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University of Toronto
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GIACOMO EMILIO CURÀTULO
Garibaldi
Vittorio Emanuele. Cavour
NEI FASTI DELLA PATRIA
DOCUMENTI INEDITI
Dieci lettere di Vittorio Emanuele a Garibaldi nel 1860.
Scritti di Cavour, Mazzini, Medici, Cattaneo, Pallavicino, Cosenz, Cialdini, etc;
di Garibaldi all' Imperatore Guglielmo I ed a Bismarck
Con sessanta facsimili e quattro illustrazioni
A
BOLOGNA
NICOLA ZANICHELLI
MCMXI
PROPRIETÀ LETTERARIA E ARTISTICA
VIETATE ANCHE LE RIPRODUZIONI PARZIALI
/ diritti di riproduzione e di traduzione sono riservati per tutti i paesi, compresi
la Svezia, la Norvegia e l'Olanda.
Copyright by Nicola Zanichelli, 1911.
Ciascun esemplare di guest' opera deve portare la firma del Prof. Doti. Giacomo
Emilio Curàtulo.
VITTORIO EMANUELE III
RE D'ITALIA
Sire,
In questo anno sacro al ricordo e alla celebrazione della più alta
gloria della Patria, depongo nelle mani della Maestà Vostra questo volume,
nato e cresciuto dal lungo, paziente e religioso amore d'un Italiano per
quella schiera di eroici spiriti, i quali nella dolente vigilia della libertà e
dell'unità della Nazione, sono vissuti e sono morti con sola e viva dinanzi
agli occhi la sublime fiammeggiante imagine della nuova Italia.
Vissuto, per l'arte mia, in mezzo alla lacrimevole quotidiana esperienza
degli umani dolori, io, cittadino di questa nuova Italia, ho sperato di compiere
opera non indegna, raccogliendo e illustrando, nelle ore di riposo, alcune pagine
della più gloriosa nostra storia, nelle quali sono segnati a caratteri indelebili
di sangue le titaniche lotte dei magnanimi artefici della Patria, il cozzare vio-
lento delle passioni, le vie e i metodi della preparazione eroica, diversi a seconda
delle diversità degli animi e delle energie, ma nobili tutti, ma tutti intesi con
disperata tenacia e con invincibile intima concordia ad un unico e altissimo fine.
Chi studia con intelletto d'amore le fortunose vicende del passato di
questa nostra Italia, e con libero cuore e limpidi occhi contempla l'opera di
ciascuno dei massimi fattori della sua unità, non può non riconoscere, nello
svolgersi di quelle e nella missione di questi, quasi l'oscura forza ordinatrice
di un'unica volontà suprema.
Nell'esule di tutta la vita, in Giuseppe Mazzini, il suscitatore primo di
una sopita coscienza nazionale italiana ; nel conte di Cavour, la misura più
alta, attinta forse mai nella storia dalla cauta antiveggenza diplomatica posta
vili
a servigio di vasti ed arditi disegni; nel Vostro Avo glorioso, il re che all' au-
dacia e al valore contemperò, come nessun altro mai, la saggezza e la lealtà;
in Garibaldi, l'espressione più generosa del più puro amore della terra nativa
e, per usare le parole pronunziate da uno dei Vostri Ministri in una data
memorabile: la sintesi armoniosa e perfetta di tutte le antitesi, sacerdote e
guerriero, candido come colomba e sublime come aquila, luce di aurora e
fulgore d'incendio, poesia di tutti gli ideali, esempio di sofferenza incrollabile
verso tutte le asprezze della realtà, gigante colla forza di un fanciullo.
La prima serie di documenti inediti, che trovansi raccolti in questo volume,
e che ho integralmente trascritti dagli autografi esistenti nel mio archivio,
riguarda in massima parte quel periodo di storia nostra più di ogni altro
soffuso di vera gloria, un'epoca, se pure prossima a noi, già avvolta nello
splendore dell'epos o del mito. Neil' illustrarla, o Sire, ho liberamente mani-
festato il mio pensiero. La storia è ricerca indefessa di luce e di verità : e V una
e r altra, queste quasi inattingibili mete, non si raggiungono, se libera e sincera
non è la discussione, se il nostro spirito non è spoglio da ogni idea preconcetta.
Neil' augusta Torino, unico rifugio, d'allora, in terra italiana ad ogni
anima insofferente di tirannia, il Vostro grande Avo, il 18 febbraio 1861,
inaugurando il primo Parlamento Italiano, diceva : « Una valente gioventù,
condotta da un capitano, che riempì del suo nome le più lontane contrade,
fece manifesto, che ne la servitù, ne le lunghe sventure valsero a scemare la
fibra dei popoli italiani. Questi fatti hanno ispirato alla Nazione una grande
confidenza nei propri destini. Mi compiaccio di manifestare al primo Parla-
mento d' Italia la gioia, che ne sente il mio animo di Re e di soldato ».
E le cronache del tempo narrano, che una salve prolungata di applausi
accolse le parole di Vittorio Emanuele II.
Sono trascorsi cinquant' anni da quel giorno memorabile ed oggi un
popolo libero dall'Alpi al mare acclama, in Roma immortale, Colui che i
popolari plebisciti indicarono primo Re d' Italia, mentre sulle pendici del colle
glorioso, testimone al mondo di due civiltà, si scopre il monumento al Padre
della Patria.
DC
Ma i monumenti, o Sire, sono ben effimera cosa, se essi non poggiano
sulla incontestata virtù di coloro che si è voluto onorare. Se una folla stolta
volesse abbattere dal Campidoglio la statua di bronzo del pensoso Imperatore
filosofo, i ombra di Marco Aurelio sorriderebbe neW alto dei cieli, ironicamente,
forse, come al tempo della sua vita mortale, ma la sua grandezza e // suo
splendore resterebbero immutati nel cuore e nella storia delle umane genti.
Gli è che nessun monumento, per quanto ricco d'oro e di marmi, e opera
di mano eccelsa di artista, è stato mai così duraturo come quello che la
Storia ebbe a consacrare nelle sue pagine eterne. Onde bene è, io penso, che
mentre oggi l' Italia glorifica, al cospetto di tutto il mondo civile, la sua rina-
scita ultima, più vera e maggiore d'ogni altra che la precedette, vengano alla
luce alcune pagine di storia a testimoniare quelV unità di sentire, quella comu-
nanza d'intenti, che nell'epoca più memorabile dell'azione unì il cuore del Vostro
grande Avo a quello del più popolarmente glorioso degli Eroi della Patria.
Sire,
Nel 1860, nell'anno eroico, mentre un pugno di prodi compiva nella forte
e generosa Sicilia la marcia liberatrice, che meravigliò il mondo, Vittorio
Emanuele e Garibaldi, insofferenti entrambi, magnanimi cuori di soldati quali
erano, di ogni diplomazia interna o straniera, cospiravano insieme contro tutta
V Europa reazionaria.
Una Monarchia sorta dall'unione di queste due grandi anime non teme
crollo. E finche il sole di Roma saluterà, nascendo, la vetta alborata del
Gianicolo e l'alto Campidoglio, naturai monumento alzato nel centro stesso
della Nazione, e il cuor Vostro, o Sire, pulserà con quello del popolo, rinato
finalmente nel sentimento santo della sua nazionalità, nel sentimento perfetto
delle sue radici, il sorriso della gloria farà lieto il suolo della Patria, di tutta
quanta la Patria una e libera, di fatto e di diritto.
Roma, ultimi di maggio 1911.
GIACOMO EMILIO CURATOLO
INDICI
INDICE DEL VOLUME
CAPITOLO 1.
Nel cammino della gloria
(1848-1854).
Ritorno di Garibaldi dall'America, nel 1848. — Statuto e formula di giuramento del
« Battaglione Italiano della Morie ». — Caduta la Repubblica Romana. Garibaldi
riprende la via dell' esilio. — Lettere a G. B. Cuneo ed alla Madre. — Atto
di matrimonio di Garibaldi con Anita, dall' autografo di Lorenzo S. Fernandez,
parroco della chiesa di S. Francesco di Assisi in Montevideo, dove il matrimonio
fu celebrato. — Commovente lettera inedita di Garibaldi ad Anita, partita da
Montevideo per l' Italia. — 11 secondo esilio. — Garibaldi nell'America del Nord.
— Stanco di fabbricare candele, parte con un passaporto rilasciatogli dal Mayor
di New-\'ork. — Cittadino del Perù, ottiene la nomina di 2." Pilota di Altura
in Callao. — Una lettera inedita di Rosa Garibaldi al figlio. — Ritorno in Italia
sul " Commonwealth ,, ; si ferma a Nev^castle. — J. Cowen gli offre, a nome del
popolo inglese, una spada di onore ed un telescopio. — Le diffidenze del Governo
Piemontese cessate. — Lettera di Massimo d' Azeglio a persona che s interes-
sava della sorte di Garibaldi. — 11 Generale a Nizza. — Convenzione autografa
fra Garibaldi e i vari proprietari di Caprera, per l'acquisto dell' isola. — Garibaldi
ottiene dal Governo Piemontese il diploma di Capiteujo di lungo corso. — La
profezia di Nino Bixio in una lettera diretta a Garibaldi. — Due pagine del
giornale pastorizio ed agricolo di Garibaldi a Caprera, nel 1858. — Passaporto
del Console francese a Nizza, sotto il falso nome di « Joseph Pane » , col quale
Garibaldi doveva andare a liberare Settembrini, Poerio ed altri patrioti rinchiusi
nell'ergastolo di S. Stefano Pag. 1-19
Avvertenza. — Essendo il numero dei documenti contenuti nel testo di questo volume
considerevole, i brani sui quali bisognava richiamare l' attenzione del lettore sono stati stampati
in neretto.
XIV INDICE DEL VOLUME
CAPITOLO li.
La camicia rossa nel campo ufficiale della guerra.
La lettera diretta dal conte di Cavour a Garibaldi nel 1859, pubblicata in tutta la sua
integrità. — Decreto di nomina di Garibaldi a Maggior Generale dell' Esercito
Piemontese e Comandante il corpo dei Cacciatori delie Alpi. — Il « Programma
Italiano » di Garibaldi nel 1856. — Giorgio Pallavicino scrive a Garibaldi, che
gli spropositi del Governo non debbono sconfortare i veri patrioti. — Decreto
che conferisce la medaglia d' oro, al valor militare, a Garibaldi per le prove
d' intrepidezza e di bravura nei combattimenti contro gli Austriaci. — Una curiosa
lettera inedita di Massimo d' Azeglio. — Dopo la pace di Villafranca. — Lettera
di Garibaldi a Finzi per il « Milione di fucili ». — Nuova luce sul dissidio
sorto fra Fanti e Garibaldi nell' Italia Centrale. — Un* importante lettera di Enrico
Cialdini a Garibaldi, partente per 1' Italia Centrale. — Fabrizi, Bertani e Bargoni
a Salvatore Calvino. — Lettera di Nicola Fabrizi al generale Ribotti . Pag. 21-33
CAPITOLO IH.
Timori e speranze degli esuli siciliani.
Il precursore dei mille.
Un patriota non abbastanza conosciuto. — Salvatore Calvino ricusa al vecchio padre
di chiedere al Re di Napoli la grazia per rimpatriare. — Interessanti lettere di
Vincenzo Fardella, marchese di Torrearsa. — La politica del carciofo. — Timori
e speranze, degli esuli siciliani, dopo la pace di Villafranca. — Le due gigantesche
figure del prologo della spedizione dei Mille. — Rosalino Pilo e Francesco Crispi.
— L' opera del grande statista siciliano. — La lettera inedita di Crispi a Garibaldi,
a proposito del processo intentato all' editore dell' epistolario Lafariniano, che
provocò la bella risposta del Generale. — Un curioso giudizio di Giorgio Palla-
vicino su Giuseppe Mazzini. — Mazzini scrive a Rosalino Pilo subito dopo l' infelice
spedizione di Pisacane. — Arresto di Pilo a Bologna. — Importanti lettere inedite
di Rosalino Pilo. — La sua vita fu un continuo tormento. — Proclama diretto ai
Siciliani il 25 aprile 1 860, in Carini. — L' ultimo scritto del precursore dei Mille,
partendo per la Sicilia. — Il canto della morte. — Una strana lettera di Francesco
Carrano a Garibaldi, prima che questi partisse per la Sicilia. « / Siciliani hanno
ragione di odiare lutti i Napoletani » Pag. 35-57
INDICE DEL VOLUME xv
CAPITOLO IV.
La presa dei vapori, la traversata, Io sbarco.
Victor Hugo e Quinet al Duce dei Mille.
Domenico Cariolalo narra la drammatica presa del " Piemonte „ e del " Lombardo ,,
e la traversata da Quarto a Marsala. — I Mille partirono senza le àncore. — Lo
sbarco e particolari inediti. — Un' eroina dimenticata. — La grande estimazione
che Garibaldi ebbe per Rosalia Montmasson-Crispi. — Scritti profetici di Francesco
Anzani e di Giacomo Medici. — Due belle lettere di Victor Hugo ed Edgard
Quinet a Garibaldi, dopo la pubblicazione francese del libro del Generale « I Mille ».
— 11 merito di Raffaele Rubattino e di G. B. Fauché nella spedizione dei Mille. —
Corrispondenza del Console Sardo di Palermo e di Marsala col Dittatore. — 11
ricupero del " Lombardo „. — L' " Utile „ e la spedizione di Carmelo Agnetta.
— Una nobile risposta di Ambrogio Zucoli a Garibaldi Pag. 59-81
CAPITOLO V.
Da Marsala a Palermo.
Kossuth invoca la benedizione del Dio della vittoria.
Alcuni particolari sconosciuti sulla partenza dei Mille da Marsala, all'alba del 12 maggio.
— Le lettere dirette da Garibaldi a Rosalino Pilo nella marcia verso Palermo,
dagli autografi. — L' ultimo scritto di Pilo al Generale. — Un testimone oculare
racconta come morì Rosalino Pilo e come avvenne lo scontro coi Borboni. — La
marcia delle squadre siciliane. — Il movimento strategico col quale Garibaldi
ingannò i regi ed un ordine del generale Lanza, in autografo di Maniscalco. —
Kossuth scrive da Londra a Garibaldi, invocando la benedizione del Dio della
vittoria Pag. 83-89
CAPITOLO VI.
L' armistizio a bordo dell' " Hannibal „ .
L' " Alter Ego „ di Francesco II e Garibaldi.
Il debutto deJ generale Lanza a Palermo. — L'armistizio del 30 maggio e la drammatica
scena a bordo della nave ammiraglia inglese " Hannibal „ . — Un cimelio prezioso
XVI INDICE DEL VOLUME
di quel memorabile convegno. — Le condizioni imposte dal Borbone nella cabina
dell' ammiraglio Mundy, trascritte da Garibaldi. — La capitolazione del 6 giugno.
— Dieci lettere inedite del generale Lanza al Dittatore. — L' Alter Ego di
Francesco II, prima di partire da Palermo, ringrazia Garibaldi per tutte le cortesie
usategli. — Documenti storici ed umani Pag. 91-100
CAPITOLO VII.
Dissensi dopo la partenza di Garibaldi.
L'opera di Agostino Bertani.
II retroscena a Genova dopo la partenza di Garibaldi. — Mazzini e Bertani vogliono,
a tutti i costi, la spedizione nello Stato Pontificio, non più voluta da Garibaldi. —
Medici e Cosenz dicono che bisogna andare in Sicilia, dove si combatte. — Vittorio
Emanuele manda sovente il generale Sanfront da Biagio Garanti per chiedere
notizie di Garibaldi. — L' interessamento del Re alle gesta garibaldine. — 1 diplo-
matici e gì' intriganti sorvegliano il re ed hanno corrotto persino i suoi valletti di
camera. — Lettere inedite di Medici, Cosenz, Malenchini, Corte, Pinzi, Besana,
Garanti, Coltelletti al Generale. — Agostino Bertani scongiura Garibaldi di nomi-
narlo suo unico rappresentante in Genova e di ordinare, che tutto il denaro
affluisca a lui soltanto. — La spedizione nello Stato Pontificio fu il pomo della
discordia. — Bertani contro Medici e Cosenz. — Garibaldi, in tanta tempesta,
ascolta tutti, ma segue la sua volontà soltanto. — Lettere di Enrico Brusco al
Dittatore. — Corrispondenza inedita di Bertani a Garibaldi. — Bertani presenta
Antonio Mordini ed Alberto Mario, che si recano in Sicilia. — Una lettera
inedita di La Farina, mandata a Garibaldi. — Giacomo Medici, dopo la pubbli-
cazione dell'opuscolo « Ire politiche d'oltre tomba » si difende energicamente.
— Scrive a Garibaldi : « è grarì favore, se a noi concedano quel tanto di capacità,
che ne basti per andare a farci ammazzare » . — Antonio Panizzi e Garibaldi.
— Importanti particolari sulla spedizione Zambianchi e forze delle quali essa
disponeva Pag. 1 01 -124
CAPITOLO Vili.
La politica del conte di Cavour nel 1860.
L' Uomo di Stato e l' Eroe.
L'unità d'Italia sognata da principio dal conte di Cavour non era l'Italia una. —
Giudizi di Giorgio Pallavicino su Cavour. — Pallavicino e Daniele Manin.
— La missione e la gloria di Cavour nel riscatto nazionale. — Perchè il gene-
INDICE DEL VOLUME xvii
rale Ribolli, nel 1860, non andò in Sicilia. — Parlicolari inediti. — Una lettera
di Garibaldi a Paolo Bovi per la cessione di Nizza. — Le condizioni della
Sicilia dopo il moto del 4 aprile. — Lettere inedile di Nicola Fabrizi a Salvatore
Calvino. — Il rifiuto delle carabine depositate a Milano e la missione di Francesco
Cucchi. — Lettere inedite di Garibaldi a Pinzi e a Crispi. — Un drammatico
colloquio fra Cucchi e Massimo d'Azeglio a Milano. — Cavour aveva dato
l'ordine di non consegnare le armi. — Le giustificazioni di alcuni storici. —
L'approdo di Garibaldi a Talamone e la sorte del tenente colonnello Guerrini.
— La quistione delle armi colle quali partirono i Mille da Quarto. — Il non
avere impedito la partenza della spedizione, fu merito di Cavour? — La parola
di Garibaldi e le affermazioni dello stesso Cavour chiudono il dibattito. — La
politica del primo Ministro di Vittorio Emanuele e le intese amorose colla
Corte di Napoli. — Giudizi non sospetti del generale Della Rocca. — La lettera
di Garibaldi ad A. G. Barrili, pubblicata nel « Movimento ». — Un attento
esame dei documenti già pubblicati. — Cavour sapeva che la spedizione andava
in Sicilia e non nello Stato Pontificio. — L' ordine d' arresto dato da Cavour a
Persano, se Garibaldi si fosse accostato ad uno dei porti della Sardegna. —
Un' importante lettera inedita dell' ammiraglio di Persano a Cavour, in seguito
all'ordine di arrestare Garibaldi. — La giustificazione di Cavour presso Persano,
dopo lo sbarco felicemente avvenuto a Marsala, non è in relazione con i documenti
storici, che la precedono. — Cambiamento della politica cavouriana, dopo la vittoria
di Calatafimi e l' entrata dei Mille a Palermo. — La missione Litta Modignani
nel 1860. — Il foglio confidenziale del Re non pervenne nelle mani del Ditta-
tore. — Un brano autografo inedito di Garibaldi. — Ipotesi che sia stato
il conte di Cavour a non far pervenire il foglio autografo di Vittorio Emanuele
nelle mani di Garibaldi. — Molteplici ragioni che rendono quest' ipotesi verosi-
mile. — Le istruzioni diverlend date da Cavour a Litta Modignani. — Psicologia
cavouriana. — Rapporti antichi e recenti fra Vittorio Emanuele ed il suo primo
Ministro. — // vero re sono io. — Rosina Mirafiori ed il conte di Cavour. —
II documento trovato fra le carte di Luigi Carlo Farini conferma, che Ira Re e
Ministro non si seguisse la stessa politica. — Giudizi di Bolton King e di
Emile Ollivier sul conte di Cavour. — Gli sforzi del grande statista per far
cadere Napoli, prima della venuta di Garibaldi. — Corrispondenza di quei giorni
con Persano. — Nuovo mutamento nella politica del conte di Cavour per il
fiasco dei suoi emissari a Napoli — Bisogna rassegnarsi al trionfo di Garibaldi. —
Il pensiero intimo di Cavour verso Garibaldi e i garibaldini. — La lettera di
Cavour a Costantino Nigra e Raffaele de Cesare. — L'ordine al maggiore Tripoti
nel settembre "60, fu dato senza consultare il Dittatore. — I sentimenti di Garibaldi
verso l'Esercito regolare. — Un giudizio del generale Osio. — Garibaldi non
autorizzò mai il titolo di garibaldino. — Lettera inedita di Vittorio Emanuele al
generale Fanti e la promessa fatta a Napoleone. — Scritti inediti di Garibaldi
sulla spedizione del 1860 Pag. 125-177
XVill INDICE DEL VOLUME
CAPITOLO IX.
La spedizione di Giacomo Medici.
Carteggio fra V ammiraglio Persano e Garibaldi.
L' aiuto del Governo piemontese nella seconda spedizione garibaldina. — Carteggio
inedito di Giacomo Medici con Garibaldi. — 11 luogo dove la spedizione doveva
sbarccire. — Garibaldi scrive all'ammiraglio PersEino. — Lettere inedite di Felice
Orngoni, comandante del " Franklin ,, a Garibaldi. — ■ Carteggio inedito fra
Persano e il Dittatore. — Quello che Persano scriveva a Garibaldi di La Farina. —
Istruzioni segrete date dal Dittatore ai comandanti De Rohan e Trafiletti. — Il
Vice-Governatore di Brescia a Garibaldi. — Nicola Fabrizi forma il corp>o dei
" Cacciatori del Faro ,,. — Ricciolti Garibaldi racconta la grande stima che suo
Padre ebbe per Nicola Fabrizi. — I Delegati Consolari Sardi di Pozzallo e di
Catania scrivono al Dittatore Pag. 179-199
CAPITOLO X.
Tentativi per assassinare Garibaldi.
Leggenda sulla sua morte.
La vita dell' Eroe nelle mani dei sicarii. — Tentativi fatti nel 1 859 per uccidere
Garibaldi. — Griscelli, il famoso barone di Rimini, e De Vezzani, le due
celebri spie mandate nell'Italia Centrale. — Alcuni rapporti segreti, sequestrati
da Luigi Carlo Farini, diretti da Griscelli e De Vezzani al Legato Apostolico
di Pesaro ed Urbino ed al rappresentante del Re di Napoli in Pesaro. —
Tentativi fatti nel 1 860 per assassinare Garibaldi. — Il marchese di X'iUamarina
scrive al comandante D' Aste per prendere le opportune misure su di un certo
Valentini, partito da Napoli per assassinare Garibaldi. — L'ammiraglio Persano
scrive a Garibaldi di stare in guardia, perchè si attenta ai suoi giorni. — I due
sicarii Luigi Roxas ed Antonio Roscitto. — Lettere dall' estero al Dittatore. —
La leggenda sulla morte di Garibaldi, ed una curiosa manovra dei morenti satelliti
di Francesco li. — Una stampa anonima. — Garibaldi dopo il 1860 non era il
vero Garibaldi. — Altre leggende sorte a Palermo ed a Napoli intorno cJI' Eroe
popolare. — Uno stornello di F. Dall' Ongaro Pag. 201-213
CAPITOLO XI.
Le lotte intorno a Garibaldi a Palermo.
Istruzioni segrete e piano del Borbone.
Il primo Ministero sotto la dittatura non vuole dipendere dal Capo dello Stato
Maggiore di Garibaldi. — Protesta inviata a Garibaldi. — Il Dittatore mantiene
INDICE DEL VOLUME XK
gli ordini dati. — Decreto dittatoriale scritto di mano del Sirtori. — Indirizzo
del Senato di Palermo a Garibaldi trascritto dall' autografo. — La dimissione del
Ministro Casimiro Pisani per la non avvenuta annessione. — Sua lettera a Gari-
baldi. — Quello che, in quei giorni, si pensava a Torino. — Importanti lettere
inedite di Angelo Bargoni a Salvatore Calvino. — Un curioso scritto di Luigi
Naselli Flores a Garibaldi. — / Siciliani non vogliono essere trattati come popolo
conquistalo. — Giuseppe Ricciardi a Garibaldi — Istruzioni segrete da Napoli
e dalla Calabria al Dittatore. — Piano del Borbone comunicato a Garibaldi. —
Istruzioni segrete dalla Calabria Citeriore. — Uno scritto clandestino del Comitato
Centrale di Napoli. — Proclami e Bollettini della rivoluzione. . . Pag. 215-251
CAPITOLO XII.
Cavour e l'indipendenza della Germania.
La politica dell' Inghilterra nel *59 e '60.
II rappresentante della stampa liberale tedesca di Berlino chiede al conte di Cavour
un dispaccio giornaliero in cifre. — Lettera di risposta di Cavour. — L' indi-
pendenza d' Italia e della Germania sono per Cavour le pietre angolari del nuovo
edifizio europeo. — 11 pensiero di Garibaldi sull' unità della Germania. — Lo
spirito pubblico in Francia ed Inghilterra, nel 1860, verso l' impresa di Garibaldi.
— Una lettera di Carlo Arrivabene a Garibaldi. — John Bull del 1860 non
era John Bull del '59. — Una rara stampa a colori, pubblicata a Londra nel 1859,
« // bacio di Giuda Iscariota ». — ^ La seduta dell' 1 1 giugno 1 860 nel Parlamento
inglese. — Una dedica di Garibaldi alla Inghilterra. — Lettere inedite di Gideon
S. Lang a Garibaldi. — Uno storico colloquio con Lord Russell. — Gideon
S. Lang scrive a Federico Campanella. — L' interessamento del popolo inglese
per le gesta di Garibaldi. — Lettere inedite di A. Saffi, Ashurst, Forbes al Duce
dei Mille Pag. 253-279
CAPITOLO XIII.
Garibaldi e Mazzini.
Il Guerriero e 1' Apostolo.
Il « Credo» di Giuseppe Mazzini. — Mazzini scrive a Madeleine de Mandrot. —
Discordia fra il guerriero e 1' apostolo. — Le accuse dei repubblicani dottrinari
contro Garibaldi. — Garibaldi non appartenne ad alcun partito. — I nobili tentativi
fatti per avvicinare le due gigantesche figure. — Sara Nathan scrive a Garibaldi. —
Il pensiero di Ricciotti Garibaldi su Mazzini. — Il dissidio sorto nel '49 fra Mazzini
e Garibaldi si acuì nel 1867. — Una lettera di Missori a Garibaldi sulle defezioni
XX INDICE DEL VOLUME
avvenute prima della battaglia di Mentana. — Una lettera di Giorgio Pallavi-
cino a Garibaldi in cui gli dice di guardarsi tanto da Cavour che da Mazzini
e dai mazziniani. — Mazzini scrive a Garibaldi congratulandosi per le gesta compiute
e lo interessa per la spedizione nello Stato Pontificio. — Il 1 860 fu per l' Apostolo
r anno della più grande amarezza. — Conati fatti per attirare nell' orbita delle sue
idee Garibaldi. — Giudizi di Mazzini su Garibaldi e Rattazzi. — Importanti
lettere inedite, dirette da Mazzini a Garibaldi, a Bezzi, Pianciani, Stefano Canzio
ed agli amici di Genova. — 1 moti repubblicani del '69 e 70. — L' ultimo appello
fatto nel ' 70 da Mazzini per proclamare la repubblica prima che la « Monarchia
traditrice profarìasse Roma ». — Un cifrario inedito Pag. 281-336
CAPITOLO XIV.
Vittorio Emanuele II e Garibaldi.
Mutui rapporti e Carteggio inedito.
La figura di Vittorio Emanuele fu 1' unica che esercitò un' influenza su Garibaldi. — -
Ragioni psicologiche e politiche. — « 5e sapeste quanto mi pesa questa livrea di
re ! ». — La devozione di Garibaldi per re Vittorio non fu mai servile. — Giudizi
inediti di Garibaldi su Vittorio Emanuele. — Gli sdegni dell' eroe per il re,
dopo Aspromonte, erano il naturale risentimento verso una persona, che si è amata
e che ancora si ama. — Gli ambasciatori fra Vittorio Emanuele e Garibaldi
nel 1860. — L'ambasciatore più accreditato fu il marchese Gaspare Trecchi. — -
Alcune considerazioni sull' ultima lettera diretta da Vittorio Emanuele a Gari-
baldi da Napoli, dopo la campagna del 1860. — Certi meriti furono conquistati
a spese del cuore del re e della magnanimità di Garibaldi. — La « compagnia
malvagia e scempia », che attorniava Garibaldi a Napoli e il Comitato regionale
piemontese per la Storia del Risorgimento Italiano. — L' ultimo pensiero di uno
fra i più venerati dei Mille. — Alcuni atti compiuti dal re a Napoli non
debbono ritenersi 1' epressione del suo animo. — La testimonianza non sospetta
di un aiutante di campo di Sua Maestà. — Lettere inedite dirette da Vittorio
Emanuele a Garibaldi nel 1 860. — Il re seguiva una politica sua, all' infuori di
Cavour ; talvolta contro Cavour. — Una correzione autografa di Garibaldi nella
lettera scritta da Crispi mostra la grande anima dell' eroe. — Lettera inedita del
generale Della Rocca a Garibaldi, appena cominciato l'assedio della Piazza di
Capua. — Rapporti fra Vittorio Emanuele e Garibaldi dopo il 1860. — La
spedizione nella Gallizia meditata dal re nel *64 e che doveva essere capi-
tanata da Garibaldi. — Promemoria di Garibaldi contenente le idee sue da
esporsi al re. — Un po' più di luce intorno ad un momento storico poco cono-
sciuto. Due lettere misteriose di Guerrazzi a Garibaldi. — Antonio Mordini scrive
al Generale. — Storico colloquio fra Vittorio Emanuele ed Enrico Albanese,
INDICE DEL VOLUME XXI
trascritto a Garibaldi. - // re ha sete di vendetta. — Un fiero scritto di Giorgio
Pallavicino a Vittorio Emanuele. — Come parlavano al re i martiri della libertà
e dell' unità della patria Pag. 337-37 1
Nola. — A proposito dell' incontro di Vittorio Emanuele e Garibaldi, nel 1 860.
— Le parole pronunziate da Vittorio Emanuele e Garibaldi, nello storico
incontro a Teano Pag. 371-372
CAPITOLO XV.
La battaglia del Volturno ed il Plebiscito.
L' Eroe diventa agricoltore.
Descrizione particolareggiata della battaglia del Volturno e di Caserta Vecchia con
i piani di attacco e di difesa ; dall' autografo inedito del generale Menotti Gari-
baldi. — Una lettera di Deidery a Garibaldi sulla cospirazione di Cavour e
Farini per fermarlo nella marcia vittoriosa. — Le condizioni di Palermo nel
settembre 1860, riferite dal Segretario generale del Pro-Dittatore Mordini. —
L' impopolarità di Crispi a Palermo. — Le lotte intorno a Garibaldi a Napoli,
neir ottobre 1860. — I fautori per 1' assemblea e quelli per il plebiscito. — • Corri-
spondenza inedita di Bertani con Garibaldi. — Si dimette dal posto di Segretario
generale della Dittatura e parte per Torino. — Le dimissioni di Giorgio Palla-
vicino da Pro-Dittatore. — Duello epistolare fra Carlo Cattaneo e Pallavicino. — 11
Ministero dimissionario. — Andrea Colonna incaricato da Garibaldi di ricomporre
il Ministero. — L' impopolarità di Crispi a Napoli. — Importante lettera diretta
da Pallavicino a Garibaldi 1' 8 novembre. — Mordini insignito anch' egli del
collare della SS. Annunziata. — Pasquale Stanislao Mancini scrive a Garibaldi
di non allontanarsi dalla scena politica, ma di stare sempre vicino al re. — Una
bella lettera di Laura Beatrice Mancini al Liberatore. — Pallavicino, sul finire
del '60, espone, in tre importanti scritti diretti a Garibaldi, la situazione politica.
— Bisogna combattere la volpe con armi volpine. — Gesuitismo cavouriano e
gesuitismo mazziniano. — Don Juan di Borbone, pretendente al trono di Spagna
scrive a Garibaldi, rinunziando ad ogni eventuale diritto al trono di Napoli. —
Due decreti di Garibaldi che assegnano una pensione alla madre ed alle sorelle
di Agesilao Milano ed alla figlia di Pisacane. — • Una commovente lettera della
giovanetta Silvia Pisacane a Garibaldi. — Giuseppe Avezzana parte dall'America
per raggiungere Garibaldi a Napoli. — 11 plebiscito dell' 8 novembre ed un
particolare sconosciuto. — Un collare della SS. Annunziata che dà fastidio. —
11 sogno di Garibaldi di affratellare sullo stesso campo le camicie rosse ed i
cappotti grigi dileguato. — Partenza di Garibaldi e suo arrivo a Caprera. —
Comincia ad annotare, giorno per giorno, le giornate di lavoro dei pastori ed
XXII INDICE DEL VOLUME
il ricavato della vendita dei formaggi e dei vitelli. — Un quaderno prezioso
del Generale. — Brano inedito delle Memorie di Garibaldi sulla spedizione dei
Mille. — Un' introduzione al racconto dell' impresa dei Mille ed un proclama
ai militi della prima gloriosa spedizione, inediti. — Ulteriori rapporti fra Vittorio
Emanuele e Garibaldi. — Importanti particolari in due lettere dirette dal generale
Tiirr a Garibaldi. — L' étìqueUe di Corte infranta. — Menotti e Tiirr ballano
la « contradance » colla Duchessa di Genova Pag- 373-415
CAPITOLO XVI.
Garibaldi apostolo di pace.
Lettere all'Imperatore Guglielmo e a Bismarck.
Memorandum diretto da Garibaldi alle Potenze, subito dopo la battaglia del Volturno.
— Vuole la fratellanza dei popoli ed una sola lingua mondiale. — Garibaldi
sognò pure una sua Religione del Vero. — Lettere a Filopanti. — La campagna
di Francia chiude la vita dell' Eroe guerriero. — Quello che scrisse della strategia
garibaldina il generale tedesco Manteuffel. — Ricciotti Garibaldi racconta particolari
inediti ed interessanti sulla presa della bandiera. — La sua spada per quarantotto
ore sotto gli ordini di S. M. 1' Imperatore Guglielmo. — La collera di Bismarck
contro Garibaldi ed uno storico colloquio fra il Cancelliere e Jules Favre. — Garibaldi
avrebbe dovuto passeggiéire per le strade di Berlino con un cartello sul dorso.
— Un abile colpo di spirito del conte di Hérison. — Bismarck e Garibaldi diventano
grandi amici. — Filippo Villani fu il trait d'union fra i due personaggi. —
L' ammirazione di Garibaldi per il Cancelliere tedesco. ^ Scambio d' idee poli-
tiche. — Garibaldi nel '72 scrive all' Imperatore Guglielmo I ed a Bismarck di farsi
iniziatori di un Arbitrato per la pace e la fratellanza dei popoli . . Pag. 417-428
ELENCO DEI FACSIMILI E DELLE ILLUSTRAZIONI
1 . Statalo del « Battaglione Italiano della Morte • con osservazioni e firma
autografe di Garibaldi. (Firenze, 5 ottobre 1848) Pag. 4
2. Formula di giuramento, che doveva essere sottoscritta dai volontari del
« Battaglione Italiano della Morte » » 4
3. Lettera di Garibaldi alla madre. (Maddalena, 16 ottobre 1849) .... » 8
4. Atto di matrimonio di Garibaldi con Anita, in autografo di Lorenzo
Fernandez, parroco della chiesa di San Francesco d'Assisi in Mon-
tevideo, dove fu celebrato il matrimonio (Montevideo, 16 giugno 1842) » 8
5. Firma autografa della madre di Garibaldi, in una lettera a lui diretta.
(Nizza, 3 gennaio 1852) » 12
6. Lettera di Garibaldi ad Anita, partita per 1' Italia con Menotti, bambino,
e Ricciotti, lattante. (Montevideo, 10 marzo 1848) » 12
7. Convenzione autografa per 1' acquisto di Caprera, stipulata fra Garibaldi
ed i vari proprietari dell'isola. (Caprera, 29 dicembre 1855). ... » 15
8. Lettera diretta da Garibaldi ad Anita durante la difesa della Repubblica
Romana, prima che essa ivi lo raggiungesse. (Roma, 2! giugno 1849) » 16
9. Passaporto rilasciato a Garibaldi dal Mayor di New -York, con firma
autografa del Generale. (New- York, 2 aprile 1851) » 24
10. Certificato di secondo pilota di Altura, rilasciato a Garibaldi nel Perù.
(Callao, 31 ottobre 1851) » 28
1 1 . Diploma di Capitano di lungo corso dato dal Governo Piemontese a
Garibaldi, con firma autografa del Generale. (Torino, 8 agosto 1835) » 32
1 2. Passaporto ottenuto da Garibaldi dal Console francese a Nizza , sotto
il falso nome di « Joseph Pane », in autografo di Garibaldi, e che
doveva servirgli per andare a liberare Settembrini, Poerio, Spaventa
dall'ergastolo di Santo Stefano. (Nizza, 31 gennaio 1856) » 40
13. Originale della lettera diretta dal conte di Cavour a Garibaldi, con la
quale gli affida il comando del Corpo dei Cacciatori delle Alpi.
(Torino, 17 marzo 1859) » 40
XXIV ELENCO DEI FACSIMIL.I E DELLE ILLUSTRAZIONI
14. Decreto di nomina di Garibaldi a Maggior Generale dell'Esercito Pie-
montese e di comandante il Corpo dei Cacciatori delle Alpi. (Tormo,
17 marzo 1839) Pag. 48
15. 11 « Programma Italiano » di Garibaldi (1856) » 48
16. Decreto che conferisce la medaglia d'oro al valore militare a Garibaldi
per le prove date d' intrepidezza e di bravura nei combattimenti contro
gli austriaci. (Torino, 24 luglio 1859) » 56
1 7. Lettera del generale E. Cialdini a Garibaldi, partente per 1' Italia Cen-
trale. (Castenedolo, 26 agosto 1859) » 56
18. Lettera di Victor Hugo a Garibaldi, dopo la pubblicazione francese del
libro del Generale « / Mille ». (Paris, 18 septembre 1874) » 64
19. Lettera di Edgard Quinet a Garibaldi dopo la pubblicazione francese
del libro del Generale « / Mille ». (Versailles, janvier 1875) ...» 72
20. Lettera di Garibaldi a Rosalino Pilo dopo la battaglia di Calatafìmi.
(Calatafìmi, 16 maggio 1860) » 76
21. Lettera di Garibaldi a Rosalino Pilo. (Partinico, 18 maggio 1860). . . » 76
22. Lettera di Garibaldi a Rosalino Pilo. (Partinico, 18 maggio 1860). . . » 76
23. Lettera di Garibaldi a Rosalino Pilo. (Misero Cannone, 19 maggio 1860) » 76
24. Lettera di Kossuth a Garibaldi, nella quale invoca la benedizione del
Dio della Vittoria. (Londres, 20 mai 1860) » 80
25. Ordine del generale Lanza al colonnello Bonanno, in autografo di Mani-
scalco. (Palermo, 26 maggio, 1 2,30 pom. , 1 860) » 88
26. Le condizioni dell' armistizio , che si voleva imporre a Garibaldi a
bordo della nave ammiraglia inglese " Hannibal ,,, in autografo di
Garibaldi. (Palermo. 30 maggio 1860) » 92
27. La firma del generale Lanza in una lettera diretta a Garibaldi. (Palermo,
1." giugno 1860) » 96
28. Lettera di Giacomo Medici a Garibaldi contro Mazzini e Bertani.
(Genova, 25 maggio 1 860) » 1 04
29. Lettera di Bertani a Garibaldi con la quale gli presenta A. Mordini
ed esprime giudizi su La Farina e Cavour. (Genova, 8 giugno 1860) » 120
30. Lettera dell' ammiraglio Persano al conte di Cavour, nella quale gli chiede
se deve veramente arrestare Garibaldi, se questi avesse toccato le
coste della Sardegna, e risposta autografa di Cavour. (Cagliari,
8 maggio 1 860, 7 ore pom.) » 144
31. Brano autografo di Garibaldi sul divieto del passaggio del Faro nel
luglio 1860 » 144
32. Lettera del conte di Cavour a Costantino Nigra, in cui si dice che i
soldati di Fanti e di Cialdini non desiderano di meglio che sbaraz-
zare il paese dalle camicie rosse. (Torino, 22 settembre 1860) ... » 168
33. Lettera di Garibaldi all' ammiraglio Persano relativamente al luogo dove
doveva approdare la spedizione comandata da Giacomo Medici.
(Palermo, 1 5 giugno 1 860) » 1 76
ELENCO DEI FACSIMILI E DELLE ILLUSTRAZIONI XXV
34. Lettera di Medici a Garibaldi, in cui gli dice di essere giunto a Castel-
lamare. (Castellamare, 17 giugno 1860) Pag. 176
35. Lettera dell' ammiraglio Persane a Garibaldi riguardante La Farina.
(Palermo, 22 luglio 1860) >> 192
36. istruzioni segrete date da Garibaldi al comandante De Rohan. (Palermo,
22 giugno 1860) » 192
37. Lettera dell'ammiraglio Persane a Garibaldi con la quale lo avvisa di
essere sbarcata gente in Palermo col proposito di assassinarlo. (Palermo,
9 giugno 1860) >> 208
38. Firma di Gideon S. Lang, in una lettera diretta a Garibaldi. (London,
6 june 1860) » 263
39. Lettera di A. Saffi a Garibaldi, con la quale gli fa noto l' interessa-
mento che la nazione inglese prende all'impresa garibaldina. (Oxford,
4 giugno 1860) » 272
40. Lettera di Giorgio Pallavicino a Garibaldi. Gli dice di stare in guardia
tanto da Cavour che da Mazzini. (Torino, 19 giugno 1860) » 288
41. Lettera di Mazzini a Garibaldi. (17 giugno 1860) » 296
42. Appello di Garibaldi agli italiani. (Caprera, 28 novembre 1860). ... » 312
43. Lettera di Vittorio Emanuele a Garibaldi. (Torino, prima metà di luglio,
1860) » 344
44. Promemoria di Vittorio Emanuele per Garibaldi. (Torino, prima metà di
luglio, 1860) » 344
45. Lettera di Vittorio Emanuele a Garibaldi dopo l' entrata di questi in
Napoli. (Torino, 12 settembre 1860) » 348
46. Lettera di Vittorio Emanuele a Garibaldi, in risposta ai desiderio da
questi espresso di licenziare il Ministero. (Torino, verso il 1 5 set-
tembre 1860) » 352
47. Lettera di Vittorio Emanuele a Garibaldi, dopo la battaglia del Volturno.
(Ancona, 9 ottobre 1860) » 356
48. Lettera di Vittorio Emanuele a Garibaldi. (Probabilmente da Presenzano,
il 25 ottobre 1860) » 364
49. Lettera di Vittorio Emanuele a Garibaldi, dopo l' incontro a Teano.
(Teano, 26 ottobre 1860) » 364
50. Lettera di Vittorio Emanuele a Garibaldi, con la quale lo prega di
portarsi verso Capua e d' intendersi col generale Della Rocca .
(Teano. 27 ottobre 1860) » 364
51. Brano della lettera diretta da Garibaldi a Vittorio Emanuele, il 29 da
Caserta, in autografo di F. Crispi, con correzione di pugno di Garibaldi » 368
52. Lettera di Vittorio Emanuele a Garibaldi in risposta a quella del 29,
con la quale il Dittatore gli rimetteva il potere su dieci milioni
d'Italiani. (Sessa, 31 ottobre 1860) » 372
53. Ultima lettera diretta da Vittorio Emanuele a Garibaldi durante la
campagna del 1860. (Napoli, 7 novembre 1860) » 372
XXVI ELENCO DEI FACSIMILI E DELLE ILLUSTRAZIONI
54, 55, 56, 57. Piani di attacco e di difesa nella battaglia del Volturno e
di Caserta vecchia ; I " e 2 ottobre 1 860, disegnati dal generale
Menotti Garibaldi Pagine 375, 377, 379, 380
58, 59. Due pagine di un quaderno in cui Garibaldi, appena ritornato in
Caprera, nel 1860, comincia ad annotare i lavori agrari e pastorizi. Pag. 408
60. Lettera di Garibaldi al principe di Bismarck, in cui gli propone di farsi
iniziatore di un Arbitrato mondiale per rendere la guerra impossibile
fra le Nazioni. (Caprera, 20 dicembre 1 872) » 428
1. Cavour » 124
2. Stampa allegorica pubblicata in Londra, il 10 aprile 1859 » 256
3. Vittorio Emanuele » 336
4. Garibaldi » 360
GARIBALDI
VITTORIO EMANUELE, CAVOUR
NEI FASTI DELLA PATRIA
CAPITOLO I.
NEL CAMMINO DELLA GLORIA
(1848-1854).
LJn placido mattino di luglio del 1848, un uomo nato dal popolo con
l'amore per la patria nel cuore, tornato in Italia dopo quattordici anni di esilio,
si presentava al cospetto di un re, che il poeta dell' Italia rinnovellata nomò
•« r Italo Amleto » .
Come r anno innanzi dalla lontana terra d' America, palestra di eroiche
gesta, egli, libero pensatore, aveva offerto il braccio ad un Pontefice, che in un
momento di fatua ispirazione da una loggia del Quirinale invocava la benedizione
di Dio suir Italia ; repubblicano, veniva ora ad offrire spada e cuore a quel
re, dal quale era stato condannato alla pena di morte come ribelle ; che si
era fatto il difensore della patria contro il dominio dello straniero. Ed il
Sovrano, narrano le cronache di quel tempo, accolse con principesca cortesia
il biondo guerriero nella sua rossa assisa ; egli non respinse, ne accettò ; ma
lasciò che uno dei suoi Ministri rifiutasse la generosa offerta !
Non per questo però, il milite della libertà rimase inoperoso, e la sua spada,
che aveva combattuto contro la tirannide in terra straniera, rifulse di gloria
contro i nemici della patria sulle pianure lombarde, a Luino e a Morazzone ;
poi, epicamente sul Gianicolo, rinnovellando al mondo i fasti dell antica italica
virtude.
Prima di venire a Roma, durante un breve soggiorno in Toscana, chiama-
tovi dal Montanelli e dal Guerrazzi a spalleggiare la Costituente, Garibaldi,
spinto dal desiderio di accrescere la sua Legione, ammontante a soli 85 uomini,
aveva fatto appello alla gioventù per formare un battaglione di scelti ed animosi
individui, i quali avessero la volontà irremovibile di conseguire l' intera indipen-
denza d' Italia o morire.
CURÀTULO I
NEL CAMMINO DELLA GLORIA
Una pagina commovente, inedita, della storia di quei giorni è il Programma
del « Battaglione Italiano della morte », stampato clandestinamente nel luglio
del *48 in Roma e che qui si vede riprodotto. Le osservazioni scritte alla fine
del prezioso documento, sottoscritte da Garibaldi, provano essere esso lo Statuto
originale mandato al Generale, perchè lo approvasse. La qual cosa egli fece
il 5 ottobre, manifestando il desiderio, che nell' uniforme dei volontari fosse tolta
l'insegna della morte al cappello, lasciando soltanto quella sul petto.
Leggendo oggi quel Programma e la formula di giuramento, che ciascun
volontario doveva sottoscrivere, un senso di commozione mvade l' animo.
« Io prometto solennemente sul mio onore e sull'anima mia di combattere
e morire per la totale indipendenza d'Italia ».
Questo giurava la gioventù italiana nel 1 848 e dopo sessantadue anni 1* indi-
pendenza della Patria, secondo i naturali geografici confini, è ancora di là da venire!
*
*
Ma r alba di speranza che aveva illuminato, in quell' anno fatidico, il cielo
della patria, si dileguava sul campo infausto di Novara, e la gloriosa Repub-
blica Romana periva per opera di una Repubblica sorella.
Una notte lunga, tenebrosa, piombò suU' Italia e fu necessario che il
sangue di altri martiri tornasse a scorrere su questo sacro suolo, prima che
dall'albero della libertà maturassero gli eventi fortunosi del '59, i fasti memorabili
del 1860.
L' eroe del 30 aprile rimette la spada nel fodero in attesa di nuovi cimenti,
e, condannato novellamente all' esilio, diventa l' umile operaio fabbricatore di
candele di Staten Island, presso New- York. Poi, stanco di quel mestiere, va
errando per il mondo, affrontando la tempesta degli oceani con la tempesta
neir animo ; lontano d' Italia, ma sempre con l' Italia nel cuore.
La via del secondo esilio fu per Giuseppe Garibaldi sparsa di amarezze e
di dolori. Respinto dal Bey di Tunisi per opera di Napoleone III, va a Malta;
da qui ritorna alla Maddalena, aspettando le decisioni del governo piemontese
sospettoso del difensore della Repubblica Romana. E appunto di quei giorni
l'importante lettera inedita seguente, diretta all'amico del cuore, a Giovanni
Battista Cuneo.
NEL CAMMINO DELLA GLORIA
Garibaldi a G. B. Cuneo.
Maddalena, 14 ottobre 1849.
Fratello mio,
Ho ricevuto la tua del 30 settembre e te ne ringrazio, come pure delle tante
cure a prò mio. Io mentre desideravo passare alcuni giorni di quiete colla mia fami-
gliola, non mancai di pormi all'altura della circostanza, preparandomi a qualunque
risultato. Non mi ha sorpreso adunque, ciò che avvenne e sono, come sempre, rasse-
gnato a tutto. Ebbi una lettera di Pacheco invitandomi a scegliere Montevideo per
residenza ; egli mi scrive desiderare un abboccamento ed io gli rispondo : farò da parte
mia il possibile, non so se vi riusciremo. Anzitutto io bramavo rimanere in patria;
non polendo, preferirò tornare da dove venni, qualora non vi siano inciampi. Ho lasciato
r incarico di rispondere in tal guisa a Matteo Antonini, essendosi a lui diretto il
Ministro degli Esteri ed aspetterò la decisione. La lettera all' Intendente di Chiavari
è reale; lo stile è di Paolino {Fabrizi?). Mi avrai certamente favorito coi dovuti
ringraziamenti ai generosi propugnatori della mia difesa alla Camera e ti prego di
salutarmeli. Abito in casa del comandante dell' Isola, che mi tratta egregiamente, come
questa buona popolazione tutta. Passo la maggior parte del tempo a caccia e pesca,
procurando di scacciare certa maledetta malinconia, che mi aveva invaso da qualche
tempo. L'affare di Tunisi non ti avrà sorpreso, a me neppure. La simpathie francaise!
ed a Montevideo li troverei ancor più belli, più simpatici che mai! Povera Monte-
video ! L' unica ripugnanza nel rivederti sarebbe quella !
TuUo tuo
A tergo della lettera : G. GARIBALDI
G. B. Cuneo
Deputalo all'Assemblea Nazionale
Torino
Due giorni dopo scriveva alla Madre.
Garibaldi alla Madre.
Maddalena, 16 ottobre 1849.
Amatissima madre,
Questa è per dirvi che sto bene, e non so ancora cosa di me abbia deciso il
Ministero. Passo il tempo a caccia e pesca. Abbraccio i figli, saluto i parenti ed
amici. Scrissi a voi ed Augusto varie lettere.
Vostro
G. GARIBALDI
A tergo della lettera :
Vedova Rosa Garibaldi
Porto Nizza Marittima
NEL CAMMINO DELLA GLORIA
Il 24 ottobre del *49 Garibaldi partiva dalla Maddalena per Gibilterra,
luogo d' esilio assegnatogli dal governo piemontese ; lo trasportava il brigantino
da guerra a vela " Colombo ,,. Ma il Governatore non gli permise di sbarcare,
e respinto pure dalla Spagna, il 1 4 novembre partì per Tangeri, dove alfine
trovò un po' di riposo fino all' estate del 1850, ospite di Giovanni Battista
Carpanetti. Poi, nei primi di luglio, nella speranza di trovar lavoro come marinaio,
va a New- York, passando per Gibilterra e per Liverpool.
Dissi che la via del secondo esilio fu per Garibaldi piena di amarezza.
Egli aveva lasciato l' Italia con l' anima lacerata da una grande sventura ! Là,
nella pineta di Ravenna, alle Mandriole, in un triste meriggio, aveva perduto
la sua Anita, la dolce compagna, che nelle lontane terre d' America e sugli
spalti fumanti di S. Pancrazio aveva con lui diviso le ansie di mille pericoli,
i sorrisi di tante vittorie. Anita, cavalcandogli al fianco, lo aveva seguito nella
lunga e difficile ritirata da Roma a San Marino ; ma, affranta dalle fatiche,
portante nelle viscere il frutto del suo amore, spirava nelle braccia del marito,
che, inseguito dagli Austriaci come una belva, era stato costretto ad abbando-
nare le amate spoglie, ancora calde, alla pietà di umili contadini.
Sulla legittima unione dell' eroe con Anita Riveiro de Jesus molto fu
discusso. Si disse che Garibaldi, innamoratosi della forte figlia brasiliana, la
rapisse dal tetto coniugale. La pubblicazione dell' atto di matrimonio fatta dal
Guerzoni pose fine ad ogni dibattito ; ma l' atto di matrimonio edito dallo storico
garibaldino, che è una copia in data « Montevideo, 27 gennaio 1881 », pre-
senta qualche inesattezza. Il documento originale del tempo, scritto tutto di pugno
di quel Lorenzo Fernandez, parroco della chiesa di S. Francesco d' Assisi, dove
Garibaldi si era sposato, è quello che qui si vede riprodotto in facsimile dall' ori-
ginale. Esso porta la data «Montevideo, 16 giugno 1 842 », tre mesi dopo la
celebrazione del matrimonio, avvenuto il 26 marzo.
Atto di matrimonio di Garibaldi con Anita, scritto dal Rettore della Par-
rocchia, dove essi sposarono. (Dall'autografo dell'epoca).
Certifico }fo el infrascrito Cura Redor de està Parroquia de S. Francisco de Asis en
Montevideo que en el libro primero de casados de està Parroquia al folio veinte 1;
siete, à la Vuelta està la partida, que es del tenor siguiente:
El dia veinte y seis de Marzo de mil ochocientos quaranta y dos, el Presbitero
D. Zenon Azpiasu mi lugarteniente en està Parroquia de S. Francisco de Asis en
Montevideo autorizó el matrimonio, que in facie Ecclesiae contrajo por palabras de
BATTAGLIONE mmm DELLA MORTE
1. v^uesto Battaclio><e si compone di scelti, e volonterosi individui italiani.
2. La sua insegna porta per epigrafe invariabile « Inteba Indipendenza ,
o Morte » La slessa epigrafe è segnata nel negro vessillo con cravatta trico-
lore, che si dispiega dal Battaglione.
3. Ogni individuo addetto al Battaguone della Morte , nello iscriversi ,
lirnierà la scheda corrispondente, e farà solenne promessa sul proprio onori-
di sostenere la nazionale indipendenza sino al totale suo conseguimento, e di
non abbandonare le bandiere, finche la medesima non sia proclamala secondo
i naturali geografìe! confini dell' Italia.
4. Questa solenne promessa verrà confermala , e ratifìcata ad alta voce
in ogni Rivista del Comandante il Battaglione, o del Generale, portando cia-
scheduno la mano al cuore, e la seguente sarà la formula da pronunciarsi:
• Solennemente phometto, e cubo e meco Voi, Commilitoni, promet-
■ tete, di combattere, sostenendo l'italica bandiera fino al pieno consegli-
• mento della NA710NALE INDIPENDENZA ».
Tulli risponderanno • giuro •.
j. Il Battaglione si comporrà di ottoccnlo individui almeno, di eivil con
dizione, e di provati principiì.
Si riceveranno dagli anni 18 ai .10. I provelli . ed anche maritati si
riceveranno dai io ai 60, purché sia dagli ufTiziali sanilarii giustilìcalo lo sialo
di fisica robustezza.
I minori dal 14 al 18 si riceveranno, se giunti alla prcscritla, misu-
ra, e col consenso de' loro genitori; molto più poi se al dello Corpo Militare
il genitore appartenga.
6. L'uniforme è descrilto nel Fignriiio annesso. I distintivi degli UlTiziali
e Sotlo-UITiziali saranno stabiliti mediante contrassegni particolari.
7. L' uniforme é a carico dell' individuo ; a carico però del Governo sarà
l'armamento, e mantenimento.
8. Il Generale Gabibaloi ha già a.ssunto per iscritto l' impegno di coman-
ilare il Battaglione , che si pone dircllamenic sotlj gli ordini Suoi.
— 2 —
t). V inramia è appannaggio del vile , che ariliscc ritirarsi dalle (ile , pri-
ma del icrmine della guerra sacra dell' InDireKVEN/A , senza motivo evidente-
mcnle legittimo, e comprovato.
in. Gli avanzamenti non saranno conrerìlì , che per capacita , e per di-
stinzioni nel militare servizio. Sarà indegno d'avanzamento, o di qualunque
siasi grado quegli clic invece della capacità, e del merito yiuTARE per soSle-
iioflo, cercasse invece procurarselo con impegni, od altri illeciti, e poco ono-
revoli niezzj.-' Questo Articolo dovrà essere da tutti. compreso, .ed osservalo in
tutto ìj senso Ultissimo delle parole.
'11. Il tempo che decorrerà dalla sottoscrizione alla chiamata sotto le ban-
diere.verrà impiegato da ciascun indivìduo nella particolare istruzione intorno al
mestiere delle armi. E dovendo questo Battaglione ancora completarsi del numero
.'^UfTiciente ,' e regolarsi in' modo che corrisponda alla dignità, ed alla forza del
suo nome, perciò se frattanto qualcuno degl'individui che lo compongono >o-
lesse anticipatamente presentarsi al campo, e prestar T opera sua sotto il
inedesinM SiG. Generale GARI6,4LDI , o nella Venezia, o sotto qualunque
altro Coudottiero in Italia , potrà fari» purché non indossi l'uniforme della
jMobte , la qoale potrà solo indossarsi dopoché il completo Battaglione avrà
«vulo Governativa facoltà ed ordine di presentarsi alla guerra, ed avrà per la
prima volta spiegato la sua Bandiera-
io. La nomina del primo Stato Maggiore , e dei primi llfliciali, e sotto Uf-
ficiali verrà fatta dal Sig. Generai e GAHIBAI.DI a pieno sao libito, avuto
^emp^e iii visla anche per questa prima nomhia 1' Arlieolo decimo.
13. Il Baitaclioxe vien posto sotto la diretta protezione, .e sorveglianza
non solo del Goicrno, ma eziandio di lutti i CincoM-liAi iani. Perciò ad ognuno
di E-ssi sarà dato un elenco dei Soggetti componenti il Battaglione racilesimo con la'
relazione delle eroiche imprese di ciascun individuo, le Xerite, e le'promozioni
riportale. Verranno però ai medesimi Circoli notificate, come le prove di va-
lore di ogni uno, cosi i cenni di qualche fallo riprovevole, o di zelo intiepi-
dito per la causa llaliana, do\e mai queslo sinistro eienlo si verificasse.
Pregansi i Cittadini Presidenti dei Circoli medesimi a >olpr lenere nella Sala
delle adunanze pubhlicamentt; esposto i' albo dei soggetti che il Battagijone
PEi.LA Morte compongono, e .id ogni circostanza pubblicare sotto il medesimo,
con analogo Bollettino le glorie, o i denierili d'oj^ni individuo, a qualunque
grado , ed a qualunque classe esso appartenga , non riconoscendo il Batta-
glione che una perfettissima Eoi aglianza in tutti i cittadini , salvo la più ri-
gorosa dipendenza , e sulMrdioazione tra militi nella Gerarchia militare. Perciò
verrà dallo stesso Sic. Generale GARIBALDI nominala nel Battaglione una
CouMissioNE DI Sorveglianza die dovrà mettersi in diretta corrispondenza con
i detti Circoli. La Commissione perù non potrà spedire alcun rapporto se prima
le cose in esso esposte non saranno pienamente provale, e .sancite dall'Illu-
stre Gekerale. I tre più acciedilati Giornali di Roma, Firenze, e Torino sa-
ranno incaricati di pubblicare le prove di valore e liceversa di ciascfaetlun
individuo.
— 3 —
li. Nella disgraziata Ipolesi- (la quale Iddio protcltore d'Italia tenga lon-
laoa ), die lo stesso Signor Genehale GARIBALDI restasse prigioniero , o
mancasse ai rivi , il Battagliore rinaito ha il diritto di prescegliere un nuovo
Generale , 0 dal suo seno. 0 da qualuhquealtro corpo di Milizia esclusiva-
mente italiana. 0 ^.n . -N
J5. Il Cappellano del Battaglione sarà il Reverendo ' r t'^»'^ '''^
' IG. Fcr il rimanente il Battaglione si UDiTormerà ai Regolamenti discipli-
nari in cor^o.
Roma t8 Luglio i8i8.
ctavi'iMt.i, 0 OKr^'aic, •■ U ai/ojt .i-V oy^' ~J'^'^' n<*-*^ ■ ^t.
\,vJ^
Originale dello Statuto del " Battaglione Italiano delia Morte „ con
osservazioni e firma autografe di Garibaldi. (Vedi pag. 2).
BATTAGLIONE [TAUAI^O DELLA MORTE
lo infrascritto
di condizione
domiciliato a
dichiaro di far parte nella qualità di comune nel Battaglione Ita-
liano DELLA MonTE comandato dal Sig. Generale G. GARIBALDI , du-
rante l'attuai guerra sacra della Indipendenza Italiana, e prometto
solennemente sul mio onore, e sull'anima mia di seguir sempre fe-
delmente l'italico vessillo, di uniformarmi alle condizioni del Pro-
gramma 18 Luglio 4 848 da me in copia ricevuto , e di -combattere
e morire per la totale indifendenza d'Itaua.
Così Iddio mi ajuti!
li
1848.
Formula di giuramento che doveva essere sottoscritta dai volontari
del " Battaglione Italiano della Morte „. (Vedi pag. 2).
NEL CAMMINO DELLA GLORIA
presente D. Jose Domingo Garibaldi naturai de Italia, hijo legitimo de D. Domingo
Garibaldi, y de D" Rosa Raimunda : con D" Ana Maria de Jesus naturai de la Laguna
en el Brasil hija legitima de D. Benito Riveira y de D' Maria Antonia de Jesus:
habiendose leido una sola proclama por haberse dispensado las otras dos, practicadas
las demas diligencias, que previene el Derecho Canonico ; no recibieron las bendi-
ciones nupciales : siendo testigos de su otorgamiento D. Fabio Semidei, y D' Feli-
ciana Garcia Billegas: lo que por verdad firmo.
LORENZO A. FERNANDEZ
Està conforme al originai al que me remito en caso necesario y para los fines que
convenga.
Montevideo, 16 de junio de 1842.
LORENZO A. FERNANDEZ
Eccone la traduzione letterale:
Certifico io sottoscritto Rettore di questa Parrocchia di S. Francesco di Assisi di Monte-
cideo, che nel libro primo dei matrimoni di questa Parrocchia, al foglio ventisette,
vi è // certificato seguente:
li giorno ventisei Marzo mille ottocento quaranta due, il Sacerdote D. Zenon
Azpiasu mio Vice-Parroco in questa Parrocchia di S. Francesco di Assisi di Mon-
tevideo autorizzò il matrimonio, che in facie Ecclesiae contrasse, essendo presenti gli
sposi, D. Giuseppe Domenico Garibaldi, nativo di Italia, figlio legittimo di D. Dome-
nico Garibaldi e di D' Rosa Raimunda, con D" Anna Maria de Jesus nativa di La
Laguna nel Brasile, figlia legittima di D. Benito Riveira e di D° Maria Antonia de
Jesus, essendosi letta una sola pubblicazione per essersi dispensate le altre due, e dop>o
aver fatte le altre pratiche, che prescrive il Diritto Canonico : non ricevettero la bene-
dizione nuziale: furono testimoni del loro matrimonio D. Fabio Semidei e D' Feli-
ciana Garcia Billegas: il che attesto e firmo.
LORENZO A. FERNANDEZ
E conforme all' originale, al quale mi rimetto in caso necessario e per tutto ciò che
possa convenire.
Montevideo, 16 giugno 1842.
LORENZO A. FERNANDEZ
La morte di Anita, la sola donna che Garibaldi amò di vero amore, fu
per la sua anima un grande dolore. Storici e biografi ci hanno narrato quale
immenso affetto l' eroe nutrisse per la sua compagna ; ma nessuna pagina di
storia fu mai così commovente e così vera, come quella consacrata nella lettera
inedita, che Garibaldi scriveva da Montevideo all'eroica donna, partita per l' Italia
NEL CAMMINO DELLA GLORIA
nel dicembre del '47 con Menotti e Teresita bambini, e Ricciotti ancora lattante.
La lettera, come si vede dal facsimile, è scritta in spagnuolo ; ne do qui la
traduzione letterale.
Garibaldi ad Anita.
Montevideo, marzo IO, 1848.
Mìa cara Anita,
Incidenti piuttosto spiacevoli ritardano la nostra partenza di alcuni giorni. Anzani
è stato colpito dalla sua malattia in modo molto violento e Sacchi è stato ferito in un
ginocchio, e poco è mancato che non perdesse la gamba ; però entrambi si trovano
migliorati e spero, che non passeremo marzo in Montevideo. La nave che ci porta si
chiamava " Bifronte ,, quando era sotto bandiera Sarda e si chiamerà " Speranza ,,
con il cambio in bandiera Orientale. Questa ti giungerà a Nizza o a Genova, ed in
qualsiasi luogo con mia Madre. Tu prenderai cura della mia povera vecchia per amor
mio; tu le farai dimenticare le preoccupazioni, che la vecchiaia le cagiona. E sfata
sempre tanto buona mia Madre! Se questa ti raggiunge a Nizza, desidero vivamente
che ti trovi contenta; desidero, che tu ti goda il bel cantuccio di terra, che mi vide
nascere; che ti sia caro come lo è sempre stato al mio cuore. Tu conosci la mia
idolatria per l'Italia, e Nizza è certamente uno dei più splendidi luoghi di questa
patria tanto infelice e pur tanto bella, e che io giustamente più amo. Amala anche
tu, Anita mia, ed io gradirò questo amore. Quando tu passeggi per i luoghi, che mi
videro fanciullo, ricordati del compagno delle tue pene che tanto ti ama, e salutali a
nome mio. Desidero che tu conosca mio fratello Felice, affinchè possa giudicare da
te stessa, che mi resta ancora un fratello buono e degno di me. I miei parenti Gustavin,
Court, Garibaldi, ti avranno, senza dubbio, ben accolto, come pure mio fratello, Pepin,
Giaume e tutti gli altri amici miei. Sarò eternamente grato a tutti per quello che
faranno per te. Abbracciami Menotti, Tita e Ricciotti e la mia cara Mamma, e tu
pensa al tuo fedele
G. GARIBALDI
P. S. - Ti raccomando tutte le mogli degli ufficiali che mi accompagnano.
Questa lettera non ci rammenta i versi del Poema ?
« Posa redenta, accanto alla gentile
Mia genitrice, o Anita, e ben rammenti
Quel d' angiolo sorriso e la soave
Di lei favella incantatrice, e il dolce
Che t' accoglieva cunplesso, allorché stanca
Del lungo andar presso l' amata Madre
Riedevi, e intorno i festeggianti allegri
NEL CAMMINO DELLA GLORIA
Tuoi pargoletti. Le passate angoscie
Si cancellavan dal tuo cuore, e immerso
Io nell'ebbrezza degli affetti, il pondo
Dimenticavo degli affanni e tutta
Come di cielo m' apparia la terra ! »
Parlando della compagna di Giuseppe Garibaldi non so, in verità, tratte-
nermi dal ripubblicare dall' autografo, anch' esso da me religiosamente custodito,
la lettera che egli le scriveva nel giugno '49 da Roma, prima che Anita quivi
lo raggiungesse. Il documento fu pubblicato nel '82, subito dopo la morte di
Garibaldi ; ma è bene che sia rammentato in quest' anno di sacri ricordi.
Roma, 31 giugno 1849.
Mia cara Anila,
lo so che sei stata e che sei forse ancora ammalata; voglio vedere dunque la
tua firma e quella di mia Madre per tranquillizzarmi. I Gallo-Frati del Cardinale Oudinot
si contentano di darci delie cannonate e noi, quasi per perenne consuetudine, non ne
facciamo caso. Qui le donne ed i ragazzi corrono addietro alle palle e bombe, gareg-
giandone il possesso. Noi comballiamo sul Gianicolo, e questo popolo è degno della
passata grandezza. Qui si vioe, si muore, si sopportano le amputazioni al grido di
« Viva la Repubblica ». Un'ora della nostra vita in Roma, Vale un secolo di vita!...
Felice mia Madre di avermi partorito in un'epoca così bella per l'Italia! Questa notte
30 dei nostri, sorpresi in una casetta fuori le mure da centocinquanta Gallo-Frati, se
r hanno fatta a baionettate ; hanno ammazzato il capitano; tre soldati , quattro prigionieri
del nemico ed un mucchio di feriti. Noi un sergente morto ed un milite ferito. I nostri
appartenevano al Reggimento •< Unione ». Procura di sanare; baciami Mamma, i bimbi.
Menotti mi ha beneficiato di una seconda lettera: gHe ne sono grato. Amami molto.
Tuo
A tergo del foglio: G. GARIBALDI
Anita Garibaldi
Nizza Marittima
Dopo la difesa di Roma e la miracolosa ritirata, Garibaldi riprende la via
dell' esilio a lui già nota. Lunghi giorni di dolore dovevano ancora trascorrere
prima che si dileguassero diffidenze e sospetti ; prima che egli potesse vedere realiz-
zato il gran sogno della sua esistenza e combattere per la libertà della patria.
E l'eroe canta :
« Prosegui il tuo cammin. Proscritto ; un pugno
Troverai sempre d' insoffrenti il peso
NEL CAMMINO DELLA GLORIA
Delle catene. Invano la birraglia
Di quattro Re t' insegue ! Il santuario
Che porti in cuore per l' Italia, infranto
Non sarà questa volta. A dure prove
Tu sei serbato ancor, e degli sgherri
Tutt' ora i sonni turberai. L' impronta
Del ferro del tuo baio, alle regali
Stanze stampata, insegnerà a' protervi
Che anche per loro giunge l' ora, e il pane
Assaggeran della sventura, e il duolo ». '
Non mi propongo di seguire 1' eroe in tutte le vicende dolorose, che gli
occorsero dal '49 fino all' epoca del suo definitivo ritorno in Italia, al 1 854.
Ma poiché è questo un periodo appena trattato dai suoi biografi, credo utile,
nell interesse della storia, il pubblicare alcuni importanti documenti inediti, che
riguardano il futuro Duce dei Mille negli anni amari dell' esilio, alla vigilia delle
sue glorie. E bene intanto tener conto di alcune date.
Garibaldi arrivava in New- York il 30 luglio del 1850 e la New-Yorl^ Tri-
bune V annunciava così : « La nave " Waterloo ,, è giunta a Liverpool questa mat-
tina portando Garibaldi, l'uomo di fama mondiale, l'eroe di Montevideo e difensore
di Roma. Egli sarà accolto da quanti lo conoscono come si deve al suo carattere
cavalleresco ed ai suoi servizi in favore della libertà ». Rimasto quasi un anno,
lavorando da semplice operaio nella fabbrica di candele del Meucci in Staten
Island, presso New- York, il 2 1 aprile del ' 5 1 riprese la vita di marinaio e la
New- York Tribune stampava: « Fra i passeggeri del " Prometeus ,, che fece
vela ieri dopo pranzo era il generale Garibaldi, l' illustre patriota italiano ed esule,
che partì in compagnia di un amico commerciante. Che la fortuna gli arrida ! »
L' amico cui si allude è Francesco Carpanetto, venuto da Genova per iniziare
una speculazione commerciale fra l' Italia e l' America centrale e meridionale,
servendosi di una nave di sua proprietà nominata " S. Giorgio ,, partita da
Genova verso la fine di gennaio, avendo per ultima destinazione Lima, nel Perù.
Il grande proscritto lasciava New- York con un passaporto rilasciatogli dal
Mayor di quella città. L'importante documento, qui riprodotto dall'originale,
' Garibaldi - Poema autobiografico ecc., canto X, pag. 77.
' H. Nelson Gay - In « Nuova Antologia > 1910.
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Lettera di Garibaldi alla Madre. Maddalena, 16 ottobre 1849. (Vedi pag. 3).
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/Ilo di matrimonio di Garibaldi con Anita in data del 16 giugno 1842 e in autografo di Lorenzo A. Fernandez,
Parroco della chiesa di S. Francesco d'Assisi in Montevideo, dove essi sposarono. (Vedi pag. 4).
NEL CAMMINO DELLA GLORIA
portante la firma autografa del Generale, rimette sul tappeto la dibattuta quistione
della cittadinanza americana del Garibaldi. 11 passaporto dice : « The bearer
Joseph Garibaldi, who has declared to become a citizen of United States of
America » (11 portatore Giuseppe Garibaldi, il quale ha dichiarato diventare
cittadino americano) ; dopo, come di solito, si danno i connotati, e si enume-
rano i diritti, che il portatore del passaporto può godere e che, nel caso speciale,
erano quelli stessi dovuti ad ogni cittadino americano, che si reca all'estero.
Garibaldi adunque, il 2 aprile 1851, sebbene non avesse ancora adempito
alle formalità necessarie per ottenere la cittadinanza americana, con quel foglio
veniva di fatto a goderne. Un vero decreto di cittadinanza fino al 1855 non
gli era stato dato. Infatti, il 9 marzo di quell'anno, ritornando in Italia, scriveva
da Nizza al suo amico Cesare Augusto Vecchi una lettera, nella quale, fra
r altro, diceva : « Io ho tentato invano 1' acquisto della cittadinanza americana
e per ciò fui obbligato a prendere un capitano e venire come passeggiero a
bordo del " Commonwealth ,, che io comandava. Questo ad onta di avere
abitato negli Stati Uniti quasi un anno durante due soggiorni ; di avere previa-
mente navigato con bandiera americana ed avere impiegati quanti conoscenti ed
amici potei incontrare in quel paese. La legge per essere naturalizzato vuole una
dichiarazione formale di voler diventare cittadino, fatta in una città dell' Unione,
col giuramento di volersi sottrarre dalla sudditanza di qualunque Stato straniero,
con indi un soggiorno di cinque anni sulla terra americana » .
Nel 1 862 però, dopo la tragedia di Aspromonte, quando il Generale si
trovava prigioniero al Varignano, in data del 1 4 settembre scriveva la nota
lettera al Console degli Stati Uniti a Vienna, in cui si diceva : « Signore, io
sono prigioniero e pericolosamente ferito, per conseguenza mi è impossibile di
disporre di me stesso. Tuttavia credo, che se io sarò restituito a libertà e se le
mie ferite guariranno, sarà giunta l'occasione favorevole, nella quale potrò sod-
disfare il mio desiderio di servire la gran Repubblica Americana di cui io sono
cittadino e che oggi combatte per la libertà universale ». '
Dopo avere traversato più volte insieme all' amico Carpanetto 1' istmo di
Panama, il nostro eroe il 1 5 agosto si trovava a S. Juan de Nicaragua ; di
là passò a Lima, dove era già arrivata da Genova la nave " S. Giorgio ,,.
Fu allora, che egli potè mettere in esecuzione il piano da tempo vagheggiato, di
' E. Ximenes - Epistolario di Garibaldi, voi. I, pag. 47.
' D. Ciampoli - Scrìtti politici e militari di Garibaldi, pag. 291.
IO NEL CAMMINO DELLA GLORIA
navigare come capitano di un legno mercantile e guadagnare così i mezzi di
sussistenza per se e per la sua famiglia, che aveva lasciato a Nizza.
La nave della quale prese il comando aveva nome " Carmen ,, ed appar-
teneva al suo amico nizzardo Pietro De Negri, il quale da vari anni erasi
stabilito nel Perù. Ma per ottenere quel comando Garibaldi dovette subire un
esame preso le autorità marittime di Callao ed ottenere il titolo di 2 ° Pilota
di Altura. 1 documenti che qui trascrivo, traducendoli dagli originali esistenti nel mio
Archivio, si riferiscono appunto a questo esame ; da essi apprendiamo inoltre un
particolare fin oggi sconosciuto, quello della cittadinanza peruviana del Garibaldi :
REPUBBLICA PERUVIANA
SELLO QUINTO DOS REALES EN EL BIENIO DE 1850 Y 1851
Manuel De La Haza Capitan de Navio de la Armada Nacional, May or de Ordenes del
Deparlamento, Comandante de Arsenales i; Accidental del Cuerpo de Pilotos etc...
Certifico, che in virtù del superiore Decreto spedito nella stessa data dal bene-
merito Signor Generale Comandante Generale di Marina ho esaminato don Giuseppe
Garibaldi, naturale di Genova cittadino del Perii, conforme al supremo Decreto del
4 agosto 1 840 e r ho trovato di sufficiente intelligenza nella nautica e nel pilotaggio
e con abbastanza pratica marinara, acquistata in 29 anni di navigóizione per i mari
di Europa e delle due Americhe, nel qual tempo ha fatto moltissimi viaggi, in numero
molto maggiore di quello che si richiede per aspirare alla classe di 2° Pilota di Altura.
In virtù di questo esame e degli Articoli 6" e 7", Trattato 4°, Titolo 1' delle
ordinanze di Marina, gli rilascio la presente carta di esame, affinchè possa navigare
con bastimenti nazionali di questo commercio con il titolo di 2" Pilota di Matricola.
Egh è obbligato inoltre, ad usare le carte e gli strumenti approvati da questo Comando
ed a presentare al ritorno di ogni viaggio, il giornale di navigazione, come è prescritto
dall'articolo 6° del sopradetto Decreto, senza il quale requisito questo Documento
sarà nullo e di nessun valore.
Dato nell'Arsenale di Callao, addì 30 ottobre 1851.
Firmalo: MANUEL DE HAZA
El Ciudadano Alejandro Deustua, benemerito a la patria en grado heroico y eminente
General de Brigada de los Ejercitos Nacionales, Gohernador politico de la Pro-
vincia }) Comandante General del Departamento de Marina etc...
Siccome Don Giuseppe Garibaldi, naturale d' Italia e cittadino del Perii, ha fatto
constatare per mezzo della carta di esame, che ha presentato a questo Comando Gene-
NEL CAMMINO DELLA GLORIA 1 1
rale, che si trova idoneo per disimpegnare l'ufficio di 2" Pilota nei bastimenti mercantili,
gli conferisco in virtù di detta carta la presente nomina, affinchè in conformità al supremo
Decreto 4 agosto 1840 egli possa navigare come Pilota nei bastimenti mercantili nazionali.
Pertanto, ordino alle autorità soggette alla mia giurisdizione, che gli siano dovuti
tutti i privilegi cui la ordinanza di matricola, nel suo titolo 8" gli dà diritto ed in
virtù della quale egli è pure soggetto agli obblighi prescritti. L'anzidetto sarà pure
certificato dalla Capitaneria del Porto e dai Comando nel quale sarà iscritto e dal
medesimo gli sarà spedita la matricola, che gli indicherà il Dipartimento cui appartiene.
Dato in Callao, firmato dalla mia mano, timbrato da questo Comando Generale
e vidimato dal mio segretario il 30 ottobre 1851.
Capitaneria del Porto, Callao, ottobre del 1851.
Firmato: DEUSTUA
In fede : FEDRO JOSE CARRENO
Signor Comandante Generale della Marina,
Don Pedro Denegri proprietario del bastimento nazionale " Carmen ,, espone
a V. S. : Che dovendo oggi salpare detto bastimento per le Isole di Chincha a pren-
dere un carico di guano e non essendo terminate le pratiche necessarie per ottenere
la patente del Supremo Governo, onde evitare i danni che qualunque ulteriore dimora
potrebbe occasionare al sopradetto bastimento, supplica V. S. che si degni ordinare
si dia un passaporto provvisorio fino al ritorno del bastimento dalle Isole di Chincha ;
favore che spera ottenere da V. S.
Callao, ottobre 31, 1851. Finnaio: PEDRO DE NEGRI
Visto e risultando che ancora non si è spedita la patente del Supremo Governo
per il bastimento nazionale " Carmen „ e che la sua permanenza nel porto occa-
sionerebbe danni, che conviene evitare: gli serva il presente come passaporto per il
suo viaggio alle Isole della Chincha e ritorno a questo porto, dove gli si darà la patente.
Firmalo: DEUSTUA
Firmalo : FRANCISCO GUERRA
La gioia di Garibaldi per l'ottenuto comando fu tale, che ne scrisse alla Madre,
la quale gli rispondeva con la seguente lettera inedita, in cui la sola firma è autografa.
E questo l'unico autografo che si conosca della madre dell'eroe dei due mondi.
Rosa Garibaldi al figlio.
Nizza, 5 gennaio 1852.
Carissimo figlio.
Ho ricevuto la tua cara lettera del 5 novembre 1851, dalla quale vedo che
prendesti il comando di una nave Peruviana in viaggio per Canton. Godo moltissimo
12 NEL CAMMINO DELLA GLORIA
di tale nuova e spero che simile incarico ti riuscirà gradito e fruttuoso. Augusto si
darà cura di vedere il figlio De Negri qui in collegio ed informerà i suoi parenti di
quanto gli occorra. Scrivemmo varie lettere a te dirette, di cui non sappiamo se ne
ricevesti alcuna. Comunque sia, nulla vi era in quelle di particolare. Esse t'informa-
vano che Menotti era in questo Collegio Nazionale e che molto vi si piaceva; che
la Teresita viveva in pensione particolare, ove meglio si educa, che non in quella ove
era prima, e che il Ricciotti, lui pure, andava ad una scuola al Porto ; tutti d' altronde
molto sani e godenti gioia e quiete. Tua zia Angelina ti prega d* informarti, se sua
figlia Maddalena dimora in Lima e come vi si trova. Non sa, a dir vero, se ella sia
in quella città, ma di certo deve essere nelle circonvicine di quella regione. Tutti i
parenti e gli amici ti salutano. 11 signor Richier specialmente mi prega d' inviarti i suoi.
Tutti qui stiamo sani e più o meno lieti, ma la tua presenza, ti assicuro, non lasce-
rebbe in nessuno più luogo alla tristezza. Ti abbraccio con affetto di madre.
(x^fci^^ C/, <:C^u^r'i^^^^^^^
Durante la permanenza nel Perù, Garibaldi adunque ottenne la nomina di
Pilota in 2° dal Comandante delle forze navali di Callao, come si vede dal
decreto riprodotto qui in facsimile.
Il 10 gennaio del 1852, separatosi dal Carpanetto, salpò da Callao, porto
di Lima, e preso il comando della nave " Carmen ,, del suo amico Pietro
De Negri, fece vela per Canton. Si fu appunto, in quella traversata, durante
la tempesta del 1 ° gennaio, che egli ebbe in sogno la triste visione della
morte della Madre, visione che egli stesso dopo descrisse con grande finezza
di sentimento. Nel settembre del *53, dopo aver fatto molti viaggi, si trovava
a Boston ed il Boston Dail^ Journal di quei giorni stampava : « Il generale
Garibaldi, 1' illustre capo italiano nella lotta per la hbertà, durante la rivolu-
zione del 1 848, giunse in questa città martedì passato, comandando la barca
peruviana " Carmen ,,. Proveniva dal Perù, dove egli è stato per qualche
tempo occupato come capitano di nave. La " Carmen ,, aveva un carico di
rame e di lana. Il generale Garibaldi si trova attualmente a Nev^^-York». Da
Boston, molto scoraggiato, scriveva a Cesare Augusto Vecchi in Torino una
lunga lettera, nella quale fra 1* altro si dice : « Che vi dirò dell' errante mia
vita ? Io ho creduto la distanza potere scemare 1' amarezza dell' animo ; ma
fatalmente non è vero ed ho trascinata un' esistenza assai poco felice, tempestosa,
ed inasprita dalle memorie. Sì, io anelo sempre all' emancipazione della nostra
terra e non dubitate, che questa vitaccia sarebbe onoratissima dedicata ancora,
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Lettera di Garibaldi ad Anita che lo aveva preceduto in Italia.
Montevideo, IO marzo 1848. (Vedi pag. 6).
NEL CAMMINO DELLA GLORIA 13
or che è logora, ad una causa così santa ; ma gì' italiani di oggi più alla pancia
che air anima pensano, ed io raccapriccio alla probabile idea di non maneg-
giare più un ferro od un fucile a prò dell' Italia. »■ Parole che mostrano tutto
lo sconforto, che in quei giorni dominava l' anima del grande patriotta !
Finalmente, dopo tante peregrinazioni, fece vela per 1' Italia su di una nave
americana nominata " Commonwealth ,, passando per 1' Inghilterra. Infatti, nel-
l'aprile del * 54 è a Newcastel on Tyne accolto entusiasticamente. Fu iniziata
una pubblica sottoscrizione per offrire in un meeting al grande campione della
libertà, un telescopio ed una spada di onore ; ma Garibaldi volle che il dono
gli fosse offerto senza pubbliche cerimonie. L' I 1 aprile, a bordo del " Com-
monwealth ,,, una deputazione presentata al Generale da Joseph Cowen, jun., offrì
il telescopio e la spada, opera quest' ultima dei Messrs. Heel and Son di Birmin-
gham con la seguente iscrizione : « Presenled to General Garibaldi b}) the people
of Tyneside, friends of European freedom. Newcastel on Tyne, aprii 1854».
Prima di lasciare l' Inghilterra, Garibaldi inviava al Cowen la seguente bel-
lissima lettera rimasta sconosciuta, non essendo stata riportata dai suoi biogreifì.
Ne dò la traduzione letterale da una pubblicazione inglese del tempo. '
* Ship Commonwealth » Tynemouth, 12 aprile 1844.
Mio caro Cowen,
La generosa manifestazione di simpatia, con cui sono stato onorato da voi e dai
vostri concittadini, da per se stessa è più che sufficiente per ricompensare una vita del
più gran merito. Nato ed educato, come sono stato, per la causa dell'umanità, il mio
cuore è interamente devoto alla libertà: libertà universale, neizionale «ora e sempre ».
{Queste due parole nel testo inglese sono in italiano ). L' Inghilterra è una grande e
potente Nazione, che non ha bisogno di aiuti, all' avanguardia dell' umano progresso,
nemica del dispotismo, 1' unico sicuro rifugio dell' esule, l' amica degli oppressi. Ma
se un giorno 1' Inghilterra, la patria vostra, dovesse trovarsi in circostanze tali da richie-
dere il servizio di un alleato, maledetto sia quell' Italiano, che non si metterà avanti con
me per difenderla. Il vostro governo ha dato all'autocrate uno scacco ed agli Austriaci
una lezione, in conseguenza tutti i despoti di Europa sono contro di voi. Se in qua-
lunque tempo r Inghilterra dovesse aver bisogno del mio braccio per una causa giusta,
io sarò sempre pronto a sguainare la nobile e bella spada, che ho ricevuto dalle vostre
' V. Vecchi - La Mila e le gesta di G. Garibaldi, 1882, pag. %.
'^ Francis Young and W. Slevens - Garibaldi bis life and limes, London, S. O. Beeton,
248 Strand.
14 NEL CAMMINO DELLA GLORIA
mani. Siate interprete della mia gratitudine presso i vostri degni concittadini. Io pro-
fondamente mi dolgo di dovervi lasciare senza potervi stringere ancora una volta la mano.
Arrivederci, mio caro amico ; ma non addio ! Fate un posto per me nel vostro cuore.
Vostro sempre e poi sempre
G. GARIBALDI
PS. - Al Rio de la Piata io ho combattuto in favore degli Inglesi contro la
tirannia di Roxas.
Intanto i sospetti del governo piemontese si erano dileguati. Massimo
D'Azeglio, a persona che s' interessava delia sorte di Garibaldi, aveva scritto la
seguente lettera inedita :
Ill.mo Signore,
Ella m' ha domandato, se posto il caso che il sig. Garibaldi divenisse capitano
di un legno mercantile potrebbe liberamente approdare a Genova ed esercitarvi il suo
ufficio. Mi fo un pregio di risponderle, che il Ministero non vi trova nessuna obbie-
zione. Mi creda con tutta stima.
Dev.mo
MASSIMO D- AZEGLIO
Nel '48 una piccola nave, dal nome simbolico " Speranza ,, , aveva por-
tato in Italia, dopo 1 4 anni di esilio, il proscritto di re Carlo Alberto, 1' eroe
di Montevideo, il futuro difensore della Repubblica Romana; nel '54 un' altra
nave dalla libera terra di America la " Commonwealth ,, toccate le coste della
ospitale Inghilterra porta in Italia, dopo un esilio più breve, ma ben più dolo-
roso, il proscritto di Re Vittorio, il futuro vincitore di Como e di Varese, colui
che sarà il duce dei Mille. Diritto sul ponte, la testa al vento, lo sguardo fìsso
suir orizzonte lontano, il Liberatore veleggia verso la patria non ancora redenta.
*
Ritornato in Italia Garibaldi passò il rimanente del '54 a Nizza, facendo
frequenti viaggi m Sardegna. In uno di questi viaggi, colpito dalla tempesta nelle
Bocche di S. Bonifacio, non potendo continuare per Porto Torres, fu costretto a
rifugiarsi nelle coste della Maddalena. Innamoratosi di quei luoghi cominciò ad acca-
rezzare r idea di acquistare l' Isola di Caprera con i risparmi fatti nei suoi ultimi
viaggi e con una piccola somma, che aveva ereditato dopo la morte del fratello Felice.
NEL CAMMINO DELLA GLORIA 15
« ET ermo,
Anelante, cercai sul derelitto
Lido della Sardegna e te trovai
Caprera venturosa. Oh ! caro scoglio,
Refugio amato dal mio cuor, qual donna
Amata ! E se scordar potessi il Mondo
Tra i tuoi dirupi, nulla più vorrei
Desiderar su questa terra, e un sasso
Chiederti del superbo tuo granito
Per ricoprirmi! ».'
Il 29 dicembre del 1855 stipulava con i vari proprietari di Caprera
la convenzione, che qui vedesi riprodotta in facsimile dall' autografo di Garibaldi.
Autografo della convenzione per l'acquisto di Caprera stipulata fra Garibaldi ed i vari
proprietari dell' Isola, il 29 dicembre 1855.
Ma il mare era sempre la grande attrattiva del Generale, e desideroso di
compiere grandi viaggi conseguì in quell' anno il diploma di Capitano di lungo
' Garibaldi - Poema autobiografico etc, canto XVI, pagg. 118-119.
16 NEL CAMMINO DELLA GLORIA
corso, che qui vedesi riprodotto. In esso è da rilevare la curiosa omonimia
fra il nostro eroe ed il Console della marina di Genova.
Di quei giorni è infine documento commovente, una lettera inedita diretta a
Garibaldi dall'eroico Nino Bixio. Innamorato anch'egli, come il suo Duce, della
vita marinara, Bixio aveva avuto, verso la fine del 1855, il comando della nave a
vela " Goffredo Mameli ,, e su di essa s'imbarcò da Genova per lontani lidi.
Temperamento di vero soldato, coraggiosissimo ed impulsivo, il più temuto degli
ufficiali di Garibaldi, Bixio fu, negli affetti intimi, di una tenerezza veramente
commovente! Le sue lettere dirette alla moglie Adelaide, pubblicate dallo Sciavo
e dairOxilia, sono piene di dolcezza e di bontà e rivelano nell' uomo che le scrisse
una seconda personalità.
Bixio partiva da Genova sposo da un anno e padre da pochi giorni.
Nino Bixio a Garibaldi.
Genova, 27 novembre 1855.
Mio caro Generale,
Sono al momento di partire, e non posso partire prima di mandare un saluto a
Lei, che io tengo il migliore di tutti noi quanti siamo. Cenni mi ha recato le sue due
lettere per Manilla e per Canton, nonché la lettera per me. Lei mi ha fatto piangere ;
eppure a 34 anni non sono più tanto facile al pianto; ma lei mi dice cose che mi
toccano al vivo ed al cuore. Io la ringrazio, come so meglio, delle parole che mi dirige
tuttoché sappia di non meritarle ; ma farò di tenermi sempre alla portata di poter
meritare, almeno un poco della sua stima, alla quale tengo moltissimo. Del resto, mi
stia bene, mio caro Generale, e Dio voglia, che presto mi faccia mordere le labbra
per fatti, che io non potrò presenziare di persona che a tempo. Mi scusi della brevità
della mia ultima riga da Genova, ma sono piuttosto in faccende ; e poi mi si serra il
cuore: lascio qui la mia famiglia, particolarmente la mia bimba e mia moglie, che
mi spezzano il cuore.
A lei di cuore
A tergo della lettera: NINO BIXIO
Al Generale Giuseppe Garibaldi
Nizza
*
Parte dello spazio di tempo, che va dal 1855 al 1858 fu da Garibaldi
trascorso, facendo brevi viaggi con un piccolo cutter chiamato " Emma ,,, compe-
rato con i risparmi fatti sul Pacifico, e che gli serviva a trasportare la legna
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IV 'V...
Lettera di Garibaldi ad Anita. Roma, 21 giugno 1849. (Vedi pag. 7).
NEL CAMMINO DELLA GLORIA 17
ricavata dalle macchie, di cui era inselvata Caprera e che il Generale vendeva
agli amici del continente. Nel mio Archivio sono alcuni fogli del giornale di
bordo del cutter " Emma ,,, nei quali oltre alle annotazioni riguardanti il
vento, il tempo etc. si trovano scritte, di pugno di Garibaldi, numerose equazioni
algebriche e problemi di trigonometria sferica, che occupavano la mente del
Generale nelle ore di ozio delle traversate. Ma quasi tutta la sua attività fu, si
può dire, in quegli anni dedicata ai lavori agricoli e pastorizi di Caprera.
Veramente interessanti sono i registri nei quali Garibaldi annotava di suo
pugno con grande scrupolosità le spese più minute, i contratti agrari con i pastori
dell' isola etc. Da questi registri riporto qui alcune pagine.
Giornale pastorizie-agricolo di Garibaldi (dall' autografo).
1858.
Gennaio — Il 9 sono giunti i pastori : Giovanni Piluzzi Pronto, Narciso nipote e
Francesco figlio.
Idem. — IO si consegnano agli stessi :
Bovi 2
Vacche 27
Capre 79
Capretti 32
Pecore 69
Agnelli 30
Vitelli 13
Bovi agricoli 2
Vacchette 2
Torito I
Idem 14 — Si passò contratto e si stipularono di comune accordo le seguenti condizioni :
Condizione 1° — Il pastore, figlio e nipote, sono obbligati a servire per un anno.
Idem 2' — ■ Egli deve aver cura di quanti animali piace a Garibaldi d' incaricarlo,
mugnere il latte, far formaggi, butirro, ricotta, cagliatto e difendere i luoghi colti-
vati dalle aggressioni bestiali, sotto pena di pagare il danno.
Idem 3° — Nel decorso delle giornate, in cui egli non avrà occupcizioni pastorizie,
si occuperà di agricoltura, far muri, infrascare ed infine qualunque cosa gli venga
comandato.
Idem 4" — Egli ubbidirà agli ordini di Garibaldi ed alla persona dallo stesso
designata.
CURÀTULO 2
18 NEL CAMMINO DELLA GLORIA
Condizione 5' — Il pastore percepisce il quarto di qualunque beneficio, accrescimento
di animali nati, di cui è incaricato, latte, formaggio, butirro, ricotte, cagliatto etc.
Idem 6" — Garibaldi si obbliga di alloggiarli, nutrirli, e vestirli.
Idem 7" — Le bestie perdute o morte saranno a carico del pastore e prelevate
dalla sua quarta parte.
Idem 8' — Qualunque oggetto di vendita : bestie, formaggio od altro, il pastore deve
venderli di preferenza a Garibaldi.
Idem 9° — Gli oggetti di vestiario da somministrarsi saranno quelli che abbisognano
alla loro classe e specificati nell'articolo ! I .
Idem 10' — Gli alimenti saranno pane, un mogio per settimana ciascuno, e latte la
loro quarta parte e carne di capra, quando piaccia a Garibaldi darla.
Idem 11" — Il vestiario d'obbligo sarà per un anno.
1858 - Somministrato :
Un pantalone di panno usato.
Un calzone di tela, un paio di scarpe usate.
Una pentola, tre piatti.
Un calzone di tela.
Un pantalone buono ed una camicia buona.
Un paio scarpe nuove.
Due camicie.
Cessa Piluzzi e suo figlio di servire.
Narciso continua colla cura delle pecore.
Narciso riceve due camicie di colore.
Riceve due calzoni.
In altri quaderni sono scritte, sempre di pugno di Garibaldi, le diverse regole
per innestare, per trapiantare, per semmare l' erba medica, le canne da zuc-
chero etc, e subito dopo nella sua calligrafìa nitida, come quella di una fan-
ciulla, si leggono i conti del grano seminato, quelli dei formaggi, delle patate,
del baccalà; perfino si vede segnato il soldo dei zolfanelli comprati.
*
* *
Amo chiudere questo capitolo, che comprende documenti garibaldini storici
ed umani, pubblicando un altro prezioso ed importante documento storico di quel
tempo. E il passaporto rilasciato il 3 1 gennaio 1 856 a Garibaldi, sotto il
falso nome di Joseph Pane dal Console francese residente in Nizza, passaporto
Gennaio
12
Idem . .
14
Idem . .
14
Idem . .
16
Idem . .
23
Febbraio
7
Idem . .
1
Idem . .
20
Idem . .
20
Idem . .
20
Idem . .
28
NEL CAMMINO DELLA GLORIA 19
per mezzo del quale il Generale, traversando la Francia, doveva recarsi a Londra,
prendere il comando di un legno a vela acquistato da Antonio Panizzi, allo
scopo di far evadere dall'ergastolo di Santo Stefano Luigi Settembrini, Silvio
Spaventa ed altri insigni patriotti, ivi rinchiusi dal Borbone. Progetto, come
è noto, che non potè essere messo in esecuzione, perchè la nave a quello
scopo destinata e che si chiamava " Isle of Thanet ,, si era naufragata sulle
coste dell' Inghilterra. ' il documento, come si vede dal facsimile che ne dò,
porta la firma di Joseph Pane in autografo di Garibaldi.
' Interessanti particolari si trovano sul proposito nella recente pubblicazione : The birlh
of modem Italy - Posthumous papers of Jessie White Mario, edited whith an introduction
by the Duke Litta- Visconti-Arese. London. T. Fisher Unwin, 1909, pagg. 255-256.
CAPITOLO II.
LA CAMICIA ROSSA
NEL CAMPO UFFICIALE DELLA GUERRA.
(IL '59)
Ìl.ra scritto nel libro del destino, che 1' indipendenza d' Italia doveva com-
piersi per opera di popolo e sulla terra di Dante, abbeverata dal sangue di
mille martiri, il fato, nell'umile marinaio di Nizza, aveva prescelto 1' uomo che
doveva guidare il popolo nella sublime impresa della redenzione della patria.
Che cosa potevano valere, adunque, le condanne e gli esili inflitti da Re, le
paure o le diffidenze di Ministri ?
Dieci lunghi anni erano trascorsi da quel placido mattino di luglio del 1 848,
e già il sole della libertà cominciava a spuntare sull'orizzonte lontano. Gli eventi,
per l'arte eccelsa di un diplomatico e statista e per virtù di un re, si erano
mutati. Il 26 agosto 1858 Giorgio Pallavicino, il martire dello Spielberg, scriveva
da Torino a Felice Foresti una lettera ancora inedita, che comincia così : 'Dira/
al nostro Garibaldi che Cavour gli vuol parlare e che uno di questi giorni lo
aspetta alle ore 6 del mattino.
Camillo Benso di Cavour, la più alta mente politica di quel tempo, chia-
mava a segreto convegno l'uomo della rivoluzione, il quale tornato dall' esilio
aveva scelto a dimora le roccie granitiche di una piccola isola ed accettava la
spada, che questi novellamente offriva per la indipendenza della patria. In quel
convegno Popolo e Re si davano la mano ; la camicia rossa entrava nel campo
ufficiale dell'azione e le vittorie garibaldine del '59, sulle pianure lombarde,
preparavano i fasti gloriosi di Calatafimi e di Palermo !
Che se, in verità, l'alleanza con la Francia segna l'alba della redenzione
della patria, un'altra alleanza non meno memorabile, che decise dei destini
d' Italia, si compiva nel '59 : il patto fra il Popolo e la casa di Savoia, fra
Garibaldi e Vittorio Emanuele. Vero è, che le sfere gallonate guardarono con
22 LA CAMICIA ROSSA
diffidenza l' ingresso delle camicie rosse nel campo ufficiale della guerra ; che
il conte Cavour, per non dare sospetti alla diplomazia, voleva che Garibaldi
facesse capolino, comparisse e non comparisse ; vero è, che il primo Mini-
stro di Re Vittorio molto diffidava del difensore della Repubblica Romana,
dell'uomo che tanto fascino esercitava sul popolo ; ma che importa ? Lascio ad
altri l'andar sofisticando, se Cavour siasi servilo nel '59 dell'istituzione del Corpo
dei Cacciatori delle Alpi come uno strumento della sua politica o come un mezzo
di provocazione contro l'Austria ! La pagina di storia, che grandemente onora il
patriottismo della camicia rossa ; il documento pensato e scritto dal sommo
diplomatico, che rimane scolpito nel bronzo della Storia è quello, che egli inviava
a Garibaldi il 17 marzo del '59, e che oggi vede la luce in tutta la sua
integrità dall'originale, esistente nel mio Archivio.
Cavour a Garibaldi.
MINISTERO DELL- INTERNO Torino, addì 17 marzo, 1859.
Il Governo del Re ha accolto con soddisfazione la spontanea offerta fatta dalla
S. V. nelle supreme circostanze in cui versa il paese. Esso è persuaso, che il saldo
valore e la provata abilità della S. V. nelle fazioni di Guerra saranno per riuscire
assai utili alla Patria, quando il momento sarà venuto di combattere per il suo onore
e per la sua indipendenza.
E volendo sin da ora dare alla S. V. una non dubbia testimonianza della confi-
denza, che in Lei ripone, ha determinato di affidarle il Comando del Corpo di
volontari, che si sta formando nella città di Cuneo.
Il Governo confida, che l' esperienza e 1' abilità del Capo che destina a questo
Corpo, e r energica disciplina, che egli seppe ovunque mantenere nell' esercizio del
Comando, suppliranno all' incompleta istruzione militare e al difetto di coesione, che
accompagnano i corpi di nuova formazione, per quanto grande sia la buona volontà
dei singoli membri, che li compongono, e che potrà rendere all' evenienza utili servizi
all' Esercito del quale sarà un aggregato.
Alle considerazioni, che saranno facilmente apprezzate dal senno della S. V.
costringono il Governo del Re a fare per il momento un oggetto affatto confidenziale
di questa comunicazione. Ma egli non ha voluto più a lungo ritardare di manifestarle
il conio in cui tiene V offerta degli utili servizi della S. V.
C. CAVOUR
Al signor Generale
Giuseppe Garibaldi.
NEL CAMPO UFFICIALE DELLA GUERRA 23
Lo stesso giorno in cui il primo Ministro di Re Vittorio scriveva questa
memorabile lettera, il condannato alla pena di morte ignominiosa da Carlo
Alberto, il difensore della Repubblica Romana, 1' uomo della rivoluzione, veniva
nominato Maggior Generale dell' esercito piemontese. E 1' eroe rispondeva con
le note parole : « // Governo del re, dandomi cosi onorevole prova di fiducia,
ha acquistato il diritto alla mia riconoscenza ed io sarò felice, se la mia condotta
potrà rispondere alla buona volontà, che ho di ben servire il Re e la Patria ».
*
Quanto dovette gioire l* anima di Garibaldi, che dopo tanti anni di
amarezze vedeva realizzato il suo sogno, è facile immaginare! La sua devozione
giammai servile, ma sempre leale verso Vittorio Emanuele ebbe, ben si può dire,
inizio in quei giorni memorandi. « Io bacerò piangendo, scriveva, la mano che
ci solleva dall' avvilimento e dalla miseria » ; e non si stancava di raccomandare
una Dittatura Regia, e che Vittorio si fosse messo alla testa dell' esercito.
Ben s' ingannano, io penso, coloro i quali affermano, che a Garibaldi
mancasse il senno dell' uomo politico. Cuore aperto ad ogni idea generosa,
uomo di fatti e non di parole, egli pensava, è vero, che tutte le quistioni
potessero e dovessero risolversi con la spada, ed a lui mancò certamente l'arte
dei raggiri del diplomatico, come della parola egli non usò mai, se non per
esprimere il proprio pensiero. Ma Garibaldi ebbe fin da principio, davanti agli
occhi della mente, insieme alla sublime visione dell'indipendenza e dell' unità
della patria, la sola via, l'unica via, che poteva condurre alla meta, l'alleanza
fra il Popolo e la Monarchia. Fu questo suo convincimento, senza del quale
r Italia non si sarebbe fatta, che gli fece sacrificare sull' altare della Patria la
sua fede di repubblicano. Né valsero a farlo deviare, per un solo momento,
da quel sacro programma le disillusioni patite, le ingratitudini, né le acri ram-
pogne dei repubblicani dottrinari, che non gli risparmiarono accuse. « Circa
alle suggestioni che potrebbero venire da quei di Londra (Mazzini), state
pur tranquillo, scriveva il 30 gennaio del '59 al La Farina, io sono corrobo-
rato nello spirito del sacro programma, che ci siamo proposti, da non temere
crollo o retrocedere, né davanti ad uomini, né davanti a considerazioni ».
Quale si fosse il programma di Garibaldi lo dice il seguente prezioso
autografo inedito, da lui vergato fra il 1855 ed il '56 con quell'olimpica
semplicità e chiaroveggenza, che sono le qualità degli esseri predestinati.
24 LA CAMICIA ROSSA
Programma italiano (dall' autografo di Garibaldi).
Bisogna fare un' Italia avanti tutto.
L' Italia è composta oggi dagli elementi seguenti : Piemonte, Repubblicani,
Murattisti, Borbonici, Papisti, Toscani, ed altri piccoli elementi, che benché vicini al
nulla non mancano di nuocere all' unificazione Nazionale. Tutti questi elementi debbono
amalgamarsi al più forte o essere distrutti ; non e' è via di mezzo. Il piìi forte degli
elementi Italiani lo credo il Piemonte e consiglio di amalgamarsi a lui. Il potere che
deve dirigere l' Italia, nell' ardua emancipazione dal giogo straniero, deve essere rigo-
rosamente dittatorio.
Il programma di Garibaldi è quello della triade gloriosa di quei giorni, con
Daniele Manin e Giorgio Pallavicino. Il 15 settembre 1855 Manin aveva fatto
la seguente dichiarazione :
« Fidèle à mon drapeau — indépendance et unification — je
repousse tout ce qui s' en écarte. Si l' Italie régénérée doit aooir un roi ce ne
doii étre qu* un seul, et ce ne peut étre que le roi de Piémont », ed il
20 maggio 1857 il martire dello Spielberg scriveva a Manin: « La solenne
adesione di Garibaldi ai nostri principii è un fatto immenso ». Più tardi Pallavi-
cino, che combatteva a tutta oltranza il municipalismo piemontese capitanato dal
conte di Cavour, a Garibaldi, che gli aveva raccomandato il prode compagno
d' armi Cenni, scriveva la seguente lettera inedita.
Giorgio Pallavicino a Garibaldi.
Torino, 5 marzo 1858.
Carissimo amico.
Tempo fa raccomandai il Sig. Cenni ai Ministri : con qual risultamento voi lo
sapete. Ora l' ho raccomandato all' Intendente di Genova, ma con poca speranza di
vedere accolta la mia raccomandazione. Il Governo mal consigliato e mal servito,
commette in questa congiuntura spropositi imperdonabili. Ma gli spropositi del Governo
non debbono sconfortare i veri patriotti. I quali sapranno fare V Italia, spalleggiando
il Re o combattendolo, secondo gli atti dei suoi Ministri. Intanto è utile, necessario,
indispensabile, 1' organare una forza, che possa in circostanze favorevoli abbattere gli
ostacoli, che attraversano la nostra via. Questa forza noi 1' avremo, quando 300 mila
italiani, atti alle armi, avranno aderito al nostro programma. Io sono tutto vostro
GIORGIO P.ALLAVICINO
NEL CAMPO UFFICIALE DELLA GUERRA 25
*
Le vittorie garibaldine sui campi lombardi sono consacrate nelle pagine
della storia ed il decreto, che conferisce a Garibaldi la medaglia d' oro per
le prove d' intrepidezza e di bravura rìei combattimenti contro gli Austriaci,
che qui si vede riprodotto dall' originale, è documento, che oggi non si può
avere sott* occhi senza sentirsi invasi da un sentimento d' intima commozione.
L' entusiasmo di quei giorni era grande in tutti i cuori. Massimo d'Azeglio,
due giorni dopo la battaglia di Magenta, scriveva ad un suo amico la seguente
lettera inedita, che tolgo pure dal mio Archivio e che mi pare sia degna di
essere conosciuta per le allusioni che vi si contengono.
Massimo d'Azeglio ad un suo amico.
6 giugno 1859.
Caro Magnelio,
La ringrazio dell' informazione, che m' ha data. La considero come una nuova
prova di amicizia. Ma stia pur queto, che ho ancora V odorato fino e sento gV imbrogli
e gl'imbroglioni a dieci miglia. Perciò non c'era pericolo, che mi lasciassi cogliere
nel vespajo, che mi indica.
Le cose canno di galoppo e benissimo. Già saprà le nuove, ma al caso del no,
gliele dico. Gran vittoria a Magenta: 15000 fuor di combattimento, 5000 prigioni,
40 pezzi presi. Sospensione d' armi chiesta dagli Austriaci per seppellire i morti negata.
Milano e il Castello evacuato. A chi arriva prima all' Adda, ora.
Credo che presto ci rivedremo, ma non per quel che suppone.
Suo di cuore
MASSIMO D- AZEGLIO
La pace di Villafranca, che dai più era stata considerata una sventura,
non fu ritenuta tale da Garibaldi. La continuazione della guerra avrebbe forse
condotto alla liberazione della Venezia ; ma a qual prezzo ? ed il predominio
francese non avrebbe avuto limiti! Il sogno di Napoleone Ili, di una Confede-
razione itahana con a capo il Pontefice, sarebbe forse divenuto realtà. Garibaldi
vedeva, che era verso l' Italia centrale, che bisognava ora volgere lo sguardo,
26
LA CAMICIA ROSSA
profittando del movimento, che vi si era iniziato; e Giuseppe Mazzini, con l'accento
del profeta, tuonava da Londra: « Al Centro, al Centro, mirando al Sud ».
Verso la metà di agosto, per ispirazione del Farini, i quattro nuovi Stati
di Toscana, Romagna, Modena e Parma avevano concluso una lega militare.
Garibaldi accolse, festante, l' invito che gli fece il Ricasoli, per mezzo del
Malenchini, di mettersi al comando dell' esercito toscano ed il 23 luglio lanciò
il noto proclama, ispirato ai sentimenti più alti dell' amor per la patria, che
terminava così : « Non dimenticate sopratutto, qualunque sia 1' intenzione della
diplomazia Europea sulle nostre sorti, che non dobbiamo staccarci dal sacro
programma: Italia e Vittorio Emanuele ».
Il generale Manfredo Fanti, nominato Capo militare dell' esercito, ripartiva
le truppe in tre divisioni, comandate rispettivamente da Roselli, Mezzacapo e
Garibaldi. Quest' ultimo fu nominato Comandante in secondo dell' esercito della
Lega e dopo di aver chiesto di esser dispensato dal comando del corpo dei
Cacciatori delle Alpi . il 30 agosto partiva per Modena , dove si trovava il
Quartiere Generale della sua Divisione. Di là, nei primi di ottobre, lanciò la
patriottica iniziativa di una sottoscrizione nazionale per un milione di fucili, accolta
con entusiasmo ovunque.
E di questi giorni la seguente lettera inedita, diretta al Pinzi :
Garibaldi a Giuseppe Finzi.
ESERCITO ITALIANO
UNDECIMA DIVISIONE
Quartiere Generale di Bologna, 11-10- '59.
GENERALE COMANDANTE
o
Siimatissimo e carissimo Amico,
Io devo una parola di affetto e di gratitudine per i sensi gentili prodigatimi, per
il favore con cui accettaste l' idea patriottica del « Milione di fucili » . Io non aspettavo
meno dal generoso patriottismo vostro, a me noto da molto tempo. Io devo pure
un cenno di plauso e di gratitudine ai cari vostri concittadini, il di cui ardore, nel-
r accettare la sottoscrizione da me iniziata, è certamente augurio felice alla bella,
sublime causa da noi propugnata. Io sarei fortunato, se in qualunque occasione voleste
comandarmi. Sono con vero affetto
Vostro
G. GARIBALDI
NEL CAMPO UFFICIALE DELLA GUERRA 27
*
■ *
11 dissidio sorto fra il Fanti e Garibaldi e fra questi ed il Farini, non
sarebbe avvenuto (in questo tutti concordano), se il comando supremo dell' esercito
della Lega fosse stato dato ad un uomo soltanto, al Garibaldi. Le istruzioni
emanate da principio dal Fanti in senso molto liberale, riguardo all' invasione
delle Marche, e poi ritirate ; 1' atteggiamento del Farini prima benevolo, poi ostile
verso Garibaldi ; la presenza a Bologna del Cipriani, persona interamente ligia
a Napoleone ; le influenze che si esercitarono sulla persona del re ed infine
gli intrighi del La Farina, mandato da Cavour (come poi nell' anno seguente
a Palermo) per sorvegliare, ruppero quell' armonia, che era regnata nei primi
tempi neir Italia centrale. Garibaldi, messo al confine, lo avrebbe certamente
passato, se ordini perentori del Fanti, arrivati all' ultima ora, non l' avessero
impedito.
Che Vittorio Emanuele, nel colloquio avuto con Garibaldi, il 27 ottobre a
Torino, gli avesse dato il tacito consenso di fare, non è a dubitare. Ma 1' audacia
del re cospiratore, più che dalla responsabilità del manto regale, fu vinta dalle
influenze, che su di lui si esercitarono. La lettera del re diretta al Fanti il
29 ottobre è documento abbastanza significativo ; essa è nota, ma è bene qui
trascriverla, garentendone l' assoluta identicità al testo originale :
Torino, 29 ottobre 1859.
Caro Generale,
Temo che dall' Italia Centrale vada a seguirsi qualche fatto, che turbi lo stato
attuale delle cose. Ho gran motivo di convincermi, che si tolga a lei ed a Garibaldi
il comando delle truppe ; in questa condizione di cose credo, che sarebbe meglio che
Lei dia le sue dimissioni e ritorni qui ; suggerisca la stessa determinazione a Garibaldi
e qualora esso si rifiutasse lasci a lui la responsabilità di quel che sarà per succedere.
Arrivederla fra breve.
VITTORIO EMANUELE
il documento, per chi vuol leggere fra le linee, è nella sua parte finale
abbastanza significativo. Il re non poteva, e se ne comprende facilmente la ragione,
assumere la responsabilità degli avvenimenti, che si andavano maturando, come
non volle assumerla I' anno seguente per la spedizione di Sicilia. Egli sapeva sin
da principio, che Garibaldi, messo al confine, non era uomo da starsene con le
28 LA CAMICIA ROSSA
mani alla cintola e se Vittorio Emanuele, costretto da fatti nuovi, consigliava
ora il Fanti di dire a Garibaldi di dimettersi, ciò era per salvare le apparenze ;
ma intanto lo lasciava libero di fare, e certo sarebbe stato lieto, se Garibaldi
avesse operato. Grandi influenze senza dubbio avevano agito sull' animo del re non
solo da parte di Napoleone, ma anche da parte di Cavour ; il quale, sebbene in
quel momento lontano dal potere, pure ne reggeva sempre le fila. Il 1 2 novembre
da Leri egli scriveva al Rattazzi : unico mezzo per soffocare ogni discordia
essere quella d'invitare tosto Garibaldi a deporre il Comando. Due giorni
dopo il Re chiamava Garibaldi a Torino ed in seguito ad un lungo colloquio,
questi rassegnava le sue dimissioni, lanciando il famoso proclama « Agli Italiani *
riboccante d' ira e di sdegno, onde 1' Eroe non immemore, due anni dopo can-
tava sulla sua cetra rosseggiante di sangue :
« Vaga lontano, avventurier, le sponde
Non varcherai del Rubicone. I Regi
Te 1 vietan, consci che di libertade
Ferve l' anima tua. Un simulacro
Voglion di quella ad abbagliar le plebi
E a te non fldan ». '
Che infine, la missione di Garibaldi, quando partì per l' Italia centrale si
fosse quella di agire ; che essa non fosse un mistero od una delle solite audacie
dell' eroe, lo prova la lettera inedita direttagli dal Generale Cialdini al momento
della partenza.
Enrico Cialdini a Garibaldi.
COMANDO GENERALE
DELLA QUARTA DIVISIONE Caslenedolo, 26 agosto 1859.
ile ed
amico,
Permettete che io vi mandi un saluto dal cuore ed un augurio. Mi dolse di
sapervi partito senza avervi dato una stretta di mano e volli rimediarvi in parte scri-
vendovi queste poche righe. Abbiate salute e fortuna e non dimenticate ne per tempo
ne per casi
il Vostro affezionatissimo
ENRICO CIALDINI
' Garibaldi - Poema autobiografico, canto XVll, pag. 144.
HCilicias navales de la Repùblica.
TBRCIO DE LIMA.
FARTlDODELCÀllAO.
^1, Qt^ll^&l $1 IS^l SllllQ
•S' COm^KBAmrS P^aUVCIFAkXi 9S3L SCUCIO STAVAi
a>£ £IOSA.
FlIilAC10]%'.
Estatura ^^^^^-z^ — --
Edad 'HJì Ct^ut-*^
Eslado ^^-^/^-ro
Color i^/of^i^^-^
Cara /i^a^f-t^ /£.*t^^
Ojos ^^^t.^-^ — '
ÌHariz
Boca ^""^r^y
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Sefktl^s particulares.
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CERTIFICA: %^ «^^^j.^^^^^j^^^-^^ ' ^.ifc^f;*-,^^-^^
t^ _
para e'i servìcio del Eslado en el ejercìcio de su
prof'esion en los Bajeles de Guerra y Arsenales, se
P»' esenterà sieinpre que sea ìlamado el efeclo ; ea
cuya '«ritt44iebe gozar del fuero y privilejios que as
orÀenanzas jenerales de la armada y de matriculas
roncedenàlosdesuclase,quedandopreyenidodepre-
senlarsearefrendar està malricula cada tresraeses,
sin cavo requisito no le sera vàlida , y queda ins-
criplo su nombre en el libro de inalriculasde ma-
fina con su coriespond.enie filiac.on en el tolio
N o ^asienlo IS ? y de conformidad con el
Supremo Decreto de 5 de Agosto de 1840, se le ex-
pide la presente enei Callao, à ^^e ^^2^y^
dei8f/
Diploma di Pilota in 2' di Altura rilasciato a Garibaldi dal Capitano del Porto di Callao (Perù)
il 30 ottobre 1851. (Vedi pag. 10)
NEL CAMPO UFFICIALE DELLA GUERRA 29
*
* *
Gli avvenimenti che si seguirono sullo scorcio del '59 ruppero per sempre
i buoni rapporti, che prima erano esistiti fra Fanti e Garibaldi e prepararono le
ostilità del futuro Ministro della Guerra del 1 860 verso le camicie rosse durante
e dopo la campagna di Sicilia.
Per la storia di quei giorni sono importanti le seguenti lettere inedite di
Fabrizi, Bertani e Bargoni a Salvatore Calvino.
Nicola Fabrizi, il grande patriota, si trovava nell' estate del '59 in
Modena, sua patria. Mente equilibrata, non dominato da idee dottrinarie,
Fabrizi vagliava uomini e cose con serenità di giudizio. Lo stesso non si può
dire di Agostino Bertani, in cui lo spirito di parte faceva spesso velo agli
occhi della mente. Fra i due stava Angelo Bargoni, che fu nel '60 Segretario
del prodittatore Mordini a Palermo ; ma appunto, perchè diverso era il tem-
peramento degli uomini , che queste lettere scrivevano , il loro apprezzamento
riesce più utile per illustrare il momento storico di cui parliamo. Degna altresì di
essere conosciuta è una lettera, che Fabrizi, ritornato in Malta, scriveva al
generale Ribotti.
Nicola Fabrizi a Salvatore Calvino.
Modena, 25 agosto 1859.
Carissimo amico,
Scrivo a voi e non al Generale (Ribolli), perchè so che egli guarda le mie lettere
in prospettiva e voi avete la pazienza di leggerle ed indovinarle. Non replicai una
visita alla Mirandola per una serie d'incidenti, che me ne sconsigliarono. La prima è
che la precedente mia visita, nella malignità ignorante, ebbe un' interpretazione poco
conveniente. Si dice che faceva propaganda tra ufEciali e soldati e ciò fu riferito all'In-
tendenza, così intelligente essa stessa per farne oggetto d' indagini. Propaganda di che?
Non sanno neanche adattare le calunnie alla natura e alla condizione degli individui !
Recarmi a simili inopportune missioni, dove comanda un mio amico (Ribolli) oltre
tutto, è suppormi, stando amichevolmente al suo fianco, capace della magoior inde-
licatezza. Poi, non so farmi idea di che cosa possa farsi propaganda alla Mirandola,
se non fosse per qualche pretendente, che si costituisse erede dei Pico.
Però, i nostri amici, con inopportunità ed improntitudine, burlano se stessi e chi
ha nome di loro amico. Non vogliono intendere, che nella fase attuale occorre tenerci
in disparte ed opachi dal lato politico. Noi abbiamo avuto un allarme di sospetti.
30 LA CAMICIA ROSSA
inquietudini e forse avremmo avuto peggio, se non era il tatto politico di Farini. A
Bologna è stato arrestato, e me ne duole all'anima, poiché è in pessime mani, Rosa-
lino {Pilo) con un carico di lettere, circa 40, tra cui so di certo una per me, altra
per il Generale, senza dire di altre.
Vidi Farini, invitato da lui, e lo trovai giusta apprezzatore delle cose. Ne infatti,
poteva esservi responsabilità mia per ciò che a me fosse diretto. Seppi l' argomento
principale delle lettere essere il desiderio di far servire la situazione del Centro al Sud.
Ma le lettere sono tutte (da ciò che ho potuto dedurre) esclusive ad ogni rapporto
precedente ; sono lettere d' iniziativa e d'insinuazione con frasi forse di poca fiducia
per gli uomini predominanti nella situazione. Ad ogni modo, io credo che anche il solo
muoversi delle persone oggi sia inopportuno ; non fa che allarmare in senso reattivo.
E certo, che le cose di Bologna non vanno rette, e dubito assai che quel paese
che dovrebbe basare la situazione del Centro, per le pessime mani che lo maneggiano,
venga meno alla missione sua ; ma è pur certo, che noi, conosciuti nelle nostre credenze,
nulla vi possiamo ; anzi vi possiamo solo gettare, pel sospetto, il turbamento e peggio-
rarle. Fui ier sera alla serata, ove Farini mi distinse con modi cortesi e cordiali.
Finisco con l'abbracciarvi.
Vostro affezionalissimo
NICOLA
Modena, 1 1 settembre 1 859.
Carissimo amico.
Ho le vostre linee. Farò domani la commissione. Tra dimani e dopo vedrò l' indi-
viduo (F. Crispi) reduce dal vostro paese con notizie e proposizioni certe. Mi rego-
lerò sovr' esse.
La situazione del Centro si disegna sempre più in senso sfavorevole. Dio voglia,
che non si verifichino i pasticci, che si denunciano dalla stampa, per esempio un' inve-
stitura del solito principe Napoleone da parte del Re di Piemonte. Ad ogni modo,
nonostante le chiacchiere che recano i Deputati presso Napoleone 111, il Monitore dà
fuori un brutto articolo. L' Assemblea bolognese ha rinnovata la delegazione dei poteri
a Cipriani. In Toscana intrighi Piemontesi. Qui, ove le cose vanno bene abbastanza, è
luogo troppo stretto e secondario. Il vero imbarazzo è l' intermedio tra qui e Toscana.
L' unione è impossibile dal lato politico fra i tre Stati ; e la lega è una vera legatura
nelle condizioni in cui sta.
Affezionatissimo
NICOLA
Agostino Bertanì a Salvatore Calvino.
Genova, 6 dicembre 1859.
Caro Calvino,
Uniformalo e gerarchizzato, con grame teste ed infedeli sentimenti personificati
innanzi a te, tu, mio ottimo ed integerrimo amico, vacilli e ti si annebbia, chinando
NEL CAMPO UFFICIALE DELLA GUERRA 31
il capo per rispetto, l'intelligenza delle cose e del momento. Buon Dio! E tu sei
dei migliori!
Tu mi scrivi: che gravi torti hanno Fanti e Garibaldi e che infine tu credi, che
qualcosa bisognava sacrificare alla nemica diplomazia.
Lasciamo da parte le persone, che poco meritano. Ma come scrivi e predichi
tu i torti fra il fare e il non fare, fra il volere e non volere, fra il dare caparra di
potere e quella di non potere e sapere, fra la vita e 1' iniziativa italiana e la sogge-
zione e la morte nazionale nell'obbedienza allo straniero? Come predichi tu?
Ed il Fanti non era completamente d' accordo col Garibaldi per fare ciò che poi
riprovò e tradì? O egli mistificava dapprima Garibaldi e lo accusò d'intemperanza,
quando gli parve opportuno, o egli cambiò d' un tratto, e per 1' obbedienza servile di
cui diede tante prove e per la nessuna fede politica e nessuna energia, che lo carat-
terizzano, tradì il mandato italiano, il collega, la pubblica fede ed aspettativa. Di qui
non si scappa e si pubblicheranno i documenti.
Anch' io lo credeva altra cosa, quantunque avessi avuto già da lui prove baste-
voli nel '49 della sua freddezza ; ma ormai è giudicato. Egli rappresenta un sistema
e non portò ad esso che le sue qualità opportunissime a farlo valere. E tu vuoi sacri-
ficare alla nemica diplomazìa la nostra iniziativa? Oh! Calvino, tu ti dimentichi di aver
cospirato per dieci anni per ottenere ciò che la diplomazia ti contrastava, ed ora,
arrivato più prossimo al tuo lido, alla tua patria, tu sacrifichi alla diplomazia 1' ardi-
mento santissimo di aiutarla ! Oh ! Calvino, non guardare iVi su per ispirarti, ma
ritorna in te.
Tuo a_ff.mo amico
AGOSTINO BERTANI
Infine, Angelo Bargoni scriveva 1' 1 i dicembre ai Calvino così :
I guai non finiscono qui. Una cospirazione cavouriana contro Rattazzi si fa ogni
dì più viva, sopratutto in Toscana e in Lombardia, mentre qui il Re e Rattazzi
sono ogni dì più indignati contro Cavour. Mi si assicura che il Re, due sere sono,
ha chiamato a se parecchi dei più influenti uomini politici per fare loro comprendere,
come sia inutile che lavorino per il ritorno al potere del Conte di Cavour, E siccome,
per massima generale, al Re non si vogliono dare dispiaceri, cos) non glielo vorranno
imporre a suo dispetto. D' altra parte, sembra, che Cavour non accetterebbe di andare
al Congresso, se non vestendo prima la qualità di Ministro ed è questa che non gli
si vuol conferire. Se il Congresso va in lungo e Rattazzi può aprire il Parlamento, la
sua consolidazione sembra certa, perchè si presenterà con un diluvio di leggi, una più
liberale dell'altra. Così si dice!
Nicola Fabrizi, ritornato in Malta scriveva al generale Ribotti, coman-
dante le forze militari di Modena, la seguente lettera :
32 LA CAMICIA ROSSA
Nicola Fabrizi al generale Ribotti.
Malta, 21 ottobre 1859.
Carissimo Ignazio,
Vidi dai giornali il nuovo tuo comando; ne accolsi la notizia a buon preludio,
sembrandomi che la delicatezza della nuova posizione affidatati indicasse alla fiducia
dei tuoi servizi presso quei, che sanno dei tuoi precedenti politici e militari, della tua
carriera travagliata nel passato tra sacrifizi ed ingiustizie.
Mi fu sensibile, come ad ognuno che intenda della situazione nostra delicata, il
fatto disgraziato di Parma e mi parve corrispondere assai bene alla sua gravità, il con-
tegno sin ora osservato e le disposizioni, che ne seguirono; talché il giornalismo stra-
niero, nulla avendo più ad aspettarsi dal vigore della condotta, siasi poi dato esso
stesso ad attenuare la portata collettiva del fatto, per le cause provocanti. E mi piacque
la forte, subitanea, occupazione militare, che tolse occasione, pretesto e spazio a quel-
r immischiarsi di ospiti vicini.
Mi piacque che Fanti, nel suo breve proclama, ricordasse titolo alla fiducia pub-
blica i precedenti dei Capi, ed io, gli amici comuni ed altri che non conosci, ci augu-
riamo che questo sfortunato incidente sia ultimo e che la giustizia esca vera, cioè per
giudizio indipendente da ogni pressione, proporzionale al fatto per le sue circostanze
di ogni natura.
Avrò gratissimo che Calvino, con le sue e tue nuove, mi dica della maniera
vostra di vedere delle cose del Centro. Io vi dirò di quelle di Napoli e di Sicilia
per ciò che saprò e giudicherò. Per il momento, nonostante il partire di vascelli inglesi
sotto chiamata telegrafica, ora di Palermo, ora di Napoli (ier l'altro due) siamo scon-
fortati sulla imminenza, che si appressa. La banda insorta fu dispersa, dopo che cinque
si presentarono, si assicura che il resto della Hotta (vascelli tre) va a Corfìi e poi ad
Ancona, tra oggi e domani. Se credi utile, comunica la nuova come accreditata.
Ora io ho d' uopo della tua attenzione e farai 1' uso che credi della mia comuni-
cazione. Se sarò assecondato da mezzi, quali che spero e non sconfortato da eccessivi
intrighi nuovi, mi porrò attivamente a veder di ricomporre relazioni per un progetto
per cui mi occorre per altro, prima di tutto, di essere sicuro dei mezzi per potere
adempiere a quanto sarò per offrire. Intanto però, Y abnegazione più assoluta di inte-
ressi e di persona in prò dell' attualità riconducendo uomini provati sul terreno, non
basta per imporsi contro le mene di chi vorrebbe tutto paralizzare o condurre a fini
tristi. I quietisti predominano nei Comitati di Sicilia e riescono nel dimostrarsi negli
accordi e poi deluderli ; i separatisti, più o meno mascherati, li assistono. E l' antica
altalena del 1848, meno la viva attività di presenza del Ribotti. Ma pure amici non
mancarono per due volte al loro posto all'ora designata, che poi fu mancata. '
Si allude all' insurrezione siciliana fissata il 4 ottobre, poi rimessa al 1 0 e fallite entrambe.
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^Diploma di Capitano di Lungo Corso rilasciato dal Governo Piemontese a Garibaldi
1*8 agosto 1855. (Vedi pag. 16).
NEL CAMPO UFFICIALE DELLA GUERRA 33
Se avessi voluto assistere e secondare lo spirito, ormai vivo, d' irritazione contro
la prevalenza di alcune individualità inteme ed esterne lo avrei potuto. Ma la situa-
zione è molto delicata e tutto si dissiperebbe, con disgrazia generale, in lutti di fazione.
Bisogna vedere di modificare senza urti.
Sento dall' Italia il riproporsi della così detta Società Nazionale ed il riprodursi
del Piccolo Corriere. Con la più profonda convinzione e coscienza ti dico, che il per-
sonale introdottosi alla Direzione durante la guerra, ricevendo le ispirazioni della cosi
detta Società Nazionale, fu quello che sostenne dover dipendere il moto di Sicilia e
di Napoli da un ordine di Napoleone III; prometteva una spedizione Franco- Sarda ed
allora, come oggi, si lusinga da parte di Garibaldi e temporeggia tramandando sempre
in aspettazione di nuove complicazioni.
I momenti sono preziosi e da non implicarsi a risuscitare chiacchiere imprecanti
e lotte di fazioni. Accettare collettivamente il terreno presente, come convegno comune,
sema sospetto e senza riserva. Unità, scopo cui tesero mezzi diversi, oggi si presenta
formulata di mezzi e di modi propri all' opportunità. Suscitare 1' affinità di quanti con-
cordano nella necessità del fatto per il principio, riconoscersi sul terreno dell' attualità,
rispettarsi reciprocamente per i principi e per i sacrifici, che ognuno professò nella
linea delle proprie convinzioni.
Queste, a mio credere, sono necessità alle quali il disconoscere trascina a com-
plicità in catastrofe, probabilmente non lontana e conseguente a tale disconoscenza.
Bisogna completare i propri sforzi, onde superare gli ostacoli interni da qualunque parte
o pregiudizio siano stati generati. Mi sono diretto a te per credere gravi le circo-
stanze, influente la tua reputazione presso gli uomini di diversa opinione, che ti amano,
e perchè teco doveva prima spiegarmi per 1' antica nostra amicizia e confidenza in
argomento, che potrebbe farsi ognor più delicato. Ti abbraccio.
Tuo aff.mo
NICOLA
PS. - Indirizza: Sig. Francesco Faelli, negoziante - Genova (dentro Malta).
Al Sig. Ignazio Ribolli
Maggior Generale Comandatile le forze militari
Modena
CURÀTULO
CAPITOLO III.
TIMORI E SPERANZE DEGLI ESULI SICILIANI.
IL PRECURSORE DEI MILLE.
I . alleanza con la Francia fu nel '59 causa di molte ed opposte discus-
sioni ; ma specialmente fra gli esuli siciliani la nuova politica del conte di Cavour
destò vive preoccupazioni. Il fior fiore del patriottismo di Sicilia, rifugiato in
Piemonte, attendeva impaziente l' ora della riscossa e mentre alcuni, negli avve-
nimenti che si erano andati maturando, scorgevano un raggio di speranza per la
oppressa patria lontana, altri grandemente temevano. Oggi, che il sole della libertà
risplende lummoso dall'Alpi al Lilibeo, è caro il leggere le lettere di quegli esuli, il
vivere, per un istante, delle ansie che in quei giorni ne agitavano i petti.
Tra i molti siciliani rifugiati in Piemonte erano Salvatore Calvino e Vincenzo
Fardella, marchese di Torrearsa. Il primo aveva preso parte alla rivoluzione
siciliana del 1 848 ed alla spedizione in Calabria, comandata dal generale Ribotti
e finita infelicemente nelle acque di Corfù. Il Calvino con Ribotti, Giacomo
Longo ed altri fu fatto prigioniero e, condotto a Napoli, stette rinchiuso in
Castel S. Elmo per quattordici mesi ; poi fu esiliato. Modesto quant' altri mai,
carattere adamantino, fece la campagna del '59 con l' esercito sardo ; finita la
guerra fu nell' Italia centrale nello Stato Maggiore del generale Ribotti e nel I 860,
date le dimissioni, seguì Garibaldi nella gloriosa impresa.
Nobilissima testimonianza dell' intemerato patriota siciliano resta la lettera
inedita che qui pubblico, scritta al fratello nei giorni dell' esilio, dalla Spezia,
dove il Calvino si procurava i mezzi di sussistenza dando lezioni di matematica.
Salvatore Calvino al fratello.
Spezia, 28 marzo 1858.
Mio amatissimo Gaspare,
Tu ben sai che papà nelle sue lettere degli 8 e 22 dicembre propone ed insiste
perchè io faccia a codesto Governo la dimanda per ottenere la grazia di rimpatriare.
36 TIMORI E SPERANZE DEGLI ESULI SICILIANI
E un affare delicatissimo del quale non volli scrivere a papà, ne volli scrivervene per
posta, e credo preferibile tener pronta questa lettera per te e fartela giungere con la
prima occasione sicura. Prima di ogni cosa, ti manifesto il mio rincrescimento per le
espressioni usate da papà per indurmi a quel passo, quasi che io non ricordassi qual
sia la cadente età di lui e della mamma, quasi che io non vedessi i pericoli cui siamo
esposti di non vederci mai più in questo mondo, quasi che il mio affetto per loro e
per voi tutti avesse bisogno, per stimolo, di tali ricordi !
Io ti assicuro, carissimo Gaspare, e tu lo comprenderai, che in questa vita trava-
gliata dell' esilio, l' unico dolore che mi punge profondamente il cuore si è l' essere
lontano da voi ; il resto non curo e disprezzo. Il desiderio che io nutro di riabbrac-
ciarvi è sempre in me vivissimo ed alimentato da una speranza, che forse, quando
meno ci attendiamo, potrà essere soddisfatta. Per affrettare anche di un giorno questo
momento di riabbracciarvi, io farei qualunque sacrifizio, purché nei limiti dell'onesto.
Ora, mi rincresce il dirvelo, io credo disonesto il fare una supplica chiedendo grazia
a Ferdinando li, e mi dispiace che in questa idea siamo in perfetto disaccordo e
ciò io inferisco dal consiglio che mi date ; poiché voi, se credeste quest' atto diso-
nesto non mei consigliereste di certo. Io ritengo che questa differenza essenziale nelle
nostre opinioni provenga, oltre che dal velo che fa la passione, anche dal diverso giudizio
che noi facciamo del Governo del Re Ferdinando. Voi sotto il giogo, e quasi direi
avvezzi ora di nuovo a sopportare le catene, non osservate e giudicate gli atti e gli
effetti con disperata rassegnazione ; io, libero, inorridisco di un Governo spietato e
mostruoso e non posso transigere con esso. Ne queste sono esagerazioni di passioni.
Tutta r Europa civile, anzi tutto il mondo, ha già anatemizzato il Governo di Ferdinando,
come uno dei Governi più empi, che abbiano esistito mai al mondo, e voi non potete
essere giudici dello stato della pubblica opinione in Europa su cotesto Governo, poiché
non la conoscete. Il richiamo degli Ambasciatori di Francia e d' Inghilterra da Napoli
in seguito alle barbarie inaudite esercitate dal Governo Napoletano, che Gladstone
chiamò negazione di Dio, vi dà una certa idea della pubblica opinione. Io non voglio
entrare in molti particolari, ne narrarvi quello che si pubblica e si dice dalla stampa
in tutta Europa. Solo sappiate, e ciò basterà a farvi sensazione, che i Governi dispotici
stessi ed amici di Ferdinando, cioè la Russia, l'Austria e la Prussia lo hanno seve-
ramente giudicato. Io dunque penso, come tutta 1' Europa civile, giudicando Ferdinando
un mostro. Se voi pensate diversamente me ne duole, poiché crederete il mio rifiuto un
capriccio e non vi rassegnerete, mentre ripensando l'atto di sottomissione una cosa
disonesta, una viltà e perciò una cosa impossibile, sebbene con indicibile dolore, mi
debbo rassegnare. Quand'anche voi aveste ragione e tutta l'Europa torto a giudicare
disonesta la sottomissione ad un tiranno e molto più a Ferdinando II, si deve un
galantuomo mettere in condizione di essere giudicato come disonesto e vile da tutti
e specialmente dagli uomini cui professa grande stima? E non sono sempre dignito-
samente a sopportare l' esilio con la fronte alta tutti gli uomini più rispettabili dell' emi-
grazione, che invecchiano nell'esilio e soffrono rassegnati? E quanti lontani dalle famiglie?
Quanti vecchi esuli hanno figli in patria, eppure si rassegnano a non riabbracciarli?
Siamo noi che dobbiamo fare quest'atto di debolezza e di pusillanimità? Il vecchio
IL PRECURSORE DEI MILLE 37
principe di Trabia non invitò il figlio principe di Scordia? E morirono entrambi, l'uno
in Sicilia e l'altro in esilio senza vedersi? Io non scriverò mai una riga per rientrare,
sia in forma di supplica, sia come dichiarazione di sottomissione dopo ottenuta la grazia,
anche chiesta da altri. Io solamente rientrerò, quando sarà accordata un* amnistia gene-
rale, tanto larga da esservi io compreso, ma senza condizioni. Mi è doloroso il trovarmi
in questa dura posizione e ti assicuro che per riabbracciarvi mi contenterei che l' esilio
perpetuo fosse mutato in relegazione in Favignana, purché io non domandi e non scriva
una riga, ne prima, ne dopo. A questo mi rassegnerei, ad umiliarmi non mai ! Addio,
carissimo Gaspare, salutami gli amici e credi all' affetto del tuo fratello che caramente
ti abbraccia.
SALVATORE
*
* *
L' altro esule siciliano, che aveva portato nei moti dell' isola natia la foga
della sua anima ardente insieme all' influenza, che la ricchezza e la nobiltà del
casato gli conferivano, fu Vincenzo Fardella, marchese di Torrearsa. Presidente
del Parlamento siciliano nel 1 848, egli aveva retto con acume di diplomatico
il Mmistero degli Esteri. Ripristinatasi la reazione borbonica, prese anch' egli
la via dell' esilio e stette lungo tempo a Tonno ; per ragioni di salute si stabilì
poscia a Nizza.
Le quattro importanti lettere inedite, che qui si leggono dirette a Calvino,
che egli amava con affetto di fratello e l' altra del Calvino a Cadolini, avanzo
venerando di tutte le battaglie dell' indipendenza, illuminano sullo stato d' animo
degli esiliati siciliani nel principio del 1859.
Vincenzo Fardella a Salvatore Calvino.
Nizza, 15 gennaio 1859.
Mio carissimo amico.
Alla fine dopo dieci anni di esilio, parmi che possiamo respirare con tutta la soddi-
sfazione di chi si vede prossimo alla stazione, dopo lungo e faticoso camminare. Ormai
il guanto è gettato ed a mio avviso l'Austriaco, o in un modo o nell' altro dovrà varcare
le Alpi. Sarà questo il vero trionfo della causa Italiana, e Dio voglia che i partiti si
avessero la saviezza e l'accorgimento di concorrervi con tutte le loro forze e di rimet-
tere alla pace le quistioni di ordinamento interno. Capisco bene che molti non vedranno
di buon grado l'esercito francese in Italia; ma essi dovrebbero riflettere alla pochezza
delle nostre forze ed all'impossibilità della lotta nello stato attuale dell'Europa, senza
r intervento diretto di alcuna delle grandi potenze e la forzata neutralità di qualche
altra. Quanto a me, riguardando sommo bene la cacciata dello straniero ed ogni altra
38 TIMORI E SPERANZE DEGLI ESULI SICILIANI
cosa da verificarsi in un periodo più o meno lungo, non mi spavento affatto dei sacrifizi,
che ci si fanno travedere, come prezzo dell'alleanza francese. Dalle parole della tua
lettera, veggo che non hai l'intenzione di startene ozioso nel caso di poter menare le mani,
ed interessandomi moltissimo ogni tua risoluzione, ti prego di farmi sapere opportu-
namente quanto sarai per fare, e nel caso di una partenza da costì non lasciarmi lunga-
mente privo di tue notizie.
Sono sicuro che l'incendio una volta destato si propagherà rapidamente per tutta
la penisola e quindi veggo già barcollante il trono di Bomba e come primo sintomo
di crescente paura, dopo l' amnistia che sai, l' annunzio del Ministero Filangieri e com-
pagni ; poscia avverrà la catastrofe che vorrei fosse solenne e completa ; ma qualcuno
mi sostiene che con brodo di maccheroni nelle Vene non si fa nulla di buono. Ti abbraccio
e sono per sempre
tuo amico aff.mo
VINCENZO FARDELLA
Nizza, 31 gennaio 1859.
Mio carissimo amico.
Siamo in un periodo di altalena politica, che non mi scoraggia per nulla e che
anzi, a mio avviso, servirà a semplificare la quistione prima di venire all' inevitabile
guerra. Tu vedrai che 1' opposizione dell' Inghilterra servirà a mandare in fumo il
regno di Pomplon e ad assicurare l' intero Lombardo- Veneto al Piemonte. La torta
per ora, a parer mio, non soffrirà altre partizioni. La diplomazia e gli uomini della
Borsa cercheranno di stornare la tempesta ; ma i loro sforzi non potranno giungere al
desiderato scopo, perchè la posizione creata al Piemonte è talmente critica per quanto
la Francia non può lasciarvelo senza positivo disonore e diminuzione di influenza in
Europa. A parer mio, come l' ambasciata di Mensikoff ed il celebre manifesto di
Nesselrode fecero inevitabile la guerra di Crimea, del pari le parole di Napoleone a
Hubner, il discorso di Vittorio Emanuele e 1' ultima dichiarazione del Monitore, a
proposito del matrimonio di Pomplon, han resa certa la guerra d' Italia o per meglio
dire r uscita dell' Austria dalla Penisola. Non credere che Napoleone tentenna, e
tieni per fermo, che quell' uomo è troppo fino per non misurare da lontano le conse-
guenze della sua politica eminentemente scaltra ed avveduta. Egli dopo la gran bomba
lanciata ha voluto contare i morti ed i feriti e lasciar fare gradatamente quella specie
di travaglio digestivo (perdona il paragone), che bisogna per istornare l' opinione
pubblica da una corrente d' idee e lanciarla in un' altra ed in effetto ci è riuscito.
Cosa dicono i giornali Francesi all'unanimità? Pace, pace; ma salvo l'onore e gli
interessi materiali e morali della Francia. E ciò basta all' Imperatore, che d' altronde
ha di già annunziato, che quest' interessi sono identici con quelli del Piemonte. Il
resto lo farà l'Austria, che non può assolutamente ammettere una quistione italiana e
r ingerenza diplomatica di altra grande potenza nella penisola, ove sin' ora ha regnato
senza controllo. Qualche mese ancora di dilazione e vedrai il campo delle ostilità più
ristretto e meglio spazzato. La Germania si calmerà e si persuaderà, che il Po non è
IL PRECURSOf^ DEI MILLE 39
fiume tedesco e 1' Inghilterra anch' essa si rassegnerà all' accorcialìna, che si vuol fare
all' Impero Austriaco. Gli articoli del Morning Posi sono significanti e comunque non
si deve affatto contare sulle opinioni degli uomini politici pria di essere al potere,
pure non bisogna disprezzarle del tutto.
Infine, io credo fermamente alla guerra, perchè la trovo sommamente utile alla
Francia Imperiale, che non potendosi allargare con le conquiste, ha d' uopo di gloria e
di potenza morale e perchè parmi calcolo di avveduto politico rinforzare e far grande
un alleato che potrà in un dato tempo prestare grandissimi servizi. Se Napoleone
pensa ad ingrandire la Francia bisogna che attenda la caduta dell' Impero Turco e se
allora avrà con sé 200 mila baionette Italiane e la Russia, parmi che le ambite fron-
tiere del Reno non fossero impossibili. Napoli però, non mi lascia tranquillo ed il
Bombino, appoggiato questa volta dagli Inglesi ci sta nel cuore come un peso enorme.
Tu dici che bisogna contare con elementi popolari ; ma io ti confesso che in generale
credo che con tanti eserciti che calpesteranno l' Italo suolo, questo elemento sarà com-
presso e regolato a volontà e che in Napoli poi non so dargli molta importanza a
fronte di un nuovo Prmcipe giovane e generoso di concessioni. Tu conosci i nostri
vicini e sai qual fibra tenerissima essi si hanno. Per la Sicilia, credo bene che farà
qualche cosa e le auguro con tutto il cuore ogni bene possibile. Tu sai il mio pro-
gramma : r Italia una, la Sicilia parte di essa. L' Italia divisa ; e la Sicilia si abbia
la sua amministrazione, per non dire la tremenda parola indipendenza e che si leghi
con forti vincoli politici agli stati liberi della penisola; le parziali fusioni con Napoli
o col Piemonte non mi vanno a sangue. Non ridere e rammentati, che ormai io sono
vecchio e che i vecchi non possono cambiare le loro opinioni, comunque savii a
sufficenza per rispettare o non avversare 1' operato della gioventù, che deve agire, e
deve assicurare le sorti della patria.
Tuo aff.mo amico
VINCENZO FARDELLA
Nizza, 13 aprile 1859.
Mio carissimo amico,
Tu sai che io non ho ragioni particolari di lodarmi di Cavour e quindi saprai
apprezzare l' imparzialità del mio giudizio. Per me, egli è l' unico uomo, che s* innalza
al di sopra della mediocrità fra quanti ve ne sono in Piemonte mischiati nelle cose
politiche. E r unico, a mio avviso, che ha saputo comprendere la quistione Italiana in
un modo più largo : è 1' unico che senza attentare alla vita politica di questo Stato,
osa servirsene come di leva per la formazione di un regno, che volere o non volere
deve essere la morte delle idee municipali Piemontesi, e l' iniziatore, se non il fondatore,
di quella nazionalità Italiana, che tu fai consistere nell' unità politica di tutti i popoli
della Penisola e che io riguarderò come di già esistente, allorché uno Stato forte sarà
cosi solidamente costituito da riassumere in se gì' interessi maggiori e l' avvenire politico
delle altre frazioni della Penisola.
40 TIMORI E SPERANZE DEGLI ESULI SICILIANI
In quanto alla politica del carciofo, ti confesso che io la trovo savia e che panni
forse r unica dettata dall' illuminata ragion di Stato e per niente legata alla tal dinastia
o alla tal forma di Governo ; ed assicurati poi, che Cavour è 1' uomo di mangiarlo tutto
in una volta, se la sorte glie ne oSre il destro. I suoi desiderii non sono minori dei
tuoi, lo so di sicuro ; ma non bisogna dimenticare le gravi difficoltà che si oppongono
all' impresa e i doveri, che pesano su di un Ministro che deve nello stesso tempo
pensare a conservare allo Stato, per il bene generale, la posizione e le franchigie
acquistate. Infine, non essendo seguace dell' assurda teoria del tutto o nulla pare
a me chiarissimo, come peraltro lo addimostra il buon senso della grande maggio-
ranza della Nazione, che 1* aiuto nostro può essergli dato con la massima serenità di
coscienza.
Per esser liberi dobbiamo cominciare dall' essere indipendenti, ed essendo indi-
pendenti saremo nazione ; quindi fuori lo straniero e da canto ogni quistione di forma
governativa. Dopo la guerra, disgraziatamente, non ci mancherà il tempo per lacerarci
tra noi. L' aiuto francese ci è necessario ; dobbiamo perciò accettarlo senza troppo
sofisticare sulla moralità e le ragioni che spingono Napoleone 111. Io per me non temo
ne la sua ambizione, ne l' intronizzazione di Principi Francesi nella Penisola, parendomi
evidente, che la diffidente gelosia dell' Europa intera ce ne garentiscono. Per il Con-
gresso siamo perfettamente di accordo: o non si riunisce del tutto o si riunirà per
legalizzare il casus belli. Frattanto tu li domandi cosa debbono fare gli emigrati
Siciliani ? E veramente vale la pena di farsi una tale quistione, ora principalmente che
oltre la guerra italiana si ha la prossima morte del Re di Napoli, che può anche
da un momento all'altro cambiare la condizione politica del nostro Paese. Quanto a
me, tu sai la mia professione di fede : desidero che non potendosi 1' Italia unificare,
si acquistasse 1' Isola nostra quanto più le sia possibile della sua autonomia, compiendo
però tuttti i doveri, che in questo momento le impone il grande interesse della guerra
nazionale. Riunire l'opinione degli emigrati e farla convenire in certi punti principali
non parmi cosa facile ; ma pure, dal canto mio, sono pronto a tutto e ripeto a te ciò
che ho detto ad altri, che nel momento crederei di grande utilità qualche buono scritto
per istruire la Sicilia sul vero stato di cose nella Penisola e dell' Europa e per
combattere le idee strane, che hanno dovuto lì necessariamente alimentare e il carattere
immaginoso dei nostri compatriotti e i rigori polizieschi. Però, è ben probabile che gli
avvenimenti, precederanno ogni nostro accordo e quanto resta a fare per ora agli
emigrati Siciliani si è di appoggiare, per come e quanto possono, questo Governo e
tenersi pronti a correre in Patria appena lo potranno. Per mettersi nelle fila come
soldato, bisogna esser giovani, e tu cominci ad essere già nel numero di quelli che
valgono più col senno che con la mano. Se sarò al caso di prendere qualche risolu-
zione te ne terrò informato e tu fa lo stesso dal canto tuo. Salutami il Sig. Impet-
donato e conservami quell' affetto che mi è tanto caro e credimi
tuo amico aff.mo
VINCENZO FARDELLA
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Passaporto rilasciato a Garibaldi dal Console Francese di Nizza il 31 gennaio 1856
sotto il falso nome di " Joseph Pane „ per andare a liberare Luigi Settembrini,
Carlo Poerio e Spaventa rinchiusi nell'ergastolo di Santo Stefano. (Vedi pag. 19).
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Lettera diretta dal Conte di Cavour a Garibaldi il 17 marzo 1859,
colla quale gli affidava il Comando del Corpo di Volontari. (Vedi pag. 22).
IL PRECURSORE DEI MILLE 41
Nizza, 18 luglio 1859.
Carissimo amico.
Il dolore e lo sbalordimento cagionatomi dall'inattesa pace con l'Austria mi hanno
tolto la forza di rispondere alla tua buona lettera del 10 corrente, perchè mi è oltre-
modo penoso toccare le nostre piaghe, sia parlando o scrivendo. Ma bisogna darsi
pace e cercare di riacquistare la forza e la calma necessaria per giudicare gli uomini
e gli eventi senza passione e per attenuare il male per quanto si può. Sin' ora io non
so rendermi ragione di alcun fatto e cerco con avidità la causa di così strani ed
inauditi avvenimenti. Come mai è possibile una confederazione Italiana con l'Austria
padrona della Venezia? Col Papa, col re di Napoli nemici di ogni idea di naziona-
lità? Io non lo comprendo; e cosa sarà della povera nostra Sicilia? Continueremo ad
essere calpestati dai lazzaroni di Napoli, la feccia più vile dei mondo. Dammi tue
nuove e tienmi al giorno dei fatti che costì avvengono.
Tuo amico aff.mo
VINCENZO FARDELLA
Salvatore Calvino a Giovanni Cadolini.
Spezia, 23 gennaio 1859.
