 


COMITATO  UiNlTARIO  NAZIONALE  DI  NAPOLI 


BOLLETTINO  DELLA   RIVOLUZIONE 


N.  31    —   6  settembre. 

Il  Comitato  dopo  aver  ricevuto  una  credenziale  del  Dittatore  Garibaldi  di  cui 
pubblichiamo  il  testo,  si  è  affrettato  ad  andargli  incontro  in  Auletta,  dove  ha  avuto  da 
Lui  l'onore  di  un  non  breve  colloquio.  Il  Dittatore  verrà  fra  poco  in  Napoli,  e  ha 
dato  a  noi  le  opportune  disposizioni  per  la  organizzazione  del  Governo. 

Altra  più  lusinghiera  credenziale  ricevemmo  dal  Dittatore,  e  molto  ancora  di  più 
apprendemmo  dalla  bocca  dello  stesso  colla  facoltà  di  pubblicarlo. 

Ecco  le  parole  del  Dittatore  : 

*  Riconosco  il  Comitato  Unitario  Nazionale  di  Azione  rappresentato  da'  signori....  ». 

Fortino,  4  settembre   1860. 

a  GARIBALDI 

Concittadini  ! 

Noi  vi  parliamo  in  nome  del  Dittatore,  perchè  egli  stesso  ce  ne  ha  dato  facoltà  ; 
e  siate  certi  che  in  questi  pochi  momenti,  che  precedono  il  suo  ingresso  nella  capitale 
vi  terremo  avvisati  delle  sue  intenzioni. 

Viva  r  unità  d' Italia,  viva  Vittorio  Enìanuele,  re  d' Italia,  viva  il  Dittatore 
Garibaldi. 


CAPITOLO  XII. 


CAVOUR  E  L*  INDIPENDENZA  DELLA  GERMANIA. 
LA  POLITICA   DELL'INGHILTERRA   NEL  '59   E   '60. 


INei  primi  di  settembre  del  1 860  uno  dei  rappresentanti  più  noti  della 
stampa  liberale  tedesca,  il  signor  Elisanter ,  erasi  recato  a  Torino  coli*  intento 
di  ottenere  dal  conte  di  Cavour ,  per  mezzo  del  Ministro  di  re  Vittorio  a 
Berlino,  un  dispaccio  giornaliero  in  cifre  sugli  avvenimenti,  che  si  andavano  svol- 
gendo in  Italia.  Alla  richiesta  del  giornalista  tedesco ,  Cavour  rispondeva  con 
la  seguente  lettera  inedita,  molto  importante  per  i  giudizi  che  il  grande  statista 
vi  manifesta  e  che  ebbi  la  fortuna  di  acquistare  recentemente  a  Berlino. 

li  conte  di  Cavour  a  Elisanter  di  Berlino. 


MINISTERE 
DES  AFFAIRES    ÉTRANGÈRES 


CABINET 


Turin,  le  9  septembre   1860. 


Monsieur , 

Je  régrette  beaucoup  de  ne  pouvoir  pas  adhérer  à  la  demanda,  qua  vous  m'avez 
adresséa.  Je  fais  le  plus  grand  cas  de  1'  appui  de  la  presse  liberale  allamande  et  da 
la  Deutsche  Zeitung  en  particulier  ;  et  je  crois  fermement  qu'  elle  n' aura  pas  de  peine 
à  demontrer  que  V  indépendence  de  V  Italie  et  celle  de  l'Allemagne  au  lieu  de  s'exclure 
se  supposent  implicitement  fune  V  aulre  ;  car  elles  soni  les  deux  pierres  angulaires  du 
noucel  édifice  européen. 

Cependant,  je  ne  puis  m'  engagar  à  vous  transmettre,  jour  par  jour,  au  moyen 
d'  une  dépéche  chiffrée  et  par  l'entremisa  du  Ministre  du  roi  à  Berlin,  des  nouvelles 
de  r  Italie.  Pour  vous  aidar  dans  la  tacha  da  defendre  en  Allamagna  la  grande  cause 
à  laquelle  j'  ai  consacré  ma  vie  avec  joie ,  je    pourrai ,    si    cela    vous    convient ,    vous 


254  CAVOUR  E  V  INDIPENDENZA  DELLA  GERMANIA 

tnettre  en  rapport  avec  le  Comte  de  Launay  et  le  prier  de  vous  {aire  de  temps  en 
temps,  et  sous  le  sceau  du  secret  le  plus  ahsolu,  des  Communications  confidentielles  sur 
la  situation  politique.  11  suffirait  ainsi  à  votre  journal  de  recevoir  de  l'Agence  Télé- 
graphique  Stefani  les  nouvelles  qui  concernent  1'  Italie  pour  acquerir,  par  vos  justes 
appreciations  sur  1'  état  de  la  peninsule,  une  renommée  serieuse  en  Allemagne. 
Agréez,   Monsieur,  les  assurances  de  ma  consideration  distinguée. 

C.  CAVOUR 

P.  S.  -  Cette  lettre  était  ecrite  lorsque  j'  ai  re^u  votre  billet  d'  aujourd'  hai,  auquel 
je  m' abstiens  de  répondre  par  égard  aux  sentiments,  que  vous  avez  manifeste  en 
faveur  de  mon  pays. 


Il  conte  di  Cavour  adunque,   nel  1 860,   riteneva  1'  indipendenza  d'  Italia  e 
della  Germania    le    due    pietre    angolari  del    nuovo  edifizio  europeo, 

profetizzando  V  alleanza  di  queste  due  grandi  nazioni  libere  ed  unite.  Se  il 
sommo  statista  potesse  aprire  gli  occhi,  vedrebbe  oggi  la  sua  profezia  realizzata; 
ed  è  con  legittimo  orgoglio  per  noi  italiani  che  qui  riporto  ciò  che,  a  propo- 
sito della  politica  del  primo  Ministro  di  Vittorio  Emanuele  II,  un  autorevole 
giornale  tedesco  '  recentemente  scriveva  :  «  Bìsmark,  aveva  già,  come  ambascia- 
tore, conoscenza  dei  progetti  di  Cavour  e  li  approvava.  Nel  dicembre  del  '58 
il  grande  uomo  di  Stato  italiano  scriveva:  "  La  Prussia  è  inevitabilmente  per 
r  idea  nazionale.  L'  alleanza  colla  Prussia  è  scritta  in  lettere  d' oro 
nel  libro  della  storia  futura  ,,.  //  Ministro  prussiano  però,  von  Schleinitz, 
era  di  diverso  parere,  quando  il  Piemonte  iniziava  la  spedizione  nelV  Umbria 
e  nelle  Marche  e  mandava,  per  mezzo  dell'  Ambasciatore  conte  Brassier  de 
St.  Simon,  una  lunga  protesta  alla  quale  Cavour  rispondeva:  "  Potrei  con- 
traddire con  assoluta  certezza  ogni  punto  del  richiamo  :  ma  ad  ogni  modo  è  una 
consolazione  per  me  il  pensare,  che  io  ho  dato  un  esempio  che 
probabilmente  la  Prussia  fra  poco  imiterà  con  gioia  ,,.  Così  è  avvenuto! 
Ugualmente  aspri,  come  i  clericali  di  oggi,  (continua  l'articolista)  erano  i  con- 
servatori di  Prussia  d'  una  volta  contro  V  Unità  italiana.  Essi  non  volevano 
saperne  del  riconoscimento  del  "  Regno  d'Italia  ,, ,  che  ironicamente  mettevano 
fra  virgolette,  e  mandavano  al  cacciato  re  di  Napoli  uno  scudo  d'onore  in 
argento.  Bismarl^  invece,  compiva  la  profezia  di  Cavour;  nel  ì 866  la  Prussia 
e  r  Italia  erano  alleate,   ed  oggi  lo  sono  V  Italia  e  V  Impero  tedesco.  E  quando 


*  Vossische  Zeitung,  n.  74,   13  febbraio   1911. 


LA  POLITICA  DELL'  INGHILTERRA  NEL  59  E   60  255 

Guglielmo  I  ritornava,  dopo  V  incontro  con  Vittorio  Emanuele  II  a  Milano, 
nel  suo  saluto  di  addio,  diceva:  "  Il  destino  ha  messo  noi  due  alla  testa 
di  due  popoli  nazionalmente  uniti.  Possano  i  nostri  posteri  restare 
sempre  amici  fedeli!  ,,  ». 

Sullo  stesso  argomento  è  del  massimo  interesse  conoscere  il  pensiero  di 
Garibaldi  e  1'  apprendere  come  1'  uomo  di  Stato  e  l'eroe  avessero  in  proposito 
uniformità  di  vedute.  All'  Elisanter  di  Berlino,  Garibaldi  pochi  mesi  dopo,  scri- 
veva la  seguente  lettera  inedita  : 

Garibaldi  a  Elisanter. 

Caprera,  29  marzo   1861. 
Signore, 

Ho  ricevuto  la  vostra  lettera  del  i  3  del  corrente  mese,  e  vi  sono  molto  grato 
delle  interessanti  notizie,  che  mi  avete  dato.  Spero  me  le  continuerete  e  sopratutto  in 
queste  gravi  circostanze  in  cui  l' Austria,  concentrando  imponenti  corpi  d'  armata  nel 
Veneto,  accenna  a  voler  tentare  qualche  colpo  disperato  con  una  nuova  aggressione 
all'  Italia. 

Vi  sarò  pure  grato,  se  mi  comunicherete  i  nomi  di  quei  tali  gentiluomini,  che  mi 
menzionate. 

Perseverate  nella  nobile  missione  di  far  conoscere  ai  generosi  popoli 
della  Germania,  che  il  loro  supremo  bisogno  è  1'  unità  come  lo  è  per 
l' Italia.  La  fratellanza  di  queste  due  nazioni  risulterebbe  a  sommo  bene- 
fìcio dell'  umanità,  rendendo  impotente  1'  ambizioso  egoismo  dei  despoti. 

Con  distinta  stima  credetemi 

Vostro 

C.  aARIBALDI 
Signor  Elisanter 

in  Berlino 


Non  meno  importante  è  ora  il  conoscere  per  mezzo  di  altri  documenti 
inediti,  lo  spirito  pubblico  ed  il  pensiero  delle  alte  sfere  politiche  in  quei 
giorni,  m  Francia  ed  in  Inghilterra,  verso  1'  impresa  garibaldina.  Le  lettere  che 
seguono  dirette  a  Garibaldi  nel  giugno  1 860,  1'  una  da  Carlo  Arrivabene,  allora 
a  Parigi  ;  le  altre  da  G.  S.  Lang,  uno  scrittore  influente  del  Times  ed  amico  delle 
personalità  politiche  inglesi  più  spiccate,    ci    danno  nuovi     particolari. 

Carlo  Arrivabene,  nato  a  Mantova,  esule  fino  dal  1849,  si  era  sta- 
bilito    in    Londra,    dove,    familiarizzatosi   con    la   lingua    inglese,    cominciò    a 


256  CAVOUR  E  V  INDIPENDENZA  DELLA  GERMANIA 

scrivere  in  vari  giornali,  fra  i  quali  il  Dail})  News.  In  qualità  di  corrispon- 
dente di  questo  giornale,  egli ,  nell'  aprile  del  '60,  aveva  seguito  Vittorio 
Emanuele  nell'  Italia  Centrale.  La  lettera  che  segue  fu  diretta  al  dittatore  da 
Parigi,  dove  l'Arrivabene,  andando  a  Londra,  si  era  fermato.  Da  Londra  poi 
egli,  ripartì  ben  presto  per  andare  a  combattere  con  Garibaldi,  e  fatto  prigioniero 
davanti  a  Capua  fu  condotto  a  Gaeta;  ma  poco  tempo  dopo,  per  interces- 
sione del  governo  inglese ,  che  considerava  l' Arrivabene  come  suo  cittadino, 
venne  lasciato  libero. 

Carlo  Arrivabene  a  Garibaldi. 

Parigi,    16  giugno   1860. 
Illustre  Generale, 

Giunto  da  o!to  giorni  a  Parigi  per  recarmi  a  Londra,  mi  prendo  la  libertà  di 
scriverle  per  metterla  al  corrente  di  quanto  mi  venne  fatto  raccogliere  nelle  regioni, 
dove  di  ordinario  sogliono  agitarsi  le  grandi  quistioni  di  Europa. 

Da  altre  fonti  Ella  potrà  indubbiamente  attingere  le  notizie  che  le  invio  ;  ma  due 
versioni  varranno  meglio  di  una.  E  inutile,  che  io  abbia  a  dirle  come  il  di  Lei  nome 
sia  oggi  popolare  non  solamente  fra  le  classi  operaie,  ma  ben  anche  nelle  più  influenti 
adunanze  della  Chassé  d'  Autin  e  del  Sob.  Sant'  Honoré.  Persino  alla  Corte  Imperiale 
è  oggi  di  moda  1'  esaltare  le  gesta  del  Gran  Capitano  d' Italia  !  In  uno  degli  ultimi 
Consigli  di  Ministri,  il  signor  de  Thouvenel,  avendo  pronunziato  con  qualche  asprezza 
il  di  Lei  nome,  1'  Imperatore  lo  interruppe  dicendo  :  <<  Cosa  vi  ha  dunque  egli  fatto 
Garibaldi,  questo  mio  compagno  di  armi  della  campagna  d' Italia  ?  »  l  Ministri  corti- 
giani, visto  da  che  parte  spirava  il  vento,  cambiarono  di  andazzo,  ed  è  ora  di  moda 
a  Versailles  il  far  precedere  il  di  Lei  nome  dall'  aggettivo  di  Eroe.  Questa  1'  opinione 
dei  francesi  per  ciò  che  riguarda  la  di  Lei  persona  e  le  di  Lei  gesta  meravigliose. 
In  quanto  alla  situazione  politica  della  Sicilia,  si  ragiona  generalmente  così  :  •<  E  impro- 
babile, che  i  siciliani  abbiano  a  pronunziarsi  per  l' autonomia  politica,  come  è  del  pari 
improbabile,  che  essi  vogliano  accettare  le  promesse  concessioni  di  Ferdinando  II  o 
del  Siracusa.  Antiveggendo  l' influenza,  che  la  Francia  tenterà  esercitare  sui  negozi 
politici  dell'  isola,  Garibaldi,  dicono  i  più,  sarà  forse  obbligato  a  ricorrere  al  voto  univer- 
sale, come  già  si  fece  m  Toscana  e  nell'  Emilia.  L'  annessione  della  Sicilia  al  Regno 
d' Italia  sarà  così  compiuta,  ed  un  Principe  della  Casa  di  Savoia  sarà  chiamato  a  reggere 
quella  stessa  isola  dalla  quale,  or  fa  un  secolo  e  mezzo,  derivava  il  suo  regale  titolo. 
I  nomi  di  Garibaldi  e  di  Vittorio  Emanuele  sono  troppo  identificati  con  quelli  d' indi- 
pendenza e  di  libertà,  e  sopratutto  con  quello  di  ostilità  ai  detestati  Borboni,  perchè 
essi  non  abbiano  a  cementare  la  fortunata  unione  dell'  isola  col  resto  d' Italia  ' . 

Se  vi  è  fatto,  che  abbia  impressionato  le  menti  dei  francesi  e  degli  inglesi,  dopo 
il  di  Lei  eroismo  e  quello  dei  di  Lei  soldati,  è  certamente    l'accordo    manifesto    dei 


London,    Published  by  T.   Me.    Lean.  26  Haymatket,    lOlh  Aprii.    1859. 

Thts  fine  painling  newly  dìscovered  in  Florence  is  atlnbuted  lo  Giotto,  v.ho  flourished  in  ihe  (ìfteenlh  century. 
1(9  subject  is  believed  lo  be  '*  The  kiss  of  Judas  Iscariot  ,,.  Stili  upon  this  point  opinions  differ,  bui  ihere  is 
no  doubt  ihal  il  represents  Two   Saints. 

Traduzione  : 

(Questo  bel  dipinto,  scoperto  rccenlemente  in  Firenze  è  attribuito  a  Giotto,  il  quale  \isse  nel  secolo  decimoquinlo 
Il  soggetto  si  crede  che  sia  **  Il  bacio  di  Giuda  Iscariota  ...  Ma  le  opinioni  sul  riguardo  non  sono  concordi: 
non  v'  ha  dubbio  però,  che   il  dipinto  rappresenta    Due   Santi. 


(^DaUa   collezione   Jel  Doli.    Curàlulo   in   Roma). 


LA  POLITICA  DELL'  INGHILTERRA  NEL  -59  E  '60  257 


siciliani  e  1'  aiuto  prestato  dal  clero  alla  causa  nazionale.  Ne  le  folgori  del  Vaticano 
avranno  potenza  di  intimorire  le  coscienze  di  cotesti  magnanimi  isolani  !  Piemontesi, 
lombardi,  toscani,  siciliani,  modenesi  e  parmensi,  scomunicati  per  scomunicati,  si  uniranno 
in  quel  fraterno  abbraccio,  nel  quale  sono  alla  vigilia  di  confondersi  le  sparse  genti 
d' Italia.  Ne  qui,  ne  a  Londra,  si  crede  possa  Vittorio  Emanuele  rifiutare  l' annessione 
dell'  isola.  L'  Austria  è  impossente  a  contrastarla  ;  1'  Inghilterra,  la  ne  sia  certa  Generale, 
r  Inghilterra,  mi  diceva  ieri  un  influente  membro  del  Parlamento  Britannico,  la  saluterà 
con  gioia.  In  quanto  alla  Francia,  si  affretterà  a  riconoscerla,  quantunque  non  sian\>i 
altre  Provincie  da  barattare.  Ne  valga  il  dire,  che  il  Piemonte  essendo  in  pace  con 
Napoli  non  consentono  le  leggi  internazionali,  che  per  esso  si  accetti  la  Corona  di 
Sicilia.  Qualsiasi  Governo  ha  il  diritto  di  riconoscere  l' indipendenza  di  un  territorio 
straniero  ed  accettarne  quindi,  la  sovranità,  se  liberamente  ed  universalmente  offerta. 
D' altra  parte,  la  di  Lei  spada  ha,  per  ciò  che  riguarda  1'  Italia,  squarciato  le  pagine 
di  quei  contratti,  che  da  secoli  hanno  costantemente  sanzionato  i  dolori,  i  martirii  della 
nostra  patria  !  Garibaldi  conquistatore  e  dittatore  non  vorrà  certamente  rinunziare  al 
diritto,  anzi  all'  obbligo  di  assicurare  l' annessione  dell'  isola  alla  patria  comune.  £i  non 
è  uomo  da  transazioni  codarde  ;  ei  saprà  dar  vita  alla  nazione  ! 

Ho  voluto  abborracciare  così,  alla  rinfusa,  queste  idee,  perchè  esse  riflettono,  a 
mio  credere,  la  vera  condizione  della  pubblica  opinione  di  questo  paese  e  dell'  Inghil- 
terra. In  questo  secondo  paese  le  speranze  sono,  a  dir  vero,  più  ardenti  ;  perchè  i 
patrioti  inglesi,  e  primi  quelli  del  Daily  News,  attendono  ad  ogni  momento  avere 
r  eroico  Capitano  mosso  il  passo  ardimentoso  fra  le  balze  della  Calabria.  Intanto,  le 
sottoscrizioni  procedono  favorevolmente  ed  i  meetings,  in  favore  della  Sicilia,  si  molti- 
plicano. Non  mancherò  di  tenerla  al  corrente  di  quanto  avviene  in  Inghilterra  ed  in 
Francia;  e  questo  farò  fino  al  giorno  nel  quale  potrò  raggiungerla.  Il  commendatore 
De  Martino,  inviato  da  Re  Ferdinando  alle  Corti  di  Francia  e  d' Inghilterra  fu  ieri  così 
freddamente  ricevuto  dall'  Imperatore  che  ha  perduto,  a  quanto  mi  dice  un  personaggio 
autorevole,  ogni  speranza  di  successo.  Sembra,  che  egli  abbia  per  ora  rinunziato  al  suo 
viaggio  a  Londra,  nella  quale  città  non  troverebbe  certamente  accoglienza  più  favorevole. 

Il  discorso  pronunziato  1'  altra  sera  da  Lord  Palmerston  nei  Comuni  deve  avere 
persuaso  il  diplomatico  napolitano,  che  i  Ministri  della  Regina  Vittoria  non  sono  disposti 
ad  assistere  una  dinastia,  che  ha  già  il  rantolo  della  morte  alla  gola.  Ardire  adunque, 
e  r  Italia  sarà,  per  Dio,  degli  italiani  ! 

Ove  valga  a  servirla,  mi  faccia  scrivere  a  Londra  :  "  Cacendish  Club  Regent 
Street  „ .  Un  saluto  fraterno  a  Don  Gusmaroli,  a  Nino  Bixio,  ad  Acerbi,  a  Corte  e 
Boldrini.  A  Lei,  mio  illustre  Generale,  tutta  la  devozione,  tutto  1'  affetto  reverente 

Del  suo  devoto 
CARLO  ARRIVASENE 

•to  esposto  dall'  Arrivabene  in  questa  lettera,  relativamente  al  diritto 
che  ogni  Governo  ha  di  riconoscere  l' indipendenza  di  un  territorio  straniero  e 

CURÀTULO  17 


258  CAVOUR  E  L' INDIPENDENZA  DELLA  GERMANIA 

di  accettarne  la  sovranità,  corrisponde  perfettamente  con  quanto  Lord  John  Russell 
aveva  scritto  alla  Regina  Vittoria  nella  lettera  del  30  aprile  di  quell'anno,  e  che 
è  bene  di  avere  sottocchio. 


Camera  dei  Comuni,   30  aprile   1860. 

Lord  John  Russell  presenta  i  suoi  umili  omaggi  a  Vostra  Maestà  ;  egli  è  dolente 
di  non  potere  consentire  colla  Maestà  Vostra,  che  vi  sia  alcunché  di  scorretto  nello 
incoraggiare  chi  vuol  rovesciare  il  Governo  del  Re  delle  due  Sicilie.  I  più  autorevoli 
scrittori  di  diritto  internazionale  considerano  come  un  merito  il  rovesciare  un  governo 
tirannico,  e  pochi  governi  sono  stati  tanto  tirannici  quanto  quello  di  Napoli.  Certo,  il 
Re  di  Sardegna  non  avrebbe  il  diritto  di  aiutare  il  popolo  delle  due  Sicilie,  se  non 
fosse  da  quel  popolo  stesso  invocato,  siccome  il  principe  d'  Grange  fu  chiamato  dalla 
miglior  parte  d'  Inghilterra,  onde  rovesciare  la  tirannia  di  Giacomo  II;  atto  che  ricevette 
r  unanime  plauso  dei  nostri  grandi  scrittori,  e  che  è  1'  origine  della  presente  nostra 
forma  di  governo. 


* 


La  prima  delle  lettere  dirette  a  Garibaldi  da  Gideon  S.  Lang,  per  la  sua 
importanza,  mi  parve  utile  trascrivere  nel  suo  testo  inglese,  e  darne  in  seguito, 
per  maggiore  comodità  del  lettore,  la  traduzione  letterale.  Ma  giova  anzitutto 
qualche  breve  considerazione. 

Chi  si  dà  a  giudicare  serenamente,  sulla  base  di  documenti,  la  politica 
dell'  Inghilterra,  verso  1'  Italia  nel  '59,  non  troverà  esagerate  le  parole,  che 
un  illustre  storico  nostro,  ebbe  a  scrivere  in  proposito  :  «  Prima  di  baloc- 
carci in  Italia  con  frasi  stereotipiche  sulla  tradizionale  amicizia  inglese,  scrive 
il  Luzio,  bisognerebbe  procurarsi  il  piacere  di  leggere  o  la  vita  del  Principe 
Consorte  di  Sir  Teodoro  Martin,  o  il  carteggio  della  Regina  Vittoria,  o  la 
"  Correspondence  respecting  the  affairs  of  Italy  ,,  dal  gennaio  al  maggio  1859, 
dove  riboccano  le  testimonianze  del  malvolere  pertinace,  opposto  da  Corte, 
Governo  ed  in  fondo  anche  dal  popolo  britannico,  alla  guerra  redentrice 
d'Italia  >•>. 

Però,  la  politica  inglese,  durante  la  campagna  garibaldina  di  Sicilia,  fu  ben 
diversa  da  quella  dell'  anno  avanti.  John  Bull  del  1  860  non  era  più  John  Bull 
del  '59!  Vero  è,  che  le  predilezioni  della  Regina  Vittoria  furono  nel  '60  per 
il  Borbone,   come  nel '59  erano  state  per  l'Austria;  ma  con  questa  differenza, 


LA  POLITICA  DELL-  INGHILTERRA  NEL  -59  E  '60  259 

che  mentre  il  Gabinetto  conservatore  di  Lord  Malmesbury  aveva  condiviso  ed 
appoggiato  la  politica  della  Regina,  il  Gabinetto  di  Lord  Palmerston  segui 
nel  '60  una  direttiva  diversa  ed  opposta  a  quella  della  Sovrana.  La  corrispon- 
denza fra  la  Regina  Vittoria  ed  i  suoi  Ministri,  fra  la  Regina  e  lo  zio,  il  re 
del   Belgio,    ha  gettato  nuova   luce  sull'  argomento. 

Uno  storico  inglese,  il  Treveiyan,  a  proposito  della  politica  seguita  nel  '59 
dall'  Inghilterra,  scrive  :  «  In  Inghilterra,  i  Ministri  conservatori  dell'epoca,  credendo 
che  le  sciagure  d' Italia  avrebbero  potuto  aver  (ine  senza  il  bisogno  di  cacciare  gli 
austriaci,  si  misero  alla  testa  di  un  forte  movimento  di  pace  ;  ma  con  spiccata  ten- 
denza austriaca  {wìih  a  strong  austrian  hìas).  Essi  miravano,  come  scrisse  Lord 
Malmesbury,  alle  combinazioni  territoriali  del  1815,  le  quali  avevano  segnato  il 
record  della  pace  più  lunga.  Molti  inglesi,  sebbene  simpatizzassero  per  l' Italia  e 
fossero  meno  disposti  verso  l'Austria,  partecipavano  però  al  terrore  dei  Ministri,  che 
cioè  quella  guerra  avrebbe  potuto  essere  il  preludio  di  un'  altra  era  di  conquiste 
napoleoniche.  L'ostilità  nostra  verso  la  Francia,  scrive  il  Treveiyan,  raffreddo 
in  quel  momento  il  nostro  entusiasmo  per  /'  Italia,  come  sei  mesi  dopo  invece 
servì  ad  accrescerlo  ». 

Non  v'  ha  dubbio  come  nel  '59,  non  soltanto  le  alte  sfere  politiche,  ma,  ben 
si  può  dire,  quasi  tutta  la  nazione  inglese  fossero  favorevoli  all'  Austria.  Una 
stampa  a  colori  pubblicata  in  quei  giorni  a  Londra,  divenuta  oggi  rarissima, 
che  tolgo  dalla  mia  raccolta,  dà  un  idea  dell'  ostilità  inglese  all'  alleanza  italo- 
francese  (  Vedi  l'annessa  riproduzione).  Detta  stampa  fu  pubblicata  il  1 0  aprile 
del  '59  con  la  seguente  caratteristica  leggenda:  «  This fine  painting  newly  disco- 
vered  in  Florence  is  atiributed  to  Giotto,  who  flourished  in  the  fifteenth  century. 
Its  subject  is  believed  to  be  "  The  kiss  of  Judas  Iscariot  „.  5/(7/  upon  this 
point  opinions  differ  ;  bui  there  is  no  doubt  thal  it  represents  two  Saints. 
{Questo  bel  dipinto,  recentemente  scoperto  in  Firenze  si  attribuisce  a  Giotto,  che 
visse  nel  secolo  decimoquinto.  Il  soggetto  sembra  essere  "  Il  bacio  di  Giuda 
Iscariota  „.  Ma  le  opinioni  su  ciò  non  sono  concordi;  non  v' ha  dubbio  però, 
che  il  dipinto  rappresenta  due  Santi)  ».  E  da  notare  moltre,  che  nella  stampa 
la  veste  che  indossa  Napoleone  è  di  colore  verde,  mentre  è  rossa  quella  di 
Vittorio  Emanuele  ;  sembra  qumdi,  stando  alle  dimostrazioni  pittoriche  della 
passione  di  Cristo,  che  nella  mente  dell'  autore  il  Giuda  dovesse  essere 
Napoleone   III  ! 


Macaulay    Treveiyan  -  Loco  citato,  pag.   115-116. 


260  CAVOUR  E  L"  INDIPENDENZA  DELLA  GERMANIA 

Dicevo  dianzi,  come  John  Bull  del  1860  non  fosse  più  quello  del  '59!  Il 
Trevelyan  scrive  :  "  La  gelosia  della  Francia,  che  aveva  raffreddato  il  nostro 
entusiasmo  per  l'Italia,  durante  la  guerra,  ci  spinse,  dopo  Villa/ranca,  ad  offrire 
qualche  cosa  di  più  dello  stesso  Napoleone  per  ottenere  la  gratitudine  dell'Italia, 
ora  che  quegli  esitava  ;  e  ci  stimolò  ad  aiutare  la  formazione  di  uno  Stato 
italiano,  forte  abbastanza  per  divenire  indipendente  dalla  protezione  di  Napo- 
leone ».  Più  oltre  soggiunge:  «  La  guerra  era  ancora  violenta  e  la  vera  ori- 
gine della  neutralità  inglese  destava  dei  dubbi,  avuto  nguardo  alle  predilezioni 
per  r  Austria  del  Gabinetto  Derby  ;  il  quale  restava  ancora  in  funzione,  in 
attesa  del  discorso  della  Corona.  Uno  degli  ultimi  atti  del  Ministero  conserva- 
tore era  stato  quello  di  mandare  Henry  Hellyott  a  Napoli  con  ordini  di  dis- 
suadere il  re  di  Napoli  d'  unirsi  al  Piemonte  nella  guerra  contro  l' Austria. 
Quindi,  non  soltanto  l' Inghilterra,  ma  anche  la  Francia,  1'  Italia  e  V  Austria 
attendevano  impazienti  il  risultato  dell'emendamento  al  discorso  del  giovane  Lord 
Hartington.  Nelle  prime  ore  del  mattino  dell'  1  1  giugno,  una  maggioranza  di 
1 3  voti  fu  annunziata  nel  Parlamento,  affollato  da  più  di  630  membri,  ed  il 
Ministro  piemontese,  il  quale  con  altri  stranieri  presenziava  nella  tribuna,  gettò  il 
cappello  in  aria  e  si  buttò  nelle  braccia  di  Jaucourt,  attaché  francese  ;  un  atto 
cui  nessuno  ambasciatore  si  era  mai  abbandonato  in  un  luogo  così  pubblico. 
E  quando  il  vecchio  Lord  Palmerston  si  presentò,  raggiante  nel  viso  torvo, 
gì'  Italiani  raddoppiarono  le  grida.  In  verità,  continua  il  Trevelyan,  la  loro 
condotta  non  fu  ne  corretta,  né  avveduta  ;  essa  ferì  il  Ministero  sconfitto. 
GÌ'  Italiani  avevano  dimenticato  dove  si  trovavano  e  pensavano  soltanto  all'  Italia, 
alla  tragica  terra  di  cui  ben  pochi  di  quegli  Inglesi,  ricchi  e  liberi,  avevano 
nozione  ;  una  terra,  dove  il  pensare  era  pericolo,  il  parlare  una  rovina,  l'agire 
la  morte  ;  dove  gli  uomini  di  Stato  venivano  incatenati  insieme  ai  delinquenti  ; 
dove  infine,  le  donne  erano  trattate  con  la  sferza  e  gli  uomini  fucilati!  Quando 
gì'  Italiani  videro  comparire  Palmerston  lo  applaudirono,  perchè  egli  era  1'  uomo 
che,  nella  sua  maniera  ruvida  e  brutale,  aveva  sovente  detto  tali  verità,  che 
diplomatici  ed  uomini  di  stato  sogliono  nascondere,  e  quell*  uomo  tornava  al 
potere  ancora  una  volta.  Nella  luce  crepuscolare  di  quel  mattino,  gì'  Italiani 
videro  l' alba  di  speranza  per  la  loro  patria  ;  e  veramente  1'  Italia  con  quel 
voto  aveva  vinto  molto  più  di  quanto  essa  credette,  molto  più  di  quello  che 
Jaucourt,  Y attaché  francese  avrebbe  desiderato  !  Quel  voto,  conclude  il  Trevelyan, 
fu  l'abbraccio  di  congedo  dato  dall'Italia  alla  Francia!». 


'  Macaulay  Trevelyan  -  Loco  citato,  London,    1909,  pag.  80-81. 


LA  POLITICA  DELL'  INGHILTERRA  NEL  59  E  60  261 

Il  mutamento  della  politica  inglese,  coli'  avvento  al  potere  di  Palmerston, 
Russell  e  Gladstone,  balza  fuori  con  tutta  la  vivacità  di  colori  dalle  lettere  di 
quell'epoca  di  Lord  John  Russell,  ministro  degli  affari  esteri  alla  Regina  Vittoria. 
Cambiamento  di  politica  che  ebbe  inizio,  si  può  dire,  con  la  lettera  del  1  3  luglio  '59; 
in  essa  Lord  Russell  diceva  :  «  Non  v'ha  dubbio,  che  l'Imperatore  Napoleone  è 
all'apogeo  della  potenza.  Ciò  accadde,  perchè  lo  si  lasciò  essere  il  solo  campione 
della  causa  del  popolo  italiano  ». 

La  verità  adunque  si  è,  che  lo  stesso  sentimento,  che  aveva  indotto 
r  Inghilterra  a  vedere  di  malanimo  la  guerra,  che  noi  combattevamo  nel  '59 
contro  l'Austria,  la  spinse  poi  nel  1 860  ad  aiutarci  contro  il  Borbone  :  il  timore 
cioè,   di  una  preponderanza  napoleonica  in  Europa. 

GÌ'  Italiani  però  non  furono,  come  non  saranno  mai,  immemori  del  grande 
aiuto,  che  dall'  Inghilterra  venne  alla  gloriosa  impresa  di  Garibaldi,  anche  se 
queir  aiuto  fu  ispirato  da  fini  particolari.  Noi  non  dimenticheremo,  che  il  popolo 
inglese  mandò  denaro  ;  che  molti  inglesi  combatterono  con  Garibaldi  e  soprattutto 
rammenteremo  che  l' Inghilterra  fu  la  terra  prediletta  dagli  esuli  nostri  con  Giuseppe 
Mazzini  alla  testa  ;   la  terra  che  1'  Eroe  amò  e  dalla  quale  fu  tanto  amato  ! 

Quando,  nel  '64,  Garibaldi  andò  a  Londra,  ricevendo  un'  accoglienza 
rimasta  memorabile,  si  pensò  di  fare  dei  bazars,  allo  scopo  di  raccogliere  fondi 
da  mandarsi  ai  Comitati  insurrezionali  italiani  per  la  continuazione  della  guerra 
dell'indipendenza.  Uno  di  questi  bazars  fu  tenuto  a  Bradford,  e  Garibaldi  vi 
mandò  una  sua  grande  fotografia,  che  qualche  anno  fa  io  ebbi  la  fortuna  di  acqui- 
stare a  Londra  e  sulla  quale  l' eroe  aveva  scritto  di  sua  mano  la  seguente  dedica  : 
^  Al  libero  paese!  All'Inghilterra,  ove  palpita  il  cuore  di  un  popolo,  che  si 
commuove  ai  patimenti  di  tutte  le  oppresse  nazionalità  e  che  accoglie  benevolmente 
la  sciagura  » . 

Quel  ritratto  fu  acquistato  da  un  signore  inglese  per  il  prezzo  di  1 00  guinee  : 
(Lire   2600). 

Ma,   senza  oltre  indugiarmi,  ecco  il  testo  delle  importanti  lettere. 

Gideon  S.  Lang  a  Garibaldi. 

To  his  Excellencv  General  Garibaldi,   Dictalor  of  Sicil};. 

London,  6  June  1860. 

31,   Albion  Street 

Please  your  ExcellencX), 

Since  I  had  the  the  honour  of  receiving  your  Iettar  of  2.^^  May,  and  more  parti- 
culary  since  the  publication  of  my  letter  in  the  Times  of  first  June  which  1  enclose,  I 


262  CAVOUR  E  L' INDIPENDENZA  DELLA  GERMANIA 

find  myself  undesignedly  in  the  position  o{  your  representative,  and,  so  being,  have 
used  every  effort  to  prepare  our  public  men  for  the  crisis  evidently  ahead  of  you, 
namely  the  interference  of  Napoleon  to  prevent  the  estabUshment  of  a  united  Italy 
under  Victor  Emanuel. 

2.  Lord  John  Russel  hearing  that  I  was  in  corrispondence  with  you  expressed  a 
wish  to  see  me,  and  1  called  at  his  private  residence.  After  reading  your  letter,  we 
had  a  rather  a  long  conversation,  of  which  I  will  send  a  statement  in  two  days  (inclusing  in 
this  a  key  to  the  same)  ;  his  Lordship  having  cautioned  me  to  beware  letting  it  become 
public.  I  will  only  say  now,  that  he  spoke  freely  and  the  result  was  very  satisfactory. 

3.  I  have  been  in  communication  with  several  of  our  most  able  politicai  writers, 
many  M.  P.  and  other  men  of  great  intelligence,  and  the  following  is  an  embodiment 
of  their  opinions.  First,  that  the  suspicion  and  dislike  of  Napoleon  is  almost  universal 
and  increasing  in  intensity  every  day  ;  second,  that  Italy  should  be  free,  independent 
and  united  and  third,  that  the  Italians  should  be  allowed  to  settle  their  own  affairs 
without  interference  from  any  quarter. 

4.  The  difficully  will  be  to  make  the  nation  shake  in  such  a  voice  that  Napoleon 
will  see  that  we  are  in  earnest.  It  may  very  probably  be  however  for  several  reasons. 
First,  there  is  a  strong  conviction  that  we  will  have,  sooner  or  later,  a  war  with  Napoleon  ; 
second  the  Ten  Millions  of  Income  tax  has  originated  the  idea  that  may  just  as  well 
have  the  war  at  once  and  be  done  with  it  as  pay  for  it  indefinitely  and  third,  there 
are  now  200,000  men  on  foot,  volonteers  and  regulars  ;  we  feel  prepared  and  not  at 
ali  inclined  to  be  hunbugged  by  Napoleon,  as  the  Nation  indignantly  feels  that  it  has 
been.  Only  the  application  of  the  match  is  required  to  cause  such  an  explosion  as  wouid 
force  any  Ministery  to  interfer  in  your  behalf.  Mr.  Worsman  (M.  P.)  in  discussing 
the  matter  with  me  fast  night,  said  "<  that  upon  no  subjects  could  the  House  be  more 
unanimous  than  in  their  desire  to  see  an  united  and  indipendent  Italy,  and  suspicion  of 
of  Napoleon  's  interference  there,  and  on  no  subjects  more  helpless  ;  but  he  added, 
«  if  Lord  Palmerston  will  make  such  a  speech  as  he  has  made  perhaps  once  in  twenty 
years,  600  members  will  go  with  him  as  one  man  ;  if  he  will  only  give  the  real  roar 
of  the  Britsh  Lion,  the  whole  country,  every  town  and  village  will  be  up  in  arms  » ,  and 
1  believe  him.  I  need  scarcely  point  out  to  you  however,  that  before  such  a  demonstration 
could  be  attempted,  it  must  be  palpable  to  the  Nation  that  Napoleon  is  actually  interfe- 
ring  dangerously  in  Italy  ;  it  is  now,  in  the  eyes  of  the  general  public  a  mere  suspicion 
that  he  looks  to  the  throne  of  Naples  for  a  Murat,  and  its  effect  upon  Europe  is  not 
at  ali  realised.  He  is  so  insidious  that,  with  Cavour  to  work  with,  the  mischief  may 
be  done  before  John  Bull  realises  the  danger. 

5.  With  a  view  to  this,  I  am  now  acting.  Besides  conversations,  I  am  preparing  a  series 
of  letters  forth  the  Times  of  which  the  enclosed  is  the  first  ;  the  fast,  when  the  time  comes 
for  it,  will  be  a  careful  and  bitter  resumé  of  Napoleon  's  frauds  and  deceptions  m  Italy,  and 
of  the  trikery  of  his  dealings  with  England.  I  will  then  again  point  out  the  concequences 
to  Europe,  and  appeal  for  fair  play  to  the  Italians  for  our  own  sakes  as  well  as  theirs. 

6.  My  last  move  will  be  the  pubblication  of  your  letter  to  me  ;  which  it  is  believed 
will  raise  the  whole  country  from  one  end  to  the  other.   I  have  been  strongly  advised 


LA  POLITICA  DELL'INGHILTERRA  NEL  '59  E '60  263 

not  to  publish  it  until  Napoleon  's  proceedings  will  justify  the  Governement  in  giving 
expression  to  the  feehngs  of  the  nation,  and  then  it  will  act  like  the  springing  of  a 
mine.  I  would,  however,  respectfuliy  ask  your  permission  to  leave  out  Cavour  's  name  ; 
it  will  not  diminuish  its  force  against  Napoleon,  and  will  avoid  so  public  a  proclamation 
of  a  faci,  which  many  most  able  men  regard  as  one  of  the  greatest  dangers  of  the 
present  struggle,  namely  the  differences  between  you  and  Count  Cavour,  which  gives 
Napoleon  a  fearful  advantage.  The  extract  N.  2  is  upon  this  subject. 

Through  Madame  Schwabe,  a  devoted  friend  of  yours,  I  bave  an  apportunity  of 
sending  my  Times  letter  of  Frieday  to  Baron  Bunsen,  and  through  him  to  the  Prince 
Regent  of  Prussia,  with  a  letter  adressed  to  ber  pointing  out  the  importance  to  Prussia 
of  an  united  Italy,  and  the  danger  of  allowing  a  Murai  to  reign  in  Naples.  Madame 
also  gives  a  party  in  a  few  days  on  purpose  to  introduce  me  to  Mr.  Milner  Gibson, 
Minister,  Board  of  Irade  and  other  politicai  men.  Madame  is  also  eslablishing  an  Asso- 
ciation  of  Ladies  to  raise  subscriptions  for  the  wounded  and  widows  of  your  volonteers. 
Il  was  intended  to  be  locai  and  to  enlist  the  efforts  of  a  number  of  ladies  in  London, 
bui  I  am  now  engaged  in  it  with  ber  on  purpose  to  make  il  a  National  demonstration, 
which  may  form  a  powerful  lever,  when  the  lime  comes.  If  the  minds  and  sympathies 
of  ali  the  women  in  England  are  actively  engaged  in  behalf  of  your  widows  and  wounded, 
an  attempi  of  Napoleon  to  deprive  them  and  ali  they  had  foughl  and  bied  for,  will 
present  itself  as  a  monstruosity. 

Il  has  been  suggesled  to  me  by  a  very  able  writer,  that  you  would  very  much 
strengthen  your  politicai  position  by  resuscilating  the  Constitution  of  1812,  and  calling 
togelher  the  states,  thereby  placing  yourself  in  exactly  the  same  position  as  the  Dutchies 
when  ihey  called  togelher  their  Assemblies.  But  for  you  stili  to  retain  the  Dictator- 
ship,  even  when  advancing  upon  Naples  ;  which  every  one  expects  you  to  do. 

I  feel  very  proud  of  the  honour  that  has  been  forced  upon  me,  and  the  labour  is 
a  labour  of  love  ;  bui  I  need  noi  say  that  I  am  very  anxious  to  bear  from  you  again. 


'^^icuuUT'CfiLU,   Autf-*c-^-<.    -^   à^ 


P.  S.  -   May  I  engagé  your  attention  to  signor  Zeffiro  Gemignani  correspondenl 
of  the  Morning  Post  and  of  Mr.   Montgomery  Stuart  mentioned  in  te  "  key  „  ? 


264  CAVOUR  E  L"  INDIPENDENZA  DELLA  GERMANIA 

Traduzione. 

A   Sua  Eccellenza  il  Generale  Garibaldi,   Dittatore  della  Sicilia. 

Londra,  6  giugno   1860. 

31.   Albion  Street. 

Dopo  che  ebbi  l'onore  di  ricevere  la  vostra  del  2  maggio,  e  più  precisamente  dopo 
la  pubblicazione  della  mia  lettera  nel  Times  del  1"  giugno  che  vi  accludo,  io  mi  trovo 
involontariamente  nella  posizione  di  essere  vostro  rappresentante  e  come  tale  ho  fatto 
ogni  sforzo,  onde  predisporre  le  nostre  personalità  politiche  alla  crisi,  che  evidentemente 
sta  loro  davanti,  cioè  l' inf ramettenza  di  Napoleone  per  impedire  il  compimento  di  un'Italia 
unita  sotto  Vittorio  Emanuele. 

2.  Lord  John  Russel,  sapendo  che  io  era  in  corrispondenza  con  voi,  manifestò  il 
desiderio  di  vedermi  e  andai  a  trovarlo  nel  suo  domicilio  privato.  Dopo  di  aver 
letto  la  vostra  lettera,  noi  ebbimo  una  conversazione  piuttosto  lunga,  della  quale  vi  manderò 
ragguaglio  fra  due  giorni  (accludendole  in  questa  un  cifrario  per  essa),  avendomi  Lord 
Russel  prevenuto  di  stare  bene  attento,  che  quella  conversazione  non  diventasse  pubblica, 
lo  vi  dico  ora  soltanto  questo  :  che  ho  parlato  liberamente  e  che  il  risultato  fu  soddisfacente. 

3.  Sono  stato  in  comunicazione  con  diversi  dei  più  esperti  dei  nostri  scrittori  di 
cose  politiche,  molti  deputati  ed  altri  uomini  di  grande  intelletto  ed  il  riassunto  delle 
loro  opinioni  è  il  seguente  :  primo,  che  il  sospetto  e  1'  avversione  verso  Napoleone  è 
quasi  universale  e  crescente  in  intensità  ogni  giorno  ;  secondo,  che  l' Italia  dovrebbe 
essere  libera,  indipendente  ed  unita  ;  terzo,  che  agli  Italiani  dovrebbe  essere  permesso 
di  aggiustare  le  cose  loro,  senza  l' intervento  di  alcuno. 

4.  La  difficoltà  sta  nello  scuotere  la  nazione  in  maniera,  che  Napoleone  si  accorga 
che  diciamo  sul  serio  ;  questo  però  è  molto  probabile  che  accada  per  diverse  ragioni. 
Anzitutto,  vi  è  la  forte  convinzione  che  noi  avremo,  presto  o  tardi,  una  guerra  con 
Napoleone  ;  secondo,  che  i  dieci  milioni  della  tassa  d'  entrata  hanno  fatto  nascere  l' idea, 
che  la  guerra  possa  aver  luogo  subito  ed  esser  fatta  con  queUi  ;  terzo,  che  abbiamo 
sul  piede  di  guerra  200.000  uomini,  volontari  e  regolari.  Noi  siamo  preparati  e  non 
vogliamo  essere  messi  nel  sacco  da  Napoleone,  come  la  nazione  sdegnosamente  sente 
di  essere  stata  messa  finora.  Una  sola  scintilla  basterebbe  a  provocare  tale  esplosione, 
che  obbligherebbe  il  Ministero  ad  intervenire  in  vostro  aiuto. 

Mr.  Worsam,  membro  del  Parlamento,  discorrendo  sul  proposito  con  me  ieri  sera, 
diceva  che  su  nessun  altro  argomento  la  Camera  potrebbe  essere  così  unanime,  come 
su  quello  che  riguarda  un'  Italia  libera  ed  indipendente  e  sul  sospetto  che  Napoleone  la 
ostacola  ;  ma  che  nulla  essa  potrebbe  fare.  Poi  soggiunse  :  "  Se  Lord  Palmerston  farà 
un  discorso  tale,  come  egli  ne  ha  fatto  forse  uno  in  venti  anni,  600  deputati  lo  segui- 
ranno come  un  sol  uomo  ;  se  egli  farà  sentire  soltanto  il  vero  ruggito  del  leone  inglese, 
r  intero  paese,  città  e  villaggi,  sorgeranno  in  armi ,, ,  ed  io  lo  credo.  Non  occorre, 
però  che  vi  dica  che,  affinchè  una  tale  dimostrazione  possa  avvenire,  è  necessario  che 
la  nazione  abbia  le  prove  palpabili,  che  veramente  Napoleone  cerca  di    ostacolare    e 


LA  POLITICA  DELL'  INGHILTERRA  NEL  59  E  '60  265 

danneggiare  1'  Italia.  E  attualmente  negli  occhi  del  pubblico  un  semplice  sospetto,  che 
Napoleone  miri  al  trono  di  Napoli  per  un  Murat  e  gli  effetti  di  questo  avvento  sull'  Europa 
non  sono  ancora  completamente  realizzati.  Egli  è  cos'i  insidioso  che,  lavorando  insieme 
con  Cavour,    il  male  può  esser  fallo  prima  che  John  Bull  realizzi  il  pericolo. 

5.  In  vista  di  ciò,  io  sto  agendo.  Oltre  delle  conversazioni,  preparo  una  serie  di 
lettere  per  il  Times,  delle  quali  la  prima  è  quella  che  vi  accludo  :  1'  ultima,  quando 
il  tempo  sarà  venuto,  sarà  un  accurato  ed  amaro  riassunto  delle  frodi  e  delle  disillusioni  di 
Napoleone  verso  Italia  e  della  sua  artifiziosa  condotta  verso  1'  Inghilterra.  Metterò  allora 
di  nuovo  in  rilievo  le  conseguenze  per  1'  Europa  e  la  necessità  di  un  movimento  per 
gì'  interessi  nostri  e  per  quelli  degli  Italiani. 

6.  L*  ultima  mia  mossa  sarà  la  pubblicazione  della  vostra  lettera  a  me  diretta  ;  la 
quale,  si  crede,  solleverà  tutto  il  paese,  da  un'  estremità  all'  altra.  Mi  si  è  caldamente 
raccomandato  di  non  pubblicarla,  finche  la  condotta  di  Napoleone  non  giustificherà  il 
Governo  di  attuare  i  sentimenti  della  nazione  ed  allora  si  avrà  come  1'  espolsione  di 
una  mina.  Vorrei  però,  chiedere  rispettosamente  il  vostro  permesso  di  mettere  da  parte 
il  nome  di  Cavour  ;  ciò  non  toglierà  forza  contro  Napoleone  ed  eviterà  una  procla- 
mazione così  pubblica  di  un  fatto,  che  molti  dei  nostri  più  abili  uomini  politici  con- 
siderano come  uno  dei  più  grandi  pericoli  della  lotta  presente,  cioè  le  divergenze  fra 
voi  e  il  conte  di  Cavour,  che  danno  a  Napoleone  un  temibile  vantaggio.  Il  paragrafo 
N.  2  è  su  questo  argomento. 

Per  mezzo  di  Madame  Schwabe,  un'  amica  a  voi  devota,  ho  1'  opportunità  di 
mandare  la  mia  lettera  del  Times  di  venerdì  al  barone  Bunsen  e  per  mezzo  di  lui  al 
Principe  Reggente  di  Prussia,  con  una  lettera  indirizzata  ad  essa  in  cui  rilevo  l' impor- 
tanza per  la  Prussia  di  un'  Italia  unita,  ed  il  pericolo  di  permettere  il  regno  di  un 
Murat  a  Napoli.  Madame  Schwabe,  inoltre,  fra  pochi  giorni,  darà  un  ricevimento  allo 
scopo  di  presentarmi  Mr.  Milner  Gibson,  ministro,  ed  altri  uomini  politici.  La  signora 
sta  pure  fondando  un'  associazione  di  dame  per  raccogliere  fondi  per  i  feriti  e  le  vedove 
dei  vostri  volontari.  Si  pensava  di  farne  una  cosa  locale  ;  ma  io  sono  ora  impegnato 
a  farle  avere  un  significato  nazionale  ;  ciò  potrà  essere  una  leva  potente  in  vostro  favore, 
al  momento  dato.  Se  tutte  le  donne  d'  Inghilterra  sono  fortemente  impegnate  in  sollievo 
dei  vostri  feriti  e  delle  vedove  dei  vostri  volontari,  ogni  sforzo  di  Napoleone  tendente 
a  privarli  di  questo  aiuto  sarebbe  da  per  se  stesso  una  mostruosità. 

Mi  è  stato  suggerito  da  uno  scrittore  molto  abile,  che  voi  aumentereste  moltissimo 
il  prestigio  della  vostra  posizione  politica,  risuscitando  la  Costituzione  del  1812,  convo- 
cando insieme  gli  Stati,  mettendovi  con  ciò  nella  identica  posizione  dei  Ducati,  quando 
essi  riunirono  le  loro  assemblee.  Ma  ritenete  ancora  la  Dittatura,  anche  avanzando  su 
Napoli  ;  la  qualcosa  ognuno  si  aspetta  voi  farete. 

Io  mi  sento  molto  orgoglioso  dell'  onore,  che  mi  è  stato   dato    e    1'  opera    mia    è 

opera  di  amore  ;  non  è  necessario  però,  che  vi  dica    quanto  sia    ansioso    di    ricevere 

vostre  lettere  nuovamente. 

Ho  r  onore  di  essere  col  massimo  rispetto 

Di    vostra    Eccellenza 

GIDEON  S.  LANG 


266  CAVOUR  E  L'INDIPENDENZA  DELLA  GERMANIA 

L' altra  lettera  che  traduco  dall'autografo  inglese  fu  scritta  da  Lang  a 
Garibaldi  dopo  la  conversazione  avuta  con  Lord  Russell.  Mancando  sfortuna- 
tamente il  cifrario,   non  mi   è  stato  possibile  il    decifrare  qualche  nome. 

Gideon  S.  Lang  a  Garibaldi. 

Londra,  9  giugno  1860. 
Caro  e  rispettato  Amico, 

Voi  avrete  già  ricevuto,  prima  di  questa,  una  lettera  contenente  il  mezzo  per 
interpretare  la  presente  e  vi  do  subito  ragguaglio  della  mia  conversazione  con  0, 1  {Lord 
Russell),  il  quale,  sapendo  che  io  era  in  corrispondenza  con  voi,  manifestò  il  desiderio 
di  vedermi. 

2)  Comincio  però  coli' assicurarvi  sull'autorità  di  50  (?),  che  le  opinioni  ed  il 
sentimento  di  25  (Consiglio  di  Ministri?)  sono  interamente  cambiati  riguardo  a  38 
(Napoleone).  Al  principio  della  quistione  di  Nizza  e  Savoia  ebbe  luogo  una  discus- 
sione in  25  (Consiglio  dei  Ministri?),  in  cui  17  (Palmerston ?)  parlò  così  efficace- 
mente sulla  poHtica  di  38  (Napoleone)  e  sulla  necessità  di  ostacolarla,  che  la  direttiva 
politica  del  Governo  d' allora  in  poi  è  stata  assai  influenzata  dalle  sue  osservazioni. 
Tutti  convennero  che  la  politica  di  Napoleone  era  pericolosa  per  la  pace  della  Europa  ; 
personalmente  disonorevolissima  a  lui  stesso  e  tale  da  mettere  in  condizione  gli  uomini 
di  Stato  del  nostro  paese  e  degli  altri  a  non  nutrire  alcuna  fiducia  sulle  sue  assicu- 
razioni e  sulle  sue  intenzioni.  11  vero  stato  delle  relazioni  fra  questo  Governo  e  quello 
di....  (Francia?),  a  parte  delle  convenzioni  diplomatiche,  è  quello  del  più  grande  disin- 
teresse da  parte  di  quest'  ultimo  e  della  massima  sospettosa  gelosia  da  parte  del 
nostro  Governo.  Si  giudica  così  ignobile  la  di  lui  condotta,  che  9  (Gladstone  ?)  spesso 
chiama  38  (Napoleone)  coli' appellativo  di  28-4-20-6-28,  19-16-15-1  (?)  ;  e  50  (?)  mi 
disse  che  0.1  (Lord  Russell),  dopo  la  mia  intervista,  andò  a  trovare  una  gran  dama 
sua  amica  e  che  parlando  della  lettera  di  90  (Garibaldi)  a  me  diretta,  abbia  esclamato 
che  essa  sarebbe  stata  per  loro  un'occasione  assai  propizia. 

3)  Appena  mi  sedetti  diedi  a  0.1  (Lord  Russell)  la  vostra  lettera  colla  mia; 
quest'  ultima  era  tutta  intorno  alla  Sicilia  ed  all'  avvenire,  mentre  la  vostra  non  parlava 
ne  dell'una  ne  dell'altro,  sebbene  vi  si  riferisse.  Egli  disse  supporre,  che  forse  voi 
non  credevate  di  farne  parola  in  questo  momento.  Dopo,  lesse  tutte  e  due  le  lettere 
accuratamente  (la  vostra  con  grandissimo  interesse  e  nell'originale)  ed  alla  fine  disse, 
sorridendo,  come  se  quella  lettura  l' avesse  mollo  divertito  :  ■»  E  molto  forte  contro  38 
(Napoleone)  ».  Io  risposi,  che  certamente  lo  era;  ma  che  non  avevo  mai  avuto  diversa 
opinione  di  38  (Napoleone). 

4)  Gli  dissi,  che  consideravo  la  vostra  lettera  a  me  diretta,  scritta  non  soltanto 
per  mia  personale  informazione  ed  egli  aggiunse  che  non  avrebbe  dovuto,  per  nessuna 
ragione,  essere  pubblicata.  Risposi,  che    non    l' avrei    fatto    per  ora  ;  ma  che  se    fosse 


LA  POLITICA  DELL'  INGHILTERRA  NEL  "59  E   60  267 

stato  necessario  il  pubblicarla,  per  illuminare  il  paese  a  sostegno  del  Governo  contro  38 
(Napoleone),  l'avrei  ritenuta  mollo  utile  ed  efficace. 

5)  Disse  che  aveva  ricevuto  un  telegramma  da  Napoli,  annunziante  che  l' armi- 
stizio era  stato  rifiutato  e  che  il  bombardamento  era  forse  ricominciato,  manifestando 
grande  sdegno  e  sentimento  di  orrore,  al  quale  io  mi  associai.  Continuò  poi,  dicendo 
che  non  v'  era  più  dubbio  ormai  che  la  Sicilia  dovesse  ritenersi  perduta  per  Napoli, 
e  che  mai  più  l'avrebbero  riacquistata.  Replicai,  che  il  vostro  successo  era  certo  e  che 
avreste  sicuramente  mantenuto  il  potere. 

6)  Mi  chiese  allora,  se  io  sapessi  se  fosse  intenzione  vostra  di  marciare  su  Napoli. 
Risposi,  che  non  avevo  nessuna  personale  informazione  su  ciò;  ma  che  ritenevo  che, 
appena  avreste  sottomessa  1'  isola  ed  organizzato  1'  armata  ed  un  governo,  avreste 
marciato  su  Napoli.  Che  consideravo  unico  pericolo  gl'intrighi  dei  Murattisti,  che  da 
mesi  si  erano  andati  preparando  per  ottenere  una  manifestazione  m  favore  di  un  Bona- 
parte.  Che  un  largo  numero  dei  Generali  e  dei  più  alti  Ufficiali  dell'armata  del  Re 
erano  già  stati  conquistati  dalla  Francia  ;  che  se  la  elezione  di  un  nuovo  Governo 
fosse  stata  diretta  da  loro  non  vi  sarebbe  stata  quella  libera  manifestazione  della  volontà 
popolare,  che  era  tutto  ciò  che  i  patrioti  avrebbero  desiderato.  Quello  che  90  {Garibaldi) 
teme,  dissi,  è  1*  influenza  di  38  {Napoleone). 

7)  Egli  affermò,  che  certamente  considerava  non  esservi  più  possibilità  di  conci- 
liazione fra  Re  e  popolo  ;  che  le  cose  erano  andate  troppo  avanti  ;  ma  non  prestava 
molta  fede  nella  cospirazione  Murattista.  Gli  diedi  le  prove  che  avevo  e  molte,  dopo 
la  pubblicazione  delle  mia  lettera,  fornitemi  principalmente  dal  Dr.  Chapman,  editore 
del  Westminster  Review,  che  aveva  scritto  molto  efficacemente  sul  proposito  e  che  è 
fonte  di  larghe  corrispondenze.  Sembrò  assai  impressionato  e  pensieroso,  e  disse  a 
bassa  voce,  quasi  parlando  con  se  stesso  :  "  E  impossibile  di  dire  ciò  che  si  deve  fare 
o  che  si  può  fare  »,  e  pronunziò  due  volte  le  parole:  «  che  si  può  fare  ».  Mi  parve 
come  se  volesse  dire,  che  non  era  possibile  di  precisare  quale  condotta  38  {Napoleone) 
sarebbe  per  tenere  e  m  conseguenza  che  cosa  sarebbe  stato  necessario  a  17  {Palmerston?) 
di  (are. 

8)  La  conversazione  si  era  arrestata,  quando  io  feci  notare  che  temevo  che  voi 
avevate  compromesso  il  Mezzogiorno  d'  Italia,  agendo  così  esclusivamente  per  Vittorio 
Emanuele,  invece  di  tenere  quello  che  voi  andavate  conquistando  sulla  base  del  voto 
popolare,  fino  a  che  le  cose  non  si  fossero  definitivamente  sistemate. 

9)  0.1  {Lord  Russell)  m'interruppe  abbastanza  rudemente  per  dirmi,  che  egli 
non  divideva  la  mia  opinione,  che  voi  avevate  fatto  bene  e  replicò  :  «^  Se  gì'  italiani 
non  lavorassero  tutti,  avendo  in  vista  uno  stesso  obiettivo,  le  loro  forze  andrebbero  divise 
e  perdute  ». 

10)  Risposi  che  non  intendevo  dire  questo.  Garibaldi,  dissi,  prende  ogni  cosa 
in  nome  di  Vittorio  Emanuele  ed  incorpora  le  conquiste  che  va  facendo  al  regno  di 
Sardegna,  così  che  esse  sono  subito  poste  nelle  mani  di  Napoleone  e  Cavour  per 
tagliarvi  e  trinciarvi  sopra.  Mentre,  se  egli  ritenesse  tutto  il  Sud  d'  Italia  nelle  sue 
mani,  fondandosi  semplicemente  sui  diritti  del  popolo,  esso  sarebbe  sempre  di  Vittorio 


268  CAVOUR  E  f  INDIPENDENZA  DELLA  GERMANIA 

Emanuele,  ma  diventerebbe  meno  facile  un  intervento  napoleonico.  Del  resto,  aggiunsi,  vi 
è  una  considerevole  minoranza  in  favore  di  un  Bonaparte,  di  un  Murat  e  di  un  regno 
separato,  e  si  può  dire  con  giustizia  che  la  corona  è  data  a  Vittorio  Emanuele  non 
dalla  voce  del  popolo,  ma  dal  volere  di  Garibaldi.  Infatti  il  compenso  richiesto  da 
Napoleone  della  Sardegna  sarebbe  forse  facilmente  avvenuto,  se  il  Sud  non  fosse 
ancora  nelle  mani  vostre,  come  Dittatore  ed  aperto  alla  libera  volontà  del  popolo. 

11)  0.1  (Lord  Russell)  allora  replicò:  «  Ma  il  conte  di  Cavour  dice  che  non 
darà  Genova  nemmeno  per  la  Venezia  ».  Io  mostrai  con  un  sorriso  e  con  un  gesto, 
il  mio  scherno  per  le  assicurazioni  di  Cavour,  aggiungendo  :  «  Ma  questo  non  è  cer- 
tamente sufficiente  dopo  i  affare  di  Nizza  e  Savoia  » . 

1 2)  Dopo,  dissi  :  «  So  di  certo  e  lasciateli  smentire  come  possono,  che  Genova  è 
già  promessa  ;  se  non  ne  hanno  parlato  formalmente,  è  certamente  chiaro  fra  Napoleone 
e  Cavour  il  pensiero,  che  Genova  deve  andare  alla  Francia,  ed  io  ne  sono  sicuro  » . 

13)  Quindi  feci  capire,  che  andavo  a  scrivervi  con  un  mezzo  sicuro  ed  egli 
disse  subito,  con  cordialità  :  «  Bene  ;  io  posso  soltanto  affermare  che  noi  tutti  qui  siamo 
suoi  amici;  noi  tutti  gli  auguriamo  bene  ». 

1 4)  Ripigliando  la  conversazione  sull'  argomento  del  paragrafo  9",  disse  :  «  Credo 
sarebbe  bene,  che  la  Sardegna  e  Napoli  fossero  sotto  Governi  separati;  essi  non  sono 
facilmente  governabili  » . 

15)  «  Forse,  replicai,  questo  è  vero  con  gli  Stati  del  Papa  e  l' armata  francese  in 
mezzo  a  loro  *.  Indi  lo  salutai  e  stavo  per  andare,  quando  egli  disse,  con  una  certa 
enfasi:  «  Dite  a  2 1 -I -1 6-1 0-19-28-1 6  (?)  di  guardarsi  dall'  immischiarsi  negli  Stati 
della  Chiesa;  voi  sapete  che  tanto  la  Francia  che  l'Austria  sono  inflessibili  su  questo 
soggetto  e  certamente  lo  impedirebbero  >. 

16)  Risposi,  che  io  vedevo  in  ciò  il  pericolo,  specialmente  perchè  si  sarebbe  data 
a  Napoleone  un'opportunità  di  immischiarsene  per  i  suoi  fini. 

1 7)  Non  fecimo  altre  osservazioni  :  ma  mentre  lasciavo  la  stanza  potei  comprendere 
dall'  atteggiamento  del  viso,  che  egli  aveva  capito  la  mia  osservazione. 

18)  L'impressione  infine,  che  ebbi  in  tutto  il  complesso  si  è:  che  egli  spera  ed 
aspetta  che  voi  riusciate  nel  fare  l' unità  d'  Italia  sotto  Vittorio  Emanuele  ;  ma  che  la 
sua  grande  paura  è  che  voi  darete  alla  Francia  ed  all'Austria  qualche  occasione  che 
possa  impedirlo. 

19)  Il  punto  da  me  toccato  nel  paragrafo  9'  e  10",  mi  pare  importante  ed  in 
una  prossima  occasione  vorrei  dire  di  più  ;  ma  solo  se  voi  lo  desiderate,  perchè  non 
vorrei  annoiarvi  con  delle  lunghe  lettere  sugli  affari  d'  Italia  ;  per  quanto  grande  sia 
il  mio  interessamento  in  essi,  ragione  per  cui  voi  forse  1*  avete  accolte  così  gentilmente. 
11  giuoco  in  Italia  per  la  sua  libertà  e  indipendenza  deve  essere  ora  giocato  fra  voi 
e  Napoleone  ;  e  da  questo  punto  politico,  mi  sembra,  dipenderà  principalmente  chi  sarà 
il  vincitore.  Vittorio  Emanuele  e  Cavour,  non  meno  che  il  Papa  ed  il  Re  di  Napoli, 
sono  altrettanto  impotenti  come  le  pedine  in  una  scacchiera.  Credetemi 

Vostro  sempre  devotissimo 
21-26-19-15-20-21 


LA  POLITICA  DELL'  INGHILTERRA  NEL  59  E  60  269 

Per  meglio  completare  questo  retroscena  della  politica  inglese  nel  1 860,  mi  è 
sembrato  utile  trascrivere  dal  numero  del  Times  del  I  °  giugno  la  bella  lettera  che 
Gideon  S.  Lang  vi  pubblicò  e  della  quale  egli  fa  menzione  nella  sua  diretta 
a  Garibaldi  il  6  dello  stesso  mese. 

1."  giugno   1860. 

13,  Albion  Street.   Hyde   Park. 

All'  Editore  del  "  Times,, 

Gli  avvenimenti  in  Italia  progrediscono  così  rapidamente,  che  il  punto  culminante, 
cioè  la  cacciata  o  la  fuga  dei  re  di  Napoli  può  avvenire  da  un  momento  ali'  altro. 
Il  destino  d' Italia  sarà  allora  deciso  forse  in  poche  ore,  e  se  per  suo  bene  o  per  suo 
male,  ciò  dipenderà  molto  dalla  condotta,  che  sarà  seguita  dal  Governo  inglese. 

Il  vostro  corrispondente  da  Napoli  rilevava  chiaramente,  giorni  fa,  che  non  appena 
il  re  avrà  abbandonato  Napoli,  la  classe  rispettabile  dei  Napoletani  si  troverà  in  balìa 
di  un'armata  di  mercenarii  senza  comando  e  di  una  folla  furiosa  di  fanatici,  di  lazza- 
roni, condotti  da  preti,  assetata  di  sangue  e  di  denaro  ;  e  che  per  sfuggire  ad  un 
massacro,  come  quello  del  1849,  essa  farà  eco  al  grido  di  una  miserabile  cricca  di 
Murattisti  per  l' intervento  di  Napoleone  a  garantirsi  la  protezione  della  Francia,  che 
avrà  pronta  ogni  cosa  per   l' occasione. 

Una  rivoluzione  in  Napoli  avrebbe  per  1'  Europa  più  serie  conseguenze  di  quelle  di 
qualunque  altro  avvenimento  dopo  Waterloo.  Suppongasi  da  una  parte,  che  un  Bona- 
parte  venisse  eletto  al  trono  vacante  ;  1 2.000.000  di  uomini  sarebbero  di  un  tratto 
aggiunti  al  potere  aggressivo  della  Francia  ed  altri  12.000.000  di  uomini,  posti  fra 
quelli  e  le  Alpi  Francesi,  sarebbero  inevitabilmente  messi  sotto  di  essa  ;  così  pure  tutto 
il  litorale  d' Italia.  D' altra  parte,  suppongasi  che  i  sudditi  di  Bomba  votassero  per 
l'adesione  a  Vittorio  Emanuele,  allora  si  avrà  una  nazione  unita  di  25.000.000  di 
uomini  liberi,  sotto  un  governo  costituzionale,  forte  abbastanza  per  mantenere  intatto 
il  loro  territorio  contro  tutti,  ispirati  da  un  grande  amore  per  la  libertà  e  da  un  pro- 
fondo sentimento  di  gratitudine  per  l' Inghilterra,  che  l' ha  favorita  per  ottenere  quella 
libertà.  Con  tale  nazione  al  sud,  la  Prussia  e  la  Germania  al  nord,  l' Inghilterra 
vedrebbe  fortificata  la  libertà  costituzionale  ed  allontanato  il  giorno,  in  cui  milioni  di 
abitanti  di  Europa  debbano  tremare  solo  perchè  un  uomo,  un  solo  uomo,  domiciliato 
alle  Tuilleries  parlò  con  ciglio  severo  ad  un  ambasciatore  ! 

Nessuno  sa  tutto  ciò  meglio  di  Napoleone  ;  e  nessuno  sforzo  egli  risparmierà  per 
fare  prevalere  la  tradizionale  politica  francese  ed  impedire  la  formazione  di  una  sesta 
grande  potenza  al  sud  delle  Alpi.  Vedemmo,  nell'  affare  di  Nizza  e  Savoia,  di  quanto 
egli  fosse  capace  per  arrivare  al  suo  intento  mediante  il  suffraggio  universale  :  giuoco 
di  mano  così  sfacciato  ed  eseguito  in  maniera  così  grossolana,  che  la  votazione  fu 
fatta  senza  nemmeno  salvare  il  rispetto  alla  decenza.  Le  speranze  e  gli  intrighi  dei 
Murattisti  sono  così  manifesti  e  conosciuti,  come  lo  è  il  desiderio  ardente  di  Napoleone 
di  un  ingrandimento;  e  non  vi  è  dubbio    sui    preparativi,    che  si   stanno    facendo  per 


270  CAVOUR  E  V  INDIPENDENZA  DELLA  GERMANIA 


profittare  della  crisi  e  mettere  un  Bonaparte  sul  trono  di  Napoli,  senza  alcun  riguardo 
all'  opinione  pubblica  di  Europa  ed  alla  libera  volontà  dei  Napoletani. 

L' obiettivo  del  partito  francese  è  di  assicurarsi  la  sola  occupazione  della  Francia, 
finche  il  nuovo  re  sia  eletto  ;  e  nel  caso  di  abbandono  della  capitale  da  parte  del  re 
Francesco,  il  piano  è  di  fare  presentare  una  Deputazione,  della  quale  facciano  parte 
uno  o  due  membri  ufficiali  della  municipalità  all'Ammiraglio  e  all'Ambasciatore  francese, 
per  essere  protetti  dall'  armata  e  dai  lazzaroni.  La  richiesta  sarebbe  accordata  ed  una 
potente  forza  verrebbe  sbarcata  sotto  il  pretesto  di  mettere  l'ordine;  ma  in  sostanza, 
col  proposito  d' influire  sulla  votazione,  che  sarebbe  fatta  per  un  regno  separato  sotto 
un  Bonaparte  o  per  l'unità  e  Vittorio  Emanuele;  ed  il  risultato  certamente  sarebbe 
2.695.461  per  il  primo  e  269  per  il  secondo.  Per  impedire  che  questo  piano  di  Napoleone 
si  attui  ed  ottenere  che  le  elezioni  si  facciano  liberamente,  il  nostro  obietto  dovrebbe 
essere  di  fare  un'  occupazione  unita,  a  mano  armata,  se  un'  occupazione  sarà  necessaria  ; 
e  questa  dovrebbe  durare  fino  a  che  il  governo  provvisorio  non  dichiari  di  potere  mante- 
nere da  se  la  sicurezza  pubblica.  Noi  non  possiamo  garantire  il  successo  agli  insorti: 
ma  se  l' occupazione  unita  fosse  rifiutata  dalla  Francia,  in  tal  caso  noi  avremmo  il  diritto, 
come  grande  potenza  navale  e  per  la  sicurezza  del  mondo,  di  sbarcare  una  sufficiente 
forza  neir  interesse  dell'  umanità.  Ma  se  dovessimo  aspettare,  per  puntiglio,  finche 
fossimo  richiesti,  il  nostro  Ammiraglio  può  stare  sicuro,  che  i  patriotti  italiani  sono 
altrettanto  pronti  ad  invocare  l'aiuto  britannico,  quanto  i  Murattisti  quello  francese. 
Ora,  siamo  noi  pronti  a  quello  ? 

Se  i  napoletani  formassero  un  governo  provvisorio  sotto  Garibaldi,  come  han  fatto 
i  siciliani,  l'occupazione  straniera  sarebbe  necessaria,  finche  egli  arrivasse  a  Napoli 
colle  sue  forze  e  chiamasse  la  nazione  a  dare  il  suo  voto  onestamente,  come  tutta 
r  Europa  ne  ha  fede.  Ma  questo  non  piacerebbe  a  Napoleone,  e  la  stampa  francese 
ad  arte  rappresenta  Garibaldi  come  un  capo  di  guerriglia  e  niente  più  ;  e  ciò  allo 
scopo  di  preparare  le  menti  prima  che  egli  arrivi  a  Napoli  e  far  credere,  che  la  sua 
presenza  non  può  essere  considerata  come  garanzia  di  buon  ordine.  Nel  mio  resoconto 
intorno  a  Garibaldi  ed  i  suoi  volontari  a  Como,  pubblicato  nel  Times  nel  giugno  dell'anno 
passato,  io  affermai  essere  convinto,  che  la  vera  grandezza  di  Garibaldi  si  sarebbe 
mostrata  nella  rigenerazione  politica  e  nel  governo  del  suo  paese  e  non  ho  fin'  ora 
alcuna  ragione  per  dovere  cambiare  di  opinione.  La  sua  presenza  nella  guerra  fu 
sempre  garanzia  di  successo  ;  il  suo  avanzare  fulmineo  colpisce  coloro,  che  non  cono- 
scono il  suo  grande  potere  di  organizzare,  come  pure  la  rapidità  e  il  suo  metodo  di 
trattare,  sia  come  capitano  di  un  legno  mercantile,  che  come  liberatore  di  una  provincia. 
Anche  prima  della  pace  di  Villafranca,  egli  vedeva  lo  sforzo  che  dovevano  compiere  i 
suoi  concittadini,  e  quando  io  gli  mostravo  i  miei  dubbi  riguardo  alla  loro  tenacità  nel  persi- 
stere senza  lo  stimolo  della  guerra,  egli  mi  assicurava  ciò  che  pochi  allora  immaginavano, 
cioè  che  il  buon  senso  e  1'  unanimità  dei  suoi  concittadini  erano  arra  sicura  del  destino 
d' Italia  !  La  corrispondenza  che  accludo  per  essere  presa  in  esame,  dimostra  che  Garibaldi 
si  diede  alla  presente  impresa,  non  soltanto  con  abile  e  previggente  perizia  di  Generale, 
ma  anche  con  larghe  vedute  di  uomo  di  Stato.  Del  resto,  sia  che  Io  si  consideri  da 
questa  parte  delle  Alpi  come  un  uomo  di  Stato  o  come  un  condottiero  di  guerriglie,  il 


LA  POLITICA  DELL'INGHILTERRA  NEL"59  E  60  271 


fatto  certo  si  è,  che  gì'  Italiani  hanno  mostrato  di  essere  capaci  di  maneggiare  i  propri 
affari  e  che  Garibaldi  è  alla  testa  del  presente  movimento  col  loro  unanime  consenso. 

Lord  John  Russell  e  Lord  Palmerston  parlano  di  buon  grado  di  Garibaldi  e 
favorevolmente,  e  la  nostra  nazione  sottoscrive  somme  da  inviarsi  ;  ma  a  che  servono 
le  buone  parole  e  i  denari  agli  Italiani,  se  poi,  col  non  agire,  permettiamo  che 
Napoleone  giri  tutto  a  suo  esclusivo  vantaggio,  lasciando  gl'Italiani  lontani  dall'indi- 
pendenza, come  lo  erano  prima  ;  e  che  Lord  Russell  possa  poi  dichiarare  con  dolore  : 
la  cosa  è  un  fatto  compiuto  e  che  non  vi  si  può  più  rimediare  ?  Non  si  può  questo 
evitare  ?  Molte  navi  francesi  sono  già  a  Napoli  e  sono  per  andarvi.  Dove  è  la  nostra 
flotta,  e  quali  istruzioni  sono  state  date  all'Ammiraglio  ? 

Se  un  Murat  fosse  eletto  dalla  libera  voce  del  popolo,  noi  potremmo  riguardare 

il  fatto  come  una  grande  disgrazia  ;  ma  se  tale  elezione  si  compisse  o  per  negligenza 

o  per  miserabile    servitù    del    nostro  Governo  a  Napoleone,    allora    ciò   non  potrebbe 

essere    considerato  da  parte    nostra,  che  come  un  grande    delitto.    GÌ*  italiani    si    sono 

mostrati  degni  e  capaci,    per   ogni  riguardo,  di  fissare  i  loro    destini  come  un  popolo 

libero,  e  questo  è  un  loro  diritto.   Poiché  adunque,  in  nessun  altro    campo  l'opinione 

del  popolo  inglese  potrebbe  essere  più  unanime  come  in  questo  :  che  cioè  l' Italia  sia 

libera  ed  indipendente,  è  da  sperare  che  in  questo  diffìcile  momento  il  Governo  inglese 

non   risparmierà  i  suoi  sforzi  per  assicurare  agli  Italiani  la  sola  cosa    della    quale  essi 

hanno  bisogno  al  presente:   «  //  non  intervento  ». 

Vostro  obbedientissimo 

GIDEON  S.  LANG 


Più  tardi,  dopo  1'  ingresso  di  Garibaldi  in  Napoli,  Lang  scriveva  a  Federico 
Campanella    l' importante  lettera  inedita,   che    qui    pure    traduco    dall'autografo. 

Gideon  S.  Lang  a  F.  Campanella. 

Selkrich-Scotland,  29  settembre   1860. 
Caro  e  rispettalo  amico, 

Pochi  giorni  fa,  mentre  mi  trovavo  in  Londra,  ebbi  una  lunga  conversazione  con 
Mr.  Stuart  sulla  presente  situazione  di  Garibaldi  e  le  difficoltà  in  cui  si  trova,  e  vi 
accludo  il  di  lui  articolo,  pubblicato  nel  Morning  Post  e  sul  quale  richiamo  tutta  la 
vostra  attenzione.  Io  pure  desidero  dire  qualche  parola  e  dare  un  suggerimento, 
assicurandovi  che  la  mia  devozione  a  Garibaldi  ed  alla  libertà  non  è  minore  ;  ma  io 
peso  ogni  argomento  freddamente  e  deliberatamente,  e  parlo  di  Garibaldi  semplicemente 
come  un  elemento  del  mio  ragionamento. 

2)  L'obiettivo  degli  Italiani  deve  essere  di  liberare  interamente  l'Italia  con  una 
guerra  contro  l' Austria  e  possibilmente  contro  la  Francia  e  di  riunire  tutto  sotto 
Vittorio  Emanuele. 


272  CAVOUR  E  L"  INDIPENDENZA  DELLA  GERMANIA 

2)  Per  raggiungere  questo  scopo  essi  hanno  il  Nord  d' Italia  con  un  Governo 
già  stabilito  ed  una  armata  regolare  di  Sardegna  sotto  Vittorio  Emanuele  ;  il  Sud, 
per  il  patriottismo  e  l'energia  di  tutta  l'Italia,  è  guidato  da  Garibaldi.  Questo  è 
abbastanza,  perchè  con  tatto  e  prudenza  si    possa    riuscire    ad  ogni  cosa. 

3)  Commciando  le  operazioni,  due  cose  dovrebbero  essere  tenute  bene  in  vista  ; 
primo,  assicurarsi  l'appoggio  morale  dell'Inghilterra  e  dell'Europa,  in  caso  di  un  disa- 
stro ;  secondo,  evitare  di  compromettere  Vittorio  Emanuele  più  di  quello,  che  è  asso- 
lutcmiente  necessario. 

4)  Per  ottenere  ciò  è  ovvio,  che  Garibaldi  dovrebbe  tenere  Napoli  e  la  Sicilia 
con  un'azione  indipendente,  finche  egli  proclamerà  Vittorio  Emanuele  dal  Quirinale 
ed  moltre,  che  Garibaldi  dovrebbe  cominciare  coli'  attaccare  la  Venezia  e  tirarvi 
dentro  V.  E.  con  una  guerra  contro  1'  Austria,  voglia  o  non  voglia.  Allora,  sebbene 
alleati  indipendenti,  essi  dovrebbero  lavorare  come  una  sola  mano  ed  una  sola  mente, 
per  lo  stesso  scopo. 

5)  Io  sono  bene  al  corrente  delle  molte  difficoltà,  che  circondano  Garibaldi  nel 
conseguimento  della  sua  meta  ;  ma  credo,  che  molte  di  esse  scomparirebbero  davanti 
alla  chiara  manifestazione  della  sua  espressa  volontà.  Su  alcuni  lati  della  quistione 
desidero  manifestarvi  la  mia  opinione  secondo  il  punto  di  vista,  che  credo  possa  essere 
il  migliore  per  1'  Italia  !  !  Tutti  gli  altri  non  si  addicono  all'  uomo,  al  quale  Dio  ha 
data  la  missione  di  rigenerare  la  sua  patria  e  forse  anche  le  altre  nazioni,  che  seguono 
ansiose  i  di  lui  passi. 

6)  Garibaldi  intende  proclamare  Vittorio  Emanuele  dal  Quirinale.  Benissimo! 
Ma  dovrebbe  farlo  prima  o  dopo  di  avere  conquistato  la  Venezia  ?  lo  dico  dopo,  per 
le  seguenti  ragioni.  Primo  :  tulle  le  forze  d'  Italia  essendo  portate  subilo  contro  l' Austria, 
esausta  dall'  ultima  guerra,  in  pericolo  per  I'  Ungheria,  senza  una  probabilità  di  aiuto, 
con  la  Venezia  in  insurrezione,  un  rapido  successo  ottenuto  in  principio  potrebbe 
indurla  a  cedere  subito.  Secondo  :  che  il  continuato  aiuto  morale  dell'  Inghilterra 
sarebbe  assicurato,  ed  in  caso  di  disastro  essa  non  solo  non  permetterebbe  che  Vittorio 
Emanuele  fosse  severamente  trattato  (essendo  stato  quasi  obbligato  alla  guerra),  ma 
impedirebbe  che  Napoleone  se  ne  immischiasse  ;  giacche  debbo  assicurarvi,  che  per 
quanto  non  soddisfatto  possa  essere  il  conte  di  Cavour  della  risposta  chiara  e  positiva 
di  0. 1  {Lord  Russell)  essa  fu  redatta  in  tale  maniera  da  impedire  delle  complicazioni, 
che  certamente  sarebbero  avvenute,  se  avesse  risposto  nei  termini  che  il  sig.  C.  {Cavour?) 
forse  si  aspettava.  D'  altra  parte  con  un  tentativo  su  Roma  ora,  uno  sforzo  combinato 
di  Vittorio  Emanuele  e  Garibaldi  sulla  Venezia  si  renderebbe  quasi  senza  speranza 
di  successo.  Inoltre  1'  amor  proprio  della  Francia  favorisce  l' intervento  di  Napoleone 
in  Italia  e  gli  permetterebbe  di  trattarla  secondo  la  potenza,  che  1'  esito  della  guerra 
gli  darebbe  ;  infine,  nel  tafferuglio,  l' Austria  potrebbe  fare  un  tentativo  di  ripren- 
dere la  Lombardia,  e  certo  gì'  Italiani  perderebbero  la  simpatia  dell'  Inghilterra.  Il 
prestigio  di  Garibaldi  sarebbe  rovinato  o  seriamente  compromesso  per  questa  semplice 
ragione,  che  si  rinunzierebbe  alla  chance  così  lungamente  attesa,  semplicemente  per 
mostrzu"e  un  sentimento  per  Roma  e  suscitarne    un  altro    d' indignazione  da  parte  dei 


ÌCulÙ     tvctr^      Jcn^    vt^^c^^i-    a~    l/ci~    c-i^t^iS^ 
atcttécL     i^    outjf-a,     c^A.      /cà^x     $i  a/vh^x^,_ 

avere   ut/ix  ua^vi'x  .   J^^i^o^  n<»n    o'tVa-ù^te. 


Y4CC0  Ha oAi.  /a^A.      yc^/ i/A^Jif      A^-fif  ^ ^i  ^U^ 
U/i^f^a.J'    ^4^/^     ìaoTi^t'A.     irti.    <Vi^»i^^/W»-«. 

t\A^     OMVle    Sc^h/^o      -^^  c^tV*.   <^'/    ;-\*-/rf^'M^ 


^■yi^ 


Lettera  di  A.   Saffi  a  Garibaldi 
suir interessamento  del  popolo  inglese  all'impresa  di  Sicilia.  (Vedi  pag.  274). 


LA  POLITICA  DELL-  INGHILTERRA  NEL  '59  e  '60  273 

Francesi.  Garibaldi,  invece  di  riunire  e  dirigere  i  sentimenti  e  gì'  impulsi  degli  Italiani 
ad  un  solo  grande  scopo,  andrebbe  incontro  a  pericoli,  senza  alcuna  necessità  strategica 
o  politica.  Tutta  la  (orza  dell'Italia  deve  essere  concentrata  contro  l'Austria,  anche 
se  la  Francia  è  a  Roma;  e  quando  la  Venezia  sarà  assicurata,  Roma,  come  Nizza  e 
Savoia  potranno  forse  essere  tolte  alla  Francia  senza  pericolo  per  l' indipendenza  italiana 
e   con  non   maggiore    perdita  di  quella  che  ordinariamente  segue  una  grande  guerra. 

7)  Il  conte  di  Cavour  ha  fatto  il  suo  possibile  per  attraversare  ed  umiliare  Gari- 
baldi; ha  perfidamente  sacrificato  Nizza  e  Savoia  e  si  mischia  negli  Stati  Romani, 
io  credo,  soltanto  per  sconcertare  Garibaldi  ;  però  tutto  ciò  che  egli  faccia,  non  impe- 
disce che  sia  il  padrone  della  situazione  e  che  la  sua  astuzia,  senza  scrupoli,  sia  neces- 
saria a  tenere  Napoleone  in  giuoco  lo  dimostra  il  fatto  che  egli,  Cavour,  può  rivoltarsi 
a  lui,  come  fa  spesso  un  briccone  contro  l'altro.  Nessuno  meglio  di  Cavour  preparerà 
e  porterà  avanti  le  risorse  della  Sardegna  fino  al  punto  d' attaccare  la  Venezia.  Riguardo 
ai  sentimenti  personali  di  Garibaldi  sul  proposito,  l' Italia  non  può  seguirli  ora.  Se 
Nizza  e  Savoia  furono  sacrificate,  questa  non  è  una  ragione,  perchè  tutta  l' Italia  lo 
debba  pure  essere.  Voi  avrete  potuto  osservare  quante  delle  nostre  operazioni  navali 
e  militari  sono  andate  a  male  attraverso  quistioni  fra  un  Generale  ed  un  Ammiraglio  ; 
ma  chi  oggi  non  li  biasima  entrambi?  Così  la  posterità  biasimerebbe  Garibaldi  e  Cavour; 
e  per  quanto  grandi  i  torti  del  primo  possano  essere,  essi,  da  qui  a  sessant' anni,  sem- 
breranno agli  italiani  una  misera  ragione  da  non  giustificare  di  avere  sacrificato  la  loro 
indipendenza. 

