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Full text of "Giornale Arcadico di Scienze / Lettere ed Arti"

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GIORNALE 

ARCADICO 

DI   SCIENZE  ,  LETTERE  ,  ED  ARTI 
VOL.  217. 


^-., 


icf/i-- 


GIORNALE 


DI  SCIENZE  LETTERE  ED  ARTI 

TOMO    LXXIII 

OTTOBRE,  NOVEMBRE  E  DICEMBRE 
1837. 


ROMA 

TIPOGRAFIA  DELLE  BELLE  ARTI 
1857 


SCIENZE 


Sopra  un  corso  di  matematiche  intitolato  -  Eleineii- 
torum  matheseos  otc.  .  .  .  auctore  Andrea  Caraffa 
e  societate  Jesu  in  collegio  romano  matlieseos 
professore;  e  sopra  la  versione  italiana  eli  que- 
sti  elementi  fatta  con  moltissime  annotazioni 
dal  prof.  Paolo  Volpicelli, 

TT 

^^  n  corso  completo  di  matematiche  pure,  che  dall' 
aritmetica  procedesse  alle  più  elevate  dottrine  del 
calcolo  così  detto  sublime  ,  e  che  fosse  compilato 
sopra  le  piìi  generali  e  rigorose  teoriche  della  scien- 
za, era  per  la  Italia  da  desiderarsi.  Un  corso  che 
m  se  riunisse  queste  condizioni,  era  un  bisogno  e 
un  desiderio  generale  di  tutti  coloro,  i  quali  si  dan- 
no allo  studio  delle  scienze  esatte;  e  la  mancanza 
di  esso  formava  un  vuoto  considerabile  nel  tesoro 
delle  produzioni  scientifiche  italiane.  Non  può  ne- 
garsi che  parecchie  sono  le  istituzioni  di  matema- 
tiche pure,  pubblicate  in  Italia,  che  piìi  o  meno 
tutte  contengono  delle  parti  esposte  completamen- 
te sotto  qualunque  aspetto;  ma  giovi  ripeterlo,  un 
corso  tutto  basato  sul  piìi  esatto,  sul  più  generale, 
sul  più  analitico,  e  sul  più  moderno  della  scienza. 


4  Scienze 

deslderavasi  ancora;  quando  non  ha  guari  compar- 
vero alla  luce  gli  elementi  di  matematica  del  p. 
Andrea  Caraffa  della  compagnia  di  Gesìi,  professo- 
re di  matematica  sublime  nel  collegio  romano  ;  e 
noi  vedemmo  con  piacere  grandissimo  quest'opera 
soddisfare  in  tutte  le  sue  parti  a  quanto  si  desi- 
derava. Strettissimo  vi  si  ravvisa  il  concatenamento 
delle  idee  ,  somma  la  precisione  ed  esattezza  dei 
metodi;  ne  mai  alle  formole  si  da  quella  estensio- 
ne che  loro  non  si  appartiene.  Pur  troppo  non  po- 
che formole  soglionsi  estendere  comunemente  oltre 
i  dovuti  limiti ,  le  quali  tuttavia  non  valgono  se 
non  sotto  certe  condizioni,  se  non  in  riguardo  a 
certi  valori  delle  quantità  che  racchiudono!  Gli  ele- 
menti suddetti  sono  scritti  in  idioma  latino;  e  seb- 
bene da  taluno  sia  disapprovato  il  valersi  nelle  ope- 
re scientifiche  di  questo  linguaggio,  perchè  non  vi- 
vente ;  pure  noi  crediamo  che  nelle  matematiche 
non  debba  incontrarsi  tale  disapprovazione;  e  son 
ben  cognite  alcune  opere  recentemente  pubblicate 
in  idioma  latino  da  diversi  distintissimi  geometri, 
nelle  quali,  oltre  la  profondita  delle  dottrine  ivi 
espresse,  si  scorge  ancora  eleganza  e  concisione  di 
termini,  proprietà  tutte  dell'idioma  de'padri  nostri: 
talché  l'uso  di  esso  in  questa  scienza  invece  d'in- 
ceppare, come  avverrebbe  in  altre,  le  serve  di  or- 
namento, e  le  procura  quella  maestà  e  decoro  che 
hanno  le  dotte  lingue  in  gran  parte  perchè  piìi 
non  vivono;  tutto  essendo  al  di  là  della  tomba  sa- 
cro ed  orrevole. 

Gli  elementi,  di  cui  parliamo,  si  dividono  in  tre 
parti  corrispondenti  a  tre  volumi.  Contiene  il  pri- 
mo l'aritmetica  generalmente  dimostrata  in  tutte  le 
sue  parti,  e  l'algebra,  che  oltre  alle  piìi  clemen- 


Matematiche  del  Caraffa  5 

tari  sue  nozioni  abbraccia  eziandio  le  combinazio- 
ni e  permutazioni  ,  la  risoluzione  delle  equazioni 
determinate  ed  indeterminate  ,  le  principali  pro- 
prietà dei  numeri,  le  quantità  medie,  i  logaritmi, 
la  soluzione  dei  problemi,  la  dottrina  delle  proba- 
bilità, le  serie  si  reali  e  si  immaginarie,  la  conver- 
genza e  divergenza  delle  medesime,  lo  sviluppo  del- 
le funzioni  in  serie,  le  quantità  infinitesime,  e  le 
frazioni  continue.  Il  secondo  volume,  senza  trascu- 
rare del  tutto  i  luminosi  metodi  degli  antichi  geo- 
metri, giunge  alle  due  trigonometrie  piana  e  sfe- 
rica. Quivi  si  stabiliscono  parecchie  formole  e  se- 
rie trigonometriche,  e  poi  si  applica  di  proposito 
l'analisi  alla  geometria  di  due  e  tre  dimensioni.  Nel 
terzo  finalmente  si  contengono  i  due  calcoli  diffe- 
renziale ed  integrale,  con  le  varie  loro  applicazio- 
ni alla  geometria;  vi  si  espone  altresì  il  nuovo  cal- 
colo dei  residui,  e  quello  delle  differenze  finite, 
coi  principali  usi  loro.  Con  questi  tre  volumi  si 
ha  da  un  geometra  italiano  tutto  un  corso  di  ma- 
tematiche pure,  che  può  completamente  istituire 
chicchessia  nelle  medesime. 

Il  primo  volume  di  questo  corso  matematico 
è  stato  pubblicato  in  italiano  dal  chiarissimo  pro- 
fessore Paolo  dott.  Volpicelli,  e  da  esso  dichiarato 
con  moltissime  annotazioni  per  maggior  comodo  di 
coloro  che  debbono  o  vogliono  con  esso  istituirsi. 
Questa  traduzione  fu  eseguita  dal  lodato  professore 
Volpicelli  con  molt'accuratezza,  e  risplende  in  essa 
la  eleganza  e  la  precisione  stessa  che  trovasi  nel 
lesto  latino.  Il  medesimo  professore,  avendo  ben  pe- 
netrato l'originale,  ha  corredate  le  malerie  in  esso 
contenute  di  dotte  annotazioni,  le  quali  facilitano 
l'intendimento  dell'opera  5  e  noi  siamo  di  avviso, 


6  Scienze 

che  la  traduzione  con  simili  annotazioni  degli  altFi 
due  volumi  sark  di  una  utili tk  grande  per  quelli  che 
vogliono  penetrare  nei  segreti  arcani  delle  scienze 
matematiche,  e  renderà  l'opera  del  Caraffa  supe- 
riore a  qualunque  elogio.  Per  questa  traduzione  so- 
no state  aperte  le  associazioni,  che  si  ricevono  in 
Roma  nella  tipografia  Puccinelli  in  via  della  Valle 
N.  53,  e  nella  libreria  nuova  di  Giovanni  Gallarini 
sulla  piazza  di  monte  ci  torio  N.  19,  20,  21,  non  che 
dai  principali  librai  d'Italia.  L'acquisto  di  questa 
traduzione  per  gli  associati  non  sorpasserà  la  spesa 
di  scudi  tre,  e  per  maggior  comodo  dei  medesimi  , 
essa  verrà  in  luce  e  sarà  distribuita,  non  gik  per 
fascicoli,  come  suol  farsi  comunemente,  bensì  per 
volumi,  legati  alla  rustica,  e  coperti  di  carta  colo- 
rata, nella  quale  sarà  stampato  il  prezzo  del  volu- 
me stesso. 

Barnaba  Tortolini 


Praelectiones  theologicae  ,  qiias  in  collegio  rom. 
societatis  Jesu  habehat  Joannes  Perrone  e  soc. 
Jesu  in  eod.  colleg.  theol.  prof.  P^ol.  IF,  liomae 
1836  in  coli,  urbano  de  propaganda  fide  (in  8° 
di  carte  466  ). 


P. 


arlando  noi  di  quest'opera  nello  scorso  anno  ab- 
biamo incominciato  con  breve  articolo  a  dar  cenno 
del  primo  e  del  secondo  volume  ,  alquanto  piìi  ci 
siamo  allargati  nel  terzo:  ora  che  in  questo  mede- 
simo giornale  trattiamo  del  quarto,  non  possiamo 
dispensarci    dal   farne   un   estratto   un    poco    più 


Teologia  del  Perrome  7 

lungo  degli  altri.  Imperocché  tale  è  la  natura  di 
queste  teologiche  istituzioni  ,  tale  il  consentimen- 
to de'  dotti  neir  approvarle  ,  che  crederemmo  di 
mancare  alla  stima  che  meritamente  professiamo 
verso  il  eh.  autore,  e  all'  amore  che  nutriamo  verso 
il  vero,  se  brevemente  dessimo  conto  di  un  lavoro, 
che  in  Italia  e  fuori  è  stato  accolto  con  tanto  favore. 

Due  sono  i  trattati  che  conte ngonsi  in  questo 
volume  :  il  primo  e  De  incarnatione  ,  il  secondo 
De  cultu  sanctorum. 

Veniamoli  a  poco  a  poco  svolgendo  incomin- 
ciando dal  primo. 

Di  due  specie  sono  coloro,  i  quali  hanno  sem- 
pre attaccato  l'augustissimo  mistero  della  incarna- 
zione :  quelli  cioè  che  l'hanno  interamente  negato, 
quelli  che  hanno  tutto  posto  in  opera  per  corrom- 
perne la  vera  idea.  Gli  ebrei,  gli  increduli,  ai  qua- 
li da  non  molto  si  aggiunsero  anche  i  razionalisti, 
sono  del  primo  genere;  appartengono  al  secondo  gli 
eretici  di  varie  sette.  Siccome  però  differenti  sono 
le  armi,  di  cui  gli  uni  e  gli  altri  fan  uso  per  soste- 
nere i  loro  errori,  così  il  N.  A.  saggiamente  ha  di- 
viso in  due  parti  questo  trattato  ed  ha  impreso  a 
confutare  separatamente  sì  gli  uni  che  gli  altri. 

Incomincia  egli,  com'è  di  ragione,  la  prima  par- 
te del  suo  trattato  dal  primo  fondamento  di  que- 
sto dogma,  cioè  dalla  promessa  e  dalla  espettazione 
di  un  Messia  :  distingue  un  doppio  errore,  di  que- 
gli cioè  che  niegano  essere  stato  giammai  promesso 
da  Dio  ed  aspettato  dagli  ebrei  un  messia,  e  di  quel- 
li altri  i  quali  sotto  il  nome  di  Messia  non  intendo- 
no una  determinata  e  particolare  persona,  ma  qual- 
sivoglia temporale  liberatore,  che  secondo  i  sansi- 
moniani  potrebbe  esser  anco  una  femmina.  A  ribat- 


8  Scienza 

tere  cotall  empie  assurdità  dimostra  il  P.  Perrone  i 
clic  un  Messia  fu  da  Dio  nella  legge  promesso  ,  che 
questi  fu  costantemente  in  ogni  tempo  aspettato  da- 
gli ebrei,  e  che  dev'essere  singolare  ed  unico,  sic- 
come si  desume  dall'universale  e  costante  senso  del-* 
la  tradizione  degli  stessi  giudei,  e  dalle  particolari 
caratteristiche  del  Messia,  le  quali  non  si  possono 
attribuire  ad  un  liberatore  qualunque*  Stretti  in 
tal  guisa  gli  ebrei,  e  i  loro  ausiliari  ricorrono  essi  a 
vani  pretesti.  Alcuni  dicono,  non  essere  determi- 
nato il  tempo  di  tale  venuta:  altri  venire  tale  epo- 
ca dilazionata  pe'  demeriti  e  per  que'  peccati  ,  di 
cui  si  vanno  giornalmente  macchiando:  altri  final- 
mente, non  essere  ancora  compiuto  il  tempo  della 
promessa.  A  queste  obiezioni  risponde  il  N.  A.  con 
altrettante  proposiziofji,  dimostrando,  I.°  che  tal  e- 
poca  e  determinata  dalla  sacra  scrittura,  dalla  per- 
petua e  costante  tradizione  de'giudei,  dalla  confes- 
sione de'rabini,  e  finalmente  dalla  natura  della  co-» 
sa  stessa;  11.'^  che  questo  tempo  non  si  può  ritar- 
dare; IH.*'  che  i  tempi  statuiti  dalle  profezie  chia- 
ramente appalesano  esser  questo  Messia  di  già  ve- 
nuto. Per  ciò  fare  con  maggior  precisione  il  N.  A. 
esamina  prima  il  vaticinio  di  Giacobbe,  quindi  cjuel- 
lo  di  Daniele,  in  fine  gli  altri  due  di  Aggeo  e  di 
Malachia  ricorrendo  ai  fonti  originali  e  confutan- 
do tutte  le  obiezioni  ,  che  si  possono  desumere  o 
dalla  varietà  delle  lezioni  ,  o  da  qualunque  altro 
senso  che  dar  loro  si  volesse.  In  IV.°  luogo  final- 
mente dimostra  il  P.  Perrone,  che  da  tutti  gli  offi- 
ci e  doveri,  che  doveansi  adempire  dal  Messia,  chia- 
ramente si  argomenta  esser  lui  di  già  venuto.  I  qua- 
li doveri  ed  offici  egli  a  due  restringe  ,  all'abro- 
gazione cioè  dcirantico  culto  e  sacerdòzio  colla  so- 


TeoIogia  okl  Perrone  9 

stituzlone  del  nuovo,  e  alla  chiamata  delle  genti  al- 
la cognizione  e  all'amore  del  vero  Dio  colla  reie- 
zione e  dispersione  del  popolo  etreo. 

Stabilito  nel  modo  da  noi  detto,  che  un  Mes- 
sia promesso  sia  di  già  venuto;  si  fa  egli  nel  se- 
condo capo  a  ricercare  chi  esso  sia,  e  dimostra  che 
questo  non  può  essere  altro  che  Gesìi  Cristo:  im- 
perocché pienissimamente  in  lui  si  compiono  l'e- 
poche ,  si  verificano  le  caratteristiche  e  gli  offici 
del  vero  Messia.  Questa  certamente  non  e  che  una 
naturale  conseguenza  delle  dottrine  fondamentali 
esposte  nei  capo  antecedente;  ed  è  dall'autore  sot- 
tilmente sviluppata.  Assai  Leila  e  la  confutazio- 
ne che  fa  il  p.  Perrone  del  notissimo  ebreo  Salvador, 
il  quale  con  argomenti  in  gran  parte  ricavati  da 
Orobio  imprese  a  fare  l'apologia  della  condanna  del 
Giusto  per  eccellenza.  (  Histoire  des  institution  de 
Mo'ise  ec.  tom.  II.  Paris  1 828.  ) 

Sviluppiamo  alquanto  la  tesi,  la  quale  per  non 
trovarsi  negli  altri  corsi  teologici,  merita  di  essere 
conosciuta,  e  può  anche  servire  come  di  un  saggio 
delle  moderne  quistioni  che  sono  dall'autore  trat- 
tate. Restringendo  in  poche  le  molte  cose  scritte  dal 
Salvador  nel  citato  libro  egli  sostiene  che  quel  giu- 
dizio fu  giustissimo,  4.**  perchè  i  giudici  del  Naz- 
zareno appellarono  agli  articoli  del  Deuter.  IV  1 5 
e  XVIII  20,  co'quali  condannavasi  a  morte  chiun- 
que avesse  ardito  o  di  annunciare  dii  stranieri  o 
parlare  in  nome  di  essis  2."  perchè  la  sentenza  fu 
data  secondo  le  forme  giudiziarie  che  allora  erano 
in  vigore,  sforzandosi  in  ultimo  di  purgai'e  gli  ebrei 
da  ogni  macchia  di  crudeltà  e  di  sevizia,  e  di  ri- 
volgerla ne'  soldati  ,  i  quali  contro  la  mente  del 
giudice  eccedettero  nella  esecuzione.  A  queste  pre- 


10  Scienze 

tese  ragioni  del  sedicente  filosofo  il  N.A.  con  eviden- 
tissimi argomenti  risponde  addimostrando  j  chq    i 
citati  articoli  del   Deuteronomio  non  potevano  ap- 
plicarsi alla  dottrina  di  Cristo, il  quale  predicava  il 
monoteismo^  ne  altro  Dio  conobbe  costantemente  e 
predicò  se  non  quello  d' Abramo,  d'Isacco  e  di  Gia- 
cobbe, da  cui  diceva  essere  stato  mandato.  Che  se 
Cristo  predicò  se  stesso  vero  figlio  di  Dio,  cioè  na- 
turale e  proprio  e  della  stessa  sostanza  del  padre, 
avea  proposto  il  mistero  della  TrinitU  con  parole  ora 
pili  oscure  ed  ora  piìi  chiare,  come  portava  l'intel- 
ligenza de'  suoi  uditori,  e  che  però  non  predicava 
un  Dio  carnale,  come    presuppone  l'ebreo  :  molto 
meno  la  pluralità  degli    dei  o  un  Dio  diverso  da 
quello  che  gli  ebrei  adoravano:  e  che  questa  stessa 
dottrina  non  era  nuova  ma  dedotta  dai  medesimi 
libri  degli  ebrei.  Quanto  poi  alla  illegalità  del  giu- 
dizio, primieramente  il  N.A.  si  serve  delle  armi  del 
suo  avversario,  il  quale  dice  :  che  si  esigevano  tre 
tribunali,  affinchè  in  qualsivoglia  cosa  s'inquiresse 
contro  il  reo  presunto:  che  l'accusato  era  trattenuto 
fino  all'ora  della  discussione  senza  essere  sottopo- 
sto ad  alcuna  frode  o  interrogazione  suggestiva,  af- 
finchè l'innocente  nella  costernazione  della  sua  men- 
te non  avesse  a  somministrare  armi  contro  di  se,  pel 
qual  motivo  eziandio  dovevasi  esaminare  la  probità 
dc'testimoni:  che  davasi  all'accusato  la  facoltà  di  di- 
fendersi: che  doveva  differirsi  o  dilazionarsi  l'esecu- 
zione  della  sentenza  al  giorno  appresso  ed  anche 
al  terzo:  che  rlcercavasi  la  pluralità  de'voti  per  la 
condanna:  che  al  luogo  del  supplizio   doveano  tro- 
varsi due  magistrati,  se   per  avventura  anche   per 
istrada  o  in  quel  luogo  si  presentasse  giusta  cagione 
dì    assolvere  il  reo,  siccome   avvenne  alla  casta  Su- 


Teologia  del  Perrone  M 

^anna:  che  finalmente,  esaurito  quanto  potesse  favo- 
rire il  reo  ,  i  magistrati  dicevangli  :  Quid  turba- 
sti nos  ?  Turhahit  te  Doininus  in  hac  die  :  hac  die 
turhaberis.,  non  in  futuro  saeculo. 

Ninna  peraltro  di  queste  cose^  come  narrano  gli 
stessi  evangelisti  citati  dal  medesimo  Salvador,  eh- 
be  luogo.  In  fatti,  1.°  i  farisei  e  i  sacerdoti  non  fu- 
rono mossi  ad  accusare  Gesù  Cristo  per  motivo  di 
religione  e  per  bene  della  società,  ma  dal  solo  li- 
vore ed  invidia  ,  come  l'istesso  preside  conobbe  : 
2.*^  assai  prima  che  s'impadronissero  di  lui  avevano 
macchinata  la  sua  rovina:  3.°  gli  tesero  molte  in- 
sidie per  prenderlo  in  fallo  colle  sue  stesse  parole 
ed  accusarlo  :  h.^  ne'  conciliaboli  a  ciò  stabiliti  di 
comune  consiglio  la  sua  morte  decretarono:  5.°  cor- 
ruppero col  denaro  uno  de'suoi  stessi  discepoli  per 
tradirlo:  6.°  appena  fu  carcerato,  consultaron  fra  lo- 
ro i  seniori  intorno  al  modo  per  mandarlo  alla  mor- 
te: 7."  i  suoi  stessi  giù  dici  furono  i  suoi  più  acerri- 
mi nemici:  8."  tutto  fu  tumultuariamente  operato 
nello  spazio  di  poche  ore;  cioè  dalla  mezzanotte  cir- 
ca fino  alla  mattina  seguente:  la  religione  non  fu  se 
non  il  pretesto  e  il  manto, con  cui  si  cuoprirono.  Im- 
perocché prima  accusarono  Cristo  innanzi  al  preside 
come  malfattore,  quindi  di  delitto  di  religione,  fi- 
nalmente di  delitto  politico,  e  sempre  senza  idonei 
testimoni;  9°  finalmente  colle  minacce  e  cogli  schia- 
mazzi fecero  forza  al  preside  per  estorcere  da  lui  la 
condanna  di  morte.  Dalle  quali  cose  chiaramente  si 
pare,che  non  solo  fu  iniquo,ma  illegale,  anche  nelle 
forme  giudiziarie  preposte  dal  medesimo  avversario, 
il  giudizio  contro  di  Cristo.  Finalmente  dimostra  il 
p.  Perrone  che  non  solo  i  soldati  e  i  carnefici  dipor- 
taronsi  a  loro  talento  nel  tormentare,  nel  villaneggi»- 


12  S  e  1  E  n  2  E 

re  e  nello  schernire  il  redentore,  ma  gli  stessi  sacer- 
doti e  farisei  addimostrarono  una  fierissima  rabbia. 
A  convincersene  basta  solo  la  lettura  di  quella  cru- 
delissima passione  nel  modo  come  a  noi  gli  evangeli- 
sti la  narrano.  Ed  infatti  perchè  non  punirono  quel- 
lo schiaffo  dato  al  Nazzareno  contr'ogni  dirittoj' Per- 
chè in  tutta  la  notte,  contro  il  divieto  della  legge,  al- 
l'insolenza de'ministri  lo  abbandonarono?  Perchè  i 
pontefici  stessi  richiesero  da  Pilato  il  supplicio  della 
croce  ?  Perchè  i  principi  de'sacerdoti  co^senìori  in- 
sultavano ed  acerbamente  beffavano  quel  giusto,  fin 
anco  nel  punto  in  cui  rendeva  l'anima  al  padre  ? 
Gittato  cosi  a  terra  fin  dalle  fondamenta  V  edifizio 
dell'empio  ebreo,  passa  il  N.  A.  a  confutare  le  ob- 
biezioni e  pone  fine  alla  prima  parte  del  suo  trat- 
tato. 

Venendo  poi  alle  prese  contro  gli  eretici,  pre- 
senta primieramente  la  giusta  ed  esatta  definizione 
della  incarnazione:  quindi  cominciando  dalla  divi- 
na natura  di  Cristo,  per  ben  esaurire  e  racchiude- 
re tutta  la  materia,  dimostra  che  in  Cristo  deve  ri- 
conoscersi e  credersi  la  vera  e  propriamente  detta 
divinità  ossia  natura  divina,  e  ciò  perchè  Cristo  lo 
predicò  di  se  stesso  ai  giudei,  lo  predicò  ai  suoi  di- 
scepoli; né  gli  evangelisti,  né  i  giudei  lo  presero  in 
altro  senso  ,  ne  in  altro  modo  hanno  sempre  gli 
scrittori  sacri  insegnato.  Parlando  il  N.A.  della  natu- 
ra umana  di  Cristo,  divide  la  materia  in  due  propo- 
sizioni, da  cui  deduce  alcuni  corollari.  La  prima 
proposizione  è  questa,  che  il  Verbo  divino  assunse 
una  natura  umana  intera  e  perfetta  a  noi  consustan- 
ziale dalla  quale  assunzione  ne  deriva,  1.°  che  la 
carne  di  Cristo  è  vera  ,  solida  ,  non  apparente  e 
fantastica,  2."  che  il  corpo  di  Cristo  non  è  venu- 


Teologia  del  Perrone  13 

to  dal  ciclo,  ne  di  celeste  sostanza  è  formato,  ma 
bensì  è  umano  e  preso  dall'utero  di  Maria  vergi- 
ne, 3.°  che  il  Verbo  divino  assunse  un'  anima  ra- 
gionevole, k^  che  il  corpo  di  Cristo  a  motivo  del- 
la sua  natura  fu  sottoposto  agli  afifetti  ,  ai  dolori 
alla  corruzione  e  alla  morte.  Dimostra  quindi  il  Per- 
rone nell'altra  proposizione  ,  che  Cristo  fu  conce- 
puto  di  Spirito  Santo,  che  nacque  da  Maria  salva 
la  sua  integrità,  innanzi  al  parto,  nel  parto  e  dopo 
il  parto  ;  il  quale  sovranaturale  concepimento  di 
Cristo  viene  dall'autore  con  ogni  maniera  dì  argo- 
menti e  con  scelta  erudizione  sostenuto,  tanto  con- 
tro gli  ebrei  e  razionalisti  quanto  contro  gli  eretici 
di  ogni  tempo. 

L'eresia  di  Nestorio  è  quindi  confutata  allor- 
ché il  N.  A.  parla  della  unione  ipostatica  delle  due 
nature  in  Cristo.  Questo  capo  è  suddiviso  in  due 
articoli,  nel  primo  de'quali  si  prova  che  unica  e 
divina  è  la  persona  di  Cristo  ,  dalla  quale  proposi- 
zione fa  discender  l'altra,  cioè  che  la  Vergine  bea- 
tissima a  ragione  è  chiamata  Deipara^  ossia  madre 
di  Dio. 

UadozianisniOf  quell'empia  dottrina  messa  fuo- 
ri nel  secolo  Vili,  con  cui  per  le  due  nature  di- 
stinguevansi  in  Cristo  due  filiazioni,  una  cioè  na- 
turale come  figlio  di  Dio  ,  1'  altra  adottiva  come 
uomo,  e  che  per  conseguenza  come  il  nestorianismo 
veniva  ad  ammettere  in  Cristo  due  persone,  è  in 
seguito  attaccato  dal  p.  Perrone.  In  questa  sotti- 
lissima quistione  scevei*a  egli  tutto  ciò  ch'è  di  fe- 
de da  quello  che  è  scolastico  :  e  posto  nel  vero 
suo  lume  lo  stalo  di  essa,  dimostra  esser  di  fede 
che  Gesii  Cristo  è  figlio  di  Dio  naturale  e  non 
adottivo.  L'articolo  III  è  contro  di  Eutiche,  e  tratta 


44  Scienze 

della  distinzione  delle  due  nature  in  Cristo  dopo 
l'unione  iposlatica:  imperocché  quell'eretico  era  ca- 
duto in  un  errore  del  tutto  opposto  a  quello  de'ne- 
storiani.  Il  IV  articolo  è  contro  i  monotelltl,  ed  in 
esso  dimostrasi  che  devono  riconoscersi  in  Cristo 
due  naturali  operazioni  e  volontà  indivise  e  incon- 
fuse. Tratta  in  appresso  della  comunicazione  degl' 
idiomi,  così  appellano  i  teologi  l'uso  di  enunciare 
scambievolmente  le  proprietà  dell'una  e  dell'altra 
natura  in  rapporto  alla  medesima  persona,  e  prova 
ad  evidenza  non  potersi  essa  ammettere,  che  in  con- 
creto, e  non  già  in  astratto,  come  assurdamente  han 
preteso  gli  eterodossi  detti  perciò  ubiquisti.  Facendo 
quindi  passaggio  all'adorazione  dovuta  a  GesU  Cristo 
sostiene  che  l'umana  natura  di  Cristo  devesi  adorare 
con  quel  medesimo  culto  di  latria  con  cui  adorasi 
quella  divinità  a  cui  è  congiunta. 

Qui  il  nostro  A.  fa  alcune  savissime  osserva- 
zioni, cioè  che  altro  è  Voggetto,  altro  il  jnotivo  d'i 
questo  culto:  che  il  fondamento,  ossia  il  motivo  di 
questo  supremo  culto  verso  l'umanità  santissima  dì 
Gesh  Cristo,  essendo  l'unione  ipostatica,  ne  siegue 
che  siffatta  adorazione  non  termini  e  non  si  fissi  sol- 
tanto nella  stessa  umanità  di  Cristo,  ma  nel  Verbo, 
che  secondo  s.  Giovanni  Damasceno  gli  divenne  sus- 
sistenza. In  ultimo  osserva  che  tanto  è  adorare  la 
umanità  ossia  la  carne  di  Cristo,  quanto  adorare 
Cristo  stesso,  che  giammai  questa  umanità  di  Cristo 
può  adorarsi  in  astratto^  ma  bensì  in  concreto  sem- 
pre, cioè  tutto  intero  Cristo,  il  quale  non  può  essere 
diviso  in  parti.  E  qui  in  una  nota,  colto  il  destro,  ri- 
batte il  dottissimo  e  d'altronde  ottimo  Feller  ,  e  i 
giansenisti,  i  quali  di  teologica  inesattezza  tacciato 
aveano  la  notissima  orazione  :  Sacrosanctae  et  indi- 


TEOLocrA  DEL  Perrone  15 

mduae  Trinìtatl,  crucifixi  domini  nostri  Jesit  Chri- 
sti  humanitati  etc. 

Questa  proposizione  fa  strada  al  N.  A.  a  parla- 
re della  ragionevolezza  della  divozione  al  sacro  cuor 
di  Gesù,  dimostrando  che  questo  culto  approvato 
dalla  santa  fede,  e  solito  a  praticarsi,  è  pio  e  lon- 
tano da  ogni  superstizione:  imperocché  ,  siccome 
anche  osserva  il  cardinal  Gerdil,  se  la  parte  singola- 
re in  cui  si  dirige  l'adorazione  non  si  adora  se  non 
per  l'unione  ipostatica  colla  persona  del  Verbo,  ne 
segue  che  nell'adorazione  del  cuor  di  Gesù  si  adori 
la  stessa  persona  del  Verbo,  e  però  tutto  Cristo,  di 
cui  non  è  altra  la  persona  se  non  la  persona  del 
Verbo. 

Riguarda  il  quinto  capo  i  titoli  e  gli  offici  di 
Cristo.  Siccome  però  ninna  controversia  cade  sopra 
i  titoli  ch'esso  ha  dì  capo  degli  uomini,  degli  ange- 
li, di  profeta,  di  re,  di  giudice,  così  sono  più  bre- 
vemente sviluppati.  Contro  i  sociniani  peraltro  sta- 
bilisce la  proposizione,  che  Cristo  ebbe  un  sacerdo- 
zio veramente  e  propriamente  detto,  e  che  colla  sua 
mortale  vita  ne  compiè  interamente  gli  offici:  quin- 
di fissa  e  dimostra  in  una  particolare  proposizione, 
che  fu  mediatore  di  vero  nome  e  come  Dio  e  come 
uomo.  Quanto  poi  alla  soddisfazione  e  al  merito  fa 
vedere,  che  Cristo  veramente  e  propriamente  soddi- 
sfece per  noi  alla  divina  giustizia,  perchè  come  sa- 
cerdote offerì  se  medesimo  a  Dio  in  sacrificio  e  in 
ostia  espiatoria  :  perchè  come  sicurtà  accollossi  i 
nostri  peccati,  e  ne  pagò  la  pena  per  essi  dovuta: 
perchè  col  suo  sangue  ci  redimette  :  perchè  come 
mediatore,  ci  riconciliò  a  Dio  e  lo  placò.  Con  che 
pone  fine  al  suo  trattato  ,  il  quale  come  ognuno 
può  di  leggieri  conoscere  è  si  concatenato  e   connes- 


46  Scienze 

so,  che  una  verità  scende  naturalmente  dall'altra 

come  per  legittima  conseguenza. 

Più  breve  è  l'altro  che  segue  intorno  al  culto 
dé'santlf  ed  è  diviso  in  sei  capi.  Spiegasi  nel  Ipri- 
mo  la  vera  idea  e  divisione  del  culto,  il  quale  in 
altro  non  consiste  se  non  se  in  quell'onore  che  a 
Dio  si  attribuisce  o  alle  creature  ad  intuito  e  ri^ 
guardo  di  lui.  Questo  culto,  siccome  a  tutti  è  ben 
noto,  dividesi  in  latria,  dulia,  e  iperdulia,  ed  è  in- 
terno ed  esterno.  Nel  secondo  capo  parla  TA.  del- 
la onestà  e  pietà  del  religioso  culto  de' santi:  està» 
bilito  conj  iilosofica  precisione  lo  stato  della  qui- 
stione,  dimostra  che  pio  è  il  religioso  culto  de'san-»- 
ti,  ed  immune  da  ogni  idolatria.  Perchè  fare  reca 
la  testimonianza  delle  sacre  scritture  che  lo  com» 
mondano,  l'antichissima  tradizione  e  la  consuetudi-» 
ne  della  chiesa;  passa  quindi  ad  esaminare  la  natu* 
ra  della  cosa  stessa,  e  ricava  per  la  sua  tesi  una  prò» 
va  degli  avversari  medesimi,  recando  fra  gli  altri  un 
potentissimo  argomento  desunto  dall'  autorità  di 
Lelbnizio.  Dal  culto  de'santi  ne  discende  per  con- 
seguenza la  loro  invocazionet  ed  il  p.  Perrone  so- 
stiene esser  questa  utile,  valendosi  di  argomenti  de- 
sunti dalla  sacra  scrittura,  e  confermando  la  sua 
proposizione  col  senso  tradizionale  di  tutti  i  secoli. 

Passa  in  seguito  a  far  vedere,  che  le  reliquie 
e  i  monumenti  de'santi  sono  piamente  ed  utilmeu'- 
te  dai  cristiani  venerati.  Per  meglio  provare  la  sua 
tesi ,  divide  i  monumenti  de'  primi  tre  secoli  in 
quattro  classi.  La  grande  premura  de'  primi  cri- 
stiani in  raccogliere  i  corpi  de'  martiri  ,  gli  pre- 
senta il  primo  argomento  :  deduce  il  secondo  dai 
monumenti  eretti  sopra  le  reliquie  de'santi,  vale 
a  dire  camere,  altari  ec,  il  terzo  lo  desume  dalla 


Teologia  del  Perbome  4  7 

grande  sollecitudine  dei  medesimi  in  separare  le 
ceneri  de'martiri  e  dividerle  da  quelle  degli  altri 
corpi  :  il  quarto  finalmente  lo  rileva  dagli  ossequi 
con  cui  i  cristiani  le  veneravano.  Il  capitolo  quinto 
tratta  delle  sacre  immagini:  ed  in  esso  il  N.  A.  di- 
mostra in  due  separate  proposizioni,  prima  che 
dalla  sacra  scrittura  si  ricava  esser  lecita  questa  ve- 
nerazione, quindi  che  questo  uso  e  venerazione  ri- 
levasi  ancora  dall'uso.  Siccome  poi  conveniva  all'  A. 
di  addimostrarla  specialmente  dai  primi  tre  secoli, 
cosi  egli  si  serve  di  tre  validissimi  argomenti.  Il 
primo  lo  desunse  dalla  consuetudine  che  avevano  i 
cristiani  primitivi  di  esprimere  i  misteri  della  no- 
stra religione  per  mezzo  de'simLoli,  come  erano  il 
pesce,  la  colomha  ec,  il  secondo  da  questi  medesi- 
mi simboli  che  si  trovano  nelle  pietre,  nelle  lu- 
'Cerne,  nelle  gemme,  nelle  pitture,  in  cui  veggonsi 
anco  espressi  alcuni  fatti  del  vecchio  e  del  nuovo 
testamento:  il  terzo  dagli  antichi  monumenti  di  al- 
tri simboli,  co'  quali  i  cristiani  effigiarono  alcuni 
fatti  della  vita  di  Cristo,  la  Beatissima  Vergine,  gli 
angeli,  i  santi,  non  che  le  figure  degli  animali,  della 
nave,  dell'ancora  ec.  ec.  L'a\itore  a  conferma  della 
sua  dottrina  non  ha  mancato  di  recare  monumenti 
antichissimi,  e  quasi  contemporanei  allo  stabilimen- 
to del  cristianesimo,  valendosi  eziandio  dei  pili  ac- 
creditati scrittori  delle  belle  arti,  come  a  dire  del 
Winckelmann,  Agincourt  ec.  Stabilitone  l'uso,  ne 
dimostra  la  venerazione  con  prove  positive,  e  spe- 
cialmente con  l'accusa  data  dai  gentili  ai  cristiani 
perchè  venerassero  la  croce  e  i  crocifissi.  Saggia- 
mente poi  fa  osservare  col  Petavio,  che  le  immagini 
non  appartengono  all'  essenza  della  religione,  ma 
che  sono  del  genere  di  quelle  cose,  che  non  sono 
G.A.T.LXXUI.  2 


18  Scienze 

assolutamente  necessarie,  e  però  è  in  facoltà  dellst 
chiesa  il  farne  uso  o  no  ,  secondo  cket  esigono  le 
diverse  circostanze,  e  la  condizione  de'fedeli.  E  ciò 
che  dice  delle  immagini  applica  ancora  agli  alti  e- 
sterni,  ossia  al  rito  di  questa  venerazione,  essendo 
cose  che  appartengono  alla  disciplina,  e  sono  sotto- 
poste al  reggimento  della  chiesa. 

Per  ultimo  parla  della  croce:  e  lasciata  da  par- 
te la  quistione  sull'autenticità  della  medesima,  im- 
perocché se  quella  che  adorasi  è  la  vera  croce  en- 
tra nel  numero  delle  sacre  reliquie,  se  fatta  a  so- 
miglianza della  vera  appartiene  alle  immagini,  il 
N.  A.  dimostra  che  tanto  il  culto  che  i  cristiani  pre- 
stano alla  vera  croce,  e  alla  sua  immagine,  quanto 
il  segno  della  medesima  che  costumano  di  pratica- 
re i  cristiani,  è  privo  di  ogni  superstizione. 

Da  questo  quadro,  che  dei  due  trattati  abbia- 
mo colla  maggior  ristrettezza  abbozzato,  può  bene 
argomentarsi  la  bontà,  la  chiarezza  e  la  filosofica 
precisione  di  quest'opera  arricchita  di  opportune 
note  di  ogni  genere.  Ed  infatti  non  solo  di  essa 
hanno  con  lode  parlato  giornali  accreditatissimi  , 
ma  toccando  appena  la  sua  meta  è  stata  di  già  ri- 
stampata in  Augusta,  in  Lovanio  ad  uso  di  quella 
cattolica  università,  ed  altrove  se  ne  apparecchiano 
nuove  edizioni.  Noi  non  potremmo  chiuder  meglio 
questo  estratto  se  non  riferendo  quanto  i  dotti 
editori  di  Lovanio  ne  dicono  nel  loro  prospetto 
di  ristampa,  traducendo  fedelmente  dal  francese  le 
loro  parole.  »  Il  padre  Perrone,  dicon  essi^  profes- 
sore di  teologia  dommatica  nel  collegio  romano, per- 
suaso della  necessità  di  combattere  colle  loro  stesse 
armi  i  moderni  novatori  avea  da  alcuni  anni  forma- 
to il  progetto  di  un  corso  d'istituzioni  teologiche, 


Teologia  del  Perrone  19 

in  cui  consei'vandosl  tutti  i  principii  generali  e  le 
opinioni  le  piìi  sane  della  teologia  antica,  si  trovas- 
sero le  confutazioni  di  tutti  i  moderni  errori,  ed  of- 
ferire COSI  agli  studenti  de'seminari  un  corso  adat- 
tato alle  circostanze  presenti.  .  . .  Per  riuscirvi  non 
ha  egli  risparmiato  ne  premure  ne  fatiche:  si  è  po- 
sto al  giorno  de'sistemi  filosofici  e  teologici  dei  no- 
vatori alemanni,  e  ovunque  le  loro  dottrine  offen- 
devano il  dogma  o  la  verità  li  ha  solidamente  confu- 
tati o  colTapplicazione  degli  antichi  principii  ,  o 
colle  loro  stesse  confessioni.  Le  numerose  note,  le 
quali  adornano  il  testo,  piene  di  solida  e  svariata 
erudizione,  mostrano  fino  a  qual  punto  ha  spinto 
l'autore  le  sue  ricerche.  Egli  più  volentieri  si  occu- 
pa degli  scrittori  recenti:  nel  primo  volume  cita  e 
confuta  frequentemente  la  teologia  dommatica  di 
Wegscheider  stampata  in  Halla  nel  1828,  opera  tut- 
ta infetta  del  razionalismo  e  del  socinianismo  mo- 
derno. Il  padre  Perrone  risale  pili  in  alto,  e  nota 
l'analogia  eh'  esiste  fra  questi  errori  e  quelli  di 
Fichte,  Koppen,  Niethammer  e  di  molti  altri  te- 
deschi, i  quali  sonosi  perduti  in  uno  stravagante 
idealismo. 

»  Le  quistioni  dibattute  nel  nostro  paese  ,  e 
quelle  che  occupano  al  di  d'oggi  le  sponde  del 
Reno,  non  sono  sfuggite  alla  diligenza  del  p.  Per- 
rone. In  una  lettera  indirizzata  ultimamente  ad  un 
professore  della  università  cattolica  (  di  Lovanio  ) 
egli  si  esprime  così  «Nel  trattato  de  locis  theologicis 
«  a  Dio  piacendo  ho  intenzione  di  scrivere  intorno 
*  all'analogia  della  ragione  e  della  fede,  e  in  que- 
«  sto  luogo  chiamerò  ex  professo  ad  esame  i  tre 
«  sistemi  di  La-Mennals,  di  Bautain,  e  di  Hermes, 
«  e  farò  conoscere  quanto  gli  uni   e  gli   altri  siensi 


20  Scienze 

«  scostali  (lai  vero  senso  cattolico  nei 'loro  rispetta 
«  vi  sistemi,  e  fisserò  la  regola  da  seguirsi  da  quel- 
«  li  i  quali  non  vogliono  traviare  dal  buon  sentiero, 
«  che  ci  hanno  tracciato  i  nostri  maggiori.  »  Queste 
consultazioni  si  necessarie  punto  non  ritardano  il 
cammino  dell'autore: le  dilìicolta  sono  presentate  con 
tanta  chiarezza,  che  all'istante  si  afferrano,  e  le  ri- 
sposte sono  cosi  precise,  che  confermano  sempre  più 
la  tesi.  Le  ricerche  del  P.  Perrone  lo  hanno  condotto 
a  trattare  parecchie  quistioni  nuove,  che  prima  di 
lui  non  si  sono  vedute  in  altri  corsi  teologici.... 

„  L'opera  che  noi  annunciamo  non  è  dunque 
semplicemente  uno  scritto  di  circostanza,  ma  di  tut'^ 
ti  i  tempi:  ne  adattato  ad  un  sol  paese,  ma  a  tutte  le 
scuole  teologiche  de'nostri  giorni. Non  si  può  rimane- 
re indifferenti  agli  errori,  e  agli  aheramenti  de'teo- 
logi  protestanti  o  cattolici  senza  esporsi  al  loro  di- 
sprezzo, o  non  abbandonarli  alla  loro  presunzione: 
spesso  poche  parole  bastano  per  addimostrare  la  futi- 
lità della  loro  dottrina.  Ma  se  s'ignorano  i  loro  erro- 
ri, si  crede  d'ignorarli  per  debolezza  di  spirito,  e  di 
non  aver  forza  per  seguirli  in  quelle  sublimi  regio- 
ni ove  credono  di  volare.  Ora  non  esiste  opera  piìi 
propria  a  dare  una  giusta  idea  di  questi  errori,  che 
le  istituzioni  del  P.  Perrone,  che  ha  veramente  ap- 
profondato le  quistioni,  e  le  ha  sempre  risolute  coi 
soccorsi  degli  antichi  principii. 

„  Questo  non  è  solo  uno  scritto  di  pura  con- 
troversia: contiene  un  corso  completo  di  teologia 
dommatica  utilissimo  alla  predicazione  ....  Ag- 
giungiamo ancora  che  lo  stile  è  facile  e  chiaro,  il 
metodo  semplice  e  lucido,  per  cui  piacevolissima 
se  ne  rende  la  lettura,  non  vi  si  osserva  alcuno 
sforzo,  alcuna  pretensione,  ma  una  costante  sempli- 


Teologia  del  Perrone  21 

cita  hen  difficile  a  trovarsi   in    opere    di    siffatto 
genere.  „ 

Dopo  il  quale  giudizio  nuU'altro  osiamo  noi  di 
aggiungere  a  lode  del  eh.  autore,  il  quale  ha  già  da- 
to alla  luce  il  quinto  vohiine  che  contiene  i  trattati 
de  grafia  et  de  sacramentis  in  genere,  de'  quali 
parleremo  in  appresso. 

F.  Fabi  Montani 


Continuazione  della  rivista  di  alcuni  lavori  di  mC" 
dico  argomento  pubblicati  dai  signori  professori 
Medici^  Ferrarese,  Paolini,  Borelli,  Valentini  ec. 
(V.pag.  272,  voi.  175). 

Osservazioni  di  tisi  polmonare  con  considerazioni 
fisiologico-patologiche  e  terapeutiche  intorno  la 
medesima.  Del  dottore  Marco  Paolini,  letta  n  el- 
la seduta  della  società  medico-chirurgica  di  Bo- 
logna nel  2Q  settembre  1835,  e  tratta  dal  voi.  1 
delle  memorie  della  predetta  società.  (  Bolo- 
gna 1836  ), 


J-ia  pratica  esperienza  conferma  luminosamente 
l'affetto,  con  cui  il  N.  A.  da  principio  alla  sua  in- 
terressante  osservazione;  cioè,  che  «  seljhene  la  ti- 
fi sichezza  polmonare  ^colpisca  il  piìi  delle  volte  gli 
«  oggetti  più  cari  nella  primavera  della  vita,  seb- 
«  Lene  prediliga  le  forme  piìi  delicate  e  gentili, 
«  pure  non  la  perdona  alcuna  volta  ad  individui 
«  robustissimi,  facendoli  sua  vittima  nel  vigore  del- 


22  Scienze 

»  la  virilità,  »  Trovavasi  infatti  all'anno  31  della 
età  sua  il  milite,  che  il  subietto  forma  di  questa 
istoria,  immune  da  morbosi  attacchi,  a  ritroso  dei 
disagi  e  disordini  che  seco  porta  la  vita  del  soldato; 
robustissima  era  la  sua  costituzione,  ed  atletica  sor- 
tito aveva  la  sua  conformazione.  Varie  forme  mor- 
bose incominciò  indi  a  soffrire,  in  virtìi  delle  quali 
vide  l'infermo  la  necessita  di  correggere  le  perni- 
ciose abitudini  contratte,  e  massimamente  quella  di 
fumare  il  tabacco  quasi  continuamente,  oppure  di 
masticarlo,  e  di  frenare  la  soverchia  passione  del 
vino  di  cui  tracannava  moltissima  copia,  e  di  bere 
nel  mattino  boccali  interi  di  acquavite.  Dopo  varie 
alternative  di  morbose  ingruenze  e  di  non  perfetta- 
mente ricuperata  salute,  si  vide  prevalere  il  morbo 
nel  lato  sinistro  del  torace  sull'anno  ^8  della  età 
sua,  rendendosi  più  pronunciato  con  chiara  diagno- 
si, e  presentando  ad  intervalli  quelle  calme  e  que- 
gl'inasprimenti  che  soglionsi  comunemente  in  cosi 
fatte  malattie  osservare.  Nel  marzo  del  terzo  anno  , 
decorrendo  il  cinquantesimo  di  sua  età,  fattisi  viep- 
piìi  manifesti  i  sintomi  di  tisi  polmonare  inoltrata, 
cui  aggiungevansi  quelli  di  cronica  enterite,  fu  ri- 
coverato nell'ospedale  di  s.  Orsola,  ove  il  N.  A.  ri- 
copriva la  carica  di  medico  assistente  al  prof.  Pa- 
lazzi medico-chirurgo  primario  in  detto  pio  stabi- 
limento (1).  «  Emaciazione  estrema,  tosse    molesta 


(i)  Onorata  ricordanza  dobbiamo  qui  fare  dello  zelo, eoa  cui 
gareggiano  nel  prefato  spedale  il  benemerito  marchese  Pietra- 
mellara  presidente  della  commissione  amministrativa  del  medesi- 
mo ,  e  il  prelodato  sig.  prof.  Palazzi,  tributando  ad  entrambi 
le  giuste  lodi.  Il  secondo,  cioè  il  sig.  Palazzi  ,    a  progresso  della 


Rivista  Medica.  23 

B  nelle  ore  della  notte,  e  seguita  nel  mattino  da 
«  sputo  copiosissimo,  piuttosto  denso  di  un  colore 
«  alle  volte  giallo-verdastro,  striato  di  sangne,  altre 
«  volte  di  un  colore  cinereo  tendente  al  nero,  di  un 


medicina  ed  a  vantaggio  dell'umanità,  dopo  avere  nelle  croniche 
malattie  tentati  inutilmente  i  metodi  di  cura  più  commendati 
dalla  pratica,  viene  a  mano  a  mano  cimentando  quei  nuovi ,  di 
cui  yantansi  dai  giornali  i  fortunati  successi. 11  presidente  d'altron- 
de, nel  favorire  quest'ultimo  divisamento,  vuole  che  niun  mezzo 
si  lasci  intentato,  ancorché  di  alto  prezzo,  purché  idoneo  riten- 
gasi ad  arrecare  un  qualche  conforto  agl'infelici  infermi  di  cro- 
niche infermità,  cui  quell'ospitale  é  destinato.  Ed  il  locale  altre- 
sì ha  ricevuto  molti  ed  utilissimi  miglioramenti  per  le  cure  di 
quella  commissiono  amministrativa,  che  gelosa  è  stata  di  secon- 
dare le  paterne  intenzioni  di  quell'  eminenlissimo  arcivescovo. 
Con  lavori  quindi  più  decorosi  ed  eleganti,  ma  insieme  più  op- 
portuni per  lo  ben  essere  dei  malati,  si  é  provveduto  all'  abban- 
dono di  qualche  sala  umida,  poco  ventilata,  ed  in.=iilubre  ,  col 
sostituirvi  in  un  quadrato  capace  di  numero  i8o  infermi  ,,  quat- 
„  tro  ampie  sale  spaziose  e  ben  ventilate,  due  per  gli  uomini  e 
,,  due  per  le  donne.  Gli  affetti  di  morbi  venerei  e  sordidi  cu- 
,,  tanei  vengono  accolti  in  sale  separate  ,  che  sonosi  di  molto 
„  migliorate.  V'ha  un  nuovo  locale  per  i  bagni  ad  acqua  ,  il 
„  quale  alla  comodità  unisce  una  certa  eleganza.  L'arena  pei  ba- 
j,  gni  a  vapore  è  stata  ridotta  a  maggiore  ampiezza,  e  le  modi- 
„  ficazioni  aggiuntevi  le  hanno  tolto  alcuni  difetti,  per  cui  è 
,,  molto  preferibile  a  quella  ch'eravi  in  addietro.  Anche  il  loca- 
,,  le  destinato  alla  cura  dei  pazzi  abbisognava  non  solo  di  esse* 
,,  re  ampliato,  ma  eziandio  che  gli  si  togliessero  non  poche  im- 
,,  perfezioni,  le  quali  lo  rendevano  disadatto  al  trattamento  di 
,,  siffatti  ammalati.  A  ciò  ha  rivolto  provvidamente  la  sua  atten- 
„  zione  la  suddetta  benemerita  commissione  ,  ed  al  presente  si 
,,  sta  innalzando  in  vicinanza  all'antico  un  nuovo  fabbricato: 
,,  compito  il  quale  ,  avranno  quegl'infelici  una  più  sana  e  co- 
,,  moda  dimora,  potranno  instituirsi  le  necessarie  separazioni  ri- 
,,  chieste  dalle  varie  specie  di  pazzia,  si  renderà  più  facile  e  più, 
„  sollecita  la  operazione,  e  cos'i  avrassi  uno  stabilimento  non  in- 
„  feriore  ai  molti  ,  che  l'odierna  civiltà  ha  perfezionati  in  Ita- 
„  lia,  e  di  ornamento  e  di  decoro  a  questa  nostra  città.  ,, 


24  Scienze 

«  odore  felentisslmo,  difficolta  di  respiro  continua 
«  e  costante  in  qualunque  posizione  del  corpo,  sia 
"  nel  letto,  che  alzato,  accompagnata  da  un  senso 
«  molestissimo  di  peso  e  di  oppressione  a  tutto  il 
«  torace,  sebbene  assaissimo  remittente  nel  mattino, 
«  con  sudori  parziali,  viscidi  e  profusi,  ed  esacer- 
«  bantesi  vicino  a  sera,  sensazioni  dolorose  e  tensio- 
«  ne  alla  regione  ombelllcale,  diarea,  orine  scarse, 
«  di  un  color  carico  e  quasi  sempre  sedimentose, 
«  dispepsia,  ed  abbattimento  morale  (  cosa  straor- 
«  dinaria,  perchè  con  coraggio  e  somma  tranquUli- 
«  tà  aveva  tino  ad  ora  sofferti  tanti  mali):  tali  erano 
«  i  morbosi  fenomeni  che  offeriva  l'infermo,  i  quali 
«  pur  troppo  ci  costringevano  a  lasciare  ogni  spe- 
«   ranza  di  ricondurlo  in  salute.  „ 

Una  lunga  serie  di  terapeutici  presldli  fu  posta 
inutilmente  in  opera  per  l'indicato  corso  di  circa 
tre  anni,  con  somma  attività  e  costanza,  con  lo  scopo 
di  debellare  questa  terribile  malattia.  Non  si  rispar- 
miò di  tratto  in  tratto  il  salasso,  qualunque  volta 
una  forte  esacerbazlone  lo  richiedeva  :  si  applica- 
rono ripetutamente  sanguisughe  al  torace  ed  all'ad- 
dome; si  praticarono  molte  fiate  frizioni  stibiate  al 
torace,  e  replicati  vescicanti  alle  braccia,  non  che 
in  ultimo  due  fonticoli:  si  usò  lungamente  il  kermes 
minerale,  la  scllla,  la  gomma  ammoniaca,  l'estratto 
di  aconito,  la  mirra,  i  semi  di  fellandria,  l'acqua  di 
calce,  quella  di  catrame,  i  decotti  di  poligala  ama- 
ra e  di  lichen  islandico,  il  decotto  di  Settala,  il  latte 
in  molta  copia,  l'acetato  di  saturno,  il  fumo  delle 
foglie  di  atropa  belladonna  state  prima  infuse  in 
una  tintura  di  oppio,  l'acido  idrocianlco  di  Magen- 
die,  l'inspirazione  del  gas  cloro,  dell'aria  marittima; 
ne  finalmente  si  trascurarono  i    purganti    oleosi,  i 


RiriSTA  Medica  25 

clisteri,  ed  i  mucilaginosi,  quante  volte  furono  dal- 
la circostanza  richiesti.  In  onta  però  di  sì  insistenti 
tentativi  mancò  ai  viventi  1'  infermo  nell'  otto- 
bre 1831. 

Infra  i  vari  trovamenti  nescroscopicì,  isvelati 
dall'autopsia  cadaverica,  riflessibili  sono  i  seguenti. 
Si  rinvennero  quasi  intieramente  ossificate  l'estre- 
mità sternali  delle  coste  e  vere  e  spurie.  La  pleura 
costale  aderiva  per  molte  briglie  alla  polmonare  ; 
era  la  prima  in  molti  punti  realmente  ossificata  per 
lunghi  tratti,  particolarmente  nelle  regioni  superio- 
re ed  anteriore  di  amendae  i  lati  del  torace,  che 
corrispondono  alla  3^,  4^  e  5^  costa  vera.  A  mano 
a  mano  che  la  medesima  si  estendeva  tanto  anterior- 
mente verso  lo  sterno,  quanto  posteriormente  verso  . 
la  colonna  vertebrale,  vestiva  natura  cartilaginea 
marcatissima.  assai  grossa  e  robusta,  la  quale  però 
andava  assottigliando,ed  ofi'eriva  piuttosto  i  caratteri 
del  tessuto  fibroso  e  nelle  parti  superiori  che  guar- 
dano le  prime  due  coste,  ed  inferiormente  ove  ade- 
risce al  diafragma.  La  pleura  polmonare  alquanto 
ingrossata,  e  sparsa  qua  e  la  di  pseudo-membrane. 
L'interno  tessuto  polmonare  guasto  ed  interamente 
distrutto;ampie  caverne  fra  loro  comunicanti,  e  con- 
tenenti alcune  un  materiale  marcioso,  ne  tenevano 
le  veci.  Piccolo  e  ristretto  lo  stomaco;  aumentato  di 
volume  il  fegato,  di  colore  giallognolo  e  di  una  du- 
X'czza  considerevole  ;  la  villosa  del  digiuno  e  piìi 
quella  dell'ileo  di  un  color  rosso-cupo,  qua  e  la 
sparsa  di  esulcerazioni,  e  al  di  sotto  di  esse  materia 
tubercolare.  La  pelvi  del  rene  destro  moltissimo  di- 
stesa, perchè  occupata  da  un  calcolo  di  renella  si- 
migliantissima  all'arena,  della  grandezza  di  un  uo- 
vo di  piccione,  le  particelle  di  cui  avevano  fra    loro 


26  Scienze 

pochissima  adesione.  Si  tennero  dal  N.  A.  per  mol- 
ti mesi  in  macerazione  le  coste  unitamente  alle  por- 
zioni ossee  di  pleura  che  ad  esse  aderivano  ;  venne 
con  tal  processo  distrutta  la  porzione  cartilaginea, 
e  rimasero  attaccate  alle  coste  sei  lamine  o  finestre 
ossee,  quattro  delie  quali  della  forma  e  del  diame- 
tro di  un  parietale  di  un  feto  settimestre,  e  le  due 
altre  più  piccole;  e  tali  lamine  presentavano  tutt'i 
caratteri  fisici  di  una  fisiologica  ossificazione. 

Lo  studio  dei  rapporti  fra  le  organiche  lesio- 
ni dalla  necroscopia  appalesate,  ed  i  sintomi  che 
han  segnato  il  corso  del  morbo,  ha  formato  il  su- 
bietto delle  meditazioni  del  N.  A.,  il  quale  alla  rife- 
rita istoria  aggiugne  preziosissime  considerazioni 
fisiologico-patologiche  che  rendono  assai  istruttivo 
il  suo  lavoro.  Dalla  degenerazione  osseo-^cartilaginea 
della  pleura  costale,  assai  meglio  che  dai  profondi 
guasti  dei  polmoni,  viene  spiegata  la  costante  e  mo- 
lesta difficoltà  sperimentata  dall'infermo  nell'  atto 
della  inspirazione  all'innalzamento  delle  coste.  A 
buon  senno  infatti  riflette  il  sig.  Paolini,  che  negli 
ammalati  di  sola  tisi  polmonare  la  difficolta  del  re- 
spiro o  non  compare  che  nell'ultimo  stadio,  oppu- 
re comparendo  dapprima  segue  per  lo  piìi  le  vicen- 
de degli  altri  morbosi  fenomeni  ,  d'  inasprimento 
cioè  e  di  tregua.  Ma  ingegnosa  oltre  modo  ed  assai 
soddisfacente  troviamo  l'applicazione  analogica  del- 
le odierne  cognizioni  che  possediamo  in  fisiologia, 
affin  di  rendere  qualche  ragione  di  un  singolare  fe- 
nomeno, che  precede  le  ultime  ore  del  vivere  de- 
gl'infermi di  tisi  polmonare.  La  morte  ivi  di  al- 
cuni di  essi  è  preceduta  da  una  placida  agonia,  ed 
il  respiro  degl'infermi  di  poco  si  fa  più  frequen- 
te ;  mentre  all'opposto   in   altri  presenta   l'infermo 


Rivista  Medica  27 

un  orribile  e  miserando  spettacolo  di  difficolta  di 
respiro  salita  al  grado  di  ortofnea,  di  aspetto  spa- 
ventato, di  smanie  terribili,  di  conati  assidui  per 
soddisfare  al  pressantissimo  bisogno  che  ha  di  re- 
spirare. Or  cjuesti  due  opposti  stati  sembra  che  deb' 
bano  essere  ingenerati  da  due  opposte  cagioni,  e 
che  diverse  fra  loro,  dice  l'A.,  debbano  offrirsi  le 
alterazioni  patologiche  degli  organi  polmonari,  o 
sia  per  l'estensione  e  la  profondità  loro,  o  sia  per  la 
prevalenza  del  morboso  processo  in  parti  piìi  o  me- 
no essenziali  all'eseguimento  di  cos'i  importante  fun- 
zione. E  per  render  qualche  ragione  di  cotale  sin- 
golarità, profittando  il  N.  A.  de'lumi  che  possedia- 
mo in  grazia  degli  esperimenti  del  Rolando,  del 
Legallois,  del  Wilson  Philipp  e  del  Brachct,  ap- 
plicandone al  caso  in  proposito  i  principii  fisiologi- 
ci (1),  conghiettura,  che  sebbene  le  alterazioni   pa- 


(i)  Sottoponendo  il  sig.  Brachet  ad  accurate  investigazioni 
il  sistema  nervoso  ganglionarCj  ed  il  nervo  pneurno-gastrico  ,  e 
studiando  in  pari  tempo  l'influenza  che  questi  esercitano  sulla 
funzione  dei  polnioni,  giunse  colla  scorta  dei  fatti  a  poter  de- 
durre, che  i  nervi  gangUonari  presiedono  ai  cangiamenti  chimici 
del  sangue  ed  alla  secrezione  bronchiale,  mentre  che  al  pneurno- 
gastrico  compete  1'  ufficio  di  ricevere  e  trasportare  l'impressione 
al  cervello  che  genera  la  sensazione  del  bisogno  di  respirare,  non 
che  qualunque  impressione  disaggradevole  prodotta  nei  bronchi 
dalla  presenza  incomoda  del  muco  e  di  qualsiasi  altro  corpo 
straniero.  Cosicché,  in  virtù  di  tale  ufficio  assegnato  al  nervo 
pneumo-gastrico,  il  taglio  di  esso  aegll  esperimenti  dei  bruti 
non  permette  più  di  sentire  l'arrivo  del  sangue  ne'polmoni,  nò 
di  provare  la  sensazione  che  ingenera  la  privazione  dell'aria  re- 
spirabile; sensazione  in  vero,  che  ove  non  siasi  tocco  il  predetto 
nervo,  provasi  in  alto  grado,  e  con  tutte  le  forze  tentasi  di  sod- 
disfare, con  agitazioni  cioè,  con  apertura  della  bocca,  con  dilata- 
zione delle  narici. 


28  Scienze 

tologiche  le  più  rimarchevoli  sieno  in  apparenza  si- 
mìglianti  tanto  in  chi  fra  i  menzionati  infermi  fini- 
sce placidamente  i  suoi  giorni,  quanto  in  coloro 
che  muoiono  agitati  da  feroci  smanie  per  respirare, 
nulladimeno  prevalendo  nei  primi  i  guasti  nelle 
propagini  nervose  dell'ottavo  palo  trovansi  nelle 
istesse  condizioni  di  quegli  animali,  cui  fu  questo 
nervo  reciso  sotto  gli  esperimenti  indicati  dal  Bra-» 
chet.  Laddove  gli  altri  infermi,  cioè  nei  secondi , 
conservandosi  intatte  di  esso  nervo  alcune  dirama- 
zioni, provano  un  irresistibile  bisogno  di  respirare, 
mentre  per  le  degenerazioni  degli  organi,  da  cui 
questa  funzione  dipende,  mancano  in  molta  parte 
di  mezzi  onde  poterlo  appagare. 

La  prodigiosa  copia  di  densa  marcia,  che  per 
un  triennio  gittò  fuori  dai  bronchi  l'infermo  del 
N.  A.,  viene  in  conferma  della  dottrina  di  quei  cli-< 
nici  ,  i  quali  ritengono  non  essere  sempre  quella 
in  proporzione  colla  estensione  e  col  grado  di  dU 
slruzione  del  tessuto  polmonare,  cui  da  luogo  il  ram- 
mollimento dei  tubercoli;  e  non  esserne  l'esclusivo 
prodotto,  ma  effettuarsi  pur  anco  per  opera  di  un 
filtro  morboso,  o  di  una  secrezione  purulenta,  la 
quale  ha  luogo  dalle  pareti  spettanti  all'incavo  ul- 
ceroso, e  dagli  stessi  bronchi.  Per  tale  continua  ed 
abbondante  secrezione  di  pus  egli  e  che  depaupe^ 
rato  viene  il  liquido  riparatore  di  molta  parte  di 
allumina  necessaria  alla  nutrizione,  e  perdono  gl'in- 
fermi la  vita  nello  stato  di  deplorabile  marasmo, 
Dal  che  desume  il  N.  A.  la  giustissima  avvertenza, 
che  tanto  più  sollecito  l'Infausto  fine  sopravviene, 
quanto  più  severa  è  la  dieta  a  simili  pazienti  pre- 
scritta, ed  energico  il  metodo  controstimolante  pra- 
ticato ;  essendosi  egli  convinto  che  sono   di   molto 


Rivista  Medica  29 

tllaggìori  i  danni  da  un  tal  trattamento  derivanti 
alla  organica  assimilazione,  all'ematosìi  alla  nutri- 
zione ed  all'universale  del  malato,  che  i  vantaggi 
cui  ritrae  per  la  influenza  di  lui  la  parte  affetta. 
La  trasformazione  osseo^cartilaginea  della  pleu- 
ra venne  dal  N.A.  dimostrata  mercè  della  consisten- 
za, colore,  forma,  disposizione  delle  lamine,  mercè 
della  tessitura  insomma  identica  a  quella  che  nello 
stato  normale  dei  due  tessuti  osseo  e  cartilagineo 
riscontransi.  La  possibilità  di  cotale  trasformazione 
ossea  delle  membrane  sierose  e  della  pleura  viene 
roborata  dalle  osservazioni  anatomico-patologiche  di 
vari  scrittori  ;  e  Tetiologia  perfine  se  ne  contem- 
pla dal  sig.  Paolini)  la  cagione  cioè  di  quest'orga- 
nico pervertimento.  E  declinando  in  tale  indagine 
dall'esclusivo  parere  di  coloro,  che  il  risguardaro- 
no  come  risultamento,  o  della  irritazione,  o  della 
flogosi  ,  o  di  altrettante  conseguenze  di  specifiche 
materiali  alterazioni  dei  solidi  e  dei  liquidi  essen- 
zialmente fra  loro  diverse,  fiancheggiato  dalle  fisio- 
logiche considerazioni  del  Tommasini  e  del  Medici, 
e  dalle  belle  osservazioni  microscopiche  instituite 
dal  Raspail  al  fine  di  scoprire  il  meccanismo  che 
tiene  la  natura  nella  fisiologica  primordiale  ossifi- 
cazione e  nell'accrescimento  progressivo  delle  ossa, 
è  di  opinione  che  le  morbose  trasformazioni  ossee 
cartilaginee  e  fibrose  debbano  ritenersi  come  modi 
o  gradi  di  una  stessa  condizione  morbosa.  E  men- 
tre per  le  osservazioni  del  Raspail  rimane  nel  ca- 
so in  quistione  rischiarato  il  meccanismo  dell'ac- 
cidentale ossificazione  delle  membrane  sierose,  gli 
eccellenti  lavori  del  Panizza  d'  altronde  pongono 
fuor  di  ogni  dubbio  la  tessitura  di  esse  eminente- 
mente vascolare.  Per  lo  che  probabile  giudica  il  N. 


30  Scienze 

A.,  che  prevalendo  pef  l'ima  parte  nel  sangue,  per 
un*  alterazione  della  sua  crasi ,  il  carbonato  ed  il 
fosfato  di  calce,  oppure  quegli  elementi  dai  quali 
questi  sali  risultano,  ed  avendo  luogo  per  l'altra 
dietro  l'azione  di  un  morboso  stimolo  un  afflusso 
maggiore  di  sangue  nei  vasi  che  per  le  sierose  in 
molto  numero  Serpeggiano,  si  formi  l'incrostamento 
calcare  nelle  pareti  dei  vasi,  e  ne  risulti  l'ossifi- 
cazione :  ossificazione  che  per  le  cose  dichiarate  è 
verisimile  che  investa  il  vero  tessuto  membranoso. 
Concorre  a  questo  morboso  risultamento,  ad  avviso 
pur  dell'A.,  l'iperemia  o  l'infiammazione:  dalla  qual 
circostanza  viene  probabilmente  favorito  il  mecca- 
nismo dell'incrostamento.  Effetto  poi  dell'esaurimen- 
to della  vitale  energia  debbe  considerarsi  l'alterata 
miscela  del  sangue,  ed  analoga  perciò  a  quella  per 
cui  si  effettuano  nella  età  senile  estese  ossificazioni 
di  vasi  e  di  membrane.  Vien  ciò  comprovato  dalla 
considerazione  delle  cause  che  a  cotesti  alteramenti 
danno  luogo;  tali  sono  l'abuso  del  vino  e  dei  liquo- 
ri spiritosi ,  le  smodate  fatiche  lungamente  soste- 
nute, e  gli  eccessi  di  ogni  genere  che  per  l'esau- 
rimento del  principio  vitale  inducono  una  precoce 
decrepitezza. 

Dopo  queste  ed  altre  molte  ben  apprezzabili 
premesse  discende  il  N.  A.  a  conchiudere  nelle  se- 
guenti forme  sul  conto  delle  parziali  ossificazioni, 
e  sul  proposito  di  analogia  di  certi  processi  mor- 
bosi ad  essa  affini.  „  Per  le  quali  cose  tutte  (egli 
„  dice)  parmi  verosimile,  che  qualora  in  chi  per 
„  le  cagioni  esposte  si  generò  quella  miscela  del  san- 
„  gue  per  la  quale  vi  soprabbondano  le  sostanze 
„  calcari,  l'opera  dei  reni  normalmente  proceda,  e 
„  con  tanta  energia  da  essere  sufficiente  a  liberarne 


Rivista  Medica  3f 

f,  il  sangue,  si  aLbia  in  allora  quella  forma  parti- 
^,  colare  di  malattia  che  si  denomina  renella;  si  pro- 
„  duca  in  altri  la  gotta,  perchè  le  loro  abitudini, 
„  gli  abusi  di  venere  cioè,  il  sonno  e  le  oziose  piu- 
„  me  affievolendo  le  forze  nerveo-muscolari,  e  pre- 
„  valendo  la  lassezza,  intervengono  facilmente  ipe- 
,,  remie  o  infiammazioni  nelle  articolazioni,  per  cui 
„  ivi  quelle  si  separano  a  preferenza;  e  finalmente 
„  in  altri  procedendo  imperfettamente  l'opera  dei 
„  reni  ,  e  per  qualsivoglia  cagione  sviluppandosi 
„  una  attiva  congestione,  od  un  infiammazione  nel- 
„  le  membrane,  ne  conseguita  di  queste  la  ossifi- 
„  cazione  „...,,  Per  tal  modo  considerando  la  con- 
„  gestione  vascolare  e  Tinfiammazione  come  le  ca- 
,,  gioni  prossime  di  quest'ultima  degenerazione,  si 
„  spiega  agevolmente  come  ora  divenga  ossea  la 
„  pleura,  ora  raracnoide  del  cervello  ^  ora  quella 
„  del  midollo  spinale,  ora  il  peritoneo,  che  inve- 
„  ste  il  diafragma  ec.  Ondechè  parmi  di  poter  con- 
„  chiudere,  che  la  trasformazione  ossea  e  cartila- 
„  ginea  della  pleura  costale  del  Toccati  (tal  era  il 
„  nome  del  subietto  della  presente  istoria)  debba 
„  probabilmente  considerarsi  un  risultamento  im- 
„  mediato  dei  replicati  attacchi  infiammatorii  della 
„  pleura,  che  unitamente  a  quelli  dei  polmoni  egli 
„  ebbe  a  soggiacere.  „ 

Ne  men  sagace  delle  altre,  o  men  ricercata  con 
medica  filosofia,  si  è  la  spiegazione  che  ci  offre  il 
N.  A.  della  grave  degenerazione  tubercolosa  dei  pol- 
moni ravvisata  nel  suo  infermo  per  isquittinarne  le 
attenenze  con  le  altre  rimarcate  lesioni.  Se  conge- 
nita non  era  in  quest'ultimo  ed  originaria  la  di- 
sposizione all'affezione  tubercolare,  debb'egli  averla 
lucrata  e  col  valor  delle    precedute  cagioni  e  col 


32  S   e   1   E   K   «  E 

rigore  dello  tollerate  morbose  influenze.  E  qui 
spinge  piìi  oltre  le  sue  ricerche  il  N.  A.  per  con- 
chiuderne, ove  fia  possibile,  che  la  morbosa  con- 
dizione dell'innervazione  e  della  crasi  del  liquido 
riparatore,  da  cui  derivano  i  tubercoli  nei  polmoni, 
sia  per  avventura  uguale  od  analoga  a  quella  che 
ha  prodotta  l'ossificazione  nella  pleura.  Vari  argo- 
menti riunisce  in  sostegno  del  suo  assunto  e  di  co- 
tal  conchiusione,  che  stabilisce  per  verisimile,  per- 
chè appoggiato  a  medesimezza  o  almeno  analogia  di 
cause,  ai  caratteri  fisici  dei  tubercoli,  alle  analisi 
chimiche  dei  medesimi  istituite  dal  Thenard,  alle 
ricerche  di  William  Henry,  alle  sperienze  di  Proust, 
ed  alle  osservazioni  di  Dupuy. 

Con  un  sommario  finalmente  di  considerazio- 
ni terapeutiche  chiude  il  sig.  Paolini  questa  bella 
e  preziosa  memoria  di  cui  favelliamo,  e  che  utili 
possono  tornare  ai  cultori  dell'arte  salutare.  Fra  i 
vari  farmachi  recentemente  preconizzati  nella  cura 
della  tisichezza,  e  che  vennero,  siccome  superior- 
mente si  disse,  amministrati,  si  conobbe  che  il  pa- 
ziente non  ritrasse  profitto  dall'  acido  idrocianico 
propinato  sotto  la  formola  di  Magendie.  Parve  dap- 
prima che  diminuissero  d'  intensità  le  vespertine 
esacerbazioni;  ma  niun  cangiamento  si  rimarcò  ne- 
gli sputi  e  negli  altri  sintomi  ,  mentre  l' infermo 
aveva  d'altronde  perduto  affatto  l'appetito,  e  lan- 
guido sentivasi  estremamente.  La  belladonna  provo- 
cava la  tosse,  e  cagionava  stordimenti  e  capogiri. 
Fu  in  sulle  prime  abbastanza  tollerato  l'uso  dell'a- 
cetato di  saturno,  e  parve  moderasse  i  profusi  su- 
dori parziali;  ma  in  seguito  suscitò  lancinanti  dolori 
nel  tubo  intestinale,  che  furon  vinti  dagli  oleosi  e 
da' clisteri  mucilaginosi.  Non  si  promosse  grave  in-: 


Rivista  Medica  33 

sulto  di  tosse,  ne  alcuna  molesta  sensazione  dalla  in- 
spirazione del  cloro  gazoso,  e  soltanto  qualche  lieve 
colpo  di  tosse  alla  sua  prima  impressione;  ma  ancor 
questo  sussidio  terapeutico,  sebben  continuato  per 
un  intiero  mese,  ebbe  la  istessa  sorte  degli  altri  , 
siccome  inutile  riuscì  in  tre  altri  infermi  della  stes- 
sa malattia,  ad  onta  dei  prodigi  che  diconsi  operati 
dal  cloro  da  Gannal  e  da  Gottereau.  Invalse  già 
da  lungo  tempo  il  consiglio  di  far  dimorare  i  ti- 
sici nelle  stalle,  siccome  pur  fece  l'infermo  del  sig. 
Paolini  ,  o  di  soggiornare  in  vicinanza  di  valli  o 
di  paludi  ;  ma  inefficace  ed  anzi  dannoso  giusta- 
mente ritiensi  dal  N.  A.  cotal  suggerimento.  L'os- 
servazione infatti  dimostra,  come  collocati  quest'in- 
felici sotto  un'  atmosfera  umida  e  bassa  o  viziata 
da  eterogenee  emanazioni,  piìi  prestamente  si  muo- 
iano; mentre  dall'altro  canto  le  autopsìe  fatte  da 
Reynaud  ,  da  Andrai  e  da  altri  ,  han  fatto  cono- 
scere con  quale  facilita  gli  animali  trasportati  dal- 
le contrade  meridionali  in  un  clima  umido  e  fred- 
do, o  rinchiusi  senza  sole,  contraggano  l'affezione  tu- 
bercolare. Per  lo  che  saviamente  conchiude  il  N.  A. 
con  Forget,  che  l'influenza  di  un  bel  clima  è  so- 
la capace  di  prolungare  l'esistenza  dei  tisici. 

TONELLI 


G.  A.  T.  LXXIII. 


34 


Sulla  logica,  o  sia  primo  trattato  del  Corso  di  fi- 
losofia del  sacerdote  veneto  Antonio  Giusti  pro- 
fessore di  essa  disciplina  nell'I.  R.  liceo  convitto 
di  Venezia.  Venezia  183G.  Lettera  critica  di  fra- 
te Domenico  BruschelU  M.  C,  professore  emerito 
di  logica  e  metafìsica  nella  pontificia  università 
di  Perugia,  alla  Eccellenza   Reverendissima    di 


monsignor  Carlo  Emmanuele  de'conti  Muzzarelli 


uditore  della  s,  romana  rota  ec>  ec>  ec. 


D, 


esiderava  io  da  gran  tempo  e  vivamente  di  con- 
sacrarvi, monsignor  mio   stimatissimo,  un   qualche 
argomento   di  ossequio,    pel    quale    io    dimostrassi 
pubblicamente    fino   a  qual  segno  mi    onori  della 
dolcissima  e   generosa  benivolenza  che  mi  concede- 
te. Ne  prima  d'ora  io  venni  a  ciò,  impedito  dal  ti- 
more di  offerirvi  cosa  che  al  vostro  pregevole  aggra- 
dimento non  si  uguagliasse.  Tuttavia    considerando 
nel  mio  pensiero  che  un  letterato  e  dotto  ,  quale 
voi  siete,  non  può  non  riunire  alla  profonda  sapien- 
za quella  nobile  e  delicata  gentilezza  che  è  tanta  par- 
te delle  anime  eulte,  mi  sono  determinato    ad  inti- 
tolarvi la  presente  epistola,  la    cjuale  ad   altro  non 
intende,  se  non  a  sottoporre  al  vostro    giudizio   al- 
cune osservazioni  che  mi  è  sembrato  buono  di  fare 
intorno  al  primo  trattato  del  nuovo  corso  di  filosofia 
che  è  dato  alla  luce  in  Venezia   dal   signor    Giusti 
colla  promessa  del  compimento.  E  mi  sollevo  a  spe- 
rare che  non  avrete  in  ispregio   l'offerta  ,  comechè 


Corso  filosofico  del  Giusti  35 

tenue;  non  gik  perchè  io  la  presuma  degna  dì  voi; 
SI  bene  perchè  grazioso  costantemente  verso  di  me, 
l'avrete  a  grado,  e  vorrete  tutelarla  col  patrocinio 
di  un  nome  che  ad  ogni  saggio  e  valente  suona  per 
fama  insigne  sì  venerato  e  carissimo.  Dopo  di  che 
vengo  liberamente  al  proposito. 

E  innanzi  tratto,  quantunque  niente  per  av- 
ventura di  nuovo  ci  dia  quest'opera  sotto  T  aspetto 
della  invenzione,  dacché  procede  con  cjuegli  stessi 
andamenti  che  dal  comune  dei  logici  e  dei  dialettici 
da  qualche  secolo  in  poi  furono  praticati  ;  sembra- 
mi tuttavia  per  ciò  stesso  ben  commendevole  il  no- 
stro autore  per  aver  dato  col  proprio  fitto  a  cono- 
scere, siccome  in  punto  di  scienze,  ma  specialmente 
di  logica  (  la  quale  delle  altre  tutte  bassi  a  chiama- 
re il  fondamento),  potrebbe  la  novità  agevolmente 
trasmodare  in  pericolo;  e  quindi  meglio  seguirsi  in 
essa  le  tracce  dei  nostri  antichi  di  quello  che  espor- 
si al  rischio  di  non  sicuro  do2,matizare. 

E  veramente  il  signor  Giusti  ha  diviso  la  sua 
logica  in  cinque  parti  che  a  un  dipresso  equivalgono 
alla  omai  vieta,  se  dir  si  voglia,  distribuzione  della 
medesima  solita  a  farsi  precipuamente  dalla  piìi 
parte  delle  scuole  monastiche.  Imperocché  nella 
prima  si  discori'e  delle  facoltà  e  delle  operazioni 
dell  anima;  nella  seconda  si  comprendono  le  idee  ed 
i  vocaboli  che  ne  sono  i  nomi;  nella  terza  i  giudizi  , 
le  proposizioni,  i  raziocini  e  le  argomentazioni;  nel- 
la cjuarta  si  pone  il  modo  ad  accertarsi  della  verità; 
e  nella  quinta  il  metodo  d'investigare  la  stessa  veri- 
tà e  di  proporla  agli  altri. 

Nello  svolgimento  per  altro  della  materia  non 
temerò  di  proferire,  che  il  sig.  Giusti,  se  non  pri- 
mo e  solo,  certo  è  da  stimare  a   ninno  secondo  fra  i 


36  Scienze 

perspicaci  e  savi  ideologisti  del  tempo  nostro  ;  flou 
tanto  per  la  notevole  perspicuità  dello  stile  ,  e  per 
quell'ordine  lucido,  che  il  venosino  apprende  a 
qualsivoglia  scrittore  ,  quanto  per  la  sodezza  dei 
pensamenti,  per  la  giustezza  delle  ponderazioni,  per 
la  esattezza  dei  raziocini,  onde  la  sua  beli'  opera  si 
fornisce.  Talché  io  bramerei,  e  penso  che  ogni  buo- 
no del  pari  lo  bramerebbe,  che  questa  logica  larga- 
mente si  divulgasse  nella  penisola  in  preferenza  di 
molte  altre  che  intollerabilmente  e'  ingombrano  , 
acciocché  dai  giovani  si  studiasse  con  desiderio  pri- 
ma di  avventurarsi  al  travalico,  se  lice  usare  cotal 
parola,  del  mare  immenso  di  cfuella  scienza,  la  qua- 
le come  è  atta  e  possente  a  sublimare  gli  spiriti  e  a 
ben  dirigerli  se  vi  si  attenda  con  sobrietà,  cosi  gli 
altera  e  li  disperde,  ove  con  improvida  intempe- 
ranza   sia  coltivata. 

Viviamo  un  secolo,  in  cui  la  sana  filosofia  è  ne- 
cessaria alle  nazioni  piìi  che  noi  fosse  in  altro  tem- 
po giammai;  e  per  aggiungere  ad  una  sana  filoso- 
fia, d'uopo  è  informarsi  ad  una  logica  sana.  Dac- 
ché al  certo  non  altramente  che  per  la  logica  si  af- 
frenano  le  tendenze  più  o  meno  energiche  di  co- 
loro, che  si  consacrano  alla  sapienza;  e  da  siffatto 
moderamento  tutto  dipende  il  ben  riuscire  dei  gio- 
vanetti che  avranno  un  giorno  somma  influenza  nel- 
le civili  bisogne  della  repubblica.  Ora  penso  che 
toccherobbesi  a  questo  scopo  si  rilevato  per  la  ope- 
ra egregia  di  cui   parliamo. 

E  lasciato  a  parte  ch'essa  non  mostra  servilità 
di  partito  per  cliicchcssia  dei  filosofi;  dacché  sic- 
come è  franca  da  un  lato  ad  impugnare  anche  dei 
pìlj  rinomati  quel  che  non  sembra  esattissimo,  cos'i 
dall'altro  é  sincera  nell'applau  lire  alle  opinioni  di 


Corso  filosofico  del  Giusti  37 

quelli  che  segnalaronsi  per  buona  fede  nell'ardua 
ricerca  della  verità;  dirò  solo,  che  i  principii  da 
lui  gittati  sono  di  tal  maniera  ben  fermi,  che  men- 
tre guidano  l'intelletto  a  seguire  la  serie  delle  opi- 
nioni ideologiche  ,  troncano  al  primo  colpo  tutti 
i  sofismi  dello  insidioso  materialismo. 

Difatto  poteva  egli  essere   più   giudizioso    nel 
segnare  il  principal  fondamento  di  tutte  le  umane 
cognizioni?  Lo  stabilisce  l'autor  chiarissimo  nel  sen- 
so intimo  e  universale  di  tutti  gii  uomini,  cioè  a 
dire  m  quella  interna   consapevolezza  di  ciasche- 
duno, che  è  appellata  coscienza.  Quali  utili  conse- 
guenze si  derivino  da  cosiffatto  principio,    chiun- 
que ha  fiore  di  senno    ben    chiaramente   lo   vede. 
Con  ciò  è  dimostrata  la  essenziale  attività  ed  ener- 
gia dell'anima  nostra,  e  viene  al  tempo  medesimo 
disvelata  la  falsità  di  que'sistemi,  su  cui  pretendo- 
no di  puntellare  l'ideologia  i  passionati  fautori  del 
sensualismo.  Dai  quali  si  fa  gran  plauso  a  certuni, 
che,  non  ostante  le  loro  belle  parole,  hanno  la  mi- 
ra di  attribuire  all'animale  organismo  ciò  che  non 
può  derivare  se  non  da  un  essere  puramente  spi- 
rituale. 

Di  che  doveva  seguitare,  che  il  sig.  Giusti  si 
andasse  allargando,  siccome  ha  fatto  con  tutta  la 
precisione,  sulle  varie  operazioni  dell'anima,  enu- 
merandone gl'incrementi,  e  con  vera  critica  espo- 
nendo di  esse  i  diflferenti  fenomeni.  Il  perchè  dob- 
biamo accertarci,  che  quanto  resta  del  suo  lavoro, 
allorquando,  come  ci  confidiamo,  sarà  di  pubblica 
ragione  ,  a  così  beili  preludi  perfettamente  ri- 
sponderà. 

La  terza  parte  di  questa  logica  ci  offre  un  ot- 


38  Scienze 

timo  quadro,  per  cosi  esprimermi,  di  tutto  ciò  che 
appartiene  alla  manifestazione  dei  pensamenti,  spie- 
gando con  sempre  uguale  chiarezza  come  si  enun- 
cino i  giudizi  ed  i  raziocini,  e  quali  sieno  le  for- 
me delle  diverse  argomentazioni.  E  la  quarta  posa 
i  criteri  della  verità;  e  finalmente  la  quinta  tratta, 
come  dicemmo,  del  metodo  e  di  cercarla  per  se 
medesimi,  e  di  proporla  agli  altri.  E  qui  è  da  no- 
tare fra  molte  cose  quel  giustissimo  esame  com- 
parativo che  istituisce  l'autore  intorno  ai  due  me- 
todi, cioè  l'analitico  e  il  sintetico,  non  che  l'appli- 
cazione di  ambedue  alla  invenzione  ed  allo  inse- 
gnamento; cose  vanamente  desiderate  in  molte  ope- 
re di  cotal  genere,  e  perciò  al  sommo  pregevoli. 
Onde,  quasi  riepilogando  il  detto  fin  ora,  con- 
cluderemo che  il  sig.  Giusti  siasi  tenuto  entro  i 
principii  che  ha  professato,  appresso  la  piìi  seve- 
ra disamina  degli  errori  filosofici  che  in  verità  ser- 
peggiano da  ogni  parte  nei  tempi  nostri.  E  che 
quindi  non  ci  ha  lode,  la  quale  ad  esso  non  si  con- 
venga, e  la  quale  a  migliore  diritto  per  convenir- 
gli non  sia  quando  avrà  recato  innanzi  alla  italia- 
na gioventù  anche  la  metafisica.  Per  tal  forma  egli 
sarà  uno  di  que'benefici  ristauratori  della  filosofia, 
che  fansi  guida  sagace  al  ritrovamento  del  vero  , 
cui  solo  hanno  da  intendere  tutti  cjuelli  che  voglio- 
no filosofare.  Sotto  il  quale  rispetto  mi  onoro  di 
far  menzione  d'  una  eloquente  e  dottissima  prosa 
dell'inclito  porporato  Paolo  Polidori,  avutasi  da  lui 
medesimo  nel  27  dello  scorso  aprile  nell'aula  mas- 
sima dell'archiginnasio  romano,  in  occasione  dell* 
apertura  delle  adunanze  dell'  accademia  cattolica. 
Ove  io  mi  compiacqui  di  ascoltare  nobilmente  ma- 


Corso  filosofico  del  Giusti  39 

neggìata  questa  materia  (1);  ed  ebbi  a  risentire  con- 
solazione in  vedere  che  i  miei  pensieri  (mi  sia  le- 
cito il  dirlo)  del  tutto  uniformi  alle  buone  inten- 
zioni del  sig.  Giusti  ,  non  divergessero  punto  da 
quelli  che  nella  sullodata  prosa  vennero  dichiarati. 

In  breve,  tornando  per  un  momento  al  libro 
di  cui  si  ragiona,  la  vista  dei  lumi  che  ci  dìx  in 
esso  il  veneto  professore  si  è  tale,  che  vivamente 
ci  stimola  ad  esortarlo  anche  una  volta  ,  perchè 
non  tardi  all'Italia  la  promissione  ch'egli  ne  fa  di 
compirne  l'intero  corso.  Conciossiachè  non  dubitia- 
mo che  di  quest'opera  sia  per  giovarsi  non  tanto 
la  gioventìi  amica  delle  filosofiche  discipline  e  ab- 
Lisognosa  d'insegnamento,  quanto  coloro  che  hanno 
in  esso  l'officio  nobile  di  maestri. 

Questo  cenno  di  critica  non  potrebbe,  monsi- 
gnor mio  stimatissimo,  ad  altri  meglio  essere  in- 
titolato che  a  voi;  perchè  alle  finezze  della  lette- 
ratura congiungete,  per  ciò  che  riguarda  le  scienze, 
il  pili  retto  discernimento.  Qualunque  egli  sia,  de- 
gnatevi di  aggradirlo  per  le  ragioni  che  fino  dal 
bel  principio  vi  addussi;  e  permettetemi  che  ab- 
bia il  bene  di  confermarmi 

Di  Vostra  Eccellenza  Riiia 

Roma  19  maggio  1837. 

Umo  Devnio  Obblmo  Servitore 
F.  Domenico  Bruschelli 


(i)  II  subbietto  della  prosa  fu  concepito  in  questi  termini; 
,,  Necessità  di  porre  argine  alla  ognora  crescente  empietà  del 
secolo  nostro  con  una  riforma  fondamentale  degli  studi  filosofi- 
ci, e  in  modo  speciale  della  metafisica.  „ 


40 


Della  cetraria  islandica:  Lichene  d'Islanda. 


Oono  più  anni  dacché  impresi  a  parlare  del  li- 
chene islandlco,  e  fu  quando  conobbi  che  il  carbo- 
ne animale  aveva  la  proprietà  di  assorbire  la  sostan- 
za amara  non  alcaloidea  contenuta  nei  vegetabili  ; 
ed  in  allora  io  proposi  di  trattare  la  decozione  del 
lichene  islandico  col  carbone  sopraddetto  per  aver 
la  gelatina  spogliata  dalla  sua  amarezza  (1).  In  ap- 
presso ,  seppi  che  alcuni  chimici  francesi  avevano 
parlato  anche  di  questa  preparazione  del  lichene, 
ed  il  sig.  Berzelìus  nel  suo  trattato  di  chimica  ne 
fa  egual  menzione.  Seppi  in  seguito  che  il  salino 
amarissimo  del  sig.  Rigatelli,  altro  non  era  se  non 
che  la  sostanza  amara  contenuta  in  questo  lichene. 
Avendo  dovuto  preparare  della  gelatina  dì  questa 
pianta,  mi  tornò  l'idea  di  fare  altre  indagini. 

Io  qui  non  parlerò  che  di  quelle  cose  cadute- 
mi sotto  i  sensi:  ed  i  miei  colleghi  giudicheranno 
se  questo  mio  lavoro  potrà  essere  di  qualche  sus- 
sidio alla  scienza. 

In  primo  m'avvidi  che  una  decozione  di  liche- 
ne di  sapore  amaro  tingeva  in  rosso  una  carta  tin- 
ta col  tornasole,  e  che  bollita  per  lungo  tempo  per- 
deva in  gran  parte  la  sua  amarezza,  ed  in  allora 
non  reagiva  sopra  la  medesima  carta.  Se  sopra  una 


(i)  Gazzetta  eccletica  di  Verona,  marzo  i833,  pag.  87. 


Cetraria  Isalandica  41 

decozione  non  prolungata  coireboUizione  versavasi 
un  poco  d'acido  solforico  allungato,  essa  s'intorbi- 
dava, e  col  riposo  deponeva  un  precipitato  gelati- 
noso, il  quale  separato  con  pannolino  ed  alquanto 
lavato,  era  amaro.  Questa  gelatina,  dopo  di  essere 
stata  asciugata  con  carta  emporetica,  fu  da  me  trat- 
tata coll'alcool  LoUente,  e  conobbi  che  questo  flui- 
do aveva  disciolto  la  sostanza  amara.  Allungai  la 
soluzione  coU'acqua,  e  si  formò  un  intorbidamento, 
quindi  un  precipitato  giallastro,  il  quale  aveva  un 
sapore  amaro.  La  sostanza  non  disciolta  dall'alcool 
aveva  un  aspetto  grumoso,  era  molle;  fu  fatta  bol- 
lire nell'acqua,  si  rigonfiò  ed  in  parte  si  disciolse. 
Fu  separato  il  liquido  da  alcuni  fiocchi,  che  riu- 
niti presero  un'apparenza  gelatinosa,  e  questi  fu- 
rono messi  a  bollire  nell'acqua  contenente  un  po- 
co di  potassa:  essi  si  disciolsero  perfettamente,  e 
col  raffreddamento  si  rappigliarono  in  forma  di  ge- 
latina. Ridisciolta  questa  gelatina  coU'acqua,  vi  fu 
versato  dell'alcool,  del  solfato  di  rame,  del  cloruro 
di  calcio,  e  formaronsi  precipitati  gelatinosi. 

L'andamento  di  queste  cose  mi  ha  fatto  sup- 
porre, che  la  parte  amara  si  sarebbe  potuta  sepa- 
rare molto  facilmente. 

Misi  in  fatti  una  libra  di  lichene  polverizzato 
in  infusione  nell'acqua  distillata  fredda,  nella  qua- 
le aggiunsi  una  dramma  di  carbonato  di  potassa 
cristallizzato,  ed  agitai  di  tanto  in  tanto  il  miscu- 
glio. Dopo  lo  spazio  di  poche  ore  trovai  il  liquido 
amaro,  ma  veruna  azione  mostrò  avere  sopra  la  car- 
ta tinta  colla  curcuma.  Un'altra  dramma  di  carbo- 
nato di  potassa  aggiunsi  al  miscuglio  antecedente, 
e  dopo  il  medesimo  tempo  rinvenni  essere  un  poco 
amaro.  Una  terza  dramma  dello  stesso  sale  fu  sciol- 


42  Scienze 

to  nello  stesso  miscuglio,  e  dopo  di  averlo  ben  agi- 
tato, il  fluido  cambiò  in  rosso  la  carta  tinta  di  cur- 
cuma; ma  dopo  qualche  tempo  cessò  la  sua  azione 
sopra  la  medesima,  e  l'amaro  era  del  tutto  sparito. 
Tali  descritte  circostanze  mi  dimostrarono  esser  nel 
lichene  un  acido,  il  quale  a  mano  a  mano  combi- 
navasi  colla  potassa  e  perdeva  la  sua  amarezza.  Ten- 
tai allora  di  separare  il  fluido  dal  lichene,  e  ver- 
sarvi sopra  dell'acido  solforico:  ed  ottenni  un  pre- 
cipitato giallo  verdastro,  il  quale  non  aveva  pro- 
priamente un  sapore  amaro,  ma  astringente.  Conob- 
bi in  seguito  che  questo  precipitato  racchiudeva 
della  cera,  della  clorofilla,  ed  un  poco  di  parte  co- 
lorante  astringente. 

Già  dissi  in  altra  circostanza,  che  11  carbone 
animale  aveva  la  proprietà  di  assorbire  la  sostanza 
amara  contenuta  in  una  decozione  di  lichene.  Da 
quanto  sarò  per  dire  vedrassi,  che  questo  carbone 
non  solo  ha  la  proprietà  di  assorbire  la  parte  ama- 
ra, ma  ancora  quella  che  costituisce  la  gelatina. 

Una  decozione  di  lichene  perfettamente  deco- 
lorata col  carbone,  oltre  al  non  essere  più  amara, 
non  e  nemmeno  acida.  Fatta  questa  evaporare  a 
consistenza  di  sciroppo,  non  somministrò  gelatina 
col  raffreddamento,  ed  il  fluido  tingeva  in  rosso  una 
carta  colorata  colla  curcuma;  cosicché,  col  solo  trat- 
tare la  decozione  col  carbone  animale,  acquistò  que- 
sta proprietà.  Questo  residuo  fu  fatto  bollire  coli' 
alcool,  che  disciolse  pochissima  parte  colorante,  ed 
insoluti  rimasero  della  gomma,  che  non  formava  ge- 
latina coU'acqua,  ed  alcuni  sali. 

Il  carbone,  che  ha  servito  al  decoloramento  del- 
la decozione  di  lichene,  fu  lavato  e  diseccato,  quin- 
di trattato  coli'  alcool  bollente  ,  che  non  disciolse 


Cetraria  Islandica  43 

che  un  poco  di  parte  colorante:  fu  anche  fatto  bol- 
lire colfacqua,  e  non  mostrò  avere  veruna  azione 
sopra  il  medesimo  :  ma  aggiunta  un  poco  di  po- 
tassa all'acqua  stessa,  si  ebbe  un  liquido  colorato 
giallo  non  amaro,  che  evaporato  si  rappigliò  in  ge- 
latina, la  quale  bollita  coU'alcool  onde  toglierli  l'ec- 
cesso di  potassa  e  la  parte  colorante,  il  residuo  avu- 
to dopo  tale  trattamento  aveva  l'aspetto  di  una  so- 
stanza molle,  oscura,  che  si  discioglieva  nell'acqua 
bollente  formando  gelatina.  Questa  stessa  gelatina, 
dìsciolta  nell'acqua  in  maggiore  quantità,  fu  trat- 
tata col  carbone  animale;  la  parte  capace  di  som- 
ministrare gelatina  unita  alla  potassa  venne  inte- 
ramente assorbita  dal  carbone,  e  la  potassa  si  rin- 
venne nel  fluido  acqueo» 

Gl'indicati  sperimenti  sembrano  sufficienti  per 
conchiudere,  che  la  parte  amara  contenuta  nel  li- 
chene possa  appartenere  ad  un  acido;  che  questa 
sia  nel  lichene  in  combinazione  ,  od  in  semplice 
unione  colla  potassa,  per  il  che  possa  disciogliersi 
nell'acqua:  che  egualmente  sia  acida  la  sostanza  at- 
ta a  formare  gelatina:  che  questa  sia  del  pari  te- 
nuta in  soluzione  dalla  potassa:  che  la  prima  sia 
un  acido  particolare:  che  la  seconda  appartenga  all' 
acido  poetico.  Il  carbone,  assorbendo  questi  due  aci- 
di, lascia  libera  la  potassa:  ma  dico  che  il  primo  pos- 
sa decomporsi,  e  che  il  secondo  rimanga  nel  carbone 
nel  suo  stato  d'acido,  il  quale  siccome  insolubile  nell' 
alcool  e  nell'acqua  non  possa  dal  carbone  riaversi 
se  non  coU'addizione  della  potassa,  la  quale  unen- 
dosi all'acido  poetico  ritenuto  dal  carbone,  forma  il 
pectato  di  potassa  solubile  nell'acqua  e  capace  di 
formare  gelatina.  Il  sig.  Berzeliiis  nella  sua  anali- 
si del  lichene  parla  del  bilichenato  potassico.  Un 


M  Scienze 

dubbio  della  presenza  dell'acido  pectico  in  questo 
vegetabile  lo  ha  anche  dimostrato,  e  Io  ha  creduto 
nel  sedimento  estrattivo  lo  stesso  chimico. 

Che  in  realtà  l'acido  pectico  ritrovisi  nel  li- 
chene combinato  colla  potassa,  si  vedrà  da  quanto 
sarò  per  dimostrare  della  gelatina  di  lichene  otte- 
nuta con  prolungata  ebullizione.  Fu  messa  sopra 
un  filtro  di  carta:  dalla  medesima  si  separò  un  li- 
quido alquanto  viscoso,  il  quale  non  cambiava  in 
rosso  una  carta  tinta  col  tornasole.  Fu  fatto  eva- 
porare: quindi  fu  messo  in  una  capsula  ,  e  posto 
al  calore  di  una  stufa  onde  diseccarlo:  si  ottenne 
una  sostanza  lucida,  che  si  distaccò  facilmente  dal 
vase  in  forma  di  scaglie  colorate  in  giallo  scuro. 
Furono  messe  dette  scaglie  nell'acqua  distillata  bol- 
lente, nella  quale  si  sciolsero  in  parte,  ed  insoluti 
rimasero  alcuni  grumi  molli,  che  furono  separati 
col  mezzo  di  un  pannolino.  Il  fluido  diviso  da  que- 
sti fu  fatto  evaporare,  e  non  somministrò  gelatina 
col  raffreddamento.  Sopra  una  porzione  di  questo 
furono  versate  alcune  gocce  di  tintura  di  jodo,  e 
si  ottenne  una  tinta  blu,  indizio  che  in  esso  si  con- 
teneva della  fecola.  Fu  fatto  evaporare  il  liquido 
sino  a  secchezza,  aumentata  poscia  la  temperatura 
si  anneri  rigonfiando  e  tramandando  un  odore  di 
zuccaro  abbruciato:  il  residuo  fu  ridotto  in  cenere. 
Messa  questa  nell'acqua  distillata,  si  trovò  che  cam- 
biava in  rosso  una  carta  tinta  colla  curcuma:  ag- 
giuntovi un  poco  di  acido  azotico,  si  produsse  ef- 
fervescenza: trattata  la  soluzione  coll'ossalato  d'am- 
moniaca, si  formò  un  precipitato  bianco.  11  residuo 
liquido  evaporato  sino  a  siccità  fu  trattato  coU'al- 
cool,  il  cpiale  disciolse  dell'azotato  di  calce,  e  ri- 
mase insoluto  un  sale,  il  quale  disciolto  nell'acqua, 


Cetraria  Islandica.  4-5 

e  lentamente  evaporato,  somministrò  dei  piccioli 
cristalli  di  azotato  di  potassa. 

Un'altra  sporienza  che  fa  direttamente  cono- 
scere essere  1'  acido  pectico  in  combinazione  colla 
potassa,  e  che  del  pari  lo  è  la  sostanza  amara,  è  la 

ente. 

Del  lichene  polverizzato  fu  messo  in  infusione 
neir  acqua  distillata  ,  e  dopo  qualche  ora  si  vide 
che  tingeva  alcun  poco  in  rosso  nna  carta  tinta 
col  tornasole:  essa  però  non  era  punto  amara.  Fu 
messa  al  fuoco,  e  portata  all'ebullizione,  indi  colata 
con  panno  di  lana.  Il  fluido,  che  era  alquanto  den- 
so, formò  gelatina  col  raffreddamento.  Questa  gela- 
tina era  amarissima,  e  posta  sopra  un  filtro  di  lana 
lasciò  separare  un  fluido,  il  quale  non  era  ne  acido 
ne  amaro.  La  gelatina,  deacquificata  in  gran  parte 
con  carta  emporetica,  fu  trattata  con  alcool  bollen- 
te. Colato  il  fluido  alcoolico,  aveva  un  sapore  ama- 
ro. Diluito  coU'acqua,  non  s'intorbidava:  ma  versan- 
dovi cjualche  goccia  d'acido  solforico  allungatissimo, 
diveniva  opalino.  Evaporato  l'alcool  si  ottenne  un 
residuo  amaro;  il  quale  fu  fatto  diseccare,  indi  ab- 
bruciare, e  le  ceneri  furono  disciolte  nell'  acqua  ; 
questa  soluzione  cambiava  fortemente  in  rosso  una 
carta  tinta  colla  curcuma.  La  gelatina,  trattata  già 
coH'alcool,  fu  diluita  con  accjna  distillata  contenen- 
te dell'acido  acetico:  filtrato  il  fluido,  fu  messo  in 
capsola  di  platino  ad  evaporare  sino  a  siccità,  e  la- 
sciò un  residuo  salino;  portata  la  capsula  all'incan- 
descenza, e  raff"reddata  poscia,  vi  si  versò  un  poco 
d'acqua  distillata,  la  quale  soluzione  tingeva  in  ros- 
so la  carta  tinta  colla  curcuma. 

Se  la  gelatina  di  sopra  nominata,  già  trattata 
coH'alcool,  si  faccia  diseccare,  e  cjuindi  polverizza- 


46  S  e  I  E  N  a  e: 

re,  e  poscia  bollire  colPacqua,  può  servire  a  for- 
mare un'altra  volta  gelatina  di  lichene.  Questa  rac- 
chiude una  gomma  della  natura  stessa  della  gom- 
ma dragante,  un  poco  di  fecula,  e  del  pectato  di 
potassa. 

Riconosciuti  i  principii  che  costituiscono  la  ge- 
latina di  lichene,  riconosciuto  ancora  essere  l'ama- 
ro contenuto  nel  medesimo  un  sale  ^  il  cui  acido 
che  ritrovasi  in  eccesso  è  combinato  con  un  po- 
co di  potassa  ,  e  che  giustamente  secondo  il  sig. 
Berzelius  potrà  chiamarsi  bilichenato  potassico  , 
formando  il  salino  amarlssimo  del  sig.  Rigatelli:  os- 
servato che  quando  l'eccesso  dell'acido  viene  satu- 
rato colla  potassa,  o  con  qualche  altro  ossido  me- 
tallico, il  sale  perdeva  la  sua  amarezza,  e  che  cer- 
cando di  togliere  la  potassa  con  un  altr'acido,  non 
mai  si  è  potuto  avere  l'acido  isolato:  considerando 
ancora  che  un'  ebuUizione  prolungata  del  lichene 
nell'acqua,  era  sufficiente  per  distruggere  Tamarez- 
za;  ho  desistito  a  fare  ulteriori  indagini  onde  avere 
l'amaro  isolato,  ed  invece  mi  sono  convinto  che  per 
ottenerlo  conveniva  seguire  il  metodo  già  annun- 
ciato dallo  scopritore,  e  che  descritto  ritrovasi  nella 
gazzetta  eccletica  di  Verona,  mese  di  giugno  1835,  e 
che  per  comodo  de'miei  colleghi  vado  a  trascrivere. 
»  Sopra  una  parte  di  lichene  polverizzato  si  ver- 
sano quattro  parti  di  spirito  del  commercio,  che 
segni  33  a  34  gradi  dell'areometro  di  Baumèr  Po- 
sto ciò  in  matraccio,  si  faccia  infusione  a  B.  M.  per 
un'ora,  quasi  alla  bollitura.  Poscia  si  faccia  bollire 
per  Saio  minuti;  così  bollente  se  ne  sprema  con 
forza  la  tintura,  rimettendo  nel  matraccio  medesi- 
mo il  vegetabile,  sottoponendo  subito  ad  altra  pari 


Cetraria  Islandica  47 

infusione  e  bollitura,  ma  con  una  sola  parte  di  al- 
cool ed  una  tli  acqua  dì  fonte. 

»  Spremuta  anche  questa  infusione,  ed  unita  alla 
prima,  si  rimette  nel  matraccio  già  reso  poUito,  fa- 
cendola bollire  per  due  minuti,  filtrandola  poi  pron- 
tamente per  carta,  o  per  stamina.  Intanto  che  ope- 
rasi la  filtrazione,  si  versano  36  parti  di  acqua  fred- 
da sopra  il  residuato  lichene;  e  ben  bene  agitato, 
lo  si  abbandona  alla  quiete.  In  mezz'  ora  tutto  il 
vegetabile  sarà  deposto;  e  l'acqua,  divenuta  legger- 
mente amara  ed  un  po'  torbida,  si  verserà  tutta  di- 
ligentemente nella  tintura  alcoolica  già  filtrata,  evi- 
tando che  si  strascini  la  più  piccola  quantità  di  de- 
posito. 

»  Aggiungendo  all'acqueo  spiritoso  liquore  tre 
dramme  di  acido  solforico  (supposto  che  si  abbia 
operato  sopra  una  libra  di  lichene:  il  che  starebbe 
nella  proporzione  di  circa  tre  centesimi  d'acido  in 
confronto  della  pianta),  si  per  Tuna  che  per  l'al- 
tra addizione  lattiginoso  sarà  divenuto  tutto  il  li- 
quore ,  separantesi  tosto  il  salino  amarissimo  in 
istrati  fioccosi  bianchi  verdicci ,  e  dopo  d'  averlo 
bene  agitato  si  abbandona  alla  quiete  per  alcune 
ore.  Pel  riposo  1'  amarissimo  si  sarà  raccolto  sul 
fondo  del  recipiente,  dal  quale  si  toglie  mediante 
l'estrazione  del  liquore  soprastante;  o  col  mezzo  del 
sifone  ,  o  colla  filtrazione  portando  sur  un  feltro 
l'amarissimo  deposito  a  spogliarsi  delle  ultime  por- 
zioni del  liquor  acido  spiritoso;  anzi  sarà  bene  ver- 
sarvi sopra  poca  acqua  fredda,  la  quale  filtrando 
lo  spoglierà  affatto.  La  sostanza  amara  rimasta  so- 
pra il  filtro  si  disciolga  in  36  parti  di  acqua  bol- 
lente, e  la  soluzione  in  questo  stato  si  filtri,  e  si 
aggiunga  tre  dramme  d'acido  solforico:  si  agiti  ben 


48  S    e    I    E    W    Z    K 

bpne  11  miscuglio  dibattendolo  con  mazzo  di  vimi- 
ni, ed  abbandonato  quindi  a  se  stesso  si  vedrà  a 
separarsi  il  lichenino  amarissimo  in  bellissimi  fioc- 
chi di  un  bianco  perla,  i  quali  si  depositeranno 
al  fondo  dei  vase.  Separati  i  quali  per  mezzo  di 
un  pannolino,  si  lavano  alquanto,  indi  con  un  po- 
co di  pressione  sì  spogliano  dell'acqua  che  stret- 
tamente tengono  unita,  poi  si  diseccano  al  calore 
di  una  stufa.  »  Lo  scopritore  dell'amaro  del  liche- 
ne assicura,  che  somministrato  nelle  febbri  perio- 
diche, come  il  solfato  di  chinina,  tronca  la  fe])bre 
siccome  il  medesimo. 

Pietro  Peretti 
Professore  di  Farmacia 


il'- e 


49 


LETTERATURA 


Degli  antichi  tuscaniensi^  e  dei  varii  modi 
di  seppellire  in  l^uscania. 

Jl  ra  i  popoli  dell'antica  Etruria  annoverati  da 
Plinio  (1)  sono  i  tuscanieìises,  la  cui  citta  fu  Tu' 
scania,  oggi  Toscanella,  mia  patria.  Siede  questa 
su  la  destra  riva  del  fiume  Marta,  eh' è  l'emissario 
del  lago  di  Bolsena,  anticamente  lacus  vulsiniensis^ 
nella  media  distanza  in  circa  fra  detto  luogo  ed  il 
mare  tirreno.  Era  posta  su  la  via  Clodia  ,  ora  di- 
strutta, a  miglia  LVII  da  Roma,  com'è  a  vedere 
nell'antico  itinerario  che  i  dotti  conoscono  sotto  il 
nome  di  tavola  peutingeriana.  Ivi  dopo  la  stazione 
di  Blera  (scorrettamente  segnato  nella  tavola  Olerà) 
altra  cospicua  citta  della  stessa  nazione,  oggi  ridot- 
ta a  piccolo  paese  col  nome  di  Biada,  è  segnata  la 
distanza  di  miglia  Villi,  quindi  Marta  SS,  cioè 
Marta  fluinen  (  poiché  quel  segno  SS  è  il  solito,  col 
quale  nella  tavola  vengono  i  fiumi  indicati  )  :  indi 
immediatamente    Tuscana   senza  interposizione  di 


(i)  H.  N.  Uh.  HI,  9. 

G.  A.  T.  LXXIII. 


50  Letteratura 

veruna  distanza  fra    il   fiume   e  la    citta.  Ed  è  cor 

51  infatto,  come  dall'itinerario  si  rappresenta,  esi- 
stendo anche  oggi  il  vecchio  muro  urbano  di  To- 
scanella  a  contatto  col  fiume  Marta,  e  col  ponte  ora 
diruto  che  Io  attraversa.  Sebbene  da  tuscaniensis 
venga  Tuscania  e  non  Tuscana,  certo  è  che  anche 
negli  antichi  tempi  fu  detta  questa  citta  pell'un  mo- 
do e  nell'altro:  e  della  seconda  appellazione  abbiamo 
esempio  indubitato  in  una  lapida  del  musep  Medi- 
ceo pubblicata  dal  Gori  e  dal  Muratori,  e  piìi  accu- 
ratamente dal  Marini  (1),  contenente  un  catalogo  di 
soldati  romani  con  la  indicazione  delle  loro  patrie, 
dove  si  ha  MENOPOTIVS  TVSGANA.  Da  Tusca- 
nia e  Tuscana  più  tardi  si  fece  Tiiscanella  e 
Toscanella,  cpme  oggi  si  dice.  La  cjuale  appel- 
lazione trovasi  la  prima  volta  (  parlo  dei  documenti 
legittimi,  non  tje'falsi,  come  il  celebre  decreto  di 
Desiderio  re  de'  longobardi  favoleggiato  da  frate 
Annio  da  Viterbo)  usata  nella  lapida  del  1300  po- 
sta in  Campidoglio ,  tuttora  esistente,  la  quale  vò 
qui  trascrivere  come  importante  monumento  alla 
storia  di  detta  città  nel  medio  evo,  ed  è  la  seguente: 


(i)  Fratr.  Arv.  toni.  I,  pag.  333. 


AnT/CIII    TUSCAKIENSI  51 

+    MILLE    .    TIIECETEMS    .    DUI    .    CVBIIENTIBVS    .    ANNIS. 
PAPA    .    BOMFATIVS    .    OCTAVVS    .    IN    .    ORBE    .    VIGEBAT. 
TVKC    .    ANIBALLENSIS    .    RICCARDVS    .    DE    •    COLISEO. 
NEC    .    NO!V    .    GENTILIS    .    VRSINA    .    PROLE    .    CREATVS. 
AMBO    .    SENATORE*    .    ROMANI    .    CV    •    PACE    .   REGEBANf. 
PER    .    QVOS    .    lA    ,    PRIDE    .    TV    .    TVSCANELLA    .    FVISTI. 
OB    ,    DIRV    .    DAPNATA    .    NEPIIAS    .    TIBI   .   DEPTA   •   POTESTAS. 
SVMDl    .   ReGIM    .    EST    .    AT    .    DATA    .    IVRIByS    .    VRBIS.    (1) 
FRVMTI    .    RYBLA    .    BIS    .    WILIA    .    TERRE    .    COEGIT. 
ANNVA    .    TE    .    ROMA    •    VEL    .    LIBRAS    •    SOLyERE    .    MILLE* 
CYM    .    DEVS    .    ATTVLEIT    .    ROlVIANIS    .    FERTIUTATEM. 
CAPANAIH    .    PP'  I    .    PORTAS    .    DEDVCERE    .    ROWAM. 
OCTO    .    LVDENTES    .    ROMANQS    (sic)    MIcTERE    .    LVDIS. 
MAIOBI    .    PENA    .    Pp'l   .    PIETATE    .    REMISSA. 
STNT    .    QVOq'    .    COMMVNIS    .    SERVATA    .    PALATIA    .    ROME. 
DV    .    MODO    .    CERTE    .    RVANT   .    TLRES  .  q' •   PALATIA    .  MVRl. 
SI    .    RVBLSVS    .    FVRERE    .    TETET    .  FORT   .  ASSIS   .  IN  .  VRBEM. 
VEL    .    lAM    .    PRDLATA    .    NOLI  NT    •    DECRETA    .    TENERE. 
IN    .    EOE    .    REPONATVR    .    SACRA    .    P    •    TPE    .    GVERRE- 
TEPORE    .    VEL    .    CARO    .    SERVADA    •    PECVNIA    .    PRSVS.    (2) 

Scorgesi  da  questa   lapida  quanto  ancora  fio- 
risse questa    citta   nel    1300.   Imperciocché  ,   oltre 


(i)  Male  il  Turriozzi  lesse  -  libi  denipla  potestas  SUMMl 
REGIM  IN  IS  EXTAT  eie.  [Memorie  storiche  della  città  di 
Toscanella,  Roma  i^yS.  )  Egli  doveva  leggere  :  Tibi  dempta  po- 
testas sumendi  reginten  est,  at  data  iuribus  urbis  -  ch'è  qnauto 
dire;  ti  è  stato  tolto  il  diritto  di  governarti  da  te,  e  dato  a  Roma. 

(2)  Cf.  Galletti,  Inscript.  Rom.  tom.  IL  p.  IV,  V. 


53  Letteratura 

che  quel  suo  ardimento  eli  rivoltarsi  contro  il  se- 
natore  ed  il  popolo  romano,  che  in  quella  epoca 
si  erano  impadroniti  del  governo  dello  stato  e  do- 
minavano in  Toscanella  ,  come  su'l  resto  (di  che 
sono  non  poche  altre  memorie),  cader  non  poteva 
in  capo  d'una  popolazione  fiacca  e  ristretta  ,  più 
chiaro  argomento  n'è  la  grave  pena,  cui  per  la  sua 
ribellione  fu  condannata  da'vincitori  romani.  Non 
dico  dell'esser  privata  del  diritto  di  governarsi  da 
se,  e  d'aversi  veduto  spogliar  delle  porte  e  della 
campana  municipale  coadotta  a  Roma,  ne  del  do- 
vere ogni  anno  spedire  alle  feste  del  carnevale  ot- 
to giuocatori  (cose  che  ci  «ricordano  i  puerili  costu- 
mi «li  quella  età,  quando  le  più  serie  guerre  so- 
vente finivano  con  far  co'nemici  fl  dispetto  di  bric- 
colar  nelle  loro  citta  un  asino,  o  col  far  correre 
un  palio  dalle  meretrici  su  '1  loro  territorio,  o  con 
altri  insulti  di  tal  fatta),  dico  bensì  di  quella  par- 
te  di  pena  molto  più  solida  e  sostanziale,  di  che  la 
obbligava  di  spedire  a  sue  spese  a  Roma  parimenti 
in  ogni  anno  due  mila  rabbia  di  grano  ,  ovvero 
negli  anni  fertili  di  corrispondergliene  il  prezzo 
equivalente.  Trovasi  negli  archivi  di  quel  comu- 
ne, che  lungo  tempo  la  nostra  citta  sostenne  si  du- 
ra multa,  fino  a  che  dai  papi  ne  fu  a  poco  a  po- 
co assoluta  intieramente  verso  la  fine  del  secolo  XV, 
Per  quanta  però  si  fosse  la  di  lei  opulenza  nel 
medio  evo,  non  v'ha  dubbio  che  nella  epoca  etru^ 
sca  era  lungamente  maggiore.  Testimoni  ne  sono 
i  ruderi  delle  magnifiche  costruzioni  di  quel  tem- 
po, la  unmcnsa  quantità  de' suoi  ipogei,  e  soprat- 
tutto l'ampiezza  del  suo  territorio,  che  a  dispetto 
delle  varie  diminuzioni,  cui  andò  soggetto  ne'poste- 
riori  secoli,  si  estende  pur  oggi  alla  vistosa  quan- 


Antichi  tusganieksi  53 

tita  (li  rubbia  dodici  mila  romane.  E   Com'egli  e 
per  sua  natura  assai  fertile,  irrigato   da  perpetue 
e  spesse   sorgenti,  diviso   in   agili  colli  e  pianure, 
G  per  ciò  ad  ogni  genere  d'agricoltura  opportunis- 
simo,   in   fine   perchè   rimane  a  poca  distanza   dal 
mare,  facilmente  comprendesi   quali  dovizie  ritrar 
ne  dovessero   gli   antichi   abitatori,   presso  i  quali 
l'arte   de'campi  era  in  un  con  la  milizia  il  domesti- 
co esercizio:  ne  meno  lo  era  il  commercio,  al  qual 
uopo  la  citta  possedeva  il  porto  delle  Marcile  su'! 
Litorale  di  Montalto,  che  le  fu  ne'piìi  tardi  tempi 
confermato  da  un  diploma  dell'imperadore  Federi- 
co II.  Scorrendo  questo  territorio,  e  le  immense  bor- 
gate di  cui  veniva  popolato,  ben  vediamo  come  gli 
etruschi  costumavano  di  diffondere  la  popolazione 
fino  agli  estremi  confini  del  medesimo,  piuttosto  che 
tenerla  raunata  nella  citta,  dove  per  ordinario  ri-' 
siedevano  i  ricchi  ed  agiati  cittadini^  gli  addetti  al 
governo  ed  ai  ministeri  della    religione  ,  alle  arti 
più  nobili  ed  ai  diversi  ministeri  della  vita  civile. 
Così  ottenevano  essi   due   grandi   Vantaggi  ^  quello     ., 
cioè  che  la  gente  addetta  all'esercizio  de'campi  abi- 
tava ne'campi  medesimi,  e  lungi  dal  lusso  della  cit* 
ta,  e  dai  vizi  che  ne  discendono,  serbava  intatta  la 
frugalità,  la  semplicità  de'costumi  e  la  robustezza 
campestre;  l'altro  che,  come  bene  osserva  Aristotile 
ne'libri  della  politica,  nel  caso  di  una  nemica  in- 
vasione erano  pronti  alla  prima  difesa  i  cittadini 
abitanti  sullo  stesso  confine  del  territorio,  di  dove 
ne  volava  l'avviso  di  borgata  in  borgata  a  tutte  le 
altre  parti,  ed  alla  cittk  finalmente,    che  mai    per 
ciò  non  poteva  esser  colta  alla  impensata.  Nelle  pub- 
bliche memorie  di   quella   citta  si  contano  meglio 
ehe  quaranta  di  simili  borgate  sparse  nel  suo  ter- 


54  Letteratura 

ritorio,  ed  ancor  queste  durarono  per  la  più  parte 
sotto  la  denominazione  di  castelli  fino  al  secolo  XV, 
quando  il  cardinal  Vitellesclii,  generale  delle  armi 
pontificie  sotto  il  papa  Eugenio  IV,  li  distrusse  ge- 
neralmente in  odio  dc'piccoli  tiranni  che  vi  si  era- 
no annidati,  e  che  domati  comunque  in  breve  vi 
rinascevano.  Atto  fu  quello  di  malintesa  politica 
militare:  e  da  questo  si  dee  ripetere  la  desolazione 
delle  nostre  campagne  ,  che  poco  piii  poco  meno 
coU'opera  de'villani  abitanti  fino  dalla  epoca  etru- 
sca  in  quelle  borgate  si  erano  conservate  floride  e 
coltivate  di  stabile  piantagione. 

Perche  non  pos^sa  dubitarsi  dell'antica  istitu- 
zione etrusca  di  qUe'luoghi,  durano  in  essi  gl'ipo- 
gei ed  i  cuniculi  e  le  altre  fogge  di  sepolcri  che 
dagli  etruschi  si  usavano,  e  fra  i  loro  ruderi  non 
di  rado  si  scoprono  iscrizioni  d'etrusco  carattere  , 
e  bronzi,  e  vasi,  e  tazze  ed  altri  cocci  indubitata- 
mente appartenenti  a  quella  nazione,  siccome  a  luo- 
go a  luogo  si  vedono  avanzi  di  muraglie  che  ebbe- 
ro etruschi  fiibbricatori.  Ne  men  curioso  è  il  ve- 
dere come  i  dintorni  di  queste  dirute  borgate  con- 
servino ancora  i  segni  e  le  rinascenze  delle  anti- 
chissime piantagioni,  comunque  oggi  insalvatichite 
dalla  lunga  incuria  e  dal  totale  abbandono.  Veg- 
gonsi  ceppi  vetustissimi  d'olivi^  pianta  vivacissima, 
e  che  una  volta  profondamente  abbarbicatasi  sul 
sasso  non  perisce  a  dispetto  di  molti  secoli,  comun- 
que imbastardisca  il  suo  frutto  per  mancanza  della 
usata  cultura:  veggonsi  lambruschi  e  frutti  di  più 
specie  al  modo  stesso  degenerati  dalla  primiera  gen- 
tilezza, le  quali  piante  non  sogliono  incontrarsi  ne' 
terreni  che  sempre  fur  bosco,  e  non  mai  tali  piante 
nutricarono.  In  somma  un  occhio  osservatore  ed  av- 


Antichi  tuscaniensi  55 

vezzo  a  simili  indagini  per  piìi  indizi  permanenti 
può  facilmente  riconoscere  e  rappresentarsi  Tanti- 
co  statò  di  queste  contrade  senza  pericolo  di  erro- 
re. II  che  sebbene  ini  qualche  parte  si  verifichi  cir- 
ca le  sedi  una  volta  abitate  daìllé  altre  nazioni,  che 
poi  dal  mìondo  disparvero,  di  niunai  di  esse  si  tro- 
vano ne  si  frequenti  ne  si  parlanti  quanto  della 
Etruria,  perche  ninna  al  paro  di  questa  fu  opero- 
sa per  tramandare  ai  posteri  le  sue  memorie  e  co' 
àùoiì  scritti  in  pietre  ed  in  tegoli,  e  coll'artè  di  la- 
vorare in  ogni  genere  di  metalli  e  nella  creta,  e 
con  quellai  di  fabbricare  solidissime  muraglie ,  di 
tagliare  lunghe  e  coiriode  vie  dentro  alle  rupi,  di 
appianar  la  fronte  delle  rupi  medesime  e  di  scol- 
pirvi sopra  ad  ornato  de'  loro  ipogei  ,  di  scavare 
acquedotti  sotterranei  di  straordinaria  magnificenza, 
e  fare  altre  tali  opere,  che  impresso  portano  inde- 
lebilmente il  nazionale  car^attere. 

Quanto  piìi  il  territorio  si  accosta  vicino  alla 
citta,  tanto  più  gli  antichi  vestigi  si  moltiplicano 
e  più  gr'andiosi  divengono:  è  quegl*ipogéi  che  in- 
tornò alle  borgate  mostrano  d'aver  appartenuto  ad 
una  più  ristrétta  popolazione,  presso  la  citta  in- 
gortibrano  la  più  patrie  delle  terre  adiacenti,  quelle 
principalmente  che  somministraivano  un  fondo  tu- 
faceo ed  abbastanza  solido  per  la  costruzione  delie 
camere  sepolcrali,  che  fu  il  modo  più  magnifico  di 
sepoltura  usato  dalla  nazióne  nello  stato  della  sua 
maggiore  opulenza.  Ora  perchè  il  dire  delle  sepol- 
ture degli  etruschi  è  cosa  quanto  necessaria  alla  in- 
telligenza de'loro  costumi,  tanto  complicatai  e  varia, 
utile  sarà:  e  dilettevole  a*noslri  leggitori  che  loro  ne 
diamo  un  qualche  ragguaglio  particolare. 

Quanto  più  c'inoltriamo  nell'antichità  trovia; 


56  Letteratura 

mo  radicalo  nella  umana  razza  l'universale  senti- 
mento della  immortalità  dell'anima,  e  della  vene- 
razione e  del  rispetto  che  dovevasi  a'cadaveri  destra- 
passati.  Gli  etruschi,  le  cui  origini  si  perdono  nella 
caligine  de'secoli  antichissimi,  non  solo  per  questa 
parte  non  cedono  a  verun'altra  nazione  antica  ,  ma 
fra  tutti  si  distinguono  per  la  varietà  delle  ma- 
niere, con  cui  si  studiarono  di  esercitare  la  loro  aft'e- 
zione  ed  il  cullo  verso  le  ceneri  de'loro  defunti.  Io 
le  descriverò,  incominciando  dalle  più  antiche  e  pe- 
rò più  semplici  e  disadorne,  fino  a  quelle  del  mag- 
gior lusso  e  splendore,  e  che  ci  annunziano  i  piìi 
bei  tempi  del  loro  imperio. 

Troviamo  dapprima  i  sepolcri  fatti  a  tumulo  , 
cioò  una  fossa  cavata  nel  suolo  di  tanta  grandezza  e 
non  più,  quanta  bastasse  a  coprire  il  morto,  cui  poi 
ricoprivano  con  rozze  tegole  e  con  la  terra  al  di  so- 
pra ammonticchiata.  Ognun  vede  che  modo  più  sem- 
plice di  questo  non  può  idearsi,  e  conviene  perciò 
riferirlo  ai  tempi  più  vetusti  della  nazione.  Imper- 
ciocché anche  questa  nazione  ebbe  i  suoi  principli, 
e  ondunque  provenisse,  allorché  giunse  e  si  fermò 
in  Italia,  ebbe  da  prima  a  lottare  con  la  povertà  e 
la  scarsezza  che  sono  indivisibili  dal  nuovo  stato  di 
qualunque  popolo,  ancorché  non  abbia  nemici  a 
combattere  nel  suo  primo  stabilimento.  Qualche 
coccio,  che  in  questi  tumuli  si  trova,  è  di  quella  ter- 
ra di  color  nero,  che  fu  la  materia  del  più  antico 
loFO  artifizio,  e  che  attestano  con  la  rozzezza  del  la- 
voro e  Ja  semplicità  delle  forme  i  primordi  della 
nazione. 

L'altra  antichissima  maniera  noi  crediamo  che 
fosse  quella  dei  cuniculi,  scavati  alla  profondità  di 
molti  metri,  più  o  meno  secondo  la  natura  del  suo- 


Antichi  tlscanieksi  57 

Io,  (Iella  larghezza  eli  due  o  poco  più  palmi  (  salvo 
alcuni  pochi  di  maggior  larghezza  )  e  dciraltczza 
Laslante  perchè  vi  si  potesse  andare  in  piedi  e  dirit- 
ti della  persona.  La  lunghezza  di  questi  è  talvolta 
di  un  quarto  di  miglio  romano  :  talvolta  se  ne  tro- 
vano molti  insieme  alla  stessa  profondita  e  livello  , 
alquanto  distanti  gli  uni  dagli  altri,  ne  mal,  ch'io 
mi  sappia,  comunicanti  fra  loro.  Sembra,  che  come 
fu  poi  praticato  delle  camere  sepolcrali,  ogni  fami- 
glia avesse  il  suo  cuniculo,  dove  i  suoi  defunti  nelle 
successive  generazioni  venissero  collocati.  Si  comin- 
ciava ad  interrarli  dalla  estremità  opposta  airin- 
gresso,  e  cosi  a  mano  a  mano  si  riempivano  di  ca- 
daveri e  di  terra,  ed  ora  di  rado  vi  si  univano  que' 
vasi  che  dissi  della  piìi  rozza  maniera,  e  quando  il 
cuniculo  era  affatto  ripieno,  con  grandi  sassi  ne 
chiudevano  l'ingresso.  Per  tale  maniera  i  cadaveri 
affidati  alle  profonde  viscere  della  terra  divenivano 
inviolabili,  ed  agli  uomini  ed  alle  bestie  inaccessi- 
bili. Trovansi  talvolta  altissimi  pozzi  perpendicola- 
ri quadrati  o  rotondi,  che  nel  fondo  cangiano  la  lo- 
ro direzione  in  quella  orlzontale,  e  divengono  cuni- 
culi  al  modo  che  qui  sopra  si  è  detto  ;  onde  pare 
che  il  pozzo  non  servisse  ad  altro  che  alla  maggior 
difesa  del  sagro  deposito.  Ma  ed  i  tumuli  ed  i  cu- 
niculi  cessero  a  poco  a  poco  a  quell'uso  piìi  nobile  , 
in  cui  tutta  sfoggiò  la  ricchezza  della  nazione,  e  che 
non  finì  se  non  con  la  ricchezza  medesima,  quello 
cioè  delle  camere  sepolcrali. 

Fuori  sempre  della  citta  (  dove,  per  quanto  i 
fatti  dimostrano, non  era  concesso  di  seppellire  i  ca- 
daveri )  ma  in  vicinanza,  e  per  quanto  potevasi  ,  a 
vista  della  citta  medesima,  le  camere  sepolcrali  si 
ordinarono  o  su  la  ripa  adiacente  ad  una  valle  o  ad 


58  Letteratura 

un  fiilTrticello,  quando  queste  ripe  fossero  praticabi- 
li e  di  iinà  materia  che  cedesse  allo  scarpello,  od  in 
mancfarlza  di  queste  sulla  pianura,  purché  di  un  fon- 
do abbastanza  sodo  da  soffrire  il  piccone  senza  pe- 
ricolo di  sciòglielrsi  e  riiiriaìré.  L'  innato  desiderio 
degli  udniihi  di  siotpravvivere  alla  morte  nella  me- 
moria dei'pósteri^  come:  dettava  quella  vicinanza  di 
sepolcreti  all'abitazione  de' vivi,  dettava  ugualmen- 
te la  lóro  collocazione  pt^esso  le  strade  principa- 
li, e  più  frequentate  da'  viaggiatori:  costume  che 
appartenne  egualmente  agli  altri  più  colti  popoli, 
e  segnatamente  a'greci  ed  a'romani,  che  solevano 
porre  le  loro  epigrafi  mortuarie  allo  scoperto. 

I  toscani  peraltro  nascondevano  le  loro  epigra- 
fi dentro  la  stessa  tomba,  ne  alcuna  mii  fiì  dato  ve- 
derne al  di  fuori  della  medesima  :  nel  che  sé  i  de- 
funti per'devano  dal  canto  della  celebrità  de'lòro  no- 
mi, guadagnavano  certamente  da  quello  dellai  du- 
rata delle  loro  epigrafi,  lontane  come  gli  stessi  ca- 
daveri da  qualunque  pericolo  di  devastazione.  Ne 
voglio  dire  con  questo,  che  nessun  segno  ponessero 
al  di  fuori  per  avvertire  i  forestieri  che  in  urt  dato 
sito  esisteva  un  lor  cimiterio.  Nei  celebri  sepólcri 
di  CasteU'Asso  presso  Viterbo,  oltre  che  vedesi  la 
rupe  stessa  che  li  contiene  adornata  architettonica- 
mente di  divei'se  sculture  (1)^  evvi  Scritto  in  alto 
a  lettere  cubitali  incavate  nel  masso  il  motto  - 
?3HIOVZflD3  -eca  suthines;  (forse  in  pace  salvi  (2).) 


{\)V.  Orioli,  Dei  sepolcrali  edijìzii  della  Etruria  media,  tav, 
III.  IV.  r. 

(2)  Vincenzo  Cànipanàri ^  Dell'urna  con  bassorilievo  ed  epi- 
grafe di  Aruhte  figliai  di  Lare.  Roma  iSaS,  giornale  arcadico 
aprile  iSSj. 


ArtTICHI    TUSCANIENSI  59 

e  che  per  essersi  trovato  inciso  in  altre  urne  e  mo- 
numenti mortuari  è  fuor  di  dubbio  che  ai  morti 
appartenga. 

Nei  sepolcri  di  falcia  non  raro  è  stato  di  rin- 
venire, comunque  caduti  dal  loro  sito  e  scomposti, 
alcuni  membri  architettonici  che  presentavano  la 
idea  d'un  fastigio  fabbricato  sulle  tombe  e  da  lun- 
gi visibile,  non  ammettendo  quel  suolo  di  scolpirli 
sul  masso  medesimo.  In  Nofchia^  sulla  rupe  di  tufo 
che  una  tomba  nascotìde,  si  vede  un  timpano  con 
figure  a  tutto  rilievo  di  bella  scultura,  comunque 
guasta  e  corrosa  dal  tempo  ;  cos\  in  Sutri  ed  altro- 
ve altri  ornati  si  veggono  non  ad  altr'Uopo  lavorati 
che  ad  indicar  là  pi*esen2a  de'sepolcri  a'  passeggìeri. 

Venendo  ora  a  dire  del  modo  col  quale  forma- 
vansi  queste  càmere  sepolcrali,  dlstinguerehio  quel- 
le scavate  nel  masso  solido  di  tufo,  e  per  ciò  capa- 
ci di  maggiori  ornati  e  di  più  comode  divisioni,  co- 
me quelle  di  Toscanella,  dalle  altre  Scavate  nel  mas- 
so pili  cedevole  di  rena,  come  quelle  di  Vulcla. 

Sono  quelle  di  Tuscania  di  grandezze  diverse  ; 
il  che  dipendeva  dalla  maggiore  o  minore  agiatezza 
delle  famiglie.  Le  più  grandi  avevano  dopo  l'uscio 
d'ingresso  una  camera  quadrata  di  10,  45,  ed  an- 
che 20  palmi  di  grandezza,  con  due  porte  dì  rim- 
pettoj  le  quali  mettevano  a  due  camerini  da  questa 
divisi^  ed  ambedue  grandi  quanto  la  camera  d'in- 
gressOé  Ne'camerini  era  un  letto  funebre  per  cia- 
schedunoj  lungo  10  palmi  romani  all'incirca,  cioè 
quanto  il  camerino  medesimo,  alti  dal  suolo  4  pal- 
mi in  5.  A  capo  del  letto  era  per  lo  pili  rappresen- 
tato un  origliere  con  un  incavo  nel  mezzo  per  adat^ 
larvi  la  testa  del  cadavere.  Tutto  era  poi  formata 
dello  stesso  masso  ed  a  punta  di  scarpello.  La    voltai 


60  Letteratura 

delle  camere  e  tle'camerini,  alta  per  lo  più  mdno» 
della  grandezza,  era  sovente  fregiata  di  una  tra- 
beazione a  rilievo,  ed  i  letti  sovente  vedevansi  coi 
piedi  foggiati  a  colonne,  al  modo  stesso  che  usava- 
sì  ne'letti  triclinarii,  al  c[ual  modo  foggiarono  an- 
che le  urne  mortuarie.  Che  in  fatti  gli  etruschi  s'im- 
maginarono, per  quanto  ne  dettano  tutti  i  loro  mo- 
numenti funebri,  che  morendo  si  riunissero  ad  un 
allegro  e  perenne  convito.  Non  sempre  v'ha  la  ca- 
mera anteriore;  che  ciò  apparteneva  alle  grotte  più 
distinte:  i  letti  bensì  non  mancano  mai,  anche  lad- 
dove è  una  sola  camera  ed  affatto  disadorna,  e  di- 
sadorni i  letti. 

Sopra  di  questi  collocavasi  il  cadavere  disteso, 
ed  accanto  gli  ponevano  i  candelabri  di  bronzo,  i 
vasi  usati  nel  sacrificio  funebre,  le  armi  de'guerrie- 
ri,ed  ì  pili  cari  utensili  di  cui  si  erano  in  vita  serviti. 

Le  grotte  sfcavate  nel  masso  arenario,  non  pre- 
standosi questo  con  ugnale  solidità  a  quella  elegan- 
za che  il  tufo,  erano  per  lo  piìi  disadorne  affatto, 
ne  altra  cura  si  aveva  nel  cavarle  che  di  renderle 
capaci  giusta  il  bisogno  ,  e  ben  ferme  ne'loi'o  punti 
d'appoggio.  Una  porta  avevano  anch'esse,  la  quale 
al  pari  di  quelle  di  tufo ,  era  sempre  chiusa  di 
grandi  sassi  di  tufo  giallo  o  turchino,  pietra  natura- 
le del  paese,  e  non  si  apriva  che  per  introdurvi  un 
nuovo  cadavere.  In  queste  grotte,  dove  non  pote- 
vano formarsi  per  la  debolezza  della  materia  quei 
letti  funebri  che  dicemmo  appartenere  alle  tombe 
incavate  nel  tufo,  trovansi  il  pili  delle  volte  delle 
urne. 

Dai  tegoli  scritti  rinvenuti  in  queste  grotte  si 
rese  manifesto,  che  ciascuna  famiglia,  almeno  le  più 
distinte,  ne  avevano  una  propria;  per  ciò  che  vi  si 


Antichi  tuscaniensi  61 

li'ovarono  le  epigrafi  riunite  di  piìi  generazioni  del- 
la stessa  famiglia.  Il  che  esclude  quel  favoloso  rac- 
conto del  greco  storico  Teopompo,  col  quale  volle 
dare  ad  intendere  la  promiscuità  delle  mogli  fra 
gli  etruschi  (1). 

Oltre  le  grotte  di  sopra  descritte  si  vedono  in 
Tuscania  due  grandi  cimiteri  circolari,  l'uno  de'qua- 
li  conserva  1440  loculi,  e  l'altro  poco  meno  ,  senza 
contare  gli  avanzi  di  altri  in  gran  parte  distrutti. 
Imperciocché  è  certo  che  ne'pili  tardi  tempi  della 
nazione  invalse  il  costume  di  bruciare  i  cadaveri, 
che  per  rantichissimo  rito  da  prima  si  deponevano. 
Abbruciati  pertanto  i  cadaveri,  se  ne  raccoglievano 
studiosamente  le  ceneri  e  gli  avanzi  delle  ossa,  quin- 
di collocate  in  un  vaso,  si  riponevano  ne'loculi  an- 
zidetti. Quei  COSI  grandi,  che  ho  accennato,  servir 
dovevano  di  cimiterio  comune.  Ma  è  da  notare  che 
presso  le  più  antiche  grotte,  scavate  nel  tufo,  fuori 
della  porta  d'ingresso  è  per  lo  più  un  loculo  più 
grande  che  quelli  del  suddetto  cimiterio  comune, 
che  probabilmente  servì  ai  cadaveri  della  stessa  fa- 
miglia proprietaria  della  grotta  per  riporvi  le  cene- 
ri de'suoi  ,  quando  il  costume  dell'abbruciamento 
era  invalso,  e  non  esser  costretti  di  deporlo  ne'locu- 
li del  cinerario  comune. 

Chiuderò  questo  articolo  con  la  descrizione  del- 
la tomba  poco  distante  da  Tuscania,  denominata  la 
irrotta  della  regina,  che  a  me  sembra  insigne  mo- 
numento della  più  antica  architettura  di  questa 
nazione. 


(i)  Jp.Athen.  XII,  5. 


62  Letteratura 

Questa  grotta  è  scavata  sotto  un  gran  deposito 
di  lava  che  ne  forma  la  volta.  Le  pareti  sono  di  quel 
masso  arenario,  che  abbiamo  indicato.  Vi  §i  v^  per 
un  cuniculo  poco  regolare  di  40  e  più  palmi  roii^^ni 
della  larghezza  dì  due  uomini  di  fronte,  il  cui  piarr 
no  è  allo  stesso  livellp  del  piano  della  grotta.  L'al- 
tezza è  anche  maggiore  per  un  terzo  della  solita.  È 
scavata  in  una  rupe  che  termina  la  vallata  del  fiume 
Marta  alla  clestra  di  questo.  Dopo  il  cuniculo  si  en- 
tra in  una  camera  larga  per  uno  de'  suoi  diametri 
circa  17  palmi  romani,  per  l'altro  circa  a  40.  Ma 
il  lato  di  frpnte  all'ingresso  non  fa  una  parete  a  ret- 
ta linea,  ma  dove  più  dove  meno  rientra  e  sporge 
HeU'iqternp  della  camera. 

Uno  di  questi  risalti  della  sudetta  parete  è  ta- 
gliato appunto  come  un  pilastro  quadrato,  il  quale 
ha  nella  sua  cimasa  una  scanalatura  semplice  e  rozza 
e  senza  altro  ornato,  e  che  forma  una  specie  di  gola 
rovescia.  A  circa  5  palmi  da  questo  pilastro  verso 
la  parete  destra  della  grotta  si  presenta  l'apertura 
d'un  cuniculo  molto  più  piccolo  che  quello  d'in- 
gresso, il  quale  gira  dentro  l'interno  del  masso,  e 
viene  a  sboccare  con  apertura  siiiaile  sopra  la  sini- 
stra parete  della  camera.  Lo  stesso  cuniculq  si  dira- 
ma e  s'allunga  in  altro  siniile  verso  Ja  parte  più  in- 
terna del  masso,  e  non  fu  mai  potuto  tracciare  piìi 
oltre  che  alla  distanza  di  15  palmi  per  la  riempitu- 
ra della  terra  e  dell'acqua  che  vi  ha  scolato  dalla 
rupe, 

Nel  bel  mezzo  di  detta  camera  si  veggono  due 
colonne  di  peperino,  l'ima  di  diametro  pai.  2, 
onc.  6,  alta,  compreso  l'abacp,  ch'è  d'una  semplice 
pietra  quadrata  della  stessa  materia  ,  palmi  7 , 
onc.  85  ;  r  altra  del  diametro  di  pai.  2,  onc.  4,  al- 


Antichi  tuscaniensi  63 

ta,  compreso  l'abaco,  pai.  8,  onc.  7.  Queste  colon- 
ne, la  cui  rotondatura  non  è  molto  raffinata,  poggia- 
no sopra  il  suolo  senza  alcuna  base:  sono  formate  di 
due  pezzi  disuguali  ciascuno:  gli  abachi  sono  ugual- 
mente disuguali,  con  questo  che  quello  della  colon- 
na pili  bassa  è  alquanto  pili  grosso  dell'altro  che  fu 
data  ^lla  colonna  più  alta. 

A  non  mplta  distanza  delle  dije  suddette  colonne 
il  fusto  di  un'altra  simile  giace  per  ferra,  la  quale 
forse  con  la  sua  caduta  è  stata  causa  che  quella  par- 
te di  volta  che  n'era  sostenuta  ha  ruinato,  e  forse  a 
scavare  quelle  ruine  si  troverebbe  anche  l't^baco  di 
questa  terza  colopna.  Intanto  per  impedire  un  pre- 
cipizio maggiore  è  stato  costruito  un  arco  eli  muro 
recente  che  fa  sostegno  alla  volta. 

j^ella  parete  sinistra  della  camere^  vederi  il  ta- 
glio d'una  porta,  qhe  genibra  dare  adito  ad  altra  ca- 
mera cQqtigiia  ^  la^  quale  essendo  tutt^  inferrata  , 
non  si  potè  scoprire  quali  diraensipni  e  qual.  for- 
ma si  abbia,  in  un  lato  della  camere^  qui  descrit- 
ta giace  mezzo  ricoperta  di  terra  la  parete  di  un'ur- 
na di  peperino,  che  a  quel  che  sembra  vi  fu  anti- 
camente depositata  per  la  sepoltura  d'un  cadavere. 
Tutta  questa  rupe  presentando  la  medesima  for- 
mazione dì  masso  arenario  e  di  lava,  siccome  an- 
cora la  stessa  esposizione  ed  altezza  ,  sembra  che 
desse  luogo  ad  una  quantità  di  queste  camere  se- 
polcrali, una  contigua  all'altra:  e  ciò  si  rende  me- 
glio manifesto  dalle  buche  che  rimangono  nel  suo- 
lo superiore  in  pivi  d'un  sito,  e  che  altro  non  so- 
no se  non  gli  sprofondamenti  delle  volte  delle 
grotte  medesime. 

Certo  che  la  struttura  di  questa  che  abbiamo 
descritta  ci  presenta  la  idea  della  piìi  meschina  ed  i 


64  Letteratura 

irregolare  architettura.  Ben  vedesì  che  ni  un  contò 
vi  si  è  fatto  della  simmetria.  Quel  rozzo  pilastro, 
che  non  ha  altro  compagno  nell'interno  della  carne-» 
ra:  quella  sua  cimasa  così  goffa  e  senza  idea  d'  al- 
cuna cornice  o  riquadratura  che  chiuda  quella  me-r 
schina  baccellatura  :  quelle  due  colonne  in  pie-' 
di  formate  di  due  pezzi,  ancorché  sì  tozze  e  poco 
sollevate  dal  suolo:  quella  grande  sproporzione  fra 
il  diametro  e  l'altezza  loro:  quella  mancanza  di  un 
basamento  ,  comunque  disadorno  :  quella  inugua-^ 
glianza  e  rozzezza  degli  abachi,  che  ben  si  vedono 
posti  non  ad  ornar  le  colonne,  ma  a  sorreggere  la 
volta  in  pili  punti  d'appoggio,  che  non  avrebber 
fatto  le  colonne  stesse  sopra  le  quali  aggettano  d* 
alquanto  da  ogni  parte,  sono  indubitati  contrasse* 
gni  d'un' arte  eh'  è  ancora  in  fasce  ,  e  non  osa  di 
dare  un  passo  in  avanti.  E  abbenchè  vi  si  veda 
qualche  scintilla  d'ornato  e  d'abbellimento,  non  ne 
ha  la  giusta  idea  e  non  vuole  sagrificarlo  alla  so» 
lidi  la  del  lavoro.  Ne  dicasi  che  questa  camera  possa 
appartenere  agli  ultimi  tempi  della  nazione  (1), 
1."  perchè  1'  impresa  di  scavar  tali  grotte  sotto 
uno  strato  di  lava  mostra  piìi  robustezza  di  brac- 
cia e  di  genio,  che  di  scavarla  nel  solo  tufo  o  nel 
masso  arenario,  come  nei  medii  e  negli  ultimi  tem» 
pi  della  nazione  si  praticò  (2):  2."  perchè  vari  e- 
sempi  abbiamo  di  grotte  scavate  e  che  apparten-* 
gono  indubitatamente  agli  ultimi  tempi,  ma  ninna 
che  sia  puntellata  con  colonne  portatevi  dal  di  fuo- 


(i)  Micali,  Ant,  tnonian.  tav.  LXIII,lom.  lll,p-  io5  a  107. 
(a)  Vedi  Micali  loo.  cit-  e  le  piante   di  sei    diversi    sepolcri 
tuscaniensi  distinti  co' numeri  3,4,  5,  6,  7,  8. 


Antichi  tuscaniensi  65 

ri,  come  in  questa;  mentre  le  colonne  di  cui  par- 
liamo non  hanno  nulla  di  comune  ne  con  la  lava 
che  ne  forma  la  volta,  ne  col  masso  arenario  che  ne 
forma  le  pareti  ed  il  suolo:  anzi  tutte  quelle  degli 
ultimi  tempi  sono  intieramente  costruite  e  nelle  pa- 
reti e  nelle  volte  e  ne'letti  della  unica  e  sola  ma- 
teria o  tufacea  o  arenaria,  in  cui  furono  scavate, 
ne  vi  manca  mai  quella  regolare  simmetria  che  qui 
non  si  vede.  È  poi  noto  che  anche  ne'templi  dell' 
antichissima  Grecia  le  colonne  erano  d'un  diame- 
tro molto  maggiore  che  non  chiedeva  la  loro  al- 
tezza, secondo  le  belle  proporzioni  che  l'arte  inse- 
gnò molto  più  tardi:  e  sa  pure  ognuno  che  da  prin- 
cipio furono  ugualmente  collocate  sul  nudo  suolo, 
e  che  se  non  più  tardi  acquistarono  il  plinto  e  la 
hase  (1), 

Secondìano  Campanari 


(i)  Altre  cose  dall'antica  Tuscania  dovrebbero  qui  aggiun- 
gersi, da  che  il  suo  territorio  d'ogni  parie  ci  presenta  alcun 
vestigio  degli  antichi  suoi  abitatori;  ma  tralasciando  gli  oggetti  di 
minore  importanza,  dirò  alcune  cose  dell'antica  acropoli  ,  oggi 
conosciuta  sotto  il  nome  di  colle  di  s.  Pietro.  Recentemente  si 
scoperse  nell'orlo  della  sua  sommità  un  portico  d'ordine  tosca- 
no {iffatto  diruto  ,  le  cui  colonne  di  peperino,  ed  altri  membri 
caduti  nella  sottoposta  vigna  Carletti,  danno  la  idea  di  una  fab- 
brica assai  grande  e  maestosa.  Seguendo  l'orlo  medesimo  vi  si 
trovano  muraglie  di  fortificazioni  etrusche^  composte  di  massi  di 
tufo  senza  calce.  L'area  interna  è  seminata  di  torri  fatte  a  dop- 
pio muro,  e  queste,  comunque  per  lo  più  appartengano  al  me- 
dio evo,  sono  frammischiate  ad  altre  d'epoca  romana.  In  alquan- 
ti siti  durano  i  vestigi  delle  antiche  terme,  che  da  questo  col- 
le scendevano  nel  piano  inferiore  della  città  in  una  estensione 
considerevole.  Può  dirsi  che  questo  colle  è  tutto  traforato  da 
Cuniculi. 

Il  bel  tempio  di  s.  Pietro,  che  vi  fu  costruito  circa  il  X  o 
r  XI  secolo,  e  che  nelle  primitive  «uè  forme  si  conserva  a'  di 
nostri,  è  un  insigne  e  raro  monumento  che  racchiude  in  se  dal- 

G.  A.  T.  LXXllI.  5 


(rQ        Lbttkratura 

(a  parte  di  ponente  le  sostruzioni  del  tempo  etrusco,  nel  suo  ii^- 
terno  ha  inuri  reticolati  romani;  vi  si  vedono  le  colonne  di  tut- 
te specie  che  vi  fijrono  trasportate  dagli  antichi  tempii  pagani, 
collocate  secondo  la  rozza  architettura  che  regnava  al  tempo 
della  sua  fabbrica  senza  ordine  e  proporzione  alcuna  ;  eppure 
con  un^  solidità  di  opera,  ch'è  da  stupire. 

Jja  chiesa  è  divisa  ip  superiore  ed  inferiore.  Vi  sono  pittu- 
re antichissime,  e  tutte  le  pareti  n'erano  ricoperte.  Bello  è  il 
pavimento  di  musaico,  bellissima  la  facciata,la  più  parte  di  mar- 
mo, dove  parimenti  fra  gli  eleganti  lavori  del  tempo  romano 
che  vi  sono  innestati,  si  trovano  congiunte  le  goffe  opere  del 
medio  evo:  il  che  fa  un  contrasto  assai  curioso  all'occhio  de'ri-: 
guardanti. 

Poco  luqgi  è  l'altro  insigne  né  meno  antico  tempio  di  san- 
ta Maria,  che  tutto  è  fabbricato  sopra  ruderi  romani,  dov'è  la 
nobile  pittura  di  un  giudizio  unii'ersqle  anteriore  al  i3oo.  Che 
dalla  par{.e  de'santi  vi  è  dipinto  qualche  papa  con  una  sola  co- 
rona nel  suo  triregno,  costume  che  rimonta  all'età  di  papa  Cle— 
jnente  V  o  di  Bonifacio  Vili.  In  questo  giudizio  veggiamo  le 
opinioni  del  pittore  non  molto  difformi  da  quelle  della  visione 
di  frate  Alberico,  ed  in  parte  dello  stesso  Dante  Alighieri.  Men- 
tre vi  è  rappresenlatq  un  diavolo  gigantescQ  a  bocca  spalanca- 
ta, nella  quale  certi  diavoletti  minori  infornano  con  un  triden- 
te le  anime  de'dannati ,  ed  egli  addentandole  le  inghiotte  e  lo 
r^nde  per  il  di  sotto,  di  dove  precipitano  e  si  perdono  dentro 
alla  bocca  d'un  dragone  che  chiude  il  pieduccio  dell'arco,  dov' 
è  la  pittura,  e  che  rappresenta  l'inferno. 

Oltre  di  queste  e  di  altre  antiche  pitture  di  detto  tempio  , 
ve  ne  ha  delle  altre  ugualmente  stimabili  nella  chiesa  dìs.  Fran- 
cesco, condannate  a  perire  misei'amente  in  un  colla  chiesa  stessa 
che  minaccia  da  gran  tempo  ruinaj  altre  in  quella  di  s.  agosti- 
no, alle  quali  per  inaudita  barbarie  ed  ignoranza  fu  dato  di 
bianco,  e  che  lasciansi  per  anco  colà  sotto  nascoste,  senza  che  ma- 
no benefica  vi  sia  che  le  ritorni  alla  primiera  luce;  altre  pure  in 
quella  della  Rosa,  e  soprattutto  nel  vasto  tempio  de'miqori  os- 
servanti, dove  sono  tre  quadri  in  tavola  di  raro  merito  di  Scala- 
brino  da  Pistoia,  ed  altro  di  P^rin  Buonaccorsi,  dello  altrimenti 
del  Vaga,  che  come  racconta  il  Vasari  nella  vita  di  lui,  menato 
da  Fiorenza  a  Toscanells^  dal  Vaga  stesso,  dove  soprabbondava- 
gli  lavoro,  molto  quivi  si  Iratteniie  con  lui,  e  non  solo  ambedue 
terminarono  quell'opera  che  il  Vaga  ai'Ci'a  presa,  ma  molte  an- 
cora che  pigliarono  di  poi.  E  qui  basti  per  ora  di  tali  pitture  , 
e  degli  antichi  monumenti  tutti  della  mia  patria,  de' quali, 
quando  che  sia,  terrò  in  altro  tempo  più  lungo  e  serio  discorso. 


67 


Tragedie  dell'avvocato  Giuseppe  Pellegrini.  Firen- 
ze tip.  Magheri  1837,  in  12.  di  pag.  132. 


Cxi 


iovanna  di  Napoli  e  Decebalo  sono  le  due 
tragedie,  che  ha  date  in  luce  il  giovane  sig.  Giu- 
seppe Pellegrini:  il  quale  dona  alle  lettere  i  l)re- 
vi  ozi,  che  gli  rimangono  da  cure  piìi  gravi.  Que- 
sta è  già  buona  raccomandazione;  tanto  piii  che  dal 
felice  ingegno  di  lui  e  da  queste  primizie  ponno 
aspettarsi  altresì  naaturi  frutti  per  l'avvenire.  Gio- 
va adunque  por  gli  occhi  attentamente  in  queste 
tragedie,  che  dii'emmo  quasi  due  fiori  del  nativo 
giardino;  perocché  sono  tratte  dal  campo  delle  isto- 
l'ie  nostre  nobilissime. 

Quanto  alla  prima,  Roberto  re  di  Napoli,  che 
ebbe  lodi  dal  Petrarca  e  le  meritò,  per  motivi  di 
regno  fece  sposa  Giovanna  sua  nipote  ad  Andrea 
figlio  di  Carlo  re  d'Ungheria.  Mancato  ai  vivi  Ro- 
berto nel  1343,  Giovanna  gli  successe,  e  fu  reina 
di  Napoli  e  di. Provenza;  ma  ne  ella  del  marito, 
ne  il  marito  di  lei,  ne  di  tal  principe  i  cortigiani 
furono  contenti.  Perche  due  anni  appresso  sendo  a 
deliziarsi  la  corte  in  Aversa,  questi  ultimi  o  con- 
sentendolo, o  non  impedendolo  la  regina,  nelle  te- 
nebre miseran^ente  lo  strangolarono.  Di  che  ella 
stessa  colse  mal  frutto;  invano  fu  madre,  invano 
regina:  Carlo  della  Pace,  nipote  a  Lodovico  re  d'Un- 
gheria, venne  alla  conquista  del  regno,  e  pose  in 
carcere  la  misera  donna.  Giunte  a  soccorso  galee  di 


68  Letteratura 

Marsiglia,  Carlo  con  prieghi  e  lusinghe  fu  intorno 
a  Gipvanna  per  ottenere,  che  a  lui  cedesse  il  rer 
gno  non  pure  di  Napoli,  ma  di  Provenza:  la  trovò 
ferma  a  favore  di  Lodovico  duca  d'Angiò,  e  quan- 
do appunto  questi  era  mosso  colle  sue  forze  per 
liberarla,  Carlo  a  dura  morte  la  trasse.  Tal  fine  eb- 
be questa  Giovanna,  il  cui  nome  (se  la  morte  del 
marito  singolarmente  non  l'adombrasse)  risplende- 
rebbe di  chiaro  lume;  tanto  essa  è  lodata  di  sennp 
e  di  fortezza  nelle  istorie! 

Le  tristi  venture  di  lei  hanno  dato  argomento 
a  Giacinto  Battaglia  di  un  libro,  che  uscì  in  Mi- 
lano nel  1835:  la  sua  fino  ha  dato  convenevole  ma- 
teria al  Pellegrini  di  una  tragedia.  La  scena  è  la 
reggia  di  Napoli:  i  personaggi  Giovanna,  Carlo,  Lio- 
nello (figlio  di  lei),  Alberico  (uomo  di  corte).  La 
tragedia  non  è  istoria,  ma  poesia;  e  l'autore  si  è 
valso  onestamente  del  suo  diritto,  cogliendo  però 
mai  sempre  dalla  storia  ogni  piìi  piccola  circo-? 
stanza,   che   al    teatro   non   disdicesse. 

Al  primo  atto,  Giovanna  in  carcere  e  in  pre- 
da a'  rimorsi  ode  da  Alberico  annunziarsi  Carlo  , 
che  viene  a  parlarle.  A  malincuore  il  riceve,  e  lo 
rimprovera,  ed  è  rimproverata  ella  stessa  singolar- 
mente della  morte  del  marito.  Pure  ci  le  offre  e 
regno  e  liberta  e  un  figlio  in  lui,  che  vorrebbe  es- 
sere adottato  per  tale,  e  regnar  seco.  Non  persua- 
sa, ma  vinta  in  vista  la  generosa  infelice,  si  arren- 
de alle  proposte. 

Al  secondo  atto,  Carlo  si  applaude  confidando 
ad  Alberico  di  avere  indotta  Giovanna  a'suoi  dise- 
gni, ne'quali  egli  venne  pel  timore  delle  navi  giun- 
te di  Provenza.  Lionello  non  conosciuto,  e  dicentesi 
filio  del  Conte  di  Caserta,  viene  quale  nunzio  di  lui 


Tragedie  del  Pellegrini  G9 

a  riclamare  a  nome  di  quella  gente  la  liberta  ed 
il  regno  per  Giovanna.  Niega  il  tiranno  lei  non  es- 
sere libera  e  regina;  ma  dice,  lei  prima  e  lui  se- 
condo sul  soglio:  così  la  chiama  con  seco  alla  luce 
del  parlamento.  Ed  ellaj  anzi  che  dissimulare  i  tor- 
ti ricevuti  dal  tiranno^  li  manifesta,  e  invita  i  sud- 
diti ad  ubbidire  in  vece  a  Carlo  di  Caserta.  Il  ti- 
ranno deluso  compatisce  a  lei  quasi  uscita  di  sennoj 
e  rassicura  e  rinvia  i  provenzali:  al  partire  de'quali 
in  pili  duro  carcere  chiude  Giovanna. 

Al  terzo  atto,  essa  nel!'  orrore  della  prigione 
e  della  notte  trema  non  della  morte  vicina;  ma  si 
dello  spettro  del  morto  suo  consorte,  cui  le  figura 
innanzi  la  rea  coscienza.  In  questa  viene  a  trovarla 
Alberico^  e  a  lèi  si  fa  quasi  angelo  coiisolalore^  sve- 
lando che  il  figliuol  suo  vive  conservatole  per  cu- 
ra di  lui  stesso  e  di  Caserta  :  che  questo  figlio  è 
Lionello.  Viene  Lionello,  che  contro  la  mente  del 
tiranno  erasi  trattenuto:  e  la  madre  rivede  il  figlio, 
questi  la  madre.  Il  giovine  bollente  anelando  alla 
vendetta  vuole  tosto  trucidare  il  tiranno;  ma  la  vo- 
ce della  madre  lo  persuade  ad  aspettare  ora  piìi 
propizia.  Giunge  egli  stesso  inaspettato  il  tiranno, 
e  vuole  da  Giovanna  che  segni  la  cessione  a  lui  del 
regno^  o  s'abbia  tormenti  e  morte:  sceglie  essa  que- 
sti ultimi.  Al  che  non  può  frenarsi  Lionello  ,  si 
mostra,  e  tratto  viene  qual  ribelle  a  forza  con  Car- 
lo. Questi,  benché  sospettoso,  si  affida  ancora  ad  Al- 
berico, che  sopra  Ormondo  rivolge  e  cresce  ogni 
sospetto  di  tradita  fede. 

Al  quarto  atto,  di  nuovo  Giovanna  è  alla  reg- 
gia: ella  diffida  di  Alberico;  ma  viene  persuasa  da 
lui,  e  si  acquieta  per  non  iscoprire  il  figlio,  atten- 
dendo che  si  voglia  ancora  da  lei.  Viene  il  tiraii- 


70  Letteratura 

no,  e  parla  della  morte  data  ad  Ormondo,  e  la  mi- 
naccia a  Lionello  come  ribelle;  se  non  che  a'prie- 
ghi  di  Giovanna  lo  iìi  chiamare  a  se  dinanzi,  e  lo 
rimprovera  acerbamente.  E  strigne  quest'ultima  a 
soscrivere  il  foglio  della  cessione  desiderata:  al  che 
prestandosi  ella,  mal  si  frena  l'ardente  spirito  di 
Lionello,  che  per  ciò  stesso  viene  mandato  a  morte, 
e  in  mano  al  crudele  resta  a  forza  Giovanna.  Al- 
berico doveva  per  comando  di  lui  spegnere  Lionel- 
lo, e  tornar  tosto  con  la  novella. 

All'ultimo  atto,  sul  far  del  giorno  Carlo  ha  fi- 
nalmente da  Alberico  la  nuova  e  i  segni  della  mor- 
te di  quel  giovine  infelice,  e  comanda  si  cerchino 
quanti  mai  sono  o  si  credono  traditori,  e  s'ergano 
patiboli,  e  chiama  a  se  Giovanna.  Essa  richiede  di 
Lionello,  ed  egli  invece  la  viene  consigliando  a  ri- 
tirarsi nella  pace  di  un  chiostro;  richiede  ella  più 
ansiosamente  di  Lionello,  e  il  tiranno  lo  dice  spen- 
to, e  ne  mostra  le  vesti  perforate  ed  intrise  di  san- 
gue. Fuori  di  se  dal  dolore,  ella  nomina  il  figlio, 
e  parla  di  Alberico;  Carlo,  insospettito  forte  di  ciò 
che  era  veramente,  nella  sua  ira  va  per  punire,  per 
trucidare,  e  lascia  Giovanna  in  guardia  a  un  suo 
fedele.  Poco  stante  ei  rientra  con  spada  ignuda  sen- 
za manto,  ed  inseguendolo  in  armi  Lionello  ed  Al- 
berico egli  afferra  Giovanna.  L'ultima  scena  vuoisi 
qui  riferire. 
Lion.  Empio,  la  madre. 

La  madre,  empio,  mi  rendi  .... 
Car.  A  te  la  i^endo 

Cosi  (1). 


(i)  La  trafigge. 


Tragedie  del  Pellegrini  71 

Lion.  Oh  Dio!  (1) 

Giov.  Figlio  ...  sci  salvo?  vinci?  ... 

Oh  gioia!  . . .  Oh  dona  il  bacio  estremo  a  questa 
Tua  sventiirata  madre  ...  io  lieta  muoio  .  .  . 
Perchè  muoio  fra  tue  braccia  . .  .  Mio  figlio  . . . 
Ti  benedico  . . .  Ah!  mi  perdona  ...  il  fallo  .  .  « 
E  mei  perdoni  il  Sempiterno  .  . .  cui 
Davanti  or  or  .  .  .  Tu  pure,  fido,  accogli  (2) 
Il  benedir  d'una  madre  spirante: 
A  chi  mi   uccise  anch'io  perdono  .  .  .  Addio.  (3) 
Lion.  Ahi  madre,  ahi  madre!  io  vo  seguirti ...  il  ferro, 

Ov'è  il  mio  ferro? 
Car.  Fra  le  tante  iiiie 

Gioie  di  sangue  or  questa  gioia  è  prima. 
Lion.  Ofi  infame!  ...  (4)  muori  ... 
Alb.  Ferma  ...  l'onorato 

Tuo  brando  no,  degna  è  di  lui  la  scure. 
Cosi  brevemente  e  con  pochi  personaggi,  e  senza 
molli  amori  indegni  sovente  al  coturno,  è  condotta 
e  tratta  a  fine  l'azione,  la  quale  a  tutti  parrà  ve- 
ramente tragica;  salvo  che  da  taluno  volesse  notar- 
si meno  verosimile  in  tiranno,  che  vive  di  sospetti, 
quella  cieca  fiducia  in  Alberico,  anche  dopo  qual- 
che dùbbio  contrassegno:  e  non  abbastanza  giusti- 
ficata in  Giovanna  quella  facilita  di  soscrivere  la 
cessione  del  regnò.  Ma  quanto  al  primo  obbietto, 
crediamo  osservare,  che  anche  il  tiranno  forza  e  che 


(i)  Gli  cade  la  spada,  e  rimane  immobile.   1  soldati  disar- 
mano Carlo. 

(2)  u4d  Alberico . 

(3)  Muore. 

(4)  Raccoglie  la  spada ^  e  gli  si  avventa;  ma  vien  trattenuta 
da  Alberico. 


72  Letteratura 

si  fidi  pure  in  qualcuno;  quanto  al  secondo,  qneU 
la  cessione  era  in  se  nulla  perchè  strappata  colla 
forza  e  vivente  il  figlio;  ma  per  allora  valeva  ad 
ammansare  il  tirannOé 

Perchè,  tutto  considerato,  vuoisi  dar  lode  all'au- 
tore: il  quale  più  e  piìi  ne  avrà  ponendo  più  cu- 
ra allo  stile  ed  alla  versificazione  r  in  che  appare 
forse  qua  e  la  alcuna  negligenza,  che  però  con  la 
sua  lima  ben  può  fare  sparire  agevolmente.  Egli  ha 
fiore  di  giudizio,  e  un  cuore  che  sente  ,  e  favilla 
di  poeta:  e  non  rifugge  dallo  studio,  anzi  lo  ama, 
e  può  promettersi  bene  non  pure  nella  lirica,  ma 
nella  tragica  palestra  a  pochi  donata.  Ammollisca 
il  suo  verso  alla  dolcezza  del  Maffei,  lo  animi  al 
fuoco  del  Monti,  lo  conforti  non  all'asprezza  ma  alla 
gravita  dell'Alfieri:  e  se  ama  esempio  unico,  studi 
di  forza  nell'Alighieri,  e  coglierà  piìi  degne  palme 
eziandio  nella  diificile  tragedia.  Ne  già  slimiamo  a 
lui  esser  uopo  de'  nostri  consigli,  ne  a  noi  conve- 
niente di  darne;  infatti  egli  è  già  bene  innanzi  nel- 
la retta  via  ,  e  noi  sapremmo  più  presto  ricevere 
che  dare  a  lui  buoni  suggerimenti.  Ben  vogliamo  sì 
abbia  alcun  segno  del  molto  pregio,  in  che  lo  te- 
niamo, aprendogli  non  pure  l'jmimo  nostro,  ma  il 
cuore.  E  ciò  sia  detto  una  volta  per  sempre  a  li- 
berarci da  ogni  nota  o  d'invidia  o  di  presunzione, 
da  cui  siamo  in  tutto  alieni. 

Venendo  al  Decebalo,  non  è  chi  non  sappia  il 
trionfo  di  Traiano  sui  daci:  «  Gli  debellò  in  varie 
»  battaglie,  e  per  la  seconda  volta  chiuse  Decebalo 
»  in  Sarmigetusa.  Tutto  costui  tentò  a  salvamento 
»  di  se  e  della  patria:  forza,  umili  ambascerie,  ed 
»  anco  tradimenti  ;  avendo  celatamente  spedilo  al 
»  campo  romano  sicari  per  uccider  Traiano  ,  che 


Tragedie  del  Pellegrini  73 

fe  furono  scoperti  e  puniti.  Finalmente  espugnata 
*)  Sarmigetusa,  sorse  un  orriiiilc  spettacolo;  mentre 
»  i  daci,  piuttosto  che  arrendersi  a  servitù,  o  cad- 
»  dero  per  le  romane  armij  o  si  uccisero  fra  loro» 
»  bevendo  ad  un  gran  vaso  di  veleno  fra  reciproci 
»  brindisi  la  morte»  o  pure  sterminandosi  col  pro- 
»  prio  ferro,  e  distruggendo  citta  e  reggia  col  fuo- 
»  co  ...  .  »  L'ultimo  assedio  e  l'eccidio  di  Sarmi- 
getusa  è  il  soggetto  della  tragedia:  la  scena  è  quivi 
nella  reggia  di  Decebalo  e  nella  tenda  di  Traiano 
nel  campo:  1  personaggi  sono,  oltre  Traiano  e  De- 
cebalo, Eniira  figlia  a  quest'ultimo,  Adriano  confi- 
dente a  Traiano,  Bicilio  a  Decebalo* 

Al  primo  alto,  questi  consegna  a  Bicilio  un  pu- 
gnale, perche  vada  a  trucidare  il  nemico  :  quegli 
rifugge  il  tradimento;  ma  innamorato  di  Emira,  è 
vinta  a  tal  premio  la  sua  virtli,  ed  acconsente  a 
farsi  vile;  tanto  pili  che  lo  crucia  geloso  sospetto, 
che  Emira  arda  segretamente  per  Traiano.  Viene 
ella,  ed  intesa  dal  facile  amante  la  rea  commissio- 
ne del  padre,  lo  trattiene.  Giunge  intanto  Decebalo, 
e  dell'indugiare  rimprovera  Bicilio,  che  parte  al- 
fine per  eseguire  il  cenno  crudele;  rimprovera  an- 
che la  figlia,  di'*  parte  colatamente  con  disegno,  che 
a  pena  travedesi,  di  risparmiare  al  padre  la  viltà 
del  delitto,  all'amato  Traiano  la  vita. 

Al  secondo  atto,  Traiano  accoglie  i  duci  a  par- 
lamento, e  sono  tra  le  squadre  non  conosciuti  Emi- 
ra e  Bicilio  in  abiti  romani:  si  delibera  di  assaltare 
Sarmigetusa.  Indi  solo  Traiano  con  Adriano  com- 
piagne alla  sorte  dei  daci;  umano  cuore  assai  me- 
ritevole degli  elogi  di  Plinio!  Intanto  entra  Bicilio, 
e  vuole  ferirlo  a  tradimento;  ma  Emira  lo  trattie- 
ne: egli  è  scoperto,  e  in  Emira  fa  credere  un  suo 


74  Letteratura 

figlio  Ireno.  Qui  Cesare  indaga  i  cuori  di  un  tal 
padre  e  di  un  tal  figlio,  e  questo  ammira  e  quello 
dispregia;  ma  ecco  si  ode  rumore  di  armi  e  tumul- 
to: ecco  Adriano  venire  colk  novella^  che  Deceba- 
lo  «  Feroce  ed  improvisò  —  Impeto  ha  fatto  ne' 
»  ripari,  e  il  campo  —  Precipitoso  inonda  »  ;  per 
cui,  aflìdati  alle  guardie  que'due,  Traiano  accorre 
al  pericolo. 

Al  terzo  atto  ,  Cesare  rassicuratosi  ringrazia 
Adriano  di  avere  respinto  Dccehalo,  e  gli  dona  per 
grato  animo  1'  anello,  che  ebbe  già  egli  stesso  da 
Nervaj  e  lo  abbraccia,  e  lo  sollecita  ad  eséquiare 
i  valorosi  morti  nel  conflitto.  Ed  accogliendo  so- 
spetti sopra  i  due  daci  prigioni,  vuole  interrogarli; 
ma  Semfpré  disposto  ai  clemenza  dice:  »  Benigno  — 
»  Il  comun  paìdre  die  lo  scettro  all'uomo  —  A  so- 
)'  stégno  dell'uom,  non  a  flagello.  »  E  il  cuore  gli 
parla  a  favore  di  Emira;  mia  l'esercito  ad  alte  gri- 
da dimanda  la  morte  del  traditore  Bicilio.  Il  buon 
prence  la  sospende  ancora,  e  corre  a  mostrarsi  all' 
esercito,-  che  lo  desia;  poi  si  propone  di  udire  un 
nunzio  del  re  nemico  ,  che  col  nome  di  Vezinate 
e  lo  stesso  Decebalo,  come  poscia  si  vede. 

Al  quarto  atto,  viene  adunque'  travestito  De- 
cebalo a  ricercare  dalla  figlia:  Traiano  fa  venire 
Bicilio,  indi  Emira  stessa,  che  nel  calore  del  dialo- 
go al  fine  si  scopre  essa  ed  il  padre:  e  dal  beni- 
gno Cesare  sono  tutti  restituiti  a  libertà,  non  sen- 
za tremare  per  quella  misera,  alla  quale  pur  dice: 
»  Fra  tue  sventure  —  Aver  pensa  in  Traian  padre 
»  e  fratello.  »  Questa  rara  benignità  fa  tanto  piii  ri- 
saltare la  crudezza  del  re  nemico. 

All'ultimo,  è  notte,  e  Decabalo  rimprovera  Bi- 
cilio di  avere  svelato  il  segreto  alla  figlia;  ma  ben 


Tragedie  del  Pellegrini  75 

J)iìi  alto  segreto  egli  svela  al  re  stesso,  l'amore  di 
Emira  pel  suo  nemico.  Il  padre  parla  tosto  alla  fi- 
glia, e  propone  sposarla  a  Bicilio;  dal  che  ella  ri- 
traendosi, Decebalo  rimprovera  a  lei  la  fiamma,  che 
nudre  in  seno  pel  suo  nemico:  e  con  eccesso  di 
barbarie  la  maledice.  In  quella  Bicilio  con  spada 
nuda  vien  annunziando  il  nuovo  assalto,  che  mosso 
hanno  i  romani,  e  Sarmigetusa  già  presa.  Cresce  la 
furia  nemica,  e  Decebalo  disperato  dice  de'  suoi  ; 
»  Solo  —  M'abbandonar  ...  Ma  non  son  io  qiii  me- 
»  co.'"  »  Al  che  la  figlia  ben  risponde:  »  E  teco  io, 
»  padre.  »  Ma  egli  il  barbaro  due  volte  si  sta  per 
ferire  la  figlia  sua;  se  non  che  sopravviene  il  vin- 
citore Traiano,  e  scopre  egli  stesso  l'anlore  per  lui 
di  Emira;  ma  non  può  piìl  salvarla,  dacché  Dece- 
balo alfine  tratto  rapidamente  un  pugnale  ferisce 
la  figlia  e  se  stesso,  e  muoiono  entrambi.  La  pietà 
di  Traiano  è  al  suo  colmo,  e  la  catastrofe  è  così 
tragica,  che  fa  scusare  quell'alto  e  quelle  parole 
di  lui,  con  che  si  chiude  l'azione:  cioè  il  gettare 
la  corona  d'alloro,   6  il  dire: 


»  A  terra  va,  malaugurato  serto; 

»  Se  a  cotanto  di  rei  sangue  commisto 

»  Tu  grondi  pur  d'un  innocente  sangue! 


La  versificazione  in  questa  tragedia  sembra  più 
spontanea  :  ben  sarà  lieve  all'autore  il  toglierne 
ogni  piccola  menda,  che  qui  più  rara  si  mostra,  e 
pur  talvolta  si  mostra.  Lo  stile  ha  meglio  del  su- 
blime, dove  bisogna:  e  questo  è  forse  generato  dal 
soggetto  ben  più  alto,  e  d'interesse  più  universale, 
e  veramente  romano.  Perchè,  e  per  altre  ragioni, 
che  ai  savi  appariranno  agevolmente  dal  solo  cenno, 


76  Letteratura 

che  abbiamo  dato,  se  si  avesse  a  decidere  della  mag- 
giore bontà  di  queste  due  tragedie,  noi  preferirem- 
mo alla  Giovanna  I  di  Napoli  {prima  la  vorremmo 
chiamata  per  non  confonderla  con  altre)  il  Dece- 
halo\  non  ostante  que' troppi  travestimenti,  de'quali 
l'autore  si  è  fatta  egli  stesso  una  necessithé  Ma  beri 
lungi  dal  presumere  di  noi,  o  da  altro  basso  affet- 
to, come  dicemmo,  noi  lasciamo  in  fine  questo  ed 
ogni  altro  giudizio  a  menti  più  profonde  e  sicure; 
contenti  per  nostra  parte  a  rallegrarci  di  nuovo  col 
giovine  autore  de'  bei  passi  ,  che  ha  dati  in  una 
carriera  la  più  malagevole,  e  del  molto  amore  che 
porta  ai  buoni  studi:  dai  quali  egli  si  avrà  conso- 
lata la  vita  e  gloriosa  con  molto  prò  della  omai  de- 
serta poesia  e  delle  lettere* 

i).  Vaccolini 


Osservazioni  sul  Bello. 
Art.  XIII* 


B 


el  mese  l'ottobre!  Le  triste  cure  della  citta  van- 
no non  pure  in  bando,  ma  sono  quasi  morte:  e  tut- 
to è  vita  ne'campi,  tutto  allegria.  Glii  da  la  caccia 
agli  uccelli  con  pania  e  reti  a'palmonì  o  paretai; 
chi  si  arma  pacifico  a  procacciar  qua  e  la  selvag- 
gine per  allegrarne  le  pingui  mense:  chi  spoglia  di 
grappoli  rubicondi  le  stanche  viti;  chi  pigia  le  uve 
e  ne  corona  i  larghi  tini  ;  chi  ne  traggo  il  succo 
spumante,  e  lo  accomanda  alle  botti;  chi  rompe  col 


Osservazioni  sul  Bello  77 

vomere  il  seno  alla  terra,  e  la  prepara  novellamen- 
te a  ricevere  il  seme,  che  è  la  dolce  speranza  dell' 
avvenire;  chi  canta,  chi  Lalla,  e  ognuno  gongola 
d'allegrezza.  Beata  villa!  beati  agricoltori,  se  il  loro 
bene  conoscessero  !  E  noi  che  facciamo  ,  mi  disse 
Faustino,  quel  caro  giovinetto  tanto  buono  e  stu- 
dioso, che  è  il  cuor  del  mio  cuore? 

FilQtimQ. 
Quel  che  il  giovine  Plinio  scriveva  a  Tacito  suo! 

Faustino. 
|L  che  scriveva  egli  mai? 

Filotimo. 

»  Tu  ridi  (scriveva  (1)),  ed  hai  di  che  ridere; 
»  queir  io,  che  ben  conosci,  ho  preso  tre  cignali 
»  proprio  belli,  bellissimi!  Tu  stesso?  Io  stesso  in 
»  anima  e  in  corpo;  ma  senza  metterci  nulla  del 
»  mio  ozio  beato:  stavami  seduto  alle  reti,  accanto 
»  erami  non  lo  spiedo  o  la  lancia,  ma  lo  stilo  e  le 
»  tavolette.  Meditavo  e  notavo;  perchè  se  vuote  tor- 
»  navan  le  mani,  piene  tornassero  almeno  le  carte. 
»  Vedi  bel  modo  di  studiare!  quell'  agitarsi,  quel 
»>  moversi  del  corpo  desta  anche  l'animo:  e  da  ogni 
*  lato  le  selve  e  la  solitudine  e  lo  stesso  silenzio 
»  della  caccia  sono  un  grande  incentivo  a  meditare. 
>>  E  tu  pure  andando  a  caccia  potrai  al  mio  esem- 

(i)  Lib.  I,  Epist.  6. 


78  Letteratura 

»  pio  portare  con  teco  non  solo  la  panatlera  e  l'or^ 
»  ciolefto;  ma  Len  anco  le  tavolette.  Vedrai  Miner-; 
»  va  errare  sui  monti,  non  meglio  che  Diana.  » 

Così  egli  il  buon  Plinio  scriveva,  se  ben  mi 
ricorda;  e  noi,  che  abbiamo  questo  po'  di  respiro 
dalla  scuola  e  da'negozi,  possiamo  benché  senza  re- 
ti od  altri  argomenti  (  che  lasciamo  a  piìi  fortu- 
nati cacciatori)  fare  a  un  dipresso  ciò  che  il  buon 
Plinio  faceva,  e  leggere  qualche  buon  libro,  e  nel- 
la memoria,  se  non  nella  carta,  scriverne  qualche, 
bel  tratto, 

FaustinOt 

Ho  meco  in  buon  punto  il  dialogo  intitolata 
^a  Grazie  di  quell'anima  soavissima  del  Cesari;  ma 
e'  mi  va  per  la  mente  ciò  che  mi  avete  ragionato 
del  Bello,  il  cui  segreto  ponete  nell'ordine;  onde 
è  bello  per  voi  tutto  che  è,  o  si  percepisce  nell' 
ordine:  al  che  consentono  mirabilmente,  tra  gli  al- , 
tri,  il  Degerando,  e  prima  due  nostri  famosi  il  Ger- 
dil  e  il  Muratori:  il  quale  non  dubitò  affermare  e- 
spressamente  (l)  »  quello  che  è  certo,  la  bellezza 
»  ha  da  consistere  nell'ordine.  »  Per  questo  mi  pia- 
ce, e  mi  par  bella  altresì  quella  letterina  di  Plinio, 
che  mi  avete  recata,  dove  è  Iqce  di  ordine  a  mara- 
viglia. Ma  con^e  sta,  che  è  a  noi  piacente  la  villa 
a  questo  tempo  della  vendemmia  ,  nel  quale  ti  è 
bello  quasi  il  disordine?  come  sta,  che  quel  casino 
di  delizie,  dove  oggi  verremo  a  ricrearci,  e  fin  di 
qua  pur  vediamo  in   lontananza  con  tanta  varietà. 


{1)  FU.  Mar.  e.  i6. 


OssERvAxioNi  SUL  Bello  -79 

ci  par  hello?  Appiè  della  riva  del  fiume  Amone  , 
che  alta  ripiegasi  ed  ha  l'aspetto  di  facile  clivo,  si 
gificc:  ha  Lei  viali  coperti  di  avellani  con  rami  in- 
trecciati a  fare  dove  archi  e  volte,  dove  grotte  tran- 
cjuille;  altrove  ha  piccoli  stagni,  nido  a  pesci  guiz- 
zanti; e  il  giardinetto  di  aranci  e  di  erbe  e  di  fio- 
ri di  ogni  maniera  vestito;  ed  il  salire  e  il  discen- 
dere, e  il  piano  e  l'erta  e  la  valle,  e  il  vario  re- 
gna in  un  disordine,  che  piace,  Non  dìrehbesi  qui 
phe  il  bello  anzi  che  in  altro  sta  nel  disordine? 

Filotimo. 

Questo  bel  luogo,  dove  il  vario  coU'uno  trion- 
fa, mi  ha  sembianza  di  un  giardino  inglese:  lo  di- 
cono inglese,  e  dovrebbesi  dire  nostro  più  che  stra- 
niero; perocché  l'italiii  tutta  non  e  ella  dall'alpi  al 
mare  per  dono  di  natura  il  giardino  del  mondo  ; 
appunto  perchè  così  varia  e  piacente,  come  il  giar- 
dino della  reina  descritto  dal  Bembo  negli  Asolimi^ 
anzi  come  l'incantato  d'Armida  (1)? 

»  Acque  stagnanti,  mobili  cristalli, 

»  Fior  varii,  e  varie  piante,  erbe  diverse, 

»  Apriche  collinette,  ombrose  valli, 

»  Selve  e  spelonche  in  una  vista  offerse: 

»  E,  quel  che  il  bello  e  il  caro  accresce  all'opre, 

V  L'arte,  che  tutto  fa,  nulla  si  scopre. 

Ne'quali  versi  è  una  viva  dipintura   del   vero; 
se  noi  sai,   prima  che  il  Milton  avea  egli  il  Tasso 


[i)  Tasso,  Gerus.  e.  i6j  st.  g. 


80  Letteratura 

descritto  così  il  Parco  vecchio^  che  era  proprio  un 
incanto,  e  fu  già  delizia  del  duca  di  Savoia.  E  qui 
rammenta  di  grazia  ciò  che  ne  gerisse  il  gentilissi- 
mo Pindemonte,  ed  ha  ripetuto  quel  nostro  anio->- 
revole  (4)  nelle  sue  Lettere  inforno  invenzioni  e 
scoperte  italiane,  dove  alla  domestica  gloria  viene 
rivendicando  ciò  che  degl'ingegni  nostri  si  arroga-r 
no  gli  stranieri.  Ma  pensa,  che  il  disordine  di  che 
mi  parlavi  non  è  che  apparente;  pensa  come  va-? 
rieta  ad  unita  naturalmente  è  congiunta  nel  Lei 
paese,  e  per  arte  si  trova  ne'giardini  teste  ricor-r 
dati,  e  per  dono  insieme  di  natura  e  di  arte  ne| 
Lei  casino  altresì,  che  cogli  occhi  vediamo  ed  oggi 
più  che  mai  è  il  sospiro  del  nostro  cuore.  Ne  a  ca^ 
so  qui  sono  tante  Lellezze;  chi  le  adunò  o  le  spar^ 
se.  Leu  seppe  la  ragione  segreta  de'niezzi  al  fine^ 
seppe  i  rapporti  delle  cose  ,  e  come  gli  scuri  di 
un  Lei  dipinto  fanno  meglio  apparire  i  chiari,  e 
come  ancora  certe  negligenze  ciie  piacciono  sono 
artifìcii,  e  il  disordine  che  piace  non  è  in  fondo 
clie  ordine;  altrimenti  piacer  non  potreLLe.  Noi  sia- 
mo qui  tra  due  fiumi  il  Senio  e  l' Anione,  che  scor- 
rendo sopra  terra  sono  frenati  da  alte  rive:  e  in 
mezzo  si  avvalla  dolcemente  il  terreno,  e  ha  colti 
campi,  che  li  paiono  forse  men  Lelli,  perchè  alLeri 
e  viti  e  case  e  tutto  ad  un  modo  è  ordinato  a  frutto, 
prì^  che  a  diletto;  ma  non  presenta  malta  varietà, 
e  COSI  all'occhio  è  men  Lello;  Lcnchè  ti  empia  in 
fine  i  granai,  e  ti  colmi  la  casa  di  ogni  Lenedizionc 
del  cielo.  Egli  è  men  Lelia,  io  dico,  in  compara- 
zione de'siti  di  collina,  che  hanno  piìi  varictU  e  la 


[i]  JiamOelli,  Lettere.  Bologna  iSS;. 


Osservazioni  sul  Bello  81 

vista  in  pili  largo  campo  si  spazia;  tuttavia  è  bello 
perocché  in  ordine:  e  più  Lello  ti  sarà  alla  mente, 
ove  ti  volga  addietro  a  pensare,  che  qui  dove  sta 
Bagnacavallo  colle  sue  ville  era  prima  palude  (par- 
te della  Paditsa^  di  cui  tocca  Virgilio  nell'unde- 
cimo  dell'Eneide  dicendo: 

»  Da  le  piscose  rive  di  Padusa 

»  Van  per  gli  stagni  schiamazzando  a  schiere 

»  Turbati  i  cigni (''))• 

ed  ora  è  colma  pianura  cosi  ricca  e  feconda,  che 
ti  ammiri  di  questa  prodigiosa  trasformazione.  L'ar- 
te ha  trionfato  della  natura,  e  via  cacciati  i  pesci, 
e  ciiiamata  l'abbondanza  iip'lieti  campi;  tanto  che 
par  natura:  e  da  questo  verso  il  beato  terreno  ti 
piace;  perocché  è  in  ordine. 

Fausti.  IO. 

L'ordine  in  somma  è  per  voi  il  segreto  della  bellezza! 

Filo  timo. 

Così  è;  ma  vediamo  che  ne  pensasse  lo  scrittore 
delle  Grazie.  Ne  hai  teco,  dicesti,  quel  suo  dialogo, 
dove  pon  fuori  le  squisitezze  della  lingua  nostra  e 
le  eleganze  del  bel  parlare  gentile:  rileggi  di  gra- 
zia que'tratti,  dove  tocca  della  bellezza! 


(i)  Traduz.  del  Caro. 

G.  A.  T.  LXXIIL 


82  Letteratura 

Faustino  ' 

T'anto  nCè  bel  quanto  a  te  piace,  risponderò  col 
poeta,  ed  eccorni  al  Cesari.  Egli  adunque  dice  co- 
sì: (1)  »  Tutti  sottosopra,  e  meglio  i  pratichi  e  i 
»  dotti  conoscono  il  bello  dal  brutto;  il  che  fa  cre- 
»  dere  che  essi  ne  comprendono  la  forma  determi- 
?>  nata;  ma  ciò  non  è:  perchè  quando  vengono  a  di^ 
»  re  che  cosa   egli  sia,  aqua  haeret,  si  tengono  in 

V  sulle  generali  senza  toccar  però  il  punto  ».  Gos\ 
egli  in  bocca  del  Vannetti,  e  continua  a  questo  rao-^ 
do.  »  Io  paragono  la  bellezza  delle  parole  a  quella 
»  di  un  volto:  in  un  bel  volto  ci  vuol  essere  parti, 
»  ciascuna  verso  di  sé  b«lla,  bel  naso,  begli  occhi, 
»  belle  labbra,  belle  guance,  e  così  via  via.  Anche 
»  le  parole  hanno  le  lor  come  fattezze  ciascuna,  e 

V  se  tengono  quella  cotal  forma  di  bello,  che  cia-= 
»  scun  seqte  ne  §a  d'ffinire^  belle  si  dicono  e  pictc« 
s  ciono.  n 

Filotimo, 

l^'uso  può  fare  parer  bello  talvolta  anche  ciò  che 
tale  non  è;  ma  vedi  su  ciò  l'avviso  del  Cesari! 

Faustino^ 

«  Io  ho  sempre  creduto  (così  egli  fa  parlare  ancora 
^  il  Vannetti)  che  la  bellezza  sia,  come  alle  cose, 


(i)  Cesarìf  Prose  seelte.  MUmo  pel  Silvestri  1819,  pag.i^^ 
cseg. 


OiJSERVAZIONI    SUL    BeLLO  83 

»  COSI  alle  parole  intrinseca,  non  accattata  dall'uso. 
»  Gonciossiachè  voi  vedete  certe  cose  essere  di  prì- 
»  mo  tratto  sempre  parate  belle,  ed  a  tutti  che  le 
»  videro,  così  ne'corpi,  come  nelle  forme  del  dire. 
»  Cosi  un  bel  volto,  e  ciascuna  parte  di  lui,  nelle 
»  pitture,  e  nelle  statue  greche  massimamente,  fu 
»  sempre  avuto  per  bello  da  tutti:  il  che  non  sa- 
»  rebbe  avvenuto  se  nell'uso  fosse  dimorata  la  ra- 
»  gione  del  parer  tali;  perchè  queste  cose  piaccio- 
»  no  e  piacquero  nella  prima  vista,  innanzi  che 
»  gli  occhi  e  gli  orecchi  vi  si  addimesticasser  coli' 
»  uso.  Il  che  pare,  che  importi,  che  in  quelle  tali 
))  parti  o  parole  sia  veramente  quella  intrinseca  for- 
»  ma  del  bello,  che  l'anima  (da  Dio  creata  con  co- 
»  tali  ingenite  regole  e  norme  e  ragguagli  della 
»  bellezza)  sente  issofFatto  come  le  vede;  e  le  sen- 
»  te  per  un  certo  rispondere  ch'ella  trova  in  se  stessa 
»  di  quelle  sue  fornie  all'oggetto  rappresentatole.  » 

Filotimo. 

Meglio  parmi  avrebbe  detto,  che  l'anima  fatta  da 
Dio  capace  dell'ordine  sente  issoffatto  come  quelle 
parti  0  parole  siano  in  ordine. 

Faustino. 

Continua  il  nostro  Cesari  notando,  che  non  ogni 
ordine  è  beilo;  ma  ecco  più  innanzi  le  sue  paro- 
le (1).  »  Alla  perfezione  pochissimo  giova  lo  stesso 
»  magistero  dell'arte,  se  non  vi  si  accompagni  un 


(i)  Ivi,  pag.  i5l. 


84  Letteratura 

»  certo  naturai  sentimento,  che  ci  stampi  l'iclea  del- 
■  la  compiuta  ])ellczza.  Noi  vegliamo  talora  tavole 
»  e  figure  condotte  coi  piìj  vivi  colori,  e  secondo 
»  le  regole  tutte  dell'arte,  die  tuttavia  sono  morte 
»  e  fredde  e  senza  spirito;  cioè  appariscon  dipinte, 
»  e  non  pimto  vive.  Raffaello  era  una  seconda  na- 
»  tura,  che  (quasi  avesse  nel  pennello  l'aura  vital 
»  di  Prometeo)  dava  la  vita,  e  la  pili  hella  e  gen- 
»  li  le  a  tutte  le  cose:  e  di  lui  si  vuol  dire  cfuello 
»  che  degli  occhi  della  sua  Laura  disse  il  Petrarca, 
»  che  que" dolci  lumi  s'acquistali  par  natura  e  non 
»  per  arte.  » 

Filotimo. 

Il  senso  della  bellezza  non  è  in  tutti  squisito 
a  un  modo:  e  non  è  da  tutti  l'esprimerlo  per  ec- 
cellenza. Raffaello  fu  in  ciò  singolare  dagli  altri.  E 
facoltà  di  jlcrcepir  1'  ordine  è  in  tutti;  ma  ne  in 
tutti  a  un  modo:  di  pochissimi  è  l'esprimerlo  ad  ec- 
cellenza: il  che  seppe  Raffaello  aiutato  in  gran  par- 
te da  natura,  e  in  parte  ancora  dall'arte.  Ma  se- 
guita a  leggere  nel  dialogo,  e  troverai  che  anch'egli 
quel  padre  delle  eleganze,  che  fu  il  Cesari,  dovette 
rendere  omaggio  al  principio  dell'ordine. 

Faustino^ 

»  Siccome  io  dissi  di  sopra  (cosi  il  Vannetti)  le  pa- 
»  role  son  come  in  un  volto  gli  occhi,  il  naso,  la 
»  bocca,  e  ciascun'altra  sua  parte.  Ora  conciossia- 
»  che  queste  parti,  siano  pur  belle  e  ben  contor- 
»  nate  al  possibile,  elle  però  non  hanno  separate 
*  dal  tutto  un  centesimo  della  bellezza  che  acqui- 


OSSERVAIIONI    SUL   BeLLO  85 

»  stano  dall'csser  disposte  con  quella  ragione  dell' 
»  una  verso  dell'altra,  che  hanno  nei  volti  che  di- 
»  pingea  Raflfaello  ;  cosi  le  parole  come  che  Lolle 
»  sieno  ciascuna  per  se  medesima,  grandissimo  cre- 
»  scimento  di  bellezza  vien  loro  dall'essere  insieme 
»  accozzate  e  composte  a  formare  un  intero  con- 
»  cetto.  » 

Filotimo. 

Vedi,  che  se  non  tutto  concede  all'ordine  il  Cesari 
stesso;  tanto  però  ne  concede,  che  delle  cento  glie- 
ne accorda  novantanove.  Ma  io  ci  scommetto,  che 
se  tu  leggi  innanzi  in  cjuel  dialogo  lo  troverai  da 
ultimo  in  una  sentenza  con  me.  Leggi  adunque,  se 
Dio  t'aiuti;  poiché  il  tempo  (era  di  poco  varcato  il 
mezzogiorno)  e  il  luogo  stesso  ne  invitano  piacevol- 
mente. 

Faustino. 

»  Mi  ricorda  (cosi  sempre  il  Vannetti  (1)  ),  essendo 
»  io  in  Verona,  d'  aver  fatto  meco  le  maraviglie  , 
»  considerando  quella  parte  del  bellissimo  palazzo 
»  detto  della  Granguardia  ,  disegnato  certo  o  dal 
»  Sammicheli  o  da  altro  che  avea  suo  stile.  In  esso 
•  io  vedeva  ima  tale  armonia  e  consentimento  di 
»  parti,  che  tutte  cosi  ben  (direi  quasi)  cospirava- 
»  no  a  renderlo  maestoso  tutto,  nobile  e  bello,  che 
»  io  non  sapeva  più  di  me  stesso.  E  cercando  pti- 
»  re  della  secreta  ragione  di  tanta  Ijellezza,  io  non 
»  potei  altro  dirne  a  me  stesso,  che  cjuesto:  Io  sen- 


(i)  Ivi;  png.  i6i  e  seg. 


86  LETTERATURA 

»  to  ch'egli  e  Lello,  ne  so  perche.  La  sua  hellcxz.i 
»  non  dee  dimorare  in  quella  delle  parti  ,  lioUa 
»  ciascuna  verso  di  sèi  perocché  le  stesse  parti  d'or- 
»  dine  rustico,  gli  stessi  occhi,  gli  stessi  pilastri, 
»  i  medesimi  stipiti  e  cornici,  e  sottosopra  le  me- 
»  desime  modanature  io  vedea,  voltando  1'  occhio 
»  in  un  altro  nobii  palagio  che  gli  era  non  troppo 
»  lungi:  e  nondimeno  questo  non  era,  o  certo  non 
»  mi  parca  bello.  Egli  dovette  esser  adunque  la 
»  cotale  composizione  o  ordinamento  di  queste  par- 
»  ti,  che  era  nelCimo,  e  non  punto  nelV altro ....  » 

Filotimo. 

Che  vuoi  di  più  a  convincerti  del  pregio  grande, 
anzi  essenziale  dell'ordine  nelle  cose  della  bellezza, 
anche  per  detto  del  Cesari?  il  quale  seguitando,  ben 
mi  ricorda,  che  quella  felicita  del  Sammicheli  in 
opere  d'architettura  vuole  da  natura  meglio  che  da 
arte:  ed  io  riferisco  a  mirabile  consentimento  di 
natura  coll'arte^  onde  taluno  sente  squisitamente, 
e  squisitamente  esprime  l'eccellenza  dell'ordine:  il 
che  è  proprio  de'pochi,  i  quali  toccano  il  sommo 
delle  arti  belle. 

Faustino. 

Così  conviene  che  sia:  e  voi  bene  avvertiste  altra 
volta  col  poeta  filosofo  ,  che  1'  arte  nostra  a  Dio 
quasi  e  nipote,  E  m'invitaste  a  pensare  la  creazio- 
ne, quando  prima  era  il  caos  o  sia  il  disordine;  poi 
venne  l'ordine,  o  il  mondo  sensibile,  cosi  I)ello  co- 
me vediamo.  Le  cose  in  prima  confuse  aveano  lite 


Osservazioni  sul  Bello  87 

ti*à  loro,  e  per  dirlo  col  Sulmonese  (1): 

»  Questa  lite  clisciolse  il  buono  Iddio 

»  E  la  miglior  natura,  che  dal  cielo 

»  La  terra,  dalla  terra  il  mar  divise^ 

»  E  dall'aer  più  denso  il  ciel  sereno. 

j>  E  poi  clic  tutte  cose  ebbe  dal  cieco 

»  Caos  tratte  a  chiara  luce,  le  lontane 

»  Alle  vicine  strinse  in  nodo  amico* 

FilotimOè 

E  qui  è  il  velo  della  favola,  cÌie  copire  piiré  tiri 
gran  vero;  ma  questo  vero  è  chiarissimo  per  la  Ge- 
nesi nell'immensa  opera  dei  sette  giorni^  né'quali 
Iddio  realmente  ebbe  creato  il  mondo  t  con  che 
pure  ei  c'insegnò  il  pregio  dell'ordine*  Che  ben  po- 
teva con  un  solo  atto  della  sua  volontà  in  un  fiat 
crear  l'universo:  invece  nel  primo  giorno  creò  la 
lucCj  nel  secondo  il  firmamentOj  nel  terzo  il  mare 
ed  alberi  e  piante,  nel  quarto  il  sole  la  luna  e  le 
stellcj  nel  quinto  i  pesci  e  gli  uccelli,  nel  sesto 
prima  gli  animali,  poi  l'uomo  miracolo  dell'ordi- 
ne: e  visto  che  così  le  parti  ed  il  tutto  erano  una 
bellezza,  nel  settimo  giorno  beatamente  si  riposò^ 
Perchè  il  Tasso,  altresì  bene  avvisando  nell'ordine 
la  suprema  ragione  della  bellezza^  così  cantò: 

»  Come  Dedalo  o  Scopa  od  altro  antico 
»  D'artificii  gentil  famoso  mastro 
»  Prima  raccoglie  i  peregrini  marmi^ 
»  E  i  lucidi  metalli,  e  i  cedri  eletti 


(i)  Ovid.  Metamóvf.  I,  i. 