Mio carissimo Giovannino,
Dopo le parole di Napoleone, ii discorso di Vittorio Emanuele, il linguaggio
della stampa Europea e particolarmente della Francese e della Piemontese, dopo gli
armamenti ed i concentramenti di truppa, che alacremente si fanno da ogni parte, le
probabilità della guerra all'Austria sono molte. Però non possiamo esserne certi, perchè
Napoleone, avendo nemici la Borsa ed i Leggittimisti m questa quistione, tentenna
ancora. Credo intanto, che egli sia compromesso troppo con tutti e principalmente
col Piemonte e con l'Esercito Francese per andare indietro. Vedremo! Frattanto la
ritirata dell'Austriaco è molto probabile. Lo scopo della guerra, quella parte che
riguarda all' Italia, sembra essere la ripartizione in tre grandi Stati ; quello del Nord
con Vittorio, del Centro col Principe Napoleone e del Sud col primogenito di Bomba !
Vedi che pasticcio ! Vedi che noi poveri Meridionali saremo i più disgraziati ! Ma
chi sa, che non abbiano fatto i conti senza l'oste. Napoleone per Napoli transige,
per non avere nemica l' Inghilterra. La grave malattia del Bomba non so se migliora
o peggiora le cose ; intanto è meglio che muoia. Io anzi dubito che sia morto e che
non pubblichino la notizia per accordarsi prima sulle misure da prendere. Nella quistione
attuale, se vi saranno moti popolari, secondo la loro importanza, le cose prenderanno
diversa direzione, forse non preveduta dai motori.
Questo Governo pare voglia fare davvero e tutti i partiti sono concordi nel volerlo
aiutare nell'opera di cacciare lo straniero. Il solo Mazzini credo, che sia in parte
avverso. A Genova c'è un movimento di Società, di adunanze, di indirizzi ecc. da
far sbalordire. Angelo ( Bargoni) son certo che te ne avrà scritto. In quanto al nostro
42 TIMORI E SPERANZE DEGLI ESULI SICILIANI
concorso, eccoti il mio avviso. Aiutare il movimento nazionale in corpi separati lo
credo impossibile ; questo governo non li accetterebbe, molto più che alcuni avevano
messo in sospetto le adunanze di molti patriotti in Genova, sospetti fortunatamente ora
dileguati. Non resta che aiutare alla guerra incorporati nei corpi organizzati militar-
mente e la preferenza nei più disciplinati. Credo che questa sia 1' unica via. Anzi mi
dicono, che questo Governo accetti i volontari e li incorpori divisi in diversi corpi,
così, essendo dispersi, non ha motivi di sospettare. 11 corpo di Garibaldi non credo
sarà di soli volontari ; ritengo piuttosto sarà un corpo fuso di truppa organizzata, mista
a volontari. Insomma, mi sembra che non vi sia scelta : o incorporarsi o starsene a
vedere ; cosa non decorosa quando si combatte l'Austriaco ! Quanto a me individual-
mente, attendo di vedere che piega prendono le cose per risolvermi. Ozioso invero,
non vorrò stare! Se ci saranno novità ti avviserò. Tu intanto scrivimi, che io sarò
più puntuale a risponderti. Gli auguri che ti faccio sono, che le cose vadano bene
questa volta. Salutami tuo fratello e ricevi un abbraccio fraterno dal tuo
aff.mo
SALVATORE
Al Sig. Ing. G. Cadolini
Oristano (Sardegna)
*
* ■
Ma i due esuli siciliani, che scrissero il loro nome nel bronzo della Storia,
furono Rosalino Pilo e Francesco Crispi ; sono queste le due figure giganti del
prologo di quel poema epico, che fu la spedizione dei Mille. Se, come giusta-
mente fu scritto, a Mazzini e a Fabrizi si deve il merito di avere alimentato
nel petto dei forti figli della Sicilia il sacro fuoco della libertà, di averli incitati
senza mai tregua a spezzare le catene della servitù ed a mettere da parte ogni
malsana idea di autonomia, si deve a Francesco Crispi il vanto di avere con
coraggio, tenacia e sacrifizi preparato l' Isola a ricevere la schiera liberatrice ed a
cooperare, con slancio sublime, alla vittoria finale. Ma un altro grande merito
si ebbe il Crispi, quello di essere stato Io statista, il legislatore della rivoluzione.
II volume di documenti recentemente pubblicato è il miglior monumento, che a
lui poteva erigersi.
Natura fiera ed inflessibile, egli ebbe amici, ma irreconciliabili avversari,
non solo nella seconda parte della sua vita, quando cioè resse le redini del
Governo, ma anche nei tempi memorabili dell' azione. 11 suo implacabile oppo-
sitore di queir epoca fu, come è noto, un altro siciliano, Giuseppe La Farina,
patriota anch' egli, ma che, messosi poi ai servizi del conte di Cavour, per ren-
IL PRECURSORE DEI MILLE 43
dersi gradito al suo signore e per soddisfare la propria vanità, esagerò il compito
suo, onde egli fu, ben si può dire, il pomo della discordia nel 1 860 in Sicilia.
Gli odi seminati in quei giorni ebbero il loro epilogo nel processo inten-
tato nel 1 869 da Francesco Crispi contro l' editore del famoso epistolario
lafariniano. Il veleno istillato, goccia a goccia, nelle lettere dirette al conte di
Cavour dal La Farina mostrano la sconfinata ambizione dell' uomo, diretta sopra-
tutto a criticare ed a calunniare l' opera del Crispi.
Nel novembre del 1 869, mentre si svolgeva a Milano il processo contro
Ausonio Franchi {Cristoforo Bonavino), editore dell' epistolario, Crispi, fortemente
amareggiato dalle accuse, che gli si facevano, sentì il bisogno di una parola di
conforto dal solo uomo, che era al caso di poter dire quale era stata l' opera
sua in tutta la campagna di Sicilia ; onde egli scrisse a Garibaldi la seguente lettera
inedita, che tolgo nel mio Archivio e che provocò la nota risposta del Generale.
Francesco Crispi a Garibaldi.
Milano, 1 1 novembre ! 869.
Mio Generale,
lo scrivo da Milano, ma voi potete rispondermi a Firenze, dove andrò stasera.
Sono stato qui per il processo contro gli editori dell' Epistolario di La Farina. La
Farina scriveva:
« che sotto la Dittatura furono dati gradi e comandi ai Borbonici e che noi per
» cercare i favori che ci negava il paese, ci appoggiavamo alle persone spregevoli
» ed odiate;
» che il popolo cacciò dal mio Gabinetto, a pedate, l' istruttore del Processo di
» Bentivegna, che io vi teneva a scrivere ;
» che da noi la finanza fu dilapidata e malversala e che si rubava senza ritegno ;
» che avevamo disorganizzato tutto ed avevamo tutto disordinato ».
lo mi querelai in Tribunale contro gli Editori del libro di quel miserabile oggi
defunto. La causa cominciata il 15 continuò fino a ieri, 17, e venne rinviata al 27
corrente. Io non ve ne ho scritto mai, quantunque nel libro di La Farina il mio nome
sia lacerato ed insultato. Ve ne scrivo oggi, perchè l'avversario, leggendo all'udienza
del 16 una lettera vostra al Medici, cercò interpretarla in guisa che gl'ingenui, e sono
molti, dubitano delle vostre intenzioni a mio riguardo.
Voi mi conoscete. Nessuno meglio di voi può giudicare le opere mie, la mia
moralità come vostro Ministro. Io attendo da voi tale giudizio. Vi stringo con affetto
la mano.
Vostro di cuore
F. CRISPI
44 TIMORI E SPERANZE DEGLI ESULI SICILIANI
E Giuseppe Garibaldi rispondeva con la lettera del 24 novembre di quel-
l'anno e già pubblicata, chiamando il Crispi : « incontaminato amico mio, primo
per senno nella gloriosa nostra impresa e oero organizzatore e reggitore dell' invi-
diato Governo del '60 ».
* *
Rosalino Pilo, l'altro grande ma infelice esule siciliano, il precursore dei
Mille, alla cui memoria vada, in questi giorni di sacri ricordi, dal petto di ogni
italiano un palpito di gratitudine, cadeva esamine, sei giorni avanti l'entrata di
Garibaldi a Palermo, colpito in fronte da una palla borbonica. Egli moriva senza
aver potuto vedere realizzato il tormentoso sogno di tutta la sua vita !
Nato da nobile lignaggio, ricco di averi, consacrò tutta l'esistenza ed ogni
sostanza per la redenzione della patria. Discepolo di Giuseppe Mazzini, fedele
ai dettami del grande Apostolo, cospiratore indomito, ebbe quanto e più del
Maestro, una grande sfiducia nel governo piemontese, da lui non ritenuto idoneo
a compiere la liberazione nazionale. « Italiano unitario », come chiamava il suo
partito, in opposizione a quello che egli diceva « municipale costituzionale *
rappresentato dal governo piemontese, Rosalino Pilo non vedeva altra via che
quella dei movimenti popolari. ' Scampato per puro caso alla morte, non avendo
potuto partecipare, come era stabilito, all'infelice impresa del Pisacane, che partito
da Genova il 25 giugno del '57 sul " Cagliari ,,, con Nicotera, Falconi, Daneri
ed altri prodi doveva incontrare il Pilo in alto mare, ma che per errore di rotta
o per la fitta nebbia, non vi riuscì, Rosalino se ne tornò in Genova ed unitosi
a Mazzini ed agli altri dovevano tutti insieme di sorpresa occupare i forti,
impadronirsi di un vapore, caricarvi i cannoni, le munizioni, ed imbarcarsi per
il regno di Napoli in soccorso di Pisacane.
Questo disegno disapprovato, come è noto, da Garibaldi e che lo stesso
Mazzini, all' ultimo momento, avrebbe voluto impedire, venne a conoscenza del
Governo e Pilo che doveva partecipare all'assalto del forte dello Sperone, riuscì
a fuggire e fu condannato in contumacia. Nei primi di luglio di quell'anno lo
troviamo rifugiato in Malta, dove gli pervenne la seguente lettera inedita
di Mazzini, che trascrivo dalla copia di pugno di Rosalino ; lettera che è
' Paolucci - Rosalino Pilo, in « Archivio Storico Siciliano », An. XXIV, pag. 211.
IL PRECURSORE DEI MILLE 45
uno dei tanti documenti psicologici, che attestano la grande tenacia e la non
comune forza d'animo del grande esule genovese, che nessun insuccesso, per
quanto tragico, riusciva ad affievolire e che in quei giorni faceva scrivere a
Giorgio Pallavicino, in una lettera inedita a Felice Foresti le seguenti parole :
•« Mazzini ha la natura del gatto ; per quanto caschi dall'alto non si rompe
mai il collo ».
Come si vede Giuseppe Mazzini, pur conoscendo la sorte toccata al Pisacane,
ignorava ancora i particolari della spedizione e domanda, se Falcone era stato
ferito. L'eroico Falcone anch'egli barbaramente massacrato !
Mazzini a Rosalino Pilo.
Caro Fratello,
Le vostre linee, in mezzo a tanti dolori ed a tanta rovina, mi hanno dato un vero
piacere. Non dubitavo della tempra vostra, ma non sapevo ove foste, se libero, se
presto ad essere attivo. li passato recente è triste ; possiamo attenuare con le spiega-
zioni, ma non cancellare un gran fatto. Non basta una scintilla, ma è necessaria una
splendida vittoria. Vi è in Italia malcontento, desiderio di cangiamento ; ma poco
animo a slanciarsi, poca fede in se, poco slancio di sacrifizio. Siamo nati ieri, siamo
fanciulli ed a forza di ragionare e di crederci pratici, siamo decrepiti in fanciullezza.
Il Sud (e parlo di Sicilia, come di Napoli) dovrebbe agire ; dovrebbe aver risposto
a Bentivegna ed a Pisacane. Non l'hanno fatto. L' ultimo caso è più lamentevole ; la
delusione da parte della Provincia è più grave ; ma anche in Sicilia vi è guasto.
Ragione di più, perchè noi rimaniamo fermi sulla nostra via di predicazione e di azione.
Soltanto bisogna vedere chiara la posizione. Iniziativa provocata dalle nostre popola-
zioni è inutile sperarlo. Possiamo cospirare, organizzare in Napoli, in Sicilia, altrove,
quanto vogliamo : non sorgeranno ! Giungeranno sino al momento, poi si lasceranno
svolgere dai moderati o sopraffare da un incidente. D'altra parte non v'ha dubbio,
che il popolo della città è buono, che il malcontento ed il desiderio sono universali
e che una villoria sarebbe seguita. Bisogna dunque, procacciarsi questa vittoria ! Questa
vittoria è possibile, ma si esigono mezzi, non soverchiamente, ma abbastanza forti.
Prima, unica nostra preoccupazione deve essere questa. Spendere tanto quanto è neces-
sario per mantenere spirito e lavoro, e per questo poche corrispondenze e stampa.
Poi, concentrare ogni cosa, ogni offerta, piccola o grande, religiosamente e formare
una somma. Sprecare in viaggiatori, in progetti d'armi e contrabbandi, è male. Lo
ripeto : non riusciremo mai a fare che inizino, e se giungessero ad una tale condizione
di cose da farlo davvero lo faranno senza i nostri poveri aiuti. Qualche lettera per
occasione, qualche scritto sentito, cercando di rifare parte della spesa con la vendita
all' Estero. Non dobbiamo fare altro per l' interno. Se troviamo venti franchi, mettiamo
46 TIMORI E SPERANZE DEGLI ESULI SICILIANI
a parte due per la stampa tre al più ; mettiamo i diciasette in serbo per l' azione
nostra. Se arriveremo ad avere in mano la certezza di un' azione nostra, un mese di
cospirazione farà il lavoro di un anno o due, senza poter promettere cosa alcuna. So
cosa vuol dire cercar danaro, però bisogna cercarlo. Vi mando una circolare ; qui dove
sono, firmando, versano. Bisognerebbe che facessero così dapertutto. Bisogna insegnare
ai nostri il valore dei franchi e bisogna dir loro: voi non appartenete al partito, che
di nome se non contribuite. Questo non e' impedisce di cercar sempre le grosse somme ;
ma la sottoscrizione mensile servirebbe, se non fosse altro, alla stampa etc... Riesciate
o non riesciate, tentate! Dite almeno la verità. Gridate che un partito non può con
onore ridursi all' attività di un uomo o di pochi uomini ! Un partito è una Società in
grande ; deve adempire agli obblighi di ogni società. La carboneria lo faccia. Quei
che dicono di appartenere al Partito d' Azione lo facciano, o cessino di ciarlare !
Dovunque avete amici, cacciate questo grido e la Circolare. Avremo fatto almeno il
nostro dovere. E quanto al resto, agguantate giovani facoltosi, donne patriotte, se ne
incontrate, e cercate di avere qualche offerta. Se vi riuscite, sia che concentriate in
mano vostra, di Nicola (Fabrizi) o mia, non vada perdendosi in gocce per spese,
che tornano inutili. Ho disegni definiti, ma ora è inutile discorrerne ; prima abbiamo
fondi. Soltanto vorrei, che ciascuno di noi potesse trovarne da qui alla fine di febbraio ;
a quell'epoca bisognerebbe concentrare in mie mani. La natura del disegno da scie-
gliersi dipenderà in gran parte dalla cifra. Ditemi se avete nuove di Sicilia. Sapete
se Falcone perì ? Scriviamo poco, lavoriamo sempre ! non parlo del passato, ne del
povero Carlo {Pisacane), perchè ho troppo dolore e troppa ira nell'animo. Voglia-
temi bene.
Vostro aff.mo
GIUS.
P. S. - Dove non si può ottenere altro, cercate almeno di fare qualche abbonato
all' Italia del Popolo. Perisce per difetto di collaboratori retribuiti, e non ha denari
per retribuirli. Se trovate corrispondenze o corrispondenti, fate che ci aiutino. 11 Gior-
nale guardato com' è, siccome organo del partito, è importante.
Rosalino stette in Malta quasi un anno, ma fu spesso ammalato ; dopo si
recò a Londra, da dove nel luglio dei '59, alcuni giorni dopo la partenza del
Crispi per la Sicilia, si trasferì in Toscana, allo scopo di cooperare al disegno
di Mazzini, di provocare un moto nelle provincia papali e poi nel regno di
Napoli, che come diversione avesse agito in favore della sollevazione siciliana.
Ma il 1 7 agosto, mentre da Firenze si recava a Modena, fu arrestato a Bologna,
per ordine di Cipriani, insieme al Marangoni. In quei giorni furono pure impri-
gionati Alberto Mario con la moglie. Nei primi di settembre uscito dal carcere,
riparò a Lugano, dove rimase fino al dicembre ; poscia andò a Genova.
IL PRECURSORE DEI MILLE 47
*
* *
Le importanti lettere inedite di Rosalino Pilo, che qui pubblico sono
dirette a Salvatore Calvino, che egli amava come fratello, ma dal quale sovente
dissentiva per essere il Calvino temperamento più equilibrato, scevro da idee dot-
trinarie e non facile a farsi trasportare dalla passione. Questo dissenso si manifesta
con una punta d' ironia, talvolta assai acre e pungente e che deve considerarsi
come r espressione di un' anima ammalata. Attraverso però, a giudizi spesso
ingiusti o esagerati, si scopre sempre un'anima buona, ipersensibile, tutta inva-
sata dalle dottrine mazziniane ; si scorge l' uomo che opera sotto l' imperio di
un' idea fìssa, che è la sua vita ed il suo tormento.
Perchè, in verità, l'esistenza di Rosalino Pilo non fu che una serie non
interrotta di dolori fisici e morali ! 11 fuoco della passione che internamente lo
divorava, ne indeboliva sempre più la sua debole compagine organica. In una
delle lettere al Calvino, egli dice : « Ho scritto a Palermo per vendersi l' ultimo
residuo per mio vitalizio; se mi si manderà il denaro presto, sarò anch'io in
azione. Per ora lo stato mio è di morte, perchè dopo dieci anni di sacrifizi
fatti, vedermi forzato a stare inoperoso, è un martirio non spiegabile! »
L'ultima delle lettere, fu scritta il 25 marzo 1860 da Genova, un giorno
avanti che egli, col prode Corrao, partisse per la Sicilia in una piccola paranza
per preparare l' Isola alla venuta di Garibaldi, che, come si sa, era tutt' altro
che decisa. La pericolosa traversata, l'arrivo in Sicilia hanno del romantico e
del meraviglioso ! La lettera è diretta ai suoi due amici. Calvino e Cianciolo,
entrambi arruolati nell' esercito sardo ed in quei giorni al seguito del generale
Ribotti ; è un documento umano dei più interessanti in cui il grande patriota,
attraverso al più fine sarcasmo, rivela il suo grande amore per la patria ed il
presentimento della morte vicina !
Pilo e Corrao, sbarcati nelle vicinanze di Messina, si diedero con ardi-
mento a correre per l' isola, infiammando le popolazioni con la parola, annun-
ziando prossimo l' arrivo di Garibaldi e cercando che non si spegnessero del
tutto gli entusiasmi della domata rivolta del 4 aprile, scoppiata al suono delle
campane della Gancia. La marcia dell' eroico Rosalino verso Palermo in mezzo
ai più grandi pericoli, la sua corrispondenza con Garibaldi sono pagine di storia
conosciute. Ma inedito è il proclama, che il precursore dei Mille dirigeva il
5 aprile del 1860 in Carini al Popolo Siciliano e che qui trascrivo.
48 TIMORI E SPERANZE DEGLI ESULI SICILIANI
Proclama di Rosallno Pilo ai Siciliani.
FRATELLI SICILIANI
L'ora è suonata del nostro riscatto. Era ornai tempo, che fossimo calati in piazza
per abbattere l'infame, mostruoso, satanico Governo Borbonico. Nostri fratelli di fede
e di suolo sono li sostenitori di questa gloriosa insurrezione da voi con tanto coraggio
iniziata ; eglino si augurano di vedersi seguiti ed onorati di vostra fiducia. Sono con
voi oggi uomini a voi non ignoti per essersi trovati nella gloriosa insurrezione del 12
gennaio 1 848 e nella difesa eroica della città di Messina del detto anno ; per la qual
cosa dodici anni di esilio essi hanno dovuto e saputo onoratamente soffrire. Eglino
sono corsi e sbarcati clandestinamente al primo vostro agitarvi e non senza forti peri-
coli sonosi frammischiati fra voi per sostenere la insurrezione già incominciata, che
deve distruggere gli sgherri del borbone con l'ottenere dal popolo la vera libertà.
Siciliani fratelli! Corriamo tutti ad imbrandire le armi e procuriamo a tutta forza
di procacciarci le armi e le munizioni preparate dai sommi Italiani Generale Garibaldi
e Giuseppe Mazzini. Eglino già ce le hanno preparate, onde senza l' aiuto straniero
potessimo liberarci dall' infame governo borbonico e dagli stranieri oppressori della nostra
grande Patria, l' Italia.
Siciliani fratelli! Innalziamo in tutti li paesi, in tutte le città della bella e sventu-
rata isola nostra, la bandiera Nazionale dei puri tre colori italiani e mostriamo all' Europa
tutta, che non siamo figli degeneri della grande Italia nostra ; mostriamo che il nostro
programma di rivoluzione è : Unità e Libertà d' Italia e la Sovranità del Popolo.
Siciliani, in questo momento non discussioni inopportune, né discordie fraterne
ci tengano divisi ; non imbarazziamoci per ora della nuova forma di Governo da
adottarsi ; lasciamo alla Nazione libera la scelta della forma, tosto che potranno in Roma,
sul Campidoglio, sedere i rappresentanti del Popolo ; per ora tutti al grido dell' Unità
e Libertà combattiamo per distruggere il Governo del despota, che ci ha oppresso e
ci opprime. Vendichiamo il sangue dei nostri martiri caduti dal '48 al '60. Chiunque
cercherà di mettere la nostra bandiera retrograda od antinazionale sia tenuto come
nemico d'Italia; chiunque, in questi supremi momenti, spargerà parole di tradimento
o di falsi allarmi, sia tenuto e punito come traditore della Patria nostra e sia tosto
consegnato al Comitato di Sicurezza Pubblica, costituitosi per la nostra difesa e per
la conquista della Libertà.
Siciliani ! Bando ai rancori privati ; rispetto sopratutto alla proprietà e subordina-
zione ai vostri capi ed alla Legge.
Siciliani ! Corriamo in massa alle armi ; siano nostre armi li fucili, le ronche, le
accette e tutto quanto può offendere il nemico; valiamoci dell'arma popolare; la
granata o bomba all' Orsini per sterminare i nostri nemici ; non date quartiere ai birri
soldati e Capitani d' armi, che marciano alla testa della truppa Napoletana e che essendo
Italiana, fin' oggi non ha inteso il suo dovere di essere truppa Italiana e non ha voluto
imitare il bello esempio che la truppa Toscana gli diede. Li ricchi nostri concittadini
ILPRESIBEHTE DEL CONSÌ&LI0 BEI MINISTRI
cJ'ulLcy^ioyo:>iy.i}vu^ clt/ o^^ay^'c> ^^eneta/^ Ùct/cU/lO
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Decreto firmato da Cavour col quale Garibaldi è nominato Maggior Generale
Comandante del Corpo dei Cacciatori delle Alpi. (Vedi pag. 23).
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Il " Programma Italiano „ di Garibaldi scritto di sua mano verso il 1856.
(Vedi pag. 24).
IL PRECURSORE DEI MILLE
49
si apprestino ad aiutare con generose e forti offerte, in questi supremi momenti, con
l'oro, il paese e non vi sia cittadino, anche poco agiato, che non porti il suo obolo
al Comitato insurrezionale, onde ai nostri fratelli che combattono non manchi il neces-
sario di vitto, munizioni ed armi. Tutte le Congregazioni religiose soddisfino da parte
loro al presente appello ; non si metta il Comitato di sicurezza e difesa pubblica nella
dura circostanza di prendere misure efficaci per ottenere quello che di dovere ogni
buon patriotta nostro concittadino e corporazioni religiose, in simili frangenti, devono
spontaneamente compiere verso la Patria comune.
Siciliani, concordi ed uniti combattiamo il Borbone e morte agli infami satelliti
ormai nemici d' Italia !
Siciliani, con la concordia, il sacrifizio, l'audacia e la fermezza di proposito vince-
remo ; abbiate certa coscienza di ciò !
Animo dunque, corriamo tutti all'armi, perchè la causa nostra è santa per essere
la causa del Popolo per il trionfo della Nazionalità !
Viva l' Italia, Una e Libera ! Viva la Sovranità del Popolo ! Viva la Sicilia !
Viva Roma ! Viva il Popolo Italiano !
Rosalino Pilo a Salvatore Calvino.
Mio carissimo Salvatore,
14, Alfred Place Bedford Square.
Londra, li 30 maggio 1859.
Dopo lunghissimo tempo, mi pervenne una tua breve letterina ed in essa trovai
il rimprovero di silenzio da mio canto verso di te; ma io non credo di meritare il
rimbrotto, perchè scrivendo al nostro Federico lo pregai sempre di mandarti le mie
lettere, perchè scrivere a lui, intendevo scrivere a te, e mi sarebbe piaciuto in tempo
opportuno conoscere da te direttamente le ragioni del tuo preso servizio sotto una
bandiera fin' oggi non unitaria ed alleata a Napoleone, che non sosterrà mai, a mio
credere, la costituzione della nostra Patria Una e Libera. Basta, tu credesti di non
scrivermene, ed io non posso muovertene lagno.
Amico mio, oh! non puoi credere quanto mi rincresca non poterti essere a fianco
e di vivere al tuo lato li pericoli della guerra ; spero che la fortuna ti sarà propizia ;
spero che tu e tutti gì' Italiani, che ti somigliano, non deporrete le armi fino a che non
sarà r Italia nostra Una e Libera, ed in tutte le provincie libera dalla presenza di
stranieri. Ho troppa buona opinione di te per dubitare di ciò. Ho troppa buona opi-
nioni dei volontari corsi sotto le armi per temere, che le depongano prima di aver
conquistato l' Unità della Patria nostra. Fate di tutto, perchè il grido dell' Unità del-
l'Italia sorga sin da principio di questa guerra, per Dio! Non si cambi il Gran Duca
di Toscana per Plomplon e via discorrendo. Si dichiari che vogliamo essere Italiani ;
si dichiari che non vogliamo Tedeschi, né Francesi.
Amico mio, vorrei scriverti a lungo, ma non lo posso ; ho scritto una lunga lettera
ad Angelo nostro (Bargoni) ; prendine contezza, vi ha anche un rimprovero per te. Non
CURÀTULO 4
50 TIMORI E SPERANZE DEGLI ESULI .SICILIANI
ti scrivo a lungo, perchè ancora convalescente di 1 8 giorni di grave malattia ; ora sto
meglio, ma affranto di forze e abbattuto di morale per le tante contrarietà avute. Fra
li dispiaceri che mi ho, non è lieve quello di trovarmi mancante di mezzi pecuniari
per potere lasciare Londra e recarmi in un punto dove potrei combattere e spendere
la mia vita per la Patria nostra sotto vessillo unitario, non infesto da Francesi ancora.
Basta : ho scritto a Palermo per vendersi l' ultimo residuo del mio vitalizio ; se mi si
manderà il denaro presto sarò anch' io in azione ; per ora lo stato mio è di morte,
perchè dopo IO anni di sacrifizi fatti, vedermi forzato a stare inoperoso è un martirio
non spiegabile.
Addio, mio caro fratello ; se lo potrai, dammi le tue nuove. Ho letto un dispaccio
del 28 maggio, che dice il Generale Ribotti essere riuscito ad entrare in Parma ed
essersi proclamato nel Carrarese ed in Parma lo aderimento al Governo Sardo. Tu
sarai, credo, con Ribotti e quindi mi congratulo del vostro trionfo ; salutami Ribotti.
Addio, ti lascio ; accetta un bacio fraterno dal sempre
luo aff.mo amico
ROSALINO PILO
Lugano, IO novembre 1859.
Mio amatissimo Salvatore,
Finalmente dopo tanto tempo, mi è stato concesso di vedere i tuoi caratteri e di
rilevare dal contesto del tuo foglio, che la nostra amicizia non si è punto affievolita.
E bene che tu sappia che io non prestai mai fede alle ciancie, che mi scrissero ; né
feci motto al nostro Bargoni di quanto mi si era scritto, non mai perchè io avessi
riposto fede a quello che mi si era vergato, ma piuttosto per conoscere la causa del tuo
lungo silenzio, del non aver nemmeno riscontrato ad un' ultima lettera, che da Londra
t'inviai; dubitai che tu fossi meco in freddo per non esserci trovati d'accordo negli
ultimi fatti, come si era previsto, col tradimento di Villafvanca e con una maggiore
influenza da padrone dell'uomo infame del 2 dicembre sulla sventurata Italia nostra.
Basta, speriamo che gì' Italiani non depongano le armi senza vendicar Perugia, e se
non prima avranno ottenuto libertà, unità ed indipendenza da tutta specie di stranieri.
Amico mio, non posso fare a meno di dichiararti, che sono ben lieto di aver constatato
da questo tuo foglio del 6, che la tua amicizia non mi si è punto diminuita e che
sempre possiedo il tuo affetto da fratello.
Conoscevo le mene dei signori indipendentisti e le conobbi minutissimamente dal
mio passaggio a Parigi. Figurati che mi fu dato conoscere e positivamente, che se
durava la guerra una spedizione Plomploniana sarebbesi fatta dalla Corsica, comandata
da un tal Franchetti o Fraschetti e con l' appoggio di vari dei nostri fra i quali Enrico
F. {Fardello), Giacinto C. {Carini), Cricchio etc. La spedizione dovevasi comporre
di due o trecento corsi, vestiti da Zuavi e con un falso proclama di Garibaldi. Plomplon
doveva essere proclamato Re di Sicilia. Tutto questo lo seppi prima in Londra, per
confidenza fattamisi da uno, che doveva far parte della spedizione e poscia ne ebbi
IL PRECURSORE DEI MILLE 51
conferma a Parigi e Marsiglia da altri, che mi credevano alla conoscenza di tutto,
per avermene io mostrato inteso. In Parigi vidi Fabrizio Viilafranca con Carini e da
loro appresi che, essendo in campo dopo la pace e la conferenza di Zurigo un Con-
gresso per stabilire un nuovo assetto d' Italia, al marchese di Torrearsa dagli indipen-
dentisti si era affidata la missione di perorare e presso Napoleone 111 e presso Pal-
merston, la causa loro, ossia il ricupero della costituzione del 1812 adallata ai tempi.
Vedi un po' che tenacità insana d' uomini ! Oh ! sì, i suddetti indipendentisti sono
stati fatali !
E bene che sappi, che dal nostro partito sino dagli ultimi di luglio, si era spedita
persona (Crispi) in Messina, Catania e Palermo con mezzi che giunsero, e si era
stabilito da tutti i Comitati, costituiti però da elementi discordanti tra loro di opinioni,
che il 4 ottobre si sarebbe fatta la rivoluzione. Tutto era pronto ; 202 (Agazzini) era
per r oggetto in Firenze ed io ero pure colà per andare in Catania, appena si riceveva
r avviso. In quel frattempo, si pensò che io facessi una corsa sino a Modena per
vedere Ribotti, te, Fabrizi, Cianciolo; ero fornito di lettere di 202 (Mazzini), che
trattavano della importanza di portare a fine quel piano, che ora si conviene essere
indispensabile a compiersi. Giunto in Bologna, per mancanza di partenza del treno,
dovetti fermarmi la notte e venni arrestato. Dopo tre perquisizioni si rinvennero le
lettere : ma quello che più si cercavano si erano proclami di 202 (Mazzini) d' insurre-
zione repubblicana, e ciò per avviso dato dalle Polizie combinate. Francese e Toscana.
Il mio arresto durò 40 giorni e fu fatale per ciò che verrò a dirti. La persona che
si era, sin dagli ultimi di luglio, portata in Sicilia (Crispi), dopo preso accordo, fu
dai nostri dell* interno spinta a portarsi a Firenze presso 202 (Mazzini) per dirgli
che il 4 si sarebbe fatto il moto, per richiedergli un proclama, che potesse abbrac-
ciarsi da tutti e per farmi andare in Catania prima del 4, dicendo di esservi atteso
e che mi si era preparato il sito per starvi nascosto sino al giorno dell' insurrezione.
Fatalmente io ero in prigione ; I amico spedì il Proclama ed annunziò il mio arresto.
Neil' intervallo gì' Indipendentisti ed i Lafariniani sopratutto, si diedero moto a metter
dissidi, ed amici del La Farina dalla Toscana, avvertiti da quelli dell' interno del
convenutosi movimento da farsi con la nostra cooperazione e con i mezzi da noi
somministrati, scrissero in Catania ed in Palermo perchè non muovessero, dappoiché
una rivoluzione in quel momento avrebbe rovinato 1' Italia ; e con la solita infamia
davano dell' Austriaco all' individuo, che si ebbe l' audacia di portarsi in Sicilia e
starvi per più tempo. Nel frattempo di queste brighe infami, i nostri dell' interno, in
minor numero nei Comitati dirigenti, ci avvisarono prima, che si era posposto il movi-
mento del 4 e poscia scrissero che, nonostante l'opposizione del Comitato di Palermo,
si sarebbe fatto il movimento e così la persona, che era stata in Sicilia, si rimise in
viaggio con altri nostri di Malta ; ma passati da Messina furono avvertiti di non pren-
dere terra, perchè si era di nuovo pensato a non agire. Io già mi avevo la libertà e
stavo in attenzione di chiamata ; avevo scritto a Garibaldi, che da me era stato in
Firenze parlato sul proposito di fornirmi di un Passaporto; intanto me ne cercai uno,
ma r ebbi tardi e mi servirà. Se io non fossi stato arrestato e mi fossi potuto abboccare
con voi il 4, senza fallo io mi sarei trovato al posto e sono certo che i Lafariniani
52 TIMORI E SPERANZE DEGLI ESULI SICILIANI
e gì' Indipendentisti non sarebbero riusciti nelle loro infami mene. Le quali che cosa
hanno prodotto ? Che la Polizia è giunta a conoscere i preparativi ed ha cercato di
prendersi le armi dei cittadini passando all' arresto di molti, che si erano mostrati
attivi. L' 1 1 ottobre, dietro denunzia del fratello di Scordato, il famoso ladro, la
Polizia cercò disarmare i campagnoli della Bagheria, Santa Flavia, Ficarazzi etc. ed
una specie d' insurrezione ha avuto luogo ; sono corse notizie contradittorie, ma tuttavia
nulla di positivo si sa. Io sono pronto ad andare e forse mercoledì prossimo non sarò
in questa, ma in viaggio verso casa ; tu rispondi alla presente a rigor di posta. Rispon-
dendo, fammi conoscere tutto quanto si è dai Generali amici stabilito, onde nel-
r interno possa portare buone notizie e deciderli a fare, se già non sono in campagna ;
perchè dicesi, come avrai veduto dai giornali, che verso Castrogiovanni vi ha una
forte banda con alla testa li fratelli Mastricchi.
Nicola (Fabrizi) e tornato forse costà? Ti domando, perchè ieri ricevei lettere da
Malta da Crispi e Tamajo e non mi si parla appunto di Nicola ed è strano. Se è costà
digli, che 202 {Mazzini) mi scrive, che aspetta sue lettere ed abbracciamelo. Vidi
Interdonato ed Errante in Milano ; nelle poche ore che vi stetti con l'agente di Polizia di
Bologna, parlai con li suddetti. Giovannino {Interdonato) mi premurava a che 202 {Maz-
zini) rivolgesse tutti gli sforzi, perchè si facesse in Sicilia. L* accertai che da più tempo
costì si era da noi tutto rivolto e che giusto si sperava il movimento; lo rimproverai
del suo non concorso e rimproverai lui e tutti, che non si erano dati e non si davano
pensiero a radunare mezzi per agire e si lasciava 202 {Mazzini) solo a fare spese di
viaggiatori e di materiali ; Io rimproverai pure di non aver risposto mai giusto a pro-
posizioni mie fattegli per mezzo di Angelo {Bai goni) durante il mio soggiorno a Londra,
e precisamente nel principio della guerra, quando gli dicevo di metterci d' accordo
sul campo dell' Unità, terreno comune. Lo trovai ora disposto a fare e mi disse, che
tornava in Genova e Spezia e sarà certo colà. Se potrò vederlo prima di portarmi
in casa, saprò con chi è in relazione ; se tu il sai comunicamelo, e dimmi pure come
posso fare per mettermi in contatto con tuo fratello e legarlo ai nostri. Se non avessi
avuto il pericolo di essere costà pure arrestato, sarei venuto ; ma purtroppo un secondo
arresto mi nuocerebbe. Addio mio più che amato fratello, t' auguro buona fortuna,
salutami Ribotti, Vincenzo {Cianciolo), Mistretta, Campo, Pisani, se trovansi costà.
Dimmi, Regio ha preso servizio ? Salutamelo. Salutami Cosenz, se Io vedi, Bixio e
Medici ed il FrappoUi, se mi ricorda più. Addio, vogliami bene ed in attenzione di
tuo pronto riscontro, dandoti un bacio fraterno passo a segnarmi
tutto tuo
ROSALINO
PS. - All' amico Bert. {Bertoni) dirai, che ricevei la sua lettera e che sapendolo
in viaggio non gli rispondo, che 1' abbraccio e spero di vederlo, se la fortuna ci sarà
propizia ai quattro Cantoni. '
E il luogo più centrale di Palermo, dove s' incrociano Via Toledo e Via Macqueda.
IL PRECURSORE DEI MILLE 53
Lugano, 22 novembre 1859.
Mio carissimo Salvatore,
La mia partenza la ho dovuta postergare per più motivi, starò forse fino al 29
od ai primi di dicembre in questa ; quindi puoi scrivermi ed accusarmi ricezione della
presente. Nella tua lettera, datata da Bologna, non trovai il biglietto per tuo fratello;
mandamelo, potrà servirmi. Mi perdonerai, se con ritardo rispondo alla succennata tua
lettera, ma causa ne è stata una malattia delle solite, che mi ha per ben quattro giorni
tormentato. Amico mio, sapevo da qualche giorno che forti dissensi esistevano fra
Garibaldi e Fanti, ne conoscevo i motivi, e sapevo pur troppo che il primo, pensava
di dimettersi, se non si poneva fine una volta alla inazione da parte delle nostre truppe,
e se non si poneva termine dal farsi giocare, guidare, e comandare dall'empio assassino
del 2 dicembre, assassino al '49 di Roma ed oggi d' Italia tutta in Villa/ranca. Amico
mio, ritengo che Vittorio Emanuele ha rovinato la causa d' Italia ed anco quella di
sua famiglia col continuare a stare schiavo del suo alleato, che tradì a Villafranca.
Vittorio Emanuele ha pure arrecato molto danno all' Italia col mancare alle promesse
date al Garibaldi sin dall' ultimo ottobre, cioè di fargli passare la Cattolica, tosto che
gli avesse dichiarato di trovarsi in forze d' assalire e combattere i papalini e portarsi
avanti ; Vittorio Emanuele, se veramente campione dell' Unità e libertà d' Italia voleva
farsi tuttavia ritenere, doveva secondare i consigli del Garibaldi ; dappoiché non v' era
e non vi ha salute per l' Italia per liberarsi dal giogo straniero e dai tiranni, che
r opprimono, se non la marcia di coleste ardimentose truppe nostre. Sì, la loro marcia
verso Perugia e gli Abruzzi avrebbe suscitato la rivoluzione in tutte le provincie, che
gemono sotto il dispotismo di Antonelli e del Borbone, e l' Italia d' un subito si
sarebbe trovata unita sotto il vessillo tricolore e con un potente esercito da farsi
rispettare. Dappoiché la rivoluzione in Napoli e Sicilia ci dava e ci darà (se si
riuscirà a promuoverla) 200 mila soldati ed una squadra, che unita a quella del
Piemonte potrebbe arrecare positivi vantaggi. Vittorio Emanuele, nel mancare alle
promesse date a Garibaldi e neW accettare invece la dimissione sua ha rovinato la
causa d'Italia.
Il Fanti poi, ha avuto gravissimo torto nell' osteggiare il passaggio delle nostre
truppe al di là della Cattolica, unica e sola àncora di salvezza, che si avea l' Italia
per liberarsi del nuovo sedicente protettore e costituirsi forte, libera, e potente Nazione.
Sì, per me è stata una fatalità il trovarsi il Fanti costà generale in capo. Egli ha ben
servito Napoleone col farsi prescegliere da Vittorio Emanuele e dai suoi Ministri al
Garibaldi. Quesl' ultimo poi ha mancato verso l' Italia, non dichiarando chiaramente il
motivo del suo ritiro dall' azione ; egli non doveva cedere alle preghiere del Re Vit-
torio Emanuele, accondiscendendo a tenere occulto il vero motivo del suo ritiro. Egli
doveva restare al campo e far noto il suo pensiero all' armata, mettersi alla testa,
agire rivoluzionariamente, e lo poteva e lo doveva per la salute d' Italia. Egli, se si
fosse deciso ad oprare in detta guisa, avrebbe salvata la causa della Patria, dappoiché
tutta r Italia avrebbe operato portenti al suo marciare e da soli, gli italiani si sareb-
54 TIMORI E SPERANZE DEGLI ESULI SICILIANI
bero resi indipendenti, liberi ed uniti. Ho letto 1' ordine del giorno del Fanti messo
fuori, dietro il ritiro di Garibaldi. Egli consiglia la calma, consiglia di aspettare rasse-
gnatamente la riunione del Congresso. Ma cosa mai di buono 1' Italia potrà aversi da
un Congresso di rappresentanti di despoti e di eterni nemici nostri? Ah! sì, Fanti con
tutta la sua scienza militare è stato questa seconda volta (atale alla Patria nostra ; dico
seconda volta, perchè al '48 in Milano prestò tristi servigi all' Italia. Fanti, Cipriani,
Ricasoli, Cacour, D'Azeglio e lutto la caterva dei ministri piemontesi e fra questi
La Mormora, col suo odio ai corpi volontari ed al Garibaldi, hanno rovinato l' Italia
e fatto r interesse di Napoleone IH.
Ancora io spero. Spero che gì' Italiani si scuoteranno, apriranno gli occhi, insor-
geranno tutti, come un solo uomo, e con un Vespro si libereranno dai nemici interni
ed esterni. Se disgraziatamente la speranza, che ancora serbo non avrà il suo eflettua-
mento, allora non meno di altri cinquant' anni di schiavitù l' Italia dovrà sopportare.
Addio, mio buono amico. Ti lascio, salutami Vincenzo {Cianciolo), se è costà e gli
altri amici, che mi ricordano e particolarmente Cosenz e Bixio. Scrivimi presto, saluta
Ribotti. Addio.
Tuo ajff.mo
ROSALINO
Lugano, 3 dicembre 1859.
Carissimo Salvatore,
Ho ricevuto due tue righe in data del 29 scorso novembre e le riscontro tosto
brevemente, perchè mi è forza sortire, onde recarmi al Comissariato di Polizia, dove
sono stato chiamato e si tratterà forse di volere internare li tre o quattro emigrati, che
siamo qui e ciò per ragioni di buon vicinato col Piemonte. Uno già è stato intimato
a partire, il Marangoni, giovane un po' leggiero, ma non cattivo. Basta ; sentirò se mi
toccherà di dovermi portare in Locamo e di là poi in Zurigo, se piacerà ancora di
perseguitarci. Mario è nella stessa mia condizione ; tu non pertanto, riscontrando alla
presente, indirizzami in questa la risposta.
Non rivengo su Fanti e sull' ordine datosi d' acquartieramento nelle caserme
d' inverno delle truppe dei provvisori Governi dell' Italia Centrale, né sul famoso ordine
del giorno di Mezzacapo ; purtroppo le nostre viste dal breve foglio del 29, vedo che
sono diverse e quindi accetto la tua proposta di rimandare a miglior tempo e quando
a voce un giorno ci sarà dato di ragionare suU' argomento dolorosissimo. Intanto, per
ora, ti suggerisco di procurarti li due numeri del giornale // Progresso, che si stampa
in Milano, e precisamente i numeri del 30 novembre e I *^ dicembre corrente ; mi
piacerebbe che li leggessi.
Ti mandai in Bologna, con la stessa data della lettera che ti fu consegnata, un
opuscolo di Alberto Mario; lo ricevesti? Oggi ti mando altro opuscolo, stampatosi in
questa da noi, dietro di aver ricevuto il manoscritto. Credo che troverai poco, anzi
sono certo nulla a ridire su quanto Maz. {Mazzini) ha consacrato in quelle 60 pagine.
L' opuscolo costa un franco. Se puoi farne smaltire fra li nostri un buon numero di
IL PRECURSORE DEI MILLE 55
copie, te ne sarò grato, molto più che mi sono indossato io il peso del pagamento di
franchi 500 di spesa tipografica e di invio. Il bighetto per tuo fratello non esiste nel
foglietto che mi mandasti, se vuoi rimandami due righe ; dappoiché io per muovermi,
dopo tutte le cose successe, mi attendo nuove lettere dei nostri. Ho visto che in Genova
è giunto un Francesco Campo, che slava a capo del movimento della Bagheria ; fin oggi,
non ho, sul proposito del di lui arrivo, notizie particolari.
Addio ; ora ti lascio, pregandoti di dirmi dove trovasi Vincenzo {Cianciolo) e se
è costà nel salutarmelo digli che sono curioso di sapere la causa del suo silenzio.
Addio, salutami Ribotti ed accetta una fraterna stretta di mano dal tutto tuo
aff.mo amico
ROSALINO
Lugano, 12 dicembre 1859.
Mio amatissimo Salvatore,
Sono possessore della tua dell' 8 e sento che tu avesti la mia del 3, ma non
l'opuscolo e ne sono dolentissimo ; mi piacerebbe che così tu che Ribotti e tutti li buoni
lo leggeste ; potrai in Milano procurartelo da Bargoni, richiedendolo all' amico Sarto.
La tua letterina per tuo fratello, la prima che mi spedisti, la trovai ed ora la
seconda che m' inviasti ; ne ho due ; non è difficile che fra pochi giorni io ne possa
fare la consegna, perchè domani lascerò Lugano e venerdì m' avvierò per casa. Tu,
Ribotti e tutti li nostri, non mancate di fare quello, che è di sacro dovere (se la si
farà) nel caso che non si potesse disporre di Pianell e suoi. Per ora ti raccomando
di tener per te solo queste linee.
Addio, mio amatissimo fratello, se si riuscirà ci riabbracceremo ; se farò viaggio
inutile e scamperò, allora darò un addio a tutto.
Addio, mille saluti con rimproveri a Vincenzo {Cianciolo). Ad Angelo {Bargoni),
quando lo vedrai, salutamelo carissimamente e digli che, nonostante che tutto il pre-
sente volga al male per 1' Italia nostra, pure non sono ancora disperato al punto di
non riabbracciarlo in Roma. Digli che rilegga quella lettera, che da Londra gli scrissi
sul principio della guerra, pregandolo di conservarla ; potrà servirgli, se per caso andrò
a farmi , per far conoscere quali erano le mie idee e per qual principio mi
muovo; digli pure, che parto non con convinzione di riuscire, ma per non mancare
alla chiamata ed al paese e perchè ho ferma convinzione, che solamente il Mezzo-
giorno potrà salvarci e si riuscirà, se voi tutti subitamente aiuterete (7 moto al grido
dell' Unità e col puro vessillo tricolore.
Addio, scusa se la presente è scorretta ; la ho scritta di tutta fretta essendo stretto
dal tempo. Ricevi un fraterno abbraccio e credimi sempre uguale in fede politica ed
amicizia. Addio.
Tuo aff.mo amico e fratello
Sig. Capitano Salvatore Calvino ROSALINO
(Preme) Rimini
56 TIMORI E SPERANZE DEGLI ESULI SICILIANI
Ultima* lettera scrìtta da Rosalino Pilo prima di partire per la Sicilia
Genova, li 25 marzo 1860.
Miei cari Salvatore e Vincenzo,
Non segno di vita ne da te, capo di uno Stato Maggiore, ne dall' illustre barone
Capitano, mi ho avuto. Se fossero cominciate le battaglie, che da più tempo si aspettano,
vi avrei pianto come morti sotto italica fervida pugna ; ma purtroppo vi so morti,
aspettando che le battaglie si inizino dai Croati al servizio del Papa e da quelli al
servizio del Bombino, degno figlio di papà, che sta nel regno dei cieli, e che sono certo
lo si vedrà col tempo dichiarato Sanlo dal venerabile Collegio dei Cardinali e Papa.
Ma basta alle celie, miei cari amici, vi dò un saluto ; io Cado ad adempiere il mio
dovere; fate voi col vostro Generale, che mi saluterete, il resto. Ricordatevi che siete
stati rivoluzionari e devoli ad un principio non attuato. Ricordatevi che V Italia non
finisce alla Cattolica, ricordatevi e tenete per fermo, che se non si libera il Mezzo-
giorno dalla schiavitù ed oppressione nella quale giace, le libertà che si hanno le
Provincie del centro e del nord sono poggiate su fragile base e dureranno per quel tempo,
che piacerà agli sgherri francesi ed austriaci, che sono quelli che al presente coman-
dano in Italia.
Non vi fate illudere dagli inni, dalle feste e fanfaronate Cavouriane. Io non dispero,
anzi ho fede, che la gioventù italiana si scuoterà davvero ed aprirà gli occhi. Io spero
che la maggioranza della gioventù, in tempo ancora, si avvedrà che i Francesi in Italia
non vi sono venuti per sentimento magnanimo, ma per mantenervi padronanza e per
spirito di conquista, molto più dopo il fatto, che oggi ha confermato quello che si
rivelò da Mazzini sin da quando vi fu il colloquio di Plombières fra Napoleone ed
il nuovo Farinata : Cavour, in cui quest' ultimo da Sultano aveva ceduto tutto il
Nizzardo che è Italia, a Napoleone, più la Savoia con la promessa di cooperazione
di propaganda, perchè la Toscana fosse caduta nelle mani di Plomplon. Quest' ultimo
fatto non si è ancora potuto tradurre in effetto per la propaganda contraria salutare
del partito unitario, non creato e sostenuto con martirii dagli adoratori del conte Fari-
nata, ma creato e sostenuto per 30 anni dall' ottimo patriota Mazzini, oggi come Cristo
rinnegato ed anche calunniato e biasimato dai suoi più attivi discepoli, banditore per
più e più anni dei principii, che solo potranno fare l' Italia una e libera.
Con dolore ho rimarcato voi due, miei cari amici e fratelli di lavoro, alquanto
raffreddati al punto, che troverete queste mal vergate linee forse demagogiche e scritte
da cervello leggiero; ma pure io prima di lasciare questo suolo, per forse mai pili
tornarvi, ho voluto scrivervi in termini da fratello e schiettamente manifestarvi quello
che penso, e ricordarvi il vostro debito verso l' Italia nostra, non perchè temo che voi
lo abbiate dimenticato, ma per incitarvi ad attività e perchè facciate la vera, la giusta
e santa proficua propaganda in tutta la gioventù, che sta sotto le armi. Molte cose sul
proposito vorrei scrivervi, ma non ne ho il tempo e poi sarebbe superfluo per voi,
MINISTERO DELLA CUERRA
seghi: I \R BAIO <;ei\i:kaìi:
Divisione, del Personale Numero d'Ordiiu- ^ff3.
\'<cXoX, llllltltXlC, coft' aiiiicpuv^i/ Aoy>\ixò6o\òjo ^v Xixe
if/VV^--
1 £A^ oS-t^tx^^f^^W^c/^^
Decreto che conferiva in nome di S. M. il Re la Medaglia in Oro al valor militare
a Garibaldi per le prove date d' intrepidezza e bravura nei combattimenti contro
gli Austriaci nel maggio 1859. (Vedi pag. 25).
COMANDO GENEUALE
(^^^■^-^ n E LI. A ^— ^,^3
J^aa^a ^'vrW^nc y^J^ ^
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^^^^ià^J.^..^:^^.^.,,:,^^^^^:^::^^^^
mentre
Lettera diretta da Enrico Cialdini a Garibaldi
questi si trovava nell'Italia Centrale. 26 agosto 1859. (Vedi pag. 28).
IL PRECURSORE DEI MILLE 57
che conoscete la storia passata del nostro paese. Ricordatevi solo, che anche Napoleone I,
allorquando era generale Buonaparte si presentò come liberatore in Italia e (ini come }
Lo sapete.
Addio, mille baci, e un addio fraterno ricevete dal vostro
aff.mo
ROSALINO PILO
*
Un documento curioso, che trovo nella mia raccolta, scritto quattro giorni
prima della partenza di Garibaldi, è la lettera che dirigeva al Duce dei Mille
uno dei prodi difensori di Venezia e poi capo di Stato Maggiore di Garibaldi
nella campagna del '59.
Francesco Carrano a Garibaldi.
Torino, 2 maggio 1860.
Mio Qenerale,
Sento dal nostro Calvino che si va : ma dove ? Se in Sicilia, io resto poiché non
sarei buono ad altro colà, che a creare imbarazzi. / Siciliani hanno ragione di odiare
lutti i Napoletani, perchè questa è la terza volta, che in tre rivoluzioni sono da quelle
truppe insensate e cieche, vinti e repressi. In ogni modo mandatemi una vostra parola.
Vogliatemi bene e credetemi
castro amico aff.mo
FRANCESCO CARRANO
Quasi a delucidare il contenuto di questa curiosa lettera. Salvatore Calvino
scriveva nelle sue Noie sulla spediziorìe dei Mille : « A Torino cercai
d indurre i miei amici Enrico Cosenz e Francesco Carrano a prender parte
alla spedizione ed essi, con mia meraviglia, mi addussero la difficoltà di essere
Napoletani ; pregiudizio indegno di tali uomini, che credevano ancora poter
rimanere risentimento in Sicilia verso i Napoletani, perchè il Borbone, adoperava
truppe napoletane per tenere in soggezione la Sicilia ! Vedi come anche gli
uomini di grande levatura soggiacciono ai volgari pregiudizi e ne fui dolentissimo,
essendo io ammiratore ed amico affezionatissimo di quei due specchiati patriotti *.
Infatti né Cosenz, né Carrano seguirono Garibaldi nella prima spedizione !
In F. Guardione - // dominio dei Borboni in Sicilia dal 1830 al 1861 . V. il, pag. 386.
CAPITOLO IV.
LA PRESA DEI VAPORI, LA TRAVERSATA, LO SBARCO.
VICTOR HUGO E QUINET AL DUCE DEI MILLE.
L/air autografo del tempo, inedito, di Domenico Cariolato, uno dei « Mille »
e dei più valorosi soldati di Garibaldi, apprendiamo particolari interessanti e
sconosciuti sulla presa del " Piemonte ,, e del " Lombardo ,. , la notte del
5 maggio ; una scena degna della penna di Shakespeare ed alla quale il Cario-
lato prese parte. Il racconto pieno di verità e di colore della partenza da
Quarto, della traversata, dell'urto, per fortuna d'Italia, scongiurato col "Lom-
bardo ,, ed ogni altro particolare scritto dal Cariolato appena finita la campagna
di Sicilia, acquista importanza di documento storico.
Domenico Cariolato narra la drammatica presa del " Piemonte „ e del
" Lombardo „ e la traversata da Quarto a Marsala (dall'autografo).
Le disposizioni per la nostra partenza erano state date dall' ardito condottiero per
il 27 aprile; ma per vari incidenti, che si frapposero, fu obbligato a protrarre la
nostra partenza al 3 maggio.
La mattina di quel giorno istesso fu fatta una scelta dal Titano di 30 giovani,
fra i quali fui anch' io, e posti sotto il comando del bravo marinaro Bixio dovevamo
impadronirci dei due vapori. Ciò fu eseguito con la celerità di 30 patrioti, che non
avevano altro in cuore, che di sollecitare l'ora della pugna contro gli sgherri del
tiranno e render la santa libertà alla patria nostra.
Allo scoccare della mezzanotte del 5 maggio, secondo le istruzioni ricevute dal
nostro Capitano, ci portammo al Molo Vecchio. Colà fummo divisi e imbarcati su due
piccoli canotti, uno di questi diretto alla volta del " Piemonte ,, e l' altro a quella del
"Lombardo,, e, protetti dall'oscurità della notte e dal profondo silenzio che regnava
dovunque, adagio, adagio giungemmo sotto ai predetti vapori e nel guizzar di un baleno
fummo a bordo.
60 LA PRESA DEI VAPORI. LA TRAVERSATA. LO SBARCO
Sorpreso l' equipaggio nel suo profondo sonno, la prima nostra cura fu quella
d' impadronirci del boccaporto dei marinai, che non tardarono a destarsi esterrefatti
dalla sorpresa. Parecchi tra questi gridavano a piena gola : « Soccorso, soccorso » ; ma
noi, prevedendo che una tal cosa dovesse succedere, ebbimo cura di chiudere il
boccaporto, onde la voce non potesse echeggiare fuori e giungere agli orecchi di
qualcuno, che potesse frapporre un ostacolo ai nostri disegni. Noi cercammo con tutti
i mezzi di persuadere quella gente. Parte si persuase alle nostre buone parole e parte
per paura, vedendoci muniti del necessario. Fatto ciò, vennero a bordo quei pochi
marinai, che erano stati chiamati a tal uopo da Livorno, e sotto la direzione del Bixio
ci mettemmo all' opera. Uno dei 30 venne incaricato, come esperto meccanico, di alle-
stire la macchina del " Piemonte ,, .
Garibaldi prevedendo che lo stridere delle catene nel levare le ancore, destar
potesse nella placida notte qualche sospetto, aveva comandato, che fossero imbottite le
estremità delle catene, che sopravanzavano a bordo e che fossero sfilate nel profondo
del porto ; e così partimmo senza gli strumenti, in cui ripone V ultima sua speranza il
marinaio, che si trova sopraffatto dalla burrasca. Ma questa non venne per virtù di
quella stella, che accompagna ovunque l' uomo provvidenziale d' Italia.
Una volta pronta la macchina del "Piemonte,,, mettemmo l'antenna del mede-
simo verso r imboccatura del porto ; quindi col massimo silenzio passando sopra una
piccola barchetta tra i due bastimenti, porgemmo a quei del " Lombardo ,, l'estremità
di due grossissime funi, che stavano legate a poppa del " Piemonte ,, , onde rimorchiarlo.
Quel vapore, per ordine del Generale, aveva tuttavia la macchina spenta. E questa
fu un' astuzia per ingannare la corvetta da guerra francese, nel caso in cui uscendo
dal porto avesse chiesto quale fosse la nostra destinazione. Certo, che gli si sarebbe
risposto, che noi si rimorchiava quel vapore fino a Spezia per mettere in riparazione
la macchina.
Alla comparsa di quel legno francese nel porto di Genova, fummo presi da un
grandissimo timore, dubitando che il medesimo fosse venuto colà per impedire la nostra
partenza. Cessata questa paura, noi fummo gli uomini più felici di questa terra.
Usciti dal porto, alle quattro del mattino del 6, vedemmo in lontananza una
quantità di barche in balìa dell' onda, che si staccavano, come un quadro pittoresco,
dall'orizzonte colorito dai primi raggi dell'aurora di un bel di.
Avvicinandoci coi piroscafi, vedemmo che quelle barchette contenevano una quan-
tità di persone una sopra l'altra, intirizzite dal freddo. Chi era coperto da mantello,
chi no. Taluno era avvolto in una meschina coperta, che per dividerla col compagno,
che non l' aveva, non copriva ne 1' uno ne 1' altro. Quella gara era degna di chi lasciava
un soffice letto per cominciare, in una così disastrosa notte, la vita del vero soldato
italiano. Tutti questi generosi avevano gli occhi rivolti all' imboccatura del porto.
Chi erano?
I Mille, che aspettavano i legni di trasporto con la medesima ansietà, che il
popolo di Israele aspettava la luce dopo le tenebre di Egitto ! Giunti colà il Generale
diede ordine, che si arrestasse la macchina e in un momento fummo circondati da
quella nobile e generosa gioventù, che per sollecitare l'imbarco, onde recarsi presto
VICTOR HUGO E QUINET AL DUCE DEI MILLE 61
nel luogo della pugna, si arrampicava da ogni parte sul piroscafo con pericolo di cadere
nel mare, ed alcuni realmente vi caddero.
Quando tutti furono giunti a bordo, caricammo quei pochi viveri, che il Generale
aveva procacciato per mezzo di vari buoni patriotti di Genova. Consistevano in biscotto,
cacio ed acqua. Ciò fatto, Garibaldi ordinò di levare le due grosse funi, che rimor-
chiavano il " Lombardo ,, , avendo il medesimo, secondo gli ordini ricevuti prima della
partenza, acceso la macchina durante il tragitto.
Il mare con la sua placidezza sembrava favorire l'ardua impresa, il cielo era
sereno, come il volto dell' ardito Capitano. I Mille disinvolti e gai ! E cielo e terra
parevano presagire pompose vittorie e gloriosi giorni alla patria.
E noi fummo fortunati invero ; quei magnanimi, che con tanta intrepidezza ed
abnegazione avevano tentato prima di noi l'ardua impresa, erano caduti. Capo di
quella era un uomo prode e generoso, è vero ; ma cadde. Per nostra ventura noi non
guidava un uomo, ma un Titano.
Dopo due giorni di cammino giungemmo a Talamone. Colà e' impadronimmo di
tre pezzi di artiglieria e di molte munizioni. Trasportati a bordo cotesti materiali da
guerra, partimmo lieti cantarellando, alla volta di S. Stefano, altro paese della Toscana,
per provvedere vettovaglie, che a Talamone non avevamo trovato.
Giunti a quel villaggio, ad una frazione dei Mille fu ordinato di scendere a terra
e far provvista di pane e cacio ; ma per la mancanza del tempo, non se ne potè fare
che poca provvigione. Sceso quel drappello, venne salutato dagli abitanti del paese,
che spinti dalla curiosità erano accorsi in folla e tutti facevano a gara per sapere cosa
fosse quell'ammasso di gente, che trovavasi a bordo dei due vapori. Quelli risposero
che erano garibaldini, che andavano a fare una gita di piacere col loro Generale.
Appena pronunciate tali parole, la notizia fu propalata nel villaggio e la popolazione
cominciò a fare dimostrazioni.
E, da notare, in questa circostanza, una cosa che non è di lieve onore per l'eser-
cito Sardo, oggi esercito Italiano. Trovavasi in quel villaggio di presidio una coorte
di 800 bersaglieri, i quali appena saputo il nostro arrivo, a torme affrettavansi ad accor-
rere alla spiaggia per far lieta accoglienza; gli uni tratti da curiosità, gli altri dalla
speranza di vedere, se fra quei Mille vi fosse taluno dei loro commilitoni di Lombardia.
Tutti chiedevano il luogo della nostra destinazione e noi non nascondemmo il vero
ai valorosi fratelli di Palestre ; dicemmo apertamente, che stavamo per tentare uno sbarco
in Sicilia, onde suscitare ivi una ribellione, che ponesse fine all' esosa tirannide bor-
bonica, rompendo le irrugginite catene, che da lunga pezza stringevano quei popoli e
fare l' Italia una e indipendente. A tali parole gli eroi di S. Martino rimasero attoniti
per stupore e per invidia ; e potevasi scorgere sui loro volti il dolore suscitato in
quegli animi ardenti di non poter essere anche loro in tanto periglio e in tanta gloria.
Per più di un'ora s'alternarono ed " ilerarono le accoglienze oneste e liete,,,
come direbbe Dante, quel divino ingegno, che solo saria stato degno di cantare quella
sublime epopea!
Debito di disciplina richiamò quelli nelle loro militari funzioni ; mentre noi, di bel
nuovo, salimmo sui nostri legni dopo aver caricato il carbone e le vettovaglie. 11
62 LA PRESA DEI VAPORI, LA TRAVERSATA. LO SBARCO
Generale diede il segnale della partenza, quando ecco un nugolo di quei magnanimi
bersaglieri invadere tutto ad un tratto il vapore, ov'era il Duce, arrampicandosi su
per la carena con le carabine su gli omeri, e gridando a squarciagola, che volevano
seguirci ! Sublime entusiasmo ; ma il loro comandante giungeva, implorando l' aiuto di
Garibaldi per indurli a disbarcare.
L' Eroe intravide il pencolo cui andava incontro, se avesse trattenuto a bordo
quegli animosi. Indossò la vecchia assisa da Generale dell'armata regolare per essere
più prontamente obbedito da quei generosi e li invitò a scendere a terra con lui e
con sommo dolore si affrettarono ad ubbidirlo. Giunto in piazza li fece schierare dal
loro comandante ed ivi li arringò e li invitò, in nome della patria medesima per cui
ardevano di gettarsi in nuovi cimenti, a rimanere fermi al loro posto ; allegando loro
per motivo il dovere non solo, ma il pericolo che correvano le nostre sorti, ove aves-
sero lasciato quel punto strategicamente importantissimo sguarnito di presidio e perciò
esposto alle scorrerie dei mercenari del Papa, i quali si aggiravano in quei dintorni
a mo' di fiere, bramose di piombare nelle provincie di Toscana per suscitare reazioni
e discordie civili. Detto ciò, li ringraziò del loro zelo per la causa della patria e poi
risalì sulla tolda del suo battello.
Questa piccola rivista finì con sonori: « Evvica Garibaldi! » e tutti rimasero al
loro posto, eccettuati 5 bassi ufficiali, che appena sciolti i ranghi si affrettarono a deporre
le loro assise militari, e profittando della confusione del popolo, che accompagnava il
Generale a bordo, si mischiarono al corteo e salirono sul vapore. Giunti che furono
sulla nave nostra, prima cura fu quella di nascondersi nel magazzino del carbone, onde
sottrarsi dalla continua vigilanza dei loro superiori, nel caso in cui fossero ritornati a
bordo col pretesto di salutare di bel nuovo il Generale. Cotesti generosi infatti, non
sortirono dal carbone, se non quando ci fummo allargati di 20 miglia dalla costa.
Partimmo da Santo Stefano con quell'entusiasmo, che non si desta che nei cuori
di coloro, che sanno di compiere un sacro dovere, offrendo di buon grado la vita alla
patria. Benché in preda alle onde ed agitati dal continuo moto delle ruote del piro-
scafo, pur non di meno passammo la notte tutti quanti lieti. Il buio ne secondava,
perchè a noi era necessaria la più grande oscurità, onde non essere scoperti dalle
molte navi da guerra borboniche, che percorrevano le acque del Mediterraneo per
catturarci.
Il giorno seguente apparve in tutto il suo splendore Febo, che coi suoi raggi
venne a riscaldare quella parte di valorosi, che per ristrettezza di locale dovettero
sdraiarsi sulla tolda, esposti alla penetrante umidità, che tramanda l' acqua salsa. La
notte seguente fu notte di terrore, perchè credemmo di essere scoperti dal nemico!
Durante il nostro cammino i vapori tenevansi a lunga distanza l' uno dall' altro :
se ciò fosse per non dare alcun sospetto, ovvero per non rimanere vittime tutti e due,
in caso di uno scontro coi fedelissimi Borbonici, non saprei dire ; però, quello ove
era a bordo il Generale andava sempre il primo. Il " Lombardo ,, , comandato dal
prode Bixio, era scomparso. Garibaldi cominciò a dubitare, che gli fosse accaduto
qualche sinistro e diede tosto ordine, che si rallentasse la macchina. Ciò fatto, aspet-
tammo lungo tempo senza mai veder comparire il desiderato compagno di viaggio.
VICTOR HUGO E QUINET AL DUCE DEI MILLE 63
Cresceva a bordo ognor più il turbamento e ben tosto si diffuse in tutti gli animi ;
tal che il Generale si decise a rintracciare l'altro vapore, e a tal uopo diede ordine
di volgere l' antenna del piroscafo alla volta del cammino da noi già percorso.
Quand' ecco apparire nella profonda oscurità della notte e a pochissima lontananza
un legno ; ma non potevasi distinguere, se fosse a vela o a macchina. Esso veniva
dalla via opposta a quella, che avrebbe dovuto tenere Bixio. Questo maggiormente
accertava, che non poteva essere il " Lombardo ,, ; bensì un legno nemico. Fu quello
il vero momento in cui il Duce ebbe campo di conoscere di qual tempra si fossero
gli uomini, che lo seguivano.
1 nostri giovanotti, a tale vista, posero tutti mano alle armi e per ottenere miglior
risultato in caso di lotta, levarono le baionette dai loro fucili, onde essere più lesti
in caso di rembaggio. In quel terribile momento, che avrebbe deciso la nostra sorte,
se nemici fossero stati, regnava sul nostro legno il più profondo silenzio e tutti stavano
in attenzione degli ordini del Generale.
I supposti nemici esitando ad avvicinarsi, il Generale fece dare dalla tromba
marina il chi va là ? più di una volta, ma nessuno rispondeva ; poi fece metter fuori
delle fiaccole per segnale, ma neppur questo giovò ad iscoprirli. Allora mi die ordine
di staccare la campana dei comandi di bordo, che trovavasi sul ponte del Capitano e
trasportarla sulla prua della nostra nave, acciocché potessero udire meglio il nostro suono
di richiamo ; ma tutto questo fu vano. Allora, il Generale comandò di osteggiarlo. Il nostro
macchinista diede tutta la forza possibile alla macchina. Al timone si mise, dietro ordine del
Generale, l'esperto capitano di mare Rossi, e Garibaldi, stando sul ponte, dava gli ordini.
Noi andavamo velocemente e quelli fuggivano ; ma in un baleno fummo loro
addosso. Fortunatamente 1' uomo provvidenziale ebbe, a pochi metri di distanza, l' ispi-
razione di gridare a piena gola : « Bixio ! Bixio ! » Dio volle, per buona ventura
d' Italia nostra, che quello rispondesse : « Sono io. Generale. Credeva di essere inse-
guito! » A queste parole il Generale diede immediato comando al timoniere di
divergere l'antenna della nostra nave, perchè l'arresto della macchina non sarebbe
più stato in tempo per impedire l' investimento dei due legni, e ciò fu eseguito con
una rapidità degna di un grande nautico, qual' è il capitano Rossi.
Non potrei descrivere con parole il giubilo d' ambo le parti all' atto del ricono-
scimento. Fu un grido di gioia sulla bocca dei Mille. In quel momento passammo
dalla morte alla vita, anzi ci sembrava di essere risorti a vita novella !
Finalmente, il quinto giorno vedemmo, ad immensa distanza, apparire la terra
sicula. A quella vista i Mille salutarono la classica Isola con un grido di esultanza.
Il Generale diede immediatamente disposizioni per il personale. La prima cosa fu
quella di raccomandare caldamente, che tutti stessero sdraiati, onde non dare sospetto
che quei legni fossero carichi di soldati. Poi raccomandò a quelli che stavano di
vedetta suH' albero di trinchetto con buoni cannocchiali un' esatta sorveglianza, affinchè
potessero avvertire sollecitamente il Generale, se apparissero navi con qualunque bandiera
neir esteso orizzonte del Mediterraneo alla loro vista.
A bordo regnava il più perfetto silenzio. Nuli' altro udivasi che le sole voci
delle vedette, che avvertivano il Generale in questo modo: « Un legno da guerra a
64 LA PRESA DEI VAPORI. LA TRAVERSATA. LO SBARCO
destra, che veleggia verso Nord-Est ». Poco dopo altro grido dei vigilanti, che
annunciavano un altro legno da guerra a sinistra, che veleggiava a Levante. Così
continuò lunga pezza questo alternare di voci, che per noi tutti suonavano morte.
Confesso che quelli furono i momenti più agitati della mia vita. Tutto, in quei
supremi istanti, mi si parò dinanzi agli occhi! La patria che avrebbe perduto il suo
più grande Capitano, i miei dolci congiunti, nonché i cari amici !
Tutto questo rivolgimento negli animi nostri era suscitato forse dalla paura
della morte? No per Dio! I pericoli li conoscevamo prima di cimentarci nell'ardua
impresa, poiché avevamo la certezza che i fedelissimi Borbonici portavano l'ordine
ricevuto dal loro clementissimo Sovrano di mandarci tutti a satollare la fame degli
storioni e dei pescicani! Ma ciò fu indarno, poiché eravamo predestinati dal fato a
rovesciare il trono della più esecrata tirannide.
Finalmente, avvicinandoci sempre più verso terra, giungemmo a sapere, che
quell'ombra di terra, che da una immensa distanza avevamo visto spuntare sull'ampio
orizzonte, era 1' Isola della Favignana.
Alla vista di quel castello, che trovasi sulla vetta dello scoglio, mi caddero le lacrime
pensando a quei cari amici, a quegli eroi, che tre anni prima partivano da Genova col
medesimo disegno di proclamare la santa libertà da un punto all'altro della penisola.
Mirando con obbrobrio le mura diroccate di quell' ergastolo, dicevo fra me e me :
« Dio solo sa, se noi potremo vendicarvi, o magnanimi ! O se pure ci toccherà subire
egual sorte o forse peggiore ancora » ! Fra questi pensieri non esitai rivolgere la parola
al Generale, accennandogli il luogo, dove gemevano i compagni dell' eroico Pisacane.
Egli mi rispose col solito suo sorriso : « Non dubitate ; fra poco quei valorosi faranno
parte delle nostre file ». E ciò avvenne!
Il Generale volgeva sempre intorno il cannocchiale ; certo in quel momento supremo
studiava il modo di poter trarre in inganno i Borbonici, che coi loro legni da guerra
girovagavano a pochissima distanza dalla costa. Tutto ad un tratto, diede ordine al
timoniere di portarsi con la punta del piroscafo in linea retta suH' Isola della Favi-
gnana. Questa sublime idea dell'astuto condottiero giovò a coprirci dalla vista dei
Borbonici, che bordeggiavano dalla parte opposta.
Con questo stratagemma arrivammo quasi sotto la suaccennata isola. Frattanto , i
legni borbonici si allontanavano sempre più da Marsala, e noi si passava inosservati
alla loro vista. Quando il Generale vide, che era il momento opportuno per fare la
traversata, comandò che si desse tutta la forza alla macchina, e si mise egli stesso
al timone, suggerendo in pari tempo a Bixio di fare altrettanto.
Appena fuori dalla mascherata, cademmo sott' occhio dei sorveglianti , i quali non
tardarono a venire a cognizione, che quei due vapori erano precisamente quelli che
andavano cercando ; cambiarono istantaneamente direzione e si misero alla nostra volta
con tutta velocità.
Il Generale accennò col portavoce a Bixio di sforzare la macchina, essendo di
minore velocità di quella del " Piemonte ,, .
Non si può immaginare quale fosse la nostra posizione in quel decisivo momento.
Noi divoravamo cogli occhi il tragitto, che ci mancava per giungere a salvamento.
^.
Victor Hugo a Garibaldi
a proposito della pubblicazione francese del libro del Generale I Mille ». (Vedi pag. 73).
VICTOR HUGO E QUINET AL DUCE DEI MILLE 65
Finalmente approdammo a Marsala. All' imboccatura del piccolo porto di questa città
trovammo una fregata inglese, di cui il Generale seppe trarre profitto ponendovisi
dietro. In tal modo, lasciava il passo libero al " Lombardo ,, , cui appena giunto in
porto Garibaldi diede ordine di investire contro terra , onde rendere meno lungo il
tragitto da bordo a terra. Ciò fu fatto per sollecitare lo sbarco del personale, perchè
i Borbonici avevano durante la corsa guadagnato cammino.
*
* *
Sullo sbarco di Garibaldi in Marsala non ripeterò quello, che già è stato
diffusamente narrato. Amo solo intrattenermi su due punti, che sono stati più
specialmente oggetto di dibattito e sui quali ancora da alcuni si discute.
L' uno meno importante dal punto di vista politico, ma non trascurabile per
la storia cittadina, riguarda l' accoglienza fatta dai Marsalesi alla schiera libera-
trice ; r altro concerne il preteso aiuto, che le navi inglesi, " Argus ,, e
"Intrepid,, stazionanti nel porto di Marsala, avrebbero dato al momento dello
sbarco ai Mille.
Dirò brevemente dell' una cosa e dell' altra con la più scrupolosa esattezza,
come ho appreso in Marsala, mio luogo natio, da vari testimoni oculari e
soprattutto dalla venerata memoria di mio Padre, presente in quel giorno
memorabile. Ma debbo, anzitutto, correggere due inesattezze, in cui involon-
tariamente è caduto il De Cesare nella Fine di un Regno. Quel marinaio,
che fece da pilota a Garibaldi per entrare nel porto di Marsala si chiamava
Antonio Strazzeri, non Alberto, e contrariamente a quanto afferma lo storico
ora citato, egli fu fatto salire da Garibaldi a bordo del " Piemonte ,, nelle
acque di Maretimo, dove lo Strazzeri, uscito la mattina, come di solito, dal
porto, si era recato a pescare sulla sua piccola barca. Infatti, questa entrava
in Marsala a rimorchio del " Piemonte ,, , come affermano tutti coloro, ancora
viventi, che assistettero allo sbarco.
Oddo, nel suo libro / Mille di Marsala scrive: « I vapori, a tutta forza,
si dirigono verso il porto ; incontrano barche peschereccie ; ne chiamano una, il
padrone di essa, un certo Strazzeri, sale sul " Piemonte ,, , Garibaldi lo inter-
roga su molte cose. I vapori si avanzano ; uno di essi rimorchia la barchetta
del pescatore, già sono vicini ; Strazzeri, pratico di quel mare, fa da pilota ;
egli sta fra Garibaldi e Castiglia, dirigendo il " Piemonte „ nell'entrata diffìcile
del porto ». Lo Strazzeri adunque, salì a bordo del " Piemonte ,, , contrariamente
CURÀTULO 5
66 LA PRESA DEI VAPORI, LA TRAVERSATA, LO SBARCO
a quanto afferma il De Cesare, che dice di averlo saputo da Francesco Crispi ;
ma evidentemente dovette fraintenderlo.
Vengo ora a parlare dell' accoglienza fatta dai cittadini di Marsala alla
schiera liberatrice. La prima impressione che il popolo si ebbe, è facile il com-
prenderlo, fu di stupore ! Nessuno si aspettava lo sbarco. La città era ancora sotto
r impressione del moto dell' 8 aprile, eco di quello del 4 di Palermo e per
cui erano stati fatti numerosi arresti. Alcuni patrioti, fra i quali Abele Damiani,
erano riusciti a mettersi in salvo, rifugiando in Malta. Il 6 maggio era passata
la colonna del generale Letizia facendo molti arresti, disarmando tutti gli abi-
tanti, compresa la colonia inglese, lasciando nel paese un' impressione di terrore.
Svanito però, quel momentaneo ed umano sentimento di stupore, l' acco-
glienza che i marsalesi fecero al Liberatore fu tale, che Garibaldi stesso, in seguito,
avendo saputo da Abele Damiani le incresciose polemiche, che si eran fatte su
quell'accoglienza, volle consacrarla alla storia nel famoso discorso tenuto in Marsala,
il 1 9 luglio 1862, quando vi ritornò per rifare la strada di due anni avanti :
la prima tappa del calvario di Aspromonte !
« Sono passati due anni, Garibaldi disse, dacché toccai questa terra coi
mille prodi, che m'accompagnavano. Voi ci accoglieste festosi ed erano momenti
di pericolo, di vero pericolo! Allora eravamo pochi, i nostri nemici erano molti,
perciò erano momenti di grande pericolo; ma voi ci accoglieste festosamente,
io lo ricordo ». La parola del Generale tronca ogni ulteriore discussione su
questo punto.
Ma r altro argomento sul quale ancora da taluno, e non sempre in buona
fede, si discute è quello, che riguarda l' aiuto che le navi di S. M. Brittannica,
avrebbero dato a Garibaldi per compiere lo sbarco.
Si può affermare, in modo assoluto, che un vero aiuto, un aiuto voluto
non ci fu e che nessuna intesa precedente vi era stata fra l' Inghilterra e Gari-
baldi. Oltre che dalla discussione avvenuta nel Parlamento inglese, ciò risulta
provato dalle stesse pubblicazioni dell' Ammiraglio Mundy e dei Comandanti le
navi, il Marryat dell'" Intrepid ,, ed il Winnington-Ingram dell' " Argus ,,, che
la mattina dell' 1 1 maggio stanziavano nel porto di Marsala.
Il Trevelyan, un inglese studioso appassionato del Risorgimento Italiano e
specialmente dell' epopea garibaldina, ha trattato esaurientemente questo argo-
' Da un manifesto dell'epoca fatto stampare da A. Sarzana. Sindaco di Marsala nel
1862 e che venne destituito telearaficamente.
VICTOR HUGO E QUINET AL DUCE DEI MILLE 67
mento. Del resto, che i comandanti le navi inglesi ignorassero, che in quel giorno
dovesse avvenire lo sbarco di Garibaldi, non si può mettere in dubbio, quando
si pensa che lo sbarco in Marsala non era ancora nella mente dello stesso
Garibaldi, ma nel volere di Dio !
*
* *
Se però, nessun diretto è voluto aiuto fu dato da parte delle navi inglesi,
è certo che anche allora la buona stella d' Italia illuminò il cammino di
quei prodi e che la presenza a terra dei marinai inglesi sconcertò, come ebbe
a scrivere lo stesso Garibaldi nelle sue Memorie, i comandanti le navi Borbo-
niche e diede tempo di compiere lo sbarco. « Il nostro sbarco è dovuto, scrisse
F. Crispi, all' intuito di Garibaldi e all' aiuto di Dio, il quale era con noi, come
lo è sempre per le cause giuste e per la libertà dei popoli. Noi non ebbimo
V aiuto di alcuno ».
I Garibaldini appena entrati in Marsala, fecero fascio-armi nella piazza
detta della Loggia. Garibaldi emanò il noto proclama e con la sciabola sulla
spalla destra si mise a passeggiare solo, con aria evidentemente molto preoc-
cupata, sotto i portici del palazzo municipale. Intanto il Decurionato, come
allora si chiamava la Giunta Municipale, si riunì e poco dopo entrava nella
sala consiliare lo stesso Generale, avvolto nel suo poncho. A dire dei testi-
moni sopraviventi, appariva molto nervoso ; anzi un aneddoto curioso è il
seguente.
Avendo egli chiesto una carta della Sicilia e non essendovene che una
dell' agro marsalese, appesa al muro in un quadro, fu messa sott' occhi del
Generale sopra un tavolo. Ad uno dei Decurioni, il più giovane, l'avvocato
Di Girolamo, che gì' indicava le tre strade provinciali, che da Marsala vanno
rispettivamente a Salemi, a Trapani ed a Mazzara, il Generale domandò se
Salemi era città montuosa e quali i suoi abitanti, ed avendo il giovane avvocato,
che non aveva capito il latino, cominciato a fare una conferenza su Salemi,
Garibaldi, nervosissimo, diede un pugno sul tavolo, mandando in frantumi il
vetro, che ricopriva la carta topografica e con voce irata disse : « Ma non è
questo che voglio sapere! ». In quel momento un uffìziale garibaldino chiese
di urgenza un abboccamento col Generale e questi lasciò immediatamente la
Decuria.
68 LA PRESA DEI VAPORI, LA TRAVERSATA, LO SB.ARCG
Garibaldi lasciava Marsala 1' alba del I 2 ; cavalcava una giumenta bianca
regalatagli dal sig. Sebastiano Giacalone ; su di essa egli, il 27 maggio, entrava
in Palermo. L' eroe ebbe sempre una grande affezione per la fortunata bestia,
cui aveva posto nome " Marsala,,, ed in Caprera la seguente iscrizione
segna il luogo, dove essa giace sepolta: « Qui giace la " Marsala ,, che portò
Garibaldi in Palermo nel 1860, morta il 5 settembre 1876, di anni 30 ».
I Mille marciavano con la carabina in spalla ed una pagnotta infilzata
nella baionetta. Anche Bixio, Carini, La Masa, Nullo, Missori ed altri furono
forniti di cavalli. Il colonnello Orsini ritardò la partenza per conchiudere con
un certo G. B. Russo, fabbricante di polvere, un contratto per la consegna
di una quantità della stessa ; contratto che fu poi lealmente eseguito.
Fra la schiera dei Mille vi era una donna : Rosalia Montmasson, la fedele
compagna di Francesco Crispi nell'esilio e nei giorni dell'amarezza. E poiché
la storia deve essere giusta con tutti e ricordare ai posteri non soltanto i nomi
di coloro, che assursero alle più alte vette della rinomanza e la fortuna compensò
con giorni di letizia e di benessere gli anni del carcere e dell'esilio, ma onorare
anche i militi oscuri, che tutto diedero alla patria e nulla raccolsero per se,
bene è, io penso, che sieno rammentate le belle pagine che l'eroica compagna
dello statista siciliano scrisse nel 1860 col sacrifizio della propria vita.
Rosalia Montmasson nacque nel 1 826 in Saint-Jorioz sul lago di Ansi in
Savoia. Francesco Crispi la incontrò nella via dell'esilio ; fu amato da lei ; egli l'amò
e la fece sua. Nell'amara vita dell'emigrazione l'ebbe fedele compagna al suo
fianco ; e se amore di donna può raddolcire le avversità della fortuna, Rosalia
Montmasson fu balsamo alle piaghe del compagno e dello sposo. Cospiratrice
anch' essa, questa fiera savoiarda, scrive Giacomo Oddo, disinteressata, piena
di coraggio, ardita più di quanto una donna suole essere, dall' anima vivace,
anzi di fuoco, dalla parola pronta, dall' animo schietto, nata alla libertà ed
all' indipendenza, seguì i passi del marito ed in talune circostanze fece lunghi
viaggi per servire alla causa dei popoli in ciò, che voleva esser fatto ali* insaputa
dei potenti e della loro polizia.
Quando Rosalino Pilo e Corrao partirono sopra un legno a vela per la
Sicilia, Crispi, Garibaldi, Bixio e Bertani pensarono alla necessità di avver-
tirne i liberali di Messina, affinchè a quei due generosi facilitassero il disbarco
ed il viaggio nell' isola. Ma ne per dispacci, ne per lettere ciò riusciva possibile ;
si voleva persona a cui fosse ben affidato il segreto e sulla quale gli occhi della
polizia non venissero a fermarsi. La Montmasson si assunse il difficile incarico,
ed imbarcatasi sopra un vapore postale giunse in Messina, adempì alla sua
VICTOR HUGO E QUINET AL DUCE DEI MILLE 69
missione, continuò il viaggio fino a Malta, portò notizie a Fabrizi e ne ricevette
da lui ; poscia ritornò in Messina, s' informò dello stato delle cose e ripartì
per Genova, dove recò lettere e corrispondenze dei liberali di Messina e di
Malta. Quanto giovasse l'opera di questa donna è facile cosa il comprendere; per
lei si potè conoscere in Sicilia la spedizione di Pilo e Corrao ; per lei si poterono
rannodare in unità d'azione Genova, la Sicilia e Malta ; per lei i disegni, le aspi-
razioni, la rivoluzione volarono dalle spiaggie della Liguria a quelle della Trinacria.
Era il 4 maggio, continua lo storico dei « Mille di Marsala », quando
la moglie di Crispi esternava al marito il desiderio di accompagnarlo in Sicilia.
Crispi credette distoglierla da tale proponimento, dicendole che Garibaldi non
voleva donne nella spedizione. A questa risposta ella si tacque ; ma appena
avutone il destro, voltasi al Generale, gli manifestò il suo voto e caldamente
pregollo, perchè non le negasse tal grazia. Garibaldi la guardò (forse in quell' istante
volò col pensiero alla sua estinta compagna) e stendendole la mano le disse :
« Venite dunque, se cost vi piace ; ma ricordatevi che vi esponete a grave rischio
e pericolo, e che io non posso risponder di nulla ». Da quel momento Rosalia
Montmasson appartenne alla spedizione ed a Calatafimi compi prodigi di valore
e di carità, apprestando cure amorose di sorella e di madre ai feriti di quella
memorabile battaglia.
Garibaldi ebbe sempre per Rosalia Montmasson grande ammirazione ed
amicizia. Nel novembre del '66, passando da Firenze egli era andato a farle
visita e da Caprera le scriveva :
Garibaldi a Rosalia Montmasson-Crispi.
Caprera, 5 novembre 1866.
Ma bien chère Madame Crispi,
Je suis fier, que vous ayez bien voulu lenir mon coussin. Pouf mes cheveux,
quoique biancs, il seront tous à votre disposition la première foi, que j' aurais le plai-
sir de vous baiser la main. Mes affectueuses salutations à loules les personnes de
votre maison si hospitalière, sans oublier mon petit Joseph.
Votre de\>oué
G. GARIBALDI
*
Lo sbarco di Garibaldi a Marsala è la prima tappa di quella marcia
gloriosa, che rimase memorabile nella Storia.
70 LA PRESA DEI VAPORI, LA TRAVERSATA, LO SBARCO
Tredici anni avanti, il 4 settembre 1 847 Giacomo Medici aveva scritto
da Montevideo a Nicola Fabrizi una lunga ed importantissima lettera rimasta
inedita, che qui pubblico integralmente.
« Credi tu, scrive con spirito profetico il Medici, che mille uomini
agguerriti e beri ordinati sotto la direzione di un capitano come Garibaldi,
piombando d' improvviso sull' Italia, varrebbero a portare V insurrezione tanto
avanti da sortirne facilmente vittoriosa ? Bene, questi mille uomini si trovano
in questo punto, si possono disporre ed applicare allo scopo nostro con pron-
tezza, con segreto e con sorprendente facilità ». Dopo tredici anni i mille
uomini, capitanati da Garibaldi, partivano non più da Montevideo, ma dallo
scoglio di Quarto, male ordinati e male agguerriti e piombando d' improvviso
sulla Sicilia decisero le sorti d' Italia !
Ma un altro patriota, il prode fra i prodi dei Legionari di Garibaldi nelle
guerre di America, Francesco Anzani, quindici anni prima in una lettera diretta
il 5 aprile del '45 a Manfredo Fanti, aveva vaticinato una spedizione capi-
tanata da Garibaldi. « Credo, scriveva l' Anzani, che presto toccheremo tifine
di questa guerra crudele e disastrosa ed in allora, te lo assicuro, penseremo
seriamente ad una spedizione in Italia. Non ci mancano gli elementi necessari:
una ufficialità decisa e coraggiosa, alcuni bastimenti di guerra a nostra dispo-
sizione, un bravissimo marino pieno di coraggio ed amor patrio,
quale è il Colonnello Garibaldi alla direzione ».
Il povero Anzani non ebbe la gioia di partecipare ai grandi avvenimenti
garibaldini in Italia. Nei primi di luglio del '48, agonizzante, stringendo la
mano di Giacomo Medici, allora repubblicano intransigente, e che si mostrava
crucciato della partenza di Garibaldi per il campo di Roverbella, dove si era recato
per offrire la spada a Carlo Alberto, l' Anzani proferiva le profetiche parole :
« Medici, non essere severo con Garibaldi; è uomo il quale ha ricevuto dal
cielo tale fortuna, che è necessità assisterlo e seguirlo. L'avvenire d' Italia da
esso dipende. E predestinato ! » .
Giacomo Medici a Nicola Fabrizi.
Montevideo, 4 settembre '47.
Caro Nicola,
Passano i mesi, poi gli anni, e se andiamo di questo passo trascorrerà infruttuo-
samente anche la vita ! Quando penso che in questo punto, benché remotissimo
dall' Italia, sono tali elementi da poter tentare per ^^sa una impresa più evidente ed
efficace di qualunque altra operata nei nostri tempi, a me sembra che in luogo della
VICTOR HUGO E QUINET AL DUCE DEI MILLE 71
quasi dimenticanza in cui siamo lasciati, dovresti te ed altri pensare seriamente a noi
e studiare il modo di mettere questi mezzi in attività.
Credi tu che 1000 uomini agguerriti e ben ordinati sotto la direzione di un capi-
tano come il G. {Garibaldi) piombando d' improvviso sull' Italia varrebbero a portare
r insurrezione tanto acanti da sortirne facilmente vittoriosa ? Bene ; questi mille uomini
si trovano in questo punto, si possono disporre ed applicare allo scopo nostro, con pron-
tezza, con segreto e con sorprendente facilità.
Qui siamo assediati da forze superiori e vittoriose, tutto il territorio di questa
Repubblica essendo caduto in poter loro ; per modo che, ridotti alla sola Capitale,
questa viene dilesa dalla Legione Italiana forte di 600 uomini, da un Battaglione di
500 Biscaini, dalla Legione Francese di 1000 uomini, e da 600 Indigeni la maggior
parte negri ; poi alcune centinaia di uomini della marina francese ed inglese. Ora
però r Inghilterra, avendoci traditi, rimane soltanto la protezione delle forze nazionali e
della Francia, che bloccano i porti del nemico ; se poi viene a mancare anche questo
appoggio, la resa è quasi inevitabile.
Egli è appunto nella crisi del dover capitolare, che le Legioni otterranno o si
prenderanno facoltà di cercar asilo altrove, ed è quasi certo che Io stesso vincitore
vedrà di buon occhio, anzi aiuterà la ritirata di un agente a lui tanto funesto.
Dato poi il caso, che la Francia (caso da non credersi) s'impegnasse nel far
prevalere questo partito, soccorrendolo con truppe e con moneta, coi quali mezzi si
darebbe subito fine a questa guerra, non vi è dubbio che in allora le stesse Legioni
avranno diritto di congedarsi non solo, ma oltre di ciò ottenere da questo Governo,
in riconoscenza dei loro servigi, i mezzi e facilità di trasporto per dove vorranno
ritirarsi.
Sì neir una che nell' ahra delle due estremità sopradette, avrebbe facile esecuzione
la nostra impresa, purché fosse già in ordine e si avessero i mezzi convenienti.
La Legione Italiana, sia di un modo sia di un altro, tende a traslocarsi in Italia :
ne occorre a muoverla stimolo alcuno, interesse ; alla chiamata di G. (Garibaldi)
pochi o nessuno rimarrebbero indietro. Ma voglio calcolare soltanto sopra 500, così che
il restante per arrivare al numero di mille bisognerebbe metterlo insieme con indigeni.
Francesi o più facilmente col Battaglione di Baschi per esser più legato di simpatia
alla nostra Legione, per essere gente avventuriera ed aver capi amici di G. {Gari-
baldi). Non bisogna però dimenticare che è gente, cui più di qualunque altro argo-
mento la persuade la moneta.
Se adunque, le cose d' Italia sono mature (e se no fate che lo sieno) tu, Pippo
{Mazzini), e con voi quelli che fra i nostri fossero disposti con mezzi a dar spinta
ad un movimento d'importanza tanto palpabile, io credo che con poco più di 200
mila franchi ci si darebbe perfetto compimento.
Molti sono i modi, ma quello che mi sembra più degli altri efficace, sarebbe che
quelli che danno i mezzi delegassero uno di loro confidenza a presenziare il modo
come vanno impiegati. Lo stesso incaricato si porterebbe a New- York ; comprerebbe
una nave capace per 5 o 6 cento uomini (può costare come 60.000 franchi) e vi
caricherà per 50.000 franchi di viveri adattati al mare, e si dirigerà qui, dopo di
72 LA PRESA DEI VAPORI, LA TRAVERSATA, LO SBARCO
essersi procurato, per mezzo di Foresti, documenti od altro, che serva a far credere,
che qui venga a cercar gente per trasferirla in una colonia negli Stati del Nord
America (questa è soltanto misura di precauzione che può venir bene a taglio). Il
restante del danaro servirebbe a persuadere il Corpo dei Baschi o altri a seguirci,
quindi ad accrescere i mezzi di trasporto. Intanto, qui abbiamo disponibili una Goletta
ben armata in guerra, capace per 150 uomini, più armi e munizioni in abbondanza.
Caro Nicola, pensaci e fa che altri ci pensi seriamente; mi sarò male o non
abbastanza spiegato, ma questo che ti scrivo è scevro di illusioni, è semplice verità.
Il progetto è vasto ed i risultati immensi, eppure facile ad eseguire, soltanto può andar
perso per mancanza di denaro o, avendolo, per esser stati troppo lenti nell' intrapren-
dere, perchè questa è cosa che dovendosi fare e potendo, conviene farla subito.
G. {Garibaldi) ed Anzani sono, non si potrebbe meglio, disposti, ed è tanta in
loro la smania, che senza frapporre tempo ed intralciare questo con altri movimenti
vorrebbero fare subito sia con molti sia con pochi in qualunque modo, e ti assicuro
questi due capitani riunire, in sommo grado, le più preziose qualità sì militari che
rivoluzionarie, e sarebbe veramente grave colpa che l' opera loro in un con quella
della Legione andasse a sfogare altrove, benché ciò non avverrà mai, trattandosi dei
capi e di alcuni altri ; i quali sono decisi, a dispetto di tutto, di far da soli, se non
lo possono accompagnati. Intanto, aspettiamo da Pippo (Mazzini) decisioni importanti :
tu fai male a non scrivermi ; se non Io merita l' amicizia il dovrebbe l' importanza delle
cose politiche sul che ti ho scritto una lunga lettera e ne attendo impaziente il riscontro.
Sono due mesi che mio padre è partito per l' Italia, cosi che sono più tranquillo.
Anthony dev' essere sempre più contento di me ; molti sono i vantaggi commer-
ciali che ne derivano, mi sarà grato sapere come si comporta con te e che affari
fate insieme.
Ricordati adunque di noi, e sta sicuro che dovendo tentare un movimento non
troverai luogo dove siano elementi ne migliori ne più adatti di questi, perchè il
Governo si può dire dipende in grande parte dalla volontà di G. {Garibaldi), e non
credere che la distanza ne gì* intoppi per mare possano in nulla contrariare un'impresa
ben ordinata.
Ora si sta aumentando la Legione ; v' è probabilità si possa renderla forte
almeno di 800.
Addio, scrivi subito al tuo amico
Francesco Anzani a Manfredo Fanti.
G. MEDICI
Montevideo, 5 aprile del 1845.
Amico,
Dopo sette anni alfine seppi di tue notizie. L' amico Giuseppe Marocchi, che
venne a dare in questi paesi dopo le ultime catastrofi succedute in codesto regno, mi
parlò a lungo di te e di molti altri amici, dei quali ignoravo interamente la sorte.
Ho inteso ancora con piacere da questo amico, che sempre ti conservi buon italiano
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Edgard Quinet a Garibaldi
a proposito della pubblicazione francese del libro del Generale « I Mille ». (Vedi pag. 74).
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VICTOR HUGO E QUINET AL DUCE DEI MILLE 73
nel mezzo della corruzione generale. Io te Io confesso, non avrei mai creduto, che
moltissimi dei nostri compagni d'arme fossero tanto deboli, per assicurarsi un pezzo
di pane nella casa dello straniero, di tradire i loro principii. Eppure, per nostra ver-
gogna, mi si assicura che non furono pochi !
Non ti parlo del mio viaggio in Italia, ne del poco o, per meglio dire, nessun
profitto che tirai della mia missione, ne della mia prigionia ed esilio in America.
Troppo lunga ne saria la descrizione. Sappi solo che, appena arrivato a Montevideo,
ritornai all' antico mestiere. Ho militato in una provincia del Brasile, chiamata Rio
Grande del Sud, che si era sollevata contro l'Impero, proclamando la sua indipen-
denza e governo repubblicano. In seguito, essendosi formata una Legione Italiana in
Montevideo per difendere 1' indipendenza di questo paese contro le ingiuste preten-
sioni del governo tirannico di Buenos-Ayres, mi vi sono cacciato dentro con mani e
piedi e sono già più di due anni, che questo corpo forma 1' ammirazione tanto degli
abitanti del paese, che degli stranieri.
Credo che presto toccheremo il fine di questa guerra crudele e disastrosa, ed in
allora, te lo assicuro, penseremo seriamente ad una spedizione in Italia. Non ci mancano
gli elementi necessari. Un' ufficialità decisa e coraggiosa, alcuni bastimenti di guerra a
nostra disposizione un bravissimo marino pieno di coraggio ed amor patrio,
quale è il Colonnello Garibaldi alla direzione, la simpatia di tutti gli abitanti
di questa repubblica. Infine, se questa volta non si farà niente la colpa non sarà nostra.
I miei saluti a tutti gli amici e principalmente a Castelli, uno dei pochi che
merita tutti i riguardi, e tu conservati sempre.
Tuo
FRANCESCO ANZANl
*
* *
Dopo cinquant' anni, in verità, non è senza un sentimento di commozione,
che si rileggono i giudizi, gli scritti e i discorsi pronunziati nel 1 860 dai più
eminenti personaggi d' Europa sulla marcia prodigiosa di Garibaldi ; soprattutto
lo scritto di George Sand ed il meraviglioso discorso pronunziato da Vittor Hugo
nel suo esilio di Jersey, il 1 8 giugno di quell' anno. Ma degne anche di essere
conosciute sono le due bellissime lettere di Victor Hugo e di Edgard Quinet
all' eroe leggendario, quando fu pubblicata 1' edizione francese del libro del
Generale / Mille e che tolgo dalla mia raccolta. {Vedi facsimili).
Victor Hugo a Garibaldi.
Paris, 18 septembre 1874.
Cher Garibaldi,
Votre lettre m'émeut et je sens rémuer pour vous mon vieux coeur de frère.
Oui, raccontez vous mème vos actions superbes, racontez-les à 1' Italie, racontez-les à
la France, racontez-les au monde.
74 L^ PRESA DEI VAPORI, LA TRAVERSATA, LO SBARCO
Les Mille seront glorieux comme 1* ont élé les Dix-Mille, avec ceci de plus
qu' ils sont vaincu, et qu' ils ne sont pas illustres pour avoir reculé, mais pour avoir
avance. Comme Xénophon, vous faites l'epopèe, et après l' avoir faite, vous la dites;
mais vous étes plus grand que Xénophon. Il n'avait en lui que l'ame de la Grece,
vous avez en vous l' ame des peuples.
Cher Garibaldi, je vous embrasse. VICTOR HUGO
Edgard Quinet a Garibaldi.
ASSEMBLÉE NATIONALE Versailles, janvier 1875.
Cher grand Garibaldi,
Avant de vous remercier, j' ai voulu vous lire et vous relire. Je viens de passar
à travers toutes les émotions de vos Mille, et ce qui domine tout, e' est le sentiment
d'une merveille.
Oui, votre éxpédition est le miracle de l' àme, de l' eroisme ; je ne connais rien
dans le passe, qui lasse tant d' honneur à la nature humain. Quelques jeunes gens,
mal armès, sans equipages, sans artillerie, sans ressources d' aucun genre, mais à leur
téte un grand homme, détruisent une armée puissante et conquièrent deux royaumes.
Cela ne e' était pas vu depuis l'antiquité. C est la victoire de l' esprit sur la matière,
d' un grand coeur sur tous les calculs de la force reglée, disciplinée, savante, injuste.
Voilà pourquoi la parole me manque pour dire ce que je sens. J' admire, je bénis,
je célèbre en mon coeur, et je me tais.
Dans votre récit, je vous chercais à chaque pas ; par un modestie sublime, unique
jusqu' à ce jour, le chef de l' éxpédition, celui qu' en est 1' àme, semble vouloir se
dérober aux yeux; il exalte les Mille et il ne dit rien de lui. Il fait tout; il est par-
tout, et il est le seul dont il ne parie pas.
C* est là, cher grand homme, ce qui distingue votre récit de tous les récits mili-
taires faits par des chefs d' éxpédition.
Tous, depuis Xénophon, se mettent en lumière dans leur histoire ; ils se donnent
le premier rang. Vous ètes le premier jusqu' ici des commandants d' armée, qui ait
oublié le chef pour ne glorifier que l' armée.
Mais la posterité saura vous découvrir, parmi les Mille. Elle vous fera la
parte, que vous ne vous étes pais faite. Vous ne vous déroberez pas à la reconnais-
sance de peuples.
Pour toujours, votre
EDGARD QUINET
*
* *
Prima di chiudere questo capitolo amo intrattenermi su di un argomento, che
ancora è discusso ; del merito che rispettivamente ebbero il Fauché e Rabattino
nella spedizione dei Mille.
VICTOR HUGO E QUINET AL DUCE DEI MILLE 75
In una pubblicazione piccola di mole, ma densa di fatti è stato giustamente
rivendicato a Giovanni Battista Fauché il merito di avere apprestato i vapori,
che trasportarono la falange liberatrice. ' Quel merito si era voluto attribuire a
Raffaele Rubattino e non mancano ancora oggi coloro che lo sostengono.
È vero, che i due vapori appartenevano alla Società che portava il nome
di R. Rubattino e C, ma è da notare, che questi aveva da due anni lasciata
la gerenza dell' amministrazione, che era stata assunta dal Fauché. Nella pub-
blicazione citata si trovano narrate le peripezie cui andò incontro quest' ultimo
per r atto patriottico compiuto e che finirono colla perdita del posto.
Già Garibaldi nelle Memorie aveva reso il giusto omaggio al merito del
Fauché; ma nella mia raccolta trovo due lettere dirette nel '60 al Generale
dal Fauché e dal Rubattino, che mi par utile nell' interesse della storia di
pubblicare.
Giovanni Battista Fauché a Garibaldi.
Genova, 16 giugno 1860.
Mio caro Generale,
Spero che anche la mia del 9 corr. sarà ormai in suo potere.
Io non posso trovare qui aiuto nelle mie idee per fondare la compagnia nazio-
nale di navigazione a vapore. Al contrario Rubattino ed i suoi amici mi continuano
una guerra iniqua con la mira di rovesciarmi. Io faccio sforzi immensi per resistere;
ma ho poca speranza di riuscita, poiché mi mancano appoggi.
Ella sa bene, mio Generale, qual parte io presi nella eroica sua spedi-
zione. La nazione me ne dovrà, certo, riconoscenza. Ella, mio Generale, mi ha
bastantemente mostrato la preziosa stima in cui mi tiene. Ella e Bixio mi dissero, che
costì io sarei richiamato. Io verrò adunque; verrò dove l'opera mia può tornare utile
alla patria, e dove può essere apprezzata. Qui mi si perseguita.
Ventinove anni di esperienza amministrativa mi rendono abbastanza sicuro, che
posso fare qualche cosa di bene e le mie cognizioni della parte marittima molto più
me ne incoraggiano. Della mia fede e della mia onestà politica, ne diedi prova.
lo posso avere la Direzione degli eiffari della Marina. Credo questa parte impor-
tantissima in Sicilia. Mi chiami dunque e presto.
Bixio, credo bene, applaudirà la mia determinazione. Ella, mio Generale, avrà così
una nuova caparra della mia buona disposizione.
Sento che il " Lombardo ,, è sempre arenato in Marsala. Io vorrei, con un altro
vapore, venirne a fare il ricupero. Poi, con poco, si può acquistarlo ed avere così
un eccellente battello.
' Pietro Fauché - G. B. Fauché e la spedizione dei Mille, Roma, 1895.
76 LA PRESA DEI VAPORI, LA TRAVERSATA. LO SBARCO
Tosto che Ella avrà letto la presente, colla prima partenza di vapore per Cagliari,
voglia incaricare qualcuno di darmi un avviso telegrafico ; perchè, se io devo aspettare
il ritorno del vapore, perdo due settimane almeno. L'avviso basta che esprima una
sola parola di affermativa, presa da un argomento qualunque, perchè io già compren-
derò benissimo tutto, anche senza alcuna chiara spiegazione.
La prego di fare i miei saluti a Bixio.
Io sono disposto, venendo di non Venire colle mani vuote, come suol dirsi: Ella
mi ha già conosciuto abbastanza. Mi creda, Generale, con affezione particolare
lutto suo
G. B. FAUCHÉ
L' importanza di questo documento per il suo contenuto e per la persona
cui è diretto, è grande! " Ella sa bene, mio Generale, scrive il Fauché, qual
parte io presi nella eroica sua spedizione. La nazione me ne dovrà, certo, rico-
noscenza ,,. Avrebbe il Fauché scritto così a Garibaldi, che doveva bene sapere
come erano andate le cose, se il merito di avere apprestato i vapori, non fosse
a lui dovuto? La lettera inoltre ci apprende la guerra iniqua, che gli muoveva
il Rubattino in Genova, che finì col fargli perdere il posto. Infatti il 1 8 giugno
il Rubattino gli toglieva la procura della direzione della società, che aveva
tenuto fino dal 1858.
Che la guerra era mossa al Fauché per avere egh apprestato i due vapori,
indirettamente lo prova la lettera del Rubattino al Garibaldi in data del 7 giugno,
che qui trascrivo. Se fosse vera o no, la voce corsa con insistenza m quei giorni
a Genova, 1' essere cioè il Rubattino andato a Torino per presentare al Mini-
stero una protesta per il fatto dei vapori presi da Garibaldi, non potremmo
affermare ; ma la lettera da lui scritta al Generale, che qui riporto, non mostra
altra preoccupazione che quella dell* interesse personale.
Garibaldi riconobbe tanto V opera patriottica compiuta dal Fauché che lo
invitò a Palermo, ed il 30 giugno, appena arrivato, stringendogli la mano, gli
disse: " Io vi debbo eterna riconoscenza e la Sicilia vi deve molto; se per-
deste la vostra posizione, io vi riparerò degnamente ,,. Il primo luglio, il Con-
siglio dei Ministri, su proposta del Dittatore, nominava il Fauché, Commissario
generale della marina ed egli restò a quel posto fino al 1 7 settembre, epoca
in cui fu nominato Segretario di Stato della marina. Il I 5 ottobre, sotto la pro-
dittatura Mordini, fu promosso al grado di Capitano di vascello di prima classe
e fece parte di quel Ministero, che decretò l' annessione della Sicilia al Regno
d' Italia. Ecco ora la lettera del Rubattino.
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Garibaldi a Rosalino Pilo. Parfinico, 18 maggio 1860. (Vedi pa^. 84).
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Garibaldi a Rosalino P,lo. Misero Cannone, 19 «.aggio 1860. (Vedi pag. 85).
I
VICTOR HUGO E QUINET AL DUCE DEI MILLE 77
Raffaele Rubattino a Garibaldi.
Genova, 7 giugno 1869.
Carissimo Generale ed Amico,
Non vi parlerò della mia ammirazione, ne dell'entusiasmo che destate, giacche
sapete bene essere voi in questi tempi l' idolo di tutti i popoli civili. Ma scrivo ricor-
rendo all'amico, non al capo della grande spedizione, per dirvi una parola dei miei affari.
Dio avesse voluto, ch'io fossi stato in grado di dare più che non toglieste! Nes-
suno, spero, dubiterà del mio amore alla causa che voi difendete con tanto eroismo;
ma nella stretta suprema dei miei affari, minacciata la mia società di fallimento, stavo forse
per scongiurarne la rovina, rinnovando col Governo il contratto postale, quando la man-
canza dei due battelli rischia forse di rendere impossibile questo accomodamento, spìnto
io probabilmente, senza rimedio, a quello scioglimento, che cercavo di evitare con
tanti sacrifizi.
Voi conoscete le moltiplicate disgrazie, che colpirono la mia società per capire,
senza che io mi dilungi, come sono le cose e quanto è vero quello che vi dico.
Scrivetemi dunque, in che possa sperare e quando, affinchè io mi faccia forte di
queste speranze, e di una vostra parola presso chi può rilevare ancora questa società
disfatta.
Il vostro tempo è troppo prezioso, perchè io vi dica della mia personale posizione.
Ne parleremo a momenti più riposati. Intanto, ve ne prego, scrivete a me che sono
(7 vostro aff.mo amico
RUBATTINO
*
* *
Trova qui giusto posto una corrispondenza inedita, che ebbe luogo fra il con-
sole sardo di Palermo, quello di Marsala e Garibaldi, a proposito di uno dei
due vapori che avevano trasportato i Mille.
L' 1 1 maggio, dopo che lo sbarco a Marsala era felicemente avvenuto,
Garibaldi, per non dare in preda al nemico il " Lombardo „ , che come è noto,
si era arenato all'imboccatura del porto, ordinò di farlo affondare aprendo i rubi-
netti delle macchine. La corrispondenza, che qui si legge riguarda appunto il
ricupero, che più tardi si voleva fare di quel piroscafo. Ho trascritto pure una
lettera diretta dal console sardo in Marsala a Garibaldi riguardo al vapore
Utile ,, comandato dal capitano Lavarello. L' " Utile ,, aveva condotto in
Sicilia i volontari capitanati dai valorosi Carmelo Agnetta e Fardella; la spedi-
zione, partita da Genova la notte del 25 maggio con 70 uomini, 3000
fucili e 60 casse di munizioni, sbarcò anch' essa in Marsala e rappresenta,
cronologicamente, la seconda spedizione fatta nel 1 860 in Sicilia.
78
LA PRESA DEI VAPORI. LA TRAVERSATA. LO SBARCO
II Console Sardo di Palermo a Garibaldi.
CONSOLATO DI S. M. SARDA
IN PALERMO
Palermo, 16 giugno 1860.
N. 719
lUuslrissimo Signore
Il R. Delegato Consolare Sardo in Marsala, con suo rapporto del 12 stante,
n. 1 28, del quale mi fo un dovere compiegarlene copia, m' intrattiene suH' arenamento,
in quelle vicinanze, del piroscafo il " Lombardo ,, e della possibilità di poterlo salvare.
Le comunico ciò per di Lei intelligenza e mi approfitto dell' opportunità per
ridedicarle i sentimenti del mio ossequioso rispetto.
// Console
G. BOCCA
All' lll.mo Signore
Sig. Generale G. Garibaldi
Dittatore in Sicilia
Il Console Sardo di Marsala al Console Sardo di Palermo.
REGIA DELEGAZIONE CONSOLARE
DI S. M. SARDA IN MARSALA
N. 128
Marsala, 12 giugno 1860.
Signore,
Il vapore " Lombardo „ , che fu uno dei due legni che portava in queste spiagge
il generale Garibaldi con la colonna degli italiani, rimase all' imboccatura di questo
porto affondato in acqua per disposizione dello stesso signor Garibaldi , onde non
darlo in preda ai legni Napoletani, che erano in quel tempo in questi paraggi.
L' anzidetto piroscafo è senza alcuna custodia, e continuamente vi si commettono
degli spogli. Ora mi si assicura, che potrebbe agevolmente salvarsi ed io lo reputerei
necessario, poiché potrebbe totalmente perdersi, se un forte vento o da scirocco o
da ponente lo assalisse. Non volendo io intanto prendere da me stesso alcuna inge-
renza in quest' affare, mi rivolgo a Lei, pregandola di darmi le sue istruzioni , alle
quali sarò a conformarmi.
// Delegato Consolare
SEBASTIANO LIPARI
All' lll.mo Sig. Console
di S. M. Sarda di Palermo
VICTOR HUGO E QUINET AL DUCE DEI MILLE 79
Il Console Sardo di Marsala a Garibaldi.
Marsala, 24 giugno 1860.
Signor Generale Dillatore,
Avrei voluto darmi allo rialzamento del Vapore il "Lombardo,, che qui portò
Lei, signor Generale, con la colonna degli Italiani ; generosi tutti che correste al soccorso
dell' infelice Sicilia, immersa nel dolore di un' abbominevole tirannia, se non fossi stato
informato, che qui veniva come incaricato il signor Santocanale. Mi davo pensiero a
tale rialzamento per la esecuzione dei di Lei ordini, dei quali mi onorava nel giorno
in cui lasciava questa fortunata città; e prima che il fuochista del Vapore si fosse da
qui allontanato, mi faceva dichiarare in quali luoghi si erano aperti i rubinetti del
Vapore e mi diceva che innanzi alla caldaia si sono aperti quattro rubinetti ed un
altro sotto la macchina, che pompa l'acqua nella caldaia ed altri due ai piedi dell'asi-
netto. Soggiungevami pure, che forse sono anche aperti i due rubinetti di estrazione
e che le chiavi di tali rubinetti dovrebbero trovarsi al piede della scala. Aveva io di
già disposto sette pompe, onde avvalermene per vuotare il Vapore e stavo per richia-
mare da Favignana Leonardo Ettore, abile palombaro.
Ho creduto bene ciò rassegnare a Lei, signor Generale Dittatore, perchè se il
crederà, possa darmi quelle disposizioni, che opinerà nella sua saggezza convenevoli.
Le soggiungo, che qui trovansi vendibili sessanta bottacci di polvere inglese, venuti
da Malta, che si potrebbero acquistare al prezzo di Oz. 26,20 per ogni quintale. Serva
ciò per la di Lei alta intelligenza e nel caso crederà farne acquisto mi potrà dare i
di Lei ordini.
Con il più profondo rispetto passo a rassegnarmi
// Cittadino
SEBASTIANO LIPARI
Marsala, 21 giugno 1860.
Eccellenza,
Mi fo un pregio di confermare all'È. V. i due rapporti del 1. e 15 corr. ed
ora mi si presenta l' occasione di compiegarle una lettera di due individui rimasti qui
ammalati e raccomandati dal Capo dello Stato Maggiore di V. E., sig. Sirtori, i quali
si metteranno ben tosto in viaggio per raggiungere il loro Generale.
Con sommo mio dispiacere, è corsa voce che il vapore sardo « Utile » che per
mia opera, quando venne in questa con la colonna degli italiani guidata dal signor
Agnetta e colonnello Fardella non fu preda del vapore napoletano per lo impegno, che
ebbi a farlo subito ripartire, sia stato arrestato dai Napoletani nelle acque di Monte
Circelli con taluni italiani, che venivano al soccorso della Sicilia, e che sia stato condotto
a Gaeta. Speriamo che la notizia non fosse veridica.
Su tale proposito mi credo in dovere di portare a conoscenza della E. V. un
certificato, che spontaneamente mi volle lasciare il bravo e coraggioso capitano Fran-
cesco Lavarello.
80
LA PRESA DEI VAPORI, LA TRAVERSATA. LO SBARCO
Fra pochi giorni, per qualche affare di servizio, mi troverò obbhgato di trasferirmi
m cotesta Capitale e ciò mi darà occasione di venirla ad ossequiare personalmente.
Con i sensi della più distinta stima sono
dell' E. V. Dev.mo servitore
SEBASTIANO LIPARI
A S. E. il generale Garibaldi
Diltatore in Sicilia.
Certificato rilasciato dal capitano Lavarello dell' " Utile „ al Console Sardo
di Marsala.
REGIO VICE CONSOLATO
DI S. M. IL RE DI SARDEGNA
IN MARSALA
N. 715
Porto di Marsala, 1° giugno 1860.
A bordo del battello a vapore /'" Utile,,
lo, capitano Francesco Lavarello, mi sento in obbligo di coscienza di dichiarare
al sig. Console di S. M. Sarda residente m Marsala, signor Sebastiano Lipari, che,
nelle poche ore di mia dimora in questo porto, ho ricevuto dallo stesso immensa assi-
stenza e favori e per mia spontanea gratitudine gli rilascio il presente foglio.
Il Comandante del Battello 1'" Utile,,, di bandiera Sarda
FRANCESCO LAVARELLO
#
* *
Mi sembra pure opportuno di pubblicare un altro documento inedito, che
anch' esso può essere utile per la storia della spedizione. E una lettera di
Ambrogio Zucoli, proprietario di una Società di vaporetti di Genova.
Per maggiore intelligenza rammenterò, che allorquando Garibaldi per il
numero dei volontari radunati si accorse che il solo vapore, che aveva promesso
Fauché non sarebbe stato sufficiente, pensò di rivolgersi allo Zucoli e conchiuse
con lui il noleggio di un altro vapore che aveva nome " Roma ,, . Quando
però a Villa Spinola, il Generale, discorrendo in presenza di Bixio, col Fauché
dei mezzi di trasporto necessari all'impresa, questi promise di apprestare oltre
al "Lombardo,, anche il "Piemonte,,, si rese inutile il noleggio già contrat-
tato del " Roma ,, , che del resto era un vapore assai piccolo, che non avrebbe
potuto soddisfare al bisogno. Garibaldi però in quei supremi momenti, non dimenticò
^,UxWe; JjCi^^J-^^ c^rV^e^
/' aUIa^cJ Ct^ xJiKALtéaM*-
Kossuth scrive a Garibaldi invocando la benedizione del Dio della ViUoria.
(Vedi pag. 89).
VICTOR HUGO E QUINET AL DUCE DEI MILLE 61
di scrivere allo Zucoli una lettera in data del 5 maggio, poche ore prima della
partenza, offrendogli un' indennità per la rottura del contratto. La nobile lettera
dello Zucoli, che qui segue, è la risposta alla lettera del Generale.
Genova, 17 giugno 1860.
Mio caro Generale,
Posso appena oggi rispondere al suo prezioso biglietto del 5 maggio prossimo
passato, col quale ella mi offre un' indennità per i disturbi del non combinato noleggio
del piroscafo " Roma ,, . Ho accettato caldamente il di lei gentile invito, ma ho creduto
e credo mio dovere non accedere alla di lei proposta, essendo troppo dolente, che la
piccolezza dei miei legni non mi abbia permesso, che ella non ne avesse approfittato
per sì giusta causa ; del resto, ne io ne l' Amministrazione da me diretta ha avuto
scapito dal di lei rifiuto, e se vi ha un dolore si è quello, che il nostro materiale
non abbia potuto servire allo scopo. E fortuna per me, che questo Comitato, secondo
il mio divisamento di iniziare un servizio tra Genova e Palermo, mi abbia generosa-
mente animato, affittando il " Veloce ,, per un mese. Io non ho esitato e mi permetto
di consegnare questa mia al cap. Giuseppe Faggloni, mettendolo sotto la di lei salva-
guardia. Attendo a momenti un bastimento a vapore dall' Inghilterra, che adempirà
forse al suo dovere nel mese, se pure il Comitato vorrà continuare, o non volendo,
servirà per mio ordine.
Dire a lei di proteggere il Capitano è inutile. So soltanto, che ella generoso,
com'è, non isdegnerà favorire il raccomandato del sempre di lei
SerW) ed amico per la vita
AMB. ZUCOLI
CURÀTULO
CAPITOLO V.
DA MARSALA A PALERMO.
KOSSUTH INVOCA LA BENEDIZIONE DEL DIO
DELLA VITTORIA.
La prima sosta, che i Mille fecero dopo aver lasciato Marsala, fu nel
feudo di Chitarra e Buttagana ; ivi i garibaldini si rinfrancarono, bevendo del
buon vino, che un certo signor Alagna aveva messo a loro disposizione. Il
Generale mangiò pane e formaggio.
Verso sera la colonna giunse a Rampingallo, a metà strada tra Marsala
e Salerai, feudo del barone Mistretta; quivi passarono la notte per proseguire
r indomani verso Salerai. Fu in quello storico casale, che corainciarono a raggiun-
gerlo le bande arraate capitanate dai fratelli Sant' Anna, dal barone Mocarta
ed Alberto Mistretta, che si trovavano sparse in quelle vicinanze. Ripresa
la marcia la mattina del 13, la colonna giunse a Salerai nelle prime ore del
meriggio. Non è qui il caso di intrattenersi sui decreti ivi emanati, che sono
a tutti noti. A Salerai la banda arraata di 175 uomini capinata da Giuseppe
Coppola di Monte Sangiuliano si unì a Garibaldi ed anche Fra Pantaleo, l'Ugo
Bassi del 1 860, si aggregò alla schiera liberatrice.
La partenza da Salerai, la battaglia di Calatafimi, il passaggio per Alcamo
e Partinico, l' arrivo al campo di Renda, il movimento strategico col quale
Garibaldi ingannò i regi, che lo inseguivano a Corleone, mentre egli il 26 a sera
occupava la montagna di Gibilrossa, alle porte di Palermo ; infine la battaglia
del ponte dell' Ararairaglio e 1' entrata a Palerrao sono aweniraenti ormai narrati
dagli storiografi. Ma, sebbene conosciute, non tornerà discaro il vedere qui ripro-
dotte con qualche breve illustrazione, le lettere scritte in quei giorni memorabili da
Garibaldi al « Precursore dei Mille », a Rosalino Pilo, il grande patriota
siciliano colpito in fronte da una palla borbonica il 21 maggio. Le lettere
si seguono per ordine cronologico. {Vedi i facsinìili).
84 DA MARSALA A PALERMO
Garibaldi a Rosalino Pilo.
Calatafimi, 16 maggio 1860.
Caro Rosalino,
Ieri abbiamo combattuto e vinto; i nemici fuggono impauriti verso Palermo. Le
popolazioni sono animatissime e si riuniscono a me in folla. Domani marcerò per
Alcamo. Dite ai Siciliani, che è ora di finirla e che la finiremo presto. Qualunque
arma è buona per un valoroso : fucile, falce, mannaia, un chiodo alla punta di un
bastone.
Riunitevi a me ed ostilizzate il nemico in quei dintorni, se più vi conviene. Fate
accendere dei fuochi su tutte le alture, che contornano il nemico ; tirar quante fucilate
si può, di notte, alle sentinelle e posti avanzati; intercettare comunicazioni, incommo-
darlo, infine, in ogni modo. Spero ci rivedremo presto.
Vostro
G. GARIBALDI
La mattina del 1 7 Garibaldi arrivò in Alcamo ; la sera riprese la marcia
ed il 18 entrava in Partinico, dove i soldati borbonici avevano commesso atti
di orrore. Rosalino, intercettata la corrispondenza del nemico, 1* aveva spedita
al Generale ; nello stesso tempo gli aveva chiesto armi e munizioni. Garibaldi,
non possedendo ne l' una cosa, ne 1' altra, raccomanda a Rosalino di dire ai
Siciliani, che col ferro faranno più che col fuoco.
Partinico, 18 maggio 1860.
Caro Rosalino,
E tempo di marciare verso Palermo; approfittare dell'entusiasmo del popolo e
dello sconforto dei Regi. Fate quanto vi ho detto nell'antecedente e più, se potete.
Io marcio verso Monreale e sarò vicino a quel punto questa sera.
Avvicinatemi per le munizioni e vi farò parte di quelle che abbiamo. Assicurate
però i nostri prodi, che col ferro faremo pili assai che col fuoco contro i nostri nemici.
Con affetto
Vostro
G. GARIBALDI
E lo stesso giorno Garibaldi gli scriveva un' altra lettera.
Partinico, 18 maggio 1860.
Caro Rosalino,
Bisogna dire ai nostri prodi di Carini, che si preparino a coadiuvare l'opera
nostra di domani. Io marcerò alle 3 pom. verso Monreale. Frattanto si accendano
KOSSUIH INVOCA LA BENEDIZIONE DEL DIO DELLA VITTORIA 85
falò questa notte su tutte le alture, che avvicinano Palermo e si molestino i Regi con
fucilate di notte in tutte le posizioni che occupano, e di giorno in ogni modo possibile.
Dile ai bravi Siciliani, che un ferro qualunque nelle loro mani vale un fucile.
A'''^'^- Vostro
G. GARIBALDI
Dopo di avere accampato nell'altipiano di Renda, la mattina del 19 il
Generale si spinse fino alle prime case di Pioppo, a cinque chilometri da
Monreale ; quivi, da un* altura chiamata sin dai tempi degli Arabi Misel-
cannone (non Misero-Cannone, come Garibaldi per errore scrisse) inviò al Pilo
la seguente lettera.
Misero-Cannone, 19 maggio 1860.
Caro Rosalino,
Ho risposto alla lettera vostra annessa ai dispacci sequestrati. Non posso per ora
mandarvi munizioni e cannoni. Penso marciare verso Monreale nelle ore tarde della
giornata. Con la vostra gente coadiuvate il possibile alle nostre operazioni, incommo-
dando il nemico in ogni modo.
Dite ai vostri compagni: che in Lombardia ed in Sicilia noi abbiamo sempre
vinto il nemico, che aveva cannoni e noi no; che i Siciliani sanno perfettamente com-
battere a ferro freddo e che in ogni modo noi vinceremo. Osservate i nostri movimenti
con mezzi svelti e sicuri, e regolatevi in conseguenza.
Si stanno confezionando munizioni, e subito che ne avrò delle pronte ve ne farò
parte. Salutatemi i vostri bravi compagni. „
G. GARIBALDI
Rosalino il giorno seguente riceveva un dispaccio da Sirtori, che lo pre-
murava, a nome del Generale, di marciare sollecitamente sopra S. Martino per
cooperare con lui su Monreale e lo pregava di avvisarlo appena vi sarebbe
arrivato. 11 dispaccio fu spedito dal Sirtori alle ore 2 pom. del 20 dal campo
presso Renda. Eseguito immediatamente l'ordine, Rosalino arrivò la sera a
San Martino ed inviò tosto il seguente dispaccio, che è l' ultimo scritto del
patriota siciliano ucciso nelle prime ore del giorno seguente.
San Martino, 20 maggio, ore 10 pom.
Arrivato qui con 250 uomini. Domattina richiamerò Conrao coi 1 50 uomini dal Monte
della Neviera. Le altre (squadre) spero arriveranno fra stanotte e domani di buon'ora.
Al Monastero di Valverde nella strada di Monreale, ad un miglio da Palermo,
4 grossi cannoni mascherati.
Al Generale Garibaldi
86 DA MARSALA A PALERMO
La mattina del 21 Garibaldi, avendo visto il nemico avanzarsi per la
cresta del Boarra sino a Pioppo, comprendendo che non si sarebbe più mante-
nuto sulla difensiva e ritenendo ancora in vita Rosalino, gli mandava la seguente
lettera, di cui la sola firma è autografa.
Misero-Cannone, 21 maggio 1860.
Caro Rosalino,
Ciò che fece il nemico questa mattina, non è altro che una ricognizione.
Da parte vostra continuate ad ostiHzzare e ad allarmare il nemico quanto è possibile.
Dite poi ai vostri Picciotti, che se vogliono andare a Palermo a liberare il loro
Paese, che si conformino a fare la guerra provvisti di tutto qualche volta, e mancanti
di tutto qualche altra.
Vostro
G. GARIBALDI
* *
L'ultima lettera che Rosalino Pilo aveva scritto partendo per la Sicilia era stata
per il suo amico Salvatore Calvino (vedi Gap. 111). Essa era il canto della
morte ! ed il fato volle che Galvino, distaccato da Garibaldi per andare a rag-
giungere il Pilo dovesse assisterne la tragica fine. I particolari del doloroso
episodio si desumono da un autografo inedito del Calvino, che è anche impor-
tante per le notizie riguardanti la marcia delle squadre siciliane in quei giorni.
Salvatore Calvino racconta come morì Rosalino Pilo.
« 11 giorno 19 maggio 1860 il Generale Garibaldi mi spediva dal passo di Renda
colla squadra di Paolo Cocuzza, forte di cento individui, a raggiungere Rosalino Pilo,
che trovavasi alla testa di una banda di circa ottocento uomini sulle alture di San
Martino, un Convento di frati Benedettini poco distante da Palermo. Raggiunsi il Pilo
sul far della sera e gli recai le istruzioni di molestare, in tutti i modi, il nemico di
giorno e di notte.
La mattina del 20 le pioggie dirotte e la temperatura rigidissima non permisero
alle bande di restare sulle posizioni che occupavano, sfornite di case e di capanne ;
onde il Pilo ordinò che si andasse alle case nuove di Sagana per ricoverarsi. Ivi
giunse ordine del Generale Garibaldi di andare al Convento di San Martino per
molestare al solito il nemico ; ma con ingiunzione di non impegnare con esso un serio
combattimento, se non quando il Generale cominciasse un attacco generale sopra
Palermo. Pernottammo nel Convento di San Martino, mentre il compagno del Pilo,
il bravo Giovanni Corrao, tenevasi con alquanta gente sulle vicine alture. Al fare del
KOSSUTH INVOCA LA BENEDIZIONE DEL DIO DELLA VITTORIA 87
giorno 21, il Pilo ordinava la sua gente per distribuirla sulle alture circostanti,
poiché, essendo il Convento dominato da queste alture, era prudenza farle occupare e
mettersi di fronte ai Borbonici in attitudine di osservazione. Il nemico, che era nel
forte di Castellaccio sopra Monreale, distaccava dalla fortezza alcune compagnie e
le faceva situare sopra le alture, che si stendevano dal Castellaccio verso le nostre
posizioni. Alcuni delle nostre bande, veduto il movimento dei Borbonici, credettero
che non si avanzassero per occupare quelle posizioni per mettersi in osservazione,
ma che venissero ad attaccarci, onde spingevano il Pilo ad ordinare, che ci avan-
zassimo ad incontrarli. 11 Pilo fece di tutto per ricondurli alla ragione, spiegando
loro, che il movimento che faceva il nemico era lo stesso che intendevamo far noi,
colla differenza che pel nemico, che nel forte di Castellaccio stava sicurissimo, era
una ricognizione, mentre per noi, che ci trovavamo nel Convento in una posizione
dominata dalle alture, era necessità di difesa. Le bande insorte, disgraziatamente, non
hanno la disciplina delle truppe regolari, e quando non si può persuaderle, bisogna
trarne quel partito che si può.
Fatto il Pilo ogni sforzo per frenare quella gente, e visto che sarebbe andata
incontro al nemico alla spicciolata, pensò essere migliore consiglio di condurla ordi-
natamente al combattimento, facendosi guidare dagli eventi. Occupate le posizioni,
rimpetto a quelle del nemico, da tutte le nostre forze, essendoci già riuniti colla parte
che comandava il Corrao, i Borbonici ed i nostri cominciarono il fuoco alle ore 6,30
circa a. m. Respingiamo il nemico da alcune posizioni e lo riconduciamo sulla cima
di un' altura detta il Cristo, se ben mi ricordo, che è collegata col Castellaccio da una
bassa collina. Questo monte del Cristo è più elevato dell' ultima posizione da noi occu-
pata e dalla quale avevamo sloggiato il nemico. Ciò malgrado tenevamo non solo la
posizione, ma coi nostri tiri impedivamo, che truppe dal Castellaccio andassero a rin-
forzare il nemico. Erano le 8 antimeridiane all' incirca, quando una palla borbonica
colpiva il prode Rosalino Pilo sul capo e lo fece cadere, privo di sensi, a pochi passi
di distanza. Accorsi col Corrao e col medico, ma il caduto non udì la voce degli
amici, e fra non molto la sua vita generosa fu spenta !
11 Corrao ed io continuammo a vegliare l' azione sino ad un' ora pom. 11 nemico
intanto, visto che i nostri fuochi gì' impedivano, che truppe da Castellaccio andassero
ad ingrossare le file, fece sì che da quel forte e anche da Monreale, partissero dei
distaccamenti, che facendo più lungo cammino andassero a rinforzarlo coperti dallo
stesso monte, che occupava. In quell'ora, diventati di numero importante i Borbonici
SI avanzarono ed i nostri, mancanti di munizioni invano chieste al Quartiere Generale,
che ne era sprovvisto, sforniti di forze per le fatiche e pel lungo digiuno (non avendo
preso cibo dal giorno precedente) furono costretti a ritirarsi.
Corrao ed io, poiché la ritirata già si convertiva in fuga, rimanemmo gli ultimi
per frenare la gente e corremmo gravissimo pericolo di essere uccisi o fatti prigionieri.
Alcune squadre si ridussero a Montelepre, altre in paesi circonvicini, o raggiunsero
il generale Garibaldi. Restammo sul posto un numero così sparuto, che credemmo
più opportuno, dopo di aver scritto ai monaci di S. Martino che ritirassero il cadavere
del Pilo, di raggiungere la gente, che in maggior numero erasi ridotta a Montelepre.
88 DA MARSALA A PALERMO
Fatti accorti dall'accaduto, poiché le bande erano composte di buoni e di cattivi
elementi, con Corrao ed altri buoni patrioti, che erano alla testa di esse, si deliberò
di organizzarle, purgandole degli elementi cattivi e riducendole a tre o quattrocento
individui scelti specialmente tra coloro, che si erano condotti coraggiosamente nella
azione. Corrao specialmente assunse l'incarico di organizzare e comandare la gente
ed io r indomani, 22, andai a raggiungere il generale Garibaldi con Pietro Tondù
e col Rev. Salvatore Calderone, che con tre suoi fratelli ci aiulaoa non col crocefisso,
ma col fucile, per informare Garibaldi del numero e dello stato delle bande e
chiedergli istruzioni. Trovammo il Generale al Parco, ove era andato per vie impra-
ticabili. Approvò la riorganizzazione delle bande e le istruzioni furono le medesime :
molestare sempre il nemico, non impegnare un combattimento, che contemporaneamente
all' attacco generale di Palermo.
Il 23 ritornammo a Montelepre.
Il 24 si riorganizzarono le bande, che avevano di già rioccupato le alture di
S. Martino e restarono ivi sotto il comando di Corrao, che assunse di eseguire le
istruzioni ricevute. Con Pietro Tondù e con G. B. Marinuzzi andai a Torretta e la sera
a Carini, ove eccitammo i Municipi a fornire denaro, munizioni e viveri alle bande.
Il 25 partii da Carini con Marinuzzi per raggiungere Garibaldi e per fargli
noto, allo stesso tempo, lo stato migliore delle truppe di Corrao. Passammo la notte
sopra un monte vicino S. Giuseppe delli Mortilli, ove era una banda di quel paese,
comandata da un certo Migliore, ed il 26 passammo avanti gli avamposti borbonici
della Piana dei Greci e raggiungemmo il Generale in Misilmeri. Demmo a lui tutti
i ragguagli delle bande di Corrao e delle truppe borboniche di Piana dei Greci e la
sera partimmo per Palermo.
La mattina del 27 ho la fortuna di entrare da Porta Termini a fianco del gene-
rale Garibaldi, del generale Tùrr e del capitano Stagnetti.
Sento il dovere di tributare il dovuto elogio al coraggio mostrato dal povero Pilo
e dal Corrao nel fatto del 21 che, sebbene non abbia importanza come fatto militare
(che anzi doveva essere evitato, come era prescritto, e come il Pilo desiderava), pure
ha dato occasione di provare come questi ed altri bravi al cospetto dei Borbonici
poco curavano la vita.
Inoltre, è giusto che dichiari che il Pilo, nei pochi giorni che fui presso di lui, mi
faceva i più alti elogi di molti patrioti, che seco lui dividevano le fatiche ed i pericoli
e m' indicava specialmente tre di essi G. B. Marinuzzi, Pietro Tondù ed Andrea
Ramacca, come caldissimi patrioti, preparatori e parte principale dei moti di quei paesi ».
*
E noto come il movimento strategico col quale Garibaldi aveva ingannato
i Borbonici era riuscito a tal segno, che la colonna von Mechel e Bosco si
era data ad inseguirlo verso Corleone. Il generale Lanza esultava e con lui il
COMHESSiRIATO STRIIOROINARIO
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Ordine del generale Lanza, Alter Ego di Francesco II al colonnello Bonanno
in autografo di Maniscalco, 26 maggio 1860. (Vedi pag. 89).
KOSSUTH INVOCA LA BENEDIZIONE DEL DIO DELLA VITTORIA 89
famoso Maniscalco, il quale il giorno 26, la vigilia dell' entrata di Garibaldi
a Palermo, alle ore 1 2 e mezzo scriveva per incarico del Generale in Capo,
di suo pugno nel gabinetto di quest' ultimo il dispaccio seguente al colonnello
Bonanno. {Vedi facsimile).
COMMISSARIATO STRAORDINARIO
COLLE
FACOLTÀ DELL'ALTER EGO IN SICILIA ^6 maggio 1860, 12 e mezza merid.
Sua Eccellenza al Colonnello Bonanno,
Tenga fermo il divieto di far penetrare in Monreale ufficiali stranieri. La banda
di Garibaldi in rotta, si ritira disordinatamente pel distretto di Corleone. Egli è incalzato.
IL GENERALE IN CAPO
Dalla libera Inghilterra intanto, fino dal 20 maggio, era arrivata la voce del
grande patriota ungherese Luigi Kossuth per invocare sul Liberatore la benedizione
del Dio della Vittoria. {Vedi facsimile).
Kossuth a Garibaldi.
Londres, ce 20 Mai 1860.
General,
Le porteur Mr. Zaffiro Gemignani se rend en Sicile en qualité de correspondant
du journal Morning Post.
Sur la demand de la redaction du dit journal, je lui donne ces lignes, pour lui
servir d' introduction.
Que la benediction du Dieu de la victoire veìlle sur Vous dans Votre
grande, noble, et glorieuse entreprise est V ardent souhait de
A l'illustre Garibaldi.
Votre amie et admirateur
KOSSUTH
CAPITOLO VI.
L'ARMISTIZIO A BORDO DELL' " HANNIB AL „.
L' "ALTER EGO,, DI FRANCESCO II E GARIBALDL
Lyopo la sconfitta del generale Landi a Calatafimi, la posizione del prin-
cipe di Castelcicala, comandante in capo le armi di Sicilia , divenne insoste-
nibile. Chiamato dal re nel mese di marzo, egli aveva assicurato che 1' isola
era tranquillissima, mentre quasi contemporaneamente scoppiava 1' insurrezione
del 4 aprile. Gli avvenimenti di quegli ultimi giorni diedero 1' ultimo colpo,
e, riuscite vane le pressioni di re Francesco su Filangieri, il I 5 maggio veniva
nominato Commissario Straordinario, con tutti i poteri dell' Alter Ego, il siciliano
Ferdinando Lanza, un vecchio di 72 anni, un vero generale da operetta!
Il debutto del Lanza fu il proclama ai Siciliani del 1 8 maggio , in cui,
dopo le solite promesse, aveva avuto il coraggio di dire : « Nel nome augusto
del Re, ampio e generoso perdono accordo a tutti quei che , ora traviati ,
faranno la loro sottomissione alla legittima autorità ». Il popolo di Palermo
rispose a quel proclama il giorno 20 con un manifesto affisso su tutti i muri
della città e che terminava con queste parole : « Tenetevi pure il generoso
perdono, o figlio di una corte pretesca.... Risparmiateci novelli insulti; rispar-
miateci la vergogna di vedere più oltre il vostro nome a pie di proclami ed
ordinanze.... Non ci fate arrossire.... per voi! È questa l'ultima risposta, che
dal popolo si dà agli agenti della Jena di Napoli. Un' ultima risposta ancora....
col moschetto! Viva l'Italia! Viva Vittorio Emanuele! Viva Garibaldi!».
Gli avvenimenti erano andati precipitando. Garibaldi il 27 entrava trion-
fante in Palermo e la mattina del 30 un parlamentario era stato mandato dal
generale Lanza per ottenere un armistizio dal filibustiere Garibaldi divenuto ,
ipso facto. Sua Eccellenza Garibaldi. Questi rispose che non avrebbe avuto
difficoltà di accordare quanto gli si chiedeva, che avrebbe conferito ad un' ora
92 L'ARMISTIZIO A BORDO DELL' " HANNIBAL ,.
pomeridiana, a bordo della nave ammiraglia inglese, con i due generali borbo-
nici, e che r armistizio sarebbe cominciato a mezzogiorno, dando ordini perchè il
fuoco cessasse un ora prima.
Come è noto, quell' armistizio di poche ore fu una vera fortuna per i
garibaldini, i quali non avevano più munizioni ! Infatti, la mattina Garibaldi
aveva mandato al marchese D' Aste, comandante la fregata sarda " Governolo ,, ,
un giovine palermitano, suo fidato, un certo Alessandro, per chiedere della
polvere, ma era stata rifiutata. Tale rifiuto il Generale non dimenticò mai, ne
parlava sovente e ne scrisse nelle sue Memorie.
Non m* intratterrò sul conflitto avvenuto nella mattinata in piazza della
Fieravecchia fra la colonna von Mechel e Bosco, che ritornava da Corleone ,
dove era andata ad inseguire Garibaldi e le squadre capitanate da La Masa,
dal Sirtori e poi da Garibaldi stesso, il quale poco mancò non rimanesse
ucciso per una bomba scoppiatagli vicino. L' episodio è stato esaurientemente
narrato da tutti gli storici ed è certo che se il Wilmot, Luogotenente bor-
bonico, non fosse riuscito a persuadere i Regi a retrocedere, le cose sareb-
bero andate male per i garibaldini, i quali, come si disse, non avevano più
munizioni.
* *
Quando i generali Letizia e Chretien , i due delegati borbonici per la
conferenza, si trovarono al Molo della Sanità, Garibaldi — scrive 1' ammira-
glio Mundy, la cui narrazione interessantissima fu riportata dal Guerzoni " e
recentemente anche dal Trevelyan — era là prima di loro , facendo segnali
col fazzoletto ai soldati del forte di Castellamare, i quali, sebbene fosse stato
chiesto r armistizio, facevano fuoco su di lui. I due generali borbonici , che
avevano sperato di trattare soltanto con 1' ammiraglio inglese , rimasero sorpresi
quando si videro nella stessa lancia col filibustiere ! Essi non sapevano dove
volgere lo sguardo, quando Garibaldi, dopo di loro, prese posto nel battello e
l'ufficiale inglese comandò ai marinai: « out boathooks», « shove off». La loro
sorpresa si accrebbe quando, salendo sull' " Hannibal ,, , la sentinella salutò
' Mundy - H. M. S. " Hannibal „ at Palermo and t^Caples durìng the ìtalian revo-
lution, 1859-61.
^ G. Guerzoni - Garibaldi, voi. Il, pag. 109 e seguenti.
' M. Trevelyan - Garibaldi and the thousand, pag. 318 e seguenti.
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L'armistizio che si voleva imporre dal Generale Lanza a Garibaldi a bordo della nave ammiraglia inglese " Hannibal „
il 30 maggio 1860 e che Garibaldi copiò di suo pugno nella cabina dell'Ammiraglio. (Vedi pag. 93).
L-" ALTER EGO.. DI FRANCESCO II E GARIBALDI 9i
Garibaldi — che in quell' occasione aveva messo fuori il suo uniforme di
Generale piemontese — cogli stessi onori accordati a loro , che erano i rap-
presentanti del re di Napoli.
La drammatica scena, che si svolse nella cabina dell' ammiraglio Mundy,
avrebbe potuto servire a Guglielmo Shakespeare per un episodio di una
sua tragedia, come il pennello di Rembrandt ci avrebbe dato un quadro
meraviglioso, se avesse potuto ritrarre sulla tela, nella luce misteriosa della cabina
dell' " Hannibal ,, , i vari personaggi di quello storico convegno nelle loro
diverse uniformi, e la figura di Garibaldi farsi terribile alla proposta di presen-
tare un' umile petizione a S. M. il Re di Napoli.
Ma di quel memorabile convegno resta un foglio di carta, formato proto-
collo, di manifattura inglese, di colore bleu pallido, che lascia vedere, a tra-
sparenza, lo stemma dell' Inghilterra e che il Dittatore prese dal tavolo dell' ammi-
raglio Mundy per copiarvi di suo pugno le condizioni dell' armistizio, imposte
dal Lanza per mezzo del generale Letizia, e che questi — come afferma lo
storico La Cecilia — aveva presentato per iscritto a Garibaldi. Trascrivo il
prezioso documento, dal quale si apprende con esattezza quali furono le condi-
zioni imposte dal Borbone in quella memorabile conferenza , e che fino ad oggi
erano slate pubblicate incomplete dai diversi storici, a cominciare dal La Cecilia
venendo al Guerzoni, alla Mario, al Bizzoni etc.
Condizioni dell' armistizio, imposte dal Borbone il 30 maggio a bordo del-
l' " Hannibal „ , trascritte di mano di Garibaldi nella cabina dell'ammi-
raglio Mundy {Vedi facsimile).
1 ." - Sospendersi le ostilità per quel tempo che si giudicherà fra le parti.
2.° - Rimanere i belligeranti ciascuno nelle posizioni in cui si trovano in questo
momento.
3.° - Che fosse permesso, durante l' armistizio, di fornire i viveri giornalieri.
4.° - Trasportare i feriti a bordo dei reaH legni e fare imbarcare le famiglie
dei militari.
5.° - Il Municipio dirigerebbe un' umile petizione a S. M. (D. G.) per appagare
gli onesti desideri della città ; petizione che sarebbe sommessa a S. M.
6." - Provvedersi di viveri i reclusi del R. Albergo e delle famiglie rifugiate
nel monastero.
7." - Potere durante 1' armistizio fornirsi di viveri le truppe, pigliandoli dal castello.
LANZA
' G. La Cecilia - Storia degli uliimi avvenimenti della rivoluzione siciliana, pag. 131.
94 L'ARMISTIZIO A BORDO DELL* " HANNIBAL „
La conferenza cominciò alle 2, 1 5 del pomeriggio ed il Letizia aprì 11
fuoco, protestando per la presenza dei comandanti le navi estere, che stanziavano
nel porto di Palermo : Lefevre , comandante la fregata francese " Vauban ,, ;
il Palmer, la fregata americana " Iroqois ,, ; il marchese D' Aste, il legno sardo
" Governolo ,, . Soltanto il comandante la fregata austriaca non aveva voluto
intervenire ! Ma il generale borbonico protestò più vivamente per la presenza
di Garibaldi, asserendo che il pensiero del generale Lanza, nel proporre la con-
ferenza, era stato quello di stabilire , d' accordo con Y ammiraglio Mundy , i
termini dell'armistizio, che il capo dei ribelli (Garibaldi) poteva accettare o
rifiutare.
« Garibaldi — continua il Mundy — mantenne la sua calma abituale
davanti al linguaggio insolente del Delegato borbonico ; ma il Palmer ed il
Lefevre si mostrarono indignati, finche il Mundy, dominando la situazione,
disse che egli da parte sua non intendeva agire come mediatore ; che aveva
offerto la sua cabina come terreno neutro, dove le due parti avrebbero
potuto conferire in condizioni uguali. Il Letizia si calmò ; ma la tempesta non
tardò a scoppiare pochi minuti dopo, e questa volta da parte di Garibaldi, il
quale, alla lettura della quinta condizione dell' armistizio, cioè che « il Municipio
dirigerebbe un' umile petizione a Sua Maestà per appagare gli onesti desideri
della città » , balzò in piedi e tuonò : « No ! il tempo delle umili petizioni al
Re o a chicchessia è finito; oltre ciò, oggi non ci sono più municipalità.... La
municipalità sono io. Io rifiuto il mio consenso ! » .
La conferenza — soggiunge 1' ammiraglio inglese — non avrebbe avuto
esito alcuno, se il Letizia in fondo non fosse preparato ad accordare ogni
cosa, malgrado il suo contegno arrogante ed offensivo, che però non era quello
del suo collega Chretien. Onde, vedendo che Garibaldi si mostrava perfetta-
mente indifferente alla rottura delle negoziazioni, ritirò la condizione dell' unìile
petizione, e fu firmato un armistizio, che doveva durare fino al mezzodì del
giorno seguente.
Prima di lasciare la nave ammiraglia e mentre il Mundy parlava con 1
Generali borbonici, Garibaldi chiese al Palmer, comandante la fregata americana,
ed al marchese D'Aste della polvere, di cui era rimasto privo. Il D'Aste si rifiutò,
come si era rifiutato la mattina, quando Garibaldi gli aveva mandato uno dei
suoi allo stesso scopo ; il Palmer sembra che desse la poca polvere che aveva ;
al resto — scrive il Guerzonl — pensò la provvidenza!
Garibaldi lasciava 1' " Hannibal ,, verso le ore 5, assai preoccupato per
la mancanza di munizioni, ^tanto che gli era balenata in mente l'idea di una
L' •• ALTER EGO „ DI FRANCESCO II E GARIBALDI 95
ritirata sulle montagne. Ma, giunto al Palazzo Pretorio, dopo di avere arringato
il popolo, che da tre ore attendeva 1' esito della conferenza, ed aver detto che
stava ora ai forti figli della Sicilia il decidere, se essi volevano spezzare Y ultimo
anello di quella catena, che sì lungamente li aveva avvinti al servaggio, un urlo
terribile, simile al ruggito di un leone, rimbombò nella piazza: «Guerra!
Guerra! ».
« Oh ! son tant' anni !
E mi risuona ancor 1' alto rimbombo
Di quel grido terribile di sdegno
E di disprezzo!... E mi par 1' irta vedere
Nero - cigliuta ed inarcata fronte
De' superbi liberti. "A morte! Guerra!
,, E seppellirci sotto le ruine
,, Della natia città, pria che segnare
,, L' atto nefando di servaggio e d' onta ,, .
E qui Palermo io riconobbi, e degna
Delle passate glorie ! E nelle vie
Nacquero i baluardi, e sulla fronte
Sino de' bimbi io la certezza lessi
Della vittoria ».
E la guerra continuò ! L' armistizio fu 1' indomani, a richiesta del generale
Lanza, prolungato fino al 3 giugno ; ma il Governo di Napoli, visto che ogni
resistenza sarebbe stata inutile, si decise a capitolare, ed il giorno 6 fu firmata
dal Letizia, dal Garibaldi e dal colonnello Bonopane, questi per parte del generale
Lanza, la capitolazione, il cui testo è stato pubblicato da quasi tutti gli storici.
Il 7 giugno più di 20 mila soldati borbonici, comandati dal generale Lanza
e da von Mechel, lasciavano il palazzo reale, la cattedrale e la Fieravecchia,
e tutta r armata del Borbone , forte di 24 mila uomini , fu in dodici giorni
imbarcata sui legni napoletani. 11 1 9, mentre Garibaldi ritornava da Castella-
mare, dove era andato ad incontrare la spedizione Medici, che era felicemente
sbarcata, l' ultimo residuo dell' esercito borbonico lasciava Palermo, si evacuava
il forte e venivano lasciati liberi i sette detenuti politici, che vi erano stati rinchiusi.
Lo stesso giorno Y Alter Ego di Francesco II lasciava Palermo!
Garibaldi - Poema autobiografico etc. , canto XX, pagg. 165-166.
96 L'ARMISTIZIO A BORDO DELL' •■ HANNIBAL „
Trascrivo qui dagli originali del mio Archivio dieci lettere dirette in quei
giorni dal generale Lanza a Garibaldi ; lettere che per la forma e per il
contenuto sono degne di essere conosciute. Esse vanno dal 1 .° giugno al 1 9,
il giorno della partenza del Lanza e si completano con quelle pubblicate nel
volume F. Crispi e i Mille. I detenuti politici, dei quali si fa cenno nelle
lettere del 1 ." e del 1 8, erano i sette gentiluomini palermitani arrestati il 7
aprile dal Maniscalco. La loro liberazione era stata chiesta dal Dittatore,
ed il Lanza gli aveva risposto con la risetvatissima del primo giugno. I pri-
gionieri appartenevano alla classe più aristocratica di Palermo ; essi erano :
il duca di Cassero, Don Ottavio Lanza dei principi di Butera dell' ordine
di san Filippo Neri, figlio del principe di Trabia , già ministro del Culto a
Napoli sotto il regno di Ferdinando II, il marchese di San Giovanni, il barone
Riso, il principe di Monteleone Pignatelli, il principe di Niscemi figlio, ed il
principe di Giardinelli.