8)  Molta  incertezza  ed  inquietudine  hanno  cagionato  fra  i  veri  Italiani  ed  amici 
dell'  Italia  e  molto  incoraggiamento  è  stato  dato  ai  repubblicani  e  reazionari  ed  un 
mezzo  nelle  mani  di  Cavour,  per  combattere  Garibaldi,  le  cariche  affidate  ai  Mazzi- 
niani e  ai  radicali.  Si  può  dire,  che  essi,  personalmente,  meritano  ogni  rispetto  ;  ma 
questa  non  è  la  quistione.  I  loro  servizi  destano  molti  sospetti  nell'altra  parte.  Lord 
Palmerston  perdette  1 2  voti  su  24  nell'  ultima  votazione,  che  stava  per  compromettere 
il  Ministero,  solo  perchè  egli  sorrise  ad  una  tirata  di  un  Membro  Irlandese  su  Gari- 
baldi. Ora  Garibaldi,  nella  sua  posizione,  agisce,  parla  ed  anche  sorride  non  per  i 
voti  soltanto,  né  per  armi,  ma  per  i  popoli  in  armi  e  non  importa  quali  che  sieno 
le  sue  private  opinioni  e  sentimenti  verso  alcuni  particolari  individui  ;  egli  deve 
regolare  i  suoi  alti  e  le  sue  parole  in  accordo  colla  politica  generale  di  Vittorio 
Emanuele  e  sua.  Come  i  nostri  leaders  parlamentari,  egli  deve  evitare  di  compromet- 
tere 1  colleghi  o  di  indebolirne  la  situazione  con  atti  o  parole,  che  potrebbero  essere 
evitati  onorevolmente.  E  indubitato,  che  solo  i  grandi  successi  hanno  impedito,  che  la 
posizione  di  Garibaldi  fosse  seriamente  danneggiata  dalla  sua  apparente  inconsape- 
volezza dell'  immenso  peso  politico  di  ogni  suo  atto  o  parola. 

9)  In  conclusione,  io  vorrei  rilevare  che  la  decisione  della  Camera  Sarda  darà 
a  Garibaldi  un'  opportunità  simpatica  per  porre  fine  alla  presente  difficoltà  con  V.  E., 
cedendo  alla  voce  del  popolo  italiano,  espressa  dal  suo  solo  organo  esistente.  Rite- 
nendo Napoli  e  la  Sicilia  con  azione  libera  ed  indipendente,  finché  egli  avrà  proclamato 
V.  E.  Re  di  tutta  1'  Italia  unita,  dal  Quirinale,  e  rifiutando  di  fare  ogni  concessione  a 

CURÀTULO  16 


274  CAVOUR  E  L'INDIPENDENZA  DELLA  GERMANIA 


Cavour  personalmente,  Garibaldi  può  con  dignità  cedere  alla  pubblica  voce  la  sua 
opinione  privata  per  quanto  riguarda  il  mantenimento  di  Cavour  come  Ministro  e  la 
necessità  di  occupare  Roma  al  presente.  Entrambi  V.  E.  e  Garibaldi  avranno  tutto 
r  inverno  davanti  a  loro,  onde  preparare  per  la  primavera  ventura  una  campagna  contro 
r  Austria  e  Garibaldi  per  organizzare  la  sua  armata  e  tempo  per  stabilire  un  Governo 
sicuro  per  1'  Italia  ed  assicurante  per  1'  Europa.  Ho  1'  onore  di  essere  il  vostro  devoto 

amico. 

GIDEON  S.  LANG 
Signor  Campanella 

Napoli 


Le  lettere  inedite  che  ora  trascrivo  dagli  autografi  e  dirette  a  Garibaldi  da 
Aurelio  Saffi,  da  W.  H.  Ashurst,  T.  Tower,  Ugo  Forbes  e  da  altri  mostrano 
il  grande  interessamento,  che  tutta  Y  Inghilterra  prendeva  all'  impresa  garibaldina. 

Aurelio  Saffi  a  Garibaldi  {Vedi  facsimile). 

Oxford,  4  giugno   1860. 
Caro  Generale, 

Vi  recherà  questa  mia  l' inglese  sig.  Callaway,  il  quale  viene  ad  offrire  i  suoi 
servizi  all'  Esercito  italiano  in  Sicilia,  come  medico-chirurgo,  lo  non  lo  conosco,  ma 
mio  cognato  Craufurd  me  lo  raccomanda  come  ottima  persona  ed  esperta  nell'  arte 
sua  ;  oltre  di  che,  è  devoto  a  voi  ed  all'  Italia  per  affetto  verso  la  santa  causa  e  verso 
chi  fa  tanto  per  la  medesima.  Vogliate,  adunque  essergli  cortese,  come  è  vostra  natura 
di  essere  cortese  coi  buoni  e  devoti,  e  gradite  che  io  vi  mandi  col  cuore  un  saluto  di 
venerazione  per  ciò  che  avete  fatto  e  ciò  che  farete  a  creare  1'  Italia. 

Qui  tutti  sono  rivolti  a  voi  come  ad  uomo,  che  rappresenta  una  virtù  antica  in 
questa  età  scarsa  di  grandi  cose,  e  gì'  italiani  sentono  che  a  voi  e  al  drappello  di  eroi, 
che  vi  accompagnarono  nell'  avventurosa  spedizione,  dovranno  il  beneficio  di  avere  una 
patria.  Però,  non  vi  isolate  nell'  isola.  NapoH  e  Roma  sono  la  meta  della  vostra  missione. 
Dio  vi  custodisca  e  vi  conforti,  e  la  nazione  italiana  tutta  quanta,  non  pochi  eletti 
soltanto,  sorga  ad  azione  degna  di  un  tanto  duce. 

Qui,  italiani  ed  inglesi,  ci  adoperiamo  a  raccogliere  denaro  per  la  lotta,  che  soste- 
nete ;  le  sottoscrizioni  continuano,  mandiamo  le  somme  raccolte  a  Genova  a  Bertani  e 
ad  Amari  :  altri  mandano  ad  altri.  Ma  importa,  che  tutti  in  Italia  si  mettano  d' accordo 
ad  agire  per  lo  stesso  fine,  lo  non  fo  che  raccomandare,  scrivendo,  associazione  di 
sforzi  sul  terreno  comune  dell'  unità  della  patria  da  conquistare,  e  bando  a  differenze 
di  parte. 

Spero,  in  breve,  potere  ritornare  in  Italia  :  spero  cessate  le  diffidenze  e  le  recizioni, 
che  attraversarono  nell'  anno  scorso  la  via  del  ritorno  a  molti  patrioti  ;  e  sarà  per  me 


LA  POLITICA  DELL'  INGHILTERRA  NEL  -59  E  'ÓO  275 


un  momento  solenne  della  mia  vita  quello,  in  che  mi  sarà  dato  stringere  la  mano  a  voi 
e  ai  vostri  prodi  compagni. 

Addio,  addio.  Dio  vi  conservi  all'  Italia. 

y  ostro  dev.mo  amico 

A.  SAFFI 


Oxford,    il    giugno    1860. 
Caro  Generale, 

Alfonso  Scalia,  che  viene  a  dare  1'  opera  sua  al  paese  nativo  ed  a  servire  sotto 
di  voi  la  causa  della  patria  comune,  vi  reca  questa  mia.  Gradite,  con  essa,  un  mio 
ricordo  ed  un  saluto. 

Come  vi  dicevo  in  altra  mia,  che  a  quest'  ora,  spero,  avrete  ricevuta  per  mezzo 
dell'  inglese  Callaway,  che  con  essa  io  vi  raccomandava,  quanti  italiani  aspirano  ad 
avere  una  patria  indipendente  ed  una,  mirano  a  voi  come  all'  uomo,  che  può  coi  forti 
fatti  dare  effetto  alla  grande  speranza.  E  sono,  inoltre,  con  coi  le  simpatie  della  nazione 
inglese,  perchè  la  medesima  vede  in  voi  una  garanzia,  che  il  moto  italiano  si  manterrà 
puro  ad  ogni  nuova  influenza  di  falsi  alleati  e  andrà  diritto  all'  intento  di  fare  dell'  Italia 
una  potenza  capace  di  operare  e  sostenersi  da  se. 

L'  eroismo  vostro  e  dei  vostri  e  la  devozione  alla  patria  vi  hanno  guadagnato  in 
Inghilterra  tutti  i  partiti.  In  Oxford  (Università,  che  fu  sempre  conservativa)  professori 
e  studenti  hanno  contribuito,  con  premura,  alle  soscrizioni  aperte  per  la  Sicilia;  esempio 
notevole  dell'  unanimità  dell'  opinione  in  favor  vostro. 

Il  Comitato  da  noi  costituito  a  raccogliere  fondi  in  vostro  aiuto  è  stato  circondato 
dal  favore  universale,  ed  ha  già  ottenuti  risultati  abbastanza  soddisfacenti.  Scalia,  che 
ne  è  membro,  potrà  ragguagliarvi  di  ciò  che  si  è  fatto.  Ma  sarebbe  molto  utile  al 
progresso  delle  offerte  ed  a  stringere  sempre  più  i  vincoli  di  simpatia,  che  esistono  fra 
r  opinione  pubblica  in  Inghilterra  ed  il  moto  italiano,  se  voi  mandaste  al  Comitato  due 
parole  d' incoraggiamento  pei  soscrittori  inglesi,  da  pubblicare  nei  giornali.  Io  rimarrò 
qui  ancora  per  pochi  giorni  ;  poi  vengo  io  pure  in  Italia  per  compiere  più  dappresso 
il  mio  dovere  verso  il  paese.  Addio. 

Vostro  di  cuore 

A.  SAFFI 
W.  H.  Ashurst  a  Garibaldi. 

À   MONSIEUR   LE   GENERAL   GARIBALDL 

6,  Old  Jewty.   London  E.  C. 

5  June  1860. 
Mon  cher  General, 

Salut  et  loute  honneur  à  vous  et  à  vos  braves  compatriotes  ! 
Je  viens  vous  présenter  mon  ami,  Mr.  le  Dr.  Callaway,  médecin  anglais  et  chirurgien, 
qui  a  servi  avec  distinction  dans  la  guerre  des  Indes  Orientales. 


276  CAVOUR  E  L' INDIPENDENZA  DELLA  GERMANIA 

Il  cherche,  maintenant,  à  s*  acquérir  de  nouveaux  lauriers,  en  se  mettant  sous  vos 
ordres  pour  la  cause  de  la  liberté  italienne. 

Mr.  Callaway  s'  est  fait  aussi  le  représentant  de  pleusieurs  amis  anglais,  qui  lui 
ont  confié  une  certaine  somme,  qu'  il  ne  doit  remetlre  qu'  à  vous  personellement. 

Mon  "  Garibaldi  Fund  „  fait  des  progrès,  comme  vous  voyez  par  l'annonce  pris 
du  Dai/y  News,  ci-incluse. 

Je  me  permets  de  vous  suggerer,  que  Mr.  le  Dr.  Callaway,  qui  a  eu  une  grande 
expérience  dans  les  Hopitaux  civils,  pourra  vous  étre  d'  une  grande  utilité  dans  1'  Etat- 
Major. 

Je  vous  serre  la  main  de  coeur  et  vous  prie    de   me  croire,  mon  cher  General, 

Voire    bien    deooué 
W.  H.  ASHURST 


GARIBALDI   FUND. 

Having  been  appointed  by  General  Garibaldi  to  receive  and  forward  subscriptions 
for  "  Un  milione  di  fucili  „  (the  milion  muskets),  I  beg  to  state  that  I  am  ready  to 
receive  and  duly  remit  any  sums  ci  money,  that  may  be  subscribed  for  the  above 
object. 

Sums  already  received  : 

From  Glascow,  first  instalment L.  200  00 

-  P.  A.  Taylor     »    200  00 

»      W.  H.  Ashurst »       10  00 

»     W.  Pare »        1  00 

»      S.  H.  Braysher     »         1   10 

»      Mappin  and  Co »         5  00 

»     G.  Hyde »       3  30 

»      For  Prolestant  Englishmen     »        6  60 

»      J.  H.  Dillon »         5  00 

»      W.  Jackson     »         5  00 

-  Charles  Buxton •     100  00 

»      S.   Statham »  1  00 

»      Rawlinson     »         I  00 

»      Gustave  Ardler »         1  00 

»      C.   MacuUoch     '         1  00 

»     A.  M.  F •       3  00 

-  e »     20  00 

»     Rev.  J.  P.  M »         1  00 

»     L.  T -       1  00 


LA  POLITICA  DELL'  INGHILTERRA  NEL  '59  E  "60 


277 


From  S.  T L.  5  00 

»     James  Epps *  I   IO 

»     T.  Dighi »  2  00 

»     W.  e.  Vivian »  2  00 

»      J.  V.  Porter »  1  00 

»      A  Friend  of  italian  liberty »  500 

»     Professor  F.  W.  Newman     »  20  00 

»      Two  Sisters »  1000 

»     Frank  Dillon »  5  00 

6,  Old  Jewrey,  London. 

W.  M.  ASHURST 


Treasurer 


T.  Tower  a  Garibaldi. 


My  dear  General, 


Oxford  and  Cambridge  Club.  Pali  Mail. 

June  8,  1860. 


Mr.  Callaway  's  professional  experience  and  his  ardent  wish  to  join  you  and  assist 

te  his  utmost  in  your  noble  cause  wouid  be  sufEcient  introduction  to  you,  but  I  must 

bring  him  to  your  special  notice.    He  is  most  strongly  spoken  of  by  two   very  warm 

(riends  of  the  cause,  and  therefore  I  recommend  him  under  the  belief,  that  he  will  be 

of  use  to   it  and  wellcome  to  you.    He    conveys  a  small    sum  privately  collected   for 

your  disposai  and  1  hope  that  will  soon  be  folloved  by  more.   I  leave  it  to  him  to  teli 

you  how  high  England  's  pulse  beats  for  you.  There  seems  now  to  be  but  one  feeling 

throughout  the  country  on  the  subject,  intense  admiration  at  the  brilliant  atchievements 

of  yoursel  and  your  truly  noble  band  of  Patriots,  and  the  ardent  hope,  that  complete 

success  may  reward  the  efforts  and  altain  the  great  object  to  which  your  precious  life 

has  been  ever  so  honorable  devoted. 

My  dear  wife  sends  you  her  kindest  regards.   It  gladdens  our  hearts  to  see  how 

fully  you  are  earning  the  most  noble  apellation  a  man  can  attain  in  this  worid,  that  of 

being   the   «  Liberator  »   of  his  country.  God  bless  you,  my  dear  General,  and  long 

preserve  you  for  it  and  for  the    happiness  of  ali  those  within  and  without  it,  who  so 

love  and  admire  you.  Amongst  the  latter  you  will  always  count  upon  your  most  sin- 

cerely  attached  friend. 

T.  TOWER 


Traduzione. 


Mii 


ile. 


Oxford  e  Cambridge  Club.  Pali  Mail. 

8  giugno  1860. 


L'  esperienza  personale  del  sig.  Callaway  ed  il  suo  vivo  desiderio  di  raggiungervi 
e  di  aiutarvi,  nel  miglior  modo  possibile,  nella  vostra  nobile  impresa,  sarebbe  già  suf- 


278  CAVOUR  E  L' INDIPENDENZA  DELLA  GERMANIA 


ficiente  presentazione;  ma  io  debbo  richiamare  su  di  lui  la  vostra  attenzione.  Egli  è 
fortemente  raccomandato  da  due  grandi  amici  della  causa  italiana,  e  per  conseguenza 
io  ve  lo  presento  con  la  certezza,  che  egli  potrà  essere  utile  ad  essa,  ed  a  voi  il  ben- 
venuto. Egli  porta  una  piccola  somma,  raccolta  privatamente  per  metterla  a  vostra 
disposizione  e  mi  auguro  che  ad  essa  ne  seguiranno  altre.  Egli  vi  dirà  quanto  forte- 
mente il  cuore  dell'  Inghilterra  batte  per  voi.  Sembra  che  oggi  non  vi  sia  nessun  altro 
sentimento  in  tutto  il  nostro  paese,  che  quello  di  ammirazione  intensa  per  i  brillanti 
fatti  compiuti  da  voi  e  dai  vostri  prodi  compagni  d'armi,  e  la  viva  speranza  che  un 
completo  successo  riesca  a  coronare  i  vostri  sforzi  e  raggiungere  così  la  grande  meta, 
alla  quale  la  vostra  preziosa  vita  si  è  così  nobilmente  consacrata. 

La  mia  cara  moglie  vi  manda  i  suoi  migliori  complimenti.  Ci  riempie  l'animo 
di  gioia  il  vedere  come  voi  avete  meritatamente  guadagnato  l'appellativo  più  nobile  che 
un  uomo  possa  meritare  in  questo  mondo,  quello  di  essere  chiamato  il  Liberatore  della 
sua  patria. 

Dio  vi  benedica,  mio  caro  Generale;  e  lungamente  vi  preservi  al    vostro    paese 

ed  alla  felicità  di  tutti  coloro,    che    dentro  e  fuori  di  essa  vi  amano  e  vi  ammirano. 

Fra  questi  ultimi  contate  sempre  nel  vostro  sincero  amico  * 

T.  TOWER 


La  lettera  che  segue  fu  diretta  a  Garibaldi  da  un  inglese  molto  eccentrico  e 
pieno  di  coraggio,  che  aveva  combattuto  nel  *48  per  la  difesa  di  Venezia  e 
poi  nel  '49  al  seguito  del  Generale,  in  Roma. 

Ugo  Forbes  a  Garibaldi. 

Londra,  24  maggio  1860. 
Mio  caro  Garibaldi, 

Colgo  r  occasione  della  partenza  del  capitano  Fontana  per  inviarvi  una  lettera  ed 
augurarvi  buon  successo  in  Sicilia. 

Appena  fu  conosciuto  in  Londra,  che  partiste  per  aiutare  l' insurrezione  in  Sicilia, 
ero  deciso  di  spedire  un  bastimento  carico  di  uomini  e  di  armi  per  servire  di  nucleo 
per  una  Legione  straniera  sotto  di  voi  :  ungheresi,  svizzeri,  tedeschi,  francesi  ed  inglesi, 
come  anche  italiani. 

Io  ero  invitato  per  guidarla  e  volontieri  accettai  l' incarico  :  ma  pare,  che  abbiano 
scritto  dall'Italia  di  non  mandare  nessuno  e  di  spedire  i  soli  quattrini  raccolti.  Ciò 
mi  sembra  strano;  perchè  dal  vostro  proclama  abbiamo  letto,  che  sopratutto  chiedete 
degli  uomini.    La  formazione  di  una  Legione    straniera  e  la  partenza    dall'  Inghilterra 


'  A  proposito   di   questa  lettera   si  riscontri   quella  diretta   il    16  giugno  da    Bertani  a 
Garibaldi,  trascritta  nel  Capitolo  VII. 


LA  POLITICA  DELL-  INGHILTERRA  NEL  '59  E  'óO  279 

avrebbe  avuto  un  cerio  significato  politico  utile  assai.  La  presenza  di  alcuni  inglesi 
avrebbe  portato  il  suo  bene  in  più  di  un  modo. 

In  quanto  a  me,  potete  immaginare  quanto  mi  sarebbe  grato  di  essere  un'  altra 
volta  con  voi.  Al  principio  della  guerra  lombarda  dell'arino  scorso,  vi  scrissi  non  colere 
in  nessun  modo  mettermi  sotto  Luigi  Napoleone  :  ma  dal  momento  che  sareste  stalo 
indipendente  da  lui,  ero  pronto  a  mettermi  a  vostra  disposizione.  Non  capisco,  perchè 
ci  scrivono  dall'  Italia  di  non  mandare  di  qua  nessuno.  Se  siete  dell*  avviso  contrario, 
inviate  uno  in  Londra  con  una  lettera  vostra,  e  presto  ci  metteremo  all'opra. 

In  ogni  modo,  scrivetemi  sott'  involta  al  sig.  G.  ÌV.  Reynolds,  4 1 ,  Holborn  Square, 
London.  E  un  mio  amico,  editore  di  un  giornale  liberale  di  Londra.  Addio. 

Vostro  aff.mo  amico 
UGO  FORBES 

P.  S.  -  Mi  pare,  che  non  avete  bisogno  di  soccorso  in  Sicilia  ;  ogni  uomo  dovrebbe 
essere  spedito  al  più  presto  negli  Abruzzi  e  nell'  Umbria.  Ci  sono  qua  molti,  deside- 
rosi di  andare  dove  possono  essere  utili.  L'Austria  ed  i  Principi  si  preparano. 


CAPITOLO  XIII. 


GARIBALDI    E    MAZZINI. 
IL    GUERRIERO    E    L'APOSTOLO. 


iJe  la  fredda  analisi  dello  storico  dovrà  un  giorno  dividere  due  dei  più 
grandi  personaggi  della  storia  nostra  :  Mazzini  e  Garibaldi,  perchè  discordi  furono 
i  mezzi  con  i  quali  essi  operarono  per  raggiungere  il  nobile  intento,  come  diverse 
erano  le  qualità  della  loro  psiche,  nel  cuore  di  ogni  italiano  però,  queste  due 
gigantesche  figure  non  andranno  mai  disunite. 

La  vita  di  Giuseppe  Mazzini,  non  è  usare  un  luogo  comune,  fu  vita  di 
apostolo,   nel  senso  più  alto  e  più  vero  della  parola. 

Cospiratore  fino  all'  ultimo  battito  del  cuore,  esule  di  tutta  la  vita,  ogni 
energia  di  questa  grande  anima  e  di  questo  forte  intelletto  si  svolse  entro  ad  un 
circolo  magico,   come  intorno  ad  un  pernio  fisso  :    Unità  e  Repubblica. 

Quale  era  il  suo  Credo}  Lo  trascrivo  dall'  autografo,  che  religiosamente 
conservo. 

Il  "  Credo  „  di  Giuseppe  Mazzini. 

Luglio,  '50  -  Londra. 

Dio  —  Umanità  —  Patria. 

Dovere  —  Amore. 

Costanza:  complemento  di  ogni  umana  virtù. 

Il  Genio,  duce. 

L'  Unità  d'  Italia  mezzo  dell'  Unità  Europea. 

Questi  sono  gli  estremi  termini  della  mia  fede. 

GIUSEPPE  MAZZINI 

Il  sentimento  di  fratellanza  dei  popoli  ebbe  in  lui  il  più  tenace  ed  illustre 
propugnatore. 


282  GARIBALDI  E  MAZZINI 


«  Qual'  è,  scrisse  Pasquale  Villari,  la  ragione  per  cui  la  figura  storica 
di  Mazzini  ha  esercitato  un  così  grande  e  misterioso  fascino  suH'  animo  degli 
uomini  e  delle  donne,  degli  italiani  e  degli  stranieri,  sì  che  ne  troviamo  traccie 
visibili  in  tutte  le  letterature  moderne,  in  Victor  Hugo,  nel  Carlyle,  nel  Swinbume 
ed  in  tantissimi  altri?  Egli  è,  che  il  Mazzini  non  solo  dedicò  la  sua  vita  intera 
alla  patria  ;  ma  per  lui  1'  unità,  1'  indipendenza  e  la  libertà  d'  Italia  erano  inse- 
parabili dalla  indipendenza  e  libertà  degli  altri  popoli  :  le  une  erano  per  Ili 
ugualmente  necessarie  alle  altre.  Grande  ammiratore  delle  opere  di  Dante,  sopra- 
tutto della  Divina  Commedia ,  per  la  quale  ebbe  un  vero  culto,  riunendo  il 
sentimento  della  patria  con  quello  dell'  umanità,  egli  riuscì  a  santificare  nei  suoi 
seguaci  il  patriottismo,  facendone  quasi  una  religione.  Vide  chiaramente,  che  se 
la  vita  dell'  individuo  acquista  il  suo  valore  e  la  sua  dignità  sacrificandosi  alla 
patria,  quella  delle  nazioni  s'  innalza  tanto  più  quanto  efficacemente  contribuisce 
al  progresso  civile  e  morale  del  genere  umano.  Questo  ci  spiega  non  solo  il 
fascino  esercitato  dal  Mazzini,  ma  ci  spiega  ancora  come  avvenne  che  alcuni 
suoi  discepoli,  i  quali  divennero  poi  eroi  del  nostro  Risorgimento,  sembravano 
portare  sul  capo  1'  aureola  dei  santi.  11  Mazzini  fu  un  eroe  umano  ;  il  suo  spirito 
animatore  è  quello  stesso  spirito  di  fratellanza,  che  ispirò  il  De  Monarchia, 
che  penetrò  m  tutte  le  opere  di  Dante  ». 

Ogni  scritto  del  grande  esule  è  pensiero  di  filosofo  o  canto  di  credente. 
Leggete  la  preghiera  per  i  piantatori  di  cotone,  mandata  nel  1 846  a  Guglielmo 
Shaen,  che  aveva  domandato  al  Mazzini  il  suo  contributo  sul  tema  dell'  aboli- 
zione della  schiavitù  in  America.  Quando  sarete  giunri  alle  ultime  linee,  sembrerà 
anche  a  voi  di  avere  pregato,   e  vi  sentirete  voi  stessi  credenti. 

«  Apri,  o  Signore,  il  loro  intelletto  e  intenerisci  il  cuor  loro.  L' angelo,  che 
inspira  i  pensieri  di  bontà,  scenda  la  notte  nei  loro  sogni.  Giunga  ad  essi  nella 
sua  voce  il  grido  di  orrore  di  tutta  1'  Umanità,  che  crede  ed  ama  ;  il  grido 
di  dolore  di  tutti  coloro,  che  soffrono  e  lottano  in  Europa  per  il  bene  ed 
ebbero  scossa  la  fede  dal  loro  ostinato  delitto  ;  il  grido  di  scherno  dei  principi 
e  dei  re  della  terra,  i  quali  allor  che  i  sudditi  tumultuano,  additano  i  superbi 
repubblicani  d'America,  i  quali  solo  mantengono  l' ilotismo  delle  età  pagane  ; 
sentano  in  quelle  voci  la  lunga  angoscia  di  Gesù,  che  per  colpa  loro  soffre 
oggi  ancora  sulla  croce  !   E  quando  si  destano  al  mattino,  fa  che  i  loro  bambini 


^  Pasquale  Villari  -  //  "  De  Monarchia  ,,  di  Dante  Alighieri.  In  «  Nuova  Antologia  », 
1.'  febbraio  1911. 


IL  GUERRIERO  E  L'APOSTOLO  283 

porgano  gli  innocenti  capi  ricciuti  ai  loro  baci,  e  mormorino  da  Te  inspirati  : 
"  Babbo,  oh  babbo,  libera  il  nostro  fratello  negro;  non  comperare,  non  vendere 
più  il  figlio  dell'  uomo  per  trenta  denari  ;  vedi,  anche  il  negro  ha  una  madre, 
anch'  egli  ha  dei  bambini  come  noi.  Oh,  possa  la  sua  vecchia  mamma  avere 
la  gioia  di  vederlo  libero  e  fiero  !  Possano  i  suoi  bambini  sorridergli  al  mattino, 
lieti  e  felici,   come  noi  sorridiamo  a   te,   babbo  !  ,, . 

«  Dio  di  pietà.  Dio  di  pace  e  d'amore,  perdona,  oh  perdona  ai  piantatori  ! 
Grande  è  il  loro  peccato,  ma  infinita  la  tua  misericordia.  Fa  scaturire,  nel 
deserto  delle  loro  anime,  il  fonte  vivo  della  carità.  Scenda  l'angelo  del  penti- 
mento e  si  accosti  al  loro  letto  di  morte.  E  tra  essi  e  la  tua  giustizia  nell'  ultima 
ora  —  per  essi  e  per  la  patria  che  disonorano  —  si  elevi  la  preghiera  di 
tutti  coloro  che,  come  me,  soffrono  per  la  tua  santa  causa,  per  la  tua  santa 
libertà,  per  la  liberazione  dei  popoli  e  dell'anima  umana». 

A  Madeleine  de  Mandrot,  una  fanciulla  sedicenne  di  Losanna,  nella  cui 
casa  Mazzini  aveva  trovato  rifugio,  che  gli  si  affezionò  così  fortemente  da  esserne 
compromessa  la  fragile  vita  e  che  l'esule  amò  di  un  amore  spirituale,  a  Made- 
leine de  Mandrot,  egli  inviava  queste  linee  piene  di  mistica  bontà,  che  pure 
trascrivo  dall'  autografo  del  mio  Archivio. 

Giuseppe  Mazzini  a  Madeleine  de  Mandrot. 

Le  10  juin  1836. 

Quand  Dieu  voit  venir  devant  lui  une  ame  de  {emme,  ce  n*  est  pas  à  elle-méme 
qu'  il  démande  compie  de  sa  vie  passée.  II  le  démande  à  l'Ange  du  Souvenir. 

L'Ange  du  Souvenir  le  démande  à  son  tour  aux  àmes,  qui  se  sont  rencontrées 
avec  sa  protegée;  et  chacune  lui  donne  une  fleur,  si  elle  se  souvienl  de  quelque  bien 
que  r  àme  protegée  par  l'Ange  lui  a  fait  dans  le  monde. 

C  est  par  le  nombre  de  ces  fleurs  que  Dieu  juge  des  benédictions,  qu'  il  doit 
verser  sur  celta  àme  de  femme. 

A  ce  jour-là,  soyez-en  sfire,  Madeleine,  parmi  les  fleurs  que  votre  Ange  pre- 
senterà à  Dieu,  vous  trouverez  la  mienne. 

JOSEPH  MAZZINI 

Ogni  lettera  del  grande  cospiratore,  scritta  su  piccoli  fogli  trasparenti,  con 
caratteri  lapidari,  ed  in  cui  ogni  parola  sembra  incisione  fatta  col  bulino  del 
pensiero,  contiene  la  trama  di  una  congiura,  il  piano  di  un'  insurrezione  ordita 
nelle  tenebre  per  scoppiare  all'aperto,  all'  ora  designata.  E  in  tutte  quelle  migliaia 
di  piccole  pagine,  dense  di  concetti,  di  ammonimenti,  di  istruzioni,  la  cui  lettura 


284  GARIBALDI  E  MAZZINI 


mette  ancor  oggi  il  fuoco  nell'  anima,  havvi  la  febbre  del  cospiratore  che  non 
ha  mai  tregua;  e  ben  si  comprende  come  quei  pezzetti  di  carta,  che  qualche 
volta  per  raggiungere  il  loro  destino  venivano  arrotolati  in  pallottoline  e  nascoste 
in  bocca,  dovessero  come  guizzi  di  folgore  infiammare  tanti  giovani  eroi,  per 
i  quali  la  visione  della  patria  era  il  sogno  più  bello  della  giovinezza,  e  come  essi 
andassero  incontro  alla  morte  col  sorriso  sulle  labbra. 


* 
*      * 


Sebbene  lontano  dai  più  ferventi  patrioti,  con  i  quali  comunicava  soltanto 
per  mezzo  di  scritti  ;  quantunque  fuori  dal  contatto  del  popolo,  Mazzini  portò 
nella  rivoluzione,  col  suo  incessante  apostolato,  il  fuoco  sacro  della  libertà  e  lo 
tenne  sempre  desto  ;  ond'  egli  fu  il  vero  formatore  di  una  coscienza  italiana  e  la 
sua  figura  giganteggia  sopra  tutte  le  altre. 

Ma,  appunto  perchè  visse  lontano  dal  popolo  e  dagli  altri  patrioti  e  per 
le  qualità  della  sua  psiche  Giuseppe  Mazzini  stimolò,  seminò,  ma  non  raccolse 
per  se  che  dolori  e  disillusioni.  Ed  egli  fu  un  grande  infelice  ;  la  figura  più  tragica 
del  nostro  Risorgimento  ! 

Occorreva,  che  il  seme  sparso  dal  suo  continuo  apostolato  si  adattasse, 
per  divenire  fecondo,  alle  ineluttabili  necessità  delle  circostanze  ;  ma  se  la  coscienza 
degli  italiani  da  lui  formata  questo  comprese,  1'  apostolo  rimase  sempre  lo  stesso. 
E  verme  il  giorno  in  cui  la  sua  parola  non  fu  più  ascoltata,  in  cui  non  ebbe 
più  proseliti  ;  ond'  egli  fu  il  vinto  di  coloro  stessi,  che  egli  aveva  moralmente 
creato,   dei  suoi  stessi  discepoli. 

«  /  principii  prevalgono  ai  fatti;  e  se  un  principio  è  vero,  le  applicazioni 
debbono  riuscirne  inevitabili  »,   Mazzini  scriveva. 

Ora,  come  era  possibile  il  fare  astrazione  dai  fatti  in  uno  sconvolgimento 
politico,  come  quello  che  allora  avveniva  in  Italia?  In  un  paese,  dove  il  soffio 
della  rivoluzione  era  venuto  da  diverse  e  lontane  regioni  ed  aveva  trovato  sicuro 
rifugio  nel  libero  Piemonte,  il  cui  re  erasi  fatto  banditore  di  libertà  ;  in  un  paese, 
come  il  nostro,  verso  cui  più  di  una  testa  coronata  d'  Europa  volgeva  lo  sguardo 
ora  diffidente  ora  rapace  ;  dove  1'  influenza  della  diplomazia  era  stragrande,  come 
era  possibile  il  fare  astrazione  dai  fatti,  i  quali  ammonivano  che  senza  l'alleanza 
del  Popolo  con  la  Monarchia  il  conseguimento  della  nobile  meta  non  sarebbe  stato 
realizzabile  ? 


IL  GUERRIERO  E  L'  APOSTOLO  285 

Ma  ciò  che  non  era  la  missione  dell'Apostolo,  fu  il  compito  dell'  Eroe, 
onde  se  Mazzini  rappresenta  nella  rivoluzione  italicma  il  pensiero,  Garibaldi  è 
l'azione.  Convinto  anche  questi,  essere  la  repubblica  la  forma  più  libera  di  governo, 
repubblicano  anch' egli,  a  qualunque  principio  dottrinario,  a  qualunque  pregiudi- 
ziale, Garibaldi  antepose  la  patria. 

Servir  la  causa  italiana  capitanata  anche  dal  diavolo  !  Con  questo  motto 
Garibaldi  era  tornato  in  Italia  con  gli  avanzi  della  sua  Legione.  Senza  che 
se  ne  mostrasse  consapevole,  egli  agiva  come  se  avesse  ricevuto  da  Dio  una 
missione  da  compiere  ;  e  mettendo  da  parte  ogni  dottrinaria  quisquilia  andava 
diritto  alla  mèta.  Ond'  egli  portò  nella  rivoluzione,  fra  il  cozzare  violento  delle 
passioni,  insieme  alle  straordinarie  qualità  di  stratega,  quella  nota  intonata,  che 
fra  il  suono  di  strumenti  discordi  riunì  sul  terreno  pratico  dell'azione  tante  nobili 
energie.  Col  non  consigliare  mai  un'  impresa  senza  essere  egli  il  primo  ad  esporsi 
al  pericolo  ed  a  capitanarla,  Garibaldi  esercitò  sull'anima  del  popolo  un  fascino 
immenso,  ed  il  popolo  lo  seguì,  anche  quando  sapeva  di  andare  a  morte  sicura. 

In  un  suo  lungo  ed  importantissimo  scritto,  ancora  inedito,  e  che  in  altra 
occasione  renderò  pubblico,  alle  rampogne  dei  repubblicani  intransigenti,  che  lo 
accusavano  di  essere:  «  zimbello  della  monarchia  »,  «  eterno  fanciullo,  cui 
non  bastò  la  palla  di  Aspromonte  » ,  Garibaldi  risponde  :  «  Ma  avete  mai 
inteso,  che  io  appartenga  a  qualche  partito  ?  Io  ho  sempre  inteso 
di  appartenere  alla  nazione  italiana  !  » 

Non  è  in  questa  sublime  esclamazione,  l'analisi  e  la  sintesi  dell'anima  di 
Garibaldi  ? 

Ribelle  pur  egli  come  Mazzini,  la  sua  ribellione  non  era  il  prodotto  di 
dottrinarismi  ;  ma  l' effetto  del  suo  immenso  amore  per  l' Italia,  il  desiderio  di 
vederla  al  più  presto  libera  da  ogni  tirannide.  Onde,  tutto  ciò  che  a  lui  sembrava 
fosse  causa  d' ostacolo  per   la    nobile    meta   rendevalo  impaziente. 

Ostinato  come  Mazzini,  l' ostinazione  di  Garibaldi  non  serviva  ad  un 
principio  astratto.  Natura  di  marinaro,  fu  la  negazione  del  cospiratore.  Le 
sue  cospirazioni  erano  battaglie  combattute  alla  luce  del  sole,  e  quando  aveva 
un  piano  da  attuare,  che  sarebbe  stato  opportuno  tenere  nascosto,  egli  lo  bandiva 
ai  quattro  venti. 

Nel  '60  scrive  a  Vittorio  Emanuele  di  licenziare  Cavour,  promettendogli, 
dopo  di  aver  fugato  i  Francesi  da  Roma,  d'  incoronarlo  re  in  Campidoglio  ;  e 
nel  '62  rifa  da  Marsala  la  marcia,  che  lo  conduce  al  calvario  di  Aspromonte 
con  un  pubblico  e  violento  discorso  contro  Napoleone  III ,  al  grido  di  : 
«  Roma  0  morte  ». 


286  GARIBALDI  E  MAZZINI 


Mentre  nel  1854  Mazzini  scrive  al  suo  amico  Taylor  «  //  Piemonte  è  la 
nostra  maledizione  »  Garibaldi  ha  fede  in  Vittorio  Emanuele  e  consiglia  il 
popolo  di  unirsi   a  lui. 

In  quello  stesso  anno,  tornando  dall'  America,  avendo  toccato  le  coste 
dell'  Inghilterra,  Alessandro  Herzen,  il  grande  agitatore  russo,  fu  presentato  a 
Garibaldi  da  Felice  Orsini.  Il  Generale  era  in  quel  tempo  addolorato  per  la 
tattica  del  Mazzini,  da  lui  non  ritenuta  giusta,  e  discorrendone  coli'  Herzen  gli 
disse  :  Mi  rincresce  tanto,  veramente  tanto,  che  Pippo  {Mazzini)  si  lasci  trasci- 
nare in  questo  modo  e  fare,  per  una  santa  causa  e  colla  sua  innegabile  integrità, 
tante  e  tali  corbellerie.  Egli  si  rallegra  di  avere  insegnato  ai  suoi  discepoli 
ad  odiare  il  Piemonte.  Ma  cosa  accadrà,  se  il  re  di  Sardegna  si  dà  tutto 
nelle  mani  della  reazione?  Allora  non  sarà  più  possibile  profferire  in  Italia 
una  sola  parola  libera,  e  noi  perderemo  il  nostro  ultimo  appoggio.  Si,  capisco 
la  repubblica  !  Io  sono  stato  sempre  repubblicano  in  tutta  la  mia  vita  ;  ma 
adesso  non  si  tratta  della  repubblica.  Io  conosco  meglio  di  Mazzini  le  masse 
del  popolo  italiano,  colle  quali  ho  fatto  sempre  vita  comune.  Mazzini  conosce 
soltanto  r  Italia  intellettuale,  dominata  dalla  sua  influenza.  Ma  con  quella 
Italia  non  si  può  formare  eserciti  e  scacciare  l'Austria  e  il  Papa;  per  il  popolo 
italiano  non  e'  è  che  un  unico  scopo,  cioè  1*  unità  e  la  libertà  dal  giogo  stra- 
niero. Ora  io  non  so,  come  si  possa  raggiungere  un  tale  scopo  se,  invece  di 
allearsi  all'  unica  forza  in  Italia  che,  sia  pure  spinta  da  motivi  speciali,  tende  ad 
aiutare  gli  italiani,  vale  a  dire  al  Regno  subalpino,  che  inoltre  è  ancora  titubante 
e  pauroso,  si  fa  di  tutto  per  inimicarsela.  //  giorno  in  cui  questo  giovanetto 
{Vittorio  Emanuele)  incomincerà  a  credere  di  essere  più  vicino  agli  arciduchi 
che  a  noi,  la  sorte  d' Italia  si  troverà  rigettata  indietro  di  due  o  tre  secoli,  e  ogni 
progresso  sarà  ostacolato  !  » . 

E  r  Herzen  dava  completamente  ragione  a  Garibaldi  ;  per  il  primo  Mazzini 
era  un  monaco  del  medioevo  modernizzato,  che  non  conosceva  che  un  solo 
lato  della  vita  e  questo  lo  conosceva  perfettamente  ;  ma  il  resto  egli  lo  creava, 
inventandolo  di  sana  pianta,  mediante  la  sua  immaginazione.  Egli  viveva  ne  suoi 
pensieri  e  nelle  sue  passioni,  ma  non  nella  luce  meridiana  della  vita.  Mazzini 
fu  perciò,  secondo  Herzen,   socialista  prima  che  vi  fosse  un  movimento  socialista 


'  Alex.  Herzen  -  Erinnerungen,  Aus  dem  russische  ùbertragen,  herausgegeben  und  ern- 
geleitet  von  Dr.  Otto  Buek,  Berlin,    1907.  pag.  277. 


IL  GUERRIERO  E  U  APOSTOLO  267 

e  divenne  ostile  al  socialismo,  quando  questo  movimento,  lasciando  le  vaghe 
generalità,   si  fece  nitido  e  cosciente  per  diventare  una  forza   rivoluzionaria.  ' 

Martire  egli  stesso,  Mazzini,  fu  creatore  di  martiri  ;  Garibaldi,  eroe,  fu 
creatore  di  eroi.  Del  popolo  questi  conobbe  tutta  la  sua  forza,  come  le  sue 
debolezze  ed  egli  non  urtò  mai  alcuni  sentimenti  della  folla,  anzi  ne  trasse 
vantaggio. 

A  Palermo,  nel  I  860,  Garibaldi  non  sdegnò  di  andare  in  pellegrinaggio  alla 
grotta  di  Santa  Rosalia  al  monte  Pellegrino  ;  e  nella  cattedrale  assistette  alla  messa 
pontificale,  assumendo  la  dignità  di  Legato  apostolico  e  di  giudice  della  monarchia  ; 
ed  al  momento  della  lettura  del  Vangelo,  montato  sul  trono  in  camicia  rossa, 
sguaina  la  sciabola  in  difesa  della  fede  !  Più  tardi,  appena  entralo  a  Napoli, 
assiste  al  miracolo  di  San  Gennaro  e  nel  '62  a  Marsala,  dopo  di  avere  ascol- 
tato la  messa  detta  da  un  suo  milite.  Fra  Pantaleo,  nella  chiesa  della  Madonna 
delle  Cave,  sguainata  la  sciabola  ed  avvicinatosi  all'altare,  giura  sul  Vangelo,  gri- 
dando :   Roma   o   morte] 

Ma  pure,  a  traverso  ad  errori  nell'  applicazione  pratica,  la  figura  di  Giuseppe 
Mazzini,  come  dissi,  giganteggia  sopra  tutte  le  altre  del  nostro  Risorgimento,  siccome 
quella  che  veramente  creò  una  coscienza  italiana.  La  missione  dell'  apostolo 
finisce  quando  incomincia  il  periodo  eroico,  nel  I  860.  Dopo  quest'anno  egli  fu  il 
prigioniero  di  se  stesso  ! 


Come  è  noto,  già  fino  dal  1 848  in  Lombardia  e  dopo  più  apertamente, 
nel  '49  a  Roma,  Mazzini  e  Garibaldi  si  erano  mostrati  discordi  nel  campo 
dell'azione.  D'  allora  in  poi,  pur  mirando  entrambi  con  uguale  amore  all'unifica- 
zione della  patria,  discordarono  nei  metodi  per  raggiungerla,  e  le  loro  relazioni 
non  furono  mai  cordiali.  Le  lettere  inedite,  che  qui  appresso  si  leggono  ne 
sono  nuova  prova. 

Vi  era  qualche  cosa  di  sostanziale  e  d' inconciliabile,  che  divideva  queste 
due  anime  elette  ;  e  vani  riuscirono  i  nobili  tentativi  fatti  per  riavvicinarle  dalla 


'  R.  Michels  -  Le  memorie  di  Herzen  e  l' Italia.    In  «  Nuova  Antologia  »,   1"  dicem- 
bre 1908. 


268  GARIBALDI  E  MAZZINI 


Jessie  White  Mario,   da  Aurelio  Saffi,  Sara  Nathan  e  molti  altri.   Importante  è 
sul  proposito  la  seguente  bella  lettera    inedita,   che  trascrivo  dall'autografo. 

Sara  Nathan  a  Garibaldi. 

Lugano,  5  novembre  '63. 
Generale  nostro  ! 

Amato  e  venerato  Amicai 

Non  vi  spiaccia,  se  oso  così  chiamarvi.  Sul  suolo  di  quella  cara  cameretta.  Voi 
vi  dichiaraste  tale  ed  io  ne  feci  tesoro;  e  tesoro  è,  e  sarà  sempre  per  noi,  la  memoria 
del  nostro  soggiorno,  allorché  godemmo  della  graziosa  Vostra  ospitalità  in  quell'  iso- 
letta, scoglio  prezioso  per  tutti,  e  vieppiù  per  le  generazioni  avvenire.  Non  vi  parlerò 
di  gratitudine,  a  ragione  dei  miseri  mezzi.  Voi  ci  avete  tutti  devoti.  Per  ragioni  di 
famiglia,  dovetti  ritardare  la  mia  partenza  fino  alla  terza  settimana  del  mese  corrente. 
Se  amaste  d'inviare  nuove  comunicazioni  all'amico  {Mazzini),  se  qualche 
felice  ispirazione  vi  decidesse  a  dare  un  momento  di  contento  a  quel  vero 
fratello  Vostro  ;  io  ne  sarei  beata. 

10  aspetto  per  partire  il  ritorno  del  vapore  dalla  Sardegna. 

11  colonnello  Corte  desidera,  che  io  comunichi  con  la  signora  Chambers  sugli  inte- 
ressi nostri  ;  se  a  Voi  non  spiacesse  mandarmi  un  saluto  per  essa  ed  un  altro  per  il 
bravo  amico  Mr.  Peter  Stuart,  accusandogli  ricevuta  delle  Profezie  di  Daniele  e  ren- 
dendovi conscio  della  sua  operosità  nel  '62,  allorché  prese  cinque  cartelle,  io  mi  sentirei 
forte  a  rinnovare  le  mie  istanze  presso  di  lui.   Se  vi  spiace,  sia  come  non  chiesto. 

Seppi  che  il  quadro  Aspromonte  sarebbe  rilasciato  più  volonterosamente  e  con 
sacrifizio  dal  sig.  Induno  a  colui,  che  ne  facesse  dono  al  grande  Martire;  pregai  il 
sig.  colonnello  Corte  di  farne  acquisto  per  me  e  presentarvelo,  aggiungendovi  che  qua- 
lora voi  lo  apprezzaste,  vi  chiedesse  il  permesso  di  farne  una  lotteria  (bene  inteso 
iniziata  da  Voi),  e  ciò  farebbe  supporre  che  il  ricavato  formerebbe  una  somma  assai 
maggiore  del  costo  a  beneficio  dell'  ultimo  appello.  E  con  questo  pregai  pure  il  signor 
Corte  di  far  palese  a  Voi  solo  il  compratore  del  quadro,  non  perchè  io  tema  la 
luce  degli  atti  fatti  a  riguardo  vostro  o  della  santa  nostra  causa  ;  ma  perchè  odio  la 
pubblicità. 

Non  so,  se  il  bravo  e  caro  vostro  Menotti  sia  presso  di  Voi  :  ovunque  sia  ram- 
mentatemi ad  esso  e  così  al  vostro  Ricciotti.  Presentandovi  i  sentimenti  devoti  ed  affet- 
tuosi del  mio  Ernesto  e  benedicendovi  con  tutta  l' anima. 

Ora  e  sempre 

Vostra  devota  e  aff.ma 
SARINA  NATHAN 

P.  S.  -  11  sig.  Guerzoni  vi  darà  l' indirizzo  sicurissimo. 


r  ^7  i^**^  i/—* 


--'//"  «-^•'^    '-  -y  ^  *^^  iyij.j,^,  /  C^/a.é^'e^^      •  rt-rt---^  ^^-v.--. ^ 


*  'e  tr  OM^'^  A»^« —  ''  i_y/a.JM  I  /«.-^a.  »•-.     ,  //^  cé 


c"  *»^«  "^ f  «' «»^'if  *-^«—      ''       i_y/<x^      / /«.-o  ó. »•-.  ■ //^ 


Ce         c>  t--***^. 


Jx^o^'~.     jAiZ^    JA-'  ^e^  ^         ^fjy%^^p'f-ff,*a-^^^^'^^^^^     '^ 


Oy^r  '  %/^-c**«^/  e  tt./jut' /a  t*-i~^  J^ 


*//       a^^f  ,  <y^ 


■y. 


t*y^  C-*  e-^c^'Cf     ìr>  ■ 


n  y      Ctr 


Uou 


^^     .>^^    /^/U.1L^     )/ ^„.  ^_,       .^«W,^, 


«l-*«  <*■  a.>«.^t»  C*^-<''«/«-<^  ».t-««_--'         ^YtA-t^M.-s    Cm '  /   '        ^  «-«-«^  >fc»J»  ' 


'7 

:''«^«-<*  »^^^_--'    0^*.*^  ^i^       //■  ^ 


cA^ 


/        '         X^^ 


Lettera  di  Giorgio  Pallavicino  a  Garibaldi, 
in  cui  lo  ammonisce  di  guardarsi  tanto  di  Cavour  che  di  Mazzini.  (Vedi  pag.  293). 


IL  GUERRIERO  E  L'APOSTOLO  289 

Garibaldi  disapprovava  il  sistema  consigliato  da  Mazzini  delle  piccole 
insurrezioni,  1*  anteporre  alle  ineluttabili  necessità  delle  circostanze  l' ideale  repub- 
blicano, che  egli  riteneva  un  ostacolo  all'  unificazione  della  patria.  Ma  quello  che, 
sopra  ogni  altra  cosa,  Garibaldi  disapprovava  era  il  rigido  dottrinarismo,  che 
emanava  da  ogni  atto,  da  ogni  scritto  di  Mazzini,  il  volere  guidare  il  popolo 
stando  lontano  da  esso. 

L' esilio  di  tutta  la  vita  dalla  tena  che  egli  adorava  :  il  sacrifizio  più  grande 
che  anima  umana  abbia  mai  compiuto  a  sostegno  di  un  principio  e  che  fu  la 
manifestazione  più  elevata  del  carattere  del  Mazzini,  appariva  all'eroe  guerriero 
un  sacrifizio  praticamente  inutile. 


11  dissidio  fra  queste  due  gigantesche  figure  si  acuì  nel  '67,  durante  la 
campagna  garibaldina  nell'  Agro  Romano  ;  ed  io  penso  di  non  dovere  qui  tacere, 
per  r  importanza  del  contenuto  e  per  la  persona  da  cui  proviene,  una  lettera  del 
figlio  superstite  di  Giuseppe  Garibaldi,  in  risposta  ad  alcune  domande  da  me 
rivoltegli. 

Il  pensiero  di  Ricciotti  Garibaldi  su  Mazzini. 

Rio-Freddo,   19  ottobre   1909. 
Mio  caro  Dottore, 

La  questione  da  voi  postami,  francamente  è  abbastanza  difficile  a  trattare. 

Non  è  che  la  storia,  cioè  la  riunione  collettiva  di  pareri,  duramte  almeno  mezzo 
secolo,  che  può  dare  un  giudizio  che  si  avvicini  alla  verità. 

Ma  ciò  nonostante  io  credo,  che  sia  un  dovere  sacrosanto  in  ciascuno  di  noi,  che 
può  dare  a  questa  storia  futura  un  contributo  di  fatto,  come  ricordo  o  scritto  di  una 
impressione  ricevuta,  di  non  perdere  il  tempo,  essendo  preziosissimi  i  ricordi  personali 
dei  sopravviventi. 

Prima  di  tutto  debbo  lealmente  dichiarare,  che  per  me  fra  le  personalità  dei  grandi 
fattori  del  nostro  Risorgimento,  che  meritano  più  considerazione^  la  maggiore  è  preci- 
samente quella  di  Mazzini. 

Se  uno  ha  una  chiara  visione  di  ciò  che  furono  gli  ostacoli,  le  ostilità,  che  la  sua 
propaganda  per  l'unità  della  patria  incontrò,  la  costanza  e  la  tenacia  dimostrate  da 
quest  uomo  lo  mettono  fra  i  più  grandi  non  solamente  dell'  Italia,  ma  del  mondo  intero  ; 
e  certamente  lo  mettono  al  di  sopra,  non  parlo  di  Cavour,  ma  di  Garibaldi,  la  cui  linea 
di  atticità  s'imponeva  ai  ricalcitranti,  obbligandoli  ad  utilizzarla  per  l'immensa  popo- 

CURÀTULO  19 


290  OMllBALDI  E  MAZZINI 


larilà  suscilata  dai  clamorosi  succesii   militari.    Successi  clamorosi  ed  appariscenti,  che 
non  confortavano  l'opera  di  cospiratore  e  di  propaganda  del  Mazzini. 

Ed  io  ritenso  che  la  storia  darà  questo  giudizio  :  che  l' opera  che  più  con- 
tribuì e  più  assicurò  il  nostro  Risorgimento  fu  precisamente  quella  di 
Mazzini. 

Però,  egli  ebbe  una  disgrazia  e  fu  quella  di  essere  nato  ligure  ! 

Una  delle  principali  caratteristiche  di  questa  brava  gente  è  il  profondo  egotismo, 
che  domina  il  loro  carattere.  Egotismo,  che  nelLi  maggioranza  dei  casi  è  sorgente  di 
atti\-ità  benefica  :  ma  in  qualche  raro  caso,  come  in  questo  di  Mazzini,  diventa  una 
qualità  negativa. 

Per  .Mazzini  non  li  era  che  un  Dio,  ed  egli  era  il  suo  unico  profeta.  Ecco,  perchè 
nei  suoi  coadiuvatori,  egli  non  vedeva  che  degli  isirumenti  ! 

Mio  Padre  sintetizzò  questo,   quando  scrisse  : 

«  Con  Mazzini  non  vi  è  che  un  solo  modo  di  andare  d'accordo  ed  è  ;  obbedirlo  ; 
e  questo  non  me  lo  sento  » . 

Quanto  era  diverso  il  profondo  ed  esteso  altruismo  di  Garibaldi  ! 

Da  questa  difierenza  di  carattere,  non  dico  1'  ostilità,  ma  certamente  il  mutuo  males- 
sere fra  questi  due  uomini. 

Poi  vi  erano  delle  ragioni  collaterali. 

Non  parlo  della  gelosia  esistente  fra  i  due  Stati  Maggiori,  che  pure  in  qualche 
cosa  influiva  sulla  posizione  reciproca  dei  due  Capi. 

11  mazzinianismo  considerava  sempre  il  giirihaldinismo  —  mi  si  passi  la  parola  — 
come  prodotto  suo  :  e  perciò  non  solamente  si  aveva  a  male,  che  questo  agisse  indi- 
pendentemente, ma  siccome  era  difficile  lo  stabilire  dove  finiva  il  mazziniano  e  inco- 
minciava il  garibaldino  o  viceversa,  il  primo  si  serviva  sempre  di  questo  per  tentare 
di  riacquistare  l'ascendente  perduto.    Le  campagne  del  'ÓO  e  del  'ó7  informino. 

//  .Mazzini  non  capì  mai,  che  il  genio  è  assai  difficilmente  unicersale  ;  ma  che  anzi 
è  quasi  sempre  specialisla  e  che  perciò  gli  uomini  che  preparano,  raramente  sono  i 
più  adatti  ad  eseguire.  Cosa  che  non  si  Vuole  capire  nelle  nostre  organizzazioni  militari, 
nelle  quali  si  ha  per  dogma,  che  più  la  testa  dell'Ufficiale  di  Staio  Maggiore  rassomiglia 
all'  Enciclopedia  Britarmica  —  credo  la  più  poderosa  di  tutte  —  più  sono  le  probabilità 
di  trovare  in  lui  il  futuro  condottiero  vittorioso  :  mentre  la  storia,  non  ad  "  usum  delphini ,, , 
ma  v-era  e  cruda  insegna  precisamente  il  contrario. 

Mazzini  commise  V  errore  di  volere  ancora  guidare  ciò  che  era  veramente  il  prodotto 
dell'opera  sua.  il  giorno  in  cui  quest'  opera  entrava  nella  fase  dell'azione  attiva  ;  fase 
che  non   era   una   delle  atlribuzioni  del  suo  genio. 

Questa  pretesa  lo  portò  a  commettere  il  gravissimo  errore  della  nomina  del  comando 
in  capo  dell'  Esercito  repubblicano  romano;  errore  che  fu,  probabilmente,  la  causa  princi- 
pale della  caduta   di  questa   repubblica. 

Mio  Padre  invece,  sia  per  calcolo,  sia  per  intuito,  non  sortiva  mai  dalla  propria 
sfera  di  azione  ;  e  quando  una  volta  Io  vollero  come  influenza  nelle  elezioni  politiche 
(nel  \'eneto),  si  accorse  subito  dell'  errore,  che  commetteva  e  si  ritirò,  dicendo  :  «  La 
professione  di  agente  elettorale  non  è  per  me  !  > 


IL  GUERRIERO  E  L' APOSTOLO  291 

Neil'  ambiente  di  Caprera,  quando  questa  era  veramente  garibaldina,  il  Mazzini, 
pure  riconoscendosi  le  sue  altissime  benemerenze  patriottiche,  era  ritenuto  più  come  un 
guasta-mestieri  ;  e  questo  fu  specialmente  in  seguito  alla  parte  presa  da  lui  alla  fine 
della  campagna  di  Napoli. 

Infatti,  se  è  vero  il  detto  che  i  grandi  uomini  dovrebbero  sapere  morire  in  tempo, 
il  Mazzini  avrebbe  dovuto  sparire  prima  del  '60.  Perchè  non  saranno  certamente  dalla 
storia  p>ortate  a  suo  credito  le  difficoltà,  sempre  a  buono  scopo,  create  al,  chiamiamolo 
pure,  garibaldinismo,  sia  in  quella  campagna,  sia  in  quella  del   1867. 

E  parlando  di  questa,  posso  anche  parlare  di  quella  piccolissima  parte,  che  io 
ebbi  nella  vita  di  questo  grandissimo  uomo. 

Durante  la  visita  di  mio  Padre  a  Londra,  nel  1864,  lui  informato  che  Mazzini 
desiderava  vedermi  ;  e  siccome  questo  era  anche  un  grandissimo  desiderio  mio,  accettai 
subito  di  andarlo  a  trovare  in  casa  di  comuni  amici. 

Evidentemente,  durante  la  lunga  conversazione,  che  abbiamo  avuto  insieme,  egli  mi 
studiava,  e  probabilmente  non  fui  trovato  idoneo,  o  forse  abbastanza  maturo  (avevo 
18  anni);  perchè  questa  conferenza  non  ebbe  seguito. 

10  subii  un  secondo  tentativo  di  questo  genere,  più  tardi  ;  mi  pare  prima  del  70  ; 
ma  questa  volta  1"  incaricato  fu,  credo,  il  carissimo  amico  1'  on.  Pantano. 

Nel  1 867  fui  incaricato  di  andare  in  Inghilterra  a  raccogliere  fondi  per  la  campagna 
neir  Agro  Romano,  già  principiata  ;  ma  sul    punto  di    fallire    per    mancarua   di  (ondi. 

11  Comitato  di  Firenze  mi  consegnò  per  diverse  centinaia  di  mila  lire  dei  famosi 
biglietti  di  banca,  che,  realizzati,  dovevano  essere  il  fondo  di  guerra. 

La  mia  gita  fu  un  disastro  ! 

I  nostri  amici  acquistarono  qualche  biglietto  di  piccolo  taglio  per  ricordo;  ma 
rifiutarono  di  provvedere  fondi  di  qualche  entità,  perchè  Mazzini  aveva  scrillo  a  tutti, 
che  egli  disapprovava   la  spedizione. 

Nei  pochi  giorni,  che  mi  erano  stati  dati,  non  potei  rinvenire  che  qualche  migliaio 
di  lire,  se  ben  ricordo  cinque  o  sei  mila  ;  quando,  per  fortuna,  la  buona  signora  Chambers, 
vedendo  come  andava  male  l' affare,  mi  versò  mille  lire  sterline  (lire  25,000). 

Non  perdetti  tempo  a  ritornare  in  Italia,  evitando  di  passare  per  la  Francia  ;  ma 
ben  deciso  di  andare  a  trovare  Mazzini  a  Lugano.  Infatti,  lo  trovai  in  casa  della  esimia 
signora   Sara  Nathan  e  la  conferenza   fu  piuttosto  \ivace. 

Registro  questo  per  la  storia  :  che  egli  mise  sulle  spalle  dei  suoi  luogotenenti  la 
colpa  delle  ostilità  da  me  incontrate  in  Inghilterra  ;  ne  io  p)otei  dire  cosa  in  contrario, 
visto  che  nessuno  mi  aveva  fatto  leggere  le  lettere,  che  si  dicevano  scritte  da  lui. 

Mi  ricordo  le  sue  ultime  parole  :  *  Dite  a  vostro  Padre,  che  io  intendo  fare  tutto 
ciò  che  egli  vuole  e  che  lascio  completamente  nelle  sue  mani  la  direzione  di  ogni  cosa  ». 

Quando  riferii  queste  parole  a  mio  Padre,  che  trovai  già  informato  di  ciò  che 
era  successo  a  Londra,  egli  mi  rispose  :   *  E  tu  ci  credi  ?  * 

Con  tutto  ciò,  nel  1867  a  Monterotondo,  dopo  la  sua  presa,  si  parlava  ap)erta- 
mente,  nel  nostro  circolo  intimo,  dell'  esistenza  di  un  Comitato  mazziniano,  che  aveva 
per  scopo  di  fau"e  rimpatriare  la  gioventù,  che  era  sotto  le  armi. 

Era  possibile,  che  questo  esistesse  senza  che  il  Mazzini  ne  fosse  informato  ? 


292  GARIBALDI  E  MAZZINI 


A  me  fu  fatta  conoscere  la  piccola  coccarda,  che  portavano  al  cappello  i  compo- 
nenti di  questo  Comitato  o  i  loro  agenti  per  farsi  riconoscere,  e  si  dava  per  certo  che 
il  suo  capo  fosse  il  Valzania. 

Si  sapeva  anche,  che  gli  argomenti  usali  erano  basati  sul  fatto,  che  probabilmente 
andando  a  Roma,  invece  di  proclamare  la  repubblica,  mio  Padre  vi  avrebbe  chiamata 
la  monarchia. 

Una  grande  parte  di  volontari,  e  certamente  tutti  i  romagnoli,  erano  repubblicani  ; 
perciò,  questo  argomento  era  molto  effettivo  ;  specialmente  su  della  gente,  che  la  ritirata 
da  Casale  dei  Pazzi  aveva  male  impressionata  e  che  soffriva  orribilmente  per  mancanza 

di  cibo. 

Perciò  non  è  a  meravigliarsi,  che  circa  tre  mila  della  migliore  gioventù  abban- 
donò il  campo,  tre  giorni  prima  di  Mentana.  Mi  ricordo,  che  una  delle  colonne, 
credo  quella  comandata  dal  Missori,  che  la  sera  all'appello  contava  quasi  seicento 
baionette,  l' indomani  mattina  era  ridotta  a  circa  quattrocento. 

La  battagha  di  Mentana  non  fu  una  battaglia  perduta,  nel  senso  ordinario  della  parola. 

11  maggior  numero  di  una  delle  parti  combattenti  (i  nostri)  abbandonò  il  campo 
di  battaglia,  quando  non  vi  era  alcuna  ragione  per  questo  ;  anzi  la  "  debandade  „  cominciò 
precisamente,  quando  al  nemico  si  erano  riprese  tutte  le  posizioni  perse  la  mattina,  in 
causa  della  sorpresa.  Ne  si  può  parlare  della  comparsa  dei  francesi  ;  questa  non  era 
conosciuta. 

Ciò  non  è  un  caso  isolato  nella  storia  dei  volontari. 

Intanto,  sta  di  fatto,  che  i  punti  più  importanti  del  campo  non  furono  occupati  che 
r  indomani  mattina  dal  nemico  ;  e  mio  Padre  aveva  pienamente  ragione,  quando  gridava 
ai  volontari  :   ■>(  Sedetevi,  che  la  battaglia  è  vinta  !  » 

Le  cause  della  "  debandade  „  furono  un  po',  il  malessere  conseguente  all'  insuffi- 
cienza di  cibo  ;  ma  si  sapeva  che  si  andava  verso  Tivoli  ed  i  castelli  romani,  dove 
ogni  grazia  di  Dio  era  abbondante. 

La  causa  plausibile  :  la  mancanza  di  cartuccie  ;  questa  risposta  1'  ebbi  io  stesso 
da  alcuni  gruppi,  che  rimproverai  perchè  si  ritiravano.  Ma  la  ragione  principale  fu 
r  effetto  deprimente  della  forte  propaganda  mazziniana. 

Da  quanti  mi  sono  io  stesso  sentito  rispondere  :  «  Ma  che  !  Qui  non  vi  è  più  nulla 
da  fare  ;  bisogna  andare  a  fare  le  barricate  nelle  città  italiane  !  » 

Questo  era  il  nuovo  programma  annunziato  dal  gruppo  mazziniano. 

Ecco  tutto  ciò  che  vi  posso  rispondere,  mio  caro  Dottore,  e  mi  riassumo  in  questo  : 
Pure  avendo  la  più    alta   stima    e    considerazione   di  Mazzini,  come   il  maggiore 
fautore  della  liberazione  ed  unità  della  patria  nostra,  io  non  ebbi  dei  suoi  metodi  perso- 
nali (sempre  in  materia  pubblica)  buona  impressione  ;  e  francamente  credo  che  mio  Padre 
fosse  dello  stesso  parere. 

Abbiatemi  sempre 

Vostro  aff.mo 

RICCIOTTI  GARIBALDI 
Jll  sig.  doti.   Giacomo  Emilio  Curàtulo 

Roma. 


IL  GUERRIERO  E  f  APOSTOLO  293 

A  proposito  delle  defezioni  avvenute  fra  i  volontari  garibaldini  nella 
campagna  del  '67  e  di  cui  parla  il  generale  Ricciotti  Garibaldi,  trova  qui  giusto 
posto  una  lettera  del  Missori,   che  trovo  nella  mia  raccolta. 

Missori  a  Garibaldi. 

Roma,  22  gennaio  1681. 
Generale, 

La  lettera,  che  ella  si  compiacque  dirigermi  a  Milano  mi  venne  spedita  a  Roma, 
ove  attualmente  mi  trovo.  Quindi  il  ritardo  della  risposta. 

Conosciuta  la  causa,  ella  non  vorrà  farmi  carico.  M"  affretto,  pertanto,  a  darle  a 
volta  di  corriere,  le  chieste  informazioni. 

//  numero  di  uomini  dei  quali  disponevo  al  mio  giungere  a  Monteroiondo  ascen- 
deva a  560,  formati  in  due  battaglioni. 

A  Mentana,  per  le  defezioni  del  giorno  precedente  al  combattimento,  l'effettivo  dei  due 
battaglioni  raggiungeva  appena  la  cifra  di  400  uomini  ;  1 60  erano  mancati  all'appello. 

In  altri  corpi  le  defezioni  raggiunsero  proporzioni  molto  maggiori.  Da  chi  e  per 
quale  motivo  provocate?  Mistero! 

Godo,    caro    Generale,  di  saperla    assai  migliorata  in  salute,  da  quando  ebbi    la 

fortuna  di  vederla  in  Milano,  e  nell'augurarle,  dal  più  profondo  del  cuore,  il  più  completo 

ristabilimento,  le  mando  un'  affettuosa  stretta  di  mano. 

Di  Lei  devotissimo 

MISSORI 

A  meglio  illuminare  questo  episodio,  nei  limiti  impostimi  nel  presente  volume 
e  riserbandomi  in  altra  pubblicazione  di  far  noti  i  documenti  inediti,  che  sulla 
campagna  del  '67  trovansi  nel  mio  Archivio,  giova  qui  riprodurre,  dall'originale  da 
me  posseduto  ',  la  nota  ed  importante  lettera  che  Mazzini  diresse  a  Garibaldi 
r  1  I  febbraio  1870,  nella  quale  il  grande  esule  si  sforza,  con  tutte  le  energie 
che  gli  restano,  di  rimuovere  dall'  animo  di  Garibaldi  ogni  diffidenza  che  lo 
tengono  lontano  da  lui  e  spingerlo  ad  agire  per  un  moto  repubblicano. 

Mazzini  a  Garibaldi. 

1 1   febbraio  70. 
Caro  Garibaldi, 

Vi  reca  questa  il  signor  Nani,  romano,  milite  vostro  fedelissimo.  Egli  è  incaricato 
di  parlarvi  della  situazione  attuale  e  dell' urgenza  di  una  decisione.  Malgrado  il  lungo 


Un  facsimile  si  trova  nella  Biblioteca  «  Vittorio  Emanuele  »  di  Roma. 


294  GARIBALDI  E  MAZZINI 


silenzio,  malgrado  diffidenze  che  mi  sono  inconcepibili,  sento  che  non  debbo  prendere 
questa  decisione  senza  un'  ultima  parola  a  voi,  che  avele  tanto  fatto  per  la  Patria  e 
che  potrete  avere  tanta  parte  nei  suoi  destini  futuri. 

Un  cenno  solo  per  queste  diffidenze,  colla  mano  sul  cuore,  io  vi  dico  : 
non  possono  essere  fondate  che  su  calunnie  sparse  a  dividerci. 

Taluno  mi  ha  detto,  che  voi  mi  accusate  d'avere  contribuito  a  rovinare  l' ultima 
vostra  impresa.  Voi  sapete,  che  io  non  credevo  nel  successo  ed  ero  convinto  esser  meglio 
concentrare  tutti  i  mezzi  sopra  un  forte  movimento  in  Roma,  che  non  irrompere  nella 
provincia  ;  ma,  una  volta  l' impresa  iniziata,  giovai  quanto  potei  :  venni  per  questo  alla 
frontiera  :  diedi  a  Missori  il  nucleo  dei  romagnoli  raccolti  in  Faenza,  che  dipendevano 
da  me  :  confortai  ad  agire  la  colonna  meridionale,  nella  quale  era  Procaccini  e  della 
quale  poi  prese  il  comando  Nicotera.  Voi  li  conoscete  e  potete  interrogarli.  A  me, 
del  resto,  basta  la  mia  parola  d'  onore.  E  concedete,  che  io  vi  dica  che  tra 
uomini  come  noi,  le  accuse  dovrebbero  non  nutrirsi  nel  buio,  ma  essere 
direttamente  comunicate  e  dar  luogo  a  spiegazioni  leali. 
Vengo  alla  situazione  : 

Noi  camminiamo  rapidi  ad  un  movimento  che,  rovesciando  la  Monar- 
chia traditrice,  conchiuderà,  dopo  un  periodo,  diretto  da  un  governo  d'  in- 
surrezione, in  un'  Assemblea  Costituente  da  raccogliersi  in  Roma. 

S' intende,  che  la  parte  repubblicana  non  può  sostituirsi  a  quella  che 
oggi  regola,  se  non  movendo,  dieci  giorni  dopo  il  trionfo  interno,  su  Roma, 
voi  guidatore. 

L'organizzazione  è  compiuta  e  forte.  Siamo  certi  (colla  condizione  che  ora  dirò 
dell'  iniziativa  in  Genova,  Milano,  nel  Nord)  di  quella  dell'  intera  Sicilia  e  della  zona 
Calabra  nel  Sud,  di  quella  di  Bologna,  appena  udite  le  prime  nuove  del  centro,  e 
del  seguire  immediato  delle  Romagne,  dell'  Emilia  e  delle  Marche.  Abbiamo  forte 
lavoro  generale  nel  basso  dell'  esercito.  Abbiamo  agenti  in  parecchi  punti  del  Piemonte 
e  in  Napoli,  città,  non  sufficienti  ad  operare  per  se  :  pochissimi  nel  Veneto.  Dei 
contadini  sapete  come,  dopo  il  macinato,  sieno  malcontenti. 

La  condizione  che  s' aspetta  è  un*  opportunità  :  un  qualche  cosa,  che  metta,  come 
r  attentato  Lobbia,  un'  agitazione  in  piazza  ;  una  predisposizione  nel  popolo  verrà  senza 
fallo.  Può  sorgere  ad  ogni  istante,  e  la  coglieremo. 

Questo  come  stanno  ora  le  cose.  Ma  se  voi  aderiste  e  credeste  bene 
d' intenderci,  saremmo  padroni  della  situazione. 

Credete,  l' opportunità  è  in  mano  nostra.  Non  ci  sarebbe  che  scegliere  tra  Genova, 
la  Sicilia  o  altro  punto  :  comparirvi  uniti  o  dividerli  in  due  zone,  perchè  operino 
simultanei.  Col  vostro  intervento,  i  piccoli  ostacoli,  che  ci  fanno  aspettare  l' oppor- 
tunilò,  sfumerebbero  tutti.  11  resto  è  materia  d'una  comunicazione  tra  noi,  o  anche 
meglio  di  un  abboccamento  ;  e  per  questo  sarei  a  vostra  disposizione  in  Lugano,  Genova, 
Milano  o  qualunque  punto  da  voi  scelto,  fuorché  Caprera. 

Pensate  e  decidete.  A  voi,  come  a  me,  deve  pesare  ogni  giorno  che  passa  :  è  un 
giorno  di  disonore  pel  nostro  paese. 
Una  parola  ancora. 


I 


IL  GUERRIERO  E  L'APOSTOLO  293 

S' io  anche ,  ciò  che  non  è ,  v'  avessi  tremendamente  offeso ,  dovreste , 

voi,  Garibaldi,  sommergere  ogni  sentimento  individuale  nel  pensiero  unico, 

regolatore  della  base  della  nostra  fede.  Io  sento  che  Io  farei. 

Addio. 

Vostro 

GIUS.  MAZZINI 

* 

L'  anno  eroico,  il  1 860,  fu  per  l' Apostolo  l' anno  del  dolore  e  del- 
l' amarezza  ! 

Abbiamo  visto  dai  documenti  pubblicati  nel  Capitolo  VII,  che  voci  più 
serene  di  quella  del  Bertani  avevano  ammonito  Garibaldi  di  stare  in  guardia  dai 
diplomatici  e  dagli  intriganti.  Biagio  Garanti,  persona  devota  a  re  Vittorio,  il 
quale  in  quei  giorni  spesso  gì'  inviava  il  generale  Sanfront  per  avere  notizie  di 
Garibaldi,  scriveva  a  quest'ultimo  :  «  A  proposito  d'intriganti,  badale  che  viene  giù 
il  La  Farina,  ed  ora  che  è  passato  il  pericolo  verrà  per  togliere  i  frutti  ;  ma 
voi  lo  conoscete  e  non  avete  bisogno  dei  miei  avvertimenti  per  guardarvi  da  lui  ». 

Tutti,  indistintamente,  erano  d'  accordo  nel  mettere  in  guardia  il  dittatore 
da  La  Farina  ;  e  certamente  nessuna  figura  raccolse  e  suscitò  nel  '60  tante  ire, 
quanto  quella  di  questo  patriota,  che  pure  aveva  scritto  qualche  bella  pagina 
nella  sua  vita.  Inviato  a  Palermo  dal  conte  di  Cavour,  come  controllo  gover- 
nativo (come  l'anno  avanti  era  stato  mandato  nell'  Italia  Centrale),  egli  esagerò 
il  suo  compito,  nocque  allo  stesso  suo   signore  e  fu  causa  di  grandi   discordie. 

Ma  altre  e  diverse  voci  erano,  in  quei  giorni,  pervenute  a  Garibaldi  per 
metterlo  in  guardia  dalle  mene  dei  mazziniani.  Fra  queste  voci  vi  era  stata 
quella  di  Giorgio  Pallavicino,  del  martire  dello  Spielberg.  Ecco  l' importante  lettera 
inedita  inviata  a  Garibaldi. 

Giorgio  Pallavicino  a  Garibaldi  {Vedi  facsimile). 

Torino,   19  giugno   1860. 
Amico  carissimo. 

Profitto  di  questa  occasione  per  scrivervi  due  righe  e  ripetervi  ciò  che  vi  ho  già 
scritto  con  altro  mezzo.  Guardateci  dagli  intriganti,  che  vengono  a  voi  con  missioni 
segrete  di  un  governo,  che  non  ha  più  libertà  d' azione.  Noi  siamo  i  vassalli  del  Due 
Dicembre  ;  il  quale  non  Vuole  l'Italia,  ma  una  confederazione  di  Stali  italiani,  più  o 
meno  deboli,  per  poterli  signoreggiare  lutti  a  suo  beneplacito.  Diffidate  della  diplo- 
mazia !  E  diffidate,  in  pari   tempo,   di    Mazzini   e   dei    mazziniani  :    costoro 


2%  GARIBALDI  E  MA221NI 


guastano  tutto  ciò  che  toccano.  Affrettatevi.  Per  compiere  imprese  miracolose,  voi 
non  avete  bisogno,  come  gli  altri  grandi  capitani,  di  un  esercito  disciplinato,  secondo 
le  regole  della  scienza  :  a  voi  bastano  un  pugno  di  volontari  ed  il  vostro  nome.  Ciò 
che  avete  fatto  in  Sicilia,  ripetetelo  nelle  Calabrie,  e  voi  manderete  ad  effetto,  in  poche 
settimane,  il  magnifico  programma  della  «  Società  Nazionale  »  :  «  /'  Italia  col  re  sardo  ». 
Spero,  che  le  ferite  di  Giorgio  Manin  non  avranno  conseguenze  funeste.  Vi  racco- 
mando il  caro  giovine  quanto  so  e  posso  ;  e  voi,  amatissimo,  siate  un  po'  più  curante 
di  una  vita,  che  non  vi  appartiene.  Ve  ne  prego,  ve  ne  supplico,  in  nome  di  tutto  il 
popolo  italiano.  Anna  vi  dice  dolcissime  cose.  Caranti  nostro  è  partito  per  la  campagna 
in  discreto  stato  di  salute.  Egli  vi  ha  scritto  più  volte  :  avete  voi  ricevute  le  sue  lettere  ? 
Amatemi  e  scrivetemi  due  righe,  se  lo  potete,  lo  vi  abbraccio  coli'  anima,  riprotestan- 
domi 

Tutto  vostro 

GIORGIO  PALLAVICINO 
P.  S.  -  Una  stretta  di  mano  al  bravo  Tiirr. 


Le  frasi  che  si  contengono  in  questa  lettera,  richicimano  alla  memoria 
quelle,  che,  quattro  mesi  dopo  il  Pallavicino,  prodittatore  in  Napoli,  scriveva 
nella  nota  lettera  a  Mazzini.  E  prezzo  dell'  opera  qui  il  ripubblicare  quello 
scritto,    facendolo    seguire  dalla  fiera  risposta. 

Napoli,  3  ottobre   1860. 
Al  chiaro  signor  Giuseppe  Mazzini, 

L'  abnegazione  fu  sempre  la  virtù  dei  generosi,  lo  vi  credo  generoso,  ed  oggi  vi 
offro  un'  occasione  di  mostrarvi  tale  agli  occhi  dei  nostri  concittadini.  Rappresentante 
del  principio  repubblicano  e  propugnatore  indefesso  di  questo  principio,  voi  risvegliate, 
dimorando  fra  noi,  le  diffidenze  del  re  e  dei  suoi  ministri.  E  però,  la  vostra  presenza, 
in  queste  parti,  crea  imbarazzi  al  governo  e  pericoli  alla  nazione,  mettendo  a  repentaglio 
quella  concordia,  che  torna  indispensabile  all'  avanzamento  ed  al  trionfo  della  causa 
italiana.  Anche  non  volendolo,  voi  ci  dividete.  Fate  dunque  atto  di  patriottismo,  allon- 
tanandovi da  queste  provincie.  Agli  antichi  aggiungete  il  nuovo  sacrifizio,  che  vi  domanda 
la  patria  :  e  la  patria  ve  ne  sarà  riconoscente. 

Ve  lo  ripeto  :  anche  non  volendolo,  voi  ci  dividete  ;  e  noi  abbiamo  bisogno  di 
raccogliere  in  fascio  tutte  le  forze  della  nazione.  So  che  le  vostre  parole  suonano  con- 
cordia, e  non  dubito  che  alle  parole  corrispondano  i  fatti.  Ma  non  tutti  vi  credono  :  e 
molti  sono  coloro,  che  abusano  del  vostro  nome,  col  proposito  parricida  d' innalzare  in 
Italia  un'  altra  bandiera.  L*  onestà  v'  ingiunge  di  metter  fine  ai  sospetti  degli  uni  ed 
ai  maneggi  degli  altri.   Mostratevi  grande,  partendo,  e  ne  avrete  lode  da  tutti  i  buoni. 

Io  mi  pregio  di  dirmi 

Vostro  devotissimo 

GIORGIO  PALL.A VICINO 


/tv^tT»,,  ^•'diauu  ^     ^T*-l'''^>^^    y''/otx»fct.Mr7'»^  Ufi. 
r<v"vr^    «i»t»«t«^  "i><v.   t^j,    nel   uc.*i^.  t^"»-'  o>.'  ^n* 
i^('<.»     u e.1  téle.'  uo*'  vuf^\.   c(^ic^^^  ^-     ^•'^' '  *-'  ?^<-^^ 

</*-   t'»«'    \\*t\    }H,<nt?'*rv^    ;  <»  (\  ?■' '  *  i  ^' /l«^  —  e— 
y  '  <kt-t«.  '  ì>tb->    />«(."".   ^../^-   /.'iv-J^ff    ii^'^-^i  **.♦ 


^      U'^.    ^tV», 


tH»v.O^,n.'  St*.iv£t*w)^  t>.*  ii.»(v^i"t<ic«  ,  /•,.  /pur. 
Itti,    ^iy»    ms-.J   ut^iafij     if^j  ^Si!^    /t^y-xJ.  /l't^ns 


^«    Jf^Ùt>,  (ini/if  '  Uff''  fii-e^    UJ<*    11*^   /v»^<»"^     6'/*.' 
•  itU/f^    'h'U*^  ct<t-^   <J  '  A-    ì'tcTo^    Wl>*^  /J   Uo,^e.t- 


Lettera  di  Mazzini  a   Garibaldi,    17  giugno   1860.  (Vedi  pag.  299). 


a 


IL  GUERRIERO  E  L'APOSTOLO  297 

E  Giuseppe  Mazzini   rispondeva. 

Napoli,  6  ottobre  1860. 
A!  signor  Giorgio  Pallavicino, 

Credo  d'  essere  generoso  d'  animo,  e  per  questo  rispondo  alla  vostra  lettera  del  3 
con  un  rifiuto.  S'  io  non  dovessi  cedere  che  al  primo  impulso  e  alla  stanchezza  dell'  animo, 
partirei  dalla  terra  eh'  io  calco,  per  ridurmi  dove  la  libertà  delle  opinioni  è  sacra  ad 
ogni  uomo,  dove  la  lealtà  dell'  onesto  non  è  posta  in  dubbio  ;  dove  chi  ha  operato  e 
patito  pel  paese  non  crede  debito  suo  di  dire  al  fratello,  che  egli  pure  ha  operato  e 
patito  :  parlile. 

Voi  non  date  ragioni  della  vostra  proposta,  fuorché  l'affermazione  che  io,  anche 
non  "volendo,  divido.  Io  vi  dirò  le  ragioni  del  mio  rifiuto. 

10  rifiuto,  perchè  non  mi  sento  colpevole,  ne  artefice  di  pericoli  pel  paese,  ne 
macchinatore  di  disegni,  che  possono  tornargli  funesti  ;  e  mi  parrebbe  di  confessarmi  tale 
cedendo  ;  perchè  italiano,  in  terra  italiana,  riconquistata  a  libera  vita,  credo  di  dovere 
rappresentare  e  sostenere  in  me  il  diritto,  che  ogni  italiano  ha  di  vivere  nella  propria 
patria,  quand'  ei  non  ne  offende  le  leggi,  e  il  dovere  di  non  soggiacere  ad  un  ostracismo 
non  meritato  ;  perchè,  dopo  aver  contribuito  a  educare,  per  quanto  era  in  me,  i  popoli 
d'  Italia  al  sacrificio,  mi  par  tempo  di  educarli  coli'  esempio  alla  coscienza  della  dignità 
umana,  troppo  sovente  violata,  e  alla  massima  dimenticata  da  quei,  che  s' intitolano 
predicatori  di  concordia,  e  moderazione  :  che  non  si  fonda  la  propria  libertà  senza 
rispettarne  1'  altrui  :  perchè  mi  parrebbe,  esiliandomi  volontario,  di  fare  offesa  al  mio 
paese,  che  non  può  disonorarsi  agli  occhi  di  tutta  Europa,  farsi  reo  di  tirannide  ;  al  re, 
che  non  può  temere  d'  un  individuo,  senza  dichiararsi  debole  e  malfermo  nell'  amore 
dei  sudditi  ;  agli  uomini  di  parte  vostra,  che  non  possono  irritarsi  alla  presenza  di  un 
uomo  dichiarato  da  essi,  a  ogni  tanto,  solo  e  abbandonato  da  tutto  quanto  il  paese, 
senza  smentirsi  ;  perchè  il  desiderio  non  viene,  come  voi  credete,  dal  paese  :  dal  paese 
che  pensa,  lavora  e  combatte  intorno  alle  insegne  di  Garibaldi,  ma  dal  Ministro  tori- 
nese, verso  il  quale  non  ho  debito  alcuno,  e  che  io  credo  funesto  all'  unità  della  patria  ; 
da  faccendieri  e  gazzettieri  senza  coscienza  di  onore  e  di  moralità  nazionale,  senza 
culto,  fuorché  verso  il  potere  esistente,  quale  ch'esso  sia,  e  eh'  io  per  conseguenza  disprezzo  ; 
e  dal  vulgo  dei  creduli  inoperosi,  che  giurano,  senz'  altro  esame,  nella  parola  di  ogni 
potente  e  eh'  io  per  conseguenza  compiango  ;  finalmente  perch'  io,  scendendo  ebbi 
dichiarazione  non  revocata  finora  dal  Dittatore  di  queste  terre,  eh'  io  era  libero  in 
terra  di  liberi. 

11  più  grande  dei  sacrifizi,  eh'  io  potessi  mai  compiere,  1'  ho  compiuto,  interrom- 
pendo, per  r  amore  dell'  unità  e  della  concordia  civile,  1'  apostolato  della  mia  fede  ; 
dichiarai,  eh'  io  accettava  non  per  riverenza  ai  ministri  e  ai  monarchi,  ma  alla  maggio- 
ranza, illusa  o  no  poco  monta,  del  popolo  italiano,  dalla  monarchia  ;  presto  a  cooperare 
con  essa,  purché  fosse  fondatrice  della  unità  e  che  mai  mi  sentissi  un  giorno  vincolato 
dalla  coscienza  a  risollevare  la  nostra  vecchia  bandiera,  io  lo  annunziai  lealmente  anzi 
tratto,  e  puhhlicamenle  ad  amici  e  nemici.   Non  posso  compirne  altro  spontaneo. 


298  GARIBALDI  E  MAZZINI 


Se  gli  uomini  leali,  come  voi  siete,  credono  alla  mia  parola,  debito  loro  è  d' ado- 
perarsi a  convincere  non  me,  ma  gli  avversi  a  me,  che  la  via  d' intolleranza  per  essi 
calcata  è  il  solo  fomite  di  anarchia,  che  oggi  esiste. 

Se  non  credono  ad  uomo,  che  da  trent'  anni  combatte  per  la  nazione,  che  ha 
insegnato  agli  accusatori  a  balbettare  il  nome  d'  unità  e  che  non  ha  mai  mentito  ad 
anima  viva,  tale  sia  di  loro.  L' ingratitudine  degli  uomini  non  è  ragione,  perch'  io 
debba  soggiacere  volontariamente  alla  loro  ingiustizia  e  sancirla. 

GIUSEPPE  MAZZINI 


-5f      -» 


Un*  altra  voce,  sebbene  più  modesta,  ammoniva  in  quei  giorni  il  Generale 
di  stare  in  guardia  tanto  dal  Cavour,  che  dal  Mazzini  ;  quella  del  capitano 
Augier,   una  natura  franca  e  leale  di  marinaro  e  grande  amico  di  Garibaldi. 

Augier  a  Garibaldi. 