88  Letteratura 

»  Poi  forma  il  tutto  e  la „  superba  mole 

»  Comparte,  e  compie,  e  le  sue  volte  e  gli  archi 

j»  Fonda  sopra  marmoree  alte  colonne; 

»  O  pur  di  Caria  a'simulacri  appoggia, 

»  E  fa  teatri  e  logge  entro  e  dintorno 

»  Con  lavori  di  Ionia  e  di  Corinto; 

»  Cosi  di  sua  materia  il  Fabbro  eterno 

»  Pria  l'universo  informa,  e  poi  distingue 

»  Le  varie  parti,  e  l'abbellisce  ed  orna. 

E  con  più  acuto  giudìzio  (giova  ripeterlo)  il 
sommo  Alighieri  avca  detto  prima,  che  l'arte  nostra 
a  Dio  quasi  è  nipote.  Veramente  ella  studia  il  bel- 
lo sensibile,  che  sta  nell'ordine,  e  a  quello  spec- 
chio formasi  il  bello  ideale,  da  cui  viene  model- 
lando e  conducendo  similmente  in  ordine  le  opere 
della  bellezza:  la  cui  origine  è  gentile;  per  cui  le 
arti  nostre  vaghissime,  se  non. vogliono  esser  dege- 
neri, devono  farsi  di  continuo  maestre  di  bontà  e 
di  rettitudine,  e  datrici  agli  uomini  non  di  vano 
diletto,   ma  di  vera  felicita! 

L'aria  impregnata  di  mille  odori  tutti  soavi  ci 
avvisò,  che  noi  eravamo  già  presso  al  casino  di  Fo- 
lizi,  e  gli  occhi  guardando  ne  furono  certi;  perchè 
posto  line  al  ragionare  ,  salutammo  i  dolci  amici 
tornati  allora  dalla  caccia,  che  nascosi  dietro  le  sie- 
pi ci  venivano  tirando  pietruzze,  e  volevano  pure 
essere  scoperti  da  noi.  Dopo  i  lieti  abbracciamenti 
venimmo  a  inchinare  la  signora  del  luogo,  che  sta- 
va formando  colle  sue  mani  un  bel  mazzo  di  rose, 
di  malve  e  di  viole  peregrine  per  collocarlo,  come 
poi  fece,  nel  bel  mezzo  della  tavola:  la  rpiale  già 
proparala  al  convito  con  acconcezza  di  ordine  già 
ci  aspettava  grazi osameiite. 

D.  Vagcolini 


89 


Praecipuorwn  philosopìiiae  systematum  disquisitio 
historica  Aloisii  Bonelli  preshjteri  romani.  lìo- 
mae  1 82 9.    Tipis  Bourliè. 


Oembrera  forse  strano  che  dopo  vari  anni  ,  da 
che  quest'  opera  è  stata  pubblicata  dal  chiarissimo 
autore  ,  imprendiamo  ora  brevemente  a  parlarne. 
Il  motivo  però  che  a  ciò  e*  induce  è  non  solo 
il  rispetto  e  la  stima  che  verso  di  lui  nutriamo, 
ma  ancora  il  sapere  che  un  de'  nostri  collabora- 
tori darà  quanto  prima  in  questo  medesimo  gior- 
nale un  estratto  di  quelle  istituzioni  di  logica  e 
metafisica,  delle  quali  fa  egli  uso  nella  sua  pri- 
vata scuola  che  va  di  giorno  in  giorno  crescen- 
do in  Roma  di  reputazione  e  di  nome.  Ora  sic- 
come questa  storia  filosofica  serve  come  di  pro- 
legomeni alle  istituzioni  sopranominate,  così  spe- 
riamo che  non  riuscirà  ingrato  questo  estratto  che 
ne  daremo  colla  maggior  brevità  possibile,  accen- 
nando pili  tosto  di  quello  che  svolgendo  quanto 
contiensi  in  questo  volume  in  8.  di  pagine  183. 

Tutta  la  materia  è  divisa  in  dieci  capitoli. 
Come  ragion  voleva,  tratta  nel  primo  delle  dot- 
trine eh'  erano  conosciute  dagli  antichi  avanti  che 
apparissero  quelli  che  furono  in  appresso  nomi- 
nati filosofi.  Bella  e  naturale  poi  è  la  divisione  eh' 
egli  fa  dì  tutta  la  filosofia  in  sei   grandi    epoche. 

Lo  spazio  di  circa  180  anni,  quanti  appunto 
ne   corrono  da   Talcte   a   Socrate,   cominciando  pò- 


90  LetteìiaturA 

co  dopo  r  anno  600  avanti  1'  era  volgare  ,  è  Irt 
materia  contenuta  nel  secondo  capitolo  ,  ove  reri-*^ 
desi  conto  della  dottrina  di  Talete  e  de'  suoi  di- 
scepoli ,  di  Anassagora  ,  della  setta  pittagorica  , 
di  Eraclito  ,  della  scuola  eleatica  j  di  Leucippo^ 
di  Democrate  ,  di  Protagora  ,  aggiungendovi  in  fi- 
ne alcune   utilissime   osservazioni* 

Il  capo  terzo  è  dall'  autore  impiegato  in  incór- 
rere la  seconda  epoca  della  filosofia,  incominciando 
da  Socrate  fino  al  dominio  de'  romani  nella  Gre- 
cia :  il  qual  tempo  è  di  anni  circa  270.  Dopo 
avere  assai  Lene  sviluppati  i  principi!  di  quella 
dottrina  socratica,  che  il  venosi  no  neW^rte  poe^ 
dea  non  cessava  d'  inculcare  ai  giovani  perchè  la 
studiassero,  passa  ai  discepoli  di  quell'insigne  mae- 
stro ,  a  Platone ,  ad  Aristotele  ,  ai  cirenaici.  Lo 
scetticismo ,  gli  epicurei  ,  lo  stoicismo  sono  con 
uguale!  rapidità  percorsi  dal  sig.  ab.  Bonelli.  Al- 
cune savissime  riflessioni  ^  nelle  quali  si  fa  la  di- 
visione dei  sistemi  dell'  antica  filosofia  ,  e  dove 
parlasi  delle  principali  nazioni  della  filosofia  de' gre- 
ci,  occupano   il   capitolo   quarto. 

La  terza  epoca,  che  incomincia  dalla  distru- 
zione di  Corinto  145  anni  avanti  I' era  volgare  j 
e  giunge  fino  al  risorgimento  della  filosofia  nel  de- 
clinare del  secolo  XVI  ,  è  discorso  nel  quinto. 
La  filosofia  nel  tempo  del  romano  impero,  quel- 
la del  medio  evo  ,  i  preludi  della  ristaurazione 
della  filosofia  speculativa  ,  il  progresso  delle  co-* 
gnizioni  sperimentali,  sono  tutte  cose  che  vengo-= 
no  dall'illustre  professore  sviluppate  con  la  solita 
sua    chiarezza. 

Ma  già  Galileo  ,  Bacone  da  Verulamio,  Car- 
tesio, e  Malebranche   hanno  felicemente  segnata  la 


I<?TORIA    FILOSOFICA  91 

quarta  epoca;  e  tutti  i  loro  sistemi  sono  alquanto 
più  difFiisamente  spiegati  nel  capo  sesto,  in  cui  si 
contiene  la  storia  della  filosofia  per  circa  80  anni« 
Un  secolo  abbraccia  il  tempo  da  Newton  a 
Condillac  ,  ed  in  questo  spazio  vediamo  compa- 
rire grandi  ingegni,  un  Leibnitz  ,  un  Bayle,  un 
Lock  ,  un  Genovesi.  E  benché  taluni  di  questi 
assai  lungi  andassero  dal  vero  ,  nondimeno  con- 
viensi  a  diligente  istorico  favellarne  senza  par- 
tito ,  ed  accennando  ove  dicano  il  vero,  ove  ca- 
dano in  abbaglio,  istruire  1'  erudito  lettore.  Le  vi- 
cende della  dottrina  di  Lock  sono  separatamente 
dall'  autore  osservate  :  ed  in  fine  di  questo  set- 
timo capitolo  fa  il  Bonelli  le  sue  solite  osser- 
vazioni sulla  quarta  e  quinta  epoca ,  classifica  i 
metodi  tenuti  da  cpie'  filosofi  ,  e  fa  specialmente 
osservare  quanto  cpieste  due  epoche  siano  differen- 
ti dalle  due  epoche  della  filosofia  de'  greci  sì  per 
moltissimi  pregiudizi  superati,  si  ancora  per  mol- 
te cognizioni  aggiunte  ,  e  per  essersi  il  metodo  as- 
sai   migliorato   nel   filosofare. 

Il  tempo  che  scorre  da  Condillac,  cioè  dalla 
meta  del  secolo  XVIII,  fino  ai  nostri  giorni,  è  la 
sesta  epoca  della  filosofia  considerata  dal  sig.  abate 
Bonelli.  Alcune  pagine  egli  impiega  nello  svolgere  la 
filosofia  di  Condillac,  presentandone  come  suol  dir- 
si tutto  il  fiore  ,  ed  esamina  quella  di  Bonnet  e  di 
Elvezio.  Il  sistema  di  Emmanuele  Kant,  che  a  prin- 
cipio giaccjuc  nella  oscurità  in  Germania,  ma  di 
poi  venne  in  tanta  voga,  è  con  ogni  diligenza  svolto 
ed  esaminato  :  ne  tralascia  di  farne  la  istoria  nar- 
rando cjuante  controversie  abbia  avuto  ,  e  quanti 
illustri  personaggi  sieno  venuti  fuori  a  sostener- 
lo. Dalla  filosofia  de' tedeschi  passa  l'autore  a  quella 


92  Letteratura 

dei  britanni  dopo  Hume  ,  e  primo  in  campo  si 
presenta  Tommaso  Reid  colla  dottrina  detta  y^/o- 
sofa  del  senso  comune^  qtiindi  Dugaldo  Stewart , 
Antonio  Shaftesbury,  ed  altri.  Discorrendo  poi  della 
rinnovazione  della  filosofia  avvenuta  quasi  ai  no- 
stri giorni,  dice  1'  autore  che  nel  presente  secolo 
nella  Francia  sono  apparsi  tre  sistemi  :  due  ven- 
nero fuori  in  tempo  dell'  impero,  il  terzo  poiché 
ritornarono  le  cose  all'ordine  antico.  Il  primo  è 
quello  di  Destrutt  de  Tracy  conosciuto  sotto  il  no- 
me d'  ideologia  ,  colla  quale  cercò  di  rendere  in 
forma  piìi  semplice  ,  e  di  perfezionare  le  cose 
trattate  dal  Gondillac  :  ed  è  dal  Bonelli  esposto 
e  confutato.  A  questa  opera  del  Tracy  fa  eco  l'al- 
tra di  Cabanis  sulla  relazione  del  fisico  e  del  mo-^ 
vale  neir  uomo  ,  il  quale  filosofo  va  molto  di  ac- 
cordo col  suo  connazionale.  Mentre  la  filosofia  ra- 
zionale riducevasi  ad  un  meccanico  empirismo  da 
Tracy  e  da  Cabanis,  non  mancavano  però  nella  stes- 
sa Gallia  modesti  accurati  e  saggi  cultori,  i  qua- 
li sebbene  eccitassero  minore  entusiasmo,  divennero 
nondimeno  piìi  utili  ,  ed  hanno  una  maggiore  so- 
lidità. Furon  questi  tra  gli  altri  De  Gerando  au- 
tore della  Istoria  comparata  de  sistemi  della  fi' 
losofia^  del  Trattato  de'  segni  e  del  perfeziona- 
mento umano  •  Laromiguiere  ,  le  cui  lezioni  filo- 
sofiche non  abbracciano  tutta  la  scienza  metafisica, 
ma  una  indagine  soltanto,  cioè  1'  esposizione  delle 
facoltà  umane.  Dopo  avere  discusso  i  sistemi  di 
J3onald  e  di  La-Mennais,  chiude  il  capitolo  otta- 
vo narrando  lo  stato  delle  filosofiche  opinioni  in 
Italia,  e  facendo  conoscere  come  in  essa  si  stia  al 
giorno  di  tutto  ciò  che  viene  anche  in  questo  ramo 
di   sapere   prodotto   dall'  umano    ingegno. 


Istoria  filosofica  93 

Qui  parrebbe  finita  1'  opera  del  sig.  abate 
Bonelli,  eli  cui  non  abbiamo  fatto  altro  se  non 
se  presentare,  come  avevamo  promesso,  un  ristret- 
tissimo estratto,  astenendoci  dall'  entrare  in  di- 
samina delle  opinioni  ,  le  quali  sono  benissimo 
esposte  dall'  autore,  e  con  tanta  chiarezza  e  bre- 
vità che  nulla  vi  si  potrebbe  aggiungere  o  to- 
gliere. Nondimeno  il  dotto  professore  vi  ha  uni- 
to due  altri  capitoli,  con  cui  fa  fine  alla  sua  isto- 
ria. Il  primo  di  questi,  cioè  il  nono^  tratta  delle 
diverse  maniere  di  filosofare ,  e  del  loro  succes- 
so. Egli  presenta  il  vantaggio  che  ne  deriva  dal- 
la cognizione  di  tante  opinioni  fra  loro  discre- 
panti, ed  espone  che  cosa  siasi  fatto  finora  ,  g 
che  cosa  ancora  a  far  ci  rimanga.  Per  ciò  esegui- 
re, e  nel  tempo  stesso  per  dimostrare  quali  di  es- 
si filosofi  abbiano  nociuto  ,  quali  abbiano  giovato, 
tratta  singolarmente  della  filosofìa  contemplativa^ 
delV  astratta,  della  sperimentale,  delV  empirismo  , 
dello  scetticismo,  e  della  filosofia  degV  incredidi: 
concludendo  che  lo  spirito  d'  empìeth  è  prove- 
nuto da  vizio  di  filosofia,  cioè  dall'empirismo,  o 
scetticismo,  il  quale  sotto  qualunque  forma  riman- 
ga ascoso  ritiene  sempre  la  sua  indole,  e  non  al- 
tro produce  se  non  la  corruzione  e  la  distruzio^ 
ne  della  buona  filosofia.  Egli  non  niega  che  siensi 
scoperte  piii  cose,  le  quali  prima  ignoravano  gli 
uomini:  ma  saggiamente  dice,  che  la  filosofia  non 
tanto  ricerca  un  maggiore  numero  di  cognizio- 
ni, quanto  il  criterio  di  attribuire  ad  ogni  nO" 
zione  il    suo    valore   e    luogo. 

Sviluppando  finalmente  ncll'  ultimo  capo  il 
presente  stato  della  filosofia,  segue  la  consueta  di- 
visione di  essa  in  razionale,    naturale,   e  morale. 


94  Ijetteratura 

Nota  brevemente  alcune  cose  intorno  a  queste  due 
ultime  parti:  ma  alquanto  piìi  si  trattiene  nella 
iìlosofia  razionale,  parlando  separatamente  della  on- 
tologia e  cosmologia^  della  psicologia^  ed  in  ul- 
timo   della  logica. 

Da  questo  quadro,  che  abbiamo  rozzamente 
tracciato,  ben  si  vede  la  utilità  di  questo  libro, 
che  sebbene  non  sia  grande  di  mole,  tuttavia  per 
le  dottrine  in  esso  esposte  è  di  sommo  pregio  e 
fa  non  dubbia  fede  del  merito  dell'  autore,  il  qua-» 
le  da  vari  anni  professa  con  molta  lode  la  fi- 
losofìa in  questa  capitale.  La  lingua,  in  cui  è  det- 
tato, è  la  latina  scolastica  non  priva  di  eleganza  , 
sempre  chiara  e  precisa.  Come  dicevamo  in  prin^ 
cipio,  questa  istoria  serve  di  prelezioni  al  suo  cor- 
so parimenti  latino  pubblicato  nel  1836,  e  che 
accresciuto  ed  emendato  è  stato  di  nuovo  messo  in 
luce  nel  presente  anno,  essendosene  la  prima  edi-- 
zione   esaurita.  Elogio  bellissimo  ad  ogni  libro. 

Noi  desideriamo  che  il  eh.  autore  prosegua 
ad  attendere  a  questi  studi  ,  e  a  darci  novelli 
parti  del  suo  penetrante  e  sottile  ingegno  ,  noto 
eziandio  agli  eruditi  e  filosofi  per  la  Confutazione 
del  deismo  già  da  lui  pubblicata  alcuni  anni  in- 
dietro: e  vorremmo  che  i  giovani  dalla  lettura 
di  questa  filosofica  istoria  si  convincessero  di  cercare 
sempre  il  vero  ed  il  solido,  e  non  già  quelle  cose  o 
stravaganti  o  fallaci,  le  quali  talora  sono  venute 
fuori  anche  dalla  mente  degli   ingegni  i  piìi  elevati, 

P.   BlOLCUIINI 


95 


Storia  ecclesiastica  e  civile  della  regione  pia  set^ 
tentrionale  del  regno  di  Napoli^  detta  dagli  an- 
tichi Praetutium^  nerbassi  tempi  Aprutium^  oggi 
città  di  Teramo  e  diocesi  Aprutina^  scritta  dal 
dottor  di  leggi  don  Niccola  Palma  canonico 
della  cattedrale  aprutina  ec. ,  volumi  5  in  4. 
Teramo  presso  Ubaldo  Angeletti  dal  1832  al 
1836, 


A 


yvenne  a  me  alcuna  volta  di  udire  un  qual- 
che schifiltoso  affermante  doversi  le  storie,  le  qua- 
li narrano  i  fatti  e  le  vicissitudini  di  una  sola  cit- 
ta ovvero  di  una  sola  e  piccola  provincia,  repu- 
tare e  riguardare  siccome  opere  di  poca  o  ninna 
importanza,  buone  solamente  a  pascere  una  vana 
curiosità,  ed  a  lusingare  l'orgoglio  patrio  ed  a  far- 
lo pili  borioso  e  rigonfio.  Ma  bene  udii  pure  piìi 
frequentemente  persone  di  miglior  senno  dire  con 
sana  e  vera  sentenza,  racchiudere  in  se  stesse  le  sto^ 
rie  municipali  e  provinciali  un  pregio  non  tenue 
ed  una  reale  importanza;  imperciocché  e  servono  a 
conservarci  memoria  dei  domestici  avvenimenti,  il 
non  conoscere  i  quali  sarebbe  brutta  ignoranza,  ve- 
nendo qui  opportune  quelle  parole  di  Cicerone  : 
mihi  qiddem  nulli  satis  eruditi  videntur^  quibus 
nostra  ignota  sunt  (De  Finibus  lib.  1  cap.  2);  e  ci 
raccontan  esse  la  vita  de'preclari  concittadini,  sti- 
molandoci ad  imitarne  i  laudati  e  nobili  fatti  ,  e 
per  tal  guisa  illustrano  que'luoghi  e  quegli  uomi- 


96  Letteratura 

ni,  clic  noi  amar  dobbiamo  più   caramente  e  con 
pili  di  riverenza  l'ammemorare;  ed  inoltre  cosiìFat- 
te  storie  giovano  talvolta  egregiamente  per  difen- 
dere e  regolare  gl'interessi  della  patria,  ponendoci 
in  mano  buone  e  valide  armi,  con  die  tenerne  il- 
lesi ed  inviolati  i  diritti,  e  respingere  l'arbitrio  e 
la  usurpazione;  e  somministrano  eziandio  ottimi  e 
sicuri  materiali  agli  scrittori,  i  quali  tolgono  a  com- 
pilare  la  storia   generale    della   nazione.  E  quindi 
sappiamo   per   testimonianza   di    Plinio   il    giovane 
nella  epistola  XXI  del  terzo  libro,  die  sin  da'tempi 
pili  vetusti  fuvvi  l'uso  di  guiderdonare  con  alcuna 
onorevole  od  utile   rimunerazione    coloro  ,  i  quali 
avessero  scritto  l'elogio  di  qualche  cittk:  Fuit  mo- 
rls  antiqui  eos,  qui  vel  singulorum  laude  s,  vel  ur- 
hium  scripserant^  aut  honorihus.,  aut  pecunia  or- 
nare. Pertanto  il  signor  D.  Niccola  Palma  dottor  di 
leggi,  canonico  della  cattedrale  aprutina,  socio  del 
regale   instituto  d'incoraggiamento  di  Napoli  ed  ap- 
partenente alla  società  economica  del  primo  ulte- 
riore Abruzzo,  già  noto  per  altre  dotte  scritture  e 
singolarmente  per  l'elogio,  di  corto  messo  alle  stam- 
pe, di  S.  M.  Maria  Cristina  di  Savoia  regina  delle 
due  Sicilie  (rapita  nel  fior  degli  anni  all'amore  de' 
sudditi,  a'quali  per  ogni  maniera  di  alte  e  pregia- 
te virtù  erasi  renduta  carissima),  scrivendo  e  pub- 
blicando la  ecclesiastica  e  civile  istoria  della  plìi  set- 
tentrionale regione  del  napolitano  reame,  la  quale 
gli  antlclil  di  nominarono  Praetutium^  e  fu  dappoi 
appellata  ne'bassi  tempi  Jprutium,  ed  è  oggi  la  il- 
lustre citta  di  Teramo  colla  diocesi  aprutina,  fece 
opera  utilissima  e  di  laudi,  secondochè  a  me  ne  pa- 
re, degnissima,  e  della  quale  dovranno  saper  gra- 
do al  valentuomo  tutti  gli  abruzzesi,  i  quali  nudro- 


Storia  pretuziana  97 

no  in  petto  amore  della  patria,  ed  hanno  caro  che 
le  belle  e  gloriose  memorie  della  medesima,  e  la 
ricordanza  de'preclari  uomini  che  vi  nacquero  e  fio- 
rironvi,  non  cadano  bruttamente  nella  obblivione, 
ma  col  mezzo  della  istoria  si  tramandino  ai  più  tar- 
di posteri. 

La  regione,  della  quale  il  signor  canonico  Pal- 
ma imprese  a  scrivere  le  storiche  memorie,  oh'  è 
quella  parte  dell'Abruzzo,  la  quale  è  interposta  al- 
la corrente  del  fiume  romano  ed  alle  frontiere 
dei  dominii  pontificii,  e  cui  circonscrivono  al  po- 
nente le  vette  de'  monti  appenoini  ed  all'  orien- 
te il  mare  adriatico,  soggiacque  a  molte  vicende 
e  rivoluzioni  e  politici  mutamenti,  e  fu  teatro  di 
avvenimenti  degnissimi  di  essere  dalla  storia  re- 
gistrati. Per  que'  luoghi  Annibale,  superbo  della 
vittoria  sul  Trasimeno,  spingevasi  colie  milizie  di 
Cartagine  inverso  la  Puglia  a  fregiarvisi  di  nuo- 
vi allori:  e  quando  sotto  la  spada  del  fortunato  ca- 
pitano la  liijertk  latina  spegnevasi,  per  que'  me- 
desimi luoghi  Cesare  mosse  a  discacciare  da  Cor- 
finio  que'  romani,  che  vi  parteggiavano  pel  gran- 
de e  sventurato  Pompeo.  E  nc'posteriori  secoli  del 
medio  e  dell'infimo  evo  la  regione  pretuziana  tante 
volte  vide  eserciti  e  udì  strepito  di  guerra,  quan- 
te volte  si  battagliò  pel  conquisto  del  divizioso  e 
florido  reame  di  Napoli,  preda  frequentemente  ed 
avidamente  appetita,  perchè  preda  bellissima.  Le 
vicissitudini, poi  de'pretuziani  sendo  collegate  spes- 
so con  quelle  de'piceni,  atrianì,  vestini  ,  peligni  , 
marsi,  marrucini,  ferentani,  sabini  ed  altri  anti- 
chi e  celebri  popoli,  ne  conseguita  che  la  storia  del 
Pretuzio  va  ad  essere  di  utilità  e  d'importanza  an- 
che per  le  provincie  circostanti  e  per  lutto  il  re- 
G.  A.  T.  LXXIU.  7 


93  Letteratura 

gno  della  citeriore  Sicilia.  Ed  anche  per  la  parte 
ecclesiastica  la  storia  del  signor  canonico  Palma  , 
non  limitandosi  a'soli  abruzzesi,  va  a  rendersi  in- 
teressante eziandio  per  altre  popolazioni,  posciachè 
le  diocesi  di  Ascoli,  di  Montalto  e  di  Ripatranso- 
ne  (tre  citta  dello  stato  papale)  si  estendono,  ol- 
trepassando il  Tronto,  nel  territorio  napolitano,  e 
d'altronde  la  diocesi  aprutina  colla  sua  giurisdizio- 
ne penetra  ne'dominii  della  santa  sede. 

Nel  primo  volume  della  storia,  di  che  io  scri- 
vo, stampato  nel  1 832,  la  narrazione  degli  avveni- 
menti è  condotta  a  tutto  il  secolo  XII.  Premessa 
una  geologica  descrizione  dell'  agro  pretuziano,  il 
quale  presenta  uno  spettacolo  assai  variato  e  pia- 
cevolissimo a  riguardarsi,  imperciocché  da  un  la- 
berinto  di  appennini  e  sub-appennini,  che  torreg- 
giano maestosi  per  diverse  guise  ramificati  (  una 
parte  de'  quali  formò  argomento  a  dotte  osserva- 
zioni del  marchese  Orazio  Delfico,  stampate  in  Mi- 
lano ed  in  Napoli),  provengono  catene  di  amenissi- 
me  colline  più  o  meno  elevate,  delle  quali  alcune 
vanno  sempre  più  abbassandosi  fino  a  che  si  livel- 
lano colle  pianure,  ed  altre  con  pittoresca  varietà 
si  protraggono  insino  al  mare,  Fautore  entra  a  ra- 
gionare de'primi  e  più  antichi  abitatori  della  re- 
gione, e  quindi  de'pretuziani:  descrive  i  confini  del 
Pretiizio  ed  i  fiumi  che  ne  bagnano  il  territorio: 
parla  come  di  Teramo,  che  ne  fu  e  n'è  la  princi- 
pale citta,  così  non  meno  delle  altre  citta  e  degli 
altri  luoghi  abitati,  e  col  corredo  di  bella  e  vasta 
erudizione  rammemora  l'agricoltura,  le  arti,  le  stra- 
de, il  commercio,  gli  cmporii,  la  religione  e  le  ma- 
gistrature de'pretuziani,  e  narra  i  fatti  più  meri- 
tevoli di  ricordanza,  che  avvennero  in  quella  parte 


Storia  pRETUziAifA  99 

(l'Italia  ne' tempi  anteriori  al  cristianesimo.  Passa 
dappoi  il  (lotto  scrittore  ad  esporre  come  la  bene- 
fica luce   del   santissimo  Vangelo   sorse  ad   illumi- 
nare quc'popoii,  e  con  dilii^enza  non  mai  rallentata 
prosegue  a  raccontare  i^Ii  avvenimenti,  giungendo 
col  detto  1    volume  all'  anno   1200,  e  percorrendo 
COSI  un  lungo  e  disastroso  cammino,  frequentemente 
ingombro  di   spine  ed   infoscato   talvolta  da  dense 
tenebre.  I  monumenti,  le  iscrizioni,  le  opere  degli 
antichi  scrittori  o  de'moderni,  e  le  ragioni  etimo- 
logiclie,  tutto  accuratamente  il  signor  canonico  Pal- 
lila studiò  ed   esaminò  col  migliore  avvedimento  e 
giovandosi    de'lumi  della  piìi  sana  critica;  e  molti 
errori  correggendo  di  coloro,  che  precedendolo  avea- 
no  scritto  intorno  la  storia   de'  luoghi   medesimi  , 
nari'ò  le  guerre,  delle  quali  il  Pretuzio  fu  teatro, 
le  mutazioni  delle  forme  governative  e  de'  gover- 
nanti, i  cambiamenti  della  ragione  feudale  ed  ogni 
maniera  di  pubbliche  vicissitudini,  che  meritassero 
di   essere  tramandate  alla  memoria  de'posteri  nelle 
pagine  della  storia.  E  di  non  Jieve  soccorso  furono 
al  Palma  nelle  sue   erudite  investigazioni  le  carte 
conservatesi  negli   archivi  di  antichi  monisteri  e  le 
cronache  de'medesimi,  avendo  egli  saputo  con  in- 
finita solerzia  trarre  profitto  dalle  memorie  di  que' 
cenobii  ,  ne'  quali  solamente,  cjuando  corsero  alla 
Italia  sciagurati  secoli  d'  ignoranza  e  di  barbarie, 
serbossi  accesa  alcun  poco  la  fiaccola  del  sapere  , 
sendo  state  in  quelle  case  della  solitudine  e  della 
preghiera,  in  que'romitaggi,  raccolte  ospitalmente  le 
profughe  lettere;  perguisachè  siamo  debitori  a  que' 
pii  cenobiti  di  preziose  scritture  a  noi  pervenute, 
delle  risorte  scienze  e  della  rinnovata  civiltà.  Aven- 
do l'autore  sottoposto  una  parte  del  primo  volume 


-100  Letteratura 

della  sua  storia  al  giudizio  dell'Instituto  Archeolo- 
gico di  Roma,  ne  fu  onorato  dell'aggregazione  tra 
i  soci  corrispondenti,  e  fu  invitato  a  cooperare  alle 
nobilissime  elucubrazioni  di  quella  congrega  d'il- 
lustri uomini  di  lettere,  inlenti  a  conoscere  e  pub- 
blicare i  preziosi  monumenti  della  classica  anti- 
chità. 

Il  li  volume  della  storia  del  signor  canonico 
Palma,  messo  alle  stampe  medesimamente  nel  1832, 
contiene  la  narrazione  degli  avvenimenti  de' secoli 
XIII  XIV  e  XV,  e  de'primi  ventinove  anni  del  se- 
colo XVI;  ed  il  III  tomo,  venuto  in  luce  nel  1833, 
registra  le  memorie  de'fatti  accaduti  dall'anno  1530 
al  1833.  In  questi  due  volumi  il  dotto  autore,  ar- 
ricchito delle  spoglie  di  vecchi  polverosi  arcliivi  , 
e  traendone  a  prezzo  di  lunghe  cure  e  pazientissi- 
me investigazioni  lume  di  utili  documenti  e  tesoro 
inchiusovi  di  carte  alla  storia  importantissime,  egre- 
giamente sé  ne  giovò  pel  suo  erudito  lavoro:  e  quin- 
di attignendo  a  non  torbide  fonti,  ha  potuto  con 
diligenza  e  somma  precisione  descrivere  le  vicissi- 
tudini non  solamente  della  provincia  a  cui  l'opera 
si  riferisce,  ma  di  tutto  il  regno  e  de'rcgnanti,  il 
succedersi  delle  diverse  dinastie  ,  le  rassegne  de' 
feudatarii,  la  serie  de' vescovi  di  Teramo  e  di  Cam- 
pii, le  notizie  de' feudi  della  chiesa  aprutina  ,  le 
origini  e  le  conseguenze  funestissime  de'parteggia- 
menti  e  delle  civili  turbazioni,  che  pur  quella  par- 
te d'Italia,  siccome  le  altre,  ne'passati  secoli  mise- 
ramente e  fieramente  dilaceravano,  le  carestie  (pub- 
bliche calamità,  di  che  frequentemente  si  attristano 
le  pagine  della  storia),  ed  i  mali  e  danni  prodotti 
dai  banditi,  funesta  e  lunga  molestia  dell'Abruzzo 
e  de'paesi  circostanti,  e  gente  audacissima,  avvezza 


Storia  pretuziama  101 

ti*a  i  ruljamentlj  tra  le  coltella  e  tra  il  sangue,  e 
pronta  maisempre  ad  ogni  maniera  di  brutte  e  cru- 
deli opere.  I  molti  luoghi  montuosi,  alpestri  e  sel- 
vaggi olFerivano  facile  scampo  ne'pericoli  alle  male 
Lrigate  di  que'banditi)  che  per  orribil  modo  le  cam- 
pagne e  le  castella  manomettevano,  sottraendosi  al- 
le soldatesche,  le  quali  infruttuosamente  gli  per- 
seguitavano. 

Il  IV  volume^  stampatosi  nel  1834^  contiene 
le  cronache  degli  ecclesiastici  e  pubblici  stabilimen- 
ti, cioè  del  capitolo  aprutino  e  di  quello  di  Cam- 
pii, delle  collegiate,  cappellanie  e  chiese  parroc- 
chiali, de'cenobii,  monisteri  e  conventi  di  ogni  ma- 
niera, de'  conservatorii  e  delle  case  destinate  alla 
educazione  ed  istruzione  della  gioventU.  Di  tutti  gli 
stabilimenti  siffatti  (neppur  quelli  ommessi  che  oi* 
pili  non  sono)  il  diligentissimo  storico  narra  il  na- 
scimento ovvero  le  pili  vetuste  memorie  che  se  ne 
conservano,  le  vicende  a  che  soggiacquero,  e  ne  pub- 
blica le  carte  ed  i  monumenti  di  maggiore  impor- 
tanza, e  che  pili  meritano  di  non  essere  dimenticati. 

Finalmente  fu  messo  alle  stampe  nel  1835  e 
1836  il  V  ed  ultimo  volume,  nel  quale,  oltre  le 
correzioni  e  le  aggiunte  a  tutta  l'  opera,  ed  oltre 
una  carta  corografica  dell'antico  Preluzio,  si  espon- 
gono le  notizie  biografiche  degl'  illustri  uomini;  e 
rifiutati  primamente  quelli  ,  che  furono  da  altri 
scrittori  erroneamente  attribuiti  alla  regione  pre- 
tuziana,  e  ragionandosi  dappoi  di  quelli  che  le  spet- 
tano soltanto  per  qualche  titolo,  e  di  quelli  ezian- 
dio intorno  a'quali  insorgono  dubbiezze,  si  passa  a 
dire  de'celebri  uomini,  i  quali  veramente  ed  affatto 
appartengono  alla  medesima  regione  pretuziana,  e 
che  acquistarono  rinomanza  per  la  santità  de  coslu- 


102  Letteratura 

mi,  o  che  furono  ornati  di  arcivescovili  o  vesco- 
vili dignità,  od  insigniti  di  altri  distinti  ecclesia- 
stici ofìici,  ovvero  decorati  di  gradi  superiori  negl' 
insti  luti  regolari,  od  esercitarono  calciche  e  magi- 
strature, o  fiorirono  per  fama  di  scienze,  di  lette- 
re e  di  arti,  o  procacciaronsi  nominanza  e  gloria 
nella  milizia:  e  non  s'intralasciano  le  donne  rendu- 
tesi  celebri  ed  illustri,  alle  quali  pure  dallo  stori- 
co si  rende  tributo  di  onorevole  commemorazione. 
Non  senza  molta  utilità  si  rimarranno  tali  biogra- 
fiche memorie:  imperocché  laddove  non  sia  trasan- 
dato l'omaggio  di  debite  laudazioni  a'preclari  uo- 
mini, si  sparge  utile  semenza,  che  fruttificando  ne' 
viventi  e  ne'  venturi  ,  non  potrà  non  riprodurre 
esempli  di  bella  dottrina  e  di  nobili   virtù. 

Pertanto  il  canonico  Palma,  guidato  da  lauda- 
bilissimi sentimenti  di  amor  patrio,  compilò  e  mise 
in  luce  una  storia  de'pretuziani  meritevole  di  gran- 
de encomio  per  molti  riguardi^  ma  precipuamente 
perchè  egli,  in  vece  di  prevalersi  degli  scritti  di 
coloro,  i  quali  prima  di  lui  trattarono  il  medesi- 
mo argomento,  investigò  con  indefessa  diligenza  gli 
archivi,  da'  quali  seppe  trarre  dovizia  d' inediti  e 
preziosi  monumenti,  perguisachc  ha  egli  potuto  ar- 
ricchire le  sue  storiche  memorie  di  molti  diplomi^ 
bolle^  statuti^  placiti  ed  altre  carte  degnissime  di 
essere  conosciute.  Non  poche  di  queste  sono  indu- 
bitatamente di  non  lieve  importanza;  e  ciò  servirà 
a  difesa  dello  storico,  se  paresse  a  taluno  che  per 
quella  grande  massa  di  documenti  l'opera  siasi  ren- 
duta  di  tal  mole,  qual  potrebbe  sembrare  pur  ba- 
stante per  la  storia  di  un  vasto  reame  o  di  una  po- 
tente e  famosa  repubblica.  Vero  è  piuttosto  che 
quel  frequente   inserire  che  fa  il  canonico  Palma 


Storia  pretuziana  103 

nella  sua  storia,  di  qne'documenti  dettati  in  si  bar- 
baro latino,  nuoce  alcun  poco  allo  stile  ed  imba- 
razza il  filo  della  narrazione ,  e  qualche  leggitore 
potrà  forse  scontentarsene.  E  veramente  se  non  vi 
stessero  innestati  que'brani  di  bruito  latino,  la  let- 
tura farebbesi  meglio  seguita  e  più  gradevole,  ed 
inoltre  la  potrebbero  gustare  anche  coloro,  i  quali 
di  ogni  altra  favella  sono  ignari  fuorché  della  na- 
tia. Ma  il  chiarissimo  autore  volle  prefiggersi  (  e 
ciò  varrà  bene  ad  escusazione  di  lui)  una  rigorosa 
accuratezza  di  prove  e  di  testimonianze  per  tutti 
gli  avvéniménti  ch'ei  narrava,  talmentechè  ne  rima- 
nesse chiuso  l'adito  siccome  al  sincero  e  prudente 
duljitare,  così  non  meno  al  diffidare  maligno,  e  si 
costringessero  i  lettori  a  restare  persuasi  e  convinti 
della  buona  fede  e  veracità  dello  scrittore.  E  se 
taluno  si  dorrk  che  il  signor  canonico  Palma  trop- 
po frequentemente  abbia  interrotto  i  suoi  storici 
racconti  con  osservazioni  e  con  morali  ammonimen- 
ti, e  dira  che  Cj[ucsti  vi  si  dovean  seminare  con  ma- 
no più  parca,  speriamo  che  a  compensazione  di  ciò 
varranno  bene  le  molte  ed  utili  considerazioni,  in 
ch'egli  leggendo  una  tale  storia  spesso  s'incontre- 
rà, sull'amministrazione  governativa,  finanziera,  giu- 
diziaria e  municipale,  sulle  vicissitudini  della  feu- 
dale potenza,  che  in  quelle  contrade  signoreggiò, 
sui  costumi  pubblici,  sul  commercio,  sulla  indu- 
stria €  sull'agricoltura;  e  relativamente  a  questa  ul- 
tima giustissime  a  me  sembrano  le  doglianze,  che 
muove  l'illustre  e  dotto  scrittore  a  pag.  310  e  seg. 
del  voi.  Ili  sui  danni  provenuti  dal  grandissimo  at- 
terramento de'boschi  e  delle  foreste,  che,  siccome 
altrove,  così  pur  nell'  Abruzzo  Teramano  si  fece  , 
laddove  non  solamente  la  scure,  ma  il  fuoco  ezian- 


104  LetteratuRìC 

dio  per  quella  sconsigliata  devastazione  si  adoperò, 
a  ciò  stimolando  l'intemperante  e  matto  desiderio 
di  ridurre  seminabile  a  granaglie  ogni  e  qualun- 
que terreno:  i  montanari,  non  piìi  contenti  delle 
ghiande  e  delle  castagne,  invocarono  Cerere,  che 
presto  volse  le  spalle  a'iuoghi  non  atti  a  ricevere 
i  suoi  doni:  in  que'moulì  di  forte  pendio  le  piog- 
ge trasportarono  al  basso  la  terra,  in  cui  erasi  vo- 
luto stoltamente  fare  la  seminagione  de'grani,  e  vi 
rimasero  informi  rocce  e  nudi  sassi,  che  or  nega- 
no all'agricoltore  ogni  frutto. 

Noi  qui  opportunamente  ricordando  quel  verso 
di  Ovidio  {Trist.  Uh.  2):  Et  plus  est  patriae  facta 
referre  lahor-^  di  cuor  sincero  ci  congratuleremo  col 
sig.  canonico  Palma,  che  durando  lunga  e  nobile  fa- 
tica, a  fronte  ancora  di  una  mal  ferma  e  scomposta 
sanità,  condusse  a  termine  un'opera,  della  quale  do- 
vranno sapergli  grado  gli  abitatori  del  Teramano 
Abruzzo,  e  se  gli  dovranno  da  essi  riferire  grazie 
e  perpetue  laudi  dell'aver  egli  egregiamente  pro- 
cacciato di  mandare  alla  posterità  col  mezzo  della 
storia  ed  eternare  le  onorevoli  memorie  di  quella 
provincia.  E  ci  rallegreremo  eziandio  colla  illustre 
citta  di  Teramo,  le  notizie  della  quale  furono  dap- 
prima raccolte  dal  celebre  Campano,  che  quivi  ten- 
ne l'episcopato,  in  una  sua  epistola  indirizzata  al 
cardinal  Papiense,  ch'è  la  IV  del  1  lib.;  e  dappoi 
ebbe  un  suo  valente  storico  nel  marchese  Giovan 
Bernardino  Delfico  autore  delle  Memorie  dlnte- 
ramnia  Pretuzia^  pubblicate  in  Napoli  dalla  stam- 
peria reale  nel  1812,  e  lodate  dai  cavaliere  Luigi 
Bossi  nella  Storia  d'Italia  antica  e  moderna,  lib.  1 
cap.  X:  il  quale  peraltro  erroneamente  attribuisce 
quelle  Memorie   a   Melchiorre  Delfico   fratello    di 


Storia  pretuziana  105 

Giovan  Bernardino;  ed  ha  ora  quella  raggiiardevol 
città  trovato  nell'autore  della  storia  ecclesiastica  e 
civile  della  regione  più  settentrionale  del  regno  di 
Napoli  un  altro  valentuomo,  che  stimolato  da  ca- 
rità del  natio  luogo  tolse  a  scrivere  diligentissima- 
mente sugli  avvenimenti  del  Pretuzio.  Di  questa 
pregevolissima  storia  fecero  onorevole  ricordanza  il 
Giornale  del  primo  Abruzzo  ultra  {iium.  28  art.  84), 
gli  Annali  civili  del  regno  delle  due  Sicilie  {fase 
XIX,  gennaio  e  febbraio  1 836  a  cari.  66  e  seg.)  ed 
il  Giornale  abruzzese  di  scienze,  lettere  ed  arti 
{luun.  V-,  novembre  1836);  ed  il  chiarissimo  signor 
canonico  Palma,  posciachè  con  lunghe  e  laboriose 
investigazioni  da'  polverosi  archivi  ,  de'  quali  egli 
seppe  farsi  una  ricca  miniera  ,  trasse  e  pubblicò 
tante  carte  ed  importanti  documenti,  che  vi  giace- 
vano dimenticati,  e  ci  narrò  nella  più  accurata  ma- 
niera le  vicissitudini  di  una  provincia,  che  pur  fu 
teatro  di  memorabili  fatti,  a  buon  diritto  può  darsi 
vanto  e  gloria  di  avere  contribuito  un  qualche  uti- 
le materiale  al  grande  edifizio  della  italica  storia; 
ond'è  ch'egli  fiorirà  nella  grazia  e  nella  universale 
stima  di  quanti  pregiano  giustamente  i  buoni  stu- 
di e  gli  eruditi  e  dotti  uomini:  e  quando  sia  tolto 
a'vivi,  rimarrà  di  lui  bella  e  durabile  fama. 

Giaciuto  Gantalamessa  Carboni 


107 


"m  >     '•  '  >  !«—«—**■ 


VARIETÀ^ 


Notìzie  intorno  al  foro  de'inercanti  di   Bologna  ,    volgarmente 
detto  la  mercanzia.  4-   Bologna  pei  tipi   del    Nobili  e  compa-  _ 
gno  1857.  (Sono  cai-te  4o  con  una  tavola  in  rame.) 

JLIìcco  un  nuovo  regalo  che  il  signor  Gaetano  Giordani  presen- 
ta alla  sua  nobile  patria.  Con  grande  accuratezza  sono  in  que- 
sta operetta  illustrate  le  memorie  non  solo  della  fabbrica  del 
Foro,  opera  dei  secoli  XIV  e  XV,  ma  anche  del  collegio  de' 
mercanti  della  città  di  Bologna.  Gli  amatori  inoltre  di  tali  cu- 
riosità vi  troveranno  assai  belle  notizie  anche  su  quell'architet- 
tura clic  impropriamente  diciamo  gotica. 

B. 


108  Varietà 

Dello  specchio  mistico  di  bronzo  rappresentante  Ulisse  e  Tire'- 
sia,  illustrazione  di  Luigi  Grifi  consigliere  e  segretario  della 
commissione  generale  consultiva  di  antichità  e  belle  arti,  merìi- 
bro  dell'  accademia  de' lincei.  4-  Roma  i836.  (Sono  carte  i4 
con  lina  tavola  in  rame-) 

V  uolsi  lodare  l'egrègio  signor  cav.  Grifi  di  averci  data  la  vera 
interpretazione  (secondo  noi)  di  ciò  eh'  è  rappresentato  in  que- 
sto singolarissima  specchio  mistico,  dissotterrato  ultimamente 
fra  le  ruine  di  Vulci:  opponendosi  modestamente  con  molta  eru- 
dizione di  greco  e  di  etrusco  a  quelle  che  ne  avevano  pubblica- 
to in  Roma  altri  chiari  archeologi. 

B. 


Lettera    di    Lucio   Anneo    Seneca    a    Lucilio.     Delle     vulgate 
LXXXX.  Bologna  pel  Nobili  iSB;. 

Xl  signor  Prospero  Viani,  illustre  giovane  lombardo,  ha  pubbli- 
cato una  bella  versione  di  quella  epistola  di  Lucio  Anneo  che 
fra  le  vulgate  è  la  novantesima,  e  con  nobilissime  parole  ne  ha 
dato  il  titolo  al  cavaliere  Dionigi  Strocchi.  Ne  è  traduttore  l'ab. 
Giuseppe  Brambilla  nome  caro  all'italiana  favella,  di  cui  come 
oggidì  è  bella  speranza,  così  per  l'avvenire  sarà  ottimo  sostegno. 
Sovra  lo  stile  di  Seneca  si  provarono  molli  ingegni;  ma  alla  pro- 
va meglio  di  tutti  riuscirono  il  gentilissimo  Annibal  Caro  e  Pie- 
tro Giordani.  Non  sarem  querelati  di  adulazione  se  diremo  che 
il  Brambilla  regge  assai  bene  al  loro  paragone;  né  meneremo  le 
alte  grida  ov'egll  facciasi  minore  di  essi;  perchè  se  il  vincere  i 
meschini  intelletti  è  vittoria  assai   magra,  e  di  poco  guadagno  , 


Varietà'  109 

il  cedere  ai  grandi  non  fu  mai  cosa  che  desse  vergogna.  Noi  bene 
avremmo  desideralo  che  il  Brambilla  si  tenesse  un  po' più  tem- 
perato nel  darci  le  viste  del  suo  grande  sapere  in  fatto  di  lingua. 
Ma  quel  volgarissimo  melius  est  abundare  quam  defìcere,  è  pure 
la  gran  difesa  per  gli  scrittori  ,  e  principalmente  pei  giovani 
quel'  è  il  sig.  Brambilla!  Che  al  fervido  ingegno  loro  di  buona 
e  non  evitabile  medicina  suol  provvedere  il  tempo. 

Beniamiivo  Barone 


Discorso  sull'agricoltura  dell'  agro  romano,  letto  da  A.  Coppi 
neir  accademia  tiberina  il  dì  i"^  luglio  iSo^.  Roma  tipografia 
Sahiucci  1807. 

ilei  tempo  che  viviamo  molti  helluones  antiquitatum  credono 
vanto  l'annoiare  la  mente  del  pubblico  con  libri  gremiti  di  cita- 
zioni, di  commenti,  glosse,  e  annotazioni  d'universale  sapienza; 
ond'  è  che  un  libro  erudito  e  insieme  filosofico  è  cosa  molto 
rara  ai  nostri  dì.  Questo  discorso  del  signor  Coppi  intende  a 
cercare  in  quarepoca,  ed  in  qual  modo  siano  perite  quelle  cit- 
tà fioritissime  d'ogni  bene  che  un  di  esistevano  nell'agro  di  Ro- 
ma; e  come  in  possessione  di  pochi  signori  sian  cadute  quelle 
terre  che  bastavano  a  nutrire  tanti  etruschi,  latini, e  sabini.  Quin- 
di l'autore  narra  ed  esamina  con  maturo  giudizio  quelle  leggi, 
colle  quali  provvidero  al  coltivamento  di  quella  or  si  miserabi- 
le campagna  i  re,  i  consoli,  gli  imperadori,  i  pontefici  e  quanti 
altri  mai  Roma  tenosseroj  e  dotto  negli  arcani  delle  scienze  eco- 
nomiche e  politiche,  allo  specchio  del  passato  compone  le  nor- 
me dell'avvenire;  ed  insegna  i  modi,  pei  quali  in  quel  pauroso 
ed  infelice  deserto  potrebbero  richiamarsi  la  salute,  la  ricchezza 
e  gli  altri  beni  della  vita  civile.  Egli  infine  discorre  di  quegli 
economisti  che  scrissero  nuovi  progetti  di  agricoltura,  e  di  que' 


j'IO  Varietà' 

matematici  che  forruaron  topografie,  o  disegnarono  vie,  cannU 
e  fiunii  a  comun  beneficio.  E  di  tutte  queste  materie  egli  ragio- 
na con  sobrie  parole  e  eoa  saldo  criterio,  mostrandosi  profondo 
in  ciò  che  reca  dinanzi  al  nostro  giudizio.  Il  perchè  noi  credia- 
mo che  questo  discorso  sia  im  nobile  frutto  di  quella  patria  ca- 
rità, e  di  quel  senno  gentilissimo  onde  il  nome  del  Coppi  è  già 
solenne  per  tutta  Italia, 

B.  Barone 


alcune  osservazioni  sopra  una  memoria  dal  sig.  Adriano  Balbi, 
con  la  quale  si  stabiliscono  incontrovertibilmente  i  tempi  di 
due  prese  di  Troia  avvenute  in  due  guerre  mosse  contro  essa 
dai  greci. 

XI  eh.  sig.  Adriano  Balbi  con  una  ben  ragionala  memoria,  che 
primamente  vide  la  luce  nel  giornale  di  scienze,  lettere  ed  arti 
ppf  la  Sicilia,  e  che  riprodotta  venne  nell'Oniologia  di  Perugia 
(fascicolo  di  maggio  |834),  ne  addimostra  la  ragione  per  cui  in- 
torno all'epoca  della  presa  di  Troia  discordarono  e  gli  antichi 
dotti,  come  dà  a  conoscere  Gensorino  nel  libro  sopra  il  dì  na- 
talizio, cap.  XXI,  ed  i  cronologi  degli  ultimi  secoli.  Chi  volle 
assegnare  a  questo  avvenimento  un'epoca,  e  chi  un'altra,  facen- 
dosi dall'  anno  1780  del  mondo  al  2820  corrispondentemente  a 
quel  tempo,  in  cui  ciascuno  avvisò  essersi  incominciata  la  detta 
guerra,  la  quale  cessava  colla  mina  di  si  famosa  città.  Le  varie 
loro  opinioni  circa  1'  epoca  di  questa  nascono  principalmente 
dalla  difficoltà  che  gli  uni  incontrano  a  fermarla  nell'anno  sta- 
bilito dagli  altri;  e  ciò  per  la  ragione,  che  i  personaggi,  i  quali 
ebbero  parte  nell'  avvenimento  medesimo,  scontransi  vissuti  in 
età  diverse  tra  loro.  Essendovi  però  sino  dagli  antichi  tempi 
prove  certe,  che  essi  tutti  combattessero  nella  troiana  guerra  , 


Varietà'  111 

non  che  storici  documenti,  che  indicano  avvenute  in  quella  cit- 
tà due  guerre,  potevasi  con  molta  facilità  assegnare  ,  com'egli 
ha  fatto,  l'epoca  ad  ognuna. 

,,  Troia  non  ebbe  che  sei  re  (sono  parole  del  Balbi),  sottq 
l'ultimo  dei  quali  ella  fu  presa  ed  abbruciata  dai  greci.  Barda- 
no, da  cui  essa  a  principio  prese  nome  di  Daidania,  la  fondò 
l'anno  del  mondo  2524,  e  vi  regnò  anni  trentuno;  Erittonio  vi 
regnò  anni  settantaciuque;  Troe^  da  cui  questa  città,  smesso  il 
norpe  di  Dardnnia,  si  nominò  Troia,  vi  regnò  anni  sessanta;  Ilo, 
phe  gli  succedette,  e  da  cui  la  fortezza  di  Troia  s'appellò  Ilio, 
vi  regnò  cinquantaquattro  anni;  Laomedonte,  anni  trentasei;  e 
Priamo  anni  quaranta.  Quindi  avendo  gli  argonauti  ,  ritornali 
che  furono  da  Coleo  sotto  il  comando  d'Ercole  figlio  d'Alcme- 
na,  battuto  ed  espugnato  Troia,  ucciso  Laomedopte,  e  dato  il 
regno  a  Priamo  figlio  di  lui,  per  essere  stati  esclusi  dai  lidi  tro- 
iani; ciò  che  narrano  Darete  Frigio,  Diodoro  Siculo,  ed  Igino: 
la  prima  presa  di  Troia  non  può  che  essere  avvenuta  l'anno  del 
mondo  2780,  in  cui  fini  di  regnare  Laomedonte,  e  la  seconda 
l'anno  2820,  in  cui  fini  di  regnar  Priamo.  Aggiungasi  che  il  ve- 
ro tempo  della  seconda  presa  di  Troia  viene  ad  emergere  anco- 
ra dalla  vita  di  Teseo,  della  quale  non  vi  ha  nell'antichissima 
stona  serie  di  cose  più  esatta  e  più  sgombra  di  falsità,  cosi  per 
constar  essa  di  fatti,  che  tra  loro  perfettamente  concordano  dì 
tempi,  e  vengono  anche  da  vari  scrittori  concordemente  confer- 
mati, come  per  essere  stata  ben  dibattuta  p  dilticidata  da  Plu- 
tarco e  da  Giovanni  Meursio.  Ora  da  essa  risulta,  che  Teseo 
verso  l'anno  del  mondo  2^68,  secondo  del  suo  regno,  le  dodici 
città  dell'Attica  componesse,  e  rassembrasse  in  Atene,  e  facesse 
dai  greci  celebrare  a  Nettuno  i  giuochi  istmi;  ed  anzi  sottilmente 
calcolando,  io  trovo  che  tutto  questo  caderebbe  intorno  a  due 
anni  più  in  giù,  cioè  nell'anno  del  mondo  ayyo.  Cosicché,  sic- 
come dalle  tavole  arundelliane  risulta  esserne  scorsi  cinquanta 
da  questo  avvenimento  alla  seconda  presa  di  Troia  ,  viene  che 
questa  accadesse  l'anno  2820  della  stessa  era;  e  che  nella  prima 
guerra  abbiano  combattuto  Telamone,  Ercole,  Teseo,  Giasone, 
Orfeo  e  tutti  gli  altri  eroi  del  vello  d'oroj  e  nella  seconda  i  lor 
figli  ed  i  loi-o  nipoti  Agamennone,  Menelao,  Achille,  Aiace  ed 
altri.  „ 


112  Varietà' 

Questa  opinione  delle  due  prese  di  Ti-oia,  cronologicamente 
ordinate  dal  Balbi,  osservammo  essere  mirabilmente  confermata 
dal  verso  5gg  del  libro  IX  dell'  Eneide  dove  si  legge  bis  capti 
phrjges  ec.  Il  La-Cerda,  che  commentò  si  dottamente  l'altissi- 
mo poeta,  notò  a  quel  luogo,  che  Troia  fu  presa  tre  volte:  Tzet- 
zes  tameii  in  Tlieocr,  ter  ait  captos  ,  ab  Hercule,  amazonibus , 
graecis.  Cosi  pure  Ugo  Foscolo  nel  suo  carme  de'sepolcri,  ove 
osprimesi  come  segue: 

.......  e  tutta  narrerà  la  tomba 

Ilio  raso  due  volte,  e  due  risorto 
Splendidamente  su  le  mute  vie 
Per  far  più  bello  l'ultimo  trofeo 
Ai  fatati  Pelidi.- 

altenulo  essendosi  ad  Omero,  il  quale   nel  III  libro  dell'Iliade 
pone  sul  labbro  a  Priamo  queste  parole,  nel  favellare  con  Elena,- 

Sovviemmi  il  giorno  ch'io  toccai  straniero 
La  vitifera  Frigia.  Un  denso  io  vidi 
Popolo  di  cavalli  agitatore 
Dell'inclito  Migdon  schiere  e  d'Otrèo, 
Che  poste  del  Sangario  alla  riviera 
Avean  le  tende,  ed  io  co'miei  m'aggiunsi 
Lor  collegato,  e  fui  del  numer  uno 
Il  di  che  a  pugna  le  virili  amazoui 
Discesero.  Ma  tante  allor  non  furo 
Le  frigie  torme  no,  quante  or  le  achee. 

L'egregio  sig.  Adriano  Balbi,  che  con  tanta  diligenza  e  fe- 
licità seppe  fissare  le  epoche  delle  due  prese  di  Troia,  per  gli 
argonauti  cioè  condotti  da  Ercole  ,  e  pei  greci  capitanati  da 
Agamennone  ,  saprà  senza  dubbio  o  smentire  1'  asserzione  di 
Tzelze,  d'Omero,  e  conseguentemente  del  Foscolo,  o  per  piena 
trattazione  del  suo  argomento  assegnare  con  egual  precisione  il 
tempo  di  quella  terza  presa  di  Troia,  fatta  dalle  amazoni. 

Francesco  Gapozzi 


Varietà'  ÌÌ3 

in  morte  di  Fulvia  Òllvari  Fulcini.  Parma  per  Filippo  Carmi- 

gnani  1837  in  8.  Voi.  unico  di  carte  67. 
Nella  stessa  occasione;  Modena  per  Giovanni  Vincenzi  e  comp. 

1837  '"  ^'  ^^^'  "'^'^ó  di  carte  i  io. 

V^uesta  gentilissima  dama  nacque  in  Modena  ai  27  di  settem- 
bre 18 15  da  quel  patrizio  Francesco  Maria  Olivari,  e  dalla  mar- 
chesa Guglielma  Boscoli  di  Parma.  Per  gli  aurei  costumi  e 
pel  non  vulgare  ingegno  formò  la  delizia  degli  ottimi  genitori  > 
che  in  lei,  unica  figlia  superstite,  si  confortarono  della  perdila 
di  due  altre,  l'una  maggiore  a  Fulvia  e  l'altra  minore^  volale  al 
cielo  in  tenera  età.  Educata  con  ogni  cura  é  come  a  gentildon- 
na convenivasl,  coltivava  con  amore  la  lingua  italiana  è  fraricé- 
sc,  e  gustava  eziandio  la  tedesca  e  la  latina.  Era  poi  a  mai'avl-^ 
glia  istrutta  rie'femmlriill  lavori.  Toccava  il  18  anno  quando  era 
disponsata  al  cav.  Enrico  Mazzarl  Fulcini  di  Parma.  Colmava  di 
giubilo  la  nuova  casa,  ed  esatta  nell'adempimento  de'propri  do- 
veri, tutto  amore  era  pel  suo  corisortej  cui  rallegrava  di  bella 
prole:  ma  colta  dopo  il  secondo  parto  da  lunga  e  insanabile  la- 
fermità,  munita  di  tutti  i  soccorsi  della  nostra  religione  nel  19 
dicembre  del  i836  placidamente  spirava^  lasciando  nel  più  vivo 
dolore  i  genitori,  il  consorte,  gli  amici,  i  congiunti,  e  quanti  co- 
nosciuta l'avevano. 

Le  belle  virtù  di  questa  egregia  hanno  dato  luogo  alle  due 
raccolte  che  annunciamo,  e  per  cui  gareggiaron  fra  loro  Mode- 
na, ov'ebbe  1  natali,  e  Parma  ove  andò  a  marito,  in  invitare  al 
canto  valenti  poeti.  In  fatti  nella  prima,  tutta  italiana,  oltre  la 
elegante  prefazione  del  eh.  sig.  prof.  cav.  Michele  Leoni  leggon- 
si  1  sonetti  del  prof.  Pietro  Bernabò  Sdorala,  di  Agostino  Ga- 
gnoli, del  cav.  prof  P.  A.  Paravia,  dell'avv.  Marc' Antonio  Pa- 
renti e  di  altri  illustri  poeti,  v' è  un  ode  del  conte  Giovanni 
Marchetti,  ed  una  cantica  di  Giorgio  Viani.  Non  potendo  noi 
riferire  tutte  queste  poesie,  ci  contenteremo  soltanto  di  riportare 
per  saggio  un  sonetto  del  sig.  conte  cav-  Ferdinando  di  Casta- 
gnola posto  a  carte  23. 

G.  A.  T.  LXXllI.  8 


114  Varietà' 

Fra  le  tombe  di  lor  che  un  di  la  vita 

Mi  feano  dolce,  e  invan  richiedo  al  cielo^ 
Novella  tomba,  or  or  scoccato  il  telo 
Di  morte,  al  guardo  mio  pietate  addita: 

Non  di  chi  sua  giornata  avea  compita. 
Perchè  lo  vinse  dell'etate  il  gelo^ 
Ma  di  donna  ivi  posa  il  fragil  velo 
Che  in  suoi  verd'anni  fé  da  noi  partita. 

N'eran  laudati  il  portamento  onesto 
E  l'amor  casto  e  il  candido  costume. 
Neglette  doti  e  d'altro  secol  degne. 

Ah!  tempo  ben  di  lagrimare  è  questo; 
Che  ove  rifulga  di  virtute  un  lume 
E  baJen  che  sfavilla  e  si  dispegne. 

Più  estesa  pel  numero  de'  componimenti  e  per  la  varietà 
delle  lingue  è  la  seconda  raccolta,  quella  cioè  di  Modena.  Dopo 
un  nuovo  elogio  della  Pulcini  vi  sono  poesie  italiane,  latine  e 
greche:  due  sonetti,  l'uno  spagnuolo  l'altro  inglese  voltati  in  ita- 
liano: ed  iscrizioni  italiane  e  latine.  Qui  pure  veggonsi  bei  no- 
mi, e  fra  gli  altri  quelli  del  marchese  Tanari,  delia  contessa  Ca- 
terina Murari  Risenfeld,  del  eav.  Dionigi  Strocchi,  del  prof.  D. 
Cesare  Montalti,  di  Pietro  Giordani,  di  monsig.  Muzzarelli,  dell' 
ab.  Giuseppe  Manuzzi,  e  del  prof.  Michele  Ferrucci.  Anche  il 
Colombo,  il  nestore  de'letterali  viventi,  nella  saa  «tà  nonagena- 
ria ha  sparso  un  fiore  sulla  tomba  di  questa  matrona,  e  volen- 
tieri riferiamo  il  suo  sonetto  indirizzato  all'  afflitto  consorte 
(carte  5i) 


V  A  n  I  K  T  a'  ÌÌ3 

Da  quell'albergo  avventuroso  e  santo; 
Di  cui  fatta  è  novella  abitatrice, 
A  te  sen  viene  la  tua  donna  accantòj 
TécO  s'asside,  ti  favella  e  dice: 

Vedi,  Arrigo,  deh!  vedi  e  come  e  quanto 
Io  viVà  in  grembo  à  Dio  lieta  e  felice, 
E  póni  freno  a  un  angoscioso  pianto 
Che  a  te  ndd  men  che  a  me  si  mal  si  addice.' 

E  ti  conforta  colla  dolce  speme 

Che  non  sdggiornerai  sempre  quaggiusò 
Dalia  cara  metà  di  te  disgiunto. 

Verrei  verrà  quel  giorno  in  cui  lassusò 
Un'altra  volta  a  me  sarai  congiunto, 
E  vivrem  poi  perennemente  insieme. 

Fra  le  iscrizioni  latine  ci  sembra  che    trieriti  di  essere  jiat'- 
ticolarmente  commendata  questa  del  sig.  prof  Michele  Ferrucci 

HOSPES  .  SCIRE  .  SI  .  LIEET 

CiÀEfiES   .   HEIC  ;  COMPOSITI  .  ADQTIÉSCVNT 

FVLVIAE   .   FRANC   .    F  .  OUVARIAE 

Ì)OMO  .    MVTINA  .   PATRICIA   .   NOBILITATE 

QVAM  i  OMNIGENA  .  VIRTVTE  .  SPECTATISSIMÀM 

IN  .   IPSO  .  ITVENTVTIS  .  FLORE  .  ÉXTINCTAM 

HENRICVS  .  MAZXARlVS  .  QTI  .  ET  .  FVLCINIVS 

EQVES  .  BENEF  .  COTNSTÀNtimAN 

A  .  CVB  4  KAR  .  LVDOVICI  .  PRIÌNC  .  HÌSP  .  NOMINIS  .  DVCIS  .  LVCENS 

MARITVS  .  MAESTISSIMVS   *  PRIMAM  .   CONDIDIT 

IB  .  nEQVIETORIO  .  QVOD   .  ET   .  SIRI  .  DOMIQVE  .   SVAE  .  VMIVEHSAE 

PARARI  .  IVSSIT   .  ANNO  .  MDCCCXXXVI. 


116  Varietà' 

E  delle   italiane  non  possiamo   tacere    questa  affetttìosissima  di 
nionsig.  MuZzarelli: 

pAc2  .  Alle  .  cbnbri 

DI 
FVLVIÀ  «OtlVAHI 
ESRMPIO  .  DELLE  .  VIRTV   .  PIV  .  RARE 
COLPITA  •  DA.  MORBO  .  IRREPARABILE 
CESSÒ  .   DI  .  VIVERE 
d'aNM  .  XXI 
DA  .    TVTTI   .  PIANTA  .   DESIDERATA 
IL  .  DÌ   .    19    .DICEMBRE  .    1836 
MADRE  .    AD  .  AMALIA  .  E   .  MARIANNA  .  A  .   LEI  .    SVPEHSTlTl 
FRANCESCO  •    E  .    GVGLIELMO  .  BOSCOLI 
GENITORI  .  INCONSOLABILI 
ENRICO  .  MAZZARI   .  FVLCIM 
MARITO   .  AMANTISSIMO 
ALLA    .  CARA   .  RAPITA 
QVBSTA  .  MEMORIA 
VLTIMO  .  PEGNO  •   DEL  .  LORO  .   AFFETTO 
VOLLERO    .    COLLOCATA 

II  costume  delle  raccolte  ad  ogni  circostanza  che  si  presen- 
ti, è  in  oggi  così  comune,  che  molti  giustamente  le  hanno  a 
schifo,  essendone  per  verità  pieni  a  ribocco.  Il  Bettinelli  ed  il 
Roberti  fra  gli  altri  furon  tra'primi  a  riprovarne  l'uso.  Quando 
però  nobile  sia  il  subietto,  e  giudÌ2iiosa  la  scelta  de'coniponinien- 
ti,  non  potranno  certamente  dispregiarsi  coloro,  che  le  promuo- 
vono; imperocché  é  una  bella  mercede  che  rendesi  alla  virtù,  ed 
è  onorevole  la  gara,  in  cui  si  mettono  gl'ingegni,  alcuni  de'qua- 
li  forse  non  scriverebbero  se  non  si  offerissero  loro  queste  occa- 
sioni. Per  verità  se  parlisi  di  raccolte  per  nozze,  per  lauree  ec. 
assai  più  ne  piacerebbe  la  pubblicazione  di  qualche  libro  utile 
fatta  in   tale  circostanza,  e  dedicata  a  que' medesimi  per  cui  si 


Varietà'  117 

vori'ebJiero  invocare  le  muse.  Trattandosi  però  di  trapassati,  non 
sapremmo  in  qual  altro  modo  si  potesse  tributar  loro  la  nostra 
gratitudine  ed  amore. 

Volendo  però  parlare  con  quella  sincerità,  ch'è  propria  del 
nostro  giornale,  diremo  che  nellq  seconda  raccolta  non  avremmo 
voluto  vedere  né  quelle  sestine  acrosticlie  colla  traduzione  lati- 
na in  un  epigramma  acrostico  (carte  86,  87),  nò  quel  sonetto 
estemporaneo  (carte  61),  il  quale  è  tessuto  in  guisa,  che  può  an- 
che leggersi  salendo  dall'ultimo  al  primo  verso.  Questo  esperi- 
mento che  sorprende,  e  può  piacere  a  primo  aspetto  alla  mol- 
titudine, toglie  assai  alla  gravità  della  poesia,  inceppa  la  nien- 
te dell'autore,  e  si  oppone  all'esatto  e  filosofico  concatena- 
mento delle  idee  Giustamente  adunque  siffatti  coniponinienti 
sono  da  coloro  sbanditi  che  nella  poesia  cercano  la  solidità  del- 
le idee  e  la  bellezza  delle  immagini,  non  già  l'apparenza  ed  il 
fumo.  Che  se  poi  anche  con  queste  volontarie  pastoie  giunges- 
sero a  dare  buoni  componimenti,  ammireremo  maggiormente  la 
prontezza  e  la  vivacità  del  loro  ingegno. 

F.  Fili  Momtam 


La  Georgìca  e  l'Eneide  di  Virgilio  volgarizzale  in  ottava  rima 
da  Lorenzo  Mancini  accademico  residente  della  crusca,  Fi- 
renze, Ciardetti  Voi.  I,  li  in  8.  iSSy, 

Ui  questa  nuova  traduzione  di  Virgilio  terremo  parola  in  uno 
de'venluri  fascicoli  ragionandone  a  lungo. 

F.  F.  M. 


413 

Necrologia  -  Rosini  monsig.  Carlo  Maria. 


V-4arlo  Maria  Rosini  nacque  a  I^apoli  il  primq 
giorno  d'aprile  del  1748  da  Vincenzo  e  da  Maria 
Antonia  \vA\  donna  di  singoiar  bontà  di  costume 
e  di  senno  rnaraviglioso.  Il  padre  suo  era  nato  a 
Rufrano,  non  ignobil  terra  dell'antica  Lucania;  ed 
essendosi  dato  alla  njedicina,  di  là  era  passato  a  Na- 
poli ove  si  fé  molto  addentro  in  questa  scienza 
e  nella  letteratura.  Egli  stesso  fu  primo  istitutore 
al  fanciulletto  ,  avviandolo  agli  studi  degl'  idiomi 
greco,  latino,  ed  italico;  e  quindi  conosciuta  la  inet- 
titudine d'un  maestro,  cui  lo  avea  jSdato  piìi  per 
custodia  che  per  insegnamento,  di  appena  sett'an- 
ni  a'gesuiti  lo  consegnò,  presso  i  quali  sifikttamen- 
te  progfed'^  che  braniarono  farlo  de'  suoi  :  al  che 
piostravasi  Carlo  inchinalo,  se  la  immatura  morte 
del  padre  e  l'in^raenso  lutto  in  cui  restò  immersa 
la  madre  non  Ip  avessero  impedito.  Allora  trovan-? 
dosi  in  istrettezza  grande  di  fortune,  che  il  padre 
avea  poco  curate,  venne  posto  gratuitamente  fra  gli 
alunni  del  seminario  napoletano,  ove  si  die  alacre- 
mente agli  studi  della  rettorica  e  della  poetica;  e 
quindi  nel  liceo  arcivescovile  applicò  l'animo  alla 
ftlosofia  e  teologia,  non  senza  faticarsi  nelle  leggi 
SI  civili  e  si  canoniche.  Ed  avendo  già  il  Rosini 
presi  gli  ordini  sacri,  fu  scelto  ad  instit^iire  i  g^r- 
zonetti  nel  seminario  medesimo:  incarico  cui  adem- 
pì con  diligenza  e  severità  grandissima.  A  questi 
tempi  trasportò  dal  francese  al  volgar  nostro  i  Ru-^ 
(limenti  di  lingua  greca  ad  uso  degli  alunni  del  se- 
minario, lavoro  che  riesci  molto  approvatp  e  frut-? 


119 
tuoso.  Appresso  venne  fatto  prefetto  degli  studi 
nel  seminario,  canonico  della  metropolitana,  e  dal 
re  Ferdinando  scelto  alla  cattedra  di  s.  scrittura 
nell'università  in  luogo  di  Nicolò  Ignarra,  e  posto 
fra'  primi  soci  dell'accademia  ercolanese  da  lui  re- 
staurata, dandolo  altresì  compagno  all'Ignarra  nell' 
interpretazione  de'papiri.  Ne'quali  trovato  il  Rosini 
pascolo  adatto,  si  die  a  tutt'uomo  a  studiare  in  essi, 
e  non  passarono  cinque  anni  che  pubblicò  il  non 
breve  libro  di  Filodemo  TTspj  rvjg  Mcvcrjxvj^,  aggiun^ 
lavi  r  interpretazione,  il  supplemento,  ed  un  co- 
mentarios  lavoro  di  gran  peso,  d'erudizione  e  dot- 
trina immensa,  accollo  con  lodi  infinite  ,  e  che  sì 
piacque  al  re  Ferdinando  ,  che  la  presidenza  de' 
papiri  gli  diede  in  perpetuo,  e  molti  segni  di  regia 
liberalità  che  illustrarono  tanto  il  Rosini,  quanto 
l'intera  accademia  ercolanese.  Lodi  e  prcmii  siffatti 
anziché  invanire  il  Rosini,  stimolaronlo  a  maggiori 
cose:  e  già  prometteva  quanto  prima  una  piena  e 
sicura  istoria  del  Vesuvio,  la  quale  ragionasse  delle 
varie  eruzioni  del  monto  ,  salendo  infino  a  quella 
di  Tizio  ;  ed  appresso  dell'  avvenimento  delle  li'e 
consepolte  cillki  poi  de'  reali  scavi  di  Ercolano,  e 
delle  sue  vicinanze,  parlando  insieme  de'monumen- 
ti  quindi  estratti,  della  biblioteca  de'papiri,  e  del- 
le vicende  cui  era  stata  soggetta.  Questa  storia,  sì 
necessaria  ad  illustrare  ed  interpretare  que'cimeliij 
Y  aveva  già  intrapresa  per  reale  comando  Alessio 
Simmaco  Mazzocchi:  ma  impedito  dalla  grave  età 
e  da  altri  lavori,  non  l'avea  potuta  compire.  Il  Ro- 
sini si  applicò  solo  ad  essa,  e  con  tanto  maggiore 
impegno,  che  prima  avea  faticato  nel  volume  erco- 
lanese intorno  all'  isagogica  dissertazione  ;  e  non 
trascorse  un  triennio  che  ne  ebbe  condotta  a  fine 


120 

la  prima  parte,  e  collii  medesima  alacrità  avrebbe 
presto  terminate  le  altre.  In  que'libri,  pienissimi 
d'ogni  erudizione,  non  solo  trattò  la  cosa  con  moU 
ta  scienza  archeologica;  ma  della  fisica  e  della  mi- 
neralogia si  mostro  spertissimo,  usando  di  uno  stile 
sobrio  e  di  una  stretta  maqiera  di  scrivere:  aman^ 
do  meglio  sembrare  talvolta  nudo  e  digiuno,  che 
prolisso,  e  di  vane  frondi  adornato.  Grave  iattura 
fu  per  le  buone  lettere  ch'ei  non  recasse  a  compi- 
mento le  altre  parti  dell'  opera,  impeditone  dalle 
cure  del  vescovato  di  Pozzuoli,  a  cui  pochi  mesi 
dopo  venne  elevato.  Allora  ninna  cosa  avendo  me-r 
glio  a  cuore  che  l'istruzione  de'cherici  e  sacerdoti, 
riordinava  il  seminario,  nuovi  metodi  proponendo 
di  cui  egli  stesso  curava  l'osservanza,  interveniva 
alle  scuole,  e  con  certami,  premi  ,  e  lodi  studiava 
destare  faville  di  utile  emulazione,  insegnando  egli 
stesso  in  casa  i  più  valenti  alunni  nelle  greche  e 
latine  lettere.  E  perchè  agli  onesti  solazzi  non  man- 
casse l'utilità,  scrisse  parecchie  comedie  latine  lepi- 
dissime e  castissime  ,  che  loro  faceva  recitare.  Al 
che  aggiungendosi  l'esatta  disciplina  de'costumi  che 
manteneva,  e  i  dotti  sacerdoti  che  uscirono  di  quel 
seminario  ,  ne  crebbe  siffattamente  il  grido  che  i 
giovani  vi  accorrevano  da  ogni  parte;  ed  egli,  per- 
chè non  avessero  cagioni  di  tornare  alle  lor  case, 
CQstrusse  nuovìi  villa  ove  due  volte  nell'anno  a  seco 
diportarsi  U  conduceva,  Somiglianti  cure  non  disto- 
glievapo  Carlo  d^l  compiere  le  altre  parti  dell'uf- 
ficio suo;  che  fino  a  tarda  notte  dava  diligente  opera 
alle  cose  della  diocesi,  di  cui  più  volte  compiva  la 
visita  ,  dando  provvedimenti  e  leggi  sapientissime. 
Alle  sagre  funzioni  assisteva  continuo,  predicando  al 
popolo,  ed  esplanando  i  rudimenti  della  fede:  e  nel 


121 

difendere  poi  i  diritti  di  sua  chiesa  fu  si  fermo  , 
che  in  tempi  difhcilissimi   corse   pericolo   di   vita. 
Della  effusa  liberalità  ne'poveri  lungo  sarebbe  il  di- 
re: onde  non  toccherò  che  l'  ospizio    che  a  grandi 
spese  fondò  alle  pericolanti  fanciulle.  Sapienza  e  vir- 
tù SI  grande  il  misero   in  tale  fama  ,  che  i  re    di 
Napoli  gareggiarono  nello  stimarlo  ,  e  colmarlo  di 
onori  ,  poiché  fu  consigliere  intimo  di  stato  ,  regio 
cappellano  ,  presidente  più.  volte  dell'accademia  er- 
colanese  ,  perpetuo  della   reale   società    borbonica  , 
de'  24  consultori  del  regno,  direttore  per  alcun  tem- 
po dell'istituzione  letteraria  di  tutto  il  regno  ,  e  ven- 
ne adoperato  ne'  pili  gravi  negozi  della   ecclesiasti- 
ca repubblica.  Modesto  il  Rosini  fra  tanti  onori,  fu 
specchio  di  amista  ,   di  fede  e  di  virtù  bellissime. 
Ebbe  alla   e  diritta   corporatura  ,  orecchi  lunghi  , 
volto  e  sopraciglio  grave  ,  larga  fronte,  occhi  tan- 
to vivaci  ,  che  al  sol  vederlo  mostravano  l'acume  e 
l'alacritU  dell'ingegno.  Le  gambe  ebbe  gonfie  ,   tal- 
ché al  sopravvenire  della  vecchiezza  non  potea  più 
muovere  i  piedi  :  ma  egli  impaziente  di  riposo  fa- 
cevasi  portare  in  lettiga  per  casa,  ne'tempii  ,  e  per 
le  terre  della  diocesi.  Per  la  sua  frugalità  ed  asti- 
nenza visse  in  buona  salute  fino  all'ultima  vecchiez- 
za; mancando  per  appoplesìa  a'18  di  febbraio  1836. 
Le  iscrizioni   del   funerale    furono  composte  da  Ni- 
colò Lucignano  che   ne   disse  funebre  elogio  ,  e  ne 
dettò  un  comentario  latino  elegantissimo.  Con  lati- 
na orazione  e  con    versi   lo  celebrarono  gli   alunni 
del  seminario  ,  e  con  elegante  narrazione  di  sua  vi- 
ta il  cav.  Prospero  della  Rosa. 

Oltre  le  opere  accennate  di  sopra,  lasciò  il  Re- 
sini stampate: 

Vita  Horatii  Jacopi  Martorcllii. 


122 

Epistola  de  locis  theologicis  -  Romae  1 825.  Tro- 
vasi in  fine  all'opuscolo  De  vita  Dominici  Cop- 
polae  etc. 

Opere  inedite, 

Sententia  de  conductione  tacita  -  Exercitatio  aca-- 

demica. 
Dissertatio  de  novissimi  paschatis  dominici  die. 
De  Laptismo  novi  foederis. 
I)e  authentico  Nicaeni  I  canonum  numero, 
Commentarius  in  tit.  decret,  de  feriis, 
Graeciae  chorographia. 
Synopsis  archaeologiae  graecae. 
De  marmore  graeco  suessano  dissertatio. 
Dissertationìs  isagogicae  pars  altera  incepta. 
Dissertazione  intorno  al  tempio  puteolano  detto 

di  Serapide 
Inscrizioni  e  versi  in  greco,  latino  ed  italiano  ecc, 

Qt,  F»  Hambelli 


NIHIL  OBSTAT 

E   Jacopini  Censor  Theol.  Deput. 

IMPRI3IATUR 

fr.  Dom.  Buttaonl  O.  P.  S.  P.  A    Mag. 

IMPRIMATUR 
4-  Piatti  Patriaixha  Antiochenus  Vicesg. 


\ 


INDICE  DELLE  MATERIE 

Contenute  nel  voi.  217. 

SCIENZE 

Caraffa,  Corso  di  materiialiche  tradotto 

con  note  dal  Volpicelli.  P^S-       ^ 

Perronc,  Praelecliones  theologicae,  voI.IV-  6 
Tonelli,  Rivista  medica  (oonlìnuazionc).  2T 
Giusti,  Corso  di  filosofia.  34 

Peretti,  Della  cetraria  islandica.  4** 

LETTERATURA 

Campanari,  Degli  anlicbì'  tuscaniensi  e 

del  modo  di  sepDelIire  in  Tuscania.        49 
Pellegrini,  Tragedie.  -  67 

Vaccolini, Osservazioni  sul  bello,Art.XIII  76 
Bonelli,  Praecipuorum  philosophiae  sy- 

stematum  disquisitio  historica. 
Palma,  Storia  ecclesiastica  e  civile  della 

regione  più  settentrionale   del    regno 

di  iN;ipoli. 
Varietà. 

Necrologia  di  monsig.  Rosrui. 
Tavole  meteorologiche. 


89 


95 
107 
118 


GIORNALE 

ARCADICO 


DI   SCIENZE  ,  LETTERE  ,  ED  ARTI 


VOL.  218.  219. 


ROMA 

ISELLA    STAMPERIA    DELLE   BELLE    ARTI 

1837. 


SCIENZE 


Osservazioni  medico-pratìohe,  ed  anatomicQ-^patolo- 
giche  intorno  il  melena.  Lettera  del  dottor  h.x\- 
^e\o  Santini  membro  di  parecchie  accademie,  so- 
cia corrispondente  della  società  delle  scienze  fi- 
siche, chimiche  e  te.  di  Parigi,  medico  primario 
in  Montalboddo,  diretta  al  chiarissimo  signor  dot- 
tore Francesco  Valori  membro  del  collegio  me- 
dico-chirurgico della  romana  università,  profes- 
sore di  sanità  della  s.  consulta,  medico,  fiscale  di 
Roma,  ^ià  presidente  della  società  medico- chi- 
rurgica di  Bologna,,  membro  di  molte  accademie 
mediche  e  letterarie  d^ Italia  ecc.  ecc.  ecc. 


Chiarissimo  Sig.  Professore 


G, 


raJevole  occupazione  fu  al  certo  per  me  l'es- 
sere stato  intento  alle  pratiche  osservazioni  medi- 
che ,  ed  or  m'è  gratissimo  d'indirizzarle  il  risultato 
di  alcune  di  queste  sul  melena.  Costume  lodevolissi- 
mo  ed  infinitamente  vantaggioso  fu  sempre  mai  il 
render  note  le  mediche  osservazioni  fatte  in  cittk 
e  negli  spedali  ,  da  cui  moltissimo  profitto  trasse- 
ro i  medici  che  furono  all'  esercizio  dedicati.  Que- 
st'uso applauditissimo  è  slato  seguito  da  molli  gran-' 
G.A.T.LXXIII.  9 


130  SCIRN*» 

di  dell'arte  nostra  ,  ed  ha  portato  a  tutti  noi  sicu- 
ramente non  poca  utilità   nell'esercizio  pratico  :  ed 
io  per  siffatta  ragione  intraprendo   ad   eseguire  di 
buon  grado  le  tracce  loro  ,   sulla  persuasiva  di  por- 
tare notabile   vantaggio   ali*  umanità.   M*  ingegnerò 
dunque  di  dimostrare  con  succinte  storie  di  varie 
malattie  ordinariamente  letali,  e  primieramente  una 
delle  poco  frequenti,   ma  pericolose,   che  assale   il 
corpo  umano  ,  sperando  che  mi  sarà  pur  concesso 
di  parlare,  per  quanto  pur  lo  comporteranno  le  de- 
boli forze  mie ,  sopra  quattro  individui  attaccati  da 
gravissimi  meleni ,  morbi  neri  cTlppocrate ,  i  quali 
segnarono  l'estremo  pericolo  ,  ed  avrebbero  indubi- 
tatamente ed  irreparabilmente  incontrato  T  ultimo 
loro  fine,  giusta  il  ricordo  lasciatoci  dal  padre  della 
medicina  su  tale  affezione:  Morbus  laethalis  quidem 
est ,  ìion  autem  consenescitt  se  curati   e   vinti   non 
fossero  stati  col  metodo  tutto  deprimente,  conforme 
all'aureo  trattato  ,  ossia  ricerche  intorno   al  melena 
del  eh.  professor  Michele  Santarelli^  presidente  del 
collegio  medico-chirurgico  della  pontificia  universi- 
tà di  Macerata,  pubblicato  in  Foligno  pel  Tomassi- 
ni  nel  1830. 

La  medicina  più  che  scienza  è  un'arte,  diceva 
egli  ,  che  non  può  apprendersi  che  al  fianco  di  abili 
artefici.  Egli  mi  fece  conoscere  i  processi  morbosi 
nel  modo  stesso  con  cui  il  celebre  Frank  si  com- 
piacque ad  esso  manifestarli  ,  ed  ebbi  in  tarepoca 
favorevole  circostanza  di  osservare  non  pochi  infeli- 
ci attaccati  da  sì  terribile  malattia:  motivo  per  cut 
non  ignaro  della  sua  maniera  di  curare  e  della  sua 
felice  pratica  ,  ho  potuto  sperimentarla  e  confer- 
marla inoltre  nel  mio  pratico  esercizio  ,  e  quin- 
di portare  a  salvamento  i  4  nominati  esseri  che 
sciaguratamente  furon  colpiti  dalla  detta  infermità. 


OssERVAsioNi  SUL  Melena  131 

Fratlanto  a  me  sembra  non  esser  del  tutto 
disprezzabile  il  premettere  una  brevissima  descri- 
zione del  medesimo  morbo  ,  onde  far  conoscere  a 
pi^ima  vista  ai  giovani  alunni  il  vero  carattere  e 
la  sua  ordinaria  ferocia  ,  non  che  il  suo  crudel 
fine  ,  stante  la  moltiplicitk  delle  opinioni  fra  lo- 
ro discordi  tanto  degli  antichi  ,  quanto  dei  mo- 
derni scrittori  intorno  la  diagnosi  vera  di  detta 
affezione  :  quindi  il  suo  stato  di  cura  :  finalmen- 
te la  dimostrazione  dell'opinione  dell'illustre  pro- 
fessor mio  universalmente  accolta  ed  abbracciata 
non  solo  ,  ma  dello  stabilimento  della  vera  indo- 
le e  sede,  e  del  di  lei  trattamento  ancora  riusci- 
rà io  spero  molto  proficua,  giacche  medicus  siiffi- 
ciens  ad  morhitm  cognoscendam^  sufflciens  est  etiani 
ad  sanandwn^  aggiunge  lungher:  Da  vera  morborum 
diagnosi  certo  therapiae  fundamento  etc. 

Quel  flusso  di  ventre  adunque  di  materia  ne- 
ra ,  o  rossiccia  rigettata  per  bocca  o  per  seces- 
so ,  o  per  entrambi  ,  che  essendo  per  lo  piìi  prece- 
duta da  dolori  vaghi  del  basso  ventre  ,  ed  altri  che 
dalla  lombare  regione  allo  stomaco  si  estendano  , 
morbo  nero  d'Ippocrate^  ossia  melena^  o  per  me- 
glio dire  ematemesi  dai  moderni  e  segnatamente 
dal  celebre  Speranza  si  appella,  e  con  molta  saviezza 
fu  meditata  da  Portai^  ed  approfondita  nei  suo  anda- 
mento da  Alibert'.  Morbus  luger  ,  fluxus  splenicus  , 
dissenteria  splenica  ,  nigrae  dejectiones  di  Saiwa" 
ges.  I  controstimolisti  lo  riguardano  come  un  sin- 
toma  di  flogosi  della  membrana  mucosa  digestiva: 
morbo  con  molta  facondia  designato  da  Tissot  e  da 
Testa  sulle  malattie  del  cuore  :  vomito  cruento  con 
secesso  mucoso  od  anche  senza  di  esso  si  ritenne  da 
Uoffniann  ,  e   denominato  per  infarcimento  vascola- 


132  Scienze 

re  sanguigno  da  Kaunph  ec.  Se  tali  perdite  si  rinno- 
vano però  di  tanto  in  tanto  strabocchevolmente  , 
colui  che  ne  è  aggredito  fra  le  pene  e  le  angosce  si 
avvicina  a  pagare  ,  o  paga  ancora  l'inesorabile  tri- 
buto alla  natura  ,  ovvero  vieii  trascinato  misera- 
mente alla  consunsione  ed  all'idrope. 

L'erudita ,    compendiosa  ed   esatta   descrizione 
lasciataci  dal  vecchio   di  Coo  nel  lib.  II  de  morhis  , 
indispensabile  al  certo  ne  rende  la  lettui'a  alla  gio- 
ventù  per   essere   molto  utile  ed   istruttiva.   Molti 
che  le  tennero  dietro,  e  segnatamente  Galeno^  la  ri- 
guardarono come  prodotta  dall'atrabile  ,   da   sangue 
oscuro,  e  dalla   sua   amurca.  Tanto   Foresto   come 
Strunk  la  ripeterono  da  adunamento   di   sangue   nei 
vasi  del  ventricolo  ,  della  milza  ,   e    del   fegato.    La 
milza,  dice  Stork,  col  mezzo  dei  vasi  brevi  scarica  il 
sangue  nello  stomaco  ;  il  fegato  per  la  via   del   con- 
dotto   bilifero  se  ne  sgrava   nell'intestino  duodeno  , 
ed  in  quest'  ultimo    caso  la  materia  nera  viene  eva-« 
cuata  per  l'ano  piuttosto  che  per  vomito  od  almeno 
in  tenuissima  quantità.  Siffatta  opinione  venne  quin- 
di  abbracciata   non   solo  ,  ma  accreditata   eziandio 
da  Boerhaave  e   da  Wan-Svieten  ,  cosicché   fu  da 
quest'ultimo  colle    sue   prodigiose   osservazioni   tal- 
mente arricchita  ed  illustrata,  che  i  medici  di  quei 
tempi  professarono  generalmente  la  stessa  dottrina  , 
ed  a  prima  giunta   ha  portato  qualche  sorpresa  ai 
moderni  eziandio. 

Simpsoìi  intanto  col  suo  acuto  ingegno  ben  si 
accorse  ,  che  la  murchia  che  dai  lacerati  vasi  sorti- 
va ,  altro  non  era  che  sangue  misto  ad  umori  anne- 
rito e  ridotto  a  guisa  di  sciolta  ,  e  spesse  volte  anche 
densa  pece.  Malgrado  di  ciò,  la  vecchia  supposizione 
non  venne  spenta:  e  concordemente  unironsi  le  ulti- 


OssERVAiioNi  SUL  Melena  133 

me  alle  prime  investigazioni,  fissando  per  massima 
certa  ed  indubitata,  che  il  melena  traeva  origine  dal- 
la bile  nera  e  dal  sangue  atro,  o  da  entrambi.  Molti 
scrittori  del  passato  secolo  sono  di  tale  avviso  ,  e 
sifìiitta  idea  non  venne  disprezzata  dal  famoso  Sau- 
vages. 

Fu  dai  medesimi  ritenuto  che  l'atrabile  potesse 
influire  sul  morale  ,  e  quindi  ripetevano  dalla  me- 
desima le  alterazioni  delle  intellettuali  funzioni  ,  e 
ritennero  eziandio  che  quelli  aggrediti  dal  melena 
spesso  rinvengonsl  con  tali  cambiamenti,  come  Gil- 
bert ,  Tissot  ed  altri  attestano.  Aggiungono  di  più 
che  la  maggior  parte  di  coloro  affetti  dal  suddetto 
morbo  si  riscontrano  pensierosi  ,  taciturni  ,  qualche 
volta  maniaci ,  e  spesso  occupati  da  uu  profondo  si- 
lenzio. Altri  ,  contrari  alla  propria  esistenza  ,  ama- 
no restar  soli  ed  ansiosi  di  particolare  egoismo.  So- 
no pur  anco  irritabili  ,  fieri  ,  impetuosi  ,  sospettosi, 
e  facilissimi  a  dimenticare  i  beneficii  usati.  Passano 
d'altronde  con  molta  facilita  dall'un  estremo  all'altro. 
Posti  in  obblìo  i  partigiani  della  dottrina  dei  quat- 
tro umori  ,  vennero  in  campo  altri  a  rigettare  l'a- 
trabile per  incolpare  il  sangue.  È  cosa  veramente 
sorprendente  che  il  nosologo  di  Edimburgo  volente- 
roso accetti  la  opinione  di  varii,  che  la  materia  nera 
spesse  volte  picea,  che  disegna  il  melena^  possa  sca- 
turire dal  fegato. 

Essendo  pertanto  universalmente  accolta  l'idea 
del  celebre  Tissot^  che  la  materia  nera  le  tante  volte 
ripetuta  da  Ippocrate  altro  non  sia  che  sangue  ver- 
sato entro  il  tubo  intestinale  ,  ed  essendo  stata  una 
tal  massima  dedotta  da  moltiplici  osservazioni  isti- 
tuite da  altri  pratici  anteriori  al  ^Fissot  ^  e  segnata- 
mente da  quelle  di  Hoffmann  ,  si  venne   alla  deter- 


134  S  e  I  E  N  Z  K 

minazlone  d'i  riunire  sotto  una  sola  denominazione  e 
specie  il  K>omito  cruento  ed  il  melena^  chiamandolo 
einntemesi  la  maggior  parte  degli  scrittori  anche  mo- 
derni :  e  si  riguardò  la  prima  come  una  difFussione 
della  seconda  affezione,  tra'quali  fu  Cullen  che  ven- 
ne interamente  seguito  da  Kempft,  ed  uni  le  dette 
due  malattie  in  una  soltanto. 

Viceversa  ammesso  da  alcuni  I*infarcimento  va- 
scolare, non  sanno  stabilire  se  il  melena  attribuir  si 
debba  a  vizio  de'fluidl  o  de'  solidi  ,  e  poscia  quali 
dei  due  siano  primieramente  alterati.  Montfalcon 
propende  in  parte  per  la  dottrina  dei  quattro  umo- 
ri ,  e  Broussais  è  di  sentimento  che  il  sangue  e  gli 
umori  nutrienti  alterar  si  possono  nella  loro  compo- 
sizione e  produrre  sconcerti  morbosi.  (Bcgin.  Prin- 
cip.  gen.  di  physlol.)  Il  signor  Polidori  ,  dietro  un 
risultato  di  fatti  ,  ammette  nei  vizi  umorali  la  sor- 
gente di  varie  malattie-  Rochoux  ,  Velpeau  ,  e  Se- 
galas  sono  inclinati  per  l'alterazione  degli  umori  , 
per  cui  non  solo  egli  ,  ma  altri  ancora  ripetevano 
Vematemesi  splacnica  almeno  nei  suoi  principii  da 
vizio  nei  fluidi.  Tanto  Speranza,  quanto  Barzellotti 
escludono  le  malattie  umorali  (Vedi  Giorn.  de'lettc- 
ratl  num.  XXVIL).  Drejssing  parlando  di  tale  aife- 
zione  sulla  diagnosi  medica  si  unisce  interamente  a 
Cullen  ed  a  Kempft  nella  riunione  del  melena  col- 
r  ematemesi,  riguardandola  come  sola,  e  stabilì  la 
stessa  cosa  ed  abbracciò  il  medesimo  principio. 

Di  siffatto  accoppiamento  fece  menzione  Cui' 
len  medesimo  ne'suoi  elementi  con  molta  precisio- 
ne: lo  che  apprezzò  immensamente  il  celebre  Frank, 
e  nella  sua  maniera  di  curare  le  malattie  umane 
fece  anch'(;gli  motto  del  melena  considerandolo  co- 
me una  varicl'a  AcW  e  materne  si'  Quest' accoppiamen- 


Osservazioni  sul  Melena  135 

It)  poi  efa  stato  in  antecedenza  valutato  e  sostenu" 
to  con  molta  fermezza  da  Lieutaudi  e  fu  d'altron- 
de tal  massima  talmente  apprezzata^  che  da  molti 
si  riguardò  il  melena  come  un  semplice  profluvio 
cruento,  mentre  il  vomito  sanguigno  si  confonde  fa* 
cilmente  con  Vemoftisi  ed  il  morbo  nero.  E  di  fatti 
la  nominata  emorragia  venne  riguardata  per  un 
egual  profluvio  soltanto,  benché  non  dovrebbe  es-^ 
ser  collocata  in  questo  genere  di  malattia^  giacche 
ha  dei  caratteri  particolari^  e  non  ha  molta  somi^ 
glianza  alle  altre  speciet  ciò  non  ostante  ne  Pinel 
ne  Sawvages  furono  di  unanime  consentimento  ad 
includerla  in  questo  genere»  essendo  una  malattia 
ospitante  nel  ventricolo  e  negf  intestini  sì  tenui  e  sì 
crassi» 

Essa  è  sì  fiera,  che  in  pochissimi  giorni  da  mor- 
te a  quegli  sciagurati  che  attacca,  Dodoneo  nes- 
sun' individuo  vide  giammai  guarire,  e  Sauvagei  ri- 
corda ristabilirsi  qualche  donna,  la  cui  cagione  era 
catameniale  (Nosolog.  method^  t.  II). 

Ma  parlando  alla  sfuggita  della  condizione  pa- 
tologica  tanto  locale  quanto  generale  del  detto  mor- 
bo, non  solamente  Cullen  ammette  che  per  lo  piìi 
sia  atonica,  ma  molti  altri  anche  moderni,  e  col- 
loca il  melena  fra  1*  emorragie  passive,  e  qualche 
volta  si  estende  a  porla  tra  le  attive,  e  principal- 
mente allorché  essa  viene  prodotta  da  soppressio- 
ne di  emorroidi,  o  di  mestrui,  ovvero  di  altre  eva- 
cuazioni, e  finalmente  ritiene  il  melena  attivo  al- 
lorquando esso  derivò  da  cause  traumatiche. 

Frank  intanto,  dopo  avere  istituita  una  rigo- 
rosa disamina  sulle  cause  del  melena,  conviene  an- 
ch'esso con  Cullen,  adoperando  quasi  le  medesime 
espressioni,  che  nella  maggior  parte  dei  casi  deb- 


136  SCIEMZK 

La  riguardarsi  come  astenica:  ma  però  non  esclu- 
de, anzi  non  si  mostra  ritroso  ad  approvare  altre- 
sì esempi  di  opposta  indole. 

Ciò  che  immaginarono  i  due  suddetti  celebri 
scrittori  era  stato  molto  prima  argomento  interes- 
santissimo, e  convenientemente  trattato  dal  medico 
di  Losanna,  essendo  di  unanime  consentimento  con 
entrambi,  ed  opinò  tanto  la  lacerazione  quanto  la 
perdita  sanguigna  doversi  ripetere  dalla  debolezza 
e  lassezza  de' vasi  sanguigni.  Non  dissentirono  pUnto 
da  questa  massima  Pinel  e  Clark^  ed  intieramente 
ambedue  convennero.  Glie  dirò  poi  di  Dreyssitìg^  il 
quale  apprezzò  tanto  un  tale  sentimento,  che  lo 
sparse  ovunque  per  mezzo  della  sua  opera,  espri- 
mendosi così  alla  pag.  11?  «<  Il  vomito  di  sangue  è 
attivo  o  passivo;  affetta  però  più  spesso  quest'ultimo 
carattere.  »  Che  dirò  dell'illustre  commentatore  del 
celebre  Frank,  il  quale  non  rigettò  il  suddetto  di- 
visamento,  ma  gli  accordò  sommo  rispetto  ?  Darà 
ima  soddisfacente  soluzione  al  presente  quesito  ciò 
che  disse  il  eh.  professor  Santarelli  nel  citato  di- 
scorso, riportando  io  qui  le  sue  stesse  pai*ole: 

«  Mi  sarà  pertanto  permesso  di  riguardare  l'o- 
«  pinione  di  coloro  che  ultimi  hanno  parlato  del 
«  melena  del  tutto  uniforme  alla  sentenza  del  si- 
«  gnor  GuUen  ,  secondo  la  quale  il  melena  è  il  piìi 
«  delle  volte  un'emorragia  passiva  ad  atonica,  osisla 
«  astenica  la  condizione  delle  parti  ove  la  mede- 
«   sima  succede. 

«  I  seguaci  della  nuova  dottrina  medica  italia- 
«  na  vennero  in  questi  ultimi  anni  in  opposta  sen- 
«  tenza.  Persuasi  che  le  emorragie  siano  sempre  ed 
«  esclusivamente  attive  malgrado  l'opposizione  delle 
«   altre  scuole  ,  e  riflettendo  che  i  rimedi  impie- 


OssERVAWoNi  SVI.  Melena  137 

«  gatl  con  profitto  contro  il  melena  godono  il  pote- 

«  re  di  deprimere   e  controstimolare  ,    suU'appog- 

«  gio  ,  io  dissi  ,  di  queste  due  salde  considerazio- 

«  ni,  e  senza  il  soccorso  di  autopsìe  cadaveriche,  lo 

«  definirono  un  morbo  ipèrsténico.  Méntre  questa 

«  paiate  di  patologia  ei'a  così  diversamente  ammes- 

u  sa  ^  io  avea  già  molto  tempo  pi*ima  »  e   per  piti 

tt  e  pili  anni    raccolto  non  poche  osservazioni,   in 

«  virtù  delle  quali  mi  era  lusingato  di  poter  de- 

«  terminare  la  vera  condizione  morbosa  producente 

«  il  melena.  E  non  Volehdo  con  Soverchia  fretta  ,  e 

«  con  pochi  fatti  stabilire  là  mia  opinione  ^  cerca- 

«  va  nuove  osservazionij  le  quali  ponessero  fuori  di 

«  ogni  dubbio  la  sentenza  da  me  adottata.» 

Necroscopia  degli  estinti  dal  melena. 

Fra  gli  scrittori  principali,  che  si  sono  occupati 
suiranatomia  patologica  di  quelli  periti  dal  morbo 
nero,  a  me  sembra  che  debba  annoverarsi  ,  ed  as- 
segnarsi segnatamente  Bonneto  ,  il  quale  nel  suo  a- 
natoniico  sepolcreto  riferisce  un  caso  di  un  giovine 
ucciso  dal  suddetto  morbo,  i  cui  intestini  la  mag- 
gior parte  neri  e  sfacciati  osservò,  turgidi  di  sangue 
nero  i  vasi  del  mesenterio,  ed  il  colon  ripieno  del- 
lo stesso  umore  che  prima  della  morte  avea  in  par- 
te evacuato. 

Le  due  interessanti  osservazioni  addotte  da 
Hoffmanth  riportate  da  molti  altri  che  lor  tennero 
dietro,  ammettono  nel  tubo  intestinale  una  dovizio- 
sa quantità  di  nero  umore  puzzolente  ,  ed  i  vasi 
brevi  turgidi  di  sangue  ed  altri  perturbamenti  nei 
visceri  addominali.  Vcd.  tom.  IV  par.  2  sect.  1  tom. 
m  pag.  76. 


138  S  G  I  fi  n  2  fi 

V'ha  un  caso  altresì  riportato  dal  eh.  Santarelli 
di  un  militare  morto  nello  spedale  di  Terni  neH799, 
il  quale  essendo  stato  aggredito  da  molti  dolori,  ed 
avendo  questi  continuato  per  12  giorni,  evacuò  frat- 
tanto molte  materie  nere  fetidissime,  e  quindi  cessò 
di  vivere  all'  approssimarsi  dell'  autunno.  Essendo 
stati  con  ogni  diligenza  puliti  gl'intestini,  la  maggior 
parte  di  essi  fu  riscontrata  di  un  tessuto  più  denso, 
più  resistente  dello  stato  normale,  ed  il  medesimo 
tessuto  tinto  di  color  rosso  più  o  men  carico.  Ven- 
ne dal  suddetto  professore  creduto  infiammato,  av- 
vegnaché non  avesse  osservato  che  pochi  vasi  rossi 
e  turgidi  di  sangue.  Il  detto  soldato  tedesco  era 
assai  inclinato  al  vino. 

Similmente  riferisce  le  sezioni  di  altri  cinque 
estinti  dal  melena  ,  e  tutti  presentano  alle  sagaci 
investigazioni  un  lungo  tratto  del  tubo  gastro-ente- 
rico infiammato.  La  flogosi  pertanto  venne  dal  me- 
desimo rinvenuta  più  decisa  ed  evidente  ove  le  in- 
testina aderivano  al  mesenterio  ed  al  mesocolon  , 
per  cui  anche  le  dette  membrane  furono  riscontrate 
nel  loro  attacco  di  quando  in  quando  più  dense  , 
più  resistenti,  e  più  rosse  dello  stato  ordinario  :  dal 
che  chiaramente  apparisce  aver  esse  partecipato  del- 
lo stesso  processo. 

A  conferma  di  tutto 'ciò  vengo  a  riferire  l'au- 
topsia cadaverica  di  due  uccisi  pel  melena,  morti 
nel  civico  ospedale  di  Macerata,  fatta  istituire  dal 
professor  Santarelli  in  faccia  a  molti  suoi  alunni, 
fra  i  quali  era  anch'  io  presente.  La  prima  nella 
persona  di  Andrea  Bergiani  venne  praticata,  il  qua- 
le aveva  50  anni  circa,  ed  affezionalo  soverchiamen- 
te al  vino.  Da  più  mesi  essendo  egli  soggetto  a  per- 
dite di  una  materia  nera  e  fetida  per  secesso,  pre- 


OssKRVAziom  SUL  Melena  139 

cedute  e  accompagnate  da  leggeri  tormlnl,  e  poscia 
da  una   penosa  esistenza,  finalmente  soccombette. 

«  Aperto  l'addome  ,  il  fegato  e  la  milza  si  pre- 
«  sentarono  sani  ,  le  intestina  tanto  tenui  che  cras- 
«  se  contenevano  una  gran  copia  di  materia  nera. 
«  Le  loro  pareti  dal  principio  fino  alla  termina- 
ti zione  infiammate,  ma  non  con  egual  forza  in  tut- 
«  ta  la  loro  estensione.  Rosse  erano  queste,  ingros- 
«  sate  e  resistenti  :  si  rinvenne  ancora  lungo  il 
«  tubo  alimentare  tratto  tratto  di  color  atro  por- 
«  zione  del  medesimo  ,  dove  non  ebbe  dimora  la 
«  flogosi.  Si  riscontrò  pure  del  sangue  nero  dopo 
«  aperte  le  membrane  intestinali  sparso  fra  l'ester- 
«  na  ed  interna  membrana  medesima:  dal  che  ne 
«  dedusse  esser  vere  ecchimosi  tali  macchie. 

«  La  seconda  nella  persona  di  Pasquale  Mar' 

*  chettl  calzolaio.  Avendo  soggiaciuto  a  forti  dolo- 
«  ri  di  stomaco  varii  anni  addietro,  questi  veni- 
«  vano  ancor  più  inaspriti  dopo  l'assunzione  del 
«  cibo  ;  i  medesimi  l'aggredivan  regolarmente,  ed 

*  aveva  molta  stitichezza.  Era  assai  corpulento  e  to- 
«  roso  ,  passò  poi  ad  una  emaciazione  straordinaria 
«  ed  inesprimibile.  Si  aumentarono  poscia  i  sud- 
«  detti  dolori  dello  stomaco  ,  e  non  risparmiarono 
«  successivamente  di  attaccare  l'addome.  Quindi  il 
«  vomito  di  materie  acquose,  e  poco  appresso  di  ma- 
«  terie  nere.  Di  poi  si  sospende  il  suddetto  vomito^ 

*  e  viene  da  questo  a  quando  a  quando  disgrazia- 
«  tamente  obbligato  a  scaricare  materie  oscure  e  di 
n  spiacevole  odore ,  e  questi  scarichi  fetenti  ven- 
«  nero  accompagnati  da  piressia.  Non  tardò  poi  a 
«  sopravvenire  il  vomito  di  sangue  puro  e  quindi  la 
■  morte  dell'infermo. 


140  Scienze 

SEZIONE 

«  Aperto  l'addome,  si  rinvenne  l'omento  senza 
«  adipe,  ed  avente  delle  irradiazioni  inflammatoric. 
«  Lo  stomaco  aveva  naturale  il  volume,  ma  presen- 
«  tò  le  pareti  molto  ingrossate,  specialmente  nella 
«  grande  curvatura  dove  sembravano  portate  all'al- 
te tezza  di  due  linee.  Niun  rubore  nella  di  lui  ester- 
«  na  ed  interna  superficie  ,  e  ninna  lacerazione  di 
«  vasi  sanguigni.  Il  duodeno  leggermente  infiarama- 
«  to  lungo  il  suo  attacco  al  mesenterio  ,  ed  infiam- 
«  mata  anche  questa  membrana  maggiormente  nel- 
«  l'adesione  del  medesimo.  Gl'intestini  tenui  in- 
«  fiammati  anch'essi  con  flogosi  sempre  crescente  fi- 
■  no  agl'intestini  crassi.  Il  mesenterio  ne  parteci- 
«  pava  egualmente  colla  stessa  progressione.  I  vasi 
«  venosi  tanto  di  quest'intestini ,  come  del  mesente- 
«  rio  gonfi  ,  turgidi  di  sangue  ,  ed  accresciuti  più 
«  del  doppio  della  loro  normale  dimensione.  L'in- 
«  testino  ileon  nella  superficie  interna  presentò 
«  quattro  punti  distinti  gli  uni  dagli  altri  di  quasi 
«  due  palmi  ,  ove  si  rinvennero  cinque  o  sei  vasi 
«  per  ciaschedun  luogo  rotti,  e  lacerati,  dai  quali 
«  gemeva  il  sangue  venoso  ,  ed  i  medesimi  vasi  col- 
«  iapsi.  Gl'intestini  crassi  non  dimostravano  alcun 
«  vizio.  In  questi  si  rinvennero  delle  fecce,  ma  nei 
«  primi  non  si  trovò  umore  alcuno  atro  costituente 
«  il  melena.  Gl'intestini  tenui  prima  di  giungere  al 
«  cieco  erano  per  un  gran  tratto  esternamente  ade- 
«  renti  tra  loro.  I  vasi  brevi,  abbenchè  lo  stoma- 
«  co,  quale  l'abbiamo  descritto,  come  la  milza  fos- 
«  sero  nello  stato  normale  ,  pure  comparvero  di  un 
«  volume  doppio  del  naturale.  » 


OSSKRVAZIONI    SUL    MeLENA.  141 

Ometto  di  riferire  alcune  sezioni  per  non  anno- 
iarla, e  perche  le  ho  credute  inutili,  essendo  pres- 
so a  poco  simili  alle  altre  :  ed  i  risultati  delle  me- 
desime han  fatto  chiaramente  conoscere  che  spes- 
so la  flogosi  riscontrasi  stabilita  nel  tubo  intesti- 
nale ,  e  principalmente  in  quella  parte  che  aderi- 
sce al  mesenterio  ed  al  mesocolon.  Sebbene  1'  in- 
fiammazione frequentemente  abbracci  il  canale  ga- 
stroenterico, i  medesimi  si  rinvengono  per  lo  più 
flogosati  per  l'altezza  di  un  pollice  ed  anche  più. 
Frequenti  volte  alla  stessa  flogosi  tien  dietro  l'inte- 
stinale, in  guisa  che  mostra  di  essere  attaccato  il  me- 
senterio non  solo,  ma  le  intestina  eziandio  da  una 
medesima  contigua  lesione. 

Per  la  tumidezza  e  l'ingrossamento  di  alcune 
linee  delle  pai'cti  degl'intestini  in  vista  di  tale  ac- 
crescimento ,  e  della  tenuità  dei  visceri  stessi,  a 
me  sembra  che  la  medesima  flogosi  possa  aver  so- 
miglianza all'epatizzazione  dei  visceri  parenchi- 
matosi. 

Nelle  sezioni  dei  cadaveri  ordinariamente  sì 
rinvengono  le  intestina  nere  ed  oscure  ,  stante  la 
presenza  della  flogosi  ivi  stabilita  ,  che  per  me- 
glio osservarle  è  mestieri  evacuare  la  detta  atra- 
bile cos'i  denominata  d'agli  antichi.  Allora  lavate  le 
intestina  medesime  si  renderà  ben  chiara  l'infiam- 
mazione stanziata  nelle  pareti  delle  medesime  ,  a 
fronte  delle  altre  alterazioni  che  possono  negl'inte- 
stini rinvenirsi. 

Il  celebre  Frank  nella  sua  epitome  al  parag. 
611  ,  precisamente  descrivendo  V  ematemed*  aste" 
nica  ,  disegna  fedelmente  la  necroscopia  di  una 
donna  morta  pel  melena^  nella  quale  rinvenne  le 
pareti  del  ventricolo  rosse,  e  pih  rosse  ancora  le 


142  S  e  t  S  N  Z  K 

riscontrò  nella  superficie  del  tubo  intestinale  di  un 

uomo  perito  del  medesimo  morbo  ,  e  di  piìi  injet- 

tata  universalmente  di  sangue  senza    erosione  del 

medesimi. 

Sonosi  per  verità  in  parecchi  cadaveri  osser- 
vati dei  vasi  venosi  lacerati  ,  dalle  cui  fenditure 
scaturiva  quel  sangue  in  parte  che  ritrovasi  coa- 
gulato negl'intestini  e  che  si  trasse  fuori  durante 
il  corso  della  fatale  malattia,  come  di  fatto  si  rin- 
vennero da  noi  le  vene  corrose  ed  aperte  nelle  due 
descritte  sezioni. 

Se  altrettanto  avvenga  nei  canali  arteriosi,  non 
saprei  di  presente  addurne  prove  sufHcienti  per 
altrui  e  mio  convincimento  :  ma  ripeterò  ciò  che 
scrisse  su  tal  proposito  T  illustre  prof.  Santarelli 
nelle  suddette  ricerche: 

»  Io  non  mi  sono  mai  incontrato  colla  lace- 
»  razione  dei  canali  arteriosi,  ne  posso  ricordarmi 
»  che  altri  ci  si  siano  avvenuti.  È  però  possibile  che 
»  ciò  succeda,  e  lo  deduco  dalla  seguente  osserva- 
»  zione.  Fui  chiamato,  son  già  molti  anni,  in  Came- 
»  rino  per  visitare  il  conte  Valenti.  Erano  parec- 
»  chie  settimane  che  si  trovava  infermo,  ed  avea 
»  perduto  per  l'ano  molto  sangue  parte  oscuro  e 
»  nero,  e  parte  rosseggiante.  Soggiaceva  egli  da  mol- 
»»  ti  anni  al  flusso  emorroidale,  e  la  presente  ma- 
»  lattia  si  era  manifestata  nel  suo  principio  con 
»  tutti  i  sintomi  propri  delle  emorroidi  esterne  ed 
»  interne.  Non  si  era  riuscito  a  far  cessare  un  tal 
»  flusso  sanguigno,  e  l' infermo  si  trovava  ridotto 
»  ad  un'estrema  debolezza.  Essendo  ricomparso  nuo^ 
»  vo  scarico  sanguigno,  si  dilatò  l'ano,  e  si  potè  scor' 
»  gere  che  all'  altezza  di  un  pollice  sgorgava  del 
>  sangue  rosso  e  spumoso,  il  quale  veniva  espulso 


Osservazioni  sul  Melena  143 

»  a  successivi  colpi  che  erano  isocroni  colla  pulsa- 
»  zione  delle  arterie.  Si  convenne  derivare  da  un 
»  vaso  arterioso  lacerato  questo  flusso  sì  pertinace.  » 
Ora  è  ben  naturale  il  persuadersi,  che  altret- 
tanto possa  avvenire  nel  melena,  malattia  tanto  so- 
migliante all'emorroidi,  che  spesso  l'ultima  termi- 
na colla  prima. 

10  son  portato  a  credere,  che  allorquando  l'in- 
fermo evacua  unitamente  materie  nere  sanguigne, 
e  quando  queste  evacuazioni  si  succedono  senza  in- 
terruzione ,  e  conducono  l'infermo  prontamente  al 
suo  fine  ,  si  possa  con  molta  verosimiglianza  so- 
spettare che  sia  lacerato  qualche  vaso  arterioso.  Que- 
sta congettura  deve  però  venir  cimentata  da  sezio- 
ni di  cadaveri,  affine  o  di  confermarla  o  di  escluder- 
la. Disgraziatamente  però  non  è  a  noi  sempre  per- 
messo di  aprire  tutti  i  cadaveri  di  tal  malattia  :  ed 
io  ho  dovuto  sostenere  molti  rifiuti  dai  congiunti 
del  defonto. 

Ad  oggetto  di  spander  nuovi  lumi  sui  disor- 
dini rintracciati  nei  cadaveri  estinti  dal  melena  mer- 
cè delle  anatomiche  sezioni;  e  quindi  ad  oggetto  an- 
cora d'investigare  le  cagioni  segnatamente  che  pro- 
ducono il  medesimo  morbo  ,  non  ometterò  di  dare 
un  cenno  fugace  delle  principali, 

CAUSE 

11  soverchio  cibo  animale  ,  1'  abuso  del  vino 
e  dei  liquori ,  i  veleni  e  gli  ossidi  metallici  spe- 
cialmente ,  la  crapula  ,  la  soppressione  de'  mes- 
trui e  del  flusso  emorroidale  ;  cosi  la  retrocessio- 
ne delle  impetigini  ,  il  disseccamento  delle  ulceri 
aperte  da  lungo  tempo  ,  e  gli  emuntori  intempea- 


^J^.^  SciENEE 

tivamente  chiusi ,  i  cibi  soverchiamente  conditi  con 
aromi)  e  piìi  le  carni;  coloro  che  hanno  una  lau-^ 
ta  mensa,  nell'età  dei  50  ai  60  anni  vengono  più 
facilmente  aggrediiti.  A  quelli  che  abusano  dei  li- 
quori non  di  rado,  prima  della  comparsa  dell'atro 
flusso  ,  precede  o  lo  scirro  dello  stomaco  o  l'in- 
duramento del  fegato.  I  medici  partigiani  della  dot- 
trina browniana,  che  trattarono  la  maggior  parte 
delle  malattie  col  metodo  stimolante,  s'incontraro- 
no spesso  con  individui  affetti  dal  melena.  \\  ca- 
so che  racconta  il  prof.  Santarelli  di  Cecchi  ur- 
bisagliese,  che  io  stesso  vidi  piìi  volte,  il  quale  ve- 
niva trattato  per  debolezza  e  dolori  di  stomaco  pri- 
ma con  soverchia  quantità  di  aceto  ed  anche  per 
clistere,  e  successivamente  della  tintura  del  ì^ith^ 
sebbene  in  età  giovanile  ,  passò  rapidamente  al 
melena^ 

Anche  l'abuso  del  caffè,  il  quale  essendo  pre- 
so caldo  assai  irrita  il  tubo  intestinale  ,  è  capace 
di  fare  sviluppar  la  flogosi  ove  trova  predisposi- 
zione. Tissot  riporta  il  caso  di  un  uomo  morto  di 
melena  per  abuso  di  caffè  ,  e  Santarelli  è  di  av- 
viso che  richiami  sempre  l'affezione  emorroidale:  e 
conferma  questo  suo  divisamente  il  canonico  Pier' 
mattei,  che  io  stesso  vidi  con  esso  in  Cingoli  ,  il 
quale  essendosi  strabocchevolmente  prevalso  della 
suddetta  bevanda,  gli  vennero  richiamate  le  emor- 
roidi ed  accresciuta  l'imitazione  del  tubo  intesti- 
nale per  avere  antecedentemente  soggiaciuto  al 
melena. 

Quelli  che  furono  sottoposti  a  coliche  infiam- 
matorie perseveranti,  quand'anche  giovani  ,  a  feb- 
bri contagiose  petecchiali  se  non  vennero  ne'  pri- 
mordi salassati,  non  è  cosa  rara  osservarli  mclenici. 


Osservazioni  sul  Melena.  145 

Egualmente  quelli  che  per  mala  ventura  furono  sog- 
getti a  forti  patemi  ti'  animo  ed  a  repentine  di- 
spiacenze. In  conferma  di  tutto  ciò  descrìve  il  caso 
lo  stesso  prof,  Santarelli  di  quel  cavaliere  macera- 
tese che  godeva  lauta  mensa,  il  quale  dopo  l'annun- 
zio della  perdita  di  una  causa,  fu  preso  dal  melena^ 
ed  appresso  a  due  settimane  morì  di  tal  malattia. 
E'  quindi  suo  divisamento  che  i  forti  eccitamenti 
dello  spirito  turbano  in  modo  le  funzioni  intesti- 
nali, in  ispecie  se  contemporaneamente  si  faccia  uso 
di  abbondanti  alimenti  ,  in  circostanza  che  si  do- 
vrebbe tenere  un  regime  opposto,  che  non  è  a  ma- 
ravigliarsi che  si  producano  effetti  analoghi  a  quel- 
li indotti  dal  vino  e  dagli  aromi.  Forse  per  questa 
ragione  gli  uomini  4i  lettere  vengono  disposti  a  so- 
migliante malattia, 

Anche  i  colpi  e  le  compressioni  bruscame  fat- 
te sull'addome  possono  destare  il  melena.  Qualche 
volta  si  è  visto  prodotto  dalla  gotta  ,  e  dall' artri- 
tide  retropulsa.  Queste  sono  le  ordiuc^rie  cagioni 
che  producono  il  melena  ;  ve  ne  sono  anche  del- 
le altre  ,  ma  piìi  di  rado  portano  a  questa  tri- 
sta affezione  :  e  perciò  lascio  di  trascriverle.  Essen- 
do pertanto  le  surriferite  cagioni  d'indole  stimo- 
lante, ed  atte  a  creare  la  flogosi,  non  si  potrà  cer- 
tamente attendere  dalle  medesime  effetto  adinami- 
co, deprimente,  ed  in  conseguenza  la  malattia  di 
cui  si  tratta  sarh  sempre  adinamica  iperstenica? 

Dopo  di  aver  esposto  succintamente  l'opinio- 
:ne  dei  pratici  intorno  al  melena^  e  l'anatomia  pato- 
logica degli  estinti  di  detta  malattia  ,  a  me  altro 
non  rimane  in  fine  che  descrivere  le  promesse  e 
principali  quattro  storie  della  suddetta  affezione  ; 
lasciando  l'esposizione  di  parecchi  altri  casi  da  non 
G.A.T.LXXIII.  10 


146  SciKMZE 

doversene  far  gran  conto,  essendo  stati  di  poca  en- 
tità ,  ed  a  mio  credere  di  nessun  pericolo  ,  ma 
che  pur  cedettero  favorevolmente  ed  interamente 
allo  stesso  metodo  praticato  per  altri,  benché  me- 
no attivo  assai  e  piìi  ristretto. 

Mi  limiterò  soltanto  ad  esporre  con  la  maggior 
brevità ,  e  possibile  chiarezza  ,  protestando  che  non 
per  desiderio  di  fama  ,  ma  per  utilità  soltanto  del- 
la scienza  e  dell*  umanità  mi  sono  indotto  a  tes- 
ser le  veridiche  istorie  dei  suddetti  quattro  casi 
melenici  non  molto  frequenti  ,  ma  molto  impor- 
tanti in  pratica,  nella  fiducia  che  i  giovani  non  is- 
degneranno  di  esserne  aggiornati  ,  perchè  fatti  in- 
dubitati i  quali  si  sono  offerti  alla  mia  pratica  in 
Senigallia  ,  e  porto  lusinga  che  serviranno  di  guida 
al  letto  dell'infermo. 

PRIMA  STORIA. 

Il  signor  Giovanni  Sbrigia  di  Sinigallia,  do- 
tato di  sanguigno  temperamento ,  dell'  età  di  cir- 
ca 21  anni,  avendo  per  lo  innanzi  sempre  goduto 
sanità  perfettissima  ,  dopo  qualche  replicato  pate- 
ma d'animo  venne  sopraffatto  da  singolare  tristez- 
za ,  e  da  inappetenza  e  melanconia  straordinaria. 
Lagnavasi  spesso  di  dolori  al  basso  ventre  e  d'in- 
comoda stitichezza.  Le  fecce  venivano  evacuate  ogni 
due  o  tre  giorni.  Era  per  lo  pili  inquieto,  pensie- 
roso ,  e  facilmente  adiravasi.  Passava  le  notti  or- 
dinariamente desto,  ed  occupata  la  di  lui  mente  da 
pensieri  funesti  e  da  tristi  avvenimenti.  Avendomi 
pertanto  il  medesimo  consultato  intorno  a  tali  sin- 
tomi prodromi,  entrai  tosto  in  sospetto  che  egli  po- 
tesse essere  quanto  prima  assalito  dal  melena:  e  di 


Osservazioni  sul  Melewa  14T 

fatti  cercai  prevenirne  il  crudele  attacco  sommini- 
strando al  medesimo  dei  temperanti  e  rinfresca- 
tivi insieme.  Sospesi  il  vino  ed  il  vitto  animale,  esor- 
tando all'infermo  la  dieta,  e  gli  prescrissi  quindi  un 
salasso  ai  vasi  emorroidali  per  mezzo  delle  sangui- 
sughe :  ed  in  vista  del  suo  temperamento  ,  e  della 
durezza  de'  suoi  polsi  non  mancai  d'  insistere  per 
l'istituzione  del  salasso  generale  ,  a  cui  segui  alle- 
viamento notabile  dei  suddetti  sintomi.  In  appres- 
so andavo  osservando  l'andamento  dei  medesimi  ,  e 
non  lasciai  di  raccommandare  all'infermo  l'uso  del- 
l'acqua tartarizzata  ,  e  dopo  qualche  giorno  di  tre- 
gua prescrissi  un  purgante  di  due  once  di  man- 
na di  Calabria  sciolta  con  sulilciente  quantità  di  de- 
cotto cordiale  solutivo:  e  gli  venne  epicraticamen- 
te  somministrato  sulla  vista  di  evacuare  le  fecce  del 
tubo  intestinale  ,  e  poscia  eliminare  le  escrezioni 
impure  ritenute  ,  togliendo  cosi  dei  materiali  che 
potevano  alimentare  e  mantenere  l'irritazione,  e  fa- 
vorire in  fine  lo  sviluppo  della  temuta  flogosi  ,  e 
quindi  la  comparsa  del  flusso  nero. 

E  quand'anche,  giusta  gl'insegnamenti  del  prof. 
Santarelli,  vietassi  al  malato  qualsivoglia  bevanda 
calda  ,  ed  esigessi  dal  medesimo  che  la  dieta  fosse 
assai  parca  e  risultante  per  la  maggior  parte  di  lat- 
ticini e  di  vegetabili  ;  e  di  più  l'avessi  consiglia- 
to ad  usare  costantemente  delle  semate  e  limonate 
fredde;  pure,  malgrado  che  i  dolori  del  basso  ven- 
tre e  la  stitichezza  avessero  ceduto  ,  non  però  ces- 
sarono la  tristezza  ,  l'anoressia  ed  un  certo  mal'es- 
sere.  Perduto  aveva  il  suo  naturai  colorito,  ed  acqui- 
stato aspetto  pallido  e  cacheticot  e  finalmente  nel- 
la notte  dei  15  ottobre  1832  venne  improvvisa- 
mente assalilo  da  forti  dolori  all'  addome.  Questi 


^48  Scienze 

sempre  più  si  rinforzano  :   siegiie   la  nausea  ed  un^ 
inesprimibile    smania.   Vengo   immantinente  a   lui 
condotto  ,  ed  osservo  quanto  siegue.  Volto  estrema-? 
niente    pallido  ,    somma   prostrazione  di  forze  ,    de- 
liqui che  da  quando  a  quando  rinnovansi,  estremità 
freddissime:  i  di  lui  polsi  irregolari,  intermittenti, 
e  quasi  formicolanti  ed  estinti.  I  dolori  si  rinforza- 
vano ancora  e  la  nausea:  finalmente  vengono  espulse 
per  l'ano  delle  materie  nere  miste  a  sangue.  In  mez- 
zo ad  un  quadro  sì  luttuoso   e   spaventevole  ,   senza 
punto  valutare  il  pallore  del  volto,   il   lento  battito 
delle  arterie  ,  i  polsi  formicolanti,  i  deliqui,  ma  in- 
coraggiato dalla  stabilita  massima  dell'illustre   pro-r 
fessor  mio,  che  debba  cioè  riguardarsi  una   tale  af- 
fezione iperstenica,  e  conseguentemente  trattarla  co- 
me flogpsi,  prescrissi  immediatamente  una  larga  mis- 
sione di  sangue  e  una  dieta  severissima,  anzi   esclusi 
ogni  alimento  accordando  solo  bevande   fredde.  Po- 
che ore  dopo  essendo  tornato  a  visitare  l'infermo.  Io 
rinvenni  con  forte  piressia  e  con  grande  sviluppo  di 
calorico  con  accensione  marcatissima  al   viso  ,    q  la 
continuazione  dei  suddetti  sintomi,  Senza  farmi   ina- 
porre  eziandio  dalla  debolezza  de'suoi  polsi^  feci  to- 
sto rinnovare  la  en:^issione  di  sangue  ad  oggetto  di 
spegnere  la  flogosi;  nia  la  secrezione  melenica  conti- 
nuava, e  le  perdite  di  materia  nera  erano  assai  ec- 
cessive. Frattanto  apprestar  feci  al  medesimo  la  de- 
cozione  fredda   tamarindata   a   più   riprese.    Ma    a 
fronte  di  tali  ajuti  la  flemmasia  era  sempre  piìi  mi 
nacciosa:  per   cui  rinunciai  all'idea  di   evacuare   la 
materia  nera  che  naturalmente  erasi  versata  nel  ca- 
nale   intestinale  ,  e  procurai  a  tutta   possa   a   dimi- 
nuire e  spegner  la  flogosi  :  il  che  in  rcallU  merce  di 
tali  soccorsi  ,  e  colla  rinnovazione  de'ripetuti  salas-i 


Osservazioni  sul  Met.ena  149 

§i  ili  numerò  di  quattro,  sono  riuscito  ad  ottenere. 
Persuaso  pure  che  la  secrezióne  morbosa  sarebbesi 
diminuita  j  o  del  tutto  mancata  ,  quindi  il  giorno 
appresso  mi  risolsi  prescrivere  al  medésimo  malato 
un  purgante  di  polpa  di  cassia  nella  quantità  di  due 
òtìcié  e  data  epicraticamente  ^  la  quale  produsse  no- 
tabile vantaggio.  Ma  i  dolori  addominali  e  le  materie 
nere,  miste  però  a  féccci  non  cedevano  ancora:  mo- 
tivò per  cui  cospirando  le  polpe  acido-dolci,  secondo 
il  professor  Santarelli,  a  diminuire  l'infiammazione 
ed  evacuare  senza  turbe  è  senza  sforzi  la  materia 
néra  j  io  su  tal  riflesso  non  esitai  punto  a  continuar- 
ne l'uso  ,  e  poscia  esortare  l'infermo  a  servirsi  dell' 
acqua  gelata  eziandio  :  e  feci  la  sera  del  3.*^  giorno 
injettare  uri  clistere  di  acqua  con  pòchissimo  acéto  , 
e  tìòn  lasciai  peranco  di  farlo  ripetere  nei  giorni  ap- 
pressò colla  viva  lusinga  di  distruggere  la  flogosi 
stessa  che  io  credeva  esistere  ,  benché  ammansita  , 
e  successivamente  arrestare  la  suddetta  morbosa  se- 
crezione. Stante  la  continuazione  dei  dolóri  ancora 
non  trascurai  di  somministrargli  à  cucchiajaie  d'ora 
in  ora  una  mistura  composta  di  A  oncie  di  tintura 
acquosa  di  digitale  purpurea  ,  un'ottava  di  acqua  co- 
òbata  di  lauro-ceraso  ,  ed  un'oncia  di  sciròppo  di 
radici  aperitivo,  sempre  fredde.  Nel  quarto  giorno  le 
materie  nere  eran  molto  diminuite  ,  i  dolori  piìi  sof- 
fribili  ^  lai  febbre  spenta.  Si  decorda  al  malato  un 
Lrodo  panato  nel  pi'anzo,  ed  altrettanto  nella  sera  ; 
limonate  fredde  j  ed  il  solito  clistere  di  acqua  ed  a- 
ceto  freddo.  Nel  S."'  invece  della  tintura  acquosa  di 
digitale  purpùrea  si  sostituì  l'emulsione  di  gomma 
arabica  ,  due  ottave  di  acqua  coobata  di  lauro-cera- 
so, ed  un'oncia  di  siroppo  di  altea  del  Fcrnelio  data 
epicraticamente  all'infermo. 


450  Scienze 

Contemporaneamente  ,  e  senza  lasciare  le  be- 
vande fredde  ,  sebbene  le  sue  fecce  si  fossero  rav- 
visate normali ,  e  fossero  scomparse  le  materie  nere 
ed  allontanati  interamente  ì  dolori  addominali  ,  si 
continuò  l'uso  della  suddetta  emulsione,  e  si  accor- 
dò al  mattino  del  latte  allungato  con  acqua  e  poco 
zuccaro. 

Pe'  risultati  vantaggiosi  ottenuti  dal  suddetto 
metodo  praticato  contro  il  melena,  e  perchè  ogni 
giorno  andava  l'infermo  acquistando,  si  accordò  una 
dieta  meno  rigorosa  ,  e  venne  alimentato  con  leggero 
pangrattato,  e  successivamente  con  brodi  ristorativi: 
inoltre  si  permise  pure  del  riso.  Essendo  poi  le  cose 
andate  sempre  meglio,  avvegnaché  si  continuasse  la 
suddetta  emulsione  e  il  lauro-ceraso,  non  ebbi  diffi- 
colta, atteso  Io  spegnersi  di  tutti  i  sintomi,  di  conce- 
dere al  malato  un  uovo  a  pranzo,  e  quindi  un  poco  di 
lesso  il  giorno  appresso.  Tutto  alla  perfine  cedette 
favorevolmente.  Feci  continuare  l'uso  del  latte  e  del- 
le limonate  per  qualche  tempo  affine  di  confermare 
la  guarigione,  ed  allontanare  una  recidiva:  il  che  suo- 
le spesso  accadere.  Ora  è  pienamente  ristabilito  ,  ed 
ha  goduto  e  gode  fino  ad  oggi  sanità  prospera. 

SECONDA  STORIA. 

La  seconda  storia  risguarda  una  donna  di  con- 
dizione cameriera  ,  la  quale  soggiacque  già  altre  vol- 
te al  morbo  nero  ,  e  fu  curata  in  sua  patria  dall'ec- 
cmo  signor  dottore  Lazzarini  condotto  in  Fano.  Es- 
sendosi prevalso  in  parte  del  metodo  del  celebre 
Tissot^  egli  la  fece  salassare. 

Geltrude  Baldini^  dell'età  di  anni  40  circa,  di 
cachetico  e  debole  temperamento  ,  di  aspetto  pallido 


OsSERTAZIOm   StL   MeLENA.  i^i 

e  lurido  j  hen  mestruata  ,  dedita  al  vino  ed  ai  liquo- 
ri, veniva  di  tanto  in  tanto  sopraffatta  da  dolori  al 
basso  ventre,  segnatamente  al  fegato,  il  quale  fu  da 
me  rinvenuto  alquanto  resistente  e  voluminoso.  In 
pari  tempo  evacuava  le  fecce  irregolarmente  «  ed  or- 
dinariamente globose.  Facilmente  dalla  gioja  passava 
all'ira.  Scorrea  puranco  le  notti  inquieta  e  senza 
sonno.  Un  dolore  allo  stomaco  cruciava  bene  spesso 
Tinfelice  Geltrude,  dopo  di  aver  desinato  segnata- 
mente. Tali  sintomi  precursori  si  affacciarono  pri- 
ma della  comparsa  del  flusso  nero:  il  che  io  ho  pos- 
tulo raccogliere  nella  prima  visita.  Passerò  quindi 
a  descrivere  la  storia  della  detta  Baldini^  strappata 
dalle  mani  della  morte. 

Era  pertanto  la  povera  inferma  in  Ietto  cruc- 
ciata da  dolori  e  da  nausee  ,  non  disgitmte  da  ri' 
petuti  vomiti  di  materie  nere  e  fredde»  le  quali  ve- 
nivano  evacuate  eziandio  per  l'ano.  Tali  deiezioni 
erano  precedute  da  senso  di  mancanza  e  da  delìqui. 
I  polsi  furono  da  me  rinvenuti  febbrili  ,  ma  bas- 
si, irregolari,  e  intermittenti.  Gli  occhi  incavati,  ed 
un  freddo  sudore  bagnava  la  di  lei  pallida  fronte. 
L'inferma,  oppressa  ed  estremamente  atterrita,  e  con 
voce  sepolcrale,  chiede  soccorso.  A  vero  dire  in  quel 
momento  ed  a  prima  vista  fui  anch'  io  preso  da 
spavento  t  ma  animato  dal  felice  esito  del  metodo 
tenuto  per  lo  Sbrigia,  cercai  di  non  farmi  imporre 
dai  suddetti  sintomi,  e  dall'  apparente  abbattimen- 
to di  forze  ,  e  feci  all'istante  trar  copiosamente  san- 
gue, che  fu  cotennoso.  Siffatta  emissione  calmò  mo- 
mentaneamente i  dolori  e  1'  orgasmo  ;  negai  all'in- 
ferma qualunque  alimento  ,  accordando  solo  bevan- 
de fredde  acidule.  Segnai  la  solita  ricetta  di  tin- 
tura acquosa  di  digitale  purpurea  ,  acqua  coobata 


152  Scienze 

di  lauro-ceraso  ,  e  sìroppo  delle  cinque  radici   à- 
pertive^  la  quale  venne  apprestata  epicraticamentei 
ma  attesa  la  particolare   idiosincrasia  dell'inferma 
non  fu  tollerata  ,  ed  io  volli  sostituire  alla  digita- 
le l'acqua  di  fiori  di  tiglio  in  riguardo  anche  de- 
gli accessi  convulsi,  che  tratto  tratto  rinnovavansi  a 
danno  della  malata  stéssa.  Intanto  il  morbo    pro- 
grediva a  passi  gigantéschi,  ritornando  in  campo  i 
vomiti,  le  deiezioni  di  matèrie  nere,  ed  i  deliqui 
sempre  piìi  forti  e  spaventevoli.  Sopravvenne  la  feb- 
bre anche  piìi  ardita  ,  molta  ambascia  ed  estrema 
debolezza.   Senza  paventare  péro  la  medesima,  feci 
rinnovare  la  sera  il  salasso  ,  e  continuare  la  sud- 
detta   mistura   deprimente  per  restringere  ed  an- 
nientare la  flogosi  ,  e  per  far  diminuire  ed  anche 
cessare  la  secrezione  morbosa  melenica.  A  fronte  pe- 
rò della  dieta  strettissima,  di  tre  salassi,  e  del  me- 
todo tutto  deprimente  ,  ciò  non  pertanto  Li  rrialat- 
tia  non  cedeva  affatto,  ed  anzi  aumentò  di  sintomi,- 
sudori  freddij  lipotimie,  per  cui  fu  creduta  estin- 
ta ,  e  venne  interamente    abbandonata.    Mai   essen- 
do io  sopraggiunto  a  tale  spettacolo,  la  trovai  an- 
cora in  deliquio,  però  d'assai  diminuito:  venne  to- 
sto soccorsa  ,  e  dopo  brevi    istanti    tutto   si   dissi- 
pò. Avea  la  voce  fioca  ,  ed  il  pallor  di  morte.  Non 
cessai  dal  farla  salassare  dal   piede  ,   ed   al    tempo 
stesso  la  sottoposi  all'uso  dell'acqua  gelata  non  solo, 
ma  le  feci  pur  anco  di  quando  in  quando  inghiotti- 
re dei   frustoli  di  ghiaccio  ,  ed  acqua  agghiacciata. 
Tutto  ciò  seguito,  la  paziente  continuò  e' per  boc- 
ca e  per  secesso  a  metter  fuori  una    quantità   stra- 
bocchevole  (li    materie   nere.   Fo    inoltre    iniettare 
dopo    cinque  o  sei  ore  un   piccolo    clistere    di    a- 
cqua  di  camera  e  di  pochissimo    aceto  con  lo  sco- 


Osservazioni  sul  Melena  153 

pò,  secondo  il  celebre  Speranza^  ancora  di  promuo- 
vere leggermente  il  moto  peristaltico  ,  ed  allonta- 
nare per  quanto  fosse  possibile  la  nausea,  la  ten- 
denza al  vomito,  ed  il  vomito  medesimo  ,  che  con- 
tinuamente e  fin  da  principio  prevalevano  nella  no- 
stra paziente  :  e  lo  feci  rinnovare  la  sera  stessa  ^ 
avendone  col  primo  riportato  qualche  vantaggio^ 
Sulla  vista  ^intanto  di  diminitire  ed  allontanare  la 
flogosi,  e  successivamente,  render  minima  la  secre- 
zione morbosa  e  l'irritazione  ancora^  proposi  l'ap- 
plicazionè  delle  sanguisughe  ai  vasi  emorroidali^ 
La  notte  fu  meno  tempestosa,  e  nel  mattino  assai 
per  tempo  prescrissi  Un  purgante  di  polpa  di  cas^ 
sia  dato  all'inférma  a  poco  a  poco  affine  di  evacu- 
are stìnza  turbe  e  sènza  tenesmo  le  materie  nére 
separate  ,  e  quindi  diminuire  la  flogosi.  Da  éssd 
per  verità  trassi  un  marcato  sollièvo  ,  avendo  do- 
po alcune  scariche  di  matèrie  miste  diminuito  sen- 
sibilmente i  dolori  dell'  addome  ,  e  rimosso  il  vo- 
mito con  r  allontanamento  di  spaventevoli  deli- 
qui i,  e  freddi  sudori.  Non  pertanto  fui  d'avViso 
che  si  dovesse  continuare  il  ghiaccio  ^  le  bcVaildè 
fredde  e  l'acqua  coobata  di  lauro-ceraso:  partico- 
larmente si  accordò  alla  medesima  un  pòco  dì  lat- 
te allungato  con  acqua  e  zuccaro; 

Essendosi  poi  nel  giorno  quinto  i:*IafFacciati  i 
dolori  ,  e  sospettando  che  potessero  èssi  essere  ef- 
fetto delle  materie  nere  ritenute  nel  tubo  gastro- 
enterico ,  feci  subito  somministrare  a  più  riprese 
una  soluzione  di  polpa  di  tamarindo  ,  che  riuscì 
molto  proficua.  A  conferma  ed  appoggio  del  mia 
operato  giova  qui  ridire  ,  che  l'immortale  vecchio 
di  Coo  salassava  prima  j  purgava  dopo  ,  e  poscia 
faceva  bere  del  latte  asinino  (De  morbis  lib.  2,  nuirii 


454  S  e  1  È  n  E  E 

71  ).  Dopo  aver  consumata  la  suddetta  soluzione  , 
l'inferma  viene  interamente  abbandonata  dalla  feb- 
bre, il  basso  ventre  trattabile  si  rende,  la  lingua 
molle  :  la  debolezza  d'  altronde  si  fa  estrema.  Da- 
to perciò  un  certo  apprezzamento  ai  suddetti  sin- 
tomi, cioè  spenta  la  febbre  e  tutto  il  resto  in  me- 
glio ,  non  trovai  difficoltà  alcuna  di  accordare  nel 
pranzo  uri  leggero  pan  grattato  ,  e  susseguentemen- 
te  qualche  brodo  di  pollo,  nel  quale  avesse  bollito 
la  farina  di  rìso  :  dal  che  ritrasse  non  lieve  van- 
taggio. 

Essendo  dipoi  cessate  le  evacuazioni  nere  ,  i 
deliqui  e  l'insoffribile  smania,  accordai  alla  pazien- 
te anche  un  uovo,  e  quindi  un  vitto  piti  nutritivo 
con  poco  lesso  ,  senza  lasciare  per  molti  giorni  il 
latte  la  mattina  ,  escluso  però  il  vino  per  molto 
tempo  :  come  pure  la  continuazione  in  dose  piìi  ri- 
stretta di  fiori  di  tiglio  e  di  lauro-ceraso,  sommi- 
nistrato di  tale  miscela  ogni  due  o  tre  ore  un  cuc- 
chiaio, ed  accordai  puranco  qualche  gelato  di  limone 
la  sera.  Dopo  siffatti  aiuti  e  tal  metodo  dietetico, 
l'inferma  si  è  pienamente  ristabilita,  ed  ha  potuto  ab- 
bandonare il  letto  ,  ed  occuparsi  dei  consueti  lavori. 

Senza  però  aver  obliato  ,  ma  anzi  avendo  co- 
stantemente e  sempre  presenti  i  dotti  avvertimen- 
ti datimi  dal  mio  onorato  ed  esimio  professor  Saif 
tarelli  ,  che  quelli  che  soggiacquero  al  flusso  me- 
lenico  sogliono  facilmente  recidivare,  e  vengono  or- 
dinariamente assaliti  da  dolori  addominali  ,  ripe- 
tendo più  volte  che  la  riproduzione  di  tali  affezio- 
ni si  debbe  alla  continuazione  della  flogosi ,  la  qua- 
le non  COSI  facilmente  durante  il  corso  del  morbo 
si  riesce  pienamente  ad  estinguere  in  tal  guisa  se 
colla  continuazione  della  dieta  temperante  non    si 


OssERVAZioiti  SUL  Melena  155 

riesce  a  dissiparla  ;  a  suggerimento  del  sullodato 
professore  in  tali  casi  proposi  l'uso  dell'acetato  dì 
ammoniaca  ad  oggetto  di  prevenire  il  ritorno  dei 
dolori;  e  piìi,  dietro  il  risultato  vantaggioso  otte- 
nuto dall'apprestazione  della  suddetta  soluzione  al 
p.  Cherubino  anconetano  stanziato  in  Macerata,  da 
me  assistito  come  medico  curante  per  pili  anni  ,  e 
dal  prof.  Santarelli  come  consulente  (il  qual  caso 
fu  da  esso  riportato  nelle  sue  ricerche  medesime 
intorno  al  melena  al  cap.  VII)  feci  sciogliere  in  6 
oncia  di  acqua  distillata  due  dramme  di  acelato 
di  ammoniaca,  con  un'oncia  di  siroppo  semplice, 
e  ne  feci  quindi  prendere  all'  inferma  a  stomaco 
vuoto  un  cucchiaio  la  mattina,  ed  un  altro  la  se- 
ra, due  o  tre  ore  prima  della  sua  parca  cena.  La 
qual  formola  venne  più  volte  ripetuta  ,  e  ottenne 
pure  ottimi  risultati  :  per  cui  non  solo  al  flus- 
so melenico  non  ha  ulteriormente  soggiaciuto,  ma 
neppure  dai  dolori  addominali  è  stata  in  appres- 
so aggredita.  Conta  già  il  2  anno  dell'  ultimo  at- 
tacco e  ristabilimento  ,  e  fino  a  tutt'oggi  gode  di 
buona  salute. 

TERZA  STORIA. 

Questa  aggirasi  Intorno  ad  una  donna  di  condi- 
zione tessitrice,  dell'età  di  circa  55  anni,  di  tempe- 
ramento adusto  bilioso  ,  ed  amante  del  vino  ,  che 
regolarmente  pagò  i  suoi  lunari  tributi:  madre  di  4 
figli ,  che  per  lo  innanzi  avea  soggiaciuto  a  malattie 
Sì  pochissima  entità.  Ma  essendo  rimasta  vedova  ,  e 
circondata  dalla  miseria  e  dalla  tristezza,  andava  a 
quando  a  quando  soggetta  a  contrazioni  spasmodi- 
che (^Uo  stamaco  e  del  basso-ventre  con  borborig- 


456  Scienze 

mi,  ed  à  particolare  stitichezza  ,  per  cui  era  spessa 
inquietata  da  moleste  sensazioni  all'ano.  La  medesi- 
ma senza  prendere  cura  alcuna  della  sua  salute , 
trascurando  anzi  qualunque  medico  aiuto  ,  venne  fi- 
nalmente aggredita  da  vomito  di  materie  sanguino- 
lenti oscure";  là  qùal  perdita  sempre  piìi  aumentan- 
do ^  i  di  lei  congiùnti  non  tardarono  in  sì  tristo 
avveriitìientò  di  condurmi  dall'inferma  all'istante  , 
onde  non  venisse  ritardata  l'àpprestaziond  dell'op- 
poi^tiiiiò  soccorso.  Essendomi  pertanto  avvicinato  al- 
la suddetta  donna  (Maddalena  Gamhieri  di  Sinigal- 
lia)  la  rinvenni  in  letto  tutta  intrisa  di  sangue  nera- 
stro j  la  quale  era  svenuta  i  è  si  contorceva  tratto 
tratto  oppressa  da  dolori  addominali,  con  polsi  pi- 
retici ed  ineguali  j  terreo  colore  della  cute  ,  e  spe- 
cialmente del  volto:  secca  ed  arida  la  superficie  del 
corpo  i  sete  inestinguibile.  Là  perdita  per  vomitoi 
di  sàngue  aggl-umattì  nerastro  corrotto  e  fetido  fu 
di  circa  due  libbre  e  mezza.  La  prostrazione  di  for- 
ze era  eccessiva  ,  ed  aumentavasi  ancora  colla  rin- 
novazione delle  frequenti  lipotimie  e  del  vomito. 
Ella  era  presa  da  orribile  costernazione.  Poste  le 
quali  cose  ,  lungi  da  me  la  sorpresa  ed  il  timo- 
re :  e  riconosciuta  dal  suddetto  treno  de'  sintomi 
la  malattia  per  un  inelena  dinamico  ,  non  tra- 
scurai di  far  tosto  levare  10  oncie  di  sangue  dal 
braccio  ,  e  quindi  segnai  la  consueta  ricetta  di  di- 
gitale ed  acqua  di  lauro-ceraso  ,  affinchè  venisse 
somministrata  alla  paziente  a  cucchiai  d'ora  in  ora. 
La  solita  rigorosissima  dieta  e  le  bevande  fredde 
furono  raccomandate  ,  escluso  il  vino  e  quàlunìque 
sorta  di  alimento.  Passate  alcune  ore  dopo  il  sa- 
lasso ,  tornai  a  visitare  1'  inferma  ,  e  là  rinvenni 
nel  medesimo  stato  dì  prima:  eràsi  di  più  aumen- 


Osservazioni  sul  Melena  15T 

fato  il  vomito  nerastro  piceo  con  odore  presso  ql^e 
insopportabile^  e  similmente  tale  evacuazione  av* 
venuta  era  per  l'ano,  e  questa  nera,  sciolta,  asr 
sai  fetida  :  per  cui,  secondo  i  medesimi  principii 
esposti  di  sopra  per  debellar  la  flogosi ,  e  frenar 
l'eccessiva  perdita  ,  non  mancai  di  far  ripetere  il 
salasso^  e  di  raccomandare  l'uso  dell'acqua  diac-r 
ciata  ,  usandola  anche  esteriormente.  La  notte  fu 
dalla  paziente  passata  in  meno  crucci  del  giorno  ^ 
ed  i  vQU^itivi  e  gli  scarichi  di  ventre  furon  piìi 
ristretti  ,  e  neììs^  mattina  si  osservò  la  mancanza 
dei  deliqui  ,  e  i  dolori  meno  atroci.  Mi  appigliai 
allora  alla  soluzione  tamarindata  di  un'oncia  della 
polpa  di  tal  frutto  sciolta  in  una  libbra  di  acqua 
bollente  ,  ed  alla  colatura  feci  unire  un  poco  4i 
zuccaro  ,  da  consumarsi  in  giornata  ;  e  feci  pure 
iniettare  un  clistere  di  acqua  e  poco  aceto  ,  e  mer- 
cè de'  suddetti  ajuti  j*iportò  considerabile  vantag- 
gio, cosicché  la  flogosi  si  andava  intanto  spegnendo, 
Malgrado  di  ciò,  giusta  gl'insegnamenti  di  Frank^  di 
Speranza^  e  di  altri,  dovendosi  evacuare  senza  tur- 
be e  senza  sforzo  le  materie  nere  nel  tubo  inte- 
stinale separate  ed  esistenti,  fui  d'avviso  far  pren- 
dere air  inferma  due  once  di  manna  sciolte  con 
acqua  comune  ,  invece  della  cassia:  la  quale  pro- 
dusse scarichi  abbondanti  di  materie  parimenti  ne- 
re miste  a  fecce  ,  con  particolare  vantaggio  dell* 
Inferma  in  questione.  Inoltre  si  accordò  del  latte 
con  acqua  e  zuccaro.  Non  trovai  pure  inopportuno, 
afHne  di  procurare  una  placida  quiete  a  tanto  tur- 
bamento, di  amministrare  una  miscela  di  U  once  di 
acqua  di  lattuga,  con  quattro  grani  di  estratto  di 
JQsciamo  sciolto  nella  suddetta  acqua,  e  darla  all'iu'- 
ferma  a  cucchiai  di  ora  in  ora:  da  cui  si  ottenne 


158  Scienze 

la  bramata  calma.  Ciò  non  ostante  si  continua  il 
trattamento  suddetto,  e  le  bevande  fredde  ,  ed  il 
solito  clistere  di  acetello:  sì  accorda  il  pan  gratta- 
to piuttosto  freddo,  acqua  panata  fredda  per  be- 
vanda ordinaria.  Fecesi  uso  interpolatamente  ezian- 
dio di  acqua  tartarizzata  con  poco  zuccaros  ma  nel 
mentre  che  si  credea  l'inferma  già  libera,  inaspet- 
tatamente ritornano  i  deliqui,  i  dolori  addominali, 
e  le  ripetute  scariche  di  materie  nere  e  fetenti  con 
polsi  appena  percettibili  e  smania  eccessiva.  Dall' 
esposizione  dei  suddetti  sintomi  si  rende  chiara- 
mente manifesto  qual  giudizio  si  sarebbe  dovu- 
to formare  dall'  esito  della  medesima  nei  pericoli 
in  cui  era  strascinata.  L'orrore  che  avea  ispirato 
l'aspetto  di  quell'infelice  agli  astanti,  è  superfluo 
il  dirlo,  giacché  era  stata  quasi  abbandonata  a  se 
stessa,  ed  i  di  lei  parenti  immersi  nelle  lagrime. 

10  non  pertanto,  fatto  coraggio  ai  congiunti,  ordi- 
nai l'applicazione  delle  sanguisughe  al  podice,  un 
clistere  di  acqua  acidulata  fredda,  e  finalmente  la 
ridetta  miscela  di  acqua   coobata   di  lauro-ceraso, 

11  tentativo  sortì  ottimo  effetto:  si  sospesero  in  un 
baleno  le  evacuazioni  nere  e  fetenti,  i  polsi  si  rial- 
zarono, cessarono  i  dolori  e  la  smania,  tutto  infi- 
ne si  ricondusse  alla  normalità. 

A  fronte  però  di  tanto  miglioramento  sì  con- 
tinuò a  somministrare  il  lauro-ceraso  ,  il  latte  e 
l'acqua  ghiacciata  per  qualche  altro  giorno  ,  sen- 
za omettere  nella  sera  il  solito  clistere  onde  as- 
sodare la  migliorata  di  lei  condizione.  Quindi  non 
trovai  ripugnanza  alcuna  nell'accordare  una  dieta 
piìi  mitigata  e  qualche  pomo.  Successivamente  ven- 
ne rimessa  al  vitto  primiero,  ma  si  continuò  Tuso 
dell'acqua  di  fiori  di  tiglio  e  di  lauro-ceraso:  e  fi^» 


Osservazioni  sul  Melema  159 

naimente  convinto  e  reso  certo  che  ella  era  già  al 
pristino  stadio  di  salute  ricondotta,  si  sospese  ogni 
medicatura  attiva,  ed  affidata  a  se  stessa  dopo  qual- 
che tempo  sono  stato  fatto  sicuro  che  godea  sani- 
tà perfetta,  come  tuttora  la  conserva. 

STORIA  QUARTA. 

Anna  Torcoletti  di  Senigallia,  contando  69  an- 
ni di  età,  irascibile  ,  facile  a  passare  dalla  gioia 
all'ira,  di  forte  temperamento,  dedita  al  vino,  anzi 
spesso  ebria,  infastidita  da  stitichezza  e  da  patemi 
d'animo,  di  aspetto  pallido,  e  giallastro  ,  il  basso- 
ventre  sovente  teso,  aveva  sonno  inquieto  ed  inter- 
rotto, dolori  di  stomaco,  di  ventre  e  di  lombi.  Una 
debolezza  grande  unitamente  ai  suddetti  segni  pre- 
cedettero la  malattia.  Nel  luglio  1835  si  accrebbe- 
ro i  dolori  addominali  ,  la  prostrazione  di  forze  , 
molta  inappetenza,  ed  eccessiva  agitazione  dì  ani- 
mo. Sopravvenne  intanto  la  nausea,  e  quindi  il  vo- 
mito di  fluido  acquoso  seguito  da  puro  sangue,  e 
poscia  da  materie  oscure.  I  polsi  si  resero  bassi  ed 
irregolari,  e  poco  appresso  si  rinnovarono  le  de- 
iezioni alvine  nere  e  fetentissirae.  Non  mancarono 
in  pari  tempo  sudori  freddi,  molt'ambascia,  le  estre- 
mità inferiori  segnatamente  freddissime  ,  deliqui 
reiterati,  pallore  e  terrore  estremo.  Essa  avea  già 
preso  un  purgante  di  sale  d'Inghilterra  prima  che 
io  la  visitassi,  il  quale  produsse  varii  scarichi  di 
materie  miste:  ma  intanto  si  rinnovarono  i  vomi- 
ti di  sangue  atro.  Dalla  riunione  de'suddetti  sin- 
tomi avendo  riconosciuta  tale  affezione  per  melena 
di  diatesi  stenicay  egualmente  che  gli  altri  tre  de- 
scritti, e  tenendo  per  guida  lo  stesso  metodo  im- 


^(50  Scienze 

piegato  pe'medesimi,  senza  punto  dubitare  propo-: 
si  immediatamente  una  larga  emissione  di  sangue, 
la  solita  dieta  e  le  bevande  fredde  acidule.  Es- 
sendo tornati  inutili  i  suddetti  aiuti,  e  raddoppian- 
do i  dolori  d'intensità,  e  le  evacuazioni  di  materie 
neve  per  l'ano  rinnovandosi  da  cpiando  a  quando, 
^  piii  essendo  comparsa  una  febbre  decisa,  non  si 
tardò  a  prescrivere  una  nuova  copiosa  sanguigna, 
che  fu  ripetuta  la  sera.  Il  sangue  estratto  col  pri- 
mo salasso  non  presentò  indizio  di  flogistica  con- 
sistenza, e  si  coprì  poi  di  fqrte  cotenna  il  secon- 
do. Dopo  ciò  la  tensione  del  ventre  andò  diminuen- 
4o:  COSI  i  dolori,  la  vibrazione  de'polsi,  il  vomito 
e  le  evacuazioni  per  l'ano  di  materie  nere.  Nella 
mattina  del  dì  seguente  ha  avuto  delle  considera- 
bili tregue:  ma  queste  furono  di  brevissima  dura-^ 
ta,  per  cui  si  accrebbero  i  dolori  con  molta  ferocia, 
ie  evacuazioni  nere  ,  e  la  prostrazione  somma  di 
forze  con  pallore  nel  viso  ed  occbi  incavati.  La 
piccolezza  de'suoi  polsi,  e  la  frequenza  di  circa  130 
pulsazioni  per  ogni  minuto  primo,  manifestavano 
chiaramente  un  funesto  presentimento  del  piìi  gra- 
ve infortunio.  Non  fui  pertanto  inoperoso,  ed  in- 
giunsi tosto  la  consueta  soluzione  tamarindata,  e  le 
fredde  acidule  bevande.  Il  giorno  appresso  era  la 
paziente  nel  medesimo  grave  pericolo,  e  si  aggiunse 
di  pili,  oltre  ai  vivi  dolori  e  agli  scarichi  di  mate- 
rie nerissime,  la  gonfiezza  del  basso  ventre.  Stimai 
prudente  consiglio  di  ricorrere  alla  polpa  di  cassia, 
sul  riflesso,  a  sentimento  anche  del  celebre  Tom- 
inasinii  che  dopo  reiterati  salassi  i  purganti  por- 
tano dei  maravigliosi  effetti  nelle  flogosi  enteriche. 
Di  fatti  data  all'inferma  epicraticamcnte  la  cassia, 
produsse  copiose  scariche  di  materie  miste,  il  ven- 


Osservazioni  sul  Melena  161 

tre  raen  teso,  i  dolori  momentaneamente   calmati: 
ma  la  febbre  non    cedette,  e  lungi  dal  migliorare 
andò  invece  peggiorando   la   sua  condizione,  sicché 
mi  fu  duopo  ricorrere  ai  clisteri  di  acqua  acidulata 
fredda,  ed  alla  solita  tintura  acquosa  di  digitale,  ed 
all'acqua  coobata  di  lauro-ceraso  nel  modo  avanti 
notato.  Persuaso  intanto  che  la  malattia  in  questio- 
ne fosse  tuttora  mantenuta  da  morboso  interno  sti- 
molo, e  che  miglior  tentativo  delle  sanguisughe  non 
vi  fosse  in  quell'istante,  consigliai  subito  siffatto  lo- 
cale salasso,  reputando  che  tale  abbattimento   fos- 
se apparente:  ed  in  conseguenza  raccomandai  che 
si   estracssero   8   once  di  sangue  almeno  per   loro 
mezzo,  senza   omettere   1'  amministrazione  di  qual- 
che frustolo  di  ghiaccio,  che  portò  una  significante 
tregua,  ma  l'inferma  poco  appresso  lagnavasi  di  do- 
lori al  basso  ventre  ,  il  quale  era  gonfio  enorme- 
mente. Accusava   con   voce  veramente  fioca  di  sen- 
tirsi morire:  e  frattanto  agitavasi,  e  non  trovava 
posizione  che  le  aggradisse  e  le   procurasse  requie  : 
i  polsi  erano  minuti,  frequentissimi  e  confusi.  Un 
freddo    sudore   le   bagnava    la    fronte  ,   ed   il  suo 
volto  era  coperto  dal  pallor  di  morte  ,   unito    da 
quando  a  quando  da  spaventose  e  durevoli  lipoti- 
mie.  Tale  era  il  suo  stato  deplorabile,  allorché  le 
vennero  somministrati  i  sacri   spirituali   conforti  : 
e  quindi  temendo  una  nuova  riaccensione  di  flogo- 
si  ed  un  nuovo  profluvio  di  melenica  secrezione  , 
fu  allora  che   raccomandai  la  continuazione    della 
mistura  deprimente  ,  e  proposi  un    nuovo  clistere 
di  acqua  acidulata  fredda  ed  il  ghiaccio  onde  im- 
pedire la  temuta  riaccensione,  od   arrestarne  i  pro- 
gressi. Ma  essendosi  già  effettuata  e  l'una  e  l'altra  , 
nel  mentre  che  si  praticavano  tali  aiuti  ,  si  rinno- 
G.  A.  T.  LXXIII.  11 


162  Scienze 

vò  una  perdita  eccessiva  di  materia  nera  per  seces- 
so ,  e  quindi  un  deliquio  protratto  ,  e  convulsioni 
spaventevoli.  Rimosso  il  terribile   deliquio    e   fre- 
nate le  convulsioni  ,    si   esibì  un  brodo  di  pollo  , 
e   quindi  venne  epicraticamente   somministrata   la 
muciiagine  di   gomma    arabica  ,  acqua    coobata  di 
lauro^ceraso  ,  e  siroppo  d'altea  del  Fernelio.  Qual- 
che ora  dopo    chiese  la  suddetta    mistura  mucila- 
ìrìnosa,  accennando  di  sentirsi  con  essa  ricreare  e 
diminuire   sensibilmente  i  dolori  ,   la   tensione   del 
basso  ventre  ,  e  la  tormentosa  smania.  Prendea  con 
molto  piacere  la  detta  bevanda  acidulata  ,  perchè 
sentia  con  essa  temperarsi  l'interno  calore  ,  e  spe- 
gnersi l'intensa  sete.  La  febbre  frattanto  andava  mi- 
rabilmente cedendo,  e  quindi  tutto  si  spense.  I  de- 
liqui cessano  interamente ,    ed    intanto  si  accorda 
del  latte  allungato  con  acqua  e  zuccaro  :  ma  non 
venne  però  tollerato  dall'inferma  ,  e  si  sostituì  un 
brodo  panato  ,  e  di  poi  riso  ben  cotto  e  lungo  as- 
sai. Successivamente  andando  sempre  più  a  dileguar- 
si i  sintomi  morbosi  ,  un  dolce    e    placido   sonno 
viene  a  ristorarla  :  quindi  si  restrinse    1'  uso    del 
ghiaccio,  e  della  mistura  controstimolante,  e  si  da 
in  cambio  dei  brodi    ristorativi  e  delle   panatelle. 
I  polsi  allora  si  rialzarono  :  e  quand'anche   venis^ 
se  tratto  tratto  minacciata  da  vomito,  fu  esso  però 
dissipato  dal  ghiaccio  amministrato  ben  di  soven* 
te.  Le  estremità  si  riscaldarono   bastantemente  ,  e 
cessò  del  tutto  la  suddetta  smania.  Le  deiezioni  fe- 
cali eran  miste  a  pochissima  materia  nera ,  il  bas- 
so ventre  era  molle  e  cedevole  al  tatto  senza  alcun 
vivo  dolore.  Mostrando  l'inferma  desiderio  di  pren-- 
der  cibo,  oltre  il  solito  brodo  ristretto  al  mattino, 
il  pan  grattato  col  brodo  al  pranzo  e  alla  cena  , 


Osservazioni  sul  Melena  163 

le  fo  aggiungere  nel  pranzo  medesimo  un  uovo  nel 
primo  dì  ,  e  poscia  nel  giorno  appresso  un  poco 
di  lesso  eziandio  ,  un  frutto  Len  maturo  ,  ed  ac- 
qua panata  con  poco  zuccaro  per  ordinaria  bevan- 
da. Finalmente  tutto  si  normalizza  ,  e  l'ammalata 
si  sente  Lenissimo,  meno  della  indispensabile  debo- 
lezza, la  quale  mercè  di  una  dieta  piìi  diminuita  ed 
un  poco  di  vino,  prima  inacquato  assai  e  poi  manco, 
e  coU'aiuto  di  qualche  amaricante,  andò  a  distrug- 
gersi e  tutto  si  ricondusse  in  un  perfetto  equilibrio. 
Da  questa  intanto  ,  e  da  altre  tre  storie  da  me  se- 
gnate, ognuno  s'accorge  che  il  metodo  antiflogistico 
è  stato  continuamente  in  proporzione  del  bisogno  di 
ciascun  caso.  Dai  salassi  generali  e  locali  ripetuti  , 
dalla  digitale  purpurea,  dal  tamarindi,  dalla  cas- 
sia ,  dal  giusquiaìiio  ,  dalV acqua  coobata  di  lauro- 
ceraso, e  dal  ghiaccio,  i  suddetti  infermi  risorsero 
dal  loro  pericoloso  ed  estremo  stato.  Se  l'uso  in- 
tanto per  replicati  giorni  senza  interruzione  con- 
tinuato dei  suddetti  rimedi ,  e  delle  bevande  ge- 
late e  dei  controstimolati  non  interrotti  sino  all' 
estremo,  sottrassero  le  denominate  inferme  da  tan- 
to rischio,  e  portarono  a  tanto  buon  termine  il 
loro  ristabilimento  ;  un  trito  criterio  ed  un  sem- 
plice buon  senso  ci  fa  vedere  qual'esito  fatale  si 
sarebbe  ottenuto  nel  suddetto  morbo  ove  adopera- 
lo si  fosse  il  metodo  stimolante.  A  mio  senso  con 
tal  metodo  sarebbero  tutti  periti,  od  almeno  trat- 
ti in  uno  stato  cronico.  Qui  pernicioso  sarebbe 
riuscito  assolutamente  il  sistema  di  Brown  ,  quel- 
lo di  Le  Roy  di  detrimento  ,  e  nullo  quello  di 
Mai^oir.  Il  metodo  però  controstimolante,  suggerito 
ed  inculcato  dall'illustre  professor  Santarelli  in  si- 
mili casi,  è  stato  profittevolissimo:  e  sebbene  egli  ab- 


164  Scienze 

borra  i  sistemi  ,  ma  segua  ,  come  dissi  nella  m\2^ 
lettera  diretta  al  celebre  Speranza  ,  la  pratica  di 
Sjdenhani ,  di  Grani  ,  di  Stoll,  di  Frank,  spesso 
peraltro  non  ha  difficolta  di  estendere  ,  o  di  raf- 
frenare ,  e  qualche  volta  di  ratificare  ;  per  cui  è 
più  indulgente  nel  raddolcire  ,  e  nel  risarcire  ,  e 
meno  avverso  nelT  evacuare  ,  pur  nondimeno  nel 
melena  ai  suoi  alunni  ha  costantemente  raccoman- 
dato nella  maggior  parte  dei  casi  il  metodo  antir!- 
flogistico. 

Non  sarà  inutile  in  fine  l'avvertire  ,  che  qual^ 
che  volta  può  presentarsi  il  melena  anche  sintoma- 
tico ,  e  con  febbre  di  accesso  ,  come  ebbe  campo 
di  vedere  il  dottore  Aiwitj  figlio.  La  storia  di  que- 
sta malattia  è  degna  di  considerazione  per  la  gran 
quantità  di  sangue  che  si  è  perduta  tanto  per  vomi- 
to, quanto  per  secesso.  L'autore  avendo  osservato 
che  i  parosismi  febrili  si  rinnovano  ad  un'ora  fis- 
sa, si  determinò  di  prescrivere  la  china  in  alta  dose 
per  bocca  e  per  clistere.  Questo  trattamento  ven- 
ne coronato  dal  miglior  successo. 

•Ecco,  chiarissimo  sig.  professore,  i  risultati  del 
metodo  curativo  da  me  posto  in  opera  su  tali  gra- 
vissime malattie.  Ella  spogliato  di  ogni  prevenzio- 
ne per  qualunque  siasi  medico  sistema  ,  e  che  sa 
così  ben  dentro  vedere  nell'utilissima  e  difficilissima 
arte  di  sanare  ,  sapra  giudicare  se  altri  mezzi  vi  sa- 
rebbero stati  onde  impedire  il  termine  fatale  da 
cui  erano  evidentemente  minacciati  i  sopra  indicati 
individui,  e  se  quello  da  me  usato  sia  stato  il  solo 
che  potea  salvarli.  Certo  si  è,  che  nell'uniformità 
dei  casi  ,  le  cure  e  l'esito  tantp  uniformi  lusinga- 
no non  poco  il  medico  che  ne  ha  avuto  il  tratta- 
mento: se  non  altro,  perchè  a  vista  di  tanto  peri-s 


Osservazioni  sul  Mèlena  165 

colo,  con  sintomi  sì  spaventosi,  non  si  fece  impor- 
re da  quelle  fiillacì  apparenze  ,  che  sogliono  talvol- 
ta avvilire  i  clinici  più  esperimentati.  Al  di  lei  sa- 
vio discernimento  pertanto  lascio  il  decidere,  se  i 
pensamenti  da  me  esposti  ed  appoggiati  all'esperien- 
za, che  in  ogni  medica  dottrina  esser  deve  il  fon- 
damento, degni  siano  della  pubblica  luce,  ed  uti- 
le recar  possano  alla  pratica  medicina  :  mentre  ella 
che  trovasi  nella  capitale  con  tante  riguardevoli  oc- 
cupazioni mediche,  e  che  a  tante  società  scientifi- 
che meritamente  appartiene,  darà  alle  mie  quel  pe- 
so che  possa  animarmi  a  renderle  colla  stampa  di 
pubblico  diritto  nel  tanto  celebrato  giornale  Ar- 
cadico. 

La  prego  intanto  accettare  questo  mio  lavoro 
quale  attestalo  di  quell'alta  stima  e  riconoscenza  , 
che  da  molto  tempo  bramava  tributarle,  e  col  de- 
siderio de'  suoi  pregiatissimi  comandi  ho  1'  onore 
di   professarmi 

Di  lei,  chiarissimo  sig.  professore, 
Montalboddo  Ì5  giugno  1837. 


Dmo  Obblmo  serv.  ed  amico 
Angelo  dott.  Santini  medico  primario 


1G6 


Teorica  delle  quantità  proporzionali, 

T' 

-L^  esperienza  dell'insegnamento  mi  ha  condotto  a 
trattare  alcuni  punti  delle  matematiche  co  n  princi- 
pii  più  generali,  e  con  metodi,  a  mio  parere,  più 
semplici  e  spediti  de'già  conosciuti.  Ne  presento  un 
saggio  al  pubblico,  incominciando  dalla  teorica  del- 
le quantità  proporzionali  già  letta  nell'  accademia 
de*Lincei  il  dì  28  luglio  1834.  Questo  articolo  sarà 
seguito  da  altri  relativi  alla  geometria  analitica  ed 
al  calcolo  infinitesimale.  Mi  sia  lecito  intanto  di  pre- 
mettere alcune  considerazioni  generali  necessarie  al 
rigore  e  alla  chiarezza  dell'argomento. 

Delle  quantità  considerate  rispetto  alla  loro 

variazione,  ragione^  misura^  dipendenza 

e  limiti. 

1.  Le  quantità  che  dentro  certi  limiti  cangiano 
di  stato,  or  crescendo,  or  diminuendo,  quale  per  es. 
l'altezza  barometrica  ,  si  dicon  variabili  ;  e  costanti 
quelle  che  in  mezzo  alle  variazioni  delle  altre  si 
mantengono  invariabili. 

Una  quantità  variabile  sì  dice  continua  tra  cer- 
ti limiti,  se  dentro  i  medesimi  la  differenza  fra  due 
de'  suoi  stati  successivi  possa  rendersi  minore  di 
ogni  assegnata  comunque  piccolissima:  se  avviene  al- 
trimenti ,  la  quantità  variabile  dicesi  discontinua. 
Una  quantità  continua,  suscettibile  di  svanire,  chia- 
masi evane  scibile. 


Matematica.  167 

In  una  quantità  che  varia  attualmente  di  gran- 
dezza, conviene  distinguere  i  passi  od  i  gradi  del  suo 
crescere  da'  passi  o  gradi  del  suo  diminuire.  I  pri- 
mi, aggiungendosi  successivamente  alla  quantità,  so- 
no affetti  naturalmente  dal  segno  -i-,  e  si  dicono  po- 
sitivi-, i  secondi,  sottraendosi  successivamente  dalla 
quantità,  sono  affetti  naturalmente  dal  segno  — ,  e  si 
dicono  negativi.  Si  potrà  giudicare  della  maniera  di 
esistere  di  una  quantità  variabile,  osservando  di 
quale  specie  di  gradi  si  componga. 

Una  quantità  si  dice  dupla  ,  tripla  ,  quadru- 
pla ,  .  .  .  .  multipla  di  un'  altra  ,  se  è  uguale  alla 
seconda  ripetuta  due  ,  tre  ,  quattro  ,  .  .  .  molte  vol- 
te: e  al  contrario  la  seconda  si  dice  subdupla  ,  sub- 
tripla ,  subquadrupla  ,  .  .  .  .  summultìpla  o  aliquo- 
ta della  prima.  Da  qui  le  voci  di  duplicare  ,  tripli- 
care, quadruplicare  ,  .  .  .  moltiplicare-^  suhdaplica- 
re  ,  suhtriplicare  ,  subquadruplicare  ,  .  .  . .  suminul- 
tiplicare,  È  manifesto  che  il  minimo  multiplo  e  il 
massimo  summultiplo  di  una  quantità  è  la  c|uantità 
medesima. 

Due  quantità  si  dicono  commensurabili  ,  qualo- 
ra possa  esistere  un'unità  di  misura  summultipla  di 
ciascheduna  di  esse:  altrimenti  si  dicono  incommen- 
surabili. 

2.  Dividere  una  quantità,  per  es.  una  lunghez- 
za, per  un'altra  cjuantità  omogenea,  è  trovare  quale 
summultiplo  dell'  una  debbasi  prendere  e  quante 
volte  ripetere  per  avere  un  equivalente  esatto  dell' 
altra.  Il  quoto  della  divisione  così  definita  chiama- 
si ragione  geometrica,  e  l'atto  con  cui  si  determi- 
na ,  rapporto  geometrico.  Quando  dicesi,  in  modo 
assoluto  ,  rapporto  e  ragione  ,  intendasi  rapporto 
geometrico  e  ragione  geometrica. 


168  Scienze 

Pertanto  la  ragione  geometrica  di  due  quan- 
tità consiste  in  un  segno  destinato  a  indicare  quale 
summultiplo  delVuna  dehbasi  prendere  ,  e  quante 
s>olte  ripetere  per  avere  un  equis>alente  esatto  del- 
Valtra,  Quest'ultima  si  dice  termine  antecedente  del 
rapporto  ;  quella  termine  conseguente:  donde,  per 
compendio  ,  l'antecedente  e  il  conseguente  del  rap- 
porto. Segue  dalla  difinizion  precedente,  che  la  ra- 
gione di  due  quantità  è  sempre  un  numero  o  in- 
tero^ o  frazionario^  o  incommensurabile:  se  l'ante- 
cedente è  un  multiplo  del  conseguente,  la  ragione 
è  un  numei'o  intero;  se  l'antecedente  è  un  aggre- 
gato di  alcune  delle  parti  uguali  in  cui  si  conce- 
pisce diviso  il  conseguente,  la  ragione  è  un  nume- 
ro frazionario;  se  l'antecedente  e  il  conseguente  so- 
no incommensurabili,  la  ragione  è  un  numero  in- 
commensurabile: egregiamente  NeAvton:  nPer  nume- 
rum  non  tam  multitudinem  unitatum^  quam  abstra- 
etani  quantitatis  cujus\>is  ad  aliani  ejusdem  generis 
quantitatenij  quae  prò  unitate  habetur^  rationem  iu' 
telligimus.   » 

La  ragione  di  due  quantità  incommensurabili 
può  considerarsi  come  limite  di  un  numero  razio- 
nale variabile.  Infatti  prendiamo  per  unita  di  mi- 
sura un  piccolissimo  summultiplo  del  conseguente: 
il  residuo,  che  lascerà  rantecedcnte  diviso  per  tale 
unità,  sarà  piìi  piccolo  di  tale  unità,  e  però  al  pa- 
ri di  tale  unità  si  potrà  attenuare  al  di  là  di  ogni 
grado  assegnato.  Così  le  due  quantità  cessano  di  es- 
sere incommensurabili,  scemandone  una  di  tal  par- 
te che  si  può  suppor  minore  di  qualsivoglia  co- 
mimque  piccolissima;  e  per  conseguenza  la  loro  ra- 
gione può  considerarsi  come  limite  alla  ragiono  di 
quantità  commensurabili,  ossia  ad  un  numero  ra- 
zionale. 


Matematica  1G9 

In  ogni  caso  la  ragion  di  due  grandezze  si 
esprime  per  la  frazion  continua^  nascente  e  svilup- 
pantesi  nelVatto  che  cerchiamo  il  massimo  comu- 
ne summultiplo  delle  due  grandezze. 

Se  nel  rapporto  di  due  grandezze,  tenuta  fer- 
ma l'una  di  esse,  si  faccia  variar  l'altra  per  con- 
tinuità, è  palese  che  variera  pure  per  continuità 
il  numero  che  ne  rappresenta  la  ragione  geome- 
trica: dunque  il  numero,  preso  nel  senso  di  New- 
ton, è  una  quantità  continua. 

*3.  Misurare  una  quantità,  è  determinarne  la 
ragione  all'unità  di  misura.  Tra  le  quantità  dello 
stesso  genere  si  suole  scegliere  per  unità  di  misu- 
ra, la  pili  semplice,  cioè  quella  che  per  esser  fis- 
sata richiede  il  mìnimo  numero  di  dati.  Così  eleg- 
gesi  per  unità  fra  le  linee  una  retta  ,  fra  le  su- 
perficie un  quadrato,  e  fra  i  volumi  u?i  cubo:  per- 
chè la  retta  ,  il  quadrato  ed  il  cubo  sono  tra  le 
quantità  del  loro  genere  le  piìi  semplici. 

È  facile  a  provarsi  che  la  ragione  di  due  quan- 
tità non  varia,  variando  l'unità  che  ne  misura  i  ter- 
mini. Quindi  nel  calcolare  le  ragioni  delle  quan- 
tità omogenee,  il  nome  ed  il  simbolo  di  una  gran- 
dezza può  sempre  riguardarsi  come  il  nome  ed  il 
simbolo  del  numero  ottenuto  misurandola  con  la 
medesima  unità,  onde  si  suppongono  misurate  tut- 

11^.  A         B         M 

te  le  altre.  Losi  se  -— - ,  -— -  ,  -— -     rappresentano 
D         Ci         J3 

ragioni  di  linee,  B  sì  può  riguardare  come  simbolo 

di  uno  stesso  numero  in  tutte  le  ragioni. 

Poiché  ogni  numero  può  riguardarsi  come  la 

ragione  fra  due  quantità  omogenee  di  una  specie 

qualunque,  perciò  alla  ragione  fra  due   grandezze 

di  una  specie    potrà  sempre  surrogarsi  un'  eguale 


170  Sciente 

ragione  fra  due  grandezze  di  un'altra  specie*  Cosi 

alla  ragione   -j-  di  due  forze  Ai,  Ai  ,  potrà  surro- 
garsi un'eguale  ragione  di  due  linee  Bi  ,  Bi. 

Ora  tra  le  quantità  l'estensione  è  metrica  emi- 
nentemente: è  la  sola  che  ammetta  divisioni  faci- 
li, distinte,  permanenti.  Dunque  tornerà  di  sommo 
vantaggio  il  rappresentare  tutte  le  grandezze  ,  e 
principalmente  quelle  che  sfuggono  a'  sensi  ,  per 
mezzo  dell'estensione,  ed  in  modo  speciale,  dell'e- 
stension  lineare.  Ed  è  ciò  che  in  ultima  analisi  si 
fa  sempre  ;  e  forse  per  questa  cagione  si  chiama 
semplicemente  geometra,  chi  è  versato  nelle  mate- 
matiche in  tutta  la  loro  estensione. 

Dunque  ,  se  convengasi  di  non  comprendere 
sotto  i  nomi  ed  i  segni  delle  diverse  quantità  che 
le  loro  ragioni  alla  rispettiva  unità  di  misura,  si 
potrà  dire  senza  contradizione  che  rma  linea  e  ugua- 
le ad  U7ia  superficie,  ad  un  volume,  ad  una  forza^ 
ad  un  tempo,  ad  una  velocità:  essendoché  ciò  si  ri- 
duce a  dire  che  numeri,  distinti  con  nomi  diver- 
si, sono  eguali  tra  loro.  Questa  convenzione  si  è 
fatta  in  tutte  le  matematiche  ,  e  merita  di  essere 
attentamente  osservata,  e  tenacemente  ritenuta:  per 
essa  la  eterogeneità  delle  grandezze  sparisce  dal 
calcolo,  e  ne  rimane  soltanto  1'  apparenza  ne'  vo- 
caboli. 

D'  ora  in  poi,  avvegnaché  e  lecito  senz'  alcun 
inconveniente,  potremo  supporre,  per  fissar  le  idee, 
tutte  le  quantità  rappresentate  da  linee. 

4.  Una  quantità  variabile  dicesi  funzione  di 
unaltra  quantità  variabile,  chiamata  indipendente, 
se  determinata  questa,  rimane  necessariamente  de- 
terminata la  prima.  Così  in  un  circolo  variabile,  fis- 


Matematica.  171 

salo  il  raggio,  tutto  rimane  determinato  :  dunque 
sono  funzioni  del  raggio  la  circonferenza  e  la  su- 
perficie, non  che  la  superficie  ed  il  perimetro  di 
qualsivoglia  poligono  regolare  inscritto  e  circo- 
scritto. 

Una  quantità  variabile  dicesi  funzione  di  un 
sistema  di  altre  quantità  variabili^  chiamate  indi- 
pendenti ,  se  a  determinare  la  prima  è  necessario 
e  basta  che  sieno  determinate  le  seconde.  Così  in 
un  triangolo  variabile  tutto  è  determinato  ,  deter- 
minati che  siano  i  tre  lati  :  quindi  sono  funzione 
de'tre  Iati  ciascun  angolo  ,  la  superficie,  il  raggio 
del  circolo  inscritto  e  circoscritto  ecc. 

Dall'osservare  che  più  variabili  sono  vincola- 
te tra  loro  per  mezzo  di  un'  equazione  ,  può  in- 
ferirsi leggittimamente  che  ciascuna  variabile  è  fun- 
zione delle  altre:  ma  dall'osservare  che  una  quan- 
tità variabile  è  funzione  di  altre  ,  e  o  no  lecito  di 
ammettere  la  possibilità  di  un'  equazione  che  in- 
sieme le  vincoli?  Sark  in  luogo  piìi  opportuno  di- 
scussa e  sciolta  una  tale  quistione. 

Una  quantità  si  dice  funzione  simmetrica  di 
altre,  se  si  mantiene  sempre  la  medesima  alternan- 
do come  si  vuole  il  posto  di  queste.  Così  per  es.  in 

u  =  ]/'{2xj  -h  2yz  H-  2zx  —  x^  —  y'  —  z  )  , 

u  è  funzione  simmetrica  delle  quantità  x ,  j"  ,  z. 
Una  funzione  si  dice  simmetrica  rispetto  a  pia 
sistemi  di  quantità  ,  se  si  mantiene  invariabile,  al- 
lorché si  alternano  le  quantità  di  un  sistema,  colle 
analoghe  quantità  di  uno  qualunque  de'  rimanenti 
sistemi.  Così  in 


1T2  Scienze 

—  2(A"a7-+-B'y-|-C''z), 

D  è  funzione  simmetrica  rispetto  ai  tre  sistemi  eli 
quantità  analoghe  ( x,  A,  A',  A"),  (j,  B,  B',B"), 
(  z,  C,  C,  C"  ). 

Se  un  sistema  variaLile  può  distribuirsi  irl 
gruppi  simmetrici  di  quantità  ,  cioè  in  gruppi  tali 
che  le  quantità  di  un  gruppo  si  possano  alterna- 
re colle  analoghe  quantità  di  uno  qualunque  de' 
gruppi  rimanenti  ,  senza  che  varii  perciò  il  razio- 
cinio che  vincola  con  formule  le  parti  del  sistema, 
allorai  è  palese  che  anche  nelle  formule  si  potrà 
operare  siffatta  alternazione-  Così  per  es.  in  un  tri- 
angolo variabile  designati  per  a  ,  6  ,  e  ,  i  tre  la- 
ti ,  e  per  A  ,  B  ,  G  gli  angoli  rispettivamente  op- 
posti ,  noi  potremo  distribuire  i  sei  elementi  a  , 
Z> ,  e  ,  A  ,  B  ,  G  ,  del  triangolo  in  tre  gruppi  sim- 
metrici 1.«  (  «  ,  A  )  ,  2.°  (  è  ,  B  )  ,  3.°  (  e  ,  G  )  t 
essendo  chiaro  che  alternandoli  come  si  vuole  ,  il 
raziocinio  che  li  andrà  vincolando  con  formulenon 
potrà  variare  ;  e  però  le  formule  continueranno  a 
sussistere  in  mezzo  a  tale  alternazione. 

Per  indicare  che  una  quantità  u  è  funzione 
delle  variabili  x  ,  jy  ,  s  ....  si  scrive 

u  =  f{x,j,  z...). 

La  differenza  tra  lo  stato  attuale  e  Io  stato' 
successivo  di  una  quantità  variabile  ,  si  dinota  fa- 
cendo precedere  la  caratteristica  ^  alla  lettera  che 
rappresenta  la  detta  quantità.  Gosì  l'espressione 


Matematica  il  73 

offre  la  quantità  x  con  più  o  meno  la  variazione 
5x.  Una  tal  variazione  si  chiama  or  differenza  ,  or 
grado,  or  passo  ,  ora  elemento:  si  dice  grado  o  pas- 
so ,  perchè  sì  riguarda  quasi  come  un  passo  che 
fa  la  quantità  camminando  per  uno  stato  variabi- 
le; si  dice  elemento  per  essere  come  una  delle  ana- 
loghe parti  elementari,  onde  la  quantità  crebbe  suc- 
cessivamente e  formossi. 

E  manifesto  che  la  variazione  di  una  quantità, 
funzione  di  altre,  dipende  dalle  variazioni  di  que- 
ste. Così,  se  si  ha 

"  =  fi^ì  7»  2  . . .  )  » 

sarà 

u-h^u=  f(jc  -h-  djc  ,  j  '-h  dj  ,  3  -4-  Ss  . . ,  )  7 
p  perciò 

he  =  f(x  H-  ^x  ,  /  -t-  0/  ,  z  -+■  §2...)  — fi^CìJì  z...y. 

cioè  Velemento  o  passo  di  una  funzione  è  la  diffe- 
renza tra  due  stati  successivi  della  medesima,  e 
si  ottiene  sottraendo  dallo  stato  della  funzione,  ove 
le  variabili  sono  cresciute  di  un  passo,  lo  stato 
precedente. 

5.  Limite  di  una  quantità  è  un'altra  quantità, 
a  cui  la  prima  si  può  avvicinare  continua  al  di  là 
di  ogni  assegnata  comunque  piccolissima  differenza. 
Chiamo  simultanei  i  limiti  di  una  quantità,  quan- 
do questa  non  possa  mai  trovarsi  intermedia  fra 
due  qualunque  de'medesimi,  o  superar  l'uno  qua- 
lor  sia  dall'altro  ecceduta.  Dico  poi  simultanei  i  li- 
biti rispettivi  di  più  quantità,  ogniqualvolta  niu- 


174  Scienze 

na  di  queste  possa   giungere  a  coincidere  col  suo 

limite,  senza  che  ciascuna  delle  altre  coincida  col 

proprio. 

Teorema.  Limiti  simultanei  P,  Q,  R  . .  . .  di 
una  medesima  quantità  X  sono  tutti  eguali  tra  loro. 

Dimostrazione.  Infatti  se  fra  due  di  essi  limi- 
ti, per  es.  P  ed  R,  esistesse  una  differenza,  la  quan- 
tità X  potendosi  avvicinare  a  ciascuno  di  essi  al  di 
la  di  questa  differenza,  trovar  si  potrebbe  inter- 
media a'medesimi,  o  sopravvanzare  il  minore  e  sot- 
tostare al  pili  grande;  il  che  si  oppone  alla  ipotesi 
della  loro  simultaneitk.  Dunque 

1.°  Limiti  simultanei  di  quantità  eguali  sono 
eguali  tra  loro  :  imperocché  limiti  simultanei  di 
cjuantita  costantemente  uguali,  possono  considerarsi 
come  limiti  simultanei  di  una  sola  e  medesima 
quantità. 

2.°  Se  sussiste  un  equazione,  finche  le  quan- 
tità che  la  compongono  si  troimno  in  un  cèrto  si^ 
stema,  sussisterà  egualmente  quando  tali  quantità 
passano  ad  un  altro  sistema  limite  del  primo.  Im- 
perocché i  membri  dell'equazione  nel  secondo  si- 
stema diventan  limiti  ai  rispettivi  membri  dell'e- 
quazione nel  sistema  primitivo,  non  potendosi  ef- 
fettuare il  passaggio  delle  quantità  dall'un  sistema 
all'altro,  se  non  per  gradi  insensibili,  ne'quali  tut- 
tavia l'equazione  sussiste. 

Segue  da  qui  che  tutti  i  teoremi  relativi  ai  nu- 
meri razionali  ,  sussìstono  anche  pe'  numeri  irra- 
zionali, potendosi  questi  riguardare  come  limiti  de' 
primi. 

Nota.  Questo  metodo  che  stabilisce  1'  egualian- 
za  de'limiti  ,  col  supporre  fra  essi  una  differenza 
che  poi  si  trova  esausta  ,  si  diceva  dagli  antichi 
metodo  delV esaustioni. 


Matematica  175 

Della  proporzione  geometrica. 

6.  L'  egualianza  di  due  ragioni  geometriche  si 
dice  proporzione  geometrica.  Allorché  in  modo  as- 
soluto si  dice  proporzione  ,  si  sottintende  geome- 
trica. 

Se  in  una  proporzione  sì  sostituisca  ad  ogni  an- 
tecedente il  prodotto  del  rispettiamo  conseguente  per 
la  ragione  ,  la  data  proporzione    si    trasforma    in 

A  G 

una  identità.  Infatti  la  proporzione  —  =  — ,  ove 

chiamisi  r  la  ragione  ,  sicché    §i    abbia    A  =  Br  , 
C  =  Dr  ,  si  trasforma  in 

Br  Dr 

X  ^  "d"  '  °^^^^  *"  r  =  r , 

identità  manifesta. 

Date  più.  proporzioni ,  combinando  in  diver- 
se guise  i  loro  termini ,  altre  moltissime  possono 
dedursene  ,  le  quali  perciò  si  diranno  dedotte  ri- 
spetto alle  prime  che  sono  le  fondamentali. 

Criterio  delle  proporzioni  dedotte. 

A  dedurre  con  sicurezza  nuove  proporzioni 
dalle  fondamentali  ,  e  a  scoprirne  con  evidenza  la 
legittimità ,  basta  prendere  da  ogni  rapporto  del- 
le proporzioni  fondamentali  il  prodotto  del  con- 
seguente per  la  ragione  ,  e  sostituirlo  nelle  pro- 
porzioni dedotte  ovunque  si  trova  l'equivalente  an- 
tecedente, dopo  ciò  le  proporzioni  dedotte  dovran- 
no convertirsi  in  identità  ,  cioè  dovranno  mostrar- 
si identiche  le  ragioni  che  le  costituiscono. 


476  Scienze 

Dimostrazione.  Infatti ,  se  le  proporzioni  fon- 
damentali divengono  identità ,  quando  in  esse  si 
pone  invece  di  ogni  antecedente  il  prodotto  del  re- 
lativo conseguente  per  la  ragione  ;  identità  debbo- 
no divenire  del  pari  tutte  le  nuove  proporzioni 
che  da  quelle  si  derivano  per  via  di  conseguenze 
necessarie  ,  cioè  per  via  di  modificazioni  identiche 
d'identiche  ragioni. 

Per  es.  voglia  dimostrarsi  che  dalla  proporzione 

a        è  «  -±r  mx      h  -^  iny 

-H  ==  ^,  discende  la  seguente  =  , : 

PC         y  a  ^^^  nx       b  ^3^  nj 

chiamata  r  la  ragione  di  «  ad  x  ,  e  però  di  h  ad 
j  ,  applicando  il  criterio  si  avrà 


rx  ±  mx      ry  •=t  Ttir     .  ,  ,  r 

—  cioè  1  identità 


rx  =F  nx      ry  ^^ip.  nj  r  :=f^  ii       r  =f:i  ii 

Nel  modo  medesimo  si  prova  che  da 


si  deriva 


^=3     Z 

a        b 


a        x'  -^  j 


X        ax  --\~  hj  -\-  cz 

V  [Ax'  -4-  B/'  -^  Cz-  —  2{K'jz  -^  lò'zx  H-  C'xj)] 

V  [A«    -H  Bò'  -+-  Ce  -  2{Mbc  -r-  B'ca  -^  Cab)Ì 

Teorema.  Un  equazione  omogenea  rispetto  a  cer- 


Matematica  177 

te  quantità  ,  continua  a  sussistere  ,  se  a  tali  quaw 
tità  si  sostituiscano  altre  quantità  rispettivamen- 
te proporzionali  alle  prime.  Cosi  per  es.  nell'equa- 
zione 

omogenea  rispetto  alle  quantità  x  ,  j- ,  2 ,  abbiasi 
X  i  j-  :  z  '.  '.  p  :  q  '.  r  ^ 


é  però  (designata  per  e  la  ragione  -^  = -h  =— »), 


X  =  ep  ,  y  z=  eq  ,  2  :r=  er. 

Sostituendo  questi  valori  di  JC ,  j* ,  z,  nella  pre- 
cedente equazione,  e  dividendo  per  e^",  si  avrà 

j^pin  ^.  B^2«  _^  c^a/i  ^  A'^^r»*  -h  B'r"/?"  -+-  C'^"^"  : 

cioè  r  equazione  (1)  sussiste  tuttavia  ,  dopo  che 
alle  quantità  x  ,  j- ,  z  ,  si  sono  sostituite  le  quan- 
tità p  ,  q  f  r. 

Si  vede  in  generale  che  l'equazione  risultan- 
te dalla  prescritta  sostituzione  ,  non  è  che  l'equa- 
zion  primitiva  ,  divisa  per  una  certa  quantità. 

Nota.  Esistono  molti  trattati  sulla  proporzio- 
ne ;  ma  la  proporzione  non  è  che  un  attributo  del- 
le quantità  proporzionali:  conviene  considerar  que- 
ste in  astratto  ,  rilevarne  le  proprietà  ,  e  fissarne 
i  criterj. 


G.  A.  T.  LXXIII.  12 


M8  Scienze 

Proporzionalità  delle  quantità  variabili 
semplice,  diretta,  inversa,  composta. 

7-  Due  quantità  variabili  si  dicono  proporzio- 
nali o  che  variano  in  proporzione  ,  se  la  ragione 
(li  due  stati  comunque  diversi  dell'una  ,  è  costan- 
temente uguale  alla  ragione  de'due  stati  corrispon- 
denti dell'altra.  Cosi  in  un  circolo  l'angolo  centra- 
le è  proporzionale  all'opposto  arco,  perchè  la  ra- 
gione di  due  stati  dell'  angolo  si  dimostra  esser 
uguale  alla  ragione  degli  stati  corrispondenti  del- 
l' arco. 

Teorema.  Se  due  quantità  sono  proporzionali , 
1.°  la  ragione  de'  loro  corrispondenti  valori  è  co- 
stante \  ^°  r  una  di  esse  è  uguale  al  prodotto 
delValtra  per  una  costante,  e  viceversa.  Dim.  Yi, 
Ya  ,  Ys  ì  '  . .  rappresentino  diversi  stati  della  pri- 
ma quantità  ,  ed  Xi  ,  Xa  ,  Xs  ,  .  .  •  gli  stati  rispet- 
tivamente corrispondenti  della  seconda:  la  propor- 
zionalità delle  due  quantità  esige  che  si  abbia 

Yx  _^        Yi^_  Xi 

Y7  ~  X2    '     Y3  ~~  X3  '"' 

donde  (supponendo  giusta  la  convenzion  fondamen- 
tale delle  matematiche  che  (  Yi  ,  Ya  ,  Ys  ,  .  .  .  )  , 
(  Xi  ,  Xa  ,  X3  ,  .  .  )  ,  sieno  numeri  esprimenti  le 
ragioni  de'diversi  stati  delle  due  quantità  alla  ri- 
spettiva unità  di  misura  )  ,  deducesi  alternando  i 
termini  medj 

Yj. Ya         Ys 

X"""  XT"  Xs 


Matematica  1 79 

cioè  se  dite  quantità  sono  proporzionali  ,  la  ragio- 
ne  fra  gli  stati  corrispondenti  delle  medesime  ,  è 
costante. 

Chiamata  r  questa  ragione  ,  si  avrà 

Y.  --  rXi  ,  Ya  =  rX^  ,  Y3  =  rXs  ,  .  .  . 

sicché  ,  se  per  x  ,  j  s'intendano  due  valori  cor- 
rispondenti e  variabili  delle  due  quantità,  viene 
a  stabilirsi  la  seguente  formula 

per  cui  si  potrà  dire  che  una  quantità  propor- 
zionale ad  un'  altra  ,  è  uguale  al  prodotto  di  que- 
sta per  una  costante. 

Viceversa  :  due  quantità  Sono  proporzionali  , 
se  r  una  è  uguale  al  prodotto  dell'  altra  per  una 
costante:  imperocché  da  jn  =  rxi  ,  j^  =  rxa  ,  vie- 

JKi  Xx 

ne  —  = 

y-i       X'ì 

Dunque  due  quantità  proporzionali  non  varia- 
no che  per  gradi  proporzionali^  e  viceversa-,  impe- 
rocché siffatti  gradi  non  sono  in  sostanza  che  stati 
corrispondenti  delle  due  quantità. 

Teorema.  Ilaria  sempre  una  ragione   ^  ,  ad 

Ggìu  variamento  non  proporzionale  de' suoi  termini. 
Dim.  Infatti  non  può   sussister  la  proporzione 

cioè  a  meno  che  i  gradi  ^j  ,   ^x  non  siano  in  pro- 
porzione con  Y  ^  X. 


180  Scienze 

Due  quantità  x  ,j  sì  dicono  reciprocameìité 
o  inversamente  proporzionali  ,  se  l'una  x  è  propor- 

1 

zlonalc  ad  — '  ,  reciproco  dell altra^  mentre  per  op- 

posizione  la  proporzionalità  si  dice  diretta  ,  quan- 
do X  è  proporzionale  ad  j. 

Una  quantità  U  dicesi  variare  nella  ragion 
composta  di  molte  altre  Sìt^v^x^j^z...., 
quando  varia  in  proporzione  col  prodotto  di  queste. 

Una  quantità  x  dicesi  variare  in  ragion  dupli- 
cata., triplicata  ,  .  .  .  ,  o  siihdupUcata  ^  subtriplica- 
ta ....  di  un  altra  quantità  /  ,  se  varia  in  pro- 
porzione colla  seconda  ,  terza  ....  potenza  o  ra-^ 
dice  di  tale  quantità. 

Criterii  delle  quantità  proporzionali. 

La  proporzionalità  si  può  considerare,  1.**  tra 
due  quantità  ;  2."  tra  una  quantità  e  un  sistema  di 
molte  altre  ;  S.'^  tra  due  sistemi  di  quantità.  Di  qui 
la  ricerca  di  un  criterio  per  ciascuno  di  questi 
tre  casi. 

/.  Criterio 

8.  Due  quantità  così  tra  loro  dipendenti,  clic 
ciascuna  cresca  o  diminuisca  ad  ogni  minimo  cre- 
scere o  diminuire  dell'altra  ,  saranno  proporziona- 
li ,  i^e  (  in  qualunque  stato  si  contemplino  )  al  rad- 
doppiarsi ,  triplicarsi .,  quadruplicarsi dell'u- 
na ;  si  raddoppia  ,  triplica  ,  quadruplica  .....  ne- 
cessariamente anche  Valtra. 