Il generale Ferdinando Lanza, Alter Ego del Re di Napoli, il 1 8 giugno
si accomiatava da Garibaldi con « r più sentiti ringraziamenti per tutte le cor-
tesie usategli » e si faceva premura di avvisarlo che « il frumento depositato
nel lazzaretto trovavasi intatto ».
Si poteva essere più cavallereschi di così con un ex.... filibustiere}
L' "Alter Ego ,, di Francesco II a Garibaldi.
COMANDO IN CAPO
DELLE ARMI E DELLA STAZIONE NAVALE Palermo, 1° giugno 1860.
OLTRE IL FARO
Signor Generale,
(Risercatissima)
Quanto Ella desidera è nelle mie intenzioni di fare, cioè la liberazione dei dete-
nuti politici, di cui forma effetto il riverito suo foglio di oggi stesso, e però sono dolente
non poterla contentare pel momento.
// tenente generale
Al signore
Sig. generale Garibaldi
Palermo
L- •• ALTER EGO ,. DI FRANCESCO II E GARIBALDI
97
COMANDO GENERALE
DELLE ARMI IN SICILIA
N. 184
Palermo, 15 giugno 1860.
Signor Generale,
L' Aiutante Maggiore Marotta, che era del 9° Battaglione Cacciatori, rimanevasi
in Monreale ove tuttora rattrovasi.
E poiché egli era membro del Consiglio di amministrazione di detto Corpo, era
quindi in possesso della contabilità del Battaglione, al quale deve dare conto ancora
di una resta di lire 868,05.
Cosicché, prego Lei di far presentare al cennato Consiglio in questo campo il
Marotta per dare le debite delucidazioni, che in opposto denegandole, gì' importereb-
bero una macchia incancellabile al suo onore.
// generale in capo
Al signore FERDINANDO LANZA
Sig. generale Garibaldi
in Palermo
COMANDO IN CAPO DELLE ARMI
IN SICILIA
Palermo, 16 giugno 1860.
N. 188
Signor Generale,
11 Capellano dei Veterani D. Girolamo Di Marzo mi ha ufficiato di trovarsi
infermo nella sua abitazione in Palermo, desiderando di raggiungere il suo destino non
appena si sarà guarito ; sarebbe perciò della bontà di Lei permettere, che egli si abbia
un ordinativo per aver libero il passaggio.
// generale in capo
Al signor generale Garibaldi FERDINANDO LANZA
Palermo
COMANDO IN CAPO DELLE ARMI
IN SICILIA
N. 194
Signor Generale,
Palermo, 16 giugno 1860.
Sarebbe della sua bontà far tenere l' accluso ufficio al Signor Minneci, fornitore
del Casermaggio Militare, ingiungendogli di dare una risposta al medesimo, che per
CURÀTULO
98 L'ARMISTIZIO A BORDO DELL' " HANNIBAL „
di Lei mezzo mi farebbe tenere, o pure recarsi personalmente a darla in questo campo.
Le sarei grato di un riscontro.
// generale in capo
Al signor generale Garibaldi FERDINANDO LANZA
Palermo
COMANDO IN CAPO DELLE ARMI
IN SICILIA
♦ Palermo, 16 giugno 1860.
N. 195
Signor Generale,
Fra le due parti combattenti venne stabilito, che le regie truppe avessero l'estremo
avamposto a Santa Lucia del Borgo, e che il posto di Porta San Giorgio dovesse
esser coperto dai suoi soldati e non dalle squadre, rimanendo la strada dello stesso
Borgo come terreno neutro da potersi trafficare dai naturali di Palermo senza armi e
le truppe regie avessero libera comunicazione col Forte Castellamare. Ora, le ripetute
squadre si fanno lecito farsi vedere a gruppi armati nel terreno neutro, e nel momento
che scrivo si osservano 7 individui col fucile, prossimi al posto Santa Lucia ; sarebbe
nella consueta compiacenza di Lei emettere ordini precisi ad ovviare tale inconve-
niente, che potrebbe condurre a tristi conseguenze, malgrado gli ordini severi da me
emanati alle truppe sotto i miei ordini.
// generale in capo
A l signor generale Garibaldi FERDINANDO LANZA
Palermo
COMANDO IN CAPO DELLE ARMI
IN SICILIA
« Palermo, 17 giugno 1860.
N. 211
Signor Generale,
Ho saputo che vari individui trattenuti dalle squadre, perchè dispersi o sortiti
dagli OspedaU, desiderano rientrare nelle file dei corpi ai quali essi appartengono e
ne vengono impediti dalle squadre medesime.
Prego perciò, la di lei bontà voler fare in modo, che essi possano ritornare alle
bandiere senza tema alcnna.
// generale in capo
Al signor generale Garibaldi FERDINANDO LANZA
Palermo
U '• ALTER EGO „ D\ FRANCESCO II E GARIBALDI
99
COMANDO IN CAPO DELLE ARMI
IN SICILIA
Palermo, 18 giugno 1860.
N. 171
Signor Generale,
Andando a muovere per la Capitale e sapendo di esservi ancora dei feriti ed
ammalati sotto cura per diversi punti dell'Isola, come quelli rimasti a Calatafimi ed
altri Comuni, sono a pregare la di Lei bontà affinchè, quando costoro saranno al caso
di poter muovere, fossero mandati in Napoli, potendo Ella avvertirne con anticipo
quel Comando Generale, onde spedire qualche legno a riaverseli.
Al signor generale Garibaldi
Palermo
Il generale in capo
FERDINANDO LANZA
COMANDO IN CAPO DELLE ARMI
IN SICILIA
Palermo , 1 8 giugno 1 860.
N. 216
Signor Generale,
Siccome fra domani o dopo domani andrò a muovere col rimanente della truppa
di mio comando, così giusta quanto Ella piacevasi farmi sentire per lo mezzo del gene-
rale Letizia e colonnello Bonopane, la prego essere compiacente disporre, che i suoi
avamposti da quest'oggi non permettano l'entrata nel mio campo a qualunque individuo,
che vi vorrebbe entrare senza plausibile ragione, come pure di allontanare le squadre,
che farebbe sostituire dai suoi soldati.
Profitto di questa occasione per esprimerle i piìi sentiti ringraziamenti miei per tutte
le cortesie usatemi.
Il generale in capo
Al signor generale Garibaldi FERDINANDO LANZA
Palermo
COMANDO IN CAPO DELLE ARMI
IN SICILIA
Palermo, 18 giugno 1860.
N. 226
Signor Generale,
Siccome domani a mezzogiorno la guarnigione di Castellamare ne uscirà per andarsi
ad imbarcare al molo, così la prego, giusta il convenuto, di mandare quivi i suoi sol-
100 L'ARMISTIZIO A BORDO DELL' " HANNIBAL .,
dati per impedire, che le squadre e la gente curiosa si metta sugli spalti ed entri nel
Forte, producendovi inconvenienti.
Come pure la prego di fare, verso la istessa ora, trovare al molo qualcuno dei
suoi Ufficiali di Stato Maggiore per riceversi i sette detenuti, finito che sarà l'intero
imbarco delle truppe.
Mi giova finalmente prevenirla, che il frumento depositato al Lazzaretto trovasi
intatto, ma sarebbe però mestieri mettervi persona a custodia per evitare, che qualche
mano possa profittarne, ora che quel locale sarà abbandonato dalla truppa.
Il generale in capo
Al signor generale Garibaldi FERDINANDO LANZA
Palermo
COMANDO IN CAPO DELLE ARMI
IN SICILIA Palermo, 19 giugno 1860.
Signor Generale,
Movendo io con la Colonna sotto i miei ordini, prego la di Lei bontà disporre,
che non sia molestata la casa della signora Duchessa di San Martino, sita vicino la
5' Casa, che ho occupato fino al momento della mia partenza.
Accolga i miei anticipati ringraziamenti.
// generale in capo
Al signor generale Garibaldi FERDINANDO LANZA
Palermo
CAPITOLO VII.
DISSENSI DOPO LA PARTENZA DI GARIBALDI.
L'OPERA DI AGOSTINO BERTANl.
VJaribaldi, salpando da Quarto, aveva scrìtto al Bertani la lettera a
tutti nota, che ritengo opportuno qui ripubblicare , affinchè si possano meglio
comprendere e valutare gli avvenimenti, che si svolsero in Genova dopo la
partenza dei Mille. Sulla base di numerosi documenti inediti balza fuori in queste
pagine tutto il retroscena di quei giorni agitati dal turbine delle passioni. '
Genova, 5 maggio 1860.
Mio caro Bertani,
Spinto nuovamente sulla scena degli avvenimenti patri, io lascio a voi i seguenti
incarichi :
Raccogliere quanti mezzi sarà possibile per coadiuvarci nella nostra impresa.
Procurare di far capire agli italiani, che se saremo aiutati dovutamente, sarà
fatta r Italia in poco tempo e con poche spese ; ma che non avranno fatto il loro
dovere, quando si limiteranno a qualche sterile sottoscrizione.
Che r Italia libera di oggi, in luogo di centomila soldati , deve armarne cin-
quecentomita ; numero non certamente sproporzionato alla popolazione : e che tale
proporzione di soldati I' hanno gli Stati vicini , che non hanno un' indipendenza da
conquistare. Con tale esercito I' Italia non avrà più bisogno di padroni stranieri , che
se la mangiano a poco a poco col pretesto di liberarla.
Che ovunque sono Italiani che combattono oppressori , là bisogna spingere gli
animosi e provvederli del necessario per il viaggio.
Che r insurrezione siciliana non solo in Sicilia bisogna aiutarla, ma nell' Umbria,
nelle Marche, nella Sabina, nel Napoletano etc. , dovunque sono nemici da combattere.
' Si legga pure sul proposito il bel volume pubblicato dal Senatore Alberto Dallolio : La
spedizione dei Mille nelle memorie bolognesi. Zanichelli, Bologna, 1910.
102 DISSENSI DOPO LA PARTENZA DI GARIBALDI
10 non consigliai il moto della Sicilia; ma venuti alle mani quei nostri fratelli,
ho creduto obbligo di aiutarli.
11 nostro grido di guerra sarà : « Italia e Vittorio Emanuele » e spero che anche
questa volta la bandiera italiana non riceverà sfregio. Con affetto
Vostro
G. GARIBALDI
Agostino Bertani restava adunque in Genova 1' Alter Ego di Garibaldi.
Patriota dei più caldi, egli aveva accettato il programma del duce del Mille ;
ma d' indole poco conciliante, dottrinario come il Mazzini ed il Cattaneo , ai
quali era legato da antica e costante amicizia e dalla stessa fede repubblicana,
il Bertani, non può tacersi, suscitò non poche difficoltà in seno a quel nucleo
di patrioti, che erano rimasti a preparare le altre spedizioni in aiuto di Garibaldi,
combattente in Sicilia. I dissensi non avvennero soltanto con Giacomo Medici
ed Enrico Cosenz, ma col Pinzi e col Besana, i quali ultimi erano , come è
noto, alla direzione del Comitato per il « Milione di Pucili ». Costoro volevano
trarre dal Governo piemontese tutto quell' aiuto, che era possibile di ottenere
senza comprometterlo agli occhi della diplomazia , mentre il Bertani combat-
teva, per principio fisso, il Governo.
Il pomo della discordia fu la spedizione nello Stato pontificio, che Garibaldi,
è vero, aveva consigliato quando partì da Quarto ; ma che da lui fu poi abban-
donata, quando in Sicilia le cose erano tutt' altro che sistemate e si aveva
bisogno urgente di uomini e di armi. I documenti che qui si leggono, illuminano
r importante momento storico e meritano di essere presi in tanta maggiore con-
siderazione, in quanto sono tutte lettere dirette a Garibaldi dai principali perso-
naggi di queir epoca. Ciascuno fa giungere la propria voce all' uomo, che tutta
Italia salutava in quei giorni come il suo « Liberatore », e che affascinava il
mondo con i suoi prodigi di valore.
Udremo la voce calma di Giacomo Medici, dello strenuo difensore del
« Vascello » ; quella affettuosa di due prodi soldati, il Corte e il Malenchini ;
la voce sobria del Pinzi e del Besana ; il pensiero sereno di Enrico Cosenz ;
quello amichevole del Coltelletti ; la voce devota di Biagio Caranti , il futuro
segretario del prodittatore Pallavicino, che ci fa noto 1' interessamento che Re
Vittorio prendeva ai successi di Garibaldi, ed udremo, infine, la parola appas-
sionata, concitata, e talvolta supplichevole di Agostino Bertani, il quale, rimasto
solo a sostenere una linea di condotta non creduta idonea dagli altri, prega,
scongiura Garibaldi di proclamarlo /' unico e cero rappresentante del di lui
programma in Genova.
L'OPERA DI AGOSTINO BERTANI 103
Giacomo Medici a Garibaldi ( Vedi facsimile).
Genova, 25 maggio 1860.
Caro Garibaldi
Riceverai con questa un carico d' armi e munizioni spedite in battello a vapore.
Capirai che, per mettere insieme un tanto soccorso, ho dovuto, oltre a Bertani,
La Farina e Finzi, ricorrere ad una cassa più forte , che se continuerà a rimanerci
aperta, io potrò presto raggiungerti con duemila uomini ed altri quattro o cinquemila
fucili e corrispondenti munizioni.
Malenchini ed io facciamo di tutto per mettere in tuo aiuto il concorso di tutti
i partiti liberali e non avere il Governo realmente ostile ; ma non so per qual motivo
il partito mazziniano e V avanzato del Bertani lavorino invece in senso di dissolvere.
Mi pare non sia il momento, mentre voi combattete, di occuparci di quistioni
politiche, e per me non Vedo V ora di trovarmi con te.
Ti raccomando il latore, che mi pare un buon ufficiale, come pure Vassallo e
Fardella, quasi tutti di questo distaccamento. Addio.
Tuo affezionatissimo
MEDICI
Vincenzo Malenchini a Garibaldi.
Genova, 25 maggio 1860.
Mio Generale,
Profitto dell' occasione per dirle, che con Medici faccio quel poco che posso
per secondare il di Lei desiderio, nella speranza di riunirci tutti insieme in Sicilia:
nella Sicilia libera ed italiana!
Medici si adopra, con attività giusta e ferma, alla quale io interamente deferisco.
L' Italia commossa applaudisce al successo della sua spedizione. Ho fede che
presto applaudirà alla di Lei completa vittoria.
Sempre suo amico ^- MALENCHINI
Clemente Corte a Garibaldi.
Torino, 25 maggio 1860.
Mio caro Generale,
Il trovarmi a Londra mi ha impedito di partire con Lei e ne ho molto rammarico.
Sono qui da qualche giorno con Medici, e spero che presto potremo raggiungere Lei
e gli antichi nostri compagni.
L' entusiasmo in favore di Lei e della santa e giusta nostra causa è grande qui,
grande a Londra, grande ovunque !
Con auguri di felice successo e speranza di potervi partecipare, Le sono, con
filiale rispetto ed affezione
CLEMENTE CORTE
104
DISSENSI DOPO LA PARTENZA DI GARIBALDI
Giuseppe Finzi a Garibaldi.
Illustre Generale,
Torino, 9 giugno 1860.
Gli sforzi della Direzione pel « Milione di Fucili » , da voi delegata , riescono
finalmente coronati da successo, ed attraverso i più gravi e svariati ostacoli si compie
ora una spedizione sotto la condotta del bravo colonnello Medici , da voi designato,
sulla cui importanza ed efficacia attendiamo il vostro imparziale giudizio , unico con-
forto a noi, dopo ì' amore di cooperare al bene di questa nostra travagliata Patria,
che invochiamo sempre una, concorde ed intera.
Fedeli alla nostra divisa, di agire sempre con consiglio amico a questo nostro
Governo italiano, ebbimo comuni i pensamenti col colonnello Medici, e conforme alla
sua, fu la nostra condotta ; dovemmo però discostarci da Bertani, non già negli intenti
e nei mezzi, bens) nel modo di applicarli: noi cogliamo trarre dal Governo italiano
il maggiore aiuto possibile, associandolo ai nostri divisamenti e sospingendolo senza posa ;
temprando però la nostra condotta per modo da non creargli degli imbarazzi, che lo
paralizzino.
Bertani non acconsente in questa veduta: s'inspira da sé stesso, e si atteggia, se
non ostile al Governo, almeno come Governo non vi fosse o non dovesse esservi.
Siate voi, illustre Generale, nostro giudice, e diteci se come facciamo, ne potremo
mai fare altrimenti, meritiamo tuttavia la vostra fiducia.
Le stupende vostre gesta sono ammirate da tutta Europa ; già scompaiono i fatali
preoludizi lungamente nutriti contro di voi, ed il convincimento che l' Italia può essere,
si fa strada, attraverso 1' entusiasmo dei popoli, infino ai gelidi Gabinetti diplomatici.
Deh ! non sorga mai evento, che turbi quest' ora di provvidenziale sorriso sullo
svolgimento del nostro destino, ed indicandoci dissidenti e ciechi delle esigenze del-
l' epoca, converta le simpatie soccorrevoli in invincibili rennitenze.
Generale, in mezzo alla riconoscenza, onde vi è devota tutta 1' Italia , abbiateci
tra i più grati e devoti amici vostri.
Per la Direzione
GIUSEPPE PINZI
Enrico Besana a Garibaldi.
DIREZIONE DEL FONDO
pei il
" Milione di Fucili „ a Garibaldi
Contrada di S. Dalmazio, n. 5.
Milano, 9 giugno 1860.
N. 1099
Generale,
La Direzione si tiene altamente onorata delle vostre lettere del 17 e 28 scorso
maggio, pervenutele regolarmente. Essa plaude di tutto cuore ai vostri successi, ed
//y^
£U*<^ i^^-».^^^ ey^i.^— /-.^ (^
C?^/i'*W^ -_
/^«i-VaCr^ ^^
Lettera di Giacomo Medici a Garibaldi. Genova, 25 maggio 1860.
(Vedi pag. 103).
L'OPERA DI AGOSTINO BERTANI 105
esulta vedendo trionfare in voi la causa del giusto, della libertà e della indipendenza
d' Italia. Le vostre notizie le giungono desideratissime. Con essa, tutti i buoni, gì' Ita-
liani tutti, accolgono con avidità, col massimo interesse e piacere, i particolari concer-
nenti r eroica spedizione da voi capitanata. Appena le tante e gravi vostre occupa-
zioni ve lo permettano date — la Direzione ve ne prega — più frequenti ragguagli
da potersi pubblicare. Solo le vostre parole bastano a destare l' entusiasmo.
La Direzione si adoperò sempre, con alacrità, a disimpegnare gì' incarichi da voi
affidatele: essa fa continue istanze a coloro che tengono a disposizione delle somme
devolute alla vostra sottoscrizione, e ne affretta la trasmissione.
Essa ebbe la soddisfazione d* incassare, per tal modo, ragguardevoli somme, le
quali ha erogato interamente a vantaggio della causa dei fratelli siciliani.
Così fu precipuamente coi fondi forniti dalla Direzione, che si poterono acqui-
stare i vapori coi quali sta per salpare la forte spedizione Medici.
Slanle le tante e Dice pratiche fatte dallo scrivente presso il Ministero si potrà final-
mente passare al ritiro delle armi, che giacevano nel deposito di Milano.
Duemila carabine Enfield, cinquemila fucili francesi, cento revolvers Colt, conse-
gnati dalla direzione al predetto colonnello Medici, e branditi da giovani animosi com-
pletamente equipaggiati, saranno al certo di grande efficacia.
Alla Direzione non restano ora che i quattromila fucili prussiani. Essa dispone,
perchè vengano debitamente riparati, e si farà premura di spedirveli con una prossima
spedizione, o come meglio troverete di ordinare.
Generale, la Direzione continuerà ad adoprarsi con tutto lo impegno, onde por-
tarvi aiuti; vi arrida sempre favorevole la sorte come sin' ora; cessi quell'odioso governo,
che è un insulto all' odierna civiltà ed alla dignità dell' uomo ; che l' Italia nostra sia !
Con tali voti, o Generale, la Direzione vi esprime i sensi della più sincera e
rispettosa amicizia.
Per la Direzione
ENRICO BESANA
Enrico Cosenz a Garibaldi.
Genova, 9 giugno 1860.
Generale,
Nel mentre avevo combinato di raggiungervi a Palermo con Medici, avendo
saputo che la città veniva sgombrata dai borbonici e che per ora non si combatte,
ho ceduto alle istanze di molti amici, i quali desiderano, che si venga preparando una
terza spedizione. Io quindi rimango; ma vi pregherei caldamente. Generale, di volermi
indicare in una vostra lettera dove e quando la credete più opportuna, poiché vi hanno
qui fabbricatori di progetti più o meno aerei, che si fanno scudo del vostro nome.
Non sarebbe meglio riunire tutti gli sforzi in Sicilia e da quella base partire per
la conquista o rivoluzione della terraferma ?
Vi saluto ed attendo con premura gli ordini vostri.
Vostro
ENRICO COSENZ
106 DISSENSI DOPO LA PARTENZA DI GARIBALDI
SOCCORSO A GARIBALDI
Genova, li 10 giugno 1860.
CASSA CENTRALE IN GENOVA * *
Generale,
Sono restato nell' oggetto di poter guidare una terza spedizione di armi ed armati ;
ma quello che io vi prego caldamente farmi conoscere si è il punto, ove meglio cre-
dete, che si debba dirigere. Vi ha chi vorrebbe che si andasse per le Marche e per
colà penetrare negli Abruzzi, altri in Terra di Laooro, altri in Sicilia, lo penderei
piuttosto per quest' ultima opinione, se le forze napoletane si concentrano in Messina ;
perchè così si formerebbe un nucleo d' esercito. Perdonate la mia insistenza e cre-
detemi sempre
Vostro
ENRICO COSENZ
Biagio Garantì a Garibaldi.
Torino, 2 giugno 1860.
Carissimo Generale,
Approffitto di un* occasione sicura per mandarvi di mie e chiedervi di vostre
notizie. Dopo che ebbi la fortuna di abbracciarvi a Quarto, caddi gravemente infermo,
e fui in pericolo di vita. Ora però miglioro e quantunque vi scriva ancora dal letto,
sono però in grado di parlare e scrivere per eccitare questa gente tiepida a correre
in soccorso della santa causa che voi propugnate, contento a sì meraviglioso volere.
Voi al contrario, in così poco tempo, quante gloriose opere avete fatto ! Io seguo le
notizie che giungono di Sicilia, con quella trepidanza, che ha origine nella più sin-
cera e calda amicizia.
// Re manda sovente il generale Sanfront a domandarmi, se ho di vostre notizie.
Quanto sarei lieto di soddisfare alla generosa ansietà del Re Galantuomo!
Quando Tiirr, da Telamone, scrisse poche righe alla Pallavicino e le mandò un
vostro proclama e un ordine del giorno, io li feci prontamente tenere al Re e ne fu
lietissimo. Se non voi, che avete troppo prezioso il tempo, ma Tiirr o qualche altro
vostro fidato, mi facesse pervenire un rapporto di quanto avete già fatto, spoglio di
tutte le contraddizioni, che corrono costì, io sono certo che non gli si potrebbe fare
regalo più gradito. Ma badate bene, che bisogna procedere con tutta la massima pru-
denza, perchè i diplomatici e gì' intriganti lo sorvegliano costantemente ed hanno cor-
rotto persino i suoi valletti di camera. Voi li conoscete, e sapete di quanto essi sono capaci.
A proposito d' intriganti, badate bene che viene giù il La Farina, ed ora, che è
passato il pericolo, verrà per cogliere i fruiti; ma voi lo conoscete e non avete bisogno
dei miei avvertimenti per guardarvi da lui.
Voglio dirvi una mia idea : badate se essa vi pare attuabile. Quando chiamerete
il popolo siciliano al plebiscito, ponete ad esso la condizione, che i ministri sardi non
L'OPERA DI AGOSTINO BERTANI 107
possano alienare altra parie d'Italia; altrimenti, mentre voi unirete la Sicilia, forse l'Italia
perderà la Sardegna e noi poveri piemontesi che da 12 anni sopportiamo sacrifici di ogni
genere, perchè un tempo si chiamava Gallia Cisalpina, forse ci Oenderanno alla Francia.
Organizzate quanto più prontamente vi è possibile forze regolari. Date ai reggi-
menti il numero progressivo ai nostri, cioè, 53, 54 etc. Promulgate lo Statuto Sardo
e le altre leggi cardinali, onde cominciare 1' annessione legislativa, prima che sia fatta
la politica. Oh ! potessi essere al vostro fianco, per sventare gì' intrighi di tutti coloro,
che cercheranno di farsi belli dei risultati ottenuti dal vostro valore e dal sangue dei
valorosi vostri compagni d'armi!
Circondatevi di uomini franchi, schietti. Direte, che mi arbitro darvi consigli.
Non è a titolo di consiglio, che vi dico tutto ciò. Voi sapete quale amicizia vi pro-
fessi, quanta venerazione abbia per voi e vi dico con franchezza ciò, che parmi potrà
rendervi più facile la grande impresa, che avete generosamente tentata e condotta
fin' ora con tanta sagacia e valore.
I Pallavicini vi salutano caramente. Salutatemi tanto Tiirr e Menotti. Guardate,
che darò qualche biglietto di raccomandazione a dei miei amici e connazionali, che
vengono a raggiungervi. Voi avrete la bontà di dir loro una parola d' incoraggiamento.
Fateci sapere ciò di cui principalmente abbisognate, acciò possiamo adoperarci a
procurarvelo.
La Pallavicino ha già spedito 48 e più casse di oggetti atti alla medicazione dei
vostri gloriosi feriti.
Insomma, tutti pensiamo a voi ed ai vostri ; voi pensate qualche volta a noi, quando
le gravi occupazioni vostre ve lo permettono. Dite a Tùrr che ci scriva. Anche i
Pallavicini fanno la stessa raccomandazione.
Permettetemi, che vi abbracci caramente e che mi protesti qual sono
Vostro aff.mo amico
BIAGIO GARANTI
L. Coltelletti a Garibaldi.
Genova, 31 maggio 1860.
Amico,
Per chi vi conosce come io, le vostre gesta non sorprendono I Voi siete l'uomo man-
dato da Dio a liberare 1' Italia e quindi i portenti, che operate hanno del soprannaturale.
Avanti dunque, finche la vostra missione non sia compiuta. Le benedizioni degli
Italiani fanno scudo alla vostra vita, ma per Dio ! non la esponete tanto ; essa non è
più vostra, è dell' Italia ; e questa infelice cadrebbe con voi.
La vostra Dittatura è la risoluzione, che più conveniva ed approvata da tutto il
mondo, che tiene per certo non la deporrete, finche 1' Italia non sia unita.
Tanti saluti a Menotti e credetemi sempre vostro leale amico
L. COLTELLETTI
P. S. - Bertani ed io ci occupiamo per mandare ad effetto le vostre istruzioni.
Medici non si comprende ancora. Non ci lasciate privi di lettere per carità. Vale.
108 DISSENSI DOPO LA PARTENZA DI GARIBALDI
Genova, 9 giugno 1860.
Caio Generale,
Spero avrete ricevuta la mia consegnata a Dumas. Io non ho che ripetervi quanto
vi dissi nel dispaccio : che sopra tutto diffidiate di La Farina e a nessun patto lasciale
la Dittatura. Gli occhi di tutto il mondo sono fissi su di voi, dunque non vi fidate
che di voi solo.
Qui ieri sera si è parlato in Borsa del prestito ; ma nulla si potè conchiudere
per la poca confidenza dei borsaiuoli.
Posto che trovaste denaro assai, vedete se non sia meglio spedirne per Cagliari,
e di là per Genova. Mi pare l' espediente migliore.
Perchè non scrivete, perdio! una riga al vostro amico?
L. COLTELLETTI
P. S. - Teresa e Deidery saranno fra noi per il 15. Salutate Menotti e Bixio.
Carlotta con i figli vi baciano la mano.
*
* *
Ecco ora le lettere dirette da Agostino Bertani a Garibaldi e che si
seguono per ordine cronologico e come tutte le altre ho fedelmente trascritto
dagli originali autografi.
Bertani a Garibaldi.
SOCCORSO A GARIBALDI
Genova, li 23 maggio 1860.
CASSA CENTRALE IN GENOVA **
(Qui è stampala la noia lettera scritta da Garibaldi a Bertani,
il 5 maggio, che ho in principio del capitolo ripubblicala).
Caro Generale,
Vi prego di gittare 1' occhio su queste carte. Io ho accettato nella parola, e nello
spirito il programma vostro, che voi sapete, quanto sia anche il mio ; l' ho diffuso
ovunque colla unita circolare, e non ne devierò d' un capello. Ho fatto ogni sforzo
per compierlo e credo di avere già preparato il paese, in modo ne possiate disporre
fin d'ora. Ma voi partito, mi si attraversò la via dai vostri stessi amici, contrastan-
domi il denaro!
Quelli che voi avete autorizzati a raccogliere sussidi per la Sicilia, limitano all' isola
il loro intento, avversando il proposito di quel più largo campo di azione, che solo
può salvare la Sicilia e 1' Italia.
L- OPERA DI AGOSTINO BERTANI 109
Per tagliar corto a questa opposizione, è necessario che tutti i mezzi refluiscano
là, ove è il vostro programma, lo vi prego, perciò, di far qui pervenire un' istruzione
vostra nei seguenti termini :
« Alla mia partenza per la Sicilia commisi al sig. Bertani l' attuazione di un
programma sul modo col quale intendeva si dovesse dagli Italiani soccorrere la Sicilia.
Esso corrisponde al concetto, che io ebbi dalla Pace di Villafranca, circa la via che
tutti dovevamo battere per salvare la patria; e la proposta del " Milione di Fucili „,
il progetto di passar la Cattolica, e la fondazione della Società la " Nazione armata „
sono altrettanti sforzi per condurre il paese nella strada, che la Rivoluzione siciliana
aperse poi larga e luminosa. Affinchè quel programma possa più presto e più facil-
mente compirsi, urge che il sig. Bertani, che ne è il solo depositario, possa anche
disporre di tutti i mezzi, che il patriottismo di ciascuno va raccogliendo. Io sollecito
perciò, la Commissione del " Milione di Fucili „ e tutti quelli, che si sono fatti col-
lettori di soccorso per la Sicilia ad affidare tosto ogni mezzo raccolto al sig. Bertani,
continuando nella loro patriottica impresa coli' usato fervore » .
Ricevo adesso la vostra lettera da Salemi. ' Vivano i trionfi vostri, e di cotesti
bravi; il cuore d'Italia palpita commosso per voi e tutti i suoi figli prediletti!
Adempirò gì' incarichi che mi date.
La Commissione pel « Milione di FuciH » , ed io cogli aiuti che vi sono noti,
vi spediamo oggi armi e munizioni.
// Medici si è lasciato per debolezza deviare dal vostro programma, riguardo al
Pontificio, fino ad avversare qualunque impresa, che non sia una seconda spedizione
in Sicilia, che stassi preparando e che egli capitanerà. Io continuo a lavorare pel pili
largo progetto nel Pontificio negli Abruzzi e nelle Calabrie; e se i più noti capitani
mi verranno meno, andranno per essi i giovani. Voi vedete anche da ciò quanto sia
urgente, che mandiate le istruzioni, che sopra vi raccomando.
Lo Zambianchi, dopo uno scontro, ha dovuto ritirarsi, e per ragioni che potete
immaginare ; tento ora inviarlo in Sicilia.
Vi raccomando di prestare la massima attenzione al progetto di prestito che
vi unisco.
Vostro sempre
AGOSTINO BERTANI
Come si vede dalla lettura di questa lettera i dissensi fra Bertani ed il
Medici e la direzione del Comitato del « Milione di Fucili » cominciavano
già sin dal 25 maggio. La causa della discordia era l* invasione nello Stato
pontificio, non voluta dal Cavour perchè avrebbe suscitato le proteste di Napo-
leone 111, non desiderata dal Pinzi e dal Besana, perchè non credevano pru-
' La lettera di Garibaldi scritta da Salemi porta la data del 1 9 maggio e fu pubblicata
dalla Mario neW Agostino Bertoni e i suoi tempi, voi. Il, paig. 36.
DISSENSI DOPO LA PARTENZA DI GARIBALDI
dente di urtare la volontà del Governo, creandogli imbarazzi ; non creduta utile
infine, in nessun modo, ne dal Medici, ne, come vedremo, dal Cosenz, i quali
vedevano che la maggiore urgenza ed il dovere del momento era quello di
aiutare Garibaldi in Sicilia e liberare l' isola completamente. Bertani vuole
essere il supremo direttore di ogni cosa ; gli mancano i mezzi pecuniari e sol-
lecita Garibaldi di mandare le istruzioni, che egli stesso gli detta. Riguardo al
progetto di prestito, che viene raccomandato, avrò occasione di parlarne in seguito,
pubblicando sul proposito due lettere dell' avv. Enrico Brusco.
SOCCORSO A GARIBALDI
Genova, li 31 macsio 1860.
CASSA CENTRALE IN GENOVA "^^
Caro Generale,
Un certo De Micheli, che arriverà col battello portante armi costì, vi darà mie
letter» pressanti. Mi raccomando per esse.
La guerra dei lafariniani vuol farmi impotente per eseguire il Vostro programma :
aiutatemi, mandandomi pieni ed esclusivi poteri come Vostro rappresentante.
Posso mandarvi 30 mila fucili e qualche cosa di meno di 15 mila franchi. Sono
fuciH prussiani usati, ridotti, dell'armata, in ottimo stato. E importantissimo, che voi
siate indipendente per l' armamento. // Governo qui non vi potrebbe servire così presto.
Se li volete, scrivete. Io intanto, conto di farli venire qui. Potreste armare il popolo
e servirvene per la Calabria, lo ne comprai già.
Mi si attraversa ogni cosa per lo Stato Pontificio. Medici abbandonò e adesso
quel progetto sono io il solo a proteggerlo ; ma ho il popolo che lo vuole. Rispondetemi.
Vostro di cuore
A. BERTANI
SOCCORSO A GARIBALDI
Genova, H 1° fliuono 1860.
CASSA CENTRALE IN GENOVA
Caro Generale,
Per mezzo di Borelli di Mantova, che vi mando espressamente, voi avrete quanto
m' interessa come e più della vita, ed ansioso attendo il vostro riscontro.
Qui si tenta di giuocarvi ancora, opponendosi all'esecuzione del vostro programma.
Guardatevi dai Lafariniani come dagli aristocratici. E causa di democrazia, non d'altro,
e con ciò di libertà !
Rispondetemi per mezzo di Borelli a tutto, a tutto!
L'OPERA DI AGOSTINO BERTANI III
Voi potete fare davvero l' Italia ; siete provvidenziale. Per altra via non si pub.
Combiniamo e guidiamo le forze. Siamo ansiosi di notizie di Bixio e Sirtori e degli
altri. Leggete, se potete, cosa dissi di voi in Parlamento.
Vostro di cuore ed anima
A. BERTANI
P. S. - Mi si chiede conto di un Riccardo Luzzatto sotto Bixio. Si potrebbe
saperne? Vi raccomando caldamente Alessandro e Carlo Antongini. Di nuovo addio.
Vostro, vostro, vostro
A. BERTANI
*
* *
Nella lettera che segue, anch' essa del 1 ° giugno, si ripetono le stesse idee,
quasi con le stesse parole, ma con maggiore vivacità, espresse in quella del 25,
alla quale sembra che Garibaldi non abbia risposto. E una vera febbre, che
divora il Bertani ; egli è contro tutti. Il suo temperamento poco conciliante è
causa di discordie; nulla egli tralascia per influire sull' animo di Garibaldi. La
sua attività è straordinaria. Importante è la lettera del La Farina, che il Ber-
tani trascrive in copia a Garibaldi per metterlo in guardia ; lettera che non hi
pubblicata nell' epistolario lafariniano.
DOTT. A. BERTANI
Genova, li 1" giugno 1860.
VIA NUOVISSIMA. Num. 15 '66
Caro Generale,
Io ho accettato, ne//e parole e nello spirito, il programma vostro che voi sapete
quanto sia anche il mio; 1' ho diffuso ovunque coli' unita circolare e non ne devierò
di un capello. Ho fatto ogni sforzo per compierlo e credo di avere già preparato il
paese in modo, che voi ne possiate disporre fin d' ora. Per l' insurrezione dell' Umbria,
delle Marche e del Continente napoletano comperai 1 5 mila fucili, ed altri 25 mila eguali
offro a voi, affinchè possiate fare, in un subito, 1* armamento dell' Isola, indipenden-
temente dal Governo Piemontese, che vi darà armi solo a patto di sostituire all' ini-
ziativa nazionale V intrigo diplomatico che già voi esperimentaste. 1 fucili sono quelli
dismessi dall'armata prussiana, a capsula bene inteso, ed abbastanza buoni ancora e
del calibro di quelli di Piemonte. Vi costeranno dai 1 3 ai 15 franchi l'uno e li potete
avere tutti in pochi giorni, solo che mi scriviate subito di mandarveli.
Debbo avvertirvi però che, partito voi, mi si attraversò la via dai vostri stessi
amici, contrastandomi il denaro. Quelli che voi avete autorizzato a raccogliere sussidi
112 DISSENSI DOPO LA PARTENZA DI GARIBALDI
per la Sicilia vogliono limitare all' Isola il loro intento : ma , per acquistare il favore
del paese, che approva il progetto di più larga azione propugnato nel vostro programma,
fanno vedere di averlo essi pure adottato ; mentre di fatto lo avversano. A me poi
attribuiscono di lavorare per la Repubblica. Io feci le piìi solenni dichiarazioni di
volere attenermi al programma vostro ; ma per tagliar corto alla opposizione è neces-
sario che dove trovasi il vostro mandato refluiscano anche tutti i mezzi. Io vi prego,
perciò, di far qua pervenire una istruzione vostra nei seguenti termini:
« Partendo per la Sicilia commisi al dott. Bertani 1' attuazione di un programma
sul modo, col quale io intendeva si dovesse soccorrere dagli Italiani la Sicilia. E la
stessa via, che io indicai proponendo il " Milione di Fucili ,, , cercando passare la
Cattolica, instituendo la nazione armata; e questa via apersero poi a tutti larga e
luminosa, i Siciliani. Ma, affinchè quel programma possa più facilmente e più presto
compiersi, urge che il dott. Bertani, che ne è (7 solo incaricato, possa disporre di
tutti i mezzi, che il patriottismo di ciascuno va raccogliendo. Io sollecito , perciò , la
Commissione pel " Milione di Fucili ,, e tutti quelli che si sono fatti collettori di
sussidi per la Sicilia ad affidare, di mano in mano, ogni mezzo raccolto al signor
Bertani. Che gì' Italiani sappiano una volta guardarsi dagli addormentatori e la Patria
sarà salva! ».
Ricevetti la vostra lettera da Salerai; vivano i prodi! Adempii agli incarichi,
che mi deste. La Commissione pel « Milione di Fucili » ed io, cogli aiuti che vi sono
noti, vi spedimmo il 25 sera armi e munizioni. Medici si è lasciato per debolezza
deviare dal vostro programma riguardo al Pontificio; ma non monta, perchè se per
questa impresa mancheranno i più noti capitani, andranno per essi dei giovani. Voi
vedete quanto sia urgente perciò, che mi mandiate poteri pieni ed esclusivi.
Lo Zambianchi dopo uno scontro ha dovuto ritirarsi ; la sua impresa, quantunque
commessagli da voi, fu dai governatori avversata, ed egli è ora in prigione.
Vi unisco un progetto di prestito, al quale vi prego di prestare la massima atten-
zione. Vi mando il mio discorso al Parlamento per Nizza ed una lettera per chiarire
la mia posizione con La Farina. Addio, addio.
Vostro, Vostro
A. BERTANI
Generale leggete:
Lettera di La Farina al dott. Pietro Monteverde di Piacenza, attualmente
Intendente a Massa.
Torino, 18 gennaio 1860.
Avrà veduto a quest' ora la misera fine del Ministero Rattazzi. Rovinò Garibaldi,
si suicidò e lasciò molto più potente di prima la Società Nazionale. Questa povera
Società Nazionale e, adunque, ancora buona a qualche cosa , se ha potuto efficace-
L'OPERA DI AGOSTINO BERTANI 113
mente cooperare a togliere il paese da una situazione anormale, che avrebbe rovinato
la causa italiana. Per meglio intendere da quale crisi siamo usciti, basti sapere che
Brofferio, Garibaldi e compagni avevano proposto al Re nientemeno che la sospensione
delle libertà costituzionali.... Ringraziamo la Provvidenza, che ci ha dato un Re galan-
tuomo ed una sede di governo tranquilla, onesta e costante come questa buona città
di Torino.
*
* »
Dissi di sopra come il dissenso fra Bertani e Medici cominciasse pochi
giorni dopo la partenza di Garibaldi da Quarto. Quel dissenso non si placò
mai nel!' animo del Bertani. Nella pubblicazione che questi fece nel 1 869 del
citato opuscolo : /re politiche d' oltre tomba, egli non solo dava delle puntate
a Garibaldi e ad altri uomini del partito d' azione, ma specialmente a Medici.
A questi rivolgeva l' accusa di avere avversato la spedizione di Garibaldi
in Sicilia e di avere, contro la volontà di quest' ultimo e cedendo alle istiga-
zioni del La Farina, condotta la seconda spedizione in Sicilia, anziché nelle
Provincie pontifìcie.
A queste accuse il Medici rispose — com' è noto — con un breve ed
esauriente scritto: Una pagina di storia del 1860, dove, fra l'altro, egli
accenna alle mali arti dei mazziniani, i quali avevano insinuato nell' animo di
Garibaldi che egli, il Medici, era « venduto anima e corpo a Cavour ed al La
Farina » ; che era andato in Sicilia non già per cooperare al di lui successo ,
ma per osteggiarlo, riuscendo così a raffreddare i cordiali rapporti, che sempre
erano esistiti fra di loro.
« Arti certamente non leali — scrive Giacomo Medici — smentite dai
fatti ! Un* amicizia che datava da Montevideo , diventata sacra sulle mura di
Roma, non si poteva distruggere in un giorno ; e Garibaldi potè toccare con
mano, che la mia missione anche in Sicilia era quella di combattere nemici
sui campi di battaglia ». « Ciò che accade a me — soggiunge — seguì pure
ad altri amici e compagni d' arme di Garibaldi. Si direbbe che gli uomini, i
quali si adoperavano a questo fine, si fossero prefissi di isolare Garibaldi, spe-
rando di condurlo fx>i a modo loro. E nella prima parte del loro intento pro-
babilmente riuscirono ; nella seconda non credo. Perocché Garibaldi é di tal
tempra, che mentre pare dia ascolto ai consigli altrui, mantiene sempre celato
ed in riserva quello sul quale egli si determina, e che é il suo proprio ».
■K Un'altra qualità — continua il Medici — che possiede Garibaldi, è quella
CURÀTULO «
114 DISSIDI DOPO LA PARTENZA DI GARIBALDI
di non credersi infallibile ; e se talvolta gli avviene di cadere in qualche equivoco,
egli conforta gli amici ad obliare con modi di una gentilezza e modestia, che
dimostrano tutta la grandezza e nobiltà dell' animo suo. Io , che durante la
campagna del 1 860, trangugiai in silenzio gli amari effetti di quella opposizione,
che mi si faceva intorno a Garibaldi, non potei, a guerra finita , trattenermi
in un giorno di sconforto dall' accennarglielo in una lettera, e la risposta che
ne ebbi fu la seguente :
Brescia, 14 aprile 1862.
Caro Medici,
Nella tua lettera del 3 ho osservato una certa tinta di melanconia, che mi addolora.
Io conosco di avere con te qualche torto ; e certo mi proverò di provarti in ogni occasione
che, comunque ti sia stato dispiacente il mio procedere, ciò non deriva da cattiva volontà.
Per te sono non solo amico, ma fratello : ed ove involontariamente ti avessi dispiaciuto,
il mio cuore me ne ha avvertito subito. Perdonami adunque, ed amami, che io sento
di meritarlo. Quanto alle miserie di cui siamo vittima, poco m' importano e tu devi fare
lo stesso. Addio di cuore.
Tuo per la vita
G. GARIBALDI
Ecco il linguaggio — soggiunge il Medici — dell' uomo grande, che ha una
sola passione, la Patria e che non dice mai nulla di se e non si vanta di nulla».
Mi è sembrato opportuno riportare questo brano dell' opuscolo del Medici
per la sua grande importanza ed il compagno d' armi di Garibaldi inviava a
quest' ultimo quella pubblicazione con la seguente caratteristica lettera inedita,
che è nella mia raccolta.
Giacomo Medici a Garibaldi.
Palermo, 3 luglio 1869.
Caro Garibaldi,
Accompagno con affettuoso saluto e poche righe l' unito mio opuscolo, in cui si
contengono alcuni dati storici, con i quali ho voluto ristabilire la verità dei fatti, che
il dott. Bertani nel suo scritto Ire politiche aveva svisata, a scapito dei miei principi e
del mio carattere.
Era perciò indispensabile, che come documenti io v' inserissi talune tue lettere.
Ho dovuto anche emettere giudizi, che ti riguardano. Se mai in ciò avessi errato,
vorrai essere meco indulgente.
Certo è che alieno, come sono, da ogni polemica, fu bene a malincuore, se uscii
dalla usata riserva ; ma questa volta non si trattava di me soltanto, vi era di mezzo la
L'OPERA DI AGOSTINO BERTANI US
fama di quei bravi giovani della seconda spedizione, che più volte tu hai veduto combat-
tere e guidasti alla vittoria I
E ben dura cosa vedere talvolta avvocati e dottori, con un tratto di penna, erigersi
a giudici supremi, e quasi inappellabili della politica e della guerra, ed è gran favore
se a noi concedano quel tanto di capacità, che ne basti per andare a farci ammazzare.
Ti saluto di cuore.
Tuo ajff.mo
G. MEDICI
Relativamente al progetto di prestito, che il Bertani aveva raccoman-
dato al Generale nella lettera del 25, si leggano le due seguenti lettere del-
l' avvocato Enrico Brusco ed un' altra del Bertani.
Enrico Brusco a Garibaldi.
SOCCORSO A GARIBALDI
Genova, li 25 maggio 1860.
CASSA CENTRALE IN GENOVA ^^
Generale,
Nel mentre, che con tanta virtù di sacrifizio e di eroismo voi combattete per
l'impresa della Sicilia, incombe ai rimasti l'obbligo di preparare i mezzi di aiutare
non solo il trionfo del moto siciliano, ma l'attuazione dell'intiero programma vostro,
che è la esplicazione e l' adempimento della Causa Nazionale.
Ora, a questo non si può giungere con semplici volontarie elargizioni : maggiori
mezzi vi abbisognano, che possano corrispondere alla grandezza dell'impresa.
Sembrò pertanto, a molti patriotti italiani, a vari Comitati della Penisola, alla
coscienza insomma dei più, che potrebbesi ottenere lo scopo, emettendo un prestito,
che potrebbe essere di 50 milioni a quelle condizioni ravvisate migliori per assicurare
r esito di tale operazione. Ma, per essere sicuri del successo della stessa, per darle
una garanzia, che sarebbe accettata da ogni patriota italiano, dovrebbe emettersi sotto
la responsabilità del vostro nome ; dovrebbe essere da voi domandato e questa è l' opinione
di tutti ; questa è la speranza di chi vorrebbe fare una volta l' Italia !
Volete accordare il vostro consenso a questa proposta? Se sì, avvertiteci subito,
perchè subito possa mettersi ciascheduno all'opera: e noi confidiamo, che allora si
riuscirà, e in vostro nome, a fare veramente l' Italia e presto.
Per il Comitato della Nazione
ENRICO BRUSCO
A piedi della lettera di pugno di Bertoni si legge:
Vi raccomando il progetto
A. Bertani
116 DISSIDI DOPO LA PARTENZA DI GARIBALDI
SOCCORSO A GARIBALDI
Genova, 16 giugno 1860.
CASSA CENTRALE IN GENOVA * ^
Generale,
Ho ricevuto la vostra lettera del 10 corr. colla quale mi autorizzate a contrarre
un prestito per la Sicilia.
Nel ringraziarvi dell' incarico, mi fo un dovere di parteciparvi, che ho già preso
gli opportuni concerti con Bertani per eseguire immediatamente i vostri ordini, e speriamo
che ne verremo a capo.
11 Paese non può non rispondere al vostro appello e darvi i mezzi per compiere
la generosa e patriottica impresa. Mi unisco però, al Bertani per domandarvi i regolari
decreti, che ci facilitino l'opera.
Gradite i saluti cogli augurii del Vostro
ENRICO BRUSCO
Il Generale, come si vede, aveva risposto al Brusco autorizzando il prestito ;
lo stesso aveva scritto al Bertani. Ma dopo, in una lettera del 1 7 luglio diretta
a quest' ultimo, diceva delle difficoltà che erano sorte in proposito, prevalendo
in Palermo l' avviso di effettuare il prestito nell' isola.
Le lettere che seguono del Bertani a Garibaldi sono di un crescendo
rossiniano ; il dissenso con Medici si è accentuato. E una vera ossessione nella
mente del Bertani l' invasione nello Stato pontificio e preme la mano su Garibaldi
per avere pieni poteri. Venuto meno il Medici, le sue speranze si fondano su
Cosenz ; ma anche queste dovevano presto svanire ! Seguendo l' ordine crono-
logico, trascrivo prima le due belle lettere con le quali egli presenta al Dittatore
Antonio Mordini, tempra di cavaliere antico, colui che sarà il Prodittatore della
Sicilia, ed Alberto Mario, soldato valoroso, scrittore arguto, discepolo fedele di
Giuseppe Mazzini, amico del cuore del Bertani.
Bertani a Garibaldi. {Vedi facsimile).
SOCCORSO A GARIBALDI
Genova, li 8 giugno 1850.
CASSA CENTRALE IN GENOVA *" *
Caro Generale,
Antonio Mordini, fiorentino, Deputato, dei nostri, viene costì a recarvi aiuto colla
sua capacità, lealtà ed abilità per debellare i vostri nemici!
L'OPERA DI AGOSTINO BERT ANI 117
Egli ha fatto le migliori intelligenze con Cattaneo, l' uomo più illustre nelle scienze
politico-amministrative in Italia.
La Farina tentò di fare tanto male costì, quanto ne ha fatto all' Italia del Nord,
addormentandola e rendendola stupida.
Non mi sono pentito mai tanto dei falli miei, come d' avervi rimesso fra i piedi
La Farina. Ed egli forte di un vostro mandato mi ha fatto il maggior male possibile.
Attendo i vostri pieni poteri ed esclusivi qui, perchè possa buttare per
aria lo Stato Pontefìcio.
Ebbi i vostri poteri pel prestito e la vostra lettera del 31 maggio. Grazie! Grazie!
Stasera raduno i banchieri.
Mi racconiando; tenete duro contro La Farina e Cavour, altrimenti
moriamo asfittici nell'isola.
Mordini vi potrà essere di grande utilità.
Vi prego di farmi avere regolarmente la nota dei morti e dei feriti. Acerbi
dovrebbe farlo.
Vostro di cuore
A. BERTANl
SOCCORSO A GARIBALDI
Genova, li 9 giugno 1860.
CASSA CENTRALE IN GENOVA * *
Caro Generale,
L'amico Alberto Mario viene a voi coi miei voti, coi miei desideri di esservi
vicino, e viene ad offrirvi servizi militari di braccio, di penna, di devozione in quella
qualunque carriera voi vogliate avviarlo.
Intorno a voi s'aggruppano gli uomini i più ardenti e devoti, quelli, che hanno
pugnato e patito e che sperano in voi, perchè l' Italia sia una, libera, e degli italiani.
Mario è uno dei valenti campioni della lotta, che si preparò e si rafforzò in dodici
anni di scaramuccie nei giornali ed in tanti sacrifizi individuali ma solenni, che sarebbe
sconoscenza il dimenticare e non pensare ad esso.
Mario vi ama e vi stima quanto meritate, e sarà fido a voi come l'amico il più
franco e leale. Io sono lietissimo di sapervelo al fianco.
In Mario voi troverete un'anima generosa, ma accorta ad un tempo, per difendervi
contro le mene, nelle quali gli uomini della vostra tempra sono presso che sempre
perduti. L'aiuto degli onesti e dei fidi vi difenderà a tutta oltranza.
Addio Generale ; 1* Italia si farà quest' anno, se voi terrete fermo in Sicilia il
vessillo della libertà e farete armare tutto il paese, mentre i vostri compagni d'armi e
d' idea vi prepareranno altre Provincie libere per le quali possiate sentire che V Italia è fatta.
Vostro di cuore
AGOSTINO BERTANl
118 DISSIDI DOPO LA PARTENZA DI GARIBALDI
SOCCORSO A GARIBALDI
Genova, li 9 giugno 1860.
CASSA CENTRALE IN GENOVA ^ *
Caro Generale,
Per attuare il prestito occorre:
« Che voi mandiate, col ritorno dell' amico latore, un Decreto dittatoriale, contro-
firmato da chi spetta, perchè sia un atto governativo. In questo decreto autorizzerete
me a contrarre un prestito in nome vostro come Dittatore ».
Poi occorre :
« Che dichiariate con altro o collo stesso Decreto quali fondi, o entrate, o pos-
sessioni, serviranno a garentire il prestito, che io contrarrò.
» Finalmente, mandatemi una facoltà di disporre del denaro del prestito secondo
gli ordini ed intelligenze fatte con voi, rendendo i conti a voi, e io vi comprerò
cannoni e fregate ».
Con questa facoltà, che attendo il più presto possibile, il prestito è fatto.
Ora ad altro :
Sapete che Medici non ha voluto attendere alla spedizione dell' Umbria e delle
Marche. Egli ha creduto fare bene, stando anche un po' troppo con La Farina.
Cosenz rimane per quell'impresa, se l'approvate, e per passare negli Abruzzi.
Egli è con me.
Ora, in mome suo, vi prego di scrivermi quando credete, che sia il momento
opportuno per incominciare e dove. Io me l' immagino, che risponderete subito ; ed io
vi dico, che subito è impossibile. Ci vogliono altri 1 5 giorni, e poi sarà cosa che fatta
in nome vostro e del vostro grido di guerra, sarà degna di entrambi.
Rispondete quindi, di grazia, che volete il molo e la vittoria il più presto, e
completa possibile.
Vi manderemo altre armi e munizioni ed armati, se ne vorrete ancora, ma fate
grazia, fate unico centro presso il vostro incaricato.
Ho ricevuto anche la vostra lettera del 31 maggio, la prima da Palermo.
Sono avvertito da un negoziante di Londra, che furono là comprati e si cercavano
mezzi di trasporto per 70 mila fucili in Sicilia. Si sospetta una compra ed una mena
Napoleonica. All' erta !
All'erta col La Farina e compagnia!
Eccovi l'ultima parola per ora del Vostro affezionato
AGOSTINO BERTANI
Il Bertani scriveva nello stesso foglio quest' altra lettera :
Caro Generale,
Ho trovato chi mi darebbe qui fondi con tratta sopra voi costì. Fatemi grazia,
avvisate, col mezzo il più pronto possibile, il signor Gerolamo Tessi di Malta, agente
L'OPERA DI AGOSTINO BERTANI 119
della Casa Rocca di qui, se accetterete e soddisferete le mie tratte e fino a qual somma.
Rocca è disposto con altro banchiere, il Parodi, per qualche milione. Appena avuto
l' avviso telegrafico del Tessi qui, io toccherò i denari. Intanto, si organizzerà il prestito
alquanto meglio.
Dietro consiglio di persone capaci, vi propongo i due Decreti uniti. Ne ricono-
scerete l'importanza. Ogni ostacolo è sgombrato e voi rimarrete padrone del campo.
Oltre e meglio che coi fucili già proposti, vi posso forse nel mese far avere costì
100 mila fucili tutti eguali, buoni, ed a discreto prezzo. Ma fondi e prestito e regolare
autorizzazione per esso.
Rispondetemi di grazia, sono momenti. Voi, armi e libertà in Sicilia, e V Italia
sarà fatta in quattro e quattro otto.
Vostro
A. BERTANI
« Considerando che la Causa Nazionale, che si agita in Sicilia ha bisogno di
grandi mezzi per trionfare ;
» Considerando, che non solo gì' Italiani per la solidarietà d' interessi, ma altri
popoli, sentendo il debito di aiutare una causa giusta e generosa, vogliono concorrere
a questa opera;
» Considerando, che per evitare le dispersioni dei fondi, e somministrare le mag-
giori garanzie agli offerenti, interessa stabilire un solo centro fuori dell' Isola, incari-
cato di raccogliere ed erogare questi mezzi ;
» IL DITTATORE DECRETA:
» Art. !'')-£ instituito in Genova un unico centro per le finanze della Sicilia
fuori dell' Isola ;
» Art. 2°) - A questo è data facoltà di promuovere le sottoscrizioni, ricevere
e riunire tutte le somme offerte in qualsiasi luogo sì dai privati che dai corpi morali,
contrarre prestiti tanto in Italia che fuori, e prestare tutte quelle garanzie, che saranno
specialmente indicate ;
» Art. 3°) - Il dott. Agostino Bertani viene proposto alla direzione di questo
ufficio col titolo di Ricevitore Generale.
» In virtù, etc.
» Visto il Decreto etc.
» IL DITTATORE DECRETA:
» Articolo unico - Il dott. Agostino Bertani, Ricevitore Generale per le Finanze
della Sicilia fuori dell' Isola, è munito di pieni poteri per provvedere quanto occorre
all' armamento completo dell' Isola ».
120 DISSIDI DOPO LA PARTENZA DI GARIBALDI
Il bisogno di fondi, intanto, aumentava ed il Bertani in data del I 2 spediva
al suo amico avv. Sulliotti di Cagliari un telegramma, che questi inviava al Generale
con la seguente lettera :
Cagliari, 17 giugno 1860.
Il imo sig. Generale,
Fino dal 12 ho ricevuto l'accluso dispaccio n. 15899, con incarico di rimetterlo
prontamente alla S. V. III. ma in Palermo. Per mancanza di occasione non lo potei
mandare prima ; ora profitto della partenza dell' " Icnusa „ per compiere tanto dovere. Altra
copia ne ho consegnata al capitano Cianciolo, il quale è partito ieri dal nostro porto
coi vapori, che conducono i volontari guidati dal colonnello Medici. Il Cianciolo è
incaricato di una missione presso la S. V. e a questo scopo è partito il 1 0 da Genova ;
voglio augurarmi arriverà prima della presente alla sua destinazione.
Attendo un cenno di riscontro per accusarmi recapito della presente, onde io ne
possa telegraficamente avvertire il deputato Bertani ; attendo pure qualsiasi ordine dalla
S. V. per trasmetterlo nello stesso modo alla sua destinazione, essendo stato di tanto
incaricato dallo stesso dott. Bertani. Ho l'onore di dirmi della S. V. Illma
Dev.mo Servitore
Aw. ANNIBALE SULLIOTTI
Dispaccio del Bertani:
Avo. Sulliotti - Cagliari
Mandate con qualunque spesa il seguente dispaccio a Palermo al generale Garibaldi.
« Presentatevi alla Casa Ingham e Whitaker ed l. e V. Florio ; fatevi dare cre-
denziali o tratte Inghilterra e Francia a mio favore, intendetevi costì con i medesimi
per l'equivalente. Urge danaro ».
BERTANI
Le speranze riposte sul Cosenz per 1' invasione dello Stato pontificio erano
svanite ; ma il Bertani spera ancora nella parola autorevole di Garibaldi e scrive
la seguente lettera. (Si veggano, in proposito, le due lettere del Cosenz a Gari-
baldi del 9 e 10 sopra trascritte).
SOCCORSO A GARIBALDI
Genova, li 17 giugno 1860.
CASSA CENTRALE IN GENOVA ^ ^
Caro Generale,
Vi mando il primo vapore, che farà le corse quanto più regolari sarà possibile,
fra qui e Palermo. Vedete che ci adoperiamo.
^^^^^'OXSOJ^ §^\IMV" ^^^^ ^'f'UA^^ YS-^
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Agostino Beitani a Garibaldi, 8 giugno 1860;
presenta Antonio Mordini al Generale e dà dei giudizi su La Farina e Cavour. (Vedi pag. 1 16).
L'OPERA DI AGOSTINO BERTANI 121
Vi confermo le mie antecedenti e vi raccomando ogni cosa.
Ribotti mi fa dire di abboccarmi con Cavour per irìtendersela. Vorrebbero ravvi-
cinarsi a Voi. Io vorrei mettere per condizione la libera e consentita invasione del ter-
ritorio pontificio. Ma voi raccomandatelo, ve ne prego, imponetelo a Cosenz, che
ritornò oggi da Torino, freddo come un ghiaccio per l'Umbria e Marche per l'influenza
governativa.
Dipende dalla vostra parola i avere Cosenz con noi o di lasciarlo andare ai suoi
destini e fare senza di lui.
L' Avvocato Ponte è il corriere che ritornerà coi vostri dispacci a me. Dipen-
derà dai vostri ordini la sua partenza e la strada che prenderà per ritornare. Appena
avuti un po' di denari da costì avrete nitro, polvere e piombo.
1 fucili viaggeranno nella prossima settimana da Londra a qui. Li avrete, i primi
30 mila, a buonissimo prezzo e buoni, benché riformati. I secondi a prezzi conve-
nienti e bene riformati. Potete contare per il 15 di luglio, se ho denari, di avere
costì 100 mila fucili. Al resto penso.
Ma serbatemi I' unità di potere in nome vostro. Ve ne scongiuro.
Con affetto vostro
A BERTANI
A dimostrare ancora più lo stato d' animo del Bertani in quei giorni,
durante i quali egli avrebbe voluto far denaro dai sassi ed il dolore che pro-
vava, vedendo che le somme raccolte non andavano a lui, è caratteristica la
lettera scritta al Generale per presentargli un inglese, il doti. Callaway, che
veniva raccomandato a Garibaldi anche dal Panizzi da Londra.
SOCCORSO A GARIBALDI
Genova, li 17 giugno 1860.
CASSA CENTRALE IN GENOVA ^ *"
Caro Generale,
Vi presento il sig. doti. Callaway, inglese, raccomandato dal comune amico
Panizzi. Egli vi porta dei danari.
Gli inglesi, sempre eccentrici, vogliono portare Vasi a Samo e denaro a Voi,
quindi non ho potuto ottenere lasciasse qui il suo denaro.
Se voi poteste persuaderlo a scrivere ai suoi compaesani che paghino a me, sarebbe
ottima cosa.
Vostro
A. BERTANI
122 DISSIDI DOPO LA PARTENZA DI GARIBALDI
Antonio Panizzi a Garibaldi.
British Museum, 4 giugno 1860.
Mio illustre e caro Amico,
Il signor Tommaso Callaway, che ti recherà la presente, è ammiratore caldissimo
tuo, amatore della nostra Italia e nemico acerrimo dei despoti di tutto il mondo. EgU
viene a raggiungerti per servir la causa, come potrà meglio. È chirurgo di professione ;
ma è agiato di beni di fortuna ; ha viaggiato molto, servito nelle truppe ed è pronto
a far di tutto per servirti. Lo troverai franco, onesto e sincero amico nostro. Spero che
i suoi servigi ti possano tornare utili.
Dio ti mantenga salvo per la salute e l'onore della nostra patria! Credi all'ammi-
razione, stima e rispetto, che nutre per te
il tuo sincero amico
A. PANIZZI
Bertani nelle lettere del 25 maggio e del 1° giugno a Garibaldi aveva
scritto della sorte toccata allo Zambianchi. Intorno a questa spedizione, che è
stata chiamata una diversione, ne scrisse anni fa il generale Pittaluga e più
recentemente l' egregio e colto capitano Del Bono dell' Archivio storico dello
Stato Maggiore, nonché il senatore Cadolini. Sul proposito è importante la
seguente lettera inedita del garibaldino Cesare Orsini, che poi si battè da
prode in Sicilia, al suo colonnello, che ritengo fosse Benedetto Cairoli.
Dalle carceri di Fortezza da basso.
Firenze, 4 giugno 1860.
Mio Colonnello,
Già Ella sarà informato della spedizione Zambianchi ; io però non voglio man-
care al mio dovere, che credo di essere quello di darle alcuni dettagli su ciò che
riguarda il modo con cui ci ha guidati il nostro Capo.
Non so quali fossero le istruzioni, che egli aveva ricevuto dal Generale, ma certo
erano o di passare il confine o no. Nel primo caso, noi dovevamo gettarci nella mac-
chia della Maremma, lasciare da parte i paesi abitati e giungere ad Orvieto, dove
vi era un solo distaccamento di 25 gendarmi ; oppure, ingrossata la colonna colla com-
pagnia di Sgarallino, che veniva da Livorno con altri volontari armati, che l' infatica-
bile Siccoli ci spediva continuamente, arrivare a Viterbo, dove vi era un battaglione
di Cacciatori indigeni, che è il più mal visto dal Governo papale, perchè è composto
di gioventù bravissima. In questi due punti avremmo vinto sicuramente e ci sarebbe
stato facile lo sviluppare l' elemento rivoluzionario e formare subito una colonna di 2000
uomini. Nulla di ciò fu fatto!
L'OPERA DI AGOSTINO BERTANI 123
Nessuna comunicazione tenne Zambianchi col Bertani, ne cogli altri amici del
Generale. Egli si slanciò verso il confine a marcie trionfali ed / solili canti ed evvica,
visite, pranzi, toast, eie, in tutti i paesi della Maremma. A Scanzano tre giorni di
inutile fermata ; a Petigliano otto ; non aveva relazioni nell' interno ; non aveva una
spia da potersi fidare, ma grandi rodomontate, vittorie in aria etc. lo mi sforzavo a
metterlo nella via più prudente, ma sempre inutilmente. Intanto il Governo pontificio,
avvertito, fece muovere un reggimento di Svizzeri da Civitavecchia ed un altro da
Roma; cosicché le due vie di Orvieto e Viterbo ci erano tagliate. Nonostante egli
voleva passare il confine e lo passò.
Noi tutti eravamo contenti, perchè volevamo almeno, anche morendo infruttuo-
samente, che il Generale vittorioso in Sicilia non avesse potuto lamentarsi di noi.
Invece di percorrere quella seconda strada coperta, e così sorprendere qualche punto
dei nemici; invece di usare tutte quelle astuzie necessarie ad una piccola colonna,
che va incontro a due o tre reggimenti regolari, Zambianchi camminò diritto sulla via
maestra, come un corpo che va ad una parata. Alle Grate io entrai con venti uomini
nel paese, che alle prime si mostrò favorevole e ci somministrò i viveri etc... Zambianchi
intanto, sceglieva fuori del paese e lungo la via uno spazio dove accampare la colonna.
Appena trovatolo, fece fare i fasci, e senza curarsi ne di posti avanzati, ne di guardie,
di nulla infine, lasciò che Uffiziali e soldati, tutti, abbandonassero le armi ed entrassero
in paese.
Io che mi trovavo colà, incaricato di spedire i viveri al campo, mi vidi addosso
questa invasione di truppa, che subito si sbandò dirigendosi ai caffè, bettole etc
senza disciplina, perchè Zambianchi non aveva saputo acquistare il prestigio, che vale
assai più di tutti i codici militari. Mi accingevo, dopo due ore di fermata, a requisire
armi e cavalli, quando all' improvviso entra in paese uno squadrone di gendarmi a
cavallo, con alla testa il colonnello Pimondan francese, e vari Uffiziali. Essendosi
avveduti che ci avevano colto di sorpresa, s' imbaldanzirono e cominciarono a correre
pel paese, scaricando colpi a destra ed a sinistra, senza però ferire nessuno. Perchè
sono sempre i soldati del Papa.
I primi a far fuoco furono i pochi uomini, che aveva raccolto io sulla piazza e
che seppero dirigere così bene i loro colpi, che atterrarono cinque o sei gendarmi.
Appena inteso il nostro grido di allarme, tutti accorsero a prendere le armi ; alcuni non
poterono, perchè era intercettata una parte della strada ed allora gli posso giurare,
che i soldati hanno mostrato di essere veri soldati di Garibaldi, poiché chi con baionetta,
chi con sciabola, con sedie dei caffè, tavolini ecc. pugnarono con un esito tale da
sbalordire ; sempre però facendosi scudo dell' ignoranza e viltà dei nemici. I tenenti
Guerzoni e Licardi, essi soli furono gli eroi della pugna, perchè armati di un solo
revolver, alla intimazione di arrendersi fattagli dal colonnello francese, risposero: " I soldati
di Garibaldi muoiono, ma non si arrendono ,,. Poscia, fatte le loro scariche di revolver
scavalcarono 5 gendarmi ed un uffiziale. A tal vista il resto fuggì e cadde in mano di
altri nostri soldati sparsi qua e là ; 25 morti lasciarono sul terreno i gendarmi, molti
feriti e 12 cavalli in nostro potere. Noi, un ferito gravemente e quattro leggermente.
La popolazione ci faceva fuoco dalle case. Sono tutti preti e basta !
124 DISSIDI DOPO LA PARTENZA DI GARIBALDI
Dopo, il Colonnello per tema, diceva, di essere circondato dagli svizzeri si ritirò
nuovamente in Toscana, dove fu ordinato lo scioglimento e disarmo della colonna. Io
non mi opponevo, ma almeno esigevo che ciò fosse fatto con dignità. Un giorno dopo
tale imposizione, partì solo, lasciando la colonna in balìa non si sa di chi, ma si può
dire delle truppe Piemontesi.
L'incaricalo del Re ci promise che non saremmo siati molestati e siamo slati tutti
incarcerati. Ecco come il Governo ricompensa gli sforzi del Generale !
Intanto, io la prego di accettare questa mia narrazione fatta senza alcuna pretesa,
ma collo scopo, che il generale Sirtori, Bixio e lei conoscano la verità, e che quando
da qui a pochi giorni, se sarò liberato, potrò raggiungerli in Sicilia, non si creda che
alcuna responsabilità tocca a me ed ai miei compagni del mal esito della spedizione.
Mi creda di cuore
Suo Vero amico e sertìo
CESARE ORSINI
li documento che segue, anch' esso riguardante la spedizione Zambianchi,
è scritto da Stefano Siccoli ; quel garibaldino che era stato mozzo di Garibaldi
quando questi comandava la " Carmen ,, e che poi raggiunse il Generale in
Sicilia, seguendolo in tutta la campagna fino a Napoli mancante di una gamba,
che gli era stata amputata in America.
Forze delle quali disponeva il colonnello Zambianchi alla sua entrata nello Stato
Romano. (Ne Malenchini, ne Dolfi vollero appoggiare l'impresa!)
237 uomini, uniformati con blouse rossa e buffetterie.
130 fucili a fulminante.
22 carabine dei bersaglieri.
40 moschettoni di cavalleria.
50 fucili a pietra.
20 fucili da caccia.
13 pistole a pietra.
8 revolvers.
1 cassa di granate a mano.
15000 cartucce col loro fulminante.
2000 fulminanti di riserva.
2000 lire in mano al Comitato di Grosseto da me istituito.
Maggiore STEFANO SICCOU
CAMILLO BENSO DI CAVOUR
CAPITOLO Vili.
LA POLITICA DEL CONTE DI CAVOUR NEL 1860.
L'UOMO DI STATO E L'EROE.
* Lasciate che dicano ! Non siamo noi abbastanza contenti di aver fatto
ciò che facemmo? E se domani volessero scrivere, che Cavour comandava il
Piemonte ,, e Farini il " Lombardo ,, , che ne importerebbe a noi? Purché
facciano 1' Italia o purché la lascino fare a noi, noi stessi diremo che fecero
tutto essi. Addio ! Tenete desti i vostri compagni di Pisa e arrivederci sulla
via di Roma ! »
Così nel 1 865 Garibaldi rispondeva ad un suo giovine ospite, che in
Caprera lo pregava gli dettasse, nell' interesse della verità, la storia della spe-
dizione dei Mille.
Da queir epoca fino ad oggi si è discusso e polemizzato intorno all'aiuto,
che il conte di Cavour avrebbe dato alla partenza della gloriosa impresa
garibaldina, che rappresenta l' avvenimento più audace del secolo XIX, il fatto
più memorabile nella vita dell' eroe.
•« La storia ricorderà le virtù del gran Capitano, la strategia e le risorse
nel campo di battaglia, il coraggio col quale seppe vincere un nemico dieci
volte superiore di forze, ma l' epopea di Garibaldi, il suo grande poema è la
campagna del 1860. Dittatore e Capitano, libero delle sue azioni, ha provato
quanto egh sapeva e quanto poteva ».
Dopo cinquant' anni, credo che la storia possa essere fatta senza preoc-
cupazioni ; come risulta al lume della critica ed all' esame dei documenti già
noti e di quelli rimasti inediti. Che se, per avventura, la verità tornerà sgradita
' F. Crispi - Garibaldi. Profilo in « Nuova Antologia », giugno 1882.
126 LA POLITICA DEL CONTE DI CAVOUR NEL 1860
ad alcuni, non potrà mai oscurare la gloria o menomare la gratitudine , che
ogni italiano sente per il grande che riposa a Santena, per il sommo uomo di
Stato, la cui figura è ormai entrata nel dominio della storia, come quella di uno
dei massimi fattori della redenzione della patria.
Chi oserebbe disconoscere i grandi, gli immensi servigi resi dal conte di
Cavour alla grandezza d' Italia? Ma la grandezza d' Italia fu nella mente del
primo Ministro di Vittorio Emanuele II, nei primi anni in cui egli resse le fila
del Governo, quella sognata da Giuseppe Mazzini nelle cospirazioni e nell'esilio ;
voluta da Garibaldi fin da quando, lasciate le terre d'America, ancora echeggianti
degli atti di eroismo compiuti , veleggia cogli avanzi della sua Legione verso
la patria?
« L* unità d' Italia, sognata da principio dal conte di Cavour non era
r Italia una. Essa era ancora il regno di Eugenio Beauharnais : un' Italia ben
diversa da quella, che con l'apostolato mazziniano fu creata dalla rivoluzione».'
L' unità d' Italia anelata dagli uomini del partito di azione — a che il
negarlo ? — era ritenuta dal Ministro piemontese un sogno irrealizzabile , il
prodotto di menti esaltate.
Il 19 settembre del '56 Giorgio Pallavicino scriveva a Daniele Manin:
« Le cose nostre prendono una piega, che non mi garba. I Murattisti acqui-
stano forza di giorno in giorno , ed io non dubito di segrete intelligenze fra
Murat ed il Ministero sardo. Noi siamo in uggia ai Ministri del Re, pei
quali il concetto dell' " unità italiana ,, è un vero spauracchio. Intanto, si
lusinga il bravo Garibaldi, per corbellarlo in appresso. Mi duole all' anima
per quel valentuomo, il quale presta fede alle parole di Camillo Cavour.
Senza un cambiamento di Ministero in Piemonte, V Italia non si farà in eterno :
abbilo per Vangelo » . E nell' epistolario fra il Pallavicino e Daniele Manin,
pubblicato dal Maineri, in una nota dello stesso Pallavicino, si legge : « Cavour,
in seguilo, sforzato dagli avvenimenti, contribuì a fare V Italia, ma suo mal-
grado e in qual modo ? » . Più tardi , il primo ottobre dello stesso anno , il
martire dello Spielberg, scriveva : « Noi abbiamo nel piemontesismo un nemico
sommamente pericoloso, un nemico implacabile. I Piemontesi, tutti i Piemontesi
— dal conte Solaro della Margherita all' avvocato Angelo Brofferio —
sono macchiati delta stessa pece. All' Italia con una metropoli: Roma, essi
preferiscono un' Alta Italia con due capitali: Torino e Milano. Camillo Cavour
' Italo Raulich - In « Rassegna Contemporanea », 1909.
V UOMO DI STATO E V EROE 1 27
è piemontesissimo !.. Allora solo noi potremo avere speranza d'incatenarlo
al nostro carro, quando gli avremo posto il coltello alla gola. »
La corrispondenza di quell' epoca fra i due grandi patrioUi è del più
alto interesse. In una lettera di Manin in data 27 settembre , si dice :
« Cavour è una grande capacità ed ha una fama europea. Sarebbe grave
perdita non averlo alleato; sarebbe gravissimo pericolo averlo nemico. Credo
bisogna spingerlo e non rovesciarlo. Conviene lavorare incessantemente a for-
mare r opinione. Quando V opinione sarà formata ed imperiosa, sono persuaso
che ne farà la norma della sua condotta » . E più oltre soggiunge : « Se in
seguito, la pubblica opinione domanderà imperiosamente V impresa italiana, e
Cavour vi si rifiuterà, allora vedremo. Ma io credo Cavour troppo intel-
ligente e troppo ambizioso per rifiutarsi all' impresa italiana, quando
la pubblica opinione la domandasse imperiosamente. » E si rilegga
pure nello stesso epistolario la lettera , che Pallavicino dirigeva a Cavour il
25 giugno 1860, che termina con le seguenti parole: « Oggi, per sommo
beneficio della Provvidenza, V eroica Sicilia vi offre V occasione d' impegnarvi
alla causa patria con uno di quegli atti d'italianità splendidi e solenni, che
non lasciano altrui balìa di retrocedere ; afferratela, e avrete salvato V Italia / » . '
In verità, fu soltanto verso la seconda metà del 1 860, che 1' unità d'Italia
cominciò ad apparire nella mente di Cavour di esito probabile. In una nota
lettera, inviata il 3 agosto di quell' anno al Cabella, Cavour afferma che « se
la grande impresa era reputata un utopia due anni avanti, ora poteva dirsi
di esito probabile »/
In un'altra lettera, pur essa pubblicata e diretta al Rattazzi, nel '56,
all' epoca del Congresso di Parigi, si dice : « Ho avuto una lunga conferenza
con Manin : è sempre un utopista, non ha dimesso 1' idea di una guerra schiet-
tamente popolare, crede all' efficacia della stampa , in tempi procellosi ; vuole
V unità d' Italia ed altre corbellerie ; ma , nullameno , al caso pratico , se ne
potrebbe tirar partito ».■'
Il nome di Roma è nel cuore di Garibaldi e di Mazzini fin dalla fine
del 1 848. Cavour fìssa gli occhi su Roma, dopo che gli austriaci erano già
stati cacciati dalla Lombardia ; quando era avvenuta l' annessione dell' Italia
Centrale e la liberazione del regno delle due Sicilie ; quando, come ebbe a
' Daniele Manin e Giorgio Pallavicino. « Epistolario politico ». Milano, 1878, pag. 430.
* A. Luiio - La Spedizione Medici-Cosenz. In * Lettura », giugno 1910, pag. 491.
' E. Oilivier - L'Empire Liberal. C. IV. pag. 5%.
128 LA POLITICA DEL CONTE DI CAVOUR NEL 1860
scrivere Gaspare Finali, « il proclamare Roma futura capitale d'Italia era una
necessità storica e politica, che non poteva sfuggire al suo sagace intelletto ».'
Che se, rispetto a Roma, secondo 1' uomo illustre ora citato, Bettino
Ricasoli va innanzi a Cavour ; un altro uomo, io affermo, va innanzi a Cavour
rispetto alla liberazione del Mezzogiorno : e questi è Luigi Carlo Farini. Che
se gli entusiasmi del Farini durante la campagna di Sicilia s' intiepidirono, ciò
avvenne appunto quando egli entrò a far parte del Governo con Cavour, e
subì r influenza di questi.
L' ideale nasce grande nell' animo di Garibaldi e tale esso resta, sia che
lo allieti il sorriso della fortuna, sia che lo conturbi la palla di Aspromonte ;
r ideale nella mente di Cavour diventa grande, mano mano che il partito di
azione, creato dall' apostolato di Giuseppe Mazzmi lo ha reso reahzzabile.
Cavour, fu detto, concepiva la grandezza d' Italia non come un concorso
equanime di parti alla formazione di un intero, ma come un Piemonte ingrandito,
come una dilatazione piemontese, e Guerrazzi sentenziava : « L' Italia è troppa
per il Piemonte che vuole piemontizzare » . Neil' uomo di Stato è il partito, la
regione che domina ; nell* eroe è solo 1' ideale, la visione di un' Italia libera dalle
Alpi al Lilibeo. Per il conseguimento di questo ideale egli versa il suo sangue ;
e repubblicano, si spoglia da ogni idea preconcetta di dottrina e proclama quel
motto, che soltanto poteva unificare la patria : « Italia e Vittorio Emanuele » .
Ne valsero a distoglierlo da questo sacro programma la ingratitudine dei
conservatori o le disillusioni patite ; né la tragedia di Aspromonte o le rampogne
del partito repubblicano, che, con Giuseppe Mazzini alla testa, lo accusava di
avere rinnegata l' antica fede e di essere zimbello della monarchia.
Questo significa essere veramente grande ! Non è che Cavour mal tollerasse
r ombra, che su di lui gettava la gloria di Garibaldi ; ma egli non voleva che
r Italia si sottraesse all' egemonia della sua regione ; che il partito monarchico
si esautorasse davanti al partito unitario, che la corona d' Italia fosse messa sul
capo del suo Re dalle mani soltanto del popolo e della rivoluzione personi-
ficati in Garibaldi.
* *
Per quanto riguarda l' impresa del 1 860, in verità, si può comprendere
il desiderio di alcuni di voler rivendicare al Cavour il merito di averla voluta
' Gaspare Finali - La vtVa politica di contemporanei illustri, pag. 143.
L'UOMO DI STATO E L'EROE 129
ed aiutata anche alla partenza da Quarto. Sarebbe certamente bello, il poter
aggiungere ai rami di cui è intessuta la corona, che cinge la fronte del primo
ministro di Vittorio Emanuele li, quella e più ricca fronda di quercia, che
germogliò dall' avvenimento maggiormente glorioso del nostro Risorgimento ; ma
non si può giustificare, come ciò non essendo possibile dimostrare sulla base
di documenti storici inconcussi ed irrefragabili, alcuni se ne mostrino quasi
crucciati.
Si diano pace ! io vorrei poter dir loro : II conte di Cavour fu un grande
uomo politico nel senso più alto della parola, il più grande uomo di Stato e
diplomatico del suo tempo, il discendente più vero di Niccolò Machiavelli. La
sua gloria non risiede soltanto nell' aver mandato 1' esercito del piccolo Piemonte
alla guerra di Crimea ; non scaturisce soltanto dalla parte da lui presa al Con-
gresso di Parigi od al convegno di Plombières, dall' aver intimato la guerra
all' Austria con il concorso di una grande potenza ; né infine, dall' aver saputo
fare della questione italiana una questione europea. La sua vera e maggiore
gloria è 1' aver saputo incanalare, nell' interesse della dinastia sabauda e dell' Italia,
le onde turbinose della rivoluzione, dominato e disciplinato elementi discordi e
potenti, r aver saputo trarre profitto, con l' acume del suo alto senno politico,
dei sacrifizi e delle vittorie degli uomini del partito di azione. Questa fu la sua
missione ; per questo Camillo Benso di Cavour assurge alle più alte vette
della gloria come diplomatico ed uomo di Stato. La sua figura non sarà certa-
mente mai popolare, perchè egli non offrì ne la sua vita, né il suo sangue
suir altare della patria ; non soffri né carceri, né esili ; ma il voler fare di lui,
perchè acquisti questa popolarità, un personaggio diverso da quello che fu e
che doveva essere nell'interesse d'Italia significa toglierlo dal posto, dove la
Storia lo ha messo e per cui il suo nome vivrà nella memoria delle generazioni
future. Ed io penso, che se il grande uomo potesse dal sommo dei cieli ritor-
nare fra i vivi non plaudirebbe certamente all' opera di coloro, i quali oggi
vogliono quasi raffigurarcelo vestito da garibaldino.
* *
Egli è vero, che quando nell* aprile del 1 860 giunse in Torino la notizia,
che la rivoluzione era scoppiata in Palermo, Cavour fece chiedere, per mezzo
del Fanti al generale Ribotti, se questi, date le dimissioni di generale piemon-
tese, volesse recarsi in Sicilia a capitanare l' insurrezione. Ma non è esatta
CURÀTULO 9
130 LA POLITICA DEL CONTE DI CAVOUR NEL 1860
l'affermazione del generale Pittaluga *, che il saggio Rihotti misurasse la por-
tata ed il significato dell' incarico offertogli e che, col semplice buon senso,
facesse cadere nel nulla la meditata missione. Ben altra fu la ragione ; essa
r apprendiamo da Calvino, il quale, come si è detto, si trovava in quell' epoca
capitano di Stato Maggiore nell' Italia Centrale, al seguito del generale Ribotti ;
e nessuno meglio di lui, che del Ribotti era amicissimo, potè sapere come erano
andate le cose.
Il Calvino nelle sue Note sulla spedizione dei Mille, ' dopo di avere nar-
rato la gita del suo generale a Torino per intendersi con Cavour, scrive : « Dopo
qualche giorno, Ribotti ritornò assai malcontento, avendo trovato Cavour e Fanti
titubanti; essi volevano aspettare qualche giorno per vedere la piega, che pren-
devano le cose a Palermo, fiibotti voleva andar subito, perchè diceva essere
assurdo l' aspettare. Tardando, se la rivoluzione avesse vinto, 1' aiuto sarebbe
arrivato inutile; come sarebbe stato inefficace, se fosse stata già spenta. Allora
(continua il Calvino) dissi al Ribotti, che io lo avrei seguito, se egli si fosse
recato in Sicilia ; ma poiché ciò non avveniva, e sapendo che il generale Gari-
baldi voleva andarvi a capo di una spedizione, io ero risoluto a seguirlo. Egli
non seppe contraddirmi ; diedi le mie dimissioni gh ultimi giorni di aprile I 860 e
le recai io stesso a Torino col rapporto del Ribotti al generale Fanti, il quale
tentò invano dissuadermi per il pericolo grande dell' impresa ».
E da notare d'altra parte, che nell' animo del conte di Cavour, Gari-
baldi non aveva lo stesso posto del Ribotti ! Le diffidenze ed i sospetti verso
il difensore della Repubblica Romana, verso 1' uomo che tanto fascino eser-
citava sul popolo, erano tutt' altro che svaniti ; in quei giorni, ancor più egli
ne diffidava per l' interpellanza presentata dal Generale sulla cessione di Nizza ;
interpellanza svoltasi nella memorabile seduta del 1 2 aprile.
Che cosa non aveva tentato Garibaldi per impedire, che la terra che lo
aveva visto nascere non fosse venduta allo straniero? Dopo di avere invano
cercato d' influire sull' animo del re per mezzo del Tiirr, scrisse lettere di
fuoco agli amici lontani, pregandoli ad affrettarsi a mandare indirizzi e pro-
teste. Al Bovi di Bologna, suo compagno d' armi d' America, che con un
braccio amputato Io seguì poi nella spedizione di Sicilia, scriveva la seguente
lettera inedita :
* Generale Pittaluga - La ditìersione. Note garibaldine sulla campagna del 1 860, pag. 46.
" In Guardione - Loco citalo.
U UOMO DI STATO E L- EROE 131
Garibaldi a Paolo Bovi.
Torino, 6 aprile 1860.
^aro
Bovi,
Abbisogno dalla città di Bologna di un indirizzo, che esprima il desiderio che
il Parlamento non sanzioni la vendita vergognosa di Nizza a Napoleone. Vedete i
nostri amici e procurate di averlo al più presto, con quante firme potete e lo dirigerete
a me. Lo spero dall'amicizia vostra e dal generoso patriottismo dei nostri bravi Bolognesi.
Vostro sempre
G. GARIBALDI
La seduta al Parlamento subalpino del 12 aprile 1860 rimase memorabile;
essa fu recentemente rievocata dalla penna scultoria del senatore Giovanni Fal-
della. « La melopea di Terenzio Mamiani serìtiva la traversata delle Acca-
demie. La melodia della \>oce di Garibaldi era di uri metallo primitivo. Ad un
tratto quel metallo si fa corrusco: — Io sarei forse più adatto, egli annunzia,
a prendere una carabina, che non a discutere alla presenza di onorandissimi
sapienti — ».' Ed il Guerzoni scrive : « Il Generale, dopo la seduta della Camera,
era uscito dal palazzo Carignano con V anima ribollente d' ira e di amarezza,
nauseato di quella politica barattiera e codarda, e guardava da quell' istante
il conte di Cavour con lo stesso occhio con cui si guarderebbe colui, che ha strap-
pato dal braccio vostra madre e l' ha gettata al mercato ». '
Cavour non ignorava questi sentimenti di Garibaldi ; le sue diffidenze si
accrebbero e nell'eroe popolare egli vide d'allora in poi il più potente nemico
suo e della monarchia.
E noto altresì, che quando il Generale si decise a partire, le notizie venute
dall' isola erano sconfortanti. Dopo il moto di Palermo del 4 aprile, al suono
della campana della Gancia, Fabrizi aveva scritto da Malta le due seguenti
lettere, degne di essere conosciute.
Nicola Fabrizi a Salvatore Calvino.
Malta, 19 aprile 1860.
Carissimo Calvirìo,
Come vi preveniva in una mia di or sono otto giorni, scoppiò il movimento a
Palermo ed alle varie notizie degno, ma anticipò di quattro giorni il convenuto, dicesi
' G. Faldella - La Camera dei Deputati nel 1860, in « Nuova Antologia », 1° luglio 1909.
'' G. Guerzoni - Garibaldi, voi. II, pag. 10.
132 LA POLITICA DEL CONTE DI CAVOUR NEL 1860
per una delazione e fu origine di molti danni, e forse occasione fatale ! Messina fu
tardiva a seguirlo ; però la forza vi prese un' attitudine atroce. Si cominciò il fuoco
contro un paese appena agitato ; furono scarcerati i ladri, che con la polizia si die-
dero a rubare e la cittadella scaricò qualche bomba ; ciò gettò il terrore, disperse, e
fece abbandonare la città. L'ottimo Rosalino {Pilo) col suo compagno (Corrao) arri-
varono r 1 1 a notte, ricoverandosi in un paese quasi sconosciuto ed è Rosalino che
ci scrive. Potete figurarvi l'ambascia dell'animo nostro! Aspettiamo per istruzioni un
barlume, che possa guidarci. Ho l'animo tormentato in corpo malato ! Catania fu fre-
nata dall' Intendente, che per esser nipote di Ruggero Settimo, ancorché sbirro bor-
bonico, passa per liberale e persuase la buona gente ad aspettare le sorti di Palermo.
Palermo non comunicava, sino a ieri, con alcuna delle provincie. Le barche portano
voci assai contradditorie, sintomi poco propizi in generale. Ma la crisi è grande, e
se è vero che il Re di Napoli dispone della sua armata d' Abruzzo per credersi ras-
sicurato dalla parte delle Marche, mentre Napoli sta quieta o in dimostrazioni minime,
veggo male assai. Bisogna dirlo : non cessate di raccomandare di spedir gente per
intendersi e fare arrivare materiali. Se fosse possibile a Rosalino (Pilo) di raccogliere
un po' di gente, faremo il possibile noi pure di soccorrerlo. / direttori mancano di
concretazione e il popolo manca di capi. Vi abbraccio in tutta fretta.
Ajff.mo
NICOLA
Malta. 21 aprile 1860.
Carissimo Calvino,
Le ultime nuove dell'insurrezione sono del 18, arrivate ieri con vapori da guerra
inglesi e da lettere inglesi da Palermo.
Palermo occupata dalle truppe, assediata dall' insurrezione ! Le truppe, avendo
preso Monreale, si vocifera da ieri in poi ripreso dagli insorti. Il resto dell' isola
pressoché interamente sottomesso ; squadre di cinque-seicento, dominano le campagne.
R. {Rosolino) e l'amico suo (Corrao) lasciarono Messina ed i dintorni il 16 e
dopo sforzi riuscirono a ristabilirvi comunicazioni con Catania, cui resistette il genio
di quel paese confidente nell' Intendente, perchè nipote di Ruggero Settimo. Da Tra-
pani alternative, come vi dissi ; ma le barche vengono poco favorevolmente espressive,
sia per paura, o per verità di situazione !
// fatto è che Palermo con l'onor suo scrive {se abbandonata) una brutta pagina
per il Regno di Napoli e per la maggior parte della Provincia e proporzionalmente
per tutta V Italia libera. Ogni diversione, che avesse imbarazzato il Governo di Napoli
sarebbe stata salutare; forse di assoluta salvezza. C'è ancora il tempo, ma per poco.
Noi dipendiamo da disposizioni di R. {Rosalino) ; io da qualunque circostanza, che
ci dia un palmo di terreno e pochi uomini, che ci attendano. Ma se Napoli non
muove o una diversione qualunque non sorge, o un incidente straordinario non s' immi-
schia, Palermo potrà resistere, ma non durare e vincere. Addio in fretta.
Ajff.mo
NICOLA
L- UOMO DI STATO E L- EROE 133
P. S. - Un abbraccio a Ribotti. Avvisate sempre in Malta dove vi trovate; e
se sapete cose che possano deciderci, allora Em. Scebras il punto di convegno. li
grido di Palermo (u quello del Centro d' Italia : Unità e annessione. R. (Rosolino) e il
suo compagno erano a Termini il 1 6 e all' ultimo momento gli amici di Messina
inviavano notizie, che erano arrivati a Cefalìi. La lettera di R. {Rosolino) a me, data
del 1 3 sera, mentre si decideva a partire. La condotta di quei due è veramente pro-
digiosa e degna del loro paese. La notizia fu data a Messina il 1 3 con Tondìi. Riguardo
air incidente che accenno, accadendo, lo sapreste prima di avvisarvi io.
A me pare, che la quistione della nazionalità italiana si decida molto fondamentale
restando monca, pregiudicatissima con 1' impostarsi di questo moto, che mette fuori di
azione il punto dimostratosi unico vitale al sud.
Scrivo a Messina perchè dirigano le notizie a Orlando, che le comunicherà a voi.
*
* *
Il conte di Cavour sapeva che la rivoluzione era stata domata ; e lo stesso
Garibaldi, come è noto, non si sarebbe deciso alla partenza, se Crispi non si fosse
presentato a lui con un dispaccio in cifre e parole convenzionali « fabbricato sia
detto in sua lode, scrisse il Turr, da lui medesimo, e che decise alla spedizione >».'
Agostino Bertani, in un opuscolo di poche pagine pubblicato nel '69,
e causa di acri polemiche, scrive : « Sirtori nel 1 860, al ritomo dalla visita
a Cavour, narrommi che questi rifiutatosi a dare qualsiasi soccorso, interpellato
cosa pensasse della fortuna di quegli arditi patriotti, rispose, sorridendo e fregan-
dosi le mani: io penso che li prenderanno ».' Ma senza fondarsi sull'afferma-
zione del Bertcmi, che in molte pagine di quello scritto si espresse in maniera
partigiana, è certo che Cavour, a conoscenza di tutto, riteneva l' impresa una vera
follia ; e non potendo impedirla, come egli ebbe ad affermare pochi giorni
dopo, per le immense simpatie che la spedizione destava, fece, come suol dirsi,
di necessità virtù, mostrando di aiutarla. In verità però, ciò egli fece con mezzi
irrisori, ordinando al La Farina di dare i mille vecchi fucili, che si trovavano
nei depositi della Società Nazionale e che, scrive Garibaldi : « Io accettai senza
rancore; liberalità pelosa delle volpi altolocate, e realmente noi fummo privi
dei nostri fucili, che restarono a Milano *.'
' S. Tùrr - Risposta all'opuscolo di Bertani " Ire politiche d'oltre tomba ,, . 1869, pag. 6.
" A. Bertani - L' Epistolario di La Farina in « Ire politiche d' oltre tomba ». Firenze,
1869. pag. 61.
^ G. Garibaldi - Memorie autobiografiche. Edizione diplomatica, pag. 306.
134 LA POLITICA DEL CONTE DI CAVOUR NEL 1660
Il dono dei pessimi fucili fu fatto dopo che erano stati rifiutati, come si
sa, quelli eccellenti che si trovavano presso il Comitato del « Milione di Fucili »
in Milano ; rifiuto che fino ad oggi si è voluto attribuire a Massimo d'Azeglio ;
il quale vero è che obbiettasse « non potere ammettere, che si potesse avere
un rappresentante presso il re di Napoli e mandare fucili in Sicilia »'; ma
che, essendo Governatore di Milano agli ordini di Cavour, doveva necessaria-
mente obbedire quest' ultimo.
Garibaldi aveva inviato a prendere i fucili il Crispi ; ma avvertito delle
difficoltà, che si mettevano avanti, scrisse da Torino le seguenti due lettere, che
non sono nel mio Archivio, ma delle quali ho potuto avere copia e che non
mi risulta siano state mai pubblicate. Una è diretta al Pinzi, che, come è noto,
insieme al Besana era alla Direzione del Comitato del « Milione di Fucili »,
r altra al Crispi.
Garibaldi a Finzì.
Torino, 19 aprile 1860.
Caro Fimi,
Potete assicurare d'Azeglio sulla verità della destinazione delie armi e sulla fiducia
di Crispi. Se d' Azeglio insistesse sulla lealtà governativa, non indugiate a recarvi
qui. Faremo in modo di far torre il veto.
Vostro
GARIBALDI
Garibaldi a Crispi.
Torino, 19 aprile 1860.
Caro Crispi,
In questo momento ho scritto al Pinzi. Non mancate di accortezza, poiché non
sono pochi gli uomini disposti a contrariarci. Se d'Azeglio continuasse a tergiversare,
ostacolando così la nostra impresa, non indugiate a ritornare qui con Pinzi.
Vostro
GARIBALDI
Il rifiuto delle carabine fu dato per ordine di Cavour.
La verità 1' ho appresa alcuni anni fa dalle labbra di un valoroso, che
fu uno dei Mille, dal senatore Francesco Cucchi.
' Lettera di Massimo d'Azeglio a Monsieur Benda, 15 maggio 1860.
L'UOMO DI STATO E L'EROE 135
Fallito nella missione il Crispi, Garibaldi aveva inviato Francesco Cucchi,
delle qualità diplomatiche del quale il Generale ebbe spesso a servirsi per mis-
sioni assai delicate. Fra Cucchi e d'Azeglio ebbe luogo un dialogo assai vivace :
il primo stava in piedi nel gabinetto del Governatore ; e poiché questi teneva
un contegno piuttosto altezzoso e non gli aveva offerto nemmeno da sedere, il
baldo garibaldino prese posto da se, comodamente, su di una poltrona, incro-
ciando una gamba suU' altra. Al rifiuto che il d'Azeglio opponeva, l'altro faceva
osservare che dopo tutto quelle armi, non appartenendo al Governo, non si aveva
il diritto di sequestrarle ; ma d'Azeglio mostravasi inflessibile ed avendo il Cucchi,
a più riprese, insistito nel nome di Garibaldi, quegli troncò di botto la discus-
sione, dicendo : Insomma, io ho avuto ordini perentori dal Cavour di non con-
segnare le armi. La discussione aveva assunto un tono assai violento, tanto che
r inviato di Garibaldi lasciò il d' Azeglio senza salutarlo, dicendogli che un
anno avanti, in quello stesso luogo, egli era stalo ricevuto da un Governatore
austriaco in forma assai più cortese.
Garibaldi nelle sue Memorie scrive : « Coloro che avevo mandato a ricevere
i fucili a Milano trovarono alla porta del deposito i carabinieri reali, che inti-
marono di non pigliare un solo fucile! Cavour aveva dato un tale ordine ».
E fuori di dubbio adunque, ed ogni argomentazione contraria cade, che
nel 1 860 il divieto di prendere le buone carabine esistenti in Milano fu dato
da Cavour ; come poi per ordine di Cavour furono le stesse armi lasciate pren-
dere per la seconda spedizione capitanata da Giacomo Medici ; quando, cioè,
non era più da dubitare che dell' impresa di Garibaldi vi era da trarre profitto.
E le carabine questa seconda volta furono date, malgrado che Massimo d'Aze-
glio, ancora Governatore di Milano, non vi consentisse e per questo più tardi
abbandonasse quel posto.
11 1 6 luglio egli scriveva al Persano : « // Governo {Cavour) mi ha ordi-
nato di consegnare i fucili e li ho consegnati. Con tutto questo non posso dirti
che mi sia andata molto a genio tutta questa commedia. Avrei amato meglio
una dichiarazione ed una condotta aperta, piuttosto che usare tante arti delle
quali, del resto, nessuno è stato dupe. Garibaldi, lui, non aveva Ministro a
Napoli ; lui è andato avanti mettendoci la pelle ! Evviva la sua faccia ! Ma
noi? Basta, lasciamola fi/ ». '
' G. Garibaldi - Memorie autobiografiche. Edizione diplomatica, pag. 306.
' Carteggio jra Massimo d'Azeglio e D. Pantaleoni, pag. 430.
* C. di Persano - Diario, pag. 91.
136 LA POLITICA DEL CONTE DI CAVOUR NEL 1860
Massimo d' Azeglio aveva poca attitudine all' arte e alle malizie della
diplomazia, nelle quali Cavour era maestro ; non è però giusto, per scagionare
quest* ultimo di un episodio increscioso, addossare al primo responsabilità, che
non ebbe. Governatore di Milano, il d'Azeglio era sempre un subordinato del
Cavour e non poteva non ubbidirgli. Egli ubbidì all' ordine ricevuto la prima
volta con grande entusiasmo, non consegnando le armi, perchè quest'ordine si
accordava con le sue idee; ubbidì ugualmente la seconda volta consegnandole,
malgrado che egli fosse di opinione contraria ed in seguito si dimettesse. D'Aze-
glio, scrisse Giovanni Faldella, fu « un ingenuo della più bell'acqua classica
e della più buona pasta apostolica » e 1' illustre scrittore, volendo attenuare
r acre giudizio dato dal Cavour sull' ingenuità azegliana : « a l' è na ciùla, a V e
na ciùla »,^ soggiunge: « Se per qualche parte della vita politica del d'Aze-
glio i posteri dovessero ratificare la proclamazione fatta dal furibondo Cavour,
sarebbe giustizia aggiungere un epiteto e dire, che d' Azeglio fu qualche volta
un minchione st, ma un eroico minchione ».
La questione dei fucili coi quali furono armati i Mille è essenzialissima,
se si vogliono considerare i rapporti fra Garibaldi e Cavour durante i prepa-
rativi della spedizione, scrive il Guerrini; ' e per giustificare Cavour di aver
dato le carabine inservibili della Società Nazionale e negate le buone, che si
trovavano a Milano, si affretta soggiungere, che il Governo sardo, * non potendo
ne dovendo palesemente amtare la spedizione, anzi poiché esso doveva e voleva
simulare opposizione per coprire 1' aiuto, il palese divieto del trasporto dei fucili
da Milano non può che parere opportuno ».
La giustificazione, per quanto sottile, non riesce a persuadere. Sorge spon-
tanea la domanda : forse che il trasportare mille buone carabine da Milano a
Genova con le dovute cautele, come fu fatto per la seconda spedizione, quando
il Governo comprese che dall' impresa di Garibaldi vi era molto da profittare,
avrebbe più facilmente scoperto 1' aiuto {se serio aiuto si voleva dare), che appre-
standone mille rugginite direttamente a Genova?
Era però, nel volere di Dio che la spedizione dovesse riuscire e per essa farsi
r unità d' Italia ; onde quello che fu un grande sconforto, al momento della
partenza, divenne poi un coefficiente non trascurabile di vittoria !
' M. Ricci - Rilratti e profili politici e letterari. Firenze, 1882.
' G. Faldella - Prefazione al Carteggio inedito jra Massimo d'Azeglio e D. Panta-
leoni, pagg. 115-116.
^ D. Guerrini - Rivista storica del Risorgimento Italiano. Voi. I, 1908, pag. 773.
L- UOMO DI STATO E U EROE I 37
Senza i fucili-catenacci del conte di Cavour, mi diceva un valoroso dei
Mille, il colonnello Cariolato, noi non avremmo vinto a Calatafimi ! Fu il comando
disperato di Garibaldi: « Alla baionetta! confondetevi col nemico! » deter-
minato dall' assoluta mancanza di funzionamento dei nostri fucili, che come leoni
ci spinse all' estremo attacco e che decise della vittoria !
Cavour, adunque, non diede a quei generosi, che si votavano alla morte,
che vecchi fucili ed ottomila lire per mezzo del La Farina. 11 denaro, che Gari-
baldi si ebbe alla partenza da Quarto, venne in parte dalla famiglia Cairoli,
pronta sempre a versare sull' altare della patria sangue e denaro. La madre dei
Cairoli, Donna Adelaide, portante ancora il lutto del suo primogenito, morto
r anno avanti combattendo contro gli austriaci, si presentò a Garibaldi, condu-
cendogli il figlio minore Enrico (Benedetto era già presso il Generale) e lire
settantamila; denaro ricavato dalla vendita di una proprietà presso Groppello.
Le altre somme furono date dal Besana, il quale aveva pure apprestato armi
e munizioni, come si rileva da una lettera da lui pubblicata e rimessa in luce
dal Guerzoni. La sorte che quelle armi e le relative munizioni si ebbero, è nota ;
essa si presterebbe ad interpretazioni odiose, che sono da respingersi. Caricate
sopra due paranze, che dovevano aspettare, con un fanale alla prua, il " Pie-
monte ,, ed il " Lombardo ,, all' altezza di Bogliasco, furono abbandonate dal
capo delle paranze, uno sciagurato : un certo Selle. '
E un fatto storico intanto, che non ammette discussioni, che senza l'approdo
a Talamone, avvenuto la mattina del 7, e senza 1' audacia di Garibaldi di far
chiedere al comandante il forte di Orbetello quante munizioni e polvere si avesse,
quel pugno di prodi sarebbe partito per la liberazione di un regno senza una
sola cartuccia.
Da quanto ho detto e documentato si può, senza offendere la verità, par-
lare di vero ed efficace aiuto da parte di Cavour, quando i Mille partivano
in quelle condizioni? E dove sono « gli apprestamenti alla partenza, al viaggio ,,
di cui fece tanto rumore Nicomede Bianchi ? * Dove gli aiuti di cui pariava
r illustre storico Alessandro Luzio, che ci aveva fatto sperare avere in mano
' Da una conversazione da me avuta con Donna Elena Cairoli.
' Guerzoni - Garibaldi. Voi. I!, pag. 38.
' Per ulteriori dettagli su questo episodio si legga 1' opuscolo : Dichiarazione presentala
allo illustre Gen. Garibaldi da Gaspare Ballanti il 18 luglio 1860 sul vapore di mare,
che li conduceca da Palermo a Patti, onde dare V attacco a Milazzo.
* N. Bianchi - Storia documentata della diplomazia europea in Italia. Voi. Vili, pag 289.
138 LA POLITICA DEL CONTE DI CAVOUR NEL 1860
documenti decisivi sul proposito? Cavour, se veramente avesse voluto, senza
compromettersi, non avrebbe potuto fare di più? Ed il merito di avere chiuso
gli occhi ; di aver lasciato fare, può lontanamente rivaleggiare col sacrifizio che
compiva quel manipolo di eroi?
Pure, non v' ha chi non vegga come, specialmente nell' occasione del cin-
quantenario della data memorabile, alcuni abbiano raddoppiato gli sforzi per
rivendicare al Cavour il vanto di avere favorito ed aiutato la spedizione dei
Mille, anche alla partenza da Quarto ! E stato scritto, fra 1* altro, che, poiché
nella lettera del Garibaldi al Tiirr per il colonnello Giorgini, comandante il
forte di Orbetello, chiedente le munizioni, si dice che esse dovevano servire
« per una spedizione patria, che non può comparire ufficiale »; queste parole,
insieme all' affermazione del Generale al De Labar, comandante il presidio di
Talamone (che gli negava un piccolo cannone da 5), che la « spedizione che
egli Garibaldi, capitaneggiava, era riconosciuta ed autorizzata dal Governo,
queste parole, è stato affermato, permetterebbero di asserire che Garibaldi potesse
scrivere quello che scrisse senza offendere la verità ».
*
* *
Si è inoltre detto, che il modo come finì il processo del colonnello Gior-
gini e r essersi esso svolto a Torino invece che a Firenze, dove per giurisdi-
zione avrebbe dovuto trattarsi, significherebbe un opportuno riserbo sull' inci-
dente, che, conosciuto, avrebbe messo in chiaro come l' impresa di Garibaldi era
di nascosto favorita da Cavour. Ma chi non comprende, che tanto la lettera
del Garibaldi al Tiirr per il colonnello Giorgini, quanto l'affeimazione del Gene-
rale al Comandante il presidio di Talamone, non furono che semplici strata-
gemmi di guerra, messi in opera dall' ardito Condottiero per ottenere quello
che nel momento supremo gli era indispensabile, e che per una fatalità disa-
strosa gli era venuto a mancare al momento della partenza? E lo stratagemma,
non fu forse rilevato dallo stesso Tiirr, da quasi tutti i biografi di Garibaldi e
da Garibaldi medesimo? Ne mi sembra, che la lealtà dell' eroe debba per
questo soffrirne ; poiché nessuno oserebbe accusare Garibaldi di avere offesa la
verità, quando ciò egli fece per riparare ad una estrema necessità del momento
e per uno scopo così nobile e grande!
' N. Brancaccio - Garibaldi a Talamone. Memorie storico-militari, Fase. I, 1909.
L' UOMO DI STATO E L- EROE 139
Né, d'altra parte, il modo come si svolse il processo contro il povero
colonnello Giorgini, mi pare sia argomento atto a suffragare la tesi, che la par-
tenza dei Mille sia stata favorita da Cavour. Tutt' altro !
Il Giorgini, è bene rammentarlo, fu arrestato qualche giorno dopo aver
consegnato le munizioni e durante il processo che, si noti bene, non finì prima
del 29 giugno, avrebbe corso serio pericolo, se non fosse venuto in suo aiuto
il Tiirr, il quale, ammalatosi in Sicilia, fu obbligato a lasciare per poco i suoi
compagni ed intraprendere una cura sul continente. Nel mio passaggio per
Torino, scrive il Tiirr, seppi che il comandante della fortezza di Orbetello
era stato arrestato e rinchiuso in quella di Alessandria. Andai tosto da Sua
Maestà dicendogli, che se qualcuno meritava di essere processato, ero io ; giac-
ché io avevo indotto il Comandante in errore, avendogli fatto credere che
agivo per ordine del re. 11 re mi disse, sorridendo : « E vero, noi abbiamo
un conto da regolare ; mi avete svaligiato una fortezza » . « Ma la corona di
Vostra Maestà, gli risposi, si è arricchita della Sicilia e ben presto lo sarà
anche di Napoli ». Il re mi promise che al Comandante non sarebbe fatto
alcun male ; però mi ordinò di parlarne al Ministro della guerra, generale Fanti,
al quale feci una minuta esposizione del modo come furono date quelle munizioni.
In seguito a ciò, ottenni che il processo non avesse corso per il comandante
Giorgini.
*
* *
Dicono alcuni, che il grande merito di Cavour nel *60 fu quello di non
avere impedita la spedizione di Sicilia.
Ora, a parte la considerazione che i sentimenti che egli in quell' epoca
nutriva per Garibaldi dovevano consigliarlo a non preoccuparsi gran che del
pericolo, che questi correva in un' impresa che egli, Cavour, aveva sconsigliato
ad uno dei suoi generali, perchè la riteneva follia ; a parte questo, è da inda-
gare, 5e anche volendolo, Cavour avrebbe potuto impedire la spedizione.
Garibaldi scrive : « Mi si dirà che il Governo poteva impedire quella
spedizione, se l'avesse avversata. Io dico di no, perchè l'opinione pubblica era
divenuta irresistibile, tostochè si ebbe notizia dei movimenti insurrezionali della
Sicilia, neir aprile del '60 ; ma se il Governo si asteneva dal frapporre un
' S. Tiirr - Loco citalo.
140 LA POLITICA DEL CONTE DI CAVOUR NEL !860
assoluto impedimento alla partenza della spedizione, non tralasciò di suscitarci
un infinità di ostacoli ». '
Dieci giorni dopo la partenza della spedizione, Cavour scriveva a Ricasoli :
« Che Garibaldi faccia guerra al re di Napoli non si può impedire. Sarà un bene,
sarà un male, ma era inevitabile. Garibaldi trattenuto violentemente
sarebbe divenuto pericoloso all' interno ».^ Quest'ultimo concetto espresso
dal Cavour concorda, in sostanza, con quanto afferma Garibaldi nel brano sopra
citato. Infatti, se si esamina attentamente il facsimile dell* autografo che ne ha
dato r Arno, sotto ad una cancellatura di mano stessa di Garibaldi, si legge :
« // Governo corroborato dalla speranza di vedersi sbarazzato per sempre da
una mano di rompicolli, fece st che si dovette avere V aria di chiudere un occhio
alla partenza della spedizione ».
Intanto, è bene prender atto e constatare che per Cavour il muover guerra al
re di Napoli era dubbio, se potesse essere un bene. Ciò a sostegno di quanto avrò
occasione di dire più oltre, intorno alla politica seguita in quell' epoca dal primo
ministro di Vittorio Emanuele. E si noti, che molti dei soliti puntini, così cari al
Chiala, precedono il brano della menzionata lettera al Ricasoli, nella pubblicazione
che quegli ne fece. Luigi Chiala aveva l'abitudine di rendere monchi alcuni docu-
menti, come a me è capitato di potere constatare con un documento originale alla
mano. E lecito quindi il supporre, che molto più di quello che egli pubblicò ed altri
brani più compromettenti si dovessero contenere in quella lettera. Ma non basta !
Cavour, dopo di avere scritto al Ricasoli, il giorno dopo scrive al colon-
nello Cugia, suo intimo amico : « La spedizione di Garibaldi è un fatto gra-
vissimo. Tuttavia reputo che non si poteva, ne si doveva impedire. Essa era
apertamente favorita dall' Inghilterra, e mollemente contrastata dalla Francia.
Molti dei nostri amici e dei più devoti la secondavano. Dovevo io mettermi in
opposizione con questi? Sarebbe stato un errore, che avrebbe credo
creato difficoltà grandissime all' interno ».
A che vale adunque, 1' andare sofisticando per sostenere il contrario, se è
lo stesso Cavour, che afferma in lettere scritte a due suoi amici, quindi lettere
non diplomatiche, pochi giorni dopo la partenza della spedizione di non averla
egli ne approvata ne aiutata, ma soltanto subita}
' C. Arno - Garibaldi e Cauour e la Spedizione dei Mille. In « Rivista storica del
Risorgimento Italiano >•. Fase. I, 1908.
' L. Chiala - Raccolta delle lettere del caritè di Cavour . Voi. III.
' L. Chiala - Ibidem.
L- UOMO DI STATO E L- EROE 141
Per comprendere la condotta de! conte di Cavour in quei giorni memorabili
bisogna conoscere, come suol dirsi, quello che bolliva in pentola !
Il grande diplomatico non voleva compromettere le intese amorose da lui
iniziate con la Corte di Napoli. A Torino — a che il dissimularlo ? — non
erano ancora svanite le dolci speranze di un accordo col Governo delle due
Sicilie e si temporeggiava. La missione del Villamarina, inviato dal Governo
sardo presso la Corte di Napoli, era stata quella « di sgombrare i sospetti, che
impedivano il riawicirxarsi di quella Corte al Governo sardo, preparando così
la via ad accordi più stretti e di maggiore vantaggio alla patria italiana », * e
si raccomandava « di badare di non dare il minimo impulso a moti violenti,
giacche qualsiasi rivoluzione nelle due Sicilie, sarebbe riuscita ruinosa all' Italia».'
Una simile missione, ma senza risultato, era stata data al marchese di Grop-
pello ed al conte di Salmour. Il primo, per i suoi buoni rapporti col conte di
Siracusa, si era fatto da questi promettere di preparare 1' animo del nipote, il
futuro re Francesco, a sentimenti italiani ; 1' altro, il Salmour, era stato inviato
da Vittorio Emanuele in missione straordinaria per condolersi per la morte di
Ferdinando II e per salutare il suo successore; ma ciò in apparenza, perchè lo
scopo vero della missione era stato ben altro.
Il Salmour, amico intimo del Cavour, tanto che questi non avendolo nel
1 860 riassunto all' antico ufficio di Segretario generale agli Esteri, sapendolo
a Nizza in difficoltà pecuniarie per le sue abitudini di gran signore, gli aveva
spontaneamente aperto un credito illimitato sul proprio banchiere nizzardo, il Sal-
mour, dico, aveva avuto le seguenti istruzioni : « Procurare V unione delle due
Corti in stretta comunanza di pensieri e di opere ed indurre il nuovo Principe
ad assicurare col Piemonte V impresa dell' indipendenza nazionale. Stipulare
una lega offensiva e difensiva con la reciproca guarentigia dell' integrità dei
due Stati. » ' Cavour faceva riflettere poi, ali* inviato sardo : « essere utile V al-
leanza delle due maggiori monarchie italiane, e che la quistione siciliana era
da lungo tempo la piaga insanabile del Governo Napoletano.
La politica del conte di Cavour ci è anche palesata da un personaggio
autorevole e non sospetto : dal generale Enrico Della Rocca aiutante di campo di
S. M. «Al principio del 1859 Napoli e la Sicilia, egli scrive, sembravano, se
non rassegnate, assopite sotto 1' implacabile dispotismo di Ferdinando II. Morto
' N. Bianchi - Loco alalo, pag. 650.
' Lettera di Cavour al Villamarina. Torino, 30 gennaio 1860.
' R. De Cesare - La Fine di un Regno. Voi. H, 1909, pag. 44.
142 LA POLITICA DEL CONTE DI CAVOUR NEL 1660
lui, nella primavera, rinacquero le speranze del partito liberale ; tanto più che
Francesco, suo primogenito, era figlio di Maria Cristina di Savoia, una delle
quattro figlie di Vittorio Emanuele I, sorella della duchessa di Lucca, del-
l' imperatrice d' Austria, della duchessa di Modena. Il conte di Cavour appro-
fittò di questa circostanza per tentare un trattato d' alleanza del Piemonte col
giovane Sovrano. A tale scopo gli aveva mandato un nostro caro amico, il conte
Ruggiero Gabbaleone di Salmour, dotato di un tatto finissimo e di modi squi-
siti. Invano l' Ambasciatore straordinario tentò di persuadere Francesco II, eh' egli
avrebbe tutti i vantaggi in queW unione e salverebbe V Italia, già tutta in ar-
denza da gravi complicazioni, che potevano anche compromettere il suo trono.
Francesco non volle intendere nulla, e protestò che nulla sarebbe stato cambiato
alle forme di Governo lasciate da suo padre, del quale avrebbe fedelmente con-
tinuate le tradizioni politiche.
Cavour, contmua il Della Rocca, tornato al Ministero, aveva mandato
ambasciatore residente a Napoli, il marchese Pes di Villamarina, con istruzioni
di riprendere le trattative iniziate da Salmour ; il Villamarina incontrò i medesimi
ostacoli. Franceschiello, come famigliarmente chiamavano il re di Napoli, rimase
irremovibile.
Ma nelle istruzioni date al Salmour, vi era di più ! Cavour faceva osser-
vare, che il nuovo re non poteva di un sol colpo risolvere difficoltà inerenti
alle condizioni storiche della Sicilia ; ma che egli « poteva impedire, che il male
si aggravasse ed usare tutti i migliori espedienti per mettere in buona con-
cordia i Siciliani con i Napoletani ; che la Corte di Torino era pronta a met-
tere in opera tutti i mezzi morali, che possedeva per raccomandare la concordia,
la moderazione, V unione di tutte le Provincie del reame e tanto più volentieri
essa eserciterebbe questo ufficio, in quanto che giudicava la disgiunzione poli-
tica della Sicilia dal reame di Napoli come una sventura nazionale irre-
parabile ».'
Ma era appunto questa sventura, che noi si voleva far succedere, scrisse
un patriota siciliano ! « Noi vi contavamo, anzi lavoravamo da dieci anni, perchè
essa succedesse ed eravamo corrisposti a via di torture e stragi. Fortuna per
noi, che Francesco II, dei bei consigli che gli venivano dal Piemonte non volle
sentirne ; come non volle neppure sentire il timore dell' irreparabile sventura ; e
' Generale Enrico Della Rocca - Autobiografia dì un Veterano, pag. 29.
' N. Bianchi - Loco citato, pag. 125. « Istruzioni di Cavour a Salmour ».
f UOMO DI STATO E L' EROE 143
ciò non per suo intendimento soltanto, ma anche per quello che gli suggerivano
i suoi Ministri, che, educati alla scuola del padre, mettevano in dispregio ciò
che si poneva innanzi sia dal Piemonte, sia da altre potenze, a turbare il cosi-
detto equilibrio europeo ».
•K-
Tale essendo, sulla stregua di documenti, il pensiero e la politica del conte
di Cavour, pensiero e politica così distanti da un' Italia una, ben si comprende
come la spedizione dei Mille dovesse apparire all' uomo di Stato piemontese,
che continuava a portare le pagliuzze per fare il nido con re Francesco, un fatto
gravissimo !
Ma un documento, che dimostra a chiare note come egli nulla tralasciasse
per non urtare, non tanto le suscettibihtà delle potenze estere quanto e più i
rapporti con la Corte di Napoli, è l' ordine perentorio dato al Persano di arre-
stare Garibaldi, ove questi si fosse accostato ad uno dei porti della Sardegna ;
la qual cosa non solo poteva accadere per ragioni imperiose di mare, ma che
doveva aver luogo, come ebbe ad affermare lo stesso Garibaldi nella sua lettera
diretta nel 1 869 ad Anton Giulio Barrili, direttore del giornale // Movimento,
subito dopo la pubblicazione del Diario dell' ammiraglio Persano ; lettera che è
una stringente requisitoria della politica cavouriana e fiera risposta alle accuse
del partito repubblicano. Giova il tornarla oggi a pubblicare.
Caprera, 25 agosto 1869.
Caro Barrili,
Date posto, vi prego, ad alcune osservazioni sul " Diario ,, dell'ammiraglio Persano.
La mia corrispondenza con 1' ammiraglio, comincia il 4 giugno 1 860 (vedi lettera
riferita in detto " Diario „). I combattimenti da Calatafimi a Palermo sono del 15,
26, 28, 29 e 30 maggio ; dopo quei giorni, armistizio e capitolazione dell' esercito
borbonico.
Egli è quindi, dopo il felice esito della spedizione, coronata dagli anzidetti fatti
d'arme, che cominciano gli amorì cavouriani.
Sarà superfluo avvertire, che al popolo dei Vespri bastarono le notizie del nostro
sbarco e dei primi felici successi, perchè l" isola intera fosse in armi contro l' oppres-
sore, a cui non restavano che le fortezze di Milazzo, Messina, Augusta e Siracusa.
' R. Salvo di Pietraganziii - // Piemonte e la Sicilia. Voi. I, pag. 413.
144 LA POLITICA DEL CONTE DI CAVOUR NEL 1860
Si sa pure, che cosa facemmo di tali fortezze e che, sbarazzato Milazzo, 1' eser-
cito meridionale, coadiuvato dalle popolazioni in armi, proseguì vittorioso fino al
Volturno.
Perchè, se la spedizione dei Mille doveva essere aiutata in ogni miglior modo
possibile dal Governo monarchico, perchè, dico, non ci si permetteva di prendere le
nostre 15 mila buone carabine, che possedevamo in Milano, acquistate dai fondi del
« Milione di fucili » ?
E perchè, in quella vece, si permise al La Farina di concederci mille cattivi fucili ?
E perchè la protezione ed aiuto millantati non cominciarono dalla nostra partenza
da Quarto ?
E perchè, quando si combatteva ancora nelle vie di Palermo, ove si fabbricava
una libbra di polvere per adoperarla subito, il comandante D'Aste del " Governolo „
ancorato in quel porto, rispondeva ad un giovine palermitano mio inviato : « Non vi
darò polvere, ritiratevi » ?
// divieto governativo di passare sul continente è fatto storico. 1 maneggi del La Farina,
per conto di Cavour, per trattenerci nell' isola sono storici del pari.
Persano è conoscenza mia di lunga data, cioè dal Rio della Piata fino all' epoca
accennata dalle sue lettere. E debbo confessare, che nella circostanza in cui stetti suo
prigioniero a bordo del " Carlo Alberto ,, da lui comandato nel 1849, io ne rice-
vetti molte gentilezze. Non è strano quindi, che io Io trattassi con distinzione nel 1860,
ed egH a me fosse personalmente cordiale.
Ciò non toglie, che egli mi assicurò di aver avuto ordine d' inseguirmi
e d' arrestarmi ; e ciò non fu, perchè felicemente la spedizione che avrebbe
dovuto costeggiare la Sardegna per giungere alla parte occidentale del-
l' isola, fu sviata verso la Toscana per circostzunze impreviste, e perciò non
caddi nelle ugne della squadra italiana.
Perchè si continuò tutto il tempo, che durò la spedizione a suscitare la Sicilia
contro di me col prelesto dell'annessione, ed obbligandomi finalmente a lasciare l'eser-
cito sul Volturno, alla vigilia d' una battaglia, per recarmi a placare la popolazione
dell'isola?
Ed i maneggi degli agenti cavouriani sul continente napoletano per suscitare una
rivoluzione contro il Borbone prima del nostro arrivo, per toglierci il merito, mentre
il Governo sardo protestava amicizia a quell'infelice Francesco II?
E il calcio dell' asino dato dallo stesso Governo sardo a quel monarca coi 40 mila
uomini destinati a combattere la rivoluzione personificata in Garibaldi? (Lettera di
Farini al Bonaparte) !
Se tutto ciò sia aiuto e protezione, lo lascio pensare agli Italiani!
Si dica dunque piuttosto, che quando la spedizione dei Mille e l' odio delle popo-
lazioni meridionali contro il borbonismo lo avevano scosso al punto da non lasciar
dubitare della sua caduta, allora il solito sfogliatore del carciofo, stupito da tanti eventi
a cui non si aspettava, e continuando nei meschini destreggiamenti, gettava la mano
sulla Sicilia, rimandando a tempi migliori e dopo un altro cumulo di astuzie e di
menzogne, il raccogliere la foglia continentale.
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Lettera autografa dell'ammiraglio Persane al conte di Cavour, 8 maggio 1860, nella
quale gli chiede se deve sul serio arrestare Garibaldi, toccando le coste della
Sardegna, e risposta autografa del conte di Cavour. (Vedi pag. 146).
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Brano autografo di Garibaldi sul divieto di passare, nel 1860, il Faro. (Vedi pag. 154).
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L- UOMO DI STATO E L- EROE 145
Così non pensava l'Italia lanciata lealmente nella via di rigenerazione intera e
stanca dell' ignominioso cammino, in cui ora l' hanno obbligata a sdraiarsi.
Garibaldi ha promesso di arrestare Mazzini, dice Persane 1 Tutti sanno, che Mazzini
fu da me protetto a Napoli contro l' ira popolare suscitata dai Cavouriani ; e perchè
lo avrei arrestato a Palermo? L'idea sola mi fa ribrezzo.
Siccome molti archimandriti del dottrinarismo mi hanno chiamato fanciullo ; io,
fanciullo o no, ho la coscienza di non aver mai piegato al capriccio dei potenti, ne
ai consigli dei dottrinari; quando gli uni e gli altri volevano sviarmi dal sentiero del
mio convincimento e ne risulta che qua e là da certi imbrattafogli epistolari e diplo-
matici si vede accennato: « il fanciullo Garibaldi, sempre male altornialo, mal consi-
gliato, in preda ora al Mazzini, ora cieco servo alla monarchia ».
Intorno a ciò, bramerei si facessero meno parole ; e che gì' Italiani ricordassero
aver bisogno di rilevare il loro decoro nel mondo.
Addio, ed abbiatemi sempre vostro
G. GARIBALDI
L'ammiraglio Persano nel Diario della campagna navale del 1 860-6 1
pubblicato, si noti bene, nove anni dopo V impresa dei Mille, glorificando la
condotta di Cavour, sente il bisogno di scusarla in qualche particolare.
E prezzo dell' opera l' esaminare attentamente alcuni dei documenti già
noti e dopo leggere quello decisivo, rimasto fin oggi inedito : il testo della let-
tera scritta tutta di pugno del Persano al Cavour 1' 8 maggio 1 860, in risposta
all' ordine ricevuto di arrestare Garibaldi, se questi si fosse accostato alla
Sardegna ; lettera che il Persano credette bene di non pubblicare in tutta la
sua integrità !
Si tenga presente che il 3 maggio, quando la partenza di Garibaldi era stata
decisa, 1' ammiraglio riceveva istruzioni da Cavour di partire da Livorno « senza
fare uso delle macchine e di recarsi ad incrociare con i legni " Maria Ade-
laide ,, , " Vittorio Emanuele ,, e " Carlo Alberto ,, , fra il Capo Carbonaro
e quello dello Sperone dell' isola di Sant' Antioco della Sardegna ». Persano
entrava nel golfo di Cagliari il giorno 7 e nella notte veniva raggiunto dalla
Ichnusa ,, comandata da Saint-Bon, che gli recò un ordine ministeriale in data
del 6, in cui si diceva « di aderire alle richieste, che potrebbero essergli fatte
dal Governatore di Cagliari ». ' Ciò prova che fino dal giorno 3, Cavour agiva
e dava ordini secondo un piano nella sua mente stabilito. Il dispaccio mandato
al Governatore di Cagliari e comunicato al Persano, diceva: « Garibaldi s' est
' D. Ghiaia - Loco citalo. Voi. HI.
CURÀTULO IO
146 LA POLITICA DEL CONTE DI CAVOUR NEL 1660
embarqué avec 400 (?) volontaires sur deux oapeurs de Rubattino pour la Sicile.
S' il entre dans un pori de la Sardaigne, arrétéz V expédition. Au hesoin, je
vous autorise à disposer de l' esquadre commandé par le compie Persane. »
Quest' ordine fu fatto seguire dall' altro : « N' arrétéz pas V expédition en plein
mer; seulement si elle entre dans un pori ».
Ora questo secondo dispaccio, che il Persano cerca di far comparire favo-
revole alla spedizione, mentre sul primo non si sofferma, in sostanza non lo è.
Infatti, a giudizio dei competenti, non sarebbe stato possibile ad una squadra
ancorata in Sardegna, pur volendolo, 1' arrestare in pieno mare due vapori par-
titi da Genova alla volta della Sicilia, senza sapere la rotta che essi tenevano,
come del pari sarebbe stato difficile il coprirli e difenderli.
Cavour, seguendo la direttiva della sua pohtica ed i sentimenti del suo
animo, non aveva alcuna ragione di preoccuparsi della spedizione in alto mare;
egli r abbandonava nelle braccia del fato. Quello che invece preoccupava il diplo-
matico e per cui dava ordini perentori si era, che Garibaldi si fosse accostato alla
Sardegna ; la qual cosa lo avrebbe seriamente compromesso, non tanto davanti
alle potenze estere, sapendo egli essere 1' Inghilterra apertamente favorevole e la
Francia non ostile ; ma davanti alla Corte di Napoli.
Avanti di procedere alla disamina dei documenti e per meglio potere
giudicare la condotta posteriore del conte di Cavour, giova tener presente quel
brano del primo dispaccio, dove si dice: « Garibaldi s' est embarqué avec
400 (?) volontaires sur deux vapeurs de Rubattino pour la Sicile ». Come
vedremo, ciò è in contrasto con quanto lo stesso Cavour scriveva al Persano
il 1 4 maggio, appena aveva avuto la notizia ufficiale, che la spedizione era
felicemente sbarcata in Marsala ed il conte, a notte tarda, rincasava a Torino,
modulando 1' arietta sua preferita : « Di quella pira V orrendo fuoco » !
Leggiamo intanto l' importante lettera fin' ora rimasta inedita, che il Persano
scriveva al Ministro, appena ricevette l'ordine di arrestare Garibaldi.
Persano al conte dì Cavour {Vedi facsimile).
REGIA DIVISIONE NAVALE SARDA Cagliari, addì 8 maggio 1860.
7 ore pomeridiane.
Eccellenza,
Manco forse al dovere nell' indirizzarmi a V. E. , ma il caso non ammette dila-
zione; quindi le chiedo di perdonarmi se fallisco, e voler soltanto considercire il mio
passo nel suo buon intendimento.
L- UOMO DI STATO E f EROE 147
Eccomi a V. E.
Nel mio giudizio mi sembra difficile, che il Governo non fosse informato della
spedizione G. (Garibaldi). Su tale congettura mi dico: Se il Governo non ha creduto
di fermarla colà, perchè vorrà arrestarla nei porti della Sardegna? Da ciò vien naturale
il mio argomentare, che gli ordini mandati al Governatore siano per ragioni di diplo-
mazia ; e tanto maggiormente mi ci confermo, riflettendo al dispaccio in cifre di lasciar
libera navigazione in alto mare.
Ora il Governatore di qui, ai cui inviti mi è ordinato per il dispaccio di V. E. ,
di aderire, mi chiede che io fermi la spedizione di cui è parola , ove 1' incontri nei
porti dello Stato, e mi manda alla Maddalena a tale proposito, come luogo cui egli
crede il G. {Garibaldi) sia per far sosta momentanea; e ritiene il " Vittorio Ema-
nuele „ in questo golfo allo stesso oggetto, essendo voce che pure a Cagliari sia
per toccare.
10 mi penso che ne alla Maddalena, ne a Cagliari si fermerà il G. (Garibaldi) per
r appunto perchè sono gì' indicati ; ma ove prendessi abbaglio ed avessi ad incontrarlo
in quel sorgitore, devo o non devo efficacemente agire per ritenerlo, secondo
mi è stato ingiunto? Voglia 1' E. V. rispondermi per telegrafo Malta, se intende di
no ; e Cagliari, se intende di sì. Io mi regolerò sempre da non compromettere la politica
del Governo. V. E. conti su me per la vita e per la morte. Si può dare grande
apparenza di azione e far nulla: ciò sarebbe per la risposta no; mentre
si può far molto e comparire far nulla: questo sarebbe per il caso sì.
Nella peggiore delle ipotesi V. E. getti tutto su me e sia sicura del
segreto, dovesse costarmi la vita.
11 Governatore di Sassari ha gran premura di avermi alla Maddalena, ciò mi
pone in guardia per la ragione che V. E. potrà intendere.
Siccome poi, militarmente parlando, io devo ubbidire prima di tutto V. E. , tenga
per positivo che gli ordini avuti saranno eseguiti, ove non mi venga con-
tramandato.
Con profondo rispetto
di V. E.
il Contrammiraglio Comandante la Squadra
PERSANO
Nella stessa lettera, come si vede dal facsimile, Cavour scriveva di sua mano
il testo del telegramma di risposta : « Le Mìnistere est décide pour Cagliari » .
* *
Si ponderi bene il contenuto di questa lettera. Le riflessioni che in essa
si contengono, le domande che il Persano rivolge al Ministro sono cosi
stringenti ed esposte con quella chiarezza e precisione, che certamente esigeva
148 LA POLITICA DEL CONTE DI CAVOUR NEL 1860
la gravità dell' ordine ricevuto ; onde la risposta laconica, imperativa, vergata di
mano del Cavour e telegrafata al Persane non può dar luogo a dubbi sulle
vere intenzioni, che in quel momento animavano il primo Ministro di Vittorio
Emanuele.
« Si può — scrive l'Ammiraglio — dare grande apparerìza di azione
e far nulla : ciò sarebbe per la risposta no {Malta) ; mentre si può fare molto
e comparire far nulla : questo sarebbe per il caso si {Cagliari) ». E un po' prima
egli domanda : « Devo o non deoo efficacemente agire ? » La parola « effi-
cacemente » è sottolineata nell' autografo del Persane !
Si poteva essere più chiari di così?
Ma ben s' ingannava l' ingenuo ammiraglio ! Altro che ragioni di diplo-
mazia, per le quali bastava dare grande apparenza di fare e far nulla ! Cavour
voleva che si facesse sul serio ; il suo pensiero laconicamente manifestato nel
telegramma di risposta : « Le Ministere est décide pour Cagliari » viene fuori
chiaro, senz' altre possibili interpretazioni, dopo di avere letto in tutta la sua
integrità la lettera direttagli dal Persano. Il quale nove anni dopo, quando era
bello rivendicare al Cavour il merito di avere voluta ed aiutata la spedizione,
arzigogola così : « Questo specificarmi che la decisione era stata presa dal Mini-
stero mi fa comprendere che egli, Cavour, opinava diversamente ; quindi per tran-
quillarlo mi faccio premura di replicargli : Ho capito e risolvo di lasciar procedere
l'ardito condottiero al suo destino, ove mai approdasse nei porti in cui erami
ingiunto di arrestarlo, facendo ogni mostra atta a far credere sul serio essere
io stato neir intendimento di trattenerlo » . '
Oh ! la grande perspicacia del signor di Persano ! Gli era agevole scrivere
in quel modo dopo l' esito fortunato della spedizione ; dopo che, per fortuna
d' Italia, gli ordini ricevuti non avevano potuto essere eseguiti ! Ma avrebbe
egli, servitore umilissimo del conte di Cavour, agito, come nove anni dopo scri-
veva, se Garibaldi si fosse accostato ad uno dei porti della Sardegna? Egli,
che termina la lettera dicendo : V. E. tenga per positivo, che gli ordini avuti
saranno eseguiti, ove non mi venga contramandato}
Io penso che se Cavour avesse potuto, quando il Persano pubblicò
quel Diario, ritornare fra i vivi avrebbe preso per un orecchio 1' ammiraglio
per tutte le vanità e le bugie di cui egli ha infarcito quel libro ! E ci vuole
davvero un grande feticismo, che annebbi la mente per affermare, come oggi
' C. di Persano - Diario, pag. 20.
L" UOMO DI STATO E L" EROE 149
ha fatto taluno, che l' ordine di arresto fu dato dal Cavour per assicurare
alla spedizione una valida tutela nel caso di un cattivo incontro con la flotta
borbonica !
Ciò che avvenne in seguito è noto ; ma è bene vagliarlo cum grano salis.
Il 1 4 maggio, Cavour avuta la notizia ufficiale dello sbarco felicemente
avvenuto in Marsala, presago del successo, da abile nocchiero, mutò rotta e lo
stesso giorno, quasi per giustificarsi davanti al Persano dell' odioso ordine datogli
di arrestare Garibaldi, confermatogli telegraficamente, scrive :
Signor Ammiraglio,
Ho trasmesso al Governatore di Cagliari 1' ordine di fare arrestare la spedizione
del generale Garibaldi, quando mi venne assicurato che egli intendeva sbarcare sulla
sponda romana. Ora che il Generale è in Sicilia e che i legni sui quali era imbarcato
sono distrutti, non è più il caso di ritornare sulle passale istruzioni ; ma bensì di proo-
Vedere alle esigenze delle eventualità, che possono essere la conseguenza del tentativo
dell' audace Generale. Ella dovrà quindi riunire nel golfo di Cagliari i' intera squadra
sotto i suoi ordini, etc.
CAVOUR
Come si vede, Cavour si prepara a raccogliere il frutto dell* impresa ; ma
tiene a giustificarsi agli occhi del Persano dell' ordine datogli di arrestare GaribcJdi.
E strano, che un uomo di cosi alto intelletto abbia potuto avere una
grande opinione del Persano ; ma come ebbe a scrivere il conte di Salmour,
che conobbe intimamente il Cavour, questi « s'incapricciava facilmente di
quelli che gli tornavano realmente utili » ; ed il Persano era certamente una di
quelle tempre di uomini, che al grande diplomatico tanto servivano !
Se non che, la giustificazione che egli avesse dato quell' ordine, quando
gli era stato assicurato che Garibaldi intendeva sbarcare sulla sponda romana,
non corrisponde ai fatti. Il dispaccio del 7 inviato al Governatore di Cagliari
è chiaro : in esso Cavour afferma quello che tutta Genova sapeva e che il
Governo non ignorava. « Garibaldi s'est embarqué avec 400 (?) volontaires
pour la Sicile ». Dunque per la Sicilia e non per le sponde romane, come
invece dopo egli afferma ! Ne nel secondo dispaccio, dove si dice di non arre-
stare la spedizione in pieno mare, ma soltanto se si fosse accostata in un porto
della Sardegna, si fa alcun cenno a possibile sbarco sulla sponda romana.
Questo secondo telegramma è in rapporto al primo, in cui si parla dell' imbarco
di Garibaldi per la Sicilia.
150 LA POLITICA DEL CONTE DI CAVOUR NEL 1860
Oltre a ciò, le istruzioni date al Persane fino dal 3 maggio di partire da
Livorno, dove si trovava ancorato con la squadra, confermano come il Ministro,
sapesse fin d' allora, che nessuna seria spedizione si avesse intenzione di fare sullo
Stato Romano ; perchè diversamente egli non avrebbe ordinato all' ammiraglio
di allontanarsi dalla costa e andare in Sardegna. Era in quest' isola, che Cavour
aveva la certezza che Garibaldi si sarebbe fermato, andando in Sicilia; ne si
può infine dire che egli avesse avuto sentore della sosta del Generale a
Talamone, perchè i due dispacci al Governatore di Cagliari, in cui si parla
dell' imbarco di Garibaldi per la Sicilia portano la data del 7 ; del giorno
stesso di queir approdo, dal Garibaldi non preveduto e che il Ministro non
aveva potuto ancora conoscere.
Ogni diversa interpretazione adunque, sulla condotta del Cavour in rapporto
alla spedizione dei Mille alla partenza da Quarto, si noti bene : alla partenza
da Quarto, non resiste all'esame dei documenti storici e al lume della critica.
« / Mille, disse Francesco Crispi, nella sua eloquenza tacitiana, ebbero
sul mare Garibaldi e Dio ! Sbarcati, ebbero, da Marsala a Palermo, Garibaldi
ed il Popolo siciliano ». '
*
* *
Continuando ad esaminare la politica del grande statista in quell'anno
memorabile debbo intrattenermi di un altro argomento, sul quale in questi ultimi
tempi si è molto discusso.
Che Vittorio Emanuele, con una lettera ufficiale inviata a Garibaldi il
27 luglio 1 860, gli avesse proibito di passare nelle Calabrie, è cosa che si
sapeva ; ma un autografo messo in luce dal Guerrini nel 1 909 ' proverebbe,
come anche il re desiderasse e consigliasse quel passaggio. Latore di questo
segreto foglio sarebbe stato lo stesso conte Giulio Litta Modignani, il quale in
quei giorni ebbe la missione di portare al dittatore la lettera ufficiale del re.
In questo secondo foglio Vittorio Emanuele scriveva :
« Ora, dopo avere scritto da re, V. E. le suggerisce di risponderle presso
a poco in questo senso, che so già essere il suo. Dire che il Generale è preso
' F. Crispi - / Mille e la Sicilia, discorso tenuto al Politeama " Garibaldi ,, in Palermo
il 27 maggio 1885, pag. 6.
' D. Guerrini - // Risorgimento Italiano. Rivista storica. Fascicolo 1, 1909.
L- UOMO DI STATO E L- EROE 151
di devozione e riverenza per il re ; che vorrebbe poter seguire i suoi consigli;
ma che i suoi doveri verso l'Italia non gli permettono d' impegnarsi di non
soccorrere i Napoletani, quando questi facessero appello al suo braccio per
liberarlo da un governo, nel quale gli uomini leali e i buoni italiani non possono
aver fiducia. Non potere adunque aderire ai desideri del re, volendosi riservare
la sua libertà d'azione ».
10 ho già esposto in un pubblico scritto ' le non poche ragioni per le
quali questo autografo, venuto fuori dopo cinquant' anni dall'Archivio di un uffi-
ciale di ordinanza del re, apparisse misterioso e sostenni, come non risultava
provato essere esso pervenuto nelle mani di Garibaldi ; dimostrai anzi come
risultasse precisamente il contrario.
Vi sono molte cose che non si riescono a spiegare, quando ci facciamo a
considerare attentamente questo autografo confidenziale del re.
Non si comprende anzitutto il fatto che, mentre il Litta non mancò di
annotare nel suo Diano ogni piccola notizia, perfino l'ora in cui andava a
coricarsi ; che Garibaldi lo invitò a déjeuner, che lo fece sedere alla sua destra,
che il trattamento fu buono ed abbondante e che Garibaldi mangiò di buon
appetito ed allegramente, si fosse poi dimenticato di segnare un fatto così im-
portante quale sarebbe stato l' ordine ricevuto da Sua Maestà di farsi resti-
tuire dal dittatore il segreto foglio, ovvero 1' averlo il Generale per delicatezza
ridato. Ma, pur ammessa una deHe due ipotesi, non si riesce a comprendere,
come un documento così compromettente per la persona del re ; che questi non
aveva voluto fosse lasciato nelle mani di Garibaldi o che il dittatore aveva pei
delicatezza restituito, non si riesce a comprendere, dico, come esso poi restasse
nelle tasche di un semplice ufficiale di ordinanza, perchè tale era il Litta in
queir epoca, e come esso venga fuori dopo cinquant' anni dalle sue carte.
Non è verosimile d' altra parte ammettere, che il re non avesse richiesto
al Litta, al ritorno della missione, il compromettente autografo, che questi si
fosse dimenticato di restituido, o infine che Sua Maestà gliene avesse fatto
grazioso dono, come si è voluto affermare.
11 Guerrini scrive : •« Reduce a Torino, il Litta Modignani rese perso-
nalmente conto al re della missione compiuta; il re lasciò al Litta Modignani
l'originale della seconda lettera, che esce oggi per la prima volta dopo quasi
' CE. Curàtulo - Lettera aperta al tenente colonnello D. Guerrini. in « Rivista
storica del Risorgimento Italiano ♦, fascicolo IIl-IV, 1909.
152 LA POLITICA DEL CONTE DI CAVOUR NEL 1860
mezzo secolo dall' Archioio, dove fin' ora è stato gelosamente custodito per docu-
mentare un punto di storia nostra ».
Non so in verità, come si possa fare una simile affermazione, quando
nessun documento la conferma e quando lo stesso Litta, il quale, come si disse, non
tralasciò di annotare ogni piccolo particolare e specialmente di quelli che potes-
sero solleticare la sua vanità, non ne fece parolai
Ne mancai di rilevare il fatto, che la ricezione di un documento così
importante non venne mai a conoscenza ne allora, ne dopo, dei più fidi ed
autorevoli compagni di Garibaldi, come, ad esempio, il Crispi ed il Tiirr. Il
primo, commemorando nel 1 897 la battaglia di Milazzo, diceva : « La vit-
toria di Milazzo ci aprì la via del continente. E nella reggia di Napoli se ne
capì la importanza e si tentò per mezzo della diplomazia di evitarne le conse-
guenze. Il 26 luglio giungeva un messo di Vittorio Emanuele con una lettera
a Garibaldi. Il re chiedeva al vittorioso capitano di arrestarsi nella sua marcia.
Francesco Borbone rinunziava al dominio della Sicilia, la quale sarebbe stata
libera di disporre dei suoi destini. Napoleone III proponeva al gabinetto britan-
nico d' intervenire con le flotte per impedire ai volontari il passaggio dello Stretto.
E chiaro in ciò il segreto pensiero della Francia, che lo manifestò dappoi in
tutti gli atti suoi durante il periodo della nostra costituzione nazionale. Garibaldi
rispose con un rispettoso rifiuto. John Russell rispose a Napoleone consigliando
ed imponendo il non-intervento nelle cose italiane. Il Borbone così era abban-
donato al suo destino » .
Ne il fatto venne a conoscenza del Tiirr, il quale sapeva tutto ciò che si
passava fra il re e Garibaldi ; quel che è più, non ne fece mai cenno lo stesso
Garibaldi nei suoi numerosi scritti pubblici e privati, pubblicati molti anni dopo,
quando nessuna ragione vi sarebbe stata di mantenere il segreto. Risulta, invece,
avere il Generale affermato il contrario !
Garibaldi nelle sue Memorie, che il Guerrini riconosce essere racconto one-
stamente storico, dice : « Non avere il re consentito il passaggio dello stretto
di Messina » e nella lettera diretta al Barrili, pubblicata nel 1 869, di sopra
trascritta, il Generale categoricamente afferma : « // divieto governativo del pas-
saggio sul continente è fatto storico ».
Come mai, osservavo in quel mio scritto, soltanto oggi, quando tutti coloro
che potrebbero testimoniare sono morti, vien fuori un documento, che riguarda un
momento storico così controverso, che avrebbe dovuto essere messo in luce nei
momenti in cui intorno ad esso si discuteva ; quando ferveva la lotta contro il
partito garibaldino, per distruggere le pubbliche affermazioni contrarie del Gari-
L" UOMO DI STATO E L- EROE 153
baldi ? Come mai, non pensò a pubblicarlo Io stesso Litta dopo la morte del
re ? Né mancai di fare osservare le molte e strane contraddizioni, che si notano
nel Diario e la solita riprovevole abitudine di mettere dei puntini, in quei luoghi
nei quali più che mai è necessario // parlar chiaro. Questi puntini, che si trovano
nel Diario del Litta e che lo rendono monco, sarebbe bene sapere (e non credo
sia indiscrezione il dimandarlo), se esistono nel manoscritto originale o se non
rappresentano reticenze di chi lo ha pubblicato.
Fra le tante contraddizioni, rilevai che mentre il 22 luglio Litta annota,
che il re gli aveva dato due lettere per Garibaldi, una diplomatica e l' altra
confidenziale. Io stesso giorno scrive alla moglie: « Mi recai dal re, mi lesse la
lettera, mi diede molte istruzioni e mi congedò », ed il giorno dopo rivela alla
moglie, senza alcun riserbo, tutta la sua missione e scrive : « La mia missione
consiste nel consegnare una lettera a Garibaldi del re, in cui è detto di
fermarsi e non entrare nelle Calabrie, e ciò per poter dire alla diplomazia,
che si è fatto il possibile per non distruggere la dinastia napoletana ; ma poi
la mia parte segreta consiste nel lasciar capire, che se è capace di fare,
faccia pure » .
A chi credere, di grazia ? al Litta che scrive alla moglie privatamente,
senza riserbo, ovvero al Litta che scrive un Diario, infarcendolo di notizie e
di apprezzamenti che sono, a giudizio di tutti, non sempre conformi a verità ?
Che Vittorio Emanuele abbia dato istruzioni di parlare, e di consegnare il
foglio confidenziale, soltanto nel caso che lo avesse ritenuto indispensabile, si
può ammettere. Che il Litta abbia parlato col dittatore, nel senso delle idee
personali del re, dopo avergli consegnato la lettera ufficiale, Io credo ; ma che
quel foglio pervenne nelle mani di Garibaldi, ora come allora, dico : è da provare.
Né ripeterò le osservazioni, che allora ebbi a fare intorno alla busta con-
tenente r autografo reale e che hanno pur esse, in una quistione così complicata,
il loro valore. Basta dare uno sguardo al facsimile, che ne fu dato, per essere col-
piti dal fatto, certamente insolito, che detta busta non presenta alcuna lacerazione,
né sulle due faccie, né sugli angoU e che il sigillo reale è completamente intatto
in ogni sua parte ; ciò che dimostra com'essa dovette essere aperta da uno dei
margini con un sottile tagliacarte e con tale scrupolosa diligenza, che non poteva
essere adoperata, se non da chi ne aveva l' interesse.
Tutte queste considerazioni fecero uscir di gangheri 1' egregio scrittore, che
queir autografo aveva messo in luce ; e me ne dolsi.
Me ne dolsi, perchè se la storia é ricerca di luce e di verità, l' una e l' altra
non si ottengono senza una discussione libera e sincera. Né quelle mie osserva-
154 LA POLITICA DEL CONTE DI CAVOUR NEL 1860
zioni possono essere ritenute superflue, quando si tratta di dover discutere un
documento così importante, e sull'appoggio del quale chi lo ha pubblicato si è
affrettato a dedurre le due seguenti ipotesi ; delle quali una certamente né logica
ne verosimile ; che, cioè, se Garibaldi nel '60 si decise a passare il Faro ciò
egli fece, perchè sospinto dai consigli del re e del conte di Cavour, compar-
tecipe del diplomatico maneggio ; l'altra, annunziata con una certa timidità, che
anche la storica lettera scritta da Garibaldi al re, alla vigilia della partenza da
Quarto, gli fosse stata da quest' ultimo dettata.
Ebbene, alle argomentazioni allora addotte, tendenti a dimostrare come
non risulta provato, che il segreto foglio del re sia pervenuto nelle mani del
dittatore, io sono oggi in grado di portare una prova esauriente : un brano
inedito, scritto di pugno di Garibaldi, che qui si vede riprodotto in facsimile
ed il cui originale trovasi nella mia raccolta garibaldina, fra i tanti numerosi
appunti e brani autografi dell' eroe. Garibaldi scrive :
■«< Monarchia m' ha impedito tre volte : andare in Sicilia, pas-
sare il Faro, passare il Volturno ».
Si potrebbe obbiettare, che Garibaldi non dice: il re m'ha impedito, ma
monarchia ; come nella lettera al Barrili non disse : il divieto del re, ma i7 di-
vieto governativo. Ora, a parte 1' osservazione che se una distinzione Garibaldi
avesse voluto fare, l' avrebbe fatta, la sua affermazione distrugge ad ogni modo
la tesi di alcuni storici, con tanto calore sostenuta, che cioè il Governo {Cavour)
desiderasse il passaggio del Garibaldi sul continente.
*
* *
Stando così le cose, a me sembra che non si possa uscire da questo
dilemma ; o le affermazioni di Garibaldi sono false, o l' autografo confidenziale
del re messo in luce in piena buona fede, è apocrifo !
Ma, se la prima ipotesi è da mettersi da parte, perchè essa non solo con-
trasta con la lealtà di Garibaldi da tutti riconosciuta, ma urta contro la logica ;
poiché nessuno di coloro i quali allora avrebbero dovuto smentirlo sorsero a farlo ;
d' altra parte, non si può negare autenticità al segreto scritto del re, perchè esso
è in armonia non solo col noto temperamento di Vittorio Emanuele, ma con
quanto in questo volume è luminosamente provato : 1' esservi stato, dopo 1' en-
trata della schiera liberatrice in Palermo, un carteggio diretto fra Re e Capi-
tano del Popolo, dal quale risulta che queste due gigantesche figure nel 1 860
L'UOMO DI STATO E L'EROE 155
cospiravano in barba a tutte le diplomazie ; come Vittorio Emanuele non fosse
sempre d' accordo col suo primo Ministro, ma che invece seguisse la sua politica
personale. « Si fidi di me e di nessun altro », scrive il re a Garibaldi in una
delle lettere, che in questo volume si leggono.