Genova,   15  giugno   1860. 
Mio  buon  Generale, 

Tutti  vi  scrivono,  tutti  millantano  l' intimità  e  l' influenza  che  hanno  sopra  di  voi, 
quindi  trovandomi  coli'  amico  Galin,  che  parte  per  costì,  e  confidando  nell'  amicizia, 
che  graziosamente  mi  avete  sempre  accordato,  mi  sono  deciso  scrivervi  ancora  io, 
assicurandovi  però,  che  avendo  osservato  come  vanno  le  cose  maneggiate  da  quelli 
che  si  dicono  vostri  amici  qui  in  Genova,  e  l'amore  che  sempre  ho  nutrito  per  voi,  mi 
hanno  indotto  a  fare  questo  passo. 

Generale  !  Fra  tanti  di  coloro  che  si  chiamano  vostri  amici,  pochi  sono  quelli  che 
lo  sono  di  cuore;  dietro  tanti  sacrifizi  da  voi  fatti  per  la  patria  comune,  io  prevedo 
che  il  vostro  premio  non  sarà  altro,  che  quello  di  avere  la  coscienza  libera  e  pura  per 
aver  fatto  tutto  quanto  da  voi  dipendeva  per  il  bene  dell'  Italia. 

Voi,  Generale,  avrete  da  lottare  contro  due  partiti  :  il  primo  il  Cavou- 
riano  ed  il  secondo  il  Mazziniano  e  compagni;  quest'ultimo  è  sempre 
stato  vostro  nemico  acerrimo,  ogni  qual  volta  non  ha  potuto  fare  di  voi 
ciò  che  desiderava. 

Qui  Bertani,  Mazzini  e  compagni  tramano  contro  di  voi,  quindi  dovete 
stare  all'  erta.  Questi  signori  vogliono  farvi  deviare  dai  vostri  principii;  essi  vi  diranno 
che  sono  con  voi,  ma  non  ci  badate,  che  io  posso  assicurarvi  tutto  il  contrario  ;  persino 
quella  buona  donna  di  C.  della  T.  (Contessa  Maria  della  Torre),  che  credevo  tutta 
per  voi,  ora  disapprova  il  vostro  operato  ed  è  tutta  per  Mazzini,  ed  ho  dovuto  per- 
suadermi, che  era  degna  della  fama,  che  ha  sempre  goduto. 

Proseguite  la  vostra  impresa.  Generale;  e  non  badate  a  quelli,  che  sono  sempre 
stati  non  solo  vostri  nemici,  ma  nemici  della  causa  che  voi  difendete. 


IL  GUERRIERO  E  L'APOSTOLO  299 


Ho  sentito  con  piacere  che  Menotti  sta  meglio  della  sua  ferita;  salutatemelo  e 
con  lui  l'amico  Basso,  Froscianti  etc. 

Io  assisto  alla  costruzione  del  mio  bastimento  e  credo  che  sarà  bello.  Aspetto, 
Generale,  che  voi  gli  diate  un  nome  dei  vostri  latti  di  Sicilia. 

Ho  lettera  di  Deidery  ;  lo  aspetto  con  il  vapore  di  martedì  insieme  alla  signora 
Teresita.  Accettate  i  saluti  della  mia  famiglia  e  credetemi  sempre  di  cuore 

Vostro  aff.mo  servo  ed  amico 
AUGIER 

P.  5.  -  E  partito  con  voi  Emilio  Evangelisti,  figlio  della  povera  vedova  mia 
vicina,  che  voi  Generale  conosceste  ;  questo  giovane  è  istruito  e  credo  che  sia  nella 
prima  compagnia  «  Cacciatori  delle  Alpi  ». 

Dissi  che  il  '60  fu  per  Mazzini  l' anno  dell'amarezza  !  Egli  vide  crollare 
r  edifìcio  edificato  in  lunghi  anni  d' incessante  apostolato  repubblicano,  abbeverato 
dal  sangue  di  tanti  giovani  martiri.  Anche  il  progetto  vagheggiato  di  un'invasione 
nello  Stato  pontifìcio  non  potè  aver  luogo.  Nel  giugno  del  '60,  egli  scriveva  a 
Garibaldi  la  lettera  inedita,   che  trascrivo  dall'  autografo. 

Mazzini  a  Garibaldi  {Vedi  facsimile). 

17  giugno  1860. 
Caro  Garibaldi, 

Permettete,  che  anch'  io  vi  mandi  una  stretta  di  mano  d' Italiano  riconoscente  pel 
tanto  operato  da  voi  pel  paese  ;  ne  vi  dico  altro,  perchè  non  curate  di  lodi  e  tutta 
Italia  vi  loda,  e  meritate. 

Se  voi  non  mandate  contr'  ordine,  e  noi  credo  possibile,  pensando  alle  vostre  parole 
del  5  maggio  e  al  modo  con  cui  vedete  la  causa  della  Nazione,  si  entrerà,  come  vi 
avrà  detto  Bertani,  alla  fine  del  mese,  avendo  il  Regno  per  obbiettivo.  A  voi  di  pensare, 
se  potete  irrompere  allora  da  parte  vostra.  Stretto  da  due  parti,  il  Regno  sarebbe  di 
certo  nostro  e  l' Italia  fatta  d' un  getto. 

Lavoro  io  pure  alio  scopo  ;  e  ve  lo  dico,  perchè  1'  ultima  vostra  lettera  mi  con- 
fortava a  credervi  amico.  So  gì'  inconverìienti  del  mio  nome,  e  non  mi  mostro  ;  né  mi 
mostrerò,  se  non  a  vittoria  conseguila  nel  Regno.  E  quanto  all'  andamento  politico, 
vivete  tranquillo.  Non  proferisco  io  il  grido  vostro ,  ma  lo  accetto  come 
accettato  dal  popolo  ;  e  serbandomi  personalmente  libero,  m'  opporrei  ora, 
per  dovere,  a  chi  cercasse  innalzarne  un  altro.  Sono  leale,  e  quanto  udiste 
mai  di  diverso  è  calunnia. 

Mandate  dunque,  vi  scongiuro,  a  Bertani  per  Cosenz  una  parola,  che 
dica  fate.  Siamo  certi  dell'  esito. 


300  GARIBALDI  E  MAZZINI 


E  quanto  a  voi,  serbate,  quanto  più  lungamente  potete,  i  vostri  poteri  che  avete  ; 
guardatevi  da  La  Farina  e  respingete    qualunque    tentativo   di  intervento    diplomatico. 

Ebbi,  suir  autorizzazione  che  mi  mandaste,  un  mille  lire  sterline  (23  mila  franchi) 
da  Glasgow.  Le  serbo,  perchè  ora  voi  non  ne  avete  bisogno  e  perchè  le  andrò  spendendo 
neir  impresa,  della  quale  vi  ho  detto.  Ma  se  poteste  rubare  un  solo  minuto  di  tempo 
e  scrivere  una  linea  di  ringraziamento  e  conforto  a  quei  buoni  sottoscrittori,  indirizzando 
commissione  di  parteciparla  ad  essi  a  William  Ashurst,  fareste  cosa  gratissima  a  lui, 
che  è  il  tesoriere  ed  a  me.  Qualunque  cosa  mandiate  per  me  ai  fratelli  Mosto,  mi  giungerà. 

Addio. 

Vostro  tulio 

GIUS.    MAZZINI 

Maurizio  Quadrio,  il  discepolo  fedele  di  Giuseppe  Mazzini,  pochi  giorni 
prima  della  partenza  dei  Mille  da  Quarto  aveva  scritto  a  Garibaldi  la  seguente 
lettera  pur  essa  inedita  : 

Maurizio  Quadrio  a  Garibaldi. 

Genova,  28  aprile  '60. 
Al  generale  Garibaldi 

a  Quarto 

Una  lettera  di  M.  {Mazzirìi)  va'  incarica  di  ripetervi  ciò  che  già  vi  propose  :  irru- 
zione   nelle    Marche,  come    potere    diversivo.    Se  Io  desiderate  verrà,   benché  malato. 

Sembra,  che  voi  abbiate  scelto  il  mare. 

Se  voi  mi  date  parola,  che  non  sarà  ai  Siciliani  imposta  bandiera  diversa  da  quella 
che  avranno  alzato,  e  che  fino  a  lotta  terminata  non  sarà  in  alcun  modo  violata  la 
loro  Volontà,  e  se  coi  permettete  ad  un  soldato  del  '21   di  andar  con  voi,   verrò. 

M.  QUADRO 

* 
*     * 

11  1 9  giugno  Mazzini  scriveva  agli  amici  suoi,  Nicotera,  Mosto  e  Savi  la 
lettera  già  nota,  e  che  rivela  tutto  il  dolore  dell'  anima  dell'apostolo. 

«  Ho  io  bisogno  di  snudarvi  l'animo  mio  ?  Spero  di  no.  Ma  io  non  ho  creato  la 
posizione  attuale.  U  Italia  è  travolta ,  ebbra  di  un  materialismo ,  che  adora 
la  forza,  o  ciò  che  crede  la  forza.  Ne  io,  né  altri  può  ora  mutarla.  1  fatti 
soli,  le  disavventure,  le  disillusioni  lo  possono.  Il  ritirarsi,  l'esiliare  la  Patria  da  noi, 
perchè  essa  esilia,  moralmente  o  materialmente  noi,  non  gioverebbe,  se  non  alla  dignità 
dell'  individuo.  Ora  V  individuo  in  me  è  morto,  inesorabilmente  da  un  pezzo. 


1 


IL  GUERRIERO  E  L' APOSTOLO 


301 


Non  avrò  più  gioia  dall'  Italia.  Non  1'  avrò,  se  domani  l' Unità  fosse  procla- 
mata da  Roma.  Il  Paese  col  suo  disprezzo  di  ogni  ideale,  mi  ha  ucciso 
I'  anima  ». 

E  poco  prima  aveva  scritto  : 

«  ....  Se  quei  che  saranno  pubblicamente  capi  dell'  impresa,  si  ostinassero  nel 
grido  col  quale  Garibaldi  scese  in  Sicilia,  non  mi  ritrarrò  e  non  dirò  agli  elementi 
nostri  di  ritirarsi.  Seguirò  la  colonna  in  silenzio,  non  firmando  beninteso  atto  alcuno, 
non  giurando  ad  anima  viva,   *  en  amateur  ». 


Le  lettere  seguenti,  che  vanno  dal  23  settembre  al  I .°  novembre  1 860 
e  che,  meno  quella  del  1 7  ottobre,  trascrivo  dagli  autografi,  sono,  per  quanto 
mi  consta,  inedite.  Esse  ci  mostrano  sempre  più,  quale  fosse  lo  stato  di  animo 
del  Mazzini  in  quei  giorni.  Specialmente  importanti  sono  quelle  del  23  settembre 
e  r  altra  del  1  °  novembre,  forse  l'ultima  lettera  diretta  da  Mazzini  a  Garibaldi, 
prima  che  abbandonasse  Napoli.  Nella  prima  egli  consiglia  il  dittatore  di 
comparire  in  Parlamento,  come  uri  aerolite ,  con  un  indirizzo  firmato  da 
ventimila  volontari,  in  favore  del  compimento  rapido  dell'  impresa  e  di  dire 
al  Re  che  egli,  Garibaldi,  farebbe  l'annessione  lo  stesso  giorno  in  cui  Vittorio 
Emanuele  avrebbe  annunziato  la  dimissione  di  Cavour  e  la  guerra  pel  Veneto. 
Neil'  altra  del  1 .°  novembre,  lo  scongiura  a  non  partire  da  Napoli  senza  prima 
vederlo.  «  Uri  quarto  d'ora  soli,  se  potete  »,  gli  scrive  con  animo  concitato. 
In  tutte  le  lettere  di  Mazzini  si  vede,  quanto  fosse  vivo  in  lui  il  desiderio 
di  potere  attirare  il  Generale  nell'  orbita  delle  sue  idee  e  farne  uno  strumento 
delle  sue  cospirazioni.  Ma  Garibaldi  restò  sempre  saldo  nelle  sue  convinzioni  e 
alle  istanze  del  grande  agitatore. 


Mazzini  a  Garibaldi. 


Caro  Garibaldi, 


(Leggete,   ve   ne  scongiuro  :  la  mia 
proposta  può  essere  importante). 

23  settembre  (1860). 


Se,  per  caso  dolorosissimo,  le  mie  proposte  di  ieri  fossero  inaccettabili,  e  doves- 
simo aspettar  tempo,  allora,  vi  prego,  fermarvi  un  minuto  a  quest'idea. 

Un  indirizzo  firmato  dai  20.000  Volontari  vostri  al  Parlamento  in  favore  della 
unità  e  del  compimento  rapido  della  nostra  impresa. 


302  GARIBALDI  E  MAZZINI 


Comparile  con  quello,  come  un  aerolite,  in  mezzo  al  Parlamento  nei  primi  giorni, 
ed  esponete  in  modo  reciso  la  causa  vostra  e  del  paese.  Sarete  appoggiato  fortemente 
e  tanto  da  rovesciare  probabilmente  Cavour. 

Al  re,  dite  che  la  non  annessione  non  è  che  un  pegno  per  voi  ;  che  la  fate  subito  il 
giorno  in  cui  egli  annunzia  al  Parlamento  la  dimissione  di  Cavour  e  la  guerra  pel  Veneto. 

Poi,  tornate  subito,  facendo  un  giro  per  le  provincie.  Avrete  un  altro  esercito 
numeroso.  Lasciate  qui,  ben  inteso,  un  potere  forte  ed  omogeneo. 

L' indirizzo  dei  volontari  sarà  avversato  da  molti  dei  vostri  Capi  dei  corpi  ;  ma  se 
voi  esprimerete  il  permesso  di  firmarlo,  tutti  i  volontari  lo  firmeranno. 

Vi  scrivo  invece  di  vedervi,  perchè  la  mia  presenza  al  Palazzo  D'Angri  sarebbe 
inutile  e  inoltre,  perchè  siete  sempre  circondato  da  gente. 

Addio  ;  contate  in  quel  poco  che  io    posso,    giacché    il    paese    possa    contare    su 

voi,  ciò  che  sarà  sempre,  non  ne  dubito. 

Vostro 

GIUSEPPE 

Quando  vorrete,  una  mezz'ora  di  presenza  vai  più  di  cinquanta  proclami. 

P.  S.   -   Avete  bisogno  di  un'  organizzazione  militare  nella  provincia. 

Mandate  un  commissario  militare  energico,  non  napoletano,  con  pieni  poteri,  dipen- 
dente direttamente  da  voi.  In  ogni  provincia.  Ne  troverete  fra  i  nostri  e  ve  l' indicherò 
io,  se  lo  voleste. 

Fate,  che  organizzino  una  milizia  obbligatoria  dappertutto,  dalla  quale  poi  si  cavereb- 
bero i  volontari. 

Un  commissario  civile  a  fianco  della  provincia. 

Incamerate  non  solo  ;  ma  vendete  i  beni  che  incamerate,  il  palcizzo  di  Caserta 
per  cominciare. 

Caro  Garibaldi,  27  settembre. 

Domagaliki,  polacco,  militare,  membro  del  Comitato  centrale  residente  in  Londra 
per  la  Polonia,  vorrebbe  servire  sotto  di  voi,  e  nello  stesso  tempo  dirvi  qualche  idea 
de'  suoi  fratelli  d' esilio  e  dell'  interno  del  suo  paese,  lo  lo  conosco  d' antico  e  ve  lo 
raccomando  volentieri. 

Spero  che  l' accoglierete  cortese,  come  al  solito,  e  che  trarrete  partito  da  lui,  dai 
suoi  lumi  e  dalle  sue  qualità  morali. 

Credetemi  vostro  GIUSEPPE  MAZZINI 

Caro  Garibaldi,  '    °«°bre  (1860). 

Il  latore,  maggiore  Venturi,  v'è  già  noto.  Ha  una  proposta  da  farvi,  conducente 

allo  scopo  d'accrescere  il  numero  dei  volontari.  Io  lo  conosco  intimamente  per  uomo 

capace  di  eseguire  quello,  che  vi  proporrà. 

Vostro  sempre 

GIUSEPPE  M.AZZINI 


IL  GUERRIERO  E  L' APOSTOLO  303 

IO  Ottobre  (1860). 
Caro  Garibaldi, 

Cacace,  napoletano,  stabilito  da  lungo  tempo  a  Marsiglia,  ha  giovato,  quanto  qua- 
lunque altro,  e  più  continuamente  alla  causa. 

Desidera  vedervi.  Vogliate  accoglierlo,  e  credetemi  sempre  vostro  amico 

GIUSEPPE  MAZZINI 


17  ottobre  (1860). 
Caro  Garibaldi, 

11  latore  è  Gennaro  Rizzo,  capo  popolano  influente,  noto  a  me  da  anni  e  lavo- 
ratore indefesso  sotto  la  tirannia  Borbonica,  per  la  causa  nostra.  Egli  ha  qualche  cosa 
da  chiedervi  ;  e  concedetemi  di  raccomandarvelo  caldamente. 

Qui  il  Ministero  segue  a  spargere  le  più  stolide  cose  contro  di  noi.  Il  disegno 
è  di  convocare  continuamente  la  Guardia  nazionale,  stancarla,  e  farla  insistere  pel 
nostro  sfratto.  Io,  prima  che  il  mese  finisca,  andrò,  ma  non  intendo  cedere  a  giorno 
fisso,  a  questo  sistema  e  a  Conforti. 

Dovreste,  secondo  me,  avere  assemblea  e  plebiscito  :  discussione  prima,  votcìzione 
popolare  dopo. 

In  verità  così  si  cedono  troppo  le  armi  da  voi.  Ma  di  queste  cose  siete  arbitro. 

Abbiatemi  sempre  vostro 

GIUSEPPE  MAZZINI  » 


1    (novembre   1860) 
Caro  Garibaldi, 

Non  partite,  vi  prego,  senza  vedermi.  Ditemi  dove  e  quando.  Un  quarto 
d'ora  soli,  se  potete.  Può  giovare  l'intenderci.  Io  sono  a  Capodimonte;  ma  verrò 
dove  vorrete. 

Vi  scrissi  intorno  a  Nicotera  per  T  unico  favore,  che  io  vi  abbia  chiesto  per  altri. 
Aveste  la  domanda  ? 

Vostro  serrìpre 

GIUSEPPE 


Ma,  per  uno  studio  più  coscienzioso  sulla  condotta  di  Mazzini  nel  1 860, 
ed  i  suoi  rapporti  con  Garibaldi  è  utile  l'avere  sott*  occhio  alcuni  brani  delle 
lettere  dirette   in  quei  giorni  al  Saffi  ed  a  Caterina  Craufurd. 


'  L"  originale  di  questa  lettera  non  e  nel    mio  Archivio  ;    fu  dato   da  Achille   Fazzani   a! 
Missori  per  essere  custodilo  nei  Museo  del  Risorgimento  di  Milano. 


304  GARIBALDI  E  MAZZINI 


In  data  del    1 3  maggio,   Mazzini  scriveva   ad  Aurelio  Saffi  : 

Temo,  da  un  buon  ragguaglio  dato  sulla  Gazzetta  di  Milano,  che  tu  sia  andato 
troppo  in  là,  abdicando,  in  nome  del  Partito,  nelle  mani  di  Vittorio  Emanuele.  Noi 
non  abdichiamo:  accettiamo  dal  popolo  italiano.  Noi  non  gridiamo:  viva  V.  E.,  impo- 
nendolo in  Sicilia  o  altrove  :  gridiamo  «  Unità  e  Libertà  »  :  chiniamo  la  testa  ai  grido, 
quand'esce  dal  popolo,  che  combatte. 

E  questa  la  nostra  linea,  e  non  bisogna  disertarla.  Ma  se  l' hai  fatto,  tienti  almeno 
fermo  per  ciò,  che  concerne  l'azione.  Il  Governo  ha  oggi  migliaia  di  fucili,  prodotto 
dalla  sottoscrizione  e  che  non  vuol  dare. 

E  nel  giugno,   da  Genova  : 

Amari  è  ora  eletto  intermediario  officiale  da  Garibaldi  col  Re;  quindi  va  in 
Torino,  e  ad  ogni  modo  non  può  più  cospirare  per  la  Sicilia.  Dovrebbero  quindi 
intendere,  che  il  continuare  a  mandargli  denaro  ha  del  comico.  La  scelta  è  del  resto 
cattiva,  come  inutile  quello  che  fa,  da  qualche  tempo,  Garibaldi. 

E  più  oltre  soggiunge  : 

Garibaldi  manda  al  Re  per  mezzo  d  Amari  «  due  milioni  d' Italiani  ».  In  verità, 
è  farla  un  po'  troppo  da  dittatore.  Accettando  tutto,  come  facciamo,  se  avessero  almeno 
la  generosità  di  salvarci  un  po'  di  dignità,  e  lasciare  che  le  unioni  escissero  dal  popolo, 
da  votazioni! 

Il   24  luglio  scriveva   a  Kate   Craufurd  : 

lo  non  so,  se  potrò  farvi  contenta  di  me.  Lo  tenterò  fra  non  molto  ;  ma  fra  noi 
e  il  fine  stanno  troppi  nemici,  e  i  pessimi  sono  quei  che  si  dicono  amici.  Vedremo. 
Questi  due  mesi  meriterebbero,  che  io  riuscissi.  Ho  fatto  tanto  la  parte  di 
subalterno;  ho  ingoiato  tanti  bocconi  amari  come  fossero  ciambelle,  ho 
rinnegato,  per  un  fine  da  raggiungersi,  me  stesso  con  tanta  pazienza,  che 
credo  dovrei  avere  per  ricompensa  il  risultato.  E  non  di  meno  ne  sono  incerto 
assai.  Dite  al  babbo,  che  /'  Unità  d' Italia  si  farà  "  malgré  tout ,, .  E  l'unico  punto 
moralmente  conquistato.  Strano  a  dirsi!  Se  /'  Unità  fosse  conquistata  materialmente, 
il  mio  primo  desiderio  sarebbe  quello  di  Venire  a  morire  in  Londra. 

Più  tardi,  1'  8  agosto,  scriveva  : 

Dovete  sapere,  che  avete  due  apostoU  in  Quadrio  e  in  me,  e  che  molti  dei 
nostri  sanno  già,  che  voi  siete  una  delle  migliori  italiane  che  siano.  Insistete  dunque 
a  persuadere  babbo,  perchè  venga  a  vedere  1'  Unità  d' Italia  farsi.  Quanto  a  me,  non 
pensate.  Se  mai  ho  iniziato  qualche  cosa,  è  legge  che  V  iniziativa  perisca    moralmente 


IL  GUERRIERO  E  L' APOSTOLO  305 

e  materialmente  nelV  iniziazione.  E  a  me  non  ne  importa,  purché  la  cosa  cada.  In  fondo, 
noiato  e  stanco  come  sono,  il  frastuono  che,  in  circostanze  diverse,  si  farebbe  d' intorno 
a  me,  mi  riuscirebbe  intollerabile.  Siamo  ora  in  una  crisi,  dalla  quale  ignoro  come 
esciremo:  6000  uomini,  la  spedizione  organizzala  dal  Partito  d'Azione,  che  doveva 
recarsi  in  un  punto,  è  osteggiata  dal  Governo  e  mandata  altrove.  Nondimeno,    vedremo. 

E  qualche  giorno  dopo  : 

Il  Ricasoli  non  vuol  dare  che  1 5  mila  franchi  ;  insufficienti  per  muli  da  portar  le 
munizioni  e  biscotto.  Non  resterebbe  un  soldo  per  un  giorno  di  vita,  ovunque  scen- 
dessero. Dunque,  impossibili  ;  e  non  so  che  cosa  avverrà.  Ho  suggerito  un  ultimo 
tentativo  ;  cangiare  i  cavalli  che  abbiamo  con  muli  ;  mandato  uno  a  Livorno  ;  telegrafato 
a  Genova  per  scarpe  e  coperte,  che  potrebbero  partire  col  vapore  di  questa  sera  e 
giungere  domani  ;  fattosi  scrivere  da  Nicotera  a  Ricasoli  per  un  aumento.  Ma  lutto  ciò 
può  tornare  in  nulla;  nel  qual  caso,    «   à   la  garde  de  Dieu  ». 

Ma  le  speranze  per  una  spedizione  negli  Stati  pontifici  erano  svanite,  e 
verso  la  fine  d'  agosto  scriveva  : 

Non  so  nulla  di  nulla  ;  ma  è  chiaro,  che  bisogna  finire  per  andare  a  Napoli  prima 
di  rintanarsi,  non  fosse  attro  per  la  chance  d'una  marcia  su  Roma.  E  Garibaldi  tien  duro. 

E  il   5   settembre  : 

Odo  del  vostro  disegno  per  l'ottobre.  Viene  anche  Aurelio?  Spero  di  no.  Il 
suo  posto  è  in  Italia.  Soltanto,  spero  non  sia  tornato  da  Torino  più  monarchico  di  prima, 
come  mi  farebbe  temere  la  conclusione  di  un  suo  articolo.  Io  divento  più  repub- 
blicano di  prima  ;  e  sento  che  andiamo,  checche  si  faccia ,  a    quell'  ideale. 

Più  tardi,   il    1 7   settembre  : 

L*  ingresso  in  Napoli  è  la  cosa  più  magnifica,  che  io  abbia  veduta  mai  ;  cielo, 
color  del  mare,  aria,  tutto  diverso  :  il  golfo  un  incanto  :  v'  è  da  rifar  la  vita  per  chi 
può  rifarla.  La  città  è  ingombra,  gremita.  Sei  alberghi  toccati,  prima  di  poter  trovare 
una  stanza.  Garibaldi  non  è  qui,  ma  lo  raggiungerò.  Nicotera  è  qui,  lo  vedrò  questa 
sera.  Bandiere  ad  ogni  finestra.  Sacchi  è  qui  pure.  Non  so  nulla  ancora  ;  vi  scrivo 
tre  ore  dopo  giunto;  ma  credo  che  in  un  mio  senso  le  cose  andranno.  Nel 
nostro  davvero,  quando  sarò  morto. 

11    1 8  settembre  infine,  scriveva  a  Saffi  : 

Aurelio  mio. 

Mi  dicono,  al  mio  giungere,  nientemeno  che  d'  una  gita  probabile  di  A.  Lemmi 
per  venire  a  chiederti,  da  parte  di  Garibaldi,  d'andare  da  lui  coli'  intenzione  di  farti 

CURÀTULO  20 


306  GARIBALDI  E  MAZZINI 


Pro-dittatore  in  Sicilia.  Non  ti  scrivo  per  darti  pareri.  E  un  affare  di  coscienza.  Se 
tu  credi,  in  coscienza,  dover  rimanere  disgiunto  da  ogni  combinazione  monarchica,  allora 
ricusa;  ma  allora  t'incombe,  non  il  silenzio  o  lo  star  fra  i  due,  bensì  il  farti  apostolo 
della  fede  avvenire,  qualunque  sia  il  tempo  in  cui  essa  debba  trionfare.  Se  la  questione 
per  te  non  è  quella,  allora,  te  ne  prego,  accetta  ;  non  t' indugino  altre  ragioni  indi- 
viduali o  di  tendenza  al  riposo.  Son  tempi  questi,  nei  quali  una  missione  deve  assu- 
mersi. Non  è  concesso  il  riposo.  Inoltre  ti  dirò  chiaro,  che  Garibaldi  è  irreconciliabile 
con  Cavour,  e  che  quindi  la  questione  italiana  ha  da  decidersi  coli'  uno  o  con  V  altro  : 
coi  due  non  può.  Dato  questo,  e  dato  quindi  che  tu  ti  decida  per  Garibaldi,  allora  è 
chiaro  che  la  tua  nomina  accelera  la  soluzione  e  diventa  importante,  come  un  passo 
fatto  da  Garibaldi  verso  noi.  Pensaci:  puoi  pesare  sui  destini  del  Paese.  O  abdicare 
ogni  intervento  nelle  cose  patrie,  o  sostenere  Cavour,  o  rovesciarlo.  Accettando,  tu 
potresti  fare  con  te  stesso  e  con  Garibaldi  la  riserva  che ,  conchiuso  il  provvisorio, 
quando  il  Paese  avrà  legalmente  da  Roma  confermato  il  verdetto  monarchico,  tu  sarai 
libero  di  tornare  a  vivere  privato,   se  non  ti  piacerà  il  principio  proclamato. 

Addio. 

Ama  il  tuo 

GIUS. 


Dopo  il  1 860,  Mazzini,  ferito  al  cuore,  si  trasse  In  disparte  ;  ma  non  per 
questo  cessò  un  solo  istante  dai  cospirare  per  fare  la  repubblica.  I  suoi  scritti  sono 
sempre  guizzi  di  folgore,  piani  di  congiure,  istruzioni  per  un'  msurrezione  repub- 
blicana. Tolgo  dal  mio  Archivio  una  serie  di  lettere  inedite,  dirette  dall'  apostolo 
a  Garibaldi,  a  Stefano  Canzio,  a  Pianciani,  agli  amici  di  Genova  ;  lettere  tutte  che 
rivelano  il  continuo  dissidio  fra  lui  e  Garibaldi,  e  come  il  pensiero  di  una 
repubblica  italiana  fosse  il  circolo  magico  intorno  al  quale  si  aggirò  costante- 
mente il  suo  spirito.  Ma  credo  utile  prima  riprodurre  uno  scritto  del  Mazzini 
poco  conosciuto,  diretto  alla  signora  Philipson,  una  signora  inglese  grande  amica 
del  nostro  paese,  e  che  è  molto  importante  per  i  giudizi,  che  vi  si  contengono. 


Giudizi  di  Mazzini  su  Garibaldi  e  Rattazzi. 


Cara  signora  Philipson, 


London,  5  agosto  (1867). 

18  Tulham  Road.  W. 


Vi  mando  poche  linee  della  nostra  amica  Jessie  Mario. 

Noi  siamo  legati  nell'amore  e  nell'odio.   Io  amo  Roma,  non  siccome  parte  d' Italia, 
ma  come  l'anima,  come  la  parola  Italia,  ed  odio  Rattazzi  come  un  mefistofele 


IL  GUERRIERO  E  f  APOSTOLO  307 

in  32' .  Spero,  che  Garibaldi  non  riuscirà  a  determinare  un  movimento  :  un  tale  moto, 
ora,  o  sarebbe  represso  con  un  secondo  Aspromonte  da  Rattazzi,  o  sarebbe,  se  riu- 
scisse, monopolizzato  da  lui  e  Roma  sarebbe  governata  da  una  politica  piccina,  immorale, 
da  avvocato  intrigante,  corrotta  e  corruttrice. 

Roma  deve  essere  o  una  grande  rovina  profetica,  ovvero  il  tempio  della  Nazione 
Italiana.  Un  anno  di  più  o  di  meno  di  schiavitù  è  nulla;  ciò  che  imporla  è,  che  il 
vessillo  della  Repubblica  Italiana  sventoli  dal  Campidoglio,  e  la  bandiera  della  religione 
del  progresso  dal   Vaticano  ! 

E  questo  un  sogno  ?  Io  credo  fermamente,  che  non  lo  è.  Io  cercherei  di  realiz- 
zarlo, se  avessi  mezzi  e  tempo.  Ma  non  ho  ne  l' una  cosa,  ne  l'altra:  sono  povero  e 
non  avrò  ancora  molto  tempo  da  vivere.  Qualche  altro  lo  realizzerà.  Garibaldi  lo 
potrebbe,  se  egli  fosse  un  uomo  più  intellettuale  che  non  sia.  Egli  ha  l'amore, 
non  la  religione  di  Roma.  Non  dite,  che  egli  è  troppo  onesto  per  un  uomo  politico. 
Egli  dovrebbe  essere  un  credente  ;  ma  non  lo  è  :  egli  vede  più  il  lato  materiale  della 
quistione,  che  quello  morale;  egli  si  cura  più  del  corpo  d'Italia,  che  dell'anima.  Egli 
non  pub  essere  altrimenti  ;  non   lo  accuso,  constato  solamente  il  fatto. 

E  Valoroso,  nobile,  buono,  coerente  ed  unico  ;  ma  egli  è  incompleto  e  non  alla 
altezza  dello  scopo. 

Vi  terrò  al  corrente,   se  qualche  cosa  avviene  o  sarà  per  avvenire. 

Il  vostro  fedele 

GIUSEPPE  MAZZINI 


Mazzini  ad  un  "  Fratello  „. 

Dicembre  7  (1859). 
Fratello, 

Ho  ricevuto  ogni  cosa  e  sono  lieto  del  vostro  accogliere  le  mie  proposte.  Strin- 
gete fraternamente  la  mano  per  me  a  Cec. 

Mandate  il  ricavato  delle  quote  mensili  e  di  ogni  altra  offerta,  che  potete  avere 
ad  Alberto  Mario  in  Lugano.  Se  il  Cec,  come  mi  dicono,  ha  conti  con  l'Agr.  potete 
valervi  di  quella  via,  mandando  biglietto  per  lui,  all'ordine,  della  signora  Maria  Fra- 
schina  Gaerri  (?),  amica  dell' Agr.  e  nostra  ottima.  Essa  consegnerà  fedelmente  ad 
Alberto  Mario  del  quale  avrete  ricevuta.  Con  Alberto  Mario  potrete  corrispondere, 
occorrendo,  all'  indirizzo  sig.  Fioratti,   libraio,  sotto  coperta  :  a  Mario. 

Cercate  di  aumentare  il  numero  dei  contribuenti,  e  ad  ogni  modo  siate  esatti  nei 
piccoli  versamenti,  cercando  da  un  lato  di  affratellare  italiani  sparsi  nelle  località  del 
Cantone,  in  Bellinzona  etc.  ;  dall'altro  afferrare  ogni  opportunità  di  affratellamento  nelle 
piccole  città  sarde  o  lombarde  del  Lago.  Bisognerebbe  avere  un  individuo,  non  fosse 
altro,  in  ogni  località  e  moltiplicare  i  mezzi  sicuri  d'introduzione  o  di  scritti  o  lettere; 
non  saranno  mai  troppi.  Anche  per  quest'  ultimo  scritto  mio  dovrò  fra  poco  ricorrere 
nuovamente  a   voi. 

Il   giornale  escirà  probabilmente  prima  ;  di  certo  e  regolarmente  con  1'  anno. 


308  GARIBALDI  E  MAZZINI 


Il  vostro  scritto  sulla  guerra  giunge,  non  ve  lo  celo,  un  pò*  tardi.  Mandatelo  non- 
dimeno a  Mario,  a  Lugano.  Non  v'accerto  d'inserirlo.  Gli  eventi  possono  costringerci 
ad  empire  con  altro  il  giornale.   Ma  se  avremo  modo,  l' inseriremo. 

Avviato  una  volta  il  Giornale,  vedete  che  cosa  possiate  fare;  e  segnatamente 
per  Napoli. 

Manderò  la  lettera  a  C.  e  vi  aggiungerò  un  biglietto  mio.  Conosco  C.  e  non 
credo  riusciremo.  E  troppo  recinto  d' influenze  moderate.  Ciò  che  bisognerebbe  avere 
in  Napoli,  sarebbe  una  triade  di  giovani  nuovi,  intelligenti,  arditi,  i  quali  spargessero 
prima  l' affiliazione  segreta  ;  poi,  forti  di  quella,  facessero  proposte  come  la  vostra. 
Questi  giovani,  questi  dei  ignoti  devono  esserci  :  la  difficoltà  sta  nel  trovarli  ! 

//  lavoro  nel  quale  io  sperava  di  essere  riuscito  e  che  la  debolezza  di  Gari- 
baldi verso  la  persona  del  Re  mandò  in  fumo  alla  vigilia,  sommava  allo  stesso 
compito;  un  moto  d'offensiva  dal  Centro  al  Sud,  congiunto  coli' insurrezione  in  senso 
nostro,  cioè  unitario,  della  Sicilia  ;  insurrezione  che,  se  poteva  aversi,  poneva  Napoli  tra 
quel  moto  e  V  insurrezione  degli  Abruzzi,  che  avrebbe  seguito  il  moto  d'offesa. 

Quel  moto  ha  da  essere  per  sempre  nelle  nostre  mire.  Quando  il  Cong.  {Congresso) 
avrà  deliberato  contro  di  noi,  com'  è  più  o  meno  inevitabile,  sarà  necessario  prote- 
stare a  ogni  patto  coli'  insurrezione  e  colle  armi  ;  è  necessario  diffondere  fin  d'ora 
r  idea,  perchè  l' opinione  universalmente  sparsa  d'  un  fatto  aiuta  a  crearlo. 

Cercate  contatto  coi  viaggiatori  italiani,  veneti,  o  altri,  che  traversano  il  Lago. 
Ogni  nuova  delusione  ci  accosta  gli  animi  e  bisogna  profittarne  ;  affratellamenti,  fattisi 
per  diffusione  di  scritti,  dati  che  riguardano  l' interno,  qualche  offerta  per  una  sola 
volta,  ogni  cosa  giova.  Su  voi,  col  consiglio  degli  altri  due,  potete  concentrare  quanto 
lavoro  vi  verrà  fatto  di  ordinare,  dandone  conto  sommario  a  Mario. 

Ho  letto  or  ora  i  vostri  versi  :  belli  e  sentiti.  Se  ne  avete  una  copia,  vorrei  la 
mandaste,  scrivendo  a  Mario,  alla  Mario  (l'antica  miss  Mario). 

Se  riescite  a  stendere  qualche  filo  in  Luino,  Laveno  o  altro  punto  lombardo,  ne 
manderete  indicazione  a  me,  perchè  io  accentrerò  gli  elementi  a  Milano,  ove  abbiamo 
centro  attivo  dell'  associazione. 

Addio  :  consociamoci  a  un  ultimo  sforzo  per  la  terza  o  quarta  vita  d*  Italia.  Tendo 

a  credere,    che    la  civiltà    si    sia  biforcata  in  Italia  ed  in  Grecia  e  che  la  vita  abbia 

avuto  sviluppo  simultaneo  nei  due  paesi.  Ma  ora  siamo  militi    dell'avvenire,    anziché 

ricercatori  del  passato.  ,,    , 

Vostro  sempre 

GIUS. 
Mazzini  a  Garibaldi. 

Caro  Garibaldi,  8-1861. 

V'annoio  di  lettere;  ma  la  salute  del  paese  sta  nelle  vostre  mani,  abbiate  pazienza 
per  dieci  minuti  e  leggetemi. 

Vi  mando  una  lettera  inglese:  leggetela.  Ciò  che  vi  dicono  è  vero.  Se  veniste, 
fareste  miracoli  per  offerte  e  per  l' allontanamento  dei  Francesi  da  Roma.  Sarebbe 
un  giro  di  dieci  giorni  in  Inghilterra  e  Scozia.  Pensateci  bene. 


IL  GUERRIERO  E  L'APOSTOLO  309 

Se  non  volete  venire,  scrivete  poche  linee  da  pubblicarsi,  ad  un  dipresso,  come 
quelle  che  vi  suggeriscono  nella  lettera.  Non  faranno  quel  che  farebbe  la  vostra 
presenza  ;  ma  faranno  molto. 

Vi  chiesi  due  linee  per  Ashurst.  Mi  sarebbe  assai  caro  1'  averle. 

Ora  sentite. 

Non  so  quanto  sia  di  vero  in  ciò  che  dicono,  che  la  vostra  prima  operazione 
sarà  in  Ungheria.  Per  la  via  di  mare  non  può  essere  :  dunque  sarebbe  per  la 
Transilvania. 

Per  r  amore  che  porto  all'  Italia  e  per  quello  che  porto  a  voi,  non  posso  a  meno 
di  protestare,  se  è  vero. 

Prima  di  tutto,  andare  a  cercare  la  salute  del  Veneto  in  Ungheria,  quando  abbiamo 
22  milioni  d'  Italiani  da  sommovere,  non  è  degno  di  voi,  incarnazione  dell'  Italia 
militante  ;  ed  è  un  rimprovero  all'  Italia,  che  l' Italia  non  merita.  In  secondo  luogo, 
voi  non  siete  certo  del  soccorso  dell'  Ungheria.  Quando  l' avrete  liberata,  nasceranno 
questioni  inevitabili  tra  gli  Ungheresi  ed  i  Rumeni,  tra  essi  ed  i  Croati  etc,  che 
costringeranno  per  lungo  tempo  le  loro  truppe  a  stare  a  casa. 

Sarete  deluso  nel  vostro  piano. 

In  terzo  luogo,  voi  forse  ignorate  che  nella  loro  foga  di  avere  aiuti,  essi,  cioè  i 
loro  capi  Kossuth  e  altri,  sono  legati  con  L.  N.  (Luigi  Napoleone)  e  gli  promettono  di 
accettare  Leuchenberg,  Napoleone  Bonaparte  o  altri  della  famiglia.  Volete  prestarvi 
ad  un  raggiro  bonapartista? 

Finalmente,  il  giorno  in  cui  voi  sarete  in  Ungheria  e  avrete  trascinato  con  voi 
il  fiore  dei  nostri  militi.  Luigi  Napoleone  occuperà  Gaeta  e  Napoli  per  cercare 
di  collocarvi  un  Murat  o  Napoleone  Bonaparte,  il  cugino.  E  il  disegno  del  quale, 
probabilmente,  è  complice  Cavour. 

Le  truppe  di  Roma  e  quelle  di  Algeria  comandate  da  Pellisier  non  hanno  altro 
oggetto. 

Assalendo,  invece,  il  nemico  nel  Veneto  e  provocando  la  diserzione  Ungherese, 
voi  date  il  segnale  all'  insurrezione  della  Ungheria.  Quella  dell'  Ungheria  trascinerà 
il  resto.  Ogni  moto  sul  Veneto  può  essere  seguito  dal  moto  degli  Italiani  e  Slavi 
della  costa  orientale  dell'  Adriatico.  Rendete  così  possibile  ogni  diversione  nostra  per 
mare  su  quella  parte.  Riconquistate,  così,  d' un  getto  le  frontiere  d' Italia  e  rendete 
lo  stesso  servizio  alla  nazionalità. 

Cominciato  il  moto  sul  Veneto,  la  diserzione  dei  reggimenti  Ungheresi  (alla 
quale  gli  esuli  ungheresi  dovrebbero  dirigere  tutto  il  lavoro)  ed  il  concentramento 
necessario  delle  forze  d'Austria  dalla  parte  nostra,  rendono  facile  l' insurrezione  in 
Ungheria,  nell'  interno.  E  se  anche  hanno  bisogno,  ciò  che  io  non  credo,  d' una  inizia- 
tiva dal  di  fuori,  la  decima  parte  della  forza  che  sarebbe  necessaria,  prima  d'  una 
iniziativa  in  Italia,  basterà.  2000  uomini,  facili  a  radunarsi  nei  principati,  che  entrino 
in  Transilvania  e  vi  si  riuniranno  in   Szekley  sulla    frontiera,  basteranno. 

La  rivoluzione  ha  ora  trovato  un  punto  di  appoggio  alla  leva  e  non  lo  abban- 
donate :  un  centro  ;  creandone  due,  indebolisce  invece  di  fortificare.  Oggi  qualunque 
cosa  si  farà  in  Italia,  avrà  l'approvazione  europea:  fuori,  no.  Avendo  1' Italia  la  rivo- 


310  GARIBALDI  E  MAZZINI 


luzione,  sarà  forte  dapertutto  :  avrà  uria  base.  Cominciando  in  Ungheria,  perdete  la 
base;  cominciata  appena,  avrete  la  Russia  nella  Galizia,  e  dovrete,  presto  o  tardi, 
sostenerne  1*  urto. 

Garibaldi,  per  tutto  ciò  che  amate,  non  abbandonate  l' Italia  :  non  smembrate  le 
forze  o  correte  rischio  di  perdere  tutto,  e  di  servire,  senza  volerlo,  ad  un  intrigo 
Bonapartista.  11  vostro  posto  è  nel  Trentino,  dobbiamo  averlo  per  sorpresa  nelle  mani  ; 
date  il  segnale  all'insurrezione  del  Cadore  e  del  Friuli;  sollevate  in  entusiasmo  l'Italia, 
costringete  il  Piemonte  ad  entrare.  Possiamo  fare  tutto  questo,  se  mi  aiutate  con  una 
parola  vostra  che  dica  :  è  bene  che  il  Tiralo  italiano  si  prepari  ad  insorgere,  e  se 
potete  con  un  aiuto  d' armi  da  depositarsi  dove  dirò. 

Preparerò  io  il  terreno  per  voi:  poi  quando  venite,  se  credete  che  io  mi  ritragga, 
mi  ritrarrò. 

Non  ho  come  voi  che  uno  scopo  al  mondo:  veder  l'Italia  una. 

Una  parola  ancora. 

Voi  predicate  in  ogni  vostra  linea  il  re  :  io  non  divido  la  vostra  opinione  su  di  lui. 
Non  potrei  chiamare  sempre  re  galantuomo,  V  uomo  che  accettò  la  Lombardia  in  dono 
dallo  straniero,  che  accettò  il  mercato  di  Nizza  e  Savoia,  e  che  tiene  Cavour  alla 
testa  del  paese. 

Ma  la  quistione  non  è  qui.  E  in  quello  che  vi  scrissi  un  anno  addietro  : 
agirò  pel  Re,  ma  indipendentemente  dal  Re.  Tutta  l' Italia  datela  a  lui, 
nessuno  obietterà;  ma  non  fissatevi  nelle  sue  ispirazioni,  non  ne  chiedete 
gli  ordini,  se  volete  farlo.  Il  re  è  per  lo  meno  una  macchina  conscia  o 
inconscia  di  Luigi  Napoleone.  Ora  Luigi  Napoleone  non  vuole  V  unità,  tende  alla 
Confederazione  :  tende  ad  aver  la  Sardegna  :  tende  a  mettere  un  principe  della  famiglia 
in  Napoli.  E  Cavour  è  disposto  a  secondarlo.  Agite,  dunque,  indipendente,  e  sopra- 
tutto non  lasciate  l' Italia. 

Vostro 

GIUS.  MAZZINI 

P.  S.  -  Scrivetemi,  se  lo  credete,  una  parola  sulle  vostre  intenzioni  :  dove  no,  spreche- 
remo le  nostre  forze  in  direzioni  diverse.   Del  mio  silenzio  assoluto  potete  essere  certo. 


23  gennaio  (1861). 
Caro  Garibaldi, 

Il  generale  Wilson  ed  altri  ufficiali  irlandesi  sdegnosi  degli  aiuti  dati  dai  cattolici 
d'Irlanda  al  Papa,  organizzano  ciò  che  essi  chiamano  un  battaglione,  composto  di  1046 
uomini  che  vogliono  riabilitare  l' Irlanda  e  combattere  con  voi  le  battaglie  dell'  unità 
d'  Italia  e  dell'  emancipazione  di  Roma.  Gli  elementi  appartengono  alla  milizia,  ed 
hanno  quindi  serie  cognizioni  militari.   Sono  quasi  tutti  protestanti. 

Ora  essi  chiedono  alcune  linee  vostre,  che  approvino,  che  accettino  il  battaglione 
com'è,  cioè  gradi  etc.  e  che  dicano,  se  i  mezzi  di  trasporto  possono  essere  sommi- 
nistrati per  giungere  in  Italia  quando  vorrete. 


IL  GUERRIERO  E  L- APOSTOLO  311 


Volete  mandarmele?  Antonio  Mosto,  se  gliele  farete  avere,  me  l'invierà. 

Del  resto  il  mio  indirizzo  a  Londra  è  William  Ashurst  :  6,  Old  Jewry  Cheapside. 

V'ho  scritto  più  Molte:  voi  non  mi  rispondete.  Credo  che  prima  dì  morire 
conoscerete  di  avermi  giudicato  male  ;  ma  ciò  poco  importa.  Ciò  che  importa 
è  l'Italia:  la  sua  unità:  Roma  e  Venezia.  Importa  alla  loro  emancipazione  l'accordo 
(ra  tutti  quelli  che  esercitano  una  influenza  qualunque.  Che  io  l' eserciti,  voi  non  potete 
dubitarne  ;  e  1'  elezioni  del  sud  ve  lo  proveranno.  E  questo  accordo  fra  noi  ?  Da  parte 
mia,  v'è.   Da  parte  vostra,  non  so. 

Volete  assalire  il  Veneto?  Posso  giovarvi.  O  volete  andare  in  Ungheria?  Per 
mare  non  potete.  Per  terra  dunque.  E  un  abbandonare  l' Italia.  Garibaldi,  non  cangiate 
base,  quando  ne  avete  una  eccellente  e  vostra.  Correte  rischio  di  perdere  voi  e  1'  Italia. 

11  Tirolo  e  r  alto  Veneto  :  là  è  il  nostro  vero  teatro  di  operazione.  Non  vedete 
voi  che  r  Ungheria  ci  seguirà  da  per  se  ? 

Qui  dicono  che  Tùrr  riesca  a  riconciliarvi  con  Cavour.  Se  ciò  è  vero 
è  sciagura.  E  il  segnale  dell'anarchia:  conosco  Cavour:  io  non  mi  riconci- 
lierò  mai  con  lui,  a  meno  che  egli  non  rompa  pubblicamente  con  Luigi 
Napoleone. 

10  vi  dicevo  un  anno  addietro  :  "  lavorate  pel  re  „  giacché  non  so 
perchè  lo  volete;  "  ma  senza  il  re  „. 

11  re  è  Cavour,  Cavour  è  Luigi  Napoleone.  Possibile  che  voi,  difensore 
di  Roma,  possiate  sottomettervi  a  quella  influenza  ? 

Garibaldi,  facciamo  l'Italia:  non  dipendete  da  anima  viva;  la  dau-emo 
poi  a  chi  vorrete. 

Scrivetemi  una  parola  sulle  vostre  intenzioni.  E  l'ultima  volta  che  ve  Io  chiedo, 
perchè  mi  avete  scritto  che  m' eravate  amico. 

Vostro 
GIUS.  MAZZINI 

P.  S.  -  Se  mai  preferite  scrivere  direttamente  agli  Irlandesi,  scrivete  al  sig.  A.  C. 
Marani,  5,  Trinity  College,  Dublin.  ' 


5  febbraio  (1861). 
Caro  Garibaldi, 

Il  Segretario  del  Comitato  Irlandese  è  lohn  Spear,  36,  Upper  Fitzwilliam  Street, 
Dublin.  Marani  è  il  nostro  intermediario  italiano.  Vi  ringrazio  delle  ultime  linee 
scritte  ad  Ashurst. 


'  Gli  autografi  di  queste  due  lettere,  dell' 8  e  dei  23  gennaio  1861,  non  sono  nel  mio 
Archivio  ;  essi  furono  dati  da  Achille  Fazzari  a  Missori  per  essere  custoditi  nei  Museo  del 
Risorgimento  di  Milano  e  ne  ho  potuto  avere  copia. 


312  GARIBALDI  E  MAZZINI 


L'  Universo  vi  dice  riconciliato  con  Cavour.  La  stampa  bonapartista  dichiara, 
che  avete  consentito  a  non  muovere  arma  sul  Veneto  o  in  Ungheria,  a  meno  che  il 
re  non  ve  l' ordini.  In  quel  caso  siamo  perduti.  Lo  dico  con  un  dolore  nel!'  anima 
difficile  ed  esprimersi. 

Il  re  non  ordinerà  mai  l'assalto  sul  Veneto,  come  non  osa  chiedere  a  L.  N. 
{Luigi  Napoleone),  pubblicamente  e  appoggiandosi  sul  Parlamento,  l'allontanamento 
delle  sue  truppe  da  Roma.  Un  uomo  come  Voi,  che  ha  dato  dieci  milioni  di 
sudditi  al  re  e  che  ha,  se  lo  vuole,  il  paese  con  se,  ha  diritto  e  dovere  di 
dire  al  re  di  22  milioni  di  uomini,  che  egli  può  e  deve  avere,  con  una 
Legge,  800,000  uomini  in  armi,  e  dichiarare  pubblicamente  a  L.  N.  {Luigi 
Napoleone)  essere  tempo  che  ci  lasci  Roma.  E  se  non  fa,  non  è  degno  che 
uomini  come  voi  lo  seguano  ciecamente. 

Se  anche,  non  volendo  lottare,  proferiste  pubblicamente  una  parola  che  dicesse  agli 
Italiani  «  è  tempo  che  diciate  tutti  al  re  vostro,  che  volete  Roma  libera  di  soldati 
stranieri  »  un  milione  di  firme  accompagnerebbe  i  due  indirizzi  che  vi  si  recano  al 
Parlamento. 

Se  redigeste  un  progetto  di  legge  per  l' armamento  generale  e  diceste  agli 
Italiani  :  «  firmatelo  e  presentatelo  alla  Camera  » ,  un  altro  milione  di  firme  lo  coprirebbe. 

Se  apriste  un  imprestito  in  nome  vostro,  con  una  serie  di  cedole  dai  5  franchi  ai 
10  e  ai  500  fr.  con  cedole  intermediarie  di  25  fr.,  di  50,  di  200,  300,  400  fr.,  si 
raccoglierà  fuori  e  dentro  il  necessario  per  l'armamento  e  risparmiereste  il  Tesoro. 

Noi  tutti  vi  appoggeremmo. 

Addio  ;  e  Dio  vi  serbi  forza  per  fondare  l' Unità  in  questo  anno.  Voi  lo 
potete.  II  re  non  lo  farà  mai.  Accoglierà,  accetterà,  non  inizierà. 

Vostro 
A    Gius.    Garibaldi  GIUS.  MAZZINI 

Caprera. 


7  marzo  1861. 
Caro  Garibaldi, 

Ebbi  la  vostra  e  ve  ne  sono  grato. 

Sentite;  non  discutiamo  sul  re;  sarà  onesto  e  patriota;  ma  accettò  la 
Lombardia  in  omaggio,  firmò  la  cessione  di  Nizza  dopo  di  avere  giuralo  il  contrario, 
disse  e  disdisse  con  voi,  con  noi,  dieci  Colte;  v'  impedì  di  andare  a  Roma,  tra  voi  e 
Cavour  scelse  Cavour,  ed  oggi  con  22  milioni  di  uomini  non  ha  il  coraggio  di  armare 
con  un  decreto  il  paese;  diplomatizza  per  avere  Roma  e  aiutare  Bonaparte  sul  Reno, 
e  segue  la  politica  di  quando  aveva  quattro  milioni  di  sudditi.  Io,  dunque,  non  posso 
amarlo,  né  stimarlo.  Non  osa  emanciparsi  dal  Bonaparte,  mentre  avrebbe  Inghilterra, 
Germania,  Prussia  e  tutti  con  se.  Ha  coraggio  fisico,  non  ombra  di  coraggio  morale. 
Non  ispero,  dunque,  che  dal  paese. 


£^^^  -~. 


^t^i^c-c..^    ^K'^^e^    ^e.^*^^  ^<SÌ^  tié't^^a ^e<i- c.(-t.i.^^o~^i^  £..^^i^'-.^:^r^<^^*''^-^- 


Proclama  di  Garibaldi  agli  Italiani. 
Caprera,  28  novembre    1860.  (Vedi  pag.  341). 


IL  GUERRIERO  F.  L'APOSTOLO  313 

Con  tutto  questo  non  può  esservi  ombra  di  dissidio  fra  noi.  Ho  ceduto  alla  fatalità 
che  il  paese  e  anche  un  po'  voi  avete  creato  e  ho  accettato,  di  buona  fede,  il  vostro 
programma  «  Italia  una  e  Vittorio  Emanuele  ■• .  Salvo  il  caso  di  nuove  cessioni  terri- 
toriali, o  di  delitto  contro  gli  altri  popoli  o  del  suo  avversare  apertamente  la  causa 
dell'  Unità,  o  di  cangiamento  in  voi  e  nella  maggioranza  del  paese,  non  lo  abbandonerò. 

Ma  tutti  e  due  fidiamo,  credo,  per   l'azione  più  nel  paese,  che  in  lui  o  in  altri. 

Pensiamo  dunque  all'  azione  e  a  trascinarlo  in  essa. 

Dopo  avere  ripensato,  persisto  nella  mia  idea,  che  il  nostro  terreno  è  il  Tirolo  e 
r  alto  Veneto,  con  finte  dalla  parte  dei  distretti  al  di  qua  del  Po,  del  Ferrarese. 

11  terreno  è  contiguo  col  paese  già  emancipato.  Se  riusciamo  ad  averlo  in  mano, 
i  volontari  vi  affluiranno  senza  indugi  dalla  Lombardia  e  da  ogni  punto. 

11  quadrilatero  è  tagliato  dalla  sua  base. 

L'  Ungheria  è  matura  e  risponderà,  siatene  certo,  senza  indugio,  all'  impresa. 

Stendendosi  pel  Cadore  e  per  il  Friuli,  diamo  la  mano  al  moto  Slavo-Ellenico 
dell'  Oriente.  Ho  contatto  con  quegli  elementi  e,  seguendo  il  vostro  consiglio,  cerco 
moltiplicarlo. 

Per  avere  il  Tirolo  Italiano  in  mano,  credo  necessari  4000  uomini  incirca,  i  quali 
operino  congiuntamente,  per  sorpresa,  coli'  interno. 

3000  di  questi  dovrebbero  essere  italiani  e  vostri  ;  un  migliaio  incirca  di  svizzeri 
dovrebbe  completare  la  cifra  ed  operare  dai  Grigioni. 

Tutto  questo  è  possibile,  ma  ci  vuole  il  danaro  :  un  mezzo  milione  di  franchi 
incirca.  Io  cerco  raccogliere,  ma  non  potendo  ne  volendo  nuocere  al  concentramento 
degli  elementi  e  dei  mezzi  intorno  a  voi,  devo  lasciare  che  i  Comitati  raccolgano  per 
voi.  Posso  dunque  raccogliere  poco. 

E  necessario  dunque  che,  se  approvate  il  disegno,  il  denaro  venga  da  voi. 

Voi  potete  dar  ordine  ad  Ashurst  di  rimettere  il  denaro,  che  raccoglierà,  qui  a  me  : 
potete  dare  ordini  a  Genova  che  il  denaro  italiano  sia  amministrato  da  Bellazzi,  Sacchi 
e  Mosto,  per  disegno  che  conoscono  :  potete  scegliere  qualunque  altro  mezzo  vi  piaccia. 

Io  non  opererò  che  segretamente  e  senza  mostrarmi. 

Vorrei  preparare  e  aver  sui  luoghi  tutto  il  materiale  necessario,  prima  di  pensare 
agli  uomini.  Gli  uomini  si  hanno  in  dieci  giorni.  E  così  può  mantenersi  il  segreto. 

Mia  intenzione  sarebbe,  se  voi  m' aiutate  pei  fondi,  di  preparare  ogni  cosa,  di 
avvertirvi,  perchè  diate  le  ultime  vostre  istruzioni,  poi  d'effettuare  la  sorpresa.  Riescita, 
verreste  immediatamente  a  prendere  il  comando  supremo,  e  tutto  rimarrebbe  in 
mano  vostra. 

Fate,  vi  prego,  di  rispondere  due  parole. 

Quanto  a  Roma,  pazienza.  Credo  che,  forse  per  essermi  male  spiegato,  abbiate 
creduto,  che  io  vi  domandassi  più  che  non  faceva.  Urge  ottenere  l'  allontanamento  delle 
truppe  francesi,  E  dacché  ora  non  possiamo  ottenerlo  colla  baionetta,  non  v'è  altro 
che  provocare  una  grande  manifestazione  d'  opinione  in  Italia,  che  il  Governo  inglese 
appoggerebbe.  Una  linea  che  dicesse:  «  firmale  gì' indirizzi  al  Parlamento  per  questo 
oggetto  »    avrebbe  procacciato  mezzo  milione  di  firme. 

Come  vedete  non  vi  do  consigli  ;  ne  chiedo  a  voi. 


314  GARIBALDI  E  MAZZINI 


Dalle  notizie  mie  di  Parigi  risulta  l' intenzione    di    far   guerra    per    conquistare    le 

Provincie  Renane  nell'  autunno. 

Addio,  caro  Garibaldi  ;  credetemi 

Vostro 

GIUSEPPE  MAZZINI 

P.  S.  -  Dopo  r  azione,  la  stampa  nel  senso  del  vostro  programma  è  la  cosa  la  più 
essenziale.  11  «  Popolo  d'  Italia  »  di  Napoli,  diretto  da  Saffi  e  da  De  Boni,  è  il  migliore 
giornale  del  Sud,  e  vi  è  sempre  stato  devoto.  E  diventato  una  piccola  potenza,  ma  le 
spese  gravissime  hanno  impoverito  la  cassa  ;  così  che,  quantunque  gli  abbonati  crescano, 
ogni  giorno,  s'  esigono  ancora  sei  o  sette  mesi,  perchè  si  sia  a  livello  :  intanto  il  giornale 
è  minacciato  di  morte.  Saffi  mi  scrive  desolato,  pregandovi  di  dirvi  che  dovreste  venire 
in  aiuto  di  un  3000  ducati  al  giornale.  Se  decideste,  potreste,  secondo  lui,  scrivere  a 
G.  B.  Cuneo,  che  è  in  Napoli,  perchè  disponga  di  non  so  quali  fondi.  Devono  avervi 
scritto  essi  stessi.  Ma  fo  la  mia  commissione.  Non  v'  è  dubbio,  che  la  caduta  del  giornale 
sarebbe  una  grave  perdita  pel  Sud. 


24  aprile  '6 1 . 
Caro  Garibaldi, 

Per  quanto  penda  fra  voi  e  me  qualche  cosa  di  oltremodo  disaggradevole  —  Cowen 
ve  ne  ha  scritto  — ,  credo  mio  assoluto  dovere  indirizzarvi  queste  poche  linee. 

Le  decisioni  del  Parlamento,  il  rifiuto  di  conciliazione  reale,  la  lettera  di  Cialdini, 
gli  articoli  dei  giornali  governativi  francesi  e  tutto  ciò  che  odo  e  vedo,  mi  convincono 
che  le  cose  del  paese  sono  giunte  a  un  punto,  in  cui  è  forza  prendere  decisioni 
positive. 

Gli  oltraggi,  le  diffidenze,  le  ingratitudini  sono  nulle.  Ma  la  doppia  dichiarazione 
di  Cavour  porta  :  che  avremo  Roma  quando  piacerà  alla  Francia  di  darcela  e  al  par- 
tito cattolico  d*  essere  convinto,  che  avremo  Venezia  quando  piacerà  all'  Austria  di 
darcela  pacificamente,  per  danaro. 

Potete  voi  rassegnarvi  a  questo?  Non  vi  sentite  vincolato  dal  vostro 
amor  patrio,  dalle  vostre  promesse  al  paese? 

lo,  di  certo,  non  mi  rassegno  ;  e  se  solo,  prenderò  liberamente  la  via  che  il  core 
mi  detta.  Individualmente  sono  convinto,  che  quanto  accade  è  logico  —  che  siamo  vit- 
time di  una  falsa  posizione  presa  —  che  il  guasto  è  fatale  e  risale  all'  istituzione.  Il 
Re  sarà  quel  che  voi  dite  a  tutti:  ma  è  Re,  alleato  di  Corti,  diffidente  di 
quanti  hanno  genio  d'iniziativa  etc.  Tra  voi  e  Cavour  sceglie  Cavour;  e 
con  qualunque  altro  Ministro  sarebbe  più  o  meno  la  stessa  cosa. 

Ma,  se  io  posso  far  dieci,  voi  potete  far  mille.  11  bene,  l' Unità  Italiana,  l'eman- 
cipazione dalla  fatale  politica  bonapartista,  stanno  nelle  vostre  mani.  Pel  bene  del 
paese,  abdico  quindi  tuttavia  le  mie  opinioni  individuali  e  sono  pronto  a 
cooperare,  mantenendo  il  vostro  programma  con  voi.  E  vi  domando  solamente  : 


IL  GUERRIERO  E  L'APOSTOLO  315 


cedete  o  persistete?  Date  più  importanza  a  Cavour,  Cialdini  e  alla  maggioranza  parla- 
mentare, o  al  paese  che  è  tutto  con  voi,  purché  vogliate? 

Se  cedete  e  ci  fate  indefinitamente  passivo,  ditemelo,  perchè  io  con  dolore  mi  ponga 
a  lavorar  solo,  io  non  ho  vincoli,  fuorché  col  paese  e  con  voi.  Solo  non  ne  ho  che 
col  paese  e  colla  mia  coscienza. 

Se  non  cedete  e  volete  compire  1'  esecuzione  pratica  del  vostro  programma,  vogliate 
dirmelo  pure.  E  in  quel  caso,  fate  soltanto  ciò  che  è  in  voi,  purché  si  raccolga  denaro. 
E  parlate  chiaro  al  paese. 

Bisogna  agire  sul  Veneto.   Là  sta  la  chiave  del  moto  nazionale  di  mezza  Europa. 

E  con  mezzi  lo  possiamo. 

Garibaldi,  Dio  vi  ispiri  !    E  badate  che  il  tempo  è  tutto  per  noi,  perchè  in  que- 

st'  anno  i  disegni    napoleonici  e  cavouriani  si  smaschereranno  ;  e  noi,  a  salvarci   dalla 

vergogna  di  perdere  la  Sardegna  e  andare  a  far  da  birri  a  Bonaparte  sul  Reno,  non 

avremo  altra  risorsa  che  la  guerra  civile,  per  la  quale  il  Sud  si  fa  rapidamente  maturo. 

La  vostra  iniziativa  sopprime  questo  pericolo. 

Vostro 

GIUS.   MAZZINI 
Generale  Garibaldi 

Torino 


Nella  lettera  che  segue  si  allude  ad  una  pubblicazione  fatta  da  Pianciani 
dal  titolo  :  «  Abbiamo  guadagnato  o  perduto  ?  La  corìverìzione  e  //  (rasloca- 
mento  della  sede  del  Governo  ». 

Mazzini  a  Pianciani. 

Venerdì  (1864). 
C.  P. 

Ricevo  la  vostra  del  12.  Dovreste  a  quest'ora  avere  ricevuto  due  lettere  mie; 
una  diretta  a  G.  B.,  l'altra  a  C.  Countess  Pianciani,  aux  Delices,  perchè  non  potei 
intendere  l' indirizzo,  che  mi  pare  ora  d' intendere.  Non  ripeto  quindi  le  cose  che  vi 
diceva  ;  se  non  che  da  certi  rintocchi  che  mi  vengono,  temo  che  Garibaldi  ceda, 
e  per  non  operare  sul  Veneto  contro  il  desiderio  del  re,  si  prepari  a  tentar  l' Ungheria 
per  terra,  come  io  indovinava  ;  dico  per  terra,  perchè  per  mare  persisto  a  credere  la 
cosa  impossibile. 

Sul  finire  del  mese  saprò,  credo,  positivamente  le  intenzioni. 

Non  una,  ma  dieci  edizioni  vorrei  si  facessero  del  vostro  libro,  al  quale  non 
vedo  che  cosa  vi  sia  da  aggiungere,  quando  non  fosse  qualche  cosa  toccante  la  con- 
versazione regia. 

Se  vi  eleggono,  accettate  :  è  il  mio  consiglio.  Non  di  meno,  non  vorrei,  se  fossi 
in  voi  e  nei  nostri  più  noti,  trascinarmi  lungo  discussioni  inutili  per  leggi  di  polizia  o 


316  GARIBALDI  E  MAZZINI 


altro  ;  andrei  e  proporrei,  sulle  basi  svizzere  a  un  di  presso,  l'armamento  immediato  della 
Nazione  e  altre  due  o  tre  cose,  tra  le  quali  :  negoziati  aperti  e  pubblici  per  l'allonta- 
namento dei  Francesi  da  Roma  :  poi,  rifiutate  quelle  misure,  darei  la  mia  dimissione, 
dicendo:  Signori:  repubblicano  di  fede,  sormontai  la  ripugnanza  dell'animo  mio  alla 
formula  del  giuramento  per  la  speranza  di  far  udire  ed  accettare  la  Uerità,  che  può 
dar  salute  al  paese  :  lo  vedo  impossibile,   e  mi  ritiro. 

Pensateci. 

Persisto,  come  posso,  nel  mio  progetto.  E  quand'  anche  ei,  Garibaldi,  si  portasse 
altrove,  rimarrebbe  a  noi  consacrarci  al  nostro  e  se  egli  avesse  una  prima  vittoria,  assa- 
lire dall'altro  lato.  Desidero  sapere  la  vostra  opinione  e  se,  occorrendo,  potrei  calco- 
lare sulla  vostra  cooperazione. 

Addio  in  fretta;  vogliatemi  bene.  Vostro  sempre 

GIUS. 

P.  S.  -  Avete  il  Popolo  d'Italia  e  L'  Unità}  Dovreste  scrivere  qualche  cosa  pel 
primo,  mandando  a  Saffi  all'  ufficio  del  Giornale.  Aiutate  le  firme  vi  prego. 


Queste  due  lettere  furono  scritte  nel  '64,   dopo  i  moti  nel  Friuli. 
Mazzini  a  Ergisto  Bezzi  e  compagni,  nelle  carceri  di  Alessandria. 


Fratelli. 


n 


nov. 


Voi  primi  intendeste,  che  1'  unica  risposta  da  darsi  al  grido  degli  insorti  nel  Friuli 
era  d'accorrere;  che  il  grido  venuto  dalla  Venezia  è  grido  d'Unità,  di  Nazione  e 
vincola  gì'  Italiani  al  di  qua  del  Mincio  come  al  di  là  :  che  riuscendo  o  no,  atteste- 
reste la  solidarietà  italiana  e  protestereste  a  prò  del  Dovere,  che  è  in  tutti.  Lode  a  voi! 

Non  so  quanto  possa  giovarvi  la  mia  parola  di  conforto  e  d' ammirazione  ;  ma  ve 
la  mando  per  debito  di  fratello  e  di  patriota  verso  voi  tutti  ;  per  debito  d'affetto  indi- 
viduale verso  taluno  di  voi.  Durate  forti  e  sorridenti.  Ogni  tentativo  generoso  frutta. 
A  una  serie  di  tentativi,  fraintesi  ad  uno  ad  uno  e  biasimati,  è  dovuto,  checche  altri 
dica,  quel  tanto  d' Italia  che  oggi  esiste  ;  a  una  serie  di  simili  insistenti,  crescenti  ten- 
tativi dovremo,  checche  altri  faccia,   la  conquista  del  resto. 

Addio  fratelli.  Abbiatemi  vostro 


Mazzini  a  Tacchini  e  Pelizzari  in  Alessandria. 


Fratelli, 


GIUS.  MAZZINI 


16  die. 


Mandai    una    stretta    di    mano  a  tutti  i  buoni  e  prodi  compagni    dell'  amico  mio 
Bezzi  :  ma  sento  il  bisogno  di  mandarne  un'  altra,  caldissima,  a  voi.  So  la  vostra  risposta 


IL  GUERRIERO  E  L' APOSTOLO  317 

agli  operai  di  Alessandria;  so  la  fede  dell'anima  vostra;  so  il  modo  costante  con  cui 
la  rappresentate  negli  atti  menomi  della  vita.  Non  intendo  lodarvi,  perchè  voi  sapete 
di  compiere  un  dovere.  Ma  intendo  dirvi,  che  son  lieto  di  trovare  esempi  siffatti  in 
una  classe  di  uomini  che  amo  specialmente  da  lungo,  e  nella  quale  io  confido  per 
l'avvenire  della  patria  comune.  Addio.  Amate  come  fratello  il  vostro 

GIUS.  MAZZINI 
Le  lettere  seguenti  riguardano  i  moti  del  '67. 

Mazzini  a  Garibaldi. 

Caro  Garibaldi,  26-1867. 

Ho  la  vostra  del   15. 

Concedetemi  di  dirvi,   che  non  m'  aspellava  cangiamento  siffatto  da  voi. 

Quando  vi  fu  parlato  di  quel  materiale,  rispondeste  al  Comitato  Romano  :  «  Quel 
che  chiedete  sarà  jalto  » . 

Rispondeste  a  me  :  «  Datemi  il  nome  della  persona  a  cui  dovranno  consegnarsi 
gli  oggetti  e  manderò  V  ordine  » . 

Con  mia  del  21  dicembre  '66,  vi  diedi  il  nome  avuto  da  Roma:  e  sulla  fede 
della  vostra  lettera,  1'  individuo  fu  spedito  da  Roma  a  Terni,  dove  è  stato  fin'  ora. 

Oggi  negate  l'assenza.  Perchè  ?  Perchè  non  biasimaste  allora?  Perchè  biasimate  oggi? 

Ciò  che  dite  dei  fratelli  italiani  e  di  Palermo,  non  ha  che  fare  con  noi. 

Il  nostro  scopo  è  appunto  quello  di  rimanere  soli  là,  come  un  violento  appello 
all'  Italia  dal  Campidoglio  ;  o  di  costringere  la  monarchia  che,  senza  ciò,  non  v'andrà 
mai  a  entrare.  Se  Roma  fosse  emancipata  e  l' esercito  italiano  venisse,  come  venne  a 
Napoli  per  levarvi  di  là,  noi  naturalmente,  non  resisteremmo  ;  ma  accetteremmo,  con 
una  protesta  per  la  Metropoli,  l' intervento.  Dov'  è  dunque  il  pericolo  ? 

Voi  ascoltate  ogni  uomo,  fuorché  me.  E  nell'  intervallo,  Montecchi,  Caldesi 
ed  altri  che  istituiscono,  non  so  perchè,  un  terzo  Comitato  in  Roma,  devono  avervi 
svolto,  dicendovi  Dio  sa  che  cosa. 

Sia! 

Io  mando  la  vostra  lettera,  a  scarico  mio,  in  Roma.  Vedranno  il  vostro  parere  ; 
non  ho  premura  alcuna  e  l' avevo  già  detto  più  volte  ad  essi.  Ma  se  persistono, 
aiuterò,  come  potrò. 

Per  17  anni,  tutti  hanno  gridato:  *  Quando  i  Framesi  partiranno  faremo  » .  Lavi 
è  una  pagina  onorevole  da  scrivere,  che  redimerebbe  V  Italia  dalla  vergogna  di  non  aver 
tirato  un  sol  colpo  di  fucile  di  popolo  agli  austriaci  in  Lombardia  e  nel  Veneto  e  di 
ricevere  le  proprie  terre  in  elemosina  dallo  straniero.  Mi  sorprende  e  m'  addolora 
il  vedere,  che  non  sentite  come  me. 

Pazienza  ! 

Addio.  Vostro 

GIUS.  MAZZINI 


318  GARIBALDI  E  MAZZINI 


P.  S.  -  Badate  :  scrivendo  a  stampa,  io  devo  dire  ciò  in  cui  credo.  Ho  quindi 
parlato  di  repubblica,  soggetto  probabilmente  del  Destro  allarme.  Ma,  su  terreno  pratico 
e  nella  mia  corrispondenza  privata,  la  quistione  principale  è  quella  di  Roma  Capitale. 
Il  Governo  vostro  si  è  vincolato  a  Firenze.  E  necessario,  dunque,  venire  a  patti.  Patti 
non  si  (anno  con  plebisciti.  E  necessario,  quindi,  emancipandosi,  fondare  un  corpo  collet- 
tivo :  Governo  Provvisorio  o  Assemblea,  che  proponga  e  discuta. 

22  aprile   1867. 
Caro   Garibaldi, 

V  ho  detto,  per  debito  di  coscienza,  ciò  che  credo  dovremmo  e  potremmo  fare  : 
ciò  per  cui  agirei  con  quanto  mi  rimane  di  vita  e  d'  energia. 

Ma  se  dissentite;  se  persistete  a  fare  senza  programma  repubblicano, 
fate  almeno  questo,  per  amore  dell'  Italia  e  per  onore  di  Roma.  Non  plebi- 
scito puro  e  semplice  alla  Bonaparte,  ma  condizioni  assolute  poste  alla 
monarchia  :  Roma  Metropoli  e  Patto  Nazionale  per  mezzo  di  Costituente  : 
se  no  no.  E  il  meno  che  si  possa  chiedere,  pensando  al  primo  articolo  dello  Statuto  :  e  il 
programma  adottato  dagli  amici  in  Roma  :  ed  ora  accettato  da  Mon.  {Monlecchi),  benché, 
con  mia  sorpresa,  non  si  accenni  nel  manifesto. 

Addio  di  nuovo.  Vostro 

GIUS.  MAZZINI 

Mazzini  a  Vent....  in  Roma. 

30  marzo  1867. 
Fratello, 

Ebbi  la  vostra  del  23. 

È  inutile  e  lo  dico  a  voi  e  a  D.,  che  ringrazio  delle  sue  linee.  Io  non  ho,  ne 
posso  avere  le  somme,  che  sarebbero  necessarie  per  compiere  l' impresa  da  per  noi  ; 
e  del  resto,  colla  posizione  presa  dai  nostri  in  Roma  sarebbe  a  un  dipresso  impossi- 
bile, lo,  mandando  un  piccolo  aiuto  ai  nostri,  ho,  per  richiesta  loro,  promesso  un  tremila 
lire  pel  momento  dell*  azione,  tanto  da  potere  avere  essi  qualche  cosa  indipendentemente 
da  ciò,  che  avranno  dal  nuovo  Centro.  Non  posso  revocare  quella  promessa:  ed  è  tutto 
ciò  che  io  poteva  fare. 

Non  credo  a  fusione  assoluta  dei  nostri  ;  1'  art.  della  sv.  è  andato  al  di  là,  ma 
credo  vero  ciò  che  dicono  nella  lettera  a  voi.  Il  lavoro  del  nuovo  Centro  non  e'  impe- 
disce di  realizzare  il  nostro  programma.  Possiamo  andare  all'azione  concordi.  Se  nell'  azione 
i  nostri  sapranno  assumere  una  parte  prominente  ;  se  un  certo  numero  dei  nostri  capace 
di  guidare  s' introdurrà,  venuto  il  momento,  in  Roma,  dalle  barricate  sorgerà  l' influenza 
che  dominerà  la  formazione  del  Governo  Provvisorio.  Il  popolo  combattente  segue  chi 
r  ha  guidato. 

Il  nuovo  lavoro,  appoggiato  dal  nome  di  Garibaldi  è  un  fatto,  al  quale 
non  possiamo,  né  dobbiamo  contrastare,  dacché  i  nostri  di  Roma  lo  accettano. 


11.  GUERRIERO  E  L'APOSTOLO  319 

Bisogna  mantenere  i  nostri  in  Roma,  saldi  al  programma  ;  spingere  quanto  più  è  possi- 
bile r  apostolato  repubblicano.  Tra  gli  emigrati  romani  preparare  un  piccolo  numero 
d' individui  nostri  e  capaci  di  guidar  nuclei  nell'  azione  e  introdurli,  venuto  il  momento, 
in  Roma.  Ecco  tutto  per  ora.  Bisogna  lasciare  consumare  l'esperimento  dei  nuovi  biglietti, 
vedere  che  n'  esce  e  stare  in  accordo  per  1'  azione,  dichiarando  lealmente,  che  il  dì 
dopo,  ciascuno  farà  quel  che  potrà  a  prò  della  propria  bandiera.   Addio  per  ora. 

Vostro 
GIUSEPPE 

Fratello,  20  luglio  1867. 

Ebbi  la  vostra  del   1 3. 

Il  Com.  Naz.  è,  da  quando  i  Francesi  abbandonarono  Roma,  in  contatto  diretto 
col  governo  francese  e  ne  riceve  istruzioni.  A  che  possa  giovare  la  fusione,  pensatelo 
VOI.  A  me  pare  che  tutti  insaniscano. 

Se  Garibaldi  non  è  in  pieno  accordo  col  Governo  italiano  per  agire  su 
Roma,  non  riescirà  nei  suoi  nuovi  disegni.  E  il  lavoro,  instaurato  dopo  il  nostro, 
atìrà  rovinato  quanto  s'  andava  facendo,  seminato  lo  sconforto,  sperperato  uomini  e  mate- 
riale :  non  altro  ! 

I  nostri  di  Roma  son  deboli  :  l' impazienza  d'  agire  in  ogni  modo,  il  concerto  delle 
bande  al  di  fuori,  gli  accordi  subiti,  oggi  il  dire  «  ci  dimettiamo  »,  me  lo  provano. 
Anche  in  venti  o  dieci  dovrebbero  rimanere  ;  e  se,  come  temo,  tutto  questo  subuglio 
di  tentativi  ci  ricaccia  in  lunghi  indugi,  rappresentare  nettamente  d'ora  innanzi  il  principio 
repubblicano  :  qualche  bollettino  di  tempo  in  tempo,  riproduzioni  di  scritti  nostri  e 
apostolato  per  quelli,  che  per  le  ripetenti  delusioni  si  stancheranno  degli  altri,  son  cose 
che  non  richiedono  grandi  mezzi,  ne  largo  numero.  Perchè  dimettersi  ? 

Addio.  Bisogna  dar  tempo  al  tempo.  Bisogna,  che  gli  Italiani  si  convincano  della 
necessità  d'  avere  un  solo  fine,  una  sola  via,  una  sola  direzione  e  di  non  disviarsene 
ad  ogni  tanto,  com'  oggi  fanno.  Fin  là  saremo  giuoco  di  governi  astuti,  di  uomini  raggi- 
ratori o  incapaci  e  di  circostanze  imprevedute  e  mutabili. 

Vostro 

GIUSEPPE 

Le  lettere  seguenti  furono  scritte  fra  il  '69  ed  il  '70  ;  le  trascrivo  anch'esse 
dagli  originali. 

Mazzini  a  Stefano  Canzio  ed  amici  di  Genova. 

Caro   Canzio, 

Voi  e  io  siamo  ora,  se  non  m'  illudo,  non  solamente  patrioti,  ma  un  tantino  amici. 
Comunicate,  vi  prego,  1'  unità  ai  vostri  colleghi. 


320  GARIBALDI  E  MAZZINI 


Voi  avete  in  voi  una  scintilla  di  genio  militare.  Convertitela  in  scintilla  di  genio 
insurrezionale  ;  e  siete  sicuro  di  vincere. 

Ma  {atelo  :  in  verità,  coi  fatti  che  da  più  mesi  hanno  luogo,  non  si  dura  partito 

serio,  senza  una  seria  e  decisiva  battaglia. 

Vostro 

GIUSEPPE 

P.  S.  -  L'  amico  vi  dirà  la  mia  determinazione. 

Parto  con  vero  dolore  ;  ma  qui  ho  l' incerto  ;  là  ho  la  mia  parola  impegnata. 

Calcolo  su  voi  tutti,  perchè  se  si  smaschera  l'Alleanza,  agiate  subito  ;  e  se  io  giun- 
gessi e  facessimo  calcolo,  nel  caso  di  vittoria,  sulla  rapida  azione  di  Genova  ;  1'  avete 
promesso  ai  deleg.  palermitani  ;  è  essenziale  al  successo  italiano. 

Se  faceste  prima,  seguiremo  immediatamente  :  contateci. 

Naturalmente,  se  giungo  vi  scriverò,  avvertendovi.  Voi,  se  avete  avviso  da  mandare, 
consegnate  a  Dagnmo,  che  manderà  per  mezzi  che  abbiamo  sul  vapore. 


Amia, 

Non  bisogna  dissimularci  la  situazione.  Abbiamo  perduto  una  battaglia,  senza 
averla  data. 

Abbiamo  avuto  un'  opportunità  come  l' avevamo  invocata,  e  l' abbiamo  lasciata 
passare.  Colpevole  come  voi,  perchè  non  sarò  io  franco?  Abbiamo  ragionato,  fatto  piani, 
militarizzato,  quando  bisognava  agire.  Se  il  tre,  quando  i  giovani  cominciavano  le  barri- 
cate, ci  cacciavamo  tra  il  popolo,  gridando  i  nostri  nomi,  insurrezione,  e  davamo  i  nostri 
nomi  all'  Alleanza,  di  là  avevamo  le  migliaia  con  noi. 

Non  possiamo  più  dir  cosa  alcuna  di  Milano  :  abbiamo  fatto  quel  che  hanno  fatto  là. 

Il  quattro,  tutto  il  popolo  credeva  nella  battaglia  :  aspettava  i  capi.  Vi  fu,  nella 
sera,  delusione  completa. 

11  senso  di  questa  delusione  è  fortissimo  :  lo  è  nell'Alleanza  :  lo  è  fuori  dell'Alleanza. 
Il  giovine  che  la  sera  del  4  cacciò  il  suo  revolver  sul  tavolo,  davanti  ai  membri  del 
Comitato  dell'  Alleanza,  dicendo  :  «  ve  lo  restituisco  :  tanto,  con  voi,  vedo  che  non  lo 
adoprerò  mai  »,  esprimeva  il  senso,  che  pervade  ora   gli  affiliati  dell'Alleanza. 

E  al  di  fuori,  malgrado  tutte  le  spiegazioni  eh'  io  cerco  di  dare,  questi  fatti  di 
Milano  e  di  Genova  riescono  fatali  :  diffondono  sconforto  e  fanno  credere  alla  nostra 
impotenza.  I  Comitati  delle  grandi  città  cominciano  ad  apparire  simili  al  Comitato 
Nazionale  di  Roma  coi  suoi  eterni  tentennamenti,  col  suo  eterno  dichiararsi  pronto  e 
non  esserlo  mai. 

Bisogna  pensarvi  seriamente,  tanto  pel  paese  che  traversa  una  crisi  e  può  essere 
trascinato  ogni  momento  ad  infamie,  quanto  —  benché  in  seconda  linea  —  per  l'onore 
del  Partito  Repubblicano,  il  cui  discredito  nuocerebbe  all'  avvenire  del  paese. 

Ciò  che  abbiamo  guadagnato  è  la  prova,  che  il  popolo  degli  ignoti  in  Genova  è 
veramente  pronto  :  ragazzi,  uomini  e  —  in  Portoria,  Ponticello  etc.  —  donne  del 
popolo.   Non  si  può  ormai  dubitare  che,  con  noi  in  piazza  e  con  un  nucleo   d' armati 


IL  GUERRIERO  E  L'APOSTOLO  321 

la  sommossa  non  si  convertisse  in  battaglia.   Il  popolo  e'  è  ;  ma  s' è  avvezzato  a  udire 
dei  Capi,  e  li  vuole  ! 

Voi  sapete  le  mie  idee.  Per  me  l'opportunità  è  giunta  colla  guerra.  Ogni  giorno 
è  buono  per  agire.  Probabilmente  i  rinforzi  diminuiranno,  s' allontaneranno  di  nuovo  : 
le  misure  di  precauzione  straordinaria,  non  durano  eterne.  Bisogna  giovarsi  del  primo 
momento  di  calma  governativa,  e  fare.  Una  voce  sparsa  nei  quartieri  più  energici,  che 
si  fa  davvero,  li  troverà  tutti  pronti:  sono  irritati.  E  se  avete  bisogno  di  un  tafferuglio 
di  piazza,  coi  giovinetti  dei  Vespri  etc,  vi  è  facile  crearlo. 

E  quanto  all'  Alleanza,  ormai  le  istruzioni  devono  essere  di  non  aspettare  istru- 
zioni, nel  caso  d'agitazione;  ma  d'armarsi,  scendere  in  piazza,  fare  barricate,  suonare 
a  stormo,  guidare  con  qualche  drappello  il  popolo  alle  botteghe  degli  armaiuoli  e  pre- 
parare pacchi  di  cartucce  pei  popolani,  che  s*  armerebbero  a  quel  modo.  Vi  trove- 
ranno in  piazza  e  là  riceveranno  istruzioni  ulteriori.  L' ispirazione  vi  verrà  sul  terreno. 

Quanto  a  me,  l'amico  Stefano  vi  dirà. 

Vostro 

GIUS.  MAZZINI 

P.  5.  -  E  indispensabile  accrescere  il  numero  delle  cartucce.  Dovendo  armare 
i  popolani  non  nostri  coi  fucili  degli  armaiuoli  o  altri,  è  indispensabile  dar  loro  un 
mazzo  di  cartucce. 

Pensate  dunque,  nuovamente,  a  provvedere  un  po'  di  denaro  e  un   po'di  polvere. 


Caro  Canzio  e  amici, 

Due  parole  serie  sulle  conseguenze  dell'  affare  di  Milano.  Non  potete  voi,  ne  gli 
altri  amici  del  Comitato  accusarmi,  a  meno  d' ingiustizia,  d' avventatezza.  Ho  piantato, 
per  base  di  ogni  cosa  mia  fin  da  principio,  che  non  s' agisse  senza  l'accordo  dei  due 
elementi,  e  non  ho  mai  deviato  d'una  sola  linea.  Posso  errare  quindi  nelle  mie  vedute, 
ma  partono,  ad  ogni  modo,  da  convinzione  profonda. 

Fra  r  iniziativa  di  Genova  e  di  Milano,  io  ho  sempre  preferita  la  Genovese  ;  e 
accolsi  con  certo  timore  la  decisione  presa  in  Bologna.  Le  ragioni  erano  molte,  una 
tra  r  altre,  che  non  esiste  in  Genova  un  elemento  attivo  contrario  ;  ed  esiste  in  Milano. 
Avrei  voluto,  che  l' iniziativa  fosse  in  Genova  e  Milano  seguisse  :  d' avanti  all'  esempio 
altrui,  eravamo  certi  del  seguire  di  Milano.  Questo  senso  di  lieve  diffidenza  del  disegno, 
io  l'ho  lasciato  trapelare  davanti  a  voi. 