Dimostrazione.  Siano  x  ,  x^  due  stati  qualun- 
que della  prima  quantità  \   ed  jr  ,  j-i   i  due    stati 


Matematica  ISI 

corrispondenti  della  seconda  :  io  dico  che  la  enun- 
ciata condizione  ha  sempre  per  conseguenza  neces- 
saria la  proporzione 

^   __^ 

Infatti  x  ed  xi  o  sono  commensurabili  od  incom- 
mensurabili. 

Supponiamo  primieramente  che  sieno  ambe- 
due commensurabili  dall'unità  u  ,  e  che  u  entri  m 
volte  in  X  ,  ed  n  in  Xi  i  cioè  si  abbia  x  ■~-  mu  , 
Xi  =  nu  (  ove  m  ed  u  son  numeri  interi  ):  sark 

X  ni 

iKi  n  ' 

Si  chiami  Ui  lo  stato  della  seconda  quantità  che 
corrisponde  allo  stato  u  della  prima.  Quando  u  di- 
viene mu  ,  nw,  Ui  diverrà  per  la  condizion  dell'e- 
nunciato mui  ,  nui.  Cosi  i  due  stati  della  seconda 
quantità  che  corrispondono  ai  due  stati  mu  =  .ri, 
nu  ^=  Xi  della  prima  ,  sono  rappresentati  non  me- 
no da  J'ìj'i  che  da  mui  ,  nUy.  Dunque  j-  =  mui  , 
j"i  =  nui  ;  e  per  conseguente 


z. 

ni 

K 

n 

rC 

=  ^. 

Xi 

J^ 

Dunque 


I  Supponiamo  in  secondo  luogo  che  x  ,  Xi  sie- 

1  no  incommensurabili.  Si  chiamino  §x  ,  ^7  ,  i  resi- 
1  dui  che  lasciano  gli  antecedenti    x  ,^  ,    misurati 


182  S    e   I    B    N   2    B 

che  siano  dalle  unita  u  ,  Ui  ,  rispettivamente  equi- 
summultiple  de'  conseguenti  Xi  ^ji  . 

X  —  ^x  ,  Xi  saranno  commensurabili ,  e  si 
avrà  per  la  conclusion  precedente 

pp  — r'^x       y  —  ^j 
xx  J\ 

Ora  u  od  Ui  pub  attenuarsi  al  di  là  di  ogni  asse-» 
gnata  comunque  piccolissima  quantità  ,    e    quindi 

anche  ^x  o  5r.  Dunque  ^  ,  *^   sono  limiti  delle  ra- 

gioni  commensurabili  ^- ^,  e  di  piìi  li" 

miti  simultanei  ,  non  potendo  Tuna  di  queste  ra^ 
gioni  trovarsi  al  di  sopra  del  suo  limite,  quando 
l'altra  è  al  di  sotto  del  suo. 
Punque  (§,  5.) 

i  __^ 

Cosi  rimane  pienamente  dimostrato  che  per  cono- 
scere  se  una  quantità  è  proporzionale  ad  un'altra  , 
basta  osservare  se  al  raddoppiarsi  ,  triplicarsi  , 
quadruplicarsi ....  dell'  una;  si  raddoppia,  tripli' 
ca,  quadruplica    .  .  .  anche  l'altra. 

Due  quantità  saranno  inversamente  proporzio- 
jiall  ,  se  al  duplicarsi ,  triplicarsi  ,  quadruplicar- 
si ..  .  dell'  una  ;  si  subduplica  ,  subtriplica  ,  sub- 
quadruplica  .  .  .  l'altra.  Imperocché  se  al  duplicar^ 
si  ,  triplicarsi  ,  quadruplicarsi  .  .  .  dell'una  x  ,  l'al- 
tra /  si   subduplica  ,    subtriplica ,    subquadrupli- 

1 
ca  .  .  .  ;  allora  e  manifestamente  — .  che  si  duplica  , 


Matematica  1 83 

triplica  ,  quadruplica  .  . .  .  ,  ossia  che  è  direttamen- 
te proporzionale  con  x  :  e  però  si  avrà. 

Applicazione.  Nella  geometria  la  sovrapposi- 
zione dimostra  immediatamente  che  in  un  circo- 
lo, 1.°  ad  angoli  centrali  uguali  si  oppongono  ar- 
chi uguali;  2.°  che  l'angolo  centrale  cresce  o  dimi- 
nuisce ,  e  si  raddoppia  ,  triplica  ,  quadruplica  . .  . 
con  l'opposto  arco.  Dunque  l'angolo  centrale  è  pro- 
porzionale all'opposto  arco. 

//.  Criterio 

9.  Se  una  quantità  U  varia  al  variare  di  pia 
quantità  s-,t,v,jc,j-^z...,  e  varia  proporzio- 
nalmente  a  ciascuna  di  esse  ,  quando  si  conserva- 
no costanti  tutte  le  altre-^  si  conchiuda  che  in  ogni 
caso  ella  segue  la  ragion  composta  di  tutte ,  o  che 
varia  in  proporzione  col  prodotto  di  tutte. 

Dimostrazione.  La  quantità  U  variando  unica- 
mente al  variare  delle  quantità  s  ,  t  ,  v  .,  jc  ,j-  , 
z  .  .  ,  e  perciò  essendone  funzione  ,  io  la  contrase- 
gnerò così 

U  =/(^  ,  i  ,  V  ,  X  ,J  ,  3.  .  .)  ì 

e  per  indicare  i  diversi  stati  di  una  quantità  ,  ap- 
porrò degli  apici  alla  lettera  che  la  rappresenta. 
Chiamo  R  la  ragione  fra  due  stati  qualunque  del- 
la quantità  U  ,  dimodoché  si  abbia  in  generale 


ISA  Scienze 

(1)  U=U„  R: 

indicando  n  il  numero  delle  quantità  s  ,  t ,  y  -,  x  ^ 
y  ,  2  . . .  variate  in  U. 

Ciò  posto 
1.°  Sia  w  =  2  ,  ed  Uà  =  fis  ,  t'  ,  i^ ,  x  ,^  ,z,  , .) 
L'equazione  (1)  equivarrà  in  tal  caso  a 

f{s,  t,v,  JC,j,z  ...)  =f{s',t',  V,x,jr,  2...)  R» 

che  divisa  per  Vi  =  f  (  s  ,  t ,  v  i  x  ,  y  ,  z  . ,  .  )  ^ 
diventa 

f{s',  t,  V,  x,j,  z...)  f{s\  t,  y,x,jr,z...) 

Ora  in  questa  equazione  il  primo  membro  rappre- 
senta la  ragione  de'due  stati  ,  ne'quali  si  trova  U, 
per  la  variazione  della  sola  quantità  j^  ;  ed  il  coeffi- 
ciente di  R  rappresenta  la  ragione  de'due  stati  ne' 
quali  si  trova  U  per  la  variazione  della  sola  t. 
Quindi  per  la  ipotesi  fondamentale  ,  cotesta  equa- 
zione si  riduce  a 

4  =  7,  R  •  donde  R[  =  — ]  =  1  .  1 

cioè  se  delle    quantità  ■?  ,  ^  ,  y  ,  x  ,  _^  ,  z  .  .  . ,  le    ! 
sparlanti  son  due  ;  U  segue  la  ragion  composta  di 
queste  due.  j 

%''  Sia  «  -r  3,  ed  Us  =  /  (^'  ,  ^' ,  (^' ,  X  ,  j- ,  z  . . .): 
l'equazione  (1)  equivarrà  a 

f{s,  t,v^x,r,z...)^  f(s\  t\  v\  j:,  /,  z  .  .  .)  R, 


Matematica  1 85 

che  divisa  per  JJ^ì  -=  f  (  s  .,  t\  \f ,  x  ,y  ,  z  .  .  »  )  j 
diventa 

fjs,  t,  y,  x,j,  z  ...)    _  f^s,  t',  v\x,y,  z . .  .) 
f{s',  t',  y,  x,j,z...)  /{s,  t',y,  x,j,  z...)     ' 

Ora  in  questa  equazione  il  primo  membro  rappre- 
;^enta  la  ragione  de'  due  stati  ne'  quali  si  trova  U 
per  la  variazione  delle  due  quantità  s  ^  t  \  ed  il 
coefficiente  di  R  rappresenta  la  ragione  de'  due 
stati  ne'  quali  si  trova  U  per  la  variazione  della  so- 
la quantità  v.  Quindi  per  la  conclusion  preceden- 
te cotesta  equazione  si  riduce  a 


r-",  .  — «  ^=  -^  R:   donde  R[  ^=  — ]  —  ^  .    ^ 
s       t  V  U3  J        t' 


cioè  se  delle  quantità  j,i,(^,j?,^,z...,/e  va- 
rianti son  tre  ;  U  segue  la  ragion  composta  di 
queste  tre. 

3.°  Nello  stesso  modo  ,  se  w  t=  4  ,  ed  U4  —  /(  /  , 
<  ,  i^' ,  jc'  ,^  ,  z  .  .  .  )  ,  l'equazione  (1)  divisa  per 
Us  =  /(  /  ,  i'  ,  i^'  ,  j?  ,  ^  ,  z  .  .  .  )  ,  si  riduce  a 

f{s,  t,V,  X,J,Z  ...)  __  f{s,  t',  v\  X,J,  ^  •  •  Op  . 
f{s',  t\y',x,j,z..,)  ~  f{s',  t\  V,  oc,j,z..  .)     ' 

che  per  la  conclusion  precedente  diviene 


«^  .  r-,  ^=  '-',  R;  donde  R[  =  -— ]  ==-..-■ 
t       y'       X  U4  s       t 


Ormai  ben  si  scorge  che  l'andamento  del  raziocinio 
è  sempre  lo  stesso:  dunque  si  può  conchiudere  in 
generale 


e   I   E    N   Z   E 


u 

s 

t 

v 

X 

J 

z 

u„  - 

s 

7' 

V 

oc 

J 

z 

186 


e  perciò      (§.  7)  U  =  A.  ^  if  t»  x^  s  .  . .  , 

designando  A  un  coefficiente  costante.  Pertanto,  se 
le  qiLOJitità  s,  t,  v,  oc^j,  z  .  .  >  variano  tutte  simid- 
taneameìite;  U  segue  la  ragion  composta  di  tutte. 

Qualora  tra  le  quantità  s,  t^  v^  x,  j,  z  .  .  .  ve 
ne  fosse  alcuna ,  x  per  es. ,  che  restando  costanti 
le  altre,  seguisse  la  ragion  inversa  di  U,  è  chiaro 
che  neir  ultimo  risultato  si  dovrà  scrivere  invece 
di  essa,  il  suo  reciproco  x"*,  il  quale  è  direttamen- 
te proporzionale  con  U. 

Applicazione.  Nella  geometria  la  sovrapposizio- 
ne dimostra  immediatamente,  1.°  che  due  paralle- 
lepipedi sono  coincidihili  ,  se  un  triedro  dell'uno 
è  coincidibile  insieme  agli  spigoli  con  un  triedro 
dell'  altro  ;  2,^  che  un  parallelepipedo  di  angoli 
costanti  cresce  o  diminuisce  coi  tre  spigoli  con- 
correnti ad  uno  de'  suoi  vertici ,  e  che  si  raddop- 
pia ,  triplica  ,  quadruplica  .  ,  .  con  uno  qualunque 
di  essi  ,  rimanendo  costanti  gli  altri  due.  Dunque 
un  parallelepipedo  di  angoli  costanti  varia  in  pro- 
porzione col  prodotto  degli  spigoli  concorrenti  ad 
uno  de  suoi  vertici. 

Dunque,  ove  si  scelga  per  unità  di  volume  il 
cubo  avente  per  lato  l'unità  lineare  ,  il  parallele- 
pipedo rettangolo  sarà  uguale  al  prodotto  della  ba- 
se per  l'altezza. 


Matematica  1 87 

III.  Criterio 

10.  Se  due  sistemi  di  quantità  1.°  (ljm,n,p,q..,), 
2°{s.,t,v,Xjy...)  sieno  così  tra  loro  dipen- 
denti che  ogni  singola  quantità  delV  uno  riesca 
proporzionale  ad  ogni  singola  quantità  delV  altro  , 
quando  restano  invariabili  in  entrambi  i  sistemi  le 
quantità  rimanenti  ;  si  conchiuda  che  in  qualun- 
que caso  il  prodotto  di  tutte  le  quantità  del  1  ° 
sistema,  varia  in  proporzione  col  prodotto  di  tutte 
le  quantità  del  secondo. 

Dimostrazione.  Nel  2.°  sistema  {s,t,v.)X,j,z.,.) 
si  tengano    ferme    tutte    le    quantità ,    tranne  s. 

s  in  vigor  della  ipotesi  e  del  criterio  preceden- 
te, varierà  al  variare  delle  quantità  del  1."  sistema 
/  ,  TO  ,  71  ,  yo  ,  ^  . . . ,  seguendone  la  ragion  compo-» 
sia ,  e  perciò  si  avrà 

l  =  A..lmnpq.'., 

denotando  A  una  costante. 

Or  da  qui  si  deriva  /  =  sAr^m'^n'^p'^q'^  •  •  •  » 
e  questa  equazione  dimostra  che  la  quantità  /  del 
4.°  sistema  (/,  m,n,p,  q.  .)  varia  in  ragion  inversa  di 
ciascuna  delle  quantità  compagne  m,  n^p,  q,  .  .  . , 
quando  in  entrambi  i  sistemi  si  conservano  costan» 
ti  tutte  le  altre  quantità.  Dunque  ,  in  forza  di  que- 
sta conseguenza  e  della  ipotesi  ,  /  varia  proporzio- 
nalmente al  variare  di  ogni  singola  quantità  del  si- 
stema (w'  ,  71-*  ^p-^  ,  q-^  , .  .  .  ,  j- ,  i  ,  t»  ,  X  ,  j)'  .  . ,)» 
sostando  tutte  le  altre.  Si  avrà  dunque  pel  cri  te-» 
rio  precedente 


^88  Scienze 

/        w->  Tf'^  p-^   q'^  ...stvxj 


h     "i-^ «;' p;'  9;'  "'^,^,^.^.Jr"  ' 

e  quindi 

l  m  n  p  q  >  '  .         s  t  v  x  y .  ,  , 
l^  m^  n^  Pi  q.'-'         s^  t^vxy^... 

ciò  che  er^  da  dimostrarsi. 

Osservazioni  sulla  proporzionalità    delle    quantità 

immaginarie  :  in  qual  senso  le  quantità  proporzionali 

possano  dirsi  quantità  eguali. 

11.  Questi  criterj  sussistono  ancora  nel  caso  che 
le  quantità  variabili  divengano  immaginarie.  Im- 
perocché una  quantità  immaginaria  della  forma 

f{x)  ^  f{x)   /-1  , 

si  dice  che  diviene  doppia,  tripla,  quadrupla  .  .  . , 
qualora  doppia  ,  tripla  ,  quadrupla diven- 
ga simultaneamente  ciascuna  delle  sue  parti  reali 
f(x)  ,  (p(jc).  Cosi  la  proporzionalità  delle  quantità 
immaginarie  variabili  ,  si  riduce  a  quella  dellQ 
quantità  reali  che  vi  sono  comprese, 

12.  Nella  proporzionalità  se  scelgansi  ad  uni- 
tà di  misura  delle  rispettive  grandezze  certi  loro 
stati  corrispondenti  ,  potrà  dirsi  in  forza  della 
definizione  delle  quantità  proporzionali  e  del  num.3: 

1.°  Glie  una  quantità  è  uguale  ad  un' altra  , 
se   la   prima  sia   proporzionale   alla  seconda  ; 

2.**  Che  una    quantità   è    uguale  al   prodotto 


Matematica.  Ì  89 

di  molte  altre  ,  se  la  prima  sia  proporzionale  al 
prodotto  delle  seconde  ; 

3.°  Che  il  prodotto  delle  quantità  di  un  si- 
stema ,  è  uguale  al  prodotto  delle  quantità  di  un 
altro  sistema  ,  se  il  prodotto  delle  prime  sia  pro- 
porzionale al    prodotto    delle   seconde. 

Così  ,   per  esé  ^   là  proporzione 

i         m       n  s        i        V 

li   '    mi  '    nt  Si        ti       yt 

diventa  l  m  n  -=  s  t  v  ^  ove  scelgansi  ad  unita  di 
misura  delle  quantità  l^m^n^s.,tjS>t  i  loro 
stati   corrispondenti   h  ,  /tìi  ,  nt  ^  Si  •,  ti  ^  Vi  • 

Adoperando  questo  linguaggio,  è  manifesto  che 
le  proporzioni  si  cangiano  in  equazioni  tra  quan- 
tità che  prese  nel  loro  senso  letterale  sono  ete- 
rogenee ,  in  equazioni  perciò  che  presentano  una 
contradizione  apparente.  Non  è  a  dir  quanto  gio- 
vi il  saper  all'uopo  sostituire  alla  sincopata  es- 
pressione apparentemente  contradittoria  ,  quello 
che  vi  è  di  sottinteso,  e  che  vi  riconduce  le- 
sattezza  dissipando   l'assurdo. 

Le  applicazioni  degli  esposti  criterj  si  estendo- 
no naturalmente  a  quanto  involga  obbietto  di  quan- 
tità: scienze  ,  arti  e  commercio.  Per  esempio  ,  nel- 
l'industria fabbricante  e  commerciale  da  una  parte 
si  hanno  gli  elementi  de'mezzi  che  somministra  la 
natura  e  l'arte  ,  non  che  i  tempi  ne'  quali  essi  han- 
no agito  o  debbono  agire  ;  dall'altra  ,  gli  elementi 
degli  effetti  che  questi  mezzi  hanno  prodotto  o  deb- 
bono produrre.  I  nostri  criterj  giovano  evidente- 
mente a  determinar  subito  ,  quando  la  ragion  cdm- 


190  Scienze 

posta  degli  elementi  de'  mezzi  segua  la  ragion  com- 
posta degli  elementi  degli  effetti. 

La  teorìa  generale  delle  quantità  proporzionali 
sembra  essere  il  vero  anello  che  unisce  all'algebra 
tutte  le  diverse  parti  delle  matematiche. 

Domenico  Ciieliri  delle  Scuole  Pie 

Professore   di  MaLematiche 

nel  Collegio  Nazareno. 


Cenni  per  la  Storia  medica  del  Colera  contagioso 
di  Roma  nell'anno  1837  desunti  da  osservazioni 
private. 

A  Pietro  Lupi  maestro  amatissimo,  degli  studiosi 
caldissimo  incoraggiatore,  questi  cenni  su  la  scia- 
gura patria^  a  testimonio  pubblico  di  stima  ,  di 
animo   grato,  Socrate  Gadet. 


F 

JL    ] 


ra  gl'innumerevoli  scritti  intorno  al  colera  con- 
tagioso ,  ve  ne  hanno  parecchi  commendevolissimi, 
de'quali    toccheremo   brevemente  e   liberamente. 

In  alcuni  ammiriamo  la  osservazione  profon- 
da ,  ma  non  sempre  ,  ne  in  tutti  di  questa  clas- 
se ,  raggiata  sulle  forme  morbose  ,  specialmente 
indigene  de'  vari  luoghi  in  che  si  è  studiata  la 
malattìa  ,  ne  sulle  altre  analoghe  a  trarne  crite- 
rj  terapeutici  ,  ne  forniti  sempre  dì  viste  meta- 
fisiche. Tuttavolta  si  debbono  tenere  pregevoli  , 
perchè  le  investigazioni  diligenti   fondano  le    ba- 


Stckiia  del  colèra  491 

sì  empiriche  ed  immutabili  della  medicina  ;  per- 
chè le  peculiarità  topografiche  possono  giovare  al- 
la induzione  circa  le  varietà  de'sintomi  e  coope- 
rare  alla    storia   Universale    futura   del   morbo. 

In  altri  scritti  veggiamo  raccolte  e  poste  a 
confronto  varie  osservazioni  e  pensamenti  ,  don- 
de i  criterj  clinici.  Fra  cjuesti  v'hanno  opere  lo- 
devolissime  ,  quasi  biblioteche  fi^Iosofiche;  ma  sog- 
gette alcune  fiate  ad  eccezioni,  dai  fatti  osserva- 
ti ulteriormente  ,  ne  tutte  in  egual  modo  arric- 
chite de'paragoni  colle  malattie  locali  ed  analoghe 
per   le   induzioni   curative. 

—  Lasceremo  quelli ,  ne'  quali  sembri  che 
traluca  un  fanatismo  di  opinione  preconcepita  ;  se 
furono  immaginati  a  priori ,  tendono  a  piegar  la 
natura  alle  chimere  ipotetiche  e  formano  classe 
secondaria  ,  considerabile  solo  per  la  storia  delle 
sette   e   delle   teoriche    in   medicina. 

Abbiamo  tacciuto  gli  scritti  non  pratici  di 
utilità  mediata  ,  più  convenevoli  all'ozio  clinico , 
il  quale   vorremmo   augurarci. 

E  chiaro,  che  i  primi  soltanto  si  voleano  pre- 
scegliere a  formarsi  una  qualche  idea  del  con- 
tagio ,  quando  se  ne  temea  l'invasione  ;  ma  niu- 
no  scrittore  potea  fornire  un  quadro  ,  in  che  non 
fossero  specialità  relative  ai  luoghi,  ove  si  era  stu- 
diato ,  specialità  che  non  poteano  riapparire  do- 
vunque. E  per  verità  non  avevamo  ,  ne  potevamo 
avere  un  quadro  metafisico  del  morbo  risultante 
dai  quadri  speciali  di  ogni  regione  ,  dai  soli  ele- 
menti immancabili.  D'altra  parte,  sebbene  vi  fosse 
stato,  dovea  modificarsi  fra  noi,  come  dovunque,  pel 
clima,  per  le  condizioni  sociali.  Il  trovare  poi  scritta 
la  cedenza  morbosa  in   alcuni  luoghi  per  alcuni  ar- 


492  Scienze 

gomenti,  in  altri  per  opposti;  l'analogìa,  che   ricor- 
da il  cielo   equatoriale   benigno,    infenso   il   polare 
alla  lue  sifilitica;  favorire   alcune   condizioni  topo- 
grafiche alcuni   contagi  ,  come    il   suolo  marittimo 
il    tifo    itterode;  la  circoscrizione  delle  affezioni  pe- 
riodiche   speciali  ;   le    varie  costituzioni   epidemi- 
che ,   nelle   quali  la  malattia  curata  altra  volta  con 
un   metodo,    ne  esigeva   diverso  e  forse  opposto  , 
comandava  ,   che   non   solo   sì   attendesse   alle  affe- 
zioni   indigene  ed  alle   condizioni  straordinarie  epi- 
demiche, ma  ancora  ad  una  comparazione  con  quelle 
forme  speciali  patologiche  ,  colle  quali  fra  noi  con- 
suetamente  si   presentano   e   combattono  i  morbi . 
Per  lo  che  ci  è  sembrato   necessario  notare  le   pre- 
disposizioni universali  e  particolari  ,    le   cause  con- 
correnti ,     osservare   e    fermare  diligentemente  la 
sindrome   colerica   variforme  ;    e    ricordando  le  af- 
fezioni   miasmatiche  indigene  ,  mostranti  spesse  fia- 
te  sembianze   diverse  ,    donde  i  diversi    metodi  e 
peravventura    contrarii    nelle    medesime  epidemie , 
le    varietà   nelle    forme   di   ogni   esantema ,  poteva 
credersi   che   il   colera  ,   sebbene   contagio  nuovo , 
si   mostrasse   con   vario   apparato  ,  leggendo   come 
terapie  speciali,  talvolta  opposte,  fosser  tornate  pro- 
fittevoli ,   anzi  necessarie  a  debellarlo.  Con   ciò   si 
voleva   attenzione  alle    forme  primitive  di  quello  , 
sendo  facile   riconoscere  le   seconde  da  libri  e  dal- 
la osservazione.   Abbiamo  accennato   i   criterj  pro- 
nostici ,   le  malattie   secondarie  ,  e  gii   esiti  ,  non 
tacendo    le   infermità  ,   che  aveano  accompagnato  il 
contagio  ,    senza   fermarci    sulle    condizioni     topo- 
grafiche   e   sociali   e   sulle  affezioni  morbose   indi- 
gene, perchè   notissime  e  piìi   convenienti  alla  sto- 
ria  completa  del  morbo   romano  ,   che   a  cenni  su 


Storia  del  colera  193 

quello.  E  siccome  non  v'ha  specifico  che  valga  a  di- 
struggere l'elemento  contagioso  ,  era  mestieri  gio- 
varci de'  lumi  ,  che  porgevano  le  osservazioni  altro- 
ve istituite  in  casi  analoghi  ,  ricercare  quello  rie- 
scisse  a'nostri  clinici  vantaggioso  ,  e  valutando  le 
tendenze  istintive  degli  infermi  ,  colle  quali  spesse 
volte  accennavano  il  metodo  curativo  migliore,  at- 
tendere alle  ftidicazioni  ,  che  forniscono  le  varie 
sindromi  analoghe  ,  vascolari  ,  neurotiche  ,  gastro- 
enteriche ,  miasmatiche  ,  contagiose  ,  e  perfino  alle 
tossicologiche  ,  quantunqiie  più  rare.  Da  ultimo  si 
voleva  avvertire  i  risultamenti  delle  sezioni  cadave- 
riche altrove  istituite,  meditando  l'indole  del  prin* 
cipio  ingenerante  ,  misteriosa,  e  fierisslma.  — 'Dalle 
quali  cose  produconsi  analogie  e  discrepanze  dura- 
ture negli  animi  degli  studiosi,  tendenti  a  viemeglio 
investigare  la  natura  de'morbi  paragonati. 

Ci  è  sembrato  convenevole  toccare  alcuni  ar- 
gomenti circa  le  vie  e  gli  effetti  del  veleno  per 
quanto  giovi  al  pratico  ;  che  fin  Yk  peravventura  ne 
è  concesso  splgnere  la  temperanza  delle  ipotesi  , 
affinchè  le  cose  premesse  trovassero  un  conforto  fi* 
losofico  dai  raziocini;  intendendo  a  quell'  armonia  , 
contemplata  dall'antichità  sapiente,  cui  mira  l'inge- 
gno infrenabile  dei  neoterici  per  piantare  basi  no- 
solegiche  dalle  osservazioni,  e  dai  paragoni  empiri- 
ci; poiché  le  malattie  non  aborrono  da  alcune  leggi 
generali,  sebbene  modificate  perfino  in  qualunque 
individuo.  E  noi  per  essere  brevi  abbiamo  fuggito 
di  far  eco  alle  autorità  e  di  portare  in  campo  pic- 
ciole  confutazioni  con  aumento  dello  scritto,  e  fa- 
stidio del  leggitore  sazio  già  forse  della  immensa 
mole  bibliografica  generata  dal  nuovo  contagio. 

Che  se  illanguidito  vigore  di  sanità    tolto   non 
G.  A.  T.  LXXUl.  13 


194  Scienze 

ne  avesse  osservare  intieramente  le  fasi  del  morbo < 
forse  questi  cenni  sariano  meno  incompleti;  forse  le 
malattie  indigene  ed  intercoi'renti  narrate  e  com- 
parate; forse  maggiori  analogie  afferrate,  e  svolte, 
adempiendo  meglio  allo  scopo  di  presentare  il  co- 
lera contagioso  quale  fosse  stato  da  noi  studiato  iti 
patria  l'anno  1837* 

Vedendo  quanto  l'argomento  del  colera  conta- 
gioso affaticasse  gl'ingegni  più  svegliati  ,  e  quanto 
discordasser  fra  loro  intorno  alla  indole,  all'appara- 
to sintomatico  ed  al  metodo  curativo  del  morbo, 
proponevamo  rimanerci  intieramente  dallo  scriver- 
ne, parendo  consiglio  piìi  avveduto  il  tornar  sulle 
opere  e  notare  quelle  specialità,  che  si  avvicinavano 
ai  fatti  osservati,  avendo  unicamente  per  iscopo  la 
propria  istruzione.  Ma  poiché  la  Commissione  d'in- 
columità pubblica  sapientemente  comandava  a  cia- 
scun medico  di  sua  pertinenza  lo  stendere  un  rap- 
porto ragionato  intorno  ai  casi  colerici,  affine  di 
raccogliere  i  materiali  per  una  storia  completa  di 
tanta  nostra  sventura,  ci  apparecchiamo  a  rendere 
quel  breve  conto,  che  permetterà  la  pochezza  del 
tempo,  e  le  osservazioni,  non  istituite  per  sottopor- 
re a  pubblico  esame,  ne  al  tutto  complete  quanto 
alle  fasi  del  contagio,  poiché  cel  vietava  proseguir- 
le dal  dodici  al  ventitre  di  agosto  il  nostro  infei'ma- 
re,  seguito  da  non  breve  convalescenza  (1). 

§.  1.  La  stagione  invernale  precedente  fu  avver- 
sa pel  freddo  umido  protratto  a  buona  parte  della 
primavera,  donde  squilibrio  elettrico,  e  malo  atteg- 
giamento degli  organismi  animali  e  vegetanti  (2), 
Occorsero  affezioni  flogistiche  (3),  reumatico-catar- 
rali in  un  subito,  forse  con  indole  contagiosa,  tosta- 


Storia  del  colera  195 

mente  cessate  prima  del  freddo  e  dell'  umido  (*). 
Crebbero  allora  le  periodiche,  ma  pel  calore  suc- 
cessivo atmosferico  scemarono ,  tornando  verso  il 
cadere  di  luglio,  talvolta  con  sembianza  algido-co- 
lerlca  (4).  Queste  malattie  richiedevano  i  metodi 
consueti.  Languente  fece  il  commercio  la  vicinanza 
del  morbo  ,  che  sgomentava  col  vieppiìi  appros- 
simare. 

Le  quali  cose  tendevano  a  viziare  la  riproduzio- 
ne, la  innervazione. 

§.  2.  Erano  pili  predisposte  al  morbo  le  donne, 
più  i  vecchi,  meno  i  bambini,  molto  i  poveri,  i  su- 
dlcj  (5),  coloro  che  lasciavano  intieramente  le  abitu- 
dini ,  i  convulsionari,  i  convalescenti,  gli  affetti  da 
malattie  croniche,  da  periodiche  specifiche  (6)  ,  e 
maggiormente  il  contagio  si  diffondea  nelle  giornate 
umide,  nuvolose  ,  e  quando  forte  calore  a  piogge 
brevi  susseguiva. 

Favorivano  lo  sviluppo  di  quello,  e  spesso  fa- 
ceanlo  grave,  i  patemi  perturbanti  (7),  rattristanti; 
gli  errori  nell'uso  del  vino  e  de'cibi  (8)  in  ispecie 
vegetabili,  i  quali  si  vogliono  togliere  parcamente  in 
Roma  durante  la  state  (9),  e  molto  più  si  doveano 
attesa  la  pravità  delle  stagioni  precedenti,  che  avea- 
no  impedito  la  vegetazione  normale. 

Lo  inducevano  talvolta  le  verminazioni,  spesso 
gl'irritanti  salini  emetici  e  catartici;  (vedi  nel  cenno 
statistico  il  numero  13). 

Questi  fatti  invitavano  a  supporre  che  le  con- 
dizioni organiche,  in  che  sembra  languido  e  mal  di- 
sposto il  nesso  vitale;  gli  argomenti  che  perturbano 
o  prostrano  le  forze;  quelli  che  irritano  soverchia- 
mente il  tubo  gastro-enterico,  d'ordinario  favoreg- 
giassero  lo  sviluppo  del  malore. 


1S6  Scienze 

Dalle  cose  anzidette,  dalla  sede  principale  mor- 
bosa, se  ne  potrebbono  trarre  induzioni  profitte- 
voli alla  patologia? 

§.  3.  Precedevano  il  morbo,  e  forse  ne  erano  i 
primi  sintomi,  un  languore,  una  stanchezza,  una  se- 
te, una  sazietà,  in  qualche  caso  appetito  normale, 
brivido  e  calore  alternati,  dolori  reumatici  vaghi, 
polso  frequente,   contratto. 

Succedeva  malessere  epigastrico,  respiro  breve, 
ansioso,  formicolamento  e  talora  crampi  delle  estre- 
mità, strignimento  gutturale,  alterazione  di  voce  , 
tinnito,  offuscamento  visivo.  Il  capo  si  facea  grave, 
vertiginoso  (sebbene  alcuna  fiata  la  condizione  del- 
lo stomaco  fosse  regolare)  —  affuocato  come  da  vam- 
pe —  aveavi  tendenza  a  deliqui  —  nasceva  per  le 
membra  un  fremito  quasi  elettrico  sgomen latore. 

S'aggiugnevano  borborigmi,  diarrea,  egestioni  fe- 
cali, biliose,  siero-albuminose,  spumeggianti,  con  te- 
nesmo urente  allo  sfintere  dell'ano.  Invadeva  d'ordi- 
nario nella  mattina  (10)  o  verso  la  mattina  questa 
diarrea,  che  diremmo  colerica  per  distinguerla  dal- 
le altre  precedenti  la  venuta  del  morbo,  duranti 
immutate  fino  al  declinare  di  quello  (11).  Sul  deci- 
moquarto giorno  (v.  n.  e.  s.  26)  sul  settimo  (v.  n.  e. 
s.  1)  sul  quinto  (v.  n.  e.  s.  18)  sul  terzo  (v.  n.  e.  s.  8 
16  23  28)  poche  ore  dopo  il  suo  apparire  seguiva- 
no altri  sintomi,  o  si  mostrava  con  quelli  all'impen- 
sata ;  quindi  nausea,  vomiturizione,  vomito  alter- 
nato colle  deiezioni  alvine,  la  cute  si  mantenea  tutt' 
ora  calda. 

Il  malessere  toraco-epigastrico  saliva  rapida- 
mente ;  gii  occhi  cominciavano  a  spaventarsi,  ad 
infossare  ;  a  venir  vecchie,  corrugarsi  le  estremità; 
i  quali   due   sintomi   prodotti  dalla  irritazione  in- 


Storia  del  colera  19T 

lestinale  notavamo  sempre  nelle  varie  forme  del 
morbo  straniero  (12).  Poco  poi  la  cute  s'impallidiva, 
acquistando  colore  di  cenere;  le  unghie,  le  labbra, 
le  orbite,  si  tigneano  di  un  turchiniccio;  il  cingolo 
precordiale  diventava  fornace  ardente  (13),  cui  tal- 
volta i  miseri  solo  colle  mani  accennavano  —  oc- 
correva in  qualche  caso  singulto,  spesso  ambascia 
estrema  gli  splgneva  a  nudarsi  —  raro  emetteano 
grida  disperate  —  seccava  il  velo  muccoso,  donde  in 
essi  sete  inespleblle,  irritavansi  le  vie  urinarie,  dif- 
ficoltavasi  l'udito  —  arrossava  la  sclerotica;  vomiti  e 
diarrea  frequenti  e  copiose,  le  urine  cessavano,  s'ab- 
bassavano le  tempie  —  l'invecchiamento  crescente, 
universale,  estremo,  toglieva  sembianza  cadaverica, 
orrenda  per  cianosi  salientlssima,  cute  marmorea, 
insensibile,  quando  bagnata  da  sudore  vischioso  , 
quando  macchiata,  dendritica  (14)  od  eruttiva,  (15) 
premuta  albeggiante  —  capelli  sparsi  agglutinati, 
alito  agghiacciato,  contrattura  scrotale,  voce  clango- 
sa,  spenta,  spasmi  tonici,  e  clonici  atrocissimi,  veglia 
continua,  facoltà  intellettuali  integre  pili  spesso, 
più  spesso  apatìa  ,  polso  frequentissimo,  contrat- 
to, irregolare,  fuggente  nella  esplorazione,  sovente 
nullo,  completavano  il  quadro  spaventevole  dello 
stadio   algido-clanotico  (16). 

Questi  sintomi  vari  di  numero,  di  grado,  di 
combinazioni  duravano  da  qualche  ora  ad  uno  o 
due  settenari,  cessando  la  vita,  o  decrescendo  più 
o  meno  proporzionatamente,  e  variamente,  spie- 
gandosi nuove  forme  sovragglugneva  malattia  se- 
condaria, svolgendosi  piìi  spesso,  e  durando  i  fe- 
nomeni pili  notevoli  della  pienezza  colerica,  mo- 
dificandosi gli  altri.  Allorché  tutti  scemavano,  pre- 
ceduta lieve  reazione  febbrile  succedeva  immediata 
convalescenza,  breve  ne'casi  piìi  miti. 


198  Scienze 

§.  h.  "Variando  i  sintomi  in  numero,  in  grado, 
in  combinazioni,  davano  luogo  a  sembianze  parti- 
colari individue,  dalle  quali  desumeremo  le  coleri- 
che  primitive. 

Alcune  dapprincipio  mostravansi,  che  si  sareb- 
bono  dette  cadaveriche;  forse  perchè  erano  tocchi 
i  più  predisposti;  occorrevano  a  preferenza  nelle 
donne;  aveano  stadio  algido  cianotico  salientissimo, 
difetto  di  senso,  e  di  moto  (  v,  n.  s.  12  )  (17)  ne* 
casi  non  fulminanti  poche  egestioni,  qualche  secre- 
zione urinosa,  stupidita,  angoscia,  lassezza  estrema; 
ad  intervalli  una  forza  muscolare,  che  mal  si  pote- 
va argomentare  dal  restante  apparato  de'  sintomi; 
(  V.  n.  s.  7  )  (18)  sendo  i  morbi  seguenti  nervosi; 
forme  morbose  pessime,  d'ordinario  letali.  In  que- 
ste vedemmo  le  subtifiche  primitive,  in  quelle  le 
primitive  tifiche  (^).  Piìi  tardi  occorsero,  special- 
mente fra  gli  uomini,  affezioni  spasmodiche  delle 
estremità,  talora  lievi,  talora  fierissime,  in  genere 
senza  grave  apparato  concomitante,  le  quali  curate 
subito,  o  svanivano,  o  duravanp  per  lungo  trat- 
to, seguite  dal  colera,  od  almeno  da  qualche  sìnto- 
ma  gastro-enterico  (19).  Tenemmo  queste  forme  co- 
me  spasmodiche   primitive. 

Avveniva  osservarne  altre  in  sul  principio 
particolarmente  fra  le  donne  ,  precedute  alcuna 
volta  dalla  diarrea  (  v.  n.  s,  22  )  con  lingua  sor- 
dida, emetocatarsi  piìi  grave,  talvolta  verminosa, 
addome  dolente,  ottusitU  di  udito ,  stadio  algido 
prolungato  ed  intenso,  polso  appena  percettibile. 
A  questi  sintomi  d'ordinario  lunghi,  seguivano  af- 
fezioni gastriche,  meningee,  il  tifo,  le  periodiche. 
Giudicammo  essere  queste  forme  meningo  muccose 
pili  (  V.  n.  s.  2  )  (^20)  o  meno  gravi  e  circoscritte 
(v.   n.  s.   22). 


Storia  del  colera  199 

Finalmente  apparvero  altre  sembianze  con  af- 
fanno notevole,  Locca  e  pelle  aride,  sete  inestingui- 
bile, talvolta  febbre,  gli  altri  fenomeni  più.  mo- 
derati (  V.  n.  s.  1 3  ).  V'erano  i  precursori  (v.  n.  s. 
24  )  (  se  non  le  avesse  ingenerate  l'abuso  delle  po- 
tenze incitanti  )  (  v.  n.  s.  6  13  25  28  )  per  lo  più 
vincibili,  e  vantaggiosi,  poiché  cautelavano  infermo 
e  curatore  (  v.  n.  s.  24  ),  forme  morbose  di  minor 
pericolo,  quando  non  prodotte  da  gravi  errori  (21) 
brevi  (22)  costituenti  spesso  sul  declinar  del  conta- 
gio la  cosi  detta  colerina;  se  v*erano  poi  concomi- 
tanze, o  sùccesioni,  spiegavano  indole  infiammatoria. 
Dalle  quali  cose  si  tenne,  che  queste  ultime  costi- 
tuissero le  fisonomie  flogistiche  (23). 

Vedendo  gli  esantemi  divenuti  indigeni  spesso 
infiammatorj,  non  sembra  soverchiamente  ipotetico 
supporre  che  ,  se  restasse  fra  noi  questa  malvagia 
eruzione  interna,  sarebbe  per  mostrarsi,  almeno  ge- 
neralmente, colle  ultime  sembianze. 

Tali  forme  morbose  erano  per  lo  più  compli- 
cate, e  frammiste  intra  loro  (24)  (  v,  n.  s.  19), 

§.  5.  Come  per  lo  sviluppo  di  altre  malattie 
si  vogliono  peculiari  disposizioni  ,  così  vedemmo 
(§.  2)  quali  condizioni  organiche,  e  quali  cause  favo- 
rissero lo  sviluppo  del  contagio.  Toccheremo  ora 
alcuni  argomenti,  che  prenunciavano  buono,  o  tri- 
sto esito. 

La  mitezza  delle  cagioni  concorrenti,  se  v'era- 
no state,  le  condizioni  organiche  fiorenti,  la  prestez- 
za de'soccorsi,  le  comodità  della  vita  davano  a  spe- 
rare un  morbo  mite  ,  o  vincibile.  Quando  si  svol- 
geano  gradatamente  e  lentamente  i  sintomi  precur- 
sori dello  stadio  algido  cianotico,  era  buono,  poi- 
ché avvertivano  ad  usar  cautele,  con  le  quali  men 


200  Scienze 

difficilmente  si  trionfava  di  quelli.  I  crampi  all'estre- 
mità, sebbene  acerbissimi,  senza  fierezza  di  sintomi 
rispondenti,  non  presagivano  esito  infausto  (  vedi  la 
nota  19  24)  (25).  Kra  meno  grave  lo  stadio  spaven- 
tevole, quando  seguiva  la  progressione  ordinata  de' 
fenomeni  (^).  Il  sangue  estratto  mostrante  cotenna, 
indicava  correzione  di  crasi  ,  reazione  vascolare  , 
vigente  processo  riproduttivo.  Le  egestioni  (26)  (  v, 
n.  s.  13  28  ),  le  eruzioni  critiche  tornavan  buone. 
Il  diminuire  graduato  e  proporzionato  della  forma, 
specialmente  della  sete,  del  crampo  toraco  epigastri- 
co, della  emeto-catarsi  ;  il  cangiare  delle  sostanze 
siero-albuminose  in  verdognole  o  gialle;  il  riappa- 
rire delle  urine;  lo  spiegarsi  del  polso,  finalmente 
un  sonno  placido,  ristorante  ,  ingenerante  madore 
tiepido,  universale  ,  ringiovanendo,  decrescendo  il 
calore  cianotico.(2T),  pronunciavano  la  convalescenza. 

La  invasione  notturna  diventava  perniciosa  ac- 
cidentalmente (vedi  la  nota  10),  poiché  d'ordinario 
non  si  imploravano  subito  1  soccorsi  medici. 

Il  temperamento,  la  gravezza  di  un  sintoma,  la 
sindrome,  eran  presagio  spesse  fiate  del  morbo  se- 
condario. 

Quantunque  la  gravidanza  non  disponesse  al 
contagio  (28),  le  incinte  di  più  mesi  perivano,  forse 
per  la  mobilità  nervosa,  per  la  tendenza  infiamma^ 
toria,  per  l'angustia  toracica.  Per  questa  principal- 
mente gli  asmatici,  i  rachitici  (v.  n.  s.  17)  (^).  Per 
l'attitudine  flogistica  forse,  per  la  sensibilità  esal- 
tata, per  la  spossatezza,  le  perdite  e  la  soppressio- 
ne de'lochi  pericolavano  le  puerpere  (*).  Il  sangue 
estratto  sempre  nericcio,  molle,  vischioso,  con  poco 
siero,  e  macchie  oleose,  era  cattivo. 

Quando  lo  stadio  algrdo-cianotico  aggrediva  su- 


Storia  del  colera  201 

bitamente,  come  nelle  forme  tifiche  primitive,  spon- 
taneo od  ingenerato  da  cagioni  valutabili,  era  pes- 
simo ,  pessimo  il  denudarsi  continuo  dell'  infermo, 
per  l'angoscia  insopportabile,  l'indicare  co'gesti  il 
crampo  toraco-epigastrico,  non  sentire  le  irritazioni 
esterne.  Ne  precorreva  guarigione  il  singulto  (29). 
Brevemente  :  quanto  piìi  era  malconcio  dapprima 
l'organismo,  quanto  piìi  grave  il  vizio  delle  funzio- 
ni, in  ispecie  della  vita  vegetativa,  o  dell'apparato 
sensorio,  tanto  più  pericoloso  era  lo  stato  dello  in- 
fermo. 

(*)  Queste  viste  pronostiche,  tolte  dalla  osser- 
vazione clinica  del  contagio,  non  sembra  formino 
eccezione  ai  presagi  da  Ippocrate  a  noi. 

§.  6.  Le  malattie  secondarie,  aveano  indole  più 
grave  con  qualche  vestìgio  colerico  (*).  Osservam- 
mo affezioni  dell'apparato  gastrico,  del  sistema  nu- 
tritivo, del  nervoso  (vedi  la  nota  20)  (30).  Il  nostro 
maestro,  professore  Tommaso  Sarrecchia,ne  osservò 
del  cellulare;  si  videro  eruzioni  cutanee  esantema- 
tiche, eri  tematiche,  e  morbi  depuratori  (31),  raffer- 
mandosi le  ossertazioni  de'buoni  clinici  intorno  al- 
la indole  de'morbi  spiegata  sulle  malattie  seconde, 
e  sulla  convalescenza. 

Questa  era  lunga,  dopo  un  colera  grave,  con 
pirosi  (32),  anoressia,  dispepsia,  borborigmi,  languo- 
re universale,  difetto  di  calorificazione  (33),  des- 
quammazione  cutanea  (vedi  la  nota  15),  edemi  ec. 
Mancavano  se  1'  affezione  era  stata  lieve  e  semplice. 
La  mestruazione  in  molte  fu  consecutivamente  ab- 
norme. 

C)  §•  '^'  Come  nel  §.  1  accennammo  le  malattie 
precedenti  il  morbo,  cos'i  ora  diremo  in  breve  delle 
intercorrenti,  e  delle  successive  allo  scemare  di  quel- 


202  Sciènze 

lo.  Le  perniciose  con  apparato  algido-colerìco  com- 
battute in  luglio  cogli  alcaloidi  antipiretici,  quasi 
inducevano  in  alcuni  medici  opinione,  essere  il  sor- 
gerite  contagio  miasmatico  epidemico.  Peraltro,  aven- 
do sempre  dubitato  di  quelle  sembianze,  convennero 
bentosto  in  uno,  riconoscendo,  a  tenore  de'fasti  me- 
dici, specialmente  colerici,  nelle  forme  nuove  l'ag- 
gressione temuta.  Crebbe  il  contagio,  e  verso  la  me- 
tà di  agosto  sali  al  sommo,  e  le  affezioni  periodi- 
che inversamente  decrebbero.  Fu  sofferto  in  gene- 
rale malessere  nel  tubo  digestivo;  occorsero  infer-^ 
mila  gastriche,  tifiche,  rare  volte  letali  ;  sempre 
qualche  rudimento,  o  complicazione  ,  o  successio- 
ne colerica,  De'bambini  pochi  ammalarono.  Sceman- 
do il  morbo  risorsero  le  periodiche,  ribelli?  ano- 
male, talvolta  perniciose;  le  reumatiche  apparvero, 

(*)  Nulla  avvenne  di  speciale  ne'metodi  cura- 
tivi, provvedendo  quasi  tutti  alle  perturbazioni  in- 
testinali con  la  dieta,  con  le  cautele,  talora  cogli 
emetici,  spesso  col  tamarindo, 

C)  Nel  pieno  del  contagio  scemò  il  numero  de- 
gli uccelli  in  citta.  L'atmosfera  non  si  mostrò  di-^ 
versa  dagli  altri  anni, 

{*)  A  diminuire  il  morbo  discendente  sembra 
cooperasse  l'abbassamento  di  temperatura,  indotto 
in  ispecial  modo  dalle  piogge  ne'  dintorni  di  Roma 
verso  la  metà  di  settembre, 

§,  8.  La  disparità  delle  opinioni  negli  autori 
stessi  più  famigerati,  impose  fin  dal  giugnere  del 
contagio,  di  raccogliere  quello  tornava  giovevole  a' 
professori  scevri  di  opinioni  sistematiche,  di  valu- 
tare le  tendenze  istintive  degl'  infermi,  osservare 
con  diligenza  i  risuUamenti,  attendendo  alle  forme 
morbose  indigene.  E  considerando,  che,  tranne  Te- 


Storia  del  colera  203 

lemento  ingenerante  ,  non  vincibile  con  modo  co- 
nosciuto, le  indicazioni  curative  si  doveano  togliere 
da  un  apparato  sintomatico,  col  quale  avessero  ana- 
logia molte  forme  morbose  indigene;  e  molte  osser- 
vate da'  clinici  valenti;  considerando  poi  che  l'ele- 
mento peregrino  avrebbe  spiegato  forme  speciali  , 
relative  alle  condizior."  topografiche,  alle  fisiche  per- 
manenti, od  accidentali,  alle  morali,  che  tanto  in- 
fluiscono a  modificare  qualunque  malattia,  risulta- 
va ,  che  il  pratico  si  recasse  freddamente  al  letto 
dell'infermo,  notando  nel  morbo  nuovo  tutto  quello, 
che  potea  desumere  da  altri  morbi  sempre  curati, 
rammentando  quello  fosse  tornato  vantaggioso  in 
forme  analoghe,  quantunque  rare.  Così  sariano  scese 
spontanee  le  indicazioni  dall'apparato  de'sintomi  , 
valutato  relativamente  alle  forme,  ed  alle  condizioni 
piìi  analoghe  ;  ricordando  però  sempre  ,  essere  il 
morbo  ferocissimo,  ed  appartenere  alla  famiglia  de' 
contagi.  D'  altra  parte  conosciamo  noi  gli  elementi 
di  qualunque  malore?  qual  diritto  a  supporre  che 
il  nuovo  rovesciasse  i  canoni  empirico-patologici  , 
le  osservazioni  per  lunghi  secoli  istituite  giungesse 
a  fiaccare  solennemente? 

Dicemmo  il  principio  speciale  del  colera  conta- 
gioso non  essere  vincibile  da  argomento  conosciuto. 
Sofferirono  il  morbo  alcuni,  che  aveano  tolto  come 
profilattico  il  proto-cloruro  di  mercurio,  il  quale 
ispirava  fiducia  pe'suoi  componenti.  Alcuni  usatolo 
come  curativo,  mancavano;  ne  veggiamo  tal  farmaco 
sanzionato  nelle  immense  peregrinazioni  del  morbo 
indiano.  La  dimenticanza  poi  dei  vantati  specifici 
facea  dubitare  intorno  alla  polvere  di  carbone  ve- 
getabile ,  lodata  come  neutralizzante  :  ma  notando 
buoni  effetti  senza  prescriverla,  stimavamo  coiivene- 


204  Scienze 

vole  aspettare,  che  fatti  numerosi  ed  evidenti  la 
innalzassero  fra  medicinali  eroici  (34).  Ne  mai  pre- 
scrivemmo la  digitale  come  specifico ,  quantunque 
la  usassimo  in  una  forma  angioitico-colerica  (  v.  s. 
n.  13)  senza  buon  risultamento,  dovendo  anzi  la- 
sciarla, perchè  irritante  lo  stomaco,  siccome  accadde 
osservare  una  volta  al  professore  Sarrecchìa.  Non  as- 
seriamo ,  che  questo  vegetale  potesse  disconvenire 
in  qualche  rudimento  dei  morbo  con  fisonomia  flo- 
gistica, o  peravventura  subneurotica,  forse  quale  de- 
primente, forse  quale  narcotico;  ne'  quali  casi  co- 
me convengono  gli  antiflogistici  alle  sembianze  in- 
fiammatorie, così  abbiano  giovato  alcuni  soporiferi 
nelle  neurotiche.  Ricordiamo  avere  proposto  noi 
stessi  all'Ingegnoso  professore  Rietelli,  il  quale  ir\ 
S.  Galla  istituiva  gli  sperimenti  colla  digitale  pur- 
purea ,  tentarne  prudentemente  le  prove  col  tasso 
baccato  per  trarne  conchiusloni  vantaggiose,  aven- 
dolo stimato  affine  alla  digitale  sommi  ingegni  d'I- 
talia (  quantunque  secondo  alcuni  più  irritante,  e 
meno  efficace  )  desiderandone  sperimenti  nelle  ma- 
lattie del  cuore,  e  delle  arterie  il  chiarissimo  nostro 
maestro  professore  Giacomo  Folchi  (Materiae  me- 
dlcae  compendium  t.  1.  e.  VII.  Irritantla  p.  177). 
Ma  spiegata  la  forma,  conoscendo  l'azione  prima  del- 
la digitale  irritatrlce  del  tubo  digestivo,  di  già  so- 
verchiamente irritato;  valutandone  la  seconda  lenta 
e  dubbia,  quando  si  vogliono  pronte  e  sicure,  ten- 
dente a  convergere  i  moti  vitali,  quando  si  brama 
divergenza  e  vigoria  estrinseca,  ci  è  sembrata  pro- 
prio quella  sostanza,  che  in  que'momenti  si  dovesse 
proscrivere.  Tuttavolta  avremmo  posto  da  canto  le 
argomentazioni  a  priori^  ed  atteso  al  fatto  empirico, 
quando  avesse  avuto  la  nota  di  certezza,  quantun- 
que solo  in  alcune  determinate  forme  morbose. 


Storia  del  coleri  205 

§.  9.  Consigliano  i  pratici  osservatori  il  salas- 
so nella  pletora,  che  precede  gli  esantemi,  quando 
l'età,  il  temperamento,  il  clima,  la  costituzione  epi- 
demica ed  altre  condizioni  il  richieggano ,  perchè 
fioriscano  semplici  e  presti.  La  quale  indicazione 
tornava  profittevole,  se  una  forma  morbosa  pletori- 
ca annunciava  il  colera. 

C)  Si  commendavano  le  sostanze  narcotiche  , 
talvolta  a  dosi  generose,  le  fregagioni  sui  luoghi  af- 
fetti dalle  spasmodie  ,  le  potenze  eccitanti  diffu- 
sive nelle  condizioni  di  avvilimento  organico  ;  le 
quali  cose  erano  confortate  dalle  osservazioni  cli- 
niche sul  morbo  straniero.  Usammo  con  vantaggio 
lo  josciamo  ne'pochi  perturbamenti  nervosi  che  ve- 
demmo minaccianti  colera  ,  e  trovammo  utilissime 
le  fregagioni  sulle  membra  afflitte  da'crampi.  Nel- 
le poche  forme  convulsive  curate  non  osservammo 
languori  organici  da  prescriver  narcotici  eccitanti, 
o  medicine  eccitanti  diffusive. 

Occorrendo  saburra  gastrica,  sendo  il  capo  al- 
quanto perturbato,  qualora  speciali  cagioni  noi  vie- 
tino, si  prescrive  l'emetico  nel  sospettar  di  alcune 
forme  tifiche,  perfino  aftose  (35),  e  la  ipecacuana 
fu  vantaggiosissima,  quando  si  teneva  imminente  il 
morbo,  forse  perchè  la  sottrazione  di  alcuni  prin- 
cipii,  la  commozione  dell'organismo,  l'antitesi  della 
vita  esterna  resa  pih  attiva  diminuisse,  o  neutra- 
lizzasse od  annullasse  l'elemento  convergente,  che 
si  potea  riguardare  come  fattore  morboso?  Nelle 
forme  analoghe  ,  attendendo  i  pratici  alla  diver- 
genza vitale,  prescrivono  le  infusioni  diaforetiche 
di  tiglio,  di  sambuco,  e  notammo  i  vantaggi  delle 
medesime,  o  favorendo  esse  il  vomito,  o  promoven- 
do il  traspiro.  Se  cagioni  individuali  vietino  Teme- 


206  Scienze 

tico  ,  si  usano  i  purganti ,  anche  quando  si  vuol 
prevenire  la  eruzione  delle  afte,  a  sottrarre  le  sa- 
Lurre  irritative,  a  semplicizzare,  dirò  così,  l'affezio- 
ne. Difatti  si  sperimentarono  non  solo  innocui,  ma 
necessarii  i  lubricanti,  come  la  cassia,  la  manna, 
gli  oli  di  olive,  di  mandorle  dolci,  e  perfino  di  ri- 
cino a  mondare  il  ventre  piìi  prestamente,  o  facea 
d'  uopo  un  semplice  catartico  antelmintico*  Negli 
scaldamenti  del  tubo  intestinale  nocciono  gli  eme- 
tici, ed  i  catartici  salini  :  i  purganti  drastici  e  le 
prime  sostanze  vedemmo  (§.  2)  essere  state  cagione 
concorrente   del  morbo   indiano. 

Si  lodava  la  polpa  di  tamarindo,  le  bevande 
subacide,  mucillaginose,  i  clisteri  mucillaginosi  nel- 
le diarree  prenuncianti  colera;  d'altra  parte  tutto 
ciò  è  indicato  nelle  diarree  comunali,  e  nelle  ir- 
ritazioni del  tubo  digestivo,  e  si  ordinava  con  otti- 
mo risultamento.  Ma  queste  diarree  eran  poi  sempre 
veramente  coleriche.'*  e  se  tali,  non  erano  mai  al- 
quanto lunghe,  od  accompagnate  almeno  da  qualche 
sintoma  particolare.''  erano  sempre  vincibili  (36)? 
Saremmo  condotti  a  credere,  che  quelle  veramente 
coleriche  poco  fossero  docili  a  tali  medicine,  ma 
tendessero  a  spiegare  alquanto  meglio  la  forma  spe- 
ciale (37),  come  saremmo  d'avviso,  che  una  diarrea 
sporadica  disponesse  al  colera  straniero  per  l'affe- 
zione dell'organo  sul  quale  sembra  gittarsi  eletti- 
vamente il  veleno.  Consigliano  i  pratici  le  sangui- 
sughe ai  vasi  emorroidari,  ed  anche  il  salasso,  ne* 
casi  di  tenesmo,  dissenteria,  ed  irritazione  enterica. 

Consigliano  il  riposo,  le  cautele,  un  vitto  rela- 
tivo, non  mai  eccitante;  le  quali  cose  giovavano  se- 
condo i  casi  al  prenunciarsi  della  forma  colerica. 

Si  avevano  per  buone   le  sostanze  narcotiche. 


Storia  del  colera.  207 

eccitanti  difFuslve  nello  stadio  algido.  Vedendo  con- 
dizioni algide  solenni,  con  spasmodle  orribili  in 
s.  Galla,  tentammo  acquietare  i  sintomi  con  argo- 
menti eccitanti  diffusivi,  ed  oppiati:  ma  l'eJBetto  scon- 
fortò dall'  usarne  ulteriormente  (38).  Le  infusioni 
telformi  di  sambuco  e  di  tiglio,  celebrate  nello  sta- 
dio algido  pieno,  sembravano  utilissime  per  la  vir- 
tìl  elettiva,  ma  accrescevano  il  vomito,  soperchio, 
dopo  egestloni  soperchle,  ne  diminuivano  la  con- 
dizione morbosa  della  cute,  come  nel  colera  spo- 
radico e  nella  perniciosa  colerica.  Imploravano  an- 
siosi gl'infermi  le  bevande  nevate,  subacide,  demul- 
centi ,  le  quali  giovano  nel  colera  sporadico  e  nel 
sintomatico,  nelle  affezioni  gastro-^enteritlche  ^  con 
bassa  temperatura^  polso  minimo,  talvolta  impercet- 
tibile, forse  perchè  sottraenti  calorico,  forse  perche 
atte  a  diminuire  la  convergenza  vitale;  qualora  non 
avessero  sofferto  grave  congestione  di  polmone,  che 
vieta  la  neve»  e  le  pozioni  subacide,  queste  si  accor- 
davano con  ottimo  successo;  e  nella  scarsezza  de'li- 
moni  prescriveasi  l'aceto  diluito  a  piacere  nell'a- 
cqua^  lievemente  addolcito,  da  togliere  a  brevi  in- 
tervalli. Spiegata  la  sindrome  colerica  ,  il  tama- 
rindo non  si  tollerava  in  genere  sotto  qualunque 
forma  (39).  Come  nelle  affezioni  enteriche  irrita- 
tive, nelle  afte ,  giovano  i  clisteri  mucillaginosi, 
le  unzioni  oleose  sull'addome,  particolarmente  col- 
l'infuso  di  camomilla,  i  calefacienti  alle  estremità 
(40),  nonché  il  senapismo  sullo  stomaco  celebrato 
dovunque,  così  abbiamo  veduto  nociva  l'applicazio- 
ne della  neve  (41),  parimenti  vantaggiosi  i  vesci- 
catori quali  rubefacientl,  trasportati  su  varj  pun- 
ti dell'organismo  ,  affetti  da  dolore  perfino  che  la 
cute  venisse  arrossata,  scaldata  e  i  dolori   calmas- 


208  Sciente 

sero.  Le  frizioni  usate  nelle  irritazioni  gravi  del- 
le vie  digestive  giovavano  sulle  parti  cruciate  da* 
crampi,  fatte  co'pamii  di  lana  Lagnati  neiralco- 
ole  canforato.  Vi  sostituimmo  alcune  volte  per  eco- 
nomia l'acquarzente,  e  ne  risultava  lo  stesso.  Le 
quali  cose  tendevano  a  ravvivare  la  vita  cutanea, 
a  riequilibrare  le  forze,  e  per  parlare  il  linguag- 
gio de'polaristi ,  ad  invertere  le  correnti  termo- 
idro-elettriche.  Le  forme  algide  indigene  impone- 
vano di  avvolgere  e  di  trattenere  gli  ammorbati 
entro  coperte  di  lana,  le  quali  restituissero  grada* 
tamente  il  calorico:  ma  quelli  a  stento  satisfaceano  a 
tali  indicazioni,  sendo  spinti  da  smania  indicibile 
a  denudarsi:  quindi  durava,  cresceva  lo  stadio  al- 
gldo-cianotico  ,  dando  luogo  in  seguito  a  funeste 
metastasi. 

Non  vedemmo  che  le  forme  tifiche  primitive 
ammettessero  terapia,  ne  che  la  canfora  usata  con 
tanta  lode  in  alcuni  casi  di  tifo  giovasse  le  subti- 
fiche, ne  ci  salvava  gl'infermi  il  metodo  rivellente 
irritante,  consigliato  nelle  medesime  affezioni.  Ebbe 
nota  di  vantaggio  il  confricare  le  membra  afflitte 
da  formicolamento  o  da  crampi  nella  pienezza 
colerica. 

Nelle  gastro-enteriti,  nelle  diarree,  e  nelle  dis- 
senterie valgono  i  purgativi  blandi,  lubricanti  non 
escluso  il  ricino,  specialmente  quando  v'hanno  com- 
plicazioni elmintiche  :  e  li  usammo  utilmente  nel 
colera  gastrico,  preceduti  e  susseguiti  da  frammen- 
ti di  neve. 

Le  forme  infiammatorie  richiedevano  piìi  lar- 
gamente l'uso  delle  sanguisughe,  qualora  la  fiam- 
ma toraco-epigastrica  non  avesse  ceduto  ad  altro 
soccorso,  rammentando  essere  necessarie  nelle  ga- 


f 


Storia,  del  colera  200 

stro-enteriti  ,  nelle  afte.  Le  avremmo  consigliate 
eziandio  ai  vasi  emorroidari,  se  l'infermo  avesse 
potuto  giacersi  sopra  un  lato  ,  e  se  le  dejezioni 
alvine  lo  avessero  conceduto.  E  ricordando  l'appa- 
rato di  congestione  toracica,  dell'asma,  della  cia- 
nopatia  ,  esigenti  spesse  fiate  il  salasso,  le  minac- 
ce di  flogosi  gastrica  ,  pneumonica  ,  la  complican- 
za infiammatoria  negli  esantemi,  ed  i  risultamenti 
necroscopici  del  colera  straniero,  fu  quello  qualche 
volta  ordinato  con  ottimo  effetto  ,  serbando  però 
sempre  una  tale  moderazione  voluta  da'clinici,  os 
servata  da'chiarissimi  nostri  maestri  Pietro  Lupi, 
De-Mattheis,  e  Tagliato  nelle  affezioni  eruttive  cu- 
tanee o  meningo-muccQse,  ingenerate  da  elemento 
dissolutore  (42). 

Ne'  morbi  acuti  intestinali  è  indicato  un  vit- 
to tenuissimo  ;  per  la  qual  cosa  ordinavamo  un  bro- 
do leggiero  e  freddo ,  notando,  che  il  più  lieve 
errore   dietetico    induceva  esacerhazione. 

Questo  contagio  ha  confermato  il  canone,  do- 
versi cioè  le  malattie  secondarie  curare  riguardane 
do  alle  precedute,  con  lodevole  temperanza  ne'  me- 
todi ,  specialmente  nell'  antiflogistico  mantenendo 
aperti  gli  emuntorj;  indicazione  essenziale  nel  cu- 
rare le  successioni  di  un  morbo,  che  aveva  altera- 
to  la  miscela  organica,  inteso  a  sciogliere  il  nesso 
vitale. 

Nella  convalescenza  del  morbo  indiano  gio- 
varono i  criterj  forniti  dalle  convalescenze  delle 
affezioni  gastro-enteriche,  periodiche,  tifodi,  angioi- 
tiche  ecc.  rammentando  quanto  lentamente  torni 
la  normalità  in  quell'organismo  leso  nella  vita  ve- 
getativa, e  nell'animale  per  le  alterazioni  della  cra- 
si, dell'innervazione,  della  digestione.  Quindi  si  prc- 
G.A.  T.  LXXm.  14 


210  Scienze 

scrìveva  un  vitto  leggiero,  proporzionato  alla  gra- 
vezza preceduta,  poiché  la  convalescenza  è  l'ulti^ 
mò  periodo  della  malattia,  che  va  gradatamente 
a  confondersi  colla  salute;  periodo,  in  che  le  fun- 
zioni   piìi  offese  con  pili  di  lentezza  si  equilibrano, 

§.  10.  Nell'istituire  un  paragone  fra  il  cole- 
ra indico,  ed  altre  affezioni  morbose,  come  accadde 
rinvenire  analogie  tra  loro,  cosi  è  stata  rilevata  una 
discordanza  da  talune,  per  la  quale  si  avvicinerebbe 
alle  condizioni  gastro-enteritiche,  ed  aftose,  perchè 
il  metodo  eccitante,  usato  nelle  algide  perniciose, 
nelle  colere  nostrali,  e  nelle  condizioni  di  languore 
organico  non  è  stato  riconosciuto  vantaggioso  in 
Ancona  giusta  le  asserzioni  di  testlmonj  oculari,  ne 
Tebbero  tale  sperlmentatlsslmi  clinici  romani.  Ma 
vi  hanno  fatti  numerosi,  ed  osservazioni  impar- 
ziali, che  mostrano  curatore  il  metodo  suddetto. 
Potrebbesi  far  prova  di  conciliare  queste  discre- 
panze valendoci  delle   analogie? 

Sembra  ragionevole,  almeno  non  assurdo  sup- 
porre, che  l'elemento  colerico  si  riproduca  nell'or- 
ganismo umano,  donde  avveleni  altrui  pe'vasi  as- 
sorbenti cutanei  e  polmonali,  e  tolto  per  le  vie 
digestive  forse  venga  decomposto,  e  neutralizzato 
come  il  vipereo  ,  e  talvolta  alcuni  de'vegetabili. 
Difetto  di  predisposizione,  o  forza  digestiva  rese 
immune  chi  trangugiò  le  sostanze  della  emetoca- 
tavsVf  Questo  elemento,  a  modo  de'contaglosl  (  ve- 
di le  belle  considerazioni  del  dottissimo  Bufalini  ne' 
Fondamenti  di  patologia  analitica  capo  23  §.  05,  3 
edizione  pesarese  ).  Sembra  che  dapprima  alteri  la 
crasi  sanguigna,  come  si  argomenterebbe  dalle  fle- 
bolomie  ne'  prodromi  Istituite  {A3)  ,  che  irriti  le 
membrane  vascolari,  produccndo  reazioni,  ed  cru- 


Storia  del  colera.  211 

zloni  in  quelle,  donde  le  palpitazioni  di  cuore,  la 
contrattui'a  arteriosa  (forma  vascolare  primitiva  di 
pletora,  di  efFemera):  che  si  gitti  sul  sistema  nervoso 
assalendone  in  particolar  modo  l'apparato  vegeta- 
tivo, e  locomotore,  donde  le  nevralgie,  le  disereti- 
sie  (44)  (  forma  nervosa  primitiva  spasmodica,  sub- 
tifica, tifica,  (*)  Pare  talvolta,  per  una  disposizione 
intestinale  sia  antecedentemente  invitato  a  produr- 
re gastricismo,  diarrea,  dissenteria  (  forma  menin- 
go  gastro  enterica  primitiva  ,  diarroica  ,  dissente- 
rica ecc.  )  ;  ultimamente  fiorisca  quasi  sempre  con 
esantema  polimorfo  elettivo  sulla  membrana  muc- 
cosa,  specialmente  verso  la  valvola  iliaca  (forma  me- 
ningQ-muccosa  primitiva,  in  ispecie  enterica  )  (45). 

Questa  progressione  sintomatica  di  varia  gra- 
vezza, notata  generalmente,  analoga  in  qualche  mo- 
do agli  effetti  (  sebbene  in  generale  più  solleciti  ) 
delle  injezioni  emetiche  e  catartiche,  segna  in  alcu- 
na guisa  la  via  del  veleno  all'osservatore.  Ma  talu- 
ni argomenti  meccanici ,  o  veleni  acri,  alcuni  gas 
mefitici^  per  la  sola  irritazione  della  membrana 
muccQsa  producono  talvolta  una  sindrome  istanta- 
nea, analoga  ai  casi  gravi  del  colera  contagioso  ,  da 
indurre  quasi  il  sospetto  vi  fosse  prima  nell'orga- 
nismo qualche  morboso  elemento,  o  predisposizione, 
sindrome  però,  che  massimamente  dipende  dai  conr 
sensi,  e  dalla  continuità  degli  organi, 

(*)  Stimo  pregio  dell'opera  il  trascrivere  quasi 
intieri  due  quadri  tossicologici,  l'uno  relativo  alle 
sostanze  meccanico  irritanti  ingerite,  desunto  dal^ 
la  medicina  legale  dell'illustre  Puccinotti  (lezione 
19  §.  3),  l'altro  dall'articolo  asfissia  del  cclebratissi- 
mo  Adelon  (dizionario  classico  di  medicina,  articolo 


212  Scienze 

suddetto,  sezione  (2)  intorno  all'avvelenamento  pel 

gas  deutossido  di  azoto. 

(*)  I  veleni  meccanico-irritanti  producono  , 
scrive  queir  illustre  italiano  »  rossezza,  secchezza, 
»  ed  ardore  delle  fauci  e  della  lingua  ....... 

»  senso  di  stringimento all'esofago;  la 

■   regione  epigastrica  si  sente  come  morsicata  e  di- 
»   laniata  ,  tutto   l'  addome  è  lacerato  da  profonde 
»  e  insopportabili  trafitture.  I  conati  al  vomito  si 
»  affacciano,  e  si  succedono  pili  o  meno  rapidamen- 
»   te.  Lo  stomaco  non  può  ritenere  i  liquidi  anche  i 
»  pili  grati;   la  deglutizione  è  difficilissima  e  vi  ha 
»   talora  una  completa   disfagia  ,   sete   ardente  ,   ed 
»  inestinguibile  ....  il  ventre  trafitto  sempre  da 
»  atroci  dolori  ,  da  meteorismo  ,  o  da  contrazione 
»  violenta  verso  la  colonna  vertebrale,  .  .  .  d'  or- 
»  dinario  è  tormentato  da  dejezìoni   frequenti,  per 
j»  lo  più  con  tenesmo,..  .  i  tegumenti  della  mano 
»   si  fanno  duri ,  aggrinzati  ,  coriacei  ;  succede    lo 
»   stesso  di  quelli  de'piedi,  che  sembrano  tappezza- 
»   ti  di  una  lamina  cornea,  assolutamente  insensibi- 
»   le.   Succedono  a  questi  i  sintomi  di  irradiazione 
»   dolorosa,  come  il  singhiozzo,  la  dispnea,  e  talora 
»   l'ortopnea,  i  polsi  intermittenti,  o  miuri,  la  is- 
»   curia,  il  freddo,  il  granchio  spasmodico  delle    e- 
»   stremi ta,  i  tratti  della  faccia  si  fanno  cadaverici, 
»   e  la  scena  luttuosa  termina  spesso  o  nell'abbando- 
»   no  totale  delle  forze,  o  in  una  smania  furibon- 
»   da,  e  in  mezzo  alle  convulsioni  cloniche  le   piìi 
»   orribili.  Nella  maggior  parte  de'casi  l'irradiazione 
»  dolorosa  non  arriva  a  sconcertare  le  facoltà  intel' 
»   lettuali;  l'avvelenato  dai  veleni  meccanico-irritan" 
»   ti  le  conserva  sino  alla  morte.  » 


Storia  del  colera.  213 

(*)  il  professore  francese  narra  così  l'esempio 
di  asfissia  pel  gas  nitroso  :  »  comunicato  da  Des- 
»  granges,  in  cui  però  il  gas  non  fu  fiutato  puro, 
»  cosicché  il  malato  morì  soltanto  in  capo  a  ven- 
»  tiquattr'ore.  I  sintomi  che  dapprima  osservaronsi 
»  furono,  somma  debolezza,  certo  calore  acre  e  sec- 
»  co  nelle  fauci,  la  irritazione  dello  stomaco  e  del 
*   petto,    il   senso  di  stringimento  all'epigastrio,   la 

»  diilìcoltk  di  respirare Dopo  dodici  ore 

>•  r  aspetto  del  malato  divenne  azzurro,  afFannossi 
»  il  suo  petto  ,  sopraggiunse  .  .  é  .  il  singhiozzo  , 
»  grandi  dolori  alla  regione  del  diaframma  .... 
»  alcuni  movimenti  convulsivi,  e  da  ultimo  creL- 
»  be  l'ansietk  fino  alla  morte,  che  accadde  di  mez- 
»  zo  a  terribili  angoscie.  »  I  sintomi  speciali  di  que- 
sto quadro  presentano  forme  irritative:  avvene  ana- 
loghi al  quadro  universale  della  asfissia  del  mede- 
simo fisiologo;  angoscia,  cianosi,  apatia,  debolezza, 
diminuzione  circolatoria,  nutritiva,  calorifica  ecc.  nel 
cadavere  ,  lividore  del  sistema  capillare  generale  , 
turgore  sanguigno  nell'apparato  venoso,  vacuità  nel- 
l'arterioso (Vedi  il  principio  dell'articolo  suddetto 
nel  dizionario). 

(*)  Ecco  due  quadri  sintomatici  da  irritanti 
esterni  pe'consensi  e  per  la  continuità  degli  orga- 
ni, i  quali  riuniti  forniscono  i  principali  fenome- 
ni del  colerico  contagioso  (46)  e  e'  invitano  a  cre- 
dere ,  che  lo  stadio  algido-cianotico  dipenda  massi- 
mamente dalla  irritazione  primitiva  del  contagio 
sul  velamento  muccoso,  o  dalle  accessorie  connesse 
alla  tendenza  ad  erompere,  o  dalla  effettiva  eruzio- 
ne dell'esantema.  Che  se  volesse  objettarsi:  non  es- 
sere  semplicemente    irritativa    l'azione    de'suddetti 


214  Scienze 

veleni  sulle  vie  coperte  dalla  muccosa  ;  assorbirne 
i  vasi,  donde  i  perturbamenti;  saria  pur  forza  am- 
mettere una  irritazione  intestinale,  o  polmonale,  ri- 
cordando, che  la  crasi  sanguigna  si  viziava  dappri- 
ma, o  contemporaneamente  allo  stadio  spaventevo- 
le del  morbo  straniero. 

(*)  E  siccome  non  istimiamo  fisiologica  la  con- 
dizione di  un  tratto  tegumentale  mondo  da  esante- 
ma, quando  altrove  fiorisca  circoscritto,  notando  pre- 
cedute e  complicate  le  simpatie  della  membrana 
creduta  da  alcuni  introflessa,  cosi  quantunque  l'ir- 
ritamento, o  la  proclività  esantematica  avvenisse  sol- 
tanto nel  tubo  digestivo,  non  crederemmo  normale 
la  condizione  degli  altri  punti  del  velamento  inter- 
no. Il  rossore  poi  della  sclerotica,  il  tinnito,  la  sec- 
chezza nasale,  la  cianosi  delle  labbra,  la  sete,  la  vo- 
ce colerica,  il  prurito  inane  urinario,  l'ardore  allo 
sfintere  dell'ano  ci  forniscono  argomenti  analogici, 
le  autossie  cadaveriche,  i  fatti  per  credere  pertur- 
bato l'intero  tegumento  muccoso  (47). 

(*)  Come  tende  a  svolgersi  il  principio  cole- 
rico, o  svolto,  o  morbosamente  elaborato,  o  molti- 
plicato sulla  muccosa,  in  ispecie  intestinale,  sembra 
debba  questa  perturbare  per  consensi  membrana- 
cei e  nervosi  la  polmonale,  antecedentemente  irri- 
tata peravventura  della  crasi  innormale  sanguigna, 
contemporaneamente  dal  tendere  eruttivo,  o  dalla 
eruzione,  ultimamente  dalla  diminuzione  sierosa  del 
sangue. 

(*)  E  come  gli  esantemi  hanno  lor  periodo  la- 
tente, esisteva  già  in  molti  casi  nell'organismo  il 
principio  colerico;  occorrevano  quindi  ordinati  nel 
maggior  numero  i  sintomi  prodromi;  perchè  gli  al- 
tri non  procedevano  in  proporzione  ,   ma   compii- 


Storia  del  colera.  215 

dati,  moltiplicati,  precipitati?  Non  sembra  per  ca- 
gione che  agisse  subitamente  ?  Avvi  qualcosa  di 
analogo  nelle  malattie?  Notiamo  alcun  che  di  simi- 
le ne'morbi  affini?  Guardando  accuratamente  al  qua- 
dro degli  esantemij  non  veggiamo  alcune  fiate  una 
subitaneità  di  eruzione  ,  la  quale  contemplata  su 
tratti  piìi  vasti  e  più  vitali  della  membrana  muc- 
cosa,  debba  produrre  effetti    notabili  e  subitanei? 

(*)  Irritato  il  tubo  gastro-enterico,  ecco  ai  sin- 
tomi vascolari  e  nervosi  di  perturbamento  ripro- 
duttivo, di  reazioni,  di  squilibrio  elettro-organico 
aggiugnersi  e  confondersi  la  contrattura  gastro-en- 
terica, un  moto  convergente,  la  catarsi  ,  la  emesi, 
quindi  impoverimento  siero-celluioso  ,  vecchiezza  , 
difetto  urinario  (48). 

(*)  Irritate  le  vie  aeree,  ecco  la  cianosi,  la  per- 
fringerazlone  ,  la  voce  colerica.  Notammo  due  sin- 
tomi costanti  nel  quadro  del  morbo;  invecchiamen- 
to ed  infossamento  delle  estremità  e  delle  orbite  , 
e  cianosi  delle  medesime  parti;  quelli  per  affezio- 
ne dinamico-spasmodica  e  meccanico -sottrattiva  ; 
questa  per  vizio  di  sanguificazione  ,  esprimenti  in 
qualche  modo,  se  mal  non  ci  opponghiamo,  l'affe- 
zione doppia  della  muccosa,  enterica  e  pneumatica. 

(*)  Irritate  le  vie  urinarie  ,  dissierato  il  san- 
gue, ecco  la  secchezza  molesta  interna,  la  soppres- 
sione urinosa  completa. 

{*)  Irritati  nuovamente  ed  inversamente  i  ner- 
vi del  tubo  digestivo,  de'bronchi ,  delle  vie  urina- 
rie, ecco  il  cingolo  toraco-epigastrico  ,  le  anoma- 
lie, gli  squilibrj  mutabili  di  circolazione,  le  vam- 
pe, l'infuocamento;  ecco  nuova  causa  di  gelo  cuta- 
neo, il  singulto,  il  corrugarsi  dello  scroto,  il  cessare 
della  voce,  il  tetano,  i  crampi,  l'ottusità  uditiva,  vi- 


21G  Scienze 

siva  e  ,  forse  per  un  ordinamento  di  Provvidenza 
compensatrice,  una  certa  apatia.  Adunque  gli  spas- 
mi compagni,  e  consecutivi  della  eruzione  potranno 
talvolta  riguardarsi  come  secondar]? 

L'apparire  di  un  fenomeno  piuttosto  in  alcuni 
tempi,  che  in  altri,  invita  a  supporre  una  catena- 
zione  colle  cause  ricorrenti.  Lo  svolgersi  della  for- 
ma colerica  al  mattino,  o  verso  il  mattino  (  quan- 
do fosse  universalmente  osservato),  dipenderebbe 
dalle  vicende  della  elettricità  atmosferica,  dai  pe- 
riodi nelle  funzioni,  dal  collapso  enterico  dopo  l'o- 
perositk  digestiva  abituale  ,  o  soverchia  disponente 
al  morbo  ,  quando  i  seminj  diffusi  per  una  scin- 
tilla inavvertita  talvolta  divampano?  Gessata  l'opera 
digestiva,  succederebbe  l'erompere  elettivo  del  con- 
tagio ?  Ma  l'abbassamento  di  temperatura  verso  il 
giorno,  chiudendo  la  cute,  compenserebbe  il  deca- 
dimento intestinale?  Al  fritto  i  fatti  rispondano;  su- 
dare taluni  verso  il  mattino  abitualmente  ,  spesso 
nelle  convalescenze,  rimettere  le  febbri  continue; 
ristorarsi,  lusingarsi  gli  etici.  Sveglia,  operosa  col 
nuovo  sole  è  la  mente,  a'vivi  concetti,  a  profondo 
meditare  inclinata  ;  grave  ,  inerte  verso  la  notte , 
prevalendo  la  vita  nutritiva;  donde  agli  scioperati 
stessi  il  poeta: 

Dalla  mattina  a  terza 
Di  voi  pensate 

(*)  A  tenore  delle  predisposizioni  e  delle  cau- 
se si  turbava  pili  l'uno  de'due  sistemi  vascolare  e 
nervoso,  o  l'apparecchio  gastrico. 

(*)  I  maschi,  giovani  ,  temperanti  ,  forniti  di 
buone  condizioni  organiche,  di  prevalente  vita  ri- 
produttiva, sperimentavano  d'ordinario  la  forma  flo- 
gistica. Forse  la  vitalità  vascolare,  e  la  crasi  nor- 


Storia  del  colera  217 

male  scemano  la  virulenza  contagiosa;  forse  vince - 
vanla  ne'bambini  poco  percossi  dal  malore  ;  forse 
intendevano  a  fiaccarne  la  possa  dissolutiva  quelle 
benefiche  reazioni  vasali  che  partorivano  moderate 
perturbazioni  nervose,  mite  irritazione  enterica,  lie- 
ve decadimento,  presta  convalescenza? 

(*)  Sono  poi  normali  in  tutti  le  condizioni  va- 
scolari? una  viziosa  posizione  anatomica  non  mai  so- 
spettata, una  condizione  patologica  inavvertita,  un 
occulto  aneurisma,  o  varice,  un  corpo  abnorme  na- 
scostamente cresciuto  non  potevan  complicare  gli 
squilibrj  nervoso-vascolari,  indurre  apoplessie  ra- 
chidiano encefiiliche  ,  viscerali,  paralisi,  altre  for- 
me tetaniche,  preparare  infiammazioni? 

(*)  Ma  il  difetto  di  resistenza  vitale,  di  coecsio- 
ne  fisiologica  nelle  donne,  ne'vecchi,  ne'soperchia- 
mente  mobili,  negli  intemperanti,  ne'convalescenti 
ecc.  impediva  all'  organismo  vincere  nel  cimento  , 
gittavasi  quindi  prepotente  il  veleno  sul  sistema 
nervoso;  tiranneggiava  l'apparato  vegetativo,  o  sen- 
sorio, distruggendo  le  ragioni  vitali,  prorompeva  col- 
la eruzione,  o  come  veggiamo  negli  esantemi  mali- 
gni, la  tentava  più  funestamente;  meno  feroce,  ma 
per  lungo  spazio  malmenava  l'apparato  locomotore. 
Ecco  le  fonti  delle  spasmodie  successive,  delle  pal- 
pitazioni nervose,  de'tifi  speciali  (49). 

(*)  Ma  gli  esantemi  fioriscono  talvolta  varj.  La 
tendenza  eruttiva,  la  eruzione  toracica,  eran  propor- 
zionate sempre  alla  gastro-enterica?  Non  e  mai  l'ap- 
parato respiratorio  abnorme  ?  Senza  supporre  in 
qualche  caso  una  anomalia  eruttiva,  potrebbe  attri- 
bufrsi  qualche  forma,  in  apparenza  nervosa,  ad  una 
condizione  patologica  del  torace ,  ad  una  lesione 
istromcntalc  anteriore?  Sarebbe  in  questi  casi  piìi 


218  Scienze 

grande  il  vizio  della  ematosi?  la  cianosi,  la  perfi*!-* 
gerazione  più  intensa?  non  si  parrebbe  un  Sopore, 
in  fine  un  awelenaniento  per  difetto,  o  vizio  tra^ 
scendente  di  composizione  sanguigna? 

(*)  La  predisposizione,  le  cagioni  concorrenti  < 
forse  poca  affezione  vascolai*e,  o  nervea,  potevano  fa- 
vorire la  forma  meningo-muccosa  più  spesso  gastri- 
ca? indurre  efflorescenza  più  diffusa,  più  lenta? 

(*)  Sembra  da  queste  nascere  le  pirosi,  le  di- 
spepsie, le  gastriche,  le  diarree,  le  dissenterie,  i  vo- 
miti, qualche  colera  secondario  sporadico  ;  sembra 
nascere  dalle  medesime  cause  le  affezioni  meningo- 
muccose,  e  meningee,  i  tifi  neurilematici. 

(*)  Rapito  il  siero  e  T  adipe  al  sistema  cellu- 
ioso, egli  sembra,  che  per  antitesi,  o  vizio  di  mi" 
scela  succedano  gli  edemi,  le  idropié 

(*)  Le  discrasie,  i  solidi  morbosi  stemprati,  vo- 
gliono crisi,  o  fruttano  malattie  secondarie;  quindi 
i  sudori,  le  ipostasi,  le  diarree,  le  eruzioni;  i  mor- 
bi depuratori,  se  la  forza  vitale  trionfi  ;  lenti  ^  se 
lungamente  combatte;  letali,  se  manchi. 

(*)  Compiuta  l'opera  eruttiva,  allorquando  le 
ragioni  vitali  prevalevano,  ecco  placarsi  il  crampo 
precordiale,  le  dejezioni  decrescere;  scaldarsi,  nu- 
trirsi, ringiovenire  la  cute;  dileguar  la  cianosi;  ri- 
suonar la  voce;  gli  spasmi  far  tregua;  nuovamente 
le  urine  separarsi,  rimanendo  peraltro  malconcio  il 
velamento  interno,  e  gli  organi  piìi  affetti  nel  com- 
pletar delle  forme  ,  come  vedemmo  accennando  la 
convalescenza. 

Premesse  c|ueste  linee  teoretiche,  comparando 
la  sensibilità  fisiologica  del  velamento  cutaneo  èol- 
l'interno,  sembra,  che  se  è  molesta  una  condizione 
esantematica  cutanea,  debba  tornare  molestissima  una 


Storia  del  coiSra  219 

tendenza,  una  elaborazione  morbosa  gasti*o-enterica 
atteso  il  sentire  più  Sfjnisito  dell'organo,  come  ac- 
cadde osservare  nelle  afte  infantili.  Che  se  il  meto- 
do calefacente  fu  proscritto  dal  Sydenliam  negli 
esantemi,  parrebbe  molto  più  sì  dovesse  in  questo, 
attesa  la  vita,  ed  il  senso  meglio  notevole  delle  parti 
aflfette.  E  Gioan  Pietro  Frank  proscrisse  lo  irritare 
le  prime  vie  nelle  afte  de'bambini  ,  consigliando 
le  cose  rinfrescative.  Chi  si  avviserebbe  curare  la 
eresipele,  la  scarlattina,  il  vajuolo,  la  miliare  in  ogni 
caso  colle  applicazioni  stimolanti?  Chi  Usa  oggimai 
gli  stimoli  nelle  condizioni  gastro-enteritiche?  Che 
se  in  alcuni  casi  hanno  giovato  gli  eccitanti  inter^ 
namente,  sembra  possa  essere  avvenuto  nelTordirsì 
di  alcune  condizioni  subtifiche  ,  più  speciali  forse 
di  qualche  luogo,  di  qualche  costituzione  epidemica 
talvolta  ovunque  di  qualche  individuo,  con  grande 
perturbamento  del  sistema  nerveo,  e  notabile  ten- 
denza dissolutiva.  E  come  veggiamo  scarsa  la  efflo- 
rescenza in  alcuni  esantemi  quando  impediscano  al- 
cune particolarità  l'innervazione  critico-eruttiva  in 
qualche  forma  cosidetta  maligna,  curabile  dalle  po- 
tenze che  eccitano,  quasi  risveglianti,  se  l'affezione 
non  sia  in  grado  considerevole,  ne  dipenda  da  certi 
consensi,  irradiazioni,  o  metastasi  morbose  sui  nervi, 
cosi  peravventura  può  avere  giovato  per  un  istante 
il  metodo  nella  forma  subtifica  del  colera,  analoga 
in  qualche  modo  agli  avvelenamenti  vipereo  e  set- 
tico ,  quando  siavi  slata  deficienza  di  vigore  erut- 
tivo. Peraltro  questo  metodo  è  spesso  incerto,  non 
esistendo  sempre  gli  argomenti  (  come  osservò  quel 
sommo  italiano  che  è  Giacomo  Tommasini  nelle  no- 
zioni sul  cholera  morbus  e.  4)  per  conoscere,  se  un 
languore  apparente  sia  l'effetto  di  prostrazione  uni- 


220  Scienze 

versale,  o  di  squilibrio  vitale:  quindi  gli  è  mestieri 
(  per  quanto  la  gravezza  il  permetta  )  tentare  con 
prudenza  il  fondo  morboso. 

Difterisce  il  morbo  indiano  dalle  afte  (50)  , 
malattia  talvolta  contagiosa  ,  esantematica  sul  tubo 
digestivo,  mostrante  varie  forme,  perchè  le  afte  han- 
no generalmente  periodo  piti  lungo,  minore  appa- 
rato ed,  a  giudizio  di  alcuni  pratici  ,  sembrano  ri- 
cusare le  sostanze  subacide  ,  le  quali  tornano  van- 
taggiose nelle  applicazioni  locali  esterne.  Sappiamo, 
essere  varia  la  durazione  degli  esantemi,  breve  la 
miliariforme,  cui  d'ordinario  assume  il  colera,  lun- 
ga la  pustolosa  ,  cui  assumono  le  afte.  Sappiamo 
quanto  l'organismo  tolleri  alterazioni,  e  snaturamen- 
ti nelle  malattie  di  corso  men  rapido.  Sappiamo  , 
che  le  sostanze  subacide  coagulano  il  latte  alimen- 
to de'bambini,  i  quali  a  preferenza  vengono  afflitti 
da  tal  malore.  E  perciò  credere  si  potrebbe  ,  che 
queste  specialità  le  disgiugnessero?  tali  considera- 
zioni varrebbono  ad  avvicinarle? 

(*)  Proponevamo  alcune  viste  teoretiche,  le  qua- 
li vogliamo  sieno  tenute  a  modo  di  semplici  ipo- 
tesi ,  poiché  passò  stagione  di  chimere  allettatrici 
stornanti  dalla  verità;  ne  i  contagj,  misteriosi  per 
indole  ,  permettono  ,  ne  permetteranno  forse  mai 
conchiusìoni  notevoli  e  positive  intorno  alle  vie  che 
percorrono  ,  agli  organi  che  attaccano  successiva- 
mente, alle  modificazioni  che  inducono  e  meno  d'as- 
sai questo,  ospite  fiero  e  nuovissimo.  Tuttavolta  era 
convenevole  ridurre  i  fatti  osservati  in  un  punto , 
porli  in  una  luce,  tentarne  lo  svolgimento,  stando 
in  aspettazione  ,  che  altri  fatti  e  conchiusioni  in- 
fraliscano l'opera,  per  attendere  noi  subitamente  a 
distruggerla. 


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Storia  del  colera  221 

D'altro  lato,  se  non  possiamo  formarci  idea  del- 
le cose  nuove  in  altra  guisa,  che  paragonandole  alle 
conosciute,  per  rilevare  di  esse  le  proprietà  e  la 
natura,  se  dal  noto  costumiamo  investigare  l'igno- 
to, forse  non  verranno  spregiati  questi  pochi  cenni 
patologici  ,  comunque  toccati  ,  scevri  almeno  dalla 
farragine  delle  erudizioni,  tendenti  a  mostrare  il 
colera  contagioso  in  qualche  analogia  pratica  con 
le  malattie  indigene  e  note.  Ne  stimavamo  poterli 
trasandare,  poiché  i  metodi  curativi  e  le  induzio- 
ni patologiche  consentono. 


832 

IN   O   T   E 


(*)  (i)  Questi  cenni  furono  compilati  e  trasmessi  per  ordÌDQ 
della  Commissione  di  pubblica  incolumità  sul  cessare  dell'otto- 
bre, poi  riveduti,  corretti,  accresciuti  del  ragionamento  ad  indi-» 
care  il  metodo  dello  scritto  (svolgendo  in  ispecie  alcune  idee  del- 
l'esordio, e  del  paragrafo  ottavo)  e  di  qualche  articolo,  notato 
coll'asterisco  ;  da  ultimo  scevratl  di  molte  citazioni  personali,  e 
delle  locali;  che  ogni  cosa  asserita  è  derivata  e  giustificata  da  una, 
spesso  da  più  osservazioni,  le  aitali  avrebbono  per  lunghezza  ar- 
recato soverchia  noja.  Le  osservazioni  furono  istituite  nell'ospi- 
tale colerico  in  s.  Galla  dal  7  al  li  di  agosto,  e  dal  28  dello  stes- 
so mese  al  i5  ottobre  ne' rioni  di  s.  Eustachio  e  Pigna,  ai  quali 
appartenevo  come  medico  della  casa  di  soccorso;,  o  nella  pratica 
privata. 

(*}  (2)  A  queste  cagioni  l'espertissimo  clinico  Tommaso  Sar^ 
recchla  ed  io  attribuimmo  una  febbre  perniciosa  di  prima  inva- 
sione che  si  potea  dire  flogistico  reumatica  con  tipo  anomalo 
dopo  affezione  reumatica  infiammatoria  in  De-A.  F-  di  tempe- 
ramento sanguigno,  gravida  di  mesi  sette,  guarita  colla  china. 

(*)  (3)  Curai  e  vinsi  in  quel  tempo  una  aortite  in  S.  V.  di 
abito  angioitieo, 

(*)  (4)  Il  professore  Gaetano  Cavallini  mio  amico,  osservatore 
accuratissimo,  vinse  in  que'  giorni  una  perniciosa  algida  cogli 
alcaloidi  della  China.  Qualche  tempo  prima  del  contagio, il  pro- 
fessore lodevolissimo  P.  R.,  mio  amico,  osservò  un  caso  letale 
di  cianopatia,  indipendente  da  lesione  precordiale  come  risultò 
dalla  autossia. 

(3)  In  s,  Galla  ho  osservato  notevole  in  proporzione  il  nu- 
mero delle  filatrici  di  lane. 

(*)  (6)  Miasmatiche.  M.  A.  ebbe  il  colera  complicato,  pre^ 
ceduto,  e  seguito  dalle  periodiche  speciali. 


Storia  del  colera.  223 

(^)  Un  patema  perturbante,  a  quanto  sentii  dire,  predispose 
ftl  contagio  letale  un  mio  carissimo  ed  affettuoso  amico  F.  L.  V. 
nel  fiore  dell'età  e  delle  speranze  ! 

(*)  (8)  I  giorni  appresso  le  feste  era  comune  vedere  accre- 
sciuto il  numero  de'  colerosi  per  le  intemperanze. 

(*)  (9)  Niuno  ignora  essere  epidemiche  fra  noi  nella  state  le 
affezioni  gastriche,  biliose,  diarroiche,  dissenteriche,  coleriche, 
specialmente  per  l'abuso  delle  fruita  nelle  povere  persone  ;  sul 
cadere  di  quella  apparire  le  periodiche  colle  forme  suaccennate, 
forme  prodotte  spesse  volte  dalle  cagioni  medesime. 

(io)  Da  »in  cenno  statistico  desunto  per  ine  dagl' infermi  ap-. 
partenenti  ai  rioni  di  s.  Eustachio  e  Pigna,  riguardante  quelli 
veduti  nel  primo  giorno  dello  stadio  algido-cianolico,  rilevo,  che 
il  morbo  dal  27  di  agosto  al  28  di  settembre  attaccava  a  prefe- 
renza nelle  ore  mattutine  ;  e  nelle  potturne,particolarniente  nel 
settembre;  rarissime  volte  nelle  pomeridiane,  od  alla  sera-  Si  può 
stabilire  questa  proporzione,  riguardo  però  alle  sole  osservazioni 
da  me  istituite,  non  pretendendo  generalizzarle  ;  21  assaliti  di 
niattina,  de'quali  9  in  agosto;  ii  di  notte,  de' quali  in  agosto  i; 
uno  nella  sera  sui  primi  di  settembre;  uno  pelle  ore  pomeridiane 
sugli  ultimi.  Se  queste  risultanze  fossero  universali,  almeno  fra 
noi,  come  sono  state  in  alcuni  luoghi,  inviterebbono  a  tentarne 
la  spiegazione.  Rilevo  dal  cenno  statistico,  che  alcuni  de'mancat: 
hanno  implorato  tardi  il  soccorso  medico,  poiché  fui  invitato  dal- 
le ore  i5  alle  20  (ore  della  mia  guardia  medica  nella  casa  di  soc- 
corso) a  visitare  V. R.  (v.  e.  s.  io)  S  G.  (i5  ivi)P.  T.  (17  ivi)  B.A. 
(20  ivi)  ammorbate  fin  dalla  notte,  e  vidi  a  caso  P.  C.  (23  ivi)  pa- 
rimenti algido  cianotica  dalla  notte,  la  quale  si  credeva  affetta  da 
convulsioni  infantili, 

(11)  M.  E,  di  temperamento  linfare,  e  C.  F.  fanciullo  gra- 
cile sopportarono  la  diarrea  sporadica  prima  del  contagio,  e  du- 
rante il  contagio,  senza  presentare  mai  la  forma  di  quello. 

(12)  Sebbene  questi  sintomi  non  sieno  unicamente  del  morbo 
indiano,  ma  si  notino  in  qualunque  grave  irritazione  gastro-en- 
terica, non  pertanto  gli  ho  rinvenuti  costantemente  con  varia  in- 
tensità nelle  varie  fornie  del  contagio.  Nella  mia  dimora  in  s.  Galla 
mi  furono  fatti  notare  dal  reverendissimo  padre  Vernò  generale 
de'benfratelli,  direttore  degli  ospedali  colerici,  cui  si  conveniva 
dare  ascolto,  perocché  antecedentemente  professore  di  chirur- 
gia, spoglio  da  ogni  prevenzione  sistematica,  era  stato  in  grado 
di  raccogliere  le  idee  pratiche  più  positive  e  più  giuste  intoruo 
ai  conlagj  si  in  Livorno,  durante  il  tifo  itterode,  che  in  Ancona, 
surto  il  colera  indiano.  N.  R.  vomitando,  perdette  i  sensi  sur  un 


224  Scienze 

sedile  del  palazzo  Dorìa  nella  via  del  corso  verso  le  ore  19  e 
mezzo  del  a5  settembre.  Mancando  sintomi  speciali,  e  la  certezza 
che  non  apparisser  poi,  attesa  la  indole  subdola  e  proteiforme 
del  morbo,  fu  mestieri  inviarlo  all'ospitale  del  Gesù  e  Maria;  ed 
a  tal  uopo,  non  potendo  giovarmi  della  barella  parrocchiale,  feci 
disinfettare  di  nuovo  quella  dello  stabilimento,  raccomandando, 
si  ponesse  l' infermo  in  luogo  di  osservazione.  Cade  in  acconcio 
scrivere,  ad  onore  del  vero,  come,  ben  lungi  dal  trovare  la  me- 
noma opposizione  per  queste  novità  negli  illustrissimi  signori  de- 
putati, li  rinvenni  anzi  benissimo  disposti,  eccitati  sempre  da 
quella  filantropia  e  gentilezza,  che  tanto  li  onora.  Cessata  la  con- 
dizione spasmodica  al  N.,  questi  spiegava  al  professore  Tagliabò, 
primario  dell'ospitale, una  forma  periodica,  volta  successivamen- 
te in  continua  sinoca:  quindi  il  fé  trasferire  in  s.  Spirito  nel 
quarto  giorno.  11  sacerdote  N.  D.  morì  improvvisamente  nel  con- 
vento di  s.  Andrea  della  valle;  vedutone  il  cadavere,  né  rinve- 
nuti i  succennati  sintomi,  né  altro  che  di  sospetto,  asserii  norz 
presentare  indizio  contagioso,  né  l'autossia  il  dimostrò. 

Non  attendendo  alla  fisonomia  particolare,  alla  condizione 
delle  estremità  ec.  ma  solo  alla  emetocatarsi,  si  potriano  vantare 
facilmente  curagioni  numerose  e  maravigliose. 

(i5)  Espressione  vivacissima  del  reverendo  sig.  d.  Giuseppe 
Genliluccl  vice  parroco  in  s.  Niccolò  in  carcere. 

(i4)  Gli  eccellentissimi  professori  Galli  e  Luchini,  miei  ami- 
ci, notavano  nell'ospitale  di  s.  Spirito,  che  quando  lo  stadio  al- 
gido si  protraeva  lungamente,  apparivano  larghe  enchimosi  su' 
cubiti  e  sulle  ginocchia,  decrescendo  ,  dendritiche,  tanto  supe- 
riormente, che  inferiormente. 

(i5)  Sintoma  particolarmente  osservabile  con  forma  miliare^ 
in  una  vittima  della  filantropia,che  fu  il  professor  Antonio  Caval- 
lini, noto  e  pregiato  dalla  repubblica  medica,  ed  in  M.S. serva  ec. 
(16)  Si  diceva  che  le  mosche  rifuggissero  dai  colerosi;  le  ho 
vedute  poggiarsi  sugli  algido-cianollci ,  e  sulle  materie  emesse. 
Sarebbono  gli  insetti  uno  dei  veicoli  del  contagio  ? 

(1^7)  S.  T.  e  S.  G.  rachitiche  ed  anziane  mancarono  In  po- 
che ore. 

(j8)  Forme  notate  nell'ospitale  di  s.  Galla,  e  nella  città, 
(jg)  Il  mio  pregevolissimo  amico  signor  N.  L.  narrava,  come 
nella  morte  del  padre,  vittima  del  funesto  morbo,  sofferse  formi- 
colamento  e  torpore  alle  braccia,  vinti  colle  frizioni  alcooliche; 
ai  quali  successe  affezione  morbosa  gastrica.  Fra  L.  da  M.  di  tem- 
peramento sanguigno  bilioso  fu  assalito  dalla  diarrèa  ;  la  sera 
seguente  si  aggiunsero  crampi  atroci  contrattivi  alle  sure  ed  alle 


Storia  del  colera  225 

piante,  alle  mani  tensivi,  pe'  quali  ordinai  frizioni  continue  collo 
«pirito  canforato.  Eseguite  egregiamente  nella  notte,  cessarono  i 
crampi  sul  meriggio  pel  sudore:  dopo  due  giorni  fu  assalito  da 
gastralgia,  che  continuò  per  di  cinque,  sendo  cessata  la  diarrea 
il  di  antecedente,  e  fu  guarito. 

(20)  B.  P.  di  temperamento  linfare  infermò  colle  periodiche; 
successe  colera,  poi  febbre  gastrica,  poi  tifode,  poi  eruzione  pe- 
ticulare,  anasarca,  di  nuovo  le  periodiche  e  fu  convalescente  sul 
quadragesimo  della  malattia.  Caduto  nuovamente  nelle  perio- 
diche, nuovamente  furono  debellate.  La  signora  B.  M.  anziana, 
pletorica,  soggetta  a  gastro-epatiti,  sofferse  il  colera  ,  in  seguito 
irritaziqne  epato-enterica,  ematocataisi  per  lungo  tratto;  ricu- 
perando lentamente  la  salute. 

(21)  Il  reverendo  signor  D.  G.  G.  dette  luogo  allo  svolgersi 
della  forma  sinoco-colerica  coH'assistere  nuovamente  i  colerosi 
appena  acquietati  i  crampi  e  diminuita  la  diarrea  ;  questo  zelo 
fu  cagione,  che  il  morbo  crescesse  fino  al  giorno  quattordicesimo 
con  dolore  toraco-epigastrico  acerbissimo,  né  volgesse  a  conva- 
lescenza prima  del  ventunesimo, 

(22)  B.  B.  ec.  ebbe  la  colerina  ,  sembrando,  che  il  sistema 
vascolare  e  1'  apparato  gastrico  soli  fossero  alquanto  più  pertur- 
bati, forse  anche  a  cagione  della  cura  subitanea,  vestendo  il  morbo 
forma  irritativa  gastrico-effemera. 

(*)  (23)  Riporteremo  una  autossia  cadaverica  relativa  alla 
forma  infiammatoria,  che  debbo  al  professore  Sarrecchia. 

Fu  trasp<^rtata  dalla  casa  degli  esposti  nell'ospitale  di  s.  Gio- 
vanni una  nutrice  sul  principio  del  contagio  romano,  la  quale 
presentava  sintomi  sospetti.  Posta  pertanto  in  luogo  appartato, 
non  fu  omesso  il  metodo  antiflogistico,  atteso  l'apparato  infiam- 
matorio ;  ma  lasciò  la  vita  sulla  metà  del  quarto  giorno  di  ma- 
latti^. 

Sezionata,  si  videro  polmoni  aderenti  alle  pareti  toraciche, 
turgidi  di  sangue  nereggiante,  poca  sieriosità  pericardiaca,  cuore 
voluminoso,  addome  teso  da  gas  nebbioso,  irritante,  quasi  di  sa- 
pore metallico  ,  stomaco  arrossato  ,  incrassato  intestino  digiuno 
contratto,  ileo  livido,  prossimo  a  cangrenarsi,  verso  la  valvola 
eruttivo,  con  fprma  miliare,  fegato  naturale,  cistifellea  gonfia  di 
bile  atra,  vena  cava  turgida  per  sangue  piceo,  vescica  contratta, 
vuota,  utero  infiammato,  cresciuto,  muccosa  uterina  cangrenata; 
sendo  istituita  questa  sezione  per  la  sola  conferma  della  diii- 
gnosi,  non  si  ricercaroqo  altre  specialità. 

(*)  (24)  Il  signor  L.  C.  di  florido  temperamento  sanguigno 
linfare,  di  età  matura,  nariava  avere  sofferto  patema  perturbante 

G.  A.  T.  LXXllI.  1 5 


226  Scienze 

pel  quarto  giorno,  dacché  era  stato  preso  dalla  diarrea  verso  il 
cadere  di  agosto,  nel  quinto  la  sferza  del  sole,  pioggia,  affatica- 
mento, inquietudine  pe'suoi  lontani.  Acchetò  una  molestia  epi- 
grastica  usando  pozioni  nevate  ed  ebbe  la  notte  tranquilla.  Nel 
mattino  sopravvenne  nausea,  vomiturizione,  borborimmi;  creb» 
be  sul  meriggio  la  noia  stomacale  ,  svegliandosi  crampi  e  lan- 
guore, per  le  quali  cose  tolse  in  breve  spazio  molte  gocce  di 
alcQole  canforato  ,  si  confortavano  le  membra,  ardeva  Io  stoma- 
co. Ebbe  subito  ricorso  all'olio  di  mandorle  dolci,  all'infuso  di 
camomilla,  quindi  vomito,  deliquio;  riavutosi  come  da  sonno 
placidissimo-,  bentosto  se  gli  affuocava  il  capo,  gli  si  freddavano 
l'estremità;  implorò  ed  ottenne  salasso  largo,  interrotto  da  li- 
potimie,  quindi  compiuto.  Successe  lo  stadio-algido-danotico;  lo 
stomaco  a  quando  a  quando  divampava,  con  senso  di  espansione, 
meno  molesta  e  strignimento  ;  le  frizioni  furono  frequentissime 
per  quattro  giorni  all'estramità,  alla  colonna  vertebrale  ;  la  mente 
serena,  operosa,  apalistica,  talvolta  lieta,  talvolta  velata  pe'  de- 
liquj  ;  segui  poscia  dimenticanza  delle  cose  occorse  ;  noU'unde- 
cimo  della  diarrea,  sesto  del  vomito,  incominciava  la  convalescen-? 
ja,  con  tormini,  dispepsia,  pirosi  notevole,  esacerbala  dal  deci- 
monouo  al  vigesiniosettimo  per  un  pò  di  vino  diluito.  Bevve  fino 
jl  quadragesimo  la  posca  con  sollievo. 

Ora  viene  molestato  da  ipocondriasi,  talora  da  amnesia  leg.. 
giera,  da  crampi  esacerbanti  ad  intervalli  nel  qiinacciare  delle 
vicende  atmosferiche,  durevoU  perfin  mezz'ora,  se  non  li  scioglie 
il  riposo  e  il  lepore. 

(*)  (25)  Sono  lieto,  che  queste  osservazioni  sieno  state  con- 
fermate dal  mio  amico  professor  Giuseppe  Pelrucci  osservatore 
diligenlissimo,  il  quale  mi  scriveva;  „  Rapporto  al  prognostico 
,,  del  colera  contagioso,  si  può  dire  per  esperienza  ,  che  allor-^ 
,,  quando  i  crampi  erano  il  primo  sintoma  nell'  invasione,  allor- 
„  quando  appena  comparso  il  vomito,  o  la  diarrèa  si  manifesta-r- 
,,  vano,  senza  gravezza  soverchia,  la  malattia  era  vincibile,  e  di 
„  breve  durata.  Una  giovane  di  gracile  temperamento  ,  per  ben 
„  due  volte  fu  assalita  da,  forti  crampi,  contemporaneamente  alla 
,,  diarrea,  ma  nello  spazio  di  qualche  ora  la  malattia  si  sciolse. 
,,  Altra  giovane  di  temperamento  sanguigno  soffri  per  qualclic 
,,  ora  dapprincipio  crampi,  quindi  angoscia  allo  scrobicolo  del 
,,  cuore,  vomito  leggiero  e  tornjini;  ricuperò  presto  la  salute.,, 
(*)  (sjfj)  Il  alio  amico  professor  Giuseppe  Ponzi,  curatore  in-r 
defesso  degli  ammorbati,  ebbe  diarrèa  giudicatrice, 

C)  (37)  ,,  Arcanum  quendani,  ac  inexplicabilem  conseusuni 
,,  obsetvavimiis  ii}ler  morbos  vcnlj-is,  et  lugrbos  cutis  ,,.  Caglivi 


Storia  del  colera  22T 

,,  della  pratica  medica,  aforismi  sulla  colica:  Alvi  laxitas,  cutis 
,,  densitas;  cutis  raritas,  alvi  densitas.  „  Ippocrate  citato  dal  Ba- 
glivi  nel  medesimo  aforismo  ,,  Quod  si  .  .  .  et  veuter  suppressus 
,,  fuerit,  et  stotnaclius  cibos  adiiiittat ,  neque  evomal ,  pulsus 
,,  magni  et  validi  sint  et  couvulsio  desinai,  sed  calar  ubique 
,,  increscat  et  exlrema  infestet,  soinnus  vero  omnia  concoquat  , 
„  secundo  die,  aut  tertio  solvendus  est  aeger,  et  ad  consueta 
„  mittendus  ;  at  contra  si  omnia  vomitu  i-eijciat,  sudor  perennis 
„  effluat,  frigeat  laborans  etlividus  fiat,  pulsus  etiam  prope  ex- 
,,  tincti  sint,  et  vires  cadant ,  quum  ita  inquam  se  Iiabuerit , 
,,  inde  honestam  fugam  capessero  bonum  est.  ,,  Areteo  delle 
cause,  e  segni  de'morbi,  L.  a  G.  5  tradotto  e  pubblicato  per  cu- 
ra di  Boerliaave. 

(aS)   La  compagna  del  mio  amico  L.V.  non  si  parli  da  pres- 
so lui  agonizzant>i;  ve  la  strigneva  amore   di  moglie,  E   quando 
il  misero  sospirava   per  l'ultima   volta,  ella,  non  che  si   lasciasse 
cadere,  si  gittò  colla  sua  sopra  la  bocca    di  lui,  la  baciava,   spe- 
rando forse  fermarne  la  vita  fuggente,  o  d'una   morte   entrambi 
1        morire;  però  non  contrasse  il  contagio,  quantunque  gravida.  Gio- 
I       vinetta  e  bella,  vive  lult'ora  profondamente  mesta,  sempre    fisa 
I        nelle  Immagini  della  felicità  perduta. 

I  (*)  (29)  ,,  In  pesslmis    aphtis   molestus,   et  funeslus   singul- 

I  tus.  ,,  Boerhaave,  Aforismi  del  conoscere  ,  e  curare  le  malattie 
(§.  99^1.)  (Si  sìngultus  accedat  (diarrheae,  vel  dyssenteriae)  le- 
thale.  Raglivi,  Afoiismi  della  diarrea,  e  della  dissenteria. 

(3o)  Non  raro  (cliolera  sporadica)  iuflaminntionem,  gangrae- 
„  nam,  syncopem,    aut  lienteriam,  febrasque   leutas    Inducit.  ,, 

ÌBorsieri,  Delle  istituzioni  di  medicina  pratica  T.  4-  C.  4- 
Il  dottor  Antonio    Cavallini  già  ricordalo   dopo   sofferto   il 
colera  pali  affezione  reumatica;  convalescente,  cadde  in  un  mor- 
bo proteiforme  con  sembianza   dapprincipio  periodica,  poi   ga- 
strico-muccosa  con  turbamento  delle  vie  urinarie,  forse  per  con- 
comitanza di  antitesi  podagrosa  ;  nuovamente  apparve  la  forma 
^       periodica,  spegnendosi  la  vita  afflitta  verso  il  giorno  quadragcsi- 
'      mo  del  terzo  malore.  Il  polso  si  mostrò  quasi  sempre  angioilico. 
(*)I1  suUodalo  professor  Pelrucci  mi  scriveva;  ,,  Costa  dagli 
j,  scrittori   sul   colera   asiatico  ,  e  dalle  nostre   osservazioni,   che 
,,  sono  funestissime  le  successioni  di  esso.  Un'uomo  guarito    dal 
,,  colera  fu  preso  da  febbre,  e  nel  settimo  giorno  niori   apoplel- 
,,  tico.  Altro  uomo  similmente,  dopo  i  sintomi  colerici,  fu  attac- 
I      ,,  calo  da  cistite,  e  ne  peri  dopo  due   mesi.  ,,  M.  L   serva,  ces- 
I       salo  il  morbo,  è  divenuta  maniaca. 

Il  mio  pregiatissimo  amico  Alceo  Fcliciani,  professore  di  chi- 


228  Scienze 

rurgia,  clopo  il  colera  sofferse  e  soffre  tutt'ora  ad  intervalli  ppr 
qunlche  minuto  primo  crampi  molesti  alle  sure  ed  alle  piante, 
in  ispecie  quando  vi  ha  squilibrio  elettrico  nell'atmosfera.  Un 
medico  dai  sintomi  prodromi  colerici  ha  sperimentato,  e  speri- 
menta senso  notabile  di  freddo. 

(*)  (3i)  Il  sullodato  professor  Ponzi  notò  ascessi  depuratori". 

(32)  Il  sullodato  sig.  D.G.  G.  sofferse  la  pirosi. 

(33)  Sintomi  tollerati  dal  medico,  il  quale  soffre  senso  di 
freddo. 

(34)  Se  vi  fosse  uno  specifico  contro  il  colera  straniero^  ogni 
cura  senza  quello  sarebbe  vana,  come  ogni  cura  è  vana  senza 
gli  alcoloidi  della  china   contro  le  affezioni   periodiche  speciali? 

C)  (35)  ,,  Si  in  talis  morbi  initie  purgans  datur,  aphtae  .  .  . 
praecaventur.  ,,  Bperhaave  nel  luogo  citato. 

(36)  G.  V.  (v.  e.  s.  26)  ebbe  la  diarrea  precedente  il  colera 
per  dì  i4»  Fra  L.  da  M.  crampi,  ed  una  gastragia  dopo  la  appa- 
rizione della  diarrèa.  Il  professor  chirurgo  Antonio  Volpi,  seb- 
bene usasse  il  tamarindo  contro  questa,  fu  vittima  del  colera 
succedenle. 

(5t)  Il  vajuolo,  il  morbillo,  la  scarlattina  ec.  per  quante  cau- 
tele si  usassero  sempre  fiorirebbono. 

(38)  Fu  amministrato  l'alcoole  canforato  al  reverendissimo 
s.  D.  G.  G.  senza  che  io  il  sapessi  ;  ma  dovette  lasciarlo  subita- 
mente, perchè  risvegliava  la  fierezza  del  cingolo  precordiale 
(v.  n.  1/^) 

(39)  Non  lo  tolleravano  fra  le  altre  C.  C.  e  P.  G.  (v.  e.  s. 
n  e  i4)  Forse  largamente  diluito,  addolcito,  saria  stato  meno  per- 
turbante.'' 

[*}  (4o)  ,,  Dolores  ventris  a  deambulatione  nudis  pedibus  su- 
„  per  frigidum  pavimentum  facta,  appositis  lateribus  calidis  plan- 
„  lis  pedum,  statini  sanantur,  crescente  namque  calore  in  pedi- 
,,  bus  imminuitur  sensim  dolor  in  ventre.  ,,  Baglivi  afor.  cit. 
„  Porro  si  frigidi  etiam  pedes  sint,  unguine  et  adarce  et  euphor- 
,,  bio  inungito,  et  lanis  abvolveto.  Areteo  nel  1.  e.  ,,  Si  extreinae 
,,  partes  corporis  frlgent,  ungcndae  sunt  calido  eleo,  cui  cerae 
,,  pauilum  sit  adjutum,  calidisque  fomentis  nutriendae.  Si  ne 
,,  sub  iis  quideni  quies  facta  est,  extrinsecus  contra  ventriculum 
„  ipsum  cucurbiliila  admovenda  est,  aut  sinapi  superimponen- 
,,  dum.  Celso  l.  6  e.   11. 

(4i)  Consigliarono  l'applicazione  della  neve  sullo  scobricolo 
del  cuore  al  reverendo  D.  G.  G.  il  quale  dovette  toglierla  all'  i- 
stante,  e  ricorrere  alle  fomentazioni  da  me  sempre  a  lui  com- 
mendale. 


Storia  del  coleri  229 

(42)  Pochi  salassi  furono  prescritti  alla  signora  P.M.»  a  M.  S. 
(v.  n.  s.  i3  19.)  1  a  M.  A.  Questo  ultimo  sofferse  le  periodiche 
prima,  e  dopo  il  colera  (v.  n.  6.)  che  spiegò  forma  complessiva- 
inenle  subangioitico-gastrica;  e  guarirono  perfettamente.  O.  V., 
curato  egregiamente  del  morbo  dal  mio  collega  sig.  d.  Muzio,  im- 
provvisamente  assalito  da  colica,  con  forma  iuQammatoria  fu  da 
me  visitato  per  comando  degli  illustrissimi  signori  deputati  della 
C.  di  s.  ,  non  potendosi  rinvenire  in  quel  momento  il  preloda- 
to dottore;  cousiderando  alla  affezione  preceduta  non  prescrissi 
salasso,  facendo  applicare  invece  dodici  sanguette  all'ipogastrio, 
togliere  olio  di  ricino,  e  calmante  freddo.  Non  avendo  rivedu- 
to rinfermo,  perchè  non  spettava  a  me  il  curarlo,  odo  dai  pa- 
renti, che  là  malattia  sovraggiunta  fu  debellata  con  queste  sem- 
plici indicazioni.  Un  metodo  più  attivo  saria  stato  più  vantag- 
gioso ? 

(43)  j,  Molti  pur  sono  anch'oggi,  che  pensano  di  riporre 
j,  nella  lesione  immediata  del  sistema  nervoso  e  ne'  suoi  tuiba- 
,,  menti  dinamisi  l'azione  totale  de'veleni.  Fontana  ...fu  il  pri- 
„  nio  a  far  crollare  cotesta  massima.  Nysten  provò,  che  gli  effetti 
„  dell'òpio  introdotto  nello  stomaco  sono  sempre  gli  stessi,  ben- 
,,  che  si  taglino  i  nervi  di  quell'organo.  Le  sperienze  di  Magen- 
,,  die  e  Delille  sull'avvelenamento  degli  animali  decapitati,  quelle 
,,  di  Brodie  col  woorara,  quelle  di  Wedemeyer,  di  Emmert  e  di 
,,  Viborg  coU'acido  prùssico  applicato  immediatamente  sui  cor- 
;,  doni  nervosi,  provano,  che  la  ipotesi  dell'azione  immediata  dai 
„•  veleni  sul  sistema  nervoso  patisce  assai  eccezioni,  che  non  è  da 
„  potersi  generalizzare  a  tutti  i  veleni  e  che  non  contrassegna 
,,  il  loro  modo  dinamico  di  agire  quel  primo  atto  deleterio,  che 
,,  arreca  la  niorte.  ,, 

„'  La  maggior  parte  invece  dei  moderni  tossicologi  sembra 
„  inclinata  ad  attribuire  1'  azione  dei  veleni  alla  loro  introdu- 
,,  zione  nel  torrente  circolatorio.  Chrisistou  e  Coindet  hanno 
„  sospesa  l'azion  venefica  di  alcune  sostanze  introdotte  nelle  ve- 
„  ne,  per  mezzo  della  legatura  dell'aorta.  Il  Magendie  però  colia 
„  trasfusione  del  sangue  di  un  cane  avvelenato  coU'upas  nelle 
,,  vene  di  altro  cane  sano,  non  vide  effetti  venefici.  Non  sempre, 
,,  né  tutti  i  veleni  adunque  spiegano  la  loro  azione  mortifera  pri- 
„  mitiva  nel  sangue;  e  troppo  ignoti  sona  altronde  i  rapporti, 
„  che  tra  il  sangue  e  il  sistema  nervoso  esistono  per  assicurarsi, 
,,  che  in  molti  casi  quel  primo  non  sia  piuttosto  un  veicolo  di 
„  una  azione,  che  va  a  fare  intera  esplosione  sui  nervi.  (Lezioni 
di  medicina  legale  del  professor  Francesco  Puccinotti.  L.  i8  §.9.) 
{*)  II  Mugeudie  sospese  l'azione  venefica  in  un  cane,  injcitando- 


ii30  Scienze 

gli  nelle  vene  quaiilità  notevole  di  acqua.  Meditando  su  questo 
fatto  il  dottor  Verniere  istituì  alcuni  sperimenti,  dai  quali  fu 
invitato  a  concliiudere,  che  inducendo  ,,  nel  membro  avvelenato 
,,  una  pletora  locale  per  mezzo  di  una  legatura  mediocremente 
,,  stretta,  basterà  aprire  una  delle  principali  vene  della  parte  iu- 
,,  gorgata  per  produrre  lo  scolo  del  sangue  carico  del  principio 
,,  velenoso.,,  Vedi  Ann.  unlv.  di  med.  deirOmodei  t.  49- Ninno 
ignora,  che  alcune  affezioni  contagiose,  come  la  lue  sifilitica,  la 
peste,  attaccano  primitivamente  il  sistema  linfatico,  d'onde  i  bu- 
boni,  i  gavoccioli  ec 

(*J  (44)  Aberrazioni  di  motilità  di  Reimann,  di  Puccinotti 
(v.  Lezioni  sulle  malattie  nervose  di  questo  L.  6). 

(45)  Il  colera  contagioso,  detto  asiatico,  indiano,  risultante 
da  un'esantema  poliinoi-fo  sul  velamento  muccoso,  a  prevalenza 
miliare,  potrebbe  chiamarsi  esantema  miliare  interno? 

(*)  (46)  L'afonia,  che  non  è  registrata  in  questi  quadri,  fu 
notata  dal  Bagllvi;,,  Quod  ut  plurimun»  homines  ex  improviso  et 
„  sine  uUa  causa  nianifesta  et  signis  alios  morbos  comitantibus 
,,  in  subitum  vitae  discrimea  incidunt  et  cadunt  velut  apople- 
,,  etici  eum  exlremilatilius  frigidis,  pulsu  exib'ssimo  ....  apho- 
nia.  ,,  (Aforismi;  de'lumbrici  di  fanciulli';  quindi  dal  Landre  Beau- 
vais  in  qualche  irritamento  delle  vie  digestive,  scrivendo  ,,  Tal- 
,,  volta  l'afonia  dipendette  da'vermi,  o  da  altre  materie  noce- 
,,  voli  contenute  nelle  prime  vie  e  fu  guarita  dai  vomitivi.  ,,  Di- 
zionario class,  di  med.  art.  Afonia  ;  ed  il  Baglivi:  ,,  In  colice  bi- 
,,  liosa  succedit  frequenter  aphonia  et  vox  rauca  et  per  totum  fe- 
,,  re  morbi  decursum  durat.  ,,  Pietro  Frank  (Epitome  del  conosce- 
re e  curare  le  malattie  t.  3,  o.  2,  gen.  5j,  dice,  essere  i-auca  la 
voce  di  bambini  aftosi.  V  ha  parinìenti  qualche  sintomo,  come 
il  senso  di  sazietà,  che  si  può  osservare  in  alcune  forme  irritati- 
ve enteriche. 

(47)  Alcune  diarree,  dissenterie,  talvolta  il  colera  sporadico, 
alcuni  reumi  catarrali,  non  risultano  da  perfrigerazione  cutanea  ? 
Gli  argomenti  che  irritano  con  tratto  di  membrana  muccosa  non 
commovono  gli  altri?  non  inducono  spesse  volle  antitesi  der- 
mica ?  Su  questi  consensi  non  sono  fondate  alcune  indicazioni 
terapeutiche  ? 

Nello  stadio  algido  delle  periodiche  ,,  ungues  et  labia  li- 
,,  vent,cutis  anserina  fit  et  maculis  interdum  cocruleis  notatur,, 
Giuseppe  Frank,  Precetti  di  pratica  medica  universale  voi.  i  , 
p.   I,  e.    1,  §.   11. 

,,  His  vomiilbus  et  dejectionibus  copiosis  et  crebris  non- 
,,  nuiHjuam   adjungitur  singullus,  vox  rauca  et  quasi    clangori 


Storia  del  colera  231 

^,  sìmiiis,  oculoriim  dcpressio,  angor  stomachi,  sudatluncula  circa 
jj  frontern,  pulsus  exilis,  exti'emoruin  perfrigeialio,  aut  Iwidiis 
,,  color,  ciincta  scilicet,  quae  propria  sunt  cliolerae  morbi.  ,, 
Gode  l'animo  nel  trascrivere  queste  osservazioni  del  nostro  Bor- 
stcri  sulla  terzana  colerica,  dimostranti  quanto  egli  si  fermasse  a' 
sintomi  (Delle  istituzioni  di  medicina  pratica,  tomo  primo  parte 
prima.) 

(*)  (48)  Nell'aumento  secretorio  gastro-enterico  sembra,  clie 
la  muccosa  epatica  e  cistica  separino  maggior  copia  di  bile,  donde 
il  turgore  della  cisslfellea.  Che  lo  spasmo  del  caledoco  vieti  l'e- 
gresso biliare.'*  Che  l'avvizziniento  successivo  allo  spasmo  per- 
metta l'egresso  della  bile,  donde  le  egestizioni  giallo-verdognole, 
corrispondenti  a  qualche  grado  di  solazioni  contrattive? 

(*)  (49)  Per  lesione  della  sostanza  nervosa  ,  secondo  le  idee 
del  Pucciaotti  (Lezioni  sulle  malattie  nervose.) 

(*)  (5o)  „  Solent  autem  aphtas  in  ore  apparituras  praece- 
,,  dere  febris  continua  putrida,  aut  intermiltens,  continua  ia— 
„  età,  incipiens  cum  diarrhoea,  vel  dysenteria,  magna  et  perpe- 
,,  tua  nausea,  vomitus,  prostratus  appetltus  ,  anxietas  ingens, 
,,  saepe  repetens  circa  praecordia,  debilitas  magna,  magna  eva- 
,,  cuatio  quaecuinque  humorum  .  .  .  perpetua  querela  de  pon- 
,,  dere,  et  dolore  circa  stomachum.  ,,  Boerhaave  nel  luogo  cita- 
lo §.980. 


232 


Continuazione  della  rivista,  di  alcuni  lavori  di  me- 
dico argomento  pubblicati  dai  sigg.  proff.  Medi- 
c/,   Ferrarese,   Paolini,   Borelli,    Valentini,   ecc* 


Della  necessità  di  sottoporre  in  medicina  le  pro- 
prie osservazioni  ed  i  proprii  giudizi  alle  osser- 
vazioni ed  ai  giudizi  dei  periti  dell'arte.  Ragio- 
namento del  prof.  Ippolito  Borelli  professore  di 
clinica  e  di  operazioni  chirurgiche  nel  reale  li- 
ceo, letto  alla  reale  accademia  lucchese  di  scien- 
ze lettere  ed  arti  nelt adwuinza  de"  28  maggia 
1836.  Lucca  1837. 


.entre  esperienza  ed  osservazione  ovunque  ri-- 
suona,  cJ  altamente  si  fa  stima  da  tutti  di  apprez- 
zarle, osserva  con  dolore  il  sig.  Borelli  che  tentia- 
mo ad  ogn'istante  intuonare  alle  orecchie,  che  l'ar- 
te nobilissima  di  guarire  non  potè  raggiungere  gli 
avanzamenti  di  che  si  pregiano  le  scienze  mediche, 
appunto  per  aver  perduto  di  mira  Y esperienza  e 
Y osservazione.  Da  sì  grande  ed  aperta  contraddizio- 
ne dì  linguaggio  è  tratto  il  N.  A.  a  dubitare,  che 
l'indicato  ritardo  ai  progressi  dell'arte  salutare,  pur 
troppo  verificato  ai  giorni  nostrii  non  derivi  già  dal- 
Taver  perduto  di  mira  l'osservazione  e  l'esperienza, 
ma  piuttosto  dall'aver  preferito  la  propria  osserva- 
zione ed  i  propri  giudizi  alla  osservazione,  alia  es- 
perienza ed  ai  giudizi  dei  periti   dell'arte.  Or  co- 


Rivista  Medica  23^ 

testo  errore  gravissimo  di  dialettica,  che  si  crede- 
rebbe appena  possibile  nel  secol  nostro  che  si  pre- 
tende il  pili  illuminato  ed  il  piìi  dotto  di    quanti 
mai  ne  trascorsero,  viene  dal  sig-  Borelli  giustamen- 
te dimostralo  frequentissimo  ili  medicina.  Va    egli 
foborando  il  suo  asserto  con  chiamare  in  sulle  pri- 
me a  rassegna  alcuni  fatti  interessanti  di  clinica,  ed 
in   essi    rileva   l'odierno   declinar  notevole    di  talu- 
ni   processi   operatorii    dalla   retta   osservazione   ed 
esperienza,   su   cui   era  basato  il  consenso  universale 
dei   dotti.  Cos'i   in    fatti  in  opposizione  a  quest'ul- 
timo  si    pretende   in    oggi    curare   gli   ascessi  linfa- 
tici e  gli  ascessi  per  congestione  con  incisioni  cro- 
ciali   tanto  profonde  e  vaste,  che  pongano  allo  sco- 
perto tutta   l'area  dei  medesimi.  E  quasiché  la  ca- 
rie  delle   ossa   paragonare  si   potesse   ad   un*  acuta 
infiammazione   del   tessuto    cellulare   e    della  cute  ^ 
si    raccomandano    come    l'imedio    sicuro   ed    efficace' 
le   generose   dep lezioni    sanguigne  ,    anche   in   quei 
casi  nei   quali   tanto  grave  complicazione  esiste  iti 
parti  assai   lontane  da   quelle^  in  cui  comparvero  le 
marce  a  far   tumore.  —  Così   contro  l'unanime  sta- 
bilito accordo  de'chirurghi   si    sostengono   opinioni 
incoerenti  sullo    scirro  ed  il   cancro,  si  annunzia  il 
perfetto  combaciamento   dei  pezzi  di    un  osso  frat- 
turato senza  la  quiete  assoluta  dei  medesimi^  si  ri- 
chiama la  proscritta  pratica    delle   suture    cruente 
riservata  solo  a  qualche    molto    raro   incontro  ,   si 
proclama    senza    riguardo  e  distinzione   come  mez- 
zo sicuro  ed  efficace    l'amputazione  delle    membra 
comprese  da  gangrena  ,  e  si  abbandona   perfìn  dal 
eh.  Dupuytren  la  tanto  conosciuta  necessaria  avver- 
tenza di  risparmiare  nelle  amputazioni  delle  mem- 
bra una  certa  quantità  di  parti   molli  a  difesa  del 


234  S    e    I    E    N    X    tì 

moncone.  Validamente  però  si  oppone  ai  progJ*es- 
s'\  dell'arte  di  guarire  siffatto  sconsigliato  procede- 
re, assai  ovvio  in  medicina,  di  anteporre  le  pro- 
prie osservazioni  e  giudizi  alle  osservazioni  ed  ai 
giudizi  dei  periti  dell'arte* 

Dal  consenso  universale  dei  dotti  ripeter  deb- 
besi  quanto  vi  ha  di  certo  e  dimostralo  nella  sto- 
ria nella  morale,  nella  filosofia,  nella  giurispruden- 
za, nella  politica  ,  nelle  Itìggi  sociali  j  nelle  arti  e 
nelle  scienze  ;  e  quanto  vi  ha  di  errore  e  di  dub- 
biezze derivò  in  ogni  tempo  dall'aver  seguito  le  pro- 
prie osservazioni,  i  proprii  lumi,  la  ragione  indivi-» 
duale  e  privata.  Ed  altrettanto  si  dimostra  dal  sìg< 
Borelli  essere  costantemente  avvenuto  in  medicina^ 
Nella  osservazione  era  riposta  quest'arte  benefica  pei' 
quel  periodo  di  tempo  che  trascorse  dalla  sua  pri-' 
ma  origine  fino  alla  pubblicazione  delle  opere  dell' 
immortale  Ippocrate  dì  Goo  ;  ma  i  cultori  quin- 
di dell'arte  salutare,  penetrati  della  fallacia  di  una 
medicina  puramente  imitativa,  e  dei  pericoli  ai  qua- 
li conduceva  l'amministrare  a  caso  e  senza  guisa  i 
rimedi  ,  dovettero  necessariamente  conoscere  il  bi- 
sogno di  guardare  un  pò  piìi  addentro  le  cose  e  non 
fidarsi  unicamente  alle  apparenzier,  non  regolando  per 
tal  modo  i  giudizi  loro  sul  consenso  universale  dei 
preceduti  sapienti.  Si  gareggiò  quindi  negli  esami, 
nelle  analisi,  nei  confronti,  nei  dubbi,  nei  sospetti, 
e  ne  sursero  in  medicina  le  congetture,  i  ragiona- 
menti, le  induzioni,  le  teoriche  delle  malattie  fino 
allora  osservate  stupidamente,  per  usar  la  frase  di 
un  gran  maestro.  Ne  lice  dirsi  perciò,  che  la  mag- 
gior parte  dei  medici  abbandonasse  il  buon  sentie- 
ro a  pregiudizio  dell'arte;  poiché  le  induzioni,  che 
i  medesimi  ne  trassero  dai  fatti  e  dalle  cose  osser- 


Rivista  Medica.  233 

vate,  non  sono  nella  sostanza  diverse  dai  fatti  stes- 
si, dei  quali  sono  anzi  una  conseguenza  legittima  , 
necessaria,  immediata;  induzioni  anzi  indispensabili 
a  costituire  la  buona  osservazione,  di  cui  sono  la  mi- 
glior parte  ed  il  compimento,  come  giustamente  ri- 
fletteva il  Zimmermann.  Nocquero  bensì  ne'progres- 
si  dell'arte  le  teorie  di  Temisene  ,  di  Erasistrato  , 
di  Erotllo,  di  Tessalo  di  Tralles,  di  Asclepiade,  di 
Galeno,  di  Paracelso,  di  Wan-helmonzio,  di  Silvio 
de  la  Boe,  del  Borelli,  del  Bellini,  del  Gaubio,  del- 
rHoflfmann,  del  Gullen,  del  Brown,  e  di  altri  molti 
che  qui  non  giova  il  ricordare.  E  nocquero  appun- 
to, perchè  gli  autori  delle  medesime  non  seguirono 
che  i  propri  lumi  ,  la  propria  ragione  ,  disprez- 
zando le  osservazioni  ed  i  giudizi  de'  lor  colleglli. 
Siccome  per  altro  alle  medesime  teoriche  non  si 
piegò  l'animo  di  tutti  i  dotti:  così  a  tutti  coloro  (e 
furono  la  maggior  parte)  che  resistettero  alla  pre- 
potente influenza  delle  teorie  generali  e  dei  siste- 
mi, dobbiamo  noi  tutto  quello  che  di  buono  e  di 
certo   possediamo  in  medicina. 

Or  quella  istessa  norma  di  umana  prudenza,  che 
presiedeva  all'origine  ed  agli  avanzamenti  dell'arte, 
dirige  ancora  la  mente  dei  cultori  della  medesima 
nell'applicarne  le  regole  alla  pratica.  Se  dubbia  in- 
fatti ed  equivoca  ci  sembra  la  natura  delle  malat- 
tie alla  nostra  cura  affidate,  o  quando,  ad  onta  di 
una  diagnosi  rettamente  istituita,  non  si  veggono 
coronati  di  esito  favorevole  i  nostri  sforzi,  onde  ri- 
muover dall'animo  il  timor  dell'  inganno,  i  dubbi 
e  le  incertezze,  ricorriam  tosto  ai  consigli  ed  alla 
pratica  dei  nostri  colleghi  ;  e  se  i  giudizi  di  cjue- 
sti  non  giungono  talfiata  a  togliere  intieramente  le 
dubbiezze,  noi  seguitiamo  il  parere  del  maggior  nu- 


236  Scienze 

mero  e  dei  plìi  dotti  e  più  sperimentati  nell'arte,- 
perchè  reputiamo  in  loro  maggior  autorità  e  maggior 
consiglio.  Che  se  negl'  incontri  di  non  perfetta  con- 
cordia ciascheduno  persistesse  tenacemente  nella  opi- 
nion sua  ,  sdegnando  scendere  nell'altrui,  le  incer- 
tezze non  toglierebbonsi  ih  chi  dirige  la  cura,  ne 
profitto  alcuno  all'  infermo  da  tal  contegno  ridon- 
derebbe. E  fievoli  non  sono  raiica  le  ragioni  per  le 
quali  il  medico  prudente  debbe  in  ogni  cosa  ri- 
portarsi al  sentimento  ed  al  giudizio  dei  periti  delT 
arte.  La  ragione  individuale  o  privata  (solendo  o- 
metter  per  brevità  le  altre  tutte,  che  molte  sareb- 
bono)  lungi  dal  rischiarare  le  tenebre  del  nostro 
intelletto  ,  non  solo  ci  lascia  nei  dubbi  che  ci  de- 
rivarono dai  sensi  e  dall'  intimo  coriviricimento,  ma 
bene  spesso  questa  facoltà  dell'animo,  che  ne  distin- 
gue dai  bruti,  a  nient'altro  ci  giova  che  ad  avva- 
lorare ed  accrescere  i  dubbi  medesimi.  Che  di  ve- 
ro, se  per  opera  della  ragione  vediam  risplendere 
le  verità  più  importanti  ;  pe'  sofismi  e  per  le  allu- 
cinazioni della  medesima  vediamo  sorgere  le  più 
assurde  opinioni,  tanto  più  che  incerte  ed  imper- 
fette sono  le  nostre  cognizioni.  ,,  E  se  questo  è  ve- 
rtì  di  tutti  gli  uomini,  non  dovrà  il  medico  dif- 
fidare' dei  propri  lumi  ,  e  delle  cognizioni  che 
gli  provengono  dai  sensi,  dall'evidenza,  dalla  ra- 
gione ?  Il  medico  che  non  conosce  se  non  imper- 
fettamente le  cagioni  dei  morbi,  la  natura  e  l'  in- 
dole dei  medesimi,  la  tessitura  e  l'  intima  costi- 
tuzione della  macchina  umana ,  le  funzioni  che 
le  competono  nello  stalo  di  salute,  le  alterazioni 
che  queste  subiscono  nello  stato  di  malattia,  e  gli 
effetti  dei  rimedi  che  si  applicano  al  corpo  u- 
mano  ?  Qual  peso  potranno  avere  le  disposizioni 


fi 


Rivista  Medica  237 

3,  di  un  sol  metlico  (fosse  pur  egli  un  SytlenU^m, 
„  un  Borsieri,  un  Pietro  Franck)  in  un'arte,  nella 
,,  quale  il  giudizio  è  cliflicile,  l'esperimento  peri- 
,,  coloso  ?  Ove  le  apparenze  ti  sembrano  realtà,  le 
„  realtU  ti  sembrano  apparenze  ?  Ove  malattie  di 
„  natura  totalmente  diversa  li  presentano  lo  stesso 
,,  apparato  di  sintomi,  ed  ove  le  malattie  che  in  nul- 
,,  la  differiscono  nel  fondo  loro,  ti  presentano  una 
,,  serie  di  fenomeni  totalmente  diversi?  Ove  l'ecci- 
„  tamentp  ti  sembra  difettivo,  quando  è  inalzato  al 
„  suo  pili  alto  grado:  ed  elevato  al  sommo,  quando 
,,  è  ridotto  a  tanto  di  debolezza  che  non  ammette 
,,  più  guarigione  ?  Chi  avrà  tanta  fiducia  nelle  forze 
„  della  sua  mente  da  ripromettersi  di  schivar  sem- 
„  pre  tutti  gli  equivoci,  tutti  gli  errori  che  deri- 
„  var  possono  dall'età,  dal  sesso,  dalla  fisica  costitu- 
„  zione  degli  ammalati,  dalle  loro  consuetudini,  dal- 
„  le  loro  passioni,  da' climi,  dalle  costituzioni  at- 
,,  mosferiche,  e  da  mille  altre  cause  non  solo  dif- 
,,  ficili  a  calcolarsi,  ma  bene  spesso  inosservate  ed 
,,  occulte?  ,, 

Non  intende  però  il  N.  A.  con  questo  linguag- 
gio frapporre  un  ostacolo  ai  progressi  dell'arte  stessa. 
Da  che  troppo  è  palese  la  differenza  che  passa  fra 
conoscere  e  conoscere  con  certezza  ;  fra  l'arricchire 
un'arte  ed  una  scienza  di  nuove  cognizioni,  di  nuovi 
fatti,  e  lo  stabilire  una  regola  ed  un  criterio  per 
discernere  la  verità  dall'errore  ;  regola  e  criterio 
indispensabili  per  non  essere  costretti  a  dubitare  di 
tutto  senza  eccezione;  regola  e  criterio  che  non  pos- 
sono trovarsi  nella  ragione  di  tutti  i  dotti.  Potremmo 
noi  infatti,  aggiugne  il  N.  A.,  dichiarare  esser  falso 
tutto  quello  che  si  oppone  al  consenso  universale 
dei  periti  dell'arte,  incerto  e  dubbioso  ciò  che  as- 


'238  Scienze 

seriscono  alcuni,  contraddicono  altri,  e  certo  uni- 
camente quello  che  concorda  colle  testimonianze  di 
tutti  o  della  maggior  parte  dei  dotti,  se  mancassero 
le  invenzioni,  le  scoperte,  i  fatti  che  sono  il  fonda- 
mento ed  il  subietto  della  questione  ?  Ma  non  deb- 
bono d'altronde  dimenticarsi  giammai  i  sani  prin- 
cipii  della  medica  filosofia,  l'ol^livione  dei  quali  co- 
stituisce un  ostacolo  gravissimo  ai  progressi  dell' 
arte.  La  nuova  dottrina,  proposta  da  Brown  ai  cul- 
tori dell'arte  salutare,  non  era  forse  manifestamente 
contraria  alle  massime  ed  alla  pratica  di  tutti  quelli 
che  preceduto  l'avevano  nella  onorata  carrieraPQuan- 
ti  vi  eran  titoli  per  isperare,  che  i  periti  dell'arte 
stessa  non  l'avrebbero  accolta  innanzi  di  averla  raf- 
frontata coi  fatti  e  colle  cliniche  osservazioni?  Ep- 
pure la  miglior  parte  dei  medici  di  Lamagna  e 
d'Italia  errò  lungamente  dietro  alle  teoriche  dello 
scozzese  riformatore:  e  per  ricondurli  sul  buon  sen- 
tiero fu  d'uopo  dell'opera  di  molti  lustri.  Ma  di  si- 
miglianti  teoriche,  che  i  veraci  progressi  ritardano 
dell'arte,  la  caduta  è  sempre  certa,  perchè  gì'  in- 
ventori di  esse  le  innalzano  sul!'  instabile  fonda- 
mento del  proprio  ingegno,  e  qualche  volta  di  una 
fervida  fantasia  ;  a  differenza  delle  teoriche  risul- 
tanti da  conseguenze  immediate  legittime  dei  fatti, 
ed  a  questi  soli  strettamente  legate,  delle  quali  sa- 
rebbe ardimento  il  dubitare,  e  colle  quali  si  sa- 
rebbe conseguito  1'  intento  d'  innalzare  una  teoria 
generale  che  uguagliar  si  potesse  a  tutte  quelle  che 
pili  si  pregiano  nelle  scienze  e  nelle  arti  induttive. 
Si  emancipò  talvolta  da  qualche  vile  servaggio  l'u- 
mano spirito,  come  da  quel  d' Aristotele  con  gli 
sforzi  sempre  lodevoli  del  Cartesio  ;  ma  questi  a 
torto  sostituì  a  tanto  incerto  criterio  altro  criterio 


Rivista  Medica  239 

più  incerto  ancora,  con  sostituire  la  ragione  indi- 
viduale e  privata  ad  altra  ragione  egualmente  privata 
ed  individuale.  Tanto  egli  è  vero,  che  gli  errori 
in  quei  calamitosi  tempi  derivanti  alla  .filosofica 
disciplina  non  provenivano  già  dall'aver  seguito  la 
testimonianza  ed  il  consenso  del  genere  umano  o 
dei  periti  della  medesima  ;  ma  provenivano  Lensì 
dall'aver  seguito  l'autorità  privata  di  un  sol  uomo, 
che  per  essere  di  lumi  superiori  a  tutti  gli  altri 
del  suo  tempo,  e  però  giustamente  venerato  da  tutti, 
non  lasciava  di  esser  uortio,  e  quindi  soggetto  all' 
errore. 

L'aver  quindi  anteposto  le  proprie  osservazio- 
ni ed  i  propri  giudizi  alle  osservazioni  ed  ai  giu- 
dizi dei  periti  dell'arte,  è  stato  l'errore  gravissimo 
di  logica  medica,  che  dal  N.  A.  in  questo  suo  dotto 
lavoro  si  è  dimostrato  aver  rontri])uito  a  ritardare 
i  progressi  dell'arte.  Ed  infatti  (  chiuderemo  colle 
parole  istesse  dell'egregio  prof.  Borelli  )  »  bandita 
»  quella  servile  imitazione,  che  nei  tempi  dell'igno- 
»  ranza  e  dell'empirismo  comandava  tante  pernicio- 
»  se  applicazioni  di  rimedi:  scosso  il  giogo  di  una 
»  filosofia  futile  e  cavillosa,  che  insegnava  soltanto 
»  ad  occuparsi  di  sottigliezze  e  di  sofismi  :  tolti  di 
»  mezzo  tanti  ridicoli  pregiudizi  ,  che  impedivano 
»  le  ricerche  le  piti  necessarie  alla  cognizione  dei 
»  morbi:  dissipati  tanti  prestigi,  tanti  segreti,  tanta 
»  superstizione  che  la  medicina  miseramente  ingom- 
»  bravano:  aperto  un  campo  libero  alle  osservazio- 
»  ni  ed  alle  esperienze:  stabilite  le  regole  per  ben 
»  distinguere  le  profonde  dalle  superficiali  osserva- 
»  zioni,  la  vera  dalla  falsa  esperienza:  applicato  al- 
»  la  medicina  il  vero  spirito  di  analisi  e  di  filo- 
»  sufica  induzione!  determinala  l'indole  od  essenza 


240  Scienze 

»  della  più  gran  parte  dei  morbi  ,  la  vera  azione 
»  dei  più  cogniti  rimedi:  rischiarati  dalla  luce  be- 
»  nefica,  che  tutte  le  naturali  scienze  fanno  a  gara 
»  per  diffonclere  sulla  medicina:  ricchi  dei  mate- 
»  riali  preziosi  accumulati  nel  corso  di  tanti  secoli: 
»  che  altro  mancherebbe  ad  innalzar  l'edifizio  del- 
»  l'arte  medica,  solido  e  bello  al  par  di  quelli  che 
»  in  tante  arti  e  in  tante  scienze  vediamo  già  innal- 
»  zati,  se  non  l'accordo  e  l'efficace  cooperazione  di 
»  tutti  quelli  che  l'opera  loro  impiegar  potrebbero 
»  ?il  grande  uffiziof  » 


Jnstitutiones  medichiae  practicae  qiuis  ad  usitm  ili- 
•ventittis  digessit  Petrus  Alojsias  f^alentini 
in  romana  universitate  prof.  etc.  ^tc.  f^ol.  f^I. 
De  retentionibus.  Romae  \  837. 


R 


eU'arduo  disimpegno  di  un'opera  d'istituzioni 
prosieguo  con  lodevolissimo  disegno  e  con  non  or- 
dinaria soddisfazione  il  dotto  sig.  prof.  Valentini. 
11  volume  ,  di  cui  passiamo  ad  esibire  un  rapido 
cenno,  presenta  varie  cose  di  sommo  interesse,  fra 
le  quali  noverar  ne  piace  lo  scopo  della  partizione 
dell'argomento,  che  tratta.  Varie  affezioni  intende 
egli  di  escludere  dall'attuale  subielto,  rilegando  sol- 
tanto in  questa  classe  quei  morbi,  che  o  da  im- 
pedita secrezione  di  umori  promanano,  o  da  riten- 
zione di  già  separati  fluidi  e  di  sostanze  da  elimi- 
narsi derivano.  In  quatlr'ordini  dividendo  la  me- 
desima, comprciidc  nel  primo  le  ritenzioni  delle  se- 
crezioni recrcmcnlizie,  la  pncumatosi  cioè,   la  poli- 


RirisTA  Medica.  241 

pionia  giustamente  sostituita  al  vocabolo  polisarcia, 
e  l'idrope.  Nel  secondo  descrive  le  ritenzioni  delle 
sostanze  escrementizie  a  qualche  uso  spettanti  ,  e 
qucàte  ristringe  alla  ritenzione  del  latte  e  della  bi- 
le, distinguendo  con  novelli  vocaboli  di  galactepi- 
schesis  la  prima,  e  di  colepischeseos  la  seconda,  os- 
sia l'itterizia.  Tratta  nel  terzo  delle  ritenzioni  delle 
secrezioni  escrementizie  che  al  ripurgo  della  mac- 
china son  destinate,  della  iscuria  cioè,  della  disu- 
ria, della  stranguria,  della  coprostasi  secondo  il  lin- 
guaggio dì  Alibert,  dell'amenorrea,  della  ritenzione 
dei  lochi  o  lochioepischesis.  Abbraccia  nel  quarto 
le  ritenzioni  delle  sostanze  eterogenee,  che  posso- 
no entro  di  noi  ingenerarsi,  vermi  cioè,  corpi  car- 
tilaginei ed  ossei  nelle  capsule  delle  articolazioni , 
ed  i  calcoli.  In  generi  e  specie  ciachedun  ordine  è 
suddiviso,  per  tener  dietro  non  solo  all'ordine  della 
natura,  ma  pur  anco  per  semplificare  vieppiù  agli 
allievi  la  medica  istruzione.  Molta  squisitezza  di 
giudizio  vi  risplende  nella  diagnosi  e  nella  prognosi 
non  solo,  ma  pur  anche  nella  terapia  ,  in  cui  la 
scelta  primeggia  dei  presidii  i  piìi  costatati  da  una 
sperienza  veramente  retta  e  tuta.  E  se  o  amor  del 
patrio  decoro  non  c'inganna,  o  sentimento  di  stima 
I  e  di  amicizia  per  il  N.  A.  non  ci  tradisce  ,  asserir 
'  osiamo  di  trovar  quest'opera  sempre  piii  merite- 
I  vole  di  stare  lunghissimo  tratto  innanzi  a  varie  al- 
i  tre  dettate  su  tale  argomento.  Non  di  tutti  gli  ar- 
j  ticoli  c'interterremo  a  render  conto,  ma  di  quelle, 
j  che  sembrane!  più  notevoli  cose,  volendo  far  cen- 
no diremo,  che  il  N.  A.  sulle  tracce  dei  più  celebri 
scrittori  pratici  ha  compilato  il  suo  lavoro;  che  con 
ordine  degno  di  molta  lode  vi  sono  disposte  le  ma- 
\\  terie,  e  da  lui  trattate  con  la  massima  diligenza  e 
G.A.T.LXXÌII.  1G 


242  Scienze 

con  niuna  sistematica  prevenzione;  che  frequente  e 
felice  uso  egli  fa  delle  ippocratiche  verità;  che  con 
modestia  degna  d'  imitazione  espone  talvolta  i  suoi 
giudizi,  le  sue  conghietture  e  le  sue  stesse  osser- 
vazioni. 

Nel  terzo  genere  dell'ordine  primo  ,  in  cui  si 
ragiona  delle  idropi,  spiega  singolari  e  chiare  vedu- 
te, e  parla  con  molta  cognizione  dei  fatti.  Espostene 
le  prime  divisioni  e  suddivisioni  in  primario  sinto- 
matico e  secondario,  in  acuto  e  cronico,  in  libero  e 
saccato,  ne  da  le  opportune  definizioni,  ne  stabilisce 
i  diagnostici  segni  ,  ne  annunzia  i  differenti  pre- 
sagi con  la  scorta  di  vari  scrittori  e  degl'ippocra- 
tici oracoli,  e  ne  statuisce  la  piìi  retta  terapia  do- 
po la  disamina  bene  spesso  di  alcuni  metodi  o  da 
proscriversi  o  da  seguirsi  con  molta  riserva.  Varie 
distinzioni  pur  si  accordarono  all'idrope  a  lenor  del- 
la sede  dal  morbo  aggredita,  come  di  annasarca  , 
idrorachite,  idrotorace,  asci  te,  idrocele,  idrometra, 
idartro  ecc.,  ed  in  ciasceduna  di  queste  varietà  si 
trattiene  il  N.  A.  a  svolgere  i  punti  teste  contempla- 
ti di  diagnosi,  pronostico,  e  cura  non  solo,  ma  sib- 
bene  sulla  indagine  minuziosa  delle  cause  (  quan- 
tunque pur  accennate  nelTidrope  in  generale  )  si 
proegumene  e  sì  occasionali  e  prossime  la  discorre 
con  somma  accuratezza.  Il  pervertimento  isolato  o 
congiunto  delle  funzioni  di  assorbimento  o  di  esa- 
lazione, l'aumento  cioè  di  attività  di  quest'ultima, 
o  la  diminuzione  di  energia  della  prima,  riten- 
gonsi  come  cagion  prossima  dell'idrope.  E  sicco- 
me il  pervertimento  di  tali  funzioni  o  da  universal 
languore  o  da  rigor  soverchio  dell'organismo  deriva; 
così  per  guida  della  terapia  da  seguirsi  ,  e  col  so- 
stegno  del  quadro   fenomenologico  ristringe  a  que- 


RiYiSTA  Medica.  2'43ì 

ste  due  condizioni  della  macchina  umana  la  prin- 
cipal  varietà  generale  dell'idrope.  Ne  senza  ragione 
compiange  il  folle  amor  sistemativo  di  alcuni,  che 
ad  un  costante  effetto  della  flogosì  riferiscono  l'i- 
drope,  ed  il  curativo  trattamento  debilitante  co- 
stantemente gli  assegnano.  Non  è  dunque  il  diu- 
retico che  contro  il  cieco  operar  degli  empirici 
costituir  debhe  la  cura  dell'idrope  e  delle  sue  spe- 
cie e  varietà;  ma  sibbene  ora  il  metodo  antiflogi- 
stico, ora  un  complesso  di  presidii  tendenti  a  ria- 
nimai'e  il  languore  dell'organismo  e  delle  sue  fun- 
zioni. Debbonsi  le  varie  specie  di  diuretici  ad  un 
tal  trattamento  associare,  e  la  scelta  di  essi  verrà 
dalle  circostanze  indicata.  Il  N.  A.  perciò  savie  re- 
gole ne  addita  a  seguirsi,  che  abbastanza  encomiar 
non  potremmo.  Le  più.  recenti  scoperte  terapeuti- 
che non  vi  sono  ommesse;  ed  onorata  menzione  si 
fa  della  balleta  larata  cotanto  encomiata  dal  con- 
sigl.  Brera,  dell'unguento  utilmente  celebrato  dal 
eh.  Barzellotti  (di  gommagotta,  sugo  di  scilla  con- 
densato, estratto  di  digitale  porporina  e  di  grami- 
gna congiunti  all'  adipe)  nell'  anasarca,  e  di  altre 
proficue  preparazioni. 

Vari  trovamenti  necroscopici  rendono  vieppiù 
prezioso  questo  lavoro  del  prof.  Valentini.  Di  al- 
cuni ben  singolari  faremo  ricordanza.  Nella  se- 
zione di  un  soldato  di  anni  35  perito  nell'ospe- 
dale di  s.  Spirito,  ed  in  cui  conformatio  pectoris, 
cor  ,  et  omnia  \fasa  eraiit  naturalia  ,  rinvenne  il 
pericardio  sì  ripieno  e  turgido  di  siero  negrican- 
te  »  ut  magnum  occuparet  spatium,  pulmonesque 
»  utrobidem  pleurae  adhaerentes  coangustaret.  E- 
»  tiam  subnigrum  sexum  sinistrum  pcctoris  cavita- 


24A  Scienze 

»  tem  inundabat,  dum  vacaLat  dextera.  In  cursu 
»  morbi  tam  perspicua  fuerunt  praecipua  thoracis 
»  et  pericardii  symptomata,  ut  nobls  fuerit  expe- 
»  ditum  statuere  judicium.  Et  in  hoc  casu  observa- 
»  vimus  statina  post  obitum  insigne  crurum  et  pe- 
li dum  aedema  evanescere.  Ejusmodi  faenomenon 
»  etiam  ab  aliis  fuit  adnotatum,  sed  nunquam  expo- 
»  situm.  »  Rarissima  altresì  ne  sembra  l'osservazio- 
ne che  ci  narra  risguardante  la  idropisia  dello 
stomaco  in  un  giovane  di  anni  20,  di  gracile  co- 
stituzione, il  quale  sforzandosi  ad  ascendere  sulla 
sommità  di  un  altissimo  albero  di  pino,  ne  cadde  da 
una  ben  considerevole  altezza  riportando  gagliarde 
contusioni  in  sul  dorso  e  nelle  braccia.  Dopo  al- 
cuni giorni  divenuto  inetto  alla  digestione  ciba- 
ria, restituiva  gli  alimenti  in  un  con  le  bevande 
per  vomito  »  ita  ut  brevi  tempore  viribus  desti- 
»  tutus  et  consumptus  decumberet.  Duobus  exactis 
»  mensibus  incepit  febris  intermittentis  larva,  cura 
y>  eum  adeundum  me  parente»  accersiverint.  Haec 
»  febris  paulo  post  fiebat  lenta,  cum  anxietate,  vi- 
»  gilia,  sensu  ponderis  et  remissi  doloris  in  regione 
»  epigastrica,  magna  abdominis  distentione  ,  quae 
»  ab  ipso  epigastrio  incipiebat  ,  et  assicuro  vomita 
»  serosi  et  subnigri  humoris.  Post  sexaginta  dies  ab 
»  initio  febris  occubuit  eager;  et  in  ejus  cadavere 
»  omnia  viscera  erant  in  naturali  statu;  sed  in  ven- 
»  triculo  enormiter  distento  et  lato  circa  triginta  li- 
»  bras  ejusdem  umoris,  qui  rejiciebatur,  reperi.   » 

Si  è  trascurato  fin  qui  dai  trattatisti  d'istitu- 
zioni di  medicina  pratica  il  completo  dettaglio  dei 
vermi  umani,  e  per  possedere  le  piìi  accurate  no- 
zioni delle   varietk  loro  e  le  singole  descrizioni  dei 


Rivista  Medica  245 

medesimi,  d'uopo  era  che  gli  allievi  della  scienza, 
ed  anzi  i  cultori  tutti  dell'arte  salutare  si  rivol- 
gesserò  appositamente  a  consultare  le  opere  degli 
elmintologi  ,  e  i  diversi  trattati  clinici  di  questo 
ramo.  Il  N.  A.  per  altro  ha  saviamente  aggiunto 
nel  presente  volume  la  esatta  descrizione  di  essi, 
e  le  pili  sufUclenti  nozioni  che  li  risguardano  de- 
gunte  dal  celebri  scrittori  che  si  sono  in  questo 
lavoro  distinti  ,  e  specialmente  Rudolphi  ,  Brera, 
Delle  Ghia] e.  Meritano  poi  qui  di  essere  ricor- 
date due  curiose  osservazioni  alla  sua  pratica  of- 
fertesi. Parlando  egli  dello  strongilo  gigante  di  Ru- 
dolphi soggiugne,  che  una  fanciulla  attaccata  da  feb- 
bre nervosa  rese  per  le  vie  urinarie  un  verme 
»  quem  expertissimus  mcdlcus  Maceroni  curiose 
»  servavlt,  et  examini  subjeclt  ili.  prof.  Metaxa,  qui 
»  judicavit  esse  strongylum,  curavitque,  ut  ejus 
»  icon  in  suis  memoriis  zoologico  —  medlcls  delinea- 
»  retur.  »  —  »  Cum  mediclnani  facere  inclpiebam  , 
»  (  e  questa  è  l'altra  delle  osservazioni  indicate  ) 
•  virginem  viglnti  quatuor  annorum  curabam,  con- 
»  sumptlone  et  lenta  febri  infausti  amoris  causa 
»  correptam.  Laborabat  etiam  sinu  fistuloso  in  ab- 
»  domine  ,  duos  circiter  transversos  digitos  ab  ilii 
»  sinistri  crista.  Causa  hujusce  sinus  fulsse  videtur 
»  praeposteracerotiapplicatlo  ab  empirico  instituta 
»  ad  quandam  resolvendam  duritiem.  Sponte  cnim 
»  dlsrupto  tumore,  fìstula  consequuta  est  ....  Cum 
»  manu  molliter  circumferentlam  fistulae  comprime- 
»  barn,  ut  stagnans  pus  abiret,  ad  orificium  extra- 
9  neum  corpus  comparuit,  quod  strobili  mucro  vi" 
»  debatur.  Hoc  apprehenso  et  detracto  volsella , 
»  lumbricum  palmi  longum  et  instar  calami  cras- 
»  sum  esse  vidi,  Ablato  verme  ,  e  sinu  imrainuit 


/ 
246  S  e  I  K  w  z  E 

1)   puris  fluxus;  sed  paulo  post  eadem  puris  quanti- 
M    tas  profluxit,  et  aegra  consumpta  perit  »   (1). 


(i)  Rarissimi  non  sono  colali  esempj  di  uscita  di  lombrìci  per 
le  pareti  addominali  fuori  del  corpo.  Borsieri,  nel  cap.  X  del  suo 
ottavo  volume  d'Istituzioni  mediche,  cita  diversi  autori,  che  in- 
nanzi a  lui  avevano  osservato  questo  fatto:  altri  emintologi  ne 
han  quindi  fatta  menzione,  e  fra  le  più  recenti  osservazioni  de- 
gne di  rimarco  non  sì  debbe  omettere  quella  del  dottor  Licci, 
il  quale  dalla  apertura  di  un  tumore  nell'ombilico  vide  espulsi  in 
più  fiate  neir  intervallo  di  oltre  tre  mesi  cinquantasei  lombrici 
senza  alcun  segno  di  elmintiasi,  senza  vedersene  giammai  veruno 
per  le  vie  sedali,  cosicché  il  relatore  dubbioso  si  rimane  (come 
leggesi  nel  Filiatre  Sebezio  di  Napoli,  fascic.  di  aprile  iSSy)  in 
derivarne  la  provenienza  dalle  intestina  o  da  altro  particolare  ri- 
cettacolo. Altro  più  curioso  avvenimento  leggiamo  nel  fascic.  d'a- 
gosto i83t  dell'or  menzionato  giornale  in  una  memoria  del  dottor 
Guastamacchia  di  Terlizzi  (Bari),  avente  titolo  di,,  Osservazione 
,,  di  elmintiasi,  nel  corso  della  quale  essendosi  fatto  un  piccolo 
,,  ascesso  alla  parte  superiore  della  regione  ipogastrica,  e  screpo- 
,,  lato  naturalmente,  ne  uscirono  a  diversi  intervalli  degli  ento- 
,,  zoari  vivi.  Più,  di  una  nuova  specie  di  ascaridi,  ai  quali  serban- 
,,  dosi  il  nome  datogli  da  Brenìser  di  oxyyris  vermicularis,sì  ag- 
,,  giunge  per  la  prima  fiala  l'altro  di  aler  sanguineus,  ossia  as- 
,,  caride  nero-sanguigno ,  dal  suo  colore.  ,,  Il  soggetto  della  sto- 
ria riferita  dal  sig.  Guastamacchia  fu  una  fanciulla  di  anni  cin- 
que, la  quale  dopo  una  caduta  con  lievi  contusioni  sul  lato  de- 
stro del  corpo  incontrò  un  mal  essere  generale,  che  per  due  mesi 
la  mantenne  trista  ed  abbattuta.  Sursero  quindi,  dopo  indolen- 
za dei  genitori  su  questo  precorso  stalo,  forti  coliche,  enfiagio- 
ne dell'addome,  costipnzione  delPalvo,  febbre  ec.  Fece  la  malat- 
tia il  corso  di  un  elmintiasi  ,  ed  intanto  comparso  un  tumorello 
rossiccio  e  dolente  quattro  dita  sotto  l'ombilico  sulla  linea  bian- 
ca, screpolò  dando  uscita  a  pus,  ed  in  seguito  ad  un  cutozoaro 
vivo  simile  a  quelli  cacciali  per  la  bocca  e  per  l'ano.  Continuò 
ad  uscire  per  1'  apertura  del  piccolo  ascesso  ad  ogni  quindici 
o  venti  giorni  un  lombrico  vivo,  ed  altri  tuttavia  se  n'elimina- 
rono pur  vivi  per  l'ano.  L'una  e  l'altra  circostanza  durò  per 
lette  mesi,  a  capo  dei  quali  mori  perfettamente  tabida.  E  qui 
non  sarà  inutile  il  riferire  altro  particolare  successo  di  questa 
isterica  narrazione,  cioè  che  la  fanciulla  negli   ultimi  istanti  di 


Rivista  Medica  247 

Non  ci  (llflfonderemo  ulteriormente  in  questo 
sunto,  non  comportandolo  la  brevità  del  nostro  isti- 
tuto; ma  raccomandiamo  incessantemente  la  lettura 
originale  dell'opera,  la  quale  nell'interesse  con  cui 
sono  discusse  le  materie  addimostra  un  uomo  di  lun- 
ga  mano  istrutto  nella  scienza,  abituato  alla  osser- 
vazione ed  al  raziocinio  di  tutti  gli  elementi  dell' 
arte. 

TONELLI 


sua  lacrimevole  esistenza  evacuò  ascaridi  vivi,  di  un  color  neiK»- 
sanguigno,  e  che  si  mantennero  tali  per  qualche  ora,  mentre  aU 
cani  andarono  pure  strisciando  sul  pavimento.  Sezione  del  cada- 
vere non  fu  istituita,  cosicché  non  potè  chiarirsi  la  perforazione 
degl'intestini:  ma  nel  presente  caso  non  sembra  potersene  dubi- 
tare, tostochè  altri  simili  lombrici  vennero  espulsi  per  la  bocca 
e  per  l'ano.  Che  anzi  ad  avvalorare  l'opinione  già  emessa  da  varj 
scrittori,  sostenuta  dalle  osservazioni  e  dall'autorità  del  celeber-r- 
rimo  consiglier  Brera,  e  recentemente  seguita  dall'egregio  signor 
Delle  Chìaje  contro  la  sentenza  dell'illustre  Rudolphi  e  del  va- 
lente Bremser,  rammentar  possiamo  ciò  che  il  prenominato  si-» 
gnor  L(icci  aggiugne  alla  sua  osservazione,  che  la  sezione  di  uri 
cadavere  manifestò  già  al  benemerito  professor  Antonucci  da  sei 
buchi  forato  l' intestino  di  un  giovine  per  opera  di  tre  lombrici, 
che  da  tre  strade  usciti  per  tre  altre  avean  fatto  ritorno. 


248 


Biografìa  del  ca^.  doti.  Domenico  Monchini  pro- 
fessore di  chimica  nella  università  romana, 

JL/opo  lunga  pezza,  da  che  un  celebre  italiano  ces- 
sò di  vivere,  noi  forse  avremmo  incorsa  la  taccia 
di  ripetere  circostanze  di  già  cognite  nel  dare  un 
comentario  della  vita  e  delle  opere  sue?  No:  queste 
poche  pagine  consacrate  alla  sua  memoria  offrono 
una  collezione  non  anco  redatta  de'giudizi  da  tutta 
l'Europa  riscossi  circa  i  suoi  lavori  scientifici;  senza 
omettere  qui  fatti  personali  che  debbono  accom- 
pagnarli. Non  ci  è  noto  scrittore,  che  in  tale  rela- 
zione lo  abbia  considerato:  anzi  forte  maravigliamo 
di  tale  mancamento.  Poco  fa  rinfacciava  il  Costa 
che  le  iscrizioni^  gli  elogi,  le  storie,  i  versi  fiocca' 
>vano  in  guisa  da  ricoprirne  il  nostro  classico  pae- 
se; ma  il  rigido  e  savio  censore  de'nostri  tempi  nel- 
la copiosità  rigurgitante  degli  scritti,  e  nella  pro- 
fusione di  ciance  venali,  non  disse  che  la  fama  d'ine- 
diti personaggi  non  sia,  qual  devesi,  curata.  Rendia- 
mo un  tributo  al  nome  di  Domenico  Morichini  di  Gi- 
vitandino,  comune  dell'Apruzzo  Marsicano,  che  per 
se  noto  vivrà  perpetuo  negli  annali  delle  scienze  chi- 
miche: ma  di  lui  tacere  ciò  che  non  giunse  a  cogni- 
zione di  tutti  ci  sembra  che  sia  detrarre  alla  sua  glo- 
ria. Siamo  grati  al  eh.  Muzzarelli,  che  dell'onor  pa- 
trio degnamente  geloso  il  primo  e  il  solo  sentì  l'ob- 
bligo di  noverarlo  tra  gV illustri  italiani  viventi',  ma 
la  modestia  di  lui,  che  rifuggiva  da  qualunque  lode, 


Biografia,  di  Morichini  249 

e  con  lettere  pregava  di  ?io?i  tenersi  conto  di  sé  , 
ratlenne  il  lìiografo  in  limiti  molto  angusti  (1).  Mo- 
richini fu  sommo  quando  agli  erudimenti  altri  so- 
no iniziati,  e  professore  quando  altri  principiano 
ad  istruirsi.  Sorto  in  regione  fertile  d'ingegni  pre- 
coci, e  non  giunto  a  varcare  il  secondo  lustro  , 
lungi  dal  borgo  natio,  circuito  da  monti  e  disadat- 
to al  pieno  incremento  intellettuale  (2),  nel  col- 
legio Tuziano  (  appellato  cosi  dalla  famiglia  Tu- 
zi  di  esso  fondatrice  )  e  nel  seminario  di  Sora  com- 
piva in  cinque  anni  la  carriera  difficile  delle  let- 
tere greche  e  latine,  della  filosofia  razionale,  delle 
niatematiche  e  della  fisica  ;  ne  si  creda  di  volo 
e  senza  studio  profondo.  Come  subito  avrebbe  rac- 
colta l'ammirazione  della  università  romana,  che 
dopo  tre  anni  lo  decorò  della  laurea  di  onore 
nelle  scienze   mediche? 

Non  possiamo  qui  trattenerci  dal  contempla- 
re nelle  nostre  provincie  l'istruzione  pubblica:  e 
compresi  da  riconoscenza  per  la  cura  di  monar- 
ca provvido,  non  cessiamo  sospirare  che  a  novelli 
metodi  e  a  completo  insegnamento  sia  congiunto  lo 
zelo  d'idonei  precettori  bramosi  di  render  colti  alla 
patria  tanti  giovani  di  un  acume  straordinario  , 
capaci  non  solo  di  municipale,  ma  di  grido  eurO' 
peo.  Morichini  fu  di  questa  classe:  e  come  altri 
non  isterilì  sotto   guida  insudiciente   o  poco  atti" 


(i)  V.  la  biografia  del  prof.  Monchini  scritta  nell'anno  182G, 
e  pubblicata  neWjilbum  distrib,  4i>anno  III-  iSdd.-. Diario  rom. 
nuva.  g4>  ^^j  novembre  anno  medesimo.  -  Alcuni  giornali  hanno 
ripetute  notizie  tolte  da  questi  fonti. 

(?)  Di  Anselmo  Moricluni  e  di  Matilde  Moratti  era  nato  a  a3 
Beltembre  1773. 


250  S    e    I    E    N    2    K 

va,  ne  mai  dimentico  fu  della  terra  che  gli  ap- 
prestò doppia  culla  di  vita  naturale  e  scientifica, 
fino  agli  ultimi  suoi  giorni  commendava  i  mae- 
stri di  Sora,  e  per  lab.  Silvestri  nutriva  una  gra- 
titudine verace. 

Tratto  in  Roma  da  viva  brama  di  sapere,  fu 
da  un   congiunto   sacerdote  accolto;  ne  appena  il 
piede  vi   posava,  che  distinto  dal  solo  merito  ren- 
devasi  caro  al  Pessuti  e  al  Gandolfi  delle   scuole 
pie:  sotto   le  quali    scorte  volle  meglio  consolidare 
le  sue   cognizioni   nella    fisica  e    nei   calcoli   della 
quantità  continua   e   discreta,  mentre  un  Benelli, 
un  Volpi,  un   Sisco,  un  Bucciolotti,   de'quali   du- 
ra onorata  e  stabile  ricordanza,  plaudivano  ai  ra- 
pidissimi   suoi   voli   nelle   mediche  discipline.  Ben 
presto    giovinetto   ancora  si  trasse  a  competere   con 
emoli   distinti,  a  guadagnarsi    la   carica  di   medico 
assistente  nell'  ospedale   di  S.  Spirito,  a  praticarvi 
molte   accurate    osservazioni    sulla    tisichezza   (1)  , 
a  correre  nel  cimento   con  celebri  e  vecchi  rivali 
nell'archiginnasio  per  ascendere  la  cattedra:  ed  era 
seduto  poco  innanzi  nelle  scranne  de'discepoli.  Tut- 
ti superò  di  molto;  ma  non  compiva  l'anno  ven- 
tesimo; e   ostar   poteva  con  volto  imberbe  alla  scel- 
ta? La  scienza  giovanile  dovè  cedere  al  rispetto  del 
bianco   crine!   Triplicò  lo  sperimento;  uguale  ne  fu 
l'esito.  A  tanto   ingegno  non  potè  negarsi  guider- 
done: dopo  altri  cinque  anni  fu  nominato  a  pro- 
fessore di  chimica.  Il  primo  anno  del  presente  se- 
colo fu  primo  deìVordùiario  suo  insegnamento  nelV 
apertura  che  fecesi  della  università  ,  sebbene  già 


(ij  Memoria  sugli  sputi  de' tisici,  iuedita. 


Biografia  di  Morichini  251 

nel  concorso i  in  cui  Giov annetti  fu  prescelto  (in- 
sieme col  valoroso  Bomba),  aveva  conseguita  Vap- 
provazione,  e  per  ordine  sovrano  senza  prove  ulte- 
riori gli  era  commessa  la  lettura  soprannumera- 
ria, come  scrìsse  il  dotto  Renazzi  (1).  Dal  generale 
Dallemagne,  nel  tempo  dell'  usurpazione  francese, 
con  Martelli  e  Corona  fu  scelto  per  la  parte  chi- 
mica degli  studi,  e  sotto  la  presidenza  di  Pessuti 
fu  segretario  dell'istituto  nazionale  per  la  classe  di 
fisica  e  di  matematica. 

L'immortale  Lavoisier  produceva  in  quel  tem- 
po una  rivoluzione  nella  chimica.  Roma  non  fu 
prima  tra  le  citta  di  Europa  che  ricevesse  la  no- 
vella scuola  in  danno  dell'altra  di  Stahl  ciecamente 
venerata.  Morichini,  primo  cultore  del  filosofo  della 
Senna,  non  poco  lume  diffuse  nel  metodo  di  scom- 
porre l'aria  nella  parte  respirabile  e  nella  teoria 
della  combustione.  Se  non  come  i  Laplace,  i  Prie- 
stley, e  i  Berthollet,  fu  pure  tanto  assiduo  nel  chia- 
rire i  fatti,  che  confusi  ammutirono  i  tenaci  ama- 
tori del  flogisto.  Chimico  faticoso  e  intrepido  po- 
neva mente  di  analizzare  ogni  sostanza,  e  tosto  in 
alcuni  denti  elefantini  sotterra  rinvenuti  giunse  a 
scoprire  1'  acido  fluorico  ,  che  anche  trovò  nello 
smalto  dei  denti  umani,  e  nelle  ossa  di  tutti  gli 
animali.  Erano  sì  poche  e  incomplete  le  conoscenze 
sulla  natura  di  questo  acido,  che  Morichini  deve  ri- 
putarsi uno  de'primi  osservatori:  ne  temeraria  sa- 
rebbe l'assertiva  che  prima  di  Ampere  la  sostanza 
fluorica  vagamente  fosse  annunziata.  Pessuti  presen- 
tò l'analisi  nelle   memorie   di   matematica  e  di  fi- 


li) Storia  della  università  romana  Voi.  IV,  p.  4^i' 


252  Scienze 

sica  della  società  italiana  delle  scienze  (1),   per  cui 
noto  a'  principali   professori  di  Europa  ebbe  con- 
tinua corrispondenza  sulle  indagate   leggi  elettri- 
che, al  quale   scopo  si  rivolgevano  allora  gli  studi 
e  le  ricerche  de'fìlosofi.  Scrutatore  del  fluido  mara- 
viglioso,  da  gran    tempo   meditava    Wan-Swinden 
sull'analogia  che  dicevasi  avere  col  magnetismo,  e 
dagli  effetti  svariati   tentava  rintracciare  la  cagione 
occulta.  Mentre  De  Lue  emetteva  l'ardita  conget- 
tura „  che   r  elettrico   fosse  composto   da   qualche 
operazione  che  sul  globo  esercita  l'influenza  de'rag- 
gi  solari  nell'incontro   dell'atmosfera  „  egli   erede- 
vaio  diffondersi  con  l'affine  forza  magnetizzante  dall' 
azione  chimica  della   luce  senza  altra  concorrenza. 
Noi  non  difendiamo  questa  opinione.»  ci  basta  che 
fosse  motivo  a  scoperta   bellissima,   sebbene  piìi  ci 
aggrada  il  sentimento  che  l'influsso  luminoso  sia  co- 
me un  mezzo  di  sviluppo  simile  a  quello  strofinìo 
del  vetro  e  del  contatto  dei  metalli.  Il   prisma    di 
Newton    nella  scomposizione    della  luce  oh  quanti 
nuovi  fenomeni    presentava  !   Rochon   avea   potuto 
studiare  le  proprietà  calorifiche  de'raggi.  Herschel 
e  Lesile  col  soccorso  del  fotometro  in  appresso  ri- 
levarono quella  proprietà  meno  risultante  nel  rag- 
gio violetto,  in  cui  Scheel,  Davy,  Bockman,  Wolla- 
ston  e  Berard  rinvennero  più  sensibile  l'azione  chi- 
mica. Ma  dopo  gli  apparecchi  del  celebre  liitter 
il  professore  dell'università  romana  sempre  dubbio- 


li)  Analisi  di  alcuni  denti  fossili  di  elefante  trovati  fuori  di 
porta  del  popolo  di  Roma,  pi-eceduta  danna  memoria  storica  del 
conte  Morozzo  1802.  Analisi  dello  smalto  di  un  dente  l'ossile  di 
elefante,  presso  la  Società  Italiana  delle  scienze  tom.  XII,  p.  u, 
i8o3.  -  Corxeaioui  e  giunte  fatte  alla  aiedesima  memoria. 


Biografia  di  Morichini  253 

so  sulla  uniformità  dell'elettrico  e  della  calamita, 
e  tocco  dalla  esperienza  che  il  ferro  lungamente  te* 
huto  nell'atmosfera  si  magnetizza,  rintracciando  la 
causa  sospettò  che  dalle  correnti  elettriche,  o  dall* 
influsso  della  luce  derivasse.  Quasi  di  sue  ricerche 
e  di  sue  forze  non  sicuro  (come  ad  uomo  saggio  si 
addice)  in  disamina  lunga  e  difficile  al  soccorso  si 
affidava  del  eh.  dott.  Carpi  suo  diligente  allievo,  del 
prof.  Barlocci  e  del  prof.  Settele  illustri  suoi  colle- 
ghi. Con  tale  assistenza  nei  mesi  di  giugno  e  di  lu- 
glio (dell'anno  1812),  in  giorni  non  umidi,  all'azio- 
ne dello  spettro  luminoso  disponeva  gli  aghi  di 
ferro  a  tal  fine  costrutti  dal  meccanico  Luswerg,  fa- 
cendo toccarli  col  lemLo  estremo  del  raggio  violet- 
to, in  cui  si  appalesava  la  forza  dopo  avere  invano 
tentato  tutti  gli  altri.  Appresso  qualche  ora  gli  aghi 
davano  segni  magnetici,  e  tali  d'attrarre  la  limatu- 
ra di  ferro,  e  da  fissare  la  consueta  direzione,  come 
nella  bussola  de'  naviganti.  Mentre  i  raggi  non  re- 
fratti dal  prisma  concentrati  anche  da  una  lente 
sviluppavano  piccola  e  dubbia  forza,  il  raggio  vio- 
letto trasmetteva  tanta  elettricità  da  renderla  sen- 
sibile nel  condensatore  voltaico  ;  e  la  punta  dell* 
ago,  alle  azioni  chimiche  più  sottoposta,  mostravasì 
più  propensa  per  la  tendenza  magnetica.  Qualche 
forza  sperimentò  pure  risultante  dal  raggio  verde, 
e  dal  violetto  lunare,  debole  sì,  ma  non  come  la  de- 
Lolezza  luminosa  fa  supporre.  Nulla  ottenne  dal  rag- 
gio rosso,  e  dalla  luce  de'corpi  terrestri  nello  sta- 
to di  combustione.  AIO  settembre  dell'anno  mede- 
simo nell'accademia  de'lincei  lesse  la  sua  Memoria 
sopra  la  forza  magnetizzante  del  lembo  estremo  del 
raggio  inoletto,  riportata  dalla  Biblioteca  britannica, 
dagli  Annali  di  fisica  e  da'  primi  giornali  curo- 


254  Scienze 

pei  (1).  A  tale  annunzio  non  fu  defraudato  di  elogi, 
e  qualche  straniero  confessò  che  sterile  non  sia  la 
terra  feconda  de'Galilei,  de'Torricelli,  de'Volta,  de* 
Galvani  e  de'Beccaria.  Deve  ancora  tribuirsi  lode  a* 
soci  degli  sperimenti  :  Barlocci  fu  accorto  di  rac- 
cogliere e  di  condensare  in  una  lente  tutta  la  di- 
spersa parte  violacea  dello  spettro  prismatico,  il 
cui  foco  proiettato  e  fatto  scorrere  dal  mezzo  dell' 
ago  verso  le  punte  produceva  un  eflfetto  istantaneo 
e  pili  sensibile:  a  Metaxa  fu  commessa  1'  applica- 
zione dell'elettricismo  della  luce  sugli  animali;  vol- 
le assumere  Poggioli  quella  del  magnetismo  solare 
sulla  vegetazione,  seguendo  forse  la  via  dal  Caldi- 
ni molto  innanzi  tenuta  per  Vinflusso  delVatmosfe- 
rica  elettricità  sulle  piante  ^  e  anche  col  soccorso 
dell'ordinaria  calamita  eseguì  con  Orioli  non  pochi 
sperimenti  (2).  Debbonsi  queste  osservazioni  pri- 
mitive tutte  alla  sapienza  italiana,  e  debbensi  a  Mo- 
richiai  che  ne  diede  l'impulso. 

Anche  dopo  una  seconda  memoria  di  confer- 
ma che  diresse  a  Marziale  Daru  barone  dell'  impe- 
ro, in  cui  precisava  l'opportunità  del  tempo  e  il 
metodo  necessario,  senza  de'quali  vano  riuscirebbe 
ogni  tentativo  (3),  Berard  di  Montpellier,  Gay-Lus- 
sac  ,  Thenard  e  Vauquelin  in  Parigi  movendone 
dubbiezze  ripetevano  piuttosto  il  fenomeno  dal  ma- 


fi)  Bibl.Brit.  t.LII,  a  Genève  i8i3.  Ann.  de  phys.  t.  XLVl, 
von  Gilbert  Sclieiweigg  Tourn.  6.  37-20-16-Gilb.  annal.  43,  212. 

(2I  Memoria  Ietta  nell' accademia  de' lìncei  stampata  tra  gli 
Opuscoli  scelti  di  Bologna. 

(5)  Memoria  seconda  sopra  la  forza  magnetizzante  del  lembo 
estremo  del  raggio  violetto,  letta  neiracc.  de* lincei  il  22  aprile 
i8i3.  Roma. 


Biografia  m  Moriciiini  255 

gnetismo  terrestre.  Da  Milano  il  senator  Moscati  ne 
rendeva  partecipe  OJier,  e  dalle  indagini  proprie 
e  da  quelle  di  Gonfigliacclii  di  Pavia  dubitava  clie 
forse  una  qualche  accidentale  causa  deludesse  Mo- 
richini,  uomo  di  grande  merito  e  di  sublimi  talen- 
ti dotato  ,  come  conchiudeva  (1).  Ma  in  Firenze 
Babbini  confermava  l'effetto  contrastato,  ravvisando 
una  inclinazione  dell'ago  verso  il  raggio  chimico. 
Dopo  massima  diligenza  convintone  Ridolfi,  chiedeva 
consiglio  da  Pictet,  che  avvalevasì  dell'autorità  di 
lui  in  tale  argomento  di  controversia  (2);  e  molte 
testimonianze  si  leggono  nel  giornale  di  Brugna- 
talli ^  negli  atti  de IV accademia  pistoiese  e  nella  bi' 
blioteca  universale  di  Ginevra  (3).  I  fatti  de'fisici 
fiorentini  ad  evidenza  provarono,  non  ottenersi  ri- 
sultamenti  favorevoli  dalla  umidita  dell'aria:  l'uno 
avvertiva  di  mancare  i  segni  magnetici  ,  allorché 
l'igrometro  segnasse  alcuni  gradi  ,  e  l'altro  si  ac- 
corgeva che  uno  spettro  solare  desistesse  della  for- 
za magnetizzante  facendovi  scorrere  una  colonna  va- 
porosa. Ogni  personaggio,  che  venne  a  visitare  la 
capitale  del  mondo,  dovè  convincersi  di  ciò  che  for- 
se impugnava  con  ostinatezza;  ricorderemo  Davy  il 
più  sincero  amico  del  Morichini,  e  Playfair  persu- 
aso da  Carpi  che  pubblico  attestato  ne  diede  (4). 
Instruttane  parimenti  mad.  Somerville,  donna  per 
sapere  molto  celebre,  ritornata  in  Londra  involgeva 
di  carta  la  metà  di  alcuri   finissimi  aghi  ,  e  sulle 


(1)  Bib.  britt.  t.  LUI,  i8i3  p.  igS.  Gilb.  45-338-46,  076. 
(1)  Ivi  t.  LII.  p.  171-Schweigg.  91,  2i5. 
(3)  Gior.  di  Brugnatelli  5  bimestre  1816.  Atti  dell'acc.  pisto- 
jese  1816  p.  790.  Bibl.  univers.  T.  IV,  V.  V.  Selcweigg.  9,  2i5. 
(4)Bib.  imivers.T.  VI,  p.  17.  Selcweigg.  46,  252-Pagg.  6, 493. 


256  S  e  I  E  K  «  fi 

parti  scoverte  proiettava  il  concentrato  raggio  ma- 
gnetizzante ,  o  li  esponeva  sotto  un  vetro  azzurro 
al  semplice  influsso  solare  rivestendoli  con  nastri 
del  medesimo  colore.  Ai  tentativi  corrispose  l'even- 
to (1).  Erman  erasi  sforzato  dimostrare,  che  dalla 
forza  calorifica  derivasse  tutta  quella  tendenza  degli 
aghi;  ma  Ghrlstie  ha  ben  provato  di  accrescersi  sot- 
to la  fredda  temperatura,  ed  ha  ridotto  a  calcolo 
la  differenza  degli  archi  descritti  dagli  aghi  di  fer- 
ro ,  di  rame  e  di  vetro  sospesi  ad  un  filo  sotto 
r  influsso  del  sole  e  di  quelli  sottratti  dalla  lu- 
ce (2).  Kastner  confermò  la  verità  della  cosa,  sebbe- 
ne non  sia  giunto  a  darne  la  ragione;  e  Braumgar- 
tener  in  Vienna,  profittando  dei  mezzi  adoperati, 
ossidava  un  ago  di  acciaio;  e  al  sole  disposto  un 
punto  lucido  diveniva  magnetico  col  poh  boreale\ 
se  vi  erano  molti  punti  lucidi,  acquistavano  il  polo 
medesimo,  e  ciascuna  parte  ossidata  il  polo  austra- 
le (3).  Non  devesi  passar  sotto  silenzio  l'ingegnoso 
apparato  che  Prandi  diresse  al  Morichini.  Faceva 
uso  invece  del  prisma  newtoniano  di  una  gran  len- 
te slmile  a  quella  in  Parigi  costrutta  dal  Bernie- 
res,  in  cui  con  mezzo  facile  riusciva  perfettamente 
ad  isolare  il  raggio  violetto,  e  a  condensarlo  in  uno 
specchio  concavo:  ma  la  morte,  che  alle  scienze  lo 
ha  presto  rapito,  impedì  l'applicazione,  ne  sappia- 
mo se  altri  l'abbiano  tentata  (4).  Seguirono  le  or- 
me della  inglese  donna    Zschock  e  Strohlin  ,    che 


(i)  Ann.  de  chim.  et  phys.  XXXI,  393. 

(2j  Bib.  univer.  t.  XXXIV,  p.  igr,  t.  XLI,  p.  52.  Pogg.  6, 
239-9, 5o5-Abhanklder  Beri.  Acad.  i8i5-i8i5. 
(3j  Ann.  de  chim.  et  phys  XXXIII,  333. 
(4)  Giorn.  arcadico,  maggio  18 13,  Voi.  LUI,  p.  x38. 


Biografia  di  Morìchini  257 

pretende  di  aver  preceduto  di  anni  dicci  questi 
sperimenti:  ma  noi  ci  serviamo  della  sua  conferma 
senza  fermarci  nell'assertiva  che  potrebb'essere  gra- 
tuita (1).  Nel  ferro  e  nel  vetro  Matteucci  sperimene 
tò  la  forza  elettrica  solare,  e  Barlocci  in  una  me- 
moria Ietta  nell'accademia  de'lincei ,  disse:  che  fa- 
cendo cadere  il  raggio  rosso  e  il  violetto  in  due 
dischi  di  rame,  se  comunicava  nell'uno  e  nell'altro 
i  nervi  crurali  di  una  rana,  ne  otteneva  forti  con- 
trazioni (2).  Zantedeschi  e  Mayez  nel  seguire  que- 
ste traccie  meglio  spiegarono  la  forza  elettrica  non 
solo,  ma  il  magnetismo  de'raggi  piìi  refrangibiii  (3): 
vi  consentirono  in  Palermo  Scinìi,  in  JXapoli  Cassola, 
e  molti  studiosi  fisici  d'Italia  che  omettiamo  rife- 
rire. Ma  i  fenomeni  di  elettricitk  non  furono  previ- 
sti dal  primo  indagatore?  Non  aveva  egli  commes- 
sa l'applicazione  sugli  animali  a  Metaxa ,  fatta  di 
poi  da  un  altro  compagno  de'suoi  sperimenti?  Ci 
serviremo  delle  parole  del  p.  Pianciani,  uno  de' 
molti  ornamenti  dell'  inclita  compagnia  di  Gesù  : 
Morichini  aveva  venti  anni  prima  osservati  alcuni 
indizi  elettrici  col  condensatore  del  Volta  :  e  noi 
possiamo  aggiungere  che  in  alcune  inedite  memo- 
rie anteriormente  scritte  ,  che  presto  verranno  a 
luce,  non  solo  questi  ,  ma  ben  altri  fatti  si  rile- 
vano, che  dovendosi  meglio  verificare  non  furono 
pubblicati  (4).  Qui  siamo  indotti  a  direi  che  se  nel 


(t)  Kastnei-jArcliiv.  i5,  1^5-  Minerva  iSjg-S,  i3i. 

(2)  Antologia  iSag  aprile  e  luglio  p.  i^5,  Gioru.  arcad.  i83o 
giugno  p.  20^-Rib.  uuiv.  t.  XLII,  p.  11. 

(3)  Poligrafo  di  Verona  i85i  maggio. 

(4)  Terza  memoria  sul  nidgnelismo  della  luce  18 15,  inedita. 
Sperienze  elettro-magnetiche  sulla  luce  solare,  1817-inedila.  V. 
Pianciaui,  Islituz.  fisico-chiaiiclie.  Roma  i854,  t-  HI,  p.  104. 

G.  A.  T.  LXXIII.  17 


258  Scienze 

medesimo  fonte  doppia  forza  di  elettricità  e  di  ma- 
gnetismo  fu   da   lui   rinvenuta  ,   il   primo    se   non 
ha  sciolto  il  problema  dell'uniforme  natura  e  della 
influenza  mutua,  ne  ha  dato  qualche  non  equivoca 
dilucidazione.  Se  avesse  proseguito  l'  esame  ,  forse 
sarebbe  giunto  con  altro  metodo  a   que' ritrovati  , 
che   innalzarono   quindi    a   sublime   rinomanza   un 
Oersted,  un  Arago,  un  Ampere,  un  Davy,  un  Bar- 
low,  a'quali  Romagnosi  poco  dopo  l'invenzione  del- 
la pila  e  il  p.  Baccaria  avevano  in  Italia  preceda^ 
to;  ma  privo  di  ozio  tranquillo,  e  distratto   dalle 
cure  domestiche  e  dagli  obblighi  di  cattedra  e  di 
professione   medica  ,  senza  il  soccorso  degli  amici 
non  avrebbe  potuto   arricchire  le  scienze  dei  doni 
compartiti,  che  sono  suflicienti  circa  le  osservazioni 
elettro-magnetiche  a  porlo  nel  medesimo  grado  di 
onore  col  Nobili,  col  Zamboni,  col  Configliacchi  , 
col  Marianini   e  col  Dei-Negro  tra'  nostri  recenti 
fisici  pili  famosi.  Tante  prove   incontrastabili    po- 
tranno in  dubbio  rivocarsi?  Ridolfì,  Babbini  e  Zan- 
tedeschi  hanno  assegnate  le  cause,  che  sono  d'im- 
pedimento al  fenomeno,  in  modo  da  potersi  dire, 
che  questo  sia  suggel  che  ogni  uomo  sgannì.  Ma 
oppositori  non  mancano.  Un  Despretz  non    ha  ri- 
tegno spacciare,  che  le  spenenze  del  Monchini  non 
siano  ben  confermate.  Plìi  oltre  si  avanzano  Riess 
e  Moser,  ascrivendole  al  magnetismo   della   terra  , 
come  scrissero  anche  Grottlius  e  Ruhlandr  per  que- 
sta opinione  sembra  determinarsi  della  Rive,  che  ne 
tesse  la  storia;  e  tutti  vogliono  che  isolando  il  fer- 
ro da  qualunque  accidentale  causa  ,  non  si  debba 
ottenere  alcuna  tendenza  magnetica.  Abbiamo  a  ma- 
ravigliarci come  il  Seebek  neghi  al  raggio  violetto 
quella  forza  che  concede  a  tutta  la  luce  solare;  e 


Biografia  di  Mortchini  2ó9 

Còme  si  opponga  da  molti  essere  il  ferro  per  se 
Stesso  magtietico.  Ciò  non  ignorava  Moricliini,  ma 
dimostrò  che  la  luce  sviluppasse  maggiormente 
cfUella  forza  naturale  pei*  se  debole  (1).  Dopo  il  pro- 
fessor di  Pavia,  che  diede  il  segno  della  guerra  , 
tutti  quelli  che  lo  hanno  assalito  ripeterono  che 
fosse  tratto  ad  inganno  dalla  mancanza  di  accurato 
esame,  o  da  suo  presentimento:  ma  con  le  favore- 
voli disposizioni  dell'atmosfera  non  aveva  egli  ri- 
mosso qualunque  indizio  di  errore,  come  scrisse  a 
Guy-Lussac,  e  come  gli  avevano  raccomandalo  il  ce- 
lebre Volta,  che  anche  dissentiva^  il  caVi  2ambi*oni 
e  Pai^adisi  presidente  dell'istituto  italiano?  Se  vo- 
gliamo allontanarci  dal  suo  sistema  circa  V  assor- 
l)imento  del  magnetismo  eh'  esercita  il  globo  dai 
i*aggi  solari,  come  fa  dalla  luce  e  dal  calorico,  an- 
che nell'altra  ipotesi  che  la  terra  sia  come  una 
gi*artde  calamita,  non  potrebb'esser  vero  che  l'effi- 
cacia del  sole  la  determini  nel  ferro?  Bastano  per 
chiuder  la  bocca  a  tanti  contradittori  le  dotte  os- 
servazioni d'Haeser,  che  meritarono  il  premio  nella 
Germania,  e  che  possono  servire  di  baluardo  alle 
dottrine  del  Morichini:  gli  opposti  argomenti  vi  so- 
no tutti  confutati  (2)*  Immersi  noi  nello  studio  del- 


(i)  Ann.  de  chimié  et  phys.  t.  XLII,  p.  5o4-Bib.  univ.  Juil- 
let  i8o3,  p.  325. -Ruhland  :  Ueber  die  polarisclie  Wirkung  des 
gefiirbten  heterogenen  Lichtes.  -  Pogg.  6  ii^6.  Schcweig  9,  217. 

(2)  De  radii  lueìs  violacei  vi  magnetica,  auctore  Henrico  Hac- 
ser  vimariensi,  cominentalio-Jenae  i832-Cosi  riferisce  prima  di 
esporre  le  sue  spcrienzc  e  le  nuove  sue  opinioni  ,,  Primuni  ne- 
,,  gligentiae  Moricliiniutn  accusai  Configliachius,  non  tantam  ab 
,,  eo  adhibitam  esse  curam  in  instituendis  observationibus,  quan- 
„  tam  rei  subtilitas  et  difficultas  poslulasset.  Satis  profecto  gra- 
„  VIS  accusatio;   sed    co   facilius   rcjicicnda,  quo  est   injuòlior.  „ 


260  Scienze 

la  bibhla,  non  potendo  inoltrarci  in  un  campo,  nel 
quale  sempre  fummo  stranieri,  ci  appelliamo  al  va- 
lore de'magnanimi  abruzzesi  per  difendere  un  ser- 
to contrastato  al  nostro  chimico  nazionale. 

Premuroso  del  pubblico  bene,  e  zelatore  della 
salute  de'popoli,  dissipò  vieti  pregiudizi,  da' quali 
Strabone  e  il  grande  Tullio  non  furono  immuni  , 
per  la  vicinanza  delle  saline  artificiali.  Nelle  ma- 
remme di  Corneto,  non  lungi  dal  dominio  toscano, 
era  di  sommo  vantaggio  per  lo  stato  pontificio  la 
formazione  delle  saline:  ma  il  regno  limitrofo  noi 
consentiva,  e  la  sciocca  credulità  del  volgo  move- 
va lagnanze  per  la  infezione  atmosferica.  Invano 
Riccy  erasi  opposto  all'errore  comune.  Morichini, 
prescelto  da  Lante  tesoriere  generale  al  patrocinio 
di  questa  causa,  con  tale  forza  e  dottrina  entrò  nel- 
l'arringo  a  sedare  ogni  tema  contro  i  dispareri  di 
Petri,  di  Zuccagni,  di  Gazzeri,  di  Tozzetti  e  di  al- 
tri tìsici  fiorentini,  clic  dopo  tre  anni  di  continue 
discussioni,  furono  eseguite  le  saline,  ne  danno  sa- 
nitario si  è  mai  ravvisato.  Molto  scrisse  in  tale  sub- 
bietto  (1);  ne  lasciò  di  confutare  l'avvocalo  Lupac- 


(p.  i4),,  Confìgliachium  postea  fere  omnes  Moricliinii  adversarii 
„  secuti  sunt.,.  Non  ometteremo  poche  parole  di  una  lettera,  che 
nel  1834  gli  scrisse,  e  che  meriterebbe  di  essere  riportata  per  in- 
tero. „  Tua  est,  Morichini  amplissime,  summa  illa  laus,  primo 
,,  conjunctionem  arclissimam,  quae  intercedit  inter  lucis  atque 
,,  virium  niagneticarum  naturam  olarissimeeruisse,  atque  tandem 
„  aliquando  germanicis  quidem  physicis  persuasum  est,  ea  quae 
„  tu  ante  hos  viglnli  annos  in  publicum  de  radii  violacei  vi  ma- 
,.  gnelica  edidisti,  esse  verissima.  ,, 

~  (i)  Parere  sopra  la  questione  se  la  formazione  di  una  salina 
artificiale  nella  spiaggia  di  Gorneto  possa  rendere  insalubre  l'a- 
ria di  quella  città  e  de'contornl.  Roma  i8o3. -Confutazione  di  uno 


Biografia  di  Moriciiini  261 

chloli  e  il  collega  Giovannellì  plagiario  del  nostro 
Camerari:  e  gli  argomenti  suggeriti  dalla  nuova  chi- 
mica da  lui  difesa  fondavano  sulla  esalazione  d'in- 
nocui vapori  dell'acqua  marina  (  cioè  da  un  com- 
posto di  acido  muriatico  con  la  base  di  soda  )  non 
ristagnante,  e  non  imputridita,  come  spesso  avviene 
nelle  risaie,  delle  quali  dovè  giudicare  nell'agro 
di  Bologna  e  della  Marca.  Si  condusse  con  Folcili 
nelle  valli  bagnate  dal  Tronto,  e  vide  che  nelle  fer- 
tili campagne  di  Ascoli  e  di  Fermo  potevasi  senza 
nocumento  proseguire  la  coltivazione  del  riso,  se 
in  luoghi  convenevoli  fosse  ristretta,  e  ne  diresse 
il  fisico  rapporto  a  monsig.  Olgiati  segretario  della 
sacra  consulta  (1).  L'abruzzese  De  GroUis,  scrivendo 
di  quest'opera  prodotta  dal  precipuo  maestro  di  po- 
lizia medica  in  Roma,  dopo  qualche  ristretto  enco- 
mio gentilmente  si  avanza  a  rilevare  la  pecca  di 
una  trascuratezza  di  forma,  quantunque  ne  sia  buo- 
na la  sostanza  e  solo  infetta  di  alcune  minuzie,  co- 
me nella  pittura,  in  cui  purché  le  parti  essenziali 
sieno  rilevate^  le  altre,  che  per  la  lontananza  non 
appariscono,  possono  essere  tralasciate  e  mal  di- 
pinte senza  il  minimo  'vituperio  per  Cartista.  Ma  ci 
perdoni  il  nostro  concittadino:  l'indiscreto  mgliot 


scritto  anonimo,  nel  quale  si  è  preteso  di  provare  che  le  saline 
infettino  l'aria.  Roma  x8o3.-Esame  del  voto  chimico  de'professori 
fiorentini.  Roma  i8o3. -Riflessioni  sopra  gli  scritti  contrarii  alla 
formazione  delle  saline  nella  spiaggia  di  Corneto.  Roma  i8o3. 
-Bi'evi  rilievi  sopra  l'ultima  memoria  dell'avvocato  LupacchioU 
distesi  dal  Monchini  sopra  le  saline  di  Corneto. -Apologia  delle  sa- 
line di  Corneto  alle  obbiezioni  del  sìg.  Giovanni  Gazzeri  chi- 
mico toscano,  i8o5. 