Né mi par giusto impicciolire 1' importanza, che indubbiamente ha quel
segreto autografo e che illustra ancor più la maschia figura di Vittorio Ema-
nuele per servirsene come un' arma di partito ; come documento dal quale si
possa dedurre, che il passaggio di Garibaldi sul continente si debba ai consigli
del re segretamente datigli, compartecipe, anzi ispiratore, il conte di Cavour !
Chi vorrebbe sostenere che Garibaldi, partito da Quarto con mille uomini
male armati e senza munizioni, sbarcato miracolosamente a Marsala, vittorioso
a Calatafimi, a Palermo, a Milazzo, non avrebbe completato l' impresa senza il
consiglio del re e del di lui Ministro ? Egli, quel Garibaldi che si era rifiutato a
fare l' annessione tanto desiderata da Cavour e che voleva incoronare Vittorio
Emanuele, re d' Italia in Campidoglio ?
Si è detto, che poiché nella lettera di risposta del dittatore al re si
seguono le traccie indicate nell' autografo confidenziale, questa sarebbe la prova
decisiva che quello scritto pervenne nelle mani di Garibaldi.
In verità, tenuto conto delle stranissime e misteriose circostanze, che si
notano intomo a questo segreto foglio del re, il fatto con tanta enfasi indicato
come decisivo, che nella risposta di Garibaldi, si noti bene, conosciuta da
mezzo secolo, si vorrebbero vedere seguite le traccie dello scritto reale, venuto
alla luce oggi soltanto ; ed il volere sostenere che Garibaldi scrisse come un
giovinetto, al quale si dettano le traccie per un componimento ; questo fatto, se
mai, potrebbe avvalorare il sospetto, in alcuni già sorto, della non autenticità di
quello scritto ; la qual cosa è da escludere.
Senza però dilungarsi in discussioni, non è inutile il rilevare, come l'anda-
mento della risposta di Garibaldi non si può affermare sia tale da non potersi dire,
che essa non risponda alla lettera ufficiale del re. Ma vi è ancora da osservare,
che in questa quistione noi discutiamo sulla base di documenti non storicamente
accertati nel loro testo preciso. Noi infatti non conosciamo, né il testo autografo
della lettera ufficiale che Vittorio Emanuele scrisse a Garibaldi, né quello della rispo-
sta fatta da questi al re. Il presunto testo della prima ci fu dato nel '60 da
un'agenzia francese, 1' Agenzia Bullier ed i giornali italiani ne fecero la traduzione.
Di essa se ne hanno due versioni : una é quella pubblicata dal Bandi, l'altra dalla
Mario. Non parlo poi della risposta del Garibaldi al re, della quale se ne hanno
ben cinque versioni, alcune delle quali in data del 27 luglio, altre del I 0 agosto.
156 LA POLITICA DEL CONTE DI CAVOUR NEL 1660
L' on. Rava ha, poco tempo fa, messo in luce un importante documento ',
trovato fra le carte del Farini e che suona così :
Messina, 30 luglio 1860.
Sire,
Io penso di passare il 15 del venturo mese, piuttosto prima. Avrei bisogno ancora
di 10.000 fucili con baionetta, prima di quell' epoca. Saluto la M. V. con affetto.
Dev.mo sempre
G. GARIBALDI
P. S. - La M. V. farà un gran bene, mandandomi alcune centinaia di sciabole
per cavalleria.
Il re inviava questa lettera al Farini, aggiungendovi di sua mano :
Caro Farini,
Guardi di fare il possibile per queste cose richieste dal Generale.
VITTORIO EMANUELE
Non io potei essere sorpreso alla lettura dell' importante autografo pub-
blicato dall' on. Rava ; una delle tante lettere, che debbono essere state scritte
in quei giorni da Garibaldi al re, e che è a sperare saranno ora messe in luce ;
ora che conosciamo quelle del re al dittatore. Ne mi sorprese il fatto, che 1' illustre
uomo che quel documento pubblicava, avesse ravvisato in esso la risposta di
Garibaldi al foglio confidenziale di Vittorio Emanuele ; non conoscendo egli quello
che oggi dai documenti da me editi viene provato a luce meridiana, che cioè
fra il re e Garibaldi vi fu nel *60, dopo l' entrata vittoriosa a Palermo, unità
di sentire, per cui queste due figure restano indissolubilmente unite nella storia
del nostro Risorgimento.
Da una delle lettere dirette dal re al Garibaldi (vedi Gap. XIV), si vede
come già fino dai primi di luglio Vittorio Emanuele, per mezzo del conte Amari,
aveva fatto pervenire a Garibaldi, che gli aveva manifestato 1' intenzione di
passare nelle Calabrie, un promemoria, nel quale si diceva : « Notì partire per
' Io « Nuova Antologia », febbraio 191 1.
L'UOMO DI STATO E L'EROE 157
Spedizione Napoli senza che io lo sappia per non imbrogliare i miei progetti e
per essere sempre d' accordo » .
11 passaggio nelle Calabrie era adunque nel cuore di Garibaldi, come in
quello del re, assai prima del foglio confidenziale, che il Litta avrebbe conse-
gnato al dittatore alla fine di luglio, e la lettera messa in luce dal Rava deve
ritenersi non in relazione a quel foglio, ma alla corrispondenza precedente avvenuta
fra quei due grandi personaggi. Ecco perchè, in una pubblica lettera ', io dicevo :
« La missione data nel 1860 al conte Giulio Litta Modignani, la quale oggi
assurge ad importanza di un fatto storico di primissimo ordine, diventerà, quando
noi avremo conosciuta tutta la storia vera di quei giorni, niente altro che un
semplice episodio ».
*
* *
Ma ritornando all' autografo del re, trovato nell'Archivio Litta, se tanto le
esplicite affermazioni contrarie di Garibaldi, quanto l'autenticità di quello scritto
sono da ammettersi, è mestieri prima che qui manifesti il dubbio, che nella mia
mente si è venuto formando in questa questione, l' indagare non tanto se Cavour
fosse a conoscenza del diplomatico maneggio del re, perchè di questo non è
a dubitare, è lo stesso Litta che lo afferma ; ma è da sapere piuttosto, se Cavour
desiderasse anch' egli, in quel momento, il passaggio di Garibaldi sul continente.
lo affermo, che per sostenere simile tesi bisogna o non conoscere, o dimen-
ticare la direttiva politica del conte di Cavour in quei giorni memorabili.
Bolton-King, r illustre storico inglese profondo conoscitore del nostro Risor-
gimento, paragonando, come altri han fatto, 1' opera di Cavour con quella di
Bismark, dice : « che in questi due grandi uomini vi è di comune una qualità :
la disposizione a mentire, quando il mentire serve ai loro fini », e si affretta
a soggiungere, « che mentre le bugie di Bismarck arrivavano a valanghe, le
bugie di Cavour arrivavano ad una ad una ». ^
Emile Ollivier scrive del Cavour : « // se faconna aux duplicilés volpines,
qui sont la condition de certains succès», e soggiunge: « Il n'avait pas hésité,
nonobstant sa droiture, à devenir un fourbe sans retenue, lorsqu' il aoait cru
ne pouvoir arréter autrement la revolution ». ^
' In * Giornale d'Italia », 5 febbraio 1911.
* BoUon-King - Storia dell' Unità Italiana. Voi. II, pag. 238,
' Ejnile Ollivier - L' Empire Liberal. Tomo IV, pagg. 568 e 574.
158 LA POLITICA DEL CONTE DI CAVOUR NEL 1860
II giudizio di questi due storici non italiani, la cui autorità è da tutti rico-
nosciuta, non è da trascurarsi.
In nessun altro periodo della sua vita politica il grande Ministro mise in
pratica i dettami di Niccolò Machiavelli, quanto nel 1 860 ! Nella solitudine
forzata di Leri, dopo il disinganno di Villafranca, Cavour lesse il Principe e seguì
i suggerimenti del grande Segretario della repubblica fiorentina : « seppe essere volpe
a conoscere ì lacci e leone a sbigottire i lupi », e praticò la massima che
« nelle azioni di tutti gli uomini, dove non è giudicio da reclamare, si guarda
al fine ».
Nei mesi di luglio e di agosto l' arte più fina del grande diplomatico fu
adoperata per il conseguimento della sua meta ; che era quella di troncare la marcia
vittoriosa di Garibaldi con l'annessione pronta della Sicilia e la caduta di Napoli
per opera dei suoi più fidi agenti, colà inviati : Visconti- Venosta, Pinzi, Ribotti,
De Vincenzi, Oliva, Nisco, Mezzacapo, Schiavoni ed altri.
Raffaele De Cesare, storico non sospetto di garibaldinismo, con frase molto
espressiva, scrive : « Cavour in quelV epoca non aveva requie » e Giovanni
Faldella, come un pittore della nuova scuola, che prende dalla tavolozza i colori
e li butta sulla tela per ottenerne effetti e contrasti più vivi, discorrendo della
politica del Ministro piemontese, dice : «• Qui nel settentrione, il mago Cavour
alimenta, regola e spinge la macchina prodigiosa; uccella il conte di Siracusa,
accivetta Liborio Romano, addormenta come una sirena la flotta partenopea,
rimpasta la Farina, che non va in crusca ».
Per dimostrare che nel luglio del 1 860, Cavour fosse dell' opinione del
re, che anch' egli cioè, desiderasse il passaggio di Garibaldi nelle Calabrie, si
è citata una sua lettera al Persano del 23 di quel mese, portata in Sicilia
dallo stesso Litta. Ma 1' impressione, che si ha oggi leggendo quella lettera ;
oggi che si conosce il segreto foglio di Vittorio Emanuele è, che re e Mini-
stro in quei giorni cospirassero per conto proprio ed in contrasto 1' uno all' altro.
Il conte Giulio Litta, scrive Cavour al Persano, recasi in Sicilia apportatore
di una lettera. Si noti bene che è detto di una lettera; e consiglia l'ammiraglio
« di non influire sulle determinazioni di Garibaldi riguardo al passaggio sul
continente ». Nessun lontano accenno si fa del desiderio suo, che questo passaggio
' N. Machiavelli - // Principe, cap. XVIII.
' R. De Cesare - La Fine di un Regno. Voi. 11, pag. 366.
' G. Faldella - Commemorazione di Garibaldi. Torino, 4 luglio 1907.
L' UOMO DI STATO E L' EROE 159
avvenga. Ora se si considera, che in tutto il resto della lettera si danno al Persane
chiare e precise istruzioni sulla condotta, che egli deve tenere con Garibaldi ;
se si pensa, che nella frequente corrispondenza il Ministro si aprì sempre col
Persano senza alcun riserbo, mettendolo a parte di ogni segreto, esprimendo giu-
dizi compromettenti, affidandogli missioni segrete, delicatissime, il suo riserbo in
quel punto fa pensare, che il Cavour seguisse in quel momento una politica diffe-
rente da quella del re, e che per non scoprirsi, ciò che sarebbe certamente
avvenuto se egli avesse dato al Persano ordini contrari e categorici, si limita a
consigliarlo di non influire sulle determinazioni di Garibaldi.
Non si potrebbe in verità spiegare, perchè proprio e solo in quel punto
della lettera, che riguardava l' esplicito desiderio del re e che questi non aveva
esitato di manifestare a Garibaldi con un foglio confidenziale scritto di sua mano,
il Cavour dovesse esprimersi in maniera sibillina, limitandosi a dire al Persano
di non influire sulle determinazioni di Garibaldi ; quando poi, nella stessa lettera
gli scrive : « Fece e farà ottimamente, conservando col generale Dittatore ottime
relazioni. La consiglio però, a non confidare senza riserva in lui. Ricordi, che
egli ha vissuto più anni in America e più ancora nella solitudine, ha quindi
contratto abitudini di eccessivo riserbo e di necessaria diffidenza ». Parole prezio-
sissime per compiere quell' indagine psicologica indispensabile, se si vuole spiegare
tutta la politica di quei giorni del grande statista.
Se, replico, il re per manifestare il suo personale desiderio, contrariamente a
quanto aveva espresso nella lettera ufficiale, non aveva esitato di scrivere di sua
mano a Garibaldi un foglio confidenziale ; perchè, se questo stesso desiderio
animava il suo Ministro, non doveva questi in quel momento stesso manifestarlo
al Persano, invece di consigliare quest'ultimo a non influire sulle determinazioni
di Garibaldi, come invece egli stesso ebbe chiaramente a manifestare più tardi
allo stesso ammiraglio?
In una lettera posteriore Cavour scriveva al Persano : « Sono lieto della
vittoria di Milazzo, che onora le armi italiane e che deve contribuire a persuadere
r Europa, che gì' Italiani sono decisi ormai a sacrificare la vita per riconquistare
patria e libertà. Io la prego di porgere al generale Garibaldi le mie sincere
congratulazioni. Dopo sì splendida vittoria non vedo come si potrebbe impedirgli
di passare sul continente. Sarebbe stato meglio, che i napoletani compissero od
iniziassero l'opera rigeneratrice. Ma poiché non vogliono o non possono muoversi,
si lasci fare a Garibaldi. L' impresa non può rimanere a metà. La bandiera
nazionale inalberata in Sicilia deve risalire il regno ed estendersi lungo le coste
dell' Adriatico, finché ricopra la Regina del mare. Si prepari dunque a piantarla
160 LA POLITICA DEL CONTE DI CAVOUR NEL 1860
con le proprie mani, caro ammiraglio, sui bastioni di Malamocco e sulle torri
di San Marco ».
Avrebbe Cavour scritto « non vedo come si potrebbe impedire a Gari-
baldi di passare sul continente », se prima qualcuno quel passaggio non avesse
cercato di ostacolare? E chi mai aveva potuto essere costui, se non lo stesso
Cavour? Il re? Ma il re non aveva manifestato privatamente a Garibaldi il suo
desiderio, che il passaggio dello stretto avvenisse?
In questa lettera, io credo, noi abbiamo la prova della condotta del vero
discendente di Niccolò Machiavelli.
* *
Ma qui sorge spontanea una domanda : qual mutamento era avvenuto sulla
scena politica, perchè il grande statista, da esperto pilota, dovesse ordinare
macchina indietro, cambiare di rotta, desiderare il passaggio di Garibaldi sul
continente ed il compimento da parte dell' eroe popolare dell' altra metà
dell' impresa ?
Che r annunzio della vittoria di Milazzo dovette impressionare Cavour e
convincerlo sempre più del non comune valore di Garibaldi, è da 2unmettersi ;
ma la mente sua era mente di matematico. Cavour agiva pensatamente, non
per impulsi. Come un'aquila, egli sapeva piombare dall' alto e far sua preda
la conquista degli altri ; ma egli non era uomo da lasciarsi trascinare dall'entu-
siasmo del momento. Egli aveva nel suo alto intelletto politico un piano pre-
stabilito da attuare, una meta da conseguire ; non era uomo da rinunziarvi per
la nuova vittoria di Garibaldi, che grandemente ne aumentava il prestigio.
Oltre a ciò, del valore e dell' audacia di Garibaldi, egli aveva avuto non
dubbie prove ; quindi se la vittoria di Milazzo potè entusiasmarlo fino al punto
da farlo correre col pensiero all' italico vessillo « sventolante sulla torre di San
Marco » per mezzo, si noti bene, del valore dell' ammiraglio di Persano,
ma non per quello di Garibaldi ; non è eunmissibile d' altro lato, che l' esito di
quella battaglia sia stato il vero movente, che fece mutare la direttiva della sua
politica.
La verità è, che in quei giorni si era venuto preparando a Napoli, non una
vittoria, ma un fiasco ; il fiasco degli emissari ivi mandati dal Cavour, perchè
la bella Partenope cadesse senza l'aiuto di Garibaldi. Fra gli emissari era il
giovane Emilio Visconti- Venosta, « il più autorevole degli agenti di Cavour »
L- UOMO DI STATO E L- EROE 161
scrive il De Cesare ; quel Visconti- Venosta, soggiunge il Persano, « andato a
Napoli a soffiare nel fuoco ».
La tempesta, che in quei giorni dovette agitare 1' anima e la mente del
conte di Cavour dovette esser ben grande ! Che egli non avesse requie ; che un
giorno vedeva dileguarsi il sogno con tanto amore carezzato di far cadere Napoli
senza l' aiuto di Garibaldi, mentre il dì seguente gli tornava a nascere nel cuore
la speranza di vedere quel sogno realizzato, è chiaramente provalo dalle lettere
da lui scritte in quell' epoca memorabile.
Dopo quella del 25 al Persano, gliene invia un'altra, per mezzo del
Nisco, il 1 " agosto, nella quale gli dice : « Non aiuti il passaggio del gene-
rale Garibaldi sul continente, anzi veda di ritenerlo per via indiretta il più
possibile » e contemporaneamente scrive al Villamarina : « E grandemente desi-
derabile, che la liberazione di Napoli non proceda per opera di Garibaldi ;
giacche ove ciò avvenga il sistema rivoluzionario prenderà il posto tenuto dal
partito costituzionale monarchico ». Il 3 agosto torna a raccomandare al Per-
sane « di fare quanto può per far scoppiare il moto a Napoli »; il 5 scrive
ad un suo intimo amico : « Dieu veuille que Garibaldi ne nous devance pas
à Naples, ou qu il n arrive pas sans y trouver un gouvemement a\)ant Liborio
Romano à sa téte » ; infine in data del 1 6, con accento disperato, scrive al
Ricasoli : « Se Napoli racchiude elementi di rivoluzione essa deve scoppiare,
altrimenti io non so che farci e bisogna rassegnarsi al trionfo di Garibaldi».
Ma tutti gli sforzi del sommo statista s' infransero contro le ineluttabili
difficoltà delle circostanze !
Il 1 2 settembre Cavour scriveva ad un suo amico : « Vous savez tout
ce que j' ai fati pour devancer Garibaldi à Naples. J' ai poussé l'audace
jusqu'au point, ou elle pouvait aller sans courir le risque de voir
éclater la guerre civile, et je n'aurais pas méme reculé devant
cette éxtremité, si j'avais pu espérer d'avoir pour moi l'opinion
publique ».'
Il conte di Cavour, scrive lo storico della Fine di un Regno, convinto a
malincuore, che un pronunciamento a Napoli non era più possibile; che un'azione
diversa e distinta da quella di Garibaldi sarebbe stata, al punto in cui erano
giunte le cose, occasione di far correre il sangue (Cavour però, ci fa sapere
nella lettera ora citata, che non avrebbe indietreggiato anche davanti a questo
' L. Ghiaia - Loco citato. Voi. Ili, pag. 3.
CURÀTULO
162 LA POLITICA DEL CONTE DI CAVOUR NEL 1860
estremo, se avesse avuto per sé l' opinione pubblica), telegrafò al Persane di
non insistere. Egli aveva preso il suo partito e decise la spedizione nelle Marche
e neir Umbria per continuarla, occorrendo, nel Napoletano. Spedizione decisa,
come è noto, dopo il beneplacito di Napoleone dato a Chambéry ai due
inviati Cialdini e Farini, con le parole ripetute in una lettera autografa a Vittorio
Emanuele, che il generale Della Rocca ebbe occasione di vedere : « Allez,
allez, mais sourtout faites vite ».
Non è più a Napoli, egli tuonava da Torino, che possiamo acquistare la
forza morale necessaria a dominare la rivoluzione, è ad Ancona ; ed al Gual-
terio scriveva : « L' ora di agire nell' Umbria e nelle Marche si avvicina. Il
Ministero è deciso non solo di secondare, ma bensì di dirigere il movimento.
Giunta l'ora di agire saremo non meno decisi, non meno audaci del Bertani »
e ad altri : « La monarchia non può permettere, che Garibaldi le dia tutto ;
deve anch'essa conquistarsi qualche cosa ».
E la monarchia ricalcava 1' opera della rivoluzione, e 1' esercito piemontese
vittorioso faceva quella marcia, che già Garibaldi aveva un anno prima dise-
gnato da Rimini e che Napoleone 111 aveva impedito !
*
Dopo quanto sono venuto esponendo sulla stregua di documenti, dopo avere
rilevato il mistero, che avvolge 1' autografo confidenziale di Vittorio Emanuele,
dirò francamente il forte dubbio, che nella mia mente si è venuto formando su
questa questione.
Con la più grande riverenza verso il sommo uomo di stato, il culto della
cui memoria non è in me inferiore a quello che altri gli tributa ; con tutto il
rispetto al conte Litta, a me sembra che non vi sia che una sola ipotesi, la quale
possa riuscire a dileguare 1' aria di mistero, che avvolge quel segreto autografo
reale ; una sola ipotesi, che possa mettere d' accordo il fatto, altrimenti incom-
prensibile, dell'autenticità del documento con le esplicite affermazioni contrarie
di Garibaldi ; che possa spiegare come un documento di natura tanto delicata
e compromettente per la persona del re diretto a Garibaldi, invece di restare
nelle mani dell' uno o dell' altro, rimanesse invece presso colui, che aveva avuto
la missione di portarlo insieme alla lettera ufficiale.
* Generale Enrico Della Rocca - Loco citalo, pag. 36.
L- UOMO DI STATO E L- EROE 163
L* ipotesi che sia stato il conte di Cavour stesso a non fare giungere nelle
mani del dittatore quel foglio, che sconvolgeva tutto il piano architettato con
r arte più eccelsa della sua mente politica, potrà a prima vista sembrare assai
ardita. Ma è poi essa così inverosimile ed insostenibile P Io credo che no, ed
in suo sostegno militano, oltre a quanto ho di sopra esposto, non pochi argo-
menti di fatto ed altri di natura psicologica.
Dei primi, a me pare che tre sieno d' importanza grandissima e danno
alla mia ipotesi una grande probabilità di certezza. L' uno è il riserbo, anzi più
che il riserbo, il segreto tenuto dal Litta, durante tutta la sua vita, dell' esi-
stenza di questo autografo, che vien fuori oggi soltanto, frugando nel suo Archivio.
Si osservi che il Litta moriva nel marzo del 1878.
Il secondo argomento è il seguente. Il conte Litta ci fa sapere di essersi
recato, dopo avere veduto il re che gli consegnò la lettera ufficiale ed il foglio
confidenziale per Garibaldi, dal Cavour col quale, egli scrive, « si scherzò pia-
cevolmente sulla parte garibaldina, che andavo a rappresentare » e contempo-
raneamente, in una lettera, alla moglie dice di essere stato, dopo la visita al re,
dal Cavour col quale, sono sue parole, « ebbi un colloquio ed istruzioni molto
divertenti ». Si noti, che queste due ultime parole nel Diario sono stampate
in carattere corsivo ; la qual cosa significa, a dire del Guerrini che nella pre-
fazione a quella pubblicazione lo avverte, che nel manoscritto originale quelle
parole si trovano sottolineate.
Ora, quali poterono essere queste istruzioni molto divertenti, delle quali
il Litta parla sottolineando la frase? Debbono esse riferirsi soltanto alla doppia
parte, che questi andava a rappresentare presso Garibaldi? Ammesso, che
abbia potuto scherzarsi piacevolmente sulla parte garibaldina, che il Litta andava
a rappresentare, questi però parla di istruzioni ricevute dal Cavour ; e quali
esse poterono essere? E forse indiscreto il supporlo oggi che, insieme alle affer-
mazioni categoriche del Garibaldi, noi vediamo venir fuori dalle carte del Litta,
dove rimase gelosamente custodito per ben cinquant' anni, il segreto foglio del
re, che sconvolgeva completamente il piémo politico del suo primo Ministro?
I giuochi di bussolotti, nei quali, come disse Massimo d'Azeglio, il conte di
Cavour era abilissimo, ' furono anche questa volta eseguiti?
Ma un altro argomento non meno importante vi è da considerare, ed è
che fra Vittorio Emanuele e Garibaldi prima di quell'epoca vi era stato un
' R. Bontadini - Vita di Francesco Arese, pag. 297.
164 LA POLITICA DEL CONTE DI CAVOUR NEL 1860
carteggio autografo non meno compromettente e quel carteggio rimase non negli
Archivi degli ufficiali di ordinanza del re o di altri, che avevano avuto la mis-
sione di portarlo, ma presso Garibaldi.
In un foglio autografo del re portato dall'Amari nei primi di luglio (pedi
Gap. XIV) Vittorio Emanuele di sua mano, scriveva:
Riguardo alla lega (col re di Napoli), non accetto; strascinerò in lungo
facendo proposte e contro proposte che lui {il re) non possa accettare.
Riguardo ad impedire a Garibaldi di continuare secondo la domanda
della Francia, mi ci sono opposto.
Fare subito annessione e manderò Depretis.
Non fidarsi che di me e di nessun altro.
Non partire per spedizione Napoli, senza che io lo sappia per
non imbrogliare i miei progetti e per essere sempre d'accordo.
Stabilita lega tra Austria, Russia e Prussia contro di me per quest'anno
venturo.
Io prendo le mie misure per fare convenzione con la Francia per fare
attaccare V Austria sul Reno, quando ci attaccherà.
Tanti saluti al mio amico Garibaldi.
Come si vede, Vittorio Emanuele qui paria contro tutta 1' Europa reazio-
naria e contro la Francia, e parla pure di spedizione per Napoli ; argomenti che
lo avrebbero grandemente compromesso. Ebbene, questo foglio rimase presso
Garibaldi !
Bisogna riportarsi con la mente e con 1' anima a quei giorni memorabili,
nei quali uomini ed ideali erano cotanto diversi da quelli della generazione nostra,
tutta intenta a tenere gli occhi sul listino della Borsa ; a quei giorni animati deJ
turbine delle sante passioni, in cui le vie ed i metodi per raggiungere la nobile
mèta erano diversi ; in cui mentre Garibaldi guerreggiava sui campi di battaglia,
Cavour cospirava nel suo gabinetto.
Lotta di veri titani fu quella, che si combattè in quell* epoca ! Che se
r audacia di Garibaldi non aveva limiti nel campo aperto della battaglia, l'au-
dacia del conte di Cavour non era inferiore in quello tenebroso della politica.
L- UOMO DI STATO E L- EROE 165
Egli non era uomo da arrestarsi facilmente davanti alle difficoltà, che gli si pre-
sentavano e da non osare, per i suoi fini, di magnetizzare perfino un ufficiale di
ordinanza del re, che aveva avuto, si noti bene, una missione politica e non mi-
litare ; una missione politica che mandava in aria tutto il suo piano.
Voi sapete quello che io ho fatto per prevenire Garibaldi in Napoli. Ho
spinto l'audacia fin dove essa poteva arrivare! Così egli scriveva ad un suo
amico nella citata lettera del 1 2 settembre.
Che la politica del re e del suo primo Ministro, nei riguardi di Garibaldi,
fosse in quei giorni divergente ; che fra Vittorio Emanuele e Cavour non vi
fosse accordo, ne abbiamo anche una prova nella lettera del Garibaldi al Te
del 30 luglio da Messina, trovata fra le carte del Farini.
Vittorio Emanuele rimise la lettera del Generale con una sua aggiunta
autografa, che raccomandava la richiesta di Garibaldi non al conte di Cavour,
che era il suo primo Ministro, ma al Farini.
Ora, che il re non siasi rivolto al Fanti, il quale come Ministro della guerra
sarebbe stato la persona più adatta per soddisfare la richiesta di armi del Gari-
baldi, si può spiegare ; se si pensa che dopo il dissidio sorto nell' Italia Centrale,
fra quei due personaggi non vi era più buon sangue ; ed il re questo non ignorava.
Ma il fatto di essersi egli rivolto al Farini e non al Cavour avvalora 1' affermazione,
che in quei giorni, nei riguardi di Garibaldi, non vi fosse fra il re ed il suo primo
Ministro accordo.
Non era questa, del resto, la prima volta in cui fra Vittorio Elmanuele e
Cavour questo accordo era mancato ; in cui l' opinione di quest' ultimo avrebbe
voluto prevalere su quella del re.
Nel famoso colloquio avvenuto la notte di Monzambano, dopo la pace di
Villafranca, colloquio al quale, come scrisse Isacco Artom, poche scene di Sha-
kespeare potrebbero essere paragonate, avendo Vittorio Emanuele detto al Cavour,
il quale lo consigliava di abdicare, che a questo doveva pensarci lui, che era
il re, il ministro rispose : « // re ? il vero re sono io » ed al Nigra, in una
lettera del 22 settembre, il cui originale è nel mio Archivio e che più oltre si
legge, pariando di Garibaldi e dei garibaldini, che 1' armata di Fanti e Cialdini
non avrebbe desiderato di meglio che di buttare a mare, Cavour dice : « Le
Roi est décide à en finir. D' ailleurs, je n' admetterais pas d* hésitation ».
Ciò che, in sostanza, significa che egli, Cavour, non avrebbe esitato di agire
anche contro la volontà del re.
E sempre lo stesso leitmotiv che domina : il vero re sono io I
166 LA POLITICA DEL CONTE DI CAVOUR NEL 1860
Dissi, come a sostegno della mia ipotesi militano non solo argomenti di fatto,
ma altri di natura psicologica, che è bene qui di prendere in giusto esame.
Fra Vittorio Emanuele e Cavour non esistette mai una vera simpatia ; lo
afferma un personaggio autorevole e non sospetto, Michelangelo Castelli, amicis-
simo del Cavour.
Non era soltanto la diversità del temperamento, che disuniva questi due
personaggi ; anima aperta di soldato 1' uno, 1' altro abilissimo nell' arte dei rag-
giri o dei giuochi di bussolotti, come diceva il buon d'Azeglio. Ma gli è, che
fra Re e Ministro vi era stato un incidente, che aveva lasciato nell' animo del
primo traccie indelebili ; che aveva soffocato ogni germe di simpatia per Cavour
e che giova richiamare alla memoria per la psicologia di questi due grandi fattori
dell' unità della patria.
Vi fu un'epoca, scrive Michelangelo Castelli, in cui il conte di Cavour temette,
che Vittorio Emanuele finisse per sposare la bella Rosina Mirafiori, ed in cui
egli si credette in obbligo, per alte ragioni politiche, di cercare ogni mezzo per
allontanarlo da essa. Anche in quella occasione 1' audacia di Cavour fu immensa
ed essa arrivò a tal punto che, dice il Castelli « potevano nascere scandali gra-
vissimi». « Io doveva cercare, continua l'amico del conte di Cavour, di arre-
starlo in una via, che non poteva che riuscire fatale per tutti. Ricordo di avergli
detto, presente Costantino Nigra, tutto ciò che poteva suggerire la situazione ; di
averlo affrontato francamente, condannando il tentativo che faceva, sia come Mi-
nistro politicamente, sia come uomo privato, entrando in segreti cui non era lecito
ad alcuno di scrutare ; ma tutto fu inutile, finché Cavour giunse al punto in
cui dovette convincersi, che non rimaneva più che fermarsi e ringraziare la sorte
se era ancora in tempo » .
« L' ultima volta, nel 1 860, che Cavour entrò Presidente del Consiglio
dei Ministri, l'ostacolo principale, è sempre il Castelli che parla, sorse da quanto
ho qui sopra narrato. Il Re mi fece chiamare ed entrò in tutti i particolari
dicendo : « La mia sola posizione m' impedì allora di chiedere ra-
gione a Cavour ; furono cose da coltello ; ma devo pensare ora al
paese. » Egli sapeva quale era stata la mia condotta in tale circostanza e voleva,
che io lo assicurassi dell'animo di Cavour. Era passato del tempo da quei giorni,
ed io sapevo come la pensava Cavour, perchè me ne aveva parlato molte volte,
spiegandosi schiettamente ; non esitai adunque a dare al re le più ampie assi-
curazioni su tal proposito. Riferii tutto al conte di Cavour, il quale m' incaricò
d' impegnare la sua parola d* onore, che giammai più avrebbe pronunziato il
nome della Signora, dolente del passato. Fatta la risposta al Re, questi si mostrò
L'UOMO DI STATO E L'EROE 167
persuaso, ma fissandomi in volto, disse : « Sì rende garante lei della parola
del conte ? ». '
Ora, precedenti come questi debbono certamente aver lasciato traccie nel-
r animo di quei due grandi personaggi, anch' essi soggetti alle passioni umane e
sono coefficienti psicologici degni di essere tenuti in conto.
Si consideri poi, che la bella Rosina, la Signora, come la chiamava il re,
era a conoscenza di tutto il retroscena, e riteneva nel suo animo il conte di
Cavour come suo nemico ; si pensi che essa esercitò un grande ascendente nel-
r animo di Vittorio Emanuele e che nel 1 860 partì con lui da Torino, accom-
pagnandolo ad Ancona, negli Abruzzi ed a Napoli.
Che fra Vittorio Emanuele e Cavour nel luglio '60 non si seguisse la
medesima politica, nei riguardi di Garibaldi, lo apprendiamo anche dal La Va-
renne, il quale il 1.° luglio, appena sceso dal castello di Torino, dove aveva
avuto un colloquio con Sua Maestà, scriveva al Crispi : « Ho chiarito al Re
la situazione a Palermo. Sua Maestà, che è al corrente di tutto e segue mi-
nuziosamente r affare mi ha detto, che desidera V accordo tra V altro partito
Siciliano e Voi; accordo che vi darà la forza sufficiente per governare risolu-
tamente, organizzarvi e prendere le vostre precauzioni contro l'invasore. Ho
raccontata tutta la storia del signor La Farina. Il re estremamente con-
trariato, mi ha manifestato il suo vivo rammarico per la condotta
del sig. di Cavour e del suo agente in questa circostanza, soggiungendo che
avrebbe fatto in modo, perchè fosse richiamato subito ». E più oltre soggiunge :
« In conclusione, Vittorio Emanuele è con voi ; corpo ed anima.
Egli ha piena fede in Garibaldi, ma teme qualche tradimento mazziniano,
che potrebbe rovinar tutto e compromettere per molti anni le sorti d' Italia.
Tenete ciò presente » . '
Infine, ad ancor meglio documentare la divergenza politica fra Re e Mi-
nistro, riporto un brano di una cronaca di quell' epoca assai rara, e che non è
quella citata dal De Cesare. In essa, in data del 24 luglio si legge : « La si-
tuazione è più complicata che mai ; ognuno segue la sua via. Tutte le autorità
discordanti ; conflitto di influssi contrari sconcertano 1' opinione : la diplomazia,
il signor di Cavour, Vittorio Emanuele, mostrano di non intendersi, ed ope-
rano separatamente. In questo garbuglio, vi ha un uomo, un solo uomo
' M. Castelli - Appurili biografici sul conte di Cavour. In « Ricordi di Michelangelo
Castelli », pag. 126 e seg.
' Francesco Crispi e i Mille, pag. 240.
168 LA POLITICA DEL CONTE DI CAVOUR NEL 1860
logico, immutabile, inflessibile, che va innanzi senza deviare di un capello, che
sfida le potenze, le leggi ed anche le opinioni : cotesto uomo è Garibaldi, quel
Garibaldi che prenderà Napoli » . '
La politica del primo Ministro di Vittorio Emanuele fu nel '60 ecces-
sivamente e, sia detto con sopportazione, ingiustamente diffidente verso Garibaldi.
Essa ci viene così riassunta da Francesco Crispi : « Al 1 860 Garibaldi, sal-
pato da Quarto, poco mancò non lo arrestassero nelle acque della Sardegna.
Dittatore di Sicilia e di Napoli, la sua amministrazione fu continuamente insi-
diata ed i suoi uomini continuamente bersagliati dalle calunnie. Nulla di meno
giunto a Marsala, egli aveva proclamato : Vittorio Emanuele Re d' Italia ; tutti
i suoi decreti portavano in capo le parole : « Vittorio Emanuele » ed erano in
nome del re intestate le sentenze dell' autorità giudiziaria e tutti gli atti pubblici.
Dopo il suo ingresso a Palermo, fu elevato lo stemma reale in tutti i pubblici
edifizi e lo stemma reale fu impresso nelle bandiere » .
E dopo ciò, perchè dubitare di lui ? Perchè dubitare degli uomini suoi ?
Vi era forse uno solo fra coloro che lo circondavano, che non volesse l' Unità
con la Monarchia ? Garibaldi, imbarcatosi a Quarto, aveva inalberato la bandiera
con lo scudo di Savoia, tanto che alcuni cittadini, i quali non credevano in
quella bandiera, non vollero imbarcarsi ed altri scesero a Talamone. Sul finire
del luglio del 1860 il mondo ufficiale gli suscitò ostacoli per passare il Faro.
L' impresa siciliana sarebbe stata infeconda, se i garibaldini non avessero cacciato
Francesco Borbone dalla sua capitale. Allora si temè, che se la rivoluzione fosse
penetrata sul continente, la monarchia ne avrebbe patito. Impertanto, i nostri
avversari congiurarono con un generale borbonico {Nunziante) e con un Ministro
fedifrago {Liborio Romano) e mandarono emissari, perchè avessero provocato
un' insurrezione militare. Si ideò, strano progetto, che si desse provvisoriamente
il Governo ad un principe borbonico, affinchè questi avesse preparato il nuovo
regno di Vittorio Emanuele. Vani conati, che spiegavano il malvolere e susci-
tavano sospetti in un momento, in cui era necessaria la concordia per il compi-
mento dell' unità nazionale. Coteste sono macchie che non salgono in alto, ma
' Garibaldi e la conquista delle Due Sicilie, raccontata da un testimonio oculare.
Livorno, 1861, pag. 211.
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Lettera autogiafa del conte di Cavour a Ccslanlino Nigra. 22 settembre 1860, in cui
si dice che i soldati di Fanti e di Cialdini non desiderano di meglio, che sbaraz-
zare il paese dalle camicie rosse. (Vedi pag. 171).
L'UOMO DI STATO E LEROE 169
si arrestano sotto i gradini del Irono. 11 7 settembre 1860 Garibaldi entrò
trionfante in Napoli, ed il primo suo atto fu di affidare la squadra napoletana
all' ammiraglio Persane. Quale pegno maggiore si poteva avere da lui ? '
*
Quanto ho fin qui esposto non ha avuto altro scopo, che la ricerca della
verità. Onde il richiamare oggi alla memoria l' invio a Palermo del La Farina
per cercare di togliere autorità a Garibaldi o il rileggere alcune lettere dirette
in quei giorni dal grande statista, significa volere oscurare i meriti di lui ; ma
desiderio di compiere quell' indagine psicologica che, a mio modesto modo di
vedere, è indispensabile per comprendere la condotta del Ministro piemontese
verso Garibaldi in quei giorni memorabili.
Delle tante lettere scritte in quei giorni dal Cavour basta citarne una per
tutte : quella del 1 3 luglio al Persane, la quale, come scrisse il Guerzoni, storico
da tutti riconosciuto imparziale, potrà forse onorare la previdenza del Cavour,
ma non la sua lealtà. « Sarebbe difficile, egli scrive, argomentare da quel
documento contenente le istruzioni di un complotto contro Garibaldi, quali dei
tre personaggi : se il conte di Cavour, l' ammiraglio Persano o il comandante
Piola, facesse la più triste figura. // conte di Cavour cospirava con un ammi-
raglio del re ed un ministro di Garibaldi stesso, tentando ammutinargli contro
o portargli via la flotta. L' ammiraglio doveva farsi complice della trama,
dando a Garibaldi degli ufficiali di marina infidi, disposti a un dato momento
ad abbandonarlo e tradirlo. Il Piola, ministro della marina di Garibaldi, voluto
da lui e depositario della sua fiducia, doveva dare V ultima mano al complotto,
mettendo a bordo quegli ufficiali e consegnando, al momento, anche la squadra » .
« Fortunatamente, soggiunge il Guerzoni, quel disegno, nato da un triste
incubo del conte di Cavour, non ebbe bisogno di essere mandato a compimento ;
ma quel disegno prova però, che se Garibaldi credeva di essere attorniato da
insidie, non aveva tutti i torti ».
Pur troppo il triste incubo, di cui parla lo storico garibaldino, non abbandonò
Cavour che nei momenti in cui la psiche, mano mano che si attenua la compagine
' F. Crispi - Commemorazione di Garibaldi. Bologna, 1884.
"' G. Guerzoni - Garibaldi. Voi. Il, pag. 1 32.
170 LA POLITICA DEL CONTE DI CAVOUR NEL 1860
organica, acquista maggiore luminosità, sul letto di morte! Fra le ultime parole
proferite nell' agonia dal grande Ministro furono queste : « Garibaldi è un
galantuomo! ».
Ma per meglio conoscere il pensiero intimo di Cavour verso Garibaldi ed
i garibaldini, è documento prezioso la lettera diretta il 22 settembre 1 860 a
Costantino Nigra, nostro ambasciatore presso Napoleone III. Il documento, che
Luigi Chiala aveva pubblicato, mutilandolo nei punti più importanti e più signi-
ficativi, fu da me in tutta la sua integrità messo in luce anni fa, appena avevo
avuto la fortuna di acquistarlo per la mia raccolta storica ; e poiché esso venne
allora a conoscenza di pochi, parmi utile oggi il ripubblicarlo. Ma un' altra
ragione, in verità, mi spinge a farlo ; essa è la seguente.
Raffaele De Cesare, storico geniale, ma tinto della più genuina e classica
pece moderata, avendo avuto un giorno occasione di vedere in casa mia l'im-
portante autografo cavouriano, rimase sorpreso ; e non potendo essere messa in
dubbio r autenticità del documento per la sua provenienza, mise avanti l' ipotesi
che esso avesse potuto essere scritto dal Cavour per ragione diplomatica. La solita
ragione diplomatica, la quale si mette avanti quando, per il sostegno della tesi
prediletta, torna acconcio l' interpretare allo rovescio gli scritti di Cavour ; salvo
però, ad accettarli quali sono, se a quella tesi essi convengono! Il De Cesare
quindi, pensava che quella lettera non rispecchiasse il sentimento intimo di Cavour
e volle chiederne notizie a colui, che solo poteva essere al caso di darle pre-
cise e sicure : allo stesso Nigra cui la lettera era stata diretta.
Il vecchio ambasciatore, chiuso a tutti come una cassaforte, faceva eccezione
per il De Cesare, col quale amava sovente intrattenersi intorno a momenti sto-
rici sconosciuti e assai delicati, lasciando quell'abituale riserbo, che la vita di
diplomatico lungamente vissuta gli aveva conferito. Egli adunque, anche questa
volta, e con grande mio compiacimento, si aprì con lo storico della Fine di un
Regno ; e dissi con grande mio compiacimento perchè, in verità, non poteva
essere convalidata con maggiore autorità e, vorrei aggiungere, con maggiore
solennità, l' importanza di un documento della mia raccolta storica garibaldina.
Raffaele De Cesare nella sua opera Roma e lo Stato del Papa, riferisce,
in parte, i particolari della sua inchiesta e conclude col dire : « La lettera
è vera ». ~
' Marchesa Giuseppina Benso di Cavour - Malattia e morte del conte di Cavour.
In « Letture del Risorgimento Italiano » di G. Carducci, pag. 525.
'" R. De Cesare - Roma e lo Stato del Papa. Voi. II, pag. 59 e seg.
L'UOMO DI STATO E L'EROE 171
Cavour a Costantino Nigra (Vedi facsimile).
22 septembre (1860).
Morì cher Nigra,
Vous avez ralson. Demandez à 1' Empereur une audience de congé. S' il insiste
pour que vous restiez, nous ne nous montrerons pas trop susceptibles ; mais s' il n' insiste
pas, vous vous bornerez à lui exprimer votre regret de devoir vous éloigner de Paris
par suite d' événements qu' ont pu lui déplaire ; en manifestant l' espoir de voir bientòt
se rétablir les relations intimes, qui doivent exister entre nos deux pays.
Ne cherchez pas à justifier par des arguments subtils notre conduite. Avouez
qu' aux yeux de la diplomatie elle est blàmable. Ce qui nous absous e' est la néces-
sité, oìi nous étions d' agir pour sauver le cause de l' Italie des excès de la revolution.
N'a\)arìl pu arrèter Garibaldi à Naples, il fallail à tous prix V arrèier dans les états
Romains, sans cela il nous aurail enlrainé à un ruine ceriaine, quand mème il aurail
renoncé à marcher sur Rome. En ne l' arrelant pas, il aurail marche jusqu à nos
frontières et aurail boulecersé le pa\;s.
Garibaldi esl un illumini, enioré par des succès inespérés. Il croil avoir recu une
mission providenlielle et Sire aulorisé pour l' accomplir de lous le moyens. Maintenant
il s'imagine que e' est avec les hommes de la revolution qu' il doit marcher. 11 s'ensuit
qu' il seme sur la route le désordre et 1' anarchie. Si nous ne portions pas remède à
cet état de chose, 1* Italie périrait sans que l'Autriche $' en mèlat.
Nous sommes décidés à ne pas le souffrire. Déclarez-le bien nellement à V Empe-
reur ; si Garibaldi persévère dans la Moie funeste oli il est engagé, dans quinze jours
nous iron rélablir V ordre a Naples et a Palermo, fallut-il pour cela jeter tous
les Garibaldiens à la mer.
L* immense majorité de la nation est avec nous. Les débats du Parlement le
prouveront. Gianduia est furieux cantre Garibaldi. La Garde nationale de Turin
marcherait contre lui si besoin était.
Les soldats de Fanti et de Cialdini ne demandent pas mieux que de
débarasser le pays des chemises rouges.
Dites à r Empereur de n' avoir inquiétude à cet égard. Nous avons attendu,
nous avons été conciliant, méme faible, en apparence, pour avoir le droit de frapper et
de frapper lort, lorsque le moment serait venu. Il fallait attendre que ces Messieurs
jettassent le masque monarchique qu' ils portaient. Maintenant le masque est jeté et nous
iron de l' avant. Le Roi est décide à en finir. D' ailleurs je n' admettrai pas
d' hésitation.
Votre présence à Turin me sera fort utile. Si je vais à Naples, je vous confierai
la régence du ministère des affaires étrangères.
J' ai envoyé plusieurs telegrammes à Fanti pour connaìtre les noms des offìciers
frangais morts, blessés ou prissoniers, mais jusqu' ici e' est à peine si j' ai réussi à
obtenir la note de nos propres morts.
172 LA POLITICA DEL CONTE DI CAVOUR NEL 1660
Rassurez le noble faubourg ; les fils des croisés seront renvojés dans leurs familles,
guéri, j' espère, de la manie de convertir les Italiens.
Croyez, tnon cher Nigra, à mes sentiments dévoués.
C. CAVOUR
*
Dunque la lettera è vera, esclama il De Cesare ; e per scagionare Cavour
dei sentimenti manifestati verso Garibaldi si affretta a richiamare alla memoria
il colloquio avuto luogo a Caserta fra il dittatore e Silvio Spaventa, quando
Garibaldi, battendo con la punta della sciabola sul pavimento, disse : « Cavour
ha il cuore più duro di questo marmo e Napoleone III ha la coda di paglia
alla quale darò fuoco » ed al tempo stesso rievoca il famoso ordine, che si
volle fosse stato telegrafato, nel settembre di quell' anno, al maggiore Tripoli in
Teramo : « Ricevete i Piemontesi a fucilate ».
Non è un fuor d' opera, il soffermarsi sulle due rievocazioni del De Cesare ;
sebbene sulla prima, non mi pare sia il caso di attribuirvi quell' importanza, che lo
storico citato vorrebbe. A Garibaldi, uomo di azione, anima aperta alle più grandi
audacie per ogni nobile scopo, le astuzie ed i raggiri della diplomazia, anche
quelle che potevano avvantaggiare la causa italiana, apparivano odiosi. Egli cre-
deva, che ogni impedimento si potesse e si dovesse vincere con la spada ; si
aggiunga poi, che la cessione della sua Nizza era la piaga insanabile del suo
cuore ed il motivo del dissidio con Cavour. Riguardo però al dispaccio al Tripoli,
è bene spendere qualche parola, onde chiudere, una volta e per sempre,
questa quistione non su affermazioni personali, ma sulla base di documenti
irrefragabili.
Quel dispaccio, che si disse essere stalo spedilo per ordine di Garibaldi
da Berlani, in quell' epoca Segretario della Dittatura, non fu mai spedito ; ne
valsero a trovarne il testo le faticose ricerche del De Cesare. L* ordine invialo
dal Berlani al maggiore Tripoli, il 23 settembre diceva : « Se / Piemontesi volessero
entrare, dite loro che prima di permetterlo dovete chiedere istruzioni al Dittatore. »
Quest'ordine, checche dicano alcuni, è ben diverso dall' altro, col quale si sarebbe
ordinato di ricevere i Piemontesi a fucilate.
' Carteggio della campagna del 1860-61 pubblicato nelle « Memorie storico -militari
del Corpo di Stato Maggiore ». Fascicolo 1, pag. 50.
L'UOMO DI STATO E LEROE 173
Agostino Bertani, natura certamente non scevra di passione, ma leale, se
queir ordine avesse dato, non lo avrebbe smentito così solennemente, come fece
neir opuscolo Ire politiche d' olire tomba ; ivi, rivolgendosi a Crispi, scrive :
« Anch' io, che non ho i tuoi meriti, sopportai lungamente il peso del dispaccio
attribuitomi a Napoli : di ricevere i Piemontesi a fucilate. E non valsero le dene-
gazioni e le testimonianze ; il vero senso del dispaccio fu falsato per ottenere
fede. Se non lo scrissi lo pensai e tutto fu detto».
Che r ordine del Bertani abbia un tono un po' spavaldo, non si può negare ;
ma occorre riportarsi a quei giorni di passione e di lotta ; bisogna pensare che
Bertani era il Segretario generale della Dittatura e che, dopo tutto, perchè non
dirlo ?, in quel momento il padrone di casa, nel territorio napoletano, era Gari-
baldi, lui che ci aveva messo la pelle, come ebbe a scrivere d' Azeglio !
Ogni discussione però cessa, quando rimane provato che non solo il dit-
tatore non autorizzò Bertani a spedire quel dispaccio, ma che esso fu dato a sua
insaputa e Garibaldi lo disapprovò.
In un lungo e importantissimo scritto autografo del Generale, che in altra
occasione mi deciderò a pubblicare in tutta la sua integrità, affinchè nulla venga
sottratto al giudizio dei posteri, si legge : « A Napoli vidi Bertani la seconda
volta, ove fu nominato Segretario generale della Dittatura e da dove fulminò
il famoso telegramma al Comandante della frontiera : " di non lasciare entrare
r esercito italiano nello Stato di Napoli „ ; ciò arbitrariamente senza con-
sultare il Dittatore». Che si vuole di più?
Garibaldi non mandò al Tripoli altro dispaccio, che quello nobilissimo del
25, in cui si diceva : « Se i Piemontesi entrano nel nostro territorio accoglieteli
come fratelli » ^ ed appartengono alla storia le parole pronunziate dal dittatore
e riferite dal Villamarina a Cavour; « All' udire che i soldati Piemontesi si appa-
recchiavano ad entrare nelV Umbria e nelle Marche, Garibaldi manifestò gioia
schiettissima ».
Questi, non altri, erano i sentimenti del duce dei Mille verso 1' esercito
piemontese ; il quale, capitanato da Fanti e Cialdini, a dire dello stesso Ca-
vour, non desiderava di meglio, che sbarazzare il paese dalle camicie rosse
e buttare tutti i garibaldini a mare ! Tali sentimenti non vennero mai meno
neir anima dell' eroe, anche nei momenti più dolorosi della sua vita, quando la
palla di Aspromonte lo atterrava sulla via di Roma.
' A. Bertani - Loco dialo, pag. 87.
' Carteggio della campagna eie. - L<
,oco dialo, pag. 31.
174 LA POLITICA DEL CONTE DI CAVOUR NEL 1660
Garibaldi in ogni occasione impedì, che i soldati dell'esercito regolare
abbandonassero le fila, trascinati dall' immenso fascino che il suo nome esercitava.
Ed è bello il sentire oggi affermare da uno scrittore militare, il tenente colon-
nello Guerrini, già insegnante di Storia nella Scuola di guerra a Torino, come :
« Garibaldi non abbia mai, in nessuna circostanza, messo i volontari in contrap-
posto coi soldati regolari, ma sempre glorificato questi ultimi » ; come è anche
ragione di orgoglio il preannunzio, che questo egregio storico ha fatto, di un
suo libro dal titolo « La sapienza militare garibaldina ».
Non meno caro è altresì il riportare qui il pensiero di un uomo di cultura
profonda e soldato d' indomito valore prima sui campi lombardi, poi all' assedio
di Capua e nella campagna del '66 ; di colui che fu 1' educatore di Vittorio
Emanuele III.
11 generale Osio nel suo Diario, l'indomani della morte dell'eroe, annota:
3 giugno, sabato. — Apro 1' " Opinione ,, listata in nero e vi trovo l' annunzio
della morte di Garibaldi. Ecco un'altra grande individualità, ecco un altro dei fattori
d' Italia che sparisce dalla scena del mondo. Noi che, di tanto in tanto, dovevamo
subire gli scatti della sua stravagante natura e gli abusi, che nel nome di lui si opera-
vano, noi, dico, trovavamo Garibaldi qualche volta incomodo. Ma i posteri lo chia-
meranno un Eroe e lo considereranno come un mito leggendario di amor patrio il piti
puro, di valore, di disinteresse; come una forza a cui nulla resistè mai e che attirava
le masse con un fascino paragonabile solo a quello dei grandi profeti, degli apostoli,
dei fondatori di religione.
IO giugno, sabato. — Sono ritornate le Commissioni e le rappresentanze da
Caprera. L' impressione generale è, che tutto quanto Veniva direttamente da Garibaldi
era nobile, bello, buono, generoso.
E poiché mi trovo a discorrere dei sentimenti di Garibaldi torna qui utile
il far conoscere un importante brano di un suo scritto.
Garibaldi non ha mai autorizzato il titolo di garibaldino.
« Alcuni chiederanno, perchè io non menziono i Garibaldini, ed io rispondo :
1.*) Che mai ho autorizzato quel titolo.
2.°) Che gli uomini del '34 con Mazzini, del '40 al servizio delle Repubbliche
Americane, del '59, del '60, del '66 al servizio dell' Italia monarchica e dittatoriale,
del *67 a Monterotondo e Mentana, e del '70 e '71 alla difesa della Repubblica
Francese ; tali uomini, dico, non sono esclusivi, non appartengono a partiti. I loro
principi repubblicani consistono nel bene dell'Italia e dell' umanità ».
G. GARIBALDI
LUOMO DI STATO E LEROE 175
Questi, replico, erano i sentimenti di Garibaldi.
Vero è che alcuni lo accusarono di avere avuto l' audacia di inviare,
r I I settembre del 1 860, per mezzo del Treccili, una lettera a Vittorio Ema-
nuele, invitandolo a licenziare il Ministero e promettendogli, dopo di avere fugato
i Francesi da Roma, di proclamarlo re d' Italia, sul Campidoglio. Ma gli per-
donino la nobile audacia !
Chi sa ! Forse, se in quell'epoca non fosse stata data una certa promessa,
chi sa, se l'audacia di Garibaldi non ci avesse condotto a Roma dieci anni
prima e più italianamente ; senza aspettare che le armi tedesche fiaccassero a
Sedan l' orgoglio e la potenza di Napoleone III ! Chi sa !
Generale, si ricordi che Garibaldi non dece passare il confine del regno di
Napoli; così io diedi parola all' Imperatore. Questo si legge nella seguente impor-
tante lettera inedita, diretta da Vittorio Emanuele al Fanti, il 20 settembre 1 860. '
Fatale coincidenza di date ! Dieci anni prima della breccia di Porta Pia !
Vittorio Emanuele al generale Fanti.
Veneria, li 20 settembre 1860.
Caro Fanti,
La ringrazio di quel che fece ad onore e gloria delle nostre armi. Io sono piena-
mente soddisfatto e 1' Italia tutta le sarà riconoscente. Ora sbrighi, al più presto, la
questione di Ancona e subito che la piazza si sarà resa, conto di andarla a raggiun-
gere e combineremo di marciare sugli Abruzzi con uno o coi due corpi di armata,
per potere andare a Napoli, se però l' Austria non ha progetti offensivi ; ciò che non
credo, perchè fin' ora non ha dato segni di vita. Non so quale sarà la condotta di
Garibaldi ; ma se segue la via iniziala ed alla quale cerco di porre un freno, essa sarà
certamente cattiva e bisognerà prendere qualche determinazione. £aso mi scrive che
m' invitava a sciogliere il Ministero e che mi proclamerebbe re d' Italia sul Campidoglio,
dopo che egli avrebbe fugato i Francesi da Roma. Si ricordi, Generale, che
Garibaldi non deve passare il confine del regno di Napoli; così io diedi
parola all' Imperatore.
Fra breve spero di vederla in Ancona e e' intenderemo meglio a viva voce. Ma
credo, che sarò obbligato di andare io stesso a chiedere a Napoli, se si fa l' annessione,
sì o no. Caro Generale, rinnovo a lei ed a tutto l' esercito le mie congratulazioni.
// suo affezionatissimo
VITTORIO EMANUELE
' L' originale non si trova nel mio Archivio.
176 LA POLITICA DEL CONTE DI CAVOUR NEL 1860
Brano Inedito di Garibaldi sulla spedizione dei Mille, in risposta ad una
pubblicazione del colonnello Frapolli {Dall' autografo).
E ormai noto, che si volle rivoluzionare Napoli prima del mio arrivo in quella
Capitale e che perciò si spesero ingenti somme e s'inviò nel mezzogiorno tutto quanto
la setta aveva di piìi emmente nel militare e nel civile. // principale motivo di tante
mene era quello di togliermi le redini delle cose e così poter dire, che di noi più non
si abbisognava !
Tutti sanno quanto si adoperavano gli agenti della setta, e nelle Capitali e nelle
Provincie, per dissuadere i volontari dall' arruolarsi e dal raggiungerci, proibendone
r imbarco nell' Italia settentrionale.
Tutti sanno, che per due volte, prima della battaglia del Volturno, io fui obbli-
gato di allontanarmi dall' esercito in presenza di un nemico ancora potente, per andare
la prima volta a Palermo a placare il popolo, che avevano suscitato col grido : « Vogliamo
l'annessione! ». La seconda a Napoli, dove facevano gridare per le strade: « Morte
a Mazzini », mentre il povero popolo non sapeva, se Mazzini si trovasse a Napoli.
Delusa nelle sue speranze di fermarci cogli intrighi e la corruzione, la setta spa-
ventò il mondo diplomatico e gridò a tutta gola: « Non li vedete? Nulla può arrestarli!
Già sono sulla via di Roma, di Venezia, di Vienna, i rivoluzionari ! >> e cosi poterono
gli eroi del colonnello Frapolli muovere 1' esercito contro di noi : gì' Italiani ad una
guerra fratricida. {Documenti diplomatici di quell'epoca, firmati da Farini).
Demenza, stoltezza, scelleraggine della setta, che se avesse invece avuto un po'di
vergogna di veder schiava la terra nativa, avrebbe potuto chiedere l' esercito per la
occupazione delle Marche e dell' Umbria ; ritirare quella nuvola di agenti provocatori, che
offuscavano ed appestavano l' Italia meridionale ; permettere ai volontari di tutta la penisola
di raggiungerci ed aiutarci con mezzi materiali. L' Italia era fatta certamente allora !
Perchè, non vengano a canzonarci i teorici, col pretesto delle fortezze ! 11 modo con cui
noi sappiamo farle cadere non lo conoscono loro ; e prova ne siano i forti di Castellamare,
di Milazzo etc; quest'ultimo, padroni come erano i Borbonici del mare, formidabilissimo.
// pretesto della Francia era pure vano ed il suo Imperatore avrebbe, per certo,
fatto buon viso alla nostra occupazione di Roma, senza esporsi una seconda volta alla
reprobazione del popolo di Parigi. Poi i fatti compiuti etc.
Furono dunque altri i motivi, che arrestarono la rivoluzione del '60 e non quelli
allegati dal sig. Frapolli e compagni, cioè che la rivoluzione non aveva direttori e che
i volontari non avevano capi nei combattimenti. Concludo col dire, che i cenni storici
del signore suddetto altro non sono, che un' alterazione della verità ed una calunnia.
Fu più legale la spedizione di Sicilia nel 1860 di quella di Roma nel 1867 ?
(Dall'autografo di Garibaldi inedito).
Assai meno legale fu la prima non avendo io in Sicilia, allora, veruna rappresen-
tanza, all' infuori del diritto e del dovere di propugnare la causa degli schiavi a cui
-««asoBODsai»-
Lettera autografa di Garibaldi all'ammiraglio Persano, 15 giugno 1860,
relativa al luogo dove la spedizione Medici doveva sbarcare. (Vedi pag. 182).
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Giacomo Medici scrive a Garibaldi di essere giunto a Castellamare. il 17 giugno 1860.
(Vedi pag. 183).
L-UOMO DI STATO E LEROE 177
ho consacralo V intera mia vita. Invece, più del diritto suddetto, esiste per me quello
della rappresentanza legale. Poiché niuno più ignora oggi, che io sono mandatario del
popolo romano sotto il titolo di Generale romano con pieni poteri, costituiti dal Governo
proclamato dal suffragio universale.
La differenza sola, che esiste tra la spedizione del '60 e quella del '67 si è, che
la prima fu felice ed il Governo se ne pappò il prodotto di alcune ricche foglie del
carciofo, frutto del sangue di molti generosi italiani. Mentre, non essendo felice questa
ultima, il Governo si fa vilmente accusatore nostro per compiacere alla libidine di domi-
nazione di un dispregevole tiranno.
Ognuno sa, che anche nella spedizione del '60 il Buonaparte tentò di gettare il
suo veto, e che, ligio agli ordini suoi, questo Governo gettò nella bilancia contro di
noi, anche a rischio di una guerra fratricida, che il buon senso ed il patriottismo nostro
seppero evitare. (Nota del Farini a Buonaparte: « Andiamo a combattere la rivoluzione
personificata in Garibaldi »).
Nel '60 una squadra Italiana perseguì la spedizione e questa ebbe la fortuna di
non essere incontrata. Nello stretto di Messina erano pronti i vascelli francesi per impe-
dire il passaggio ed una nota dell' Inghilterra, con allora un Ministro energico, impose
il non intervento al 2 dicembre. Fu dunque la spedizione del '60 contrariata dal Governo
Italiano e dall' Imperatore menzogna, come questa ; con la differenza ripeto, che quella
fu felice, con grossissima preda appropriata da questo Governo senza fatica e pericolo.
Mi si vorrà imputare di avere agitato il paese e non lo niego ; quella fu la mia
missione di tutta la vita, cioè accennare al paese i suoi doveri ed i suoi diritti, e dal
'48, in cui ebbi la fortuna di direttamente lavorare per il mio paese sino ad oggi, io
credo non essermi smentito.
Discussioni in Parlamento relative alla Sicilia mi hanno messo nell' obbligo
di fare di ragione pubblica le seguenti verità, senza entrare nei meriti
del barattiere di Nizza. {Dall' autografo di Garibaldi, inedito).
1 Mille contavano per la spedizione, su 20 mila fra fucili e carabine in buono stato,
che si trovavano a Milano ed altrove, appartenenti al « Milione di fucili », cioè agli
slessi « Mille ». E Dio sa ! quanto sarebbero stati utili ai Siciliani in quell* epoca !
// Governo di Cavour non volle permettere, che si toccasse una sola di quelle armi
e ci fece dare, quando si accorse che era arduo attraversare la via a chi voleva dividere
le gloriose pugne siciliane, mille fucili suoi, che credo non esagerare asserendo, che su
dieci, nove non prendevano fuoco (vorrei vedere, chi impedirà agli italiani di aiutare i
romani e / veneti, il d) in cui quei poveri schiavi meneranno le mani contro i loro tiranni).
Nel combattimento di Palermo, trovandosi gl'italiani esausti di cartuccie, ed essendo
conoscente mio il Comandante del legno sardo da guerra, stazionato nel porto, mandai
un decente giovane palermitano, Alessandro, per chiedere un po' di polvere. Ales-
sandro tornò, credo, un giorno dopo, per esservi molto pericolo, e mi disse : « Sono
slato a bordo del legno sardo, ho presentato al Comandante il vostro biglietto ed egli
mi ha caccialo da bordo dicendomi: Voi potete essere una spia ».
CURÀTULO 12
CAPITOLO IX.
LA SPEDIZIONE DI GIACOMO MEDICI.
CARTEGGIO FRA L'AMMIRAGLIO PERSANO E GARIBALDI.
Se nessun valido aiuto fu dato dal Governo piemontese, personificato nel conte
di Cavour, alla partenza dei Mille da Quarto, lo stesso non può dirsi dopo
che la spedizione era felicemente sbarcata in Marsala.
Cavour, pur continuando a diffidare di Garibaldi, si diede ad aiutarlo,
prima fornendo di armi e cartuccia la piccola spedizione di Carmelo Agnetta,
partita da Genova la notte del 25 maggio; poi, dopo le vittorie di Calatafimi
e di Palermo, per mezzo della flotta comandata dall' ammiraglio di Persano,
il quale il 6 giugno gettava l'ancora nel porto di Palermo e protesse la spedi-
zione comandata da Giacomo Medici.
E intorno a questa spedizione, che si riferiscono i documenti inediti che
qui trascrivo dagli autografi e consistenti in cinque lettere di Medici a Gari-
baldi, tredici del Persano al dittatore, una di Garibaldi all' ammiraglio. Delle
lettere del Medici, una soltanto, quella del 1 2 giugno fu dal Persano pubbli-
cata nel suo Diario, ma non conforme all' originale.
Non è del resto, come avremo occasione di vedere, questo il solo docu-
mento, che r ammiraglio pubblicò non perfettamente conforme all' autografo.
Giacomo Medici a Garibaldi.
Cagliari, 12 giugno 1860.
Caro Garibaldi,
Sono giunto stamane in rada di Cagliari con due battelli a vapore carichi ; aspetto
stanotte altro vapore carico da Livorno con Malenchini ed un Klipper americano a
rimorchio. Domani notte saremo, spero, tutti riuniti in flottiglia ; ma quanto a direzione
180 LA SPEDIZIONE DI GIACOMO MEDICI
non so dove, ne come ; aspetto notizie ed istruzioni, a norma di quanto ti scrissi pre-
cedentemente. Scrivimi con mezzo di bastimenti da guerra sardi.
A rivederci presto.
Tuo aff.mo
Totale spedizione: ^ medici
3500 uomini
8000 fucili
400 mila cartuccia
A tergo della lettera, di carattere del Persane, si legge quanto segue :
« Autografo di Medici al generale Garibaldi; gli notifica il suo arrivo a
Cagliari con 3500 uomini ».
Le altre quattro lettere di Medici sono completamente inedite ; due di
esse furono da Garibaldi comunicate al Persane.
Rada di Cagliari, 14 giugno '60.
Caro Garibaldi,
Questa è la terza e sarà l' ultima lettera, che da qui ti scrivo. Spero stasera ricevere
tue notizie ed istruzioni ; aspetterò fino domani a mezzogiorno, e poi mi metterò in marcia,
seguendo la rotta descritta nei!' accluso piano, del quale mando copia anche al conte
Persane.
Siccome poi i miei vapori figurano di proprietà americana, portiamo bandiera
americana, ed è con noi il capitano americano De Rohan, che figura essere il proprie-
tario. Questi ha stimato bene di rivolgersi direttamente al Comandante dell' " Iroquois ,,,
che si trova a Palermo, informandolo della rotta, che si terrà ; senza però dire il vero
scopo nostro e tutto nella lusinga, che detta nave da guerra americana si decida ad
incrociare per incontrarci ed all'occorrenza proteggere la nostra bandiera. Siccome è
probabile, che tu sia in buoni rapporti col comandante dell'" Iroquois ,,, potresti forse
deciderlo in favor nostro.
Sono in pena pel ritardo della nave americana partita da 5 giorni da Genova
con 1200 uomini rimorchiata da un vaporino, e non se ne ha alcuna nuova.
Sono indeciso, se dirigermi a Marsala, oppure addirittura in Palermo : inclino però,
per quest'ultimo partito, se non ricevo, entro 24 ore, notizie sulle quali basarmi meglio;
ad ogni modo partirò coi tre vapori, che stasera avrò pronti di tutto, come pure gli
uomini organizzati ed armati a combattere. Tanto per tua norma.
Tuo aff.mo
MEDICI
P. S. - Tu riderai di vedermi così imbrogliato in queste cose di mare, e di più
tormentato sempre dal mal di mare.
CARTEGGIO FRA LAMMIRAGLIO PERSANO E GARIBALDI
181
A tergo della lettera, di mano del Persane è scritto : « Medici al
generale Garibaldi e da questi a me mandata, perchè sapessi i movimenti del
Medici e potessi proteggerli ».
Caro Garibaldi,
Cagliari, 14 giugno '60.
Dopo scritta l' altra mia, che riceverai con questa, ho calcolato che se io partissi
dimani sarebbe forse troppo presto, perchè tu avessi tempo, dopo ricevuta la presente,
di combinare il modo di proteggere la spedizione. Per cui, senza trascurare di fare
quanto più potrai, come se io partissi dimani, disponi le cose anche come se partissi
dopo domani (tempo e mare permettendo). Ma io confido, che stanotte giungerà qualche
vapore da Palermo con notizie ed istruzioni, che mi tolgano da tanta incertezza. Addio.
Tuo aff.mo
MEDICI
P. S. - II punto di San Vito, mi pare conveniente, come anche quello di Sfer-
racavallo ; ma ci vorrebbe, in ogni caso, qualche bastimento da guerra nostro o americano,
che ci fiancheggiasse.
Intanto da Trapani, saputosi prossimo l' arrivo di altri volontari, si stava
in guardia. Il Governatore di quel Distretto, il giorno 1 3, scriveva a Garibaldi
il seguente foglio :
SEGRETERIA
del
GO\'FJ^NATORE DEL DISTRETTO
DI TRAPANI
Trapani, 13 giugno 1860.
Signor Dittatore,
Stamane si è presentata una corvetta a vapore napolitana nelle nostre acque,
venendo da maestro ; passò al di qua di queste Isole Formiche, arrivò innanzi Marsala,
e voltando di nuovo per maestro, passò fuori Favignana colla rotta verso Maretimo ;
quindi si è messa in crociera dietro lo stesso.
Sembra avere di mira di opporsi ad un possibile sbarco di italiani, lo perciò, ho
spedito una barchetta armata a vele ed a remi con persona di fiducia, cui ho dato il
santo, che la spedizione di Genova fosse per arrivare ed uscir fuori a vedere, se possa
avvisare i nostri delle mosse della succennata corvetta. Nel mentre ho fatto abbassare
la bandiera tricolore, che sventolava sopra il Castello di S. Caterina, e che era il con-
182 LA SPEDIZIONE DI GIACOMO MEDICI
venuto segno della sicura entrata in questa o in Marsala. Però, ho lasciato quella della
Colombaia e l'altra di Marsala per indicare, che in terra trovano sicurezza.
Serva ciò di sua intelligenza.
// Governatore
Al signor Generale G. Garibaldi GIROLAMO B. ADt^GNA
Dittatore in Sicilia.
Per seguire l' ordine cronologico, trascrivo ora la lettera diretta da Gari-
baldi a Persano.
Quest' ultimo nel Diario scrive : « La partenza del Medici da Cagliari
entr' oggi stesso, mi determina a segnalare senz'altro al " Carlo Alberto ,, ed
alla " Gulnara ,, di tenersi pronti a muovere da queste acque al primo segnale,
ed ai comandanti loro di venire a bordo a prendere le istruzioni, concernenti
la missione che devono adempiere. Significo intanto, al generale Garibaldi questa
mia risoluzione, e l' ordine che sarà dato ai regi legni di scortare la spedi-
zione Medici a salvamento, venendo anche a partiti estremi, occorrendo. 11 Gene-
rale mi risponde la seguerìte lettera autografa »:'
Ammiraglio,
Mi avete proprio data una cara notizia, e ve ne attesto la mia viva gratitudine.
Sotto r egida vostra potente vivo tranquillo. Credo anch' io come voi, che sarà meglio
che la flottiglia venga direttamente qui. Significo quindi al Medici d' entrare addirit-
tura nel piccolo porto, ove 1' aspetterò. Con affetto
G. GARIBALDI
La lettera autografa di Garibaldi invece, dice fedelmente così :
Garibaldi all' Ammiraglio Persano ( Vedi facsimile).
COMANDO GENERALE
DELL'ESERCITO NAZIONALE Palermo, 15 giugno 1860.
Ammiraglio,
M' avete proprio dato una cara notizia e ve ne sono tanto riconoscente. Sotto
r egida vostra potente io credo anche che sarà meglio, che Medici venga qui con
' C. di Persano - Diario etc, pag. 45.
CARTEGGIO FRA L'AMMIRAGLIO PERSANO E GARIBALDI 183
tutta la flottiglia e che entri addirittura nel porto piccolo — cioè, nella calla a levante
del castello — attaccando la parte orientale della calla. Io lo aspetterò dunque, in
detto punto, preparato, se a caso per proteggerlo. Con affetto
Vostro
G. GARIBALDI
P. S. - Ricevo la vostra seconda lettera : coli' " Authion ,, mandavo (a dire) a
Medici di venire nel golfo di Castellamare. Ditemi allora, se lo devo aspettare in questo
porto o in quel golfo.
Vostro sempre
Ammiraglio Persona
Comandante in capo la Squadra Italiana.
A tergo della lettera, anche di mano di Garibaldi, sta scritto :
Medici nella sua lettera mi parla di Marsala e sarebbe male che prendesse quella
direzione per motivo della Corvetta napolitana sul Maretimo. In ogni modo, io sono
tranquillo quando voi, Ammiraglio, volete essere tanto buono d' impegnarvi in questa
faccenda.
Vostro sempre
La spedizione Medici arrivava in Sicilia precisamente il 1 7 giugno notte.
Essa componevasi dei vapori " Washington ,, , " Franklin ,, ed " Oregon ,,.
Medici era sul " Washington ,, e Malenchini sul " Franklin „.
I particolari' dello sbarco del Medici, avvenuto a Castellamare, si rilevano
dalle seguenti lettere. Malenchini imbarcato sul " Franklin „ sbarcava, presso
Castellamare, a Favarotta, nel luogo detto Trappeto.
Giacomo Medici a Garibaldi {Vedi facsimile).
Castellamare, 1 7 notte, giugno *60.
Caro Garibaldi,
Eccomi giunto a Castellamare, punto scelto dietro consiglio del Comandante la
" Gulnara „ venuto al mio incontro. Il " Franklin „ con Malenchini e i Toscani furono
in tempo avvisati e sbarcarono a Favarotta.
Quando mi giunse 1' avviso di Bixio la mia gente era già a terra stanca, e pensai
bene lasciarla rinfrescare. Quanto alle armi e munizioni le sto scaricando e le avvierò
184 LA SPEDIZIONE DI GIACOMO MEDICI
per Alcamo e Palermo : sarà la strada che terrò anch' io, partendo dimani verso sera ;
a meno che tu non disponga altrimenti.
Scusa la brevità di un uomo stanco e male in salute.
Tuo affezionatissimo
MEDICI
P. S. - Sono inquieto sulla sorte del reggimento Corte imbarcato sulla nave ame-
ricana rimorchiata dall' " Utile „ , del quale non si sa cosa sia avvenuto.
Castellamare, 18 giugno 1860.
Caro Garibaldi,
Partirò stasera alle sei ; sarò ad Alcamo alle 9, seurò a Partinico alle 3 a.m. domani.
Da Partinico, insieme colla gente di Malenchini, partirò domani sera per giungere a
Palermo posdomani all' alba : tanto pel tuo avviso e pel caso tu avessi ordini diversi
a darmi.
Sono a piedi : se mi facesti trovare, almeno a Partinico, uno dei tuoi cavalli, anzi
tre o quattro, perchè anche Malenchini, Simonetta e Carissimi sono con me, sarebbe
un aiuto ; quantunque dopo essere stato in mare, anche le lunghe marcie a piedi mi
sembreranno tanto zucchero.
Bada, che se si presentano a te ufHciali stranieri avventurieri, senza una mia racco-
mandazione, non prendere impegni di sorta con loro. Ti assicuro, che la gioventù, che
porlo meco è tale da dare i migliori soldati, come i migliori ufficiali e tutto per devo-
zione a te ed alla causa nostra. Addio, caro Garibaldi.
Tutto tuo affezionatissimo
MEDICI
P. S. - Saluta Bixio. Ho ricevuto la sua lettera ; i vapori partiranno per Trapani
a tua disposizione.
Ulteriori notizie sullo sbarco della spedizione Medici si hanno dalle due lettere
dirette a Garibaldi da Felice Orrigoni, un grande amico del Generale e che coman-
dava il " Franklin „. Da una di esse si rileva anche l'aiuto che aveva dato
a questa spedizione il Console americano di Genova.
Felice Orrigoni a Garibaldi.
Di Bordo del " Ben. Franklin „ , 17 giugno *60.
Caro Garibaldi,
Sono a bordo del " Franklin „ , e se non ho tuoi ordini in contrario, riparto inune-
diatamente per Cagliari per carbone ; indi per Genova per armi ed armati. Se non ho
CARTEGGIO FRA L'AMMIRAGLIO PERSANO E GARIBALDI 185
ii piacere di abbracciarti, riceverai le qui accluse carte, che ti riguardano per favore
del comune amico Malenchini.
Saprai, che siamo tutti con bandiera americana, e che le bandiere sono coperte
da Mr. De Rohan, antico amico tuo, che ti diede una sciabola in Gibilterra ; l' altra
da Mr. Nevens, amico e segretario del Console, che viene come presta-nome, a sue
spese e pericolo ; 1' ultima da me. Dovresti per riconoscenza, anzi gratitudine, dirigere
prima al Console americano Mr. L. Patterson in Genova, che ha fatto per noi tutto
quanto potè, giocando la sua posizione, nonché agli altri soprannominati, due parole
autografe di ringraziamento, che a mio giudizio, ed a detta loro, è l' unica ricompensa
cui agognino.
Vidi Lombardi a Cagliari, e con mille cose per te m' informò, che Menegolo, di
lui fratello, volle assolutamente venire con te. Egli è un eccellente ufficiale telegrafico,
e potrebbe servirti in simile capacità con una fedeltà e segretezza incomparabile. Scrivi
dunque, due righe in Sassari a Vincenzo, aggiungendovi due righe di permesso per
imbarcarsi su qualche piroscafo regio per recarsi in Sicilia. Addio, sta sano, salutami
Menotti e gli amici; a rivederci fra poco per mettermi a tua disposizione.
FELICE ORRIGONl
P. S. - Ti raccomando il figlio dell' amico Adamoli di Varese, che venne col
Vaporino. Tutti i particolari del viaggio li saprai da Malenchini. Addio.
Trapani, 18 giugno 1860.
Caro Garibaldi,
Sono in Trapani a tua disposizione col " Ben. Franklin „, e ti spedisco oggi stesso,
col mezzo il più celere, tutto il resto dell'armamento, che non potei sbarcare senza
troppo pericolo pel Vapore, essendo già le otto del mattino quando salpai. Bixio ti
avrà narrato la causa di questo ritardo, che occorse mentre eravamo fermi nella cabina
per aspettare una sua lettera per Medici. Bisogna, che pensi a farmi avere subito
un' altra ancora ed una catena di 6 o 7 lunghezze, e 3 inches and 6/8 of an inch,
icitfi an anchor in proporiion.
Saprai a quest' ora, che capitan Lavarello, senza dirne il perchè, e senza che io
Io potessi indovinare, lasciò il bastimento ; sono dunque solo con Gattorno, capitano
in 2°. Sono però, sempre disposto a servirti in tutto e per tutto, ed in qualsiasi modo.
Nella speranza di presto abbracciarti sono
Tutto tuo
FELICE ORRIGONl
P. S. - Ti spedisco quanto segue :
Casse fucili 64
Fiaschette, vestiario, buffetterie; colli 68
Fucili sciolti 144
186 LA SPEDIZIONE DI GIACOMO MEDICI
Carabine Enfield 40
Casse cartuccie 2
Cappotti 44
Ti avverto, che appena giunto mi sono valso del sig. Agostino Bulgarella e la
roba è già partita prima di ricevere la cara tua da Alcamo.
Tutto tuo
FELICE ORRIGONl
*
* *
Della spedizione Medici doveva far parte anche Clemente Corte. Partito
con i suoi da Cornigliano 1' 8 giugno su di alcune barcacce, il Corte aveva
raggiunto in alto mare il klipper americano " Charles and Jane „ , al comando
del capitano Wathson, che, a rimorchio del vaporino " Utile ,,, doveva raggiungere
il Medici a Cagliari. Ma, nella traversata, i due legni furono catturati dalle fregate
napolitane " Fulminante ,, e " Fieramosca ,, e rimorchiati a Gaeta vi rimasero
fino al 30 giugno, venendo rilasciati per intercessione del Governo americano.
Fu solo allora, che il Corte con i suoi potè raggiungere Garibaldi.
Trascrivo ora, anch' esse dagli originali, le lettere inedite del Persano a
Garibaldi, riferentisi alla spedizione Medici. Farò seguire a qualcuna di esse un
breve commento per maggiore intelligenza del lettore.
L* ammiraglio di Persano a Garibaldi.
GABINETTO PARTICOLARE
DEL CONTR" AMMIRAGLIO
COMANDANTE LA SQUADRA ^'^'^' '^ 8'"g"o '860.
Caro Generale,
I vostri desideri sono ordini per me, quindi 1' " Authion ,, toccherà Cagliari nella
sua andata a Genova.
Partirà domani sera. Con ammirazione ed affetto
Vostro affezionatissimo
C. DI PERSANO
P. S. - Questa sera, dopo la mezzanotte, partirà il " Governolo „ per Messina
a tutela dei R. sudditi.
CARTEGGIO FRA L'AMMIRAGLIO PERSANO E GARIBALDI 187
Questa lettera è in risposta ad una direttagli da Garibaldi, in cui lo pregava
di far passare il comandante Piola per Cagliari, onde consegnare una lettera al
Medici. '
GABINETTO PARTICOLARE
DEL CONTR" AMMIRAGLIO
COMANDANTE LA SQUADRA Addì 15 giugno 1860.
Il Comandante dell' " Ichnusa „ dice, che Medici non partirà più il 15, cioè oggi;
ma che partirà domani, istruitemi in conseguenza. Il ritardo darebbe loro tempo di
ricevere la vostra lettera, mandata coli' " Authion ,, .
Tulio vosiro
C. DI PERSANO
GABINETTO PARTICOLARE
DEL CONTR' AMMIRAGLIO
COMANDANTE LA SQUADRA Palermo. 15 giugno 1860.
Caro Generale,
Ho bisogno di sapere, se Medici è partito oggi o se partirà domani, onde man-
dargli incontro. Medici mi scrive oggi. 11 comandante dell* " Ichnusa ,, mi assicura, che
hanno scritto a voi che partirà domani ; avendo cambiata idea schiaritemi su cotal punto.
// Valentini, mandato per assassinarvi, è ritornalo ieri sera a nuoto a bordo della
fregala napoletana " Partenope „ , vestilo a modo dei vostri. Egli rapportò che venne
da voi, che vi baciò la mano, che si disse diseriore di altro corpo che non di marina,
e che trovandosi che altri disertori del corpo, che nominò, erano pronti a provare, che
egli non vi apparteneva, temendo di essere conosciuto, si diede a gambe per salvarsi.
Ciò che preme ora è il Medici ; sapere se ha lasciato Cagliari oggi, o se la
lascierà domani.
Con affetto vostro
C. DI PERSANO
Di quel tale Valentini, di cui si fa menzione nella lettera del Persane e che
era stato mandato da Napoli per assassinare Garibaldi avrò occasione di parlare
a lungo nel Capitolo X.
' C. di Persane - Diario, etc, pag. 41.
188 LA SPEDIZIONE DI GIACOMO MEDICI
GABINETTO PARTICOLARE
DEL CONTR" AMMIRAGLIO
COMANDANTE LA SQUADRA ^^^' '^ giugno 1860.
Caro Generale,
Mando r " Ichnusa „ ad incontrare Medici, partito oggi 15 alle ore 11 antimeri-
diane da Cagliari. Ditemi, se può venir qui direttamente ; anzi segnatemi ciò che deve
fare, ed io glielo farò dire. Aocenga che puh.
Tutta la flottiglia era riunita a Cagliari, 1' " Utile,, compreso, ed il " Klipper „ a vela.
Di fretta, ma con cuore
Vostro affezionatissimo
C. DI PERSANO
GABINETTO PARTICOLARE
DEL CONTR" AMMIRAGLIO
COMANDANTE LA SQUADRA Palermo, 16 giugno, mattina.
Caro Generale,
Penso sia meglio il golfo di Castellamare, che non Palermo. Scrivo quindi al colon-
nello Medici pel primo. Lo sbarcare qui potrebbe dar luogo a pretesti, per non resti-
tuire gli ostaggi.
Se volete altrimenti, ho ancora tempo, perchè aspetto la vostra risposta prima di
spedir fuori la " Gulnara ,, . Così sarà il terzo Vapore che mando, onde dare infor-
mazioni e non farne mancare a Medici. Non vorrei però, vi fosse Mazzini. Speriamo
che no.
Tutto vostro
C. DI PERSANO
Gli ostaggi di cui si parla erano i sette gentiluomini palermitani, fatti pri-
gionieri il 7 aprile e che, come si disse nel Gap. VI, erano stati rinchiusi nel
forte di Gastellamare.
GABINETTO PARTICOLARE
DEL CONTR- AMMIRAGLIO _,i 1 1 • iQ/r>
raiermo, 1/ giugno lo6U.
COMANDANTE LA SQUADRA
Caro Generale,
Il " Carlo Alberto „ arrivato in questo momento, rapporta che non ha trovalo
nessun incrociatore napoletano, ne al Maretimo, ne a Trapani, ne a Marsala.
CARTEGGIO FRA L'AMMIRAGLIO PERSANO E GARIBALDI
169
Si può quindi credere, quasi con certezza, che la spedizione non corre nessun
pericolo.
Le notizie date dal Console di colà non si devono attribuire, che ad un eccesso
di zelo. Con affetto
// Contr' Ammiraglio comandante la Squadra
Al prode generale Garibaldi C. DI PERSANO
Dittatore in Sicilia
per V. Emanuele II, re d'Italia
Palermo.
R. DIVISIONE NAVALE SARDA
Palermo, 18 giugno 1860.
I ora aniimeridiana.
Caro Generale,
Arriva in questo momento la " Gulnara ,,.
E fortuna che l'abbiamo mandata ad incontrare la spedizione, perchè essa abbi-
sognava di guida. La " Gulnara „ servì di esploratore.
Alle 8 di stasera entrarono a buon termine nel golfo di Castellamare ; ma il
Klipper ,, e 1'" Utile „ non erano arrivati a Cagliari; il che non so spiegarmi dopo
la nota, che abbiamo avuta da Medici, in cui si segnava come faciente parte del con-
voglio. Ma così è. Pazienza. Speriamo ancora. Medici intanto e tre dei suoi legni
sono in salvo. Mazzini non è con loro.
Dio protegge l' Italia !
Tutto vostro, con quel cuore che mi sapete
Il Contr' Ammiraglio
C. DI Pt-RSANO
P. S. - Nel pomeriggio di oggi spedisco la " Gulnara „ a Cagliari per incon-
trarvi e rimettere la corrispondenza al corriere, che parte mercoledì per Genova. Cosi,
se voleste qualche cosa per quelle parti, bisognerebbe che mi faceste tenere le vostre
commissioni a bordo, prima di mezzogiorno od a mezzodì più tardi.
GABINETTO PARTICOLARE
DEL CONTR' AMMIRAGLIO
COMANDANTE LA SQUADRA
20 giugno 1860.
Caro Generale,
Il ministro Farini mi scrive di dire che Montecchi è a Londra, « et quc si le
goutìernement de Sicile voulait profiter de lui, il serait en état de pouvoir procurer des
batiments de guerre avec cannons perfectionnés. Qu'on repond par télégraph ».
190 LA SPEDIZIONE DI GIACOMO MEDICI
Aspetto quindi, che vogliate dirmi in conseguenza, giacche mando un piroscafo
a CagHari questa sera alle ore 9.
Tutto vostro, con quel cuore che mi sapete
Aff.mo
C. DI PERSANO
GABINETTO PARTICOLARE
DEL CONTR- AMMIRAGLIO . , ,. __ , . ,_
Addi 22, 1860.
COMANDANTE LA SQUADRA
Generale,
La " Gulnara ,, ha scortato il vapore il " Veloce ,, nel golfo di Castellamare
con 80 passeggeri. Nove persone furono sbarcate dalla " Gulnara ,, di cui vi acchiudo
i nomi. Tenetemi sempre col massimo affetto
Tutto vostro
C. DI PERSANO
Palermo, addì 22 giugno 1860.
Mio caro Generale,
Ricevo r invito che vi unisco, ma mi pare strano che mi venga dal Console, essendo
la persona di cui si tratta mandata per ordine vostro. Sono in dubbio ; quindi oso
disturbarvi col domandarvene prima di accordare il passaggio chiestomi. Vostro del
miglior cuore e colla massima venerazione.
C. DI PERSANO
Ignoro a che cosa alluda il Persano in questa lettera , ne mi fu dato
trarne notizia dal suo Diario.
Palermo, addi 24 giugno 1860.
Generale,
Sarà fatto quanto mi domandate pel vapore " Veloce „.
Con affetto Sempre vostro
C. DI PERSANO
Qui si parla della richiesta da parte di Garibaldi di fare scortare da Cagliari
a Palermo il capitano marittimo Giuseppe Faggioni, che doveva portare dei
volontari.'
' C. di Persano - Diario, etc, pag. 55.
CARTEGGIO FRA L'AMMIRAGLIO PERSANO E GARIBALDI 191
Addi 25 giugno 1860.
Generale,
Le diserzioni della squadra, per incitamento dei vostri, vanno dichiarandosi
ogni giorno.
Questa cosa è assolutamente antitaliana, e mi accora non poco il vedere, che
mentre io mi adopero tutto per voi, a mio rischio, mi si venga a bordo a sedurre la
mia gente e tentare alla disciplina.
Sono sicuro, Generale, che voi non ne avete conoscenza : ricorro quindi franca-
mente alla vostra lealtà per avermi restituiti i mancanti, che so positivamente arruolati
nelle file delle vostre truppe, senza che possa sapere in quale. Dobbiamo tutti com-
battere per la stessa causa ; perchè dunque togliermi uomini, che servono allo stesso
oggetto ?
Ho proibito, con dispiacere, 1* entrata a bordo di ognuno di terra ; vedete a che
sono ridotto, comparire inurbano ; e Dio sa se lo sono !
Vengono pure da me ogni giorno dei vostri a chiedermi passaggio per Genova,
disertando la nostra bandiera ; e non solo ebbero rifiuto, ma furono rimproverati per
il loro passo.
Perdonate la mia franchezza e tenetemi sempre con vero affetto
Tutto Vostro
C. DI PERSANO
Anche questa lettera, che il Persane dice essere rimasta senza risposta
fu da lui pubblicata, come al solito, differente dall' originale.
GABINETTO PARTICOLARE
DEL CONTR" AMMIRAGLIO .,,^^, ,. .„.^
Addi 22 luglio 1860.
COMANDANTE LA SQUADRA
Carissirrìo Generale,
Vi mando la lettera che ricevo da La Farina. Egli non sa, ne poteva supporre,
che io ve 1' avrei mostrata. Io non lo conosco, se non dacché mi fu presen-
tato a Cagliari. Sentitelo, e per il bene d'Italia cessi ogni freddura; oso
supplicarvene. Vostro ad ogni prova.
C. DI PERSANO
Il Persane nel Diario parla della lettera ricevuta da La Farina, scrit-
tagli nel momento in cui questi stava per essere espulso, e soggiunge : « Peccato
invero, che un così capace, onesto e leale uomo non possa andare
192 LA SPEDIZIONE DI GIACOMO MEDICI
ai versi del Generale Dittatore! Devono essere pur cattivi quelli
che ne sono la causa ». Mentre adunque egli nel Diario, pubblicato nove
anni dopo la spedizione, scrive cosi sul conto di La Farina, a Garibaldi, nel 60,
nella lettera sopi a trascritta ( vedi facsimile ) aveva scritto : « Io non lo conosco,
se non dacché mi fu presentato a Cagliari ».
*
* *
Dopo r arrivo della spedizione Medici, Garibaldi si aspettava la terza,
quella capitanata dal Cosenz, nonché i volontari partiti da Livorno ; onde così
procedere alla liberazione del resto dell' isola. In data del 22 giugno, egli scriveva
le seguenti istruzioni segrete ai comandanti De Rohan e Traffìletti. 11 De Rohan
veniva poi raccomandato dallo stesso Garibaldi, con lettera del 1 8 maggio 1861,
al conte di Cavour ed a S. M. per i servizi resi nella campagna di Sicilia.
Garibaldi al comandante De Rohan. (Vedi facsimile).
Palermo, 22 giugno '60.
Istruzioni segrete al comandante de Rohan,
Il comandante de Rohan prenderà il comando dei " Washington „ , lo preparerà
con tutto il necessario, per mettersi in viaggio al più presto possibile. La sua desti-
nazione sarà per Genova, ove imbarcare gente per condurla in Palermo.
Essendo pronto alla partenza, egli passerà al mio Quartier Generale per rice-
vere ulteriori istruzioni.
In tutto ciò che riguarda la sua missione, egli ha pieni poteri. 11 maggiore Sic-
coli è incaricato di provvederlo del carico.
G. GARIBALDI
Garibaldi al comandante Traffìletti.
COMANDO GENERALE
DELL- ESERCITO NAZIONALE Palermo, 22 giugno '60.
Istruzioni segrete al comandante Traffìletti,
Il comandante Traffìletti prenderà il comando dell'" Oregon „, lo preparerà con
tutto il necessario per mettersi in viaggio al più presto possibile.
' Vedi la pubblicazione fatla dal « Comitato Piemontese per la storia del Risorgimento
Italiano» nel primo centenario della nascila di Camillo Cavour. Torino 1910, pag. 31.
GABINrJTO PARTICOLARK
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COMANDANTE LA SQUADRA
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Lettera dell'ammiraglio Persane a Garibaldi riguardante La Farina.
(Vedi pag. 191).
Istruzioni segrete autograie di Garibaldi al comandante De Rohan. (Vedi pag. 192).
CARTEGGIO FRA L'AMMIRAGLIO PERSANO E GARIBALDI
193
La sua destinazione sarà per Livorno, ove imbarcherà gente per condurla in
Sicilia. Essendo pronto alla partenza, egli passerà al mio Quartiere Generale per rice-
vere ulteriori istruzioni.
In tutto ciò che riguarda la sua missione, egli ha pieni poteri. Il maggiore Sic-
coli, che va con lui, provvederà per l' imbarco.
L' attività di Garibaldi, in quei giorni, era veramente sovrumana. Le spe-
ranze di liberare completamente l' isola dal Borbone si erano rafforzate per il
nuovo contingente di volontari. Il 28 giugno, egli aveva ricevuto il seguente
dispaccio :
TELEGRAFI SARDI
Stazione di Genova. Ricecimento.
Presentato alla stazione originaria di Parigi il giorno 18 giugno, alle ore pom. 5,56.
Ricevuto il 19 giugno, alle ore ant. 5,15.
TESTO DEL DISPACCIO:
General Garibaldi,
Palerme, poste Génes.
100 mille fusils ootre disposition, je pars. Donnez vos ordres Hotel Malte, Génes.
PERELLI ERCOLINI
E pure di quei giorni la seguente lettera inedita.
II Vice-Governatore dì Brescia a Garibaldi.
GOVERNO
DELLA PROVINCIA DI BRESCIA
Brescia, 14 giugno 1860.
N. 7500/1136
Secondo i desiderii espressi da V. S. 111. ma col foglio p. p. maggio diretto alla
Deputazione di questa provincia, veniva consegnata al signor maggiore Giovanni Ferrari
la somma di lire italiane 90.000 (novantamila), quale prezzo di tre mila fucili da lei
ceduti alla Provincia stessa per uso della Guardia Nazionale, nonché l'altra somma
di lire italiane 8.000 (ottomila), quale introito della sottoscrizione al milione di fucili
da lei medesima proposta.
Trovandosi però, ora in cassa per quest' ultimo titolo, un ulteriore introito di italiane
lire 9234,63, che la Deputazione Provinciale nella seduta di ieri ha dichiarato di met-
CURÀTULO
13
194 LA SPEDIZIONE DI GIACOMO MEDICI
tere a piena disposizione della S. V. 111. ma, così mentre io mi pregio di raggua-
gliamela per sua direzione e norma, starò in attenzione di conoscere il mezzo, che
verrà da lei designato pel versamento dell' indicata somma.
Colgo con vero piacere l' occasione per tributarle, lll.mo signor Generale, i sensi
della speciale mia considerazione.
IL VICE-GOVERNATORE *
Airill.mo signor generale G. Garibaldi
Palermo.
Per comprendere meglio questo documento, bisogna tenere presente la lettera
che il 27 aprile, Depretis, governatore di Brescia, aveva scritto a Garibaldi
pubblicata da Jessie White Mario." Depretis, dopo che la spedizione di Gari-
baldi era partita, si era dimesso da governatore di Brescia ed eletto Deputato
aveva votato contro la cessione di Nizza. Le 98.000 lire di cui si parla
nella lettera a Garibaldi furono poi versate nelle mani di Bertani e figurano
nel Resoconto, da lui fatto, come ricevute dalla Cassa provinciale di Brescia.
I fucili comperati con detta somma per la Guardia nazionale vennero dal Depretis
restituiti a Garibaldi per la rivoluzione. A maggiore intelligenza, giova ripubblicare
la lettera, che allora scriveva il Depretis a Garibaldi :
Caro ed illustre amico.
Mi faccio un dovere di notificarvi, che la Deputazione provinciale di Brescia ha
deliberato quest'oggi di acquistare i tremila fucili, che le furono somministrati dietro
vostro ordine dalla Commissione pel milione di fucili, residente a Milano. Il prezzo,
in ragione di Hre trenta ciascun fucile, verrebbe pagato nel termine di tre mesi o a
voi direttamente, o a persona munita di vostro mandato. La Deputazione provinciale
si farà un dovere di effettuare i pagamenti anche prima della scadenza suddetta nella
misura dei fondi provinciali, che avrà disponibili.
Vi prevengo pure, che la stessa Deputazione provinciale avrebbe deliberato di
mettere a vostra disposizione le somme, che si sono raccolte nella Provincia e furono
versate nella Cassa Provinciale, e queste verrebbero parimenti pagate a chi si pre-
senterà munito di vostro mandato. La somma ora incassata sarebbe di circa ottomila lire.
Di tutto ciò avrete, spero, fra breve termine la notizia ufficiale.
Credetemi qual mi dico, con distinta stima vostro
devotissimo
A. DEPRETIS
' Nel documento la firma è illeggibile.
' Jessie White Mario - A. Bertoni e i suoi tempi, voi. IH, pagg. 38-39.
CARTEGGIO FRA L'AMMIRAGLIO PERSANO E GARIBALDI 195
Quel Giovanni Ferrari di cui si fa menzione nella lettera del Vice-
Governatore ed al quale furono consegnate le lire 98,000 fu un prode bresciano.
Aiutante del generale Giacomo Durando nella difesa di Venezia, capitano nei
bersaglieri lombardi nel 1 849, amico e compagno di Manara, si preparava
ora ad andare in Sicilia a combattere con Garibaldi.
*
* *
Debbo qui spendere qualche parola sulla venuta di Nicola Fabrizi in Sicilia
e sulla formazione del Corpo dei Cacciatori del Faro.
Ricciotti Garibaldi, un giorno, chiese a suo Padre quali degli uomini, che
egli aveva avuto compagni nelle avventurose vicende della sua vita, godettero
tutta la sua ammirazione. Il Generale rispose : « Ricciotti potresti contarli sulla
punta delle dita della mano » ; ma il figlio insistendo, Garibaldi disse : « Francesco
Anzani, Giuseppe Avezzana, Nicola Fabrizi.... ».
Qui Garibaldi si tacque, pensoso : ne volle più continuare.
Nicola Fabrizi è una delle più nobili figure del nostro Risorgimento. Cospi-
ratore e soldato valoroso, mente equilibrata, spirito critico ed equanime, egli ebbe
pari al merito dell' opera compiuta, una grande modestia. Alto, magro, dalla
figura di profeta, dalla barba lunga e folta che ne contornava la faccia, Nicola
Fabrizi anche in tempo di pace parlava sottovoce, come se stesse sempre a
cospirare, mi diceva un giorno Raffaello Giovagnoli. Condannato a morte nel '3 1 ,
perchè complice di Ciro Menotti, chiuse la sua carriera militare come Capo di
Stato Maggiore di Garibaldi alle porte di Roma, nella campagna del '67.
Giuseppe Cesare Abba, che nel 1 860 vide il patriota modenese al Faro,
lo tramandò ai posteri con queste parole : « Vidi Nicola Fabrizi ; una figura
da condottiero biblico. Se quest' uomo fosse comparso m un congresso di re a
domandare giustizia per l' Italia, i re si sarebbero alzati a riverire in lui il
popolo, che può dare un cittadino della sua sorte. Semplice, non mai acci-
gliato, pare che spanda intorno un' aura di benevolenza ; passa e si vorrebbe
mettersi a camminargli dietro, sicuri di andare con lui a buona mèta. Se un
fanciullo gli si abbracciasse alle ginocchia, in un momento che per Fabrizi fosse
di vita o di morte, egli si chinerebbe a carezzarlo. Dai tempi di Ciro Menotti
va innanzi costui ! Ha creduto ; gli è cresciuta la fede ogni dì, non si è mai
volto addietro : gli anni non gli hanno fatto cadere le penne ed ebbe sempre cer-
tezza di vedere il gran giorno d' Italia. Ora che si comincia a sapere, come il
1% LA SPEDIZIONE DI GIACOMO MEDICI
dittatore potè lanciarsi a questa impresa, si sa che Fabrizi da Malta, Crispi
e Bixio in Genova gli hanno messo nella coscienza, che 1' Italia si deve farla
in quest' anno o forse mai più » .
Il Quartiere Generale di Nicola Fabrizi fu sempre il suo luogo d'esilio :
r isola di Malta. Là egli cospirava e si manteneva in continua corrispondenza
col flore dei patriotti di Sicilia e del continente. La sua scrittura, inintelligibile,
era 1' incubo degli amici ed il leggere le sue lettere, scritte nei giorni dell' esilio,
non è lieve fatica per gli studiosi della storia, che hanno occasione di compul-
sare i di lui autografi.
Quando Garibaldi si ritirò su Piana dei Greci mandando l'artiglieria, coman-
data dall' Orsini, verso Corleone per ingannare i Borbonici, inviò contempora-
neamente a Malta, Castiglia e Mustica per avere delle armi da quel comitato,
diretto da Fabrizi e da Giorgio Tamajo. Dopo varie peripezie i due patriotti
siciliani giunsero al destino, e mentre il Mustica ripartiva subito alla volta di
Genova sul vapore il " Quirinale „ , in cerca di altre armi e munizioni, il
Fabrizi, condotto da Salvatore Castiglia, con pochi uomini e 1 500 fucili, il
7 giugno sbarcava a Pozzallo, trovando in quel luogo larghi aiuti, specialmente
per opera del Delegato consolare sardo, il quale aveva scritto il giorno avanti a
Garibaldi la seguente caratteristica lettera.
Il Delegato Consolare Sardo in Pozzallo a Garibaldi.
DELEGAZIONE CONSOLARE
DI SARDEGNA
IN POZZALLO Pozzallo, 6 giugno 1860.
Signor Generale,
Un umile e tenue penna, mossa però da un cuore fervido, che si sente altamente
italiano, e quale rappresentante di quel Re {Dio guardi) grande e glorioso, di cui il
serto viene intrecciato colle magiche parole Montebello, Magenta, Solferino, si rivolge
oggi a Colui, che col proprio sangue, unito a uomini generosi e di sommo valore gli
hanno acquistato il santo diritto di libertà !.... Deh ! Che Ella si degni di accettare i
miei sentiti !.... si pienamente sentiti, voti di gratitudine ; nonché quelli di una popola-
zione intera, che ogni dì, ogni ora non fa che dar libero campo ai moti del suo cuore,
gridando: Viva l'Italia!.... Viva Vittorio Emanuele !.... Viva Garibaldi!....
Mi corre l' obbligo, sì per la carica affidatami, che per essere vero cittadino quale
mi credo, sottometterle che questa mia residenza Consolare è la più vicina all' isola di
CARTEGGIO FRA L'AMMIRAGLIO PERSANO E GARIBALDI 197
Malta, e come tale, molti disbarchi di emigrati e di gente magnanima, che viene in
soccorso della nostra santa causa sonosi avverati, ed in ognuno di essi da me non si
è giammai trascurato di andarvi all' incontro e riceverli con quelli onori, che si con-
veniva, come parimenti si praticò pel signor Castiglia, il quale gliene potrà far fede.
Ugualmente non ho tralasciato di mettere a disposizione della Nazione tutti i legni
della mia casa di commercio, che tiene un traffico attivo con suddetta isola ed ho avuto
la sorte, che se ne sono avvalsi, facendo trasportare emigrati, cannoni, fucili, munizioni,
ed altro. In tale stato di cose mi animo pregarla, anzi supplicarla, che qualora creda
onorarmi di qualche comando, mi farebbe una grazia particolare, una grazia che mi
renderebbe al sommo felice e superbo. Con tale speme e lusinga, ho l'onore di
segnarmi
// delegato consolare di Sardegna
EUGENIO AVITABILE
Sig. Generale G. Garibaldi
Dittatore in
Palermo
Oltre al Console Sardo in Pozzallo, anche quello di Catania si era messo
a disposizione del Generale, inviandogli la seguente nobile lettera.
Il Delegato Consolare Sardo in Catania a Garibaldi.
DELEGAZIONE CONSOLARE
DI SARDKGNA
IN CATANIA Catania, Il giugno 1860.
Ill.mo Signore,
Se la politica del Governo, che ho l'onore qui di rappresentare, non permette
alcuna ingerenza, anzi impone la massima circospezione nei fatti, che nell' isola succe-
dono, pure non posso trattenermi di dirigerle queste brevi righe, onde manifestare, con
tutta r effusione dell' animo, i sensi della mia più alta stima, ammirazione e deferenza
verso di Lei, signor Generale, che animato dal più santo e puro amor di patria, con
coraggio singolare ed unico al mondo, si è accinto a sì ardua impresa, sfidando i più
tremendi pericoli. Ma vi è un Dio, che veglia sui supremi destini delle Nazioni, ed
Egli sorridendo alla fine all' infelice ed oppressa Italia, benedice le di Lei armi e bene-
dirà sino alla fine l' alta meta di ogni italiano !
Come per tutta 1' Isola, come per 1' Europa intera e per tutto il mondo, è pure
qui idolatrato il di Lei nome ; dall' imo all'alto della popolazione si comprende la
santità della causa, e Catania mostrerà sempre di non restare indietro fra le altre sue
italiane sorelle.
198 LA SPEDIZIONE DI GIACOMO MEDICI
Accolga, signor Generale, i miei ardenti voti per la di Lei persona, cotanto
necessaria pel bene della Patria ; disponga di me in tutto quello che possa credermi
utile nella mia pochezza e si degni gradire i sensi della mia profonda stima e consi-
derazione.
// delegalo
ANTONINO GIUSTI
A S. S. Ill.ma
Signor Generale G. Garibaldi
Dittatore in Sicilia
Palermo.
Appena sbarcato, Fabrizi si diresse alla volta di Siracusa e di Messina,
cercando di trarre profitto dell' entusiasmo, che i successi di Garibaldi avevano
suscitato per raccogliere volontari ; ed il patriottismo anche di questa parte della
Sicilia rispose al nobile appello. Onde il Fabrizi, in data del 16, poteva scri-
vere al dittatore la seguente lettera, colla quale gli annunziava di avere formato
il primo nucleo di un corpo di volontari, al quale aveva dato il nome di
Corpo dei Cacciatori del Faro.
Nicola Fabrizi à Garibaldi.
Palazzolo, 16 giugno 1860.
Mio Generale,
Dopo quanto ebbi l'onore di scriverle, nella mancanza delle sue disposizioni, io
ho seguito quei movimenti ai quali era destinato, mentre che dalle Provincie di Catania
e Messina mi venne avvisato, che mi si attendeva con impazienza. E difatti ho ridotto
il tanto difficile convoglio in modo da trafficarsi su muli ; ne ho lasciato una piccola
quantità nella provincia di Noto e vado a lasciarne altrettanta in Catania, portandone
il grosso nella provincia di Messina.
A maggiore sicurezza del convoglio istesso e a preparare un utile elemento al
paese, io, tuttoché scarso di mezzi, ho ricevuto tutti quei volontari, che sono venuti a
trovarmi uniformandosi alla regolarità della nostra marcia ed in questa Provincia mi
han fatto seguito molti; tanto che arrivato in Noto con 17, ne ho fino ad ora 125, ed
è tanto più rilevante in quanto che è, col pretesto della leva, che il partito reazionario
cerca guadagnare terreno.
Da quello che ho dovuto osservare nella mia marcia m argomento politico, ne ho
scritto al suo Ministro dell' Interno, essendo cose che riguardavano l' autorità di Lui,
e voglio credere, che ne l' avrà informato.
Frattanto ciò che con maggiore interesse vengo ad esporle, è che al momento della
mia partenza da Noto, persone apposite da Siracusa venivano ad avvisarmi di avere
CARTEGGIO FRA L'AMMIRAGLIO PERSANO E GARIBALDI 199
a Lei diretta comunicazione del come le trattative intraprese con alcuni ufficiali di
quella Guarnigione, fossero tanto inoltrate da potere con la sicurezza dei loro posti
produrre un movimento militare per la cessione della Piazza col suo materiale; ma
che la conclusione di questo fatto, oltre di richiedere una autorizzazione ufficiale presso
chi la tratterebbe dalla parte nostra, esige anche la scelta di una persona autorevole
e conosciuta.
E probabilmente la vicinanza del nemico, che tiene i partiti in vigore nonostante
il procedere dei successi più lontani.
Debbo, per sentimento di verità e di riconoscenza, dirle, come la condotta di
alcune primarie famiglie della città di Noto sia stata d' impulso a questo slancio di
arruolamento ; giacche, oltre all' accoglienza ospitale fatta al nostro arrivo, furono esse
le prime a dare i loro figli ai nostri ruoli, inviandoli alla caserma nel tempo stesso,
che durava il breve nostro soggiorno : primo fra tutti il Governatore di Noto in tale
generosa abnegazione diede il proprio figlio ; vi fu chi ce ne diede due. Alcune signore
si misero a capo di una soscrizione per provvedere mezzi di abbigliamento.
Mi parve in tale iniziativa potermi arbitrare, fino al ricevimento di ordini precisi,
di dare il nome a questo arruolamento di Corpo di Cacciatori del Faro, denotante così
il destino attuale a quella Provincia verso cui restano a dirigersi i principali sforzi.
Neil' assoluta mancanza di ogni relazione col centro politico e militare dopo il
mio arrivo in Sicilia, voglio lusingarmi che questa mia condotta, spinta dal sentimento
della circostanza, non possa incontrare la di Lei disapprovazione.
N. FABRIZl
CAPITOLO X.
TENTATIVI PER ASSASSINARE GARIBALDI.
LEGGENDA SULLA SUA MORTE.
La vita di Garibaldi fu più volte la meta della mano di sicarii. Già
nel 1859, quando egli era nell' Italia Centrale, il Governo pontificio ed il borbo-
nico avevano cercato di farlo assassinare col pugnale o col veleno. A tale scopo
era stato inviato colà, insieme ad un certo Alpi, quel tale Griscelli, il famoso barone
di Rimini, celebre spia di diversi governi, che Tanno dopo troviamo a Palermo,
agente segreto cavouriano, espulso da Garibaldi insieme a La Farina.
Nel mio Archivio si trovano le copie, fatte fare nel '59 da Farini , di
alcune lettere del Griscelli ; il quale in quell'occasione aveva preso il nome di
De Vizzani. Sono documenti caratteristici di questa losca figura, che per ren-
dere più preziosa la sua missione, inventava notizie e fatti con una fantasia
ariostesca. Due delle lettere sono indirizzate a monsignor Tancredi Bella, Legato
apostolico di Pesaro e Urbino ; le altre a monsignor Sommariva, rappresentante
di S. M. il re di Napoli presso la Legazione apostolica di Pesaro. Il Fcirini,
dittatore dell' Emilia, messo a parte della congiura che si ordiva contro Gari-
baldi, fece intercettare all' ufficio postale di Modena le lettere delle due spie e,
dopo averne fatta prendere copia, le rimandò al loro destino. Trascrivo qui inte-
gralmente, senza mutare l' ortografia, le lettere del Griscelli.
Griscelli, il famoso barone di Rimini, a Monsignor Bella, Legato apostolico
di Pesaro e Urbino.
Fuori: A Son Eminence Monseigneur T. Bella, Legai Aposlolique à Pesaro.
N. 15. (Bollo postale di Verona).
Entro : indirizzo come fuori.
202 TENTATIVI PER ASSASSINARE GARIBALDI
Testo della lettera :
Momeigneur,
Ma mission à travers l'Armée revolutionnaire a été une suite de renseignements
precieux. Renseignements, Monseigneur, que j' ai eu 1' honneur de vous adresser de
Fayence, de Ferrare, de Rovigo et de Verone. Mais ma visite à Verone, ou j' etais
venu pour m' eclairer sur les forces que nous pouvions compter , m' a brisé le coeur
— pas d' hommes, pas de direction, pas de Cornile.... Rieri, Rien, Rien ! ! !
Monsieur le Commandeur d' Alpi, seul, est le seul homme, qui soit digne de
passer le Po. Mais, pére d' aimable famille, et epoux d' une epouse adorée, on lui a
Uè les mains, en le mettant dans 1' impossibilité de servir la cause que par son talent,
par son devouement et son coeur, son courage et 1' energie qu' il employdrait pour le
triomphe de la religion et de 1' humanitè sont soumises a S. A. I. de Modene , qui
5' amuse à Vienne avec son beau frère de Chambord, qui tous deux oublient que la
Sainte empoulle à été ecrasée sous les murs de la Bastille, attendent que le Droit
Divin par 1' huile de S.' Remy et Chilperich, les conduisent sur leur trone : de France
et de Modene.
Cette deception, Monseigneur, n' a fait qu' enflammer mon courage, parce que nos
moyens nous permettent de gagner sans eux. Et votre gioire n' en sera que plus grande !
Je recommande à votre discrelion de Ministre de Dieu les noms ci-après:
Roselli, General à Rimini, que j' ai connu particulièrment a Bologna, ou il etait avec
Falicon ; nous avons mangé à la méme pension au Canon d' or plus d' un mois ;
il m' a bien regu à Rimini ; se vend.
Cenni, aide de camp de Garibaldi, avec lequel je suis lié depuis long lemps, se vend
et s' engagé à me mettre Sylla {Garibaldi) dans une volture, dans laquelle je
serais ; je vous jure, Monseigneur, que l' ours sera baillonné ou poignardé, et que
mort ou vii, Sylla arriverà à Pesaro, ou il passera le Po.
Vincesini, capitain avec Fanti, mon ami et compatriote, fera tout ce que vous ordon-
nerez ; il attend ! ! !
Leca, mon compatriote, chargé des écritures de 1* Armée , viendra à Pesaro avec sa
compagnie, dès que Monseigneur 1' ordonnera ; il est ò S. Archange.
Avec moyens, Monseigneur, avec le secours du Clergé et des masses, qui souffrent,
nous chasserons les Pillards de Garibaldi de Legations. Cette gioire sera a Monsei-
gneur seul !
De la prudence, du courage; que peu de gens connessent votre pian d' altaque
et celui que vous choisirez, Monseigneur, soit un battaille rangée, une reaction avec
r achat des Chefs, 1' enlevement du Monstre, le poignard.... ou le vin ! ! I Je vous
garantis de la reusite.
Faites-le savoir par plus-tot possible, soit par le telegraphe à votre Noble amie
Alpi, soit par lettre....
LEGGENDA SULLA SUA MORTE 203
Votre tres umble serviteur attend et croyez, Monseigneur, que le plaisir de faire
trionpher notre cause ne lui (era pas dementir son passe.
Le Banqueroutier Cipriani a fait un affiche dans les places de son Empire ; un
reglement, dont je vous envois quelques articlcs.
Il est defendu de mendier.
Il est defendu de chanter.
Il est defendu de (aire de la musique.
Il est defendu de rester dans une ville, si on n'y a pas ou des renles, ou un
emptoi. On arretera tous les oisifs, et on leur fera payer Jes amendes et de la prison.
Le nouveau Neron, Farini, n' en dit pas long dans les siens.... ; mais e' est du
bon, trois fois bon, pour une reaction.
Tous les employés de la police de l' ancien Gouvernement sont destitués !.... quels
auxilieres pour nous ! Je suis avec respect, Monseigneur,
le Ires devouc seroUeur
Mon adresse: G. de Vizzani - P. R. S,>.?; G. DE VIZZANI
Verone
Fuori : A Son Eminence Monseigneur T. Bella, Legai Apostolique à Pesaro. - Presse.
(Bollo postale di Verona).
Entro la lettera : A Son Eminence Monseigneur Bella, Legai du S. Pére à Pesaro.
Testo della lettera :
Eminence,
y ai eu r honneur de vous écrire deux rapports : le premier d' Imola, le second de
Ferrara, dans lesquels je vous ai donne tous les renseignements sur les villes, sur les
populations, sur l' armée, leurs position, leur nombre et les noms de leurs chefs ; je vous
disais de vous méiìer du voiturier et de Herva, qui sont deux espions de la police
de Rimini. Dans celui-ci, Excellence, je ne vous parlerai que de la possibilité de la
reaction...., soit en achetant un General, soit en le faisant disparaitre par le plomb, le
poignard, ou le poison !
La reaction marche à pas de geants dans les Legations ; nos ennemis eux mémes
font les affaires de 1' Eglise en faisant ce qu' il font.
Aujourd' bui, on a affiché dans toutes les Communes de la Romagne un reglement
interieur copie sur celui de 1' Empire Frangais, ou il est dit : " Defense de mendier ;
defense de jouer ; defense de chanter dans les rues ; defense d' y faire de la musique ;
defense d' étre oisif ; arreter tous ceux qui n' ont pas des moyens d' existence ; chasser
des Legations ceux qui n' ont pas domicile élu. Aussitot que cet affiché a été pose, des
gruppes d' hommes se formaient et des imprecations avec des mota de trahison, d'enfamie
étatient lancés à haut voix contre le Gouvernement. J' assure, Excellence, que ce regie-
204 TENTATIVI PER ASSASSINARE GARIBALDI
ment nous a fait plus de partisans que les dix-mille soldats, qui sont à Pesaro. Encore
deux ou trois affiches come ga, et les affaires vont loules seules. Tout ce peuple et ces
familles aisées, qui ont été volées et pillés et dont les impositions fsont encore doublces,
demandenl une reaction.
Deux officiers surs, energiques et devoués, un est à la Catolica, l'autre est avec
Garibaldi, s' engagent à contrairer leur compagnie pour une reaction. Un General
demande à se vendre, si S. Saintété lui donne 200,000 livres et le grade de Comandant
en chef à Rome. Le cuisinier de Garibaldi est une connaissance de Paris,
qui pour de l'argent empoissonnerait Jesus Crist. Voilà nos moyens, tous certains
et tous tres puissants.
Prevenez Rome et Naples ; et j' attends vos instructions avec la plus vive impa-
tience et comptez sur un fait certain. En attendant vostre reponse, Exellence, je suis
avec le plus profond respect votre servileur
Signé : E. DE VEZZANl
Mon adresse est : E. de Vezzani
à Verone, poste restante,
y attends vos ordres.
Griscelii, il famoso barone di Rimini, a Monsignor Sommariva, rappresen-
tante il Re di Napoli presso la Legazione apostolica di Pesaro.
Fuori : Monsieur Sommariva, Répresentant S. M. le Roi de Naples chez S. Em. le
Legai Apostolique à Pesaro.
Entro la lettera : A Monsieur Sommariva, Répresentant S. J^. le Roi de Naples.
Testo della lettera :
Monsieur,
La précipitation à faire partir hier mon rapport par le courrier de soir m'a fait
oublier les faits ci aprés, dignes d' appeller toute votre attention. Il n' y a pas encore
des depots d' armes ni a Pesaro, ni a Naples. Je vous 1' assure. Je vous assure aussi,
que je le sauraì, dès qu' il y en aura par les amis {d' anciens amis, d' anciens fréres
d' armes) qui sont l' un chez Garibaldi, et l'autre chez Fanti; 27000 fusils sont
arrivés a Ferrara cette semaine à l' adresse de Garibaldi, qui a ordonné que ces fusils
soient dirigés sur S. Marino. En faisant voir cette lettre à S. Em. Tancredi Bella, il
ordonnera que ses trouppes doublent de vigilance du coté d' Urbino. Le journal
"La Nacion ,, si contraire aux interéts de votre Maitre s'imprime en Toscane et est
porte à Naples par les marins des batteaux à vapeur. Ecrire que la douane sorveille,
et elle prendra le paquet entier.
Il n' y a pas à Naples de Comité proprement dit, chargé d' une direction politique.
Toutes ces alarmes, ces arretations, et les proclamations Muratistes sont des inventions
LEGGENDA SULLA SUA MORTE 205
et des affaires de Police. Dites qu' on charge des controleurs actifs, intelligents et
devoués et le Gouvernement verrà, qua ces sont ceux qui sont chargée de Ics saisir,
Ics proclamalions qui le font.
Je suis dans une impatience fébrile, en attendant votre response à fin de savoir
si mes rapports, que j' ai envoyé de Fayenee, de Ferrare et de Rovigo vous sont arrivés
en main.
Souvenez-vous bien, que nous avons un General, deux officiers, 1' aide de campo
et le Cuisinier du nouveau Siila {Garibaldi) avec nous et pour nous, que nous avons
aussi tout le clergé. L. L. Em. d' Imola, de Fayenee, de Bologne et de Ferrare, que
j' ai vu, me V ani assuré. Le Venerable Cardinal de Bologne : Viale Prelà, prendra
un fusil pour la reaction.
N' oubliez pas non plus, que le peuple souffre, que la division de Mezzacapo est
en revolution, que Ics hommes qu'ont une famille à défendre, des biens à conserver,
demandent une reaction, et nous préteront la main pour la faire reussir celle reaction;
des qu' il verront des hommes (pour la pousser et la faire triompher) actifs, energiques,
avec les armes à la main et non avec les Pastorales sur le papier.
Le peuple des Legations est tellement revenu de ses erreurs et tellement outré
de se voir humilié et chassé de chez lui, que le 25 courant, à Fayenee, on a place
les armes de Savoie sur la porte de la Mairie, à 7 heure Je malin ; que je jure en
conscience et devant Dieu que pas un Cappeau, pas une casquette ne s'est leve et
que pas un cri de W. V. Emanuele n a pas été prononcé.
il y' a un mois, que le peuple à qui 1' on avait promis l' age d' or criait devant
une image du Roi, Homme Galant.
Ne soyez ni surpris, ni inquiet de me savoir à Verone. /' ai Moulu Voir tout, aoant
d engager ma vie. ]' ai voulu entendre aussi les partisans des Duchés ; en m' en retournant,
je passerai en Toscane pour ne pas me montrer à Rimini. En passant et en repassant
par les Legations, j' eveillerais les soup?ons de la police. En passant par les Duchés,
je sais si nous pourrons compter dessus et j' arrive tout nouveau à Rimini pour preparer
ou le poignard, ou le stylet, ou.... le vini! Activez, poussez Rome et Naples, parce que
j' attends pour agir et de 1' argent pour dépenser en marchant.
A vous de coeur
Mon adresse : Mr. G. de Vezzani G. DE VE2ZANI
Poste réstant à Verone.
A monsieur Sommariva, Agenl secret de S. M. le Roi de Naples
Pesaro.
Monsieur,
Je vous ai écrit d' Imola, d' ou je vous annongais que j' irai jusqu' à Bologne et
de la à Ferrara. Je suis à Rovigo et en route pour Verone pour le service de Dieu,
206 TENTATIVI PER ASSASSINARE GARIBALDI
de r Eglise, et de la Religion. Je vous donnais donc, dans le rapport d' Imola, des
renseignements sur l' esprit des populations, qui demandent, à grands cris, une réaction
sur les armées des Légations, depuis la Catolica j'usqu'à Imola, leur nombre, les noms
de presque tous leurs Chefs et leurs position actuelles, qui sont entièrement differents
des renseignements Herva ; qui je vous prie de ne plus occuper, parce que e' est un
Agent de la police de Rimini.
Nou» avons un General, des Officies, et le peuple en masse pour une réaction. Seu-
lement depéchez-vous, parceque la réaction se fera sans vous et elle sera au profit de
Mazzini. Un aide de camp de Garibaldi, qui a sa mère à Roma, se charge de me
le litìrer dans une coiture. Cet aide de camp a sa mère, qui est comblèe de bienfaits
par le S. Pontife. Le general Garibaldi sort tous les soirs seul dans les campagnes;
il singe Whashington. — Toutes les fois qu' il va à Bologne, ou à Modena, // i; va
toujours la nuit; un seul aide de camp l' accompagne !...
J' ai envoyé trois rapports à S. E. et j' ai oublié de lui faire part du fait suivant.
Cinq prétres, qui ne voulaient pas livrer leur Eglise au prétorien de Garibaldi,
ont été attachés par le cou et conduits dans les prisons de Bologne.
J attends avec impatience de vous une lettre avec des instructions et de l'argent
pour me mettre à l' ouvre, dont je vous garantis le succés par mon passe.
En attendant votre réponse, je suis avec respect
Vostre Irés obéissant serviteur
G. DE VEZZANl
poste restante à Verone.
* *
Anche nel 1 860 furono fatti tentativi dal Governo borbonico per assas-
sinare Garibaldi.
Il Ministro sardo, marchese di Villamarina, avuto sentore della congiura,
si era affrettato di avvisarne il marchese d'Aste, comandante il " Governolo ,,
con due lettere, che il Persano menziona nel suo Diario ed il cui contenuto
apprendiamo dalle copie esistenti nel mio Archivio, di carattere di Basso, allora
segretario di Garibaldi ; il quale, dopo averne fatto prendere copia, le restituì.
Persano scrive : « Non perdo un momento ; corro io stesso ad informare
il Generale. Ma se egli si mostra riconoscente dell'avviso ed a chi glielo manda,
altrettanto è noncurante del pericolo, che lo minaccia. L' ho sempre conosciuto
così fin da Montevideo, nel 1 845, ove mi trovavo al comando del R. brigan-
tino r "Eridano ,,. Fu solo per compiacermi, giusta le mie reiterate istanze,
che, sorridendo, ne fece parola ad un suo Aiutante di campo ; ma sì legger-
LEGGENDA SULLA SUA MORTE 207
mente, che mi sono creduto in dovere di parlargliene io poi, e con che calore
si pensi ».' Ed il giorno 9, egli scriveva al dittatore la lettera inedita, che qui
trascrivo dopo le due menzionate del Villamarina.
Il Marchese di Villamarina al comandante d'Aste.
(Copie)
LEGATION DE SARDEGNE
(Confidenziale) Napoli, 5 giugno 1860.
Ill.mo sig. Comandante,
Ho r onore di porgerle i miei vivi ringraziamenti per le interessanti notizie con-
tenute nel rapporto del 1" corrente mese di giugno, che subito trasmisi a S. E. il
conte di Cavour.
Certo cav. Luigi Galvani, veneziano, dimorante da più anni a Napoli, si è recato
presso di me, onde farmi avvertito, essere partito alla volta di Palermo un tale
Valentini, caporale di marina, giovane di alta statura, il quale si sarebbe volontaria-
mente offerto per attentare alla vita del generale Garibaldi. Benché, io non faccia gene-
ralmente gran caso di tali asserzioni, credo nulladimeno, nell'attuale situazione delle
cose, doverla pregare di farne parola, se ciò è possibile, a chi di ragione, affinchè
qualora un individuo di simil nome si presentasse, sia convenevolmente sorvegliato.
Gradisca signor Comandante ecc.
// ministro
All'Ill.mo sig. Marchese d'Aste VILLAMARINA
Comandante della R. pirofregata sarda " Governalo „
Palermo.
LEGATION DE SARDEGNE
Ill.mo sig. Comandante,
8 giugno 1860.
Profìtto della partenza del vapore inglese, per trasmetterle la qui annessa lettera
diretta al Duca della Verdura, cui prego di farla recapitare il più prontamente possibile.
Col mezzo dell'avv. Galvani già menzionato nella mia precedente, mi pervennero nuovi
ragguagli intorno al caporale Valentini ; è uomo di circa 30 anni, alto e magro della
persona, pallido in viso, con occhi celesti.
' C. di Persane - Diario etc. , pag. 36.
208 TENTATIVI PER ASSASSINARE GARIBALDI
Da sorgenti diverse, e non indegne di fede, mi risulta inoltre essere stato inviato
allo stesso fine un tale Giosafatte Tallarino, già celeberrimo bandito calabrese. Egli
imbarcavasi il 6 corr., alle ore 23 sul legno mercantile alla volta di Palermo. Dicesi
accompagnato da IO o II individui per secondarlo. La prego adunque, signor coman-
dante, di volere con ogni maggior diligenza, trasmettere questi nuovi particolari a ciò
sia provveduto prontamente e come si conviene.
Colgo questa opportunità per offrire i miei anticipati ringraziamenti e rinnovarle
le proteste della mia distintissima considerazione.
lll.mo Signor Marchese d'Aste
Comandante della R. pirofregata sarda " Governalo ,,
Palermo.
L'Ammiraglio di Persane a Garibaldi {Vedi facsimile).
GABINETTO PARTICOLARE
// ministro
VILLAMARINA
DEL CONTR'AMMIRAGLIO
COMANDANTE LA SQUADRA A^'^' ^ 8'"8"° ^^^^-
Caro Generale,
Ora che sono le 1 1 di sera, un Ufficiale della marina napoletana, condotto da
altri suoi compagni, quali remiganti, è venuto per confermarmi quanto scrisse Villa-
marina. La cosa parrebbe dunque, assai più vera che non ci sembrava. State quindi
sulle vostre guardie e fate le ricerche necessarie : lo dovete all'Italia.
Mi rapportò, che anche si ritiene imminente in Napoli un' insurrezione contro la
casa regnante. Iddio lo voglia, e faccia che non gridino Murai.
Addio, buona notte e tenetemi per la vita
Tutto vostro
C. DI PERSANO
P. S. - Chi vi reca questa lettera è mio figlio.
Questa lettera è in rapporto con quella diretta a Garibaldi dallo stesso
Persane pochi giorni dopo, il 1 5 giugno, e che già trascrissi nel Capitolo IX.
In essa si diceva : « Il Valentin! mandato per assassinarvi è ritornato ieri sera,
a nuoto, a bordo della fregata napoletana " Partenope ,, , vestito a modo dei
vostri. Egli rapportò, che venne da voi, che vi baciò la mano, che si disse
disertore di altro corpo che non di marina, e che trovandosi che altri disertori
GABINETTO PARTICOLARE
DEL CONTR' AM)IIRA(;LI0
COMAiNDANTL LA SQUADRA
>^-^<-<. <? 3^*^rt^ /^(f-^
£/ /l/.e.^%><^-^fv A..e-^ t^f^i.yùyr^^x^^y^^r^c^' i^^^-tut^-^o-^ef
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^/^f-^l-c'fJ ^ ^^ À fKyy--<-*^ /' ^.'li.xy /'y^<^*<J ^7^ù()^<.<^-^
^^y<^ <^-^^ /-^/-'-
Lettera dell'ammiraglio Persane a Garibaldi. Palermo, 9 giugno 1860.
Lo avvisa essere sbarcata gente per assassinarlo. (Vedi pag. 208).
LEGGENDA SULLA SUA MORTE 209
del corpo che nominò, erano pronti a provare che vi apparteneva, temendo di
essere conosciuto, si dette a gambe per salvarsi ».
Questo episodio, che dalla lettera originale risulta essere accaduto il giorno
1 4, nel Diario è inesattamente riportato come avvenuto il 1 9.
Ma vari altri tentativi furono fatti dal Governo borbonico nel '60 per
togliere la vita a Garibaldi. In alcune istruzioni segrete inviate da Napoli al
Generale e che in fine a questo Capitolo ho trascritto, si dice : « Ella a quest' ora
ha già ricevuto degli avvisi, che riguardano la sicurezza dei suoi preziosi giorni :
ora debbo dirle, che due emigrati napoletani di pessima condotta : Luigi Roxas
ed Antonio Roscitto saranno già arrivati in Sicilia con sinistre intenzioni. Essi
probabilmente domanderanno di entrare nel suo esercito; li faccia strettamente
sorvegliare ».
Perfino dall' estero pervenivano lettere in questo senso, scritte da gente
fanatica per il nome dell' eroe. Da Dover, un certo Stella scriveva a Garibaldi
la seguente curiosa lettera :
M. Stella a Garibaldi.
Dover, 13 giugno 1860.
Caro Generale,
Io non so, se questa lettera arriva nelle vostre mani, ma vi scrivo, al rischio, due
parole d* importanza. Vi aspetta un tradimento da parte di chi non ve 1' aspettate :
state all'erta!
Per salvare l' Italia e conservarvi la vostra vita, necessita una forza maggiore di
uomini al vostro comando e al più presto possibile. Io potrei realizzare un' idea mia
per contribuire ad una felice soluzione ; ma io non sono conosciuto da Voi per doman-
darvi r autorizzazione di quello, che io vorrei fare, e che io non potrei senza il Vostro
consentimento. Per cui vi prego, in nome dell' amore alla Patria, scrivete direttamente
a me, o mandate persona di vostra fiducia, se ne avete una qui a Dover ; io credo
che fareste meglio a dirigervi direttamente a me, perchè quello che io vi chieggo non
vi può compromettere. Io dunque, vi chieggo, che mi autorizziate a procurarvi uomini,
volontari, armi e qualunque altro necessario, per venirvi in soccorso, lo attenderò,
e forse otterrete un Capo degno di Voi.
Mi direte altresì, come io posso dirigere per la corrispondenza.
Dirigete a
M. M. Stella
(Ship Hotel) Dover - Inghilterra.
Tutto ai vostri ordini. STELLA
CURÀTULO 14
210 TENTATIVI PER ASSASSINARE GARIBALDI
Il partito borbonico, non essendo riuscito ad uccidere Garibaldi durante
la campagna di Sicilia e di Napoli, cercò dopo di spegnere l'entusiasmo che il
di lui nome destava, facendo credere alle masse, che il vero Garibaldi era morto
nel '60, e che quello che, dopo quell'anno, si diceva fosse Garibaldi era invece
un altro individuo !
Sul proposito, documento veramente curioso e che trovo nella mia raccolta
è un foglietto a stampa, mandato agli uomini del partito liberale accompagnato
da una lettera anonima, scritta evidentemente da una spia. La lettera dice così :
29 giugno 1865.
Il partito borbonico immaginò una strana manovra. Fece stampare in Inghilterra
ed impostare a Londra a destinazione dell' Italia uno scritto senza indicazione della
stamperia, tendente a convincere il popolo italiano, che Garibaldi morì a Capua nel
1860, in seguito a ferite ricevute nel combattimento. Questo scritto è destinato ad
avere nel mezzodì dell' Italia una grande pubblicità. Ecco i nomi di alcune delle persone
alle quali fu trasmesso.
1. - Copolino, a Formio di Gaeta.
2. - Giulio Bucci, a Mola di Gaeta.
3. - Luigi Caccietta, a Piedimonte d'Alife.
4. - Al Capitano della Guardia Nazionale a Caserta di S. Prisco.
5. - Colini, avv., a Capriate.
6. - Pasquale Montanari cap., a Traetto.
7. - Luigi Sticco, a S. Maria di Capua.
8. - Felice Stocchetti a Piedimonte d'Alife.
9. - Luigi Crismo, medico a S. Maria di Capua.
IO. - Al Capitano della Guardia Nazionale di Casa Tulla a Caserta.
11.- Abate Giuseppe Falcone a Caserta.
12. - Mons. Vincenzo Gola ad Aversa.
13. - Luigi Forcina a Formio di Gaeta.
14. - Pasquale Spina a Formio di Gaeta.
E ad osservarsi, che tutti questi individui abitano all' antico Regno di Napoli.
Un esemplare dello scritto a stampa è stato pure trasmesso al signor Vacca, senatore
a Firenze.
Il foglietto a stampa, mandato insieme alla lettera, è il seguente :
MORTE DEL PRETESO EROE
La setta, forza occulta, diabolica, che muove anche i Sovrani senza avvedersene
contro i loro propri interessi, è giunta a far continuare e dar vita ad un uomo,
LEGGENDA SULLA SUA MORTE 21 1
Garibaldi, che col mettere in esecuzione le infami teorie del Mazzini ha messo a
soqquadro il mondo tutto ! Ma egli non è più ! Ed a disingannare i gonzi e special-
mente le artistiche associazioni, per opera dei settari quasi in tutti i paesi installate,
le quali mensilmente pagano una tangente per venire a capo della utopica Unità Italiana,
mi accingerò a mettere loro sott' occhio le seguenti prove per dimostrarne la sicura
morte, sfidando chicchessia a volerle rintuzzare. Son certo però, che l'avvelenata penna
del lurido rivoluzionario giornalismo non giungerà a smentirle e a ritenere nell' inganno
tanta povera gente.
Il corifeo, in abito rosso, morì dietro ferite ricevute in sulla strada nuova, tra il
villaggio S. Angelo in Formis e S. Maria di Capua ; ed il suo freddo cadavere, chiuso
in tre casse, delle quali una di zinco venne, circa la metà di ottobre del 1860, alle
ore 4 e mezzo pomeridiane, disceso, alla presenza di pochi marinai tra i quali Domenico
Forcina di Mola di Gaeta, nel bacino della Darsena di Napoli, accompagnato da un
individuo del suo Stato Maggiore, in abito garibaldino, dell'età di anni 40, basso e
pienotto, che dirottamente piangeva ; le lagrime asciugando con un fazzoletto bianco.
Di là, messo su di una fregata a vapore, salpò per Genova, ove con la massima segre-
tezza gli resero i funebri onori. Tutto ciò potrà essere constatato da un tal Maccariello
di S. Prisco, presso S. Maria di Capua, celebre ladro e galeotto, il quale, al pari
del moro del 1849, era il fido compagno e corriere del Dittatore, e che, confuso,
povero, addolorato, ne piange tutt' ora la grave perdita : perdita grandemente sentita
da tutti i repubblicani, che spesso fra di loro accennano, non volendo, alla morte di
Garibaldi. Così di fatti, si è molto pianto, come ben so, dal sig. Luigi Sticco, Capitano
della Guardia Nazionale di S. Maria di Capua e dal Delegato di Polizia di Pozzuoli
e dal decotto padre Pantaleo, che per mantenere viva la memoria di Garibaldi finge di
essere stato a Caprera e dispensa agli operai ed alle famiglie fanatiche, da cui potrà
ritrarre qualche danaro per vivere, oggetti e trastulli, che egli battezza come una
volta appartenuti a Peppariello !
Inoltre; perchè nel meglio, quando ferveva la guerra sotto Capua, anzi quando
i garibaldini stavano per perdere, e necessaria era quindi la presenza ed il comando
di Garibaldi, perchè costui tutto ad un tratto spariva? Mi si adduca, per ciò, una
plausibile ragione e non quella frivolissima, che cioè a Garibaldi fu giocoforza partire,
perchè così, venne imposto dal Piemonte, che mal ne soffriva la cattiva influenza !
Dappoiché, se fosse stato così avrebbero dovuto sciogliersi anche i corpi garibaldini,
i quali, al certo, erano fedeli strumenti e membri di un tanto capo ! Mentre invece,
costoro continuarono a combattere coi Piemontesi fino alla resa di Capua, in cui sotto
lo più stretto divieto a nessun camiciotto rosso fu lecito entrare ; cosa che sommamente
dispiacque a tutti i volontari garibaldini.
Il preteso Eroe di Caprera, nel partire 1' ultima volta da Napoli, perchè partì solo
con le patate, pochi maccheroni e castagne, giusta i giornali rivoluzionari ? e non invece
menò seco la figlia ed i figli, che afflitti e mesti poco dopo partirono anch' essi, accom-
pagnati dal Colonnello Deideri e la sua famiglia? Era morto e partì cadavere!
Siccome quell'altro, che lo si dice piantare i porri, coltivar le piante del giardino,
pescare a Caprera, sedere nel Parlamento etc. , non è d' esso ; perchè molti ve ne sono
212 TENTATIVI PER ASSASSINARE GARIBALDI
della sua fisionomia, ed io mi ricordo di un tale Alfonso de Sortis, garibaldino, che
in tutto lo rassomigliava ; ed a battezzarlo per l' Eroe la rivoluzione è spinta per non
far perdere il gran prestigio del nome, che nelle ardue imprese è la molla principale
a muovere e tirarsi dietro la plebe ignorante.
Ne alcuno del partito piemontese, in altri termini ministeriale, potrà dire che non
sia desso, perchè non vi sarebbe più allora il tornaconto ; mentre ben si sa, che i due
partiti, detti Italianissimi, vanno d' accordo negli infami segreti mezzi e quindi amici,
finche in ultimo 1' uno non cacci l' altro, sebbene tendano a scopo differente : l' uno per
l'unità repubblicana, l'altro per l'unità monarchica. Ed ecco, perchè nel Parlamento,
niuno osò rivelare e discoprire il non vero Garibaldi, ad onta delle lizze nate con
esso lui. E poi, quante volte sedette nel Parlamento? Una sola! e per il fatto fiasco
a Torino, in sulle mura della Locanda, dove prese alloggio, si affìssero dei cartelli col
motto: « Morie a Garibaldi », cioè si voleva dire: è morto il vero Garibaldi!
E come simile ingiuria a chi pur donato aveva le provincie meridionali al Re
Galantuomo ? Fa meraviglia ! E non fa meraviglia émcora come il Garibaldi, se vivente,
non facesse rispettare, secondo l' adagio, il cane pel padrone, i garibaldini, che famelici,
a torme, presentatisi il giovedì Santo sotto il Banco di S. Giacomo a Napoli per avere
del danaro da far Pasqua, furono presi dai soldati piemontesi a calata baionetta, rima-
nendone feriti anche alcuni? Perchè è morto e freddo cadavere! Altrimenti già da
gran tempo sarebbe di nuovo corso nelle Provincie Meridionali ed avvalendosi della
anarchia in cui giacciono, avrebbe costituito la repubblica, unico suo pensiero, la quale
solo con l'anarchia puossi ottenere. E poi, chi ce ne assicura dell'esistenza? Non sono
tutte persone mosse da spirito di parte? Ogni altro non è, se non colui che forse lo
vedrà allora per la prima volta, e che ritiene per Garibaldi quello che tale sente accla-
mare ! Il certo si è, che taluni marinari dell' Isola della Maddalena e Caprera affermano
di non aver mai veduto, dopo la battaglia del Volturno, fra di loro il vero Garibaldi !
Dopo queste serie riflessioni nutro fiducia, che non più i poveri artisti e mercanti
si faranno abbindolare dai birbi, che cercano di iscriverli nelle così dette Società
Operaie ; e che quel quattrinello, che mensilmente pagano ad impinguare il patrimonio
di iniqui settari, lo impiegassero, invece, per la loro civile e religiosa educazione e
della loro famigliuola ; e loro siano di esempio gli artisti ed i negozianti delle provincie
ironicamente redente, i quali colla rivoluzione credevano di acquistare mari e monti,
ma vivono nella più squallida miseria col tardo pentimento in core ! ! !
* *
11 mezzo al quale ricorreva il partito borbonico per spegnere nel popolo
1 entusiasmo verso Garibaldi dopo il '60, se da un lato era degno dei morenti
satelliti di Francesco II, (il documento di sopra trascritto ne è una prova), non
poteva però non far breccia nella fantasia di un popolo superstizioso e credulo
come il napoletano ; onde la leggenda, che il vero Garibaldi fosse già morto.
LEGGENDA SULLA SUA MORTE 213
suscitò nel popolino non poche ed animate discussioni. E mentre alcuni sostenevano,
che r Eroe con la camicia rossa non poteva morire ; altri asserivano che non si trat-
tava di un solo Garibaldi, ma di dodici fratelli, tutti biondi e valorosi, portanti tutti
la camicia rossa ed una spada fatata con la quale uccidevano qualunque nemico.
Del resto, già fin dal 1 849, dopo la battaglia di Palestrina, il nome di
Garibaldi era divenuto, fra i soldati Borbonici, fonte di mille leggende ! Raccon-
tavasi, ad esempio, che egli aveva venduto l'anima al diavolo per mettere sotto-
sopra r Italia con l'aiuto di un' infinità di folletti, che erano i suoi legionari ; e
se si volessero raccogliere tutte le leggende, che si formarono mtorno all' Eroe,
ci sarebbe da scrivere un volume molto interessante.
Il popolo di Palermo al quale Garibaldi per 1' aspetto, per la foggia
di vestire e per le gesta compiute era apparso, più che altrove, 1' uomo dei
miracoli, lo mise in rapporto con Santa Rosalia, protettrice di Palermo ; e poiché
questa Santa apparteneva alla famiglia Sinibaldi, così per una certa analogia
di nome, il popolo nella sua fantasia immaginosa pensò ad una discendenza
dell' Eroe dalla Santa ; la quale lo proteggeva e lo rendeva invulnerabile. Si
credeva, ad esempio, che Garibaldi aveva avuto in dono da Santa Rosalia,
durante il tragitto da Quarto a Marsala, un cinturino di cuoio bianco, che egli
portava sempre in mano e col quale scacciava le palle e le bombe nei giorni
della battaglia. La leggenda inoltre, narrava che il Dittatore ogni sera, non visto,
si ritraeva in luogo appartato e parlava con la Santa. Questa lo ammaestrava
sulle mosse e le imprese da farsi e gli diceva le parole, che egli doveva pro-
nunziare ai soldati, perchè combattessero da valorosi. La notte che precedette
la battaglia del Volturno il popolo raccontava che Garibaldi venne, inosservato,
a Palermo a supplicare la Santa, perchè l' indomani gli stesse sempre a fianco e
lo facesse vincere. Santa Rosalia accondiscese, e la battaglia di Capua fu vinta !
Francesco Dall' Ongaro, in uno dei suoi celebri « Stornelli » canta con i
seguenti versi un' altra leggenda su Garibaldi :
E nato d' un demonio e d' una Santa
In un momento, che han sentito amore ;
Gli è tutto il padre, quando il ferro agguanta,
Ma della madre ha la dolcezza in core.
Quando combatte, il genitor gli manda
La sua feroce ed invincibil banda ;
Quando riposa, gli sorride in viso
Un raggio che gli vien dal paradiso.
CAPITOLO XI.
LE LOTTE INTORNO A GARIBALDI A PALERMO.
ISTRUZIONI SEGRETE E PIANO DEL BORBONE.
Le lotte che si agitavano a Palermo intorno al Dittatore , nei mesi di
giugno e di luglio, per la pronta annessione della Sicilia, erano state accresciute
da un dissidio fra i componenti il primo Ministero sotto la dittatura e Gari-
baldi, in seguito agli ordini da questi emessi, che i ministri dovevano dipendere
dal Sirtori, capo dello Stato Maggiore. 11 conflitto, rimasto sconosciuto, si rileva
da un documento inedito della mia raccolta, che trascrivo dall' originale. Lo
scritto colle firme autografe fu certamente ispirato e redatto da Francesco Crispi,
sebbene vergato da diversa mano ; ad esso fa seguito la copia del decreto ditta-
toriale, emanato il giorno dopo, redatto di pugno del Sirtori ; da quest' ultimo
documento si apprende come le ragioni addotte dai Ministri nella loro protesta
non fossero accolte, e mantenute invece le precedenti disposizioni. La qual cosa
dimostra, come Garibaldi seguisse sempre negli atti del suo governo la sua
volontà, conservando quella libertà di azione, che qualcuno avrebbe voluto
mettere in dubbio.
Il primo Ministero della Dittatura a Garibaldi.
SEGRETERIA DI STATO
Palermo, 6 giugno 1860.
Signore,
I Segretari di Stalo hanno ricevuto comunicazione dei di Lei ordini, con cui
dispone, che i medesimi dipendono dal capo dello Stato Maggiore Generale come
emanazione dei Dittatore.
I Segretari di Stato, i quali accettano con gratitudine la di Lei persona come
Capo Civile e Militare della Sicilia, trovano una incompatibilità nella loro esistenza,
216 LE LOTTE INTORNO A GARIBALDI A PALERMO
qualora il servizio da loro diretto debba dipendere da tutt' altra autorità o persona,
che non sia quella del Dittatore.
La Dittatura, tre volte conferita nel Piemonte al Re, ci ha dato 1' esempio del
modo come è stata esercitata. Il Re ebbe sempre presso di se un Ministro Segretario
di Stato per gli affari civili e politici. Ed il suo Capo dello Stato Maggiore Gene-
rale limitavasi alle operazioni strategiche della campagna.
Ella può, signor Generale, dare all' attuale Capo dello Stato Maggiore altro titolo,
altre funzioni ; ma in questo caso egli assume un nuovo carattere, e lascia per 1' eser-
cizio delle nuove funzioni la sua qualità di Capo dello Stato Maggiore. E finche ciò
non venga ordinato, ogni potere che gli si dia muta 1' andamento dell' amministrazione
e mette la confusione nell' esercizio dei vari poteri.
I Segretari di Stato sono pronti all' esecuzione di qualunque ordine, che venga
da Lei. Ma, responsabili innanzi a Lei dello incarico assunto, non possono sobbcU'carsi
allo stesso, senza accennare i mezzi che ne rendono possibile 1' attuazione.
In conseguenza, i sottoscritti la pregano a volere prendere in seria considerazione
le osservazioni, le quali non hanno altro scopo, se non quello di potere corrispondere
alla fiducia, che si è degnata riporre su loro.
I Segretari di Stato
BARONE PISANI
GIOVANNI RAFF.AELE
DOMENICO PERANNl
GREGORIO UGDULEN.A
VINCENZO ORSINI
FRANCESCO CRISPI
ANDREA GUARNERI
Decreto Dittatoriale scritto di mano del Sirtori.
Palermo, 10 giugno 1860.
II Generale Dittatore, convinto della necessità di un Governo Militare e di un
forte concentramento di poteri, finche tutta 1' Isola non sia Ubera dalle forze nemiche,
decreta :
Art. r — 1 Segretari di Stato di qualsiasi dipartimento ed ogni altra autorità
civile e militare, dipenderanno dal capo dello Stato Maggiore Generale, siccome
rappresentante immediato del Generale Dittatore.
Art. 2" — Ogni volta che il Generale impartisce ordini diretti ai Segretari
di Stato e alle altre Autorità civili e militari, il capo dello Stato Maggiore Gene-
rale ne sarà tosto avvertito per cura di coloro medesimi, che ricevessero detti ordini ;
ciò a fine di mantenere assoluta unità nel Comando e la piena armonia nell' esecuzione.
Art. 3 — Il Capo dello Stato Maggiore Generale è incaricato del presente
decreto.
IL DITTATORE
ISTRUZIONI SEGRETE E PIANO DEL BORBONE 217
Si era appunto in quei giorni, nei quali gì' intrighi lafariniani avevano
raggiunto il diapason più elevato, creando intorno a Garibaldi una situazione
difficilissima, e bisognava essere eroe per dominare sì grande tempesta e conservare
quella serenità, senza la quale non si sarebbe raggiunta la nobile meta.
Dopo la formazione del terzo Ministero sotto la dittatura, che manteneva
Orsini alla Guerra, portava La Loggia agli Esteri, Amari all' Istruzione, Errante
alla Giustizia ed Interdonato all' Interno, il Senato di Palermo aveva presentato
a Garibaldi, il I 5 giugno, un nobile indirizzo, che sebbene noto, trascrivo qui
integralmente dall' originale colle firme autografe dei Senatori e nel quale nessun
accenno si faceva sull' annessione.
Il Senato di Palermo al Generale Garibaldi.
A GIUSEPPE GARIBALDI
DITTATORE IN SICILIA
IN NOME DEL RE VITTORIO EMANUELE
A voi, terrore dei nemici d' Italia, a voi, vindice invitto delle sciagure della Patria
comune, il Senato di questa città, interprete dei voti del popolo, offre il tributo della
più viva gratitudine.
Noi duravamo, fin dal 4 aprile, la lotta aspra e mortale, per frangere il ferreo
giogo borbonico e redimerci da un principe a nostra maggior vergogna nato in Italia,
ma turpe vassallo dello straniero.
Questo nemico nostro e d' Italia tutta erasi molto innanzi preparato al minacciato
cimento ; ma questo popolo, tutto spregiando, insorse quasi inerme al solo grido d' Italia
e del magnanimo RE VITTORIO EMANUELE. Sopraffatto in città, pugnò sui monti, e
vi sostenne il benedetto vessillo dell' italiano riscatto. Pendeva la lotta terribile, ma
incerta. Dubbie erano le nostre sorli e grave il pericolo, quando voi, compresa l' impor-
tanza del nostro riscatto, qui correste a pugnare fra noi, circondato dai più bravi e
generosi campioni dell' italiana libertà.
Dal giorno in cui voi ed i vostri prodi metteste il piede su questa terra, la vittoria
doveva esser nostra.
E Io fu.
Il vostro nome atterrò i nemici comuni. Intorno a voi accorsero le popolazioni tutte
dell' isola ; voi le infondeste la fede del vincere, voi le guidaste vittoriose in seno alla
nostra città a scacciare gli strumenti del dispotismo.
La città intera insorse a coadiuvare la grande opera vostra, ma Palermo procla-
mava voi il liberatore della Sicilia ; Palermo, ove voi avete colto la più bella palma
tra tutte quelle, che onorano la vostra vita.
218 LE LOTTE INTORNO A GARIBALDI A PALERMO
Grazie, o prode ! Guidateci ora a novelli cimenti. Il Dio della vittoria e della
giustizia sarà sempre con voi ; che l' odialo nemico d' Italia sparisca da questo suolo,
onde stringerci lutti liberi, concordi e forti, intorno alla gloriosa Croce di Savoia,
simbolo della redenzione d' Italia.