Ma  credo  debito  mio  dirvi  che  sareste,  secondo  me,  in  errore,  se  vi  esageraste 
l'importanza,  quanto  alle  condizioni  generali  del  fatto  milanese;  o  se  credeste,  che 
Milano  non  possa  seguire  una  iniziativa  vittoriosa  altrove. 

Ciò  che  ha  nociuto,  principalmente  in  Milano,  è  stato,  non  bisogna  dimenticarlo, 
r  improvviso  posporsi  del  meeting  un'  ora  prima  dell'  ora  fissata  per  il  moto.  Il  meeting 
era  la  parola  d'ordine  per  tutti  gli  elementi.  Il  subito  mutamento  li  scompigliò,  li  divise. 
Molli  credettero  ad  un  cangiamento    di  decisione,  e  se  ne  andarono  per  i  fatti  loro  ; 

CURÀTULO  21 


322  GARIBALDI  E  MAZZINI 


molti  videro  nel  contrordine  una  scissione  scoppiata  tra  i  segnatari  della  convocazione, 
e  si  ritrassero.  Quel  contrordine,  a  tanta  poca  distanza  di  tempo,  fu  fatale  !  Gli  stessi 
amici  vostri  e  nostri  si  allontanarono  dal  concetto  del  muovere.  Voi  sapete  che  Pantaleo 
s'  inframise  spontaneo  ;  quei  che  lo  seguirono,  agirono  spontanei,  lo  non  dico  positiva- 
mente, che  dovessero  farlo  :  eran  là  a  giudicare  ed  io  non  v'  era.  Non  di  meno,  se 
Missori  e  gli  altri  nostri  si  fossero,  cominciato  quel  parapiglia,  cacciati  in  piazza,  senza 
calcolare  sul  disegno  del  Marino  fallito  o  altro,  a  innalzare  barricate,  lasciando  escire 
dalle  circostanze  un  nuovo  disegno,  non  so  se  la  cosa  non  sarebbe  diventala  seria  davvero. 

Il  male  è  certo  ;  e  sta  sopratutto  nella  perdita  del  materiale.  Ma  rimane  la  qui- 
stione  :  può  iniziativa  uscire  da  un'  altra  forte  città,  Genova  ? 

Io  sono  convinto  che  noi,  volendo,  possiamo  sorgere  e  vincere.  E  sono  convinto,  che 
il  molo  vittorioso  di  Genova  è  seguito  in  Italia  dall'  Emilia,  dalle  Romagne,  dalle  Marche, 
dal  Sud,  da  Milano  :  poi  dai  punti  non  calcolati  :  carrarese,  località  piemontesi  e  toscane. 

Voi  lo  credevate  come  me,  giorni  addietro.  Io  Io  credo  oggi,  come  allora.  Che 
cosa  è  mutato  nelle  condizioni  generali  del  partito  ? 

Lascio  che  in  tutte  le  corrispondenze,  in  tutti  i  convegni,  gli  accordi  furono,  che 
il  partito  seguirebbe  un  moto  di  Milano  o  di  Genova.  Lascio  che  se,  invece  di  Mis- 
sori proponente  in  Bologna  l'iniziativa  milanese,  Genova  avesse  proposta  la  propria, 
il  Congresso  avrebbe,  senza  esitazione,  dato  la  stessa  risposta.  Ma  è  della  natura  delle 
cose,  eh'  io  parlo.  L' Italia  è  presta  ad  insorgere  :  diffida  della  possibilità  di  vincere. 
Una  vittoria  su  di  un  punto  importante  sopprime  per  essa  quell'  unico  ostacolo. 

E  quanto  a  Milano,  tutti  quei  mezzi  che  sono  necessari  a  una  insurrezione  arti- 
ficialmente preordinata  e  iniziatrice,  noi  sono  al  seguire.  Col  fermento  popolare,  che 
nascerebbe  dalle  nuove  insistenti  del  nostro  conflitto,  l'insurrezione  diventerebbe  insur- 
rezione di  barricate;  potrebbe,  come  furono  fino  ad  oggi  tutte  le  insurrezioni.  Ricordatevi, 
che  non  è  fra  noi  italiani,  che  l' insurrezione  è  diventata  operazione  di  guerra. 

Voi  stessi  diceste,  che  se  l' insurrezione  di  Milano  avesse  luogo  vittoriosa  o 
prolungatamente  lottante,  l'insurrezione  di  barricate  potrebbe,  anche  senza  tutti  i  mezzi 
preordinati,  aver   luogo  in  Genova.  Perchè  non  varrebbe  la  reciproca  ? 

Io  credo  e  da  lungo,  che  andiamo  dietro  a  un  concetto  errato  e  non  abbiamo 
afferrato  quello  dell'  insurrezione.  Ne  abbiamo  fatto,  ve  lo  dissi  dal  primo  giorno,  un 
problema  di  guerra,  e  non  è.  La  guerra  può  venire  dopo.  Ma  il  problema  d'insur- 
rezione si  compone  principalmente  di  questi  elementi. 

Possiamo  riescire  in  Genova  ? 

Saremo   seguili,  voi  o  io  dal  popolo  ?  Dagli  ignoti  ? 

Sarà  il   movimento,  trionfante  in  Genova,  seguito  altrove  ? 

Sull'anima  mia,  con  tutto  il  maturo  esame  possibile,  per  tutto  quel  ch'io  so  del 
Partito  organizzato  e  delle  disposizioni  generali  in  Italia,  alle  tre  quistioni  rispondo:  S). 

L'  organizzazione  in  Genova  è  tanto  scelta,  tanto  diversa  da  quella  d' altri  luoghi, 
che  credo  di   potere  calcolare  ciecamente  sovr'  essa. 

Ho  toccato  in  tutti  i  punti  la  Consociazione  :  ho  la  convinzione  sancita,  da  Casaccia  (?) 
e  altri  membri  del  Consolato,  che,  due  o  tre  infuori,  le  numerose  società  componenti 
la  Consociazione  seguirebbero  immediatamente  il  moto. 


IL  GUERRIERO  E  L*  APOSTOLO  323 

La  Marineria  verrebbe  con  noi. 

Tutta  una  classe  di  giovani  di  classe  media,  commercianti,  impiegati  negli  uffici 
d'  avvocati,  procuratori,  bottegai  etc.  seguirebbero  dopo  breve  tempo. 

Davanti  al  popolo  sollevato,  la  truppa  si  smembra. 

Di  queste  cose  ho  acquistato  lentamente  la  convinzione. 

Quanto  all'  essere  Genova  seguita,  non  vi  pongo  dubbio.  E  se  v'  è  cosa,  che  mi 
sorprenda  è  il  vostro  dubitarne;  il  vostro  credere  che  il  moto  di  Milano  debba  pro- 
vocare il  seguire  italiano  e  quel  di  Genova  no.  Genova  ha  oggi  prestigio  forse  superiore, 
di  certo  eguale  a  Milano. 

La  situazione  si  riduce  dunque  sempre  a  decidere,  se  Genova  è  diseredata  o  no 
del  diritto  e  del  dovere  d' iniziativa  in  Italia.  M' ha  sempre  sorpreso,  e  sembrato  me- 
splicabile  in  voi,  il  senso  di  subalternizzazione  inflitto  alla  città  vostra  e  mia.  Con  un 
popolo  come  il  nostro,  coli'  assenza  unica  d' ogni  partito  nemico,  coi  mezzi  che  abbiamo, 
con  capi  come  voi,  con  quel  po'  di  prestigio,  che  il  mio  subito  apparire  in  mezzo  alle 
barricate  può  esercitare  sulla  classe  operaia,  perchè  esitiamo  ?  Perchè  voi,  che  accet- 
tavate come  opportunità  Piacenza,  non  sentite  la  ben  altra  opportunità,  che  potete 
creare  ?  Perchè  ci  ostiniamo  a  lasciar  disorganizzare  il  partito  e  scoprire,  presto  o  tardi, 
inevitabilmente,  il  materiale  raccolto  ?  Perchè  lasciar  cadere  il  discredito  sui  repub- 
blicani, che  da  oltre  un  anno  parlano  di  fare  e  non  fanno  ?  Perchè,  mentre  gli  Italiani 
dichiarano  Genova  la  più  inoltrata  città  d' Italia,  vogliamo  condannarla  all'  inerzia  e  a 
una  taccia  d' incapace  e  d' impotente,  che  non  è  meritata  ?  Rompiamo,  per  Dio,  questo 
fascino,  che  ci  tiene  immobili  e  sia  la  nostra  Genova  iniziatrice  dell'  impresa  !  Una  splen- 
dida giornata  è  quello  che  si  richiede.  Abbiamola,  e  rileviamo  al  partito  la  sua  potenza. 

lo  ve  ne  fo  proposta  formale.  Ve  la  fo  meditatamente  :  meditate  voi  pure  la  vostra 
risposta.  Essa  deve  decidere  le  mie  determinazioni.  Cosi  non  può  durare.  Bisogna,  che 
qualcuno  rompa  questo  cerchio  magico  per  entro  il  quale  giriamo  da  un  anno  e  mezzo, 
e  che  uccide,  a  poco  a  poco,  uomini  e  forze  e  fiducia  del  partito. 

Se  avrò  da  voi  risposta  negativa,  penserò  s'io  debba  assumermi,  anche  solo,  la 
responsabilità  di  un  fatto  nella  nostra  città,  o  se  devo  tra  pochissimi  giorni  andare  a 
cercare,  dove  sapete,  l' iniziativa,  che  non  ho  potuto  trovare  altrove. 

Vostro  sempre 
GIUS.    M.-XZZINI 

P.  S.  -  Badate  :  da  Milano  mi  scrivono,  che  possono  seguire  :  forse  lo  diranno 
a  voi  tra  pochi  giorni.  Sapete  che  Pozza,  Scotti,  Marcora,  Bezzi  sono  nascosti,  ma  liberi. 

E  badate,  insisto  su  questo,  il  subito  posporsi  del  meeting  pose  lo  sconforto,  e 
la  credenza,  che  tutto  fosse  contromandato  dagli  elementi.  I  capi  non  ebbero  l'istinto 
insurrezionale  di  scendere  in  piazza  ed  iniziar  guerra  di  barricate,  dalla  quale  sarebbe 
escito  un  nuovo  disegno.  Esagerarsi  le  conseguenze  del  fatto  sarebne  un  errore,  come 
quello  d' immobilizzare  l'iniziativa  dell'insurrezione  italiana  in  Milano. 

Bisogno  di  una  vittoria  sopra  un  punto  importante  ;  probabilità  d'  averla  qui.  Sono 
questi  i  due  motivi,  che  determinano  la  mia  proposta  e  mi  determineranno  (orse  a  far 


324  GARIBALDI  E  M.AZZINI 


/imia, 

Ho   la  vostra. 

Trapela  da  essa  un  senso  del  mio  operare,  eh' è  mal  (ondato  e  quindi  concedetemi 
di  ricapitolare,  in  poche  parole,  la  mia  condotta  in  tutto  questo  subuglio.  Non  credo, 
e  me  ne  duole  come  d'un  po'  d'ingiustizia,  che  da  voi  sopratutto  mi  pesa,  che  non 
mi  conosciate  ancora. 

Voi  credete  ch'io  sproni  a  bande,  ed  agitazioni  di  qualunque  sorta,  per  trasci- 
narvi. Se  avessi  voluto  trascinarvi,  avrei  operato  in  quel  senso  sugli  elementi  di  Genova, 
non  d'altri  punti.  Ho  desiderato  vivamente  un  altro  modo  di  vedere  le  cose  in  voi; 
ma  ho  deciso  da  lungo  di  non  trascinare,  fuorché  scrivendo  per  la  stampa,  anima  viva. 

La  banda  delle  Calabrie  sorse  senza  eh'  io  ne  sapessi,  fuorché  dai  giornali. 

Ignota  m' era  la  banda  di  Reggio. 

Quella  di  Lugano  coi  militari  nostri  doveva  apprestarsi  per  seguire  quelle  nell'alta 
Lombardia,  nel  convegno  del  quale  l'amico  Stefano  mi  scrisse.  Mi  celarono  la  loro 
determinazione  :  la  seppi  soltanto  un  giorno  e  mezzo  prima  :  scrissi  protestando,  vietando 
per  quanto  poteva  :  o  non  giunsi  in  tempo  o  non  mi  badarono. 

Pavia,  Carrara,  etc.  m"  evano  ignote. 

Lucca  m' aveva  offerto  moto  di  tutta  la  provincia  :  Pisa  lo  stesso  ;  un  inviato  dalla 
Spezia  lo  stesso.  Si  trattava  d'  un  disegno  collettivo  importante  ;  e  accettai.  Nondi- 
meno, volli  aggiungere  Livorno.  Proposi  e  accettarono.  Ebbi  qui  l'accettazione  dei 
quattro  punti,  scritta  e  firmata.  Fu  allora,  che  diedi  istruzioni.  Il  giorno  prima  del  fis- 
sato tre  parti  mutarono  :  esitarono.  Telegrafai,  perchè  nessuno  facesse,  se  non  facevano 
tutti.  Scrissi  a  Firenze,  perchè  facessero  sostare  una  bamda,  che  doveva  escire  simulta- 
neamente da  Perugia.  L' amico  C.  {Canzio)  sa  tutto  questo.  Perchè  Tito  abbia  voluto 
egli  solo  mantenere  la  parola,  non  so. 

Ecco  tutto  di  me. 

Ma  voi  dimenticate,  che  poco  tempo  addietro  chiedevate  voi  stessi  bande;  che 
esortavate  a  farne  escire,  purché  non  sottraessero  elementi  importanti  alle  città  ;  che 
dichiaraste,  con  mia  sorpresa,  determinazione  d' agire,  se  escivano  le  due  bande  pie- 
montesi: che  approvaste  la  decisione  accettata  da  Missori  etc.  di  far  sorgere  bande  in 
Valtellina.  Perchè  ora  la  biasimate,  e  sembrate  attribuire  ad  essa  il  non  aver  voi  o 
Milano  fatto?  E  in  che  cosa  mai  v'impedirono.^ 

Non  temete,  del  resto,  imprudenti  premure  da  me.  Stanco  di  promesse,  delusioni, 
incertezze,  che  per  me  durano  dall'  aprile  dell'  anno  scorso,  non  consiglio  orma  i,  né 
rispondo.  A  quei  poveri  di  Milano,  che  anche  ieri  mi  scrivevano  essere  imminente 
il  loro  muovere,  ho  risposto  che  mi  lasciassero  in  pace  :  aveva  già  ripetutamente  detto, 
che  senza  l'accordo  dei  due  elementi,  io  non  credeva  il  riuscire  possibile  ;  né  poteva 
dir  altro.  Se  facevano,  e  ci  davano,  quando  che  sia,  vittoria  o  lotta  protratta,  avremmo 
fatto  il  debito  nostro. 

E  così  farò  con  tutti,  fuorché  col  Sud.  Là  continuo  il  lavoro,  perché  mi  sento 
ancora  un  po'  di  fede  nelle  loro  serie  intenzioni.  Se  avrò  di  là  conferma  alla  decisione 
del  25  scorso,  farò  individualmente  il  debito  mio  e  v'  avvertirò. 


IL  GUERRIERO  E  L'  APOSTOLO  325 

Quanto  a  nuovi  accordi  con  Missori,  lasciatemi  dire  che  non  condurranno  a  cesa 
alcuna.  Qualunque  ne  sia  la  cagione,  Missori  evidentemente  non  ha  voglia  di  fare. 
E  quanto  a  voi,  il  semplice  fatto  di  cercar  questi  nuovi  accordi  mi  convince,  che  non 
farete.  Dopo  l'ultima  gita  a  Milano,  Stefano  (Canzio)  mi  dichiarò,  che  finalmente 
non  v'  era  più  bisogno  di  nuovi  convegni  :  s' era  deciso  che  Genova  facendo,  Milano 
seguirebbe  immediatamente  e  reciprocamente. 

Poi,  a  che  gli  accordi? 

Concedetemi  di  ripetere,  che  voi  guardate  all'  insurrezione  come  guardereste  a  una 
guerra  regolata,  nella  quale  bisogna  accertare  le  operazioni  di  tutti  i  corpi,  la  sicu- 
rezza dell'  ala  diritta,  della  sinistra,  il  conservarsi  della  base  d' operazione  e  via  così. 
Sul  terreno  del  calcolo  troverete  un  nemico  sempre  con  forze    maggiori  delle  vostre. 

Per  me  ho  creduto  e  credo,  che  una  insurrezione  sia  principalmente  un  fatto  di 
calcoli  morali.  Ho  creduto  e  credo,  che  il  paese  è  maturo  ;  che  il  Governo  è  sfasciato  : 
che  un  fatto  splendido  e  dimostrante  forza  sarebbe  seguito;  che  Genova  e  Milano 
dovrebbero  costituire  questo  fatto  :  che  poco  importa  la  simultaneità  del  quarto  d'ora  : 
che  come  Milano  sarebbe  seguita  da  Genova,  Genova  lo  sarebbe  inevitabilmente  da 
Milano,  che  quando  uscirono  le  prime  bande  bisognava  :  o  farne  escire  altre  immedia- 
tamente, o  immediatamente  fare  in  una  delle  due  città  ;  che  se,  ogni  qualvolta  una 
opportunità  si  presenta,  corriamo  a  convegni,  accordi,  disegni  comuni  prima  di  fare, 
non  faremo  mai.  L'opportunità  passerà. 

E  un'  altra  cosa  credo  :  che  il  Partito  non  può  durare  per  un  anno  coli'  idea  d' un 
moto  vicino,  senza  tradirsi  o  sfasciarsi.  Dopo  Lucca,  Livorno  etc.  perderemo  altri  punti, 
scoperte  seguiranno  scoperte  :  gli  elementi  si  sperderanno.  Se  m' inganno  tanto  meglio  !  Se 
un  giorno  ancora  potrò  fare  con  voi  pel  paese,  benedirò  quel  giorno.  Intanto  abbiatemi. 

Vostro 
GIUS.  MAZZINI 

Amici, 

Non  credo  oramai  più  in  anima  viva  sul  Continente  d'Italia,  finche  non  vedo. 
Sono  nondimeno  nell'  obbligo  di  comunicarvi  come  stanno  le  cose. 

In  Sicilia,  in  un  congresso  tenuto  il  25  tra  delegati  di  Palermo,  Catania,  Mes- 
sina e  Reggio  di  Calabria  (notate  che  la  nostra  organizzazione  di  Reggio  abbraccia 
Cosenza  etc.)  è  stata  decisa  l' iniziativa,  non  fissato  il  giorno  ;  ma  l' indugio  deve  essere 
brevissimo,  e  un  avviso  ultimo  mi  verrà,  probabilmente,  fra  un  giorno  o  due  da 
Palermo.  Fidano  naturalmente  in  noi  per  esser  tosto  seguiti,  e  per  averne  certezza  mag- 
giore, rinunziano  alla  mia  presenza,  onde  io  secondi  qui,  e  soltanto  desiderano,  che  io 
vada  per  due  giorni  dopo  il  trionfo  di  vittoria.  Nelle  Calabrie  sono  impazienti  di  fare 
e  dichiarano  conquistate  all'azione  Menotti.  Il  Salernitano  promette  seguire  le  Calabrie. 

Se  nulla  accade  altrove,  io  farò  di  recarmi  colà  prima,  perchè  ho  fede  nella  serietà 
del  lavoro  siciliano.  Ma  intanto,  è  chiaro  che,  decisi  come  sono  a  prendere  l' inizia- 
tiva,  seguirebbero  immediatamente  un  moto  nostro. 

Ora,  pongo  in  voi  (chiedendovi  ancora  per  due  giorni  segreto  assoluto  con  tutti 
al  di  fuori  del  Comitato,  tanto  che  nessuno  possa  accusarmi  di  aver  nociuto  per  impru- 


326  GARIBALDI  E  MAZZINI 


denza)  la  decisione  presa  in  iscritto,  firmata  e  veduta  da  me  di  agire  in  Lucca,  Pisa, 
Spezia,  Carrara,  etc,  nella  notte  dal  sabato  alia  domenica.  Livorno  aderì,  firmò  ;  ma 
oggi  una  frazione  tentenna  e  solleva  difficoltà  di  non  so  quale  materiale,  che  importe- 
rebbe un  mille  lire  chieste  a  me  e  ch'io,  esaurito  fino  all'ultimo  soldo,  non  ho! 

Spero  nondimeno,  che  le  difficoltà  su  quei  punti  si  appianeranno. 

Firenze  ha  preso  accordo  coi  tre  punti.  Umbria,  Marche  e  Roma  seguirebbero  subito. 

Se  attengono  la  promessa,  ho  dato  fede  d' azione  tra  noi.  Fido  ciecamente,  se 
fanno,  in  voi  ;  e  a  ogni  modo,  se  il  moto  ha  luogo,  dovessi  scendere  in  piazza  con 
dieci  uomini,  lo  farò. 

Se  avrò  nuove  il  sabato  mattina,  le  avrete.  Intanto,  ben  inteso  ho  avvertito  Sicilia, 
Calabria,  il  Napoletano  e  ogni  punto,  perchè,  in  caso  di  moto  nel  centro  o  nel  nord, 
seguano  immediatamente. 

Son  certo  che,  facendo  noi,  determineremo  il  moto  generale  ;  ma  io  non  insisto 
su  questo  punto. 

Addio.  Vostro  sempre 

GIUS. 

Caro  Canzio, 

Ho  trovato  e  vi  mantengo  la  parola. 

Per  dovere  di  cronista,  e  non  perchè  io  creda,  vi  dirò  che  in  Milano  si  parla 
di  fare  tra  giorni.  Il  bello  è,  che  uno  dei  più  ardenti  di  questo  nuovo  nucleo  è  un 
Membro  del  Comitato  misto,  che  firmò  cogli  altri  la  dimissione. 

Ho  risposto,  che  non  credo,  senza  l'accordo,  a  successo  e  non  m'assumo  quindi 
responsabilità  di  consiglio.  Che  del  resto,  se  faranno  e  vi  sarà  vittoria  e  lotta  protratta 
Garibaldi  risponderà. 

Da  Sicilia  le  notizie  pubbliche  sono  sfavorevoli  ;  manco  sempre  di  notizie  dirette. 

V  è  agitazione  universale  ;  paura  nel  Governo  su  tutti  i  punti,  aspettazione  e, 
secondo  me,  certezza  di  débàcle  per  ogni  dove,  se  un  punto  importante  riportasse  una 
vittoria.  Ma  credo,  che  se  quelle  di  Milano  sono  ciarle  e  se  in  Sicilia  il  progetto  è 
sventato,  unica  via  di  fare  rimarrà  pur  sempre  quella  di  meetings  popolari  da  convocarsi 
per  farne  escire  scioglimento,  resistenza  etc.  Contro  l' avviso  di  alcuni  fra  voi,  credo 
che  un  meeting  per  le  gravi  tasse  o  per  altro,  convocato  in  pictzza,  all' Acquasola  o  altrove, 
annunziato  da  un  migliaio  d' affissi,  facendo  base  sulla  Consociazione,  e  di  domenica, 
trascina,  per  curiosità  o  altro,  una  massa  di  popolo,  come  a  Bologna.  Parli  chi  vuole, 
studenti,  operai.  Manderò  io  una  lettera  da  leggersi.  Scioglieremo  un  tantino  di  resistenza 
individuale  facile  ad  organizzarsi.  Il  partito  presto  a  profittarne  ;  e  da  cosa  nasce  cosa. 

E  idea  da  discutersi.  Fatelo.  Stampa  proponeva  il  5  maggio  l'anniversario  di 
Quarto,  e  non  vedo  perchè  la  Consociazione,  invece  d' andare  a  Quarto,  non  andrebbe 
quel  giorno  a  celebrare  in  un  altro  punto. 

Parlatene  un  po'  fra  voi,  e  di  qualunque  cosa  che  importi,  fatemi  avvertilo. 

Una  stretta  di  mano  agli  amici. 

Vostro  tutto 

GIUS. 


IL  GUERRIERO  E  L'APOSTOLO  327 


Il    die. 
Fratello, 

Ebbi  la  vostra.  Non  risposi  —  e  lo  indovinate  di  certo  —  perchè  la  malattia 
me  lo  impedì.  Ma  deliberai  di  spiegare  le  espressioni  che  vi  spiacquero,  pubblicamente, 
appena  potessi.  Lo  feci  pochi  dì  sono  in  una  lettera,  che  io  mandai  all'  Unità,  che  fu 
sequestrata  ;  ma  che  spero  abbiate  veduta.  Mandai  quella  lettera  simultaneamente  al 
Dovere  a  Napoli  e  a  Palermo.   Ignoro,  perchè  il  Dovere  non  la  inserisse. 

Quelle  linee  furono  da  voi  fraintese  !  Ammirai  i  tentativi  passati  e  credo,  che 
senza  quelli  non  saremmo  ove  siamo.  Ma  ora  —  e  voi  stesso  ne  siete  convinto  — 
dobbiamo  far  altro.  Era  questo  il  senso  delle  mie  parole.  Concedetemi  di  credere, 
che  la  mia  dichiarazione  pubblica  vi  abbia  soddisfatto.  E  concedetemi  di  credere 
egualmente,  che  davanti  al  grande  fine  cercato  da  tutti  noi  ed  alla  possibilità  della 
proclamazione  della  Repubblica  in  Spagna  —  opportunità  che  bisognerebbe  cogliere  — 
voi  non  vi  ritrarrete  dal  lavoro  comune  e  non  darete  esempio  di  scissioni,  funeste 
sempre  ;  oggi  più  che  mai. 

Vorrei  scrivervi  più  a  lungo,    ma    il  farlo    mi    richiama    i    dolori,    appena    sopiti, 

allo  stomaco. 

Vostro  sempre 

GIUS.  MAZZINI 

Caro  Canzio, 

Prima  di  tutto  lasciate,  eh'  io  vi  dica  che  ho  avuto  vero  dolore,  quando  lessi 
inopinatamente  sul  Mov.  {Movimento)  la  perdita  fatta  da  voi. 

Immagino  il  dolore  vostro  e  quello  della  povera  madre.  So  che  il  fanciullo  era  stato 
con  essa  e  voi,  poco  tempo  addietro,  a  Rapallo,  e  so  che  lo  amavate  molto.  Sono  di  quelle 
sciagure  per  le  quali  i  luoghi  comuni  di  consolazione  irritano  ;  e  non  v'  è  da  dire,  se 
non:  «  mi  dolgo  con  voi:  soffrite,  ma  siate  forti  per  quei  che  rimangono  ».  E  ve  lo 
dico  col  cuore.  Sulle  cose  nostre,  so  ciò  che  avete  detto  all'  amico  mio  :  ed  è  quello 
ch'io  prevedeva.  Canzio,  come  non  sentite,  che  invece  di  stare  in  riserva,  appunto  per 
quelle  trattative,  urge  il  fare?  Come  non  sentite,  che  è  l'unica  via  per  salvare 
Garibaldi  dai  pericoli  della  sua  debolezza  verso  la  Monarchia  traditrice, 
per  salvare  il  paese  e  noi  da  una  eterna  vergogna  ?  Come  non  sentite,  che 
il  giorno  in  cui,  anche  come  custode  del  potere  temporale,  la  Monarchia 
entra  con  Garibaldi  in  Roma  significa  due  anni  d' indugio  al  partito  ?  Come 
non  sentite  la  massa  dei  tiepidi  e  dei  timidi  a  dire  :  "  è  un  passo  :  calma, 
pazienza  „  ? 

Per  me,  non  v'è  che  conquistare  l' iniziativa,  agire,  rompere  tutti  i  disegni;  con- 
quistare Garibaldi,  col  fatto  compiuto. 

E  qui  credetemi,  Canzio  :  voi,  gli  amici  ed  io  in  piazza,  solleviamo  tutto  quanto 
il  popolo  di  Genova  :  vinciamo,  com'  è  vero  Dio  !  lo  lo  studio  questo  popolo  nei  menomi 
sintomi  :  è  in  esso  un  istinto,  che  non  resiste  all'  azione  ;  l' abbiamo,  volendo. 

E  una  battaglia  vittoriosa  ci  dà  l' Italia  ! 


328  GARIBALDI  E  MAZZINI 


Non  ho  esagerato  il  fatto  di  Milano.  Milano  non  può  iniziare,  per  la  perdita  del 
materiale  :  ma  segue. 

Perchè  vogliamo  noi  pure  tentennare  sempre  e  perdere  il  momento,  appunto  come 
Io  hanno  perduto  non  cacciandosi  in  piazza  Missori  e  gli  altri?  Perchè  Genova,  la  nostra 
Genova,  deve  essere  diseredata  dalla  iniziativa?  Perchè  abdichiamo  o  ci  ostiniamo  a 
farne  una  città  di  secondo  rango?  Una  dimostrazione  qualunque,  suscitata  negli  ignoti, 
per  la  Convenzione,  Stallo,  Roma  qualunque  cosa  ;  e  mentre  l' attenzione  del  Governo 
è  rivolta  là,  le  operazioni  da  voi  divisate  cogli  ordinati  nostri  ed  io  in  piazza  colla  dimo- 
strazione o  dove  volete,  Canzio,  credetemi,  vinciamo  ;  e  il  nostro  vincere  straccia  questo 
manto  di  vergogne,  tessuto  intorno  alla  nostra  povera  Italia. 

Una  parola  vi  prego. 

Voslro 

GIUSEPPE 


Caro  Canzio, 

E  bene  che  sappiate,  tanto  che  non  crediate,  che  io  abbia  parlato  di  ciò  che 
non  doveva,  che  Garibaldi  ha  scritto  ad  Aldisio  Sammito  a  Pietraperzia,  che  si  stava 
stampando  l' opuscolo.  Ne  ha  scritto  pure  a  Pantaleo.  Sammito  ha  mandato  la  lettera 
a  Milazzo,  e  se  conoscete  Sammito  è  uno  da  empirne  il  mondo. 

Se  non  pensassi  che  a  me  individuo,  vi  giuro  che  desidererei  l' accusa  :  so  che 
ne  escirei  trionfante.  Ma  la  divisione  aperta  sarebbe  oggi  fatale  a  ben  altro 
che  a  noi;  e  in  verità,  mi  riesce  inesplicabile  il  come  Garibaldi  non  pensò 
al  trionfo  della  stampa  moderata. 

Ho  scritto  a  Milazzo,  pregando  intanto  di  silenzio  assoluto. 

Addio. 

Vostro  sempre 

GIUS. 

P.  S.  -  Ora  ditemi:  Mi  viene  informazione  con  richiesta  di  consiglio,  che  è 
imminente  una  spedizione  contro  gli  Stati  Romani,  ordinata  ed  aiutata  con  mezzi  da 
Garibaldi,  che  uno  degli  agenti  principali  è  Galiani,  che  il  moto  deve  cominciare  dalla 
Maremma,  che  Menotti  e  voi  siete  informatissimi.  E  vero  ? 

Penso  a  ciò  che  mi  avete  detto  dell'  idea  di  scendere  in  Genova  ;  se  sapevate, 
perchè  non  dirmi  del  progetto  ? 

Come  sapete,  il  progetto  limitato  all'  antico  programma  mi  parrebbe  colpa  e  follia. 
Ben  inteso,  la  riuscita,  quanto  a  Roma,  è  impossibile  e  i  risultati  sarebbero  sconforto 
e  sviamento  del  Partito  dal  segno.  Pensateci  bene,  lo  non  posso  rispondere  a  chi  mi 
chiede  consiglio,  se  non  quello  che  ho  già  detto  privatamente  e  a  stampa. 

Se  poi  la  cosa  è  vera,  e  se  (ciò  che  non  credo)  ha  luogo,  vedrò  il  da  farsi  a 
seconda  delle  circostanze.  Ma  vorrei  sapere,  se  entrate  nella  cosa  e  con  quali  intenzioni. 
£  impossibile,  che  col  colpo  d'occhio  che  avete,  crediate  nella  riuscita. 


ÌL  guerriero  e  L'APOSTOLO  329 

Caro  Canzio, 

Per  diverse  ragioni,  il  fatto  è    rimesso  a  domenica  che  segue  questa.   Vedremo. 

Suir  idea  del  domani  e  sentendo  il  bisogno  di  vedervi,  mi  sono  riaccostato.  Ma 
ora  con  questo  indugio,  è  forse  più  prudente  partito  il  non  vederci  per  ora  sull'  avvi- 
cinarsi del  fatto  ;  se  persisteranno,  ci  abboccheremo. 

Non  avete  a  dirmi  cosa  alcuna  del  vostro  contatto  con  Miss.  (Missori)  etc,  della 
corsa  di  Menotti,  e  d' altro  ? 

Ho  scritto,  ben  inteso  a  norma  di  quanto  mi  diceste,  per  Garibaldi. 
Peraltro,  un  giorno  o  l'altro,  bisognerà  pure  ch'io  mi  sfoghi  un  po'  in 
amicizia  con  voi  sul  modo  con  cui,  senz'ombra  di  ragione,  sono  trattato 
da  lui. 

Ciò,  del  resto,  non  influisce  menomamente  su  me,  quanto  alla  condotta  da  tenersi 
pel  bene  ;  e  sono  d' accordo  con  voi. 

Vostro  sempre 
GIUS. 

Caro  Canzio, 

Proscritta  alla  lettera  di  ieri. 

Oggi»  P^''  viaggiatore  già  ripartito,  ricevo  una  interminabile  lettera  da  Mil.  {Milazzo) 
mezza  in  cifra,  annunziandomi,  che  se  possono  far  domani,  faranno  !  Si  fondano  sopra  una 
serie  di  piccole  cagioni,  tra  le  quali  è  quella  dei  coscritti,  i  quali  domani  appunto 
devono  andare  ai  corpi,  dei  parenti  fuor  di  se,  del  concorso  etc,  poi  su  paure  che 
gli  animi  si  lascino  sedurre  dalle  promesse  diffuse  su  Roma. 

Ho  scritto,  ben  inteso,  disapprovazione  assoluta,  riflessioni  sulla  immensa  rovina, 
che  verrebbe  dal  non  riescire  etc.  Credo  non  faranno.  Ma  ve  ne  avverto  per  con- 
ferma a  ciò  eh'  io  diceva  ieri  a  Mis.  {Missori).  Ritenete  ciò  che  dico.  Oltre  il  mese,  io 
non  ho  più  voce,   ne  modo,  ne  intenzione  di  trattenere  anima  viva.  A  la  garde  de  Dieu! 

Non  ho  creduto  di  dover  dire  tutto  ciò,  eh"  io  aveva  nell'animo  ieri  a  Mis.  (Missori). 
Ma  hanno  messo  fuori  il  bollettino  d' invito  a  un  meeting,  senza  indicazione  di  tempo  o  di 
luogo!  Vi  pare  che  proposte  nel  caso  di  questo  genere,  diano  credito  a  un  Partito? 
Vi  pare  che  quando,  in  circostanze  come  queste,  si  fondano  speranze  su  tattiche  sif- 
fatte alla  stampa,  si  cammini  all'azione?  Amico,  credete  a  me:  se  aspettiamo  l'inizia- 
tiva di  là,  e'  illudiamo. 

Con  un'  opinione  generale  come  l' attuale  è  possibile,  che  non  troviamo  in  noi  un 
elemento  di  decisione?  E  possibile,  che  non  vi  venga  il  bisogno  di  dire:  •<  rompia- 
mola una  volta  :  lanciamo  una  dimostrazione  qualunque  :  troviamoci  presti  :  facciamo 
iniziare  da  due  o  tre  dei  nostri  la  resistenza  agli  arresti  o  ai  soprusi  violenti  ;  e 
commciamo   ". 

Devo  confessarvi  francamente  una  cosa. 

Questa  lunga  esitazione  mi  sembra  così  inesplicabile  in  voi,  che  deve  esservi  una 
ragione  speciale.   Voi  volete  il  moto  iniziato  da  Garibaldi.  Quindi  gli  indugi. 


330  GARIBALDI  E  MAZZINI 


Ma  in  nome  di  Dio,  Canzio,  s'  ha  da  posporre  un'  azione,  che  riguarda 
una  nazione  intera,  perch'  egli  non  può,  per  cagioni  fisiche  scendere  a 
tempo  ?  Credete  essenziale,  eh'  egli  intervenga  nella  prima  ora  del  moto  ? 
Non  è  lo  stesso,  s'ei  scende  il  giorno  dopo  a  prendere  il  posto,  che  gli 
spetta  nel  Governo  Provv.,  che  l' insurrezione  trionfando  dovrà  formare  ? 
Non  vi  par  meglio  quasi,  di  dargli  una  prova  che  finalmente  il  popolo 
italiano  è  deciso  a  far  davvero  ?  di  lasciare  che  il  popolo  stesso  proferisca, 
primo,  il  grido  Repubblicano,  invece  di  costringerlo  a  prendere  egli  l' ini- 
ziativa ? 

Comunque,  caro  Canzio,  cominciata  la  guerra,  non  mettiamo  tempo  indefinito  tra 
noi  e  r  azione.  Non  lasciamo,  eh'  entri  nel  Partito  l' anarchia  della  diffidenza  o  dei 
moti  d' un  solo  elemento  ;  essa  diventa  inevitabile.  Se  Mil.  (^Milano)  ha  fatto  o  fa  al 
finire  del  mese,  bene  :  se  no  facciamo  noi. 

Non  può  Genova  assumersi  questa  iniziativa,  che  comincia  a  ricordare  la  favola 
dei  topi  e  del  gatto?  Di   Mil.  (Milano)  siam  certi  e  del  resto. 


Vostro 

GIUS. 


19  -  7  -  70. 
Amici, 

Rompo,  per  un  senso  di  dovere,  il  lungo  silenzio. 

Ignoro,  se  abbia  avuto  o  no  la  corsa  di  Miss.  (Missori)  tra  voi,  ma  non  muterebbe 
cosa  alcuna  alle  mie  proposte.  Se  Missori  adempirà  gì'  impegni  assunti,  sarà  seguito,  e  ho 
già  scritto  per  questo  in  Romagna.  Ma  un  incidente  o  altro  potrebbe  impedirlo;  e 
per  questo  s' avrebbe  da  stare. 

La  posizione  vera  della  questione  parmi  diversa. 

Il  dovere  è  comune.  Data  l' opportunità,  ogni  città,  che  può,  deve  afferrarla.  Oggi 
convegni,  contatti,  promesse  d' ogni  sorta,  accertano  che  chi  inizia,  sarà  seguito.  Deter- 
minare che  s'aspetterà  l' iniziativa  dal  tal  punto  è  lo  stesso,  che  ridursi  volontariamente 
da  tre  o  quattro  probabilità,  ad  una. 

Suonata  l' ora,  ogni  punto  importante  faccia,  senza  aspettare  altri.  Chi  non  ha  fatto, 
seguirà. 

Se  esciamo  da  questa  semplice  posizione  di  questione,  l' ora  suonerà.  Noi  aspet- 
teremo uno  o  due  giorni  Milano  :  se  per  caso  non  facesse  il  terzo  giorno,  manderemo 
un  viaggiatore  :  tornerà  il  quarto  :  qualunque  risposta  rechi,  nuove  deliberazioni  con- 
sumeranno il  quinto.  Intanto  l' opportunità  passerà.  È  storia  d'  un  passato,  che  in  verità 
il  Partito,  se  non  vuole  cadere  nel  comico,  dovrebbe  evitare  di  rifare. 

Milano  inizii,  se  può  :  seguiremo  ;  Genova  inizii  se  può  :  Milano  seguirà. 

L'opportunità  è  innegabilmente  giunta. 

Uno  dei  più  potenti  argomenti,  che  si  facevano  contro  il  moto  da  una  moltitudine, 
era  questo  :   «  In  un  molo  repubblicano,  la  Francia  aggiungerà  le  sue  forze  a  quelle  del 


IL  GUERRIERO  E  L'APOSTOLO  331 

nostro  Governo».  Quest'argomento  è  sfumato.  La  Francia  in  guerra  sul  Reno  avrà 
ben  altro  da  fare  che  pensare  a  noi. 

L' opinione  pubblica  è  avversa  alla  nostra  alleanza  colla  Francia  :  crede  in  essa 
ed  è  facile  avvalorare  questa  credenza  :  credenza  del  resto  fondata  per  ciò  che  riguarda 
il  Re  ed  i  suoi. 

L' esercito  deve  essere,  più  che  mai,  disposto  a  smembrarsi  :  il  commercio  antivede, 
nella  partecipazione  alla  guerra,  rovina. 

Ma  non  si  tratta  soltanto  di  opportunità  ;  si  tratta  di  dovere.  Si  tratta  di  salvare 
r  Italia  da  una  taccia  d' infamia  :  combattere  a  beneplacito  di  Luigi  Napoleone  una  guerra 
contro  r  unificazione  di  un  altro  popolo  :  aiutare  la  Francia  ad  usurpare  la  riva  sini- 
stra del  Reno. 

Bisogna  dunque  decidersi  a  fare,  e  fare. 

11  tempo  è  mdicato  dalla  situazione. 

Bisogna  aspettare,  che  la  guerra  sia  cominciata  e  le  forze  sieno  impegnate. 

Non  bisogna  aspettare,  che  l' alleanza  si  smascheri. 

11  giorno  in  cui  il  Re  dirà,  con  un  manifesto,  l'alleanza  con  la  Francia,  dirà  pure 
che  il  compenso  sarà  Roma  e  l'appoggio  francese  per  una  rettificazione  verso  il  Tren- 
tino. Lo  farà,  perchè  sa,  che  senza  quello  avrebbe  contro  il  paese. 

Ma  quando  lo  dirà,  perderemo  la  metà  della  forza.  I  moderati,  i  tiepidi,  gì'  immo- 
rali, diranno:   «  E  un'importante  concessione.    Viva  il  Governo!» 

Notate,  a  voi  non  ho  neanche  bisogno  di  dirlo,  che  la  promessa  non  si  compi- 
rebbe, probabilmente,  che  al  finir  della  guerra,  cioè  non  si  compirebbe.  Ma  se  anche 
si  compisse,  prima  o  dopo,  il  Re,  come  al  tempo  del  disegno  di  Gioberti,  nel  1849, 
non  entrerebbe  in  Roma,  se  non  come  vicario  temporale  del  Papa,  a  sostenerlo  invece 
della  Francia  ;  Luigi  Napoleone,  anche  volendo  e  non  vuole,  non  può  fare  di  più.  11 
partito  clericale,  che  appoggia  la  guerra  ed  appoggia  il  plebiscito  a  di  lui  favore  gli 
è  troppo  importante. 

Questo,  e  più  di  questo  il  disonore  dell'  elemosina  a  prezzo  di  un'  ingiustizia,  e 
dall'  uomo  di  Mentana  ;  è  ciò  che  dobbiamo  ad  ogni  patto  evitare. 

Ciò  che  vi  propongo  formalmente  è  dunque  questo  : 

Non  fate  dipendere  l' azione  di  Genova  dall'  iniziativa  d' alcuno  :  dite  a  Missori, 
che  sperate  eh'  ei  colga  il  momento  e  lo  seguirete  ;  che  farete  voi  pure  di  coglierlo  e 
eh'  egli,  in  tal  caso,  vi  seguirà. 

Affrettate  gli  ultimi  preparativi  per  esser  pronti  a  fare  nelle  ventiquattro  ore  della 
decisione. 

Impegnate  le  due  potenze,  e  quando  ci  parrà  che  la  minaccia  dell'  alleanza  possa 
realizzarsi,  facciamo.  Quanto  a  suscitare  un  incidente,  che  apra  la  via  —  se  pure  cre- 
deremo averne  bisogno  —  è  cosa  facile:  lanciate  quei  della  Giovine  Italia  o  altri  a 
una  dimostrazione  e  fate  escire  un  cominciamento  di  resistenza  e  l'azione. 

Son  queste  le  ultime  proposte,  eh'  io  posso  ora  farvi  e  che  io  credo  degne  della 
causa  che  il  Governo  rappresenta  e  di  voi. 

Permettete,  eh'  io  vi  chieda  risposta  positiva.  Sono  momenti  supremi  pel  paese. 
Io  non  m*  arrogo  diritti,  che  non  ho  ;  ma  ho,  come  voi,  obblighi  morali  verso  il  paese, 


332  GARIBALDI  E  MAZZINI 


verso  la  causa  nazionale  repubblicana  e  verso  la  mia  coscienza  !  Ho  bisogno  di  sapere 

le  vostre  intenzioni  per  regolare  le  mie.  E  se  le  circostanze  non  chiameranno  ciascuno 

a  seguire  le  proprie  ispirazioni  prima,    ho    assoluto    bisogno  di  essere   libero  dei  miei 

atti  nei  primi  giorni  del  mese  venturo.  Addio,  amici. 

Vostro  sempre 

GIUS.   MAZZINI 

P.  S.  -  Un'  ultima  osservazione,  che  dovrebbe  trasmettersi  a  Missori.  Se  un 
termine  è  determinato  all'  azione,  posso  trattenere  i  nuclei  degli  impazienti  :  se  si  rimane 
neir  indefinito  o  nella  scelta  del  momento,  lasciata  alla  volontà  d'  un  individuo  qualunque 
ei  sia,  non  posso,  e  me  ne  lavo  le  mani.  Se,  del  resto,  le  manifestazioni  continuassero, 
e  crescenti,  bisognerebbe  abbreviare  e  cavarne  un  partito  decisivo. 


Laro  f^anzio. 

Una  richiesta  seria  per  voi  e  per  gli  amici. 

In  Milano  quasi  tutto  il  materiale  è  salvo  :  l'organizzazione  resta  qual'  è  :  ma  come 
è  naturale,  dopo  l' accaduto,  non  minacciano  più  improntitudini  e  aspettano  desiderosi. 

Fra  tutte  queste  imprudenze  da  un  lato  e  fra  1'  aver  noi  pure  —  senza  colpa,  ma 
per  fatalità  di  circostanze  —  parlato  da  ormai  un  anno  —  e  segnatamente  in  Milano, 
d' azione  imminente  senza  mai  attuarla,  mentre  anche  gli  ultimi  fatti  ci  hanno  fatto, 
checche  si  dica,  guadagnare  terreno  e  opinione  di  forza  nel  popolo  in  generale,  il 
partito,  la  parte  organizzata,  si  sfascia. 

Un  partito  —  un  partito  che  s' intitola  d'  azione  —  non  può  andare  innanzi,  che 
con  programma  chiaro,  con  un  metodo  e  un  intento  definito  !  Noi,  da  un  pezzo  in  qua, 
non  ne  abbiamo. 

Come  dissi  già  una  volta  : 

O  determinare  un  tempo  all'  iniziativa  ;  o  dichiarare  nettamente  al  partito,  che 
s'aspetterà  indefinitivamente  l' iniziativa  del  Governo  e  dirgli,  che  intanto  rallenti  il  lavoro. 

O  studiare  i  mezzi  per  creare  da  noi  stessi  l' opportunità  che  vogliamo. 

10  mi  sento  in  debito  di  adottare  una  di  queste  tre  vie.  Non  ho  mai  insistito,  ne 
insisto  per  la  prima.  La  seconda  presenta  forti  danni  :  un  Partito,  che  ha  parlato  d  azione 
propria  e  a  un  tratto  dichiara  di  aspettare  ciò,  che  può  affacciarsi  in  due  mesi  o  in 
due  mesi,  abdica.  La  terza  è  quella,  che  io  ho  suggerito  e  suggerirei,  se  non  avessi 
dichiarato  impossibili  i  meetings,  ciò  che  confesso  non  intendere. 

Intanto  —  e  prima  di  decidere  su  ciò  che  io  debbo  fare  —  affaccio  delle  idee. 

11  cinque  Maggio  è  l'anniversario  della  partenza  da  Quarto.  Supponete,  che  la  Conso- 
ciazione celebri  al  solito  modo  :  supponete,  che  mercè  i  miei  consigli,  la  manifestazione 
sia  anzi  numericamente  più  forte.  Il  ritorno  non  potrebbe  somministrarci  l'opportunità? 

Non  è  diffìcile  far  nascere  necessità  di  sciogliere  da  parte  del  Governo  :  un  grido, 
un  discorso  può  crearla.  Non  è  difficile  far  nascere  resistenza,  collisione.  Le  nostre 
forze  preparate  entrerebbero  sul  campo  aperto  dell'  agitazione  e  troverebbero  le  migliaia 
in  piazza,  eccitate. 


IL  GUERRIERO  E  L'APOSTOLO  333 

Forse,  alia  proposta  della  manifestazione,  il  Governo  oggi  in  allarme  osterebbe. 
Ma  sia  che  si  persistesse,  sia  che  si  trasformasse  la  passeggiata  in  manifestazione  nella 
città,  sia  finalmente  che  si  cedesse  protestando,  lo  svantaggio  sarebbe  sempre  pel  Governo. 
La  tradizione  rotta,  per  il  divieto,  aumenterebbe  il  malumore. 

Se  il  Governo  invece  lasciasse  fare  non  rimarrebbe,  che  cercare  d' impedire  che 
per  discorsi  avventati  o  altro,  la  manifestazione  fosse  sciolta  fuori  della  città  e  modi- 
ficare il  disegno  a  seconda  del  carattere  d' insurrezione  popolare  spontanea,  che  il  moto 
assumerebbe.   E  un  affare  d' organizzazione. 

Fate  che  si  sappia  dal  Comitato  la  mia  domanda  sulle  vostre  intenzioni  a  questo 
riguardo. 

Se  mai  credeste  possibile  di  giovarvi  di  quel  giorno,  c'intenderemo  a  voce  sui 
particolari.  Se  noi  credete,  sarò  libero  di  anticipare  il  mio  allontanamento  più  remoto 
e  darò  alla  Consociazione  consigli  diversi  per  quel  giorno. 

Spero  una  risposta. 

Vostro  amico 

GIUSEPPE 


Caro  Canzio, 

Vive  nel  Cantone  Ticino  uno  dei  nostri  buonissimi.  Luigi  Cecchini,  che  dovete 
conoscere.  Fu,  nell*  ultima  vostra  campagna,  luogotenente  nella  prima  legione  italiana, 
fu  ferito  il  21  gennaio.  Era  nel  nostro  esercito  prima,  e  fu  condannato  a  morte  pei 
fatti  di  Pavia  e  di  Piacenza.  Non  può  dunque  rientrare  ed  è  per  giunta  tormentato 
anche  nel  Cantone,  dove  fu,  pochi  giorni  addietro,  cacciato  da  Lugano,  città  nella  quale 
si  buscava  la  vita,  e  confinato  in  Bellinzona.  Non  ha  mezzi  propri.  Esistono  più  fondi 
d' aiuto  in  Genova  ?  Potrebbe  il  Comitato  disporre  di  qualche  cosa  per  lui  ?  Volete 
occuparvene?  Se  la  mia  raccomandazione  vale,  abbiatela  caldissima. 

in  Milano,  i  nostri  ex  amici  vanno,  piuttosto  che  attingere  a  fonte  italiana,  a  cercare 
ispirazioni  da  un  Cosacco.  Se  aspettano  aiuti  dall'  Internazionale,  fuorché  per  qualche 
sciopero  —  e  probabilmente  neanche  per  quello  —  stanno  freschi  !  Ma  è  dolore,  a 
ogni  modo. 

Ciò  che  vi  dissi  in  Genova,  intorno  alla  zorìa,  dura  tuttavia.  E  possibile,  dovrei 
dire  probabile,  eh'  io  debba  nparlarvene  a  tempo  non  lungo. 

Sapete,  suppongo,  del  tentativo  di  Fari.,  tentativo  ch'io  credo  inutile,  ma  al  quale 
non  ho  creduto  di  dover  frapporre  ostacolo  da  parte  mia.  Ma  perchè,  ad  ogni  modo, 
non  può  farsi  tra  gli  uomini  che  lo  seguirono  un  ordinamento  indipendente  da  me, 
ma  inteso  con  noi  per  un  momento  dato  ?  Deve,  veramente,  un'  impresa  nazionale 
dipendere  esclusivamente  da  un  uomo  ?  E  non  verrebbe  egli  (Garibaldi)  tre 
giorni  dopo  ? 

Addio;  affetto  e  stima  dal 

Vostro 

GIUSEPPE 
Martedì,   St.  C. 


334  GARIBALDI  E  MAZZINI 


L' importante  lettera  inedita  che  qui  per  ultima  trascrivo,  fu  dettata  da 
Mazzini  negli  ultimi  giorni  della  sua  travagliata  esistenza.  Sembra  essere  1'  ultimo 
appello  dell'  apostolo  e  in  esso  non  manca,  come  sempre,  il  suo  sdegno  verso 
Garibaldi  ;  e  questa  volta  per  essere  questi  andato  a  combattere  in  Francia , 
sviando  il  partito  d' azione  in  Italia ,  dove  esso  avrebbe  dovuto  proclamare  la 
repubblica   «  prima    che    la  monarchia  profanasse  Roma  !  » 


31  -  8  -  71. 

Cittadino, 

Vi  sono  più  che  grato  dell'  invito  fattomi,  ma  non  posso  accettare ,  e  lasciando 
da  banda  che  le  mie  condizioni  di  salute  e  di  età  non  mi  consentono  più  di  parlare 
in  pubblico,  ne  di  dirigere  dibattimenti,  vi  dirò  francamente,  come  deve  usarsi  tra  noi 
che  cerchiamo  il  bene,  il  perchè. 

Non  credo,  che  possa  escir  bene  alla  parte  repubblicana  da  un  Congresso  come 
voi  r  avete,  con  eccellenti  intenzioni,  ideato.  Ciò  che  importerebbe  ora  supremamente, 
sarebbe  che  le  classi  medie,  moderate  in  gran  parte,  ma  per  difetto  più  di  intelletto 
male  informato,  che  non  di  cuore,  ci  sapessero  o  ci  credessero  uniti  in  un  giusto  pro- 
gramma, che  sopisse  paure  e  calunnie.  Dal  Congresso  escirà  appunto  il  contrario. 
Balzeranno  fuori  dieci  programmi,  nove  dei  quali  impauriranno  più  che  mai.  Gli  uni 
parleranno  di  abolire  Dio  :  noi  ci  troveremo  costretti  a  protestare.  Altri  tesseranno  le 
lodi  dell'  Internazionale  e  del  Comune  parigino  ;  e  quei  che  sentono  con  noi  dichia- 
reranno volersene  separare.  L*  educazione  da  dirigersi  dalla  Nazione  collettiva  o  da 
lasciarsi  all'  arbitrio  della  famiglia,  il  modo  di  ordinare  il  lavoro,  dieci  altre  questioni 
sorgeranno,  sulle  quali  le  opinioni  divergeranno.  La  maggioranza  deciderà,  voi  direte. 
Ma  se  la  maggioranza  fosse  debole,  rimarrà  l'opinione  funestissima  dei  partiti,  i  tiepidi, 
i  timidi,  gli  incerti,  che  formano  pure  la  maggioranza  del  paese,  diranno  :  intendetevi 
prima  ;  noi  intanto  non  affideremo  le  nostre  sorti  all'  ignoto,  e  aspetteremo  pazienti. 
Aggiungete  che,  per  natura  d'  uomini,  una  falsa  e  pericolosa  idea  proferita,  forse  da 
tre  o  quattro  individui,  acquisterà,  per  le  arti  monarchiche  ed  i  terrori  borghesi,  sem- 
bianze di  minaccia  reale.  Ricordate  ciò  che  vi  dico  :  il  Congresso,  se  ha  luogo,  frutterà 
al  nemico. 

O  si  tratta  d'  Apostolato,  o  si  tratta  d'  Azione.  Se  d' Apostolato,  nessuno  può 
sperare  di  mutare  le  idee  con  una  seduta  di  Congresso  ;  è  necessario  una  lunga  pre- 
dicazione che  ogni  uomo,  quando  non  v"  è  altro  da  fare,  deve  tentare ,  dicendo  tutto 
quello  che  la  coscienza  gli  detta  ;  se  d'  Azione,  essa  non  può  escir  dal  Congresso.  Il 
Congresso  non  può  che  dar  la  sveglia  al  Governo  e  additargli  più  sempre  gli  elementi 
temibili.  Per  me,  ve  lo  confesso,  non  vedo  che  1'  Azione,  dalla  quale  nel  guasto  attuale 
delle  idee,  che  appunto  la  lunga  inerzia  ha  lasciato  infiltrarsi  nel  campo,  possa  escire 
r  unione.  Nella  discussione  ciascuno  sente  il  proprio  diritto  di  pensar  bene  o  male,  e 
v'insiste.    Nell'azione  repubblicana,  tutti  checche  pensino  sui  particolari,  sono  trascinati. 


IL  GUERRIERO  E  L'APOSTOLO  335 

affascinati,  se  han  cuore,  ad  unirsi  ;  poi,  1'  onnipotenza  delle  ispirazioni  popolari  comanda 
la  concordia  intorno  a  certi  principi  e  a  certe  norme  d*  esecuzione.  Sul  malcontento 
generale,  scredito  del  governo,  condizione  dell'  esercito,  ogni  cosa,  il  paese  è  moral- 
mente presto  all'  azione.  Manca  in  tutti  la  coscienza  della  propria  forza.  Perchè  esista, 
è  necessario  uno  splendido  fatto  ;  è  necessario,  che  una  o  due  importanti  città  sorgano 
e  vincano.  Vedrete  lutti  seguire;  e  l' edilìzio,  minato,  rovinare  come  un  castello  di 
carta  al  quale  è  sottratta  la  base. 

Ma  una  insurrezione  e  una  vittoria  non  s*  improvvisano  a  ora  fissa  ;  è  cosa  questa, 
quando  nessuno  l'aspetta.  E  dunque  indispensabile  uno  stato  d'agitazione  morale,  un 
grado  di  fermento.  Questo  stato,  questo  grado  verranno:  verranno  dall'estero  o  dal- 
intemo,  dalla  Questione  romana  o  da  altro.  Prepararsi  mutamente  a  cogliere,  come  il 
ciuffo  della  fortuna,  l' occasione  è  per  me  ora  la  sola  cosa  da  farsi. 

Quell'agitazione  esisteva  l'anno  scorso:  le  bande,  comunque  inopportune  in  prin- 
cipio, i  tentativi  comunque  falliti  di  Piace.iza,  di  Pavia  etc.  ne  erano  i  sintomi,  lo  era 
allora  in  Italia,  errante  da  un  punto  all'altro,  per  vedere  di  crear  questo  fatto  al  quale 
accenno.  Ebbi  convegni:  ebbi  promesse  senza  fine:  poi,  per  la  meglio,  richiesto  di 
danaro  per  armi  o  altro,  lo  diedi  alla  Sicilia,  a  Milano,  a  Bologna,  ad  Ancona,  a 
Piacenza  :  spianai  tutte  le  difficoltà,  che  via  via  s' affacciavano  :  Genova,  Milano,  Bologna, 
le  Romagne,  la  Sicilia  scrivevano  e  lo  affermavano  solennemente.  Nessuno  agì  :  quel 
senso  d'estrema  dubbiezza  su  noi  stessi  annullò  tre,  quattro  volte  decisioni  supreme 
prese  il  dì  prima.  E  cosa  strana  ma  vera;  quel  senso  fu  più  cospicuo  negli  ufficiali 
superiori  garibaldini  in  Milano  e  in  Genova,  che  non  negli  operai  e  nei  giovani  subal- 
terni. Più,  dopo,  al  proclamarsi  della  guerra,  fu  nuovamente  deciso  di  fare  :  e  fu  nuova 
delusione.  Fu  allora,  eh'  io  tentai  recarmi  in  Palermo.  Sperai  da  Gaeta,  che 
il  grido  di  Repubblica  proferito  in  Parigi  avrebbe  indotto  il  Partito  a  seguire 
in  Italia,  prima  che  la  Monarchia  profanasse  Roma;  e  il  seguito  nostro 
avrebbe  mutato  anche  le  sorti  di  Francia  ;  ma  il  grido  di  Garibaldi  sviò 
dal  segno  e  vi  trascinò  in  Francia  dove,  come  io  prediceva,  le  sorti  non 
potevano  mutarsi  da  alcuno. 

Esaurito  ogni  possibile  tentativo,  trovata  Roma,  all'  uscir  mio  da  Gaeta, 
ebbra  della  larva  di  libertà  conquistata,  mi  strinsi  nelle  spalle  e  mi  rassegnai 
dolorosamente  all'  Apostolato,  nel  quale  m'  è  inevitabile  dire  ciò  che  io  credo 
vero,  piaccia  o  non  piaccia. 

Ne  posso  altro.  Non  interverrò  a  Congressi,  Commemorazioni,  Inaugurazioni  di 
statue  o  altro  ;  mi  sembrano  inutili  o  dannosi.  L' azione  sola  può  ribattezzare 
!'  Italia.  1  giovani  dovrebbero  prepararsi,  ordinarsi  per  ogni  dove  a  piccoli  gruppi 
armoniosi,  cercando  contatti  amichevoli  col  popolo  e  coli'  esercito,  afferrare  rapi- 
damente la  prima  opportunità  ed  accelerarla  con  1'  opera  loro.  S' io  vivrò,  sarò,  nel 
momento  supremo,  dove  crederò  di  poter  meglio  secondare  l' azione  dei 
generosi,  che  1'  inizieranno.  Quanto  a  Congressi,  non  ne  conosco  che  uno  : 
quello  d'  un  cinquanta  o  sessanta  uomini,  noti  ai  repubblicani  e  al  paese, 
indotti  a  raccogliersi,  in  un  punto  dato,  per  emettere  una    legge  elettorale 


336 


GARIBALDI  E  MAZZINI 


e  convocare,  in  un  dato  giorno,  il  popolo  italiano  all'  elezione  d'  una  Costi- 
tuente. Chiamatemi  a  quello  :  verrò. 

Vi  stringo  fraternamente  la  mano  e  credetemi,   nella  fede  repubblicana, 

Vostro 
GIUS.  MAZZINI 


Un  cifrario  di  Mazzini  {Dall'  autografo). 


Tirolo l 

Friuli 2 

Cadore 3 

Trieste 4 

Dalmazia 5 

Adriatico 6 

Venezia 7 

Roma 8 

Cavour 9 

Farini 10 

Re 11 

Svizzeri 12 

Danaro 13 

Armi 14 

Napoli 15 

Genova 16 

Kossouth 17 

Klapka 18 

Ungheria 19 

Ungheresi 20 

Cento 21 

Mille 22 

Gennaio 23 

Febbraio 24 


Marzo 25 

Aprile 26 

Partenza 27 

Arrivo 28 

Volontari 29 

Napoli 30 

Capo 31 

Vespro 32 

Garibaldi 33 

Mazzini 34 

Mezzo 35 

Piemonte 36 

Esercito 37 

Brescia 38 

Bergamo 39 

Valtellina 40 

Grigioni 41 

Croazia 42 

Austriaci 43 

Milano 44 

Londra 45 

Napoleone 46 

Deposito 47 


VITTORIO   EMANUELE   II 


CAPITOLO  XIV. 


VITTORIO  EMANUELE  II  E  GARIBALDI. 
MUTUI    RAPPORTI   E   CARTEGGIO    INEDITO. 


Giuseppe  Mazzini  soleva  dire  che  bastava  soltanto  che  Vittorio  Emanuele 
avesse  scritto  a  Garibaldi,  firmandosi:  «  suo  affezionalissimo  » ,  o  gli  avesse 
parlato,  battendogli  bonariamente  la  mano  sull'omero,  perchè  l'eroe  si  arrendesse  ; 
ed  i  repubblicani  dottrinari  più  d'  una  volta  apostrofarono  Garibaldi,  chiaman- 
dolo :    <<  eterno  fanciullo,  cui  non  bastò  la  palla  d'Aspromonte  » . 

E  certo,  che  di  tutte  le  grandi  figure  del  nostro  Risorgimento,  quella  che 
esercitò  una  vera  influenza  sull'  animo  dell'  eroe  popolare  fu  la  figura  di  Vittorio 
Emanuele  ;  e  non  sarebbe,  io  penso,  un'  indagine  così  difficile  a  compiersi, 
come  a  prima  vista  potrebbe  sembrare,  quella  che  si  proponesse  di  conoscere 
la  ragione  psicologica  per  cui  Garibaldi,  repubblicano,  sprezzante  ogni  grandezza 
umana,   forte  coi  forti,   subisse  il  fascino  di  un   re. 

Se,  anche  per  esseri  superiori,  non  è  facile  il  sottrarsi  al  prestigio,  che  cir- 
conda la  persona  di  un  Sovrano,  non  fu  certamente  questa  la  ragione  della 
devozione  e  della  simpatia,   che  Garibaldi  ebbe  per  Re  Vittorio. 

Nato  l'uno  nella  Reggia,  l'altro  nella  modesta  casa  di  un  marinaio,  ave- 
vano entrambi,  in  fondo  all'  anima,  qualche  cosa  che  li  accomunava .  Di  Vit- 
torio Emanuele,  credo  si  possa  dire  che  se  il  caso  non  lo  avesse  fatto  nascere 
re,  egli  sarebbe  stato  simile  ad  una  figura  romanzesca  del  cinquecento  o  ad 
uno  di  quei  Capitani  medievali,  che  partivano  per  la  guerra  con  l' émiante, 
che  gli  cavalcava  al  fianco.  Egli  non  fu  ambizioso,  né  desideroso  del  potere  ; 
tanto  meno  poi  fu  un  diplomatico,  nel  senso  vero  della  parola.  Tutto  quel 
cerimoniale  di  Corte,  che  la  carica  di  Principe  richiede,  era  per  lui  una 
tortura.  Pieno  di  coraggio,  soldato  anche  nell'aspetto,  il  mestiere  di  re  gli 
era  di  peso  ! 

CURATOLO  22 


338  VITTORIO  EMANUELE  li  E  GARIBALDI 

Quando  un  giorno  del  '66,  Enrico  Albanese,  il  quale  dopo  Aspromonte, 
come  avremo  occasione  di  vedere,  fu  più  volte  presso  il  Sovrano  l'estensore  delle 
idee  di  Garibaldi,  andò  a  trovare  re  Vittorio  a  Firenze  (fervevano  in  quei 
giorni  le  acri  polemiche  fra  Cialdini  e  La  Marmerà)  il  re,  ad  un  certo  punto, 
mostrando  chiaramente  quale  fosse  il  suo  pensiero  sulla  questione,  se  ne  uscì  col 
dire  :  «  Se  sapeste,  caro  Albanese,  quanto  mi  pesa  questa 
livrea  di  Re  »  !  ' 

Nel  dicembre  del  1855,  quando  andò  a  Londra,  «  sbalordì  la  Corte 
inglese  » ,  come  ebbe  a  scrivere  Lord  Greville  nelle  sue  Memorie  ;  e  la  Regina 
inviava  allo  zio,  il  re  del  Belgio,  una  lettera,  che  giova  qui  ripubblicare,  perchè 
in  essa,   con  verità  e  vivacità  di  colori,  è  dato  il  ritratto  di  Vittorio  Emanuele. 


Castello  di  Windsor,  5  dicembre   1855. 
Carissimo  zio, 

Mille  scuse,  se  non  vi  ho  scritto  ieri  per  ringraziarvi  della  vostra  buona  lettera; 
ma  venerdì  e  sabato  tutto  il  mio  tempo  fu  preso  dal  mio  real  fratello  il  Re  di  Sardegna, 
e  dopo  ho  avuto  molto  da  lavorare  per  guadagnare  il  tempo  perduto.  Egli  ci  lascia 
domani,  ad  un'  ora  poco  ordinaria,  le  4  a.  m.,  come  voi  slesso  faceste  una  volta  o  due, 
perchè  desidera  essere  a  Compiègne  domani  notte  e  martedì  a  Torino.  Egli  è  «  eine 
ganz  besondere  abenteurliche  Erscheìnung  »  le  cui  maniere  ed  apparenze  stupe- 
fanno da  principio  ;  ma  come  dice  Aumale,  il  faut  l'aimer  quand  on  le  connaìt 
blen.  E  franco,  aperto,  tutto  d' un  pezzo,  liberale  e  tollerante,  e  pieno  di  buon  senso. 
Non  manca  mai  di  parola  e  ci  si  può  fidare  in  lui;  ma  è  selvaggio  e  stravagante, 
appassionalo  di  avventure  e  di  pericoli,  e  con  un  modo  di  fare  secco,  breve  e  ruvido, 
che  ricorda,  esagerato,  quello  del  suo  povero  fratello.  In  società  è  timido,  il  che  lo 
rende  anche  più  brusco  ;  non  essendo  mai  fin'  ora  uscito  di  patria,  ed  avendo  frequen- 
tato poca  gente,  non  sa  cosa  dire  a  tutti  quelli  che  gli  sono  presentati  ;  momento  tanto 
poco  piacevole,  come  so  per  esperienza.  Egli  è  sinceramente  devoto  alla  famiglia 
Orleans,  particolarmente  ad  Aumale  e  sarà  per  loro  un  amico  ed  un  consigliere.  Oggi 
riceverà  l' ordine  della  Giarrettiera.  Egli  è  più  un  Cavaliere  o  un  re  del  Medio 
Evo,  che  un  uomo  dei  tempi  nostri.  ' 

Le  passioni  principali  di  Vittorio  Emanuele  furono  la  caccia,  i  cavalli  e.... 
r  eterno  femminino  !   Nel    1 860,    fece  la   campagna   dell'  Umbria  accompagnato 


'  Da  una  conversazione  da  me  avuta  col    prof.  Manfredi  Albanese,    figlio  dell'  illustre 
patriota  siciliano. 

'  The  Lettera  of  Queen  Victoria-  London,   1908,  voi.  111.  pagg.  155-156. 


MUTUI  RAPPORTI  E  CARIEGGIO  INEDITO  339 

dalla  Signora,  come  egli  chiamava  la  bella  Rosina,  divenuta  poi  contessa  Mira- 
fiori  ;  quella  Rosina  che  il  re  aveva  veduto  la  prima  volta  nel  Castello  di  Racconigi, 
ragazza  a  quindici  anni,  di  cui  s'  innamorò  pazzamente  e  la  quale  esercitò  sempre 
suir  animo  del  Sovrano  una  grande  influenza  ;  che  però  non  usò  per  nuocere 
o   intrigare,    come  Madame  de  Pompadour  o  la   Dubarry. 

11  generale  Della  Rocca,  che  segui  il  re  nella  campagna  del  '60,  così 
descrive  la  bella  Rosina  :  «  Quantunque  fosse  già  da  1 4  anni  con  Vittorio 
Emanuele  e  toccasse  la  trentina,  essa  dimostrava  di  essere  molto  più  giovane 
e  conservava  la  sua  bellezza  ;  vestiva  però  in  modo  teatrale,  senza  garbo,  né 
grazia.  Rammento  che  una  mattina,  non  avendo  terminato  il  mio  lavoro  col 
re,  egli  mi  trattenne  a  colazione  per  continuarlo  dopo.  La  Rosina  venne  a 
tavola  con  una  veste  da  camera  larga  e  lunga  oltre  misura  ;  in  capo  aveva  un 
diadema  di  brillanti,  una  collana  di  perle  le  scendeva  sulla  vita,  e  i  polsi  e  le 
dita  erano  sopraccariche  di  gemme.  Mi  fece  un  po'  il  viso  dell'  arme  ;  ce  l'aveva 
con  me,  perchè  sebbene  io  1'  avessi  conosciuta  da  piccola,  non  m' ero  più  fatto 
vedere  da  lei,   dopo  che  era  col  re». 

Le  qualità  romanzesche  di  Vittorio  Emanuele  dovevano  renderlo  personal- 
mente simpatico  ad  un  uomo  della  tempra  di  Garibaldi  ;  il  quale,  e  questa 
fu  la  causa  vera  dell'  unione  di  queste  due  gigantesche  figure,  era  fermamente  con- 
vinto, che  r  indipendenza  e  1'  unità  d'  Italia  non  sarebbero  state  possibili  senza 
r  alleanza  della  rivoluzione  col  re  del  libero  Piemonte.  Se  Garibaldi  non  avesse 
avuto  un  profondo  intuito  della  necessità  del  presente,  un  vero  senno  politico; 
se  non  avesse  nutrito  quest'  intimo  convincimento,  per  il  quale  egli  aveva  rinunziato 
alla  sua  fede  di  repubblicano,  l' unità  d' Italia,  come  dissi  altrove,  non  si 
sarebbe  fatta. 

Il  brano  autografo,  trascritto  nel  Capitolo  11,  ci  ha  mostrato  quale  fosse  il 
programma  dell'eroe,  fin  da  quando  egli,  dopo  il  secondo  esilio,  ritornava 
definitivamente  in  patria:  unirsi  al  Piemonte.  D'allora  in  poi,  il  suo  motto  fu 
sempre  «  Italia  e  Vittorio  Emanuele  »  e,  liberato  il  regno  delle  Due  Sicilie, 
con  r  anima  lacerata  per  il  trattamento,  che  si  faceva  ai  suoi  compagni  d'arme, 
il    suo    grido  ed  il  suo  programma  rimasero  immutati. 

Nel  novembre  del  1  860,  il  giorno  dopo  del  suo  ritorno  a  Caprera,  alle  nume- 
rose lettere  e  telegrammi,  che  lo  invitavano  a  ritornare  in  Napoli,  Garibaldi 
rispondeva  col  seguente  nobilissimo  proclama,  che  venne  allora  pubblicato. 


'  Generale  Enrico  Della  Rocca  -  Loco  citato,  pagg.  64  e  65. 


340  VITTORIO  EMANUELE  II  E  GARIBALDI 

GARIBALDI  AL  POPOLO  NAPOLETANO. 

Caprera,   1 1   novembre   1 860. 
Italiani  di  Napoli, 

Se  allontanandomi  da  voi  provai  dispiacere,  Io  sa  Iddio.  Ciononostante  la  mia 
missione  presso  di  voi  era  termmata  e  dovetti  prendere  congedo.  Lo  feci  col  cuore 
infranto. 

Ora,  con  le  vostre  lagnanze,  aumentate  il  mio  dolore  e  mi  chiedete  di  ritornare  in 
mezzo  a  voi.  Io  non  Io  posso  amici  miei,  perchè  promisi  a  me  medesimo  di  non  fare 
ostacolo  colla  mia  presenza  alla  vostra  prosperità,  che  si  compirà  sotto  lo  scettro  del 
Re  galantuomo. 

Credetemi  adunque  ;  se  la  mia  missione  è  questa  :  di  liberare  i  popoli  italiani  dalla 
schiavitù  e  dalla  tirannia,  io  la  feci,  o  Napoletani,  per  mezzo  delle  vostre  forze  e  del 
vostro  coraggio. 

Sì,  voi  siete  liberi,  e  la  mia  presenza  in  mezzo  a  voi  non  sarebbe  di  nessun  profitto  ; 
sarebbe  un  ritardo  al  vostro  miglioramento.  Voi  foste  ancora  più  felici  degli  altri,  poiché 
vi  sono  italiani  tutt'  ora  nella  schiavitù. 

Perchè  v'  inquietate  ?  Perchè  mi  richiamate  senza  bisogno  ?  Lasciate  che  per  alcuni 
mesi  riposi  il  mio  corpo  e  il  mio  spirito,  perchè  altre  fatiche  mi  aspettano  ;  altri  lavori 
ed  altre  sofferenze  !  Ma  ciò  non  è  nulla  ;  si  tratta  dell'  Italia  ed  è  per  I*  ItaHa,  che  si 
consuma  la  mia  vita. 

Roma  e  Venezia  aspettano  il  mio  aiuto.  Esse  pure  fanno  parte  dell'  Italia  ;  i  loro 
abitanti  sono  nostri  fratelli  e  gemono  tutt'  ora  sotto  la  dura  schiavitù  dell'  Austria. 
Lasciatemi  riprendere  la  lena  necessaria  per  far  fronte  alla  tempesta  che  minaccia. 

Sentite  il  leone  che  rugge  ?  Il  suo  ruggito  è  di  rabbia,  poiché  conosce  che  il  suo 
orgoglio  sta  per  essere  abbattuto.  Egli  teme  questo  braccio,  che  Dio  fece  p>ossente 
per  abbattere  il  suo  orgoglio  brutale. 

Vedete  i  nipoti  degli  antichi  romani  ?  11  sangue  dei  loro  avi  scorre  ancora  nelle 
loro  vene  ;  ma  furono  rovesciati  per  terra,  col  volto  nel  fango  e  carichi  di  un  peso, 
che  li  tiene  tuttavia  oppressi.  Essi  hanno  bisogno  di  una  mano,  che  li  aiuti  a  rialzarsi 
e  a  riprendere  la  loro  fierezza,  e  questa  mano  ha  d'  uopo  di  riposo  per  ricuperare  la 
(orza,  che  gli  è  necessaria. 

Che  la  ragione  e  la  filantropia  cedano  il  luogo  all'  amore,  che  nutrite  per  me.  Io 
ritornerò  in  mezzo  a  voi  da  qui  a  qualche  mese.  Mi  rivedrete  ancora  ;  ma  allora  mi 
abbisognerà  una  prova  del  vostro  amore. 

Se  è  vero  che  voi  mi  amate,  del  che  non  dubito,  seguitemi  miei  cari,  seguitemi, 
allorquando  ci  riuniremo  per  liberare  i  nostri  fratelli  di  Roma  e  di  Venezia,  e  tutti, 
contenti,  uniti  gli  uni  agli  altri,  faremo  l' Italia  una,  indipendente,  e  degli  Italiani  sotto 
lo  scettro  del  Re  galantuomo,  Vittorio  Emanuele  II. 

Addio  !  alla  fine  di  marzo  ci  abbracceremo. 

a  GARIBALDI 


MUTUI  RAPPORTI  E  CARTEGGIO  INEDITO  341 


E  pochi  giorni  dopo,  il  28  novembre,  lanciava  il  seguente  appello.  {Vedi 
facsimile). 

Appello  di  Garibaldi  agli  Italiani. 

ITALIA  E  VITTORIO  EMANUELE 

Gl'Italiani  non  devono  staccarsi  da  questo  programma: 
Vittorio  Emanuele  è  il  solo  indispensabile  in  Italia,  colui,  attorno  al  quale 
decono  rannodarsi  tutti  gli  uomini  della  nostra  penisola,  che  ne  vogliono  il 
bene.  Io  non  mi  curo  che  il  Ministero  si  chiami  Cavour  o  Cattaneo  —  ciò 
che  mi  preme  e  che  devono  esigere  inesorabilmente  gì'  Italiani  tutti  si  è  :  che 
il  r  di  marzo  1861  trovi  Vittorio  Emanuele  alla  testa  di  cinquecentomila 
soldati. 

Questo  nobile  appello  fu  allora  pubblicato  nel  «  Movimento  ».  Ma 
fra  r  autografo  e  la  pubblicazione  che  quel  giornale  ne  fece,  vi  è  una  discor- 
danza. Nel  primo  si  legge  :  Io  non  mi  curo,  che  il  Ministero  si  chiami  Cavour 
o  Cattaneo,  mentre  nella  pubblicazione  del  «  Movimento  »  è  detto  :  Io  non 
mi  curo  che  il  Ministero  si  chiami  Cavour  o  Cattaneo  (assai  preferibile  il 
secondo).  E,  probabile,  che  il  Generale  abbia  dopo  aggiunto  la  frase,  che  manca 
neir  autografo,  scritto  di  primo  getto. 

Infine,  in  una  lettera  del   29   dicembre,  scriveva  al  Bellazzi  : 

«  Nella  sacra  via  che  si  segue,  io  desidero  che  scomparisca  ogni  indizio 
di  partiti.  I  nostri  antagonisti  sono  un  partito  ;  essi  vogliono  l' Italia  fatta  da  loro 
con  il  concorso  dello  straniero  e  senza  di  noi.  Noi  siamo  la  Nazione  : 
non  vogliamo  altro  capo  che  Vittorio  Emanuele  e  non  esclu- 
diamo nessun  italiano,  che  voglia  francamente  come  noi  >^. 

Ma  a  dimostrare  ancora  meglio,  quello  che  del  Re  pensava  Garibaldi,  è 
bene  il  leggere  i  due  seguenti  brani  autografi  inediti,  che  tolgo  dal  mio  Archivio, 
il  primo  fa  parte  di  un  lungo  scritto  del  Generale  sulla  guerra  del  '59. 

Giudizi  inediti  di  Garibaldi  su  Vittorio  Emanuele. 

«  //  re,  che  io  credo  l'unico  uomo  di  capacità  vera  fra  quanti  sono  al 
timone  delle  cose,  ma  che  per  disgrazia  dell'  Italia,  egli  crede  non  esserlo,  si 
lascia  traviare  da  faccendieri  ». 


342  VITTORIO  EMANUELE  11  E  GARIBALDI 

L'  altro  brano  vergato  due  anni  dopo,  quando  il  partito  moderato  cercava  di 
influire  sull'  animo  del  re,   suona  così  : 

«  Vittorio  Emanuele  con  la  Nazione  sarà  sempre  amato,  sarà  arbitro  della 
Europa  e  la  sua  dinastia  sarà  etema  in  Italia.  Ma  egli,  con  i  moderati 
(s' intende  moderati  per  fare  il  bene,  ma  leoni  per  fare  il  male)  e  con 

un  esercito  di  carabinieri,  sarà  sempre  addolorato  da  rivoluzioni  ed  in  pericolo 

la  sua  dinastia. 

G.  GARIBALDI 

Caprera,   2  novembre    1861  ». 

Dopo  la  tragedia  di  Aspromonte,  Garibaldi  ebbe  verso  Vittorio  Emanuele 
impeti  di  sdegno  e  di  dolore,  che  egli,  ancora  la  palla  nelle  carni,  cantò  sulla 
cetra  rosseggiante  di  sangue.  Ma  quest'  impeti  di  sdegno  cantati  in  intimo  colloquio 
con  se  medesimo,  non  erano  se  non  il  risentimento,  acre  quanto  si  vuole,  verso 
una  persona,  che  si  è  amata  e  che  si  ama  ancora.  Tale  non  fu  lo  sdegno 
di  Garibaldi  contro  Cavour,  contro  i  repubblicani  intransigenti  e  contro  lo  stesso 
Mazzini  ;  sdegno  che  1'  eroe  consacrò  in  lunghe  pagine,  ancora  inedite,  che  la 
Storia  dovrà  un  giorno  pure  conoscere. 

Disse  il  Pascoli,  a  proposito  del  Poema  di  Garibaldi  :  «  Egli,  non  disse 
ad  altri  parole  amare  sul  galantuomo  ;  a  sé  medesimo  le  disse  :  amare,  ironiche, 
anche  atroci  parole.   Ritorna  anche  all'  accusa  fatta  a  Cavour  : 

A  dar  battaglia  ei  viene 

A  chi  del  mondo  la  prima  corona 

Pose  ai  suoi  piedi. 

Sembra  davvero  di  sentire  alle  pendici  del  Palatino,  nel  vespro  tacito  e 
luminoso  del  primo  giorno  di  Roma,  dopo  1'  augusto  augurio  della  sacra  aratura, 
r  aspro  rissare  dei  due  divini  fratelli  !  Due  fratelli  sì,  e  concordi  sino  allora  ed 
anche  dopo  ;  due  grandi  audacie  :  due  possenti  predatori  di  regni,  in  nome  del 
diritto  !  » 

* 

Che  fra  Vittorio  Emanuele  e  Garibaldi  vi  fosse  stata,  nel  I  860,  una  serie 
vicendevole  di  ambascerie  non  s' ignorava  ;  il  fatto  ci  era  stato  anche  recentemente 
confermato  dalla  pubblicazione  del  carteggio  di  Michele  Amari. 


MUTUI  RAPPORTI  E  CARTEGGIO  INEDITO  343 

Gli  ambasciatori  fra  i  due  grandi  personaggi  furono  il  conte  Michele  Amari, 
cugino  dello  storico,  rimasto  in  Genova  quale  rappresentante  ufficiale  di  Gari- 
baldi ;  il  conte  Vimercati,  ufficiale  di  ordinanza  del  re,  il  Brambilla  ed  anche 
il  Tiirr  ;  il  quale,  essendo  stato  obbligato  a  lasciare  per  qualche  tempo  la  Sicilia 
ed  a  recarsi  ad  Aix-les-Bains  ad  intraprendere  una  cura  passò  da  Torino 
e  si  recò  presso  S.   M.   ad  esporre  le  idee  del  Generale. 

Ma  r  ambasciatore  accreditato  fra  Vittorio  Emanuele  e  Garibaldi  fu  il 
cremonese,  marchese  Gaspare  Trecchi  ;  il  quale,  per  meglio  disimpegnare  la 
sua  missione,  aveva  la  carica  di  Aiutante  di  campo  di  Sua  Maestà  e  al 
tempo  stesso  quella  di  capitano  dello  Stato  Maggiore  di  Garibaldi.  Appassionato 
anch'  egli  per  la  caccia  e  per  i  cavalli,  il  Trecchi  era  persona  molto  gradita 
a  Vittorio  Emanuele  e  devota  al  Garibaldi,  ai  cui  ordini  aveva  combattuto 
r  anno  innanzi  nel  corpo  dei  Cacciatori  delle  Alpi.  La  recente  pubblicazione 
delle  carte  del  Trecchi  ha,  in  parte,  mostrato  quale  sia  stata  1'  opera  di  lui 
durante  la  campagna  di  Sicilia. 

Quello  però,  che  s'  ignorava  si  è,  che  vi  fosse  stato  un  vero  carteggio 
personale  fra  il  re  e  Garibaldi,  senza  la  compartecipazione  di  Cavour,  talvolta 
contro  Cavour.  Questo  carteggio  prova,  che  se  il  1  860  fu  per  Giuseppe  Mazzini 
r  anno  della  più  grande  amarezza  e  per  il  conte  di  Cavour  la  palestra  della 
sua  politica,  esso  fu  Tanno  in  cui  Re  ed  Eroe  cospirarono  insieme  contro  tutta 
r  Europa  reazionaria,  insofferenti  entrambi,  questi  due  magnanimi  cuori  di  soldati 
quali  erano,   da  ogni  diplomazia  interna  o  straniera. 

Dopo  mezzo  secolo,  alcuni  modesti  fogli  di  carta,  senza  inutili  stemmi, 
vergati  dalla  maschia  scrittura  di  un  re  e  passati  nelle  mani  del  più  nobile 
figlio  del  popolo,  mdurite  per  la  libertà  degli  oppressi,  vengono  alla  luce  a 
testimoniare  quella  comunanza  d' intenti,  quell'  unità  di  sentire,  che  nei  giorni 
più  memorabih  dell'  azione,  unì  Principe  e  Popolo  e  per  cui  l' Italia  divenne 
libera  ed  una.  Essi  innalzano  la  figura  di  Vittorio  Emanuele  ;  di  questo 
Sovrano  che,  pur  cospirando,  conobbe  la  saggezza  e  che  seppe  essere  Re  ;  ed 
aggiungono  una  nuova  e  più  fulgida  pagina  nella  vita  di  Garibaldi,  che  ad 
ogni  giusto  ed  umano  risentimento,  antepose  soltanto  il  sacro  amore  per  la 
Patria  ;  che  seppe  essere  Eroe.  Perchè,  in  verità,  è  con  l' animo  invaso  da 
un    sentimento    profondo    di    tristezza,    che    si    legge    1*  ultima    lettera    scritta. 


'  G.  Manacorda  -  Vitlorìo  Emanuele  II  e  Garibaldi  nel  1860.  In  -^  Nuova  .Antologia  », 
I"  giugno   1910. 


344  VITTORIO  EMANUELE  II  E  GARIBALDI 


nel  1 860,  da  Vittorio  Emanuele  al  glorioso  Duce  dei  Mille,  due  giorni  avanti 
che  questi  ritornasse  all'  isola  prediletta,  modesto  nella  sua  gloria,  povero  come 
era  partito. 

Quando  si  pensa  alla  miracolosa  opera  da  quest'  uomo  compiuta  nello 
svolgersi  di  pochi  mesi,  alla  sua  lealtà,  al  suo  magnanimo  disinteresse,  il  rifiuto 
da  parte  del  re  alla  domanda  fatta  da  Garibaldi,  di  essere  nominato,  ne!  supremo 
interesse  del  paese,  luogotenente  di  quel  regno,  che  egli  aveva  conquistato  e 
donato,    non    può    che  apparire  inopportuno. 

Si  consideri,  che  se  il  regno  delle  Due  Sicilie  era  stato  liberato  dal  giogo 
dei  Borboni,  cosi  non  poteva  dirsi  della  grande  corruzione,  che  quel  governo 
nefasto  aveva  lungamente  esercitato  su  tutti  i  pubblici  poteri  ;  onde,  il  concen- 
trare, temporaneamente,  la  direzione  di  ogni  cosa  nelle  mani  di  un  uomo  non 
soltanto  abile,  ma  davanti  al  quale  ognuno  s' inchinava,  per  il  fascino  del  nome 
e  la  grandezza  delle  opere  compiute,  sarebbe  stata  opera  antiveggente  di  senno 
politico  ed  era  suprema  necessità  del  momento.  E  chi,  se  non  Garibaldi,  poteva 
in  se  riunire  tali  qualità? 