(i)  Relazione  fìsica  sulle  risaie  della  Marca.  Roma  iS^G.Dellc 
riiaie  del  Bolognese,  1818. 


262  Scienze 

con  cui  (lice  potersi  cribrare  i  ragionamenti  del 
Alorichini,  non  gli  ha  fatto  discernere  la  mondiglia 
dalla  buona  sentenza:  troviamo  in  tutte  le  opere  sue 
logica  pura,  quadri  sinottici,  ordine  preciso  e  stile 
tutto  scientifico,  e  se  non  terso  almeno  non  trascu- 
rato (1).  Brocchi,  1' infiiticabile  geologo,  scrisse 
che  l'analisi  a  lui  diretta  delle  acque  e  del  gas  ìn-r 
fiammabile  del  Tevere,  già  da  Riccioli  previsto,  sia 
per  certo  la  pia  bella,  la  più  accurata  e  la  più  circo-^ 
stanziata  fino  ad  ora  intrapresa  siti  gas  che  sbuca- 
no di  sotterra  (2).  Fu  il  Morichini  che  spiegò  d'on-^ 
de  provenisse  l'efficacia  dell'acqua  di  Nocera  nelT 
Umbria  ,  tanto  famosa  poi  salutari  effetti,  e  già  dal 
Camillo  di  Perugia,  dal  De  Fabra  prof,  di  Ferrara, 
e  dal  Massimi  medico  romano  analizzata;  dopo  aver 
conosciute  tutte  le  sostante  solide,  che  in  dose  non 
eccessiva  vi  erano  diffuse,  dall'abbondanza  AeW ossi- 
gene  si  fece  a  dedurre  ogni  virtìi  medicinale.  Que- 
sto sassio  confermò  tutti  nella  stima  che  si  aveva 
non  meno  di  un  operoso  e  dotto  che  di  un  medico 
perito  nell'arte  salutare,  come  si  disse  in  un  foglio 
letterario  (3).  Copiosi  elementi  ottenne  ancora  nel- 
r  analisi  delle  acque  termali  solfarate  presso  Civi- 
tavecchia, nebag?u  taurini,  e  nel  fonte  di  ficoncella, 
cosi  pure  nella  sorgente  acetosa  e  nella  santa  che 
sono  in  Roma  non  lungi  dalla  via  ostiense,  onde 
trae  origine  il  fosso  delle  acque  acidule  da  Carpi  e- 
saminato  (4).  In  tutte  le  analisi   adottava  il  metodo 


(i)  Giorn.  Arp.  maggio  iSaS,  Voi.  LUI,  p.  i3r. 

(2)  Dello  stalo  lìsico  del  suolo  di  Roma  1820,  p,   i^S.  V.   la 
lettera  diretta  al  eli.  sig.  Brocchi,  Giorn.  arcad.  t,  VI,  p.  178. 

(3)  Man.  letterario  di  Roma  1808,  dicembre  n.  i,  p.  27. 

(4)  Saggio  medico  chimico  sopra  le  acque  di  Nocera  per  Laz- 


Biografia  di  Morichini  263 

da  Bergaman  unito  con  quello  del  Murray  ;  e  senza 
qui  riferire  gli  applausi  riscossi  da  molti  scienziati, 
ci  basta  di  osservare  che  non  reggono  punto  al  pa- 
raggio  le  opere  sulle  medesime  acque  scritte  dal 
Zambroni  e  dal  Torraca.  Nel  regno  de'vegetabili 
quante  belle  indagini  non  fece!'  Assegnò  l'uso  me- 
dico dell'  olio  di  Croton  Tìlli  e  della  gomma  di 
lUivOì  in  cui  dall'odore  credeva  contenersi  Vacida 
benzoico-  ma  dopo  una  serie  di  bellissime  osserva- 
zioni non  esservi  si  convinse.  Erudita  per  lo  storico 
ragguaglio  del  medesimo  uso  presso  gli  antichi^  ed 
utile  per  la  pratica  fu  commendata  la  sua  memoria 
dalla  Società  Italiana  delle  scienze  ,  e  possono  in 
parte  convenire  le  stesse  parole  alla  lettera  che  al 
Folchi  diresse  nel  giornale  arcadico  (1).  Non  mai 
stanco  di  svolgere  le  carte  di  vetusti  scrittori,  si  avva- 
leva dei  ritratti  lumi  per  dimostrare  che  sia  troppo 
vecchio  ciò  che  a' nostri  giorni  con  qualche  appara- 
to si  rinnovella:  e  riprodusse  un  sistema  che  tra  le 
fole  si  ascrive  de'nostri  buoni  antichi,  nella  diffe- 
renza delle  orine  del  sangue  dopo  la  digestione  e 
di  quelle  del  chilo  dopo  il  cibo  (2).  Volle  anche 
coU'esempio  provare  la  trascuratezza  moderna  nel 
rintracciar  gli  elementi  delle  sostanze  animali  per 
utilità  dei  fisiologi  e  per  dilucidazione  patologica  ; 
oltre  gli  sperimenti  varii  sul  latte  di  bufala  fino  al 


zarini.  Roma  1807- -Memoria  sopra  le  acque  termali  di  Civita- 
veccliia.  Roma  1821. -Notizie  sopra  le  due  acidule  adoperate  in 
Roma  1818-V.  il  giorn.  arcad.  t.  IX,  p.  j45,  t.  XXXI JC,p.  3o5. 

(i)  V-  nel  t.  XXII,  p.  jQg,  la  lettera  di  19  luglio  1824,  e  il 
t.  XVII  della  società  Italiana  delle  scienze-Verona   i8i5. 

(2)  Sopra  alcune  sostanze  che  passano  indecompostc  nelle 
orine,  memoria,  ivi. 


2G4  Scienze 

suo  tempo  ignoti  (1),  ci  diede  T  analisi  della  bile,' 
umore  che  si  credeva  ben  conosciuto,  per  dimostra- 
re che  molto  rimanea  da  sapersi  anche  dopo  le  dili- 
genze del  Thenard,  del  Lassainge,  e  del  Chevalier. 
Ne  si  arrestò  sulla  bile  umana,  ma  la  venne  a  rico- 
noscere in  molti  animali  e  in  vari  pesci:  descrisse 
la  natura  del  picromele  del  Berzelius  ,  e  trovò  l'a- 
cido  margalico  e  Folaico  dopo  avere  spiegata  la  co- 
lorazione (2).  Opinava  contro  Bonhomme,  che  r^elle 
orine  dei  rachitici  sia  Yacido  malico  insieme  coUW- 
salico,  e  con  molte  fatiche  forse  il  primo  ha  ritro- 
vato la  causa  dell'ammollimento  delle  ossa  nella  ra- 
chitide (3).  Non  appena  De  Courtois  ci  annunziò  la 
scoperta  deìViodio,  scese  nd'più  minuti  rintraccìa- 
menti  per  la  maniera  di  combinarlo  con  altre  so- 
stanze, e  per  la  proprietà  di  volatilizzarsi  in  vapori 
violetti  (4)  :  e  quale  aspettativa  non  offre  l'applica- 
zione della  pila  invece  delle  scosse  della  macchina 
elettrica  da  lui  primieramente  tentate  nella  cura  de* 
morbi,  come  ci  assicura  il  P.  Pianciani  chiamato  a 
parte  de'suoi  nobili  pensieri?  Orioli  dipoi  si  distinse 
per  l'uso  della  elettricità  metallica  nella  terapeuti- 
ca, anche  senza  far  uso  della  pila  voltaica  :  onde 
Rambelli  di  giusto  sdegno  si  accende  nelle  sue  let- 
tere per  le  usurpazioni  fatte  dagli  stranieri  in  que- 
sta parte  scientifica  (  come  fecero   nelle  altre  ),  che 


(i)  Sperienze  sul  latte  di  bufala  —  inedite. 

(2)  Sperienze  sulla  bile,  nelle  memorie  della  Società  italiana. 
T.  XX.  Modena  1829. 

(5J  Memorie  due  sulla  causa  dell'ammollimento  dello  ossa 
nella  rachitide:  -  inedite. 

(4)  Memorie  sull'estrazione  dell' jodio  e  sue  combinazioni; 
—  inedita. 


Biografia  di  Moaicumi  26S 

non  si  vergognano  ascriverla  a  Most  di  Stadthangen, 
a  Monsford  d'Inghilteri'a,  a  Capman  di  Pensilvania, 
e  a  Miliier  di  Baltimora.  Giova  di  osservare  che  an- 
che prima  dell'Orioli  profittasse  il  Morichini  della 
pila,  invenzione  tutta  italiana,  o  formando  coppie 
metalliche  sulle  membra  da  curarsi,  o  applicando- 
la separatamente  per  mezzo  di  un  conduttore  ;  ma 
non  essendo  questi  lavori  di  pubblico  diritto,  non  so- 
no giunti  forse  a  cognizione  del  Rambelli  molto  ri- 
conoscente pel  suo  precettore,  che  non  tralascia  ri- 
spondere alle  accuse  de'chimici  francesi  per  la  sco- 
perta del  magnetismo  solare  (1). 

Ecco  il  ragguaglio  delle  opere  sue  più  cono- 
sciute ;  ne  tutte  le  inedite  ci  sono  note  (2)  ;  ne  po- 
tremo tener  conto  di  tutte  quelle  da  valenti  uomini 
a  lui  dedicate,  bastandoci  solo  rammentare  il  Gan- 
dolfi  nel  trattato  DelVottima  costruzione  delle  mac- 
chine elettriche  ,  che  non  disdegnava  i  consigli  di 
un  suo  discepolo,  e  il  Peretti  nelle  sue  Ricerche  del 
lattugarioy  che  di  lui  riportava  le  note  (3).  Per  la 
impostaci  brevità  non  ci  è  permesso  descrivere 
quali  e  quanti  nobili  pensieri  volgesse  a  bene  socia- 
le: valga  per  tutte  la  testimonianza  del  Cappello,  al- 
tro medico  illustre  di  Abruzzo,  che  lo  cita  con  ri- 
spetto in  ogni  pagina  de'suoi  libri.  Nelle  celebri 
memorie  sulla  idrofobia,  le  migliori  che  abbiamo 
in  un  male  tanto  terribile,  riferisce  di  aver  egli  ot- 
tenuta la  cura  di  un  accesso  sintomatico   con  l'uso 


(i)  Lettere  al  doti.  Domenico  Ferri,  lettera  VI  presso  la  Ri- 
creazione di  Bologna. 

(q)  Merita  esser  notato  un  discorso  di  scelta  frase  latina; 
Oratio  inauguralis  die  25  novembr.  i8o2.  —  inedito. 

(3)  Antologia  rom.  1797.  Giorn.  arcad.  t.  XLVI. 


260  S  e  1  K  N  Z  E 

della  china;  e  scrivendo  del  morbo  asiatico,  mentre 
desolava  l'Europa  settentrionale,  ricordò  d'aver  egli 
fondata  sul  rapporto  di  sintomi,  reso  ne'fogli  da  me- 
dici tedeschi,  un'  opinione   molto   ragionevole,  che 
troppo  tardi  e  senza  profitto  fu  generalmente  segui- 
ta. Sospettava  che  per  l'analogia  con  gli  effetti  dell' 
acido  prussico^  e  dell'acqua  di   lauroceraso  ,  come 
riferiva  Kostler,  s'insinuassero  contro  la  vitalità  ve^ 
lenosi  elementi  da  rintracciarsi  per  combatterli  nel 
sangue,  nel  vomito,  nelle  orine  e  nel  sudore.  Cosi 
l'egregio  chimico  pensava,  mentre  gli  altri  con  em- 
pirismo volgare  applicavano  formachi  senza  scopo  q 
senza  ragione  !  Cappello  ritornato    da    Parigi,  ove 
fu  spedito  con  Lupi  e  con  Meli  a  studiare  il  morbo  ^ 
che  definì  contagioso,  e  sostituito  al   vajolo  ,  disse 
pieno  di  riconoscenza,  che  il  profondo  pensamento 
del  Monchini^  ottimo  amico  e  collega^  riportato  nel 
primo  colerico  lavoro  fosse  applaudito  e  non  affatto 
trascurato  da  espertissimi  e  dotti  stranieri  (1). 

Fu  primo  che  insegnasse  veramente  chimica  in 
Eoma.  Cercò  dare  incremento  e  lustro  a  quella  cat- 
tedra, che  dal  grande  Benedetto  XIV  ripeteva  ori- 
gine. Il  cardinale  Consalvi,  a  tutti  primo  nel  mini" 
stero  della  pubblica  cosa,  con  mano  prodiga  in  ogni 
dispendio  lo  sorreggeva:  e  il  tesoriere  Lante  ,  che 
appellò  magistrato  amante  del  decoro  della  patria^ 
lo  seguiva  ne'luminosi  consigli.  Al  Morichini  si  de- 
ve l'erezione  di  un  chimico  gabinetto,  che  richiama 
Jo  sguardo  dell'osservatore  tra  gli  scelti  e  innume- 


(i)  Storia  medica  del  cliolera  indiano  osservato  da  Agostino 
Cappello  ...  nel  i852,  art.  XIV. -"V.  il  giorn.  arcad.  T.  L.  i83i, 
p.  46,  e  gli  Opuscoli  scelti  scientifici,  iioma  i83o. 


Biografia  di  Morichini  267 

revoli  strumenti  fisici,  e  tra  le  copiose  raccolte  di 
storia  naturale  ampliate  alla  università  romana  dal' 
la  munificenza  del  sommo  gerarca  Gregorio  XVI. 
Prestò  molti  servigi  allo  stato,  e  non  ultimo  fu  quel- 
lo della  riduzione  della  moneta  erosa  a  gravi  per- 
dite soggetta  con  la  semplice  pratica,  senza  una  nor- 
ma scientifica  e  sicura  ;  per  cui  fu  rivestito  della 
carica  à^ ispettore  a  dirigere  nella  reverenda  came- 
ra qualunque  altra  chimica  operazione, 

La  polizia  medica  può  dirsi  sorta  con  lui  :  per- 
chè le  leggi  d'incolumità  pubblica  erano  in  parte 
sconosciute,  e  in  parte  mal  dirette,  o  non  adempite. 
Fu  il  primo  che  col  senno  e  coll'opera  riuscisse  a 
formarne  molte,  e  a  ricavarne  in  uso  le  altre:  onde 
manteneva  continua  corrispondenza  col  magistrato 
di  salute.  Prescrisse  la  forma  e  il  luogo  de'cimiteri 
e  dei  sepolcri;  fu  membro  e  poi  presidente  del  con- 
siglio generale  di  vaccinazione, 

Medico  primario  dell'ospedale  di  s.  Spirito,  e 
tutto  consacrato  per  l'arte  salutare,  impartiva  soc- 
corso nelle  sale  magnifiche  e  negli  squallidi  abituri, 
ove  spesso  soccorreva  l'indigenza.  Pio  VII  nel  ter- 
mine delle  sue  gloriose  fatiche  affidossi  alle  cure  di 
lui  :  Pio  Vili  ne'momenti  estremi  della  sua  vita  al 
suo  fianco  lo  ratteneva  :  i  due  pontefici  fra  le  brac- 
cia di  lui  spirarono.  Il  principe  reale  di  Danimarca, 
sottratto  da  morbo  pericoloso,  dopo  avere  sperimen- 
tato il  genio,  reduce  ne'dominii  lo  fregiò  dell'ordine 
di  Danebrog:  fu  questo  un  distintivo  di  onorificen- 
za dal  Morichini  ottenuto  e  non  ambito!  La  repub- 
blica di  S.  Marino  non  giudicò  meglio  di  emendare 
la  perdita  del  conte  Giulio  Perticari,  che  creandolo 
in  di  lui  vece  suo  patrizio.  Fu  medico  della  casa 
dell'imperatore  e  re  in  Roma,  e  socio  di  molte  il-> 


268  Scienze 

lustri  accademie;  rammentiamo  quella  degli  Arcadi 
(tra'quali  da  Loreto  Santucci,  allora  custode  genera- 
le, gli  fu  dato  il  nome  di  Melampo  di  Coo)  ,  quella 
de'Lincei,  delle  scienze  di  Torino  e  di  Monaco,  la 
società  italiana  di  Modena,  la  reale  di  Londra  e  l'i- 
stituto. Dopo  anni  trent'uno  d'insegnamento  un  bi- 
glietto del  Camerlengo  gli  accordò  la  giubilazione; 
in  ricompensa  però  delle  altre  sue  fatiche  era  già 
pensionato  :  nondimeno  per  amore  della  scienza  e 
per  pubblico  vantaggio^  come  scrisse  monsig.  Muz- 
zarelli,  non  intermise  le  sue  lezioni. 

Non  potendo  tener  conto  di  tutti  i  suoi  rap- 
porti scientifici,  non  ometteremo  i  principali.  Quel 
Gay-Lussac,  cui  pareva  non  molto  sicura  la  forza 
magnetizzante  del  raggio  violetto,  spesso  ai  Morichi-» 
ni  scriveva  per  conferire  argomenti  della  piìi  grave 
importanza.  Davy,  di  mente  sublime  e  di  cuore  sen- 
sibile, non  contento  dei  pubblici  tratti  di  omaggio  , 
sull'orlo  del  sepolcro,  da  cui  l'amico  lo  aveva  ritolto 
in  Roma,  destinava  cinquanta  lire  sterline  al  sommo 
italiano  benefattore    delle    chimiche   scienze.   Non 
appena  la  consorte  da  Ginevra  comunicava   in  cor- 
tese foglio  r  onorevole   largizione ,   Morichini    più 
generoso  ergeva  tre  busti  all'immortale  chimico  in- 
glese nella  sua  magione,  e  nelle  università  di  Roma 
e  di  Bologna.  Così  pure  il  gran  Luigi  XIV,  persuaso 
che  il  mondo  sia  la  patria   de'sapienti,  cumulava  di 
premi  un  Allacci  bibliotecario   del   Vaticano  ,  un 
Graziani  segretario  del  duca  di  Modena  e   im  Vi- 
viani  matematico  del  gran  duca  di  Firenze,  sebbe- 
ne suoi  sudditi  non  fossero.  Ma   questa  regia    ge- 
nerosità cede  di  merito  alla  privata:  la  casa  di  lui, 
qual   santuario  delle   scienze  ,  fu  riverita  da  ogni 
dotto  viaggiatore.  Cuvier  molto  stimava  l'imparzia- 


ÉlOGRAFlA   DI    MORICHINI  269 

le  (Il    lui   giudizio,  Cotugno  e  Tommasinl  ehbero 
con   lui  stretti  legami  di  amicizia.  Per  la   sua  ce- 
lebrità, e  per  la  dolcezza  de'costumi,  si  affezionava 
ogni  animo  anche  ritroso  :    direttore  di   una   com- 
pagnia, di  scienzati,  che  a  sollievo  delle  fatiche  del 
giorno  adunavasi  nella  sera  con  eruditi  colloquii  , 
vi  era  l'oracolo  e  la  delizia  :  invido   non  mai,  ve- 
nerava le  persone  anche  quando   censurare  ne    do- 
vesse i  sentimenti.  Prova  ne  sia  la  relazione  sul  pro- 
gresso della  chimica,  della  fìsica  ,  e  della  storia 
naturale:  con  quale  ritenutezza  non  si  oppose  al  sì- 
stema  di  Murray  e  di  Reynold  circa  gli  aereoliti  (1)? 
Abbiamo  desiderato  di   spargere  sulla  sua    tomba 
que'  fiori  ,  che  egli   ha    sparsi  per  la  memoria  di 
Gandolfi  e  di  Gismondi;  ma  le  nostre  deboli  forze 
non  hanno  potuto  raggiungere  i  dotti  commentari 
sulla  vita  deirillustrc  fisico  e  dell'eccelso  mineralo- 
go  che  a  gara  sono  letti  e  si  riprodocono  nell'  I- 
talia  !  Possono  soltanto  a  noi  convenire  le  parole, 
che  a  quest'ultimo  dedicava,  con  le  quali  di  lui  di- 
remo :  Vuoici  sommamente  che  le  fatiche  deiranno 
scolastico.,  e  la  difficoltà  di  raccogliere  notizie  d'un 
uomo  quanto  abile   altrettanto   modesto  ,  ci  abbia 
fatto  ritardare  così  a  lungo  il  pagamento   del  no- 
stro debito  (2). 

Egli  è  morto  :  le  spoglie  compiante  riposano 
in  s.  Marcello  nel  suo  sepolcro  gentilizio  (3).  Bom- 


(t)  Giornale  Arcadico  toni.  6,  pag-  i56,  3 19. 

(2)  Necrologia  del  prof.  Bartolomeo  Gaudolfi  1824.  Necrolo- 
gia del  prof.  Gismondi  iSaS  -  ristampate  nella  biografia  degli 
italiani  illustri  e  de'  contemporanei  -  V.  I,  Venezia  i834  * 
p.  i35, e  201. 

(3)  Spirò  nella  sera  del  ig  novembre  i836,  e  fu  sepolto  nel 
giorno  21. 


2T0  Scienze 

La  medico  insigne  di  Lanciano  nel  tempo  stessa  ha 
cessato  di  vivere  !  Rimangono  in  Roma  Cappello, 
De  CroUis  e  Nibby  ad  onorare  l'Abruzzo;  e  del  de- 
funto Morichini  rimangono  sette  figli  ottenuti  da 
Cecilia  Calidi  sua  virtuosa  consorte,  che  sono  tutti 
eredi  della  perspicacia  paterna  e  tutti  sono  educati 
alle  lettere  e  alle  scienze*  Già  monsig.  Carlo  Luigi 
prelato  di  grande  ingegno  e  di  maniere  affabili^  vice- 
presidente dell'ospizio  apostolico,  in  alcune  opere 
date  in  luce  sugli  stabilimenti  di  beneficenza^  e  nel 
cooperare  alla  istituzione  di  una  recente  cassa  di  ri- 
sparmio (degna  di  essere  imitata)j  mostra  qual  sia  il 
suo  genio  per  l'economia  pubblica  e  per  la  statisti- 
ca. Gli  dobbiamo  molte  delle  presenti  notizie;  e  pre- 
gandolo di  accettare  in  primo  attestato  di  ammira- 
zione questi  nostri  biografici  comenti,  facciamo  vo- 
ti che  sieno  impresse  le  opere  inedite  deirilliistrc 
genitore  con  un  quadro  della  vita,  in  cui  sapra  con 
gentili  tratteggiamenti  ritrarci  la  pittura  fedele  di 
un  oggetto  che  sì  da  vicino  ha  contemplato.  Ci  da- 
rk contezza  delle  doti  morali,  e  tra  queste  di  un 
animo  pacato  e  dolce,  quantunque  stizzoso  ed  ira- 
condo fosse  il  temperamento,  di  una  umiltà  pro- 
fonda e  molto  aliena  dalla  jattanza,  di  rispetto  per 
la  chiesa  e  pei  donimi  di  nostra  santa  religione.  Non 
fu  della  classe  di  quei  filosofi^  che  danneggiano  gra- 
vemente da  una  parte  la  società,  mentre  dall'altra 
qualche  lieve  bene  compartiscono:  indivise  sue  pro- 
prietà furono  illibati  costumi  e  gran  sapere.  Noi  ci 
siamo  proposti  rappresentarlo  nel  solo  ramo  scien- 
tifico, e  sarà  nel  morale  illustrato  da  un  figlio  af- 
fettuoso e  degno. 

Vittorio  Iandelli. 


2T1 


LETTERATURA 


Dé'nuovi  lavori  eseguiti  nella  diaconia  de'ss.  P^ito 
e  Modesto^  descrizione  del  principe  don  Pie- 
tro Odescatchi  dei  duchi  del  Sirmio,  riveduta 
e  corretta  dalt autore. 


Oe  molto  è  da  commendare  la  sollecita  e  prov- 
vida cura,  che  il  regnante  pontefice  massimo  Gre- 
gorio XVI  (in  mezzo  ai  gravissimi  negozi  del  prin- 
cipato, e  del  reggimento  universale  biella  chiesa) 
pone  in  conservare  dalle  ingiurie  del  tempo  gli  an-- 
tichì  avanzi  della  grandezza  e  della  maestà  dell'im- 
perio che  s'ebbe  questa  nostra  Roma;  molto  è  pure 
da  aversi  in  ammirazione,  e  da  doversi  con  sommis- 
sime  lodi  celebrare  lo  studio  e  l'amor  grande  ch'egli 
mette  in  far  riparare  dalle  imminenti  rovine  ,  ed 
in  ritornare  alla  venerazione  dei  fedeli  que'templi 
che  per  la  loro  molta  celebrità,  e  per  le  belle  me- 
morie che  ci  conservano,  come  sono  d' onore  e  di 
decoro  alla  religione  nostra  santissima,  cosi  recano 
non  leggiero  conforto  e  splendore  notevole  alla  ec- 
clesiastica istoria.  E  qui  ,  per  ciò  che  certamente 
ne  parrà  ad  ognuno,  vuoisi  con  sentimenti  di  sin- 
cera riconoscenza  ricordare  il  nome  di  monsignore 
Antonio  Tosti  tesoriere  generale,  che  propone  ali* 


272  S  e  I  B  N  «  B 

ottimo  principe  così  fatte  opere,  e  sa  poi  con  inar- 
rivabile zelo,  e  con  pronto  e  fermo  animo,  in  brevd 
correr  di  tempo,  menarle  a  buono  e  felice  riusci- 
mento.  Ed  in  fatti  appena  abbiamo  veduto  restau- 
rato il  patriarchio  lateranense,  ed  in  molte  parti 
racconciata  la  basilica  di  san  Sebastiano,  ecco  che 
per  comandamento  del  pontefice  è  quasi  dalla  non 
lontana  ed  intera  sua  distruzione  salvata,  e  più  con- 
venientemente rimessa  al  pubblico  culto,  l'antica  e 
celebrata  diaconia  de'ss.  Vito  e  Modesto  suU'Esqul- 
lino.  Poiché  dunque  ho  tolto  sopra  di  me  l'  inca- 
rico di  descrivere  i  nuovi  lavori  che  in  quel  tempio 
sono  stati  operati,  io  mi  avviso,  a  maggior  chiarezza 
di  chi  sì  farà  a  leggere  questa  mia  umile  e  rimes- 
sa scrittura,  di  dividerla  in  tre  parti.  Nella  prima 
narrerò  la  istoria  de'ss.  Vito  e  Modesto,  cosi  come 
sta  ne' pili  riputati  scrittori.  Nella  seconda  tesserò 
la  istoria  di  quel  tempio,  non  intralasciando,  come 
meglio  per  me  si  potrh,  di  dichiarare  e  d'illustra- 
re altresì  i  monumenti  che  in  esso  si  conservano. 
Nella  terza  finalmente,  seguitando  tutto  quello  che 
dall'egregio  architetto  signor  cav.  Pietro  Campore- 
sej  soprastante  a'iavori,  mi  si  è  venuto  mano  mano 
annotando,  esporrò  le  riparazioni  che  vi  sono  state 
eseguite.  E  senza  piìi  entro  in  materia. 

PARTE    PRIMA. 

Istoria  de  ss,  Vito  e  Modesto, 

Molte  sono  le  leggende,  le  cronache,  e  gli  scrit- 
ti che  delle  geste  gloriose  di  questi  santi  martiri 
vanno  attorno;  ma  alcuni  sono  senza  meno  da  re- 
putarsi apocrifi,  altri  decisamente  falsi,  perchè  man- 


Diaconia,  de'ss.  Vito  e  Modesto  273 

canti  di  ogni  luce  di  verità,  e  di  quella  sana  cri- 
tica, la  quale  se  vuol  esser  sempre  la  guida  di  tut- 
te le  opere  dell'intelletto,  a  mille  doppi  deve  poi 
mostrare  la  sua  face  quando  è  discorso  d'istoria.  Il 
Ruinart,  ne'suoi  atti  sinceri  de'martiri,  niun  motto 
fa  dei  nostri  santi,  e  solo  in  una  nota  agli  atti  di 
san  Cipriano  li  ricorda.  Quel  che  ne  scrissero  il 
f^aragine,  il  f^/gliega,  il  Ribadeneira,  ed  il  Calca- 
gni nella  istoria  di  Recanali,  di  cui  questi  martiri 
5ono  protettori,  se  nella  sustanza  in  molte  parti  po- 
sa sulla  verità,  in  alcune  altre  da  essa  si  diparte: 
o  almeno  questi  scrittori  scambievolmente  si  con- 
traddicono in  modo,  che  dubbia  cosa  sarebbe  il  ri- 
portarsi alla  loro  autorità.  Il  perchè  ho  io  stimato 
bene  di  qui  riferire  quel  tanto,  che  de'nostri  santi 
dice  Adone  nel  suo  martirologio.  Nel  quale  divisa- 
mento  tanto  più  mi  sono  fermato  ,  quanto  che  le 
cose  da  lui  narrate  sono  in  gran  parte  confermate 
dal  Papebrochio,  critico,  come  ognun  sa,  solennis- 
simo.  Ecco  adunque  come  quell'antico  istorico  de' 
martiri,  sotto  il  dì  quindici  del  mese  di  giugno  , 
narra  la  istoria  del  martirio  de'nostri  santi:  la  qua- 
le io  niente  altro  fo  che,  a  maggior  comoditk  de' 
leggitori,  voltare  in  nostro  linguaggio. 

»  I  santi  martiri  Vito,  Modesto  e  Grcscen/Ja 
videro  la  prima  luce  del  giorno  in  Sicilia.  Fino  dal- 
la prima  età  il  giovinetto  Vito  pareva  già  fatto  ma- 
turo in  ogni  generazione  di  virtìi.  Ila  suo  padre  , 
fermissimo  idolatra  ,  tentò  dapprima  ogni  via  di 
persuasione  a  ri  trarlo  dal  culto  che  aveva  abbrac- 
ciato :  e  mentre  nella  sua  cattiva  mente  molinava 
dì  ridurlo  con  gastighi  a  sua  volontà  ,  Vito  ,  così 
da  un  angelo  ammonito  ,  di  notte  tempo  calatosi 
in  un  naviglio,  e  tolti  in  sua  compagnia  Grescen- 
G.  A.  T.  LXXITT.  i8 


274  Letteratura 

zia  ch'era  stata  sua  nutrice  ,  e  Modesto  marito  di 
lei,  dopo  breve  e  felice  viaggio  approdò  alle  arene 
della  Lucania.  Da  lì  a  non  molto  tempo  passato 
venne  egli  ricerco  e  menato  innanzi  a  Diocleziano 
imperadore,  affine  di  liberar  la  figliuola  dal  demo- 
nio, da  cui  era  posseduta  ;  ciò  ch'egli  ottenne  col 
mezzo  dell'orazione.  Quel  principe  iniquissimo,  mol- 
ti e  larghi  donativi  impromettendogli,  voleva  pie- 
garlo ad  onorare  i  falsi  iddii,  ed  all'in  tutto  l'a- 
nimo del  giovinetto  dal  santo  e  fermo  suo  propo- 
nimento svolgere  e  tramutare  ;  ma  in  niente  riu- 
scendo nel  perverso  suo  intendimento  ,  comandò 
che  legato  e  stretto  da  dure  catene  venisse  chiuso 
in  oscurissimo  carcere,  e  con  lui  altresì  Modesto  e 
Crescenzia.  Appresso  ,  quasi  a  ludibrio  ,  li  espose 
nell'anfiteatro  al  cospetto  di  tutto  il  popolo.  Dopo 
questo  li  fé  gittare  in  un  bagno  bollente  di  pece 
e  piombo  liquefatto,  entro  cui  i  valorosi  campioni 
di  Cristo,  a  somiglianza  dei  tre  fanciulli  della  for- 
nace, cantarono  lietissimi  cantici  all'onore  di  Dio. 
Usciti  illesi  di  quella  caldaia,  fu  loro  lasciato  con- 
tra  un  lione  ferocissimo,  il  quale  ai  santi  martiri 
pervenuto,  in  un  attimo,  messa  giìi  ogni  naturale 
ferocia,  mansuetissimo  s'accosciò  loro  ai  piedi,  ed 
in  segno  di  festa  e  di  riverenza  si  diede  a  lambir-: 
li.  Da  ultimo,  vinto  il  sacrilego  principe  da  tanti 
fatti,  e  vedendo  che  la  moltitudine  presa  alla  gran- 
dezza del  miracolo  traevasi  tutta  a  seguitarli,  e  a 
Cristo  vero  Iddio  a  convertirsi,  impose  che  appa- 
recchiata una  catasta,  ivi  sopra  le  innocenti  vitti- 
me si  distendessero.  Mentre  per  così  fatto  e  dispie- 
tato modo  erano  i  martiri  di  Dio  tormentati,  e  le 
ossa  loro  si  dislaccavano  e  si  scommettevano,  d'un 
subito  videsi  in  ogni  intorno  farsi  un  tempo  neris- 


Diaconia  de'ss.  Vito  e  Modesto  275 

slmo  con  un  lampeggiare  ed  un  tonare  ne  più  ve- 
duto, ne  udito  mai  ,  e  la  terra  scuotersi  con  tale 
strepito  e  così  violentemente,  che  i  templi  degli  id- 
dii  crollarono  a  terra,  molti  sotto  le  loro  rovine 
frangendo  ed  ischiacciando.  Fiorenza,  donna  nobi- 
lissima e  pietosissima,  si  fece  con  ogni  stadio  a  rac- 
cogliere i  corpi  dei  santi  martiri,  ed  in  un  luogo, 
a  otto  miglia  da  Roma,  chiamato  Mariano.)  oggidì 
Marino  (ove  Tultlmo  martirio  con  costante  e  gene- 
roso animo  sostennero),  di  aromi  preziosi  e  di  ogni 
sorta  di  spezierie  acconciatili  ,  riverentemente  li 
seppellì.  »  E  così  ha  fine  la  istoria  di  Adone. 

PARTE    SECONDA. 

Istoria  del  tempio  ed  illustrazione 
dei  monumenti. 

Narrata  la  istoria  dei  martiri,  è  ora  a  dover  tes- 
ser quella  del  tempio  (1)  :  e  per  prima  cosa  ove 
esso  si  sta.  Giace  la  diaconia  dei  ss.  Vito  e  Mode- 
sto sul  monte  Esquilino  ,  in  macello  martjrum  , 
presso  l'arco  di  Gallieno  innalzato  da  Marco  Aure- 
lio Vittore.  Vogliono  alcuni  che  il  nome  di  macel- 
lo sia  a  questo  tempio  venuto  dall'essere  stato  un 
tempo  poco  lungi  di  la  il  macello  liviano-  ciò  che 
è  un  medesimo  che  dire  il  pubblico  mercato:  che 
macella  dagli  antichi  venivano  nominati  i  mercati 


(i)  Debbo  gran  parte  di  queste  notizie  alla  somma  cortesia 
4cl  sig.  abate  don  Salvatore   Leoni,  il  quale  delle   cose  romane 
i    de'tempi  di  mezzo,  e  specialmente   delle  ecclesiastiche  ,  è   assai 
erudito. 


276  Letteratura 

de'commestlbili,  come  ce  ne  danno  non  dubbia  te- 
stimonianza  que' versi  di  Plauto  nell'AuIularia: 

Venio  ad  macellum^  rogito  pisce s'.  indicant 
Caros:  agninam  caram^  caram  bubulam, 
y^itulinam^  cetum^  porcinam^  cara  omnia  (1). 

Altri  poi  più  favolosamente  che  secondo  verità,  a 
quel  che  io  ne  penso  ,  si  credono,  e  tra  questi  è 
Pietro  Martire  Felini  da  Cremona,  che  ivi  fosse  la 
casa  di  un  solennissimo  ladrone  detto  Macello ,  e 
che  da  esso  si  derivasse  il  nome  di  macello  limano, 
detto  poi  ancora  macello  de'martiri  (2).  Io  stimo 
però  che  sebbene  una  tale  denominazione  possa  ve- 
nire da  quella  che  in  antico  si  ebbe  il  luogo  non 
molto  lungi  dalla  nostra  diaconia;  pur  non  da'mer- 
cati  ,  macella  ,  ma  dalla  voce  medesima  recata  ad 
altra  significazione  si  derivi:  voce  già  in  uso  nella 
bassa  ed  infima  latinità,  e  restata  nel  nostro  comu- 
ne volgare,  in  cui  macello  serve  anche  a  significare 
carni/lcina  e  strage.  Ed  in  fatti  Roma  da'sacri  scrit- 
tori fu  detta  m,acello  generale  de^martiri:  Ita  una 
Roma  m,actandis  Christi  ovibiis  generale  quasi  ma- 
cellum  erat  (3).  Il  Boldetti  ,  che  scrisse  dei  cimi- 
teri de'martiri,  sembra  che  stia  fermo  in  questa  me- 
desima sentenza  là  dove  dice:  »  Oltre  gli  anfiteatri, 
»  i  fori,  e  le  pubbliche  vie,  dove  dai  gentili  si  fa- 
»  cea  strage  di  popolo  per  la  confessione  di  Cristo, 


(i)  Atto  2  scena  8. 

(2)  Nel  suo  trattato  delle  cose  maravigliose   dell'alma    città 
di  Roma,  a  fac.  177. 

(3)  Thomas  Stiiplet,  De  magnitudine  romaaae  ecclesiae  , 
cap.  VI. 


Diaconia  de'ss.  Vito  e  Modesto  277 

»  v'erano  ancora  luoghi  a  parte  per  la  carnificina  de' 
»  medesimi,  a'quali  restò  poi  sino  a'nostri  tempi  il 
»  titolo  di  macello  de  martiri  (1).  »  E  si  farà  sem- 
pre più  certa  una  tale  opinione,  sicché  a  mio  giu- 
dizio non  possa  più  mettersi  in  dubbio  ,  se  alcun 
poco  si  consideri  che  la  denominazione  di  macello 
si  diede  altresì  a'iuoghi  che  tali  non  furono,  poiché 
ninna  sorta  di  commestibili  vi  si  spacciava;  e  cosi  ma- 
cellum  martyriim  fu  detto  quello  j4d  aquas  salvias^ 
e  l'altro  chiamato  Gatta  iugiter  manans^  ciò  è  a  dire 
il  Gianicolo  ed  il  Vaticano.  E  per  mettere  un  fine 
alle  autorità,  reciterò  le  parole  stesse  di  Ottavio  Pan- 
ciroli  ,  il  quale  nel  1625  cosi  scriveva:  »  Da  qui 
»  (  dal  macello  de'martiri  )  credo  sia  venuta  la  di- 
»  vozìone  di  quelli,  che  essendo  morsicati  da  cani 
»  arrabbiati  vengono  a  questa  chiesa  (  a  quella  dei 
»  ss.  Vito  e  Modesto  ),  e  fanno  benedire  del  pane  , 
»  e  mangiatolo  passano  sotto  quella  pietra  (  la  pie- 
»  tra  scellerata)  (2),  sopra  della  quale  dalli  cani 
»  arrabbiati  dello  inferno  furono  sbranate  le  mem- 
»  bra  di  tanti  innocenti  martiri,  e  secondo  la  fede 
»  e  divozione  così  da  Dio  s'impetra  la  grazia  della 
»  implorata  santità  (3).  »  Ed  ancora  a'dì  nostri  con 
egual  fede  e  divozione  corre  il  popolo  ,  ed  in  is- 
pezialta  la  gente  grossa  della  campagna  ,  a  cui  spes- 
so incontra  d'esser  morsa  da  cani  arrabbiati,  ed  in 
quel  tempio  usa  le  stesse  divote  pratiche:  il  per- 
chè fattesi  da  un  sacerdote  recitare  sopra  la  parte 
tocca  dal  crudele  morso  certe  peculiari  orazioni ,  si 


(i)  Osservazioni  su  i  cimiteri   de' martiri,  lib.  I  cap.  XVIJ. 

(2)  Vedi  Appendice,  lettera  A. 

(3)  Tesori  nascosti  dell'alma  città  di  Roma,  a  fac.  8o5. 


278  Letteratura 

mette  tutta  carpone  a  passare  e  a  ripassare  sotto 
quella  pietra  che  fu  tinta  e  Lagnata  del  sangue  di 
tanti  martiri.  E  certo  che  il  predicato  di  scellera- 
ta alla  pietra,  ove  furono  mozzate  quelle  sante  ed 
innocenti  vittime,  per  la  barbarie  e  le  scelleranze 
che  ricorda,  sta  pure  assai  bene:  e  con  pili  verità, 
a  mio  pensare  ,  che  non  1'  ebbero  presso  gli  an- 
tichi nostri  e  la  porta  carmentale,  d'onde  uscirono 
i  Fabii  rimasi  tutti  uccisi  alle  acque  del  Cremerà; 
e  la  strada  dove  la  figliuola  di  Servio  Tullio  passò 
col  carpento  sul  cadavere  del  padre  ucciso  da  Tar- 
quinio  superbo;  ed  il  campo  presso  la  porta  col- 
lina, ove  le  vestali  colpevoli  venivano  sepolte  vive; 
ed  in  fine  l'accampamento  ove  si  morì  Druso  pa- 
dre di   Claudio  imperatore» 

Ora  a  voler  dire  tutto  (  seguitando  )  sulla  po- 
sizione del  nostro  tempio  ,  non  voglio  tacere  che 
Anastasio  bibliotecario  nella  vita  di  Leone  III  la 
chiama  de  sardas,  denominazione  da  non  confon- 
dersi col  vico  sardonum  o  sardoruni^  a  trenta  mi- 
glia da  Roma,  citato  dallo  stesso  biijliolecario  nel- 
la vita  di  Leone  IV.  Quel  che  Anastasio  con  la  pa- 
rola de  sardas  abbia  inteso  di  significare,  non  mi 
è  venuto  fatto,  nel  breve  tempo  accordatomi  a  det- 
tare questa  mia  descrizione,  di  trovarlo,  per  quan- 
to non  abbia  tralasciato  di  svolgere  e  di  consultare 
molti  autori,  ponendo  a  capo  di  essi  lo  stesso  Ana- 
stasio nelle  due  citate  vite  de'  pontefici.  Il  perche 
mi  risto  dal  farvi  parola  sopra,  lasciando  che  al- 
tri di  me  più  pratici  in  questa  sorta  di  studi  dichia- 
rino e  dilucidino  la  cosa  a  dovere.  Dirò  solo  che 
v'ha  chi  pensa,  che  una  tale  denominazione  possa 
derivare  da  qualche  particolar  genere  di  commesti- 
bile che  in  abbondanza  si  spacciasse  nel  prossimo 


Diaconia  de'ss.  Vito  e  Modesto  279 

macello  lìviano,  e  che  avesse  quel  nome:  su  di  che 
però  io  non  mi  ardisco  di  pronunziare  sentenza 
alcuna. 

Detto  del  luogo  ove  è  posto  il  tempio,  mi  fa- 
rò ora  a  narrarne  la  istoria  per  'cjuel  pochissimo 
che  se  ne  sa.  Il  citato  Anastasio  bibliotecario  nella 
vita  di  Stellino  IV  lo  chiama  chiesa  antichissima: 
Ecclesia  certe  s.  f^lti  (  sono  sue  parole  )  in  macel- 
lo 'vetustissima  in  urbe  est^  atqiie  ibi  monasterinm. 
Questo  monastero,  di  cui  parla  Anastasio,  da  mol- 
ti si  vuol  che  sia  quel  medesimo,  di  cui  nell'otta- 
vo secolo  era  abate  il  celebre  monaco  Filippo  chia- 
mato pontifex  unius  diei^  il  quale  portatosi  al  pa- 
triarchio lateranense  per  farsi  incardinare  nella 
usurpata  dignità  pontificia  ,  ne  venne  a  grida  di 
popolo  discacciato  :  sì  che  uscito  papa  di  s.  Vito, 
ritornò  monaco  al  monìstero.  E  Fioravante  Marti- 
nelli è  in  questa  medesima  sentenza,  dicendo:  Ex 
huiiis  loci  monasterio  (recito  le  sue  parole)  asswn- 
ptus  fiat  in  pseudo-ponti ficem  ,  tempore  Stephanl 
If^  1  Philippus  presbyter.  Il  cardinal  Baronie,  il 
CiaCconio,  il  Bosio,  il  Panciroli,  il  Marliani,  il  Pan- 
vinio,  il  Donati,  il  Nardini  ed  il  Grevio,  che  par- 
lano di  questa  chiesa,  tutti  sono  uniformi  in  dire 
che  al  cessare  delle  persecuzioni  contra  i  cristiani 
fu  presso  la  basilica  siciniana  eretto  il  nostro  tem- 
pio ad  onore  dei  ss.  martiri  Vito  e  Modesto.  In 
processo  poi  di  tempo,  essendo  esso  profanato  per 
un  sagrilegio  commessovi  nei  dì  dello  scisma  d'Ur- 
sìcino  contra  s.  Damaso  papa,  rimase  per  lunghis- 
simi anni  abbandonato.  Qui  a  dir  vero  montereb- 
be assai  il  conoscere  chi  il  sacrilegio  commettesse, 
e  quale  sì  fosse;  ma  tanto  i  sovracitati  autori,  quan- 
to altri  ancora  da  me  in  proposito  consultati,  nien- 


280  Letteratura 

te  dicentlone,  è  di  necessità  che  dobbiamo  in  que- 
sto desiderio  rimanere. 

Andando  innanzi  dirò,  che,  se  devesi  stare  al- 
Tautorita  del  Panvinio,  la  nostra  chiesa  sarebbe  sta- 
ta eretta  in  diaconia  da  san  Gregorio  il  grande  (  e 
sarebbe  la  diciottesima  tra  le  diaconie):  dal  che 
seguiterebbe,  che  fino  dal  sesto  secolo  avrebbe  do- 
vuto essere  in  qualche  celebrità  ;  ma  come  si  ve- 
drà nell'appendice,  in  cui  ho  stimato  pregio  del- 
l'opera il  dare  cronologicamente  la  serie  dei  car- 
dinali diaconi  (1),  essa  non  ha  cominciamento  che 
dal  secolo  undecimo. 

Sisto  IV,  pontefice  di  assai  onorevole  ricordan- 
za, fu  quegli  che  diede  opera  con  grandi  lavori  a 
riparare  questo  tempio  :  e  per  così  fatto  modo  lo 
ritornò  in  decoro,  che  poteva  quasi  dirsi  di  averlo 
dalle  fondamenta  eretto;  che  anzi  moltissimi,  ma- 
lamente interpretando  il  fundavit  che  leggesi  nella 
iscrizione  che  sta  sopra  la  grande  porta  del  tem- 
pio, la  quale  dice 

SIXTVS  .  mi .  PONT  .  MAX  .  FVNDAVIT  .  UTT 

caddero  nell'errore  di  credere ,  che  questo  pon- 
tefice fosse  stato  il  primo  che  la  chiesa  ai  ss.  Vito 
e  Modesto  innalzasse:  non  ponendo  mente  ,  che  il 
fundare^  oltre  al  ponere  fundamenta,  significa  rem 
aliqaam  firmare,  confirmare,  stahilem  reddere.  Ed 
in  fatti  in  tal  significato  il  verbo  fundare  fu  ado- 
perato da  Virgilio  quando  disse: 


(i)  Vedi  Appendice,  lettera  B. 


Diaconia  de'ss.  Vito  e  Modesto  281 

.  .  .  dente  tenaci 
Anchora  fundabat  naves  (1): 
e  poi  per  traslato  :  Fundare  urbem  legìbus  (2)  : 
e  COSI  Plinio  nel  panegirico:  Fundare  salutem.,  se- 
ciiritatem  (3).  Per  tutti  però  valga  ciò  che  il  Du- 
Cange,  in  fatto  di  questi  studi  reputatissimo,  nota 
al  verbo  fundare:  Haud  abs  re  fuerit  hic  obser- 
vare^  non  eos  solum  ecclesiae  vel  monasterii  dici 
fundatores  qui  primwn  ecclesiam  aut  monasterium 
extruunt,  sed  etiani  illos  qni  instaurant  et  augent 
maxime.  Huius  rei  plura  suppetunt  in  veteribus 
tabulis  argumenta  (4). 

Fermata  per  questo  modo  la  significazione  del 
verbo  fundare  nel  nostro  senso,  e  dichiarato  che  il 
pontefice  Sisto  IV  non  eresse,  ma  riacconciò  questo 
tempio,  seguiterò  dicendo  come  apertolo  al  pub- 
blico culto  vi  stabili  la  cura  delle  anime,  la  qua- 
le nell'anno  1566  passò  nella  prossima  chiesa  di 
santa  Prassede  per  nuova  rovina  che  esso  pati.  Sotto 
il  pontificato  di  Sisto  V,  intorno  l'anno  1586, 
s'ebbero  questa  chiesa  le  monache  dell'  ordine  di 
san  Bernardo:  le  quali  per  l'angustia  del  moni- 
stero  non  potendo  piii  contenervisi,  vennero  man- 
date a  stare  in  quello  di  santa  Susanna  a  Ter- 
mini, ed  in  lor  vece  fu  data  a  custodire  a' mo- 
naci cisterciensi  della  provincia  romana,  che  ne 
formarono  la  stanza  del  procurator  generale  dell' 
ordine.   Fu  nell'anno    1779  che   i   cistcrciensi  la- 


(i)Lib.  VI  3. 

(2)  LJb.  VI.  8 II. 

(3)  Gap.  8. 

(4)  V.  Mabillon  in  Stat.  ss.  ordinum  S.  Benedicti.  Seec  III, 
Pars.  I  cap.  4o4-  -  Saec.  IV,  Pars  I  cap.  209. 


282  Letteratura 

sciarono  e  la  chiesa  ed  il  convento  dei  ss.  Vild 
e  Modesto  per  passare  a  quello  di  santa  Maria 
in  Carinis:  ed  alcuni  cherici  regolari  mariani  della 
santissima  concezione  del  regno  di  Polonia,  sotto 
il  reggimento  delle  scuole  somasche,  entrarono  in 
vece  de'monaci  alla  custodia  del  tempio.  E  cosi 
si  rimasero  le  cose  fino  al  primo  deliramente  re- 
pubblicano del  governo  di  Francia.  Nell'anno  1801 
un  modesto  fraticello  da  Pistoia,  per  nome  frate 
Antonino  dell'ordine  de'predicatori,  vi  fondò  un 
piccolo  conservatorio  di  povere  zitelle:  le  quali, 
durante  l'autorità  dell'impero  francese,  furono  fatte 
passare  nel  conservatorio  Borromeo,  e  la  chiesa 
venne  data  ili  rettoria  ad  un  sacerdote  secolare. 
Nel  1813  una  pia  unione  di  sacerdoti  ottenne  la 
casa,  un  tempo  monistero,  presso  la  nostra  dia- 
conia, e  vi  stabilì  un  ritiro  a  farvi  gli  esercizi 
spirituali,  in  cui  altri  non  sì  ricevono  se  non  i 
giovani  e  gli  uomini  che  vivono  d'accattare  il  pane 
limosinando.  Finalmente  tanto  la  chiesa,  quanto  la 
casa  che  si  sta  presso,  dalla  san.  mem.  di  Leone 
XII  nel  nuovo  ordine  delle  parrocchie  di  Roma 
furono  date  a  succursali  della  cura  di  santa  Maria 
Maggiore.  Ecco,  per  quello  che  io  ho  potuto  sa- 
perne, la  istoria  del  tempio.  Facendomi  ora  a  di- 
chiarare e  ad  illustrare  le  memorie  che  vi  si  con- 
servano, stimo  bene  di  dar  cominciamento  dalle  di- 
pinture, le  quali,  per  quanto  non  siano  bellis- 
sime opere  d'arte,  pure  non  voglionsi  tralasciare 
per   non   rendere    mozza   questa  mia  descrizione. 

Tre  sono  gli  altari  che  si  vedono  nella  chiesa 
del  ss.  Vito  e  Modesto;  e  tre  sono  le  dipinture  che 
soprastanno  ai  medesimi.  Quella  del  maggiore  altare 
rappresenta  san  Bernardo  ginocchioni  che  adora  la 


Diaconia  de  ss.  Vito  e  Modesto  283 

Vergine  ,  la  quale  si  sta  nel  più  alto  del  quadro 
col  bambino  Gesù  alle  braccia:  opera  che  il  Ti- 
ti  (1)  lia  detto  da  alcuni  credersi  di  Cesare  Rosset- 
ti, e  da  altri  di  Pasqualino  Marini.  Ma  Francesco 
Posteria  (  come  si  appara  dal  Ranghiasci  ),  il  quale 
fece  le  aggiunte  e  le  annotazioni  all'opera  del  Titi, 
dice  essere  di  Andrea  Pasquali  di  Recanati  (2). 
Chiunque  peraltro  sia  stato  l'autore  di  quell'opera^ 
ha  essa  assai  perduto  sì  pel  tempo  che  l'ha  in  gran 
parte  distrutta,  e  si  perchè  in  quella  età,  non  cer- 
tamente favorevole  alle  artij  vi  fu  collocato  un  cor- 
nicione che  passando  in  mezzo  alla  dipintura  là  ta- 
gliò in  gUisa^  che  il  santo  adora  di  sotto  al  corni- 
cione la  Vergine  che  sta  sopra;  e  perdutasi  in  tal 
guisa  ogni  proporzione,  vedesi  il  santo  dottore  datf 
quasi  del  capo  a  quella  informe  opera  muraria. 
L'altare  a  destra  ,  dedicato  a  san  Vito  ,  è  a  somi- 
glianza dell'altro  che  gli  sta  di  contro  ,  foggiato  a 
modo  di  edicola;  ma  sembra  però  di  un'architettu- 
ra più  antica  di  quella  del  secolo  XV,  in  cui  Si- 
sto IV  rinnovò  il  tempio.  Della  dipintura  dell'al- 
tare a  sinistra  di  chi  entra  nella  chiesa  non  met- 
te conto  il  parlare:  tanto  pare  che  ella  sia  sotto  la 
mediocrith!  Non  così  può  dirsi  dell'altro  in  onore 
del  nostro  santo,  in  cui  stanno  affreschi  di  buona 
mano,  i  quali  senza  meno  sono  da  riportarsi  all'e- 
tà di  Sisto.  Sono  essi  spartiti  in  due  piani  ^  infe- 
riore e  superiore:  nel  basso  la  dipintura  è  con  tre 
pilastrini  scompartita,  tutti  decorati  con  certi   or- 


(r)  Descrizione  delle  pitture,  sculture  ed  aixhitetture  espo- 
ste al  pubblico  in  Roma.  Pagliarini  1763. 

(2)  Annotazioni  e  aggiunte  al  Titi.  Fac.  476. 


284  Letteratura 

nati  che  sentono  lo  stile  di  quel  tempo,  e  forma- 
no tre  scompartimenti  a  maniera  di  nicchie.  Nel 
centro  è  la  figura  di  santa  Margherita  vergine  e 
martire  col  dragone  a'piedi;  alla  destra  è  san  Seba- 
stiano, ed  alla  sinistra  san  Vito  rappresentato  in  un 
gentile  e  bel  giovinetto,  che  usa  il  vestire  del  decimo- 
quinto secolo,  ha  bionda  zazzera,  e  stagli  a'piedi  un 
cane,  certo  a  significare  la  speziai  protezione  in  che 
esso  tiene  coloro  che  cadono,  per  morsi  di  cani  ,  nel 
male  della  idrofobia.  Nell'alto  poi  della  divota  anco-  j 
ne  divisa  a  modo  di  cimasa,  della  parte  inferiore  della  j 
dipintura  sta  rappresentata  Nostra  Donna  seduta  in  i 
trono,  con  al  seno  il  suo  divin  figliuoletto;  alla  destra 
è  santa  Grescenzia  nutrice  di  san  Vito  ,  ed  alla  sini- 
stra san  Modesto  suo  marito  ,  amendue  compagni  al 
beato  giovinetto  nel  martirio  e  nella  morte.  Lo  stile 
di  queste  pitture  tiene  assai  della  secchezza  di  quel- 
la etk,  per  ciò  che  spetta  al  disegno  ed  al  trattar  del- 
le pieghe  e  del  panneggio;  ma  sono  assai  da  avere  in  , 
pregio  per  la  veritk  che  si  scorge  nella  espressio-  j| 
ne  de'  volti  ,  e  per  la  semplicità  della  composizione. 
Ora  quest'opera  d'arte  sarebbe  molto  da  riputarsi,  se 
posto  mente  all'anno  1483  che  vi  sta  segnato  ,  e  resi 
pili  certi  dal  confronto  che  un  qualche  valente  arti- 
sta facesse  tra  essa  e  l'affresco  della  pinacoteca  vati- 
cana in  cui  vedesi  Sisto  IV  che  prepone  il  Platina 
alla  custodia  della  biblioteca  ,  e  gli  altri  dell'anti- 
ca tribuna  della  basilica  dei  ss.  XII  apostoli  ,  i 
quali  ora  sono  nella  sala  capitolare  di  san  Pietro 
in  Vaticano:  sarebbe  molto,  dissi,  da  reputarsi  se  po- 
tesse riferirsi  a  Marco  degli  Ambrogi  detto  Melozzo 
da  Forlì,  che  appunto  allora  trovavasi  in  Roma  in 
ufficio  di  pittore  del  pontefice  ,  ovvero  a   qualcun 


Diaconia  dr'ss.  Vito  e  Modesto  285 

altro  di  que'valorosi  artisti,  che  nell'età  del  Peru- 
gino fiorirono  ad  onore  di  Roma  e  delle  arti  (1). 
Questo  è  tutto  ciò  che  in  fatto  di  dipinture  sta 
nella  chiesa  de'ss.  Vito  e  Modesto,  e  questo  è  pur  tut- 
to che  per  me  poteva  dirsene.  Ora  verrò  ad  una  ad 
una  qui  riportando  tutte  le  lapidi  che  stavano  nel 
tempio:  e  di  coloro,  alla  memoria  de'quaii  sono  con- 
sacrate,  narrerò  quei  tanto  in  brevissime  parole  che 
per  le  istorie  se  ne  sa.  La  prima  lapide,  che  si  pre- 
senta m  mezzo  alla  chiesa,  è  quella  di  uno  degli  ulti- 
mi cardinali  diaconi  di  questo  titolo,  cioè  di  Giusep- 
pe Livizzani  modenese.  Ecco  come  sta  scritta; 

JOSEPH 
SANCTORVM    .    MARTYRVM   .    VITI    .    ET   .    MODESTI 
S  .  R  .  E  .  DIACONVS  .  CAR  .  LIVIZZANI   .   MVTINENSIS 
^  VIXIT   .   ANNOS    .   LXVI 

OBIIT   .   DIE   .   XXI    .    MARTII   .    MDCCLIV 
ORATE   .   PRO  .   EO 

Questo  cardinale  fu  segretario  de'memoriall  sotto  il 
grande  pontefice  Benedetto  XIV,  da  cui  venne  crea- 
to cardinale  il  dì  26  di  novembre  1753:  dignità  che 
gode  per  soli  tre  mesi. 


(I)  Faaos,  confronto  dal  celebre  pittore  signor  barone  Camuc- 

..'  fZT^  "^ '''"''  '°°  S''  ^^'"  ^he  si  ammirano  in  varie 
citta  dell  Umbna  e  specialmente  nella  piccola  chiesa  di  s.  Gia- 
como f  le  eutà  d.  Spoleto  e  di  Foligno,  egli  è  nella  ferma  opi- 
Spagóa        '^P'^'^^S"  '""'^^'"'^  ^  Giovanni  Spagnuolo  detto  lo 


286  Letteratura 

Sopra  questa  lapide,  più  verso  il  maggiore  alta-? 
re,  è  sepolto  il  cardinal  Fabio  degli  Abati  Olivieri  di 
Pesaro,  diacono  ancor  esso  di  cjuesto  medesimo  tem- 
pio. Ecco  la  lapide  che  sta  innestata  nel  pavimento: 

B  .  O  .  M 

FABIO   .    DE    .   ABBATIBVS    .    OLIVERIO   .   PISAVRENSI 

DIACONO   .   SS    .   VITI    .   ET   .   MODESTI 

S   .   R   .   E   .    CARD. 

R  .   CLEMENTE   .   XI   .   P   .    M   .   CONSORBINO   .   SVO 

SVCCESSORI    .   A    .    PONTIFICIIS   .    DIPLOMATIBVS 

SIRI    .    SVBSTITVTO 

INTER   .   VTR    .    SIGNAT    .    REFERENDARIOS 

LATERANENSIS    .    BASILICAE    .    CANONICOS 

ET    .    PROTONOTARIOS    .    ADLECTO 

DEMVM    .    POST    .    EIDEM    .    COLLATAM 

APOSTOLICI  .   PALATII   .    PROPRAEFECTVRAM 

IN   .   PVRPVRATORVM   .    PATRVM   .    COLLEGIVM 

PRID   .   NON   .   MAI   .   AN    .   MDCCXV    .   COOPTATO 

yiRO   .   ANIMI   .   MODERATIONE   .   IVSTITIA   .    PIETATE 

OMNIBVS    .    ORDINIBVS    .    SPECTATISSIMO 

PHILIPPVS    .    DE    .    ABBATIBVS    .    OLIVERIVS 

FRATRIS    .    FILIVS 

BENEDICTI   .   XIV   .   AB   .   HONORE   .   SACRI  .  CVBICVM 

PATRVO   .   OPTIMO   .   POSVIT 

VIXIT   .   ANN   .   LXXIX   .   M   .   IX   .   D   .  Vili 

PBIIT   .   V   .   ID   .   FEBR   .    A   .    MDCCXXXVIII 

ORATE   .    PRO   .   EO 

Fabio  degli  Abati  Olivieri  di  Pesaro  fu  cugino  aj 


Diaconia  de'ss.  Vito  e  Modesto  28T 

pontefice  Clemente  XI,  per  esser  nato  di  Giulia  Alba- 
ni sorella  al  padre  di  esso  pontefice.  Sendo  stato  no- 
minato pro-maggiordomo,  fu  innalzato  al  cardinala- 
to da  Clemente  il  dì  6  di  marzo,  correndo  l'anno 
1715.  Poscia  venne  eletto  segretario  de' brevi,  nel 
cui  officio  servì  eziandio  i  pontefici  Innocenzo  XIII 
e  Clemente  XII.  Era  nato  il  dì  29  di  aprile  1656, 
e  morì  il  dì  9  di  febbraio  1738. 

In  terra,  a  sinistra  delle  due  trascritte  lapidi, 
si  legge  questa  iscrizione: 

MCCCCC 
D   .   o   .   M 

DEPOSITV    .    ADAMATIS 

QVONDA    .    VXORIS 

ANTONII    .   DE   .   NOVAPJA 

ANO    .     IVBILEI 

DIE  .  24  .  lyNH 
i5oo 

pili  si  fosse  questo  Antonio  da  Novara  noi  so,  niun' 
altra  memoria  essendovi  di  lui  che  la  lapide  stessa. 
Io  avviso  però,  che  essendo  stata  questa  chiesa  per 
qualche  anno  cura  di  anime,  può  essere  assai  fa- 
cilmente intervenuto  che  nel  trovarsi  il  buon  An- 
tonio da  Novara  di  stanza  nella  parrocchia,  essen- 
dogli mancata  la  consorte,  volesse  con  questa  sem- 
plice iscrizione  lasciarne  una  memoria  agli  avvenire. 
Ancora  innestata  nel  pavimento  stava  la  ser 
guente  iscrizione: 


288  Letteratura 

D    .    O    .    M 

HIC    .    HIERONYMI 

NIGRI   .    VERONEN 

EPI   .    CLVGIEN 

OSSA   .   REQVIESCVNT 

CAROLVS    .    lANVTIVS 

F    .    F 

ANNO   .    D    .    MDLXXXVI. 

Girolamo  Negri  veronese,  protonolario  apo- 
stolico, successe  nel  vescovato  di  Chioggia  a  Fran- 
cesco Pisani  veneziano  il  dì  18  di  ottobre  1573. 
Dopo  aver  egli  retta  lodevolmente  per  cinque  anni 
quella  chiesa,  avendola  rinunciata,  se  ne  venne  a 
Roma,    dove    non   molto    appresso    morì. 

Alla  destra  del  tempio  sul  pavimento  si  leg- 
geva quest'altra  iscrizione  mancante  in  qualche 
parte: 

D  .  o  .  M 

D   .   BALDVINO   .    MORELLO   .    S    .    TI 

EX   .    BELGIO    .   ORIVNDO    .    MON  , 

ROSERIIS   .    IN    .    GOMITA 

BVRGVNDIAE    .    ABBAT    .    RE 

ROMAE   .  APVD   .   8    .   PONT 

ORDINIS   .   CISTERC 

VICARIO   .   AC    .   PRO 

GENERA 

OBIIT   .   AN    .   SAL 

AET    .   SV 

DIE   .   XX 


Diaconia  de'ss.  Vito  e  Modesto  289 

In  mezzo  era  lo  stemma  con  sopra  l'impresa,  e 
sotto  vi   si  leggeva: 

GRATI    .   ANIMI 
MONVMENTVM    .    POSVIT 

Ninna  notizia  posso  io  dare  di  questo  abate  cir- 
sterciense,  e  ninna  hanno  saputo  darmene  i  ci- 
stcrciensi stessi,  avendo  essi  ne'passati  rivolgimenti 
politici  perduto  l'archivio  in  cui  erano  conservate 
le  memorie  piìi  solenni  del  loro  ordine. 

Sopra  a  questa   iscrizione  un'altra  n*  era  che 
cosi  diceva: 


G.A.  T.LXXIII.  19 


290  Letteratura 

D   .   o   .   M 

HIC    .    lACET    .    RDVS   .   ADM    .    D 

FELIX    .   RECHETMBERGER 
HVIVS  .  YEN    .   ABATIAE    .    B    .    M 

DE    .    PLASSIO 

INCLYTI   .   ORDINIS    .   CISTERCIENSIS 

IN     .     BOEMIA 

RELIGIOSVS     .    PROFESSVS 

ET    .   IN   .   COLLEGIO   .   STI   i   BERNARDI 

PRAGENSIS 

SAC    .   THEOL   .   PROFESSOR 

ROMAM    .    VENIT    .    DIE   .    IV  .  NOVEMBRIS 

MDCCXXXVIII 

ET   .    DIE    .    IX   .    MENSIS    .   EIVSDEM    .    PIISSIME 

OBDORMIVIT    .    IN    .    DOMINO 

REQVIESCAT    .   IN    .   PACE 

AMEN 

SEPVLCHRALEM   ,   HVNC    .    LAPIDEM 

APPONI    .    CVRAVIT    .    RMVS    .    DD 

PHILIBERTVS   .   QVARRE 

ABBAS    .   DE    .    VTERINA    .   VALLE 

ET    .    ORDINIS    .   CISTERCIENSIS 

APVD     .    STAM    .    SEDEM 

GENERALIS   .   PROCVRATOR 

Questo  religioso  ,  alla  cui  memoria  è  intitolata  lai* 
lapide,  fu  professo  nell'abazia  di  Nostra  Donna  di  m 
Plus,  in  latino  Plassumj  nella  diocesi  di  Praga  nel 


DiAcoitiA  dk'ss.  Vito  e  Modesto  291 

régno  di  Boemia:  e  più  di  quello  die  nella  lapide 
è  ricordato,  non  mi  è  venuto  fatto  di  sapere  di  lui. 
L'  abate  Filiberto  Quarre  fu  abate  di  Casserthal 
nel  ducato  un  di,  ora  regno  di  Wittemberga,  dio- 
cesi di  Spira.  Sendo  aì)ate  ,  nel  capitolo  generale 
dell'anno  1738,  celebrato  nel  mese  di  maggio,  fu 
eletto  a  procuratore  generale.  Morì  a'24  di  aprile 
1739.  Queste  notizie  del  Quarre  ho  io  potuto  estrar- 
re dalla  lapide  che  in  memoria  di  lui  sta  nella  chie- 
sa di  santa  Croce  in  Gerusalemme,  chiamata  basilica 
sessoriana,  di  contro  all'altare  di  sant'Elena:  ed  è 
ivi  predicato  nomo  per  santità  di  vita,  per  dot- 
trina, per  erudizione  e  per  prudenza  chiarissimo. 
A  sinistra  dell'aitar  maggiore  sta  il  piccolo  de- 
posito del  cardinal  Carlo  Visconti,  col  ritratto  del 
medesimo  in  marmo,  sotto  di  cui  cosi  sta  scritto: 

B  .  O  .  M  .  IlAROLO  .  VICECOMITI  .   MEDIOLANENS  .  S  .  R  .  E  .  CARDINALI 

QVI  »  A  .   PIO  .   un  .  P  .  M  .  E  .  SENATV   .  REGIO  .  AD  .  EPISCOPATVM 

i    IWDE  .  AD  .   CARDINALATVM    .    PROVECTVS   .  MVLTIS    .    AD   .    REGES 

*'    IMPERATOHESQ  .  LEGATIONIB  .  SVMMA  .  CVM  •   LAVDE  .  PERFVNCTVS 

:   VETVSTISSIMAE  .  GE>'ERIS  .  SVI   .  NOBILITATI  .   PRAECLARE    .    OMNI 

11  EX  .  PARTE  .  RESPONDIT  •  VIXIT  .  ANN  .  XLII  .  OBUT   •  HOMAE  .  ID 
I 
HOVEMB  .  AN  .  SAL  .  M  .DLXV  .  KAROLVS  .  VICECOMES    .    ALB12AT1 

COMES  .  MAGNO  .  PATRVO  .  B  .  M  .  P  . 

Io  mi  penso  che  più  di  ciò  che  si  legge  nella  la- 
pide non  possa  dirsi  di  questo  cardinale,  rapito  sì 
giovane  alla  chiesa,  all'imperio  ed  alla  patria.  Solo 
aggiugnerò,  che  egli  fu  diacono  de'ss.  Vito  e  Mo- 
desto, ed  uscito  di  nobilissima  famiglia  milanese 
j  come  fu  quella  de'Visconti:  e  che  essendo  stato  già 
Ij  ambasciadore  della  sua  patria  alla  maestà  di  Filip- 
po II,  e  protonotario  apostolico  e  vescovo  di  Venti- 


292  Letteratura 

miglia,  ascese  al  cardinalato,  in  cui  dopo  poco  tem- 
po mori. 

Or  passando  dietro  l'abside  del  grande  altare, 
vi  si  trova  la  seguente  iscrizione  ; 

FEDERIGVS  .  COLVMJyfA  '      • 

PALIANI  .  PRINCEPS 

A  .  RABIDO  .  CANE  ,  ADMORSVS 

B  .  VITO  .  LIBERATORI  .  SVO 

AEDEM  .  RESTAVRAVIT 

A  .  D  ,  M  .  DG  .  XX 

Federico  Colonna,  principe  di  Paliano  e  di  fiute- 
rà e  duca  di  Tagliacozzo,  fu  figliuolo  primogenito 
del  gran  contestabile  Filippo  e  di  donna  Lucrezia 
TomacelH,  e  tenne  ancli'egli  la  dignità  di  gran  con- 
testabile del  regno  di  Napoli.  Uomo  valorosissimo 
della  sua  età,  avendo  militato  in  Ispagna,  entrò  tan- 
to nella  grazia  del  re  Filippo,  che  lo  v'olio  con- 
giunto in  matrimonio  con  una  sua  parente,  cioè  con 
donna  Margherita  d'Austria  ereditaria  de'principati 
di  Butera  e  di  Pietrapercia,  nata  da  Giovanna  d' 
Austria  figliuola  a  quel  famoso  che  vinse  i  turchi 
alle  Echinadi.  Quindi  fu  viceré  d'Aragona,  e  mori 
gloriosamente  difendendo  Tarragona  assalita  da* 
francesi  e  da'catalani.  Questi  morso  da  un  cane,  e 
rimaso  libero  dalla  rabbia  di  esso  per  intercessio- 
ne di  san  Vito,  sciolse  il  suo  voto,  racconciando  I^ 
nostra  chiesa  a  questo  santo  intitolata, 

Sotto  questa  iscrizione  sta  la  grande  lapide,  in 
cui  si  parla  della  solenne  consagrazione  fatta  del 
tempio  dei  ss.  Vito  e  Modesto  dal  cardinale  Enrico 
Caetani,  e  della  concessione  formale  che  nel  mese 
di  febbraio  dell'anno  1586  il  pontefice  Sisto  V  HQ 


Diaconia  de'ss.  Vito  e  Modesto  293 

diede  alle  monache  di  san  Bernardo.  E  perchè  nul- 
la manchi  in  questa  mia  descrizione,  ecco  che  qui 
la  riporto  a  parola: 

D  .  O  .  M  .  MDLXXXVI  .  IDIB  .  FEBRVARII  .  S  .  D  .  M  .  SIXTVS  .  PP  .  V 
CONCESSIT  .  HAC  .  TIT  .  ECCLIAM  .  CONFHIB  .  S  .  BERNARDI  .  PROCVRAN 
F  .  MICHAELE  .  ALEXANDRINO  .  ET  .  DECIO  .  AZZOLINO  .  CARDD 
PATHONIS  .  PRO  .  MONRIO  •  MOSflALIV  .  A  .  D  .  CONFRATE.  COIVSTRVEN 
REMANEN  .  TN  .  DENOMINATIONE  .  TT  .  CARD  .  QVAM  .  DIE  .  XX 
MARTII  .  EIVSDEM  *  AN  .  ENRICVS  .  S  .  R  .  E  .  TI  .  S  .  PVDENTIANAE 
PRAESB .  CARD  .  CAIETANVS  .  ET  .  PATRIARCHA .  ALEXANDRIN  .  ASSISTE.V 
SIBI.RAPHAELtO.BONÉLLO.ARCHIEPO.RAGVSlNO.CAMltLO.DADDEO.  EP 
ERVGNATEN  .  CVRTIO  .  ClNQVlNO  «  DIAC  .  ET  .  XPHARO  .  EVBALO .  SVB 
DIAC  .  CANCIS  .  BASIL  .  S  .  M.M  *  CONSECRAVIT  .  AD  .  HONOREM  .  SS  .  VITI 
MODESTI  .  ET  .  CRESCENTIAE  .  MARTYR  .  AC  .  BERNARDI .  ABB  .  ET. IN 
ALTARI.MAIORE.INCLVSIT.RELIQVIAS.SPIOR^SS.MARTYR.ET.SS.IACOEI 
MAlORIS  .  APLI  .  MARCELLI  NI  .  PP.ET  .  MART  .  GREG  .  PP  .  PMI  .  BIBIANAE 
VIRG.ET  .  MART.ET  .  ALIOR  .  PLVRIMOR  .  SS.INSTANTE  .  PETRO  .  FVLVIO 

V  .  I  .  D  .  PRIORE  .  HORATIO  .  FVSCHO  .  ET  .  ANDREA  .  ARBERINO 

CVSTODIBS  .  AC  .  CAMILLO  .   CONTRERA   .   CAMERARIO  .    PRAEFATAE 

CONFRATERNITATIS 

A  toccare  alcun  che  dei  porporati  ricordati  in 
questa  iscrizione,  dirò  essere  il  cardinale  Michele 
alessandrino  il  cardinale  Michele  Bonelli  nipote  di 
san  Pio  V,  da  cui  fu  onorato  della  porpora  in  età 
di  venticinque  anni  nel  1556.  Nell'anno  1568  fu 
fatto  carmelingo  di  santa  chiesa,  e  appresso  gran 
priore  in  Roma  dell'ordine  gerosolimitano  ,  e  ve- 
scovo di  Albano.  Fu  uomo  gravissimo,  e  di  gran- 
dissima autorità  nelle  cose  della  chiesa  anche  sotto 
i  seguenti  pontefici.  Morì  nel  1598  d'anni  57.  Il 
cardinal  Decio  Azzolino  di  Fermo  da  segretario  di 
Sisto  V,  e  da  vescovo  di  Cervia,  fu  da  esso  pon- 
tefice innalzato  alla  sacra  porpora  nell'anno  1  585, 


294  Letteratura 

e  fatto  arciprete  della  liberiana  basilica  di  santa 
Maria  Maggiore;  morì  giovanissimo  nel  1587,  non 
avendo  oltrepassato  gli  anni  38  della  età  sua.  Da 
ultimo  il  cardinal  Enrico  Caetani  romano,  dei  du- 
chi di  Sermoneta,  da  Sisto  V  ebbe  il  patriarcato 
alessandrino,  e  nell'anno  1585  la  porpora.  Sosten- 
ne pili  legazioni,  e  quindi  fu  carmelingo.  Ebbe  fa- 
ma di  principe  sovra  ogni  dire  caritatevole,  e  per  si 
fatto  modo,  che  per  far  limosine  vendè  tutti  i  suoi 
vasi  sacri  e  tutte  le  suppellettili.  Pienissimo  di  me- 
riti si  morì  nell'anno  1599,  sendo  nato  nel  1550. 
Avendo,  come  meglio  ho  potuto,  dichiarati  i 
monumenti,  ed  illustrate  le  memorie  che  si  cout- 
servano  nella  celebrata  diaconia  dei  ss.  Vito  e  Mo- 
desto (le  quali  nella  più  gran  parte,  a  cagione  de' 
nuovi  lavori  ivi  eseguiti,  sono  state  raccolte  in  un 
androne  dietro  il  maggiore  altare),  è  a  doversi  par- 
lare da  me  al  presente  del  plìi  classico  monumento 
che  ivi  medesimo  si  stia;  intendo  dire  della  pietra 
denominata  scellerata^  che  alla  pubblica  venerazio- 
ne, chiusa  in  un  ferriata,  si  giace  dal  lato  destro 
dell'altare  ai  nostri  santi  martiri  intitolato.  Ecco 
ciò  che  vi  si  legge  sopra: 


Diaconia  de*ss.  Vito  e  Modesto  295 

AETERNAE  .  ANIMAE 
L  .  AELII .  TERTI  .  CAVSIDIGI 

QVAE FVIT  .  CON 

BIGIO ANNIS 

XXX 

CVIV 

PERV 

ARME.... DVL 

GISSIMO  .  Fino  .  L  .  AELIVS 
TERTIVS  .  PATER  .  HVNG .  PLAGEN 
TIA  .  HABET  .  PATRIA  .  QVEM  .  ROMA 

GREAVIT  .  MARMOREO  .  POSI 

TVM  .  SOLIO  .  ARAMQVE  .  SAGRA 

VIT  .  IN  .  HORTIS  .  ALLI .  FILETIANI 

CARISSIMI .  AMICI .  CVRANTE 

L  .  AELIO  .  COMA  .  PATRVO  .  FILIO 

INNOGENTISSIMO 

E  nella  base  sta 

ANGPOniNA 

E  perchè  a  me  piiace  sempre  dì  riferir  le  cose  a 
cui  si  spettano,  voglio  che  per  ognuno  si  sappia, 
come  per  mia  mala  ventura  essendo  io  poco  o  nulla 
sperto  in  questa  sorta  di  studi  lapidari,  ho  voluto 
consultarne  tre  miei  dotti  ed  onorandi  amici,  il  ca- 
valiere Pietro  Ercole  Visconti,  il  reverendo  padre 
Giampietro  Secchi  della  compagnia  di  Gesti,  ed  il 
marchese  Giuseppe  Melchiorri,  ciascuno  de'  quali  , 
cortesissimo  com'  è  per  bontà  di  animo  ,  mi  ha  a- 
perto  il  suo  parere  ;  ed  ecco  ciò  che  intorno  ad  un 
tal  monumento  può  dirsi. 


396  Letteratura 

La  iscrizione,  che  qui  sopra  ho  riportata  a  pa- 
rola, trovasi  stampata  nel  Fabretti  a  facce  387,  e 
nel  Muratori  a  facce  667,  5.  Il  Fabretti  ha  stam- 
pato Allius,  ed  il  Muratori  Aeliiis  :  dicendo  il  se- 
condo :  ex  Ligorio.  E  questa   volta  davvero  Pirro 
non  è  stato  impostore,  perchè  il  Muratori  ha  detto 
appuntino  come  visibilmente  si  legge  nel  marmo. 
Or  ecco  che  il  Fabretti,  stampando  Allius^  in  luogo 
di  Aelius^  toglieva  questa  memoria  alla  famiglia  Elui 
per  darla  aiìì'Allia,  che  vi  apparisce  solamente  in 
Allio  Filetiano  amico  e  non  parente,  negli  orti  del 
quale  stette  il  sepolcro.  Nelle  linee  3,  4,  6,  7  sono 
nel  Muratori  alcune  lettere  che  mancano  nella  copia 
del  Fabretti.  Singolare  è  altresì,  a  quel  che  ne  dice 
il  Visconti,  fondatosi  sulla  autorità  del  Grutero  (1) 
e  del  Fabretti  (2),  il  leggersi  in   questa  lapide  al 
luogo  della  solita  intitolazione  agli  dei  mani  quella 
affatto  non  usata  aeternae  animae,  che  è  la  più  ma- 
nifesta prova  che  in   marmi  scritti  si   abbia  della 
speranza  di  una  vita  avvenire  non  ignota  ai  gentili 
medesimi.  La  qualifica  di  causidico^  con  la  quale  è 
chiamalo  L.  Elio  Terzo,  ci  fa  conoscere   la  condi- 
zion  sua.  Le  linee  perdute,  che  il  Fabretti  annota 
dicendo  r  Ubi  lacuna  vertitur,  lapis  in  medio  ex- 
ca\>atus  est,  et  circiim  circa  attritus  contactu  et  o- 
sculis  Christi  fìdelium  :   ne  dicevano  la  età.   Il   pa- 
dre, omonimo  al  figliuolo,  è  quello  che  pone  il  mo- 
numento: e,  secondo  l'uso  che  gli  antichi   avevano 
di  dettare  essi  medesimi  le  funebri  loro   memorie 
poste  ai  più  cari,  forse  egli  fu  l'autore  de'  due  se- 


(i)  Fac.  CCCCXXIV  n,  5,  e  MCVH.  n.  2. 
(2)  Fac.  378  a  379. 


Diaconia,  de'ss.  Vito  e  Modesto  297 

guenti  versi  esametri  scritti  assai  alla  buona,  se  pure 
non  uscirono  dal  dettatore  dell'epigrafe  contra  sua 
voglia  :  e  sono  : 

Himc  Placentia  habet,  patria  quem  Roma  creavit. 
Marmoreo  positum  solioj  aramqite  sacravit. 

Vi  sono  due  sbagli  di  quantità,  uno  de'  quali  po- 
trebbe difendersi  :  sono  però  amendue  chiarissimi. 
Da  questo  tratto  della  iscrizione  ad  alcuni  si  fa  ma- 
nifesto (alla  sentenza  de'  quali  io  fortemente  m'acco- 
sto), che  il  causidico  L.  Elio  Terzo  era  nato  in  Roma, 
e  morto  in  Piacenza  :  ad  altri  pare  che  invece  fosse 
egli  nato  in  Roma,  ed  avesse  avuto  stanza,  forse  per 
diritto  di  cittadinanza  o  per  alcuna  particolare  magi- 
stratura, in  Piacenza.  Questi  si  confortano  delle  pa- 
role marmoreo  positum  solio,  e  dell'essere  in  Roma 
il  cippo  :  quelli  oppongono  ,  che  il  cippo  può  ben 
chiamarsi  un  cenotaffio  posto  negli  orti  di  Allio  Fi- 
leziano,  e  che  il  dirsi  Placentia  habet,  e  non  habuit, 
chiaramente  indica  ch'Elio  Terzo  stava  allora  in  Pia- 
cenza; ne  in  altro  modo  poteva  starvi,  che  morto.  Ed 
aggiungono,  che  questo  Placentia  habet  fu  probabil- 
mente imitato  dal  tenet  Parthenopes  della  famosa  la- 
pide del  sepolcro  di  Virgilio.  Seguitando  poi  il  pa- 
rere del  chiarissimo  padre  Secchi  non  è  piìi  a  porsi 
in  dubbio,  che  Aelius  Tertiiis  ed  Aelius  Coma  sieno 
que'  due  personaggi  medesimi  che  compariscono  in 
un  marmo  matteiano  pubblicato  dal  Grutero  (1),  che 
l'ebbe  dal  Gudio,  poscia  dalfAmaduzzi  (2)  e  dal  Cor- 


(i)  Grutero  p.  1090:  i4>  iS,  i6. 

(2)  Mouum.  Matthaelan.    Clas,  X,  inscript.  n.  2,  voi.  IH 
fac.  io3. 


298  Letteratura 

siili  (1).  L'ara  matteiana  è  scritta  da  tre  Iati,  e  vi  si 

legge  così  ; 

Dì  faccia 

HIG  .  CONSERVATA  .  EST 

SEX  .  AELI  .  TERTI .  GONIVX 

SERGIA  .  SYNTIGHE  .  SERGI 

PAVLI  .  QVONDAM  .'  PR  AEF 

VRB  .  ALVMNI .  GHRYSIPPI 

ALVMNA  .  FEGERVNT  .  AELII 

TERTIVS  .  ET  .  GOMA  .  INGOM 

PARABILI  .  FEMINAE 

^l  lato  destro 

D.M 

SEX  .  AELI .  VIGTO 

RIS  .  SGRIBAE  .  QVAE 

STORI .  FEGERVNT 

AELII 

TERTIVS  .  ET  .  GOMA 

PATRVO 

u^l  lato  sinistro 

D.M 

L  .  AELI .  PERPETVI 

LEGATIONE  .  FVNGTI 

PATRIAE  .  SVAE  .  COLONI 

AE  .  VLPIAE  .  THAMVCA 

DIS.EX  .NVMIDIA 

FEGERVNT 

AELII  .  TERTIVS  .  ET  .  GOMA 

FILII  .  LEVGADIO 

(i)  Series  praef.  iirb.  fac.  8x,  82. 


Diaconia  de'ss.  Vito  e  Modesto  299 

Per  le  quali  epigrafi  è  a  doversi  conchiudere,  che 
questa  famiglia  (giusta  le  deduzioni  savissime  del  lo- 
dato padre  Secchi)  era  aflfricana,  e  venne  in  Roma  fino 
dal  tempo  dell'imperatore  Adriano:  imperocché  il 
Marini  (1),  abbandonate  le  ragioni  non  vere  del  Cor- 
sini che  assegnò  all'anno  di  Cristo  ITO  la  prefettura 
di  quel  Sergio  Paolo,  la  fissò  all'anno  173  circa,  ed  a 
Sergio  aggiunse  il  prenome  di  Lucio  sulla  fede  di 
una  base  pel  Marini  medesimo  pubblicata  :  e  per 
questo  modo  abbiamo  noi  un'  epoca  certa  da  asse- 
gnare a  questo  marmo  di  s.  Vito,  detto  pietra  scelle- 
rata. La  nostra  iscrizione  facilmente,  se  non  è  come 
la  lapide  scellerata,  è  certo  gentilesca,  ad  onta  di 
t^ìXQÌV animae  aeternae  del  buon  avvocato  Elio  Terzo, 
il  quale  era  probabilmente  platonico.  Questa  frase  fa 
un  bel  contrasto  coli' 

ANePQniNA 

come  vuole  il  chiarissimo  padre  Secchi  che  si  scriva, 
e  non  già  come  scorrettamente  sta  nell'originale:  pa- 
rola che  latinamente  suona  il  medesimo  che  umanitus^ 
ovvero  humanam  est,  ed  in  volgare  è  cosa  umana, 
ovvero  è  umano,  o  meglio  umano  è.  Da  ultimo  è  d'av- 
vertire, che  tantp  il  Fabretti,  quanto  il  Muratori  omi- 
sero di  notare,  forse  perchè  non  l'osservarono  a  ca- 
gione del  guasto  grandissimo  della  pietra,  che  dal  lato 
sinistro  vi  sta  una  patera,  come  dal  lato  destro  (na- 
scosto al  presente  dal  muramento)  doveva  essere  il 
prefericolo:  il  perchè  il  nostro  monumento,  piut- 
tostochè  pietra  sepolcrale,  deve  chiamarsi  cippo. 


(i)  Lettera  di  Clemente  Cardinali  intorno  alla  serie  dei  pre- 
fetti di  Roma  del  Corsini,  pag.  26,  osservazione  XXXVII. 


300  Letteratura 

E  qui  avrebbero  fine  le  memorie,  che  nella  no- 
stra diaconia  si  conservano  :  se  non  che  date  queste 
ad  esaminare  ed  a  raffrontare  al  mio  chiarissimo  ami- 
co signor  cavalier  Visconti  con  un  suo  prezioso  codi- 
ce, in  cui  si  vedono  diligentissimamente  scritte  tutte 
le  lapidi  che  si  leggono  nelle  chiese  di  Roma,  ho  avu- 
to da  lui  la  notizia,  che  il  celebre  Mazzocchi  aveva 
pubblicato  una  iscrizione,  la  quale  al  suo  tempo  tro- 
vavasi  nella  chiesa  dei  ss.  Vito  e  Modesto  nel  basa- 
mento dell'aitar  maggiore  (1).  Stando  così  la  cosa,  ho 
io  stimato  bene  di  qui  riferirla,  e  di  darne  la  illu- 
strazione. Così  si  legge  : 

FL  .  EVRIGLES  .  EPITYNCANVS  .  V  .  G 

PRAEF  .  VRB  .  CONDITOR  .  HVIVS  .  FORI 

CVRAVIT 

Nel  Iato  medesimo  sta  scritto  : 

COLL  .  X .  KAL  .  FEBR 
ARRIANO  .  ET  .  PAPO  .  COS 

Ancor  questa  iscrizione  e  stata  da  due  pubblicata,  dal 
Grutero  cioè  (2)  e  dal  Corsini  nella  sua  opera  della 
serie  de'  prefetti  di  Roma  (3)  all'  anno  243  dell*  era 
volgare;  ma  questo  secondo,  per  quanto  sia  stato  dot- 
tissimo in  antichità,  è  caduto  in  un'assai  grave  inesat- 
tezza, avendo  tralasciata  la  voce  curavit,  e  malamente 
congiunta  la  iscrizione  d'un  lato  con  quella  dell'altro 


(1)  Mazzocchi,  Epigr.  anticjuae  urbis  cap.  XXXV. 

(2)  Fac.  i68.  7. 

(3)  Fac.  129. 


Diaconia  de'ss.  Vito  e  Modesto  301 

senza  darne  contezza.  Egli  ci  fa  conoscere  che  VEpì~ 
tincano  prefetto  della  ciltk,  di  cui  è  qui  discorso, 
sostenne  la  sua  dignità  l'anno  di  Roma  996,  di  Cri- 
sto 243  (1).  Spiega  inoltre  il  compendio  Coli,  per  col- 
locavit  ;  ma  il  chiarissimo  padre  Sacchi  stima  che 
sia  un  participio  da  riferirsi  alla  statua  posta  su  que- 
sta base  ;  ed  intanto  egli  così  opina,  in  quantochè  la 
iscrizione  ricorda  un  forum,  che  probabilmente  era 
dinanzi  la  basilica  di  Siciaiino,  situata,  come  ognun 
sa  (2),  fra  le  chiese  di  san  Vito  e  di  sant'  Antonio 
abate;  e  d'altronde  quasi  nessun  foro  di  basilica  ne 
mancava  (3).  Il  Visconti  per  contrario  crede,  che 
questa  opera  pubblica  dì  un  foro  possa  riferirsi  alla 
rinnovazione  fatta  del  macello  liviano  sotto  nome  di 
foro  :  come  il  forum  olitorium,  piscarium,:  e  ciò,  se- 
condo lui,  sarebbe  prova  che  quel  nome  non  durò 
fino  alla  seguente  età.  I  consoli  finalmente  nominati 
nella  iscrizione  erano  L.  Annius  Arrianus  e  C.  Cer- 
Sfonius  Papus  nell'anno  V  di  Giordano  III  e  di  Ro- 
ma 996  (4).  Ce  li  dà  intieri  un  diploma  militare 
pubblicato  già  dal  grande  Marini  (5),  ed  ultimamen- 
te  dal  chiarissimo  Clemente  Cardinali  (6). 

E  qui  abbia  fine  la  seconda  parte   di  questa 
mia  descrizione. 


(i)  Corsini  a  fac.  iQg. 

(2)  Nardini,  Tom.  II  fac.  4i.  Nibby  nota  2. 

(3)  Grutero  fac.  7,  e  Nardini. 

(4)  Eckhel  D.  N.  V.  VII  fac.  3i3r 

(5)  F.  A.  pag.  466  n.  XIII. 
(6i  Dip.  mil.  fac.  XXV. 


302  Letteratura 

PARTE    TERZA. 

Nuovi  lavori  operati  nel  tempio. 

Non  potranno  mai  da' cortesi  leggitori  giusta- 
mente pregiarsi  i  nuovi  lavori  operati  nella  dia- 
conia de'ss.  Vito  e  Modesto  sull'Esquilino,  se  prima 
con  parole  brevissime  da.  me  non  si  dà  un  cenno 
di  ciò  ch'era  questo  tempio  fino  a  tutto  il  mille 
ottocento  trentasei.  Certamente  non  in  Roma,  ma 
quasi  nel  piìi  riposto  e  deserto  contado,  non  era 
chiesa  che  più  di  quella  mettesse  ribrezzo  a  chi  vi 
entrava,  sia  che  si  fosse  fermato  a  ragguardarne 
il  tutto  ,  sia  che  diligentemente  si  fosse  fatto  ad 
esaminarne  a  parte  a  parte  il  fabbricato.  Piuttosto 
che  reputarla  un  tempio  consagrato  ad  onorare  Id- 
dio, sarebbesi  avuta  per  una  spelonca  e  forse  peg- 
gio. Era  fa  in  sul  liminare  un  bussolone,  a  somi- 
glianza di  rastello,  di  cui  più  villana  cosa  non  po- 
trebbe immaginarsi;  una  scala  di  legno,  a  pubblica 
veduta  di  chi  entrava  in  chiesa,  menava  sopra  ad 
una  cantoria  si  rozza  e  si  goffa,  che  ninna  maniera 
di  disegno  se  ne  sarebbe  potuta  trarre,  e  tutta  nel 
parapetto  formata  a  travicelli  entro  il  muro  inte- 
stati. Le  pareti  erano  oltre  ad  ogni  dire  brutte  e 
deformi:  un  bianco  opaco  tutte  da  cima  in  fondo 
le  velava:  qua  e  la  n'  erano  venuti  a  terra  gli  in- 
tonachi, e  mostravano  il  mal  fermo  stare  di  esse, 
ed  in  ispezialta  quelle  alla  sinistra  parte  vedevansi 
imbevute  dalla  umidita,  e  pel  salnitro  intromes- 
sovisi  comprese  da  muffa  e  tramandanti  fetore;  e  ciò 
a  cagione  del  campo  santo,  che  da  quel  lato  nel- 
l'esterno aveva  il  suo  terrapieno  addossato  alle  pa-» 


Diaconia  db'ss.  Vito  b  Modesto  303 

reti  della  chiesa,  in  un'altezza  di  piìi  palmi  mag- 
giore al  piano  di  essa.  E  questo  piano  oh  che  mi- 
serabile cosa  era  a  vedersi!  Perchè  tutto  formato  a 
mattoni,  nella  piìi  gran  parte  spezzati  o  corrosi  dal 
tempo  e  dalle  acque  piovane  che  giù  dai  tetti   vi 
cadevano  sopra.  Di  soffitto  non  parlavasi  punto,   e 
tutte  vedevansi  a  giorno  le  armature  del  tetto,  le 
quali  in  qualche  punto,  perchè  putride  e  logore, 
fortemente  minacciavano  di  rovinare  e  precipitare 
a  terra  la  parte  superiore  del  tempio.  L'abside,  che 
ab  antico  era  stato  fatto  nel  maggiore  altare,  con 
barbarie  non  più  veduta  né  udita  mai,  venne  nel 
passato  secolo  chiuso  in  guisa,  da  formare  un  qua- 
drilatero. In  jSne  per  compire  sì  miseranda  descri- 
zione è  a  dirsi,  che  piuttosto  che  lasciar  quella  chie- 
sa in  uno  stato  di  così  grande  sconcezza,    indegna 
di  un  santuario,  valeva  assai  meglio  distruggerla  e 
pareggiarla  al  suolo:  perchè  se  Iddio  in  c^uel  tem- 
pio non  sarebbe   mai   più   stato   adorato  ,    almeno 
non  sarebbe  andato  incontro  a  riceverne,  con  que- 
gli sconci  che  mostrava  ,   disonore  e  vergogna.  Ma 
r  ottimo  nostro   principe  ,  il  santo   padre   Grego- 
rio XVI  di   ogni  più  bell'opera  amantissimo,  non 
poteva  permettere  che  una  chiesa  sì  celebrata  per 
antichità,  e  da  un  suo  antecessore  eletta  a  succur- 
sale della  basilica  liberiana,  o  cadesse  a  terra  per 
vecchiezza,  o  si  rimanesse  in  quello  stato  di  vitu- 
perevole decadimento.  Il  perchè,  approvati  i  consi- 
gli di  S.  E.  Rma  monsignor  Antonio  Tosti  tesoriere 
generale,  ordinò  i  nuovi  lavori  che  a  quel  tempio 
si  convenivano,  commettendone  la  direzione  a  quel- 
la speziai  commissione  deputata  alle  fabbriche  ca» 
merali,  di  cui  trovasi  degnamente  a  capo  il  signor 
don  Prospero  Sciarra  Colonna  principe  di  Roviano. 


304  Letteratura 

il  quale  se  in  ogni  cosa  che  dal  sovrano  gli  si  com- 
mette pone  amore  e  zelo  grandissimo  ,  in  questi 
lavori  ha  saputo  mettere  si  fina  diligenza,  e  sì  fran- 
co e  regolato  procedimento,  che  si  è  ottenuto  il  fi- 
ne che  dal  sovrano  medesimo  si  bramava  con  po- 
chissimo dispendio  del  pubblico  erario.  Il  che  sia 
qui  detto  a  lode  di  quell'illustre  cavaliere  ,  ed  a 
confessione  del  vero. 

Or  ecco  ciò  che  in  quel  tempio  si  è  operato. 
Le  armature  dei  tetti  nella  più  gran  parte  sono 
state  rinnovate  ,  e  tutti  generalmente  racconciati , 
non  intralasciando  di  porre  ogni  possibile  studio  in 
ben  fermare  la  solidità  di  que'muramenti,  che  for- 
mano l'insieme  del  fabbricato,  e  che  più  partico- 
larmente sostengono  la  grande  copertura  dei  tetti 
medesimi.  Le  armature  de'tetti  vedonsi  ricoperte  di 
un  soiHtto  a  lacunari  di  forme  quadrilatere  a  va- 
rie grandezze,  spartito  da  fasce,  o  costoloni,  a  sim- 
metrica disposizione:  fra'quali  sta,  come  è  dovere, 
in  veduta  quello  di  mezzo  di  forma  ettagona,  en- 
tro cui  è  dipinta  la  impresa  del  pontefice  regnan- 
te, chiusa  a  festoni  di  forma  elittitìa  a  foglie  d'al- 
loro. Negli  altri  lacunari  si  vedono  a  chiaroscuro 
variamente  dipinti  diversi  involucri  e  rosoni  di  or- 
nato, come  dicesi,  a  frappatura.  Le  pareti  sono  di- 
pinte a  somiglianza  di  un  binato  di  pilastri  d'or- 
dine ionico  ,  ai  quali  soprasta  la  trabeazione  che 
investe  il  già  detto  soffitto.  Tre  binati  per  ciascun 
lato  maggiore  si  veggono  disposti  in  maniera,  che 
ì  due  altari  laterali  stanno  nel  mezzo  del  prima 
binato  verso  il  grande  altare,  e  gl'interpilastri ,  non 
che  i  pilastri  medesimi,  sono  a  svariati  colori  di- 
pinti ad  immitazione  de'marmi.  Ciò  fu  operato  dal- 
l'ingegnere romano  signor  Giuseppe  Frattini. 


Diaconia  de'ss.  Vito  e  Modesto  305 

L'essere  stato  con  provvido  consìglio  abbattuto 
il  muro  che  chiudeva  l'abside,  ha  reso  il  maggior 
altare  tutto  isolato,  e  si  vede  bello  e  maestoso  qua- 
si signoreggiare  il  tempio.  Quindi,  coU'opera  del- 
l'architetto signor  cav.  Gamporese,  all'abside  è  sta- 
ta ricostrutta  la  volta  a  foglio  di  mattone  ,  ed  in 
essa  stanno  spartiti  de'cassettoni  a  croce  greca,  con 
un  fondo  azzurro,  a  guisa  di  smalto;  in  fine  le  pa- 
reti, che  girano  sotto  le  imposte  della  volta,  sono 
state  divise  e  dipinte  a  grosse  pietre  di  marmi. 

L'aitar  maggiore  e  l'anterior  presbitero  sono 
chiusi  da  una  nuova  balaustra  a  due  portate  ,  di 
marmo  carrarese  e  di  altri  mischi,  sopra  un  gra- 
dino a  tutta  larghezza  della  chiesa,  formata  da  una 
base  ed  otto  pilastri  con  isfondi  di  marmo  detto 
porta  santa,  che  sostengono  la  cimasa  simile  di  car- 
rarese. Essi  pilastri  suddividono  sei  spazi,  quattro 
de'quali  raccliiudonsi  a  griglie  di  marmo,  e  due  a 
balaustri  di  marmo  frigio  detto  paonazzetto.  Una 
terrazza  alla  veneziana  nel  piano  piii  elevato  del 
presbitero  e  dell'abside  ne  forma  il  pavimento,  a 
scomparto  di  variate  tinte  a  fasce,  che  lo  racchiu- 
dono ad  imitazione  de'marmi. 

La  dipintura  a  fresco  del  san  Bernardo  in  atto 
di  adorar  la  Vergine,  che  stava  nel  maggior  altare 
di  questo  tempio  ,  perchè  dagli  intendenti  venne 
giudicata  meritevole  di  conservarla  alla  istoria  del- 
Tarte,  è  stata  dal  muro  distaccata  dal  valente  ar- 
tefice signor  Pellegrino  Succi  ,  e  riportata  in  tela 
con  quell'apparecchio  e  maestria  che  soltanto  qm 
in  Roma  conoscesi;  ed  altro  quadro  è  stato  a  quel- 
la dipintura  sostituito  (1). 

(i)  La  dipiuFura  è  stata  incassata  nel  muro  dietro   1'  aitar 
maggiore. 

G.  A.  T.  LXXin.  20 


306  Letteratura 

Di  contro  al  maggior  altare  si  è  fatto  un  nuo- 
vo coro,  il  quale  è  sorretto  da  due  colonne  d'or- 
dine dorico  ,  e  da  due  pie  diritti  che  intestano  ne' 
muri  laterali:  uno  de'quali  chiude  in  se  una  scala  a 
chiocciola  per  ascendervi  sopra,  essendosi  nell'altro 
formata  una  piccola  stanza  a  fine  di  rìporvi  qualche 
arredo  del  tempio.  Tutto  questo  coro,  o  cantorìa  che 
voglia  chiamarsi,  è  collegato  con  la  trabeazione  pari' 
mente  di  ordine  dorico;  sopra  cui  una  continuata 
sponda  di  balaustri  di  doppio  ventre  ,  come  dicono 
gli  architetti,  interrotti  da  pilastri,  racchiude  e  cin- 
ge il  luogo  deputato  a  quel  sacro  rito  di  salmodia. 
Nell'altezza  poi  dell'arcbitrave  e  del  fregio  ,  sullo 
spazio  dell'intercolunnio  di  mezzo  ,  si  legge  questa 
iscrizione; 

OMNIPOTEWTI  .  DEO  .  SACRVM 

IN.HQNOREM.SANCTORVM.VITI.MODESTI.ET.CKESCENTIAE.MARTYRH. 

AEDEM  .  A  .  3AECVL0  .  CHE  •  lUI  .  CELEBREIW 

QVAM  .  SIXTVS  .  lUI  .  P  .  M  .  AB  .  INCHOATO  .  REFECIT 

GREGORIVS  .  XVI  .  P  .  M  .  VETVSTATE  .  DILABENTEM 

WOVO  •  CVLTV   .  RESTITVIT  .  AN  .  M  .  DCCC  .  XXXVII 

CVEAM  .  AGENTE  .  ANI  .  TOSTIO  .  PRAEF  .  AEHAhI 

Gli  antichi  altari  laterali  ,  de'quali  nella  seconda 
parte  di  questa  descrizione  ho  dato  qualche  cenno, 
sono  stati  ridipinti  a  foggia  di  marmo  bianco  per 
metterli  in  armonia  col  restante  di  tutta  la  chiesa. 
Il  pavimento  poi  è  stato  tutto  intero  restau- 
rato, vedendosi  ammattonato  nella  piìi  gran  parte, 
e  chiuso  da  fasce  di  marmo.  E  perchè  poi  la  umi- 
dita ,  che  s'intrometteva  nell'interno  della  chiesa 
dalla  parte  ov'è  il  campo  santo  ,  piìi  non  recasse 
quei  danni  che  tanto  avevano    contribuito  a  rovi" 


Diaconia  de'ss.  Vito  e  Modesto  307 

nar  il  tempio,  con  molta  avvedutezza  è  stato  for- 
mato ,  a  guisa  di  un  fosso  ,  un'intercapedine  fra  il 
muro  esterno  della  chiesa  ed  il  terreno  del  campo  , 
in  modo  che  ora  il  fondo  di  quell'intercapedine,  co- 
perto a  selciata,  sta  più  Lasso  del  pavimento  della 
chiesa  :  e  nell'interno  di  esso  tempio  si  è  levata 
via  una  parte  di  muro  in  grossezza  ,  e  si  è  co- 
strutta una  fodera  di  tegoloni  distaccata  dal  mu- 
ro medesimo:  il  quale  era  imbevuto  di  quella  umi- 
dita: e  ciò  perchè  non  ritorni  fuori  a  nocumento 
delie  riformate  pitture.  E  qui  non  posso  trala- 
sciare di  far  sincerissimi  voti,  perchè  somiglianti 
I  provvedimenti  siano  posti  in  pratica  in  molti  al- 
tri templi  di  questa  Roma,  affinchè  in  tutto  non 
periscano  tanti  monumenti  insigni  della  religione 
e  dell'arte:  e  specialmente,  per  addurne  un  esem^ 
pio,  nell'antichissima  chiesa  de'santi  Nereo  ed  Achil- 
leo, ove,  per  la  grande  umidità  che  si  è  messa 
dentro,  vanno  in  gran  parte  perdendosi  que'cele-r 
iratissimi  musaici   che   vi   si  ammirano. 

Così  a  novella  vita  è  stato  ora  restituito  l'an- 
tico e  celebrato  tempio  de'ss.  Vito  e  Modesto  per 
comandamento  del  regnante  sommo  pontefice  Gre- 
gorio XVI.  Deh!  conceda  il  cielo  all'ottimo  e  cle- 
mentissimo  principe  giorni  lunghi  e  felici,  a  prò 
della  religione,  ad  utilità  de'popoli,  ad  incoraggia- 
mento delle  arti] 


308       Letteratura 
APPENDICE 


Baronia i  ad  ann.  Christi  192,  sotto  il  pontifi- 
cato di  s.  Eleuterio  papa.  -  Imp.  Commodo.  num.  k. 

Cita  alcuni  martiri:  che  diteti  ad  petram  sce- 
leratam  {sic  hahent  hanc  acta  antiquitus  scripta  , 
quae  in  nostra  hihliotheca  asservantur  )  plumbatis 
necati  sunt.  Questi  atti  narrano,  che  i  detti  santi 
martiri  patirono  il  martirio  ante  amphitheatrum  : 
dal  che  deduce  il  Baronio,  che  presso  1'  anfiteatro 
fosse  ouel  luogo.  Avverte,  che  in  altri  atti  dei  mar- 
tiri s'incontra  la  menzione  di  questa  pietra,  non  no- 
minata dagli  scrittori  gentili,  i  quali  ricordano  ben- 
sì il  vicum  sceleratum^  portam  sceleratam^  castra 
scelerata,  campum,  sceleratitm.  Pare  che  egli  opi- 
nasse il  primo,  che  la  pietra  che  è  a  s.  Vito  {lapis 
ille  sepulchralis  inscriptione  hominis  gentilis  nota- 
tus)t  fosse  la  pietra  scellerata.  O  pure  crede  che  fos- 
se quella  che  è  a  s.  Pietro  poco  lungi  dalla  porta 
santa,  e  dice:  Porro  alteram  earum  eiusmodi  nomen 
consecutam  esse,  nulla  est  penes  me  dubitatio. 


ELENCO 

Dei  cardinali  che  hanno  avuto  per  titolare 
la  diaconia  dei  ss.  Vito  e  Modesto. 

Leone  cardinale  diacono  di  s.  Vito,  monaco  e 
aLate  del  monastero  di  s.  Clemente.  È  incerto  da 


Diaconia  de'ss.  Vito  e  Modesto  309 

qual  pontefice  sia  stato  creato  cardinale.  Mori  sotto 
il  pontificato  di  Pasquale  II. 

Amico ^  monaco  e  abate  di  s.  Lorenzo  fuori  del- 
le mura  ,  creato  cardinale  da  Pasquale  II ,  e  morto 
nel  pontificato  di  Calisto  II. 

Gregorio  cardinale  di  s.  Vito^  11  quale  si  trova 
tra'cardinali  che  sottoscrissero  nel  1123  la  bolla  da 
Calisto  II  diretta  al  vescovo  di  Genova. 

Lucio  Boezio,,  romano,  monaco  di  Vallombro- 
sa,  creato  cardinale  nel  1134  da  Innocenzo  II,  e 
morto  nel  1147. 

Rinaldo  Brancaccio  napolitano,  creato  da  Urba- 
no VI  nel  1381,  e  morto  nel  1427. 

Jacopo  Antonio  ì^enerio,  o  sia  Veniero^  da  Re- 
canati, creato  cardinale  da^  Sisto  IV  nel  1473,  e  mor- 
to nel  1479. 

Giambattista  Savelli,  di  una  delle  più  famose 
famiglie  di  Roma  ,  creato  da  Sisto  IV  nel  1480  ,  e 
morto  nel  1494. 

A  Scanio  Maria  Sforza,  dei  duchi  di  Milano  , 
creato  da  Sisto  IV  nel  1484,  e  morto  nel  1503. 

Carlo  Domenico  del  Carretto,  genovese,  dei 
marchesi  del  Finale,  creato  da  Giulio  II  nel  1505,  e 
morto  nel  1514. 

Nicolò  Ridolfi,  fiorentino,  nipote  di  Leone  X 
per  parte  di  sorella,  dal  medesimo  fatto  cardinale 
nel  1517,  e  morto  nel  1550. 

Guido  Ascanio  Sforza,  dei  duchi  di  Milano,  de- 
nominato il  cardinale  di  Santafiora,  creato  cardina- 
le da  Paolo  III  nel  1534,  e  morto  nel  1564. 

Carlo  Caraffa,  napolitano,  creato  da  Paolo  IV 
nel  1555,  e  morto  nel  1561. 

S.  Carlo  Borromeo,  milanese,  creato  da  Pio  IV 
nel  1560,  e  morto  nel  1584. 


310  Letteratura 

Carlo  Visconti^  milanese,  creato  nel  1505  da 
Pio  IV,  e  morto  dopo  otto  mesi. 

Giudo  Ferreria  vercellese,  creato  da  Pio  IV  nel 
1565,  e  morto  nel  1585. 

^Scanio  Colonna^  romano,  figlio  del  celebre 
Marcantonio  Colonna,  creato  da  Sisto  V  nel  1586,  e 
morto  nel  1608. 

Buonviso  Buonwisi^  lucchese,  creato  nel  1598 
da  Clemente  Vili,  e  morto  nel  1603. 

Lelio  Biscia,  romano,  creato  da  Urbano  Vili 
nel  1626,  e  morto  nei  1638. 

Benedetto  Monaldi  Baldeschi,  perugino,  crea- 
to da  Urbano  Vili  nel  1633,  e  morto  nel  1644. 

Federico  Sforza,  romano,  dei  duchi  di  Segni, 
creato  nel  1645  da  Innocenzo  X,  e  morto  nel  1676. 

Francesco  Maria  Mancini,  romano,  creato  da 
Alessandro  VII  nel  1660,  e  morto  nel  1672. 

Giovanni  Delfino,  veneto,  creato  da  Alessandro 
VII  nel   1664,  e  morto  nel  1699. 

Fabio  degli  Abati  Oli\>ieri,  pesarese,  creato  da 
Clemente  XI  nel  1715,  e  morto  nel  1738. 

Domenico  Orsini,  romano,  dei  duchi  di  Gravi- 
na, creato  da  Benedetto  XIV  nel  1743,  e  morto  nel 
1789. 

Giuseppe  Livizzani,  modenese,  creato  da  Bene- 
detto XIV  nel  1753,  e  morto  nel  1754. 

Luigi  Maria  Torrigiani,  fiorentino,  creato  da 
Benedetto  XIV  nel  1753,  e  morto  nel  1777. 

Andrea  Negrone,  romano,  creato  da  Clemente 
XIII  nel  1763,  e  morto  nel  1789. 


311 


Imitazione  del  primo  capitolo 
del  libro  di   Tobia. 


Di 


'i  Galilea  su  i  colli  altera  siede 
Una  citta  che  a  sua  tribù  die  nome; 
Neftali  è  detta:  a  Naasson  sovrasta 
Oltre  alla  via  che  ad  occidente  guarda, 
E  si  lascia  a  sinistra  la  turrita 
Sefet.  Qui  s'ebbe  culla  il  buon  Tobia, 
Che  dal  retto  cammino  unqiia  non  torse 
Il  pie,   quando  di  ceppi  e  di  catene 
Salmanassar,  di  x\ssiria  empio  tiranno, 
Gravava  il  popol  d'Israello.  I  mali 
Dell'iniquo  servaggio  a'  suoi  scemava. 
D'ogni  suo  aver  facendo  copia  ad  essi; 
E  benché  giovinezza  a  lui  velasse 
Della  prima  lanugine  le  gote. 
In  tutt'opre  mostrò  senno  canuto. 
Quando  Geroboam,  tra  folle  e  altero 
Non  so  qual  più,  fatto  a  se  d'oro  iddio 
In  faccia  di  vitel,  trasse  le  genti 
A  piegar  le  ginocchia,  e  dargl'incensi; 
Egli  diviso  dalla  turba  insana, 
Solo,  col  cor  compunto,  al  sacro  tempio 
Di  Solima  veniva,  e  d'Israello 
Inchinandosi  al  Dio,  facea  devota 
Offerta  di  primizie,  e  degli  accolti 
Frutti;  e  al  terz'anno  ripartiali  poi 
Interamente  fra'  novelli  alunni. 


312  Letteratura 

E  ne  fea  dolce  ai  peregrin  conforto. 
Si  condusse  ad  onor  la  giovinezza, 
E  del  suo  cuore  e  degli  affetti  suoi 
Alla  legge  di  Dio  cesse  il  governo. 
Fatto  d'anni  maturo,  a  se  restrinse 
In  nodo  maritale  Anna,  fra  quante 
Fioriano  in  sua  tribìi  caste  donzelle, 
La  pili  casta  e  piìi  bella,  e  da  lei  s'ebbe 
L'alta  dolcezza  del  sentirsi  padre. 
Ella  gli  spose  un  figlio,  che  dal  nome 
Del  genitor  nomossi,  e  fu  Tobia. 
Nel  sen  del  giovinetto  istillò  prima 
Piegar  la  fronte  ossequiosa  a  Dio, 
A  se  del  santo  suo  voler  far  legge, 
E  d'ogni  fellonia  viver  digiuno. 
Quando  colla  sua  prole,  e  la  diletta 
Moglie  fu  tratto  negli  amari  passi 
Di  rio  servaggio,  e  alle  superbe  mura 
Di  Ninive  ristette,  ei  di  se  offerse 
A  sua  tribìi  d'ogni  boutade  speglio. 
E  mentre  tutti  a  divietato  pasto 
Metteano  i  denti,  egli  non  ruppe  fede 
Al  suo  signor,  ed  alle  immonde  carni 
Mai  non  pose  le  labbra.  In  cor  mantenne 
Di  Dio  memoria  integra,  onde  gli  accadde 
Ritrovar  grazia  innanzi  al  re,  che  a  lui 
Diede  recarsi  a  suo  talento  ovunque, 
E  a  suo  talento  oprar.  Tobia  frattanto, 
Commiserando  di  sua  gente  al  duolo. 
Sempre  era  tutto  in  ristorarla,  e  santi 
Di  salute  ricordi  a  lei  porgeva. 
Visitò  terre  molte,  e  alla  cittade 
Giunto  di  Rahes,  per  regal  larghezza 
Cinque  e  cinque  talenti  ebbe  d'argento. 


Imitazione  del  libro  di  Tobia  313 

Della  sua  stirpe  la  miseria  e  i  danni 
Allor  gli  furo  innanzi;  e  tu,  Gabelo, 
Principalmente  che  gemevi  al  fondo 
Corresti  agli  occhi  di  Tobia,  che  pronto 
Ricco  peso  d'argento  a  te  prestava 
Di  tua  scritta  a  fidanza.  In  questa  usciva 
Salmanassar  di  vita;  e  a  lui  nel  regno 
Senacheribbo  succedea,  che  nuovo 
Odio  recando  d'Israel  ne'figli, 
Lor  fea  l'esiglio  a  sostener  più  duro. 
Ma  poi  Tobia  a  consolar  gli  afflitti 
Congiunti,  e  i  fidi  amici,  ed  i  compagni 
Moveva  intorno,  e  dividea  con  essi 
Le  povere  fortune,  e  il  parco  desco. 
Non  si  tornò  digiun  dalle  sue  soglie 
Chi  trasse  a  lui  per  fame,  e  non  ignudo 
Chi  venne  ignudo  a  domandar  mercede. 
E  se  tra  via  de'suoi  veduto  avesse 
Corpi  uccisi  insepolti,  ed  egli  apriva 
Colle  sue  mani  agl'infelici  avanzi 
De^suoi  fratelli  lacrimata  fossa, 
E  di  lieve  terren  li  ricopria. 
Poi  quando  in  fuga  da  Giudea  fu  volto 
L'empio  Senacherib,  sovra  cui  l'ira 
Piovve  del  ciel,  di  sue  ladre  opre  stanco, 
E  fatti  segno  alle  feroci  brame 
I  miserelli  a  schiavitìi  ridutti, 
Tinse  nel  sangue  lor  l'onda  del  Tigri; 
Egli  notturno  delle  morte  salme 
Andava  in  cerca;  delle  pi'oprie  braccia 
Lor  fea  feretro,  e  dell'antica  madre 
Le  componea  pietosamente  in  grembo. 
Poiché  di  questo  si  die  voce  al  fero 
Sir  dell'Assiria,  il  volle  spento.  Quindi 


314  Letteratura 

Contro  lui  fe'di  morte  editto;  e  d'ogni 
Aver  lo  dispogliò.  Ma  veglia  Iddio 
Sempre  alla  guardia  de'suoi  servi!  Ignudo 
Fuggiva  il  buon  Tobia  colla  soave 
Sposa,  e  la  prole  fanciuUetta,  e  fido 
Ricetto  avea  dovunque^  che  le  buone 
Opre  facile  scampo  apron  da  furia 
Di  re  tiranno.  Ei  nell'amor  di  tutti 
Viveva,  e  scampo  avea  per  tutto.  Appena 
Era  surto  dal  mar  cinque  e  quaranta 
Fiate  il  Sol,  che  l'empio  re  vedea 
Farsi  delle  sue  vene  in  terra  laco 
Per  man  de'figli  suoi;  tal  che  Tobia 
Potè  tornar  sicuro  alle  sue  case, 
E  rifiorir  nella  fortuna  antica* 

G.  I.  Montanari 


Una  scrittura  inedita  di  Rodolfino  f^enuti. 

Al  eh.  sig.  professore  Salvatore  Betti, 
■    Clemente  Cardinali. 


E 


ccovi,  pregiatissimo  amico,  una  scrittura  inedita 
di  Rodolfino  Venuti.  L'anno  1828  ne  estrassi  copia 
dall'originale  esistente  nella  sceltissima  biblioteca 
di  Filippo  Aurelio  Visconti,  nome  sempre  caro  a 
quanti  si  travagliano  nello  studio  delle  romane  an- 
tichità. Quando  non  vi  dispiaccia  ,  potrebbe  pub- 
blicarsi nel  nostro  giornale  arcadico.  Trattandosi  in 


Scrittura  di  R.  Venuti  315 

essa  di  una  quistione  agitata  fra  gli  archeologi  circa 
un  secolo  fa,  permettetemi  accennarne  qui  il  moti- 
vo :  e  ciò  servirà,  lo  spero,  a  maggior  intelligenza 
dello  scritto  del  Venuti. 

Nel  mese  di  dicembre  dell'anno  1744  fu  esca- 
vata nel  cimiterio  di  Pretestato  lungo  la  via  appia 
la  seguente  iscrizione  cristiana: 

HIG  REQVIESCET  IN 
PACE  FEDE  CVSTITVT 
VS  ILARVS  QVI  VIXIT 
ANNVS  PL.  MS.  XXV 

Colomba  con         Monogramma     Colomba 
corona  nel  sacro  con  corona 

rostro  nel  rostro 

Recata  la  lapide  a  mons.  Silvestro  Merani  sagrlsta 
pontificio  ,  egli  ne  die  notizia  a  Benedetto  XIV 
di  santa  memoria:  il  quale  ordinò  che  la  iscrizio- 
ne venisse  degnamente  illustrata.  Monsignor  Gior- 
gi ne  die  l'incarico  al  celeberrimo  canonico  Alessio 
Simmaco  Mazocchi:  e  nel  gennaio  dell'  anno  1745 
comparve  in  Roma  pe'  torchi  del  Pagliarini  una 
dotta  lettera  del  napolitano  archeologo;  lettera  che 
ottenne  le  lodi  del  romano  giornale  de'lctterati.  Al- 
la interpretazione  datane  dal  Mazocchi  sursero  av- 
versari il  P.  Lodovico  Sabbatini  de  Anfora  da  pri- 
ma, l'arciprete  Girolamo  BarufFaldi  di  poi;  questi 
piìi  convenientemente;  quegli  meno,  e  per  avven- 
tura troppo  operosamente.  Rispose  ad  ambidue  il 
Mazocchi  ;  il  cui  nipote  Filippo  raccolse  in  ap- 
presso in  un  sol  libro,  stampato  in  Napoli  sul  fi- 
nire dello   stesso  anno,   quante   scritture    eran   ve- 


316  LSTTERATURA 

nule  a  luce  in  quella  controversia;  e  corredando  il 
tutto  di  sue  annotazioni,  intinse  contro  il  Sabba- 
tini  la  pezza  nel  fiele  ,  piìi  che  non  convenisse. 
La  quistione  cadeva  precipuamente  sulla  frase  FE- 
DE GVSTITVTVS  {fide  o  infide  constitutus),  che 
il  Mazocchi  riteneva  indicare  il  battesimo  dollaro; 
il  Sabbatini  la  conferma  nella  fede  ,  o  sia  la  cre- 
sima ;  il  Baruffaldi  ,  essere  Ilaro  un  catecumeno. 
Dalla  lettera  seguente  si  conosce,  che  il  sommo  pon- 
tefice volle  anche  averne  in  iscritto  il  parere  del- 
l' ab.  Rodoifino  Venuti  allora  presidente  alle  ro- 
mane antichità.  Si  vede  chiaro  che  il  Venuti  la 
ebbe  scritta,  prima  che  alcuna  delle  accennate  pro- 
duzioni fosse  stata  pubblicata  con  la  stampa;  e  che 
allontanandosi  egli  dalla  opinione  del  Mazocchi  e 
del  Baruffaldi,  si  accostava  a  quella  del  Sabbatini. 
Conservatevi  in  buona  salute,  ed  amatemi  quan- 
to  io  vi  amo. 

Scrittura  inedita   di  Rodoifino  Fenuti. 

Non  ci  è  dubbio  che  la  inscrizione  ritrovata 
nel  corrente  anno  1744  nel  cimitene,  o  sìa  colomba- 
rio di  Pretestato,  non  meriti  per  la  sua  singolarità 
di  essere  considerata  ,  non  tanto  per  la  ortografia  , 
e  pronunzia  delle  parole,  quanto  ancora  per  la  so- 
stanza della  cosa,  e  per  i  simboli  che  si  vedono  in 
essa  scolpiti.  Ci  faremo  a  parlare  della  prima  os- 
servazione, indi  passeremo  alla  seconda. 

Prima  di  spiegare  i  caratteri  del  nostro  epi- 
taffio, per  poter  dare  una  determinata  epoca  al  me- 
desimo, osservo  che  la  figura  di  questi,  non  meno 
che  la  disposizione,  è  disuguale,  tralignando  dalla 
bellezza    ed   eleganza  dell'antico   alfabeto   ropiano. 


Scrittura  di  R.  Vimuti  317 

L'  occhio  osservatore  ne  è  legittimo  giudice.  Que- 
sti caratteri  pertanto  non  possono  dirsi  puramente 
romani  da  chi  abbia  la  minima  cognizione  della  ve- 
ra struttura  di  questi  e  di  quelli  ;  essendo  1  pri- 
mi imbastarditi  dall'ignoranza  che  a  gran  passi  cre- 
sceva nel  popolo  romano,  tanto  nelle  lettere  minu- 
te che  nelle  maiuscole.  Anzi  vi  è  chi  vuole,  che  ta- 
le introduzione  incominciasse  fin  da  che  i  goti  si 
confederarono  con  i  romani  :  che  accadde  prima 
dei  tempi  di  Massimino,  come  osservò  fra  gli  al- 
tri Ugone  Grozio  sul  fondamento  di  Procopio  e  di 
Giornande:  onde  è  da  stabilirsi  il  tempo  del  nostro 
marmo  verso  il  terzo  secolo  di  Cristo. 

Passando  adesso  al  minuto  dettaglio  dei  carat- 
teri dell'epitaffio,  osservo,  che  quantunque  i  mede- 
simi a  prima  vista  paiano  belli,  si  ravvisano  non 
ostante  per  la  maggior  parte  mal  formati  ed  al- 
terati ,  quali  erano  già  cominciati  a  formarsi  nel 
secolo  terzo.  Osservisi  primieramente  la  lettera  G 
che  si  scorge  sempre  formata  ad  una  medesima  gui- 
sa, senza  che  abbia  uguale  corrispondenza  nel  gi- 
ro, e  nella  positura  delle  due  corna.  Al  contrario 
non  è  sempre  uguale  la  figura  delle  E,  come  delle 
altre  lettere  replicate  entro  lo  spazio  di  poche  righe. 
La  forma  'biella  lettera  F  con  quattro  tagli,  benché 
particolare,  non  si  può  dire  sbaglio  d'inavverten- 
za; poiché  altrove  s'incontra  non  di  rado  in  iscri- 
zioni assai  più  brevi  di  questa  ,  e  basta  di  addi- 
tarne due  nel  fine  del  supplemento  diplomatico  del 
Mabillon.  Finalmente  è  osservabile  ancora  la  lette- 
ra P,  l'occhio  di  sopra  della  quale  è  minore  della 
sua  proporzione. 

Venendo  alla  locuzione;  spesse  volte  negli  an- 
tichi monumenti  si  vedono  le  lettere  V  ed  E  in  luo- 


318  Lettejia.tur,a, 

go  della  I  ed  0;  come  nella  nostra  inscrizione,  dove 
leggesi  REQVIESGET,  FEDE,  in  luogo  di  REQVIE- 
SCIT,  FIDE,  e  ANNVS  per  ANNIS.  Quest'  ultimo 
nome  io  credo  per  altro  che  alle  volte  lo  declinas-« 
sero  come  sensus^  almeno  nel  parlare  comune:  tanto 
pili  che,  per  osservazione  di  Gassiodoro  fatta  nella 
sua  ortografia,  facilmente  accadeva  che  alcune  pa-- 
rolc  neir  atto  di  essere  pronunziate  perdevano  la 
loro  vera  espressione  ,  onde  col  tempo  giunsero  a 
perderla  anche  nella  scrittura  stèssa;  non  potendosi 
ascrivere  a  sbaglio  particolare,  poiché  non  sarebbe 
facile  ascerrere  senza  accorgimento.  Prova  probabi- 
le del  mio  assunto  sia  la  persona  istessa  nominala 
nelTepitaffio,  ove  si  vede  mancare  la  H,  che  in  altri 
simili  nomi  si  osserva;  eppure  unicamente  per  esso 
s'intagliò  la  memoria. 

Parrà  forse  che  troppo  minutamente  io  abbia 
voluto  riandare  ogni  apice  del  nostro  sasso;  ma  mi 
è  parso  ben  fatto  di  stendermi  alquanto  sopra  la 
material  forma  della  scrittura,  per  fare  osservare 
lo  stato  in  cui  trovavasi  l'alfabeto  romano  nel  terzo 
secolo,  in  cui  penso  che  il  marmo,  scolpito  fosse.  Del 
restante  sono  pieni  i  monumenti  cristiani  di  termi- 
ni  e  frasi  indicanti  pili  la  loro  semplicità  che  la  lo* 
ro  eleganza,  come  dice  Arnobio  nei  lii^.'o  1  j4d\^^ 
Gent.f  difendendoli  dalle  calunnie  ed  irrisioni  dei 
gentili.  Quu7u,  egli  dice,  de  rebus  agitar  ah  osteii' 
tatione  suhmotisy  quid  dicatur  spectandum  est^  non 
quali  cum  auctoritate  dicatur-^  ne  quid  aures  coni' 
mulceat^  sed  quas  adfcrat  audientibus  utilitates. 

Passando  adesso  a  considerare  in  secondo  luogo 
il  monumento  in  se  stesso,  osservasi  essere  questa 
memoria  sepolcrale  eretta  ad  un  fedele  chiamato 
Jlaro-,  nome  che  ritrovasi  frequentemente  e  nei  mo- 


Scrittura  di  R.  Venuti  319 

numenti  dei  gentili,  ed  in  quelli  de'cristiani;  onde 
Lasterà  addurre  pochi  esempi  per  prova.  Il  sig. 
Marangoni  negli  atti  di  s.  Vittorino  alla  p.  31  ri- 
porta la  seguente  iscrizione  de'gentili  : 

CAEDIA  .  L  .  L  .  THALEA 

L  .  CAEDIVS  .  L  .  L  .  HILARVS 

FILIVS 

Il  eh.  monsignor  Giorgi,  nel  suo  trattato  de'mono- 
grammi  cristiani,  alla  p.  19  ne  riporta  una  cristia- 
na che  dice 

HILARI .  VIVAS  .  IN  .  DEO 

Si  vede  anche  appresso  il  Boldetti  dato  alle  femi- 
ne  il  nome  d'HILARA;  e  se  ne  trovano  nel  Bosio 
esempi  con  la  lettera  aspirata  H  e  senza.  È  qui  da 
osservarsi  l'equivoco  che  può  nascere  in  due  versi 
cristiani  riferiti  l'uno  dal  Boldetti,  l'altro  dal  Buo- 
narroti ;  dove  in  uno  leggesi  HILARE  .  SEMPER 
GAVDEAS  ;  e  nell'  altro  SEMPER  .  VIVAS  .  GVM 
TVIS .  PIE  .  ZESES  ;  che  pare  possa  alludere  ad 
acclamazioni  convivali;  quando  veramente  è  il.  no- 
me proprio  del  possessore  del  vetro. 

Si  dice  nel  nostro  monumento  che  Ilaro  HIG 
REQVIESGET .  IN  .  PAGE.  Ancora  il  monumento  di 
s.  Colomba  spiegato  da  monsignor  Fontanini  co- 
mincia HIG.  IN  .  PAGE  .  REQVIESGIT;  e  frequenti 
sono  nei  sepolcri  cristiani  simili  espressioni,  che 
significano  riposo^  dormizione,  sonno  di  pace.  Il  ter- 
mine in  pace  significa  Ilai'o  esser  morto  nella  co- 
munione della  chiesa  cattolica,  e  il  Buonarroti  così 
spiega  tal  formola;  quindi  il  Fabretti  ha  in  marmo 


320  Letteratura 

non  solamente  IN  .  PAGE,  ma  ancora  FIDE!  .  CA- 
THOLICAE;  ed  altrove  leggesi  IN  PAGE  GVM  SAN- 
CTIS;  IN  PAGE  DOMINI;  IN  PAGE  DEI;  IN  PAGE 
GHRISTI.  Fortunato  Scacchè  fu  di  parere  che  la 
formola  IN  PAGE  distinguesse  i  martiri  dai  non 
martiri;  ma  ciò  s' intende  quando  ella  sia  sola  e 
scompagnata  da  altri  contrasegni  e  caratteri  deno- 
tanti a  parte  il  martirio. 

Restano  adesso  da  osservarsi  le  parole  FEDE 
CVSTITVTVS;  che  credo  doversi  leggere  in  fide 
constitutus.  Per  quante  diligenze  abbia  fatte,  non 
mi  è  riescito  ne'marmi  cristiani  di  ritrovare  simi- 
le formola.  Una  iscrizione  greca  riporta  il  sig.  Ma- 
rangoni, ritrovata  nel  cimitero  di  Priscilla  Tanno 
1725,  che  ha  molta  somiglianza  con  la  nostra,  di- 
cendo : 

AYEPAAAIANOC 
AnA$AArCA)NEG 
EKOIMHENEN  .  EPPI 
NHMNHeHAYTOYO 
0EOGTOYG  .  APNAG 

Aurelianus  Paphlagonus  Dei  serviis  credidit  R- 
dem  ,  dormit  in  pace  ;  recordetur  ipsius  Deus  in 
saecula. 

Cade  adesso  la  questione  se  la  espressione  so- 
pra riferita  indichi  martirio,  e  se  il  nostro  Ilaro 
si  debba  riconoscere  per  martire.  Ma  per  procede- 
re in  questo  difficoltoso  punto  ,  mi  servirò  degli 
insegnamenti  del  nostro  pontefice  Benedetto  XIV. 
Egli  pertanto  nella  sua  dotta  opera  De  canon, 
sanct.  al  lib.  4  ed  al  tom.  1  lib.  \  §.  8  e  9  di- 
vide i  martiri  in  tre  classi:  alcuni  egli  chiama  de- 


Scrittura  di  R.  Veduti  321 

signatij  cioè  quelli  che  condannati  alla  morte  e  pro- 
fessata la  fede  pubblicamente  avanti  il  tiranno,  non 
fu  ciò  non  ostante  eseguita  la  sentenza,  detti  per- 
ciò confessores  ;  ed  in  questo  numero  si  devono 
ascrivere  que'padri  del  concilio  niceno,  ai  quali  si 
riferisce  che  Costantino  imperatore  lasciasse  le  ci- 
catrici. Altri  furono  detti  consumati  o  coronati,  e 
furono  quelli  che  morirono  ne' tormenti  o  poco  do- 
po. Altri  finalmente  li  chiama  ^indicati,  per  il  cul- 
to restituitogli  dalla  chiesa.  Del  primo  genere  po- 
trebbe essere  stato  il  nostro  Ilaro^  tanto  piti  se  leg- 
gesi  PRO  FIDE  GONSTITVTVS. 

Ma  se  mi  fosse  lecito  di  dire  il  mio  sentimento 
sopra  ciò  ,  osservo  ,  che  erano  soliti  i   primi    cri- 
stiani di  occultare  i  misteri  della  loro  religione,  ut 
fideles,  come  dice  s.  Cirillo  nella  quinta  catechesi, 
intelligant,  et  qui  non  tenent  ne  laedantur:  come 
esempio  ce  ne  può  essere  una  iscrizione  riportata  dal 
Noris  ne'fasti  consolari  p.  43  e  dal  Fabretti  nelle 
Insc.  p.  577,  in  cui  dicesi  che  un  certo  Severo  Pa- 
scasio  PERCEPIT  .  XI  .  KAL  .  MAIAS,   senz'altro 
intendendosi  qui  il  battesimo,  come  viene  provato 
dalle  parole  che  sieguono  ET  ALBAS   SVAS  DE- 
POSVIT  AD  SEPVLGRVM;  per  cui  s'intende  che 
Pascasio  fu  battezzato  ai  21   di  aprile  il  giorno  di 
pasqua,  e  mori  ai  28  dello  stesso  mese  non  aven- 
do per  anche  deposta  la  veste  candida,  eeremonia 
principale  nell'acquistare  il  carattere  di  cristiano, 
che  credevano  di  essenza  di  occultare,  o  solamente 
accennarlo  oscuramente.  Questa  è  la  ragione  per  cui 
spiegarono  questo  mistero  sovente  con  le  oscure  pa- 
role GRATIA  SANGTA  CONSECVTVS;  CVM  SPI- 
RITA SANGTA  AGGEPTVM.  Per   mezzo   del   bat- 
tesimo  adunque  ricevevano    l'innocenza,  come  ben 
G.A.  T.LXXIII.  21 


322  Letteratura 

dichiara  s.  Gio.  Grìsostomo  nell'omelia  XXI;  dicen- 
dosi i  nuovi  battezzati  suscepti^  accepti^  et  illumi- 
nati. Quelli  poi  che  erano  confermati  nella  fede  di- 
cevasi  CONFIRMATI  e  CONSTITVTI  IN  FIDE; 
come  credo  deve  intendersi  del  nostro  Ilaro.  Ed 
in  vero  fu  molto  a  proposito  a  ciò  il  decreto  pub- 
blicato sotto  il  nome  di  Melchiade  papa  alla  Diss, 
V can.  \  de  conf.-,  dove  dicesi:  Spiritus  SanctuSi,  qui 
super  aquas  baptismi  salutifero  descendit  lapsu^  in 
fonte  plenitudinem  tribuit  ad  innocentiam^  in  con- 
firmatione  consti tutionem  praestat  ad  fldem. 

Resta  a  dire  qualche  cosa  sopra  il  monogram- 
ma di  Cristo  circondato  da  palma  con  le  due  let- 
tere allusive  a  Cristo  A  ed  U;  e  le  colombe  con 
le  corone  nei  rostri.  Ognun  sa  che  nessuno  di  tali 
segni  è  indicativo  di  martirio;  e  quantunque  la  pal- 
ma, per  decreto  della  s.  congregazione  de'riti,  an- 
che per  se  sola  sia  indicativa  di  martirio,  essendo 
la  corona  di  palma  con  il  gioiello  ed  i  lemnisci  at- 
torno al  monogramma  di  Cristo,  deve  alludere  alla 
sua  sola  passione  e  vittoria.  Le  colombe  sono  sola- 
mente indizio  di  purità,  di  semplicità,  di  fede  e 
di  altre  morali  virtìi,  e  per  questo  si  veggono  at- 
tribuiti ancora  ai  martiri;  come  in  un  vetro  ripor- 
tato dal  Boldetti  pongono  in  mezzo  la  purissima 
santa  Agnese.  Quindi  s.  Cipriano  nel  suo  trattato 
De  zelo  et  livore  dice:  Non  enim  chrlstiani  homi- 
nis  corona  una  est^  quae  tempore  persecutionis  ac- 
cipitur;  habet  et  pax  coronas  suas^  quibus  de  va- 
ria et  multiplici  conversione  victores  prostrato  et 
subacto  adversario  coronamur. 


323 


BELLE    ARTI 


J^itriLvii  de  archile ctiira  libri  decem,  apparatu  prae- 
munitii  emendationibus  et  illustrationibus  refecti^ 
thesauro  variarum  lectionwn  ex  codicibits  tendi- 
que  quaesitis  et  editionibiis  ituiversis  locupletati^ 
tabulis  centiim  qaadraginta  declarati  ab  Aloisio 
Mariiiio  marchione  Vacunae  et  eqidte  pluriiim 
ordinwn.  Accedunt  compendiiim  architecturae  e- 
mendatitm  et  indices  tres.  Opus  in  quatuor  volu- 
mina  in  folio  distributum.  Romae  1 837. 


B 


Articolo  I. 

ella  ed  utile  impresa  è  stata  quella  del  commen- 
datore marchese  Luigi  Marini  di  dare  una  nuova  edi- 
zione deirarchitettura  di  Vitruvio,  correggendone  il 
testo,  illustrandola  con  dottissimi  comenti,  ed  ornan- 
dola di  numerose  tavole.  Opera  già  da  molti  anni  an- 
siosamente desiderata  dai  dotti,  e  di  cui  altissime 
speranze  avean  fatto  concepire  le  dissertazioni  lette 
e  pubblicate  dall'autore  sopra  alcuni  de'più  difficili 
problemi  vitruviani  :  le  quali  speranze  furono  di 
gran  lunga  superate  dalla  pubblicazione  del  presen- 
te lavoro,  il  quale  non  solo  ha  intieramente  offu- 
scato il  pregio  di  tutte  le  altre  edizioni,  ma  le  ha 
rese  talmente  inutili  ,  che  ognuno  il  quale  abbia 
fior  dì  senno  vorrà,  siam  certi,  studiare  d'  ora  in- 
nanzi il  testo  vitruviano  secondo  la  nuova  lezione. 
Con  sommo  diletto  insieme  ed  istruzione  ci  sia- 
mo dati  alla  lettura  di  quest'opera,  la  quale  come- 


324  Belle     Arti 

che  in  gran  parte  fosse  già  da  noi  conosciuta,  pure 
non  lo  era  in  modo  da  poterne  tutti  a  parte  a  parte 
enumerare  i  pr^igi;  e  ci  siamo  assicurati  che  nulla 
evvi  a  desiderare  si  per  la  parte  archeologica  ed 
artistica,  sì  ancora  per  l'esecuzione  tipografica,  per 
l'esattezza  de'disegni  e  per  la  nitidezza  delle  inci- 
sioni, le  quali  non  poco  ne  accrescono  il  merito, 
e  rendono  molto  pììi  facile  l'intelligenza  del  testo, 
essendovene  molte  fedelmente  eseguite  secondo  la 
descrizione  di  Vitruvio,  e  molte  che  offrono  accon- 
ci esempi  di  monumenti,  per  illustrare,  e  talvolta 
anche  rettificare  i  precetti  vitruviani. 

Gratissima  cosa  al  certo  per  tutti  gli  amatori 
de'buoni  studi  dev'essere  il  vedere  che  in  questo 
nostro  tempo,  troppo  alla  facile  letteratura  procli- 
ve, vi  sia  pur  taluno  il  quale  non  isdegni  di  attin- 
gere alle  più  recondite  e  doviziose  sorgenti  della 
veneranda  antichità,  onde  trarne  qualche  lume  per 
le  lettere  e  per  le  arti.  Ne  ultimo  fra  i  pregi  dell' 
illustre  autore  è  da  noverarsi  quello  di  aver  dato 
finalmente  a  Roma  un  illustratore  di  Vitruvio,  non 
potendosi  riguardare  come  tale  Sulpicio  ,  il  quale 
altro  non  ha  fatto  che  pubblicare  in  Roma  il  te- 
sto vitruviano  copiato  da  un  codice  manoscritto.  E 
a  dir  vero  vergognoso  era  il  pensare  che  un'opera 
scritta  in  questa  città,  dedicata  ad  un  imperatore 
romano,  e  che  di  tanti  nostri  monumenti  fa  men- 
zione, non  fosse  stata  ancora  da  alcun  romano  il- 
lustrata; e  che  mentre  quasi  tutte  le  altre  nazioni, 
e  molte  delle  citta  d'  Italia  potevano  vantarsi  di 
avere  qualcuno,  che  adoperato  si  fosse  a  dichiara- 
re e  comentare  l'opera  di  Vitruvio,  ninno  ve  ne 
avesse  in  Roma,  ove  pur  tanti  mezzi  esistevano  per 
rendere  l'impresa  meno  diflicile,  sia  per  la  prodi- 
giosa quantità  di  codici  che  nelle  nostre  biblioteche 


Edi*,  di  ViTRurio  325 

si  conservano  ,  sia  per  li   monumenti  ancora  esi- 
stenti, i  quali  all'intelligente  osservatore  molte  cose 
disvelano,  onde  meglio  intendere  questo  scrittore. 
Bella  adunque  non  solo  ed  utile  è  stata  l'im- 
presa del  Marini  con  tanti  dispendi  e  si  lunghe  fa- 
tiche condotta  a  termine;  ma  piena  ancora  di  amor 
patrio,  e  tale  da  destare  una  nobile  invidia  in  chi- 
unque abbia  animo  capace  di  altamente  sentire.  Af- 
finchè  però   taluno  non  creda  questo  nostro  giudi- 
zio muovere  piuttosto  da  una  parziale  prevenzione, 
che  da  solidi  argomenti  ;  ci  proponiamo  di  porre 
sotto  gli  occhi  de'nostri   lettori  una  breve  analisi 
dell'opera  stessa,  dalla  quale  meglio  che  da  qualun- 
que nostro  dire  ne  apparirà  l'eccellenza  ed  impor- 
tanza. Saremo  brevi  per  quanto  la  vastità  della  ma- 
teria ce  lo  permetterà,  non  arrestandoci   che   ove 
ne  parrà  aver  il  Marini  fatto  fare  un  nuovo  passo 
alla  scienza;  ovvero  ove  alcuna  nuova  ed  ingegnosa 
lezione  venga  da  lui  proposta,  che  non  sia  data  da 
alcun  altro   testo  a  stampa  ;   o   quando   finalmente 
colle  sue  interpretazioni  faccia  comprendere  qual- 
che passo  di  Vitruvio  non  ancora  ben  inteso  da' 
suoi  comentatori. 

I  conienti  fatti  dal  Marini  sull'opera  di  Vitru- 
vio sono  in  due  parti  divisi,  cioè  in  emendazioni  ed 
in  illustrazioni'-,  nelle  prime  rende  ragione  di  tutti 
i  cambiamenti  introdotti  nel  lesto,  seguendo  per 
lo  più  l'autorità  de'codici;  nelle  seconde  pòi  dk  tut- 
te le  osservazioni  filologiche  ed  artìstiche,  che  alla 
più  facile  intelligenza  dell'antico  scrittore  possono 
condurre,  non  lasciando  di  riferire,  ne'passi  piìi  dif- 
ficili, anche  le  altrui  opinioni,  aggiungendovi  però 
sempre  la  propria.  Metodo  molto  utile,  e  che  tutti 
i  comentatori  dovrebbero  togliere  ad  esempio,  acca- 


32(5  Belile     Arti 

dendo  pur  sovente  che  anche  i   più  dotti   facciano 
Tin  grandissimo  sfoggio  di  erudizione,  afTastellando 
autorità  di  classici  ed  opinioni  di  altri  comentatori 
senza  dar  quindi  alcun  giudizio.  Ne  questo  è  il  solo 
pregio  che  distingua  il  Marini  dagli  altri  comen- 
tatori ,  ma  ve  ne    ha  ancora  un  altro  da  noi  nel 
corso  di  tutta  l'opera   costantemente   osservato  ;  il 
quale  è,  che  giammai  il  dotto  comentatore  ti  abban^ 
dona  nelle  grandi  difficolta,  saltandole,  come  da  ta- 
luno far  si  suole,  a  pie  pari.  Quanto  ciò  debba  ap- 
prezzarsi, chiunque  colla  lettura  degli  antichi  scrit- 
tofi  sia  alcun  poco  familiare,  facilmente  ne  con  ver" 
ra.  Ogni   qual  volta  osservi  il  comentatore  restar 
mutolo  nelle  maggiori  difficolta,  e  noti  fare  alcuno 
sforzo  per  superarle,  ti  sembra  vedere  uà  amico  , 
che  neir  uopo   maggiore  ti  abbandona  e  codarda- 
mente si  asconde.  Non  cosi  il  Marini,  il  quale  quan- 
to più  oscuro  è  il  passo  che  imprende  a  dichiara- 
re, tanto  maggior  luce  cerca  spandervi:  e  quanto 
piti  gravi  difficolta  gli  si  presentano,  tanto  maggior- 
mente si  sforza  di  superarle.  Meglio  però  tuttociò 
apparirà  dall'analisi  dell'opera. 

Primo  a  presentartisi  è  Y  apparato  vitrui^iano. 
In  esso  tiene  il  primo  luogo  la  vita  di  Vitruvio  , 
nella  quale  del  nome,  della  patria,  della  condizio- 
ne, degli  studi,  e  dell'età  di  lui  con  molta  eru- 
dizione e  sana  critica  si  ragiona.  Quindi  dell'opera 
stèssa  dì  Vitruvio  si  tratta,  ed  in  poche  pagi-r 
ne  ne  hai  una  cosi  viva  pittura,  che  anche  colui 
il  quale  giammai  non  l'avesse  letta,  potrebbe  for- 
marsene una  chiarissima  idea.  Ove  però  e  della  va- 
stità dell'  opera,  e  dell'  improba  fatica  del  Marini 
puoi  farti  un'idea,  si  è  nelle  tre  disquisizioni  che 
sicguono,  nelle  quali  parlasi  de'codici,  delle  edizio- 


Ediz.  di  ViTRuvio  327 

ni  e  delle  traduzioni.  Il  solo  pensare  che  un'opera, 
la  quale  ha  pure  una  certa  estensione,  e  stata  in 
ogni  suo  periodo,  in  ogni  sua  frase,  anzi  in  ogni 
sua  parola  confrontata  con  più  di  cinquanta  testi 
a  penna,  tredici  a  stampa,  e  con  tutte  le  traduzioni 
in  diverse  lingue,  è  cosa  da  scoraggiare  anche  i  più 
intrepidi.  Non  possiamo  adunque  che  render  gra- 
zie all'indefesso  comentatore,  il  quale  non  rispar- 
miando ne  spese  ne  fatiche ,  ci  ha  dato  una  così 
bella  edizione  di  Vitruvio,  la  quale  andremo  libro 
per  libro  esaminando. 

Il  libro  primo  comincia  con  la  dedica  che  Vi- 
truvio fa  della  sua  opera  ad  Augusto.  In  questa  già 
trovansi  due  emendazioni,  che  con  lievissimo  cam- 
biamento del  testo,  ne  rendono  il  senso  piano  ed 
indubitato,  di  oscuro  ch'egli  era,  e  male  da  tutti 
i  traduttori  spiegato.  Viene  poscia  il  primo  capi- 
tolo, in  cui  di  tutto  ciò  che  l'architetto  deve  sa- 
pere si  ragiona.  Qui  il  Marini  ha  mostrato  molta 
dottrina  nell'esporci  gran  parte  del  sapere  degli  an- 
tichi, e  specialmente  là  dove  dell'analogia  favella 
che  i  pittagorici  immaginavano  fra  l'astronomia  e 
la  musica.  Parlando  della  musica  giustamente  osser- 
va, che  non  tre  ma  sei  erano  le  consonanze  presso 
gli  antichi;  onde  non  vuol  leggere  con  tutti  gli  edi- 
tori ed  i  codici  diatessaron  et  diapente  et  disdia- 
pason ,  ma  piuttosto  diatessaron  et  diapente  ,  et 
exordine  ad  disdiapason.  Su  di  che  non  vogliamo 
tuttavia  celare  una  nostra  osservazione  ,  la  quale 
è  che  senza  fare  tanta  violenza  al  testo  potrebbe 
cangiarsi  soltanto  et  in  ad^  e  si  avrebbe  con  ciò  lo 
stesso  senso,  cioè  diatessaron  et  diapente^  ad  dis- 
diapason. La  correzione  del  Marini  però  è  appog- 
giata al  testo  vitruviano,  trovandosi  la  stessa  frase 
usata  da  Vitruvio  nel  libro  quinto. 


328  Belle     Arti 

Nel  secondo  capitolo  parla  de*prlnclpli  delTar- 
chitettura:  e  qui  una  bella  correzione  è  stata  fatta 
dal  Marini,  leggendo  coU'autoritk  de'codici  aiit  etiam 
enibatere,  correzione  che  non  so  come  sia  sfuggita 
a  tutti  gli  altri  editori,  essendo  chiarissimo  il  senso, 
e  dicendo  Vitruvio  che  le  proporzioni  ne'tempii  si 
hanno  aut  e  columnarum  crassitudinibus,  aut  tri- 
glj'pho,  aut  etiam  emhatere.  La  parola  ip^^oczr.p,  se- 
condo Vitruvio,  corrisponde  alla  latina  motì?«/M^:  an- 
zi, se  mal  non  mi  appongo,  credo  aver  trovato  la 
vera  etimologia  ed  il  genuino  senso  di  questa  paro- 
la, non  ancora  dato  da  altri  che  io  mi  sappia.  Vi- 
truvio in  tre  modi  fissa  il  modulo  pe'tempii,  dal  dia- 
metro cioè  della  colonna,  dal  triglifo,  e  dalla  lar- 
ghezza della  facciata  del  tempio.  Quest'ultima  ma- 
niera di  fissare  il  modulo  credo  che  sia  precisamen- 
te quella  che  lo  fa  chiamare  s/x^arvjp,  cioè  «.no  rou 
k[x[io(.ivivj^  perchè  è  appunto  la  larghezza  del  lato  , 
dal  quale  si  entra,  che  determina  questo  modulo. 

Dopo  due  capitoli,  i  quali  non  offrono  alcuna 
importante  osservazione,  viene  il  quinto  nel  quale 
parla  delle  torri  e  delle  mura.  Questo  ,  senza  che 
noi  ci  dilunghiamo  inutilmente,  nessuno  dubiterà 
che  dal  dotto  comentatore  del  De'  Marchi  sia  stato 
convenientemente  illustrato.  In  fatti  in  esso  vengo- 
no, quantunque  con  molta  sobrietà,  maestrevolmente 
esposti  i  principii  di  fortificazione  conosciuti  dagli 
antichi.  Finisce  poi  Vitruvio  il  suo  primo  libro 
parlando  della  direzione  che  debbono  avere  le  stra- 
de nell'interno  delle  città,  e  della  scelta  che  si  de- 
ve fare  de'luoghi  per  gli  edifizi  pubblici.  La  direzio- 
ne delle  strade,  secondo  lui,  dev'essere  detcrminata 
da  quella  de'venti;  e  qui  una  bella  disquisizione  sì 
presenta  sul  numero  de'venti,  sul  nome  ch'era  loro 


Ediz.  di  Vitruvio  329 

dato  dagli  antichi,  e  sulla  corrispondenza  ch'essi 
hanno  co'  moderni  ;  argomento  trattato  con  mol- 
ta erudizione  dal  Marini  ed  accompagnato  da  due 
tavole,  nell'una  delle  quali  da  le  diverse  divisioni 
de'venti  secondo  i  vari  sistemi  degli  antichi,  nell' 
altra  la  così  detta  Torre  deventi^  ossia  il  monu- 
mento ottagono  di  Andronico  Girreste  esistente  in 
Atene,  inciso  con  molto  gusto  e  precisione. 

Sette  sono  le  tavole,  alle  quali  ha  dato  luogo 
questo  lihro;  quattro  delle  quali  ideate  dal  Marini 
per  dichiarare  il  testo  vitruviano,  e  tre  di  monu- 
menti ancora  esistenti  :  la  prima  cioè  di  cariatidi 
e  telamoni,  la  seconda  delle  fortificazioni  di  Pom- 
pei, e  la  terza  della  torre  di  Andronico  Girreste. 

Il  secondo  libro,  al  dire  di  Vitruvio  stesso,  do- 
vrebbe trattare  de'tempii;  ma  lasciando  un  tal  sog- 
getto pe'libri  seguenti,  si  occupa  in  questo  dell'o- 
rigine degli  edifizi,  e  de'materiali  che  servono  per 
la  loro  costruzione.  Dopo  aver  dato  adunque  nel 
libro  primo  i  principi!  scientifici  dell'arte  ,  viene 
a  darne,  per  cosi  dire,  i  principii  materiali.  Que- 
sto libro,  di  non  minore  importanza,  contiene  sul- 
la maniera  di  costruire  degli  antichi,  e  sulla  cura 
che  essi  ponevano  nella  scelta  de'materiali,  utili  no- 
tizie ,  dalle  quali  sarebbe  grandemente  a  deside- 
rarsi che  i  moderni  traessero  qualche  partito  onde 
render  piìi  solide  le  loro  costruzioni. 

La  prima  cosa,  di  cui  parlasi  in  questo  libro, 
è  la  maniera  colla  quale  i  pili  antichi  popoli  fab- 
bricarono le  loro  prime  abitazioni.  Di  due  popoli 
pili  particolarmente  ragionasi,  cioè  de'  colchi  e  de' 
Irigii.  Affinchè  meglio  si  comprenda  il  testo  vitru- 
viano, il  quale,  a  dir  vero,  nelle  altre  edizioni  era 
alquanto  oscuro,  è  stata  aggiunta  una  tavola,  nel- 


330  Beele     Arti 

la  quale  a  colpo  d'occhio  vedi  il  metodo  tenuto  da 
cotesti   popoli    per   costruire    i   loro    abituri.    Non 
dalla  sola  tavola  però  risulta  la  piìi  facile  intelli- 
eenza  del  testo,  ma  da  tante  emendazioni  con  lie- 
vissimo  cambiamento  delle  parole  date  dai  codici, 
le  quali  Io  rendono   facile   e   chiaro    d'  intralciato 
ch'egli  era  ed  oscuro.   Cosi,  a  cagion  di  esempio, 
cambiando  il  tecta  recidentes  in   teda  erigenies 
vedi  subito  que'  tetti  acuminati  soliti  a  fabbricarsi 
dai  colchi;  e  poche  linee  dopo,  mutando  il  detineiv 
tes  de'codici   in  deprimentes,  hai  una  lezione  piìi 
chiara,  e  che  meno  si  allontana  dai  manoscritti,  di 
quello  che  leggendo  con  tutte  le  altre  edizioni  exi" 
nanientes.  Ma  troppo  lungo  sarebbe  se  volessi  en- 
trare in  siffatti  particolari,  non  essendovi,  per  così 
dire,  pagina  in  cui  emendazioni  di  tal  sorta  non  si 
ritrovino.  Queste  principalmente  hanno  contribuito 
a  rendere  il  testo  vitruviano  piii  fluido  e  piìi   cor- 
retto: ma  poiché  private  del  contesto  non   sareb- 
bero per  avventura  di  facile  intelligenza  ai  miei  let- 
tori, perciò  ne  sceglierò  soltanto  pochissime.  Lascio 
adunque  le  altre  emendazioni  contenute  in  questo 
libro,  perchè  quasi  tutte  dello  stesso  genere,  e  mi 
limito  ad  osservare  che  molte  località  soprattutto 
vi  sono  state  rettificate.  Cosi  per  esempio  Maoàliia 
Q  Calentuin,  citta  della  Spagna  ulteriore,  vi  sono  sta- 
te felicemente  sostituite  a  Marsiglia  nelle   Gallie 
della  maggior  parte  delle  edizioni;  e  parlando  nel 
capitolo  settimo  delle  diverse  cave  di  pietre,  le  ga- 
bienses  hahno  molto  giustamente  preso  il  luogo  del- 
le pallienses  ed  alUenses  date   da   tutti   gli   altri 
editori,  essendo  celebre  presso  gli  antichi  la  pietra 
gabina,  e  non  trovandosi  alcuna  menzione  delle  al- 
tre cave.  Per  la  stessa  ragione  sono  state  escluse  le 


Ediz.  di  Vitrutio  331 

amiterninae  ,  ed   in   loro   vece   sostituite   le   ante- 
mninae. 

Dopo  aver  parlato   delle  diverse  cave  ,   passa 
Vitruvio  ad  esporre  nell'ottavo  capitolo  le  varie  co- 
struzioni usate  tanto  dai  romani,  quanto  dai  greci: 
e  l'intelligenza  di  questo  capitolo  è  resa  molto   piìi 
facile  da  una  tavola,  in  cui  tutti  questi  diversi  ge- 
neri  di   costruzioni  sono  esattamente  delineati.  Fi- 
nalmente pone  termine  a  questo  libro  parlando  de' 
legnami  che  possono  con  maggior  vantaggio  impie- 
garsi nella  costruzione  degli  edifizi,  e  della  stagione 
favorevole  per  tagliarli.  Oggetto  con  molta  dottrina 
trattato  dal  Marini,  e  già  da  lui  grandemente  ap- 
profondato nell'edizione  del  De'Marchi.  Tre  sole  ta- 
vole accompagnano   questo  secondo   libro,  il  quale 
non  è  stato  che  un  riposo,  onde  con   maggior  lena 
poter  affrontare  le  difficolta  del  libro  seguente. 

Nel    terzo   libro  comincia  Vitruvio  ad  entrare 
più  particolarmente  ne'precetti  dell'arte,  ed  in  esso 
trovansi  tre  delle   principali  difficolta   vitruviane  , 
cioè  Ventasi^  gli  scamiUi  impari^  e  la  voluta  ionica-, 
difficoltà  che   tante  quistioni  hanno  suscitato  fra  i 
dotti  e  gli  artisti,  e  che  a  tanti  dispareri  hanno  da- 
to motivo.  Se  però  senza  spirito  di  parte   prende- 
rai tutte  queste  opinioni  a  disamina,  ed  a  quella  del 
nostro  comentatore  le  affronterai,  vedrai  chiaramen- 
te  non   potersene  piìi  alcuna  ragionevolmente  so- 
stenere: tanta  è  l'autorith  de'  monumenti  e  la  forza 
delle  ragioni   onde  sono   avvalorate  le  asserzioni  di 
lui.  Cominciamo  però  con  ordine  ad  analizzare  que- 
sto  terzo  libro.  In  esso  Vitruvio  tratta  de'  tempii, 
e  primieramente  delle  loro  diverse  forme;  in  antis, 
prostjlos,  amphiprostylos^  peripteros,  pseudodipte- 
rosj  dipleros  ed  hjpaethros.  Di  ciascuna  di  queste 

Jiq  OlVUlllY  08E9J8  e 


233  Belle     Arti 

forme  e  data  nelle  tavole  la  fii^ura,  a  seconda  della 
descrizione  vitruviana,  ed  inoltre  uno  o  più  esempi 
di  antichi  monumenti,  i  quali  meglio  co'precetti  di 
Vitruvio  si  accordino.  Tale  è  il  tempio  di  Temide 
a  Ramnunte  per  la  forma  in  antis^  il  quale  è  ac- 
compagnato dall'  altro  di  Diana  Propilea  in  Eleusi 
singolare  per  la  sua  forma,  che  utrinque  in  antis^  ov- 
vero «jayj  V)  TxuQocardoi  potrebbe  dirsi,  seguendo  la 
nomenclatura  vitruviana.  Per  l'amfiprostilo  è  dato 
il  tempio  ionico  suU'Ilisso,  unico  esempio  fino  al- 
lora conosciuto  di  tal  forma,  al  quale  ora  può  ag- 
giungersi quello  della  Vittoria  aptera  scoperto  suU* 
acropoli  di  Atene.  La  pianta  di  questo  tempio  vie- 
ne sempre  piii  a  confermare  la  giustezza  deiropi- 
nione  del  Marini,  il  quale  non  crede  doversi  ripe» 
tere  le  ante  nella  parte  posteriore,  ma  soltanto  le 
colonne. 

Dopo  le  forme  passa  Vitruvio  a  parlare  delle 
specie  de'tempii,  le  quali  dalla  diversità  degl'inter- 
colunni ricevono  le  denominazioni  di  picnostile  , 
sìsfile,  diastile^  areostile  ed  eicstile.  L'intercolunnio 
Gustilo  è  da  Vitruvio  preferito  agli  altri,  e  ne  fa 
autore  Ermogene,  dal  quale  pare  che  molti  dc'suoi 
precetti  abbia  tratto,  dicendo  di  lui:  Reliqidsse  fon- 
te s  Wide  posteri  possent  haurire  disciplinarwn  ra- 
tiones.  Ne  solo  Ermogene,  ma  anche  altri  archi- 
tetti dell'Asia  minore  debbono  essere  stati  gli  au- 
tori, da'quali  tolse  Vitruvio  molte  delle  sue  rego- 
le, che  debbono  perciò  principalmente  all'  ordine 
ionico  applicarsi,  essendo  con  quest'ordine  fabbri- 
cati quasi  tutti  gli  editìzi  ora  conosciuti  in  quel 
paese.  Giustamente  adunque  il  Marini  ha  dato  pro- 
porzioni ioniche  alla  maggior  parte  de'tempii  de- 
scritti da  Vitruvio,  come  quelle  che  sembrano  esse- 
re itale  dallo  stesso  Vitruvio  prescelte. 


Ediz.  di  VrxRUVio  333 

Il  più  importante  soggetto  però  di  questo  ca- 
pitolo è  Ventasi:  problema  che  ha  dato  origino  ad 
opinioni  molto  assurde;  ma  che  è  stato  posto  così 
in  chiaro  dal  Marini  coU'autorita  degli  antichi  scrit- 
tori, coll'aiuto  de'monumenti  e  col  contesto  vi  tra- 
viano, che  ora  non  mi  sembra  piìi  poter  dar  luo- 
go al  menomo  dubbio.  Primieramente  stabilisce  il 
dotto  comentatorc,  non  doversi  eseguire  Tentasi  che 
dopo  la  rastremazione;  ed  infatti  così  esige  il  con- 
testo vitruviano.  Passa  quindi  a  dimostrare  V  esi- 
stenza dell'entasi  negli  antichi  monumenti  coU'au- 
torita di  molte  colonne  e  pilastri  ancora  esistenti, 
ed  aggiunge  altro  non  essere  che  una  pratica  tenu- 
ta dagli  antichi  architetti  affinchè  la  colonna  non 
sembrasse  piìi  sottile  nel  mezzo:  opinione  appog- 
giata all'autorità  di  Eliodoro  Larisseo,  il  quale  dice 
Xf'cvoc ....  y.CKtà  [j.iav.  nphg  vprj  a-svcyjxcvsv. 

Qnal  dimensione  dovesse  aver  Tentasi,  non  di- 
cesi da  Vitruvio  :  ma  pure  da  un  altro  passo  nel 
quinto  capitolo  di  questo  stesso  libro  si  ricava,  do- 
ver essere  eguale  alla  profondita  delle  scanalature: 
Crassltiidlnes  striarum  faclendae  sunt  quantum  adie- 
ctio  in  media  columna  invenietur.  Conosciuta  adun- 
que la  profondita  delle  scanalature,  si  conoscerà  an- 
cora la  dimensione  dell'entasi.  Qui  il  Marini  stabi- 
lisce un  esattissimo  calcolo  per  provare,  che  in  qua- 
lunque colonna  combinando  T  aumento  delT  entasi. 
colla  diminuzione  della  rastremazione,  il  mezzo  del- 
la colonna  non  supererebbe  mai  in  diametro  Timo 
scapo,  come  molti  avevano  assurdamente  supposto. 
Termina  finalmente  col  dare  un  metodo  pra- 
tico per  facilmente  descrivere  cotesta  entasi.  Tale 
appunto  doveva  essere  stato  lo  scopo  di  Vitruvio 
nel  porre  alla  fine  di  questo  libro  una  figura  per 


334  Belle     Arti 

eseguire  1'  entasi.  La  figura  è  perita  con  le  altre 
che  accompagnavano  il  suo  lesto  :  ma  se  non  era 
quale  è  stata  dal  Marini  delineata,  certo  poco  po- 
teva differirne.  Jm.'llc 

Altro  problema,  ed  anche  più  celel>re,  è  quel- 
lo degli  scamilli  impari  trattato  nel  capitolo  se- 
guente. A  quante  discussioni  abbia  questo  dato  luor 
go,  ninno,  che  pur  di  Vitruvio  abbia  inteso  parla- 
re, evvi  che  ignori.  Quali  assurdità  da  uomini  per 
ingegno  sommi,  e  per  erudizione  ammirabili  siansi 
sostenute,  non  parrebbe  credibile,  se  i  loro  scritti 
non  esistessero  per  farne  testimonio.  In  poche  pa- 
gine hai  la  storia  di  tutti  questi  deviamenti  dal 
retto  sentiero:  ma  onde  non  abbisognare  di  molte 
parole  per  tutti  confutarli,  ti  mette  sott'occhio  il 
Marini  i  tre  passi  di  Vitruvio,  ne'quali  degli  sca- 
milli impari  si  ragiona;  dal  confronto  de'quali  chia- 
ramente risulta,  non  potersi  gli  scamilli  altrove  col- 
locare che  sotto  la  base  e  sopra  il  capitello:  il  che 
da  se  solo  basta  per  confutare  la  maggior  parte 
delle  altrui  opinioni.  Passa  quindi  ad  esporre  quel- 
la del  Baldi,  la  quale  piìi  all'interpretazione  da  lui 
proposta  si  avvicina;  ma  quello  che  dal  Baldi  pro- 
ponesi  come  una  ipotesi,  dal  Marini  è  dimostrato 
come  un  teorema.  La  verità  ti  apparisce  sì  chiara 
ed  evidente,  che  non  sai  intendere  come  mai  tanti 
uomini  sommi  andassero  cosi  lungi  dal  segno. 

Una  sola  cosa  resta  ancora  a  potersi  discutere, 
ed  è  quale  fosse  la  loro  forma.  Se  avessero  cioè  un 
piano  perfettamente  eguale,  ovvero  inclinato  dall' 
un  de'lati.  Ambedue  le  forme  sono  ammesse  dal  Ma- 
rini: la  prima,  perchè  ancora  esistente  in  molti  mo- 
numenti: la  seconda,  perchè  risultante  da  ciò;  che 
dice  Vitruvio  nel  capitolo  seguente,  nel  quale  vuole 


Ediz.  di  Vitruvio  335 

che  le  colonne  laterali,  malgrado  della  rastremazio- 
ne, abbiano  il  loro  lato  interno  esattamente  a  per- 
pendicolo :  il  che  non  può  farsi  che  ponendo  un 
corpo  a  piano  inclinato  sotto  la  colonna,  il  quale 
pili  da  una  parte  che  dall'altra  la  rialzi.  A  questa 
pratica  mi  sembra  principalmente  aver  avuto  ri- 
guardo Vitruvio  ,  ed  è  perciò  che  li  ha  chiamati 
impares,  aggiunto  che  con  maggior  proprietà  con- 
viene a  questi  ultimi  che  ai  primi.  Colla  quale  spie- 
gazione bene  si  scorge,  che  cosa  abbia  voluto  inten- 
dere Vitruvio  allorquando  nel  capitolo  quinto  di 
questo  libro,  parlando  de'capitelli  ionici,  dice  do- 
versi collocare  non  ad  libellam  sed  ad  aequalem 
modidum^  ut  quae  adiectio  in  stjlohatis  facta  fue- 
rit^  in  superiovihus  memhris  respondeat. 

Oltre  l'aver  riferite  in  iscritto  le  diverse  opi- 
nioni emesse  su  tale  argomento,  ha  il  Marini  anche 
ideato  due  tavole  ,  nelle  quali  le  principali  sono 
delineate:  di  modo  che  consultando  quest'opera  hai 
una  completa  biblioteca  vitruviana,  e  di  nulla  più 
abbisogni  per  approfondare  quanto  vuoi  la  materia. 

Dopo  aver  parlato  degli  scamilli  impari,  passa 
Vitruvio  nel  capitolo  seguente  a  dare  tutte  le  pro- 
porzioni dell'ordine  ionico:  capitolo  egualmente  ric- 
co di  ai'gomenti  assai  e  frequentemente  discussi,  fra 
i  quali  debbono  in  ispecial  modo  annoverarsi  la 
Lase  e  la  voluta  ionica.  Ambedue  questi  soggetti  fu- 
rono già  separatamente  trattati  dal  Marini  in  due 
dissertazioni,  nelle  quali  a  fondo  tali  problemi  fu- 
rono sciolti.  Nell'opera,  che  andiamo  esaminando, 
non  ha  dato  che  un  estratto  di  questi  suoi  lavori, 
ma  sufficiente  per  intendere  il  testo  vitruviano.  Spe- 
cialmente la  voluta  ionica  è  stata  a  lungo  trattata 
in  una  nota  alla  fine  del  presente  capitolo,  nella  qua- 


I 


Belle     Arti 
le  seguendo  il  testo  vitruvlano  se  ne  da  una  descri- 
zione geometrica,  che  a  molti  monumenti  tuttora  esi- 
stenti ritrovasi  pur  conforme. 

Ricchissimo  di  tavole  è  questo  libro.  Esso  solo 
ne  ha  somministrate  trentadue  al  nostro  autore,  fra 
le  quali,  oltre  quelle  che  sono  state  ideate  dal  me- 
desimo a  seconda  del  testo  vitruviano,  alcune  danno 
le  diverse  opinioni  degli  altri  comentatori  su  Ten- 
tasi, gli  scamilli  impari,  la  base  e  la  voluta  ionica^ 
e  le  altre  ti  somministrano  un  ricco  corredo  di  mo- 
numenti per  meglio  intendere  le  dottrine  vitruvia- 
ne.  Questi  monumenti  sono,  i  tempii  di  Temide  a 
Ramnunte,  e  di  Diana  Propiiea  in  Eleusi  pel  gene- 
re in  antis-^  di  Augusto  e  Roma  in  Pola,  di  Ercole 
a  Cori,  e  di  Antonino  e  Faustina  in  Roma  pel  pro- 
stilo; il  tempio  ionico  presso  l'ilisso  per  l'amfipro- 
stilo;  di  Teseo  in  Atene,  di  Minerva  Poliade  in  Prie- 
ne,  di  Giove  nel  portico  di  Ottavia,  di  Giove  To- 
nante alle  radici  del  campidoglio,  e  dì  Marte  Ul- 
tore nel  foro  di  Augusto  pel  periptero;  di  Diana  in 
Magnesia,  di  Giove  Agoreo  in  Selinunte,  e  del  Sole 
in  Palmira  pel  pseudodiptero;  di  Apollo  Dldimeo 
in  Mileto,  e  di  Cibele  in  Sardi  pel  diptero;  in  fine  il 
Partenone,  il  tempio  di  Giove  Olimpico  in  Atene,  e 
quello  di  Nettuno  in  Pesto  per  l'ipetro.  Inoltre,  do- 
po aver  dato  l'ordine  ionico  esattamente  delineato 
secondo  i  precetti  vitruviani,  vari  esempi  ne  ag- 
giunge tratti  da'migliori  monumenti  ancora  esisten- 
ti, e  questi  sono  i  tempii  di  Eretteo  in  Atene,  di  Mi- 
nerva Poliade  in  Priene,  di  Bacco  in  Teo,  di  Apollo 
Didimeo  in  Mileto,  e  della  Fortuna  Virile  in  Roma. 
Nel  quarto  libro  Vitruvio  termina  l'argomento 
già  incominciato  a  trattare  nel  terzo,  cioè  i  tempii. 
Avendo  già  dato  nel  libro  precedente  le  propor- 


Ediz.  di  Vitruvio  337 

zionl  dell'ordine  ionico,  da.  in  questo  quelle  del  co- 
rintio e  del  dorico. 

In  questo  libro  però  più  che  mai  apparisce 
quello  che  già  avevamo  osservato  nel  precedente  : 
cioè  che  quasi  tutti  i  precetti  vitruviani  sono  esclu- 
sivamente applicabili  all'ordine  ionico.  Infatti  l'or- 
dine corintio  di  Vitruvio  tutte  le  sue  proporzioni 
o  dal  dorico  o  dall'ionico  desume,  e  nulla  gli  resta 
di  proprio  all'infuori  del  capitello.  Quanto  al  do- 
rico poi  comincia  dal  dire,  che:  »  Nonnulll  antiqui 
architecti  negaverunt.,  dorico  genere  aedes  sacras 
oportere  fieri  ,  quod  mendosae  et  disconvenientes 
in  his  sjmmetriae  confìciebantur  »  :  va  quindi  enu- 
merando tutti  gl'inconvenienti  che  risultano  dal  fa- 
re uso  di  proporzioni  doriche  ne'tempii. 

A  molte  emendazioni  ed  illustrazioni  cosi  filo- 
logiche come  artistiche  hanno  dato  luogo  questi  pri- 
mi capitoli:  ma  chi  senza  troppo  entrar  in  questi 
particolari  vorrà  pur  convincersi  de' miglioramenti 
fatti  al  testo  vitruviano,  basterà  che  getti  uno  sguar- 
do sulle  tavole  eseguite  esattamente  secondo  le  pro- 
porzioni date  da  Vitruvio,  e  vedrà  come  gradite 
riescano  all'occhio,  e  come  siano  scevre  da  tutti 
que'difetti  ch'erano  stati  attribuiti  a  Vitruvio  da 
coloro  che,  o  male  il  suo  testo  avevano  letto,  ovvero 
non  bene  interpretandolo  avevano  dovuto  imper- 
fettamente rappresentarlo.  Nell'osservare  queste  ta- 
vole una  soprattutto  ci  sembra  degna  di  partico- 
lare menzione,  ed  è  quella  dell'ordine  corintio  ese- 
guita con  somma  maestria  dal  defonto  prof.  Pietro 
Fontana,  il  quale  senza  alcun  aiuto  di  macchine,  ha 
pure  inciso  un  rame  da  poter  sostenere  il  confron- 
to colle  pili  belle  incisioni  di  tal  genere  che  si  fan- 
no all'estero. 
G.A.T.  LXXIIL  22 


338  Belle     Arti 

Dopo  aver  parlato  delle  proporzioni  interne,  e 
della  direzione  de' tempii,  passa  Vitruvio  nel  capitolo 
sesto  a  trattare  delle  porte.  Capitolo  di  difficilissima 
intelligenza  si  per  la  minuzia,  colla  quale  da  Vitru- 
vio ciascuna  delle  più  piccole  parti  viene  descritta  , 
SI  ancora  perchè  molto  ne'codici  era  viziato  a  cagio- 
ne della  frequenza  di  parole  tecniche,  le  quali  non 
potevano  essere  bene  intese  dagli  amanuensi,  e  nel- 
le edizioni  sono  state  spesse  volte  confuse.  Il  Ma- 
rini però,  stabilito  un  parallelo  diligentissimo  fra 
le  varie  lezioni  de'codici,  ha  dagli  errori  stessi  fat- 
to sorgere  la  vera  lezione  corroborandola  sempre 
coU'autorita  de'monumenti. 

Ma  il  soggetto  il  piìi  discusso  di  questo  li- 
bro è  il  tempio  toscano.  Le  altrui  opinioni  sono 
riferite  dal  Marini  ad  ogni  passo  che  offra  una 
qualche  difficoltU,  e  talvolta  la  migliore  fra  que- 
ste è  prescelta,  talvolta  una  nuova  viene  propo- 
sta accompagnata  sempre  da  solidi  argomenti  ed 
autorità.  A  quest'ultima  classe  appartiene  l'inter- 
pretazione del  passo  »  stillicidium  tecti  absoluti  ter- 
tiario  respondeat:  »  ove  la  parola  tertiario  male  era 
stata  da  tutti  gl'interpreti  e  comentatori  spiegata, 
veJendovici  un  senso  intricato  ed  astruso,  mentre 
che  nel  pili  ovvio  e  naturale  doveva  intendersi, 
cioè  che  la  gronda  del  tetto  compiuto  debba  cor- 
rispondere alla  terza  parte  della  colonna. 

Dopo  il  tempio  toscano  si  danno  da  Vitru- 
vio le  proporzioni  de'tempii  monopteri  e  peripte- 
ri,  e  quindi  ne  nomina  alcuni  di  forma  irrego- 
lare che  a  niuna  delle  classi  da  lui  descritte  pos- 
sono appartenere.  Pone  fine  a  questo  libi'o  parlan- 
do delle  are  e  determinandone  la  posizione  e  la 
direzione. 


Ediz.  di  Vitrutio  339 

Tutti  questi  capitoli  sono  stati  illustrati  con 
una  ricca  suppellettile  eli  monumenti,  ed  anche 
questo  libro  perciò  è  da  molte  tavole  accompagnalo. 
Oltre  quelle  che  direttamente  all'illustrazione  del 
testo  vitruviano  han  servito,  trovi  cosi  per  l'ordine 
corintio  come  pel  dorico  i  piìi  begli  esempi  an- 
cora esistenti;  cioè  pel  primo,  l'ordine  corintio 
del  Panteon,  di  Giove  Tonante,  e  di  Marte  Ulto- 
re in  Roma,  oltre  quello  di  Augusto  e  Roma  in 
Pola;  pel  secondo  il  Partenone,  l'ordine  dorico  di 
Priene,  del  tempio  di  Nettuno  in  Pesto,  di  Erco- 
le in  Cori,  e  del  teatro  di  Marcello  in  Roma.  Pe' 
tempii  rotondi  sono  stati  prescelti  quel  di  Serapide 
in  Pozzuoli,  e  quelli  di  Vesta  in  Roma  ed  in  Ti- 
voli. Nominandosi  inoltre  da  Vitruvio  tempii  di 
forme  irregolari,  i  quali  dai  precetti  da  lui  dati 
alquanto  si  allontanavano,  varii  esempi  sono  stati 
dal  Marini  riuniti,  che  vengono  in  conferma  del- 
l'osservazione vitruviana,  e  sono  i  tempii  della  For- 
tuna Virile  in  Roma,  di  Giove  Olimpico  in  Agri- 
genti,  di  Gaio  e  Lucio  in  Nimcs,  quelli  di  Erctteo, 
di  Minerva  Poliade  e  di  Pandroso  nella  cittadella  di 
Atene,  e  finalmente  il  tempio  di  Cerere  e  Proser- 
pina  in  Eleusi.  Anche  il  capitolo  sulle  are  ha  da- 
to motivo  al  Marini  d'immaginare  una  bella  tavola, 
ove  se  ne  veggono  rappresentate  molte  delle  più 
antiche  e  delle  meglio  conservate,  fra  le  quali  una 
esistente  nella  villa  Pamphily  del  tutto  inedita. 

Avendo  terminato  Vitruvio  di  parlare  nel  quar- 
to libro  delle  proporzioni  de'tempii,  passa  nel  quin- 
to a  trattare  degli  edifizii  pubblici ,  e  primieramen- 
te del  foro.  Distingue  egli  il  foro  greco  dal  latino, 
ed  ambidue  sono  dal  Marini  con  molta  dottrina  il- 
lustrati, spiegandone  chiaramente  tutte  le  parti;  ma 
soprattutto  la  distribuzione  de'  maeniana ,  e  la  so- 


340  Bellb    Arti 

prapposizione  degli  ordini  sono  state  l'oggetto  di 
pili  erudite  disquisizioni.  Congiunte  al  foro  erano 
le  basiliche:  e  di  queste  parla  Vitruvio  nel  capitolo 
seguente,  nel  quale  non  solo  delle  basiliche  in  ge-i- 
nerale,  ma  piìi  particolarmente  della  basilica  da  lui 
edificata  nella  colonia  di  Fano  si  ragiona.  Di  gran-» 
di  difficolta  è  stata  questa  sorgente  a  motivo  del 
tempio  di  Augusto,  il  quale  doveva  essere  nel  mez-» 
zo  dell'un  de'lati  della  basilica,  senza  che  dalla  hsi-^ 
silica  stessa  impedita  venisse  la  vista  del  pronao. 
Tutte  queste  difficoltà  però  sono  state  vittoriosa-^ 
mente  superate  dal  Marini,  come  di  leggieri  potrà 
convincersi  chiunque  osserverà  la  tavola  da  lui  im^ 
maginata,  ed  al  testo  vitruviano  l'affronterà. 

Il  soggetto  tuttavia  piìi  importante,  e  su  cui 
più  a  lungo  si  è  trattenuto  Vitruvio  in  questo  li-« 
bro,  e  quel  dei  teatri.  I  principii  della  musica  pres- 
so gli  antichi  vi  sono  esposti:  ed  il  Marini  in  bre- 
ve sì,  ma  con  molta  dottrina  e  criterio  ,  ti  mette 
al  giorno  di  quanto  su  tale  scienza  è  stato  dagli 
antichi  scritto.  Il  diagramma  d'Aristosseno  è  chia-i 
ramente  spiegato,  ed  in  poche  pagine  trovi  le  piìi 
importanti  notizie  che  gli  antichi  scrittori  di  mu-» 
sica  ci  hanno  in  molti  volumi  lasciate.  Esposti  i 
principii  generali  dì  musica,  passa  Vitruvio  a  farne 
l'applicazione  alla  distribuzione  generale  degli  echei^ 
soggetto  anch'  esso  molto  discusso  dagl'  interpreti, 
le  principali  opinioni  de'quali  sono  riferite,  ed  in 
gran  parte  refutale  dal  nostro  autore,  che  non  la- 
scia anche  su  ciò  di  dare  la  sua  propria,  perfetta-» 
mente  d'accordo  colle  parole  del  testo.  Termina  Vi-» 
truvio  il  soggijtto  de'leatri  col  dare  la  descrizione 
tanto  del  teatro  latino  quanto  del  greco,  e  coU'as-» 
segnare  le  diflferenze  che  fra  l'uno  e  l'altro  esiste-^ 


Ediz.  di  Vitruvio  341 

vano.  La  disposizione  de'trigoni  e  de' quadrati,  che 
male  da  alcuni  comentatorì  era  stata  interpretata, 
è  lucidamente  esposta,  così  con  le  parole  come  con 
le  figure  :  e  molte  delle  parti  degli  antichi  teatri  , 
non  ancora  ben  conosciute,  vengono  con  l'autoritk 
de'monumenti  esattamente  determinate. 

Ai  teatri  succedono  le  terme  e  le  palestre,  sog- 
getti trattati  da  Vitruvio  in  due  capitoli  separati  , 
ma  che  però  presentano  due  edifizii  destinati  presso 
a  poco  agli  stessi  usi,  e  che  i  romani  imitarono  sen- 
za alcun  dubbio  da'greci.  A  questa  analogia  non  sem- 
brano aver  posto  mente  gl'interpreti  di  Vitruvio  ,  e 
tutti  coloro  che  delle  palestre  si  occuparono,  per  mo- 
do che  diedero  di  tali  edifizii  piante  che  non  pos* 
sono  in  modo  alcuno  essere  approvate.  Nelle  pa- 
lestre come  nelle  terme  il  corpo  della  fabbrica 
era  nel  mezzo  ovvero  in  uno  de'lati,  ed  i  portici 
all'intorno.  Invece  gl'interpreti  di  Vitruvio  han- 
no immaginato  di  fabbricare  la  palestra  intorno 
ai  portici,  i  quali  secondo  Vitruvio  stesso  avevano 
due  stadi  di  lunghezza,  onde  ne  risulterebbe  un  edi- 
fizio  di  proporzioni  gigantesche:  il  che  per  certo  i 
greci  non  solevan  fare.  Il  Marini  però,  seguendo  la 
scorta  sicura  de'monumenti,  ha  interpretato  le  pa- 
role vitruviane  cogli  avanzi  delle  antiche  palestre 
ancora  esistenti,  quali  erano  stati  dati  dal  sig.  ca- 
valier  Canina  nella  sua  grand'opera  sull'architettura 
degli  antichi. 

Nelle  terme  ancora  molte  illustrazioni  e  corre- 
zioni di  grande  importanza  sono  state  fatte  dal  no- 
stro cementatore,  ma  soprattutto  il  laconico  è  stato 
con  molta  chiarezza  spiegato  ,  e  tutto  il  meccanismo 
di  quel  clipeo,  il  quale  col  suo  innalzarsi  ed  abbas- 
sarsi doveva  variarne  la  temperatura.  Pone  fine  a 


342  Belle     Arti 

questo  libro  Vitruvio  parlando  della  costruzione  de* 
porti  ,  ove  le  varie  pratiche  usate  dagli  antichi  per 
costruire  sotto  l'acqua  sono  chiaramente  dal  comen- 
tatore  dimostrate:  e  così  terminando  di  parlare  degli 
edifizii  pubblici,  si  fa  strada  a  trattare  nel  libro  se- 
guente degli  edifizii  privati. 

Anche  questo  libro  è  da  un  ricco  corredo  di  ta- 
vole accompagnato,  le  quali  molti  monumenti  con- 
tengono, onde  viemeglio  intendere  i  precetti  vitru- 
viani.  Ad  illustrazione  del  foro  hai  non  solo  il  foro 
latino  e  greco,  secondo  Vitruvio  ,  ma  inoltre  il  foro 
di   Traiano  in  Roma  e  quel  dì  Pompei. 

Per  le  basiliche  hai  quella  di  Otricoli,  ed  i 
frammenti  capitolini  delle  basiliche  Ulpia  e  Giulia. 
I  teatri  sono  non  solo  in  tutte  le  loro  parti  a  se- 
conda del  testo  vitruviano  delineati,  ma  inoltre  co- 
me esempi  del  teatro  latino  si  danno  quelli  di  Pom- 
peo e  Marcello  in  Roma,  ed  il  teatro  di  Gubbio. 
Pel  teatro  greco  si  danno  il  teatro  di  Telmisso,  e 
quello  di  Erode  in  Atene,  di  Esculapio  in  Epidau- 
ro  ,  e  quello  di  Pompei  coli'  odeo,  ai  quali  si  ag- 
eiunaono  i  teatri  di  Tormina  e  di  Ercolano.  Inoltre 

OD 

per  le  palestre  hai  quelle  di  Efeso,  di  Gerapoli,  di 
Alessandria  in  Troade,  e  quella  di  Badenweiler:  e 
per  le  terme  quelle  di  Tito.  Finalmente  pe' porti 
antichi  hai  quello  di  Claudio  alla  foce  del  Tevere 
coll'aggiunta  di  Traiano.  Vedi  qual  ricchezza  di  mo- 
numenti, e  qual  giudizio  nella  scelta,  non  essendo- 
vene  alcuno,  che  non  sia  di  grandissimo  giovamen- 
to o  per  intendere  il  testo  di  Vitruvio,  o  per  cor- 
roborare le  asserzioni  del  suo  comentatore  ! 

{Sarà  continuato) 

Vincenzo  Ballanti 


343 


VARIETÀ' 


Notizie  istoriche  intorno  alla  vita  ect  agli  scritti  di  monsignor' 
Francesco  Pacca  arcivescovo  di  Benevento,  pubblicato  dal 
cardinale  Bartolomeo  Pacca  suo  pronipote^  8.  Velletri,  ti- 
pografia di  Luigi  Cappellacci  iSSy.  (Un  voi.  di  carte  97). 

vji  gode  veramente  l'anima  nell'annunciai-e  una  novella  opera 
di  quel  porporata  amplissimo,  oh' è  oggi  splendore  non  meno 
che  principe  del  sacro  senato.  Egli  fra  le  alte  cure  della  cliiesa 
e  del  principato  non  sa  dimenticare  le  lettere.-  e  schivo  d'  ogni 
ozio,  piacesi  essere  altrui  d'esempio  nell'onorare  con  impo'-tan- 
tissimi  scritti  la  religione  e  l'Italia.  Uomo  in  tutto  degnissimo  di 
quella  fama,  ond'è  sì  celebrato  in  Europa>  e  di  quella  riverenza 
con  che  il  riguardano  quanti  hanno  in  pregio  la  virtù  vera  e  la 
vera  sapienza. 

Questa  vita  di  monsignor  Francesco  Pacca  arcivescovo  di 
Benevento  è  cosa  da  porgere  diletto  e  istruzione  ad  ogni  maniera 
di  leggitori;  tanto  l'eminentissimo  autore  ha  saputo  arricchirla  di 
belle  e  curiose  notizie,  soprattutto  del  pontificato  di  Benedet- 
to XIII,  quando  una  mano  d'  uomini  vilissimi  e  rapacissimi  sì 
turpemente  abusò  della  bontà  del  sovrano.  Degno  del  suo  amor 
patrio  è  il  difenderei  eh'  egli  fa  in  tale  occasione  i  beneventani 
da  quelle  malvagità,  ed  il  provare  che  niun  suo  concittadino  vi 
ebbe  parte.  Non  diremo  poi  con  qual  giudizio  ci  dia  conto  del- 
le diverse  dissertazioni  che  il  dotto  prelato  recitò  nell'accademia 


344  Varietà' 

romana  de'  concili  innanzi  al  gran  Benedetto  XIY,  il  quale  a 
crescere  in  flore  le  scienze  sacre  e  profane  in  questa  capitale  so- 
leva spesso  della  sua  presenza  onorare  le  quattro  accademie  , 
ch'egli  apri  nel  proprio  pontificio  palazzo  del  Quirinale:  quelle 
cioè  de'  concili,  dell'istoria  ecclesiastica  ,  della  liturgia  e  dell' 
archeologia.  Né  infine  diremo  come  a  tenerezza  ci  commova  il 
cuore  la  narrazione  delle  virtù  veramente  evangeliche,  le  quali 
ornarono  quel  piissimo  e  mansuetissimo  in  tutto  il  tempo  che 
sedette  sulla  cattedra  di  Benevento  ,  fino  a  rinunciare  di  esser 
promosso  alla  porpora  da  Clemente  XIII,  per  non  mettersi  in 
una  spesa  che  minorato  avrebbegll  il  modo  di  esercitare  la  sua 
carità  verso  i  poveri.  Oh  sia  in  eterna  benedizione  la  memoria 
di  si  degno  pastore,  che  volle  farsi  specchio  de'  Borromei  e  de' 
Sales  ! 

Monsignor  Francesco  Pacca  nacque  di  genitori  nobilissimi 
in  Benevento  il  dì  3o  di  gennaio  ioga,  fu  fatto  arcivescovo  del- 
la sua  patria  da  Benedetto  XIV  il  dì  20  di  marzo  175*2,  e  san- 
tamente passò  al  riposo  de'giusti  il  dì  12  di  luglio  ijSS. 

S.  Betti 


yolgarìzzamento  di  maestro  Donato  da  Casentino  dell'  opera  di 
messer  Boccaccio  De  claris  mulieribus,  rinvenuto  in  un  co- 
dice del  XIV  secolo  dell'archivio  cassinense.  Ora  la  prima 
volta  pubblicato  per  cura  e  studio  di  D.  Luigi  Tosti  mona- 
co della  badia  di  Montecassino.  8.  Napoli  dalla  tipografia 
dello  stabilimento  dell'ateneo  i836.  (Un  voi.  di  carte  XXXII 
e  322,  col  fac-simile  del  carattere  del  codice.) 

JL/ ell'opera  del  Boccaccio  De  claris  mulieribus  si  conoscono  da' 
bibliografi  quattro  traduzioni  italiane:  due  stampate,  e  due  ma- 
noscritte. Stampate  sono  quelle   del  Bagli  e  del  Betussi;  mano- 


Varietà'  3A5 

scrìtte  le  altre  del  fiorentino  Sassetti  e  di  maestro  Donato  da 
Casentino.  Di  quest'ultima  si  hanno  tre  codici:  due  nella  bibliote- 
ca reale  di  Torino:  ed  uno  del  secolo  XIV  nel  famoso  archivio  di 
Montecassino.  Da  esso  il  dotto  e  benemerito  monaco  P.  D.  Luigi 
Tosti  ha  tratto  la  copia,  di  che  ha  fatto  dono  agli  amatori  della 
lingua  italiana  del  secol  d'oro.  Cosa  da  sapergliene  assai  grado: 
tanto  più  che  non  poteva  usarsi  da  lui  una  maggiore  sagacità  e 
diligenza,  confrontando  egli  spesso  la  traduzione  coli' originale 
latino,  e  con  note  giudiziosissime  rendendo  ragione  qua  e  là 
delle  diverse  lezioni  saviamente  emendate  o  restituite.  Nondime- 
no l'amore,  che  portiamo  a  questi  studi  del  bel  dire,  non  ci  farà 
si  ciechi,  che  osiamo  raccomandare  il  libro  del  maestro  da  Ca- 
sentino come  un  testo  de'bellissimi  del  trecento:  perciocché  s'egli 
è  certo  che  a  quando  a  quando  vi  trovi  ciò  che  generalmente  era 
proprio  degli  scrittori  di  quell'aureo  secolo,  come  a  dire  un  can- 
dore, una  ingenuità,  una  proprietà,  e  talor  anche  un'efficacia  che 
t'empie  di  diletto  e  di  maraviglia;  certo  è  pure,  che  troppo  spesso 
la  costruzione  del  periodo  vi  è  stranamente  intralciata,  e,  quel  eh' 
è  più,  invano  vi  cerchi  sovente  un  lume  di  ragione  grammaticale. 
Il  che  reca  veramente  stupore  in  un  uomo,  che  non  solo  inse- 
gnò grammatica  pubblicamente  in  Venezia,  ma  fu  chiamato  ad 
erudirne  in  Ferrara  il  giovinetto  Nicolò  III  d'  Este:  e  tanto  poi 
fiori  nell'amicizia  e  nella  stima  del  Petrarca,  del  Boccaccio  e  del 
Salutati. 

Al  volgarizzamento  di  Donato  ha  fatto  il  eh.  editore  ed  illu- 
stratore seguire  per  la  prima  volta  la  pubblicazione,  i.  Del  Pro- 
testo  fatto  per  comandamento  de'' signori  di  Firenze  a'rettori  ed 
altri  uffici  che  ministrano  ragione,  Jatto  per  Francesco  di  Pa- 
galo Vettori  a  di  i5  settembre  i455.  -  2.  Della  Copia  della  let- 
tera del  gran  turco  a  papa  Nicolò  quinto,  tradotta  d'arabico  in 
greco,  e  di  greco  in  latino,  e  di  latino  in  volgare.  -  3.  Della  Co- 
pia delle  lettere  che  papa  Nicolò  quinto  rispose  a  quella  del 
gran  turco,  fatta  in  lingua  arabica  per  messer  Gregorio  Castel- 
lano, e  poi  in  greco,  e  di  greco  in  latino,  e  di  latino  in  volgare 
per  lui  detto. 

S.  Betti 


346  Varietà' 

Analisi  storico-topografico-antiqiiaria  della  carta  dei  dintorni 
di  Roma  ,  di  A.  Nibhy  pubblico  professore  di  archeologia 
nelVuìm>ersità  romana,  membro  del  collegio  filologico  della 
stessa  iinii'ersità  e  della  commissione  generale  consultiva  di 
antichità  e  belle  arti,  scrittore  interprete  di  lingua  greca 
nella  biblioteca  vaticana,  socio  dell'  accademia  romana  di 
archeologia,  deW accademia  delle  belle  arti  di  s.  Luca,  dell' 
accademia  reale  ercolanese  di  Napoli,  dell'  accademia  rea- 
le delle  scienze  di  Monaco ,  dell'  istituto  reale  di  Francia  , 
delVaccademia  delle  belle  arti  di  Firenze  ec.  ec.  Tomo  I. 
8.  Roma,  tipografìa  delle  belle  arti  i85n.  (Sono  carte  564). 

ìLcco  un'opera  eruditissima  e  lungamente  desiderata  da  quan- 
ti sono  amatori  delle  antichità  romane.  L'autore  non  ha  bisogno 
di  lodi,  essendo  già  per  tanti  altri  insigni  lavori  chiarissimo  in 
Italia  e  fuori.  Vogliamo  bensì  dire,  che  questo  libro  ai  pare  ben 
degno  della  sua  fama.  Sarà  esso  seguito  fra  breve  dal  secondo 
volume,  cli'è  già  sotto  il  torchio;  poi  dal  terzo  ,  ed  indi  dalla 
gran  carta  topografica  di  Roma  e  de'suoi  contorni. 


Nelle  spomalizie  della  nobil  donzella  signora  Chiara  Neroni  di 
Ripatransone  col  nobil  uomo  signor  conte  Perfetto  Ditta- 
iuti  di  Osimo.  Il  marchese  Filippo  Bruti  Liberati  d.  d.  d. 
8.  Ripatransone,  tipografia  laffei  1837.  (Sono  carte  12.) 

lYLanco  male  che  abbiamo  nozze  senza  noiosissimi  versi!  Il 
signor  conte  Bruti  Liberati  ha  preso  a  celebrar  quelle  della  sua 
parente  Neroni  con  le  notizie,  che  ci  dà,  di  Ascanio  Condivi  di 
Ripatransone,  alunno,  amico  ed  islorico  del  gran  Michelangelo 
Buonarroti. 


Varietà'  347 

Stato  antico  ed  attuale  del  porto,  città  e  provincia  di  Civitavec- 
chia, descritto  da  Pietro  Manzi  cavaliere  della  legione  di 
onore.  -  8.  Prato  tipografia  di  Fr.  Giacchetti  iSSy.  (Sono 
carte  68.) 

Xl  traduttore  chiarissimo  di  Tucidide,  di  Erodiano,  di  Q.  Cur- 
zio, ristorico  della  conquista  del  Messico  e  della  rivoluzione  di 
Francia,  si  è  destato  alfine  dal  sonno  in  cui  sembrava  da  parec- 
chi anni  dormire  alla  letteratura.  E  noi  di  cuor  sincero  ce  ne 
rallegriamo,  facendo  plauso  a  questa  giudiziosa  ed  elegante  ope- 
retta, con  la  quale  ha  voluto  degnamente  onorare  la  patria  sua. 


Le  istorie  di  Genova  scritte  dal  marchese  Girolamo  Serra  e  da 
Carlo  Varese f  compendiate  ;  in  ottava  rima  da  Gian  Carlo 
di  Negro  patrizio  genovese.  8.  Genova,  tipografia  de' fra- 
telli Pagano  iSSy.  (Sono  carte  io5.) 

Oempre  tenero  della  sua  nobilissima  Genova  non  lascia  occa- 
sione il  signor  marchese  Di  Negro  di  celebrarne  le  glorie.  Ecco- 
ne un  nuovo  testimonio  in  questo  libretto:  in  cui  se  assai  mo- 
strasi l'amor  della  patria,  specialmente  centra  ciò  che  ne  scrisse 
il  Varese,  assai  pur  mostrasi  l'eleganza  poetica.  La  storia  ge- 
novese del  Serra  è  qui  compendiata  in  quattro  canti;  de' quali 
l'autore  ha  donato  il  titolo  al  celebre  amico  suo  signor  marche- 
se commendatore  Luigi  Biondi.  Noi  ne  daremo  questo  piccolo 
saggio; 

Era  età  di  possanza  e  di  valore, 

Spirto  guerrier  signoreggiava  l'alme, 
E  di  religion  fervido  ardore 


348  Varietà* 

Spingea  l'Europa  a  memoraiide  palme; 
La  terra,  culla  un  di  del  Redentore 
Quando  vesti  nostre  terrene  salme, 
Sotto  un  giogo  fremea  profano  e  tristo> 
Tal  che  l'idea  destò  del  gran  conquista. 
Angli  e  normanni  e  il  successor  di  Piero 
Caldo  ai  liguri  allor  porgeano  invito. 
Sconfitti  i  mori  e  tolto  lor  l'impero 
Di  Cirene,  e  disgombro  il  sardo  lito, 
Con  tremendo  sul  mar  urto  guerriero 
Corser  veloci  al  gran  disegno  ardito> 
Tardi  non  mai  nell'opre  e  nel  consiglio> 
Invitti  sempre  nel  maggior  periglio. 