GIULIO BENSO, DUCA DI VERDURA - Pretore
PRINCIPE DI S.AN CATALDO - Sena/ore
ANTONINO FEDERICO
SALV.ATORE DE CARCAMO »
Al generale G. Garibaldi p^^^O AMARI
Ditlalore ìtì SALVATORE CUSA »
Sicilia VINCENZO FA VARA »
Dopo alcuni giorni, per le mene incessanti di La Farina, una deputazione
del Consiglio civico si presentava a Garibaldi per manifestargli il desiderio del
popolo di volere 1' annessione immediata della Sicilia. Ed il Generale rispose :
« essere venuto a combattere per 1' Italia e non per la Sicilia sola » ; che
egli « non poteva aderire a quel desiderio, senza precludere da se stesso la via
della sua impresa. Perchè, fatta l'annessione, il Governo sardo non avrebbe potuto
tenere in Sicilia Garibaldi e il suo esercito, il quale già cominciava a minac-
ciare il Regno di Napoli, senza mettersi in gravissime complicazioni. Una volta
annessa la Sicilia al Regno sardo, o il Governo doveva licenziare e sciogliere
i volontari di Garibaldi, ciò che non era facile e poteva iniziare una guerra
civile, o permettere che quest' esercito ed il suo popolo passasse dall' isola nelle
Calabrie ; ciò che sarebbe stata una grave offesa ai diritti internazionali e un
potente motivo cJle suscettibilità della diplomazia europea ».
Il rifiuto di Garibaldi venne approvato dall'opinione pubblica, non senza però
le proteste dei sobillati dal La Farina. Qualcuna di queste proteste fu dignitosa,
come quella del barone Casimiro Pisani, che si dimise dal Ministero insieme al
marchese di Torrearsa. Il Pisani mandò a Garibaldi la seguente lettera inedita.
Casimiro Pisani, Ministro della Dittatura, a Garibaldi.
Palermo, 24 giugno 1860.
SigTìore,
Ducimi profondamente che, in giorni così importanti per la Sicilia, io abbia dovuto
abbandonarmi da Voi ; dall' uomo nella cui virtù ciascuno di noi confida e pone oggi
ogni speranza di salvezza. Ma la risposta da Voi data al Consiglio civico di Palermo,
che credendo di andare a seconda delle vostre intenzioni, vi porgeva forse inoppor-
' La Cecilia - Storia degli ultimi rivolgimenti siciliani. Voi. I, pag. 171.
ISTRUZIONI SEGRETE E PIANO DEL BORBONE 219
tunamente un indirizzo che Voi rigettaste, m' impose 1' obbligo di rinunziare ad un
ufficio, il quale io d' altronde sentiva essere troppo grave soma per le mie spalle.
Io ebbi r onore di dirvi, a voce, tutte le ragioni, che mi spingevano a fare quella
rinunzia ; e Voi degnaste cortesemente ascoltarle, benché venissero alquanto in oppo-
sizione alla volontà da Voi con militare franchezza espressa e promulgata ; onde non
è d' uopo, che io qui le ripeta. Solamente vorrei far noto a tutti, e persuadere ciascuno
dei miei concittadini, che la discrepanza di opinioni non mi ha separato da Voi ; che
entrambi miriamo allo stesso scopo, tendiamo allo stesso fine : la liberazione dell' intera
Italia, e che in altro non differiamo se non nella scelta della via da tenere; differenza
che anche potrebbe trovare facile spiegazione nel divario, che passa tra Voi e me.
Voi uomo di alta mente e di gran cuore, sprezzando le scabrosità del cammino, vi
levate a volo e volete correre dirittamente alla sublime meta ; io, nella mia picciolezza,
messo in apprensione alla vista difficoltà, penso che si debba andare di passo, compiere
ciò che si è bene incominciato, e poi passare a nuove imprese; aggrandire, insomma,
a pezzo a pezzo il regno d' Italia, annettendovi le provincie, che riescono a frangere
il giogo ed a ripigliare la loro indipendenza e con le forze, in questo modo accresciute,
aspettare 1' occasione di portare efficace aiuto alle provincie, che rimangono tuttavia
oppresse dal duro servaggio.
Fatta questa dichiarazione, non mi resta che caldamente raccomandarvi questa cara
e travagliata Sicilia : rassodate la sua sorte, ve ne scongiuro ; non la lasciate in preda
alle fazioni, che potrebbero insorgere alle occulte insidie od all' aperta violenza degli
aborriti borbonici. Pensate, che portando intempestivamente nel regno di Napoli il
terrore del vostro nome e delle vostre valorose armi. Voi potreste forse giovare a chi
meno apprezzate, a chi potrebbe destramente valersi dell' opera vostra, senza neppure
sapervene grato. Sia la Sicilia la vostra patria ; amate, come Voi sapete amare, questa
vostra madre di adozione, la quale non è indegna di si illustre figlio.
Gradite, signor Generale, i sensi di profonda stima, coi quali ho il bene di
soscrivermi
Vostro gratissimo amico e sincero amiratore
BARONE PISANI
Ma per avere un' idea più esatta dell' ambiente di quei giorni, è bene
conoscere anche quello, che si pensava a Torino. Sul proposito sono importanti
le seguenti lettere inedite, che di là Bargoni scriveva al Calvino in Palermo.
Angelo Bargoni a Salvatore Calvino.
Torino, 21 giugno 1860.
Mio carissimo amico,
1 vostri prodigi trovarono un' eco di plauso e di commozione dapertutto, anche
m
questa fredda città. Io, tradito da voci che correvano a Genova, sperava proprio
220 LE LOTTE INTORNO A GARIBALDI A PALERMO
nella guarigione di Rosalino, che meritava davvero, come tu dici, di rivedere libera
la sua Palermo. Non v' è, che un coro di lodi e di compianto sulla sua tomba : ma
pur troppo è tomba ; e quel suo cuore onesto, leale, e generosissimo ha finito di battere !
Immaginati, se ne fui dolente, per lui e per te; che avesti il dolore di perderlo così
repentinamente.
Tu intanto, di pericolo in pericolo, te la cavasti egregiamente colla soddisfazione
di avere finalmente menato le mani. Meno male una ferita, se fu tanto leggiera da
permettere alla tua fermezza di non badarvi durante il combattimento e da poter essere
curata senza aiuto degli scortichini.
Alla tua carissima da Talamone già risposi. Faccio propaganda delle tue notizie.
A tutti fece piacere il sentirti Direttore del Ministero della Guerra.
Ora, ti obbligo a perdere dieci minuti del tuo tempo prezioso e ad ascoltarmi.
Si tratta di Sicilia e d' Italia.
Noi abbiamo sul conto vostro notizie contradittorie. Ti accludo due corrispondenze
dell' Opinione : se ne fosse vero il contenuto, sarebbe stata carità di patria il non
pubblicarle. Se il contenuto è esagerato, e lo deve essere, è bene scoprirne 1' autore
e combattere il giornale, che pubblicò. Ma occorre una relazione, calma, fredda, impar-
ziale e sopratutto onesta, cioè tua.
L' Espero annunziò lo sbarco di La Farina a Palermo fra un clamoroso entusiasmo.
La Gazzetta di Torino parlò di simpatie e vive dimostrazioni, che gli furono fatte.
L' Opinione tacque. Il Diritto ed altri giornali la smentirono. L' ammiraglio Persane
parve confermarle; ma altre fonti pervenute al Governo le negarono. A chi credere ?
Manca assolutamente sulle vostre condizioni civili una voce imparziale ed onesta,
che esponga le cose con esattezza. Ed è gran danno ! Non puoi credere il bene, che
si sarebbe fatto, se essa fosse venuta. Il generale Ribotti è richiesto ad ogni momento
o da Cavour o da Farini per informazioni, consigli etc Ma come fa a giovarvi
efficacemente, se ci lasci così all' oscuro e fra tante incertezze e contraddizioni ?
Dalle interpellanze passo alle confidenze. Anche qui ho bisogno della tua atten-
zione e di conoscere le tue intenzioni su ciò che sono per dirti, anche allo scopo di
sapermi regolare in avvenire ; se pure il telegrafo non cangerà da un momento all' altro
lo stato delle cose.
Arde la guerra tra i La Fariniani e i Bertaniani. I primi sono a gruppi ed oggimai
mancano di direzione : vi fu perfino qualche tentativo di ricostituzione della Società
Nazionale con altri auspici, ma fu un fiasco ; ad ogni modo la Società Nazionale diede
danari ed anche in misura discreta. Il Governo si è servito di essa ; ma ora non può
più farlo, perchè è rimasta acefala, tanto più essendosi dimessi alcuni Vicepresidenti.
D' altra parte, il Governo, finche non vi sia dichiarazione di guerra, non può far molto
scopertamente ; donde la necessità d' intendersi con Bertani. Convinti di questa neces-
sità e sopratutto dei vantaggi di un ravvicinamento in cosa tanto importante, io e Regnoli
accettammo di tentarlo. Trovammo Bertani assai dominalo dall'idea, forse esagerata,
della potenza sua e dei suoi, e ad un tempo dalla diffidenza verso il Governo ed alcuni
Ministri in particolare. Si venne alle condizioni : (ricordati, che queste cose sono per
te solo). // Governo si dichiarava pronto a fornire a Garibaldi i mezzi di ferire i Borboni
ISTRUZIONI SEGRETE E PIANO DEL BORBONE 221
al cuore, andando a Napoli. Ma siccome è Pippo (Mazzini) nell'isola, e gli uomini che
sono intorno a Garibaldi gli sono amici, cos) teme o dice di temere, che si voglia o si
desideri, un d] o l' altro di fare un colpo e cambiar la bandiera : domanda perciò, una
garanzia. E per tutta garanzia vuol mandare una persona, che abbia all' uopo dei poteri
in tasca : persona che Garibaldi sceglierebbe fra una nota presentata dal Governo.
Credo infondato il timore, ma non sconveniente la dimanda. Il Dottore volle alla sua
volta, che non si parlasse di altra persona, fuorché di Depretis e che invece di pro-
messe vi fossero fatti. Si aiutasse cioè, la spedizione di Cosenz e si fornissero i mezzi
per avere un legno da guerra. Il Governo accettò subito il nome di Depretis, che
interpellato da noi si disse pronto. Ma siccome, contemporaneamente, arrivò Amari
coir incarico ufficiale di rappresentare la Sicilia presso il nostro Governo, così Cavour
domandò, se doveva trattare con Amari o con Bertani ed esternò il desiderio d' intendersi
verbalmente e senza intermediari. Siccome e' era ordine, che per farlo venire a Torino
si dovesse ricorrere a Mauro Macchi si parlò a quest' ultimo, che deve aver guastato
tutto ! Invece del Dottore arrivò una sua lettera a me, la più strana, la più inconce-
pibile !
11 Generale, io, Regnoli ce ne siamo lavati le mani; ed oggi o domani incomin-
ceranno i soliti scandali, che noi italiani siamo costretti a vedere ripetersi tutti i momenti,
per quistioni di persone, anche nelle cose più gravi. Tutto cesserebbe, se il rappre-
sentante ufficiale di Garibaldi fosse un uomo della portata necessaria in queste contin-
genze. Ma tu conosci il conte Amari, mettilo fra Bertani e Cavour, e di' se è capace
di uscirne ! Cosenz ha una lettera di Garibaldi che lo chiama, non più in Calabria ma
in Sicilia. Il Dottore dice che Cosenz vuol partire e che per riuscire si darebbe anche
al diavolo ; ma che esso non conosce ne i progetti, ne i mezzi del Dottore medesimo.
E perchè glieli ha taciuti ? Del resto, il Dottore crede di poter fare la nuova spedizione
anche senza il Governo, esservi in ciò solo quistione di giorni. Ma anche la quistione
di giorni è suprema !
Quel che tu chiami Gianduia, benché sia Meneghino, soffia ad alimentare la irre-
conciliabilità del Dottore col gridare, che il Governo non è di buona fede. Io salto
questa quistione e guardo ai fatti. I fatti sono, che la spedizione Medici costa al Governo
quasi due milioni e che fu portata da una nostra nave da guerra.
Garibaldi avrebbe fatto una santa cosa nominando tutl' altri che il conte Amari.
Per esempio, il tuo generale Ribotti era persona adatta, perchè uomo d' azione, che
conosce cotesto paese, che ha relazioni amichevoli col Governo e con Ministri esteri
e che può intendersi col Dottore. Il fatto è irreparabile? Lo temo. Rimane una via
per accomodare tutto, mi pare. Nel momento più o meno vicino che Garibaldi lascerà
r isola, dovrebbe lasciare i suoi poteri civili a Depretis. Egli riaccomoderà tutto ed
anche così s'imporrà agli intriganti e sventerà le mene separatiste, che si attribuiscono
al vostro patriziato. E ciò possibile ?
L' Opinione, in un articolo di fondo, mantiene la veridicità delle sue corrispon-
dente contro le smentite del Diritto; ma conchiude che La Farina non può, né deve
essere fatto Ministro in Sicilia, perchè lo fu quando rientrarono i Borboni e perciò
divenne e rimase impopolare. Credo inutile mandarti 1' articolo.
222 LE LOTTE INTORNO A GARIBALDI A PALERMO
Tra i 900 catturati del Clipper americano sono : Titta Fardella, Natoli, Campo,
non Cianciolo, che saprai altrove. In un diverso altrove e il nostro amico, che chiama-
vamo il Ministro. Si crede nella prossimità di un tentativo rivoluzionario a Napoli, ove
certo la polizia è diventata cieca, perchè non vede gli uomini, le armi e le munizioni,
che vi entrano tutti i giorni. Ma sembra vero, che Garibaldi non possa muoversi
dall' isola, finche non abbia maggiori forze, perchè i siciliani non si prestano alla leva.
Vivi sano e felice nella felicità del nostro comune paese, che sta per essere assi-
curata interamente. Mandami o trova alcuno, che mi mandi ragguagH biografici minu-
tissimi del nostro povero Rosalino. Mio caro, ricevi un abbraccio dal
Tuo aff.mo
ANGELO BARCONI
Torino, 29 giugno 1860.
Mio carissimo.
Le cose sono cangiale di assai dopo quella mia lettera, perciò occorrono nuove
spiegazioni. Tu dovresti mandarmi proprio il diario della cita inlima di Garibaldi.
Ha nominato un vice-dittatore. Poi ha dichiarato di volere ritardare l' annessione. Poi
il vice-dittatore si è dimesso. Poi fu promulgata la legge elettorale. Poi si riparla, che
il vice-dittatore rientri al potere. Sono le solite notizie di Napoli, che hanno provocato
tutte queste vicende, in parte contradittorie.
Quale parte giuoca La Farina, che il « Piccolo Corriere » dice non potere uscir
di casa, senza che la popolazione gli corra incontro, e lo saluti e gli baci le mani?
Avete, o fortunatamente non avete pericoli di dissidenze civili? La costituzione separata
con un vice-re potrà tentare alcuno, sopratutto nei paesi ancora occupati ? La peste
del separatismo è veramente distrutta ? E intorno alle disposizioni popolari dobbiamo
credere a chi ci dice i siciliani recalcitranti alla leva, o a chi asserisce il contrario ?
Sono vere le innumerevoli diserzioni di Napolitani da Messina e altrove ? Ecco alcune
delle domande, a cui si desidera una risposta precisa, veritiera ed imparziale.
Di qui poco posso dirti. Cosenz si affretta a venire, e il Governo gli dà tutto.
11 dottore {Bertani) mi scrisse, che se avesse aspettato alcuni giorni gli avrebbe dato
tutto egli stesso. Ma da quell* epoca è già scorsa una settimana ed il dottore lamenta
ancora la mancanza di denaro. Ieri faceva appello colle stampe anche ad un prestito,
cui fu autorizzato da Garibaldi. Ma non si fanno prestiti in aria ; bisogna eleggere una
commissione ed esporre dei patti etc Ma col dottore le commissioni diventano impos-
sibili, perchè egli pone, per prima condizione, l'assoluta dipendenza da lui. Va bene
che è l'alter ego; ma il mondo distingue! D'altronde, perchè un prestito si faccia è
necessario un decreto di cotesto Ministero delle Finanze colla firma del Dittatore.
Credo, che la dittatura non escluda la regolarità. Con un abbraccio, mi confermo
Tuo aff.mo
ANGELO BARCONI
ISTRUZIONI SEGRETE E PIANO DEL BORBONE 223
Torino, r luglio 1860.
Carissimo amico.
Ti ringrazio dei dolorosi e più minuti ragguagli, che mi dai sulla morte del nostro
eroico amico Rosalino e attendo il resto. Nomini S. Domenico : è forse il luogo dove
si tengono i cadaveri mummificati? Se trasportate quelle illustri ceneri in Palermo,
(atelo in momento, in cui ciò possa aver luogo con ogni pompa militare e civile !
/ parliti sono sempre ingiusti. Da quanto mi dici, veggo che i timori di questo
Governo erano ispirali da cosi), e pub immaginarsi da chi. D'altra parte lessi, che si
accusa il nostro Governo di aver dato ordini a Medici di fare imprigionare a Cagliari
Mario e la moglie, e di avere invitato Garibaldi a fare altrettanto. Mi pare assurda
r accusa, perchè a Cagliari l' ordine sarebbe stato dato ad altri che a Medici, se lo
si fosse voluto dare ; e con Garibaldi, che io sappia, il Governo non ha rapporti diretti
e non li avrebbe voluti cominciare con la certezza di un fiasco! Pure le son cose,
che si scrivono da costì e si aggiunge pure, come fai tu, il nome di Mordini fra i
repubblicani, cosa che il Governo stesso non può più ammettere, perchè questi è
deputato.
Le notizie da Napoli sono eccellenti ; e la costituzione inaugurata con lo stato
di assedio è proprio un frutto degno di quella Reggia. Le parole dette in Parlamento
da Mancini e sopratutto da Poerio avranno un' eco, sperasi, eccellente !
Ricevi un affettuosissimo abbraccio dal
Tuo amicissimo
ANGELO BARGONI
Torino, 15 luglio 1860.
Mio caro amico,
Ho ricevuto la carissima tua del 9 andante. Quanto te ne ringrazio! La tua
lettera l'ho letta per intero al solo Generale {Ribolli), lì suo tenore voleva comuni-
carlo al « Diritto ». Ma quel direttore, senza prima sentirne la lettura, mi ha mostrato
il desiderio, che ne facessi un articolo. L'ho fatto, e te lo comunico. Ti piacerà? Lo
spero. Mordini aveva scritto a Marazio, che tu mi autorizzavi a fargli stampare la tua
lettera. Invece, tu mi dicevi il contrario. Ma ora, quel che è fatto è fatto ! Ho lasciata
la sola parte, che riguarda /' opposizione di Pippo {Mazzini), perchè gli fa torlo.
Che cosa dica e faccia La Farina, qui tornato, te lo spiega V « Espero » , suo
organo. L'articolo, che lo riguarda può credersi scritto da La Farina stesso. Come
insozzarsi a confutarlo? Bisogna rompere la faccia al caperai Fabiola, e per verità
oi sono offese sanguinose contro voialtri ! A me darai mezzo di spiegare le stragi ivi
accennate. Ti comunico anche ciò, che dice 1' « Opinione ». Forse riceverete tutto
costì ; ma ti sarebbe meno facile vederli. Ciò che non ho visto io, è il « Piccolo
Corriere » d'oggi, che pure amerei tanto avere sott' occhio.
224 LE LOTTE INTORNO A GARIBALDI A PALERMO
Non so, se il racconto dello stato d' anarchia, che La Farina dipinge a tutti coi
più foschi colori, riguardo alla vostra Isola, o se la notizia delle due altre fregate a
voi disertate, o se un altro movente qualunque sia quello, che ha determinato il Governo
a chiamare per telegrafo Depretis da Stradella e a pregarlo di partire per costì, nel
punto stesso che Minoli gli faceva eguale preghiera a nome di Garibaldi. Depretis
non attendeva che un cenno o dal Governo o da Garibaldi, ed ora perciò parte.
Garibaldi aveva dato incarico di chiamarlo al marchese Trecchi, celebre donnaiuolo ;
ma Trecchi se ne dimenticò o trovò chi volle farglielo dimenticare. D' altra parte,
Cavour disse ripetutamente a Ribotti, che il Governo voleva far partire Depretis ; ma
che Depretis non voleva andare per stare sotto gli ordini di Garibaldi, volendo partire
solo come commissario straordinario. Ribotti non è ancora persuaso, che ciò è comple-
tamente falso. Comunque sia, il fatto è favorevole e basta. Depretis farà di tutto per
partire domani sera. Non so come trovasti così certo, eh' io venissi con lui. Sarei venuto
certissimamente, se fossi stato deputato. Invece, anche stavolta feci fiasco ! Come depu-
tato mi sarei potuto offrire. Qual sono, no ; sembrerei un sollecitatore d' impieghi e
nulla pili. D* altronde, Depretis mi conosce da poco tempo, e per relazioni altrui, più
che per conoscenza diretta. Quando sarà costì e gli mancasse, cosa impossibile, il
personale per formarsi il Gabinetto privato e qualcuno gli ricordasse, che io sarei pronto
a venire, verrei subito, e verrei con trasporto, sia per la soddisfazione d'amicizia di
lavorare, ne sopra ne sotto, ma teco, sia per la soddisfazione patriottica di contribuire,
in qualche modo, all' opera della definitiva costituzione dell* unità italiana, perchè ormai
vi giungiamo, vo' credere, di sicuro.
Qui l'opinione pubblica e commossa e in parte fuorviata; una numerora classe
di persone da diversi anni non prende le sue ispirazioni, che da questo o quel giornale.
Inoltre, oi sono i portavoce della vostra vittima (La Farina), che pei caffè e nei clubs
spargono notizie orrende! Ma i nomi dei nuovi ministri: Amari lo storico. Errante e
Interdonato, faranno del bene ; e più ne farà la notizia, che Depretis parte per cast).
Quando il generale (Ribalti) doveva partire per Napoli, Amos (Ronchei, aiutante
di Ribotti) fece una gita a casa sua e poi andò ad aspettarlo a Genova. Il Generale
sai, che non scrive; ed Amos è ancora là. Ora il Ministero ha deciso che Ri'ootti
vada anche senza passaporto regolare, purché vada. Ed egli va. Credo, che parta
domani o per Genova, o per Livorno. C'è la convinzione, che la faccenda caschi
entro il mese ! *
Qui si aspettano gli ambasciatori che manda Napoli, già sbarcati a Livorno,
trattivi del cattivo tempo, mentre facevano rotta per Nizza, onde sbarcarvi la Greca,
che va a Parigi e Londra. Non combineranno nulla, perchè le domande del nostro
Governo sono inaccettabilissime.
Amari è tornato costì. Bisogna svestirlo. Nessun uomo serio vorrà fare il rappre-
sentante del Dittatore, finche Bertani ne è Valter ego. Dunque bisogna, non c'è via
' Si allude alla caduta di Napoli per opera degli emissari del Cavour.
ISTRUZIONI SEGRETE E PIANO DEL BORBONE 225
di mezzo, fare rappresentante Bertani stesso ; ne il Governo nostro può rifiutarlo, perchè
deputato al Parlamento ed amico di Depretis. Macchi, d'altronde, mi dice che ora
Bertani è in relazione anche col Re, all' infuori del Ministero. L' •< Unità Italiana »
di Genova lavora al solito, male! Ha una corrispondenza da Palermo, che giudica i
nuovi Ministri in modo stolido e poco favorevole ad un tempo. Fa giungere i miei
saluti al maggiore Cadolini ed al capitano Cianciolo, e salutami Pisani e gli altri amici.
Amami e credimi sempre
Tutto tuo
ANGELO BARCONI
P. 5. - Il *< Piccolo Corriere ^> fa le difese di La Farina, ma fu impossibile
trovarlo. L' « Espero > solo ne parlò, e te lo mando.
Torino, 20 luglio 1860.
Mio carissimo,
11 nuovo Ministero ha nomi eccellenti. Ma Amari, uomo europeo, doveva essere
agli Esteri, almeno pro-forma. Sta bene agli Interni la capacità di Interdonato. Ed ottimo
effetto fa la presenza di Errante, che personifica il purismo dell' onestà. La venuta di
Depretis completa il quadro. E i buoni effetti già si vedono nell' essersi Garibaldi
mosso da Palermo per andare al campo di Medici, a mascherare forse la prossima
discesa sul continente. Non ho bisogno di dirti quanto piacere mi faccia il sentirti
accanto al Dittatore. Il generale {Ribotti) mi disse domenica, che sebbene si sia persi-
stito a rifiutargli il visto, voleva partire con qualunque altro passaporto, che si trovasse
e gli promisi di trovarglielo ; col mezzo di Minoli glielo avrei trovato. Ma mi levò la
commissione, dicendosi certo di trovarlo a Genova per se e per Amos {Ronchei).
Invece, sino a ieri 1' altro, non avevano nulla. E sì che per fare qualche cosa davvero,
non e' è tempo da perdere. A dirtela poi schietta io preferisco, che sia cos). Se un
altro prende la direzione di un moto a Napoli, questo assume un carattere, passi ancora
la parola, piemontese, e può trovarsi sopra una linea diversa di quella su cui Gari-
baldi porterebbe il moto nelle Provincie, che venisse occupando. Di qui una serie di guai,
tra cui non ultimo quello di trovarsi paralizzati ad estendere il moto nello Slato Ponti-
fìcio, cosa tanto temuta da questi Signori Ministri. Nondimeno, nelle Marche ed Umbria
si lavora sempre. Pichi, Zambeccari ed Annoni volevano tentarvi qualche cosa ; ma
non possono essere seguiti. Ora si vocifera, che si tenga pronto Pianciani e, per Dio,
è tempo che cessi di scrivere per operare con la spada ! Le notizie dell' esercito di
Lamoricière sono sempre eccellenti : diserzioni, anunutinamenti, etc... E quando Gari-
baldi compaia sul confine par certo, che gli indigeni diserteranno in massa !
Non mi hai risposto niente sulle informazioni biografiche, che ti chiesi per Rosa-
lino {Pilo), lo vorrei fare una cosa esatta; per ciò bisogna avere i particolari dalle
persone, che lo avvicinarono nelle diverse epoche della sua vita. E a dirti intiero il
mio pensiero, vorrei profittare di questa sua vita per parlare con moderazione di forma,
CURÀTULO 15
226 LE LOTTE INTORNO A GARIBALDI A PALERMO
ma con franchezza e senza mezzi termini, dei servizi resi dal partilo repubblicano
all' Italia in questi ultimi anni. Anche ciò è rendere omaggio alla sua memoria ; e poi,
è tempo che si osi dire la verità. E vero, che le Cassandre 1' hanno detta ; ma 1' hanno
detta con Hnguaggio che non poteva essere creduto, perchè alla loro volta non avevano
giustìzia per gli altri partiti. Io ho cercato e fatto cercare un ritratto del nostro povero
amico ; ma fino ad ora invano. Quello che teneva a Genova, egli stesso, sopra il tavolo,
dove si trova ? Non si può riprodurlo ?
Avrei curiosità di sapere come si condusse e dove si trova il conte Capaci, che
era intendente di Palermo pel Borbone. '
Possiedo il Piccolo Corriere con l' integrale difesa di La Farina, ma lo avrete
costì. Bisogna in Palermo rispondergli. Stampare due colonne a fronte : la sua difesa e
le confutazioni ; sprecare qualche centinaio di lire ; farne un opuscolo ; mandare migliaia
di copie e venderli a pochi centesimi per la Sicilia. Pare, che ogni riga meriti una
parola, che metterà in luce la sua mala fede. E vero, che si tratta ormai di un uomo
morto ; ma quella sua difesa è così riboccante di ingiurie da non poterla subire in pace.
Mio caro amico, continua a scrivermi e ricevi un abbraccio dal
Tuo aff.mo
ANGELO BARGONI
Infine, a meglio illustrare l'ambiente di quei giorni in Palermo, così carico
di elettricità, si legga la seguente caratteristica lettera, che trascrivo dall'originale.
Luigi Naselli Flores a Garibaldi.
Palermo, li 13 giugno 1860.
Signor Generale,
Il mio vecchio amico Giuseppe Ricciardi mi ha scritto da Genova il 24 dello
scorso maggio, mandandomi per lei la letterina, che troverà qui annessa e che mi è
giunta ieri sera. In quella a me diretta trovai il paragrafo seguente, e che il Ricciardi
mi ha incaricato di comunicarle.
« Vorrei deste costì la maggiore pubblicità possibile ai motivi che mi vietarono
di far parte della spedizione cui mi dolse tanto più di non aver potuto partecipare,
in quanto che il mio nome trovasi a pie dei Proclami diretti dal Generale agli abitanti
del reame di Napoli. I miei nemici profitteranno al certo di cotal fatto per scagliarmi
la pietra, dimentichi di ciò che osai in Calabria pressoché solo nel 1 848 e del duplice
esilio ventiquattrenne >.
Il fratello di Rosalino Pilo.
ISTRUZIONI SEGRETE E PIANO DEL BORBONE 227
Profitto di questa occasione, signor Generale, per lagnarmi amaramente con lei
dei modi più che villani, che ebbi a subire ieri da parte di uno dei di lei commili-
toni, colonnello Tùrr.
Venliquattranni di onesti servizi nell' Amministrazione militare francese, dei quali 1 8
attivamente nell' armata di Africa ed il posto di Maggiore Ispettore alle rassegne, che
occupai nell'esercito nazionale siciliano, nelle vicende del 1848-49, decisero i miei
amici politici a confidarmi le medesime funzioni presso questo Intendente Generale,
r ottimo sig. Acerbi.
Questi mi diede ieri incarico di prendere in custodia il locale, che teste occupava nel
quartiere di S. Giacomo la Vice-Intendenza militare del cessato Governo borbonico, e nel
quale i regi han lasciato intatti gli archivi di quell'Amministrazione e tutte le stampe, libri
e registri ed altri documenti utilissimi per l'armata nazionale siciliana, che deve organizzarsi.
10 mi sono quindi recato ieri dal signor Tiirr per domandare la cessione alla
Intendenza di quel locale da lui destinato allo Stato Maggiore di uno dei battaglioni
acquartierati a S. Giacomo, locale che ho trovato in disordine.
11 signor Tijrr rifiutossi formalmente alla cessione di quel locale, e rispose villa-
namente in presenza di un impiegato della sciolta Vice-Intendenza, che mi accompagnava
e con parole indegne di un sedicente Uffiziale Generale e patriota.
Tutt' altro men di me penetrato dei riguardi, che debbonsi a degli stranieri, che
sotto il di lei comando han fatto gloriosamente risorgere la pressoché abbattuta rivo-
luzione siciliana, avrebbe risposto per le rime al signor Tùrr; ma vecchio patriotta a
57 anni; passati nell'esilio 26 anni, indefessamente lavorando per l'italiana rigenerazione,
io ho creduto dover fare atto di abnegazione e mi sono quindi limitato a voltar le
spalle al signor Tiirr e andar via.
Ma siccome so, che simili disgustose scene hanno già avuto luogo con altri miei
compatriotti, e che la riproduzione delle stesse potrebbe essere, sopratutto in Sicilia, dove
gli elementi di discordia non mancano, oltremodo nociva alla sacrosanta causa italiana, io
la prego, signor Generale, di far conoscere al signor Tiirr e agli altri suoi commilitoni,
che i siciliani non intendono essere trattati da loro come popolo conquistato
e che importa agli uni e agli altri, che si usino scambievolmente quei riguardi e quella
moderazione, dai quali e come italiani e come patrioti essi non dovrebbero mai dipartirsi.
Mi creda, signor Generale, coi sentimenti della più alta stima e venerazione
Devotissimo suo
LUIGI NASELLI FLORES
Maggiore Ispettore
alle Rassegne dell' ElMrcilo nazionale siciliano.
G. Ricciardi a Garibaldi.
Egregio signor Generale,
Genova, il 24 maggio 1860.
Annovero fra i più gravi dolori della mia vita quello di non aver potuto partire
con lei la mattina del 6 maggio, siccome aveva divisato ad onta dei di lei consigli
228 LE LOTTE INTORNO A GARIBALDI A PALERMO
in contrario. Ma ahimè ! fui costretto esclamare : Spiritus adest, caro aulem infirma est.
Spero che il signor Giaccio ed altri due o tre da me incaricati ad hoc, le abbiano
esfwsto i motivi, che mi obbligarono a scendere dal Lombardo alle 4 e mezza anti-
meridiane del dì 6 stante, e che ella perciò non sia stata meravigliata di non trovarmi
nella nobile schiera da lei capitanata con tanta gloria ed utilità della nostra carissima
Italia. Dopo un quarto di secolo speso a prò della sacra causa, dovetti, a cagione delle
deboli forze del corpo, rinunziare ad unire i miei sforzi a quelli dei generosi da lei
guidati all' impresa più bella e gloriosa, che sia stata mai tentala a prò della grande
patria comune ! Nella speranza, che non voglia affatto dimenticarmi in mezzo alla gioia
dei suoi trionfi, la prego, caro Generale, di accogliere i miei più cordiali saluti.
a RICCIARDI
ISTRUZIONI NAPOLETANE.
ANNOTAZIONI PER S. E. IL GENERALE GARIBALDI.
{Dall' autografo).
1. - 11 governo di Napoli ha teste spedito in Messina un giovine ufficiale del
genio Biagio de Benedictis per accrescere le fortificazioni dei forti Gastellaccio e
S. Salvatore nei dintorni della cittadella. Questo uffiziale è stato sempre di patriottici
sentimenti ed è disposto a rendere qualunque servizio alla patria, anche a prezzo della
sua vita. Egli, partendo, mi ha lasciato un motto d' ordine, che io le trasmetto, onde
ella possa mettersi prontamente in relazione con lui. 11 motto d'ordine è questo: Dieci
giugno milleottocentossessanta alla Croce di Malia.
2. - Una gran parte degli Uffiziali del genio e dell'artiglieria della guarnigione
di Capua vorrebbero disertare, se trovassero un mezzo. Questo è il fiore dell' esercito
e potrebbero rendere i più grandi servizi. Essi vorrebbero con un suo proclama essere
assicurati dei loro gradi e della loro vita : dico della loro vita, perchè il Governo ha
diabolicamente fatto spargere nelle file dell' esercito, che ella ha consegnato, loro mal-
grado, tutti i disertori alle autorità napoletane. Aspetto questo suo proclama, che sarà
cura mia di far pervenire alla sua destinazione : ella potrà servirsi dello stesso mezzo,
che le porterà questa carta per inviarmelo. Mi dia intanto, istruzioni per questi Uffiziali.
3. - Ella a quest'ora ha già ricevuto degli avvisi, che riguardano la sicurezza
dei suoi preziosi giorni : ora debbo dirle che due emigrati di pessima condotta. Luigi
Roxas e Antonio Roscitto, saranno già arrivati in Sicilia con sinistre intenzioni: essi
probabilmente chiederanno di entrare nel suo esercito : li faccia strettamente sorvegliare.
4. - Ella saprà, a quest'ora, la cattura di un legno americano e di un vapore
sardo a 12 miglia da Capo Corso con volontari italiani. Villamarina si conduce ener-
gicamente, ma sventuratamente è poco o nulla appoggiato dallo incaricato d'afiari ame-
ricano. L'avverto intanto, per dichiarazioni avute dal Capitano del legno sardo, che il
Giuda che ha avvisato il Governo di Napoli sta a bordo coi volontari, poiché uno
dei volontari ha tentato fuggire, ma è stato ritenuto dai compagni.
ISTRUZIONI SEGRETE E PIANO DEL BORBONE 229
5. - li Governo di Napoli ha già ordinato una formidabile spedizione contro la Sicilia :
saranno due corpi di 20 mila uomini ciascuno, comandati forse dal generale Pianell,
quello famoso degli Abruzzi. Bosco è stato fatto colonnello, per non so che bravura,
ed ha il comando di tre battaglioni cacciatori, i movimenti sono diretti da Napoli dal
generale Filangieri ; il generale Clary, distintosi per gli eccidi di Catania, è stato fatto
Maresciallo di Campo. Le guardie urbane del Continente sono state mobilizzate. La
indisciplina nelle truppe è giunta al colmo : queste minacciano di massacrare i loro
Ufiìziali, che riguardano come traditori. Avant' ieri un Aiutante maggiore del 1 3" cac-
ciatori disse al suo battaglione, ordinato nel quartiere : Figliuoli, è cenulo il tempo di
arricchirsi! Non e' è da fidare in truppe simili.
6. - Le trasmetterò, se Io crede opportuno, una memoria sulla fortezza di Capua,
che è formidabile ed è posta sulla strada di Napoli ; elaborata da Uffìziali del genio
ed artiglieria : vi è indicato il modo di attacco ed i punti deboli della piazza. Me ne
scriva e l' avrà subito.
7. - Ho creduto di conservare l'anonimo, ma avrà tutte le assicurazioni possibili dal
porgitore. Del resto, se lo crede, non esiterei a dire il mio nome. La prego di scrivermi
per lo stesso mezzo e darmi istruzioni, se lo crede diriga al signor Giorgio Valenti.
P. S. - Il Governo napoletano mette in libertà tutti i facinorosi e quelli di Favi-
gnana e li getta sulle coste della Sicilia, sperando di provocare il disordine e l'anarchia.
ANNOTAZIONI SULLE CONDIZIONI DI NAPOLI E DELLA CALABRIA.
AL GENERALE GARIBALDI.
{Dall'autografo).
20 giugno 1860.
Le condizioni del Reame napoletano sono in gran parte diverse da quelle della
Sicilia. In questa, il movimento rivoluzionario ha potuto concentrare nei dintorni di
Palermo, luoghi montuosi, epperò di convenienti posizioni, e popolarli di uomini armi-
geri. Napoli, per contrario, è circondata quasi interamente, da pianure abitate da popoli
piuttosto molli. Questa differenza fa che nel Continente la insurrezione dovrà più lun-
gamente durare, perchè l' onda rivoluzionaria si porti dalle provincie sulla capitale, la
conquista della quale deve decidere il trionfo.
Nelle Provincie la gran maggioranza dei liberali, stanchi tutti della persecuzione
del Governo, ha accettata l' idea dell' unità italiana, per modo che oltre gli uomini
guasti dai favori del potere, non si ha ora che il solo partito annessionista, niuno pre-
stando più fede ad una dinastia avvezza allo spergiuro ed essendo caduta quasi inte-
ramente la vecchia aspirazione murattiana. Nella capitale poi la presenza della Corte,
i suoi immediati favori, han corrotto o cattivato un maggior numero di creature ; ed
il pregiudizio che Napoli non debba divenire città di provincia aliena pure dalla causa
italiana alcune menti volsari.
230 LE LOTTE INTORNO A GARIBALDI A PALERMO
Il Comitato napoletano è in comunicazione con quelli delle provincie e vi eser-
cita la sua influenza. Ha mediocri mezzi di stampa, scarso di denaro. Le Puglie, volon-
terose, non possono nella loro parte piana prestare la loro opera che per diversioni,
perchè troppo esposte all' azione della cavalleria.
Le altre provincie sono abbastanza disposte al movimento, ma quelle di Basilicata,
Salerno e delle due prime, Calabria sopra tutto, sono pronte ad iniziarlo.
La provincia di Cosenza offre come sicuri 1300 uomini, 800 già provveduti di
armi da caccia, oltre quelli che si riunirebbero, appena che il movimento fosse
cominciato. Sarebbe necessario un buon numero di armi per le Calabrie, ma si aspet-
tano le notizie opportune per fare conoscere il punto preciso in cui potrebbero essere
ben ricevute.
La provincia di Basilicata, più animosa, offre d' iniziare il movimento e non chiede
ne armi, ne denaro. Quella di Salerno crede poter disporre di 3000 uomini armati
e risoluti ; ha in cassa 4000 ducati e ne domanda altri 1 200 per potersi mantenere
10 o 13 giorni. Il contado di Molise, il Principato ulteriore, Benevento e la parte
montuosa della Puglia accorrerebbe, con tutti i mezzi, alla insurrezione. Le altre
parti la seconderebbero almeno con fatti parziali e con dimostrazioni inermi. Dovunque
gli insorti cercherebbero di impadronirsi delle casse pubbliche per mantenersi, rispet-
tando la proprietà privata.
Generalmente, si dichiara che sia imprudente di far cominciamento alla insurre-
zione senza preventivo largo soccorso di denaro.
Nella capitale vi è un nucleo rivoluzionario abbastanza bene disciplinato e risoluto,
che le sinistre tradizioni della plebe ed i rigori della poHzia hanno finora impedito
di ampliare ; ma è sperabile che cominciata la insurrezione se ne allargherebbe di
molto la sfera. Nei Comuni circostanti si ha un buon numero di gente pronta ad
accorrere. In generale si difetta di armi, e sarebbero circa 2000 fucili. II punto
preciso dove questi dovrebbero sbarcare sarà fatto noto col primo mezzo al Comitato
di Genova.
Su queste notizie gettate in carta, così in fretta, si vuol sapere dal magnanimo
Eroe, destinato dalla Provvidenza a compiere la redenzione d' Italia quando il movi-
mento debba incominciare e qual piano debba seguirsi.
Non sarà superfluo il far noto, che dal Comitato di Genova si fa sperare come
prossimo l'arrivo in Napoli di taluni capi militari, che potrebbero dirigere le bande
insorte fino allo sbarco delle spedizioni.
Con altro rapporto si farà sapere tutto quello, che si potrà conoscere intorno ai
movimenti delle armi regie ed i loro piani di difesa.
P. S. - Dopo la presente relazione ci si è fatto sapere che le Calabrie, princi-
palmente quelle di Cosenza e Catanzaro, non solo sono pronte ad insorgere, ma non
possono ritardare il movimento senza pericolo delle persone, già entrate in troppo
grave compromissione verso il Governo.
ISTRUZIONI SEGRETE E PIANO DEL BORBONE 231
Le armi di cui avrebbero bisogno, oltre quelle che già hanno, cioè 4000 fucili
circa colle corrispondenti munizioni, dovrebbero essere trasportate al più presto alla
marina di S. Eufemia, nel golfo dello slesso nome.
I molti Comuni della Terra di Lavoro e buon numero di uomini sono pronti a
prendere le armi ed a correr sia nelle altre provincie, dove già fosse cominciata la
lotta, sia alla Capitale. Per essi e per Napoli sono indispensabili almeno 2000 fucili,
che dovrebbero essere trasportati alla spiaggia fra le Sancta di Satria ' e quelle di
Castel Volturno, e propriamente in un punto intermedio, ma più vicino a Satria, dove
è un Casino del Re molto visibile a chi viene dal mare.
Quelle Sancta di cui si parla sono poste, 1' una sulla foce del lago di Satria, l'altra
su quella del Volturno, e il punto dello sbarco è precisamente presso la foce dei regi
laghi, là dove mette capo una strada per le carrette. L' approdo dovrebbe avvenire
sul cadere del giorno, perchè si abbia il tempo di caricare i carretti e giungere al
luogo del deposito, prima che spunti il nuovo sole. Dovremmo essere avvertiti dell'arrivo,
almeno tre giorni innanzi, per apprestare i mezzi di trasporto e far trovare sulla spiaggia
un uomo, il quale agiterà un' asta con sopra un cappello bianco nelle ore del giorno,
ed un lume in quelle della notte, facendo piegare sempre un po' più verso il punto
in cui la nave deve approdare ; quando questa sarà entrata nella direzione, l'asta sarà
agitata m senso verticale e finalmente piantata a terra.
Nel precedente rapporto si omise far motto degli Abruzzi, perchè le relazioni in
quella linea erano ancora monche ; ma ora taluni uomini stanno per partire colla mis-
sione di stabilirle più strettamente. Si crede, che talune bande sieno quivi insorte, sebbene
ancora poco numerose ; ma la notizia dovrebbe essere confermata.
Si buccina che due Napoletani, i quali hanno combattuto in Lombardia con brevetto
del Generale Garibaldi, corrotti ora dal Governo, canno in Sicilia ad attentare ai
giorni dell' Eroe.
I rigori del potere rendono difficile anche il raccogliere denaro. Ciò non pertanto,
qui ve ne ha abbondantemente per la cospirazione, ma quasi nulla per mantenere le bande
armate dopo le insurrezioni; le quali mancheranno di mezzi, se le casse pubbliche,
di cui cercheranno d' impadronirsi, non ne forniranno abbastanza.
Sono alle dette bande indispensabili i capi militari, e la Basilicata sopra lutto li
domanda, come condizione sine qua non. 11 Bertani li aveva promessi, ma non li ha
spedili.
Per quanto si è potuto sapere, il Governo prepara una spedizione di 24.000
uomini per la riconquista della Sicilia da parte di Messina, secondo un piano che si
attribuisce al colonnello Luigi Cianculli.
La spedizione, secondo la voce più accreditala, dovrebbe essere comandata dal
generale Nunziante, Duca di Mignano.
IL COMITATO SUPERIORE NAPOLETANO
' Chiamansi Sancta in quelle contrade alcuni luoghi boscosi.
232 LE LOTTE INTORNO A GARIBALDI A PALERMO
PIANO DEL BORBONE.
{Dall' aulografo) .
Annolazioni. — Il Re ha scritto una lettera a Lamoricière per domandargli un
abboccciinento a Terracina o a Gaeta e sottomettergli un piano militare, il quale consiste
nella divisione del Regno di Napoli in cinque grandi comandi superiori: 1°, a Napoli,
2", ad Aquila e Campobasso, 3°, a Vierti e Taranto, 4", in Calabria, con colonne
volanti all' uso arabo, 5", in Sicilia.
La Marina bloccherà Palermo ; per terra ó.CXX) uomini sortiranno da Messina
per avanzarsi verso Cefalìi fino a Termini ; 6.000 uomini sbarcheranno a Marsala
marciando sopra Salemi ; dove giunti, si divideranno in due colonne. La prima pren-
derà a sinistra verso Trapani ; la seconda seguirà la riviera bellica, fino a che abbia
potuto congiungersi colla colonna uscita da Messina.
Oltre che da Napoli, arrivavano a Garibaldi inviti ed istruzioni segrete
dalla Calabria, scritte su pezzi di carta con caratteri piccolissimi. Ne trascrivo
qui alcuni.
IL COMITATO DI CALABRIA CITERIORE
ALL' EROE ITALIANO GIUSEPPE GARIBALDI, SALUTE.
(Dall' autografo).
Cosenza, 7 giugno 1860.
Signor Generale,
Il popolo della Calabria citeriore fin dal principio della guerra d' indipendenza,
la cui storia porterà in cima il Vostro nome e lo rimanderà ai più tardi nepoti, quale
simbolo d' indescrivibile patriottismo, di virtù incontaminata, di sublime disinteresse,
di eroici sacrifici, di sovrumano ardire, ha durato gli sforzi più terribili dovendo lan-
guire in una inerzia incompatibile con cuori ferventi e volontà decise a sacrificare
tutto pel bene della Patria. Senza sgomentarsi però, dietro la pace di Villafranca,
tutti gli sforzi diresse allo scopo di preparare il movimento, che deve por termine ai
dolori d' Italia, ed ha motivo di rallegrarsi dell' opera sua. Allorché, in novembre
ultimo, il vostro slancio patriottico venne fatalmente impedito e distolto, ritenete che
il vostro sacrificio fu da noi pienamente diviso ! Non ci fu ignoto fin dal principio,
che da noi si aspettava una scossa potente e decisiva pei destini della Penisola ; e
questo riguardo, unito alla tema di attraversare io svolgimento di essi, calmò il nostro
ISTRUZIONI SEGRETE E PIANO DEL BORBONE 233
entusiasmo. Nulladìmeno, senza desìstere dalla iniziata impresa, raddoppiammo le
premure ai nostri capi di Napoli per procurarci uno sbarco di uomini, di armi e
munizioni e almeno disporre, che una parte delle altre provincie del continente napo-
letano concorresse al moto. Poteva in tal caso supplirsi al difetto di uomini istrutti
al mestiere delle armi, ma non mai a quello degli altri mezzi necessari ed indispen-
sabili. Le calde nostre preghiere restarono per allora non appagate ; ci si raccomandò
di attendere fiduciosamente il segnale ; appianate talune difficoltà della politica europea
r insurrezione della prode ed eroica Sicilia ci ha reso impazienti ; ma coli' animo deli-
berato a procurare il vero bene d' Italia abbiamo fatto pervenire il nostro appello a
Napoli, Salerno, Basilicata e nelle due altre Calabrie. Fin d'allora abbiamo vissuto
giorni di supplizio e di morte! L'incertezza della sorte dei fratelli dell'isola prima,
poi qualche disaccordo intorno alla opportunità del moto tra noi e le altre provincie,
e la permanenza del difetto di mezzi, fra i quali non ultimo quello di Capi militari,
accrebbe e va perpetuando lo strazio del nostro cuore.
Il vostro arrivo in Sicilia fu 1' eco del riscatto italiano. Non sono cessate, è vero,
le titubanze delle confinanti provincie; ma una vostra parola basterà a scuotere tutti
ed armonizzar tutti. Fin' ora ci è stato impossibile accogliere da Voi tale oracolo ;
speriamo che ora ci arrida miglior fortuna. Vi sono noti i nostri bisogni, le nostre
condizioni; a Voi non rimane che disporre di noi. Una sola vostra parola, un solo
accento, una promessa sola; e noi siam pronti ad affrontare qualunque sacrifizio!
Il vostro cuore magnanimo non esiterà un istante di interessarsi alla sorte di
sventurati, ma volonterosi italiani. L' Eroe di Varese non fu mai sordo al grido del
dolore ! Vi offriamo da questo medesimo istante la Dittatura : assumetela con quella
di Sicilia e disponete di noi. Qui non vi sono orecchie, che per accogliere il grido
d'Italia e Vittorio Emanuele! Non altre aspirazioni che le unitarie; e Voi, la più
salda speranza d' Italia, siete l' arbitro dei nostri cuori.
IL COMITATO DELLA CALABRIA CITERIORE
A Sua Eccellenza
il Generale Giuseppe Garibaldi
Dillalore della Sicilia
Palermo
AL GENERALE GIUSEPPE GARIBALDI
IL COMITATO DELLA CALABRIA CITERIORE, SALUTE.
{Dall' autografo).
9 giugno 1860.
Da due giorni è qui cominciato il mobilizzamento della guardia urbana. 1 diversi
contingenti sono per lo più formati dai congedati dell' armata.
Nella Basilicata si stava facendo la stessa cosa sin da ieri l'altro. S' ignora che cosa
succederà di questa agglomerazione di forza. Da alcuni si pretende, che si destini a
234 LE LOTTE INTORNO A GARIBALDI A PALERMO
guardia del littorale. Da altri alla custodia di Cosenza. E tutta gente malissimo armata, per
la maggior parte mal contenta, e solo fra i congedati offre qualche elemento pericoloso.
Nella nostra Provincia, le coste dell' Jonio sono già munite di cordone marittimo,
il quale è fornito degli urbani, che vi attendono, e da una compagnia di soldati del
12° linea e di un'altra compagnia di gendarmi, la quale nello stesso tempo presta
molti altri servizi. Neil' Jonio, Cariati, Rossano e Corogliano offrono più facilitazioni
per uno sbarco.
In Cosenza il presidio è di tre compagnie del 12", una compagnia di gendarmi
e di squadriglie, specie di briganti in uniforme, che ammontano a circa 150.
Nella marina del Tirreno ancora non vi è cordone, ma forse si metterà. Non vi è
truppa di linea, ma solo dotazioni di gendarmi in piccolo numero.
Per uno sbarco nel Tirreno, Paola offrirebbe la maggiore facilitazione. Poscia
Sant' Eufemia, o Marina di Nicastro, nella provincia di Catanzaro, e quindi Sapri in
quella di Basilicata. Ma dovrebbesi sempre preferire Paola, perchè offrirebbe una
strada rotabile, molte barcaccie per lo sbarco, molti carri e carretti pel trasporto del
materiale, e molte bestie da soma per quello dell' artiglieria.
IL COMITATO DELLA CALABRIA CITERIORE
Il documento che segue è uno scritto clandestino emanato dal Comitato
Centrale di Napoli, che era in continua relazione col Bertani e con Garibaldi.
Questo Comitato aveva per motto la parola " Ordine ,, , impressa su tutti i proclami.
Ordine.
COMITATO CENTRALE DI NAPOLI.
{Dall' autografo).
Un avvenimento importantissimo si prepara. Esso è tale da destare entusiasmo
anche nei sassi. Capitanato da uomini conosciutissimi, non si deve lasciarlo solo. Non
possiamo indicarvi il luogo ; ma le notizie vi arrivano prima di noi ; accorrete con
tutte le forze, qualunque siano le armi. Terrete preparati due o almeno un messo riso-
luto, intelligente abile, il quale si recherà sul luogo dell' avvenimento, presentandosi a
Wilson {Fanelli) in nome di Hudson e di Falanza. Se avete notizie del fatto prima,
che vi fosse partecipato da noi, agirete con forza e ce ne avviserete celerissimamente.
Vi facciamo tenere il segno per essere riconosciuti.
*
* *
Per r interesse storico che hanno, credo utile qui trascrivere dalle rare stampe
di queir epoca da me raccolte, alcuni proclami, istruzioni, bollettini della rivo-
luzione, emanati nel '60 dal Comitato Unitario Nazionale.
ISTRUZIONI SEGRETE E PIANO DEL BORBONE 235
COMITATO UNITARIO NAZIONALE
Concitladini !
Una classe di politici senza forte fede politica, e senza forti aspirazioni nazionali,
v' inculcò r inerzia ne' silenzi di una fiera servitù e siegue stolidamente ad insinuarla
oggi che fatti magnanimi sovrastano e santi doveri e* incalzano ad agire.
Se non che il genio del popolo in due parole, Garibaldi e Vittorio Emanuele,
di già comprese la vitale quistione del giorno, determinando e mezzo e fine.
Al presente la classe medesima, devota ad uomini la cui incapacità non è ugua-
gliata che dalla cieca e forsennata ambizione, si studia a tutta lena di disseminare
discordie e calunnie, per raccogliere fiacchezza e servitù, che ne sono le inevitabili
conseguenze.
Concittadini !
Voi deste l' iniziativa ; il vostro martirio ha ingigantito la lotta ; debito nostro è
compiere la gloriosa impresa : siate fidenti.
L' aiuto de' nostri giungerà d' ora in ora. Ma 1' onor nostro comanda non aspettar
tutto d' altrui. Date prove adunque, di saper combattere e vincere da soli.
Ecco il nostro programma :
Unità — Respingete ogni altra combinazione politica : rigettate ogni concessione
che l'attraversa.
Libertà — Emancipatevi dalla trepidante scuola degli evirati politici, e scher-
nite le paure, che questa scuola vi predica tuttodì.
Sovranità della Nazione — Il paese salvi il paese ; la forza collettiva rivendichi
i suoi diritti imprescrittibili. Il paese si costituisca in nome di questo dritto; elegga a Re
dell' Italia ringiovanita e forte VITTORIO EMANUELE, col trono nell' eterna città di Roma.
Napoletani ! Italiani d' ogni provincia ! perseverate sotto la nostra bandiera, gareg-
giate ed attuate il nostro programma, e ben tosto sarete potenti ed invidiati.
Il Comitato Unitario Nazionale rifugge dal mal vezzo di metter fuori una colluvie
di programmi ed ordini. Queste parole sono il complesso di tutte le sue aspirazioni.
I fatti diranno il resto col linguaggio più convincente.
IL COMITATO UNITARIO NAZIONALE
COMITATO AZIONE
UNITARIO NAZIONALE
ALLA GUARDIA NAZIONALE DI NAPOLI
Giovani della Guardia Nazionale !
ì momenti sono solenni: voi siete chiamati a compiere un santo dovere; gli sguardi e le
speranze di tutti sono rivolti su di voi, e voi non mancherete a voi stessi, all'onore, alla patria.
236 LE LOTTE INTORNO A GARIBALDI A PALERMO
Una dinastia esecrata, cui furono gioja le nostre sventure ; una dinastia che la
civiltà ha posta in bando, che si è pasciuta delle nostre lagrime, che ha torturato i
migliori fra i nostri cittadini e bombardate le più belle nostre città, una dinastia il cui
nome sarà in tutte le lingue sinonimo di crudele, oggi si precipita alla fuga fuori di
questo Eden d' Italia dinanzi al lampo della spada di Garibaldi, arcangelo di guerra.
Serrate le vostre file, e con calma e fermezza difendete le sostanze e 1' onore dei
cittadini ; accogliete fra le vostre braccia quei soldati che si ricordano di essere italiani,
e siate pronti a qualunque evento.
L' inevitabile tempo, il giorno supremo è giunto pe' Borboni di Napoli. La rivo-
luzione spazza la mala pianta che si adagia su questa terra : il mondo civilizzato accoglie
con gioia la lieta novella, e ci augura migliori destini.
Mostriamo dunque al mondo, che noi siamo degni della libertà e degli alti destini
a cui aspiriamo.
Propugnate il grande pensiero unitario, che è l'espressione del paese. Siate baluardo
incrollabile contro qualunque attentato di sfrenatezza, e scudo alla proprietà ed alla
vita dei cittadini.
Non a caso usiamo a voi un tale linguaggio. Gli avvenimenti marciano più rapidi
delle nostre speranze ; la soluzione è vicina. Calmi ma fermi, ma irremovibili, uniamoci
tutti in un sol volere, in un sol grido : Viva l'unità d'Italia, viva Vittorio Emanuele re
d' Italia, viva il Dittatore Garibaldi !
Napoli, 26 agosto.
IL COMITATO UNITARIO NAZIONALE
ALL'ESERCITO NAPOLETANO
Ufficiali, Sotto Ufficiali, Soldati tutti!
A voi che ancora potete intenderci, per 1' ultima volta stendiamo fraternamente
la mano in questi supremi momenti. Voi mostrate di essere valorosi, ed ogni volta che
i soldati napoletani hanno combattuto per una causa santa furono eroi ; Venezia, Goito,
e Curtatone ricordano mirabili fatti. Noi abbiamo ancora fiducia, che fra poco voi schierati
sotto il vessillo dell' unità d' Italia, al fianco degli altri fratelli italiani, pugnerete le sante
battaglie della patria ed eternerete il vostro nome.
Il nostro, il vostro paese ha bisogno di voi ; 1' Italia tutta vi apre le braccia, e
Venezia memore de' valorosi guidati dall' immortale generale Pepe, vi aspetta e spera
da voi.
Fra voi evvi massima parte, che sente tutta la santità della causa eppure non osa
distrigarsi da una rete di soprusi, di violenze, d' inganni e di spie di cui il Borbone
vi circonda. Molti fra voi temono compromettere la futura esistenza delle loro famiglie ;
ISTRUZIONI SEGRETE E PIANO DEL BORBONE 237
e noi a questi precipuamente ci rivolgiamo, assicurandoli che siano fidenti, e che noi
stendiamo loro la mano lealmente, come si fa tra fratelli, tra figli d'una medesima
madre: che come sacre stimiamo le sostanze dei cittadini, così vi promettiamo di
garantire e tutelare e serbare le vostre condizioni. Nei soldi vostri, nei vostri gradi,
nel ruolo, nelle pensioni, infine negli emolumenti tutti voi sarete rispettati.
Confortate dunque le vedove, gli orfanelli, confortate gli onorevoli vecchi militari
e fate che tutti confidino in noi.
Fate che non si versi più sangue fraterno ; non vi opponete alla vittrice spada di
Garibaldi ; unitevi a lui ed avrete la vostra parte nel grande riscatto d' Italia.
Siate nostri fratelli, unitevi a noi nel pensiero unitario, nelle aspirazioni di 28 milioni
di Italiani e formeremo tutta una famiglia sotto il re galantuomo Vittorio Emanuele.
Con Vittorio Emanuele e Garibaldi alla testa, noi saremo padroni dei nostri destini
e rispettati da tutte le potenze.
Viva r unità d' Italia, \>i\)a Vittorio Emanuele, vioa il Dittatore Garibaldi !
Napoli, 26 agosto.
IL COMITATO UNITARIO NAZIONALE
COMITATO AZIONE
UNITARIO NAZIONALE Dal Bosco di Vandra , 27 agosto 1860.
PROCLAMA
Popoli della Campania !
Vi sono de' momenti in cui il fremito delle battaglie echeggia di rupe in rupe,
di città in città, ed arma il braccio de' più renitenti.
Chi non sente quella voce è un sciagurato che merita commiserazione, perchè
Dio degradò la sua natura.
Giuseppe Garibaldi evocò il genio della vittoria, e ricordò agli Italiani che in
essi fremeva la grande anima di Roma.
Chiunque può armare il braccio di un ferro, ci segua.
Noi li condurremo alla vittoria, perocché un ordine imperscrutabile di cose conduce
necessariamente alla vittoria un popolo, che vuol diventare ncizione al cospetto del mondo
e che costante combatte per questo.
E r Italia sarà !
Vioa /' unità d' Italia, viva Vittorio Emanuele, viva il Dittatore Garibaldi !
COMANDO DELLA LEGIONE CACCIATORI DEL VESUVIO
238 LE LOTTE INTORNO A GARIBALDI A PALERMO
COMITATO AZIONE
UNITARIO NAZIONALE
BOLLETTINO DELLA RIVOLUZIONE
N. 9 — 28 agosto.
Dall' Indipendente di Messina :
Messina, 26 agosto.
il generale Sirtori riceve in questo momento il seguente dispaccio dal Dittatore:
Le due brigale : Melendez e Briganti si sono arrese a discrezione. Siamo padroni
delle loro artiglierie, armi, animali, materiali, e del forte del Pizzo.
G. GARIBALDI
11 Comandante militare della provincia di Messina, Nicola Fabrizi, riceve in questo
momento il seguente dispaccio dal Dittatore :
Palmi, 25 agosto 1860.
La nostra marcia è un trionfo, le popolazioni sono frenetiche: le truppe regie si
sbandano.
G. GARIBALDI
Viva l'unità d'Italia, cica Vittorio Emanuele, cica il Dittatore Garibaldi!
IL COMITATO UNITARIO NAZIONALE
COMITATO AZIONE
UNITARIO NAZIONALE
BOLLETTINO DELLA RIVOLUZIONE
N. 10 — 28 agosto.
// Governo Pro-Dittatoriale Lucano al Comitato Unitario Nazionale di Napoli.
VITTORIO EMANUELE RE D' ITALIA
II Generale Garibaldi - Dittatore delle Due Sicilie
// Governo Pro-Dittatoriale Lucano
ORDINA
Art. I . — L'Amministrazione generale della provincia è affidata ad una Giunta
centrale di amministrazione.
ISTRUZIONI SEGRETE E PIANO DEL BORBONE 239
Art. 2. — La Giunta suddetta sarà composta di sette direttori e di un Presidente.
Art. 3. — 1 sette direttori sono Capi di altrettanti offici, e ciascuno avrà un
aggiunto di sua scelta ed un corrispondente numero d' impiegati.
Art. 4. — Saranno incombenze
del primo officio :
Guerra — Forza pubblica — Guardie nazionali — Armi — Munizioni — Alloggi —
Barricate — Telegrafi — Spedali militari — Ambulanze ;
del secondo officio :
Finanze — Esazione di ogni natura — Offerte — Prestito nazionale — Dazi diretti
ed indiretti — Poste e procacci ;
del terzo officio :
Sicurezza pubblica — Giornale uffiziale — Lavori pubblici provinciali e municipali —
Amministrazione delle prigioni — Statistica ;
del quarto officio :
Amministrazione provinciale e municipale — Affari demaniali ;
del quinto officio :
Istruzione pubblica — Agricoltura — Industria, commercio — Servizio forestale —
Salute pubblica ;
del sesto officio :
Grazia e giustizia — Pubblicazione degli atti del governo ;
del settimo officio :
Affari ecclesiastici Amministrazione di beneficenza.
Art. 5. — Ciascun direttore provvederà indipendentemente al buon andamento
degli affari del proprio officio. — Per quelli di maggior rilievo, e per ciò che concerne
la parte governativa ed il progetto degli atti del governo, le deliberazioni saranno
prese da tutti i direttori in periodiche tornate da fissarsi dal presidente, il cui voto
è preponderante in caso di parità.
Art. 6. — Con i direttori corrisponderanno, secondo la diversa natura degli affari,
tutti i Comitati, le Commissioni e le Giunte municipali.
Art. 7. — Ciascun direttore è risponsabile degli atti del suo officio.
Art. 8. — Gli atti del Governo saranno firmati dai pro-dittatori e dal direttore
dell' officio correlativo e controsegnati dal presidente della giunta centrale.
Art. 9. — E nominato presidente della Giunta centrale il signor Francesco
Antonio Casale.
Art. IO. — Sono nominati direttori:
del I " officio il signor Francesco Livot ;
del 2" officio il signor Ercole Ginistrelli ;
del 3" officio il signor Saverio de Bonis ;
240 LE LOTTE INTORNO A GARIBALDI A PALERMO
del 4° officio il signor Giacomo Racioppi ;
del 5° officio il signor Niccola Alianelli ;
del 6° officio il signor Angelo Spera ;
del 7° officio il rev. arciprete Gerardo Lapenna.
Potenza, il dì 25 agosto 1860.
Pel Dittatore Garibaldi
I Pro - Dittatori
N. MIGNOGNA - G. ALBINI
I Segretari
GAETANO CASCINI — ROCCO BRIENZA - NICOLA MAGALDI
GIAMBATTISTA MATERA - PIETRO LACAVA
VITTORIO EMANUELE RE D'ITALIA
II Generale Garibaldi - Dittatore delle Due Sicilie
// Governo Pro-Dittatoriale Lucano
Visto il nostro Atto de' 19 agosto 1860:
Nella considerazione, che il personale delle Autorità ed impiegati tutti messi alla
direzione e dipendenza dell' Amministrazione civile di questo capoluogo è stato rego-
larizzato per la volontaria accettazione di coloro, che han riconosciuto il nostro nuovo
esordito reggimento civile ;
Nella considerazione, che simile disposizione è necessaria per le altre autorità,
impiegati di questo capoluogo e dei diversi distretti, circondari e comuni della
Provincia :
ORDINA
I ." A tutte le Autorità ed impiegati de'diversi uffici, officine e dipendenze diverse
di questo capoluogo, distretti, circondari e comuni della Provincia, che fra tre giorni
dalla pubblicazione del presente atto dichiarino innanzi ai Sindaci dei rispettivi municipi,
se intendono accettare il novello ordine di cose, redigendone analogo verbale.
2.° Che scorso il termine prescritto e non adempiendo le Autorità tutte ed impie-
gati di ogni specie a quanto si è di sopra prescritto, restano dichiarati dimissionari
di fatto senza aver mai diritto a pretendere cariche di qualunque genere nell'avvenire.
Potenza, il dì 24 agosto 1860.
Pel Dittatore Garibaldi
I Pro -Dittatori
N. MIGNOGNA - G. ALBINI
I Segretari
GAETANO CASCINI - ROCCO BRIENZA - NICOLA MARIA MAGALDI
GIAMBATTISTA MATERA - PIETRO LACAVA
ISTRUZIONI SEGRETE E PIANO DEL BORBONE 241
VITTORIO EMANUELE RE D' ITALIA
Il Generale Garibaldi - Dittatore delle Due Sicilie
Nicola Mignogna e Giacinto Albini, Pro - Dittatori :
Considerando, che ogni lieve turbolenza può spingere le popolazioni a gravi fran-
genti ed arrestare il rigeneramento, al quale con tante cure e sacrifìci il Governo
provvisorio intende ;
Considerando, che sotto l'aspetto di volere assicurare vantati diritti si nasconde
bene spesso lo spirito più maligno d' insensata reazione, che bisogna con severissime
pene prevenire;
DETERMINANO QUANTO SEGUE :
Art. 1." Chiunque, sotto qualsiasi pretesto, senza autorizzazione o mandato dal
Governo Provvisorio, organizzi bande, sieno o no armate, o faccia parte delle mede-
sime o dia istruzione per organizzarsi, turbando in modo qualunque l'ordine pubblico,
sarà punito di morte ;
1." La Guardia nazionale è principalmente incaricata di arrestare e condurre nelle
carceri, a disposizione del Governo provvisorio, gli autori di simili reati ed i loro
complici.
Dato a Potenza, 24 agosto 1860.
I Pro- Dittatori
N. MIGNOGNA - G. ALBINI
I Segretari
GAETANO CASCINI - ROCCO BRIENZA - NICOLA MARIA MAGALDI
GIAMBATTISTA MATERA - PIETRO LACAVA
COMITATO AZIONE
UNITARIO NAZIONALE
BOLLETTINO DELLA RIVOLUZIONE
N. 1 I — 29 agosto.
// Governo Pro-Diltalore Lucano al Comitato Nazionale di Napoli.
Potenza, 27 agosto.
Sono incredibili gli sforzi di volontà e di sacrifizi, che fa questa Basilicata. Non
è da deplorarsi finora alcun atto anarchico nei numerosi volontari e nei paesi.
Il Governo Pro-Dittatoriale ha, mercè il divino favore, la fiducia e la simpatia
di tutti.
curAtulo 16
242 LE LOTTE INTORNO A GARIBALDI A PALERMO
Qui tutto procede con grande energia ed è commovente, che le persone più emi-
nenti della Provincia si (anno pregio de' più faticosi lavori sempre con armi al braccio,
e i Preti degnissimi e i Frati, novelli Savonarola, e le sacre vergini dei chiostri. Pare
incredibile ! Al suono armonioso delle bande musicali, le donne e tutti di ogni età e di
ogni condizione, non fanno da mane a sera che trasportar sassi e tavole e quanto altro
occorre alla costruzione delle barricate. Delle strade e di tutti i punti più importanti
della Provincia nulla vi diciamo, poiché già sapete come meglio di 15,000 armati a
cavallo ed a piedi li guerniscono. Alla loro testa vanno i più ricchi e distinti signori
della Basilicata come sono : il marchese Cotinelli, il marchese Donnaperna ; il signor
Fittipaldi di Anzi, il signor Fortunato di Rionero, nipote dell'ex ministro, Assalto di
Potenza, il barone Attolino, il signor Ginestrelli, il cav. Vigiani ; tutti alla testa delle
loro bande vanno incontro ad ogni disagio.
Insomma, la rivoluzione di questa Provincia è completa, poiché tutti i ceti vi hanno
preso parte e 1' entusiasmo supera ogni immaginazione. Danari non ne mancano : difet-
tiamo solamente di armi ; ciononostante quelle che abbiamo sono suffìcientissime a
sostenerci in caso di attacco. 1 nostri hanno predato in Auletta 40 centinaia di galletta,
6 botti di vino, 150 prosciutti, varie botti di spirito d'anici, molti barili di polvere
e 95 fucili.
Fate che la rivoluzione sia generale, per poter dire all' Europa intera, che noi
siamo popoli degni della libertà. Abbiamo notizie sicure delle Puglie ; il giorno di oggi
era destinato per la insurrezione, come pure della provincia di Salerno. Speriamo che
adempiano alle promesse ; in tal caso fra giorni ci riabbracceremo a Napoli.
Viva r unità d' Italia, viva Vittorio Emanuele, viva il dittatore Garibaldi.
COMITATO AZIONE
UNITARIO NAZIONALE
COMITATO UNITARIO NAZIONALE DI NAPOLI
BOLLETTINO DELLA RIVOLUZIONE
N. 13 — 30 agosto.
La rivoluzione si dilata con la celerità del fulmine ; e come una fiamma agitata
dal potente soffio di Dio circonda da tutti i lati la casa dell'empio. Gli eserciti fug-
gono dinanzi ai passi dell' uomo fatale o si convertono a lui : le fortezze cedono al solo
rumore delle sue trombe.
Le lettere che riceviamo da Calabria ci narrano come i distretti di Castrovillari,
di Rossano e di Nicastro insorsero primi, e come tutte le Calabrie siano in completa
rivoluzione. In Castrovillari la gendarmeria si unì agli insorgenti. A Rossano fu disar-
mata. A Cosenza la truppa non fece atto di opposizione al movimento nazionale.
ISTRUZIONI SEGRETE E PIANO DEL BORBONE 243
Abbiamo fiducia, che il generale Caldarelli voglia fare atto di adesione al nuovo
governo unitario e così risparmiare lo spargimento di una sola stilla di sangue.
Molte compagnie della divisione del generale Bosco sono disertate. Speriamo, che
tutta la divisione, fra pochi giorni, innalzerà il vessillo dell'Unità nazionale.
Uno sbarco dei nostri si è operato ad Ostuni. Lecce ha spezzate le catene
borboniche.
Si può affermare con sicurezza, che fra pochi giorni, non vi sarà una città sola,
un solo paesucolo che non inalberi la bandiera nazionale al grido di:
Viva l'unità d'Italia, oioa Vittorio Emanuele, viva il dittatore Garibaldi.
Molto importanti sono i due seguenti proclami, che accennano alle mene
dei cavouriani per far cadere Napoli prima della venuta di Garibaldi.
COMITATO AZIONE
UNITARIO NAZIONALE
Napoletani !
Varie Provincie sono nel pieno possesso de' diritti loro e se ne valgono per adem-
pire al dovere, che tutti gì' Italiani hanno di ricostituire l' Italia Una. E le cose ormai
sono in tale stato, che la vigliacca monarchia borbonica è nel suo crollare. Questo
glorioso movimento è un prodotto di quell' idea Italiana, che da secoli si sta elabo-
rando e che ora è diventata guida di popolo. Non un partito è padrone del campo
d' azione ; ma il popolo italiano guidato dal valore e dalla grandezza eroica di Gari-
baldi. Ecco il pensiero da cui si è fatto e si fa dirigere sempre il Comitato Unitario :
per noi, e re e generali e sacrifizi e vittorie non sono che mezzi per raggiungere la
Unità Italiana, raggiungerla per la virtù del dovere, per la grandezza dei sacrifizi,
per l'opera e gli sforzi del popolo italiano. La meta ormai si tocca con mano ; e
bisogna evitare solo gì' intrighi di chi è sempre pronto a svegliarsi in uomini, che
intrigano per trar profitto delle vittorie del popolo. A sventare simili insidie ci
vogliono idee determinate, chiare, seguite insino all' ultimo ; ci vogliono affetti non
solo puri, ma vigili e illuminati. Vincere è il primo passo, ma importante è altresì
d'agire in modo, che della vittoria si cavi buon frutto e s' impedisca che i mestatori
d'oggi, addormentatori di ieri, facciano traviare il moto.
Napoletani, noi con fiducia invochiamo il vostro senno politico. Guardiamoci dagli
adulatori : dinanzi al grandioso concetto dell' Italia, chi adula è un imbroglione ; e la
popolazione che accogliesse l' adulazione sarebbe dissennata. Voi siete, Italiani, parte
nobilissima d' Italia ; e tali ancor sono i generosi abitanti delle Provincie. Non a Voi,
non a Noi, che sol per compier doveri vi rappresentiamo, ne a nessuna frazione è
244 LE LOTTE INTORNO A GARIBALDI A PALERMO
dato di decidere le sorti di sei milioni d' uomini, con incomposti intrighi diplomatici o
di uomini, che amano mestare nel disordine delle idee, che da per tutto cercano di
produrre.
Il Comitato Unitario ha il dovere di parlar franco. Son dichiarati nemici d' Italia,
coloro che si dan da fare per condurre Napoli a pronunziamenti, a manifestazioni, a
governi provvisorii indipendentemente da Garibaldi, uomo integro e puro, e perciò
temuto dai cavouriani e lafariniani : i quali cercano ingradimento d' una provincia italiana,
non la ricostituzione dell' Italia una, senza alcun predominio d' una provincia su d' un'altra.
Noi cerchiamo il Piemonte non come figliuoli prodighi, che per grazia sieno ammessi
nella famiglia italiana, ma come uomini liberi, che delle varie provincie vogliono fare
la grande unità nazionale. Napoli per noi non è la testa, che debba pensare per le
Provincie, ma è braccio e mente che unita alle altre braccia e menti deve concorrere,
come nobilissima città allo scopo comune. GÌ' intriganti vogliono fare senza Garibaldi
e talvolta si servono maliziosamente senza mandato del suo nome.
Non è che il Comitato Unitario, il quale per l' intermezzo del dottor Bertani ha man-
dato da Garibaldi; e noi siamo con lui, perchè egli è per l'Italia. Perciò noi avvertiamo
il pubblico, che vi sono insidiatori contro i nostri propositi, e ricordiamo agi' intriganti
che se è lor difficile il vincere, assai facile è disonorarsi.
Viva V unità d' Italia, viva Vittorio Emanuele re d' Italia, viva il Dittatore
Garibaldi !
Napoli, 30 agosto 1860.
COMITATO AZIONE
UNITARIO NAZIONALE
Napoletani !
Pubblicammo ieri un manifesto a voi diretto, che esprimeva sensi italiani. Tra gli
altri passi v' era questo : « Per noi, e re e generale e sacrifizi e vittorie non sono che
« mezzi per raggiungere 1' unità italiana, raggiungerla per la virtù del dovere, per la
* grandezza de' sacrifizi, per 1' opera e gli sforzi del popolo italiano ». Qualcuno ha
detto : Qui si accenna a repubblica. E abbiam così avuto altra prova, che uno degli
effetti del lungo dispotismo è d' insegnare nelle menti un impeto vivacissimo a sotti-
lizzare in tutto, a investigare le intenzioni altrui, a vedere in alti e sinceri propositi
una tendenza verso ciò che si teme. Noi consideriamo nella storia non l' azione
dell' umano braccio, ma 1' azione magnanima della provvidenza ; poiché nella storia si
manifesta Dio. Ora il corso storico delle cose vuole 1' unità d' Italia ; e a fronte del
volere di Dio, che cosa sono gì' individui, se non mezzi di cui si serve ? L'altissimo
scopo provvidenziale è 1' unità. Garibaldi, Vittorio Emanuele, il popolo italiano con
le loro imprese, col loro disinteresse ed eroismo non sono che i mezzi potenti, di cui
Dio si serve. Ora è quistione di repubblica ? Dissennato sarebbe chi pensasse a repub-
ISTRUZIONI SEGRETE E PIANO DEL BORBONE 245
blica, quando si deve ricostruire la nazione. Ecco il proposito fermo degli italiani d' ogni
partito ; fare l' Italia. Uniamoci tutti e 1' Italia sarà. Vittorio Emanuele, re che onesta-
mente ha serbato lo statuto, è chiaramente indicato dalla provvidenza per essere stru-
mento d' unità. Noi r accettiamo, e l' Italia sarà.
Viva l'unilà d'Italia, viva Vitlorio Emanuele re d'Italia, viva il Dittatore Garibaldi.
Napoli, 31 agosto 1860.
COMITATO AZIONE
UNITARIO NAZIONALE
COMITATO UNITARIO NAZIONALE DI NAPOLI
BOLLETTINO DELLA RIVOLUZIONE
N. 17 — 2 settembre.
IN NOME DI VITTORIO EMANUELE RE D' ITALIA
E DEL GENERALE GARIBALDI DITTATORE DELLE DUE SICILIE
IL GOVERNO PROVVISORIO DI SALERNO
ORDINE DEL GIORNO
Volontari Salernitani !
Avete compiuta la nostra gloriosa rivoluzione : ora vi riunite armati sotto ta ban-
diera, onde difenderla e sostenerla.
Mi desideraste per vostro capo ed io accettai, fiero di tanto onore, trepidante,
perchè in me non potete ne dovete attendervi altro, che un desiderio vivo di dividere
i vostri pericoli e le vostre fatiche. Ricordatevi, che io calcolo sul vostro coraggio e
patriottismo, senza di che sarebbero inutili le vostre fatiche.
Ricordatevi, che il nostro grido è l' unità italiana e che quindi non dobbiamo
soltanto essere pronti a combattere i regi borbonici ; ma bensì a correre alla guerra
suprema, che deve punire e scacciare l' abborrito tedesco al di là delle Alpi.
Vi raccomando concordia e fratellanza fra voi, fiducia ed obbedienza ai vostri
capi. Desiderio ardente di servire la patria per lutto e sempre, e con ogni vostro sforzo.
Ricordatevi, che non è combattendo che il soldato dà vera prova di se ; ma
bensì nel sopportare i disagi, le privazioni, le fatiche, perchè il giorno di combatti-
mento è giorno di premio pel soldato, che difende la Patria.
Coraggio dunque, disciplina e volontà ferma di conseguire lo scopo del gran
movimento italiano, e uniti a 27 milioni d' italiani gridate con me : « Viva l' Italia
unita, viva Vittorio Emanuele, viva Garibaldi ».
Firmato : // Comandante militare
LUIGI FABRIZI
246 LE LOTTE INTORNO A GARIBALDI A PALERMO
Ogni giorno è testimone di una nuova vittoria : ogni sera il nostro Dittatore si
riposa sopra un nuovo campo di battaglia.
Sono scorsi appena pochi mesi, da che il despota di Napoli minacciava il nuovo
regno italiano; il despota superbo di IO milioni di oppressi con un esercito di 140 mila
uomini, ed una flotta di meglio che 100 legni da guerra, ora fugge davanti la spada di
Calatafimi. Quei IO milioni oggi diventano liberi cittadini. Il redi Napoli fu: questa
ombra del medio evo proiettata in pieno secolo decimonono svanisce dinanzi alla luce
della civiltà.
Dispaccio telegrafico elettrico ricevuto in Sala il 31 agosto 1860:
A Sala — // Dittatore Garibaldi al Prodittatore diovanni Matina, di risposta.
•« Restate fermi ed organizzate la vostra rivoluzione. Non fa bisogno venirmi
all' incontro, sarò io che verrò quanto prima tra voi ; dite al mondo che ieri , con i
miei prodi Calabresi, feci abbassare le armi a diecimila soldati comandati dal gene-
rale Ghio; il trofeo della resa fu dodici cannoni da campo, diecimila fucili , trecento
cavalli, un numero poco meno di muli ed immenso materiale da guerra. Trasmettete
in Napoli ed ovunque la lieta notizia. Addio. Parto per Rogliano ».
D'Agrifoglio 31, ore 8 ant.
L' impiegato di servizio
GAETANO CICERARO
Dispaccio telegrafico elettrico da Sala il 31 agosto 1860 :
« Viva Garibaldi e 1' Unità d' Italia su tutta la linea. Vi do una delle buone
notizie. Ieri al giorno fu disarmata una colonna di diecimila uomini comandati dal gene-
rale Ghio. 11 Dittatore adesso è partito da qui per Rogliano. Stasera sarà in Cosenza ».
D'Agrifoglio 31, ore 9 ant.
L' impiegato di servizio
GAETANO CICERARO
DISPACCI.
4 settembre 1860, ora I pom.
♦ Stamattina alle ore 9,30 si è proclamato il Governo Provvisorio in Ariano ».
« Le Bande del Malese sono già a poche miglia distanti da Isernia ».
ISTRUZIONI SEGRETE E PIANO DEL BORBONE 247
Ci perviene il seguente proclama :
GOVERNO PROVVISORIO IRPINO
Ariano, 3 settembre 1860.
Fratelli Irpini,
Quest' aria che ne circonda, dai sospiri dei più illustri martiri della sventura
infiammata, ci pone nelle vene il fuoco sacro d' odio alla tirannide e ci scrive sul cuore :
vendetta del fraterno oltraggio.
Questo vessillo che tanto ne allieta e che segna il termine dei nostri dolori, è
per la regia dei Borboni il panno funerario.
Quel Dio che depone i potenti ha segnato per 1' Italia il termine degli affanni
suoi. Salutiamo la terra dei portenti e degli eroi, indipendente ed una, sotto popolare
scettro del re guerriero.
Irpini ! il vostro valore è noto. Il cherubino della guerra è con noi, con lui pugniamo
da forti, e, se anco ci vedessimo tronche le braccia, con lui e per lui pugneremo coi
petti e r ultimo sospiro nostro sarà :
Viva l'unità d'Italia, viva Vittorio Emanuele re d'Italia, viva il Dittatore
Garibaldi !
Air armi, all' armi !
R. BRIENZA
COMITATO AZIONE
UNITARIO NAZIONALE
COMITATO UNITARIO NAZIONALE DI NAPOLI
BOLLETTINO DELL A RI V O LU ZI O N E
N. 23 — 4 settembre.
La rivoluzione si propaga ogni dì più, sempre con Io slesso Programma ed il
medesimo grido : Unità d" Italia, Vittorio Emanuele, Re d' Italia e Garibaldi, Dittatore.
Un corriere or ora giunto ci reca i particolari della insurrezione e del Governo Prov-
visorio proclamato in Ariano.
AL COMITATO UNITARIO NAZIONALE DI NAPOLI.
Miei carissimi amici.
Ho ricevuto la vostra lettera e vi ringrazio in nome di tutti per la premura, che
vi date per il felice esito della causa dell' Unità Nazionale.
248 LE LOTTE INTORNO A GARIBALDI A PALERMO
Già in Ariano sono raccolti più di 600 persone ; questa notte si aspetta De Marco
con altri mille; piccoli contingenti arriveranno nella giornata di domani. Dopo dimani
arriveranno quelli di Molise e forse anche quelli di Piedimonte; in una parola per
il giorno 5 vi saranno un 4000 uomini e per il giorno 7 conto dare battaglia al gene-
rale Flores, che si avanza da Bari ed è già alla Cerignola. Flores ha un reggimento
di linea, due battaglioni di cavalleria, con 600 gendarmi e mezza batteria ; in tutto
oltre 2000 uomini.
Spero co' miei volontari rendere un servizio notevole alla Patria ; in tutti i casi
son pronto co'generosi, che mi seguiranno a versare il sangue per la causa nazionale.
Il Governo provvisorio sarà proclamato domani ; i componenti sono il colonnello
De Conciliis, Vito Purcaro e il Padre Nitti; il Segretario generale, Rocco Brienza.
Ariano, 3 settembre 1860.
// vostro amico
VINCENZO CARBONELLl
COMITATO AZIONE
UNITARIO NAZIONALE
COMITATO UNITARIO NAZIONALE DI NAPOLI
BOLLETTINO DELLA RIVOLUZIONE
N. 24 — 4 settembre, ore IO
pom.
IL GOVERNO PRO-DITTATORIALE LUCANO
AL GENERALE DITTATORE GIUSEPPE GARIBALDI, SALUTE.
Signore,
La insurrezione Lucana non s' iniziava che nel nome vostro, il quale felicemente
riassume la santa Idea dell' itala nazionalità.
E noi, che ci troviamo al potere nel nome vostro, e per rassegnarlo a voi quando
vi piaccia, sentiamo indeclinabile il dovere di esprimervi i voti, le speranze e le feli-
citazioni di questa civile e meravigliata popolazione.
Per fare ciò, basterà tradurre a brevi e schiette parole quello che fu ed è gene-
rale, irresistibile, quasi ispirato movimento di unica e cospirante famiglia.
1 Lucani non tendono se non a quello, cui tutta l' umanità tende : la civiltà ; ai
Lucani altro non è a cuore, se non quello che i Popoli civilissimi già conseguirono :
la Hcizionalità ; nei coraggiosi Lucani altra aspirazione non palpita se non quella che
caratterizza la forza del vostro genio guerriero : far l' Italia indipendente, libera, una ;
che è dire : onorata, felice, potente ; eh' è dire, farla completamente tersa dalle onte che
le inflissero secolari tirannidi e solennemente inaugurarla a passi grandiosi pel cam-
ISTRUZIONI SEGRETE E PIANO DEL BORBONE 249
mino del vero Progresso. E il Dio de' cristiani benedirà ; quel Dio che sulla vostra
fronte scrisse : il puro Patriota, il maggior Prode, l' incomparabile decoro d" Italia
che sorge.
Generale, l'ardente gioventù lucana è con voi: fate cenno, e il fiore de' prodi
reputerà sua gloria il seguirvi ovechesia. Dittatore, il senno de' Lucani è all'ordine
del giorno: disponete, ed il fiore delle capacità Lucane si farà bello dell'ordine, cui
saprete indirizzarlo.
Accogliete, o Valentissimo, queste che sono sincere manifestazioni de' cuori lucani
e del cuor nostro: non isgradite, o Magnanimo, queste che sono lodi dovute a merito
che quasi non ha riscontro nella storia.
Potenza, T settembre 1860.
N. MIGNOGN.^ C. ALBINI
IL GOVERNO PRO- DITTATORIALE SALERNITANO
AL COMITATO UNITARIO NAZIONALE DI NAPOLI
Sala, 3 settembre 1860.
Qui siamo in entusiasmo ed in lavoro: l'opera dell'organizzazione procede. Il
Dittatore Garibaldi sarà fra noi in giornata, e forse in giornata del pari muoveremo
con forti colonne su Salerno. ! Regi sono scoraggiati ed avviliti; questa nostra gio-
ventù è piena d' ardore. Vi saluta il Pro-Dittatore Mignogna, che parte in sul momento
per andare incontro a Garibaldi.
Vioa l'unità d'Italia, viva Vittorio Emanuele re d'Italia,
viva il Dittatore Garibaldi.
Il Pro-Dittatore
GIOVANNI MATINA
UNITA D'ITALIA
VITTORIO EMANUELE RE D' ITALIA
Il Generale Garibaldi - Dittatore delle Due Sicilie
Il Pro-Dittatore della Provincia di Salerno:
Volendo fare esperimentare ai popoli del Salernitano, che tanto volonterosamente
han concorso all'istallazione del nuovo Governo Unitario Italiano ed al movimento
insurrezionale della Provincia, i benefizi del nuovo regime ;
250 LE LOTTE INTORNO A GARIBALDI A PALERMO
DECRETA
I ." Un indulto ampio è concesso in tutto il perimetro di nostra giurisdizione agli
imputati e condannati per qualunque siasi delitto ed a tutti i multati a pene pecuniarie ;
2." Sono esclusi dal presente indulto tutti gli imputati o condannati per reazione, e
gli imputati per asportazione di armi senza autorizzazione.
Sala, 3 settembre 1860. Pel Dittatore Garibaldi
11 Pro-Dittatore
GIOVANNI MATINA
COMITATO AZIONE
UNITARIO NAZIONALE
COMITATO UNITARIO NAZIONALE DI NAPOLI
BOLLETTINO DELLA RIVOLUZIONE
N. 27 — 5 settembre.
Due telegrammi militari trasmessi da! Governo, dopo il consiglio di questa notte :
Comando generale ad Afan De Rivera :
« Tutta la truppa che è in Salerno si concentri a Nocera passando per Cava, e si
metta subito in movimento, tenendo occupata la posizione di Cava con due battaglioni.
» Attenderà 1' arrivo dell' altra divisione ».
Da Napoli, 5 settembre alle ore 2 ant.
Comando generale al Governatore d' Avellino :
« Nel caso la posizione della truppa esigesse imperiosamente ritirarsi innanzi a
forze maggiori, passerà ad occupare le gole di Monteforte, donde, essendo (orzata da
gravi perdite, ripiegherà per Nola a Nocera».
Da Napoli, 5 settembre, ore 2 ant.
Riportiamo gli altri due telegrammi giunti, oggi non perchè rechino nuove notizie,
ma perchè confermano quelle da noi già date.
Gallenga ad Ulloa :
« Brigata Calderelli unita a Garibaldi, a Sapri quattromila sbarcati. Altri sbarchi
in punti più vicini a voi. Tutto perduto da parte vostra. Vi avviso da amico privato
quantunque vostro nemico politico » .
Eboli, I e mezza ant. 5 settembre.
ISTRUZIONI SEGRETE E PIANO DEL BORBONE 251
Afan De Rivera al colonnello Anzani :
« Si è saputo da due sottuffìziali reduci da Calabria, che la brigata Caldarelli si
è unita a Garibaldi. Che Garibaldi è in Auletta.
» Che in Sapri si è avverato uno sbarco di 4000 uomini comandati dal generale
Tùrr ».
ULTIMI DISPACCI.
La brigata di Bosco si è rifiutata di battersi ; quella dei Bavaresi si è tutta rivoltata.
Nel ricevere queste notizie, il Borbone ha chiamati tutti i Maggiori della Guardia
Nazionale e loro ha indirizzate queste precise parole '■
* Giacche il vostro.... (ripigliando) il nostro comune amico D. Peppe si avvicina,
» la mia incombenza ha finito ; ora incomincia la vostra. Mantenete la tranquillità ; ho
» dato ordine alla truppa di rientrare dietro capitolazione ».
Dopo di che ha disposto la sua partenza, la quale è imminente.
Viva V unità d' Italia, viva Vittorio Emanuele, re d' Italia, viva il Dittatore
Garibaldi.
COMITATO UiNlTARIO NAZIONALE DI NAPOLI
BOLLETTINO DELLA RIVOLUZIONE
N. 31 — 6 settembre.
Il Comitato dopo aver ricevuto una credenziale del Dittatore Garibaldi di cui
pubblichiamo il testo, si è affrettato ad andargli incontro in Auletta, dove ha avuto da
Lui l'onore di un non breve colloquio. Il Dittatore verrà fra poco in Napoli, e ha
dato a noi le opportune disposizioni per la organizzazione del Governo.
Altra più lusinghiera credenziale ricevemmo dal Dittatore, e molto ancora di più
apprendemmo dalla bocca dello stesso colla facoltà di pubblicarlo.
Ecco le parole del Dittatore :
* Riconosco il Comitato Unitario Nazionale di Azione rappresentato da' signori.... ».
Fortino, 4 settembre 1860.
a GARIBALDI
Concittadini !
Noi vi parliamo in nome del Dittatore, perchè egli stesso ce ne ha dato facoltà ;
e siate certi che in questi pochi momenti, che precedono il suo ingresso nella capitale
vi terremo avvisati delle sue intenzioni.
Viva r unità d' Italia, viva Vittorio Enìanuele, re d' Italia, viva il Dittatore
Garibaldi.
CAPITOLO XII.
CAVOUR E L* INDIPENDENZA DELLA GERMANIA.
LA POLITICA DELL'INGHILTERRA NEL '59 E '60.
INei primi di settembre del 1 860 uno dei rappresentanti più noti della
stampa liberale tedesca, il signor Elisanter , erasi recato a Torino coli* intento
di ottenere dal conte di Cavour , per mezzo del Ministro di re Vittorio a
Berlino, un dispaccio giornaliero in cifre sugli avvenimenti, che si andavano svol-
gendo in Italia. Alla richiesta del giornalista tedesco , Cavour rispondeva con
la seguente lettera inedita, molto importante per i giudizi che il grande statista
vi manifesta e che ebbi la fortuna di acquistare recentemente a Berlino.
li conte di Cavour a Elisanter di Berlino.
MINISTERE
DES AFFAIRES ÉTRANGÈRES
CABINET
Turin, le 9 septembre 1860.
Monsieur ,
Je régrette beaucoup de ne pouvoir pas adhérer à la demanda, qua vous m'avez
adresséa. Je fais le plus grand cas de 1' appui de la presse liberale allamande et da
la Deutsche Zeitung en particulier ; et je crois fermement qu' elle n' aura pas de peine
à demontrer que V indépendence de V Italie et celle de l'Allemagne au lieu de s'exclure
se supposent implicitement fune V aulre ; car elles soni les deux pierres angulaires du
noucel édifice européen.
Cependant, je ne puis m' engagar à vous transmettre, jour par jour, au moyen
d' une dépéche chiffrée et par l'entremisa du Ministre du roi à Berlin, des nouvelles
de r Italie. Pour vous aidar dans la tacha da defendre en Allamagna la grande cause
à laquelle j' ai consacré ma vie avec joie , je pourrai , si cela vous convient , vous
254 CAVOUR E V INDIPENDENZA DELLA GERMANIA
tnettre en rapport avec le Comte de Launay et le prier de vous {aire de temps en
temps, et sous le sceau du secret le plus ahsolu, des Communications confidentielles sur
la situation politique. 11 suffirait ainsi à votre journal de recevoir de l'Agence Télé-
graphique Stefani les nouvelles qui concernent 1' Italie pour acquerir, par vos justes
appreciations sur 1' état de la peninsule, une renommée serieuse en Allemagne.
Agréez, Monsieur, les assurances de ma consideration distinguée.
C. CAVOUR
P. S. - Cette lettre était ecrite lorsque j' ai re^u votre billet d' aujourd' hai, auquel
je m' abstiens de répondre par égard aux sentiments, que vous avez manifeste en
faveur de mon pays.
Il conte di Cavour adunque, nel 1 860, riteneva 1' indipendenza d' Italia e
della Germania le due pietre angolari del nuovo edifizio europeo,
profetizzando V alleanza di queste due grandi nazioni libere ed unite. Se il
sommo statista potesse aprire gli occhi, vedrebbe oggi la sua profezia realizzata;
ed è con legittimo orgoglio per noi italiani che qui riporto ciò che, a propo-
sito della politica del primo Ministro di Vittorio Emanuele II, un autorevole
giornale tedesco ' recentemente scriveva : « Bìsmark, aveva già, come ambascia-
tore, conoscenza dei progetti di Cavour e li approvava. Nel dicembre del '58
il grande uomo di Stato italiano scriveva: " La Prussia è inevitabilmente per
r idea nazionale. L' alleanza colla Prussia è scritta in lettere d' oro
nel libro della storia futura ,,. // Ministro prussiano però, von Schleinitz,
era di diverso parere, quando il Piemonte iniziava la spedizione nelV Umbria
e nelle Marche e mandava, per mezzo dell' Ambasciatore conte Brassier de
St. Simon, una lunga protesta alla quale Cavour rispondeva: " Potrei con-
traddire con assoluta certezza ogni punto del richiamo : ma ad ogni modo è una
consolazione per me il pensare, che io ho dato un esempio che
probabilmente la Prussia fra poco imiterà con gioia ,,. Così è avvenuto!
Ugualmente aspri, come i clericali di oggi, (continua l'articolista) erano i con-
servatori di Prussia d' una volta contro V Unità italiana. Essi non volevano
saperne del riconoscimento del " Regno d'Italia ,, , che ironicamente mettevano
fra virgolette, e mandavano al cacciato re di Napoli uno scudo d'onore in
argento. Bismarl^ invece, compiva la profezia di Cavour; nel ì 866 la Prussia
e r Italia erano alleate, ed oggi lo sono V Italia e V Impero tedesco. E quando
* Vossische Zeitung, n. 74, 13 febbraio 1911.
LA POLITICA DELL' INGHILTERRA NEL 59 E 60 255
Guglielmo I ritornava, dopo V incontro con Vittorio Emanuele II a Milano,
nel suo saluto di addio, diceva: " Il destino ha messo noi due alla testa
di due popoli nazionalmente uniti. Possano i nostri posteri restare
sempre amici fedeli! ,, ».
Sullo stesso argomento è del massimo interesse conoscere il pensiero di
Garibaldi e 1' apprendere come 1' uomo di Stato e l'eroe avessero in proposito
uniformità di vedute. All' Elisanter di Berlino, Garibaldi pochi mesi dopo, scri-
veva la seguente lettera inedita :
Garibaldi a Elisanter.
Caprera, 29 marzo 1861.
Signore,
Ho ricevuto la vostra lettera del i 3 del corrente mese, e vi sono molto grato
delle interessanti notizie, che mi avete dato. Spero me le continuerete e sopratutto in
queste gravi circostanze in cui l' Austria, concentrando imponenti corpi d' armata nel
Veneto, accenna a voler tentare qualche colpo disperato con una nuova aggressione
all' Italia.
Vi sarò pure grato, se mi comunicherete i nomi di quei tali gentiluomini, che mi
menzionate.
Perseverate nella nobile missione di far conoscere ai generosi popoli
della Germania, che il loro supremo bisogno è 1' unità come lo è per
l' Italia. La fratellanza di queste due nazioni risulterebbe a sommo bene-
fìcio dell' umanità, rendendo impotente 1' ambizioso egoismo dei despoti.
Con distinta stima credetemi
Vostro
C. aARIBALDI
Signor Elisanter
in Berlino
Non meno importante è ora il conoscere per mezzo di altri documenti
inediti, lo spirito pubblico ed il pensiero delle alte sfere politiche in quei
giorni, m Francia ed in Inghilterra, verso 1' impresa garibaldina. Le lettere che
seguono dirette a Garibaldi nel giugno 1 860, 1' una da Carlo Arrivabene, allora
a Parigi ; le altre da G. S. Lang, uno scrittore influente del Times ed amico delle
personalità politiche inglesi più spiccate, ci danno nuovi particolari.
Carlo Arrivabene, nato a Mantova, esule fino dal 1849, si era sta-
bilito in Londra, dove, familiarizzatosi con la lingua inglese, cominciò a
256 CAVOUR E V INDIPENDENZA DELLA GERMANIA
scrivere in vari giornali, fra i quali il Dail}) News. In qualità di corrispon-
dente di questo giornale, egli , nell' aprile del '60, aveva seguito Vittorio
Emanuele nell' Italia Centrale. La lettera che segue fu diretta al dittatore da
Parigi, dove l'Arrivabene, andando a Londra, si era fermato. Da Londra poi
egli, ripartì ben presto per andare a combattere con Garibaldi, e fatto prigioniero
davanti a Capua fu condotto a Gaeta; ma poco tempo dopo, per interces-
sione del governo inglese , che considerava l' Arrivabene come suo cittadino,
venne lasciato libero.
Carlo Arrivabene a Garibaldi.
Parigi, 16 giugno 1860.
Illustre Generale,
Giunto da o!to giorni a Parigi per recarmi a Londra, mi prendo la libertà di
scriverle per metterla al corrente di quanto mi venne fatto raccogliere nelle regioni,
dove di ordinario sogliono agitarsi le grandi quistioni di Europa.
Da altre fonti Ella potrà indubbiamente attingere le notizie che le invio ; ma due
versioni varranno meglio di una. E inutile, che io abbia a dirle come il di Lei nome
sia oggi popolare non solamente fra le classi operaie, ma ben anche nelle più influenti
adunanze della Chassé d' Autin e del Sob. Sant' Honoré. Persino alla Corte Imperiale
è oggi di moda 1' esaltare le gesta del Gran Capitano d' Italia ! In uno degli ultimi
Consigli di Ministri, il signor de Thouvenel, avendo pronunziato con qualche asprezza
il di Lei nome, 1' Imperatore lo interruppe dicendo : << Cosa vi ha dunque egli fatto
Garibaldi, questo mio compagno di armi della campagna d' Italia ? » l Ministri corti-
giani, visto da che parte spirava il vento, cambiarono di andazzo, ed è ora di moda
a Versailles il far precedere il di Lei nome dall' aggettivo di Eroe. Questa 1' opinione
dei francesi per ciò che riguarda la di Lei persona e le di Lei gesta meravigliose.
In quanto alla situazione politica della Sicilia, si ragiona generalmente così : •< E impro-
babile, che i siciliani abbiano a pronunziarsi per l' autonomia politica, come è del pari
improbabile, che essi vogliano accettare le promesse concessioni di Ferdinando II o
del Siracusa. Antiveggendo l' influenza, che la Francia tenterà esercitare sui negozi
politici dell' isola, Garibaldi, dicono i più, sarà forse obbligato a ricorrere al voto univer-
sale, come già si fece m Toscana e nell' Emilia. L' annessione della Sicilia al Regno
d' Italia sarà così compiuta, ed un Principe della Casa di Savoia sarà chiamato a reggere
quella stessa isola dalla quale, or fa un secolo e mezzo, derivava il suo regale titolo.
I nomi di Garibaldi e di Vittorio Emanuele sono troppo identificati con quelli d' indi-
pendenza e di libertà, e sopratutto con quello di ostilità ai detestati Borboni, perchè
essi non abbiano a cementare la fortunata unione dell' isola col resto d' Italia ' .
Se vi è fatto, che abbia impressionato le menti dei francesi e degli inglesi, dopo
il di Lei eroismo e quello dei di Lei soldati, è certamente l'accordo manifesto dei
London, Published by T. Me. Lean. 26 Haymatket, lOlh Aprii. 1859.
Thts fine painling newly dìscovered in Florence is atlnbuted lo Giotto, v.ho flourished in ihe (ìfteenlh century.
1(9 subject is believed lo be '* The kiss of Judas Iscariot ,,. Stili upon this point opinions differ, bui ihere is
no doubt ihal il represents Two Saints.
Traduzione :
(Questo bel dipinto, scoperto rccenlemente in Firenze è attribuito a Giotto, il quale \isse nel secolo decimoquinlo
Il soggetto si crede che sia ** Il bacio di Giuda Iscariota ... Ma le opinioni sul riguardo non sono concordi:
non v' ha dubbio però, che il dipinto rappresenta Due Santi.
(^DaUa collezione Jel Doli. Curàlulo in Roma).
LA POLITICA DELL' INGHILTERRA NEL -59 E '60 257
siciliani e 1' aiuto prestato dal clero alla causa nazionale. Ne le folgori del Vaticano
avranno potenza di intimorire le coscienze di cotesti magnanimi isolani ! Piemontesi,
lombardi, toscani, siciliani, modenesi e parmensi, scomunicati per scomunicati, si uniranno
in quel fraterno abbraccio, nel quale sono alla vigilia di confondersi le sparse genti
d' Italia. Ne qui, ne a Londra, si crede possa Vittorio Emanuele rifiutare l' annessione
dell' isola. L' Austria è impossente a contrastarla ; 1' Inghilterra, la ne sia certa Generale,
r Inghilterra, mi diceva ieri un influente membro del Parlamento Britannico, la saluterà
con gioia. In quanto alla Francia, si affretterà a riconoscerla, quantunque non sian\>i
altre Provincie da barattare. Ne valga il dire, che il Piemonte essendo in pace con
Napoli non consentono le leggi internazionali, che per esso si accetti la Corona di
Sicilia. Qualsiasi Governo ha il diritto di riconoscere l' indipendenza di un territorio
straniero ed accettarne quindi, la sovranità, se liberamente ed universalmente offerta.
D' altra parte, la di Lei spada ha, per ciò che riguarda 1' Italia, squarciato le pagine
di quei contratti, che da secoli hanno costantemente sanzionato i dolori, i martirii della
nostra patria ! Garibaldi conquistatore e dittatore non vorrà certamente rinunziare al
diritto, anzi all' obbligo di assicurare l' annessione dell' isola alla patria comune. £i non
è uomo da transazioni codarde ; ei saprà dar vita alla nazione !
Ho voluto abborracciare così, alla rinfusa, queste idee, perchè esse riflettono, a
mio credere, la vera condizione della pubblica opinione di questo paese e dell' Inghil-
terra. In questo secondo paese le speranze sono, a dir vero, più ardenti ; perchè i
patrioti inglesi, e primi quelli del Daily News, attendono ad ogni momento avere
r eroico Capitano mosso il passo ardimentoso fra le balze della Calabria. Intanto, le
sottoscrizioni procedono favorevolmente ed i meetings, in favore della Sicilia, si molti-
plicano. Non mancherò di tenerla al corrente di quanto avviene in Inghilterra ed in
Francia; e questo farò fino al giorno nel quale potrò raggiungerla. Il commendatore
De Martino, inviato da Re Ferdinando alle Corti di Francia e d' Inghilterra fu ieri così
freddamente ricevuto dall' Imperatore che ha perduto, a quanto mi dice un personaggio
autorevole, ogni speranza di successo. Sembra, che egli abbia per ora rinunziato al suo
viaggio a Londra, nella quale città non troverebbe certamente accoglienza più favorevole.
Il discorso pronunziato 1' altra sera da Lord Palmerston nei Comuni deve avere
persuaso il diplomatico napolitano, che i Ministri della Regina Vittoria non sono disposti
ad assistere una dinastia, che ha già il rantolo della morte alla gola. Ardire adunque,
e r Italia sarà, per Dio, degli italiani !
Ove valga a servirla, mi faccia scrivere a Londra : " Cacendish Club Regent
Street „ . Un saluto fraterno a Don Gusmaroli, a Nino Bixio, ad Acerbi, a Corte e
Boldrini. A Lei, mio illustre Generale, tutta la devozione, tutto 1' affetto reverente
Del suo devoto
CARLO ARRIVASENE
•to esposto dall' Arrivabene in questa lettera, relativamente al diritto
che ogni Governo ha di riconoscere l' indipendenza di un territorio straniero e
CURÀTULO 17
258 CAVOUR E L' INDIPENDENZA DELLA GERMANIA
di accettarne la sovranità, corrisponde perfettamente con quanto Lord John Russell
aveva scritto alla Regina Vittoria nella lettera del 30 aprile di quell'anno, e che
è bene di avere sottocchio.
Camera dei Comuni, 30 aprile 1860.
Lord John Russell presenta i suoi umili omaggi a Vostra Maestà ; egli è dolente
di non potere consentire colla Maestà Vostra, che vi sia alcunché di scorretto nello
incoraggiare chi vuol rovesciare il Governo del Re delle due Sicilie. I più autorevoli
scrittori di diritto internazionale considerano come un merito il rovesciare un governo
tirannico, e pochi governi sono stati tanto tirannici quanto quello di Napoli. Certo, il
Re di Sardegna non avrebbe il diritto di aiutare il popolo delle due Sicilie, se non
fosse da quel popolo stesso invocato, siccome il principe d' Grange fu chiamato dalla
miglior parte d' Inghilterra, onde rovesciare la tirannia di Giacomo II; atto che ricevette
r unanime plauso dei nostri grandi scrittori, e che è 1' origine della presente nostra
forma di governo.
*
La prima delle lettere dirette a Garibaldi da Gideon S. Lang, per la sua
importanza, mi parve utile trascrivere nel suo testo inglese, e darne in seguito,
per maggiore comodità del lettore, la traduzione letterale. Ma giova anzitutto
qualche breve considerazione.
Chi si dà a giudicare serenamente, sulla base di documenti, la politica
dell' Inghilterra, verso 1' Italia nel '59, non troverà esagerate le parole, che
un illustre storico nostro, ebbe a scrivere in proposito : « Prima di baloc-
carci in Italia con frasi stereotipiche sulla tradizionale amicizia inglese, scrive
il Luzio, bisognerebbe procurarsi il piacere di leggere o la vita del Principe
Consorte di Sir Teodoro Martin, o il carteggio della Regina Vittoria, o la
" Correspondence respecting the affairs of Italy ,, dal gennaio al maggio 1859,
dove riboccano le testimonianze del malvolere pertinace, opposto da Corte,
Governo ed in fondo anche dal popolo britannico, alla guerra redentrice
d'Italia >•>.
Però, la politica inglese, durante la campagna garibaldina di Sicilia, fu ben
diversa da quella dell' anno avanti. John Bull del 1 860 non era più John Bull
del '59! Vero è, che le predilezioni della Regina Vittoria furono nel '60 per
il Borbone, come nel '59 erano state per l'Austria; ma con questa differenza,
LA POLITICA DELL- INGHILTERRA NEL -59 E '60 259
che mentre il Gabinetto conservatore di Lord Malmesbury aveva condiviso ed
appoggiato la politica della Regina, il Gabinetto di Lord Palmerston segui
nel '60 una direttiva diversa ed opposta a quella della Sovrana. La corrispon-
denza fra la Regina Vittoria ed i suoi Ministri, fra la Regina e lo zio, il re
del Belgio, ha gettato nuova luce sull' argomento.
Uno storico inglese, il Treveiyan, a proposito della politica seguita nel '59
dall' Inghilterra, scrive : « In Inghilterra, i Ministri conservatori dell'epoca, credendo
che le sciagure d' Italia avrebbero potuto aver (ine senza il bisogno di cacciare gli
austriaci, si misero alla testa di un forte movimento di pace ; ma con spiccata ten-
denza austriaca {wìih a strong austrian hìas). Essi miravano, come scrisse Lord
Malmesbury, alle combinazioni territoriali del 1815, le quali avevano segnato il
record della pace più lunga. Molti inglesi, sebbene simpatizzassero per l' Italia e
fossero meno disposti verso l'Austria, partecipavano però al terrore dei Ministri, che
cioè quella guerra avrebbe potuto essere il preludio di un' altra era di conquiste
napoleoniche. L'ostilità nostra verso la Francia, scrive il Treveiyan, raffreddo
in quel momento il nostro entusiasmo per /' Italia, come sei mesi dopo invece
servì ad accrescerlo ».
Non v' ha dubbio come nel '59, non soltanto le alte sfere politiche, ma, ben
si può dire, quasi tutta la nazione inglese fossero favorevoli all' Austria. Una
stampa a colori pubblicata in quei giorni a Londra, divenuta oggi rarissima,
che tolgo dalla mia raccolta, dà un idea dell' ostilità inglese all' alleanza italo-
francese ( Vedi l'annessa riproduzione). Detta stampa fu pubblicata il 1 0 aprile
del '59 con la seguente caratteristica leggenda: « This fine painting newly disco-
vered in Florence is atiributed to Giotto, who flourished in the fifteenth century.
Its subject is believed to be " The kiss of Judas Iscariot „. 5/(7/ upon this
point opinions differ ; bui there is no doubt thal it represents two Saints.
{Questo bel dipinto, recentemente scoperto in Firenze si attribuisce a Giotto, che
visse nel secolo decimoquinto. Il soggetto sembra essere " Il bacio di Giuda
Iscariota „. Ma le opinioni su ciò non sono concordi; non v' ha dubbio però,
che il dipinto rappresenta due Santi) ». E da notare moltre, che nella stampa
la veste che indossa Napoleone è di colore verde, mentre è rossa quella di
Vittorio Emanuele ; sembra qumdi, stando alle dimostrazioni pittoriche della
passione di Cristo, che nella mente dell' autore il Giuda dovesse essere
Napoleone III !
Macaulay Treveiyan - Loco citato, pag. 115-116.
260 CAVOUR E L" INDIPENDENZA DELLA GERMANIA
Dicevo dianzi, come John Bull del 1860 non fosse più quello del '59! Il
Trevelyan scrive : " La gelosia della Francia, che aveva raffreddato il nostro
entusiasmo per l'Italia, durante la guerra, ci spinse, dopo Villa/ranca, ad offrire
qualche cosa di più dello stesso Napoleone per ottenere la gratitudine dell'Italia,
ora che quegli esitava ; e ci stimolò ad aiutare la formazione di uno Stato
italiano, forte abbastanza per divenire indipendente dalla protezione di Napo-
leone ». Più oltre soggiunge: « La guerra era ancora violenta e la vera ori-
gine della neutralità inglese destava dei dubbi, avuto nguardo alle predilezioni
per r Austria del Gabinetto Derby ; il quale restava ancora in funzione, in
attesa del discorso della Corona. Uno degli ultimi atti del Ministero conserva-
tore era stato quello di mandare Henry Hellyott a Napoli con ordini di dis-
suadere il re di Napoli d' unirsi al Piemonte nella guerra contro l' Austria.
Quindi, non soltanto l' Inghilterra, ma anche la Francia, 1' Italia e V Austria
attendevano impazienti il risultato dell'emendamento al discorso del giovane Lord
Hartington. Nelle prime ore del mattino dell' 1 1 giugno, una maggioranza di
1 3 voti fu annunziata nel Parlamento, affollato da più di 630 membri, ed il
Ministro piemontese, il quale con altri stranieri presenziava nella tribuna, gettò il
cappello in aria e si buttò nelle braccia di Jaucourt, attaché francese ; un atto
cui nessuno ambasciatore si era mai abbandonato in un luogo così pubblico.
E quando il vecchio Lord Palmerston si presentò, raggiante nel viso torvo,
gì' Italiani raddoppiarono le grida. In verità, continua il Trevelyan, la loro
condotta non fu ne corretta, né avveduta ; essa ferì il Ministero sconfitto.
GÌ' Italiani avevano dimenticato dove si trovavano e pensavano soltanto all' Italia,
alla tragica terra di cui ben pochi di quegli Inglesi, ricchi e liberi, avevano
nozione ; una terra, dove il pensare era pericolo, il parlare una rovina, l'agire
la morte ; dove gli uomini di Stato venivano incatenati insieme ai delinquenti ;
dove infine, le donne erano trattate con la sferza e gli uomini fucilati! Quando
gì' Italiani videro comparire Palmerston lo applaudirono, perchè egli era 1' uomo
che, nella sua maniera ruvida e brutale, aveva sovente detto tali verità, che
diplomatici ed uomini di stato sogliono nascondere, e quell* uomo tornava al
potere ancora una volta. Nella luce crepuscolare di quel mattino, gì' Italiani
videro l' alba di speranza per la loro patria ; e veramente 1' Italia con quel
voto aveva vinto molto più di quanto essa credette, molto più di quello che
Jaucourt, Y attaché francese avrebbe desiderato ! Quel voto, conclude il Trevelyan,
fu l'abbraccio di congedo dato dall'Italia alla Francia!».
' Macaulay Trevelyan - Loco citato, London, 1909, pag. 80-81.
LA POLITICA DELL' INGHILTERRA NEL 59 E 60 261
Il mutamento della politica inglese, coli' avvento al potere di Palmerston,
Russell e Gladstone, balza fuori con tutta la vivacità di colori dalle lettere di
quell'epoca di Lord John Russell, ministro degli affari esteri alla Regina Vittoria.
Cambiamento di politica che ebbe inizio, si può dire, con la lettera del 1 3 luglio '59;
in essa Lord Russell diceva : « Non v'ha dubbio, che l'Imperatore Napoleone è
all'apogeo della potenza. Ciò accadde, perchè lo si lasciò essere il solo campione
della causa del popolo italiano ».
La verità adunque si è, che lo stesso sentimento, che aveva indotto
r Inghilterra a vedere di malanimo la guerra, che noi combattevamo nel '59
contro l'Austria, la spinse poi nel 1 860 ad aiutarci contro il Borbone : il timore
cioè, di una preponderanza napoleonica in Europa.
GÌ' Italiani però non furono, come non saranno mai, immemori del grande
aiuto, che dall' Inghilterra venne alla gloriosa impresa di Garibaldi, anche se
queir aiuto fu ispirato da fini particolari. Noi non dimenticheremo, che il popolo
inglese mandò denaro ; che molti inglesi combatterono con Garibaldi e soprattutto
rammenteremo che l' Inghilterra fu la terra prediletta dagli esuli nostri con Giuseppe
Mazzini alla testa ; la terra che 1' Eroe amò e dalla quale fu tanto amato !
Quando, nel '64, Garibaldi andò a Londra, ricevendo un' accoglienza
rimasta memorabile, si pensò di fare dei bazars, allo scopo di raccogliere fondi
da mandarsi ai Comitati insurrezionali italiani per la continuazione della guerra
dell'indipendenza. Uno di questi bazars fu tenuto a Bradford, e Garibaldi vi
mandò una sua grande fotografia, che qualche anno fa io ebbi la fortuna di acqui-
stare a Londra e sulla quale l' eroe aveva scritto di sua mano la seguente dedica :
^ Al libero paese! All'Inghilterra, ove palpita il cuore di un popolo, che si
commuove ai patimenti di tutte le oppresse nazionalità e che accoglie benevolmente
la sciagura » .
Quel ritratto fu acquistato da un signore inglese per il prezzo di 1 00 guinee :
(Lire 2600).
Ma, senza oltre indugiarmi, ecco il testo delle importanti lettere.
Gideon S. Lang a Garibaldi.
To his Excellencv General Garibaldi, Dictalor of Sicil};.
London, 6 June 1860.
31, Albion Street
Please your ExcellencX),
Since I had the the honour of receiving your Iettar of 2.^^ May, and more parti-
culary since the publication of my letter in the Times of first June which 1 enclose, I
262 CAVOUR E L' INDIPENDENZA DELLA GERMANIA
find myself undesignedly in the position o{ your representative, and, so being, have
used every effort to prepare our public men for the crisis evidently ahead of you,
namely the interference of Napoleon to prevent the estabUshment of a united Italy
under Victor Emanuel.
2. Lord John Russel hearing that I was in corrispondence with you expressed a
wish to see me, and 1 called at his private residence. After reading your letter, we
had a rather a long conversation, of which I will send a statement in two days (inclusing in
this a key to the same) ; his Lordship having cautioned me to beware letting it become
public. I will only say now, that he spoke freely and the result was very satisfactory.
3. I have been in communication with several of our most able politicai writers,
many M. P. and other men of great intelligence, and the following is an embodiment
of their opinions. First, that the suspicion and dislike of Napoleon is almost universal
and increasing in intensity every day ; second, that Italy should be free, independent
and united and third, that the Italians should be allowed to settle their own affairs
without interference from any quarter.
4. The difficully will be to make the nation shake in such a voice that Napoleon
will see that we are in earnest. It may very probably be however for several reasons.
First, there is a strong conviction that we will have, sooner or later, a war with Napoleon ;
second the Ten Millions of Income tax has originated the idea that may just as well
have the war at once and be done with it as pay for it indefinitely and third, there
are now 200,000 men on foot, volonteers and regulars ; we feel prepared and not at
ali inclined to be hunbugged by Napoleon, as the Nation indignantly feels that it has
been. Only the application of the match is required to cause such an explosion as wouid
force any Ministery to interfer in your behalf. Mr. Worsman (M. P.) in discussing
the matter with me fast night, said "< that upon no subjects could the House be more
unanimous than in their desire to see an united and indipendent Italy, and suspicion of
of Napoleon 's interference there, and on no subjects more helpless ; but he added,
« if Lord Palmerston will make such a speech as he has made perhaps once in twenty
years, 600 members will go with him as one man ; if he will only give the real roar
of the Britsh Lion, the whole country, every town and village will be up in arms » , and
1 believe him. I need scarcely point out to you however, that before such a demonstration
could be attempted, it must be palpable to the Nation that Napoleon is actually interfe-
ring dangerously in Italy ; it is now, in the eyes of the general public a mere suspicion
that he looks to the throne of Naples for a Murat, and its effect upon Europe is not
at ali realised. He is so insidious that, with Cavour to work with, the mischief may
be done before John Bull realises the danger.
5. With a view to this, I am now acting. Besides conversations, I am preparing a series
of letters forth the Times of which the enclosed is the first ; the fast, when the time comes
for it, will be a careful and bitter resumé of Napoleon 's frauds and deceptions m Italy, and
of the trikery of his dealings with England. I will then again point out the concequences
to Europe, and appeal for fair play to the Italians for our own sakes as well as theirs.
6. My last move will be the pubblication of your letter to me ; which it is believed
will raise the whole country from one end to the other. I have been strongly advised
LA POLITICA DELL'INGHILTERRA NEL '59 E '60 263
not to publish it until Napoleon 's proceedings will justify the Governement in giving
expression to the feehngs of the nation, and then it will act like the springing of a
mine. I would, however, respectfuliy ask your permission to leave out Cavour 's name ;
it will not diminuish its force against Napoleon, and will avoid so public a proclamation
of a faci, which many most able men regard as one of the greatest dangers of the
present struggle, namely the differences between you and Count Cavour, which gives
Napoleon a fearful advantage. The extract N. 2 is upon this subject.
Through Madame Schwabe, a devoted friend of yours, I bave an apportunity of
sending my Times letter of Frieday to Baron Bunsen, and through him to the Prince
Regent of Prussia, with a letter adressed to ber pointing out the importance to Prussia
of an united Italy, and the danger of allowing a Murai to reign in Naples. Madame
also gives a party in a few days on purpose to introduce me to Mr. Milner Gibson,
Minister, Board of Irade and other politicai men. Madame is also eslablishing an Asso-
ciation of Ladies to raise subscriptions for the wounded and widows of your volonteers.
Il was intended to be locai and to enlist the efforts of a number of ladies in London,
bui I am now engaged in it with ber on purpose to make il a National demonstration,
which may form a powerful lever, when the lime comes. If the minds and sympathies
of ali the women in England are actively engaged in behalf of your widows and wounded,
an attempi of Napoleon to deprive them and ali they had foughl and bied for, will
present itself as a monstruosity.
Il has been suggesled to me by a very able writer, that you would very much
strengthen your politicai position by resuscilating the Constitution of 1812, and calling
togelher the states, thereby placing yourself in exactly the same position as the Dutchies
when ihey called togelher their Assemblies. But for you stili to retain the Dictator-
ship, even when advancing upon Naples ; which every one expects you to do.
I feel very proud of the honour that has been forced upon me, and the labour is
a labour of love ; bui I need noi say that I am very anxious to bear from you again.
'^^icuuUT'CfiLU, Autf-*c-^-<. -^ à^
P. S. - May I engagé your attention to signor Zeffiro Gemignani correspondenl
of the Morning Post and of Mr. Montgomery Stuart mentioned in te " key „ ?
264 CAVOUR E L" INDIPENDENZA DELLA GERMANIA
Traduzione.
A Sua Eccellenza il Generale Garibaldi, Dittatore della Sicilia.
Londra, 6 giugno 1860.
31. Albion Street.
Dopo che ebbi l'onore di ricevere la vostra del 2 maggio, e più precisamente dopo
la pubblicazione della mia lettera nel Times del 1" giugno che vi accludo, io mi trovo
involontariamente nella posizione di essere vostro rappresentante e come tale ho fatto
ogni sforzo, onde predisporre le nostre personalità politiche alla crisi, che evidentemente
sta loro davanti, cioè l' inf ramettenza di Napoleone per impedire il compimento di un'Italia
unita sotto Vittorio Emanuele.
2. Lord John Russel, sapendo che io era in corrispondenza con voi, manifestò il
desiderio di vedermi e andai a trovarlo nel suo domicilio privato. Dopo di aver
letto la vostra lettera, noi ebbimo una conversazione piuttosto lunga, della quale vi manderò
ragguaglio fra due giorni (accludendole in questa un cifrario per essa), avendomi Lord
Russel prevenuto di stare bene attento, che quella conversazione non diventasse pubblica,
lo vi dico ora soltanto questo : che ho parlato liberamente e che il risultato fu soddisfacente.
3. Sono stato in comunicazione con diversi dei più esperti dei nostri scrittori di
cose politiche, molti deputati ed altri uomini di grande intelletto ed il riassunto delle
loro opinioni è il seguente : primo, che il sospetto e 1' avversione verso Napoleone è
quasi universale e crescente in intensità ogni giorno ; secondo, che l' Italia dovrebbe
essere libera, indipendente ed unita ; terzo, che agli Italiani dovrebbe essere permesso
di aggiustare le cose loro, senza l' intervento di alcuno.
4. La difficoltà sta nello scuotere la nazione in maniera, che Napoleone si accorga
che diciamo sul serio ; questo però è molto probabile che accada per diverse ragioni.
Anzitutto, vi è la forte convinzione che noi avremo, presto o tardi, una guerra con
Napoleone ; secondo, che i dieci milioni della tassa d' entrata hanno fatto nascere l' idea,
che la guerra possa aver luogo subito ed esser fatta con queUi ; terzo, che abbiamo
sul piede di guerra 200.000 uomini, volontari e regolari. Noi siamo preparati e non
vogliamo essere messi nel sacco da Napoleone, come la nazione sdegnosamente sente
di essere stata messa finora. Una sola scintilla basterebbe a provocare tale esplosione,
che obbligherebbe il Ministero ad intervenire in vostro aiuto.
Mr. Worsam, membro del Parlamento, discorrendo sul proposito con me ieri sera,
diceva che su nessun altro argomento la Camera potrebbe essere così unanime, come
su quello che riguarda un' Italia libera ed indipendente e sul sospetto che Napoleone la
ostacola ; ma che nulla essa potrebbe fare. Poi soggiunse : " Se Lord Palmerston farà
un discorso tale, come egli ne ha fatto forse uno in venti anni, 600 deputati lo segui-
ranno come un sol uomo ; se egli farà sentire soltanto il vero ruggito del leone inglese,
r intero paese, città e villaggi, sorgeranno in armi ,, , ed io lo credo. Non occorre,
però che vi dica che, affinchè una tale dimostrazione possa avvenire, è necessario che
la nazione abbia le prove palpabili, che veramente Napoleone cerca di ostacolare e
LA POLITICA DELL' INGHILTERRA NEL 59 E '60 265
danneggiare 1' Italia. E attualmente negli occhi del pubblico un semplice sospetto, che
Napoleone miri al trono di Napoli per un Murat e gli effetti di questo avvento sull' Europa
non sono ancora completamente realizzati. Egli è cos'i insidioso che, lavorando insieme
con Cavour, il male può esser fallo prima che John Bull realizzi il pericolo.
5. In vista di ciò, io sto agendo. Oltre delle conversazioni, preparo una serie di
lettere per il Times, delle quali la prima è quella che vi accludo : 1' ultima, quando
il tempo sarà venuto, sarà un accurato ed amaro riassunto delle frodi e delle disillusioni di
Napoleone verso Italia e della sua artifiziosa condotta verso 1' Inghilterra. Metterò allora
di nuovo in rilievo le conseguenze per 1' Europa e la necessità di un movimento per
gì' interessi nostri e per quelli degli Italiani.
6. L* ultima mia mossa sarà la pubblicazione della vostra lettera a me diretta ; la
quale, si crede, solleverà tutto il paese, da un' estremità all' altra. Mi si è caldamente
raccomandato di non pubblicarla, finche la condotta di Napoleone non giustificherà il
Governo di attuare i sentimenti della nazione ed allora si avrà come 1' espolsione di
una mina. Vorrei però, chiedere rispettosamente il vostro permesso di mettere da parte
il nome di Cavour ; ciò non toglierà forza contro Napoleone ed eviterà una procla-
mazione così pubblica di un fatto, che molti dei nostri più abili uomini politici con-
siderano come uno dei più grandi pericoli della lotta presente, cioè le divergenze fra
voi e il conte di Cavour, che danno a Napoleone un temibile vantaggio. Il paragrafo
N. 2 è su questo argomento.
Per mezzo di Madame Schwabe, un' amica a voi devota, ho 1' opportunità di
mandare la mia lettera del Times di venerdì al barone Bunsen e per mezzo di lui al
Principe Reggente di Prussia, con una lettera indirizzata ad essa in cui rilevo l' impor-
tanza per la Prussia di un' Italia unita, ed il pericolo di permettere il regno di un
Murat a Napoli. Madame Schwabe, inoltre, fra pochi giorni, darà un ricevimento allo
scopo di presentarmi Mr. Milner Gibson, ministro, ed altri uomini politici. La signora
sta pure fondando un' associazione di dame per raccogliere fondi per i feriti e le vedove
dei vostri volontari. Si pensava di farne una cosa locale ; ma io sono ora impegnato
a farle avere un significato nazionale ; ciò potrà essere una leva potente in vostro favore,
al momento dato. Se tutte le donne d' Inghilterra sono fortemente impegnate in sollievo
dei vostri feriti e delle vedove dei vostri volontari, ogni sforzo di Napoleone tendente
a privarli di questo aiuto sarebbe da per se stesso una mostruosità.
Mi è stato suggerito da uno scrittore molto abile, che voi aumentereste moltissimo
il prestigio della vostra posizione politica, risuscitando la Costituzione del 1812, convo-
cando insieme gli Stati, mettendovi con ciò nella identica posizione dei Ducati, quando
essi riunirono le loro assemblee. Ma ritenete ancora la Dittatura, anche avanzando su
Napoli ; la qualcosa ognuno si aspetta voi farete.
Io mi sento molto orgoglioso dell' onore, che mi è stato dato e 1' opera mia è
opera di amore ; non è necessario però, che vi dica quanto sia ansioso di ricevere
vostre lettere nuovamente.
Ho r onore di essere col massimo rispetto
Di vostra Eccellenza
GIDEON S. LANG
266 CAVOUR E L'INDIPENDENZA DELLA GERMANIA
L' altra lettera che traduco dall'autografo inglese fu scritta da Lang a
Garibaldi dopo la conversazione avuta con Lord Russell. Mancando sfortuna-
tamente il cifrario, non mi è stato possibile il decifrare qualche nome.
Gideon S. Lang a Garibaldi.
Londra, 9 giugno 1860.
Caro e rispettato Amico,
Voi avrete già ricevuto, prima di questa, una lettera contenente il mezzo per
interpretare la presente e vi do subito ragguaglio della mia conversazione con 0, 1 {Lord
Russell), il quale, sapendo che io era in corrispondenza con voi, manifestò il desiderio
di vedermi.
2) Comincio però coli' assicurarvi sull'autorità di 50 (?), che le opinioni ed il
sentimento di 25 (Consiglio di Ministri?) sono interamente cambiati riguardo a 38
(Napoleone). Al principio della quistione di Nizza e Savoia ebbe luogo una discus-
sione in 25 (Consiglio dei Ministri?), in cui 17 (Palmerston ?) parlò così efficace-
mente sulla poHtica di 38 (Napoleone) e sulla necessità di ostacolarla, che la direttiva
politica del Governo d' allora in poi è stata assai influenzata dalle sue osservazioni.
Tutti convennero che la politica di Napoleone era pericolosa per la pace della Europa ;
personalmente disonorevolissima a lui stesso e tale da mettere in condizione gli uomini
di Stato del nostro paese e degli altri a non nutrire alcuna fiducia sulle sue assicu-
razioni e sulle sue intenzioni. 11 vero stato delle relazioni fra questo Governo e quello
di.... (Francia?), a parte delle convenzioni diplomatiche, è quello del più grande disin-
teresse da parte di quest' ultimo e della massima sospettosa gelosia da parte del
nostro Governo. Si giudica così ignobile la di lui condotta, che 9 (Gladstone ?) spesso
chiama 38 (Napoleone) coli' appellativo di 28-4-20-6-28, 19-16-15-1 (?) ; e 50 (?) mi
disse che 0.1 (Lord Russell), dopo la mia intervista, andò a trovare una gran dama
sua amica e che parlando della lettera di 90 (Garibaldi) a me diretta, abbia esclamato
che essa sarebbe stata per loro un'occasione assai propizia.
3) Appena mi sedetti diedi a 0.1 (Lord Russell) la vostra lettera colla mia;
quest' ultima era tutta intorno alla Sicilia ed all' avvenire, mentre la vostra non parlava
ne dell'una ne dell'altro, sebbene vi si riferisse. Egli disse supporre, che forse voi
non credevate di farne parola in questo momento. Dopo, lesse tutte e due le lettere
accuratamente (la vostra con grandissimo interesse e nell'originale) ed alla fine disse,
sorridendo, come se quella lettura l' avesse mollo divertito : ■» E molto forte contro 38
(Napoleone) ». Io risposi, che certamente lo era; ma che non avevo mai avuto diversa
opinione di 38 (Napoleone).
4) Gli dissi, che consideravo la vostra lettera a me diretta, scritta non soltanto
per mia personale informazione ed egli aggiunse che non avrebbe dovuto, per nessuna
ragione, essere pubblicata. Risposi, che non l' avrei fatto per ora ; ma che se fosse
LA POLITICA DELL' INGHILTERRA NEL "59 E 60 267
stato necessario il pubblicarla, per illuminare il paese a sostegno del Governo contro 38
(Napoleone), l'avrei ritenuta mollo utile ed efficace.
5) Disse che aveva ricevuto un telegramma da Napoli, annunziante che l' armi-
stizio era stato rifiutato e che il bombardamento era forse ricominciato, manifestando
grande sdegno e sentimento di orrore, al quale io mi associai. Continuò poi, dicendo
che non v' era più dubbio ormai che la Sicilia dovesse ritenersi perduta per Napoli,
e che mai più l'avrebbero riacquistata. Replicai, che il vostro successo era certo e che
avreste sicuramente mantenuto il potere.
6) Mi chiese allora, se io sapessi se fosse intenzione vostra di marciare su Napoli.
Risposi, che non avevo nessuna personale informazione su ciò; ma che ritenevo che,
appena avreste sottomessa 1' isola ed organizzato 1' armata ed un governo, avreste
marciato su Napoli. Che consideravo unico pericolo gl'intrighi dei Murattisti, che da
mesi si erano andati preparando per ottenere una manifestazione m favore di un Bona-
parte. Che un largo numero dei Generali e dei più alti Ufficiali dell'armata del Re
erano già stati conquistati dalla Francia ; che se la elezione di un nuovo Governo
fosse stata diretta da loro non vi sarebbe stata quella libera manifestazione della volontà
popolare, che era tutto ciò che i patrioti avrebbero desiderato. Quello che 90 {Garibaldi)
teme, dissi, è 1* influenza di 38 {Napoleone).
7) Egli affermò, che certamente considerava non esservi più possibilità di conci-
liazione fra Re e popolo ; che le cose erano andate troppo avanti ; ma non prestava
molta fede nella cospirazione Murattista. Gli diedi le prove che avevo e molte, dopo
la pubblicazione delle mia lettera, fornitemi principalmente dal Dr. Chapman, editore
del Westminster Review, che aveva scritto molto efficacemente sul proposito e che è
fonte di larghe corrispondenze. Sembrò assai impressionato e pensieroso, e disse a
bassa voce, quasi parlando con se stesso : " E impossibile di dire ciò che si deve fare
o che si può fare », e pronunziò due volte le parole: « che si può fare ». Mi parve
come se volesse dire, che non era possibile di precisare quale condotta 38 {Napoleone)
sarebbe per tenere e m conseguenza che cosa sarebbe stato necessario a 17 {Palmerston?)
di (are.
8) La conversazione si era arrestata, quando io feci notare che temevo che voi
avevate compromesso il Mezzogiorno d' Italia, agendo così esclusivamente per Vittorio
Emanuele, invece di tenere quello che voi andavate conquistando sulla base del voto
popolare, fino a che le cose non si fossero definitivamente sistemate.
9) 0.1 {Lord Russell) m'interruppe abbastanza rudemente per dirmi, che egli
non divideva la mia opinione, che voi avevate fatto bene e replicò : «^ Se gì' italiani
non lavorassero tutti, avendo in vista uno stesso obiettivo, le loro forze andrebbero divise
e perdute ».
10) Risposi che non intendevo dire questo. Garibaldi, dissi, prende ogni cosa
in nome di Vittorio Emanuele ed incorpora le conquiste che va facendo al regno di
Sardegna, così che esse sono subito poste nelle mani di Napoleone e Cavour per
tagliarvi e trinciarvi sopra. Mentre, se egli ritenesse tutto il Sud d' Italia nelle sue
mani, fondandosi semplicemente sui diritti del popolo, esso sarebbe sempre di Vittorio
268 CAVOUR E f INDIPENDENZA DELLA GERMANIA
Emanuele, ma diventerebbe meno facile un intervento napoleonico. Del resto, aggiunsi, vi
è una considerevole minoranza in favore di un Bonaparte, di un Murat e di un regno
separato, e si può dire con giustizia che la corona è data a Vittorio Emanuele non
dalla voce del popolo, ma dal volere di Garibaldi. Infatti il compenso richiesto da
Napoleone della Sardegna sarebbe forse facilmente avvenuto, se il Sud non fosse
ancora nelle mani vostre, come Dittatore ed aperto alla libera volontà del popolo.
11) 0.1 (Lord Russell) allora replicò: « Ma il conte di Cavour dice che non
darà Genova nemmeno per la Venezia ». Io mostrai con un sorriso e con un gesto,
il mio scherno per le assicurazioni di Cavour, aggiungendo : « Ma questo non è cer-
tamente sufficiente dopo i affare di Nizza e Savoia » .
1 2) Dopo, dissi : « So di certo e lasciateli smentire come possono, che Genova è
già promessa ; se non ne hanno parlato formalmente, è certamente chiaro fra Napoleone
e Cavour il pensiero, che Genova deve andare alla Francia, ed io ne sono sicuro » .
13) Quindi feci capire, che andavo a scrivervi con un mezzo sicuro ed egli
disse subito, con cordialità : « Bene ; io posso soltanto affermare che noi tutti qui siamo
suoi amici; noi tutti gli auguriamo bene ».
1 4) Ripigliando la conversazione sull' argomento del paragrafo 9", disse : « Credo
sarebbe bene, che la Sardegna e Napoli fossero sotto Governi separati; essi non sono
facilmente governabili » .
15) « Forse, replicai, questo è vero con gli Stati del Papa e l' armata francese in
mezzo a loro *. Indi lo salutai e stavo per andare, quando egli disse, con una certa
enfasi: « Dite a 2 1 -I -1 6-1 0-19-28-1 6 (?) di guardarsi dall' immischiarsi negli Stati
della Chiesa; voi sapete che tanto la Francia che l'Austria sono inflessibili su questo
soggetto e certamente lo impedirebbero >.
16) Risposi, che io vedevo in ciò il pericolo, specialmente perchè si sarebbe data
a Napoleone un'opportunità di immischiarsene per i suoi fini.
1 7) Non fecimo altre osservazioni : ma mentre lasciavo la stanza potei comprendere
dall' atteggiamento del viso, che egli aveva capito la mia osservazione.
18) L'impressione infine, che ebbi in tutto il complesso si è: che egli spera ed
aspetta che voi riusciate nel fare l' unità d' Italia sotto Vittorio Emanuele ; ma che la
sua grande paura è che voi darete alla Francia ed all'Austria qualche occasione che
possa impedirlo.
19) Il punto da me toccato nel paragrafo 9' e 10", mi pare importante ed in
una prossima occasione vorrei dire di più ; ma solo se voi lo desiderate, perchè non
vorrei annoiarvi con delle lunghe lettere sugli affari d' Italia ; per quanto grande sia
il mio interessamento in essi, ragione per cui voi forse 1* avete accolte così gentilmente.
11 giuoco in Italia per la sua libertà e indipendenza deve essere ora giocato fra voi
e Napoleone ; e da questo punto politico, mi sembra, dipenderà principalmente chi sarà
il vincitore. Vittorio Emanuele e Cavour, non meno che il Papa ed il Re di Napoli,
sono altrettanto impotenti come le pedine in una scacchiera. Credetemi
Vostro sempre devotissimo
21-26-19-15-20-21
LA POLITICA DELL' INGHILTERRA NEL 59 E 60 269
Per meglio completare questo retroscena della politica inglese nel 1 860, mi è
sembrato utile trascrivere dal numero del Times del I ° giugno la bella lettera che
Gideon S. Lang vi pubblicò e della quale egli fa menzione nella sua diretta
a Garibaldi il 6 dello stesso mese.
1." giugno 1860.
13, Albion Street. Hyde Park.
All' Editore del " Times,,
Gli avvenimenti in Italia progrediscono così rapidamente, che il punto culminante,
cioè la cacciata o la fuga dei re di Napoli può avvenire da un momento ali' altro.
Il destino d' Italia sarà allora deciso forse in poche ore, e se per suo bene o per suo
male, ciò dipenderà molto dalla condotta, che sarà seguita dal Governo inglese.
Il vostro corrispondente da Napoli rilevava chiaramente, giorni fa, che non appena
il re avrà abbandonato Napoli, la classe rispettabile dei Napoletani si troverà in balìa
di un'armata di mercenarii senza comando e di una folla furiosa di fanatici, di lazza-
roni, condotti da preti, assetata di sangue e di denaro ; e che per sfuggire ad un
massacro, come quello del 1849, essa farà eco al grido di una miserabile cricca di
Murattisti per l' intervento di Napoleone a garantirsi la protezione della Francia, che
avrà pronta ogni cosa per l' occasione.
Una rivoluzione in Napoli avrebbe per 1' Europa più serie conseguenze di quelle di
qualunque altro avvenimento dopo Waterloo. Suppongasi da una parte, che un Bona-
parte venisse eletto al trono vacante ; 1 2.000.000 di uomini sarebbero di un tratto
aggiunti al potere aggressivo della Francia ed altri 12.000.000 di uomini, posti fra
quelli e le Alpi Francesi, sarebbero inevitabilmente messi sotto di essa ; così pure tutto
il litorale d' Italia. D' altra parte, suppongasi che i sudditi di Bomba votassero per
l'adesione a Vittorio Emanuele, allora si avrà una nazione unita di 25.000.000 di
uomini liberi, sotto un governo costituzionale, forte abbastanza per mantenere intatto
il loro territorio contro tutti, ispirati da un grande amore per la libertà e da un pro-
fondo sentimento di gratitudine per l' Inghilterra, che l' ha favorita per ottenere quella
libertà. Con tale nazione al sud, la Prussia e la Germania al nord, l' Inghilterra
vedrebbe fortificata la libertà costituzionale ed allontanato il giorno, in cui milioni di
abitanti di Europa debbano tremare solo perchè un uomo, un solo uomo, domiciliato
alle Tuilleries parlò con ciglio severo ad un ambasciatore !
Nessuno sa tutto ciò meglio di Napoleone ; e nessuno sforzo egli risparmierà per
fare prevalere la tradizionale politica francese ed impedire la formazione di una sesta
grande potenza al sud delle Alpi. Vedemmo, nell' affare di Nizza e Savoia, di quanto
egli fosse capace per arrivare al suo intento mediante il suffraggio universale : giuoco
di mano così sfacciato ed eseguito in maniera così grossolana, che la votazione fu
fatta senza nemmeno salvare il rispetto alla decenza. Le speranze e gli intrighi dei
Murattisti sono così manifesti e conosciuti, come lo è il desiderio ardente di Napoleone
di un ingrandimento; e non vi è dubbio sui preparativi, che si stanno facendo per
270 CAVOUR E V INDIPENDENZA DELLA GERMANIA
profittare della crisi e mettere un Bonaparte sul trono di Napoli, senza alcun riguardo
all' opinione pubblica di Europa ed alla libera volontà dei Napoletani.
L' obiettivo del partito francese è di assicurarsi la sola occupazione della Francia,
finche il nuovo re sia eletto ; e nel caso di abbandono della capitale da parte del re
Francesco, il piano è di fare presentare una Deputazione, della quale facciano parte
uno o due membri ufficiali della municipalità all'Ammiraglio e all'Ambasciatore francese,
per essere protetti dall' armata e dai lazzaroni. La richiesta sarebbe accordata ed una
potente forza verrebbe sbarcata sotto il pretesto di mettere l'ordine; ma in sostanza,
col proposito d' influire sulla votazione, che sarebbe fatta per un regno separato sotto
un Bonaparte o per l'unità e Vittorio Emanuele; ed il risultato certamente sarebbe
2.695.461 per il primo e 269 per il secondo. Per impedire che questo piano di Napoleone
si attui ed ottenere che le elezioni si facciano liberamente, il nostro obietto dovrebbe
essere di fare un' occupazione unita, a mano armata, se un' occupazione sarà necessaria ;
e questa dovrebbe durare fino a che il governo provvisorio non dichiari di potere mante-
nere da se la sicurezza pubblica. Noi non possiamo garantire il successo agli insorti:
ma se l' occupazione unita fosse rifiutata dalla Francia, in tal caso noi avremmo il diritto,
come grande potenza navale e per la sicurezza del mondo, di sbarcare una sufficiente
forza neir interesse dell' umanità. Ma se dovessimo aspettare, per puntiglio, finche
fossimo richiesti, il nostro Ammiraglio può stare sicuro, che i patriotti italiani sono
altrettanto pronti ad invocare l'aiuto britannico, quanto i Murattisti quello francese.
Ora, siamo noi pronti a quello ?
Se i napoletani formassero un governo provvisorio sotto Garibaldi, come han fatto
i siciliani, l'occupazione straniera sarebbe necessaria, finche egli arrivasse a Napoli
colle sue forze e chiamasse la nazione a dare il suo voto onestamente, come tutta
r Europa ne ha fede. Ma questo non piacerebbe a Napoleone, e la stampa francese
ad arte rappresenta Garibaldi come un capo di guerriglia e niente più ; e ciò allo
scopo di preparare le menti prima che egli arrivi a Napoli e far credere, che la sua
presenza non può essere considerata come garanzia di buon ordine. Nel mio resoconto
intorno a Garibaldi ed i suoi volontari a Como, pubblicato nel Times nel giugno dell'anno
passato, io affermai essere convinto, che la vera grandezza di Garibaldi si sarebbe
mostrata nella rigenerazione politica e nel governo del suo paese e non ho fin' ora
alcuna ragione per dovere cambiare di opinione. La sua presenza nella guerra fu
sempre garanzia di successo ; il suo avanzare fulmineo colpisce coloro, che non cono-
scono il suo grande potere di organizzare, come pure la rapidità e il suo metodo di
trattare, sia come capitano di un legno mercantile, che come liberatore di una provincia.
Anche prima della pace di Villafranca, egli vedeva lo sforzo che dovevano compiere i
suoi concittadini, e quando io gli mostravo i miei dubbi riguardo alla loro tenacità nel persi-
stere senza lo stimolo della guerra, egli mi assicurava ciò che pochi allora immaginavano,
cioè che il buon senso e 1' unanimità dei suoi concittadini erano arra sicura del destino
d' Italia ! La corrispondenza che accludo per essere presa in esame, dimostra che Garibaldi
si diede alla presente impresa, non soltanto con abile e previggente perizia di Generale,
ma anche con larghe vedute di uomo di Stato. Del resto, sia che Io si consideri da
questa parte delle Alpi come un uomo di Stato o come un condottiero di guerriglie, il
LA POLITICA DELL'INGHILTERRA NEL"59 E 60 271
fatto certo si è, che gì' Italiani hanno mostrato di essere capaci di maneggiare i propri
affari e che Garibaldi è alla testa del presente movimento col loro unanime consenso.
Lord John Russell e Lord Palmerston parlano di buon grado di Garibaldi e
favorevolmente, e la nostra nazione sottoscrive somme da inviarsi ; ma a che servono
le buone parole e i denari agli Italiani, se poi, col non agire, permettiamo che
Napoleone giri tutto a suo esclusivo vantaggio, lasciando gl'Italiani lontani dall'indi-
pendenza, come lo erano prima ; e che Lord Russell possa poi dichiarare con dolore :
la cosa è un fatto compiuto e che non vi si può più rimediare ? Non si può questo
evitare ? Molte navi francesi sono già a Napoli e sono per andarvi. Dove è la nostra
flotta, e quali istruzioni sono state date all'Ammiraglio ?
Se un Murat fosse eletto dalla libera voce del popolo, noi potremmo riguardare
il fatto come una grande disgrazia ; ma se tale elezione si compisse o per negligenza
o per miserabile servitù del nostro Governo a Napoleone, allora ciò non potrebbe
essere considerato da parte nostra, che come un grande delitto. GÌ* italiani si sono
mostrati degni e capaci, per ogni riguardo, di fissare i loro destini come un popolo
libero, e questo è un loro diritto. Poiché adunque, in nessun altro campo l'opinione
del popolo inglese potrebbe essere più unanime come in questo : che cioè l' Italia sia
libera ed indipendente, è da sperare che in questo diffìcile momento il Governo inglese
non risparmierà i suoi sforzi per assicurare agli Italiani la sola cosa della quale essi
hanno bisogno al presente: « // non intervento ».
Vostro obbedientissimo
GIDEON S. LANG
Più tardi, dopo 1' ingresso di Garibaldi in Napoli, Lang scriveva a Federico
Campanella l' importante lettera inedita, che qui pure traduco dall'autografo.
Gideon S. Lang a F. Campanella.
Selkrich-Scotland, 29 settembre 1860.
Caro e rispettalo amico,
Pochi giorni fa, mentre mi trovavo in Londra, ebbi una lunga conversazione con
Mr. Stuart sulla presente situazione di Garibaldi e le difficoltà in cui si trova, e vi
accludo il di lui articolo, pubblicato nel Morning Post e sul quale richiamo tutta la
vostra attenzione. Io pure desidero dire qualche parola e dare un suggerimento,
assicurandovi che la mia devozione a Garibaldi ed alla libertà non è minore ; ma io
peso ogni argomento freddamente e deliberatamente, e parlo di Garibaldi semplicemente
come un elemento del mio ragionamento.
2) L'obiettivo degli Italiani deve essere di liberare interamente l'Italia con una
guerra contro l' Austria e possibilmente contro la Francia e di riunire tutto sotto
Vittorio Emanuele.
272 CAVOUR E L" INDIPENDENZA DELLA GERMANIA
2) Per raggiungere questo scopo essi hanno il Nord d' Italia con un Governo
già stabilito ed una armata regolare di Sardegna sotto Vittorio Emanuele ; il Sud,
per il patriottismo e l'energia di tutta l'Italia, è guidato da Garibaldi. Questo è
abbastanza, perchè con tatto e prudenza si possa riuscire ad ogni cosa.
3) Commciando le operazioni, due cose dovrebbero essere tenute bene in vista ;
primo, assicurarsi l'appoggio morale dell'Inghilterra e dell'Europa, in caso di un disa-
stro ; secondo, evitare di compromettere Vittorio Emanuele più di quello, che è asso-
lutcmiente necessario.
4) Per ottenere ciò è ovvio, che Garibaldi dovrebbe tenere Napoli e la Sicilia
con un'azione indipendente, finche egli proclamerà Vittorio Emanuele dal Quirinale
ed moltre, che Garibaldi dovrebbe cominciare coli' attaccare la Venezia e tirarvi
dentro V. E. con una guerra contro 1' Austria, voglia o non voglia. Allora, sebbene
alleati indipendenti, essi dovrebbero lavorare come una sola mano ed una sola mente,
per lo stesso scopo.
5) Io sono bene al corrente delle molte difficoltà, che circondano Garibaldi nel
conseguimento della sua meta ; ma credo, che molte di esse scomparirebbero davanti
alla chiara manifestazione della sua espressa volontà. Su alcuni lati della quistione
desidero manifestarvi la mia opinione secondo il punto di vista, che credo possa essere
il migliore per 1' Italia ! ! Tutti gli altri non si addicono all' uomo, al quale Dio ha
data la missione di rigenerare la sua patria e forse anche le altre nazioni, che seguono
ansiose i di lui passi.
6) Garibaldi intende proclamare Vittorio Emanuele dal Quirinale. Benissimo!
Ma dovrebbe farlo prima o dopo di avere conquistato la Venezia ? lo dico dopo, per
le seguenti ragioni. Primo : tulle le forze d' Italia essendo portate subilo contro l' Austria,
esausta dall' ultima guerra, in pericolo per I' Ungheria, senza una probabilità di aiuto,
con la Venezia in insurrezione, un rapido successo ottenuto in principio potrebbe
indurla a cedere subito. Secondo : che il continuato aiuto morale dell' Inghilterra
sarebbe assicurato, ed in caso di disastro essa non solo non permetterebbe che Vittorio
Emanuele fosse severamente trattato (essendo stato quasi obbligato alla guerra), ma
impedirebbe che Napoleone se ne immischiasse ; giacche debbo assicurarvi, che per
quanto non soddisfatto possa essere il conte di Cavour della risposta chiara e positiva
di 0. 1 {Lord Russell) essa fu redatta in tale maniera da impedire delle complicazioni,
che certamente sarebbero avvenute, se avesse risposto nei termini che il sig. C. {Cavour?)
forse si aspettava. D' altra parte con un tentativo su Roma ora, uno sforzo combinato
di Vittorio Emanuele e Garibaldi sulla Venezia si renderebbe quasi senza speranza
di successo. Inoltre 1' amor proprio della Francia favorisce l' intervento di Napoleone
in Italia e gli permetterebbe di trattarla secondo la potenza, che 1' esito della guerra
gli darebbe ; infine, nel tafferuglio, l' Austria potrebbe fare un tentativo di ripren-
dere la Lombardia, e certo gì' Italiani perderebbero la simpatia dell' Inghilterra. Il
prestigio di Garibaldi sarebbe rovinato o seriamente compromesso per questa semplice
ragione, che si rinunzierebbe alla chance così lungamente attesa, semplicemente per
mostrzu"e un sentimento per Roma e suscitarne un altro d' indignazione da parte dei
ÌCulÙ tvctr^ Jcn^ vt^^c^^i- a~ l/ci~ c-i^t^iS^
atcttécL i^ outjf-a, c^A. /cà^x $i a/vh^x^,_
avere ut/ix ua^vi'x . J^^i^o^ n<»n o'tVa-ù^te.