Ma,  nella  storia  del  nostro  Risorgimento,  ciascun  personaggio  aveva  la  sua 
missione  da  compiere  ;  e  Garibaldi  doveva  essere  1'  eroe  di  quella  grande 
epopea.  Dopo  i  giorni  della  gloria,  se  Garibaldi  fosse  rimasto  in  Napoli,  fra  le 
meschine  lotte  dei  partiti,  si  sarebbe  impicciolito.  Quello  non  era  più  campo 
per  lui  ! 

Caprera,  lo  scoglio  venturoso,  fu  allora  come  sempre,  per  quella  grande 
anima  latina  il  nobile  rifugio,  la  terra  dalla  quale,  come  Anteo,  egli  doveva 
riprendere  le  forze  per  continuare  la  missione,  che  la  provvidenza  gli  aveva 
assegnato. 

Se  gli  eventi  della  Storia  dovessero  giudicarsi  dal  lato  del  sentimento,  la 
lettera  che  Re  Vittorio  scrisse  il  7  novembre  del  '60,  per  quanto  redatta  in 
forma  affettuosa  è  —  perchè  non  dirlo  ?  —  una  lettera  di  congedo  all'  uomo, 
che  con  le  sue  gesta  aveva  conquistato  e  donato  un  regno  ;  onde  essa  potrebbe 
apparire  una  pagina  non  bella  per  la  storia  della  Monarchia  !  Ma,  come  disse 
un  giorno  Francesco  Crispi,  queste  sono  macchie,  che  non  salgono  in  alto  ; 
ma  si  arrestano  sotto  i  gradini  del  trono.  Quella  lettera  e  molti  degli  atti 
compiuti  dal  re  in  quei  giorni  animati,  più  che  mai,  dal  turbine  della  passione, 
non  vennero  dettali  dal  cuore  di  Vittorio  Emanuele  ;  ma  gli  furono  suggeriti 
da  coloro,   che  gli  stavano  intorno. 

Il  Comitato  regionale  piemontese  della  Società  Nazionale  per  la  Storia  del 
Risorgimento  Italiano,  in  occasione    del    centenario  di  Camillo  Cavour,    pubbli- 


^. 


<5^ 


^^  ^4^é_-  ^f^^/^Sz^ 


»»'**'^>'£^_ 


s 


Lettera  di  Vittorio  Emanuele  a  Garibaldi 
portata  in   Palermo  dal  conte  Michele  Amari,  nella  prima  metà  del  luglio    1860.  (Vedi  pag.  347). 


"-rft,.^j(Z— ^  i/'^-'-t^*^^^^      ^9'■'^.->.^)rt>£..'/^^  ^'^^'"^^ 


■^f*^L 


^''^-«^■^^'-w^C-- 


y'/-*.-'^^^'^^^^ —  "tk^^ 


V>*' 


—  — y9 


*♦'    /«-e 


<?t---«^ 


Promemoria  autografo  di  Vittorio  Emanuele  consegnato  al  conte  Michele  Amari, 
e  contenente  le  idee  da  esporre  a  Garibaldi.  (Vedi  pag.  348). 


MUTUI  RAPPORTI  E  CARTEGGIO  INEDITO  345 

cava  uno  scritto  apologetico  del  grande  statista,  in  cui  si  parla  della  «  compagnia 
malvagia  e  scempia»,  che  attorniava  Garibaldi  nel  1860.  Acri  parole,  che 
sono  da  riprovarsi  in  coloro  che  oggi  si  accingono  a  studiare,  con  animo  libero, 
gli  avvenimenti  di  quell'epoca  ;  onde  bene  fu,  che  l'ultimo  pensiero  di  uno  fra  i 
più  venerati  dei  Mille,  di  Giuseppe  Cesare  Abba,  fosse  rivolto  a  quella  «  compagnia 
malvagia  e  scempia,  che  attorniava  Garibaldi  e  che  dava  all'Italia  la  sua  unità  !  >* 

In  verità,  se  compagnia  malvagia  vi  fu,  in  quei  giorni  memorabili,  essa  fu 
quella  che,  al  bene  della  patria  ed  alla  concordia  degli  animi,  antepose  la 
passione  di  parte  e  la  gelosia  di  corpo  ;  quella  che  circondò  e  male  consigliò 
Vittorio  Emanuele  ;  che  seminò  la  discordia  ed  allontanò  i  cuori,  creando  quel 
dissidio,  divenuto  poscia  gigante,  fra  1'  Esercito  regolare  e  gli  avanzi  dell'armata 
di  Garibaldi.  Fu  essa,  la  compagnia  malvagia,  che  amareggiò  il  cuore  del 
re  e   quello  di  Garibaldi  ! 

Giuseppe  Guerzoni,  storico  imparziale,  scrive  :  «  Vittorio  Ejnanuele,  mal 
consigliato,  mancò  spesso  in  Napoli  alle  forme  di  cortesia,  che  sarebbero  state, 
in   quel   caso,   anche  le  forme   della   buona   politica  ». 

Si  fece  sloggiare  Alessandro  Dumas  dal  palazzetto  di  Chiatamone,  che  il 
Generale  gli  aveva  prestato  ;  il  dittatore  mandava  al  Giornale  Ufficiale  alcuni 
decreti  per  essere  pubblicati  e  gli  si  nspondeva,  che  il  Ministero  dell'  Interno, 
per  ordine  superiore,  aveva  proibito  1'  inserzione  di  nuovi  decreti  ;  si  fece  scrivere 
al  generale  Della  Rocca  un  ordine  del  giorno  di  encomio  all'  esercito  garibaldino, 
che  poteva  e  doveva  essere  scritto  dal  re  stesso  ;  ed  il  6  novembre,  quando 
Garibaldi  passò  in  rivista  i  gloriosi  superstiti  di  quel  pugno  di  prodi,  che  aveva 
affrontato  la  morte  soltanto  per  la  realizzazione  di  un  grande  ideale,  si  attese  invano 
che  il  re  venisse  ad  onorare  di  un  suo  sguardo  i  valorosi  di  Calatafimi  e  del  Volturno. 
E  come  se  ciò  non  bastasse,  in  quel  giorno  stesso  si  emanò  il  decreto,  che  nomi- 
nava Luogotenente  generale  del  Napoletano  l'autore  del  proclama  del  9  ottobre  ; 
di  quel  proclama,  che  aveva  generato  grande  amarezza  nell'  anima  di  Gari- 
baldi ed  impeti  di  sdegno  nel  corpo  dei  volontari  ;  proprio  in  quel  giorno,  dico, 
si  nominava  Farini  al  posto,  che  era  stato  rifiutato  a  Garibaldi.  E  Farini 
annunziava  ai  Napoletani  la  sua  nuova  carica,  dimenticando  perfino  di  nominare 
Garibaldi,  come  lo  si  fece  più  tardi  dimenticare  al  re,  nel  suo  proclama  ai 
Palermitani  ! 

Ma  abbiamo,  sul  proposito,  una  testimonianza  ed  un  giudizio  assai  più  impor- 
tanti ed  ancora  meno  sospetti  :  quelli  di  un  Aiutante  di  campo  del  re. 

«  Il  colonnello  Genova  di  Revel,  scrive  il  generale  Della  Rocca,  mi  aveva 
accusato  di  avere  fatto  opposizione  al  Fanti,  riguardo  allo  scioglimento  dell'esercito 


346  VITTORIO  EMANUELE  II  E  GARIBALDI 


garibaldino  e  di  avere  suggerito  al  re  soverchia  indulgenza  verso  l'armata  meri- 
dionale, a  danno  di  quella  regolare.  Il  Fanti,  sempre  Ministro  della  guerra, 
quantunque  capo  di  Stato  Maggiore  del  re,  prevedendo  i  disordini  e  gì'  impicci 
che  avrebbero  cagionato  i  volontari  a  guerra  finita,  faceva,  certamente  non  a  torto, 
qualche  pressione  sul  re,  affinchè  si  decidesse  a  scioglierli  subito.  A  Vittorio 
Emanuele,  che  riconosceva  i  grandi  servigi  resi  dal  Garibaldi  e  la  perfetta 
lealtà  e  generosità  di  lui,  repugnava  una  troppo  pronta,  anzi  precipitosa  riso- 
luzione a  jar  cosa,  che  senza  dubbio  gli  sarebbe  dispiaciuta.  Rammento  benis- 
simo, che  mi  disse  in  quei  giorni  :  «  Mi  spingono  troppo,  mi  fanno  fare 
cattiva  figura  :  io  non  voglio  assolutamente  essere  da  meno  del 
Garibaldi,  in  generosità  ».  Queste  impressioni,  affatto  personali,  di  Vittorio 
Emanuele,  nessuno  gliele  suggeriva,  e  io  certamente  non  potevo  contraddirlo, 
anzi  forse  ne  sentivo  l'influenza;  ammirato,  come  ero  anch'io,  della  condotta 
di  Garibaldi,  che  verso  di  me,  sotto  Capua,  non  avrebbe  potuto  essere  più  corretta 
e  più  nobile.  E  siccome  egli,  nei  suoi  proclami,  parlando  dell'  Esercito  piemontese 
si  era  espresso  con  le  parole  :  —  /  nostri  fratelli  —  anch'  io,  dovendo  emanare 
un  ordine  del  giorno  alle  mie  truppe,  dopo  la  presa  di  Capua,  credetti  conve- 
niente e  giusto  di  chiamare  i  garibaldini  —  1'  Armata  sorella  — ,  da  questa 
espressione,  che  dispiacque  al  colonnello  di  Revel  e  da  qualche  mia  dimostra- 
zione di  affettuosa  riverenza  verso  Garibaldi,  egli  traeva  la  conseguenza,  che  io 
fossi  più  favorevole  agi'  interessi  dei  volontari,  che  a  quelli  dell'  Esercito  regolare 
a  cui  appartenevo  ». 

Lo  schietto  parlare  dell'  Aiutante  di  campo  di  Sua  Maestà  è  la  migliore 
testimonianza  per  provare,  che  se  nel  '60  certi  meriti  ebbero  coloro  che  attor- 
niavano il  re,  (come  in  epoca  posteriore  nel  '62  ad  Aspromonte  e  nel  '67  a 
Mentana)  questi  meriti  essi  se  li  fecero  a  spese  del  cuore  di  Vittorio  Emanuele 
e  della  magnanimità  di   Garibaldi. 

Ma,  senza  oltre  indugiarmi,  trascrivo  dagli  aulogréifi  del  mio  Archivio,  e  per 
ordine  cronologico,  le  lettere  di  Re  Vittorio,  facendo  seguire  a  ciascuna  di 
esse  un  breve  e  necessario  commento.  A  meglio  illustrare  i  rapporti  fra  re  e 
Garibaldi,  mi  parve  utile  pubblicare  anche  in  questo  Capitolo  alcuni  documenti 
di  epoca  posteriore  che  trovansi  nella    mia    raccolta. 

I  facsimili  riproducono  le  lettere  del   re  nella  loro  grandezza  naturale. 


*  Generale  E.  Della  Rocca  -  Autobiografia  di  un    Veterano,  voi.  II,    pag.  88-89. 


MUTUI  RAPPORTI  E  CARTEGGIO  INEDITO  347 


VITTORIO  EMANUELE  A  GARIBALDI. 


Caro  Garibaldi, 

Vi  mando  Amari  che  ricevetti  solo  guest'  oggi,  8  luglio,  per  ragioni  a 
lui  note. 

Fate  il  piacere  di  ascoltarlo  attentamente  nelle  cose,  che  vi  dirà  da  parte 
mia  e  di  farmi  subito  risposta.  Più  tardi  vi  manderò  Trecchi  con  nuove  notizie. 
Grazie  di  quel  che  avete  fatto  voi  ed  i  vostri  per  la  nostra  patria  comune.  Spero 
in  Dio  e  in  noi,   che  la  Stella  d' Italia  continuerà  ad  illuminarci. 

Conservatemi  la  vostra  cara  amicizia. 

VITTORIO  EMANUELE 


L*  Amari  di  cui  si  parla  è  il  conte  Michele  Amari  rimasto,  come  già  dissi, 
a  Genova  in  qualità  di  rappresentante  officiale  di  Garibaldi.  La  lettera  è  senza 
data  ;  ma  credo  sia  stata  scritta  verso  i  primi  di  luglio,  perchè  in  quell'  epoca 
r  Amari  partì  per  la  Sicilia,  da  dove  dovette  ritornare  verso  il  20  luglio.  Infatti, 
in  data  del  22,  scriveva  da  Genova  al  cugino,  suo  omonimo,  a  Palermo  : 
«  Ritornato  da  Palermo  fui  dal  re  ;  egli  mi  accolse  come  un  antico  suo  amico  ; 
tu  saresti  diventato  suo  intimo,  perchè,  oltre  alle  belle  doti  del  tuo  ingegno,  hai 
quel  pregio  che  a  Vittorio  Emanuele  piace  assai  ;  essere  cacciatore.  Io  andai  a 
trovarlo  sulle  montagne  di  Valdieri.  Mi  parlò  della  Sicilia.  Invidiava  Garibaldi 
ed  avrebbe  desiderato  potere  menare  le  sue  mani,  tale  quale  fa  il  nizzardo 
Generale.  Vittorio  Emanuele  davvero  ama  Garibaldi ....  Ti  avverto  che 
Cavour,  ogni  volta  che  mi  vede,  mi  domanda  tue  nuove,  e  quando  seppie  che 
tu  eri  al  Ministero,   ne  mostrò  vero  piacere ....».' 

Pur  troppo  i  soliti  puntini,  messi  nel  punto  più  culminante  della  lettera, 
fanno  perdere  al  documento  quasi  tutta  la  sua  importanza  ! 

Che  Vittorio  Emanuele,  alle  notizie  delle  gesta  di  Garibaldi,  desiderasse 
anch'egli  di  menar  le  mani  lo  apprendiamo  da  una  lettera  inedita  del  mio  Archivio, 


'  A.  D'Ancona  -  Carteggio  di  Michele  Amari,  voi.  li,  pag.   108. 


348  VITTORIO  EMANUELE  II  E  GARIBALDI 


del  21  giugno,  diretta  da  Vecchi  a  Garibaldi,  nella  quale  fra  l'altro  si  dice:  «  Pagai 
franchi  250  al  Castaldi  pel  cavallo,  che  Cenni  aveva  fatto  dubitare.  Suo  fratello, 
vostro  aiutante,  tornato  qui,  fu  fatto  in  premio,  tenente  di  vascello.  Re  Vittorio, 
saputolo  in  Torino,  lo  mandò  a  chiamare  per  sapere,  da  un  testimone  oculare, 
tutti  i  particolari  della  spedizione  vostra.  Die  un  pugno  sul  tavolino  e 
disse  :  «  E  mi  stai  si,  intant  che  el  me  amis  Garibaldi  s'  batt,  a  fé 
la  ciulla  ».  —  Rotava  gli  occhi  nelle  orbite  a  far  paura.  Promise  ci 
avrebbe  fatto  spedire  armi  e  munizioni.  E  stimo  le  abbiate  subito  ricevute  ». 


VITTORIO  EMANUELE  A  GARIBALDI. 

II. 

Riguardo  alla  lega  non  accetto  ;  strascinerò  in  lungo,  facendo  proposte  e 
contro  proposte  che  lui  non  possa  accettare. 

Riguardo  ad  impedire   Garibaldi  di  continuare,  secondo  la  domanda  della 
Francia,  mi  ci  sono  opposto. 

Fare  subito  annessione  e  manderò  Depretis. 

Non  fidarsi  che  di  me  e  di  nessun  altro. 

Non  partire  per  Spedizione  di  Napoli  senza  che  io  lo  sappia,  per    non 
imbrogliare  i  miei  progetti  e  per  essere  sempre  di  accordo. 

Stabilita  lega  tra  Austria,   Russia  e  Prussia  contro  di  me  per  guest'  anno 
venturo. 

Io  prendo  le  mie  misure  per  fare  convenzione  con  la  Francia,  per  fare 
attaccare  V  Austria  sul  Reno,   quando  mi  attaccherà. 

Tanti  saluti  al  mio  amico   Garibaldi. 

VITTORIO  EMANUELE 


Non  occorre,  che  mi  soffermi  lungamente  per  rilevare  la  grande  importanza 
di  questo  autografo,  consegnato,  credo,  a  Garibaldi  dallo  stesso  Amari.  In  esso 
Vittorio  Emanuele  annotò  le  idee,  che  dovevano  essere  comunicate  al  dittatore 
dall'Amari.   Questi  lasciò  nelle  mani  di  Garibaldi  il  compromettente  foglio. 

E  da  escludersi,  che  esso  sia  stato  portato  dal  Trecchi  ;  il  quale,  sia  detto 
incidentalmente,  aveva  dato  le  dimissioni  di  capitano  di  cavalleria  il  1  4  giugno, 
ed  era  subito  partito  per  la  Sicilia  ;  il  1 6  lo  troviamo  a  Cagliari  ed  il  19  a 
Palermo.  Poi,  con  decreto  del  20,  Garibaldi  lo  nominò  capitano  di  Stato  Maggiore. 


.<^ 


.^^-^PT^-^^C^ 


Lettera  di  Vittorio  Emanuele  a  Garibaldi  dopo  che  questi  era  eni.ato  in  Napoli.  (Vedi  pag.  351) 


MUTUI  RAPPORTI  E  CARTEGGIO  INEDITO  349 


Ma  la  presenza  del  Treccili  a  Palermo  non  fu  che  di  pochi  giorni  :  il  dittatore  lo 
utilizzò  tosto,  inviandolo  a  Torino  con  missione  presso  Sua  Maestà  di  nominare  un 
prodittatore.  «  Va  il  maggiore  Trecchi,  scriveva  Garibaldi,  in  data  del  2  luglio, 
in  missione  importante  presso  S.  M.  Vittorio  Emanuele  » .  Fra  i  nomi  dei  prodit- 
tatori, che  Trecchi  portava  segnati  di  mano  di  Garibaldi  era  quello  del  Depretis. 
Il  6  luglio,  Trecchi  scriveva  da  Genova  la  seguente  lettera  : 

Trecchi  a  Garibaldi. 

Genova,  6  luglio   1860. 
Carissimo  Generale, 

Ho  veduto  la  famiglia  Deideri  e  la  sua  signora  figlia,  e  tutti  stanno  benissimo. 
Il  signor  Bertani  è  ammalato,  pure  ho  potuto  parlargli  e  mi  ha  assicurato  di  aver 
comperato  vapori,  cannoni,  fucih  etc,  e  fra  breve  il  tutto  verrà  spedito  in  Sicilia.  II 
signor  Gallino,  unitamente  al  Finzi,  tengono  a  disposizione  2000  fucili,  2000  buffetterie 
complete,  2000  uniformi,  2000  paia  mutande,  2000  carabine,  4000  cappotti  ;  e  tutto 
questo,  entro  la  settimana,  verrà  spedito,  o  altrimenti  porterò  meco.  A  questo  debbo 
aggiungere  2000  pezze  di  panno  militare,  più  50  pezze  bleìi  e  50  pezze  rosse  per  gli 
ufficiali  ;  più  diverse  pezze  di  panno  per  vestire  i  carabinieri  genovesi.  Questa  sera  parto 
per  Torino,  dove  spero  entro  la  giornata  di  domani  di  cedere  S.  Maestà  ;  indi  farò  una 
gita  a  Milano  per  raccogliere  tutte  le  armi,  che  tengono  il  Besana  e  Finzi.  L'  entu- 
siasmo per  venire  in  Sicilia  è  indescrivibile  ;  qui  sono  3000  individui,  che  altro    non 

aspettano  che  il  mezzo  d' imbarco.  Mi  creda  di  tulio  cuore 

aff.mo  amico 

G.    TRECCHI 


É  noto,  che  Vittorio  Emanuele  aveva  1'  intenzione  di  mandare  in  Sicilia, 
come  prodittatore,  Lorenzo  Valerio  ;  ma  Bertani  aveva  sconsigliato  Garibaldi 
ad  accettarlo,  perchè  lo  riteneva  «  uomo  molto  manipolabile  »  ;  dello  stesso 
parere  era  La  Varenne,  il  quale,  mandato  da  Crispi  in  missione  presso  il  re, 
dopo  il  colloquio  avuto  con  questi,  il  l.°  luglio,  scriveva:  «  11  re  mi  disse, 
che  voleva  mandare  in  Sicilia  Valerio,  uomo  eccellente,  mtelligentissimo  »  ;  ma 
ho  forti  motivi  per  ritenere  che,  in  questa  circostanza,  egli  sarebbe  d'accordo  col 
signor  di  Cavour. 


'  G.  Manacorda  -  Loco  citato,  pag.  421. 

'  L'  originale  di  questa   lettera  si   trova  fra   gli   autografi   donati   dal   generale   Ricciotti 
Garibaldi  alla  Biblioteca  Vittorio  Emanuele  di  Roma. 
'  F.   Crispi  e  i  Mille.   1911,  pag.  241. 


350  VITTORIO  EMANUELE  11  E  GARIBALDI 


11  re  fini  coli'  accondiscendere  al  desiderio  di  Garibaldi  e  mandò  Depretis. 
L'  autografo  di  sopra  pubblicato  è  la  risposta  alla  richiesta  del  dittatore.  Infatti 
Vittorio  Emanuele  scrive  :  «  Fare  subito  annessione  e  manderò  Depretis  * ,  il 
quale  sembra  arrivasse  in  Sicilia  insieme  a  Trecchi. 

In  quei  giorni  1'  ammiraglio  Persano  aveva  scritto    al  Generale. 

L'  ammiraglio  Persano  a  Garibaldi. 


GABINETTO  PARTICOLARE 

DEL  CONTRAMMIRAGLIO  1 Q    1       r  ^• 

1  o  luglio ,  mattina. 

COMANDANTE   LASQUADRA 


Carissimo  Generale 

Vi  mando  una  lettera,  che  mi  è  venuta  da  Genova  al  vostro  indirizzo.  Vi  copio  un 
telegramma  del  Ministro  Presidente  : 

Au  Comic  Persano  —    16  juillet. 

Le  Roi  vous  charge  de  dire  au  General  Garibaldi,  qu  il  fail  partir  ce  soir 
Depretis,  au  quel  il  a  donne  lui  mème  des  instructions,  qu  il  est  chargé  de  comuniquer 
au  General. 

Firmato:   C.  CAVOUR 


La  questione  dell'  annessione  era  in  quei  giorni  il  pensiero  dominante  nella 
mente  di  Cavour,  che  aveva  finito  coli'  influire  anche  sull'  animo  del  re  con 
lo  spauracchio  di  «  un  qualche  tradimento  mazziniano  »  ;  la  resistenza  di  Garibaldi 
però,  fece  argine  ad  ogni  sorta  di  pressioni  e  d'  intrighi  e  valse  a  non  troncare 
la  marcia  liberatrice. 

Vittorio  Emanuele  scrive  :  «  Riguardo  alla  lega  non  accetto;  strascinerò  in 
lungo  facendo  proposte  e  controproposte,   che  lui  non  possa  accettare  ». 

In  queir  epoca,  è  bene  il  rammentarlo,  erano  stati  mandati  a  Torino,  su 
proposta  di  una  mediazione  francese,  il  barone  Manna  ed  il  Winspear,  allo 
scopo  di  concludere  una  lega  fra  il  Piemonte  e  il  regno  di  Napoh  ;  Vittorio 
Emanuele  scriveva  a  Garibaldi  «  che  avrebbe  fatto  proposte  che  lui  {Re 
Francesco)   non    avrebbe    potuto  accettare  ». 

«  Non  fidarsi  che  di  me  e  di  nessun  altro  »  ,  e  subito  dopo  il  re 
soggiunge  :  *  Non  partire  per  spedizione  Napoli,  senza  che  io  lo  sappia  per 
non  imbrogliare  i  miei  progetti  e  per  essere  d'  accordo  ». 


MUTUI  RAPPORTI  E  CARTEGGIO  INEDITO  351 


II  cuore  di  Vittorio  Emanuele  batteva  all'  unisono  con  quello  di  Garibaldi, 
e  la  spedizione  per  Napoli  era  fin  d'allora  nella  mente  del  re  ;  il  quale,  come 
ho  documentato  nel  capitolo  Vili,  seguiva  in  quei  giorni  una  politica  sua,  per- 
sonale, diversa  da  quella  del  conte  di  Cavour.  Il  volere  sostenere  il  contrario, 
il  dire  che  Vittorio  Emanuele  scriveva  sotto  dettatura  del  suo  primo  Ministro, 
dimostra  il  desiderio  di  alcuni  di  volere  ingrandire,  ad  ogni  costo,  la  figura  di 
Cavour,   anche  impicciolendo  quella  del  Re. 

VITTORIO    EMANUELE   A    GARIBALDI. 

Ili. 


Caro  Generale, 


Torino,    1  2  settembre    1 860. 


Sapendolo  giunto  felicemente  a  Napoli,  mi  congratulo  secolei  di  quel 
che  ha  fatto  per  la  causa  comune.  Sarà  già  stato  prevenuto,  d' ordine  mio, 
che  ho  mandato  la  truppa  ad  occupare  le  Marche  e  V  Umbria  per  congiun- 
gere le  forze  dell'  Italia  meridionale  a  quelle  dell'Italia  settentrionale;  questo 
fatto,  unito  a  quelli  che  Ella  ha  compiuti,  hanno  allarmato  molto  le  Potenze 
e  potremmo  essere  attaccati  dall'Austria  ;  quindi  conviene,  che  l'azione  militare 
in  Italia  abbia  una  sola  e  concorde  direzione  e  non  si  faccia  nessuna  spedi- 
zione od  attacco  senza  V  ordine  mio.  La  persona  che  le  mando  le  dirà  ver- 
balmente i  miei  proponimenti.  Lei  dirà  pure  a  questa  stessa  persona  quante 
e  quali  delle  vecchie  truppe  napoletane  io  posso  disporre  per  V  Italia  setten- 
trionale e   quanto  materiale  da  guerra  potrebbe  mandarmi  con  quelle. 

Io   confido   pienamente    nel   suo    attaccamento    per    me,    perche    abbiamo 

ancora  delle  grandi  cose  da  fare.    Generale,   tanti  auguri. 

Con   una  buona  stretta  di  mano 

il  suo  affezionalissimo 

VITTORIO  EMANUELE 


Questa  lettera  non  ha  bisogno  di  commenti  ;  è  il  re  soldato ,  che  scrive 
al  suo  grande  amico  Garibaldi  ;  essa,  come  fa  presumere  1'  altra  seguente,  fu 
portata  dal  conte  Vimercati  il  giorno  19.'  Dirò  pure,  sul  proposito,  come  sembra 


'  F.   Crispi  e  i  Mille,  pag.  359. 


352  VITTORIO  EMANUELE  li  E  GARIBALDI 

probabile  che  l' importante  documento,  trovato  fra  le  carte  di  Riccardo  Sineo, 
pubblicato  da  Carlo  Arno,'  e  contenente  alcune  idee  del  re  da  comunicarsi 
verbalmente  a  Garibaldi,  sia  stato  anch'esso  portato  dal  Vimercati.  Giova  qui 
avere  sottocchio  ciò  che  in  quello  scritto  si  diceva. 

ANNOTAZIONI 

1 .  -  Rimettere  la  lettera  con  mille  affelluose  tenerezze  e  ringraziamenli  per  quanto 
fu  fatto  per  /'  Italia  e  per  la  Dinastia. 

2.  -  Far  conoscere  le  ragioni  che  determinarono  la  spedizione  dell'Umbria  e  delle 
Marche.  L'armata  del  re  doveva  pure  prendere  una  parte  attiva,  mentre  che  quella 
del  Dittatore  tanto  e  sì  grandi  cose  aveva  già  fatto  sotto  il  suo  comando. 

3.  -  11  re  desidera  solo  incaricarsi  della  questione  romana,  «  che  per  ora  deve 
essere  limitata  »,  onde  non  aver  una  intempestiva  guerra  contro  la  Francia,  nel  momento 
in  cui  stiamo  per  essere  attaccati  dall'  Austria. 

4.  -  Pregare  ed  «  insistere  »  a  che,  per  il  momento,  il  Dittatore  rinunci  a  prendere 
r  iniziativa  di  veruna  spedizione,  ne  verso  la  Venezia,  ne  verso  la  Dalmazia,  ne 
r  Ungheria  ;  ma  bensì,  tenendo  compatte  tutte  le  sue  forze,  prepararsi  per  prendere 
quella  parte  che  gli  compete  nella  guerra  comune,  che  avremo  immancabile  contro 
l'Austria,  che  verrà,  a  seconda  delle  opportunità  di  cui  il  re  si  riserva  il  giudizio, 
attaccata  da  noi,  se  questa  non  ne  prendesse  l' iniziativa. 

5.  -  Che  il  Plebiscito  venga  fatto  al  più  presto  sì  nel  regno  di  Napoli,  che  nella 
Sicilia,  provando  così  all'  Europa  essere  l' Unità  italiana  nel  cuore  di  tutti. 

6.  -  Premunire  la  specchiata  lealtà  del  Dittatore  contro  il  partito  repubblicano, 
che,  sotto  mentite  vesti,  lo  circonda  ;  a  questo  proposito  citare  come  esempio  le  spedi- 
zioni Nicotera  e  Pianciani  ;  quest'  ultimo  ebbe  l' audacia  di  dire  al  re  «  che  nulla 
aveva  fatto  per  l' Italia,  che  disapprovate  aveva  le  spedizioni  da  tutti  acclamate,  e  che 
impedendole  egli  aveva  disertata  la  causa  comune  " .  Far  sentire  ancora  al  Dittatore, 
come  il  re  abbia  il  cuore  ulcerato  per  i  discorsi,  che  si  fanno  da  molte  persone  del 
suo  contorno  ;  che  questi  discorsi  tendono  a  far  credere  il  Dittatore  non  amico  del  re, 
e  che  solo  si  valga  del  suo  nome,  di  re  italiano,  per  poi  «  a  suo  tempo  fare  opposi- 
sizione  alla  dinastia  ».  Che  nessuno  osa,  certo,  tenere  al  Dittatore  simile  linguaggio, 
ma  che  questo  è  il  programma  politico  nascosto  dei  più  fra  i  suoi. 

7.  -  Avvertire  come  il  re  si  sia  messo  d' accordo  col  partito  ungherese  per  il 
da  farsi  «  fra  brevissimo  tempo  »  ;  il  Dittatore  ne  avrà  tutti  i  più  minuti  dettagli  da 
Klapka,  che  si  reca  a  visitarlo  ;  che  egli  impieghi  la  sua  autorità  dittatoriale  in  Napoli 
onde  fare  rimettere  per  l' Ungheria  i  fucili  che  Klapka  gli  chiederà,  non  più  avendone 
il  governo  del  re  nei  suoi  magazzini,  mentre  che  in  Napoli  molti  ve  ne  sono. 


'  Nel  giornale  «  La  Lombardia  »,  n.  337,  5  dicembre   1910. 


^^^^^^  9^^-'y:y^-^  ^^-.di^^.,..^ 


^jt. — as-^-;;^»— * 


Lettera  di  Vittorio  Emanuele  a  Garibaldi 
in  risposta  al  desiderio  espressogli  di  licenziare  il  Ministero.  (Vedi  pag.  353). 


MUTUI  RAPPORTI  E  CARTEGGIO  INEDITO  353 

8.  -  Importanza  grandissima  si  è,  che  venga  conservato  (7  più  compatto  possibile 
l'esercito  napoletano;  che  anzi  questo  deve  subito  riordinarsi,  richiamandolo  a  senti- 
menti di  onore  e  di  patria  ;  a  questo  scopo,  il  re  conta  mandare  un  suo  progetto  con 
persona  capace  per  farlo  eseguire  ;  essendo  il  Dittatore  assorto  da  molte  gravissime 
cure,  non  gli  sarebbe,  per  ora,  possibile  l' occuparsi  di  questi  minuti  dettagli,  e  d'altronde 
il  re  avrà  prestissimo  bisogno  di  quelle  truppe. 

9.  -  Chiedere  istantemente  al  Dittatore  di  mandare  subito,  qualora  ciò  sia  fattibile, 
la  divisione  dei  Cacciatori  di  Torino,  onde  rinforzare  le  truppe  che  fanno  fronte  alla 
Venezia. 

IO.  -  Dire  al  Generale,  come  il  re  conti  sopra  la  sua  efficace  cooperazione  nella 
futura  guerra,  nella  quale  sarà  dato  al  Dittatore  un  comando  degno  della  sua  capacità 
e  del  suo  Valore. 


VITTORIO    EMANUELE   A    GARIBALDI. 

IV. 

Caro  Generale, 

Vengo  di  vedere   Trecchi  e  Brambilla  e  ricevere  le  sue  lettere. 

Riguardo  al  progetto  del  Ministero,  per  ora  la  cosa  è  impossibile  e  non 
opportuna  per  la  gran  causa  comune  ;  cosi  dico  pure  del  suo  movimento  sulla 
città  di  Roma. 

Se  ne  tenga  perfettamente  a  ciò  che  le  scrissi  per  mezzo  del  conte  Vimercati. 

Stiamo  uniti  e  forti,   l'avvenire  sarà  per  noi. 

La  saluto  di  tutto  cuore. 

Il  suo  affezionatissimo 

VITTORIO  EMANUELE 


Sebbene  senza  luogo,  ne  data,  questa  lettera  credo  sia  stata  scritta  da 
Torino  ;  essa  è  in  risposta  a  quella,  che  Garibaldi  aveva  mandato  al  re, 
r  1  1  settembre,  per  mezzo  del  Trecchi,  con  la  quale  Io  invitava  a  licenziare 
il  Ministero  ;  lettera  che  la  <^<  Presse  »  pubblicò  in  questi  termini  :  «  Sire, 
congedate  Cavour  e  Farini;  datemi  il  comando  di  una  brigala  delle  vostre 
truppe  ;  datemi  Pallavicino  Trivulzio  per  prodittatore  ed  io  rispondo  di  tutto  » . 
Ma  il  testo  autografo  doveva  essere  alquanto  diverso,  perchè  il  re,  il  20  settembre, 
nella   lettera  da  me  pubblicata  nel  capitolo  Vili,   pag.    175,  scriveva  al  Fanti 

CURÀTULO  23 


354  VITTORIO  EMANUELE  11  E  GARIBALDI 

così:  «  Esso  (Garibaldi)  mi  scrisse,  che  m'invitava  a  sciogliere  il  Ministero  e 
che  mi  proclamerebbe  re  d'Italia  in  Campidoglio,  dopo  che  egli  avrebbe  fugato 
i  Francesi  da  Roma  ». 


VITTORIO    EMANUELE   A    GARIBALDI. 


Caro   Generale, 


Ancona,   lì  9  ottobre    1860. 


Ho  ricevuto  le  sue  lettere.  Le  faccio  le  mie  congratulazioni  sull'accaduto  ; 
provvedere  ai  prigionieri.  Le  mie  truppe,  in  buon  numero,  entrano  domani  negli 
Abruzzi.  Io,  pure,  parto  in  persona;  quando  sarò  in  una  città  del  Regno  lo 
farò  avvisare,  onde  intendermi  con  lei  sulla  quistione  dei  gradi  e  sulla  condotta 
da  tenere. 

Lo  avverto  che  ho  mandato  delle  truppe  anche  a  Napoli. 
A   rivederlo  fra  breve. 

Il  suo  affezionatissimo 
VITTORIO  EMANUELE 


Le  congratulazioni  che  fa  il  re  a  Garibaldi  si  riferiscono  alla  battaglia  del 
Volturno,  nella  quale  furono  fatti,  come  è  noto,  più  di  3000  prigionieri.  Dal 
Diario  del  Crispi  si  rileva,  come  questo  scritto  pervenne  nelle  mani  del  Generale 
il  giorno  1 3.  Esso  inoltre,  è  in  risposta  alla  bella  lettera,  che  Garibaldi  aveva 
diretto  al   re  il    4  ottobre,  da  Caserta,  e  che  giova  qui  il  tornare  a  pubblicare. 


cure. 

Mi  felicito  con  la  Maestà  Vostra  per  le  brillanti  vittorie  riportate  dal  nostro  bravo 
generale  Cialdini  e  per  le  felici  conseguenze  di  queste  vittorie.  Una  battaglia  guadagnata 
sul  Volturno  ed  un  combattimento  alle  due  Caserte  pongono  i  soldati  di  Francesco  II, 
io  credo,  nel!'  impossibilità  di  più  resisterci. 

Spero,   dunque,   di  poter  passare  il  Volturno  domani. 

Non  sarebbe  male,  che  la  Maestà  Vostra  ordinasse  a  parte  delle  truppe,  che  si 
trovano  vicino  alla  frontiera  abruzzese,  di  passare  quella  frontiera  e  fare  abbassare  le 
armi  a  certi  gendarmi,  che  parteggiano  ancora  per  il  Borbone. 


MUTUI  RAPPORTI  E  CARTEGGIO  INEDITO  355 

Io  so  che  la  Maestà  Vostra  sta  per  mandare  quattromila  uomini  a  Napoli,  e  penso 
che  sarebbe  bene  mandarli. 

Ricordi  la  M.  V.  le  mie  anteriori  parole  sui  repubblicani,  e  pensi,  nell'  intimo 
del  suo  cuore,  se  i  risultati  hanno  corrisposto  alle  mie  parole. 

Tutta  brava  gente,  hanno  combattuto  per  l' Italia  e  Vittorio  Emenuele,  e  saremno 
certamente  i  più  fedeli  alla  sua  persona. 

Pensi  V.  M.  che  le  sono  amico  di  cuore,  e  merito  un  poco  anch'io  di  essere  creduto. 

E  meglio  accogliere  tutti  gl'italiani  onesti,  di  cui  V.  M.  è  padre,  a  qualunque 
colore  essi  abbiano  appartenuto  per  il  passato,  anziché  inasprire  delle  (razioni,  che 
potrebbero  essere  pericolose  nell'  avvenire. 

Scrissi,  in  data  di  ieri,  che  mandavo  a  Genova  i  prigionieri  Napoletani;  penso 
di  mandare  pure  alcuni  corpi,  che  si  sono  dati  a  noi  per  capitolazione. 

La  M.  V.  si  compiacerà  d'ordinare  che  sieno  ben  trattati  e  incorporati  nell'esercito. 

Essendo  ad  Ancona  dovrebbe  V.  M.  fare  una  passeggiata  a  Napoli  per  terra 
o  per  mare. 

Se  per  terra,  e  ciò  sarebbe  meglio,  V.  M.  deve  marciare  almeno  con  una  Divisione. 

Avvertito  in  tempo,  io  congiungerei  la  mia  destra  alla  divisione  suddetta,  e  mi 
recherei  in  persona  a  presentarle  i  miei  omaggi  e  ricevere  ordini  per  le  ulteriori  operazioni. 

La  M.  V.  promulghi  un  decreto,  che  riconosca  i  gradi  de'  miei  ufficiali. 

Io  mi  adoprerò  ad  eliminare  coloro  che  debbono  essere  eHminati. 

Mi  resta  a  ripetermi  con  aiffetto 

G.  GARIBALDI 


«  Chi  di  questa  lettera  consideri  il  tempo,  il  contenuto,  la  forma  —  scrive 
il  Guerzoni  —  ne  vedrà  risplendere  vieppiù  il  significato.  Essa  fu  scritta  il 
4  ottobre,  prima  dunque  che  Garibaldi  potesse  conoscere  il  bando  di  Vittorio 
Emanuele  ai  Napoletani  ;  prima  che  l' esercito  sardo  si  fosse  levato  d' Ancona  ; 
prima  assai,  che  il  Parlamento  avesse  votato  l'annessione  dell'  Italia  Meridionale 
e  sanzionato,  con  siffatto  voto,  la  politica  del  conte  di  Cavour.  Checche  adunque, 
scriva,  a  lode  e  vitupero.  Io  spirito  di  parte,  questo  rimane  incontrastato  :  che 
Cavour  e  Garibaldi,  lo  statista  e  l' eroe,  quasi  nel  tempo  stesso,  ad  insaputa 
r  uno  dell'  altro,  s' accordavano  a  dare  al  re  quel  medesimo  consiglio,  intomo 
al  quale  pareva  dovessero  restare  divisi  implacabilmente!  I  monarchici  superla- 
tivi credevano  d' essere  costretti,  o  prima  o  poi,  a  dar  battaglia  alla  rivolu- 
zione personificala  in  Garibaldi,  e  Garibaldi  apriva  loro  le  porte  di  quello, 
che  ancora  era  suo  Stato  ;  di  nuli'  altro  ansioso  che  di  incontrarli  e  schierarsi 
sotto  le  loro  insegne  » .  ' 


'  G.  Guerzoni  -  Garibaldi.  Voi.  II,  pag.  209-210. 


356  VITTORIO  EMANUELE  li  E  GARIBALDI 

VITTORIO  EMANUELE  A  GARIBALDI. 

VI. 

Caro   Generale, 

Grazie  della  sua  lettera.    Treccili  le  porterà,    a  viva  voce,   la  risposta  e 

le  idee  mie. 

Il  suo  affezionatissimo 

VITTORIO  EMANUELE 
P.  S.  -  A   Napoli  faccia  custodire  le  cacete  da  Trecchi. 


Questo  laconico  biglietto,  che  ritengo  sia  stato  scritto  il  25  da  Presenzano,  ' 
non  presenta  nulla  d' importante  ;  ma  è  da  rilevare  la  raccomandazione,  che 
si  contiene  nel  post-scriptum,  che  delinea  la  caratteristica  figura  del  re,  il 
quale,  in  mezzo  alle  non  poche  e  gravi  preoccupazioni  della  guerra,  pensava 
di  raccomandare  a  Garibaldi  di  fare  custodire  a  Napoli  le  cacete  ! 


VITTORIO  EMANUELE  A    GARIBALDL 

VII. 


Teano,   li   26  ottobre    1 860. 


Caro   Generale, 


Ritrovato  il  nemico,  finalmente,  alle  3  sulle  alture  di  S.  Giuliano  per 
andare  a  Sessa.  Due  ore  e  mezzo  di  combattimento.  Respinto  per  Sessa 
verso  il  Gordiano.  Molti  prigionieri  cacciatori,  ne  abbiamo  contato  16  batta- 
glioni e  artiglieria  che  tirava  assai  bene.  Nostre  perdite  sono  piccole;  prigio- 
nieri mi  assicurano  esservi  solo  un  Reggimento    e    un    battaglione    in   Capua. 

Le  stringo  amichevolmente  la  mano. 

Il  suo  affezionatissimo 

VITTORIO  EMANUELE 


'  Generale  Solaroli  -  Diario  della  campagna  del  1860,  pag.  333,  in  Ghiaia  -  «  Ricordi 
di  Michelangelo  Castelli  ». 


^) 


^.^^''^-'^^^^ 


^ 


,^- 


.,«__e:^-<^  ^^ -2^ 


^  y/^t/^ 


Lettera  di  Vittorio  Emanuele  a  Garibaldi  dopo  la  battaglia  del  Volturno.  (Vedi  pag.  354). 


MUTUI  RAPPORTI  E  CARTEGGIO  INEDITO  357 

Questa  lettera  credo  sia  stata  scritta  dopo  1'  incontro  con  Garibaldi, 
avvenuto  la  mattina  del   26. 

Crispi  nel  Diano  annota,  che  l' incontro  avvenne  il  27  «  tra  Marzaniello 
e  Vairano  e  che  il  re  e  Garibaldi  marciarono  per  sei  miglia  insieme  ».'  Ma 
r  annotazione  è  indubbiamente  inesatta  ;  la  prova  1'  abbiamo  nella  lettera  seguente, 
che  Re  Vittorio  diresse  al  Dittatore  appunto  il  giorno  11  e  che  comincia 
così:  «  Mi  rincresce  di  non  averlo  visto  quest'oggi,  le  avrei  stretto  la  mano 
ben  volentieri  ». 

VITTORIO  EMANUELE  A  GARIBALDI. 

Vili. 

Teano,   li   27. 
Caro  Generale, 

Mi  rincresce  di  non  averlo  visto  guest'  oggi  ;  le  avrei  stretto  la  mano 
ben  volentieri.  Domani  avanzo  tutte  le  truppe,  che  ho  qua  sul  Garigliano. 
Dopo  domani  conto  passarlo.  Quest'  oggi  il  generale  Della  Rocca  deve  essere 
giunto  con  una  Divisione  sopra  Capua.  So  che  non  piace  alle  sue  truppe  di 
rimanere  inattive,  perciò  la  prego  di  portarle  da  domani  verso  Capua,  onde 
concorrere  di  comune  accordo  col  generale  Della  Rocca  alla  resa  della  Piazza. 

Le  auguro  buona  fortuna.  A   rivederla  fra  breve. 

Il  suo  affezionatissimo 
VITTORIO  EMANUELE 

P.  S.  -  Faccia  avvertire  il  generale  Della  Rocca  del  suo  arrivo  e 
s  intendano  insieme. 


E  importante  intanto,  conoscere  quello  che  sul  proposito  ebbe  a  scrivere  il 
generale  Della  Rocca  :  " 

«  Dopo  avere  percorsa  la  linea  di  faccia  alle  fortificazioni  di  Capua,  mi 
parve  che  la  prima  cosa  da  fare  fosse  di  recarmi  dal  Garibaldi    e   intendermi 


'  Su  questo  argomento  tanto  controverso  leggasi  la  Nota,  in  (ondo  al  Capitolo. 
'  Generale  Della  Rocca  -  Loco  citalo,  pag.  86. 


358  VITTORIO  EMANUELE  11  E  GARIBALDI 

con  lui.  Lo  trovai  sul  monte  Sant'  Angelo,  dove  aveva  stabilito  il  suo  osserva- 
torio. Mi  disse  subito  come  il  re  l' avesse  informato,  a  Caianello,  degli  ordini  a 
me  dati  ;  poi  dopo  un  breve  silenzio  :  —  Sono  d'opinione,  aggiunse,  che  per  questa 
impresa,  come  per  tutte  le  altre  azioni  di  guerra  sia  indispensabile  V  unità  di 
comando.  Mi  ero  già  preparato  a  quella  obbiezione  ;  non  pretendevo  al  supremo 
comando  delle  sue  truppe  ;  ma  ad  ogni  modo  non  potevo,  non  volevo  stare  sotto 
di  lui,  per  quanto  lo  rispettassi.  Gli  risposi,  dunque,  che,  avendo  percorsa  la 
linea  d' attacco  della  piazza  di  Capua,  avevo  osservato  le  posizioni  delle  sue 
truppe  sulle  alture  alla  destra  e  in  parte  sullo  stretto  piano  delle  colline  e  mi 
ero  persuaso  che,  occupando  io  la  sinistra  del  piano,  si  poteva  lavorare  in  due, 
con  utilità  e  senza  darsi  noia  ;  insomma,  essere  il  nostro  caso  uno  dei  pochi, 
che  potevano  fare  eccezione  alla  regola  generale  dell'  unità  di  comando  ;  e  che, 
mettendoci  anticipatamente  d' accordo,  potevamo  operare  ugualmente  e  con  un 
buon  esito  contro  la  Piazza.  Mi  ascoltò  e  rimase  per  un  po'  di  tempo  pensoso  ; 
poi  mi  disse;  «  Se  non  le  dispiace,  potremo  incontrarci  un'altra  volta.  Oggi 
tra  le  4  e  le  5  e  le  darò  una  risposta  » .  Un  po'  prima  delle  5  ero  all'  ap- 
puntamento. Vi  trovai  il  Dittatore  circondato  da  tutti  i  suoi  generali  :  il  Cosenz, 
il  Medici,  il  Sirtori  etc.  Mi  presentò  loro,  dicendo  come  io  fossi  stato  incaricato 
dal  re  di  assediare  Capua  e  ridurre  la  fortezza  ad  arrendersi,  nel  più  breve 
tempo  possibile  :  e  siccome  egli  era  stato  sempre  contrario  alla  divisione  del 
comando,  per  quelle  operazioni,  metteva  tutti  sotto  i  miei  ordini.  Ma  questa 
disposizione  potendo  essere  causa  d'inconvenienti,  quando  fosse  conosciuta  dai 
suoi  volontari,  desiderava  che  essi  lo  credessero  sempre  in  mezzo  a  loro.  —  Prego 
il  generale  Della  Rocca  e  voi  tutti  a  mantenere  il  segreto,  concluse.  Il  generale 
Sirtori,  nel  quale  ho  piena  fiducia,  trasmetterà  ai  miei  gli  ordini  del  generale 
Della  Rocca,  come  se  fossero  dati  da  me.  Io  intanto  mi  reco  a  Napoli, 
dove,  per  la  Dittatura,  sono  chiamato  da  urgenti  affari,  pronto  però  ad  accorrere, 
quando  la  mia  presenza  fosse  necessaria.  Cosi  dicendomi  mi  strinse  la  mano, 
augurandomi  buona  fortuna  ». 

E  più  oltre  Della  Rocca  scrive  :  «  Garibaldi  mi  aveva  lasciato  il  28  a  sera 
dicendomi  :  —  Vado  a  Caserta,  ma  domani  sarò  a  Napeli  dove  ho  molto  da  fare. 
Invece  il  giorno  30  seppi,  che  egli  era  tuttora  a  Caserta  e  ammalato.  Mentre 
si  preparavano  le  batterie,  sotto  la  direzione  del  Genio  e  dell'  Artiglieria,  montai 
a  cavallo  e  feci  una  scappata  per  andarlo  a  trovare.  Sempre  modesto  nella 
sua  vita  privata,  non  aveva  voluto  abitare  gli  appartamenti  del  palazzo  di 
Caserta  e  si  era  ritirato  in  poche  camerette,  sopra  il  corpo  di  guardia,  allo 
ingresso  del  cortile.   Nel  mettervi  piede,  vidi  al  suolo  parecchi  barili  di  polvere  ; 


MUTUI  RAPPORTI  E  CARTEGGIO  INEDITO  359 

salila  la  scaletta  ed  entrato  nella  camera  del  Dittatore,  mi  accorsi,  che  il 
letto  stava  precisamente  al  di  sopra  di  quei  barili  e  lo  avvisai,  pregandolo  di 
promettermi  di  cambiare  subito  stanza.  Sorridendo,  me  lo  promise  ;  era  seduto, 
sostenuto  da  guanciali,  avvolto  nel  mantello  militare;  aveva  in  testa  il  solilo 
berrettino,  e  al  collo  un  fazzoletto  di  seta  senza  fiocco.  Vedendomi  entrare  mi 
aveva  stesa  la  mano,  e  quando  senfi  che  ero  venuto  soltanto  per  aver  notizie 
della  sua  salute,  si  dimostrò  commosso  e  pronunciò  parole  di  affettuoso  ringra- 
ziamento. La  sua  soddisfazione  si  fece  sempre  più  visibile,  quando  gli  parlai 
delle  mie  buone  relazioni  con  i  suoi  generali  Cosenz  e  Sirtori,  spiccate  perso- 
nalità ed  eccellenti  uomini,  e  quando  gli  dissi  che  rimpiangevo  la  mancanza 
del  Bixio,  caduto  da  cavallo  pochi  giorni  prima  e  trasportato  a  Napoli.  Non 
erano  complimenti  le  mie  parole:  esprimevano  cose  da  me  veramente  sentite, 
e  mi  accorsi  che  Garibaldi  godeva  di  conoscere,  cheto  pensavo  a  quel  modo». 
Il  generale  Della  Rocca  ci  fa  inoltre  sapere,  come,  essendo  con  poca 
artiglieria,  scrivesse  al  Valfrè  p)er  avere  qualche  batteria  di  grosso  calibro  e  dà 
ogni  particolare  sulla  resa  della  piazza  di  Capua.  Ma  un  fatto,  che  pur  valeva 
di  essere  ricordato  e  che  egli  passò  sotto  silenzio  è  quello,  che  ci  viene  oggi  rive- 
lato dal  documento,  che  qui  trascrivo  dall'autografo  diretto  a  Garibaldi  il  primo 
novembre,  cioè,  il  giorno  stesso  in  cui  fu  aperto  il  fuoco  contro  la  piazza  di 
Capua. 

II  generale  Della  Rocca  a  Garibaldi. 

S.  Maria,   1°  novembre   1860,  ore  8  di  sera. 
Signor  Generale, 

lo  prevedo  che  la  guarnigione  di  Capua,  avendo  la  porta  Ubera  sulla  sponda  destra 
del  Volturno,  invece  di  arrendersi,  tenterà,  per  la  strada  di  Calvi  e  Venafro,  di  portarsi 
verso  Isernia,  Solmona  e  Popoli,  sia  per  inquietare  gli  arrivi  da  quella  parte,  sia  per 
tener  la  campagna  ed  accendere  di  nuovo  la  reazione  fra  quelle  popolazioni.  Allora 
quando  mi  accorgerò  di  questa  marcia,  non  mancherò  d'inseguire  il  nemico  in  coda, 
nel  mentre  che  il  generale  Sirtori,  per  la  strada  di  Cajazzo  e  Aiiffe,  l' inseguirà  di  fianco. 

Però,  essendo  necessario  che  l'inimico  sia  arrestato  di  fronte,  prima  ch'egli  possa 
internarsi  sulla  strada  di  Venafro  e  quella  di  S.  Germano,  io  scrissi  in  proposito  al  Re, 
onde  vedesse  di  spedire  una  colonna  di  competente  forza  al  bivio  di  quelle  due  strade, 
cioè,  nel  punto  in  cui  io  ebbi  il  piacere  d' incontrare  la  S.  V.   III. ma. 

Nel  mentre  che  la  mia  lettera  viaggiava  alla  volta  di  Sessa,  io  incontrava 
il  re  stesso  presso  S.  Angelo,  che  si  trattenne  un  paio  d' ore  col  sig.  generale  Sirtori 
e  con  me. 


360  VITTORIO  EMANUELE  II  E  GARIBALDI 

Avendo  messo  S.  M.  al  corrente  della  mia  idea,  risposemi  che,  dovendo  passare 
domami  il  Garigliano,  egli  abbisognava  di  tutte  le  sue  forze  massime,  che  già  aveva 
dovuto  dividere  in  due  colonne  ;  una  per  star  di  fronte  al  fiume,  l' altra  per  girarlo 
in  alto,  dalla  montagna. 

Io  non  vedo,  dunque,  altro  modo  di  rimediare  a  sì  grande  inconveniente,  che  di 
pregare  la  S.  V.  Ill.ma  di  spedire  a  Calvi,  in  posizione  adatta,  una  forte  sua  brigata 
con  artiglieria,  la  quale  arresti  o  rallenti  la  marcia  dell'  inimico,  se  tentasse  prendere 
quella  direzione,   onde  dar  tempo  al  generale  Sirtori  ed  a  me  di  raggiungerlo. 

lo  la  prego  adunque,  di  volermi  ragguagliare,  se  questa  mano\Ta  le  pare  conve- 
niente e  se,  in  tal  caso,  le  di  lei  truppe  di  riserva  possono  darmi  l'appoggio  su  espresso. 

lo  la  prego  intanto,  di  gradire  i  sensi  della  più  alta  considerazione. 

GENERALE  DELLA  ROCCA 

P.  S.  -  Il  fuoco  incominciò  dalle  nostre  batterie  alle  ore  4.  La  piazza  risponde 
molto  e  bene. 


* 


Nel  capitolo  seguente,  m' intratterrò  sulle  discordie  sorte  in  Napoli  intorno 
al  Dittatore.  Garibaldi  animato,  come  sempre,  di  fare  il  bene  del  paese,  avendo 
visto  che  r  assemblea  sarebbe  stata  causa  di  gravi  discordie,  sebbene  da  prmcipio 
contrario,  si  decise  per  il  plebiscito,  che  fu  votato  il   21    ottobre. 

Documento  conosciuto  è  sul  proposito,  la  nobilissima  lettera,  che  per  mezzo 
del  garibaldino  Nullo,  egli  mandò  al  re,  il  29  ottobre,  e  con  la  quale  gli 
rimetteva  «  il  potere  su  dieci  milioni  d'Italiani  ».  La  lettera  fu  scritta  dal 
Crispi  ed  essa  è  stata  riprodotta  nel  volume  pubblicato  recentemente  sul  grande 
patriota  siciliano.  Ma,  se  da  quella  pubblicazione  si  rileva  che  Crispi  fu  nel  1  860 
r  estensore  dei  decreti  e  di  alcune  lettere  del  Dittatore,  questi  però,  non  masi- 
cava  mai  di  rileggerli  e  di   correggerli. 

Nel  mio  Archivio  esiste  un'  altra  minuta  della  citata  lettera,  scritta  pure 
di  mano  del  Crispi,  e  che  certamente  rappresenta  il  testo  definitivo  di  quella 
spedita  al  re.  Ebbene,  in  essa  non  si  nota  che  una  sola  correzione  fatta  di 
pugno  di  Garibaldi  ;   ma  che  basta  a  dare  l' impronta  della  sua  grande  anima. 

Crispi  aveva  scritto  :  «  Voi  troverete  in  queste  contrade  un  popolo  docile 
quanto  intelligente,  amico  dell'  ordine,  quanto  desideroso  di  libertà,  pronto  ai 
maggiori  sacrifizi,  qualora  gli  sieno  richiesti  nelV  interesse  della  patria  e  di  un 
Governo    nazionale.  Nei  sei  mesi,  che  io  ne  ho  tenuta   la  suprema    direzione, 


^^^^^"^Ss^N 


V 


^ 


MUTUI  RAPPORTI  E  CARTEGGIO  INEDITO  361 

non  ebbi  che  lodarmi  dell'  indole  e  del  buon  volere  di  questo  popolo,  che  ho 
la  fortuna  di  rendere  all'Italia,  dalla  quale  i  nostri  tiranni  l'avevano  disgiunta  >». 
Ebbene  !  come  si  vede  dal  facsimile,  che  ne  dò,  Garibaldi  corresse  questo  ultimo 
periodo  così  :  «  . .  .di  questo  popolo,  che  io  ed  i  miei  prodi  compagni, 
abbiamo  avuto  la  fortuna  di  rendere  all'  Italia  ». 

Ed  il  re,  per  mezzo  dello  stesso  Nullo,  rispondeva  con  la  seguente 
bellissima  lettera  inedita. 

VITTORIO   EMANUELE   A   GARIBALDI. 

IX. 

Sessa,   li   3 1    ottobre    1 860. 
Caro   Generale, 

La  sua  lettera  del  29  ottobre,  da  Caserta,  è  degna  di  lei,  della  sua  virtù 
e  del  suo  amore  all'Italia.  L'accolgo  con  quelli  stessi  sentimenti,  che  l'hanno 
dettata.  Appena  io  potrò  legalmente,  per  la  pubblicazione  del  risultato  del 
plebiscito,  assumere  il  Governo,  provoederò  sui  due  argomenti  dei  quali  ella,  a 
ragione,  si  preoccupa.  Senza  stabilire  ora  le  forme  precise  dei  decreti,  ella,  caro 
Generale,  non  può  dubitare  della  mia  giustizia  ed  equità,  riconoscente  verso 
tutti  quelli  che  hanno  cooperato,  col  consiglio  e  colle  armi,  al  trionfo  della 
causa  nazionale  per  la  quale  soltanto,  e  non  per  personale  ambizione,  ho 
combattuto  e  combatto. 

Lei,  signor  Generale,  conosce  il  mio  animo,  come  io  conosco  il  suo  ; 
e  quindi  non  credo  di  aver  bisogno  di  abbondare  in  parole  per  ripeterle  i  senti- 
menti coi  quali  le  stringo   la  mano. 

Il  suo  affezionalissimo 

VITTORIO  EMANUELE 

Il  7  novembre  Vittorio  Emanuele  entrava  nella  bella  e  libera  Partenope. 
Garibaldi  gli  sedeva  alla  sinistra,  vestito  in  camicia  rossa,  col  solito  fazzo- 
letto sulle  spalle.  Dopo  essere  andati  insieme  alla  cattedrale,  il  re  si  recò  al 
Palazzo  e  cominciò  a  ricevere  le  autorità.  «  Nella  sala  del  trono  —  scrive 
uno  dei  suoi  Aiutanti  di  campo,  il  generale  Solaroli,  con  un  accento  d*  inop- 
portuna ironia  —  Garibaldi  si  era  ritirato  in  un  angolo ,  propriamente  vicino 
alla  porta  di  uscita  ;  era  là  in  mezzo  alla  sua  Corte.  Non  so,  se  credesse  che  le 


362  VITTORIO  EMANUELE  II  E  GARIBALDI 


deputazioni  volessero  anche  presentarsi  a  lui;  ma,  vedendo  che  l'usciere  indicava 
a  tutti  la  porta  per  andarsene,  gli  montò  un  poco  la  bizza,  prese  il  cappello, 
se  lo  mise  in  testa  e  se  lo  tenne,  finche  un  ufficiale  di  servizio  gli  fece  cenno  ». 

Crispi  nel  Diario,  a  proposito  di  questo  episodio,  scrive  :  «  Garibaldi  stava 
in  disparte,  col  cappello  in  testa.  Un  cortigiano  se  ne  meraviglia;  Breda 
risponde  :  —  /  grandi  di  Spagna  avevano  diritto  di  stare  col  cappello  in  testa 
dinanzi  ai  re,   Garibaldi  essere  il  Grande  d' Italia  ;  può  anche  di  più  » . 

•«  Finita  r  udienza  —  continua  il  generale  Solaroli  —  il  re  congedò  anche 
Garibaldi,  dicendogli  che  lo  aspettava  alle  5,  perchè  voleva  parlargli.  All'ora 
indicata,  Garibaldi  tornò  dal  re  e  vi  rimase  più  di  un'  ora.  Uscendo,  mi  prese 
la  mano  e  mi  disse  :  —  Addio,  caro  Generale.  —  Gli  domandai  se  partiva,  mi 
rispose  :  —  Questa  sera  no,  ma  domani  nella  notte.  —  Più  tardi  poi  seppimo, 
che  sarebbe  rimasto,   se  gli  davano  il  comando  civile  e  militare  della  Sicilia  ».' 

La  stessa  sera,  Garibaldi  riceveva  la  seguente  lettera,  1'  ultima  scrittagli 
da  Vittorio  Emanuele  durante  la  gloriosa  campagna  del   '60. 

VITTORIO  EMANUELE  A  GARIBALDI. 


Mro  Kjenera 


le. 


Napoli,  li   7   novembre    1860. 


Essendo  io  in  Napoli  con  pieni  poteri ,  governerò  sia  militarmente ,  che 
civilmente.  Quando  io  onderò  via  di  qua,  il  Governo  piglierà  quella  forma  e 
quel  carattere,  che  è  conseguenza  necessaria  delle  leggi  fondamentali  della 
mia  Monarchia.  Quindi  Ella  capirà,  che  non  posso  concentrare  in  Lei  poteri, 
che  costituzionalmente  vanno  divisi. 

Risoluto  io,  come  Ella  sa,  a  fare  per  V  armata  che  Ella  ha  cos\  glo- 
riosamente comandata,  ed  anche  per  quelli  che  lo  hanno  onoratamente  coadiu- 
vato nel  civile,  tutto  ciò  che  è  doveroso  verso  i  benemeriti  della  patria,  io  spero 
che  Ella,  caro  Generale,  vorrà  riconoscere  la  giustezza  delle  mie  osservazioni. 

Io  conto  pur  sempre  sopra  di  Lei  per  V  avvenire,  come  Ella  può  contare 

sulla  mia  sincera  amicizia. 

Il  suo  affezionatissimo 

VITTORIO  EMANUELE 


^  Generale  Solaroli  -  Loco  citato,  paig.  344  e  seg. 


MUTUI  RAPPORTI  E  CARTEGGIO  INEDITO  363 

Se,  nel  '61,  per  il  modo  come  fu  trattato  l'esercito  dei  volontari  e  nel  '62, 
per  il  fatto  di  Aspromonte,  Garibaldi  ebbe  giustificati  impeti  di  sdegno,  la  sua 
devozione  per  Vittorio  Emanuele  non  venne  mai  meno  ;  egli  parlò,  in  ogni 
occasione,  al  Sovrano  con  quella  franchezza,  che  il  supremo  interesse  della  patria 
richiedeva.   1  documenti  inediti,   che  qui  trascrivo  dagli  originali,   lo  provano. 

Nel  '64  Vittorio  Emanuele  meditava  una  spedizione  nella  Gallizia  e  cospi- 
rava con  Mazzini  e  Garibaldi.  A  tale  scopo,  egli  aveva  inviato  al  Generale,  che 
in  queir  epoca  trovavasi  a  Londra,  un  tale  signor  Porcelli  per  indurlo  a  capi- 
tanare r  impresa.  Ritornato  dall'  Inghilterra,  Garibaldi  stette  per  qualche  tempo 
ad  Ischia,  dove  si  ebbe  un'  altra  visita  dell*  inviato  del  re.  Ma  durante  la 
permanenza  nel  Napoletano,  il  Generale  aveva  potuto  constatare  il  disordine 
e  la  corruzione  che  tuttora  vi  regnavano,  e  ritenendo,  in  quel  momento,  la 
sua  persona  di  maggior  profitto  in  patria  che  in  una  spedizione  all'estero,  aveva 
finito  per  rinunziare  alla  proposta  del  re,  rinnovandogli,  sembra,  il  desiderio  espresso 
nel  novembre  del  '60,  di  restare  nel    Mezzogiorno  come  suo  Luogotenente. 

L'  importante  documento,  che  trascrivo  dall'  autografo  di  Garibaldi  è  la 
risposta,  in  forma  di  promemoria,  che  il  Porcelli  avrebbe  dovuto  portare  a  Vittorio 
Emanuele  ;  se  non  che  le  insistenze  dell'  inviato  del  re  furono  tali,  che  riuscirono  a 
persuadere  il  Generale  ad  acconsentire  all'  impresa.  Quel  foglio  rimase  perciò  fra 
le  sue  carte  e  rivela  oggi  il  retroscena  di  un  momento  storico  poco  conosciuto. 


Garibaldi  a  Vittorio  Emanuele    (Da    un   promemoria    autografo   scritto   sulla  fine 
di  maggio  1864). 

Dite: 

«  Ch'  io  sono  disposto  ad  andare  dove  mi  manda,  ma  credo  un  altro  potrebbe 
capitanare  l' impresa,  mentre  io  potrei  essere  più  utile  qui. 

«  Lo  stato  dell'  Italia  meridionale  è  il  seguente  : 

«  Qui  il  Governo  è  più  odiato  di  quello  del  Borbone  e  gli  amici  suoi  sono  gente 
interessata,  che  lo  tradiranno  all'  uopo  e  fuggiranno,  come  fecero  gli  amici  dell'  altro. 
Qui  vi  sono  tali  elementi  di  malcontento  da  spaventare,  ed  il  giorno  in  cui  il  nostro 
esercito  sarà  occupato  sul  Mincio,  vi  sarà  nel  centro  e  nel  mezzogiorno  d'  Italia  un 
cataclisma  di  reazione,  come  mai  si  vide. 

«  Qui  piomberanno  tutti  i  retrogradi  del  mondo  e  pensate  con  che  potenza  ;  soste- 
nuti dal  clero  mondiale,  da  quasi  tutte  le  aristocrazie,  da  tutti  i  detronati  e  dalla  Santa 
Alleanza. 

«  Che  mi  lasci  nel  mezzogiorno,  che  mi  dia  i  poteri  che  vuole,  che  in 
sostanza  mi  lasci  fare.  Egli  ormai  non  deve  temere,  che  io  mi  faccia  Re 
di    Napoli,   né  eh'  io  voglia  proclamare  la  Repubblica. 


364  VITTORIO  EMANUELE  II  E  C^RIBALDI 


e  Organizzeremo  qui  duecento  mila  uomini,  che  saranno  suoi,  come  V  esercito 
regolare  ;  spero  potremo  sedare  la  reazione  ed  egli  potrà  disporre  di  tutto  il  suo  esercito 
regolare  ». 

Il  Porcelli,  ritornato  a  Torino,  ebbe  un  abboccamento  col  re,  il  quale,  a 
qucJunque  costo,  voleva  fare  la  spedizione  ed  il  Trecchi  ne  avvertiva  il  Generale  ; 
che  appena  ritornato  a  Caprera,  riceveva  dal  Porcelli  la  lettera  seguente  : 

A.  S.  Porcelli  a  Garibaldi. 

Torino,  2  giugno   1864. 

N.   10,  via  della  Zecca. 

Mio  illustre  Generale, 

Giunto  oggi  alle  2  pom.  ho  subito  parlato,  e  combinato  quasi  completa- 
mente.  Però,  siccome  desidero  fare  tutto  per  bene,  avrò  un  nuovo  abboccamento,  che 
sarà  concludente.  E.ssendomi  perciò  impossibile  il  ripartire  domani,  io  mi  fò  un  dovere 
di  sasicurare  V .  S.,  che  partirò  da  Genova  per  costà  col  vapore  di  venerdì  prossimo 
10  corrente. 

Mio  Generale  !  Per  1'  amore  che  noi  portiamo  alla  nostra  povera  patria,  io  scon- 
giuro V.  S.  di  non  ascoltare  i  consigli  di  nessuno  e  non  prendere  veruna  determinazione, 
pria  della  mia  venuta  a  Caprera,  perchè  credo  fermeimente  che  otterremo  tutto  ciò  che 
ci  occorre. 

Intanto  mi  creda 

suo  det.mo  subordinato  e  leale  amico 

A.  S.  PORCELLI 

Ciò  malgrado,  la  spedizione  non  ebbe  piìi  luogo  e  sembra  per  indelica- 
tezze e  rivelazioni  fatte,  che  scoprirono  la  persona  del  re.  Non  eran  pochi,  del 
resto,  coloro  che  si  erano  mostrati  grandemente  preoccupati  deD*  allontanamento 
di  Garibaldi  dall'  Italia. 

Sul  proposito,  sono  del  maissimo  interesse  le  due  seguenti  misteriose  lettere, 
scritte  in  quei  giorni  dal  Guerrazzi. 

Guerreizzi  a  Garibaldi. 

Livorno,  26  giugno   1864. 
Garibaldi, 

Chi  io  mi  sia,  sapete  ;  non  appartengo  a  sette  ed  il  cervello  non  ho  dato   a  nolo. 
Molto  vi  amo  per  voi  ;  pili  molto  pel  bene,   che  avete  fatto  per  la  hbertà  e  per 
la  patria  ;  piìi  molto  ancora  per  quello,  che  si  spera  da  voL 


'^o^i.^'ù^  ^^.wfc-c^  ^'oC^.^^o 


^2 —     y^La^/y  a  Uu^ 


Lellera  di  Vittorio  Emanuele  a  Garibaldi 
direttagli  probabilmente  il  25   ottobre,  da   Presenzano.   (Vedi  pag.  356). 


Lettera  di  Vittorio  Emanuele  a  Garibaldi 
direttagli    dopo    l' incontro    a    Teano.    (Vedi    pag.    356). 


^^<!:,s^;^ 


Lettera  di  Vittorio  Emanuele  a  Garibaldi. 
Lo   prega   di  portarsi  verso   Capua  e  d'intendersi  col  generale  Della  Rocca.   (Vedi  pag.   337). 


MUTUI  RAPPORTI  E  CARTEGGIO  INEDITO  365 

Dopo  CIÒ,  badate .... 

Procedete  con  la  barba  sabre  el  hombro.  ' 

Io  so,  che  vi  si  tendono  insidie. 

Non  assicuratevi  col  dire  :  gì'  idi  di  marzo  sono  venuti.  —  Ricordatevi  della  risposta  : 
S),   ma  non  passali. 

Errare  la  prima  volta  è  da  uomo,  la  seconda  no.  Addio  ;    vi    assista    il    genio 
della  libertà. 

Affezionatissimo  vostro 
GUERRAZZI 


Livorno,  9  luglio  1864. 

Villa  Torretta. 


Cittadino  e  amico  della  patria  e  mio. 


Vi  scrissi  giorni  sono. 

Sto  fuori  della  melma  delle  fazioni,  e  del  Governo  ;  ma  vigilo  per  la  patria 
e  per  voi. 

So  molto,  se  non  tutto,  che  saria  presunzione,  almeno  per  accertarvi, 
che  si  trama  contro  di  voi. 

Voi  uso  a  perigliarvi  nei  campi  ;  ma  né  ancor  a  me  trema  il  cuore  nel  petto  ;  e 
quando  dico  :  badate,  io  non  accenno  a  Volgare  pericolo. 

Ne  la  sola  vita,  bensì  la  fama  vi  s' insìdia.  Ricordate  Carlo  XII,  Bender, 
e  la  turpe  battaglia  sotto  il  letto. 

Per  amore  dell'  Italia,  per  amore  della  vostra  fama,  non  partite  ! 

Avete  bisogno  di  consigli.  Possibile  non  istimiate  alcuno  in  Italia,  degno  di  essere 
consultato  da  voi? 

Di  più  non  dico,  che  se  le  parole  possono  bastare,  queste  basteranno  :  se  no,  altro 
a  me  non  rimane  che  maledire  il  fato. 

Generale,  cittadino,  amico,  fratello,  e  se  ci  hanno  nomi  più  cari  io  vorrei  adoperarli  ; 
lasciate  persuadervi. 

Le  vostre  ossa  sono  sacre  alla  vostra  terra. 

Voi  non  potete,  voi  non  dovete  morire  come  un  gregario  colto  nello 
agguato. 

Ho  detto. 

E  se  vorrete  calmare  la  tremenda  ansietà  in  cui  vivo,  telegrafate  :  ho  capito.  Tanto 

mi  basterà  per  comprendere  che,  o  deponeste  il  pensiero  di  cimentarvi  in  fortune  insidiose, 

o  almeno  volete  dare  luogo  a  piìt  meditati  consigli. 

Addio. 

Vostro  amico 

GUERRAZZI 


State 


in  guardia  ». 


366  VITTORIO  EMANUELE  li  E  GARIBALDI 

Garibaldi,  non  dovette  dare  molto  peso  a  queste  lettere.  Egli  non  era  uomo 
da  lasciarsi  smuovere  da  una  determinazione  presa,  per  argomenti  di  simile 
natura  ;  non  era  la  prima  volta,  che  lo  avvertivano  che  si  voleva  attentare  alla 
sua  vita.  Ma  è  certo,  che  il  contenuto  delle  lettere  direttegli  in  quella  epoca  dcd 
Guerrazzi  illuminano  di  nuova  luce  un  periodo  storico,  sul  quale  ben  poco  si 
conosceva.  Con  le  vicende  di  quel  tempo  ha  pure  rapporto  la  seguente  lettera 
di  Antonio  Mordini,  che  trovo  nel  mio   Archivio. 

Antonio  Mordini  a  Garibaldi. 

Torino,  9  giugno  1864. 
Mio  Generale, 

Nei  documenti  che  le  presenterà  Benedetto  Cairoli  sta,  per  così  dire,  la  relazione, 
che  io  dovei  farle,  circa  l' incarico  che  ella  si  compiacque  affidarmi. 

Ho  sempre  creduto  inutile  il  negoziare  col  Ministero,  per  la  di  lei  partecipazione 
ad  una  possibile  insurrezione  ungherese,  ad  un  possibile  moto  dei  popoli  della  valle 
Danubiana.  Ancorché  ella  si  tenga  oggi  di  fronte  a  tali  quistioni  e  tali  eventualità  in 
una  passiva  aspettazione,  basterà  poi  che  si  presenti  in  quei  paesi,  quando  è  imminente  lo 
scoppio,  per  trascinare  dietro  di  se  le  masse  entusiasmate.  Per  le  opercizioni,  che  possono 
diventare  necessarie  colà,  tutta  la  sua  forza  risiede  nell'  immenso  prestigio  del  suo  nome, 
nell'affetto  universale  dei  popoU  per  la  sua  persona.  Le  trattative  col  Ministero  non  possono 
aggiungerle  forza  alcuna.  Bastano  le  informazioni,  che  vengono  di  là  e  la  buona  intelli- 
genza con  gli  uomini,  che  in  quelle  località  si  sono  dedicati  al  lavoro  della  preparazione. 

Spiegato  così  alla  meglio  il  mio  concetto.  Ella  comprenderà,  come  io  reputassi 
le  trattative  col  Ministero  buone  solamente  pel  caso  di  una  guerra  fra  /'  Italia  e 
l'Austria,  verificandosi  la  quale  potrebbe  il  Governo  darci  i  mezzi,  che  noi  disgrazia- 
tamente non  abbiamo.  E  però  io  tenni  fermo  sempre,  che  il  Ministero  per  una  even- 
tualità stratta  si  obbligasse  a  darle  prima  il  comando  della  flotta  per  distrug- 
gere quella  austriaca  e  rendersi  padrone  dell'Adriatico,  e  ciò  ottenuto,  mettere 
a  sua  disposizione  un  corpo  d'esercito  regolare,  con  quanti  volontari  vorrebbero  aggiun- 
gersi, per  operare  uno  sbarco  sopra  un  punto  dell'Adriatico  da  destinare,  e  portare  la 
guerra  alle  spalle  del  nemico  in  paesi,  dove  troveremo  poderoso  sussidio  in  una  insur- 
rezione Slavo-Magiara. 

Peraltro,  neppure  su  questo  terreno  io  voleva  intavolare  trattative,  se  il  Ministero 
non  consentiva  prima  ad  alcune  condizioni,  fra  le  quali  principale  era  :  l'amnistia  pei 
condannali  d'Aspromonte. 

Il  Ministero  non  accettò  le  mie  proposte  ed  io  non  potei  consentire  a  progetti,  che 
mi  sembravano  poco  seri. 

Sebbene  io  abbia  fin  qui  parlato  in  mio  nome  solamente,  debbo  dichiarare  che 
Benedetto  Cairoli  fu  sempre  d'  accordo  con  me  ed  io  con  lui  ;  ed  anzi  considero 
come  una  vera  fortuna  di  averlo  avuto  a  compagno  in  un  così  delicato  aSaxe. 


MUTUI  RAPPORTI  E  CARTEGGIO  INEDITO  367 

Finche  il  generale  Klapka  fu  qua  io  non  vidi  alcun  Ministro.  Ne  avevo  visto 
uno  precedentemente,  ma  senza  entrare  in  particolari  ;  Benedetto  Cairoii  dirà  il  nome, 
come  gli  dirà  pure  gli  abboccamenti,  eh'  io  ebbi  dopo  la  partenza  del  Generale  sud- 
detto e  in  quali  termini  stanno  le  cose. 

Rimanendo  sempre  dentro  lo  stesso  ordine  d' idee  esposte  nella  presente,  quanto 
a  una  guerra  possibile  fra  1'  Italia  e  l' Austria^  e  quanto  ai  mezzi  che  il  Ministero 
dovrebbe  mettere  allora  a  di  lei  disposizione,  io,  se  invitato,  non  mi  rifiuterò  a  nuovi 
abboccamenti,  fintantoché  al  ritorno  da  Caprera  Benedetto  porti  gli  ordini  suoi. 

10  non  credo  ad  alcuna  prossima  insurrezione  nel  Veneto.  Non  credo,  che  siamo 
preparali  a  Roma.  E  credo  poco  ad  una  insurrezione  in  Ungheria,  punto  ad  una 
levata  d'  armi  in  Gallizia.  Tanto  meglio  se  gli  amici  ed  io  e'  inganniamo  in  questo 
modo  di  vedere. 

Alla  sua  saviezza  il  decidere,  se  sia  utile  o  no  che  Missori  vada  nei  Principati. 
Io  mi  permetto  dire,  che  da  questo  viaggio  può  venire  del  bene ,  del  male  no.  Se 
non  altro,  avremo  relazioni  esatte  su  quei  paesi  dopo  il  corpo  di  Stato  di  Couza. 

11  quale  è  un  Vero  furfante,  capace  d' ogni  mala  azione  e  soggetto  al  Governo 
francese.  Ciò  dobbiamo  ricordare,  pel  caso  che  a  lei  si  faccia  il  progetto  di 
andare  colà. 

Nella  speranza  di  poterla  presto  riverire,  le  riconfermo  i  sensi  della  mia  devo- 
zione illimitata. 

Suo  subordinato 

ANTONIO    MORDINI 


Lo  scritto  che  segue,   che  trovo  fra  le  mie  carte,  sembra  essere  la  risposta 
di  Garibaldi  alla  lettera  di  sopra  trascritta. 

Garibaldi  a  Mordini. 

Assicurare  il  Re  e  il  Governo,  se  ce  lo  chiedono  : 

Che  volendo  fare  la  guerra  per  la  completa  emancipazione  dell'  Italia  e  dei  popoli, 
che  com*  essa  bramano  di  emanciparsi ,  noi  saremo  con  loro  ed  agiremo  sul 
punto  che  loro  troveranno  a  proposito. 


*      * 


Ma  un'  altra  pagina  di  storia  non  conosciuta,  che  prova  come  1'  attacca- 
mento di  Garibaldi  per  Vittorio  Emanuele  non  fosse  mai  servile  e  come  egli 
manifestò,   in  ogni  occasione,   con   franchezza    il  suo    pensiero    al  Sovrano  è  la 


368  VITTORIO  EMANUELE  II  E  GARIBALDI 

importante  lettera  inedita,  diretta  nel  1  867  da  Enrico  Albanese  al  Generale,  dopo 
un  colloquio  avuto  col  re. 

Enrico  Albanese,  garibaldino  senza  macchia  e  senza  paura ,  alleviatore 
dei  dolori  del  duce  dopo  la  ferita  di  Aspromonte,  fu  più  volte  latore,  presso 
Sua  Maestà,  di  alcuni  misteriosi  pezzetti  di  carta,  sui  quali  Garibaldi  mani- 
festava al  re  le  sue  idee,  senza  frasi  cortigiane  ;  e  Vittorio  Emanuele  ebbe  in 
grande  estimazione  1'  ambasciatore  garibaldino    per  il  suo  franco  parlare. 

Lo  scritto  porta  la  data  del  21  dicembre  1867,  cioè,  dopo  la  battaglia 
di  Mentana,  il  drammatico  arresto  di  Garibaldi  a  Figline,  la  prigionia  al  Vari- 
gnano  e  il  ritorno  condizionato  a  Caprera.  Le  sconfitte  di  Lissa  e  di  Custoza, 
la  cessione  della  Venezia,  nel  '66,  e  la  disfatta  di  Mentana  per  1'  intervento 
delle  armi  francesi  nel  '67,  avevano  esulcerato  l'anima  di  Garibaldi.  «  L'  Italia 
è  disonorata  »,  egli  scriveva  al  re,  e  questi,  dopo  avere  bene  riflettuto,  esclamava  : 
«  Sì,  è  vero;  bisogna  armarsi  e  concentrare  il  tutto  del  paese  a 
vendicarci.  Ho  sete    di    vendetta  ;    è    troppo  !    Dal    1859    a    questa 


»  • 


parte  ce  n  e  troppo!  » 

Il  colloquio  dell'Albanese  con  Vittorio  Emanuele,  riferito  a  Garibaldi  colle 
stesse  parole  dette  ed  udite,  è,  in  alcuni  punti,  così  vivace,  per  la  parte  presavi 
dall'Albanese,  che  potrebbe  forse  parere  millanteria  a  chi  non  conobbe  il 
carattere  fiero  di  questo  figlio  della  Sicilia.  Ma  era  appunto  questa  qualità  del 
carattere  dell'Albanese,  che  mduceva  Garibaldi  a  servirsi  di  lui  per  missioni 
così  importanti  ;  e  certo  la  sua  nobile  franchezza  di  parlare  gli  procurò  la  stima 
del  re  cavalleresco. 


Enrico  Albanese  a  Garibaldi. 

Firenze,  21    dicembre   1867. 
Carissimo  Generale, 

Non  torno  in  Caprera,  perchè  non  è  di  bisogno  che  io  venga,  e  perchè  brutte 
notizie  di  Emilia  mi  obbligano  ad  andare  subito  a  Palermo. 

Le  trascrioo  intanto,  per  di  lei  regola,  il  discorso  avuto  con  la  nota  persona,  notando 
le  stesse  frasi  dette  ed  udite. 

Appena  fui  ricevuto,  mi  domandò,  se  Ella  era  sempre  suo  amico.  Risposi:  «-Amore 
di  amor  si  paga  »,  e  dopo  una  fucilata  e  tre  arresti,  V  amicizia  era  una  cosa  un  po' 
incerta,  se  non  impossibile  ;  pure,  siccome  il  Generale  non  ha  mai  fatto  nulla  di  vera- 
mente personale  contro  Vostra  Maestà,  né  contro  la  monarchia  ;  ma  ha  sempre  lavorato 
pel  bene  del  paese,  così,  se  si  doveva  fare  qualche  cosa  per  1'  Italia  era  sempre  pronto 
e  si  metteva  a  disposizione,  colla  speranza  che  questa  volta  le  cose  sarebbero  andate  bene. 


ÙU-^ 


•?^- 


I 


^^»—  ^ 


-^!/\<-«-^_^ 


i-o 


-1  ^ 


O^-. 


_^^ 


Brano  delia  lettera  scritta  di  mano  di  Crispi,  il  29  ottobre,  con  correzione  di  Garibaldi. 

(Vedi  pag.  361). 


MUTUI  RAPPORTI  E  CARTEGGIO  INEDITO  369 

Mi  chiese,  se  avevo  nessuna  lettera  per  lui.  Risposi  :  «  No,  ho  semplicemente  un 
pezzo  di  carta  per  mia  norma,  che,  senza  essere  indiscreto,  presento  »  ;  e  gli  presentai 
quel  pezzo  di  carta,  dove  Ella  aveva  notato  quelle  parole.  Lo  lesse;  si  meravigliò 
che  non  era  firmato.  —  S),  gli  dissi,  non  è  firmato,  perchè  il  Generale  non  vuole  natu- 
ralmente trattare  con  vera  fiducia  —  nemmeno  per  mio  mezzo  —  dopo  tutte  le  belle 
promesse  del  1866,  svanite  colla  nostra  gita  nel  Tiralo.  Vostra  Maestà  ricorderà  bene 
che  cosa  io  fui  incaricato  di  dire  al  Generale  :  di  spedizioni  in  Dalmazia,  di  aiuti  della 
divisione  Bixio  etc....,  e  poi  il  risultato  fu  così  poco  soddisfacente  e  tanto  opposto  alle 
idee  stabilite,  che  il  Generale  ha  finito  forse  per  dubitare  anche  di  me. 

Egli  m' interruppe,  dicendomi  :  «  che  era  stato  La  Marmora  ed  i  suoi 
compagni,  che  si  erano  opposti  vivamente  ai  suoi  disegni;  che  in  quanto  a 
lui  fece  ogni  sforzo  per  riuscire  e  per  mantenere  quanto  aveva  promesso, 
ma  invano  ».  «  Ciò  che  non  toglie,  gli  soggiunsi  io,  che  possa  accadere  lo  stesso 
ora  e  sempre.  Allora  fu  La  Marmora,  oggi  sarà  Menabrea  o  Gualterio  ', 

«  No,  mi  soggiunse,  non  accadrà  più  ;  ma  è  bene  mettersi  d'  accordo  » . 

*  Io  vorrei,  disse  egli,  che  il  Generale  mi  prometta,  che  non  farà  nulla  senza  avvi- 
sarmi ;  come  io  prometto,  dal  canto  mio,  di  avvisar  lui,  appena  qualche  cosa  si  potrà  fare  » 

Leggendo  le  di  lei  parole  disse:    «  Adagio,  disonorata  l' Italia  non  lo  è*. 

lo  gli  feci  riflettere,  che  era  veramente  disonorata  per  la  perdita  di  Lissa  e  di 
Custoza,  per  la  vergognosa  cessione  della  Venezia  e  per  il  nuovo  intervento  francese 
a  Roma. 

Sì,  mi  aggiunse,  è  vero  :  bisogna  armarsi  e  concentrare  il  tutto  del  paese  a  ven- 
dicarci. Ho  sete  di  vendetta;  è  troppo!  Dal  1859  a  questa   parte   ce    n  è  troppo! 

Spero,  soggiunse,  che  in  questa  primavera  sorgeranno  delle  occasioni  e  che 
saremo  in  grado  di  fare  qualche  cosa.  Noi  ci  armiamo;  per  marzo  avremo,  sicuro, 
quarantamila  fucili  ad  ago.  Il  resto  verrà  dopo  ;  ma  con  ago  o  senza  ago,  faremo  il 
nostro  dovere,  lo  lo  assicurai  che,  se  si  metteva  su  questa  via,  il  di  lei  appoggio 
non  gli  sarebbe  mai  mancato,  come  non  gli  mancherebbe  mai  quello  del  paese.  E 
badi,  gli  aggiunsi  francamente:  «  è  bene  che  ormai  Vostra  Maestà  faccia  qualche  cosa 
di  serio,  perchè  il  paese  chiama  paura  quello  che  a  Vostra  Maestà  sembra  prudenza 
ed  il  popolo  non  vede  le  parecchie  umiliazioni  di  buon  occhio.  Il  contegno  del  Governo 
è  stato  codardo.  Vostra  Maestà,  volendo,  potrebbe,  ancora  in  tempo,  lavare  le  vergogne 
nostre  ».  Mi  disse,  «  se  mai.  Ella  sarebbe  disposta  per  un'  impresa  lontana,  ma  di  sicura 
e  bella  riuscita?  »  Risposi,  che  credevo  di  no.  «  //  Generale  farà  in  Italia  quello  che  si 
deve  fare;  volontà  di  allontanarsi  dall'  Italia  non  ne  ha  alcuna  ». 