Caroli  Boucheroni  oratio  habita  in  regio  taurinensi  attienaeti 
prid.  non.  novembr.  ann.  MDCCCXXXyiII.  -  8.  Taurini 
eclentibus  Chirio  et  Mina  in  vico  padano.  (Sono  carte  ^o). 

Xl-icordare  un'opera  del  cav-  Bouclieron  è  il  medesimo  che  lo- 
darla. Questo  sommo  italiano,  presente  onore  della  università  di 
Torino,  a  tanto  splendore  ha  recato  l'eloquenza  latina ,  che  leg- 
gendo le  cose  sue  ti  sembra  proprio  legger  quelle  di  alcuno  scrit- 
tore del  secol  d'Augusto.  Oh  perchè  dobbiamo  noi  così  raramen- 
te dare  altrui  questa  lode!  Veramente  gran  danno,  per  non  dire 
vergogna,  che  da'nipoti  sia  cosi  trascui'ata  la  lingua  imperadrice 
degli  avi  !  Quanto  meglio  sarebbe  che  men  tedesco  ed  inglese  si 
studiasse  in  Italia,  ed  anche  men  arabo  e  men  copto  e  siriaco  >  e 
più  intanto  si  attendesse  al  latino  ed  al  greco  !  Non  che  noi  di- 
sprezziamo le  altre  lingue  :  ma  grideremo  sempre,  che  primo  e 
gran  fondamento  di  sapienza,  a  noi  genti  italiane,  è  il  sapere  mas- 
simamente leggere  nelle  opere  di  coloro,  che  furono  i  padri  del- 


Varietà'  349 

la  filosofia  e  civiltà  nostra,   anzi  della  filosofia  e  civiltà  di  tutta 
Europa. 

Or  ecco  un'orazione  degna  compagna  delle  altre  che  abbia- 
mo dal  cav.  Boucheron.-  nella  quale  con  tutti  i  lumi  dell'elocu- 
zione il  celeberrimo  autore  consolaci  delle  virtù  e  delle  opere 
del  suo  re  Carlo  Alberto,  nome  augusto  cosi  per  magnanimità  e 
per  giustizia,  come  per  patrocinio  verso  ogni  maniera  di  lettere 
p  di  arti  belle. 


S.  B. 


Jtfaria  Stuarda  in  Hamilton ,  dipìnto  dal  professore  Raffaello 
Giovannelti,  descritto  dall'avv.  Luigi  Fornaciari.  8.  Lucca 
dalla  tipografia  Giusti  iSSj.  (  Sono  carte  3 1  ), 

V-ion  assai  eleganza,  saviezza  ed  intelligenza  di  arte  ha  scritto 
il  eh.  Fornaciari  intorno  un  dipinto,  che  sembra  essere  stato  se- 
gno a  diverse  cpnsure.  Noi  non  abbiamo  veduto  il  guadro  del 
professor  Giovannettij  ma  l'avviso  di  un  letterato  sì  giudizioso  e 
si  dotto  ci  dà  cagione  di  poterci  meritamente  congratulare  di  un' 
opera,  la  (juale  con  tanta  lode  ci  viene  annunziata  ,  descritta  e 
difesa. 


350  Varietà' 

A  solennità  e  memoria  del  giorno  terzo  di  ottobre  1807,  "*  '^''^ 
il  nobil  giovane  Teofilo  Conversini  patrizio  pistoiese  e  l'in- 
clita nobile  donzella  Irene  Vivarelli  Colonna  facenansi  co- 
muni le  sorti  della  vita.  8.  Pistoia  dalla  tipografia  Cina, 
(  Sono  carte  22  ). 

Jlicco  la  descrizione  di  un  altro  dipinto  :  lodato  parimente  con 
bella  eleganza  da  un  illustre  italiano,  dall'ab.  Pietro  Contrucci. 
Rappresenta  esso  l'incontro  di  Buondelmonte  con  la  madre  e  la 
figlia  Donati,  gran  seme  di  sciagure  alla  città  di  Firenze.  La  pit- 
tura è  slata  condotta  a  fresco  dal  valente  signor  Pietro  Clivi  nel 
palazzo  de'fratelli  Vivarelli  Colonna  in  Pistoia. 


Le  opere  di  Albio  Tibullo  tradotte  in  terza  rima  dal  marchese 
Luigi  Biondi  romano.  8.  Torino,  tipografia  Chirio  e  Mina 
1857.  (Un  voi.  di  carte  129  ). 

Dante  in  Ravenna,  dramma  del  marchese  Luigi  Biondi  romano. 
8 .  Torino ,  tipografia  Chirio  e  Mina  1837.  (Un  voi.  dicarteii2). 

JLIi  queste  due  insigni  opere  del  marchese  Biondi  si  parlerà  ne' 
venturi  volumi. 


I 


Varietà'  351. 

Della  vita  e  delle  opere  dell'architetto  Vincenzo  Scamozzi,  com^ 
mentario.  Giuntevi  le  notizie  di  Andrea  Palladio.  8.  Treviso 
dalla  tipografia  Andreola  1837.  (  Sono  carte  178  ). 

Vi  opera  del  oli.  sig.  Filippo  Scolari,  il  quale  l'ha  intitolata  al- 
l'insigne e  pontificia  accademia  romana  di  s.  Luca.  Noi  voglia- 
mo sommamente  lodarne  e  la  diligenza  e  la  critica  :  talché  non 
sapremmo  qual  cosa  di  più  possa  aggiungersi,  soprattutto  alle  no- 
tizie del  grande  Scamozzi. 


Antichi  vasi  dipinti  della  Collezione  Feoli  ,  descritti  da  Secon- 
diano Campanari  socio  di  varie  accademie.  8.  Roma  1807. 
(  Un  voi.  di  carte  265  con  due  tavole  ). 

X  vasi  qui  descritti  sono  169,  e  pressoché  tutti  della  maggiore 
importanza  per  l'istoria  delle  antiche  credenze  e  delle  arti  dei 
nostri  maggiori,  L'egregio  sig.  Campanari  vi  ha  mostrato  quella 
singoiar  dottrina  delle  cose  greche  ed  etrusche,  di  che  diede  già 
saggio  nella  dissertazione  premiata  solennemente  nel  1806  dalla 
pontificia  accademia  romana  di  archeologia  Intorno  i  vasi  fitldi 
dipinti  e  rinvenuti  ne'sepolcri  dell' Etruria  compresa  nella  dizio- 
ne pontificia. 


352  Varietà' 

Prose  scelte  del  padre  Daniello  Bartoli  tratte  dalle  opere  mino- 
ri del  medesimo  ad  uso  della  gioventà  studiosa.  Volumi  se- 
condo  e  terzo.  12.  Pesaro  dalla  tipografia  Nobili  iSS?. 
(  Il  secondo  volume  è  di  carte  27^,  il  terzo  di  carie  28j  ). 

Sull'utilità  di  questa  scella,  e  sul  raro  giudizio  che  vi  usa  il  sì- 
gnor  professor  Montanari  ,  fu  parlato  da  noi  nel  tomo  LXXI  a 
carte  aS^.  Quanto  a  questi  due  volumetti,  noi  non  possiamo  che 
sinceramente  ripetere  ciò  che  ivi  dicemmo  del  primo. 


Quesiti  sopra  i  pubblici  ufficiali.,  del  barone   Giuseppe  Manna. 
8.  Torino  iSao  presso  Gaetano  Balbino.  (Sono  carte  99  ). 

V  i  si  discorre  della  scelta,  delle  virtù,  e  dei  doveri  di  quegli 
uomini  che  dal  sovrano  sono  chiamati  a  parte  dell'  amministra- 
zione dello  stato.  Il  libro  é  pieno  di  be'precetti,  di  religione  ,  di 
filosofia.  Il  barone  Manno  è  fra  i  chiarissimi  letterati  d'Italia,  ed 
ì  suoi  scritti  piacciono  per  eleganza,  piacciono  per  sapienza. 


Varietà'  353 

Sulla  cappellina  degli  Scrovigni  neW  Arena  di  Padova  ,  e  sui 
freschi  di  Giotto  in  essa  dipinti,  osservazioni  di  Pietro  E- 
stense  Selvatico.  8.  Padova  co'tipi  della  Minerva  i836.  (So- 
no carte  i44  con  20  tavole  ia  rame  ), 


S^uesta  cappella,  di  cui  si  sa  che  l'Hancarville  aveva  in  animo 
di  pubblicare  l'illustrazione,  è  uno  de' più  preziosi  monumenti 
che  seguano  l'aurora  delle  arti  nostre.  L'egregio  signor  conte  E- 
stense  Selvatico  per  molle  nobili  ragioni  ha  preso  a  scriverne;  e 
principalmente,  dic'egli,  perchè  pavento  che  anche  su  questo  mo- 
numento  piombi  da  qui  a  non  molti  anni  la  invano  lagrimata 
sorte  di  altri  molti,  che  sotto  i  nostri  occhi  vedemmo  quasi  con 
esultanza  abbattuti,  e  si  rimanga  al  paro  di  quelli  senza  uno  sto- 
rico che  lo  ricordi,  senza  una  pagina  che  né  conforti  a  mirarlo. 
Pensiero  degnissimo,  e  da  quel  dotto  e  gentile  cavaliere  ch'egli  è  ! 


li  Apocalisse  di  s.  Giovanni  Evangelista,  ridotta  in  versi  italiani 
da  Felice  Bisazzà  di  Messina.  -  8.  Messina  dalla  tipografia 
Nobolo  i83';.  (Un  volume  di  carte  XV  e  69  ). 

X^a  pubblicato  in  quest'anno  stesso  una  traduzione  dell'Apoca- 
lisse il  chiarissimo  monsignor  Agostino  Peruzzi  .•  e  n'ha  ottenuto 
plauso  da  quanti  si  conoscono  di  nobile  poesia.  Or  eccone  un'al- 
tra, e  di  scrittore  parimente  chiaro,  cioè  del  sig-  Felice  Bisazza. 
Noi  non  prenderemo  qui  a  confrontale  fra  loro,  tra  perchè  sem- 
pre odiosi  sono  1  paragoni,  e  perchè  hanno  ambidue  seguita  una 
via  diversa  ;  essendosi  usata  dal  Peruzzi  la  terza  rima  ,  e  del  Bi- 
sazza il  verso  sciolto.  Diremo  bensì  che  molta  maestria  di  lingua 
abbiamo  ravvisata  nel  traduttore  messinese,  ed  una  dignità  di 
verso  assai  rara  in  questo  tempo  di  romantica  corruzione,  e  con- 
venevole soprattutto,  come  ognun  vede,  a  tanta  gravità  e  santi- 

G.  A.  T.  LXXIIL  23 


354  Varietà' 

tà  di  originale.  Di  che  abbiasi  lode  il  valoroso  ,  ed  ognor  più  si 
conforti  in  un'arte  supremamente  nostra,  come  è  la  poesia:  della 
quale  gl'italiani  non  sarebbero  ora  si  schivi  ,  se  prostituita  non 
la  vedessero  all'ignoranza  non  meno,  che  alla  viltà  del  servaggio 
straniero. 


A  Maria  Vergine  liberatrice,  i  maestrali  della  città  di  Spoleti  , 
la  quale  nei  mesi  estivi  dell'  anno  iSS^  J'u  prodigiosamente 
inviolata  dal  pestifero  morbo  per  gliauspicii  di  tanta  padro- 
na,  solenni  grazie  con  questo  carme  tributano.  -  8.  Bologna 
pei  tipi  del  Nobili  e  compagno  iSSy.  (  Sono  carte  i4  h 

J3asti  a  lode  dell'egregio  autore,  sig.  professor  Pietro    Bernabò 
Silorata,  darne  qui  questo  saggio; 

Ohimè  già  troppo  di  si  amare  sorti 

Sofferse  il  danno  Italia,  e  parve  estinto 

Il  perpetuo  sorriso  onde  fiammeggia 

Questo  cielo  purissimo.  Dai  monti 

E  dal  gemino  mare  invan  difesa 

La  terra  degli  eroi,  nel  grembo  accolse. 

Repugnante,  la  sozza  idra  che  venne 

Dalle  sabbie  deirindico  deserto 

Contaminando  Eui-opa,  e  ricovria 

Cittadi  e  ville  d'infinito  pianto- 

Oh  sicule  marine,  oh  popolose 

Liguri  balze,  e  voi  sponde  cui  bagna 

Il  bel  Tirreno,  quanto  suon  di  lutti, 

E  quante  ciglia  dolorose,  e  quanti 

Feretri,  e  lungo  palpitar  di  madri 

Inhanzi  aveste  !  L'aere  felice 

Che  vi  rabbella,  tutto  si  veslia 


Varietà*  355 

DI  condensi  vapori,  e  su  pei  colli 
E  per  l'immensità  delle  campagne 
Sedea,  come  di  tombe,  una  quiete. 
Frattanto  a  mille  per  virtude  arcana 
Eran  percosse  dallo  strale  che  mai 
Non  fere  indarno,  le  vite  fiorenti 
Di  leggiadrezza  e  di  valor  .•  cadeva 
Il  popol,  come  all'autunnale  orezzo 
De'querceti  le  foglie,  e  tutta  in  duolo 
Parve  natura. 


Antonio  Peretti  regiensi.  F.  A.  Pungileoni  M.  C. 

JLostulastl  a  me,  studiose  vir,  lion  ìndubias  de  vita  et  scriplls 
lacobi  Belli  notitias,  ut  tibl  datum  sit  illas  in  unum  colligcre , 
posterisque  tradere.  Noctuas  Atlienas,  sicuti  commune  fert  pro- 
verbium,  tulissem  scribens  in  hac  vetustissima  patria  tua,  laco- 
bum  non  infimae  plebis  natum  vitae  limen  attigisse.  Bonos  pa- 
l'entes,  qui  e  Galli  a  erant  oriundi,  primos  habuit  educatores. 
Latinae  grammalices  et  rethoricae  scholas  non  modo  frequenta- 
vi t,  sed  luculentissima  ingenii  arguraenta  dedit.  In  francisca- 
lium  institutum  ingressus,  solemni  emissa  professione,  bonarum 
artium  curriculum  explevit.  Quanta  deinde  in  eo  esset  mentis 
acies,  quam  firmum  de  rebus  tlieologicis  iudicium,  publicis  ex- 
perimentis  aperuit.  Sacerdos  factus,  non  sibi  dumtaxat,  sed  to- 
tius  ordinis  bono  natum  arbitratus,  eani  vivendi  innuit  rationem, 
quae  eo  Consilio  eaque  vigilantia ,  quae  maxima  esse  debet , 
scientìarum  discipulis  viam  sternit.  Provincialis  ministri  titulo 
et  potestate  merito  decoratus,  erga  subditos  urbanitatcm  exerce- 
re  in  prelio  habuit,  ita  tamen  ut  nimiae  indulgentiae  notam  ef- 
fugeret.  Per  annos  circlter  triginta  insigniora  Italiae  suggesta 
orator  nulli  secundus  ascendit.  Advcrsus  maledicentissimos  dl- 
vinae  revelationis  oppugaatores  non  satis  illl  fuit  sacras  compo- 


356  Varietà' 

nere  orationes,  easque  doctiorum  rautinensìum  plaussu  memo- 
riter  recitare;  veruni  etiam  Parmae  dum  esset  elegantibus  typis 
ducalis  typographiae  publici  juris  fecit,  ia  quibus  scripturae 
sanctae  solida  veritas  invictissime  viadicatur.  Quartuni  eius- 
dem  materiei  volumen,  olim  apud  doctissimum  urbiventanis 
praesulem  Franciscum  Orioli,  qui  confrater  eius  et  intimus  fuit, 
nuper  inter  patres  cardinales  a  Gregorio  XIV  Pontifico  O.  M. 
adlectum  ,  diligentissime  custodltum ,  nunc  in  tabulano  ordi- 
nis  delitescit  et  lucem  expetat.  Bononiae  binos  in  sacris  cele- 
britatibus  divi  Petronii  et  beatae  Cathariaae  bononiensis  pane- 
gyricos  habuit,  quos  ibi,  typis,  ni  fallor,  Lelii  a  Vulpe,  evulga- 
vit.  la  Thusciae  civitate  celeberrima,  quatn  lucenses  incolunt , 
serraonem,  cui  titulus,  si  me  non  fallii  memoria  ,,  Discorso  po- 
litico „  typico  praelo  mandavit.  In  Urbis  divi  Marcelli  tempio 
reverendissimi  Caesarolii,  prloris  gen.  incliti  ordiais  servorum 
Virginis  Mariae,  nomea  et  virtutes  oratione  funebri  decoravit. 
Plaudentibus  omnibus  nostratibus  laudatus  lacobus  in  procura- 
torem  generalem  electus,  proprium  institutum  quousque  potuit 
vindicavit,  iuvit,  auxit.  Consultoris  congregationis  sancti  offici! 
atque  episcopis  probandis  muneribus  usque  ad  ullimam  sene- 
ctam  optime  functus,  apoplexi  afflatus  religiosissime  inter  con- 
fratrum  preces  et  lacrymas  e  vita  excessit. 

Datae  ex  aedibus  ss.  XII  Apost  de  Urbe  XXIII  kal.  dee. 
an.  MDCGGXXXVII. 

I.  Il  santo  libro  della  genesi  difeso  da*  nuovi  assalti  de' moderni 
liberi  pensatori. Parma  dalla  stamperia  reale.MDCCLXXXVIII 
e  MDCCLXXXVIIII. 

II.  Nelle  solenni  esequie  del  Rev.  P-  M.  Filippo  Cesaroli  prior 
generale  de'servi  di  Maria,  orazione  funebre  del  Rev.  P.  M. 
Belli  procuratore  generale  de'  min.  conv. ,  consultore  del  s. 
officio  ed  esaminatore  de'vescovi«  Roma  MDCCCI. 

Ante  aram  basilicae  ss.  XII  Apost.  maximam  hoc  extat  elogiuni 
in  marmore  iacisum. 


Varietà* 


357 


'  QVIETI  .   ET  •   MEMORIAE 

lACOBI   .   BELLI   .   MIN   .   CONV- 

DOMO  .    KEGIO   .  LEPIDI 

ORATOBIS   .   POETAE   •   THEOLOGI   .   AETATIS   .  STAK 

PRAESTANTISSIMI 

QVEM  .   PORTIFICES   .  MAXIMI 

PEBDVELLIBVS  .   ECCLESIAE    .   COERCENDIS 

EPISCOPIS   .   PROBANDIS 

SIBI   .   A  .   CONSILIIS   .   ADSCIVERE 

VIXIT  ,  ANN  .   P   .   M   .   LXXXX 

IN   .   MAXIMA   .   OMNIVM   .   GRATIA 

M0DESTIS3IMVS 

'M   .   SVI  .    ORDINIS   .  MAGISTERIVM   .   HAVD    .   SEMEL   .   RECVSAVIT 

DECESSIT  .   XIII  .    AVO   .   AN  .   MDCCCXXIIII 

FVNVS   .   PVBLICVM   .   LAVDATIONEM    .  ET  .   TITVLVM   .   BECKEVIT 

AVE   .   SENEX  .   PIENTISSIME  .   ET  .    VALE  .    IN   .   PACE 


359 

INDICE 

DELLE  MATERIE   CONTENUTE 

]\EL  TOMO  LXXIII,  VOLUMI  217,218,  219 

DEL  GIORNALE  ARCADICO 


SCIENZE 

Caraffa  ,  Corso  di    matematiche    tradotto  con 

note  dal  Volpicelli pag.       3 

Pcrrone,  Praelectiones  t?ieologicae,  voi.  IV.  ,,  6 
Toiudli^  Rivista  medica  (  continuazione  ).      ,,     21 

Giusti^  Corso  di  filosofia ,,34 

P eretti^  Della  cetraria  islandica  ....,,  -^(0 
Santini.)  Osservazioni  intorno  il  melena  .  ,,129 
Chelini,  Teorica  delle  quantità  proporzionali. „  166 
Cadete  Cenni  sulla  storia  medica  del  cholera  in 

Roma  (  con  tavola  ) ,,190 

Tonelli^  Continuazione  della   rivista  di  alcuni 

scritti  medici   deproff.  Medici ^  Ferrarese^ 
\       Paolini,  Borelli.,  Valentini  ec    .     .     .     „  232 
Jandelliy  Biografia  del  cav.  Domenico  Morichi- 

ni  (  con  ritratto  ) „  248 

LETTERATURA 

Campanari.,  Degli  antichi  tuscaniensi  ,    e  del 

modo  di  seppellire  in  Tuscania.    .     .     .     „  49 

Pellegrini.,    Tragedie  • „  67 

Vaccolini,  Osservazioni  sul  bello,  Art.  XI II..,,  76 


360 

Bonelll,,  Praecipuorum  phìlosophiae  sy sterna" 
tutìi  discfuìsitio  historica «     89 

Palma,  Storia  ecclesiastica  e  civile  della  regio- 
ne pia  settentrionale  del  regno  di  Napoli. „     95 

Nf^crolngia  di  inonsig.  Ilosini    ,      ,     .     .     .     ,,118 

Odescn/j/iì,  Descrizione  de' nuovi  lavori  fatti 
alla  diaconia  de" ss.  Vito  e  Modesto .     .     „  231 

Montanari^  Imitazione    del  primo  capitolo  del 

libro  di   Tobia ,,317 

Ve  miti,  Spiegazione  diana  iscrizione  cristiana.^j3\^ 

BELLE  ARTI 

Vitruvio  emendato  ed  illustrato,  dal  marchese 

Luigi  Marini  (  art,  /.  )•  •     •     •     •     •     •     ,,323 

Varietà. 

Tavole  meteorologiche. 


ERRORI 

CORREZIOMI 

pag- 

lin. 

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3  salendo  ^ 

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15                 l==k,lm 

s  ==  A./w* 

NIHIL  OBSTAT 

E,  Jacopini  Censor  Theol.  Deput. 

IMPRIMATUR 

Fr.  Dora    Buttaoni  0.  P.  S.   P.  A    Mag. 

IMPRIMATUR 
A.  Piatti  Patriaicha  Antiocheuus  Vicesg. 


Osservazioni  Metereologiche.  j(  Collegio  Romano  )(  Novembre  1837. 


Oie       Baromet. 


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Stato  del   Cielo 


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nuvoloso 
nuv.  sole  trai, 
chiaro  nuv. oriz 


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chiarissimo 
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nuvoloso 
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nuv.  sp. 


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ser.  nuv.  sp. 


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ser.  nuv.  sp. 

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chino,  oriz.  nu 

nuvoloso 

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0 

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5 

nuvolosissime 
nuv.  spar. 
nuvoloso 


chiarissimo 


voloso 


coperto  piove 
cliiarissirao 


3     8 


ser.  vaporoso 
nuvoloso 
cop.  pio.  pò. 

nuvoloso  pie 
coperto 


ser.  nuv.  sp. 
cop.  tut  o 
z.ch.  oriz.  nuv. 


nuvoloso 
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nuvoloso 
chiarissimo 


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GIORNALE 

ARCADICO 

.  DI   SCIENZE  ,  LETTERE ,  ED  ARTI 
VOL.  220.  221.  222. 


R  O  MA 

SELLA  STAMPERIA  DELLE  BELLE  ARTI 

1838. 


GIORNALE 


DI  SCIENZE  LETTERE  ED  ARTI 

TOMO    LXXIV 

GENNAIO,  FEBBRAIO  E  MARZO 

1838. 


ROMA 

TIPOGRAFIA  DELLE  BELLE  ARTI 
1838 


Ili 
DIRETTOIIE  DEL  GIORNALE  ARCADICO 

S.  E.  il  slg.  principe  D.  PIETRO  ODESCALCHI  , 
membro  del  collegio  filologico  dell'universitk  ro- 
mana, socio  ordinario  della  pontificia  accademia 
di  archeologia. 

COMPILATORI 

BETTI  SALVATORE,  professore  di  storia  e  mito- 
logia e  segretario  perpetuo  dell'insigne  e  pontifi- 
cia accademia  di  S.  Luca,  socio  ordinario  e  censo- 
re della  pontificia  accademia  di  archeologia. 

BIONDI  marchese  commendatore  LUIGI,  presiden- 
te della  pontificia  accademia  romana  di  archeo- 
logia, soprintendente  generale  degli  studi  di  bel- 
le arti  in  Roma  per  S.  M.  il  re  di  Sardegna  , 
membro  del  collegio  filologico  dell'università  ro- 
mana, accademico  della  crusca. 

BORGHESI  BARTOLOMMEO  ,  accademico  della 
crusca. 

CAPPELLO  prof.  AGOSTINO,  già  medico  consu- 
lente di  Leone  XII,  membro  della  congregazione 
suprema  di  sanità. 

CARDINALI  CLEMENTE,  consigliere  governativo 
della  legazione  di  Velletri,  segretario  dell'accade- 
mia volsca  veliterna. 

CARPI  PIETRO,  professore  di  mineralogia  e  mem- 
bro del  collegio  medico  dell'università  romana. 

DE-CROLLIS  DOMENICO,  dottore  in  medicina. 

FOLCHI  GIACOMO,  professore  d'igiene,  di  tera- 
peutica generale  e  di  materia  medica  ,  membro 
del  collegio  medico  dell'università  romana,  e  del- 
la congregazione  suprema  di  sanità. 


IV 

GERARDI  FILIPPO,  dottore  in  legge. 

POLETTI  LUIGI,  professore  residente  e  cattedra- 
tico coadiutore  di  architettura  pratica  nell'insi- 
gne e  pontificia  accademia  di  S.  Luca,  professore 
ordinario  nell'  ospizio  apostolico  di  s.  Michele  , 
professore  onorario  della  R.  accademia  delle  bel- 
le arti  di  Modena,  direttore  della  riedificazione 
della  basilica  di  s.  Paolo,  socio  ordinario  della 
pontificia  accademia  di  archeologia. 

TONELLI  GIUSEPPE,  dottore  in  medicina. 

VISCONTI  cav.  PIETRO  ERCOLE  ,  commissario 
delle  antichità  romane,  presidente  del  museo  ca- 
pitolino ,  segretario  perpetuo  e  socio  ordinario 
della  pontificia  accademia  romana  di  archeologia. 


COLLABORATORI 

DEL  GIORNALE  ARCADICO 


Al 


^NTALDI  marchese  Antaldo,  a  Pesaro. 

ANTINORI  marchese  Giuseppe,  professore,  a  Pe- 
rugia. 

ARMARGLI  conte  Leopoldo,  giureconsulto,  a  Ma- 
cerata. 

ASTOLFI  avv.  Angelo,  a  Bologna. 

BARLOGGI  Saverio,  professore  e  membro  del  col- 
legio filosofico  dell'università,  segretario  del  con- 
siglio amministrativo  degli  acquedotti,  in  Roma. 

BELLENGHI  monsig.  D.  Albertino,  benedettino-Ca- 
maldolese, arciv*  di  Nicosia,  consultore  delle  sa- 
cre congregazioni  de'vescovi  e  regolari,  dell'indi- 
ce e  degli  affari  ecclesiastici  straordinari  ,  socio 
ordinario  della  pontificia  accademia  di  archeolo- 
gia, in  Roma. 

BIANCHINI  Antonio,  segretario  della  società  degli 
amici  delle  belle  arti,  in  Roma. 

BRIGHENTI  Maurizio,  ingegnere,  a  Rimino. 

BRIGNOLI  di  Brunoff  Giovanni,  professore,  a  Mo- 
dena. 

BONAPARTE  S.  E.  Don  Carlo,  principe  di  Musi- 
gnano,  in  Roma. 

CAMILLI  Stefano,  a  Viterbo. 

CAMPANARI  Secondiano,  socio  ordinario  della  pon- 
tificia accademia  di  archeologia,  in  Roma. 

CAMPANARI  Vincenzo,  in  Roma. 


VI 

CANALI  Luigi,  professore  e  bibliotecario,   a  Pe- 
rugia. 

CANONICI  FACHINI  marchesa  Ginevra,  a  Ferrara. 

CANTALAMESSA  CARBONI  Giacinto,  in  Ascoli. 

CASSI  conte  Francesco,  a  Pesaro. 

CECILIA  Gio.  Francesco,  in  Roma. 

CHELINI  padre  Domenico,  delle  scuole  pie,  pro- 
fessore, in  Roma. 

CIAMPI  cav.  Sebastiano,  a  Firenze. 

CONTI  ab.  Andrea,  presidente  del  collegio  filoso- 
fico dell'università,  in  Roma. 

CONTI  dott.  FILIPPO,  medico,  a  s.  Anatoglia  di 
Camerino. 

COPPI  ab.  Antonio,  socio  ordinario  della  pontifi- 
cia accademia  di  archeologia,  in  Roma. 

CORDERÒ  DI  S.  QUINTINO  cav.  Giulio,  membro 
della  reale  accademia  delle  scienze,  a  Torino. 

DE-LUCA  ab.  Antonino,  in  Roma. 

DIONIGI  ORFEI  contessa  Enrica,  in  Roma. 

DUMOUCHEL  padre  Stefano  ,  della  compagnia  d 
Gesìi,  astronomo  del  collegio  romano,  in  Roma. 

FARI  MONTANI  cav.  Francesco,  dottore  in  filoso- 
fia ed  in  sacra  teologia,  sotto  custode  di  arcadia. 

FERRUCCI  avv.  Luigi  Crisostomo,  a  Lugo. 

FERRUCCI  Michele,  professore,  a  Ginevra. 

FIORINI  Mazzanti  Elisabetta,  a  Terni. 

FOLCHI  cav.  Clemente,  consigliere  dell'  insigne  e 
pontificia  accademia  di  s.  Luca,  ingegnere  ispet- 
tore membro  del  consiglio  d'arte,  ingegnere  del- 
la s.  congregazione  delle  acque  ,  membro  della 
commissione  consultiva  delle  belle  arti ,  archi- 
tetto del  sacro  tribunale  della  consulta,  socio  or- 
dinario della  pontificia  accademia  di  archeologia, 
in  Roma. 


vii 
FONTANA  cav.  Pietro,  a  Spoleto. 
FRANCESCHI  FERRUCCI  Caterina,  a  Ginevra. 
GUZZONI  DEGLI  ANCARANI  Carlo,  a  Macerata. 
JONII  avv.  Lodovico,  giudice,  a  Norcia. 
LABUS  dott.  Giovanni,  a  Milano. 
MALVICA  barone  Ferdinando,  socio  ordinario  del 

reale  instituto  d'incoraggiamento,  a  Palermo. 
MAMIANI   DELLA    ROVERE  conte    Giuseppe  ,  a 

Pesaro. 
MARCOTULLI  dott.  Luigi,  medico,  a  Sezze. 
MORDANI  Filippo,  a  Ravenna. 
MONTANARI  Giuseppe  Ignazio,  professore,  a  Pe- 
saro. 
MORICHINI  monsig.  Carlo  Luigi,  referendario  del- 
l'una e  dell'  altra  segnatura  ,  ponente  del  buon 
governo,  prelato  aggiunto  alla  s.  e.  del  concilio, 
abbrevlatore  sopranumero  del  parco    maggiore  , 
pro-presidente  dell'ospizio    apostolico  di  s.   Mi- 
chele, in  Roma. 
MUZZARELLI  monsig.  Carlo  Emmanuele,  prelato 

domestico,  uditore  della  sacra  rota,  in  Roma. 
ODDI  Giuseppe,  professore  e  membro  del  collegio 

filosofico  dell'università,  in  Roma. 
PAOLI  conte  Domenico,  a  Pesaro. 
PERETTI  Pietro,  professore,  in  Roma. 
PERUZZI  monsig.  Agostino,  rettore  dell'università, 

a  Ferrara. 
PIANCIANI  padre  Gio.  Battista  ,  della  compagnia 
di  Gesù,  professore  nel  collegio  romano,  mem- 
bro del  collegio  filosofico  dell'università,  in  Roma. 
PUCCINOTTI  dott.  Francesco,  medico,  in  Firenze. 
PUNGILEONI  padre  maestro  Luigi,  minore  con- 
ventuale, consultore  delle  sacre  congregazioni  de' 
vescovi  e  regolai"!  e  de'riti,  in  Roma. 


vili 

BAMBELLI  Gio.  Francesco,  professore,  a  s.  Giovan- 
ni in  Persiceto, 

RANALLI  Ferdinando,  a  Firenze. 

RICCARDI  dott.  Gregorio,  medico,  in  Roma. 

RICCI  marchese  cav.  Amico,  a  Macerata. 

ROVERELLA  conte  Gio.  Antonio,  a  Cesena. 

SALVI  cav.  Gaspare  ,  consigliere  e  professore  di 
architettura  teorica  nell'insigne  e  pontificia  ac- 
cademia di  s.  Luca,  ingegnere  ispettore  membro 
del  consiglio  d'arte,  membro  del  collegio  filosofi- 
co dell'università,  architetto  de'ss.  palazzi  aposto- 
lici e  del  sacro  tribunale  della  consulta,  in  Roma. 

SANTARELLI  Michele,  professore,  a  Macerata. 

SANTUCCI  ab.  Loreto  ,  custode  generale  emerito 
di  arcadia  ,  membro  del  collegio  filologico  del- 
l'università, incaricato  di  affari  della  santa  sede 
presso  la  real  corte  di  Toscana. 

SGLOPIS  di  Salerano  conte  Federico,  membro  del- 
la reale  accademia  delle  scienze,  a  Torino. 

SORGONI  dott.  Angelo  ,  medico  comprimario  ,  a 
Narni. 

TORTOLINI  ab.  Barnaba,  professore,  in  Roma. 

VACGOLINI  Domenico,  professore,  a  Bagnacavallo. 

VALDRIGHI  conte  Mario,  a  Modena. 

VENTUROLI  prof.  Giuseppe,  presidente  del  con- 
siglio d'arte  pei  lavori  di  acque  e  strade,  membro 
del  collegio  filosofico  dell'università,  in  Roma. 

VERMIGLIGLI  cav.  Gio.  Battista,  professore  neir 
università ,  direttore  del  museo  di  antichità  ,  a 
Perugia. 

VESCOVALI  Luigi ,  socio  ordinario  della  pontifi- 
cia accademia  di  archeologia,  in  Roma. 
VIOLA  Sante,  a  Tivoli. 
VOLPICELLI  dott.  Paolo,  professore,  in  Roma. 


SCIENZE 


Sopra  alcuni  nuovi  riflettori  lavorati  in  Roma  per 
uso  di  grandi  telescopii.  Memoria  del  professore 
Feliciano  cav.  Scarpellini-,  letta  nelV  accademia 
romana  de^  lincei  nella  pubblica  adunanza  del 
giorno  3  di  agosto  1835  (1). 


E 


fssere  la  scienza  sublime  degli  astri  per  la  di- 
gnità del  suo  soggetto,  per  la  perfezione  delle  sue 
teorie,  come  dice  La  Place,  il  più  bel  monumento 
dello  spirito  umano,  il  titolo  più  nobile  di  sua  in- 
telligenza, è  una  verità  che  ci  attesta  la  storia  di 
tutti  i  tempi,  di  tutte  le  nazioni,  di  tutte  le  scien- 
ze. Innalzarsi  questo  monumento  sopra  l'aiuola,  che 
ci  fa  tanto  feroci,  e  penetrar  esso  nella  immensità 
dello  spazio,  fede  ne  fanno  i  voli  sicuri ,  che  già 
l'umana  intelligenza  vi  fece  ;  poggiarvi  essa  collo 
sguardo  oltre  anche  la  possa  della  facoltà  visiva  , 
che  le  venne  accordata,  prova  ne  porgono  i  gigan- 


(i)  Essendosi  esaurita  la  prima  edizione  di  questa  memoria, 
che  con  magnifica  stampa  fu  pul)blicala  dalla  tipografia  Sai- 
viucci  nell'anno  i835  per  ordine  di  sua  eccellenza  il  sig.  duca  D. 
Alessandro  Torlonia,  noi  crediamo  far  cosa  grata  agli  amatori 
nazionali  ed  esteri,  che  la  ricercano,  di  riprodurla  in  questo 
giornale,  coH'agyiunta  di  un  appendice  assai  importante. 

riETKO   UIOLCIIIM 


2  S    e    I    E    N    »    E 

teschi  passi,  che  fece  nell'ottica,  coi  quali  le  natu- 
rali forze  vinse  e  se  stessa.  Se  non  è  questo  l'api- 
ce del  gran  monumento,  fu  però,  non  v'ha  dubbio, 
la  scala,  con  cui  essa  giunse  a  misurarne  l'altezza. 
Ecco  perchè  men  feroce  ,  ma  pili  eccelso  divenne 
lo  spirito  umano  ,  alloraquando  da  questa  bassa 
terra  partì  a  conquistare  col  telescopio  alla  mano 
l'immensità  dello  spazio.  Sia  chi  si  voglia  l'inven- 
tore di  tale  istromento,  certo  e  che  Galileo,  gran 
luminare  de'nostri  antecessori  lincei  ,  giustamente 
feroce  della  sorprendente  facoltà  della  visione,  per 
non  degradarla  a  fermarsi  sopra  terrestri  oggetti 
di  questa  misera  aiuola,  come  in  origine  si  fe'per 
trastullo,  fu  il  primo  a  rivolgere  questo  suo  istru- 
mento  nella  vastità  dello  spazio  ,  dacché  vide  su 
questa  ,  al  dire  di  Bailly  ,  dominii  occupati  e  già 
fatti  partaggio  dei  grandi  e  dei  ricchi;  perciò  quel 
tubo  dirizzando  verso  del  cielo,  l'immenso  mondo 
della  scienza  scoprì ,  e  vi  rinvenne  il  gran  domi- 
nio ,  che  non  appartiene  che  al  genio.  Fu  questo 
grande  slancio  dell'occhio  linceo,  che  sublimò  l'a- 
stronomia, e  coronò  tante  altre  corone,  come  rimar- 
cò Frisi,  dell'immortal  Galileo.  Narrar  le  conquiste, 
che  senza  stragi  ed  oltraggi,  ma  a  gloria  dello  spi- 
rito umano,  a  nome  della  scienza,  a  prò  della  so- 
cietà questo  genio  vi  fece,  sarebbe  oltraggiare  alla 
memoria  indelebile,  che  quasi  tutti  nel  mondo  con- 
servano, del  più  famoso  scientifico  avvenimento. 

Per  la  qual  cosa  incoraggialo  l'uomo  per  tan- 
ta conquista,  convinto  potersi  la  sua  facoltà  visiva 
a  dismisura  ingrandire  ,  e  ampliarsi  oltre  ancora 
il  già  assai  ampio  acquistato  dominio,  tutti  gli  sfor- 
zi della  scienza  e  dell'  arte  impiegò  ad  ingrandire 
e  perfezionare  quella  scala,  a  salir  sulla  quale ,  a 


Nuovi  Riflettori  3 

tanta  altezza  nello  spazio  ,  dato  già  ne  aveva  Ga- 
lileo il  celebrato  esempio.  Fu  perciò  da  quella  me- 
morabile notte  ,  in  cui  egli  Ta  sulla  torre  di  Ve- 
nezia, la  prima  volta  mostrò  ai  grandi  della  terra 
il  più  nobile  e  il  più  vasto  dominio,  che  a  nome 
della  scienza  conquistato  egli  aveva  nella  immen- 
sità dello  spazio;  e  fu  da  quel  momento  fino  a  que- 
sti nostri  ultimi  giorni  a  tal  progredimento  il  te- 
lescopio portato,  che  del  doppio  almeno  in  tanta 
immensità  si  accrebbe  dell'  astronomica  scienza  il 
dominio. 

Son  note  le  epoche  più  rimarcabili  di  que- 
sto progredimento,  che  tanto  onora  lo  spirito  uma- 
no ,  e  tanto  nobilita  la  scienza.  Viste  e  ben  com- 
prese le  vie  ,  che  prende  la  luce  ne' suoi  incontri 
diversi  colle  superficie  di  convergenza,  visti  i  rap- 
porti che  colle  varie  curve  di  esse  i  luminosi  rag- 
gi vi  ottengono,  era  indi£ferente  l'assumer  le  leggi 
a  quegl'incontri  dei  raggi  prescritte,  a  questi  rap- 
porti colle  curve  legati,  sia  che  i  raggi,  le  diafane 
od  opache  superficie  di  convergenza  invadendo,  vi 
fossero  rifratti,  sia  che  vi  venissero  riflessi;  impe- 
rocché dalle  diafane  superficie  convesse  ,  e  dalle 
concave  delie  opache,  sempre  risultando  o  dei  ri- 
fratti, o  dei  riflessi  raggi  paralleli,  la  convergenza 
in  un  punto,  che  foco  fu  detto,  l'immagine  sem- 
pre in  qualunque  siasi  rapporto  di  loro  curve  ne 
risultava  dell'oggetto  raggiante  ,  e  l'apparente  suo 
ingrandimento,  e  l'estimato  suo  avvicinamento  era- 
ne sempre  il  risultato. 

Aumentandosi  questo  sempre  in  ragione  della 
distanza  del  foco  dalla  superficie  di  convergenza  , 
era  in  potere  dell'ottica  di  ottenere  ancora  ulte- 
riori ingrandimenti  ,   guardando  le  già  aumentate 


4  Scienze 

immagini  portate  vicine  all'occhio  con  lenti  dì  più 
o  meno  piccola  distanza  di  foco  e  di  forza  ,  per- 
ciò pili  o  meno  aumentatrice.  Ecco  i  pochi  e  sem- 
plicissimi principii  cato-diottrici,  su  cui  tutta  è  ba- 
sata del  telescopio  la  teoria. 

Fu  della  prima  specie,  o  diottrico,  il  cannoc- 
chiale ,  che  r  Italia  vanta  aver  prima  rivolto  a 
scoprire  le  maraviglie  del  cielo  :  come  in  questa 
prima  epoca  del  telescopio,  vantò  Roma  aver  da- 
to i  primi  vetri  di  convergenza  o  lenti  oLbiettive 
delle  maggiori  distanze  di  foco.  Sono  ricercate  an- 
che a'giorni  nostri  quelle  di  Eustachio  De-Divinis 
e  del  Campani. 

Fu  della  seconda  specie,  o  catottrico,  il  can- 
nocchiale ideato  in  origine  in  Francia  ,  e  poi  in 
Inghilterra  eseguito:  e  può  dii-si,  che  i  riflettori  di 
convergenza  segnarono  la  seconda  epoca  del  tele- 
scopio, come  i  vetri  di  convergenza  ,  o  i  cannoc- 
chiali diottrici  avean  segnato  la  prima. 

Vide  il  gran  Newton,  come  già  vista  aveala 
l'immortale  Keplero,  l'importanza  delle  ottiche  co- 
gnizioni per  la  sublime  scienza  degli  astri  ;  e  come 
questi  ne  trasse  le  verità  capitali,  cosi  quegli  giun- 
se a  formarne  un  corpo  di  scienza  ,  che  il  titolo  gli 
meritò  di  fondatore.  Che  cosa  non  fece  nelle  mani 
di  questo  genio  rarissimo  il  prisma  cedutogli  da 
Gassendi?  Fra  tante  maraviglie,  che  giunse  a  sco- 
prirvi, si  avvide  ancora,  ch'essendo  i  vetri  di  con- 
vergenza un  assieme  di  prismi,  d'uopo  era  che  da 
quelli  gli  effetti  risultassero  del  prisma  ,  la  di- 
spersione cioè  dei  raggi  luminosi  ,  e  la  colora- 
zione perciò  delle  immagini  nel  punto  della  con- 
vergenza di  quelli  ,  ove  queste  vengono  rappre- 
sentate. Questa  verità  teoretica  confermata  dal  fat- 


Nuovi  riflettoki  5 

to,  oltre  l'aberrazione  dei  raggi  luminosi  dal  pun- 
to di  lor  convergenza,  che  doveane  risultare,  cosi 
per  la  varia  refrangibilita  dei  raggi  colorati  ,  co- 
me per  la  sferica  configurazione  dei  vetri  refrat- 
tori  ,  donde  questa  doppia  aberrazione  deriva  a 
guastar  le  vere  immagini,  gli  fece  concludere  la 
imperfezione  dei  vetri  di  convergenza,  e  troppo 
presto  gli  fece  anche  dire  disperato  il  pensiero 
di  tentarne  la  correzione.  Non  è  raro  l'esempio,  che 
certe  verità  dimostrate  ,  quando  non  abbiano  an- 
cora di  tutti  i  fatti  la  guida  ,  conducono  talora  a 
troppo  azzardate  conclusioni.  Certo  derivarono  que- 
ste da  alcune  avvertenze  sfuggite  sopra  teoretici 
tentativi  ,  per  cui  piìi  tardi  avvenne  la  disperata 
correzione,  che  colla  lente  acromatica,  come  ognun 
sa,  in  appresso  si  ottenne.  Compensò  di  assai  però 
Newton  il  ritardo  di  questa  celebratissima  inven- 
zione ,  che  perfezionò  la  prima  specie  di  cannoc- 
chiale, e  lo  compensò  col  darci  la  seconda  specie 
o  telescopio  catottrico  formato,  come  ognun  sa,  di 
un  riflettore  di  convergenza,  presso  il  cui  foco  il 
cono  luminoso  ,  pria  che  vi  giunga  ,  vien  lateral- 
mente piegato  da  un  altro  piccolo  riflettore  piano 
posto  ad  angolo  semiretto  coll'asse,  e  nel  punto  dì 
convergenza  dei  raggi  la  già  ingrandita  immagine 
dell'oggetto,  e  avvicinata  all'occhio  a  piacimento  si 
aumenta  mercè  delle  lenti  di  varie  forze,  colle  qua- 
li vien  riguardata.  Di  questa  specie  appunto  è  il 
gran  telescopio  ,  che  qui  vi  presento,  e  che  perciò 
catordiottrico,  o  newtoniano  fu  detto.  Se  fu  New- 
ton il  primo  ad  eseguirlo  non  più  lungo  di  sei 
pollici,  e  quindi  Halley  di  cinque  piedi  ;  non  fu 
però  il  primo  a  proporre  a  tal  uso  i  riflettori  , 
poiché  Cartesio,  Mersenne,  Gregori,  e  Cassegreu  ne 


6  Scienze 

avevan  pria  di  lui  concepita  l'idea.  Le  questioni 
però  fra  loro  insorte,  le  opinioni  sul  sistema  mi- 
gliore da  scegliersi,  e  sopra  tutto  le  loro  specula- 
zioni sulle  figure  paraboliche  o  elettriche  da  dar- 
si a  tali  riflettori,  non  favorite  dalle  esperienze  per 
la  somma  difficolta  di  ottenerle,  ne  ritardarono,  e 
quasi  distrussero  le  belle  idee.  Newton  pili  felice 
a  seguire  le  vie  dei  raggi  riflessi  ,  che  quelle  dei 
rifratti  nel  telescopio  ,  riducendo  tutto  a  nozioni 
semplici,  e  a  circoscriverle  dentro  i  termini  della 
possibilità,  fu  il  primo  ad  eseguirlo,  e  meritò  es- 
serne detto  l'inventore,  come  il  sarebbe  stato  anche 
dell'acromatico,  se  quelle  sviste  non  l'avessero  trat- 
to fuori  dalle  vie  dei  raggi  rifratti. 

Ecco  le  specie  di  telescopi,  coi  quali  l'umano 
ingegno  giunse  a  sorpassare  i  confini  assegnati  alla 
sua  facoltà  visiva.  Essendo  la  scienza  dei  cieli  la 
scienza  propria  dell'uomo,  mentre  la  causa  supre- 
ma, l'ordine  universale,  il  tutto  d'ogni  suo  sapere 
senza  maestro  vi  legge,  pare  che  fosse  a  lui  dato 
di  potervi  penetrar  collo  sguardo  anche  al  di  là  di 
quei  termini,  che  erano  bastanti  alla  naturale  sua 
continuazione,  ai  suoi  rapporti,  ai  suoi  bisogni  , 
perche  appunto  in  quelle  immense  regioni  la  glo- 
ria di  un  Dio  onnipotente  sentisse  che  gli  narrano 
i  cieli  ,  e  le  opere  ammirabili  delle  di  lui  mani 
scorgesse  ,  che  il  firmamento  gli  annuncia.  Esser 
circoscritti  anche  quei  termini,  ai  quali  pervenne, 
prove  ne  porgono  la  sua  limitata  natura,  le  finite 
sue  facoltà  ,  la  differenza  immensa  che  passa  tra 
r  infinito  e  il  finito.  Esser  però  pervenuto  agli 
estremi  possibili,  non  lo  dice  il  fatto,  noi  consen- 
te il  progredimento,  di  cui  si  scorge,    e   si    spe- 


Nuovi  Riflettori  7 

rimenta  capace.  Ed  eccomi  al  punto,  su  cui  inten- 
do tutto  volersi  aggirare  questo  mio  ragionamento. 
Avea  già  Newton  traveduto  fra  la  verità  e  l'er- 
rore la  impossibilita  di  correggere  il  primitivo  can- 
nocchiale  diottrico;  le  due  aberrazioni,  cui  soggia- 
cea  per  essenza,  certo  facevano  disperarne  il  rime- 
dio. Ma  Eulero  non  le  rinveniva  neirocchio  umano, 
prototipo  di  perfezione  delle  diottriche  superficie 
di   convergenza.   Dunque  o  netta  non  era  la  verità 
per   la  parte  di  Newton  ,  o  era  a  discifrarsi   con 
lo  studio  dell'occhio.  Stava  Kllngestlern  per  Eulero, 
e  pel  suo  Newton  Dollond,  e  per  la  verità   stavano 
l'esperienza  e  l'analisi,    le   quali  dopo   il   conflitto 
delle  opinioni,  e  della  prevenzione  per  un  gran  no- 
me, mercè  della  prima  lente  acromatica  da  Dollond, 
eseguita  ad  imitazione  dell'occhio,  decisero  la  pos- 
sibile correzione  dei  cannocchiali  diottrici  ,  come 
Newton   istesso  dopo  le  speculazioni  sulle  curve  da 
darsi  ai  riflettori   deciso  avea  sulla   possibilità   del 
telescopio   cato-diottrico.  Quando  slan  mossi  i  pas- 
si sempre  sulla  via  del  vero,  è  sicuro  e  sollecito  il 
progredimento,   ch'altri  vi  tenta:  se  si  devia  però, 
o  vi  s'  immaginano  ostacoli,  il  rientrarvi  o  il  supe- 
rarli esige  lungo   tempo  e  decisa  costanza.  Che  dif- 
ferenza fra  il  primo  cannocchiale  di  Galileo  pochi 
pollici  lungo,  e  che  piìi  di   tre  volte  non  ingrandi- 
va le  immagini,  e  quello  che  il  primo    diresse   al 
cielo  per  discoprire  e  mostrare  le  maraviglie  dell' 
universo?  Qual    diff"erenza  poi,  e  che  lunghezza   di 
tempo  fra  questi  e  gli    acromatici  di  Dollond,  e  il 
COSI   detto  gigante  ottico  di  Fraunofer  ,    che  esiste 
a  Dorpat."*  Che   differenza  fra  il  primo  telescopio 
di  Newton  sei  pollici  lungo,  e  quello  di  llcrschel  di 
quaranta  piedi,  visitato  a  Slough    come   una   delle 


8  Scienze 

maraviglie  del  genio  e  dell'arte?  Fattasi  la  stupenda 
invenzione  di  ampliare  la  facoltà  visiva,  si  sarebbe 
mai  pensato  dall'ingrandimento  di  tre  volte  poter- 
la condurre  oltre  quello  di  tremila,  quando  un  tal 
progredimento  in  entrambi  i  casi  erasi  anche  ripu- 
tato impossibile?  Ma  allo  spirito  umano  dar  si  vol- 
lero facoltà  di  ragione:  e  tali  non  sarebbero,  come 
accade  nei  bruti  ,  se  la  qualità  non  avessero  del 
progredimento.  Non  avrebbero  neppur  sognato  Ga- 
lileo e  Newton  gli  accaduti  al  tempo  nostro:  e  quel- 
li che  questo  tempo  chiameranno  antico  prenderan- 
no forse  di  noi  compassione.  E  bene,  a  che  segno, 
direte  voi,  potrà  lo  spirito  umano  arrivare  a  pene- 
trare collo  sguardo  nella  immensità  dello  spazio? 
Avvi  forse  possibilità  di  attinger  quei  limiti,  che 
dicemmo  alla  sua  finita  natura  assegnati?  Io  non  so 
per  quali  altre  scale  diverse  dalle  rinvenute  fino- 
ra potesse  oltrepassare  i  fin  qui  toccati  confini,  per 
altri  tentarne  più  remoti,  ma  sempre  finiti:  come 
non  sapeasi  un  giorno  poco  distante  dai  nostri  , 
con  quali  altri  motori  diversi  dai  già  conosciuti 
spinger  si  potessero  con  velocità  straordinaria  e 
per  terra  e  per  mare  le  vetture  e  i  battelli  ,  che 
furon  poi  detti  a  vapore.  So  però,  che  della  finora 
usata  scala  servendosi,  ad  ampliare  nello  spazio  il 
dominio  della  scienza,  la  scienza  istessa  e  gli  stes- 
si suoi  principii  ne  suggeriscono  i  mezzi  egualmen- 
te possibili.  L'ardito  assunto  sta  tutto,  o  ad  allun- 
gare le  distanze  focali,  e  in  proporzione  ampliare 
le  aperture  così  delle  diottriche,  come  delle  catottri- 
che superficie  di  convergenza,  ovvero  ad  immagina- 
re un  metodo,  che  assicuri  a  tali  superficie  tanta 
esattezza  delle  loro  curve,  che  il  risultato  della  ma- 
novra sia  quasi  quello  della  matematica   espressio- 


Nuovi  Riflettori  9 

ne;  risultato,  che  fu  creduto  quasi  impossibile  nel- 
le curve  di  lunghissima  distanza  focale.  Dimostra 
in  fatti  la  teoria,  esser  questa  la  qualità  essenziale 
di  dette  curve:  anzi  potersi  con  essa  compensare 
l'eccessiva  lunghezza  dei  fochi  ad  ottenerne  i  piìi 
forti  ingrandimenti.  Starebbe  dunque  in  questo  me- 
todo il  gran  segreto  dello  sperato  progredimento. 

Non  è  qui  luogo  di  prendere  in  considera- 
zione i  giganteschi  macchinamenti,  e  le  difficolta  che 
si  accrescono  nel  trattar  telescopi  di  si  enormi  e 
proporzionate  dimensioni  accresciuti.  Sta  alla  mec- 
canica il  superarle  ,  come  le  superò  nella  prima 
epoca  del  cannocchiale,  quando  si  videro  rivolgersi 
al  cielo  quelli  di  Ugenio  e  di  altri  di  ben  123  piedi 
di  focale  lunghezza.  Dove  non  giunse  il  desio  di 
sapere,  e  la  pazienza,  il  travaglio,  l'impegno  di  ve- 
der pili  degli  altri.** 

L'ardito  assunto  ,  che  dicemmo  suggerirci  la 
la  scienza  che  ora  scendo  ad  esporre  ,  si  deve  al 
peritissimo  ottico  sig.  Alberto  Gatti  ,  da  Magliano 
provincia  di  Alba  in  Piemonte,  ingegnere  geometra, 
membro  della  reale  società  di  agricoltura,  e  cor- 
rispondente della  reale  accademia  delle  scienze  di 
Torino.  Incoraggiato  questo  perito  ingegnere  dal- 
le speranze  di  rinomatissimi  astronomi  sulla  pos- 
sibilità di  migliorare  i  telescopi  e  i  lavori  di  ot- 
tica, e  molto  pili  dai  felici  tentativi  che  per  tren- 
t'anni  egli  fece  per  riempir  tali  speranze  ,  e  per 
oltrepassare  quei  limiti  ,  cui  fin  qui  si  pervenne 
in  detti  lavori;  e  provocato  da  un  articolo  da  lui 
riscontrato  nel  Monitore  di  Francia  del  giorno  30 
settembre  1819,  in  cui  dicevasi,  appartenere  a  ben 
piccolo  numero  di  dotti  il  dichiarare,  se  possa  spe- 
rarsi ancora  qualche  perfezionamento  nella  fabbri- 
G.  A.  T.  LXXIV.  2 


f  0  S    e   I   E    N   S    E 

caziene  clegl'istrumenti  di  ottica  ,  si  mirabilmente 
finora  eseguiti;  si  decise  a  pubblicare  nel  supple- 
mento alla  gazzetta  piemontese  num.  36  del  gior» 
pò  26  marzo  1824  le  sue  prime  idee  sopra  un  me» 
lodo  da  lui  immaginato  ,  di  cui  già  con  semplice 
annunzio  prevenuto  aveva  il  pubblico  nel  1820  con 
questo  titolo:  »  Nuova  maniera  di  migliorare  gl'i- 
strumenti  ottici  con  sempre  crescente  progressio- 
ne. »  Persuaso  egli  dal  propri  suoi  tentativi,  che 
il  cercato  miglioramento  non  potrebbe  ottenersi  che 
per  una  via  affatto  diversa  dalle  finora  battute  ,  an- 
nunciò nel  num.  77  della  stessa  gazzetta  sotto  il 
giorno  27  giugno  1822,  che  le  nuove  esperienze 
da  lui  istituite  lo  avevano  intieramente  convinto, 
che  la  via  da  lui  presa  non  solo  conduceva,  ma 
era  l'unica  a  migliorare  gl'istrumenti  ottici  ,  e 
specialmente  le  due  specie  di  telescopi.  Recatosi 
egli  in  appresso  in  Roma,  ove  sembrano  ingigan- 
tirsi le  belle  idee  ,  continuò  a  perfezionare  i  saggi 
dei  suoi  lavori,  dei  quali  sovente  ebbe  occasione 
di  mostrare  ai  dotti  e  agli  amatori  nazionali  e 
stranieri  1  belli  risultamenti.  Non  poterono  essi 
sfuggire  alla  perspicace  considerazione  di  uno  dei 
pili  illuminati  ministri  del  governo,  l'eminentis- 
slmo  e  reverendissimo  principe  signor  card.  Giu- 
lio Maria  della  Somaglia  decano  del  sacro  colle" 
gio,  e  in  allora  segretario  di  stato  di  Leone  XII, 
Egli  pertanto,  prima  di  sottoporre  al  sovrano  una 
memoria  umiliata  dal  Gatti  sopra  la  sua  inven- 
zione, volle  con  suo  dispaccio  del  giorno  13  no- 
vembre 1826  consultare  il  giudizio  della  roma- 
na accademia  dei  lincei:  la  quale  nominò  fra  i 
suoi  membri  una  speciale  commissione,  incarlcan- 
(loia  del  richiesto  esame^  deU'interpcllato  scntimen-' 


Nuovi  Riflettori  11 

to  ,  e  della  redazione  di  un  rapporto  al  corpo 
accademico,  che  avendo  quello  approvalo,  n'ordinò 
per  copia  conforme  alla  segreteria  di  stato  la  tras- 
missione. 

Accordò  essa,  che  di  questo  rapporto  fosse  per- 
messa la  pubblicazione  colla  stampa,  a  gloria  ed 
incoraggiamento  dell'inventore,  cui  anche  fu  ag- 
giunto qualche  attestato  della  beneficenza  sovrana. 
La  commissione  medesima  continuò  nello  stesso 
incarico  per  altri  rapporti,  che  in  diverse  epo- 
che l'accademia  diresse  ai  successivi  segretari  di 
stato,  gli  eminentissimi  e  reverendissimi  principi 
signori  cardinali  Bernetti  e  Albani  ,  sopra  altri 
quesiti  sullo  stesso  argomento,  dei  quali  venne  o- 
norata. 

Ecco  i  cenni  istorici,  che  fissano  l'epoca  della 
invenzione  del  nostro  Gatti,  dell'interesse  che  ne 
prese  il  governo,  dell'accoglimento  che  ne  ottenne 
in  Roma.  Da  queste  cose  apparisce  quanto  ne  sia  be- 
nemerita la  romana  accademia  dei  lincei,  che  fu 
la  prima  a  proferirne  giudizio,  a  registrare,  a  ga- 
rantire ne'propri  atti  tutto  ciò,  che  sotto  gli  occhi 
suoi  avvenne  nel  progredimento  di  tale  invenzione, 
come  ancora  negli  onorevoli  risultati,  che  poscia, 
come  si  dira,  ne  derivarono.  E  siccome  agli  antichi 
lincei  tanto  appartenne  per  le  cure  e  per  l'interes- 
se che  ne  presero,  il  memorando  assunto  del  gran 
Galileo  loro  collega,  di  spinger  per  il  primo  lo 
sguardo  nella  immensità  dello  spazio  ,  come  ai 
ristabiliti  lincei  tanto  appartiene  quello  del  Gatti 
di  oltrepassare  quegli  immensi  confini,  parrebbe 
essere  riserbato  alla  Lince  Romana  di  dirigere  e 
regolar  i  più  acuti  sguardi  fin  dove  sarà  permesso 
ad  occhio   mortale. 


12  Scienze 

Ma  tempo  è  che  io  scenda  a  qualche  det- 
taglio deUa  invenzione  che  io  presi  ad  esporre, 
e  spcciahnente  del  metodo,  che  le  dh  il  pregio 
di  una  interessantissima  novità.  Diretto  essendo  per 
vie  non  ancora  tentate  l'assunto  del  Gatti  pel  mi" 
glioramento  delle  diottriche  e  delle  catottriche 
superficie  di  convergenza,  preferì  di  cimentarlo 
in  queste  ultime,  o  nei  riflettori,  convinto  di  uguali 
successi  nelle  prime,  o  nei  refrattori.  Quindi  si 
fece  in  primo  luogo  a  cercare  quali  fossero  i  corpi 
più  acconci  a  costruirsi,  affinchè  la  migliore  ri- 
flessione si  avessse  dei  raggi  luminosi;  e  poscia 
qual  fosse  il  metodo  il  pili  sicuro  per  ridurli  a 
precisa  superficie  di  convergenza,  a  fine  di  con» 
seguirvi  la  più  decisa  terminazione  delle  imma- 
gini degli  oggetti  riflessi.  Sulla  scelta  pertanto  dei 
materiali,  e  sul  metodo  di  trattarli  consiste  l'as- 
sunto, e  la  qualità  di  questa  invenzione.  Dopo  il 
perfezionamento  recato  coli'  acromaticismo  nelle 
semplici  refringenti  superficie  di  convergenza,  ap- 
partiene alla  chimica,  all'  ottica,  all'analisi  di  re- 
golare la  scelta  dei  vetri:  ma  dai  risultamenti  di 
più  tentativi  la  scelta  dipende  dei  materiali  più 
acconci  per  le  riflettenti;  e  sotto  questo  aspetto, 
o  per  trovarli  in  natura  o  per  comporli  ,  è  più 
scabroso  l'assunto;  il  metodo  per  ridurli  poi  in 
esatte   superficie,    in    entrambi    è    lo  stesso. 

Si  sa  quale  ardua  difficoltà,  e  di  quanta  spesa 
sia  la  fusione  delle  leghe  metalliche  solite  ad  as- 
sumersi per  costruire  i  riflettori  pei  telescopi  ; 
si  sa  il  penoso  e  lungo  travaglio  per  condurli  al- 
la perfezione  ,  e  l'  alterazione  che  a  lungo  tempo 
vanno  essi  a  subire.  Ma  tanti  essendo  in  natura 
}    materiali   capaci  non   meno   che    i  metalli    del 


Nuovi  Riflettori  13 

più  bel  pulimento  e  della  più  viva  riflessione  dei 
faggi  ,  pareva  piìi  giusto  al  nostro  Gatti  di  ri- 
correre a  questi,  che  in  tanta  copia  la  natura  ci 
offriva,  e  che  con  pili  regolari  forze  e  processi, 
e  con  sintesi  piìi  ordinata  e  tranquilla^  a  dovizia 
troviam   preparati. 

Furono  pertanto  i  primi  suoi  tentativi  so- 
pra le  così  dette  pietre  dure,  le  agate,  le  sar- 
doniche, i  diaspri,  in  genere  le  silicee  come  le 
piìi  capaci  di  tersissimo  pulimento  ;  ma  queste, 
oltre  il  valore,  non  porgevano  speranza  ad  avere 
riflettori  di  gran  diametro,  benché  gli  effetti  ne 
guarentissero  la  scelta.  Con  non  minori  successi 
tentò  egli  i  porfidi  e  i  graniti  a  procurarsi  piìi 
grandi  aperture.  Cimentò  gli  smalti  ,  le  obsidia- 
ne,  e  perfino  i  marmi  conchigliari,  o  altre  specie 
di  pietre  assai  compatte  e  di  ardito  pulimento 
capaci. 

Questi  saggi  che  per  suo  studio  teneva,  e  so- 
vente mostrò  ai  commissari  dell'  accademia,  e  le 
indagini  che  coi  confronti  vi  raddoppiava,  lo  con- 
dussero finalmente  al  sommo  della  sua  invenzio- 
ne, che  il  decise  per  la  scelta  del  marmo  così 
detto  nero-antico  ,  da  qualcuno  creduto  il  tena- 
rio, così  dagli  antichi  chiamato,  perchè  cavavasi 
a  Tenaro  promontorio  della  Laconia,  e  tal  ripu- 
tato ,  mentre  Plinio  e  Strabone  lo  dicono  pre- 
zioso, e  adattissimo  al  pulimento  da  specchio:  ed 
è  certamente  che  per  questo  carattere  meritava 
fra  i  naturali  prodotti  nella  proposta  ricerca,  e 
nella   scelta,   la   preferenza. 

Restava  quindi  sempre  un  ostacolo  a  supe- 
rarsi (  onde  ridurre  ad  esecuzione  il  suo  pi'o- 
getto),    quello   cioè    dei    mezzi   pecuniari.    AUor- 


14  S    e   I   E    N   «   E 

che  il  Gatti  fece  conoscersi  in  Roma  ,  non  aveva 
potuto  esercitare  il  suo  genio  inventore  che  so- 
pra piccolissimi  specchi,  i  quali  potevano  soltanto 
dare  un'  idea  della  cosa:  ma  perchè  la  scienza  vi 
guadagnasse,  e  perchè  le  fatiche  dell'inventore  fos- 
sero coronate  da  un  felice  successo,  e  ne  traman- 
dassero la  memoria  alla  posterità,  conveniva  farne 
l'esperimento  sopra  una  scala  piìi  vasta:  ed  a  fare 
ciò  abbisognava  un  qualche  generoso  protettore. 
Esso  il  rinvenne  nell'egregio  sig.  duca  don  Alessan- 
dro Torlonia,  senza  l'aiuto  del  quale  1'  invenzione 
del  Gatti  giacerebbe  forse  tuttora  negletta  ,  la  di 
lui  sussistenza  sarebbe  tuttavia  incerta,  e  l'umani- 
tà defraudata  dai  progressi  e  dalle  scoperte  ulte- 
riori delle  scienze  astronomiche,  cui  il  perfeziona- 
mento dei  telescopi  apre  la  strada.  Egli  amantis- 
simo delle  cose  belle,  e  di  tutto  ciò  che  può  aggiun- 
gere lustro  e  splendore  alla  nostra  dominante  ,  si 
mostra  in  tutto  1'  emolo  del  colto  e  virtuoso  suo 
germano  don  Carlo,  possessore  del  piìi  bello  e  gran- 
de acromatico  inglese  che  esista  fra  noi.  E  difatti  , 
inteso  appena  l'elogio  della  scoperta  e  dei  vantag- 
gi che  ne  potevano  risultare  per  la  scienza,  e  de- 
sideroso eziandio  di  conservare  a  Roma  e  provve- 
dere alla  sussistenza  del  povero  inventore  (in  età 
avanzata  già  pervenuto)  non  esitò  un  istante  a  fis- 
sare un  congruo  giornaliero  sussidio  a  favore  del 
medesimo,  onde  potesse  lavorare  e  ridurre  a  perfe- 
zione i  suoi  riflettori. 

E  siccome  ad  ottenere  ciò  si  richiedeva  inoltre 
una  spesa  non  piccola,  onde  procurarsi  i  materiali 
necessari  alla  lavorazione,  e  tutt'altro  alla  medesi- 
ma inerente;  volle  provvedere  anche  a  questo,  assu- 
mendo il  tutto  a  suo  carico,  e  prescrivendo  al  Gat- 


Nuovi  Riflettori  15 

ti  eli  iluìla  trascurare  o  tenergli  occultò  di  quanto 
potevagli  occorrere^  onde  raggiungere  (ne'suoi  la- 
vori) la  maggior  perfezione.  Fu  appunto  per  tali 
non  comuni  facilitazioni  che  si  ottenne  1'  intento 
bramato. 

Non  fu  però  che  nell*  anno  1833  che  per  la 
prima  volta  venne  in  luce  un  riflettore  di  8  piedi 
di  foco,  il  quale  volle  che  a  foggia  dei  pili  belli 
lavorati  in  Londra  fosse  nobilmente  montato  e  di 
tutti  i  movimenti  capacej  a  norma  del  modello  che 
sulle  mie  idee  erasi  gik  esibito;  onde  il  telescopio 
romano,  dalla  terra  al  cielo  rivolto,  i  movimenti  se- 
guire potesse  degli  astri.  Tralascio  di  descrivere  il 
meccanismo  egregiamente  in  Roma  eseguito  dal  pe- 
rito nostro  meccanico  sig.  Angelo  Lusvergh,  limi- 
tandomi a  rappresentarne  nell'  annessa  figura  la 
semplice  idea  della  disposizione  delle  parti,  le  qua- 
li equilibrate  essendo  nella  migliore  maniera  fra 
loro,  si  prestano  con  facile  e  dolce  andamento  ai 
grandi  e  piccoli  movimenti  operati  dalla  sola  mano 
dell'osservatore,  colle  note  viti  di  rappello. 

Dopo  di  ciò  avendo  osservato  il  signor  D.  Ales- 
sandro Torlortia,  che  lo  specchio  suddetto  essendo 
di  una  grandezza  comune  non  avria  procurato  alla 
invenzione  quella  pubblicità,  ed  al  suo  autore  quel- 
la fama  che  in  casi  consimili  deve  desiderarsi,  ordi- 
nò che  due  altri  se  ne  costruissero  di  straordinaria 
grandezza.  Esso  in  ciò  fare  da  niun  altro  desiderio 
venne  animato,  se  non  da  quello  di  aprire  un  cam- 
po air  ingegno  del  Gatti  onde  giungere  potesse  al 
sublime  ed  alla  perfezione  del  suo  lavoro,  e  nuU'af- 
fatto  gli  calse  se  per  raggiungere  questo  scopo  si 
richiedesse  maggior  tempo  o  dispendio.  A  tale  ef- 
fetto volle  che  il  Gatti  potesse  giovarsi  (sempre  a 


i&  Scienze 

sue  spese)  dell'opera  del  suo  allievo  Belli,  della  stes^ 
sa  patria  del  Gatti  e  della  stessa  inclinazione,  per 
isperarne  un  degno  successore.  Volle  inoltre  che  i 
medesimi  venissero  costruiti  sotto  la  mia  direzione 
e  presso  di  me  in  Campidoglio,  avendo  a  tal  fine 
generosamente  apprestato  due  grandi  deschi  di  su- 
perbo nero  antico,  il  primo  di  20  piedi  di  foco  e 
poli.  26  di  diametro,  il  secondo  di  poli.  28,  ed  in 
entrambi  le  facce  ridotte  in  superficie  di  conver- 
genza Tuna  del  foco  di  20  piedi,  V  altra  di  40, 
misura  francese.  Nel  dare  tali  disposizioni  genero- 
se non  fu  per  esso  di  piccolo  eccitamento  il  de- 
sio, che  Roma  non  dovesse  più  invidiare  un  tele- 
scopio di  Herschel. 

Terminato  il  primo  di  questi  riflettori,  si  volle 
osservarne  un  qualche  effetto.  Troppo  vicini  erano 
per  esso  gli  oggetti  terrestri,  e  non  era  a  profa- 
narsi su  questi.  La  curiosità  ne  spinse  però  a  di- 
rigere la  grave  massa  alle  solite  tusculane  colline 
non  più  remote  di  circa  12  miglia.  Nulla  io  dirò  de- 
gli osservati  effetti,  poiché  ne  decise  il  pubblico  at- 
tiratovi dalla  curiosità,  e  dalla  voce  che  ne  precorse; 
dirò  solo  che  il  celebre  capitano  Basilio  Hall  ed  al- 
tri dotti  inglesi  si  felicitarono  di  avanzare  le  loro 
congratulazioni  con  chi  era  stato  di  si  bell'opera  il 
benefico  promotore:  ed  io  mancherei  a  me  stesso  , 
ed  al  dovere  di  storico,  se  non  riferissi  tali  partico- 
larità, e  non  mi  associassi  in  rendere  all'egregio  sig. 
D.  Alessandro  Torlonia  quel  tributo  di  lode,  che  la 
giustizia  e  la  verità  m'impongono,  per  un  tratto  si 
bello  di  commendevole  generosità. 

Restami  ora  a  far  conoscere  il  fondamento  del 
nuovo  metodo  immaginato  dal  sig.  Gatti  per  ridurre 
in   superficie  di  convergenza   o  le  refrangenti   o  le 


Nuovi  Riflettori  17 

riflettenti  materie.  Questo  metodo,  che  abbraccia  tut- 
ti gl'istrumenti  della  diottrica  e  della  catottrica  ,  in 
genere  è  quello  conosciuto  ed  usato  dagli  ottici  di 
tutti  i  tempi.  Fu  però  a  tal  finezza  condotto  dal  Gat- 
ti, e  su  tale  ragionamento  basato,  che,  come  dicem- 
mo ,  il  pregio  acquista  di  una  novità  la  piìi  inte- 
ressante; e  ravvicinando  il  massimo  sforzo  della  pra- 
tica alla  matematica  espressione,  ardisco  chiamarlo 
il  non  plus  ultra  della  mano  operatrice  dell'ottica. 
Sa  benissimo  questa  mano,  diretta  dalle  ottiche  co- 
gnizioni, e  dalla  esperienza  addestrata,  stare  il  tut- 
to di  sua  professione  nel  saper  dare  alle  materie  che 
ha  scelto  le  precise  superficie  curve  di  convergen- 
za, che  loro  sono  assegnate.  Questo  primo  passo  non 
altro  richiede,  che  poche  cognizioni,  ma  molta  pe- 
rizia e  diligenza,  sia  nel  descriver  le  curve,  sia  nel 
ricavarne  le  superficie,  che  piatti  o  forme  son  det- 
te, colle  quali  ridur  si  dovranno  le  assunte  super- 
ficie, acciò  ne  siano  le  concentriche  corrispondenti; 
sia  finalmente  nel  ridurre  Je  forme  stesse  ,  o  nel 
concentrarle. 

Ottenute  così  le  richieste  curve,  e  fedelmente 
tradotte  sulle  superficie  non  atte  ancora  a  riflettere 
o  a  rifrangere  i  raggi  di  luce,  trattasi  compartir  lo- 
ro quel  lustro  ,  che  la  bella  riflessione  acquistino 
degli  specchi,  o  delle  lenti  la  brillante  trasparenza. 
Ecco  il  piìi  pericoloso  momento  per  loro.  Accade 
sempre,  piìi  o  meno,  che  il  progresso  al  lustro  sia 
in  ragione  reciproca  di  quello  alla  precisione  delle 
curve,  che  è  l'essenziale.  Conobbero  i  piìi  accorti 
periti  lo  scoglio  di  questo  momento  ,  che  porta  a 
passi  retrogradi  ,  e  si  studiaron  di  abbatterlo  ;  ma 
non  fu  ancora  annullato.  Si  conoscono  i  mezzi  as- 
sunti per  conseguire  siffatto  pulimento.  Per  quanto 


48  Sciente 

siano  essi  i  più  fini,  certo  è  che  ilon  sono  consìé^ 
guiti  colle  stesse  identiche  superficie,  che  formaroii 
le  curve:  e  tanto  basta  perchè  queste  siano  alterate* 
Non  può  adunque  sperarsi,  che  per  le  vici  finorat 
battute  si  possa  in  esse  conservare  quella  qualità, 
ch'è  l'essenziale. 

Ora  ecco  come,  ragionando  e  tentando,  feli-» 
cernente  vi  giunse  il  nostro  inventore  per  altra  via< 
Fissata  e  compartita  coi  noti  processi  la  curva  ri-> 
chiesta  ai  suoi  riflettori,  fabbrica  egli  sopra  la  incur- 
vata lor  superficie  quel  piatto  o  forma,  che  do- 
vrà migliorarla,  raffinarla,  allustrarla,  affinchè  colla 
forma  sempre  la  stessa  sia  il  lavoro  incominciato  e 
finito.  Ecco  l'inalterabilità  della  curva,  anzi  il  con-- 
tinuato  suo  perfezionamento* 

Tutto  questo  lavoro  s'incomincia  e  si  compie  col 
solo  smeriglio  dal  grosso  fino  all'impalpabile.   Con 
una  regolare  e  graduata  decantazione  delle  sue  poN 
veri  si  prepara  una  serie  pi'ogressivamente  piìi  fina^ 
che  a  piacimento   può   protrarsi  ad  una  eccessiva 
sottigliezza;  e  con  esse  gradatamente  travagliando  la 
superficie   del   riflettore  ,    si  arriva  al    lustro  del 
piìi  forbito  acciaio,   e  delle   gemme  stesse  ;   e  ciò 
che  pili  importa  ,  a   conservai^e   la   curva  ,   anzi   a 
ravvicinarla  con   progressivo   perfezionamento  alla 
matematica  espressione.  Marciano  dunque    cosi    in 
ragion  diretta  fra  loro  alla  perfezione  queste   due 
delicate  condizioni  delle  superficie  di  convergenza. 
Ecco  perchè  questo  elegantissimo  metodo  fu  chia- 
mato dall'inventore  »  Nuova  maniera  di  migliorare 
gl'istrumenti  di  ottica  con   sempre   crescente   pro- 
gressione;  i>   il  che  s'è   vero  per  matematica  idea  , 
per  la  fisica  però  forza  è  confessarvi  un  confine.  Da 
tutto  l'esposto  apparisce,  che  questa  nuova  maniera 


Nuovi  Riflettori  19 

sta  interamente  nella  natura,  nelle  qualità,  nella 
costruzione  della  forma,  che  incomincia  il  lavoro, 
e  lo  conduce  con  quella  progressione  crescente,  se 
non  al  massimo  ,  certamente  al  maggior  grado  del 
suo  perfezionamento. 

Lungo  sarebbe  il  dettaglio  della  preparazione 
di  tali  forme;  e  d'altronde»  consistendo  specialmente 
su  queste  lo  studio,  il  travaglio  ,  i  tentativi  di  tanti 
anni,  e  il  servigio  che  l'inventore  ne  rese  all'indu- 
stria e  alla  scienza,  non  mi  sarebbe  permesso  col 
descriverlo  di  appropriarmi  e  di  spacciare  l'altrui. 
Dirò  soltanto,  poiché  tali  forme  furono  talora  mo- 
strate ,  essere  esse  una  superficie  o  concava  o  con- 
vessa, secondo  che  lo  richiede  il  lavoro  da  farsi,  la 
quale  risulta  da  un  assieme  di  pietre  dure  collegate 
fra  loro  con  tale  ingegnoso  artificio,  che  un  tutto  ri- 
sulta esattamente  concentrico  alla  superficie  ,  che  si 
lavora.  Giunta  essa  all'ultimo  grado  ,  il  brillante 
delle   pietre  dure  supera   quello  dell'arte. 

La  felice  occasione  offertasi  al  Gatti  di  costrui- 
re i  due  gi*andi  riflettori  sopra  indicati,  ha  por- 
tato anco  in  questi  ultimi  mesi  ad  un  passo  di 
tanta  entità,  che  arrecando  eziandio  nel  lavoro  una 
facilità  e  un  risparmio  di  tempo,  va  del  doppio  ad 
accrescere  il  pregio  dell'invenzione.  Tali  sono  sem- 
pre i  frutti  del  favore  e  della  munificenza  che  ac- 
cresce i  mezzi,  e  dà  il  diritto  alla  gloria  a  chi  sa  con 
senno  accrescerli  a  tempo. 

Ma  qui  sento  da  qualcuno  obbiettarsi  :  Come 
dunque  son  divenuti  famosi  i  riflettori  di  Herschel 
a  Londra,  quelli  di  Schroeter  lavorati  da  Scander 
in  Germania;  come  le  obbiettive  acromatiche  di  Dol- 
lond,  quelle  di  Fraunofer,  e  quelle  perfino  appre- 
stateci dal  nostro  dotto  Prunelli  in  Ancona,  le  quali 


20  Scienze 

riscossero  già  1'  approvazione  e  l'applauso  di  lutti  i 
dotti  in  Europa,  quando  non  prima  di  oggi  si  sa  l'in- 
venzione fatta  dal  Gatti»  e  di  piìi  si  asserisce  esser 
l'unica  a  conseguir  il  miglioramento  degli  ottici 
istrumenti? 

Il  miglioramento  egli  cercò  col  suo  nuovo  me- 
todo: il  miglioramento  cercaron  col  loro  i  sopra  ci- 
tati celebratissimi  ottici  addotti  in  esempio.  Ninno 
prelese  aver  conseguito  la  perfezione.  Che  se  stesse 
il  miglioramento  nella  invenzione  ,  che  non  prima 
di  oggi  si  seppe,  si  farà  forse  onta  a  chi,  senza  que- 
sta, così  egregiamente  finora  operò,  e  meglio  in  ap- 
presso potrebbe  col  conoscerne  ora  il  nuovo  sistema? 
Chi  sa  con  questo  qual  nuovo  spettacolo  offri- 
rebbero i  riflettori  di  Herschel,  le  acromatiche  di 
Fraunofer  condotte  col  nuovo  metodo  di  Gatti  fino 
al  contatto  della  matematica  precisione,  e  qual  for- 
za aumentatrice  perciò  varrebbero  a  sostenere?  Non 
potrebbe  star  quivi  il  contatto  del  microscopio  col 
telescopio? 

Sperando  di  vedere  avverata  questa  mia  as- 
serzione, terminerò  col  riportare  un  fatto,  che  da 
pochi  giorni  non  senza  sorpresa  osservai,  e  che  par- 
mi  ad  evidenza  mostrare  di  che  divenga  capace  ,  e 
che  possa  perciò  farci  sperare  quella  qualità  essen- 
ziale nella  superficie  di  convergenza^  che  ci  vien  ga- 
rantita dal  nuovo  metodo  ,  ch'esposi ,  e  dai  risulta- 
menti  del  fatto.  Si  è  detto  ,  che  i  riflettori  non  per- 
verranno mai  a  renderci  nette  e  decise  le  immagini 
a  quella  distanza  focale,  cui  si  è  detto  portati  i  ri- 
frattori. Non  entro  qui  in  tale  questione,  che  deve 
sotto  pili  aspetti  esser  presa  ad  esame:  parlo  soltan- 
to dei  riflettori ,  ai  quali  vuoisi  prefinito  un  confine 
per  trarne  fuori,  ed  ingrandite   e  decise  averne   le 


Nuovi  Riflettori  21 

immagini  ,  quando  specialmente  quello  di  un  pro- 
porzionato diametro  vsia  prefinito  quasi  impossibile 
al  maneggio. 

Se  alla  meta  di  un  raggio  di  80  piedi  sta  il 
foco  dei  raggi  paralleli  riflessi  da  una  superficie 
di  convergenza  in  un  punto  da  essa  40  piedi  di- 
stante, qual'è  quella  prossimamente  del  piìi  gran- 
de telescopio  di  Herschel ,  come  in  quello  spec- 
chio di  4  piedi  di  diametro,  come  conservar  l'in- 
tegrità di  un  arco  ,  che  ha  per  raggio  80  pie- 
di senza  farlo  diventare  uno  specchio  quasi  pia- 
no, o  stranamente  alterarlo,  qualora  il  lustro  gli 
sia  dato  per  le  vie  ordinarie,  o  piuttosto  non  sia- 
ne assicurata  l'integrità  della  curva  solo  possibile  col 
sistema  del  Gatti?  Glie  a  lui  sia  stato  possibile  ,  me 
ne  ha  convinto  il  fatto  che  qui  riporto  ,  e  che  da 
pochi  giorni  fece  egli  osservarmi  in  uno  specchio  di 
marmo  nero,  non  già  di  4  piedi  di  diametro,  ma  di 
soli  5  pollici,  e  di  ben  45  piedi  di  foco,  vale  a  dire 
di  una  superficie  di  convergenza  che  ha  per  raggio 
90  piedi, 

Dopo  l'avvenuto  in  consimili  tentativi,  e  nello 
stesso  specchio  di  40  piedi  di  Herschel,  benché  isti- 
tuiti sopra  specchi  metallici  e  di  maggiori  diame- 
tri, parrà  incredibile  il  dire,  aver  io  ed  altri  in 
questo  bel  saggio  ultimamente  dal  nostro  inventore 
eseguito  ,  dirò  quasi  a  dispetto  delle  migliori  condi- 
zioni ,  nette  e  decise  osservato  le  immagini  degli 
oggetti  alla  consueta  distanza  del  Tuscolo  fortemente 
ingranditi  con  una  sola  oculare  di  6  pollici  di  foco, 
Gon  che  parmi  deciso  il  gran  pregio  della  fin  qui 
discorsa  invenzione  del  Gatti. 

Ecco  il  tributo,  che  per  me  si  dovea  a  que- 
st'uomo impagabile;   al  governo  che  col  favorirlo 


22  S  e  I   E  N  l  K 

accrebbe  a  Roma  la  gloria  di  averlo:  a  quest'ac- 
cademia che  il  pregio  dichiarò  della  invenzione  di 
lui  ,  e  fa  oggi  conoscerla  alle  colte  nazioni  :  e  a 
quel  benefattore,  che  a  lui  e  a  se  stesso  un  bel 
posto  di  gloria  va  ad  assegnar  nella  storia. 

APPENDICE 

Chiunque  abbia  percorsala  fin  qui  riprodotta 
memoria  negar  non  potrà,  aver  Roma  anche  nelle 
scienze  e  nelle  arti  meccaniche  quel  vanto,  che  tut- 
ti le  accordano  nelle  arti  belle,  nel  genio  e  buon 
gusto  eh'  essa  ispira,  e  nel  favore  e  protezione  , 
che  sempre  distinse  la  patria  dei  Mecenati.  Noi 
ne  abbiamo  a'  giorni  nostri  un  luminoso  esempio 
nel  fatto  che  vien  riferito  nel  diario  di  Roma  num. 
8,27  gennaio  1838,  in  cui  alle  notizie,  che  al- 
tre volte  vi  furono  riportale  sui  nuovi  riflettori  in- 
ventati, e  per  la  prima  volta  costruiti  in  Roma, 
troviamo  aggiunto  qualche  ulteriore  dettaglio  di  non 
lieve  interesse  ,  e  piìi  che  bastante  a  contestare 
la  nostra  asserzione.  Noi  non  istaremo  a  ripetere 
come  il  Mecenate  dei  nostri  giorni  fece  ancor  per 
le  scienze  cose  che  far  non  poteva  l'antico.  I  po- 
steriori progressi  fatti  nelle  arti  meccaniche,  nel- 
l'ottica, nell'astronomia  e  nel  buon  gusto  danno  ai 
nostro  una  tal  preferenza.  Tutto  questo  è  abba- 
stanza esposto  nella  memoria  del  prof.  cav.  Scar- 
pellinì,  che  abbiamo  ripubblicato  in  questo  giornale. 

L'atto  filantropico  dell'esimio  romano  signor 
duca  don  Alessandro  Torlonia  ,  diretto  non  solo 
a  trar  dalla  inopia  il  bravo  ottico  signor  Alberto 
Gatti  piemontese,  il  quale  giacevasi  in  Roma  per 
mancanza  di  mezsi  quasi  inoperoso  nei  difficili  lavori 


Nuovi  Riflettori  23 

della  sua  professione,  ma  a  trar  partito  ancora  dai  ta- 
lenti in  Roma  nascosti,  e  farne  su  lei  tutta  riverbe- 
rare la  gloria,  è  certamente  tale  che  qualifica  l'uomo 
di  genio  e  di  cuore,  il  cittadino  che  ha  vero  amor 
per  la  patria,  il  seguace  della  benintesa   filantropia. 

Il  pensiero  di  congiungere  con  quest'atto  vir- 
tuoso non  solo  1'  ardita  intrapresa  di  fare  avere 
a  Roma  il  vanto  stesso  eh'  ebbe  Londra  ,  quan- 
do il  celebre  Herschel  fu  il  primo  a  mostrarvi  i 
grandiosi  suoi  riflettori  metallici,  ma  anche  la  glo- 
ria di  superarli,  e  di  cedere  ad  essa  Roma,  il  nuo- 
vo insigne  istrumento,  è  tale  che  qualifica  l'uomo 
promotore  delle  belle  invenzioni,  e  che  le  più  ra- 
re cose  sacrifica  alla  gloria  e  all'onor  della  patria. 

La  decisa  determinazione  poi  di  provocare  non 
solo  la  perizia  dei  nostri  meccanici  nel  costruire 
il  montante  per  uno  di  tali  riflettori  ,  e  di  ave- 
re un  gran  telescopio  dalle  mani  loro,  a  prefe- 
renza di  esteri  macchinisti,  che  venivan  proposti, 
ma  di  porli  ancor  nell'impegno  di  esibirlo  di  tal' 
eleganza  e  ricchezza  che  degno  fosse  di  Roma  ,  e 
della  scienza,  cui  specialmente  servir  dovea  nel 
confronto,  che  veniva  proposto  fra  i  consueti  ri- 
flettori metallici  e  i  nuovi  di  nero-antico  in  Roma 
inventati,  è  una  determinazione  dell'uomo  che  co- 
nosce quali  risorse  ebbe  sempre  la  patria  sua  coli' 
eccitare  1'  emulazione  e  la  gara,  e  che  sa  apprez- 
zare e  promuovere  i  nuovi  cimenti  ,  che  a  tanto 
alto  grado  innalzarono  a'  dì  nostri  le  scienze,  e  le 
arti  che  ne  dipendono. 

Questi  tratti  di  genio  e  di  spirito,  che  si  di- 
ramano su  tutto,  sono  di  ben  altro  Mecenate,  e  ben 
altro  presidio  e  decoro  difibndono ,  quando  è  lo 
spirito  pubblico  che  ne  vien  riscaldato,    Roma  ne 


24  Scienze 

porse  l'esempio;  ma  in  tempi  più  illuminati  e  colti 
olii  oggi  nasce  in  Roma  sa  ed  insegna  a  nobilitarli. 
Aflìnchè  però  l'ulteriore  dettaglio ,  con  cui  ci 
prevenne  nel  citato  numero  il  Diario  dì  Roma,  ab- 
bia qui  appresso  la  memoria,  che  abbiamo  ripro- 
dotta, il  proprio  suo  posto,  e  pervenga  oltremonti, 
e  se  ne  perpetui  fra  noi  più  durevole  ed  onorata  la 
ricordanza,  noi  volemmo  quasi  per  continuare  nell' 
argomento  di  quanto  accadde  in  appresso  dargli 
luogo  più  acconcio  nel  presente  appendice, 

JVon  e  qui  a  parlarsi  del  gigantesco  macchina* 
mento,  che  Roma  similmente  vedrà  costruirsi  dai 
nostri  meccanici  per  dar  gli  opportuni  movimenti 
ad  uno  dei  più  grandi  telescopi  cato-diottrici  che 
siasi  finora  rivolto  al  cielo.  A  questo  scopo  ven- 
nero preparati  i  due  grandi  riflettori  forni:» ti  già 
coi  due  sopranominati  deschi  di  marmo  nero-an- 
tico. Il  loro  diametro  è  di  circa  28  pollici  ,  e  il 
loro  foco  di  20  piedi,  misura  di  Francia.  Uno  di 
essi  è  lavorato  ancora  nella  faccia  opposta,  con  un 
foco  però  di  circa  40  piedi,  giacche  la  natura  del 
materiale  è  suscettiva  in  entrambe  le  superficie 
di  una  egualmente  tersissima  riduzione.  Si  è  così 
ottenuto  un  superbo  riflettore  a  due  facce  per  gì' 
indicati  fochi  diverse:  e  postosi  esso  in  billico  so- 
pra solido  montante  per  alternarne  a  piacere  le 
riflessioni  sulle  due  superficie,  ofi^re  uno  spettacolo 
di  maraviglia,  e  un  mobile  di  un  nuovo  genere  di 
lusso  non  mai  più  veduto.  Questi  nuovi  riflettori, 
lavorati  in  Roma  sul  Campidoglio  nella  officina  dell' 
accademia  dei  lincei  ,  stanno  attualmente  colassù 
esposti  alla  vista  clegli  amatori  nazionali  ed  esteri  , 
che  vi  si  portono  ad  ammirarli,  e  ad  osservarne  i 
grandiosi  effetti. 


Nuovi  Riflettori  25 

Alla  speciale  ammirazione  però,  che  tutti  tri- 
butano al  generoso  promotore  eli  cose  sì  belle,  ci 
richiama  il  dettaglio  ulteriore  cui  destinammo  il 
presente  appendice.  Pago  il  suo  spirito  di  aver  sol- 
levato un  virtuoso  artefice,  di  aver  favorita  e  pro- 
mossa la  nuova  e  bella  invenzione  di  lui,  e  di  aver 
cooperato  alla  gloria  dell'amata  sua  patria,  e  al  de- 
coro in  essa  dei  buoni  studi,  nulla  mai  ostentò,  e  tal 
ne  prese  compenso  in  se  slesso,  che  neppure  ambi 
portarsi  a  vedere  i  prodotti  delle  sue  beneficenze. 

Indottovi  finalmente  però  dal  desiderio  di  quel- 
li, che  ne  avevano  partecipato,  condiscese:  e  recossi 
ad  osservare  il  telescopio,  eh'  egli  aveva  ordinato 
costruirsi  interamente  in  Roma,  e  servire  special- 
mente ai  progressi  fra  noi  delle  scienze  e  delle  ar- 
ti. Stavasi  esso  da  qualche  anno  depositato  nella  bi- 
blioteca dei  lincei  ,  ove  rivolgere  non  potendosi  al 
cielo,  forza  era  soddisfare  la  curiosità  degli  amato- 
ri verso  le  colline  del  Tuscolo,  e  profanarlo  a  guar- 
dare uomini,  case  e  piante,  invece  degli  astri  pei  qua- 
li l'egregio  amatore  l'avea  destinato.  Fu  quivi  certo 
ove  l'amor  suo  per  la  patria  sentì  compiacenza,  ve- 
dendo in  essa  costruito  nella  fabbrica  del  perito  no- 
stro macchinista  sig.  Angelo  Lusverg  un  istrumento 
non  solo  elegante  e  ricco,  qual  lo  aveva  ordinato,  ma 
di  tal  perfezione  da  emular  quella  di  simiglianti 
istrumenti,  che  si  hanno  dalle  piìi  rinomate  fabbri- 
che di  Europa.  Fu  quivi  che  il  genio  suo  per  la  scien- 
za fece  proporgli  di  trasportarlo  sopra  l'osservatorio 
del  campidoglio,  onde  poterlo  rivolgere,  e  meglio 
impiegare  allo  sguardo  del  ciclo.  Intese  però  le  dif- 
ficoltà del  trasporto  di  tanto  inacchinamento,  volle 
egli  stesso  salirvi.  Varie  cose  colassìi  proposte,  ri- 
chiese il  parere  dello  Scarpellini,  che  diretto  ave- 
G.  A.  T.  LXKIV.  2 


26  Scienze 

va  la  fabbrica  di  detto  osservatorio,  e  fornito  Io  ave- 
va di  tutti  gristrumenti,  altri  acquistati,  altri  co- 
struiti da  lui  stesso  per  l'istruzione  della  gioventù 
nella  pratica  astronomia.  «  Conosco,  rispose  il  prof., 
le  rare  qualità  del  cuore  di  vostra  eccellenza  :  ma 
ignorando  il  destino,  a  cui  riserba  il  telescopio,  pro- 
ferir non  saprei  all'uopo  alcun  mio  sentimento.  «  Fu 
quivi,  ove  l'aura  del  campidoglio  idee  generose  per 
la  patria  ispii'ava  agli  antichi,  che  le  sue  svelò  il 
generoso  amatore  della  gloria  di  Roma.  «  Sapete  voi, 
disse,  l'impulso  che  mi  decise  ad  ordinarlo;  or  che 
quassù  trovo  tutto  allestito  allo  studio  del  cielo,  non 
posso  meglio  che  sul  campidoglio  destinarlo  a  prò 
dei  lincei,  che  da  un  sommo  pontefice  vi  ebbero 
una  reggia;  a  prò  della  studiosa  gioventù  romana, 
che  vi  riceve  istruzione  in  questo  studio  divino. «Or- 
dinò quindi,  che  premessi  i  debiti  uffici,  fosse  a  sue 
spese  costruita  vicina  all'osservatorio  una  opportu- 
na camera  per  custodirlo,  da  cui  potesse  agevolmen- 
te trasportarsi  nell'  adiacente  terrazzo,  e  per  ogni 
dove  rivolgersi  nelle  astronomiche  osservazioni.  Co- 
ronò finalmente  questa  beneficenza  con  suo  pregia- 
tissimo dispaccio  diretto  all'  accademia  dei  lincei, 
col  quale  dichiara,  voler  colla  sua  offerta  rassegnare 
a  questo  dotto  corpo,  che  tanto  onora  la  sua  patria, 
un  omaggio  di  quella  stima  che  gli  tributano  l'Ita- 
lia e  le  colte  nazioni,  e  accrescere  alla  studiosa  gio- 
ventù romana,  cui  specialmente  destina  il  suo  do- 
no, quell'incoraggiamento,  che  sul  campidoglio  si 
porge  allo  studio  del  cielo. 

Il  corpo  dei  lincei  intanto  si  è  fatto  un  pregio 
d'intrecciare  questo  serto  di  virtuose  azioni,  che  i 
ispira  l'amor  della  patria,  con  altri  fregi  che  por-  l 
gè   l'amor  della  scienza.  Premessasi  al  sopra  lodato 


Nuovi  Riflettori  27 

dispaccio  ossequiosa  risposta,  ripiena  di  sentimenti 
dì  riconoscenza  non  solo  pel  prej^iatissimo  dono 
fatto  airaccademia,  e  per  1'  onore  di  cui  vien  ri- 
colmata, ma  di  ammirazione  ancora  pel  nobilissimo 
scopo  che  si  ebbe  di  ottenere  in  Roma  non  meno 
che  altrove  le  piìi  difficili  e  pregevoli  cose  dedi- 
cate ai  progressi  delle  scienze,  e  al  servigio  di  chi 
le  coltiva,  fu  nominata  una  deputazione  scelta  dal 
corpo  accademico,  che  a  nome  suo  e  della  studiosa 
gioventù  romana  rassegnasse  in  persona  i  sentimen- 
ti medesimi  al  benemerito  amator  della  patria.  Fu 
questa  deputazione  composta  de'seguenti  lincei:  Illmo 
e  Riho  monsignor  Girolamo  Galanti;  S.  E.  il  sig. 
principe  don  Pietro  Odescalchi;  S.  E.  il  sig.  don  Ma- 
rio Massimo  duca  di  Rignano  ,  e  due  dei  signori 
professori  della  università  di  Roma,  Ecmo  sig.  dot- 
tor Pietro  Carpi,  e  sig.  cav.  don  Feliciano  Scarpel- 
lini,  il  quale  come  segretario  perpetuo  dell'accade- 
mia offrì  l'omaggio  da  essa  reso  al  benemerito  dona- 
tore col  diploma,  che  lo  dichiara  linceo  fra  i  mem- 
bri di  onore. 

Ad  eternare  inoltre  la  memoria  di  tanta  muni- 
ficenza leggesi  ora  sul  campidoglio,  nella  lapide  ap- 
posta dentro  la  nuova  camera  del  telescopio,  la  se- 
guente iscrizione: 


28  Scienze 

ALEXANDRO  .  TORLONIAE 

PATRIAE  .  AMANTISSIMO 

ARTIVM  .  SCIENTARVMQVE  .  PROPAGATORI 

QVOD  .  HOC  .  TELESGOPIVM 

APVD  .  CAPITO LIVM 

NOVO  .  ARTIS  .  MOLI  MINE 

IMPENSA  .  SVA  .  INSTRVI .  FECERIT 

ET  .  AD  .  LYNCEORVM 

STVDIOSAEQVE  .  IVVENTVTIS  .  VSVM 

AEDE  .  APPOSITE  .  PARATA  .  ESSE  .  VOLVERIT 

COLLEGIVM  .  LYNCEO  .  MVNIFICO 

PONI . CENSVIT 

ANNO  .  MDGCGXXXVII 

Finalmente  il  corpo  accademico  si  è  fatto  un 
dovere  di  partecipare  ai  supremi  magistrati,  clie 
presiedono  alla  pubblica  istruzione,  questa  gene- 
rosità dell'  illustre  sig.  duca  don  Alessandro  Tor- 
lonia  ,  dirigendo  anche  ai  medesimi  copia  con- 
forme del  suo  soprallodato  dispaccio.  Tale  aggra- 
dimento sentirono  essi  in  questa  nobile  gara  del- 
la patria  e  della  scienza  ,  nella  quale  per  l'una 
e  per  l'altra  ci  porgono  luminosi  esempi,  e  ci  pre- 
cedono per  l'eminenti  loro  attribuzioni,  che  l'Emo 
e  Riho  principe  sig.  cardinale  Lambruschini  come 
segretario  dì  stato,  e  come  prefetto  della  s.  con- 
gregazione degli  studi,  e  l'Eino  e  Riiio  principe  sig. 
cardinale  Giustiniani  come  camerlengo  della  S.  R.  C. 
e  come  arcicancelliere  della  università  di  Roma, 
ed  entrambi  come  membri  di  onore  nell'albo  dei 
lincei,  si  degnarono  di  contestare  con  pregiatissimi 
loro  dispacci  a  sua  eccellenza  diretti  non  solo  la 
loro  compiacenza   pel   servizio,  ch'ella  ha  reso  alle 


Nuovi  Riflettori  29 

scienze,  ma  la  loro  soddisfazione,  e  quella  del  go- 
verno per  lo  zelo  ch'ella  prende  a  promuovere 
in  Roma  le  utili  invenzioni,  e  la  gloria  della  sua 
patria;  e  onorandola  in  fine  dei  loro  elogi,  por- 
gono incoraggiamento  ai  veri  filantropi,  e  nella  mi- 
glior  maniera   ricompensano    le    loro   virtù. 

Noi  non  potremo  in  miglior  maniera  contesta- 
re il  fin  qui  esposto,  che  terminando  quest'  ap- 
pendice coi  tre  sopralledati  dispacci,  dei  quali  con 
assai  desiderio  di  conoscerli  corse  voce  di  tanto  ap- 
plauso. Previo  pertanto  il  dovuto  permesso  noi  li 
riferiamo,  perchè  conoscasi  il  pregio  delle  virtù, 
la  gara  di  esaltarle,  il  merito  in  Roma  dello  spirito 
puijblico,  e  rendasi  a  tutti,  e  specialmente  uni- 
Quique^  suiirrp. 

Jjettera  di  S.  E.  il  sig.  duca  don  Alessandro  Torlonia 

diretta  al  cav.  segretario  perpetuo  delV 

accademia  de  lincei. 

Ella  ben  conosce,  pregiatissimo  sig.  cavaliere, 
che  nell'essermi  prestalo,  dietro  le  sue  raccoman- 
dazioni, in  sollevare  l'ottico  Alberto  Gatti,  e  pro- 
curargli i  mezzi  di  sussistenza,  nuU'altro  ebbi  in 
vista  se  non  che  esercitare  un  atto  di  filantropia 
verso  un  uomo  quanto  bravo  altrettanto  sventu- 
rato, e  quello  altresì  di  favorire  la  scienza,  ai  pro- 
gressi della  quale  mi  si  diceva  che  la  di  lui  scoper- 
ta avrebbe   assai   contribuito. 

Si  rammenterà  ancora,  come  compito  appena 
un  primo  saggio  del  suo  lavoro,  volli  che  si  ap- 
prestasse dal  nostro  bravo  meccanico  Angelo  Lus- 
Wergh  il  tubo  in  metallo  non  solo,  ma  tutto  il 
corredo  necessario,   onde   potesse   aversi   un    tele- 


30  S    e    I    E    N    «    E 

scoplo  cato-diottrico   intieramente  perfetto  e  degno 
di    Roma. 

Avuto  poi  l'avviso  che  a  rendere  proficuo  l'uso 
del  telescopio  stesso  richiedevasi  un  locale  atto  a 
contenerlo  e  garantirlo  ad  un  tempo  dall'azione 
dell'aria,  non  indugiai  un  solo  istante  a  dare  le 
opportune  disposizioni,  onde  venisse  costruita  di  ma- 
teriale una  camera  contigua  a  codesta  sua  specola 
eretta  sul  Campidoglio,  la  quale  corrispondesse  allo 
scopo    anzidetto. 

Ora  poi  che  tutte  queste  cose  sono  compite, 
nulla  di  meglio  mi  si  presenta  al  pensiero  che  of- 
frire il  telescopio  stesso  a  questa  inclita  accademia 
de'  lincei  ,  della  quale  ella  ricopre  con  tanta  lode 
il  carico  di  segretario  perpetuo,  e  la  quale  può 
in  Roma  considerarsi  il  sacro  deposito  delle  scienze. 
Nell'offrire  pertanto  a  questa  inclita  accade- 
mia il  suddetto  telescopio,  come  un  omaggio  dei 
sentimenti  di  sincero  rispetto  che  nutro  verso  della 
medesima,  è  mio  divisamento  ch'esso  non  solo  possa 
servire  al  di  lei  uso,  ma  a  quello  eziandio  della 
gioventìi  romana  che  nella  sublime  scienza  si  oc- 
cupa dell'astronomia:  e  mi  chiamerei  ben  fortu- 
nato se  questo  mio  tenue  omaggio  potesse  con- 
tribuire all'incremento  della  scienza,  e  ad  accre- 
scer lustro  e   decoro   all'amata   mia   patria. 

E  certamente  non  avrei  potuto  destinar  quest' 
Qo-getto  in  luogo  migliore,  che  là  dove  le  scienze 
per  oracolo  del  sovrano,  che  vi  traslatò  i  lincei, 
ebbero  una  reggia;  e  la  dove  ella  completò  il  cor- 
redo dcgl'istrumenti  destinati  allo  studio  del  cielo 
e  alla    pubblica   istruzione. 

Gradisca  in  tale  incontro,  pregiatissimo  sig. 
cavaliere,   le   nuove  assicurazioni  di  sincera  stima 


Nuovi  Riflettori  31 

e  considerazione,   colle   quali   ho   l'onore   di  rasse- 
gnarmi 

Roma  li  23  novembre  1837. 

Devmo  servitore 

A.LESSANDR0    ToRLONIA. 

Lettera   dell"  eminentissimo    e    reverendissimo  sig. 

Cardinale  segretario  di  stato  diretta  al  predetto 

sig.  duca  don  Alessandro  Torlonia. 

Dal  benemerito  restauratore  e  segretario  per- 
petuo dell'  accademia  de'  lincei  mi  è  stato  parte- 
cipato, che  V.  E.  per  l'amore  delle  scienze  esatte, 
e  per  l'incoraggiamento  che  con  avviso  commen- 
devolissimo  cerca  di  dare  agl'ingegni  patrii  ,  ha 
fatto  dono  all'insigne  accademia  suddetta  di  un  bel- 
lissimo telescopio  cato-diottrico,  costruendo  ben  an- 
co a  sue  spese  una  camera  acconcia  all'  uopo  ove 
collocarlo  presso  la  specola  del  Campidoglio. 

Questo  atto  di  munificenza  ,  degno  dell  E. 
V. ,  non  solo  ha  risvegliato  nei  soci  lincei  sen- 
timenti di  dovuta  gratitudine  verso  di  V.  E.,  ma 
ha  meritato  altresì  il  gradimento  del  governo  e  della 
sacra  congregazione  degli  studi:  ed  io  in  nome  sì 
dell'uno  e  sì  dell'  altra  ne  porgo  a  lei  i  più  sin- 
ceri ringraziamenti  insieme  co'raiei  particolari,  com- 
piacendomi ancora  io  di  appartenere  a  quello  scien- 
tifico stabilimento. 

Voglia  la  E.  V.  continuare  a  proteggere  e  fa- 
vorire i  buoni  studi  e  le  arti  belle  a  decoro  sem- 
pre maggiore  dell'inclita  Roma  a  lei  riconoscente. 
Io  mi  pregio  intanto  di  confermarle  i  sensi  della 
mia  costante  e  perfettissima  stima. 
Roma  6  gennaio  1838. 

Servitore  vero 
L.  Cardinal  Lambrusguini 


32  Scienze 

Lettera  delV eminentissimo  sig.  Cardinal  camerlengo 

diretta  allo  stesso  sig.  duca  don 

Alessandro   Torlonia. 

Dall'egregio  sig.  cav.  professore  don  Feliciano 
Scarpellini,  segretario  perpetuo  deiraccademìa  de* 
lincei  ,  ha  appreso  il  sottoscritto  cardinal  Giusti- 
niani come  TE.  V.  ha  voluto  aggiungere  un  magni- 
fico ornamento  alla  detta  accademia,  un  nuovo  sti- 
molo alla  gioventù  nell'onorata  carriera  delle  scien- 
ze ,  e  particolarmente  dell'  astronomia,  un  monu-r 
Tnento  glorioso  sacro  alle  scienze  e  alle  arti  cqI 
magnifico  grandioso  dono  di  un  telescopio  catodiot- 
trico,  che  ella,  secondando  gl'impulsi  del  generoso 
suo  animo,  ha  offerto  all'accademia  per  uso  della 
medesima  e  per  quello  eziandio  della  studiosa  gio- 
ventìi  romana.  Avea  gik  avuto  occasione  il  cardina- 
le scrivente  di  ammirar  da  vicino  la  grandiosità  e 
l'esattezza  di  sì  bel  lavoro,  e  di  considerare  il  van- 
taggio che  ne  deriverà  alla  pubblica  istruzione;  era 
a  lui  noto  per  parte  del  nominato  sig.  cav.  profes- 
sore il  lodevole  scopo,  che  l'È.  V.  si  era  proposto 
nella  esecuzione  del  medesimo,  di  apprestare  cioè 
ad  un  tempo  pietoso  sollievo  al  rinomato,  ma  po- 
vero ottico  Alberto  Gatti,  di  facilitare  i  progres- 
si dell'astronomia,  e  di  sostenere  con  tal  lavoro  , 
interamente  perfetto,  il  lustro  e  lo  splendore  di 
Roma  diletta  sua  patria;  e  neppure  ignorava  che  per 
compimento  dell'opera  volle  ella  a  sue  spese  inte- 
ramente costruita  di  materiale  una  camera  conti- 
gua alla  specola,  eretta  sulla  vetta  del  campidoglio 
dal  lodato  sig.  professore,  atta  a  contenerlo  e  cu- 
stodirlo. Tutti  questi  savi  e  generosi  tratti  sono  ab- 


Nuovi  Riflettori  33 

bastanza  eloquenti  per  renderne  il  meritato  elogio 
all'È.  V.  ,  e  per  destarne,  in  chi  sa  apprezzarli  , 
gratitudine  verso  di  lei.  Contuttociò  per  la  prote- 
zione e  per  l'incoraggimento,  che  nella  sua  rappre- 
sentanza  di  camerlingo  di  S.  R.  Chiesa  dee  il  car- 
dinal sottoscritto  dare  alle  Lelle  arti  e  alle  srìen- 
ze,  soddisfa  volentieri  al  suo  cuore ,  esternandole 
Ja  sua  compiacenza,  e  rallegrandosi  colle  arti  e 
scienze  medesime  ,  che  riconoscono  fin  da  ora  un 
mecenate  nell'E.  V. 

È  anche  propria  al  sottoscritto  questa  circo- 
•stanza  per  rassegnarsi  con  distinta  considerazione. 

Roma  16  del  1838. 

Servi  tor  vero 
G'  Cardinal  Giustiniani 


34 


Esperimenti  da  praticarsi  negli  animali  domestici 

con  diversi  materiali  tolti  dagli  ammorbati 

di  cholèra  indiano. 


\^e  i  più  assennati  cultori  d'Italia  nell'arte  sa- 
lutare proclamarono  contagioso  il  cholera  delle  In- 
die comparso  appena  fuori  del  suolo  natale  ,  il 
nostro  eh.  compilatore  prof.  Agostino  Cappello  sino 
dal  1831  mostrava  eziandio  in  queste  carte,  che 
sarebbesi  quel  morbo  universalmente  diffuso  e  fatto 
indigeno  non  meno  per  la  ignoranza  che  per  la 
umana  malizia.  Questo  gravissimo  giudicio  nel  suo 
libro  sul  cholera  di  Parigi  del  1832  fu  chiarito 
con  tali  prove  e  sì  profonde  dottrine  ,  che  sonosi 
sventuratamente  appuntino  avverate.  A  buon  di- 
ritto perciò  fu  quel  lavoro  dagli  stessi  dotti  d'ol- 
tremonte  proclamato  superiore  a  quanti  eransi  fino 
allora  pubblicati.  Quindi  la  storia  severa  farà  pa- 
lese il  penetrantissimo  avvedimento  del  sommo  re- 
gnante pontefice  Gregorio  XVI  per  averlo  beni- 
gnamente destinato  consigliere  nel  supremo  dica- 
stero di  sanità.  Pel  quale  incarico  il  collega  no- 
stro non  ha  mai  smentito  l'acquistata  celebrità, 
ma  duratura  anzi  e  perenne  sarà  l'onorevole  sua 
fama.  Che  se  a  noi  tutte,  al  pubblico  solamente  in 
parte  sono  note  le  savie  sue  operazioni  ,  memo- 
rande saranno  sempre  per  Roma  le  sagacissime  e 
replicate  sue  previsioni  intorno  1'  esotico  flagel- 
lo. Laonde  con  ansietà  attende  il  pubblico  il  no- 
vello suo  lavoro  annunziato  in  diversi  medici  gior- 


Esperimenti  pel  Cholera  35 

nali  col  tilolo  Argomenti  dimostrativi  per  la  estir- 
pazione del  cholera  indiano  dappresso  V  isterico 
suo    andamento  negli  stati  romani. 

Che  se  noi  come  direttore  di  questo  giornale 
abbiamo  avuto  in  animo  di  tessere  un  nuovo  elogio 
all'ottimo  collega  nostro,  ce  ne  correva  anche  de- 
bito :  dacché  per  sovrana  benignità  concedutoci 
la  direzione  di  qualche  pubblico  stabilimento,  e 
il  far  parte  della  commissione  straordinaria  della 
pubblica  incolumità  di  Roma  ,  ci  siamo  nell'  in- 
fortunio giovati  non  poco  de'suoi  consigli  nelle  no- 
stre speciali  incumbenze.  Savissima  era  stata  quin- 
di la  risoluzione  della  commissione  straordinaria 
d'incolumità,  creata  dall'adorato  pontefice  ,  quan- 
do Ancona  era  flagellata  dal  morbo,  di  aggregare  il 
Cappello  al  suo  medico  consiglio  tostochè  egli  fu 
reduce  dalla  sua  gloriosa  missione  da  quella  cit- 
tà (1).  Ma  nel  rinunciarvi  per  superiore  coman- 
do ,  per  trovarsi  egli  membro  del  suddetto  dica- 
stero supremo  di  sanità,  protestavasi  in  una  pie- 
na adunanza  della  commissione  appo  l'eminentissi- 
mo  presidente  e  gli  eccelsi  personaggi  che  la  com- 
ponevano, che  nel  giorno  del  pericolo,  che  Dio  te- 
nesse lontano,  sarebbesi  a  tutt'uomo  prestato.  Il  per- 
chè la  commissione  straordinaria  richiamavalo  nel 


(i)  Quando  gli  ufficiali  documenti  del  cholera  di  Ancona  sa- 
ranno messi  alla  luce,  vedrassi  luminosamente  il  compiuto  trion- 
fo dell'italiana  sapienza.  Immortale  ne  rimarrà  la  gloria  al  no- 
stro governo  con  molto  onore  del  sig.  Cappello  colà  generosa- 
mente accorso,  e  per  sovitano  comando  destinatovi  a  sorvegliare 
il  medico  servigio  e  a  dirigere  le  sanitarie  misure,  che  furono  da 
esso  alacremente  e  con  fermezza  sostenute  (siccome  ha  praticato 
sempre)  anche  in  quei  di,  nei  quali  o  guardava  il  letto  o  stava 
coavalescente  pel  grave  cholera  da  cui  era  stato  ivi  colpito. 

Il  Diuttorg 


36  Scienze 

(lì  31  di  agosto  per  sorvegliare  specialmente  i  medici 
e  le  fiirmacie  destinate  alle  case  di  soccorso  di  vari 
noni-  ed  egli  mentre  che  notte  e  dì  era  chiamato 
ed  accorreva  indefessamente  alla  cura  degli  ammor- 
bati di  cholera,  corrispondeva  all'invito  con  somma 
diligenza  e  con  non  cornane  accorgimento  (1).  Ne  fu 
ciò  bastevole  pel  Cappello;  ma  pel  suo  vero  deside- 
rio pei  progressi  della  scienza  medica,  poiché  ve- 
duti avea  delusi  per  altrui  nequizia  e  presunzio- 
ne gli  sforzi  generosi  del  governo,  e  l'instancabile 
suo  zelo,  offriva  egli  alla  commissione  sotto  l'ano- 
nimo cinquanta  zecchini  d'oro  affine  di  conseguire 
gli  sperimenti  accennati  nel  seguente  progetto,  che 
noi  qui,  stante  il  ritardo  deli'  opera  dai  suddetti 
giornali  annunciata,  estimiamo  pregevole  di  pub-r 
blicare  con  ischiarimenti  aggiunti  in  nota  dali'au^ 
tore.  Dobbiamo  inoltre  rendergli  lode,  come  testi- 
moni di  fatto,  del  dolore  provato  per  vedersi  man- 
dati a  vuoto  i  saggi  suoi  divìsamenti.  La  qual  cosa 
avvenne,  perchè  nel  discutersi  i  fondi  e  il  luogo 
per  eseguirsi  il  progetto,  il  morbo  fortunatamente 
andava  in  totale  decadimento,  che  i  moltiplici  ten- 
tativi dall'illustre  autore  proposti  non  sarebbonsi 
potuti  conseguire. 

Pietro  principe  Odescalchi  direttore 


(i)  Contemporaneamente  umiliava  all'Emo  Gamberini,  se- 
gretario per  gli  affari  di  stalo  interni,  un  suo  rapporto  che  l'Emo 
passava  al  supremo  dicastero  di  sanità  con  tantp  sapere  ed 
istraordinario  zelo  da  questo  eccelso  porporato  presieduto,  nel 
quale  dichiarava  aver  egli  stimalo  di  accettare  l'incarico  della 
commissione  straordinaria  di  pubblica  incolumità  non  tanto  per 
lo  scopo  di  sorvegliare  i  medici  e  le  farmacie  delle  case  di  soc- 
corso, che  ogni  accorto  medico  avrebbe  dovuto  e  potuto  rnggiu- 
guere  ,  quanto  per  gli  sperimenti  in  discorso  e  per  aver  voce 
nella  generale  disinfettazioue  di  Roma. 

Ili  DlBETTORE 


Esperimenti  pel  Gholera  3t 

Emi  e  Rnii  Principi 

Agostino  Cappello  consigliere  di  sanità  umilia 
all' EE.  W.  Rme  gli  annessi  fogli,  supplicandole 
divotamcnte  di  averli  in  considerazione;  onde  prov- 
vedere colla  maggiore  possibile  sollecitudine  a 
quanto  viene  in  essi  esposta,  avendo  gik  l'anonimo 
depositato  in  mano  del  supplicante  la  somma  di 
50  zecchini  destinata  all'operatore.  Che  della  gra- 
zia ce. 

Agli  Emi  e  Rmi  Principi  componenti  la  com- 
missione straordinaria  dell'incolumitU  di  lloma. 
Roma  5  settembre  1837 

La  commissione  straordinaria  di  pubblica  in- 
columità di  Roma,  per  secondare  lo  zelo  di  iin  ano- 
nimo, invita  un  medico  o  un  chirurgo,  che  ripu- 
terà essa  idoneo,  a  praticare  colle  debite  cautele 
sanitarie  i  cjui  sotto  notati  esperimenti  con  le  se- 
guenti condizioni: 

1°  La  commissione  provvederli  non  meno  ai 
locali  ed  inservienti,  che  ai  diversi  animali  dome- 
stici richiesti  all'uopo. 

2.^  Le  sperienzc  saranno  colla  massima  dili- 
genza praticate  sotto  la  direzione  e  la  presenza  di 
Agostino  Cappello  consigliere  di  sanità,  che  ne  com- 
pilerà la  opportuna  relazione. 

3.°  Il  medico  o  chirurgo  operatore,  oltre  la 
pubblica  lode  ,  qualunque  ne  sia  il  risultamento  , 
conseguirà  un  pi'cmio  di  50  zecchini  d'oro  offerto 
dallo  stesso  anonimo,  allorché  avrà  adempito  a  ciò 
che  segue. 

4."  Almeno  per  tre  volte  dovranno  ripetersi  i 


38  Scienze 

singoli  esperimenti,  il  primo  de'qualì  sarà  col  san- 
gue de'cholèrici  innestato  nei  conigli,  non  solo  co- 
me fu  praticato  all'ospedale  della  Carità  di  Parigi 
dal  chiar.  Rayer,  ma  eziandio  dal  chiar.  Namias  in 
Venezia  (1). 

5.°  Qualora  veggansi  i  risultati  a  seconda  de* 
pensamenti  del  medico  italiano,  il  sangue  de'coni- 
gli  ammorbati  di  cholera  sarà  inoculato  a  galline, 
polli  d'India,  piccioni,  cavalli,  vacca  nostrale,  gio- 
venca svizzera,  capre,  pecore,  cani  e  gatti  etc.  (2). 

6.°  Sarà  cura  dell'operatore  di  porre  alla  Loc- 
ca di  un  cholerico  gravissimamente  algido  e  mori- 


fi)  Noi  conosciamo  i  lavori  del  Namias  solamente  per  gli 
estratti  di  alcuni  medici  giornali:  né  dubitiamo  che  questo  va- 
lente medico  non  abbia  calcolati  gli  esperimenti  eseguiti  talora 
sotto  i  nostri  occhi  dall'  illustre  Bayer  (Stor.  medica  del  chole- 
ra indiano  osservato  a  Parigi,  Roma  i833  pag.  269  e  »eg.  ).  Se 
nonché  dicesi  che  il  Namias  non  vide  la  morte  ne'  conigli ,  se 
non  col  sangue  de'cholèrici  (Bibl.  italiana  num.  242  pag.  168); 
mentre  in  Parigi  anche  il  sangue  di  uomo  vivente,  e  non  chole- 
rico innestato  ne'conigli  produsse  la  morte  presso  a  poco  cogli 
stessi  fenomeni  ed  identici  risultamenti  necroscopici  ;  senza  che 
indizio  di  cholera  siasi  mai  colà  manifestato  nei  conigli  inoculati 
col  sangue  colerico.  Perlochè  in  un  suo  opuscolo  il  eh.  Marco- 
Uni,  mettendo  in  avanti  l'autorità  nostra,  poneva  in  dubbio  i  ri- 
sultati a  seconda  dell'  opinione  del  veneto  professore.  Questi 
d'altronde  aveva  sapientemente  conchiusa  la  necessità  di  atten- 
dere a  questo  genere  d'investigazioni,  d'onde  trar  si  possono  o 
tosto  o  tardi  utili  corollari.  (  Bollettino  delle  scienze  mediche 
di  Bologna,  agosto  e  settembre  i836  pag.  ioo-4).  Più  a  lungo  noi 
torneremo  sopra  quest'argomento  nel  nostro  lavoro  annunziato 
dal  suddetto  bollettino  (ottobre  iSSy,  e  dal  Filiatre  di  Napoli, 
ottobre  id  ). 

(2)  Estimiamo  superQuo  di  ripetere,  che  se  di  rado,  tutta 
via  in  più  luoghi,  inclusive  qualche  volta  in  Italia,  sieno  stati 
attaccati,  malgrado  della  diversa  organizzazione,  dal  cholera  in- 
diano gli  animali  domestici. 


Esperimenti  pel  Cholera  39 

bondo  un  vetro  per  raccorvi  l'espirato  vapore,  on- 
de immediatamente  inocularlo  presso  il  letto  dell' 
infermo  in  alcuni  de'suddetti  animali,  non  escluse 
le  capre,  pecore,  cani  e  gatti  (1). 

7."  Si  raccoglierà  una  quantità  del  così  detto 
fluido  cholerico  da  individuo  appena  morto,  e  tra- 
passato dopo  10  ore  almeno  di  stadio  algido,  spre- 
mendo appositamente  detto  fluido  dalle  pustole  che 
trovansi  nel  canale  enterico  per  inocularlo  ne'sud- 
detti  animali  (2). 

8.*^  Praticherassi  altrettanto  col  fluido  bianchic- 
cio ,  che  trovasi  talvolta  nella  vescica  orinaria  ne' 
morti  pel  cholèra  algido. 

9.°  Il  medesimo  sarà  subitamente  praticato  co' 
fluidi  cholèrici  emessi  in  detto  stadio  per  vomito 
e  per  alvo,  vivente  l'ammorbato. 

IO.**  Passato  il  cholera  nello  stadio  di  reazio- 
ne, si  prenderanno  sul  corpo  vivo  le  diverse  ma- 


fi)  Questo  uostro  divisamento  non  fu  mai  da  alcuno  proposto: 
e  ci  pare  non  doversi  omettere  resperimento,  stantechè  il  cho- 
lera il  più  rapido  e  mortale  spiegasi  sovente  con  gravissima  in- 
normalità dell'organo  respiratore.  Nel  suddetto  lavoro  sul  cho- 
lera di  Parigi  (pag.  271)  fu  per  noi  anche  detto  il  tentativo  d'in- 
trodurre sotto  la  pelle  degli  animali  le  gazose  sostanze  intesti- 
nali. A  Mosca  senza  alcun  risultato  fu  innestata  nei  cani  una  so- 
stanza mucilaginosa  e  putrescibilissima,  ottenuta  dal  condensa- 
mento de'vapori  nelle  sale  de'cholerosi  [Jaenichen,  Moscou  i83i). 
Ma  prescindendo  che  di  raro  videsi  la  disposizione  degli  animali 
domestici  a  risentire  l'azione  del  contagio  in  discorso,  poteva 
pure  la  detta  sostanza,  henchè  raccolta  in  una  cholcrica  sala  , 
essere  snaturata  dall'aria  atmosferica,  o  da  altre  sostanze  disin- 
fettanti che  probabilmente  usaronsi  nelle  sale  de'cholerici. 

(2)  Questo  tentativo  fu  del  pari  ricordato  nella  stessa  istoria 
medica  sul  cholera  di  Parigi. 


Ad  Sciente 

terie  eruttive  raccolte  in  più  tempi  per  innestarle 

immediatamente  come  sopra  (1). 

11.°  Le  inoculazioni  saranno  non  solo  fatte  sot^ 
to  l'epidermicle,  ma  taluna  eziandio  nelle  labbra  e 
nelle  mammelle. 

12.°  Se  in  alcuno  de'suddetti  animali  pei  pra- 
ticati tentativi  si  svolgesse  l'indiano  cholèra,  do- 
vrassi  subito  cogli  stessi  materiali  nel  medesimo  rac- 
colti ripetersi  l'inoculazione  nelle  altre  specie  (2). 

13.°  Non  meno  di  un  mese  sarà  il  tempo  per 
compiersi  le  accennate  esperienze,  onde  fare  le  più 
possibili  accurate  osservazioni  (3). 

14.°  Perchè  le  cause  esteriori  concorrino  a  fa- 
cilitare la  riproduzione,  e  se  fosse  possibile  la  mo- 
difìcazione  del  morbo  (4),  sarà  cura  di  un  veteri- 
nario istruito  di  sorvegliare  al  nutrimento  piutto- 
sto nocevole,  capace  cioè  di  svolgere  molt'aria,  e  di 
riscaldare  il  canale  digestivo  degli  animali  in  di- 
scorso ;  racchiudendoli  inoltre  in  luoghi  umidi  e 
poco  ventilati. 


(i)  Ciò  che  dicesi  in  questi  tre  articoli  (8,  9,  e  io)  non  ci 
sembra  essere  stato  da  alcuno  divisato:  bensì  le  materie  eruttive 
furono  per  noi  stessi  proposte  nella  citata  opera  (Stor.  medica 
del  chol.  indiano  pag.  ini). 

(2)  Nei  soli  cani  fu  qualche  volta  innestato  il  sangue  de' 
morti  conigli  dal  lodato  Namias. 

(3)  Siccome  ognun  vede,  neppure  un  mese,  un  anno  ec.  sa- 
rebbero bastevoli  al  proposito  nostro.  Se  non  che  nel  cholerico 
dominio,  e  dappresso  ciò  che  dicesi  nell  art.  \^,  con  qualche 
probabilità  potrcbliesi  ottenere  alcun  soddisfacente  risultato. 

(4)  Questo  si  sarchile  il  più  desiderabile  voto.  Il  che  fu  per 
noi,  dietro  l'istotico  andamento  del  vajuolo  vaccino,  ragionato 
nel  i835  in  un  esame  critico  diretto  al  chiar.  Moreau  de  Jonués 
(pag.  52-3  nota,  e  Gior.  arcadico  toni.  LXIV). 


Esperimenti  pel  Cholera  41 

15.^  DI  giorno  in  giorno,  in  cui  saranno  ad  ore 
stabilite  praticate  le  operazioni  accennate,  il  vete- 
rinario visiterà  più  volte  nella  giornata  (non  esclu- 
sa qualche  notturna  visita)  i  detti  animali  per  ve- 
dere e  notare  qualunque  piccola  innormalita.  Cbe 
se  per  caso  se  ne  mostrasse  taluna  di  sospetto  cho- 
lèra,  dovrà  tosto  avvertirsi  il  direttore. 

16.°  Finalmente  se  durante  gli  esperimenti  si 
dessero  tali  circostanze  ,  che  richiedessero  a  talen- 
to del  direttore  alcun  novello  tentativo,  tanto  per 
la  parte  igienica  quanto  per  la  curativa,  non  con- 
templato in  questi  articoli  ,  le  persone  incaricate 
all'oggetto  dovranno  prestarsi  per  ciò  che  concerne 
l'opera  loro  (1). 

A.  Cappello  cons.  di  sanità' 


(i)  Malgrado  di  ciò  che  verrà  per  noi  all'evidenza  dimostra- 
to Dell'annunciato  lavoro  per  l'estirpazione  del  cholera  indiano, 
difficilmente  per  la  umana  malvagità  raggiugnerassi  a'  nostri  di 
l'importaulissimo  scopo.  Vede  quindi  ognuno  l'interesse,  anzi  il 
necessario  bisogno  di  mettere  a  prova  replicate  volte  in  più 
tempi,  e  in  regioni  diverse,  gli  esposti  tentativi  diretti  da'medici 
espertissimi  e  filantropi,  sotto  i  quali  molte  circostanze  possono 
insorgere  per  litrarne  al  fiue  alcuij  salutevole  risultamento. 

G.  A.  T.  LXXIV.  4 


A2 


Descrizione  ed  uso  della  macchina  ad  asse  rotante^ 

mobile^  del  sig.  Vincenzo  Raffaelli 

musaioista  romano. 


y\  mezzo  precipuo  di  che  valgonsl  gli  artisti,  so- 
prattutto gl'incisori,  per  incavare  o  rilevare  sulle 
sostanze  dure  qual  tu  voglia  forma,  è  il  moto  ro- 
tatorio, Essi  adattano  in  tante  guise  e  siffattamente 
la  superficie  da  incidere  contro  un  bottone,  o  così 
detto  fongo,  che  questo  ,  intriso  precedentemente 
nelle  polveri  di  smeriglio,  carindone,  o  diamante 
stemperate  in  olio,  con  la  rapida  sua  rotazione  scol- 
pisce nella  superficie  stessa  quelle  forme  volute 
dall'  artista  ,  e  che  1'  abile  mano  vi  sa  ritrovare. 
Ma  questa  comune  applicazione  del  moto  rotatorio 
alle  arti  belle,  suppone  che  le  superficie  da  lavo- 
rare sieno  di  facile  maneggio;  esclude  perciò  tutte 
quelle  che  non  possono  per  la  grandezza  delle  di- 
mensioni, e  pel  soverchio  peso  loro  trasportarsi  co- 
modamente con  la  mano;  quindi  sono  di  lor  natu- 
i*a  impossibili  mediante  questo  processo  le  incisio- 
ni di  grandi  cammei,  e  di  lavori  tutti  d'intaglio  so- 
pra sostanze  durissime  di  considerevoli  dimensioni. 
Per  applicare,  il  moto  rotatorio  a  siffatti  lavori 


Macchina  ad  asse  rotante  ec.  A3 

faceva  d'uopo  trovare  un  metodo,  che  fosse  dirit- 
tamente l'inverso  del  precedente;  si  volea  cioè  por- 
tare non  già  la  sostanza  da  incidere  contro  il  di- 
sco rotante,  ma  bensì  questo  contro  la  sostanza,  ed 
in  tutte  le  direzioni,  senza  die  avesse  perciò  a  ri- 
stare il  molo  stesso.  Bisognava  pertanto  costruire 
un  sistema  che  potesse  fornire  un  asse  capace  ad  un 
tempo  di  due  moti,  Tuno  progressivo,  rotatorio  l'al- 
tro, sotto  qualunque  direzione  dell'asse  medesimo. 
Niuno  è,  penso,  che  non  riconosca  la  utilità  som- 
ma di  questo  meccanismo  ,  tanto  per  le  incisioni 
de'cammei  e  per  le  opere  di  scultura  ,  quanto  pei 
lavori  di  musaico  in  pietre  dure,  come  sono  quelli 
che  si  eseguiscono  in  Firenze;  e  niuno  più  del  sìg. 
Vincenzo  Raffaelli,  musaicista  romano  valentissimo 
non  solamente  per  lavorare  pietre  dure  ,  ma  per 
ogni  maniera  di  opere  foggiate  a  guisa  di  monu- 
menti antichi,  sentì  questa  utilità.  Egli  difatto  sep- 
pe inventare  tal  meccanismo  per  valersene  in  ese- 
guire i  grandi  lavori  di  sua  professione,  ove  delle 
sostanze  durissime  debbono  fra  loro  connettersi  per 
linee  curve,  e  con  precisione  dirò  quasi  geometri- 
ca. Con  questo  mezzo  meccanico  ha  lavorato  egli, 
non  è  molto,  un  grande  musaico  in  tondo  con  pie- 
tre tutte  durissime  della  Siberia,  foggiate  a  squam- 
me;  ordinazione  del  sig.  conte  Gourieff,  ora  mini- 
stro di  Russia  presso  la  corte  di  Napoli. 

Questo  meccanismo  è  della  piìi  grande  sem- 
plicità. Si  compone  di  un  cilindro  verticale,  che 
si  fa  ravvolgere  attorno  se  stesso  mediante  un  ro- 
toue,  o  qual  altro  agente  si  voglia,  tale  da  comu- 
nicare il  movimento  di  rotazione.  All'estremità  in- 
feriore di  questo  cilindro  viene  applicato  un  asse 
mediante  un  bilico  a  squadro,  come  quello  del  pie- 


44  Scienze 

de  dei  barometri  portatili.  Egli  è  facile  vedere  che 
imprimendo  il  moto  rotatorio  al  cilindro  verticale, 
dovrà  l'asse  mobile  parteciparne  mediante  il  bili- 
co, nel  quale  sono  1  chie  assi  congiunti;  ne  cesserà 
il  movimento  facendo  passare  l'asse  mobile  da  una 
in  altra  direzione.  Avvertendo  che  i  diametri  del 
bilico  si  taglino  a  meta  ,  ed  ivi  abbia  principio 
anche  l'asse  mobile:  questo  non  potrà  oscillare  di 
sorta,  e  nel  modo  traslatorio  che  gli  verrà  impres- 
so descriverà  costantemente  superficie  coniche.  Per 
agevolare  l'uso  dell'asse  mobile  si  è  fatto  in  guisa 
che  possa  questo  accorciarsi  ed  allungarsi  ad  arbi- 
trio, venendo  composto  di  due  pezzi,  uno  dei  quali 
scorre  dentro  l'altro  secondo  il  bisogno.  L'artista 
per  usare  di  questa  macchina  tiene  un  manubrio, 
pel  quale  a  bell'agio  viene  dirigendo  l'asse  mobile, 
applicando  così  al  luogo  del  lavoro  la  sua  estremi- 
tà inferiore  acconciamente  guernita  di  un  bottone. 
Alcuni  movimenti  di  traslazione  semplicissimi  nei 
pezzi  sostenitori,  ed  al  bisogno  la  situazione  diver- 
sa del  cilindro  verticale,  possono  servire  pel  piìi 
spedito  uso  della  macchina  qui  accennata. 

L'applicazione  pili  importante  di  questo  siste- 
ma è  appunto  quella  che  riguarda  il  lavorio  delle 
pietre  dure,  Il  RafFaelli,  nel  servirsene  a  tale  ogget- 
to, ha  guernito  l'estremità  inferiore  dell'asse  mo- 
bile di  un  bottone,  che  agisce  nel  modo  già  indi- 
cato mediante  il  frapposto  smeriglio:  e  così  ricava 
nelle  medesime  le  casse  di  quella  forma  che  più 
gli  piace,  per  commettervi  poi  gli  altri  pezzi  a  per- 
fetto contatto. 

Serve  indispensabilmente  questa  macchina  in 
tutti  quei  casi,  nei  c|uali  la  pietra  dura,  o  il  siste- 
ma composto  di  esse,  ha  tali  dimensioni  da  non  pò- 


Macchina  ad  asse  rotante  ec.  45 

tersi  presentare  alla  ruota  ordinaria  ne'suoi  diversi 
punti;  giacche  con  questo  meccanismo  la  ruota  o  il 
bottone  si  potrà  condurre  sopra  le  diverse  parti 
della  pietra»  la  quale  per  una  sua  faccia  già  essen- 
do aderente  ad  un  piano,  ed  ivi  connessa  pel  suo 
contorno  con  altre,  potrà  con  tanta  facilita,  spedi- 
tezza, e  precisione  lavorarsi,  quanta  mai  non  se  n'eb- 
be coi  metodi  fin  ora  conosciuti  per  questi  lavori; 
e  tale  potrà  essere  la  sottigliezza  dei  filetti  ottenuti 
con  tal  nuovo  mezzo  dalle  pietre  stesse,  da  maravi- 
gliarne qualunque. 

Nei  diversi  usi  di  questa  macchina  se  invece 
del  bottone  si  adoperasse  la  cosi  detta  ruota  da 
tagliare,  allora  questa  segherà  verticalmente,  oriz- 
zontalmente, obliquamente,  ed  in  qualunque  modo 
piacerà.  Adattandovi  poscia  il  trapano  terebra  di 
Plinio,  vi  si  faranno  fori  come  si  vogliono,  a  qua- 
lunque distanza,  ed  in  qualsiasi  direzione:  senzachè 
mediante  un  secondo  bilico  potrà  ottenersi  un  se- 
condo asse,  che  diretto  con  la  mano  in  quella  stes- 
sa guisa  che  si  dirige  la  punta  di  un  bulino  ,  a 
maraviglia  eseguirà  quei  lavori  che  maggior  deli- 
catezza e  precisione  degli  altri  esigono.  Perciò  a 
gran  ragione  il  Raffaelli  asserisce,  potersi  di  leg- 
gieri col  mezzo  della  sua  macchina  lavorar  pietre 
dure  ed  intagliar  cammei  di  straordinaria  grandezza, 
e  che  per  un  simigliante  meccanismo  probabilmen- 
te saranno  stati  eseguiti  gì'  intagli  e  incavi  degli 
obelischi  egiziani,  dei  sarcofaghi,  e  di  altri  monu- 
menti dell'antichità  piìi  remota,  nei  quali  scorgia- 
mo tale  precisione  di  contorni,  e  tale  acutezza  di 
spigoli  e  di  angoli  ,  che  non  saprebbe  conciliarsi 
coi  mezzi  ordinari  della  scultura,  tanto  per  la  gran 
mole  dei  monumenti  stessi,  quanto  per  la  eteroge- 


46  Sciente 

neita  delle  sue  parti,  per  lo  più  essendo  quei  mo- 
numenti formati  di  granito. 

L'  uso  del  bilico  a  squadra,  per  fare  che  un 
asse  continui  sempre  la  sua  rotazione  comunque 
venga  diretto  ,  non  è  nuovo  in  meccanica.  Infatti 
con  questo  mezzo  si  eseguiscono  i  trasporti  dei  mo- 
ti rotatori  da  uno  in  altro  luogo,  ed  i  chirurgi  val- 
gonsi  di  esso  a  molto  vantaggio,  per  segare  le  ossa 
in  quelle  regioni  del  corpo  umano,  che  non  per- 
mettono l'uso  della  sega  comune.  Ma  ciò  non  dimi- 
nuisce punto  all'ottimo  artista  RafFaelli  la  lode  che 
merita  per  la  invenzione  della  macchina  qui  per 
cenni  descritta.  Infatti  lasciando  dalTun  dei  lati,  che 
ignorava  esso  del  tutto  l'uso  del  bilico  medesimo 
pel  trasporto  dei  moti  rotatori,  sempre  vero  è  che 
r  aver  egli  pel  primo  introdotto  nelle  arti  belle 
questo  mezzo  meccanico,  fecondissimo  di  applica- 
zioni, e  sopra  ogni  altro  esatto  e  preciso,  rende  il 
Rafifaelli  superiore  ad  ogni  elogio,  e  sommamente 
benemerito  dell'arte  che  tanto  lodevolmente  pro- 
fessa. 

P.   VOLPICELLI 


4.7 


Teorica  des>alori  delle  proiezioni. 


iJa 


applieazloh  dell'algebra  alla  geometria  consiste 
nel  tradurre  in  lingua  algebrica  le  quistioni  rela- 
tive alle  quantità  estese  ,  onde  piìi  facilmente  ri- 
solverle e  dimostrarle:  per  essa  le  moltiplici  pro- 
prietà geometriche  si  compendiano  in  brevi  for- 
mule, nelle  quali  poi  si  vedono  e  si  seguono  le  im- 
magini e  i  movimenti  dell'estensione.  Le  basi  di 
questa  scienza  possono  ridursi  a  tre:  alla  trigono- 
metria ;  alla  teorica  delle  proiezioni  e  delle  coor- 
dinate; ed  al  calcolo  infinitesimale.  Nella  presente 
memoria  mi  propongo  di  esporre,  un  poco  più  ge- 
neralmente e  precisamente  che  d'ordinario,  i  prin- 
cipii  de'valori  delle  proiezioni  ,  ed  i  mezzi  di  ri- 
durre la  proiezione  delle  aree  a  quella  delle  ret- 
te: dichiaro  come,  date  più  rette,  si  determina  la 
retta  che  proiettata  sopra  un  asse  mutabile  a  pia- 
cimento, è  sempre  uguale  alla  somma  delle  pro- 
iezioni omologhe  delle  prime,  retta  che  con  nome 
desunto  dalla  meccanica,  dico  risultante^  chiaman- 
do le  altre  componenti'^  e  dimostro  che  una  retta 
moltiplicata  per  la  proiezione  che  riceve  da  un'al- 
tra retta,  è  uguale  alla  somma  delle  componenti 
dell'una,  moltiplicate  rispettivamente  per  la  pro- 
iezione che  ricevon  dall'altx'a.  Da  questo  teorema, 
il  quale  nella  teorica  delle  forze  divenendo  il  prin- 
cipio delle  velocità  virtuali  tutta  in   se  racchiude 


A8  Scienze 

la  meccanica,  si  deriva  un  nuovo  metodo  somma* 
inente  semplice  ,  elegante  e  spedito  di  trattare  la 
geometria  a  due  e  a  tre  coordinate,  finita  ed  infi- 
nitesimale ,  del  quale  darò  un  saggio  ne' fascicoli 
susseguenti  di  questo  giornale. 

Definizioni  -  proiezione  di  un  punto,  di  una  linea 

e  di  Una  superficie-,  asse  e  piano  dirigente: 

conseguenze  :  distanze  relative 

e  simboli  delle  proiezioni. 

(*)  1 3.  Un  punto  proiettato  parallelamente  a 
un  piano  dato  sopra  una  linea,  è  l'intersezione  che 
quivi  produce  il  piano  condotto  dal  punto  paral- 
lelamente al  dato. 

Un  punto  proiettato  parallelamente  ad  un  as- 
se sopra  una  superficie,  è  quivi  il  piede  della  ret- 
ta condotta  dal  punto  parallelamente  alTasse  dato. 

Un  punto  proiettato  ,  si  dice  proiezione  del 
punto.  La  proiezione  di  ini  punto  e  ortogonale  od 
obliqua,  secondochè  la  retta  che  lo  proietta,  è  per- 
pendicolare od  obliqua  all'estensione  sopra  cui  lo 
proietta. 

a  )  La  proiezione  di  una  linea  o  di  una  su^ 
perfide,  è  il  luogo  geometrico  delle  proiezioni  de' 
suoi  puntii 

è  )  La  retta  che  Unisce  il  punto  colla  sua  pro- 
iezione, si  dice  retta  proiettante.  Similmente,  il  pia- 
no che  proietta  un  punto  sopra  una  linea,  si  chia- 
ma piano    proiettante.  È  palese  che  i  punti  com- 


(*)  I  numeri  de'§§.  fanno  seguito  a  quelli  dell'articolo  sulle 
quantità  proporzionali. 


Valori  delle  proiezioni  A9 

presi  In  una  stessa  retta  o  in  uno  stesso  piano  pro- 
iettante ,  hanno  tutti  la  medesima  proiezione.  Il 
luogo  geometrico  delle  rette,  che  proiettano  una  li- 
nea sopra  una  superficie,  si  chiama  superficie  ci- 
lindrica proiettante:  cjuindi  tutte  le  linee  che  alj- 
Lracciano  la  medesima  superficie  proiettante,  han- 
no evidentemente   la  stessa  proiezione. 

e  )  Il  piano  o  l'asse  parallelamente  a  cui  si 
proietta,  dirigendo  tutte  le  rette  proiettanti,  si  di- 
rà piano  o  asse  dirigente-^  l'inclinazione  del  piano 
o  asse  dirigente  alla  linea  o  superficie  che  riceve 
le  proiezioni,  obliquità  di  proiezione  ;  e  le  proie- 
zioni si  diranno  di  eguale  obliquità^  se  le  linee  o 
superficie  che  le  ricevono,  inclinino  egualmente  ai 
rispettivi  piani  o  assi  dirigenti;  ed  omologhe^  se  sia- 
no fatte  sopra  un  medesimo  asse  o  piano,  parallela- 
mente allo  stesso  piano  o  asse  dirigente.  Allorché  si 
nominano  le  proiezioni,  prescindendo  da  ogni  asse 
e  piano  dirigente,  s'intendono  le  ortogonali. 

Dato  il  piano  dirigente^  la  proiezione  di  una 
linea  sopra  un  asse,  è  in  questo  il  segmento  com- 
preso fra  i  piani  proiettanti  gli  csti'emi  della  li- 
nea ;  essendoché  in  tale  segmento  cadono  tutte  le 
proiezioni  de'punti  intermcdii  della  medesima.  Quin- 
di 1.°  la  pi^oiezione  sopra  un  asse  di  più  linee  in- 
tercette  fra  due  piani  proiettanti  j  è  la  medesima 
per  tutte;  2.°  le  proiezioni  di  una  medesima  linea 
sovr'  assi  paralleli  ,  sono  eguali  in  tutti  ,  siccome 
rette  parallele  comprese  tra  piani  paralleli;  3."  per 
proiettare  un  punto  od  una  linea  sopra  un  asse,  si 
può  proiettare  dapprima  sopra  una  superficie  od 
una  linea,  ed  in  seguito  proiettarne  la  proiezione 
sull'asse. 

d)  La  distanza  di  due  punti  proiettata  sopra 


50  S    e    I    E    N    35    È 

una  retta,  dicesi  anche  distanza  de' due  punti  siU 
mata  nel  senso  della  retta.  La  distanza  di  un  pun- 
to da  una  superficie,  stimata  nel  senso  di  un  asse^ 
e  la  retta  condotta  dal  punto  alla  superficie  parai* 
lelainente  all'asse»  La  distanza  di  un  punto  da  una 
linea,  stimata  nel  senso  di  un  piano ^  è  la  retta  con- 
dotta dal  punto  alla  linea  parallelamente  al  piano, 
e)  Affine  di  meglio  parlare  alla  immaginazio- 
ne e  di  conseguire  simmetria  ne'risultati,  nella  pre- 
sente teoria  io  designerò  i  piani  dirigenti  e  i  piani 
che  ricevono  le  proiezioni,  con  lettere  grandi-^  e  con 
lettere  piccole,  gli  assi  dirigenti  e  gli  assi  che  ri- 
cevono le  proiezioni.  Per  indicare  che  una  linea  p 
e  proiettata  suU'  asse  *r  ,  essendo  d  il  piano  diri- 
gente, si  scriverà 

Similmente,  per  indicare  che  un'estensione  a  e  prò* 
iettata  sul  piano  x  ,  essendo  d  l'asse  dirigente,  si 
scriverà 

d 

In  una  parola,  nell*estensione  da  proiettarsi  collo* 
cheremo  in  alto  e  alla  sinistra  il  piano  o  asse  di- 
rigente, e  in  basso  e  alla  destra  l'asse  o  piano  che 
riceve  la  proiezione.  Nel  caso  delle  proiezioni  or- 
togonali si  ometterà  di  segnare  il  piano  o  asse  di- 
rigente: così  il  simbolo  ax  ,  indicherà  la  proiezio- 
ne della  linea  a  sull'asse  x.  È  evidente  che  une' 
stensione  è  uguale  alla  sua  proiezione  sopra  se  me- 
desmaz  cosi  aa  ~  a. 

L'angolo  formato  da  due  estensioni  /?  ed  *r  , 
s'indicherà  oosi 

'px  t 


Valori  delle  proiezioni  bi 

cioè  si  porrà  un  punto  in   alto  e  alla  sinistra  di- 
nanzi alle   lettere   rappresentanti  le  due  estensioni. 

Nota  1.  Immaginiamo  una  linea  che  varii  di 
grandezza:  se  co^ gradi  positivi  essa  progredisce  in 
un  senso,  co'gradi  negativi  retrocederà  in  senso  con- 
trario. Dunque  una  linea,  se  generata  da  un  pun- 
to moventesi  in  un  senso  ,  si  riguarda  come  po- 
sitiva-^ generata  da  un  punto  moventesi  in  senso 
contrario,  dovrà  riguardarsi  come  negativa-^  e  il  se- 
gno (  "^  )  indicherà  il  senso  del  moto  generatore. 
Le  lettere  impiegate  a  designare  una  linea  varia- 
bile si  ordinano  in  modo  che  il  punto  generator 
della  linea  non  passi  per  il  luogo  indicato  da  una 
lettera  qualunque  ,  se  non  dopo  di  esser  passato 
per  il  luogo  della  lettera  che  precede.  Cosi  l'or- 
dine delle  lettere  serve  a  rappresentare  il  senso  del 
moto  generatore. 

Nota  2.  Una  retta  a  partire  da  uno  qualun- 
que de'  suoi  punti  ,  presenta  due  direzioni  oppo- 
ste (  vale  a  dire,  a  partire  da  quel  punto  si  può 
camminare  sulla  retta  in  due  sensi  contrarii  )  , 
delle  quali  se  l'una  si  prende  per  positiva,  l'altra 
e  negativa.  Quindi  per  conoscere  completamente 
una  retta,  bisogna  conoscerne  tre  cose,  la  grandez- 
za, la  direzione,  e  la  posizione. 

Proiezione  da' punti  sopra  un  asse. 

14.  Per  trovare  la  proiezione  P  (  fig.  1.  )  di 
un  punto  M  sopra  un  asse  Ox  in  un  modo  facile  ed 
uniforme,  si  fissa  Yorigine  dell'asse  in  un  punto 
qualunque  O:  ivi  l'asse  si  concepisce  diviso  in  due, 
\ uno  positivo,  e  l'altro  negativo:  se  l'asse  è  orizzon- 
tale,suole  tenersi  positivo  quello  che  corre  dalla  si- 


52  Scienze 

nistra  alla  destra  dell'origine;   e   quello  che  corre 

dal  basso  in  alto  »  se  l'asse  è  verticale  ,  od  obliquo 

all'orizzonte. 

La  parte  dell'asse  compresa  tra  l'origine  e  la 
proiezione  del  punto,  quale  OP,  si  dice  ascissa  del 
punto;  ed  è  positiva  o  negativa,  secondochè  si  con- 
ta sull'asse  positivo  o  sul  negativo,  È  palese,  che  le 
ascisse  de  punti  non  solo  fanno  conoscere  colle  lo- 
ro estremità  le  proiezioni  de' medesimi,  ma  eziandio 
le  mutue  distanze  di  tali  proiezioni. 

Se  l'ascissa  di  un  punto  (  sia  positiva,  sia  nega- 
tiva )  s'indica  per  es.  colla  lettera  x,  Tasse  su  cui  si 
conta,  si  suole  indicare  colla  stessa  lettera  posta  all' 
uopo  tra  parentesi,  come  per  es.  asse   {x). 


PROIEZIONI    DELLE    RETTE. 


Espressione  algebrica  delle  medesime  sia  per  mez' 
za  delle  linee  trigonometriche,  sia  per  mezzo  del- 
le ascisse:  proiezione  del  contorno  di  un  poligono. 

15.  Una  retta  proiettata  sopra  un  piano  paral- 
lelamente ad  un  asse,  è  un'altra  retta:  imperocché 
le  linee  proiettanti  i  diversi  punti  della  retta,  essen- 
do parallele  e  attraversate  dalla  retta,  sono  tutte 
nel  piano  determinato  dalla  retta  e  da  una  di  esse  ; 
e  d'altronde  l'intersezione  di  due  piani  è  una  retta. 

rt  )  Le  proiezioni  sopra  un  piano  di  due  rette 
parallele  (essendo  qualunque  l'asse  dirigente),  sono 
parallele:  giacche  riescono  paralleli  i  piani  proiet- 
tanti due  rette  parallele.  Dunque  la  proiezione  in 
un  piano  di  un  parallelogrammo  è  un  altro  parai- 


Valori  delle  proiezioni  53 

lelogrammo;  e  però  sono  eguali  e  parallele  le  prò- 
lezioni  di  due  rette  uguali  e   parallele. 

16.  Teorema.  La  proiezione  ortogonale  di  una 
retta  a  sopra  un  asse  x^  o  sopra  un  piano  x  ,  è 
uguale  al  prodotto  della  medesima  pel  coseno  del- 
la inclinazione  reciproca:  cioè  ax  =-a  cos'ax  , 
a^^=  a  cos'ax. 

Dimostrazione.  Immaginando  o  costruendo  l'a- 
naloga figura,  si  vedrà  che  la  proiezione  ortogo- 
nale di  una  retta  a  sopra  un  asse  o  sopra  un  pia- 
no, può  riguardarsi  come  un  cateto  di  un  trian- 
golo avente  per  ipotenusa  la  retta  data  ,  e  per 
angolo  adiacente  al  cateto,  l'inclinazione  della  ret- 
ta a  alla  sua  proiezione  ;  e  d'altronde  un  cateto 
è  uguale  al  prodotto  dell'ipotenusa  pel  coseno  del- 
l'angolo adiacente, 

a  )  Poiché 

aba  =  ab  cos'ab  =  bab  ; 

perciò  una  retta  moltiplicata  per  la  proiezione  che 
riceve  da  unaltra^  è  uguale  alla  seconda  molti- 
plicata per  la  proiezione   che  riceve  dalla  prima. 

17.  Teor.  La  proiezione  obliqua  di  una  retta 
a  sopra  un  asse  x  ,  è  uguale  al  prodotto  della 
retta  per  la  ragione  de" seni  degli  angoli  che  il 
piano   dirigente  d  fa  colla  retta  e   colV  asse;  cioè 


D               sen'Da 
ax  =  a 


sen'DX 


Dim.  Si  conduca  per  l'origine  O  (fig.  1.)  la  linea 
OM  parallela  alla  retta  data  a  e  diretta  nel  mede- 
simo senso:  MP  rappresentanti  in  profilo  il  piano 


54  Scienze 

che,  parallelamente  al  piano  dirigente  OD,  proiet- 
ta in  P  sull'asse  Ox  —  (x)  il  punto  M;  OP  rap- 
presenterà il  valore  della  proiezione  di  a,  e  sarà 
^  °«r.  Da  O  si  conduca  Op  perpendicolare  al 
piano  MP,  e  però  anche  al  dirigente  OD.  I  triangoli 
PO/?,  MOp  rettangoli  in  p,  danno 

Op  -^  0?cosFOp  =  OMcosMOpz 
ma    OP  -  -  Drtx  ,  cosVOp  =  senBOP  —  sen'ox , 
OM  =  a  ,   cosMOp  —  senDOM  =  sen-oa  : 

dunque  sostituendo 

p  .    n  se  fi' Da 

ctx  sen'DX  ^^  a  sen'oa  ,    e    pero     cix  —  a . 

sen'ùx 

-. ,  .  sen'ùa 

L  espressione  a rappresenta  esattamen- 

sen'ux 

te  il  valore  della  proiezione  dì  a  ,  offrendone  la 
grandezza  e  la  direzione.  Infatti  essendo  la  ret- 
ta a  positiva  e  sewnx  costante,  la  nominata  espres- 
sione sarà  positiva  o  negativa  insieme  cori  sen'ua. 
Ora  questo  seno  (se  l'angolo  'Da  si  conti  a  partire 
dal  piano  dirigente  OD  e  piegando  verso  l'asse  Ox 
positivo  )  sarà  positivo  o  negativo,  secondochè  l'an- 
golo 'Da  resta  dalla  parte  del  piano  dirigente  che 
guarda  l'asse  positivo  o  negativo,  e  però  secondo- 
chè è  positiva  o  negativa  la  proiezione  di  a,  come 
rilevasi  dalla  figura. 

a)  Teor.  La  proiezione   obliqua  di  una  retta  a 
sopra  un  piano  x,  è  uguale  al  prodotto    della  retta 
per  la  ragione  de' seni   degli  angoli  che  Vasse  diri' 
gente  d  fa  colla  retta  e  col  piano-,  cioè 
(I  sen'da 

-  sen'd\ 


Valori  delle  proiezioni  55 

La  dimostrazione  è  la  stessa  che  quella  del  pre- 
cedente teorema:  solo  convien  supporre  nella  fig.  1. 
che  OD  rappresenti  in  profilo  l'asse  dirigente,  Ox 
il  piano  che  riceve  le  proiezioni;  e  Op  un  piano  per- 
pendicolare all'asse  dirigente,  e  però  alla  linea  pro- 
iettante MP. 

b)  Da  questi  due  teoremi  si  ricava  che  le  rette 
parallele  sono  proporzionali  alle  loro  proiezioni 
omologhe. 

1 8.  Teor.  La  proiezione  di  una  retta  a  sopra 
un  asse  (x),  essendo  qualunque  il  piano  dirigente 
D ,  è  rappresentata  nella  grandezza,  direzione  e  po- 
sizione da 

X  — '  X  \ 
intendendo  per  x  V ascissa  del  punto  donde  la  ret- 
ta incomincia,  e  per  x  Vascissa  del  punto  ove  la 
retta  finisce. 

Dira.  La  proiezione  della  retta  a  sull'asse  (x), 
è  in  quest'asse  il  segmento  compreso  fra  i  piani  che 
proiettano  gli  estremi  di  a  parallelamente  al  pia- 
no dirigente  (§.  43).  Or  questo  segmento  quando  gia- 
ce tutto  intero  sull'asse  {x)  positivo,  ovvero  sull'as- 
se (x)  negativo,  è  manifestamente  uguale  alla  dif- 
ferenza tra  le  ascisse  x\  x  ,  relative  agli  estremi 
di  a  :  così  in  questo  caso  sussiste  il  teorema.  Che 
se  la  retta  a  cade  proiettata,  parte  sull'asse  (x)  po- 
sitivo e  parte  sul  negativo,  allora  una  delle  ascis- 
se, per  es.  quella  del  punto  donde  incomincia  a  , 
e  certo  negativa,  e  nel  supposto  esempio  potrà  far- 
si j?  -^  —  X  ,  e  si  avrà  x'  —  x  -=  x'  4-  x,  cioè  la 
proiezione  di  a  eguale  alla  somma  de' valori  posi- 
tivi delle  ascisse:  lo  che  si  accorda  perfettamente 
colla  figura.  Inoltre  l'espressione  x' — 'X  si  accor- 
da pure  colla  figura  nel  mostrarci  che  la  proiezio- 


56  Scienze 

ne  di  a  è  negativa  (  cioè  diretta  nel  senso  dell'asse 
{x)  negativo)  ogni  volta  die  l'ascissa  del  punto,  don- 
de la  retta  incomincia,  è  maggiore  dell'ascissa  del 
punto  ove  la  retta  finisce.  Dunque  in  ogni  caso  la 
proiezione  di  una  retta  sopra  un  asse^  è  uguale  al- 
la differenza  delle  ascisse  de' punti  ove  la  retta  fi- 
nisce ed  incomincia. 

19.  Teor.  La  somma  delle  proiezioni  de'' lati 
di  un  poligono  sopra  un  asse  {x)  ,  essendo  qua- 
lunque il  piano  dirigente  d,  è  nulla. 

Dim.  Il  poligono  sia  di  n  lati  a,  a\  a",  ...rt('?^V, 
i  quali  a  cominciare  da  «,  sì  succedano  per  ordi- 
ne giusta  il  corso  del  perimetro,  j?,  x\  x'  -,  ••.  ,r(""*) 
siano  le  ascisse  de'vertici  consecutivi  a  cominciare 
da  dove  comincia  il  lato  a:  si  noli  che  dopo  il  ver- 
tice   nesimo  ,    ritorna  il  primo    vertice  ,    e    però 

Ciò  posto  ,  le  proiezioni  de' lati  sull'asse  (x) 
saranno 

^a^  -=  X — X,  ^a'x  =  x"— x',  ...  ^a('^-^)f  =  x— x^""'). 

Ora  sommando  membro  a  membro  ,  e  1'  una  do- 
po l'altra  tutte  queste  uguaglianze,  la  somma  de' 
secondi  membri  si  riduce  a  zero,  e  però  si  ha 

D(a  -h  a'  -f-  a' .  .  .  H-  flf'f-»))r  =  o. 

Nota.  Per  valutare  con  precisione,  quanto  al* 
la  grandezza  e  direzione,  le  proiezioni  di  pili  ret- 
te date  sopra  un  asse  Ox  (fig.  1),  basta  condurre 
per  l'origine  il  piano  dirigente  OD,  poi  ima  linea 
parallela  ed  eguale  ad  ognuna  delle  rette  date,  e  di- 
retta nel  medesimo  senso:  le  proiezioni  delle  rette 


Valori  pelle  proiezioni  57 

COSI  condotte,  avranno  la  stessa  grandezza  e  dire- 
zione che  le  proiezioni  delle  prime  rette,  ossia  Io 
stesso  valore;  e  per  sapere  se  sono  positive  o  nega- 
tive, basterà  osservare  se  cadono  suU'  asse  positivo 
o  negativo,  ovvero  se  le  rette  date,  riportate  alVori- 
gine,  restano  dalla  parte  del  piano  dirigente  che 
guarda  l'asse  positivo  o  negativo, 

Metta  risultante  e  sue  proprietà, 

20,  La  risultante  di  piìi  rette  date  divergenti 
da  un  centro,  è  la  retta  la  cui  proiezione  sopra  un 
asse  mutabile  (  essendo  qualunque  il  piano  dirigen- 
te )  è  sempre  uguale  alla  somma  delle  proiezioni 
omologhe  di  tutte  le  rette  date,  le  quali  si  diran- 
no componenti  della  prima.  Quindi  è  palese  che  , 
trattandosi  di  proiezioni,  si  potrà  sostituire  la  ri- 
sultante alle  componenti  ,  e  viceversa.  Si  sa  dalla 
meccanica,  che  se  le  rette  componenti  rappresentas- 
sero forze,  la  retta  risultante  rappresenterebbe  la 
forza  unica  cui  equivalgon  le  prime.  E  di  qui  che 
si  sono  desunte  le  denominazioni  di  risultante  e  di 
componenti, 

a  )  Teor.  La  risultante  di  due  rette  VA  ,  VB 
(  fig.  2.  ),  è  la  diagonale  VR  del  parallelogrammo 
costruito  sulle  medesime  prese  per  lati. 

Dimostrazione,  x -,  x\  x  designino  sopra  un 
asse  {oc)  le  ascisse  de'  vertici  V  ,  A  ,  R  »  essendo 
qualunque  il  piano  dirigente.  Le  proiezioni  delU 
rette  VA  ,  AR  ,  VR  ,  saranno 

ed  x"  —  jc   proiezione  di  AR  ,  rappresenterà  pure 
G.  A.  T.  LXXIV.  5 


58  SciEWIK 

la  proiezione  di  VB  ,  essendo  AR  e  VB  rette  pa- 
rallele ,  uguali  e  dirette  nel  medesimo   senso. 

Ciò  posto,  è  manifesto  che  la  proiezione  x" — x 
della  diagonale  VR,  è  uguale  alla  somma  delle  pro- 
iezioni oc  — X,  x' — 'X  di  VA,  VB  :  dunque  la 
diagonale  VR  è  ,  per  la  definizione  ,  la  risultante 
delle  due  rette  date  VA  ,  VB. 

h  )  Teor.  La  risultante  di  tre  rette  date  VA, 
VB  ,  ve  (  fig.  2.  )  non  situate  nel  medesimo  pia^ 
no,  è  la  diagonale  VR  del  parallelepipedo  costrui- 
to sulle  medesime  prese  per  ispigoli. 

Dim.  Infatti  VR,  diagonale  del  parallelogram- 
mo costruito  sopra  VA  ,  VB  ,  è  la  risultante  di 
VA  ,  VB  ;  e  VR',  diagonale  del  parallelogrammo 
costruito  sopra  VR,  VG,  è  la  risultante  di  VR,  VC, 
e  però  di  VA  ,  VB  ,  VG.  Ora  VR'  è  pure  eviden- 
temente la  diagonale  del  parallelepipedo  costruito 
sopra  VA  ,  VB  ,  VG.  Dunque  ec. 

e  )  Problema.  Date  pia  rette  divergenti  da  un 
punto ^  trovare  la  loro  risultante. 

Soluz.  Sulle  prime  due  rette,  prese  per  lati, 
si  formi  un  parallelogrammo:  la  diagonale  sarà  la 
loro  risultante.  Su  questa  diagonale  e  sulla  terza 
retla,  prese  per  lati,  si  formi  un  nuovo  parallelo- 
grammo: la  nuova  diagonale  sarà  la  risultante  del- 
le prime  tre  rette  date.  Proseguendo  così  ,  l'ultima 
diagonale  sark  la  risultante  di  tutte  le  rette  date. 

In  cotesti  parallelogrammi  successivi,  i  lati  pa- 
ralleli alle  rette  date  formano  evidentemente  un  po- 
ligono, il  quale  è  chiuso  dall'ultima  diagonale.  Quin- 
di yoer  trovare  più  speditamente  la  risultante  di  più. 
rette  date,  si  formi  un  poligono,  i  lati  del  quale 
(  a  cominciare  dal  punto  donde  divergono  le  reta- 
te date  )  siano  successivamente  paralleli  ed  egua^ 


Valori  delle  proiezioni  59 

li  a  ciascheduna  delle  rette  date^  e  dirette  nel  me- 
desimo  senso  :  la  retta  che  chiude  il  poligono  ,  e 
la  risultante  richiesta.  Dunque,  viceversa,  il  lato 
di  un  poligono^  stimato  in  senso  contrario  al  corso 
del  perimetroy  è  la  risultante  di  tutti  gli  altri  lati. 

d  )  Teor.  La  risultante  di  più  rette  date  è  uni" 
ca,  e  però  si  può  tenere  qual  ordine  si  vuole  nel 
determinarla. 

Dim.  Supponiamone  possibili  due  R  ,  R'  ,  e  di- 
verse da  zero:  nel  piano  delle  medesime  conducia- 
mo per  la  loro  comune  origine  un  asse  (x)  perpen- 
dicolare ad  R,  e  però  obliquo  ad  R'.  La  proiezione 
ortogonale  di  R  sopra  (x)  sarà  nulla  ,  e  non  quella 
di  R'.  Ora  si  la  prima  come  la  seconda  proiezione  , 
dovendo  essere  uguale  alla  somma  delle  proiezioni 
omologhe  delle  medesime  componenti,  dovrebbe  ave- 
re uno  stesso  valore.  Dunque  è  assurda  la  fatta  ipo- 
tesi di  due  risultanti. 

e)  Teor.  Una  retta  r  moltiplicata  per  la  proie- 
zione  che  riceve  da  un  altra  tj,  è  uguale  alla  som- 
ma delle  componenti  a  ,  b  ,  e  ,  d . .  .  de  ir  una  r, 
moltiplicate  rispettivamente  per  la  proiezione  eh» 
ricevon  dall'altra  q'.  cioè 

qrq  =  rqr  =  aqa  -f-  bqb  -4-  cqe  -+-  dqd  -+-  «e 

Dim.  Si  proiettino  ortogonalmente  sopra  q  le 
rette  r,  a,  è,  e,  </,....:  si  avrà,  per  la  defi- 
nizione della  risultante, 

rcos'qr  =  acos'qa  -r-  bcos'qb-ì-ccos'qc  -hdcos'-^cc. 
e,  moltiplicando  tutto  per  y, 

rq  cos'qr  =  aqcos'qa  -+-  bqcos'qb  -t  cqcos'qc  -f-  «e. 


60  Scienze 

Ora  qcos'qr  ,  qcos'qa  ,  qcos'qb  ,  qcos'qc  ,  ec.  sono 
le  proiezioni  qr  -,  qa  -,  qb  -,  qc  ,  ec,  che  la  risultan- 
te e  le  componenti  ricevono  rispettivamente  dalla 
retta  q.  Dunque  ec. 

/)  Teor.  //  quadrato  della  risultante  r  è  uguu' 
le  alla  somma  de"" quadrati  delle  sue  componenti 
«  ,  Z?  ,  e  ,  r/  ,  . .  .  ,  piii  due  volte  la  somma  delle 
medesime  moltiplicate  a  due  a  due  e  pel  coseno 
dell'angolo  che  comprendono  i  cioè 

(1)  r"  =  ^»  ^  Z,^  -+_  e'  -+-  ^^  H-  ce. 

-+-  2ab  Gos'ab  -+-  2ac  cos'ac  -+-  2ad  cos'ad  .  . 
-f-  Ibc  cos'bc  -^  2bd  cos'bd  ,  . 
^t-  2cd  cos'cd  ^  ec, 

Dim.  Si  proietti  r  ortogonalmente  sopra  ciascu-^ 
na  delle  rette  r  ,  a  ,  b  ,  e  ,  d  .  .  .  :  sì  avrh ,  pel  teo^ 
rema  precedente  ,   rrr  ossia 

(2)  r'  =  ara  -f-  brb  -f-  ere  H-  dra  -K  ec.  ^ 

ma  per  la  definizione  della  risultante 

ru  =  a  -+-  bcos'ab  -+-  ccos'ac  -f-  dcos'ad  -+-  ec, 
rb  ^=  b  ~+-  a  co s' ab  +-  ccos.bc  -+-  d  cos'bd  -+-  ec. 
re  ^=^  e  -\-  acos'ac  -+-  bcos'bc  -f-  dcos'cd  -+-  ec. 
rd  =^  d  -h  acos'ad  -f-  bcos'bd  -+■  ccos'cd  -f-  ec. 

Sostituendo  questi  valori  nella  formula  (2)  e  ridu- 
cendo ,  si  avrà  la  formula  (1). 

21.  Teor.  Se  più  rette  si  proiettano  omologa- 
mente sopra  un  piano,  la  risultante  delle  loro  pro- 
iezioni coincide  colla  proiezione  della  loro  risul- 
tante. 


Valori  delle  proiezioni  61 

Dim.  La  risultante  di  piìi  rette  date  può  con- 
siderarsi come  l'ultimo  Iato  di  un  poligono,  i  cui 
Iati  rimanenti  siano  paralleli  ed  uguali  alle  rette 
date,  e  diretti  nel  medesimo  senso;  e  viceversa.  Ora 
la  proiezione  di  tal  poligono  sopra  un  piano  è  ma- 
nifestamente un  altro  poligono,  i  cui  lati  sono  pa- 
ralleli ed  uguali  alle  omologhe  proiezioni  delle  ret- 
te date  e  della  risultante,  e  diretti  nel  medesimo 
senso.  Dunque  la  proiezione  della  risultante  delle 
rette  date,  ultimo  lato  di  questo  poligono,  è  la  ri- 
sultante delle  proiezioni  delle  stesse  rette,  proie- 
zioni rappresentate  dai  lati  rimanenti. 


PROIEZIONI    DELLE    AREE. 


Definizioni  -  area;  asse  del  piano:  convenzione  pro- 
pria a  render  sensibile  lo  stato  positivo  o  jiega  - 
tivo  di  un  area,  e  a  ridarre  la  proiezione  delle 
aree  a  quella  delle  rette. 

22.  Area  è  ogni  superficie  piana  chiusa  da  una 
linea  rientrante. 

a  )  Asse  di  un  piano  e  una  retta  indefinita  per- 
pendicolare al  piano  in  un  punto  fissato  ad  arhi- 
trio.  Noi  supporremo,  che  l'asse  di  un  piano  si  di- 
vida in  due  a  partire  dal  piano:  l'uno  positivo,  e 
l'altro  negativo;  e  poscia,  che  ciascuno  di  essi  ,  a 
guisa  di  una  persona  ritta  sul  piano,  abbia  la  sua 
parte  destra  e  sinistra.  Nella  declinazione  de'  pia- 
ni si  diranno  omologhi  i  loro  assi  dello  stesso  no- 
me, cioè  e  i  positivi,  e  i  negativi. 

b  )  Teor.  La  declinazione  di  due  piani  è  ugua^ 
le  a  quella  decloro  assi  omologhi. 

Dim.  VA  ,  Vi3  rappresentino  due  piani  in  prò- 


62  Scienze 

filo;  e  Va,  Yb  i  corrispondenti  assi  omologhi,  as- 
si che  coincidono  allorché  è  nulla  la  declinazio- 
ne de'due  piani.  Per  V  si  conduca  un  piano  perpen- 
dicolare allo  spigolo  de'due  piani  VA,  VB:  tale  pia- 
no conterrà  gli  assi  Ya,  VZ>,  e  inciderà  ne'due  piani 
l'angolo  AVB,  misura  della  loro  declinazione.  Ora 
gli  angoli  AVB,  aYb  sono  eguali,  avendo  ambedue 
lo  stesso  complemento  aVB  :  dunque  la  declina- 
zione de'due  piani  è  uguale  a  quella  de'  loro  assi 
omologhi. 

Si  noti  che  sono  complementarii,  l.**  gli  angoli 
che  una  retta  fa  con  un  piano  e  coll'asse  del  piano  ; 
2.°  gli  angoli  che  un  piano  fa  con  un  altro  piano  e 
coll'asse  di  questo. 

e  )  Lo  stato  positivo  o  negativo  di  una  linea 
si  desume  dal  senso  in  cui  si  muove  il  punto  che 
genera  la  linea:  lo  stato  positivo  o  negativo  di  un' 
area  può  del  pari  desumersi  dal  senso  del  moto  che 
genera  l'area.  Moto  generatore  di  superficie  piana, 
è  il  moto  rotatorio  di  una  retta  intorno  ad  un  asse 
perpendicolare  alla  retta. 

Supponiamo  che  ciascun*  area  giacente  in  un 
piano  sia  animata  da  un  moto  rotatorio  intorno  all' 
asse  del  piano:  è  manifesto  che  quando  essa  rota 
(Jalla  destra  alla  sinistra  dell'  asse  positivo,  roterà 
dalla  sinistra  alla  destra  dell'asse  negativo,  e  vice- 
versa. Ciò  posto: 

1.°  710Ì  immagineremo  che  ogni  area  positii'a 
tenda  a  rotare  dalla  destra  alla  sinistra  dell'asse 
positivo;  e  però  dalla  destra  alla  sinistra  dell'asse 
negati\>o^  ogni  area  negativa. 

2.°  E  converremo  di  rappresentare  ogni  area 
positiva  con  un  proporzionale  segmento  delV  asse 
positivo'^  e  però  con  un  proporzionale  segmento  delV 
as^e  negativo^  ogni  area  negativa  (§.  3). 


Valori  dcllg  ?ro1e«ios!  63 

Queste  due  convenzioni  sono  valevoli  a  ridur- 
re la  proiezione  delle  aree  a  quella  delle  rette.  Si 
avverta,  che  quando  senz'altro  aggiunto  si  dirk,  1. 
asse^  si  sottintenda  positivo-^  2.°  dalla  destra  alla 
sinistra^  o  dalla  sinistra  alla  destra^  si  sottintenda 
detrasse  del  piano. 

d  )  Noi  qui  designeremo  il  piano  e  Tarea  con 
lettera  grande;  e  con  la  stessa  lettera,  ma  piccola, 
l'asse  del  piano  e  dell'area.  E  converremo,  che  se  A^ 
Rappresenta  sul  piano  X  la  proiezione  dell'  area 
A,  Ax  rappresenti  sopra  x  (asse  del  piano  X)  la 
proiezione  di  un  segmento  A  dell'asse  a. 

Valore  della  proiezione  ortogonale  ed  obliqua 
di  un  area. 

23.  Teor.  La  proiezione  ortogonale  di  un  area 
A  sopra  un  piano  X  ,  è  uguale  al  prodotto  dell 
area  pel  coseno  della  sua  declinazione  dal  piane 
cioè  Ax  =  AcorAX. 

Divideremo  la  dimostrazione  in  due  parti.  Pri- 
mieramente dimostreremo,  che  AcorAX  rappresen- 
ta con  esattezza  sul  piano  X  la  proiezione  ortogo- 
nale di  A,  quanto  al  valore  numerico-^  poscia,  quan- 
to allo  stato  positivo  o  negativo  giusta  la  conven- 
zion  fondamentale. 

Prima  parte.  1.^  Sia  A  l'area  di  un  triangolo 
ABC  (fig.  4.)  il  cui  piano  interseca  lungo  MN  il  pia- 
no MNX  =  (X):  dagli  estrerai  di  uno  fra  i  suoi  tre 
lati,  non  perpendicolare  ad  MN,  per  es.  di  AB,  ti- 
riamo perpendicolari  ad  MN  le  Aa,  BZ>;  e  per  C  la 
AB'  parallela  ad  AB,  e  terminante  tra  aA,  ^B,  pro- 
lungate se  occorre:  ne  nascerà  il  parallelogrammo 
AB'  doppio  dei  triangolo  ABC,  avendo  con   questo 


64  Sciente 

comune  la  base  AB  e  l'altezza,  e  sarà  =AA'.a/>  —  2A# 
Ora  siffatto  parallelogrammo  proiettato  sul  piano 
(X),  diventa  un  altro  parallelogrammo,  il  quale, 
presa  per  base  la   proiezione   del    lato   AA'  (  cioè 

AA.'cos'AX.)  ,  avrà  un'  altezza  ==:  ab^  e  quindi  una 
superficie 

=  AA.'.abGos'AK.  -=  2Acos'AX. 

Dunque  la  proiezione  del  triangolo  ABC  ,  essendo 
meta  della  proiezione  del  parallelogramo  AB',  sarà 
=  Acos'AX* 

2."  Sia  A  un'  area  poligona:  essa  potrà  decom- 
porsi in  triangoli  t,  /,  t"  .  .  .  ,  le  cui  proiezioni  sul 
piano  (X),  sommate  daranno  la  proiezione  di  A.  Si 
avrà  dunque 

Ax  ^(t  ~ht'  4-  t"  .,.  )cos-AX  -=  Acoi-AX. 

3.°  Finalmente  sìa  A  un'area  chiusa  da  una  li- 
nea curva:  essa,  come  limite  de'poligoni  inscritti  e 
circoscritti ,  proiettata  sul  piano   (X)    diverrà 
=  Acoj-'AX. 

Dunque,  in  ogni  caso,  AcorAX  rappresenta  con 
esattezza  sul  piano  (X),  quanto  al  valore  numerico, 
la  proiezione  di  A. 

Seconda  parte.  Da  un  punto  della  intersezione 
de'piani  (A),  (X),  elevati  gli  assi  omologhi  a,  jt,  im- 
maginiamo che  r  area  A  roti  continua  dalla  destra 
alla  sinistra  dell'asse  a:  e  facile  a  vedere  che  sul  pia- 
no (X)  la  proiezione  A^  di  A,  roterà  intorno  all'as- 
se X  positivo 

1.°  Dalla  destra  alla  sinistra,  finche  la  declina- 
zione 'XA  varia  nel  primo  quadrante  o  nel  quarto; 

2.°  Dalla  sinistra  alla  destra,  finche  la  declina- 
zione 'XA  varia  nel  secondo  quadrante  o  nel  terzo; 


Valori  delle  proiezioni  G5 

Allorché  poi  la  declinazione  'XA  passa  dal  pri- 
mo al  secondo  quadrante,  e  dal  terzo  al  quarto, 
la  proiezione  A^  svanisce  evidentemente. 

Pertanto  la  proiezione  ortogonale  di  A  sul  pia- 
no (X),  è  positiva  o  negativa  giusta  la  convenzion 
fondamentale,  e  si  annulla  insieme  con  l'espressione 
Aco^'AXé  Cosi  rimane  pienamente  dimostrato  il 
teorema. 

a  )  Poiché 

Ax  '=  Acoj"AX  =  kcos'ax  -=  A«; 

perciò  ,  rappresentando  Varea  A  con  un  segmento 
A  deWasse  rt,  alla  proiezione  ortogonale  da  piano 
a  piano  potrà  surrogarsi  la  proiezione  ortogonale 
da  asse  ad  asse. 

h  )  Teor.  La  proleùone  obliqua  di  uri  area  A 
sopra  un  piano  X  ,  e  uguale  al  prodotto  delVarea 
per  la  ragione  de'seni  degli  angoli  che  Vasse  di'^ 
rigente  d  fa  coir  area  e  col  piano:  cioè 

fl?      .  sen'dK 

Ax  —  A —  , 

sen'dX. 

Dim.  OM  (  fig.  1.)  rappresenti  in  profilo  Ta- 
rea  A;  MP  la  superficie  cilindrica,  che  proietta  sul 
piano  Ox  -=:  X  ,  l'area  A  parallelamente  all'asse 
dirigente  ODi  OP  rappresenterà  in  profilo  sul  pia« 

no  X  la  proiezione  di  A,  e  si  avrà  OP  =  A^* 
Da  O  si  conduca  il  piano  Od  perpendicolare  all'as- 
se dirigente  OD  ,  e  però  alla  superficie  cilindrica 
proiettante  MP  prolungata  se  occorre:  infine  0/>  de- 
signi in  profilo  la  proiezione  ortogonale  che  il  pia- 
no Od  riceve  sia  dall'area  OM  ^=  A  ,   sìa  dall'area 

OP  =    A^.  Si  avrà  pel  teorema  precedente 


66  Scienza 

Op  =  OVcosVOp  ==  OM  cosìAOp 

ma  cosVOp  -=  senVOTì  =  sen-d'^  , 

cosUOp  —  fe/zMOD  =  je«-^A  : 

dunque  sostituendo 

A-^sen'dX  =  Asen'dA,  e  però     Ay=!A . 

seri'dX 

Quest'ultima  eguaglianza  dimostra  che  le  aree 
parallele  sono  proporzionali  alle  loro  proiezioni 
omologhe. 

e  )  Essendo 


d\         A  sen'dA       .  cos'da       .  sen'Da        D 

Ax=A j^  =  A ;^  =  A ^=5 

sen'dX         cos'dx        sew^x 


d  D 

ossia  Ax  =   Ax  ; 

perciò  per  ridurre  la  proiezione  delle  aree  a  quel- 
la delle  rette,  basta  rappresentare  le  aree  con  pro- 
porzionali segmenti  de'proprii  assi,  e  poscia  surro' 
gare  ai  piani  i  loro  assi  e  viceversa. 

Jrea  risultante  e  sue  proprietà. 

24.  Area  risultante  di  più  aree  date  divergen- 
ti da  un  centro,  è  l'area  la  cui  proiezione  sopra  un 
piano  mutabile  a  piacimento  (  essendo  qualunque 
l'asse  dirigente),  è  sempre  uguale  alla  somma  delle 
omologhe  proiezioni  delle  aree  date,  le  quali  si  di- 
ranno aree  componenti  della  prima.  È  palese  che, 
trattandosi  di  proiezioni,  si  può  surrogare  l'area  ri- 
sultante alle  componenti,  e  viceversa. 

a  )  Grobl.  Date  più  aree  A  ,  B  ,  G  ,  .  .  . ,  tro- 
varne l'area  risultante. 


Valori  delle  proiezioni  67 

Solnz.  Dal  centro  donde  divergono  le  aree  da- 
te, elevati  sulle  medesime  i  relativi  assi  omologlii 
a  ^  b  ^  G  .  ,  .  .  ^  prendiamovi  sopra  segmenti  rispet- 
tivamente uguali  ad  A  ,  B  ,  C  .  . .  .  (  §.  3  ):  la  risul- 
tante R  di  questi  segmenti  rappresenterà  la  gran- 
dezza e  l'asse  dell'area  risultante.  Infatti  proiettia- 
mo sopra  un  asse  qualunque  x  i  segmenti  R  ,  A  ,  B, 
C  ,  .  . ,  essendo  D  il  piano  dirigente:  si  avrà 

D  D 

R^  =3     (  A  -t-  B  -f-  G  H-  ec.  ),  ; 

donde  ,  surrogando  agli  assi  ì  piani  e  viceversa  , 
si   trae 

''rx  =  ''(  A  -f-  B  -t-  C  -+-  ec.  )x  • 

Or  questa  formula  esprime  che  sul  piano  X  la  pro- 
iezione dell'area  R  ,  essendo  d  l'asse  dirigente  ,  è 
uguale  alla  somma  delle  omologhe  proiezioni  delle 
aree  date  A  ,  B  ,  G  ,  ec. 

b  )  L'area  risultante  gode  quindi  le  stesse  pro- 
prietà, che  la  retta  da  noi  chiamata  risultante. 
Dunque 

1.°  Un  area  moltiplicata  per  la  proiezione  che 
riceve  da  unaltra^  è  uguale  alla  somma  delle  aree 
componenti  dell  una  ,  moltiplicate  rispettivamente 
per  la  proiezione   che  ricevon  dall'altra. 

2°  Il  quadrato  dell'area  risultante  è  uguale 
alla  somnui  de^ quadrati  delle  aree  componenti  ,  pia 
due  volte  la  somma  delle  medesime  moltiplicate  a 
due  a  due  e  pel  coseno  dell'angolo  che  comprendono. 

e  )  Le  aree  date  siano  due  A  ,  B  ,  ed  R  la  loro 
risultante:  è  facile  a  vedere  che  i  piani  di  A  ,  B  ,  R, 
s'intersecheranno  tutti  e  tre  secondo  una    medesima 


68  Scienze 

linea.  Inoltre  ciascuna  delle  aree  componenti  A  ,  B, 
sarà  uguale  alla  proiezione  che  sopra  il  suo  piano 
riceve  da  R^  essendo  asse  dirigènte  una  retta  qua- 
lunque situata  nel  piano  delV altra  componente.  In- 
fatti proiettiamo  sul  piano  di  A  le  aree  A  ,  B  ,  R  , 
prendendo  per  asse  dirigente  una  retta  d  situata  nel 
piano  di  B  :  si  avrà  per  la  definizione 

'^Ra  -=  ^{k  -+-  B)A  : 

Ora  è  palese,  che  la  proiezione  di  A  sopra  se  mede- 
sima, è  uguale  ad  A  ,  e  che  la  proiezione  di  B,  fatta 
parallelamente  all'asse  d  situato  nel  piano  di  B,  sva- 
nisce in  una  linea;  cioè  ^  Aa  =  A,    Ba  =  o:  dunque 

'^Ra  =  A. 

d)  he  aree  date  siano  tre  A,  B,  G,  ed  R  la  loro 
risultante.  Ciascuna  delle  aree  componenti  A  ,  B,  G 
sarà  uguale  alla  proiezione  che  sopra  il  suo  piano 
riceve  da  R  ,  essendo  asse  dirigente  la  intersezione 
de'piani  delle  altre  due  componenti.  Infatti  proiet- 
tiamo sul  piano  di  A  le  aree  R,  A,  B,  G,  prenden- 
do per  asse  dirigente  la  intersezione  d  de'piani  di  B, 
e  di  G;  si  avrà 

'^Ra='^(A  +  B  -h C)a;  ma  "^Aa = a/Ba  - o/^Ga-- o: 

dunque Ra  =  A. 

Quindi  data  uri  area,  se  ne  avranno  le  aree 
componenti  rispettivamente  parallele  a  tre  piani., 
proiettando  l'area  data  su  ciascuno  destre  piani,  es- 
sendo asse  dirigente  la  intersezione  degli  altri  due 
piani. 


Valori  delle  proiezioni  6Ò 

Nola.  Il  piano  chiamato  invariabile  dall'autore 
tlella  meccanica  celeste,  non  è  altro  che  il  piano  del- 
l'area risultante, 

e  )  Teor.  Se  parallelamente  agli  assi  delle  fac- 
ce interne  di  un  poliedro  tiriamo  da  un  punto  altret- 
tante rette  nella  stessa  direzione,  ed  eguali  rispetti- 
vamente alle  facce  del  poliedro\  la  risultante  di  tali 
rette  sarà  zero,  e  però  una  (fualunque  di  esse  ,  sti- 
mata in  senso  contrario,  sarà  la  risultante  delle 
altre. 

Dim.  Se  consideriamo  le  proiezioni  come  posi^^ 
tive  o  negative,  secondochè  le  rette  proiettanti  par- 
lano dalle  facce  interne  od  esterne  del  poliedro  ;  si 
rileverà  facilmente,  che  sopra  un  piano  qualunque 
la  somma  delle  proiezioni  della  prima  specie  ,  è 
uguale  alla  somma  delle  altre  proiezioni,  e  però 
eguale  a  zero  la  somma  di  tutte.  Inoltre  si  vede,  che 
le  facce  interne  del  poliedro  che  danno  la  prima 
specie  di  proiezioni,  debbono  fare  col  piano  angoli 
acuti;  ed  angoli  ottusi,  le  facce  interne  rimanenti. 
Ciò  posto,  se  alle  facce  interne  sostituiamo  eguali 
segmenti  de'loro  assi,  si  dovrà  verificare  di  questi 
proiettati  sopra  una  retta,  ciò  che  abbiamo  verifi- 
cato di  quelle  proiettate  sopra  un  piano  (§.  23  e). 

Cosi  i  poliedri  hanno,  rispetto  alle  proiezioni  , 
le  slesse  proprietà  che  i  poligoni.  Si  noti  che  gli  an- 
goli che  fanno  tra  loro  le  facce  interne,  sono  sup- 
plementarii  agli  angoli  de'loro  assi;  come  gli  angoli 
interni  di  un  poligono  sono  supplementarii  agli  an- 
goli che  fanno  i  suoi  lati,  riportati  ad  un  punto 
(§.19.  nota  ). 


TO  Scienze 

Aree  chiamate  momenti: 
proprietà  del  momento  della  risultante, 

25.  Momento  di  una  retta  è  il  prodotto  della 
retta  per  la  sua  disianza  da  nn  punto  supposto  y^^j-o: 
la  distanza  tra  siffatto  punto  e  la  retta,  si  dice  brac 
ciò  della  retta\  ed  il  punto  fisso,  centro  de'hracci  o 
de"" momenti.  Il  braccio  di  una  retta  può  essere  ortO' 
gonale  alla  retta,  od  obliquo:  quando  altro  non  si 
aggiunga,  si  supporrà  ortogonale.  L'angolo  obliquo 
onde  una  retta  declina  dal  suo  braccio,  si  dira  obli- 
quità  del  braccio. 

a)  Il  momento  di  una  retta  con  braccio  or- 
togonale è,  per  la  definizione  ,  un'area  doppia  del 
triangolo  avente  per  base  la  retta,  e  per  vertice  il 
centro  de  bracci. 

b  )  Se  una  retta  VA  =  a  (  fig.  5.)  declina  dal  suo 
braccio  Ma^  =  rt,  coll'angolo  M«yA  =  (y,  condotta 
Mn  perpendicolare  a  VA  ,  si  trarrà  dal  triango- 
lo Ma^n  , 

Mn  =  a  seni)  : 

cioè,  moltiplicando  il  braccio  obliquo  pel  seno  di 
obliquità,  si  ottiene  il  braccio  ortogonale.  Inoltre  il 
triangolo  VMA  sarà  ^=  ^  aa,  senco  ;  cioè  il  triango- 
lo avente  per  base  una  retta  di  braccio  obliquo  ,  e 
per  vertice  il  centro  de  bracci ,  è  uguale  al  semipro- 
dotto del  momento  (aa)  pel  seno  di  obliquità.  Quin- 
di, chiamati  omologhi  i  momenti  ne'  quali  i  bracci 
declinano  dalle  proprie  rette  con  eguale  angolo,  po- 
tremo stabilire,  che  i  momenti  omologhi  di  più  rette 
sono  aree  proporzionali  ai  triangoli  aventi  per  base 
le  rette,  e  per  vertice  il  centro  de'bracci. 

È  manifesto  potersi  sempre  supporre  un  mo- 


Valori  dille  proiezioni  7{ 

mento  eguale  ad  un'area  data:  quindi  la  teorica  del- 
le proiezioni  delle  aree  può  ridursi  alla  teorica  del- 
le proiezioni  de'momenti. 

e  )  Affine  di  fissare  con  chiarezza  il  segno  (=i=) 
de'momenti,  noi  supporremo: 

i.*^  Che  ciascuna  retta  tenda  a  muoversi  nel 
senso  della  propria  direzione,  e  per  conseguente  a 
far  rotare  il  proprio  braccio  ed  il  proprio  momen- 
to intorno  al  centro  de'bracci; 

2.°  Cbe  nel  centro  de'bracci  s'innalzi  positivo 
e  negativo  l'asse  di  ciascun  momento,  cioè  1'  asse 
di  ogni  piano  determinato  da  una  retta  e  dal  suo 
braccio; 

3.°  Che  un  momento  sia  positivo  o  negativo, 
secondochè  tende  a  rotare  dalla  destra  alla  sinistra 
dell'asse  positivo  o  negativo. 

d  )  Teor.  In  un  piano  il  momento  della  risul- 
tante di  pia  rette  è  uguale  alla  somma  de^ momenti 
omologhi  delle  medesime. 

Dim.  Nel  piano  supposto  (fig.  6)  siano 

Va  =  a,  Yb  =  b.  Ve  =  e,  ec. 

più  rette  divergenti  dal  punto  V  ;  Vr  =  r  sia  la 
loro  risultante,  ed  M  il  centro  de'bracci.  Per  V  e 
per  M  conduciamo  VM  -=  D:  presa  la  retta  D  per 
asse  dirigente,  proiettiamo  r,  a,  b,  e,  ec.  sopra  un 
asse  {x)  perpendicolare  a  D.  Poiché  in  questa  ipo- 
tesi (*)  sen'jcjy  =  1,  si  avrà 


[")  Nota.  Angolo  è  la  superfìcie  piana  generata  da  un  raggio 
indefinito  rotante  intorno  ad  un  punto.  Quindi  un  angolo  se  ge- 
xieralo  da  un  raggio  laoventesi  in  un  senso,  si  riguarda  come  pQ- 


72  Scienze 

(1)  rsen-rD  "A  asen'oD  -+-  bsen'bB  +csen'cD  -+~  ec» 

Ciò  posto,  i  bracci  che  dal  centro  M  vanno  orto- 
gonali alle  rette  r,  «,  b,  e,  ec,  siano 

Mr,  rr=  r, ,  Ma^  =  a^ ,  M^^  =  è^ ,  Me  =  c^ ,  ec; 

i  triangoli  rettangoli  MVr„  MVfl!,,  MV^,,  MVc,,  ce, 
daranno 

^e/irD  =  r- ,  j'e/i'flD  =  -^ ,  seivbìJ  ~  -i  ,  ec. 

Sostituendo  i  valori  di  questi  seni  nell'equazion  pre- 
cedente, e  moltiplicando  per  D,  risulta 

(2)  rr,  ~  aa^  -*-  hb ^  h-  ce  -t-  ec» 

Supposte  positive  le  rette  D,  r,  «,  &,  e,  ec,  Io 
stato  positivo  o  negativo  de'momenti  rr^,  aa.^  bb^,  ce,., 
ec.  dipende  dallo  stato  positivo  o  negativo  de'brac- 
ci,  e  però  de'seni  seivrD.,  sewaD,  ec.  Or  questi  seni, 
ove  gli  angoli  si  contino  positivi  girando  dalla  de- 
stra alla  sinistra,  riescono  solamente  positivi  per 
le   rette  situate  alla  destra  di  VM,  cioè  per  le  rei' 


sitivo;  generato  da  un  raggio  moventesi  ia  senso  contrario  ,  do- 
vrà riguardarsi  come  negativo.  Noi  converremo  di  riguardare  gli 
angoli  come  positivi  o  negativi,  secondochè  il  molo  rotatorio  che 
li  ha  generati,  si  suppone  fatto  dalla  destra  alla  sinistra,  o  dal- 
la sinistra  alla  destra.  Inoltre  nell'indicarli  col  simbolo  -pq,  con- 
verremo che  il  raggio  generatore  si  muova  passando  dalla  posi- 
zione indicata  dalla  prima  lettera,  alla  posizione  indicata  dalla 
seconda.  In  virtù  di  questa  convenzione  si  avrà 

setvYìa         sen-aD 

senBa  =  —  sen-aì)  ,  e  r—  = 7-. 

sen  Dx         sen.xu 


Valori  delle  proiezioni  73 

te  che  tendono  a  far  rotare  i  proprii  momenti  dalla 
destra  alla  sinistra.  Cosi  nell'ultima  formula  (2), 
l'espressione  algebrica  de'  momenti  è  in  pieno  ac- 
cordo col  loro  stato  positivo  o  negativo  giusta  la 
convenzion  fondamentale;  ed  il  proposto  teorema  è 
completamente  dimostrato. 

Tale  teorema  si  può  anche  enunciare  (  come  in 
meccanica)  cosi:  in  un  piano  il  momento  della  risul- 
tante è  uguale  alVeccesso  dè'momenti  che  tendono 
a  rotare  nel  medesimo  senso,  sopra  i  momenti  che 
tendono  a  rotare  in  senso  contrario, 

e  )  Risulta  poi  da  questo  teorema,  che  in  un 
piano,  immaginati  i  triangoli  aventi  per  vertice  il 
centro  dé'bracci,  e  per  base  la  risultante  e  ciascuna 
delle  componenti  ;  il  triangolo  della  risultante  è 
uguale  alla  somma  de*  triangoli  delle  componenti 
(§.  6)  (  avuto  per  altro  il  debito  riguardo  ai  segni 
giusta  la  convenzion  fondamentale  ). 

/  )  Teor.  //  momento  della  risultante  di  pia  ret" 
te  divergenti  da  un  punto,  coincide  col  momento  ri' 
sultante  dé'moinenti  omologhi  delle  medesime  rette. 
Dim.  Immaginati  i  triangoli  aventi  per  vertice 
il  centro  qualsivuole  de'bracci,  e  per  base  la  risul- 
tante e  ciascuna  componente,  tutto  riducesi  a  prova- 
re che  il  triangolo  della  risultante  proiettato  sopra 
un  piano  qualunque,  diventa  eguale  alla  somma  de* 
triangoli    delle   componenti   omologamente   proiet- 
tati   (  §.  24  ).    Ora  tutti  questi   triangoli   proiettati 
nel  piano,  hanno  per   vertice  comune  la  proiezio- 
ne del  centro  de'bracci,  e   per  base  la  proiezione 
della  risultante   e   di  ciascuna  componente.  Quin- 
di  il   primo    di    tali    triangoli  (  in  forza  del  §.21, 
e  del   teor.  prec.  )  è  uguale  alla  somma  degli  altri. 
D.  Cheliwi  delle  Scuole  Pie 
G.A.T.LXXIV.  G 


Fi<r.   i. 

o 


Fi?.  2.. 


P  "'"-■' d 


Fio'.  5. 

o 


I 


Yi,.  S. 


V 


Fi^.  4' 


é^ 


77 


Dizionario  classico  di  medicind^  di  chirurgia  ,  e 
d'igiene  pubblica  e  privata  composto  da  Adelon, 
Andrai^  Beclard^  Bietta  Bre schei  ^  Chemel ,  /. 
Cloquet^  G.  Cloquet^  Coutanceau,  Desormeaux, 
Ferrust  Georget,  Guersent,  Indelot,  Lagneau^ 
Landre-Beauvaisy  Marc^  Marjolin^  Murata  Oli- 
vier^ Orfila^  Pelletier,  Raige-Delorme,  Rajer  , 
Richard ,  Rochoux,  Rottan,  Roux  ,  e  Rullier. 
Prima  traduzione  italiana  di  M.  G.  Levi,  dottore 
in  medicina  e  filosofa,  membro  del  veneto  ate- 
neo ec  con  parecchie  giunte  spettanti  alla  me" 
dicina  teorica  e  pratica  in  ispezialità  italiana. 
Kenezia  1837  per  Giuseppe  Antonelli  editore 
ec.  ec.  in  8.  grande  ,  tomo  XXXIIl  di  pag.  482. 


E 


bbe  già  il  suo  principio  nell'anno  1833  la  ver- 
sione di  quest'opera  nell'idioma  italiano.  Hanno  fin 
qui  proseguito  con  pari  impegno  e  zelo  in  sì  lode- 
vole impresa  il  traduttore  ed  il  tipografo.  Raggiunto 
veggiamo,  per  ciò  che  ne  sembra,  lo  scopo  prefisso, 
die  mirava  a  riunire  in  un  sol  corpo  (per  quanto 
possibil  fosse)  le  opere,  i  sistemi,  le  cognizioni  de' 
più  rinomati  scrittori  della  facoltà  medico-chirur- 
gica: e  con  ciò  molta  fiducia  può  nutrire  il  sig.  Levi 
di  veder  sostenuto  ed  incoraggiato  il  commende- 
vole suo  disegno.  La  stampa  d'altronde  è  in  buoni 
caratteri,  e  la  traduzione  corretta  e  non  senza  ele- 
ganza: cosicché  per  questi  titoli  tutti  di  vantag- 
gio   e  di    ornamento   vi   ha  luogo  a  presagirsi  ot- 


78  Scienze 

timo  11  compimento  del  lavoro.  Fece  di  già  co- 
noscere l'editore  nella  sua  prefazione  al  primo  vo- 
lume, che  nel  testo  o  non  tenevasi  ragionamento 
di  tutti  i  sommi  travagli  dei  corifei  professori 
italiani,  ovvero  se  ne  teneva  talfiata  discorso  con 
brevità  soverchia,  e  senza  darvi  quella  convenevo- 
le estensione  „  che  può  e  deve  bramare  chi  nacque 
„  sotto  il  bel  cielo  di  Ausonia,  a  cui  riuscirà  (egli 
„  scriveva)  in  oltre  gradito  maggiormente  leggere 
„  le  parole  stesse  degli  autori  suoi  connazionali  so- 
„  lito  a  venerare  per  fama  o  per  conoscenza  per- 
„  sonale  di  essi.  „  Intese  egli  perciò  con  somma 
cura  a  porre  quasi  sott'  ogni  articolo  del  presente 
dizionario  le  scoperte  ed  i  pensamenti  de'  nostri 
compatriotti  illustri  con  certa  ampiezza,  riportan- 
do ora  per  intiero  gli  scritti  loro,  ed  ora  valen- 
dosi di  quei  compendi  già  divulgati  da  altri  medici 
italiani.  Fedele  d'  altronde  1'  ili.  traduttore  nella 
esecuzione  delle  promesse  dell'editore,  si  è  ognora 
mostrato  interessantissimo  in  supplirvi  nella  mag- 
gior bramata  latitudine  e  perspicacia  col  preaccen- 
nato metodo;  che  anzi  non  ha  omesso  talvolta  di 
aggiungervi  novelli  inediti  lavori,  che  intorno  a  va- 
rii  argomenti  è  riuscito  procurarsi  da  non  pochi 
scrittori  della  nostra  penisola. 