Y4CC0 Ha oAi. /a^A. yc^/ i/A^Jif A^-fif ^ ^i ^U^
U/i^f^a.J' ^4^/^ ìaoTi^t'A. irti. <Vi^»i^^/W»-«.
t\A^ OMVle Sc^h/^o -^^ c^tV*. <^'/ ;-\*-/rf^'M^
^■yi^
Lettera di A. Saffi a Garibaldi
suir interessamento del popolo inglese all'impresa di Sicilia. (Vedi pag. 274).
LA POLITICA DELL- INGHILTERRA NEL '59 e '60 273
Francesi. Garibaldi, invece di riunire e dirigere i sentimenti e gì' impulsi degli Italiani
ad un solo grande scopo, andrebbe incontro a pericoli, senza alcuna necessità strategica
o politica. Tutta la (orza dell'Italia deve essere concentrata contro l'Austria, anche
se la Francia è a Roma; e quando la Venezia sarà assicurata, Roma, come Nizza e
Savoia potranno forse essere tolte alla Francia senza pericolo per l' indipendenza italiana
e con non maggiore perdita di quella che ordinariamente segue una grande guerra.
7) Il conte di Cavour ha fatto il suo possibile per attraversare ed umiliare Gari-
baldi; ha perfidamente sacrificato Nizza e Savoia e si mischia negli Stati Romani,
io credo, soltanto per sconcertare Garibaldi ; però tutto ciò che egli faccia, non impe-
disce che sia il padrone della situazione e che la sua astuzia, senza scrupoli, sia neces-
saria a tenere Napoleone in giuoco lo dimostra il fatto che egli, Cavour, può rivoltarsi
a lui, come fa spesso un briccone contro l'altro. Nessuno meglio di Cavour preparerà
e porterà avanti le risorse della Sardegna fino al punto d' attaccare la Venezia. Riguardo
ai sentimenti personali di Garibaldi sul proposito, l' Italia non può seguirli ora. Se
Nizza e Savoia furono sacrificate, questa non è una ragione, perchè tutta l' Italia lo
debba pure essere. Voi avrete potuto osservare quante delle nostre operazioni navali
e militari sono andate a male attraverso quistioni fra un Generale ed un Ammiraglio ;
ma chi oggi non li biasima entrambi? Così la posterità biasimerebbe Garibaldi e Cavour;
e per quanto grandi i torti del primo possano essere, essi, da qui a sessant' anni, sem-
breranno agli italiani una misera ragione da non giustificare di avere sacrificato la loro
indipendenza.
8) Molta incertezza ed inquietudine hanno cagionato fra i veri Italiani ed amici
dell' Italia e molto incoraggiamento è stato dato ai repubblicani e reazionari ed un
mezzo nelle mani di Cavour, per combattere Garibaldi, le cariche affidate ai Mazzi-
niani e ai radicali. Si può dire, che essi, personalmente, meritano ogni rispetto ; ma
questa non è la quistione. I loro servizi destano molti sospetti nell'altra parte. Lord
Palmerston perdette 1 2 voti su 24 nell' ultima votazione, che stava per compromettere
il Ministero, solo perchè egli sorrise ad una tirata di un Membro Irlandese su Gari-
baldi. Ora Garibaldi, nella sua posizione, agisce, parla ed anche sorride non per i
voti soltanto, né per armi, ma per i popoli in armi e non importa quali che sieno
le sue private opinioni e sentimenti verso alcuni particolari individui ; egli deve
regolare i suoi alti e le sue parole in accordo colla politica generale di Vittorio
Emanuele e sua. Come i nostri leaders parlamentari, egli deve evitare di compromet-
tere 1 colleghi o di indebolirne la situazione con atti o parole, che potrebbero essere
evitati onorevolmente. E indubitato, che solo i grandi successi hanno impedito, che la
posizione di Garibaldi fosse seriamente danneggiata dalla sua apparente inconsape-
volezza dell' immenso peso politico di ogni suo atto o parola.
9) In conclusione, io vorrei rilevare che la decisione della Camera Sarda darà
a Garibaldi un' opportunità simpatica per porre fine alla presente difficoltà con V. E.,
cedendo alla voce del popolo italiano, espressa dal suo solo organo esistente. Rite-
nendo Napoli e la Sicilia con azione libera ed indipendente, finché egli avrà proclamato
V. E. Re di tutta 1' Italia unita, dal Quirinale, e rifiutando di fare ogni concessione a
CURÀTULO 16
274 CAVOUR E L'INDIPENDENZA DELLA GERMANIA
Cavour personalmente, Garibaldi può con dignità cedere alla pubblica voce la sua
opinione privata per quanto riguarda il mantenimento di Cavour come Ministro e la
necessità di occupare Roma al presente. Entrambi V. E. e Garibaldi avranno tutto
r inverno davanti a loro, onde preparare per la primavera ventura una campagna contro
r Austria e Garibaldi per organizzare la sua armata e tempo per stabilire un Governo
sicuro per 1' Italia ed assicurante per 1' Europa. Ho 1' onore di essere il vostro devoto
amico.
GIDEON S. LANG
Signor Campanella
Napoli
Le lettere inedite che ora trascrivo dagli autografi e dirette a Garibaldi da
Aurelio Saffi, da W. H. Ashurst, T. Tower, Ugo Forbes e da altri mostrano
il grande interessamento, che tutta Y Inghilterra prendeva all' impresa garibaldina.
Aurelio Saffi a Garibaldi {Vedi facsimile).
Oxford, 4 giugno 1860.
Caro Generale,
Vi recherà questa mia l' inglese sig. Callaway, il quale viene ad offrire i suoi
servizi all' Esercito italiano in Sicilia, come medico-chirurgo, lo non lo conosco, ma
mio cognato Craufurd me lo raccomanda come ottima persona ed esperta nell' arte
sua ; oltre di che, è devoto a voi ed all' Italia per affetto verso la santa causa e verso
chi fa tanto per la medesima. Vogliate, adunque essergli cortese, come è vostra natura
di essere cortese coi buoni e devoti, e gradite che io vi mandi col cuore un saluto di
venerazione per ciò che avete fatto e ciò che farete a creare 1' Italia.
Qui tutti sono rivolti a voi come ad uomo, che rappresenta una virtù antica in
questa età scarsa di grandi cose, e gì' italiani sentono che a voi e al drappello di eroi,
che vi accompagnarono nell' avventurosa spedizione, dovranno il beneficio di avere una
patria. Però, non vi isolate nell' isola. NapoH e Roma sono la meta della vostra missione.
Dio vi custodisca e vi conforti, e la nazione italiana tutta quanta, non pochi eletti
soltanto, sorga ad azione degna di un tanto duce.
Qui, italiani ed inglesi, ci adoperiamo a raccogliere denaro per la lotta, che soste-
nete ; le sottoscrizioni continuano, mandiamo le somme raccolte a Genova a Bertani e
ad Amari : altri mandano ad altri. Ma importa, che tutti in Italia si mettano d' accordo
ad agire per lo stesso fine, lo non fo che raccomandare, scrivendo, associazione di
sforzi sul terreno comune dell' unità della patria da conquistare, e bando a differenze
di parte.
Spero, in breve, potere ritornare in Italia : spero cessate le diffidenze e le recizioni,
che attraversarono nell' anno scorso la via del ritorno a molti patrioti ; e sarà per me
LA POLITICA DELL' INGHILTERRA NEL -59 E 'ÓO 275
un momento solenne della mia vita quello, in che mi sarà dato stringere la mano a voi
e ai vostri prodi compagni.
Addio, addio. Dio vi conservi all' Italia.
y ostro dev.mo amico
A. SAFFI
Oxford, il giugno 1860.
Caro Generale,
Alfonso Scalia, che viene a dare 1' opera sua al paese nativo ed a servire sotto
di voi la causa della patria comune, vi reca questa mia. Gradite, con essa, un mio
ricordo ed un saluto.
Come vi dicevo in altra mia, che a quest' ora, spero, avrete ricevuta per mezzo
dell' inglese Callaway, che con essa io vi raccomandava, quanti italiani aspirano ad
avere una patria indipendente ed una, mirano a voi come all' uomo, che può coi forti
fatti dare effetto alla grande speranza. E sono, inoltre, con coi le simpatie della nazione
inglese, perchè la medesima vede in voi una garanzia, che il moto italiano si manterrà
puro ad ogni nuova influenza di falsi alleati e andrà diritto all' intento di fare dell' Italia
una potenza capace di operare e sostenersi da se.
L' eroismo vostro e dei vostri e la devozione alla patria vi hanno guadagnato in
Inghilterra tutti i partiti. In Oxford (Università, che fu sempre conservativa) professori
e studenti hanno contribuito, con premura, alle soscrizioni aperte per la Sicilia; esempio
notevole dell' unanimità dell' opinione in favor vostro.
Il Comitato da noi costituito a raccogliere fondi in vostro aiuto è stato circondato
dal favore universale, ed ha già ottenuti risultati abbastanza soddisfacenti. Scalia, che
ne è membro, potrà ragguagliarvi di ciò che si è fatto. Ma sarebbe molto utile al
progresso delle offerte ed a stringere sempre più i vincoli di simpatia, che esistono fra
r opinione pubblica in Inghilterra ed il moto italiano, se voi mandaste al Comitato due
parole d' incoraggiamento pei soscrittori inglesi, da pubblicare nei giornali. Io rimarrò
qui ancora per pochi giorni ; poi vengo io pure in Italia per compiere più dappresso
il mio dovere verso il paese. Addio.
Vostro di cuore
A. SAFFI
W. H. Ashurst a Garibaldi.
À MONSIEUR LE GENERAL GARIBALDL
6, Old Jewty. London E. C.
5 June 1860.
Mon cher General,
Salut et loute honneur à vous et à vos braves compatriotes !
Je viens vous présenter mon ami, Mr. le Dr. Callaway, médecin anglais et chirurgien,
qui a servi avec distinction dans la guerre des Indes Orientales.
276 CAVOUR E L' INDIPENDENZA DELLA GERMANIA
Il cherche, maintenant, à s* acquérir de nouveaux lauriers, en se mettant sous vos
ordres pour la cause de la liberté italienne.
Mr. Callaway s' est fait aussi le représentant de pleusieurs amis anglais, qui lui
ont confié une certaine somme, qu' il ne doit remetlre qu' à vous personellement.
Mon " Garibaldi Fund „ fait des progrès, comme vous voyez par l'annonce pris
du Dai/y News, ci-incluse.
Je me permets de vous suggerer, que Mr. le Dr. Callaway, qui a eu une grande
expérience dans les Hopitaux civils, pourra vous étre d' une grande utilité dans 1' Etat-
Major.
Je vous serre la main de coeur et vous prie de me croire, mon cher General,
Voire bien deooué
W. H. ASHURST
GARIBALDI FUND.
Having been appointed by General Garibaldi to receive and forward subscriptions
for " Un milione di fucili „ (the milion muskets), I beg to state that I am ready to
receive and duly remit any sums ci money, that may be subscribed for the above
object.
Sums already received :
From Glascow, first instalment L. 200 00
- P. A. Taylor » 200 00
» W. H. Ashurst » 10 00
» W. Pare » 1 00
» S. H. Braysher » 1 10
» Mappin and Co » 5 00
» G. Hyde » 3 30
» For Prolestant Englishmen » 6 60
» J. H. Dillon » 5 00
» W. Jackson » 5 00
- Charles Buxton • 100 00
» S. Statham » 1 00
» Rawlinson » I 00
» Gustave Ardler » 1 00
» C. MacuUoch ' 1 00
» A. M. F • 3 00
- e » 20 00
» Rev. J. P. M » 1 00
» L. T - 1 00
LA POLITICA DELL' INGHILTERRA NEL '59 E "60
277
From S. T L. 5 00
» James Epps * I IO
» T. Dighi » 2 00
» W. e. Vivian » 2 00
» J. V. Porter » 1 00
» A Friend of italian liberty » 500
» Professor F. W. Newman » 20 00
» Two Sisters » 1000
» Frank Dillon » 5 00
6, Old Jewrey, London.
W. M. ASHURST
Treasurer
T. Tower a Garibaldi.
My dear General,
Oxford and Cambridge Club. Pali Mail.
June 8, 1860.
Mr. Callaway 's professional experience and his ardent wish to join you and assist
te his utmost in your noble cause wouid be sufEcient introduction to you, but I must
bring him to your special notice. He is most strongly spoken of by two very warm
(riends of the cause, and therefore I recommend him under the belief, that he will be
of use to it and wellcome to you. He conveys a small sum privately collected for
your disposai and 1 hope that will soon be folloved by more. I leave it to him to teli
you how high England 's pulse beats for you. There seems now to be but one feeling
throughout the country on the subject, intense admiration at the brilliant atchievements
of yoursel and your truly noble band of Patriots, and the ardent hope, that complete
success may reward the efforts and altain the great object to which your precious life
has been ever so honorable devoted.
My dear wife sends you her kindest regards. It gladdens our hearts to see how
fully you are earning the most noble apellation a man can attain in this worid, that of
being the « Liberator » of his country. God bless you, my dear General, and long
preserve you for it and for the happiness of ali those within and without it, who so
love and admire you. Amongst the latter you will always count upon your most sin-
cerely attached friend.
T. TOWER
Traduzione.
Mii
ile.
Oxford e Cambridge Club. Pali Mail.
8 giugno 1860.
L' esperienza personale del sig. Callaway ed il suo vivo desiderio di raggiungervi
e di aiutarvi, nel miglior modo possibile, nella vostra nobile impresa, sarebbe già suf-
278 CAVOUR E L' INDIPENDENZA DELLA GERMANIA
ficiente presentazione; ma io debbo richiamare su di lui la vostra attenzione. Egli è
fortemente raccomandato da due grandi amici della causa italiana, e per conseguenza
io ve lo presento con la certezza, che egli potrà essere utile ad essa, ed a voi il ben-
venuto. Egli porta una piccola somma, raccolta privatamente per metterla a vostra
disposizione e mi auguro che ad essa ne seguiranno altre. Egli vi dirà quanto forte-
mente il cuore dell' Inghilterra batte per voi. Sembra che oggi non vi sia nessun altro
sentimento in tutto il nostro paese, che quello di ammirazione intensa per i brillanti
fatti compiuti da voi e dai vostri prodi compagni d'armi, e la viva speranza che un
completo successo riesca a coronare i vostri sforzi e raggiungere così la grande meta,
alla quale la vostra preziosa vita si è così nobilmente consacrata.
La mia cara moglie vi manda i suoi migliori complimenti. Ci riempie l'animo
di gioia il vedere come voi avete meritatamente guadagnato l'appellativo più nobile che
un uomo possa meritare in questo mondo, quello di essere chiamato il Liberatore della
sua patria.
Dio vi benedica, mio caro Generale; e lungamente vi preservi al vostro paese
ed alla felicità di tutti coloro, che dentro e fuori di essa vi amano e vi ammirano.
Fra questi ultimi contate sempre nel vostro sincero amico *
T. TOWER
La lettera che segue fu diretta a Garibaldi da un inglese molto eccentrico e
pieno di coraggio, che aveva combattuto nel *48 per la difesa di Venezia e
poi nel '49 al seguito del Generale, in Roma.
Ugo Forbes a Garibaldi.
Londra, 24 maggio 1860.
Mio caro Garibaldi,
Colgo r occasione della partenza del capitano Fontana per inviarvi una lettera ed
augurarvi buon successo in Sicilia.
Appena fu conosciuto in Londra, che partiste per aiutare l' insurrezione in Sicilia,
ero deciso di spedire un bastimento carico di uomini e di armi per servire di nucleo
per una Legione straniera sotto di voi : ungheresi, svizzeri, tedeschi, francesi ed inglesi,
come anche italiani.
Io ero invitato per guidarla e volontieri accettai l' incarico : ma pare, che abbiano
scritto dall'Italia di non mandare nessuno e di spedire i soli quattrini raccolti. Ciò
mi sembra strano; perchè dal vostro proclama abbiamo letto, che sopratutto chiedete
degli uomini. La formazione di una Legione straniera e la partenza dall' Inghilterra
' A proposito di questa lettera si riscontri quella diretta il 16 giugno da Bertani a
Garibaldi, trascritta nel Capitolo VII.
LA POLITICA DELL- INGHILTERRA NEL '59 E 'óO 279
avrebbe avuto un cerio significato politico utile assai. La presenza di alcuni inglesi
avrebbe portato il suo bene in più di un modo.
In quanto a me, potete immaginare quanto mi sarebbe grato di essere un' altra
volta con voi. Al principio della guerra lombarda dell'arino scorso, vi scrissi non colere
in nessun modo mettermi sotto Luigi Napoleone : ma dal momento che sareste stalo
indipendente da lui, ero pronto a mettermi a vostra disposizione. Non capisco, perchè
ci scrivono dall' Italia di non mandare di qua nessuno. Se siete dell* avviso contrario,
inviate uno in Londra con una lettera vostra, e presto ci metteremo all'opra.
In ogni modo, scrivetemi sott' involta al sig. G. ÌV. Reynolds, 4 1 , Holborn Square,
London. E un mio amico, editore di un giornale liberale di Londra. Addio.
Vostro aff.mo amico
UGO FORBES
P. S. - Mi pare, che non avete bisogno di soccorso in Sicilia ; ogni uomo dovrebbe
essere spedito al più presto negli Abruzzi e nell' Umbria. Ci sono qua molti, deside-
rosi di andare dove possono essere utili. L'Austria ed i Principi si preparano.
CAPITOLO XIII.
GARIBALDI E MAZZINI.
IL GUERRIERO E L'APOSTOLO.
iJe la fredda analisi dello storico dovrà un giorno dividere due dei più
grandi personaggi della storia nostra : Mazzini e Garibaldi, perchè discordi furono
i mezzi con i quali essi operarono per raggiungere il nobile intento, come diverse
erano le qualità della loro psiche, nel cuore di ogni italiano però, queste due
gigantesche figure non andranno mai disunite.
La vita di Giuseppe Mazzini, non è usare un luogo comune, fu vita di
apostolo, nel senso più alto e più vero della parola.
Cospiratore fino all' ultimo battito del cuore, esule di tutta la vita, ogni
energia di questa grande anima e di questo forte intelletto si svolse entro ad un
circolo magico, come intorno ad un pernio fisso : Unità e Repubblica.
Quale era il suo Credo} Lo trascrivo dall' autografo, che religiosamente
conservo.
Il " Credo „ di Giuseppe Mazzini.
Luglio, '50 - Londra.
Dio — Umanità — Patria.
Dovere — Amore.
Costanza: complemento di ogni umana virtù.
Il Genio, duce.
L' Unità d' Italia mezzo dell' Unità Europea.
Questi sono gli estremi termini della mia fede.
GIUSEPPE MAZZINI
Il sentimento di fratellanza dei popoli ebbe in lui il più tenace ed illustre
propugnatore.
282 GARIBALDI E MAZZINI
« Qual' è, scrisse Pasquale Villari, la ragione per cui la figura storica
di Mazzini ha esercitato un così grande e misterioso fascino suH' animo degli
uomini e delle donne, degli italiani e degli stranieri, sì che ne troviamo traccie
visibili in tutte le letterature moderne, in Victor Hugo, nel Carlyle, nel Swinbume
ed in tantissimi altri? Egli è, che il Mazzini non solo dedicò la sua vita intera
alla patria ; ma per lui 1' unità, 1' indipendenza e la libertà d' Italia erano inse-
parabili dalla indipendenza e libertà degli altri popoli : le une erano per Ili
ugualmente necessarie alle altre. Grande ammiratore delle opere di Dante, sopra-
tutto della Divina Commedia , per la quale ebbe un vero culto, riunendo il
sentimento della patria con quello dell' umanità, egli riuscì a santificare nei suoi
seguaci il patriottismo, facendone quasi una religione. Vide chiaramente, che se
la vita dell' individuo acquista il suo valore e la sua dignità sacrificandosi alla
patria, quella delle nazioni s' innalza tanto più quanto efficacemente contribuisce
al progresso civile e morale del genere umano. Questo ci spiega non solo il
fascino esercitato dal Mazzini, ma ci spiega ancora come avvenne che alcuni
suoi discepoli, i quali divennero poi eroi del nostro Risorgimento, sembravano
portare sul capo 1' aureola dei santi. 11 Mazzini fu un eroe umano ; il suo spirito
animatore è quello stesso spirito di fratellanza, che ispirò il De Monarchia,
che penetrò m tutte le opere di Dante ».
Ogni scritto del grande esule è pensiero di filosofo o canto di credente.
Leggete la preghiera per i piantatori di cotone, mandata nel 1 846 a Guglielmo
Shaen, che aveva domandato al Mazzini il suo contributo sul tema dell' aboli-
zione della schiavitù in America. Quando sarete giunri alle ultime linee, sembrerà
anche a voi di avere pregato, e vi sentirete voi stessi credenti.
« Apri, o Signore, il loro intelletto e intenerisci il cuor loro. L' angelo, che
inspira i pensieri di bontà, scenda la notte nei loro sogni. Giunga ad essi nella
sua voce il grido di orrore di tutta 1' Umanità, che crede ed ama ; il grido
di dolore di tutti coloro, che soffrono e lottano in Europa per il bene ed
ebbero scossa la fede dal loro ostinato delitto ; il grido di scherno dei principi
e dei re della terra, i quali allor che i sudditi tumultuano, additano i superbi
repubblicani d'America, i quali solo mantengono l' ilotismo delle età pagane ;
sentano in quelle voci la lunga angoscia di Gesù, che per colpa loro soffre
oggi ancora sulla croce ! E quando si destano al mattino, fa che i loro bambini
^ Pasquale Villari - // " De Monarchia ,, di Dante Alighieri. In « Nuova Antologia »,
1.' febbraio 1911.
IL GUERRIERO E L'APOSTOLO 283
porgano gli innocenti capi ricciuti ai loro baci, e mormorino da Te inspirati :
" Babbo, oh babbo, libera il nostro fratello negro; non comperare, non vendere
più il figlio dell' uomo per trenta denari ; vedi, anche il negro ha una madre,
anch' egli ha dei bambini come noi. Oh, possa la sua vecchia mamma avere
la gioia di vederlo libero e fiero ! Possano i suoi bambini sorridergli al mattino,
lieti e felici, come noi sorridiamo a te, babbo ! ,, .
« Dio di pietà. Dio di pace e d'amore, perdona, oh perdona ai piantatori !
Grande è il loro peccato, ma infinita la tua misericordia. Fa scaturire, nel
deserto delle loro anime, il fonte vivo della carità. Scenda l'angelo del penti-
mento e si accosti al loro letto di morte. E tra essi e la tua giustizia nell' ultima
ora — per essi e per la patria che disonorano — si elevi la preghiera di
tutti coloro che, come me, soffrono per la tua santa causa, per la tua santa
libertà, per la liberazione dei popoli e dell'anima umana».
A Madeleine de Mandrot, una fanciulla sedicenne di Losanna, nella cui
casa Mazzini aveva trovato rifugio, che gli si affezionò così fortemente da esserne
compromessa la fragile vita e che l'esule amò di un amore spirituale, a Made-
leine de Mandrot, egli inviava queste linee piene di mistica bontà, che pure
trascrivo dall' autografo del mio Archivio.
Giuseppe Mazzini a Madeleine de Mandrot.
Le 10 juin 1836.
Quand Dieu voit venir devant lui une ame de {emme, ce n* est pas à elle-méme
qu' il démande compie de sa vie passée. II le démande à l'Ange du Souvenir.
L'Ange du Souvenir le démande à son tour aux àmes, qui se sont rencontrées
avec sa protegée; et chacune lui donne une fleur, si elle se souvienl de quelque bien
que r àme protegée par l'Ange lui a fait dans le monde.
C est par le nombre de ces fleurs que Dieu juge des benédictions, qu' il doit
verser sur celta àme de femme.
A ce jour-là, soyez-en sfire, Madeleine, parmi les fleurs que votre Ange pre-
senterà à Dieu, vous trouverez la mienne.
JOSEPH MAZZINI
Ogni lettera del grande cospiratore, scritta su piccoli fogli trasparenti, con
caratteri lapidari, ed in cui ogni parola sembra incisione fatta col bulino del
pensiero, contiene la trama di una congiura, il piano di un' insurrezione ordita
nelle tenebre per scoppiare all'aperto, all' ora designata. E in tutte quelle migliaia
di piccole pagine, dense di concetti, di ammonimenti, di istruzioni, la cui lettura
284 GARIBALDI E MAZZINI
mette ancor oggi il fuoco nell' anima, havvi la febbre del cospiratore che non
ha mai tregua; e ben si comprende come quei pezzetti di carta, che qualche
volta per raggiungere il loro destino venivano arrotolati in pallottoline e nascoste
in bocca, dovessero come guizzi di folgore infiammare tanti giovani eroi, per
i quali la visione della patria era il sogno più bello della giovinezza, e come essi
andassero incontro alla morte col sorriso sulle labbra.
*
* *
Sebbene lontano dai più ferventi patrioti, con i quali comunicava soltanto
per mezzo di scritti ; quantunque fuori dal contatto del popolo, Mazzini portò
nella rivoluzione, col suo incessante apostolato, il fuoco sacro della libertà e lo
tenne sempre desto ; ond' egli fu il vero formatore di una coscienza italiana e la
sua figura giganteggia sopra tutte le altre.
Ma, appunto perchè visse lontano dal popolo e dagli altri patrioti e per
le qualità della sua psiche Giuseppe Mazzini stimolò, seminò, ma non raccolse
per se che dolori e disillusioni. Ed egli fu un grande infelice ; la figura più tragica
del nostro Risorgimento !
Occorreva, che il seme sparso dal suo continuo apostolato si adattasse,
per divenire fecondo, alle ineluttabili necessità delle circostanze ; ma se la coscienza
degli italiani da lui formata questo comprese, 1' apostolo rimase sempre lo stesso.
E verme il giorno in cui la sua parola non fu più ascoltata, in cui non ebbe
più proseliti ; ond' egli fu il vinto di coloro stessi, che egli aveva moralmente
creato, dei suoi stessi discepoli.
« / principii prevalgono ai fatti; e se un principio è vero, le applicazioni
debbono riuscirne inevitabili », Mazzini scriveva.
Ora, come era possibile il fare astrazione dai fatti in uno sconvolgimento
politico, come quello che allora avveniva in Italia? In un paese, dove il soffio
della rivoluzione era venuto da diverse e lontane regioni ed aveva trovato sicuro
rifugio nel libero Piemonte, il cui re erasi fatto banditore di libertà ; in un paese,
come il nostro, verso cui più di una testa coronata d' Europa volgeva lo sguardo
ora diffidente ora rapace ; dove 1' influenza della diplomazia era stragrande, come
era possibile il fare astrazione dai fatti, i quali ammonivano che senza l'alleanza
del Popolo con la Monarchia il conseguimento della nobile meta non sarebbe stato
realizzabile ?
IL GUERRIERO E L' APOSTOLO 285
Ma ciò che non era la missione dell'Apostolo, fu il compito dell' Eroe,
onde se Mazzini rappresenta nella rivoluzione italicma il pensiero, Garibaldi è
l'azione. Convinto anche questi, essere la repubblica la forma più libera di governo,
repubblicano anch' egli, a qualunque principio dottrinario, a qualunque pregiudi-
ziale, Garibaldi antepose la patria.
Servir la causa italiana capitanata anche dal diavolo ! Con questo motto
Garibaldi era tornato in Italia con gli avanzi della sua Legione. Senza che
se ne mostrasse consapevole, egli agiva come se avesse ricevuto da Dio una
missione da compiere ; e mettendo da parte ogni dottrinaria quisquilia andava
diritto alla mèta. Ond' egli portò nella rivoluzione, fra il cozzare violento delle
passioni, insieme alle straordinarie qualità di stratega, quella nota intonata, che
fra il suono di strumenti discordi riunì sul terreno pratico dell'azione tante nobili
energie. Col non consigliare mai un' impresa senza essere egli il primo ad esporsi
al pericolo ed a capitanarla, Garibaldi esercitò sull'anima del popolo un fascino
immenso, ed il popolo lo seguì, anche quando sapeva di andare a morte sicura.
In un suo lungo ed importantissimo scritto, ancora inedito, e che in altra
occasione renderò pubblico, alle rampogne dei repubblicani intransigenti, che lo
accusavano di essere: « zimbello della monarchia », « eterno fanciullo, cui
non bastò la palla di Aspromonte » , Garibaldi risponde : « Ma avete mai
inteso, che io appartenga a qualche partito ? Io ho sempre inteso
di appartenere alla nazione italiana ! »
Non è in questa sublime esclamazione, l'analisi e la sintesi dell'anima di
Garibaldi ?
Ribelle pur egli come Mazzini, la sua ribellione non era il prodotto di
dottrinarismi ; ma l' effetto del suo immenso amore per l' Italia, il desiderio di
vederla al più presto libera da ogni tirannide. Onde, tutto ciò che a lui sembrava
fosse causa d' ostacolo per la nobile meta rendevalo impaziente.
Ostinato come Mazzini, l' ostinazione di Garibaldi non serviva ad un
principio astratto. Natura di marinaro, fu la negazione del cospiratore. Le
sue cospirazioni erano battaglie combattute alla luce del sole, e quando aveva
un piano da attuare, che sarebbe stato opportuno tenere nascosto, egli lo bandiva
ai quattro venti.
Nel '60 scrive a Vittorio Emanuele di licenziare Cavour, promettendogli,
dopo di aver fugato i Francesi da Roma, d' incoronarlo re in Campidoglio ; e
nel '62 rifa da Marsala la marcia, che lo conduce al calvario di Aspromonte
con un pubblico e violento discorso contro Napoleone III , al grido di :
« Roma 0 morte ».
286 GARIBALDI E MAZZINI
Mentre nel 1854 Mazzini scrive al suo amico Taylor « // Piemonte è la
nostra maledizione » Garibaldi ha fede in Vittorio Emanuele e consiglia il
popolo di unirsi a lui.
In quello stesso anno, tornando dall' America, avendo toccato le coste
dell' Inghilterra, Alessandro Herzen, il grande agitatore russo, fu presentato a
Garibaldi da Felice Orsini. Il Generale era in quel tempo addolorato per la
tattica del Mazzini, da lui non ritenuta giusta, e discorrendone coli' Herzen gli
disse : Mi rincresce tanto, veramente tanto, che Pippo {Mazzini) si lasci trasci-
nare in questo modo e fare, per una santa causa e colla sua innegabile integrità,
tante e tali corbellerie. Egli si rallegra di avere insegnato ai suoi discepoli
ad odiare il Piemonte. Ma cosa accadrà, se il re di Sardegna si dà tutto
nelle mani della reazione? Allora non sarà più possibile profferire in Italia
una sola parola libera, e noi perderemo il nostro ultimo appoggio. Si, capisco
la repubblica ! Io sono stato sempre repubblicano in tutta la mia vita ; ma
adesso non si tratta della repubblica. Io conosco meglio di Mazzini le masse
del popolo italiano, colle quali ho fatto sempre vita comune. Mazzini conosce
soltanto r Italia intellettuale, dominata dalla sua influenza. Ma con quella
Italia non si può formare eserciti e scacciare l'Austria e il Papa; per il popolo
italiano non e' è che un unico scopo, cioè 1* unità e la libertà dal giogo stra-
niero. Ora io non so, come si possa raggiungere un tale scopo se, invece di
allearsi all' unica forza in Italia che, sia pure spinta da motivi speciali, tende ad
aiutare gli italiani, vale a dire al Regno subalpino, che inoltre è ancora titubante
e pauroso, si fa di tutto per inimicarsela. // giorno in cui questo giovanetto
{Vittorio Emanuele) incomincerà a credere di essere più vicino agli arciduchi
che a noi, la sorte d' Italia si troverà rigettata indietro di due o tre secoli, e ogni
progresso sarà ostacolato ! » .
E r Herzen dava completamente ragione a Garibaldi ; per il primo Mazzini
era un monaco del medioevo modernizzato, che non conosceva che un solo
lato della vita e questo lo conosceva perfettamente ; ma il resto egli lo creava,
inventandolo di sana pianta, mediante la sua immaginazione. Egli viveva ne suoi
pensieri e nelle sue passioni, ma non nella luce meridiana della vita. Mazzini
fu perciò, secondo Herzen, socialista prima che vi fosse un movimento socialista
' Alex. Herzen - Erinnerungen, Aus dem russische ùbertragen, herausgegeben und ern-
geleitet von Dr. Otto Buek, Berlin, 1907. pag. 277.
IL GUERRIERO E U APOSTOLO 267
e divenne ostile al socialismo, quando questo movimento, lasciando le vaghe
generalità, si fece nitido e cosciente per diventare una forza rivoluzionaria. '
Martire egli stesso, Mazzini, fu creatore di martiri ; Garibaldi, eroe, fu
creatore di eroi. Del popolo questi conobbe tutta la sua forza, come le sue
debolezze ed egli non urtò mai alcuni sentimenti della folla, anzi ne trasse
vantaggio.
A Palermo, nel I 860, Garibaldi non sdegnò di andare in pellegrinaggio alla
grotta di Santa Rosalia al monte Pellegrino ; e nella cattedrale assistette alla messa
pontificale, assumendo la dignità di Legato apostolico e di giudice della monarchia ;
ed al momento della lettura del Vangelo, montato sul trono in camicia rossa,
sguaina la sciabola in difesa della fede ! Più tardi, appena entralo a Napoli,
assiste al miracolo di San Gennaro e nel '62 a Marsala, dopo di avere ascol-
tato la messa detta da un suo milite. Fra Pantaleo, nella chiesa della Madonna
delle Cave, sguainata la sciabola ed avvicinatosi all'altare, giura sul Vangelo, gri-
dando : Roma o morte]
Ma pure, a traverso ad errori nell' applicazione pratica, la figura di Giuseppe
Mazzini, come dissi, giganteggia sopra tutte le altre del nostro Risorgimento, siccome
quella che veramente creò una coscienza italiana. La missione dell' apostolo
finisce quando incomincia il periodo eroico, nel I 860. Dopo quest'anno egli fu il
prigioniero di se stesso !
Come è noto, già fino dal 1 848 in Lombardia e dopo più apertamente,
nel '49 a Roma, Mazzini e Garibaldi si erano mostrati discordi nel campo
dell'azione. D' allora in poi, pur mirando entrambi con uguale amore all'unifica-
zione della patria, discordarono nei metodi per raggiungerla, e le loro relazioni
non furono mai cordiali. Le lettere inedite, che qui appresso si leggono ne
sono nuova prova.
Vi era qualche cosa di sostanziale e d' inconciliabile, che divideva queste
due anime elette ; e vani riuscirono i nobili tentativi fatti per riavvicinarle dalla
' R. Michels - Le memorie di Herzen e l' Italia. In « Nuova Antologia », 1" dicem-
bre 1908.
268 GARIBALDI E MAZZINI
Jessie White Mario, da Aurelio Saffi, Sara Nathan e molti altri. Importante è
sul proposito la seguente bella lettera inedita, che trascrivo dall'autografo.
Sara Nathan a Garibaldi.
Lugano, 5 novembre '63.
Generale nostro !
Amato e venerato Amicai
Non vi spiaccia, se oso così chiamarvi. Sul suolo di quella cara cameretta. Voi
vi dichiaraste tale ed io ne feci tesoro; e tesoro è, e sarà sempre per noi, la memoria
del nostro soggiorno, allorché godemmo della graziosa Vostra ospitalità in quell' iso-
letta, scoglio prezioso per tutti, e vieppiù per le generazioni avvenire. Non vi parlerò
di gratitudine, a ragione dei miseri mezzi. Voi ci avete tutti devoti. Per ragioni di
famiglia, dovetti ritardare la mia partenza fino alla terza settimana del mese corrente.
Se amaste d'inviare nuove comunicazioni all'amico {Mazzini), se qualche
felice ispirazione vi decidesse a dare un momento di contento a quel vero
fratello Vostro ; io ne sarei beata.
10 aspetto per partire il ritorno del vapore dalla Sardegna.
11 colonnello Corte desidera, che io comunichi con la signora Chambers sugli inte-
ressi nostri ; se a Voi non spiacesse mandarmi un saluto per essa ed un altro per il
bravo amico Mr. Peter Stuart, accusandogli ricevuta delle Profezie di Daniele e ren-
dendovi conscio della sua operosità nel '62, allorché prese cinque cartelle, io mi sentirei
forte a rinnovare le mie istanze presso di lui. Se vi spiace, sia come non chiesto.
Seppi che il quadro Aspromonte sarebbe rilasciato più volonterosamente e con
sacrifizio dal sig. Induno a colui, che ne facesse dono al grande Martire; pregai il
sig. colonnello Corte di farne acquisto per me e presentarvelo, aggiungendovi che qua-
lora voi lo apprezzaste, vi chiedesse il permesso di farne una lotteria (bene inteso
iniziata da Voi), e ciò farebbe supporre che il ricavato formerebbe una somma assai
maggiore del costo a beneficio dell' ultimo appello. E con questo pregai pure il signor
Corte di far palese a Voi solo il compratore del quadro, non perchè io tema la
luce degli atti fatti a riguardo vostro o della santa nostra causa ; ma perchè odio la
pubblicità.
Non so, se il bravo e caro vostro Menotti sia presso di Voi : ovunque sia ram-
mentatemi ad esso e così al vostro Ricciotti. Presentandovi i sentimenti devoti ed affet-
tuosi del mio Ernesto e benedicendovi con tutta l' anima.
Ora e sempre
Vostra devota e aff.ma
SARINA NATHAN
P. S. - 11 sig. Guerzoni vi darà l' indirizzo sicurissimo.
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Lettera di Giorgio Pallavicino a Garibaldi,
in cui lo ammonisce di guardarsi tanto di Cavour che di Mazzini. (Vedi pag. 293).
IL GUERRIERO E L'APOSTOLO 289
Garibaldi disapprovava il sistema consigliato da Mazzini delle piccole
insurrezioni, 1* anteporre alle ineluttabili necessità delle circostanze l' ideale repub-
blicano, che egli riteneva un ostacolo all' unificazione della patria. Ma quello che,
sopra ogni altra cosa, Garibaldi disapprovava era il rigido dottrinarismo, che
emanava da ogni atto, da ogni scritto di Mazzini, il volere guidare il popolo
stando lontano da esso.
L' esilio di tutta la vita dalla tena che egli adorava : il sacrifizio più grande
che anima umana abbia mai compiuto a sostegno di un principio e che fu la
manifestazione più elevata del carattere del Mazzini, appariva all'eroe guerriero
un sacrifizio praticamente inutile.
11 dissidio fra queste due gigantesche figure si acuì nel '67, durante la
campagna garibaldina nell' Agro Romano ; ed io penso di non dovere qui tacere,
per r importanza del contenuto e per la persona da cui proviene, una lettera del
figlio superstite di Giuseppe Garibaldi, in risposta ad alcune domande da me
rivoltegli.
Il pensiero di Ricciotti Garibaldi su Mazzini.
Rio-Freddo, 19 ottobre 1909.
Mio caro Dottore,
La questione da voi postami, francamente è abbastanza difficile a trattare.
Non è che la storia, cioè la riunione collettiva di pareri, duramte almeno mezzo
secolo, che può dare un giudizio che si avvicini alla verità.
Ma ciò nonostante io credo, che sia un dovere sacrosanto in ciascuno di noi, che
può dare a questa storia futura un contributo di fatto, come ricordo o scritto di una
impressione ricevuta, di non perdere il tempo, essendo preziosissimi i ricordi personali
dei sopravviventi.
Prima di tutto debbo lealmente dichiarare, che per me fra le personalità dei grandi
fattori del nostro Risorgimento, che meritano più considerazione^ la maggiore è preci-
samente quella di Mazzini.
Se uno ha una chiara visione di ciò che furono gli ostacoli, le ostilità, che la sua
propaganda per l'unità della patria incontrò, la costanza e la tenacia dimostrate da
quest uomo lo mettono fra i più grandi non solamente dell' Italia, ma del mondo intero ;
e certamente lo mettono al di sopra, non parlo di Cavour, ma di Garibaldi, la cui linea
di atticità s'imponeva ai ricalcitranti, obbligandoli ad utilizzarla per l'immensa popo-
CURÀTULO 19
290 OMllBALDI E MAZZINI
larilà suscilata dai clamorosi succesii militari. Successi clamorosi ed appariscenti, che
non confortavano l'opera di cospiratore e di propaganda del Mazzini.
Ed io ritenso che la storia darà questo giudizio : che l' opera che più con-
tribuì e più assicurò il nostro Risorgimento fu precisamente quella di
Mazzini.
Però, egli ebbe una disgrazia e fu quella di essere nato ligure !
Una delle principali caratteristiche di questa brava gente è il profondo egotismo,
che domina il loro carattere. Egotismo, che nelLi maggioranza dei casi è sorgente di
atti\-ità benefica : ma in qualche raro caso, come in questo di Mazzini, diventa una
qualità negativa.
Per .Mazzini non li era che un Dio, ed egli era il suo unico profeta. Ecco, perchè
nei suoi coadiuvatori, egli non vedeva che degli isirumenti !
Mio Padre sintetizzò questo, quando scrisse :
« Con Mazzini non vi è che un solo modo di andare d'accordo ed è ; obbedirlo ;
e questo non me lo sento » .
Quanto era diverso il profondo ed esteso altruismo di Garibaldi !
Da questa difierenza di carattere, non dico 1' ostilità, ma certamente il mutuo males-
sere fra questi due uomini.
Poi vi erano delle ragioni collaterali.
Non parlo della gelosia esistente fra i due Stati Maggiori, che pure in qualche
cosa influiva sulla posizione reciproca dei due Capi.
11 mazzinianismo considerava sempre il giirihaldinismo — mi si passi la parola —
come prodotto suo : e perciò non solamente si aveva a male, che questo agisse indi-
pendentemente, ma siccome era difficile lo stabilire dove finiva il mazziniano e inco-
minciava il garibaldino o viceversa, il primo si serviva sempre di questo per tentare
di riacquistare l'ascendente perduto. Le campagne del 'ÓO e del 'ó7 informino.
// .Mazzini non capì mai, che il genio è assai difficilmente unicersale ; ma che anzi
è quasi sempre specialisla e che perciò gli uomini che preparano, raramente sono i
più adatti ad eseguire. Cosa che non si Vuole capire nelle nostre organizzazioni militari,
nelle quali si ha per dogma, che più la testa dell'Ufficiale di Staio Maggiore rassomiglia
all' Enciclopedia Britarmica — credo la più poderosa di tutte — più sono le probabilità
di trovare in lui il futuro condottiero vittorioso : mentre la storia, non ad " usum delphini ,, ,
ma v-era e cruda insegna precisamente il contrario.
Mazzini commise V errore di volere ancora guidare ciò che era veramente il prodotto
dell'opera sua. il giorno in cui quest' opera entrava nella fase dell'azione attiva ; fase
che non era una delle atlribuzioni del suo genio.
Questa pretesa lo portò a commettere il gravissimo errore della nomina del comando
in capo dell' Esercito repubblicano romano; errore che fu, probabilmente, la causa princi-
pale della caduta di questa repubblica.
Mio Padre invece, sia per calcolo, sia per intuito, non sortiva mai dalla propria
sfera di azione ; e quando una volta Io vollero come influenza nelle elezioni politiche
(nel \'eneto), si accorse subito dell' errore, che commetteva e si ritirò, dicendo : « La
professione di agente elettorale non è per me ! >
IL GUERRIERO E L' APOSTOLO 291
Neil' ambiente di Caprera, quando questa era veramente garibaldina, il Mazzini,
pure riconoscendosi le sue altissime benemerenze patriottiche, era ritenuto più come un
guasta-mestieri ; e questo fu specialmente in seguito alla parte presa da lui alla fine
della campagna di Napoli.
Infatti, se è vero il detto che i grandi uomini dovrebbero sapere morire in tempo,
il Mazzini avrebbe dovuto sparire prima del '60. Perchè non saranno certamente dalla
storia p>ortate a suo credito le difficoltà, sempre a buono scopo, create al, chiamiamolo
pure, garibaldinismo, sia in quella campagna, sia in quella del 1867.
E parlando di questa, posso anche parlare di quella piccolissima parte, che io
ebbi nella vita di questo grandissimo uomo.
Durante la visita di mio Padre a Londra, nel 1864, lui informato che Mazzini
desiderava vedermi ; e siccome questo era anche un grandissimo desiderio mio, accettai
subito di andarlo a trovare in casa di comuni amici.
Evidentemente, durante la lunga conversazione, che abbiamo avuto insieme, egli mi
studiava, e probabilmente non fui trovato idoneo, o forse abbastanza maturo (avevo
18 anni); perchè questa conferenza non ebbe seguito.
10 subii un secondo tentativo di questo genere, più tardi ; mi pare prima del 70 ;
ma questa volta 1" incaricato fu, credo, il carissimo amico 1' on. Pantano.
Nel 1 867 fui incaricato di andare in Inghilterra a raccogliere fondi per la campagna
neir Agro Romano, già principiata ; ma sul punto di fallire per mancarua di (ondi.
11 Comitato di Firenze mi consegnò per diverse centinaia di mila lire dei famosi
biglietti di banca, che, realizzati, dovevano essere il fondo di guerra.
La mia gita fu un disastro !
I nostri amici acquistarono qualche biglietto di piccolo taglio per ricordo; ma
rifiutarono di provvedere fondi di qualche entità, perchè Mazzini aveva scrillo a tutti,
che egli disapprovava la spedizione.
Nei pochi giorni, che mi erano stati dati, non potei rinvenire che qualche migliaio
di lire, se ben ricordo cinque o sei mila ; quando, per fortuna, la buona signora Chambers,
vedendo come andava male l' affare, mi versò mille lire sterline (lire 25,000).
Non perdetti tempo a ritornare in Italia, evitando di passare per la Francia ; ma
ben deciso di andare a trovare Mazzini a Lugano. Infatti, lo trovai in casa della esimia
signora Sara Nathan e la conferenza fu piuttosto \ivace.
Registro questo per la storia : che egli mise sulle spalle dei suoi luogotenenti la
colpa delle ostilità da me incontrate in Inghilterra ; ne io p)otei dire cosa in contrario,
visto che nessuno mi aveva fatto leggere le lettere, che si dicevano scritte da lui.
Mi ricordo le sue ultime parole : * Dite a vostro Padre, che io intendo fare tutto
ciò che egli vuole e che lascio completamente nelle sue mani la direzione di ogni cosa ».
Quando riferii queste parole a mio Padre, che trovai già informato di ciò che
era successo a Londra, egli mi rispose : * E tu ci credi ? *
Con tutto ciò, nel 1867 a Monterotondo, dopo la sua presa, si parlava ap)erta-
mente, nel nostro circolo intimo, dell' esistenza di un Comitato mazziniano, che aveva
per scopo di fau"e rimpatriare la gioventù, che era sotto le armi.
Era possibile, che questo esistesse senza che il Mazzini ne fosse informato ?
292 GARIBALDI E MAZZINI
A me fu fatta conoscere la piccola coccarda, che portavano al cappello i compo-
nenti di questo Comitato o i loro agenti per farsi riconoscere, e si dava per certo che
il suo capo fosse il Valzania.
Si sapeva anche, che gli argomenti usali erano basati sul fatto, che probabilmente
andando a Roma, invece di proclamare la repubblica, mio Padre vi avrebbe chiamata
la monarchia.
Una grande parte di volontari, e certamente tutti i romagnoli, erano repubblicani ;
perciò, questo argomento era molto effettivo ; specialmente su della gente, che la ritirata
da Casale dei Pazzi aveva male impressionata e che soffriva orribilmente per mancanza
di cibo.
Perciò non è a meravigliarsi, che circa tre mila della migliore gioventù abban-
donò il campo, tre giorni prima di Mentana. Mi ricordo, che una delle colonne,
credo quella comandata dal Missori, che la sera all'appello contava quasi seicento
baionette, l' indomani mattina era ridotta a circa quattrocento.
La battagha di Mentana non fu una battaglia perduta, nel senso ordinario della parola.
11 maggior numero di una delle parti combattenti (i nostri) abbandonò il campo
di battaglia, quando non vi era alcuna ragione per questo ; anzi la " debandade „ cominciò
precisamente, quando al nemico si erano riprese tutte le posizioni perse la mattina, in
causa della sorpresa. Ne si può parlare della comparsa dei francesi ; questa non era
conosciuta.
Ciò non è un caso isolato nella storia dei volontari.
Intanto, sta di fatto, che i punti più importanti del campo non furono occupati che
r indomani mattina dal nemico ; e mio Padre aveva pienamente ragione, quando gridava
ai volontari : ■>( Sedetevi, che la battaglia è vinta ! »
Le cause della " debandade „ furono un po', il malessere conseguente all' insuffi-
cienza di cibo ; ma si sapeva che si andava verso Tivoli ed i castelli romani, dove
ogni grazia di Dio era abbondante.
La causa plausibile : la mancanza di cartuccie ; questa risposta 1' ebbi io stesso
da alcuni gruppi, che rimproverai perchè si ritiravano. Ma la ragione principale fu
r effetto deprimente della forte propaganda mazziniana.
Da quanti mi sono io stesso sentito rispondere : « Ma che ! Qui non vi è più nulla
da fare ; bisogna andare a fare le barricate nelle città italiane ! »
Questo era il nuovo programma annunziato dal gruppo mazziniano.
Ecco tutto ciò che vi posso rispondere, mio caro Dottore, e mi riassumo in questo :
Pure avendo la più alta stima e considerazione di Mazzini, come il maggiore
fautore della liberazione ed unità della patria nostra, io non ebbi dei suoi metodi perso-
nali (sempre in materia pubblica) buona impressione ; e francamente credo che mio Padre
fosse dello stesso parere.
Abbiatemi sempre
Vostro aff.mo
RICCIOTTI GARIBALDI
Jll sig. doti. Giacomo Emilio Curàtulo
Roma.
IL GUERRIERO E f APOSTOLO 293
A proposito delle defezioni avvenute fra i volontari garibaldini nella
campagna del '67 e di cui parla il generale Ricciotti Garibaldi, trova qui giusto
posto una lettera del Missori, che trovo nella mia raccolta.
Missori a Garibaldi.
Roma, 22 gennaio 1681.
Generale,
La lettera, che ella si compiacque dirigermi a Milano mi venne spedita a Roma,
ove attualmente mi trovo. Quindi il ritardo della risposta.
Conosciuta la causa, ella non vorrà farmi carico. M" affretto, pertanto, a darle a
volta di corriere, le chieste informazioni.
// numero di uomini dei quali disponevo al mio giungere a Monteroiondo ascen-
deva a 560, formati in due battaglioni.
A Mentana, per le defezioni del giorno precedente al combattimento, l'effettivo dei due
battaglioni raggiungeva appena la cifra di 400 uomini ; 1 60 erano mancati all'appello.
In altri corpi le defezioni raggiunsero proporzioni molto maggiori. Da chi e per
quale motivo provocate? Mistero!
Godo, caro Generale, di saperla assai migliorata in salute, da quando ebbi la
fortuna di vederla in Milano, e nell'augurarle, dal più profondo del cuore, il più completo
ristabilimento, le mando un' affettuosa stretta di mano.
Di Lei devotissimo
MISSORI
A meglio illuminare questo episodio, nei limiti impostimi nel presente volume
e riserbandomi in altra pubblicazione di far noti i documenti inediti, che sulla
campagna del '67 trovansi nel mio Archivio, giova qui riprodurre, dall'originale da
me posseduto ', la nota ed importante lettera che Mazzini diresse a Garibaldi
r 1 I febbraio 1870, nella quale il grande esule si sforza, con tutte le energie
che gli restano, di rimuovere dall' animo di Garibaldi ogni diffidenza che lo
tengono lontano da lui e spingerlo ad agire per un moto repubblicano.
Mazzini a Garibaldi.
1 1 febbraio 70.
Caro Garibaldi,
Vi reca questa il signor Nani, romano, milite vostro fedelissimo. Egli è incaricato
di parlarvi della situazione attuale e dell' urgenza di una decisione. Malgrado il lungo
Un facsimile si trova nella Biblioteca « Vittorio Emanuele » di Roma.
294 GARIBALDI E MAZZINI
silenzio, malgrado diffidenze che mi sono inconcepibili, sento che non debbo prendere
questa decisione senza un' ultima parola a voi, che avele tanto fatto per la Patria e
che potrete avere tanta parte nei suoi destini futuri.
Un cenno solo per queste diffidenze, colla mano sul cuore, io vi dico :
non possono essere fondate che su calunnie sparse a dividerci.
Taluno mi ha detto, che voi mi accusate d'avere contribuito a rovinare l' ultima
vostra impresa. Voi sapete, che io non credevo nel successo ed ero convinto esser meglio
concentrare tutti i mezzi sopra un forte movimento in Roma, che non irrompere nella
provincia ; ma, una volta l' impresa iniziata, giovai quanto potei : venni per questo alla
frontiera : diedi a Missori il nucleo dei romagnoli raccolti in Faenza, che dipendevano
da me : confortai ad agire la colonna meridionale, nella quale era Procaccini e della
quale poi prese il comando Nicotera. Voi li conoscete e potete interrogarli. A me,
del resto, basta la mia parola d' onore. E concedete, che io vi dica che tra
uomini come noi, le accuse dovrebbero non nutrirsi nel buio, ma essere
direttamente comunicate e dar luogo a spiegazioni leali.
Vengo alla situazione :
Noi camminiamo rapidi ad un movimento che, rovesciando la Monar-
chia traditrice, conchiuderà, dopo un periodo, diretto da un governo d' in-
surrezione, in un' Assemblea Costituente da raccogliersi in Roma.
S' intende, che la parte repubblicana non può sostituirsi a quella che
oggi regola, se non movendo, dieci giorni dopo il trionfo interno, su Roma,
voi guidatore.
L'organizzazione è compiuta e forte. Siamo certi (colla condizione che ora dirò
dell' iniziativa in Genova, Milano, nel Nord) di quella dell' intera Sicilia e della zona
Calabra nel Sud, di quella di Bologna, appena udite le prime nuove del centro, e
del seguire immediato delle Romagne, dell' Emilia e delle Marche. Abbiamo forte
lavoro generale nel basso dell' esercito. Abbiamo agenti in parecchi punti del Piemonte
e in Napoli, città, non sufficienti ad operare per se : pochissimi nel Veneto. Dei
contadini sapete come, dopo il macinato, sieno malcontenti.
La condizione che s' aspetta è un* opportunità : un qualche cosa, che metta, come
r attentato Lobbia, un' agitazione in piazza ; una predisposizione nel popolo verrà senza
fallo. Può sorgere ad ogni istante, e la coglieremo.
Questo come stanno ora le cose. Ma se voi aderiste e credeste bene
d' intenderci, saremmo padroni della situazione.
Credete, l' opportunità è in mano nostra. Non ci sarebbe che scegliere tra Genova,
la Sicilia o altro punto : comparirvi uniti o dividerli in due zone, perchè operino
simultanei. Col vostro intervento, i piccoli ostacoli, che ci fanno aspettare l' oppor-
tunilò, sfumerebbero tutti. 11 resto è materia d'una comunicazione tra noi, o anche
meglio di un abboccamento ; e per questo sarei a vostra disposizione in Lugano, Genova,
Milano o qualunque punto da voi scelto, fuorché Caprera.
Pensate e decidete. A voi, come a me, deve pesare ogni giorno che passa : è un
giorno di disonore pel nostro paese.
Una parola ancora.
I
IL GUERRIERO E L'APOSTOLO 293
S' io anche , ciò che non è , v' avessi tremendamente offeso , dovreste ,
voi, Garibaldi, sommergere ogni sentimento individuale nel pensiero unico,
regolatore della base della nostra fede. Io sento che Io farei.
Addio.
Vostro
GIUS. MAZZINI
*
L' anno eroico, il 1 860, fu per l' Apostolo l' anno del dolore e del-
l' amarezza !
Abbiamo visto dai documenti pubblicati nel Capitolo VII, che voci più
serene di quella del Bertani avevano ammonito Garibaldi di stare in guardia dai
diplomatici e dagli intriganti. Biagio Garanti, persona devota a re Vittorio, il
quale in quei giorni spesso gì' inviava il generale Sanfront per avere notizie di
Garibaldi, scriveva a quest'ultimo : « A proposito d'intriganti, badale che viene giù
il La Farina, ed ora che è passato il pericolo verrà per togliere i frutti ; ma
voi lo conoscete e non avete bisogno dei miei avvertimenti per guardarvi da lui ».
Tutti, indistintamente, erano d' accordo nel mettere in guardia il dittatore
da La Farina ; e certamente nessuna figura raccolse e suscitò nel '60 tante ire,
quanto quella di questo patriota, che pure aveva scritto qualche bella pagina
nella sua vita. Inviato a Palermo dal conte di Cavour, come controllo gover-
nativo (come l'anno avanti era stato mandato nell' Italia Centrale), egli esagerò
il suo compito, nocque allo stesso suo signore e fu causa di grandi discordie.
Ma altre e diverse voci erano, in quei giorni, pervenute a Garibaldi per
metterlo in guardia dalle mene dei mazziniani. Fra queste voci vi era stata
quella di Giorgio Pallavicino, del martire dello Spielberg. Ecco l' importante lettera
inedita inviata a Garibaldi.
Giorgio Pallavicino a Garibaldi {Vedi facsimile).
Torino, 19 giugno 1860.
Amico carissimo.
Profitto di questa occasione per scrivervi due righe e ripetervi ciò che vi ho già
scritto con altro mezzo. Guardateci dagli intriganti, che vengono a voi con missioni
segrete di un governo, che non ha più libertà d' azione. Noi siamo i vassalli del Due
Dicembre ; il quale non Vuole l'Italia, ma una confederazione di Stali italiani, più o
meno deboli, per poterli signoreggiare lutti a suo beneplacito. Diffidate della diplo-
mazia ! E diffidate, in pari tempo, di Mazzini e dei mazziniani : costoro
2% GARIBALDI E MA221NI
guastano tutto ciò che toccano. Affrettatevi. Per compiere imprese miracolose, voi
non avete bisogno, come gli altri grandi capitani, di un esercito disciplinato, secondo
le regole della scienza : a voi bastano un pugno di volontari ed il vostro nome. Ciò
che avete fatto in Sicilia, ripetetelo nelle Calabrie, e voi manderete ad effetto, in poche
settimane, il magnifico programma della « Società Nazionale » : « /' Italia col re sardo ».
Spero, che le ferite di Giorgio Manin non avranno conseguenze funeste. Vi racco-
mando il caro giovine quanto so e posso ; e voi, amatissimo, siate un po' più curante
di una vita, che non vi appartiene. Ve ne prego, ve ne supplico, in nome di tutto il
popolo italiano. Anna vi dice dolcissime cose. Caranti nostro è partito per la campagna
in discreto stato di salute. Egli vi ha scritto più volte : avete voi ricevute le sue lettere ?
Amatemi e scrivetemi due righe, se lo potete, lo vi abbraccio coli' anima, riprotestan-
domi
Tutto vostro
GIORGIO PALLAVICINO
P. S. - Una stretta di mano al bravo Tiirr.
Le frasi che si contengono in questa lettera, richicimano alla memoria
quelle, che, quattro mesi dopo il Pallavicino, prodittatore in Napoli, scriveva
nella nota lettera a Mazzini. E prezzo dell' opera qui il ripubblicare quello
scritto, facendolo seguire dalla fiera risposta.
Napoli, 3 ottobre 1860.
Al chiaro signor Giuseppe Mazzini,
L' abnegazione fu sempre la virtù dei generosi, lo vi credo generoso, ed oggi vi
offro un' occasione di mostrarvi tale agli occhi dei nostri concittadini. Rappresentante
del principio repubblicano e propugnatore indefesso di questo principio, voi risvegliate,
dimorando fra noi, le diffidenze del re e dei suoi ministri. E però, la vostra presenza,
in queste parti, crea imbarazzi al governo e pericoli alla nazione, mettendo a repentaglio
quella concordia, che torna indispensabile all' avanzamento ed al trionfo della causa
italiana. Anche non volendolo, voi ci dividete. Fate dunque atto di patriottismo, allon-
tanandovi da queste provincie. Agli antichi aggiungete il nuovo sacrifizio, che vi domanda
la patria : e la patria ve ne sarà riconoscente.
Ve lo ripeto : anche non volendolo, voi ci dividete ; e noi abbiamo bisogno di
raccogliere in fascio tutte le forze della nazione. So che le vostre parole suonano con-
cordia, e non dubito che alle parole corrispondano i fatti. Ma non tutti vi credono : e
molti sono coloro, che abusano del vostro nome, col proposito parricida d' innalzare in
Italia un' altra bandiera. L* onestà v' ingiunge di metter fine ai sospetti degli uni ed
ai maneggi degli altri. Mostratevi grande, partendo, e ne avrete lode da tutti i buoni.
Io mi pregio di dirmi
Vostro devotissimo
GIORGIO PALL.A VICINO
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Itti, ^iy» ms-.J ut^iafij if^j ^Si!^ /t^y-xJ. /l't^ns
^« Jf^Ùt>, (ini/if ' Uff'' fii-e^ UJ<* 11*^ /v»^<»"^ 6'/*.'
• itU/f^ 'h'U*^ ct<t-^ <J ' A- ì'tcTo^ Wl>*^ /J Uo,^e.t-
Lettera di Mazzini a Garibaldi, 17 giugno 1860. (Vedi pag. 299).
a
IL GUERRIERO E L'APOSTOLO 297
E Giuseppe Mazzini rispondeva.
Napoli, 6 ottobre 1860.
A! signor Giorgio Pallavicino,
Credo d' essere generoso d' animo, e per questo rispondo alla vostra lettera del 3
con un rifiuto. S' io non dovessi cedere che al primo impulso e alla stanchezza dell' animo,
partirei dalla terra eh' io calco, per ridurmi dove la libertà delle opinioni è sacra ad
ogni uomo, dove la lealtà dell' onesto non è posta in dubbio ; dove chi ha operato e
patito pel paese non crede debito suo di dire al fratello, che egli pure ha operato e
patito : parlile.
Voi non date ragioni della vostra proposta, fuorché l'affermazione che io, anche
non "volendo, divido. Io vi dirò le ragioni del mio rifiuto.
10 rifiuto, perchè non mi sento colpevole, ne artefice di pericoli pel paese, ne
macchinatore di disegni, che possono tornargli funesti ; e mi parrebbe di confessarmi tale
cedendo ; perchè italiano, in terra italiana, riconquistata a libera vita, credo di dovere
rappresentare e sostenere in me il diritto, che ogni italiano ha di vivere nella propria
patria, quand' ei non ne offende le leggi, e il dovere di non soggiacere ad un ostracismo
non meritato ; perchè, dopo aver contribuito a educare, per quanto era in me, i popoli
d' Italia al sacrificio, mi par tempo di educarli coli' esempio alla coscienza della dignità
umana, troppo sovente violata, e alla massima dimenticata da quei, che s' intitolano
predicatori di concordia, e moderazione : che non si fonda la propria libertà senza
rispettarne 1' altrui : perchè mi parrebbe, esiliandomi volontario, di fare offesa al mio
paese, che non può disonorarsi agli occhi di tutta Europa, farsi reo di tirannide ; al re,
che non può temere d' un individuo, senza dichiararsi debole e malfermo nell' amore
dei sudditi ; agli uomini di parte vostra, che non possono irritarsi alla presenza di un
uomo dichiarato da essi, a ogni tanto, solo e abbandonato da tutto quanto il paese,
senza smentirsi ; perchè il desiderio non viene, come voi credete, dal paese : dal paese
che pensa, lavora e combatte intorno alle insegne di Garibaldi, ma dal Ministro tori-
nese, verso il quale non ho debito alcuno, e che io credo funesto all' unità della patria ;
da faccendieri e gazzettieri senza coscienza di onore e di moralità nazionale, senza
culto, fuorché verso il potere esistente, quale ch'esso sia, e eh' io per conseguenza disprezzo ;
e dal vulgo dei creduli inoperosi, che giurano, senz' altro esame, nella parola di ogni
potente e eh' io per conseguenza compiango ; finalmente perch' io, scendendo ebbi
dichiarazione non revocata finora dal Dittatore di queste terre, eh' io era libero in
terra di liberi.
11 più grande dei sacrifizi, eh' io potessi mai compiere, 1' ho compiuto, interrom-
pendo, per r amore dell' unità e della concordia civile, 1' apostolato della mia fede ;
dichiarai, eh' io accettava non per riverenza ai ministri e ai monarchi, ma alla maggio-
ranza, illusa o no poco monta, del popolo italiano, dalla monarchia ; presto a cooperare
con essa, purché fosse fondatrice della unità e che mai mi sentissi un giorno vincolato
dalla coscienza a risollevare la nostra vecchia bandiera, io lo annunziai lealmente anzi
tratto, e puhhlicamenle ad amici e nemici. Non posso compirne altro spontaneo.
298 GARIBALDI E MAZZINI
Se gli uomini leali, come voi siete, credono alla mia parola, debito loro è d' ado-
perarsi a convincere non me, ma gli avversi a me, che la via d' intolleranza per essi
calcata è il solo fomite di anarchia, che oggi esiste.
Se non credono ad uomo, che da trent' anni combatte per la nazione, che ha
insegnato agli accusatori a balbettare il nome d' unità e che non ha mai mentito ad
anima viva, tale sia di loro. L' ingratitudine degli uomini non è ragione, perch' io
debba soggiacere volontariamente alla loro ingiustizia e sancirla.
GIUSEPPE MAZZINI
-5f -»
Un* altra voce, sebbene più modesta, ammoniva in quei giorni il Generale
di stare in guardia tanto dal Cavour, che dal Mazzini ; quella del capitano
Augier, una natura franca e leale di marinaro e grande amico di Garibaldi.
Augier a Garibaldi.
Genova, 15 giugno 1860.
Mio buon Generale,
Tutti vi scrivono, tutti millantano l' intimità e l' influenza che hanno sopra di voi,
quindi trovandomi coli' amico Galin, che parte per costì, e confidando nell' amicizia,
che graziosamente mi avete sempre accordato, mi sono deciso scrivervi ancora io,
assicurandovi però, che avendo osservato come vanno le cose maneggiate da quelli
che si dicono vostri amici qui in Genova, e l'amore che sempre ho nutrito per voi, mi
hanno indotto a fare questo passo.
Generale ! Fra tanti di coloro che si chiamano vostri amici, pochi sono quelli che
lo sono di cuore; dietro tanti sacrifizi da voi fatti per la patria comune, io prevedo
che il vostro premio non sarà altro, che quello di avere la coscienza libera e pura per
aver fatto tutto quanto da voi dipendeva per il bene dell' Italia.
Voi, Generale, avrete da lottare contro due partiti : il primo il Cavou-
riano ed il secondo il Mazziniano e compagni; quest'ultimo è sempre
stato vostro nemico acerrimo, ogni qual volta non ha potuto fare di voi
ciò che desiderava.
Qui Bertani, Mazzini e compagni tramano contro di voi, quindi dovete
stare all' erta. Questi signori vogliono farvi deviare dai vostri principii; essi vi diranno
che sono con voi, ma non ci badate, che io posso assicurarvi tutto il contrario ; persino
quella buona donna di C. della T. (Contessa Maria della Torre), che credevo tutta
per voi, ora disapprova il vostro operato ed è tutta per Mazzini, ed ho dovuto per-
suadermi, che era degna della fama, che ha sempre goduto.
Proseguite la vostra impresa. Generale; e non badate a quelli, che sono sempre
stati non solo vostri nemici, ma nemici della causa che voi difendete.
IL GUERRIERO E L'APOSTOLO 299
Ho sentito con piacere che Menotti sta meglio della sua ferita; salutatemelo e
con lui l'amico Basso, Froscianti etc.
Io assisto alla costruzione del mio bastimento e credo che sarà bello. Aspetto,
Generale, che voi gli diate un nome dei vostri latti di Sicilia.
Ho lettera di Deidery ; lo aspetto con il vapore di martedì insieme alla signora
Teresita. Accettate i saluti della mia famiglia e credetemi sempre di cuore
Vostro aff.mo servo ed amico
AUGIER
P. 5. - E partito con voi Emilio Evangelisti, figlio della povera vedova mia
vicina, che voi Generale conosceste ; questo giovane è istruito e credo che sia nella
prima compagnia « Cacciatori delle Alpi ».
Dissi che il '60 fu per Mazzini l' anno dell'amarezza ! Egli vide crollare
r edifìcio edificato in lunghi anni d' incessante apostolato repubblicano, abbeverato
dal sangue di tanti giovani martiri. Anche il progetto vagheggiato di un'invasione
nello Stato pontifìcio non potè aver luogo. Nel giugno del '60, egli scriveva a
Garibaldi la lettera inedita, che trascrivo dall' autografo.
Mazzini a Garibaldi {Vedi facsimile).
17 giugno 1860.
Caro Garibaldi,
Permettete, che anch' io vi mandi una stretta di mano d' Italiano riconoscente pel
tanto operato da voi pel paese ; ne vi dico altro, perchè non curate di lodi e tutta
Italia vi loda, e meritate.
Se voi non mandate contr' ordine, e noi credo possibile, pensando alle vostre parole
del 5 maggio e al modo con cui vedete la causa della Nazione, si entrerà, come vi
avrà detto Bertani, alla fine del mese, avendo il Regno per obbiettivo. A voi di pensare,
se potete irrompere allora da parte vostra. Stretto da due parti, il Regno sarebbe di
certo nostro e l' Italia fatta d' un getto.
Lavoro io pure alio scopo ; e ve lo dico, perchè 1' ultima vostra lettera mi con-
fortava a credervi amico. So gì' inconverìienti del mio nome, e non mi mostro ; né mi
mostrerò, se non a vittoria conseguila nel Regno. E quanto all' andamento politico,
vivete tranquillo. Non proferisco io il grido vostro , ma lo accetto come
accettato dal popolo ; e serbandomi personalmente libero, m' opporrei ora,
per dovere, a chi cercasse innalzarne un altro. Sono leale, e quanto udiste
mai di diverso è calunnia.
Mandate dunque, vi scongiuro, a Bertani per Cosenz una parola, che
dica fate. Siamo certi dell' esito.
300 GARIBALDI E MAZZINI
E quanto a voi, serbate, quanto più lungamente potete, i vostri poteri che avete ;
guardatevi da La Farina e respingete qualunque tentativo di intervento diplomatico.
Ebbi, suir autorizzazione che mi mandaste, un mille lire sterline (23 mila franchi)
da Glasgow. Le serbo, perchè ora voi non ne avete bisogno e perchè le andrò spendendo
neir impresa, della quale vi ho detto. Ma se poteste rubare un solo minuto di tempo
e scrivere una linea di ringraziamento e conforto a quei buoni sottoscrittori, indirizzando
commissione di parteciparla ad essi a William Ashurst, fareste cosa gratissima a lui,
che è il tesoriere ed a me. Qualunque cosa mandiate per me ai fratelli Mosto, mi giungerà.
Addio.
Vostro tulio
GIUS. MAZZINI
Maurizio Quadrio, il discepolo fedele di Giuseppe Mazzini, pochi giorni
prima della partenza dei Mille da Quarto aveva scritto a Garibaldi la seguente
lettera pur essa inedita :
Maurizio Quadrio a Garibaldi.
Genova, 28 aprile '60.
Al generale Garibaldi
a Quarto
Una lettera di M. {Mazzirìi) va' incarica di ripetervi ciò che già vi propose : irru-
zione nelle Marche, come potere diversivo. Se Io desiderate verrà, benché malato.
Sembra, che voi abbiate scelto il mare.
Se voi mi date parola, che non sarà ai Siciliani imposta bandiera diversa da quella
che avranno alzato, e che fino a lotta terminata non sarà in alcun modo violata la
loro Volontà, e se coi permettete ad un soldato del '21 di andar con voi, verrò.
M. QUADRO
*
* *
11 1 9 giugno Mazzini scriveva agli amici suoi, Nicotera, Mosto e Savi la
lettera già nota, e che rivela tutto il dolore dell' anima dell'apostolo.
« Ho io bisogno di snudarvi l'animo mio ? Spero di no. Ma io non ho creato la
posizione attuale. U Italia è travolta , ebbra di un materialismo , che adora
la forza, o ciò che crede la forza. Ne io, né altri può ora mutarla. 1 fatti
soli, le disavventure, le disillusioni lo possono. Il ritirarsi, l'esiliare la Patria da noi,
perchè essa esilia, moralmente o materialmente noi, non gioverebbe, se non alla dignità
dell' individuo. Ora V individuo in me è morto, inesorabilmente da un pezzo.
1
IL GUERRIERO E L' APOSTOLO
301
Non avrò più gioia dall' Italia. Non 1' avrò, se domani l' Unità fosse procla-
mata da Roma. Il Paese col suo disprezzo di ogni ideale, mi ha ucciso
I' anima ».
E poco prima aveva scritto :
« .... Se quei che saranno pubblicamente capi dell' impresa, si ostinassero nel
grido col quale Garibaldi scese in Sicilia, non mi ritrarrò e non dirò agli elementi
nostri di ritirarsi. Seguirò la colonna in silenzio, non firmando beninteso atto alcuno,
non giurando ad anima viva, * en amateur ».
Le lettere seguenti, che vanno dal 23 settembre al I .° novembre 1 860
e che, meno quella del 1 7 ottobre, trascrivo dagli autografi, sono, per quanto
mi consta, inedite. Esse ci mostrano sempre più, quale fosse lo stato di animo
del Mazzini in quei giorni. Specialmente importanti sono quelle del 23 settembre
e r altra del 1 ° novembre, forse l'ultima lettera diretta da Mazzini a Garibaldi,
prima che abbandonasse Napoli. Nella prima egli consiglia il dittatore di
comparire in Parlamento, come uri aerolite , con un indirizzo firmato da
ventimila volontari, in favore del compimento rapido dell' impresa e di dire
al Re che egli, Garibaldi, farebbe l'annessione lo stesso giorno in cui Vittorio
Emanuele avrebbe annunziato la dimissione di Cavour e la guerra pel Veneto.
Neil' altra del 1 .° novembre, lo scongiura a non partire da Napoli senza prima
vederlo. « Uri quarto d'ora soli, se potete », gli scrive con animo concitato.
In tutte le lettere di Mazzini si vede, quanto fosse vivo in lui il desiderio
di potere attirare il Generale nell' orbita delle sue idee e farne uno strumento
delle sue cospirazioni. Ma Garibaldi restò sempre saldo nelle sue convinzioni e
alle istanze del grande agitatore.
Mazzini a Garibaldi.
Caro Garibaldi,
(Leggete, ve ne scongiuro : la mia
proposta può essere importante).
23 settembre (1860).
Se, per caso dolorosissimo, le mie proposte di ieri fossero inaccettabili, e doves-
simo aspettar tempo, allora, vi prego, fermarvi un minuto a quest'idea.
Un indirizzo firmato dai 20.000 Volontari vostri al Parlamento in favore della
unità e del compimento rapido della nostra impresa.
302 GARIBALDI E MAZZINI
Comparile con quello, come un aerolite, in mezzo al Parlamento nei primi giorni,
ed esponete in modo reciso la causa vostra e del paese. Sarete appoggiato fortemente
e tanto da rovesciare probabilmente Cavour.
Al re, dite che la non annessione non è che un pegno per voi ; che la fate subito il
giorno in cui egli annunzia al Parlamento la dimissione di Cavour e la guerra pel Veneto.
Poi, tornate subito, facendo un giro per le provincie. Avrete un altro esercito
numeroso. Lasciate qui, ben inteso, un potere forte ed omogeneo.
L' indirizzo dei volontari sarà avversato da molti dei vostri Capi dei corpi ; ma se
voi esprimerete il permesso di firmarlo, tutti i volontari lo firmeranno.
Vi scrivo invece di vedervi, perchè la mia presenza al Palazzo D'Angri sarebbe
inutile e inoltre, perchè siete sempre circondato da gente.
Addio ; contate in quel poco che io posso, giacché il paese possa contare su
voi, ciò che sarà sempre, non ne dubito.
Vostro
GIUSEPPE
Quando vorrete, una mezz'ora di presenza vai più di cinquanta proclami.
P. S. - Avete bisogno di un' organizzazione militare nella provincia.
Mandate un commissario militare energico, non napoletano, con pieni poteri, dipen-
dente direttamente da voi. In ogni provincia. Ne troverete fra i nostri e ve l' indicherò
io, se lo voleste.
Fate, che organizzino una milizia obbligatoria dappertutto, dalla quale poi si cavereb-
bero i volontari.
Un commissario civile a fianco della provincia.
Incamerate non solo ; ma vendete i beni che incamerate, il palcizzo di Caserta
per cominciare.
Caro Garibaldi, 27 settembre.
Domagaliki, polacco, militare, membro del Comitato centrale residente in Londra
per la Polonia, vorrebbe servire sotto di voi, e nello stesso tempo dirvi qualche idea
de' suoi fratelli d' esilio e dell' interno del suo paese, lo lo conosco d' antico e ve lo
raccomando volentieri.
Spero che l' accoglierete cortese, come al solito, e che trarrete partito da lui, dai
suoi lumi e dalle sue qualità morali.
Credetemi vostro GIUSEPPE MAZZINI
Caro Garibaldi, ' °«°bre (1860).
Il latore, maggiore Venturi, v'è già noto. Ha una proposta da farvi, conducente
allo scopo d'accrescere il numero dei volontari. Io lo conosco intimamente per uomo
capace di eseguire quello, che vi proporrà.
Vostro sempre
GIUSEPPE M.AZZINI
IL GUERRIERO E L' APOSTOLO 303
IO Ottobre (1860).
Caro Garibaldi,
Cacace, napoletano, stabilito da lungo tempo a Marsiglia, ha giovato, quanto qua-
lunque altro, e più continuamente alla causa.
Desidera vedervi. Vogliate accoglierlo, e credetemi sempre vostro amico
GIUSEPPE MAZZINI
17 ottobre (1860).
Caro Garibaldi,
11 latore è Gennaro Rizzo, capo popolano influente, noto a me da anni e lavo-
ratore indefesso sotto la tirannia Borbonica, per la causa nostra. Egli ha qualche cosa
da chiedervi ; e concedetemi di raccomandarvelo caldamente.
Qui il Ministero segue a spargere le più stolide cose contro di noi. Il disegno
è di convocare continuamente la Guardia nazionale, stancarla, e farla insistere pel
nostro sfratto. Io, prima che il mese finisca, andrò, ma non intendo cedere a giorno
fisso, a questo sistema e a Conforti.
Dovreste, secondo me, avere assemblea e plebiscito : discussione prima, votcìzione
popolare dopo.
In verità così si cedono troppo le armi da voi. Ma di queste cose siete arbitro.
Abbiatemi sempre vostro
GIUSEPPE MAZZINI »
1 (novembre 1860)
Caro Garibaldi,
Non partite, vi prego, senza vedermi. Ditemi dove e quando. Un quarto
d'ora soli, se potete. Può giovare l'intenderci. Io sono a Capodimonte; ma verrò
dove vorrete.
Vi scrissi intorno a Nicotera per T unico favore, che io vi abbia chiesto per altri.
Aveste la domanda ?
Vostro serrìpre
GIUSEPPE
Ma, per uno studio più coscienzioso sulla condotta di Mazzini nel 1 860,
ed i suoi rapporti con Garibaldi è utile l'avere sott* occhio alcuni brani delle
lettere dirette in quei giorni al Saffi ed a Caterina Craufurd.
' L" originale di questa lettera non e nel mio Archivio ; fu dato da Achille Fazzani a!
Missori per essere custodilo nei Museo del Risorgimento di Milano.
304 GARIBALDI E MAZZINI
In data del 1 3 maggio, Mazzini scriveva ad Aurelio Saffi :
Temo, da un buon ragguaglio dato sulla Gazzetta di Milano, che tu sia andato
troppo in là, abdicando, in nome del Partito, nelle mani di Vittorio Emanuele. Noi
non abdichiamo: accettiamo dal popolo italiano. Noi non gridiamo: viva V. E., impo-
nendolo in Sicilia o altrove : gridiamo « Unità e Libertà » : chiniamo la testa ai grido,
quand'esce dal popolo, che combatte.
E questa la nostra linea, e non bisogna disertarla. Ma se l' hai fatto, tienti almeno
fermo per ciò, che concerne l'azione. Il Governo ha oggi migliaia di fucili, prodotto
dalla sottoscrizione e che non vuol dare.
E nel giugno, da Genova :
Amari è ora eletto intermediario officiale da Garibaldi col Re; quindi va in
Torino, e ad ogni modo non può più cospirare per la Sicilia. Dovrebbero quindi
intendere, che il continuare a mandargli denaro ha del comico. La scelta è del resto
cattiva, come inutile quello che fa, da qualche tempo, Garibaldi.
E più oltre soggiunge :
Garibaldi manda al Re per mezzo d Amari « due milioni d' Italiani ». In verità,
è farla un po' troppo da dittatore. Accettando tutto, come facciamo, se avessero almeno
la generosità di salvarci un po' di dignità, e lasciare che le unioni escissero dal popolo,
da votazioni!
Il 24 luglio scriveva a Kate Craufurd :
lo non so, se potrò farvi contenta di me. Lo tenterò fra non molto ; ma fra noi
e il fine stanno troppi nemici, e i pessimi sono quei che si dicono amici. Vedremo.
Questi due mesi meriterebbero, che io riuscissi. Ho fatto tanto la parte di
subalterno; ho ingoiato tanti bocconi amari come fossero ciambelle, ho
rinnegato, per un fine da raggiungersi, me stesso con tanta pazienza, che
credo dovrei avere per ricompensa il risultato. E non di meno ne sono incerto
assai. Dite al babbo, che /' Unità d' Italia si farà " malgré tout ,, . E l'unico punto
moralmente conquistato. Strano a dirsi! Se /' Unità fosse conquistata materialmente,
il mio primo desiderio sarebbe quello di Venire a morire in Londra.
Più tardi, 1' 8 agosto, scriveva :
Dovete sapere, che avete due apostoU in Quadrio e in me, e che molti dei
nostri sanno già, che voi siete una delle migliori italiane che siano. Insistete dunque
a persuadere babbo, perchè venga a vedere 1' Unità d' Italia farsi. Quanto a me, non
pensate. Se mai ho iniziato qualche cosa, è legge che V iniziativa perisca moralmente
IL GUERRIERO E L' APOSTOLO 305
e materialmente nelV iniziazione. E a me non ne importa, purché la cosa cada. In fondo,
noiato e stanco come sono, il frastuono che, in circostanze diverse, si farebbe d' intorno
a me, mi riuscirebbe intollerabile. Siamo ora in una crisi, dalla quale ignoro come
esciremo: 6000 uomini, la spedizione organizzala dal Partito d'Azione, che doveva
recarsi in un punto, è osteggiata dal Governo e mandata altrove. Nondimeno, vedremo.
E qualche giorno dopo :
Il Ricasoli non vuol dare che 1 5 mila franchi ; insufficienti per muli da portar le
munizioni e biscotto. Non resterebbe un soldo per un giorno di vita, ovunque scen-
dessero. Dunque, impossibili ; e non so che cosa avverrà. Ho suggerito un ultimo
tentativo ; cangiare i cavalli che abbiamo con muli ; mandato uno a Livorno ; telegrafato
a Genova per scarpe e coperte, che potrebbero partire col vapore di questa sera e
giungere domani ; fattosi scrivere da Nicotera a Ricasoli per un aumento. Ma lutto ciò
può tornare in nulla; nel qual caso, « à la garde de Dieu ».
Ma le speranze per una spedizione negli Stati pontifici erano svanite, e
verso la fine d' agosto scriveva :
Non so nulla di nulla ; ma è chiaro, che bisogna finire per andare a Napoli prima
di rintanarsi, non fosse attro per la chance d'una marcia su Roma. E Garibaldi tien duro.
E il 5 settembre :
Odo del vostro disegno per l'ottobre. Viene anche Aurelio? Spero di no. Il
suo posto è in Italia. Soltanto, spero non sia tornato da Torino più monarchico di prima,
come mi farebbe temere la conclusione di un suo articolo. Io divento più repub-
blicano di prima ; e sento che andiamo, checche si faccia , a quell' ideale.
Più tardi, il 1 7 settembre :
L* ingresso in Napoli è la cosa più magnifica, che io abbia veduta mai ; cielo,
color del mare, aria, tutto diverso : il golfo un incanto : v' è da rifar la vita per chi
può rifarla. La città è ingombra, gremita. Sei alberghi toccati, prima di poter trovare
una stanza. Garibaldi non è qui, ma lo raggiungerò. Nicotera è qui, lo vedrò questa
sera. Bandiere ad ogni finestra. Sacchi è qui pure. Non so nulla ancora ; vi scrivo
tre ore dopo giunto; ma credo che in un mio senso le cose andranno. Nel
nostro davvero, quando sarò morto.
11 1 8 settembre infine, scriveva a Saffi :
Aurelio mio.
Mi dicono, al mio giungere, nientemeno che d' una gita probabile di A. Lemmi
per venire a chiederti, da parte di Garibaldi, d'andare da lui coli' intenzione di farti
CURÀTULO 20
306 GARIBALDI E MAZZINI
Pro-dittatore in Sicilia. Non ti scrivo per darti pareri. E un affare di coscienza. Se
tu credi, in coscienza, dover rimanere disgiunto da ogni combinazione monarchica, allora
ricusa; ma allora t'incombe, non il silenzio o lo star fra i due, bensì il farti apostolo
della fede avvenire, qualunque sia il tempo in cui essa debba trionfare. Se la questione
per te non è quella, allora, te ne prego, accetta ; non t' indugino altre ragioni indi-
viduali o di tendenza al riposo. Son tempi questi, nei quali una missione deve assu-
mersi. Non è concesso il riposo. Inoltre ti dirò chiaro, che Garibaldi è irreconciliabile
con Cavour, e che quindi la questione italiana ha da decidersi coli' uno o con V altro :
coi due non può. Dato questo, e dato quindi che tu ti decida per Garibaldi, allora è
chiaro che la tua nomina accelera la soluzione e diventa importante, come un passo
fatto da Garibaldi verso noi. Pensaci: puoi pesare sui destini del Paese. O abdicare
ogni intervento nelle cose patrie, o sostenere Cavour, o rovesciarlo. Accettando, tu
potresti fare con te stesso e con Garibaldi la riserva che , conchiuso il provvisorio,
quando il Paese avrà legalmente da Roma confermato il verdetto monarchico, tu sarai
libero di tornare a vivere privato, se non ti piacerà il principio proclamato.
Addio.
Ama il tuo
GIUS.
Dopo il 1 860, Mazzini, ferito al cuore, si trasse In disparte ; ma non per
questo cessò un solo istante dai cospirare per fare la repubblica. I suoi scritti sono
sempre guizzi di folgore, piani di congiure, istruzioni per un' msurrezione repub-
blicana. Tolgo dal mio Archivio una serie di lettere inedite, dirette dall' apostolo
a Garibaldi, a Stefano Canzio, a Pianciani, agli amici di Genova ; lettere tutte che
rivelano il continuo dissidio fra lui e Garibaldi, e come il pensiero di una
repubblica italiana fosse il circolo magico intorno al quale si aggirò costante-
mente il suo spirito. Ma credo utile prima riprodurre uno scritto del Mazzini
poco conosciuto, diretto alla signora Philipson, una signora inglese grande amica
del nostro paese, e che è molto importante per i giudizi, che vi si contengono.
Giudizi di Mazzini su Garibaldi e Rattazzi.
Cara signora Philipson,
London, 5 agosto (1867).
18 Tulham Road. W.
Vi mando poche linee della nostra amica Jessie Mario.
Noi siamo legati nell'amore e nell'odio. Io amo Roma, non siccome parte d' Italia,
ma come l'anima, come la parola Italia, ed odio Rattazzi come un mefistofele
IL GUERRIERO E f APOSTOLO 307
in 32' . Spero, che Garibaldi non riuscirà a determinare un movimento : un tale moto,
ora, o sarebbe represso con un secondo Aspromonte da Rattazzi, o sarebbe, se riu-
scisse, monopolizzato da lui e Roma sarebbe governata da una politica piccina, immorale,
da avvocato intrigante, corrotta e corruttrice.
Roma deve essere o una grande rovina profetica, ovvero il tempio della Nazione
Italiana. Un anno di più o di meno di schiavitù è nulla; ciò che imporla è, che il
vessillo della Repubblica Italiana sventoli dal Campidoglio, e la bandiera della religione
del progresso dal Vaticano !
E questo un sogno ? Io credo fermamente, che non lo è. Io cercherei di realiz-
zarlo, se avessi mezzi e tempo. Ma non ho ne l' una cosa, ne l'altra: sono povero e
non avrò ancora molto tempo da vivere. Qualche altro lo realizzerà. Garibaldi lo
potrebbe, se egli fosse un uomo più intellettuale che non sia. Egli ha l'amore,
non la religione di Roma. Non dite, che egli è troppo onesto per un uomo politico.
Egli dovrebbe essere un credente ; ma non lo è : egli vede più il lato materiale della
quistione, che quello morale; egli si cura più del corpo d'Italia, che dell'anima. Egli
non pub essere altrimenti ; non lo accuso, constato solamente il fatto.
E Valoroso, nobile, buono, coerente ed unico ; ma egli è incompleto e non alla
altezza dello scopo.
Vi terrò al corrente, se qualche cosa avviene o sarà per avvenire.
Il vostro fedele
GIUSEPPE MAZZINI
Mazzini ad un " Fratello „.
Dicembre 7 (1859).
Fratello,
Ho ricevuto ogni cosa e sono lieto del vostro accogliere le mie proposte. Strin-
gete fraternamente la mano per me a Cec.
Mandate il ricavato delle quote mensili e di ogni altra offerta, che potete avere
ad Alberto Mario in Lugano. Se il Cec, come mi dicono, ha conti con l'Agr. potete
valervi di quella via, mandando biglietto per lui, all'ordine, della signora Maria Fra-
schina Gaerri (?), amica dell' Agr. e nostra ottima. Essa consegnerà fedelmente ad
Alberto Mario del quale avrete ricevuta. Con Alberto Mario potrete corrispondere,
occorrendo, all' indirizzo sig. Fioratti, libraio, sotto coperta : a Mario.
Cercate di aumentare il numero dei contribuenti, e ad ogni modo siate esatti nei
piccoli versamenti, cercando da un lato di affratellare italiani sparsi nelle località del
Cantone, in Bellinzona etc. ; dall'altro afferrare ogni opportunità di affratellamento nelle
piccole città sarde o lombarde del Lago. Bisognerebbe avere un individuo, non fosse
altro, in ogni località e moltiplicare i mezzi sicuri d'introduzione o di scritti o lettere;
non saranno mai troppi. Anche per quest' ultimo scritto mio dovrò fra poco ricorrere
nuovamente a voi.
Il giornale escirà probabilmente prima ; di certo e regolarmente con 1' anno.
308 GARIBALDI E MAZZINI
Il vostro scritto sulla guerra giunge, non ve lo celo, un pò* tardi. Mandatelo non-
dimeno a Mario, a Lugano. Non v'accerto d'inserirlo. Gli eventi possono costringerci
ad empire con altro il giornale. Ma se avremo modo, l' inseriremo.
Avviato una volta il Giornale, vedete che cosa possiate fare; e segnatamente
per Napoli.
Manderò la lettera a C. e vi aggiungerò un biglietto mio. Conosco C. e non
credo riusciremo. E troppo recinto d' influenze moderate. Ciò che bisognerebbe avere
in Napoli, sarebbe una triade di giovani nuovi, intelligenti, arditi, i quali spargessero
prima l' affiliazione segreta ; poi, forti di quella, facessero proposte come la vostra.
Questi giovani, questi dei ignoti devono esserci : la difficoltà sta nel trovarli !
// lavoro nel quale io sperava di essere riuscito e che la debolezza di Gari-
baldi verso la persona del Re mandò in fumo alla vigilia, sommava allo stesso
compito; un moto d'offensiva dal Centro al Sud, congiunto coli' insurrezione in senso
nostro, cioè unitario, della Sicilia ; insurrezione che, se poteva aversi, poneva Napoli tra
quel moto e V insurrezione degli Abruzzi, che avrebbe seguito il moto d'offesa.
Quel moto ha da essere per sempre nelle nostre mire. Quando il Cong. {Congresso)
avrà deliberato contro di noi, com' è più o meno inevitabile, sarà necessario prote-
stare a ogni patto coli' insurrezione e colle armi ; è necessario diffondere fin d'ora
r idea, perchè l' opinione universalmente sparsa d' un fatto aiuta a crearlo.
Cercate contatto coi viaggiatori italiani, veneti, o altri, che traversano il Lago.
Ogni nuova delusione ci accosta gli animi e bisogna profittarne ; affratellamenti, fattisi
per diffusione di scritti, dati che riguardano l' interno, qualche offerta per una sola
volta, ogni cosa giova. Su voi, col consiglio degli altri due, potete concentrare quanto
lavoro vi verrà fatto di ordinare, dandone conto sommario a Mario.
Ho letto or ora i vostri versi : belli e sentiti. Se ne avete una copia, vorrei la
mandaste, scrivendo a Mario, alla Mario (l'antica miss Mario).
Se riescite a stendere qualche filo in Luino, Laveno o altro punto lombardo, ne
manderete indicazione a me, perchè io accentrerò gli elementi a Milano, ove abbiamo
centro attivo dell' associazione.
Addio : consociamoci a un ultimo sforzo per la terza o quarta vita d* Italia. Tendo
a credere, che la civiltà si sia biforcata in Italia ed in Grecia e che la vita abbia
avuto sviluppo simultaneo nei due paesi. Ma ora siamo militi dell'avvenire, anziché
ricercatori del passato. ,, ,
Vostro sempre
GIUS.
Mazzini a Garibaldi.
Caro Garibaldi, 8-1861.
V'annoio di lettere; ma la salute del paese sta nelle vostre mani, abbiate pazienza
per dieci minuti e leggetemi.
Vi mando una lettera inglese: leggetela. Ciò che vi dicono è vero. Se veniste,
fareste miracoli per offerte e per l' allontanamento dei Francesi da Roma. Sarebbe
un giro di dieci giorni in Inghilterra e Scozia. Pensateci bene.
IL GUERRIERO E L'APOSTOLO 309
Se non volete venire, scrivete poche linee da pubblicarsi, ad un dipresso, come
quelle che vi suggeriscono nella lettera. Non faranno quel che farebbe la vostra
presenza ; ma faranno molto.
Vi chiesi due linee per Ashurst. Mi sarebbe assai caro 1' averle.
Ora sentite.
Non so quanto sia di vero in ciò che dicono, che la vostra prima operazione
sarà in Ungheria. Per la via di mare non può essere : dunque sarebbe per la
Transilvania.
Per r amore che porto all' Italia e per quello che porto a voi, non posso a meno
di protestare, se è vero.
Prima di tutto, andare a cercare la salute del Veneto in Ungheria, quando abbiamo
22 milioni d' Italiani da sommovere, non è degno di voi, incarnazione dell' Italia
militante ; ed è un rimprovero all' Italia, che l' Italia non merita. In secondo luogo,
voi non siete certo del soccorso dell' Ungheria. Quando l' avrete liberata, nasceranno
questioni inevitabili tra gli Ungheresi ed i Rumeni, tra essi ed i Croati etc, che
costringeranno per lungo tempo le loro truppe a stare a casa.
Sarete deluso nel vostro piano.
In terzo luogo, voi forse ignorate che nella loro foga di avere aiuti, essi, cioè i
loro capi Kossuth e altri, sono legati con L. N. (Luigi Napoleone) e gli promettono di
accettare Leuchenberg, Napoleone Bonaparte o altri della famiglia. Volete prestarvi
ad un raggiro bonapartista?
Finalmente, il giorno in cui voi sarete in Ungheria e avrete trascinato con voi
il fiore dei nostri militi. Luigi Napoleone occuperà Gaeta e Napoli per cercare
di collocarvi un Murat o Napoleone Bonaparte, il cugino. E il disegno del quale,
probabilmente, è complice Cavour.
Le truppe di Roma e quelle di Algeria comandate da Pellisier non hanno altro
oggetto.
Assalendo, invece, il nemico nel Veneto e provocando la diserzione Ungherese,
voi date il segnale all' insurrezione della Ungheria. Quella dell' Ungheria trascinerà
il resto. Ogni moto sul Veneto può essere seguito dal moto degli Italiani e Slavi
della costa orientale dell' Adriatico. Rendete così possibile ogni diversione nostra per
mare su quella parte. Riconquistate, così, d' un getto le frontiere d' Italia e rendete
lo stesso servizio alla nazionalità.
Cominciato il moto sul Veneto, la diserzione dei reggimenti Ungheresi (alla
quale gli esuli ungheresi dovrebbero dirigere tutto il lavoro) ed il concentramento
necessario delle forze d'Austria dalla parte nostra, rendono facile l' insurrezione in
Ungheria, nell' interno. E se anche hanno bisogno, ciò che io non credo, d' una inizia-
tiva dal di fuori, la decima parte della forza che sarebbe necessaria, prima d' una
iniziativa in Italia, basterà. 2000 uomini, facili a radunarsi nei principati, che entrino
in Transilvania e vi si riuniranno in Szekley sulla frontiera, basteranno.
La rivoluzione ha ora trovato un punto di appoggio alla leva e non lo abban-
donate : un centro ; creandone due, indebolisce invece di fortificare. Oggi qualunque
cosa si farà in Italia, avrà l'approvazione europea: fuori, no. Avendo 1' Italia la rivo-
310 GARIBALDI E MAZZINI
luzione, sarà forte dapertutto : avrà uria base. Cominciando in Ungheria, perdete la
base; cominciata appena, avrete la Russia nella Galizia, e dovrete, presto o tardi,
sostenerne 1* urto.
Garibaldi, per tutto ciò che amate, non abbandonate l' Italia : non smembrate le
forze o correte rischio di perdere tutto, e di servire, senza volerlo, ad un intrigo
Bonapartista. 11 vostro posto è nel Trentino, dobbiamo averlo per sorpresa nelle mani ;
date il segnale all'insurrezione del Cadore e del Friuli; sollevate in entusiasmo l'Italia,
costringete il Piemonte ad entrare. Possiamo fare tutto questo, se mi aiutate con una
parola vostra che dica : è bene che il Tiralo italiano si prepari ad insorgere, e se
potete con un aiuto d' armi da depositarsi dove dirò.
Preparerò io il terreno per voi: poi quando venite, se credete che io mi ritragga,
mi ritrarrò.
Non ho come voi che uno scopo al mondo: veder l'Italia una.
Una parola ancora.
Voi predicate in ogni vostra linea il re : io non divido la vostra opinione su di lui.
Non potrei chiamare sempre re galantuomo, V uomo che accettò la Lombardia in dono
dallo straniero, che accettò il mercato di Nizza e Savoia, e che tiene Cavour alla
testa del paese.
Ma la quistione non è qui. E in quello che vi scrissi un anno addietro :
agirò pel Re, ma indipendentemente dal Re. Tutta l' Italia datela a lui,
nessuno obietterà; ma non fissatevi nelle sue ispirazioni, non ne chiedete
gli ordini, se volete farlo. Il re è per lo meno una macchina conscia o
inconscia di Luigi Napoleone. Ora Luigi Napoleone non vuole V unità, tende alla
Confederazione : tende ad aver la Sardegna : tende a mettere un principe della famiglia
in Napoli. E Cavour è disposto a secondarlo. Agite, dunque, indipendente, e sopra-
tutto non lasciate l' Italia.
Vostro
GIUS. MAZZINI
P. S. - Scrivetemi, se lo credete, una parola sulle vostre intenzioni : dove no, spreche-
remo le nostre forze in direzioni diverse. Del mio silenzio assoluto potete essere certo.
23 gennaio (1861).
Caro Garibaldi,
Il generale Wilson ed altri ufficiali irlandesi sdegnosi degli aiuti dati dai cattolici
d'Irlanda al Papa, organizzano ciò che essi chiamano un battaglione, composto di 1046
uomini che vogliono riabilitare l' Irlanda e combattere con voi le battaglie dell' unità
d' Italia e dell' emancipazione di Roma. Gli elementi appartengono alla milizia, ed
hanno quindi serie cognizioni militari. Sono quasi tutti protestanti.
Ora essi chiedono alcune linee vostre, che approvino, che accettino il battaglione
com'è, cioè gradi etc. e che dicano, se i mezzi di trasporto possono essere sommi-
nistrati per giungere in Italia quando vorrete.
IL GUERRIERO E L- APOSTOLO 311
Volete mandarmele? Antonio Mosto, se gliele farete avere, me l'invierà.
Del resto il mio indirizzo a Londra è William Ashurst : 6, Old Jewry Cheapside.
V'ho scritto più Molte: voi non mi rispondete. Credo che prima dì morire
conoscerete di avermi giudicato male ; ma ciò poco importa. Ciò che importa
è l'Italia: la sua unità: Roma e Venezia. Importa alla loro emancipazione l'accordo
(ra tutti quelli che esercitano una influenza qualunque. Che io l' eserciti, voi non potete
dubitarne ; e 1' elezioni del sud ve lo proveranno. E questo accordo fra noi ? Da parte
mia, v'è. Da parte vostra, non so.
Volete assalire il Veneto? Posso giovarvi. O volete andare in Ungheria? Per
mare non potete. Per terra dunque. E un abbandonare l' Italia. Garibaldi, non cangiate
base, quando ne avete una eccellente e vostra. Correte rischio di perdere voi e 1' Italia.
11 Tirolo e r alto Veneto : là è il nostro vero teatro di operazione. Non vedete
voi che r Ungheria ci seguirà da per se ?
Qui dicono che Tùrr riesca a riconciliarvi con Cavour. Se ciò è vero
è sciagura. E il segnale dell'anarchia: conosco Cavour: io non mi riconci-
lierò mai con lui, a meno che egli non rompa pubblicamente con Luigi
Napoleone.
10 vi dicevo un anno addietro : " lavorate pel re „ giacché non so
perchè lo volete; " ma senza il re „.
11 re è Cavour, Cavour è Luigi Napoleone. Possibile che voi, difensore
di Roma, possiate sottomettervi a quella influenza ?
Garibaldi, facciamo l'Italia: non dipendete da anima viva; la dau-emo
poi a chi vorrete.
Scrivetemi una parola sulle vostre intenzioni. E l'ultima volta che ve Io chiedo,
perchè mi avete scritto che m' eravate amico.
Vostro
GIUS. MAZZINI
P. S. - Se mai preferite scrivere direttamente agli Irlandesi, scrivete al sig. A. C.
Marani, 5, Trinity College, Dublin. '
5 febbraio (1861).
Caro Garibaldi,
Il Segretario del Comitato Irlandese è lohn Spear, 36, Upper Fitzwilliam Street,
Dublin. Marani è il nostro intermediario italiano. Vi ringrazio delle ultime linee
scritte ad Ashurst.
' Gli autografi di queste due lettere, dell' 8 e dei 23 gennaio 1861, non sono nel mio
Archivio ; essi furono dati da Achille Fazzari a Missori per essere custoditi nei Museo del
Risorgimento di Milano e ne ho potuto avere copia.
312 GARIBALDI E MAZZINI
L' Universo vi dice riconciliato con Cavour. La stampa bonapartista dichiara,
che avete consentito a non muovere arma sul Veneto o in Ungheria, a meno che il
re non ve l' ordini. In quel caso siamo perduti. Lo dico con un dolore nel!' anima
difficile ed esprimersi.
Il re non ordinerà mai l'assalto sul Veneto, come non osa chiedere a L. N.
{Luigi Napoleone), pubblicamente e appoggiandosi sul Parlamento, l'allontanamento
delle sue truppe da Roma. Un uomo come Voi, che ha dato dieci milioni di
sudditi al re e che ha, se lo vuole, il paese con se, ha diritto e dovere di
dire al re di 22 milioni di uomini, che egli può e deve avere, con una
Legge, 800,000 uomini in armi, e dichiarare pubblicamente a L. N. {Luigi
Napoleone) essere tempo che ci lasci Roma. E se non fa, non è degno che
uomini come voi lo seguano ciecamente.
Se anche, non volendo lottare, proferiste pubblicamente una parola che dicesse agli
Italiani « è tempo che diciate tutti al re vostro, che volete Roma libera di soldati
stranieri » un milione di firme accompagnerebbe i due indirizzi che vi si recano al
Parlamento.
Se redigeste un progetto di legge per l' armamento generale e diceste agli
Italiani : « firmatelo e presentatelo alla Camera » , un altro milione di firme lo coprirebbe.
Se apriste un imprestito in nome vostro, con una serie di cedole dai 5 franchi ai
10 e ai 500 fr. con cedole intermediarie di 25 fr., di 50, di 200, 300, 400 fr., si
raccoglierà fuori e dentro il necessario per l'armamento e risparmiereste il Tesoro.
Noi tutti vi appoggeremmo.
Addio ; e Dio vi serbi forza per fondare l' Unità in questo anno. Voi lo
potete. II re non lo farà mai. Accoglierà, accetterà, non inizierà.
Vostro
A Gius. Garibaldi GIUS. MAZZINI
Caprera.
7 marzo 1861.
Caro Garibaldi,
Ebbi la vostra e ve ne sono grato.
Sentite; non discutiamo sul re; sarà onesto e patriota; ma accettò la
Lombardia in omaggio, firmò la cessione di Nizza dopo di avere giuralo il contrario,
disse e disdisse con voi, con noi, dieci Colte; v' impedì di andare a Roma, tra voi e
Cavour scelse Cavour, ed oggi con 22 milioni di uomini non ha il coraggio di armare
con un decreto il paese; diplomatizza per avere Roma e aiutare Bonaparte sul Reno,
e segue la politica di quando aveva quattro milioni di sudditi. Io, dunque, non posso
amarlo, né stimarlo. Non osa emanciparsi dal Bonaparte, mentre avrebbe Inghilterra,
Germania, Prussia e tutti con se. Ha coraggio fisico, non ombra di coraggio morale.
Non ispero, dunque, che dal paese.
£^^^ -~.
^t^i^c-c..^ ^K'^^e^ ^e.^*^^ ^<SÌ^ tié't^^a ^e<i- c.(-t.i.^^o~^i^ £..^^i^'-.^:^r^<^^*''^-^-
Proclama di Garibaldi agli Italiani.
Caprera, 28 novembre 1860. (Vedi pag. 341).
IL GUERRIERO F. L'APOSTOLO 313
Con tutto questo non può esservi ombra di dissidio fra noi. Ho ceduto alla fatalità
che il paese e anche un po' voi avete creato e ho accettato, di buona fede, il vostro
programma « Italia una e Vittorio Emanuele ■• . Salvo il caso di nuove cessioni terri-
toriali, o di delitto contro gli altri popoli o del suo avversare apertamente la causa
dell' Unità, o di cangiamento in voi e nella maggioranza del paese, non lo abbandonerò.
Ma tutti e due fidiamo, credo, per l'azione più nel paese, che in lui o in altri.
Pensiamo dunque all' azione e a trascinarlo in essa.
Dopo avere ripensato, persisto nella mia idea, che il nostro terreno è il Tirolo e
r alto Veneto, con finte dalla parte dei distretti al di qua del Po, del Ferrarese.
11 terreno è contiguo col paese già emancipato. Se riusciamo ad averlo in mano,
i volontari vi affluiranno senza indugi dalla Lombardia e da ogni punto.
11 quadrilatero è tagliato dalla sua base.
L' Ungheria è matura e risponderà, siatene certo, senza indugio, all' impresa.
Stendendosi pel Cadore e per il Friuli, diamo la mano al moto Slavo-Ellenico
dell' Oriente. Ho contatto con quegli elementi e, seguendo il vostro consiglio, cerco
moltiplicarlo.
Per avere il Tirolo Italiano in mano, credo necessari 4000 uomini incirca, i quali
operino congiuntamente, per sorpresa, coli' interno.
3000 di questi dovrebbero essere italiani e vostri ; un migliaio incirca di svizzeri
dovrebbe completare la cifra ed operare dai Grigioni.
Tutto questo è possibile, ma ci vuole il danaro : un mezzo milione di franchi
incirca. Io cerco raccogliere, ma non potendo ne volendo nuocere al concentramento
degli elementi e dei mezzi intorno a voi, devo lasciare che i Comitati raccolgano per
voi. Posso dunque raccogliere poco.
E necessario dunque che, se approvate il disegno, il denaro venga da voi.
Voi potete dar ordine ad Ashurst di rimettere il denaro, che raccoglierà, qui a me :
potete dare ordini a Genova che il denaro italiano sia amministrato da Bellazzi, Sacchi
e Mosto, per disegno che conoscono : potete scegliere qualunque altro mezzo vi piaccia.
Io non opererò che segretamente e senza mostrarmi.
Vorrei preparare e aver sui luoghi tutto il materiale necessario, prima di pensare
agli uomini. Gli uomini si hanno in dieci giorni. E così può mantenersi il segreto.
Mia intenzione sarebbe, se voi m' aiutate pei fondi, di preparare ogni cosa, di
avvertirvi, perchè diate le ultime vostre istruzioni, poi d'effettuare la sorpresa. Riescita,
verreste immediatamente a prendere il comando supremo, e tutto rimarrebbe in
mano vostra.
Fate, vi prego, di rispondere due parole.
Quanto a Roma, pazienza. Credo che, forse per essermi male spiegato, abbiate
creduto, che io vi domandassi più che non faceva. Urge ottenere l' allontanamento delle
truppe francesi, E dacché ora non possiamo ottenerlo colla baionetta, non v'è altro
che provocare una grande manifestazione d' opinione in Italia, che il Governo inglese
appoggerebbe. Una linea che dicesse: « firmale gì' indirizzi al Parlamento per questo
oggetto » avrebbe procacciato mezzo milione di firme.
Come vedete non vi do consigli ; ne chiedo a voi.
314 GARIBALDI E MAZZINI
Dalle notizie mie di Parigi risulta l' intenzione di far guerra per conquistare le
Provincie Renane nell' autunno.
Addio, caro Garibaldi ; credetemi
Vostro
GIUSEPPE MAZZINI
P. S. - Dopo r azione, la stampa nel senso del vostro programma è la cosa la più
essenziale. 11 « Popolo d' Italia » di Napoli, diretto da Saffi e da De Boni, è il migliore
giornale del Sud, e vi è sempre stato devoto. E diventato una piccola potenza, ma le
spese gravissime hanno impoverito la cassa ; così che, quantunque gli abbonati crescano,
ogni giorno, s' esigono ancora sei o sette mesi, perchè si sia a livello : intanto il giornale
è minacciato di morte. Saffi mi scrive desolato, pregandovi di dirvi che dovreste venire
in aiuto di un 3000 ducati al giornale. Se decideste, potreste, secondo lui, scrivere a
G. B. Cuneo, che è in Napoli, perchè disponga di non so quali fondi. Devono avervi
scritto essi stessi. Ma fo la mia commissione. Non v' è dubbio, che la caduta del giornale
sarebbe una grave perdita pel Sud.
24 aprile '6 1 .
Caro Garibaldi,
Per quanto penda fra voi e me qualche cosa di oltremodo disaggradevole — Cowen
ve ne ha scritto — , credo mio assoluto dovere indirizzarvi queste poche linee.
Le decisioni del Parlamento, il rifiuto di conciliazione reale, la lettera di Cialdini,
gli articoli dei giornali governativi francesi e tutto ciò che odo e vedo, mi convincono
che le cose del paese sono giunte a un punto, in cui è forza prendere decisioni
positive.
Gli oltraggi, le diffidenze, le ingratitudini sono nulle. Ma la doppia dichiarazione
di Cavour porta : che avremo Roma quando piacerà alla Francia di darcela e al par-
tito cattolico d* essere convinto, che avremo Venezia quando piacerà all' Austria di
darcela pacificamente, per danaro.
Potete voi rassegnarvi a questo? Non vi sentite vincolato dal vostro
amor patrio, dalle vostre promesse al paese?
lo, di certo, non mi rassegno ; e se solo, prenderò liberamente la via che il core
mi detta. Individualmente sono convinto, che quanto accade è logico — che siamo vit-
time di una falsa posizione presa — che il guasto è fatale e risale all' istituzione. Il
Re sarà quel che voi dite a tutti: ma è Re, alleato di Corti, diffidente di
quanti hanno genio d'iniziativa etc. Tra voi e Cavour sceglie Cavour; e
con qualunque altro Ministro sarebbe più o meno la stessa cosa.
Ma, se io posso far dieci, voi potete far mille. 11 bene, l' Unità Italiana, l'eman-
cipazione dalla fatale politica bonapartista, stanno nelle vostre mani. Pel bene del
paese, abdico quindi tuttavia le mie opinioni individuali e sono pronto a
cooperare, mantenendo il vostro programma con voi. E vi domando solamente :
IL GUERRIERO E L'APOSTOLO 315
cedete o persistete? Date più importanza a Cavour, Cialdini e alla maggioranza parla-
mentare, o al paese che è tutto con voi, purché vogliate?
Se cedete e ci fate indefinitamente passivo, ditemelo, perchè io con dolore mi ponga
a lavorar solo, io non ho vincoli, fuorché col paese e con voi. Solo non ne ho che
col paese e colla mia coscienza.
Se non cedete e volete compire 1' esecuzione pratica del vostro programma, vogliate
dirmelo pure. E in quel caso, fate soltanto ciò che è in voi, purché si raccolga denaro.
E parlate chiaro al paese.
Bisogna agire sul Veneto. Là sta la chiave del moto nazionale di mezza Europa.
E con mezzi lo possiamo.
Garibaldi, Dio vi ispiri ! E badate che il tempo è tutto per noi, perchè in que-
st' anno i disegni napoleonici e cavouriani si smaschereranno ; e noi, a salvarci dalla
vergogna di perdere la Sardegna e andare a far da birri a Bonaparte sul Reno, non
avremo altra risorsa che la guerra civile, per la quale il Sud si fa rapidamente maturo.
La vostra iniziativa sopprime questo pericolo.
Vostro
GIUS. MAZZINI
Generale Garibaldi
Torino
Nella lettera che segue si allude ad una pubblicazione fatta da Pianciani
dal titolo : « Abbiamo guadagnato o perduto ? La corìverìzione e // (rasloca-
mento della sede del Governo ».
Mazzini a Pianciani.
Venerdì (1864).
C. P.
Ricevo la vostra del 12. Dovreste a quest'ora avere ricevuto due lettere mie;
una diretta a G. B., l'altra a C. Countess Pianciani, aux Delices, perchè non potei
intendere l' indirizzo, che mi pare ora d' intendere. Non ripeto quindi le cose che vi
diceva ; se non che da certi rintocchi che mi vengono, temo che Garibaldi ceda,
e per non operare sul Veneto contro il desiderio del re, si prepari a tentar l' Ungheria
per terra, come io indovinava ; dico per terra, perchè per mare persisto a credere la
cosa impossibile.
Sul finire del mese saprò, credo, positivamente le intenzioni.
Non una, ma dieci edizioni vorrei si facessero del vostro libro, al quale non
vedo che cosa vi sia da aggiungere, quando non fosse qualche cosa toccante la con-
versazione regia.
Se vi eleggono, accettate : è il mio consiglio. Non di meno, non vorrei, se fossi
in voi e nei nostri più noti, trascinarmi lungo discussioni inutili per leggi di polizia o
316 GARIBALDI E MAZZINI
altro ; andrei e proporrei, sulle basi svizzere a un di presso, l'armamento immediato della
Nazione e altre due o tre cose, tra le quali : negoziati aperti e pubblici per l'allonta-
namento dei Francesi da Roma : poi, rifiutate quelle misure, darei la mia dimissione,
dicendo: Signori: repubblicano di fede, sormontai la ripugnanza dell'animo mio alla
formula del giuramento per la speranza di far udire ed accettare la Uerità, che può
dar salute al paese : lo vedo impossibile, e mi ritiro.
Pensateci.
Persisto, come posso, nel mio progetto. E quand' anche ei, Garibaldi, si portasse
altrove, rimarrebbe a noi consacrarci al nostro e se egli avesse una prima vittoria, assa-
lire dall'altro lato. Desidero sapere la vostra opinione e se, occorrendo, potrei calco-
lare sulla vostra cooperazione.
Addio in fretta; vogliatemi bene. Vostro sempre
GIUS.
P. S. - Avete il Popolo d'Italia e L' Unità} Dovreste scrivere qualche cosa pel
primo, mandando a Saffi all' ufficio del Giornale. Aiutate le firme vi prego.
Queste due lettere furono scritte nel '64, dopo i moti nel Friuli.
Mazzini a Ergisto Bezzi e compagni, nelle carceri di Alessandria.
Fratelli.
n
nov.
Voi primi intendeste, che 1' unica risposta da darsi al grido degli insorti nel Friuli
era d'accorrere; che il grido venuto dalla Venezia è grido d'Unità, di Nazione e
vincola gì' Italiani al di qua del Mincio come al di là : che riuscendo o no, atteste-
reste la solidarietà italiana e protestereste a prò del Dovere, che è in tutti. Lode a voi!
Non so quanto possa giovarvi la mia parola di conforto e d' ammirazione ; ma ve
la mando per debito di fratello e di patriota verso voi tutti ; per debito d'affetto indi-
viduale verso taluno di voi. Durate forti e sorridenti. Ogni tentativo generoso frutta.
A una serie di tentativi, fraintesi ad uno ad uno e biasimati, è dovuto, checche altri
dica, quel tanto d' Italia che oggi esiste ; a una serie di simili insistenti, crescenti ten-
tativi dovremo, checche altri faccia, la conquista del resto.
Addio fratelli. Abbiatemi vostro
Mazzini a Tacchini e Pelizzari in Alessandria.
Fratelli,
GIUS. MAZZINI
16 die.
Mandai una stretta di mano a tutti i buoni e prodi compagni dell' amico mio
Bezzi : ma sento il bisogno di mandarne un' altra, caldissima, a voi. So la vostra risposta
IL GUERRIERO E L' APOSTOLO 317
agli operai di Alessandria; so la fede dell'anima vostra; so il modo costante con cui
la rappresentate negli atti menomi della vita. Non intendo lodarvi, perchè voi sapete
di compiere un dovere. Ma intendo dirvi, che son lieto di trovare esempi siffatti in
una classe di uomini che amo specialmente da lungo, e nella quale io confido per
l'avvenire della patria comune. Addio. Amate come fratello il vostro
GIUS. MAZZINI
Le lettere seguenti riguardano i moti del '67.
Mazzini a Garibaldi.
Caro Garibaldi, 26-1867.
Ho la vostra del 15.
Concedetemi di dirvi, che non m' aspellava cangiamento siffatto da voi.
Quando vi fu parlato di quel materiale, rispondeste al Comitato Romano : « Quel
che chiedete sarà jalto » .
Rispondeste a me : « Datemi il nome della persona a cui dovranno consegnarsi
gli oggetti e manderò V ordine » .
Con mia del 21 dicembre '66, vi diedi il nome avuto da Roma: e sulla fede
della vostra lettera, 1' individuo fu spedito da Roma a Terni, dove è stato fin' ora.
Oggi negate l'assenza. Perchè ? Perchè non biasimaste allora? Perchè biasimate oggi?
Ciò che dite dei fratelli italiani e di Palermo, non ha che fare con noi.
Il nostro scopo è appunto quello di rimanere soli là, come un violento appello
all' Italia dal Campidoglio ; o di costringere la monarchia che, senza ciò, non v'andrà
mai a entrare. Se Roma fosse emancipata e l' esercito italiano venisse, come venne a
Napoli per levarvi di là, noi naturalmente, non resisteremmo ; ma accetteremmo, con
una protesta per la Metropoli, l' intervento. Dov' è dunque il pericolo ?
Voi ascoltate ogni uomo, fuorché me. E nell' intervallo, Montecchi, Caldesi
ed altri che istituiscono, non so perchè, un terzo Comitato in Roma, devono avervi
svolto, dicendovi Dio sa che cosa.
Sia!
Io mando la vostra lettera, a scarico mio, in Roma. Vedranno il vostro parere ;
non ho premura alcuna e l' avevo già detto più volte ad essi. Ma se persistono,
aiuterò, come potrò.
Per 17 anni, tutti hanno gridato: * Quando i Framesi partiranno faremo » . Lavi
è una pagina onorevole da scrivere, che redimerebbe V Italia dalla vergogna di non aver
tirato un sol colpo di fucile di popolo agli austriaci in Lombardia e nel Veneto e di
ricevere le proprie terre in elemosina dallo straniero. Mi sorprende e m' addolora
il vedere, che non sentite come me.
Pazienza !
Addio. Vostro
GIUS. MAZZINI
318 GARIBALDI E MAZZINI
P. S. - Badate : scrivendo a stampa, io devo dire ciò in cui credo. Ho quindi
parlato di repubblica, soggetto probabilmente del Destro allarme. Ma, su terreno pratico
e nella mia corrispondenza privata, la quistione principale è quella di Roma Capitale.
Il Governo vostro si è vincolato a Firenze. E necessario, dunque, venire a patti. Patti
non si (anno con plebisciti. E necessario, quindi, emancipandosi, fondare un corpo collet-
tivo : Governo Provvisorio o Assemblea, che proponga e discuta.
22 aprile 1867.
Caro Garibaldi,
V ho detto, per debito di coscienza, ciò che credo dovremmo e potremmo fare :
ciò per cui agirei con quanto mi rimane di vita e d' energia.
Ma se dissentite; se persistete a fare senza programma repubblicano,
fate almeno questo, per amore dell' Italia e per onore di Roma. Non plebi-
scito puro e semplice alla Bonaparte, ma condizioni assolute poste alla
monarchia : Roma Metropoli e Patto Nazionale per mezzo di Costituente :
se no no. E il meno che si possa chiedere, pensando al primo articolo dello Statuto : e il
programma adottato dagli amici in Roma : ed ora accettato da Mon. {Monlecchi), benché,
con mia sorpresa, non si accenni nel manifesto.
Addio di nuovo. Vostro
GIUS. MAZZINI
Mazzini a Vent.... in Roma.
30 marzo 1867.
Fratello,
Ebbi la vostra del 23.
È inutile e lo dico a voi e a D., che ringrazio delle sue linee. Io non ho, ne
posso avere le somme, che sarebbero necessarie per compiere l' impresa da per noi ;
e del resto, colla posizione presa dai nostri in Roma sarebbe a un dipresso impossi-
bile, lo, mandando un piccolo aiuto ai nostri, ho, per richiesta loro, promesso un tremila
lire pel momento dell* azione, tanto da potere avere essi qualche cosa indipendentemente
da ciò, che avranno dal nuovo Centro. Non posso revocare quella promessa: ed è tutto
ciò che io poteva fare.
Non credo a fusione assoluta dei nostri ; 1' art. della sv. è andato al di là, ma
credo vero ciò che dicono nella lettera a voi. Il lavoro del nuovo Centro non e' impe-
disce di realizzare il nostro programma. Possiamo andare all'azione concordi. Se nell' azione
i nostri sapranno assumere una parte prominente ; se un certo numero dei nostri capace
di guidare s' introdurrà, venuto il momento, in Roma, dalle barricate sorgerà l' influenza
che dominerà la formazione del Governo Provvisorio. Il popolo combattente segue chi
r ha guidato.
Il nuovo lavoro, appoggiato dal nome di Garibaldi è un fatto, al quale
non possiamo, né dobbiamo contrastare, dacché i nostri di Roma lo accettano.
11. GUERRIERO E L'APOSTOLO 319
Bisogna mantenere i nostri in Roma, saldi al programma ; spingere quanto più è possi-
bile r apostolato repubblicano. Tra gli emigrati romani preparare un piccolo numero
d' individui nostri e capaci di guidar nuclei nell' azione e introdurli, venuto il momento,
in Roma. Ecco tutto per ora. Bisogna lasciare consumare l'esperimento dei nuovi biglietti,
vedere che n' esce e stare in accordo per 1' azione, dichiarando lealmente, che il dì
dopo, ciascuno farà quel che potrà a prò della propria bandiera. Addio per ora.
Vostro
GIUSEPPE
Fratello, 20 luglio 1867.
Ebbi la vostra del 1 3.
Il Com. Naz. è, da quando i Francesi abbandonarono Roma, in contatto diretto
col governo francese e ne riceve istruzioni. A che possa giovare la fusione, pensatelo
VOI. A me pare che tutti insaniscano.
Se Garibaldi non è in pieno accordo col Governo italiano per agire su
Roma, non riescirà nei suoi nuovi disegni. E il lavoro, instaurato dopo il nostro,
atìrà rovinato quanto s' andava facendo, seminato lo sconforto, sperperato uomini e mate-
riale : non altro !
I nostri di Roma son deboli : l' impazienza d' agire in ogni modo, il concerto delle
bande al di fuori, gli accordi subiti, oggi il dire « ci dimettiamo », me lo provano.
Anche in venti o dieci dovrebbero rimanere ; e se, come temo, tutto questo subuglio
di tentativi ci ricaccia in lunghi indugi, rappresentare nettamente d'ora innanzi il principio
repubblicano : qualche bollettino di tempo in tempo, riproduzioni di scritti nostri e
apostolato per quelli, che per le ripetenti delusioni si stancheranno degli altri, son cose
che non richiedono grandi mezzi, ne largo numero. Perchè dimettersi ?
Addio. Bisogna dar tempo al tempo. Bisogna, che gli Italiani si convincano della
necessità d' avere un solo fine, una sola via, una sola direzione e di non disviarsene
ad ogni tanto, com' oggi fanno. Fin là saremo giuoco di governi astuti, di uomini raggi-
ratori o incapaci e di circostanze imprevedute e mutabili.
Vostro
GIUSEPPE
Le lettere seguenti furono scritte fra il '69 ed il '70 ; le trascrivo anch'esse
dagli originali.
Mazzini a Stefano Canzio ed amici di Genova.
Caro Canzio,
Voi e io siamo ora, se non m' illudo, non solamente patrioti, ma un tantino amici.
Comunicate, vi prego, 1' unità ai vostri colleghi.
320 GARIBALDI E MAZZINI
Voi avete in voi una scintilla di genio militare. Convertitela in scintilla di genio
insurrezionale ; e siete sicuro di vincere.
Ma {atelo : in verità, coi fatti che da più mesi hanno luogo, non si dura partito
serio, senza una seria e decisiva battaglia.
Vostro
GIUSEPPE
P. S. - L' amico vi dirà la mia determinazione.
Parto con vero dolore ; ma qui ho l' incerto ; là ho la mia parola impegnata.
Calcolo su voi tutti, perchè se si smaschera l'Alleanza, agiate subito ; e se io giun-
gessi e facessimo calcolo, nel caso di vittoria, sulla rapida azione di Genova ; 1' avete
promesso ai deleg. palermitani ; è essenziale al successo italiano.
Se faceste prima, seguiremo immediatamente : contateci.
Naturalmente, se giungo vi scriverò, avvertendovi. Voi, se avete avviso da mandare,
consegnate a Dagnmo, che manderà per mezzi che abbiamo sul vapore.
Amia,
Non bisogna dissimularci la situazione. Abbiamo perduto una battaglia, senza
averla data.
Abbiamo avuto un' opportunità come l' avevamo invocata, e l' abbiamo lasciata
passare. Colpevole come voi, perchè non sarò io franco? Abbiamo ragionato, fatto piani,
militarizzato, quando bisognava agire. Se il tre, quando i giovani cominciavano le barri-
cate, ci cacciavamo tra il popolo, gridando i nostri nomi, insurrezione, e davamo i nostri
nomi all' Alleanza, di là avevamo le migliaia con noi.
Non possiamo più dir cosa alcuna di Milano : abbiamo fatto quel che hanno fatto là.
Il quattro, tutto il popolo credeva nella battaglia : aspettava i capi. Vi fu, nella
sera, delusione completa.
11 senso di questa delusione è fortissimo : lo è nell'Alleanza : lo è fuori dell'Alleanza.
Il giovine che la sera del 4 cacciò il suo revolver sul tavolo, davanti ai membri del
Comitato dell' Alleanza, dicendo : « ve lo restituisco : tanto, con voi, vedo che non lo
adoprerò mai », esprimeva il senso, che pervade ora gli affiliati dell'Alleanza.
E al di fuori, malgrado tutte le spiegazioni eh' io cerco di dare, questi fatti di
Milano e di Genova riescono fatali : diffondono sconforto e fanno credere alla nostra
impotenza. I Comitati delle grandi città cominciano ad apparire simili al Comitato
Nazionale di Roma coi suoi eterni tentennamenti, col suo eterno dichiararsi pronto e
non esserlo mai.
Bisogna pensarvi seriamente, tanto pel paese che traversa una crisi e può essere
trascinato ogni momento ad infamie, quanto — benché in seconda linea — per l'onore
del Partito Repubblicano, il cui discredito nuocerebbe all' avvenire del paese.
Ciò che abbiamo guadagnato è la prova, che il popolo degli ignoti in Genova è
veramente pronto : ragazzi, uomini e — in Portoria, Ponticello etc. — donne del
popolo. Non si può ormai dubitare che, con noi in piazza e con un nucleo d' armati
IL GUERRIERO E L'APOSTOLO 321
la sommossa non si convertisse in battaglia. Il popolo e' è ; ma s' è avvezzato a udire
dei Capi, e li vuole !
Voi sapete le mie idee. Per me l'opportunità è giunta colla guerra. Ogni giorno
è buono per agire. Probabilmente i rinforzi diminuiranno, s' allontaneranno di nuovo :
le misure di precauzione straordinaria, non durano eterne. Bisogna giovarsi del primo
momento di calma governativa, e fare. Una voce sparsa nei quartieri più energici, che
si fa davvero, li troverà tutti pronti: sono irritati. E se avete bisogno di un tafferuglio
di piazza, coi giovinetti dei Vespri etc, vi è facile crearlo.
E quanto all' Alleanza, ormai le istruzioni devono essere di non aspettare istru-
zioni, nel caso d'agitazione; ma d'armarsi, scendere in piazza, fare barricate, suonare
a stormo, guidare con qualche drappello il popolo alle botteghe degli armaiuoli e pre-
parare pacchi di cartucce pei popolani, che s* armerebbero a quel modo. Vi trove-
ranno in piazza e là riceveranno istruzioni ulteriori. L' ispirazione vi verrà sul terreno.
Quanto a me, l'amico Stefano vi dirà.
Vostro
GIUS. MAZZINI
P. 5. - E indispensabile accrescere il numero delle cartucce. Dovendo armare
i popolani non nostri coi fucili degli armaiuoli o altri, è indispensabile dar loro un
mazzo di cartucce.
Pensate dunque, nuovamente, a provvedere un po' di denaro e un po'di polvere.
Caro Canzio e amici,
Due parole serie sulle conseguenze dell' affare di Milano. Non potete voi, ne gli
altri amici del Comitato accusarmi, a meno d' ingiustizia, d' avventatezza. Ho piantato,
per base di ogni cosa mia fin da principio, che non s' agisse senza l'accordo dei due
elementi, e non ho mai deviato d'una sola linea. Posso errare quindi nelle mie vedute,
ma partono, ad ogni modo, da convinzione profonda.
Fra r iniziativa di Genova e di Milano, io ho sempre preferita la Genovese ; e
accolsi con certo timore la decisione presa in Bologna. Le ragioni erano molte, una
tra r altre, che non esiste in Genova un elemento attivo contrario ; ed esiste in Milano.
Avrei voluto, che l' iniziativa fosse in Genova e Milano seguisse : d' avanti all' esempio
altrui, eravamo certi del seguire di Milano. Questo senso di lieve diffidenza del disegno,
io l'ho lasciato trapelare davanti a voi.
Ma credo debito mio dirvi che sareste, secondo me, in errore, se vi esageraste
l'importanza, quanto alle condizioni generali del fatto milanese; o se credeste, che
Milano non possa seguire una iniziativa vittoriosa altrove.
Ciò che ha nociuto, principalmente in Milano, è stato, non bisogna dimenticarlo,
r improvviso posporsi del meeting un' ora prima dell' ora fissata per il moto. Il meeting
era la parola d'ordine per tutti gli elementi. Il subito mutamento li scompigliò, li divise.
Molli credettero ad un cangiamento di decisione, e se ne andarono per i fatti loro ;
CURÀTULO 21
322 GARIBALDI E MAZZINI
molti videro nel contrordine una scissione scoppiata tra i segnatari della convocazione,
e si ritrassero. Quel contrordine, a tanta poca distanza di tempo, fu fatale ! Gli stessi
amici vostri e nostri si allontanarono dal concetto del muovere. Voi sapete che Pantaleo
s' inframise spontaneo ; quei che lo seguirono, agirono spontanei, lo non dico positiva-
mente, che dovessero farlo : eran là a giudicare ed io non v' era. Non di meno, se
Missori e gli altri nostri si fossero, cominciato quel parapiglia, cacciati in piazza, senza
calcolare sul disegno del Marino fallito o altro, a innalzare barricate, lasciando escire
dalle circostanze un nuovo disegno, non so se la cosa non sarebbe diventala seria davvero.
Il male è certo ; e sta sopratutto nella perdita del materiale. Ma rimane la qui-
stione : può iniziativa uscire da un' altra forte città, Genova ?
Io sono convinto che noi, volendo, possiamo sorgere e vincere. E sono convinto, che
il molo vittorioso di Genova è seguito in Italia dall' Emilia, dalle Romagne, dalle Marche,
dal Sud, da Milano : poi dai punti non calcolati : carrarese, località piemontesi e toscane.
Voi lo credevate come me, giorni addietro. Io Io credo oggi, come allora. Che
cosa è mutato nelle condizioni generali del partito ?
Lascio che in tutte le corrispondenze, in tutti i convegni, gli accordi furono, che
il partito seguirebbe un moto di Milano o di Genova. Lascio che se, invece di Mis-
sori proponente in Bologna l'iniziativa milanese, Genova avesse proposta la propria,
il Congresso avrebbe, senza esitazione, dato la stessa risposta. Ma è della natura delle
cose, eh' io parlo. L' Italia è presta ad insorgere : diffida della possibilità di vincere.
Una vittoria su di un punto importante sopprime per essa quell' unico ostacolo.
E quanto a Milano, tutti quei mezzi che sono necessari a una insurrezione arti-
ficialmente preordinata e iniziatrice, noi sono al seguire. Col fermento popolare, che
nascerebbe dalle nuove insistenti del nostro conflitto, l'insurrezione diventerebbe insur-
rezione di barricate; potrebbe, come furono fino ad oggi tutte le insurrezioni. Ricordatevi,
che non è fra noi italiani, che l' insurrezione è diventata operazione di guerra.
Voi stessi diceste, che se l' insurrezione di Milano avesse luogo vittoriosa o
prolungatamente lottante, l'insurrezione di barricate potrebbe, anche senza tutti i mezzi
preordinati, aver luogo in Genova. Perchè non varrebbe la reciproca ?
Io credo e da lungo, che andiamo dietro a un concetto errato e non abbiamo
afferrato quello dell' insurrezione. Ne abbiamo fatto, ve lo dissi dal primo giorno, un
problema di guerra, e non è. La guerra può venire dopo. Ma il problema d'insur-
rezione si compone principalmente di questi elementi.
Possiamo riescire in Genova ?
Saremo seguili, voi o io dal popolo ? Dagli ignoti ?
Sarà il movimento, trionfante in Genova, seguito altrove ?
Sull'anima mia, con tutto il maturo esame possibile, per tutto quel ch'io so del
Partito organizzato e delle disposizioni generali in Italia, alle tre quistioni rispondo: S).
L' organizzazione in Genova è tanto scelta, tanto diversa da quella d' altri luoghi,
che credo di potere calcolare ciecamente sovr' essa.
Ho toccato in tutti i punti la Consociazione : ho la convinzione sancita, da Casaccia (?)
e altri membri del Consolato, che, due o tre infuori, le numerose società componenti
la Consociazione seguirebbero immediatamente il moto.
IL GUERRIERO E L* APOSTOLO 323
La Marineria verrebbe con noi.
Tutta una classe di giovani di classe media, commercianti, impiegati negli uffici
d' avvocati, procuratori, bottegai etc. seguirebbero dopo breve tempo.
Davanti al popolo sollevato, la truppa si smembra.
Di queste cose ho acquistato lentamente la convinzione.
Quanto all' essere Genova seguita, non vi pongo dubbio. E se v' è cosa, che mi
sorprenda è il vostro dubitarne; il vostro credere che il moto di Milano debba pro-
vocare il seguire italiano e quel di Genova no. Genova ha oggi prestigio forse superiore,
di certo eguale a Milano.
La situazione si riduce dunque sempre a decidere, se Genova è diseredata o no
del diritto e del dovere d' iniziativa in Italia. M' ha sempre sorpreso, e sembrato me-
splicabile in voi, il senso di subalternizzazione inflitto alla città vostra e mia. Con un
popolo come il nostro, coli' assenza unica d' ogni partito nemico, coi mezzi che abbiamo,
con capi come voi, con quel po' di prestigio, che il mio subito apparire in mezzo alle
barricate può esercitare sulla classe operaia, perchè esitiamo ? Perchè voi, che accet-
tavate come opportunità Piacenza, non sentite la ben altra opportunità, che potete
creare ? Perchè ci ostiniamo a lasciar disorganizzare il partito e scoprire, presto o tardi,
inevitabilmente, il materiale raccolto ? Perchè lasciar cadere il discredito sui repub-
blicani, che da oltre un anno parlano di fare e non fanno ? Perchè, mentre gli Italiani
dichiarano Genova la più inoltrata città d' Italia, vogliamo condannarla all' inerzia e a
una taccia d' incapace e d' impotente, che non è meritata ? Rompiamo, per Dio, questo
fascino, che ci tiene immobili e sia la nostra Genova iniziatrice dell' impresa ! Una splen-
dida giornata è quello che si richiede. Abbiamola, e rileviamo al partito la sua potenza.
lo ve ne fo proposta formale. Ve la fo meditatamente : meditate voi pure la vostra
risposta. Essa deve decidere le mie determinazioni. Cosi non può durare. Bisogna, che
qualcuno rompa questo cerchio magico per entro il quale giriamo da un anno e mezzo,
e che uccide, a poco a poco, uomini e forze e fiducia del partito.
Se avrò da voi risposta negativa, penserò s'io debba assumermi, anche solo, la
responsabilità di un fatto nella nostra città, o se devo tra pochissimi giorni andare a
cercare, dove sapete, l' iniziativa, che non ho potuto trovare altrove.
Vostro sempre
GIUS. M.-XZZINI
P. S. - Badate : da Milano mi scrivono, che possono seguire : forse lo diranno
a voi tra pochi giorni. Sapete che Pozza, Scotti, Marcora, Bezzi sono nascosti, ma liberi.
E badate, insisto su questo, il subito posporsi del meeting pose lo sconforto, e
la credenza, che tutto fosse contromandato dagli elementi. I capi non ebbero l'istinto
insurrezionale di scendere in piazza ed iniziar guerra di barricate, dalla quale sarebbe
escito un nuovo disegno. Esagerarsi le conseguenze del fatto sarebne un errore, come
quello d' immobilizzare l'iniziativa dell'insurrezione italiana in Milano.
Bisogno di una vittoria sopra un punto importante ; probabilità d' averla qui. Sono
questi i due motivi, che determinano la mia proposta e mi determineranno (orse a far
324 GARIBALDI E M.AZZINI
/imia,
Ho la vostra.
Trapela da essa un senso del mio operare, eh' è mal (ondato e quindi concedetemi
di ricapitolare, in poche parole, la mia condotta in tutto questo subuglio. Non credo,
e me ne duole come d'un po' d'ingiustizia, che da voi sopratutto mi pesa, che non
mi conosciate ancora.
Voi credete ch'io sproni a bande, ed agitazioni di qualunque sorta, per trasci-
narvi. Se avessi voluto trascinarvi, avrei operato in quel senso sugli elementi di Genova,
non d'altri punti. Ho desiderato vivamente un altro modo di vedere le cose in voi;
ma ho deciso da lungo di non trascinare, fuorché scrivendo per la stampa, anima viva.
La banda delle Calabrie sorse senza eh' io ne sapessi, fuorché dai giornali.
Ignota m' era la banda di Reggio.
Quella di Lugano coi militari nostri doveva apprestarsi per seguire quelle nell'alta
Lombardia, nel convegno del quale l'amico Stefano mi scrisse. Mi celarono la loro
determinazione : la seppi soltanto un giorno e mezzo prima : scrissi protestando, vietando
per quanto poteva : o non giunsi in tempo o non mi badarono.
Pavia, Carrara, etc. m" evano ignote.
Lucca m' aveva offerto moto di tutta la provincia : Pisa lo stesso ; un inviato dalla
Spezia lo stesso. Si trattava d' un disegno collettivo importante ; e accettai. Nondi-
meno, volli aggiungere Livorno. Proposi e accettarono. Ebbi qui l'accettazione dei
quattro punti, scritta e firmata. Fu allora, che diedi istruzioni. Il giorno prima del fis-
sato tre parti mutarono : esitarono. Telegrafai, perchè nessuno facesse, se non facevano
tutti. Scrissi a Firenze, perchè facessero sostare una bamda, che doveva escire simulta-
neamente da Perugia. L' amico C. {Canzio) sa tutto questo. Perchè Tito abbia voluto
egli solo mantenere la parola, non so.
Ecco tutto di me.
Ma voi dimenticate, che poco tempo addietro chiedevate voi stessi bande; che
esortavate a farne escire, purché non sottraessero elementi importanti alle città ; che
dichiaraste, con mia sorpresa, determinazione d' agire, se escivano le due bande pie-
montesi: che approvaste la decisione accettata da Missori etc. di far sorgere bande in
Valtellina. Perchè ora la biasimate, e sembrate attribuire ad essa il non aver voi o
Milano fatto? E in che cosa mai v'impedirono.^
Non temete, del resto, imprudenti premure da me. Stanco di promesse, delusioni,
incertezze, che per me durano dall' aprile dell' anno scorso, non consiglio orma i, né
rispondo. A quei poveri di Milano, che anche ieri mi scrivevano essere imminente
il loro muovere, ho risposto che mi lasciassero in pace : aveva già ripetutamente detto,
che senza l'accordo dei due elementi, io non credeva il riuscire possibile ; né poteva
dir altro. Se facevano, e ci davano, quando che sia, vittoria o lotta protratta, avremmo
fatto il debito nostro.
E così farò con tutti, fuorché col Sud. Là continuo il lavoro, perché mi sento
ancora un po' di fede nelle loro serie intenzioni. Se avrò di là conferma alla decisione
del 25 scorso, farò individualmente il debito mio e v' avvertirò.
IL GUERRIERO E L' APOSTOLO 325
Quanto a nuovi accordi con Missori, lasciatemi dire che non condurranno a cesa
alcuna. Qualunque ne sia la cagione, Missori evidentemente non ha voglia di fare.
E quanto a voi, il semplice fatto di cercar questi nuovi accordi mi convince, che non
farete. Dopo l'ultima gita a Milano, Stefano (Canzio) mi dichiarò, che finalmente
non v' era più bisogno di nuovi convegni : s' era deciso che Genova facendo, Milano
seguirebbe immediatamente e reciprocamente.
Poi, a che gli accordi?
Concedetemi di ripetere, che voi guardate all' insurrezione come guardereste a una
guerra regolata, nella quale bisogna accertare le operazioni di tutti i corpi, la sicu-
rezza dell' ala diritta, della sinistra, il conservarsi della base d' operazione e via così.
Sul terreno del calcolo troverete un nemico sempre con forze maggiori delle vostre.
Per me ho creduto e credo, che una insurrezione sia principalmente un fatto di
calcoli morali. Ho creduto e credo, che il paese è maturo ; che il Governo è sfasciato :
che un fatto splendido e dimostrante forza sarebbe seguito; che Genova e Milano
dovrebbero costituire questo fatto : che poco importa la simultaneità del quarto d'ora :
che come Milano sarebbe seguita da Genova, Genova lo sarebbe inevitabilmente da
Milano, che quando uscirono le prime bande bisognava : o farne escire altre immedia-
tamente, o immediatamente fare in una delle due città ; che se, ogni qualvolta una
opportunità si presenta, corriamo a convegni, accordi, disegni comuni prima di fare,
non faremo mai. L'opportunità passerà.
E un' altra cosa credo : che il Partito non può durare per un anno coli' idea d' un
moto vicino, senza tradirsi o sfasciarsi. Dopo Lucca, Livorno etc. perderemo altri punti,
scoperte seguiranno scoperte : gli elementi si sperderanno. Se m' inganno tanto meglio ! Se
un giorno ancora potrò fare con voi pel paese, benedirò quel giorno. Intanto abbiatemi.
Vostro
GIUS. MAZZINI
Amici,
Non credo oramai più in anima viva sul Continente d'Italia, finche non vedo.
Sono nondimeno nell' obbligo di comunicarvi come stanno le cose.
In Sicilia, in un congresso tenuto il 25 tra delegati di Palermo, Catania, Mes-
sina e Reggio di Calabria (notate che la nostra organizzazione di Reggio abbraccia
Cosenza etc.) è stata decisa l' iniziativa, non fissato il giorno ; ma l' indugio deve essere
brevissimo, e un avviso ultimo mi verrà, probabilmente, fra un giorno o due da
Palermo. Fidano naturalmente in noi per esser tosto seguiti, e per averne certezza mag-
giore, rinunziano alla mia presenza, onde io secondi qui, e soltanto desiderano, che io
vada per due giorni dopo il trionfo di vittoria. Nelle Calabrie sono impazienti di fare
e dichiarano conquistate all'azione Menotti. Il Salernitano promette seguire le Calabrie.
Se nulla accade altrove, io farò di recarmi colà prima, perchè ho fede nella serietà
del lavoro siciliano. Ma intanto, è chiaro che, decisi come sono a prendere l' inizia-
tiva, seguirebbero immediatamente un moto nostro.
Ora, pongo in voi (chiedendovi ancora per due giorni segreto assoluto con tutti
al di fuori del Comitato, tanto che nessuno possa accusarmi di aver nociuto per impru-
326 GARIBALDI E MAZZINI
denza) la decisione presa in iscritto, firmata e veduta da me di agire in Lucca, Pisa,
Spezia, Carrara, etc, nella notte dal sabato alia domenica. Livorno aderì, firmò ; ma
oggi una frazione tentenna e solleva difficoltà di non so quale materiale, che importe-
rebbe un mille lire chieste a me e ch'io, esaurito fino all'ultimo soldo, non ho!
Spero nondimeno, che le difficoltà su quei punti si appianeranno.
Firenze ha preso accordo coi tre punti. Umbria, Marche e Roma seguirebbero subito.
Se attengono la promessa, ho dato fede d' azione tra noi. Fido ciecamente, se
fanno, in voi ; e a ogni modo, se il moto ha luogo, dovessi scendere in piazza con
dieci uomini, lo farò.
Se avrò nuove il sabato mattina, le avrete. Intanto, ben inteso ho avvertito Sicilia,
Calabria, il Napoletano e ogni punto, perchè, in caso di moto nel centro o nel nord,
seguano immediatamente.
Son certo che, facendo noi, determineremo il moto generale ; ma io non insisto
su questo punto.
Addio. Vostro sempre
GIUS.
Caro Canzio,
Ho trovato e vi mantengo la parola.
Per dovere di cronista, e non perchè io creda, vi dirò che in Milano si parla
di fare tra giorni. Il bello è, che uno dei più ardenti di questo nuovo nucleo è un
Membro del Comitato misto, che firmò cogli altri la dimissione.
Ho risposto, che non credo, senza l'accordo, a successo e non m'assumo quindi
responsabilità di consiglio. Che del resto, se faranno e vi sarà vittoria e lotta protratta
Garibaldi risponderà.
Da Sicilia le notizie pubbliche sono sfavorevoli ; manco sempre di notizie dirette.
V è agitazione universale ; paura nel Governo su tutti i punti, aspettazione e,
secondo me, certezza di débàcle per ogni dove, se un punto importante riportasse una
vittoria. Ma credo, che se quelle di Milano sono ciarle e se in Sicilia il progetto è
sventato, unica via di fare rimarrà pur sempre quella di meetings popolari da convocarsi
per farne escire scioglimento, resistenza etc. Contro l' avviso di alcuni fra voi, credo
che un meeting per le gravi tasse o per altro, convocato in pictzza, all' Acquasola o altrove,
annunziato da un migliaio d' affissi, facendo base sulla Consociazione, e di domenica,
trascina, per curiosità o altro, una massa di popolo, come a Bologna. Parli chi vuole,
studenti, operai. Manderò io una lettera da leggersi. Scioglieremo un tantino di resistenza
individuale facile ad organizzarsi. Il partito presto a profittarne ; e da cosa nasce cosa.
E idea da discutersi. Fatelo. Stampa proponeva il 5 maggio l'anniversario di
Quarto, e non vedo perchè la Consociazione, invece d' andare a Quarto, non andrebbe
quel giorno a celebrare in un altro punto.
Parlatene un po' fra voi, e di qualunque cosa che importi, fatemi avvertilo.
Una stretta di mano agli amici.
Vostro tutto
GIUS.
IL GUERRIERO E L'APOSTOLO 327
Il die.
Fratello,
Ebbi la vostra. Non risposi — e lo indovinate di certo — perchè la malattia
me lo impedì. Ma deliberai di spiegare le espressioni che vi spiacquero, pubblicamente,
appena potessi. Lo feci pochi dì sono in una lettera, che io mandai all' Unità, che fu
sequestrata ; ma che spero abbiate veduta. Mandai quella lettera simultaneamente al
Dovere a Napoli e a Palermo. Ignoro, perchè il Dovere non la inserisse.
Quelle linee furono da voi fraintese ! Ammirai i tentativi passati e credo, che
senza quelli non saremmo ove siamo. Ma ora — e voi stesso ne siete convinto —
dobbiamo far altro. Era questo il senso delle mie parole. Concedetemi di credere,
che la mia dichiarazione pubblica vi abbia soddisfatto. E concedetemi di credere
egualmente, che davanti al grande fine cercato da tutti noi ed alla possibilità della
proclamazione della Repubblica in Spagna — opportunità che bisognerebbe cogliere —
voi non vi ritrarrete dal lavoro comune e non darete esempio di scissioni, funeste
sempre ; oggi più che mai.
Vorrei scrivervi più a lungo, ma il farlo mi richiama i dolori, appena sopiti,
allo stomaco.
Vostro sempre
GIUS. MAZZINI
Caro Canzio,
Prima di tutto lasciate, eh' io vi dica che ho avuto vero dolore, quando lessi
inopinatamente sul Mov. {Movimento) la perdita fatta da voi.
Immagino il dolore vostro e quello della povera madre. So che il fanciullo era stato
con essa e voi, poco tempo addietro, a Rapallo, e so che lo amavate molto. Sono di quelle
sciagure per le quali i luoghi comuni di consolazione irritano ; e non v' è da dire, se
non: « mi dolgo con voi: soffrite, ma siate forti per quei che rimangono ». E ve lo
dico col cuore. Sulle cose nostre, so ciò che avete detto all' amico mio : ed è quello
ch'io prevedeva. Canzio, come non sentite, che invece di stare in riserva, appunto per
quelle trattative, urge il fare? Come non sentite, che è l'unica via per salvare
Garibaldi dai pericoli della sua debolezza verso la Monarchia traditrice,
per salvare il paese e noi da una eterna vergogna ? Come non sentite, che
il giorno in cui, anche come custode del potere temporale, la Monarchia
entra con Garibaldi in Roma significa due anni d' indugio al partito ? Come
non sentite la massa dei tiepidi e dei timidi a dire : " è un passo : calma,
pazienza „ ?
Per me, non v'è che conquistare l' iniziativa, agire, rompere tutti i disegni; con-
quistare Garibaldi, col fatto compiuto.
E qui credetemi, Canzio : voi, gli amici ed io in piazza, solleviamo tutto quanto
il popolo di Genova : vinciamo, com' è vero Dio ! lo lo studio questo popolo nei menomi
sintomi : è in esso un istinto, che non resiste all' azione ; l' abbiamo, volendo.
E una battaglia vittoriosa ci dà l' Italia !
328 GARIBALDI E MAZZINI
Non ho esagerato il fatto di Milano. Milano non può iniziare, per la perdita del
materiale : ma segue.
Perchè vogliamo noi pure tentennare sempre e perdere il momento, appunto come
Io hanno perduto non cacciandosi in piazza Missori e gli altri? Perchè Genova, la nostra
Genova, deve essere diseredata dalla iniziativa? Perchè abdichiamo o ci ostiniamo a
farne una città di secondo rango? Una dimostrazione qualunque, suscitata negli ignoti,
per la Convenzione, Stallo, Roma qualunque cosa ; e mentre l' attenzione del Governo
è rivolta là, le operazioni da voi divisate cogli ordinati nostri ed io in piazza colla dimo-
strazione o dove volete, Canzio, credetemi, vinciamo ; e il nostro vincere straccia questo
manto di vergogne, tessuto intorno alla nostra povera Italia.
Una parola vi prego.
Voslro
GIUSEPPE
Caro Canzio,
E bene che sappiate, tanto che non crediate, che io abbia parlato di ciò che
non doveva, che Garibaldi ha scritto ad Aldisio Sammito a Pietraperzia, che si stava
stampando l' opuscolo. Ne ha scritto pure a Pantaleo. Sammito ha mandato la lettera
a Milazzo, e se conoscete Sammito è uno da empirne il mondo.
Se non pensassi che a me individuo, vi giuro che desidererei l' accusa : so che
ne escirei trionfante. Ma la divisione aperta sarebbe oggi fatale a ben altro
che a noi; e in verità, mi riesce inesplicabile il come Garibaldi non pensò
al trionfo della stampa moderata.
Ho scritto a Milazzo, pregando intanto di silenzio assoluto.
Addio.
Vostro sempre
GIUS.