Promisi,  che  Ella  avrebbe  aspettato  fino  a  marzo,  senza  lasciare  l' isola  ;  che  fino 
a  marzo  e'  erano  ancora  tre  mesi,  e  che  in  tre  mesi  potevano  farsi  miracoli. 

Non  tanti,  mi  soggiunse.  Se  armiamo  con  gran  fretta,  e  intimeranno  il  disarmo 
e  bisogna  andar  cauti  e  piano  ;  ma,  infine ,  faremo.  Gli  dissi  ancora ,  che  per  lei 
era  indifferente  avere  un  Comando  nell'  armata  regolare  o  dei  volontari  ;  che  avrebbe 
preferito  il  comando  dei  bersaglieri.  «  Va  bene,  mi  replicò,  vi  farò  chiamare  a  Palermo, 
se  avrò  bisogno  del  Generale  ;  e  forse  non  sarà  lontana  l'  epoca  » . 

CURÀTULO  24 


370  VITTORIO  EMANUELE  II  E  GARIBALDI 

Così  ci  lasciammo. 

Questo  discorso  è  genuino;  io  prego  Lei  di  conservarlo.  E  stato  scritto  immedia- 
tamente dopo  che  lo  lasciai. 

Spero  che  Ella  sarà  contenta  del  mio  contegno.  Ho  voluto  scriverle  tutto,  perchè 
possa  in  avvenire  servirle  questo  scritto  ;  lo  conservi  per  ora. 

Suo  sempre  da  figlio 
E.  ALBANESE 

N.  B.  -  Soggiungo,  che  domandalo,  se  Ella  era  in  intime  relazioni  con 
Mazzini  e  se  era  vero  che  Ella  volesse  in  Roma  proclamare  la  Repubblica, 
risposi:  «  Solite  storie  di  gente  che  vuole  darle  a  bere  a  V.  M.  Questo  solo 
so  e  posso  dirle,  anche  a  nome  del  Generale  :  che  Mazzini  e  Repubblica  vengono  dopo 
dell'  Italia  ;  che  l' Italia  è  in  cima  dei  pensieri  suoi;  che  non  ebbe  mai  intenzione  di 
fare  questioni  di  partito  della  questione  nazionale;  la  sua  vita  ne  è  una  splendida  e 
luminosa  prova.  Che  ai  Repubblicani,  i  quali  più  volte  l'hanno  rimproverato,  dicen- 
dogli: «  la  Monarchia  ci  paga  con  l' ingratitudine  »,  ha  risposto  sempre  nella  serenità 
della  sua  coscienza  :  «  Io  non  ho  servito  mai  la  Monarchia,  ne  gì'  interessi 
di  Casa  Savoia;  ho  servito  il  mio  paese  e  lo  servirò  sempre  ugualmente, 
rispettando  la  volontà  della  maggioranza.  Se  sono  stato  sulla  strada  della 
Monarchia,  vuol  dire  che  quello  era  il  cammino  dei  patrioti  italiani,  e  fu 
così  che  si  compirono   grandi  cose.  Io  non  farò  mai  questioni  di  forma!  > 

Ho  fatto  bene? 

*     * 

In  quei  giorni  la  voce  autorevole  di  un  altro  patriota  era  venuta  ad 
ammonire  il  re  sulla  gravità  della  situazione  :  era  la  voce  del  martire  dello  Spielberg, 
di  Giorgio  Pallavicino.  Un  giorno  avanti,  il  26  dicembre  del  '67,  questi  aveva 
inviato  a  Vittorio  Emanuele  la  seguente  importantissima  lettera,  che  Anna  Palla- 
vicino, fedele  amica  di  Garibaldi,  comunicava  al  Generale,  in  Caprera.  La  riporto 
dall'  originale  scritto  dalla  mano  della  nobile  donna. 

Giorgio  Pallavicino  a  Vittorio  Emanuele. 

Pegli,  26  dicembre   1867. 
Sire. 

Nella  «  Storia  di  Francia  »  del  Michelet,  io  leggo  queste  parole  :  «  La  situation 
avait  fori  empirie  depuis  Rosbarch.  Un  Condé  battu,  reculant  jusqu  au  Rhin.  Les 
Anglais  déscéndant  en  France  et  démolissant  Chérbourg,  brùlant  en  sécurité  cent  vaisseux 
devant  Saint- Malo.  Cinq  cent  millions  de  dépense,  trois  cent  millions  de  recette.  Un 
déficit  annuel  de  deux  cent  millions  ». 


MUTUI  RAPPORTI  E  CARTEGGIO  INEDITO  371 

_^ _ 

Questo  era  lo  stato  della  Francia  nel  1758.  La  malattia  era  grave,  era  cronica: 
il  rimedio  fu  terribile:  ma  il  terribile  rimedio,  rovesciando  la  Monarchia,  salvò  la  Nazione. 
L'  Ottantanove  salvò  la  Francia  ! 

Tolgano  i  fati,  che  il  vecchio  patriota  del  '21  abbia  ad  essere  testimonio 
di  un  Ottantanove  Italiano! 

Oggi  le  condizioni  d' Italia  hanno  molta  somiglianza  con  quelle,  che  ci  vengono 
descritte  dallo  storico  francese.  Abbiamo  Cusloza,  abbiamo  Lissa,  abbiamo  V  invasione 
straniera.  II  deficit  cresce  di  giorno  in  giorno,  e  lo  spettro  del  fallimento  minaccia  le 
nostre  finanze. 

Sire  ! 

In  tale  stato  di  cose,  un  uomo  onesto  deve  dire  la  verità;  tutta  la 
verità.  Allontanate  da  Voi  i  Menabrea,  i  La  Marmora,  i  Ricasoli,  i  Minghetti, 
i  Peruzzi,  i  Rattazzi  ;  sono  peste  d' Italia.  Staccatevi  dalla  Francia,  acco- 
statevi alla  Prussia.  Se  non  vi  sentite  il  coraggio  di  spezzare  i  vincoli,  che 
vi  legano  a  Napoleone  III,  ed  iniziare  una  nuova  politica,  la  politica  che 
vi  fu  imposta  dalla  Nazione  coi  suoi  plebisciti,  siete  perduto  ed  è  perduta 
la  Dinastia. 

Avete  già  il  caos  nel  vostro  governo:  dopo  il  caos,  lo  sfacelo. 

La  logica  è  inesorabile. 

//   Vostro   suddito 

Senatore  del  Regno 
GIORGIO  PALLAVICINO 

Questo  era  il  linguaggio  che  parlavano  al  re  coloro  che,  per  1'  indipendenza 
e    per    1'  unità  della  patria,  avevano  sofferto  torture,   carcere  ed  esilio. 


NOTA 

(a  pa».  357) 


A  proposito  dell'incontro 
di  Vittorio  Emanuele  con  Garibaldi  nel  1860. 

Nessuno  ignora  le  lunghe  polemiche  sorte  per  stabilire  il  luogo  preciso,  dove, 
nel  1 860,  avvenne  Io  storico  incontro  fra  re  Vittorio  e  Garibaldi.  L'egregio  capi- 
tano Del  Bono,  dell'  Ufficio  storico  dello  Stato  Maggiore,  ha  trattato  l'  argomento. 

Il  dibattito  però,  non  riguardava  soltanto  il  luogo,  dove  1'  incontro  era  avve- 
nuto, ma  le  parole  che  i  due  personaggi  si  erano  scambiate  in  quel  solenne 
momento.  Ciascuno  raccontò  1'  episodio  a  modo  suo  ed  anche  in  questa 
occasione  i  testimoni  oculari  ed  auricolari  non  fecero  difetto. 


372  VITTORIO  EMANUELE  li  E  GARIBALDI 

Mi  sembra  opportuno  porre  fine  alla  controversia  con  la  parola  stessa  di 
Garibaldi. 

Nel  1 882  il  Circolo  Universitario  di  Bologna  commemorava,  con  una  serie 
di  scritti  di  eminenti  uomini  politici,  la  morte  di  Vittorio  Emanuele.  In  quella 
occasione  fu  invitato  a  colloborare  anche  il  prof.  Quirico  Filopanti,  amicissimo  di 
Garibaldi  ed  al  quale  egli  scrisse  la  seguente  lettera,  che  riproduco  da  un  raro 
opuscolo  di  queir  epoca. 

Bologna,   13  ottobre  1881. 
Caro  Generale, 

Gli  studenti  che  compongono  il  Circolo  Universitario  di  Bologna  hanno  diramata, 
a  me  e  ad  altri,  una  circolare,  colla  quale  chiedono  qualche  scritto  da  pubblicarsi  nella 
ricorrenza  dell'  infausto  anniversario  della  morte  di  Vittorio  Emanuele.  Una  copia  pure 
ne  inviano  a  voi.  Non  ignari  però  dell'  alta  importanza,  che  aver  potrebbe  per  essi  e 
pel  pubblico  uno  scritto,  ancorché  fosse  brevissimo,  dettato  per  questa  occasione,  deside- 
rano che  io  ve  ne  porga,  come  fo,  in  mio  e  loro  nome,  una  speciale  e  calda  preghiera. 

Nel  giorno  9  febbraio  1849,  tanto  voi  come  io,  votammo  il  decreto  fondamentale 
della  Repubblica  Romana.  Nondimeno  la  vostra  abdicazione,  nel  1860,  alla  dittatura 
dell'  Italia  meridionale  da  voi  liberata,  e  la  convocazione  del  plebiscito  che  la  consegnò 
al  governo  costituzionale  del  re  Vittorio  Emanuele,  lungi  dall'  essere  una  deroga,  fu 
una  conferma  dei  vostri  gloriosi  antecedenti,  un  leale  e  magnanimo  omaggio  alla  volontà 
della  nazione,  al  supremo  bisogno  della  sua  politica  unità. 

Non  esistono  soltanto  delle  leggende  antiche,  ma  ancora  delle  contemporanee.  Voi 
e  Vittorio  Emanuele  siete  già  due  figure  leggendarie.  Una  delle  leggende,  che  vi  riguar- 
dano, narra  cos)  il  Vostro  abboccamento  con  Vittorio  Emanuele  dopo  la  battaglia  del 
Volturno  :  stando  ambedue  a  cavallo.  Voi  gli  diceste  :  «  Salute  a  voi,  re  d' Italia  » 
ed  egli,  stringendovi  la  mano,  rispose  :  «  Salute  a  voi,  il  migliore  dei  miei  amici  » . 

Le  leggende,  siano  vetuste  o  moderne,  sono  per  lo  piìi  inesatte  nella  forma,  tuttavia 
veridiche  nella  sostanza.  Sono  certo  che  questa  pure,  nel  fondo,  è  verissima.  Volete 
voi  dirci,  o  Generale,  con  precisione  di  circostanze,  come  il  fatto,  indubitatamente  memo- 
rabile, avvenne  ? 

Questi  bravi  giovani  e  con  essi  il  pubblico  contemporaneo,  e  la  storia,  ve  ne  saranno 

riconoscenti. 

//  vostro 

FILOPANTI 


A  questa  lettera  Garibaldi  rispose  : 

G.  Garibaldi 
All'  illustre  professore  Filopanti 

Roma. 
E  vero.  E  vero. 


Maddalena,  21    dicembre  1881. 


l^^o<]eL_— — ,ir^^  "^^^'^ ^Z--^ 


-zf 


Lettera  di  Vittorio  Emanuele  a  Garibaldi 
in  risposta  a  quella  del  Dittatore  con  cui  gli  rimetteva  il  potere  su  dieci  milioni  di  Italiani.  (Vedi  pag.  361). 


Ultima   lettera  scritta  da  Vittorio  Emanuele  a  Garibaldi  nel    1860. 

(Vedi  pag.   362). 


CAPITOLO  XV. 


LA  BATTAGLIA  DEL  VOLTURNO  ED  IL  PLEBISCITO. 
L'EROE  DIVENTA  AGRICOLTORE. 


La  battaglia  del  1"  ottobre  del  Volturno  e  quella  di  Caserta  Vecchia, 
avvenuta  il  giorno  seguente,  chiudono  la  gloriosa  epopea  del    1 860. 

Dall'  autografo  inedito  del  generale  Menotti  Garibaldi,  prode  figlio  dell'  eroe 
e  che  combattè  con  bravura  a  fianco  del  Padre,  apprendiamo  importanti  partico- 
lari su  quelle  due  memorabili  battaglie.  Trascrivo  lo  storico  documento,  ripro- 
ducendo in  facsimili  i  picini  d*  attacco  e  la  disposizione  delle  truppe,  disegnati 
dalla  mano  stessa  del  generale  Menotti. 

Menotti  Garibaldi  descrive  la  battaglia  del  Volturno. 

POSIZIONI  DELLE  TRUPPE  DI  DIFESA  E  DELLE  TRUPPE  DI  ATTACCO. 

Mio  Padre,  per  condizioni  di  cose  e  per  disposizione  del  terreno,  fu  obbligato  a 
distaccare  le  sue  truppe  nel  modo  che  dirò  più  sotto  ;  e  ciò  perchè  non  era  possibile 
difendere  Napoli  con  un  corpo  di  volontari,  addossandoli  alla  città  e  dove  sarebbe  stato 
difficile  ottenere  quella  con.pattezza,  che  occorreva  per  tenere  fronte  ad  un  esercito  di 
circa  45  mila  uomini  con  appena  20  mila. 

Nella  pianura  tra  Napoli  e  Maddaloni  e  Caserta  la  cosa  era  anche  più  difficile; 
perciò  era  necessario  occupare  le  alture,  che,  arrivando  fino  al  Volturno,  vanno  a  finire 
a  S.  Angelo,  a  S.  Maria,  la  valle  di  Ducenta,  fino  a  Maddaloni;  ciò  rendeva  possibile 
ai  diversi  corpi  di  appoggiarsi  a  vicenda,  tanto  se  il  nemico  avesse  attaccato,  sortendo  da 
Capua  o  venendo  da  Caianno  dopo  avere  passato  il  Volturno,  o  se  avesse  anche  attaccato 
simultaneamente  ;  ciò  che,  in  fatto,  fece.  E  così  venne  disposto  :  il  corpo  di  Milbitz 
occupava  S.  Maria,  con  alcune  compagnie  a  S.  Tommaso  ;  la  divisione  Medici  occu- 
pava S.  Angelo  e  per  rendere  più  forte  la  posizione  si  era  costruito  un  fortino  dinanzi 


374  LA  BATTAGUA  DEL  VOLTURNO  ED  IL  PLEBISCITO 

a  Capua,  munito  di  alcuni  pezzi  di  artiglieria.  Medici  occupava  S.  Angelo  ed  aveva 
la  sua  destra  sulla  strada  verso  S.  Maria  e  la  sua  sinistra  fino  al  bosco  di  S.  Vito, 
dove  sorvegliava  anche  il  passo  di  Formicola. 

La  brigata  Sacchi  a  S.  Leucio,  col  battaglione  Bronzetti  a  Castel  Morone  con 
r  incarico  di  sorvegliare  la  strada,  che  viene  dalla  scaffa  di  Zimatola.  La  divisione  Tiirr 
a  Caserta,  come  riserva  ;  e  la  divisione  Bixio,  col  suo  quartiere  generale  a  Villa  Gualtieri, 
a  cavaliere  delle  alture,  che  difendono  la  strada  di  Ducenta  per  Maddaloni  e  la  strada 
che  conduce  a  Caserta. 

L'  effettivo  di  queste  truppe  poteva  ammontare  a  circa  20  mila  uomini  e  non  più, 
e  con  queste  bisognava  accettare  battaglia  campale  contro  un  nemico,  che  aveva  sulla 
nostra  fronte  più  di  40  mila  uomini  ;  ma  nell'  attacco  non  ne  portò  che  33  mila  nel 
seguente  modo  ;  una  colonna,  che  sortendo  da  Capua,  comandata  dal  generale  Alan 
de  Rivera,  forte  di  più  di  20  mila  uomini,  attaccò  le  nostre  posizioni  di  S.  Angelo  e 
S.  Maria  con  una  punta  verso  S.  Tamaro  ;  una  seconda  colonna  di  attacco,  comandata 
dal  colonnello  Perrone,  che  passando  la  scafia  di  Zimatola,  forte  di  5  mila  uomini, 
attaccò  la  posizione  occupata  da  Bronzetti  a  Castel  Morone  ed  una  terza  colonna, 
comandata  dal  generale  De  Mechel,  forte  di  8  mila  uomini,  che  passando  sotto  Ducenta 
attaccò,  pei  ponti  della  Valle,  la  divisione  Bixio. 

Ed  ora  mi  si  permetta  un'  osservaizione  a  chi  critica  il  modo  d' attacco  del  gene- 
rale borbonico.  Io  credo  che,  ben  ponderato  lo  stato  dei  due  eserciti,  fu  il  migliore 
sistema  di  attacco,  e  mi  spiego. 

Egli,  avendo  sotto  i  suoi  ordini  truppe  organizzate,  poteva  sperare  di  farle  mano- 
vrare meglio  sopra  un  grande  campo  di  battaglia,  che  i  corpi  di  truppe  volontarie,  che 
manovrano  per  gruppi  e  manipoli,  e  così  potè,  per  un  momento,  mettere  a  mal  partito 
r  esercito  meridionale  ;  e  ci  volle  tutta  1'  energia  e  l' attività  del  Generale  in  capo,  se 
quella  giornata  non  ci  fu  fatale.  Se  invece  egli  avesse  potuto  disporre  di  tutte  le  sue 
truppe  sulla  linea  fra  S.  McU"ia  e  Sant'  Angelo  la  battaglia  non  sarebbe  stata  dubbia 
per  un  solo  momento  ;  ma  certamente  per  difendere  una  linea  così  estesa,  sarebbe  stata 
necessaria  una  forza  molto  maggiore.  Ma  non  vi  era  scelta  possibile  ;  era  necessario 
difendere  gli  attacchi  o  da  Capua  o  da  Ducenta  o  simultaneamente,  ed  in  ogni  modo 
il  corpo  nemico,  che  avesse  operato  o  da  una  parte  o  dall'  altra  avrebbe  avuto,  in  men  di 
due  ore,  sul  fianco  tutto  1'  esercito  meridionale. 

Nella  battaglia  del  1°  ottobre  la  divisione  Bixio  aveva  l'ordine  di  sorvegliare  la 
strada,  che  da  Ducenta  conduce  a  Maddaloni  ed  in  caso  respingere  il  nemico. 

La  divisione  era  disposta  nel  seguente  modo  :  la  brigata  Dezza  col  centro  a  Villa 
Gualtieri  e  la  sua  destra  su  Montecaro  e  Monte  della  Siepe  ;  la  brigata  Eberarth 
occupava,  con  alcune  truppe,  le  pendici  di  Monte  Longano  e  col  maggior  numero  i 
ponti  della  Valle  ;  la  brigata  Basilicata  (P.  Fabrizi)  la  posizione  di  San  Michele,  in 
riserva.  Disposta  in  questo  modo,  la  divisione  aspettava  l' urto  del  nemico  ed  infatti 
all'  alba  del  I  ''  ottobre,  la  fucileria  si  fa  viva  alla  nostra  destra  e  vediamo  impegnata 
la  destra  della  brigata  Eberarth,  che  lentamente  si  ripiega  sui  ponti  della  Valle.  Qui 
la  battaglia  si  fa  generale,  e  dopo  un  vigoroso  attacco,  fatto  dalle  truppe  borboniche. 


V  EROE  DIVENTA  AGRICOLTORE 


375 


la  brigata  Eberarth  abbandona  i  ponti  della  Valle  e  si  ripiega,  disordinata,  su  Maddaloni 
invece  di  ripiegare  su  Villa  Gualtieri,  ove  era  il  nucleo  delle  nostre  forze  combattenti. 

Questo  fu  uno  sbaglio  grave  commesso  dal  colonnello  Eberarth,  clie  venne  così 
tolto  dal  combattimento  in  tutto  il  resto  della  giornata  ;  e  ciò  si  comprende  facilmente 
da  chi  visitando  la  stretta  gola,  che  unisce  Maddaloni  ai  ponti  della  Valle,  vede  che 
un  corpo  di  truppa  instradatasi  in  questa  non  può  più  riprendere  1'  ofiensiva  contro 
un  nemico  padrone  dei  ponti  e  delle  alture  di  Monte  Longano. 

DUCENTA. 

Alla  destra  :  Esercito  Meridionale. 

Divisione  Bixio  (5000  uomini)  attaccata  dalla  colonna  De  Mechel  (8000  uomini). 


*lf^l 


i# 


51 


m 


e^F' 


lii,  2t^^f^ 


I.  —  Brigata  Eberarth. 
II.  —  Brigala  Dezza  —  Quartiere  Generale  Bixio. 

III.  —  Battaglione  Bambrini. 

IV.  —  Battaglione  Menotti  Garibaldi. 

V.  —  Brigata  "  Basilicata  ,,  -  colonnello  Paolo  Fabrizi. 
VI.  —  Riserve  di  truppe  borboniche. 
VII.  —   Truppe  borboniche,  colonne  di  attacco  contro  Montecaro  e  Monte 

della  Siepe. 
Vili.  —   Colonne  di  attacco  contro  Monte  Longano  ed  i  ponti  della  Valle. 
IX.  —    Ultima  posizione  conquistata  contro   Villa  Gualtieri. 


376  LA  BATTAGLIA  DEL  VOLTURNO  ED  IL  PLEBISCITO 

Contemporaneamente  a  quest'  attacco,  fatto  con  molta  energia  da  parte  delle  truppe 
borboniche,  altre  forze  del  nemico  erano  lanciate  sulle  posizioni  di  Montecaro  e  Monte 
della  Siepe  :  un  battaglione  operava  contro  Montecaro,  uno  contro  Monte  della  Siepe 
ed  un  battaglione  di  sostegno.  Questi  battaglioni  erano  di  truppe  estere  e  forti  di  1 200 
uomini  :  invece  i  battaglioni  nostri  erano  così  per  dire.  Il  battaglione  di  Menotti  Gari- 
baldi era  di  350  uomini;  ma  il  battaglione  Boldrini  era  di  appena  200  uomini. 

Le  posizioni  di  Montecaro  e  di  Monte  della  Siepe  sono  naturalmente  fortissime, 
principalmente  per  chi  viene  dal  paese  di  Valle.  Questo  primo  attacco  fu  facilmente 
respinto  ed  il  nemico  obbligato  a  ritirarsi  in  disordine  ;  ma,  disgraziatamente,  il  mag- 
giore Boldrini  credette  di  proseguire  la  vittoria  ed  inseguire  il  nemico,  scendendo  con 
i  suoi  fin  presso  il  paese  di  Valle,  dove  il  nemico  aveva  le  sue  riserve  di  circa  2000 
uomini.  Qui,  naturalmente,  la  scena  cambia  e  da  attaccante,  quel  battaglione,  si  vede 
attaccato  ;  e  dopo  prodigi  di  valore  inaudito  fu  quasi  annientato  ed  i  superstiti,  in  numero 
piccolissimo,  poterono,  a  stento,  riguadagnare  le  alture  e  riunirsi    al    mio    battaglione. 

Intanto,  il  nemico  aveva  occupato  Montecaro  e  due  pezzi  di  artiglieria  da  montagna 
e  da  quella  posizione  sovrastante  aveva  già  aperto  il  fuoco  contro  le  nostre  posizioni. 
Ma  qui  esso  commise  lo  stesso  sbaglio  già  da  noi  fatto.  Senza  aspettare  di  essere  rin- 
forzalo e  di  essersi  fortemente  stabilito  nella  posizione  acquistata,  scese  per  attaccare 
alla  baionetta  il  battaglione,  che  occupava  Monte  della  Siepe  e  ad  un  contro-attacco, 
fatto  dai  volontari,  non  potè  resistere  e  pressato  dalle  nostre  baionette,  invece  di  ascen- 
dere la  montagna,  ciò  che  era  sommamente  disagevole,  fu  obbligato  di  girarla.  Il  colon- 
nello Dezza,  accortosi  dello  sbaglio  del  nemico,  chiamati  due  battaglioni  di  rinforzo 
da  Villa  Gualtieri  li  mandò,  sotto  gli  ordini  del  valoroso  colonnello  Taddei,  morto  poi 
a  Custoza,  a  rioccupare  la  posizione  di  Montecaro.  I  volontari  raggiungevano  la  vetta 
nello  stesso  tempo  che  altre  truppe  borboniche  giungevano  per  rinforzare  la  posizione 
ed  allora,  come  sempre,  la  baionetta  dei  volontari  ebbe  ragione  ed  il  nemico  disor- 
dinatamente si  ripiegò  su  Valle.  Altri  attacchi  furono  poi  tentati  contro  queste  due 
posizioni,  ma  senza  energia  e  perciò  con  poco  successo. 

Intanto,  la  battaglia  si  faceva  sempre  più  viva  sul  nostro  centro  e  con  svantaggio 
del  corpo  dei  volontari.  Questi  avevano  già  perduto  le  posizioni  di  Monte  Longano 
ed  i  ponti  della  Valle,  abbandonando  due  cannoni,  che  fino  all'  ultimo  avevano  fatto 
fuoco  sul  nemico  attaccante. 

Il  nemico,  padione  dei  ponti,  avanzava  verso  Villa  Gualtieri,  dove  era  la  maggior 
parte  della  Brigata  Dezza,  ed  i  nostri  erano  obbligati  a  ripiegare  lentamente. 

Il  generale  Bixio  aveva  formato  intanto,  dietro  Villa  Gualtieri,  una  colonna  di 
attacco  di  sei  battaglioni  per  dare  un  colpo  decisivo  ;  e  quando  il  nemico  giunse 
a  qualche  centinaio  di  metri  dalla  Villa,  egli  si  lanciò  alla  testa  di  queste  truppe  sul 
nemico,  che  non  resistette  all'  urto  e  ripiegò  prima  lentamente,  ma  poi  in  disordine 
completo  e  fu  inseguito  per  la  pianura  fino  quasi  al  paese  di  Valle.  Allora  sarebbe  stato 
facile  per  noi  cogliere  il  frutto  della  vittoria,  perchè  la  demoralizzazione  del  corpo 
borbonico  era  completa  e  diffìcilmente  avrebbe  potuto  ripassare  il  Volturno,  senza 
lasciarci  gran  parte  dei  suoi. 


f  EROE  DIVENTA  AGRICOLTORE 


377 


Ma  le  notizie  che  ci  giungevano  dalle  altre  parti  del  campo  di  battaglia  erano 
contradditorie  ;  ed  allora,  con  molta  prudenza,  Bixio  ci  ordinò  di  riprendere  le  posizioni 
per    aspettare   gli   eventi.    Alle   due   tutto  era  finito  ed  i  nostri  volontari  aspettavano, 


e^\ 


V(ht€uA^ 


m 


$ 


(;>f'^cuiu 


^•^ 


fuJi*^'^ 


I.  —  Bai  taglione  Bronzetti. 

n.  —  Compagnia  di  osservazione. 

III.  —  Brigata  Sacchi. 

IV.  —  Compagnia  di  osservazione. 
V.  —  Divisione   Tiirr  in  riserva. 

VI.  —  Corpo  borbonico  forte  di  5000  uomini  che.  attraversato  il  Volturno  alla 
scaffa  di  Zimalola,  attaccò  Castel  Morone,  difeso  da  Bronzetti. 


378  LA  BATTAGLIA  DEL  VOLTURNO  ED  IL  PLEBISCITO 

coir  arma  al  piede,  di  essere  chiamati  in  altri  punti,  e  sarebbero  stati  di  ausilio 
prezioso,  perchè,  fieri  dei  successi  ottenuti,  avrebbero  saputo  compiere  dei  miracoli. 
Ma  la  vittoria  volgeva  propizia  anche  sugli  altri  punti  e  nessun  ordine  venne. 

Non  è  esatta  la  notizia  data  da  altri,  che  il  generale  Garibaldi  fu,  durante  l'azione 
del  primo  ottobre,  ai  ponti  della  Valle;  non  vi  venne  in  tutta  quella  giornata.  Egli 
aveva  visitato  col  generale  Bixio  le  nostre  posizioni,  quattro  giorni  prima,  ed  aveva 
disposto  il  modo  di  difesa,  e  mi  ricordo  che  il  generale  Bixio  diceva  sempre  che  le 
fasi  dell'  attacco  del  nemico  si  erano  svolte,  come  le  aveva  previste  il  Generale  in  capo. 

All'  energia,  all'  attività,  all'  intelligenza  del  generale  Bixio  l' Italia  deve,  se  essa 
può  ascrivere,  fra  i  suoi  eventi  fortunati,  i  fatti  successi  al  ponte  della  Valle  in  un 
momento,  quando  tutto  sembrava  perduto.  Egli  si  centuplicava  e,  colla  parola  e  con 
l'esempio,  otteneva  dai  volontari  miracoli. 

Verso  le  dieci  la  colonna  borbonica,  forte  di  5  mila  uomini,  che  aveva  attraver- 
sato il  Volturno  alla  scaffa  di  Zimatola,  attaccò  i  nostri  avamposti  sul  davanti  di  Castel 
Morene.  Essendo  stati  questi  obbligati  a  ripiegare  dinanzi  al  numero,  il  nemico  venne 
ad  attaccare  la  fortissima  posizione  di  Castel  Morone,  che  è  quasi  a  cavaUere  della 
strada,  che  conduce  dalla  scaffa  di  Zimatola  a  Caserta.  Per  molte  ore  il  valore  di 
Bronzetti  e  dei  suoi  pochi  volontari  seppe  resistere  all'  urto  di  forze  così  superiori  ; 
mancando  però  le  munizioni,  il  fuoco  dovette  cessare  da  parte  dei  nostri  ed  il  nemico 
allora  potè  occupare  il  paese,  respingendo  i  nostri  restati  in  piedi  e  fra  questi  il  bravo 
Bronzetti,  che  si  ritirarono  nella  chiesa  e  non  volendo  arrendersi  vi  furono  baionettati. 
11  loro  eroismo  fu  però  di  grande  ausilio  alla  battaglia,  perchè  essi  impedirono,  in  numero 
di  200,  ad  un  corpo  di  3000  uomini  di  entrare  in  linea  di  battaglia  e  di  venire  ad 
attaccare  le  nostre  posizioni  di  San  Leucio  ;  ciò  che  avrebbe  obbligato  una  parte  delle 
nostre  riserve  di  Caserta  di  avanzare  da  quel  lato  e  non  sarebbe  più  stata  pronta 
per  accorrere  su  Santa  Maria  e  dare,  sotto  gli  ordini  del  Generale  in  capo,  il  colpo 
decisivo. 

Prima  dell'alba  del  primo  ottobre,  un  corpo  di  truppe  borboniche  sortiva  da  Capua, 
e  passando  fra  Sant'Angelo  e  Santa  Maria,  si  portava  a  prendere  posizione  sulle 
pendici  del  Monte  Tifata,  lasciando  un  battaglione  sulla  strada,  dove  sembra  il  nemico 
sapesse  che  il  generale  in  capo  passava  tutte  le  mattine  all'alba  in  carrozza,  venendo 
da  Caserta  per  visitare  Santa  Maria  e  Sant'Angelo. 

11  maggiore  Basso,  Segretario  particolare  del  Generale  in  capo,  mi  raccontava, 
come  segue,  l'episodio. 

Giunti  ai  primi  albori,  a  metà  strada  fra  Santa  Maria  e  Sant'  Angelo,  videro 
come  se  sorgessero  dal  terreno  delle  ombre  e  le  carrozze,  in  numero  di  sei  o  sette, 
si  videro  circondate  dal  nemico,  che  aprì  su  queste    una    vivissima    fucileria. 

11  cocchiere  della  prima  carrozza,  vicino  al  quale  era  seduto  il  Basso,  fu  ferito  e 
fu  ammazzato  un  cavallo;  ma,  coH'altro  cavallo  ancora  sano,  la  carrozza  potè  prendere 
la  strada  incassata,  che  va  quasi  parallela  alla  nuova  strada;  e  quando  le  carrozze 
furono  al  sicuro  dalla  fucileria,  allora  il  Generale  in  capo  col  suo  seguito  scese  a  piedi 
ed  in  quel  modo  potè  raggiungere  i  primi  corpi  dei  volontari ,  che  erano  verso 
Sant'Angelo,  appartenenti  alla  brigata  Simonetta  e  potè  così  scampare  ad  un  pericolo 


L"  EROE  DIVENTA  AGRICOLTORE 


379 


gravissimo;  perchè  se  il  nemico,  invece  di  aprire  il  fuoco  sulle  carrozze,  lo  avesse 
caricato  alla  baionetta,  sarebbe  stata  quasi  certa  la  cattura  o  la  morte  del  Generale 
in  capo  ed  un  colpo  di  mano  condotto  con  tanto  studio  ed  accorgimento  fallì  per  una 
momentanea  mancanza  di  energia.  Un  attacco  alla  baionetta  ben  diretto  e  tutto  sarebbe 
finito,  e  molte  volte  i  volontari  dovettero  a  questi  attacchi  il  segreto  delle  loro  vittorie. 


I.  —  Brigala  Spangaro. 
lì.  —  Brigata  Milbitz. 
III.  —  Brigata  Milbitz. 

IV.  —  Dìoisione  Medici.  —  Brigata  Simonetta. 
V.  —  Divisione  Medici. 
VI.  —  Battaglione  borbonico  che  fucilò,  alF  alba,  le  carrozze  del  Generale 

in  capo. 
VII.  —   Corpo  di  truppe  borboniche,   che  aoeva    occupato    quella    posizione 
dall'  alba   e    che  poi  Ju   scacciato   da  alcune    compagnie   della 
Brigata  Simonetta. 


Intanto,  le  truppe  di  attacco  borboniche,  sotto  gli  ordini  dal  generale  Alan  de 
Rivera,  sortite  da  Capua  si  avanzano  sulle  nostre  posizioni  di  Sant'Angelo,  Santa 
Maria  e  San  Tommaso.  L' attacco  su  Sant'Angelo,  condotto  con  molto  vigore,  ci  fece 
perdere  la  batteria  costruita  dinanzi  a  Sant'  Angelo,  che  i  volontari  dovettero  abban- 
donare, ripiegando  più  indietro  e  mantenendo  a  stento  le  posizioni,  che  formano  le 
pendici  del  Monte  Tifata  verso  Capua. 


380  LA  BATTAGLIA  DEL  VOLTURNO  ED  IL  PLEBISCITO 

La  presenza  del  Generale  in  capo,  che  condusse  fino  alle  undici  1'  azione  in  quella 
parte,  potè  a  stento  ristabilire  la  battaglia  e  restare  così  padroni  delle  posizioni  occupate, 
meno  del  fortilizio,  che  il  nemico  tenne  per  tutta  la  durata  dell'azione. 

Le  posizioni  dinanzi  a  Santa  Maria,  attaccate  dal  nemico,  (urono  difese  validamente 
dal  corpo  di  Milbitz,  che  aveva  la  sua  base  in  Santa  Maria.  Queste  posizioni  furono 
prese  e  riprese  diverse  volte  ;  ma  i  volontari  restarono  sempre  padroni  della  città. 

Verso  San  Tommaso  1'  attacco  fu  più  fiacco,  perchè  il  nemico  aveva  concentrato 
tutte  le  sue  forze  fra  Santa  Maria  e  Sant'  Angelo  ed  aveva  simulato  verso  San  Tommaso 
per  tenere  a  bada  le  forze  nostre  in  quelle  posizioni.  Quando    1'  azione    fu    ristabilita 


c 


ó;^  S^<^^d^\^^^^ 


\.  —  Colonna  d' attacco  partita  da  Caserta. 
11.  —    Truppe  della  Brigata  Sacchi. 
in.  —  Quattro  battaglioni  della  Divisione  Bizio. 
IV.  — ■  Corpo  borbonico  circondato  e  che  capitolò. 


sulle  alture  di  Sant'  Angelo,  il  Generale  in  capo  accorse  a  visitare  il  campo  di  battaglia 
di  Santa  Maria  ;  e  vedendo  il  momento  giunto  per  dare  il  colpo  decisivo,  fece  avanzare 
le  truppe,  che  erano  di  riserva  in  Caserta.  Queste,  appena  giunte  sul  campo  dell'  azione, 
furono  ordinate  in  colonna  di  attacco  e,  sortendo  da  Santa  Maria,  caricarono  alla  baionetta 
le  truppe  borboniche  che  occupavano  la  strada,  che  conduce  a  Capua  ed  ai  fianchi 
di  questa.  A  quest'  attacco  di  truppe  fresche,  condotte  dal  Generale  in  capo  in  persona, 
il  nemico  non  resse  e  cominciò  il  suo  movimento  di  ritirata,  che  poi  degenerò  in  fuga. 

Questo  movimento  vittorioso  in  avanti  dei  nostri  mise  la  colonna  di  attacco  borbo- 
nica, che  operava  verso  Sant'Angelo,  in  pericolo  di  essere  attaccata  di  fianco  e  respinta 
da  truppe  vittoriose  sul  Volturno  e  così  cominciò  prima  il  movimento  di  ritirata,  che 
poi  volse  anche  in  fuga  per  potere  rientrare  nella  fortezza  di  Capua. 

in  questo  modo,  verso  le  tre,  ebbe  fine  quella  giornata  del  1°  ottobre,  che  fu 
combattuta  con  tanto  accanimento  da  ambo  le  parti  ;  e  si  deve  alla  bravura  dei  volontari 
ed  all'  energia  ed  alla  perspicaccia  dei  capi,  se  essa  fu  propizia    alle   forze  nazionaU. 


L'  EROE  DIVENTA  AGRICOLTORE  361 

La  notte,  le  truppe  dei  volontari  dormirono  nelle  posizioni  occupate  il  mattino  e 
solamente  la  colonna,  che  aveva  annientato  il  corpo  valoroso  di  Bronzetti  si  poteva 
avanzare  verso  il  parco  di  Caserta.  Il  Generale  in  capo,  avvisato  della  presenza  di  un 
corpo  nemico  nelle  vicinanze  di  Caserta,  ordinava  l' accerchiamento  ed  infatti,  all'  alba 
del  2  ottobre,  sortivano  da  Caserta  alcuni  battaglioni  di  volontari  con  due  compagnie 
di  bersaglieri  e  due  compagnie  di  linea  dell'esercito  subalpino  e  attaccarono  il  nemico, 
che  aveva  occupato  Caserta  vecchia,  e  dopo  un  attacco  condotto  con  molta  bravura 
tanto  dalle  truppe  regolari  come  dai  volontari,  il  nemico,  vedendosi  circondato  da  tutte 
le  parti  e  la  sua  posizione  disperata,  alzò  la  bandiera  bianca  e  depose  le  armi. 

Per  compiere  1'  accerchiamento  si  erano  avanzati  da  San  Leucio  la  brigata  Sacchi 
e  da  Villa  Gualtieri  quattro  battaglioni  della  divisione  Bixio,  dei  quali  presi  io  il 
comando. 

La  battaglia  del  1°  ottobre  completava  la  disorganizzazione  morale  delle  truppe 
borboniche,  che  si  accampavano  dietro  la  fortezza  di  Capua,  al  di  là  del  Volturno  ; 
ed  essendo  finito  il  pericolo  di  un  colpo  di  mano  borbonico  per  la  Valle  di  Ducenta, 
per  Maddaloni  e  Napoli,  la  Divisione  Bixio  scendeva  a  Caserta,  dove  prendeva  i 
suoi  quartieri  ed  allora  1'  esercito  meridionale  si  trovò  sul  triangolo  :  Caserta,  Capua, 
Sant'  Angelo,  sorvegliando  con  alcuni  battaglioni  gli  approcci  della  fortezza.  Vi  furono, 
in  alcuni  giorni,  da  respingere  piccole  partite  del  nemico  fino  al  passaggio  del  Volturno, 
che  fu  eseguito  su  ponti  provvisori  alla  scaffa  di  Formicola  per  andare  incontro  alle 
truppe  subalpine  e  così  finì  per  l'esercito  meridionale  la  campagna  del   1860. 

MENOTTI  GARIBALDI 


Le  lotte,  che  nel  settembre  ed  ottobre  del  '60  si  agitarono  a  Napoli,  intomo 
a  Garibaldi,  furono  ben  più  violente  di  quelle  che  si  erano  svolte  a  Palermo 
nel  giugno  e  luglio  di  quell'  anno. 

Già  fimo  dal  31  agosto,  un  grande  amico  del  Generale,  il  Deidery,  aveva 
scritto  la  seguente  lettera  inedita  : 

G.  Deidery  a  Garibaldi. 

Genova,   31   agosto   1860. 
Caro  Garibaldi, 

Ti  avverto,  in  fretta,  che  Cavour  e  Farini  tentano  tutti  i  mezzi  per  arrestarti  nelle 
lue  marcie  vittoriose. 

Una  cospirazione  agisce  potentemente  in  Napoli,  onde  impedire  il  trionfo  della 
causa  dell'unità. 


382  LA  BATTAGUA  DEL  VOLTURNO  ED  IL  PLEBISCITO 

Tale  cospirazione  è  capitanata  dai  due  cavouriani,  Emilio  Visconti 
Venosta  e  Giuseppe  Finzì;  a  questi  due  il  governo  manda  ogni  sorta  di  mezzi, 
denari  ed  armi,  che  la  troppo  credula  e  pecorina  moltitudine  crede  spedito  a  te.  Tu 
devi  conoscere  il  vero,  tanto  li  serva.  Stiamo  tutti  bene,  ma  privi  di  tue  notizie. 
Credimi  sempre  tuo 

G.  DEIDERY 


A  Palermo  la  situazione  non  era  meno  critica  che  a  Napoli  ed  il  prodit- 
tatore Mordini  ne  era  assai  preoccupato.  Le  due  seguenti  lettere,  dirette  da 
Bargoni,  Segretario  generale  della  prodittatura,  al  Calvino,  allora  presso  Garibaldi, 
illustrano  quel  difficile  momento.  Una  di  esse  è  anche  importante  per  quello  che 
si  dice  del  Crispi  ;  di  quest'  anima  fiera,  che  in  nessun'  epoca  della  sua  vita 
riuscì  a  godere  popolarità. 

Angelo  Bargoni  a  Salvatore  Calvino. 

GABINETTO 
DEL  PRO-DITTATORE  Palermo,  7  settembre   1860. 


Mio  caro. 

Qui  siamo  in  stato  di  crisi.  L'  avversione  contro  Crispi  crebbe  in  modo  smisurato. 
Gli  stessi  suoi  amici,  mano  a  mano  V  abbandonarono.  Circondato  da  altri,  che  essi  non 
credono  amici  ceri,  non  lo  poterono  più  avvicinare  e  se  ne  dolsero  invano.  Alcuni  errori, 
forse  necessari,  relativi  alla  conservazione  dell'  impiego  o  della  pensione  a  persone  odiate 
o  sospette,  divenne  argomento  di  nuove  e  più  violente  accuse.  L'  impazienza  del  partito 
annessionista  trovò  nuove  armi  contro  di  lui.  E  domenica  o  martedì,  il  malcontento  doveva 
prorompere  in  dimostrazioni  di  piazza,  che  furono  stornate  dal  savio  contegno  della 
Guardia  Nazionale,  quantunque  anche  nelle  sue  file  covino  i  germi  dell'  agitazione. 
Crispi  comprese  la  propria  impopolarità,  e  superando  le  istanze  e  le  preghiere  di  Depretis, 
diede  la  sua  dimissione.  D'altronde,  sia  pure  a  torto,  esso  è  divenuto  impossibile,  e  richia- 
marlo al  potere  sarebbe  provocare  su  di  lui  una  fucilata.  Non  esagero  :  ma  ripeto  Voci 
comuni,  e  tu  che  conosci  il  paese  puoi  crederlo.  Intanto,  occorre  di  sostituirgli  persona 
la  cui  presenza  nel  Gabinetto  armonizzi  cogli  altri  elementi,  che  lo  compongono,  perchè 
una  dimissione  in  massa  sarebbe  fatale,  come  quella  che  obbligherebbe  a  perdere  il 
frutto  dei  lavori,  che  si  stanno  facendo  per  la  riorganizzazione  del  paese.  Vuoisi  poi, 
che  venga  anche  la  volta  del  Ministro  della  Guerra  ;  ma  la  sua  caduta  non  avrebbe 
significato  politico. 

Vengo  ad  altre  più  gravi  difficoltà.  II  moto  annessionista  cresce  e  continua.  E  se 
non  fosse  per  rispetto   alla  volontà  di  Garibaldi,  il  decreto   per  il  plebiscito    sarebbe 


L'  EROE  DIVENTA  AGRICOLTORE  383 

già  pubblicato.  Ho  motivo  di  credere,  che  da  Torino  si  sia  lavorato  immensamerìle  a 
questo  scopo.  Cordova,  Sant'Onofrio  sono  affaccendatissimi.  Il  deputato  Bottero  è  qui 
da  molti  giorni  ;  1'  Opinione  dice,  che  ha  la  missione  di  affermare  a  Depretis  il  desi- 
derio del  Governo  di  Torino,  che  il  paese  sia  consultato  subito  ;  Regnoli  scrive  che 
Cavour  disse,  che  Bottero  ha  la  missione  di  verificare,  se  e  quanta  influenza  hanno  i 
repubblicani.  Intanto  sta  il  fatto,  che  a  nome  di  Bottero  si  raccolgono  firme  per  l'annes- 
sione. Ma  Bottero  dice  di  esservi  estraneo.  Ieri  è  arrivato  l'avv.  Casalis  da  Torino 
e  grida  annessione,  come  un  energumeno.  Ma  Depretis  non  vi  consentirà  mai,  senza 
il  consenso  di  Garibaldi,  e  per  ottenerlo  era  disposto  a  fare,  egli  stesso,  una  gita  al 
campo.  Non  so  chi  primo  gliene  abbia  suggerita  l' idea  ;  certo  fu  qualcuno  che  aveva 
secondi  fini.  Non  sarebbe  stato  fuori  del  posto,  se  una  dimostrazione  avesse  portato 
Cordova  e  Torrearsa  e  compagnia  al  potere  ;  fortunatamente  vi  rinunciò  e  invece  partì 
Piola.  Ma  Piola  non  è  uomo  politico,  a  quanto  mi  si  dice  ;  e  non  so  come  eseguirà 
la  sua  missione.  Ora  parte  un  vapore  e  Cenni  ne  profitta  per  scrivere  al  Generale  ; 
credo,  per  altro,  ch'egli  esageri,  smentendo  l'importanza  dell'agitazione  annessionista; 
come  esagerano  quelli  che  gliela  danno  intera.  In  sostanza,  ritengo  che  la  forza  morale 
del  nome  e  della  volontà  di  Garibaldi  possa  avere  ancora  efficacia  per  imporre  tranquil- 
lità, almeno  per  quindici  giorni.  Ma  non  sono  d'accordo  con  Cenni  nel  consigliare, 
che  un  proclama  venga  da  lui  per  non  esautorare  moralmente  Depretis,  che  non  avendo 
forza  materiale  abbisogna  di  tutto  il  prestigio  morale.  A  mio  credere,  necessiterebbero 
istruzioni  formali  e  precise  di  Garibaldi,  che  questi  all'occasione  potesse  rendere  osten- 
sibili ;  ma  il  manifesto  o  proclama  dovrebbero  venire  da  lui.  Sopralutlo,  dovrebbe  mandar 
qui  un  suo  ufficiale,  che  fosse,  per  pochi  giorni,  come  il  rappresentante  vivo  delle  sue 
istruzioni  ed  il  contrapposto  di  Bottero,  in  cui  si  Vuol  vedere  il  rappresentante  di  Cavour. 

E  una  mia  idea;  ma  la  credo,  scusa  la  modestia,  d'indispensabile  realizzazione. 
Te  la  raccomando;  si  tratta  di  evitare  una  crisi  scandalosa.  Si  tratta  del  bene  di 
Sicilia  e  sopratutto  d'Italia! 

Molto  avrei  a  dirti  sulle  cose  di  Napoli.  Ma  il  vapore  parte  inesorabilmente. 
Addio. 

Tuo 
ANGELO  BARGONI 

P.  S.  -  Non  ti  ho  scritto  a  mero  sfogo,  ma  perchè  è  necessario  che  tu  parli 
con  Garibaldi. 


GABINETTO 
DEL  PRO-DITTATORE  Palermo,    1  5  settembre   1 860. 

Amico  carissimo. 

Le  interne  condizioni  del  paese  non  sono  sostanzialmente  cangiate,  nei  brevi  giorni 
di  tua  assenza.  Ma  la  pressione  dal  di  fuori  aumenta  e  l'interno  può  sentirne  funesta- 
mente l'influsso. 


384  LA  BATTAGLIA  DEL  VOLTURNO  ED  IL  PLEBISCITO 

I  pochi  uomi,  che  ci  osteggiano  si  sono  resi  padroni  delle  colonne  dei  giornali 
del  continente  e  vomitano  ingiurie  contro  di  noi,  cercando  mostrarci  sotto  il  peso  di 
mille  menzogne  e  di  mille  calunnie.  Vantano  di  essere  costituiti  in  Deputazione,  e 
sorprendono  la  buona  fede  di  questo  o  di  quello  per  poi  servire  di  conserva  ai  fini 
di  una  politica,  ch'essi  dicono  esser  quella,  che  ha  condotto  a  Firenze  ed  a  Bologna; 
ma  che  noi  vediamo  esser  quella,  che  ha  condotto  a  Villafranca  ed  a  Nizza.  Intanto, 
si  prepara  una  spedizione  armata  contro  la  Sicilia  ed  il  Giornale  Ufficiale  di  Genova, 
così  riserbato  di  solito,  ne  dava  anzi  come  già  partito  l' ordine.  La  cosa  d*  altronde, 
è  confermata  da  troppe  altre  lettere  di  persone  autorevoli  per  poterla  porre  in  dubbio. 

In  questa  contigenza,  che  fare? 

Affrettare  una  lotta,  spargere  e  far  spargere  sangue  fraterno  ?  Tutt'  altri  uomini, 
che  noi  ne  sarebbero  capaci.  Ma  questi,  ancora  non  ne  avrebbero  i  mezzi  ;  che  qui, 
e  lo  sai,  noi  giudicati  terroristi,  abbiamo  per  unica  forza  alcuni  fanciulli  dell'  Istituto 
Garibaldi.  Oggi  stesso  è  venuto  lo  Stromboli  ad  imbarcare  artiglieria. 

Opporre  una  resistenza  passiva?  Lasciar  entrare  quei  signori  e  dargli  l'aria  di 
voler  continuare  a  governare  ?  Ma  sarebbe  un  governo  senza  forza  morale  e  un  arri- 
schiare di  cadere  nel  ridicolo.  E  poi  potrebbero  scuscitare  partiti  e  provocare  disordini. 

Accettare,  subire  l' intervento  ?  Ma  e'  è  di  mezzo  l' interesse  della  Sicilia,  quello 
d' Italia. 

Quello  della  Sicilia  che,  o  diventerebbe  provìncia  piemontese,  non  parte 
della  famiglia  italiana,  o  sarebbe  nelle  mani  del  Conte  di  Cavour,  prezzo 
d' un  altro  mercato  qualunque.  Laddove,  checche  avvenga  sul  Continente,  se  può 
conservarsi  la  Sicilia  all'Italia,  se  ne  può  fare  la  cittadella,  il  cardine  dell'azione 
nazionale. 

Ma  qui  veniva  la  sensibile  quistione  del  come.  E  un  solo  modo  si  è  presentato. 
Riferirsi  al  decreto  23  giugno  1 860  del  Dittatore  ;  far  sì  che  il  medesimo  non  rimanga 
opera  morta  ;  imporsi  alla  diplomazia  colla  solennità  di  un  grande  atto  e,  nello  stesso 
tempo,  non  vincolare  il  Dittatore. 

Perciò,  previe  conferenze  singole,  individuali,  e  dietro  discussione  generale  comune, 
si  è  dai  Ministri  e  dal  Prodittatore  ritenuto  indispensabile  di  lanciare  un  manifesto, 
anzi  un  Decreto,  per  la  convocazione  dei  Collegi  elettorali,  salvo  poi  a  convocare 
l'assemblea,  quando  lo  crederà  il  Dittatore. 

E  un  passo  non  definitivo,  che  si  è  fatto  :  un  passo  pel  quale  tutti  concordemente 
avrebbero  voluto  interpellare  il  Dittatore  ;  ma  pel  quale  non  e'  era  tempo,  tanto  più 
attesa  la  interruzione  della  linea  telegrafica. 

Tre  vapori  sono  venuti  successivamente  da  Napoli  in  poche  ore,  senza  una  riga, 
ne  scritta,  ne  stampata  per  alcuno  di  noi. 

E  una  condotta  inesplicabile  ! 

Ti  abbraccio  in  fretta  e  di  cuore.  Ricordati,  che  sei  atteso  impazientemente. 
E  scuotiti,  dice  Mordini. 

Tuo  affezionatissimo 
ANGELO  BARCONI 


L'EROE  DIVENTA  AGRICOLTORE  385 

Dissi  di  sopra,  come  le  lotte  che  si  agitarono  nel  settembre  ed  ottobre 
del  *60,  a  Napoli,  fossero  assai  più  violente  di  quelle,  che  si  erano  agitate  in 
Palermo,  nel  giugno  e  luglio  di  quell'  anno.  Il  dibattito  era  sorto  dal  fatto,  che 
mentre  alcuni  volevano  che  il  plebiscito  fosse  preceduto  dall'  assemblea,  altri  soste- 
nevano, invece,  doversi  procedere  senz'  altro  al  plebiscito.  Erano  fra  i  primi  gli 
uomini  più  accesi  del  partito  di  azione  :  Bertani,  Crispi,  Cattaneo  e  da  principio 
lo  stesso  Garibaldi.  Fra  gli  altri  militavano  i  rappresentanti  più  accreditati  del 
partito  piemontese.  Ma  il  sostenitore  autorevole  ed  efficace  del  plebiscito  fu 
il  marchese  Giorgio  Pallavicino  Trivulzio  ;  il  quale,  sebbene  fosse  da  principio 
di  diverso  parere,  divenne  poi  il  paladino  della  politica  cavouriana  ;  e  ciò  non 
perchè  egli  fosse  uomo  da  subire  l' influenza  del  conte  di  Cavour,  che  aveva 
sempre  combattuto,  ma  perchè  si  era  convinto  che  la  convocazione  di  un'assem- 
blea, al  punto  in  cui  erano  giunte  le  cose,  sarebbe  stata  causa  di  guerra  civile. 
Ciò  comprese  in  ultimo  lo  stesso  Garibaldi,   che  decretò  il  plebiscito. 

La  storia  di  quei  giorni  è  in  parte  nota  ;  ma  le  importanti  lettere  inedite, 
che  qui  appresso  trascrivo  dagli  autografi  della  mia  raccolta,  e  dirette  a  Gari- 
baldi dal  Bertani  (che  finì  col  dimettersi  dall'  ufficio  di  Segretario  generale  della 
Dittatura  e  coli'  allontanarsi  da  Napoli),  dal  Pallavicino,  che  si  era  pure 
dimesso  da  Pro-Dittatore  insieme  al  Ministero,  da  Andrea  Colonna,  e  da  Cesare 
Augusto  Vecchi,  ci  danno  un'  idea  esatta  della  grande  tempesta,  che  si  scatenò 
a   Napoli. 

Agostino  Bertani  a  Garibaldi. 

SEGRETERIA  GENERALE 


DITTATURA  DELLE  DUE  SICILIE  ^*P°'''  ^3  settembre   1860. 


Caro  Generale, 

Ho  parlato  oggi  con  un  ufficiale  superiore  dell*  Esercito  Regio,  che  lasciò  Capua 
da  tre  giorni.  Egli  non  volle  venire  a  voi,  e  non  vuole  più  riedere  a  Capua,  essendo 
ricco  e  colla  moglie  ammalata.  Mi  narrò  : 

«  che  i  Regi  saranno  da  30  a    35  mila  ;  che  furono   ingrossati  dagli  sbandati,  che  si 

lasciarono  passare  ; 
»   che  sonvi   10-12  batterie,  fra  le  quali  alcune  rigate,  di  cui  una  serve  gli   Svizzeri; 
»   che  i  battaglioni  esteri  non  danno  la  forza  complessiva  di  oltre    i    3    mila    uomini  ; 
»   che  si  manderanno  sempre  contro,  pei  primi,  i  buoni  soldati,  cioè    gli  esteri  ;   vinti 

quelli,  non  v'  ha  che  marmaglia  dietro  ; 

CURATOLO  25 


386  LA  BATTAGLIA  DEL  VOLTURNO  ED  IL  PLEBISCITO 

»  che  gli  Svizzeri  per  ora  diserterebbero  ; 

»  che  vi  ha  la  solita  diffidenza  verso  gli  ufficiali  ; 

»  che  di  carne  e  farina  hanno  abbondanza,  ma  difettano  di   ogni   altro  commestibile; 

»  che  la  truppa  è  allettata  dalla  promessa  di  saccheggio  ; 

»  che  le  truppe  di  Lamoricière  cominciano  a  congiungersi  coi  Regi  » . 

Oggi  ricevetti  avoiso,  che  l' esercito  settentrionale  è  a  tre  ore  dal  confine  abruzzese; 
mi  si  domandarono  istruzioni.  Risposi,  che  si  rinforzassero  i  confini  dei  nostri  e  si 
chiedesse  a  coi  che  fare.  Io  lo  domando  a  voi;  e  parmi  potreste  rispondere  che  slieno 
al  loro  posto  per  ora,  essendo  voi  Dittatore. 

Domani  verrò  a  vedervi.  Buona  notte.  Vostro 

A.    BERTANI 

SEGRETERIA  GENERALE 


DITTATURA   DELLE  DUE  SICILIE  Napoli,  23  settembre   1860. 


Caro  Generale, 

E  meglio  combattere  e  morire,   che  governare  e  vivere  rabbiosi. 

10  vi  prego  di  accettare  il  Ministero  combinato  con  Conforti.  Anche  Zuppetta 
lo  trova  conveniente. 

Cosenz  aveva  in  tasca  la  dimissione  del  Ministero  e  non  1'  ha  data  a  voi,  pres- 
sato dai  vostri  ordini  militari. 

Quanto  agli  attuali  Direttori  dei  Ministeri,  che  non  valgono  per  noi,  parleremo 
poi  e  ci  metteremo  d'  accordo  coi  singoli  Ministri. 

Bisogna  aver  pazienza  e  riformare  il  Decreto  per  la  nomina  del  Comitato  di 
Sicurezza  Pubblica,  come  ve  lo  presento,  staccando  affatto  la  Polizia  dall'  Interno. 

Vi  mando  quindi  un  nuovo  modello  di  Decreto  per  il  Ministero  e  per  il  Comitato. 
Abbiate  pazienza  ! 

11  Ministro  di  Finanza  fa  adesso  delle  difficoltà  di  forma  per  il  milione  di  cui 
parlammo  e  da  tenersi  a  disposizione  nostra  per  i  Comitati  nostri  e  per  l' arruolamento. 
Favorite  quindi  a  farmi  una  riga,  in  cui  diciate:  «  E  aperto  il  credito  di  un  milione 
di  franchi  al  Segretario  Generale  della  Dittatura  >». 

Quanto  agli  820  mila  franchi  per  G.  B.  Garibaldi  di  Marsiglia  si  è  pensato  bene 
di  aprirgli  un  credito  corrispondente  presso  questa  Tesoreria  Generale. 

Ho  messo  in  relazione  Conforti  con  Cattaneo.   Se  la  intendono. 

Fate  di  conservare  voi  la  somma  delle  cose,  senza  la  Prodiltatura  di  mezzo  per 
ora.  Se  io  non  venni  oggi,  fu  per  salute  e  lavoro.  Quando  vogliate,  volerò.  Domani  e 
dopo  avrete  decreti  importanti.  Sono  arrivati  amici  :  Saffi  sarà  qui  domani. 

Che  direste  dell'  idea  di  convocare,  in  questa  parte  d'  Italia,  un  Parla- 
mento in  contrapposto  a  quello  di  Torino? 

Vostro    sempre 

A.  BERTANI 


L'EROE  DIVENTA  AGRICOLTORE  387 

P.  S.  -  Da  Palermo  si  richiede  1'  allontanamento  del  cavaliere  Sant'  Onofrio  del 
Castillo,  come  incaricato  lasciato  dal  Cordova  per  proseguire  nelle  mene.  Egli  fu  fatto 
da  Depretis,  fuori  di  Consiglio,  il  21  agosto,  Amministratore  Generale  delle  Poste. 
Di  là  cominciarono  guai  e  disgusti. 

Attendo  vostri  ordini  per  ciò.  Vostro 

A.    BERTANI 


SEGRETERIA  GENERALE 
DITTATURA  D^  DUE  SICILIE  N^P°'''  ^3  settembre   1860. 


Caro  Generale, 

Sono  urgenti  i  decreti  che  vi  propongo. 

Al  Ministero  della  Guerra  e  in  tutte  le  dipendenti  amministrazioni  abbiamo  nemici. 
Il  materiale  fu  tutto  disposto.  Anche  gli  altri  Ministeri  non  hanno  ancora  cambiato 
il  personale. 

Urge  riparare  alla  possibile  reazione  e  mostrarsi  forti.  Io  sono  qui  solo,  senza 
corrispondente  autorizzazione.  Faccio  sulla  fede  di  far  bene  ;  ma  posso  essere  sconfessato 
o  non  obbedito.  Provvedete,  di  grazia;  firmate  i  decreti  che  vi  mando  e 
create  un'  autorità,  se  non  vi  fidate  abbastanza. 

Vostro  di  cuore 
A.  BERTANI 


SEGKETERIA  GENERALE 
DITTATURA  DElZe  DUE  SICILIE  '^«P^'''  ^^  settembre    1860. 


Caro  Generale, 

Vi  unisco  il  progetto  di  decreto  per  la  ricomposizione  del   Ministero. 

Per  il  dipartimento  degli  Affari  Esteri ,  essendo  riservato  al  Dittatore ,  saranno 
sufficienti  due  Capi  Dipartimenti,  uno  pel  personale  e  contabilità,  1'  altro  pei  Consolati. 

Per  non  fare  due  Ministeri,  abbiamo  aggregato  il  Culto  al  Ministero  di  Grazia 
e  Giustizia.  I  due  sacerdoti  da  voi  raccomandati  saranno  posti  come  Capi  Dipartimento, 
tanto  pili  che  il  Bianchi  non  accetterebbe,  e  d'  altra  parte  sarebbe  esposto  a  critica 
molto  forte. 

Vostro  di  cuore 

A.  BERTANI 
P.  S.  -  Vi  unisco  altro  decreto  per  contenere  lo  zelo  dei  preti,  per  la  vostra  firma. 


388  LA  BATTAGLIA  DEL  VOLTURNO  ED  IL  PLEBISCITO 


SEGRETERIA  GENERALE 
DITTATURA  DELLE  DUE  SICILIE  Napoli.  25  settembre   1860. 


Caro  Generale, 

Nelle  gravi  evoluzioni  politiche  vi  sono  delle  difficoltà  create  pili  dagli  uomini  che 
dalle  cose.  Voi,  che  incarnate  il  pensiero,  il  voto,  il  proposito  dell'  unità  e  libertà 
d'  Italia,  sapeste  fare  le  mirabili  cose,  che  redensero  in  poche  settimane  quelle  provincie 
meridionali.  Eppure  adesso,  qui  in  Napoli,  trovate  degli  uomini,  che  vi  attraversano  il 
glorioso  cammino  e  che,  mentre  voi  siete  agli  avamposti  a  difenderli  da  un'  invasione 
borbonica  minacciata  ad  ogni  ora,  proclamano  che  la  tranquillità  e  la  pace  del  regno 
è  in  pericolo. 

Questi  uomini  mentiscono,  perchè  Napoli  non  fu  mai  così  tranquilla,  ne  tutte  le 
22  Provincie  di  questa  parte  d'  Italia  ebbero  mai  più  solenne  unanimità  confidandosi  a 
voi;  ferme  nel  vostro  programma  e  sicure  della  vostra  lealtà. 

Questi  uomini  ne  elidono,  necessariamente,  altri  che  propugnarono  sempre  il  vostro 
programma.  Ora,  perchè  1'  urto  non  divenga  maggiore  e  voi  possiate  discernere  ;  rimossi 
i  riguardi  dell'  amicizia,  scegliete  chi  meglio  comprenda  le  necessità  attuali  del  vostro 
programma;  io  credo  fare  opera  patriottica,  ritirandomi  dalla  carica  che  mi  avete 
affidata. 

Vi  prego  perciò  di  accettare  la  mia  rinuncia  ai  grado  di  colonnello  e  la  mia  dimis- 
sione dalla  carica  di  Segretario  generale. 

Vostro  affezionato 

A.  BERTANI 


SEGRETERIA  GENERALE 

,^,._^ .  .^.  ,„  .    ^r~,  ,  r-  r^.  .r-  o.,-iiir-  NapoH ,  25   scttcmbrc    1860. 

DITTATURA  DELLE  DUE  SICILIE  ^      ' 


Caro  Generale, 

I  nomi  e  le  persone,  troppo  uditi  gli  uni,  troppo  vicino  le  altre,  facilmente  stancano  ; 
cos)  io  ho  stancato  voi  e  me  ne  avete  fatto  accorto  dacché  siete  lontano  di  qui,  cogli 
immeritati  rimproveri  innanzi  agli  amici  miei  e  colle  umilianti  ammonizioni  innanzi  lo 
sconfortato  Conforti. 

Voi  mi  avete  negato  la  firma  al  decreto  per  un  milione  da  tenersi  a  vostra  dispo- 
sizione, dopo  che  voi  mi  autorizzaste  a  chiederlo  pei  Comitati  e  per  gli  arruolamenti  ; 
dopo  che  io  mi  era  già  compromesso  con  iniziative  presso  il  Ministro  Scialoia,  che 
esigeva  quell'  ordine  vostro. 

Voi  avete,  di  vostra  mano,  cancellato  ieri,  rimpetto  a  un  terzo,  il  grado  di  colonnello, 
che  mi  avete  dato  e  che  credo  non  {sfregiato  dal  mio  nome. 


LEROE  DIVENTA  AGRICOLTORE  389 

Io  sono  bersagliato,  come  vostro  ispiratore  di  una  politica  di  resistenza  all'annes- 
sione. Sono  bersagliato  dagli  amici  nostri  d'  ogni  parte  d'  Italia,  che  vedono  la  paralisi 
in  questo  governo  e  la  contraddizione  fra  i  detti,  i  sentimenti  ed  i  propositi  espressi 
più  volte,  ed  i  fatti.  Fra  le  misure  di   oggi  e  quelle  di  ieri. 

Sono  impotente  nel  farvi  accettare  le  misure,  che  devoti  e  disinteressati  amici  vostri 
vi  propongono  come  indispensabili  oggigiorno  al  potere. 

Sono  messo  così  da  Voi  fra  la  riooluzione  e  la  conservazione,  e  nessun  uomo  può 
durarvi. 

Io  consumo  così  il  mio  qualsiasi  nome  e  le  mie  poche  forze  inutilmente  e  che 
spero  di  potere  spendere,  più  tardi,  a  migliore  vantaggio  del  paese.  Voi  potete  farvi 
assistere  da  altre  persone,  ben  altrimenti  distinte,  venutevi  d' intorno  d' ogni  parte 
d'  Italia. 

Vogliale  quindi,  caro  Generale,  accettare  la  mia  dimissione  dal  grado  di  colonnello 
e  dal  posto  di  Segretario  generale;   la  dimissione  è  qui  unita. 

Ho  la  coscienza  di  avere  da  quasi  due  anni  lottato  fortemente  e  lealmente  per  voi 
e  con  Voi,  per  V  unità  e  la  libertà  d' Italia. 

In  questi  Venti  giorni  non  mi  sento  colpabile  d'inerzia  o  di  sviamento.  Scendo 
tranquillo  e  ritorno  a  Genova  per  pubblicare  i  conti  della  mia  gestione  ed  a  farvi  il 
medico,  curando  altre  piaghe  dell'  umanità  e  rimanendo  sempre 

A.  BERTANI 

P.  S.  -  Vi  raccomando  i  Comitati  pel  «  Soccorso  a  Garibaldi  *  cui  avete  promesso 
aiuti  di  denaro. 


SEGRETERIA  GENERALE 
DITTATURA  DELLE  DUE  SICILIE  ^^P°'''    ^J   ««"f'n'''^    '^ÓO. 

Santa  Maria. 


Caro  Generale, 

Perdonate,  se  mi  reco  a  Napoli.  Io  debbo  partecipare  agli  amici  nostri  le  gravi 
decisioni  da  voi  prese  e  debbo  spicciare  cose  urgenti. 

Non  dubitate.  Non  farò  atto  alcuno  io,  fuori  di  spedizione  di  affari  di  ordine 
comune. 

Voi  prometteste  denari  ai  «  Comitati  di  soccorso  a  Garibaldi  ».  Ne  prometteste 
per  sostenere  la  stampa  qui  e  nell'  Italia  settentrionale.  Oggi  ho  chiesto  perciò  10  mila 
ducati  ;  se  non  li  trovo  già  consegnati  in  Napoli,  vi  pregherò  di  dare  un  ordine  voi 
e  di  affidarne  l' incarico  ad  altri. 

Vi  lascio  un  mio  calabrese  confidente  per  darvi  gli  atti  da  firmare. 

Vostro 
A.  BERTANI 


390  LA  BATTAGLIA  DEL  VOLTURNO  ED  IL  PLEBISCITO 


Napoli,  29  settembre   1860. 
Caro  Generale, 

Vi  presento  il  signor  Emilio  Savio,  capitano  di  artiglieria  nell'esercito  di  Sua  Maestà 
Vittorio  Emanuele,  che  viene  con  venti  uomini  del  suo  corpo  ad  offrire  1'  opera  sua 
pei  vostri  cannoni. 

Persuaso,  che  gradirete  moltissimo  la  generosa  profferta,  io  sono  lieto  di  presen- 
tarvi il  bravo  capitano,  che  è  impaziente  di  misurarsi  coi  nostri  nemici. 

Vostro 
A.  BERTANI 


Napoli,  30  settembre   1860. 
Caro  Generale, 

Vi  prego  consegnare  al  Padre  Pantaleo  l' ordine  per  una  somma  da  disporre  per 

i   «  Comitati  di  soccorso  a  Garibaldi  >>  e  per  la  stampa. 

E  affare  di  tutta  urgenza  ed  importanza  ;  ve  ne  prego.  Due  parole  e  fede  in  chi 

con  voi  pugna  per  la  più  sacra  delle  cause. 

Vostro 

A.  BERTANI 


Dopo  questa  lettera,   forse  l'ultiina  diretta  a  Garibaldi   in   Napoli,   Bertani 
inviava  da  Torino  le  seguenti,  non  meno  importanti. 


Torino,  4  ottobre   1860. 
Caro  Generale, 

La  guerra  a  coi  è  dichiarala.  Non  parlo  di  quella  che  fanno  a  noi.  Noi  ci  soster- 
remo, se  voi  ci  sostenete.  Ma  tanto  combattendo,  come  cedendo,  occorrono  denari  per 
non  morire  senza  difesa. 

Denari  per  la  cassa  centrale  in  Genova. 

Denari  per  i  Comitati  di  provvedimento. 

Denari  per  la  stampa  del  paese  ed  estera. 

Denari  per  qualche  nostro  agente. 

L' opinione  pubblica  qui    è    pervertita.    Cavour    è    padrone    della    situazione.    Egli 

domanda  ed  otterrà   un  colo  di  fiducia  del  Parlamento  e  ne  userà  a  lutto  vostro  danno 

e  dell'  unità  d' Italia. 

Vostro 

A.  BERTANI 

P.  S.  -  La  vostra  nuova  vittoria  dà  sui  nervi  ai  nemici  vostri  e  ci  ripromette  nuova 
forza  da  voi. 


L'EROE  DIVENTA  AGRICOLTORE  391 


Miasino,    18  otlobre   1860. 
Caro  Generale, 

La  cassa  centrale  da  me  creata  in  vostro  soccorso  in  Genova  è  creditrice  verso 
la  Tesoreria  Generale  di  Palermo  del  valore  di  quattro  cambiali,  datate  da  luglio  colle 
scadenze   I  5  ottobre  ;  30  ottobre  ;    1 5  novembre  ;  30  novembre. 

Se  queste  cambiali  non  fossero  pagate  alle  loro  epoche  precise  ne  scapiterebbero 
nuovamente  e  gravemente  la  fede  e  la  buona  fama  della  cassa  centrale,  dei  Comitati 
suoi  secondari  e  di  me,  vostro  rappresentante. 

Le  somme  esigibili  per  queste  quattro  cambiali  sono  sufficienti  a  coprire  tutte  le 
passività  e  lascerebbero  ancora  qualche  agio  all'  azione  dei  Comitati  pei  tempi  meno 
felici  per  voi  e  per  noi,  che  si  avanzano  di  galoppo.  Importa  quindi,  che  voi  vogliate 
assicurare  l' incasso  di  quelle  cambiali  contro  ogni  possibile  malefica  influenza  dei  futuri 
regi  commissari  in  Sicilia. 

Io  ho  già  scritto  a  Mordini  in  proposito  ;  ma  due  righe  che  esprimano  la  vostra 
volontà,  mi  renderanno  più  tranquillo  in  tante  amarezze.  Vi  auguro  ogni  bene. 

Vostro 
A.  BERTANI 


Miasino,  21    ottobre   1860. 
Caro  Generale, 

Mordini  abbandona  la  prodittatura  e  la  Sicilia.  Un  commissario  regio,  Monteze- 
molo,  assumerà  il  governo.  E  quindi  urgente,  che  io  ritorni  a  voi,  pregandovi  di  provve- 
dere agli  impegni  finanziari  assunti  in  vostro  nome. 

Quattro  mie  cambiali  del  passato  luglio,  colle  scadenze  1 5  ottobre  ;  30  ottobre  ; 
1 5  novembre  ;  30  novembre  ;  sono  ancora  a  pagarsi.  Ignoro  l' esito  di  quella  del 
15   ottobre. 

Le  cambiali  sono  tratte  sulla  Tesoreria  di  Palermo.  La  somma  complessiva  è  di 
onze  quattordici  mila  ;  di  cui  1 2750  furono  passate  alla  casa  Fratelli  Rocca.  1  debiti 
residui  del  Comitato  di  Genova  e  succursali,  o  contratti  colla  firma  in  nome  vostro  e 
documentati,  oltrepassano  il  milione  di  franchi.  E  tutta  quella  somma  è  girata  in  altret- 
tante cambiali  sulla  casa  Fratelli  Rocca  di  Genova. 

Vogliate,  Generale,  ve  ne  prego  istantemente,  adoperarvi  perchè  l'incasso  del 
prodotto  di  quelle  cambiali  sia  assicuralo  in  modo  ineccepibile  e  solenne.  Io  non  oso 
neppure  accennare  alle  conseguenze  umilianti  e  fatali,  che  un  malevolo  ritardo,  e  tanto 
più  il  fallito  pagamento  di  quelle  cambiali  produrrebbero  dopo  le  ripetute  promesse, 
che  ogni  debito  contratto  in  vostro  nome,  sarebbe  religiosamente  pagato. 

Il  signor   Michele  Erede,    rappresentante  la    casa  Fratelli    Rocca  di    Genova,    vi 

reca  questa  mia,  e  col  vostro  aiuto  egli  potrà  combinare  il  modo  per  evitare  scandali 

e  nuovi  dispiaceri  a  voi  e  al 

Vostro  affezionalissimo 

A.  BERTANI 


392  LA  BATTAGLIA  DEL  VOLTURNO  ED  IL  PLEBISCITO 


Miasino,  9  novembre  '60. 
Caro  Generale, 

La  cambiale  a  favore  dei  fratelli  Rocca,  che  doveva  essere  pagata  il  30  ottobre 
passato  non  fu  pagala  e  venne  protestata  e  si  offrono  frazionamenti  e  dilazioni  rovinosi 
ed  impossibili  ad  accettarsi.  E    rimangono    ancora    le    cambiali  :    1 5    e    30  novembre  ! 

Io  non  so  aggiungere  parola  a  questo  fatto,  che  mi  colpisce  e  compromette  la  fede 
nelle  reiterate  promesse  e  nel  vostro  nome.  Le  più  gravi  conseguenze  per  gli  affari 
nostri,  per  la  nostra  riputazione,  per  me  sono  a  temersi,  e  i  nostri  nemici  che  cospirano 
ai  vostri  danni,  rideranno  di  noi. 

lo  vi  scongiuro.  Generale  ;  adoperatevi  in  modo,  che  quelle  cambiali,  in  qualsiasi 
modo,  sieno  pagate  alle  epoche  fissate.  Io  mi  affido  alla  vostra  energia.  L'avv.  Oliva, 
giovine  capace  e  idoneo  a  condurre  a  termine  questa  spiacevole  faccenda,  è  disposto 
a  recarsi  a  Palermo  per  ciò. 

Chiunque  vi  dica,  o  Generale,  che  io  abbia  avvicinato,  inchinalo,  Iransatlo  con 
Caoour,  mentisce. 

Io  ho  fallo  in  Parlamento  V  ultimo  sforzo  di  concordia,  chiedendo  un  colloquio 
fra  Cavour  e  voi,  certo  della  ooslra  generosità  e  memore  della  Vostra  accondiscendenza 
a  tutti  gli  uomini  suoi  ;  e  speranzoso  che  di  persona,  (se  egli,  Cavour,  era  leale)  sarebbe 
riuscita  qualche  cosa  di  meglio  di  quanto  accadde. 

Se  ho  ancora  sperato  una  conciliazione  fra  i  due  diversi  principi,  che  rappresentate, 
ho  sperato  per  /'  ultima  volta.  Mi  sono  appellato  con  dignità  in  Parlamento,  ed  in  nome 
della  Patria,  ad  un  uomo  senza  cuore  per  scongiurare  i  pericoli  di  un  grave  dissidio 
civile,  che  poteva  e  può  condurre  a  versamento  di  sangue  cittadino,  da  cui  non  aborre 
l'uomo,  che  si  è  messo  contro  di  voi. 

Era  per  me  necessità  e  dovere  di  scrivervi  ciò  ;  dacché  seppi,  che  una  voce 
autorevole  mi  disegnava  come  prosternato  innanzi  a  quell'uomo  fatale  per  il  bene 
d'Italia. 

Vi  mando  lettera  con  cambiali  venutemi  da  Cuneo  di  Buenos-Ayres,  egli  sarà 
in  Italia,  e  per  rimanervi,  alla  fine  del  prossimo  dicembre.  Le  cambiali  sono  per  circa 
1 3  mila  franchi. 

Vostro 
A.    BERTANI 

P.  S.  -  Vi  raccomando  di  pensare  ad  assicurarvi  la  proprietà  dei  bastimenti 
da  me  comprali. 


Intanto,  il  1 3  ottobre,  il  Prodittatore  Pallavicino  rassegnava  le  sue  dimis- 
sioni ed  il  giorno  seguente  rimetteva  a  Garibaldi  una  lettera,  ricevuta  da  Cattaneo 
e  la  risposta  da   lui  mandatagli.   Ecco  le  importanti   lettere  inedite. 


L-  EROE  DIVENTA  AGRICOLTORE  393 


Giorgio  Pallavicino  a  Garibaldi. 

GABINETTO   PARTICOLARE 

DEL  PRO-DITTATORE  Napoli,    13  ottobre   1860. 

II  sottoscritto  si  pregia  di  far  conoscere  al  Generale  Dittatore,  che  egli  continuerà 
neir  esercizio  delle  sue  funzioni  fino  a  tanto  che  non  sappia  ufficialmente,  che  la  sua 
dimissione  venne  accettata.  Lasciare  il  paese  senza  Governo  sarebbe  delitto. 

//  Pro-Dillalore 
AWlU.mo  signor  Ditlalore  GIORGIO  PALLAVICINO 

delle  due  Sicilie. 


Napoli,    14  ottobre   1860. 
Amico  carissimo, 

Eccovi  la  lettera  di  Cattaneo  e  la  mia  risposta.  Quando  la  scrissi,  io  ignorava  gli 
ordini  di  Napoleone  111  :  oggi,  certo,  non  domanderei  l' allontanamento  di  Mazzini  e 
di  Crispi  ;  ma  credo  che  quei  due  signori  farebbero  alto  patriottico,  allontanandosi  spon- 
taneamente da  una  terra,   dove  la    loro    presenza    è    inopportuna    ed   anche   pericolosa. 

Dai  rapporti  della  Polizia  e  da  altre  fonti  non  sospette,  mi  risulta  che  Nicotera 
e  compagnia  tengono  convegni  notturni  e  cospirano  contro  il  vostro  governo.  Dicono 
che  la  mia  vita  sia  minacciata  dal  coltello  mazziniano;  ma  questo  è  l'ultimo  dei  miei 
pensieri;  vorrei  avere  non  una,  ma  cento  vite  per  darle  tutte  alla  nostra 
cara  Patria. 

Amatemi  e  credetemi  invariabilmente 

Tutto  vostro 

GIORGIO  PALLAVICINO 


Carlo  Cattaneo  a  Giorgio  Pallavicino. 


Signor  marchese  C.  Pallavicino, 


12  ottobre   1860. 


Il  Generale  viene  in  Napoli.  A  mezzodì  adunerà  i  Ministri  nel  palazzo  D'Angri  ; 
egli  mi  ha  pregato  di  farvi  sapere,  con  parola  d'amico,  che  spera  vi  vorrete  essere  anche 
voi,  perchè  si  tratta  della  Patria. 

Se  voi  giudicate  tanto  funesto  a  Napoli  ciò  che  liconoscete  provvido  in  Sicilia, 
mi  sia  lecito  dirvi,  che  non  seguite  un  principio. 

Vi  ricorderete  che  domenica,  in  casa  vostra,  il  primo  ministro  Conforti  fu  d' un 
parere  e  votò  del  parere  opposto  lunedì. 


394  LA  BATTAGLIA  DEL  VOLTURNO  ED  IL  PLEBISCITO 

Tali  sono  gli  uomini,  che  lasciarono  senza  carluccie,  in  faccia  al  nemico,  i  nostri 
filali  e  che  negano  al  Dittatore  ottantamila  franchi  per  fucili  comprati  e  ricevuti. 

Non  vi  può  essere  dualità  fra  il  pleciscito  e  1'  assemblea  tutrice,  che  deve  giusti- 
ficarlo e  sollevarlo  sopra  l'informe  squitinio  di  Nizza. 

Non  vi  può  essere  dualità  fra  gli  uomini,  che  il  popolo  manda  all'  assemblea  locale, 
e  gli  uomini  (quasi  certamente  gli  stessi),  che  esso  manda  al  Parlamento  nazionale. 
Non  si  vedono  mai  siffatte  funeste  dualità  nelle  assemblee  svizzere  ed  americane,  che 
sono  pure  rivestite  di  poteri  sovrani.  E  un  sogno  e  non  è  vostro. 

Io  credo  alla  necessità  di  assemblee  permanenti,  nella  duplice  mira  della  concordia 
e  del  progresso.  Si  tratta  di  affratellare  i  popoli  d' Italia  e  non  di  sopprimerli. 

La  dualità  vera  e  funesta  è  tra  il  guerriero  virtuoso  e  gli  uomini,  che 
vi  hanno  detto  d' avere  pronto  il  cuore  anche  alla  guerra  civile. 

Da  qual  parte  scrivete  voi  il  vostro  nome? 

Un  Ministero  Garibaldi  è  1'  unica  salute. 

Sono  con  tutta  considerazione  Dev.  vostro 

Dott.  CARLO  CATTANEO 

Risposta  di  G.  Pallavicino  a  Cattaneo. 

Giorgio  Pallavicino  al  sig.  Cattaneo. 

lo  non  ho  mai  giudicato  provvido  in  Sicilia,  ciò  che  riconosco  funesto  a  Napoli. 
L' assemblea  fu  decretata  in  Palermo  :   io  la  subisco. 

La  vostra  lettera  è  un  tessuto  di  sofismi,  indegni  del  vostro  alto  ingegno.  Non  ho 
il  tempo  di  confutarli. 

Ho  dato  le  mie  dimissioni  e  non  le  ritiro. 


Più  tardi,   Pallavicino  scriveva  al  Generale  : 
Giorgio  Pallavicino  a  Garibaldi. 

Amico  carissimo, 


Napoli,  8  novembre   1860. 


Mi  spiacque  l' incidente  di  questa  mattina  ;  ma  voi  non  avevate  bisogno  di  chie- 
dermi scusa.  Due  amici,  come  noi,  possono  dissentire  momentaneamente,  ma  finiscono 
sempre  coli'  intendersi. 

Godo  che  non  siasi  fatto  torto  a  Mordini,  e    che  nessuno  abbia  avuto 

Io  scellerato   proposito    d' insultarvi.  Godo,  in  pari  tempo,  di  non  trovarmi 

più  nella  dolorosa  necessità  d' insultare  Vittorio  Emanuele,  che  noi  amiamo 

rifiutando  con  atto  scortese,  1'  attestato  di  stima  che  gli  piacque   concedermi. 

lo  sono,  come  al  solito,  tutto  vostro 

GIORGIO  PALLAVICINO 


L'EROE  DIVENTA  AGRICOLTORE  395 

La  seconda  parte  di  questa  lettera,  che  riguarda  il  conferimento,  da  parte 
del  re  al  Pallavicino,  del  collare  dell'  ordine  supremo  della  SS.  Annunziata,  è 
importante,  perchè  ci  darebbe  la  prova  (contrariamente  a  quanto  fu  fin'  ora 
affermato),  che  simile  onorificenza  fu  pure  data  a  Mordini.  La  lettera  del  Palla- 
vicino a  quest'  ultimo,  citata  dal  Rosi  ,  nella  quale  il  marchese,  gentilmente,  mani- 
festava il  suo  vivo  dispiacere,  che  mentre  egli  era  stato  insignito  del  gran  collare 
non  lo  fosse  stato  anche  il  Mordini,  porta  la  data  del  7  novembre,  cioè,  un 
giorno  avanti  della  lettera,  che  il  Pallavicino  scrisse  a  Garibaldi,  di  sopra 
trascritta.  E  a  presumere  adunque,  che  l' onorificenza  fosse  stata  conferita  al 
Mordini  il  giorno  8. 

Quando  il  Ministero  si  era  dimesso,  Garibaldi  aveva  fra  gli  altri  pregato 
Andrea  Colonna  di  comporlo  e  questi  gli  scriveva  : 

Andrea  Colonna  a  Garibaldi. 

Napoli,    13  ottobre   1860. 
Generale, 

Sono  stato  in  giro,  a  fine  di  condurre  a  compimento  l'onorevole  missione,  affidatami 
ieri  sera  per  comporre  un  Ministero,  ed  aspetto,  a  momenti,  in  casa  la  risposta  di  altri 
miei  amici  politici.  Non  debbo  nasconderle,  che  nel  paese  è  generale  la  voce,  che  il 
signor  Crispi  non  possa  restare  al  potere,  mentre  che  i  suoi  colleghi  sono  tutti  dimis- 
sionari. Disgraziatamente,  questo  rumore  rende  difficile  la  ultimazione  delle  pratiche, 
essendo  il  Crispi  non  molto  popolare  tra  i  Napoletani.  Ad  ogni  modo,  io 
starò  servendola  a  momenti.  Mi  permetterei  solamente  di  pregarla  a  volerne  anche 
interrogare  il  sig.  Saliceti.  Egli  gode  abbastanza  fiducia  per  meglio  riuscire  al  giustis- 
simo scopo  che  è  in  mente  a  lei,  qual'è  il  benessere  di  queste  popolazioni. 

Mi  creda  rispettosamente 

»    Suo  devotissimo 

ANDREA    COLONNA 

Interessanti  sono  pure,   per  la  storia  di  quei  giorni,   le  seguenti  lettere. 

C.  Augusto  Vecchi  a  Garibaldi. 

Torino,    1    ottobre    1 860. 
Mio  carissimo  Generale, 

Sono  in  Torino.  Vi  scrivo  dal  gabinetto  del  nostro  Mancini,  il  quale  vi  è  e  sarà 
eternamente  devoto. 


*  M.  Rosi  -  //  Risorgimento   italiano   e   l'azione   di   un  patriota  cospiratore  e   soldato. 
Torino,  Roux  e  Viarengo,  pag.  240. 


396  LA  BATTAGLIA  DEL  VOLTURNO  ED  IL  PLEBISCITO 

Credo  utile  dirvi,  che  le  buone  influenze  hanno  fatto  qui  abbandonare  ogni  pro- 
getto di  presentare  domani  al  Parlamento  leggi  o  proposte,  che  in  veruna  guisa  potes- 
sero ricevere  un'  interpretazione  meno  che  rispettosa  per  i  vostri  servizi  resi  all'  Italia. 
Tutto  si  ridurrà  ad  una  semplice  legge,  che  autorizzi  il  Governo  del  re  a  procedere 
neir  opera  dell'  unificazione  d' Italia  e  di  accettare  e  stabilire  le  annessioni  di  tutte 
quelle  altre  provincie  italiane,  che  per  suffragio  universale  vogliano  far  parte  della 
monarchia  costituzionale  italiana.  Se  una  voce  imprudente  osasse  parlare  con  irrive- 
verenza  di  voi.  Mancini  farà  energicamente  il  suo  dovere. 