In  conferma  di  che  ne  giova  dire,  che  nel  vo- 
lume di  cui  facciam  menzione  molti  sono  gli  artico- 
li addizionali  di  sommo  pregio  che  inserti  vi  si  leg- 
gono. Registrati  sono  p.  e.  alla  voce  parto,  un  com- 
pendio redatto  dal  prof.  Palletta  delle  „  Congettu- 
re sul  meccanismo  del  parto  „  di  Calza  prof,  di 
ostetricia  nella  università  di  Padova:  il  „  Caso  di 
parto  non  naturale,  condotto  a  felice  terminazione 
mediante  incisioni  alla  bocca  dell'utero  „  del  prof. 


Dizionario  di  Medicina  79 

Bonglovanni  di  Pavia,  e  compendiato  dal  sig.  Cor- 
tiellani:  il  caso  di  un  ,<  Parto  per  l'ano  osservato 
nel  1821  ,i  descritto  con  molta  erudizione  ed  accu- 
ratezza dal  pr'of.  Malacai^ne,  il  cjUale  lo  ha  arricchi- 
to di  vaiMe  istoi*iche  notizie  di  pr'esso  che  consimili 
avvenimenti.  Susseguono  le  ,,  Osservazioni  intorno 
al  parto,  nel  quale  il  bambino  è  disceso  nella  va- 
gina colla  spalla  e  parte  anche  del  petto  ,,  del  dott. 
Giuseppe  Guerra;  e  contro  le  idee  e  metodo  pro- 
posto da  quest'  ultimo  in  simili  emergenze  ,  vi  si 
aggiugne  indi  appresso  un  cenno  della  dissertazione 
del  dottor  Lenci,  che  sembra  con  pili  senno  discor- 
rere della  opposta  manovra,  favellando  singolar- 
mente ,,  Degli  accidenti  che  accompagnano  il  parto, 
in  cui  il  feto  presenta  la  mano,  e  del  metodo  inse- 
gnato dal  dottor  Guerra.  ,,  Entrano  a  far  parte  del 
presente  volume  di  questa  raccolta  i  dotti  ragio- 
namenti del  prof.  Palletta  intorno  ai  Parti  precoci 
e  maturi  di  feti  morti,  estratti  dalle  sue  Exercita- 
tiones  pathologicae  ec.  ;  il  compendio  della  interes- 
sante dissertazione  medico-legale  del  cav.  Domeni- 
co Meli,  intitolata  ,,  Dei  parti  naturali  anticipati  , 
deirattitudine  a  vivere  dei  prematuri  nascenti,  e  dei 
loro  diritti  civili  :  „  un  articolo  originale  dello 
stesso  sig.  Meli  intorno  alle  Proprietà  vitali  delVute- 
ro  grai^ido,  ed  ai  parti  che  avvengono  dopo  la  iner- 
te della  pregnante.,  articolo  per  la  prima  parte  il- 
lustrato da  ricerche  diligentissime  e  riflessioni  assai 
mature,  da  relazioni  d'istorici  avvenimenti  della  se- 
conda, e  da  opportune  deduzioni  di  cinque  corolla- 
rii.  Finalmente  dopo  i  „  Cenni  intorno  al  mecca- 
nismo naturale  del  parto  per  la  faccia,  del  dottor 
Biagini  ,,  riferiti  in  compendio,  segue  un  pregevo- 
le ed  erudita  articolo  del  prof.  Puccinotti  che  versa 


80  Sciente 

su  la  „  Medicina  legale  del  parto  legittimo,  seroti- 
no e  cesareo:  ,,  nel  quale  articolo,  dopo  alcune  isto* 
riche  premesse,  si  discorre  sulla  ,,  Legittimiti  dei 
parti  serotini  „  se  quali  ammissibili  o  no  ,,  de' 
parti  tardivi  simulati  ,,  della  sostituzione  del  par- 
to „  dei  parti  gemelli  ,,  della  superfetazione  „  e 
della  contrarietà  di  pareri  sulla  sua  esistenza  „  non 
che  delle  prove  di  essa  appoggiate  all'anatomia  pa- 
tologica „  e  dei  segni  per  contestarla:  „  del  parto 
cesareo  „  della  operazione  cesarea  vaginale,  pubica, 
ed  addominale  ,,  dello  condizioni  che  si  richiedono 
al  taglio  cesareo  „  delle  cautele  che  debbono  pra- 
ticarsi in  questa  operazione  „  e  delle  questioni  sul- 
la capacità  vitale  dei  parti  cesarei. 

È  annesso  alla  voce  passione,  dopo  rarticolo  del 
testo,  un  prolisso  ma  interessante  discorso  del  ce- 
lebratissimo  consiglier  Brera  diretto  a  dimostrare 
ad  evidenza,  che  „  l'esame  delle  passioni  non  deve 
,,  essere  giammai  negletto  da  un  buon  medico,  gìac- 
„  che  queste  agiscono  spesso  come  cause  produttri- 
,,  ci  delle  malattie,  ed  alcune  fiate,  o  promosse  con 
„  industria,  oppure  per  caso,  sono  slati  rimedi!  va- 
„  levolissimi  per  curare  delle  infermità  che  aveva- 
,,  no  resistito  fin'allora  ai  medicamenti  piìi  attivi.  „ 
Air  articolo  di  patologia  di  Rochoux  aggiungonsi 
dal  laborioso  redattore  la  idea  della  patologia  spe- 
ciale'^ una  succinta  rassegna  delle  varie  partizioni 
dei  morbi  marcate  da  diversi  autori  dall'epoca  di 
Galeno  fino  a  quella  del  Fanzago,  tradotto  dal  Mi- 
chelotti  nel  1824;  e  la  notizia  del  sistema  neolo- 
gìco  di  Mason  Goud  pubblicato  nel  1827.  Ed  aven- 
do il  Levi  già  parlato  dei  sistemi  o  metodi  di  pa- 
tologia di  Hannemann,  di  Bufalini,  di  Puccinotti 
sotto  i  rispettivi  articoli,  come  di  omeopatia,  mi- 


^ 


Dizionario  di  Medicina  81 

stiojiismo,  induzione,  ai  modesiml  rimette  il  leggi- 
tore, aggiungendovi  per  ultimo  il  lunghissimo  arti- 
colo dei  eh.  prof.  Tommasini  „  Sullo  stato  attuale 
della  nuova  patologia  italiana.  „  Distinto  pur  viene 
il  vocabolo  paura  da  un  ingegnoso  ,,  Saggio  sugli 
effetti  nocivi  e  salutari  della  medesima  „  dell'  ili. 
sig.  G.  Federigo,    ricco  di  riflessioni  e  di  esempi. 
Altri  italiani  lavori  degni  di  considerazione  vi 
trovan  luogo  in  seguito,  come  quello  del  chiar.  prof. 
Fantonetti  sulla  pellagra  ;  quello  del   valente  sig. 
Delle  Ghiaie  di  „  Osservazioni  sulla  struttura  della 
epidermide  umana  :  „  l'altro  curiosissimo  e  del  pa- 
ri interessante  per  l'esito  e  per  le  spiegazioni  re- 
catene dal  dotto  autore  sig.  Cesare  Ruggieri  al  vo- 
cabolo pelo,  di  una  ,,  Storia  ragionata  di  una  don- 
na avente  gran  parte  del  corpo  coperta  di  pelle  e 
pelo  nero:  „  la  „  Memoria  su  di  un  pelvimetro  di 
novella  invenzione  ,,  del  sig.  Galbiati  già  noto  per 
altri  suoi  commendevoli  scritti;  il  „  Caso  di  pera- 
figo  cronico  „  del  sig.  Asdrubali;  i  „  Casi  storici  di 
Zannini  di  totale  o  presso  che  totale  adesione  del 
pericardio  al  cuore  ;  la  descrizione  „  Delle  nuove 
membrane  perineali  „  del  dottor  Argenti  ;  la  re- 
centissima memoria  del  prof.  Roux  di  Parigi  ,,  So- 
pra il  ristauramento  del  perineo  ne'casi  di  divisio- 
ne o  di  rottura  completa  di  questa  parte  „  recata 
in  idioma  italiano  ed  in  fine  arricchita  di  una  os- 
servazione del  dottor  Biagini  di  Pistoia,  a  cui  se 
non  devesi  la  priorità  del  metodo  (perchè  giusta- 
mente tribuita  allo  scrittor  francese,  secondo  inse- 
gna la  pili  rigorosa  imparzialitk)  debbesi  per  altro 
la  conferma  dell'  eccellenza  del  metodo  di  sutura 
proposta  dal  Roux,  avendola  per  il  primo  praticata 
in  Italia  con  felice   evento,  ed  avendo  anzi  dissi- 


82  Scienze 

pato  quei  dubbi  che  lo  scrittoi'  francese  Inspirava 
nei  pratici  per  distorli  dall'usiirla  nella  lacerazio- 
ne recente. 

Compiesi  il  volume,  di  cui  è  discorso,  coH'ad- 
dizione  di  altre  pregevolissime  produzioni  a'  vo- 
caboli periodicità  e  periodico  ,  cioè  del  sig.  Zam- 
belli  „  Sulla  periodicità  ed  intermittenza  delle  ma- 
lattie: „  del  preclaro  sig.  Puccinotti  sulla  „  Perio- 
dicità nelle  febbri,  e  della  sua  causa  e  trattamen- 
to: ,,  Sulla  flogosi  delle  febbri  periodiche  pernicio- 
se: „  Sulla  storia  delle  febbri  intermittenti  perni- 
ciose di  Roma  negli  anni  1819,  4820,  1821:  ,,  e 
del  sig.  Notarianni  „  Osservazioni  pratiche  sulle 
febbri  di  mutazione  :  ,,  scrittore,  che  dopo  il  Torti 
si  è  impegnato  il  primo  a  favellare  in  Italia  delle 
febbri  periodiche;  scrittore  che  ne  ha  parlato  con 
molto  senno  e  perspicacia,  e  spessissimo  menziona- 
to con  lode  dal  Puccinotti  nella  prefata  sua  storia. 
Susseguono  da  ultimo  la  erudita  „  Memoria  suU' 
,,  origine  delle  febbri  periodiche  in  Roma  e  sua 
„  campagna  „  dell'egregio  romano  prof.  Folchi,  il 
quale  fra  le  moltissime  cose  in  essa  memoria  no- 
tevoli propone  specialmente  una  ingegnosa  e  soddi- 
sfacente congettura  di  spiegazione  del  modo  di  agi- 
re della  chinina  nelle  febbri  periodiche,  sostenuta 
valorosamente  da  fisico-chimici  argomenti  e  da  spe- 
rienze:  l'istruttivo  „  Saggio  di  un  esame  critico  isti- 
„  tuito  delle  malattie  periodiche,  e  principalmente 
„  delle  periodiche,  febbrili,  e  delle  virtù  che  han- 
„  no  la  china  ed  alcuni  preparati  della  medesima 
„  per  debellarle  „  dell'altro  chiar.  romano  prof. 
Pietro  Manni:  e  le  „  Cinque  nuove  forme  di  malat- 
„  tic  periodiche  apiretiche  „  osservate  per  la  pri- 
ma volta  negli  anni  1825  e  1826  dal  prof  Fulci 
di  Catania. 


Dizionario  di  Medicina  83 

Da  questo  rapido  esibito  quadro  di  scientifiche 
produzioni  nel  presente  volume  registrate  sembra 
risultare  giustissimo,  che  siffatta  raccolta  sia  assolu- 
tamente ben  degna  di  esser  divulgata  piìi  che  non 
è  anche  tra  noi  italiani;  e  che  molta  lode  retribuir 
debbasi  al  sapiente  ed  instancabile  traduttore  sig. 
Levi,  il  quale  con  sì  numerose  e  scelte  aggiunte  va 
sempre  piìi  ad  arricchire  di  soda  erudizione  e  di 
stabile  pratica  utilità  il  suo  lavoro,  che  ci  auguria- 
mo veder  condotto  prontamente  al  desiato  termine 
coH'usato  studio  ed  accuratezza  ,  che  procurar  gli 
sapranno  la  comune  soddisfazione  degli  scienziati 
cultori  della  medica  e  chirurgica  facoltà. 

ToNELLI 


• 


//  nuovo  salvadanaio,  ossia  dei  beni  derivanti  dalla 
cassa  di  risparmio,  -  Racconti  popolari  di  D.  V.  , 
preceduti  dalVidea  del  regolamento  della  mede- 
sima, a  comune  intelligenza  ed  utilità.  -  Bologna 
pei  tipi  di  Gio.  Bartolotti  1837,  di  pag.  56,  in  8.^ 

T 

XI  vantaggio  che  deriva  dalle  casse  di  risparmio 
vien  provato  tutto  giorno  dal  fatto.  Tale  benefi- 
ca istituzione  onora  grandemente  l'umanità,  e  fa 
piovere  continue  benedizioni  alla  memoria  di  quel 
primo,  che  offerse  questa  sicura  tavola  di  rifu- 
gio a  coloro   che   trovansi  costretti  a  dure  e  quo- 


84  Scienze 

tldlane  fatiche,  onde  provvedere  a'Lisogni  della  vita. 
Un'opera  sì  pietosa  fioriva  primamente  nella  Svizze- 
ra sull'ultimo  periodo  del  passato  secolo,  passò  dap- 
poi in  Inghilterra,  venne  introdotta  in  Francia,  e  fu 
bene  accolta  in  Italia,  ove  molte  se  ne  trovano  al 
presente  e  nel  Piemonte,  e  nel  regno  Lombardo-Ve- 
neto ,  e  nella  Toscana,  e  negli  stati  pontifici.  La 
eulta  Bologna  ha  voluto  imitare  il  bello  esempio 
della  capitale,  e  delle  altre  cospicue  citta  italia- 
ne ,  ed  ha  aperta  una  cassa  di  risparmio  ,  mer- 
cè di  una  società  di  cento  private  persone  ,  che 
l'ha  stabilita  e  la  dirige  gratuitamente  con  un  fon- 
do di  cinque  mila  scudi,  derivanti  da  cento  azio- 
ni di  scudi  cinquanta  l'una,  da  investirsi  in  fon- 
di pubblici  ed  in  fruttiferi  capitali.  Siamo  d'avvi- 
so che  tutti  coloro,  i  quali  si  trovano  in  non  mol- 
to comodo  stato,  e  non  hanno  perduto  il  bene  del- 
l'intelletto, vorranno  approfittare  di  questa  bene- 
fica istituzione,  onde  porre  a  fruttifero  risparmio 
gli  avanzi  della  giornata  pel  tempo  dell'infortu- 
nio  e  della   vecchiezza. 

Gli  annunciati  racconti  popolari  sono  scritfì 
dall'  egregio  prof.  D.  Vaccolini  con  molta  disin- 
voltura e  franchezza  di  dettato.  In  essi  l'autore  po- 
ne con  aggiustato  modo  sott'occhio  l'utilità  che  da 
detta  opera  pietosa  al  basso  popolo  proviene  ,  e 
combatte  con  accorto  e  sano  raziocinio  molti  di 
que'pregiudizi  e  di  quelle  false  opinioni,  che  tan- 
to sono  in  esso  radicate  a  danno  del  civile  e  mo- 
rale progresso.  Queste  scritture  ci  ricordano  i  bei 
lavori  àe  Sacchi  e  àe  Canta  sovra  argomenti  di 
simil  fatta,  che  valgono  a  rischiarare  le  menti  ot- 
tenebrate dalla  ignoranza  e  dalla  falsa  educazione; 
e  degne   quindi  di  molta  lode. 


Il  nuovo  Salvadanaio  85 

Recheremo  qui  per  intero  il  secondo  di  que- 
sti racconti,  che  ha  per  titolo:  Un  buon  amico  va- 
le un  tesoro. 

*  Io  me  n'andava  per  la  citta  imbacuccato  nel 
mio  mantello  una  di  queste  giornatacce  di  mag- 
gio, che  mi  è  parso  peggio  del  novembre  e  del- 
la tregenda:  e  ruminando  tra  me  non  so  che  pen- 
sieri di  debiti  fatti  e  non  pagati.  In  quella  un  mio 
amicone  del  cuore  mi  abbracciò:  È  cent'anni,  disse, 
che  non  ho  avuto  il  bene  di  vederti,  e  sì  ti  ho  cercato 
per  mare  e  per  terra!  Come  stai,  e  che  fai  dunque, 
meta  dell'anima  mia?  Io  sospirava  e  non  rispondeva 
parola.  E  che  dunque?  quegli  replicava.  Finalmen- 
te trattomi  poco  meno  che  il  cuore  dal  cuore,  io 
gli  dissi:  Così  così.  Come  come?  Non  istai  bene, 
benone,  come  io  ti  auguro  e  voglio  sempre?  0  se- 
guiresti la  moda  del  rispondere:  ma  non  ce  male^ 
così  così?  Tratto  un  gran  sospiro,  io  non  aggiun- 
si motto.  Ed  egli:  Ho  capito,  sei  innamorato!  Die- 
di allora  in  uno  scoppio  di  ridere,  scordando  per 
un  momento  la  trista  fonte  de'miei  malanni.  E  in 
confidenza,  che  nessuno  ci  senta,  gli  dissi  all'orec- 
chio: ho  mille  spese,  e  neppure  un  quattrino!  Po- 
co male,  ripetè  il  compagno  :  eccoti  la  mia  borsa 
con  cento  luigi:  fanne  il  tuo  bisogno!  Allora  mi  tor- 
nò l'anima  in  corpo,  e  strinsi  al  petto  quel  gene- 
roso; tanto  che  ebbi  a  soffocarlo.  Adagio  adagio,  ei 
diceva,  non  rendermi  male  per  bene:  vedo  l'ecces- 
so della  gioia  e  della  gratitudine;  ma  ogni  eccesso 
nuoce!  Io  cominciava  quella  tiritera  del  ringrazia- 
re, che  la  moda  ci  ha  appresa:  ed  egli  ponendo- 
mi la  mano  alla  bocca  m'impose  tacere  ,  soggiun- 
gendo: Le  cose  degli  amici  denno  essere  comuni  , 
anche  i  consigli;  e  questi  io  darò  a  te,  come  die- 


86                                   S  e   1   E  N  Z  K 
di  innanzi  a  me  stesso.  Odili,  e  sia  questo  un  pri- 
mo segno  di  grato  animo,  il  più  accetto  che  pos- 
sa darmi!  Io  spendeva  e  spandeva,  ed  erami  ridot- 
to al  verde:  vidi  allora,  che  l'uomo  dee-sì  consu- 
mare, ma  prima  guadagnare,  e  guadagnare  in  huon 
dato   per    non  rimanersi   in   secco;  che  quella  ari- 
dità della  borsa  porta  aridità  di  bene.  Pensai  adun- 
qjie  a    lavorare    in    qualche   arte:    scelsi  quella    di 
stampatore,  meschina  veramente   al    giorno   d'oggi. 
Non  serve:  guadagnai    qualche  scudo,  e  a  capo   alla 
settimana  depositai  il  guadagno  alla  cassa  di  rispar- 
mio: così  i   giorni   di   festa  ,  che  prima  io  soleva 
andare  al  caffè,  all'osterìa  a  giocarmi  piacevolmente 
poco  meno  che  la  camicia,  fui  alla  chiesa  ,   al    pas- 
seggio, e  lessi  qualche  libro  di  viaggi  ,  che   mi   era 
una  consolazione.  Tornava  la  settimana  per  lavorare: 
ed  io  al  lavoro,  e  di  nuovo  quegli  scudi  guadagnati, 
e  di  nuovo  depositati.  Il  denaro  intanto  si  accre- 
sceva co'frutti  che  ingrossavano  in  capitale  sempre 
fruttifero  ,  e  non  ci  pioveva   ne    tempestava  sopra. 
Seguitai  questo  bel  giuoco  senza  dire  il  mio  segreto 
ad  anima  vivente;  neppure  a  te,  cuor  del  mio  cuore! 
La  faccenda  è  ita  tanto  innanzi,  che    io   de'miei   ri- 
sparmi posso  offrirti  questa  borsa,  che  io  destinava 
appunto  per  te,  quando  ringraziando  il  cielo    ti    ho 
ritrovato.   E   tu   che  hai  fatto  in  questi  tanti  mesi, 
che  non  ci  siamo  veduti.''   Io   arrossiva,   e   pure  ri- 
spondeva: Ho  giuocato,  ho  girato  su  e  giù  senza  far 
nulla,  ed  ecco  che  mi  era  ridotto  con  un    pugno  di 
mosche  in  mano!  Quegli  si  fece   burbero   (  ma  era 
il   burbero   di  buon    cuore):   e   soggiungeva:  Qui 
bisogna'  mutar  vita,  o  ch'io basta:  confida- 
mi le  tue  magagne,  e  le  racconceremo.  E  pensa   to- 
sto un  mestiere,  a  cui  dedicarli.  Non  più  giuochi, 


Il  nuovo    Salvadanaio  87 

non  più  vizi,  non  più  romanzi,  non  più  ....  Giu- 
dizio in  somma  :  e  quello  che  avrai  guadagnalo  , 
alla  fine  della  settimana  portalo  alla  cassa  di  ri- 
sparmio. Benedetta  istituzione,  che  fa  l'uomo  pre- 
vidente, economo  e  industrioso,  e,  ciò  che  è  più  , 
huon  marito,  buon  figlio,  buon  padre,  buon  cit- 
tadino! Io  abbracciai  di  nuovo  il  mio  benefatto- 
re, e  seguitai  i  suoi  consigli,  e  mi  trovo  contento, 
arcicontento!  » 

Francesco  Capozzi 


Intorno  allo  scorbuto  osservato  nel  forte  di  Nar- 
ni  dal  sig.  dottor  Angelo  Sorgoni.  Lettera  cri- 
tica del  dottore  Camillo  V^ersari  da  Forlì  alVe- 
gregio  dottor  Francesco  Bertinatti  socio  corri- 
spondente della  società  medica  di  Livorno^  del- 
la medico-chirurgica  di  Bologna,  di  quello  de- 
gli euteleti  di  s.  Miniato,  membro  del  collegio 
di  chirurgia  nella  reale  università  di  Torino  , 
professore  di  anatomia  nella  reale  accademia  di 
belle  arti.  -  „  Liberum  cuique  sit  unum  iudicium\ 
sua  illi  placuit  opinio:  mihi  forsitan  nim,ium  mea\ 
quid  quid  dictum  sit,  id  non  contradicendi  sed 
veritatis  studio  dictum  putetur.  „  Freind.  - 

P 

jL  regiatisimo  amico.  Dacché  cortesemente  onora- 
ste col  dedicarmi  l'utile  vostra  lettera  sopra  un 
caso   di    scorbuto   (1)  raro,  gravissimo,  e  tuttavia 

(i)  Inserita  nel  num.  25  del  Repertorio  medico-chirurgico 


88  Scienze 

ben    vinto    in    poche    settimane   pel   metodo    tera- 
peutico da  me   prescelto,  e  con  undici  salassi,  sen- 
tii dentro  l'anima  il  bisogno  di  porgervene  grazie  , 
e  seco   voi  rallegrarmi.  E  appunto,  siccome  ricor- 
derete, vi  adempie  con  pronti  e  zjfiFettuosi  caratteri. 
Mi  riserbava  però  di  darvene  anche  alcun  pubblico 
segno  a  maggiore  argomento  del   grato   animo  mio, 
ed  in  omaggio  alle  vostre  chiare  virtìi  dell'intel- 
letto e  del  cuore.   Ma   la  mia  spesso  avversa  for- 
tuna  noi   consentì.   Ora  che   me   ne   trovo  ripara- 
to, e  perchè  è  pure   in   me   costante   quel  ripetu- 
to proposito,  debbo  e  vo'sdebitarmi  di  parte  almeno 
de'tanti  obblighi  che  a  voi  mi  stringono.  Che    trop- 
po mi  graverebbe  l'apparirvi  tuttora  disconoscente, 
siccome  troppo  gravommi  il  sì    lungo    silenzio   che 
ho  dovuto,  mio  mal  grado,  durare,  e  piìi  il  pensiero 
che  ne  poteste  essere  interprete  sinistro.  Tenue  però 
e  l'offerta  che  son  per  farvi,  anzi  lievissima,  per  la 
pochezza    mia  non   proporzionata   agli  alti   meriti 
vostri.  Pure  Tardisco  nella  soave  fiducia  che  spirano 
gli  animi  gentili  ,  e  per  la  bontà  e  generosa   indul- 
genza con  che   altre  volte  mi  deste   conforto  ,  e  al 
pubblico    raccomandaste   alcune   mie   opericciuole. 
Vogliate   ora  degnarvi  di  benignamente  accogliere 
e   proteggere  anche  questa  minore. 

Mira  essa  all'esame  critico  delle  osservazioni  e 
riflessioni  sullo  scorbuto  dal  nostro  socio  sig.  dot- 
tor Angelo  Sorgoni  non  ha  guari  pubblicate  nelle 
Memorie  della  società   medico-chirurgica   di  Bolo- 


picmoiUese  compilato  dal  dott.  De  Rolandis,  e  nel  fascicolo  di 
marzo  i852  del  Bollettino  delle  scienze  mediche  di  Bologna  ,  e 
ucl  fascicolo  di  luglio  i836  del  Giornale  Arcadico. 


IntoUno  allo  Scorbuto  89 

i*iia  è  nel  Giornale  Arcadico.  Sertibrandomene  non 
affatto   indegno  V  argomento  ,    ne   ho   prestamente 
voluto  cogliere  l'occasione.  E  mi  vi  sono  determina- 
to  tanto  più  volentieri  ^  quanto  che  è  materia  di 
mutua  attinenza.  Io  vi  ho  alcun   diritto   per   essere 
piaciuto  al  sig»   dottor   Sorgoni    di    attinger   molto 
dalle  mie  premiate  »  Ricerche  sullo  scorbuto:  »  voi 
ne  compartecipate  per  la  felice  guarigione   del   vo- 
stro scorbutico  Filiberto  Qiublier  di  Messeri,  che 
appunto,  siccome  scriveste  e  comprovaste,  ne  andò 
interamente  debitore  al  frutto  pratico  AeWe  idee  pa- 
tologiche e  delle  osservazioni  da  me  distese  e  svilup- 
pate. Sicché  ho  caro  e  preziosissimo  quel  fatto;  caro, 
perchè  vostro,  e  a  chiare  note   manifesta  salva  una 
vita  che  con  altri  mezzi  curativi    sarebbesi    estinta; 
preziosissimo,  per  l'accuratezza  e  semplicità  istorica 
con  che  Io  dipingeste,  e  tale  eziandio    per  le  varie 
importanti  naturali  induzioni  di  che  è  capace  a  vie- 
meglio convalidare   la  mia  sentenza.   Onde   me  ne 
sta  a  cuore   il  molto  possibile    profitto.  E  il  trarrò 
forse  con  maggiore  estensione  di  quello  m'abbia  già 
fatto,  quando  alla  per  fine  aderendo  alle    istanze    di 
alcuni  amici  miei  manderò  in  luce  rinnovate,  più 
ampie,  e  chiarite   le  mie  sopraindicate  Ricerche. 

Il  sig.  dottor  Sorgoni  studiò  lo  scorbuto  sopra 
molti  condannati  ,  i  quali  già  da  alcun  tempo  vi 
eran  disposti  e  per  istanchezza  di  viaggio  dal  Forte 
Urbano  a  quel  di  Narni,  e  per  altri  disagi  e  mise- 
rie e  patemi  di  carcere.  Cola  ne  vide  conseguire  la 
manifestazione  all'umidita  di  certi  cameroni,  in  cui 
furono  quegli  infelici  rinchiusi.  I  sintomi  e  i  se- 
gni, che  ne  raccolse  e  discusse,  disvelano  a  mio  av- 
viso un'indole  sì  benigna  da  indurne  il  dubbio  di 
morbus  maculosiis  di  WerlhofF,  Bohrens  e  Brachet, 
G.  A.  T.  LXXIV.  7 


90  Scienze 

ossia  della  purpura  haemorrhagica  di  Wìllam,  del 
phenygmus^  della  emorrea  petecchiale,  e  dello  scor- 
buto petecchiale   e   della    spilosi  de'neoterici. 

Ma  per  quel  mio  dubbio  non  voglio  già  che 
da  taluno  si  pensi  doversi  a  quel  dotto  e  perito  no- 
stro socio  i  rimproveri  da  Sydenham,  da  Willis, 
da  altri  diretti  a'medici  de'loro  di  contro  la  tan- 
ta facilità  di  rinvenire  lo  scorbuto  :  sendone  io 
stesso  allenissimo  dall'ammetterli  a'  nostri,  e  lui 
dovendo  per  molti  rispetti  estimare,  e  lealmente 
stimandolo.  Pure,  e  perchè  egli  non  ha  toccato  del- 
le malattie  affini  allo  scorbuto,  e  appunto  nemme- 
no del  morbus  maculosus  da  Vichman  considera- 
to come  un  grado  dello  scorbuto;  perchè  nelle  mie 
Ricerche  non  ne  porsi  io  stesso  i  caratteri  distin- 
tivi ,  stimerei  bene  che  alcuno  riparasse  a  quelle 
nostre  omissioni.  Io  glie  ne  saprei  grado,  e  meco 
glie  ne  saprebbero  i  giovani  cultori  dell'arte  salu- 
tare. Né  solo  questi  d'Italia  nostra,  ma  quelli  an- 
cora di  Francia  ,  ove  non  ha  molto,  per  fede  del 
barone  Alibert  e  del  dottor  Fourneaux  Gaen  (1)  , 
confondevasi  quel  morbo  con  lo  scorbuto. 

Io  ne  ho  alcune  volte  notato  da  me  a  me  la 
grandissima  rassomiglianza:  e  pur  mi  ricorda  d'ave- 
re udito  su  tale  materia  dispute  non  definite  nem- 
men  da'  pili  abili  e  sperimentati  pratici  nostri.  E 
come  non  altrimenti?  Le  cagioni  del  morbus  macu- 
losus, benché  varie,  pure  nella  generalità  corrispo- 
sero a  quelle  dello  scorbuto.  I  sintomi  prodromi  di 
entrambi,  parecchi  de'  costituenti  ,  son  pressoché 
uguali.  La  cura  vuoisi  incirca  dirigere  da  consimili 


(i)  Quegli  nella  nosologia  naturale,  questi  nella  sua  tesi. 


Imtornò  allo  Scorbuto  91 

itidicazlonlj  e  praticarci  con  mezzi  ed  aiuti  unifor- 
mi. Oltre  a  ciò  la  guarigione  di  qUe'malati  ci  si  ap- 
palesa col  graduato  ricomporsi  del  tessuto  dermoi- 
deo,  principalmente  per  le  sue  azioni  sudorifiche 
e  diaforetiche,  e  la  morte  degli  Uni  e  degli  altri 
è  spesso  repentina  per  rotture  di  vasi  sanguiferié 
Altronde  anche  gli  argomenti  necroscopici  concor- 
rono ad  oifuscarné  la  desiderata  chiarezza  del  giu- 
dizio. Di  fatto  in  vari  cadavdi^i  di  mancati  pel  mor- 
bus nìnculosus  ti*ovossi  il  sangUe  assai  fluidoj  e  pei*- 
sino  ne*visceri  àbbondanteniénttì  provveduti  di  ar- 
terie. Ne  ciò  soltantoi  sibbene,  e  non  radè  volte,  ftì 
ne'medesimi  discoperta  l'anévr'ismatica  condizione, 
talora  manifesto  il  vero  anevrisma^  mentrechè  si  ri- 
conobbero in  altri  e  spandimenti  sanguigni,  e  stra- 
vasi ne'viscei*i  toracici,  negli  addominali^  ne'musco- 
11,  e  in  altre  par'ti.  A  dir  vei:*o  son  queste  tutte  gra- 
vissime circostanze,  e  si  omogenee,  da  obbligare  ad 
ammettere  una  assai  stretta  ed  essenziale  patologica 
prossimità  tra  le  due  indicate  morbose  affezioni.  E 
ciò  sta  bene;  ma  che  ne  profitta?  Non  ne  avvertì 
forse  sapientemente  il  gran  vecchio  di  Goo,  che  quo- 
que honis  ntedicis  similitudine s  pariunt  erì*ores  et 
difficultates?  E  le  apparenze  di  uguaglianza  di  na- 
tura non  direm  noi  con  Baglivi  potere  indurre  a 
diagnosi  bugiarde  pel  criterio  di  sola  analogia?  E 
non  le  inducono  forse  ne'morbi,  che  variamente  no- 
miniamo secondo  le  differenze  de*gradi  loro,  e  la 
successiva  diffusione  da  un  sistema  all'altro? 

Il  valore  diagnostico  vuol  esser  serbato  netto 
ed  interoi  e  qu^indo  non  s'abbia  cosi  stabilito,  dob- 
biamo sollecitarci  -a  procacciamelo.  Vorrei  quindi 
commesso  anche  quel  punto  controverso  di  cliniche 
disquisizioni    all'  attenzione  de'piìi  esercitati  ed  in- 


92  Scienze 

dusti'i  osservatori  dell'uomo  infermo,  e  però  Io  rac- 
comando alla  molta  vostra  sagacia.  Forse  taluno,  più 
amico  delle  sottigliezze  che  delle  pratiche  verità,  po- 
trebbe  per  avventura  giudicar  questo  tema  di  poco 
peso.   Quelli   però   che  sanno,  doversi  la  medicina 
trattare  come  parte  di  storia  naturale,  ed  intendo- 
no, dietro  i  dettami  della  schietta  ipocratica  osser- 
vazione, a  migliorarla  per  l'eflìcace  solidità  di  tutti 
gli  argomenti  della  nostra   piìi   perfezionata  espe- 
rienza, tengo  che  meco  si  accordino  intorno  alla  sua 
profittevole  importanza.  Tale  veramente  mi  sembra, 
e  tale  anzi  è,  per  l'obbligo  almeno  che  corre  a  cia- 
scuno di  noi  d'illustrare,  per  quanto  ne  è  dato,  la 
natura  de'morbi   non  ancora  ben  conosciuti  o  non 
affatto  distinti.  Per  tanto  sacro  dovere  avrei  io  stes- 
so tentato  di  fissare  i  confini  fra   l'una  e  l'altra  in- 
fermità. Ma  no,  conosco  temeraria  l'impresa,  come 
quella  ch'è  assai  superiore  alle  mie  forze.  Difficile, 
dilicato  n'è  l'argomento;  scarso  il  possesso  di  clini- 
che e  necroscopiche  relative  osservazioni;  a  ben  ap- 
prezzarle è  necessaria  molta  perspicacia,  e  ad  util- 
mente istituirle  vasta  pratica  e  vero  acume.  Per  si- 
mili riflessi  porgerò  adunque  a  me  stesso  il  sano 
consiglio  di  Orazio: 

Sumite  materiani  vestris^  qui  scribitis,  aequam 
yiribus.,  et  versate  diu^  quid  ferre  recment. 
Quid  valeant  humeri:  ^ 

sicché  mi  rimango,  e  a  voi  lascio  ed  affido  la  solu- 
zione del  problema.  Tuttavia  permettetemi  che  vi 
sottoponga  pochi  pensieri,  che  mi  vennero  alla  men- 
te meditando  sopra  quel  suggetto. 

Parvemi  nel  picciol  numero  de'  casi  da  me  os- 


Intorno  allo  Scorbuto  93 

servati  vedere  pel  morbus  maculosus  una  semplice 
congestione  del  sistema  sanguigno,  e  per  Io  scor- 
Luto  una  profonda  angioite  di  propria  forma  e  sui 
generis.  Chiedeva  a  me  stesso  in  quelle  meditazioni: 
Per  non  confondere  l'uno  coll'altro  potrebbero  soc- 
correre la  loro  sintomatologia  ,  ed  alcuni  criteri! 
tratti  dall'  esito  e  dalla  durata?  L'  apparato  feno- 
menologico del  vero  scorbuto  non  è  sempre  grave, 
e  di  una  commovente  tristezza?  Seguiva:  Non  è  così 
del  morbus  maculosus.  Il  sonno  dello  scorbutico 
non  ricrea,  ne  ripara  alla  lassezza  di  tutta  la  per- 
sona, anzi  r  accresce.  Lo  scorbuto  ha  stadii  bene 
riconoscibili.  Il  morbus  maculosus  ne  manca.  E  mi 
soggiungeva:  In  quello,  grande  la  tendenza  alla  ca- 
rie e  al  cancrenoso  processo:  in  questo,  luna  e  l'al- 
tra degenerazione  rarissime  :  nel  primo,  dolori  di 
reumatica  apparenza;  le  piaghe  ben  risanate,  le  fe- 
rite anche  ad  antica  cicatrice  facili  a  riaprirsi;  age- 
vole pure  il  disciogliersi  del  callo  osseo  già  succe- 
duto a  riparate  fratture  :  non  presentarsi  nel  se- 
condo que'dolori,  ne  le  indicate  rinnovazioni  di  so- 
luzion  di  continuo',  il  molto  guasto  interno  della 
bocca,  dei  denti,  delle  gengive  de' veri  scorbutici,  e 
le  varie  gravi  e  successive  degenerazioni  di  queste 
parti,  il  fetore  insopportabile  del  loro  alito  e  del 
traspirato  dall'esterior  superficie  del  corpo,  non  cor- 
rispondere alla  leggerezza  di  poche  consimili  con- 
seguenze ne'cronicamente  compresi  dal  morbus  ma- 
culosus. Forse  che  nel  morbus  maculosus  non  è 
generalmente  felice?  Certo  ne  pufi  variare  il  corso: 
e  se  sovente  in  questo  è  breve,  pure  può  durar  mesi 
ed  anche  anni  per  chiara  testimonianza  dell'illustre 
Bateman;  ma  quella  prontezza  e  lunga  durata  non 
competono  mai  all'assoluto  scorbuto  de' trattatisti. 


94  S    e    I    E    N    X    B 

Piacciavi  or  meco  discendere  a  quel  dì  Narnì , 
e  concederrni  cl^e  ne  sia  compilatore  del  piU  impor- 
tante, a  quando  3^  quando  aggiungendo  alcune  mie 
considerazioni, 

Dopo  avere  l'onorevole  nostro  socio  esposti  i 
sìntomi,  ne  distingue  e  fissa  tre  ordini,  che  risulta^ 
Xio  dalla  varia  loro  entità^  e  dalla  maniera  stessa 
Qon  cui  si  sono  sviluppati.  Riferisce  il  primo  ad 
una  generale  alterazione  dell' orgamismo:  e  a  con-^ 
trassegni  ne  dà  color  terreo,  plumbeo,  verdognola 
del  volto,  e  di  tutta  la  superfìcie  del  corpo,  Vop^ 
pressione  del  respiro,  la  torpidezza  delle  funzio- 
ni del  basso  ventre;  il  morale  abbattimento  ;  //  senso 
di  spossatezza;  le  orine,  ed  altro  di  questa  natura. 
Però  que'sintonii,  a  quanto  mi  pare,  non  sono  così 
proprii  e  caratteristici  dello  scorbuto  da  conseguir-^ 
ne  necessariamente  le  diagnosi.  E  di  vero  non  ve 
ne  ha  alcuno  patognomonico,  e  pel  maggior  numero 
ci  si  offrono  a  forieri  anche  della  porpora  emorra- 
gica e  della  pellagra,  Oltre  di  che  ci  occorrono  in 
molte  altre  malattie,  principalmente  nelle  croniche 
del  sistema  irrigatore  sanguigno;  in  varie  subdole 
nevrosi  prodotte  da  patemi  o  da  mala  nutrizione,  e 
in  alcuni  morbi  de'cavatori,  de'cavametalli,  de'lavo- 
ratori  di  molti  metalli,  e  di  altri  artefici,  Quanto 
poi  alla  generale  alterazione  dell'organismo,  comu- 
ne pur  essa  a  molte  altre  croniche  malattie,  penso 
che  possa  solo  avverarsi  negli  scorbuti  carcerari  , 
in  alcuni  navali  e  castrensi,  e  in  genere  nepre-; 
parati  da  lungi,  non  sapendola  concepire  ed  am-^ 
inettere  ne'pronti  casi  di  scorbuto,  a  modo  d'esem- 
pio ne'  prodotti  da  eccesso  di  esercizio  (1),  da  abu^ 

(i)  La  relaziono  del  doU.  Nilsche  ne  contiene  buon  numero. 


Intorno  allo  Scorbuto  95 

so  d'acqua  vite  e  di  vino  (1),  e  negli  altri  per  al- 
tre cagioni  acutamente  sviluppatisi.  Di  qual  natui'a 
gli  sembrasse  quella  generale  alterazione,  forse  non 
dice  abbastanza  ;  poiché  dopo  molti  ingegnosi  ri- 
flessi sulle  cachessie  conchiude,  potersi  stabilire  in 
una  loro  specie  particolare  distinta  dalle  altre  , 
tanto  per  ragione  delle  cause  morbose  e  de"  sin- 
tomi^ quanto  per  ragione  del  modo  di  risoluzione 
e  deir  analogo  metodo  di  cura.  E  qui  monta  e 
giova  il  notare  come  più  spesso  ne  indichi  i  mez- 
zi di  prove,  anzi  che  porgerne  le  dimostrazioni;  co- 
me ometta  i  criteri  dell'  anatomia  patologica,  ed  il 
valore  anche  di  quelli  che  ei  potea  trarre  dalle  au- 
tossie  de'pochi  individui  perduti.  Che  era  adunque 
quella  generale  alterazione  dell'organismo  tante  vol- 
te recata  in  campo?  Era  ella  forse  prodotta  da  ri- 
lassamento di  coesione,  da  molecolare  innormalitk 
d'impasto  organico,  o  da  modifìcazioni  nella  chimi- 
ca riparazione,  da  varietà  di  temperie,  di  crasi  ne' 
fluidi,  da  elettrici,  galvanici  perturbamenti,  da  di- 
minuita innervazione,  od  anche  da  alcune  di  que- 
ste condizioni  insieme?  In  ogni  modo  confesso  ri- 
uscirmi assai  oscura  quella  complessiva  indicazio- 
ne di  organiche  generali  alterazioni:  siccome  mi 
riesce  difficile  ed  astruso  l'accoglier  l'idea,  che  se 
un  morbo  nel  suo  principio  le  induce,  sia  poi  in 
nostro  potere  il  risanarle  con  qualche  prontezza, 
e  pel  solo  soccorso  di  pochi  e  lievi  mezzi,  cioè 
del  ferro  e  degli  acidi,  E  poi  quella  generale  al- 
terazione dell'organismo  esprime  una  conseguenza 
delle  malattie  universali  ,    comprende  in   se   tutti 


(i)  EUis  e  Riclierand  ne  ebbero  a  curare  parecchi. 


$6  Scienze 

i  cambiamenti  possibili  per  le  molto  estese,  senza 
qualificarne  o  distinguerne  alcuno.  Ella  è  idea  plU 
d'astrazione  che  di  pratico  momento,  è  idea  che  por' 
gè  norma  di  cura,  e  che  qualora  non  si  giunga  a 
precisare  nella  sua  reale  essenza  può  rescire  an-» 
che  dannosa.  Questa  precisione  d'altronde  è  tut-* 
torà  desiderabile.  Il  second'ordine  componeasl  di 
sintomi  esprimenti  ringorghi  sanguigni  ,  indi  di 
travasi  e  di  emorragie.  Era  il  terzo  di  stato  infiam- 
matorio. E  quei  tre  distinti  ordini  sintomatici  si 
presentavano  tanto  regolari  e  costanti,  e  fra  loro  di 
tal  maniera  connessi,  che  secondo  le  osservazioni  del 
nostro  socio  costituivano  altrettanti  stadi  del  mor- 
bo precisi  e  chiarissimi.  Intorno  a  che  non  vorrò 
muover  dubbiezza:  sebbene  in  pratica  mi  sappia 
non  assolute  le  serie  e  successioni  de'perlodi  de' 
morbi,  o  almeno  non  cosi  ordinate  e  limpide  quali 
le  leggiamo  nel  maggior  numero  degli  autori. 

Continuo  ad  attenermi  al  principale  della  me- 
moria del  nostro  socio.  Osservo  quindi  che  meco 
Stabilisce  la  sede  o  condizion  patologica  dello  scor- 
buto nel  sistema  sanguigno,  e  meco  pur  agita  la  qul- 
stione  propostami,  son  già  dodici  anni,  se  dipenda 
dalle  flebite  o  dalle  arterie.  Giudica  francamente  di 
quella:  e  ne  adduce  a  comprova  non  le  necroscopi- 
che necessarissime  osservazioni,  ma  i  criteri  sinto- 
matici, che  sin  da  Celso  sappiam  dichiarati  di  per  se 
non  bastevoli  a  caratterizzare  lo  stato  mor]>oso.  E 
certo  ben  poco  valgono,  massime  scompagnati  dai 
necroscopici,  e  più  quando  non  si  rafforzino  con  al- 
tri idonei  argomenti:  siccome  sarebbero,  a  modo  d'e- 
sempio, quelli  dedotti  dalle  cagioni  o  potenze  che 
prediligono  un  dato  tessuto  o  viscere,  quelli  che  ri- 
sultano   dalla    esclusione   od   eliminazione   di   altri 


Intorno  allo  Scorbuto  97 

modi  patologici,  gli  altri  a  itivantibits  et   laedenti- 
hus,  e  aggiungnerei  anche  il  mio  ab  electivis. 

Poc'oltre  premette  differenza  di  sintomi  tra  i 
morbi  delle  arterie  e  delle  vene  pel  ceppo  flogistico 
delle  une  e  delle  altre,  e  quelli  riferisce  a  sconcerto 
di  funzioni  de'vasi  sanguigni:  quindi  per  l'arterite 
determina  vibrate,  dure,  innormali  le  pulsazioni; 
per  la  flebite  la  sola  loro  frequenza.  A  questi  sinto- 
mi sfigmici  altri  ne  aggiunge,  e  li  trae  dalle  cutanee 
apparenze,  dall'aspetto  della  lingua,  e  della  emo- 
scop'ia.  Per  le  arterie  pretende  il  corpo  bianco-pal- 
lido, solo  alle  gote  rubicondo  ,  pallido-rossa  la  lin- 
gua, il  sangue  estratto  pur  rosso,  a  duro  crassamen- 
to,  e  molte  volle  cotennoso;  per  le  vene,  abito  terreo 
verdognolo  talvolta,  lal'altra  plumbeo,  lingua  fosco- 
pallida,  oscuro  il  sangue,  di  lento  e  diflicile  coagulo. 
Dice  poi  la  flaciditk  sintoma  di  lor  cachessia,  e  fini- 
sce enumerandone  altri  che  dichiara  comuni  e  alla 
flogosi  arteriosa  e  a  quella  delle  vene. 

Mi  prefìggo  esser  breve.  Sospendo  adunque 
le  meno  importanti  osservazioni,  che  potrei  di  se- 
guito comunicarvi.  Ma  fuor  di  dubbio,  e  per  l'es- 
senziale dello  stato  di  critica  rifletto,  essere  que'sin- 
tomi  insufficienti  a  comprendere  e  distinguere  le 
suddette  flogosi  vascolari;  non  dover  dire  dell'  arte- 
riosa, sibbene  della  flebite,  come  quella  che  dal  dot- 
tor Sorgoni,  e  innanzi  a  lui  anche  da  altri,  fu  giu- 
dicata essenziale  assoluta  cagione  dello  scorbuto.  K 
prima  d'ogni  altra  cosa  suppongo,  che  voglia  egli 
alludere  alla  lenta  flebite  universale^  così  detta  da 
molti  trattatisti  ,  dovendomivi  io  indurre  per  la 
notata  alterazione  dell'organismo  nel  primo  stadio 
e  per  l'ordinario  cronico  corso  dello  scorbuto.  Per 
la  quale    ragionevole  mia  supposizione  non  regge 


98  Scienze 

il  carattere  della  frequenza  de'polsl.  E  di  vero  non 
è  più  presto  dell'  acuta  universale  flebite  che  del- 
la cronica?  E  appunto  il  grande  maestro  di  tra- 
gica eloquenza  medica  ,  e  osservatore  accuratissi- 
mo delle  cause  manifeste  e  de'  segni  de'  mali,  vo' 
dire  il  sempre  ammirabile  Areteo,  nel  libro  se- 
condo De  venne  concavae  acuto  morbo  (1),  ci  in- 
segnò: Pidsatus  arteriarum  exigni  sunt ,  creber" 
rimi  ac  veluti  oppressi  atque  repulsi-  Dissero  si- 
milmente tutti  coloro  che  poscia  si  diedero  allo  stu- 
dio ed  alle  descrizioni  dell'acuta  flebite  universa- 
le: e  i  più  moderni  giunser  perfino  a  precisarne 
le  battiture  per  ogni  minuto  primo  oltre  le  cen- 
toventi, talvolta  anche  fino  alle  cencinquanta.  Qua- 
le fiducia  adunque  potrem  noi  accordare  a  quel  se- 
gno del  nostro  socio?  In  quante  altre  malattie  di» 
sparatissime  non  sentiam  pure  frequenti  le  pulsa- 
zioni, e  talora  innumerabili?  Che  se  lo  scorbuto  di- 
pendesse dalla  indicata  flebite,  dovrebbe  alterare  le 
intellettuali  facoltà  perchè  essa  le  altera.  Potei  io 
slesso  notarlo  in  alcun  caso,  e  più  apertamente  il 
notarono  in  molti  Hodgson  ,  Delbant ,  Breschet  e 
Scarpa.  Anzi  questo  lume  chiarissimo  d'Italia  no- 
stra fu  il  primo  a  dichiarare  la  febbre  della  fle- 
bite analoga  alla  tifoidea.  Per  contrario  è  nello  scor- 
buto integra  la  mente  ,  e  durante  il  corso  del  di 
lui  completo  sviluppo  alcuni  alienati  riacquistaron 
perfino  il  grandissimo  beneficio  della  ragione.  Leg- 
gete il  fatto  riportato  dall'illustre  professor  Carlo 
Luigi  Dumas,  nella  sua  classica  Dottrina  generale 


(ij  Gap.  VII  pag,  39.  Patavii   MDCG.  Typis  Petri  Maria© 
FramboUi. 


Intorno  allo  Scorbuto  99 

delle  malattie  croniche  tom.  I  p.  229  (1),  relativo 
ad  una  religiosa  di  anni  40  da  gran  tempo  mania- 
ca  ,  che  per  perfetto  scorbuto  ne  risanò,  A  con- 
ferma di  quanto  or  ora  ho  asserito  leggete  Taltro 
di  Pechlin,  piaciuto  ad  un  Gian  Giorgio  Zimmer- 
man  nella  non  mai  abbastanza  letta  ,  ne  mai  ab- 
bastanza lodata  Esperienza  nella  medicina  toin.  Ili 
p.  326  e  ?,Q^.  (2),  dal  quale  appunto  questo  som- 
mo deduce  anche  nell'estremo  periodo  dello  scor- 
buto una  capacità  d'  idee  le  più  sublimi  e  le  più 
belle.  Ne  dimenticate,  come  anche  la  parte  visibile 
della  cerebrale  organizzazione  sia  stata  generalmen- 
te dagli  osservatori  rinvenuta  in  fisiologiche  con- 
dizioni. E  dopo  tutto  ciò  potreste  voi  cosi  di  leg- 
gieri convenire  nella  flebite,  quale  esclusiva  condi- 
zion  patologica  dello  scorbuto?  Per  me  non  so  con- 
sentirla: ne  mai  la  consentirò,  fino  a  che  per  solide 
prove  di  notomia  patologica  non  mi  si  dimostri. 
Forse  dirà  il  sig.  dottor  Sorgoni:  I  sintomi  di  co- 
lor terreo,  talvolta  verdognolo,  talora  plumbeo  de' 
tegumenti  ,  la  lingua  fosco-pallida  ,  e  le  qualità 
indicate  del  sangue  estratto,  validamente  concorre- 
re a  sostenere  la  stessa  flebite.  Risponderei  :  Non 
mancar  essi  in  altri  mali  ancorché  d'indole  assai 
diversa,  per  esempio  nelle  fisconie,  massime  sple- 
niche  sopravvenute  a  molti  accessi  di  febbri  pe- 
riodiche; in  varie  maniere  di  clorosi,  nella  mala- 
cia,  e  più  nella  pica,  in  cui  la  depravazione  del 
gusto  fece  inghiottir  ceneri,  terra,  carbone,  gesso 
ed  altre  somiglianti   inassimilabili  e  nocevoli  mate- 


y\)  F'irenze,  Guglielmo  Pialli  i8r3. 
(2;  .Milano,  fliaspero  e  Buocher  i8i5. 


r'JOO  Scienze 

rie.  E  facile  verificare  questa  opposizione  mossa 
da  fatti  osservati  e  non  infrequenti.  Io  ne  ho  rac- 
colti parecchi  esempi,  e  recentemente  uno  straor- 
dinario di  una  giovane.  Presentava  tutti  que'sinto- 
mi,  per  quanto  potei  stabilire,  unicamente  prodot- 
ti dall'aver  mangiata  molta  cera.  E  ne  aveva  ella 
tanta  fame  e  così  insuperabile,  che  suo  malgrado 
talora  non  potea  nemmen  nelle  chiese  rattenerse- 
ne,  ed  involavano  alcun  pezzo  dalle  candele.  Ho  cre- 
duto bene  particolarmente  toccare  di  quest'esempio, 
stimandolo  all'uopo  a  preferenza  di  quelli  che  sono 
a  mia  notizia,  e  non  avendone  di  simili  ancora  tro- 
vato istoria  in  niun  autore. 

Anche  le  modificazioni  del  sangue  degli  scor- 
butici non  sembranmi  di  gran  conto  per  la  diagno- 
si essenziale,  e  principalmente  laddove  si  parli  di 
quello  estratto  dopo  il  primo  stadio.  Prescindo  da 
quanto  scrissi  sulla  incoagulabilità  del  sangue  degli 
scorbutici  nelle  mie  Ricerche.  Potrei  in  questa  epi- 
stola a  buon  diritto,  come  dice  Terenzio,  giovarmi 
del  mio  per  cose  mie:  pure  mi  sono  studiato,  e  mi 
studio  di  non  ripetere  ciò  che  notai  nelle  mede- 
sime. Avverto  bene  in  proposito  ,  che  gli  esperi- 
menti di  Boissier  de  Sauvages  e  di  Manetli  (1)  pro- 
varono, conseguire  all'uso  degli  acidi,  ed  in  ispecie 
all'uso  dell'acetico  e  del  citrico,  un  incremento  del- 
la naturale  fluidità  del  sangue.  Laonde,  e  per  non 
essere  state  dal  dottor  Sorgoni  nel  1."  e  %^  stadio 


(i)  Sono  riferili  nella  prima  dissertazione  di  quello  intitola- 
ta: Dei  medicamenti  che  attaccano  alcune  determinale  parti  del 
corpo  umano  ec.  tradotta  ed  accreeciuta  con  note  dallo  stesòo 
Manclti.  Firenze  i754> 


Intorno  allo  Scorbuto  101 

prescritte  le  sanguigne,  ed  avendo  egli  continuato 
a  curarli  cogli  acidi,  potreldjesi  la  lentezza  e  dif- 
ficolta del  rappigliarsi  del  sangue  de'suoi  scorbu- 
tici assegnare  all'azione  degli  acidi  stessi  ammini- 
strati. Io  v'inchinerei,  anche  per  un  fatto  ojffertonìi 
da  una  anginosa  febbricitante,  a  cui,  intorno  a  sei 
anni  fa,  ordinai  che  si  aprisse  la  vena.  Rivisitatala 
il  giorno  dopo,  e  osservatone  il  sangue  estratto,  non 
ne  vidi  un  vero  crassamento,  sibbeue  un  circolo  ro- 
seo men  ampio  del  consueto  che  ne  tenea  le  veci, 
ed  era  circoscritto  da  sostanza  pur  rosea  di  consi- 
stenza poco  maggiore  dell'olio,  cinta  da  siero  bian- 
castro alquanto  abbondante.  Me  ne  sorpresi:  e  inter- 
rogatala se  fosse  amica  degli  acidi,  rispose  che  sì:  e 
mi  aggiunse  essere  da  alcuni  anni  ingorda  dell'aceto, 
e  che  lo  bevea  in  copia  colla  quotidiana  insalata. 
Potrei  dagli  autori  attingere  consimili  indica- 
zioni ,  cioè  di  sangue  difettivo  ,  o  del  tutto  man- 
chevole di  coagulabilità  indipendentemente  da  scor- 
buto, e  dall'uso  degli  acidi  e  de'sali  ,  sia  durante 
la  vita,  sia  dopo  cadaverica  ispezione.  Ma  voi  sie- 
te tanto  erudito,  e  di  sì  felice  intelletto,  da  ritornar- 
li ben  di  leggieri  alla  colta  memoria:  onde  mi  pare, 
che  se  me  ne  prendessi  la  briga,  non  altro  faces- 
si che  recar  vasi  a  Samo  ,  o  nottole  ad  Atene  , 
od  acqua  ad  Arno.  Quindi  più  presto  dirò  dì  due 
non  mandati  alla  luce,  e  occorsi  in  questa  pro- 
vincia :  il  primo  agli  egregi  e  onoratissimi  ami- 
ci miei  e  cari  concittadini  sig.  dottori  Valbonesi 
e  Pascucci:  il  secondo  a  me  stesso.  Fu  quello  os- 
servato in  Forlimpopoli  ,  in  seguito  ad  ima  fra 
le  varie  flebotomie  fatte  a  certo  signor  canonico 
Saleghi,  d'abito  appopletico  ,  soggetto  a  frequenti 
turgori  sanguigni  cerebrali.  S'instituì  sotto  profondo 


402  Scienze 

sopore,  e  mostro  poi  invece  del  crassamento  lin  li- 
quido cupo  compreso  in  urta  specie  di  sottilissimo 
membranoso  involucro.  Io  qui,  dopo  alcun  teimpo^ 
curai  il  suddetto  sig.  canonico,  e  ne'salassi  prescrit- 
tigli anche  irt  ugual  circostanza  non  mi  avvenne! 
mai  conferma  di  simile  singolarità.  Vidi  l'altro  in 
questa  mia  patria  nel  sangue  venoso  del  canonicoì 
Federico  Gaddi.  Era  ipocondriaco,  e  per  reuma^ 
convulsioni  e  vecchiezza  quasi  affatto  impotente  alla 
locomozione.  Gli  si  rinnovavano  a  quando  a  quando 
le  convulsioni  con  forma  epilettica,  e  senza  vero 
periodo.  Tornarongli  in  una  notte  deiragoslo  1830 
per  la  prima  volta  susseguite  da  febbre;,  rossor  di 
volto,  iniezione  d'occhi,  aumento  altissimo  d'indivi-» 
duale  temperatura  ;  e  per  ricorrenti  intellettuali 
alterazioni  e  furore  ,  rese  più  gravi  e  considere- 
voli. Prescrissi  tosto  un  largo  salasso,  che  in  breve 
lo  migliorò,  e  gli  segnai  una  soluzione  di  tartaro 
stibialo  per  bevanda.  Rivedutolo  al  mattino,  era  api- 
retico, e  di  mente  sana.  Il  sangue  estratto  avea  flui- 
da e  cosparsa  di  fiocchetti  nerastri  la  porzione  ros- 
sa;   naturalissimo  il  siero* 

Torno  di  volo  alla  flebite  del  dottor  Sorgo- 
ni,  ed  oppongo  da  ultimo  per  l'applicazione  della 
medesima  allo  scorbuto,  che  si  ebbero  e  riconob- 
bero flebiti  universali  primarie  e  consecutive  ,  e 
tuttavia  non  diedero  a  divedere  la  sintomatologia 
dello  scorbuto. 

1  confini  per  consuetudine  assegnati  agli  scrit- 
ti epistolari  non  mi  permettono  ulteriori  minute 
discussioni:  onde  pili  concisamente  che  possa  farò 
pochi  altri  riflessi.  Volgesi  di  bel  nuovo  l'autore 
al  fondo  organico  di  generale  alterazione,  e  con- 
fortandosi delle  autorità  di  Trotter,  di  Sasheim, 


Intorno  allo  Scorbuto  103 

e  (li  Sprengel,  lo  riferisce  a  difetto  di  ossigeno.  Ave- 
va   io    già    mosse  contro  le   prime  alcune  non  con- 
futate  opposizioni.  Contro    l'uguale   di  Bedoel,  e  la 
seguente   di  Sprengel  recata   dallo  stesso  Sorgoni: 
Humida^  nebulosa  aeris  indoles  ita  nocete  ut  minus 
sanguis  oxydari  possit.  Recentium  nutrimentorum 
defectus  et  infirmare  vires   et   sanguinis    depra\>a- 
tioni  falere  propter  oxjgenis  defectwn  dehet  :  fa- 
rò poche  umilissime  parole,  dirigendole  alla  più  la- 
ta e  favorevole  interpretazione  di  questa  sentenza 
per  l'opinion  del  Sorgoni,   comecché  proprio  fos- 
sero dallo  Sprengel  dettate  intorno  lo  scorbuto.  Di- 
co adunque  vero,  che  l'aere  umido  e  nebbioso  nuo- 
ce anche  nel  proprio  difetto  di  ossigeno;  ma  è  pur 
vero,  che  indipendentemente  dalla  minore  introdu- 
zione di  quel  gas  sviluppasi  lo  scorbuto  per  igro- 
metriche impressioni;  ne  è  men  vero,  che  la  man- 
canza di  freschi  alimenti  possa  concorrere  a  inde- 
bolire le  forze,  e  contribuisca  a  produrre  imperfetta 
ematosi.  Però  quella  non  sempre  arreca  un  assolu- 
to difetto  di  ossigeno,  e  questa  può  essere  viziata 
di  altre  molte  maniere,  e  per  varie  cagioni.  Vi  sa- 
ranno forse  degli  scorbuti  per  la  ctiologia   da  lui 
pretesa  ;  ma  non  so  ne  posso  accettarla  per   tutti. 
Non  nel  marittimo,  poiché  l'aria  di  mare  abbonda 
di  ossigeno  ;  non  negli  acuti  ,  mancando  il  tempo 
a  quella  chimica  lenta  sproporzione  :  ne  meno    in 
quelli  d'individui  ben  nutriti,  abitanti  sane    posi- 
zioni: non  finalmente  negli  altri  che  a  Marryat,  a 
Manrò,  a  Wilson,  a  Weicard,  a  Lamothe  fecero  in- 
colparne l'abuso  delle  fruita  e  di  altri    cibi  vege- 
tabili. Abbiamo  poi  esempi  di  guarigioni  di  scor- 
buto senza  l'amministrazione  di  acide  sostanze:  e  la 
natura  della  risohuionc  del  1.°  stadio  di  quel  di  Nar- 


404  Scienze 

ni  non  ne  è  prova,  solamente  asserendosi  otténtìtà 
con  critiche  orine  e  critico  sudore.  Occorreva  ana- 
lizzare questi  liquidi  escrementizi  j  od  almeno  as- 
soggettarli ad  alcune  esperienze  per  poterne  dedur-' 
re  una  sana  conchiusione.  E  forse  allora  sarebbe 
stata  uguale  a  quella  di  Parmentier  e  Deyeux,  che 
dopo  i  loro  chimici  processi  sul  sangue  degli  scor-" 
butici  lo  dichiararono  poco  differente  dall'ordinà-» 
rio  (1).  Adunque  il  difetto  di  ossigeno  non  è  né  asso- 
luto, ne  necessario,  ne  dimostrato.  Non  si  può  quindi 
sostenerne  dipendente  la  venosa  flacidita  ammessa 
dal  Sorgoni  nel  suo  secondo  stadio  dello  scorbuto,  e 
molto  pili  se  si  consideri  che  nel  primo  ammini- 
strava gli  acidi.  Altronde  quante  volte  non  avrà  an- 
ch'egli  veduti  flacidi  i  ventricoli  per  acute  e  croni- 
che malattie  dei  precordi,  e  fors'  anche  con  chiara 
iperossidazione  del  sangue?  E  badate  che  egli  stesso 
nella  sua  „  Narrazione  (2)  di  un  caso  di  lenta  an- 
gioite  „  non  di  flebite,  avverti  il  cuore  e  i  vasi  del 
torace  al  pari  degli  osservati  nell'addome  squalli- 
di., flacidi  ed  assai  sviluppati. 

Non  ho  che  ridire  sul  metodo  curativo  te- 
nuto dal  medesimo.  Fu  semplice,  da  migliori  pra- 
tici ispirato,  condotto  con  saviezza  e  prudenza.  N'eb- 
be quindi  molta  prosperità  di  successo:  del  che  se- 
co lui  mi  rallegro  di  cuore. 

Serbando  la  distribuzione   del   nostro  autore, 
debbo  per  ultimo  ricordarvi  che  giudicò  non  cou- 


(i)  Veggasi  nel  dizionario  di  chimica  di  Klaproth  l'articolo 
Sangue. 

(a)  Opuscoli  della  società  medico-chirurgica  di  Bologna,  fa- 
scicolo i6  p.  24. 


Intorno  allo  Scorbuto  105 

tagioso  lo  scorbuto  ,  e  nel  trattato  di  questa  qui- 
stlonc  si  attenne  interissimamente  alle  mie  Ricer- 
che. Del  che  quantunque  mi  senta  onorato  ,  non 
so  rimanermi  dall'osservare  che  come  scrittor  po- 
steriore era  forse  a  desiderarsi  che  ne  spingesse  piìi 
innanzi  le  investigazioni.  Poteva  recare  altre  autori- 
tà, oltre  alle  già  addotte  da  me,  tanto  per  questa 
quanto  per  l'opposta  sentenza.  Per  la  negativa  pote- 
va aggiunger  quella  dell'illustre  mugellano  Antonio 
Cocchi,  o  almeno  la  vostra  che  stimo  non  ignoras- 
se, e  che  nasceva  pure  dalla  osservazione.  Io  certo 
non  vorrò  trascurarla:  anzi,  perchè  include  l'impor- 
tanza del  vero,  reputo  utile  qui  riferirne  il  para- 
grafo relativo,  copiandolo  appunto  dalla  citata  vo- 
stra lettera.  »  ]>fel  letto  accanto  havvi  un  soldato 
»  affetto  da  leggiero  scorbuto,  che  fa  l'infermiere 
»  al  Quiblicr.  Trattato  cogli  acidi,  colla  coclearia 
»  e  colla  bevanda  delle  acque  termali  solforose,  ne 
y>  guarisce.  Nella  stessa  sala  vi  sono  31  infermi,  e 
»  qualcheduno  predisposto  allo  scorbuto,  alcuni  con 
»  piaghe.  Amici  fra  loro  ,  tutti  si  prestano  a  prò 
»  del  grave  infermo.  Niuno  rimane  però  infetto. 
»  Eccovi  impertanto  un  caso  di  scorbuto  gravissi- 
»  mo ,  che  non  si  mostra  contagioso  in  favorevole 
»  occasione.  Per  ciò  avete  un  nuovo  fatto  per  non 
»  crederlo  tale,  »  Penserei  non  superfluo  a  tutte  le 
cose  discorse  soggiungerne  poche  altre  per  poi  rie- 
pilogarne il  complesso;  ma  da  una  parte  considero 
nel  più  importante  discusse  le  opinioni  del  nostro 
socio,  spero,  con  bastevol  chiarezza;  dall'altra  vedo 
questa  mia  prolungata  d'assai:  onde  fo  fine,  pregane 
i  dovi  ad  occoglierla  benignamente  per  l'animo  con 
che  ve  l'oftero.  Siatene  giudice  imparziale,  e  favo- 
rite di  scrivermi  come  sia  il  dottor  Sorgoni  riusci- 
G.  A.  T.  LXXIV.  8 


166  Scienze 

to  a  render  manifesta  la  sua  fleLite,  e  se  abbia,  se- 
condo il  suo  proposito,  diradate  le  tenebre  che  co- 
privano ancora  la  natura  dello  scorbuto. 

Addio,  mille  volte  addio:  amatemi  siccome  v'a- 
nso, conservatevi  all'  onore  e  all'  incremento  delle 
scienze  mediche  ,  alla  felicita  di  vostra  famiglia  , 
alla  consolazione  degli  amici,  ed  aggradite  un  ab- 
braccio. 

1)1  Porli  a'  14  del  1837 

Camillo  Versari 


Cenni  inforno  la  cattedra  di  fisica  sacra 
neir  archiginnasio  romano. 


3l.  ra  le  molte  cattedre  di  scienze  sacre  ,   da  cui 
leggono  ed  istruiscono   neiruniversita  romana  della 
sapienza  valentissimi  maestri  in  divinità,  havvi  quel- 
la cosi  detta  di  fisica  sacra  fondata  nel  1816  dal- 
l' immortale  pontefice  Pio  VII.   di   santa  memoria. 
Questa  cattedra  ha  per  iscopo    l'applicazione  delle 
scienze  naturali  alla  considerazione  delle  opere  del- 
l'autore supremo  della  natura,   col   doppio  fine  di 
magnificare  il  nome  di  questo  divino  autore,  e  di 
confutare  gli  errori  che  derivarono  dall'abuso  del- 
le scienze  istesse;  e  comechè  un'altra  del  medesi- 
mo genere  n'esistesse  gik  da  lunga  pezza  neiruni- 
versita di  Cambridge  fondata   dal   celebre   Boylc  , 
pure  per  assai  titoli  ne  va  superiore  quella,  di  che 
parliamo. 


Cattedra  di  fisica  sacra  107 

In  un  ramo  di  pubblica  istruzione,  che  ha  per 
oggetto  l'applicazione  delle  scienze  naturali  alla 
considerazione  di  Dio,  non  può  immaginarsi  siste- 
ma ne  pili  ordinato,  ne  piìi  sublime  di  quello,  che 
la  stessa  divina  sapienza  ne  tratteggiò;  laonde  con 
saggio  divisamente  dal  primo  libro  del  Genesi  de- 
sunse la  nostra  cattedra  l'ordine  e  la  distribuzione 
delle  materie,  nonché  l'appellazione  di  fisica  mo- 
saica,  fisica  sacra,  cosmogonia  teologica.  Pertanto 
in  sei  grandi  trattati  se  ne  divide  Tampio  argomen- 
to, essendoché  in  sei  giorni  divise  Mosè  l'opera  di- 
vina della  creazione  ,  ed  a  ciascun  trattato  serve 
di  tema  ciò  che  creò  Iddio  nella  corrispondente 
giornata.  Quindi  è  che  si  occupa  il  I  della  crea- 
zione del  mondo,  o  piuttosto  della  creazione  del- 
le sostanze  elementari  ;  il  II  del  firmamento  ,  o 
sia  dell'aria,  e  della  divisione  delle  acque;  il  III 
della  distribuzione  delle  acque  sopra  la  terra  di- 
visa in  continenti  e  mari,  e  della  produzione  de've- 
getabili;  il  IV  dei  corpi  celesti,  de'loro  movimen- 
ti, e  de'loro  uffici;  il  V  della  produzione  de'pesci 
e  dei  volatili  ,  il  VI  finalmente  della  produzione 
degli  altri  animali,  e  della  formazione  dell'uomo. 
Non  è  mia  intenzione  di  dare  in  questo  arti- 
colo un  ragionato  estratto  dell'intero  corso  delle 
lezioni  che  da  questa  cattedra  sì  dettano:  e  perciò 
non  entro  ne'  particolari  di  ciascun  trattato  ,  ne 
seguo  via  via  per  serie  ordinata  i  punti ,  o  sia 
le  contemplazioni,  in  cui  è  suddiviso  ciascuno.  Di- 
rò solo,  che  se])bene  il  genere  d'istruzione  che  que- 
sta facolth  si  propone  richiegga  che  siano  cognite 
agli  uditori  le  generali  teorie  delle  scienze,  nondi- 
meno basando  sopra  di  queste  il  piìi  bello  ed  il 
più  sublime  dell'applicazione,  che  dee  farsene,  con 


108  Scienze 

bene  intesa  maestria  vi  si  sviluppano  a  minuto,  e 
persino  con  apposite  dimostrazioni  sperimentali  , 
le  principali  non  meno  che  le  pili  recenti  dot- 
trine della  fisico-chimica  ,  dell'ottica  ,  della  geo- 
logia ,  dell'  astronomia  ,  della  storia  naturale.  Ne 
questo  è  già  un  uscire  di  via,  come  talvolta  la  mal- 
dicenza andò  divulgando  e  cornando  per  diminuire 
alla  nostra  cattedra  il  credito,  a  cui  in  breve  per- 
venne: che  anzi  è  un  corrispondere  appuntino  al- 
le lodevoli  vedute  del  sapientissimo  pontefice  che 
la  istituì.  Sapea  ben  egli  quel  supremo  padre  e 
pastore  della  cattolica  chiesa,  che  d'ordinario  gli  al- 
lievi delle  scuole,  ove  cotali  scienze  si  apparano  , 
sono  sapienti  del  secolo,  e  giganti  che  assalir  vor- 
rebbono  il  cielo;  per  cui  con  assai  provvido  consì- 
glio dispose  che  i  giovani  ecclesiastici  dalla  nuova 
cattedra  le  apparassero,  e  così  eglino  pure  sapienti 
addivenissero,  ma  di  quella  sapienza,  che  da  Dio  sca- 
turendo, a  Dio  riconduce. 

Quello  però  che  forma  il  carattere  distintivo  di 
questa  scuola,  e  la  rende  non  men  delle  altre  com- 
mendevoHssima,  è  la  direzione  ch'ella  da  a  cosiffat- 
te scienze ,  in  genere  alle  filosofiche.  E  primiera- 
mente siccome  a' dì  nostri  ogni  scienza^  per  servir- 
mi della  frase  dell'illustre  Wiseman  (  conferenza 
I  ),  è  stata  individualmente  messa  a  sacco^  e  non 
traggonsi  piìi  dal  fondo  di  tenebrosa  metafisica  in- 
viluppata da  oscuro  gergo  scolastico  errori  e  so- 
fismi che  degradano  la  ragione  ,  ma  da'  progressi 
•  delle  utili  scienze  la  depravazione  e  l'ignoranza  si 
sforzano  di  derivarli:  cosi  è  che  adattando  l'istru- 
zione a'tempi,  le  vie  insegna  ed  i  sicuri  modi,  on- 
de colle  scienze  stesse  combatterli  e  vincerli;  talché 
confuso  ne  resti  e  l'empio  che  delle  scienze  si  abu- 


Cattedra  di  fisica  sacra  109 

sa  ,  e  r  ignorante  che  le  scienze  teme  e  calunnia. 
Di  poi  lasciando  al  nudo  spositore,  che  s'impingua 
in  volumi  ,  le  vane  e  lunghe  discussioni  sopra  il 
sacro  testo  scelto  per  guida,  prende  ad  interpre- 
tarne in  modi  quanto  veri,  altrettanto  ingegnosi  i 
più  difficili  luoghi,  a  spiegarne  nel  senso  il  piìi  ac- 
concio, ed  insieme  il  piìi  letterale  i  passi  più  os- 
curi, a  far  conoscere  a  via  di  fatti,  come  non  fu  e 
non  sarà  mai  possibile  di  coglierlo  in  fallo,  od  in 
opposizione  colla  scienza,  sì  che  faccia  d'uopo  al- 
l'incredulo confessare  essere  Un  solo  l'autore  della 
natura  e  quel  della  grazia  ,  che  pria  in  patribus 
et  prophetiSi  novissime  vero  locutus  est  nohis  in  filio 
(  Hebr.  e.  1  ).  In  fine  non  contenta  di  aver  forma- 
ta la  mente,  rivolgesi  al  core:  e  giovandosi  sempre 
de'  lumi  e  de'progressi  delle  scienze,  si  fern^a  trat- 
to tratto  sulla  considerazione  delle  maraviglie  delle 
cose  create,  onde  alla  reazione  di  tante  idee  sì  su- 
blimi l'ingegno,  si  eletrizzi  la  fantasia,  e  vivo  si 
desti  il  sentimento.  La  divota  sagacita  dell'asceti- 
co sapra  additarti  nella  sensitiva,  che  fugge  la  ma- 
no che  se  le  appressa ,  nel  polipo  che  si  molti- 
plica, nell'insetto  che  si  trasmuta,  svariati  e  nuo- 
vi motivi  per  sollevar  tua  mente  al  creatore.  Ma 
questo  è  ben  altro  che  ricevere,  come  dalla  nostra 
cattedra  si  ricevono,  impressioni  di  un  genere  af- 
fatto straordinario  e  trascendente  ,  di  cui  solo  è 
capace  colui  che  dopo  avere  assottigliato  lo  intel- 
letto ne' veri  delle  matematiche,  in  quelli  delle  scien- 
ze naturali  ha  nudrito  lo  spirito. 

Per  la  qual  cosa  si  rende  manifesto  come  que- 
sto ramo  di  pubblica  istruzione  riuscir  debba  uti- 
lissimo ad  ogni  ceto  di  colte  persone,  e  precipua- 
mente a  coloro,  le  cui  labbra  custodiscono  la  scien- 


no  Scienze 

za,  e  che  maestri  esser  denno  in  Israello.  Che  pe- 
rò si  debbe  assai  buon  grado  al  pontefice  massi- 
mo, che  Io  istituì  ;  a  quel  suo  zelantissimo  mini- 
stro Ercole  cardinal  Gonsalvi,  che  lo  promosse;  al- 
l'attuale professore  sig.  cavaliere  D.  Feliciano  Scar- 
pellini,  che  ne  concepì  il  vasto  e  ben  ordinato  di- 
segno, e  lo  esegui  ne'preziosi  suoi  scritti.  Faccia- 
mo voti  che,  per  la  generosità  di  qualche  illustre 
mecenate  della  religione  e  delle  scienze,  questi  scrit- 
ti, in  cui  la  filosofia  e  la  natura  parlano  di  Dio  al- 
la mente,  al  core,  ed  agli  occhi,  moltiplichino  l'im- 
magine loro  ne'torchi,  ed  ottengano  in  Roma  la  pub- 
blicità delle  stampe,  come  già  non  ha  guari  per  la 
generosa  testamentaria  disposizione  del  conte  di 
Bridgewater,  l'hanno  ottenuta  in  Inghilterra  opere 
consimili,  che  la  fama  oscureranno  di  quelle  dei 
Boyle,  dei  Paley,  dei  Derham,  dei  Sturm,  dei  Nie- 
wentitt,  dei  Schevchezer. 

S.  Proja 


Dell'induzione  e  polarizzazione 
del  termo-elettricismo, 

J\.\  fenomeni  d'induzione  magneto-elettrica  (  Bi- 
blioteca italiana,  1829,  pag.  398;  Bib.  univ.  di  Gi- 
nevra, gennaio  1830,  pag.  28  )  aggiungo  ora  quel- 
li d'induzione  termo-elettrica,  intorno  a' quali  mi 
occupai  fino  dall'anno  trascorso  (  Gazzetta  privile- 
giata di  Milano  1837,  2  marzo,  num.  61  ),  e  che 
non  mi  venne  fatto  di  leggere  in  alcun  fisico.  A 


Termo  -ÉLETTRieiSMO  111 

questo  scopo  in  determinate  clirezioni  avvolgeva 
a  dei  pezzi  di  metalli  cristallizzati  delle  spirali 
formate  di  sei  ad  otto  spire  con  filo  di  rame  cir- 
condato di  seta,  i  capi  delle  quali  rannodava  con 
quelli  del  filo  del  galvanometro,  come  ho  ricor- 
dato nelle  ultime  mie  esperienze  termo-elettriche, 
che  pubblicai  nella  gazzetta  privilegiata  di  Mila- 
no (24  febbraio  1838,  num.  55),  ed  immergeva 
ora  una  ora  altra  superficie  di  ciascun  pezzo  di 
metallo  in  un  bagno  di  acqua  calda,  che  era  al- 
la temperatura  dai  30.^  50.*^  R.  Ora  esperimentan- 
do a  questo  modo,  n'ebbi  nel  galvanometro  delle 
distintissime  deviazioni  ora  in  una  direzione  ora  in 
un'altra,  seconda  le  diveirse  superficie  che  immer- 
geva nel  bagno  caldo,  e  la  diversa  disposizione  dei 
cristalli  metallici.  Cos'i  in  un  pezzo  di  bismuto  del 
peso  di  due  libbre  comuni  ,  che  avea  sei  facce  , 
ebbi  in  quattro  delle  superficie  opposte,  prese  a 
due  a  due,  due  correnti  dirette  in  sensi  contrari:  e 
nelle  altre  due  superficie  parimente  opposte,  due 
correnti  che  facevano,  sviare  l'ago  dalla  medesima 
parte.  Presentando  uno  spigolo  al  bagno  di  acqua 
calda,  coll'inclinare  il  minerale  piuttosto  da  un  la- 
to che  da  un  altro,  ottenni  nella  spirale  delle  cor- 
renti, che  facevano  deviare  1'  ago  ora  a  destra  ed 
ora  a  sinistra.  In  un  pezzo  di  antimonio  del  peso 
di  una  libbra,  che  presentava  parimente  sei  facce  , 
in  quattro  di  esse  ottenni  declinazioni  dal  medesi- 
mo lato,  ed  in  due  declinazioni  dal  lato  opposto; 
mentre  in  altro  pezzo  ebbi  soltanto  quattro  decli- 
nazioni distinte.  Devesi  però  notare,  che  gl'indicati 
minerali  non  presentavano  facce  regolari.  I  paral- 
lelepipedi rettangolari  di  antimonio  e  bismuto  ,  in 
tutte  le  facce  opposte  si  manifestarono  correnti  che 


m  Scienze 

sviavano  l'ago  dai  lati  opposti.  Analoghi   fenomeni 
riscontrai,  sebbene  in  grandezza  di  molto  minori, 
nei   solfuri  di  piombo j   di  ferro,  e  nell'ossido  di 
stagno.  Disponendo  in  questi  cristalli  metallici  altra 
spirale  ad  angolo   retto   alla  prima,  all'immergere 
nel  bagno   caldo    le   anzidette   superficie   ebbi  de- 
clinazioni  ora  opposte   ora  cospiranti  alle   prece- 
dentij  secondo  che  diversamente   introduceva  nella 
spirale  il  pezzo  metallico.  Levate  le  spirali  dal  con- 
tatto dei  cl'istalli  metallici,  e  riscaldate  parzialmen- 
te e   totalmente,  non  ebbero  mai  virtìi  di  fare  svia- 
re  l'ago  dalla   sua  posizione.  Tutti  gli  anzidetti  es- 
perimenti  furono  rinnovati   col   bagno  di  mei^cu- 
rio  ,   col   calorico   della  fiamma  e  delle  brage  ;   e 
adoperando  il  ghiaccio^  ebbi  effetti  opposti  a  quelli 
prodotti  dal  calorico.  È  necessario  notare^  che  l'ago 
non  ritorna  alla  posizione  primitiva  se  non  sucessi- 
vamente,  e  che  per  tutto  quel  tempo  che  il  metallo 
ha  temperatura  diversa  nelle  varie  sue  parti  ^  l'ago 
del  moltiplicatore  è  in  continuo  movimento.  Non  ho 
trovato  che  l'ampiezza  delle  oscillazioni  decresca  se- 
guendo la  ragione  delle  diminuzioni  di   tempera- 
tura. Vi  sono   de'punti  stazionari,  vi   sono  dei  sal- 
ti,  che  pare  s' attengano  al   moto  irregolare  del- 
le molecole   costituenti  i   d'istalli  metallici.   Que- 
sto movimento  continuo    dell'  ago  è   per   me   una 
prova   non  dubbia  di  una    continuitk   di  correnti, 
che  circolano  nel  metallo  per  l'inegualianza  di  tem- 
peratura nelle   differenti   sue  parti.  Fatto  impor- 
tantissimo  per    la   dottrina  del  termo-magnetismo 
terrestre.   Con   corpi  non   conduttori,  com'è  il  cri- 
stallo  di    monte,  non  ebbi  effetto  di  sorta:  ed  ef- 
fetti  nulli   od   equivoci  con  conduttori  non  cristal- 
lizzati. Dagli   accennati   risultamenti,  che  appresso 


Termo-elettricisjho  1  i  3 

illustrerò  con  analoghe  figure,  parmi  dimostrata 
rinflncnza  della  cristallizzazione  nel  determinare 
il  senso  della  corrente  termo-elettrica,  che  io  chia- 
mo polarizzazione,  per  quella  analogia  che  ha  que- 
sto fenomeno  con  quelli  della  polarizzazione  della 
luce  e  del  calorico.  I  fisici  sin  qui,  ad  eccezione 
di  pochi,  hanno  considerata  la  materia  dei  corpi 
conduttori  sottoposti  all'influenza  elettrica  come  pu- 
ramente passiva,  senza  avere  riguardo  a  quell'a- 
zione difessa  esercita  sopra  di  questo  agente  delia 
natura;  e  per  questo  non  poche  delle  teoriche  lo- 
ro riuscirono  oscure  e  poco  meno  che  contrad- 
dittorie. È  da  questa  azione  che  bisogna  farci  aiu- 
tare per  intendere,  in  qualche  modo,  la  infissa- 
zione  dell'elettrico  negli  aggregati  della  materia, 
e  precipuamente  in  quelli  de'  metalli  magnetizza- 
ti. La  stessa  spirale  avvolta  a  Un  polo  di  una  ca- 
lamita, che  si  sottoponga  ad  una  temperatura  di- 
versa da  quella  dell'  aria  circonfusa  ,  dà  indizio 
al  galvanometro  di  una  corrente  diretta  in  un  sen- 
so: avvolta  al  polo  opposto  dà  argomento  di  altra 
corrente,  che  fa  dal  lato  contrario  sviare  l'ago  del 
moltiplicatore.  Io  mi  limito  per  ora  a  questi  nuo- 
vi fatti  cardinali,  perchè  è  fermo  mio  intendimen- 
to di  venire  ai  particolari  di  questa  materia.  Da  essi 
parrà  manifestissimo,  come  abbia  intieramente  se- 
parata l'influenza  che  il  filo  metallico  potrebbe  ave- 
re nel  producimento  di  questi  efl'etti,  per  la  sem- 
plice inegualianza  di  temperatura,  e  come  abbia  ne- 
cessariamente dovuto  conchiuderc  all'esistenza  di 
correnti  elettriche  nella  massa  dc'cristalli  metallici 
risvegliate  dal  calorico. 

Il  1   marzo  dei  1838,  Milano. 

Prof.  Francesco  Zantedesciu 


114 


LETTERATURA 


Seconda   rivista  di  alcune  recenti  opere 
italiane  di  archeologia. 

1.  Fasti  duumvirali  di  Pompei:  di  Raimondo 
Guarini.  Napoli  presso  Raffaele  Miranda  \  837,  8.® 
di  pag.  247. 


Gì 


ià  altre  volte  tributammo  in  questi  fogli  al 
eh.  sig.  Guarini  i  dovuti  elogi  sì  per  l'amore  che 
porta  agli  studi  epigrafici,  e  sì  per  le  molte  opere 
che  va  pubblicando  in  tal  genere:  e  gli  rendiamo 
ora  sincere  grazie  di  quest'ultima  qui  annunzia- 
ta. Qual  fatica  abbia  egli  dovuta  durare  nel  com- 
porta, si  farà  chiaro  anche  a  chi  non  abbia  il 
lavoro  di  lui  sotto  gli  oechi,  se  vorrà  considera- 
re che  in  esso  leggonsi  oltre  a  300  iscrizioni  tut- 
te pompeiane ,  e  nella  massima  parte  difficili  a 
leggere:  diciamo  di  quelli  titoletti  scritti  sulle  pa- 
reti esterne  delle  case;  affollati  alcune  volte  in  mo- 
do, che  confondonsi  l'un  l'altro  con  istrano  scon- 
volgimento; e,  ciò  che  è  peggio,  in  gran  parte  per 
l'azione  dell'aria  svaniti.  Pure  a  tutta  questa  in- 
composta congerie  potè  il  Guarini  dare  un  qual- 
che ordine;  sia  separando  i  magistrati  dagli  altri; 
sia   raccogliendo  in  un  sol   punto  le  diverse  me- 


Rivista  Archeologica.  1 1 5 

morie   delle    genti    diverse.'  e  ciò  in  ispccie  gli  die 

(  motivo  a  produrre  molti,  e  spesso  ingegnosi  sttp- 
plimenti.  Ma  lo  scopo  primario,  cui  l'A.  mirò,  fu 
per    lui  raggiunto?  abbiamo  in  quest'opera  una  se- 

;  rie    cronologica    dei    duumviri  di  Pompei    dai  mo- 

'  numenti  scritti?  una  tal  serie  è  poggiata  sopra  va- 
lidi fondamenti?  A  me  par  già  sentire  che  alcu- 
ni   lo    nieghino  ;    e   si    dolgano    dell'  abbandonarsi 

'  che  fa  troppo  sovente  l'A.  a  leggiere  congetture. 
Ma  risponderemo:  Leggeste  questi  fasti  duuimnrali? 
E  se  li  leggeste,  perchè  far  carico  all'A.  di  cosa 
per  lui  quasi  ad  ogni  pagina  confessata?  Egli  non 
pretese  dare  il  certo  per  ciò  che  non  lo  è,  e  mol- 
to meno   per  ciò   che   appena   appena  è  probabi- 

'  le;  e  nel  §.  XXV,  nel  quale  radunò  alcuni  schia- 
rimenti   necessari    per    la   intelligenza  della  tavola 

'  cronologica   de'duumviri    pompeiani,    dichiarò  am- 

i  piamente,  che  que'nomi  di  duumviri,  che  in  essa 
tavola  sono  senza  alcun  distintivo,  debbonsi  rite- 

i  nere  per  dubbi;  che  quelli,  i  quali  per  distinti- 
vo hanno   una   lettera  C,  sono  certi   di   fatto,    ma 

!  s'ignora  l'epoca  del  loro  duumvirato;  ed  infine  che 
con  due  GG  son  distinti  quelli,  de'quali  v'è  cer- 
tezza anche  per  l'epoca.  Ghe  se  si  volesse  aggiun- 
gere, che  sarebbe  stata  utile  per  le  nuove  future 
scoperte  aver  almeno  un  elenco  alfabetico  di  que' 
duumviri,  che  certi  di  fatto,  non  lo  sono  per  Te- 
poca,  noi  conveniamo  che  veramente  questa  utilità 
poteva  risultarne. 

Prendendo  di  mira  la  indicata  tavola  crono- 
logica, che  sta  al  finire  dell'opera,  vediamo  che 
essa  dal  681  giunge  all'A.  831  di  Roma;  cpiindi 
si  spazia  per  150  anni.  Ma  le  magistrature,  che  vi 
sono  notate,  non  oltrepassano  le  76;  dunque  anco- 


116  Letteratura  ' 

ra  che  tutte  queste  magistrature  avessero  i  neces- 
sari caratteri  di  certezza,  sempre  ne  mancherebbe- 1 
to  quasi  altrettante  per  riempire  le  diverse  lacune,  i 
Ma  di  queste  76,  se  ne  hanno  9  senza  alcun  distin- 
tivo; e  quindi,  per  confessione  dell' A.*  dubbie  nei 
nomi,  dubbie  per  l'epoca:  altre  52  sono  con  una 
sola  C,  quindi  non  v'è  altra  certezza  che  quella  dei 
nomi:  restan  dunque  Sole  15  contradistinte  con  due 
ce.  Noi  non  faremo  parola  dlcUna  ne  delle  prime, 
ne  delle  seconde:  rimarcheremo  però  che  le  terze  i 
riferisconsii  secondo  il  N.  A.,  agli  anni  di  Roma  681 
740  752  754  755  756  757  158  776  785  787  798 
814  821  830.  Ma  queste  magistrature  furon  tutte 
fissate  ad  anni  certi  e  sicuri  per  mezzo  di  argomen- 
ti incontrastabili?  Non  dubitiamo  punto  di  quelle 
del  740  752  754  756  767  776  785  787  814;  per- 
chè basate  sopra  marmi  scritti,  notati  coi  consoli 
di  quegli  anni:  ci  sia  permesso  dubitare  delle  al- 
tre; e  tali  dubbi  appoggiare  a  qualche  argomento. 
Ed  incominciando  dalla  piìi  antica,  cioè  da  quel- 
la del  681,  conveniamo  col  sig.  Guarini  j  che  in 
esso  anno  si  avessero  i  primi  duumviri  in  Pompei. 
Imperocché  se  la  colonia  di  Siila  debbesi  ritenere 
dedotta  in  quella  citta  in  vigore  della  facoltà  accor- 
data dal  senato  a  quel  fortunato  dittatore,  non  po- 
tè essere  posteriormente  al  676,  anno  in  cui  Siila 
morì:  non  anteriore  al  674,  anno  in  cui  ottenne 
quel  privilegio.  Ora  prendendo  fra  queste  due  date 
la  via  di  mezzo,  per  probabile  congettura  può  fis- 
sarsi la  deduzione  della  colonia  sillana  nel  675:  ma 
la  legge  xicilia  prescriveva  un  quinquennio  prima 
di  stabilire  definitivamente  gì'  interessi  fra  i  mu- 
nicipii  ed  i  nuovi  coloni;  quinquennio  nel  quale 
pe'  nuovi  coloni  non  eranvi  magistrati,   all'infuori 


Rivista  Archeologica  117 

dei  tre  (era  questo  per  lo  più  il  numero)  che  avean 
preseduto  alla  deduzione:  dunque  dal  675  andiamo 
appunto  al  G80;  e  per  conseguenza  solo  nell'anno 
seguente  poterono  essere  i  duumviri  in  Pompei. 
Ma  che  questi  primi  duumviri  pompeiani  si  nomas- 
sero C.  Quinzio  F'algo  e  M.  Porcio,  come  il  Gua- 
rini  crede,  noi  noi  vediana  chiaro.  Ne  già  neghia-? 
mo  che  que'due  godessero  insieme  del  duumvirato; 
perchè  ne  fan  fede  le  iscrizioni  dal  N.  A.  prodot- 
te; solo  diciamo  essere  incerto  che  lo  godessero  nel 
681.  Ne  vale,  secondo  noi,  l'argomento  che  ne  ad- 
duce il  Guarini,  desumendolo  da  una  lapida,  in  cui 
si  narra  che  sotto  il  patronato  di  C.  Quinzio  f^al- 
go  furono  restaurate  le  porte,  le  mura,  ed  i  bastio- 
ni di  Eclano;  perchè,  anche  ammettendo  per  certo 
(che  non  lo  è),  esser  seguito  quel  restauro  nell'anno 
678;  anche  accordando,  che  il  C.  Quinzio  del  marmo 
di  Eclano  fosse  non  diverso  dal  C.  Quinzio  del  mar- 
mo di  Pompei;  non  perciò  ne  scenderà  la  certezza, 
che  esso  C.  Quinzio  dovesse  esercitare  in  Pompei 
il  duumvirato  precisamente  nell'anno  681,  e  non 
posteriormente. 

Rapporto  ai  duumviri  del  755,  sono  essi  dal 
N.  A.  poggiati  a  due  lapidi.  L'una  porta  segnati  i 
consoli  ordinari  del  754,  l'altra  cjuelli  pure  ordi- 
nari del  755;  e  perciò  crede  che  nel  755  continnas- 
se  regolarmente  lo  stesso  duumvirato  del  754.  Noi 
gli  opporremo  le  sue  stesse  dottrine  a  pag»  212;  cioè 
»  Vanno  di  Roma  segnato  nella  tavola  cronologica^ 
sempre  s  intende  che  sia  il  secondo  semestre  dell' 
anno  consolare,  per  esempio  680  di  Roma  vuol  di- 
re il  1  luglio  delVanno  680,  terminando  il  30  giu- 
gno dell'anno  681.  »  Ora  se  M.  Pomponio  Marcel- 
lo e  L.  f^alerio  Fiacco  incominciarono  ad  esercitare 


118  Letteratura 

il  ddumvlrato  il  1  lui^lio  del  754,  come  consta  da 
una  lapida  segnata  coi  consoli  G.  Cesare  e  L.  Pani- 
lo, dovettero  terniinare  il  30  giugno  del  755;  e  quin- 
di I>cne  sta  che  siano  ricordati  in  altro  marmo  se- 
gnato coi  consoli  P.  Alfeno  e  P.  Vinucio.  Dunque 
fu  uno  solo  il  duumvirato  per  essi  esercitato;  e  que- 
sto nel  754,  e  la  continuazione  nel  755  devesi  espel- 
lere del  tutto  dalla  tavola  cronologica.  Similmente 
se  non  si  avrà  a  radiare  dalla  tavola,  almeno  con- 
verrà riporre  fra  quelli  di  anno  incerto  il  primo 
duumvirato  di  M.  Staio  Rufo  e  Gneo  Melisseo 
Apro.  Il  Guarini  per  una  lapide  segnata  coi  consoli 
S.  Elio  e  C.  Senzio,  nella  quale  que'  due  diconsi 
D.  V.  I.  D.  ITER,  ritiene  che  ambidue  fossero  du- 
umviri, e  senza  interruzione  negli  anni  757  e  758. 
Notiamo  in  primo  luogo,  che  que' consoli  essendo 
gli  ordinari  del  757,  e  sotto  di  essi  cadendo  per 
fede  del  marmo  l'iterata  magistratura  di  Rufo  e  di 
Melisseo,  non  avrebbero  mai  potuto  esercitare  la 
prima  nel  758!  in  secondo  luogo  crediamo  che  ninna 
ragione  ne  stringa  a  ritenere,  che  le  due  magistra'- 
ture  dovessero  essere  continuate  e  senza  interruzio- 
ne. Non  poteron  forse  esercitare  la  prima  anterior- 
mente al  754,  dove  son  molte  lacune,  ed  anche  eser- 
citarla in  due  anni  diversi  l'uno  dall'altro? 

I  duumviri  del  798  son  fissati  dal  N.  A,  sul- 
l'appoggio di  un  marmo,  in  cui  leggonsi  i  consoli 
M.  eluvio  e  P.  Glodio.  Egli  li  crede  indubbiamente 
sult'eti  nel  secondo  nundino  semestrale  di  quell'an- 
no- Ma  perche  altri  potrebbe  riferire  quella  sur- 
rogazione un  decennio  prima,  staremo  in  attenzio- 
ne che  ne  dica  il  preciso  quel  letterato  chiarissimo, 
che  si  sobl^arcò  all'  enorme  peso  della  retti  Reazio- 
ne de'fasti  ipatici.  Passando  ad  altro,  vogliamo  am- 


Rivista  Archeologica  119 

mettere  che  in  vlrtìi  della  legge  Petronia  si  riapris- 
se l'anfiteatro  pompeiano  l'anno  821;  ma  non  per- 
ciò cji  conseguenza  ne  viene,  che  il  quarto  duum- 
virato di  C.  Caspio  Pausa  debba  cadere  in  quel- 
l'anno; e  non  oppugnando  che  il  marmo,  in  cui  quel- 
la lege  Petronia  è  ricordata,  possa  appartenere  al- 
l'anno 821,  dicianno  che  1^  diversità  che  s'incontra 
fra  le  magistrature  di  esso  Pausa  indicate  in  quel 
marmo,  e  quelle  indicate  in  altri  marmi,  ne'quali 
pur  (Jicesi  quadrumviro  per  la  quarta  volta  ,  dan 
motivo  a  credere  che  queste  siano  a  quella  anterio- 
ri. In  fine  riponiamo  fra  i  non  sufficientemente  cer- 
ti l'unico  duunjviro  dell'anno  830,  perchè  lo  stesso 
sig.  Guarini  non  sa  decidere  se  M-  Epidio  Sabino 
coprisse  la  n^agistratura  in  quell'^nnp,  o  nel  pre- 
cedente, 0  nel  seguente. 

Non  dispiaceranno,  vogliamo  sperarlo,  al  sig, 
Guarini  cjueste  libere  osservazioni;  le  quali  tendo- 
no al  profitto  della  scienza,  non  a  menomare,  ben- 
ché in  piccola  parte,  la  giusta  riputazione  che  egli 
gode:  perchè  sappiamo  quanto  egli  sia  amante  del 
vero,  assai  pili  che  della  propria  opinione;  e  lode- 
volmente ne  die  replicate  prove  in  istampa.  Il  per- 
chè, 0  crederà  egli  che  queste  note  possano  con- 
durre alla  scoperta  del  vero,  e  ne  sarà  a  noi  gra- 
to; o  avrà  argomenti  per  infievolirle  o  renderle  inu- 
tili del  tutto,  e  noi  lo  ringrazieremo;  ripetendo  con 
Tertulliano  per  lui  addetto:  Veritas  soror  naturae^ 
ed  al  caso  nostro  aggiungendo:  Et  ftlia  temporis.  Per 
queste  medesime  ragioni  vogliamo  farlo  avvertito, 
che  la  lapide  num.  35,  che  egli  dà  a  pag.  190,  non 
e  pompeiana;  ma  passò  nel  regio  museo  borboni-» 
co  dal  museo  borgìano  veli  terno  ;  il  Donati  (  pag, 
316-T),  rodcrici  (/Mann,  didasc.  pag.  73),  il  Rub- 


120  Letteratura 

hi  (  Diz.  d'ant.  v.  Derisor  ),  ed  il  Zaccaria  (Ist.  lett. 
V.  14  pag.  97  )  ne  pu])blicf»rono  la  parte  meno  com- 
pleta. Ambedue  le  f^cce  furon  edite  di  poi  al  num. 
67  della  nostrci  silloge  d'iscrizioni  antiche» 

L'argomento  principale  del  libro,  cioè  la  serie 
dei  duumviri  pompeiani,  abbraccia  i  primi  dician- 
nove paragrafi  di  esso  sino  alla  faccia  164.  Vengon 
poi  nel  §.  XX  alcuni  monumenti  edilizi;  e  nel  se- 
guente alcune  iscrizioni  sacre,  imperiali  ,  anfitea- 
traili,  sclier2?evoli,  Le  sepolcrali  sono  al  §.  XXIL  Al- 
cune relative  a  terme  e  a  programmi  di  locazioni 
sono  al  §.  XXIU.  Quindi  discorre  delle  opere  pub- 
bliche fatte  in  Pompei  da  Eumachia^  e  da  Numisnio 
Frontone  di  lei  figlio;  cioè  il  calcidico,  la  cripta, 
ed  i  portici  della  Concordia:  e  nel  §.  XXV  dà  i 
già  ricordati  avvertimenti  per  1'  intelligenza  del- 
la tavola  cronologica  de'duumvirl  pompeiani;  e  fin 
qui  tutti  i  monumenti  riportati  nell'opera  proven- 
gono da  Pompei.  Ma  nel  §.  XXVI  sono  altri  mo- 
numenti scritti  greci  e  latini,  derivanti  da  altri  luo- 
ghi; fra  i  quali  ricordiamo  una  tavola  in  bronzo  di 
patronato,  che  serve  di  bella  giunta  a  tutte  le  com- 
pagne radunate  gìh  dal  eh.  Gaz^era:  essa  è  datata 
VI  .  IDVS  .  APRILES  .  FLAVIIS  .  LEONTIO  .  ET  . 
BONOSO  .  GONSS;  il  che  ci  porta  all'anno  344  dell' 
E.  V.  Non  vediamo  però,  come  da  questo  bronzo 
unicamente,  al  dire  del  N.  A.  ,  siam  debitori  di 
tutti  tre  i  nomi  di  ambidue  i  consoli-,  si  col  dotto 
Borghesi  (Boll.  arch.  1836  pag.  152  e  segg.  )  ripe- 
teremo, che  gì'  interi  nomi  di  essi  derivano  dai  di- 
versi marmi  che  li  ricordano,  insieme  accuratamen- 
te confrontati;  e  che  ne'  fasti  debbesi  notare  Fla- 
vio Domizio  Leonzio^  e  Flavio  Sallustio  Bonusa, 


Rivista  Archeologica  J2I 

il.  Sulla  iscrizione  della  statua  militare  in  bron- 
zo collocata  nel  niloOo  museo  etrusco  istituito  dal 
sommo  pontéfice  GregOHo  XVI\  lettera  di  Gio.  Bat- 
tista F'ermiglioli.  Pefitgid,  Baduel  1837,  8.°  di  pAh. 

Molte  e  diverse  esposizioni  Intorno  la  iscrizio- 
ne di  questa  celebre  statua  tiidertina  furono  pub- 
blicate nel  diario  romano  ed  altrove.  Il  sig.  Ver- 
miglioiì)  che  tiene  il  primato  in  questi  italici  an- 
tichissimi studi,  espone  coli'  annunziata  lettera  la 
propria  opinione.  Incomincia  dal  ricordare,  come 
codeste  breivì  épigi^afi  nelle  statue  metalliche  sia- 
no i  pili  insigni  monitmenti  delle  vecchie  nazio- 
ni: quindi  intei^pUntando  e  dividendo  quella  in  que- 
stione, composta  di  Una  sola  linea,  legge  (  voltia- 
mo noi  per  comodo  della  stampa  i  caratteri  etru- 
sci  in  romani  )  AEIA  *  L  .  TRVTIVIS  .  PVNV  .  MI. 
VERE;  e  traduce:  ego  AEIA,  ovvero  Àveia^  Lar- 
this  TRVTIDI,  ovvero  Trutedi,  filia,  FONO:  SVM 
VERVS.  Poca  o  niuna  difficoltà  s'incontra  nelle 
prime  tre  voci:  cosi  nella  quarta  PVNV,  facilmen- 
te ognuno  riconosce  il  latino  pono  ;  ed  in  questa 
prima  parte  dell'epigrafe  contiensi  l'azione  di  Ae- 
ia  o  Aveia  figliuola  di  Larte  Trutidio^  o  Trute- 
dio-  Imperocché  termina  qui  il  primo  senso.  Da 
esso  conviene  staccare  il  seguente  MI  .  VERE.  Col 
primo  favellava  colei  che  pose  ed  innalzò  la  statua; 
convien  cercare  nell'altro  brano  il  soggetto  che  la 
statua  rappresenta:  e  questo  similmente  da  per  se 
stesso  favella,  all'uso  delle  antichissime  iscrizioni 
greche  ,  come  la  sigea  e  la  deliaca  presso  Chis- 
sul.  Forse  potrebbe  sembrare  a  taluno,  che  il  mo- 
nosillabo MI  arbitrariamente  sia  stato  prolungato 
in  £«/x£;  ma  il  sig.  Vermiglioli  ne  adduce  in  ap- 
G.  A.  T.  LXXIV.  9 


422  Letteratura 

poggio  altri  esempi  in  altri  monumenti.  Che  se  l'ul- 
tima voce  VERE,  secondo  una  variante  lezione,  dee 
piuttosto  essere  AERE;  in  tal  caso  contraendo  re- 
golarmente la  E  ,  si  avrà  ARE  ;  e  questa  voce  , 
nella  statua  di  un  militare,  altro  non  può  signifi- 
care che  l'Apvja  de'greci,  il  Marte  de'latini.  Quin- 
di si  dovrebbe  interpretare:  Suin  Mars. 

Questa  breve  letterina  fa  prova  della  somma 
maestria  di  chi  la  scrisse. 

III.  Lettera  archeologico-medica  delV  avif. 
Gaetano  De  Minicis  al  sig.  dott.  Felice  A\>etranu 
Perugia',  presso  Badicel  1837,  8.°  di  pag,  24. 

Die  motivo  a  questa  lettera  il  ritrovamento 
fatto  dall'A.,  nell'antico  Falerio,  di  una  iscrizione 
per  un  medico  di  quella  colonia  romana.  Mancan- 
te nel  principio,  non  conserva  che  le  sole  due  se- 
guenti righe  -  Q.  TVLLIENI  Q.  L.  -  PHANIAE. 
MEDIGVS.  Ne  riporta  poi  in  N.  A.  una  greca  pur  di 
Falerio,  spettante  ad  un  certo  tal  Asclepiade  perga- 
meno,  medico  pur  esso  :  e  ben  fa  il  sig.  De  Minicis 
a  contraddire  il  Colucci;  il  quale  parve  inchinato  a 
credere  che  spettasse  al  celebre  Asclepiade,  che 
l'arte  medica  innalzò  alla  degna  gloria  in  Roma  ver- 
so la  metà  del  settimo  secolo.  Imperocché  ,  quando 
anche  mancassero  altri  argomenti,  basterebbe  quest' 
uno,  che  Asclepiade  era  nato  a  Prusa  nella  Bitinia  , 
mentre  l'omonimo  medico  della  lapida  di  Falerio 
dice  esser  nativo  di  Pergamo.  Dopo  avere  scritto  dì 
questi  due  marmi  ,  ne  ricorda  il  N.  A.  assai  più  di 
medici  e  chirurghi  diversi:  e  senza  meno  in  assai 
maggior  numero  poteva  ricordarne,  se  consultate  a- 
vesse  altre  raccolte  epigrafiche;  ed  in  ispecie  lo  Spon 


Rivista  Archeologica  123 

che  molle  ne  recò  nelle  sue  miscellanee,  e  quanto  ad 
esso  aggiunse  il  Marini  nelle  iscrizioni  Albane;  e 
quanto  piìi  si  ha  nelTopera  tuttora  inedita  del  pe- 
rugino Mariotti.  Alle  tante  iscrizioni  di  rimedi  me- 
dicinali già  cognite,  si  aggiunga  la  seguente  di  re- 
cente scoperta  a  Daspich  in  Francia.  È  sopra  un 
pezzo  di  argilla  con  lettere  incavate  ed  a  rovescio, 
per  essere  riprodotte  in  rilievo,  e  diritte  median- 
te l'impressione  j  tradussero  (non  sappiamo  con 
quanta  felicita);  Liquore  balsamico  di  Q.  Valerio 
Sesto^  contro  la  vista  torbida  e  le  vertigini.  Q.  VA- 
LERI .  SEXTI  .  STAG  -  TVMAD  .  CALIGINES  - 
OPOBALSAMATVM  - 

In  fine  il  sig.  De  Minicis  raccoglie  alcune  no- 
tizie di  Tommaso  Euffreducci  e  di  Paraninfo  For- 
tunati. Ambidue  nacquero  a  Falerone;  ambedue  eser- 
citaron  l'arte  salutare,  il  primo  sul  terminare  del 
secolo  XIV,  il  secondo  verso  la  meta  del  XVI  t 
e  termina  per  accennare  quanto  giovamento  ri- 
cever possano  dallo  studio  dell'archeologia,  e  pre- 
cipuamente dalla  numismatica,  così  la  filologia  co- 
me  la  storia   medica. 

IV.  Le  antiche  lapidi  del  museo  cTEste  illu- 
strate. Padova  coi  tipi  della  Minerva  1837,  8.°  di 
pag,  190,  e  6  non  numerate. 

Isidoro  Alessi  nelle  Ricerche  istoriohe  di  Este, 
pubblicate  oltre  la  meta  del  secolo  scorso,  pieno 
com'era  di  amore  per  le  cose  patrie ,  non  soffrì 
che  la  memoria  delle  antiche  iscrizioni  andasse  per- 
duta; e  dotto  com'egli  era,  assai  giudiziosamente 
le  estensi  tutte  trascrisse,  e  convenientemente  il- 
lustrò. Se  la   patria  debbe  essergli  grata,  non  mi- 


124  Letteratura 

nor  gratitudine  merita  il  nobile  sìg.  Vincenzo  Fra- 
cassani  ;  il  quale  occupossi  in  raccogliere  i  mo- 
numenti qua  e  là  dispersi;  die  loro  opportuno  e 
conveniente  ricovero  in  un  pubblico  museo;  chia- 
mò presso  di  se  il  prof.  Giuseppe  Furlanetto,  af- 
finchè desse  opera  in  illustrarli;  e  volle  che  il  la- 
voro di  quel  dotto  si  pubblicasse  con  le  stampe. 
Il  nome  del  Furlanetto  suona  cosi  lodato  in  Italia 
e  fuori,  che  non  abbisogna  di  nuovi  encomi.  Chi 
non  conosce  infatti  colui,  pel  quale  avemmo  il  gran 
lessico  del  Forcellini,  aumentato  di  oltre  a  venti 
mila  voci? 

Divide  egli  la  illustrazione  delle  lapidi  estensi 
in  sette  paragrafi.  Sono  nel  primo  cinque  monu- 
menti sacri;  sei  monumenti  istorici  nel  secondo; 
il  terzo,  destinato  ai  sepolcrali,  ne  conta  quaran- 
tadue. Vengon  nel  quarto  otto  figuline;  ventiset- 
te frammenti  nel  quinto;  nel  sesto  un  monumento 
cristiano;  uno  euganeo  nell'ultimo:  in  tutto  montano 
a  novanta.  Ma  nelle  copiose  note  se  ne  hanno  piU  che 
altri  cinquanta.  Non  tutti  questi  monumenti  però 
sono  letterati:  nel  paragrafo  quinto  ve  ne  ha  un- 
dici anepigrafi;  rappresentano  sculture  diverse,  per 
lo  pili  mancanti  e  spezzate:  ed  anepigrafo  è  l'u- 
nico cristiano  ,  in  cui  veggonsi  i  primi  genitori 
che  si  son  cibati  del  vietato  frutto,  e  dietro  lo- 
ro chi  gì'  indusse  a  commettere  una  tanta  colpa. 
Non  tutti  i  monumenti  scritti  sono  inediti;  anzi 
la  massima  parte  non  lo  sono.  Fra  gli  estensi  ci 
paion  nuovi  quelli  dati  ai  N.  VII.  XXIII.  XKIX. 
XLIX.  L.  LII.  LUI;  ed  altri  undici  ne  incontram- 
mo nelle  note.  Anche  tra  i  frammenti  ve  ne  ha 
alcuni  non  prima  pubblicati;  ma  son  essi  di  nin- 
no o  poco    vantaggio  alla  scienza;  ed  anche  fra  le 


Rivista  Archeologica.  125 

figuline   ve  ne   ha  taluna,  ora  per  la  prima  volta 
stampata. 

Nelle  note  riportò  il  eh.  Furlanetto  molte  let- 
tere che  gli  ebbe  dirette  il  nostro  Bartolomeo  Bor- 
ghesi, in  risposta  ai  qu  ^siti  fattigli  dall'amico.  Es- 
se lettere  son  tante,  e  cosi  importanti,  che  gran 
parte  del  molto  merito  di  guest'  opera  dee  riven- 
dicarsi al  Borghesi.  Le  illustrazioni  delle  lapidi  son 
tali,  che  non  desideri  erudizione  giustamente  col- 
locata, e  dove  il  bisogno  la  chiede;  giusta  critica, 
esattezza,  precisione,  dottrina.  E  per  iscendere  al- 
la particolarità,  noi  dobbiamo  raccomandare  ai  be- 
nigni lettori  la  bella  illustrazione  di  una  lapida, 
nella  quale  son  ricordati  dieci  Magistri  ,  e  due 
Magistri  wci.  Quante  dottrine  non  ci  sparge  a 
larga  mano  il  Borghesi!  Anche  bellissima  è  la  il- 
lustrazione delle  celebri  iscrizioni  del  monte  Ven- 
da; nelle  quali  si  racconta  come  L.  Gecilio  il  Cal- 
vo per  ordine  del  senato  stabilii  nell'anno  612  i 
confini  fra  i  padovani  e  gli  estensi  ;  ed  un  mar- 
mo a  pag.  93  è  assai  interessante,  perchè  da  es- 
so s'impara  la  esistenza  di  una  legione  V.  Urbana. 

Non  termineremo  senza  notare  ,  che  il  mo- 
numento euganeo  è  descritto  soltanto  ,  senza  ri- 
portarne il  testo.  Il  eh.  Furlanetto  però  si  dichia- 
ra pronto  a  comunicare  questo,  e  gli  apografi  esat- 
tissimi di  tutti  gli  altri  cogniti  nella  stessa  lin- 
gua, a  chi  volesse  occuparsi  nella  illustrazione  di 
essi.  E  ciò  non  solo,  ma  si  offre  pure  di  pubblicar- 
ne la  interpretazione  ,  quando  sark  egli  per  dare 
alla  luce  le  antiche  lapidi  padovane  che  trovansi 
già  collocate  nelle  logge  del  civico  salone.  Noi  fac- 
ciamo fervidi  voti  affinchè  questa  nuova  fatica  del 
Furlanetto  venga  sollecitamente  alla  luce;  potendo 


126  Letteratura 

da  essa  raccoglier  la  scienza  nuovi  vantaggi,  nuovi 
lumi  gli  studiosi;  come  già  per  queste  lapidi  estensi 
fu  vantaggiata  la  prima,  ed  istruiti  furono  i  secondi. 

V.  Dichiarazione  di  un  dittico  consolare  del- 
la chiesa  cattedrale  di  A  ostai  del  prof.  Costan^ 
zó  Gazzera.  {^Dal  voi.  XXXVIII  delle  memorie  del- 
la reale  accademia  delle  scienze  di  Torino^  1 835. 
4.«/?g.) 

Ebbero  in  costume  i  consoli  ed  altri  magistra- 
ti, dal  finire  del  terzo  secolo  dell'E.  V.  a  quasi  tut- 
to il  sesto,  di  far  lavorare  alcune  tavole  eburnee, 
le  quali  al  primo  assumere  la  loro  magistratura 
porgevano  in  dono  al  sovrano  in  attestalo  di  loro 
devozione.  Alcune  di  queste  giunsero  sino  a  noi; 
e  sono  quegli  avori  che  diciamo  dittici.  Il  Buonar- 
roti, il  Donati,  il  Leichio  ci  avevan  date  alcune  ope- 
re su  tali  monumenti:  venne  a  luce  il  famoso  dit- 
tico quirinianOf  e  intorno  ad  esso  scrissero  l'Ansal- 
di,  il  Barelli,  il  Bartoli,  il  Boni,  l'Hagenbuch,  il 
Leichio,  il  Maffei,  il  Mazocchi,  l'Olivieri,  il  Passe- 
ri, il  Volpi,  e  forse  altri;  e  fu  allora  che  il  Gori, 
raccogliendo  quante  scritture  erano  a  lui  cognite 
intorno  le  diverse  tavolette  eburnee  di  tal  genere, 
ne  pubblicò  nel  1759  in  tre  volumi  in  f.  il  The- 
saurus veterum  djpticorum^  nel  quale  gran  parte 
ebbe  il  Passeri.  Erano  25  tali  dittici.  Devesi  unire 
ad  essi  quello  di  Cremona  pubblicato  dall'AlIegran- 
za  nel  1781;  l'altro  del  seminario  di  Geranda,  dio- 
cesi di  Sion,  edito  dal  De  Levis  nel  1809;  uno  tri- 
vulziano  di  Milano,  del  quale  fu  pubblicata  la  slam-- 
pa  senza  dichiarazione  alcuna.  Per  modo  che  ai  28 
uno  se  ne  aggiunge  ora  dal  eh.  prof.  Gazzera  ia 
questo  dell'archivio  della  chiesa  di  Aosta, 


Rivista  Archeologica  127 

Pregio  singolare  del  quale  si  è,  l'essere  impe- 
riale e  consolare  nel  tempo  slesso:  imperocché  in 
ciascuna  delle  facce  esterne  delle  due  tavolette  por- 
ta sculta  l'intera  figura  dell'imperatore  Onorio,  con 
leggenda  intorno  al  capo  D  .  N  .  HONORIO  .  SEM- 
PER  .  AVG  ;  e  nella  parte  inferiore  di  ognuna  il 
nome  del  donatore  PROBVS  .  FAMVLVS  .V.C. 
CONS  .  ORD.  Onorio  è  rappresentato  in  piedi  ,  e 
quasi  di  prospetto,  entro  una  specie  di  edicola  for- 
mata da  due  pilastrini  dorici ,  con  arco  intagliato 
a  fogliami:  ha  un  leggier  vestigio  di  barba  sul  lab- 
bro superiore;  il  sacro  nimbo  è  intorno  al  capo  di 
lui;  gli  cinge  la  fronte  un  diadema  formato  da  dop- 
pio ordine  di  perle:  vestito  di  lorica  con  la  gor- 
gone sul  dinanzi  ,  vien  essa  traversata  dal  balteo  , 
che  neir  una  delle  due  tavole  regge  il  parazonio  , 
nell'altra  la  spada  con  testa  d'  aquila  nell'impugna- 
tura: il  paludamento  gli  scende  dall'omero  sinistro; 
ricchi  calzari  gli  ornan  le  gambe  fino  alla  metà,  e 
pei  molti  giri  lasciano  scoperte  le  dita  de'piedi.  Reg- 
ge nell'una  tavola  con  la  sinistra  lo  scettro,  con  la 
destra  il  clipeo  posato  a  terra:  nell'altra  sostiene  con 
la  sinistra  un  globo,  sul  quale  vedesi  una  Vitto- 
rietta  con  palma  in  una  mano,  e  laurea  nell'altra, 
quasi  in  atto  di  voler  incoronare  l'augusto;  con  la 
destra  tiene  il  labaro  portante  il  sacro  monogram- 
ma, e  con  leggenda  IN  NOMINE  XPI  VINGAS  SEM- 
PER.  Ambedue  le  tavolette  sono  contornate  da  una 
doppia  cornice  di  dentelli  ed  ovoli  da  tre  lati;  me- 
no cioè  l'inferiore,  dove  è  l'iscrizione  del  donatore. 
Il  monumento  è  di  perfetta  conservazione  ;  e  per 
quanto  si  riconosca  in  esso  il  decadimento  del  gu- 
sto dal  lato  delle  arti,  pure  ciò  viene  in  certo  tal 
modo  compensato  dalla  diligenza  dell'artificio. 


128  Letteratura 

Altro  pregio  di  questo  monumento  si  è,  Y  es- 
sere il  più  antico  (li  quanti  si  conoscono  di  cjata 
certa.  li  consolato  or4inario  di  Probo  ci  richiama 
all'anno  406  dell'E.  V;  ed  è  questo  quel  Sesto  Ani-? 
cip  Probo,  figliuolo  del  console  del  3T1,  phe  ebbe 
gli  stessi  nomi  i  e  che  si  per  Ig  gente  Anicia  ,  si 
per  la  Faltonia  dei  Probi,  è  illustre  ne' fasti  del- 
l'impero non  naeno,  che  in  quelli  della  chiesa.  L'an- 
po  406  però  ci  (Ji>??Qstra,  che  allora  Onorio  conta- 
va l'anno  vigesimo  secondo  di  età,  non  il  vigesimo 
sesto  i  ed  è  forse  questa  la  ragioq  naturale  tlella 
poca  barba  che  ha  sul  labbro  superiore  soltanto  ; 
senza  cercare  in  cip  cpl  N.  A.  un  ornamento  mi- 
litare. Conveniamo  con  lui  pienamente,  quando  di- 
ce esser  questo  il  vero  ritratto  di  Onorio;  perchè 
dalle  sole  medaglie  non  si  potrebbero  certo  ritrar- 
re le  sembianze  precise  e  distinte  di  quell'augusto. 
Ci  permetta  però  dubitare,  che  in  queste  tavolette 
Onorio  abbia  grandi  orecchini  ad  uso  femminile  o 
persiano,  formati  da  due  grosse  perle.  Nella  tavola 
litografica,  che  abbiamo  sott'occhi,  quelle  due  grosse 
perle  non  ci  sembra  che  pendano  dalle  orecchie  : 
d'altronde  le  monete  di  Onorio,  che  ci  mostran  la 
testa  di  lui  in  profilo,  non  han  mai  tali  orecchini: 
quelle  che  ce  la  mostran  di  faccia,  hanno  le  due 
estremità  del  diadema  cadenti  sul  collo,  ornate  di 
una  gemma:  quindi  par  da  credere,  che  anche  nel 
dittico  abbiansi  quelle  perle  a  considerare  come  le 
estremità  del  diadema,  piuttosto  che  orecchini. 

In  questo  dotto  e  diligente  lavoro  del  eh.  pro- 
fessor torinese  sì  hanno  le  necessarie  notizie  sulT 
uso  primiero  di  tal  fatta  di  avori,  e  su  quello  cui 
furono  in  appresso  destinati  nelle  chiese:  si  discor- 
re del   loro  pregio,   quali   monumenti   d'arte  e  di 


JRlVISTA    ARCpEOLOGICA  139 

storia;  si  dice  dei  vantaggi  phe  la  scienza  e  la  let- 
teratura ne  trassero;  di  ogni  parte  della  rappre-- 
sentaoza  di  questo  dittico  aqgustano  si  danno  buo- 
ne illustrazioni;  di  ogni  voce  delle  leggende,  sagaci 
interpretazioni.  Forse  si  potrebbe  muovere  qualche 
dubbio  intorno  quella  della  parola  FAMVLVS;  ma 
ciò  ci  condurrebbe  troppo  alle  lunghe  ;  il  che  non 
comportasi  dalla  natura  di  questi  fogli. 

VI.  Philippi  Schiassi ,  de  tjpo  ligneo  theatri 
saguntini.  Bologna  presso  Tiocchi  1836,  4«°  di  p.  23 
Qon  due  grandi  tavole  in  rame. 

La  celeberrima  Clotilde  Tambroni,  nome  ca-» 
rissimo  all'Italia  edagli  studiosi  delle  greche  elegan-' 
ze,  in  un  viaggio  fatto  in  Ispagna  Tanno  1798  in- 
sieme al  suo  niaestro  D.  Emanuele  a  Ponte,  fermos- 
si  per  qualche  tempo  a  Valenza:  di  là  si  recò  al 
vicino  Morviedro^  luogo  dove  rifiensi  che  antica-^ 
mentre  sorgesse  Sagunto.  Amante  com'  essa  era  di 
ogni  cimelio  antico,  si  die  a  trascrivere  in  que'con- 
torni  le  lapidi  greche  ,  le  fenicie,  le  romane  che 
v'incontrò;  fece  disegnare  i  bassorilievi  ed  i  resti 
delle  antiche  fabbriche;  sopra  di  ogni  altra  cosa  pe-^ 
rò  rivolse  le  sue  premure  ai  grandiosi  resti  del  tea- 
tro; e  ne  fé'  eseguire  dall'Arnau  un  modello  in  le- 
gno con  moltcì  industria  e  diligenza  lodevolissima 
operato.  Tornata  in  patria  lo  recò  seco,  e  dopo  al- 
quanti anni  ne  fé'  dono  al  eh,  prof.  Filippo  Schias- 
si; nelle  cui  case  in  Bologna  ricordiamo  averlo  noi 
stessi  replicate  volte  ammirato,  Ora  il  dotto  autore 
con  la  indicata  memoria  lo  partecipa  al  pubblico 
esattamente  inciso  in  due  grandi  tavole  in  rame,  e 
degnamente  descritto  ed  illustrato. 


130  Letteratura 

Già  questo  teatro  era  noto  agli  eruditi  per  le 
opere  di  Emanuello  Martino,  di  Gioacchino  Alcara- 
zio,  di  Giuseppe  Emanuello  Miniana,  di  Bernardo 
Montfaucon,  di  Giovanni  Poleni,  di  Guglielmo  Lo- 
nyngham,  di  Ennio  Palosio  Navarro:  e  più  recen- 
temente ne  ebbero  scritto  Giulio  Ferrarlo,  Antonio 
Ponzio,  Giosuè  Ortisio  Sanzio  ,  ed  Alessandro  La- 
borde.  Ma  rapporto  all'  esattezza  e  precisione  non 
han  che  fare  le  tavole  prodotte  da  qualcuno  dei 
ricordati,  con  quelle  pubblicate  ora  dal  dotto  pro- 
fessor bolognese.  Il  quale  d'  altronde,  raccogliendo 
il  fiore  di  quanto  altri  prima  ne  scrissero,  spesso 
si  oppose  loro,  e  sempre  con  sodi  argomenti.  Del 
che  solo  un  esempio  basterà  citare  ;  cioè  quanto 
egli  espose  intorno  l'antica  ed  intralciata  questio- 
ne dei  vasi  sonori  o  echei,  che  Vitruvio  prescrisse 
nella  formazione  de'teatri. 

Chiunque  leggerà  questa  dissertazione  dello 
Schiassi  non  potrà  a  meno  di  non  convenire  ,  che 
la  lingua  latina  anche  a'giorni  nostri  si  presta  spon- 
tanea per  esprimere  con  eleganza  e  chiarezza  qua- 
lunque subietto,  sia  pur  esso  del  tutto  nuovo:  e  con- 
fesserà pure  che  Filippo  Schiassi  è  uno  fra  i  primi 
latinisti  dell'età  nostra. 

VII.  Saggio  sopra  alcune  monete  fenicie  delle 
isole  baleari:  del  cav.  Alberto  della  Marmerà.  (Dal 
voi.  XXXf^III  delle  memorie  della  reale  accade- 
mia di  Torino  1834,  A.""  ftg.). 

In  Maone  nell'isola  di  Minorica,  così  presso  il 
slg.  Antonio  Ramis  come  altrove,  trovò  il  sig.  cav. 
della  Marmora  un  considerevol  numero  di  antiche 
medaglie  con  caratteri  fenici ,  le  quali  erano  stale 


Rivista  Archeologica  131 

da  alcuni  nummografi  attribuite  a  Serpa  nella  Lusi- 
tania,  da  altri  a  Cadice  o  a  Siviglia  nella  Betica,  dai 
pili  airisola  di  Gossura:  il  Mionnet  le  ebbe  collo- 
cate tra  le  fenicie  incerte.  E  prudentemente;  per- 
chè il  N.  A.  basandosi  sulla  dottrina,  che  le  mone- 
te di  bronzo  d'incerta  patria  debbansi  ritenere  co- 
me appartenenti  a  que'luoghi  ne'quali  spesso  si  rin- 
vengono, non  dubita  assegnare  quelle  in  questione 
alle  isole  baleari;  tanto  piìi  che  la  lingua  ed  i  tipi 
avvalorano,  non  contraddicono  quella  massima.  Le 
due  tavole  in  rame,  che  accompagnano  questo  sag- 
gio, rappresentano  alcune  di  esse  monete  affatto  nuo- 
ve, altre  imperfettamente  prima  descritte;  non  che 
alcune  figure  di  antichi  idoli  in  bronzo,  che  ser- 
vono per  illustrarle. 

Vedesi  in  esse  per  tipo  costante  una  figura 
virile  panciuta,  di  faccia,  con  tre  corna  sulla  testa: 
nella  destra  un  martello  ,  nella  sinistra  un  serpe 
ravvolto  al  braccio.  Talvolta  la  stessa  figura  è  pur 
nel  rovescio  ;  tal  altra  ci  ha  un  bue  cornupeta  in 
diverse  positure:  ma  in  altre  le  forme  son  più  re- 
golari; non  tre  corna,  ma  otto  raggi  sono  intorno 
al  capo,  e  la  figura  è  vestita  di  tunica:  sempre  vi 
sono  lettere  fenicie.  In  quelle,  nelle  quali  la  rap- 
presentanza del  tipo  è  più  regolare,  vi  sono  anche 
leggende  romane,  cioè  INS  .  AVG;  e  nel  rovescio  si 
ha  la  testa  nuda  di  Tiberio  con  lettere  TI  .  CAES. 
AVG  .  GERM  ;  o  quella  pur  nuda  di  Germanico 
GERMANIGVS  .  CAES.  Quella  figura  ,  dice  il  sig. 
cavaliere,  si  da  a  conoscere  per  un  dio  Cabiro  le- 
ste sbucciato  dall'uovo  mondiale,  ma  pieno  di  vita 
e  di  possanza.  La  picciola  statura,  lo  sferico  ven- 
tre, il  rannicchiamento  del  corpo,  l'arcuata  po- 
situra delle  gambe,  indicano  l'infanzia,  l'immedia- 


132  Letteratura 

ta  uscita  dall'uovo  dove  stava  il  nume  cosi  rlncKui- 
so;  la  barba,  la  robustezza  delle  membra,  e  le  cor- 
na, son  tutti  indizi  della  forza  virile,  l'essenza  di 
un  dio  Cabiro,  cioè  potente,  sviluppata  all'istante 
della  nascita.  Trascurando  le  cabiriche  divinità  gre- 
che, asiatiche  ed  egiziane,  il  N.  A.  cerca  pe'  carat- 
teri fenici  della  monete,  la  spiegazione  della  raffi- 
guratavi divinità  nella  fenicia  teogonia. 

E  ne'frammentì  di  Sanconiatone  riferiti  da  Eu- 
sebio trova  che  ai  sette  cabiri  fenici  ,  fiarliuoli  di 
Sjdick^  ne  venne  aggiunto  un  ottavo;  cioè  Esmun 
assomigliato  ad  Esculapio,  Questo  Esmun  è  la  fi-, 
gura  caratteristica  delle  monete  baleariche  ;  assai 
facilmente  ve  la  trasportarono  i  cartaginesi;  e  col- 
l'andar  del  tempo  sotto  la  dominazione  dei  romani 
fu  convertito  in  Esculapio  ,  come  provano  le  due 
monete  bilingui.  Dall'  analisi  poi  di  ciascuno  degli 
elementi  delle  leggende  fenicie,  che  con  molta  dot- 
trina ed  ingegno  intraprende  l'A..  chiarissimo  ,  ne 
raccoglie  le  due  parole  Insula  boetica.,  o  boetico- 
rum;  e  già  vedemmo  che  nelle  due  bilingui,  a  ca- 
ratteri romani  si  aggiunge  INS«/«  AVGa^i/.  Noi  non 
siamo  in  grado  di  poter  tener  dietro  a  questa  par- 
te della  memoria  ;  ma  non  perciò  non  ammiriamo 
l'amore  dell' A.  N.  a  cjuesti  diffìcili  studi. 

Vili.  Quadro  di  geografia  numismatica  ,  da 
servire  alla  classificazione  geografica  delle  collezio- 
ni, con  un  catalogo  generale  delle  città,  delle  quali 
si  conoscono  le  monete  non  solo  autonome  ,  quanto 
dei  re  e  degli  imperatori,  arricchito  di  parecchie 
nuove  sedi  e  nuove  teste,  e  corredato  di  alcune  no^ 
tizie  geografiche  da  Carlo  Strozzi,  Firenze  costipi 
Bencini  \  836,  4.°  di  pag.  1 04,  con  una  gran  tavo^ 
la  colorita, 


Rivista  Archeologica  133 

Il  p.  Bober  gesuita  aveva  immaginata  una  carta 
geografica  numismatica:  la  possedette  il  Sestini;  ed 
ora  è  nella  galleria  di  Firenze.  Il  sig.  marchese  Car- 
lo Strozzi,  che  per  oltre  due  anni  fu  discepolo  del 
Sestini,  voleva  pubblicare  quella  carta  del  Bober; 
ma  non  avendone  potuta  ottenere  la  comunicazione, 
sì  accinse  a  farne  una  consimile;  che  è  quella  per 
noi  annunziata.  Ritiene  il  nobile  autore  di  aver  fat- 
to cosa  di  gradimento  al  pubblico:  e  per  vero  un' 
opera  che  raccoglie  in  un  sol  libro  la  intera  serie 
ed  ordine  delle  città  numismatiche;  che  da  luogo 
a  poter  verificare  sopra  una  carta  le  posizioni  e  le 
vicinanze  di  molte  citta  che  usarono  tipi  o  simili 
o  analoghi;  non  solo  deve  riuscir  grata  ai  nummo- 
grafi,  ma  a  quelli  eziandio  che  studiano  nella  storia 
e  nell'antica  geografia. 

Il  quadro  del  sig.  marchese  segue  1*  ordine 
geografico  dell'Eckhel;  ed  è  distinto  in  cinque  co- 
lonne indicanti,  1.°  i  regni  e  provincie;  2."  i  no- 
mi antichi  delle  citta:  3."  i  nomi  moderni  di  essi: 
4.°  le  medaglie  così  autonome  come  imperatorie,  con 
la  serie  rispettiva  degli  augusti:  5.°  le  posizioni  geo- 
grafiche; consistenti  di  due  lettere  alfabetiche,  l'una 
maiuscola  ,  1'  altra  minuscola  segnate  a  lato  della 
gran  carta  geografica,  per  accennare  prontamente 
alla  posizione  delle  rispettive  città.  Al  fine  dell'o- 
pera poi  sono  tre  indici  alfabetici;  il  primo  dei  re- 
gni, Provincie,  popoli  e  città  in  latino:  il  secondo 
dei  rispettivi  nomi  moderni;  il  terzo  degli  antichi 
re  e  principi. 

Ma  e  egli  vero  che  l'A.  eh.  abbia  aumentata 
la  numismatica,  come  dice  nel  titolo  dell'opera  , 
di  nuove  sedi  e  di  nuove  teste?  E  lo  ripete  egli 
nelle  notizie  generali:  dove  parlando  dell'opera  del- 


134  Letteratuaa 

l'incomparabll  Sestini  classes  generales  ,  dice  <li 
aver  aumentate  molte  teste  e  molte  citta  che  in 
quell'opera  non  si  hanno.  Questo  vero  si  farà  chia- 
ro a  chi  voglia  anche  parzialmente  rincontrare  e 
ravvicinare  1'  un  libro  all'altro:  ma  non  sappiamo 
se  il  risultato  ne  sarà  favorevole  al  sig.  marche- 
se. Per  cagion  di  esempio  nella  sola  Spagna  Be^ 
tica  abbiara  trovate  mancanti  le  citta  di  j4bra  « 
Amhra^  Antlcaria^  A  sparla^  Augurina  ,  Barea  ec; 
e  COSI  in  altre  provincie  e  regni  abbiam  trovato 
mancare  altri  nomi,  che  nelle  classes  generales  non 
si  desiderano.  Almeno  avesse  il  N.  A.  addotto  il 
perchè  di  tali  preterizioni!  Così  vogliamo  notare 
che  manca  la  bella  serie  dei  re  della  Battriana 
e  delle  Indie,  pubblicala  dal  dotto  Raoul-Rochette; 
e  forse  altre  mancanze  si  potrebbero  facilmente 
addurre,  se  le  già  accennate  non  fossero  plìi  che 
sufficienti  a  provare  non  vera  l'asserzione  del  sig. 
Strozzi.  Quindi  è  che  non  potendo  noi  decidere 
se  r  opera  sua  veramente  sia  utile  alla  scienza  ; 
conveniamo  che  migliorata  ,  riveduta  ,  accresciuta 
delle  monete  scoperte  che  si  vanno  giornalmente 
facendo,   una  utilità  potrà   recare  agli   studiosi. 

IX.  Real  museo  borbonico  descritto  ed  illu- 
strato da  Erasmo  Pistoiesi.  Voi.  1.  Roma^  tipografìa 
delle  belle  arti  1 836  in  8.°  gr.  fìg.  di  pag.  64  e 
128,  fase.  I.  IL  III. 

Fin  da  quando  venne  a  luce  il  primo  fasci- 
colo di  quest'opera  pensammo  scriverne  alcun  che 
nel  nostro  giornale:  ma  siccome  sembrar  poteva 
precoce  il  giudizio  ,  ci  parve  prudente  aspettare 
ehe  l'impresa  progredisse.  Vedendo  però  che  dopo 


Rivista  Archeologica  135 

il  terzo  fascicolo,  da  lungo  tempo  ne  aspettiamo  in- 
vano il  proseguimento,  rompiamo  il  silenzio:  e  ciò 
per   le   ragioni    che   in  seguito   saran   chiare. 

Divide  il  sig.  Pistoiesi  il  suo  lavoro  in  due  par- 
ti. Nella  prima  dà  uno  storico  ragguaglio  delle  di- 
verse eruzioni  del  Vesuvio.  Essa  non  è  terminata;  ma 
stando  ora  all'eruzione  del  1822,  pare  che  non  si 
prolungherà  molto  più  in  la  delle  64  facce  che 
sinora  ha  riempite.  Può  questa  prima  parte  consi- 
derarsi come  una  introduzione  alla  seconda,  nella 
quale  sono  le  illustrazioni  del  museo  reale  borbo- 
nico. Ogni  fascicolo,  secondo  il  manifesto  d'  asso- 
ciazione, deve  contenere  10  tavole  in  rame,  e  64  pa- 
gine d'illustrazioni.  Se  nei  tre  annunziati  fascicoli 
le  illustrazioni  si  spaziano  in  sole  128  facce,  la  ra- 
gione si  è,  perchè  le  altre  64  furono  impiegate,  co- 
me dicemmo,  nella  storia  delle  vesuviane  eruzioni. 
Trenta  però  son  le  tavole;  e  se  alcune  poche  riferi- 
sconsi  a  monumenti,  la  cui  illustrazione  si  leggerà 
ne'  fascicoli  futuri,  ciò  si  vede  che  fu  per  comodo 
degli  incisori:  i  quali  d'altronde  non  poteron  con- 
durre a  fine  due  tavole,  le  illustrazioni  delle  quali 
si  leggon  già  nel  testo  pubblicato. 

Queste  tavole  contengono  monumenti  antichi 
e  delle  arti  risorte.  Otto  ne  incontriamo  di  questo 
secondo  genere;  e  spettano  ad  originali  di  Raffael- 
lo, Bourdon,  Correggio,  Sabatino,  Schidone,  Par- 
megianino,  Tiziano,  Andrea  del  Sarto  (tav.  I  II  XI 
XII  XIII  XIV  XXI  XXII).  I  monumenti  antichi 
sono  in  pittura,  in  marmo,  in  bronzo,  in  istucco. 
Di  pitture  ve  ne  ha  sei;  cioè  Agamennone  e  Crisei- 
de  (tav.  Ili),  Achille  e  Briseide  (tav.  IV),  Giove  e 
Giunone  (tav.  V),  Genio  delV armonia  (tav.  VI),  At- 
tore tragico  (tav.  XV),  Polifemo  (tav.  XVI).  In  mar- 


136  Lbtteratura 

mo  si  ha  iirt  y4 polla  citaredo  (tav.  VII),  il  supposto' 
Aristide  (tav*  XVII),  due  busti  di  Giunone  ed  uno 
di  Giove  (tav*  XVIÌI),  due  candelabri  (tavv  IX) i 
un  antico  vaso  fittile?  dipinto  è  aliai  tav.  VIII;  diver- 
se armi  alla  tav.  X;  un  vaso  di  bronzo  alla  tav.  XX; 
gli  stucchi  del  soffitto  del  tepidario  alla  tav.  XIX. 
Rimarrebbe  da  accénnaire  la  illustrazione  di  altre 
due  pitture  antiche;  cioè  Periètope  ed  UlisseO,  ed 
una  scena  comica^  ma  già:  dicériimo  che  di  queste 
mancan  le  tavole  ;  come  per  contrario  sono  senza 
illustrazioni  le  tavole  che  rappresentano  Augusto, 
Giunone,  un  fauno,  alcune  pareti,  un  vaso  dipinto, 
una  vasca  di  marmo,  e  la  statua  equestre  di  Balbo. 
Questa  è  la  materiale  distribuzione  dei  tre  fascicoli 
che  abbiamo  sott'occhi* 

Venendo  ora  alla  parziale  illustrazione  de'mo- 
numenti,  diciamo  che  questa  non  ci  sembra  opera 
del  Pistoiesi.  E  perchè  non  sia  giudicata  ardita  que- 
sta accusa,  ne  diamo  un  esempio*  Eccolo* 

AGAMENNONE    É    CRISEÌDEj    DIPINTO    POMPEIANO* 

Pistoiesi,  ta^f.  III.  p.2Ì  e  segg. 

»  Criseidd  succinta  di  pallio^  raccogliendo  con 
la  destra  una  parte  della  gonna,  mentre  la  sinistra 
ha  fra  le  mani  di  Agamennone,  posa  il  piede  sulla 
scala  del  naviglio  che  deve  ascendere.  In  essa  vi  scor- 
gi la  sorpresa,  la  perplessità,  il  tumulto  degli  af- 
fetti, poiché  le  duole  lasciare  il  talamo  del  re  dei 
prodi  Atride  ad  essa  tanto  benigno,  mentre  le  scal- 
da il  cuore  la  dolce  idea  di  rivedere  la  patria,  di 
stringere  al  seno  il  genitore.  -  Agamennone  affettuo- 
samente la  guida  a  salir  sulla  nave,  che  a'suoi  af- 


Rivista  Archeologica  137 

fetti  la  toglie,  e  incurvasi  a  dirle  l'ultime  parole,  il 
lamentabile  addio.  -  Due  guerrieri  dissimili  di  età, 
di  aspetto,  li  sieguono,  e  a  mio  credere  colui  che 
sostien  l'asta  è  Menelao,  l'altro  è  Ulisse.  -  Prossimo 
a  Griseide  evvi  un  garzonetto:  egli  è  un  Camillo  de- 
stinato a  ministrare  all'  ecatombe  che  con  la  schia- 
va resa  libera  va  in  offerta  ad  Apollo.  -  L'attitudi- 
ne di  Atride  è  quella  d'uom  rassegnato  all'  acheo 
consiglio;  e  fé  buon  senno  il  pittore  a  farlo  tale  , 
e  con  sommesso  sguardo,  per  nascondere  (juel  ve- 
race affetto,  ch'era  difficil  cosa  esprimergli  in  viso, 
senza  offendere  il  decoro  che  a  re  di  tanti  re  con- 
venivasi  serbare,  e  farlo  freddo  attore  intervenire 
in  quella  scena  d'irreraeabil  commiato.  » 

Guglielmo  Bechi  nel  Mus,  borb.  voi.  II  tav,  LVII* 

»  Griseide  succinta  il  pallio,  raccogliendo  con. 
una  mano  la  falda  della  gonna  per  non  essere  impac- 
ciata al  salire,  tiene  l'altra  fra  quelle  di  Agamen- 
none, ed  ha  già  posto  il  piede  sulla  scala  del  navi- 
glio, sul  quale  è  in  atto  di  ascendere.  Sembra  com- 
battuta da  contrari  affetti;  dall'una  parte  lasciare  il 
talamo  del  vincitore  tanto  ad  essa  benigno;  dall'al- 
tra il  rivedere  la  cara  patria  e  1'  antico  padre  le 
scalda  il  cuore.  Ed  Agamennone  affettuosamente  te- 
nendola per  mano,  ed  incurvandosi  a  dirle  le  ulti- 
me parole  ed  il  lamentabile  addio,  l'aiuta  egli  stesso 
a  salir  sulla  nave  che  a'suoi  affetti  la  toglie.  Due 
guerrieri  di  età  varii  e  di  aspetto  (  uno  dei  quali 
è  forse  figurato  per  Ulisse  )  li  sieguono;  ed  è  a  lei 
vicino  un  garzonetto,  forse  il  Camillo  destinato  a 
ministrare  all'ecatombe  che  con  Griseide  va  in  of- 
ferta ad  Apollo.  Oltre  che  l'attitudine  dell'Agamen- 
G.  A.  T.LXXIV.  10 


138  Letteratura 

none  è  stupenda  ,  e  compone  benissimo  in  questo 
gruppo,  fé  buon  senno  il  pittore  a  farlo  curvato, 
per  nasconder  quell'affetto  ch'era  difficil  cosa  espri- 
mergli in  viso,  senza  offendere  il  decoro  che  al  re 
di  tanti  re  convenivasi  serbare:  e  farlo  interveni- 
re freddo  attore  in  quella  scena  di  commiato,  non 
gliel  comportava  il  subietto.   » 

Pure  il  pistoiesi  (  pag.  23  )  scrisse  di  qtiesto 
quadro:  Per  quanto  io  valgo  nelle  forze^  descrivo 
ed  illustro.  Giudichi  il  lettore  se  la  descrizione  e  là 
illustrazione   è   sua  o   del  Bechi. 

Ma  perchè  un  esempio  non  sia  reputato  poca 
cosa,  noi  senza  aggiugnerne  altri,  preghiamo  chi 
ne  ha  voglia  di  fare ,  come  noi  abbiam  fatto;  e 
vedrà  nelle  illustrazioni  del  real  museo  borbonico 
in  Napoli  gli  originali  di  quelle  del  sig.  Pistoiesi. 
Per  abbreviare  poi  la  facilità  del  rinvenirle,  leg- 
ga nell'opera  le  illustrazioni  del  eh.  Bechi  al  voi. 
I  tav.  1  2  54;  al  voi.  II  tav.  1  17  32  33  53 
58  59;  al  voi.  Iti  tav  3  18;  al  voi.  IV  tav.  1  1G 
46;  al  voi.  V  tav.  19:  e  le  confronti  con  quelle 
del  Pistoiesi  tav.  1  2  4  5  6  9  11  12  13  14  15 
16  19  20  21  22.  Legga  quelle  del  eh.  Pinati  al  voi. 
I  tav.  50,  al  voi.  Ili  tav.  8,  e  le  confronti  con 
quelle  del  Pistoiesi    tav.   7   e    IT.  Nel  tomo  V  tav. 

9  la  illustrazione  del  eh.  Quaranta  la  paragoni  a 
quella   della   tav.    18  del  Pistoiesi:  quella  della  tav. 

10  del  medesimo,  la  riavvicini  a  quella  del  Ca- 
terino voi.  IV  tav.  13;  e  quella  del  eh.  Avellino 
voi.  IV  tav.  20,  la  confronti  con  l'altra  della  tav.  8 
del    Pistoiesi. 

Ma  si  dirà:  Dunque  ninna  parte  egli  ebbe  in 
questa  romana  illustrazione  del  musco  borijonico? 
Sì,  rispondiamo:  son  sue  le  notizie  della  vita  di  Raf- 


Rivista  Archeologica  i39 

faello  premesse  alla  tavola  prima;  quelle  intorno 
Omero  premesse  alla  tavola  quarta;  e  così  si  dica 
di  Tiziano,  di  Correggio  ec;  e  non  era  da  credere 
che  nella  illustrazione  dei  monumenti  di  un  celeber- 
rimo museo  si  volesse  dar  per  giunta  una  raccolta 
di  notizie  Liografiche. 

Ricordiamo  come  il  Battelli,  editor  fiorentino 
dell'opera  del  Ferrario  sul  costume  antico  e  moder- 
no, a  coonestare  quella  contrafazione  produsse  alle 
stampe  un  voto  del  dottor  Perugini:  ricordiamo  che 
l'avvocato  Gollini,  in  altro  voto  pure  a  stampa,  alle 
ciarle  del  Perugini  oppose  valide  e  sode  ragioni  : 
ricordiamo  come  il  tipografo  Stella  entrò  per  terzo 
nella  quistione  ,  e  gridando  contro  il  primo,  clas- 
sificò i  diversi  gradi  di  duolo  per  le  contrafazioni 
diverse.  Lasciamo  che  il  Pistoiesi  decida  di  per  se, 
se  l'opera  sua  debba  entrare  fra  quelle  di  cui  lo 
Stella  tenne  discorso. 

X.  Sopra  una  iscrizione  sipontina,  osservazioni 
di  agostino  Gervasio  accademico  ercolanese.  Na- 
poli pe'tipi  Giordano  183T,  4.°  di  p.  58. 

Nell'antica  Siponto,  poc'oltre  un  miglio  lungi 
dall'odierna  Manfredonia,  fu  nell'anno  1812  escava- 
ta la  seguente  iscrizione  -  DMS  -  LIBERALIS  COL  - 
COL  SIP  SER  ARCKAR  -  QVI  ET  ANTE  EGIT 
RATIONEM  -  ALIMENTARIAM  SVB  CVRA  - 
PRAEFEGTOR  ANNIS  XXXII  -  VIVOS  SIRI 
FICERAT  DEDIT  AVGVRINO  -  REIP  SER  VER- 
NAE  MESORI  FIL  SVO  RARISSIMO  -  OVl  VIX 
ANN  XXII  M  VI  DX.  -  Oltreché  essa  ha  il  pre- 
gio di  essere  inedita,  è  pur  rimarcabile  per  taluna 
frase  che  ora   per  la  prima  volta  si  ha  in  monu- 


140  Letteratura 

menti  epigrafici^  cioè  EGIT  RATIONEM  ALIMEN- 
TARIAM.  Glie  se  agere  rationes  soleva  spiegarsi  am- 
ministrare'^ ora  per  l'autorità  di  questo  marmo,  e 
per  le  dottrine  del  sig.  Geryasio  che  son  poggiate 
anche  a  testimonianze  di  Sceyola  e  di  Ulpiano,  di- 
remo che  propriamente  soleva  adoperarsi  nelle  am- 
jninistrazioni  affidate  ai  servi:  e  sembra  pure  che 
non  differente  significato  abbia  a  darsi  ai  servi 
AGTORES  nominati  nelle  lapidi, 

Sono  assai  dotte  le  investigazioni  del  N.  A.  in- 
torno la  ragione  alimentaria^  e  sull'averla  il  servo 
liberale  amministrata  per  32  anni,  quand'  essa  era 
sub  cura  praefectorum.  Non  minor  dottrina  si  ha 
nelle  ricerche  intorno  i  diversi  mensores;  presa  oc- 
casione dai  quali,  illustra  il  frammento  di  un  mar- 
mo, che  ricorda  un  mensor  sacomarius  :  e  perchè 
la  voce  greca  (jvjxojjua  (d'onde  la  latina  sacoma)  può 
indicare  tanto  il  contrapeso,  quanto  \xn  istromento 
qualunque  di  misura,  ritiene  che  i  sacomarii  fosse- 
ro i  costruttori  dei  pesi  e  delle  misure  da  servire 
di  modello. 

Nulla  sfugge  alla  sagacita  del  N.  A.  Fa  egli  giu- 
diziose osservazioni  grammaticali  intorno  la  voce 
ARGKarmj-,  dove  è  ridondante  la  C,  o  la  K;  sul  FI- 
GERAT  per  fecerat,  sul  VIVOS  per  vivus,  sul  ME- 
SORI  per  mensori;  e  sul  COhonorum  COhOniae, 
in  cui  quella  ripetizione  è  un  vezzo  della  lingua  la- 
tina, usato  per  dare  maggior  enfasi  al  dire,  come 
vivere  vitam^  pugnare  pugnam  ec.  Non  tralascia  in 
fine  distinguere  in  pociie  facce  la  storia  dell'antica 
Siponto  sull'appoggio  de'classici  antichi  e  de'monu- 
menti. 

■''■'  Facciamo   voti  sinceri,  perchè  il  sig.  Gervasio 
conduca  a  fine,  e  dia  alle   stampe  il  suo    lavoro  in- 


Rivista  Archeologica.  141 

torno  le  antiche  iscrizioni  di  Lesina,  promesso  a 
facce  45  di  questa  dissertazione.  Se,  come  questa  , 
sarà  quello  dotto  e  diligente,  non  potrà  a  meno  di 
non  riscuoterne  sinceri  ringraziamenti  da  quanti 
amano   questi   studi. 

XI.  Caroli  Boucheronii  specimen  inscriptionum 
latinaritm,  edente  Thoma  V^allaiirio.  -  Torino  pres- 
so Poniha  1836,  in  8.°  di  facce  XIV  e  116. 

Diamo  fine  a  questa  seconda  rivista  con  l'an- 
nunzio del  libro  del  eh.  Boucheron.  Vero  è  che  esso 
non  essendo  di  subietto  archeologico,  non  avrebbe 
dovuto,  strettamente  parlando,  esser  qui  annunziato; 
ma  vero  è  pure  che  la  moderna  epigrafia  molto  le- 
gasi con  r  antica;  e  d'altronde  riteniamo  che  ogni 
luogo  sia  convenevole  per  dir  le  lodi  del  eh.  profes- 
sor torinese.  E  chi  non  conosce  il  Boucheron  (1)?  Chi 
non  lo  colloca  in  uno  de'primi  seggi  in  tutto  ciò  che 
riguarda  latina  letteratura?  Ne  avemmo  lucentissi- 
mo  esempio  nella  torinese  raccolta  de'classici  da  lui 
diretta,  per  lui  di  dottissime  prefazioni  arricchi- 
ta. Quindi  è  che  un  fascicolo  d'iscrizioni  portante 
in  fronte  un  nome  sì  bello,  è  senza  dubbio  una 
raccolta  di  eleganze  spontanee,  convenevoli  ,  non 
ampollose,  non  inutili,  non  raccozzate  qua  e  la  dai 


(i)  Mentre  il  presente  articolo  slampavasi,  ne  giunge  l'infau- 
sta notizia,  che  questo  insigne  ornamento  della  italiana  letteratu- 
ra ha  dovuto  soggiacere  al  comun  fato  degli  uomini  il  di  16  di 
marzo  corrente.  Il  cav.  Boucheron,  membro  della  reale  accademia 
delle  scienze  di  Torino,  professore  di  eloquenza  greca  e  latina  in 
quella  università,  di  storia  e  mitologia  nell'accademia  delle  bel- 
le arti  e  di  letteratura  nell'accademia  militare,  era  nato  in  Tori- 
no il  28  di  aprile  1773. 


142  Letteratura 

lessici.  Slamo  certi  di  far  cosa  grata  al  Lenlgno  let- 
tore, riportandone  qui  una.  Scegliamo  quella,  nella 
quale  Anna  Perotti  narra  le  molte  e  strane  vicende 
di  sua  vita.  Essa  insieme  al  consorte  guerreggiò  nelT 
Egitto,  nella  Germania,  nella  Spagna:  due  volte  fatta 
prigioniera,  due  volte  tornò  alio  sposo,  che  pianta 
r  avea  per  morta:  rimasa  vedova  ,  ottenne  premi 
militari,  e  lo  stipendio  dei  forti;  e  ciò  per  inaspet- 
tato evento;  nel  quale  ebbe  gran  parte  il  nostro 
marchese  Biondi.  Ma  sentiamo  il  Boucheron.         ^ 

ANNA  PEROTTA. 

Da  bona  inerba,  hospes:  casta  et  strenua  sum, 
nec  ignota   ci\>ibus. 

Corea  antiqua  me  genuit,  taurinis  proxima  ; 
Anna  \>ocor.  Laudata  olini  puella  si  choros  ducerem^ 
et  multis  ambita  procis  ,  uni  tamen  Perotto  flda^ 
qui  decus  in  militia  gesserai.  Huic  virgo  nupsi  , 
hunc  Gomitata  sum  in  ardua  bella,  certa  simul  mo- 
ri ut  Abradaten  Panthea. 

Ad  V^arum  equo  merui,  ad  Nilum  cum  gallis, 
formam  prò  viro  probans.  Memphin  vidi^  et  Thebas 
centum  portarum,  et  Sjenen-,  sub  solibus  Horum  et 
Osiriden  mirata  monstrosa  numina.  Ad  pjramides 
conflixi,  ubi  veloces  arabes  mactavimus,  pugnantes 
connixo  poplite  equites  peditesque.  Postea  per  so- 
litudine s  erravimus,  exhausto  potu,  enecti  siti.,  ti- 
tani tolerantes  palmis  agrestibus.  Sjria  dein  Idu- 
maea  nos  excepit  irrigua  fontibus.  Eo  venerat  exer- 
citus  loppen  phoenicum  et  divitem  Tjrum  armis 
oppugnatuni:  sed  subita  calamitas  nos  vietare s  op- 
pressit.  Saucia,  captiva,  barbaris  sortito  obtigi,  qui 
me  aquas  taurinas  miserunt  mari.  Biennio  in  ser- 


Rivista  Archeologica.  1-43 

sfitute  inansi  vidica  vivo  coniuge^  exedens  cor  de- 
siderio^ moerens  dulcem  patrium  et  propinquo s:  taìi- 
dem  frustrata  vi  gilè  s  per  illunem  noctem  ine  hosti- 
bus  eripui. 

Gennaniam  deinde  obivi,  invisura  virum.  Is  re- 
dihat  ex  Iena  victor,  ob  virtutem  donatus  framea, 
Occurri  cuni  mithra  et  amictu  barbaro',  ubi  me  ad- 
spexit^  amplexu  et  fovit  calidis  lavacris.  Commili- 
tones  interea  coenam  parabant  cibis  castrensibus. 
JVos  cyathos  aurire^  liic  inerum  dare^  hic  suaviuni. 
Tunc  vir  procacem  intuens:  Heus  tu^  aiebat^  quid 
libi  tactio  hanc?  mea  est,,  ne  per  lovem  adtigeris. 
Cooriebatur  risus  ,  et  quisque  Ljaeuin  patrein  et 
amorem  invocans,  me  dictis  gaudebat  lacessere.  Sic 
coena  ad  multam  noctem  producta,  large  libavimus 
genio.,  laetantes  reditum  et  victoriam:  quippe  impe- 
rator,  devicta  regione  a  Rheno  ad  sarmatas  ,  nos 
affecerat  adorea. 

Tunc  nostra  cohors  in  Iberiam  transiit'.  ego  vi- 
rum sequor  per  pjrenaea  iuga.  Sunt  casus  et  pu- 
gnae^  multosque  hostes  orco  demittimus.  Sed  gens 
obdurata  cladibus  in  martem  redibat  ferocior:  nos 
vicimus  ade,  UH  nos  fame  absumptis  frugibus.  f^idi 
arva  collucentia  fiammis\  vidi  grandaevas  matres 
ut  thjades  mere  in  pr celia:  alias  semianime s  ca- 
ptivos  laniare  ferro.  Dum  manus  ad  Saguntum  con- 
serimus,  capior  excussa  equo  ,  ineque  in  navem 
detrusam   britannus  per  triennium   tenuit. 

Inde  re  verter  cum  Kictorius  rex,  recepto  re- 
gno, in  gallos  allobroges  legiones  mitteret,  tutaium 
flnes.  Ibi  Perottus  meus,  pinnas  murorum  prehen- 
dens  manibus,  hostilem  in  urbem  primus  irrumpity 
me  co  mite. 

Ovans  in  patriam  redii,  Sed  omnium  rerum  vi- 


144  Letteratura 

cissitiulo  est.  Vir  adverso  \>ulnere  interit:  ego  sene- 
cta  deflorui'.  quae  amazones  acquavi,  nunc  lana  vi- 
etilo incerto  lare. 

Erat  sacrificulus  in  agro  opimo  affi  ni  s  ineas: 
hiinc  adivi,  rogans  per  solitudinem  meam  et  com- 
munes  penates,  ut  ne  aegram  squalore  annisque 
obsitam  desereret.  Is  coeluni  obtestatus,  me  ina- 
nem  dimisit  correptam  convicio. 

Insperato  Taurini  adfuit  Angelius  pictor,  domo 
romanus,  argivus  arte,  me  pingens  in  sene  quem 
fìlia  turgidulis  fletu  oculis  uheribus  alit  in  cu- 
stodia. Tabula  notam  fecit.  Spectatum  adniissus 
Alojsius  Biondius  eques  romanus,  fLos  delibatus 
populi,  rem  narravit  Carolae  augustae,  regis  sor  ori; 
quae  non  passa  est  suam  benignitatem  in  me  da- 
udier.  Exinde  in  benefìciis  ad  aerarium  delata  , 
retuli  praemia  fortiumi  multi  insuper  annulos,  tor- 
ques  et  armillas,  militaria  dona,  mihi  miserunt  mu- 
neri.  Hinc  populares  ,  me  per  viam  monstrantes 
digito:  En,  aiunt,  haec   illa   est. 

Sic  rectius  ago  et  volito  viva  per  ora  virum. 
Tu  interea,  hospes,  vale. 

L'editore  eh.  discorre  nella  prefazione  della 
necessita  e  convenienza  della  lingua  latina  nella  epi- 
grafia: non  contrasta  potersi,  e  con  qualche  van- 
taggio, usar  la  italiana  nelle  mortuali:  ma  in  cjue'mo- 
numenti,  che  restar  devono  per  fondamento  della 
storia,  sostiene  doversi  usare  la  prima,  che  unisce 
alla  convenevolezza  dello  stile  maggior  nerbo  e  pre- 
cisione. E  qui  siamo  a  quella  questione,  che  da  lun- 
ghi anni  tiene  divisa  l'  Italia;  se  debba  cioè  la  epi- 
grafia latina  abbandonarsi  ,  e  far  luogo  alla  italiana. 
Già  pur  troppo  l'amore  della  lingua  del  Lazio  va 
di  giorno  in  giorno  in  decadenza!  Perchè  volerne  ac- 


Rivista  Archeologica  145 

celerare  la  totale  ruina,  con  escluderne  Fuso  «la 
quella  specie  <li  componimenti,  i  quali  sino  a  po- 
chi anni  indietro  furon  di  suo  privativo  diritto? 
Questo  è  un  mancare  di  patria  carith.  È  la  favella 
latina  il  monumento  pili  splendido  della  nostra  po- 
tenza antica;  essa  ci  addita  le  glorie  de'nostri  pro- 
genitori; ci  rammenta  che  con  essa  regolavansi  un 
di  i  destini  del  mondo.  Ben  altrimenti  la  pensaro- 
no i  grandi  di  Roma  antica:  consigliavano  ì  giovani 
ad  aver  sempre  fra  le  mani  le  opere  de'greci.  E  noi, 
ad  essi  inferiori  di  tanto,  vogliamo  escluder  l'uso 
della  lingua  latina  anche  dall'epigrafia!  Se  voglia- 
mo che  la  italiana  letteratura  fiorisca  ,  raccoman- 
diamo ai  giovani  lo  studio  delle  lingue  di  Grecia 
e  del  Lazio;  esortiamoli  a  tenersi  lontani  da  quel- 
la scuola  di  tenebroso  romanticismo,  che  già  dagli 
sparsi  semi  va  raccogliendo  velenose  frutta;  e  in  fat- 
to di  epigrafia,  facciamo  s'j  che  non  resti  deserta  la 
scuola  dei  Morcelli,  degli  Schiassi,  dei  Boucheron. 
Ma  si  dirà:  Il  nostro  idioma,  così  dolce,  è  for- 
se inetto  all'  epigrafia  ?  Mai  no  ;  ed  alcune  iscri- 
zioni dettate  dal  Giordani,  dal  Contrucci  ,  e  da 
altri  pochi,  fan  prova  che  i  modi  ed  i  concetti 
latini  si  posson  piegare  al  genio  della  lingua  fi- 
glia. La  questione  però  non  è  se  possano  o  no  far- 
si iscrizioni  italiane  ;  che  il  fatto  1'  avrel)I)e  deci- 
sa da  molti  secoli  :  ma  sì  ,  se  allo  stile  lapidario 
si  prestino  ugualmente  ambedue  le  lingue;  e  dalle 
prove  che  finora  ne  avemmo,  ci  sembra  che  le  doti 
di  concinnità,  precisione,  convenevolezza  siano  piìi 
nelle  iscrizioni  latine  che  nelle  italiane.  Altri  ri- 
prendono: Solersi  far  le  iscrizioni,  perchè  a  tutti  sia- 
no manifeste;  cpielle  in  ispecie  che  scrivonsi  sui 
sepolcri    de'trapassati,   se   dettate  in  latino,  non  ot- 


146  Letteratura 

tenere  lo  scopo  cui  son  dirette;  addolcire  cioè  il 
cordoglio  ne'congiuntì,  ricordare  ai  passeggieri  le 
virtuose  azioni  di  que'che  furono,  servire  di  ec- 
citamento al  ben  operare;  e  un  ottenere  lo  scopo, 
perchè  pochi  conoscono  la  lingua  latina.  Già  po- 
tremmo rispondere,  ben  tenue  poter  essere  il  frut- 
to morale  che  dalle  iscrizioni  italiane  si  spera,  si- 
curo il  danno:  questo  per  l'abbandono  della  lingua 
de'nostri  padri;  quello  perchè  il  popolo  non  legge, 
ma  vuole  l'esempio  della  virti^i  vivente,  attiva,  soc- 
correvole ai  bisogni.  Ed  anche  trascurato  ciò,  dire- 
mo che  le  stesse  ragioni  potrebbero  valere  anche 
più  per  le  iscrizioni  che  onorano  il  merito  degli  uo- 
mini che  san  distinguersi  dal  volgo;  per  quelle  che 
rendon  grazie  al  sommo  Iddio  de'beneficii  che  gior- 
nalmente ci  comparte:  quindi  ne  scenderebbe  che 
le  sacre  e  le  onorarie  non  meno  che  le  mortua- 
li  dovrebbero  scriversi  in  italiano.  Farmi  che  l'ar- 
gomento corra;  e  ne  discenda  che  le  iscrizioni  ser- 
vono per  istruire  il  popolo,  e  dirigerlo  al  bene 
operare.  E  noi  ripeteremo,  che  il  popolo  non  sa 
leggere;  che  per  ottenere  un  sì  grande  scopo  mo- 
rale sarebbero  inutili  le  iscrizioni,  senza  gli  esem- 
pi: che  il  danno  ne  risulterebbe  sicuro;  e  per  fine, 
che  crediamo  le  iscrizioni  documenti  per  la  storia. 

Un  dotto  fiorentino  assai  ingegnosamente  trat- 
tò da  poco  una  tal  quistione  :  egli  per  concilia- 
re i  due  partiti  propose  »  che  le  iscrizioni  funera- 
»  rie  ed  onorarie  ad  uomini  e  donne  insigni  per 
»  pubblici  meriti,  come  ancora  tutte  quelle  destina- 
»  te  per  sacre  e  profane  pompe,  e  tutte  eziandio 
1»  le  nazionali  risguardanti  monumenti  pubblici  di 
»  qualsivoglia  maniera,  compresi  anche  gli  istituti 
»  di  scienze,  lettere,  ed  arti  in  generale,  conservato 


RivrsTA  Archeologica  147 

»  un  solo  sentimento  venissero  scrìtte  in  ambedue 
»  le  lingue,  e  poste  parallele  o  sia  di  fronte  nel  me- 
»  desialo  cartello  o  marmo  »  Molti  sono  ì  vantaggi 
che  da  cosi  fatto  sistema  l'A.  eh.  spera  che  siano 
per  risultare.  Noi  ne  accenneremo  taluno,  e  con  le 
sue  stesse  parole:  »  Così  la  gioventù  in  ispecie,  che 
»  pur  troppo  oggidì  si  è  fatalmente  riposta  dagli 
»  studi  di  latinità,  tra  per  l'alto  e  disdegnoso  ram- 
»  maricare  de'savi  sclamanti  contro  quel  codardo 
»  costume,  e  pei  pubblici  assidui  ed  incancellabili 
»  esempli,  gitterk  schiava  nel  fango  le  raeretricie 
»  straniere  contigie,  rinvigorirà  le  flacide  fibre  del- 
»  Tantico  vigore  ,  si  mostrerà  degna  progenie  di 
»  Virgilio  e  di  Dante;  così  il  forestiere,  che  porrà 
»  piede  su  questa  sacra  terra  ,  vedrà  regnarvi  ia 
»  pieno  meriggio  la  madre  augusta  accanto  all'ono- 
»  randa  famosissima  figlia;  così  egli  pure  proverà  un 
»  arcano  senso  di  dolcezza  se  buono,  e  benedirà  an- 
»  che  per  questo  all'Italia;  così  romperassi  d'invidia, 
»  se  malvagio;  così,  se  per  sua  sfortuna  gli  sia  igno- 
»  ta  la  soavità  del  volgare  eloquio,  prenderà  con- 
»  tezza  di  nostre  glorie  antiche  e  moderne  pel  mi- 
»  nistero  del  latino.  »  Volesse  il  cielo  che  il  siste- 
ma proposto  da  quello  scrittore  cortesissimo  venis- 
se abbracciato  da  ambidue  i  partiti!  Ne  tornereb- 
be vantaggio  a  questa  dolcissima  favella  italica;  e 
non  pili  si  opinerebbe  di  espellere  la  lingua  madre 
dalle  iscrizioni. 

Questo  avevamo  scritto,  quando  ci  giunse  un 
giornale  milanese,  in  cui  leggemmo  come  due  ita- 
liani, due  francesi  ,  e  due  americani  han  divisato 
d'innalzare  a  Parigi  un  monumento  a  Carlo  Botta, 
nome  carissimo  a  tutte  e  tre  le  nazioni.  Diedero  essi 
l'incarico  al  prof.  Boucheron  dell'iscrizione  da  por- 


148  Letteratura 

visi  sopra:  ed  è  quella  che  riportiamo  insieme  con 
la  traduzione  italiana  fattane  dal  sig.  L.  T.  Così  le 
parole  del  gentil  fiorentino  incominciano  già  a  frut- 
tificare. 

H  .  S  .  E— CAROLVS  .  BOTTA —  DOMO  .  S  .  GEORGIO  . 
IN  .  SALASSIS— MEDiCVS  .  ET  .  HISTORICVS  — QVI  . 
GRAVIS  -  RERVM  .  PRONVNTIATOR  .  IDEMQ  .  SVA- 
VIS— AMERICAN AE  .  LIBERTA!*  i  PVGNAS  .  CVM  AN- 
GLIA  .  MAtRE  — PARI  .  FACVNDIA  *  ET  .  VERITATE  . 
EXPRESSIT  — ITEM  .  DVAS  .  ITALORVM  .  AETATES  — 
A  .  CAROLO  .  V  *  IMP  .  AD  .  NAPOLEON  .  ADVEN- 
TVM  —  BINIS  .  OPERIBVS  .  COMPLEXVS  —  IMPOTEN- 
TEM  .  EXTERNORVM  .  DOMINATVM— ET  .  POPVLA- 
RIVM  .  CALAMITATES  .  VITIA  4  ET  .  VIRTVTES  — 
LIBERO  .  ORE  .  EXPOSVIT  ~  VIR  *  APVD  .  SVOS  . 
INSIGNIS  .  QVOD  .  PATRIVM  .  SERMONEM  —  A  .  SER- 
VILI .  PEREGRINITATE  .  PVRGAVIT— ABSTINENTIAM  . 
QVAM  .  IN  .  ALIIS  .  LAVDAVERAT  —  IPSE  .  FLAGI- 
TIOSIS  .  TEMPORIBVS  .  EXHIBVIT  —  NEC  .  VNQVAM  . 
IN  .  TENVI  .  RE  .  DE  .  PAVPERT  .  CONQVESTVS  . 
EST— CAROLVM  .  ALBERTVM  .  SARD  .  REGEM  — A  . 
QVO  .  EQYESTREM  .  DIGNITATEM  .  ACCEPIT~FOR- 
TVNAE  .  VINDICEM  .  HABVIT  — VIXIT  .  ANN  .  LXXI  — 
OBIIT  .  PARISIIS  .  IV  .  ID  .  AVG  .  AN  .  MDCCCXXXVH. 


Rivista  Archeologica  149 


QVI  .  E  .  SEPOLTO --CARLO  .  BOTTA— DI.  S.  GIOR' 
GIO  .  DI  .  SALVZZO —MEDICO  .  E  .  STORICO  —CHE  . 
GRAVE  .  E  .  INSIEME  ,  PIACEVOLE  •  NARRATORE  . 
DEI  ,  FATTI  —  LE  .  GVERRE  .  DELLA  ,  LIBERTA'  . 
AMERICANA  ,  CQLL'  INGHILTERRA  .  MADRE  .  PA- 
TRIA—CON .  FARI  ,  FACONDIA  .  E  ,  VERITA'  ,  DE- 
SCRISSE —  E  .  LE  .  DVE  .  EPOCHE  .  DEGLI  .  ITA- 
LIANI ~  DA  .  CARLO  .  V  .  IMPERATORE  .  A  .  NA- 
POLEONE —  IN  ,  DVE  ,  OPERE  ,  COMPRENDENDO  ^-^ 
LA  ,  PREPOTENTE  .  SIGNORIA  .  DEGLI  .  STRANIERI  — 
E  .  LA  .  calamita'  .  I  .  VIZI  .  E  .  LE  .  VIRTv'  . 
DEI  .  POPOLI— FECE  .  LIBERAMENTE  ,  PALESI  — 
VOMO  .  CELEBRE  ,  FRA'  .  SVOI  .  VA  ,  CHE  .  LA 
PATRIA  ,  FAVELLA  —  PVRGo'  ,  DALLA  .  SERVILE  . 
FORESTERIA  —  DELLA  .  TEMPERANZA  .  CHE  .  NE- 
GLI .  ALTRI  ,  LODAVA  —  IN  ,  TEMPI  .  CALAMI- 
TOSI .  PORSE  .  ESEMPIO  .  EGLI  .  STESSO  —  NE  . 
MAI  .  POVERO  .  SI  .  DOLSE  .  DELLA  .  POVERTA'  . 
SVA  —  IN  .  CARLO  .  ALBERTO  .  RE  .  DI  .  SARDE- 
GNA —  DA  .  evi  .  FV  .  FATTO  .  CAVALIERE —TROVO'. 
IL  .  VENDICATORE  7  DELLA  .  SVA  .  FORTVNA  —  VIS- 
SE .  ANNI  .  LXXI  —  mori'  .  A  .  PARIGI  .  A  .  Dì'  , 
X   .   d'    .  AGOSTO   .    MDCCCXXXVII 

c.  c. 


150 


Vitruvii  de  architectura  libri  decem^  edente  Aloisio 
Marinio  ee.  (V.  il  voi.  antecedente  a  carte  323). 


CONTINUAZIONE. 


VJrii  edlfizi  privati,  come  abbiamo  già  osservato, 
sono  descritti  da  Vitruvio  nel  sesto  libro.  Qui  co- 
mincia a  venir  meno  uno  de'piìi  sicuri  mezzi,  che 
tanto  all'interpretazione  del  testo  vitruviano  ha  con- 
tribuito, e  del  quale  con  sì  sana  critica  fin  ad  ora 
fece  uso  il  Marini,  voglio  dire  l'autorità  de'nionu- 
menti.  Pochissimi  sono  gli  edifizi  di  tal  genere  che 
il  lungo  scorrer  de'secoli,  e  più  che  i  secoli  la  ma- 
no devastatrice  degli  uomini,  abbia  lasciato  giun- 
gere fino  a  noi.  La  città  di  Pompei,  è  vero,  ci  dà 
molti  esempi  di  case  antiche:  ma  in  una  piccola 
città  di  provincia  si  cercherebbe  invano  la  ma- 
gnificenza e  lo  splendore  delle  abitazioni  de'dovi- 
ziosi  cittadini  della  capitale.  Inoltre  se  Pompei  ci 
dà  un'idea  delle  case  romane,  nulla  ci  resta  delle 
greche:  ed  è  per  ciò  che  di  maggiore  ingegno  e  pa- 
zienza ha  fatto  d'uopo  al  nostro  cementatore,  onde 
tutte  spiegarne  le  parti,  le  quali  alcune  volte  Vi- 
truvio non  fa  che  accennare,  come  quelle  che  da 
tutti  eran  conosciute  a'suoi  tempi.  Prima  però  di 
descrivere  i  vari  edifizi  comincia  dall'osservare  che 
in  diversa  maniera  deve  costruirsi  sotto  le  diverse 
latitudini.  Qui  fa  mostra  di  alcune  idee  filosofiche 
sulla  natura  generale  delle  cose,  ed  immagina  un 
trigono  nell'universo,  il  quale  dall'orizzonte  e  dall' 
elevazione  del  polo  viene  determinato.  Questo  tri- 
gono,  male   dagl'  interpreti   spiegato,   è   slato   dal 


Ediz.  di  Vitruvio  151 

Marini  con  una  figura  delineato,  dalla  quale  se  niu- 
na  buona  idea  puoi  ritrarre  in  fatto  di  filosofìa, 
puoi  almeno  intendere  il  senso  delle  parole  vi- 
truviane. 

Nel  terzo  capitolo  comincia  Vitruvio  a  dare  le 
proporzioni,  e  a  descrivere  le  parti  della  casa  ro- 
mana. Le  parole  cavedio  ed  atrio^  male  da  alcuni 
interpretate  come  due  cose  distinte,  ha  il  Marini  di- 
mostrato essere  presso  Vitruvio  la  stessa  cosa:  dal 
che  grandissima  chiarezza  risulta  per  la  più  faci- 
le intelligenza  del  testo.  Nella  costruzione  de*  ca- 
vedi! molta  difficoltà  presentavano  le  parole  inter- 
pensiva  et  colliciae,  le  quali  insieme  con  parecchie 
altre  molto  felicemente  sono  state  dal  Marini  in- 
terpretate, in  modo  che  con  quest'opera  a  tutti  gli 
amatori  della  lingua  latina  ha  reso  servigio,  dan- 
do il  vero  senso  di  molte  parole  erroneamente 
spiegate  fino  ad  ora  ne'lessici.  Sarebbe  adunque 
grandemente  da  consigliarsi  a  chiunque  si  pro- 
ponesse di  pubblicare  un  nuovo  vocabolario  della 
lingua  latina,  che  con  iscrupolosa  diligenza  consul- 
tasse quest'opera,  onde  trarne  nuove  e  più  esatte  in- 
terpretazioni di  moltissime  voci. 

Egualmente  difficile  era  il  ben  comprendere 
quali  fossero  i  cavedii  testudinati;  ma  osservando  la 
figura  delineata  dal  Marini,  ed  applicandovi  le  pa- 
role vitruviane,  facilmente  potrà  aversene  una  giu- 
sta idea.  Questi  cavedii  non  dovevano  già  essere  a 
volta,  come  generalmente  solevasi  intendere  dagl* 
interpreti,  nominandosi  da  Vitruvio  le  contignatio- 
nesj  le  quali  con  la  volta  mal  si  addicono;  ma 
ricoperti  bensì  da  un  tetto  in  forma  di  testug- 
gine,  dal   che  traevano  la   loro   denominazione. 

Dopo  i  cavedii  le  alae  e  le  fauces  sono  de- 
scritte da  Vitruvio,   parole   anch'  esse  mal'  intése 


j52  Letteratura 

dalla  maggior  parte  de'coiijentatori,  ma  che  il  Ma* 
rini  ,  seguendo  soprattutto  la  pianta  delle  case 
pompeiane ,  ha  con  molta  esattezza  determinate. 
Da  queste  stesse  case  di  Pompei  ha  egli  tolto  due 
esempi  di  cavedii,  cioè  il  telrastilo  ed  il  toscano, 
i  quali  vengono  in  conferma  de'cavedii  da  lui  im" 
maginati  secondo  la  descrijjione  vitruviana.  Oltre 
i  cavedii  anche  gli  eci  sono  stati  dal  Marini  delineati 
con  figure,  ed  i  vari  generi  di  essi  sono  stati  tutti 
separatamente  rappresentati,  cioè  il  corintio,  l'egi- 
zio, il  tetrastilo  ed  il  ci;5Ìceno.  Esposte  così  e  di' 
chiarate  tutte  le  parli  delle  antiche  case  romane, 
passa  a  darne  la  pianta  generale  ,  la  quale  ninno 
certo  negherà  essere  la  più  esattamente  corrispon- 
dente alla  descrizione  di  Vitruvio  ,  e  nello  stesso 
tenjpo  d'accordo  co'monumenti  ancora  esistenti. 

Descritte  le  case  cittadinesche,  passa  Vitruvio 
alle  rurali.  Di  queste  però  non  dà  altre  proporzio- 
ni architettoniche:  anzi  dice,  che  se  si  volesse  fab- 
bricare con  piìi  di  eleganza  una  casa  di  campagna, 
dovrebbero  prendersi  le  proporzioni  dalle  case  cit- 
tadinesche. Quindi  è  che  gli  edifizi  rurali  non  han- 
no avuto  bisogno  di  alcuna  tavola,  e  la  descrizione 
che  ne  fa  Vitruvio  è  stata  soprattutto  dichiarata 
dal  Marini  coU'autorità  degli  altri  scrittori  di  cose 
rustiche,  i  quali  non  gran  fatto  da'precetti  vitru- 
vianì  si  allontanano. 

Dopo  la  casa  romana  vien€  la  greca,  e  di  que- 
sta egualmente  che  della  pei  ma  si  dk  una  pianta 
con  molta  esattezza  delineata  secondo  la  descrizione 
dell'autore.  Di  tutte  le  parti  sono  date  giustissime 
interpretazioni,  ma  soprattutto  del  ^vp'^pchv  e  del 
TiooGTug  o  Trapwrag,  non  bene  intesi  dalla  maggior 
parte  degli  altri  cementatori. 


Ediz.  di  Vitruvio  153 

Nell'ultimo  capitolo  di  questo  libro  sì  parla  del- 
le costruzioni  sotterranee  e  delle  sostruzioni,  e  spe- 
cialmente di  queste  ultime,  le  quali  erano  con  gran- 
dissima cura  costruite  dagli  antichi,   che  amavano 
di  avere  le  loro  abitazioni  sopra  luoghi  elevati  per 
godere  di  una  bella  veduta.  Tutti  i  particolari  so- 
no descritti  da  Vitruvio  onde  rendere   queste    co- 
struzioni solide,  e  capaci  di  resistere  alla  spinta  del- 
le terre:  al  che  non  sembra  che  abbiano  molto  at- 
teso i  moderni,  vedendosi  spesso  rovesciare  sostru- 
zioni recentissime,  mentre  le  antiche  ancora  resi- 
stono malgrado  del  lungo  scorrere  di  tanti  secoli. 
Piena  di  erudizione,  e  di  notizie  non  date  da 
altri  autori,  è  la  prefazione  del  settimo  libro.  In  es- 
sa pài  che  altrove  mi  sembra  aver  fatto  uso  Vitru- 
vio di  quella  eleganza  di  stile  ,  che   negli   scrittori 
dell  aureo  secolo  di  Augusto  esclusivamente  si  rin- 
viene. A  torto  infatti  il  suo  stile  viene  criticato  da 
molti,  che  trovar  vi  vorrebbero  le  floride  frasi   del- 
1  eloquenza  ciceroniana,  e  che  senza  por  mente  che 
non  è  il  linguaggio  di  un  retore,  ma  si  di  un  ar- 
chitetto il  quale  dà  i  precetti  della  sua  arte,  vor- 
rebbero giudicarlo  per  ciò  di  un'  epoca  posteriore. 
A  me  pare  al  contrario  che,  ove  pur  tante  altre  pro- 
ve mancassero,  il  solo  stile  sarebbe  sufficiente  per 
far  credere  che  abbia  scritto  a  quel  tempo.  Parec- 
chie frasi,  è  vero,  sono  alquanto  inesatte,  molti  pe- 
riodi duri,  ed  in  genere  invano  cercherebbesi  quel- 
la fluidità  ed  eleganza,  che  è  propria  de  buoni  scrit- 
tori di  quel  secolo;  ma  niuna  espressione  pur  vi 
rinvieni,  che  non  convenga  alla  più  pura   latinità 
degli  ultimi  tempi  della  repubblica,  e  de'primi  del- 
l'impero. Se  talvolta  puoi  accusarlo  di  aver  adope- 
rato modi  di  dire  un  po'  antiquati,  non  ne  troverai 
G.A.T.LXXIV.  il 


154  Letteratura 

mai  alcuno  che  atl  una  latinità  posteriore  possa  con 

ragione  assegnarsi. 

Molti  sono  gli  autori  e  le  opere  che  si  ricor- 
dano in  questa  prefazione  ,  come  ancora  molti  gli 
architetti,  e  gli  edlfizi  da  loro  fabbricati.  Tutti  que- 
sti soggetti  con  grandissima  erudizione  sono  stati  il- 
lustrati dal  Marini,  e  specialmente  i  nomi,  colTau- 
torita  de'numerosi  codici  da  lui  consultati,  in  gran 
parte  corretti.  I  principali  sono  quei  di  Chersifro- 
jie,  Pitio,  Dlade^  Deimaco.,  e  Fiiflzio^  i  quali  ine- 
sattamente erano  stati  dagli  altri  editori  pubblica- 
ti. La  più.  bella  correzione  però  fatta  in  questa  pre- 
fazione è  quella  della  parola  sessiinonio:  lezione  as- 
surda data  da  Giocondo,  e  seguita  da  tutti  gli  altri 
editori  sull'autorità  del  solo  codice  bolognese,  e  con- 
traddetta da  tutti  gli  altri  manoscritti.  Questo  voca- 
bolo non  trovasi  usato  da  alcun  altro  antico  scrit- 
•  tore,  e  sa  piuttosto  di  bassa  latinità  ;  quantunque 
dal  Gessner  e  dal  Forceliini  sia  stato  ricevuto,  sul- 
l'autorità di  Turnebo,  ne'loro  dizionari. 

In  due  parti  può  dirsi  diviso  questo  settimo  li- 
bro; ne'primi  sei  capitoli  parlasi  del  finimento  del- 
le fabbriche,  cioè  de'pavimenti,  degl'intonachi  e  del- 
le pitture:  nell'altro  si  dà  un  trattato  de'colori.  Con 
molta  diligenza  esegulvansi  dagli  antichi  i  pavimen- 
ti, e  vari  strati  di  grande  solidità  solevansi  costruire 
inferiormente,  onde  impedire  qualunque  movimen- 
to alla  superficie,  e  cosi  rendere  lo  strato  superiore 
inalterabile.  Questo  stesso  metodo  tenevasi  anche  per 
la  costruzione  delle  strade  ,  ed  è  perciò  che  tante 
se  ne  conservano  ancora  con  poligoni  così  ben  com- 
messi da  sfidare  ancora  molti  secoli  avvenire.  Co- 
testi strati  avevano  varie  denominazioni:  il  primo 
chiamavasi  statuminazione^  il  secondo  ruderazione, 


Ediz.  di  Vitruvio  155 

ecl  il  terzo  nucleo.  Sopra  questi  facevansi  i  pavi- 
menti di  varie  e  bellissime  forme,  ed  i  più  begli 
esempi  dal  Marini  ne  sono  stati  scelti  e  riuniti  in 
una  tavola.  Vitruvio  nomina  i  pavimenti  settili  ed 
i  tessellati^  parole  che  da  molti  comentatori  erano 
state  confuse.  Il  Marini  però  con  molta  erudizione 
dichiara  e  prova,  doversi  pei  primi  intendere  i  pa- 
vimenti fatti  con  lastre  di  varie  pietre,  e  pei  secon- 
di i  musaici.  Anche  pe'musaìci  due  Jaegli  esempi  so- 
no dati  dal  nostro  comentatore,  cioè  il  celebre  mu- 
saico di  Otricoli  esistente  nel  museo  vaticano,  ed  il 
gran  musaico  ultimamente  scoperto  a  Pompei. 

Dopo  i  pavimenti  vengono  gl'intonachi:  e  tutte 
le  diverse  pratiche  usate  in  ciò  dagli  antichi  sono 
dal  Marini  con  molta  chiarezza  esposte;  ma  soprat- 
tutto la  dove  delle  volte  nel  terzo  capitolo  si  ragio- 
na, è  stato  portato  grandissimo  vantaggio  al  testo. 
Coll'autoritk  di  Palladio  ,  dell'  anonimo  e  di  molti 
codici  ha  il  Marini  letto:  Imum  caelum  earuin  pu- 
mice  trullissetur  ,  deinde  arena  dirigatur  ,  postea 
autem  creto  marmore  poliatur  :  nelle  quali  paro- 
le hai  il  metodo  tenuto  dagli  antichi  nel  fare  gl'in- 
tonachi, mentre  il  testo  delle  altre  edizioni  ne  da- 
va  una  idea   del  tutto    erronea. 

Nel  capitolo  seguente,  ove  degl'  intonachi  ne' 
luoghi  umidi  si  ragiona,  sono  state  felicemente  so- 
stituite le  tegidae  mammatae  alle  hamatae  degli 
altri  editori,  come  quelle  che  presentano  una  fa- 
cile etimologia  dalla  loro  forma  stessa  ,  e  delle 
quali  vari  esempi  si  ritrovano  ne'ruderi  antichi  , 
che    con   molta    diligenza  sono    stati    delineati. 

Dopo  gl'intonachi  vengono  le  pitture,  le  quali 
di  vario  genere  dovevano  essere  ne'diversi  edifìzi. 
La  megalographia  e  Vopiis  topiarium  sono  le   due 


156  Letteratura 

maniere  principali  descritte  da  Vitruvio:  il  testo  pe- 
rò era  cosi  viziato,  che  difficilmente  poteva  trar- 
sene  un  senso  ragionevole.  Il  Marini  tuttavia  coti 
la  sola  traslocazione  di  un  inciso  ha  reso  la  fra- 
se vitruviana  chiarissima  ,  e  concordante  con  ciò 
che  dice  Plinio  parlando  di  Ludio  inventore  di  chie- 
sto genere  di  pittura  che  topiaria  si  appella.  Con- 
tro siffatta  maniera  di  dipingere  forse  con  troppa 
veemenza  si  scaglia  Vitruvio,  mentre  vediamo  che 
con  molta  grazia  ne  fu  fatto  uso  dagli  antichi,  e 
con  buon  successo  fu  imitata  da'moderni  ne'così 
detti  arabeschi.  Nella  descrizione  di  queste  pittu- 
re, la  voce  harpaginetuU,  male  intesa  da  tutti  gl'in- 
terpreti ed  editori  ,  è  stata  coU'autorità  de'monu- 
menti  molto  giustamente  spiegata,  e  tre  tavole  ha 
il  Marini  formale,  nelle  quali  i  più  begli  ornati 
delle  pitture  pompeiane  veggonsi  riuniti. 

Dopo  questo  capitolo,  grandissima  è  la  confu- 
sione che  si  ritrova  in  tutti  i  codici  ed  edizioni  del 
secolo  decimoquinto.  Molte  trasposizioni,  non  solo 
di  periodi,  ina  di  capitoli  intieri,  sono  state  erro- 
neamente introdotte  per  incuria  degli  amanuensi  : 
il  che  ha  reso  la  materia,  di  già  per  se  molto  dif- 
ficile, anche  piìi  astrusa  ed  intralciata.  Giocondo  è 
stato  il  primo  a  riordinare  il  testo  e  ad  introdur- 
vi notabili  miglioramenti.  Non  credo  però  potersi 
dare  a  cpiesto  editore  il  vanto  di  aver  da  per  se 
solo  così  ristabilita  la  lezione  del  testo,  ma  piut- 
tosto suppongo  aver  egli  avuto  sotto  gli  occhi  qual- 
che altro  manoscritto  di  Vitruvio  non  giunto  fino 
a  noi,  il  cjuale  non  era  così  viziato  in  questo  luo- 
go. Infatti  non  solo  ha  Giocondo  ristabilito  l'ordine 
nella  narrazione  vitruviana,  ma  vi  ha  aggiimto  in- 
tieri periodi,  i  quali  sono  del  tutto  concordanti  col 


EdIZ.    di    VlTRtJVlO  157 

contesto  ,  e  perfettamente  scritti  nello  stile  vitru- 
vlano.  I  codici  di  Vitruvio  che  noi  conosciamo  deb- 
bono venir  da  una  sola  sorgente,  combinando  tutti 
nelle  trasposizioni  erronee  che  si  trovano  in  questi 
capitoli. 

Malgrado  però  che  nlun  manoscritto  abbia  po- 
tuto servire  di  guida  al  Marini  per  qui  correggere 
il  testo  dato  da  Giocondo,  pure  molti  miglioramen- 
ti vi  ha  introdotti  servendosi  di  una  giudiziosa  cri- 
tica. Cos'i,  a  cagione  di  esempio,  la  parola  moluntur 
che  mancava  nel  capitolo  sesto,  e  che  era  esubex'an- 
te  nell'ottavo,  è  stata  molto  ragionevolmente  riposta 
al  suo  luogo.  Il  capitolo  intorno  al  minio,  che  con 
ninna  ragione  era  stato  da  Giocondo  diviso  in  due, 
il  Marini  l'ha  di  nuovo  riunito  in  un  solo:  poiché 
le  parole  Revertar  nwic  ad  minii  temperaturam  ser- 
vono chiaramente  a  ricondurre  il  discorso  al  minio, 
dopo  aver  parlato  dell'argento  vivo,  e  non  già  ad 
incominciare  un  nuovo  capitolo. 

In  due  classi  dividonsi  da  Vitruvio  i  colori,  in 
naturali  cioè  ed  in  artefatti.  I  primi  sono  l'ocra  ,  la 
rubrica  ,  il  paretonio,  il  melino,  la  creta  verde  , 
l'orpimento,  la  sandaraca  ,  il  minio,  la  crisocolla, 
l'armenio  e  l'indaco.  Tutti  sono  con  molta  erudizio- 
ne dal  Marini  illustrati:  e  per  evitare  una  confusio- 
ne fatta  da  alcuni  interpreti,  comincia  egli  dal  di- 
mostrare che  il  minio  di  Vitruvio  corrisponde  al  ci- 
nabro de'moderni,  ed  il  minio  de'moderni  è  secon- 
do Vitruvio  la  sandaraca  usta.  I  colori  fattizi  poi 
sono  l'atramento ,  il  ceruleo,  l' usta,  la  cerussa , 
l'erugine,  la  sandaraca  fattizia  e  l'ostro.  Qui  tratta 
a  lungo  della  porpora  presso  gli  antichi,  e  dimostra 
coU'autoritk  di  Plinio  in  qual  maniera  dalle  con- 
chiglie si  ritraesse. 

Finalmente  nel  capitolo  de'colori  imitanti  gli 


158  Letteratura 

altri,  molte  materie  coloranti  sono  nominate  da  VI- 
truvio  non  ancora  Len  conosciute.  Sopra  tutte  ha 
sparso  grandissima  luce  il  nostro  comentatore:  ma 
quelle  che  con  maggiore  erudizione  sono  state  trat- 
tate sono  Vistino,   il   vaccinio  e   X'iaotxi^. 

Gon  questo  libro  pone  termine  Vitruvio  ai 
suoi  precetti  d'  architettura  propriamente  detti  , 
e  termina  di  dare  le  regole  direttamente  applica- 
bili alla  costruzione  degli  edifizi.  Ne  libri  seguenti 
d'idraulica  ,  d'  astronomia  e  di  meccanica  si  ra- 
giona :  libri  non  meno  istruttivi  de'  precedenti  , 
perchè  lo  stato  di  tali  scienze  a'tempi  di  Vitru- 
vio ci  fanno  conoscere,  e  degni  ben  sono  di  es- 
ser consultati  da  tutti  coloro  che  a  queste  stesse 
scienze  si  applicano  almeno  per  isterica   erudizione. 

Le  acque  adunque  formano  il  soggetto  dell' 
ottavo  libro,  ove  si  espone  la  maniei'a  di  ritro- 
varle, di  condurle  e  di  livellarle.  Inoltre  si  ra-r 
giona  a  lungo  sulla  salubrità  dell'acqua,  dandosi 
diversi  metodi  per  esperimentarne  la  bontà,  e  si 
enumerano  molte  sorgenti  buone  o  nocive ,  sco- 
perte nelle  diverse  regioni  della  terra.  Sembra  che 
l'autorità  di  Vitruvio  su  tal  materia  fosse  di  gran 
peso  presso  gli  antichi.  Frontino  ci  dice,  nel  suo 
trattato  sugli  acquidotti,  aver  dato  Vitruvio  il  nome 
ad  una  fìstola  che  dicevasi  quinaria.  Siccome  poi 
tutta  la  nomenclatura  delle  fistole,  le  quali  a  mi- 
surar l'acqua  servivano,  dipendeva  dallo  stesso  prin- 
cipio, così  v'  ha  ragion  di  credere  che  non  alla 
sola  quinaria  ,  ma  a  tutte  in  genere  abbia  dato 
il   nome    Vitruvio. 

Dall'alto  prende  Vitruvio  le  mosse  per  trat- 
tare un  tal  argomento,  cominciando  dall' enume- 
rare   le   varie   opinioni    degli   antichi    fiiosofi  sugli 


Edix.  di  Vitruvio  159 

elementi  componenti  il  sistema  universale  della  na- 
tura, ed  adottando,  secondo  il  suo  solito,  quella 
de'  pittagorici,  i  quali  quattro  ne  riconoscono.  Fra 
questi  principalmente  si  distingue  il  principio  umi- 
do, con  culto  particolare  adorato  nella  religione 
egizia:  dal  che  prende  motivo  di  parlare  dell'ado- 
razione speciale,  in  che  i  sacerdoti  egiziani  ave- 
vano il  canopo.  In  ciò  è  stata  fatta  al  testo  dal 
Marini  una  bella  correzione,  a  dir  vero  già  pro- 
posta dal  Fea,  ma  che  non  era  stata  adottata  dallo 
Schneider  nella  sua  edizione  di  Vitruvio;  edizione 
che  per  certo  doveva  riguardarsi  fino  adesso  come 
la  migliore  per  la  correzione  del  testo,  ma  che  ora 
è  stata  di  molto  superata  da  quella  del  Marini,  si 
per  le  nuove  emendazioni  fatte  dal  nostro  cementa- 
tore, e  sì  ancora  pel  copioso  corredo  di  tavole  che 
l'accompagnano,  delle  quali  l'altra  è  intieramente 
mancante  ,  e  perciò  di  pochissimo  vantaggio  sotto 
il  rapporto  artistico.  In  questa  sola  prefazione  due 
passi  sono  stati  diversamente  pubblicati  dal  Marini 
e  dallo  Schneider:  e  chiunque  avrà  la  pazienza  di 
confrontarli,  giudicherà  facilmente  quale  delle  due 
lezioni  debba  proferirsi. 

Nel  capitolo  primo  ancora  di  questo  stesso  li- 
bro, per  tacere  di  tanti  altri  esempi,  ove  parla  de- 
gli esperimenti  da  farsi  dopo  aver  trovata  l'acqua, 
è  stato  dal  Marini,  colla  sola  espunzione  della  pa- 
rola /io«,  corretto  un  gravissimo  errore    introdot^ 
to  da   Giocondo  nel  testo  ,   e  non  avvertito   dallo 
Schneider.  Si  può  adunque  asserire  con  franchezza, 
che  l'edizione  dello  Schneider,  nella  parte   in    cui 
può  con   ragione  dirsi  superiore  alle   antecedente- 
mente pubblicate,  è  di  minor  pregio  di  quella  del 
Marini,  e  nelle  altre  parti  non  è  pur  capace  di  so- 
stenerne il  confronto. 


160  Letteratura 

Nel  secondo  capitolo  si  ragiona  dell'  origine 
delle  piogge,  e  s'  indicano  le  sorgenti  de'principali 
fiumi  conosciuti  dagli  antichi.  Tutto  ciò  che  da' geo- 
grafi e  dagli  storici  dell'antichità  fu  scritto  su  tal 
materia,  è  stato  dal  Marini  con  huon  esito  messo  a 
profitto,  tanto  per  isciogliere  molte  difficoltà  che  si 
presentavano,  quanto  ancora  per  meglio  determina- 
re alcune  località,  intorno  alle  quali  gli  altri  editori 
erano  incerti.  Il  capitolo  però  di  questo  libro,  ove 
incontrasi  il  maggior  numero  di  tali  difficoltk,  è  il 
terzo.  In  esso  Vitruvio  enumera  con  molta  eru- 
dizione tutte  le  sorgenti  che  erano  meglio  cono- 
sciute per  qualche  singolare  proprietà;  il,  che  ha 
dato  luogo  a  grandissime  ricerche  geografiche  ed 
erudite  con  istancabile  pazienza  eseguite  dal  Ma- 
rini, non  che  a  molte  emendazioni  che  lungo  sa- 
rebbe di  voler  tutte  c[ui  riferire.  Le  principali  so- 
no quelle  delle  pagine  -148  e  149,  come  ancora  l'al- 
tra dell' ^rabiaq uè  Nomadum  in  vece  di  Numida- 
rum,  come  erroneamente  leggevasi  in  tutte  le  altre 
edizioni. 

Ne  delle  sole  sorgenti  di  acqua  parla  Vitruvio 
in  questo  capitolo,  ma  da  esse  prende  occasione  di 
parlare  ancora  di  altri  prodotti  naturali  indigeni 
de'vari  paesi;  e  la  dove  nomina  varie  sorte  di  vini, 
ì\  protropo  ed  il  tmolite  sono  stati  molto  giustamen- 
te sostituiti  aI  protiro  ed  al  melife  della  maggior  par- 
te delle  altre  edizioni.  Oltre  i  vini,  molte  piante  so- 
no anche  menzionate  da  Vitruvio,  e  fra  queste  spe- 
cialmente il  laserpizio  e  stato  con  molta  erudizione 
illustrato  dal  Marini:  e  quantunque  non  possa  deter- 
minarsi a  quale  delle  piante  da  noi  conosciute  esso 
corrisponda  ,  pure  tutto  ciò  che  ce  ne  han  detto 
gli  antichi  è  stato  dal  nostro  comentatore  in  una 
nota  riunito. 