P. S. - Ora ditemi: Mi viene informazione con richiesta di consiglio, che è
imminente una spedizione contro gli Stati Romani, ordinata ed aiutata con mezzi da
Garibaldi, che uno degli agenti principali è Galiani, che il moto deve cominciare dalla
Maremma, che Menotti e voi siete informatissimi. E vero ?
Penso a ciò che mi avete detto dell' idea di scendere in Genova ; se sapevate,
perchè non dirmi del progetto ?
Come sapete, il progetto limitato all' antico programma mi parrebbe colpa e follia.
Ben inteso, la riuscita, quanto a Roma, è impossibile e i risultati sarebbero sconforto
e sviamento del Partito dal segno. Pensateci bene, lo non posso rispondere a chi mi
chiede consiglio, se non quello che ho già detto privatamente e a stampa.
Se poi la cosa è vera, e se (ciò che non credo) ha luogo, vedrò il da farsi a
seconda delle circostanze. Ma vorrei sapere, se entrate nella cosa e con quali intenzioni.
£ impossibile, che col colpo d'occhio che avete, crediate nella riuscita.
ÌL guerriero e L'APOSTOLO 329
Caro Canzio,
Per diverse ragioni, il fatto è rimesso a domenica che segue questa. Vedremo.
Suir idea del domani e sentendo il bisogno di vedervi, mi sono riaccostato. Ma
ora con questo indugio, è forse più prudente partito il non vederci per ora sull' avvi-
cinarsi del fatto ; se persisteranno, ci abboccheremo.
Non avete a dirmi cosa alcuna del vostro contatto con Miss. (Missori) etc, della
corsa di Menotti, e d' altro ?
Ho scritto, ben inteso a norma di quanto mi diceste, per Garibaldi.
Peraltro, un giorno o l'altro, bisognerà pure ch'io mi sfoghi un po' in
amicizia con voi sul modo con cui, senz'ombra di ragione, sono trattato
da lui.
Ciò, del resto, non influisce menomamente su me, quanto alla condotta da tenersi
pel bene ; e sono d' accordo con voi.
Vostro sempre
GIUS.
Caro Canzio,
Proscritta alla lettera di ieri.
Oggi» P^'' viaggiatore già ripartito, ricevo una interminabile lettera da Mil. {Milazzo)
mezza in cifra, annunziandomi, che se possono far domani, faranno ! Si fondano sopra una
serie di piccole cagioni, tra le quali è quella dei coscritti, i quali domani appunto
devono andare ai corpi, dei parenti fuor di se, del concorso etc, poi su paure che
gli animi si lascino sedurre dalle promesse diffuse su Roma.
Ho scritto, ben inteso, disapprovazione assoluta, riflessioni sulla immensa rovina,
che verrebbe dal non riescire etc. Credo non faranno. Ma ve ne avverto per con-
ferma a ciò eh' io diceva ieri a Mis. {Missori). Ritenete ciò che dico. Oltre il mese, io
non ho più voce, ne modo, ne intenzione di trattenere anima viva. A la garde de Dieu!
Non ho creduto di dover dire tutto ciò, eh" io aveva nell'animo ieri a Mis. (Missori).
Ma hanno messo fuori il bollettino d' invito a un meeting, senza indicazione di tempo o di
luogo! Vi pare che proposte nel caso di questo genere, diano credito a un Partito?
Vi pare che quando, in circostanze come queste, si fondano speranze su tattiche sif-
fatte alla stampa, si cammini all'azione? Amico, credete a me: se aspettiamo l'inizia-
tiva di là, e' illudiamo.
Con un' opinione generale come l' attuale è possibile, che non troviamo in noi un
elemento di decisione? E possibile, che non vi venga il bisogno di dire: •< rompia-
mola una volta : lanciamo una dimostrazione qualunque : troviamoci presti : facciamo
iniziare da due o tre dei nostri la resistenza agli arresti o ai soprusi violenti ; e
commciamo ".
Devo confessarvi francamente una cosa.
Questa lunga esitazione mi sembra così inesplicabile in voi, che deve esservi una
ragione speciale. Voi volete il moto iniziato da Garibaldi. Quindi gli indugi.
330 GARIBALDI E MAZZINI
Ma in nome di Dio, Canzio, s' ha da posporre un' azione, che riguarda
una nazione intera, perch' egli non può, per cagioni fisiche scendere a
tempo ? Credete essenziale, eh' egli intervenga nella prima ora del moto ?
Non è lo stesso, s'ei scende il giorno dopo a prendere il posto, che gli
spetta nel Governo Provv., che l' insurrezione trionfando dovrà formare ?
Non vi par meglio quasi, di dargli una prova che finalmente il popolo
italiano è deciso a far davvero ? di lasciare che il popolo stesso proferisca,
primo, il grido Repubblicano, invece di costringerlo a prendere egli l' ini-
ziativa ?
Comunque, caro Canzio, cominciata la guerra, non mettiamo tempo indefinito tra
noi e r azione. Non lasciamo, eh' entri nel Partito l' anarchia della diffidenza o dei
moti d' un solo elemento ; essa diventa inevitabile. Se Mil. (^Milano) ha fatto o fa al
finire del mese, bene : se no facciamo noi.
Non può Genova assumersi questa iniziativa, che comincia a ricordare la favola
dei topi e del gatto? Di Mil. (Milano) siam certi e del resto.
Vostro
GIUS.
19 - 7 - 70.
Amici,
Rompo, per un senso di dovere, il lungo silenzio.
Ignoro, se abbia avuto o no la corsa di Miss. (Missori) tra voi, ma non muterebbe
cosa alcuna alle mie proposte. Se Missori adempirà gì' impegni assunti, sarà seguito, e ho
già scritto per questo in Romagna. Ma un incidente o altro potrebbe impedirlo; e
per questo s' avrebbe da stare.
La posizione vera della questione parmi diversa.
Il dovere è comune. Data l' opportunità, ogni città, che può, deve afferrarla. Oggi
convegni, contatti, promesse d' ogni sorta, accertano che chi inizia, sarà seguito. Deter-
minare che s'aspetterà l' iniziativa dal tal punto è lo stesso, che ridursi volontariamente
da tre o quattro probabilità, ad una.
Suonata l' ora, ogni punto importante faccia, senza aspettare altri. Chi non ha fatto,
seguirà.
Se esciamo da questa semplice posizione di questione, l' ora suonerà. Noi aspet-
teremo uno o due giorni Milano : se per caso non facesse il terzo giorno, manderemo
un viaggiatore : tornerà il quarto : qualunque risposta rechi, nuove deliberazioni con-
sumeranno il quinto. Intanto l' opportunità passerà. È storia d' un passato, che in verità
il Partito, se non vuole cadere nel comico, dovrebbe evitare di rifare.
Milano inizii, se può : seguiremo ; Genova inizii se può : Milano seguirà.
L'opportunità è innegabilmente giunta.
Uno dei più potenti argomenti, che si facevano contro il moto da una moltitudine,
era questo : « In un molo repubblicano, la Francia aggiungerà le sue forze a quelle del
IL GUERRIERO E L'APOSTOLO 331
nostro Governo». Quest'argomento è sfumato. La Francia in guerra sul Reno avrà
ben altro da fare che pensare a noi.
L' opinione pubblica è avversa alla nostra alleanza colla Francia : crede in essa
ed è facile avvalorare questa credenza : credenza del resto fondata per ciò che riguarda
il Re ed i suoi.
L' esercito deve essere, più che mai, disposto a smembrarsi : il commercio antivede,
nella partecipazione alla guerra, rovina.
Ma non si tratta soltanto di opportunità ; si tratta di dovere. Si tratta di salvare
r Italia da una taccia d' infamia : combattere a beneplacito di Luigi Napoleone una guerra
contro r unificazione di un altro popolo : aiutare la Francia ad usurpare la riva sini-
stra del Reno.
Bisogna dunque decidersi a fare, e fare.
11 tempo è mdicato dalla situazione.
Bisogna aspettare, che la guerra sia cominciata e le forze sieno impegnate.
Non bisogna aspettare, che l' alleanza si smascheri.
11 giorno in cui il Re dirà, con un manifesto, l'alleanza con la Francia, dirà pure
che il compenso sarà Roma e l'appoggio francese per una rettificazione verso il Tren-
tino. Lo farà, perchè sa, che senza quello avrebbe contro il paese.
Ma quando lo dirà, perderemo la metà della forza. I moderati, i tiepidi, gì' immo-
rali, diranno: « E un'importante concessione. Viva il Governo!»
Notate, a voi non ho neanche bisogno di dirlo, che la promessa non si compi-
rebbe, probabilmente, che al finir della guerra, cioè non si compirebbe. Ma se anche
si compisse, prima o dopo, il Re, come al tempo del disegno di Gioberti, nel 1849,
non entrerebbe in Roma, se non come vicario temporale del Papa, a sostenerlo invece
della Francia ; Luigi Napoleone, anche volendo e non vuole, non può fare di più. 11
partito clericale, che appoggia la guerra ed appoggia il plebiscito a di lui favore gli
è troppo importante.
Questo, e più di questo il disonore dell' elemosina a prezzo di un' ingiustizia, e
dall' uomo di Mentana ; è ciò che dobbiamo ad ogni patto evitare.
Ciò che vi propongo formalmente è dunque questo :
Non fate dipendere l' azione di Genova dall' iniziativa d' alcuno : dite a Missori,
che sperate eh' ei colga il momento e lo seguirete ; che farete voi pure di coglierlo e
eh' egli, in tal caso, vi seguirà.
Affrettate gli ultimi preparativi per esser pronti a fare nelle ventiquattro ore della
decisione.
Impegnate le due potenze, e quando ci parrà che la minaccia dell' alleanza possa
realizzarsi, facciamo. Quanto a suscitare un incidente, che apra la via — se pure cre-
deremo averne bisogno — è cosa facile: lanciate quei della Giovine Italia o altri a
una dimostrazione e fate escire un cominciamento di resistenza e l'azione.
Son queste le ultime proposte, eh' io posso ora farvi e che io credo degne della
causa che il Governo rappresenta e di voi.
Permettete, eh' io vi chieda risposta positiva. Sono momenti supremi pel paese.
Io non m* arrogo diritti, che non ho ; ma ho, come voi, obblighi morali verso il paese,
332 GARIBALDI E MAZZINI
verso la causa nazionale repubblicana e verso la mia coscienza ! Ho bisogno di sapere
le vostre intenzioni per regolare le mie. E se le circostanze non chiameranno ciascuno
a seguire le proprie ispirazioni prima, ho assoluto bisogno di essere libero dei miei
atti nei primi giorni del mese venturo. Addio, amici.
Vostro sempre
GIUS. MAZZINI
P. S. - Un' ultima osservazione, che dovrebbe trasmettersi a Missori. Se un
termine è determinato all' azione, posso trattenere i nuclei degli impazienti : se si rimane
neir indefinito o nella scelta del momento, lasciata alla volontà d' un individuo qualunque
ei sia, non posso, e me ne lavo le mani. Se, del resto, le manifestazioni continuassero,
e crescenti, bisognerebbe abbreviare e cavarne un partito decisivo.
Laro f^anzio.
Una richiesta seria per voi e per gli amici.
In Milano quasi tutto il materiale è salvo : l'organizzazione resta qual' è : ma come
è naturale, dopo l' accaduto, non minacciano più improntitudini e aspettano desiderosi.
Fra tutte queste imprudenze da un lato e fra 1' aver noi pure — senza colpa, ma
per fatalità di circostanze — parlato da ormai un anno — e segnatamente in Milano,
d' azione imminente senza mai attuarla, mentre anche gli ultimi fatti ci hanno fatto,
checche si dica, guadagnare terreno e opinione di forza nel popolo in generale, il
partito, la parte organizzata, si sfascia.
Un partito — un partito che s' intitola d' azione — non può andare innanzi, che
con programma chiaro, con un metodo e un intento definito ! Noi, da un pezzo in qua,
non ne abbiamo.
Come dissi già una volta :
O determinare un tempo all' iniziativa ; o dichiarare nettamente al partito, che
s'aspetterà indefinitivamente l' iniziativa del Governo e dirgli, che intanto rallenti il lavoro.
O studiare i mezzi per creare da noi stessi l' opportunità che vogliamo.
10 mi sento in debito di adottare una di queste tre vie. Non ho mai insistito, ne
insisto per la prima. La seconda presenta forti danni : un Partito, che ha parlato d azione
propria e a un tratto dichiara di aspettare ciò, che può affacciarsi in due mesi o in
due mesi, abdica. La terza è quella, che io ho suggerito e suggerirei, se non avessi
dichiarato impossibili i meetings, ciò che confesso non intendere.
Intanto — e prima di decidere su ciò che io debbo fare — affaccio delle idee.
11 cinque Maggio è l'anniversario della partenza da Quarto. Supponete, che la Conso-
ciazione celebri al solito modo : supponete, che mercè i miei consigli, la manifestazione
sia anzi numericamente più forte. Il ritorno non potrebbe somministrarci l'opportunità?
Non è diffìcile far nascere necessità di sciogliere da parte del Governo : un grido,
un discorso può crearla. Non è difficile far nascere resistenza, collisione. Le nostre
forze preparate entrerebbero sul campo aperto dell' agitazione e troverebbero le migliaia
in piazza, eccitate.
IL GUERRIERO E L'APOSTOLO 333
Forse, alia proposta della manifestazione, il Governo oggi in allarme osterebbe.
Ma sia che si persistesse, sia che si trasformasse la passeggiata in manifestazione nella
città, sia finalmente che si cedesse protestando, lo svantaggio sarebbe sempre pel Governo.
La tradizione rotta, per il divieto, aumenterebbe il malumore.
Se il Governo invece lasciasse fare non rimarrebbe, che cercare d' impedire che
per discorsi avventati o altro, la manifestazione fosse sciolta fuori della città e modi-
ficare il disegno a seconda del carattere d' insurrezione popolare spontanea, che il moto
assumerebbe. E un affare d' organizzazione.
Fate che si sappia dal Comitato la mia domanda sulle vostre intenzioni a questo
riguardo.
Se mai credeste possibile di giovarvi di quel giorno, c'intenderemo a voce sui
particolari. Se noi credete, sarò libero di anticipare il mio allontanamento più remoto
e darò alla Consociazione consigli diversi per quel giorno.
Spero una risposta.
Vostro amico
GIUSEPPE
Caro Canzio,
Vive nel Cantone Ticino uno dei nostri buonissimi. Luigi Cecchini, che dovete
conoscere. Fu, nell* ultima vostra campagna, luogotenente nella prima legione italiana,
fu ferito il 21 gennaio. Era nel nostro esercito prima, e fu condannato a morte pei
fatti di Pavia e di Piacenza. Non può dunque rientrare ed è per giunta tormentato
anche nel Cantone, dove fu, pochi giorni addietro, cacciato da Lugano, città nella quale
si buscava la vita, e confinato in Bellinzona. Non ha mezzi propri. Esistono più fondi
d' aiuto in Genova ? Potrebbe il Comitato disporre di qualche cosa per lui ? Volete
occuparvene? Se la mia raccomandazione vale, abbiatela caldissima.
in Milano, i nostri ex amici vanno, piuttosto che attingere a fonte italiana, a cercare
ispirazioni da un Cosacco. Se aspettano aiuti dall' Internazionale, fuorché per qualche
sciopero — e probabilmente neanche per quello — stanno freschi ! Ma è dolore, a
ogni modo.
Ciò che vi dissi in Genova, intorno alla zorìa, dura tuttavia. E possibile, dovrei
dire probabile, eh' io debba nparlarvene a tempo non lungo.
Sapete, suppongo, del tentativo di Fari., tentativo ch'io credo inutile, ma al quale
non ho creduto di dover frapporre ostacolo da parte mia. Ma perchè, ad ogni modo,
non può farsi tra gli uomini che lo seguirono un ordinamento indipendente da me,
ma inteso con noi per un momento dato ? Deve, veramente, un' impresa nazionale
dipendere esclusivamente da un uomo ? E non verrebbe egli (Garibaldi) tre
giorni dopo ?
Addio; affetto e stima dal
Vostro
GIUSEPPE
Martedì, St. C.
334 GARIBALDI E MAZZINI
L' importante lettera inedita che qui per ultima trascrivo, fu dettata da
Mazzini negli ultimi giorni della sua travagliata esistenza. Sembra essere 1' ultimo
appello dell' apostolo e in esso non manca, come sempre, il suo sdegno verso
Garibaldi ; e questa volta per essere questi andato a combattere in Francia ,
sviando il partito d' azione in Italia , dove esso avrebbe dovuto proclamare la
repubblica « prima che la monarchia profanasse Roma ! »
31 - 8 - 71.
Cittadino,
Vi sono più che grato dell' invito fattomi, ma non posso accettare , e lasciando
da banda che le mie condizioni di salute e di età non mi consentono più di parlare
in pubblico, ne di dirigere dibattimenti, vi dirò francamente, come deve usarsi tra noi
che cerchiamo il bene, il perchè.
Non credo, che possa escir bene alla parte repubblicana da un Congresso come
voi r avete, con eccellenti intenzioni, ideato. Ciò che importerebbe ora supremamente,
sarebbe che le classi medie, moderate in gran parte, ma per difetto più di intelletto
male informato, che non di cuore, ci sapessero o ci credessero uniti in un giusto pro-
gramma, che sopisse paure e calunnie. Dal Congresso escirà appunto il contrario.
Balzeranno fuori dieci programmi, nove dei quali impauriranno più che mai. Gli uni
parleranno di abolire Dio : noi ci troveremo costretti a protestare. Altri tesseranno le
lodi dell' Internazionale e del Comune parigino ; e quei che sentono con noi dichia-
reranno volersene separare. L* educazione da dirigersi dalla Nazione collettiva o da
lasciarsi all' arbitrio della famiglia, il modo di ordinare il lavoro, dieci altre questioni
sorgeranno, sulle quali le opinioni divergeranno. La maggioranza deciderà, voi direte.
Ma se la maggioranza fosse debole, rimarrà l'opinione funestissima dei partiti, i tiepidi,
i timidi, gli incerti, che formano pure la maggioranza del paese, diranno : intendetevi
prima ; noi intanto non affideremo le nostre sorti all' ignoto, e aspetteremo pazienti.
Aggiungete che, per natura d' uomini, una falsa e pericolosa idea proferita, forse da
tre o quattro individui, acquisterà, per le arti monarchiche ed i terrori borghesi, sem-
bianze di minaccia reale. Ricordate ciò che vi dico : il Congresso, se ha luogo, frutterà
al nemico.
O si tratta d' Apostolato, o si tratta d' Azione. Se d' Apostolato, nessuno può
sperare di mutare le idee con una seduta di Congresso ; è necessario una lunga pre-
dicazione che ogni uomo, quando non v" è altro da fare, deve tentare , dicendo tutto
quello che la coscienza gli detta ; se d' Azione, essa non può escir dal Congresso. Il
Congresso non può che dar la sveglia al Governo e additargli più sempre gli elementi
temibili. Per me, ve lo confesso, non vedo che 1' Azione, dalla quale nel guasto attuale
delle idee, che appunto la lunga inerzia ha lasciato infiltrarsi nel campo, possa escire
r unione. Nella discussione ciascuno sente il proprio diritto di pensar bene o male, e
v'insiste. Nell'azione repubblicana, tutti checche pensino sui particolari, sono trascinati.
IL GUERRIERO E L'APOSTOLO 335
affascinati, se han cuore, ad unirsi ; poi, 1' onnipotenza delle ispirazioni popolari comanda
la concordia intorno a certi principi e a certe norme d* esecuzione. Sul malcontento
generale, scredito del governo, condizione dell' esercito, ogni cosa, il paese è moral-
mente presto all' azione. Manca in tutti la coscienza della propria forza. Perchè esista,
è necessario uno splendido fatto ; è necessario, che una o due importanti città sorgano
e vincano. Vedrete lutti seguire; e l' edilìzio, minato, rovinare come un castello di
carta al quale è sottratta la base.
Ma una insurrezione e una vittoria non s* improvvisano a ora fissa ; è cosa questa,
quando nessuno l'aspetta. E dunque indispensabile uno stato d'agitazione morale, un
grado di fermento. Questo stato, questo grado verranno: verranno dall'estero o dal-
intemo, dalla Questione romana o da altro. Prepararsi mutamente a cogliere, come il
ciuffo della fortuna, l' occasione è per me ora la sola cosa da farsi.
Quell'agitazione esisteva l'anno scorso: le bande, comunque inopportune in prin-
cipio, i tentativi comunque falliti di Piace.iza, di Pavia etc. ne erano i sintomi, lo era
allora in Italia, errante da un punto all'altro, per vedere di crear questo fatto al quale
accenno. Ebbi convegni: ebbi promesse senza fine: poi, per la meglio, richiesto di
danaro per armi o altro, lo diedi alla Sicilia, a Milano, a Bologna, ad Ancona, a
Piacenza : spianai tutte le difficoltà, che via via s' affacciavano : Genova, Milano, Bologna,
le Romagne, la Sicilia scrivevano e lo affermavano solennemente. Nessuno agì : quel
senso d'estrema dubbiezza su noi stessi annullò tre, quattro volte decisioni supreme
prese il dì prima. E cosa strana ma vera; quel senso fu più cospicuo negli ufficiali
superiori garibaldini in Milano e in Genova, che non negli operai e nei giovani subal-
terni. Più, dopo, al proclamarsi della guerra, fu nuovamente deciso di fare : e fu nuova
delusione. Fu allora, eh' io tentai recarmi in Palermo. Sperai da Gaeta, che
il grido di Repubblica proferito in Parigi avrebbe indotto il Partito a seguire
in Italia, prima che la Monarchia profanasse Roma; e il seguito nostro
avrebbe mutato anche le sorti di Francia ; ma il grido di Garibaldi sviò
dal segno e vi trascinò in Francia dove, come io prediceva, le sorti non
potevano mutarsi da alcuno.
Esaurito ogni possibile tentativo, trovata Roma, all' uscir mio da Gaeta,
ebbra della larva di libertà conquistata, mi strinsi nelle spalle e mi rassegnai
dolorosamente all' Apostolato, nel quale m' è inevitabile dire ciò che io credo
vero, piaccia o non piaccia.
Ne posso altro. Non interverrò a Congressi, Commemorazioni, Inaugurazioni di
statue o altro ; mi sembrano inutili o dannosi. L' azione sola può ribattezzare
!' Italia. 1 giovani dovrebbero prepararsi, ordinarsi per ogni dove a piccoli gruppi
armoniosi, cercando contatti amichevoli col popolo e coli' esercito, afferrare rapi-
damente la prima opportunità ed accelerarla con 1' opera loro. S' io vivrò, sarò, nel
momento supremo, dove crederò di poter meglio secondare l' azione dei
generosi, che 1' inizieranno. Quanto a Congressi, non ne conosco che uno :
quello d' un cinquanta o sessanta uomini, noti ai repubblicani e al paese,
indotti a raccogliersi, in un punto dato, per emettere una legge elettorale
336
GARIBALDI E MAZZINI
e convocare, in un dato giorno, il popolo italiano all' elezione d' una Costi-
tuente. Chiamatemi a quello : verrò.
Vi stringo fraternamente la mano e credetemi, nella fede repubblicana,
Vostro
GIUS. MAZZINI
Un cifrario di Mazzini {Dall' autografo).
Tirolo l
Friuli 2
Cadore 3
Trieste 4
Dalmazia 5
Adriatico 6
Venezia 7
Roma 8
Cavour 9
Farini 10
Re 11
Svizzeri 12
Danaro 13
Armi 14
Napoli 15
Genova 16
Kossouth 17
Klapka 18
Ungheria 19
Ungheresi 20
Cento 21
Mille 22
Gennaio 23
Febbraio 24
Marzo 25
Aprile 26
Partenza 27
Arrivo 28
Volontari 29
Napoli 30
Capo 31
Vespro 32
Garibaldi 33
Mazzini 34
Mezzo 35
Piemonte 36
Esercito 37
Brescia 38
Bergamo 39
Valtellina 40
Grigioni 41
Croazia 42
Austriaci 43
Milano 44
Londra 45
Napoleone 46
Deposito 47
VITTORIO EMANUELE II
CAPITOLO XIV.
VITTORIO EMANUELE II E GARIBALDI.
MUTUI RAPPORTI E CARTEGGIO INEDITO.
Giuseppe Mazzini soleva dire che bastava soltanto che Vittorio Emanuele
avesse scritto a Garibaldi, firmandosi: « suo affezionalissimo » , o gli avesse
parlato, battendogli bonariamente la mano sull'omero, perchè l'eroe si arrendesse ;
ed i repubblicani dottrinari più d' una volta apostrofarono Garibaldi, chiaman-
dolo : << eterno fanciullo, cui non bastò la palla d'Aspromonte » .
E certo, che di tutte le grandi figure del nostro Risorgimento, quella che
esercitò una vera influenza sull' animo dell' eroe popolare fu la figura di Vittorio
Emanuele ; e non sarebbe, io penso, un' indagine così difficile a compiersi,
come a prima vista potrebbe sembrare, quella che si proponesse di conoscere
la ragione psicologica per cui Garibaldi, repubblicano, sprezzante ogni grandezza
umana, forte coi forti, subisse il fascino di un re.
Se, anche per esseri superiori, non è facile il sottrarsi al prestigio, che cir-
conda la persona di un Sovrano, non fu certamente questa la ragione della
devozione e della simpatia, che Garibaldi ebbe per Re Vittorio.
Nato l'uno nella Reggia, l'altro nella modesta casa di un marinaio, ave-
vano entrambi, in fondo all' anima, qualche cosa che li accomunava . Di Vit-
torio Emanuele, credo si possa dire che se il caso non lo avesse fatto nascere
re, egli sarebbe stato simile ad una figura romanzesca del cinquecento o ad
uno di quei Capitani medievali, che partivano per la guerra con l' émiante,
che gli cavalcava al fianco. Egli non fu ambizioso, né desideroso del potere ;
tanto meno poi fu un diplomatico, nel senso vero della parola. Tutto quel
cerimoniale di Corte, che la carica di Principe richiede, era per lui una
tortura. Pieno di coraggio, soldato anche nell'aspetto, il mestiere di re gli
era di peso !
CURATOLO 22
338 VITTORIO EMANUELE li E GARIBALDI
Quando un giorno del '66, Enrico Albanese, il quale dopo Aspromonte,
come avremo occasione di vedere, fu più volte presso il Sovrano l'estensore delle
idee di Garibaldi, andò a trovare re Vittorio a Firenze (fervevano in quei
giorni le acri polemiche fra Cialdini e La Marmerà) il re, ad un certo punto,
mostrando chiaramente quale fosse il suo pensiero sulla questione, se ne uscì col
dire : « Se sapeste, caro Albanese, quanto mi pesa questa
livrea di Re » ! '
Nel dicembre del 1855, quando andò a Londra, « sbalordì la Corte
inglese » , come ebbe a scrivere Lord Greville nelle sue Memorie ; e la Regina
inviava allo zio, il re del Belgio, una lettera, che giova qui ripubblicare, perchè
in essa, con verità e vivacità di colori, è dato il ritratto di Vittorio Emanuele.
Castello di Windsor, 5 dicembre 1855.
Carissimo zio,
Mille scuse, se non vi ho scritto ieri per ringraziarvi della vostra buona lettera;
ma venerdì e sabato tutto il mio tempo fu preso dal mio real fratello il Re di Sardegna,
e dopo ho avuto molto da lavorare per guadagnare il tempo perduto. Egli ci lascia
domani, ad un' ora poco ordinaria, le 4 a. m., come voi slesso faceste una volta o due,
perchè desidera essere a Compiègne domani notte e martedì a Torino. Egli è « eine
ganz besondere abenteurliche Erscheìnung » le cui maniere ed apparenze stupe-
fanno da principio ; ma come dice Aumale, il faut l'aimer quand on le connaìt
blen. E franco, aperto, tutto d' un pezzo, liberale e tollerante, e pieno di buon senso.
Non manca mai di parola e ci si può fidare in lui; ma è selvaggio e stravagante,
appassionalo di avventure e di pericoli, e con un modo di fare secco, breve e ruvido,
che ricorda, esagerato, quello del suo povero fratello. In società è timido, il che lo
rende anche più brusco ; non essendo mai fin' ora uscito di patria, ed avendo frequen-
tato poca gente, non sa cosa dire a tutti quelli che gli sono presentati ; momento tanto
poco piacevole, come so per esperienza. Egli è sinceramente devoto alla famiglia
Orleans, particolarmente ad Aumale e sarà per loro un amico ed un consigliere. Oggi
riceverà l' ordine della Giarrettiera. Egli è più un Cavaliere o un re del Medio
Evo, che un uomo dei tempi nostri. '
Le passioni principali di Vittorio Emanuele furono la caccia, i cavalli e....
r eterno femminino ! Nel 1 860, fece la campagna dell' Umbria accompagnato
' Da una conversazione da me avuta col prof. Manfredi Albanese, figlio dell' illustre
patriota siciliano.
' The Lettera of Queen Victoria- London, 1908, voi. 111. pagg. 155-156.
MUTUI RAPPORTI E CARIEGGIO INEDITO 339
dalla Signora, come egli chiamava la bella Rosina, divenuta poi contessa Mira-
fiori ; quella Rosina che il re aveva veduto la prima volta nel Castello di Racconigi,
ragazza a quindici anni, di cui s' innamorò pazzamente e la quale esercitò sempre
suir animo del Sovrano una grande influenza ; che però non usò per nuocere
o intrigare, come Madame de Pompadour o la Dubarry.
11 generale Della Rocca, che segui il re nella campagna del '60, così
descrive la bella Rosina : « Quantunque fosse già da 1 4 anni con Vittorio
Emanuele e toccasse la trentina, essa dimostrava di essere molto più giovane
e conservava la sua bellezza ; vestiva però in modo teatrale, senza garbo, né
grazia. Rammento che una mattina, non avendo terminato il mio lavoro col
re, egli mi trattenne a colazione per continuarlo dopo. La Rosina venne a
tavola con una veste da camera larga e lunga oltre misura ; in capo aveva un
diadema di brillanti, una collana di perle le scendeva sulla vita, e i polsi e le
dita erano sopraccariche di gemme. Mi fece un po' il viso dell' arme ; ce l'aveva
con me, perchè sebbene io 1' avessi conosciuta da piccola, non m' ero più fatto
vedere da lei, dopo che era col re».
Le qualità romanzesche di Vittorio Emanuele dovevano renderlo personal-
mente simpatico ad un uomo della tempra di Garibaldi ; il quale, e questa
fu la causa vera dell' unione di queste due gigantesche figure, era fermamente con-
vinto, che r indipendenza e 1' unità d' Italia non sarebbero state possibili senza
r alleanza della rivoluzione col re del libero Piemonte. Se Garibaldi non avesse
avuto un profondo intuito della necessità del presente, un vero senno politico;
se non avesse nutrito quest' intimo convincimento, per il quale egli aveva rinunziato
alla sua fede di repubblicano, l' unità d' Italia, come dissi altrove, non si
sarebbe fatta.
Il brano autografo, trascritto nel Capitolo 11, ci ha mostrato quale fosse il
programma dell'eroe, fin da quando egli, dopo il secondo esilio, ritornava
definitivamente in patria: unirsi al Piemonte. D'allora in poi, il suo motto fu
sempre « Italia e Vittorio Emanuele » e, liberato il regno delle Due Sicilie,
con r anima lacerata per il trattamento, che si faceva ai suoi compagni d'arme,
il suo grido ed il suo programma rimasero immutati.
Nel novembre del 1 860, il giorno dopo del suo ritorno a Caprera, alle nume-
rose lettere e telegrammi, che lo invitavano a ritornare in Napoli, Garibaldi
rispondeva col seguente nobilissimo proclama, che venne allora pubblicato.
' Generale Enrico Della Rocca - Loco citato, pagg. 64 e 65.
340 VITTORIO EMANUELE II E GARIBALDI
GARIBALDI AL POPOLO NAPOLETANO.
Caprera, 1 1 novembre 1 860.
Italiani di Napoli,
Se allontanandomi da voi provai dispiacere, Io sa Iddio. Ciononostante la mia
missione presso di voi era termmata e dovetti prendere congedo. Lo feci col cuore
infranto.
Ora, con le vostre lagnanze, aumentate il mio dolore e mi chiedete di ritornare in
mezzo a voi. Io non Io posso amici miei, perchè promisi a me medesimo di non fare
ostacolo colla mia presenza alla vostra prosperità, che si compirà sotto lo scettro del
Re galantuomo.
Credetemi adunque ; se la mia missione è questa : di liberare i popoli italiani dalla
schiavitù e dalla tirannia, io la feci, o Napoletani, per mezzo delle vostre forze e del
vostro coraggio.
Sì, voi siete liberi, e la mia presenza in mezzo a voi non sarebbe di nessun profitto ;
sarebbe un ritardo al vostro miglioramento. Voi foste ancora più felici degli altri, poiché
vi sono italiani tutt' ora nella schiavitù.
Perchè v' inquietate ? Perchè mi richiamate senza bisogno ? Lasciate che per alcuni
mesi riposi il mio corpo e il mio spirito, perchè altre fatiche mi aspettano ; altri lavori
ed altre sofferenze ! Ma ciò non è nulla ; si tratta dell' Italia ed è per I* ItaHa, che si
consuma la mia vita.
Roma e Venezia aspettano il mio aiuto. Esse pure fanno parte dell' Italia ; i loro
abitanti sono nostri fratelli e gemono tutt' ora sotto la dura schiavitù dell' Austria.
Lasciatemi riprendere la lena necessaria per far fronte alla tempesta che minaccia.
Sentite il leone che rugge ? Il suo ruggito è di rabbia, poiché conosce che il suo
orgoglio sta per essere abbattuto. Egli teme questo braccio, che Dio fece p>ossente
per abbattere il suo orgoglio brutale.
Vedete i nipoti degli antichi romani ? 11 sangue dei loro avi scorre ancora nelle
loro vene ; ma furono rovesciati per terra, col volto nel fango e carichi di un peso,
che li tiene tuttavia oppressi. Essi hanno bisogno di una mano, che li aiuti a rialzarsi
e a riprendere la loro fierezza, e questa mano ha d' uopo di riposo per ricuperare la
(orza, che gli è necessaria.
Che la ragione e la filantropia cedano il luogo all' amore, che nutrite per me. Io
ritornerò in mezzo a voi da qui a qualche mese. Mi rivedrete ancora ; ma allora mi
abbisognerà una prova del vostro amore.
Se è vero che voi mi amate, del che non dubito, seguitemi miei cari, seguitemi,
allorquando ci riuniremo per liberare i nostri fratelli di Roma e di Venezia, e tutti,
contenti, uniti gli uni agli altri, faremo l' Italia una, indipendente, e degli Italiani sotto
lo scettro del Re galantuomo, Vittorio Emanuele II.
Addio ! alla fine di marzo ci abbracceremo.
a GARIBALDI
MUTUI RAPPORTI E CARTEGGIO INEDITO 341
E pochi giorni dopo, il 28 novembre, lanciava il seguente appello. {Vedi
facsimile).
Appello di Garibaldi agli Italiani.
ITALIA E VITTORIO EMANUELE
Gl'Italiani non devono staccarsi da questo programma:
Vittorio Emanuele è il solo indispensabile in Italia, colui, attorno al quale
decono rannodarsi tutti gli uomini della nostra penisola, che ne vogliono il
bene. Io non mi curo che il Ministero si chiami Cavour o Cattaneo — ciò
che mi preme e che devono esigere inesorabilmente gì' Italiani tutti si è : che
il r di marzo 1861 trovi Vittorio Emanuele alla testa di cinquecentomila
soldati.
Questo nobile appello fu allora pubblicato nel « Movimento ». Ma
fra r autografo e la pubblicazione che quel giornale ne fece, vi è una discor-
danza. Nel primo si legge : Io non mi curo, che il Ministero si chiami Cavour
o Cattaneo, mentre nella pubblicazione del « Movimento » è detto : Io non
mi curo che il Ministero si chiami Cavour o Cattaneo (assai preferibile il
secondo). E, probabile, che il Generale abbia dopo aggiunto la frase, che manca
neir autografo, scritto di primo getto.
Infine, in una lettera del 29 dicembre, scriveva al Bellazzi :
« Nella sacra via che si segue, io desidero che scomparisca ogni indizio
di partiti. I nostri antagonisti sono un partito ; essi vogliono l' Italia fatta da loro
con il concorso dello straniero e senza di noi. Noi siamo la Nazione :
non vogliamo altro capo che Vittorio Emanuele e non esclu-
diamo nessun italiano, che voglia francamente come noi >^.
Ma a dimostrare ancora meglio, quello che del Re pensava Garibaldi, è
bene il leggere i due seguenti brani autografi inediti, che tolgo dal mio Archivio,
il primo fa parte di un lungo scritto del Generale sulla guerra del '59.
Giudizi inediti di Garibaldi su Vittorio Emanuele.
« // re, che io credo l'unico uomo di capacità vera fra quanti sono al
timone delle cose, ma che per disgrazia dell' Italia, egli crede non esserlo, si
lascia traviare da faccendieri ».
342 VITTORIO EMANUELE 11 E GARIBALDI
L' altro brano vergato due anni dopo, quando il partito moderato cercava di
influire sull' animo del re, suona così :
« Vittorio Emanuele con la Nazione sarà sempre amato, sarà arbitro della
Europa e la sua dinastia sarà etema in Italia. Ma egli, con i moderati
(s' intende moderati per fare il bene, ma leoni per fare il male) e con
un esercito di carabinieri, sarà sempre addolorato da rivoluzioni ed in pericolo
la sua dinastia.
G. GARIBALDI
Caprera, 2 novembre 1861 ».
Dopo la tragedia di Aspromonte, Garibaldi ebbe verso Vittorio Emanuele
impeti di sdegno e di dolore, che egli, ancora la palla nelle carni, cantò sulla
cetra rosseggiante di sangue. Ma quest' impeti di sdegno cantati in intimo colloquio
con se medesimo, non erano se non il risentimento, acre quanto si vuole, verso
una persona, che si è amata e che si ama ancora. Tale non fu lo sdegno
di Garibaldi contro Cavour, contro i repubblicani intransigenti e contro lo stesso
Mazzini ; sdegno che 1' eroe consacrò in lunghe pagine, ancora inedite, che la
Storia dovrà un giorno pure conoscere.
Disse il Pascoli, a proposito del Poema di Garibaldi : « Egli, non disse
ad altri parole amare sul galantuomo ; a sé medesimo le disse : amare, ironiche,
anche atroci parole. Ritorna anche all' accusa fatta a Cavour :
A dar battaglia ei viene
A chi del mondo la prima corona
Pose ai suoi piedi.
Sembra davvero di sentire alle pendici del Palatino, nel vespro tacito e
luminoso del primo giorno di Roma, dopo 1' augusto augurio della sacra aratura,
r aspro rissare dei due divini fratelli ! Due fratelli sì, e concordi sino allora ed
anche dopo ; due grandi audacie : due possenti predatori di regni, in nome del
diritto ! »
*
Che fra Vittorio Emanuele e Garibaldi vi fosse stata, nel I 860, una serie
vicendevole di ambascerie non s' ignorava ; il fatto ci era stato anche recentemente
confermato dalla pubblicazione del carteggio di Michele Amari.
MUTUI RAPPORTI E CARTEGGIO INEDITO 343
Gli ambasciatori fra i due grandi personaggi furono il conte Michele Amari,
cugino dello storico, rimasto in Genova quale rappresentante ufficiale di Gari-
baldi ; il conte Vimercati, ufficiale di ordinanza del re, il Brambilla ed anche
il Tiirr ; il quale, essendo stato obbligato a lasciare per qualche tempo la Sicilia
ed a recarsi ad Aix-les-Bains ad intraprendere una cura passò da Torino
e si recò presso S. M. ad esporre le idee del Generale.
Ma r ambasciatore accreditato fra Vittorio Emanuele e Garibaldi fu il
cremonese, marchese Gaspare Trecchi ; il quale, per meglio disimpegnare la
sua missione, aveva la carica di Aiutante di campo di Sua Maestà e al
tempo stesso quella di capitano dello Stato Maggiore di Garibaldi. Appassionato
anch' egli per la caccia e per i cavalli, il Trecchi era persona molto gradita
a Vittorio Emanuele e devota al Garibaldi, ai cui ordini aveva combattuto
r anno innanzi nel corpo dei Cacciatori delle Alpi. La recente pubblicazione
delle carte del Trecchi ha, in parte, mostrato quale sia stata 1' opera di lui
durante la campagna di Sicilia.
Quello però, che s' ignorava si è, che vi fosse stato un vero carteggio
personale fra il re e Garibaldi, senza la compartecipazione di Cavour, talvolta
contro Cavour. Questo carteggio prova, che se il 1 860 fu per Giuseppe Mazzini
r anno della più grande amarezza e per il conte di Cavour la palestra della
sua politica, esso fu Tanno in cui Re ed Eroe cospirarono insieme contro tutta
r Europa reazionaria, insofferenti entrambi, questi due magnanimi cuori di soldati
quali erano, da ogni diplomazia interna o straniera.
Dopo mezzo secolo, alcuni modesti fogli di carta, senza inutili stemmi,
vergati dalla maschia scrittura di un re e passati nelle mani del più nobile
figlio del popolo, mdurite per la libertà degli oppressi, vengono alla luce a
testimoniare quella comunanza d' intenti, quell' unità di sentire, che nei giorni
più memorabih dell' azione, unì Principe e Popolo e per cui l' Italia divenne
libera ed una. Essi innalzano la figura di Vittorio Emanuele ; di questo
Sovrano che, pur cospirando, conobbe la saggezza e che seppe essere Re ; ed
aggiungono una nuova e più fulgida pagina nella vita di Garibaldi, che ad
ogni giusto ed umano risentimento, antepose soltanto il sacro amore per la
Patria ; che seppe essere Eroe. Perchè, in verità, è con l' animo invaso da
un sentimento profondo di tristezza, che si legge 1* ultima lettera scritta.
' G. Manacorda - Vitlorìo Emanuele II e Garibaldi nel 1860. In -^ Nuova .Antologia »,
I" giugno 1910.
344 VITTORIO EMANUELE II E GARIBALDI
nel 1 860, da Vittorio Emanuele al glorioso Duce dei Mille, due giorni avanti
che questi ritornasse all' isola prediletta, modesto nella sua gloria, povero come
era partito.
Quando si pensa alla miracolosa opera da quest' uomo compiuta nello
svolgersi di pochi mesi, alla sua lealtà, al suo magnanimo disinteresse, il rifiuto
da parte del re alla domanda fatta da Garibaldi, di essere nominato, ne! supremo
interesse del paese, luogotenente di quel regno, che egli aveva conquistato e
donato, non può che apparire inopportuno.
Si consideri, che se il regno delle Due Sicilie era stato liberato dal giogo
dei Borboni, cosi non poteva dirsi della grande corruzione, che quel governo
nefasto aveva lungamente esercitato su tutti i pubblici poteri ; onde, il concen-
trare, temporaneamente, la direzione di ogni cosa nelle mani di un uomo non
soltanto abile, ma davanti al quale ognuno s' inchinava, per il fascino del nome
e la grandezza delle opere compiute, sarebbe stata opera antiveggente di senno
politico ed era suprema necessità del momento. E chi, se non Garibaldi, poteva
in se riunire tali qualità?
Ma, nella storia del nostro Risorgimento, ciascun personaggio aveva la sua
missione da compiere ; e Garibaldi doveva essere 1' eroe di quella grande
epopea. Dopo i giorni della gloria, se Garibaldi fosse rimasto in Napoli, fra le
meschine lotte dei partiti, si sarebbe impicciolito. Quello non era più campo
per lui !
Caprera, lo scoglio venturoso, fu allora come sempre, per quella grande
anima latina il nobile rifugio, la terra dalla quale, come Anteo, egli doveva
riprendere le forze per continuare la missione, che la provvidenza gli aveva
assegnato.
Se gli eventi della Storia dovessero giudicarsi dal lato del sentimento, la
lettera che Re Vittorio scrisse il 7 novembre del '60, per quanto redatta in
forma affettuosa è — perchè non dirlo ? — una lettera di congedo all' uomo,
che con le sue gesta aveva conquistato e donato un regno ; onde essa potrebbe
apparire una pagina non bella per la storia della Monarchia ! Ma, come disse
un giorno Francesco Crispi, queste sono macchie, che non salgono in alto ;
ma si arrestano sotto i gradini del trono. Quella lettera e molti degli atti
compiuti dal re in quei giorni animati, più che mai, dal turbine della passione,
non vennero dettali dal cuore di Vittorio Emanuele ; ma gli furono suggeriti
da coloro, che gli stavano intorno.
Il Comitato regionale piemontese della Società Nazionale per la Storia del
Risorgimento Italiano, in occasione del centenario di Camillo Cavour, pubbli-
^.
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Lettera di Vittorio Emanuele a Garibaldi
portata in Palermo dal conte Michele Amari, nella prima metà del luglio 1860. (Vedi pag. 347).
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Promemoria autografo di Vittorio Emanuele consegnato al conte Michele Amari,
e contenente le idee da esporre a Garibaldi. (Vedi pag. 348).
MUTUI RAPPORTI E CARTEGGIO INEDITO 345
cava uno scritto apologetico del grande statista, in cui si parla della « compagnia
malvagia e scempia», che attorniava Garibaldi nel 1860. Acri parole, che
sono da riprovarsi in coloro che oggi si accingono a studiare, con animo libero,
gli avvenimenti di quell'epoca ; onde bene fu, che l'ultimo pensiero di uno fra i
più venerati dei Mille, di Giuseppe Cesare Abba, fosse rivolto a quella « compagnia
malvagia e scempia, che attorniava Garibaldi e che dava all'Italia la sua unità ! >*
In verità, se compagnia malvagia vi fu, in quei giorni memorabili, essa fu
quella che, al bene della patria ed alla concordia degli animi, antepose la
passione di parte e la gelosia di corpo ; quella che circondò e male consigliò
Vittorio Emanuele ; che seminò la discordia ed allontanò i cuori, creando quel
dissidio, divenuto poscia gigante, fra 1' Esercito regolare e gli avanzi dell'armata
di Garibaldi. Fu essa, la compagnia malvagia, che amareggiò il cuore del
re e quello di Garibaldi !
Giuseppe Guerzoni, storico imparziale, scrive : « Vittorio Ejnanuele, mal
consigliato, mancò spesso in Napoli alle forme di cortesia, che sarebbero state,
in quel caso, anche le forme della buona politica ».
Si fece sloggiare Alessandro Dumas dal palazzetto di Chiatamone, che il
Generale gli aveva prestato ; il dittatore mandava al Giornale Ufficiale alcuni
decreti per essere pubblicati e gli si nspondeva, che il Ministero dell' Interno,
per ordine superiore, aveva proibito 1' inserzione di nuovi decreti ; si fece scrivere
al generale Della Rocca un ordine del giorno di encomio all' esercito garibaldino,
che poteva e doveva essere scritto dal re stesso ; ed il 6 novembre, quando
Garibaldi passò in rivista i gloriosi superstiti di quel pugno di prodi, che aveva
affrontato la morte soltanto per la realizzazione di un grande ideale, si attese invano
che il re venisse ad onorare di un suo sguardo i valorosi di Calatafimi e del Volturno.
E come se ciò non bastasse, in quel giorno stesso si emanò il decreto, che nomi-
nava Luogotenente generale del Napoletano l'autore del proclama del 9 ottobre ;
di quel proclama, che aveva generato grande amarezza nell' anima di Gari-
baldi ed impeti di sdegno nel corpo dei volontari ; proprio in quel giorno, dico,
si nominava Farini al posto, che era stato rifiutato a Garibaldi. E Farini
annunziava ai Napoletani la sua nuova carica, dimenticando perfino di nominare
Garibaldi, come lo si fece più tardi dimenticare al re, nel suo proclama ai
Palermitani !
Ma abbiamo, sul proposito, una testimonianza ed un giudizio assai più impor-
tanti ed ancora meno sospetti : quelli di un Aiutante di campo del re.
« Il colonnello Genova di Revel, scrive il generale Della Rocca, mi aveva
accusato di avere fatto opposizione al Fanti, riguardo allo scioglimento dell'esercito
346 VITTORIO EMANUELE II E GARIBALDI
garibaldino e di avere suggerito al re soverchia indulgenza verso l'armata meri-
dionale, a danno di quella regolare. Il Fanti, sempre Ministro della guerra,
quantunque capo di Stato Maggiore del re, prevedendo i disordini e gì' impicci
che avrebbero cagionato i volontari a guerra finita, faceva, certamente non a torto,
qualche pressione sul re, affinchè si decidesse a scioglierli subito. A Vittorio
Emanuele, che riconosceva i grandi servigi resi dal Garibaldi e la perfetta
lealtà e generosità di lui, repugnava una troppo pronta, anzi precipitosa riso-
luzione a jar cosa, che senza dubbio gli sarebbe dispiaciuta. Rammento benis-
simo, che mi disse in quei giorni : « Mi spingono troppo, mi fanno fare
cattiva figura : io non voglio assolutamente essere da meno del
Garibaldi, in generosità ». Queste impressioni, affatto personali, di Vittorio
Emanuele, nessuno gliele suggeriva, e io certamente non potevo contraddirlo,
anzi forse ne sentivo l'influenza; ammirato, come ero anch'io, della condotta
di Garibaldi, che verso di me, sotto Capua, non avrebbe potuto essere più corretta
e più nobile. E siccome egli, nei suoi proclami, parlando dell' Esercito piemontese
si era espresso con le parole : — / nostri fratelli — anch' io, dovendo emanare
un ordine del giorno alle mie truppe, dopo la presa di Capua, credetti conve-
niente e giusto di chiamare i garibaldini — 1' Armata sorella — , da questa
espressione, che dispiacque al colonnello di Revel e da qualche mia dimostra-
zione di affettuosa riverenza verso Garibaldi, egli traeva la conseguenza, che io
fossi più favorevole agi' interessi dei volontari, che a quelli dell' Esercito regolare
a cui appartenevo ».
Lo schietto parlare dell' Aiutante di campo di Sua Maestà è la migliore
testimonianza per provare, che se nel '60 certi meriti ebbero coloro che attor-
niavano il re, (come in epoca posteriore nel '62 ad Aspromonte e nel '67 a
Mentana) questi meriti essi se li fecero a spese del cuore di Vittorio Emanuele
e della magnanimità di Garibaldi.
Ma, senza oltre indugiarmi, trascrivo dagli aulogréifi del mio Archivio, e per
ordine cronologico, le lettere di Re Vittorio, facendo seguire a ciascuna di
esse un breve e necessario commento. A meglio illustrare i rapporti fra re e
Garibaldi, mi parve utile pubblicare anche in questo Capitolo alcuni documenti
di epoca posteriore che trovansi nella mia raccolta.
I facsimili riproducono le lettere del re nella loro grandezza naturale.
* Generale E. Della Rocca - Autobiografia di un Veterano, voi. II, pag. 88-89.
MUTUI RAPPORTI E CARTEGGIO INEDITO 347
VITTORIO EMANUELE A GARIBALDI.
Caro Garibaldi,
Vi mando Amari che ricevetti solo guest' oggi, 8 luglio, per ragioni a
lui note.
Fate il piacere di ascoltarlo attentamente nelle cose, che vi dirà da parte
mia e di farmi subito risposta. Più tardi vi manderò Trecchi con nuove notizie.
Grazie di quel che avete fatto voi ed i vostri per la nostra patria comune. Spero
in Dio e in noi, che la Stella d' Italia continuerà ad illuminarci.
Conservatemi la vostra cara amicizia.
VITTORIO EMANUELE
L* Amari di cui si parla è il conte Michele Amari rimasto, come già dissi,
a Genova in qualità di rappresentante officiale di Garibaldi. La lettera è senza
data ; ma credo sia stata scritta verso i primi di luglio, perchè in quell' epoca
r Amari partì per la Sicilia, da dove dovette ritornare verso il 20 luglio. Infatti,
in data del 22, scriveva da Genova al cugino, suo omonimo, a Palermo :
« Ritornato da Palermo fui dal re ; egli mi accolse come un antico suo amico ;
tu saresti diventato suo intimo, perchè, oltre alle belle doti del tuo ingegno, hai
quel pregio che a Vittorio Emanuele piace assai ; essere cacciatore. Io andai a
trovarlo sulle montagne di Valdieri. Mi parlò della Sicilia. Invidiava Garibaldi
ed avrebbe desiderato potere menare le sue mani, tale quale fa il nizzardo
Generale. Vittorio Emanuele davvero ama Garibaldi .... Ti avverto che
Cavour, ogni volta che mi vede, mi domanda tue nuove, e quando seppie che
tu eri al Ministero, ne mostrò vero piacere ....».'
Pur troppo i soliti puntini, messi nel punto più culminante della lettera,
fanno perdere al documento quasi tutta la sua importanza !
Che Vittorio Emanuele, alle notizie delle gesta di Garibaldi, desiderasse
anch'egli di menar le mani lo apprendiamo da una lettera inedita del mio Archivio,
' A. D'Ancona - Carteggio di Michele Amari, voi. li, pag. 108.
348 VITTORIO EMANUELE II E GARIBALDI
del 21 giugno, diretta da Vecchi a Garibaldi, nella quale fra l'altro si dice: « Pagai
franchi 250 al Castaldi pel cavallo, che Cenni aveva fatto dubitare. Suo fratello,
vostro aiutante, tornato qui, fu fatto in premio, tenente di vascello. Re Vittorio,
saputolo in Torino, lo mandò a chiamare per sapere, da un testimone oculare,
tutti i particolari della spedizione vostra. Die un pugno sul tavolino e
disse : « E mi stai si, intant che el me amis Garibaldi s' batt, a fé
la ciulla ». — Rotava gli occhi nelle orbite a far paura. Promise ci
avrebbe fatto spedire armi e munizioni. E stimo le abbiate subito ricevute ».
VITTORIO EMANUELE A GARIBALDI.
II.
Riguardo alla lega non accetto ; strascinerò in lungo, facendo proposte e
contro proposte che lui non possa accettare.
Riguardo ad impedire Garibaldi di continuare, secondo la domanda della
Francia, mi ci sono opposto.
Fare subito annessione e manderò Depretis.
Non fidarsi che di me e di nessun altro.
Non partire per Spedizione di Napoli senza che io lo sappia, per non
imbrogliare i miei progetti e per essere sempre di accordo.
Stabilita lega tra Austria, Russia e Prussia contro di me per guest' anno
venturo.
Io prendo le mie misure per fare convenzione con la Francia, per fare
attaccare V Austria sul Reno, quando mi attaccherà.
Tanti saluti al mio amico Garibaldi.
VITTORIO EMANUELE
Non occorre, che mi soffermi lungamente per rilevare la grande importanza
di questo autografo, consegnato, credo, a Garibaldi dallo stesso Amari. In esso
Vittorio Emanuele annotò le idee, che dovevano essere comunicate al dittatore
dall'Amari. Questi lasciò nelle mani di Garibaldi il compromettente foglio.
E da escludersi, che esso sia stato portato dal Trecchi ; il quale, sia detto
incidentalmente, aveva dato le dimissioni di capitano di cavalleria il 1 4 giugno,
ed era subito partito per la Sicilia ; il 1 6 lo troviamo a Cagliari ed il 19 a
Palermo. Poi, con decreto del 20, Garibaldi lo nominò capitano di Stato Maggiore.
.<^
.^^-^PT^-^^C^
Lettera di Vittorio Emanuele a Garibaldi dopo che questi era eni.ato in Napoli. (Vedi pag. 351)
MUTUI RAPPORTI E CARTEGGIO INEDITO 349
Ma la presenza del Treccili a Palermo non fu che di pochi giorni : il dittatore lo
utilizzò tosto, inviandolo a Torino con missione presso Sua Maestà di nominare un
prodittatore. « Va il maggiore Trecchi, scriveva Garibaldi, in data del 2 luglio,
in missione importante presso S. M. Vittorio Emanuele » . Fra i nomi dei prodit-
tatori, che Trecchi portava segnati di mano di Garibaldi era quello del Depretis.
Il 6 luglio, Trecchi scriveva da Genova la seguente lettera :
Trecchi a Garibaldi.
Genova, 6 luglio 1860.
Carissimo Generale,
Ho veduto la famiglia Deideri e la sua signora figlia, e tutti stanno benissimo.
Il signor Bertani è ammalato, pure ho potuto parlargli e mi ha assicurato di aver
comperato vapori, cannoni, fucih etc, e fra breve il tutto verrà spedito in Sicilia. II
signor Gallino, unitamente al Finzi, tengono a disposizione 2000 fucili, 2000 buffetterie
complete, 2000 uniformi, 2000 paia mutande, 2000 carabine, 4000 cappotti ; e tutto
questo, entro la settimana, verrà spedito, o altrimenti porterò meco. A questo debbo
aggiungere 2000 pezze di panno militare, più 50 pezze bleìi e 50 pezze rosse per gli
ufficiali ; più diverse pezze di panno per vestire i carabinieri genovesi. Questa sera parto
per Torino, dove spero entro la giornata di domani di cedere S. Maestà ; indi farò una
gita a Milano per raccogliere tutte le armi, che tengono il Besana e Finzi. L' entu-
siasmo per venire in Sicilia è indescrivibile ; qui sono 3000 individui, che altro non
aspettano che il mezzo d' imbarco. Mi creda di tulio cuore
aff.mo amico
G. TRECCHI
É noto, che Vittorio Emanuele aveva 1' intenzione di mandare in Sicilia,
come prodittatore, Lorenzo Valerio ; ma Bertani aveva sconsigliato Garibaldi
ad accettarlo, perchè lo riteneva « uomo molto manipolabile » ; dello stesso
parere era La Varenne, il quale, mandato da Crispi in missione presso il re,
dopo il colloquio avuto con questi, il l.° luglio, scriveva: « 11 re mi disse,
che voleva mandare in Sicilia Valerio, uomo eccellente, mtelligentissimo » ; ma
ho forti motivi per ritenere che, in questa circostanza, egli sarebbe d'accordo col
signor di Cavour.
' G. Manacorda - Loco citato, pag. 421.
' L' originale di questa lettera si trova fra gli autografi donati dal generale Ricciotti
Garibaldi alla Biblioteca Vittorio Emanuele di Roma.
' F. Crispi e i Mille. 1911, pag. 241.
350 VITTORIO EMANUELE 11 E GARIBALDI
11 re fini coli' accondiscendere al desiderio di Garibaldi e mandò Depretis.
L' autografo di sopra pubblicato è la risposta alla richiesta del dittatore. Infatti
Vittorio Emanuele scrive : « Fare subito annessione e manderò Depretis * , il
quale sembra arrivasse in Sicilia insieme a Trecchi.
In quei giorni 1' ammiraglio Persano aveva scritto al Generale.
L' ammiraglio Persano a Garibaldi.
GABINETTO PARTICOLARE
DEL CONTRAMMIRAGLIO 1 Q 1 r ^•
1 o luglio , mattina.
COMANDANTE LASQUADRA
Carissimo Generale
Vi mando una lettera, che mi è venuta da Genova al vostro indirizzo. Vi copio un
telegramma del Ministro Presidente :
Au Comic Persano — 16 juillet.
Le Roi vous charge de dire au General Garibaldi, qu il fail partir ce soir
Depretis, au quel il a donne lui mème des instructions, qu il est chargé de comuniquer
au General.
Firmato: C. CAVOUR
La questione dell' annessione era in quei giorni il pensiero dominante nella
mente di Cavour, che aveva finito coli' influire anche sull' animo del re con
lo spauracchio di « un qualche tradimento mazziniano » ; la resistenza di Garibaldi
però, fece argine ad ogni sorta di pressioni e d' intrighi e valse a non troncare
la marcia liberatrice.
Vittorio Emanuele scrive : « Riguardo alla lega non accetto; strascinerò in
lungo facendo proposte e controproposte, che lui non possa accettare ».
In queir epoca, è bene il rammentarlo, erano stati mandati a Torino, su
proposta di una mediazione francese, il barone Manna ed il Winspear, allo
scopo di concludere una lega fra il Piemonte e il regno di Napoh ; Vittorio
Emanuele scriveva a Garibaldi « che avrebbe fatto proposte che lui {Re
Francesco) non avrebbe potuto accettare ».
« Non fidarsi che di me e di nessun altro » , e subito dopo il re
soggiunge : * Non partire per spedizione Napoli, senza che io lo sappia per
non imbrogliare i miei progetti e per essere d' accordo ».
MUTUI RAPPORTI E CARTEGGIO INEDITO 351
II cuore di Vittorio Emanuele batteva all' unisono con quello di Garibaldi,
e la spedizione per Napoli era fin d'allora nella mente del re ; il quale, come
ho documentato nel capitolo Vili, seguiva in quei giorni una politica sua, per-
sonale, diversa da quella del conte di Cavour. Il volere sostenere il contrario,
il dire che Vittorio Emanuele scriveva sotto dettatura del suo primo Ministro,
dimostra il desiderio di alcuni di volere ingrandire, ad ogni costo, la figura di
Cavour, anche impicciolendo quella del Re.
VITTORIO EMANUELE A GARIBALDI.
Ili.
Caro Generale,
Torino, 1 2 settembre 1 860.
Sapendolo giunto felicemente a Napoli, mi congratulo secolei di quel
che ha fatto per la causa comune. Sarà già stato prevenuto, d' ordine mio,
che ho mandato la truppa ad occupare le Marche e V Umbria per congiun-
gere le forze dell' Italia meridionale a quelle dell'Italia settentrionale; questo
fatto, unito a quelli che Ella ha compiuti, hanno allarmato molto le Potenze
e potremmo essere attaccati dall'Austria ; quindi conviene, che l'azione militare
in Italia abbia una sola e concorde direzione e non si faccia nessuna spedi-
zione od attacco senza V ordine mio. La persona che le mando le dirà ver-
balmente i miei proponimenti. Lei dirà pure a questa stessa persona quante
e quali delle vecchie truppe napoletane io posso disporre per V Italia setten-
trionale e quanto materiale da guerra potrebbe mandarmi con quelle.
Io confido pienamente nel suo attaccamento per me, perche abbiamo
ancora delle grandi cose da fare. Generale, tanti auguri.
Con una buona stretta di mano
il suo affezionalissimo
VITTORIO EMANUELE
Questa lettera non ha bisogno di commenti ; è il re soldato , che scrive
al suo grande amico Garibaldi ; essa, come fa presumere 1' altra seguente, fu
portata dal conte Vimercati il giorno 19.' Dirò pure, sul proposito, come sembra
' F. Crispi e i Mille, pag. 359.
352 VITTORIO EMANUELE li E GARIBALDI
probabile che l' importante documento, trovato fra le carte di Riccardo Sineo,
pubblicato da Carlo Arno,' e contenente alcune idee del re da comunicarsi
verbalmente a Garibaldi, sia stato anch'esso portato dal Vimercati. Giova qui
avere sottocchio ciò che in quello scritto si diceva.
ANNOTAZIONI
1 . - Rimettere la lettera con mille affelluose tenerezze e ringraziamenli per quanto
fu fatto per /' Italia e per la Dinastia.
2. - Far conoscere le ragioni che determinarono la spedizione dell'Umbria e delle
Marche. L'armata del re doveva pure prendere una parte attiva, mentre che quella
del Dittatore tanto e sì grandi cose aveva già fatto sotto il suo comando.
3. - 11 re desidera solo incaricarsi della questione romana, « che per ora deve
essere limitata », onde non aver una intempestiva guerra contro la Francia, nel momento
in cui stiamo per essere attaccati dall' Austria.
4. - Pregare ed « insistere » a che, per il momento, il Dittatore rinunci a prendere
r iniziativa di veruna spedizione, ne verso la Venezia, ne verso la Dalmazia, ne
r Ungheria ; ma bensì, tenendo compatte tutte le sue forze, prepararsi per prendere
quella parte che gli compete nella guerra comune, che avremo immancabile contro
l'Austria, che verrà, a seconda delle opportunità di cui il re si riserva il giudizio,
attaccata da noi, se questa non ne prendesse l' iniziativa.
5. - Che il Plebiscito venga fatto al più presto sì nel regno di Napoli, che nella
Sicilia, provando così all' Europa essere l' Unità italiana nel cuore di tutti.
6. - Premunire la specchiata lealtà del Dittatore contro il partito repubblicano,
che, sotto mentite vesti, lo circonda ; a questo proposito citare come esempio le spedi-
zioni Nicotera e Pianciani ; quest' ultimo ebbe l' audacia di dire al re « che nulla
aveva fatto per l' Italia, che disapprovate aveva le spedizioni da tutti acclamate, e che
impedendole egli aveva disertata la causa comune " . Far sentire ancora al Dittatore,
come il re abbia il cuore ulcerato per i discorsi, che si fanno da molte persone del
suo contorno ; che questi discorsi tendono a far credere il Dittatore non amico del re,
e che solo si valga del suo nome, di re italiano, per poi « a suo tempo fare opposi-
sizione alla dinastia ». Che nessuno osa, certo, tenere al Dittatore simile linguaggio,
ma che questo è il programma politico nascosto dei più fra i suoi.
7. - Avvertire come il re si sia messo d' accordo col partito ungherese per il
da farsi « fra brevissimo tempo » ; il Dittatore ne avrà tutti i più minuti dettagli da
Klapka, che si reca a visitarlo ; che egli impieghi la sua autorità dittatoriale in Napoli
onde fare rimettere per l' Ungheria i fucili che Klapka gli chiederà, non più avendone
il governo del re nei suoi magazzini, mentre che in Napoli molti ve ne sono.
' Nel giornale « La Lombardia », n. 337, 5 dicembre 1910.
^^^^^^ 9^^-'y:y^-^ ^^-.di^^.,..^
^jt. — as-^-;;^»— *
Lettera di Vittorio Emanuele a Garibaldi
in risposta al desiderio espressogli di licenziare il Ministero. (Vedi pag. 353).
MUTUI RAPPORTI E CARTEGGIO INEDITO 353
8. - Importanza grandissima si è, che venga conservato (7 più compatto possibile
l'esercito napoletano; che anzi questo deve subito riordinarsi, richiamandolo a senti-
menti di onore e di patria ; a questo scopo, il re conta mandare un suo progetto con
persona capace per farlo eseguire ; essendo il Dittatore assorto da molte gravissime
cure, non gli sarebbe, per ora, possibile l' occuparsi di questi minuti dettagli, e d'altronde
il re avrà prestissimo bisogno di quelle truppe.
9. - Chiedere istantemente al Dittatore di mandare subito, qualora ciò sia fattibile,
la divisione dei Cacciatori di Torino, onde rinforzare le truppe che fanno fronte alla
Venezia.
IO. - Dire al Generale, come il re conti sopra la sua efficace cooperazione nella
futura guerra, nella quale sarà dato al Dittatore un comando degno della sua capacità
e del suo Valore.
VITTORIO EMANUELE A GARIBALDI.
IV.
Caro Generale,
Vengo di vedere Trecchi e Brambilla e ricevere le sue lettere.
Riguardo al progetto del Ministero, per ora la cosa è impossibile e non
opportuna per la gran causa comune ; cosi dico pure del suo movimento sulla
città di Roma.
Se ne tenga perfettamente a ciò che le scrissi per mezzo del conte Vimercati.
Stiamo uniti e forti, l'avvenire sarà per noi.
La saluto di tutto cuore.
Il suo affezionatissimo
VITTORIO EMANUELE
Sebbene senza luogo, ne data, questa lettera credo sia stata scritta da
Torino ; essa è in risposta a quella, che Garibaldi aveva mandato al re,
r 1 1 settembre, per mezzo del Trecchi, con la quale Io invitava a licenziare
il Ministero ; lettera che la <^< Presse » pubblicò in questi termini : « Sire,
congedate Cavour e Farini; datemi il comando di una brigala delle vostre
truppe ; datemi Pallavicino Trivulzio per prodittatore ed io rispondo di tutto » .
Ma il testo autografo doveva essere alquanto diverso, perchè il re, il 20 settembre,
nella lettera da me pubblicata nel capitolo Vili, pag. 175, scriveva al Fanti
CURÀTULO 23
354 VITTORIO EMANUELE 11 E GARIBALDI
così: « Esso (Garibaldi) mi scrisse, che m'invitava a sciogliere il Ministero e
che mi proclamerebbe re d'Italia in Campidoglio, dopo che egli avrebbe fugato
i Francesi da Roma ».
VITTORIO EMANUELE A GARIBALDI.
Caro Generale,
Ancona, lì 9 ottobre 1860.
Ho ricevuto le sue lettere. Le faccio le mie congratulazioni sull'accaduto ;
provvedere ai prigionieri. Le mie truppe, in buon numero, entrano domani negli
Abruzzi. Io, pure, parto in persona; quando sarò in una città del Regno lo
farò avvisare, onde intendermi con lei sulla quistione dei gradi e sulla condotta
da tenere.
Lo avverto che ho mandato delle truppe anche a Napoli.
A rivederlo fra breve.
Il suo affezionatissimo
VITTORIO EMANUELE
Le congratulazioni che fa il re a Garibaldi si riferiscono alla battaglia del
Volturno, nella quale furono fatti, come è noto, più di 3000 prigionieri. Dal
Diario del Crispi si rileva, come questo scritto pervenne nelle mani del Generale
il giorno 1 3. Esso inoltre, è in risposta alla bella lettera, che Garibaldi aveva
diretto al re il 4 ottobre, da Caserta, e che giova qui il tornare a pubblicare.
cure.
Mi felicito con la Maestà Vostra per le brillanti vittorie riportate dal nostro bravo
generale Cialdini e per le felici conseguenze di queste vittorie. Una battaglia guadagnata
sul Volturno ed un combattimento alle due Caserte pongono i soldati di Francesco II,
io credo, nel!' impossibilità di più resisterci.
Spero, dunque, di poter passare il Volturno domani.
Non sarebbe male, che la Maestà Vostra ordinasse a parte delle truppe, che si
trovano vicino alla frontiera abruzzese, di passare quella frontiera e fare abbassare le
armi a certi gendarmi, che parteggiano ancora per il Borbone.
MUTUI RAPPORTI E CARTEGGIO INEDITO 355
Io so che la Maestà Vostra sta per mandare quattromila uomini a Napoli, e penso
che sarebbe bene mandarli.
Ricordi la M. V. le mie anteriori parole sui repubblicani, e pensi, nell' intimo
del suo cuore, se i risultati hanno corrisposto alle mie parole.
Tutta brava gente, hanno combattuto per l' Italia e Vittorio Emenuele, e saremno
certamente i più fedeli alla sua persona.
Pensi V. M. che le sono amico di cuore, e merito un poco anch'io di essere creduto.
E meglio accogliere tutti gl'italiani onesti, di cui V. M. è padre, a qualunque
colore essi abbiano appartenuto per il passato, anziché inasprire delle (razioni, che
potrebbero essere pericolose nell' avvenire.
Scrissi, in data di ieri, che mandavo a Genova i prigionieri Napoletani; penso
di mandare pure alcuni corpi, che si sono dati a noi per capitolazione.
La M. V. si compiacerà d'ordinare che sieno ben trattati e incorporati nell'esercito.
Essendo ad Ancona dovrebbe V. M. fare una passeggiata a Napoli per terra
o per mare.
Se per terra, e ciò sarebbe meglio, V. M. deve marciare almeno con una Divisione.
Avvertito in tempo, io congiungerei la mia destra alla divisione suddetta, e mi
recherei in persona a presentarle i miei omaggi e ricevere ordini per le ulteriori operazioni.
La M. V. promulghi un decreto, che riconosca i gradi de' miei ufficiali.
Io mi adoprerò ad eliminare coloro che debbono essere eHminati.
Mi resta a ripetermi con aiffetto
G. GARIBALDI
« Chi di questa lettera consideri il tempo, il contenuto, la forma — scrive
il Guerzoni — ne vedrà risplendere vieppiù il significato. Essa fu scritta il
4 ottobre, prima dunque che Garibaldi potesse conoscere il bando di Vittorio
Emanuele ai Napoletani ; prima che l' esercito sardo si fosse levato d' Ancona ;
prima assai, che il Parlamento avesse votato l'annessione dell' Italia Meridionale
e sanzionato, con siffatto voto, la politica del conte di Cavour. Checche adunque,
scriva, a lode e vitupero. Io spirito di parte, questo rimane incontrastato : che
Cavour e Garibaldi, lo statista e l' eroe, quasi nel tempo stesso, ad insaputa
r uno dell' altro, s' accordavano a dare al re quel medesimo consiglio, intomo
al quale pareva dovessero restare divisi implacabilmente! I monarchici superla-
tivi credevano d' essere costretti, o prima o poi, a dar battaglia alla rivolu-
zione personificala in Garibaldi, e Garibaldi apriva loro le porte di quello,
che ancora era suo Stato ; di nuli' altro ansioso che di incontrarli e schierarsi
sotto le loro insegne » . '
' G. Guerzoni - Garibaldi. Voi. II, pag. 209-210.
356 VITTORIO EMANUELE li E GARIBALDI
VITTORIO EMANUELE A GARIBALDI.
VI.
Caro Generale,
Grazie della sua lettera. Treccili le porterà, a viva voce, la risposta e
le idee mie.
Il suo affezionatissimo
VITTORIO EMANUELE
P. S. - A Napoli faccia custodire le cacete da Trecchi.
Questo laconico biglietto, che ritengo sia stato scritto il 25 da Presenzano, '
non presenta nulla d' importante ; ma è da rilevare la raccomandazione, che
si contiene nel post-scriptum, che delinea la caratteristica figura del re, il
quale, in mezzo alle non poche e gravi preoccupazioni della guerra, pensava
di raccomandare a Garibaldi di fare custodire a Napoli le cacete !
VITTORIO EMANUELE A GARIBALDL
VII.
Teano, li 26 ottobre 1 860.
Caro Generale,
Ritrovato il nemico, finalmente, alle 3 sulle alture di S. Giuliano per
andare a Sessa. Due ore e mezzo di combattimento. Respinto per Sessa
verso il Gordiano. Molti prigionieri cacciatori, ne abbiamo contato 16 batta-
glioni e artiglieria che tirava assai bene. Nostre perdite sono piccole; prigio-
nieri mi assicurano esservi solo un Reggimento e un battaglione in Capua.
Le stringo amichevolmente la mano.
Il suo affezionatissimo
VITTORIO EMANUELE
' Generale Solaroli - Diario della campagna del 1860, pag. 333, in Ghiaia - « Ricordi
di Michelangelo Castelli ».
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Lettera di Vittorio Emanuele a Garibaldi dopo la battaglia del Volturno. (Vedi pag. 354).
MUTUI RAPPORTI E CARTEGGIO INEDITO 357
Questa lettera credo sia stata scritta dopo 1' incontro con Garibaldi,
avvenuto la mattina del 26.
Crispi nel Diano annota, che l' incontro avvenne il 27 « tra Marzaniello
e Vairano e che il re e Garibaldi marciarono per sei miglia insieme ».' Ma
r annotazione è indubbiamente inesatta ; la prova 1' abbiamo nella lettera seguente,
che Re Vittorio diresse al Dittatore appunto il giorno 11 e che comincia
così: « Mi rincresce di non averlo visto quest'oggi, le avrei stretto la mano
ben volentieri ».
VITTORIO EMANUELE A GARIBALDI.
Vili.
Teano, li 27.
Caro Generale,
Mi rincresce di non averlo visto guest' oggi ; le avrei stretto la mano
ben volentieri. Domani avanzo tutte le truppe, che ho qua sul Garigliano.
Dopo domani conto passarlo. Quest' oggi il generale Della Rocca deve essere
giunto con una Divisione sopra Capua. So che non piace alle sue truppe di
rimanere inattive, perciò la prego di portarle da domani verso Capua, onde
concorrere di comune accordo col generale Della Rocca alla resa della Piazza.
Le auguro buona fortuna. A rivederla fra breve.
Il suo affezionatissimo
VITTORIO EMANUELE
P. S. - Faccia avvertire il generale Della Rocca del suo arrivo e
s intendano insieme.
E importante intanto, conoscere quello che sul proposito ebbe a scrivere il
generale Della Rocca : "
« Dopo avere percorsa la linea di faccia alle fortificazioni di Capua, mi
parve che la prima cosa da fare fosse di recarmi dal Garibaldi e intendermi
' Su questo argomento tanto controverso leggasi la Nota, in (ondo al Capitolo.
' Generale Della Rocca - Loco citalo, pag. 86.
358 VITTORIO EMANUELE 11 E GARIBALDI
con lui. Lo trovai sul monte Sant' Angelo, dove aveva stabilito il suo osserva-
torio. Mi disse subito come il re l' avesse informato, a Caianello, degli ordini a
me dati ; poi dopo un breve silenzio : — Sono d'opinione, aggiunse, che per questa
impresa, come per tutte le altre azioni di guerra sia indispensabile V unità di
comando. Mi ero già preparato a quella obbiezione ; non pretendevo al supremo
comando delle sue truppe ; ma ad ogni modo non potevo, non volevo stare sotto
di lui, per quanto lo rispettassi. Gli risposi, dunque, che, avendo percorsa la
linea d' attacco della piazza di Capua, avevo osservato le posizioni delle sue
truppe sulle alture alla destra e in parte sullo stretto piano delle colline e mi
ero persuaso che, occupando io la sinistra del piano, si poteva lavorare in due,
con utilità e senza darsi noia ; insomma, essere il nostro caso uno dei pochi,
che potevano fare eccezione alla regola generale dell' unità di comando ; e che,
mettendoci anticipatamente d' accordo, potevamo operare ugualmente e con un
buon esito contro la Piazza. Mi ascoltò e rimase per un po' di tempo pensoso ;
poi mi disse; « Se non le dispiace, potremo incontrarci un'altra volta. Oggi
tra le 4 e le 5 e le darò una risposta » . Un po' prima delle 5 ero all' ap-
puntamento. Vi trovai il Dittatore circondato da tutti i suoi generali : il Cosenz,
il Medici, il Sirtori etc. Mi presentò loro, dicendo come io fossi stato incaricato
dal re di assediare Capua e ridurre la fortezza ad arrendersi, nel più breve
tempo possibile : e siccome egli era stato sempre contrario alla divisione del
comando, per quelle operazioni, metteva tutti sotto i miei ordini. Ma questa
disposizione potendo essere causa d'inconvenienti, quando fosse conosciuta dai
suoi volontari, desiderava che essi lo credessero sempre in mezzo a loro. — Prego
il generale Della Rocca e voi tutti a mantenere il segreto, concluse. Il generale
Sirtori, nel quale ho piena fiducia, trasmetterà ai miei gli ordini del generale
Della Rocca, come se fossero dati da me. Io intanto mi reco a Napoli,
dove, per la Dittatura, sono chiamato da urgenti affari, pronto però ad accorrere,
quando la mia presenza fosse necessaria. Cosi dicendomi mi strinse la mano,
augurandomi buona fortuna ».
E più oltre Della Rocca scrive : « Garibaldi mi aveva lasciato il 28 a sera
dicendomi : — Vado a Caserta, ma domani sarò a Napeli dove ho molto da fare.
Invece il giorno 30 seppi, che egli era tuttora a Caserta e ammalato. Mentre
si preparavano le batterie, sotto la direzione del Genio e dell' Artiglieria, montai
a cavallo e feci una scappata per andarlo a trovare. Sempre modesto nella
sua vita privata, non aveva voluto abitare gli appartamenti del palazzo di
Caserta e si era ritirato in poche camerette, sopra il corpo di guardia, allo
ingresso del cortile. Nel mettervi piede, vidi al suolo parecchi barili di polvere ;
MUTUI RAPPORTI E CARTEGGIO INEDITO 359
salila la scaletta ed entrato nella camera del Dittatore, mi accorsi, che il
letto stava precisamente al di sopra di quei barili e lo avvisai, pregandolo di
promettermi di cambiare subito stanza. Sorridendo, me lo promise ; era seduto,
sostenuto da guanciali, avvolto nel mantello militare; aveva in testa il solilo
berrettino, e al collo un fazzoletto di seta senza fiocco. Vedendomi entrare mi
aveva stesa la mano, e quando senfi che ero venuto soltanto per aver notizie
della sua salute, si dimostrò commosso e pronunciò parole di affettuoso ringra-
ziamento. La sua soddisfazione si fece sempre più visibile, quando gli parlai
delle mie buone relazioni con i suoi generali Cosenz e Sirtori, spiccate perso-
nalità ed eccellenti uomini, e quando gli dissi che rimpiangevo la mancanza
del Bixio, caduto da cavallo pochi giorni prima e trasportato a Napoli. Non
erano complimenti le mie parole: esprimevano cose da me veramente sentite,
e mi accorsi che Garibaldi godeva di conoscere, cheto pensavo a quel modo».
Il generale Della Rocca ci fa inoltre sapere, come, essendo con poca
artiglieria, scrivesse al Valfrè p)er avere qualche batteria di grosso calibro e dà
ogni particolare sulla resa della piazza di Capua. Ma un fatto, che pur valeva
di essere ricordato e che egli passò sotto silenzio è quello, che ci viene oggi rive-
lato dal documento, che qui trascrivo dall'autografo diretto a Garibaldi il primo
novembre, cioè, il giorno stesso in cui fu aperto il fuoco contro la piazza di
Capua.
II generale Della Rocca a Garibaldi.
S. Maria, 1° novembre 1860, ore 8 di sera.
Signor Generale,
lo prevedo che la guarnigione di Capua, avendo la porta Ubera sulla sponda destra
del Volturno, invece di arrendersi, tenterà, per la strada di Calvi e Venafro, di portarsi
verso Isernia, Solmona e Popoli, sia per inquietare gli arrivi da quella parte, sia per
tener la campagna ed accendere di nuovo la reazione fra quelle popolazioni. Allora
quando mi accorgerò di questa marcia, non mancherò d'inseguire il nemico in coda,
nel mentre che il generale Sirtori, per la strada di Cajazzo e Aiiffe, l' inseguirà di fianco.
Però, essendo necessario che l'inimico sia arrestato di fronte, prima ch'egli possa
internarsi sulla strada di Venafro e quella di S. Germano, io scrissi in proposito al Re,
onde vedesse di spedire una colonna di competente forza al bivio di quelle due strade,
cioè, nel punto in cui io ebbi il piacere d' incontrare la S. V. III. ma.
Nel mentre che la mia lettera viaggiava alla volta di Sessa, io incontrava
il re stesso presso S. Angelo, che si trattenne un paio d' ore col sig. generale Sirtori
e con me.
360 VITTORIO EMANUELE II E GARIBALDI
Avendo messo S. M. al corrente della mia idea, risposemi che, dovendo passare
domami il Garigliano, egli abbisognava di tutte le sue forze massime, che già aveva
dovuto dividere in due colonne ; una per star di fronte al fiume, l' altra per girarlo
in alto, dalla montagna.
Io non vedo, dunque, altro modo di rimediare a sì grande inconveniente, che di
pregare la S. V. Ill.ma di spedire a Calvi, in posizione adatta, una forte sua brigata
con artiglieria, la quale arresti o rallenti la marcia dell' inimico, se tentasse prendere
quella direzione, onde dar tempo al generale Sirtori ed a me di raggiungerlo.
lo la prego adunque, di volermi ragguagliare, se questa mano\Ta le pare conve-
niente e se, in tal caso, le di lei truppe di riserva possono darmi l'appoggio su espresso.
lo la prego intanto, di gradire i sensi della più alta considerazione.
GENERALE DELLA ROCCA
P. S. - Il fuoco incominciò dalle nostre batterie alle ore 4. La piazza risponde
molto e bene.
*
Nel capitolo seguente, m' intratterrò sulle discordie sorte in Napoli intorno
al Dittatore. Garibaldi animato, come sempre, di fare il bene del paese, avendo
visto che r assemblea sarebbe stata causa di gravi discordie, sebbene da prmcipio
contrario, si decise per il plebiscito, che fu votato il 21 ottobre.
Documento conosciuto è sul proposito, la nobilissima lettera, che per mezzo
del garibaldino Nullo, egli mandò al re, il 29 ottobre, e con la quale gli
rimetteva « il potere su dieci milioni d'Italiani ». La lettera fu scritta dal
Crispi ed essa è stata riprodotta nel volume pubblicato recentemente sul grande
patriota siciliano. Ma, se da quella pubblicazione si rileva che Crispi fu nel 1 860
r estensore dei decreti e di alcune lettere del Dittatore, questi però, non masi-
cava mai di rileggerli e di correggerli.
Nel mio Archivio esiste un' altra minuta della citata lettera, scritta pure
di mano del Crispi, e che certamente rappresenta il testo definitivo di quella
spedita al re. Ebbene, in essa non si nota che una sola correzione fatta di
pugno di Garibaldi ; ma che basta a dare l' impronta della sua grande anima.
Crispi aveva scritto : « Voi troverete in queste contrade un popolo docile
quanto intelligente, amico dell' ordine, quanto desideroso di libertà, pronto ai
maggiori sacrifizi, qualora gli sieno richiesti nelV interesse della patria e di un
Governo nazionale. Nei sei mesi, che io ne ho tenuta la suprema direzione,
^^^^^"^Ss^N
V
^
MUTUI RAPPORTI E CARTEGGIO INEDITO 361
non ebbi che lodarmi dell' indole e del buon volere di questo popolo, che ho
la fortuna di rendere all'Italia, dalla quale i nostri tiranni l'avevano disgiunta >».
Ebbene ! come si vede dal facsimile, che ne dò, Garibaldi corresse questo ultimo
periodo così : « . . .di questo popolo, che io ed i miei prodi compagni,
abbiamo avuto la fortuna di rendere all' Italia ».
Ed il re, per mezzo dello stesso Nullo, rispondeva con la seguente
bellissima lettera inedita.
VITTORIO EMANUELE A GARIBALDI.
IX.
Sessa, li 3 1 ottobre 1 860.
Caro Generale,
La sua lettera del 29 ottobre, da Caserta, è degna di lei, della sua virtù
e del suo amore all'Italia. L'accolgo con quelli stessi sentimenti, che l'hanno
dettata. Appena io potrò legalmente, per la pubblicazione del risultato del
plebiscito, assumere il Governo, provoederò sui due argomenti dei quali ella, a
ragione, si preoccupa. Senza stabilire ora le forme precise dei decreti, ella, caro
Generale, non può dubitare della mia giustizia ed equità, riconoscente verso
tutti quelli che hanno cooperato, col consiglio e colle armi, al trionfo della
causa nazionale per la quale soltanto, e non per personale ambizione, ho
combattuto e combatto.
Lei, signor Generale, conosce il mio animo, come io conosco il suo ;
e quindi non credo di aver bisogno di abbondare in parole per ripeterle i senti-
menti coi quali le stringo la mano.
Il suo affezionalissimo
VITTORIO EMANUELE
Il 7 novembre Vittorio Emanuele entrava nella bella e libera Partenope.
Garibaldi gli sedeva alla sinistra, vestito in camicia rossa, col solito fazzo-
letto sulle spalle. Dopo essere andati insieme alla cattedrale, il re si recò al
Palazzo e cominciò a ricevere le autorità. « Nella sala del trono — scrive
uno dei suoi Aiutanti di campo, il generale Solaroli, con un accento d* inop-
portuna ironia — Garibaldi si era ritirato in un angolo , propriamente vicino
alla porta di uscita ; era là in mezzo alla sua Corte. Non so, se credesse che le
362 VITTORIO EMANUELE II E GARIBALDI
deputazioni volessero anche presentarsi a lui; ma, vedendo che l'usciere indicava
a tutti la porta per andarsene, gli montò un poco la bizza, prese il cappello,
se lo mise in testa e se lo tenne, finche un ufficiale di servizio gli fece cenno ».
Crispi nel Diario, a proposito di questo episodio, scrive : « Garibaldi stava
in disparte, col cappello in testa. Un cortigiano se ne meraviglia; Breda
risponde : — / grandi di Spagna avevano diritto di stare col cappello in testa
dinanzi ai re, Garibaldi essere il Grande d' Italia ; può anche di più » .
•« Finita r udienza — continua il generale Solaroli — il re congedò anche
Garibaldi, dicendogli che lo aspettava alle 5, perchè voleva parlargli. All'ora
indicata, Garibaldi tornò dal re e vi rimase più di un' ora. Uscendo, mi prese
la mano e mi disse : — Addio, caro Generale. — Gli domandai se partiva, mi
rispose : — Questa sera no, ma domani nella notte. — Più tardi poi seppimo,
che sarebbe rimasto, se gli davano il comando civile e militare della Sicilia ».'
La stessa sera, Garibaldi riceveva la seguente lettera, 1' ultima scrittagli
da Vittorio Emanuele durante la gloriosa campagna del '60.
VITTORIO EMANUELE A GARIBALDI.
Mro Kjenera
le.
Napoli, li 7 novembre 1860.
Essendo io in Napoli con pieni poteri , governerò sia militarmente , che
civilmente. Quando io onderò via di qua, il Governo piglierà quella forma e
quel carattere, che è conseguenza necessaria delle leggi fondamentali della
mia Monarchia. Quindi Ella capirà, che non posso concentrare in Lei poteri,
che costituzionalmente vanno divisi.
Risoluto io, come Ella sa, a fare per V armata che Ella ha cos\ glo-
riosamente comandata, ed anche per quelli che lo hanno onoratamente coadiu-
vato nel civile, tutto ciò che è doveroso verso i benemeriti della patria, io spero
che Ella, caro Generale, vorrà riconoscere la giustezza delle mie osservazioni.
Io conto pur sempre sopra di Lei per V avvenire, come Ella può contare
sulla mia sincera amicizia.
Il suo affezionatissimo
VITTORIO EMANUELE
^ Generale Solaroli - Loco citato, paig. 344 e seg.
MUTUI RAPPORTI E CARTEGGIO INEDITO 363
Se, nel '61, per il modo come fu trattato l'esercito dei volontari e nel '62,
per il fatto di Aspromonte, Garibaldi ebbe giustificati impeti di sdegno, la sua
devozione per Vittorio Emanuele non venne mai meno ; egli parlò, in ogni
occasione, al Sovrano con quella franchezza, che il supremo interesse della patria
richiedeva. 1 documenti inediti, che qui trascrivo dagli originali, lo provano.
Nel '64 Vittorio Emanuele meditava una spedizione nella Gallizia e cospi-
rava con Mazzini e Garibaldi. A tale scopo, egli aveva inviato al Generale, che
in queir epoca trovavasi a Londra, un tale signor Porcelli per indurlo a capi-
tanare r impresa. Ritornato dall' Inghilterra, Garibaldi stette per qualche tempo
ad Ischia, dove si ebbe un' altra visita dell* inviato del re. Ma durante la
permanenza nel Napoletano, il Generale aveva potuto constatare il disordine
e la corruzione che tuttora vi regnavano, e ritenendo, in quel momento, la
sua persona di maggior profitto in patria che in una spedizione all'estero, aveva
finito per rinunziare alla proposta del re, rinnovandogli, sembra, il desiderio espresso
nel novembre del '60, di restare nel Mezzogiorno come suo Luogotenente.
L' importante documento, che trascrivo dall' autografo di Garibaldi è la
risposta, in forma di promemoria, che il Porcelli avrebbe dovuto portare a Vittorio
Emanuele ; se non che le insistenze dell' inviato del re furono tali, che riuscirono a
persuadere il Generale ad acconsentire all' impresa. Quel foglio rimase perciò fra
le sue carte e rivela oggi il retroscena di un momento storico poco conosciuto.
Garibaldi a Vittorio Emanuele (Da un promemoria autografo scritto sulla fine
di maggio 1864).
Dite:
« Ch' io sono disposto ad andare dove mi manda, ma credo un altro potrebbe
capitanare l' impresa, mentre io potrei essere più utile qui.
« Lo stato dell' Italia meridionale è il seguente :
« Qui il Governo è più odiato di quello del Borbone e gli amici suoi sono gente
interessata, che lo tradiranno all' uopo e fuggiranno, come fecero gli amici dell' altro.
Qui vi sono tali elementi di malcontento da spaventare, ed il giorno in cui il nostro
esercito sarà occupato sul Mincio, vi sarà nel centro e nel mezzogiorno d' Italia un
cataclisma di reazione, come mai si vide.
« Qui piomberanno tutti i retrogradi del mondo e pensate con che potenza ; soste-
nuti dal clero mondiale, da quasi tutte le aristocrazie, da tutti i detronati e dalla Santa
Alleanza.
« Che mi lasci nel mezzogiorno, che mi dia i poteri che vuole, che in
sostanza mi lasci fare. Egli ormai non deve temere, che io mi faccia Re
di Napoli, né eh' io voglia proclamare la Repubblica.
364 VITTORIO EMANUELE II E C^RIBALDI
e Organizzeremo qui duecento mila uomini, che saranno suoi, come V esercito
regolare ; spero potremo sedare la reazione ed egli potrà disporre di tutto il suo esercito
regolare ».
Il Porcelli, ritornato a Torino, ebbe un abboccamento col re, il quale, a
qucJunque costo, voleva fare la spedizione ed il Trecchi ne avvertiva il Generale ;
che appena ritornato a Caprera, riceveva dal Porcelli la lettera seguente :
A. S. Porcelli a Garibaldi.
Torino, 2 giugno 1864.
N. 10, via della Zecca.
Mio illustre Generale,
Giunto oggi alle 2 pom. ho subito parlato, e combinato quasi completa-
mente. Però, siccome desidero fare tutto per bene, avrò un nuovo abboccamento, che
sarà concludente. E.ssendomi perciò impossibile il ripartire domani, io mi fò un dovere
di sasicurare V . S., che partirò da Genova per costà col vapore di venerdì prossimo
10 corrente.
Mio Generale ! Per 1' amore che noi portiamo alla nostra povera patria, io scon-
giuro V. S. di non ascoltare i consigli di nessuno e non prendere veruna determinazione,
pria della mia venuta a Caprera, perchè credo fermeimente che otterremo tutto ciò che
ci occorre.
Intanto mi creda
suo det.mo subordinato e leale amico
A. S. PORCELLI
Ciò malgrado, la spedizione non ebbe piìi luogo e sembra per indelica-
tezze e rivelazioni fatte, che scoprirono la persona del re. Non eran pochi, del
resto, coloro che si erano mostrati grandemente preoccupati deD* allontanamento
di Garibaldi dall' Italia.
Sul proposito, sono del maissimo interesse le due seguenti misteriose lettere,
scritte in quei giorni dal Guerrazzi.
Guerreizzi a Garibaldi.
Livorno, 26 giugno 1864.
Garibaldi,
Chi io mi sia, sapete ; non appartengo a sette ed il cervello non ho dato a nolo.
Molto vi amo per voi ; pili molto pel bene, che avete fatto per la hbertà e per
la patria ; piìi molto ancora per quello, che si spera da voL
'^o^i.^'ù^ ^^.wfc-c^ ^'oC^.^^o
^2 — y^La^/y a Uu^
Lellera di Vittorio Emanuele a Garibaldi
direttagli probabilmente il 25 ottobre, da Presenzano. (Vedi pag. 356).
Lettera di Vittorio Emanuele a Garibaldi
direttagli dopo l' incontro a Teano. (Vedi pag. 356).
^^<!:,s^;^
Lettera di Vittorio Emanuele a Garibaldi.
Lo prega di portarsi verso Capua e d'intendersi col generale Della Rocca. (Vedi pag. 337).
MUTUI RAPPORTI E CARTEGGIO INEDITO 365
Dopo CIÒ, badate ....
Procedete con la barba sabre el hombro. '
Io so, che vi si tendono insidie.
Non assicuratevi col dire : gì' idi di marzo sono venuti. — Ricordatevi della risposta :
S), ma non passali.
Errare la prima volta è da uomo, la seconda no. Addio ; vi assista il genio
della libertà.
Affezionatissimo vostro
GUERRAZZI
Livorno, 9 luglio 1864.
Villa Torretta.
Cittadino e amico della patria e mio.
Vi scrissi giorni sono.
Sto fuori della melma delle fazioni, e del Governo ; ma vigilo per la patria
e per voi.
So molto, se non tutto, che saria presunzione, almeno per accertarvi,
che si trama contro di voi.
Voi uso a perigliarvi nei campi ; ma né ancor a me trema il cuore nel petto ; e
quando dico : badate, io non accenno a Volgare pericolo.
Ne la sola vita, bensì la fama vi s' insìdia. Ricordate Carlo XII, Bender,
e la turpe battaglia sotto il letto.
Per amore dell' Italia, per amore della vostra fama, non partite !
Avete bisogno di consigli. Possibile non istimiate alcuno in Italia, degno di essere
consultato da voi?
Di più non dico, che se le parole possono bastare, queste basteranno : se no, altro
a me non rimane che maledire il fato.
Generale, cittadino, amico, fratello, e se ci hanno nomi più cari io vorrei adoperarli ;
lasciate persuadervi.
Le vostre ossa sono sacre alla vostra terra.
Voi non potete, voi non dovete morire come un gregario colto nello
agguato.
Ho detto.
E se vorrete calmare la tremenda ansietà in cui vivo, telegrafate : ho capito. Tanto
mi basterà per comprendere che, o deponeste il pensiero di cimentarvi in fortune insidiose,
o almeno volete dare luogo a piìt meditati consigli.
Addio.
Vostro amico
GUERRAZZI
State
in guardia ».
366 VITTORIO EMANUELE li E GARIBALDI
Garibaldi, non dovette dare molto peso a queste lettere. Egli non era uomo
da lasciarsi smuovere da una determinazione presa, per argomenti di simile
natura ; non era la prima volta, che lo avvertivano che si voleva attentare alla
sua vita. Ma è certo, che il contenuto delle lettere direttegli in quella epoca dcd
Guerrazzi illuminano di nuova luce un periodo storico, sul quale ben poco si
conosceva. Con le vicende di quel tempo ha pure rapporto la seguente lettera
di Antonio Mordini, che trovo nel mio Archivio.
Antonio Mordini a Garibaldi.
Torino, 9 giugno 1864.
Mio Generale,
Nei documenti che le presenterà Benedetto Cairoli sta, per così dire, la relazione,
che io dovei farle, circa l' incarico che ella si compiacque affidarmi.
Ho sempre creduto inutile il negoziare col Ministero, per la di lei partecipazione
ad una possibile insurrezione ungherese, ad un possibile moto dei popoli della valle
Danubiana. Ancorché ella si tenga oggi di fronte a tali quistioni e tali eventualità in
una passiva aspettazione, basterà poi che si presenti in quei paesi, quando è imminente lo
scoppio, per trascinare dietro di se le masse entusiasmate. Per le opercizioni, che possono
diventare necessarie colà, tutta la sua forza risiede nell' immenso prestigio del suo nome,
nell'affetto universale dei popoU per la sua persona. Le trattative col Ministero non possono
aggiungerle forza alcuna. Bastano le informazioni, che vengono di là e la buona intelli-
genza con gli uomini, che in quelle località si sono dedicati al lavoro della preparazione.
Spiegato così alla meglio il mio concetto. Ella comprenderà, come io reputassi
le trattative col Ministero buone solamente pel caso di una guerra fra /' Italia e
l'Austria, verificandosi la quale potrebbe il Governo darci i mezzi, che noi disgrazia-
tamente non abbiamo. E però io tenni fermo sempre, che il Ministero per una even-
tualità stratta si obbligasse a darle prima il comando della flotta per distrug-
gere quella austriaca e rendersi padrone dell'Adriatico, e ciò ottenuto, mettere
a sua disposizione un corpo d'esercito regolare, con quanti volontari vorrebbero aggiun-
gersi, per operare uno sbarco sopra un punto dell'Adriatico da destinare, e portare la
guerra alle spalle del nemico in paesi, dove troveremo poderoso sussidio in una insur-
rezione Slavo-Magiara.
Peraltro, neppure su questo terreno io voleva intavolare trattative, se il Ministero
non consentiva prima ad alcune condizioni, fra le quali principale era : l'amnistia pei
condannali d'Aspromonte.
Il Ministero non accettò le mie proposte ed io non potei consentire a progetti, che
mi sembravano poco seri.
Sebbene io abbia fin qui parlato in mio nome solamente, debbo dichiarare che
Benedetto Cairoli fu sempre d' accordo con me ed io con lui ; ed anzi considero
come una vera fortuna di averlo avuto a compagno in un così delicato aSaxe.
MUTUI RAPPORTI E CARTEGGIO INEDITO 367
Finche il generale Klapka fu qua io non vidi alcun Ministro. Ne avevo visto
uno precedentemente, ma senza entrare in particolari ; Benedetto Cairoii dirà il nome,
come gli dirà pure gli abboccamenti, eh' io ebbi dopo la partenza del Generale sud-
detto e in quali termini stanno le cose.
Rimanendo sempre dentro lo stesso ordine d' idee esposte nella presente, quanto
a una guerra possibile fra 1' Italia e l' Austria^ e quanto ai mezzi che il Ministero
dovrebbe mettere allora a di lei disposizione, io, se invitato, non mi rifiuterò a nuovi
abboccamenti, fintantoché al ritorno da Caprera Benedetto porti gli ordini suoi.
10 non credo ad alcuna prossima insurrezione nel Veneto. Non credo, che siamo
preparali a Roma. E credo poco ad una insurrezione in Ungheria, punto ad una
levata d' armi in Gallizia. Tanto meglio se gli amici ed io e' inganniamo in questo
modo di vedere.
Alla sua saviezza il decidere, se sia utile o no che Missori vada nei Principati.
Io mi permetto dire, che da questo viaggio può venire del bene , del male no. Se
non altro, avremo relazioni esatte su quei paesi dopo il corpo di Stato di Couza.
11 quale è un Vero furfante, capace d' ogni mala azione e soggetto al Governo
francese. Ciò dobbiamo ricordare, pel caso che a lei si faccia il progetto di
andare colà.
Nella speranza di poterla presto riverire, le riconfermo i sensi della mia devo-
zione illimitata.
Suo subordinato
ANTONIO MORDINI
Lo scritto che segue, che trovo fra le mie carte, sembra essere la risposta
di Garibaldi alla lettera di sopra trascritta.
Garibaldi a Mordini.
Assicurare il Re e il Governo, se ce lo chiedono :
Che volendo fare la guerra per la completa emancipazione dell' Italia e dei popoli,
che com* essa bramano di emanciparsi , noi saremo con loro ed agiremo sul
punto che loro troveranno a proposito.
* *
Ma un' altra pagina di storia non conosciuta, che prova come 1' attacca-
mento di Garibaldi per Vittorio Emanuele non fosse mai servile e come egli
manifestò, in ogni occasione, con franchezza il suo pensiero al Sovrano è la
368 VITTORIO EMANUELE II E GARIBALDI
importante lettera inedita, diretta nel 1 867 da Enrico Albanese al Generale, dopo
un colloquio avuto col re.
Enrico Albanese, garibaldino senza macchia e senza paura , alleviatore
dei dolori del duce dopo la ferita di Aspromonte, fu più volte latore, presso
Sua Maestà, di alcuni misteriosi pezzetti di carta, sui quali Garibaldi mani-
festava al re le sue idee, senza frasi cortigiane ; e Vittorio Emanuele ebbe in
grande estimazione 1' ambasciatore garibaldino per il suo franco parlare.
Lo scritto porta la data del 21 dicembre 1867, cioè, dopo la battaglia
di Mentana, il drammatico arresto di Garibaldi a Figline, la prigionia al Vari-
gnano e il ritorno condizionato a Caprera. Le sconfitte di Lissa e di Custoza,
la cessione della Venezia, nel '66, e la disfatta di Mentana per 1' intervento
delle armi francesi nel '67, avevano esulcerato l'anima di Garibaldi. « L' Italia
è disonorata », egli scriveva al re, e questi, dopo avere bene riflettuto, esclamava :
« Sì, è vero; bisogna armarsi e concentrare il tutto del paese a
vendicarci. Ho sete di vendetta ; è troppo ! Dal 1859 a questa
» •
parte ce n e troppo! »
Il colloquio dell'Albanese con Vittorio Emanuele, riferito a Garibaldi colle
stesse parole dette ed udite, è, in alcuni punti, così vivace, per la parte presavi
dall'Albanese, che potrebbe forse parere millanteria a chi non conobbe il
carattere fiero di questo figlio della Sicilia. Ma era appunto questa qualità del
carattere dell'Albanese, che mduceva Garibaldi a servirsi di lui per missioni
così importanti ; e certo la sua nobile franchezza di parlare gli procurò la stima
del re cavalleresco.
Enrico Albanese a Garibaldi.
Firenze, 21 dicembre 1867.
Carissimo Generale,
Non torno in Caprera, perchè non è di bisogno che io venga, e perchè brutte
notizie di Emilia mi obbligano ad andare subito a Palermo.
Le trascrioo intanto, per di lei regola, il discorso avuto con la nota persona, notando
le stesse frasi dette ed udite.
Appena fui ricevuto, mi domandò, se Ella era sempre suo amico. Risposi: «-Amore
di amor si paga », e dopo una fucilata e tre arresti, V amicizia era una cosa un po'
incerta, se non impossibile ; pure, siccome il Generale non ha mai fatto nulla di vera-
mente personale contro Vostra Maestà, né contro la monarchia ; ma ha sempre lavorato
pel bene del paese, così, se si doveva fare qualche cosa per 1' Italia era sempre pronto
e si metteva a disposizione, colla speranza che questa volta le cose sarebbero andate bene.
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Brano delia lettera scritta di mano di Crispi, il 29 ottobre, con correzione di Garibaldi.
(Vedi pag. 361).
MUTUI RAPPORTI E CARTEGGIO INEDITO 369
Mi chiese, se avevo nessuna lettera per lui. Risposi : « No, ho semplicemente un
pezzo di carta per mia norma, che, senza essere indiscreto, presento » ; e gli presentai
quel pezzo di carta, dove Ella aveva notato quelle parole. Lo lesse; si meravigliò
che non era firmato. — S), gli dissi, non è firmato, perchè il Generale non vuole natu-
ralmente trattare con vera fiducia — nemmeno per mio mezzo — dopo tutte le belle
promesse del 1866, svanite colla nostra gita nel Tiralo. Vostra Maestà ricorderà bene
che cosa io fui incaricato di dire al Generale : di spedizioni in Dalmazia, di aiuti della
divisione Bixio etc...., e poi il risultato fu così poco soddisfacente e tanto opposto alle
idee stabilite, che il Generale ha finito forse per dubitare anche di me.
Egli m' interruppe, dicendomi : « che era stato La Marmora ed i suoi
compagni, che si erano opposti vivamente ai suoi disegni; che in quanto a
lui fece ogni sforzo per riuscire e per mantenere quanto aveva promesso,
ma invano ». « Ciò che non toglie, gli soggiunsi io, che possa accadere lo stesso
ora e sempre. Allora fu La Marmora, oggi sarà Menabrea o Gualterio ',
« No, mi soggiunse, non accadrà più ; ma è bene mettersi d' accordo » .
* Io vorrei, disse egli, che il Generale mi prometta, che non farà nulla senza avvi-
sarmi ; come io prometto, dal canto mio, di avvisar lui, appena qualche cosa si potrà fare »
Leggendo le di lei parole disse: « Adagio, disonorata l' Italia non lo è*.
lo gli feci riflettere, che era veramente disonorata per la perdita di Lissa e di
Custoza, per la vergognosa cessione della Venezia e per il nuovo intervento francese
a Roma.
Sì, mi aggiunse, è vero : bisogna armarsi e concentrare il tutto del paese a ven-
dicarci. Ho sete di vendetta; è troppo! Dal 1859 a questa parte ce n è troppo!
Spero, soggiunse, che in questa primavera sorgeranno delle occasioni e che
saremo in grado di fare qualche cosa. Noi ci armiamo; per marzo avremo, sicuro,
quarantamila fucili ad ago. Il resto verrà dopo ; ma con ago o senza ago, faremo il
nostro dovere, lo lo assicurai che, se si metteva su questa via, il di lei appoggio
non gli sarebbe mai mancato, come non gli mancherebbe mai quello del paese. E
badi, gli aggiunsi francamente: « è bene che ormai Vostra Maestà faccia qualche cosa
di serio, perchè il paese chiama paura quello che a Vostra Maestà sembra prudenza
ed il popolo non vede le parecchie umiliazioni di buon occhio. Il contegno del Governo
è stato codardo. Vostra Maestà, volendo, potrebbe, ancora in tempo, lavare le vergogne
nostre ». Mi disse, « se mai. Ella sarebbe disposta per un' impresa lontana, ma di sicura
e bella riuscita? » Risposi, che credevo di no. « // Generale farà in Italia quello che si
deve fare; volontà di allontanarsi dall' Italia non ne ha alcuna ».
Promisi, che Ella avrebbe aspettato fino a marzo, senza lasciare l' isola ; che fino
a marzo e' erano ancora tre mesi, e che in tre mesi potevano farsi miracoli.
Non tanti, mi soggiunse. Se armiamo con gran fretta, e intimeranno il disarmo
e bisogna andar cauti e piano ; ma, infine , faremo. Gli dissi ancora , che per lei
era indifferente avere un Comando nell' armata regolare o dei volontari ; che avrebbe
preferito il comando dei bersaglieri. « Va bene, mi replicò, vi farò chiamare a Palermo,
se avrò bisogno del Generale ; e forse non sarà lontana l' epoca » .
CURÀTULO 24
370 VITTORIO EMANUELE II E GARIBALDI
Così ci lasciammo.
Questo discorso è genuino; io prego Lei di conservarlo. E stato scritto immedia-
tamente dopo che lo lasciai.
Spero che Ella sarà contenta del mio contegno. Ho voluto scriverle tutto, perchè
possa in avvenire servirle questo scritto ; lo conservi per ora.
Suo sempre da figlio
E. ALBANESE
N. B. - Soggiungo, che domandalo, se Ella era in intime relazioni con
Mazzini e se era vero che Ella volesse in Roma proclamare la Repubblica,
risposi: « Solite storie di gente che vuole darle a bere a V. M. Questo solo
so e posso dirle, anche a nome del Generale : che Mazzini e Repubblica vengono dopo
dell' Italia ; che l' Italia è in cima dei pensieri suoi; che non ebbe mai intenzione di
fare questioni di partito della questione nazionale; la sua vita ne è una splendida e
luminosa prova. Che ai Repubblicani, i quali più volte l'hanno rimproverato, dicen-
dogli: « la Monarchia ci paga con l' ingratitudine », ha risposto sempre nella serenità
della sua coscienza : « Io non ho servito mai la Monarchia, ne gì' interessi
di Casa Savoia; ho servito il mio paese e lo servirò sempre ugualmente,
rispettando la volontà della maggioranza. Se sono stato sulla strada della
Monarchia, vuol dire che quello era il cammino dei patrioti italiani, e fu
così che si compirono grandi cose. Io non farò mai questioni di forma! >
Ho fatto bene?
* *
In quei giorni la voce autorevole di un altro patriota era venuta ad
ammonire il re sulla gravità della situazione : era la voce del martire dello Spielberg,
di Giorgio Pallavicino. Un giorno avanti, il 26 dicembre del '67, questi aveva
inviato a Vittorio Emanuele la seguente importantissima lettera, che Anna Palla-
vicino, fedele amica di Garibaldi, comunicava al Generale, in Caprera. La riporto
dall' originale scritto dalla mano della nobile donna.
Giorgio Pallavicino a Vittorio Emanuele.
Pegli, 26 dicembre 1867.
Sire.
Nella « Storia di Francia » del Michelet, io leggo queste parole : « La situation
avait fori empirie depuis Rosbarch. Un Condé battu, reculant jusqu au Rhin. Les
Anglais déscéndant en France et démolissant Chérbourg, brùlant en sécurité cent vaisseux
devant Saint- Malo. Cinq cent millions de dépense, trois cent millions de recette. Un
déficit annuel de deux cent millions ».
MUTUI RAPPORTI E CARTEGGIO INEDITO 371
_^ _
Questo era lo stato della Francia nel 1758. La malattia era grave, era cronica:
il rimedio fu terribile: ma il terribile rimedio, rovesciando la Monarchia, salvò la Nazione.
L' Ottantanove salvò la Francia !
Tolgano i fati, che il vecchio patriota del '21 abbia ad essere testimonio
di un Ottantanove Italiano!
Oggi le condizioni d' Italia hanno molta somiglianza con quelle, che ci vengono
descritte dallo storico francese. Abbiamo Cusloza, abbiamo Lissa, abbiamo V invasione
straniera. II deficit cresce di giorno in giorno, e lo spettro del fallimento minaccia le
nostre finanze.
Sire !
In tale stato di cose, un uomo onesto deve dire la verità; tutta la
verità. Allontanate da Voi i Menabrea, i La Marmora, i Ricasoli, i Minghetti,
i Peruzzi, i Rattazzi ; sono peste d' Italia. Staccatevi dalla Francia, acco-
statevi alla Prussia. Se non vi sentite il coraggio di spezzare i vincoli, che
vi legano a Napoleone III, ed iniziare una nuova politica, la politica che
vi fu imposta dalla Nazione coi suoi plebisciti, siete perduto ed è perduta
la Dinastia.
Avete già il caos nel vostro governo: dopo il caos, lo sfacelo.
La logica è inesorabile.
// Vostro suddito
Senatore del Regno
GIORGIO PALLAVICINO
Questo era il linguaggio che parlavano al re coloro che, per 1' indipendenza
e per 1' unità della patria, avevano sofferto torture, carcere ed esilio.
NOTA
(a pa». 357)
A proposito dell'incontro
di Vittorio Emanuele con Garibaldi nel 1860.
Nessuno ignora le lunghe polemiche sorte per stabilire il luogo preciso, dove,
nel 1 860, avvenne Io storico incontro fra re Vittorio e Garibaldi. L'egregio capi-
tano Del Bono, dell' Ufficio storico dello Stato Maggiore, ha trattato l' argomento.
Il dibattito però, non riguardava soltanto il luogo, dove 1' incontro era avve-
nuto, ma le parole che i due personaggi si erano scambiate in quel solenne
momento. Ciascuno raccontò 1' episodio a modo suo ed anche in questa
occasione i testimoni oculari ed auricolari non fecero difetto.
372 VITTORIO EMANUELE li E GARIBALDI
Mi sembra opportuno porre fine alla controversia con la parola stessa di
Garibaldi.
Nel 1 882 il Circolo Universitario di Bologna commemorava, con una serie
di scritti di eminenti uomini politici, la morte di Vittorio Emanuele. In quella
occasione fu invitato a colloborare anche il prof. Quirico Filopanti, amicissimo di
Garibaldi ed al quale egli scrisse la seguente lettera, che riproduco da un raro
opuscolo di queir epoca.
Bologna, 13 ottobre 1881.
Caro Generale,
Gli studenti che compongono il Circolo Universitario di Bologna hanno diramata,
a me e ad altri, una circolare, colla quale chiedono qualche scritto da pubblicarsi nella
ricorrenza dell' infausto anniversario della morte di Vittorio Emanuele. Una copia pure
ne inviano a voi. Non ignari però dell' alta importanza, che aver potrebbe per essi e
pel pubblico uno scritto, ancorché fosse brevissimo, dettato per questa occasione, deside-
rano che io ve ne porga, come fo, in mio e loro nome, una speciale e calda preghiera.
Nel giorno 9 febbraio 1849, tanto voi come io, votammo il decreto fondamentale
della Repubblica Romana. Nondimeno la vostra abdicazione, nel 1860, alla dittatura
dell' Italia meridionale da voi liberata, e la convocazione del plebiscito che la consegnò
al governo costituzionale del re Vittorio Emanuele, lungi dall' essere una deroga, fu
una conferma dei vostri gloriosi antecedenti, un leale e magnanimo omaggio alla volontà
della nazione, al supremo bisogno della sua politica unità.
Non esistono soltanto delle leggende antiche, ma ancora delle contemporanee. Voi
e Vittorio Emanuele siete già due figure leggendarie. Una delle leggende, che vi riguar-
dano, narra cos) il Vostro abboccamento con Vittorio Emanuele dopo la battaglia del
Volturno : stando ambedue a cavallo. Voi gli diceste : « Salute a voi, re d' Italia »
ed egli, stringendovi la mano, rispose : « Salute a voi, il migliore dei miei amici » .
Le leggende, siano vetuste o moderne, sono per lo piìi inesatte nella forma, tuttavia
veridiche nella sostanza. Sono certo che questa pure, nel fondo, è verissima. Volete
voi dirci, o Generale, con precisione di circostanze, come il fatto, indubitatamente memo-
rabile, avvenne ?
Questi bravi giovani e con essi il pubblico contemporaneo, e la storia, ve ne saranno
riconoscenti.
// vostro
FILOPANTI
A questa lettera Garibaldi rispose :
G. Garibaldi
All' illustre professore Filopanti
Roma.
E vero. E vero.
Maddalena, 21 dicembre 1881.
l^^o<]eL_— — ,ir^^ "^^^'^ ^Z--^
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Lettera di Vittorio Emanuele a Garibaldi
in risposta a quella del Dittatore con cui gli rimetteva il potere su dieci milioni di Italiani. (Vedi pag. 361).
Ultima lettera scritta da Vittorio Emanuele a Garibaldi nel 1860.
(Vedi pag. 362).
CAPITOLO XV.
LA BATTAGLIA DEL VOLTURNO ED IL PLEBISCITO.
L'EROE DIVENTA AGRICOLTORE.
La battaglia del 1" ottobre del Volturno e quella di Caserta Vecchia,
avvenuta il giorno seguente, chiudono la gloriosa epopea del 1 860.
Dall' autografo inedito del generale Menotti Garibaldi, prode figlio dell' eroe
e che combattè con bravura a fianco del Padre, apprendiamo importanti partico-
lari su quelle due memorabili battaglie. Trascrivo lo storico documento, ripro-
ducendo in facsimili i picini d* attacco e la disposizione delle truppe, disegnati
dalla mano stessa del generale Menotti.
Menotti Garibaldi descrive la battaglia del Volturno.
POSIZIONI DELLE TRUPPE DI DIFESA E DELLE TRUPPE DI ATTACCO.
Mio Padre, per condizioni di cose e per disposizione del terreno, fu obbligato a
distaccare le sue truppe nel modo che dirò più sotto ; e ciò perchè non era possibile
difendere Napoli con un corpo di volontari, addossandoli alla città e dove sarebbe stato
difficile ottenere quella con.pattezza, che occorreva per tenere fronte ad un esercito di
circa 45 mila uomini con appena 20 mila.
Nella pianura tra Napoli e Maddaloni e Caserta la cosa era anche più difficile;
perciò era necessario occupare le alture, che, arrivando fino al Volturno, vanno a finire
a S. Angelo, a S. Maria, la valle di Ducenta, fino a Maddaloni; ciò rendeva possibile
ai diversi corpi di appoggiarsi a vicenda, tanto se il nemico avesse attaccato, sortendo da
Capua o venendo da Caianno dopo avere passato il Volturno, o se avesse anche attaccato
simultaneamente ; ciò che, in fatto, fece. E così venne disposto : il corpo di Milbitz
occupava S. Maria, con alcune compagnie a S. Tommaso ; la divisione Medici occu-
pava S. Angelo e per rendere più forte la posizione si era costruito un fortino dinanzi
374 LA BATTAGUA DEL VOLTURNO ED IL PLEBISCITO
a Capua, munito di alcuni pezzi di artiglieria. Medici occupava S. Angelo ed aveva
la sua destra sulla strada verso S. Maria e la sua sinistra fino al bosco di S. Vito,
dove sorvegliava anche il passo di Formicola.
La brigata Sacchi a S. Leucio, col battaglione Bronzetti a Castel Morone con
r incarico di sorvegliare la strada, che viene dalla scaffa di Zimatola. La divisione Tiirr
a Caserta, come riserva ; e la divisione Bixio, col suo quartiere generale a Villa Gualtieri,
a cavaliere delle alture, che difendono la strada di Ducenta per Maddaloni e la strada
che conduce a Caserta.
L' effettivo di queste truppe poteva ammontare a circa 20 mila uomini e non più,
e con queste bisognava accettare battaglia campale contro un nemico, che aveva sulla
nostra fronte più di 40 mila uomini ; ma nell' attacco non ne portò che 33 mila nel
seguente modo ; una colonna, che sortendo da Capua, comandata dal generale Alan
de Rivera, forte di più di 20 mila uomini, attaccò le nostre posizioni di S. Angelo e
S. Maria con una punta verso S. Tamaro ; una seconda colonna di attacco, comandata
dal colonnello Perrone, che passando la scafia di Zimatola, forte di 5 mila uomini,
attaccò la posizione occupata da Bronzetti a Castel Morone ed una terza colonna,
comandata dal generale De Mechel, forte di 8 mila uomini, che passando sotto Ducenta
attaccò, pei ponti della Valle, la divisione Bixio.
Ed ora mi si permetta un' osservaizione a chi critica il modo d' attacco del gene-
rale borbonico. Io credo che, ben ponderato lo stato dei due eserciti, fu il migliore
sistema di attacco, e mi spiego.
Egli, avendo sotto i suoi ordini truppe organizzate, poteva sperare di farle mano-
vrare meglio sopra un grande campo di battaglia, che i corpi di truppe volontarie, che
manovrano per gruppi e manipoli, e così potè, per un momento, mettere a mal partito
r esercito meridionale ; e ci volle tutta 1' energia e l' attività del Generale in capo, se
quella giornata non ci fu fatale. Se invece egli avesse potuto disporre di tutte le sue
truppe sulla linea fra S. McU"ia e Sant' Angelo la battaglia non sarebbe stata dubbia
per un solo momento ; ma certamente per difendere una linea così estesa, sarebbe stata
necessaria una forza molto maggiore. Ma non vi era scelta possibile ; era necessario
difendere gli attacchi o da Capua o da Ducenta o simultaneamente, ed in ogni modo
il corpo nemico, che avesse operato o da una parte o dall' altra avrebbe avuto, in men di
due ore, sul fianco tutto 1' esercito meridionale.
Nella battaglia del 1° ottobre la divisione Bixio aveva l'ordine di sorvegliare la
strada, che da Ducenta conduce a Maddaloni ed in caso respingere il nemico.
La divisione era disposta nel seguente modo : la brigata Dezza col centro a Villa
Gualtieri e la sua destra su Montecaro e Monte della Siepe ; la brigata Eberarth
occupava, con alcune truppe, le pendici di Monte Longano e col maggior numero i
ponti della Valle ; la brigata Basilicata (P. Fabrizi) la posizione di San Michele, in
riserva. Disposta in questo modo, la divisione aspettava l' urto del nemico ed infatti
all' alba del I '' ottobre, la fucileria si fa viva alla nostra destra e vediamo impegnata
la destra della brigata Eberarth, che lentamente si ripiega sui ponti della Valle. Qui
la battaglia si fa generale, e dopo un vigoroso attacco, fatto dalle truppe borboniche.
V EROE DIVENTA AGRICOLTORE
375
la brigata Eberarth abbandona i ponti della Valle e si ripiega, disordinata, su Maddaloni
invece di ripiegare su Villa Gualtieri, ove era il nucleo delle nostre forze combattenti.
Questo fu uno sbaglio grave commesso dal colonnello Eberarth, clie venne così
tolto dal combattimento in tutto il resto della giornata ; e ciò si comprende facilmente
da chi visitando la stretta gola, che unisce Maddaloni ai ponti della Valle, vede che
un corpo di truppa instradatasi in questa non può più riprendere 1' ofiensiva contro
un nemico padrone dei ponti e delle alture di Monte Longano.
DUCENTA.
Alla destra : Esercito Meridionale.
Divisione Bixio (5000 uomini) attaccata dalla colonna De Mechel (8000 uomini).
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I. — Brigata Eberarth.
II. — Brigala Dezza — Quartiere Generale Bixio.
III. — Battaglione Bambrini.
IV. — Battaglione Menotti Garibaldi.
V. — Brigata " Basilicata ,, - colonnello Paolo Fabrizi.
VI. — Riserve di truppe borboniche.
VII. — Truppe borboniche, colonne di attacco contro Montecaro e Monte
della Siepe.
Vili. — Colonne di attacco contro Monte Longano ed i ponti della Valle.
IX. — Ultima posizione conquistata contro Villa Gualtieri.
376 LA BATTAGLIA DEL VOLTURNO ED IL PLEBISCITO
Contemporaneamente a quest' attacco, fatto con molta energia da parte delle truppe
borboniche, altre forze del nemico erano lanciate sulle posizioni di Montecaro e Monte
della Siepe : un battaglione operava contro Montecaro, uno contro Monte della Siepe
ed un battaglione di sostegno. Questi battaglioni erano di truppe estere e forti di 1 200
uomini : invece i battaglioni nostri erano così per dire. Il battaglione di Menotti Gari-
baldi era di 350 uomini; ma il battaglione Boldrini era di appena 200 uomini.
Le posizioni di Montecaro e di Monte della Siepe sono naturalmente fortissime,
principalmente per chi viene dal paese di Valle. Questo primo attacco fu facilmente
respinto ed il nemico obbligato a ritirarsi in disordine ; ma, disgraziatamente, il mag-
giore Boldrini credette di proseguire la vittoria ed inseguire il nemico, scendendo con
i suoi fin presso il paese di Valle, dove il nemico aveva le sue riserve di circa 2000
uomini. Qui, naturalmente, la scena cambia e da attaccante, quel battaglione, si vede
attaccato ; e dopo prodigi di valore inaudito fu quasi annientato ed i superstiti, in numero
piccolissimo, poterono, a stento, riguadagnare le alture e riunirsi al mio battaglione.
Intanto, il nemico aveva occupato Montecaro e due pezzi di artiglieria da montagna
e da quella posizione sovrastante aveva già aperto il fuoco contro le nostre posizioni.
Ma qui esso commise lo stesso sbaglio già da noi fatto. Senza aspettare di essere rin-
forzalo e di essersi fortemente stabilito nella posizione acquistata, scese per attaccare
alla baionetta il battaglione, che occupava Monte della Siepe e ad un contro-attacco,
fatto dai volontari, non potè resistere e pressato dalle nostre baionette, invece di ascen-
dere la montagna, ciò che era sommamente disagevole, fu obbligato di girarla. Il colon-
nello Dezza, accortosi dello sbaglio del nemico, chiamati due battaglioni di rinforzo
da Villa Gualtieri li mandò, sotto gli ordini del valoroso colonnello Taddei, morto poi
a Custoza, a rioccupare la posizione di Montecaro. I volontari raggiungevano la vetta
nello stesso tempo che altre truppe borboniche giungevano per rinforzare la posizione
ed allora, come sempre, la baionetta dei volontari ebbe ragione ed il nemico disor-
dinatamente si ripiegò su Valle. Altri attacchi furono poi tentati contro queste due
posizioni, ma senza energia e perciò con poco successo.
Intanto, la battaglia si faceva sempre più viva sul nostro centro e con svantaggio
del corpo dei volontari. Questi avevano già perduto le posizioni di Monte Longano
ed i ponti della Valle, abbandonando due cannoni, che fino all' ultimo avevano fatto
fuoco sul nemico attaccante.
Il nemico, padione dei ponti, avanzava verso Villa Gualtieri, dove era la maggior
parte della Brigata Dezza, ed i nostri erano obbligati a ripiegare lentamente.
Il generale Bixio aveva formato intanto, dietro Villa Gualtieri, una colonna di
attacco di sei battaglioni per dare un colpo decisivo ; e quando il nemico giunse
a qualche centinaio di metri dalla Villa, egli si lanciò alla testa di queste truppe sul
nemico, che non resistette all' urto e ripiegò prima lentamente, ma poi in disordine
completo e fu inseguito per la pianura fino quasi al paese di Valle. Allora sarebbe stato
facile per noi cogliere il frutto della vittoria, perchè la demoralizzazione del corpo
borbonico era completa e diffìcilmente avrebbe potuto ripassare il Volturno, senza
lasciarci gran parte dei suoi.
f EROE DIVENTA AGRICOLTORE
377
Ma le notizie che ci giungevano dalle altre parti del campo di battaglia erano
contradditorie ; ed allora, con molta prudenza, Bixio ci ordinò di riprendere le posizioni
per aspettare gli eventi. Alle due tutto era finito ed i nostri volontari aspettavano,
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I. — Bai taglione Bronzetti.
n. — Compagnia di osservazione.
III. — Brigata Sacchi.
IV. — Compagnia di osservazione.
V. — Divisione Tiirr in riserva.
VI. — Corpo borbonico forte di 5000 uomini che. attraversato il Volturno alla
scaffa di Zimalola, attaccò Castel Morone, difeso da Bronzetti.
378 LA BATTAGLIA DEL VOLTURNO ED IL PLEBISCITO
coir arma al piede, di essere chiamati in altri punti, e sarebbero stati di ausilio
prezioso, perchè, fieri dei successi ottenuti, avrebbero saputo compiere dei miracoli.
Ma la vittoria volgeva propizia anche sugli altri punti e nessun ordine venne.
Non è esatta la notizia data da altri, che il generale Garibaldi fu, durante l'azione
del primo ottobre, ai ponti della Valle; non vi venne in tutta quella giornata. Egli
aveva visitato col generale Bixio le nostre posizioni, quattro giorni prima, ed aveva
disposto il modo di difesa, e mi ricordo che il generale Bixio diceva sempre che le
fasi dell' attacco del nemico si erano svolte, come le aveva previste il Generale in capo.
All' energia, all' attività, all' intelligenza del generale Bixio l' Italia deve, se essa
può ascrivere, fra i suoi eventi fortunati, i fatti successi al ponte della Valle in un
momento, quando tutto sembrava perduto. Egli si centuplicava e, colla parola e con
l'esempio, otteneva dai volontari miracoli.
Verso le dieci la colonna borbonica, forte di 5 mila uomini, che aveva attraver-
sato il Volturno alla scaffa di Zimatola, attaccò i nostri avamposti sul davanti di Castel
Morene. Essendo stati questi obbligati a ripiegare dinanzi al numero, il nemico venne
ad attaccare la fortissima posizione di Castel Morone, che è quasi a cavaUere della
strada, che conduce dalla scaffa di Zimatola a Caserta. Per molte ore il valore di
Bronzetti e dei suoi pochi volontari seppe resistere all' urto di forze così superiori ;
mancando però le munizioni, il fuoco dovette cessare da parte dei nostri ed il nemico
allora potè occupare il paese, respingendo i nostri restati in piedi e fra questi il bravo
Bronzetti, che si ritirarono nella chiesa e non volendo arrendersi vi furono baionettati.
11 loro eroismo fu però di grande ausilio alla battaglia, perchè essi impedirono, in numero
di 200, ad un corpo di 3000 uomini di entrare in linea di battaglia e di venire ad
attaccare le nostre posizioni di San Leucio ; ciò che avrebbe obbligato una parte delle
nostre riserve di Caserta di avanzare da quel lato e non sarebbe più stata pronta
per accorrere su Santa Maria e dare, sotto gli ordini del Generale in capo, il colpo
decisivo.
Prima dell'alba del primo ottobre, un corpo di truppe borboniche sortiva da Capua,
e passando fra Sant'Angelo e Santa Maria, si portava a prendere posizione sulle
pendici del Monte Tifata, lasciando un battaglione sulla strada, dove sembra il nemico
sapesse che il generale in capo passava tutte le mattine all'alba in carrozza, venendo
da Caserta per visitare Santa Maria e Sant'Angelo.
11 maggiore Basso, Segretario particolare del Generale in capo, mi raccontava,
come segue, l'episodio.
Giunti ai primi albori, a metà strada fra Santa Maria e Sant' Angelo, videro
come se sorgessero dal terreno delle ombre e le carrozze, in numero di sei o sette,
si videro circondate dal nemico, che aprì su queste una vivissima fucileria.
11 cocchiere della prima carrozza, vicino al quale era seduto il Basso, fu ferito e
fu ammazzato un cavallo; ma, coH'altro cavallo ancora sano, la carrozza potè prendere
la strada incassata, che va quasi parallela alla nuova strada; e quando le carrozze
furono al sicuro dalla fucileria, allora il Generale in capo col suo seguito scese a piedi
ed in quel modo potè raggiungere i primi corpi dei volontari , che erano verso
Sant'Angelo, appartenenti alla brigata Simonetta e potè così scampare ad un pericolo
L" EROE DIVENTA AGRICOLTORE
379
gravissimo; perchè se il nemico, invece di aprire il fuoco sulle carrozze, lo avesse
caricato alla baionetta, sarebbe stata quasi certa la cattura o la morte del Generale
in capo ed un colpo di mano condotto con tanto studio ed accorgimento fallì per una
momentanea mancanza di energia. Un attacco alla baionetta ben diretto e tutto sarebbe
finito, e molte volte i volontari dovettero a questi attacchi il segreto delle loro vittorie.
I. — Brigala Spangaro.
lì. — Brigata Milbitz.
III. — Brigata Milbitz.
IV. — Dìoisione Medici. — Brigata Simonetta.
V. — Divisione Medici.
VI. — Battaglione borbonico che fucilò, alF alba, le carrozze del Generale
in capo.
VII. — Corpo di truppe borboniche, che aoeva occupato quella posizione
dall' alba e che poi Ju scacciato da alcune compagnie della
Brigata Simonetta.
Intanto, le truppe di attacco borboniche, sotto gli ordini dal generale Alan de
Rivera, sortite da Capua si avanzano sulle nostre posizioni di Sant'Angelo, Santa
Maria e San Tommaso. L' attacco su Sant'Angelo, condotto con molto vigore, ci fece
perdere la batteria costruita dinanzi a Sant' Angelo, che i volontari dovettero abban-
donare, ripiegando più indietro e mantenendo a stento le posizioni, che formano le
pendici del Monte Tifata verso Capua.
380 LA BATTAGLIA DEL VOLTURNO ED IL PLEBISCITO
La presenza del Generale in capo, che condusse fino alle undici 1' azione in quella
parte, potè a stento ristabilire la battaglia e restare così padroni delle posizioni occupate,
meno del fortilizio, che il nemico tenne per tutta la durata dell'azione.
Le posizioni dinanzi a Santa Maria, attaccate dal nemico, (urono difese validamente
dal corpo di Milbitz, che aveva la sua base in Santa Maria. Queste posizioni furono
prese e riprese diverse volte ; ma i volontari restarono sempre padroni della città.
Verso San Tommaso 1' attacco fu più fiacco, perchè il nemico aveva concentrato
tutte le sue forze fra Santa Maria e Sant' Angelo ed aveva simulato verso San Tommaso
per tenere a bada le forze nostre in quelle posizioni. Quando 1' azione fu ristabilita
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\. — Colonna d' attacco partita da Caserta.
11. — Truppe della Brigata Sacchi.
in. — Quattro battaglioni della Divisione Bizio.
IV. — ■ Corpo borbonico circondato e che capitolò.
sulle alture di Sant' Angelo, il Generale in capo accorse a visitare il campo di battaglia
di Santa Maria ; e vedendo il momento giunto per dare il colpo decisivo, fece avanzare
le truppe, che erano di riserva in Caserta. Queste, appena giunte sul campo dell' azione,
furono ordinate in colonna di attacco e, sortendo da Santa Maria, caricarono alla baionetta
le truppe borboniche che occupavano la strada, che conduce a Capua ed ai fianchi
di questa. A quest' attacco di truppe fresche, condotte dal Generale in capo in persona,
il nemico non resse e cominciò il suo movimento di ritirata, che poi degenerò in fuga.
Questo movimento vittorioso in avanti dei nostri mise la colonna di attacco borbo-
nica, che operava verso Sant'Angelo, in pericolo di essere attaccata di fianco e respinta
da truppe vittoriose sul Volturno e così cominciò prima il movimento di ritirata, che
poi volse anche in fuga per potere rientrare nella fortezza di Capua.
in questo modo, verso le tre, ebbe fine quella giornata del 1° ottobre, che fu
combattuta con tanto accanimento da ambo le parti ; e si deve alla bravura dei volontari
ed all' energia ed alla perspicaccia dei capi, se essa fu propizia alle forze nazionaU.
L' EROE DIVENTA AGRICOLTORE 361
La notte, le truppe dei volontari dormirono nelle posizioni occupate il mattino e
solamente la colonna, che aveva annientato il corpo valoroso di Bronzetti si poteva
avanzare verso il parco di Caserta. Il Generale in capo, avvisato della presenza di un
corpo nemico nelle vicinanze di Caserta, ordinava l' accerchiamento ed infatti, all' alba
del 2 ottobre, sortivano da Caserta alcuni battaglioni di volontari con due compagnie
di bersaglieri e due compagnie di linea dell'esercito subalpino e attaccarono il nemico,
che aveva occupato Caserta vecchia, e dopo un attacco condotto con molta bravura
tanto dalle truppe regolari come dai volontari, il nemico, vedendosi circondato da tutte
le parti e la sua posizione disperata, alzò la bandiera bianca e depose le armi.
Per compiere 1' accerchiamento si erano avanzati da San Leucio la brigata Sacchi
e da Villa Gualtieri quattro battaglioni della divisione Bixio, dei quali presi io il
comando.
La battaglia del 1° ottobre completava la disorganizzazione morale delle truppe
borboniche, che si accampavano dietro la fortezza di Capua, al di là del Volturno ;
ed essendo finito il pericolo di un colpo di mano borbonico per la Valle di Ducenta,
per Maddaloni e Napoli, la Divisione Bixio scendeva a Caserta, dove prendeva i
suoi quartieri ed allora 1' esercito meridionale si trovò sul triangolo : Caserta, Capua,
Sant' Angelo, sorvegliando con alcuni battaglioni gli approcci della fortezza. Vi furono,
in alcuni giorni, da respingere piccole partite del nemico fino al passaggio del Volturno,
che fu eseguito su ponti provvisori alla scaffa di Formicola per andare incontro alle
truppe subalpine e così finì per l'esercito meridionale la campagna del 1860.
MENOTTI GARIBALDI
Le lotte, che nel settembre ed ottobre del '60 si agitarono a Napoli, intomo
a Garibaldi, furono ben più violente di quelle che si erano svolte a Palermo
nel giugno e luglio di quell' anno.
Già fimo dal 31 agosto, un grande amico del Generale, il Deidery, aveva
scritto la seguente lettera inedita :
G. Deidery a Garibaldi.
Genova, 31 agosto 1860.
Caro Garibaldi,
Ti avverto, in fretta, che Cavour e Farini tentano tutti i mezzi per arrestarti nelle
lue marcie vittoriose.
Una cospirazione agisce potentemente in Napoli, onde impedire il trionfo della
causa dell'unità.
382 LA BATTAGUA DEL VOLTURNO ED IL PLEBISCITO
Tale cospirazione è capitanata dai due cavouriani, Emilio Visconti
Venosta e Giuseppe Finzì; a questi due il governo manda ogni sorta di mezzi,
denari ed armi, che la troppo credula e pecorina moltitudine crede spedito a te. Tu
devi conoscere il vero, tanto li serva. Stiamo tutti bene, ma privi di tue notizie.
Credimi sempre tuo
G. DEIDERY
A Palermo la situazione non era meno critica che a Napoli ed il prodit-
tatore Mordini ne era assai preoccupato. Le due seguenti lettere, dirette da
Bargoni, Segretario generale della prodittatura, al Calvino, allora presso Garibaldi,
illustrano quel difficile momento. Una di esse è anche importante per quello che
si dice del Crispi ; di quest' anima fiera, che in nessun' epoca della sua vita
riuscì a godere popolarità.
Angelo Bargoni a Salvatore Calvino.
GABINETTO
DEL PRO-DITTATORE Palermo, 7 settembre 1860.
Mio caro.
Qui siamo in stato di crisi. L' avversione contro Crispi crebbe in modo smisurato.
Gli stessi suoi amici, mano a mano V abbandonarono. Circondato da altri, che essi non
credono amici ceri, non lo poterono più avvicinare e se ne dolsero invano. Alcuni errori,
forse necessari, relativi alla conservazione dell' impiego o della pensione a persone odiate
o sospette, divenne argomento di nuove e più violente accuse. L' impazienza del partito
annessionista trovò nuove armi contro di lui. E domenica o martedì, il malcontento doveva
prorompere in dimostrazioni di piazza, che furono stornate dal savio contegno della
Guardia Nazionale, quantunque anche nelle sue file covino i germi dell' agitazione.
Crispi comprese la propria impopolarità, e superando le istanze e le preghiere di Depretis,
diede la sua dimissione. D'altronde, sia pure a torto, esso è divenuto impossibile, e richia-
marlo al potere sarebbe provocare su di lui una fucilata. Non esagero : ma ripeto Voci
comuni, e tu che conosci il paese puoi crederlo. Intanto, occorre di sostituirgli persona
la cui presenza nel Gabinetto armonizzi cogli altri elementi, che lo compongono, perchè
una dimissione in massa sarebbe fatale, come quella che obbligherebbe a perdere il
frutto dei lavori, che si stanno facendo per la riorganizzazione del paese. Vuoisi poi,
che venga anche la volta del Ministro della Guerra ; ma la sua caduta non avrebbe
significato politico.
Vengo ad altre più gravi difficoltà. II moto annessionista cresce e continua. E se
non fosse per rispetto alla volontà di Garibaldi, il decreto per il plebiscito sarebbe
L' EROE DIVENTA AGRICOLTORE 383
già pubblicato. Ho motivo di credere, che da Torino si sia lavorato immensamerìle a
questo scopo. Cordova, Sant'Onofrio sono affaccendatissimi. Il deputato Bottero è qui
da molti giorni ; 1' Opinione dice, che ha la missione di affermare a Depretis il desi-
derio del Governo di Torino, che il paese sia consultato subito ; Regnoli scrive che
Cavour disse, che Bottero ha la missione di verificare, se e quanta influenza hanno i
repubblicani. Intanto sta il fatto, che a nome di Bottero si raccolgono firme per l'annes-
sione. Ma Bottero dice di esservi estraneo. Ieri è arrivato l'avv. Casalis da Torino
e grida annessione, come un energumeno. Ma Depretis non vi consentirà mai, senza
il consenso di Garibaldi, e per ottenerlo era disposto a fare, egli stesso, una gita al
campo. Non so chi primo gliene abbia suggerita l' idea ; certo fu qualcuno che aveva
secondi fini. Non sarebbe stato fuori del posto, se una dimostrazione avesse portato
Cordova e Torrearsa e compagnia al potere ; fortunatamente vi rinunciò e invece partì
Piola. Ma Piola non è uomo politico, a quanto mi si dice ; e non so come eseguirà
la sua missione. Ora parte un vapore e Cenni ne profitta per scrivere al Generale ;
credo, per altro, ch'egli esageri, smentendo l'importanza dell'agitazione annessionista;
come esagerano quelli che gliela danno intera. In sostanza, ritengo che la forza morale
del nome e della volontà di Garibaldi possa avere ancora efficacia per imporre tranquil-
lità, almeno per quindici giorni. Ma non sono d'accordo con Cenni nel consigliare,
che un proclama venga da lui per non esautorare moralmente Depretis, che non avendo
forza materiale abbisogna di tutto il prestigio morale. A mio credere, necessiterebbero
istruzioni formali e precise di Garibaldi, che questi all'occasione potesse rendere osten-
sibili ; ma il manifesto o proclama dovrebbero venire da lui. Sopralutlo, dovrebbe mandar
qui un suo ufficiale, che fosse, per pochi giorni, come il rappresentante vivo delle sue
istruzioni ed il contrapposto di Bottero, in cui si Vuol vedere il rappresentante di Cavour.
E una mia idea; ma la credo, scusa la modestia, d'indispensabile realizzazione.
Te la raccomando; si tratta di evitare una crisi scandalosa. Si tratta del bene di
Sicilia e sopratutto d'Italia!
Molto avrei a dirti sulle cose di Napoli. Ma il vapore parte inesorabilmente.
Addio.
Tuo
ANGELO BARGONI
P. S. - Non ti ho scritto a mero sfogo, ma perchè è necessario che tu parli
con Garibaldi.
GABINETTO
DEL PRO-DITTATORE Palermo, 1 5 settembre 1 860.
Amico carissimo.
Le interne condizioni del paese non sono sostanzialmente cangiate, nei brevi giorni
di tua assenza. Ma la pressione dal di fuori aumenta e l'interno può sentirne funesta-
mente l'influsso.
384 LA BATTAGLIA DEL VOLTURNO ED IL PLEBISCITO
I pochi uomi, che ci osteggiano si sono resi padroni delle colonne dei giornali
del continente e vomitano ingiurie contro di noi, cercando mostrarci sotto il peso di
mille menzogne e di mille calunnie. Vantano di essere costituiti in Deputazione, e
sorprendono la buona fede di questo o di quello per poi servire di conserva ai fini
di una politica, ch'essi dicono esser quella, che ha condotto a Firenze ed a Bologna;
ma che noi vediamo esser quella, che ha condotto a Villafranca ed a Nizza. Intanto,
si prepara una spedizione armata contro la Sicilia ed il Giornale Ufficiale di Genova,
così riserbato di solito, ne dava anzi come già partito l' ordine. La cosa d* altronde,
è confermata da troppe altre lettere di persone autorevoli per poterla porre in dubbio.
In questa contigenza, che fare?
Affrettare una lotta, spargere e far spargere sangue fraterno ? Tutt' altri uomini,
che noi ne sarebbero capaci. Ma questi, ancora non ne avrebbero i mezzi ; che qui,
e lo sai, noi giudicati terroristi, abbiamo per unica forza alcuni fanciulli dell' Istituto
Garibaldi. Oggi stesso è venuto lo Stromboli ad imbarcare artiglieria.
Opporre una resistenza passiva? Lasciar entrare quei signori e dargli l'aria di
voler continuare a governare ? Ma sarebbe un governo senza forza morale e un arri-
schiare di cadere nel ridicolo. E poi potrebbero scuscitare partiti e provocare disordini.
Accettare, subire l' intervento ? Ma e' è di mezzo l' interesse della Sicilia, quello
d' Italia.
Quello della Sicilia che, o diventerebbe provìncia piemontese, non parte
della famiglia italiana, o sarebbe nelle mani del Conte di Cavour, prezzo
d' un altro mercato qualunque. Laddove, checche avvenga sul Continente, se può
conservarsi la Sicilia all'Italia, se ne può fare la cittadella, il cardine dell'azione
nazionale.
Ma qui veniva la sensibile quistione del come. E un solo modo si è presentato.
Riferirsi al decreto 23 giugno 1 860 del Dittatore ; far sì che il medesimo non rimanga
opera morta ; imporsi alla diplomazia colla solennità di un grande atto e, nello stesso
tempo, non vincolare il Dittatore.
Perciò, previe conferenze singole, individuali, e dietro discussione generale comune,
si è dai Ministri e dal Prodittatore ritenuto indispensabile di lanciare un manifesto,
anzi un Decreto, per la convocazione dei Collegi elettorali, salvo poi a convocare
l'assemblea, quando lo crederà il Dittatore.
E un passo non definitivo, che si è fatto : un passo pel quale tutti concordemente
avrebbero voluto interpellare il Dittatore ; ma pel quale non e' era tempo, tanto più
attesa la interruzione della linea telegrafica.
Tre vapori sono venuti successivamente da Napoli in poche ore, senza una riga,
ne scritta, ne stampata per alcuno di noi.
E una condotta inesplicabile !
Ti abbraccio in fretta e di cuore. Ricordati, che sei atteso impazientemente.
E scuotiti, dice Mordini.
Tuo affezionatissimo
ANGELO BARCONI
L'EROE DIVENTA AGRICOLTORE 385
Dissi di sopra, come le lotte che si agitarono nel settembre ed ottobre
del *60, a Napoli, fossero assai più violente di quelle, che si erano agitate in
Palermo, nel giugno e luglio di quell' anno. Il dibattito era sorto dal fatto, che
mentre alcuni volevano che il plebiscito fosse preceduto dall' assemblea, altri soste-
nevano, invece, doversi procedere senz' altro al plebiscito. Erano fra i primi gli
uomini più accesi del partito di azione : Bertani, Crispi, Cattaneo e da principio
lo stesso Garibaldi. Fra gli altri militavano i rappresentanti più accreditati del
partito piemontese. Ma il sostenitore autorevole ed efficace del plebiscito fu
il marchese Giorgio Pallavicino Trivulzio ; il quale, sebbene fosse da principio
di diverso parere, divenne poi il paladino della politica cavouriana ; e ciò non
perchè egli fosse uomo da subire l' influenza del conte di Cavour, che aveva
sempre combattuto, ma perchè si era convinto che la convocazione di un'assem-
blea, al punto in cui erano giunte le cose, sarebbe stata causa di guerra civile.
Ciò comprese in ultimo lo stesso Garibaldi, che decretò il plebiscito.
La storia di quei giorni è in parte nota ; ma le importanti lettere inedite,
che qui appresso trascrivo dagli autografi della mia raccolta, e dirette a Gari-
baldi dal Bertani (che finì col dimettersi dall' ufficio di Segretario generale della
Dittatura e coli' allontanarsi da Napoli), dal Pallavicino, che si era pure
dimesso da Pro-Dittatore insieme al Ministero, da Andrea Colonna, e da Cesare
Augusto Vecchi, ci danno un' idea esatta della grande tempesta, che si scatenò
a Napoli.
Agostino Bertani a Garibaldi.
SEGRETERIA GENERALE
DITTATURA DELLE DUE SICILIE ^*P°''' ^3 settembre 1860.
Caro Generale,
Ho parlato oggi con un ufficiale superiore dell* Esercito Regio, che lasciò Capua
da tre giorni. Egli non volle venire a voi, e non vuole più riedere a Capua, essendo
ricco e colla moglie ammalata. Mi narrò :
« che i Regi saranno da 30 a 35 mila ; che furono ingrossati dagli sbandati, che si
lasciarono passare ;
» che sonvi 10-12 batterie, fra le quali alcune rigate, di cui una serve gli Svizzeri;
» che i battaglioni esteri non danno la forza complessiva di oltre i 3 mila uomini ;
» che si manderanno sempre contro, pei primi, i buoni soldati, cioè gli esteri ; vinti
quelli, non v' ha che marmaglia dietro ;
CURATOLO 25
386 LA BATTAGLIA DEL VOLTURNO ED IL PLEBISCITO
» che gli Svizzeri per ora diserterebbero ;
» che vi ha la solita diffidenza verso gli ufficiali ;
» che di carne e farina hanno abbondanza, ma difettano di ogni altro commestibile;
» che la truppa è allettata dalla promessa di saccheggio ;
» che le truppe di Lamoricière cominciano a congiungersi coi Regi » .
Oggi ricevetti avoiso, che l' esercito settentrionale è a tre ore dal confine abruzzese;
mi si domandarono istruzioni. Risposi, che si rinforzassero i confini dei nostri e si
chiedesse a coi che fare. Io lo domando a voi; e parmi potreste rispondere che slieno
al loro posto per ora, essendo voi Dittatore.
Domani verrò a vedervi. Buona notte. Vostro
A. BERTANI
SEGRETERIA GENERALE
DITTATURA DELLE DUE SICILIE Napoli, 23 settembre 1860.
Caro Generale,
E meglio combattere e morire, che governare e vivere rabbiosi.
10 vi prego di accettare il Ministero combinato con Conforti. Anche Zuppetta
lo trova conveniente.
Cosenz aveva in tasca la dimissione del Ministero e non 1' ha data a voi, pres-
sato dai vostri ordini militari.
Quanto agli attuali Direttori dei Ministeri, che non valgono per noi, parleremo
poi e ci metteremo d' accordo coi singoli Ministri.
Bisogna aver pazienza e riformare il Decreto per la nomina del Comitato di
Sicurezza Pubblica, come ve lo presento, staccando affatto la Polizia dall' Interno.
Vi mando quindi un nuovo modello di Decreto per il Ministero e per il Comitato.
Abbiate pazienza !
11 Ministro di Finanza fa adesso delle difficoltà di forma per il milione di cui
parlammo e da tenersi a disposizione nostra per i Comitati nostri e per l' arruolamento.
Favorite quindi a farmi una riga, in cui diciate: « E aperto il credito di un milione
di franchi al Segretario Generale della Dittatura >».
Quanto agli 820 mila franchi per G. B. Garibaldi di Marsiglia si è pensato bene
di aprirgli un credito corrispondente presso questa Tesoreria Generale.
Ho messo in relazione Conforti con Cattaneo. Se la intendono.
Fate di conservare voi la somma delle cose, senza la Prodiltatura di mezzo per
ora. Se io non venni oggi, fu per salute e lavoro. Quando vogliate, volerò. Domani e
dopo avrete decreti importanti. Sono arrivati amici : Saffi sarà qui domani.
Che direste dell' idea di convocare, in questa parte d' Italia, un Parla-
mento in contrapposto a quello di Torino?
Vostro sempre
A. BERTANI
L'EROE DIVENTA AGRICOLTORE 387
P. S. - Da Palermo si richiede 1' allontanamento del cavaliere Sant' Onofrio del
Castillo, come incaricato lasciato dal Cordova per proseguire nelle mene. Egli fu fatto
da Depretis, fuori di Consiglio, il 21 agosto, Amministratore Generale delle Poste.
Di là cominciarono guai e disgusti.
Attendo vostri ordini per ciò. Vostro
A. BERTANI
SEGRETERIA GENERALE
DITTATURA D^ DUE SICILIE N^P°''' ^3 settembre 1860.
Caro Generale,
Sono urgenti i decreti che vi propongo.
Al Ministero della Guerra e in tutte le dipendenti amministrazioni abbiamo nemici.
Il materiale fu tutto disposto. Anche gli altri Ministeri non hanno ancora cambiato
il personale.
Urge riparare alla possibile reazione e mostrarsi forti. Io sono qui solo, senza
corrispondente autorizzazione. Faccio sulla fede di far bene ; ma posso essere sconfessato
o non obbedito. Provvedete, di grazia; firmate i decreti che vi mando e
create un' autorità, se non vi fidate abbastanza.
Vostro di cuore
A. BERTANI
SEGKETERIA GENERALE
DITTATURA DElZe DUE SICILIE '^«P^''' ^^ settembre 1860.
Caro Generale,
Vi unisco il progetto di decreto per la ricomposizione del Ministero.
Per il dipartimento degli Affari Esteri , essendo riservato al Dittatore , saranno
sufficienti due Capi Dipartimenti, uno pel personale e contabilità, 1' altro pei Consolati.
Per non fare due Ministeri, abbiamo aggregato il Culto al Ministero di Grazia
e Giustizia. I due sacerdoti da voi raccomandati saranno posti come Capi Dipartimento,
tanto pili che il Bianchi non accetterebbe, e d' altra parte sarebbe esposto a critica
molto forte.
Vostro di cuore
A. BERTANI
P. S. - Vi unisco altro decreto per contenere lo zelo dei preti, per la vostra firma.
388 LA BATTAGLIA DEL VOLTURNO ED IL PLEBISCITO
SEGRETERIA GENERALE
DITTATURA DELLE DUE SICILIE Napoli. 25 settembre 1860.