In  Genova,  qui,  e  mi  dicono  anche  in  Milano,  anche  i  vostri  ammiratori  e  amici 
tremano,  che  il  ritardo  del  plebiscito  dell'  Italia  meridionale  (mentre  senza  ritardo 
saranno  chiamate  ad  emetterlo  le  popolazioni  delle  Marche  e  dell'  Umbria)  possa  fare 
assai  sfavorevole  impressione  sulla  opinione  degli  italiani  ;  e  se  dopo  l' imminente  convegno 
di  Varsavia,  i  potentati  nemici  d' Italia  prendessero  coraggio  a  minacciare  apertamente 
di  guerra  il  Piemonte,  in  caso  che  accettasse  annessioni,  questo  Governo  potrebbe 
trovarsi  paralizzato,  ed  allora  una  grande  responsabilità  peserebbe  su  di  voi  innanzi 
alla  Patria. 

Mi  confida  anche  il  Mancini,  che  il  re  è  partito  colla  intenzione  di  venire  a 
Napoli,  superando  i  ritegni  e  le  convenienze  dipendenti  dalla  presenza  di  Francesco  a 
Gaeta.  Certamente  voi,  che  lo  stimate  ed  amate  tanto,  non  potrete  che  accoglierlo.  Ora, 
volete  cogliere  l'occasione  di  ridurre  all'impotenza  Cavour,  Farini,  Fanti  e  togliere 
loro  ogni  merito  del  risultato  di  tale  operazione?  Non  attendete  che  il  re  si  avvicini 
o  vi  annunzi  la  sua  venuta.  Ma  al  cospetto  del  mondo,  prendete  l' iniziativa  di  scrivere 
al  re  Vittorio  un  telegramma  in  Ancona,  e  solennemente  chiamatelo  voi,  personalmente, 
costì.  Così  trionferete  dei  vostri  nemici,  e  niuno  avrà  diritto  di  supporre,  che  il  re 
sia  da  voi  subito  costà,  piuttosto  che  desiderato.  Teresita  sta  benissimo.  1  Deidery 
egualmente.  Vi  abbraccio  cordialmente  per  me  e  per  Mancini.  La  Lauretta,  qui  pre- 
sente, vi  fa  i  più  devoti    ossequi   come  all'  atleta    d' Italia  e  liberatore    del  suo    paese 

natio.  A  ben  vedervi  presto. 

Vostro  sempre 

C.  AUGUSTO  VECCHI 

Al  Generale  Garibaldi 

Dittatore    delle    Due    Sicilie 

Palazzo  d'Angri.  Napoli 

{Urgentissima) 

Genova,  4  ottobre   1860. 
Mio  caro  Generale, 

Giungo  da  Torino.  Parte  il  "  Thames  ,,  per  Napoli  e  trovo  tutti  i  posti  occupati. 
Rimango,  per  forza,  in  terra  e  giungerò  al  Quartiere  Generale  di  Caserta  col  "  Garibaldi ,, 
lunedì  mattina. 

Avrete  già  avuto  1'  altra  mia  lettera  da  Torino.  Vi  aggiungo  questa  per  dirvi,  che 
ho  tolto  colà,  presso  gli  uomini  di  stato  e  i  politici,  le  asprezze,  che    non    la    somma 


LEROE  DIVENTA  AGRICOLTORE  397 

vostra  lealtà,  ma  1'  altrui  malizia  avevano  (atto  risorgere.  A  voce,  vi  dirò  tutto  per  filo 
e  per  segno.  Ora  vi  avverto  solo  di  questo,  acciò  possiate  e  possiamo  conseguire  il 
vostro  nobile  intento. 

Appena  saprete  che  il  re  Villorio  si  appressa  alla  frontiera  del  regno,  invitatelo 
con  un  vostro  telegramma,  personalmente,  a  venire  subito  in  Napoli.  E  muovetegli  incontro. 
Ve  ne  prego  in  nome  d' Italia,  madre  nostra,  per  la  cui  grandezza  giurammo,  da  molti 
anni,  ogni  maniera  di  sacrifizi. 

Vi  avrei  spedito  fino  da  ieri  un  telegramma  apposito  ;  ma  il  filo  politico  si  arresta 
a  Roma  e  non  potetti  farlo. 

Cavour  mi  mandò  a  chiamare.  Vi  dirò  la  nostra  conversazione  di  due  ore.  Io 
gli  chiarii  intero  il  nobile  cuor  vostro.  Egli  lamentò,  che  non  abbiate  risposto  ad  una 
sua  lettera.  Nel  congedarmi  m' ingiunse  dirvi,  che  vi  stima  ;  mi  disse  che  vi  accompagni 
incontro  al  re.  Finì  col  dirmi,  che  se  voi  non  vi  distaccate  da  re  Vittorio,  per  spiegarmi 
meglio,  se  voi  non  vi  ritirate,  ostinatamente,  in  Caprera,  la  Venezia  sarà  nostra  sei  mesi 
prima. 

Mio  caro  Generale  ;  distaccatevi  dagli  uomini  che  accettarono  per  metà  il  vostro 
programma.  Vi  rivelerò  cosa  si  è  fatto  in  Sicilia  nel  nome  vostro  ;  ve  ne  dorrà  pei 
tristi  effetti.  Non  credete  a  vendita  di  palmo  di  terra  italiana.  Credete  ai  molti  amici 
vostri,  patrioti  ed  onesti,   lo  sono  di  quel  numero. 

A  ben  vedervi  lunedi  mattina.   Siate  sano  e  glorioso  sempre. 

C.  AUGUSTO  VECCHI 

Signor  Generale  Garibaldi 
Dittatore  delle  Due  Sicilie 

Quartiere  Generale  di  Caserta 

{Urgentissima) 

Un'  altra  voce  amica  ed  autorevole  era  giunta,  in  quei  giorni,  a  Garibaldi  ; 
quella   di   Pasquale   Stanislao   Mancini. 

Mancini  a  Garibaldi. 

CAMERA  DEI  DEPUTATI  _    .         .  ,        , .,  . 

1  ormo,  j  ottobre    I  OoU. 

Generale, 

Profitto  del  ritorno  di  Vecchi  per  scrivervi  due  linee.  Egli,  forse,  rettificherà  molte 
sinistre  prevenzioni  insinuate  da  altri  nell'animo  vostro,  schietto  e  generoso;  perchè  egli 
stesso  ha  qui  veduto  ed  udito  molle  cose  sotto  un  aspetto  diverso  da  quello  costà 
rappresentato. 

Dal  mio  canto,  se  le  mie  parole  potranno  avere  alcun  accesso  al  vostro  animo, 
permettetemi  di  rassicurare  i  vostri,  che  il  Parlamento  è  animato  da  unanime  sentimento 


398  LA  BATTAGLIA  DEL  VOLTURNO  ED  IL  PLEBISCITO 

di  ammirazione  e  devozione  per  voi  e  pei  grandi  servizi,  che  avete  reso  alla  patria  ;  e 
spero  che  ne  darà  prova  solenne  e  pubblica,  e  riesca  a  compiere  l'opera  pacificatrice. 

Ma  in  nome  dell'  Italia,  che  amate  tanto,  non  vi  lasciate  trasportare  dall'  abnega- 
zione connaturale  al  vostro  gran  cuore,  e  non  vogliate  disparire  dalla  scena  politica, 
neanche  temporaneamente.  Siate  sempre  vicino  al  re  :  manlenele  e  promuocete,  instan- 
cabilmente, l'organizzazione  di  numerosi  volontari.  Se  voi  vi  allontanerete,  l' impresa  di 
Venezia  e  di  Roma  sarà  ritardata. 

Mia  moglie  vi  ossequia  ed  io  stringo  la  vostra  mano  vittoriosa  e  salvatrice  delle 

mie  natali  provincie. 

Ajffezionatissimo 

MANCINI 

Nessuno  ignora  l'affetto  che  Garibaldi  ebbe  per  Mancini  ;  affetto  che  divenne 
sacro  negli  ultimi  anni  della  vita  dell'eroe.  Ma  anche  per  la  nobile  compagna 
del  grande  giureconsulto  il  Generale  nutrì  devota  amicizia. 

Nel  giugno  del  '60,  egli  aveva  ricevuto  in  Palermo  la  lettera  inedita 
seguente.  - 

Laura  Beatrice  Mancini  a  Garibaldi. 

Torino,   14  giugno  1860. 
Generale, 

Nel  momento,  in  cui  il  mondo  intero  stupefatto  innalza  un  plauso  unanime  alla 
meravigliosa  vittoria,  per  la  quale,  unita  alle  tante  altre,  siete  divenuto  l' idolo  d'  Italia 
e  la  più  grande  figura  della  storia  moderna,  come  oserò  io,  umile  donna,  di  far  pervenire 
insino  a  voi  la  debole  mia  voce  ? 

Eppure  vengo  da  altri  incoraggiata  ad  inviarvi  una  disadorna  poesia,  che  dettai 
quasi  estemporaneamente  nel  primo  momento  di  commozione,  che  m' ispirò  la  generosa 
ed  eroica  vostra  impresa,  degna  della  penna  di  Omero.  Oh  !  se  questa  perverrà  nella 
vostra  mano.  Generale,  in  quella  mano  che  regge  la  spada  vittoriosa  che  salvar  deve, 
ne  son  certa,  tutta  cotesla  bellissima  parte  d' Italia  nostra,  vogliate  perdonarmi  un  tanto 
ardire,  e  riconoscere  non  aver  quei  pochi  versi  altro  merito  che  quello  di  avere  preco- 
nizzato il  vostro  miracoloso  arrivo.  Altra  volta.  Generale,  vi  rivolsi  altra  poesia,  che 
vi  degnaste  accogliere,  ed  io  vi  dirò  che  sono  orgogliosa  di  avere  in  quella  anche  vati- 
cinato il  vostro  presente  trionfo.  Eccone  una  strofa  : 

«  Combatti  e  vinci,  o  prode  ;  il  brando  solo 

Questa  gran  lite  antica  alfin  decida. 

Arma  tremante  de'  suoi  rei  lo  stuolo 

Di  un  re  che  ne  tradia  la  prole  infida: 

Là,  fra  i  trepidi  sgherri,  apriti  il  volo. 

La  mala  pianta  fia  che  tu  recida. 

Già  in  mio  pensier  la  turba  a  te  si  dona, 

Tanto  è  il  prestigio  della  tua  persona  ». 


L'  EROE  DIVENTA  AGRICOLTORE  399 

I  vostri  momenti  sono  preziosi  e  però  non  vi  dirò  quanto  vorrei.  D'altronde, 
l' idea  di  scrivere  a  Garibaldi,  a  colui  che  per  me  è  qualche  cosa  di  sovrumano,  mi 
fa  tremare  la  mano,  e  la  piena  degli  affetti  m'impedisce  di  vergare  altre  espressioni. 
Non  invano  Iddio  vi  ha  guidato  costà  :  il  più  bel  paese  del  mondo  vi  dovrà  la  libe- 
razione da  iniqua  tirannia,  e  voi,  Generale,  troverete  nella  sola  soddisfazione  del  vostro 
magnanimo  cuore  una  degna  ricompensa  all'  opera  immortale.  Se  fossi  nata  del  miglior 
sesso  avrei  a  questa  consacrato  l' ingegno,  il  braccio  e  la  vita,  come  vi  consacrerò  fin 
eh'  io  viva  il  mio  debole  canto. 

Permettetemi  intanto,  di  riaffermarmi  coi  più  vivo  entusiasmo 

Dev:ma  e  ricon:ma  ammiratrice 
LAURA  BEATRICE  MANCINI 

Ed  il   Mancini,   dopo  Io  scritto  della  moglie,   aggiungeva  : 

Permettete  anche  a  me,  o  prodigioso  italiano,  di  stringervi  la  mano  e  di  ringra- 
ziarvi, a  nome  di  tutta  la  parte  dell'  emigrazione  delle  Due  Sicilie,  che  è  ancora  qui, 
del  vostro  mirabile  ardimento,  della  sublime  abnegazione,  cui  il  mezzogiorno  della  peni- 
sola nostra  dovrà  la  sua  liberazione  e  1'  Italia  la  sua  completa  esistenza.  Proseguite,  con 
buona  fortuna,  1'  altissima  impresa  e  pensate  che  il  giorno  in  cui  la  vostra  mano  avrà 
inalberato  in  Napoli  il  vessillo  tricolore,  1'  Italia  sarà  fatta.  Io  non  ho  cessato  di  seguirvi 
ansiosissimo  e  trepidante  pei  vostri  sacri  giorni,  in  ogni  movimento. 

Se  io  possa  qui,  a  Parigi,  a  Londra,  dovunque,  fare  qualche  cosa  per  la  causa 
comune,  scrivetemi  il  voler  vostro  ;  e  sarò  glorioso  di  adempierlo. 

A  rivederci  fra  breve  in  Napoli.  Vi  do  eccellenti  notizie  della  vostra  cara  figliola, 
che  mi  ha  scritto  in  questi  giorni,  e  credetemi  fra  i  vostri  più  caldi  e  più  riconoscenti 
ammiratori 

Devotissimo 

P.   S.   MANCINI 

Le  seguenti  tre  lettere  inedite,  scritte  da  Giorgio  Pallavicino  a  Garibaldi,  sul 
finire  del  '60,  meritano  qui  di  essere  riportate  per  la  loro  grande  importanza  poli- 
tica.  Le  trascrivo  dagli  autografi. 

Giorgio  Pallavicino  a  Garibaldi. 

San  Fiorano,  4  dicembre    1860. 
Amico  carissimo, 

Mi  valgo  dell'occasione  sicura  che  mi  offre  il  bravo  Turr,  per  ragguagliarvi  delle 
nostre  nuove  che  sono,  grazie  al  cielo,  soddisfacenti.  Noi  stiamo  tutti  bene  e  parliamo 
senza  posa  di  voi,  amatissimo,  sospirando  il  momento  di  rivedervi.  Come  state,  mio 
caro  Giuseppe  ?  Come  stanno  Teresita,  Menotti,  Froscianti,  Deidery  e  la  sua  gentile 
signora  ?  A  tutti  io  mi  raccomando. 


400  LA  BATTAGLIA  DEL  VOLTURNO  ED  IL  PLEBISCITO 

Probabilmenle  la  mia  vita  politica  è  finita,  e  la  storia  mi  giudicherà  ;  ma  io 

«  Sotto  r  usbergo  del  sentirmi  puro  » 

non  temo  il  giudizio  della  storia.  Da  questo  lato  sono  tranquillo,  compiutamente  tranquillo; 
consapevole  a  me  stesso  d' avere  adempito  a  tutti  i  miei  doveri,  e  verso  di  Voi,  mio 
caro  e  venerato  amico,   e  Verso  la  patria  nostra. 

Io  mi  sono  prefisso  una  linea  di  condotta,  dalla  quale  non  ho  mai  deviato,  e  non 
devierò  mai  :  «  ne  cavouriano,  né  mazziniano  !  »  Mi  giova  qui  ripetervi  la  mia 
professione  di  fede,  che  è  pur  anche  la  vostra.  Ma  voi  credete,  che  la  mala  erba  del 
gesuitismo  cresca  soltanto  nel  campo  reazionario  :  io  credo  invece  che  vi  sieno  gesuiti 
anche  fra  quelli,  che  si  dicono  devoli  al  vostro  programma.  Guardatevi  da  costoro  !  Essi 
non  sono  meno  pericolosi  dei  cavouriani.  Io  mi  guardo  dagli  uni  e  dagli  altri. 

Tiirr  vi  dirà  il  resto.  Amatemi  e  datemi  delle  vostre  nuove.  Noi  tutti  le  aspettiamo 
con  vivissima  impazienza.  Il  mio  indirizzo,  già  lo  sapete  :  Via  Goito,  Casa  Belladora, 
9,  Torino. 

Chiudo,  abbracciandovi  con  tutta  l'anima. 

Tutto  vostro 

GIORGIO  PALLAVICINO 

San  Fiorano,  9  dicembre   1860. 
Amico  carissimo, 

Non  avendo  potuto  recarmi  ne  a  Genova  ne  a  Torino,  ti  scrivo  alla  mia  volta 
per  comunicarti  alcuni  miei  pensieri  sulla  quistione  italiana  ;  ed  entro  subito  in  materia 
per  non  annoiarti  con  inutili  parole. 

L' Italia  una,  perchè  forte,  non  avrebbe  più  bisogno  della  Francia  ;  farebbe  da 
se  e  potrebbe,  anche  in  certi  casi,  immolare  l'interesse  francese  all'interesse  italiano. 
Dunque  possiamo  dire,  senza  timore  d' ingannarci  :  Napoleone  III,  non  vuole,  non  può 
volere  V  unità  d' Italia. 

Ma  Napoleone  III,  dall'  altro  lato,  non  può  avversare  1'  unità  d' Italia  apertamente, 
senza  contraddire  ai  più  solenni  atti  della  sua  politica,  senza  perdere  tutto  quel  prestigio, 
tutta  quella  potenza  morale,  che  egli  ritrae  dall'essere  creduto  il  campione  delle  nazio- 
nalità oppresse.  Dunque,  Napoleone  III,  per  colorire  i  suoi  disegni,  non  userà  la  forza, 
ma  r  astuzia  ;  non  sarà  con  noi  leone,  ma  volpe. 

Fino  a  tanto  che  i  francesi  occuperanno  Roma,  l' armamento  e  l' organamento 
d'  Italia  sono  cose  impossibili.  Come  si  potrà  effettuare  la  leva,  come  stabilire  sopra 
solide  basi  l' ordine  amministrativo  e  giudiziario,  come  provvedere  alle  finanze  in  quelle 
Provincie,  ove  la  propaganda  romana,  sotto  gli  auspici  di  un  generale  francese,  non 
cessa  di  creare  ostacoli  al  governo  italiano?  ove  il  brigantaggio  demoralizza  le  popo- 
lazioni, stanca  1'  esercito,  impedisce  la  regolare  riscossione  delle  imposte,  distrugge  le 
sorgenti  della  ricchezza  nazionale  e  travolge  il  paese  nella  più  deplorabile  anarchia  ? 

Noi  abbiamo  una  sola  strada  per  raggiungere  il  nostro  scopo:  Dobbiamo  costringere 
Napoleone  III  ad  evacuare  lo  Stato  Romano.  Ma  con  quali  mezzi  ?  Con  la  forza,  no  ; 
perchè  noi  non  possiamo.   Dunque,  coli'  astuzia  ;  combattiamo  la  volpe  con  armi  volpine. 


L'EROE  DIVENTA  AGRICOLTORE  401 

«  Rien  de  plus  grave  qu  une  silualion  illogique  !  »  disse  Proudhon.  Facciamo  di 
mettere  Napoleone  IH  in  una  posizione  illogica.  Sia  egli  costretto  ad  eleggere  uno  di 
questi  due  partiti  :  o  evacuare  Roma,  o  mitragliare  il  popolo  romano. 

Per  ottenere  siffatto  risultamento,  bisogna  che  il  nostro  Governo  proceda  con  somma 
destrezza  ;  bisogna  che  i  ministri  del  re,  mostrandosi  teneri  dell'  alleanza  francese, 
promuovano,  sotto  mano,  1'  agitazione  popolare  in  tutta  la  penisola.  Bisogna  poi,  che 
gì*  infelici  italiani,  ancora  sudditi  del  papa,  stancheggino  i  loro  tiranni  (indigeni  ed 
esotici)  coi  richiami,  colle  proteste,  colle  dimostrazioni,  colla  resistenza  passiva  ed  anche 
con  qualche  tafferuglio  di  piazza.  L'  artiglieria  francese  tiri  un  colpo  di  cannone  contro 
il  principio  di  nazionalità  e  Napoleone  III  è  perduto  ;  dacché,  il  napoleonismo  non 
avrebbe  più  ragione  di  essere.  Lo  ripeto  :  la  principale  forza  del  napoleonide  consiste 
in  ciò,  che  egli,  come  gli  altri  ciarlatani,  trova  i  gonzi,  i  quali  credono  all'  efficacia  del 
suo  balsamo.  Anche  oggi,  dopo  tanti  disinganni,  i  poco  veggenti  penano  a  credere 
che  il  gran  ciurmadore  non  sia  il  rappresentante  del  principio  popolare,  il  democratico 
coronato,  il  difensore  delle  vittime,  lo  spauracchio  dei  carnefici. 

Napoleone  III  ci  dirà  :  «  ponete  un  freno  alla  rivoluzione  »  e  noi  gli  risponderemo  : 
«  ci  torna  impossibile  di  farlo  fintanto  che  non  sia  sciolta  la  questione  romana  in  con- 
formità dei  nostri  voti;  e  ne  siamo  dolenti  per  voi,  o  Imperatore  dei  Francesi,  per- 
ciocché la  rivoluzione,  che  oggi  in  Italia  è  sospiro  di  nazionalità ,  potrebbe ,  varcando 
le  Alpi,  trasformarsi  in  fremito  di  libertà.  Ed  ecco  un  grave  pericolo  per  la  vostra 
persona  e  per  la  vostra  dinastia  ». 

In  tale  stato  di  cose,  io  credo,  e  credo  fermamente,  che  la  questione  di  Roma 
debba  avere  la  precedenza  su  quella  di  Venezia,  perciocché  senza  Roma  noi  non 
avremo  mai  i  300  mila  uomini,  che  ci  occorrono  per  espugnare  il  quadrilatero  con 
forze  nazionali.  Napoleone  III  lo  sa  ;  però  viene  prendendo  le  sue  misure,  perchè  il 
nuovo  Regno  a  primavera  non  abbia,  per  combattere  l'Austria,  ne  300  mila,  ne  200 
mila,  ne,  forse,  100  mila  soldati  e  sia  quindi  costretto  ad  implorare  un' altra  volta  gli 
aiuti  della  Francia  imperiale.  Ma  se  accade  che  1 50  mila  francesi  scendano  di  nuovo 
in  Italia,  addio  indipendenza  italiana  !  Perocché,  vinti,  saremmo  gli  schiavi  dell'Austria  ; 
vittoriosi,  gli  eterni  pupilli  dell'  imperatore  dei  francesi,  il  quale ,  sempre  fedele  alla 
sua  politica,  non  restituirebbe  Venezia  al  popolo  italiano  ;  ma  dandoci  nel  '62  una 
seconda  edizione  del  '59,  ne  farebbe  un  dono  a  Vittorio  Emanuele,  esigendo,  quale 
compenso,  non  la  Sardegna,  che  l' Europa  non  Io  consentirebbe,  ma  il  sacrificio  delle 
Provincie  meridionali.  Se  la  Francia  spalleggia  colà  il  partito  retrivo,  e  porge  armi  al 
brigantaggio,  affine  di  rendere  impossibile  il  Governo  italiano,  egli  è  per  avere  un 
pretesto  di  dire  in  un  Congresso  europeo  :  «  Voi  lo  vedete ,  non  esiste  omogeneità 
fra  il  settentrione  ed  il  mezzogiorno  d'  Italia.  Il  plebiscito  fu  illusorio,  essendoché  Napoli 
voglia,  anzitutto,  la  propria  autonomia.  Regni  dunque  a  Napoli  un  principe  qualsiasi: 
un  Bonaparte,  un  Murat,  un  Leuchtemberg  ed  anche  un  Borbone!..  Ma  non  Vittorio 
Emanuele.  Che  pretendono  questi  Italiani  ?  Di  essere  indipendenti  ?  Ora  lo  sono  : 
/  Italia  è  libera  dall'Alpi  all'Adriatico.  Intanto  il  vulcano  rivoluzionario  minaccia  noi 
tutti:  bisogna  spegnerlo,  a  qualunque  prezzola. 

CURATULO  26 


402  LA  BATTAGLIA  DEL  VOLTURNO  ED  IL  PLEBISCITO 

E  le  potenze  d'  Europa,  grandi  e  piccole,  le  une  per  gelosia,  le  altre  per  invidia, 
tutte  per  timore,  applaudirebbero  a  queste  parole.  Ecco  allora  distrutta  la  grande 
opera  da  te  compiuta  nelle  due  Sicilie  col  doppio  plebiscito  ;  ecco  1'  Italia  divisa 
un'  altra  volta  ;  ecco  effettuarsi  il  progetto  della  Confederazione  italiana ,  che  era  nel 
1859  e  che  sarà  sempre  1'  idea  prediletta  di  Napoleone  111.  Bisogna  che  i  patriotti 
italiani  ne  siano  persuasi  :  Napoleone  111  non  vuole  un'  Italia  austriaca,  ne  inglese,  ne 
russa,  ne  italiana  ;  perchè  vuole  un'  Italia  francese.  Così  un  Bonaparte  intende  la 
nostra  indipendenza  ;  così,  e  non  altrimenti  !  Un'  Italia ,  sempre  minorenne,  sotto  la 
tutela  della  Francia.  Ecco  l' interesse  del  nostro  sedicente  alleato  !  E  quindi  agevole 
r  indovinare  lo  scopo  della  sua  politica.  Una  confederazione  di  tre  piccoli  Stati,  pre- 
sieduta dal  Re  di  Roma,  sarebbe  per  raggiungerlo. 

Ho  detto.  Anna  ti  saluta  caramente.  Io  ti  abbraccio  e  ti  amo!  Riama 

Il  tuo 
GIORGIO 


San  Fiorano,    19  dicembre   1860. 
Amico  carissimo, 

Vi  scrissi  r  altro  dì  col  mezzo  di  Tiirr,  il  quale  disegnava  di  farvi  una  visita. 
Tùrr  non  potè  colorire  il  suo  disegno  ;  ma  promise  che  alla  mia  lettera  vi  darebbe 
sicuro  ricapito.  L'  avete  voi  ricevuta  ? 

Oggi  vi  riscrivo  col  mezzo  d'  un  vostro  ufficiale,  che  il  bravo  Tiirr  manda  in 
codeste  parti.  E  vi  ripeto,  la  mano  sulla  coscienza  :  Guardateci  dai  gesuiti  !  Vi  sono 
gesuiti  neir  uno  e  nell'  altro  campo.  Voi  dite  :  gesuitismo  cavouriano  e  avete  ragione  ; 
io  dico  alla  mia  volta  :  gesuitismo  mazziniano  e  non  ho  torto.  Credetemi  :  molti  si 
spacciano  patriotti  e  forse  lo  sono  dal  loro  punto  di  vista  (perdonatemi  il  gallicismo)  ; 
ma  il  programma,  che  questi  signori  tengono  in  petto,  non  è  il  nostro.  Avversi  per 
sistema,  al  principato,  essi  non  cessano  di  bandire  la  croce  sopra  la  monarchia  sarda, 
e  non  si  fanno  scrupolo  di  scavare  un  abisso  a  questa  povera  monarchia,  calunniandone 
le  intenzioni  e  pubblicandone  a  suon  di  tromba  gli  errori,  che  son  molti  e  gravissimi, 
dobbiamo  confessarlo.  Si  tenta  ogni  mezzo  per  ispogliare  il  principio  monarchico  d' ogni 
forza  morale,  per  quindi  venire  a  questa  conclusione  :  doversi  alla  croce  sabauda, 
impotente  a  fare  l'Italia,  sostituire  un'  altra  bandiera.  Però,  si  affaccendano  a  persua- 
dervi essere  tutt'  uno  che  nei  consigli  del  re  segga  Cavour  o  il  Cattaneo  ;  anzi  doversi 
preferire  il  Cattaneo.  Ben  sanno  i  gesuiti,  che  il  Cattaneo  come  il  Mazzini  è  incompa- 
tibile con  Vittorio  Emanuele,  però  il  loro  pensiero  è  manifesto.  Repubblicani  ad 
ogni  prezzo,  vogliono  sbrigarsi  del  re  :  non  lo  dicono,  ma  Io  pensano  ;  e 
intanto,  cospirano  coli'  infame  proposito  di  apparecchiare  il  terreno  alla 
repubblica,  opponendo  Garibaldi  a  Vittorio  Emanuele.  Sventate  la  rea 
macchinazione,  o  noi  cadremo  in  un  baratro  di  sventure  irreparabili! 

L'ho  detto,  e  mi  giova  ripeterlo:  coloro  che  tentano  dividerci  fanno  opera  scelle- 
rata. E  qui  permettetemi  che  vi  apra  il  mio    cuore.    Io    credo,  che   Vittorio  Emanuele 


L'  EROE  DIVENTA  AGRICOLTORE  403 

debba  e  possa  sacrificare  al  principio  da  voi  rappresentato,  Fanti,  Farini,  La  Farina, 
Monlezemolo,  Cordova  etc,  più  cavouriani  dello  stesso  Cavour.  Ma  forse  il  re 
non  può,  in  questo  momento,  congedare  un  Ministero  che  ha  infiniti  partigiani  e  servitori, 
nella  Camera,  nel  paese  e  nella  diplomazia.  Se  cos)  fosse,  non  farebbe  opera  altamente 
patriottica,  chi  si  travagliasse  a  mettere  d'  accordo  Cavour  e  Garibaldi  le  due  forze 
nazionali  egualmente  indispensabili  al  trionfo  della  nostra  causa? 

Ecco  ciò  che  di  Cavour  mi  scriveva  Daniele  Manin  ai  27  settembre   1 856  : 

«  Cavour  è  una  grande  capacità,  ed  ha  una  fama  europea.  Sarebbe  grave  perdita 
"  non  averlo  alleato,  sarebbe  gravissimo  pericolo  averlo  nemico.  Credo  bisogna  spingerlo 
»  e  non  rovesciarlo.  Conviene  lavorare  incessantemente  a  formare  l' opinione  :  quando 
»  V  opinione  sarà  formata,  sono  persuaso  che  ne  farà  la  norma  della  sua  condotta. 
»  Credo  Cavour  troppo  intelligente  e  troppo  ambizioso  per  rifiutarsi  all'  impresa  italiana, 
»  quando  la  pubblica  opinione  la  domandasse  imperiosamente  ». 

E  sventura,  che  cosi  non  pensino  molti  de'  vostri  amici,  i  quali  soffiano  nel  fuoco, 
invece  di  spegnerlo.  Guardatevi  da  costoro  I  Essi  non  sono  meno  pericolosi,  meno  funesti 
all'  Italia  dei  Fanti,  dei  Farini  e  compagnia. 

Le  tre  Anne,  moglie,  figlia  e  nipote,  vogliono  esservi  affettuosamente  ricordate. 
Salutatemi  Menotti,  Teresita,  Deidery  e  Froscianti.  Io  sono  tutto  vostro. 

GIORGIO  PALLAVICINO 

P.  S.  -  Vi  prego  di  scrivermi  a  Torino  col  solito  indirizzo  :  Via  Coito,  Casa 
Belladora,  9. 


* 


Fra  le  potenze,  rappresentanti  1*  Europa  reazionaria,  che  avevano  prote- 
stato per  gli  avvenimenti  di  Napoli  e  di  Sicilia  nel  '60,  vi  era  stata  la  Spagna; 
la  quale  sosteneva  i  diritti  eventuali  al  trono  delle  Due  Sicilie.  Ma  a  quella 
protesta  era  seguita  una  contro-protesta  da  parte  di  Don  Juan  di  Borbone, 
pretendente  al  trono  di  Spagna  ed  esiliato  in  Inghilterra,  il  24  ottobre,  egli 
aveva  scritto  a  Vittorio  Emanuele,  designando  da  una  parte  se  stesso,  come  il 
vero  successore  al  trono  dei  Borboni  di  Napoli,  ma  d' altra  parte  aveva  ceduto 
tali  suoi  diritti  a  Vittorio  Emanuele.  '  Dal  mio  Archivio  risulta  che  Don  Juan 
aveva  fatto  scrivere  anche  a  Garibaldi  dal  suo  segretario,  il  generale  de  Lazeu, 
una  lettera  rimasta    inedita  e   che    trascrivo    dalla  copia  (atta  in  quel  tempo  di 


G.  La  Cecilia  -  Storia  degli  ultimi  rivolgimenti  siciliani,  voi.  II,  pag.    139-140. 


404  LA  BATTAGLIA  DEL  VOLTURNO  ED  IL  PLEBISCITO 

mano  del  segretario  particolare  del  Dittatore.  L'originale  della  lettera,  come  si 
rileva  da  una  nota  che  si  legge  a  tergo  del  documento,  fu  mandato  da  Gari- 
baldi al  re. 


Il  generale  de  Lazeu,  Segretario  dì  Don  Juan  di  Borbone,  a  Garibaldi. 


Londres,  31   cctobre   1860. 

4.  Norihumberland  Street  —  Strand 

Monsieur, 

Le  prince  Don  Juan  de  Bourbon  a  appris,  que  le  Gouvernement  Espagnol  vieni 
d' adresser  une  nouvelle  pi  otestation  à  propos  des  événements  de  Naples,  et  avec  l' idée 
ostensible  de  soutenir  les  droits  éventuels  des  Bourbons  d' Espagne  au  trone  des 
Deux  Siciles. 

S.  A.  a  vu  aussi  se  confirmer  la  nouvelle  que  le  Gouvernement  Espagnol  cherche 
à  donner  un  appui  au  pouvoir  temporel  du  Pape,  ainsi  que  le  départ  de  Turin  de  son 
Ministre  Plenipotentiaire. 

Cette  conduite  montre  que  ce  Gouvernement,  quoique  d'origine  révolutionnaire, 
a  la  prétention  de  surpasser  l' esprit  de  réaction  du  Gouvernement  de  Sa  Sainteté  et 
du  Roi  de  Naples  lui  méme  ;  l' un  et  l' autre  ont  reconnu  la  Reine  d' Espagne  au 
mépris  des  droits  de  la  famille  qu'  aujord'hui  S.  A.  représente  et  par  la  force  des 
faits  accomplis,  reconnaissant  ainsi  ce  qu'  ils  crurent  étre  la  volonté  nationale,  principe 
qu*  aujourd'  bui  ils  semblent  ne  point  vouloir  accepter  en  ce  qui  les  concerne. 

Si  le  Gouvernement  Espagnol  ne  se  trouvait  pas  lance  sur  la  pente  réactionnaire 
dont  il  semble  s' enorgueillir,  il  ne  se  serait  pas  immiscé  dans  une  affaire  qui  ne  le 
regard  nuUement  ;  car  de  coté  legai  on  ne  pourra  pas  douter  des  droits  éventuels  de 
S.  A.  et  personne  n'  a  re^u  mission  de  les  sauvegarder  ;  et,  au  point  politique,  le 
Gouvernement  Espagnol  n'est  certes  pas  l' interprete  de  l'esprit  national.  Une  pareille 
conduite  serait  en  son  lieu  et  place,  si  l' ancien  parti  absolutiste  était  au  pouvoir. 

S.  A.  qui  accepte  comme  principe,  que  le  droit,  des  Princes  n'a  aucun  valeur  sans 
r  assentiment  et  l' affection  des  peuples,  ne  saurait  que  respecter  les  decision  du  peuple 
italien  aujourd'  bui,  comme  il  respectera  demain  les  décisions  du  peuple  espagnol. 

S.  A.  ne  tient  pas  à  soutenir  des  droits,  qui  n'  ont  d' autre  importance  que  de 
manifester  des  sympatbies  politiques  en  désaccord  avec  notre  epoque. 

Comme  chef  de  la  famille  des  Bourbons  d'  Espagne,  le  Prince  Don  Juan  renonce 
à  lous  droits  éventuels  à  la  souveraineté  d' une  partie  quelconque  de  l' Italie. 

Et  comme  Espagnol,  dans  la  position  exceptionnelle  que  S.  A.  occupe,  étant  bien 
sur  d'étre  le  fìdèle  interprete  des  voeux  de  la  Nation,  au  nom  du  peuple  espagnol,  il 
proteste  de  tous  les  actes  du  Gouvernement,  qui  pourraient  compromettre  la  sympathie 
des  deux  peuples  frères. 


L-  EROE  DIVENTA  AGRICOLTORE  405 

Le  Prince  en  agissant  ainsi  croit  s'acquitter  d'un  devoir,  que  lui  emposent  »es 
convinctions,  et  il  a  la  certitude  que  les  Espagnols  le  verront  avec  plaisir  revendiquer 
les  sympathies  qu'  ils  méritent  du  peuple  italien. 

S.  A.  m'ordonne  de  vous  communiquer  sa  renonciation  et  sa  protestation.  Si  la 
position  de  S.  A.  était  aulre,  il  témoignerait  autrement  ses  sympathies  pour  la  cause 
patriotique,  dont  vous  soutenez  la  bannière  avec  autant  de  gioire  que  de  succès. 

Agiéez,  monsieur  le  general,  1'  expression  de  ma  profonde  considération. 

HENRY  DE  LAZEU 
A  monsieur  le  General  Garibaldi 

Diciaieur  de  Naples 


Il  documento,  come  si  vede,  è  abbastanza  curioso;  esso,  in  sostanza,  serviva 
a  Don  Juan  di  Borbone  per  affermare  pubblicamente,  che  egli  solo  era  il  vero 
e  legittimo  rappresentante  al  trono  di  Spagna.  L' anno  seguente  il  pretendente 
continuò  la  sua  corrispondenza  con  Garibaldi  ;  nella  mia  raccolta  trovo  la 
seguente  importante  lettera  autografa. 

Don  Juan  di  Borbone  a  Garibaldi. 

Londres,  28  avrii   1861. 
General, 

]'  envoie  le  general  Lazeu,  mon  secrétaire,  à  Turin  féliciter  le  roi  d' Italie  et  lui 
offrir  mes  services  et  ceux  de  mes  amis  pour  combattre  l' ennemi  comun.  Gomme 
liberal,  je  désire  voir  l' Italie  libre  et  en  cela  je  suis  conséquent  à  la  politique  de  mon 
aieul  Charles  III,  qui  pour  la  première  fois  fit  entreprendre  à  l' Espagne  la  guerre  aux 
autrichiens  non  pas  par  esprit  de  conquéte,  mais  tendant  à  l' émancipation  de  l' Italie, 
premier  pas  vers  la  liberté.  Je  serais  heureux,  si  dans  la  damiere  campagne  que  l' Italie 
doit  faire  pour  s'  unifier,  je  pourrais  y  porter  ma  coopération  et  celle  des  hommes  qui 
me  sont  dévoués. 

La  lettre  amicale  avec  laquelle  vous  avez  honoré  mon  secrétaire,  lors  de  la 
renonciation  de  mes  droits  éventuels  au  tróne  de  Naples,  m' engagé  à  vous  écrire  et 
vous  le  recommander  aujourd'  hui  ;  il  vous  fera  part  de  mes  intentions,  de  mes  vives 
sympathies  pour  la  cause  italienne,  des  raisons  personelles,  qui  me  font  désirer  de  porter 
les  armes  contre  l' Autriche. 

Aidez-le  dans  sa  mission,  toute  patriotique.  Aujourd'  hui  mon  importance  peut 
ne  pas  étre  très  considérable  ;  mais  selon  comme  les  événements  viendront,  je  pourrai 
étre  un  puissant  appui  pour  la  cause  des  nationalités,  dont  vous  étes  le  noble  champion. 

Acceptez  ma  coopération,  appuyez  mes  démarches  de  votre    influence   et  croyez 

mei  avec  sincerile  votre  admirateur  et  ami. 

JUAN  DE  BOURBON 


406  LA  BATTAGLIA  DEL  VOLTURNO  ED  IL  PLEBISCITO 

Questa  lettera  doveva  essere  consegnata  a  Garibaldi  a  Torino  ;  invece 
gli  fu  fatta  recapitare  per  mezzo  di  Mordini  a  Caprera  insieme  ad  un'  altra 
del  generale  de  Lazeu. 

Il  generale  de  Lazeu  a  Garibaldi. 

Turin,   13  mai  1861. 
Monsieur, 

Y  ai  regretté  vivement  ne  pas  avoir  eu  l' honneur  de  vous  trouver  à  Turin  et 
pouvoir  vous  remetlre  la  lettre  personnelle,  qua  le  Prince  Don  Juan  me  chargea  de 
vous  remettre.  Elle  vous  perviendra  par  l'entremise  de  Mr.  Mordini  auquel  j'  ai  deve- 
loppé  et  sur  mas  et  sur  nos  projets,  et  j'éspère  qu' il  vous  en  fera  part  à  votre  pre- 
mière entrevue. 

J'  aurais  désiré  aller  vous  voir  à  Caprera  ;  mais  force  de  retourner  à  Londres, 
il  m' est  impossible  le  falre  ;  mais  j'  éspère  pouvoir  ratourner  prochainement  et  avoir 
le  plasir  de  vous  voir. 

Croyez-moi  avec  la  plus  sincère  affection 


Monsieur  le   General  Garibaldi 

Caprera 


Votre  dévoué 
H.    DE    LAZEU 


*      * 


Il  25  settembre  Garibaldi,  con  pensiero  amoroso,  aveva  firmato  due  decreti, 
in  virtù  dei  quali  veniva  assegnata  una  pensione  alla  madre  e  alle  sorelle  di 
Agesilao  Milano  ed  alla  giovinetta  figlia  dell*  eroico  Pisacane  ;  divenuta  poi  figlia 
adottiva  di  Giovanni  Nicotera.  Documento  assai  commovente  sul  proposito,  è 
la  lettera  seguente. 

Silvia  Pisacane  a  Garibaldi. 

Napoli,    15  ottobre   1860. 
Generale, 

Io  sono  la  figlia  di  Carlo  Pisacane,  che  morì  per  la  Patria  !  Voi  avete  avuto  la 
buona  ispirazione  di  pensare  alla  mia  educazione,  accordandomi  60  ducati  al  mese  ; 
avete  così  onorata  la  memoria  del  caro  papà  mio.   lo   desidero    essera    degna    di    lui. 

Ora,  sento  il  bisogno  di  ringraziarvi  tanto,  tanto  ;  ma  però  i  vostri  Ministri  non 
hanno  ancora  aseguiti  i  vostri  ordini,  e  perciò  ricorro  a  voi  par  farli  aseguire. 


L'EROE  DIVENTA  AGRICOLTORE  407 

Mi  dispiace  di  essere  così  piccina,  perchè  non  posso  esprimervi  l' affetto  e  l' am- 
mirazione, che  sento  per  voi,  che  tanto  bene  avete  fatto  al  nostro  paese.  Spero  che 
presto  scaccerete  da  Roma  e  Venezia  gli  stranieri  ed  allora  il  mio  papà,  Nicotera, 
manterrà  la  promessa,  che  mi  ha  fatto,  di  condurmi  da  voi,  che  desidero  immensamente 
vedere.  Sono  felice  di  potermi  dire 

la  vostra  piccola  amica 

SILVIA  PISACANE  NICOTERA 


Degna  infine,  di  essere  conosciuta  è  una  nobilissima  lettera  inedita,  scritta  nel 
settembre  '60,  a  Garibaldi  da  Giuseppe  Avezzana,  il  generale  in  capo  della 
gloriosa  Repubblica    Romana.   La  trascrivo  dall'  autografo. 

Giuseppe  Avezzana  a  Garibaldi. 

Liverpool,   IO  settembre   1860. 
Mio  carissimo  Garibaldi, 

Non  ho  potuto  più  resistere  all'  agitazione,  che  dal  momento  che  ti  ho  saputo  in 
campo  air  opera  della  redenzione,  mi  violentava  l*  esistenza,  ed  ho  preso  la  risoluzione 
di  venire  a  raggiungerti!  Ebbi  da  sormontare  numerosissimi  ostacoli  quasi  impossibili, 
come  puoi  immaginarti,  e  specialmente  quello  della  separazione  della  mia  adorata 
famiglia.  E  pure  ho  superato  ogni  cosa  ed  ora  eccomi  arrivato  in  questa  città,  da 
dove  m' imbarcherò  sul  vapore  «  Meandcr  »  per  Messina  dopo  domani.  Da  quel 
luogo  mi  dirigerò  per  dove  tu  ti  trovi,  perchè  vengo  coli'  inalterabile  volontà  di  trionfare 
o  cadere  con  te  ;  e  sebbene  alquanto  invecchiato,  mi  sento  abbastanza  forte  ancora 
da  poter  sperare  di  rendere  qualche  utile  servizio,  allo  scopo  della  piena  redenzione 
della  nostra  amata  patria  !  ! 

Complimenta,  a  mio  nome,  la  falange  di  eroi,  che  con  tanto  valore  t'accompagnano 

nei  tuoi  meravigliosi  prodigi  e  che  riscuote    l' ammirazione    dell'  orbe    intero.   Credimi 

il  tuo  costante  e  fedele  amico 

GIUSEPPE  AVEZZANA 

Al  generale  Giuseppe  Garibaldi 

ove  si  trova 


* 
*      * 


L'  8  novembre  Giuseppe  Garibaldi  presentava  nelle  mani  del  re  il  plebi- 
scito. Vittorio  Emanuele  sottoscrisse,  per  il  primo,  l' atto  di  accettazione  :  dopo 
di  lui  firmarono  Garibaldi  e  Pallavicino,  indi  Mordini,  Farini  ed  i  capi  dei 
corpi  costituiti. 


408  LA  BATTAGLIA  DEL  VOLTURNO  ED  IL  PLEBISCITO 

Un  particolare  sconosciuto  di  quel  solenne  momento,  che  ho  appreso  da 
Ricciotti  Garibaldi,  il  quale  lo  senti  raccontare  dal  Padre  suo,  è  il  seguente. 
Quando  Vittorio  Emanuele  si  chinò  per  firmare  l'atto  di  accettazione  del  plebiscito, 
il  collare  della  S.  S.  Annunziata,  che  in  quell*  occasione  il  re  indossava  lo  infastidì 
e  con  uno  scatto  nervoso  se  lo  tolse,  porgendolo,  senza  voltarsi,  a  colui  che 
gli  stava  dietro.  Era  questi,  per  caso,  il  garibaldino  Stefano  Canzio,  che  non 
smentì  mai  il  suo  buon  umore  nei  momenti  più  solenni,  come  non  smentì  mai 
il  suo  grande  coraggio  nell'  ora  del  pericolo.  Egli  fu  pronto  ad  afferrarlo  ;  ma 
invece  di  tenerlo  in  mano,  se  lo  mise  al  collo,  destando  l' ilarità  dei  presenti  ; 
e  senza  che  il  re  se  ne  accorgesse  ! 

•  '  indomani  il  Dittatore,  dopo  d'avere  rifiutato  gradi,  onori,  titoli,  per  se 
e  per  il  figlio  Menotti,  il  dono  di  uno  dei  castelli  reali  ed  una  dote  per  la 
figlia  Teresita,  partiva  con  pochi  dei  suoi  per  Caprera  sul  «  Washington  »  ; 
su  quello  stesso  vapore,  che  la  sera  del  1  2  agosto  lo  aveva  trasportato  dal  Faro 
in  Sardegna,   all'insaputa  di  tutti,   per  raggiungere  i  volontari  ivi  radunati. 

«  Quella  è  la  nave,   che  all'  acque  di  Sardegna 

già  navigò  dal  Faro  in  gran  segreto 

per  il  soccorso,   innanzi  eh'  ei  prendesse 

Reggio  ed  i  monti,   innanzi  che  Soveria 

fessegli  resa,   quando  le  nuove  schiere 

precipitò  nella  Calabria  estrema 

e  duce  fu  alle  armi,   alle  carene 

fu  calafato,   fu  mastro  d'  ascia,   artiere 

d' ogni  arte,   pronto  ei  sempre  alla   diversa 

necessità  con  volto  sorridente. 

Donato  il  regno  al  sopraggiunto  re, 

ora  sen  torna  al  sasso  di   Caprera 

il   Dittatore.   Fece  quel  che  potè. 

E  seco  porta  un  sacco  di  semente  ». 

Il  bel  sogno  dell*  eroe,  di  affratellare  sullo  stesso  campo  le  camicie  rosse 
ed  i  cappotti  grigi  si  era  dileguato.  Reduce  la  sera  da  Calvi,  Garibaldi  aveva 
detto,  mestamente,  alla  White  Mario:  «  Ci  hanno  messo  alla  coda  ».  Per 
metterlo  alla  coda,  scrive  il  Guerzoni,  era  stata  deliberata  la  spedizione  nello 
Stato  ecclesiastico,  e  per  metterlo  alla  coda  arrischiata  l' entrata  nel  regno  ; 
poteva  forse  parere  crudele    che,    subito   al  primo    incontro,   Vittorio   Emanuele 


/ 


-2 


e^?  -. 


, /<^   __/*!- 


^ -    /-T'- 


^ 


////_  -4L.  ■"/  /  ^ ^^^^-  ^f^^ — 


Due  pagine  di    un    quaderno    in    cui  Garibaldi,  nel    1860,   appena   ritornato  in  Caprera, 
cominciò  ad  annotare  i  lavori  agrari  e  pastorizi. 


L-EROE  DIVENTA  AGRICOLTORE  409 

glielo  rammentasse  ;  ma  era  logico.  Garibaldi  aveva  vinto  troppo  ;  bisognava 
che  la  partita  di  quel!'  indiscreto  donatore  di  regni  fosse  chiusa  ;  bisognava 
dimostrare,  che  si  poteva  vincere  senza  di  lui,  dovesse  la  vittoria  costare  cento 
doppi  più  cara  ;  '  bisognava  che  il  futuro  re  d' Italia  potesse  presentarsi  ai  suoi 
nuovi  popoli,  non  già  nelle  umili  sembianze  d' un  sovranello  protetto  e  patteg- 
giato,  ma  di  un  vero  re  soldato  e  conquistatore. 


* 


Ma  udiamo  la  parola  stessa  del  Duce  dei  Mille.  L'importantissimo  brano 
che  segue  non  si  trova  nelle  «  Memorie  »  edite  dal  Barbèra  e  compilate  da 
Adriano  Lemmi  ;  ne  nell'  edizione  diplomatica,  pubblicata  a  cura  di  Ernesto 
Nathan. 


Brano  inedito  di  Garibaldi  sulla  spedizione  dei  Mille  {Dall' autografo). 

Qui  finisce  il  glorioso  periodo  delle  nostre  battaglie,  nella  campagna  del  '60. 
L'esercito  settentrionale,  comandato  dal  re,  subentrava  alla  conclusione  della  guerra,  e 
ben  presto  si  potè  capire,  che  non  si  desiderava  il  nostro  contatto.  Vi  furono  ancora 
varie  scaramuccie  fra  i  nostri  avamposti  e  quelli  dei  regi,  ma  non  di  molta  importanza. 
Si  continuavano  i  preparativi  di  passaggio  sul  Volturno,  ma,  come  già  dissi,  in  appa- 
renza, e  non  dimenticando  il  divieto  reale,  che  proibiva  di  procedere  avanti.  ' 

In  Isernia  la  Divisione  Cialdini  aveva  battuto  un  corpo  nemico,  ciò  nonostante  si 
temeva  che  i  regi,  riconcentrati  verso . . . ,  fossero  decisi  a  darvi  una  battaglia  ed  il  re 
m  inviò  un  suo  aiutante  con  lettera  sua,  ove  in  tale  credenza  lasciava  al  mio  criterio 
di  prendere  qualunque  risoluzione. 

Trattavasi  di  dare  una  battaglia  decisiva?  Potevo  io  aspettare  il  risultato  con 
indifferenza  ?  No  davvero  !  Riuniti  adunque,  4  o  5  mila  cacciatori  delle  mie  riserve, 
io  varcai  il  Volturno,  il  nemico  aveva  abbandonato,  poco  prima,  la  sponda  destra, 
meno  Capua  ;  di  modo  che  il  passaggio  si  fece  senza  veruna  difficoltà  e  si  stabilirono 
vari  ponti  su  quei  fiume. 


'  «  Forse,  scrive  il  Guerzoni,  accettata  l'offerta  di  Garibaldi,  non  sarebbe  toccato  all'Esercito 
piemontese  lo  scacco  del  Garigiiano,  29  ottobre  ». 

'  Alludo  ad  una  lettera  del  re  in  data  d'Ancona,  che  mi  ordinava  di  fermarmi.  (Nola 
esistente  neW  autografo  di  Garibaldi). 


410  LA  BATTAGLIA  DEL  VOLTURNO  ED  IL  PLEBISCITO 

Non  avendo  notizie  certe  del  nemico,  io  presi,  col  mio  distaccamento,  la  via  di 
Bellona,  che  fiancheggia  alla  destra  lo  stradale,  che  da  Capua  mette  a  Calvi  e  giunsi 
in  quest'  ultimo  paese,  credendo  di  darvi  colla  coda  dell'  esercito  regio  napoletano. 
Fui  però  deluso  ;  e  non  mi  fu  possibile  scoprire  il  nemico  se  non  che  dalle  alture, 
che  dominano  Martini  (?)  e  lo  avvistai  non  sullo  stradale  suddetto,  ma  su  quello  che 
conduce  a  Gaeta  e  ben  lontano. 

Il  nemico  ebbe  sentore  del  mio  movimento;  abbandonò  lo  stradale  che  conduce 
a  tramontana  per  Venafro  e  si  ritirò  verso  Sessa,  che  dovette  abbandonare  ben  presto, 
incalzato  dal  generale  Cialdini. 

Dunque,  non  ebbe  luogo  la  battaglia  presunta  e  non  vi  fu  per  parte  nostra,  che 
un  piccolo  incontro  di  un  picchetto  ungherese  dei  nostri  ed  uno  dei  regi,  ove  questi 
ultimi  ebbero  il  peggio.  Il  re  mi  ordinò  quindi  di  occupare  Calvi,  ed  il  giorno  dopo 
di  ritirarmi  su  Capua  a  coadiuvare  col  generale  Della  Rocca  la  presa  di  quella  città. 
Si  capisce  perfettamente  che,  dovendo  intendermi  col  generale  Della  Rocca  per  l' assedio 
di  Capua,  io  dovevo  cedere  a  quello  il  comando  supremo  di  tale  operazione;  ciocché 
feci  senza  esitanza,  ritirandomi  a  Caserta,  lasciando  il  comando  dell'  esercito  al  generale 
Sirtori  con  istruzioni  di  stare  agli  ordini  del  generale  Della  Rocca.  In  Caserta,  io  tenni 
alcune  migliaia  di  uomini  in  riserva  per  qualunque  evento. 

Le  varie  volte,  in  cui  vidi  il  re  in  queste  circostanze,  ebbi  da  lui  la  solita  gentile 
accoglienza.  Io  avrei  potuto  continuare  nel  servizio  ed  agevolare  i  esecuzione  di  ciò  che 
restava  a  fare  V  Italia.  Ma  per  ciò  avrei  dovuto  essere  esaudito  in  certe  richieste,  per 
il  bene  della  causa  santa  dell'  Italia. 

La  prima  mia  dimanda  era  il  riconoscimento  dell'  esercito,  che  io  comandava, 
siccome  parte  dell'esercito  nazionale  e  fu  un'  ingiustizia  non  concederlo. 

La  seconda  era  quella  di  conservare  il  potere  civile  con  il  titolo,  se  così  piaceva, 
di  commissario  regio  (che  non  mancava  di  ripugnarmi),  fintanto  che  io  sarei  rimasto 
neW  Italia  meridionale.  In  quest'  ultima  richiesta  io  facevo  violenza  a  me  stesso,  non 
propenso  ad  impieghi  di  quella  natura;  ma  lo  ripeto,  colla  mano  sulla  coscienza  ed 
unicamente,  in  ossequio  alla  causa  nazionale. 

Conservando  il  comando  militare  in  quella  parte  d  Italia,  io  doveva  indispensa- 
bilmente conservare  il  provvisorio  comando  civile  per  non  trovarmi  esposto  alla  mercede 
di  un  partilo  interessato  al  mio  abbassamento  e  che  cominciava  ad  invadere  voracemente 
dovunque.  Si  trovò  incostituzionale  la  mia  dimanda,  e  mi  si  aprì  il  Varco  al  ritiro  desi- 
derato ardentemente  e  necessario. 

Io  lasciavo  i  miei  compagni  d'armi,  e  questa  era  la  parte  sensibile  del  mio  abbandono. 

Io  lasciavo  quella  gioventù  generosa,  che  si  era  gettata  attraverso  il  Mediterraneo, 
disprezzando  ogni  genere  di  contrarietà,  di  disagi  e  di  pericoli  per  raggiungermi  ad 
affrontare  la  morte,  colla  speranza  di  non  altro  guiderdone  se  non  che  quello  ottenuto 
in  Lombardia  e  nelV  Italia  centrale. 

Buoni  e  Valorosi  compagni  !  La  loro  ricompensa  stava  nella  coscienza  e  nel  plauso 
del  mondo,  testimone  di  fatti  stupendi.  Il  9  dunque  di  novembre  io  navigavo  per  Caprera 
e  vi  giungevo  il  IO  col  piroscafo  nazionale  "  Washington  ,,  comandato  da  Mansi. 


L'EROE  DIVENTA  AGRICOLTORE  411 

Non  meno  interessante,   per  le  considerazioni    che    esso  contiene  è   l' altro 
brano,   che  qui  pubblico  dall'  originale. 

Introduzione  al  racconto  della  spedizione  nell'  Italia  meridionale.  {Dall'auto- 
grafo inedito  di  Garibaldi). 

Si  osserverà  giustamente  nella  mia  narrazione,  che  io  poco  accenno  ai  nomi  dei 
brillanti  ufficiali,  che  mi  accompagnarono  nella  prima  spedizione  e  di  quelli  che  mi 
raggiunsero  a  Palermo  od  altrove  in  epoche  posteriori. 

Siccome  non  vorrei,  che  si  attribuisse  a  noncuranza  o  malizia  il  tacere,  o  non 
favellare  abbastanza  di  quei  valorosi  compagni  miei,  che  io  stimo  debitamente  ed  amo 
con  r  affetto  di  fratello,  ho  pensato  di  farne  il  soggetto  di  due  righe  d' introduzione, 
mantenendomi  però,  per  motivi  che  io  credo  giusti,  nella  stessa  riserbatezza. 

Trovo  veramente  molto  arduo  il  gettare  un'  esatta  linea  di  demarcazione  tra  il 
merito  dell'  uno  e  dell'  altro,  nei  differenti  fatti  d'armi  ove,  abbenchè  io  abbia  assistito 
a  quasi  tutti,  impossibile  mi  è  riuscito  il  poter  assistere  alla  parte  presavi  da  ognuno. 

La  suscettibilità  dei  nìiei  concittadini,  mi  fa  guardingo  di  toccare  un  assunto  così 
delicato. 

Tra  gli  ufficiali  superiori  da  me  promossi  vi  sono  tali  uomini,  di  cui  1'  Italia  andrà 
superba.  Negli  inferiori,  io  vedo  con  orgoglio  una  pipiniera  di  giovani  ufficiali,  che 
fregierano  1'  esercito  nazionale  nelle  prossime  battaglie. 

Mi  si  conceda,  massime  negli  uffiziali  superiori,  molla  fortuna  nell'  incontrarli, 
qualche  abilità  nel  conoscerli  e  nel  saperli  collocare  ;  e  mi  sia  permesso  pure  di  confessare 
che  io  devo  alla  bravura  e  intelligenza  di  quei  prodi  compagni  la  maggior  parte  dei 
successi  della  portentosa  spedizione. 


Un   altro  scritto    di    quei    giorni,    che    mi    risulta    inedito,  è  un  proclama 

che  Garibaldi  diresse  ai  prodi  compagni   superstiti.    11   proclama  fu  scritto  prima 

che  il  Generale  partisse  per  Caprera  ;  è  tutto    di    suo    pugno  e  lo    trascrivo 
integralmente. 

Proclama  inedito  di  Garibaldi,  scritto  nel  novembre  '60  partendo  per  Caprera. 

Militi  della  prima  gloriosa  spedizione! 

Noi  abbiamo  diviso  fatiche  e  pericoli  per  la  più  bella  delle  cause,  per  la  causa 
della  nostra  terra.  Con  uomini  come  voi  le  più  ardue  imprese  mi  sembrano  facili  e 
se  i  nemici  della  nostra  patria  non  fanno  giudizio,  ci  ritroveranno  ancora,  e  vi  assicuro, 
degni  dell'  Italia  I 


412  LA  BATTAGLIA  DEL  VOLTURNO  ED  IL  PLEBISCITO 

Resto  di  dieci  battaglie,  benché  giovani,  in  questo  giorno  di  giubilo  glorioso,  ove 
i  destini  dell'  Italia  migliorarono  di  tanto,  noi  dobbiamo  un  senso  di  affettuoso  ricordo 
ai  nostri  fratelli  caduti  accanto  a  noi  nelle  pugne  ! 

Essi  dormono  là,  sulla  terra  redenta  di  Calatafimi  e  del  Volturno,  e  la  rimem- 
branza cara  dei  compagni  d'  armi  giungerà  come  un  balsamo  consolatore  all'  anima  di 
quei  generosi. 

Dunque,  sia  per  loro  il  primo  segno  onorevole,  che  la  patria  riconoscente  consacra 
ai  propugnatori  del  santo  riscatto.  L'  urne  dei  forti  sia  decorata  dalla  impronta  del  valore, 
e  dal  bacio  di  chi  sostenne  con  loro  1'  onore  delle  armi  italiane.  E  voi,  giovani  veterani 
dell'  esercito  redentore,  insegnerete  alla  gioventù  nostra,  per  la  liberazione  di  ciò  che 
resta  di  schiavi  fratelli,  come  si  pugna  e  come  si  vince  ! 


* 


Giunto  a  Caprera,  lasciati  in  libertà  i  due  cavalli  di  battaglia,  il  Dittatore 
ritorna  a  fare  1'  umile  agricoltore.  Mirabile  testimonianza  di  quei  giorni  è  un 
piccolo  quaderno,  nel  quale  Garibaldi  ricomincia  ad  annotare,  giorno  per  giorno, 
il  ricavato  della  vendita  delle  pecore,  dei  formaggi,  dei  vitelli,  le  giornate  di 
lavoro  dei  pastori.  (Vedi  i  facsimili  qui  annessi).  In  una  delle  prime  pagine  del 
prezioso  cimelio  è  segnata  una  spesa  di  Lire  300  ;  è  la  mancia  data  all'  equi- 
paggio del   "  Washington  ,, ,  che  lo  aveva  trasportato  a  Caprera. 

Sul  finire  del  '60  e  poi  nel  '61 ,  il  Generale  ebbe  una  corrispondenza  attivis- 
sima sulla  sorte  dell*  esercito  meridionale.  Il  24  novembre,  Trecchi  gli  scriveva  : 
«  Ogni  volta,  che  ho  il  piacere  di  vedere  Sua  Maestà  non  tralascio  di  tutelare 
la  causa  dei  nostri  ;  ma  pur  troppo  conosco,  che  fino  a  quando  vi  sarà  un  Fanti, 
Ministro  della  guerra  poco  o  nulla  si  può  sperare  ».  Una  continua  corrispon- 
denza il  Generale  si  ebbe  pure  con  Tiirr,  il  quale  vedeva  spesso  il  re  a  Tormo. 
Nell'archivio  depositato  da  Ricciotti  Garibaldi  nella  biblioteca  Vittorio  Emanuele 
di  Roma  sono  molte  lettere  del  Tiirr.  Le  due  seguenti  meritavano  di  essere 
trascritte,  perchè  illuminano  sempre  più  i  rapporti  passati  fra  Vittorio  Emanuele 
e  Garibaldi. 

Stefano  TOrr  a  Garibaldi. 

Milano,  21    gennaio   1861. 
Caro   Generale, 

Mi  ciffretto  a  rendervi  noto  sopra  varie  incombenze,  che  mi  avete  dato: 

1.  —  Il  re  vi    assicura,  che  non  si  staccherà  mai    da    voi    ed   egli  vi 
prega  al  pari  di    restargli    sempre    amico    e    di    non    lasciare    trascinare    il 


L- EROE  DIVENTA  AGRICOLTORE  413 

vostro  nome  dai  partiti,  i  quali  cercano  di  fare  inutili  imbarazzi  al  Governo 
e  con  ciò  rendono  difficile  l'ordinamento  di  tante  cose. 

2.  —  Con  Bixio  sarei  d' accordo  ;  ma  egli  vuole  prima  conferire  con  voi, 
vedendo  la  sua  posizione  molto  difficile,  non  essendo  del  medesimo  parere  del  Bertani  ; 
e  però  io  spero  e  desidero,  per  il  bene  d' Italia,  che  voi  possiate  convincere  Bixio, 
che  vi  rappresenti  nei  Comitati,  onde  questi  in  nome  vostro  non  facciano  delle  cose, 
che  potrebbero  recare  qualche  danno  all'  Italia. 

3.  —  In  questi  giorni  manderò  da  per  tutto  gente  fidata,  onde  sapere  al  giusto, 
ciò  che  possiamo  sperare  nei  vari  paesi  con  i  quali  mi  avete  autorizzato  di  mettermi 
d' accordo. 

4.  —  Il  re  ha  promesso  di  occuparsi  per  la  Sardegna  ;  per  le  imposte  egli  mi 
ha  inviato  dal  ministro  Cavour  ;  il  quale  ha  dato  ordine,  onde  una  commissione  si  formi 
per  esaminare  sul  luogo  le  necessarie  modificazioni  per  la  Maddalena,  come  per  Caprera. 

5.  —  Una  carta  d'  Europa  ho  inviato  a  Deidery,  onde  egU  ve  la  rimettesse  ; 
ho  segnato  sulla  carta  i  limiti  dell'  Ungheria. 

6.  —  II  re  crede  inutile  per  il  momento  fare  un  viaggio  in  Inghilterra. 

7.  —  Per  Zambianchi  fui  pure  inviato  da  Cavour  ;  il  quale  mi  rispondeva  che 
Zambianchi  è  in  prigione  non  per  l' affare,  che  egli  è  entrato  nel  territorio  di  Roma 
dietro  i  vostri  ordini  ;  ma  perchè  Farini  ha  avuto  vari  rapporti  dalla  Romagna,  in  cui 
lo  pregavano,  che  a  Zambianchi  non  fosse  concesso  di  venire  in  questi  paesi;  però 
egli  non  ama  tali  illegalità,  perciò  esaminerà  le  cose  e  lo  farà  mettere  in  libertà.  E 
possibile  che  Farini  temeva  per  la  sua  persona,  e  perciò  voleva  sempre  tenere  in  prigione 
il  Zambianchi. 

8.  —  //  re  farà  verificare,  se  è  cero  che  gli  ufficiali  amnistiati  sono  molestati 
ed  egli  mi  ha  incaricato,  che  se  io  posso  venire  a  conoscenza  che  uno  si  trova  in  prigione, 
di  Volerglielo  fare  conoscere  nominativamente,  onde  poter  dare  i  necessari  ordini,  che  la 
sua  amnistia  sia  rispettata  interamente. 

9.  —  La  vostra  offerta  per  la  pacificazione  delle  Provincie  meridionali  è  piaciuta 
molto  al  re  e  mi  ha  risposto,  che  egli  studiera  questo  progetto  e  in  che  modo  sarebbe 
possibile  la  sua  esecuzione.  Viste  le  buone  disposizioni  per  potere  fare  questa  passeg- 
giata nella  Sicilia  fino  al  Napoletano  non  ho  parlato  nulla  dei  vapori,  onde  non  dare 
il  sospetto  di  una  spedizione,  che  potrebbe  adesso  spaventare.  Però,  io  spero  che  con 
prudenza  potremo  ottenere,  come  voi  desiderate,  di  fare  una  passeggiata  nell'  Italia 
meridionale.  Per  i  primi  di  marzo,  spero  di  potervi  presentare  un  rapporto  su  tutto 
ciò  che  possiamo  trovare  nei  differenti  paesi,  sui  quali  dobbiamo  contare  ;  ed  allora 
possiamo  concepire  una  vera  e  decisiva  idea  di  ciò  che  si  potrà  fare.  In  Orbetello, 
se  io  fossi  andato  a  chiedere  cartuccie  in  nome  del  partito  di  azione,  certamente  invece 
di  ritornare  con  cartuccie  e  cannoni  mi  avrebbero  trattenuto  come  prigioniero  nel  forte  ; 
così  anche  oggi  ci  vuole  franchezza  e  prudenza.  So  bene  che  Bertani  ed  altri  dicono 
che  io  Vado  dal  re  e  da  Cavour  ;  ma  io  non  vado  per  altre  cose  che  per  il  bene  della 
causa  d' Italia  e  d' Ungheria.  Io  non  ho  mai  detto  ne  a  voi,  ne  a  Cavour  che  dovete 
stringervi  la  mano,  come  ha  detto  il  signor  Bertani,  dopo  che  egli  era  il  più  frenetico 
oppositore.  Io  ho  parlato  e  parlerò  sempre  francamente  al  Cavour  e  gli  faccio  rimostranze 


414  LA  BATTAGLIA  DEL  VOLTURNO  ED  IL  PLEBISCITO 

di  tutu  i  suoi  errori;  adesso  gli  ho  dello:  «  //  generale  Garibaldi  marcerà  con  voi 
politicamente,  se  voi  vi  niellerete  con  tulla  l'anima  per  armare  il  paese,  onde  liberare 
Venezia  e  Roma.  »  Egli  mi  ha  risposto,  che  darà  tutta  la  sua  cura  all'armamento  e 
farà  lutto,  onde  coi  possiate  esser  certo  della  sua  ferma  Volontà  di  avere  Venezia  e 
Roma.  Per  l' Esercito  meridionale  in  tutto  ciò  che  potrà  essere  utile,  non  avete  altro 
che  comandargli,  ma  nel  medesimo  tempo,  egli  mi  ha  dato  la  qui  acclusa  lista  di  uffi- 
ciali di  marina  di  Sicilia  e  vi  prega  caldamente  (voi  che  conoscete  cosa  vuol  dire  la 
marina)  di  voler  lare  un  segno  per  quelli  che  conoscete  potranno  adempire  il  loro 
dovere  ;  gli  altri  saranno  obbligati  a  sottomettersi  ad  un  esame.  In  questa  lista  vedrete 
che  due  soli  sono  provveduti  del  vostro  brevetto.  Mordini  ha  fatto  un  grande  errore, 
che  nel  solo  giorno  del  20  ottobre,  egli,  ad  un  tratto,  ha  nominato  più  di  140  uffi- 
ziali  di  marina.  Troverete  Castiglia  come  contrammiraglio  ed  ho  visto  una  lista  di 
uffiziali  siciliani,  un  numero  immenso,  senza  appartenere  a  nessun  corpo;  senza  aver 
fatto  altra  cosa  che  passeggiare  in  Palermo.  Voi  avete  avuto  per  sistema,  verso  la 
fine  di  ottobre,  di  non  nominare  più  uffiziali,  mettendo  cosi  in  cattiva  posizione  anche 
quei  bravi,  che  si  sono  battuti  con  voi  per  la  Patria. 

Vi  prego,  dopo  di  aver  fatto  le  vostre  rimarche  sopra  i  nomi  degli  uffiziali  che 
credete  di  raccomandare,   di  rimandare  la  lista. 

Spero  che  la  vostra  salute  sia  buona;  mi  dispiace  e  mi  duole  di  vedere  che 
Berlani  ed  altri  si  sfogano  sotterraneamente  contro  di  me  ;  ma  la  mia  coscienza  è  pura  ; 
e  questo  mi  dà  la  forza  di  agire  come  sempre  ho  agito,  francamente,  per  la  causa  della 
nostra  comune  Patria  ;  e  se  una  bomba  da  80,  come  voi  dite,  non  ci  porta  via,  una 
volta  che  l' Italia  e  l'  Ungheria  saranno  libere,  cercherò  di  vivere  vicino  a  voi,  colti- 
vando un  giardino  ed  allora  i  signori  Berlani  e  Brofferio  faranno  tutto  ciò  che  a  loro 
piacerà;  ma  per  ora,  per  bacco,  non  possiamo  lasciare  che  loro,  in  un  momento  d'ira, 
cerchino  di  rovinare  ciò  che  costa  tanto  sangue  generoso.  Vi  prego  di  rispondermi  e 
di  darmi  i  vostri  ordini.  Prego  di  salutare  tutti  e  con  una  stretta  di  mano  credetemi 

sempre  per  vostro 

Sincero  amico 

S.  TURR 

P.  S.  -  «  //  milione  di  fucili  »  comincia  a  lavorare  e  spero  di  potere  raccogliere 
delle  somme,  perchè  esso  gode  la  fiducia  in  tutte  le  parti  d*  Italia. 

Più  tardi,  in  data  del   23  febbraio  tornava  a  scrivere: 

Stefano  Tùrr  a  Garibaldi. 

Torino,  23  febbraio   1861. 
Caro  Generale, 

Zambianchi  sarà  messo  subito  in  libertà.  Il  re  mi  ha  promesso  che  nel 
prossimo  Consìglio  di  Ministri  farà  sentire  fortemente  i  suoi  ordini  per 
l'armamento  e  vuole  che  sia  sentito. 


L'EROE  DIVENTA  AGRICOLTORE  415 

Questi  signori  generali  polacchi  hanno  rovinato,  colle  loro  ciancie,  la  causa  d' Italia 
a  Novara,  e  di  Ungheria  a  Temesvar.  Oltre  di  questo,  pare  che  il  Palais  Royal  non 
sia  estraneo  all'  idea  di  Mierolawski.  Si  vede  che  Napoleone  agita  molto  la  quistione 
Bulgara  ;  è  possibile  che  egli  voglia  farsi  un  piede  a  terra  anche  in  Grecia  e 
neir  Oriente.  Il  governo  qui  si  è  spaventato,  quando  ha  ricevuto  delle  note  assai  signi- 
ficanti dall'  Inghilterra  in  proposito  dell'  agitazione  di  Mierolawski.  Il  governo  desidera 
aspettare  un  anno  piuttosto  che  entrare  in  campo  ed  aiutare  l' ingrandimento  della 
Francia  in  Oriente  e  di  trascinarsi  in  un'  impresa,  dopo  la  quale  potrebbe  Napoleone 
forse  di  nuovo  entrare  in  Italia. 

Appena  avrò  dieci  giorni  di  tempo  mi  metterò  a  descrivere  le  gesta  della  prima 
spedizione  con  gli  avvenimenti  da  Genova  a  Marsala  fino  al  totale  sgombro  dei  regi 
da  Palermo.  Sarei  a  pregarvi  a  volermi  dare  alcuni  indizi  sulle  trattative,  che  avete 
fatto  con  Letizia  ;  tali  indizi  quali  volete  che  rimangano  nella  storia.  Cercherò  di  scrivere 
tutte  le  nostre  mosse  militarmente  ;  ed  in  questo  modo  desidero  far  vedere  a  Fanti  ed  a 
tutti  gli  altri  in  che  modo  e  con  che  arte  fu  fatta  ogni  mossa. 

II  re  mi  ha  incaricato  di  salutarvi.  Egli  era  molto  contento,  quando 
abbiamo  infranto  l' etiquette  di  corte,  avendo  ballato  Menotti  ed  io  nella 
contradance  colla  duchessa  di  Genova. 

Prego  di  salutare  tutti  e  di  credermi  sempre  per  il  vostro  sincero  fedele 

S.  TURR 


CAPITOLO  XVI. 


GARIBALDI  APOSTOLO  DI  PACE. 
LETTERE  ALL'IMPERATORE   GUGLIELMO  E  A  BISMARCK. 


iJe  un'  antica  imagine  poetica  rassomigliò  il  cuore  umano  ad  un'  anfora, 
in  cui  stanno  racchiusi  tutti  i  sentimenti,  il  cuore  di  Garibaldi,  ampio  come  le 
sue  gesta,  traboccò  di  amore  per  tutta  l' umanità.  Guerriero  e  stratega,  si  servì 
della  spada  per  la  libertà  degli  oppressi,  e  quando  il  braccio  più  non  potè  seguire 
i  nobili  impulsi  del  cuore,  ogni  giusta  causa,  al  di  là  e  al  di  qua  degli  oceani, 
ebbe  l'appoggio  della  parola  confortatrice  dell'eroe,  e  da  Caprera,  fino  agli  ultimi 
giorni  della  vita  essa  tuonò  contro  ogni  forma  di  tirannia  per  ottenere  giustizia  e 
libertà  per  tutti. 

Questo  volume,  nel  quale  ho  raccolto  la  prima  serie  dei  documenti  del 
mio  Archivio  in  massima  parte  riferentisi  al  1 860,  e  che  sarà  seguito  da  un 
altro  su  Aspromonte  e  Mentana,  si  chiude  colla  pubblicazione  di  due  scritti 
inediti,  di  un'  epoca  posteriore,  ma  che  illustrano  sempre  più  la  singolare  figura 
di  Garibaldi,  sognatore  di  una  Religione  del  Vero,  apostolo  di  pace  e  della 
fratellanza  umana. 

Nel  1 860,  dopo  la  battaglia  del  Volturno,  appena  il  rombo  del  cannone 
aveva  finito  di  tuonare,  ritiratosi  sulle  alture  di  Sant'Angelo,  sul  monte  Tifata, 
egli,  dettò  un  Memorandum  alle  Potenze  di  Europa,  che  fu  trovato  degno 
dello  spirito  di  Alberigo  Gentile  e  dell'  eloquenza  di  Canning  ;  un  Memorandum, 
nel  quale  il  guerriero  predicava  il  disarmo  universale,  la  fine  di  ogni  contesa, 
una  confederazione  europea,  l' unità  della  famiglia  umana.  Giova  oggi  ripubbli- 
care r  importante  documento. 

MEMORANDUM  ALLE  POTENZE  D'EUROPA 

E  alla  portata  di  tutte  le  intelligenze,    che    l' Europa  è  ben    lungi  di  trovarsi    in 
uno  stato  normale  e  convenevole  alle  sue  popolazioni. 

CURÀTULO  27 


418  GARIBALDI  APOSTOLO  DI  PACE 

La  Francia,  che  occupa  senza  contrasto  il  primo  posto  fra  le  potenze  europee, 
mantiene  sotto  le  armi  seicento  mila  soldati,  una  delle  prime  flotte  del  mondo  ed  una 
quantità  immensa  d' impiegati  per  la  sicurezza  interna. 

L'Inghilterra  non  ha  il  medesimo  numero  di  soldati;  ma  una  flotta  superiore  e 
forse  un  numero  maggiore  d' impiegati  per  la  sicurezza  de'  suoi    possedimenti    lontani. 

La  Russia  e  la  Prussia,  per  mantenersi  in  equilibrio,  hanno  bisogno  pure  di 
assoldare  eserciti  immensi. 

Gli  Stati  secondari,  non  foss'  altro  che  per  spirito  d' imitazione  e  per  far  atto  di 
presenza,  sono  obbligati  di  tenersi  proporzionalmente  sullo  stesso  piede. 

Non  parlerò  dell'  Austria  e  dell'  Impero  Ottomano,  dannati,  per  il  bene  degli 
sventurati  popoli  che  opprimono,  a  crollare. 

Uno  può  alfine  chiedersi:  perchè  questo  stato  agitato  dell' Europa  ?  Tutti  parlano 
di  civiltà  e  di  progresso.  A  me  sembra  invece  che,  eccettuandone  il  lusso,  non  diffe- 
riamo molto  dai  tempi  primitivi,  quando  gli  uomini  si  sbranavano  fra  loro  per  strap- 
parsi una  preda.  Noi  passiamo  la  nostra  vita  a  minacciarci  continuamente  e  recipro- 
camente, mentre  che  in  Europa  la  grande  maggioranza  non  solo  dell'  intelligenza,  ma 
degli  uomini  di  buon  senso,  comprende  perfettamente  che  potremmo  pur  passare  la 
povera  nostra  vita  senza  questo  perpetuo  stato  di  minaccia  o  di  ostilità  degli  uni 
contro  gli  altri,  e  senza  questa  necessità  che  sembra  fatalmente  imposta  ai  popoli  da 
qualche  nemico  segreto  ed  invisibile  dell'unità,  di  ucciderci  con  tanta  scienza  e  raffi- 
natezza. 

Per  esempio,   supponiamo  una  cosa  : 

Supponiamo  che  l' Europa  formasse  un  solo  Stato. 

Chi  mai  penserebbe  a  disturbarla  in  casa  sua  ?  chi  mai  si  avviserebbe,  io  vi 
domando,  turbare  il  riposo  di  questa  sovrana  del  mondo? 

Ed  in  tale  supposizione,  non  più  eserciti,  non  più  flotte;  e  gl'immensi  capitali, 
strappati  quasi  sempre  ai  bisogni  ed  alla  miseria  dei  popoli  per  essere  prodigati  in 
servizio  di  sterminio,  sarebbero  convertiti  invece  a  vantaggio  del  popolo  in  uno  sviluppo 
colossale  dell'industria,  del  miglioramento  delle  strade,  nella  costruzione  dei  ponti, 
nello  scavamento  dei  canali,  nella  fondazione  di  stabilimenti  pubblici,  e  nell'  erezione 
delle  scuole,  che  tornerebbero  utili  alla  miseria  ed  alla  ignoranza  di  tante  povere 
creature,  che  in  tutti  i  paesi  del  mondo,  qualunque  sia  il  loro  grado  di  civiltà,  sono 
condannale  all'  egoismo  del  calcolo  e  della  cattiva  amministrazione  delle  classi  privile- 
giate e  potenti  all'  abbrutimento,  alla  prostituzione  dell"  anima  e  della  materia. 

Ebbene!  l'attuazione  delle  riforme  sociali  che  accenno  appena,  dipende  soltanto 
da  una  potente  e  generosa  iniziativa.  Quando  mai  presentò  1'  Europa  più  grandi  pro- 
babilità di  riuscita  per  questi  benefìzi  umanitari  ? 

Esaminiamo  la  situazione  :  Alessandro  li,  in  Russia,  proclama  l' emancipazione 
dei  servi. 

Vittorio  Emanuele,  in  Italia,  getta  il  suo  scettro  sul  campo  di  battaglia  ed  espone 
la  sua  persona  per  la  rigenerazione  di    una    nobile    razza    e  di  una    grande    nazione. 

In  Inghilterra,  una  regina  virtuosa  ed  una  nazione  generosa  e  savia,  che  si  associa 
con  entusiasmo  alla  causa  delle  nazionalità  oppresse. 


LETTERE  ALL'IMPERATORE  GUGLIELMO  E  A  BISMARCK  419 

La  Francia  finalmente,  per  la  massa  della  sua  popolazione  concentrata,  per  il 
valore  dei  suoi  soldati  e  per  il  prestigio  recente  del  più  brillante  periodo  della  sua 
storia  militare,  chiamata  ad  arbitra  dell'  Europa. 

A  chi  r  iniziativa  di  questa  grande  opera  ? 

Al  paese  che  marcia  in  avanguardia  della  rivoluzione  !  L' idea  di  una  Confede- 
derazione  europea,  che  fosse  posta  innanzi  al  capo  dell'Impero  francese,  e  che  spar- 
gerebbe la  sicurezza  e  la  felicità  del  mondo,  non  vale  essa  meglio  di  tutte  le  combi- 
nazioni politiche,  che  rendono  febbrile  e  tormentano  ogni  giorno  questo  povero  popolo? 

Al  pensiero  dell'atroce  distruzione  che  un  solo  combattimento,  tra  le  grandi 
flotte  delle  Potenze  occidentali,  porterebbe  seco,  colui,  che  si  avvisasse  di  darne  l'ordine, 
dovrebbe  rabbrividire  di  terrore  ;  e  probabilmente  non  vi  sarà  mai  un  uomo  così 
vilmente  ardito  per  assumere  la  spaventevole  responsabilità. 

La  rivalità  che  ha  sussistito  fra  la  Francia  e  l' Inghilterra  dal  XIV  secolo  fino  ai 
nostri  dì,  esiste  ancora  ;  ma  oggi,  noi  lo  constatiamo  a  gloria  del  progresso  umano, 
essa  è  infinitamente  meno  intensa  ;  di  modo  che  una  transazione  tra  le  più  grandi 
nazioni  dell'  Europa,  transazione  che  avrebbe  per  scopo  il  bene  dell'  umanità,  non 
può  più  essere  posta  fra  i  sogni  e  le  utopie  degli  uomini  di  cuore. 

Dunque,  la  base  di  una  Confederazione  europea  è  naturalmente  tracciata  dalla 
Francia  e  dall'  Inghilterra.  Che  la  Francia  e  l' Inghilterra  si  stendano  francamente, 
lealmente,  la  mano  ;  e  l' Italia,  la  Spagna,  il  Portogallo,  l' Ungheria,  il  Belgio,  la  Svizzera, 
la  Grecia,  la  Romelia  verranno  esse  pure,  e  per  così  dire,  istintivamente,  ad  aggrup- 
parsi intorno  a  loro. 

Insomma,  tutte  le  nazionalità  divise  ed  oppresse,  le  razze  slave,  celtiche,  germa- 
niche, scandinave,  la  gigantesca  Russia  compresa,  non  vorranno  restar  fuori  da  questa 
rigenerazione  politica,  alla  quale  le  chiama  il  genio  del  secolo. 

Io  so  bene,  che  una  obiezione  si  affaccia  naturalmente  in  opposizione  al  progetto 
che  precede. 

Che  cosa  fare  di  questa  innumerevole  massa  d'  uomini,  impiegata  ora  nelle  armate 
e  nella  marina  militare  } 

La  risposta  è  facile. 

Nel  medesimo  tempo,  che  sarebbero  licenziate  queste  masse,  saremmo  sbarazzati 
dalle  istituzioni  gravose  e  nocive,  e  lo  spirito  dei  sovrani  non  più  preoccupato  dalla 
ambizione,  dalle  conquiste,  dalla  guerra,  dalla  distruzione,  sarebbe  rivolto  invece  alla 
creazione  di  istituzioni  utili,  e  discenderebbe  dallo  studio  delle  generalità  a  quello 
delle  famiglie  ed  anche  degli  individui. 

D'altronde,  coli' accrescimento  dell'industria,  con  la  sicurezza  del  commercio,  la 
marina  mercantile  reclamerà  dalla  marina  militare  sul  momento  tutta  la  parte  attiva  di  essa  ; 
e  la  quantità  incalcolabile  di  lavori  creati  dalla  pace,  dall'associazione,  dalla  sicurezza, 
ingoierebbe  tutta  questa  popolazione  armata  ;  fosse  anche  il  doppio  di  quello  che  è  oggi. 

La  guerra,  non  essendo  quasi  più  possibile,  gli  eserciti  diverrebbero  inutili.  Ma 
quello  che  non  sarebbe  inutile  è  di  mantenere  il  popolo  nelle  sue  abitudini  guerriere 
e  generose,  per  mezzo  di  milizie  nazionali  ;  le  quali  sarebbero  pronte  a  reprimere  i 
disordini  e  qualunque  ambizione  tentasse  infrangere  il  patto  europeo. 


420  GARIBALDI  APOSTOLO  DI  PACE 


Desidero  ardentemente,  che  le  mie  parole  pervengano  a  conoscenza  di  coloro, 
cui  Dio  confidò  la  santa  missione  di  fare  il  bene  ;  ed  essi  lo  faranno  certamente, 
preferendo,  ad  una  grandezza  falsa  ed  effimera,  la  vera  grandezza  :  quella  che  ha  la  sua 
base  nell'amore  e  nella  riconoscenza  dei  popoli. 

Garibaldi  avrebbe  voluto  proclamare  la  fratellanza  umana,  cementandola,  se 
fosse  stato  possibile,  coli*  unità  di  una  sola  lingua  mondiale.  Sul  proposito,  non 
meno  caratteristico  è  il  brano  autografo  trovato  fra  le  sue  Memorie,  messo  in 
luce  dal  Guerzoni.   Garibaldi  scriveva  : 

«  Il  modo  più  indicato  ad  un'unità  mondiale  e  che  più  coadiuverebbe 
ali'  unità  religiosa  vera,   Dio,   sarebbe  una  lingua  universale. 

■X  Non  è  questa  idea  mia  ;  ma  vecchia  e  ne  lascio  l' esame  cronologico 
a  chi  vuole  incaricarsene. 

«  Vado  alla  sostanza. 

«  Volere  impone  una  lingua  qualunque  delle  esistenti  per  lingua  universale, 
credo  sarebbe  questione  alquanto  simile  a  quella  dei  preti,  e  l' abbandono. 
Proviamo  un  altro  espediente.  Per  esempio,  vari  complessi  di  lingue  per  formare 
un  tutto,   col  tempo. 

«  Il  francese  sarebbe  uno  dei  complessi  ;  esso  ha  agglomerato  un  gran 
numero  di  dialetti  delle  diverse  sue  provincie  ed  ha  una  rispettabile  estensione 
al  di  fuori.   L'  anglo-germano,  o  l'anglo-sassone,   immensamente  propagato. 

«  Per  le  lingue  orientali,  lascio  ai  più  scienziati  la  cura  di  occuparsene, 
se  così  loro  piace. 