EdIZ.    di    VlTRUVIO  161 

Tre  epigrammi  greci  vengono  da  Vitruvìo  ri- 
feriti in  questo  capitolo,  i  quali  in  pochissimi  co- 
dici si  leggono,  e  sono  molto  viziati  per  l'imperi- 
zia degli  amanuensi.  Sclineider  ne  ha  dato  la  le- 
zione pili  corretta,  profittando  principalmente  di 
Fozione  (Excerpta  pag.  126),  il  quale  riporta  gli 
stessi  epigrammi.  Una  sola  osservazione  sulla  lezione 
schneideriana  mi  si  presenta,  ed  è  sul  primo  pen- 
tametro del  terzo  epigramma,  in  cui  leggesi: 

Aovrpòe  [xev  ày^ft'j^Txcig  d[31oc^^  iariv  l'/j-v^' 

ed  ove  invece  di  àpXa/3>7  leggerei  piuttosto  c</5X«/3àg 
per  la  quantità,  essendo  la  terza  di  «pXa;/3/j  di  na- 
tura sua  lunga.  So  Lene  che  i  greci  si  permettono 
molte  licenze  nella  loro  poesia,  e  potrebbe  per  av- 
ventura sostenersi  anche  l'altra  lezione:  ma  avendo 
una  parola,  la  quale  dk  lo  stesso  senso  con  una  lo- 
cuzione forse  anche  più  greca,  e  che  meglio  adat- 
tasi alle  regole  della  prosodia,  mi  sembra  doversi 
questa  preferire. 

Dopo  gli  epigrammi  greci  molte  altre  corre- 
zioni di  grandissima  importanza  si  trovano  fatte  dal 
Marini  in  questo  stesso  capitolo  ,  fra  le  quali  ne 
indicherò  soltanto  due.  La  prima  è  dove  leggesi: 
»  C.  luluis  Masinthae  filias  ....  cicm  patre  sub 
Cassare  militavit:  »  e  l'altra  «  Qui  magna  vigilantia 
et  infinito  studio  locorum^  proprietates  aquarum- 
que  virtutes  ah  inclinatione  caeli  terraeque  regio- 
num  qualitatihus  ita  esse  distrihutas  scriptis  de- 
claraverunt  ».  Lungo  sarebbe  il  voler  qui  riferire 
tutte  le  ragioni  che  hanno  indotto  il  Marini  a  pub- 
blicare cos'i  questi  due  passi,  scostandosi  dalla  le- 
zione di  tutti   gli  altri  editori.   Noi  non  vogliamo 


1G2  Letteratura 

che  accennare  i  principali  miglioramenti  fatti  dal 
Marini  al  testo  vitruviano,  affinchè  coloro  che  lo 
leggeranno  possano  più  facilmente  osservarli  :  e 
quelli  che  non  vorranno  tutto  da  capo  a  fondo  stu- 
diarlo, possano  pure  da  per  se  stessi  giudicarne. 

Nel  quinto  capitolo  parla  Vitruvio  de'vari  stru-^ 
menti  che  solevansi  adoperare  dagli  antichi  per  li- 
vellare le  acque,  e  specialmente  del  corobate,  del 
quale  dice  voler  dare  la  figura  nel  fine  del  volume. 
Questa,  come  tutte  le  altre,  non  esiste  più,  ma  è 
stata  dal  Marini  secondo  la  descrizione  vitruviana 
esattamente  delineata,  e  nella  stessa  tavola  sono  sta- 
te ancora  rappresentate  le  diottre  e  la  livella  ad 
acqua.  Questi  ultimi  istrumenti,  non  essendo  partir? 
colarmente  descritti  da  Vitruvio,  ne  trovandosene 
esempi  nell'antichità,  sono  stati  delineati,  quali  dor- 
vevano  essere  presso  a  poco,  per  servire  allo  scopo 
al  quale  erano  destinati.  Terminata  la  descrizione 
del  corobate,  in  tutte  le  edizioni  si  leggono  le  pa-f 
role:  »  Ei  sì  erit  fastìgium  magnum  facilior  erlt  dei 
cursus  aquae.  Sin  autem  intev\>alla  erunt  lacunosa, 
substructionihus  erit  succurrendunii  »  le  quali  evi- 
dentemente non  hanno  che  fare  in  questo  luogo, 
e  si  vede  chiaramente  essere  uno  sbaglio  de'copi-! 
sti.  Il  Marini  però  non  solo  le  ha  tolte  di  qui  co-> 
me  fuori  di  posto,  ma  ha  anche  trovato  dove  col- 
locarle, cioè  nel  principio  del  capitolo  seguente,  ove 
riempiono  perfettamente  una  lacuna  che  si  ritrova 
in  tutti  i  codici  ed  edizioni,  ed  egregiamente  com- 
binano col  contesto.  In  questo  capitolo  parla  delle 
diverse  maniere  di  condurre  l'acqua  per  mezzo  di 
acquidotli,  ovvero  di  tubi  di  piombo  o  di  terra 
cotta.  Tutti  questi  metodi  sono  chiaramente  esposti 
dal  Marini,  ma  in  ispecial  modo  là  dove  si  tratta 


EdIZ.   di    VlTRUVIO  163 

della  maniera  di  far  discendere  e  risalir  1'  acqua 
ne'luoglii  d'ineguale  livello,  molte  belle  innovazio- 
ni sono  state  fatte  nel  testo,  fondate  tutte  sull'au- 
torità de'  codici,  e  fra  le  altre  è  stata  introdotta 
la  parola  colliqidarla  invece  dell'antica  columnaria, 
spiegandone  chiaramente  l'uso  e  l'etimologia.  Una 
tavola  ancora  è  stata  ideata  dal  Marini  per  indica- 
re queste  varie  specie  di  acquidotti,  aggiungendovi 
anche  un  castello  per  la  distribuzione  dell'acqua;  e, 
come  monumenti  che  vengono  in  conferma  delle  sue 
asserzioni  ,  sono  stati  dati  in  un'  altra  tavola  gli 
acquidotti  esistenti  alla  porta  tiburtina,  ed  il  ca- 
stello dell'acqua  Giulia  sull'Esquilino.  Queste  sono 
le  tavole  che  accompagnano  l'ottavo  libro. 

Sempre  crescenti  sono  le  difficoltà  nell'opera 
di  Vitruvio,  e  chi  per  poco  sentisse  venirsi  meno 
M  coraggio,  mal  potrebbe  compiere  l'arringo.  I  due 
ultimi  libri,  che  ci  rimangono  ad  esaminare,  sono 
quelli  su  i  quali  il  nostro  cementatore  deve  aver 
durata  somma  fatica  per  darceli  quali  si  leggono 
nella  sua  edizione.  Maggiori  erano  gli  ostacoli  che 
dovevano  superarsi  ,  si  perchè  il  soggetto  diviene 
più  astruso,  s\  ancora  perchè  i  codici  sono  più  vi- 
ziati; e  minori  erano  le  risorse,  per  la  mancanza  dei 
monumenti,  e  per  l'abbandono  de'comentatori  ,  i 
quali  pochissimi  sforzi  han  fatto  in  questi  ultimi 
due  libri,  ed  hanno  del  tutto  trascurato  di  dichia- 
rarne i  passi  più  oscuri. 

La  prefazione  stessa  di  questo  libro  era  stata 
divisa  in  più  brani  dagli  altri  editori  fino  a  Rode. 
Eglino  avevan  fatto  tre  capitoli  separati  delle  sco- 
perte di  Platone,  di  Archimede  e  di  Pittagora,  rife- 
rite da  Vitruvio  solo  come  esempi  atti  a  provare  la 
grande  utilità  che  ritrae  la    società  dalle  scoperte 


164  Letteratura 

scientifiche.  Ove  comincia  dunque  il  quarto  capito- 
lo delle  altre  edizioni,  deve  riguardarsi  come  termi- 
nata questa  prefazione:  e  quivi  comincia  Vitruvio  a 
svolgere  la  materia  trattata  in  questo  libro,  parlan- 
do dei  dodici  .segni  dello  zodiaco  e  de'sette  pianeti, 
Nel  principio  di  questo  capitolo  ha  dato  il  Marini 
un  elenco  di  tutti  gli  scrittori  antichi  di  astronomia, 
e  di  tutte  le  loro  opere  che  sono  giunte  fino  a  noi. 
Da  questi  ha  desimto  le  principali  correzioni,  con 
cui  ha  grandemente  migliorato  il  testo.  Ad  ogni 
passo  un  poco  dilficile  forma  egli  un  parallelo  fra 
Vitruvio  e  gli  altri  autori  ,  e  cos'i  non  solo  si  hanno 
le  diverse  opinioni  degli  antichi  su  questo  soggetto, 
ma  dal  confronto  di  queste  stesse  opinioni,  e  dalle 
parole  viziate  de'  manoscritti,  risulta  la  vera  le- 
zione. Confrontando  il  testo  dato  dal  Marini  con 
quello  delle  altre  edizioni,  facilmente  scorgerassi 
quanto  sia  stato  migliorato.  Noi  secondo  il  nostro 
solito  non  isceglieremo  che  pochi  esempi  per  darne 
una  idea  ai  nostri  lettori. 

Nel  capitolo  primo  si  leggeva  in  tutte  le  edi- 
zioni, che  Giove  fa  la  sua  rivoluzione  „  post  annos 
undecim  et  dies  tricentos  sexaginta  tres:  ,,  mentre 
che  il  Marini,  calcolando  il  periodo  tolemaico,  ha 
veduto  che  la  rivoluzione  di  Giove  doveva  farsi  in 
undici  anni,  trecento  tredici  giorni  ed  alcune  ore. 
Allora  appoggiato  alla  lezione  del  codice  vaticano  11 
ha  corretto  il  testo,  ed  ha  ietto  post  annos  undecim 
et  dies  trecentos  tredeciinx  il  qual  numero  si  avvi- 
cina molto  più  dell'altro  al  vero  tempo  impiegato 
da  Giove  nella  sua  orbita  periodica.  Questa  corre- 
zione ha  indotto  necessariamente  l'altra  di  trecentis 
sexaginta  diehus  invece  di  trecentis  sexaginta  quin- 
cjue  diehus  ,   per  lo  spazio  di  tempo  impiegato  da 


Eniz.  DI  ViTRuvio  165 

Giove  nel  percorrere  ciascun  segno  dello  zodiaco. 
Quello  poi  che  prova  sempre  pili  la  giustezza  della 
correzione  del  Marini  si  è,  che  in  tutti  i  codici  sì 
legge  trecentis  saxaginta,  e  non  sexaginta  qidnque 
diebiLs. 

Nel  principio  del  capitolo  secondo  si  leggeva 
ne'codici  De  zona  duodecim  signorum  et  contrario 
opere  ac  ciirsu  :  lezione  resa  anche  peggiore  dalle 
correzioni  degli  editori,  e  che  il  Marini  molto  in- 
gegnosamente ha  ristabilita  sopprimendo  le  due  let- 
tere o  e  e,  erroneamente  ripetute  dagli  amanuensi,  e 
dando  perciò  De  zona  duodecim  signorum  et  septem 
astrorum  contrario  per  ea  cursu. 

I  capitoli  quarto  e  quinto,  ne'quali  si  descrivo- 
no le  costellazioni  boreali  ed  australi,  sono  quelli 
che  contengono  le  maggiori  emende.  Questi  due  ca- 
pitoli sono  oltremodo  viziati  ne'codici:  ma  il  Mari- 
ni, seguendo  la  descrizione  delle  costellazioni  data 
dagli  altri  astronomi  antichi,  e  soprattutto  il  globo 
farnesiano,  solo  monumento  che  ci  rappresenti  le 
costellazioni  quali  erano  state  ideate  dagli  antichi, 
ha  fatto  al  testo  grandissimi  vantaggi  ,  che  sarebbe 
lungo  di  qui  enumerare,  ma  che  consigliamo  di  ve- 
rificare a   tutti  coloro  che  vorranno  convìncersene. 

Dopo  viene  la  descrizione  dell'analemma,  per 
mezzo  del  quale  si  determinava  il  rapporto  fra  il 
gnomone  e  l'ombra  onde  formare  gli  orologi  solari. 
Il  Marini  ha  non  solo  esattamente  delineato  l'analem- 
ma  quale  viene  descritto  da  Vitruvio,  ma  siccome  in 
questo  sono  indicate  soltanto  le  ombre  equinoziali  , 
ne  ha  aggiunto  un  altro  per  mezzo  del  quale  posso- 
no aversi  le  ombre  mensili.  Molti  antichi  orologi  so- 
lari sono  stati  dal  Marini  riuniti  in  una  tavola,  per 
farne  conoscere  le  forme  piU  straordinarie  nomina- 


lS^  Letteratura 

te  da  Vltruvio.  Descritti  siflfatti  orologi  passa  Vitru- 
vio  a  parlare  degli  anaforici,  o  sia  di  quelli  ad 
acqua.  Di  grandissima  difficolta  era  la  costruzione 
di  tali  orologi  presso  gli  antichi  a  motivo  dell'ine- 
guaglianza delle  ore,  dividendo  essi,  come  ognun  sa, 
in  dodici  parti  eguali  il  giorno  e  la  notte:  il  che 
rendeva  le  ore  del  giorno  pili  lunghe  nell'estate  e 
più  brevi  nell'inverno,  ed  il  contrario  accadeva  per 
quelle  della  notte.  Ad  indicare  questo  cambiamento 
giornaliero  delle  ore,  macchine  ingegnosissime  ven- 
gono descritte  da  Vitruvio,  le  quali  da  ninno  de'suoi 
interpreti  erano  state  ancora  ben  comprese.  In  fatti 
niun  comentatore  ha  dato  le  figure  rappresentanti 
gli  orologi  ad  acqua,  tranne  Perrault,  dal  quale  le 
copiarono  gli  editori  udinesi ,  quantunque  sieno 
molto  discordanti  dal  testo  vitruviano.  Il  Marini  al 
contrario  le  ha  delineate  con  tanta  esattezza,  che 
non  solo  corrispondono  perfettamente  allo  scopo  de- 
siderato, ma  vi  trovi  pur  anche  ragione  di  ciascuna 
parola  impiegata  da  Vitruvio. 

Due  altre  tavole  di  grandissima  importanza 
accompagnano  questo  libro,  una  delle  quali  ci  da 
le  costellazioni  quali  vengono  descritte  da  Vitruvio, 
e  l'altra  il  globo  farnesiano  esistente  in  Napoli  , 
fatto  disegnare  e  pubblicato  molto  più  correttamen- 
te di  quello  che  lo  era  stato  fino  ad  ora. 

Colla  descrizione  degli  orologi  anaforici  termi- 
na Vitruvio  il  suo  nono  libro,  e  passa  a  trattare  del- 
le macchine  sì  civili  e  sì  militari  nel  decimo.  Questo 
libro  se  è  l'ultimo  nell'ordine  con  cui  è  distribui- 
ta l'opera,  può  certamente  dirsi  il  primo  per  le  dif- 
ficolta che  presenta.  La  maggior  parte  de'  comen- 
tatori  sono  stati  così  scoraggiati  dall'oscurità  e  cor- 
ruzione del  testo,  che  o  hanno  intieramente  dispe- 


"EdiZ.    di   VlTRUViO  167 

rato  di  poter  giungere  ad  alcun  buon  risultato,  ov- 
vero han  fatto  lievissimi  sforzi  ^  e  con  poco  huon 
esito.  Giustamente  quindi  il  Marini  ,  ammaestrato 
dall'esempio  degli  altri,  cominciò  il  suo  lavoro  su 
Vitruvio  da  questo  libro,  per  potere  con  maggior 
vigore  incontrare  tutti  gli  ostacoli  e  superarli.  Quan- 
to ciò  gli  sia  ben  riuscito,  facilmente  potrà  vedersi. 

Nel  primo  capitolo  comincia  Vitruvio  dal  defi- 
nire le  macchine  e  darne  i  diversi  generi:  quindi 
fa  una  distinzione  fra  macchina  ed  organo^  dicen- 
do che  per  mettere  in  moto  la  prima  fa  bisogno 
di  pili  persone,  mentre  per  l'altro  ne  basta  una  so- 
la. Come  esempi  di  quest'ultimo  sono  dati  gli  scor- 
piojii  e  gli  anisocicli.  Niuno  ancora  aveva  potuto 
spiegare  che  cosa  intendesse  Vitruvio  col  nome  di 
anisocicli:  e  que' pochi  che  avevan  pure  proposta 
qualche  congettura,  l'avevan  data  così  priva  di  fon- 
damento, ch'essi  stessi  erano  i  primi  a  dubitarne. 
Il  Marini,  persuaso  che  il  miglior  mezzo  per  inten- 
dere questo  libro  era  uno  studio  profondo  deMe- 
chanici  e  Mathematici  s^eteres,  ha  cominciato  a  svol- 
gerli non  solo  nelle  migliori  edizioni  ,  ma  ancora 
iie'più  corretti  manoscritti,  ed  ha  riunito  materiali 
<la  poterne  facilmente  dare  una  nuova  edizione.  Stu- 
diando cotesti  autori  s'imbattè  in  una  figura  di  Ero- 
ne  data  da  Pappo  (Coli.  Mathem.  lib.  Vili,  probi. 
VI,  prop.  10),  in  cui  appunto  vien  rappresentato 
un  istrumento  mosso  dalla  forza  di  un  sol  uomo, 
ed  atto  a  sollevare  grandi  pesi  per  mezzo  del  mo- 
vimento di  circoli  ineguali.  Dal  che  egli  fu  a  buon 
diritto  indotto  a  credere,  esser  questo  e  non  altro 
r  organo  indicato  da  Vitruvio  col  nome  di  aniso- 
cicli. 

Nel  secondo  capitolo  si  cominciano  a  descri- 


468  Letteratura 

vere  le  macchine  trattorie,  e  primieramente  la  ca^ 
pra.  Composta  di  tre  travi  l'immaginarono  tutti  gli 
editori  ed  interpreti  di  Vitruvio,  indotti  in  errore 
da  Giocondo,  il  quale  invece  di  tigna  duo  di  tutti 
i  codici  aveva  letto  tigna  tria,  cambiando  il  testo 
senza  alcuna  necessita.  Il  Marini  però  ha  ristabi- 
lito l'antica  lezione  de' codici,  dimostrando  che  di 
questa  macchina  composta  di  due  travi  deve  asso- 
lutamente parlare  Vitruvio  ,  e  che  altrimenti  non 
si  potrebbero  spiegare  i  retinacida  ed  i  funes  an- 
fani, provando  inoltre  che  una  tal  macchina  era 
conosciuta  dagli  antichi,  e  che  trovasi  descritta  da 
Aristotele  e  da  Erone.  Varie  altre  macchine  per  in- 
nalzar pesi  e  per  fare  salir  l'acqua  sono  descritte 
da  Vitruvio,  e  tutte  con  molta  diligenza  illustrate 
e  disegnate  dal  Marini:  ma  le  più  complicate  e  dif- 
ficili fra  le  macchine  civili  sono  la  tromba  di  Gte- 
sibio  e  l'organo  idraulico.  La  macchina  di  Gtesibio 
altro  non  era  che  una  tromba  aspirante  e  premen- 
te: ma  siccome  molti  particolari  sono  indicati  da 
Vitruvio  per  la  sua  costruzione,  il  formarla  esat- 
tamente a  seconda  della  descrizione  vitruviana  riu- 
sciva assai  malagevole:  e  lo  stesso  Newton,  il  quale 
è  stato  il  solo  fra  i  cementatori  il  quale  abbia  spar- 
so qualche  luce  su  cjuesto  libro,  nulla  dice  di  que- 
sta macchina.  Il  Marini  ha  principalmente  profit- 
tato della  descrizione  che  da  Erone  (Spirit.  p.  180) 
di  una  tromba  destinata  ad  estinguere  gl'incendi, 
ma  che  differiva  in  alcune  cose  da  quella  di  Ctesi- 
Lio;  ed  inoltre  della  trom])a  antica  trovata  presso 
Civitavecchia,  che  si  conserva  nella  biblioteca  va- 
ticana, e  che  a  dir  vero  combina  piìi  colla  descri- 
zione di  Erone  che  colla  vitruviana.  Oltre  i  mo- 
numenti anche  i  codici  sono  stati  chiamati  in  soc- 


Ediz.  di  ViTRurio  4G9 

corso  ,  e  col  loro  aiuto  molti  miglioramenti  sono 
stati  fatti  al  testo  in  quésto  capitolo:  e  così  il  Ma- 
rini, fornito  di  tutti  qilesti  mezzi,  ha  potuto  ideare 
una  tavola,  la  quale  esattamente  corrisponde  alla 
descrizione  data  di  questa  macchina  da  Vitruvio. 
La  pili  complicata  però  delle  macchine  de- 
scritte iiella  prima  parte  di  questo  decimo  libro 
e  senza  dubbio  l'organo  idraulico. 

Molte  correzioni  sono  state  fatte  al  testo  a  co- 
minciare dal  titolo  di  questo  capitolo,  il  quale  in 
tutti  i  codici  si  legge  de  hydraiiU'cis^  e  che  giu- 
stamente il  Marini  ha  cambiato  in  de  hjdriudis 
con  l'autoritk  di  Plinio  e  di  Ateneo.  Inoltre  alcune 
parole  sono  state  confuse  dagli  amanuensi  che  non 
ne  capivano  il  significato,  come  arca  ed  arcala,  le 
quali  indicavano  due  parti  distinte  delTorgano,  e 
che  sono  state  dal  Marini  riposte  nel  loro  luogo. 
La  diflicolta  maggiore  però  era  1'  intelligenza  di 
tutto  il  meccanismo  di  questa  màcchina,  che  non 
era  stata  rappresentala,  e  molto  imperfettamente, 
che  da  pochissimi  interpreti  di  Vitruvio. 

Determinato  però  bene  il  senso  di  ciascuna 
parola^  e  fissate  le  differenze  che  passano  fra  l'or- 
gano descritto  da  Vitruvio,  e  quello  di  Erone ,  il 
nostro  conienfatore  ha  tolto  tutte  le  difficolta,  ed 
ha  delineato  una  tavola  ,  colla  quale  ove  si  con- 
fronti il  testo  vifruviano  ,  tutto  si  trova  maravi- 
gliosamente combinare. 

Dopo  le  macchine  civili  descrive  Vitruvio  le 
militari.  Se  fino  ad  ora  il  nostro  comentatore  ha 
lasciato  di  gran  lunga  dopo  di  se  tutti  gli  altri  in- 
terpreti, ora  può  dirsi  a  ragione  essere  egli  il  solo, 
ninno  avendo  potuto  intendere  questi  ultimi  ca- 
pitoli. Una  delle  prime  difficolta  che  si  presenta- 
G.A.  T.LXXIV.  12 


170  Letteratura 

va  era  il  diciferare  le  sigle  adoperate  da  Vltruvio 
per  indicare  le  misure  delle  parti  componenti  le 
catapulte  e  le  baliste.  Il  Marini  con  un  metodo 
analitico  ha  provato  primieramente  ,  che  V  unita 
alla  quale  riferivansi  tutte  queste  frazioni  era  il 
diametro  del  forame  che  doveva  ricevere  la  ma- 
tassa. Era  d'uopo  trovare  quale  fosse  il  denomina- 
tore di  queste  frazioni  ,  non  essendo  indicato  da 
Vitruvio.  Da  principio  credette  egli  che  fosse  il  nu- 
mero 12,  ma  poscia  molto  giustamente  stabili  es- 
sere divisa  l'unita  in  sedici  parti.  Alle  ragioni  da 
lui  addotte  per  determinare  questa  divisione,  po- 
trebbe aggiungersi  che  Vitruvio  stesso  nel  capi- 
tolo primo  del  libro  terzo,  ove  parla  del  numero 
perfetto,  riconosce  il  numero  16  come  perfettis- 
simo ,  e  divide  il  piede  in  sedici  digiti  ,  ed  il 
danaro  in  sedici  assi.  Che  anzi  in  questo  stesso  li- 
bro al  capitolo  XIV  ,  parlando  del  diametro  che 
deve  avere  il  forame  del  capitello  della  balista,  lo 
determina  in  digiti  ,  i  quali  nel  numero  di  16 
formano  il  piede.  Fissato  il  denominatore,  era  d'uo- 
po conoscere  anche  il  numeratore:  e  qui  il  Ma- 
rini, dopo  avere  esposto  i  vari  metodi  usati  da- 
gli antichi  per  esprimere  le  frazioni  ,  ci  fa  co- 
noscere che  lo  erano  per  mezzo  di  lettere  greche. 
Ne  è  da  maravigliarsi  se  ha  trovato  in  un  au- 
tore latino  le  frazioni  indicate  alla  maniera  greca, 
mentre  molte  cose  tolse  Vitruvio  dagli  autori  gre- 
ci: e  specialmente  ciò  che  riguarda  le  macchine 
militari,  egli  copiò   quasi    interamente  da   essi. 

Non  bastava  però  l'aver  determinato  il  valor 
delle  sigle  per  poter  con  esattezza  delineare  le  mac- 
chine secondo  i  precetti  vitruviani,  mentre  queste 
sigle  spesse  volte  erano  viziate  per  colpa  degli  ama- 


Ediz.  di  Vitruvio  iti 

tluensì.  Ad  altri  principi!  bisognava  dunque  ricor- 
rere per  poterle  anche  correggere  quando  non  fos- 
sero esatte:  ed  a  questa  correzione  giunse  il  Marini, 
specialntiente  la  dove  sì  determina  il  forame  del- 
la balista  dal  peso  del  sasso  che  deve  lanciare.  Do- 
po molti  calcoli  trovò  finalmente»  che  il  diametro 
del  forame  era  eguale  alla  radice  cuba  del  peso 
moltiplicato  per  cinquanta:  ed  applicando  questa 
scoperta  alle  sigle  vitruviane,  vide  che  la  maggior 
parte  di  esse  erano  esatte,  e  quelle  che  erano  state 
mal  copiate,  furono  con  matematica  precisione  fa- 
cilmente corrette. 

Superate  tutte  queste  difficoltà^  restava  ancora 
a  bene  intendere  ciascuna  delle  parti  componenti 
siffatte  macchine.  Anche  queste  furono  assai  accu- 
ratamente delineate  dal  nostro  comentatore  :  per 
modo  che  leggendo  il  testo,  ed  avendo  avanti  gli  oc- 
chi la  figura,  trovasi  agevolmente  dato  conto  di  cia- 
scuna. 

Oltre  le  catapulte  e  le  baliste  ,  anche  le  al- 
tre macchine  oppugnatorie  sono  state  con  egual  di- 
ligenza illustrate  e  delineate,  ed  esse  compiono  il 
numero  delle  centoquaranta  tavole  accompagnanti 
quest'opera. 

Ci  resta  ancora  a  dire  qualche  cosa  del  terzo 
volume,  nel  quale  sono  state  primieramente  riuni- 
te tutte  le  varie  lezioni  risultate  dal  confronto  de* 
numerosi  codici,  e  di  tutte  le  edizioni.  Monumen- 
to colossale  di  pazienza  filologica,  e  di  cui  non  po- 
trebbe citarsi  il  secondo  esempio.  Gli  editori  an- 
,  che  più  accurati  de'classici  si  sono  sempre  limi- 
tati a  dare  le  varianti  di  pochissimi  codici  ,  e 
queste  soltanto  ne'passi  un  poco  ambigui.  Qui  il 
filologo  trova  riunite  per  ciascuna  parola  tutte   le 


172  Letteratura 

varie  lezioni,  dì  modo  che  può  facilmente  convin- 
cersi della  giustezza  della  lezione  adottata  dalTedi- 
tore,  ovvero  preferirne  un'altra. 

Il  tesoro  delle  varie  lezioni  è  seguito  dal  com- 
pendio di  architettura  comunemente  chiamato  1'^- 
nunimOf  perchè  appunto  non  si  conosceva  chi  ne  fos- 
se stato  il  compilatore.  Il  Marini  però  coH'autorita 
del  codice  secondo  vaticano  ha  dimostrato,  che  que- 
sto compendio  fu  fatto  da  Flavio  Eutropio,  sotto  il 
quarto  consolato  di  Valentiniano  secondo.  Il  testo 
del  compendio  è  stato  dal  Marini  stesso  in  molti 
luoghi  emendato,  confrontandolo  co'tre  codici  esi- 
stenti in  Roma;  e  colle  quattro  edizioni  che  ne  so- 
no state  pubblicate.  Non  vi  aggiunse  illustrazioni, 
perche  superflue,  essendo  trattati  in  questo  com- 
pendio gli  stessi  soggetti  di  cui  parlasi  nel  testo 
vitruviano. 

Pongono  fine  all'  opera  tre  indici  copiosissimi 
ed  esattissimi:  il  primo  delle  materie  contenute  tan- 
to nel  testo,  quanto  ne'comenti:  il  secondo  delle  pa- 
role greche,  ed  il  terzo  degli  autori  citati  nelle  note. 

Queste  sono  le  riflessioni  suggeritemi  dalla  let- 
tura della  nuova  edizione  del  Marini:  e  scrivendole, 
lo  scopo  principale  che  mi  sono  proposto  si  è  sta- 
to di  farne  vie  meglio  apprezzare  il  merito  ai  let- 
terati ed  agli  artisti.  Se  nulla  si  è  ancor  fatto  in  Ro- 
ma per  incoraggire  un'opera  cosi  favorevolmente 
accolta  da  tutta  l'europa,  possa  almeno  la  mia  debo- 
le voce  destare  ne'miei  concittadini  il  sentimento 
della  riconoscenza  ben  dovuta  ad  un  autore,  che  con 
tanto  studio  e  fatica,  e  con  non  lieve  dispendio  con- 
dusse a  termine  un  lavoro,  da  cui  non  piccola  glo- 
ria deriva  alla  nostra  patria! 

Vincenzo  Ballanti 


173 


Jn  funere  serenissimi  Àntonii  Saxoniae  regis^  ora- 
tio  habita  in  sacello  vaticano  XI  kal.  ianuar.  ad 
sanctissimum  doniinum  Gregorium  papam  XP^I 
ab  angelo  Mai  praelato  domestico  et  sacri  con' 
silii  Christiane  nomila  propagando  a  secretis.  4. 
Jiomae  1837.  (Sono  carte  16) 


A 


ngelo  Mal,  ora  porporato  amplissimo  di  santa 
chiesa,  è  di  si  famosa  celebrità  in  Europa  e  fuori, 
che  non  v'ha  sapiente  che  al  nome  di  lui  non  levisi 
per  riverenza.  Egli  principe  de'  moderni  filologi  , 
egli  scopritore  maraviglioso  ed  illustratore  dottis- 
simo d'insigni  opere  greche  e  latine,  egli  donato  in 
fine,  come  ben  disse  il  Niebuhr,  quasi  provvidenza 
del  cielo  alle  lettere  di  questo  secolo.  Or  ecco  l'ulti- 
mo scritto  che  il  grand'uomo  ci  ha  dato  colle  stam- 
pe innanzi  che  la  Santità  di  Gregorio  XVI  rime- 
ritasse tante  fatiche,  tanta  virtìi,  tanta  gloria  colla 
porpora  vaticana. 

Le  belle  azioni,  che  fecero  a  tutti  si  veneran- 
da la  vita  del  re  Antonio  di  Sassonia,  sono  qui  nar- 
rate come  convenivasi  al  luogo  augusto  dove  l'ora- 
zione fu  recitata,  alla  maestà  di  chi  l'ascoltava,  alla 
dignità  di  chi  la  diceva.  Tutto  in  essa  spira  be- 
neficenza, mansuetudine,  religione,  amor  vero  del 
retto:  sicché  il  cuore  veramente  ti  gode  all'imma- 
gine  di  quella  egregia  bontà,  che  tanto  ritrasse  da' 
costumi  de'patriarchi.  «  lam  ut  regias  (egli  dice) 
»  AntOTiU  virtutes   et   opera  brevissime  attingam  , 


174  Letteratura 

»  magnum  statini  ab  irjito  principatu  liberalltatis 
»   clocumentum  extulit,   remissa  reipublicae  ingenti 
n   pecuniae  summa  ,  quae  more  valere   ac   feudali 
»   iure  ad  eum  pertinebat.  Rursus  levandis  populi 
»   oneribus  vìgilanter  inlentus,  vectigalia  varia,  nec 
»   non  superflua  quaedam  officia  antiquavit:  rogan- 
»   tibus  rusticis,  feras  regio  venatui  reservatas  ma- 
»   gnam  partem  sustulit;  aulicas  impensas  imminuit; 
»   cuncta  ad  parsinionìam,  quam  Cicero  maximum 
»   reipublicae  vectigal  esse   ait,  revocavit;   simpli-- 
»  cilatem   denique    atque   modestiam   sibì  ac   suis 
»   sumniam  indixit.  -  Sic  pulso  luxu  domestico,  nil 
»   mirum  est  quod  publicis  operibus  et  commodi- 
»   tatibus   pecunia  abunde  suffecerit.  Hinc  spiendi- 
»   dus  fluvio   Muldae  pons  impositus    cum   infinita 
»   commeantium  utilitate.  Hinc  in  urbe   Lipsia,    in 
»   eius  celeberrimae  acadcmiae  gratiam,  absolutum 
»   augusteum.  Hinc  in  regni  metropoli  Dresda  exor- 
»  natae  aedes  et  auctae,  novaeque  litterarum  ,    rei 
»   agrariae  et  variarum   artium  scholae    institutae. 
»   Vultis  promptam  Antonii  regis  liberali tatem  co- 
»   gnoscere?  Aedificium  quoddam  populi  usibus  ap- 
»   prime    commodum    in    monte    proximo    repente 
»   nunciatur  aquarum  diluvio  dirutum.  Ilex  ipse  il- 
»   lue,  sumpta  pecunia,  advolat,  atque  id  protinus 
»   instauratum  opificibus  miseris  reddit.  Vultis  mi- 
»  sericordiam   rescire?  Maestissimae  matris  preci- 
»   bus  filium  unicum,  sortis  lege  militiae  addictum, 
»   repente  restituit.  Denique  laus  non  mediocris  An^ 
»   tonii  regis  est ,   quod  cum  Leone  XII    pontifice 
»   maximo,   quem  olim  prope  hospitem  Drcsdae  iia-^ 
»  buerat,  singuiarem  araicitiam  et  litterarum  com- 
»   mercium  coluit,   eique  et  successoribus  eius  ob- 
»  scquium  summum  exhibuit.  » 


Orazione  del  Mai  175 

Singolare  è  anche  quel  luogo  ,  e  pieno  di  ele- 
gantissima facondia,  dov'egli  favella  di  quanto  v'ha 
di  più  felice  e  gentile  e  magnifico  nel  regno  sasso- 
ne, non  che  delle  citta  fiorentissime  di  Dresda  e  di 
Lipsia:  »  Atque  ut  iucundiora  potius  dicam  (aveva 
toccato  il  Mai  delle  grandi  battaglie  da  Napoleone 
combattute  nella  Sassonia)  nemo  certo  est  qui  sa- 
»  xonicum  rcgnum,  quamquam  adversitatibus  diu 
»  vexatum,  peculiari  admiralione  dignum  non  ar- 
»  bitretur:  nam  et  dialecto  inter  teutonìcas  puris- 
»  sima  et  suavissima  utìtur,  et  litteratis  hominibus 
»  apprime  affluit,  et  industria  varia  atque  opificiis 
»  miris  excellit.  Quid  memorem  germanorum  Athe- 
»  nas  Lipsiam,  ad  quam  propter  summorum  ma- 
»  gistrorum  famam,  librorum  multitudinem,  do- 
p  ctrinarum  universitatem,  celebres  etiam  bis  quo- 
»  tannis  novorum  et  veterum  scriptorum  nundinas, 
»  tota  ex  Europa  concurri  tur?  Tanta  vero  est  in 
»  urbe  regali  Dresda  monumentorum  veterum  si- 
»  ve  pictoriae  artis  sive  statuariae  copia,  ut  cura 
Il  nobilioribus  urbibus  certare  possit,  in  nonnuUis 
»  etiam  videatur  superior.  Ncque  soli  saxonici  na- 
»  tura  feliciorum  regionum  honori  cedit:  exuberat 
»  enim  metallorum  variorum  fodinis,  pretiosis  la- 
«  pidibus  atque  marmoribus,  argillis  etiam  unde 
»  murrhina  vasa  ad  miraculum  fiunt:  alendo  deni- 
»  que  populo  magnam  vim  frugum  fructuumque 
»  suppeditat;  riguis  fiuminibus,  latis  pastionibus, 
»  caeduis  silvis,  salinarum  vectigalibus,  amoenita- 
»  tibus  plurimis,  et  multitudine  rerum  quae  ex- 
»  portantur,  abundat.  Quis  enim  nescit  quantae  fue- 
»  rint  apud  saxones  christianae  religionis  ecclesiae- 
»  que  opes  iam  inde  a  Carolo  magno  tot  pinguium 
»  sacerdotiorum  institutore?  Ncque  ipsam  denique 


176  Letteratura 

»  belllcam  saxonici  pppuU  gloriam  reticere  queo, 
»  iam  usque  abs  gentis  origine  inclytam,  et  fortis- 
»  s>ìrms  ejfei'cituunj  imperatpribus  clarissimisque 
»   gestis  refertaiTi.  » 

Bellissimo  infine,  e  tjegno  di  iina  filosofia,  come 
quella  del  Mai,  tutta  fondata  nella  verità  delle  sa-» 
ere  carte  e  jiella  prudenza  delle  profane,  è  il  chiu- 
dersi dell'ora^ipne;  »  Iam  vero  liuic  regi,  quum  sui 
»  ex  quadara  consuetudine  agnomen  quaererent  , 
»  quo  ab  aliis  distingueretur,  non  gloriosijm,  non 
»  fortem,  non  triumphatorem?  non  maximum,  non 
»  aliis  humanae  superbire  titulis  appellaverunt  ; 
>i  sed,  quod  eius  moribus  apprime  congruebat,  be- 
»  NiGNUM  nuncupaverunt.  Gaude  igitur,  Antoni  rex, 
»  isto  tuo  perliumano  ac  perhonprlfico  benigni  ti^ 
»  tulo:  queni  si  ceteri  orl)is  dominatores  exemplQ 
»  tuo  aid^niabiint  ,  benignos  vicissim  experientur 
»  populos;  quodque  magis  prodest,  supremi  Numi'? 
»   nis  benignitatem   sibi    conciliabunt.  » 

Sicché  un  voto  noi  terminando  faremo:  un  vo- 
to che  vivamente  ci  sorge  dal  cuore:  ed  è  che  una 
mente  si  alta,  un  ingegno  si  nobile,  non  voglia  a' 
negozi  gravissimi  della  chiesa  e  del  principato  co- 
s'i dare  tutte  le  cure  sue,  che  non  gli  rimanga  più 
tempo  di  onorare  cp'suoi  scritti  qqesto  secolo  e  l'i- 
taliana sapienza,  p  di  giovare  coU'autoriia  di  tanto 
nome  le  migliori  dottrine,  che  già  troppo  visibiU 


mente  volgono  in  basso. 


Salvatore  Betti 


177 


IS^otizie  della  vita  e  delle  opere  delVah.  Luigi  Nar- 
di,  scritte  da  lui  medesimo  a  monsignor  Carlo 
Emmanuele  Muzzarelli  uditore  della  sacra  ro- 
mana rota» 


J-J^  convenienza  e  la  gratitudine,  per  la  bontà  la 
quale  V.  S.  Uhm  e  Revma  addimostra  per  la  me- 
schina mia  persona  ,  mi  obbligano  a  ringraziarla 
della  favorevole  opinione  che  ella  nudre  a  mio  ri- 
guardo ;  ma  l'intimo  sentimento  della  mia  nullità 
non  mi  permette  di  compiacerla  coll'inviarle  noti- 
zie risguardanti  me,  e  le  esili  cose  da  me  stampate. 

Bisogna  dire  che  qualche  mio  amico  le  abbia 
fatto  concepire  di  me  un'opinione,  la  quale  essen- 
do figlia  della  benevolenza,  non  potrebbe  sostener- 
si nell^  di  lei  opera  ,  ove  il  solo  merito  debbe 
aver  luogo. 

Ebbi  il  bene  nell'anno  scorso  di  conoscerla  di 
persona  (  che  di  fama  ben  la  conosceva  ),  e  pran- 
zare seco  lei  in  Rimino  in  casa  Martinelli  :  e  fin 
d'allora  conobbi  la  gentilezza  d'animo  che  l'adorna; 
per  cui  tengo  per  fermo,  che  ella  non  sapra  dar- 
mi torto  ,  e  nel  dispensarmi  non  vorrà  recarsi  ad 
onta  il  ragionevole  mìo  rifiuto. 

Lodo  poi  sommamente  il  di  lei  divisamento  , 
quantunque  l'impresa  sia  delicata.  Vedo  però  che 
attenendosi  a  pure  cose  di  fatto,  siccome  ella  di- 
visa, non  avrà  a  dolersi  l'amor  proprio  dei  lette- 
rati, il  quale  è  veramente  genus  irritabile.  Non  si 


478  Letteratura 

perda  d'animo,  che  l'opera  farà  onore  all'Italia   e 

al  dotto  autore. 

Un  buon  mese  fa  fui  pregato  dal  sig.  don  Gae- 
tano Vitali  di  Rimino  ad  interpellare  il  eh.  Bor- 
ghesi sulla  questione  dello  scudo  d'oro  in  oro  ,  e 
potei  avere  (  ciò  che  altri  forse  non  avrebbe  facil- 
mente ottenuto  )  una  bella  lettera  a  me  diretta,  che 
tosto  passai  al  mentovato  Vitali.  Ho  voluto  ciò  ac- 
cennarle, perchè  essendo  ella  ferrarese  ,  e  giudice 
in  causa,  possa  procurarsela,  nel  caso  che  la  cre- 
desse atta  a  somministrarle  dei   lumi. 

Le  rispondo  da  Pesaro,  ove  mi  ritrovo  (  ed  ove 
mi  fermerò  fino  ai  iO  di  novembre)  per  assistere 
alla  stampa  di  un  mio  lavoro,  il  quale  se  non  può 
essere  di  grande  utilità  per  ragione  della  mia  im- 
perizia, potrà  movere  però  qualche  penna  piìi  fe- 
lice a  trattare  certi  argomenti  di  sacra  antichità,  i 
quali  reputo  di  sommissima  importanza.  Nel  secon- 
do volume  specialmente  vorrei  credere  clie  i  car- 
dinali e  la  prelatura  romana  dovessero  ritrovare  un 
certo  interesse,  poiché  parmi  vi  sia  per  la  prima 
volta  spiegato  il  sistema  urbico  dei  primi  secoli  del- 
la chiesa,  e  in  modo  da  distruggere  tutte  le  impor- 
tune ciance  dei  Pistoiesi  ed  altri  nemici  della  s.  se- 
de. Gli  uditori  della  sacra  rota  vi  fanno  molta  figu- 
ra, come  quelli  che  dai  primi  secoli  fino  alla  fine  del 
medio  evo  appariscono  le  persone  che  venivano  im- 
mediatamente dopo  i  cardinali. 

Scusi  la  lunga  diceria:  mi  continui  la  benevola 
di  lei  padronanza:  e  mi  creda  quale  ossequiosamente 
mi  protesto 

Di"  V.  S.  Il  Ima  e  Riiia 

Pesaro   9  ottobre  1829. 

Dmo  Obiho  Servitore 
Luigi  Nardi 


Notizie  di  L.  Nardi  179 

P.  S.  Avevo  questa  lettera  ancora  aperta  sul  ta- 
volino, quando  è  venuto  da  me  il  dottissimo  e  mio 
amicissimo  sig.  marchese  Antaldo  Antaldi,  col  quale 
non  avessi  mai  ragionato  del  contenuto  della  medesi- 
ma! Per  quanto  mi  sia  schermito,  ho  dovuto  compia- 
cerlo coU'inviare  a  V.  S.  Illma  e  Rma  un  elenco  del- 
le mie  cose  pubblicate,  il  quale  sotto  fascia  riceverà 
in  questo  corso,  non  so  se  col  corriere  o  colla  dili- 
genza, non  sapendo  se  le  cose  stampate  siano  portate 
dall'uno  o  dall'altra.  Nel  secondo  caso  bisogna  diri- 
gersi all'uffizio  delle  diligenze  per  ritirarlo.  Ha  volu- 
to anche  ch'io  aggiunga  le  seguenti  cose,  le  quali  non 
meritano  la  pena  di  essere  riferite  (e  che  V.  S.  Illma 
e  Riiia  potrebbe  risparmiare);  ma  che  per  non  po- 
termi esimere,  e  pel  riflesso  fattomi  dal  sig.  marche- 
se ch'io  costringerei  V.  S.  Illma  e  Rma  a  rivolgersi 
ad  altri  per  averle,  brevemente  accennerò. 

Nacqui  ai  IT  agosto  1T7T  a  Savignano  diocesi  di 
Rimini.  Ebbi  a  coetanei  e  condiscepoli  ,  e  quin- 
di a  perpetui  amici,  il  conte  Giulio  Perticari  ed 
il  sig.  Bartolomeo  Borghesi ,  ed  a  compagno  l'ab. 
Girolamo  Amati  che  sta  in  Roma,  ove  avrei  sem- 
pre dimorato,  e  dimorerei,  se  vi  avessi  avuta  una 
nicchia  comoda  in  qualche  biblioteca,  o  negli  ar- 
chivi. L'archeologia  sacra  e  profana  ha  sempre  avu- 
ta una  predilezione  nelle  mie  occupazioni. 

Ho  girato  l'Italia  a  palmo  a  palmo,  da  Napoli 
a  Torino,  e  da  Venezia  a  Pisa  per  istruirmi:  e  mol- 
ti viaggi  ho  replicati.  Stetti  sei  mesi  a  Parigi  , 
quando  il  mio  vescovo,  che  mi  vi  condusse,  fu  co- 
stretto a  portarvisi.  Questi  a  forza  volle  darmi  una 
parrocchia  in  Rimino,  la  quale  ho  rinunziato  (e  ciò 
fu  l'anno  scorso)  tostochè  ho  potuto  farlo,  lascian- 
do anche  le  cariche  di  teologo  della  diocesi,  di  con- 


480  Letteratura 

visitatore  della  medesima  ec. ,  per  potermi  occu- 
pare de'  miei  libri,  e  dell'indice  della  Gambalun- 
ga ,    specialmente  de'  codici  mss.  ,  pergamene  ed 
edizioni  del   400,  il  quale   ho  compito.   Non  sono 
più  dunque  arciprete,  come  ella  si  degna  intitolar- 
mi; ma  canonico,  avendo   avuto  la  bantà  la  colle- 
giata di  Savignano  di  farmi  tale  d'onore  semplice- 
mente. Bignardi  ed  Ossuna  mi  diressero   in   Savi- 
gnano nelle  belle   lettere:    monsignor  Gaetano  Ma- 
rini fu  il  mio  mentore  in  Roma,  come  lo  fu  l'abate 
Andres  per  due  anni  in  Parma,  ove  appresi  l'ebrai- 
co dal  celebre  de'Rossi.  Questi  conservarono  sem- 
pre amichevole  commercio  di  lettere  con  me  me- 
schino che  gli  andavo  interpellando.  Così  approfit- 
tai  dei    lumi  che  mi  davano  le  lettere    del   celebre 
Ennio  Quirino    Visconti,  Perticari,  Borghesi,   Del 
Bene  di  Verona,  Labus  di  Milano,  ab.  Amati,  mon- 
sig.  Marchetti  ed  altri.  Onde  ella  vede  ch'io  sono  la 
povera  cornacchia  di  Esopo  vestita  delle  altrui  pen- 
ne. Per  carità,  adunque  non  mi  esponga  al  ridico- 
lo; poiché  se  non  curo  lodi,  non  amo  però  la  deri'» 
sione.  Mi  conosco  sinceramente. 

Luigi  Nardi 

Questo  pio  e  dotto  ecclesiastico  cessò  di  vìvere 
in  Rimini  il  dì  5  giugno  1837.  Egli  fu  uno  de'prin- 
cipali  fondatori  della  rubiconia  simpemenia  de'fi- 
lopatridi,  e  fu  socio  corrispondente  della  romana 
accademia  di  archeologia;  fu  pure  uno  de'collabo- 
ratori  del  giornale  arcadico,  nel  quale  vennero  a  più 
riprese  inseriti  vari  suoi  articoli. 

Nel  num.  917  della  yoce  della  Verità^  17  giu- 
gno 1837,  si  legge  un  articolo  necrologico  dell'uo- 
mo illustre. 


Notizie  di  L.  Nardi  181 

Il  eh.  prof.  Giuseppe    Ignazio   Montanari  ha 

pubblicato  nella  gazzetta    di  Bologna  alcuni  cenni 

riguardanti  il  Nardi,  che  gli  furono  comunicati  da 

lui  medesimo,  appresso  sua  richiesta. 

È  pure  stato  reso  di  pubblico  diritto  l'opu- 
scolo che  porta  il  titolo  -  Delle  lodi  del  canonico 
Luigi  Nardi  sa\figna7iese^  orazione  di  Francesco 
Rocchi  con  una  lettera  del  cav.  Bartolomeo  Bor- 
ghesi sul  luogo  del  congresso  triumvirale.  -  Forlì 
dalla  tipografìa  Casali  1837. 

NOTA  DELLE  OPERE  DEL  NARDI. 

1.  Alcune  poesie,  tra  le  quali  un  idillio  stampato 

il  1807  senza  data,  ma  pel  Biasini.  Cesena. 

2.  Difesa  del  titolo  della  chiesa  cattedrale  di  Ri- 

mino. Pel  Marsoner.  Rimini  1808. 

3.  Cronotassi  dei  vescovi   della  santa  chiesa  rimi- 

nese.  Rimino  per  gli  Albertini  1813. 

4.  Descrizione  antiquaria-architettonica  dell'  arco 

di  Augusto,  ponte  di  Tiberio,  e  tempio  mala- 
testiano di  Rimino,  in  fol.  con  17  rami;  con 
in  fine  una  lettera  del  oh.  sig.  Borghesi  all'au- 
tore suir  arco  di  Augusto.  Rimini  pel  Grandi 
1813. 

5.  Porcus  Troianus,  o  sia  la  porcetta,  in  4.°  Rimi- 

no per  gli  Albertini  1813. 

6.  »   »  con  aggiunte.  Bologna  pel  Nobili  1821.  (1) 


(i)  Intorno  questa  seconda  edizione  «i  legge  un  articolo  as- 
sai pungente  nelle  effemeridi  letterarie  di  Roma  tom.  V.  Roma 
iSat  a  carte  289  segnato  colle  finte  iniziali  X.  Y.  Z. ,  ma  che 
sappiamo  appartenere  ad  un  illustre  professore  dell'  università 
romana  della  sapienza. 


482  Letteratura 

7.  Sinodo  della  chiesa  di  Rlmlnl,  per  gli  Alberti-» 

ni  1818. 

8.  Lettera  al  prof.  Salvatore  Betti  soprai  alcune  la-* 

pidi  riminesi.  Nel  voi.  XXV  del  giornale  ar- 
cadico, dicembre  1820. 

9.  Risposta  alla  critica  pel  Porcus  J^oianiis.  Sen- 

za data,  ma  in  Bologna,  pel  Nobili  1821. 

10.  Alcune    iscrizioni    latine.    Rimino   pel   Grandi 

1814,  ed  altre,  altrove. 

11.  Introduzione  breve  e  facile  allo  studio  della  s. 

scrittura,  voi.  2.  Bologna  pel  Nobili   1822. 

12.  Lettera  in  aggiunta  a  detta  introduzione.  Ib.  Si 

noti,  che  quivi  trovasi  una  lettera  umanissi- 
ma del  sommo  pontefice  Pio  VII  in  commen- 
dazione di  detta  opera. 

13.  Terzine  inedite  di  Fazio  degli  liberti,  con  po- 

stille. Milano  tom.  XIII  della  biblioteca  italia- 
na, della  quale  l'autore  era  socio  corrispon- 
dente. 

14.  Direzione  storica  per  coloro  che  si  portano  alle 

acque  minerali  di  s.  Marino.  Rimino  per  gli 
Albertini  1823.  Si  noti  che  questa  operetta 
fruttò  all'autore  il  patriziato  della  repubblica 
predetta. 

15.  Dissertazione  sopra  un'antica  lapida  ed  un  nuo- 

vo municipio.  Voi.  V  degli  atti  dell'archeolo- 
gia romana.  Roma  1821,  De  Romanis. 

16.  Sui  vici  antichi  nelle  città.  Roma  pel  Boulzaler 

1824,  e  nel  giornale  arcadico,  di  cui  l'autore 
era  collaboratore.  Settembre  1824. 

17.  Sopra  alcune  parole  italiane  antiche,  e  spiega- 

zione della  terzina  di  Dante 

»  Se  dimostrante  del  più  alto  tribo  » 


Notizie  di  L.  Nardi  1S3 

Roma  pel  Boulzaler  1824.  Questa  opinione 
deilautore  sopra  detta  terzina  fu  adottata  dal 
eh.  P.  Cesari  :  Dialoghi  sulle  bellezze  di  Dan- 
te Purg.  dial.  XI  p.  574,  e  dal  eh.  prof.  Co- 
sta nella  nuova  edizione  di  Dante  in  Bologna 
1826,  e  nel  giornale  arcadico  dicembre  1824. 

18.  Sopra  il  luogo  del  triumvirato  tra  Lepido,   Ot- 

taviano, e  Marcantonio.  Roma  Boulzaler  1825, 
e  nel  giornale  arcadico  1825. 

19.  Lettera  miscellanea  sopra  l'uso  dello    specchio 

e  pettini  da  ornamento  presso  le  antiche  don- 
ne cristiane:  sui  mansionarii:  e  sopra  la  storia 
d'Italia  del  Botta.  Nel  giornale  ecclesiastico 
di  Roma,  del  quale  l'autore  era  collaborato- 
re, 1825,  tom.  I  fase.  IV. 

20.  »    »  con  aggiunte.  Pesaro  pel  Nobili  1825. 

21  Epistola  nelle  nozze  Laghi  e  Lettimi  con  una 
lettera  inedita  del  conte  Giulio  Perticari  all' 
autore.  Pesaro  pel  Nobili  1825. 

22.  Dei   compiti,  feste  ,  e  giuochi   compitali   degli 

antichi,  e  dell'  antico  compito  savignanese  in 
Romagna,  in  U°  Pesaro  pel  Nobili  1827. 

23.  Chiarimenti  sull'antico  compito  savignanese,  in 

8.°  Pesaro  pel  Nobili  1829. 

24.  Sullo  spirito  di  vertigine  odierna  in  materia  di 

religione.  Memoria  inserita  nel  giornale  dei 
calobibliofìli  d'Imola,  fascicoli  di  settembre 
e  di  ottobre  1829,  e  stampata  anche  a  parte. 
Imola  pel  Calcati  1829. 

25.  Dei  parrochi.  Opera  di  antichità  sacra,  e  disci- 

plina ecclesiastica,  voi.  due  in  4."  Pesaro  pel 
Nobili  1830  (1). 
*  ■ 

(i)  Nel  nuovo  giornale  de'  letterati  num.  55,  Pisa  i83i,  a 
carte  ^4  ^  un  articolo  su  quest'opera  segnato  coU'iniziale  X. 


184  Letteratura 

26.  Compendio  della  vita  della  serva  di  Dio  suoi* 

Cecilia  Nobili,  con  appendice  di  Un  fatto  sin- 
golarissimo di  s.  Pietro  martire  in  Romagna 
nell'anno  1249,  in  8.°  Pesaro  pel  Nobili  1830. 

27.  Sulla  parola  cardinalis.  Dissertazione  in  U.°  Pe- 

saro pel  Nobili  1 830. 

28.  Sinodo  della  santa  chiesa  di  Cervia.  Rimino  pel 

Marsoner  4836. 

29.  Dell'epoca  nostra,  operetta  che  è  sotto  i  torchi. 

30.  Opinione  sul  maggior  numero  dei  cattolici  adul- 

ti salvandi,  opera  inedita. 


Monumenti  scelti  horghesiani  illustrati  da  Ennio 
Quirino  Visconti  ,  nuovamente  pubblicati  per  cu- 
ra del  dottor  Giovanni  Lahus  I.  R.  epigrafista 
di  corte,  socio  di  varie  accademie  scientifiche  , 
letterarie,  e  di  belle  arti.  Milano ^  dalla  società 
tipografica  de'' classici  italiani  1 837,  in  ottavo,  di 
facce  XLVIII  e  316,  con  46  tavole  in  rame. 


D. 


'opo  che  Teccellenza  del  principe  don  Marcan- 
tonio Borghese  ebbe  fatte  nobilmente  disporre  nel- 
la sua  villa  del  Pincio  le  antiche  sculture  ereditate 
dagli  avi,  e  le  molte  più  da  lui  stesso  raccolte  ed 
acquistate,  rivolse  il  pensiero  a  renderle  pubbliche 
per  mezzo  di  incisioni  in  rame;  e  volle  che  venis- 
sero nobilitate  dalle  illustrazioni  di  quel  Visconti, 
il  quale  già  por  l'opera  intorno  il  museo  pio  de- 
mentino aveva  levata  gran  fama  di  se  in  tutta  Euro- 
pa. Lo  stesso  Visconti  sceglieva  que'monumenti,  che 
pili  credea  meritevoli  di  commentario:  egli  sorve- 
gliava chi  doveva  farne  la  incisione,  affinchè  que- 


Monumenti  BORGHEsum  185 

sta  fosse  esatta  e  fedele:  ed  a  seconda  che  1  dise- 
gni da  lui  riveduti  si  terminavano,  presentava  egli 
al  principe  generoso  le  relative  illustrazioni,  e  ne 
veniva  largamente  ricompensato.  Mentre  così  nobil 
lavoro  progrediva,  volle  il  mecenate  amplissimo  , 
che  la  intera  collezione  de'monumenti  di  antichità, 
da  lui  radunati  in  quella  sua  villa  piii  che  principe- 
sca, venisse  in  piccoli  rami  incisa  a  contorno;  vol- 
le che,  sotto  la  direzione  dello  stesso  Visconti,  il 
Lamberti  ne  scrivesse  le  dichiarazioni  (1);  e  di  que- 
sta edizione  fece  dono  agli  amici,  affinchè  potesse- 
ro avere  idea  adequata  de' tesori  antiquari  da  lui 
posseduti.  Intanto  all'opera  maggiore  si  occupava 
col  massimo  impegno  il  romano  archeologo:  già  ot- 
tanta tavole  erano  incise;  ed  il  principe  aderiva  già 
al  progetto  fattogli  per  alcuno;  di  chiamar  in  Ro- 
ma cioè  il  Bodoni,  onde  nella  stessa  villa  quel  ti- 
pografo egregio  co'suoi  caratteri  eseguisse  la  stam- 
pa di  un'opera  tanto  importante.  Sopravvenute  pe- 
rò circostanze  funeste  per  Italia  e  per  Roma  ,  fu 
rimandata  a'tempi  piìi  opportuni  la  esecuzione  del 
dispendioso  disegno;  poi  la  morte  di  quel  mecenate 
libéralissimo,  e  la  lontananza  del  Visconti  da  Roma 
fecero  restar  l'  opera  in  abbandono.  Tornati  tran- 
quilli i  tempi,  fuvvi  chi  desiderò  che  un  lavoro  così 
dotto  non  restasse  piii  lungamente  in  oblio:  ma  i 
commentari  archeologici,  s'ignora  per  qual  destino, 
erano  andati  smarriti.  A  fortuna  viveva  ancora  il 
Visconti;  si  ricorse  a  lui;  ed  egli,  che  conservata  avea 
copia  delle  illustrazioni  piìi  interessanti  ,  si  offeri 


(i)  Indicazione  di  tutte  le  sculture  del  palazzo  e  della  vili» 
Borghese  detta  Pinciana.  Roma  1796,  8.  '      '       '     ' 

G.A.  T.LXXIV.  13 


186  LETTERA.TURA 

di  supplire  alle  rimanenti.  Prevenuto  però  da  mor- 
te immatura,  non  potè  adempire  la  promessa;  e  so- 
lo i  figli  suoi  ,  radunati  gli  scritti  paterni  che  a 
queiropera  si  riferivano,  li  trasmisero  in  Roma.  Alla 
poca  parte  delle  illustrazioni  mancanti  fu  supplito 
sia  con  le  brevi  esposizioni  tratte  dalla  ricordata 
opera  del  Lamberti  (1);  sia  con  quelle  dallo  stesso 
Visconti  pubblicate  ne  Monumenti  gabini  (2):  una 
ne  fu  tolta  dal  Winckelmann  (3);  sei  ne  scrisse  bre- 
vemente il  cav.  Gio.  Gherardo  de  Rossi  (4):  e  cosi 
nel  1821  pe'tipi  del  De  Romanis  (5)  venne  a  luc€ 
in  Roma  quest'opera  dottissima;  della  quale  il  cht 
Labus  dà  ora  la  ristampa  per   noi   annunziata. 

I  lavori  del  Visconti  non  han  bisogno  di  elo* 
gio:  ognun  conosce  quanto  fosse  vasto  il  sapere  di 
quell'uomo.  Dotato  di  memoria  prodigiosa  ,  imbe- 
vuto della  lettura  de'classici  greci  e  latini,  niu- 
no  seppe  più  facilmente  di  lui  trovare  il  vero  ar- 
gomento di  ogni  antica  rappresentanza,  e  conva- 
lidare le  interpretazioni  delle  più  sicure  ed  incon- 
trastabili prove  s  ni  un  letterato  forse  ,  e  sol  po- 
chi artisti  seppero  uguagliarlo,  ma  non  superar- 
lo, nel  decidere  del   merito  delle  sculture  con  ve- 


(i)  Sono  tali  le  illustrazioni  delle  tav.  XI,  i;  XII,  3  di  que- 
sta milanese  ristampa. 

[i)  Le  illustrazioni  delle  tav.  Ili,  2;  VI,  i;  X,  2;  XVIII,  a; 
XIX,  3j  XXI,  a. 

(3)  La  tav.  XXXm. 

(4)  Le  tavole  XXIII,  2;  XXXVIII,  2;  XLII,  i  e  2;  XLIII,  i  e  2. 

(5)  Illustrazione  de'  monumenti  scelti  borghesiani,  già  esi- 
stenti nella  villa  sul  Pinciu,  scritte  dal  celebre  Ennio  Quirino 
Visconti  ec.  ec.  date  ora  per  Ja  prima  volta  alla  luce  dal  cav. 
Gio.  Ghejrardo  de' Rossi  e  da  Stefano  Piale,  sotto  la  cura  di  Vin- 
cenzo  Feoli.  Roma   1821,  voi.  2  iu  gran  foglio  figurati. 


Monumenti  borghÈsiani  187 

ra  e  soda  artistica  cognizione:  ninno  seppe  riunir 
meglio  la  novità  delle  riflessioni  alla  brevità;  per 
modo  che  gli  scritti  di  lui  mai  non  son  deturpati  da 
quella  superfluità  estranea  al  subietto,  la  quale  pro- 
va più  ia  povertà  dell'ingegno,  di  quello  che  il 
vero  sapere.  Queste  doti,  ed  altre  moltissime  che 
tutta  le  ripubblica  letteraria  attribuisce  alle  ope- 
re del  Visconti,  in  questa  da  lui  condotta  con  lar- 
ghezza di  tempo  e  di  premio  sono  riunite  in  gra- 
do sublime;  e  se  talvolta  non  colse  il  vero  (1), 
nulladimeno  sono  così  ingegnose,  così  istruttive  le 
sue  dichiarazioni,  che  anche  nell'errore  mostrasi 
uomo  grandissimo.  Noi  volendo  dare  un  sunto  ri- 
stretto di  quest'opera  egregia,  per  tenere  un  qual- 
che ordine,  divideremo  i  monumenti  in  sei  para- 
grafi. Diremo  nel  primo,  dei  mitologici;  nel  secon- 
do, di  quelli  che  diconsi  di  mitografia  eroica;  agli 
altri  di  storia  greca  sarà  destinato  il  terzo  ;  il  quar- 
to a  quelli  di  storia  romana;  le  sculture  che  ri- 
ferisconsi  a'costumi  religiosi  e  civili  verranno  in- 
dicate nel  quinto  paragrafo  ;  e  nel  sesto  le  quat- 
tro  di   scuola    moderna. 

§.  1.  Mitologia.  Se  insegna  Erodoto  che  gli  egi- 
ziani furono  i  primi  ad  innalzar  templi  e  are  ai  nu- 
mi, giusto  è  che  da  essi  prenda  le  mosse  questo  pa- 
ragrafo. Due  sono  i  monumenti  che  si  riferiscono 
alla  religione  di  quel  popolo  antichissimo:  uno  di 
femmina  leontocefala  sedente  (2)  ;  l'altro  maschile 
stante  (3):  ambidue  dello  stile  il  piii  antico,  nella 


(i)  Forse  nella  illustrazione  delle  tavole  III,  i;  IV,  i;  X,  i; 
XXXVI,  i;  XXXVII,  4. 
i-ì)  Tav.  XXIII,  3. 
(5)  Tav.  XXIII,  4. 


188  Letteratura 

sua  semplicità  e  rigidezza  ben  diverso  dal  posterio- 
re d'  imitazione;  ambidue  intieri  e  di  perfetta  con- 
servazione. La  figura  femminile  ha  un  gran  disco 
sulla  testa  con  un  serpentello  nel  mezzo;  l'abito  dal- 
le reni  le  scende  fin  presso  ai  piedi  ;  i  polsi  e  le 
gambe  sopra  la  caviglia  sono  ornati  di  periscelidi'. 
nella  mano  sinistra  tiene  il  mistico  Tau.  Fuvvi  chi 
credette  la  testa  esser  di  gatto,  chi  di  cane,  chi  di 
cebo  specie  di  scimia;  ma  che  sia  di  leone  è  certo, 
si  pel  confronto  di  altri  egiziani  monumenti,  sì  per 
alcuni  segni,  che  quasi  collare  ne  accennano  la  giu- 
ba. Alcuni  la  dissero  Iside;  altri  una  secondaria  di- 
vinità. Sembra  che  il  Visconti  propendesse  a  rico» 
noscervi  Neith^  o  l'egiziana  Minerva.  La  figura  ma- 
schile è  tutta  nuda  ,  se  non  che  un  grembiale  li- 
stato le  cinge  i  lombi;  ha  le  braccia  pendenti  e  at- 
taccate ai  fianchi  ;  la  sinistra  gamba  alquanto  piìi 
avanzata  della  destra;  il  capo  coperto  da  un  berretto 
a  strisce.  Puoi  dirlo  un  idolo,  ovvero  un  sacerdote. 

Scendendo  alla  greca  mitologia  ,  che  fu  pur 
quella  de'romani  ,  ricordiamo  primieramente  una 
statua  di  Nemesi  (1).  Fu  trovata  a  Gabi  mancante 
della  testa,  ma  quella  pur  antica  che  le  fu  adatta- 
ta, non  lascia  desiderare  la  propria.  Dal  gesto  di 
piegare  il  cubito  destro  verso  il  petto,  e  dal  cornu- 
copia che  regge  nella  manca,  si  riconosce  quella  di- 
va personificazione  della  giustizia  e  della  fortuna. 
La  illustrazione  di  questo  monumento,  mancando 
fra  le  carte  del  Visconti,  venne  supplita  con  ripe- 
ter quella  che  ne  avea  pubblicata   n^' Monumenti 


(1)  Tav.  Ili,  3. 


Monumenti  borghesiani  189 

gahini  (1).  Dalla  citata  descrizione  del  Lamberti  (2) 
è  tratta  la  illustrazione  di  una  statua  dì  Cerere  (3). 
La  testa  è  coronata  di  spiche;  anche  un  mazzo  di 
spiche  ed  una  corona  sostengon  la  mano  sinistra  giù 
stesa  ,  e  la  destra  alquanto  elevata  ;  il  panneggia- 
mento è  condotto  con  tale  eleganza  e  maestria,  che 
può  riguardarsi  come  uno  de'migliori  esemplari.  Cui 
non  è  noto  il  Saurottono,  celebre  bronzo  di  Pras- 
sitele?  Plinio  descrivendolo  ci  fa  sapere  che  era  un 
Apolline  fra  giovine  e  fanciullo;  Marziale  ce  ne  in- 
dica l'altitudine:  le  moltissime  copie  che  se  ne  co- 
noscono, fecero  si  che  prima  di  ogni  altro  il  Win- 
ckelmann  potesse  con  argomenti  di  certezza  dar 
loro  il  nome  che  conveniva.  Il  bellissimo  Apolline 
borghesiano  (4)  in  atto  di  saettare  il  ramarro  è  una 
copia,  anzi  la  piìi  intera  che  finor  si  conosca,  di 
quel  simulacro  greco  lodatissimo.  Apollo  fu  talvol- 
ta confuso  col  Sole;  ma  una  statua  borghesiana  del 
Sole  (5)  è  unica  appunto,  perchè  come  tale  lo  rap- 
presenta e  co'suoi  propri  caratteri  che  da  Apolline 
lo  distinguono:  ha  egli  Io  strofìo  bucato  con  sette 
fori,  per  inserirvi  sette  raggi  metallici;  gli  si  ve- 
dono a'piedi  due  protome  di  cavalli;  e  due  soli  ca- 
valli die  Omero  al  Sole,  Eto  e  Pireo.  11  tutto  insie- 
me, copiato  da  buon  esemplare  greco,  conserva  mol- 
to del  nobile  e  dignitoso;  le  mani,  ed  i  simboli  che 
esse  reggono,  sono  moderno,  ma  conveniente  restau- 


(i)  Tay.  XII  n.  ?ii  edlz.  milan. 

(2)  Parte  II  p.  gS, 

(3)  Tav.  Xl,  I. 

(4)  Tav.  XXI,  3. 

(5)  Tav.  XXI,  1. 


190  Letteratura 

ro.  Era  tla  poco  tornata  a  luce,  quando  il  p.  Biagi 
Bel  1772  stampò  un  libretto  per  provare  quello 
di  cui  ninno  dubitava;  cioè  che  questa  era  l'imma- 
gine del  Sole. 

Della  bellissima  fra  le  dive  sono  in  quest'  o- 
pera  molti  simulacri.  Una  statua  (1)  la  rappresen- 
ta nuda  ,  mentre  s'avvolge  intorno  alle  anche  un 
leggier  pannolino,  quasi  in  atto  di  asciugarsi  dopo 
il  bagno;  anche  la  sua  nudità  non  insulta  la  mode- 
stia, virtù  insegnata  dalla  natura.  In  altra  statua  (2) 
ha  lungo  e  sottil  panneggiamento;  e  riposa  il  pie 
manco  sopra  uno  sgabello;  indicando  così  che  è  la 
Venere  domiseda  o  pudica.  Una  terza  la  rappre- 
senta nuda  totalmente  (3)  ;  a'  suoi  piedi  è  un  del- 
fino ,  sopra  il  quale  un  amore.  Essa  è  la  Venere 
7rovTi«  o  marina^  ed  è  questo  uno  de' più  rari  mo- 
numenti in  quest'opera  dichiarati  ,  per  la  sua  in- 
tegrità riputatissimo,  per  la  composizione  ed  ese- 
cuzione degno  de'piìi  pregiati  maestri.  Il  Visconti, 
noverando  molte  altre  statue  di  quella  diva  ,  non 
dubitò  contarla  fra  le  cinque  piìi  perfette;  insie- 
me-cioè  alla  medicea,  alla  chigiana  ,  alla  capito- 
lina, ed  alla  vaticana  lavantesi.  Anche  nuda,  e  di 
perfetta  conservazione  è  una  quarta  Venere  (4),  cui 
si  dà  l'epiteto  di  vincitrice  ,  perchè  il  torace  ,  le 
ceree,  ed  altri  pezzi  dell'armatura  sono  aggrup- 
pati presso  un  amorino  che  le  sta  dal  sinistro  la- 
to, e  leva  su  con  ambe  le  mani  la  celata,  quasi  vo- 


(i)  Tav.  XII,  1. 

(2)  Tav.  XII,  I. 

(3)  Tav.  X,  3. 
(4j  Tav.  XVI,  X. 


Monumenti  borgiiesiani  191 

lesse  adattarsela  in  testa.  L'azione  della  diva,  di  por- 
si ad  armacollo  il  balteo,  da  cui  pende  la  spada  che 
ella  tiene  dalla  sinistra,  è  unica  nell'antichità  fi- 
gurata. Winckelmaim  credette  che  somigliasse  ad 
una  descritta  da  Gistodoro;  e  Visconti  osserva,  che 
questa  sol  una  può  chiamarsi  armata  insieme  e  vin- 
citrice. Una  quinta  statuetta  (1),  in  cui  son  restau- 
ro il  destro  braccio  e  1'  Amorino  ,  si  dichiara  per 
Venere,  cos'i  per  la  sottil  tunica,  che  discinta  la  ve- 
ste in  modo  che  par  quasi  nuda,  come  per  l'affibbia- 
tura di  essa,  che  caduta  dall'omero  manco  ,  ne  fa 
restar  nudo  parte  del  seno.  Ciò  che  rende  unico 
questo  simulacro  è  l'alto  del  pie  sinistro,  che  al- 
quanto alzato  comprime  un  utero,  nell'orifizio  del 
quale  vedesi  l'uman  feto  rivolto  di  schiena.  Non  fu 
ignota  agli  antichi  la  Venere  pandemo  o  comune  , 
la  vulgivaga^  la  peribasia  o  vagante,  Vetera  o  dru- 
da, la  porne  o  cortigiana;  e  se  Fidia,  rappresen- 
tando la  Venere  casta,  per  simbolo  delle  sue  virtìi 
le  pose  sotto  i  pie  la  testuggine;  se  la  popolare  in 
Atene  era  assisa  sopra  un  caprone  ,  per  emblema 
della  sfrenata  libidine;  la  volgare  in  questo  simu- 
lacro borghesiano  calpesta  col  piede  il  frutto  de' 
suoi  piaceri,  e  par  che  si  vanti  di  rimanere  infe- 
conda. Un  gruppo  di  Venere  e  Marte  (2)  non  mol- 
to si  discosta  da  altri  consimili,  che  a  noi  perven- 
nero in  pitture,  in  bassorilievi,  in  istatue,  in  me- 
daglie; ma  sopra  gli  altri  ha  merito  per  la  conser- 
vazione, per  la  mole,  per  lo  stile.  Certo  sotto  l'as- 
petto di  que'numi  celansi  due  romani  ritratti;  ma 


(0  Tav.  XVII,  I. 
(2)  Tav.  IX. 


192  Letteratura 

andò  lunsri  assai  dal  vero  chi  volle  riconoscere  nel- 
la  figura  muliebre  una  Faustina;  ed  anche  peggio 
chi   opinò  l'uno  esser  Coriolano,  l'altra  Volunnia. 

Non  vogliamo  da  Venere  disgiugnere  Erma- 
frodito, frutto  de'suoi  amori  con  Mercurio.  Due  gia- 
centi ne  sono  in  questa  raccolta  (1).  Il  primo  pe- 
rò è  il  più  celebrato  ed  il  pili  perfetto  di  quan- 
ti altri  ne  rimangono  di  simil  composizione;  dor- 
me, ma  di  un  sonno  men  profondo  che  voluttuo- 
so; le  forme  delle  membra  sono  svelte,  delicate,  e 
per  quanto  il  subietto  lo  comporta  grandiose;  la 
testa  maravigliosamente  bella  ;  la  positura  non  è 
senza  l'attrazione  di  una  certa  decenza.  Né  da  Ve-r 
nere  sono  da  scompagnare  le  grazie,  le  quali  spes^ 
so  la  corteggiano.  Un  gruppo  per  leggiadria  ed  ìsr- 
quisitezza  di  lavoro  mirabile  (2)  le  rappresenta  nu- 
de, non  avendo  esse  bisogno  di  ornan^enti:  un  se-r 
condo  gruppo  le  figura  intorno  ad  una  colonna  che 
servi  di  ornato  ad  una  fonte  (3).  Potresti  crederle 
ninfe;  ma  il  nostro  autore  propende  a  dirle  grar- 
zie,  perchè  antichi  epigrammi  ci  notiziano  che  que-r 
ste  adornarono  i  fonti  di  n:jolti  vetusti  lavacri;  e 
perchè  l'azione  di  appendere  le  vesti  menta  depo- 
ste ha  maggior  relazione  alle  grazie,  che  alle  nin- 
fe abitatrici  delle  onde.  Siano  però  le  une,  siano 
le  altre  ,  ciò  che  ninno  contrasterì^  si  è,  che  la 
composizione  di  questo  gruppo  è  vaghissinjo,  es-s- 
quisito  il  merito  dello  scarpello.  Alle  grazie  sia 
compagno  Amore.  Quattro   simulacri  del  più  bello 


(i)  Tav.  XIV  o  XV. 
(•i)  Tav.  V,  a. 
(3j  Tav.   XX. 


Monumenti  borghesiawi  193 

fra  gli  dei  sono  in  questo  volume:  uno  alato  stan- 
te (1),  che  mal  fu  tla  certuni  caratterizzalo  per 
un  genio.  Questa  statua  per  la  sua  bellezza  ec- 
citò l'entusiasmo  di  Winckelmann  (2)  quanto  po- 
chi altri  monumenti.  Al  Visconti  sembra  ricono- 
scere in  essa  una  copia  dell'Amore  tespiese  di  Pras- 
jjitele,  il  quale  come  placida  divinità  attende  nel 
tempio  i  voti  dei  supplichevoli.  Altre  due  statue 
Io  rappresentan  fanciullo;  scherza  nell'una  con  un 
uccolietto  che  ha  fra  le  mani  (3);  piange  nell'al- 
tra (4),  perchè  incatenato  ne'fianchi  e  al  pie  sini- 
stro. I^e  brevi  dichiarazioni  di  questi  due  marmi  so- 
no del  Dc-Rossi.  Un  gruppo  (5)  cel  mostra  insieme 
con  Psiche,  la  quale  è  supplice  e  genuflessa  a  lui  di 
lato  ;  disposizione  ed  azione  che  in  altri  gruppi 
di   simil  subietto  non   s'incontrano. 

I^a  statua  di  Diana  succinta  (6)  fu  trovata  a 
Gabi;  e  qui  si  ripete  la  illustrazione  che  il  Viscon- 
ti ne  avea  pubblicata  ne'  Monumenti  gabini  (7). 
Celebratissimo  è  quel  torso,  cui  per  moderno  re- 
stauro furon  supplite  in  bronzo  la  testa,  le  ma- 
ni, i  piedi ,  e  che  da  questo  supplemento  tras- 
se il  nome  di  Z>ingarella  (8);  ma  il  brodiero,  che 
attraversando  il  petto  scende  sul  fianco  sinistro, 
ed  il  foro   che  sta   sull'omero   manco  per  fermar- 


ci) Tav.  XIII. 

(2)  Storia  dell'arte  ec.  lib.  V,  cap.  I,  J.  a. 

(3)  Tav.  XLII,  I. 

(4)  Tav.  XLII,  2. 

(5)  Tav.  XI,  2. 

(6)  Tav.  X,  2.- 

(7)  Tay.  XII  nurn.  32  ediz.  Milan. 

(8)  Tav.  II,  r. 


^94  Letteratura 

vi  la  faretra,  dan  motivo  all'autore  dottissimo  per 
riconoscervi  una  Diana  faretrata.  La  sopravveste  di 
questa  figura,  assai  rara  per  la  sua  forma,  è  la 
xistide  degli  antichi.  La  vendetta  di  questa  di- 
va cacciatrice  contro  il  giovinetto  Atteone,  che  la 
mirò  bagnarsi  nelle  acque  gargafie,  è  rappresen- 
tala a  bassorilievo  in  un  sarcofago,  per  invenzio- 
ne e  composizione  particolare,  ed  anche  pregevo- 
le ,  perchè  non  facile  occorre  vedere  quel  mito 
in  antichi  monumenti  (1).  La  favola  vico  divisa 
in  quattro  scene;  nella  prima  il  figliuol  di  Ari- 
steo  preparasi  alla  caccia  r  Diana  sta  bagnandosi 
nella  seconda,  mentre  Atteone  si  compiace  in  ri- 
mirarla; ma  già  la  vendetta  del  nume  incomin- 
cia, già  le  come  spuntan  sulla  testa  di  lui:  e  la 
vendetta  si  compie  nella  terza  scena,  in  cui  ne 
fan  massacro  i  suoi  propri  cani  :  nell'ultima  la 
disgraziata  Autonoe  insieme  ad  altra  donna  rac- 
coglie i  resti  del  cadavere  del  figliuolo.  Ne  me» 
feroce  fu  la  vendetta  contro  i  niobidi.  Un  conser- 
vatissimo  bassorilievo  rappresenta  quella  trage- 
dia (2);  oltre  quattro  cavalli,  vi  sono  sculte  di- 
ciannove figure;  i  quattordici  figli,  cioè  sette  per 
ciascun  sesso  ;  Niobe  ed  Anfione  genitori  dolen- 
tissimi; due  pedagoghi  ed  una  nudrice.  Questo  mo- 
numento era  stato  pubblicato  da  Wlnckelmann  (3); 
ed  il  Visconti  ne   corregge  qui  le    inesattezze. 

Una  statua  giacente  (4),  dal  tralcio  di  vite  che 
ha  nella   destra,   dalla   nebride  in  cui   è   distesa , 


(1)  Tav.  XXA'I  e  XXVH- 

(2)  Tav.  XXXI. 

(3)  Mon.  ant.  ined.  N.  89. 

(4)  Tav.  YIII. 


Monumenti  borghesiani  195 

dalla  corona  di  edera  ,  e  dal  credemno  clie  le 
cinge  la  fronte,  facilmente  si  ravvisa  per  un  Bac- 
co. Nelle  baccanti  di  Euripide  si  legge:  «  Soave  è 
»  Bacco  sui  colli,  quando  avviene  che  fornito  del- 
»  la  sua  nebride,  compiuti  i  rapidi  tiasi,  caden- 
r>  do  egli  si  gitti  al  suolo.  »  Questo  passo  del  tra- 
gico greco  spiega  precisamente  la  nostra  scultu- 
ra. Bambino  fra  le  braccia  del  suo  educatore  Sile- 
no cel  mostra  un  gruppo  (1),  la  cui  conservazione 
è  delle  piìi  rare;  anzi  opinano  i  periti  dell'arte,  che 
specialmente  le  gambe  del  Sileno  siano  le  più  per- 
fette di  quante  la  scultura  ne  ha  imitate,  e  che  non 
ha  distrutte  l'età.  Come  pel  monumento  che  prece- 
de Euripide,  cosi  per  questo  servono  di  completa  il- 
lustrazione alcuni  versi  di  Galpurnio  Nemesiano  (2). 
Un  centauro,  somigliantissimo  al  piìi  vecchio  dei 
due  capitolini  sculti  da  Aristea  e  Papia  afrodisie- 
si,  ha  su  quello  il  vantaggio  di  aver  conservatoli 
putto  che  lo  cavalca  (3);  il  quale  per  la  corona  di 
edera  vien  giustamente  dichiarato  un  genio  di  Bac- 
co. Egli  mentre  con  l'una  mano  sta  in  atto  di  sfer- 
zar il  centauro,  con  l'altra  lo  tiene  avvinto  ;  e  la 
favola  infatti  ne  dice,  che  fu  l'ubriachezza  che  pro- 
dusse la  distruzione  di  quella  razza  prepotente  e  fe- 
rina. Una  zona  cinge  i  Ranchi  del  genietto;  essa  è 
quell'arnese  proprio  per  l'equitazione,  che  ventra- 
lia  e  lumbaria  dissero  i  latini,  perizomata  i  greci. 
Un  fauno  (4)  sonante  la  tibia  ,  si  poggia   col  go- 


(i)  Tav.  Ili,  1. 

(2)  Bucol.  ed.  "5,  V.  27  e  segg. 

(3)  Tav.  II,  2. 

(4)  Tav.  XII,  3. 


196  Letteratura 

mito  ad  un  pilastro,  e  tiene  incrocicchiate  le  gam- 
be l'una  sull'altra.  Il  famoso  fauno  dipinto  da  Pro- 
togene, e  conosciuto  sotto  il  nome  di  Anapovomeno 
o  sia  di  riposante,  era  in  tale  atteggiamento.  Che  sia 
desso  l'originale  di  questo  grazioso  marmo?  Un  gran 
vaso  marmoreo,  o  cratere  (1),  per  l'eccellenza  del 
lavoro  il  più  bello  fra  quanti  dall'antichità  a  noi 
pervennero,  ed  insieme  uno  de'monumenti  classici 
dell'arte  greca,  mostra  sculto  a  bassorilievo  un  tiu' 
so\  nel  quale  oltre  Bacco  appoggiato  ad  una  sua  se- 
guace che  suona  la  lira,  e  Sileno  sostenuto  da  un 
fauno,  sono  altri  sei  seguaci  di  quel  nume,  tre  per 
ciascun  sesso.  Balla  uno  la  scomposta  sicinnidey  suo- 
na l'altra  la  duplice  tibia,  trae  il  terzo  una  baccan- 
te che  suona  la  lira,  mentre  altre  due  uniscon  la 
danza  al  suon  de'crotali  ed  allo  scuotimento  de'tim- 
pani.  Graziosissima  è  l'immagine  di  una  ninfa  (2) 
che  seduta  a  terra  sul  lido  del  m'are  sta  giuocando 
agli  aliossi.  Lasciammo  per  ultimo  di  questa  clas- 
se mitologica  un  gruppo  (3),  in  cui  il  Visconti  rico- 
nobbe Mercurio  e  Vulcano  dalla  scure  e  dal  caduceo 
sculti  sul  tronco  apposto  nel  mezzo  delle  due  figu- 
re, per  servire  ad  esse  di  sostegno;  perchè  quella 
interpretazione  fu  contraddetta  dal  eh.  Raoul-Ro- 
chette  (4)  :  il  quale  fatto  un  confronto  fra  questo 
ed  altro  gruppo  del  museo  di  Napoli  (5),  che  rap- 
presenta Oreste  ed  Elettra,  per  ingegnosi  argomenti 
ritenne,  che  nel  borghesiano,  lasciata  simile  la  fi- 


li) Tav.  XXXIV  e  XXXV. 

(2)  Tav.  XVIII,  I. 
(5)  Tav.  IV,  I. 

(4)  Mon,  ined.  Oresieide  p.  176. 

(3)  Finali,  R.  M.  borbonico  p.  162,  166. 


MONUMEMTI    BORGITESIANI  197 

gura  dell'Oreste,  si  sostituisse  ad  Elettra  Pilade;  e 
per  conseguenza  questo  gruppo  rappresentasse  que' 
due  famigerati  amici.  Noi  non  dobbiamo  entrare  in 
tale  quistione;  ricordando  di  aver  assunta  la  qua- 
lità di  espositori,  non  quella  di  giudici.  Le  ragioni 
del  romano  archeologo  ,  e  quella  del  francese  son 
pubbliche  nelle  stampe.  O  è  dalla  parte  del  torto 
il  Raoul-Rochette,  e  questo  gruppo  chiude  la  clas- 
se mitologica  de'monumenti  scelti  borghesiani:  o  lo 
e  il  Visconti,  ed  esso  monumento  sarà  da  conside- 
rare come  primo  fra  quelli  del  secondo  paragrafo. 
§.  II.  Mitografìa  eroica.  L'immagine  di  un  giovi- 
ne eroe  di  robusta  bellezza,  tutto  nudo,  salvo  che 
avvinto  de'cesti  sino  alla  metà  delle  braccia  ,  ed 
in  attitudine  del  feroce  esercizio  del  pugilato,  chi 
altro  può  essere  se  non  Polluce  (1)?  Gli  antichi  poe- 
ti lo  dissero  prode  ed  invitto  nelle  contese  de'pu- 
gni;  descrissero  la  celebre  tenzone  di  lui  con  Ami- 
co; e  forse  l'artefice  in  quell'atto  lo  rappresentò  , 
dimostrando  nel  suo  atteggiamento  cosi  la  cupidità 
dell'ofFendere,  come  la  cautela  dello  schermirsi.  Un 
bassorilievo  ci  mostra  la  nascita  di  Telefo  (2).  Au- 
ge la  genitrice  consegna  il  bambino  avvolto  nelle 
fasce  ad  una  sua  confidente;  una  piccola  cerva  al- 
lude alla  notissima  favola  di  quel  figliuolo  di  Er- 
cole. E  da  notare  che  mancando  questa  esposizione 
fra  i  manoscritti  del  Visconti,  vi  fu  supplito  con 
quella  che  in  precedenza  ne  aveva  pubblicata  Win- 
ckelmann  (3).  Un  conservatissimo  sarcofago  rappre- 


(1)  Tav.  XVII,  I. 

(2)  Tav.  XXXIII. 

(3)  Mon.  ant.  ined.  N.  71. 


198  Letteratura 

senta  nella  principal  faccia  la  storia  di  Meleagro  (1). 
Vedesi  a  destra  quell'eroe,  che  ha  ucciso  già  uno  de* 
testiadi,  e  si  appresta  a  combatter  l'altro  ;  Eride, 
la  dea  della  discordia,  sta  tranquilla  spettatrice  dei- 
tragica  scena;  alla  sinistra  Altea,  miglior  sorella  che 
madre,  condotta  da  una  furia  getta  il  fatai  tizzone 
sul  fuoco;  mentre  Nemesi,  o  la  parca,  che  con  un 
pie  calca  le  ruota  simbolo  della  vita  ,  ha   già   se- 
gnata col  calamo  su  di  un  volume  l'ultima  ora  di 
Meleagro.   Nel  mezzo  giace  moribondo  sul  letto  lo 
sfortunato  eroe;  due  germane,  la  nutrice,  il  vecchio 
Eneo  lo  circondano  addolorati;  e  v'è  pure  Atalan- 
ta,  la  quale  si  cuopre  il  viso  per  non  vedere  l'a- 
maro frutto  della  sua  bellezza  e  del  suo  valore.  Ge- 
lebratissima  è  la  statua  operata  da  Agasia   efesino, 
e  volgarmente  detto  il  gladiator  combattente  (2).  Già 
Winckelmann  avea    veduto    quanto    erronea    fosse 
quella  denominazione;  e  lo  reputò  un  guerriero  sot- 
to le  mura  di  una  città  assediata.  Lo  Stosch  lo  cre- 
dette piuttosto  un  discobolo;  il  Fea  lo  giudicò  Aia- 
ce d'Oileo  alle  prese  con  un  inimico,  o  l'intrepi- 
do Leonida  alle  Termopili;  Lessing  lo  disse  Gabria; 
Heyne,  un  guerriero  che  si  ripara  da  un  colpo  sca- 
gliatogli dall'alto;  Mongez,  un  eroe  che  si  esercita 
ne'ludi  ginnastici;  Gibelin,  un  giuocatore  di  pallo- 
ne; Sickler,  Agenore  figlio  di  Antenore.  Tutti  tra- 
viarono dal  vero.  Il  nostro  Visconti  vi  riconosce  un 
eroe  combattente  contro  le  amazoni;  e  se,  nell'ope- 
ra di  che  scriviamo,  lo  disse  Aiace  Telamonio  con- 
tro Menelippe,    in  altra  memoria  della  quale  dire- 


(i)  Tav.  XXVIIL 
(3)  Tav.  I,  I. 


Monumenti  borghesi  ini  199 

mo  al  finire  di  quest'estratto,  evidentemente  lo  di- 
chiara per  Teseo  combattente  contro  Ippolita.  Ben 
meritava  questa  insigne  statua  cosi  dotta  illustra- 
zione ;  essendo  essa  uno  de'  capolavori  della  gre- 
ca scuola  fra  i  pochissimi  che  a  noi  pervennero  , 
e  tale  che  nel  complesso  delle  sue  eccellenti  bel- 
lezze non  può  dirsi  inferiore  ad  alcun  altro  in  me- 
rito d'arte.  Altro  simulacro,  sul  quale  il  Visconti 
fece  molto  studio,  si  è  quella  statua  da  Im  dichia- 
rati per  Achille  (1).  Ai  molti  argomenti  ,  ed  alle 
sottili  indagini  di  lui  ,  altre  ingegnose  congetture 
oppose  il  eh.  Raoul-Rochette  (2)  ,  reputandola  un 
Marte;  opinione  già  prima  esternata  da  Winckel- 
mann  (3).  Abbenchè  noi  saremmo  forse  inclinati 
piìi  a  seguire  in  ciò  i  dotti  oltramontani,  pure  non 
abbiamo  voluto  mutare  il  nome  che  il  Visconti  det- 
te a  questa  nobilissima  statua.  La  storia  compas- 
sionevole del  riscatto  del  cadavere  di  Ettore  è  in 
bassorilievo  ricco  di  molte  figure  (4);  lo  avea  pub- 
blicato il  Winckelmann  (5);  ma  presa  avendo  una 
scena  accessoria  pel  subietto  principale,  lo  spiegò 
non  degnamente  ,  dandone  anche  un  rame  poco 
accurato. 

§.  in.  Storia  greca.  Un  erma  in  marmo  pen- 
telico  ci  rappresenta  la  nota  immagine  di  Epicu- 
ro (6);  ed  un  secondo   nello  stesso  marmo  vien  dal 


(1)  Tav.  Ili,  I. 

(2)  Mon.  ined.  t.  i,  p.  S"]  e  segg. 

(3)  Mon.  ant.  ined.  p.  33. 

(4)  Tav.  XXX. 

(5)  Mon.  ant.  ined.  num.  i35. 

(6)  Tav,  XXXVII,  3. 


200  Letteratura 

dotto  espositore  dichiarato  per  Pittaco  (1);  dobbia- 
mo avvertire  però,  che  non  ostanti  le  cose  scritte 
dal  Visconti  in  quest'opera,  nella  consecutiva  del- 
la greca  inconografia  non  ne  fece  più  motto.  Una 
statua  acefala  (2)  con  le  anaxaricU  e  spada  al  fian- 
co, fu  supplita  di  bella  antica  testa  barbuta:  fuv- 
vi  chi  la  disse  di  Massinissa;  ma  oltre  che  le  hrcic^ 
cae  non  convengono  ad  un  re  de'massili,  abbiamo 
di  lui  rifratti  sicuri  che  questo  non  somigliano.  Par 
certo  che  rappresenti  un  re  dell'Armenia;  dirlo  Ti- 
ridate,  sarebbe  congettura  non  dispregevole,  ma  pri- 
va d'appoggio;  convien  quindi  contentarsi  alla  de- 
nominazione dì  re  barbaro.  Un  busto  di  bello  sti- 
le (3)  e  di  vaga  e  bizzarra  disposizione  ne'  capel- 
li calamistrati,  fu  reputato  della  famosa  Berenice, 
la  prima  fra  le  regine  di  Egitto  di  tal  nome  ;  ed 
il  Visconti  in  quest'opera  vi  convenne.  Ma  certo  in 
appresso  mutò  parere  ,  non  avendone  fatto  cenno 
nella  greca  iconografia;  e  per  vero  quel  busto  non 
somiglia  i  certi  e  sicuri  ritratti  di  quella  regina  (4). 
Una  statua  pallata  sedente  (5),  mostra  senza  meno 
il  ritratto  di  un  filosofo;  dirlo  con  certuni  Belisa- 
rio, è  puerilità;  dirlo  con  altri  Diogene  o  Grisip- 
po,  si  oppone  alla  certa  cognizione  delle  immagini 
di  que'filosofi;  convien  quindi  contentarsi  a  deno- 
minarlo col  Visconti  d'incerto  filosofo  o  oratore. 
§.  IV.  Storia  romana.  Il  celeberrimo  busto  di 


(i)  Tav.  XXXVII.  4. 

(2)  Tav.  XXIII,  I. 

(3)  Tav.  XXXVI,  r. 

(4)  Icon.  greca  voi.  3  p.  ago  tav.  XI,  edir.  milan. 

(5)  Tav.  V,  I. 


Monumenti  borghesi  ani  201 

M.  Agrippa  (1)  fu  dal  nostro  autore  altre  due  vol- 
te pubblicato;  nella  romana  iconografia  cioè  (2)  e 
ne'inonumenti  gabini  (3);  ma  l'esposizione  che  qui 
ne  fa  è  più  di  quelle   elaborata    in   alcuna    parte. 
Una  statua  muliebre  acefala  (4)  ,   vestita  di  tuni- 
ca )  picciol  peplo  sul  petto,  ampio  manto  che  ne 
vela  il  capo  ,  e  da  cui  pende  un  serto  di  vitte  di 
lana,  tenente  dalla  sinistra  il  corno  dell'abbondanza, 
fu  restaurata  per  Cerere  ,   ponendole   nella  destra 
una  manna  di  spiche;  e  le  fu  opposta  una  masche- 
ra antica  d'indubbio  ritratto  di  Livia  Augusta.  Da 
Gabi  (5)  provenne  la  testa    maggiore  del  naturale 
di  Tiberio,  con  corona  civica  (6);  lavoro  da  pochi 
uguagliato  fra  i  ritratti  imperiali  che  giunsero  sino 
a  noi.  Anche  gabine  (7)  son  le  due  statue  di  Ger- 
manico e  di  Claudio  (8)   figli   ambidue    4»   Nerone 
Claudio  Druso;  la   prima  di  esse  è  forse  la  piìi  ec- 
cellente fra  quelle  che  ci  presentali  ritratti  romani 
seminudi  all'eroica.  Anche  la  medesima  provenien- 
za ha  una  statua  loricata ,  cui   fu  adattata  una  te- 
sta di  Caligola  (9);  e  qui  si  ripete  quella  stessa  il- 
lustrazione che   il  Visconti  ne  aveva  pubblicata  ne* 
monumenti  gabini  (10).  Di  Agrippina  minore  sono 
in  quest'opera  due  ritratti;  l'uno  inserito  sopra  una 


(i)  Tav.  XXXIX,  I. 

(2)  Voi.  II,  ediz.  di  Milano. 

(3)  Tav.  Ili,  num.  a,  ediz.  luilan. 

(4)  Tav.  XXII,  I. 

(5)  Mon.  Gab.  Tav.  XIV,  num.  3g  ediz.  mil. 

(6)  Tav.  XXXVI,  2. 

(7)  Mon.  Gab.  Tav.  IV,  5,  7  ediz.  mil. 

(8)  Tav.  XIX,  I,  2. 

(9)  Tav.  XXI,  2. 

(10)  Mon.  Gab.  Tav.  XIV,  28  ediz.  mil. 

G.A.T.LXXIV.  14 


202  Letteratura 

statua  di  Euterpe  (1);  l'altro  effigiato  nella  sua  pri- 
ma giovinezza  (2);  la  descrizione  di  questa  seconda 
statua  mancando  ne'  manoscritti  del  Visconti  ,  fu 
supplita  dal  De  Rossi.  Per  finezza  e  per  eleganza 
di  scultura  una  delle  più  pregiate  statue,  fra  quel- 
le di  romano  abito  vestite,  quella  si  è  cui  si  dà  il 
nome  di  Britannico  (3),  nome  che  forse  non  le  di- 
sconviene; la  bulla^  che  da  un  nastro  le  pende  sul 
petto,  è  ornamento  proprio  dell'età  di  quel  giova- 
ne ed  infelice  Cesare.  Condotto  con  gran  morbi- 
dezza è  un  busto  di  Nerone  (4),  ed  anche  di  mol- 
ta rarità;  perchè  il  pubblico  abborrimento,  che  se- 
guitò la  memoria  di  quel  prìncipe  scellerato,  fé  si 
che  pochi  ritratti  certi  di  lui  fino  a  noi  potessero 
giungere.  Già  in  altre  due  opere  (5)  aveva  il  Vi- 
sconti fatto  note  le  proprie  congetture  intorno  il 
ritratto  di  Gneo  Domizio  Corbulone  ;  ed  in  que- 
sta (6)  adduce  piìi  particolarmente  i  motivi  e  gli 
argomenti  che  lo  guidarono  a  quella  scoperta.  Ad 
una  statua  loricata  di  mirabile  artificio  ,  ma  ace- 
fala, fu  sovrapposta  una  testa  di  Traiano  (7);  e  qui 
se  ne  ripete  la  illustrazione  datane  ne' monumenti 
gabini  (8).  Similmente  da  quell'opera  (9)  vien  qui 


(1)  Tav.  XXII,  2. 

(2)  Tav.  XXIII,  2. 

(3)  Tav.  XVI,  2. 

(4)  Tav.  XXVII,  2. 

(5)  M.  Pio  Clem.  Voi.  VI,  p.  aSg  Tav.  62;  Mon.  Gabini  p- 
81,  Tav.  XVII,  ediz.  di  Milano 

(6)  Tav.  XXXVI,  3. 

(7)  Tav.  XIX,  3. 

(8j  Tav.  III,  num.  3  ediz.  niil. 
{9)  Tav.  VI,  num.  i5  ediz.  miì. 


Monumenti  borohesiani  203 

riprodotta  la  illustrazione  di  una  statua  acefala   (1) 
cui  fu  posta  una  testa  moderna  di  Plotina.  Il  piìi 
evidente  e  sicuro  ritratto  di  Elio  Vero  Cesare,  che 
si  conosca  in  tutta  l'antichità,  è  una  grandiosa  sta- 
tua imperatoria,  secondo  l'eroico  costume,  coperta 
di  un  solo  paludamento  sugli  omeri  (2).  Uno  de'piìi 
nobili  monumenti    gabini  è  quella  statua  femmini- 
le (3)  in  sembianza  della  Concordia,  cui  fu  impo- 
sta una  testa  di  Sabina;  la  illustrazione  non  diver- 
sifica punto  da  quella  dal  Visconti  già  prima  pub- 
blicata (4).  La  testa  del  famigerato   Antinoo    (5)    è 
di  tale  eccellenza,  che  non  dubita  l'A.  N.  asserire 
essere  nel  suo  carattere  la  più  bella  che  mai  scar- 
pello abbia  creata.  Essa  era  già  stata  pubblicata  da 
W^inckelmann  (6);  il  quale  forse  le  voleva  non  ra- 
gionevolmente anteporre  il  pur   celebre  bassorilie- 
vo Albani  di  quel  bitino.  Un  busto  colossale  di  An- 
tonino Pio  (7),  mancando  della  illustrazione  del  Vi- 
sconti, fu   brevemente    descritto   dal    De  Rossi.  Dei 
due  fratelli  per  adozione  e  colleghi  sul  soglio,  M. 
Aurelio  e  L.  Vero,  son  due  teste  colossali  (8)  che 
riuniscono  alla  non  ordinaria  mole  il  pregio  di  uno 
scarpello  franco  ed  istruito,  e  quello   di   una   per- 
fetta conservazione.  Non  minore  è  la  conservazio- 
ne, e  non  minore  è  il  pregio  artistico  di  due  bu- 


(1)  Tav.  XVIII,  2. 

(2)  Tav.  XXII,  5. 
(3)TaT.VI,  I. 

(4)  Mon.  Gab.  Tav.  XIII,  num.  S4  edJz.  rail. 

(5)  Tav.  XXXVI,  4. 

(6)  Mon.  ant.  ined.  num.  179. 

(7)  Tav.  XXXVIII,  t. 

(8)  Tav.  XXXIX,  2  3. 


204  Letteratura 

sti  di  L.  Settimio  Severo  e  di  Settimio  Geta  CD 
provenienti  da  Gabi  (2) ,  ed  il  secondo  precipua- 
mente per  la  rarità  delle  immagini  di  lui  da  tener- 
si in  gran  pregio.  Una  statua  in  sembianza  di  Ce- 
rere (3)  fu  dal  Visconti  creduta  una  Soemiade^  itiA 
poi,  cambiando  parere,  in  altra  opera  (4)  cori  mi- 
glior consiglio  la  disse  Giulia  Mammea»  Terminie-:^ 
remo  questo?  paragrafa,  ricordando  un  busto  quasi 
colossale  di  Roma  (5)  di  sor^prendente  nobiltà  e  bel- 
lezza; ed  una  testa  pitr  colossale^  ed  unica  nel  sua 
genere,  rappresentante  la  Spagna  (fi);  come  è  chiaro 
dal  coniglia,  e  dalla  corona  di  olivi  e  di  viti  che 
gli  circonda  la  fronte^i^ 

§.  V.  Costumi  religiosi f  cii'ili  ec-Vnnra.  trian- 
golare (7)  presenta  dalTuna  faccia  il  tripode  de* 
quindecemviri  con  la  cortina,  sulla  quale  il  corvo 
sacro;  dalla  seconda  la  figura  di  un  quindecemviro 
sacrificante;  dalla  terza  la  corona  di  spiche  de'  fra- 
telli arvali,  con  sopra  Taquila,  Una  statua  femmi- 
nile (8),  dal  gesto  delle  mani  aperte  e  supine,  che 
era  il  proprio  della  preghiera^  vien  detta  Vadoran* 
te;  tutto  ciò  che  non  è  nudo  (e  questa  è  pochissimo) 
è  in  porfido,  operato  con  la  maggior  finezza  e  dili- 
genza di  maestria  e  di  lavoro*  Un  bassorilievo  con 


(1)  Tav.  XXXVIII,  3,  4. 

(2)  Mon.  Gabini  Tav.  IV,  4  XIV,  07  ediz.  mif. 
(3j  Tav  X,  I. 

(4)  Notizia  del  Museo  Napol.  fra  le  opere   varie  voi-   IV,  p- 
498  nuni.  420  ediz.  mil. 

(5)  Tav.  XXXVII,  i. 

(6)  Tav.  XXXVIII,  I, 

(7)  Tav.  XLI. 

(8)  Tav.  VI,  2. 


Monumenti  borghesiani  205 

figure  maggiori  del  naturale  (1),  per  le  vittime  de' 
tori  chiamate  massime,  e  per  le  insegne  della  di- 
gnità suprema  che  vi  si  vedono  espresse,  fu  detto 
trionfalei  ed  appartenne  senza  meno  a  qualche  arco 
od  altro  pubblico  monumento  delle  vittorie  di  un 
qualche  augusto.  Precisar  quale,  è  impossibile:  la 
testa  senile,  ma  senza  barba,  di  quella  figura  che 
50stifin  l'acerra,  dimostra  che  è  anteriore  ad  Adria- 
no; e  facilmente  in  quella  figura  devesi  riconoscere 
un  de'  flamini,  o  un  degli  auguri,  vestito  con  la 
laena  villosa.  Altro  bassorilievo  eccellente  per  l'ar- 
te e  pel  soggetto  singolare  (2)  rappresenta  tre  don- 
ne turrite  e  coronate  d'alloro:  son  desse  tre  città 
greche  personificate,  che  stanno  per  offrir  sacrifici 
a  qualche  imperatore,  quasi  a  nume  presente,  e  co- 
me loro  liberatore.  Altri  due  egregi  bassorilievi  e- 
sprimono  un  coro  di  vergini  sacrificanti  e  danzan- 
ti (3).  Nel  primo  un'ara  a  forma  di  candelabro  sta 
dinanzi  al  prospetto  di  un  tempio  corintio  tetrasti- 
lo;  due  vaghissime  donzelle  stanno  ornando  l'ara  di 
grandioso  encarpo;  mentre  una  terza  ha  in  mano 
delle  frutta  per  offerirle  al  nume.  Nel  secondo  al- 
tre cinque,  non  meno  vaghe  di  quelle,  si  avanzano 
danzando  intorno  al  tempio,  e  tenendosi  l'una  l'al- 
tra per  mano,  con  atteggiamento  graziosissimo.  Il 
discobolo  (4),  benché  non  d'intera  conservazione  co- 
me il  vaticano,  è  però  elaborato  con  maggiore  dili- 
genza e  finitezza.  Un  vaso  marmoreo  di  bella  for- 


(i)  TaT.  XXIX. 
C2)  Tav.  XXXII. 

(3)  Tav.  XXIX,  e  XXV 

(4)  Tav.  IV,  I. 


20(5  Letteratura 

ma,  e  di  elej?anti  proporzioni  (1),  è  ornato  di  quat- 
tro maschere;  tre  sileniche  e  barbute,  una  imberbe 
faunina;  vi  è  pure  un  pedo,  due  nebridi,  e  due  cem- 
bali sospesi;  tutto  il  lavoro  è  grandioso,  di  stile  e- 
gregio,  e  di  perfetta  integrità. 

§.  VI.  Monumenti  moderni.  Due  statue  di  ca- 
milli,  o  ministri  di  sacrifici  (2),  benché  moderne, 
meritano  l'attenzione  di  chi  ama  le  arti;  si  perchè 
egregiamente  copiate  dalTantlco,  e  sì  pel  ricco  ma- 
teriale in  che  sono  condotte.  I  panneggiamenti  son 
di  alabastro  orientale  fiorito  di  color  giallo  a  liste 
rossastre;  nella  cintura  e  nel  piccol  manto  di  rosso 
antico;  le  teste  e  le  altre  membra  di  bronzo.  Il 
gruppo  di  Apollo  e  Dafne  (3)  fu  sculto  dal  Bernini, 
mentre  ancor  seguitava  i  buoni  principi!  dell'imita- 
zione  dal  vero.  Dello  stesso  scultore  è  il  David  (4) 
in  atto  di  scagliar  il  sasso  con  la  fionda;  ma  Toperò 
quando  già  erasi  dato  in  braccio  alla  maniera.  Le 
descrizioni  di  questi  due  marmi  sono  del  De  Rossi. 

Fin  qui  dei  lavori  del  sommo  archeologo  in- 
torno i  Monumenti  scelti  borghesiani.  Se  non  che  il 
eh.  Labus,  nel  darne  questa  ristampa,  l'arricchì  di 
altra  produzione  pur  del  Visconti.  È  questa  una 
memoria  scritta  in  lingua  francese,  da  poco  tempo 
pubblicata  dal  Panofka.  Il  Labus  ne  ebbe  copia  per 
cortesia  del  Raoul-Rochette.  Si  raggira  intorno  un 
vaso  fittile,  ricco  di  figure  e  d'iscrizioni,  apparte- 
nuto prima  al  Durand,  ora  presso  il  conte  di  Pour- 


{ij  Tav.  XL. 

(2)  Tav.  VII,  I,  2. 

(3)  Tav.  XLIII,  I. 

(4)  Tav.  XLIII,  2. 


Monumenti  borchesuki  207 

lales-Gorgler.  Già  il  Millin  V  avea  pubblicato  ne* 
suoi  Monumenti  inediti  (1),  dai  quali  l'editore  mi- 
lanese  tolse  i  disegni,  che  in  tre  tavole  (2)  accom- 
pagnano questa  memoria.  Il  Visconti  la  ebbe  divisa 
in  quattro   paragrafi:  descrisse  nel  primo  il  monu- 
mento ,  per  la  forma  e  per  la  integrila  pregevo- 
lissimo: spiegò  nel  secondo  la  rappresentanza  della 
faccia  anteriore.  Si  vede  in  essa    un'amazone  a  ca- 
vallo  combattente  contro  un  guerriero  a  piedi,   ed 
aiutata   da  altra    amazone   pedestre  :    le   iscrizioni 
greche  insegnano   esser   Ippolita  la  prima  ,   Teseo 
il  secondo,  l'altra  Dinomxiche.  La  mossa  del  Teseo 
somigliando  perfettamente  quella  del  così  detto  G/a- 
diator  combattente  borghesiano,   ne  prende  il  Vi- 
sconti motivo,  come  già  sopra  accennammo,  a  con- 
validare e  rettificare  in  parte  la  propria  esternata 
opinione  intorno  quel  nobilissimo  marmo  di  Aga- 
sia.  La  faccia  posteriore  del  vaso  viene  spiegata  nel 
terzo  paragrafo:  vi  è  dipinta  una  donna  (  Dinoma' 
che  )  che  presenta  la  tazza  ad  un  giovine  (  Polite  ), 
innanzi  al  quale  è  una  seconda    figura    femminile 
(Filonoe).  Fra  le  diverse  cerimonie  degli  sponsali, 
eravi  pur  quella,  che  obbligava  la  suocera  di  pre- 
sentar la  tazza  al  futuro  genero,  affinchè  questi  be- 
vesse; quindi  è  chiaro  che  il  vaso  fu  dipinto  nel- 
l'occasione del   matrimonio  di  Polite   con   Filonoe 
figlia  di  Dinomache  ;  ed  assai  facilmente  la  somi- 
glianza del  nome  di  costei  con  quello   dell'amazo- 
ne  pedestre  della  faccia  anteriore,  consigliò  a  rap- 
presentarvi quel  combattimento,  nel  quale  Dinoma' 


(i)  Tomo  i.p.  355. 

(a)  Tav.  agg.  lett.  A.  B.  C. 


208  Letteratura 

che  aveva  avuta  parte.  Nel  quarlp  paragrafo  ana- 
lizza 11  Visconti  le  iscrizioni  del  vaso.  Tutta  la  me- 
moria per  la  molta  dottrina  cl>e  racchiude  è  l^en 
degna  di  quell'archeologQ  sublime. 

Sieno  rese  sincere  grj^zie  al  eh.  Labus  per  la 
diligente  cura  adoperata  non  solo  in  questo  volu- 
me, ma  nella  ristampa  di  tutte  le  opere  del  Viscpn- 
ti;  opere  che  si  spaziano  per  diciannove  volumi»  e 
che  contengono  un  vero  tesorp  della  più  recondita 
dottrina  In  ogni  ramo  della  scienza  deir^ntlcl>lta. 
E  se  questi  fogli  verranno  a  fortuna  nelle  mani  di 
lui,  vogliamo  pregarlo  a  non  ritardare  più  oltre  la 
pubblicazipne  di  altri  scritti  Inediti  tjl  quell'inge- 
gno italiano,  che  sappiamo  tener  egli  in  serbp;  e 
di  pubblicare  insiememente  rin41ce  geneirale,  da  li^i 
con  tanta  fatica  e  diligenza  redatto;  dal  quale  molr 
ta  utilità  tornerebbe  agli  amatori  di  questi  studi. 

c.  e. 


Poesie  dell'avvocato  Giuseppe  Pellegrini.  Firenze 
per  V>  Batelli  e  figli  18S5,  in  12  di  pag.  190. 

Adalberto^  cantica  dello  stesso.  Ivi  presso  S>  l/si-r 
gli  1836,  in  12  di  pag.  72. 


K 


el  fascicplp  (Ji  pttpbre  ^837  gbbianjiQ  parla-r 
tp  di  due  tragedie  dell'avvoc^tp  Pellegrini  ,  la  Gio- 
\>anna  e  il  Decebalo,  Ipdandp  l'ingegnp  di  lui  cp- 
s\  ben  disppstp  agli  studi  gentili.  Se  tantp  può 
nella  drammatica  ppesia,  campp  difficile  quant'al- 
tro  mai,  npn  era  a  dubitare  che  egli  avesse  innanzi 


Pqe$ie  pel  Pellegrini  209 

nella  lirica  ^ingolairipente  niiett^to  palme  onorate.  Di 
,che  fummo  certi  al  giungerci  questo  caro  libretto  , 
che  pra  annunciamo;  e  contiejie  le  ppesie  già  pub- 
blicate fino  dal  4835,  e  J' Adalberto  cantica  uscita  fi- 
no dal  ^83Q  anteriornjente  alle  lodate  tragedie.  Così 
sempre  più  ^bbianio  a  rallegrarci  con  lui,  che  ha 
mente  e  cypre  per  la  nobile  poesia,  ed  è  putrito 
nella  scuola  de'classicì,  speci^ln^ente  di  Dante,  au- 
tore e  maestro  degnissimo  a  chi  ama  di  scrivere 
con  forza,  con  evidenza,  con  leggiadria.  Il  Pelle- 
grini si  è  provato  non  solo  nelle  terzine,  jna  sn- 
elle in  altri  metri,  e  fiesce  più  che  molto  nel- 
Tottava  rima.  Ricorderemo  singolarmente  la  can- 
tica intitolata  la  Gloria  in  ter:5Ìne,  e  V Adalberto 
in  ottave:  ma  tratti  dalla  dolcezza  dell'argomento 
toccheren^o  di  un  canto  intitolato  nCa  Jj^neficenza, 
virtù  tanto  cara   al  gentile  scrittore. 

Una  scena  gli  si  appresenta  di  crude  ire  fra- 
terne, e  dice 

p  . . . .  tutta  è  di  guai  la  terra  piena, 
>>  r^iun   sorriso  di  ciel  più  la   serena. 

^  continua  cosi; 

»  -  No,  vcfx  grida  una  voce  alta  e  solenne, 
■  Non  abbai>4p^a  ì  suoi  figliuoli  Iddio. 
B  Mi  scpssi,  e  vinto  il  guardo  non  sostenne 
»  D'un  viso  il  fiannimeggiar  superno  e  dio; 
»  Librato  in  aèr  s^Ue  bisinche  penne 
»  Di  mirande  sembianze  angipl  vid'io; 
»  -  No,  suoi  figliuoli  Iddio  non  abbandona, 
V  £d  è  sempre  benigno  anco  se  tuona. 


210  Letteratura 

La  voce,  che  così  dice,  è  la  voce  dell'angelo  custo- 
de, che  lo  guida  in  cielo 

»  Entro  il  torrente  deireterna  luce. 

Ai  prieghi  della  gran  Madi-e  il  Verbo  manda  sul- 
la terra  la  heneficenza  ,  colia  quale  il  poeta  di- 
scendendo, ode  da  un  povero  tugurio  lamentarsi 
misera  madre,  che  stringe  al  seno  un  caro  figlio, 
cui  necessità  di  guerra  trar  vuole  tra  Tarmi:  el- 
Ja  così  dice: 

»  -  O  mio  diletto  figlio,  anima  mia, 
»  Sola  speranza  a'miei  anni  cadenti, 
»   Chi  all'amor  mio  t'invola,  anima  mia, 
»  Me  lasciando  agli  strazi  ed  ai  tormenti? 
»  Questi  occhi  senza  te,  anima  mia, 
»  Da  chi  saran  mai  chiusi  dopo  spenti? 
»  Chi  mai  di  terra  coprirà  quest'ossa, 
»  Chi  pace  pregherà  sulla  mia  fossa? 

La  povertà  era  tanto  più  dura  alla  mìsera  madre, 
che  al  prezzo  dell'oro  avrebbe  potuto  ricomprarsi 
la  vita  del  figlio:  ed  ecco  la  beneficenza  le  piove 
in  seno  dell'oro,  e  si  asconde  e  sparisce.  A  questa 
scena  succede  un'  altra  di  una  famiglia,  che  geme 
intorno  al  vecchio  padre,  e  riceve  soccorso  dalla 
donna  celeste: 

»  Come  appassite  mammole  la  testa 
»  Ergon  se  brina  le  rinfreschi  alquanto, 
»  Il  padre  e  i  ristorati  parvoletti 
»  Gioiosi  alzaro  i  serenati  aspetti. 

Altre  miserie  sono  descritte,  e  sempre  nuove  mi- 
sericordie. Riferiamo  quest'una  almeno: 


Poesie  del  Pellegrini  31 1 

a  Cacciata  deirovil  timida  agnella 
»  La  vergine  di  Dio  dolora  e  piagne, 
»  Che  un'  empia  le  rapi  forza  rubella 
»  Il  santuario  e  le  dolci  compagne. 
*  »  Cupidi  intorno  a  se  la  meschinella 
»  Vede  lascivi  ceffi  e  man  grifagne; 
»  Ah  che  sperar  non  può  quella  colomba 
»  Di  serbare  il  candor  che  nella  tomba! 

»  Ma  innanzi  le  si  para,  e  le  fa  scudo 
»  Del  santo  petto  la  divina,  e  fuore 
»  Dal  tempestar  del  pazzo  mondo  e  crudo 
»  La  ritorna  agli  amplessi  del  Signore. 

Mentre  il  poeta  si  accende  di  affetto  per  quella  ce- 
leste,  l'angelo  di  lui  custode 

»  -  Non  abbandona  i  suoi  figliuoli  Iddio  - 
B  Sclamò,  e  la  santa  vision  sparìo. 

Così  varietà  con  unita  trovasi  congiunta  nel  com- 
ponimento, che  abbiamo  toccato.  Vorremmo,  che  i 
termini  prescritti  ci  permettessero  recare  altri  trat- 
ti di  queste  poesie;  ma  ciò  non  potendo,  non  lasce- 
remo di  confortare  l'autore  a  piìi  degne  opere,  scio- 
gliendosi affatto  dal  vincolo  di  una  soverchia  imi- 
tazione, la  quale  se  è  buona  a  chi  comincia  (benché 
niuna  cosa,  che  sia  soverchia,  può  tornar  buona), 
certamente  diventa  cattiva  (se  già  non  lo  è)  quan- 
do uno  scrittore  avendo  volato  pei  fiori  del  giardi- 
no delle  lettere  e  succhiatone  il  dolce  ,  dee  omai 
da  se  come  ape  produrre  il  mele.  Il  signor  avvo- 
cato Pellegrini  è  gik  bene  innanzi,  e  non  ha  biso- 
gno di  venire  accattando  ora  da  Dante,  ora  da  al- 
tri de'versi  interi,  come  ha  praticato  in  alcuni  pas- 


212  Le  tteratura 

si  abbenchè  rari,  notandoli  convenientemente.  Può 
già  fare  da  se,  e  far  bene,  come  ciascuno  avrà,  po- 
tuto conoscere  dai  pochi  brani  arrecati  di  sopra. 
Un  suo  pregio  è  (juello  di  cercare  l'armonia  imita- 
tiva, <e  più  volte  è  riuscito  con  felice  successe*  tut- 
tavia qualche  rsr?  volta  lascia  forse  apparire  lo  stu- 
dio e  l'arte;  cosa  contraria  al  bello  stile,  che  vuol 
parere  tutto  natura.  Ma  (jneste  sono  lievi  mende, 
se  pur  sono,  e  da  potersi  facilmente  levare.  JL  noi 
non  vogliamo,  che  l'autore  creda  alle  nostre  parole 
se  non  quando  intendiamo  a  lodarlo  del  suo  molto 
ingegno  e  dell'amore  alle  belle  cose,  pi  che  a  non 
parere  ne  scarsi,  né  soverchi,  vogliamo  almeno  re- 
care  alcune  terzine  dell'elegia  in  morte  di  S.  A.  I. 
e  R.  Maria  Anna  Carolina  di  Sassonia,  che  fu  gran- 
duchessa di  Toscana:  cosi  vedrassi  altresì  come  l'au- 
tore foggi  le  sue  tergine, 

I»  Al  consorte,  alla  prole  il  pensier  corre, 
»  Che  di  duol  proni  in  atto  miserando 
»  Stanno  Testremo  suo  sospiro  a  corre, 

»  Teneramente  gogguardolli,  e  quando 
j»  Vide  que' volti  incominciò  pietosa; 
»  -  Questi  cari,  o  signor,  ti  raccomando. 

»  Deh  non  pianger,  consorte!  Avventurosa 
»  È  mia  fortuna:  figlie,  non  piangete 
V  Or  che  la  madre  vostra  al  ciel  si  sposa. 

i>  Non  pensate,  ven  prego,  alla  morente; 
■  Che  questo  è  sonno,  e  al  ridestarci  tutti 
p  Ci  abbraccerem  lassuso  eternamente. 

P  Sol  d'una  grazia  estrema  or  farne  lieta 
»  Ben  puoi,  tu  amico,  questa  pellegrina; 
»  Ah!  la  chieggo  alla  tua  tenera  pietà. 


Poesie  del  Pellegrini  213^ 

»  Vedi  umana  grandezza  ove  dechina: 

'  »  ,     ,     , •     .     ••  '"^ 

»...     Tosto  che  spenta 

»  Or  or  fia  pure  questa  spoglia  grama« 

»  S'erga  una  prece  airanima  contenta, 

»  Che  propizi  A  colui  che  ^Ccoglié  ed  ama 
»  Deirumild  il  sospiro»  ei  pili  che  il  pianta 
«  D'intemerato  cor  gli  affetti  brama. 

»  Qilel  che  vano  è  per  me  regale  ammanto  ^ 
»  Copra  la  nudità  del  povei'ellOj  ,  :,.!  i.  | 
»  Che  dai  digiuni  e  patimenti  è  affranto.  ^^,.^ , 

jtt  Vedi  che  ai  me  stende  le  braccia:  oh!  quell9t.j.:j 
»  Duro  mi  £ora  abbandonar',  se  indietro  ,  ^j., 
w  Non  gli  lasciassi  in  t0  padre  e, fratello*^ ^^,,3^ 

»  E  oh  come  fia  pei*  me  sul  mio  fere  tra  ;j,9„  q^i 
»  Quel  benedetto  suqpregar'  di  pace  «jil^ 
»  D'ogni  ùmania  armonia  piìi  dolce  nietro!,  ^^^ 

»  Ma  già  s^appressa  del  Signor*  la  pace  < 
»  A  consolai*  quest^anima  .  .  i  spirante 
»  Addio j  figlie»  consorte . .  * .  io  vado  in  pace 


4  <  «  « 


Conchiudendo  ci  rallegreremo  »  che  Una  fiorita  spe- 
ranza alle  dolcissime  lettere  abbiasi  nel  giovine  au- 
tore. Quando  l'Italia  è  dolente  di  tante  e  sì  gravi 
perdite,  ai  novelli  si  conviene  studiare  di  forza  nei 
classici»  e  non  lasciare  alla  nostra  età  il  rimpro- 
vero di  mancare  alla  gloria,  dimenticando  ciò  che 
a  cima  di  lode  conviensi»  come  avvisava  un  gran- 
de epico  nostro;  . 

»  Chi  non  gela,  non  suda,  e  non  s^estoUe 
i>  Dalle  vie  del  piacer,  là  non  perviene.  » 

D.  Vaccolini 


2U 


Due  lettere  del  Barthélemy. 

AL  CONTE   ETTORE   BORGIA, 
CLEMENTE    CARDINALI 

Xntitolandovi  queste  due  lettere  ,  credo  far  cosa 
conveniente  a  voi  cui  le  dirigo,  a  me  che  ve  le  of- 
fero.  A  me,  perchè  l'argomento  loro  essendo  intor- 
no una  tessera  ospitale,  ricordo  con  vera  compia^ 
cenza  che  una  tessera  d'ospitalità,  non  mai  rotta  in 
tre  generazioni,  esiste  fra  la  vostra  e  la  mia  fami- 
glia: a  voi,  si  perchè  il  monumento  era  nel  domesti- 
co vostro  museo,  e  sì  perchè  non  dubito  punto,  che 
non  sia  per  esservi  gratissima  la  lode  del  cardinale 
vostro  prozio. 

Piacciavi  dunque,  mio  carissimo  Ettore  ,  acco- 
gliere benignamente  questa  ofiferta,  e  ritenerla  a  te- 
stimonianza di  quella  amicizia,  che  non  essendo  del 
caso,  ne  della  fortuna,  da  lunghi  anni  ci  tiene  uniti. 
£  state  sano. 

Di  Velletri  il  primo  di  dicembre  1837, 


LETTERA  I.  DEL  SIG.  BARTHÉLEMY  (1). 

A  Monsieur  Adler  (2).  Paris  ce  25  iuin  1782  (3). 

l'ay  vù  avec  beaucoup  de  plaisir,  monsieur,  l'in- 
scription  que  vous  m'avez  fait  l'honneur  de  me  co- 


Lettere  di  Bartiiélbmy  2f5 

muniqiier  de  la  part  de  monsignor  Borgia,  dont  les 
lumieres  ne  me  laissent  aucun  doute  sur  rautenticité 
de  l'originai,  et  sur  l'exactilude  de  la  copie.  le  rap- 
porterois  volentiers  ce  monument  au  VI  ou  V  siede 
avant  l'ere  vulgaire  (4).  L'inscription  est  en  diale- 
cte  dorique,  tei  qu'il  etoit  en  usage  dans  la  Grande 
Grece,  ou  elle  a  eté  trouveè.  Quelques  lettres  pre- 
sentent  des  formes  peu  connùes,  mais  leur  valeur 
est  determinée  par  les  anciens  monuments  ,  ou  par 
le  sens  de  l'inscription  :  telles  sont  les  suivantes. 

D  -  A:  Gomme  dans  les  plus  anciennes  medail- 
les  de  Zanclé  ou  Messine  (5). 

l-r  = 

%-/ote:  comme  sur  la  colonne  de  mons.  le 

senator  Nani.  '^^ 

M  -  M:  comme  sur  plusieurs  monuments  (Gp*l 

+  -s(7).  n. 

M  -  2  :  Comme  sur  les  anciennes  medailles  de 
Sybaris,  Posidonium  etc.  (8). 

4^-X(9). 
Il  faut  remarquer  encore  le  digamma  avant  le  mot 
OIKIAN;  e  Vomicron  fesant  quelque  fois  la  fonction 
de  V omega.  D'apres  ces  notions  ,  je  vais  tracer  l'in- 
scription avec  les  caracteres  plus  usités. 

0EO2  .  TTXA  .  2AQTI2  .  AIA 
OTI  .  2IKAINIAI  .  TAN  .  FOX 
KIAN  -  KAI  .  TAAAA  .  HANT 
A  .  AAMIfìPr02  .  HAPArOP 
Al .  nPOHENOI  .  MINKfìN 
APMOSIAAMOi; .  ArA0AP 
X02  .  0NATA2  .  EniKQP 
02. 

£n  voicy  maintenant  la  traduction  litterale  en  latin. 


216  Letteratura 

Dea  Fortuna  servatrix 

dat  Sicaeniae  domum 

et  reliqua  omnia, 
(culli  esset)     Demiurgus  Paragorasj 
(CUBI  essent)  Proxeni,  Mincon, 

yirmOxidamus,  Agatharcus, 

Onatasi  Epicurus  (10). 

Ce  decret  est  signe  d'aboril  par  Paragoras,  qui  etoit 
deraiurge:  c'est  le  tìtre  que  donnoient  a  leurs  prin- 
cipaux  magistrats  plusieurs  villes  d'origine  dorien- 
ne  (Voyèz  Tucyd.  lib.  V,  e.  47,  Hesichius  etc.)  (11). 
Le  decret  est  signé  enjcore  pap  cinq  proxenes  : 
ce  nornt  se  donne  souvent  a  des  citoyens  chargés  de 
protegei' les  etrangers,  qui  avoient  obtenU  le  droit 
d'hospitalité  dans  une  ville  (12).  Leur  signature 
prouve  qu'iJ  s*agit  icy  de  la  concession  d'un  pàreil 
droit,  et  quef  par  le  mot  OIKIAN,  il  faut  entendre 
la  maison,  Thospice  public,  oìi  Fon  avoit  soin  de 
loger  les  nouveaux  hosles  (13):  c'est  peut  étre  dans 
ce  sens  que  paripi  les  difFerentes  acceptions  que 
Suidas  donne  au  mot  piX^U ,  on  trouve  celui  de 

Le  privilege  de  l'hospìtalité  publique  en  en- 
tranoit  d'autres,  exprimés  dans  le  decret  par  ces 
mots  KAI .  TAAAA  .  HANTA  (14). 

La  seule  difficulté  qui  m'  arrete  ,  est  le  mot 
2IKAINIAI.  l'avois  d'abord  cru  qu'il  pouvoit  desi- 
gner la  nalion  des  sicanes,  qui  avait  autrefois  pos- 
sedè la  Sicile  ,  et  qui  du  tenjps  de  Thucidide 
(lib.  1)  (15)  reduite  a  bien  peu  de  cliose,  occupait 
ancore  quelques  unes  des  cotes  occidentales  de  cette 
isle.  Mais  le  nora  de  ce  peuple  etoit  2IKAN0I,  non 


Lettere  di  Bartiiélemy  217 

2IKAIN0I;  et  de  plus  on  auroit  dit  2IKA.IN0I;  plu- 
tei qiie  2IKAINLAI,  aitx  sicaniens  plutot  que  a  la 
Sicanie.  Il  paroit  dono  qu'il  s'agit  icy  d'une  femme 
vìommi^e  Sicania  (16).  On  pourroit  incidenter  sur 
ce  nom,  ainsi  que  sur  celai  de  Mincon  ,  qui  vient 
aprés;  l'un  et  l'autre  ne  se  trouvent  peut  étre  point 
dans  les  anciens  auteurs;  mais  ce  n'est  pas  une  rai- 
son  de  le  rejetter  t  et  loin  de  nous  arreter  sur  des 
objets  si  minucieux,  concluons  de  ce  que  nous  avons 
dit,  que  Tinscription  contient  un  decret  pour  ac- 
corder  a  quelqu'un  l'hospitalité  publique. 

Le  decret  est  grave  sur  une  de  ces  tablettes  de 
culvre,  que  dans  de  pareilles  occasìons  on  remettoit 
entre  les  mains  de  la  personne  favorisce,  pour  luì 
servir  de  titre.  Cet  usage  est  prouvé  par  plusieurs 
exemples  ;  par  deux  entr'autres,  que  le  P.  Paciau- 
di  a  rapporté  dans  ses  Mommi.  Pelopon.  T.  2  p.  143. 
Ciceron  (  //:  f^err.  lib.  IV  e.  65;  en  parlant  des  hon- 
neurs  que  le  senat  de  Syracuse  lui  avoit  decernè, 
-    ainsi  qu'a  son  frere,  dit:  Decernunt  statimi  primiim 

ut  cimi  L.  fratre  hospitium  publice  fieret 

id  non  modo  tum  scripseriint^  verum  edam  in  ae- 
re inciso  nobis  tradiderunt.  Autre  exemple  :  le  se- 
nat et  le  peuple  de  Malthe  ayant  accordé  Thospita- 
litè  publique  k  un  certain  Demetrius  ,  ordonnerent 
d'inserire  le  decret  sur  deux  tablettes  de  cuivre,  et 
d'en  don  ne r  une  a  ce  Demetrius  :  no6%i'Jiccj  xooj  t>jv 

àlC^ÓXH  (17). 

Si  vous  croyez,  monsieur,  que  ces  notes  rassera- 
blées  il  la  hate,  et  au  milieu  d'une  foule  d'embar- 
ras,  meritent  d'etrc  mises  sous  les  yeux  de  mons. 
Borgia;  je  vousserai  obligè  de  \es  lui  envoyer,  en  y 
joignant  l'hommage  de  mon  rcspect,  et  de  ma  recon- 
G.A.T.LXXIV.  15 


218  Letteratura 

noissance.  Acceptez  en  meme  temp  pelui  de  Testi- 
me,  et   de    1'  attachement  inyiplable  ,  avec  le  quel 
i'ay  l'honneur  d'etre, 
Monsieur, 

Votre  tres-humble  et  ires-obeissant  serviteifp 
Bartliélemy 

LETTERA   II, 

Monsieur  (13). 

C'etoìt  unicmement  pour  me  cpnformer  a  vos 
desirs  que  j'avois  hazardcs  quejques  remarques  sur 
l'inscription  ,  que  vous  ra'  avlez  fait  l'honneur  de 
m'envoyer.  le  ne  les  aurois  pas  destinées  a  l' im- 
pression  ;  mais  vptre  sufFrage  me  rassure,  et  je  se- 
ra! tres  flatté  ,  si  elles  peuvent  contribuer  a  faire 
connpitre  ce  monument  (19). 

Le  observations  contenìies  dans  votre  lettre, 
monsieur,  confirment  la  haute  idée  que  j'avois  de 
vos  lumieres.  Jl  est  singulier  en  efFet  ,  qu'on  n'eut 
pas  exprimé  sur  cette  lame  de  bronze  le  nom  de  la 
ville  (20):  mais  outre  que  nous  ne  pouvons  aujord- 
hui  juger  des  usages  de  ces  temps  reculés,  ainsi  que 
vous  l'avez  remarqué  vous  meme,  je  vous  prie  de 
considerer  que  ce  n'est  pas  icy  un  monument  pour 
la  poslerilé,  mais  une  simple  concession  faite  à  une 
personne  particuliere,  ou  a  une  nation.  Les  noms 
des  magistrats  ne  suffispient  ils  pas  pour  donner  U 
cet  acte  l'autenticité  dont  il  avoit  besoin  (  29  ?  Il 
me  semble  qu'il  en  coute  moins  d'adopter  cette  idée, 
que  de  prendre  le  mot  2A0TI2  pour  le  nom  d'une 
ville,  dont  il  ne  reste  aucune  trace  dans  les  auteurs 
anciens  (22).  Ce  nom  ne  se  trouvc  pas  dans  les  ecri- 


Lettere  di  Barthélemy  219 

valns  grecs  (23);  il  m'arreta  au  moment  qiie  je  vis 
rinscription.  le  chcrchois  a  le  decomposer,  lorsqii' 
im  de  mes  amìs,  qui  arriva  par  liazard,  me  propo- 
sa de  le  prendre  pour  le  ferainin  de  lAOTHP.  L'a- 
nalogie de  la  langue  justifioit  cette  conjecture,  et 
je  la  preferai  a  toutes  celles  que  j'avois  imaginées. 
Si  r  on  oppose  qii'en  Sicile  les  doriens  disoient 
^QTEIPA,  au  lieu  de  2A0TI2  ,  nous  repondrons 
que  dans  la  Grande  Grece  ils  ont  pù  employer  cet- 
te seconde  forme.  l'ajoute  que  2AQTI2  se  lie  natu- 
rellement  avec  les  deux  mots  precedens.  Vous  se- 
riez  d'avìs,  monsieur,  de  les  isoler,  comme  dans 
plusieurs  inscriptlons  qui  commencent  par  AFAOH 
TTXH:  mais  ce  deux  mots,  n'y  sont  ils  pas  toujours 
au  datif  ?  Je  ne  puis  verifier  le  fait,  parceque  je 
n'ay  à  la  campagne,  cu  je  me  trouve,  aucun  recueil 
d'inscriptions.  le  ne  me  rappelle  pas  non  plus,  si 
dans  les  concessions  d'Iiospitalité  rapportées  par  le 
P.  Paciaudi,  et  citées  dans  ma  lettre  a  mons.  Adler, 
il  est  fait  mention  des  descendents  de  la  personne 
à   qui  Fon  avoit  accordé   ce   privilege  (24). 

Reste  le  mot  2IKAINIAI,  qui  n'est  pas  moins 
embarassant  que  celai  de  2AQTI2.  Il  peut  designer 
une  femme,  ou  la  petite  nation  des  sicaniens.  De 
ces  deux  acceptions,  j'  avois  preferé  la  premiere, 
vous  clioisiries  volontìers  la  seconde.  Il  me  semble 
que  dans  les  privileges,  que  les  peuples  s'accor- 
doicnt  mutuellement,  on  n'exprimoit  pas  le  nom 
de  la  ville  principale,  ni  celui  de  la  nation,  mais 
le  nom  patronymique  des  habitans  ;  par  exemple 
on  ne  disoit  pas  Bysance  accorde  k  Athenes,  mais 
les  bysantiiis  accordent  aux  atheniens  etc.  (25). 

Si  dans  ces  sortes  de  discussions,  il  etoit  per- 
mis  de  se  laisser  alier  au  scntimcnt  et  au  rcspect, 


220  Letteratura 

ie  me  serols  sans  hesiter  rendu  a  vos  reflexions  i 
le  vous  prie,  monsieur,  de  croire  qu'il  m'a  fallu  du 
courage  pour  resister  au  penchant  qui  m'entrainoit, 

l'ignore  si  de  nouvelles  recherches  me  met« 
troient  à  portée  de  donner  plus  d'etendiie  a  l'e^xpli- 
cation  que  j'ay  eu  l'honneur  de  vous  proposer;  mais 
je  ne  puis  m'y  livrer  dans  le  sejour  que  j'habite,  et 
ou  je  compte  de  passer  encore  quelques  mois  :  j'y 
suis  prive  de  tous  les  secours  necessaires,  et  n'ay 
pas  meme  la  copie  de  l?i  lettre  que  j'ecrivis  a  mon-' 
sieur  Adler. 

Ne  jugeriès  vous  pas  a  propos,  monsiour,  de 
comuniquer  rinscription  a  des  savans  plus  en  etat 
que  moi  de  lever  tous  les  doutes  ?  le  prendrois  la 
liberto  de  vous  indiquer  entr'autres  le  pere  Paciau^ 
di  k  Parme,  et  monsieur  de  Villoisons  de  notre  ar 
cademie  des  inscriptions  a  Venise  (26).  I,e  premier 
est  tres  familifirisé  avec  les  monuments  anciens,  le 
second  avec  les  auteurs  grecs  :  1'  une  et  Tautre  se 
faroient  un  devoir  de  concourir  aux  vuj^s  d'un  prer 
lat  destine  a  relever  une  branche  de  literature  trop 
negligée  aujourdhui  (27).  Ils  n'  auroient  pas  plus 
de  zele  que  j'en  ay  eprouvé,  mais  vous  pourriez  en 
attendre  plus  de  succés.  J'ay  l'honneur  4'etve  «^vec 
un  respect  sans  bornes, 
Monsieur, 


A'  Ghanteloup  en  Touraine  ce  24  aoust  178?, 


Votre  tres-humble  et  tres  obelssant  serviteur 
Barthélemy 


221 

NOTE 


[ì]  Cui  ilon  è  nòto  Gioì  Iacopo  Bartliélémy  ?  Nato  a  Cassis 
il  20  gen.  1716,  morì  a  Parigi  il  3o  aprile  1795.  Celebre  nu- 
ihismaticOj  dottissimo  poliglotte^  molte  opere  consegnò  alle  stam- 
pe; quella  però  che  più  l'onora  è  il  J^iaggio  d'Anacarsi. 

Queste  due  lettere  originali  sono  presso  di  me.  Furon  citate 
dal  Siebenkees  [Expos.  lab.  hosp.  p.  5)  dal  Lanzi  [Saggio  dilin- 
gàà  etrusca  voh  \  p.  108),  dal  Fea  (  in  ìVinckelmann  voi.  1  p. 
258  noia  a;  e  nella  lèttera  al  Card.  Borgia  nel  i  volume  della 
Sua  tìfiisceliahéA].  Non  asserirò  che  siano  inedile,  perchè  non  po- 
tei consultare  le  opere  diverse  del  Barthélemy  pubblicate  da 
SàintiCrOix  a  Parigi  (1798  voi.  2  in  8).  Conservai  religiosamente 
la  ortografia  degli  autografi. 

(2)  Giorgio  Cristiano  Adler  danese^  esimio  conoscitore  delle 
linguft  dotte^  illustrò  Ife  motiete  cufiche  bofgiane,  come  vedremo 
alla  nota  (27). 

(3)  Questa  data  è  chiarissima;  tome  dunque  nel  rame  della 
tessera  che  sta  unito  alla  dissertazione  del  Siebenkees,  e  alla  let- 
tera del  Fea^  dicesi  prope  repvrta  anno  MDCCLXXXHl?  Que- 
sti originali  del  Barthélemy  assicurano  che  il  bronzo  era  tornato 
in  luce  fin  dal  1782. 

(4)  Uguale  opinione  tenne  il  DcLama  nella  Tavola  alimen- 
tare veleiate  p.  88. 

iS)  Si  vegga  pure  il  Torremuzza  Nummi  Siciliae  ec.  ec.  tav. 
XLV  num.  9;  Montfaucon  Paleogr.  Gr.  pag.   127. 

(6)  Fra  gli  altri,  ricordo  il  marmo  sigeo  presso  Chishul  ,  e 
presso  Chandler  ;  la  colonna  già  del  museo  Nani  in  Venezia  ; 
una  pesarése  oUveriana;  ed  una  medaglia  in  Eckhel  Num,  anecd. 
tab.  ni  num.  5. 

(7''  Parmi  di  ugual  forma  la  S  nella  medaglia  argentea  de- 
scritta da  Winckelmann  Storia  dell'arte.  Ediz.  rom.  voi.   i  p.  164. 

(8)  Anche  nella  colonna  naniana  ed  altrove. 

(9)  Di  ugual  forma  in  una  gemma  ed  in  una  patera  etrusca 
che  portano  scritto  il  nome  di  Achille  (  Maffei  Oss.  lett.  voi.  5; 
Winkelmann  Man.  ined,  num.  174). 


222  Letteratura 

(io)  Da  questa  interpretazione  si  allontanarono  Schow{Charta 
pnpyì'eicea  graece  scripta  e/c.p.iial,  Siebenkees  e  Lanzi  (ne'Iuo- 
ghi  citati);  ma  fu  abbracciata  dal  Fea  ,  cui  parve  consentire  an- 
che il  ciottissimo  Ennio  Quirino  Visconti.  Tenne  diverso  parere 
il  Fabricy,  il  qual  ne  scrisse  per  incidenza  alla  faccia  208  della 
Diatribe  de  bibliogr.  antiq.  etc, 

(li)  Si  vegga  anche  Martini  Etiinologicon,  ed  Hoffman  Le- 
xicon. I  platonici  così  nomavano  il  creatore  dell'universo 

(12)  Aggiungo,  che  la  voce  TTpo^svot  era  propria  e  caralteri- 
stica  dell'ospitalità  pubblica,  come  provò  il  Fea  (  Misceli,  p. 
XXVI),  contro  il  parere  di  Schow  e  di  Siebenkees,  il  quali  cre- 
derono questa  tessera  borgiana  di  privata  ospitalità.  L'opinione 
dell'archeologo  italiano  viene  corroborata  ;  dalla  testimonianza 
di  Polluce  {Onom.  lib.5.  e.  4-  segni.  69),  di  Snida  (Trpofjvoi;, di  Lu- 
ciano (in  Phalar.),  di  Eustazio  (  In  Iliad.  ad  lib.  Ili  e.  70  )  e 
dalle  lapidi  (Grut.  p.  ecce.  8/  Chandler  Iiiscr.  antiq.  p,  I.  N. 
60  61,  P.  II.  u4ppend,n\\m.  io.  Guattani  Mon.  ant.  ined.  a.  1787. 
p*  76).  Sì  vegga  inoltre  Biagi  De  decr.  athen.  e.  XXIV.  §.  II,  e 
Paciatidi  Mon.  Pel.  T.  II.  p.  i35. 

(i3)  ìioct  oi;<ia^'Ieggesi  nella  tessera  di  Boisco  figliuolo  di  Li- 
cofronCj  e  uelTaltra  di  Licisco  ed  Echestene  (Biagi  presso  Guat- 
tani Mon.  ant,  ined.  a,  1787  p,  69,  70),  ed  in  una  di  Delo  (Reines. 
CI:  VIL  num.  i4;  Paciaudi  Mon.  Pel.  T.  IL  p.  i4o). 

(i4)  zai  To.  ciXKa,  tìì/.ìo,  o(Ta  nella  ricordata  tessera  di  Boisco. 
Si  vegga  Biagi  De  decr.  athen.  e.  XXIV,  e  Siebenkees  diss.  cit.il 
quale  a  lungo  e  dottamente  scrive  della  frase  xai  ra  aXKa  Travra 
Essa  fa  ricordare  1' OMNIA  COMMODA,  e  1'  OMNIS  HVMA- 
NITAS  di  due  iscrizioni  balneari  edite  dal  Marini  Frat.  Arcali 
p.  53i. 

(i5)  Non  nel  libro  I,  ma  nel  VI  di  Tucidide  leggoSixavoi'Ss 
ftsv  wjToùi  npùroi  <^a,ivov  s)/oiy.icrdiJi.s)/oi  con  quel  che  siegue.  Dionigi 
d'Alicarnasso  (lib.  I.)  e  Pausania  negli  Eliaci  testimoniano  altret- 
tanto; cui  fan  eco  fra  i  latini  Silio  Italico  lib.  XIV  v.  33;  Soli- 
no Cap.  XI;  Servio  nell'ottavo  dell'Eneide,  e  forse  altri  più. 
Veggasi  Cellario  Notizia  Orbis  Antiq. eie.  e  Cluverio  Sicil. antiq. 

(16)  Il  Feia  vuole  che  questo  sia  nome'  d'uomo  o  pur  di 
donna;  e  così  opinarono  prima  di  lui  il  Siebenkees  ,  il  Lanzi  ec. 

(17)  Questo  si  legge  in  una  tessera  ospitale  in  bronzo,  che 
verso  la  metà  del  secolo  XVI  possedeva  Achille  Maffei.  Smezió 
la  inserì  nella  sua  raccolta  al  f.  I.XVI,  e  vi  aggiunse  la  tradu- 
zione latina  di  Benedetto  Egio.  Fu  acquistata  poi  da  Fulvio  Or- 
sino, che  la  pubblicò  appresso  al  trattato  De  legibus  et  senatus 
consultis  dell'  Agostini.  Quindi  passò    in  potere    del   cardinale 


Lettere  di  Ba-Rthélemy  223 

Odoardo  Farnese;  poi  nel  museo  dei  duchi  di  Parma  ,  infine  ia 
quello  regio  borbonico  in  Napoli ,  dove  credo  che  attualmente 
esista.  Oltre  lo  Smezio  e  1'  Orsino  ,  la  pubblicarono  il  Grutero 
p.  ceco.  8;  il  Wandale  Diss.  77  p.  233;  il  Tomassini  De  tess. 
hosp.  e  16;  il  Gualtieri  Tah.  sic.  p.  63  ;  1' Abela  Malta  illustr. 
lib.  2  notiz,  4;  e  Monsignor  Onorato  Bres  Malta  antica  illustr. 
p.  192,  il  quale  ne  die  un  rame  esattissimo,  ed  a  lungo  ne  scrisse. 
Il  medesimo  Demetrio  figliuol  di  Diodato  avea  ottenuta  una 
simil  tessera  di  Agrigento,  la  quale  parimenti  si  conserva  nel  re- 
gio museo  borbonico  in  Napoli.  L'oratore  Antocicle  ateniese  si 
dava  vanto  di  averne  avuta  una  uguale  {In  oral.de  niyster. Inter 
orat.  graec.  Stephan.  ):  ed  in  Tito  Livio  leggiamo  Hospitium  cum. 
eo  (  Timositheo  Liparensi)  S.  C.  factum  (  lib.  V.  e.  16  ). 

(iS)  Abbertchè  manchi  in  questa  lettera  il  soprascritto,  pure 
dal  Contesto  di  essa  è  chiaro  che  fu  indiritta  al  cardinale  (  allora 
monsignore)  Stefano  Borgia. 

(19)  Sembra  che  il  Borgia  scrivendo  al  Barthélemy  gli  chie- 
desse il  permesso  di  ptibblicare  la  lettera  precedente;  ma  otte- 
nutolojnon  se  ne  valse- 

(20)  Nellsi  più  volte  ricordata  tessera  di  Boisco,  non  è  nomi- 
nata la  cittaj  ma  credesi  Corcira.  Manca  pure  il  nome  della  città 
nella  tessera  d' Ermio  figliuolo  d'  Asclepiodoro  ,  che  si  ha  in 
Grutero  p.  e.  8. 

(21)  y'eteres,  quonìam  non  poterant  omnes  suos  hospites  na- 
scere, tesseram  illis  dabant,  quam  illi  ad  hospitiareversi  osten- 
debant  praeposito  hospitii  ;  unde  intelligehantur  hospiles.  Cosi 
Lutazio,  Stat.  Teb.  lib.  VII   v.  237. 

(22)  Il  Lanzi  (luogo  citato)  nella  voceSoonj  credeva  indicati 
i  popoli  santini  nella  Lucania,  de'quali  a'  tempi  di  Plinio  rima- 
neva appena  memoria  [Hist.  nat.  lib.  Ili  e.  i5).  Si  vegga  Cel- 
lario T.  I.  p.  727,  e  Cluverio  Ital.  antiq.  p.  1381:  anche  Fa- 
bricy  vide  nelle  voci  2aoTif  e  2<x«;viaj  i  santini  ed  i  sicani. 

(23)  Non  la  Fortuna,  ma  cosi  Pausania  epiteta  Bacco  e  Gio- 
ve (Lib.  2-  e.  3i;  lib.  g  e.  36)j  come  imparo  dal  Fea,  cui  lo  sug- 
gerì il  Visconti. 

(24)  Paciaudi  cita  le  due  tessere  6.1  Demetrio  ricordate  nella 
nota  (17),  e  che  si  leggono  nel  Torremuzza  Inscr.  Sicil.  D'  al- 
tronde con  la  parola  Qioi  incomincia  una  tessera  nel  Muratori 
p.  LXXXVIII.  2;  e  con  la  fase  0£oj  ayaSo?  una  fra  i  marmi  oxo- 
niensi in  Chishul  p.  129,  in  Prideau  p.  117. 

(25)  Chi  delle  tessere  ospitali,  e  di  quelle  di  patronato  e  di 
clientela  volesse  avere  maggior  contezza,  può  leggere  le  dotte 
disquisizioni  dello  SchulteroZ>e  iure  hosp.apud  i'ef;del  Columbo 


224  LsTTERATUnA 

De  sale  hospitali;  del  Moehb  De  variis  tesseris;  del  Verpoorten 
De  i'erlio  Isvoy;  de  Simon  De  Vospitnlilé;  del  Paff  De  ìio3[rHr(li^ 
tate;  del  Tomassini  De  thess.  hospit  ;  del  Morcclli  Diss.  mille 
tessere;  dello  Spalletli  Dick. dì  una  lesserà  ospit;  del  Serra  v  Fer- 
ragut  nella  Tavola  boccoritana;  del  Gazzera  Di  un  decr  di  pa- 
tronato ec.  (  il  quale  die  una  complela  raccolta  di  tali  decreti  di 
patronato,  e  solo  deesi  aggiungere  quello  scoperto  di  poi,  e  pub- 
blicato nel  Bollettino  dell  islit.  archeologico  del  18061.  Olire  Pa- 
ciaudi,  Biagi,  Brcs  già  ricordati  L'elenco  di  coloro  che  scrissero 
intorno  questa  tessera  borgiana  si  avrà   nella  nota  seguente. 

(26)  Non  so  se  il  Borgia,  abbracciando  il  consiglio  del  Bar- 
ihélemy,  scrivesse  al  P.  Paciaudi:  so  che  scrisse  al  Villoiaons;  e  I» 
risposta  originale  di  lui  contenente  la  illustraz'one  di  questa  la- 
mina deve  essere  fra  le  carte  del  Borgia  alla  Propaganda  (Vedi 
Siebenkec»  op.  cit.  p.  5).  Credo  non  sia  discaro  l'aver  qui  uniti 
i  nomi  di  coloro  che  si  travagliarono  nell'  interpretape  questo 
interessante  n>onun7ento  ,  scrivendone  alcuni  di  proposito,  altri 
per  incidenza.  Sono  i    seguenti. 

Siebenkees,£'.r/jo.y?7/o  tabulae  hospitalis  ex  aere  antiquìssimae etc. 
Fea,  Lettera  sul  papiro  e  sulla  lamina  ospitale  ee. 
Barthélemy,  Nelle  due  lettere  qkii  pubblicate. 
Villoisons,  Nella  lettera  ricordata  nel  principio  di  questa  notaf, 
Biagi,  Dissertazione  inedita  sulla   tessera    ospitale    borgiana.  (Si 
vegga  la  prefazione  al   voi.   IX    dei    Saggi  delP  accad.  etru- 
sca  di  Cortona;  e  la  p.  4  dell'opera  di  esso  Biagi  Mon.   g,r-~ 
lat.  mas.  naniani.) 
Scow,  Nella  Cknrtha  papyracea  graece  scripta. 
Lanzi,  Nel  saggio  di  lingua  eirusca. 

Ignarra,  De  Pkalriis  primis  graecorum  politicis  societatibus^ 
Fea,  Nell'edizione  della   storia  dell'arte  di  Winckelmann. 
Richard  Payne  Kv'tghl,  u4n  anatycal  essaj  orithe  Greck  alphabvt.- 
Fabricy,  Nello  Specimen  variarum  lectionum  sacri  textus. 
De  Lama,  Nella  tavola  alimentaria  veleiate. 

(27J  Non  solo  questo  elogio  è  meritato,  roa  qualunque  se  nt 
facesse  sarebbe  minore  del  vero.  A  chi  non  è  noto  il  museo  borgia- 
no, raccolto  precipuamente  con  infinite  curee  dispendio  da  STE- 
FANO BORGIA  cardinale  amplissimo  di  Santa  Chiesa?  Il  quale 
non  contento  di  aver  impiegata  una  lunga  e  luminosa  vita  in  ra- 
dunarlo, volle  che  i  più  celebri  fra  i  monumenli  in  esso  raccolti 
fossero  degnamente  illustrati  dai  più  celebri  archeologi  di  Ger- 
mania, d'Inghilterra,  di  Danimarca,  non  che  di  Francia  e  d'Ita- 
lia. Per  ricordare  a'  miei  concittadini  qual  tesoro  possedemmo 
fra  le  patrie  mura,  darò  qui  un  elenco  delle  opere  intorno    esso 


Lettere  di  Bìrthélemy  225 

TOUseo,  asjai  più  pieno  di  altri  molti  che  ne  fui-ono  por  lo  addie- 
tro dati  alla  luce.  Per  maggior  chiarezza  dividerò  quest'  elenco 
in  quattro  paragrafi. 

5.  I   OPERE  INTORNO  MONUMENTI 
DEL  MUSEO  BORGIANO. 

I.  Museum  cuflcum  borgianum  yelitris,  illustravit  GeorgìuS 
ChìHstianus  Adler  altomanus.  Roma,  Fulgoni  t^82,4  ^g-  ^e  i*^ 
sono  estratti  nelle  Effemeridi  romane  del  io8'2,  e  nelle  Novella 
fiorentine  dello  stesso  anno.  Si  vegga  il  seguente  num.    XXIV. 

II.  Fragmentum  copticum  ex  actis  s.  Colutili  martjrris  eru- 
tum  ex  membranis  Vetustissimi  saeculi  F",  ac  latine  redditunt , 
quod  nunc  primum  in  lucem  proferì  ex  museo  suo  Stephanus 
Borgia.  Roma,  Francesi  1783,  8  fig.  La  prefazione  è  del  Borgia; 
il  resto  del  P»  Giorgi.  Vedi  il  segueùte  num. XXX, 

III.  Philippi  Invernizzi  romàni  ,  de  fraenis  eorumque  gene- 
ribus  et  partibus  apud  veteres  StocTpi^ix.  Roma,  Zempel  1785,8  fig. 
Ve  n'è  un  estratto  nelle  Effem.  rom.  del  1785  :  il  bronzo  che 
die  motivo  a  quest'opera  fu  nel  museo  borgiano. 

IV.  Bassirilievi  volsci  in  terra  cotta,  dipinti  a  vari  colori  , 
trovati  nella  città  di  Velletri.  Roma,  Salomon!  1785,  f-  fig.  La 
illustrazione  è  del  P.  Becchetti;  ne  fu  inserito  con  estratto  nelle 
Effem-  rom.  del  1786.  Di  questi  monumenti  singolarissimi  scris- 
sero pure  rinvernizzi  (opera  ricordata  qui  sopra  nam.  III>;  il 
de  la  Borde, Descriptioìi  du  musaique  d'Italica;  il  Raj>onì, Recueil 
des  pierres  antiques  gravées;  il  Fea  nella  Storia  delle  arti  del 
ÌVinckelmann;\\  Paolino  nel  Viaggio  alle  indie  orientali:  \\  Riccy 
nelle  M.em.  storiche  di  Alba  Longa;  il  D'Agincourt  nella  Histoire 
de  la  decadence  des  arts;  il  Finali  nel  Museo  borbonico-,  e  forse 
altri. 

V.  Calceo  veliterno  in  terra  cotta  illustrato.  Fra  i  Mon  ani. 
ined.  di  Gius.  Ant.  Guattani  anno  1785,  4»  tav.  2 

VI.  Expositio  fragmenti  tabulae  marmoreae  operibus  cae- 
latis  et  inscriptionibus  graecis  ornatae  musei  borgiani  Velitris , 
auctore  Arnoldo  Heeren  bremensi.  Roma,  Fulgoni  1786,  4  ^ff* 
Tradotta  in  tedesco  ed  inserita  nella  Bibliothek  der  alter  litte- 
ratur  und  Kunst;  un  estratto  si  ha  nelle  Effem.  rom.  del   1786. 

VII.  Specimen  versionum  Danielis  copticarum,  nonum  eius 
caput  memphilitie  et  sahidice  exibens,  ex  museo  borgiano  Ve- 
litris edidit  et  illustravit  Fridericus  Munter  hafniensis.  Roma 
Fulgoni  1786,  8. 

VIII.  Il  lustrazione  di  un  vessili/ero  in  bronzo    del  muse» 


226  Letteratura 

borgianol  Fra  i  Mon.  ani.  ined.  del  Guattani,  anno  1787,4  T'av'. 

2  P-  17- 

IX    Cista  mistica  del  museo  borgiano.  Fra  i  Mon.  ant.  ined. 

del  Guattani,  anno  1787,  4  p-  29. 

X.  Terra  cotta  del  museo  borgiano  rappresentante  un  già' 
diatore  illustrata.  Fra  i  Mon.  ant.  ined.  del  Guattani  anno  1787, 
4  Tav.  3  p.  43. 

XI.  Bassorilievo  del  museo  borgiano  con  Ercole  ed  Ebe 
illustrato.  Fra  i  Mon.  ant.  ined.  del  Guattani, anno  1787,4  Tav- 
1,  p.  47  I^  questo  marmo  scrisse  poi  il  Visconti  Museo  wors- 
leiano. 

XII.  Nummi  aegyptii  impePatorii  in  museo  borgiano  Veli' 
tris  prostantes.  Roma.  Fulgoni  1787,4  fig.  Ne  è  autore  Giorgio 
Zoega.  Un  estratto  fu  inserito  nelle  Effem.  rom.  del  1787. 

XIII.  Illustrazione  di  un  bassorilievo  del  museo  borgiano 
rappresentante  le  carceri  del  circo.FvA  i  Mon.ant. ined. delGusit' 
tani,  anno  1788,  4-  Tav.  I.  p.  g3. 

XIV.  Epistola  de  gemma  navim  cum  Dioscuris  desuper  cor— 
ruscantibus  referente,  in  museo  borgiano  Velitris  extante;  au' 
ctore  Jo.  Christophoro  Amadutio.  E  inserita  nel  terzo  volume 
del  Novus  thesaurus  gemmarum  veteruni;Vi.oxaA.  MonaMini  1788, 
8  fig.  Un  estratto  se  ne  ha  nelle  Effem.  rom,  del  1788^. 

XV.  Charta  papyracea  graece  scripta  musei  b'oi^giani  Ve" 
litris,  qua  serles  incolarum  Ptolemaidis  Arsinoiticae  in  aggeribus 
etfaslibus  operantium  exhibetur,  edita  a  Nicolao  Schow.  Roma 
Fulgoni  1788,  4  fig-  Un  estratto  è  nelle  Effem.  rom.   del   1788-. 

XVI.  Expositio  tabulae  hospitalis  ex  aere  antiquissimae  in: 
museo  bogiano  Velitris  adservatae  ,  auctore  Jo.  Philippo  Sie- 
benkees.  Roma  Fulgoni  1789,  4  fi?-  Fu  tradotta  in  tedesco  ed 
inserita  nella  Bibliothek  der  alien  literatur  und  Kunst;  ed  un 
estratto  è  nelle  Effem.  rom.  del  1789.  Si  vegga  la  precedente 
nota  (a6). 

XVII.  Epistola  Nicolai  Schow  in  qua  mumus  Ulpiae  Paula' 
liae  ineditus  ex  museo  borgiano  Velitris  illustratur.  Roma  Ful- 
goni 1789,  4  fig-  Un  estratto  ne  fu  inserito  nelle  Effem.  rom. 
del  1789 

XVIII.  Fragmentum  evangelii  s.  Johannis  graeco-copto  he- 
baicum  saeculi  IV;  additamentum  ex  vetustissimis  membranis  le' 
ctionum  evangelicarum  eie.  ex  veliterno  museo  borgiano  nunc  pO' 
deunt  in  latinum  versa  et  notis  illustrata  opera  et  studio  Fr.  Au- 
gustini  Antonii  Georgii.  Rom.i.  Fulgoni  1789,  4  fig-  Nelle  Effem. 
rom.  dello  stesso  anno  ve  n'ò  un  estratto- 

XIX.  M.  Friderici  Munter  commentatio  de  indole  versionis 


Lettere  di  Barthélemy  227' 

novi  testamenti  sahùìice:  accedunt  fmgmenta  epistoìarum  s.Pnuli 
ad  Timotfieum  ex  membranis  sahidicis  musei  borgiani  felitris. 
Hafniae,  Scliultz   1790,  4- 

XX.  Illustrazione  di  un  antico  piombo  del  museo  borgiana 
di  Velletri-,  appartenuto  alla  memoria  ed  al  culto  di  s.  Genesio 
vescovo  di  Brescello;  del  P.  Ireno  Affò.  Parma  :  Cai'mignani 
lygo,  4-  fig-  i"!  Esti'atto   è  nelle  Effeni.  rom.  del  1790. 

XXI.  Globus  coelestiscufico-arabicus  veliterni  musei  bargia' 
ni  a  Simone  Assentano  illustratasi  Padova  1790^  4  ^^S-  Nelle 
Effeni.  rom.  del  i8gi  ve  n'è  un  estratto. 

XXII.  Lettera  dell'avv.  D.  Carlo  Fed  sulpapiro  e  sulla  la- 
mina  greca  ospitale  borgiana.  E  inserita  nel  voi.  i  della  Miscel- 
lanea deirautore.  Roma:  Pagliarini  J790,  8  fig.Un  estratto  è  nelle 
Effem.  rom.  del  1791;  si  vegga  la  preced*  nota  (26). 

XXIII.  Sjstema  brahmanicurìt  liturgicum  mythologicum  ci- 
vile ex  monumentis  indicis  musei  borgiani  f^elitris ,  dissertatio- 
nibus  historico  criticis  illustravit  Fr.Paullinus  a  s.Bartholomaeo . 
Roma;  Fujgoni  1791,  4-  ^S  U'^  estratto  è  nelle  Effem.  rom.  del 
1792;  ed  uno  nel  Nuovo  Giorn.Encicl.  d'Italia,  maggio  1782.  Si 
veggano  i  seg.  numeri  XXVII,  eXXVlII. 

XXIV.  Museum  cuficum  borgianwn  f^elitris.  Pars,  II  (vedi 
preced.  n.  I).  Illustravit  lac.  Georgius  Adler.  Inserti  sunt  numi 
cufici  edito ris.  Hafniae:  Thiele  1792,  4- tig-  Si  Teggano  i  due  nu- 
meri seguenti. 

XXV.  Articolo  della  biblioteca  di  Torino  sulla  seconda 
parte  del  musèo  cufico  borgiano  di  Giacomo  Giorgio  Cristiano 
Adler.  Torino:  stamperia  reale  1793,  8. 

XXVI.  Articolo  tratto  dai  nunt.  XXIX  e  XXX  del  foglio 
letterario  impresso  in  Venezia  nel  1793  col  titolo  Memorie  per 
servire  alla  storia  letteraria  e  civile  ,  nel  quale  si  dà  l'  estratto 
della  seconda  parte  del  museo  cufico  borgiano  d'  Adler.  4-  Ne  fu 
autore  Simone  Assemani. 

XXVII.  Lettera  del  conte  Gastone  della  Torre  di  Rezzonico 
sui  monumenti  indici  del  museo  borgiano  illustrati  dal  P.  Pao- 
lino da  s.  Bartolomeo.  Roma  1793.  Si  vegga  il  precedente  num.- 
XXIII,  ed  il  seguente  XXVIII. 

XXVIII.  Scitismo  sviluppato  in  risposta  al   sig.  conte  Ga~^ 
stone  della  Torre  di  Rezzonico  sui  monumenti  indici    del  museo 
borgiano  del  P.  Paolino  da  s.  Bartolomeo.  JXomA  1793,4- 

XXIX.  Musei  borgiani  Velitris  codices  manuscripti  avenses, 
peguani,  siamici,  malabarici,  indostani  ;  animadversionibus  hi- 
storico criticis  castigati  et  illustrati  a  P.  Paulina  a  s.  Bartholo- 


/228  Letteratura 

maeó.  Roma:    Fulgoni  1892^  4*  ^'?-  Un  estratto  nelle  Éff.  ratti; 
del  1793* 

XXX.  De  miraculis  s.  Colutili  et  reliquiae  s.  Panésii  marty' 
ris,  thebaica  fragiìienta  duo  ex  museo  velit.  borgiano  depromptd 
et  illustrata  a  F'r.Augustina  AnUGeorgio.  Roma  Fulgoni  lygS,^. 
Yi  è  inserita  la  ristampa  della  prefazione  del  Borgia,  di  cai  nel 
precedente  num.  II. 

XXXI.  Fossilia  aegyptiaca  musei  borgiani  Kelitris,  descri- 
psit  GeorgiuS  Wad  danus.  Velletri  1794  Un  estratto  è  nelle 
Effem.  roin.  del   1795- 

XXXII.  Lettera  dell' Ab.  Domenico  Sestini  Sopra  due  Uolsche 
rnedaglie  di  Segni  esistenti  nel  museo  borgiano.  È  inserita  nel!' 
Antologia  Romana  del  marzo  1794?  4' 

XXXIII.  Lettre  sur  les  beaux  arts  et  ett  pdrtiduliét  sut"  Id 
cabinet  d'antiquilés  et  d'  histoire  naturelle  de  inonsègneur  le 
card.  Borgia  a  yelletri;  par  l'abbé  Etienne  Borson.  Roma  1796,' 
8.  Ve  ne  ha  Un  estratto  nel  Magasin  Encjclopedique    de  Paris 

per  Millin,  anno  II. T.  VI-  p.  376  e  segg. 

XXXIV.  Lettera  di  Domenico  Seslini  sopra  due  medagli  e  di 
Aegira  città  dell' Acaia  dei  musei  sanclemente  e  borgiano  in  Vel" 
letri.  E' Inserita  fra  le  Lettere  numismatiche  dell'autore,  voL  V 
p.  XIX   e  segg. 

XXXV.  Apogrdpkon  descriptionìs  orbis  terraé  figurii  et 
narrationibus  distinctae,  manu  germanica,  opere  nigelliari  disco- 
loris,  circa  medium  saeduli  XF"  tabulae  ahende  musei  borgiani 
Velitris  consignatae  ,  quod  Camillus  lo*  Paullif.  Borgia  summd 

fide  maximoque  studio  expressum  i  recognitumque    eruditis  spÉ-i 
ctandum  proponit  A.  C«  1797*  in  f.  mass. 

XXXVI.  Lettera  di  È»Q.  Visconti  sopra  due  monitménti,tte' 
quali  è  menzione  di  Antonia  Augusta.  Roma:  Fulgoni  1798,4- fig. 
Uno  dei  due  monumenti  è  una  medaglia  in  bronzo  del  museo' 
borgiano. 

XXXVII.  Dissertazione  sopra  un  antico  sigillo  d'Adria  esi- 
stente nel  museo  borgiano  in  yelletri:  di  Girolamo  Bocchi.  Adria 

XXXVIII.  Illustrazione  di  un  antico  sigillo  di  Padova  esi- 
stente nel  museo  borgiano  in  Velletri.  Parma;  Gozzi  i8ooy  4-  ''S* 
L'autore  è  Girolamo  Trevisani. 

XXXIX.  Lettera  di  Raffaello  d'Urbino  conforme  alVorigina. 
le  esistente  nel  museo  borgiano  in  Velletri.  Inserita  nelle  Memo- 
rie Enciclopediche  del  Guattani   1804, 4- 

XL,  Notice  sur  la  vie  et  sur  le  musée  du  cardinal  Borgia  a 


Lettere  di  Barthélemy  229 

felletri  par  A.  L.  Millin.  Inserita  nel  Magasin  «ncjrcìopedique 
dello  stesso  Millin  1807,  8. 

XLI.  Catalogua  codlcum  copticorum  MSS.qui  in  museo  bar- 
giano  felitris  adservqtur  :  auctore  Georgia  Zoega  dano.  Roma 
Propaganda  1810,  f.  fig.  Si  vegga  il  N.  che  siegue. 

XLII.  Observations  sur  le  catalogne  des  MSS.coptes  du  mu' 
t^e  Borgia  a  Velletri,  ouvrage  posthume  de  George  Zoega  ;  par 
ChampoUion  le  jeune.  Inserite  Pel  Magasin  ejiciclopedique  del  Mii- 
lio,  ottobre  18  ix,  8. 

XLIII.De  lohannis  Hyrcani  Hasmonaei  iudeorumsummi  po,i- 
tificis  hebraeo-samaritico  mimo  borgiani  musei  Kelitris  piane  a- 
necdoto  ,  phoenicum  litteratum  cuius  fontes  primum  inquiruntur 
pommentarius-  Quest'opera  del  P.  Fabricy.  Fu  stampata  in  8, ma 
non  mai  pubblicata.  Ne  vidi  un  esemplare  nella  biblioteca  che 
fu  di  Filippo  Aurelio  Visconti. 

5.  II.  OPERE  INTORNO  MONUMENTI  ACQUISTATI  PEL 
MU3E0  BORGIANO  DOPO  LA  PUBBLICAZIONE  DI  ESSE. 

XLIV.  Osservazioni  del  proposto  Anton  Francesco  Cori  in" 
forno  alcuni  monumenti  rappresentanti  il  presepe,  inserite  nella 
^dizione  del  poema  di  Sannazaro  X)e  parta  virginis  procurata  dal 
inedesimo  Cori  alla  faccia  XXXI  esegg.  La  gemma  cristiana, che 
vi  si  illustra,  dal  museo  Vettori  passò  nelborgiano. 

XLV.  Animadiiersiones  in  lamellam  ahenean  antiquissimam 
fnusei  victorii.  Roma.  Zenjpel,  i74'»  4  ^8"  L'autore  è  il  comm. 
Francesco  Vettori. 

XLVI,  Sanctorum  'septeni  dormientium  hìstoria  ex  ectjpis 
fnusei  vietarli  expressa,  dissertatione  ac  veteribus  monumentis  il- 
lustrata. Roma;  Pagh'arini  174'»  4-  fig*  L'autore  è  il  comm.  Fran- 
cesco Vettori.  Così  la  gempia  dei  sette  dormienti^  come  la  lamina 
del  num,  precedente  dal  museo  Vettori,  passarono  nel  borgiano. 

XLV  li.  fUustrazione  di  un  antico  sigillo  della  Garfagnana: 
di  Giuseppe  Garampi.  Roma.  Pagliarini  1759,4  fig-  H  Borgia  a- 
(Cquistò  quel  famoso  sigillo,  e  poi  lo  donò  a  Clemente  XIV  di  s.  m. 

XLVIlI.  Lettera  delV ab.  Gaetano  Marini  al  sig.  Gaspare  Ga- 
ratoni  sopra  un'antica  iscrizione  cristiana.  E' inserita  del  voi.  VI 
del  Giornale  Pisano  1771,  in  12;  e  nel  voi. XV  della  Raccolta  di 
dissertazioni  ecclesiastiche  del  Zaccaria, 

XLIX  Illustrazione  di  una  lapida  greca  scritta  dall'ab.  Gae- 
tano Marini.  E'  inserita  nel  voi.  XVI  del  Giornale  Pisano  1774 
12.  p.  174- esegg. Questo  marmo  e  quello  del  n.  precedente  aequi* 
«tò  il  Borgia  dallo  stesso  Marinif 


230  Letteratura 

L.  Musaico  a  bassorilievo  illustrato.  E' inserito  nelle  Memo- 
rie per  le  belle  arti  del  Guattani;  maggio  1788,  4  fig-  H  Borgia 
lo  acquistò  dal  Ceccarini. 

§.  III.  OPERE  INTORNO  MONUMENTI  DEL  MUSEO  BOR- 
GUNO,  PUBBLICATE  DOPO  FATTANE  LA  VENDITA. 

LI.  Di  una  lamina  volsca  veliterna  del  museo  borgiano,  lette- 
re divinatorie  di  Francesco  Orioli.  Bologna  Nobili  18 16,4-  Edizio- 
ne incompleta,  non  mai  messa  in  commercio. 

LII-  Lettera  di  Clemente  Cardinali  sopra  due  antichi  marmi 
scritti, \ns^r'\\.&  nel  Giornale  enciclopedico  òì  NopoH,mag.i8i8,  8. 

LUI.  Dissertazione  di  Bernardo  Quaranta  sopra  un  bronzo 
antico  già  del  museo  borgiano.  Nel  voi.  3  degli  Atti  della  società 
pontaniana.  Napoli  1819,  4  fig- 

LIV.  Osservazioni  sopra  il  museo  per  lo  innani^i  borgiano  in 
yelìetri  e  di  A.  H.  L.  Heeren,  inserita  nella  terza  sezione  voi.  I 
del  giornale  pubblicato  in  Lipsia  da  C.  A.  Beettiger,  presso  Go- 
schep,  intitolato  Amalthea, 1S10,  8, 

LV"  In  tabulam  aheneam  veliternorunt  commentarium  Rai- 
mundi  Guarini.  Napoli,  società  filomatica:  i8ao,  8. 

LVI.  Schedium  de  lamina  veliterna.  Nel  Giornale  Arcadico 
1820,  8.  N'è  autore  il  P.  Luigi  Parchetti  C,  R.  Somasco. 

LVII.  De  inscriptione  greca  musei  borgiani  F'elitris  epistola 
Cajetani  Migliore  pubblicata  d^me  con  note  nelle  Effem.  lettdì 
Roma,  agosto  1822,  8. 

LVIII.  Nummi  unciales  aerei  musei  borgiani  Velitris  a  Geor- 
gia iSoega  descripli  cum  adnotationibus  Phil.  Aur.  Kicecomitis  ; 
edidit  C-  Cardinali.  Nel  voi  3  della  Nuova  collezione  d'opuscoli 
pubblicata  in  Firenze  dall'Inghirami,  182?,  8, 

LIX.  Minerva,  Mercurio,  Argo  e  l'Argonave,  bassorilievo  in 
broni^o  già  del  veliterno  museo  borgiano,  descritto  da  C.  Cardi- 
nali. Nel  voi.  I  delle  Memorie  romane  di  antichità  e  belle  arti, 
Roma  1825,  8  fig. 

Jj^'  Descrizione  del  toro  Api  egiziano  in  bronzo  esistente  nel 
museo  borgiano  ;  di  Giorgio  Zoega.  Roma  nel  voi,  2  delle  Me^ 
morie  di  ant.  e  belle  arti  1825,  8. 

LXI.  Descrizione  di  alcuni  vasi  fittili  del  museo  borgiano  , 
stesa  da  Luigi  Lanzi.  Roma  nel  voi.  2  delle  Meni,  di  ant.  e  belle 
arti  1825,  8. 

LXII.  Lettera  di  Clemente  Cardinali  intorno  un'antica  lapi- 
de cristiana,  inserita  nel  voi.  2  degli  Atti  dell'  accad.  romana  di 
Archeologia  1825,  4« 


Lettere  di  Barthélemy  231 

LXIII.  Terre  cotte  volsche  (v.  il  prec.  n.  IV)  illustrate  da 
Gio.  Battista  Finali,  nel  voi.  X.  del  Museo  borbonico  tav.  9,  io 
II,  12.  Napoli  i834,  4»  fi?* 

LXIV.  Due  bassorilievi  egiziani  in  marmo  illustrati  da  Ber- 
nardo Quaranta,  nel  voi.  X  del  Museo  borbonico  tav.  48-  Napoli 

1834,  4,  fig- 

LXV.  Bassoriliei-o  egiziano  illustrato  da  B.  Quaranta,  nel 
voi.  XI  del  Museo  borbonico,  tav.  19.  Napoli  |835j  4*fig- 

LXYI.  Queste  due  lettere  del  Barthélemy. 

§.  IV.  OPERE  INEDITE  INTORNO  MONUMENTI 
DEL  MUSEO  BORGIANO. 

LXVII.  Algonti  canonici  veliterni  ex  aere  musei  borgiani 
felitris  sigillum  vetustissimum  illustravit  Aloysius  Cardinali.  Ma- 
noscr.  autografo  presso  di  me. 

LXVm.  Illustrazione  della  lamina  \>olscadel  museo  borgia- 
no,  di  Lodovico  Coltellini.  Yeàì  l'opuscolo  del  rned.  Coltellini  in- 
titolato: Dissertazione  eopra  un  ara  etrusca. 

LXIX.  Inscriptiones  borgianae.  L'autografo  dell'ab.  Ignazio 
M.  Raponi  è  presso  la  propaganda;  io  ne  ho  una  copia. 

LXX.  Iscrizioni  antiche  borgiane  con  note  di  C.  Cardinali. 
Manoscr.  autogr.  presso  di  me. 

JjXXL  Memoria  di  Filippo  Aurelio  Visconti  sopra  il  museo 
borgiano  veliterno.  Ne  ho  una  copia  descritta  dall'autografo. 

LXXII.  Memoria  di  Daniele  Francescani  sul  bue  Api  del 
museo  borgiano.  Vedi  \e  Relazioni  accademiche  del  Cesarotti,  Op. 
compi,  voi.  XVIII  p.  124  e  segg;  ed  il  Mustoxidi  nel  secondo  vo- 
lume della  Traduzione  d'Erodoto,  dove  è  anche  il  rame  del  mo- 
numento. 

LXXIII.  Sigilla  impressoria  ahenea  musei  borgiani  Velitris 
a  Phil.  Aurelio  yicecomite  ex  afysuitoiq  descripta  anno  1812.  Ne 
ho  una  copia  tratta  dall'autografo. 

LXXIV.  Ad  iscripfionem  Flauiae  Antoninae  musei  borgia- 
ni commentarius,  sivede  antiquis  iudaeis  italicis  exercitatio  epi- 
graphica;  auctore  Caietano  Migliore.  L'autografo  nella  pubblica 
biblioteca  di  Ferrara,  fra  i  codici  uum.  269. 

LXXV.  Illustrazione  delle  patere  etrusche  borgiane  scritta 
da  Luigi  Lanzi,  in  Firenze.  Vedi  l'opera  d'Inghirami  Monumenti 
etruschi  o  di  etrusco  nome. 

LiX.X.yi.  Calendari  runici  borgiani  illustrati  dal  dottor  Chri- 
stiana Romus.  Manoscritto  autografo  alla propaganda.Yedi  Borson 
p.  38  dell'opera  qui  sopra  i-iportala  al  num.  XXXIII. 


232  Letteratura 

LXXVII.  Dissertazione  del  P.  Angelo  M.  Cortenovis  suUt 
medaglie  illiriche  del  museo  borgiano.  Vedi  l'opuscolo  del  Corle- 
novis  mìÙIoÌaìo:  Iscrizione  greca  di  Basilea  ec.  nella  prefazione. 

LXXVm.  Illustrazione  d'un  mappamondo  tedesco  del  i4oo 
esistente  nel  museo  borgiano  :  dell'  ab.  Giuseppe  Toaldo.  Vedi 
Francesconi;  Di  un'  umetta  lavorata  all'agemina  p.  LIV. 

LXXIX.  Illustrazione  di  un  mappamondo  tedesco  del  i4oo 
esistente  nel  museo  borgiano  :  del  conte  Si/none  Slratico.  Vedi 
Francesconi  di  un'  umetta  lavorata  all'agemina  p.  LIV. 

IjXXX.  Illustrazione  della  grand' urna  di  basalte  gerogli fica- 
ia entro  p.  fuori  esistente  nel  museo  borgiano  del  card.  Stefano 
Borgia.  Vedi  Cancellieri,  Elogio  del  card.  Borgia  p.  6. 

LXXXI.  Illustrazione  di  un  antico  sigillo  di  Fiumicino  esi' 
stente  nel  museo  borgiano  del  card.  Stefano  Borgia.  Vedi  Cancel- 
lieri, Elogio  del  card.  Borgia  p.  9. 

LXXXII.  Esposizione  del  codice  messicano  di  pelle  di  cervo 
lungo  palmi  42,  esistente  nel  museo  borgiano:  di  Lino  Giuseppe 
Fabreca.  Vedi  Borson  a  p.  Sg  dell'  opera  indicata  qui  sopra  al 
num.  XXXIII. 

LXXXIII.  Note  ed  illustrazioni  di  un  calendario  necrolo- 
gico, e  di  una  liturgia  di  Monte  Cassino  esistente  in  un  codice  del 
museo  borgiano.  Mss.  presso  la  propaganda. 

LXXXIV.  Dissertazione  di  Clemente  Biagi  sulla  te,ssera  o- 
spitale  borgiana.  Vedi   qui  avanti  la  nota  (•!&). 

LXXXV.  Dissertazione  elei  Villoisons  sulltt  tessera  ospitale 
borgiana.  Vedi  qui  avanti  la  nota  (q6). 

LXXXVI.  Autografo  di  Raffaello  esistente  nel  museo  bar- 
giano  con  noie  di  Daniele  Francesconi.  Vedi  l'opuscolo  del  Fran- 
cesconi intitolato,  Congetture  sopra  una  lettera  di  Raffaello  ec. 
p.  100. 

LXXXVII.  Catalogus  icodicunt  coptothebaicorum  musei  bor- 
glani,  auclore  Federico  Engelbreth.  \.  Borson  a  p.  21  dell'opera 
qui  innanzi  notata  al  num.  XXXIII. 

LXXXVIII./«,//ce  delle  statuine  in  bronzo  esistenti  nel  museo 
borgiano;  di  Luigi  Lanzi.  Ne  posseggo  una  copia  tratta  dall'auto- 
grafo per  cortesia  di  Filippo  Aurelio  Visconti. 

LXXXI  X  Dissertazione  dei  vasi  di  creta  del  museo  borgia- 
no (diversa  dal  n.  LXl!;  di  Luigi  Lanzi.  Ne  posseggo  copia  trat- 
ta dall'autografo  per  favore  di  Filippo  Aur.  Visconti. 

XC.  Descrizione  dei  monumenti  egiziani  del  museo  borgiano 
di  Velletri,  fatta  da  Giorgio  Zoega.  L'autografo  è  presso  di  me. 
XCI.  Codices  copti  borgiani  ab  Aloysio  Mingarelli  illustrali. 
Vp.yoe  -ji  àeXìeMeniorie  del  Mingarelli  scritte  dall'ab.  Cavalieri. 


Lettere  di  Barthélemy  233 

XCII.  Le  iscrizioni  antiche  cristiane  del  museo    borgiano  in 
P'elletri  con  note  di  Luigi  Cardinali.Uautogvato  è  presso  di  me. 
xeni.  Medaglie  delVinfuno  evo  esistenti  nel  museo  borgia- 
no, descritte  da  C.  Cardinali.  L'autografo  è  presso  di  me. 

XCIV.  Stima  e  descrizione  del  museo  borgiano  veliterno. 
Ne  posseggo  una  copia  tratta  dairoriginale  dei  signori  barone 
Akérblad  e  Filippo  Aur.  Visconti. 

XGV.  Inventario  e  stima  delle  medaglie,  idoli  di  metallo, 
iscrizioni  lapidarie,  vasi  antichi  ,  codici,  altre  antichità  lasciale 
dal  card.  Borgia  in  Roma,  composto  dall' ab.  Gaetano  Marini  e 
Pilippo  Aur.   Visconti.  Ne  ho  una  copia  desunta  dairoriginale. 

Certo  in  ninno  dei  molti  cataloghi  delle  opere  relative  al  mu- 
seo borgiano,  che  si  hanno  alle  stampe  ,  sono  ricordati  non  dico 
tutti,  ma  neppure  la  metà,  ola  terza  parte  di  questi  novantacin- 
que articoli.  Ognuno  può  farne  il  confronto  con  gli  elementi  pub- 
blicati nel  Giornale  della  letteratura  italiana  (  Mantova  1794  )  ■> 
nelle  Effemeridi  enciclopediche  (Napoli  lygS),  nelle  opere  di  Bor- 
son  (qui  sopra  n.  XXXIII),  di  Millin  (qui  sopra  n.  XL),  di  Asse- 
mani  (qui  sopra  n.  XXI)  e  nelle  altre  del  P.  Paolino  da  s.  Barto- 
lomeo [Vitae  synopsis  Stephani  card.  Borgiae],  del  Nuzzi  [Leti, 
sitll'orig.  ed  uso  del  nome  Papa),  del  Renazzi  [De  laudibus  Leo- 
nis  X  oratio) ,  del  Baraldi  [Notizia  biografica  del  card.  Stefano 
Borgia).  Anche  nell'immagine  di  Carlo  Scapin  libraio  in  Padova, 
morto  nell'agosto  i8oi,  si  leggono  i  soli  nomi  de'principali  scrit- 
tori del  museo  borgiano.  Altre  moltissime  poi  sono  le  opere  nelle 
quali  leggonsi  riportati  ed  illustrati  altri  monumenti  borgiani.  Io 
terminerò  questa  lunga  nota  ,  accennandone  alcune,  gli  autori 
delle  quali  furon  certo  i  primi  luminari  dell'archeologia  de'tempi 
nostri,  e  di  quelli  de'nostri  padri. 

Adler.  Vedi  qui  avanti  i  n.  I  e  XXIV. 

Affò.  Vedi  qui  avanti  il  n.  XX. 

Akérblad,  Vedi  qui  avanti  il  n.  XCIV- 

Amaduzzi.  Vedi  qui  avanti  il  n.  XIV  ;    nelle    sillogi  lapidarie 
inserite  fra  gli  annedoti  romani;  neW Jchnographia  vet-Romae. 

Antemori.  Nella  storia  del  duomo  d'Orvieto. 

Antolini.  Nel  tempio  d'Ercole  in  Cori;  nella  raccolta  de'  can- 
delabri. 

Arevalo.  Nell'edizione  delle  opere  di  Prudenzio, 

Assemani.  Vedi  qui  avanti  i  n.  XXI.  e  XXVI;  nell'estratto  di 
una  diss.  sulle  iscrizioni  cuneate  di  Persepoli. 

Astle.  On  the  radicai  letters  of  the  pelasgians  and  their  domi- 
nations. 

Avellino.  'ì^cWltaliae  veteris  numismata. 

G.A.  T.  LXXIV.  16 


03/|.  Letteratura 

Barthélemy.  Vedi  qui  avanti  il  n.  LXVI. 
Becchelti.  Vedi  qui  avanti  il  n.  IV. 

Biaei.  Vedi  qui  avanti  il  n.  LXXXIV;  ne  Monuin.  gr^  et  la' 
tin.  musei  naniani. 

Bocchi.  Vedi  qui  avanti   il  n.  XXXVII. 
Borgia.  Camillo.   Vedi  qui  avanti  il  n.  XXXV. 
Borgia  Stefano.  Vedi   qui  avanti  il  n.  LXXX  e    LXXXI;  nei 
commentari    De  critce  vaticana,  de  cruce  vehternci. 
Borson.  Vedi  qui  avanti  il  n.  XXXIII. 
Cancellieri.  Nell'opera  De  secrelariis  ec. 

Cardinali    Clemente.    Vedi    qui  avanti    i  n.  LII.  LIX,    LXII, 
LXXeXCIII'  nella  silloge  d'iscrizioni;  nelle  iscrizioni    veliterne. 
Cardinali  Luigi.  Vedi  qui  avanti  i  n.  LXVII  e  XCII. 
ChampoUion.  Vedi  qui  avanti  il  n.  XLII. 

Coltellini.  Vedi  qui  avanti  il  n.  LXVIII;  nella  diss.  sopra  un 
ara  etrusca 

Corlenovis.  Vedi  qui  avanti  il  n.   LXXVII. 
D' Agincourt.  Nella  storia  della  decadenza  delle  arti. 
Da  s.  Bartolomeo .    Vedi  qui   avanti  i    n.    XXIII,  XXVIII    e 
XXIX;  ne"  monumenti  indici    naniani  ;   nel   viaggio   alle    Indie  ; 
neW India  orientalis  Christiana  ;    nella    diss.   De  latini  sermonis 
origine;  nella  diss.   De  veteribus  indis. 

De  Blasi.  Nella  serie  de'principi  longobardi. 
De  la  Barde.  Nella  descrizione  del  musaico  d'Italica. 
De  Lama.  Nella  tavola  alimentare  veleiate 
Della  Valle.  Nelle  lettere  senesi. 
Di  Rezzonico.  Vedi  qui  avanti  il  n.  XXVII. 
Engelbreth.  Vedi  qui  avanti  il  n.  LXXXVII. 
Fabreca.  Vedi  qui  avanti  il  n.  LXXXII. 

Fabticy.  Vedi  qui  avanti  il  n.  XLIII;    nella   Diatribe  qua    bi- 
bliographiae    antiquae  et  sacrae  ec.  . 

Fea.  Vedi  qui  avanti  il  n.  XXII;  nella  storia  dell'arte  di  Win- 
ckelmann. 

Finati.  Vedi  qui  avanti  il  n.  LXIII. 
France.iconi.  Vedi  qui  avanti  i  n.  LXXII  e  LXXXVI. 
Gabrini.  In  una  lettera  inserita  nell'Antologia  Romana  del  1790. 
Garampi.  Vedi  qui  avanti  il  n.  XLVII. 
Giorgi.  Vedi  qui  avanti  i  n.  II.  XVII  e  XXX. 
Gori.   Vedi  qui  avanti  il  n.  XLIV. 

Guarini   Vedi  qui  avanti  il  n.  LV;  in  diversi  suoi   commenta- 
ri; ne'  sugelli  antichi. 

Guatlani.  Vedi    qui  avanti    i    n.   V,  VIII,  IX,    X,    XI,    XIII, 
XXXIX.  L. 


Lettere  dì  Bartiiélemy  235 

Heeren.  Vedi  qui  avanti  i  n.  XI  e  LIV;  nel  Coni,  in  opus  cae- 
taluni  musei  pii  eleni. 

ignàrrà.  ^e\V operai  Ì)e  phratriisec. 

inghirami.  iSe'nioriiitnénti  etruschi;  nella  nuova  collezione  di 
opuscoli; 

invernizzl.  Vedi  qui  avanti  il  n;  ìli;  nell'opera  De  puhlicis  et 
trimirialibus  iudiciis. 

LabuSi  Nella  prefazione  al  niuseoi  chiaranlonti  j    nella  diss.  De 
la  cértitudé  (te  la  sciénce  des  àntiquités. 

Lanzi  Vedi  qui  avanti  i  n.  LXl,  LXXV>  LXXXVIIIéLXXXI  X, 
bel  saggio  di  lingua  etruscà. 

Lazzaririi.  Nell'opera  De  vario  tintinnabulorum  usti. 

Marini.  Vedi  qui  avanti  i  n.  XLVIII,  XLIX,  XCV;  nelle  iscri- 
zioni albane;  nfe'fratelll  arvali;  ed  in  altri  scritti  minori. 

MarOrii.  Nell'opera  De  episcopis  ostiensibus  et  veliternen. 

Melchiorri.  Nella  diss.  In  vélerem  Demetrii  Superistaetitulum. 

Migliòre.  Vedi  qui  avanti  i  d.  LVII  e  LXXlV. 

Milìiii.   Vedi  qui  avanti  il  ri.  XL;  nella  Calerle  mythologique. 

Mingàrelli.  Vedi  qui  avariti  il  ri.  XCI. 

Munier.  Vedi  qui  avariti  i  ri.  VII  e  XlX. 

Noel.  Nel  diziotìaiio  della  favola,  ediz.  di  Milano. 

Novu^  thesaurus  genimaruni  etc: 

Orioli.  Vedi  qui  avanti  il  n.  LI. 

Parchetti.  Vedi  qui  avanti  il  n.  LVI. 

Payné  Knigt.  An  anatycal  essay  on  the  greck  alphabeth. 

Perrini.  Nel  gabinetto  minéràlogicO  del  Nazareno. 

Quaranta.  Vedi  qui  avanti  i  n.  LUI,  LXIV  e  LXV. 

É.amus.  Vedi  qui  avanti  il  n.  LXXVI. 

Raponi.  Vedi  qui  avanti  il   n.  LXIX;  nel  Recueil  des  pierres 
grave'es;  nella  lettera  De  quodam  epigrammate  graeco. 

Riccy.  Nelle  nlenloritì  stòriche  d'Alba  longa. 

Schovv.  Vedi  qui  avanti  i  n.  XV  e  XVII. 

aerassi.  Nella  vita  di  Torquato  Tassò. 

bestini.  Vedi  qui  avariti  i  ri.  XXXII  é  XXXIV. 

Siebenkees.  Vedi  qui  avanti  il  n.  XVI. 

StraticO.  Vedi  qui  avanti  il  n*  LXXlX. 

Tariirii.  Nel  supplimento  al  Baridtiri. 

Toaldo.  Vedi  qui  avanti  il  n.  LXXVltl. 

trevisani.  Vedi  qui  avanti  il  n.  LXXXVIII. 

Vermiglioli.  Nella  lettera  sopra  una  patera  elrusca;  nelle  iscri- 
zioni perugine. 

Vettori.  Vedi  qui  avanti  i  n.  XLV  e  XLVL 

Villoisons.  Vedi  qui  avanti  il  n.  LXXXV. 


23G  Letteratura 

Visconti  Ennio  Quirino.   Vedi    qui    avanti  il  n.  XXXVI;  nel 
museo  pio  dementino;  ne'monumenti  gabini. 

Visconti  Filippo  Aureiio.  Vedi  qui  avanti  in.LXXI,LXXIir, 
XCIV  e  XGV  nel  museo    cliiaramonti. 

Wad.  Vedi  qui  avanti  il  n.  XXXI. 

ìVoide.  Nel  Novum  testamentuni  geaècuni. 

Zoega.    Vedi  qui  avanti  i  n.  XII,  XLI.LVIII,  LXe  XC;  nell' 
opera  De  usu  et  origine  obeliscorum;  ne'  bassorilievi  Albani. 

E  ritornando  col  discorso  là  donde  ebbe  principio  questa 
lunga  nota,  dirò  che  ogni  elogio  che  far  si  potesse  del  card.  Ste- 
fano Borgia  sarebbe  minore  del  vero,  essendo  ben  difficile  lo- 
darne degnamente  la  dottrina,  l'amore  agli  antichi  monumenti, 
la  larghezza  della  spesa  in  raccoglierli,  la  cura  instancabile  nel 
procurarne  convenevole  illustrazione,  la  protezione  verso  i  dotti 
di  ogni  nazione,  la  stima  ed  il  rispetto  che  le  sue  virtù  gli  sep- 
pero conciliare  <fai  letterati  dell'Europa  intera. 


c.  e. 


237 


Intorno  a  un  poema  del  sig>  Lamothe-Langon.  Di- 
scorso a  S.  E.  il  sig.  commendatore  Mouttinho 
amhasciatore  e  ministro  plenipotenziario  del  Bra- 
sile in  Francia  (1). 


1.  X  lon  vi  ammirerete,  o  venerando  signore,  che 
io  imprenda  a  ragionare  di  un  poema  che  ebbe  vi- 
ta in  terra  straniera;  perchè  voi  ben  sapete  che  se 
io  non  so  ne  vorrei  dipartirmi  dall'antica  sapien- 
za de'padri  miei,  soglio  nondimeno  riconoscere  la 
dignità  di  quelle  opere  che  non  si  disformano  alle 
leggi  eterne  dell'inlelletto  umano.  Oh!  certo  non  è 
disonesta  la  mia  querela,  allorquando  io  grido  a 
quella  superba  e  rozza  povertà,  in  che  per  alcuni 
si  vanno  ravvolgendo  le  umane  lettere;  e  allorquan- 
do io  mi  compiango  di  que'tanti  scrittori,  i  quali 
ad  altro  non  sembrano  intesi  che  ad  incuorare  le 
vergogne  del  secolo,  o  a  sgomentare  il  volgo  lavo- 
rando ed  istoriando  terrori.  L'esempio  di  questi  ma- 
li ci  venne  dalla  setta  di  que'falsi  dottori  in  tutto 
forestieri  all'Italia,  i  quali  bestemmiando  il  senno 
degli  antichi  vollero  gittare  in  fondo  le  ferme  e  ri- 
cevute ragioni  dell'arte;  perchè  disperati  erano  di 
quella  bontà,  onde  i  greci,  i  latini  ,  e  i  maggiori 
italiani  furono  esempio  a  tutto  il  mondo  civile.  E 


(i)  Les  merveilles  de  la  natme;  par  le  barou  Laiuothe-Lau- 
gon.  Paris  i858  iti  8. 


233  Letteratujijv 

ben  diritto  che  siano  invecchiate  per  noi  e  per  tutti 
i  popoli  le  forme  cieUe  credenze  antiche,  e  quella 
altre  reliquie  di  non  perfetta  ciyilt'4  che  gi^  fu^» 
rono  fatte  polve  e  dal  martello  del  tempo,  e  dal 
jrjigliore  talento  delle  genti  nupye,  E  dirò  anch'ÌQ 
gl^e  i  poeti  debbono  tenersi  lontani  da  quelle  gio-= 
ponde  ma  viete  invenzioni,  che  nj^l  s'innesterebbe^ 
fO  nelle  menti  di  poi  tanto  diversi  d^i  greci  per 
sì  lungo  travasare  di  tempi,  di  favelle,  di  servitù, 
e  d'imperio.  Ma  che  per  questo?  La  bellezzj^  e  I4 
ragipne  song  lumi  iniraortali  nel  mondo;  e  se  dopo 
tanto  giro  di  età.  abbiamo  ancor  viye  e  spiranti  di 
una  fioritissittiia  y\m.  la  virtù  di  Qnjero,  di  Demo-r 
Stene  e  di  Fidia,  f^reinmo  consiglio  piucchè  bar-? 
baro  nel  ripugnare  esempi  di  perfezione  che  furo-? 
no  e  sono  i  rniracoli  dell'umano  potere, 

2.  Autore  del  poema  di  cui  ragiono  è  il  baro^ 
pe  Lamothe-Langon,  uomo  di  ben  nudrito  ingegno, 
e  che  in  poco  di  tempo  ha  levato  nriolto  grido  di 
se.  I  Racconti^  onde  egli  fece  dono  alla  Francia,  so-» 
no  invenzioni  naturali  e  gentili  che  non  ti  Rìettonq 
avanti  ne  speittri,  ne  lucerne  nudrite  qpl  midollo 
degli  uonjini,  ne  macelli  di  carne  viva,  ne  bordelli 
d' infami  libidini,  Egli  si  tenne  al  vero  ufficio  de-^ 
gli  scrittori,  i  quali  sono  mandati  in  terra  al  ri- 
storo della  umana  dignità,  non  a  salmeggiare  i  for-? 
lunati  delitti,  ne  a  lusingare  le  inique  voglie  dell* 
uomo.  E  a  buon  conto  la  virtìi  paga  con  troppe  lar 
grime  quel  santo  magisterio,  ond'ella  si  fa  conforta^ 
trice  del  genere  umano,  senza  che  le  si  levino  in  vi-? 
so  le  beffe  e  le  scellerate  industrie  de'  romanzieri. 
Farmi  poi  che  lo  stile  del  Langon  sia  di  maniera 
riposata  e  sicura:  e  che  le  passioni  sieno  da  lui  fi- 
gurate quasi  sempre  a  legge  di  vero.  Tu  vi  cono- 


PORMA    DI   Lamotiie  239 

sci   un    senso  tutto  modesto,  e  a  dolci  spiriti  nu- 
trito;  una   schietta   intelligenza  della  natura  e  dell* 
arte:  die  è  pure  la   stessa  natura,  che  a  nuove  for- 
me si  viene  foggiando  nelle  mani  dell'uomo.  Che  se 
alcuna  volta  le  immagini  ti  si  fan  fredde  e  mute  di 
quell'arcano  affetto,  che  è   1'  istrumento  principale 
dell'eloquenza,  non   sei    costretto  a  lamentare  quel 
gran  puntar  d'ingegno,  e  quel  giocar  di  immagina- 
zione con  che  taluni  si  vanno  comprando  le  rive- 
renze della  stolta  moltitudine.  Ora  vengo  al  poema. 
3.  Il  quale  è  compartito  in  sei  canti,  e  tratta 
delle  Maraviglie  della  natura.  Argomento  di  mole 
tremenda,  perocché  nell'universo  tutto  ha  le  mira- 
bili impronte  dell'onnipotenza;  i  cieli,  il  mare,  un 
vermicciuolo,  un   fiore,   la   polvere   delle  vie.  Non 
volle  l'autore  (ne  il  potea)  descriverci    tutte  le  ope- 
re della  creazione;  bensì   quelle   trascelse  che   piìi 
facilmente  si  prestano  ad  esser  cantate;  nel  che  beil 
mostrò  di  essersi  informato  a  quella  grande  dottri- 
na indarno  combattuta  dai  romantici,  che  i  grandi 
concetti  non  sono  poesia  ove  non  abbiamo  in  se  uno 
spirito  efficace  ad  animare  gì'  insensati  oggetti  del- 
la  natura.  Questo  principalmente  divide  poesia  da 
prosa.  Quel  dolce  incanto,  con  che  si  acquieta  l'an- 
goscia d'ogni  umano  desiderio;  quel  tale  delirio  di 
felicita,  che  ci  fa  morti  alle  pene,  e  alle  dure  deli- 
zie del  mondo;  quella  potenza  d'umano  affetto,  che 
in  certo  modo  riscalda  le  cose  viventi,  e  crea  come 
dal  niente  un  novello  ordine  di  natura:   queste  so- 
no le  prime  qualità  che  io  domando  al  poeta,  e  del- 
le quali  il  Langon   mi  da  nobilissima  vista  (1).  Ma 


(i)  Bacone    da    Veiulamio    diedu  uu"  alta  definizione  della 


240  Letteratura 

tali  qualità  non  debbono  con  tormento  continuo  la- 
vorare nciranimo  del   poeta:  e  ne  manco  il  potreb^ 
bero.  Onde  al  raffreddarsi  di  quelle,   risorge  l'ope* 
/  ra  del  giudizio  a  disporre  e  a  disegnare  le  imma-r 

gini  secondo  le  vive  apparenze  del  vero;  a  sceglie-;» 
re  fra  le  possibili  forme  quelle  che  meglio  assen- 
tono  alle  immagini  stesse;  e  infine  a  legare  e  a  reg^ 
gere  quasi  con  filo  interiore  il  complesso  di  tutti 
quanti  i  pensieri.  E  anche  per  queste  belle  indu-^ 
strie  l'illustre  francese  parmi  degno  di  lode.  Ma 
dovrò  io  lodare  il  Langon  di  quelle  opinioni  po- 
litiche, ond'egli  ha  ingrossato  la  materia  del  suo 
poema?  No:  la  didascalica  ,  del  cui  genere  è  que-? 
sta  invenzione,  può  bene  distendersi  oltre  i  termini 
che  le  sono  prescritti:  può  dai  mistici  velamenti 
della  favola,  dalle  storie,  e  dai  libri  della  morale 
procacciare  molti  casi  ed  accidenti,  che  narrati  in-^ 
ducano  maraviglia  e  diletto;  per  tal  guisa  è  variato 
quel  perpetuo  tenore  d'  insegnamento  che  di  per 
se  renderebbe  fastidioso  l'ufficio  della  didascalica 
poesia.  E  già  cjuel  Cesare  trucidato,  que'  miracoli 
orrendi,  e  quell'Augusto  piovuto  dal  cielo,  di  che 
Virgilio  cantava  nelle  georgiche,  sono  esempio  no- 
bilissimo alla  libertà  de'poeti;  esempio  al  quale  eb» 
ber  la  mente  e  il  gran  Fi*acastoro  ,  e  il  Vida  ,  e 
l'Alamanni,  e  l'altra  bellissima  schiera  de'didasca-^ 
liei  italiani.  Nondimeno  questo  Langon  fece  non 
opportuno  consiglio  mescendo  alle  sue  invenzioni  af- 
fetti stranissimi  al  principale  argomento:  il  quale 


poesia  ;  definizione  che  forse  era  più  acconcia  ai  tempi  suoi  di 
quello  che  lo  sia  ai  tempi  nostri.  V.  De  augmentis  sc'entiarum. 
Lib.  -2.  cap.  I. 