Caro Generale,
Nelle gravi evoluzioni politiche vi sono delle difficoltà create pili dagli uomini che
dalle cose. Voi, che incarnate il pensiero, il voto, il proposito dell' unità e libertà
d' Italia, sapeste fare le mirabili cose, che redensero in poche settimane quelle provincie
meridionali. Eppure adesso, qui in Napoli, trovate degli uomini, che vi attraversano il
glorioso cammino e che, mentre voi siete agli avamposti a difenderli da un' invasione
borbonica minacciata ad ogni ora, proclamano che la tranquillità e la pace del regno
è in pericolo.
Questi uomini mentiscono, perchè Napoli non fu mai così tranquilla, ne tutte le
22 Provincie di questa parte d' Italia ebbero mai più solenne unanimità confidandosi a
voi; ferme nel vostro programma e sicure della vostra lealtà.
Questi uomini ne elidono, necessariamente, altri che propugnarono sempre il vostro
programma. Ora, perchè 1' urto non divenga maggiore e voi possiate discernere ; rimossi
i riguardi dell' amicizia, scegliete chi meglio comprenda le necessità attuali del vostro
programma; io credo fare opera patriottica, ritirandomi dalla carica che mi avete
affidata.
Vi prego perciò di accettare la mia rinuncia ai grado di colonnello e la mia dimis-
sione dalla carica di Segretario generale.
Vostro affezionato
A. BERTANI
SEGRETERIA GENERALE
,^,._^ . .^. ,„ . ^r~, , r- r^. .r- o.,-iiir- NapoH , 25 scttcmbrc 1860.
DITTATURA DELLE DUE SICILIE ^ '
Caro Generale,
I nomi e le persone, troppo uditi gli uni, troppo vicino le altre, facilmente stancano ;
cos) io ho stancato voi e me ne avete fatto accorto dacché siete lontano di qui, cogli
immeritati rimproveri innanzi agli amici miei e colle umilianti ammonizioni innanzi lo
sconfortato Conforti.
Voi mi avete negato la firma al decreto per un milione da tenersi a vostra dispo-
sizione, dopo che voi mi autorizzaste a chiederlo pei Comitati e per gli arruolamenti ;
dopo che io mi era già compromesso con iniziative presso il Ministro Scialoia, che
esigeva quell' ordine vostro.
Voi avete, di vostra mano, cancellato ieri, rimpetto a un terzo, il grado di colonnello,
che mi avete dato e che credo non {sfregiato dal mio nome.
LEROE DIVENTA AGRICOLTORE 389
Io sono bersagliato, come vostro ispiratore di una politica di resistenza all'annes-
sione. Sono bersagliato dagli amici nostri d' ogni parte d' Italia, che vedono la paralisi
in questo governo e la contraddizione fra i detti, i sentimenti ed i propositi espressi
più volte, ed i fatti. Fra le misure di oggi e quelle di ieri.
Sono impotente nel farvi accettare le misure, che devoti e disinteressati amici vostri
vi propongono come indispensabili oggigiorno al potere.
Sono messo così da Voi fra la riooluzione e la conservazione, e nessun uomo può
durarvi.
Io consumo così il mio qualsiasi nome e le mie poche forze inutilmente e che
spero di potere spendere, più tardi, a migliore vantaggio del paese. Voi potete farvi
assistere da altre persone, ben altrimenti distinte, venutevi d' intorno d' ogni parte
d' Italia.
Vogliale quindi, caro Generale, accettare la mia dimissione dal grado di colonnello
e dal posto di Segretario generale; la dimissione è qui unita.
Ho la coscienza di avere da quasi due anni lottato fortemente e lealmente per voi
e con Voi, per V unità e la libertà d' Italia.
In questi Venti giorni non mi sento colpabile d'inerzia o di sviamento. Scendo
tranquillo e ritorno a Genova per pubblicare i conti della mia gestione ed a farvi il
medico, curando altre piaghe dell' umanità e rimanendo sempre
A. BERTANI
P. S. - Vi raccomando i Comitati pel « Soccorso a Garibaldi * cui avete promesso
aiuti di denaro.
SEGRETERIA GENERALE
DITTATURA DELLE DUE SICILIE ^^P°''' ^J ««"f'n'''^ '^ÓO.
Santa Maria.
Caro Generale,
Perdonate, se mi reco a Napoli. Io debbo partecipare agli amici nostri le gravi
decisioni da voi prese e debbo spicciare cose urgenti.
Non dubitate. Non farò atto alcuno io, fuori di spedizione di affari di ordine
comune.
Voi prometteste denari ai « Comitati di soccorso a Garibaldi ». Ne prometteste
per sostenere la stampa qui e nell' Italia settentrionale. Oggi ho chiesto perciò 10 mila
ducati ; se non li trovo già consegnati in Napoli, vi pregherò di dare un ordine voi
e di affidarne l' incarico ad altri.
Vi lascio un mio calabrese confidente per darvi gli atti da firmare.
Vostro
A. BERTANI
390 LA BATTAGLIA DEL VOLTURNO ED IL PLEBISCITO
Napoli, 29 settembre 1860.
Caro Generale,
Vi presento il signor Emilio Savio, capitano di artiglieria nell'esercito di Sua Maestà
Vittorio Emanuele, che viene con venti uomini del suo corpo ad offrire 1' opera sua
pei vostri cannoni.
Persuaso, che gradirete moltissimo la generosa profferta, io sono lieto di presen-
tarvi il bravo capitano, che è impaziente di misurarsi coi nostri nemici.
Vostro
A. BERTANI
Napoli, 30 settembre 1860.
Caro Generale,
Vi prego consegnare al Padre Pantaleo l' ordine per una somma da disporre per
i « Comitati di soccorso a Garibaldi >> e per la stampa.
E affare di tutta urgenza ed importanza ; ve ne prego. Due parole e fede in chi
con voi pugna per la più sacra delle cause.
Vostro
A. BERTANI
Dopo questa lettera, forse l'ultiina diretta a Garibaldi in Napoli, Bertani
inviava da Torino le seguenti, non meno importanti.
Torino, 4 ottobre 1860.
Caro Generale,
La guerra a coi è dichiarala. Non parlo di quella che fanno a noi. Noi ci soster-
remo, se voi ci sostenete. Ma tanto combattendo, come cedendo, occorrono denari per
non morire senza difesa.
Denari per la cassa centrale in Genova.
Denari per i Comitati di provvedimento.
Denari per la stampa del paese ed estera.
Denari per qualche nostro agente.
L' opinione pubblica qui è pervertita. Cavour è padrone della situazione. Egli
domanda ed otterrà un colo di fiducia del Parlamento e ne userà a lutto vostro danno
e dell' unità d' Italia.
Vostro
A. BERTANI
P. S. - La vostra nuova vittoria dà sui nervi ai nemici vostri e ci ripromette nuova
forza da voi.
L'EROE DIVENTA AGRICOLTORE 391
Miasino, 18 otlobre 1860.
Caro Generale,
La cassa centrale da me creata in vostro soccorso in Genova è creditrice verso
la Tesoreria Generale di Palermo del valore di quattro cambiali, datate da luglio colle
scadenze I 5 ottobre ; 30 ottobre ; 1 5 novembre ; 30 novembre.
Se queste cambiali non fossero pagate alle loro epoche precise ne scapiterebbero
nuovamente e gravemente la fede e la buona fama della cassa centrale, dei Comitati
suoi secondari e di me, vostro rappresentante.
Le somme esigibili per queste quattro cambiali sono sufficienti a coprire tutte le
passività e lascerebbero ancora qualche agio all' azione dei Comitati pei tempi meno
felici per voi e per noi, che si avanzano di galoppo. Importa quindi, che voi vogliate
assicurare l' incasso di quelle cambiali contro ogni possibile malefica influenza dei futuri
regi commissari in Sicilia.
Io ho già scritto a Mordini in proposito ; ma due righe che esprimano la vostra
volontà, mi renderanno più tranquillo in tante amarezze. Vi auguro ogni bene.
Vostro
A. BERTANI
Miasino, 21 ottobre 1860.
Caro Generale,
Mordini abbandona la prodittatura e la Sicilia. Un commissario regio, Monteze-
molo, assumerà il governo. E quindi urgente, che io ritorni a voi, pregandovi di provve-
dere agli impegni finanziari assunti in vostro nome.
Quattro mie cambiali del passato luglio, colle scadenze 1 5 ottobre ; 30 ottobre ;
1 5 novembre ; 30 novembre ; sono ancora a pagarsi. Ignoro l' esito di quella del
15 ottobre.
Le cambiali sono tratte sulla Tesoreria di Palermo. La somma complessiva è di
onze quattordici mila ; di cui 1 2750 furono passate alla casa Fratelli Rocca. 1 debiti
residui del Comitato di Genova e succursali, o contratti colla firma in nome vostro e
documentati, oltrepassano il milione di franchi. E tutta quella somma è girata in altret-
tante cambiali sulla casa Fratelli Rocca di Genova.
Vogliate, Generale, ve ne prego istantemente, adoperarvi perchè l'incasso del
prodotto di quelle cambiali sia assicuralo in modo ineccepibile e solenne. Io non oso
neppure accennare alle conseguenze umilianti e fatali, che un malevolo ritardo, e tanto
più il fallito pagamento di quelle cambiali produrrebbero dopo le ripetute promesse,
che ogni debito contratto in vostro nome, sarebbe religiosamente pagato.
Il signor Michele Erede, rappresentante la casa Fratelli Rocca di Genova, vi
reca questa mia, e col vostro aiuto egli potrà combinare il modo per evitare scandali
e nuovi dispiaceri a voi e al
Vostro affezionalissimo
A. BERTANI
392 LA BATTAGLIA DEL VOLTURNO ED IL PLEBISCITO
Miasino, 9 novembre '60.
Caro Generale,
La cambiale a favore dei fratelli Rocca, che doveva essere pagata il 30 ottobre
passato non fu pagala e venne protestata e si offrono frazionamenti e dilazioni rovinosi
ed impossibili ad accettarsi. E rimangono ancora le cambiali : 1 5 e 30 novembre !
Io non so aggiungere parola a questo fatto, che mi colpisce e compromette la fede
nelle reiterate promesse e nel vostro nome. Le più gravi conseguenze per gli affari
nostri, per la nostra riputazione, per me sono a temersi, e i nostri nemici che cospirano
ai vostri danni, rideranno di noi.
lo vi scongiuro. Generale ; adoperatevi in modo, che quelle cambiali, in qualsiasi
modo, sieno pagate alle epoche fissate. Io mi affido alla vostra energia. L'avv. Oliva,
giovine capace e idoneo a condurre a termine questa spiacevole faccenda, è disposto
a recarsi a Palermo per ciò.
Chiunque vi dica, o Generale, che io abbia avvicinato, inchinalo, Iransatlo con
Caoour, mentisce.
Io ho fallo in Parlamento V ultimo sforzo di concordia, chiedendo un colloquio
fra Cavour e voi, certo della ooslra generosità e memore della Vostra accondiscendenza
a tutti gli uomini suoi ; e speranzoso che di persona, (se egli, Cavour, era leale) sarebbe
riuscita qualche cosa di meglio di quanto accadde.
Se ho ancora sperato una conciliazione fra i due diversi principi, che rappresentate,
ho sperato per /' ultima volta. Mi sono appellato con dignità in Parlamento, ed in nome
della Patria, ad un uomo senza cuore per scongiurare i pericoli di un grave dissidio
civile, che poteva e può condurre a versamento di sangue cittadino, da cui non aborre
l'uomo, che si è messo contro di voi.
Era per me necessità e dovere di scrivervi ciò ; dacché seppi, che una voce
autorevole mi disegnava come prosternato innanzi a quell'uomo fatale per il bene
d'Italia.
Vi mando lettera con cambiali venutemi da Cuneo di Buenos-Ayres, egli sarà
in Italia, e per rimanervi, alla fine del prossimo dicembre. Le cambiali sono per circa
1 3 mila franchi.
Vostro
A. BERTANI
P. S. - Vi raccomando di pensare ad assicurarvi la proprietà dei bastimenti
da me comprali.
Intanto, il 1 3 ottobre, il Prodittatore Pallavicino rassegnava le sue dimis-
sioni ed il giorno seguente rimetteva a Garibaldi una lettera, ricevuta da Cattaneo
e la risposta da lui mandatagli. Ecco le importanti lettere inedite.
L- EROE DIVENTA AGRICOLTORE 393
Giorgio Pallavicino a Garibaldi.
GABINETTO PARTICOLARE
DEL PRO-DITTATORE Napoli, 13 ottobre 1860.
II sottoscritto si pregia di far conoscere al Generale Dittatore, che egli continuerà
neir esercizio delle sue funzioni fino a tanto che non sappia ufficialmente, che la sua
dimissione venne accettata. Lasciare il paese senza Governo sarebbe delitto.
// Pro-Dillalore
AWlU.mo signor Ditlalore GIORGIO PALLAVICINO
delle due Sicilie.
Napoli, 14 ottobre 1860.
Amico carissimo,
Eccovi la lettera di Cattaneo e la mia risposta. Quando la scrissi, io ignorava gli
ordini di Napoleone 111 : oggi, certo, non domanderei l' allontanamento di Mazzini e
di Crispi ; ma credo che quei due signori farebbero alto patriottico, allontanandosi spon-
taneamente da una terra, dove la loro presenza è inopportuna ed anche pericolosa.
Dai rapporti della Polizia e da altre fonti non sospette, mi risulta che Nicotera
e compagnia tengono convegni notturni e cospirano contro il vostro governo. Dicono
che la mia vita sia minacciata dal coltello mazziniano; ma questo è l'ultimo dei miei
pensieri; vorrei avere non una, ma cento vite per darle tutte alla nostra
cara Patria.
Amatemi e credetemi invariabilmente
Tutto vostro
GIORGIO PALLAVICINO
Carlo Cattaneo a Giorgio Pallavicino.
Signor marchese C. Pallavicino,
12 ottobre 1860.
Il Generale viene in Napoli. A mezzodì adunerà i Ministri nel palazzo D'Angri ;
egli mi ha pregato di farvi sapere, con parola d'amico, che spera vi vorrete essere anche
voi, perchè si tratta della Patria.
Se voi giudicate tanto funesto a Napoli ciò che liconoscete provvido in Sicilia,
mi sia lecito dirvi, che non seguite un principio.
Vi ricorderete che domenica, in casa vostra, il primo ministro Conforti fu d' un
parere e votò del parere opposto lunedì.
394 LA BATTAGLIA DEL VOLTURNO ED IL PLEBISCITO
Tali sono gli uomini, che lasciarono senza carluccie, in faccia al nemico, i nostri
filali e che negano al Dittatore ottantamila franchi per fucili comprati e ricevuti.
Non vi può essere dualità fra il pleciscito e 1' assemblea tutrice, che deve giusti-
ficarlo e sollevarlo sopra l'informe squitinio di Nizza.
Non vi può essere dualità fra gli uomini, che il popolo manda all' assemblea locale,
e gli uomini (quasi certamente gli stessi), che esso manda al Parlamento nazionale.
Non si vedono mai siffatte funeste dualità nelle assemblee svizzere ed americane, che
sono pure rivestite di poteri sovrani. E un sogno e non è vostro.
Io credo alla necessità di assemblee permanenti, nella duplice mira della concordia
e del progresso. Si tratta di affratellare i popoli d' Italia e non di sopprimerli.
La dualità vera e funesta è tra il guerriero virtuoso e gli uomini, che
vi hanno detto d' avere pronto il cuore anche alla guerra civile.
Da qual parte scrivete voi il vostro nome?
Un Ministero Garibaldi è 1' unica salute.
Sono con tutta considerazione Dev. vostro
Dott. CARLO CATTANEO
Risposta di G. Pallavicino a Cattaneo.
Giorgio Pallavicino al sig. Cattaneo.
lo non ho mai giudicato provvido in Sicilia, ciò che riconosco funesto a Napoli.
L' assemblea fu decretata in Palermo : io la subisco.
La vostra lettera è un tessuto di sofismi, indegni del vostro alto ingegno. Non ho
il tempo di confutarli.
Ho dato le mie dimissioni e non le ritiro.
Più tardi, Pallavicino scriveva al Generale :
Giorgio Pallavicino a Garibaldi.
Amico carissimo,
Napoli, 8 novembre 1860.
Mi spiacque l' incidente di questa mattina ; ma voi non avevate bisogno di chie-
dermi scusa. Due amici, come noi, possono dissentire momentaneamente, ma finiscono
sempre coli' intendersi.
Godo che non siasi fatto torto a Mordini, e che nessuno abbia avuto
Io scellerato proposito d' insultarvi. Godo, in pari tempo, di non trovarmi
più nella dolorosa necessità d' insultare Vittorio Emanuele, che noi amiamo
rifiutando con atto scortese, 1' attestato di stima che gli piacque concedermi.
lo sono, come al solito, tutto vostro
GIORGIO PALLAVICINO
L'EROE DIVENTA AGRICOLTORE 395
La seconda parte di questa lettera, che riguarda il conferimento, da parte
del re al Pallavicino, del collare dell' ordine supremo della SS. Annunziata, è
importante, perchè ci darebbe la prova (contrariamente a quanto fu fin' ora
affermato), che simile onorificenza fu pure data a Mordini. La lettera del Palla-
vicino a quest' ultimo, citata dal Rosi , nella quale il marchese, gentilmente, mani-
festava il suo vivo dispiacere, che mentre egli era stato insignito del gran collare
non lo fosse stato anche il Mordini, porta la data del 7 novembre, cioè, un
giorno avanti della lettera, che il Pallavicino scrisse a Garibaldi, di sopra
trascritta. E a presumere adunque, che l' onorificenza fosse stata conferita al
Mordini il giorno 8.
Quando il Ministero si era dimesso, Garibaldi aveva fra gli altri pregato
Andrea Colonna di comporlo e questi gli scriveva :
Andrea Colonna a Garibaldi.
Napoli, 13 ottobre 1860.
Generale,
Sono stato in giro, a fine di condurre a compimento l'onorevole missione, affidatami
ieri sera per comporre un Ministero, ed aspetto, a momenti, in casa la risposta di altri
miei amici politici. Non debbo nasconderle, che nel paese è generale la voce, che il
signor Crispi non possa restare al potere, mentre che i suoi colleghi sono tutti dimis-
sionari. Disgraziatamente, questo rumore rende difficile la ultimazione delle pratiche,
essendo il Crispi non molto popolare tra i Napoletani. Ad ogni modo, io
starò servendola a momenti. Mi permetterei solamente di pregarla a volerne anche
interrogare il sig. Saliceti. Egli gode abbastanza fiducia per meglio riuscire al giustis-
simo scopo che è in mente a lei, qual'è il benessere di queste popolazioni.
Mi creda rispettosamente
» Suo devotissimo
ANDREA COLONNA
Interessanti sono pure, per la storia di quei giorni, le seguenti lettere.
C. Augusto Vecchi a Garibaldi.
Torino, 1 ottobre 1 860.
Mio carissimo Generale,
Sono in Torino. Vi scrivo dal gabinetto del nostro Mancini, il quale vi è e sarà
eternamente devoto.
* M. Rosi - // Risorgimento italiano e l'azione di un patriota cospiratore e soldato.
Torino, Roux e Viarengo, pag. 240.
396 LA BATTAGLIA DEL VOLTURNO ED IL PLEBISCITO
Credo utile dirvi, che le buone influenze hanno fatto qui abbandonare ogni pro-
getto di presentare domani al Parlamento leggi o proposte, che in veruna guisa potes-
sero ricevere un' interpretazione meno che rispettosa per i vostri servizi resi all' Italia.
Tutto si ridurrà ad una semplice legge, che autorizzi il Governo del re a procedere
neir opera dell' unificazione d' Italia e di accettare e stabilire le annessioni di tutte
quelle altre provincie italiane, che per suffragio universale vogliano far parte della
monarchia costituzionale italiana. Se una voce imprudente osasse parlare con irrive-
verenza di voi. Mancini farà energicamente il suo dovere.
In Genova, qui, e mi dicono anche in Milano, anche i vostri ammiratori e amici
tremano, che il ritardo del plebiscito dell' Italia meridionale (mentre senza ritardo
saranno chiamate ad emetterlo le popolazioni delle Marche e dell' Umbria) possa fare
assai sfavorevole impressione sulla opinione degli italiani ; e se dopo l' imminente convegno
di Varsavia, i potentati nemici d' Italia prendessero coraggio a minacciare apertamente
di guerra il Piemonte, in caso che accettasse annessioni, questo Governo potrebbe
trovarsi paralizzato, ed allora una grande responsabilità peserebbe su di voi innanzi
alla Patria.
Mi confida anche il Mancini, che il re è partito colla intenzione di venire a
Napoli, superando i ritegni e le convenienze dipendenti dalla presenza di Francesco a
Gaeta. Certamente voi, che lo stimate ed amate tanto, non potrete che accoglierlo. Ora,
volete cogliere l'occasione di ridurre all'impotenza Cavour, Farini, Fanti e togliere
loro ogni merito del risultato di tale operazione? Non attendete che il re si avvicini
o vi annunzi la sua venuta. Ma al cospetto del mondo, prendete l' iniziativa di scrivere
al re Vittorio un telegramma in Ancona, e solennemente chiamatelo voi, personalmente,
costì. Così trionferete dei vostri nemici, e niuno avrà diritto di supporre, che il re
sia da voi subito costà, piuttosto che desiderato. Teresita sta benissimo. 1 Deidery
egualmente. Vi abbraccio cordialmente per me e per Mancini. La Lauretta, qui pre-
sente, vi fa i più devoti ossequi come all' atleta d' Italia e liberatore del suo paese
natio. A ben vedervi presto.
Vostro sempre
C. AUGUSTO VECCHI
Al Generale Garibaldi
Dittatore delle Due Sicilie
Palazzo d'Angri. Napoli
{Urgentissima)
Genova, 4 ottobre 1860.
Mio caro Generale,
Giungo da Torino. Parte il " Thames ,, per Napoli e trovo tutti i posti occupati.
Rimango, per forza, in terra e giungerò al Quartiere Generale di Caserta col " Garibaldi ,,
lunedì mattina.
Avrete già avuto 1' altra mia lettera da Torino. Vi aggiungo questa per dirvi, che
ho tolto colà, presso gli uomini di stato e i politici, le asprezze, che non la somma
LEROE DIVENTA AGRICOLTORE 397
vostra lealtà, ma 1' altrui malizia avevano (atto risorgere. A voce, vi dirò tutto per filo
e per segno. Ora vi avverto solo di questo, acciò possiate e possiamo conseguire il
vostro nobile intento.
Appena saprete che il re Villorio si appressa alla frontiera del regno, invitatelo
con un vostro telegramma, personalmente, a venire subito in Napoli. E muovetegli incontro.
Ve ne prego in nome d' Italia, madre nostra, per la cui grandezza giurammo, da molti
anni, ogni maniera di sacrifizi.
Vi avrei spedito fino da ieri un telegramma apposito ; ma il filo politico si arresta
a Roma e non potetti farlo.
Cavour mi mandò a chiamare. Vi dirò la nostra conversazione di due ore. Io
gli chiarii intero il nobile cuor vostro. Egli lamentò, che non abbiate risposto ad una
sua lettera. Nel congedarmi m' ingiunse dirvi, che vi stima ; mi disse che vi accompagni
incontro al re. Finì col dirmi, che se voi non vi distaccate da re Vittorio, per spiegarmi
meglio, se voi non vi ritirate, ostinatamente, in Caprera, la Venezia sarà nostra sei mesi
prima.
Mio caro Generale ; distaccatevi dagli uomini che accettarono per metà il vostro
programma. Vi rivelerò cosa si è fatto in Sicilia nel nome vostro ; ve ne dorrà pei
tristi effetti. Non credete a vendita di palmo di terra italiana. Credete ai molti amici
vostri, patrioti ed onesti, lo sono di quel numero.
A ben vedervi lunedi mattina. Siate sano e glorioso sempre.
C. AUGUSTO VECCHI
Signor Generale Garibaldi
Dittatore delle Due Sicilie
Quartiere Generale di Caserta
{Urgentissima)
Un' altra voce amica ed autorevole era giunta, in quei giorni, a Garibaldi ;
quella di Pasquale Stanislao Mancini.
Mancini a Garibaldi.
CAMERA DEI DEPUTATI _ . . , , ., .
1 ormo, j ottobre I OoU.
Generale,
Profitto del ritorno di Vecchi per scrivervi due linee. Egli, forse, rettificherà molte
sinistre prevenzioni insinuate da altri nell'animo vostro, schietto e generoso; perchè egli
stesso ha qui veduto ed udito molle cose sotto un aspetto diverso da quello costà
rappresentato.
Dal mio canto, se le mie parole potranno avere alcun accesso al vostro animo,
permettetemi di rassicurare i vostri, che il Parlamento è animato da unanime sentimento
398 LA BATTAGLIA DEL VOLTURNO ED IL PLEBISCITO
di ammirazione e devozione per voi e pei grandi servizi, che avete reso alla patria ; e
spero che ne darà prova solenne e pubblica, e riesca a compiere l'opera pacificatrice.
Ma in nome dell' Italia, che amate tanto, non vi lasciate trasportare dall' abnega-
zione connaturale al vostro gran cuore, e non vogliate disparire dalla scena politica,
neanche temporaneamente. Siate sempre vicino al re : manlenele e promuocete, instan-
cabilmente, l'organizzazione di numerosi volontari. Se voi vi allontanerete, l' impresa di
Venezia e di Roma sarà ritardata.
Mia moglie vi ossequia ed io stringo la vostra mano vittoriosa e salvatrice delle
mie natali provincie.
Ajffezionatissimo
MANCINI
Nessuno ignora l'affetto che Garibaldi ebbe per Mancini ; affetto che divenne
sacro negli ultimi anni della vita dell'eroe. Ma anche per la nobile compagna
del grande giureconsulto il Generale nutrì devota amicizia.
Nel giugno del '60, egli aveva ricevuto in Palermo la lettera inedita
seguente. -
Laura Beatrice Mancini a Garibaldi.
Torino, 14 giugno 1860.
Generale,
Nel momento, in cui il mondo intero stupefatto innalza un plauso unanime alla
meravigliosa vittoria, per la quale, unita alle tante altre, siete divenuto l' idolo d' Italia
e la più grande figura della storia moderna, come oserò io, umile donna, di far pervenire
insino a voi la debole mia voce ?
Eppure vengo da altri incoraggiata ad inviarvi una disadorna poesia, che dettai
quasi estemporaneamente nel primo momento di commozione, che m' ispirò la generosa
ed eroica vostra impresa, degna della penna di Omero. Oh ! se questa perverrà nella
vostra mano. Generale, in quella mano che regge la spada vittoriosa che salvar deve,
ne son certa, tutta cotesla bellissima parte d' Italia nostra, vogliate perdonarmi un tanto
ardire, e riconoscere non aver quei pochi versi altro merito che quello di avere preco-
nizzato il vostro miracoloso arrivo. Altra volta. Generale, vi rivolsi altra poesia, che
vi degnaste accogliere, ed io vi dirò che sono orgogliosa di avere in quella anche vati-
cinato il vostro presente trionfo. Eccone una strofa :
« Combatti e vinci, o prode ; il brando solo
Questa gran lite antica alfin decida.
Arma tremante de' suoi rei lo stuolo
Di un re che ne tradia la prole infida:
Là, fra i trepidi sgherri, apriti il volo.
La mala pianta fia che tu recida.
Già in mio pensier la turba a te si dona,
Tanto è il prestigio della tua persona ».
L' EROE DIVENTA AGRICOLTORE 399
I vostri momenti sono preziosi e però non vi dirò quanto vorrei. D'altronde,
l' idea di scrivere a Garibaldi, a colui che per me è qualche cosa di sovrumano, mi
fa tremare la mano, e la piena degli affetti m'impedisce di vergare altre espressioni.
Non invano Iddio vi ha guidato costà : il più bel paese del mondo vi dovrà la libe-
razione da iniqua tirannia, e voi, Generale, troverete nella sola soddisfazione del vostro
magnanimo cuore una degna ricompensa all' opera immortale. Se fossi nata del miglior
sesso avrei a questa consacrato l' ingegno, il braccio e la vita, come vi consacrerò fin
eh' io viva il mio debole canto.
Permettetemi intanto, di riaffermarmi coi più vivo entusiasmo
Dev:ma e ricon:ma ammiratrice
LAURA BEATRICE MANCINI
Ed il Mancini, dopo Io scritto della moglie, aggiungeva :
Permettete anche a me, o prodigioso italiano, di stringervi la mano e di ringra-
ziarvi, a nome di tutta la parte dell' emigrazione delle Due Sicilie, che è ancora qui,
del vostro mirabile ardimento, della sublime abnegazione, cui il mezzogiorno della peni-
sola nostra dovrà la sua liberazione e 1' Italia la sua completa esistenza. Proseguite, con
buona fortuna, 1' altissima impresa e pensate che il giorno in cui la vostra mano avrà
inalberato in Napoli il vessillo tricolore, 1' Italia sarà fatta. Io non ho cessato di seguirvi
ansiosissimo e trepidante pei vostri sacri giorni, in ogni movimento.
Se io possa qui, a Parigi, a Londra, dovunque, fare qualche cosa per la causa
comune, scrivetemi il voler vostro ; e sarò glorioso di adempierlo.
A rivederci fra breve in Napoli. Vi do eccellenti notizie della vostra cara figliola,
che mi ha scritto in questi giorni, e credetemi fra i vostri più caldi e più riconoscenti
ammiratori
Devotissimo
P. S. MANCINI
Le seguenti tre lettere inedite, scritte da Giorgio Pallavicino a Garibaldi, sul
finire del '60, meritano qui di essere riportate per la loro grande importanza poli-
tica. Le trascrivo dagli autografi.
Giorgio Pallavicino a Garibaldi.
San Fiorano, 4 dicembre 1860.
Amico carissimo,
Mi valgo dell'occasione sicura che mi offre il bravo Turr, per ragguagliarvi delle
nostre nuove che sono, grazie al cielo, soddisfacenti. Noi stiamo tutti bene e parliamo
senza posa di voi, amatissimo, sospirando il momento di rivedervi. Come state, mio
caro Giuseppe ? Come stanno Teresita, Menotti, Froscianti, Deidery e la sua gentile
signora ? A tutti io mi raccomando.
400 LA BATTAGLIA DEL VOLTURNO ED IL PLEBISCITO
Probabilmenle la mia vita politica è finita, e la storia mi giudicherà ; ma io
« Sotto r usbergo del sentirmi puro »
non temo il giudizio della storia. Da questo lato sono tranquillo, compiutamente tranquillo;
consapevole a me stesso d' avere adempito a tutti i miei doveri, e verso di Voi, mio
caro e venerato amico, e Verso la patria nostra.
Io mi sono prefisso una linea di condotta, dalla quale non ho mai deviato, e non
devierò mai : « ne cavouriano, né mazziniano ! » Mi giova qui ripetervi la mia
professione di fede, che è pur anche la vostra. Ma voi credete, che la mala erba del
gesuitismo cresca soltanto nel campo reazionario : io credo invece che vi sieno gesuiti
anche fra quelli, che si dicono devoli al vostro programma. Guardatevi da costoro ! Essi
non sono meno pericolosi dei cavouriani. Io mi guardo dagli uni e dagli altri.
Tiirr vi dirà il resto. Amatemi e datemi delle vostre nuove. Noi tutti le aspettiamo
con vivissima impazienza. Il mio indirizzo, già lo sapete : Via Goito, Casa Belladora,
9, Torino.
Chiudo, abbracciandovi con tutta l'anima.
Tutto vostro
GIORGIO PALLAVICINO
San Fiorano, 9 dicembre 1860.
Amico carissimo,
Non avendo potuto recarmi ne a Genova ne a Torino, ti scrivo alla mia volta
per comunicarti alcuni miei pensieri sulla quistione italiana ; ed entro subito in materia
per non annoiarti con inutili parole.
L' Italia una, perchè forte, non avrebbe più bisogno della Francia ; farebbe da
se e potrebbe, anche in certi casi, immolare l'interesse francese all'interesse italiano.
Dunque possiamo dire, senza timore d' ingannarci : Napoleone III, non vuole, non può
volere V unità d' Italia.
Ma Napoleone III, dall' altro lato, non può avversare 1' unità d' Italia apertamente,
senza contraddire ai più solenni atti della sua politica, senza perdere tutto quel prestigio,
tutta quella potenza morale, che egli ritrae dall'essere creduto il campione delle nazio-
nalità oppresse. Dunque, Napoleone III, per colorire i suoi disegni, non userà la forza,
ma r astuzia ; non sarà con noi leone, ma volpe.
Fino a tanto che i francesi occuperanno Roma, l' armamento e l' organamento
d' Italia sono cose impossibili. Come si potrà effettuare la leva, come stabilire sopra
solide basi l' ordine amministrativo e giudiziario, come provvedere alle finanze in quelle
Provincie, ove la propaganda romana, sotto gli auspici di un generale francese, non
cessa di creare ostacoli al governo italiano? ove il brigantaggio demoralizza le popo-
lazioni, stanca 1' esercito, impedisce la regolare riscossione delle imposte, distrugge le
sorgenti della ricchezza nazionale e travolge il paese nella più deplorabile anarchia ?
Noi abbiamo una sola strada per raggiungere il nostro scopo: Dobbiamo costringere
Napoleone III ad evacuare lo Stato Romano. Ma con quali mezzi ? Con la forza, no ;
perchè noi non possiamo. Dunque, coli' astuzia ; combattiamo la volpe con armi volpine.
L'EROE DIVENTA AGRICOLTORE 401
« Rien de plus grave qu une silualion illogique ! » disse Proudhon. Facciamo di
mettere Napoleone IH in una posizione illogica. Sia egli costretto ad eleggere uno di
questi due partiti : o evacuare Roma, o mitragliare il popolo romano.
Per ottenere siffatto risultamento, bisogna che il nostro Governo proceda con somma
destrezza ; bisogna che i ministri del re, mostrandosi teneri dell' alleanza francese,
promuovano, sotto mano, 1' agitazione popolare in tutta la penisola. Bisogna poi, che
gì* infelici italiani, ancora sudditi del papa, stancheggino i loro tiranni (indigeni ed
esotici) coi richiami, colle proteste, colle dimostrazioni, colla resistenza passiva ed anche
con qualche tafferuglio di piazza. L' artiglieria francese tiri un colpo di cannone contro
il principio di nazionalità e Napoleone III è perduto ; dacché, il napoleonismo non
avrebbe più ragione di essere. Lo ripeto : la principale forza del napoleonide consiste
in ciò, che egli, come gli altri ciarlatani, trova i gonzi, i quali credono all' efficacia del
suo balsamo. Anche oggi, dopo tanti disinganni, i poco veggenti penano a credere
che il gran ciurmadore non sia il rappresentante del principio popolare, il democratico
coronato, il difensore delle vittime, lo spauracchio dei carnefici.
Napoleone III ci dirà : « ponete un freno alla rivoluzione » e noi gli risponderemo :
« ci torna impossibile di farlo fintanto che non sia sciolta la questione romana in con-
formità dei nostri voti; e ne siamo dolenti per voi, o Imperatore dei Francesi, per-
ciocché la rivoluzione, che oggi in Italia è sospiro di nazionalità , potrebbe , varcando
le Alpi, trasformarsi in fremito di libertà. Ed ecco un grave pericolo per la vostra
persona e per la vostra dinastia ».
In tale stato di cose, io credo, e credo fermamente, che la questione di Roma
debba avere la precedenza su quella di Venezia, perciocché senza Roma noi non
avremo mai i 300 mila uomini, che ci occorrono per espugnare il quadrilatero con
forze nazionali. Napoleone III lo sa ; però viene prendendo le sue misure, perchè il
nuovo Regno a primavera non abbia, per combattere l'Austria, ne 300 mila, ne 200
mila, ne, forse, 100 mila soldati e sia quindi costretto ad implorare un' altra volta gli
aiuti della Francia imperiale. Ma se accade che 1 50 mila francesi scendano di nuovo
in Italia, addio indipendenza italiana ! Perocché, vinti, saremmo gli schiavi dell'Austria ;
vittoriosi, gli eterni pupilli dell' imperatore dei francesi, il quale , sempre fedele alla
sua politica, non restituirebbe Venezia al popolo italiano ; ma dandoci nel '62 una
seconda edizione del '59, ne farebbe un dono a Vittorio Emanuele, esigendo, quale
compenso, non la Sardegna, che l' Europa non Io consentirebbe, ma il sacrificio delle
Provincie meridionali. Se la Francia spalleggia colà il partito retrivo, e porge armi al
brigantaggio, affine di rendere impossibile il Governo italiano, egli è per avere un
pretesto di dire in un Congresso europeo : « Voi lo vedete , non esiste omogeneità
fra il settentrione ed il mezzogiorno d' Italia. Il plebiscito fu illusorio, essendoché Napoli
voglia, anzitutto, la propria autonomia. Regni dunque a Napoli un principe qualsiasi:
un Bonaparte, un Murat, un Leuchtemberg ed anche un Borbone!.. Ma non Vittorio
Emanuele. Che pretendono questi Italiani ? Di essere indipendenti ? Ora lo sono :
/ Italia è libera dall'Alpi all'Adriatico. Intanto il vulcano rivoluzionario minaccia noi
tutti: bisogna spegnerlo, a qualunque prezzola.
CURATULO 26
402 LA BATTAGLIA DEL VOLTURNO ED IL PLEBISCITO
E le potenze d' Europa, grandi e piccole, le une per gelosia, le altre per invidia,
tutte per timore, applaudirebbero a queste parole. Ecco allora distrutta la grande
opera da te compiuta nelle due Sicilie col doppio plebiscito ; ecco 1' Italia divisa
un' altra volta ; ecco effettuarsi il progetto della Confederazione italiana , che era nel
1859 e che sarà sempre 1' idea prediletta di Napoleone 111. Bisogna che i patriotti
italiani ne siano persuasi : Napoleone 111 non vuole un' Italia austriaca, ne inglese, ne
russa, ne italiana ; perchè vuole un' Italia francese. Così un Bonaparte intende la
nostra indipendenza ; così, e non altrimenti ! Un' Italia , sempre minorenne, sotto la
tutela della Francia. Ecco l' interesse del nostro sedicente alleato ! E quindi agevole
r indovinare lo scopo della sua politica. Una confederazione di tre piccoli Stati, pre-
sieduta dal Re di Roma, sarebbe per raggiungerlo.
Ho detto. Anna ti saluta caramente. Io ti abbraccio e ti amo! Riama
Il tuo
GIORGIO
San Fiorano, 19 dicembre 1860.
Amico carissimo,
Vi scrissi r altro dì col mezzo di Tiirr, il quale disegnava di farvi una visita.
Tùrr non potè colorire il suo disegno ; ma promise che alla mia lettera vi darebbe
sicuro ricapito. L' avete voi ricevuta ?
Oggi vi riscrivo col mezzo d' un vostro ufficiale, che il bravo Tiirr manda in
codeste parti. E vi ripeto, la mano sulla coscienza : Guardateci dai gesuiti ! Vi sono
gesuiti neir uno e nell' altro campo. Voi dite : gesuitismo cavouriano e avete ragione ;
io dico alla mia volta : gesuitismo mazziniano e non ho torto. Credetemi : molti si
spacciano patriotti e forse lo sono dal loro punto di vista (perdonatemi il gallicismo) ;
ma il programma, che questi signori tengono in petto, non è il nostro. Avversi per
sistema, al principato, essi non cessano di bandire la croce sopra la monarchia sarda,
e non si fanno scrupolo di scavare un abisso a questa povera monarchia, calunniandone
le intenzioni e pubblicandone a suon di tromba gli errori, che son molti e gravissimi,
dobbiamo confessarlo. Si tenta ogni mezzo per ispogliare il principio monarchico d' ogni
forza morale, per quindi venire a questa conclusione : doversi alla croce sabauda,
impotente a fare l'Italia, sostituire un' altra bandiera. Però, si affaccendano a persua-
dervi essere tutt' uno che nei consigli del re segga Cavour o il Cattaneo ; anzi doversi
preferire il Cattaneo. Ben sanno i gesuiti, che il Cattaneo come il Mazzini è incompa-
tibile con Vittorio Emanuele, però il loro pensiero è manifesto. Repubblicani ad
ogni prezzo, vogliono sbrigarsi del re : non lo dicono, ma Io pensano ; e
intanto, cospirano coli' infame proposito di apparecchiare il terreno alla
repubblica, opponendo Garibaldi a Vittorio Emanuele. Sventate la rea
macchinazione, o noi cadremo in un baratro di sventure irreparabili!
L'ho detto, e mi giova ripeterlo: coloro che tentano dividerci fanno opera scelle-
rata. E qui permettetemi che vi apra il mio cuore. Io credo, che Vittorio Emanuele
L' EROE DIVENTA AGRICOLTORE 403
debba e possa sacrificare al principio da voi rappresentato, Fanti, Farini, La Farina,
Monlezemolo, Cordova etc, più cavouriani dello stesso Cavour. Ma forse il re
non può, in questo momento, congedare un Ministero che ha infiniti partigiani e servitori,
nella Camera, nel paese e nella diplomazia. Se cos) fosse, non farebbe opera altamente
patriottica, chi si travagliasse a mettere d' accordo Cavour e Garibaldi le due forze
nazionali egualmente indispensabili al trionfo della nostra causa?
Ecco ciò che di Cavour mi scriveva Daniele Manin ai 27 settembre 1 856 :
« Cavour è una grande capacità, ed ha una fama europea. Sarebbe grave perdita
" non averlo alleato, sarebbe gravissimo pericolo averlo nemico. Credo bisogna spingerlo
» e non rovesciarlo. Conviene lavorare incessantemente a formare l' opinione : quando
» V opinione sarà formata, sono persuaso che ne farà la norma della sua condotta.
» Credo Cavour troppo intelligente e troppo ambizioso per rifiutarsi all' impresa italiana,
» quando la pubblica opinione la domandasse imperiosamente ».
E sventura, che cosi non pensino molti de' vostri amici, i quali soffiano nel fuoco,
invece di spegnerlo. Guardatevi da costoro I Essi non sono meno pericolosi, meno funesti
all' Italia dei Fanti, dei Farini e compagnia.
Le tre Anne, moglie, figlia e nipote, vogliono esservi affettuosamente ricordate.
Salutatemi Menotti, Teresita, Deidery e Froscianti. Io sono tutto vostro.
GIORGIO PALLAVICINO
P. S. - Vi prego di scrivermi a Torino col solito indirizzo : Via Coito, Casa
Belladora, 9.
*
Fra le potenze, rappresentanti 1* Europa reazionaria, che avevano prote-
stato per gli avvenimenti di Napoli e di Sicilia nel '60, vi era stata la Spagna;
la quale sosteneva i diritti eventuali al trono delle Due Sicilie. Ma a quella
protesta era seguita una contro-protesta da parte di Don Juan di Borbone,
pretendente al trono di Spagna ed esiliato in Inghilterra, il 24 ottobre, egli
aveva scritto a Vittorio Emanuele, designando da una parte se stesso, come il
vero successore al trono dei Borboni di Napoli, ma d' altra parte aveva ceduto
tali suoi diritti a Vittorio Emanuele. ' Dal mio Archivio risulta che Don Juan
aveva fatto scrivere anche a Garibaldi dal suo segretario, il generale de Lazeu,
una lettera rimasta inedita e che trascrivo dalla copia (atta in quel tempo di
G. La Cecilia - Storia degli ultimi rivolgimenti siciliani, voi. II, pag. 139-140.
404 LA BATTAGLIA DEL VOLTURNO ED IL PLEBISCITO
mano del segretario particolare del Dittatore. L'originale della lettera, come si
rileva da una nota che si legge a tergo del documento, fu mandato da Gari-
baldi al re.
Il generale de Lazeu, Segretario dì Don Juan di Borbone, a Garibaldi.
Londres, 31 cctobre 1860.
4. Norihumberland Street — Strand
Monsieur,
Le prince Don Juan de Bourbon a appris, que le Gouvernement Espagnol vieni
d' adresser une nouvelle pi otestation à propos des événements de Naples, et avec l' idée
ostensible de soutenir les droits éventuels des Bourbons d' Espagne au trone des
Deux Siciles.
S. A. a vu aussi se confirmer la nouvelle que le Gouvernement Espagnol cherche
à donner un appui au pouvoir temporel du Pape, ainsi que le départ de Turin de son
Ministre Plenipotentiaire.
Cette conduite montre que ce Gouvernement, quoique d'origine révolutionnaire,
a la prétention de surpasser l' esprit de réaction du Gouvernement de Sa Sainteté et
du Roi de Naples lui méme ; l' un et l' autre ont reconnu la Reine d' Espagne au
mépris des droits de la famille qu' aujord'hui S. A. représente et par la force des
faits accomplis, reconnaissant ainsi ce qu' ils crurent étre la volonté nationale, principe
qu* aujourd' bui ils semblent ne point vouloir accepter en ce qui les concerne.
Si le Gouvernement Espagnol ne se trouvait pas lance sur la pente réactionnaire
dont il semble s' enorgueillir, il ne se serait pas immiscé dans une affaire qui ne le
regard nuUement ; car de coté legai on ne pourra pas douter des droits éventuels de
S. A. et personne n' a re^u mission de les sauvegarder ; et, au point politique, le
Gouvernement Espagnol n'est certes pas l' interprete de l'esprit national. Une pareille
conduite serait en son lieu et place, si l' ancien parti absolutiste était au pouvoir.
S. A. qui accepte comme principe, que le droit, des Princes n'a aucun valeur sans
r assentiment et l' affection des peuples, ne saurait que respecter les decision du peuple
italien aujourd' bui, comme il respectera demain les décisions du peuple espagnol.
S. A. ne tient pas à soutenir des droits, qui n' ont d' autre importance que de
manifester des sympatbies politiques en désaccord avec notre epoque.
Comme chef de la famille des Bourbons d' Espagne, le Prince Don Juan renonce
à lous droits éventuels à la souveraineté d' une partie quelconque de l' Italie.
Et comme Espagnol, dans la position exceptionnelle que S. A. occupe, étant bien
sur d'étre le fìdèle interprete des voeux de la Nation, au nom du peuple espagnol, il
proteste de tous les actes du Gouvernement, qui pourraient compromettre la sympathie
des deux peuples frères.
L- EROE DIVENTA AGRICOLTORE 405
Le Prince en agissant ainsi croit s'acquitter d'un devoir, que lui emposent »es
convinctions, et il a la certitude que les Espagnols le verront avec plaisir revendiquer
les sympathies qu' ils méritent du peuple italien.
S. A. m'ordonne de vous communiquer sa renonciation et sa protestation. Si la
position de S. A. était aulre, il témoignerait autrement ses sympathies pour la cause
patriotique, dont vous soutenez la bannière avec autant de gioire que de succès.
Agiéez, monsieur le general, 1' expression de ma profonde considération.
HENRY DE LAZEU
A monsieur le General Garibaldi
Diciaieur de Naples
Il documento, come si vede, è abbastanza curioso; esso, in sostanza, serviva
a Don Juan di Borbone per affermare pubblicamente, che egli solo era il vero
e legittimo rappresentante al trono di Spagna. L' anno seguente il pretendente
continuò la sua corrispondenza con Garibaldi ; nella mia raccolta trovo la
seguente importante lettera autografa.
Don Juan di Borbone a Garibaldi.
Londres, 28 avrii 1861.
General,
]' envoie le general Lazeu, mon secrétaire, à Turin féliciter le roi d' Italie et lui
offrir mes services et ceux de mes amis pour combattre l' ennemi comun. Gomme
liberal, je désire voir l' Italie libre et en cela je suis conséquent à la politique de mon
aieul Charles III, qui pour la première fois fit entreprendre à l' Espagne la guerre aux
autrichiens non pas par esprit de conquéte, mais tendant à l' émancipation de l' Italie,
premier pas vers la liberté. Je serais heureux, si dans la damiere campagne que l' Italie
doit faire pour s' unifier, je pourrais y porter ma coopération et celle des hommes qui
me sont dévoués.
La lettre amicale avec laquelle vous avez honoré mon secrétaire, lors de la
renonciation de mes droits éventuels au tróne de Naples, m' engagé à vous écrire et
vous le recommander aujourd' hui ; il vous fera part de mes intentions, de mes vives
sympathies pour la cause italienne, des raisons personelles, qui me font désirer de porter
les armes contre l' Autriche.
Aidez-le dans sa mission, toute patriotique. Aujourd' hui mon importance peut
ne pas étre très considérable ; mais selon comme les événements viendront, je pourrai
étre un puissant appui pour la cause des nationalités, dont vous étes le noble champion.
Acceptez ma coopération, appuyez mes démarches de votre influence et croyez
mei avec sincerile votre admirateur et ami.
JUAN DE BOURBON
406 LA BATTAGLIA DEL VOLTURNO ED IL PLEBISCITO
Questa lettera doveva essere consegnata a Garibaldi a Torino ; invece
gli fu fatta recapitare per mezzo di Mordini a Caprera insieme ad un' altra
del generale de Lazeu.
Il generale de Lazeu a Garibaldi.
Turin, 13 mai 1861.
Monsieur,
Y ai regretté vivement ne pas avoir eu l' honneur de vous trouver à Turin et
pouvoir vous remetlre la lettre personnelle, qua le Prince Don Juan me chargea de
vous remettre. Elle vous perviendra par l'entremise de Mr. Mordini auquel j' ai deve-
loppé et sur mas et sur nos projets, et j'éspère qu' il vous en fera part à votre pre-
mière entrevue.
J' aurais désiré aller vous voir à Caprera ; mais force de retourner à Londres,
il m' est impossible le falre ; mais j' éspère pouvoir ratourner prochainement et avoir
le plasir de vous voir.
Croyez-moi avec la plus sincère affection
Monsieur le General Garibaldi
Caprera
Votre dévoué
H. DE LAZEU
* *
Il 25 settembre Garibaldi, con pensiero amoroso, aveva firmato due decreti,
in virtù dei quali veniva assegnata una pensione alla madre e alle sorelle di
Agesilao Milano ed alla giovinetta figlia dell* eroico Pisacane ; divenuta poi figlia
adottiva di Giovanni Nicotera. Documento assai commovente sul proposito, è
la lettera seguente.
Silvia Pisacane a Garibaldi.
Napoli, 15 ottobre 1860.
Generale,
Io sono la figlia di Carlo Pisacane, che morì per la Patria ! Voi avete avuto la
buona ispirazione di pensare alla mia educazione, accordandomi 60 ducati al mese ;
avete così onorata la memoria del caro papà mio. lo desidero essera degna di lui.
Ora, sento il bisogno di ringraziarvi tanto, tanto ; ma però i vostri Ministri non
hanno ancora aseguiti i vostri ordini, e perciò ricorro a voi par farli aseguire.
L'EROE DIVENTA AGRICOLTORE 407
Mi dispiace di essere così piccina, perchè non posso esprimervi l' affetto e l' am-
mirazione, che sento per voi, che tanto bene avete fatto al nostro paese. Spero che
presto scaccerete da Roma e Venezia gli stranieri ed allora il mio papà, Nicotera,
manterrà la promessa, che mi ha fatto, di condurmi da voi, che desidero immensamente
vedere. Sono felice di potermi dire
la vostra piccola amica
SILVIA PISACANE NICOTERA
Degna infine, di essere conosciuta è una nobilissima lettera inedita, scritta nel
settembre '60, a Garibaldi da Giuseppe Avezzana, il generale in capo della
gloriosa Repubblica Romana. La trascrivo dall' autografo.
Giuseppe Avezzana a Garibaldi.
Liverpool, IO settembre 1860.
Mio carissimo Garibaldi,
Non ho potuto più resistere all' agitazione, che dal momento che ti ho saputo in
campo air opera della redenzione, mi violentava l* esistenza, ed ho preso la risoluzione
di venire a raggiungerti! Ebbi da sormontare numerosissimi ostacoli quasi impossibili,
come puoi immaginarti, e specialmente quello della separazione della mia adorata
famiglia. E pure ho superato ogni cosa ed ora eccomi arrivato in questa città, da
dove m' imbarcherò sul vapore « Meandcr » per Messina dopo domani. Da quel
luogo mi dirigerò per dove tu ti trovi, perchè vengo coli' inalterabile volontà di trionfare
o cadere con te ; e sebbene alquanto invecchiato, mi sento abbastanza forte ancora
da poter sperare di rendere qualche utile servizio, allo scopo della piena redenzione
della nostra amata patria ! !
Complimenta, a mio nome, la falange di eroi, che con tanto valore t'accompagnano
nei tuoi meravigliosi prodigi e che riscuote l' ammirazione dell' orbe intero. Credimi
il tuo costante e fedele amico
GIUSEPPE AVEZZANA
Al generale Giuseppe Garibaldi
ove si trova
*
* *
L' 8 novembre Giuseppe Garibaldi presentava nelle mani del re il plebi-
scito. Vittorio Emanuele sottoscrisse, per il primo, l' atto di accettazione : dopo
di lui firmarono Garibaldi e Pallavicino, indi Mordini, Farini ed i capi dei
corpi costituiti.
408 LA BATTAGLIA DEL VOLTURNO ED IL PLEBISCITO
Un particolare sconosciuto di quel solenne momento, che ho appreso da
Ricciotti Garibaldi, il quale lo senti raccontare dal Padre suo, è il seguente.
Quando Vittorio Emanuele si chinò per firmare l'atto di accettazione del plebiscito,
il collare della S. S. Annunziata, che in quell* occasione il re indossava lo infastidì
e con uno scatto nervoso se lo tolse, porgendolo, senza voltarsi, a colui che
gli stava dietro. Era questi, per caso, il garibaldino Stefano Canzio, che non
smentì mai il suo buon umore nei momenti più solenni, come non smentì mai
il suo grande coraggio nell' ora del pericolo. Egli fu pronto ad afferrarlo ; ma
invece di tenerlo in mano, se lo mise al collo, destando l' ilarità dei presenti ;
e senza che il re se ne accorgesse !
• ' indomani il Dittatore, dopo d'avere rifiutato gradi, onori, titoli, per se
e per il figlio Menotti, il dono di uno dei castelli reali ed una dote per la
figlia Teresita, partiva con pochi dei suoi per Caprera sul « Washington » ;
su quello stesso vapore, che la sera del 1 2 agosto lo aveva trasportato dal Faro
in Sardegna, all'insaputa di tutti, per raggiungere i volontari ivi radunati.
« Quella è la nave, che all' acque di Sardegna
già navigò dal Faro in gran segreto
per il soccorso, innanzi eh' ei prendesse
Reggio ed i monti, innanzi che Soveria
fessegli resa, quando le nuove schiere
precipitò nella Calabria estrema
e duce fu alle armi, alle carene
fu calafato, fu mastro d' ascia, artiere
d' ogni arte, pronto ei sempre alla diversa
necessità con volto sorridente.
Donato il regno al sopraggiunto re,
ora sen torna al sasso di Caprera
il Dittatore. Fece quel che potè.
E seco porta un sacco di semente ».
Il bel sogno dell* eroe, di affratellare sullo stesso campo le camicie rosse
ed i cappotti grigi si era dileguato. Reduce la sera da Calvi, Garibaldi aveva
detto, mestamente, alla White Mario: « Ci hanno messo alla coda ». Per
metterlo alla coda, scrive il Guerzoni, era stata deliberata la spedizione nello
Stato ecclesiastico, e per metterlo alla coda arrischiata l' entrata nel regno ;
poteva forse parere crudele che, subito al primo incontro, Vittorio Emanuele
/
-2
e^? -.
, /<^ __/*!-
^ - /-T'-
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////_ -4L. ■"/ / ^ ^^^^- ^f^^ —
Due pagine di un quaderno in cui Garibaldi, nel 1860, appena ritornato in Caprera,
cominciò ad annotare i lavori agrari e pastorizi.
L-EROE DIVENTA AGRICOLTORE 409
glielo rammentasse ; ma era logico. Garibaldi aveva vinto troppo ; bisognava
che la partita di quel!' indiscreto donatore di regni fosse chiusa ; bisognava
dimostrare, che si poteva vincere senza di lui, dovesse la vittoria costare cento
doppi più cara ; ' bisognava che il futuro re d' Italia potesse presentarsi ai suoi
nuovi popoli, non già nelle umili sembianze d' un sovranello protetto e patteg-
giato, ma di un vero re soldato e conquistatore.
*
Ma udiamo la parola stessa del Duce dei Mille. L'importantissimo brano
che segue non si trova nelle « Memorie » edite dal Barbèra e compilate da
Adriano Lemmi ; ne nell' edizione diplomatica, pubblicata a cura di Ernesto
Nathan.
Brano inedito di Garibaldi sulla spedizione dei Mille {Dall' autografo).
Qui finisce il glorioso periodo delle nostre battaglie, nella campagna del '60.
L'esercito settentrionale, comandato dal re, subentrava alla conclusione della guerra, e
ben presto si potè capire, che non si desiderava il nostro contatto. Vi furono ancora
varie scaramuccie fra i nostri avamposti e quelli dei regi, ma non di molta importanza.
Si continuavano i preparativi di passaggio sul Volturno, ma, come già dissi, in appa-
renza, e non dimenticando il divieto reale, che proibiva di procedere avanti. '
In Isernia la Divisione Cialdini aveva battuto un corpo nemico, ciò nonostante si
temeva che i regi, riconcentrati verso . . . , fossero decisi a darvi una battaglia ed il re
m inviò un suo aiutante con lettera sua, ove in tale credenza lasciava al mio criterio
di prendere qualunque risoluzione.
Trattavasi di dare una battaglia decisiva? Potevo io aspettare il risultato con
indifferenza ? No davvero ! Riuniti adunque, 4 o 5 mila cacciatori delle mie riserve,
io varcai il Volturno, il nemico aveva abbandonato, poco prima, la sponda destra,
meno Capua ; di modo che il passaggio si fece senza veruna difficoltà e si stabilirono
vari ponti su quei fiume.
' « Forse, scrive il Guerzoni, accettata l'offerta di Garibaldi, non sarebbe toccato all'Esercito
piemontese lo scacco del Garigiiano, 29 ottobre ».
' Alludo ad una lettera del re in data d'Ancona, che mi ordinava di fermarmi. (Nola
esistente neW autografo di Garibaldi).
410 LA BATTAGLIA DEL VOLTURNO ED IL PLEBISCITO
Non avendo notizie certe del nemico, io presi, col mio distaccamento, la via di
Bellona, che fiancheggia alla destra lo stradale, che da Capua mette a Calvi e giunsi
in quest' ultimo paese, credendo di darvi colla coda dell' esercito regio napoletano.
Fui però deluso ; e non mi fu possibile scoprire il nemico se non che dalle alture,
che dominano Martini (?) e lo avvistai non sullo stradale suddetto, ma su quello che
conduce a Gaeta e ben lontano.
Il nemico ebbe sentore del mio movimento; abbandonò lo stradale che conduce
a tramontana per Venafro e si ritirò verso Sessa, che dovette abbandonare ben presto,
incalzato dal generale Cialdini.
Dunque, non ebbe luogo la battaglia presunta e non vi fu per parte nostra, che
un piccolo incontro di un picchetto ungherese dei nostri ed uno dei regi, ove questi
ultimi ebbero il peggio. Il re mi ordinò quindi di occupare Calvi, ed il giorno dopo
di ritirarmi su Capua a coadiuvare col generale Della Rocca la presa di quella città.
Si capisce perfettamente che, dovendo intendermi col generale Della Rocca per l' assedio
di Capua, io dovevo cedere a quello il comando supremo di tale operazione; ciocché
feci senza esitanza, ritirandomi a Caserta, lasciando il comando dell' esercito al generale
Sirtori con istruzioni di stare agli ordini del generale Della Rocca. In Caserta, io tenni
alcune migliaia di uomini in riserva per qualunque evento.
Le varie volte, in cui vidi il re in queste circostanze, ebbi da lui la solita gentile
accoglienza. Io avrei potuto continuare nel servizio ed agevolare i esecuzione di ciò che
restava a fare V Italia. Ma per ciò avrei dovuto essere esaudito in certe richieste, per
il bene della causa santa dell' Italia.
La prima mia dimanda era il riconoscimento dell' esercito, che io comandava,
siccome parte dell'esercito nazionale e fu un' ingiustizia non concederlo.
La seconda era quella di conservare il potere civile con il titolo, se così piaceva,
di commissario regio (che non mancava di ripugnarmi), fintanto che io sarei rimasto
neW Italia meridionale. In quest' ultima richiesta io facevo violenza a me stesso, non
propenso ad impieghi di quella natura; ma lo ripeto, colla mano sulla coscienza ed
unicamente, in ossequio alla causa nazionale.
Conservando il comando militare in quella parte d Italia, io doveva indispensa-
bilmente conservare il provvisorio comando civile per non trovarmi esposto alla mercede
di un partilo interessato al mio abbassamento e che cominciava ad invadere voracemente
dovunque. Si trovò incostituzionale la mia dimanda, e mi si aprì il Varco al ritiro desi-
derato ardentemente e necessario.
Io lasciavo i miei compagni d'armi, e questa era la parte sensibile del mio abbandono.
Io lasciavo quella gioventù generosa, che si era gettata attraverso il Mediterraneo,
disprezzando ogni genere di contrarietà, di disagi e di pericoli per raggiungermi ad
affrontare la morte, colla speranza di non altro guiderdone se non che quello ottenuto
in Lombardia e nelV Italia centrale.
Buoni e Valorosi compagni ! La loro ricompensa stava nella coscienza e nel plauso
del mondo, testimone di fatti stupendi. Il 9 dunque di novembre io navigavo per Caprera
e vi giungevo il IO col piroscafo nazionale " Washington ,, comandato da Mansi.
L'EROE DIVENTA AGRICOLTORE 411
Non meno interessante, per le considerazioni che esso contiene è l' altro
brano, che qui pubblico dall' originale.
Introduzione al racconto della spedizione nell' Italia meridionale. {Dall'auto-
grafo inedito di Garibaldi).
Si osserverà giustamente nella mia narrazione, che io poco accenno ai nomi dei
brillanti ufficiali, che mi accompagnarono nella prima spedizione e di quelli che mi
raggiunsero a Palermo od altrove in epoche posteriori.
Siccome non vorrei, che si attribuisse a noncuranza o malizia il tacere, o non
favellare abbastanza di quei valorosi compagni miei, che io stimo debitamente ed amo
con r affetto di fratello, ho pensato di farne il soggetto di due righe d' introduzione,
mantenendomi però, per motivi che io credo giusti, nella stessa riserbatezza.
Trovo veramente molto arduo il gettare un' esatta linea di demarcazione tra il
merito dell' uno e dell' altro, nei differenti fatti d'armi ove, abbenchè io abbia assistito
a quasi tutti, impossibile mi è riuscito il poter assistere alla parte presavi da ognuno.
La suscettibilità dei nìiei concittadini, mi fa guardingo di toccare un assunto così
delicato.
Tra gli ufficiali superiori da me promossi vi sono tali uomini, di cui 1' Italia andrà
superba. Negli inferiori, io vedo con orgoglio una pipiniera di giovani ufficiali, che
fregierano 1' esercito nazionale nelle prossime battaglie.
Mi si conceda, massime negli uffiziali superiori, molla fortuna nell' incontrarli,
qualche abilità nel conoscerli e nel saperli collocare ; e mi sia permesso pure di confessare
che io devo alla bravura e intelligenza di quei prodi compagni la maggior parte dei
successi della portentosa spedizione.
Un altro scritto di quei giorni, che mi risulta inedito, è un proclama
che Garibaldi diresse ai prodi compagni superstiti. 11 proclama fu scritto prima
che il Generale partisse per Caprera ; è tutto di suo pugno e lo trascrivo
integralmente.
Proclama inedito di Garibaldi, scritto nel novembre '60 partendo per Caprera.
Militi della prima gloriosa spedizione!
Noi abbiamo diviso fatiche e pericoli per la più bella delle cause, per la causa
della nostra terra. Con uomini come voi le più ardue imprese mi sembrano facili e
se i nemici della nostra patria non fanno giudizio, ci ritroveranno ancora, e vi assicuro,
degni dell' Italia I
412 LA BATTAGLIA DEL VOLTURNO ED IL PLEBISCITO
Resto di dieci battaglie, benché giovani, in questo giorno di giubilo glorioso, ove
i destini dell' Italia migliorarono di tanto, noi dobbiamo un senso di affettuoso ricordo
ai nostri fratelli caduti accanto a noi nelle pugne !
Essi dormono là, sulla terra redenta di Calatafimi e del Volturno, e la rimem-
branza cara dei compagni d' armi giungerà come un balsamo consolatore all' anima di
quei generosi.
Dunque, sia per loro il primo segno onorevole, che la patria riconoscente consacra
ai propugnatori del santo riscatto. L' urne dei forti sia decorata dalla impronta del valore,
e dal bacio di chi sostenne con loro 1' onore delle armi italiane. E voi, giovani veterani
dell' esercito redentore, insegnerete alla gioventù nostra, per la liberazione di ciò che
resta di schiavi fratelli, come si pugna e come si vince !
*
Giunto a Caprera, lasciati in libertà i due cavalli di battaglia, il Dittatore
ritorna a fare 1' umile agricoltore. Mirabile testimonianza di quei giorni è un
piccolo quaderno, nel quale Garibaldi ricomincia ad annotare, giorno per giorno,
il ricavato della vendita delle pecore, dei formaggi, dei vitelli, le giornate di
lavoro dei pastori. (Vedi i facsimili qui annessi). In una delle prime pagine del
prezioso cimelio è segnata una spesa di Lire 300 ; è la mancia data all' equi-
paggio del " Washington ,, , che lo aveva trasportato a Caprera.
Sul finire del '60 e poi nel '61 , il Generale ebbe una corrispondenza attivis-
sima sulla sorte dell* esercito meridionale. Il 24 novembre, Trecchi gli scriveva :
« Ogni volta, che ho il piacere di vedere Sua Maestà non tralascio di tutelare
la causa dei nostri ; ma pur troppo conosco, che fino a quando vi sarà un Fanti,
Ministro della guerra poco o nulla si può sperare ». Una continua corrispon-
denza il Generale si ebbe pure con Tiirr, il quale vedeva spesso il re a Tormo.
Nell'archivio depositato da Ricciotti Garibaldi nella biblioteca Vittorio Emanuele
di Roma sono molte lettere del Tiirr. Le due seguenti meritavano di essere
trascritte, perchè illuminano sempre più i rapporti passati fra Vittorio Emanuele
e Garibaldi.
Stefano TOrr a Garibaldi.
Milano, 21 gennaio 1861.
Caro Generale,
Mi ciffretto a rendervi noto sopra varie incombenze, che mi avete dato:
1. — Il re vi assicura, che non si staccherà mai da voi ed egli vi
prega al pari di restargli sempre amico e di non lasciare trascinare il
L- EROE DIVENTA AGRICOLTORE 413
vostro nome dai partiti, i quali cercano di fare inutili imbarazzi al Governo
e con ciò rendono difficile l'ordinamento di tante cose.
2. — Con Bixio sarei d' accordo ; ma egli vuole prima conferire con voi,
vedendo la sua posizione molto difficile, non essendo del medesimo parere del Bertani ;
e però io spero e desidero, per il bene d' Italia, che voi possiate convincere Bixio,
che vi rappresenti nei Comitati, onde questi in nome vostro non facciano delle cose,
che potrebbero recare qualche danno all' Italia.
3. — In questi giorni manderò da per tutto gente fidata, onde sapere al giusto,
ciò che possiamo sperare nei vari paesi con i quali mi avete autorizzato di mettermi
d' accordo.
4. — Il re ha promesso di occuparsi per la Sardegna ; per le imposte egli mi
ha inviato dal ministro Cavour ; il quale ha dato ordine, onde una commissione si formi
per esaminare sul luogo le necessarie modificazioni per la Maddalena, come per Caprera.
5. — Una carta d' Europa ho inviato a Deidery, onde egU ve la rimettesse ;
ho segnato sulla carta i limiti dell' Ungheria.
6. — II re crede inutile per il momento fare un viaggio in Inghilterra.
7. — Per Zambianchi fui pure inviato da Cavour ; il quale mi rispondeva che
Zambianchi è in prigione non per l' affare, che egli è entrato nel territorio di Roma
dietro i vostri ordini ; ma perchè Farini ha avuto vari rapporti dalla Romagna, in cui
lo pregavano, che a Zambianchi non fosse concesso di venire in questi paesi; però
egli non ama tali illegalità, perciò esaminerà le cose e lo farà mettere in libertà. E
possibile che Farini temeva per la sua persona, e perciò voleva sempre tenere in prigione
il Zambianchi.
8. — // re farà verificare, se è cero che gli ufficiali amnistiati sono molestati
ed egli mi ha incaricato, che se io posso venire a conoscenza che uno si trova in prigione,
di Volerglielo fare conoscere nominativamente, onde poter dare i necessari ordini, che la
sua amnistia sia rispettata interamente.
9. — La vostra offerta per la pacificazione delle Provincie meridionali è piaciuta
molto al re e mi ha risposto, che egli studiera questo progetto e in che modo sarebbe
possibile la sua esecuzione. Viste le buone disposizioni per potere fare questa passeg-
giata nella Sicilia fino al Napoletano non ho parlato nulla dei vapori, onde non dare
il sospetto di una spedizione, che potrebbe adesso spaventare. Però, io spero che con
prudenza potremo ottenere, come voi desiderate, di fare una passeggiata nell' Italia
meridionale. Per i primi di marzo, spero di potervi presentare un rapporto su tutto
ciò che possiamo trovare nei differenti paesi, sui quali dobbiamo contare ; ed allora
possiamo concepire una vera e decisiva idea di ciò che si potrà fare. In Orbetello,
se io fossi andato a chiedere cartuccie in nome del partito di azione, certamente invece
di ritornare con cartuccie e cannoni mi avrebbero trattenuto come prigioniero nel forte ;
così anche oggi ci vuole franchezza e prudenza. So bene che Bertani ed altri dicono
che io Vado dal re e da Cavour ; ma io non vado per altre cose che per il bene della
causa d' Italia e d' Ungheria. Io non ho mai detto ne a voi, ne a Cavour che dovete
stringervi la mano, come ha detto il signor Bertani, dopo che egli era il più frenetico
oppositore. Io ho parlato e parlerò sempre francamente al Cavour e gli faccio rimostranze
414 LA BATTAGLIA DEL VOLTURNO ED IL PLEBISCITO
di tutu i suoi errori; adesso gli ho dello: « // generale Garibaldi marcerà con voi
politicamente, se voi vi niellerete con tulla l'anima per armare il paese, onde liberare
Venezia e Roma. » Egli mi ha risposto, che darà tutta la sua cura all'armamento e
farà lutto, onde coi possiate esser certo della sua ferma Volontà di avere Venezia e
Roma. Per l' Esercito meridionale in tutto ciò che potrà essere utile, non avete altro
che comandargli, ma nel medesimo tempo, egli mi ha dato la qui acclusa lista di uffi-
ciali di marina di Sicilia e vi prega caldamente (voi che conoscete cosa vuol dire la
marina) di voler lare un segno per quelli che conoscete potranno adempire il loro
dovere ; gli altri saranno obbligati a sottomettersi ad un esame. In questa lista vedrete
che due soli sono provveduti del vostro brevetto. Mordini ha fatto un grande errore,
che nel solo giorno del 20 ottobre, egli, ad un tratto, ha nominato più di 140 uffi-
ziali di marina. Troverete Castiglia come contrammiraglio ed ho visto una lista di
uffiziali siciliani, un numero immenso, senza appartenere a nessun corpo; senza aver
fatto altra cosa che passeggiare in Palermo. Voi avete avuto per sistema, verso la
fine di ottobre, di non nominare più uffiziali, mettendo cosi in cattiva posizione anche
quei bravi, che si sono battuti con voi per la Patria.
Vi prego, dopo di aver fatto le vostre rimarche sopra i nomi degli uffiziali che
credete di raccomandare, di rimandare la lista.
Spero che la vostra salute sia buona; mi dispiace e mi duole di vedere che
Berlani ed altri si sfogano sotterraneamente contro di me ; ma la mia coscienza è pura ;
e questo mi dà la forza di agire come sempre ho agito, francamente, per la causa della
nostra comune Patria ; e se una bomba da 80, come voi dite, non ci porta via, una
volta che l' Italia e l' Ungheria saranno libere, cercherò di vivere vicino a voi, colti-
vando un giardino ed allora i signori Berlani e Brofferio faranno tutto ciò che a loro
piacerà; ma per ora, per bacco, non possiamo lasciare che loro, in un momento d'ira,
cerchino di rovinare ciò che costa tanto sangue generoso. Vi prego di rispondermi e
di darmi i vostri ordini. Prego di salutare tutti e con una stretta di mano credetemi
sempre per vostro
Sincero amico
S. TURR
P. S. - « // milione di fucili » comincia a lavorare e spero di potere raccogliere
delle somme, perchè esso gode la fiducia in tutte le parti d* Italia.
Più tardi, in data del 23 febbraio tornava a scrivere:
Stefano Tùrr a Garibaldi.
Torino, 23 febbraio 1861.
Caro Generale,
Zambianchi sarà messo subito in libertà. Il re mi ha promesso che nel
prossimo Consìglio di Ministri farà sentire fortemente i suoi ordini per
l'armamento e vuole che sia sentito.
L'EROE DIVENTA AGRICOLTORE 415
Questi signori generali polacchi hanno rovinato, colle loro ciancie, la causa d' Italia
a Novara, e di Ungheria a Temesvar. Oltre di questo, pare che il Palais Royal non
sia estraneo all' idea di Mierolawski. Si vede che Napoleone agita molto la quistione
Bulgara ; è possibile che egli voglia farsi un piede a terra anche in Grecia e
neir Oriente. Il governo qui si è spaventato, quando ha ricevuto delle note assai signi-
ficanti dall' Inghilterra in proposito dell' agitazione di Mierolawski. Il governo desidera
aspettare un anno piuttosto che entrare in campo ed aiutare l' ingrandimento della
Francia in Oriente e di trascinarsi in un' impresa, dopo la quale potrebbe Napoleone
forse di nuovo entrare in Italia.
Appena avrò dieci giorni di tempo mi metterò a descrivere le gesta della prima
spedizione con gli avvenimenti da Genova a Marsala fino al totale sgombro dei regi
da Palermo. Sarei a pregarvi a volermi dare alcuni indizi sulle trattative, che avete
fatto con Letizia ; tali indizi quali volete che rimangano nella storia. Cercherò di scrivere
tutte le nostre mosse militarmente ; ed in questo modo desidero far vedere a Fanti ed a
tutti gli altri in che modo e con che arte fu fatta ogni mossa.
II re mi ha incaricato di salutarvi. Egli era molto contento, quando
abbiamo infranto l' etiquette di corte, avendo ballato Menotti ed io nella
contradance colla duchessa di Genova.
Prego di salutare tutti e di credermi sempre per il vostro sincero fedele
S. TURR
CAPITOLO XVI.
GARIBALDI APOSTOLO DI PACE.
LETTERE ALL'IMPERATORE GUGLIELMO E A BISMARCK.
iJe un' antica imagine poetica rassomigliò il cuore umano ad un' anfora,
in cui stanno racchiusi tutti i sentimenti, il cuore di Garibaldi, ampio come le
sue gesta, traboccò di amore per tutta l' umanità. Guerriero e stratega, si servì
della spada per la libertà degli oppressi, e quando il braccio più non potè seguire
i nobili impulsi del cuore, ogni giusta causa, al di là e al di qua degli oceani,
ebbe l'appoggio della parola confortatrice dell'eroe, e da Caprera, fino agli ultimi
giorni della vita essa tuonò contro ogni forma di tirannia per ottenere giustizia e
libertà per tutti.
Questo volume, nel quale ho raccolto la prima serie dei documenti del
mio Archivio in massima parte riferentisi al 1 860, e che sarà seguito da un
altro su Aspromonte e Mentana, si chiude colla pubblicazione di due scritti
inediti, di un' epoca posteriore, ma che illustrano sempre più la singolare figura
di Garibaldi, sognatore di una Religione del Vero, apostolo di pace e della
fratellanza umana.
Nel 1 860, dopo la battaglia del Volturno, appena il rombo del cannone
aveva finito di tuonare, ritiratosi sulle alture di Sant'Angelo, sul monte Tifata,
egli, dettò un Memorandum alle Potenze di Europa, che fu trovato degno
dello spirito di Alberigo Gentile e dell' eloquenza di Canning ; un Memorandum,
nel quale il guerriero predicava il disarmo universale, la fine di ogni contesa,
una confederazione europea, l' unità della famiglia umana. Giova oggi ripubbli-
care r importante documento.
MEMORANDUM ALLE POTENZE D'EUROPA
E alla portata di tutte le intelligenze, che l' Europa è ben lungi di trovarsi in
uno stato normale e convenevole alle sue popolazioni.
CURÀTULO 27
418 GARIBALDI APOSTOLO DI PACE
La Francia, che occupa senza contrasto il primo posto fra le potenze europee,
mantiene sotto le armi seicento mila soldati, una delle prime flotte del mondo ed una
quantità immensa d' impiegati per la sicurezza interna.
L'Inghilterra non ha il medesimo numero di soldati; ma una flotta superiore e
forse un numero maggiore d' impiegati per la sicurezza de' suoi possedimenti lontani.
La Russia e la Prussia, per mantenersi in equilibrio, hanno bisogno pure di
assoldare eserciti immensi.
Gli Stati secondari, non foss' altro che per spirito d' imitazione e per far atto di
presenza, sono obbligati di tenersi proporzionalmente sullo stesso piede.
Non parlerò dell' Austria e dell' Impero Ottomano, dannati, per il bene degli
sventurati popoli che opprimono, a crollare.
Uno può alfine chiedersi: perchè questo stato agitato dell' Europa ? Tutti parlano
di civiltà e di progresso. A me sembra invece che, eccettuandone il lusso, non diffe-
riamo molto dai tempi primitivi, quando gli uomini si sbranavano fra loro per strap-
parsi una preda. Noi passiamo la nostra vita a minacciarci continuamente e recipro-
camente, mentre che in Europa la grande maggioranza non solo dell' intelligenza, ma
degli uomini di buon senso, comprende perfettamente che potremmo pur passare la
povera nostra vita senza questo perpetuo stato di minaccia o di ostilità degli uni
contro gli altri, e senza questa necessità che sembra fatalmente imposta ai popoli da
qualche nemico segreto ed invisibile dell'unità, di ucciderci con tanta scienza e raffi-
natezza.
Per esempio, supponiamo una cosa :
Supponiamo che l' Europa formasse un solo Stato.
Chi mai penserebbe a disturbarla in casa sua ? chi mai si avviserebbe, io vi
domando, turbare il riposo di questa sovrana del mondo?
Ed in tale supposizione, non più eserciti, non più flotte; e gl'immensi capitali,
strappati quasi sempre ai bisogni ed alla miseria dei popoli per essere prodigati in
servizio di sterminio, sarebbero convertiti invece a vantaggio del popolo in uno sviluppo
colossale dell'industria, del miglioramento delle strade, nella costruzione dei ponti,
nello scavamento dei canali, nella fondazione di stabilimenti pubblici, e nell' erezione
delle scuole, che tornerebbero utili alla miseria ed alla ignoranza di tante povere
creature, che in tutti i paesi del mondo, qualunque sia il loro grado di civiltà, sono
condannale all' egoismo del calcolo e della cattiva amministrazione delle classi privile-
giate e potenti all' abbrutimento, alla prostituzione dell" anima e della materia.
Ebbene! l'attuazione delle riforme sociali che accenno appena, dipende soltanto
da una potente e generosa iniziativa. Quando mai presentò 1' Europa più grandi pro-
babilità di riuscita per questi benefìzi umanitari ?
Esaminiamo la situazione : Alessandro li, in Russia, proclama l' emancipazione
dei servi.
Vittorio Emanuele, in Italia, getta il suo scettro sul campo di battaglia ed espone
la sua persona per la rigenerazione di una nobile razza e di una grande nazione.
In Inghilterra, una regina virtuosa ed una nazione generosa e savia, che si associa
con entusiasmo alla causa delle nazionalità oppresse.
LETTERE ALL'IMPERATORE GUGLIELMO E A BISMARCK 419
La Francia finalmente, per la massa della sua popolazione concentrata, per il
valore dei suoi soldati e per il prestigio recente del più brillante periodo della sua
storia militare, chiamata ad arbitra dell' Europa.
A chi r iniziativa di questa grande opera ?
Al paese che marcia in avanguardia della rivoluzione ! L' idea di una Confede-
derazione europea, che fosse posta innanzi al capo dell'Impero francese, e che spar-
gerebbe la sicurezza e la felicità del mondo, non vale essa meglio di tutte le combi-
nazioni politiche, che rendono febbrile e tormentano ogni giorno questo povero popolo?
Al pensiero dell'atroce distruzione che un solo combattimento, tra le grandi
flotte delle Potenze occidentali, porterebbe seco, colui, che si avvisasse di darne l'ordine,
dovrebbe rabbrividire di terrore ; e probabilmente non vi sarà mai un uomo così
vilmente ardito per assumere la spaventevole responsabilità.
La rivalità che ha sussistito fra la Francia e l' Inghilterra dal XIV secolo fino ai
nostri dì, esiste ancora ; ma oggi, noi lo constatiamo a gloria del progresso umano,
essa è infinitamente meno intensa ; di modo che una transazione tra le più grandi
nazioni dell' Europa, transazione che avrebbe per scopo il bene dell' umanità, non
può più essere posta fra i sogni e le utopie degli uomini di cuore.
Dunque, la base di una Confederazione europea è naturalmente tracciata dalla
Francia e dall' Inghilterra. Che la Francia e l' Inghilterra si stendano francamente,
lealmente, la mano ; e l' Italia, la Spagna, il Portogallo, l' Ungheria, il Belgio, la Svizzera,
la Grecia, la Romelia verranno esse pure, e per così dire, istintivamente, ad aggrup-
parsi intorno a loro.
Insomma, tutte le nazionalità divise ed oppresse, le razze slave, celtiche, germa-
niche, scandinave, la gigantesca Russia compresa, non vorranno restar fuori da questa
rigenerazione politica, alla quale le chiama il genio del secolo.
Io so bene, che una obiezione si affaccia naturalmente in opposizione al progetto
che precede.
Che cosa fare di questa innumerevole massa d' uomini, impiegata ora nelle armate
e nella marina militare }
La risposta è facile.
Nel medesimo tempo, che sarebbero licenziate queste masse, saremmo sbarazzati
dalle istituzioni gravose e nocive, e lo spirito dei sovrani non più preoccupato dalla
ambizione, dalle conquiste, dalla guerra, dalla distruzione, sarebbe rivolto invece alla
creazione di istituzioni utili, e discenderebbe dallo studio delle generalità a quello
delle famiglie ed anche degli individui.
D'altronde, coli' accrescimento dell'industria, con la sicurezza del commercio, la
marina mercantile reclamerà dalla marina militare sul momento tutta la parte attiva di essa ;
e la quantità incalcolabile di lavori creati dalla pace, dall'associazione, dalla sicurezza,
ingoierebbe tutta questa popolazione armata ; fosse anche il doppio di quello che è oggi.
La guerra, non essendo quasi più possibile, gli eserciti diverrebbero inutili. Ma
quello che non sarebbe inutile è di mantenere il popolo nelle sue abitudini guerriere
e generose, per mezzo di milizie nazionali ; le quali sarebbero pronte a reprimere i
disordini e qualunque ambizione tentasse infrangere il patto europeo.
420 GARIBALDI APOSTOLO DI PACE
Desidero ardentemente, che le mie parole pervengano a conoscenza di coloro,
cui Dio confidò la santa missione di fare il bene ; ed essi lo faranno certamente,
preferendo, ad una grandezza falsa ed effimera, la vera grandezza : quella che ha la sua
base nell'amore e nella riconoscenza dei popoli.
Garibaldi avrebbe voluto proclamare la fratellanza umana, cementandola, se
fosse stato possibile, coli* unità di una sola lingua mondiale. Sul proposito, non
meno caratteristico è il brano autografo trovato fra le sue Memorie, messo in
luce dal Guerzoni. Garibaldi scriveva :
« Il modo più indicato ad un'unità mondiale e che più coadiuverebbe
ali' unità religiosa vera, Dio, sarebbe una lingua universale.
■X Non è questa idea mia ; ma vecchia e ne lascio l' esame cronologico
a chi vuole incaricarsene.
« Vado alla sostanza.
« Volere impone una lingua qualunque delle esistenti per lingua universale,
credo sarebbe questione alquanto simile a quella dei preti, e l' abbandono.
Proviamo un altro espediente. Per esempio, vari complessi di lingue per formare
un tutto, col tempo.
« Il francese sarebbe uno dei complessi ; esso ha agglomerato un gran
numero di dialetti delle diverse sue provincie ed ha una rispettabile estensione
al di fuori. L' anglo-germano, o l'anglo-sassone, immensamente propagato.
« Per le lingue orientali, lascio ai più scienziati la cura di occuparsene,
se così loro piace.
« Tu puoi occuparti del complesso — Iberiialo — formato di tre lingue ;
portoghese, spagnuola, ed italiana, di cui conosci qualche cosa e consultare perciò
tutti quegli umanitari di quei tre paesi e delle colonie dell' America portoghese
e spagnuola, che volessero essere tanto buoni da cooperarvi. Le tre lingue hanno
molte voci comuni : si può cercarle e riunirle in un principio di dizionario, ove
gettare la base d' una lingua nuova, che potrebbe, frattanto, essere imparata dalla
gioventù dei tre paesi.
« Io non mi nascondo 1' arduità dell' impresa ; ma la sua importanza sembrami
meritare 1' attenzione degli uomini, cui il progresso umano non è una chimera.
« Certo, ci vorranno secoli per raggiungere il nobile scopo ; ma è pur vero,
che se i Caldei non avessero principiato, gettando uno sguardo nello spazio, ad
investigare i moti e le leggi stupende che regolano gli eterni luminari, gli odierni
astronomi non sarebbero forse così inoltrati nelle vie dell' Infinito ».
Garibaldi sognò, oltre della fratellanza umana, una religione, che egli chiamava
la Religione del Vero. Nelle sue Memorie scrive : •« Semplice, bella, sublime
LETTERE ALL'IMPERATORE GUGLIELMO E A BISMARCK 421
è la Religione del Vero. Essa è la religione di Cristo, poiché tutta la dottrina
di Cristo poggia suU' eterna verità : 1' uomo nasce uguale all' uomo, indi : I . Non
fate ad altri ciò che non vorreste per voi. 2. Chi non ha fallito, getti la prima
pietra sul delinquente. Simbolo di fratellanza il primo precetto ; simbolo di perdono
il secondo. Simboli, precetti, dottrine, che praticati dagli uomini costituirebbero
quel grado di perfezione e di prosperità, cui è suscettibile di giungere ».
Neil* ottobre del '69, a proposito dell' Anti-Concilio scriveva al Ricciardi :
I . Rovesciare il mostro papale, causa prima dell' ignoranza e delle discordie
nella famiglia umana. 2. Edificare, sulle sue rovine, la Ragione ed il Vero, basi
naturali dell' unità morale delle nazioni. Ecco, mi sembra, la meta cui può
pretendere 1' Anti-Concilio di Napoli. Io sono della Religione del Vero ! Io sono
della Religione di Dio ! Sono queste due formole identiche, che, universalizzate,
possono condurre all' unità morale, mondiale. La prima è più conforme all' indole
e all'alta intelligenza del libero pensatore, giacche interamente scevra da ogni
involucro mistico. La seconda, più conforme alle masse educate all' adorazione
di un Dio, la credo più attuabile. E veramente dal Greco allo Scandinavo,
dall'Americano all'Asiatico, ogni popolo ha il culto di Dio e del Vero, attorno
a cui deve naturalmente rannodarsi 1' umanità. Conclusione : eliminare il prete
bugiardo e sacrilego insegnatore di Dio ed ostacolo primo all' unità morale della
nazione colla formula : Io sono della Religione di Dio !
Più tardi, nei settembre del 1871, inviava al suo grande amico Quirico
Filopanti la bella lettera seguente, che trascrivo dall' autografo, che trovasi nella
mia raccolta e che, in qualche parte, differisce dalla pubblicazione fattane da altri.
Garibaldi a Quirico Filopanti.
Caprera, 26 settembre 1871.
Mio caro Filopanti,
Deismo dall' una parte e materialismo dall' altra sono gli oggetti della controversia.
Cerchiamo una media proporzionale e chiamiamola : Vero. Credete // Vero possa
convenire per tutti ? Io lo credo. Bene interpreti del Vero, la ragione e la scienza.
Ecco in che modo sviluppo il mio tema, che sottopongo alla superiore vostra intelli-
genza, avvertendovi che io accenno e non insegno.
L'infinito potrebbe essere la definizione del Vero.
1 . // tempo è infinito : è Vero.
2. Lo spazio è infinito : è Vero.
3. / mondi e la materia, nello spazio, sono infiniti : è Vero.
Ecco r Infinito e Vero incontestabili.
422 GARIBALDI APOSTOLO DI PACE
Ripeto : accenno e non insegno.
II Credo può essere designato colla formula : Religione del Vero o Religione
dell' Infinito, con interpreti la Ragione e la Scienza.
Sempre vostro
G. GARIBALDI
La campagna di Francia chiuse la vita dell'Eroe guerriero. Nel 1870,
nell'età di 63 anni, infermo, prigioniero del Governo italiano, fra mille ostacoli e
difficoltà, egli andò ad offrire « quanto restava di lui » al popolo francese presso
a soccombere per colpe non sue ; e la camicia rossa rifulse ancora una volta
di gloria, combattendo contro un esercito formidabile, agguerrito e disciplinato,
quale era l'esercito prussiano. La migliore testimonianza di quella campagna è
il giudizio, che delle qualità strategiche di Garibaldi diede il nemico : il generale
tedesco Manteuffel.
« La tattica del generale Garibaldi va segnalata specialmente per la grande
rapidità delle mosse, per sagge disposizioni durante il combattimento a fuoco,
e per un' energia e focosità nell' attacco, che, se dipende in parte dall' indole
dei suoi soldati, dimostra eziandio che il Generale non dimentica un solo istante
r obbiettivo del combattimento, che è appunto quello di sloggiare il nemico dalle
sue posizioni, mediante un attacco rapido, vigoroso, risoluto. La prova di questa
sua speciale valentia 1' avemmo nel fatto d' arme, che fece rifulgere non solo
r eroismo dei nostri soldati, ma anche la bravura dei garibaldini. Il 6 1° fucilieri
ebbe sepolta la sua bandiera sotto un mucchio di morti e feriti, appunto perchè
non gli fu possibile sottrarsi alla celerità delle mosse di Garibaldi. Certamente,
i successi del Generale furono successi parziali e non ebbero seguito ; ma se il
generale Bourbaky avesse operato secondo i suoi consigli, la campagna dei Vosgi
sarebbe stata la più fortunata, combattuta nel 1870-71 dalle armi francesi».
Molti interessanti particolari della parte presa dai garibaldini nella guerra
del ' 70 meriterebbero di essere meglio conosciuti.
« Neil' ultimo momento della nostra permanenza a Digione, mi rispondeva
il generale Ricciotti Garibaldi ad alcune domande rivoltegli, i miei franchi-tira-
tori, occupavano gli avamposti che fronteggiavano i corpi prussiani, che si avan-
' Generale Manteuffel - Storia della guerra franco- germanica, in Guerzoni, « Garibaldi »,
voi. Il, pag 626.
LETTERE ALL' IMPERATORE GUGLIELMO E A BISMARCK 423
zavano rapidamente dall' est, dopo di avere cacciato Clinchaut nella Svizzera,
principalmente per la strada di Langres, e tra questi e le avanguardie tedesche
avvenivano delle scaramuccie.
« In una di queste cadde nelle nostre mani un ufficiale prussiano, ferito
ad un braccio. Questo avvenne quasi all'ultimo momento ; e quando fu portato nel
mio quartiere, visto il povero giovane sofferente, invece di farlo consegnare al
Comando della Piazza, che forse in quel momento di evacuazione non esisteva più,
ottenuta da lui la parola di onore, che non avrebbe tentato di fuggire, lo feci
montare nella mia vettura, che ci accompagnava sempre, ma che raramente usavo.
« Quando si giunse felicemente a Chàlon, tenni il piccolo ufficiale con
me, più come amico che come prigioniero.
« Qualche giorno dopo al nostro arrivo, il nostro Stato Maggiore avendo
bisogno di comunicare colle autorità prussiane per stabilire la linea di demarca-
zione fra i due eserciti, proposi a Bordone, nostro Capo di Stato Maggiore,
d' impiegare quell' ufficiale come messaggero.
« Così fu stabilito ; ma all' ultimo momento, il mio prigioniero rifiutò e
vedevo che aveva le lagrime agli occhi. Non senza difficoltà, potei persuaderlo
a confessare, che fra l'ufficialità germanica era considerata cosa infamante quella
di ripresentarsi ai corpi senza la sciabola.
« Il ragazzo si era difeso splendidamente prima di essere preso, e non si
arrese che quando fu ferito ; almeno così dicevano i rapporti dei miei. Così,
sentendo la ragione di questo suo dolore, sganciai immediatamente il mio cinturino
e lo pregai di portare la mia sciabola per quei due giorni.
« E così, per quarantotto ore la mia spada passo sotto gli ordirìi di Sua
Maestà r Imperatore di Germarìia !
« Al suo ritorno, 1' ufficiale mi raccontò che nel campo dei suoi si era
in grande orgasmo per la perdita della bandiera ; che 1' Imperatore Guglielmo
aveva dichiarato che non avrebbe perdonato, se non avesse avuto delle informa-
zioni esplicite, anche da parte nostra, sul come si erano comportate le sue
truppe che l'avevano perduta e che una preghiera di questo genere era stata
rivolta a mio Padre ; infine, che il generale Kettler, che comandava la brigata
contro la quale la mia si era battuta ed alla quale apparteneva il 6 1° reggimento
di Pomerania, mi faceva calda preghiera, perchè anch' io volessi rilasciare una
dichiarazione che, se favorevole, poteva stornare il temporale, che minacciava lui
e i suoi ufficiali.
« Seppi poi, dal generale Bordone e da altri del nostro Stato Maggiore
generale, che mio Padre aveva subito scritto una dichiarazione molto lusinghiera
424 GARIBALDI APOSTOLO DI PACE
per la brigata Kettler ed anch' io scrissi due parole, dichiarando presso a poco
che per me 1' incidente della bandiera faceva tanto onore a chi l'aveva perduta,
quanto a chi 1' aveva presa ; e che se fosse stato possibile, essa avrebbe dovuto
essere restituita a quel valoroso corpo, perchè il modo come 1' aveva difesa
provava che esso meritava bene di conservarla.
« Mi ricordo, che quest' ultima mia frase diede luogo ai maligni di dire,
che io offrii di restituire la bandiera ai prussiani !
« Mi fu detto poi che, forse in conseguenza di queste due dichiarazioni,
il vecchio Imperatore si decise a perdonare e diede una nuova bandiera al 61".
« Mio Padre aveva un' altissima opinione del valore dei prussiani e tutti
ricordano, quando il primo giorno, intorno a Talant, egli si fermò sotto le fucilate
e le granate che scoppiavano, per ammirare le ondate di quegli splendidi soldati,
che venivano con un coraggio raro ad infrangersi contro le nostre forti posizioni.
Mio Padre, dopo qualche minuto di osservazione, si rivolse ai suoi aiutanti e
disse : « Questi sì, che sono famosi soldati ! »
« Parole, che io vorrei un giorno fossero scritte su di un nastro anche della
nuova bandiera di quel valoroso reggimento, il di cui 2° battaglione, difendendo
la vecchia, vi lasciò metà del suo effettivo ! »
I successi di Garibaldi in Francia avevano fatto montare sulle furie il gran
cancelliere tedesco.
Jules Favre ed Ottone di Bismarck, racconta 1' "Onken,,, la mattina del
25 gennaio 1871 trattavano a Versailles le condizioni di un armistizio, che la
fame dell' assediata Parigi aveva reso necessario.
Le trattative furono riprese nel pomeriggio. Il Cancelliere porse al Favre
un piatto, sul quale si trovavano tre grossi sigari di avana e chiese : — Fuma ?
Favre, con un inchino, declinò 1' offerta, dicendo che non fumava mai.
— Ha torto, gli disse Bismarck. Quando s' inizia una conversazione, che
può condurre ad un vivace scambio di frasi ed a violenti sfoghi, è meglio
fumare mentre si parla. Quando si fuma, vede, e nel dire ciò accese un'avana,
questo sigaro che si tiene in mano, che si gira, che non si vuol lasciar cadere,
assorbe in parte i movimenti fisici e moralmente ci calma, senza affievolire per
nulla l'attività del nostro cervello. 11 sigaro è un diversivo ; questo fumo azzurro,
che sale in spirali, che si segue involontariamente con 1' occhio ci dà piacere.
LETTERE ALL' IMPERATORE GUGLIELMO E A BISMARCK 425
ci dispone alla conciliazione ; si è felici, 1' occhio è incatenato, la mano occu-
pata, r olfatto soddisfatto.
Era in questione Garibaldi e 1' armata di Digione. Al nominarli gli occhi
di Bismarck mandarono lampi e assunsero 1' espressione di una fiera collera. Si
vedeva che egli stentava a dominare un' ira altrettanto profonda quanto sincera.
— Supponga, disse, che lasciamo Garibaldi e la sua armata all' infuori
dei nostri patti di armistizio? Garibaldi non è dei vostri ; Io si può lasciare a
me. Egli ha dinanzi a se un piccolo corpo d' armata, del tutto o approssima-
tivamente pari alle forze delle sue truppe. Che se la sbrighino fra di loro ; non
incarichiamoci di loro. — Jules Favre rispose, che ciò era assolutamente impos-
sibile. Non SI era mai chiesto, soggiunse, il soccorso di Garibaldi. Egli, il mattino
del 5 settembre, aveva esibito al Governo della difesa nazionale, con un dispaccio
diretto a Rochefort, la cooperazione sua e dei suoi due figli ; e questa offerta
era stata respinta. Siccome però, le circostanze avevano fatto del condottiero
italiano, il Generale di un corpo d' armata francese, sarebbe stata per lui, rappre-
sentante della Francia, una viltà lasciare da parte Garibaldi, o escluderlo
da un armistizio che doveva giovare a lui, e anche al suo corpo d' armata,
composto esclusivamente di francesi. Del resto, replicò Favre, coli' accet-
tare i servigi di Garibaldi, rifiutati da Parigi, la Provincia aveva accolto
questo straniero fra le pieghe della bandiera nazionale e quindi non si poteva
abbandonarlo.
Durante questo discorso il conte d' Hérison, ufficiale di ordinanza, presente
al colloquio in qualità di segretario, vide Bismarck montare su tutte le furie : si
dimenava qua e là sulla sedia, deponeva il sigaro sull' orlo della sottocoppa,
batteva coli' indice sul tavolo e poi disse : — Eppure bisogna che io lo abbia,
perchè voglio farlo merìare in giro per Berlino con un cartello sul dorso, che
dica : « Questa è la riconoscenza dell' Italia. Come? Dopo tutto quanto abbiamo
fatto per quella gente ? E proprio indecente ! »
Il conte d' Hérison ebbe, allora, una buona idea. Memore di ciò che
Bismarck aveva detto poco prima, sull' effetto calmante del fumo, offerse al furente
Cancelliere la sottocoppa coi due sigari che v' erano ancora e lo guardò.
Bismarck lo fissò per un paio di secondi, senza capire ; poi, tutto ad un
tratto si calmò.
— Ha ragione, signor capitano, disse egli ; è inutile guastarsi il sangue.
Ciò non conduce a nulla ; anzi !
La conversazione riprese 1* andatura tranquilla di prima e 1' armata di
Garibaldi e Garibaldi stesso furono compresi nell' armistizio.
426 GARIBALDI APOSTOLO DI PACE
Dopo queir epoca, strano contrasto, fra Garibaldi e Bismarck vi fu non
solo amicizia, ma anche uno scambio d'idee politiche. Il trait d'union fra i
due grandi uomini sembra sia stato il marchese Filippo Villani, amico intimo
di entrambi.
Nell'Archivio, che il generale Ricciotti Garibaldi ha consegnato alla Biblioteca
Vittorio Emanuele di Roma, si trovano due lettere del Villani dirette a
Garibaldi, che, sebbene senza data, è da ritenere siano state scritte verso il '72.
Le trascrivo.
Nauheim, 27 giugno.
Molto onorevole e caro amico.
Mia moglie mi mandò da Desio la preziosa vostra del 19; più preziosa ancora
pel mio buon amico Bismarck, cui oggi stesso la trascrissi, scrivendogli a Varzin, dove
sarò il primo luglio. Quanto si commuoverà nel leggere ciò che voi scrivete di lui ! ! !
lo finisco i miei 24 bagni appunto il 30, e in quella notte andrò a Berlino e di
là in Pomerania, a Varzin.
Tutto vostro
FILIPPO VILLANI
Milano, 8 luglio.
Illustre e carissimo amico.
Ieri sera, sicut dixeram, tornai dal mio viaggio salutare in Germania. A Varzin
(che in certi sensi mi ricorda la vostra Caprera) passai due giorni e metà del terzo,
per ordine del grande Unitario tedesco. Era il 4 luglio e Bismarck mi volle tenere a
pranzo (a un' ora pomeridiana) e avendo letto e baciata la vostra lettera, che ad ogni
costo voleva rubarmi, fece un brindisi al Leone di Caprera in tedesco, che fu da tutti
freneticamente applaudito. Lo leggerete su vari giornali tedeschi ed inglesi, e forse . . .
anche di Francia, lo pure m' ingegnai a recitare il brindisi mio del '64 alla villa
Marsala, che avete stampato sulle mie Ultime Foglie. Le ultime tre quartine mi furono
fatte ripetere tre volte. Capirete il perchè, e ne godrete. Bleichwid e Blumental, suoi
segretari, che sanno me un po' latinista, mi pregarono d' un epigramma in onore vostro.
Mi uscirono invece dieci versi esametri : dei quah vi unisco un brano ; è d' attualità.
Bismarck lo ha, scritto da me ; ma i presenti che erano dieci, compresa la moglie,
una figlia ed il figlio, capitano di marina, tutti se lo copiarono.
Tutto vostio
FILIPPO VILLANI
Più d* una volta Garibaldi, in scritti che furono pubblicati, espresse la sua
ammirazione per il Cancelliere tedesco. Il 22 settembre 1872, in una lettera
diretta ad Arthur Arnold, diceva: « Non c'è che un solo Governo in Europa,
LETTERE ALL' IMPERATORE GUGLIELMO E A BISMARCK 427
il quale merita gli elogi di tutti gli uomini ragionevoli, perchè incede
daooero sulla testa dell'idra gesuitica, e Bismarck merita la gratitudine del
mondo intero ». Più tardi, il 7 luglio 1877, scriveva al Villani: « Dite
al nostro amico Bismarck, che non passando i turchi il Bosforo, saremo sempre
da capo. Il risultato politico seguente sembrami possibile e durevole : I Turchi
a Bagdad, i Russi a Scutari (Bosforo). Una confederazione di tutti i popoli della
Turchia europea, capitale Costantinopoli. Bosforo e Dardanelli, liberi per tutti ».
Ed il 2 settembre '76, aveva scritto: «La questione d'Oriente io la consi-
dererei efficacemente risoluta con una confederazione di popoli liberi ; tutto il
resto sono impiastri su gambe di legno. L' Austria deve rompersi il collo, come
la Turchia ; resta la Russia. Che il nostro grande uomo (Bismarck) la lasci
penetrare ad Adrianopoli con 200 mila uomini, come fecero nel '28, ed ogni
cosa è accomodata. Ad una condizione però, che avendo passato il Turco il
Bosforo, la Russia se ne ritorni al di là del Pruth ».
Ma documenti inediti della più alta importanza, che illustrano la singolare
figura di Garibaldi e che trascrivo dagli autografi da me religiosamente custoditi,
sono le due lettere seguenti.
Garibaldi all'Imperatore Guglielmo I.
Sire,
Voi donaste il primato del mondo alla Germania. Invano si dirà, che
foste debitore dei vostri successi ad abili e valorosi generali, ad abilissimo
statista, a fortissimo popolo.
Quando la Storia registrerà sulle sue colonne di sangue le terribili vittorie
germaniche del passato agosto, essa segnerà col vostro nome l' impareggiabile
e immortale periodo, che ricacciò nel fondo V atroce codardo, che per 20 anni
ingannò, rubò, corruppe le Nazioni, che ebbero la disgrazia di cadere nella
orbita dell' astro suo desolatore.
Dio vi benedica, se non abusando della vittoria, voi porgerete una mano alla
caduta, ma grande sempre, e patria dell'amico del più grande dei vostri antenati.
Chi contesterà oggi il primato alla Germania ? Nessuno !
E chi, più della patria di Lutero, la patria del buon senso, della logica
e della ragione, che diede i primi crolli all'imputridito catafalco di Roma,
potrà iniziare l'età dell'oro, a cui tutte le nazioni aspirano, cioè, l'età senza
impostori e senza tiranni ?
428 GARIBALDI APOSTOLO DI PACE
Iniziatela voi, Sire, quell'età bramata dai popoli sofferenti. Chiedete un
rappresentante a tutte le Potenze monarchiche e repubblicane, e riuniteli ove
vi sembra — Nizza io sceglierei — e vi spiegherò i motivi, quando convenga.
I due primi articoli della costituzione mondiale sono :
1 . La guerra fra le Nazioni è impossibile.
2. Ogni divergenza fra esse sarà giudicata dall' Areopago.
II mondo sa che credete in Dio, Sire ; e ditemi : Non è un Dio bene-
fico il vostro ?
Se quella Provvidenza, che voi invocaste tante volte, vi ha spinto al
compimento dell'opera immensa con cui stupiste il mondo, sarà forse per deso-
larlo ed imitare il miserabile, insanguinato, corruttore delle genti e che si
dovrebbe oggi seppellire sotto il monte di cadaveri immolati alla più stupida
e scellerata ambizione ?
Non flagello. Sire ; ma benefattore dell' umanità annunciatevi. E noi, figli
della libertà dell' anima, che nulla temiamo e nulla chiediamo, vi benediremo;
e con noi l'umanità intera che vuol redimersi.
G. GARIBALDI
Garibaldi al Principe di Bismarck. {Vedi facsimile).
Caprera, 20 dicembre 1872.
Principe,
Voi avete operato delle grandi cose nel mondo. Compite oggi la brillan-
tissima vostra carriera coli' miziativa di un Arbitrato mondiale.
Germania, Inghilterra, Italia, Svizzera possono molto bene servire di nucleo
attorno al quale si riuniranno : Svezia, Danimarca, Olanda, Belgio, Grecia ; e
poi Francia, Spagna, Russia, Austria ed America. A Ginevra, sede dell* arbi-
trato, si mandino Delegati di ogni Stato.
1 . Guerra impossibile tra le Nazioni.
2. Ogni dissidio tra esse giudicato dall'Arbitrato mondiale.
Con tale risultato voi avrete meritato la gratitudine universale.
Vostro dev.mo
G. GARIBALDI
Al principe di Bismarck
COf^^'^^^' ^^ '^^^^^^>*r^<t^ </<^^^-
^ l^i^^j^'
■^ — -C^Z^ -5^^«
Garibaldi scrive a Bismarck
di farsi iniziatore d' un Arbitrato mondiale per la pace. (Vedi pag. 428).
ELENCO DEI DOCUMENTI INEDITI
INDICE ALFABETICO DEI NOMI
ELENCO DEI DOCUMENTI INEDITI
1 . Statuto del « BaUagliom Italiano della Morte » con osservazioni e
firma autografe di Garibaldi. (Firenze, 5 ottobre 1848) Pag. 4
2. Formula di giuramento, che doveva essere sottoscrìtta dai volontari
del « Battaglione Italiano della Morte » » 4
3. Lettera di Garibaldi a G. B. Cuneo. (Maddalena, 14 ottobre 1849). » 3
4. Lettera di Garibaldi alla madre. (Maddalena, 16 ottobre 1849). . » 3
5. Atto di Matrimonio di Garibaldi con Anita dall'autografo di Lorenzo
S. Fernandez, Parroco della chiesa di S. Francesco d'Assisi
in Montevideo, dove il matrimonio fu celebrato. (Montevideo,
16 giugno 1842) » 4-5
6. Lettera di Garibaldi ad Anita. (Montevideo, 10 marzo 1848). . . » 6
7. Certificato del Comandante dell'Arsenale di Callao intorno agli esami
sostenuti da Garibaldi per ottenere la nomina di secondo pilota
di Altura. (Callao, 30 ottobre 1851) » IO
8. Nomina di Garibaldi a secondo pilota di Altura, conferitagli dal
Comandante generale il Dipartimento di marina di Callao. (Callao,
30 ottobre 1851) » 10-1 1
9. Certificato di Matricola di Garibaldi come secondo pilota di Altura. » 28
10. Lettera di Rosa Garibaldi al figlio. (Nizza, 5 gennaio 1852) ... » 11-12
1 1 . Lettera di Massimo d' Azeglio a persona, che s' interessava della
sorte di Garibaldi. (1853-54) >» 14
12. Convenzione autografa stipulata fra Garibaldi ed i vari proprietari
di Caprera per l'acquisto dell'isola. (Caprera, 29 dicembre 1855). » 15
1 3. Diploma di Capitano di lungo corso rilasciato a Garibaldi dal
Governo Piemontese, con firma autografa del Generale. (Torino,
8 agosto 1855) » 15-16
14. Lettera di Nino Bixio a Garibaldi. (Genova, 27 novembre 1855). » 16
15. Alcune pagine del giornale pastorizio - agricolo di Garibaldi
(Caprera. 1858) >» 17-18
432 ELENCO DEI DOCUMENTI INEDITI
16. Passaporto ottenuto da Garibaldi dal Console francese di Nizza
sotto il falso nome di « Joseph Pane », col quale egli, passando
per la Francia, doveva recarsi in Inghilterra e poi andare a
liberare Settembrini, Poerio, Spaventa, rinchiusi nell'ergastolo
di Santo Stefano. (Nizza, 31 gennaio 1856) Pag. 18-19
17. Lettera del conte di Cavour a Garibaldi. (17 marzo 1859). ...» 22
18. Decreto di nomina di Garibaldi a Maggiore Generale dell' Esercito
Piemontese. (17 marzo 1859) » 48
19. 11 programma Italiano di Garibaldi. (1856) » 24
20. Lettera di Giorgio Pallavicino a Garibaldi. (Torino, 5 marzo 1858). » 24-25
21. Decreto che conferiva a Garibaldi la medaglia d'oro al valor mili-
tare per le prove d'intrepidezza e di bravura dimostrate nei
combattimenti contro gli Austriaci. (Torino, 24 luglio 1859). . » 56
22. Lettera di Massimo d' Azeglio ad un suo amico. (Torino, 6
giugno 1859) » 25
23. Lettera di Garibaldi a Giuseppe Pinzi. (Quartiere generale di
Bologna, 1 1 ottobre 1 859) » 26
24. Lettera del generale E. Cialdini a Garibaldi. (Castenedolo, 26
agosto 1859) » 28
25. Lettera di N. Fabrizi a S. Calvino. (Modena, 25 agosto 1859). . » 29-30
26. Lettera di N. Fabrizi a S. Calvino. (Modena, 11 settembre 1859). » 30
27. Lettera di A. Bertani a S. Calvino. (Genova, 6 dicembre 1859). » 30-31
28. Lettera di A. Bargoni a S. Calvino. (Torino, 11 dicembre 1859). » 31
29. Lettera di N. Fabrizi al generale Ribotti. (Malta, 21 ottobre 1859). » 32-33
*30. Lettera di S. Calvino al fratello Gaspare. (Spezia, 28 marzo 1858). » 35-37
31. Lettera di Vincenzo Fardella, marchese di Torrearsa, a S. Calvino
(Nizza, 15 gennaio 1859) » 37-38
32. Lettera di V. Fardella, marchese di Torrearsa, a S. Calvino.
(Nizza, 31 gennaio 1859) » 38-39
33. Lettera di V. Fardella, marchese di Torrearsa, a S. Calvino.
(Nizza, 13 aprile 1859) » 39-40
34. Lettera di V. Fardella , marchese di Torrearsa , a S. Calvino.
(Nizza, 18 luglio 1859) » 41
35. Lettera di S. Calvino a Giovanni Cadoiini. (Spezia , 23 gen-
naio 1859) » 41-42
36. Lettera di Francesco Crispi a Garibaldi. (Milano, 1 1 novembre 1 869) » 43
37. Lettera di Mazzini a Rosalino Pilo. (Senza luogo, ne data). ... « 45-46
38. Proclama di Rosalino Pilo ai Siciliani. (Carini, 25 aprile 1860). . » 48-49
39. Lettera di Rosalino Pilo a S. Calvino. (Londra, 30 maggio 1859). » 49-50
40. Lettera di Rosalino Pilo a S. Calvino. Lugano, 10 novembre 1859) » 50-52
41. Lettera di Rosalino Pilo a S. Calvino. (Lugano, 22 novembre 1859) » 53-54
42. Lettera di Rosalino Pilo a S. Calvino. (Lugano, 3 dicembre 1 859) . » 54-55
43. Lettera di Rosalino Pilo a S. Calvino. (Lugano, 12 dicembre 1859) » 55
*
ut
ELENCO DEI DOCUMENTI INEDITI 433
44. L' ultima lettera scritta da Rosalino Pilo, partendo per la Sicilia.
(Genova, 25 marzo 1860) Pag. 56-57
45. Lettera di Francesco Carrano a Garibaldi. (Torino, 2 maggio 1860) » 57
46. La drammatica presa del " Piemonte ,, e del " Lombardo ,, e la
traversata da Quarto a Marsala, narrata da Domenico Cariolato.
(Sul finire del 1860) » 59-65
47. Lettera di Garibaldi a Rosalia Montmasson-Crispi. (Caprera, 5 no-
vembre 1866) » 69
48. Lettera di Giacomo Medici a Nicola Fabrizi. (Montevideo, 4 set-
tembre 1847) » 70-72
49. Lettera di Francesco Anzani a Garibaldi. (Montevideo, 5 aprile 1846) » 72-73
50. Lettera di Victor Hugo a Garibaldi. (Paris, 18 septembre 1874) » 73-74
51. Lettera di Edgard Quinet a Garibaldi. (Versailles, janvier 1875). » 74
52. Lettera di G. B. Fauché a Garibaldi. (Genova, 15 giugno 1860). » 75-76
53. Lettera di Raffaele Rubattino a Garibaldi. (Genova, 7 giugno 1860) » 77
54. Lettera del Console Sardo di Palermo a Garibaldi. ( Palermo ,
16 giugno 1860) » 78
55. Lettera del Console Sardo di Marsala al Console Sardo di Palermo.
(Marsala, 12 giugno 1860) » 78
56. Lettera del Console Sardo di Marsala a Garibaldi. (Marsala, 24
giugno 1 860) » 79
57. Lettera del Console Sardo di Marsala a Garibaldi. (Marsala, 21
giugno 1860) » 79-80
58. Certificato rilasciato dal capitano Lavarello dell' " Utile „ al Console
Sardo di Marsala. (Marsala, 1 giugno 1860) » 80
59. Lettera di Ambrogio Zucoli a Garibaldi. (Genova, 17 giugno 1860). » 81
60. La morte di Rosalino Pilo, raccontata da un testimone oculare . . » 86-88
61. Un ordine del generale Lanza in autografo di Maniscalco. (Palermo,
26 maggio 1860, 12 e mezza meridiane) » 89
62. Lettera di Kossuth a Garibaldi. (Londres, 20 mai 1860) » 89
63. Condizioni dell'armistizio, imposto dal borbone il 30 maggio, a bordo
dell' " Hannibal ,, , trascritte da Garibaldi » 93
64. Lettera del generale Lanza a Garibaldi. (Palermo, I giugno 1860). » %
65. Lettera del generale Lanza a Garibaldi. (Palermo, 15 giugno 1860). » 97
66. Lettera del generale Lanza a Garibaldi. (Palermo, 16 giugno 1860). » 97
67. Lettera del generale Lanza a Garibaldi. (Palermo, 16 giugno 1860). » 97-98
68. Lettera del generale Lanza a Garibaldi. (Palermo, 16 giugno 1860). » 98
69. Lettera del generale Lanza a Garibaldi. (Palermo, 17 giugno 1860). » 98
70. Lettera del generale Lanza a Garibaldi. (Palermo, 18 giugno 1860). » 99
71. Lettera del generale Lanza a Garibaldi. (Palermo, 18 giugno 1860). » 99
72. Lettera del generale Lanza a Garibaldi. (Palermo, 18 giugno 1860). » 99-100
73. Lettera del generale Lanza a Garibaldi. (Palermo, 19 giugno 1860). » 100
74. Lettera di Giacomo Medici a Garibaldi. (Genova, 25 maggio 1860). » 103
CURÀTULO 28
434
ELENCO DEI DOCUMENTI INEDITI
75.
76.
77.
78.
79.
80.
81.
82.
83.
84.
85.
86.
87.
88.
89.
90.
91.
92.
93.
94.
95.
96.
97.
98.
99.
100.
101.
102.
*103.
*104.
105.
106.
107.
108.
*109.
Lettera di Vincenzo Malenchini a Garibaldi. (Genova, 25 mag-
gio 1860)
Lettera di Clemente Corte a Garibaldi. (Torino, 25 maggio 1860)
Lettera di Giuseppe Pinzi a Garibaldi. (Torino, 9 giugno 1860)
Lettera di Enrico Besana a Garibaldi. (Milano, 9 giugno 1 860)
Lettera di Enrico Cosenz a Garibaldi. (Genova, 9 giugno 1860)
Lettera di Biagio Garanti a Garibaldi. (Torino, 2 giugno 1860)
Lettera di Luigi Cottelletti a Garibaldi. (Genova, 9 maggio 1860)
Lettera di Luigi Coltelletti a Garibaldi. (Genova, 9 giugno 1860)
Lettera di Bertani a Garibaldi. (Genova, 25 maggio 1860) . .
Lettera di Bertani a Garibaldi. (Genova, 31 maggio 1860) . .
Lettera di Bertani a Garibaldi. (Genova, 1° giugno 1860) . . .
Lettera di Bertani a Garibaldi. (Genova, 1° giugno 1860) . . .
Lettera di La Farina al dott. Pietro Monteverde. (Torino, 1 8 gen-
naio 1 860)
Lettera di Giacomo Medici a Garibaldi. (Palermo, 3 luglio 1869)
Lettera di Enrico Brusco a Garibaldi. (Genova, 25 maggio 1860)
Lettera di Enrico Brusco a Garibaldi. (Genova, 16 giugno 1860)
Lettera di Bertani a Garibaldi. (Genova, 8 giugno 1860) . . . .
Lettera di Bertani a Garibaldi. (Genova, 9 giugno 1860)
Lettera di Bertani a Garibaldi. (Genova, 9 giugno 1860) . . . .
Lettera di Annibale SuUiotti a Garibaldi. (Cagliari, 1 7 giugno 1860)
Lettera di Bertani a Garibaldi (Genova, 1 7 giugno 1 860) ....
Lettera di Bertani a Garibaldi. (Genova, 1 7 giugno 1 860) ....
Lettera di Antonio Panizzi a Garibaldi. (Londra 4 giugno 1860)
Lettera di Cesare Orsini a Benedetto Cairoti. (Firenze, 4 giugno 1 860)
Documento scritto da Stefano Siccoli riguardante le forze delle
quali disponeva il colonnello Zambianchi all'entrata nello Stato
Romano
Lettera di Garibaldi a Paolo Bovi. (Torino, 6 aprile 1860) . . .
Lettera di Nicola Fabrizi a S. Calvino. (Malta, 19 aprile 1860)
Lettera di Nicola Fabrizi a S. Calvino. (Malta, 21 aprile 1860)
Lettera di Garibaldi a Pinzi. (Torino, 19 aprile 1860)
Lettera di Garibaldi a Crispi. (Torino, 19 aprile 1860)
Lettera di Persano al conte di Cavour. (Cagliari, 8 maggio 1 860)
Brano di uno scritto autografo di Garibaldi sul passaggio del Faro,
nel 1860
Brano di uno scritto autografo di Garibaldi, riguardante l' ordine
inviato da Bertani, nel settembre '60, al maggiore Tripoli . . .
Brano di uno scritto autografo di Garibaldi, in cui egli dice
che non ha mai autorizzato il titolo di garibaldino
Lettera di Vittorio Emanuele al generale Fanti. (Veneria, 20 set-
tembre 1860)
Pao
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173
ELENCO DEI DOCUMENTI INEDITI
435
1 IO. Brano di uno scritto autografo di Garibaldi sulla spedizione dei Mille. Pa
Ili. Brano di uno scritto autografo di Garibaldi sulla spedizione di
Sicilia e di Roma, nel 1867 »
1 1 2. Scritto autografo di Garibaldi sulle discussioni in Parlamento per
la spedizione dei Mille »
1 1 3. Telegramma di Perelli Ercolini a Garibaldi. (Parigi, 1 8 giugno 1 860) »
114. Lettera del Vice-Governatore di Brescia a Garibaldi. (Brescia,
1 4 giugno 1 860) »
115. Lettera del Delegato Consolare Sardo di Pozzallo a Garibaldi.
(Pozzallo, 6 giugno 1860) »
1 1 6. Lettera del Delegato Consolare Sardo di Catania a Garibaldi.
(Catania, 1 I giugno 1 860 »
117. Lettera di N. Fabrizi a Garibaldi. (Palazzolo, 16 giugno 1860) »
1 18. Rapporto segreto di Griscelli, il famoso barone di Rimini, a Mon-
signor Bella, Legato apostolico di Pesaro ed Urbino. (Verona,
ottobre 1859) »
1 19. Rapporto segreto di Griscelli, il famoso barone di Rimini, a Mon-
signor Bella, Legato apostolico di Pesaro ed Urbino. (Verona,
ottobre 1859) »
120. Rapporto segreto di Griscelli a Monsignor Sommariva, rappresen-
tante il re di Napoli presso la Legazione Apostolica di Pesaro.
(Verona, ottobre 1859) »
121. Rapporto segreto di Griscelli a Monsignor Sommariva, rappresen-
tante il re di Napoli presso la Legazione Apostolica di Pesaro.
(Verona, ottobre 1859) »
122. Lettera del marchese di Villamarina al comandante d'Aste. (Napoli,
5 giugno 1860) »
1 23. Lettera del marchese di Villamarina al comandante d'Aste. (Napoli,
8 giugno 1860) »
124. Lettera dell'amm. Persano a Garibaldi. (Palermo, 9 giugno 1860) »
125. Lettera di M. Stella a Garibaldi. (Dover, 13 giugno 1860) ... »
126. Una lettera anonima del 29 giugno 1865 sulla leggenda della
morte di Garibaldi »
127. Lettera dei componenti il primo Ministero sotto la Dittatura a
Garibaldi. (Palermo, 6 giugno 1860) »
128. Decreto Dittatoriale. (Palermo, 10 giugno 1860) »
129. Lettera di Casimiro Pisani a Garibaldi. (Palermo, 24 giugno 1860) »
130. Lettera di A. Bargoni a Calvino. (Torino, 21 giugno 1860)
131. Lettera di A. Bargoni a Calvino. (Torino, 29 giugno 1860).
132. Lettera di A. Bargoni a Calvino. (Torino, 1" luglio 1860) . .
133. Lettera di A. Bargoni a Calvino. (Torino, 15 luglio 1860). . .
134. Lettera di A. Bargoni a Calvino. (Torino, 20 luglio 1860). . .
135. Lettera di L. Naselli Flores a Garibaldi. (Palermo, 13 giugno 1860)
176
176-177
177
193
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225-226
226-227
436 ELENCO DEI DOCUMENTI INEDITI
136. Lettera di G. Ricciardi a Garibaldi. (Genova, 24 maggio 1860). Pag. 227-228
137. Istruzioni napoletane comunicate a Garibaldi. (Napoli, luglio 1860). » 228-229
138. Le condizioni di Napoli e delle Calabrie; annotazioni inviate a
Garibaldi. (20 giugno 1860) » 229-231
139. Piano segreto del Borbone » 232
140. Istruzioni segrete comunicate dalla Calabria Citeriore a Garibaldi.
(Cosenza, 7 giugno 1860) » 232-233
141. Il Comitato della Calabria Citeriore a Garibaldi. (9 giugno 1860). » 233
142. Istruzioni del Comitato centrale di Napoli » 234
143. Lettera del conte di Cavour al signor Elisanter, in Berlino. (Turin,
9 septembre 1860) » 253-254
144. Lettera di Garibaldi a Elisanter, in Berlino. (Caprera, 27 marzo 1861). » 255
145. Lettera di Carlo Arrivabene a Garibaldi. (Parigi, 16 giugno 1860). » 256-257
146. Lettera di Gideon S. Lang a Garibaldi. (London, 6 june 1860). » 261-263
147. Lettera di Gideon S. Lang a Garibaldi. (Londra, 9 giugno 1860). » 266-268
148. Lettera di Gideon S. Lang a Federico Campanella. (Selkirich-
Scottland, 29 settembre 1860) » 271-274
149. Lettera di A. Saffi a Garibaldi. (Oxford, 4 giugno 1860). ... » 274-275
150. Lettera di A. Saffi a Garibaldi. (Oxford, 11 giugno 1860). . . » 275
151. Lettera di W. H. Ashurst a Garibaldi. (Londra, 5 giugno 1860). » 275-276
152. Lettera di T. Tower a Garibaldi. (Londra, 8 giugno 1860). . . » 277-278
153. Lettera di Ugo Forbes a Garibaldi. (Londra, 24 maggio 1860). » 278-279
154. Il « Credo » di Giuseppe Mazzini. (Londra, luglio 1850) .... » 281
155. Lettera di Mazzini a Madeleine de Mandrot. (Giugno 1836) . . » 283
156. Lettera di Sara Nathan a Garibaldi. (Lugano, 5 novembre 1863). » 288
157. Lettera di Ricciotti Garibaldi al dott. G. E. Curàtulo. (Rio-Freddo,
19 ottobre 1909) » 289-292
158. Lettera di Missori a Garibaldi. (Roma, 22 gennaio 1881) ... . » 293
159. Lettera di Giorgio Pallavicino a Garibaldi. (Torino, 1 9 giugno 1 860). » 295-2%
160. Lettera di Augier a Garibaldi. (Genova, 15 giugno 1860) ... » 298-299
161. Lettera di Mazzini a Garibaldi. (17 giugno 1860) » 299-300
162. Lettera di Maurizio Quadrio a Garibaldi. (Genova, 28 aprile 1860). » 300
163. Lettera di Mazzini a Garibaldi. (23 settembre 1860) » 301-302
164. Lettera di Mazzini a Garibaldi. (27 settembre 1860) » 302
165. Lettera di Mazzini a Garibaldi. (1° ottobre 1860) » 302
166. Lettera di Mazzini a Garibaldi. (10 ottobre 1860) » 303
167. Lettera di Mazzini a Garibaldi. (17 ottobre 1860) » 303
168. Lettera di Mazzini a Garibaldi. (1° novembre 1860) » 303
169. Lettera di Mazzini a un << Fratello ». (Dicembre 1859) » 307-308
*170. Lettera di Mazzini a Garibaldi. (8 gennaio 1861) » 30&-310
*171. Lettera di Mazzini a Garibaldi. (23 gennaio 1861) » 310-311
172. Lettera di Mazzini a Garibaldi. (5 febbraio 1861) » 311-312
173. Lettera di Mazzini a Garibaldi. (7 marzo 1861) » 312-314
ELENCO DEI DOCUMENTI INEDITI 437
174. Lettera di Mazzini a Garibaldi. (24 aprile 1861) Pag. 314-315
175. Lettera di Mazzini a Pianciani. (Venerdì, 1864) » 315-316
176. Lettera di Mazzini ad Egisto Bezzi e compagni. (27 novembre 1864). » 316
177. Lettera di Mazzini a Tacchini e Pellizzari. (16 dicembre 1864). >» 316-317
178. Lettera di Mazzini a Garibaldi. (16 gennaio 1867) » 317
179. Lettera di Mazzini a Garibaldi (22 aprile 1867) * 318
180. Lettera di Mazzini a Vent... (30 marzo 1867) » 318-319
181. Lettera di Mazzini a Vent.... (20 luglio 1867) » 319
182. Lettera di Mazzini a Stefano Canzio edamici di Genova. (1869). » 319-320
183. Lettera di Mazzini agli amici di Genova. (1869) » 320-321
184. Lettera di Mazzini a Stefano Canzio e agli amici di Genova (1869). » 321-323
185. Lettera di Mazzini agli amici di Genova. (1869) » 324-325
186. Lettera di Mazzini agli amici di Genova. (1869) >♦ 325-326
187. Lettera di Mazzini a Stefano Canzio. (1860) » 326
188. Lettera di Mazzini a Stefano Canzio. (1869) » 327
189. Lettera di Mazzini a Stefano Canzio. (1869) » 327-328
190. Lettera di Mazzini a Stefano Canzio. (1869) » 328
191. Lettera di Mazzini a Stefano Canzio. 1869) » 329
192. Lettera di Mazzini a Stefano Canzio. (1869) >» 329-330
193. Lettera di Mazzini agli amici di Genova. (1869) >♦ 330-332
194. Lettera di Mazzini a Stefano Canzio. (1869) » 332-333
195. Lettera di Mazzini a Stefano Canzio. (1869) » 333
196. Lettera di Mazzini a " Ciltadino „ (31 ottobre 1871) » 334-335
197. Un cifrario autografo inedito di Mazzini » 336
198. Giudizio di Garibaldi su Vittorio Emanuele » 341
199. Giudizio di Garibaldi su Vittorio Emanuele . (Caprera, 2 novem-
bre 1861) » 342
200. Lettera di Vittorio Emanuele a Garibaldi. (Luglio 1860) » 347
201. Lettera di C. A. Vecchi a Garibaldi. (21 giugno 1860) » 347-348
202. Lettera di Vittorio Emanuele a Garibaldi. (Luglio 1860) » 348
203. Lettera di Gaspare Trecchi a Garibaldi. (Genova, 6 luglio 1860) » 349
204. Lettera dell'ammiraglio Persano a Garibaldi. (Palermo, 18 luglio
1860) >» 350
205. Lettera di Vittorio Emanuele a Garibaldi. (Torino, 1 2 settembre 1 860) » 35 1
206. Lettera di Vittorio Emanuele a Garibaldi. (15 [?] settembre 1860) » 353
207. Lettera di Vittorio Emanuele a Garibaldi. (Ancona, 9 ottobre 1860) » 354
208. Lettera di Vittorio Emanuele a Garibaldi. (Presenzano, 25 [?]
ottobre 1860) >► 356
209. Lettera di Vittorio Emanuele a Garibaldi. (Teano, 26 ottobre 1 860) » 356
210. Lettera di Vittorio Emanuele a Garibaldi. (Teano, 27 ottobre 1860) » 357
211. Lettera del generale Della Rocca a Garibaldi. (S. Maria, I" no-
vembre 1860) » 359-360
438
ELENCO DEI DOCUMENTI INEDITI
212. Brano della lettera diretta da Garibaldi a Vittorio Emanuele,
scritta da F. Crispi, con correzione autografa del Generale. (29 otto-
bre 1860)
213. Lettera di Vittorio Emanuele a Garibaldi. (Sessa, 31 ottobre 1860)
214. Lettera di Vittorio Emanuele a Garibaldi. (Napoli, 7 novem-
bre 1860)
215. Promemoria autografo di Garibaldi a Vittorio Emanuele. (Mag-
gio 1864)
216. Lettera di A. S. Porcelli a Garibaldi. (Torino, 2 giugno 1864).
217. Lettera di F. D. Guerrazzi a Garibaldi. (Livorno, 26 giugno 1864).
218. Lettera di F. D. Guerrazzi a Garibaldi. (Livorno, 9 luglio 1864).
219. Lettera di Antonio Mordini a Garibaldi. (Torino, 9 giugno 1864).
220. Lettera di Garibaldi ad Antonio Mordini. (Giugno 1864). . . .
22 1 . Lettera di Enrico Albanese a Garibaldi. (Firenze, 2 1 dicembre 1 867).
222. Lettera di Giorgio Pallavicino a Vittorio Emanuele. (Pegli, 26
dicembre 1867)
223. Le battaglie del 1." ottobre del Volturno e di Caserta Vecchia,
descritte dal generale Menotti Garibaldi
224. Lettera di G. Deidery a Garibaldi. (Genova, 31 agosto 1860). .
225. Lettera di A. Bargoni a S. Calvino. (Palermo, 7 settembre 1860).
226. Lettera di A. Bargoni a S. Calvino. (Palermo, 1 5 settembre 1 860).
227. Lettera di Bertani a Garibaldi. (Napoli, 23 settembre 1860). . .
228. Lettera di Bertani a Garibaldi. (Napoli, 23 settembre 1860). . .
229. Lettera di Bertani a Garibaldi. (Napoli, 23 settembre 1860). . .
230. Lettera di Bertani a Garibaldi. (Napoli, 23 settembre 1860). . .
231. Lettera di Bertani a Garibaldi. (Napoli, 25 settembre 1860). . .
232. Lettera di Bertani a Garibaldi. (Napoli, 25 settembre 1860). . .
233. Lettera di Bertani a Garibaldi. (Napoli, 27 settembre 1860). . .
234. Lettera di Bertani a Garibaldi. (Napoli, 29 settembre 1860). . .
235. Lettera di Bertani a Garibaldi. (Napoli, 30 settembre 1860). . .
236. Lettera di Bertani a Garibaldi. (Torino, 4 ottobre 1860)
237. Lettera di Bertani a Garibaldi. (Miasino, 18 ottobre 1860) . . .
238. Lettera di Bertani a Garibaldi. (Miasino, 21 ottobre 1860). . . .
239. Lettera di Bertani a Garibaldi. (Miasino, 9 novembre 1860). . .
240. Lettera di Giorgio Pallavicino a Garibaldi. (Napoli, 13 ottobre 1860).
24 1 . Lettera di Giorgio Pallavicino a Garibaldi. (Napoli, 1 4 ottobre 1 860).
242. Lettera di Carlo Cattaneo a Giorgio Pallavicino. (Napoli, 12
ottobre 1860)
243. Risposta di Giorgio Pallavicino a Carlo Cattaneo. (Napoli, [?]
ottobre 1860)
244. Lettera di Giorgio Pallavicino a Garibaldi. (Napoli, 8 novembre 1 860).
245. Lettera di Andrea Colonna a Garibaldi. (Napoli, 13 ottobre 1860).
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ELENCO DEI DOCUMENTI INEDITI
439
246. Lettera di C. A. Vecchi a Garibaldi. (Torino. 1 ottobre 1860). Pag. 394-3%
247. Lettera di C. A. Vecchi a Garibaldi. (Genova, 4 ottobre 1860). » 396-397
248. Lettera di P. S. Mancini a Garibaldi. (Torino, 3 ottobre 1860). » 397-398
249. Lettera di Laura Beatrice Mancini a Garibaldi. (Torino, 14
ottobre 1860) » 398
250. Lettera di G. Pallavicino a Garibaldi. (S. Fiorano, 4 dicembre 1 860). » 399-400
25 1 . Lettera di G. Pallavicino a Garibaldi. (S. Fiorano, 9 dicembre 1 860). » 400-402
252. Lettera di G. Pallavicino a Garibaldi. (S. Fiorano, 1 9 dicembre 1 860). » 402-403
253. Lettera del gen. De Lazeu a Garibaldi. (Londres, 31 ottobre 1860). » 404-405
254. Lettera di Don Juan di Borbone a Garibaldi. (Londres, 28
aprile 1861 » 405
255. Lettera del gen. De Lazeu a Garibaldi. (Turin, 13 mai 1860). » 406
256. Lettera di Silvia Pisacane a Garibaldi. (Napoli, 15 ottobre 1860). » 406-407
257. Lettera del generale G. Avezzana a Garibaldi. (Liverpool, 10
settembre 1860) » 407
258. Brano inedito delle Memorie di Garibaldi » 409-410
259. Introduzione al racconto della spedizione nell'Italia meridionale.
(Dall' autografo inedito di Garibaldi) » 411
260. Proclama inedito di Garibaldi ai militi della gloriosa spedizione.
(Dall'autografo) » 411-412
*261. Lettera del generale Tùrr a Garibaldi. (Milano, 21 gennaio 1861). » 412-414
*262. Lettera del generale Turr a Garibaldi. (Torino, 23 febbraio 1861). » 414-415
263. Lettera di Garibaldi a Quirico Filopanti. (Caprera, 26 settembre 1 87 1 ) » 421-422
264. Lettera di Ricciotti Garibaldi al dott. G. E. Curàtulo. (Roma, 8
aprile 1911) » 422^24
265. Lettera di Garibaldi all'Imperatore Guglielmo I. (1872[?]). . . » 427-428
266. Lettera di Garibaldi al Principe di Bismarck. (Caprera, 20
dicembre 1872) » 428
Avvertenza. — Gli undici documenli, i cui numeri sono segnati con asterisco, non
ii Irooano neW Archivio del prof. dott. Curàtulo.
INDICE ALFABETICO DEI NOMI CITATI NEL VOLUME
(I nomi di Garibaldi, Vittorio Emanuele e Cavour, ricorrendo quasi in ogni pagina,
sono stali omessi).
Abba G. C. - p. 195, 345.
Adragna G. - p. 182.
Agesilao Milano - p. 406.
Albanese E. - p. 338. 368
e seg.
Amari M. - p. 156. 221,
224. 304, 343. 347.
Amari P. - p. 218.
Amari V. (lo storico) - p. 2 1 7,
225, 342, 347.
Annoni - p. 225.
Antongini A. - p. III.
Antongini C. - p. 111.
Anzani F. - p. 70, 195.
Arno C. - p. 140, 352.
Arrivabene C. - p. 255 e seg.
Ashurst W. H. - p. 275, 276,
277, 309, 311, 313.
Aspromonte - p. 9, 337, 338,
346. 363, 366.
Augier - p. 298.
Aumale - p. 338.
Avezzana G. - p. 195, 407.
Avitabile E. - p. 197.
B
Bargoni A. - p. 31, 319 e
seg., 382 e seg.
Barrili A. G. - p. 143, 152.
Barone di Rimini {Griscelli)
- p. 201 e seg.
Basso G. - p. 206.
Battaglione Italiano della
Morte - p. 2.
Bella monsignor T. - p. 20 1 .
Benso G. (Duca della Ver-
dura) - p. 207, 218.
Bertani A. - p. 30, 102. 108,
1 09 e seg. , 1 1 7 e seg. ,
120, 121. 133, 172, 173,
194, 220, 222, 298, 349,
385 e seg., 413.
Besana E. - p. 104. 349.
Bezzi E. - p. 316. 323.
Bianchi N. - p. 137. 387.
Bismarck (principe di) - p. 157.
424 e seg.
Bixio N. - p. 16. 183. 359.
369, 374 e seg.. 413.
Bocca G. - p. 78.
Boldrini - p. 257.
Bolton King. - 157.
Bonopane (colonello) - p. 95.
Borelli - p. 110.
« Boston Dailyi Journal » -
p. 12.
Bottero - p. 383.
Bovi P. - p. 130. 131.
Bradford - p. 261.
Brambilla (conte) -p. 343. 353.
Breda - p. 362.
Bronzetti - p. 374 e seg.
Brusco E. -p. 115.116.310.
Bulgarelia A. - p. 186.
Bullier (Agenzia) - p. 155.
Bunsen (barone) - 263.
Cacace - p. 305.
Cadolini G. - 41. 225.
Caldesi V. - p. 317.
Calvino S. - p. 29. 30. 35.
37, 41, 49 e seg., 57,
86, 130, 131, 219 e seg.,
382.
Cairoli - (Donna Adelaide).
pag. 137.
Cairoli B. - p. 137, 366.
Cairoli E. - p. 137.
Cairoli ( Donna Elena ) -
p. 137.
Campo F. - p. 55. 222.
Canzio S. - p. 306 e seg.
Capua - p. 358, 359.
CarantiB.-p. 106, 107,295.
Cariolato D. - p. 59. 137.
Carissimi - p. 184.
Carlo Alberto - p. 23.
Carpanetti G. B. - p. 4.
Carpanetto F. - p. 8.
Carrano F. - p. 57.
Carreno P. J. - p. 11.
442
INDICE ALFABETICO DEI NOMI CITATI NEL VOLUME
Casalis - p. 383.
Caserta - p. 358.
Castaldi - p. 348.
Castelli M. - p. 166, 167.
Castigiia B. - p. 1%.
Cattaneo C. - p. 341, 386,
393, 394, 402.
Cecchini L. - p. 333.
Cenni - p. 348, 383.
Chambers (Madame) - p. 288.
Chapman Dr. - p. 267.
Ciaccio F. - p. 228.
CialdiniE.-p. 28. 162,314,
338, 409.
Cianciolo - p. 47, 56, 225.
Cipriani L. - p. 26.
Clary, (generale) - p. 229.
Colonna A. - p. 385, 395.
Coltelletti L. - p. 107, 108.
Conforti - p. 303, 386, 388,
393.
Cordova F. - p. 383, 387.
Corte C. - p. 103, 186.
Cosenz E. - p. 105, 221,
222, 359.
Cowen J. - p. 13.
Craufurd K. - p. 303 e seg.
Crispi F. - p. 43, 134. 150,
168, 216, 344, 349, 354,
357, 360, 362, 382, 393,
395.
« Cronica anonima » - p. 167,
168.
Cucchi F. - p. 134.
Cugia (colonnello) - p. 140.
Cuneo G. B. - p. 3. 314.
Cusa P. - 218.
Dall' Ongaro F. - p. 213.
Damiani A. - pag. 66.
D'Aste (comandante) - p. 94,
206, 207.
D'Azeglio M. - p. 14, 25,
134, 136, 163,
De Benedictis B. - p. 228.
De Carcamo S. - p. 218.
De Cesare R. - p. 65, 1 58,
161. 170. 172.
De la Haza M. - p. 10.
Deidery - p. 381.
De Labar - p. 138.
De Lazeu (generale) - p. 404,
406.
Del Bono, (capitano) - p. 1 22,
371.
Della Rocca E. (generale) -
p. 141, 162, 339, 345.
357, 359.
Della Torre Mciria (contessa)
P. 298.
Della Verdura (duca) - p. 207,
218.
De Mechel - p. 374 e seg.
De Micheli - p. 310.
De Negri P. - 10, 11, 12.
Depretis A. - p. 194, 221,
224, 349, 350, 383. 387.
De Rohan (comandante) -
p. 180, 185, 192.
Deustua - p. 10.
De Vezzani - p. 201 e seg.
Dezza - p. 374 e seg.
Di Girolamo A. - p. 67.
Dumas A. - p. 345.
Eberarth - p. 374 e seg.
Elisanter - p. 253, 255.
" Emma ,, {cutter) - p. 16,
17.
Erede - p. 391.
Errante - p. 217, 224,225.
Fabiola - p. 223.
Fabrizi N. - p. 29, 31, 70,
131. 132. 195.
Fabrizi P. - p. 374 e seg.
Faggioni G. - p. 190.
Faldella G. - p. 136, 158.
Fanti M. (generale) - p. 26,
27,29,70,72. 129, 175.
198, 345, 353, 3%.
Fardella V. (marchese di Tor-
rearsa) - p. 37 e seg. 218.
Farini L. - p. 26, 128, 162.
165,201,353.381, 3%.
Fauché G. B- - p. 75.
Fa vara V. - p. 218.
Fazzari A. - p. 303. 311.
Federico A. - p. 218.
Fernandez L. - p. 5.
Ferrari G. - p. 195.
Filangieri (generale) - p. 229.
Filcpanti Q. - 372. 421.
Finali G. - p. 128.
Pinzi G. - p. 26, 104, 134.
349, 382.
Forbes U. - p. 278, 279.
Foresti F. - p. 21.
Franchi A. (Cristoforo Bona-
vino) - p. 43.
"Franklin,. (Il) - p. 183.
Frapoili (colonnello) - p. 1 75.
Galin - p. 298.
Galvani L. - p. 207.
Garibaldi Anita - p. 4, 6. 7.
Garibaldi G. B. - p. 386.
Garibaldi Menotti - p. 6. 325.
328, 329, 373 e seg.,
415.
Garibaldi Ricciotti-p. 6, 195,
289 e seg., 422, 423.
424.
Garibaldi Rosa - p. 3, 11.
Garibaldi Teresita - p. 6.
Gattorno - p. 185.
Gemignani Z. - p. 263.
Genova di Revel (colonnello)
- p. 349.
Gioberti - p. 331.
Giorgini (colonnello) - p. 1 38,
139.
« Giovine Italia » - p. 331.
Giusti A. - p. 198.
Gladstone (lord) p. 261.
Greville (lord) - p. 338.
Griscelli - p. 201 e seg.
Groppello ( marchese di )
p. 141.
Gualterio - p. 162, 369.
INDICE ALFABETICO DEI NOMI CITATI NEL VOLUME
443
Guarnerì A. - p. 216.
Guerra F. - p. 11.
Guerrazzi F. D. - p. 128,
364, 365, 366.
Guerrini (colonnello) -p. 136,
150. e seg., 174.
Guglielmo I (Infiperatore) -
p. 427.
H
" Hannibal „ p. 93, 94.
Heel - p. 13.
Herzen A. - p. 286.
Hugo V. - p. 73.
I
Interdonato G. - p. 217.
Jsle of Thanet - p. 19.
Isole di Chinca - p. 11.
Juan di Borbone (Don)
p. 403, 405.
K
Klapka - p. 352, 367.
Kossuth - p. 89, 309.
La Farina - p. 23, 43, 112,
191, 192,220,222,223,
295.
La Loggia G. - p. 217.
La Marmora (generale) -
p. 338, 369, 371.
Lang Gideon S. - p. 255,
261, 266, 269, 271.
Lanza F. (generale) - p. 91,
93, % e seg.
Lanza Don Ottavio - p. %.
Lavarello F. - p. 80, 185.
La Varenne - p. 167, 349.
Lemmi A. - p. 305.
Letizia (generale) - p. 93.
Leuchetenberg - p. 309, 401.
Lima - p. 8.
Lipari S. - p. 78 e seg.
Litta Modignani - p. 1 50 e
seg., 157, 158, 163.
Lombardi - p. 185.
Luzio A. - p. 137, 258,
Luzzatto R. - p. 1 1 1 .
M
Macchi M. - p. 221, 225.
Malenchini V. - p. 26, 103.
179. 183, 184. 185.
Malmesbury (lord) - p. 259.
Mancini P. S. - p. 223, 395,
397, 398.
Mancini Laura Beatrice -
p. 398, 399.
Mandrot Madeleine - p. 283.
Manin D.-p. 24, 126, 127,
403.
Manin G. - p. 296.
Maniscalco - p. 89.
Manna (barone) - p. 350.
Mansi - p. 410.
Manteuffel (generale) - p. 422.
Marcora G. - p. 333.
Mario A.- p. 117,307,308.
Mario While Jessie - p. 288,
308, 408.
Marryat - p. 66.
Marzaniello - p. 357.
Mayor di New- York - p. 9.
Mazzini - p. 45, 189, 221,
223, 281 e seg., 337, 342,
343, 363, 370, 393, 402.
Medici G. - p. 70, 103. 113,
114, 179, 180, 181, 183
e seg., 187, 221.
Menabrea - p. 369, 371.
Mentana - p. 346, 368.
Minghetti - p. 371.
Miibitz - p. 373 e seg.
Minoli - p. 224.
Mirafiori Rosina (contessa) -
p. 166, 339.
Mlssori - p. 293. 294, 328.
329, 331.
Montanelli - p. I .
Montecchi - p. 189, 317.
Monteverde - p. 112.
Montezemolo - p. 391.
Montmasson-Crispi R. - p. 68.
69.
Marani A. C. - p. 311.
Mordini A. - p. 116, 366.
367. 382,391,394,395.
Mosto A. - p. 299, 311.
« Movimento » (II) - p. 1 43,
341.
Mundy (ammiraglio) - p. 66,
94.
Murat - p. 262, 263, 269,
270, 271.
Mustica - p. 1%.
N
Napoleone ili - p. 2, 25, 27,
30, 33, 38. 39, 41, 54,
175. 177,256,261,262,
263, 267,269,311,312.
331,371.400,401, 402.
Naselli Flores - p. 226.
Nathan Sara - p. 288.
Natoli - p. 222.
Nevens - p. 4.
Newcastle on Tyne - p. 13.
« Nel»- Yorli Tribune » - p. 8.
Nicotera G. - p. 299, 303,
352, 393.
Nisco - p. 161.
Nullo F. - p. 360, 361.
Nunziante - p. 168.
Nigra C. - p. 170, 171.
Oddo - p. 65. 68.
Oliva - p. 392.
Ollivier E. - p. 157.
Orrigoni F. - p. 184, 185,
186.
Orsini C. - p. 124.
Orsini F. - p. 286.
Orsmi V. - p. 216. 217.
444
INDICE ALFABETICO DEI NOMI CITATI NEL VOLUME
Pallavicino G. - p. 21, 24,
126. 127, 295, 2%. 353.
370, 393, 394, 399. 400.
Pallavicino Anna - p. 370.
Palmer (comandante) - p. 94.
Palmerston (lord) - p. 259,
261, 262. 266, 267.
Pane Joseph - p. 18.
Panizzi A. - p. 122.
Pantaleo (Fra) - p. 83, 287.
390.
Patterson - p. 185.
Pascoli G. - p. 342.
Pellizzari - p. 316.
Peranni D. - p. 216.
Perelli Ercolini - p. 193.
Persano - p. 135, 145, 146.
e seg., 159. 161, 169,
182, 186, e seg., 206,
208, 350.
Peruzzi - p. 371.
Philipson Carolina - p. 306,
307.
Pianciani - p. 306, 315,352.
Pichi - p. 225.
Pilo R. - p. 44 e seg., 48,
49 e seg., 84 e seg., 220,
223, 225.
Piola (comandante) - p. 169,
187, 383.
Pisacane C. - p. 44.
Pisacane Silvia - p. 406, 407.
Pisam C. -p. 216, 218, 219.
Porcelli - p. 363. 364.
Pozza - p. 323.
Presenzano - p. 356.
" Prometeus ,, (II) - p. 8.
Proudhon - p. 401.
Quadrio M. - p. 299. 304.
Quinet E. - p. 74.
Raffaele G. - p. 216.
Rampingfilio - p. 2.
Rattazzi U. - p. 31, 127,
306, 307, 371.
Rava L. - p. 156.
Regnoli P. - p. 220. 383.
Repubblica Peruviana - p. 10.
Ribotti (generale) - p. 32,
129, 221,223.224,225.
Ricasoli B. - p. 128, 140.
161, 305.
Ricciardi G. - p. 226, 227.
Rizzo G. - p. 303.
Rocca - p. 391.
Romano L. - p. 168, 228.
Ronchei A. - p. 224.
Roscitto A. - p. 209. 228.
Rosi M. - p. 395,
Roxas L. - p. 209. 228.
Rubattino R. - p. 75. 77.
Russel (lord) - p. 258, 261,
262. 266. 267. 268. 272.
Saffi A. - p. 274. 275. 288,
303 e seg.. 386.
Saimour (conte di) - p. 141.
Sammito Aldisio - p. 328.
San Cataldo ( principe ) -
p. 218.
Sanfront (generale) - p. 295.
San Giorgio - p. 8. 9.
San Juan de Nicaragua - p. 9.
Sant' Onofrio del Castillo -
p. 383. 387.
Savi - p. 8.
Savio - p. 390.
Schwabe (madame) - p. 293.
Scialoia - p. 388.
Scotti - p. 323.
Selle - p. 137.
Senato di Palermo - p. 217.
Siccoii S. - p. 124.
Simonetta - p. 184.
Smeo R. - p. 352.
Sirtori-p.215.216.358. 359.
Solaroli (generale) - p. 361,
362.
Sommariva (monsignor) -
p. 204. 205.
Spaventa S, - p. 1 72.
Staten Island - p. 2.
Stella M. - p. 209.
Strazzeri A. - p. 65.
Stuart Montgomery - p. 263,
271.
Sullioiti A. - p. 120.
Tacchini - p. 316.
Tallarino G. - p. 208.
Tamajo G. - p. 1%.
Taylor - p. 286.
Tessi G. - p. 119.
Torrearsa-p. 37 e seg.. 218,
383.
Tower T. - p. 277.
Traf filetti (comandante) -
p. 192.
Trappeto - p. 183.
Trecchi G. - p. 343. 348,
349. 350. 353, 356.
Treveiyan Macaulay - p. 259,
260.
Tripoli (maggiore) - p. 172.
Tùrr S. - p. 133, 138. 139.
227.311,343. 412 e seg.
U
Ugdulena G. - p. 216.
" Utile .. (L') - p. 80.
Vairemo - p. 357.
Valentini - p. 187. 207.
Valerio L. - p. 349.
Valfre - p. 359.
Varignano - p. 9.
Vecchi C. A. - p. 9. 12.
347. 385. 395, 3%, 397.
Venturi - p. 302.
Villafranca - p. 25. 50, 270.
384.
Villafranca F. - p. 51.
Villamarina (marchese di) -
p. 142. 161, 173. 206.
207. 228.
Vaiani F. - p. 426.
INDICE ALFABETICO DEI NOMI CITATI NEL VOLUME
443
Villari P. - p. 282.
Vimercati (conte) - p. 343,
351, 353.
Visconti- Venosta E. - p. 1 60,
382.
Vittoria (Regina) - p. 258,
259. 338.
W
Wathson - p. 186.
Wilson (generale) - p. 310.
Winnington-Ingram - p. 66.
Winspear - p, 350.
Worsam M. P. - p. 262.
Zambeccari - p. 225.
Zlambianchi - p, 122, 124.
Zucoli A. - p. 80, 81.
Zappetta - p. 386.
Finito di slampare
il dì 20 .Maggio 1911
nella Tipografia di 'Paolo t^Ceri
in Bologna
^
UNIVERSITY OF TORONTO
LIBRARY
Acme Library Card Pocket
Under Pai. " Rcf. Index File."
Hade by LIBBABT BUBEAU