«  Tu  puoi  occuparti  del  complesso  —  Iberiialo  —  formato  di  tre  lingue  ; 
portoghese,  spagnuola,  ed  italiana,  di  cui  conosci  qualche  cosa  e  consultare  perciò 
tutti  quegli  umanitari  di  quei  tre  paesi  e  delle  colonie  dell'  America  portoghese 
e  spagnuola,  che  volessero  essere  tanto  buoni  da  cooperarvi.  Le  tre  lingue  hanno 
molte  voci  comuni  :  si  può  cercarle  e  riunirle  in  un  principio  di  dizionario,  ove 
gettare  la  base  d'  una  lingua  nuova,  che  potrebbe,  frattanto,  essere  imparata  dalla 
gioventù  dei  tre  paesi. 

«  Io  non  mi  nascondo  1'  arduità  dell'  impresa  ;  ma  la  sua  importanza  sembrami 
meritare  1'  attenzione  degli  uomini,  cui  il  progresso  umano  non  è  una  chimera. 

«  Certo,  ci  vorranno  secoli  per  raggiungere  il  nobile  scopo  ;  ma  è  pur  vero, 
che  se  i  Caldei  non  avessero  principiato,  gettando  uno  sguardo  nello  spazio,  ad 
investigare  i  moti  e  le  leggi  stupende  che  regolano  gli  eterni  luminari,  gli  odierni 
astronomi  non  sarebbero  forse  così  inoltrati  nelle  vie  dell'  Infinito  ». 

Garibaldi  sognò,  oltre  della  fratellanza  umana,  una  religione,  che  egli  chiamava 
la  Religione  del   Vero.  Nelle  sue  Memorie  scrive  :    •«  Semplice,   bella,   sublime 


LETTERE  ALL'IMPERATORE  GUGLIELMO  E  A  BISMARCK  421 

è  la  Religione  del  Vero.  Essa  è  la  religione  di  Cristo,  poiché  tutta  la  dottrina 
di  Cristo  poggia  suU'  eterna  verità  :  1'  uomo  nasce  uguale  all'  uomo,  indi  :  I .  Non 
fate  ad  altri  ciò  che  non  vorreste  per  voi.  2.  Chi  non  ha  fallito,  getti  la  prima 
pietra  sul  delinquente.  Simbolo  di  fratellanza  il  primo  precetto  ;  simbolo  di  perdono 
il  secondo.  Simboli,  precetti,  dottrine,  che  praticati  dagli  uomini  costituirebbero 
quel  grado  di  perfezione  e  di  prosperità,  cui  è  suscettibile  di  giungere  ». 

Neil*  ottobre  del  '69,  a  proposito  dell'  Anti-Concilio  scriveva  al  Ricciardi  : 
I .  Rovesciare  il  mostro  papale,  causa  prima  dell'  ignoranza  e  delle  discordie 
nella  famiglia  umana.  2.  Edificare,  sulle  sue  rovine,  la  Ragione  ed  il  Vero,  basi 
naturali  dell'  unità  morale  delle  nazioni.  Ecco,  mi  sembra,  la  meta  cui  può 
pretendere  1'  Anti-Concilio  di  Napoli.  Io  sono  della  Religione  del  Vero  !  Io  sono 
della  Religione  di  Dio  !  Sono  queste  due  formole  identiche,  che,  universalizzate, 
possono  condurre  all'  unità  morale,  mondiale.  La  prima  è  più  conforme  all'  indole 
e  all'alta  intelligenza  del  libero  pensatore,  giacche  interamente  scevra  da  ogni 
involucro  mistico.  La  seconda,  più  conforme  alle  masse  educate  all'  adorazione 
di  un  Dio,  la  credo  più  attuabile.  E  veramente  dal  Greco  allo  Scandinavo, 
dall'Americano  all'Asiatico,  ogni  popolo  ha  il  culto  di  Dio  e  del  Vero,  attorno 
a  cui  deve  naturalmente  rannodarsi  1'  umanità.  Conclusione  :  eliminare  il  prete 
bugiardo  e  sacrilego  insegnatore  di  Dio  ed  ostacolo  primo  all'  unità  morale  della 
nazione  colla  formula  :   Io  sono  della  Religione  di  Dio  ! 

Più  tardi,  nei  settembre  del  1871,  inviava  al  suo  grande  amico  Quirico 
Filopanti  la  bella  lettera  seguente,  che  trascrivo  dall'  autografo,  che  trovasi  nella 
mia  raccolta  e  che,  in  qualche  parte,  differisce  dalla  pubblicazione  fattane  da  altri. 


Garibaldi  a  Quirico  Filopanti. 

Caprera,  26  settembre   1871. 
Mio  caro  Filopanti, 

Deismo  dall'  una  parte  e  materialismo  dall'  altra  sono  gli  oggetti  della  controversia. 
Cerchiamo  una  media  proporzionale  e  chiamiamola  :  Vero.  Credete  //  Vero  possa 
convenire  per  tutti  ?  Io  lo  credo.  Bene  interpreti  del  Vero,  la  ragione  e  la  scienza. 
Ecco  in  che  modo  sviluppo  il  mio  tema,  che  sottopongo  alla  superiore  vostra  intelli- 
genza, avvertendovi  che  io  accenno  e  non  insegno. 

L'infinito  potrebbe  essere  la  definizione  del    Vero. 

1 .  //  tempo  è  infinito  :  è   Vero. 

2.  Lo  spazio  è  infinito  :  è   Vero. 

3.  /  mondi  e  la  materia,  nello  spazio,  sono  infiniti  :  è   Vero. 
Ecco  r  Infinito  e   Vero  incontestabili. 


422  GARIBALDI  APOSTOLO  DI  PACE 

Ripeto  :  accenno  e  non  insegno. 

II  Credo  può  essere    designato    colla    formula  :   Religione   del  Vero    o    Religione 
dell'  Infinito,  con  interpreti  la  Ragione  e  la  Scienza. 

Sempre  vostro 

G.    GARIBALDI 

La  campagna  di  Francia  chiuse  la  vita  dell'Eroe  guerriero.  Nel  1870, 
nell'età  di  63  anni,  infermo,  prigioniero  del  Governo  italiano,  fra  mille  ostacoli  e 
difficoltà,  egli  andò  ad  offrire  «  quanto  restava  di  lui  »  al  popolo  francese  presso 
a  soccombere  per  colpe  non  sue  ;  e  la  camicia  rossa  rifulse  ancora  una  volta 
di  gloria,  combattendo  contro  un  esercito  formidabile,  agguerrito  e  disciplinato, 
quale  era  l'esercito  prussiano.  La  migliore  testimonianza  di  quella  campagna  è 
il  giudizio,  che  delle  qualità  strategiche  di  Garibaldi  diede  il  nemico  :  il  generale 
tedesco  Manteuffel. 

«  La  tattica  del  generale  Garibaldi  va  segnalata  specialmente  per  la  grande 
rapidità  delle  mosse,  per  sagge  disposizioni  durante  il  combattimento  a  fuoco, 
e  per  un'  energia  e  focosità  nell'  attacco,  che,  se  dipende  in  parte  dall'  indole 
dei  suoi  soldati,  dimostra  eziandio  che  il  Generale  non  dimentica  un  solo  istante 
r  obbiettivo  del  combattimento,  che  è  appunto  quello  di  sloggiare  il  nemico  dalle 
sue  posizioni,  mediante  un  attacco  rapido,  vigoroso,  risoluto.  La  prova  di  questa 
sua  speciale  valentia  1'  avemmo  nel  fatto  d'  arme,  che  fece  rifulgere  non  solo 
r  eroismo  dei  nostri  soldati,  ma  anche  la  bravura  dei  garibaldini.  Il  6 1°  fucilieri 
ebbe  sepolta  la  sua  bandiera  sotto  un  mucchio  di  morti  e  feriti,  appunto  perchè 
non  gli  fu  possibile  sottrarsi  alla  celerità  delle  mosse  di  Garibaldi.  Certamente, 
i  successi  del  Generale  furono  successi  parziali  e  non  ebbero  seguito  ;  ma  se  il 
generale  Bourbaky  avesse  operato  secondo  i  suoi  consigli,  la  campagna  dei  Vosgi 
sarebbe  stata  la  più  fortunata,   combattuta  nel  1870-71  dalle  armi  francesi». 

Molti  interessanti  particolari  della  parte  presa  dai  garibaldini  nella  guerra 
del  '  70  meriterebbero  di  essere  meglio  conosciuti. 

«  Neil'  ultimo  momento  della  nostra  permanenza  a  Digione,  mi  rispondeva 
il  generale  Ricciotti  Garibaldi  ad  alcune  domande  rivoltegli,  i  miei  franchi-tira- 
tori, occupavano  gli  avamposti  che  fronteggiavano  i  corpi  prussiani,  che  si  avan- 


'  Generale  Manteuffel  -  Storia  della  guerra  franco- germanica,  in  Guerzoni,  «  Garibaldi  », 
voi.  Il,  pag  626. 


LETTERE  ALL'  IMPERATORE  GUGLIELMO  E  A  BISMARCK  423 

zavano  rapidamente  dall'  est,  dopo  di  avere  cacciato  Clinchaut  nella  Svizzera, 
principalmente  per  la  strada  di  Langres,  e  tra  questi  e  le  avanguardie  tedesche 
avvenivano  delle  scaramuccie. 

«  In  una  di  queste  cadde  nelle  nostre  mani  un  ufficiale  prussiano,  ferito 
ad  un  braccio.  Questo  avvenne  quasi  all'ultimo  momento  ;  e  quando  fu  portato  nel 
mio  quartiere,  visto  il  povero  giovane  sofferente,  invece  di  farlo  consegnare  al 
Comando  della  Piazza,  che  forse  in  quel  momento  di  evacuazione  non  esisteva  più, 
ottenuta  da  lui  la  parola  di  onore,  che  non  avrebbe  tentato  di  fuggire,  lo  feci 
montare  nella  mia  vettura,  che  ci  accompagnava  sempre,  ma  che  raramente  usavo. 

«  Quando  si  giunse  felicemente  a  Chàlon,  tenni  il  piccolo  ufficiale  con 
me,  più  come  amico  che  come  prigioniero. 

«  Qualche  giorno  dopo  al  nostro  arrivo,  il  nostro  Stato  Maggiore  avendo 
bisogno  di  comunicare  colle  autorità  prussiane  per  stabilire  la  linea  di  demarca- 
zione fra  i  due  eserciti,  proposi  a  Bordone,  nostro  Capo  di  Stato  Maggiore, 
d'  impiegare  quell'  ufficiale  come  messaggero. 

«  Così  fu  stabilito  ;  ma  all'  ultimo  momento,  il  mio  prigioniero  rifiutò  e 
vedevo  che  aveva  le  lagrime  agli  occhi.  Non  senza  difficoltà,  potei  persuaderlo 
a  confessare,  che  fra  l'ufficialità  germanica  era  considerata  cosa  infamante  quella 
di  ripresentarsi  ai  corpi  senza  la  sciabola. 

«  Il  ragazzo  si  era  difeso  splendidamente  prima  di  essere  preso,  e  non  si 
arrese  che  quando  fu  ferito  ;  almeno  così  dicevano  i  rapporti  dei  miei.  Così, 
sentendo  la  ragione  di  questo  suo  dolore,  sganciai  immediatamente  il  mio  cinturino 
e  lo  pregai  di  portare  la  mia  sciabola  per  quei  due  giorni. 

«  E  così,  per  quarantotto  ore  la  mia  spada  passo  sotto  gli  ordirìi  di  Sua 
Maestà  r  Imperatore  di  Germarìia  ! 

«  Al  suo  ritorno,  1'  ufficiale  mi  raccontò  che  nel  campo  dei  suoi  si  era 
in  grande  orgasmo  per  la  perdita  della  bandiera  ;  che  1'  Imperatore  Guglielmo 
aveva  dichiarato  che  non  avrebbe  perdonato,  se  non  avesse  avuto  delle  informa- 
zioni esplicite,  anche  da  parte  nostra,  sul  come  si  erano  comportate  le  sue 
truppe  che  l'avevano  perduta  e  che  una  preghiera  di  questo  genere  era  stata 
rivolta  a  mio  Padre  ;  infine,  che  il  generale  Kettler,  che  comandava  la  brigata 
contro  la  quale  la  mia  si  era  battuta  ed  alla  quale  apparteneva  il  6 1°  reggimento 
di  Pomerania,  mi  faceva  calda  preghiera,  perchè  anch'  io  volessi  rilasciare  una 
dichiarazione  che,  se  favorevole,  poteva  stornare  il  temporale,  che  minacciava  lui 
e  i  suoi   ufficiali. 

«  Seppi  poi,  dal  generale  Bordone  e  da  altri  del  nostro  Stato  Maggiore 
generale,  che  mio  Padre  aveva  subito  scritto  una  dichiarazione  molto  lusinghiera 


424  GARIBALDI  APOSTOLO  DI  PACE 

per  la  brigata  Kettler  ed  anch'  io  scrissi  due  parole,  dichiarando  presso  a  poco 
che  per  me  1'  incidente  della  bandiera  faceva  tanto  onore  a  chi  l'aveva  perduta, 
quanto  a  chi  1'  aveva  presa  ;  e  che  se  fosse  stato  possibile,  essa  avrebbe  dovuto 
essere  restituita  a  quel  valoroso  corpo,  perchè  il  modo  come  1'  aveva  difesa 
provava  che  esso  meritava  bene  di   conservarla. 

«  Mi  ricordo,  che  quest'  ultima  mia  frase  diede  luogo  ai  maligni  di  dire, 
che  io  offrii  di  restituire  la  bandiera  ai  prussiani  ! 

«  Mi  fu  detto  poi  che,  forse  in  conseguenza  di  queste  due  dichiarazioni, 
il  vecchio   Imperatore  si  decise  a  perdonare  e  diede  una  nuova  bandiera  al  61". 

«  Mio  Padre  aveva  un'  altissima  opinione  del  valore  dei  prussiani  e  tutti 
ricordano,  quando  il  primo  giorno,  intorno  a  Talant,  egli  si  fermò  sotto  le  fucilate 
e  le  granate  che  scoppiavano,  per  ammirare  le  ondate  di  quegli  splendidi  soldati, 
che  venivano  con  un  coraggio  raro  ad  infrangersi  contro  le  nostre  forti  posizioni. 
Mio  Padre,  dopo  qualche  minuto  di  osservazione,  si  rivolse  ai  suoi  aiutanti  e 
disse  :    «  Questi  sì,   che  sono  famosi  soldati  !  » 

«  Parole,  che  io  vorrei  un  giorno  fossero  scritte  su  di  un  nastro  anche  della 
nuova  bandiera  di  quel  valoroso  reggimento,  il  di  cui  2°  battaglione,  difendendo 
la  vecchia,   vi  lasciò  metà  del  suo  effettivo  !  » 


I  successi  di  Garibaldi  in  Francia  avevano  fatto  montare  sulle  furie  il  gran 
cancelliere  tedesco. 

Jules  Favre  ed  Ottone  di  Bismarck,  racconta  1'  "Onken,,,  la  mattina  del 
25  gennaio  1871  trattavano  a  Versailles  le  condizioni  di  un  armistizio,  che  la 
fame  dell'  assediata  Parigi  aveva  reso  necessario. 

Le  trattative  furono  riprese  nel  pomeriggio.  Il  Cancelliere  porse  al  Favre 
un  piatto,   sul  quale  si  trovavano  tre  grossi  sigari  di  avana  e  chiese  :  —  Fuma  ? 

Favre,  con  un  inchino,  declinò  1'  offerta,   dicendo  che  non  fumava  mai. 

—  Ha  torto,  gli  disse  Bismarck.  Quando  s'  inizia  una  conversazione,  che 
può  condurre  ad  un  vivace  scambio  di  frasi  ed  a  violenti  sfoghi,  è  meglio 
fumare  mentre  si  parla.  Quando  si  fuma,  vede,  e  nel  dire  ciò  accese  un'avana, 
questo  sigaro  che  si  tiene  in  mano,  che  si  gira,  che  non  si  vuol  lasciar  cadere, 
assorbe  in  parte  i  movimenti  fisici  e  moralmente  ci  calma,  senza  affievolire  per 
nulla  l'attività  del  nostro  cervello.  11  sigaro  è  un  diversivo  ;  questo  fumo  azzurro, 
che  sale  in  spirali,   che  si  segue  involontariamente  con  1'  occhio  ci  dà   piacere. 


LETTERE  ALL'  IMPERATORE  GUGLIELMO  E  A  BISMARCK  425 

ci  dispone  alla  conciliazione  ;   si  è  felici,   1'  occhio  è  incatenato,   la  mano  occu- 
pata,  r  olfatto  soddisfatto. 

Era  in  questione  Garibaldi  e  1'  armata  di  Digione.  Al  nominarli  gli  occhi 
di  Bismarck  mandarono  lampi  e  assunsero  1'  espressione  di  una  fiera  collera.  Si 
vedeva  che  egli  stentava  a  dominare    un'  ira  altrettanto  profonda  quanto  sincera. 

—  Supponga,  disse,  che  lasciamo  Garibaldi  e  la  sua  armata  all'  infuori 
dei  nostri  patti  di  armistizio?  Garibaldi  non  è  dei  vostri  ;  Io  si  può  lasciare  a 
me.  Egli  ha  dinanzi  a  se  un  piccolo  corpo  d'  armata,  del  tutto  o  approssima- 
tivamente pari  alle  forze  delle  sue  truppe.  Che  se  la  sbrighino  fra  di  loro  ;  non 
incarichiamoci  di  loro.  —  Jules  Favre  rispose,  che  ciò  era  assolutamente  impos- 
sibile. Non  SI  era  mai  chiesto,  soggiunse,  il  soccorso  di  Garibaldi.  Egli,  il  mattino 
del  5  settembre,  aveva  esibito  al  Governo  della  difesa  nazionale,  con  un  dispaccio 
diretto  a  Rochefort,  la  cooperazione  sua  e  dei  suoi  due  figli  ;  e  questa  offerta 
era  stata  respinta.  Siccome  però,  le  circostanze  avevano  fatto  del  condottiero 
italiano,  il  Generale  di  un  corpo  d'  armata  francese,  sarebbe  stata  per  lui,  rappre- 
sentante della  Francia,  una  viltà  lasciare  da  parte  Garibaldi,  o  escluderlo 
da  un  armistizio  che  doveva  giovare  a  lui,  e  anche  al  suo  corpo  d'  armata, 
composto  esclusivamente  di  francesi.  Del  resto,  replicò  Favre,  coli'  accet- 
tare i  servigi  di  Garibaldi,  rifiutati  da  Parigi,  la  Provincia  aveva  accolto 
questo  straniero  fra  le  pieghe  della  bandiera  nazionale  e  quindi  non  si  poteva 
abbandonarlo. 

Durante  questo  discorso  il  conte  d'  Hérison,  ufficiale  di  ordinanza,  presente 
al  colloquio  in  qualità  di  segretario,  vide  Bismarck  montare  su  tutte  le  furie  :  si 
dimenava  qua  e  là  sulla  sedia,  deponeva  il  sigaro  sull'  orlo  della  sottocoppa, 
batteva  coli'  indice  sul  tavolo  e  poi  disse  :  —  Eppure  bisogna  che  io  lo  abbia, 
perchè  voglio  farlo  merìare  in  giro  per  Berlino  con  un  cartello  sul  dorso,  che 
dica  :  «  Questa  è  la  riconoscenza  dell'  Italia.  Come?  Dopo  tutto  quanto  abbiamo 
fatto  per  quella  gente  ?  E  proprio  indecente  !  » 

Il  conte  d'  Hérison  ebbe,  allora,  una  buona  idea.  Memore  di  ciò  che 
Bismarck  aveva  detto  poco  prima,  sull'  effetto  calmante  del  fumo,  offerse  al  furente 
Cancelliere  la  sottocoppa  coi  due  sigari  che  v'  erano  ancora  e  lo  guardò. 

Bismarck  lo  fissò  per  un  paio  di  secondi,  senza  capire  ;  poi,  tutto  ad  un 
tratto  si  calmò. 

—  Ha  ragione,  signor  capitano,  disse  egli  ;  è  inutile  guastarsi  il  sangue. 
Ciò  non  conduce  a  nulla  ;  anzi  ! 

La  conversazione  riprese  1*  andatura  tranquilla  di  prima  e  1'  armata  di 
Garibaldi  e  Garibaldi  stesso  furono  compresi  nell'  armistizio. 


426  GARIBALDI  APOSTOLO  DI  PACE 

Dopo  queir  epoca,  strano  contrasto,  fra  Garibaldi  e  Bismarck  vi  fu  non 
solo  amicizia,  ma  anche  uno  scambio  d'idee  politiche.  Il  trait  d'union  fra  i 
due  grandi  uomini  sembra  sia  stato  il  marchese  Filippo  Villani,  amico  intimo 
di  entrambi. 

Nell'Archivio,  che  il  generale  Ricciotti  Garibaldi  ha  consegnato  alla  Biblioteca 
Vittorio  Emanuele  di  Roma,  si  trovano  due  lettere  del  Villani  dirette  a 
Garibaldi,  che,  sebbene  senza  data,  è  da  ritenere  siano  state  scritte  verso  il  '72. 
Le  trascrivo. 

Nauheim,  27  giugno. 
Molto  onorevole  e  caro  amico. 

Mia  moglie  mi  mandò  da  Desio  la  preziosa  vostra  del  19;  più  preziosa  ancora 
pel  mio  buon  amico  Bismarck,  cui  oggi  stesso  la  trascrissi,  scrivendogli  a  Varzin,  dove 
sarò  il  primo  luglio.  Quanto  si  commuoverà  nel  leggere  ciò  che  voi  scrivete  di  lui  !  !  ! 

lo  finisco  i  miei  24  bagni  appunto  il  30,  e  in  quella  notte  andrò  a  Berlino  e  di 

là  in  Pomerania,  a  Varzin. 

Tutto  vostro 

FILIPPO  VILLANI 


Milano,  8  luglio. 
Illustre  e  carissimo  amico. 

Ieri  sera,  sicut  dixeram,  tornai  dal  mio  viaggio  salutare  in  Germania.  A  Varzin 
(che  in  certi  sensi  mi  ricorda  la  vostra  Caprera)  passai  due  giorni  e  metà  del  terzo, 
per  ordine  del  grande  Unitario  tedesco.  Era  il  4  luglio  e  Bismarck  mi  volle  tenere  a 
pranzo  (a  un'  ora  pomeridiana)  e  avendo  letto  e  baciata  la  vostra  lettera,  che  ad  ogni 
costo  voleva  rubarmi,  fece  un  brindisi  al  Leone  di  Caprera  in  tedesco,  che  fu  da  tutti 
freneticamente  applaudito.  Lo  leggerete  su  vari  giornali  tedeschi  ed  inglesi,  e  forse . . . 
anche  di  Francia,  lo  pure  m' ingegnai  a  recitare  il  brindisi  mio  del  '64  alla  villa 
Marsala,  che  avete  stampato  sulle  mie  Ultime  Foglie.  Le  ultime  tre  quartine  mi  furono 
fatte  ripetere  tre  volte.  Capirete  il  perchè,  e  ne  godrete.  Bleichwid  e  Blumental,  suoi 
segretari,  che  sanno  me  un  po'  latinista,  mi  pregarono  d'  un  epigramma  in  onore  vostro. 
Mi  uscirono  invece  dieci  versi  esametri  :  dei  quah  vi  unisco  un  brano  ;  è  d' attualità. 

Bismarck  lo  ha,  scritto  da  me  ;  ma  i  presenti  che  erano  dieci,  compresa  la  moglie, 

una  figlia  ed  il  figlio,  capitano  di  marina,  tutti  se  lo  copiarono. 

Tutto  vostio 

FILIPPO  VILLANI 

Più  d*  una  volta  Garibaldi,  in  scritti  che  furono  pubblicati,  espresse  la  sua 
ammirazione  per  il  Cancelliere  tedesco.  Il  22  settembre  1872,  in  una  lettera 
diretta  ad  Arthur  Arnold,   diceva:    «  Non  c'è  che  un  solo  Governo  in  Europa, 


LETTERE  ALL'  IMPERATORE  GUGLIELMO  E  A  BISMARCK  427 

il  quale  merita  gli  elogi  di  tutti  gli  uomini  ragionevoli,  perchè  incede 
daooero  sulla  testa  dell'idra  gesuitica,  e  Bismarck  merita  la  gratitudine  del 
mondo  intero  ».  Più  tardi,  il  7  luglio  1877,  scriveva  al  Villani:  «  Dite 
al  nostro  amico  Bismarck,  che  non  passando  i  turchi  il  Bosforo,  saremo  sempre 
da  capo.  Il  risultato  politico  seguente  sembrami  possibile  e  durevole  :  I  Turchi 
a  Bagdad,  i  Russi  a  Scutari  (Bosforo).  Una  confederazione  di  tutti  i  popoli  della 
Turchia  europea,  capitale  Costantinopoli.  Bosforo  e  Dardanelli,  liberi  per  tutti  ». 
Ed  il  2  settembre  '76,  aveva  scritto:  «La  questione  d'Oriente  io  la  consi- 
dererei efficacemente  risoluta  con  una  confederazione  di  popoli  liberi  ;  tutto  il 
resto  sono  impiastri  su  gambe  di  legno.  L' Austria  deve  rompersi  il  collo,  come 
la  Turchia  ;  resta  la  Russia.  Che  il  nostro  grande  uomo  (Bismarck)  la  lasci 
penetrare  ad  Adrianopoli  con  200  mila  uomini,  come  fecero  nel  '28,  ed  ogni 
cosa  è  accomodata.  Ad  una  condizione  però,  che  avendo  passato  il  Turco  il 
Bosforo,  la  Russia  se  ne  ritorni  al  di  là  del  Pruth  ». 

Ma  documenti  inediti  della  più  alta  importanza,  che  illustrano  la  singolare 
figura  di  Garibaldi  e  che  trascrivo  dagli  autografi  da  me  religiosamente  custoditi, 
sono  le  due  lettere  seguenti. 

Garibaldi  all'Imperatore  Guglielmo  I. 

Sire, 

Voi  donaste  il  primato  del  mondo  alla  Germania.  Invano  si  dirà,  che 
foste  debitore  dei  vostri  successi  ad  abili  e  valorosi  generali,  ad  abilissimo 
statista,  a  fortissimo  popolo. 

Quando  la  Storia  registrerà  sulle  sue  colonne  di  sangue  le  terribili  vittorie 
germaniche  del  passato  agosto,  essa  segnerà  col  vostro  nome  l' impareggiabile 
e  immortale  periodo,  che  ricacciò  nel  fondo  V  atroce  codardo,  che  per  20  anni 
ingannò,  rubò,  corruppe  le  Nazioni,  che  ebbero  la  disgrazia  di  cadere  nella 
orbita  dell'  astro  suo  desolatore. 

Dio  vi  benedica,  se  non  abusando  della  vittoria,  voi  porgerete  una  mano  alla 
caduta,  ma  grande  sempre,  e  patria  dell'amico  del  più  grande  dei  vostri  antenati. 

Chi  contesterà  oggi  il  primato  alla   Germania  ?  Nessuno  ! 

E  chi,  più  della  patria  di  Lutero,  la  patria  del  buon  senso,  della  logica 
e  della  ragione,  che  diede  i  primi  crolli  all'imputridito  catafalco  di  Roma, 
potrà  iniziare  l'età  dell'oro,  a  cui  tutte  le  nazioni  aspirano,  cioè,  l'età  senza 
impostori  e  senza  tiranni  ? 


428  GARIBALDI  APOSTOLO  DI  PACE 

Iniziatela  voi,  Sire,  quell'età  bramata  dai  popoli  sofferenti.  Chiedete  un 
rappresentante  a  tutte  le  Potenze  monarchiche  e  repubblicane,  e  riuniteli  ove 
vi  sembra  —  Nizza  io  sceglierei  —  e  vi  spiegherò  i  motivi,  quando  convenga. 

I  due  primi  articoli  della  costituzione  mondiale  sono  : 

1 .  La  guerra  fra  le  Nazioni  è  impossibile. 

2.  Ogni  divergenza  fra  esse  sarà  giudicata  dall'  Areopago. 

II  mondo  sa  che  credete  in  Dio,  Sire  ;  e  ditemi  :  Non  è  un  Dio  bene- 
fico il  vostro  ? 

Se  quella  Provvidenza,  che  voi  invocaste  tante  volte,  vi  ha  spinto  al 
compimento  dell'opera  immensa  con  cui  stupiste  il  mondo,  sarà  forse  per  deso- 
larlo ed  imitare  il  miserabile,  insanguinato,  corruttore  delle  genti  e  che  si 
dovrebbe  oggi  seppellire  sotto  il  monte  di  cadaveri  immolati  alla  più  stupida 
e  scellerata  ambizione  ? 

Non  flagello.   Sire  ;  ma  benefattore  dell'  umanità  annunciatevi.  E  noi,  figli 

della  libertà  dell'  anima,   che  nulla  temiamo  e  nulla  chiediamo,  vi  benediremo; 

e  con  noi  l'umanità  intera  che  vuol  redimersi. 

G.  GARIBALDI 

Garibaldi  al  Principe  di  Bismarck.  {Vedi  facsimile). 

Caprera,   20  dicembre    1872. 
Principe, 

Voi  avete  operato  delle  grandi  cose  nel  mondo.  Compite  oggi  la  brillan- 
tissima vostra  carriera  coli'  miziativa  di  un  Arbitrato  mondiale. 

Germania,  Inghilterra,  Italia,  Svizzera  possono  molto  bene  servire  di  nucleo 
attorno  al  quale  si  riuniranno  :  Svezia,  Danimarca,  Olanda,  Belgio,  Grecia  ;  e 
poi  Francia,  Spagna,  Russia,  Austria  ed  America.  A  Ginevra,  sede  dell*  arbi- 
trato,  si  mandino  Delegati  di  ogni   Stato. 

1 .  Guerra  impossibile  tra  le  Nazioni. 

2.  Ogni  dissidio  tra  esse  giudicato  dall'Arbitrato  mondiale. 
Con  tale  risultato  voi  avrete  meritato  la  gratitudine   universale. 

Vostro  dev.mo 

G.  GARIBALDI 

Al  principe  di  Bismarck 


COf^^'^^^'  ^^    '^^^^^^>*r^<t^  </<^^^- 


^  l^i^^j^' 


■^ — -C^Z^    -5^^« 


Garibaldi  scrive  a  Bismarck 
di  farsi  iniziatore  d'  un  Arbitrato  mondiale  per  la  pace.  (Vedi  pag.  428). 


ELENCO   DEI  DOCUMENTI  INEDITI 
INDICE  ALFABETICO  DEI  NOMI 


ELENCO  DEI  DOCUMENTI  INEDITI 


1 .  Statuto  del    «  BaUagliom  Italiano  della  Morte  »  con  osservazioni  e 

firma  autografe  di  Garibaldi.  (Firenze,  5  ottobre   1848) Pag.  4 

2.  Formula  di  giuramento,  che  doveva  essere  sottoscrìtta  dai  volontari 

del  «  Battaglione  Italiano  della  Morte  » »  4 

3.  Lettera  di  Garibaldi  a  G.  B.  Cuneo.  (Maddalena,  14  ottobre  1849).      »  3 

4.  Lettera  di  Garibaldi  alla  madre.   (Maddalena,    16  ottobre    1849).   .       »  3 

5.  Atto  di  Matrimonio  di  Garibaldi  con  Anita  dall'autografo  di  Lorenzo 

S.  Fernandez,  Parroco  della  chiesa  di  S.  Francesco  d'Assisi 
in  Montevideo,  dove  il  matrimonio  fu  celebrato.  (Montevideo, 
16  giugno   1842) »  4-5 

6.  Lettera  di  Garibaldi  ad  Anita.  (Montevideo,   10  marzo  1848).  .  .      »  6 

7.  Certificato  del  Comandante  dell'Arsenale  di  Callao  intorno  agli  esami 

sostenuti  da  Garibaldi  per  ottenere  la  nomina  di  secondo  pilota 

di  Altura.  (Callao,  30   ottobre   1851) »  IO 

8.  Nomina  di  Garibaldi  a  secondo    pilota  di  Altura,    conferitagli    dal 

Comandante  generale  il  Dipartimento  di  marina  di  Callao.  (Callao, 

30  ottobre   1851) »  10-1 1 

9.  Certificato  di  Matricola  di  Garibaldi  come  secondo  pilota  di  Altura.      »  28 

10.  Lettera  di  Rosa  Garibaldi  al  figlio.   (Nizza,   5   gennaio    1852)  ...       »  11-12 

1 1 .  Lettera  di  Massimo   d' Azeglio  a  persona,   che    s' interessava    della 

sorte  di  Garibaldi.  (1853-54) >»  14 

12.  Convenzione  autografa  stipulata  fra  Garibaldi   ed  i  vari   proprietari 

di  Caprera  per  l'acquisto  dell'isola.  (Caprera,  29  dicembre  1855).       »  15 

1 3.  Diploma    di    Capitano    di    lungo    corso    rilasciato    a    Garibaldi    dal 

Governo  Piemontese,  con  firma  autografa  del  Generale.  (Torino, 

8  agosto   1855) »  15-16 

14.  Lettera  di  Nino  Bixio  a  Garibaldi.  (Genova,  27  novembre  1855).      »  16 

15.  Alcune     pagine     del     giornale     pastorizio  -  agricolo    di    Garibaldi 

(Caprera.    1858) >»  17-18 


432  ELENCO  DEI  DOCUMENTI  INEDITI 


16.  Passaporto  ottenuto   da   Garibaldi    dal    Console    francese    di    Nizza 

sotto  il  falso  nome  di  «  Joseph  Pane  »,  col  quale  egli,  passando 
per  la  Francia,  doveva  recarsi  in  Inghilterra  e  poi  andare  a 
liberare  Settembrini,  Poerio,  Spaventa,  rinchiusi  nell'ergastolo 
di  Santo  Stefano.  (Nizza,  31    gennaio   1856) Pag.       18-19 

17.  Lettera  del  conte  di  Cavour  a  Garibaldi.  (17  marzo   1859).     ...»  22 

18.  Decreto  di  nomina  di  Garibaldi  a  Maggiore  Generale  dell' Esercito 

Piemontese.  (17  marzo   1859) »  48 

19.  11  programma  Italiano    di    Garibaldi.    (1856) »  24 

20.  Lettera  di  Giorgio  Pallavicino  a  Garibaldi.  (Torino,  5  marzo  1858).      »         24-25 

21.  Decreto  che  conferiva  a  Garibaldi  la  medaglia  d'oro  al  valor  mili- 

tare per  le  prove  d'intrepidezza  e  di  bravura  dimostrate  nei 
combattimenti  contro  gli  Austriaci.  (Torino,  24  luglio   1859).    .      »  56 

22.  Lettera    di    Massimo    d' Azeglio    ad    un    suo    amico.    (Torino,    6 

giugno   1859) »  25 

23.  Lettera    di    Garibaldi    a    Giuseppe    Pinzi.    (Quartiere    generale    di 

Bologna,    1 1    ottobre    1 859) »  26 

24.  Lettera    del    generale    E.    Cialdini    a   Garibaldi.    (Castenedolo,    26 

agosto   1859) »  28 

25.  Lettera  di  N.  Fabrizi  a  S.  Calvino.  (Modena,  25  agosto   1859).  .       »         29-30 

26.  Lettera  di  N.  Fabrizi  a  S.  Calvino.  (Modena,  11  settembre  1859).      »  30 

27.  Lettera  di  A.  Bertani  a  S.  Calvino.    (Genova,  6  dicembre   1859).      »         30-31 

28.  Lettera  di  A.  Bargoni  a  S.  Calvino.  (Torino,  11    dicembre   1859).      »  31 

29.  Lettera  di  N.  Fabrizi  al  generale  Ribotti.  (Malta,  21  ottobre  1859).      »  32-33 
*30.  Lettera  di  S.  Calvino  al  fratello  Gaspare.  (Spezia,  28  marzo  1858).      »          35-37 

31.  Lettera  di  Vincenzo  Fardella,  marchese  di  Torrearsa,  a  S.  Calvino 

(Nizza,    15  gennaio   1859) »  37-38 

32.  Lettera    di    V.    Fardella,    marchese    di    Torrearsa,    a    S.    Calvino. 

(Nizza,  31    gennaio   1859) »  38-39 

33.  Lettera    di    V.    Fardella,    marchese    di    Torrearsa,    a    S.  Calvino. 

(Nizza,   13  aprile   1859) »         39-40 

34.  Lettera    di    V.  Fardella ,  marchese    di    Torrearsa ,    a    S.    Calvino. 

(Nizza,    18  luglio   1859) »  41 

35.  Lettera    di    S.  Calvino    a    Giovanni    Cadoiini.    (Spezia ,    23    gen- 

naio 1859) »        41-42 

36.  Lettera  di  Francesco  Crispi  a  Garibaldi.  (Milano,  1 1  novembre  1 869)      »  43 

37.  Lettera  di  Mazzini  a  Rosalino  Pilo.  (Senza  luogo,  ne  data).   ...      «         45-46 

38.  Proclama  di  Rosalino  Pilo  ai  Siciliani.  (Carini,  25  aprile   1860).   .      »         48-49 

39.  Lettera  di  Rosalino  Pilo  a  S.  Calvino.  (Londra,  30  maggio  1859).      »         49-50 

40.  Lettera  di  Rosalino  Pilo  a  S.  Calvino.  Lugano,  10  novembre  1859)      »  50-52 

41.  Lettera  di  Rosalino  Pilo  a  S.  Calvino.  (Lugano,  22  novembre  1859)      »  53-54 

42.  Lettera  di  Rosalino  Pilo  a  S.  Calvino.  (Lugano,  3  dicembre  1 859)  .      »  54-55 

43.  Lettera  di  Rosalino  Pilo  a  S.  Calvino.  (Lugano,  12  dicembre  1859)      »  55 


* 


ut 


ELENCO  DEI  DOCUMENTI  INEDITI  433 

44.  L'  ultima  lettera  scritta  da  Rosalino  Pilo,    partendo    per  la  Sicilia. 

(Genova,  25   marzo   1860) Pag.  56-57 

45.  Lettera  di  Francesco  Carrano  a  Garibaldi.  (Torino,  2  maggio  1860)  »  57 

46.  La  drammatica  presa  del  "  Piemonte  ,,  e  del  "  Lombardo  ,,    e   la 

traversata  da  Quarto  a  Marsala,  narrata  da  Domenico  Cariolato. 

(Sul  finire  del    1860) »  59-65 

47.  Lettera  di  Garibaldi  a  Rosalia  Montmasson-Crispi.  (Caprera,  5  no- 

vembre   1866) »  69 

48.  Lettera  di  Giacomo  Medici  a  Nicola  Fabrizi.  (Montevideo,  4  set- 

tembre 1847) »  70-72 

49.  Lettera  di  Francesco  Anzani  a  Garibaldi.  (Montevideo,  5  aprile  1846)  »  72-73 

50.  Lettera  di  Victor  Hugo  a  Garibaldi.  (Paris,    18  septembre   1874)  »  73-74 

51.  Lettera  di  Edgard  Quinet  a  Garibaldi.  (Versailles,  janvier    1875).  »  74 

52.  Lettera  di  G.  B.   Fauché  a  Garibaldi.  (Genova,    15  giugno   1860).  »  75-76 

53.  Lettera  di  Raffaele  Rubattino  a  Garibaldi.  (Genova,  7  giugno  1860)  »  77 

54.  Lettera    del    Console    Sardo    di    Palermo    a    Garibaldi.    (  Palermo , 

16  giugno   1860) »  78 

55.  Lettera  del  Console  Sardo  di  Marsala  al  Console  Sardo  di  Palermo. 

(Marsala,    12  giugno   1860) »  78 

56.  Lettera  del  Console  Sardo    di    Marsala  a  Garibaldi.  (Marsala,   24 

giugno   1 860) »  79 

57.  Lettera  del  Console    Sardo  di  Marsala  a  Garibaldi.    (Marsala,  21 

giugno   1860) »  79-80 

58.  Certificato  rilasciato  dal  capitano  Lavarello  dell'  "  Utile  „  al  Console 

Sardo  di  Marsala.   (Marsala,    1    giugno   1860) »  80 

59.  Lettera  di  Ambrogio  Zucoli  a  Garibaldi.  (Genova,  17  giugno  1860).  »  81 

60.  La  morte  di  Rosalino  Pilo,  raccontata  da  un  testimone  oculare  .   .  »  86-88 

61.  Un  ordine  del  generale  Lanza  in  autografo  di  Maniscalco.  (Palermo, 

26  maggio   1860,    12  e  mezza  meridiane) »  89 

62.  Lettera  di  Kossuth  a  Garibaldi.   (Londres,  20  mai   1860) »  89 

63.  Condizioni  dell'armistizio,  imposto  dal  borbone  il  30  maggio,  a  bordo 

dell'  "  Hannibal ,, ,  trascritte  da  Garibaldi »  93 

64.  Lettera  del  generale  Lanza  a  Garibaldi.   (Palermo,  I  giugno  1860).  »  % 

65.  Lettera  del  generale  Lanza  a  Garibaldi.  (Palermo,  15  giugno  1860).  »  97 

66.  Lettera  del  generale  Lanza  a  Garibaldi.  (Palermo,  16  giugno  1860).  »  97 

67.  Lettera  del  generale  Lanza  a  Garibaldi.  (Palermo,  16  giugno  1860).  »  97-98 

68.  Lettera  del  generale  Lanza  a  Garibaldi.  (Palermo,  16  giugno  1860).  »  98 

69.  Lettera  del  generale  Lanza  a  Garibaldi.  (Palermo,  17  giugno  1860).  »  98 

70.  Lettera  del  generale  Lanza  a  Garibaldi.  (Palermo,  18  giugno  1860).  »  99 

71.  Lettera  del  generale  Lanza  a  Garibaldi.  (Palermo,  18  giugno  1860).  »  99 

72.  Lettera  del  generale  Lanza  a  Garibaldi.  (Palermo,  18  giugno  1860).  »  99-100 

73.  Lettera  del  generale  Lanza  a  Garibaldi.  (Palermo,  19  giugno  1860).  »  100 

74.  Lettera  di  Giacomo  Medici  a  Garibaldi.  (Genova,  25  maggio  1860).  »  103 

CURÀTULO  28 


434 


ELENCO  DEI  DOCUMENTI  INEDITI 


75. 

76. 
77. 
78. 
79. 
80. 
81. 
82. 
83. 
84. 
85. 
86. 
87. 

88. 
89. 
90. 
91. 
92. 
93. 
94. 
95. 
96. 
97. 
98. 
99. 


100. 

101. 

102. 
*103. 
*104. 

105. 

106. 

107. 

108. 

*109. 


Lettera  di   Vincenzo   Malenchini  a  Garibaldi.   (Genova,  25  mag- 
gio   1860) 

Lettera  di  Clemente  Corte  a  Garibaldi.  (Torino,  25  maggio  1860) 
Lettera  di  Giuseppe  Pinzi  a  Garibaldi.  (Torino,  9  giugno  1860) 
Lettera  di  Enrico  Besana  a  Garibaldi.  (Milano,  9  giugno  1 860) 
Lettera  di  Enrico  Cosenz  a  Garibaldi.   (Genova,  9  giugno  1860) 
Lettera  di  Biagio  Garanti  a  Garibaldi.  (Torino,  2  giugno  1860) 
Lettera  di  Luigi  Cottelletti  a  Garibaldi.  (Genova,  9  maggio  1860) 
Lettera  di  Luigi  Coltelletti  a  Garibaldi.  (Genova,  9  giugno  1860) 
Lettera  di  Bertani  a  Garibaldi.  (Genova,  25  maggio   1860)    .   . 
Lettera  di  Bertani  a  Garibaldi.   (Genova,  31    maggio   1860)   .   . 
Lettera  di  Bertani  a  Garibaldi.  (Genova,    1°  giugno   1860)  .   .  . 
Lettera  di  Bertani  a  Garibaldi.  (Genova,    1°  giugno   1860)  .   .   . 
Lettera  di  La  Farina  al  dott.  Pietro  Monteverde.  (Torino,  1 8  gen- 
naio  1 860) 

Lettera  di  Giacomo  Medici  a  Garibaldi.  (Palermo,  3  luglio  1869) 
Lettera  di  Enrico  Brusco  a  Garibaldi.  (Genova,  25  maggio  1860) 
Lettera  di  Enrico  Brusco  a  Garibaldi.  (Genova,  16  giugno  1860) 
Lettera  di  Bertani  a  Garibaldi.  (Genova,  8  giugno    1860)    .   .   .   . 

Lettera  di  Bertani  a  Garibaldi.  (Genova,  9  giugno   1860) 

Lettera  di  Bertani  a  Garibaldi.  (Genova,  9  giugno  1860)  .  .  .  . 
Lettera  di  Annibale  SuUiotti  a  Garibaldi.  (Cagliari,  1  7  giugno  1860) 
Lettera  di  Bertani  a  Garibaldi  (Genova,  1 7  giugno  1 860)  .... 
Lettera  di  Bertani  a  Garibaldi.  (Genova,  1 7  giugno  1 860) .... 
Lettera  di  Antonio  Panizzi  a  Garibaldi.  (Londra  4  giugno  1860) 
Lettera  di  Cesare  Orsini  a  Benedetto  Cairoti.  (Firenze,  4  giugno  1 860) 
Documento  scritto  da  Stefano  Siccoli  riguardante  le  forze  delle 
quali  disponeva  il  colonnello  Zambianchi  all'entrata   nello  Stato 

Romano 

Lettera  di  Garibaldi  a  Paolo  Bovi.  (Torino,  6  aprile  1860)  .  .  . 
Lettera  di  Nicola  Fabrizi  a  S.  Calvino.  (Malta,  19  aprile  1860) 
Lettera  di  Nicola  Fabrizi  a  S.  Calvino.  (Malta,   21    aprile   1860) 

Lettera  di  Garibaldi  a  Pinzi.  (Torino,    19  aprile   1860) 

Lettera  di  Garibaldi  a  Crispi.  (Torino,    19  aprile   1860) 

Lettera  di  Persano  al  conte  di  Cavour.  (Cagliari,  8  maggio  1 860) 
Brano  di  uno  scritto  autografo  di  Garibaldi  sul  passaggio  del  Faro, 

nel   1860 

Brano  di  uno  scritto  autografo  di  Garibaldi,   riguardante    l' ordine 

inviato  da  Bertani,  nel  settembre  '60,  al  maggiore  Tripoli  .   .   . 

Brano    di    uno    scritto    autografo    di    Garibaldi,    in    cui  egli   dice 

che  non  ha  mai  autorizzato  il  titolo  di  garibaldino 

Lettera  di  Vittorio  Emanuele  al  generale  Fanti.  (Veneria,  20  set- 
tembre   1860) 


Pao 


103 

103 
104 

104-105 
105 

106-107 
107 
108 

108-109 
110 

110-111 

111-112 

112-113 

114-115 
115 
116 

116-117 
117 
118 
120 

120-121 
121 
122 

122-124 


124 

131 

131-132 

132-133 

134 

134 

146-147 


154 
173 
174 
173 


ELENCO  DEI  DOCUMENTI  INEDITI 


435 


1  IO.  Brano  di  uno  scritto  autografo  di  Garibaldi  sulla  spedizione  dei  Mille.    Pa 
Ili.  Brano  di    uno    scritto    autografo    di   Garibaldi  sulla    spedizione   di 

Sicilia  e  di  Roma,  nel    1867 » 

1 1 2.  Scritto  autografo  di  Garibaldi  sulle  discussioni  in  Parlamento  per 

la  spedizione  dei   Mille » 

1 1 3.  Telegramma  di  Perelli  Ercolini  a  Garibaldi.  (Parigi,  1 8  giugno  1 860)      » 

114.  Lettera    del    Vice-Governatore    di    Brescia  a  Garibaldi.    (Brescia, 

1 4  giugno   1 860) » 

115.  Lettera  del  Delegato    Consolare    Sardo    di    Pozzallo  a  Garibaldi. 

(Pozzallo,  6  giugno   1860) » 

1 1 6.  Lettera  del   Delegato    Consolare    Sardo    di    Catania    a    Garibaldi. 

(Catania,    1  I    giugno    1 860 » 

117.  Lettera  di  N.  Fabrizi  a  Garibaldi.    (Palazzolo,    16   giugno   1860)      » 

1 18.  Rapporto  segreto  di  Griscelli,  il  famoso  barone  di  Rimini,  a  Mon- 

signor Bella,  Legato  apostolico  di  Pesaro  ed  Urbino.  (Verona, 
ottobre   1859) » 

1 19.  Rapporto  segreto  di  Griscelli,  il  famoso  barone  di  Rimini,  a  Mon- 

signor Bella,  Legato  apostolico  di  Pesaro  ed  Urbino.   (Verona, 
ottobre   1859) » 

120.  Rapporto  segreto  di  Griscelli  a  Monsignor  Sommariva,   rappresen- 

tante il  re  di  Napoli  presso  la  Legazione  Apostolica  di  Pesaro. 
(Verona,  ottobre    1859) » 

121.  Rapporto  segreto  di  Griscelli  a  Monsignor  Sommariva,  rappresen- 

tante il  re  di  Napoli  presso  la  Legazione  Apostolica  di  Pesaro. 
(Verona,  ottobre   1859) » 

122.  Lettera  del  marchese  di  Villamarina  al  comandante  d'Aste.  (Napoli, 

5  giugno   1860) » 

1 23.  Lettera  del  marchese  di  Villamarina  al  comandante  d'Aste.  (Napoli, 

8  giugno  1860) » 

124.  Lettera  dell'amm.  Persano  a  Garibaldi.  (Palermo,  9  giugno   1860)      » 

125.  Lettera  di  M.  Stella  a  Garibaldi.  (Dover,    13  giugno   1860)  ...      » 

126.  Una    lettera    anonima    del    29    giugno    1865    sulla    leggenda  della 

morte  di  Garibaldi » 

127.  Lettera  dei  componenti    il    primo   Ministero    sotto    la    Dittatura    a 

Garibaldi.  (Palermo,  6  giugno    1860) » 

128.  Decreto  Dittatoriale.  (Palermo,    10    giugno   1860) » 

129.  Lettera  di  Casimiro  Pisani  a  Garibaldi.  (Palermo,  24  giugno  1860)      » 

130.  Lettera  di  A.  Bargoni  a  Calvino.    (Torino,  21    giugno   1860) 

131.  Lettera  di  A.  Bargoni  a  Calvino.    (Torino,  29  giugno   1860). 

132.  Lettera  di  A.   Bargoni  a  Calvino.    (Torino,    1"   luglio    1860)  .   . 

133.  Lettera  di  A.   Bargoni  a  Calvino.  (Torino,  15   luglio    1860).   .   . 

134.  Lettera  di  A.   Bargoni  a  Calvino.  (Torino,  20  luglio  1860).    .   . 

135.  Lettera  di  L.  Naselli  Flores  a  Garibaldi.  (Palermo,  13  giugno  1860) 


176 

176-177 

177 
193 

193-194 

196-197 

197-198 
198-199 

202-203 

203-204 

204-205 

205-206 

207 

207-208 
208 
209 

210 

215-216 
216-217 
218-219 
219-222 
222 
223 
223-225 
225-226 
226-227 


436  ELENCO  DEI  DOCUMENTI  INEDITI 

136.  Lettera  di  G.  Ricciardi  a  Garibaldi.  (Genova,  24  maggio  1860).   Pag.  227-228 

137.  Istruzioni  napoletane  comunicate  a  Garibaldi.  (Napoli,  luglio  1860).  »  228-229 

138.  Le  condizioni   di  Napoli  e  delle    Calabrie;    annotazioni    inviate  a 

Garibaldi.  (20  giugno  1860) »  229-231 

139.  Piano  segreto  del  Borbone »  232 

140.  Istruzioni  segrete  comunicate  dalla  Calabria  Citeriore  a  Garibaldi. 

(Cosenza,   7    giugno   1860) »  232-233 

141.  Il  Comitato  della  Calabria  Citeriore  a  Garibaldi.  (9  giugno  1860).  »  233 

142.  Istruzioni  del  Comitato  centrale  di  Napoli »  234 

143.  Lettera  del  conte  di  Cavour  al  signor  Elisanter,  in  Berlino.  (Turin, 

9  septembre   1860) »  253-254 

144.  Lettera  di  Garibaldi  a  Elisanter,  in  Berlino.  (Caprera,  27  marzo  1861).  »  255 

145.  Lettera  di  Carlo  Arrivabene  a  Garibaldi.  (Parigi,  16  giugno  1860).  »  256-257 

146.  Lettera  di  Gideon  S.  Lang  a  Garibaldi.  (London,  6  june  1860).  »  261-263 

147.  Lettera  di  Gideon  S.  Lang   a  Garibaldi.  (Londra,  9  giugno  1860).  »  266-268 

148.  Lettera  di    Gideon    S.  Lang    a  Federico   Campanella.   (Selkirich- 

Scottland,  29  settembre  1860) »  271-274 

149.  Lettera  di  A.   Saffi  a  Garibaldi.    (Oxford,  4  giugno    1860).   ...  »  274-275 

150.  Lettera    di  A.  Saffi  a    Garibaldi.    (Oxford,    11    giugno    1860).    .  .  »  275 

151.  Lettera  di  W.  H.  Ashurst  a  Garibaldi.  (Londra,  5  giugno  1860).  »  275-276 

152.  Lettera  di  T.  Tower  a  Garibaldi.  (Londra,  8    giugno    1860).   .   .  »  277-278 

153.  Lettera  di  Ugo  Forbes    a   Garibaldi.  (Londra,  24  maggio   1860).  »  278-279 

154.  Il    «   Credo  »   di  Giuseppe  Mazzini.  (Londra,  luglio  1850)  ....  »  281 

155.  Lettera  di   Mazzini  a  Madeleine  de   Mandrot.   (Giugno    1836)  .   .  »  283 

156.  Lettera  di  Sara  Nathan  a  Garibaldi.   (Lugano,  5  novembre  1863).  »  288 

157.  Lettera  di  Ricciotti  Garibaldi  al  dott.  G.  E.  Curàtulo.  (Rio-Freddo, 

19  ottobre  1909) »  289-292 

158.  Lettera  di   Missori  a  Garibaldi.  (Roma,  22  gennaio    1881)  ...   .  »  293 

159.  Lettera  di  Giorgio  Pallavicino  a  Garibaldi.  (Torino,  1 9  giugno  1 860).  »  295-2% 

160.  Lettera  di  Augier  a  Garibaldi.  (Genova,    15  giugno    1860)    ...  »  298-299 

161.  Lettera  di  Mazzini  a  Garibaldi.  (17  giugno   1860) »  299-300 

162.  Lettera  di  Maurizio  Quadrio  a  Garibaldi.  (Genova,  28  aprile  1860).  »  300 

163.  Lettera  di  Mazzini  a  Garibaldi.  (23  settembre   1860) »  301-302 

164.  Lettera  di  Mazzini  a  Garibaldi.  (27  settembre   1860) »  302 

165.  Lettera  di  Mazzini  a  Garibaldi.  (1°  ottobre   1860) »  302 

166.  Lettera  di  Mazzini  a  Garibaldi.  (10  ottobre   1860) »  303 

167.  Lettera  di  Mazzini  a  Garibaldi.  (17  ottobre   1860) »  303 

168.  Lettera  di  Mazzini  a  Garibaldi.  (1°  novembre    1860) »  303 

169.  Lettera  di  Mazzini  a  un   <<   Fratello  ».  (Dicembre   1859) »  307-308 

*170.  Lettera  di  Mazzini  a  Garibaldi.  (8  gennaio    1861) »  30&-310 

*171.  Lettera  di  Mazzini  a  Garibaldi.  (23  gennaio   1861) »  310-311 

172.  Lettera  di  Mazzini  a  Garibaldi.  (5  febbraio    1861) »  311-312 

173.  Lettera  di  Mazzini  a  Garibaldi.  (7  marzo   1861) »  312-314 


ELENCO  DEI  DOCUMENTI  INEDITI  437 

174.  Lettera  di  Mazzini  a  Garibaldi.  (24  aprile   1861) Pag.  314-315 

175.  Lettera  di  Mazzini  a  Pianciani.  (Venerdì,    1864) »  315-316 

176.  Lettera  di  Mazzini  ad  Egisto  Bezzi  e  compagni.  (27  novembre  1864).  »  316 

177.  Lettera  di  Mazzini  a  Tacchini  e  Pellizzari.  (16  dicembre   1864).  >»  316-317 

178.  Lettera  di  Mazzini  a  Garibaldi.   (16  gennaio    1867) »  317 

179.  Lettera  di  Mazzini  a  Garibaldi  (22  aprile   1867) *  318 

180.  Lettera  di  Mazzini  a  Vent...  (30  marzo   1867) »  318-319 

181.  Lettera  di  Mazzini  a  Vent....  (20  luglio   1867) »  319 

182.  Lettera  di  Mazzini  a  Stefano  Canzio  edamici  di  Genova.  (1869).     »  319-320 

183.  Lettera  di  Mazzini  agli  amici  di  Genova.  (1869) »  320-321 

184.  Lettera  di  Mazzini  a  Stefano  Canzio  e  agli  amici  di  Genova  (1869).  »  321-323 

185.  Lettera  di  Mazzini  agli  amici  di  Genova.  (1869) »  324-325 

186.  Lettera  di  Mazzini  agli  amici  di  Genova.  (1869) >♦  325-326 

187.  Lettera  di  Mazzini  a  Stefano  Canzio.  (1860) »  326 

188.  Lettera  di  Mazzini  a  Stefano  Canzio.  (1869) »  327 

189.  Lettera  di  Mazzini  a  Stefano  Canzio.  (1869) »  327-328 

190.  Lettera  di  Mazzini  a  Stefano  Canzio.  (1869) »  328 

191.  Lettera  di  Mazzini  a  Stefano  Canzio.    1869) »  329 

192.  Lettera  di  Mazzini  a  Stefano  Canzio.  (1869) >»  329-330 

193.  Lettera  di  Mazzini  agli  amici  di  Genova.  (1869) >♦  330-332 

194.  Lettera  di  Mazzini  a  Stefano  Canzio.  (1869) »  332-333 

195.  Lettera  di  Mazzini  a  Stefano  Canzio.  (1869) »  333 

196.  Lettera  di  Mazzini  a  "  Ciltadino  „  (31  ottobre  1871) »  334-335 

197.  Un  cifrario  autografo  inedito  di  Mazzini »  336 

198.  Giudizio  di  Garibaldi  su  Vittorio   Emanuele »  341 

199.  Giudizio  di  Garibaldi  su  Vittorio  Emanuele  .  (Caprera,  2  novem- 

bre 1861) »  342 

200.  Lettera  di  Vittorio  Emanuele  a  Garibaldi.  (Luglio   1860) »  347 

201.  Lettera  di  C.  A.  Vecchi  a  Garibaldi.   (21    giugno   1860) »  347-348 

202.  Lettera  di  Vittorio  Emanuele  a  Garibaldi.  (Luglio  1860) »  348 

203.  Lettera  di  Gaspare  Trecchi  a  Garibaldi.  (Genova,  6  luglio  1860)  »  349 

204.  Lettera  dell'ammiraglio  Persano  a  Garibaldi.  (Palermo,    18  luglio 

1860) >»  350 

205.  Lettera  di  Vittorio  Emanuele  a  Garibaldi.  (Torino,  1 2  settembre  1 860)  »  35 1 

206.  Lettera  di  Vittorio  Emanuele  a  Garibaldi.  (15  [?]  settembre  1860)  »  353 

207.  Lettera  di  Vittorio  Emanuele  a  Garibaldi.  (Ancona,  9  ottobre  1860)  »  354 

208.  Lettera    di  Vittorio  Emanuele    a    Garibaldi.    (Presenzano,  25   [?] 

ottobre  1860) >►  356 

209.  Lettera  di  Vittorio  Emanuele  a  Garibaldi.  (Teano,  26  ottobre  1 860)  »  356 

210.  Lettera  di  Vittorio  Emanuele  a  Garibaldi.  (Teano,  27  ottobre  1860)  »  357 

211.  Lettera  del  generale  Della  Rocca  a  Garibaldi.  (S.  Maria,   I"  no- 

vembre 1860) »  359-360 


438 


ELENCO  DEI  DOCUMENTI  INEDITI 


212.  Brano  della  lettera    diretta    da    Garibaldi    a    Vittorio    Emanuele, 

scritta  da  F.  Crispi,  con  correzione  autografa  del  Generale.  (29  otto- 
bre 1860)  

213.  Lettera  di  Vittorio  Emanuele  a  Garibaldi.  (Sessa,  31    ottobre  1860) 

214.  Lettera  di    Vittorio    Emanuele    a    Garibaldi.    (Napoli,    7    novem- 

bre  1860) 

215.  Promemoria  autografo  di   Garibaldi   a    Vittorio   Emanuele.  (Mag- 

gio   1864) 

216.  Lettera  di  A.   S.  Porcelli  a  Garibaldi.  (Torino,  2  giugno  1864). 

217.  Lettera  di  F.  D.  Guerrazzi  a  Garibaldi.  (Livorno,  26  giugno  1864). 

218.  Lettera  di  F.  D.  Guerrazzi  a  Garibaldi.  (Livorno,  9  luglio  1864). 

219.  Lettera  di  Antonio  Mordini  a  Garibaldi.  (Torino,  9  giugno  1864). 

220.  Lettera  di  Garibaldi  ad  Antonio  Mordini.  (Giugno   1864).     .   .  . 

22 1 .  Lettera  di  Enrico  Albanese  a  Garibaldi.  (Firenze,  2 1  dicembre  1 867). 

222.  Lettera    di    Giorgio    Pallavicino    a    Vittorio  Emanuele.  (Pegli,  26 

dicembre   1867) 

223.  Le  battaglie  del   1."  ottobre   del  Volturno  e  di  Caserta  Vecchia, 

descritte  dal  generale  Menotti  Garibaldi 

224.  Lettera  di  G.  Deidery  a  Garibaldi.  (Genova,  31    agosto   1860).  . 

225.  Lettera  di  A.  Bargoni  a  S.  Calvino.  (Palermo,  7  settembre  1860). 

226.  Lettera  di  A.  Bargoni  a  S.  Calvino.  (Palermo,  1 5  settembre   1 860). 

227.  Lettera  di  Bertani  a  Garibaldi.  (Napoli,  23  settembre   1860).   .   . 

228.  Lettera  di  Bertani  a  Garibaldi.  (Napoli,  23  settembre   1860).  .  . 

229.  Lettera  di  Bertani  a  Garibaldi.  (Napoli,  23  settembre   1860).   .   . 

230.  Lettera  di  Bertani  a  Garibaldi.  (Napoli,  23  settembre   1860).   .   . 

231.  Lettera  di  Bertani  a  Garibaldi.  (Napoli,  25  settembre   1860).   .  . 

232.  Lettera  di  Bertani  a  Garibaldi.  (Napoli,  25  settembre   1860).   .  . 

233.  Lettera  di  Bertani  a  Garibaldi.  (Napoli,  27  settembre   1860).  .   . 

234.  Lettera  di  Bertani  a  Garibaldi.  (Napoli,  29  settembre   1860).   .  . 

235.  Lettera  di  Bertani  a  Garibaldi.  (Napoli,  30  settembre   1860).  .  . 

236.  Lettera  di  Bertani  a  Garibaldi.  (Torino,  4  ottobre   1860) 

237.  Lettera  di  Bertani  a  Garibaldi.  (Miasino,    18  ottobre   1860)  .  .  . 

238.  Lettera  di  Bertani  a  Garibaldi.  (Miasino,  21    ottobre   1860).  .  .  . 

239.  Lettera  di  Bertani  a  Garibaldi.  (Miasino,  9  novembre   1860).  .   . 

240.  Lettera  di  Giorgio  Pallavicino  a  Garibaldi.  (Napoli,  13  ottobre  1860). 

24 1 .  Lettera  di  Giorgio  Pallavicino  a  Garibaldi.  (Napoli,  1 4  ottobre  1 860). 

242.  Lettera    di   Carlo    Cattaneo    a    Giorgio    Pallavicino.    (Napoli,    12 

ottobre   1860) 

243.  Risposta  di  Giorgio   Pallavicino    a    Carlo  Cattaneo.  (Napoli,    [?] 

ottobre   1860) 

244.  Lettera  di  Giorgio  Pallavicino  a  Garibaldi.  (Napoli,  8  novembre  1 860). 

245.  Lettera  di  Andrea  Colonna  a  Garibaldi.  (Napoli,  13  ottobre  1860). 


Pag. 


361 
361 

362 


»  363-364 
364 

»  364-365 
365 

»  366-367 
367 

»  368-370 

»  370-371 


»  373-381 

»  381-382 

382-383 

383-384 

385-386 

386-387 

387 

387 

388 

»  388-389 

389 

»     390 

390 

390 

391 

391 

392 

393 

393 

»  393-394 


» 
» 


394 
394 
395 


ELENCO  DEI  DOCUMENTI  INEDITI 


439 


246.  Lettera  di  C.  A.  Vecchi  a  Garibaldi.  (Torino.    1    ottobre  1860).  Pag.  394-3% 

247.  Lettera  di  C.   A.  Vecchi  a  Garibaldi.  (Genova,  4  ottobre  1860).  »  396-397 

248.  Lettera  di  P.   S.   Mancini  a  Garibaldi.  (Torino,  3  ottobre  1860).  »  397-398 

249.  Lettera    di    Laura    Beatrice    Mancini    a    Garibaldi.    (Torino,    14 

ottobre    1860) »  398 

250.  Lettera  di  G.  Pallavicino  a  Garibaldi.  (S.  Fiorano,  4  dicembre  1 860).  »  399-400 

25 1 .  Lettera  di  G.  Pallavicino  a  Garibaldi.  (S.  Fiorano,  9  dicembre  1 860).  »  400-402 

252.  Lettera  di  G.  Pallavicino  a  Garibaldi.  (S.  Fiorano,  1 9  dicembre  1 860).  »  402-403 

253.  Lettera  del  gen.  De  Lazeu  a  Garibaldi.  (Londres,  31  ottobre  1860).  »  404-405 

254.  Lettera    di    Don    Juan    di    Borbone    a    Garibaldi.    (Londres,    28 

aprile   1861     »  405 

255.  Lettera  del  gen.  De  Lazeu  a    Garibaldi.    (Turin,    13   mai   1860).  »  406 

256.  Lettera  di  Silvia  Pisacane  a  Garibaldi.  (Napoli,  15  ottobre  1860).  »  406-407 

257.  Lettera  del   generale    G.    Avezzana    a    Garibaldi.    (Liverpool,   10 

settembre   1860) »  407 

258.  Brano  inedito  delle  Memorie  di  Garibaldi »  409-410 

259.  Introduzione    al    racconto    della    spedizione    nell'Italia    meridionale. 

(Dall'  autografo  inedito  di  Garibaldi) »  411 

260.  Proclama  inedito  di  Garibaldi  ai    militi    della  gloriosa  spedizione. 

(Dall'autografo) »  411-412 

*261.  Lettera  del  generale  Tùrr  a  Garibaldi.  (Milano,  21  gennaio  1861).  »  412-414 

*262.  Lettera  del  generale  Turr  a  Garibaldi.  (Torino,  23  febbraio  1861).  »  414-415 

263.  Lettera  di  Garibaldi  a  Quirico  Filopanti.  (Caprera,  26  settembre  1 87 1  )  »  421-422 

264.  Lettera  di  Ricciotti  Garibaldi  al  dott.  G.  E.  Curàtulo.  (Roma,  8 

aprile  1911) »  422^24 

265.  Lettera  di  Garibaldi  all'Imperatore  Guglielmo  I.  (1872[?]).  .   .  »  427-428 

266.  Lettera    di    Garibaldi    al    Principe    di    Bismarck.  (Caprera,    20 

dicembre   1872) »  428 


Avvertenza.   —   Gli  undici  documenli,  i  cui  numeri  sono  segnati  con  asterisco,  non 
ii  Irooano  neW  Archivio  del  prof.  dott.   Curàtulo. 


INDICE  ALFABETICO  DEI  NOMI  CITATI  NEL  VOLUME 


(I  nomi  di  Garibaldi,    Vittorio  Emanuele  e   Cavour,  ricorrendo   quasi   in  ogni  pagina, 
sono  stali  omessi). 


Abba  G.  C.  -  p.  195,  345. 
Adragna  G.  -  p.   182. 
Agesilao  Milano  -  p.  406. 
Albanese  E.  -  p.  338.  368 

e  seg. 
Amari    M.   -   p.    156.  221, 

224.  304,  343.  347. 
Amari  P.  -  p.  218. 
Amari  V.  (lo  storico)  -  p.  2 1 7, 

225,  342,  347. 
Annoni  -  p.  225. 
Antongini  A.  -  p.    III. 
Antongini  C.  -  p.    111. 
Anzani  F.  -   p.  70,    195. 
Arno  C.  -  p.    140,   352. 
Arrivabene  C.  -  p.  255  e  seg. 
Ashurst  W.  H.  -  p.  275,  276, 

277,  309,  311,  313. 
Aspromonte  -  p.  9,  337,  338, 

346.  363,  366. 
Augier  -  p.  298. 
Aumale  -  p.  338. 
Avezzana  G.  -  p.   195,  407. 
Avitabile  E.  -  p.   197. 

B 

Bargoni   A.  -   p.   31,  319    e 

seg.,  382  e  seg. 
Barrili  A.  G.  -  p.  143,  152. 


Barone  di  Rimini  {Griscelli) 
-  p.  201   e  seg. 

Basso  G.  -  p.  206. 

Battaglione  Italiano  della 
Morte  -  p.  2. 

Bella  monsignor  T.  -  p.  20 1 . 

Benso  G.  (Duca  della  Ver- 
dura) -  p.  207,  218. 

Bertani  A.  -  p.  30,  102.  108, 
1 09  e  seg. ,  1 1 7  e  seg. , 
120,  121.  133,  172,  173, 
194,  220,  222,  298,  349, 
385  e  seg.,  413. 

Besana  E.  -  p.  104.  349. 

Bezzi  E.  -  p.  316.  323. 

Bianchi  N.  -  p.  137.  387. 

Bismarck  (principe  di)  -  p.  157. 
424  e  seg. 

Bixio  N.  -  p.  16.  183.  359. 
369,  374  e  seg..  413. 

Bocca  G.  -  p.  78. 

Boldrini  -  p.  257. 

Bolton  King.  -   157. 

Bonopane  (colonello)  -  p.  95. 

Borelli  -  p.   110. 

«  Boston  Dailyi  Journal  »  - 
p.    12. 

Bottero  -  p.  383. 

Bovi  P.  -  p.  130.  131. 

Bradford  -  p.  261. 

Brambilla  (conte) -p.  343. 353. 

Breda  -  p.  362. 


Bronzetti  -  p.  374  e  seg. 
Brusco  E. -p.  115.116.310. 
Bulgarelia  A.  -  p.   186. 
Bullier  (Agenzia)  -  p.   155. 
Bunsen  (barone)  -  263. 


Cacace  -  p.   305. 
Cadolini  G.  -  41.  225. 
Caldesi  V.  -  p.  317. 
Calvino  S.  -  p.  29.  30.  35. 

37,  41,  49  e  seg.,   57, 

86,  130,  131,  219  e  seg., 

382. 
Cairoli  -  (Donna  Adelaide). 

pag.    137. 
Cairoli  B.  -  p.    137,  366. 
Cairoli  E.  -  p.    137. 
Cairoli    (  Donna    Elena  )    - 

p.    137. 
Campo  F.  -  p.  55.  222. 
Canzio  S.  -  p.  306  e  seg. 
Capua  -  p.  358,  359. 
CarantiB.-p.  106,  107,295. 
Cariolato  D.  -  p.  59.    137. 
Carissimi  -  p.    184. 
Carlo  Alberto  -  p.  23. 
Carpanetti  G.  B.  -  p.  4. 
Carpanetto  F.  -  p.  8. 
Carrano  F.  -  p.   57. 
Carreno  P.  J.  -  p.    11. 


442 


INDICE  ALFABETICO  DEI  NOMI  CITATI  NEL  VOLUME 


Casalis  -  p.  383. 
Caserta  -  p.  358. 
Castaldi  -  p.  348. 
Castelli  M.  -  p.   166,   167. 
Castigiia  B.  -  p.    1%. 
Cattaneo  C.  -  p.  341,    386, 

393,  394,  402. 
Cecchini  L.  -  p.  333. 
Cenni  -  p.  348,  383. 
Chambers  (Madame)  -  p.  288. 
Chapman  Dr.  -  p.  267. 
Ciaccio  F.  -  p.  228. 
CialdiniE.-p.  28. 162,314, 

338,  409. 
Cianciolo  -  p.  47,  56,   225. 
Cipriani  L.  -  p.  26. 
Clary,  (generale)  -  p.  229. 
Colonna  A.  -  p.  385,  395. 
Coltelletti  L.  -  p.  107,  108. 
Conforti  -  p.  303,  386,  388, 

393. 
Cordova  F.  -  p.  383,  387. 
Corte  C.  -  p.  103,  186. 
Cosenz  E.    -  p.    105,  221, 

222,  359. 
Cowen  J.  -  p.    13. 
Craufurd  K.  -  p.  303  e  seg. 
Crispi  F.  -  p.  43,  134.  150, 

168,  216,  344,  349,  354, 

357,  360,  362,  382,  393, 

395. 
«  Cronica  anonima  »  -  p.  167, 

168. 
Cucchi  F.  -  p.   134. 
Cugia  (colonnello)  -  p.   140. 
Cuneo  G.  B.  -  p.  3.  314. 
Cusa  P.  -  218. 


Dall' Ongaro  F.  -  p.  213. 
Damiani  A.  -  pag.  66. 
D'Aste  (comandante)  -  p.  94, 

206,  207. 
D'Azeglio  M.  -  p.  14,  25, 

134,  136,  163, 
De  Benedictis  B.  -  p.  228. 
De  Carcamo  S.  -  p.  218. 
De  Cesare  R.  -  p.  65,    1 58, 

161.  170.  172. 


De  la  Haza  M.  -  p.   10. 

Deidery  -  p.  381. 

De  Labar  -  p.   138. 

De  Lazeu  (generale)  -  p.  404, 

406. 
Del  Bono,  (capitano)  -  p.  1 22, 

371. 
Della  Rocca  E.  (generale)  - 

p.  141,   162,  339,  345. 

357,  359. 
Della  Torre  Mciria  (contessa) 

P.  298. 
Della  Verdura  (duca)  -  p.  207, 

218. 
De  Mechel  -  p.  374  e  seg. 
De  Micheli  -  p.  310. 
De  Negri  P.  -   10,    11,   12. 
Depretis  A.  -  p.  194,  221, 

224,  349,  350,  383.  387. 
De    Rohan    (comandante)    - 

p.  180,  185,  192. 
Deustua  -  p.    10. 
De  Vezzani  -  p.  201  e  seg. 
Dezza  -  p.  374  e  seg. 
Di  Girolamo  A.  -  p.  67. 
Dumas  A.  -  p.  345. 


Eberarth  -  p.  374  e  seg. 
Elisanter  -  p.  253,  255. 
"  Emma  ,,  {cutter)  -   p.   16, 

17. 
Erede  -  p.  391. 
Errante  -  p.  217,  224,225. 


Fabiola  -  p.  223. 

Fabrizi  N.  -  p.  29,  31,  70, 

131.  132.  195. 
Fabrizi  P.  -  p.  374  e  seg. 
Faggioni  G.  -  p.    190. 
Faldella  G.  -  p.  136,  158. 
Fanti  M.  (generale)  -  p.  26, 

27,29,70,72.  129,  175. 

198,  345,  353,  3%. 
Fardella  V.  (marchese  di  Tor- 

rearsa)  -  p.  37  e  seg.  218. 


Farini  L.  -  p.  26,  128,  162. 

165,201,353.381,  3%. 
Fauché  G.  B-  -  p.  75. 
Fa  vara  V.  -  p.  218. 
Fazzari  A.  -  p.  303.  311. 
Federico  A.  -  p.  218. 
Fernandez  L.  -  p.  5. 
Ferrari  G.  -  p.    195. 
Filangieri  (generale)  -  p.  229. 
Filcpanti  Q.  -  372.  421. 
Finali  G.  -  p.    128. 
Pinzi  G.  -  p.  26,  104,  134. 

349,  382. 
Forbes  U.  -  p.  278,  279. 
Foresti  F.  -  p.  21. 
Franchi  A.  (Cristoforo  Bona- 

vino)  -  p.  43. 
"Franklin,.  (Il)  -  p.   183. 
Frapoili  (colonnello)  -  p.  1 75. 


Galin  -  p.  298. 
Galvani  L.  -  p.  207. 
Garibaldi  Anita  -  p.  4,  6.  7. 
Garibaldi  G.  B.  -  p.  386. 
Garibaldi  Menotti  -  p.  6.  325. 

328,  329,  373   e   seg., 

415. 
Garibaldi  Ricciotti-p.  6,  195, 

289  e  seg.,  422,   423. 

424. 
Garibaldi  Rosa  -  p.  3,   11. 
Garibaldi  Teresita  -  p.  6. 
Gattorno  -  p.   185. 
Gemignani  Z.  -  p.  263. 
Genova  di  Revel  (colonnello) 

-  p.  349. 
Gioberti  -  p.  331. 
Giorgini  (colonnello)  -  p.  1 38, 

139. 
«  Giovine  Italia  »  -  p.  331. 
Giusti  A.  -  p.  198. 
Gladstone  (lord)  p.  261. 
Greville  (lord)  -  p.  338. 
Griscelli  -  p.  201   e  seg. 
Groppello    (  marchese   di  ) 

p.   141. 
Gualterio  -  p.   162,  369. 


INDICE  ALFABETICO  DEI  NOMI  CITATI  NEL  VOLUME 


443 


Guarnerì  A.  -  p.  216. 
Guerra  F.  -  p.    11. 
Guerrazzi    F.    D.  -    p.    128, 

364,  365,  366. 
Guerrini  (colonnello) -p.  136, 

150.  e  seg.,   174. 
Guglielmo    I    (Infiperatore)    - 

p.  427. 

H 

"  Hannibal  „  p.  93,  94. 
Heel  -  p.    13. 
Herzen  A.  -  p.  286. 
Hugo  V.  -  p.  73. 


I 

Interdonato  G.  -  p.  217. 
Jsle  of  Thanet  -  p.  19. 
Isole  di  Chinca  -  p.   11. 


Juan   di   Borbone    (Don) 
p.  403,  405. 

K 

Klapka  -  p.  352,  367. 
Kossuth  -  p.  89,  309. 


La  Farina  -  p.  23,  43,  112, 

191,  192,220,222,223, 

295. 
La  Loggia  G.  -  p.  217. 
La    Marmora    (generale)    - 

p.  338,  369,  371. 
Lang   Gideon   S.   -  p.    255, 

261,  266,  269,  271. 
Lanza  F.   (generale)  -  p.  91, 

93,  %  e  seg. 
Lanza  Don  Ottavio  -  p.  %. 
Lavarello  F.  -  p.  80,    185. 
La  Varenne  -  p.   167,   349. 


Lemmi  A.  -  p.  305. 
Letizia  (generale)  -  p.  93. 
Leuchetenberg  -  p.  309,  401. 
Lima  -  p.  8. 
Lipari  S.  -  p.  78  e  seg. 
Litta  Modignani  -  p.    1 50  e 

seg.,  157,  158,  163. 
Lombardi  -  p.    185. 
Luzio  A.  -  p.  137,  258, 
Luzzatto  R.  -  p.   1 1 1 . 


M 

Macchi  M.  -  p.  221,  225. 
Malenchini  V.  -  p.  26,  103. 

179.  183,  184.  185. 
Malmesbury  (lord)  -  p.  259. 
Mancini  P.  S.  -  p.  223,  395, 

397,  398. 
Mancini     Laura    Beatrice    - 

p.  398,  399. 
Mandrot  Madeleine  -  p.  283. 
Manin  D.-p.  24,  126,  127, 

403. 
Manin  G.  -  p.  296. 
Maniscalco  -  p.  89. 
Manna  (barone)  -  p.  350. 
Mansi  -  p.  410. 
Manteuffel  (generale)  -  p.  422. 
Marcora  G.  -  p.  333. 
Mario  A.- p.  117,307,308. 
Mario  While  Jessie  -  p.  288, 

308,  408. 
Marryat  -  p.  66. 
Marzaniello  -  p.  357. 
Mayor  di  New- York  -  p.  9. 
Mazzini  -  p.  45,    189,    221, 

223,  281  e  seg.,  337,  342, 

343,  363,  370,  393,  402. 
Medici  G.  -  p.  70,  103.  113, 

114,  179,  180,  181,  183 

e  seg.,  187,  221. 
Menabrea  -  p.  369,  371. 
Mentana  -  p.  346,  368. 
Minghetti  -  p.  371. 
Miibitz  -  p.  373  e  seg. 
Minoli  -  p.  224. 
Mirafiori  Rosina  (contessa)  - 

p.  166,  339. 


Mlssori  -  p.  293.  294,  328. 

329,  331. 
Montanelli  -  p.    I . 
Montecchi  -  p.    189,  317. 
Monteverde  -  p.   112. 
Montezemolo  -  p.  391. 
Montmasson-Crispi  R.  -  p.  68. 

69. 
Marani  A.   C.  -  p.   311. 
Mordini  A.  -  p.    116,    366. 

367.  382,391,394,395. 
Mosto  A.  -  p.  299,  311. 
«  Movimento  »  (II)  -  p.  1 43, 

341. 
Mundy  (ammiraglio)  -  p.  66, 

94. 
Murat  -  p.  262,  263,  269, 

270,  271. 
Mustica  -  p.    1%. 

N 

Napoleone  ili  -  p.  2,  25,  27, 
30,  33,  38.  39,  41,  54, 
175.  177,256,261,262, 
263,  267,269,311,312. 
331,371.400,401,  402. 

Naselli  Flores  -  p.  226. 

Nathan  Sara  -  p.  288. 

Natoli  -  p.  222. 

Nevens  -  p.  4. 

Newcastle  on  Tyne  -  p.  13. 

«  Nel»-  Yorli  Tribune  »  -  p.  8. 

Nicotera  G.  -  p.  299,  303, 
352,  393. 

Nisco  -  p.   161. 

Nullo  F.  -  p.  360,  361. 

Nunziante  -  p.   168. 

Nigra  C.  -  p.   170,   171. 


Oddo  -  p.  65.  68. 
Oliva  -  p.  392. 
Ollivier  E.  -  p.  157. 
Orrigoni  F.  -  p.    184,    185, 

186. 
Orsini  C.  -  p.    124. 
Orsini  F.  -  p.  286. 
Orsmi  V.  -  p.  216.  217. 


444 


INDICE  ALFABETICO  DEI  NOMI  CITATI  NEL  VOLUME 


Pallavicino    G.  -  p.  21,    24, 

126.  127,  295,  2%.  353. 

370,  393,  394,  399.  400. 
Pallavicino  Anna  -  p.  370. 
Palmer  (comandante)  -  p.  94. 
Palmerston    (lord)  -  p.   259, 

261,  262.  266,  267. 
Pane  Joseph  -  p.   18. 
Panizzi  A.  -  p.   122. 
Pantaleo  (Fra)  -  p.  83,  287. 

390. 
Patterson  -  p.   185. 
Pascoli  G.  -  p.  342. 
Pellizzari  -  p.  316. 
Peranni  D.  -  p.  216. 
Perelli  Ercolini  -  p.   193. 
Persano  -  p.    135,   145,  146. 

e   seg.,    159.    161,    169, 

182,    186,   e  seg.,   206, 

208,  350. 
Peruzzi  -  p.  371. 
Philipson  Carolina  -  p.  306, 

307. 
Pianciani  -  p.  306,  315,352. 
Pichi  -  p.  225. 
Pilo  R.  -  p.  44  e  seg.,   48, 

49  e  seg.,  84  e  seg.,  220, 

223,  225. 
Piola  (comandante)  -  p.   169, 

187,  383. 
Pisacane  C.  -  p.  44. 
Pisacane  Silvia  -  p.  406,  407. 
Pisam  C. -p.  216,  218,  219. 
Porcelli  -  p.  363.  364. 
Pozza  -  p.  323. 
Presenzano  -  p.  356. 
"  Prometeus ,,  (II)  -  p.  8. 
Proudhon  -  p.  401. 


Quadrio   M.  -  p.  299.  304. 
Quinet  E.  -  p.  74. 


Raffaele  G.  -  p.  216. 
Rampingfilio  -  p.  2. 


Rattazzi   U.    -    p.   31,    127, 

306,  307,  371. 
Rava  L.  -  p.    156. 
Regnoli  P.  -  p.  220.  383. 
Repubblica  Peruviana  -  p.  10. 
Ribotti   (generale)   -   p.    32, 

129,  221,223.224,225. 
Ricasoli  B.  -  p.    128,  140. 

161,  305. 
Ricciardi  G.  -  p.  226,  227. 
Rizzo  G.  -  p.  303. 
Rocca  -  p.  391. 
Romano  L.  -  p.  168,  228. 
Ronchei  A.  -  p.  224. 
Roscitto  A.  -  p.  209.  228. 
Rosi  M.  -  p.  395, 
Roxas  L.  -  p.  209.  228. 
Rubattino  R.  -  p.  75.  77. 
Russel  (lord)  -  p.  258,  261, 

262.  266.  267.  268.  272. 


Saffi  A.  -  p.  274.  275.  288, 

303  e  seg..  386. 
Saimour  (conte  di)  -  p.    141. 
Sammito  Aldisio  -  p.  328. 
San    Cataldo   (  principe  )  - 

p.   218. 
Sanfront  (generale)  -  p.  295. 
San  Giorgio  -  p.  8.  9. 
San  Juan  de  Nicaragua  -  p.  9. 
Sant'  Onofrio  del    Castillo   - 

p.  383.  387. 
Savi  -  p.  8. 
Savio  -  p.  390. 
Schwabe  (madame)  -  p.  293. 
Scialoia  -  p.  388. 
Scotti  -  p.  323. 
Selle  -  p.  137. 
Senato  di  Palermo  -  p.  217. 
Siccoii  S.  -  p.    124. 
Simonetta  -  p.   184. 
Smeo  R.  -  p.  352. 
Sirtori-p.215.216.358.  359. 
Solaroli  (generale)  -  p.  361, 

362. 
Sommariva    (monsignor)    - 

p.  204.  205. 
Spaventa  S,  -  p.   1 72. 


Staten  Island  -  p.  2. 
Stella  M.  -  p.  209. 
Strazzeri  A.  -  p.  65. 
Stuart  Montgomery  -  p.  263, 

271. 
Sullioiti  A.  -  p.  120. 


Tacchini  -  p.  316. 
Tallarino  G.  -  p.  208. 
Tamajo  G.  -  p.   1%. 
Taylor  -  p.  286. 
Tessi  G.  -  p.    119. 
Torrearsa-p.  37  e  seg..  218, 

383. 
Tower  T.  -  p.  277. 
Traf filetti    (comandante)   - 

p.    192. 
Trappeto  -  p.    183. 
Trecchi  G.  -  p.  343.  348, 

349.  350.  353,  356. 
Treveiyan  Macaulay  -  p.  259, 

260. 
Tripoli  (maggiore)  -  p.  172. 
Tùrr  S.  -  p.  133,  138.  139. 

227.311,343.  412  e  seg. 

U 

Ugdulena  G.  -  p.  216. 
"  Utile  ..  (L')  -  p.  80. 


Vairemo  -  p.  357. 
Valentini  -  p.    187.  207. 
Valerio  L.  -  p.  349. 
Valfre  -  p.  359. 
Varignano  -  p.  9. 
Vecchi   C.    A.    -    p.    9.    12. 

347.  385.  395,  3%,  397. 
Venturi  -  p.  302. 
Villafranca  -  p.  25.  50,  270. 

384. 
Villafranca  F.  -  p.  51. 
Villamarina    (marchese  di)  - 

p.  142.   161,    173.  206. 

207.  228. 
Vaiani  F.  -  p.  426. 


INDICE  ALFABETICO  DEI  NOMI  CITATI  NEL  VOLUME 


443 


Villari  P.  -  p.  282. 
Vimercati  (conte)    -  p.  343, 

351,  353. 
Visconti- Venosta  E.  -  p.  1 60, 

382. 
Vittoria  (Regina)  -    p.  258, 

259.  338. 


W 

Wathson  -  p.    186. 
Wilson  (generale)   -  p.  310. 
Winnington-Ingram  -  p.  66. 
Winspear  -  p,  350. 
Worsam  M.  P.  -  p.  262. 


Zambeccari  -  p.  225. 
Zlambianchi  -  p,    122,    124. 
Zucoli  A.  -  p.  80,  81. 
Zappetta  -  p.  386. 


Finito  di  slampare 

il  dì  20  .Maggio  1911 

nella  Tipografia  di  'Paolo   t^Ceri 

in  Bologna 


^ 


UNIVERSITY  OF  TORONTO 
LIBRARY 


Acme   Library  Card   Pocket 

Under  Pai.  "  Rcf.  Index  File." 
Hade  by  LIBBABT  BUBEAU