PoEnlA  DI  Lamothe  241 

per  essere  tutto  sublime,  e  veramente  sacro,  do- 
mandava tutt'  altra  discrezione;  e  per  nulla  dovea 
infettarsi  di  que' tristi  umori  di  parte,  onde  sono 
ammorbate  oggidì  molte  delle  cose  umane.  Consen- 
to air  illustre  francese,  che  il  poeta  possa  alcuna 
volta  denudare  i  giudizi  segreti,  gli  affanni,  e  i  de- 
siderii  dell'animo  suo;  ma  poiché  l'argomento  è  scel- 
to, noi  dobbiamo  a  questo  servire:  non  questo  a  noi; 
e  molto  meno  possiamo  violentemente  slogarlo  so- 
vra materia  diversa  pel  solo  fine  di  magnificare  pas- 
sioni private.  Ne  mi  si  rechi  innanzi  l'esempio  di 
Dante  Alighieri,  Primieramente  all'onnipotenza  di 
queir  ingegno  poteva  esser  concesso  un  ardimento, 
lal  quale  non  volle  disciogliersi  lo  stesso  Omero;  e 
appresso  egli  correva  altra  acqua:  perchè  mirava 
al  ristoramento  delle  miserie  italiche,  non  ad  irri- 
tare le  rabbie  de'partiti. 

4,  Il  nostro  poeta  è  valentissimo  nel  descri- 
vere. Tu  hai  come  spiranti  e  pieni  di  vita  i  con- 
cetti che  egli  ti  pone  dinanzi  ;  e  la  tua  anima  si 
rallegra  mirabilmente  a  quello  stile  numeroso,  gra- 
ve e  soave  ad  un  tempo.  Farmi  però  che  alcuna 
volta  il  Langon  stemperi  le  idee  in  un  soverchio 
di  parole:  ciò  che  forse  è  da  reputare  al  poco  ma- 
gisterio  poetico  tollerato  dal  linguaggio  francese;  o 
forse  io  stesso  m'inganno,  essendo  io  per  natura  non 
troppo  amico  della  bella  fronda,  e  devoto  all'amo- 
re del  nervoso  e  denso  parlare  dei  vecchi  italiani 
e  dei  latini.  Giudicar  poi  se  la  dizione  del  Langon 
sia  di  vena  al  tutto  purissima,  in  me  straniero  e  in 
tanta  povertà  di  studi  sarebbe  ingiusta  e  noiosa  te- 
merità. Dirò  piuttosto  che  il  Langon  sa  temperare 
mirabilmente  a  suo  prò  gli  affetti  di  chi  legge  od 
ascolta.  Ed  oh!  in  qual  viva  tenerezza  di  lagrime  se 


242  Letteratura 

n'  andava  il  cuor  mio  ,  allorquando  io  leggeva  in 
questi  canti  le  sventure  di  Cristoforo  Colombo  (1)! 
5.  Fra  i  grandi  peccati  della  setta  romantica 
io  soglio  annoverare  il  dispregio  di  quel  sacro  pre- 
cetto; Scribendi  recte  sapere  est  et  principiam  et 
fons.  Di  che  ben  addentro  senti  la  ragione  il  nostro 
francese;  e  me  ne  persuade  il  vedere  che  egli  po- 
se per  fondo  al  poema  un  ordine  di  dottrine  non 
false,  ne  mozze,  ne  pensate  secondo  la  facile  sapien- 
za de'moderni  filosofi:  e  poiché  queste  sono  incarna- 
te  a  una  bellissima  forma  di  poesia,  saranno  lodate 
dai  filosofi  ;  e  piacevolmente  educheranno  gli  intel- 
letti ad  utilissime  verità.  Duolmi  però  che  il  poe- 
ta sen  vada  in  troppo  aspri  detti  contro  la  gene- 
razione de'romantici;  che  il  vero  con  soavi  e  mo- 
deste parole  vuol  predicarsi  ;  e  oltre  questo  alcu- 
ne potenti  e  onestissime  ragioni,  in  che  sogliono  ar- 
marsi costoro,  debbono  con  sottile  diligenza  e  debi- 
to ossequio  essere  riguardate.  Del  resto  non  mi  è 
possìbile  dubitare  che  le  sentenze  del  Langon  sia- 
no lontane  a  ragione;  anche  lo  stesso  Byron  ed  il 
Goethe  impugnarono  le  romantiche  opinioni  (2).  E 
chi  non  vede  che  se  la  poesia  può  nudrirsi  ai  li-- 
bri  de'teologi  e  de'filosofi,  non  può  ne  deve  tramu- 
tarsi  in   teologia  ne  in  filosofia?  Si  pongan  pure  i 


(i)  la  Italia  pur  finalmente  le  sciagure  di  Cristoforo  Colom- 
bo hanno  un  degno  cantore  nel  genovese  Costa, 

(2)  Intorno  alle  presenti  condizioni  della  nostra  letteratura  il 
sig.  Luigi  Cicconi  ha  pubblicato  in  Parigi  due  lettere  dirette  al 
celebre  sig.  Michaud  membro  della  R.  accademia  francese.  Io 
penso  che  queste  due  lettere  siano  assai  strane  j  e  disordinate 
dal  vero,  e  che  l'italiana  sapienza  abbia  molto  a  dolersene.  Per- 
ciò mi  son  creduto  in  debito  di  esaminarle.  la  breve  le  mie  os» 
jervazioni  vedranno  la  luce. 


Poema  di  IìAmothb  243 

poeti,  se  loro  è  in  grado,  sulla  decantata  vìa  del 
progresso  nmano;  ma  ricordino  che  il  desiderio  di 
npyità  è  degnissìino  di  anime  libere  allorquando 
non  sian  soverchiate  (juelle  regole  che  son  l'opera 
(della  ragione  umana  e  de'secoli,  perciò  non  ci  dia^ 
no  mostri  né  orrori?  e  finalmente  considerino  che 
tutti  quegli  scrittori,  che  manomettono  l'antica  one^ 
sta  e  le  ragioni  della  favella,  fanno  un'  onta  cru" 
deli$3Ìm9  ^Ua  civile  maestà  della  patria, 

C.    GyZZONI    DEGH    AwcARAMf, 


^55 


Opuscoli  varii  di  Pier  Alessandro  Paravia  raccolti 
ed  emendati  dalV autore,  Torino  per  Giacinto  Ma-' 
rietti  1837, 

Orazione  pel  riaprimento  degli  studi  nella  regia  uni-f 
ver  sita  di  Torino  Vanno  1837,  Torino  tipogra^ 
p.a  CJiirio  e  Mina, 

Oaggio  pensiero  è  stato  quello  del  eh.  sig.  Pier 
Alessandro  Paravia  dottore  di  ambe  le  leggi,  cav. 
del  sacro  militare  ordine  de'ss,  Maurizio  e  Lazzaro 
e  prof,  di  eloquenza  italiana  nella  regia  università 
di  Torino,  di  raccogliere  in  questo  volumetto  di  car-. 
te  288  varie  produzioni  originali  già  da  esso  pub- 
blicate, ed  ora,  come  si  pare  dal  titolo,  in  qualche 
luogo  emendate.  Tre  sono  le  vite  che  vi  si  leggono: 
la  prima  è  di  x\lfonso  Varano  ristampata  anche   in 


244  Letteratura 

Roma  nel  1825  dal  Mordacchini,  innanzi  alle  opere 
teatrali  di  quel  poeta  divise  in  quattro  volumi:  la 
seconda  è  del  Tiraboschi,  la  terza  di  monsig.  Fran- 
cesco Bianchini.  Nella  prima  vita  si  è  l'autore  dif- 
fuso in  mostrare  come  il  Varano  fu  benemerito  dell' 
italiana  tragedia  e  della  poesia  dantesca,  cui  con- 
tribuì a  rimettere  in  onore:  discorre  nella  seconda 
del  merito  e  delle  fatiche  letterarie  del  biblioteca- 
rio modanese,  cui  l'Italia  dovrà  sempre  esser  gra- 
ta, perchè  fu  il  primo  a  darci  una  compiuta  isto- 
ria della  sua  letteratura  (1).  La  vita  del  Bianchini  è 
un  compendio  di  quella  dettata  da  Alessandro  Maz- 
zoleni:  vi  sono  però  aggiunte  notizie  interessantis- 
sime tratte  da  una  vita  inedita  del  Bianchini  scrit- 
ta dall'avv.  Giuseppe  Cito  napolitano  ,  e  che  fu  al 
Paravia  comunicata  dal  eh.  monsignor  Muzzarel- 
li.  Seguono  la  bella  orazione  sulle  lodi  di  Filip^ 
pò  Farsetti,  recitata  nella  grande  aula  della  regia 
accademia  di  belle  arti  di  Venezia  per  la  solen- 
ne distribuzione  de'premi  il  dì  2  agosto  dell'  an- 
no 1829,  e  l'altra  parimenti  elegante  per  l'inaugu- 
razione del  monumento  posto  nell'atrio  interno  del 


(i)  L'elogio  del  Tirabosclii  scritto  dal  sig.  canonico  Eugenio 
Guasco,  che  il  sig.  Paravia  dice  di  non  sapere  se  fu  dato  in  luce, 
fu  pubblicalo  in  llonia  nella  stamperia  Pagliarini  l'anno  1796 
col  seguente  titolo  -  Adunanza  tenuta  dagli  Arcadi  nella  sala 
del  serbatoio  il  di  l'i  marzo  lygS  in  lode  del  defunto  Cratillo 
Idèo  cav.  abate  Girolamo  Tiraboschi-  Dopo  la  prosa  seguono  va- 
rii  bei  componimenti,  fra  i  quali  primeggiano  i  nomi  di  Giusep- 
pe Antinori,  di  Francesco  Antonio  Fasce,  e  di  Luigi  Lamberti. 
Quest'ultimo  dettava  un  bellissimo  sonetto  inserito  nel  dello  li- 
bro a  pag.  5i,  che  con  alcune  varianti  veniva  ristampalo  in 
morte  di  Carlotta  Melania  Duchi  Alfieri,  e  si  legge  alia  pagina 
.10  delle  -  Poesie  e  versioni  inedite  o  disperse  di  Luigi  Lamberti 
reggiano.  Reggio  1822 -stamperia  Torreggiani  e  compagui. 


OptrscoLi  DEL  Paravia  245 

teatro  della  Fenice  in  Venezia  ad  onore  di  Carlo 
Goldoni,  orazione  declamata  nell'atrio  medesimo  la 
mattina  del  giorno  26  dicembre  1830.  L'autore,  per 
riuscir  nuovo  in  argomento  di  già  da  altri  trattato, 
prese  a  parlare  di  ciò  che  nella  vita  del  Goldoni  è 
veramente  veneziano  ,  e  fece  vedere  »  che  grande 
obbligo  ha  Venezia  col  suo  cittadino  per  la  gloria 
che  le  ha  procacciato  in  qualità  di  grande  scritto- 
re. »  E  fra  i  varii  argomenti  per  dimostrare  la  sua 
proposizione  ha  recato  ancor  questo,  cioè  »  l'onor 
grandissimo  che  deriva  a  Venezia  dall'avere  il  Gol- 
doni cosi  vivamente  rappresentato,  e  cosi  largamen- 
te diffuso  il  veneziano  costume.  »  In  fatti  chiunque 
pongasi  a  leggere  le  commedie  di  lui  non  può  non 
gustare,  ammirare  ed  amare  quell'ingenuo  e  lieto 
costume  de'veneziani. 

La  biografia  del  conte  Gio:  Francesco  Galeani 
Napione  di  Cocconato  è  un  tributo  di  gratitudine, 
ch'ha  voluto  egli  offerire  alla  memoria  di  un  uomo 
insigne  per  bontà  di  costume,  per  incarichi  soste- 
nuti, e  per  varietà  di  cognizioni.  In  fine  di  essa  bio- 
grafia è  riportata  la  iscrizione  latina,  che  il  mede- 
simo cavalier  Paravia  gli  fece  erigere  nel  chiostro 
del  seminario  patriarcale  di  Venezia,  ove  in  pietra 
ne  fece  anco  scolpire  il  ritratto.  Leggesi  per  ulti- 
mo un  affettuosissimo  sonetto,  che  il  nostro  A.  com- 
pose quando  in  compagnia  della  contessa  Luigia 
Lappiè,  figlia  del  Napione,  ne  visitò  il  sepolcro  nel- 
la domestica  sua  chiesetta  al  Rubatto.  Esso  è  il  se- 
guente. 


246  LetteratuiìA 

Ahi!  troppo  tardi  io  venni j  e  mi  deluse 
Di  tua  verde  vecchiezza  il  dolce  inganno; 
Venni,  ma  poi  che  l'urna  a  te  dischiuse 
Morte  nimicai  di  color  che  sanno^ 

Or  io  bacio  quest'urna^  a  cui  le  muse 
Pensose  deMor  mali  assidue  stanno: 
Piango,  e  le  gote  di  pàllor  suffusé 
Meco  la  figlia  tua  piange  il  suo  danno. 

Ma  la  fedele!  che  ti  visse  a  Iato 

Può  all*afflitto  pensiero  e  al  guardo  mesto» 
Fingersi  almeno  il  tuo  sembiante  amato; 

lo,  che  da  miei  più  cari  esule  resto^ 
Spero  indarno  conforti  all'egro  sfato 
Se  il  ciel  nimico  mi  rapia  pur  questo^ 

Il  ibrano  intorno  al  p.  Éartoli  e  alle  sue  sto- 
fie  e  tolto  da  quelle  lezioni,  che  il  Paravìat  ténei^ 
suole  innanzi  ad  Una  moltitudine  dì  svegliati  gio- 
vani^ e  le  quali  vorremmo  per  vantaggio  delle  let-» 
fere  che  fossero  gik  di  pubblico  diritto.  In  que- 
sto squarcio  mentre  il  prof,  si  fa  a  svolgere  i  pre- 
gi di  quel  Bartoli,  di  cui  disse  il  Monti  che  riiuno 
conobhé  tnegiio  i  più  riposti  segreti  detta  riosircL 
lingua^  non  manca  d'indicarne  anco  i  difetti^  e  sag- 
giamente avvisa  la  gioventù  *  che  il  Bartoli  è  scrit- 
tore di  storie  maraviglioso,  ma  ch'è  più  fàcile  che 
sia  da  tutti  ammirato,  che  imitato  da  alcuno  * 

La  dissertazione  sulla  patria  deMue  Plinii  è  in- 
dirizzata al  cavaliere  Ippolito  Pindemonte  ,  ed  in 
questa  dimostra  con  salde  ragioni  che  i  Plinii  eran 
più  tosto  nati  in  Como,  di  quello  che  in   Verona. 

Nella  lettera  al  conte  Giovanni  F'rancesco  Na^ 
pione  tratta  del  volgarizzamento  delle  lettere  di 
Plinio  il  giovane  fatto  dall*  abate    Giovanni  Tede- 


Opuscoli  del  Paravia  247 

scili,  pubblicato  la  prima  volta  in  Roma  nel  1727 
e  quindi   in  Livorno  nel   1753-59:  la  qual   ristam- 
pa sarebbe  stata  l'ultima,  se  in  Milano,  non  ha  mol- 
to, non  se  ne  fosse  procurata  una   nuova  edizione. 
Il  Napione  aveagli  addimandato  che   cosa  pensasse 
di  tale  volgarizzamento;  il  Paravia  dimostra  in  que- 
sta lettera  che  Tabate  Tedeschi  si  giovò  della  tra- 
duzione del  Sacy,  data  fuori  nel  1701   quando  i  li- 
bri francesi  non  aveano  ancor  tanta  voga  al  di  qua 
delle  alpi.    Egli  per  far  questo  confronto   esamina 
con  attenzione  le  sole  prime  cinque  lettere  del  pri- 
mo libro:  anzi  omettendo  la  prima,  che  è  breve  e  di 
poco  momento,  restringe  il  suo  esame  a  sole  quat- 
tro lettere  ,  le  quali  non  sono  neppure   delle   piìi 
lunghe:  aggiunge,  che  se  entro  a  così  brevi  termi- 
ni gli  riuscirà  di  cogliere  il  Tedeschi  in  tali  e  tan- 
te colpe  verso  il  suo  autore^  che  basterebbero  a  de- 
turpare la  sua  traduzione  quando  anche  non  vi  s'i?i- 
contrassero  che  queste,  dovrà  giudicarsi  da  questo 
saggio  se  la  detta  traduzione  meriti  ,   non   dirassi 
quella  stima  ,  ma  neppure  quella  indulgenza    con 
che  da  taluni  sembra  essere  stata  fìno  ad  or    ri- 
cevuta. Nota  inoltre  nel  Tedeschi  una  grande   infe- 
deltà, per  cui  o  fa  dire  a  Plinio  ciò  che  non  dice, 
o  gli  fa  tacere  ciò  che  dice,  o  gli  fa  dire  il  con- 
trario di  ciò  che  dice. 

Dalle  quali  osservazioni  è  chiara  la  conseguen- 
za, che  questo  scrittore  abbisognasse  di  essere  inte- 
ramente tradotto,  non  essendo  se  non  di  poche  let- 
tere le  versioni  che  ne  abbiamo  fatte  dal  Dolce, 
dal  Vannetti,  dal  Zannolini  ,  da  donna  Margarita 
Fabri  negli  Altemps  e  da  altri.  E  questa  gloria 
devesi  al  medesimo  cav.  Paravia,  il  quale  non  solo 
ne   stampò   un  saggio  nell'Antologia    fin  dall'  anno 


248  Letteratura 

1825,  e  nel  primo  tomo  degli  atti  dell'ateneo  di 
Venezia,  ma  in  appresso  tutti  volgarizzò  que'dodici 
libri,  aggiungendovi  in  fine  opportune  note.  Ne  man- 
cò di  apporvi  allora  il  testo  latino,  affinchè  meglio 
si  potesse  confrontare  dai  dotti  là  li^aduzione.  Della 
quale  letteraria  fatica  amplissimo  frutto  raccolse  il 
Paravia,  si  pe'favorevoli  giudizi  che  ne  vennero  dati 
dai  giornali,  si  ancora  per  essere  stata  riprodotta 
nel  1834  in  Torino  dal  Marietti,  non  avendo  manca- 
to l'autore  di  rivedere  e  di  ritoccare  il  suo  lavoro. 

Ritornando  però  agli  opuscoli,  di  cui  abbiamo 
incominciato  a  parlare,  dopo  la  lettera  al   Napione 
segue  una  breve,  ma  assai  elegante  notizia  della  con- 
tessa Anna  di  Schio  di  Serego  Allighieri,  illustre  da- 
ma colta  da  immatura  morte  nel  1829  in  Verona  sua 
patria,  e  sopra  la  cui  tomba  sparsero  fiori  illustri  let- 
terati encomiandone  in  prosa  ed  in  verso  lerare  virtìi. 
Vengono  per  ultimo  dodici  articoli  necrologici, 
inseriti  in  diversi  tempi  o  nel  giornale  di  Treviso,  o 
nella  gazzetta  di  Venezia.  Sono  essi  di  Giovanni  An- 
tonio dalla  Bella  padovano  già  prof,  di  fisica  speri- 
mentale nell'università  di  Coimbra,  del  conte  Fran- 
cesco Benedetti  Forestieri  di  Sinigaglia,  che  con  tan- 
ta grazia  avea  incominciato  a  tradurre  l'elegie  di  Ti- 
bullo, del  conte  D.  Agostino  Carli  Rubbi  commenda- 
tore del  s.  ordine  militare  de'santi  Maurizio  e  Lazza- 
ro, e  figlio  del  celebre  Gian  Rinaldo  Carli,  di  Gio- 
vanni Battista  Gasparri  morto  in  Venezia  nell'ottavo 
lustro  di  sua  età,  di  Paolo  Giaxich,  di  Antonio  Me- 
nizzi  gih  direttore  della  regia    zecca  di  Venezia,  di 
D.  Giuseppe  Monico  arciprete  di  Postioma,    di   Giu- 
lio Perticar!,  il  cui  nome  è  superiore  ad  ogni  elogio, 
e  del  conte  Alessandro  Sclopis  di  Salerano  torinese 
cultore  illustre  della  lingua   latina  e  della  poesia. 


Opuscou  del  Parwia.  249 

Anche  uno  di  questi  articoli  necrologlcl  è  con- 
secrato  alla  memoria  di  Clemente  Bondi,  di  cui  si  fa 
a  rivendicare  la  fama,  correggendo  il  Sismondi,  il 
quale  gli  movea  rimprovero  perchè  avesse  scritto 
cose  profane.  ,,  Io  per  me,  dicea  il  sig.  Sismondi, 
vorrei  che  un  abate  facesse  poemi  religiosi  se  tale  è 
la  sua  vocazione,  o  veramente  che  dimenticasse  del 
tutto,  o  ne  lasciasse  dimenticare  che  egli  è  abate  „. 
Il  Paravia  fa  vedere,  che  il  Bondi  non  fu  mai  prete, 
che  mai  non  appose  alle  sue  opere  il  titolo  di  abate, 
e  che  solamente  per  suo  comodo  vestiva  di  nero.  Ab- 
benchè,  a  dire  il  vero,  le  poesie  di  questo  ex-gesuita 
sono  tutte  sì  oneste, che  possono  liberamente  lasciarsi 
nelle  mani  delle  persone  le  piìi  scrupolose  ;  e  solo 
ne  dispiace  che  c[uanto  sono  commendabili  per  la  fa- 
cilità delle  espressioni,  e  per  la  spontaneità  del  ver- 
so, altrettanto  siano  a  notarsi  per  la  poca  sceltezza 
della  lingua,  per  la  poca  eleganza  dello  stile. 

Chiude  il  volume  la  notissima  orazione  pel  gior- 
no onomastico  del  re  Carlo  Alberto,  orazione  di  cui 
già  si  sono  moltiplicate  l'edizioni,  e  che  tanto  meri- 
tamente è  stata  lodata.  Di  questo  libro  poi  è  piaciu- 
to all'autore  di  donare  il  titolo  al  sig.  conte  Cesare 
Benevello  della  Chiesa,  rendendogli  ragione  del  mo- 
tivo che  avevalo  indotto  a  tale  ristampa,  e  delle  se- 
conde cure  adoperatevi. 

Dato  un  breve  estratto  di  cjuello  che  contiensi 
in  quest'aureo  libretto,  che  come  tale  non  dubitia- 
mo chiamarlo,  passiamo  a  parlare  dell'orazione  pel 
riaprimento  .degli  studi  recitata  dal  medesimo  Para- 
via nella  grande  aula  della  regia  università  di  Tori- 
no il  giorno  3  di   novembre  dello  scorso  anno  183T. 

E  primieramente  ci  rallegriamo  coli'  oratore 
perchè  lin  dal  bel  principio,  anzi  che  dir  male  del 
G.A.  T.LXXIV.  17 


250  Letteratura 

nostro  gecolo  ,  egli  si  compiace  appunto  di  esser» 
nato  in  tal  tempo,  Imperocché  quando  fa  mai  cIC 
egli  (r  uomo)  operasse  maggior  numero  di  prodi- 
gi ?  E  qui  brevemente  si  fa  a  descrivere  i  progress 
si  che  a'nostri  giorni  hanno  fatto  le  scienze  ,  le 
lettere,  e  le  arti;  nella  quale  narrazione  con  molto 
accorgimento  sa  egli  cogliere  il  destro  per  tribu- 
tare le  dovute  lodi  alla  maestà  di  Carlo  Alberto  vC' 
l'o  mecenate  de'dotti.  Il  soggetto  poi  ch'egli  impren- 
de a  trattare  è  veramente  nobile  e  degno,  Imperoc-^ 
che  posto  per  principio,  che  la  religione  di  Cristo 
dovesse  introdurre  le  pratiche  di  un  nuovo  culto 
e  formar  le  regole  di  una  nuova  morale,  dovea  al- 
tresì gittare  le  fondamenta  di  una  nuova  lettera- 
tura, e  render  tanto  più  perfette  le  opere  dell'in- 
gegno, quanto  piùi  del  suo  spirito  si  fossero  avviva- 
te. Questa  verità  è  quella  che  con  molta  eloquenza 
prende  egli  a  dimostrare:  la  quale  se  non  è  nuova,  è 
certamente  da  lui  con  molta  novità  trattata.  Breve- 
mente riporteremo  qualche  saggio  di  tale  orazione, e 
sceglieremo  appunto  quello  in  cui  Tautore  parlando 
della  tragedia  discorre  eziandio  del  Sofocle  astigiano. 
>»  Ne  siffatto  contrasto  (fra  la  passione  e  la  virtìi)  in 
veruna  composizione  si  manifesta  piìi  vivamente  che 
nella  moderna  tragedia,  la  quale  però  tanto  dovea 
vantaggiare  l'antica,  quanto  piìi  ci  commuove  un 
uomo  che  lotta  colle  proprie  passioni  di  quello  ch'è 
percosso  da  una  inevitabile  fatalità.  Ed  oh!  miei  si- 
gnori, perchè  mai  quel  vostro  illustre  e  incompara- 
bile scrittore,  in  grazia  del  quale  l'italiano  coturno 
non  piìi  teme  il  paragone  collo  straniero,  perchè 
mai  si  è  chiusa  egli  stesso  questa  fonte  d'interesse 
drammatico  ,  della  quale  avea  fatto  nel  Saul  così 
magnifico  sperimento  ?  Perchè  volle  egli  sì  sovente 
apparir  greco,  quando  ''ichicdeano  i  tempi,  ch'egU 


Opuscoli  del  Paravia  251 

fosso  sempre  italiano  ?  Perchè  mai  in  luogo  di  pro- 
tliir  sulle  scene  i  grandi  fatti  delle  nostre  istorie, 
volle  egli  ricondurvi  quell'eterne  schiatte  dei  Pelo- 
pidi  e  dei  Labdacidi,  cos'i  spesso  colpite  dal  dispet- 
to degli  uomini  o  dallo  sdegno  de'numi  ?  Perchè  in 
luogo  di  mostrarci  i  suoi  eroi  travagliati  da  quelle 
passioni,  che  tutti  sentono,  ce  li  volle  mostrar  per- 
cossi da  quella  fatalità,  cui  nessun  crede  ?  Sebbene 
tale  e  tanta  è  la  forza  del  cristianesimo,  che  lo  spì- 
rito di  lui  s'insinua  in  quelle  opere  istesse,  che  piìi 
ne.  sembran  lontane:  e  però  se  il  Chateaubriand  ha 
dimostrato  (1)  che  la  Ifigenia  e  Y Andromaca  di  Ra- 
cine,  l'una  cosi  docile  e  rassegnata,  l'altra  cosi  tem- 
perata e  modesta,  non  son  già  formate  suU'esemplar 
greco,  ma  sul  tipo  cristiano;  perchè  non  si  dirà  for- 
mato su  questo  tipo  anche  il  Polinice  d'Alfieri,  quel 
Polinice,  per  cui  tutti  provano  la  tenerezza  di  Anti- 
gone, quel  Polinice  che  in  mezzo  all'ira  ingenita  a 
quella  casa  fatale  esce  in  sentimenti  cos\  virtuosi  e 
jnagnanimi;  e  che  alle  feroci  parole  di  Etocle 


Io  moro. 
E  ancor  t'abborro  .  .  ,  , 


risponde  quelle  altre; 

Io  moro  ,  .  .  e  a  te  perdono. 

Or  donde,  richiedo  io,  donde  trasse  l'Alfieri  questa 
sublime  parola  perdono  ?  Forse  dal  gentilesimo  , 
presso  cui  la  vendetta  era  un  sentimento  nobile  e 
sacro,  che  si  associava  perfino  alla  religion  de'se- 
polcri?  Forse  dal  teatro  greco,  nel  quale  non  v'ha 

(i)  Genio  del  cristianesimo,  par.  II  lib.  2  cap.  6,  8. 


252  Letteratura 

passione  che  ricorra  più  frequente  e  piìi  animata 
di  questa?  Forse  dallo  sdegnoso  Giuvenale,  che  disse 
la  vendetta  piìi  gioconda  ancor  della  vita?  (1)  For- 
se? .  .  .  Ma  che  vale  lo  smarrirsi  in  indagini,  quan» 
do  ogni  cosa  è  patente?  Sì,  miei  signori,  quella  so- 
lenne, quella  consolante  parola  perdono,  che  apre 
alla  morente  Clorinda  del  Tasso  le  porte  della  fe- 
de e  del  cielo,  che  al  moribondo  Gusmano  del  VoU 
taire  fa  perdonare  gli  eccessi  di  una  vita  scelle- 
rata ed  infame,  questa  parola  l'Alfieri  non  la  potea 
togliere,  ne  la  tolse  in  effetto,  che  da  quel  codice 
di  carità,  il  quale  fece  dell'oblio  delle  offese  una  re- 
gola, e  dell'amor  de'ncmici   un  comando  „. 

Quanto  poi  non  è  sublime  e  toccante  il  seguen- 
te luogo,  in  cui  viene  a  parlare  della  cristiana  umil- 
tà! ,,  Vi  accadde  egli  mai,  o  signori,  di  udir  lo- 
data dagli  antichi  poeti  l'umiltà  delle  lor  donne?  O 
non  era  anzi  il  loro  incomportabile  orgoglio,  ch'essi 
tentavano  di  espugnare  colla  lusinga  de'doni,  colU 
seduzione  delle  lagrime,  e  per  fino  colla  virili  degl* 
incanti?  Ma  dapoi  che  sfolgorò  agli  occhi  dell'uni- 
verso l'esempio  di  una  vergine  prediletta  in  sin- 
goiar modo  dal  cielo  per  effetto  della  sua  straordi- 
naria umiltà  ,  da  poi  che  a  questo  segno  si  rico- 
nobbero i  seguaci  di  quel  divino  maestro,  che  sì 
gloriò  di  esser  mite  ed  umil  di  cuore;  la  umiltà  per- 
de la  indebita  taccia  di  virtìi  meschina  ed  abietta,  e 
venne  anzi  in  tal  pregio,  che  i  poeti  commendando 
la  umiltà  della  lor  dorma,  tutte  stimarono  in  questa 
di  compendiar  le  sue  lodi,  di  restringere  le  sue  vir- 
tù. E  di  ragione:  imperocché  qual  v'ha  incanto  sulla 
terra  che  a  quel  s'agguagli  della  modesta  e  verecon- 
da bellezza,  che  raccolta  negli  occhi,  ristretta  ne've- 

(i)  Et  vindicta  bonum  vita  iucundius  ipsa. 


Opuscoli  del  Paravia  251^ 

11,  schiva  ne'  modi,  non  ambisce  conquiste  ,  non 
ostenta  trofei,  che  non  s'avvede  se  altri  1'  ammira  , 
non  invanisce  se  altri  la  loda,  e  che  seco  recando  un 
raggio  quasi  di  cielo  essa  è  pur  sola  che  o  lo  ignori, 
o  noi  prèzzi  ?  E  per  ciò  appunto  che  la  umiltà  ge- 
nera sì  pudiche  grazie  e  sì  care  virtù:  per  ciò  che 
dalla  sola  umiltk  procede  la  vera  grandezza,  ne  vie- 
ne, come  ha  già  notato  un  grande  ingegno  (1),  quell' 
Incontrarsi  così  di  sovente  la  parola  umiltà  nelle 
amorose  rime  dell'Ai lighieri;  il  cui  poema  sacro  ba- 
sterebbe pur  solo  a  darmi  oggi  vinta  la  prova,  e 
quel  chiamare  Beatrice  d'umiltà  vestita,  e  quel  dire 
che  in  chi  parlar  la  sente  non  pur  nasce  ogni  dol- 
cezza, ma  eziandio  ogni  pensiero  umile.  La  qual  lo- 
de ben  consuona  colla  purità  di  quella  cara  anima 
di  Beatrice,  la  quale  raccomandando  alla  pietà  di 
Virgilio  lo  smarrito  suo  amico 


s' 


„  Gli  occhi  lucenti  lagrimando  volse:  „ 

deUcatisslmo  atto,  il  quale  ci  rende  vieppiù  preziose 
quelle  lagrime,  che  spreme  la  passion  da  suoi  occhi, 
ma  che  il  pudore  le  fa  nascondere  agli  occhi  altrui,,. 
Ma  per  riferire  tutti  i  tratti  più  belli  di  que- 
sta orazione  converrebbe  riportarla  per  intero,  e  ci 
gode  l'animo  in  vedere,  che  quasi  appena  uscita  sia 
stala  riprodotta  in  Bologna  fra  le  poesie  e  prose  ine- 
dite o  rare  degl'  italiani  viventi  ad  onore  della  no- 
stra letteratura,  e  del  chiaro  autore,  il  quale  con  tan- 
ta eleganza  e  proprietà  di  lingua  scrive  siccome  in 
prosa,  così   anche  in  verso. 

F.  Fabi  Montani. 

(i)  y.  l'art,  di  Niccolò  Tommaseo  „  sull'amore  di  Dante  ,, 
il  quale  leggesi  nel  Subalpino,  agosto  iS56y".  4'29- 


254 


BELLE    ARTI 


Siiir  e  spressione  nelle  opere  di  belle  arti^  discorso 
recitato  alV insigne  e  pontificia  accademia  romana 
di  s.  Luca,  nella  premiazione  scolastica  del  1 837, 
dal  cav.  Antonio  Sola,  scultore,  presidente  della 
medesima  accademia,  professore  della  R.  di  Ma- 
drid e  dell'I,  e  R.  di  Firenze,  socio  onorario  del- 
la pontificia  romana  di  archeologia  ec.  Traduzio- 
ne dalla  lingua  spagnuola. 


V^osì  vasto,  o  giovani  valorosi,  è  l'argomento  che 
oggi  imprendo  a  discorrervi:  dell'  espressione  cioè 
in  queste  arti  belle,  oggetto  carissimo  de'vostri  stu- 
di e  del  vostro  amore;  ch'io  reputo  quasi  impossi- 
bile, non  che  arduo,  il  darvene  una  piena  contezza 
nella  bi'evitk  del  tempo,  che  la  presente  solennità 
mi  concede.  Cercherò  dunque  in  sì  ampio  mare 
guardar  solo,  dirò  così,  ad  una  sponda:  ristringen- 
domi ad  osservare  non  altro  che  il  magistero  di  es- 
sa espressione  in  alcuna  delle  opere  antiche,  nelle 
quali  vedesi  condotta  con  maggior  perfezione.  Dì 
grazia  prestatemi  udienza. 

Opere  nell'arte  piìi  notabili  e  più  perfette,  o 
giovani,  vogliono  aversi  quelle  che  mostrano  eser- 
citare più  forza  sulle  nostre  facoltà  della    mente. 


DlSCOftSO   DEL   CAV.   SoLA*  255 

S'i»  elle  Sole  hanno  il  pregio  di  piacer"  sèmpre:  el- 
le solej  quasi  un'occulta  divinità  le  inspiri^  non  te- 
tnono  che  rnai  si  sfiori  la  lor  giovinezza.  Ma  d'onde 
credete  voi  che  provenga  sì  grande  portento?  Com'è 
che  tutte  le  cose  in  terra  appassiscono  e  cadono,  e 
in  queste  sole  non  possa  là  comun  legge  della  na- 
tura? Gom'  è  che  ne  il  volger  de*secoli,  ne  il  ca- 
priccio degli  uomini^  ne  l*uso  dominatore  hanno 
t*agione  alcuna  sovr'esse?  V'ha  dunque  alcuna  cosa 
nell'arte,  che  tanto  valga  a  insegnare?  Si,  o  giovani, 
v'ha:  ed  è  Tattendere,  come  principal  magistero, 
alla  giusta  espressione  ed  alla  beltà  delle  forme'.  Ed 
ora  qual'opera,  fra  tutte  quelle  che  sfuggite  sono 
al  guasto  del  tempo,  qual'opera  mal  potrebbe  in 
ciò,  non  dico  vincere,  ma  uguagliare  il  Laocoonte? 
Sovr'esso  quindi  io  chiamerò  la  vostra  attenzione, 
con  tanto  maggior  efietto,  siccome  spero,  in  quanto 
che  da  voi  stessi  potrete  poi  in  vaticano  inspirar- 
vi sul  famoso  gruppo,  ch*io  singolarmente  all'osse- 
quio della  gioventìi  raccomando.  Ma  prima  che  all' 
analisi  procediamo^  è  duopo  che  di  una  gran  veri- 
tà slate  persuasi;  cioè  della  parte  altissima  che  la 
moral  condizione  ha  sopra  il  corpo  umano  nell'e- 
steriormente  manifestare  le  varie  passioni  di  gioia 
o  di  patimento:  o  per  meglio  esprimermi,  fa  di  me- 
stieri, o  giovani,  l'aver  per  certissimo,  che  il  diver- 
so stato  sociale,  la  divèrsa  educazione,  e  tante  al- 
tre circostanze  diverse  del  vivere  inducono  ferma- 
mente fra  uomo  ed  uomo  una  differenza  conside- 
rabile di  sentire  e  di  patire.  Siffatta  differenza  dai 
greci  artefici  non  pure  non  fu  mai  trascurata,  ma 
stimata  fu,  siccom'  è  veramente  ,  una  legge  della 
natura:  e  ad  essa  costantemente  tennero  fisa  l'anima 
nell'operare  in  tela  od  in   marmo,  non  altrimenti 


256  Belle     Arti 

che  a  quella  bellezza,  la  quale  informar  doveva  tut- 
te le  membra,  sia  nelle  passioni  miti  e  gentili,  sia 
nelle  fiere  e  violenti:  nelle  une  e  nelle  altre  chie- 
dendo sempre  que'sommi  il  Lello  e  la  dignith.  Cer- 
to accresceva  ciò  la  difficolta  delie  arti:  ma  que'gre- 
ci  maestri  alla  grande  scienza  ed  alla  grande  pra- 
tica sapevano  maravigliosamente  congiungere  ciò 
che  anima  veramente  e  regge  tutto  il  regno  intel- 
lettuale, dico  la  più  profonda  filosofia:  dalla  quale 
mai  non  dipartendosi,  guardate  la  come  le  loro  ope- 
re nel  tempo  stesso  che  per  espressione  vivacissi- 
ma ci  commovono,  per  divina  beltk  ci  dilettano. 

Dissi  filosofia  :  ma  dissi  altresì  grande  scienza 
di  operare.  La  quale,  o  giovani,  consisteva  nel  cer- 
care profondamente  i  principi i  onde  sono  mosse  le 
passioni  dell'animo,  e  nel  conoscere  tutte  le  altera- 
zioni che  ne  avvengono  alia  vita  organica  ed  ai  vi- 
sceri che  la  compongono.  Scopo  fu  anche  questo 
principalissimo  delle  loro  meditazioni:  il  quale  re- 
cavali a  contemplar  la  natura  sia  da  se  stessi,  sia 
colla  guida  de'piìi  eccellenti  maestri  che  già  l'ave- 
vano investigata:  sempre  fermi  però,  siccome  dissi, 
alla  ragione  morale  delle  varie  persone  che  dove- 
vano rappresentare.  Nobile  compostezza  di  corpo, 
gridavano  essi  nella  vita  civile  :  e  nobile  compo- 
stezza di  corpo,  gridavano  pure  nelle  arti  belle,  le 
quali  volevano  che  di  quella  fossero  immagini  e  gui- 
datrici.Gosi  davansi  a  vicenda  la  mano,  per  formar- 
ne un  tutto  maraviglioso,  ed  il  fisico  ed  il  morale:  e 
ne  derivavano  due  canoni  dell'arte,  che  mai  non  do- 
vevano scompagnarsi,  la  verità  e  la  bellezza:  canoni 
così  solenni,  che  solo  essi  formarono  l'essenza  ,  solo 
essi  il  gran  segreto  della  scuola  greca:  intorno  a'qua- 
li  la  sapienza  di  Platone   esce    in    queste  sentenze  : 


Discorso  del  cay.  Sola.'  257 

„  La  sanità,  dlc'egli,  la  forza  delle  membra,  la  fran- 
„  chezza.  Il  coraggio,  la  magnanimità,  la  costanza 
„  sono  qualità  che  costituiscono  la  perfezione  degli 
,,  esseri  della  umana  specie,  e  piacciono  per  se  stes- 
„  se  e  piacer  devono  necessariamente  e  per  sempre. 
„  Le  passioni  all'incontro  non  servono  alla  nostra  fe- 
„  licita,  che  quando  moderate  sono  dalla  prudenza. 
„  La  vista  delle  irritate  passioni  non  ha  quasi  mai 
„  nessun'attrattiva  :  anzi  spaventati  siamo  dall'  im- 
„  peto  loro.  Ciò  che  a  preferenza  cerchiamo  nello 
„  spettacolo  ch'esse  ci  rappresentano,  non  è  il  ve- 
„  derle  svelate  colle  loro  violenze  :  non  è  il  vederle 
„  in  tutta  la  loro  sfrenatezza:  ma  si  il  mirarle  re- 
„  presse  dalla  virtù  di  chi  soffre.  I  disordinati  mo- 
„  vimenti,  le  contrazioni,  le  grida,  indeboliscono  la 
„  pietà  nostra  invece  di  accrescerla.  Così  pure  l'al- 
„  legrezza  smodata  ci  ha  immagine  di  debolezza. 
„  Noi  vogliamo  che  fra'tormenti  i  piìi  fieri  ,  che 
„  nell'agonia,  e  che  fin  dopo  morte  l'uomo  conservi 
„  pieno  di  calma  il  suo  esteriore.  La  tranquillità  è 
„  ciò  che  annunzia  un'anima  superiore  agli  affanni 
„  ed  alla  istessa  morte.  Tanto  nel  morale  quanto 
„  nel  fisico,  tanto  ne'piaceri  quanto  nelle  pene,  vo- 
„  gliamo  che  l'uomo  sia  compiutamente  uomo  ,  e 
„  che  ci  si  porga  nello  stato  della  maggiore  su- 
„  hlimita,  a  cui  possa  innanzi  agli  occhi  nostri  ele- 
„  vansi  l'anima  di  un  mortale  :  che  sia  pieaa  cioè 
„  di  quella  quiete  inalterabile,  che  consideriamo 
„  siccome  propria  della  divinità.  „ 

Così  scriveva,  o  giovani,  il  gran  discepolo  di 
Socrate  :  così  a  noi  rivelava  i  principii  che  reggeva- 
no i  greci  costumi.  Ne  già  rimasero  essi  fra  quel 
popolo  come  semplici  teorie.  Male  avviserebbe  chi 
ciò  credesse  :    imperocché  a  tutti  è  noto ,    come 


258  Belle     Arti 

que'grandi  sapevano  ne'giorni  della  sciagura  non  so-' 
lo  con  saldo  petto  soffrire,  ma  con  imperturbabile 
volto  incontrare  queirulfimo  fine,  il  cui  aspetto  e 
pensiero  suole  ogni  altro  uomo  empir  di  spavento. 
Con  questo  saldo  petto  n'andarono  in  bando  Ari- 
stide e  Temistocle;  con  questo  imperturbabile  volto 
morirono  di  condanna  Socrate  e  Focione ,  ed  Epa- 
minonda traevasi  il  fatai  ferro  dalla  ferita  i  e  quin- 
di lo  scultore  Agesandro,  fermo  a  quei  costume  ma- 
gnanimo,  rappresentò  pure  il  suo  Laocoonte  ,  il 
quale  benché  di  greca  stirpe  non  fosse,  era  perà 
fratello  ed  Anchise  ,  e  sacerdote  di  Nettuno  e  di 
Apollo,  e  per  questo  mostrar  doveva  l'aspetto  e  l'a- 
nimo di  un  eroe. 

Ciò  premesso,  ci  giovi,  o  carissimi,  considerare 
alquanto  i  generali  principi!  che  agiscono  suH'or- 
ganismo,  pei  quali  l'uomo  e  sente  e  fa  ad  altri  sen- 
tire le  proprie  perturbazioni  per  mezzo  dei  movi*- 
menti  diversi  prodotti  dai  moti  muscolari  della  sua 
faccia  j  cioè  a  dire,  consideriamo  com'egli  ci  fa  co- 
noscere il  vario  stato,  in  che  l'anima  si  ritrova,  o 
di  piacere,  o  di  dolore,  o  di  gioia,  o  di  tristezza,  o 
d'ira,  o  di  spavento.  Nel  che  non  userò  più  auto- 
revoli parole  di  quelle  che  scritte  sono  nella  fisio- 
logia del  chiarissimo  professor  Medici  ,  presente 
onore  della  bolognese  università.  „  È  il  cervello  , 
dic'egli,  un  istrumento  materiale  delle  facoltà  dell' 
anima  per  mezzo  de'nervi,  e  della  midolla  allunga- 
ta e  della  spinale,  ed  in  comunicazione  cogli  esterni 
organi  de'sensi,  e  coi  muscoli  motori  del  tronco  e 
delle  articolazioni,  di  guisa  che  agiscono  essi  e  si 
mutano  proporzionatamente  alla  qualità  e  al  grado 
della  forza,  che  primitivamente  li  fanno  movere.  Il 
quale  ordinamento   di    cose  essendo  prescritto  da 


,1 


Discorso  del  cav.  Sola'  259 

«ha  legge  immutabile  dell'  organizzazione  ,  il  lin- 
guaggio rii  azione  seguir  dee  norme  certe  e  costanti. 
Il  linguaggio  articolato  può  essere  difettivo,  ambi- 
guo, incerto  :  ma  nulla  ambiguità,  nulla  incertez- 
za è  nella  espressione  immediata  della  natura  „. 
Cosi  il  prof.  Medici. 

Ora  con  queste  idee  morali  de'greci  ,  e  con 
queste  leggi  della  natura,  osserviamo  di  grazia  il  fa- 
moso gruppo  del  Laocoonte,  il  quale  ce  le  mostra 
cos'i  chiare  e  sublimi,  che  invano  cercherei  additar- 
vi altra  opera  ,  che  gli  si  potesse  paragfonare  così 
di  antico  come  di  moderno  artefice. 

il  soggetto  ivi  rappresentato  è  forse  il  piìi  tra- 
gico che  l'arte  statuaria  abbia  giammai  condotto  , 
ed  è  notissimo  anche  ai  mezzanamente  istruiti  nelle 
cose  troiane,  non  che  a  voi,  o  giovani,  che  aver  do- 
vete a  memoria  i  divini  versi  dell'Eneide.  E  perchè 
non  ci  è  rimasa  la  tragedia  di  Sofocle  !  Abbiamo 
nel  Laocoonte  il  più  sublime  esempio  del  modo  , 
col  quale  i  greci  desideravano  che  i  loro  eroi  con 
dignità  tollerassero  le  più  terribili  ambasce.  Il  do- 
lore che  soffrir  deve  il  suo  corpo  ,  e  la  grandezza 
dell'anima  sua  sono  si  bene  espresse  in  tutte  le  par- 
ti del  gruppo  ,  che  lo  spettatore  guardar  noi  può 
senz'essere  profondamente  commosso  dalla  sua  di- 
savventura. L'artefice,  che  seppe  con  tanta  espres- 
sione operare  ,  bisogna  bene  che  dentro  a  se  con 
inestimabile  forza  sentisse  la  maraviglia  di  un  invit- 
to coraggio.  Ritrarre  infatti  il  solo  dolore  che  cosa 
sarebbe  stata  ?  Per  riunir  tutto  ciò  ,  che  forma  un 
vero  magnanimo,  dar  doveva  Agesandro,  e  lo  diede, 
alle  figure  del  gruppo  tali  attitudini,  che  colle  bel- 
le lince  conservassero  tutti  i  prestigi  della  bellezza. 


260  Belle    Arti 

Ove  si  consideri  quest'opera  rispetto  ai  canoni 
dell'arte,  che  costituiti  sono  dalla  invenzione,  dalla 
composizione  ,  dalla  espressione  ^  dalla  simetria  , 
dalla  bellezza,  e  dalla  intelligenza  anatomica,  ve- 
drassi  che  le  due  prime  qualità,  cioè  1'  invenzione 
e  la  composizione,  così  congiunte  sono  colla  terza, 
vale  a  dire  coll'espressione,  che  malgrado  dell'esse- 
re state  dall'artefice  separatamente  meditate  ,  mo- 
stransi  tuttavia  cos'i  naturali  e  conformi  alla  rap- 
presentazione del  gruppo,  che  sembran  tratte  dal 
vero.  In  qualunque  lato  risguardasi,  è  una  maravi- 
glia. L'elezione  delle  linee  è  tale,  che  appena  po- 
trebbe idearsene  una  migliore;  ciascuna  attitudine 
delle  tre  figure  è  per  se  bellissima,  e  riunite  in 
gruppo  formano  un  vero  incanto  di  armonia,  senza 
che  niuna  copra  le  parti  piìi  essenziali  all'altra  ,  e 
che  elle  sieno  fra  loro  o  troppo  separate  o  troppo 
unite.  Se  l'artista  avesse  condotta  l'opera  sua  stret-» 
to  alla  narrazione  che  di  quel  fatto  mitologico  ci  ha 
lasciato  la  poesia,  cioè  se  rappresentato  avesse  Lao- 
coonte  ed  i  figli  soffocati  da'serpi  che  loro  si  avvi- 
ticchiarono intorno;  certo  la  composizione  sarebbe 
stata  naturalissima,  ma  non  so  quanto  artistica  e 
quanto  gradevole  :  che  v'ha,  o  giovani,  gran  diflfe- 
renza  fra  il  modo  di  narrare  un  fatto  e  quello  di  fi- 
gurarlo per  mezzo  delle  arti  belle  :  altro  volendo  il 
sensorio  dell'udito,  ed  altro  quel  della  vista. 

Se  tutte  però  le  parti,  che  costituiscono  l'arte  , 
trovansi  con  tanto  gusto  e  sapere  in  quest'opera  riu- 
nite, l'espressione  tuttavia  vuol  dirsi  sopra  tutte  le 
altre  trionfatrice.  Con  qual  evidenza  di  verità  non 
ci  mostra  l'artefice  la  sua  idea  in  cosa  tanto  difficile! 
Ecco  là  in  grandissimo  affanno  un  padre  e  due  figli! 
Si  volgono  con  pietk  i  giovinetti  verso  l'autore  de'lo- 


Discorso  del  cav.  Sola.*  261 

ro  giorni,  e  in  quella  che  gli  domandan  soccorso  , 
sono  pur  tutti  intesi  a  disciorsi,  per  quanto  valgono 
le  loro  forze,  da'serpi  che  fieri  ed  ardenti  divinco- 
landosi stringon  loro  e  pungon  le  membra.  Sente 
l'infelice  padre  nel  profondo  dell'anima  i  lamenti 
di  que'suoi  cari  ,  e  gli  ha  piìi  crudeli  del  dolore 
stesso  ch'ei  soflfre  pel  terribile  rettile  che  già  gli  fe- 
risce il  fianco:  sicché  allontanando  gli  occhi  da  essi, 
li  rivolge  al  cielo  in  atto  di  chieder  soccorso  agli 
dei  in  tanta  sua  pena.  Non  s'i  però,  che  non  si  ado- 
peri anch'esso  con  forti  braccia  a  disnodarsi  dalle 
spire  di  que'feroci  assalitori,  secondo  l'istinto  che  a 
tutti  da  la  natura  di  conservare  per  ogni  modo  la 
vita. 

In  mezzo  a  tanti  sforzi  ed  a  tanti  affanni  vede- 
te però  come  in  tutte  e  tre  le  figure  mostrasi  aper- 
tissima quella  dignità,  che  i  greci  costumi  volevano 
nel  soffrir  degli  eroi  !  Imperocché  ninna  di  esse  ha 
movimento  che  sia  ignobile,  ninna  che  sia  violento  : 
tutte  ci  danao  vista  di  lottar  colla  morte  umana- 
mente si,  ma  senza  viltà. 

In  tale  stato,  a  cui  niun  altro  è  a  paragonarsi 
per  la  sciagura,  niente  ha  perduto  Laocoonte  della 
beltà  delle  sue  forme,  benché  sieno  elle  ritratte  in 
quella  condizione  orribile  di  tormento.  E  ninna  al- 
terazione appare  altresì  nelle  forme  de'  figli  ,  sia 
perchè  l'angoscia  dell'animo  non  è  cosi  forte  in  essi, 
come  nel  padre:  sia  perchè  l'epidermide,  onde  i  lo- 
ro muscoli  sono  coperti,  essendo  piìi  densa  a  cagio- 
ne della  lor  giovinezza,  non  mostra  tanto  gli  attac- 
chi e  de'muscoli  medesimi  e  delle  ossa.  E  chi  dira 
nondimeno  che  il  movimento  delle  tre  figure  non  sia 
conforme  a  quello  che  produce  il  più  intenso  do- 
lore ?  11  forte  grado  di  eccitamento  ,  in  cui   si  tro- 


262  Belle     Arti 

vano  i  muscoli,  fa  si  che  il  corpo  umano  tenda  a  ri- 
concentrarsi per  quanto  può,  piegando  tutte  le  sue 
articolazioni.  Or  si  osservi  come,  per  cjuesto  princi- 
pio della  natura,  niuna  delle  articolazioni  di  Lao- 
coonte  e  de'figli  si  trovi  in  una  tensione  completa: 
(intendo  nelle  parti  antiche,  non  gik  nelle  restaura- 
te  e  moderne,  le  quali  non  entrano  nelle  mie  consi- 
derazioni, reputandole  fuori  dell'intenzione  del  gre- 
co artefice).  Il  corpo  del  padre  è  inchinato  alquanto 
verso  la  parte  anteriore:  la  sua  testa  verso  la  poste- 
riore e  da  un  lato.  Il  petto  è  in  direzione  opposta 
del  basso  ventre;  le  cosce  formano  un  angolo  con  le 
gambe.  Sicché  vedete,  o  giovani,  che  tutta  la  figura 
dimostra  una  tendenza  chiarissima  a  contrarsi  :  ciò 
che  le  imprime  quel  carattere  di  patimento  e  di  af- 
fanno, che  SI  mirabilmente  ci  stringe  a  compassione. 

Il  figlio,  che  gli  è  al  lato  destro,  mostra  pili 
tenera  età  ,  ed  è  quello  dei  tre  che  soffre  più  acer- 
bo strazio.  Uno  dei  rettili  si  è  interamente  impa- 
dronito di  lui,  tenendolo  stretto  alle  braccia  e  alle 
gambe  ,  e  con  rabbia  lo  morde  alla  regione  delle 
coste  del  destro  fianco.  A  tanto  dolore  il  giovinet- 
to pili  non  resiste,  e  tutto  miseramente  abbando- 
nasi al  serpe,  onde  solo  è  sorretto.  Espressione  na- 
turalissima e  semplicissima,  e  propria  di  quell'età; 
come  impropria  sarebbe  stata  del  padre,  in  cui  vo- 
Icvasi  far  vedere  un  maggior  coraggio  e  decoro  nel- 
le sue  pene, 

È  molto  visibile  la  contrazione  delle  membra 
nell'altro  giovinetto  al  lato  sinistro.  Inchina  egli  il 
suo  corpo  in  avanti,  ed  innalza  verso  il  petto  la 
coscia  sinistra,  piegandone  indietro  la  gamba.  L'al- 
tra gamba  si  sostiene  alquanto  sul  suolo,  ma  in  tal 
maniera  che  manifestamente  si  vede  in  quale  stato 


Discorso  del  cav.  Sola'  263 

di  eccitabilità  si  ritrovi,  sia  pel  piegarsi  che  fa  il 
ginocchio,  sia  per  non  appoggiare  al  suolo  che  la 
sola  punta  del  piede,  Rivolge  egli  verso  il  padre 
la  faccia  con  tale  un'espressione  d'angoscia,  che  il 
vedi  vivo  non  solo  ,  ma  n'  odi  quasi  i  gemiti  e  le 
parole:  e  con  un  braccio  tenta  se  può  svilupparsi 
dalla  coda  dell'angue,  che  gli  si  è  attortigliata  al 
piede  sinistro.  Tutta  la  sua  figura  quasi  reggesi  in 
aria,  per  la  gran  forza  con  che  il  serpe  afferrato  gli 
ha  il  braccio  dritto,  Si,  dico,  o  giovani,  tal  è  que- 
sta figura  per  la  prontezza  delle  sue  mosse  ,  pel 
contrasto  delle  sue  parti,  per  l'energia  della  sua 
espressione,  che  viva  la  vedete  e  gemente,  e  quasi 
siete  mossi  ad  accorrere  a  prestarle  soccorso. 

La  testa  nell'uomo  e  la  sede  principale  de'sen- 
si  :  è  in  essa  che  le  passioni  si  manifestano  a  pre- 
ferenza di  tutte  le  altre  parti  del  corpo.  Devesi  ciò 
ai  diversi  movimenti  de'  muscoli.  Quindi  noi  da' 
moti  particolari  che  nel  volto  producono  le  turba- 
zioni  dell'animo,  conosciamo  il  genere  di  letizia  o 
di  affanno,  onde  l'uomo  commosso:  il  qual  segno  è 
certissimo,  perchè  ce  lo  porge  natura,  ed  è  uguale 
in  ciascuna  emozione.  Nelle  passioni  moderate  e  mi- 
ste, da  una  sola  parte  de'muscoli  sono  mosse  le  for- 
me del  viso.  Nelle  eccessive  però  e  veementi,  e  so- 
prattutto nelle  dolorose,  come  nel  Laocoonte,  tutti 
sono  i  muscoli  eccitati  e  contratti.  Si  osservino,  e  si 
troverà  che  i  muscoli  frontali  ed  orbiculari,  contrat- 
ti verso  il  loro  centro,  formano  una  massa  verso  le 
ciglia,  e  precisamente  verso  la  radice  del  naso.  Da 
tal  movimento  risulta  ,  che  gli  occhi  alquanto  si 
chiudono,  e  che  cresce  il  volume  della  parte  supe- 
riore delle  guance  in  virtù  della  contrazione  della 
parte  inferiore  d'essi  muscoli    orbiculari.  La   pelle 


264  Belle     Arti 

seguita  questo  moto  muscolare,  sì  corruga  orizzon- 
talmente in  mezzo  alla  fronte,  e  perpendicolarmen- 
te fra  le  due  ciglia,  e  qua  e  fa  intorno  agli  occhi,  e 
precisamente  al  loro  angolo  esterno. 

Contraendosi  i  comuni  elevatori  del  naso,  n'al- 
zano essi  i  lati  inferiori,  e  n'aprono  le  narici.  Per 
la  cagione  medesima  avviene,  che  contraendosi  tutti 
i  muscoli  motori  delia  bocca  ,  ella  sconciamente  e 
storcesi  ed  apresì,  se  da  una  ragione  di  decoro  non 
è  moderata,  come  appunto  nel  Laocoonte. 

Il  disordine  dei  capelli  e  della  barba  di  questo 
infelice  dimostra  ,  che  la  cute  della  parte  capillata 
della  testa  è  in  istato  d'irritazione  ,  irli  divenendo 
essi,  come  appunto  ci  fa  osservar  la  natura  in  chi 
è  soprappreso  da  grande  spavento. 

Tutta  l'azione  esterna  de'muscoli  in  queste  tre 
figure  si  manifesta  chiarissima  a  chi  non  è  ignaro  di 
anatomia:  e  ben  ci  appare  l'oppressione  che  ha  luo- 
go ne'loro  visceri  ,  ed  in  quelli  principalmente  del 
padre.  È  Laocoonte  in  atto  d'inspirar  l'aria,  onde 
ha  pieni  i  polmoni:  ed  ha  gonfia  perciò  la  regione 
del  petto  e  degl'intercostali,  secondo  che  appunto 
dh  la  natura.  Imperocché  l'inspirazione  ed  espira- 
zione dell'aria  avviene  molto  piìi  frequente  nell'uo- 
mo che  soffre  un  grande  martire  ,  gravitando  su  i 
polmoni  l'agitazione  di  tutto  il  corpo,  e  comprimen- 
doli, e  diminuendone  il  movimento  :  per  la  quale 
azione  sente  egli  mancarsi  la  vita,  e  quindi  si  sfor- 
za d'introdurre  nel  petto  molta  piìi  aria  che  non 
sembra  al  bisogno  suo  necessaria,  teuiendo  che  non 
gli  manchi  la  respirazione  centro  dell'uman  vivere: 
e  ciò  per  quell'istinto  che  anche  negli  estremi  ci 
anima  a  conservar  l'esistenza. 


Discorso  del  cav.  Sola'  2^5 

E  che  poi  dirò  della  circolazione  del  sangue  ? 
Nelle  tre  figure  del  Laocoonte  quest'altra  fisica  azio- 
ne dei  corpi  trovasi  non  meno  sublime.  L'eccitabi- 
lità medesima,  che  altera  il  movimento  e  la  sensibi- 
lità di  tutto  il  corpo,  altera  principalmente, 'come 
sapete,  o  giovani,  il  moto  del  cuore.  Da  quest'alte- 
razione risulta  ,  che  il  cuore  o  affrettando  il  suo 
moto  tramanda  alle  arterie  piìi  sangue  del  consueto: 
o  ritardandolo,  dalle  vene  non  lo  riceve.  In  Lao- 
coonte sembra  che  la  contrazione  ch'egli  soffre  ,  lo 
acceleri  :  perciocché  osservasi,  che  la  vena  iugulare 
esterna  del  collo,  la  cefalica  del  braccio  che  passa 
dal  petto  per  di  sopra  il  deltoide,  ed  il  bicipite,  e 
la  sefena  interna  delle  cosce,  e  tante  altre  compari- 
scono assai  pili  gonfie;  siccome  pure  le  sujjal terne 
che  coprono  le  braccia,  le  mani  ed  i  piedi.  Quasi 
rette  sono  le  vene  principali,  ed  ondulate  le  subal- 
terne, come  appunto  ce  le  presenta  natura.  vAv 
E  altresì  proprietà  delle  violenti  emozioni  il 
produrre  un  determinato  movimento  così  generale 
come  particolare  di  tutte  le  membra.  Osservato  ab-* 
biamo  il  primo  di  questi  movimenti:  visibile  è  il 
secondo  sopra  i  grandi  muscoli ,  facendo  muove- 
re separatamente  ed  alternativamente  tutte  le  fi- 
bre che  li  compongono.  Ora  nel  Laocoonte  consi- 
derate questo  movimento  convulso  delle  fibre  e  nei 
deltoidi  ,  e  negli  obliqui  interni,  e  nei  retti  ante- 
riori, e  ne'basti  delle  cosce,  e  fino  nelle  dita  de' 
piedi.  Sì,  o  giovani,  piacciavi  bene  considerarlo; 
sul  marmo  originale  però,  non  su  i  gessi,  i  quali, 
per  lo  pili,  a  cagione  della  stanchezza» delle  forme, 
apparir  non  ci  fanno  queste  ultime  finezze  dell'ar- 
te e  del  profondo  sapere  del  grande  artefice. 

Qual    magistero   infine  non  apparisce  in  tutte 
G.A.T.LXX1V.  :  ...?:;■;:  Hi-   >,.j.ìu.  ;>  -r,.    i8u.  :       ■ 


2(W)  Belle     Arti 

le  articolazioni  delle  ossa,  e  in  tutti  gli  attacchi  dei 
loro  tendini  muscolari  !  Oh  vero  prodigio   di  arte, 
che  malgrado  di  tante   divisioni    e    suddivisioni    di 
parti,  di  tante  minuzie  di  vene,  di  fibre    muscolari 
e  di^attacchi  di  ossa,   che  bisognate  sono  ad  Agesan- 
dro  per  rappresentarci  l'altezza  di  tanto  dolore,  pur 
tuttavia  ci    mostra  e  nell'insieme  e  in  ciascuna  del- 
le sue  parti    una  grandiosità,  una  dignità,  una  bel- 
lezza, e    con    esse   una   verità    che    rapisce.  Io  noi 
guardo  mai,  che  una  forza  altissima  di  ammirazio- 
ne non  mi  levi  quasi  sopra  me  stesso  :  io  noi  guar- 
do mai,  che  pili  nobile  non   mi  sembri  quasi  quest' 
essere  umano  :  che  non  mi  congratuli  colla    munifi- 
cenza de'sommi  pontefici  che  salvato  e  difeso    ci  ha 
sì  gran  capolavoro  :  che    infine   alla  mente  non  mi 
soccorra    chi    la  statua  di  JNiobe  fece  così  parlare  : 
Gli  del  mi  cangiarono  in  pietra:  ma  Prasitele  que- 
sta pietra  animando  ,  mi  fece  \>i^ere.  Sì,  il  portento 
che  Prasitele  operò  nella  Niobe,  quello  stesso  operò 
Agesandro  nel  Laoeoonte  !  Sicché  io    lo    credo   uno 
degli  esempi  più  insigni  della  sublimita  dell'arte,  a 
cui  giunsero  i  greci  :  e  certo  il  maggiore  nel  gene- 
re suo  che  fino  a  noi  sia  pervenuto. 

Ne  siavi  chi  ciò  che  fu  pregio  della  scuola  gre- 
ca voglia  ritorcere  a  suo  difetto,  voglio  dire  la  nu- 
dità delle'  figure.  Imperocché  ciò  provenne,  o  gio- 
vani, non  già  da  una  grossolana  incoerenza  ,  che  in 
que'sapientissimi  sarebbe  temerità  il  supporre  ,  ma 
sì  da  quel  vìvo  entusiasmo  con  che  tutta  la  nazione 
risguardava  la  bellezza  del  corpo  umano.  Fortunato 
entusiasmò  per  noi  sì  tardi  posteri,  a'  quali  è  dato 
così  il  vedere  co'propriì  occhi  e  toccar  colle  mani 
fili  dove  nella  teorica  e  nella  pratica  giungessero  i 
miracoli  dei  loro  scarpello  nella  parte  piìi  diffici- 
le dell'arte,  che  e  quella  del  nudo  I 


Discoiiso  Dfit  cAv.  Sola*  267 

Per  le  quali  considerazioni,  o  giovani  carissi- 
ttiij  voi  ben  vedete»  che  il  vero  modo  di  apprende- 
re a  dare  una  perfetta  espressione  alle  nostre  opere 
di  arte  è  quello  di  osservar  la  natura  colla  guida 
de'  grandi  maestri  ì  studiandola  con  alta  filosofia 
nelle  sue  vàrie  emozioni  sì  morali  e  sì  fisiche,  e  so- 
prattutto attendendo  alle  parti  muscolari  che  agi- 
scono nel  corpo  umano,  ed  avvertendo  alle  varie 
forme  che  prendono,  ed  alle  diverse  modificazioni 
che  ricevono  dalla  cute  ,  secondo  il  sesso  e  l'età. 
Persuadetevi  però  che  invano  in  un  solo  modello  si 
cercherehhe  il  vero  tipo  di  una  espressione  perfet- 
ta; e  che  il  copiarla  da  un  opera,  per  bella  che  sia, 
sarebbe  un  lavorare  per  reminiscenza,  non  mai  per 
proprio  convincimento. 


268 


Uape  italiana  delle  belle  arti  '-  giornale  dedicato 
ai  loro  cultori  ed  amatori.  Roma  1835-  1837  , 
a  spese  degli  editori  proprietari.  Dalla  tipografia 
Salviucci,  voi.  3  in  fol.  fig.  {Voi.  I  p.  64,  tav,  38; 

•  voi.  II  p.  58,  tav.  36  ;  voi.  Ili  p.  68  tav.  36  : 
in  tutto  pag.  190,  tav.  110.) 


Di 


'ice  abbastanza  il  titolo  di  quest'opera,  che  deb- 
bonsi  avere  in  essa  i  fiori  piìi  eletti  delle  belle  ar- 
ti; e  l'esecuzione  di  questi  tre  primi  volumi  giu- 
stifica a  creder  nostro  quel  titolo.  Anche  ci  sembra 
che  assai  convenientemente  così  gli  editori  proprie- 
tari, come  il  eh.  sig.  marchese  Giuseppe  Melchior- 
ri  direttore,  abbiano  intitolato  i  tre  volumi  a  tre 
celebri  accademie;  il  primo  cioè  alla  pontificia  ro- 
mana di  s.  Luca;  il  secondo  alia  pontificia  di  Bo- 
logna; alla  I.  e  R.  di  Firenze  il  terzo:  perchè  niu- 
no  a  pili  giustizia  debbe  proteggere  un'  impresa  , 
destinata  al  vantaggio  di  quelle  arti  belle  ,  delle 
quali  gli  italiani  viventi  maestri  fan  parte  di  quel- 
le accademie.  Volendo  noi  far  parola  di  una  tal* 
opera,  confessiamo  star  nell'incertezza  del  dove  in- 
cominciare: tanta  è  la  ricchezza  che  in  questi  vo- 
lumi si  rinchiude!  Sonovi  ben  sessantotto  dipinti  ; 
quindici  de'quali  in  tavola,  trentacinque  in  tela,  di- 
ciotto in  a-fresco:  sonovi  otto  bassorilievi  in  mar- 
mo, dieci  gruppi,  venti  statue:  sonovi  cinque  mo- 
numenti di  architettura;   ed  oltre  a  ciò  una  gem- 


Ape  italiana.  269 

ma  incisa,  e  tre  medaglie.  Per  tenere  un  qualche 
ordine,  seguiremo  la  norma  adottata  nell'indice  che 
sta  alla  fine  di  ogni  tomo;  piuttosto  che  tener  die- 
tro al  numeri  progressivi  di  ogni  volume.  Quindi 
diremo  prima  della  pittura,  separando  l'antica  dal- 
la moderna;  poi  della  scultura,  con  ugual  divisio- 
ne; infine  dell'architettura.  E  perchè  la  materia  è 
assai  vasta  ;  e  d'altronde  la  natura  di  questi  fogli 
non  comporta  articoli  di  molta  estensione;  dovre- 
mo il  più  delle  volte  star  contenti  ad  un  brevis- 
simo cenno  dei  diversi  lavori. 

Pittura  di  scuola  antica. 

Di  quell'urbinate,  che  sopra  tutti  com' aquila 
vola,  sono  due  tavolette  assai  facilmente  servite  a 
formare  un  grado  d'altare  (voi.  I  tav.  23  24).  E 
divisa  ognuna  in  tre  nicchie  ;  in  questa  vedi  nel 
mezzo  s.  Caterina  della  ruota,  s.  Bernardino  da  Sie- 
na a  destra,  a  sinistra  s.  Giovanni  da  Caplstrano; 
in  quella  la  penitente  di  Magdalo  è  fra  i  santi  Lui- 
gi IX  di  Francia  e  Bonaventura.  Questi  dipinti  , 
da  uomini  valentissimi  (  sono  tali  il  Minardi  e  il 
Pungileoni,  e  tali  furono  il  Laudi  e  il  Wicar)  ven- 
nero aggiudicati  a  quel  sommo;  e  li  dissero  della 
sua  prima  maniera.  Nel  che  conviene  il  Melchior- 
ri;  non  senza  rimarcare  però,  che  si  avvicinan  es- 
si più  che  altri  qualunque  all'epoca  della  seconda 
maniera  ;  non  essendovi  indizio  alcuno  di  quella 
grettezza,  che  nello  stile  di  Pietro  dà  talvolta  nel 
secco;  anzi  distinguendosi  per  la  spontaneità,  e  per 
una  certa  grandiosità  nel  modo  di  piegare:  prero- 
gative, che  unite  alla  purità  del  disegno,  alla  sem- 
plicità del  concepimento,  alla  vaghezza  del  colorito, 


270  BKX.tK    Arti 

formano  di  queste  tavole  due  preziosi  gioielli,  de* 
quali  può  ben  a  ragione  reputarsi  beato  possesso-^ 
re  il  nobile  conte  Guido  di  Bìsenzo.  Pure  di  quel 
genio  urbinate  è  il  disegno  di  una  tavola  in  rame 
dipinta  da  incerto  autore,  e  posseduta  in  Roma  dal 
Vescovali  (  voi.  Ili  tav.  22  ).  Dicemmo  incerto  il 
dipintore;  ma  per  buone  ragioni  il  Ranalli  s'in- 
duce a  credere  che  fosse  Francesco  Huviales  spa*- 
gnuolo,  detto  il  Polidorino.  Attestano  in  fatti  i  bio- 
grafi dell'  essersi  il  Ruviales  travagliato  con  pre- 
dilezione a  dipingere  soggetti  tolti  dai  disegni  di 
Raffaello.  L'abbreviatura  FRA  ,  che  leggesi  a  bas- 
so del  quadro,  può  ben  convenire  alle  iniziali  del 
nome  di  lui,  ed  alla  patria  ,  supponendolo  arago- 
nese; ed  in  ciò  ben  si  accorda  la  indicazione  del- 
l'anno MDXXVI.  Che  poi  il  disegno  sia  invenzio- 
ne del  Sanzio,  non  è  da  dubitare  :  lo  indicano  le 
lettere  V.  I.  Urbinas  mi^emV,  che  pur  si  hanno  in 
molte  stampe  di  Marcantonio.  Di  piìi  ,  l'  originale 
di  esso  disegno  è  nel  regio  museo  di  Napoli,  do- 
ve pure  n'  è  una  copia  ad  olio  ,  operata  da  An- 
drea di  Salerno;  infine  se  ne  conoscono  due  stam- 
pe antiche,  del  Raimondi  l'una,  l'altra  di  Ugo  da 
Carpi.  Rappresenta  il  dipinto  una  deposizione  dal- 
la croce  :  il  corpo  del  Redentore  vien  sorretto  in 
parte  dal  prediletto  Giovanni  ,  in  parte  da  Nico- 
demo;  mentre  quel  d'Arimatea  sta  sconficcando  la 
destra  mano  dalla  croce;  appiè  di  questa  la  madre 
addolorata  e  le  afìlitte  Marie  accrescono  la  pietà 
della  scena.  Forse  lo  stesso  Sanzio  non  troverebbe 
indegna  del  suo  pennello  la  freschezza  e  l'armonia 
delle  tinte  vive  e  gagliarde  di  questo  quadro. 

Un  fresco,  che  vedesi  appiè  di  un  corridoio  su- 
pcriore nel  convento  di  s.  Onofrio  in  Roma,  fu  dal 


Ape  italiana  271 

Bottarì,  dal  Lanzi,  dal  Della  Valle  giudicato  di  ma- 
no del  Vinci.  Rappresenta  in  mezzo  ovato  la  nostra 
donna  sedente,  con  in  braccio  il  divin  figlio,  il  qua- 
le benedice  un  divoto  (mezza  figura)  che  ginocchio- 
ni le  sta  dinanzi.  Il  prof.  Betti  (voi.  II  tav.  22)  non 
niega,  che  il  viso  della  Vergine  e  la  testa  del  divo- 
to siano  di  stile  leonardesco:  ma  così  magre  sono 
le  forme  del  bambino,  e  così  trascurato  in  alcima 
parte  è  il  disegno,  che  fa  restar  in  dubbio  se  debba 
attribuirsi  al  Vinci  un  tal  fresco;  il  quale  d'altron- 
de manca  di  quella  grandiosità,  che  fu  cosa  tutta 
propria  di  Leonardo.  Questo  dubbio  si  aumente- 
rebbe, quando  potesse  provarsi  vero  ciò  che  il  Bet- 
ti per  giudiziosi  raffronti  e  per  argomenti  d'indu- 
zione va  immaginando;  cioè  che  il  divoto  rappre- 
senti il  protonotario  apostolico  Cabanyas  :  perchè 
questi  morì  nel  1506;  mentre  Leonardo  non  si  re- 
cò in  Roma  che  verso  il  1513. 

Due  tavole  esistenti  al  Quirinale,  nell'apparta- 
mento detto  dei  principi^  rappresentano  i  santi  apo- 
stoli Pietro  e  Paolo  (voi.  I  tav.  4).  Sono  opera  di 
quel  Baccio  della  Porta,  il  quale  vestito  l'abito  di 
s.  Domenico,  si  disse  fra  Bartolomeo  da  s.  Marco. 
Che  egli  le  operasse,  lo  attesta  il  Vasari;  ed  assi- 
cura inoltre  come  partendo  da  Roma ,  senza  aver 
compita  la  tavola  del  s.  Pietro,  lasciò  a  RatTaello 
Sanzio  suo  amicissimo  che  la  finisse;  del  che  si  han 
chiari  indizi  osservando  con  attenzione  l'originale, 
che  per  ciò  appunto  aumenta  molto  di  pregio. 

Di  quel  Lodovico  Caracci,  che  giustamente  fu 
detto  fons  ingeniorum,  si  hanno  nell'Ape  due  tele: 
nell'una  (voi.  I  tav.  20)  dipinse  in  mezze  figure  mag- 
giori del  naturale  la  disputa  di  nostro  Signore  co' 
dottori:  grandioso  e  lo  stile,  puro  il  disegno,  viva- 


2T2  Bellk     Arti 

ce  il  colorito:  dalla  galleria  Mosca  di  Pesaro,  passò 
in  quella  del  conte  Antonio  Cabrai.  Nell'altra  (voi. 
Ili  tav,  7)  rappresentò  la  fuga  della  santa  famiglia 
in  Egitto;  e  perchè,  abbandonando  le  idee  comuni 
ad  altri  pittori  che  quel  subietto  trattarono,  imma- 
ginò i  santi  viaggiatori  al  tragitto  di  un  fiume;  co- 
s'i questo  quadro  comunemente  è  conosciuto  sotto 
nome  della  barchetta.  Esso  è  nella  galleria  Malvez- 
zi-Bonfiglioli  in  Bologna;  ed  il  sig.  Gaetano  Gior- 
dani nel  descriverlo  prese  motivo  a  narrare  con 
quanta  sollecitudine  si  adoperasse  Lodovico  per  di- 
venire eccellente  ,  e  come  riuscisse  straordinario 
maestro,  e  forse  il  primo  dell'età  sua;  con  bell'or- 
dine poi,  e  convenienti  parole  tiene  discorso  di  mol- 
te altre  opere  di  quel  capo-scuola,  esistenti  in  Bo- 
logna, 

Del  cugino  del  quale,  diciamo  di  Annibale,  due 
freschi  eccellenti  vediamo  qui  primamente  prodot- 
ti a  contorno.  Rappresentano  due  miracoli  di  s.  Die- 
go. In  uno  (voi.  I  tav,  17)  con  l'olio  di  una  lampada, 
che  arde  innanzi  un'immagine  di  Maria  Vergine,  ri- 
dona la  vista  ad  un  fanciullo  cieco;  nell'altro  (voi.  II 
tav.  31),  rimproverato  dal  superiore  di  troppa  pro- 
digalità, per  aver  nascosto  nel  grembiale  una  quan- 
tità di  pani  che  distribuir  voleva  ai  poveri,  nell' 
aprire  quel  panno,  si  trovano  non  già  pani,  ma  fre- 
schissime rose.  Mirabili  son  questi  dipinti,  o  riguar- 
di l'armonia  della  composizione,  o  l'espressione  del- 
le teste,  o  la  correzione  del  disegno.  Erano  nelle 
maggiori  pareti  della  cappella  d  Herrera  in  s.  Gia- 
como degli  spagnuoli;  e  perchè  quella  chiesa  minac- 
ciava rovina,  prima  che  sì  bei  freschi  deperissero,  il 
cav.  Sola  direttore  dell'accademia  spagnuolà  in  Ro- 
ma li  pose  in  salvo,  facendoli  trasportare  jn:  tela*  con 


Ape  iTALiAicA  2T3 

opera  del  dlllgentissimo  Succi,  esperto  quanto  altri 
mai  in  quella  difficil'arte.  Ma  que'due  dipinti  son 
opera  di  Annibale  Garacci,  o  di  Francesco  Albani? 
A  questo  secondo  volle  rivendicarli  ultimamente  il 
marchese  Bolognini  Amorini;  e  noi  contenti  di  aver 
ciò  notato,  ne  lasciamo  il  giudizio  ai  maestri  dell' 
arte. 

Di  Daniello  Ricciardelii,  dalla  patria  detto  da 
yoUerra^  evvi  un  fresco  esistente  nella  chiesa  del- 
la Trinità  de'monti  (  voi.  I  tav.  10  );  il  colorito  pe- 
ro è  del  suo  allievo  Paolo  Rossetti.  Rappresenta 
l'Assunta;  ed  il  eh.  Pungileoni  nel  descriverlo  non 
trascurò  di  notare  qualche  anacronismo  nel  costu- 
me, e  negli  angeletti  la  mancanza  di  quella  delica- 
tezza di  forme  e  di  modesti  atteggiamenti,  che  aver 
debbono  quelle  sostanze  eteree.  Del  Sassoferrato  ev- 
vi una  Vergine  con  diversi  santi  ,  esistente  nella 
chiesa  di  s.  Maria  sull'Aventino  (voi.  I  tav.  14): 
è  desso  uno  de'quadri  di  maggior  mole  che  quegli 
operasse;  e  benché  già  fosse  stato  inciso,  pure  non 
sufficientemente  era  noto.  Del  Ghirlandaio  è  una  sa- 
cra famiglia  (  voi.  I  tav.  27  )  ,  dipinta  a  tempera 
sulla  tavola,  esistente  nella  ricca  galleria  Bisenzo; 
la  verità  e  la  semplicità  dell'espressione  sono  in  es- 
sa unite  alla  purità  ed  eleganza  del  disegno.  Lo 
sposalizio  di  s.  Caterina  (voi.  Ili  tav.  16),  esistente 
nel  collegio  de'  barnabiti  in  s.  Carlo  a  Catinari, 
fu  dipinto  da  quell'Innocenzo  da  Imola,  il  quale 
seppe  nelle  opere  sue  imitare  per  modo  il  sommo 
urbinate,  da  essere  state  per  molti  giudicate  ope- 
re di  Raffaello.  Questa  tavola  ne  è  una  prova  di 
più  in  numero,  perchè  si  distingue  per  purità  di 
disegno,  e  per  armonioso  accordo  di  tinte. 

Di  Francesco   Raibolini,  detto  il  Francia.,  de- 


274  Belle     Arti 

scrisse   il   Giordani   una   delle  opere  pili  pregiate, 
esistente  nel  palazzo  pubblico  di  Cesena  (  voi.  IH 
tav.  25  ).  Rappresenta  la  purificazione  di  Maria  ,   e 
la   presentazione   di    N.    S.    al    tempio:    l'autore   vi 
scrisse  FRANGIA  .  AVRIFEX  .  BON  .  F.  È    noto 
come    il   Raibolini    forse    eccellente   orefice,    e   co- 
me solo   nell'età    di    quaranta  anni  incominciasse  a 
dar  opera   alla    pittura  ,    nella    quale  sali    poi    in 
tanta   fama.  Del   fresco   di   Meloxzo  da   Forlì   tra- 
sportato in  tela,  ed  esistente  nella  pinacoteca  vatica- 
na (voi.  I  tav.  1  ),  già   altre    volte   ebbe   scritto    il 
Melchiorri  nelle  notizie  intorno  quel  pittore   e  le 
opere   di    lui.    Rappresenta    il   pontefice    Sisto    IV 
nell'atto   che   prepone  il  Platina  alla  biblioteca  va- 
ticana,  presenti    i    cardinali    Pietro  Riario  e  Giu- 
liano della  Rovere,  ed  i  loro  fratelli  Girolamo  Ria- 
rio e  Giovanni  della  Rovere.  La  tavola,  nella   quale 
Benvenuto  Tisi  detto  il  Garofalo  dipinse  la  risurre- 
zione di  Lazzaro  (voi.  I  tav.  3G),  è  in  Ferrara   nella 
cappella  del  sagramento  nella  chiesa  di    s.   France- 
sco. Il  sig.  Michele  Ruggero  giustamente  crede  che 
l'operasse  Benvenuto  dopo  tornato  da  Roma;  perchè 
in  alcune  attitudini,  e  specialmente  nel  Cristo  e  ne- 
gli apostoli,  si  travede  alcun  che  di  raffaellesco.  Un* 
opera  nobilissima   del  Vannucci   è    il   fresco  della 
cappella  Sistina  al  vaticano,   rappresentante  il  Si- 
gnor nostro  che  dk  le  chiavi   a  s.  Pietro  ,   presenti 
gli  altri  apostoli,  e  con  molte  pili  figure  (  voi.  I  tav. 
30  ).  Anche  di  sommo    pregio  è  il  fresco   del   Zani- 
pieri  (  voi.  Il  tav.  4  )    esistente  in  un  volto  del  -pa- 
lazzo Mattei    in  Roma,  ed   ingiustamente   preterito 
dal  Malvasia.  Vi  dipinse  quel  mirabile  ingegno  l'in- 
contro di   Giacobbe  con    Rachele  presso  un  pozzo 
vicino  ad  Aran.  Ln  spaziosa  campagna  vestita  d'ai- 


Ape  italiana  275 

beri,  il  cielo  limpidissimo  e  ridente,  il  gregge  la- 
nuto, l'opportuna  collocazione  ed  atteggiamento  del- 
le figure,  tutto  insieme  è  degno  di  colui,  che  emu- 
lando i  sommi  giunse  ad  uno  dei  primi  seggi  nel- 
ritalica  pittura. 

La  pietà  di  Andrea  Mantegna  (voi.  Il  tav.  7)  ; 
la  sacra  famiglia  di  Bernardino  India  veronese  (voi. 
II  tav.  13);  l'ultima  cena  del  Signor  nostro  di  Giot- 
to (voi.  II  tav.  49);  la  Vergine  con  alcuni  santi  di 
Andrea  d'Assisi  detto  V Ingegno  (voi.  II  tav.  28);  la 
Vergine  col  bambino  Ge«ìi,  ed  i  santi  Francesco  e 
Lucia  di  Agostino  Marti  (voi,  II  tav.  34);  la  tavola 
in  cui  Giovanni  spagnuolo,  detto  lo  Spagna^  dipinse 
lo  sposalizio  di  s.  Caterina  (voi.  Ili  tav.  31);  il  fre- 
sco di  Baldassar  Peruzzi  rappresentante  Maria  Ver- 
gine con  alcuni  beati  (voi.  Ili  tav.  19),  son  ope- 
re di  molto  pregio,  ed  assai  convenientemente  de- 
scritte. Anche  maraviglioso  è  l'a-fresco  del  Pintu- 
ricchio  nella  cappella  Bufalini  a  s.  Maria  in  Jra- 
Coelif  con  diversi  miracoli  di  s.  Bernardino  (voi.  Ili 
tav.  13);  ma  questo  era  stato  già  pubblicato  prima 
dal  d'  Agincourt,  poi  dal  Giangiacomo;  come  ap- 
prendemmo dalle  memorie  di  quel  pittore,  diligen- 
tissimo  recente  lavoro  del  dotto  Vermiglioli.  Di 
quell'Aniello  Falcone,  che  per  aver  dipinti  molti 
combattimenti,  fu  nomato  l'oracolo  delle  battaglie^ 
riportò  Vjipe  un  bel  quadro  con  la  morte  di  s.  Ma- 
ria Egiziaca  (voi.  Ili  tav.  28).  Per  buone  ragioni  ri- 
vendicò il  Melchiorri  a  Benozzo  Gozzoli  l'annunzia- 
zione  in  tavola,  che  è  in  s.  Maria  sopra  Minerva 
(voi.  Ili  tav.  4);  molti  Tavean  reputata  opera  di  fra- 
te Giovanni  da  Fiesole  sopranomato  l'angelico.  Una 
delle  più  classiche  pitture  a  fresco  del  secolo  XV 
che  Roma  possegga,  è  quella  senza  meno  esistente 


276  Belle    Arti 

nella  medesima  chiesa  de'pp.  domenicani  nella  cap- 
pella Garafa,  nella  quale  Filippo  Lippi  dipinse  la 
disputa  di  s.  Tommaso  d'Aquino  (voi.  Ili  tav.  10). 

Se  le  pitture  finora  ricordate  della  scuola  an- 
tica furon  opera  d'italiani;  non  mancano  neW^pe 
le  descrizioni  di  alcune  altre  di  oltramontani;  cioè 
due  di  Nicolò  Pussino  (voi.  Il  tav.  1);  una  di  Clau- 
dio da  Lorena  (voi.  II  tav.  16);  una  di  Pietro  Paolo 
Rubens  (voi.  IH  tav.  34).  Il  primo  dei  due  quadri 
del  Pussino  è  presso  il  nobile  conte  di  Bisenzo;  il 
secondo  nella  galleria  Colonna.  Rappresenta  quello 
la  predicazione  di  s.  Gio.  Battista;  1'  altro  fu  detto 
da  taluni  il  sonno  de  pastori-^  ma  errarono;  perchè 
non  v'ha  dubbio  che  quel  dipinto  rappresenti  il 
principio  di  quella  novella  del  Decamerone  (  giorn. 
V  nov.  1  ),  dove  si  narra  come  Galeso,  per  vir- 
tù di  amore,  da  sciocco  e  rozzo  che  era,  divenne 
savio  e  gentile.  Tanto  il  principe  Odescalchi,  quan- 
to il  marchese  Biondi,  descrivendo  esse  due  tele 
del  Raffaello  della  Francia,  assai  convenientemen- 
te ne  rilevarono  le  molte  bellezze.  Il  quadro  di 
Claudio  rappresenta  la  restituzione  di  Griseide  , 
nell'atto  che  Ulisse  al  padre  la  consegna:  lo  pos- 
siede monsignor  Zacchia.  Ed  il  barone  di  Montriblo- 
nd  possiede  il  Rubens.  In  questa  tela  quel  Tiziano 
delle  Fiandre  pitturò  la  notissima  favola  di  Ercole 
che  torce  il  fuso  vicino  a  Iole;  questa  con  ischerze- 
vol  modo  gli  stringe  l'orecchia,  quasi  in  atto  di  pu- 
nirlo pel  donnesco  lavoro  mal  fatto. 

Pittura  di  scuola  moderna. 

Venendo  ora  alla  scuola  moderna,  diremo  pria 
d'altra  di  tre  opere  del  barone   Vincenzo   Gamuc- 


Ape  italiana  277 

cini.  Nell'una  viene  effigiato  l'ingresso  di  Francesco 
Sforza  in  Milano,  quando  il  25  marzo  del  1450  pre- 
se possesso  di  quel  ducato  (  voi.  I  tav.  2  );  questo 
lo  ebbe  ordinato  il  duca  D.  Salvatore  Sforza-Gesa- 
rini.  Nell'altra  è  dipinto  Finnalzamento  di  Gioas  al 
trono,  mentre  vien  rispinta  dal  tempio  la  furibon- 
da figlia  del  perfido  Acabbo  (  voi.  II  tav.  1 1  );  es- 
so è  tuttora  nello  studio  dell'autore,  e  fu  descritto 
assai  eruditamente  dal  cav.  Angelo  Maria  Ricci.  Il 
terzo  (  voi.  Ili  tav.  23  )  raffigura  quel  miracolo  di 
s.  Francesco  di  Paola,  già  dal  Bianchini  descritto 
in  questo  giornale  (giugno  1830  p.  360);  glie  lo 
commise  la  maestà  del  re  delle  due  Sicilie,  ed  or- 
na l'abside  del  famoso  tempio,  che  con  regia  mu- 
nificenza fu  innalzato  in  Napoli  a  quel  santo.  Ab- 
benchè  alcuno  abbia  rimarcata  qualche  menda  nel 
primo  di  questi  tre  quadri;  pure  conoscendo  noi  che 
il  disegno  di  esso,  secondo  promise  il  direttore  del- 
XJpe^  debbe  essere  stato  diretto  ed  approvato  dal- 
lo stesso  autore  del  dipinto  ,  non  vogliamo  farne 
motto:  ne  della  nostra  lode  ha  bisogno  l'autore.  Chi 
non  conosce  in  fatti  il  Camucclnì?  chi  ignora  qual 
seggio  tenga  egli  nell'italica  pittura?  Nò  minor  fa- 
ma gode,  e  meritamente,  il  magico  pennello  del  cav. 
Laudi;  la  cui  morte,  avvenuta  nel  1830,  fu  pubbli- 
ca sciagura.  Descrive  il  Melchiorri  (  voi.  Ili  tav.  17) 
una  tela  di  lui,  rappresentante  l'Addolorata;  essa  è 
in  proprietà  del  Lucchetti  negoziante  di  quadri: 
ma  noi  non  possiamo  col  Melchiorri  dirla  unica  to- 
talmente compita  che  del  Landi  esista  in  Roma; 
perchè  (  a  cagion  di  esempio  )  deve  egli  ricorda- 
re di  aver  più  volte  veduta  in  Roma,  nella  casa  del 
fratello  di  chi  scrive  quest'articolo  ,  una  sacra  fa- 
miglia di  quel  famoso  maestro;  opera  compiutisisi- 


2T8  Belle    Arti 

ma,  e  da  non  temere  il  confronto  della  qui  pub- 
blicata. 

Nel  volto  di   una   delle  sale  del  magnifico  pa- 
lazzo  quirinale  è   la  tela   (  voi.  II  tav.  2  ) ,  nella 
quale  il  cav.  Palagi  dipinse  Cesare  il  dittatore,  in 
atto  di  dettare  a  quattro  amanuensi,  secondo  nar-« 
rano  Irzio  e  Plutarco.  Il  cantore   di   Gofifredo  che 
vien  raccolto  in  s.  Onofrio  (  voi.  I  tav.  5  ),  ed  una 
sacra  famiglia  (  voi.  Ili  tav.  11)  sono  tele  operate 
dal  prof.  Agricola:  quella  pel  duca   di  Bracciano  ^ 
questa  per  la  duchessa  di  Sagan.  Osserva  il  Pungi- 
leoni  quanto  esattamente  abbia  nella  prima  il  pit" 
tore  eseguiti  i   due  precetti   oraziani  dell'  unità    e 
della  semplicità  ;    nota   il  Betti    come   la   seconda 
provenga  da   un    bassorilievo  del  Buonarroti  ,  che 
possedeva  il   Wicar.  Anche  due  sono  le  opere  del- 
l'altro nostro  professore  Podesti  pubblicate  nell'^- 
yoe;  in  una  (  voi.  I  tav.  25  )  veggiamo  il    Tasso  in 
atto  di  leggere  il  suo  poema  alla  presenza  del  du" 
ca  Alfonso  d'Este  e   della  sua  corte  ;  questa   tela 
esiste  nello  studio  dell'autore.  L'altra  è  un  dipinto 
a  fresco  (  voi.  Il  tav.  32  )  esistente  nella  villa  Tor- 
Ionia  fuori  di  porta  nomenlana;  vi  è  rappresenta- 
to Bacco  che  rende  cieco  Licurgo  re  della  Tracia* 
Così  il  cav.  Visconti  pel  primo,  come  il  Raggi  de- 
scrivendo il  secondo,  assai  acconciamente  rilevano 
i  molti  pregi  di  questi  dipinti  ;  ma  sembra  a  noi 
che  le  molte  bellezze  del  primo  non  siano  passate 
nella  incisione.  Nella  ricordata  villa  Torlonia  e  pu- 
re Ta-fresco  del  prof.  Francesco  Coghetti  (  voi.  Ili 
tav.  14),  in  cui  dipinse  l'ingresso  di  Alessandro  ia 
Babilonia,  secondo  la  narrazione  di  Q.  Curzio. 

Esiste  nella  galleria  dell'accademia  di  s.  Luca 
quella  tela,  nella  quale  ii  cav.  Silvagni  dipinse  la 


Al*E    ITALIANA  279 

sfida  <li  Etedcle  e  Polinice  (  voi  I.  tav.  8  );  egli  pre- 
se a  guida  di  tragico  astigiano;  e  con  esso  alla  ma- 
no ben  può  chiarirsi  il  dipinto.  Il  cav.  Cavalieri 
operò  per  la  chiesa  di  s.  Filippo  Neri  in  Torino 
un  quadro,  in  cui  vedesi  il  beato  Sebastiano  Val- 
frè  portato  dagli  angeli  in  paradiso  (  voi.  II  tav. 
8  ).  Giuseppe  Bossi,  che  con  grave  danno  dell'ar- 
te e  delle  lettere  fu  rapito  da  morte  non  anco- 
ra compiuto  l'ottavo  lustro  d'età,  dipinse  la  nave  di 
Faone  (  voi.  II  tav.  5  ),  togliendone  il  soggetto  dal- 
la Saffo,  romanzo  del  conte  Alessandro  Verri.  Que- 
sta pittura,  che  giustamente  vien  lodata  per  la  pu- 
rità dello  stile  e  per  la  finezza  del  gusto,  è  presso 
il  nobile  don  Gaetano  Melzi  dei  duchi  di  Lodi  nel- 
la sua  villa  di  Como.  Non  meno  pregevole  è  rollra- 
po,  dipinto  a  fresco  dal  Sabatelli  (voi.  I  tav.  38) 
in  una  delle  sale  del  palazzo  Pitti  a  Firenze;  come 
assai  adequata  è  la  descrizione  che  ne  fa  il  Missirini. 
La  sacra  famiglia,  dipinta  da  Anna  de  Fratnich 
Salvotti  veronese  (  voi.  I  tav.  12  ),  fu  già  descrit- 
ta in  questo  nostro  giornale  dal  Biondi;  e  quel- 
la descrizione  è  ripetuta  neW^pe.  Giulio  Sabino 
gallo,  scoperto  dai  pretoriani,  è  opera  del  profes- 
sore Camillo  Guerra,  esistente  nel  reale  palazzo  di 
Caserta  (  voi.  I  tav.  21  ),  già  da  altri  molti,  co- 
me ora  dal  Bianchini  lodata.  Maravigliosa  ne  sem- 
bra anche  a  noi  rinvenzione;  ma  guardando  nel 
rame,  che  abbiamo  dinanzi  agli  occhi,  pare  che 
alcuna  gamba  non  sia  hen  giustificata  a  qual  figura 
si  appartenga.  Nella  chiesa  di  s.  Benedetto  in  monte 
Cassino  (  voi.  I  tav.  28  )  è  quel  quadro  descritto  da 
monsignor  Muzzarelli,  nel  quale  il  cav.  Sessa  rap- 
presentò assai  vivamente  il  martirio  di  s.  Bertario  e 
de'monaci  suoi  compagni.  Il  De-Vivo  dipinse  in  tela 


280  B    È    L    L    E       A    R    T    I 

la  morte  di  Eudossla  (voi.  II  tav.  1 7);  storia  dolente, 
accaduta  in  Damasco  verso  la  meta  del  settimo  se- 
colo di  Cristo.  Già  l'inglese  Hughes  ne  fece  argomen- 
to ad  una  tragedia,  nella  quale  molto  si  dilungò  dal- 
la storica  verità;  al  contrario  del  napoletano  pittore, 
che  ad  essa  si  tenne  strettamente.  Di  grandi  propor- 
zioni e  di  bellissima  esecuzione   è    la    tela  del  prof. 
Bezzuoli  (voi.  II  tav.  26),  in  cui  si  vede  rappresenta- 
to l'ingresso  di  Carlo  Vili  in  Firenze.  Esiste  nel- 
l'imperiale e  real  palazzo  Pitti.  Riconosci  in  essa   i 
ritratti  di  Poliziano,  di  Machiavelli,  di  Savonarola, 
e  di  quel  Pier  Capponi,  la  cui  coraggiosa  virtìi  fé 
salva  in  quel  frangente  la  patria.  In  Palermo  nel- 
la chiesa  di  s.  Maria  degli  Angeli  è  la  sacra  fami- 
glia del  cav.  Natale  Carta  (  voi.  II  tav.  29  );  in  San- 
severino,  la   Vergine  che  riceve  il  celeste  messaggio 
dall'arcangelo  Gabriele,  dipinto  di  Filippo  Big^iuoli 
(voi.  II  tav.  35  ):  nella  cappella  del  pubblico  cimi- 
terio  di  Lucca,  la  Vergine  del  rosario  ,  opera  del 
prof.  Michele  Ridolfi  (  voi.  Ili  tav.  2  ).  La  scena  pa- 
storale dipinta  dal  cav.  Paoletti  ,   e   posseduta  dal 
Moroni  ,  fu  assai  degnamente  descritta  dal  Biondi 
(  voi.  Ili  tav.  26  ):  la  congiura  de'Pazzi  del  Mussi- 
nl,  posseduta  dal  Finzi  in  Firenze  (  voi.  Ili  tav.  32), 
fu  esposta  dal  p.  Tanzinl:  ed  il  direttore  Melchior- 
ri  descrisse  così  il  Faustolo  che  presenta  alla  mo- 
glie Romolo  e  Remo,  quadro  del  professor  Duran- 
tini  (voi.  Ili  tav.  29);  e  così  il  fresco  esistente  nel- 
la ricordata  villa  Torlonia,  in  cui  il  Fioroni  rappre- 
sentò l'incoronazione  di  Cleopatra  (voi.  Ili  tav.  35).   , 
Di  autori  oltramontani  di  scuola  moderna   ve- 
diamo riportati   otto  dipinti  in  questi    tre   volumi. 
Diremo  primamente  di  due  che  furono  operati  dal 
fu  cav.  Wicar.  Nell'uno  raffigurò  Temistocle,  quan- 


Ape  italiana.  281 

do  si  rifugia  presso  Admeto  re  de'molossi    (  voi.  I 
tav.  34  );  lo  possiede  il  nobile  sig.  conte  Giulio  Ra- 
sponi  in  Ravenna;  e  fu  già  descritto  dal  nostro  prof. 
Betti  (sue  Prose  nella  Bibl.  scelta  di  opere  italiane; 
Milano  pel  Silvestri,  voi.  209  p.  199).  L'altro  è  la  ce- 
lebratissima  tela,  in  cui  pitturò  il  risorgimento  del 
figlio  della  vedova  di  Naim  (voi.  Ili  tav.  26);  essa  sta 
a  Lilla  in  Francia;  e  noiVÀpe  si  riporta  la  descri- 
zione che  il  Missirini  ne  ebbe  pubblicata  nelle  Ef- 
femeridi romane  del  1821   (  voi.  VI  p.  38  e  segg.  ). 
Nel  casino  della  villa  Massimo,  presso  s.  Giovanni 
Laterano,  esiste  quel  fresco,  nel  quale  il  prof.  Fe- 
derico Overbek,  ispirato  dal  cantor  di  Goffredo,  ef- 
figiò la  morte  di  Odoardo  (voi.  I  tav.   15).  Nella 
casa  che  fu  di   Federico   Zuccari   in   via  sislina   il 
Bartholdy  fece  operare  diversi  a-freschi,  Nell'^yoe 
vediamo  incisi  e  descritti  dal  Betti,  dal  Gerardi,  dal 
Melchiorri  quelli  di  Guglielmo  Schadow  che  dipin- 
se i  fratelli  di  Giuseppe  nell'atto  che  a   Giacobbe 
presentano  la  veste  di  lui  (voi.  I  tav.  18);  di  Pie- 
tro Cornelius,  in  cui  si  vede  Giuseppe   che  a  Fa- 
raone spiega  il  sogno  (  voi.  I  tav.  31  );  di  Filippo 
Weit,  indicante  in  allegoria  i  sette  anni  di  fertilità 
(voi.  II  tav.  14).  Nello  studio  dell'autore  è  la  te- 
la, in  cui  Pietro  Herzog  pitturò  l'apoteosi  di  Erco- 
le (  voi.  Ili  tav.  5  )  ;  ed  è  presso  il  commendator 
Thorwaldsen  quella,  nella  quale  il  danese  Alberto 
Kucher  finse  la  morte  di  Correggio  (voi.  Il  tav.  20). 
Avendo  il  pittore   preso   a   guida   la    tragedia  dell' 
Oehleschluger  intitolata  //  Correggio,  falsò  la  storia: 
e  se  il  direttore  non  avesse  fatto  fermar  VJpe  su 
questo  fiore,  certo  non  sarebbe  stato  una  perdita. 
E  fin  qui  di  pittura. 
G.A.T.LXXtV.  19 


282  Bèlle    Arti 

Scultura  di  scuola  antica. 

Di  scultura  di  antica  scuola  sono  neWÀpe  due 
statue  ed  un  bassorilievo.  Questo  fu  operato  da  quel 
Michelangelo,  che  meritò  esser  detto  divino:  esiste 
nel  museo  vaticano;  rappresenta  Cosimo  de'Medici 
allorquando  vedendo  oppressato  il  popolo  di  Firen- 
ze, intende  a  sollevarlo;  e  ponendosi  alla  sua  te- 
sta, procura  abbassare  l'oligarchia  (voi.  Ili  tav.  18). 
Le  quali  cose  accaddero  nel  1434;  allorché  chia- 
mato egli  capo  della  repubblica,  seppe  poi  tenerla 
per  trent'anni.  Le  statue  furono  operate  da  Fran- 
cesco di  Quesnoy  detto  il  Fiammingo  l'una,  l'altra 
da  Giuseppe  Angelini.  Quella  rappresenta  s.  Susan- 
na, ed  è  nella  chiesa  di  s.  Maria  de'fornari  al  foro 
Traiano  (  voi.  I  tav.  1 1  );  questa  Gio.  Battista  Tira- 
nesi, e  fu  destinata  alla  chiesa  di  s.  Maria  del  Prio- 
rato suU'aventino  (voi.  II  tav.  25).  Molti  piìi  sono 
i  monumenti  di  scuola  moderna  in  gruppi,  in  sta- 
tue, in  bassorilievi. 

Scultura  di  scuola  moderna. 

I  gruppi  son  dieci.  Il  cav.  Matteo  Kessels  rap- 
presentò il  diluvio  universale  con  assai  felice  con- 
cepimento (  voi.  I  tav.  9  ).  Un  padre,  che  giunto  all' 
estremità  di  una  rupe,  la  quale  sovrasta  ancora  alle 
acque,  si  adopera  a  trarre  sull'alto  la  sua  consorte, 
che  quasi  priva  di  sentimento,  vedesi  abbandonata 
al  sostegno  che  il  marito  le  porge,  ed  a  mala  pe- 
na può  stringere  alle  spalle  un  suo  figliuoletto:  sce- 
na miseranda  di  quella  tremenda  tragedia!  Gennaro 
de  Crescenzo  scolpi  Aiace  in  atto  di  difendere   il 


Ape  italiana  283 

corpo  di  Patroclo  (  voi.  I  tav.  22  ):  il  cav.  Paolo  Le- 
moyne  la  fuga  di  Medea  dopo  aver  uccisi  i  fi- 
gliuoli (  voi.  I  tav.  32  ):  Giovanni  Maria  Benzoni  , 
Achille  che  sorregge  la  ferita  Pantesilea  (  voi  II 
tav.  24  ).  Questi  quattro  gruppi  sono  tuttora  ne- 
gli studi  degli  autori.  Ignoriamo  dove  siano  quelli 
operati  da  Ercole  Danti  (  voi.  Il  tav.  36  )  e  da  Giu- 
stino Leone  (  voi.  Ili  tav.  8  );  il  primo  scolpi  Ga- 
nimede rapito  dall'aquila;  Diomede  che  rapisce  il 
Palladio  il  secondo.  Il  nobile  cav.  Beaumont  possie- 
de la  Psiche  trasportata  dai  Zeffiri  ,  scultura  del 
prof.  Giovanni  Gibson  (voi.  II  tav.  15  )  :  è  nel 
museo  di  Madrid  il  Nestore  difeso  da  Antiloco,  ope- 
ra del  cav.  Giuseppe  Alvarez ,  già  in  questo  no- 
stro giornale  (a  1823)  lodata  dal  prof.  Poletti. 
Per  l'infante  di  Spagna  don  Sebastiano  il  cav.  Sola 
operò  la  strage  degli  innocenti  in  sole  tre  figure 
(  voi.  1  tav.  35  );  un  manigoldo  che  raggiunta  un  in- 
felice madre,  la  quale  si  reca  in  braccio  il  figliuolo, 
afferra  questo  per  una  gamba,  ed  inalza  il  ferro  di 
morte,  mentre  quella  tenta  invano  respingere  il  fe- 
roce assalitore.  Per  la  chiesa  cattolica  di  s.  Francesco 
in  Dublino  scolpi  Giovanni  Hogan  il  gruppo  della 
pietà  (  voi.  Ili  tav.  3  ).  Nelle  descrizioni  di  questi 
lavori  si  adoperarono  Betti,  il  Melchiorri ,  1'  Ode- 
scalchi,  il  Giucci. 

Molte  piìi  sono  le  statue.  Il  discobolo  del  cav. 
Matteo  Kessels  è  in  Inghilterra  presso  il  duca  di 
Dewonshire  (  voi.  II  tav.  27  )  :  il  prof.  Rinaldo 
Rinaldi  scolpi  Ulisse  riconosciuto  dal  cane  (  voi.  I 
tav.  16),  e  la  celeberrima  Giovanna  d'Arco  (voi. 
Ili  tav.  21  )  :  Luigi  Bienaimè  cosi  la  Diana  sor- 
presa nel  bagno  (  voi.  I  tav.  19  )  ,  e  cos'i  Zeffiro 
(  voi.  Ili  tav.  36  ):  il  lodato  Gibson  la  statua  d'Amo- 


284  Belle     Arti 

re  (  voi.  Ili  tav.  15  ),  e  quella  rappresentante  Gu- 
glielmo Husckisson,  che  è  nel  nuovo  cimiterio  di  Li- 
verpool  (voi.  I  tav.  26).  In  essa  però  poco  ci  piacque 
veder  nudo  il  petto  e  le  braccia,  coperte  le  gam- 
he  ed  i  piedi.  Innocenzo  Fraccaroli  scolpì  l'Achil- 
le ferito  nel  tallone  da  una  freccia  di  Apollo  (  voi. 
I  tav.  38  ):  il  cav.  Alessandro  Laboureur  il  s.  Gre- 
gorio Magno  per  la  basilica  ostiense  (voi.  II  tav.  6); 
statue  convenientemente  lodate  dagli  espositori  Ore- 
ste Raggi  e  Giuseppe  Melchiorri.  Sono  sculture 
del  prussiano  Emilio  Wolf,  un  guerniero  che  ve- 
ste le  armi  (  voi.  II  tav.  9  ),  ed  Amore  con  le  spo- 
glie di  Ercole  (  voi.  Il  tav.  33  ):  di  Filippo  Pampa- 
Ioni,  così  Filippo  Brunelleschi  ed  Arnolfo  di  Lapo, 
statue  situate  in  Firenze  innanzi  la  canonica  di  s. 
Maria  del  fiore  (voi.  II  tav.  18);  come  Amore  che 
tende  insidie  ,  presso  l'eccellenza  del  principe  di 
Tre  vignano  (  voi.  HI  tav.  9  )•  H  professor  Ferdinan- 
do Pelliccia  condusse  con  molta  maestria  una  bac- 
cante (  voi.  II  tav.  12  ):  il  s.  Paolo  del  prof.  Ada- 
mo Tadolini  ornerà  la  risorgente  basilica  ostiense 
(  voi.  III  tav.'  SO  ):  il  Galileo  fu  operato  da  Emilio 
Demi  livornese  (  voi.  Ili  tav.  27  );  e  l'Euridice  da 
Sabino  de  Medina  spagnuolo  (  voi.  Ili  tav.  30  ). 

Dei  bassorilievi,  tre  ne  ammiriamo  del  commen- 
dator  Alberto  Thorwaldsen.  Sono  nell'uno  le  Parche 
(  voi.  I  tav.  3  );  Nemesi  è  nel  secondo  (  voi.  II  tav. 
3  );  nel  terzo  il  giudizio  delle  armi  di  Achille  (  voi. 
III  tav.  33  ).  Cui  non  è  noto  il  ThorAvaldsen?  Egli 
non  abbisogna  di  lodi:  pure  non  ristaremo  dal  dire 
che  forse  non  a  tutti  piacerà  l'  aver  egli  nel  se- 
condo degli  indicati  bassorilievi  (  temendo  forse  che 
la  sua  mente  non  fosse  bastantemente  aperta  all'os- 
servatore )  indicato  con  lettere  il  proprio  pensiero; 


I 


Ape  italiana  285 

scrivendo  sul  carro  della  diva  NEMESIS;  sulla  ruo- 
ta VENTVRA  VBERTA'  SVENTVRA  PENVRIA  ; 
sui  cavalli  OBBEDIENTE,  INOBBEDIENTE;  sulla 
spada  di  uno  dei  genii  PENA.  Non  meno  lodato 
del  Thorwaldsen  è  il  prof.  Pietro  Tenerani  :  egli 
scolpi  pel  marchese  di  Northampton  la  Garitk  (  voi. 

I  tav.  16);  tenerissima  scena,  che  forma  la  delizia 
dei  cuori  sensibili,  e  nati  a  beneficare  altrui.  Pie- 
na di  forza  è  l'invenzione  di  Ponziano  Ponzano  (  voi. 
III.  tav.  6  ),  rappresentante  Ercole,  domatore  di  Dio- 
mede e  de'suoi  cavalli.  Piena  di  sentimento  è  la 
stele  operata  dal  lodato  prof.  Rinaldi,  ed  esistente 
in  s.  Luigi  de'  francesi,  per  la  quale  il  Baldi  volle 
tramandare  a'posteri  una  durevol  memoria  del  do- 
lore sofferto  nella  perdita  dell'amato  figliuolo  (  voj. 

II  tav.  21  ).  Degno  di  molta  lode  è  il  monumento 
sepolcrale  a  Mario  Gramiccia  eseguito  dal  già  ri- 
cordato Laboureur  (voi.  Ili  tav.  12).  Nella  descrizio- 
ne di  questi  bassorilievi  si  adoperarono  il  Biondi, 
il  Betti,  il  Gerardi  e  il  direttore  deWJpe. 

Prima  di  passare  ai  monumenti  architettonici, 
dobbiamo  ricordare  che  lo  stesso  direttore  in  una 
tavola  (voi.  I  tav.  13)  pubblicò  una  gemma  ed  una 
medaglia,  operate  dal  cav.  Giuseppe  Girometti ,  e 
due  medaglie  del  di  lui  figlio  Pietro  Girometti.  Rap- 
presenta la  gemma  una  baccante  che  scherza  con 
Amore:  le  medaglie  sono  coniate  ad  onore  di  Gio- 
vanni Battista  Niccolini,  di  Ennio  Quirino  Viscon- 
ti, e  del  card.  Placido  Zurla. 

architettura. 

Resta  l'architettura;  della  quale  soli  cinque  mo- 
numenti vediamo  riportati  in  questi  tre  volumi  del- 


286  Belle     Arti 

XApe.  Uno  è  il  rinomatissimo  tempio  di  Possagno, 
eretta  dalla  pietà  di  Antonio  Canova  (voi.  I  tav.  7).  È 
noto  come  quell'artista  egregio,  unendo  la  cella  del 
Partenone  al  portico  del  Panteon,  ne  ideasse  un  sol 
edificio;  e  quelTidea  mandasse  ad  effetto,  con  dispen- 
dio maggiore  a  qualunque  forza  di  privato  :  è  pur 
noto  che  gettata  la  pietra  fondamentale  nel  1819, 
era  già  la  fabbrica  di  molto  avanzata;  quando  quegli 
che  era  creatore,  direttore,  e  guidatore  dell'opera  fu 
chiamato  a  miglior  vita.  Ognun  sa  che  l'opera  non 
perciò  restò  interrotta;  perchè  affidato  dall'illustre 
defonto  all'onore,  alla  fede,  alla  probità  dell'amato 
fratello  l'obbligo  di  compire  il  tempio,  non  solo  fu 
in  breve  terminato,  ma  volle  inoltre  l'erede  che  il 
Missirini  ne  desse  alle  stampe  un'accurata  descrizio- 
ne. Quell'opera  vide  la  luce  in  Venezia  pei  tipi 
dell'Antonelli;  e  da  essa  il  direttore  dell' ^yoe  facen- 
do copiare  il  prospetto  ed  il  fianco  esterno  ,  l'inter- 
no spaccato  e  la  pianta,  procurò  che  con  adequate 
parole  ne  scrivesse  il  marchese  Biondi.  Il  prof.  Gio- 
vanni Battista  Silvestri  descrisse  la  chiesa  della  Ma- 
donna di  s.  Biagio  a  Montepulciano,  opera  assai  lode- 
vole di  Antonio  Sangallo  (voi.  II  tav.  10).  Il  tempio  di 
Maria  Vergine  nella  terra  dell'Ariccia,  inalzato  con 
architettura  di  Lorenzo  Bernini  ,  fu  descritto  dal 
cav.  Folchi  (voi.  Ili  tav.  24  );  e  per  ultimo  vediamo 
due  opere  assai  lodate  del  marchese  Luigi  Gagnola; 
cioè  il  campanile  di  Urgano  nel  Bergamasco,  descrit- 
to dal  prof.  Poletti  (  voi.  I  tav.  33  );  ed  il  celebra- 
tissimo  arco  della  Pace  in  Milano  (  voi.  Il  tav.  23  ). 
Meritano  esser  lette  le  riflessioni,  che  su  questo  fe- 
ce il  Ruggiero. 

Sia  lode  al  direttore  Melchiorri,  ed  a  que'let- 
terati  che  concorsero  co'loro  scritti  a  render  utile 


Ape  italiana.  287 

r  impresa,  e  che  noi  ricordammo  già  tutti  o  quasi 
nel  decorso  di  quest'  articolo.  Pria  di  chiudere  il 
quale  vogliamo  anche  retribuire  il  meritato  enco- 
mio a  quegli  artefici,  che  weWJpe  adoperano  la  ma- 
tita, o  il  bulino.  Molti  più  furono  i  disegnatori  di 
quello  che  gli  incisori  delle  tavole  in  rame:  fra  i 
primi  contiamo  Apolloni,  Becchio,  Bigioli,  Boldini, 
Borani,  Brunori,  Buonaiuti  (  Raffaello  ),  Galendi,  Ga- 
mia, Chiari,  Consoni,  Cortazzo,  Durantini,  Gozzini, 
Guglielmi,  Mancinelli,  Martelli,  Morani ,  Mussini  , 
Narducci,  Pio,  Podesti,  Razzetti,  Silvestri,  Tevenin, 
Valentini,  Ventura.  Sono  fra  i  secondi  Biondi,  Buo- 
naiuti (Ignazio),  Cartoni,  Costa,  Cremonesi,  De  Caro- 
lis, Del  Vecchio,  Garzoli,  Gatti,  Lebas,  Mitterpoch, 
Morghen,  Wenzel,  Adoperano  a  vicenda  ora  la  ma- 
tita, ora  il  buUno  Giuseppe  Alcaide,  Pio  Bertoni, 
Gioacchino  Camilli,  Francesco  Pagliuolo. 

Desideriamo  che  il  sig.  direttore  e  gli  editori 
prosieguano  nell'impresa;  e  dal  favore  che  essa  ri- 
ceve prendano  consiglio  a  sempre  più  migliorarla: 
che  da  essa  molto  utile  può  derivare  alle  arti:  le 
quali,  se  dopo  risorte  furon  patrimonio  degli  ita- 
liani pili  che  di  qualunque  altro  popolo,  trovaro- 
no ognora  in  questa  eterna  citta  e  sotto  la  prote- 
zione dell'ammanto  papale  quell'incoraggiamento  , 
pel  quale  uà  giorno  fu  tanto  decantata  la  Grecia. 

C.  €. 


288 


Su  di  un  dipinto  del  cav.  Giovanni  Silvagni, 

professore  e  consigliere  dell'accademia 

di  san  Luca. 


JLie  molte  opere  del  valente  dipintore  sig.  cav. 
Giovanni  Silvagni  romano,  tenute  in  pregio  da'pri- 
mi  maestri  dell'arte,  e  note  assai  perchè  celebrate  da 
dotte  penne,  hanno  fatto  chiaro  il  suo  nome,  e  gli 
hanno  meritato  estimazione  grandissima.  E  qui  basti 
solo  accennare,  tale  esser  quella  ch'egli  gode  presso 
il  regnante  pontefice  massimo  Gregorio  XVI,  che  sol- 
lecita Sua  Santi tk  di  conservare  il  celebre  fresco  del 
Domenichino  esprimente  la  flagellazione  del  santo 
apostolo  yÉndrea  nella  cappella  al  medesimo  dedica- 
ta sul  monte  Celio,  al  Silvagni  commise  l'ardua  ed 
onorevole  impresa  di  ritrarne  copia  in  tela  dal  qua- 
si perduto  originale.  L'opera  del  Domenichino  rivi- 
ve ora  nella  copia  del  Silvagni. 

Bene  pertanto  si  avvisò  il  reverendissimo  pa- 
dre don  Francesco  Amici,  abate  camaldolese  del  mo- 
nistero  di  s.  Angelo  Magno  di  Ascoli,  il  quale  vo- 
lendo porre  in  quella  chiesa  (che  molte  pregiate 
opere  di  pittura  racchiude)  un  quadro  del  santo 
abate  Romualdo  fondatore  dell'insigne  suo  ordine, 
lo  volle  dipinto  dall'esperto  Silvagni. 

Il  prelodato  P.  Amici  tolse  a  suggetto  del  quadro 
quel  passo  luminoso  della  vita  del  santo,  in  cui  si 
narra  da  san  Pier  Damiani  ch'egli  rimproverasse  a 
Ottone   IH  imperadore  il  doppio  peccato  di  aver 


Dipinto  del  Silvagni  289 

morto  Crescenzio  centra  la  fede  del  giuramento,  e 
di  ritenersi  a  concubina  Stefania  consorte  dell'estin- 
to; e  che  imponesse  a  quel  monarca  la  penitenza  di 
recarsi  a  pie  nudi   la  sul   monte  Gargano.  Per  un 
suggello  COSI  grandioso,  e  per  un  quadro  da  collo- 
carsi in  un  altare  (  e  che  perciò  conveniva  avesse  le 
figure  almeno  al  naturale),  non  fu  accordala  al  Sil- 
vagni che  l'angustissima   tela  di   soli  romani   palmi 
nove  e  once  sei  di  altezza,  e  di  palmi  sei  e  once  due 
di  largezza.  Pure  una  tale  angustia  è    servita    a    far 
.più    risaltare   l'ingegno   mirabile  di   lui.  Ecco  com' 
egli  ha  disposto  i  materiali  del  suo  quadro. 

L'azione  è  rappresentata  come  avvenuta  nella 
reggia  stessa  di  Ottone.  Una  parte  di  ampia  sala,  sor- 
retta e  divisa  da  doppio  ordine  di  colonne,  serve  di 
campo  al  quadro;  nel  davanti  del  quale  vedesi  alla 
destra  parte  s.  Romualdo  vestito  di  bianca  cocolla, 
appoggiato  colla  destra  mano  al  suo  bastone,  e  aven- 
te la  sinistra  leggermente  innalzata.  E  all'altra  par- 
te Ottone  coperto  delle  vestimenta  imperiali,  che 
abbandonato  il  maestoso  suo  seggio,  cade  genu (les- 
so a'piedi  del  santo.  Due  monaci  son  posti  ali' in- 
dietro di  questo  ;  Stefania  con  due  cortigiani  son 
dietro  di  Ottone  nella  opposta  parte. 

Con  quanto  accorgimento  abbia  il  Silvagni  co- 
si disposta  la  sua  composizione,  lo  fa  conoscere  la 
difficoltà  che  incontravasi  nel  vestiario  proprio  del 
principal  personaggio,  qual  era  s.  Romualdo.  Bianca 
da  capo  apiè  si  presentava  al  pittore  la  sua  figura; 
e  buona  cosa  per  lui  sarebbe  slata  questa,  se  aven- 
do piìi  grande  la  tela,  avesse  potuto  collocare  nel 
mezzo  quella  gran  massa  di  chiaro:  ma  nel  pic- 
col  suo  quadro  un  convenevol  luogo  doveva  eziandio 
Iasciari>i    all'impcradore.  Il    perchè    assegnò   egli  al 


290  B    E    L    L    E       A    R    T    i 

santo  la  destra  parte  e  con  maestria  cercò  un  effetl» 
di  luce  assai  ristretto;  riuscì  ad  avere  molta  degra- 
dazione; e  potè  portare  le  ombre  fin  sopra  le  figure 
meno  principali.  Ma  il  bianco,  comechè  ristretto,  ri- 
manendo tuttor  da  una  parte,  avrebbe  sconcertalo 
rec|uilibrio  nell'effetto.  Per  tanto  a  conseguir  l'ar- 
monia, necessario  rendevasi  che  il  bianco  dominasse 
tutto  il  quadro,  o  (  a  meglio  esprimerci  con  frase 
pittorica  )  che  tutto  il  quadro  fosse  intonato  pel 
bianco;  cosa  difficile  assai  pel  pericolo  d'incorrere 
nella  tanto  ingrata  monotonia.  Quindi  l'accorto  Sil- 
vagni  adoperò  un  color  acqua  di  mare  nella  tunica 
deirimperadore;  frammischiò  il  Lianco  al  violato 
nella  spalliera  della  sedia,  e  tenne  biancastro  tutta 
il  fondo  del  quadroj  e  quindi  pure  v'introdusse  del- 
le masse  oscure,  e  ottenne  per  esae  un  incantevol 
contrasto,  immaginando  la  sala  separata  da  griglie 
di  ferro  dorato  in  quella  parte  ove  si  rappresenta 
Fazione;  dandovi  luogo  a  cortine  di  color  rosso;  va- 
riando a  piU  colori  il  tappeto  che  cuopre  il  pavi- 
mento; e  adattando  agli  omeri  di  Ottone  un  ricco 
paludamento  colorito  di  porpora,  e  guernito  di  oro. 
Ma  non  è  solo  la  scelta  e  la  distribuzion  de* 
materiali  che  costituisce  una  bella  composizione  j 
essa  mancherebbe  di  tutto,  ove  le  figure  mancas-^ 
sero  della  espressione  ,  mediante  la  quale  il  pit- 
tore parla  ai  sensi  e  all'animo  degli  spettatori.  Il  Sil- 
vagni,  che  nelle  sue  produzioni  fa  dominare  mai- 
sempre  que'gran  pensieri  che  derivano  dalla  reli- 
gione e  dalla  filosofia,  sa  ancora  esprimere  con  na- 
turalezza e  verità  i  caratteri  proprii,  e  i  sentimen- 
ti dai  quali  vuole  animate  le  sue  figure.  E  ciò  egli 
consegue  non  col  fermarsi  solo  sui  lineamenti  del 
volto  (  al  che  restrinsero  taluni  tutta  l'arte  e  tutto 
lo  studio  loro);  ne  con  isgarbate  esagerazioni  a  ma- 


Dipinto  dej.  Silvagni  291 

niera  del  depravato  gusto  romantico;  ma  col  dare 
alle  figure  il  gesto  lor  naturale  ,  e  col  proporzio- 
narle in  tutti  i  movimenti  del  corpo.  Di  fatto  se 
osservi  il  venerando  vecchio  fermo  sur  ambo  i  pie- 
di, e  poggiato  colla  destra  mano  al  bastone,  tu  scor- 
gi subito  la  posizione  naturalissima  di  un  che  sente 
sopra  se  il  grave  peso  di  anni  novantuno:  se  gli  fisi 
sul  volto  lo  sguardo,  e  miri  altresì  che  senza  scom- 
porsi leva  in  alto  la  manca  mano  ,  tu  dici  subito 
cJregli  indirizza  al  monarca  un  rimprovero;  ma  che 
i  modi  e  le  parole  dell'  uom  di  Dio  nulla  hanno 
di  rigido  e  d'imperioso  che  irrita,  e  tutta  conten- 
gono la  dolcezza  che  alletta.  L'umile  ma  insieme 
dignitoso  atteggiamento  di  Ottone  in  mezzo  allo 
splendore  e  alle  magnificenze  della  reggia  ;  quel 
braccio  destro  con  garbo  proteso  verso  del  santo  ; 
il  suo  volto  composto  a  dolore,  se  ti  appalesano  i 
sentimenti  di  un  cuor  contrito,  ti  dicon  pure  che 
non  è  desso  un  uomo  che  implora,  ma  uno  che  si 
arrende  alle  ammonizioni  che  ascolta.  Ne  lascian 
dubbio  degli  interni  loro  sentimenti  quant'  altri 
sono  figurati  nel  quadro;  imperocché  agli  atti  de- 
voti de'  compagni  del  santo  è  facile  il  conoscere 
ch'essi  porgono  a  Dio  ringraziamenti  per  l'effica- 
cia donata  alle  esortazioni  del  servo  suo  :  e  come 
nel  volto  e  nel  gesto  de'cortigiani  appare  l'ammi- 
razione pel  fatto  di  Ottone,  così  in  quello  di  Ste- 
fania si    legge   apertamente  il  dispetto. 

Conservare  il  costume  corrispondente  ai  tem- 
pi, ai  popoli,  ai  diversi  luoghi,  alle  persone,  fu 
sempre  una  delle  principali  ricerche  de'bravi  pit- 
tori, i  quali  non  ignorano  quanto  ciò  contribui- 
sca a  conseguire  lo  scopo  dell'arte  loro.  Il  Silva- 
gni, che  ne  fu   sempre  osservatore  scrupoloso,  non 


292       '  BblleArti 

lo  fu  meno  nel  quadro  di  che  si  parla.  Puoi  quin- 
di ravvisare  nell'architettura  lo  stile  longobardico, 
che  ti  dimostra  la  decadenza  estrema  in  che  erano 
a  que'tempi  le  arti  :  vedere  Ottone  che  sopra  la 
bionda  chioma  e  liscia  ,  perchè  profumata  giusta 
l'uso  di  quel  secolo  ,  cinge  la  corona  detta  ferrea 
di  Monza,  ed  ha  l'imperiale  ammanto  quale  a'suoi 
dì  costumavasi:  e  ad  uno  sguardo  che  volgi  a'cor- 
tigiani  riconoscer  subito  il  vestiario  civile  e  mili- 
tare alemanno. 

Che  lascia  a  desiderare  il  Silvagni  in  quest'o- 
pera sua  ?  Egli  che  ha  genio  fecondo  d'  immagi- 
nare ,  e  conosce  a  fondo  l'armonia  degli  estremi 
dell'arte,  ha  saputo  raggiungere  quel  che  chiamasi 
pero,  e  ci  ha  fatto  dono  di  quel  che  dicesi  hello. 
E  bello  per  verità  reputeranno  il  suo  quadro  e 
quelli  che  riconosciutavi  la  natura  nella  sua  sem- 
plicità, si  appagheranno  di  contemplarla  senza  piti 
progredire;  e  quelli  altresì  che  piii  severi  cercan 
di  tutto  la  ragione,  perchè  in  esso  tutto  troveran 
ragionato.  E  quando  il  Silvagni  ha  riportata  l'ap- 
provazione di  essi,  a  che  debbe  aspirar  da  vantag- 
gio.** Egli  ha  assicurata  la  celebrità  del  suo  nome 
così  in  questa  come  nelle  altre  sue  tele. 

F.  Andreozzi 


293 


Memoria  della  vita  e  delle  opere   del  giovane 
maestro  di  musica  Gustavo   Terziani. 

Agli  amici  di  Gustavo  Terziani,  Ottavio  Gigli. 


jL  erchè  lamentando,  come  troppo  dolorosamente 
immatura,  la  morte  di  sì  caro  amico  quel  conforto 
prendiate  che  solo  vi  rimane  a  sperare  nell'ammi- 
razione e  nell'amore,  in  cui  potessero  venire  presso 
agli  uomini  le  virtìi  della  mente  e  dell'animo  suo, 
ove  fossero  sapute:  ciò  feci  per  l'amicizia  che  a  lui 
mi  congiunse  mio  debito,  certo  che  giammai  occa- 
sione alcuna  mi  si  darebbe  nella  quale  potessi  pili 
caramente  aggradirvi.  Proseguite  a  godere,  se  pur 
v'è  dato,  le  dolcezze  d'una  vera  amicizia  e  vivete 
felici. 


Ahi  morte  ria,  come  a  schiantar  se'presta 
Un  frutto  di  molti  anni  in  sì  poche  ore  ! 

Petr. 

Le  care  speranze  che  allietavano  un'onesta  fa- 
miglia continuamente  consolandola  della  certezza 
d'un  pili  beato  avvenire,  insieme  a  quelle  di  che 
già  la  patria  assai  volte  ebbe  a  onorarsi  per  i  pub- 
blici esperimenti  dati  dall'ingegno  del  giovane  mae- 
stro di  musica  Gustavo  Terziani,  con  lui,  il  giorno 
31  di  agosto  del  183T,  dall'universale  de'suoi  con- 
cittadini si  condolsero  come  troppo  acerbamente  in 
sul  fiore  inancate:  e  fu  allora  che  il  crudelissimo 


294  Belle    Arti 

morbo  asiatico,  venuto  a  disertare  questa  nostra 
Italia,  nella  tribolata  citta  nostra  menava  stragi 
grandissime,  tanto  che  nel  dimostrare  i  suoi  lagri- 
raevoli,  e  sempre  piìi  terribili  effetti,  portava  nella 
famiglia  Terziani  infino  a  que'dì  vivuta  tranquil- 
lamente, contenta  allo  stato  a  cui  era  stata  sortita, 
l'estrema  desolazione  e  miseria.  E  che  tanto  imper- 
versare di  fortuna  fosse  venuto  a  perturbarla  e  di- 
sperare, è  da  tenersi  potersene  trovar  certa  cagio- 
ne nell'amor  ferventissimo,  portato  dall'infelice  Gu- 
stavo alla  madre.  Imperciocché  questo  in  lui  era 
così  acceso,  che  infermata  della  pestifera  malattia, 
nell'apprestarle  i  rimedi  per  tornarla  a  salute,  non 
gli  lasciava  por  mente  a  cansare  il  contatto,  o  al- 
meno usando  delle  debite  cautele  in  alcun  modo 
guardarsene  :  che  anzi  traportandolo  quanto  più 
peggiorando  si  sentisse  di  pericolo,  dall'accostarle- 
si,  sollevarla,  recarsela  al  petto  niente  lo  poteva 
ritenere  ,  in  tanto  che  sempre  più  ad  ogni  ora 
perigliandosi  ad  appestare,  ne  rimase  finalmente 
preso,  e  in  poco  andare,  come  diremo,  morto:  in- 
contrandogli in  ciò  sventura  da  fare  verso  di  se 
in  ogni  tempo,  pietoso  ne  senza  lagrime  chiun- 
que avrà  a  sapere  ,  che  la  madre  stessa  che  so- 
pra la  sua  vita  l'amava,  e  che  tutta  mille  volte 
a  qualunque  rischio  l'avrebbe  messa  a  sua  salvez- 
za fosse  divenuta  in  brevissimo  spazio,  in  si  fiero 
modo  di  lui  micidiale.  La  qual  cosa  nel  giorno  ap- 
presso ben  chiaro  si  vide  far  quando  passata  di 
questa  vita  quella  rara  donna,  ugualmente  ammalò 
prima  il  figliuolo  più  piccolo,  e  non  guari  dopo 
il  nostro  Gustavo.  Quella  sventurata  in  ciò  me- 
no da  compiangersi,  che  dovendole  morire  l'amor 
suo   il   figlio  che  di   sue  fatiche  l'intera  famiglia 


Memorie  del  TERaiANi  295 

onoratamente  sostentava,  ed  essa  restare  in  vita 
sostenendo  il  dolore  continuo  che  per  sua  ca- 
gione si  fosse  in  lui  avventato  il  mortifero  male 
e  seguitane  la  morte,  fosse  senza  tanta  inestima- 
bile ambascia  comportare  innanzi  a  lui  trapassa- 
ta, mentre  per  ninna  altra  cosa  al  mondo  pote- 
vale  essere  caro  il  conservarla  se  non  per  que' 
^  suoi  miseri  figliuoletti,  che  senza  di  lei,  e  del 
maggiore  fratello,  avrebbero  dovuto  stentare  la  vi- 
ta, e  forse  consumarla  per  ogni  estremità.  Ma  per- 
chè alquanto  di  sollievo  prendiamo  nel  discorre- 
re come  il  cielo  in  tale  estremo  mandasse  a  quel- 
la famiglia  un  insperato  soccorso,  in  un  amico  con- 
giunto a  Gustavo  con  piìi  che  fraternale  dimesti- 
chezza ;  mi  farò  a  raccontare  con  speranza ,  che 
un  SI  raro  esempio  accenda  altri  ad  imitarlo,  co- 
me morta  la  madre  questi  veggeadolo  costernato 
nell'animo,  e  già  così  mal  disposto  del  corpo  da 
potere  appena  la  vita,  considerando  come  rima- 
sti sarebbero  que'due  fratelli,  uno  de'quali  già  era 
infermato,  se  senza  aiuto,  senza  chi  piìi  li  cam- 
passe lui  fosse  venuto  a  morte,  avvisò  consigliarsi 
al  meglio  con  ogni  maggior  forza  di  ragioni,  di 
prieghi,  di  lagrime  persuadendolo,  acciocché  la- 
sciato chi  curasse  con  la  piìi  affettuosa  sollecitu- 
dine il  fratello  infermo,  egli  in  tale  stato,  essen- 
do già  in  lui  accasciata  ogni  vigoria  d'animo  e  di 
corpo,  si  lasciasse  menare  in  casa  sua,  ove  non  era 
senza  speranza  che  per  i  svariati  sollievi  rimosso  l'a- 
nimo da  quanto  potesse  accrescergli  tristezza,  di- 
straendolo  in  altri  pensieri,  lo  potesse  riavere.  In 
sul  primo  tentarlo  a  lasciar  la  casa  paterna,  quasi 
il  cuor  gli  desse  piìi  non  avere  a  tornarvi  ,  dal 
suo  proponimento  di  volere  quivi  insieme  ai  suoi 


296  Belle     Arti 

fluire  ,  non  si  poteva  a  verun  modo  mutare  ,  ma 
quindi  da  capo  1'  amico  pietosamente  riducendo- 
gli a  mente  come  senza  di  lui  rimarrebbero  i  suoi 
fratelli  ,  in  si  tenera  età  ,  digiuni  di  ogni  arte  , 
minacciati  della  vita,  esposti  airarbitrio  della  for- 
tuna, che  allora  avversavali  si  crudelmente,  vinto 
si  lasciò  piegare  e  in  tanto,  e  si  grave  dolore  ab- 
bandonato si  diede  a  seguire  l'amico.  Troppo  in 
parte  m'allargherei  se  partitamente  volessi  far  co- 
noscere ai  miei  leggitori  con  quanti  industriosi  tro- 
vati una  vera  amicizia  cercasse  trovar  modo  di  ces- 
sare tanto  dolore,  confortandolo  a  ridursi  pur  an- 
co seco  in  quelle  case  ,  ove  di  care  rimembran- 
ze potesse  promettersi  a  lui  alcun  sollievo  recare: 
come  che  sempre  meglio  nell'andare  s'accorgesse 
per  tali  amorose  sollecitudini  poco  o  niun  refrige- 
rio venirne  a  lui,  che  già  stancato,  e  noiato  d'ogni 
cosa  pili  attrattiva  a  godere,  caramente  lo  doman- 
dava d'essere  menato  in  sua  casa  a  ristorarne  l'ani- 
mo abbattuto,  e  le  membra  faticate  per  si  fiere  an- 
gustie e  vigilie.  Veramente  inutili,  e  come  tali  ul- 
time furono  le  cure  dell'  amico  a  rimuovere  del- 
l'animo quello  che  tanto  duramente  lo  passionava: 
ma  sebben  tali  che  a  niente  riuscirono,  non  essen- 
do stato  per  lui  che  in  ogni  maniera  non  fosse  aiu- 
tato a  campare  la  vita,  non  mi  sembrarono  da  pas- 
sarsi senza  particolare  ricordo,  per  essere  interve- 
nute a  questi  tempi  che  molti  fanno  gran  sembianti 
d'esserti  amico,  mentre  non  sono  che  pochi  quelli  i 
quali  senza  aver  l'anima  contaminata  d'alcuna  bassa 
passione,  alla  vista  d'alcun  pericolo  accomunassero 
la  lor  sorte  alla  tua.  Cosi  al  mancare  del  giorno 
31  agosto  andava  la  vita  a  Gustavo,  quando  in  su 
l'annottarsi  già  gli  occhi  affossati,  ed  all'intorno  in- 


Memoria  del  Terziabq  297 

llviJiti,  non  disgiunti  da  altri  segni  piti  manifesti 
della  temuta   malattia,  dallo  spasimare  dello  stoma- 
co in  continuo  travaglio  ,  qualunque  rimedio  anzi 
che  migliorarlo  peggiorandolo  ,  nel   male    sempre 
peggio  aggravava:  percliè  innanzi  che  i  medici  al 
tutto  lo  disperassero,  nell'animo  di  piìi  vivere  dif- 
fidatosi ,   siccome   colui    che   presso   al    suo    fine  si 
sentiva,  pianamente  quanto  le  forze  giel  soft'ersero 
sollevatosi  in  sul  letto  si  rivolse  all'amico  che  al- 
lato gli  sedeva.  E  veggendolo  con  gli  occhi  aggra- 
vati di  pianto  ,  di  poi  averlo  piìi  con  cenni ,  che 
con  parole  confortalo  a  non  rammaricare  si  dolo- 
rosamente, e  che  per  lui,  che  sperava  a  pace  dura- 
tura passare,  non  raddoppiasse  ad  ogni  ora  Tango- 
scia    e    le  lagrime  ,  caldamente  Io  richiedeva   che 
degli  estremi  conforti  della  religione  lo  volesse  far 
consolato:   e  senza  pili  con  voce  affiocata  che  a  Dio 
l'accomandasse,  lo  tenesse  in  memoria  agli  amici, 
vivo  nel  cuor  suo,  in  queste  parole  in  bocca  ammez- 
zate in  ^ul  guancial  ricadendo.  Per  tal  modo  in  set- 
te ore  fra  le  braccie  d'un  amico,  e  i  conforti  del- 
la religione,  nella  sua  gioventù  di  venti  quattro  an- 
ni Gustavo  non  alterato  all'  aspetto   della    morte  , 
con  serena  tranquillità,  tutta  fiducia  in  Dio  ,  non 
era  più  che  nella  memoria  degli  amici  e  de'congiun- 
ti,  senza  pure  essere  stato  in  quella  estrema  ora  rac- 
consolato  dal  compianto  de'suoi  cari,  che  solo  due 
di  avanti   gli   avrebbero  attorniato   il  letto  condo- 
gliando.  A  chi  si  faccia,   come  noi,  a  considerare  la 
breve  ,    ma   virtuosa    ed   utile  sua  vita   mostrando 
quanto   spesso  riescano  vane  le  fatiche  e  le  sperane 
ze  degli   uomini    per   acquistar  fama  e  procacciarsi 
una  gloria,  che  o  dall'invidia,  o  dalla  malignità  del- 
la fortuna  e  de'tempi  ci  può  essere  inlino  all'estrc- 
G.  A.  T.  LXXIV.  20 


298  Belle     Arti 

mo  di  nostra  vecchiezza  fra  gli  stenti  ritardata,  q 
non  rade  volte  nel  buono  degli  studi,  nel  fiore  degli 
anni  e  delle  speranze  la  vediamo  spenta.  Non  consu-r 
mò  adunque  quel  pochissinjo  di  vita,  che  gli  fu  data, 
in  un  ozio  neghittoso,  conie  i  piìi  fanno, il  nostro  Gu- 
stavo, che  nato  in  Vienna  di  Pietro  Terziani  ed  Anna 
Steinkard  il  17  febbraio  del  1813,  aggiungeva  appe- 
na l'anno  tredicesimo  del  viver  suo  quando  dal  pa- 
dre, che  volevalo  per  tempo,  siccome  l'avevano  dili-r 
gentemente  allevato,  costumare,  e  farne  un  ornato 
giovane,  era  raccomandalo  alle  cure  ed  al  sapere  di 
reputati  maestri  che  nello  studio  delle  lingue  il  piìi 
diilettevolmente  che   potessero,   da  non  fargli  disa-r 
morare   gli  studi,  l'addentrassero,  Onde  poi  seppe, 
ed  assai  in  processo  di  tenipo  se  n'ebbe  ^  giovare, 
l'italiana,  la  latina,  la  tedesca,  e  la  francese:  ìr\   cip 
seguendo,  come  dissi,   non  pure  la  volontà  del  pa- 
dre, ma  la  sua  propria  inclinazione  che  lo  tirava 
eziandio  a  studiare  la  musica,   dal    padre    che    asr 
sai  gloriosamente  la   professava   messagli   con  ogni 
pili  lusinghevole  modo  in  amore.  Ma  ciò  hen  egli 
ad  antiveduto  fine   operava,  sicconie   colui  che  già 
n'aveva  presa  esperienza,  e  sapeva  quanto  onorato 
e  sovente  utile  riuscisse   prevalere  agli  altri  d'inge- 
gno in  alcuna  arte,  della   quale  l'alterezza  de'grandi 
piacendosi  valesse  a  portare   negli  aninrji  loro  dilet- 
to: ove  se  in  essi- trovisi  gentilezza  alcuna  di  senti- 
re, radamente  addiviene  che  non  vi  pervenga  com- 
passione verso  chi  lo  procurò,  solita   pure  accen- 
dersji   all'aspetto  della  virtù  infelice  nel  desiderio, 
quanto  commendevole,  glorioso,   che  un  ingegno  da 
natura  sortito  a  cose  alte,  sovvenuto   d'ogni  suo  bi- 
sogno per  loro  non  vada  piùi  tapinando  la  vita,  col-: 
pa  e  vergogna  del  secolo  in  cui  visse.  Di  questo  bcr 


Memoria  del  Terziari  299 

fieficio,  che  dobbiamo  riconoscere  dall'ingegno  util- 
mente adoperato,  s'ebbero  a  ristorare  dalle  in^^iu- 
rie  della  fortuna  molti  uomini  infelicissimi,  i  cfuali 
nel  possedere  la  parte  graziosa  dell'arte,  che  per 
istudio  non  si  acquista,  ma  sì  ci  vien  da  natura,  ven- 
nero in  tanto  amore,  e  furono  sì  sommamente  tenu- 
ti cari  da  alcuni  magnifici  signori,  che  nella  lor  gra- 
zia divenuti  grandi,  in  compenso  al  provato  godi- 
mento riportarono  felicitata  la  vita,  di  tutti  que'be- 
ni  adagiati  da  goderla  nella  tranquillità  beatissima 
degli  sludi, 

Quest'  arte  divina  della  musica,  che  davasì  jj 
professare  Gustavo,  s'ebbe  sempre,  rispetto  alle  al- 
tre, maggiori  gli  onori  e  le  ricompense,  e  ciò,  a^ 
mio  parere,  perchè  solo  attese  a  un  breve  e  vano 
dileticare  ,  ?l  rendere  meno  noiosa  la  vita  ad  aW 
cuni  sazievoli  signori  senza  accenderli  a  magnani» 
me  imprese;  che  forse  se  a  questo  fine  di  spoltri-!- 
re  fla  un  ozio  neghittoso,  e  sollevare  gli  animi  tor- 
nandoli ad  innamorare  d'alcune  eterne  verità,  fos-» 
se  stata  adoprata  ,  la  storia  con  molti  lagrimevoli 
esempi  ci  persuaderebbe  che  non  punto  diversa 
fosse  stata  la  sua  dalla  fortuna  delle  altre  arti  so- 
relle quando  non  si  dipartirono  dal  loro  santo  uffi- 
cio, pi  tale  arte  adunque  al  cielo  sì  caramente  di- 
letta riconobbe  eziandio  Pietro  Terziani  la  quie^ 
te  dell'animo,  le  agiatezze  della  vita,  quando  tras^ 
mutatosi  in  Vienna,  perchè  del  suo  ingegno  erasi 
voluta  deliziando  profittare  una  principesca  fami- 
glia di  quella  citta,  in  cjue'beati  ozi  che  gli  era-^ 
no  dati  a  godere  ,  andava  con  lusinghiere  spe» 
ranze  ogni  di  meglio  allietandosi,  veggendo  ere-, 
scere  nella  persona  e  nell'ingegno  il  suo  Gustavo, 
che  come  sperava   preso   della  sua  arte  n'  avreb* 


300  Belle     Arti 

Le  cavato  sostentamento  quanto  utile  dignitoso,  d^ 
non  avvilire  giammai  alla  potenza.  Ne  trovò  l'ani-? 
mo  del  giovane  non  rispondere  ai  suoi  desiderii, 
che  anzi  assecondando  con  essi  la  sua  ben  dispo-r 
sta  natura,  davasi  tutto  alla  musica,  nella  quale  al 
ritorno  loro  in  Roma  nel  18^8  volle  essergli  il 
padre  stesso  maestro,  ^on  avendo  il  giovane  Gu-r 
stavo  altro  pensiero  che  lo  studio  della  musica,  al-r 
tro  diletto  che  in  quella  per  cui  tuttodì  travaglia- 
vasi,  alqijaìJtQ  dopo  fece  venire  il  suo  padre  nel 
desiderio  di  farlo  discepolo  nel  con  trapunto  del- 
l'onore vivente  della  musica  italiana,  del  maestro 
don  Giuseppe  Baini:  a  ciò  ancora  risolvendosi,  nor^ 
potendo  egli  insegnarlo,  conje  avrebbe  desiderato, 
per  le  molte  occupazioni  in  cui  la  più  parte  del 
giorno  dimorava  a  guadagnarsi  la  vita.  A  que-? 
sto  adunc|ue  affidatolo,  in  poco  spazio  si  videro  i 
progressi  rapidissimi  del  suo  ingegno  nelle  pri-r 
me  composizioni  tanto  ecclesiastiche,  quanto  teatra- 
li. Nella  chiesa  del  Gesù  un  salmo  a  otto  voci  e  due 
cori  dava  qual  suo  primo  saggio  degli  studi,  ri-r 
portandone  lode  da  incuorarlo  a  scrivere;  quando 
la  sqmma  delle  cose  di  Franciì»  si  tramutavano 
nella  maestà  del  re  Luigi  Filippo  ,  in  s.  Luigi 
de'francesi  una  messa  a  quattro  vqci,  nella  qua- 
le ben  si  conobbe,  le  speranze  della  prima  gio^ 
ventù  non  essere  state  lusinghe  d'amore  paterno, 
ma  SI  fqndate  sopra  un  ingegno  che  non  avrebr 
Le  fallito  a  fine  glorioso.  Il  Daniele,  spartito  sa- 
cro per  l'oratorio  della  Chies?  Nuova,  molte  arie 
ed  altri  pezzi  concertati  per  teatrp,  gli  conferma- 
rono il  nome  di  dotto  maestro,  e  squisito  cono- 
scitore di  quel  bello,  che  nelle  sue  opere  si  stu- 
diava riporre.  Penso  non   sark  chi    maravigli    che 


Memoria  del  Terziani  301 

si    addéntro  sentisse   nell'estetica   dell'arte  sua^  do- 
ve si  voglia  considerare  che  formandosi  in  noi  sor- 
tita da  natura  la  disposizione,    dai  primi   insegna- 
menti  il   gusto  a  hene  profittare   degli   studi  ,   ta- 
li nella  sua  prima  gioventù  l'ebbe,  da    non    patire 
quella  sventura   quasi  a  tutti  comune   nello  studio 
delle  altre  arti,  d'avere  a  scordare   l'imparato,    per 
informare  nuovamente  la   mente  al  vero    bello.  In 
ciò  dovendo  lodarsi   alla  fortuna  del  padre,  o  piut- 
tosto  dell'arte   sua  stessa,  che  la  provvidenza  divi- 
na  ha  voluto    mostrare  essere  cosa  veramente    ve- 
nuta dal  cielo  a  sollievo  degli    uomini,   dalle    altre 
anche  in  questo    volendola  privilegiata:  perciocché 
mentre   tutte  per  le  calamita   pubbliche,   per   l'in- 
stabilità della  fortuna  e  degli   uomini,  ora   scadono, 
ora  tornano  in  fiore,  la  musica  durò  senza  corromper- 
si cosa  veramente  celeste  infino  al  suo  secolo  d'oro, 
che  fu  dopo  la  meta  del  sècolo  XVlII.  Che  l'ingegno 
del  nostro  amico  fosse  ricco  di  queste  doti, me  ne  fa- 
ranno fede  quante  famiglie  fra  noi  trovano   onesto 
e   sospirato  ricreamento   nella  musica,  dalle    quali 
soventi    volte  era  a  grandi  istanze   richiesto,  perchè 
mettesse    ordine  e  vita  ne'  concerti,   del   suo  sonare 
eziandio  il  piano-forte  l'animo  d'ognuno  molcendo, 
che  in  tali  soavità  da  tristi   pensieri  si  solleva  e  al- 
lontana.E  voi  siatemene  pur  testImonie,o  giovani,  che 
da  lui  apparaste   quel  canto  passionato,  quel  sonare 
il  piano-forte  affettuosamente,  lasciando  ad  altre   la 
gloria  d'essere  ammirate  per  appianare  tedesche  dif- 
ficoltà, mentre  voi  eravate  contente  a  quella  del  com- 
muovere   maravigliosamente  a  cari  affetti,  non  senza 
riportarne  lode,  dove  la  necessità  il  richiedesse,  d'a- 
gilità di  mano  destrissima  da  non  ispaventarsi  a  qua- 
lunque malagevolezza  d'arte.  Se  solo  per  voi,  cui  in- 
titolai queste  parole,  avessi  scritto,  inutile  non  che 


3C2  Belle     Arti 

gravoso  terrei  1'  avervi  tornalo  sopra  tali  dolorose 
ricordanze  dell'  ingegno  suo:  ma  ad  altri  dovendo 
far  ritratto  di  lui,  che  non  sapevano  quanto  degna- 
mente meritasse  della  vostra  amicizia,  le  credetti 
necessarie  a  far  sapute  le  sue  virtù,  e  a  disfogare  in 
parte  l'acerbezza  del  dolore  per  s\  grave  perdita 
sentilo.  Or  dunque  non  mi  rimane  clie  appagare  la 
vaghezza  di  coloro^che  conosciutone  l'animo  e  l'inge- 
gno, desiderassero  avere  contezza  della  sua  persona 
che  era  graziosa  e  dilicata,  aggiungendosi  all'avve- 
nenza naturale  del  volto^che  si  derivava  in  gran  par- 
te degli  occhi  temperati  a  soavissima  malinconia,  l'a- 
mabilità delle  maniere  a  maraviglia  cortesi,  nell'inti- 
mità dell'amicizia,  solita  tornare  in  piacevolezza  fa- 
ceta. Complessionato  a  non  lunghe  fatiche,  a  non  abu- 
sar degli  studi,  egli  senza  darsi  pensiero  alcuno, non 
temperandosene,  rendette  la  sua  salute  cagionevole 
tanto  che  assai  ebbe  a  patire  nella  sua  breve  vita. 
Fu  travaglialo  pur  molto  dall'invidia  d'alcuni  amici 
di  mentita  fede,  donde  poi  in  lui  venne  quell'andar 
contegnoso  che  a  molti  sembrò  sentire  di  superbia, 
in  vero  non  essendo  che  trista  esperienza  del  vi- 
le e  falso  procedere  d'alcuni,  fra  i  quali  a  soste- 
gno della  vita  aveva  dovuto  costumare.  Ma  se  ave- 
sti amareggiata  la  vita  per  salute  divenuta  infer- 
miccia,  per  invidia  insolente,  in  vita  trovasti  com- 
penso nel  tuo  ingegno,  di  cui  potesti  far  lieta  la 
tua  famiglia,  nelle  virtìi  rarissime  che  l'anima  t'a- 
dornavano; or  quanto  non  l'hai  tu  pur  grande,  e 
desiderabilissimo  nella  durevolezza  della  tua  memo- 
ria ne'concittadini!  Che  laddove  dei  piìx  il  nome  e 
il  cadavere  insieme  si  seppelliscono,  il  tuo,  o  Gu- 
stavo Terziani,  solennemente  esequiato  rimane  ca- 
rissimo alla  tua  patria,  e  vi  tornerà  sempre  grato 
fin  che  la  musica  porti  ne'cuori  nostri  dolcezza. 


303 


Opere  di  pittura  e  di  scultura  condotte  da  alcu~ 
ni  accademici  di  s.  Luca  e  descrìtte  dal  prof.  Sal- 
\^atore  Betti  segretario  perpetuo  dell' accademia. 


I. 


li  giudizio  delle  armi  di  achille,  bassorilievo 

del  commendatore  Alberto   Thorwaldsen 

danese  (1). 


E. 


(uano  già  compiute  le  funebri  cerimonie  in- 
torno al  sepolcro  di  Achille,  e  compiuti  pure  i 
giuochi  che  onorar  solevano  la  memoria  de'valorosi: 
quand'ecco  la  nereide  madre  di  quel  magnanimo 
farsi  in  mezzo  all'adunanza  de'greci  recando  seco 
le  armi  che  Vulcano  aveva  fabbricate  al  figliuo- 
lo, e  porle  premio  al  piii  invitto.  Un  profondo 
silenzio  si  mise  per  tutto  il  campo  al  parlare  di 
Teti  :  vagheggiando  ognuno  con  cupidità  generosa 
r  altissimo  dono  ,  ed  i  piìi  egregi  riandando  col 
pensiero  i  propri  fatti  e  gli  altrui  :  ma  ne  Me- 
nelao, ne  Diomede,  ne  Aiace  d'OIleo,  ne  lo  stesso 
Agamennone  re  dei  re  ,  dice  Ovidio,  osarono  le- 
varsi al  grandissimo  acquisto.  Soli  trassero  innan- 
zi animosi  Aiace  di  Telamone  ed  Ulisse  ,  e  lungo 
tempo  ne  furono  a  contesa  fra  loro.  E  chi  avrebbe 
ardito   frapporsi    arbitro    di    quegli  sdegnL?  Chic- 


li) V.  la  tavola   XXXIII  dell'  anno  III  dell'  Ape  Italiana , 
giornale  romano  di  belle  arti. 


304  Belle     AnTi 

deva  Aiace  per  giudice  Agamennone,  Nestore,  Ido- 
meneo,  il  fiore  della  prudenza  del  campo  acheo: 
ne  Ulisse  li  rifiutava  :  ma  i  tre  ^avi  a  quella  pro- 
posizione fissi  a  terra  gli  sguardi,  e  in  se  grave- 
mente raccolti,  si  stavano  pur  dubbiosi  ed  incerti, 
stimando  gran  pericolo  la  decisione.  Allora  alzossi 
Nestore  e  disse  : 

Dtiopo  è  che  questa  rea  lite  non  sia 
Da  noi  decisa,  ma  da  teucri  schiavi 
Memori  ancor  della  successa  pugna. 
Essi  tra   Ulisse  e  Aiace  imparziali 
Proferiran  chi  a  dritto  aver  pia  debba 
Larmi  di  Achille  (1). 

Approvarono  lietamente  l'avviso  del  veccliio  non 
pure  Aiace  ed  Ulisse,  ma  tutti  i  greci:  sicché  fatti 
condurre  in  mezzo  gli  schiavi  troiani  ,  in  essi  il 
maggiore  Atride  rimise  il  sentenziare  cjual  dei  due 
forti  avesse  recato  a  Troia  più  guasto.  Disse  il  Te- 
lamonio  la  sua  ragione,  la  disse  il  Laerziade:  quegli 
con  soldatesco  ardire,  questi  con  alta  e  copiosa  elo- 
quenza di  oratore:  la  quale  tanto  potè,  che  a  lui  per 
coraun  giudizio  fu  data  vinta  la  gara.  Di  che  Aiace 
surse  poi  in  colai  furore,  che  accusando  feroce- 
mente e  cielo  e  terra  d'essersi  al  Tonta  sua  congiura- 
t!,  poco  stette  che  preso  da  disperazione  colla  pro- 
pria spada  si  passò  il  petto.  Chi  non  conosce  la  tra- 
gedia sublime  che  di  questo  fatto  ci  lasciò  Sofocle? 
Fatto  nell'istoria  della  guerra  troiana  celebratissi- 
mo,    sul  quale  avremmo,  oltre   a'  versi    epici  che  ci 


(i)  Q.  Calabro,  lib.  V.  Traduzione  della  Bandettlni. 


Opere  di  accad.  di  s.  Luca  305 

rimangono  di  Ovidio  e  di  Q.  Calabro,  anche  i  tragici 
di  Esdiilo,  di  Astidamante,  di  Pacuvio,  di  Ennio, 
se  non  ci  fossero  stati  rapiti  dal  tempo  divoratore. 

Non  sombra  però  che  tutta  l'antichità  si  unisse 
concorde  a  favorire  la  ragione  dell'itacense:  anzi  fu- 
rono moltissimi  che  stimarono  essere  stato  fatto  ad 
Aiace  un  oltraggio^  oltraggio  che  da  Nettuno  gli  fu 
poi  con  tanta  solennità  riparato.  Imperocché  andato 
naufrago  Ulisse  sulle  coste  di  Mila  in  Sicilia,  e  in 
quella  fortuna  andate  pure  disperse  pel  mare  tutte  le 
cose  sue,  lo  scudo  di  Achille  fu  dalla  corrente  delle 
acque  portato  a  pie  del  sepolcro  del  Telamonio,  che 
sorgeva  sul  promontorio  reteo,  là  dove  nel  giorno 
appresso  da  una  folgore  fu  incenerito.  Cosi  questa 
maraviglia  ci  è  narrata  da  Tolomeo  Efestione:  con 
cui  si  concordano  in  parte  Pausania  e  gli  autori  di 
due  epigrammi  della  greca  antologia.  Dico  in  parte: 
perchè  secondo  quegli  epigrammi  la  sola  asta  dell' 
eroe  fu  gittata  dalla  marea  sulla  tomba  di  Aiace  :  e 
secondo  Pausania  era  opinione  degli  eolii,  che  ciò 
fosse  avvenuto  di  tutte  le  armi  di  Achille.  Con 
Pausania  stette  Ugo  Foscolo,  che  nel  carme  deVe- 
polcri  così  cantava  al  suo  Ippolito  Pindemonte  : 

Felice  te  che  il  regno  ampio  dé'venti^ 
Ippolito^  a  tuoi  verdi  anni  correvi  ! 
E  se  il  piloto  ti  drizzò  V antenna 
Oltra  risole  egee,  d'antichi  fatti 
Certo  udisti  sonar  delV Ellesponto 
I  liti,  e  la  marea  mugghiar  portando 
Alle  prode  retee  farmi  d'Achille 
Sovra  rossa  d' Aiace.  A'  generosi 
Giusta  di  gloria  dispensiera  è  morte. 


306  Belle     Arti 

Il  commendatore  Alberto  Thorwaldsen  ha  toltrf 
in  un  suo  bassorilievo  a  rappresentarci  questo  giu- 
dizio, ponendosi  dalla  parte  di  coloro  che  nell'es- 
sere stato  anteposto  Ulisse  ad  Aiace  vollero  sapien- 
temente simbolèggiatOj  come  le  armi  degli  eroi  si 
convengano  meglio  ad  un  valore  pieno  di  genero- 
sità e  di  prudenzai  i  che  ad  una  forzai  baldanzosa  di 
braccio  e  di  petto.  Finissimo  avviso,  e  certo  piìi  de- 
gno di  quello  di  Ovidio,^  che  disse  invece  nel  XIII 
delle  Trasformazioni  : 

Fortisqiie  viri  tiilit  ctrmd  disertus» 

Imperocché  non  solo  parlatore  facondo  reputava- 
si  dagli  antichi  il  Laerziade,  ma  e'sémpio  nobilis- 
simo di  saviezza,  di  mansuetudine,  di  generosità, 
di  religione:  diverso  in  ciò  appieno  dal  Telamonio, 
a  cui  altra  lode  per  avventura  non  concé'devasi  da* 
greci,  che  quella  del  suo  indomabil  coraggio,  del 
terribil  vigore,  e  dell'esser  sovrano,  siccome^  il  de- 
scrive Omero, 

Degli  omeri  e  del  capo  agli  altri  tutti. 

Orgogliosissimo  infatti  e  talora  empio  verso  gli  dei 
così  ce  lo  dipingono  questi  versi  di  Sofocle  (1): 

Sì  tosto  come 
Aiace  si  partì  di  casa^  diede 
Di  mente  guasta  indizio  al  padre  suo., 


(i)  Aiace,  atto  III,  se.  Ili,  traduzione   del  marchese  Massi- 
miliano Angelelli. 


Opere  di  accad.  di  s.  Luca  307 

//  qiLal  con  savie  parole  gli  disse: 
»  Figlio^  ti  studia  esser  'valente  in  armi^ 
»  Ma  ognor  rammenta  che  viene  da  numi 
»  Lonor  della  vittoria.  »  Egli  superbo 
E  stolto  a  lui  rispose:  »  Padre^  vince 
»  Anco  il  vii  con  Vaila  degl'i  dei, 
»  Io  mi  confido  senza  il  loro  aiuto 
»  Acquistar  fama.  »  Questi  detti  altieri 
Egli  movea.  Poij  quando  un  altra  volta 
JJ" incitava  Minerva  a  fare  scempio 
De'nemici^  con  tale  tracotanza 
A  lei  rispose:  »  O  dea,  del  tuo  soccorso 
»  Gli  altri  greci  sovvieni',  dovè  io  sono., 
»  Non  fa  danno  la  guerra.  »  Empie  parole, 
Cagione  all'ira  grave  di  Minerval 

Non  a'troiani  schiavi^  come  fecero  Omero,  Q. 
Calabro  e  Luciano,  ne  a' greci,  come  fece  Ovidio, 
diede  il  Thorwaldsen  l'onore  di  questo  giudizio,  ma 
SI  a  Minerva  dea  della  sapienza  e  fieramente  irata, 
secondo  Sofocle,  contra  la  superbia  del  Telamonio. 
Ne  dì  ciò  il  famoso  artefice  vorrà  esser  ripreso,  sì 
perchè  Omero  nell'  XI  delFOdissea  ci  dice  assolu- 
tamente, che  le  armi  di  Achille 

Teti,  la  madre  veneranda,  in  mezzo 
Le  pose,  e  giudicaro  i  teucri  e  Palla: 

SI  perchè  il  simulacro  della  dea  era  veramente  nel 
luogo,  dove  si  fece  il  giudizio,  come  pone  Ovidio 
che  Aiace  dicesse  nel  fine  del  suo  ragionamento  : 

Este  mei  memore s:  aut  si  mihi  non  datis  arma, 
Huic  date.  Et  ostendit  signum  fatale  Minervae; 


308  Belie     Arti 

e  sì  finalmente  perchè  Minerva  è  pur  giudice  di  tan- 
ta lite  in  un  antico  disco  di  argento,  eh  è  a  Pietro- 
burgo presso  il  conte  di  Stroganow,  e  che  dopo  il 
Koehier  fu  pubblicato  dal  Millin  (1).  Opera  che  for- 
se unica  si  conosceva  delle  arti  greche  o  latine  in- 

o 

torno  a  questo  giudizio,  prima  che  l'instituto  ar- 
cheologico di  Roma  ci  desse  quel  suo  antico  bas- 
sorilievo (2):  altro  non  sapendosi  dei  celebri  dipin- 
ti di  Parrasio  e  di  Timante,  che  quanto  ne  scrive 
Ateneo,  e  più  particolarmente  Plinio  (3):  Ergo  ma- 
gnis  sitffragiis  (Parrhasius)  superatus  a  Timanthé 
Sami  in  Aiace  armorumqiie  iudicio,  herois  nomiìie 
se  moleste  ferra  dicehat^  quod  iterum  ab  indigno 
victiis  esset. 

Vedesi  adunque  nel  mezzo  ddl  bassòi*iIievo  la 
gran  Tritonia,  che  in  tutta  la  sua  pompa  di  figliuo- 
la di  Giove,  cioè  coH'asla  nella  mano  sinistra,  l'el- 
metto in  capo,  l'egida  al  petto,  ed  un  ampio  peplo 
sopra  la  lunga  tunica,  impone  colla  mano  destra  a 
due  schiavi  troiani  di  recare  incontanente  ad  Ulis- 
se le  armi  di  Achille.  Obbediscono  essi  al  cenno 
della  dea:  e  l'uno  porge  aU'itacense  l'elmo  e  la  spa- 
da, l'altro  è  già  per  deporgli  a'piedi  lo  scudo.  Gra- 
ziosissime  figure  di  giovinetti  son  questi  schiavi,  e 
leggiadramente  succinti:  ed  uno  ha  in  testa  il  ber- 
retto frigio  per  segno  di  sua  nazione.  Accoglie  Ulisse 
il  glorioso  presente:  ne,  sapientissimo  ch'egli  è,  dà 
segno  alcuno  di  montarne  in  orgoglio.  Ma  con  mo- 
desta dignità  risguardandolo,  appoggiato  all'asta  la 


(i)  Galene  raytholog.  tav.  CLXXIII  n.  629. 

(a)  Anno  i835,  tav.  XXI. 

(3)  Hisl.  nat.  lib.  XXXV,  e  36 


Opere  di  accad.  di  s.  Luca  309 

mano  sinistra,  ed  al  fianco  la  destra  ,  sembra  più 
dal  favore  della  dea  protettrice  che  dalla  sua  virtù 
riconoscerlot  ben  sapendo  essere  Aiace,  dopo  il  Pe-^ 
lide,  il  maggior  maestro  di  guerra  che  fiorisse  nel 
campo  greco,  secondo  che  ha  cantato  Pindaro  nella 
settima  delle  nemee,  ed  egli  stesso  conferma  nella 
tragedia  di  Sofocle  ; 

Mio  nemico 
Di\>enne  fin  da  quando  mi  far  date 
Varmi  di  Achille.  Ma  negar  non  posso 
Che  de* greci  venuti  sotto  Troia^ 
Achille  tranne^  fu  il  maggiore  Aiace. 

lì  che  aveva  pur  detto  nell'XI  dell'Odissea,  Ta  do- 
ve il  poeta  pone  che  il  Laerziade  vedesse  ed  inter- 
rogasse nel  paese  de'  cimmerii  l'ombra  del  grand' 
emulo  suo.  Tal'  è  poi  la  foggia  del  suo  vestire,  che 
il  nudo  vi  signoreggia  all'uso  della  scuola  greca:  ed 
in  capo  ha  il  plico,  come  dopo  Nicoraaco  sogliono 
dargli  tutti  gli  artisti. 

Ma  dall'altra  parte  il  guerriero  di  Salamlna  , 
che  niun  freno  conobbe  mai  agl'impeti  dell'animo, 
dell'avverso  giudizio  non  pur  querelasi,  ma  tutt'ar- 
de  di  rabbia:  sicché  se  ne  batte  colla  destra  la  fron- 
te, mentre  con  la  mano  sinistra  tiene  fieramente  im- 
pugnata l'elsa  della  spada  che  gli  pende  dal  fian- 
co. Anch'egli  ha  la  tunica  e  la  clamide  in  dosso  : 
così  poste  però  ad  ornamento  della  persona  ,  che 
in  parte  ci  mostrano  ignude  le  più  belle  forme  del- 
le atletiche  membra.  Ivi  presso  è  il  sepolcro  di  A' 
chille,  significato  alla  greca  da  una  colonna  col  no- 
\ne  AXIAAEY2,  e  sopravi  un'urna.  Vedi  a  pie  seder- 
$i  un^  (jonna  di  $Qvr limane  sembiauije,  che  in  u« 


310  Bel^eArti 

vestire  schietto,  e  cinta  del  diadema  le  chiome,  fa 
di  un  ginocchio  sostegno  al  gomito  del  braccio  si- 
nistro, e  letto  della  mano  al  bellissimo  viso.  In  at- 
to di  sublime  dolore  e  di  abbandono,  non  sembra 
dar  tregua  alquanto  a'sospiri,  che  per  ascoltare  il 
giudizio  della  gran  figlia  di  Giove,  a  cui  con  me- 
sta attenzione  si  volge,  Ella  è  Teti,  la  dea  dal  piq 
d'argento,  la  più  leggiadra  delle  nereidif 

Veramente  ini  gode  l'anima  di  aver  qui  potu-^ 
to  scrivere  queste  parole  intorno  all'  opera  di  un 
famoso,  ch'è  oggi  cosj  gran  parte  della  gloria  delle 
arti  europee:  di  un  famoso,  a  chi  non  so  s'io  debba 
pili  essere  stretto  da  ossequio  per  le  tirili  sue,  cUq 
da  benevolenza  per  le  sue  cortesie. 


IL 


Eteocle  e  Polinice,  quadro  del  cav. 
Giovanili  Sihagni  romano  (1). 

I  tristi  casi  di  Edipo  furono  variamente  nar-« 
rati  dagl'istorici  e  da'poeti:  avendo  creduto  alcuni, 
ch'egli  per  un  avverso  destino  non  pur  si  togliesse 
nel  talamo  la  propria  madre  Giocasta  o  Epicasta^ 
ma  ne  avesse  anche  figliuoli:  altri  al  contrario  ne- 
gando che  le  incestuose  nozze  fossero  feconde  di 
prole.  Tenne  Omero  questa  seconda  opinione  nell' 
Odissea,  la  dove  è  a  vedersi  il  comento  che  ne  fa 
Pausania.  Cosi  coloro  che  seguono  il  gran  principe 
de'  poeti  e  1'  antico  autore  della  Edipodea,  poema 
ricordatoci  da  esso  Pausania,  pongono  che  Giocasta 


(i)  V-  la  tavola  YHI  dell' Jpe  Ilalima, 


Opere  di  a  ce  ad.  di  s.  Luca  311 

morisse  prima  che  l'incesto  avesse  l'abbominato  suo 
corso  :  e  dicono  ch'Edipo  generasse  da  una  Euriga- 
nea,  nata  d'Iperfa,  i  quattro  figliuoli  Eteocle,  Po- 
linice, Ismene  ed  Antigone.  Que'due  fratelli  ,  gio- 
ventù ferocissima,  furono  la  sciagura  con  cui  gl'iddii 
vendicaronsi  del  delitto  paterno  e  di  tutte  le  col- 
pe della  casa  di  Labdaco;  perciocché  non  solo  dan- 
narono essi  il  vecchio  e  cieco  Edipo  a  vivere  mi- 
serabilmente cattivo  nella  sua  reggia,  ma  odiandosi 
con  crudele  odio  l'un  l'altro  per  lo  spartimento  del 
|:egno^  vennero  a  tale  ch'entrambi  di  ferro  3Ì  uc- 
piserp. 

Cip  narravano  gli  antichi  della  Grecia,  prima 
che  il  Serissimo  fatto  si  recasse  spettacolo  su'teatri 
di  jfVtene.  Ma  i  poeti  tragici,  che  soprattutto  in  Gre- 
cia giovaronsi  delle  ragipni  di  un'arte  che  inventa 
pd  imita, non  fedelmente  narra  come  l'istoria,  volen- 
do al  terrore  del  fratricidio  aggiungere  anche  l'orro- 
j'e  dell'infame  nascimentp  di  chi  Ip  cpmmise,  ebbero 
senza  più  que'due  scellerati  fratelli  per  frutto  di 
scellerate  nozze.  Cosi  Eschilo,  cosi  Sofocle,  così  Eu- 
ripide adoperarono,  cosi  da  ultimo  il  supposto  Se- 
neca ,  nelle  tragedie  che  tuttora  ci  rimangono  di 
quelle  abbominazioni:  e  così  forse  avevano  adope- 
fatp  quegli  altri  greci  e  latini,  de'quali  il  tempo  ci 
ha  invplatp  le  opere  :  e  fra  essi  Senocle,  Nicoma-? 
co,  Licofrone,  Accio  e  Giulio  Cesare, 

Vittorio  Alfici*'?  nelle  cui  tragedie  ninna  ma- 
niera di  terrore  è  mai  scarsa,  da  que'principi  dell* 
arte  non  si  allontanò,  ne  il  doveva,  nel  suo  Polinice: 
l'atto  quarto  del  quale  ha  inspirato  al  cavaliere  Gio- 
vanni Silvagni,  consigliere  e  professore  dell'accade- 
mia di  s.  Luca,  la  pittura  di  un  insigne  suo  quadro, 
Jl  che   vorrà    per  prima  cosa  avvertirsi  da  chi  l'ost 


312  Belle     Arti 

serva:  imperocché  se  Euripide  nelPatto  quarto  del- 
le Fenisse^  ed  indi  il  Racine  nè'Due  fratelli  inimici^ 
posero  ch'Eteocle  e  Polinice  convenissero  insieme  in- 
nanzi a  Giocasta  per  accordarsi  di  pace  (  cosa  che 
invano  cercheremmo  ne'  Sette  a  Tebe  di  Eschilo,  e 
nella  Tebaide  di  Stazio):  fu  però  autore  l'Alfieri  del- 
l'apparecchiata pompa  del  sacrificio,  del  sospetto  di 
un  veleno,  della  rovesciata  tazza  del  patto,  di  quel- 
la  furia,  di  quell'atrocità.  Il  quadro  adunque  del 
cavaliere  Silvagni  non  può  avere  altro  interprete 
che  la  tragedia  dell'astigiano.  Ed  ivi  il  pittore  ha 
scelto  appunto  il  momento,  in  che  ,  venuto  meno 
ogni  accordo,  Eteocle  ardente  d'ira  ed  impaziente 
d'indugio  si  volge  a  Creonte,  e  minaccioso  gli  dice  j 

Tu^  Creonte,  a  morir  pensa  nel  campoi 
Fra  il  ferro  argiva  e  la  tebana  scure 
Scelta  ti  lascio.  Vieni* 

Egli  è  dall'un  de'lati  del  quadro,  in  atto  di  correre 
precipitoso  al  campo,  dove  dalle  furie  paterne  è 
spinto  al  grande  misfatto.  Dall'altro  lato  è  Polinice, 
non  men  furibondo,  che  accettata  la  disfida  del  san- 
gue fraterno,  è  sul  profferire  le  alfieriane  parole: 
Al  campo  io  vengo.  Trema  !  Invano  Giocasta  infe- 
licissima con  preghiere  e  con  lagrime  spera  di  trat- 
tenerlo, e  gli  afferra  il  braccio,  con  cui  dalla  guaina 
ha  egli  già  tratto  impetuosamente  la  spada  :  invano 
pure  gli  è  a'piedi  prostrata  la  misera  Antigone  ,  e  : 
Z)i  te,  di  noi  pietade  abbi,  gli  grida,  al  suo  partire 
disperatamente  opponendosi.  Polinice  ,  tentando 
trarsi  sdegnoso  a  quel  femminile  ritegno,  non  altro 
sembra  ascoltare  che  la  voce  di  un'erinni  che  tiralo 
alla  vendetta:  e  già  gode  di  compierla,  giU  in  tutti  i 
desidei'ii  si  pasce  della  strage  dell'abborrito  fratello. 


Op5re  di  accad,  di  s.  Luca  313 

Ivi,  quasi  nel  mezzo,  veclj  Creonte  tutto  chiu- 
rlo ne'suoi  insidiosi  pensieri,  scuro  del  volto  e  rab- 
Jjuffato  della  persona,  divorare  in  segreto,  come 
perla  sua  preda,  il  trono  di  Tebe;  e  movere  tutta- 
via con  pietà  ipocrita  parole  di  pace.  E  pace  pur 
grida  il  sacerdote  venerando ,  che  con  le  brac- 
pia  mae§tosaniente  levate  scorgi  presso  all'ara  che 
arde  innanzi  a'siniulacri  di  Giove  e  di  Minerva.  In- 
tanto il  popolo,  in  incredibile  commovimento  qua  e 
la  per  sì  gran  sagrilegio,  per  s\  grande  orrore,  par- 
te accompagna  con  gemiti  ed  urla  l'atroce  provoca- 
zione, parte  sgombra  dinanzi  a  quella  furia  di  Eteo- 
cle  per  dargli  libero  il  passo.  Tutto  è  confusione, 
tumulto,  pianto,  spavento.  Il  cielo  stesso  ne  freme; 
e  fra  le  colonne  del  reale  atrio  ti  atterrisce  l'aspet- 
to di  un  aere  procelloso  e  nero,  d'onde  scoppia» 
due  folgori  nunzie  dell'ira  de'numi  per  l'imminen- 
te fi'atripidiq. 

Tal  è  il  dipinto  che  il  cavaliere  Silvagni  ope- 
ro nell'anno  1820,  terzo  della  pensione  onde  lo  sti- 
mò degno  l'immortale  Canova  ;  dipinto  che  l'acca- 
deniia  di  s.  Luca  acquistò  poi  per  la  sua  galleria. 

Ili 

Cerere  e   lYittolemo^  bassorilievo  del  prof. 
Rinaldo  Rinaldi  padovano  (1). 

Fu  già  un  tempo  ,  siccome  è  noto,    in  ciii 
la  Grecia  di  pUremarc  mettendo  a  profitto  l'igno^ 


(;)  Vedi  la  tavola  XII  deU'aimo  IV  dell'^/^e  Jte^Uan^. 

G.  À.  T.  LX^iiy.  31 


314  B    E    L    L    E       A    R    T    I 

ranza  de'popoli  di  Europa  sul  linguaggio,  sulla  fi- 
losofia e  sulle  istorie  degli  orientali  ,  con  sicurtà 
pari  alla  sua  vanita  si  disse  di  tutte  le  scienze  e 
le  arti  unica  ritrovatrice.  Non  dobbiamo  perciò 
maravigliarci  se  volesse  anche  arrogarsi  la  maggio-r 
re  beneficenza  ,  che  Iddio  proyvidentissimo  ab- 
];>ia  conceduto  a'mortali.  Dico  il  seminare,  il  micr 
tere  ed  il  macinare  il  frumento  non  pur  ne'paesi 
ellenici,  ma  in  tutta  la  terra  :  pretendendo  in  tal 
maniera  mostrarci  il  suo  primato  della  civiltà,  anzi 
della  natura,  coli' aver  indotta  l'umana  famiglia 
dalla  vita  errante  del  pascolare  le  greggi  (  di  cui 
tanto  compiacesi  ogni  barbaro)  a  farsi  amore  e  de-? 
lizia  di  una  compagna  dove  dimorisi  faticando.  La- 
onde essendo  i  greci,  non  so  se  per  leggerezza  o  per 
leggiadria  grandissimi  favolatori  in  tutte  le  cose, 
finsero  subito  uqa  cotal  novelletta  che  diceva,  come 
recatasi  Cerere  in  apparenza  umana,  andò  nell'At- 
tica, ed  ivi  fu  accolta  ad  amorevolissimo  ospizio  dal 
re  Celeo  di  Eleusi.  Di  che  volendo  la  dea  rendere 
alcun  degno  merito  a  cjueiruomo  cortese  e  a  quel 
popolo,  prese  come  altissimo  dono  ad  ammaestrare 
Trittolemo,  figliuolo  del  re,  nell'opera  del  semina- 
re il  grano.  Ne  ciò  solo  :  ma  dando  al  giovane  lo 
stesso  suo  carro  guidato  da  due  alati  serpenti,  com- 
misegli  che  così  percorresse  il  mondo,  e  a  tutte  le 
genti  si  facesse  autore  di  quel  beneficio. 

Questo  f\ivoleggiarono  i  greci  :  e  a  dare  alla 
favola  un'apparenza  di  vero,  ne  instituirono  feste 
e  misteri  :  sicché  il  volgo  ,  che  ninna  cosa  crede 
piti  fermamente  che  le  incredibili,  non  dubitò  che 
tal  fosse  veramente  il  fatto  quale  si  raccontava:  la- 
sciando a'filosofi  ed  agli  eruditi  il  trovarvi  solo  un' 


Opere  di  accad.  di  s.  Luca  315 

allegoria.  Ma  chi  ora  considera  le  istorie  e  le  tra- 
dizioni antichissime  dell'oriente  (  ed  in  ciò  niun  se- 
colo può  vantarsi  sul  nostro  pe'tanti  studi  dottis- 
simi che  si  fanno  di  quelle  lingue  e  di  quelle  an- 
tichità )  ,  non  vorrà  pili  ricevere  la  greca  favola 
ne  pur  sotto  forme  allcgoriciie:  ed  anziché  crede- 
re cbe  gli  attici  insegnassero  i  primi  alle  altre  na- 
zioni di  usare  quell'alto  favore  della  provvidenza, 
terrU  invece  che  gli  attici  medesimi  ciò  apprendes- 
sero da'fenici-egizi:  i  quali  non  è  più  dubbio,  che 
dallo  stato  selvaggio  del  cibare  le  ghiande,  dell'erra- 
re di  tana  in  tana,  e  dell'avere  per  suprema  legge 
la  forza,  riducessero  la  Grecia  ad  alcun  termine 
di  buon  vivere  sotto  nome  di  pelasgi  e  di  cileni.  E 
che  infatti  di  quella  nazione  dominatrice  fosse  Trit- 
tolemo,  non  oscuramente  è  indicato  da  un'antica  fa- 
ma, che  secotido  Diodoro  dicevalo  compagno  di  Osi- 
ride. Aggiungasi  l'autorità  di  Apoilodoro,  che  gli 
diede  per  padre  l'Oceano:  sapendosi  che  i  greci  di 
que'tempi  rozzissimi  solevano  col  nome  di  figliuoli 
del  mare,  o  del  gran  fiiune,  chiamare  chiunque  da 
terre  straniere  approdava  ai  loro  lidi:  sicché  poi 
Omero  e  Platone  poterono  scrivere  con  istorica  al- 
legoria ,  ì'  Oceano  essere  stato  generatore  di  tutti 
gli  dei. 

Cerere  non  fu  che  l'Iside  egizia,  come  ci  te- 
stimonia Erodoto:  ne  credo  che  per  altro  i  crete- 
si dicessero  esser  nata  fra  loro,  se  non  perchè  l'iso- 
la di  Creta,  cosi  ben  situata  fra  l'Europa,  l'Affri- 
ca e  i'xlsia,  fu  la  prima  conquista  de'navigatori  fe- 
nici, quando  cresciuti  straordinariamente  in  poten- 
za vollero  farsi  ad  un  tempo  e  mercadanti  e  con- 
quistatori, ed  inviare  colonie  a  tentar  nuovi  traffi- 
ci nc'paesi  di  occidente.  Per  questa  ragione  mede- 


316  Belle    Arti 

sima  anche  Giove  fu  detto  da  Creta.  Da  quell'isola 
il  culto  di  Cerere  passò  in  Sicilia:  e  dì  \ì^  con  tutr 
te  le  arti  pelasghe,  e  principalmente  colla  siciliana 
agricoltura,  fu  indi  recato  in  Grecia,  ove  la  viva- 
cità di  quegringegni  non  tardò  a  farlo  subietto  del- 
le più  leggiadre  invenzioni. 

Ora  il  professor  Rinaldo  Rinaldi  padovano , 
accademico  di  s.  Luca,  ha  voluto  questa  favola  gre- 
ca rappresentare  in  un  bassorilievo  ,  che  orna  il 
frontone  alla  loggia  del  bel  calino  fatto  edificare 
in  Albanq  da  Domenico  5enucci  co'disegni  dell'ar- 
chitetto  Francesco  Gasperoni. Opera  veramente  gen- 
tile di  quel  riputato  scultore,  e  quanto  possa  mai 
dirsi  accomodata  ad  un  luogo,  dove  per  ricchezza 
di  messi  vedi  Cerere  mostrarsi  in  tutto,  come  caur 
ta  Onaero  nell'inno^ 

De*  numi  e  de*  mortai  primo  sostegnq 
E  gioia  prima. 

La  composizione  del  bassorilievo  è  in  tal  forr 
pia.  Vedi  nel  mezzo  la  dea,  che  tutta  avvolta  nel 
peplo,  salvo  una  parte  del  petto  ch'è  ignuda,  sostie- 
ne colla  mano  destra  il  corno  di  Amaltea,  e  por- 
ge colla  sinistra  un  manipolo  di  spighe  ad  un  gio- 
vane, che  facilmente  ti  si  fa  conoscere  per  Tritto- 
lemo.  Imperocché  nobile  di  aspetto  come  figliuolo 
di  re,  e  leggiadro  di  forme  come  chi  gih  in  fasce 
fu  educato  e  nutrito  da  Cerere  stessa,  certo  non 
puoi  credere  ch'egli  sia  un  qualche  incolto  e  sal- 
yatico  montanaro,  benché  ti  si  mostri  cos'i  succinto 
della  sua  veste,  e  col  pungolo  in  mano,  e  tutto  in- 
teso a  fare  che  due  giovenchi  reggano  il  nuo- 
yo  peso  dell'aratro  ,  a  cui  sono  aggiogati.  Yolgesi 


Opere  di  accad.  di  s.  Luca  317 

egli  ad  ascoltare  grinsegnamenti  che  gli  da  la  dea 
intorno  quell'opera,  che  dovrà  fra  poco  di  biade 
bionde  e  granite  far  ondeggiare  il  campo  :  e  con 
tal  sentimento  gli  ascolta  ,  che  non  sai  dire  qual 
cosa  nell'avventuroso  alunno  ti  sembri  maggiore  , 
se  l'attenzione  o  la  maraviglia,  la  venerazione  o  Taf-, 
fetto.  E  doveva  b^n  esser  cos'i,  chi  consideri  quan- 
to grande  sia  la  divinità  che  di  sua  presenza  de- 
gnava un  mortale,  e  quanto  augusto  il  mistero  dì 
beneficenza  ch'ella  annunziava.  Poco  quinci  lontano, 
disteso  sul  dosso  di  una  rupe,  è  Pane  dio  de'pa- 
stori  e  delle  foreste, anzi  piuttosto  antichissimo  sim- 
bolo della  natura  e  della  fecondità  che  vivifica  tut- 
te le  cose:  il  quale  del  braccio  sinistro  essendosi 
fatto  puntello  al  volto,  pare  con  diletto  insieme  e 
curiosità  rimirare  quel  primo  vomere  che  fende  le 
zolle  dell'Attica:  e  forse  già  pensa  rendersi  grato  a 
Giove  ed  agli  altri  dei,  rivelando  loro  il  luogo  dove 
celasi  Cerere  per  ira  della  rapita  figliuola.  Che  certo 
l'ha  egli  riconosciuta,  benché  non  sia  sotto  le  sem- 
bianze di  quella  divinità,  che  come  dice  Callimaco, 
tocca  co'piedi  il  suolo  e  col  capo  l'olimpo.  All'oppo- 
sta parte  è  ritratto  con  immagine  d'uomo  il  fiume 
Cefiso.  Vedilo  che  sedendo  alla  riva,  tiensi  col  brac- 
cio destro  sul!'  urna,  d'  onde  scaturiscono  le  sue 
acque  ad  irrigare  i  campi  di  Eleusi.  Figura  assai 
opportuna  non  meno  alla  bella  composizione  del 
bassorilievo,  che  ad  indicare  come  princìpal  soccor- 
so all'agricoltura  sono  le  correnti  che  i  fiumi  reca- 
no a  fecondar  le  campagne.  E  bene  altresì  l'artefice 
le  ha  posto  a  lato  due  piccole  barche:  volendo  con 
ciò  significare  il  commercio  che  introdurre  dove- 
vasi nell'Attica  per  la  nuova  e  preziosa  coltivazione. 
Cosi  di  una  singolare  semplicità,  come  ognun 


318  B    E    L    L    E       A    R    T   T 

vede,  è  il  componimento  di  questo  bassorilievo:  al 
modo  appunto  che  sono  tutte  le  cose  belle.  Dell'ar- 
te con  cui  è  condotto  non  parlerò:  perchè  il  no- 
me del  professor  Rinaldi  è  assai  chiaro  fra  gli 
scultori  che  oggi  fioriscono  la  scuola  classica  di  Ro- 
ma e  d' Italia.  Vorrò  solo  considerare  ,  che  ninno 
avrebbe  potuto  piìi  strettamente  attenersi  alla  dot- 
ta antichità  sia  nelle  vesti,  sia  negli  attributi  cosi 
della  dea,  come  delle  altre  figure  rappresentate.  Im- 
perocché se  Cerere  ha  qui  velato  il  capo  e  cinto 
insieme  di  un  serto  di  spighe,  ben  sapeva  Fartefi- 
ce  che  così  hanno  gli  antichi  pili  specialmente  ri- 
tratta quella  veneranda  legislatrice,  o  per  meglio 
dire  quella  regina  delie  dee,  come  la  chiama  Calli- 
maco :  e  ne  addurrà  in  esempio  molte  insigni  mo- 
nete della  Sicilia,  specialmente  di  Palermo,  di  Sira- 
cusa, di  Leontini,  di  E;iaa,  anzi  la  rarissima  di  Ate- 
ne, dov'è  appunto  Cerere  dall'una  parte,  e  dall'altra 
Trittolemo  che  recasi  sui  carro  a  propagare  la  nuo- 
va, .provvidenza  per  l'universo.  Se  dalla  tunica  talare 
e  dal  peplo,  onde  con  matronale  decoro  è  amman- 
tata, ha  fatto  apparirle  ignuda  uìia  parte  del  petto, 
vi  dira  essergli  noto  ciò  che  il  Winckclmann  (1) 
aveva  osservato  sull'uso  misterioso  che  in  molte  ope- 
re antiche  ha  questa  dea  di  mostrar  le  mammelle. 
Se  in  una  mano  le  ha  posto  il  corno  di  Amaltea  ,  vi 
dirà  pure  essere  anche  c]uesto  fra  gli  attributi  di 
Cerere,  singolarmente  nelle  monete  di  Catania  ,  di 
Etna,  di  Siracusa  e  di  Demetrio  Sotero:  attributo, 
come  ognun  sa,  dato  la  prima  volta  da  Bupalo  nel- 
l'olimpiade LX  alla  Fortuna,  colla  quale  spesso  gli 


i)  Storia  dell'arte  del  disegno,  lib.  V,  cap.  VI,  §.  7. 


Opere  di  accad.  di  s.  Luca  3 19 

antichi  hanno  confuso  la  dea  protettrice  deH'  agri- 
coltura. E  se  jfigurata  l'ha  con  un  viso  di  si  mara- 
vigliosa  dignità  e  bellezza,  vi  dirà  in  fine  di  avere 
avuta  in  mente  l'idea  non  solo  di  una  cosa  celeste  , 
ma  SI  appunto  della  divinità  di  Cerere,  che  con  tanta 
perfezione  e  sublimità  di  lineamenti  ci  è  rappresen- 
tata soprattutto  nelle  monete  italiche  di  Metaponto: 
nelle  quali  studiando  il  Rinaldi,  non  mancò  insieme 
di  avvertire,  come  alla  dea  di  Eleusi,  benché  bellis- 
sima ed  autorevolissima,  doveva  pur  darsi  alcun 
grado  minore  di  quella  beltà  maestosa  che  si  con- 
viene a  Giunone. 

Pane  è  quale  tutta  l'antichità  delle  arti  ce  Io 
ha  dipinto:  mezzo  capro  cioè  delle  cosce  e  de'pie- 
di,  simo  del  naso,  con  piccole  corna,  con  barba  ir- 
suta, col  pedo  e  con  la  fistola  pastorale.  Di  sotto  poi 
alla  rupe,  dov'egli  giace,  vedesi  sbucare  un  serpe 
a  strisciarsi  pel  campo.  Chi  ne  ignorasse  la  signifi- 
cazione, sappia  che  indizio  de'  misteri  eleusini  ,  i 
quali  a  tutta  la  gentilità  furono  santi  e  famosi.  Ne 
il  Cefiso,  coronato  com'è  di  alga,  è  rappresentato 
men  dottamente:  e  centra  chi  pretendesse,  che  gli 
antichi  nel  dare  ad  un  fiume  le  forme  umane  usas- 
sero essenzialmente  porgli  le  corna  ad  indicare  la 
forza  delle  sue  acque,  l'artefice  che  qui  ha  credu- 
to passarsi  di  questo  attributo  taurino  ben  potrà 
opporre  l'esempio  di  molte  altre  opere  prestantis- 
sime d'arte,  e  soprattutto  ciò  che  ultimamente  ne 
ha  scritto  il  celebre  segretario  dell'accademia  er- 
colanese  e  mio  venerato  amico,  cav.  Francesco  Ma- 
ria Avellino  (1)  ,  la  cui  autorità  in  queste  cose 
vuoisi  avere  gravissima. 

(i)  Opuscoli,  voi.  I,  cart.  107. 


320  Belle     Arti 

tv. 

Psiche  trasportata  dai  zeffrij  gruppo  in  marina 
del  prof.  Giovanni  Gibson  di  Liverpoot  (1). 

La  favola  di  Amore  e  Psiche  fu  per  lungo  tem- 
J)0  creduta  una  leggiadra  fantasia  di  Apuleio  :  im- 
perocché stimavasi  esser  vissiito  dopo  lui  quell'ate- 
niese Aristofonte,  che  secondo  Fulgenzio  iief  sci-isse 
ne'suoi  perduti  libri  intitolati  Djscrdstia.  Niun'ope- 
ra  d'  arte  conoscevasi  inoltre  con  certezza  di  tem- 
po 0  di  artefice,  la  quale  potesse  dirsi  condotta  in- 
nanzi al  secondo  secolo  dell'era  volgare,  in  cui  fiorì 
il  filosofo  di  Madaùra.  Ma  lasciando  stare  che  dub- 
Lià  molto  è  l'età  di  Aristofonte,  ne  può  ancora:  ben. 
giudicairsi  di  qual  secolo  fosse  precisamente,  i  mo-' 
derni  critici  hanno  di  questa  favola  ravvisato  indi- 
zi chiarissimi  in  tin  celebre  epigramma  di  Melea- 
gro,  poeta  che  il  dottissimo  lacobs  vuole  con  belle 
ragioni  essere  stato  contemporaneo  dell'ultimo  de' 
Seleùci.  Ciò  tuttavia  che  per  sempre  ha  posto  ter- 
mine  alla  qtiistione  si  è  il  famoso  cammeo  di  Ti- 
fone, artefice  vissuto  sicuramente  sotto  i  re  di  Ma- 
cedonia successori  di  Alessandro;  per  non  parlare 
dei  dipinti  della  grotta  di  Corneto  pfubblicati  dai 
Byres  ,  certissimo  lavoro  etrusco  :  e  delle  pittu- 
re ercolanesi  del  volume  terzo  ,  operate ,  con  si- 
curezza non  minore,  un  secolo  almeno  prima  di 
Apuleio.  Sicché  ora,  senza  disputare  piìi  oltre.  Vor- 
remo dire  col    Grcuzer,  esser    còsa  probabilissima 


(r)  Vedi  la  tavola  XV  dell'anno  II  dellV/JC  italiana. 


Opere  di  accad.  di  s.  Luca  321 

che  in  questa  graziosa  immaginazione  eli  Psiche  si 
celasse  alcuno  degli  antichi  misteri  di  Amore,  che 
sapevansi  dagl'iniziati  (uno  de'qùàli  potè  èssere  il 
poeta  Meleagro  ),  ma  che  descritti  è  qùctsi  Rivelati 
furono  primaniente  né'libri  di  Apuleio  e  di  Arislto- 
fonte. 

Dalla  narrazióne  del  libro  quarto  di  Apuleio  è 
tratto  il  soggetto  di  questo  gruppo,  condotto  iti  Riar- 
mo dal  professore  Giovanni  Gibson  di  t/ivèrpool, 
accademico  di  merito  di  s.  Luca.  Imperocché  Psiche 
e  rappresentata  in  qUel  primo  momento  j  in  che  i 
zeffit*i  la  levano  à  volo  dalla  sommità  dello  sco- 
glio, dove  l'oracolo  aveva  comandato  a' geni  tori  dì 
condurla  ei  di  abbandonatala  i  é  dove  Apuleio  ce  la 
descrive  piangente  e  atterrita  sia  del  trovarsi  in 
quella  orribile  solitudine^  sia  del  Sapere  per  le  pa- 
lmole di  es^o  oracolo  j  eh'  ella  già  non  sarebbe  an- 
data al  talamo  di  un  mortale  ,  ma  sì  di  un  iddio 
più  velenoso  e  malefico  di  qualunque  serpente.  El- 
la quindi  tutta  in  sé  ristretta  guarda  con  naturale 
atto  di  timidità  la  terra,  d'onde  vien  sollevata*  Sem- 
plicisslntio  è  il  suo  vestire,  siccome  quello  che  solo 
le  copre  la  inferior  nudità;  e  le  chiome  ha  stret- 
te dietro  il  capo  in  un  nodo,  fatto  da  un  piccolo 
strofìo  che  altresì  le  circonda  leggiadramente  la  te- 
sta. I  due  zefllri,  ignudi  tutti  della  persona  e  co- 
fonati  di  fiori,  recati  si  sono  la  donzelletta  a  seder 
sulle  spalle,  e  pare  che  l'assicurino  di  allegrezza: 
sapendo  ben  essi  j  siccome  servi  di  Amore  che  li 
chiama  Apuleio,  qual  ventura  le  sia  preparata  dal 
loro  signore^  ed  a  cjual  luogo  deliziosissimo  la  con- 
ducano. E  l'uno  le  abbraccia  dilicatamente  i  fian- 
chi e  le  gambe:  l'altro  la  regge  al  ginocchio  ,  ed 
alza  la  mano  destra    per    ricever    quella   di    lei  , 


322  BelleArti 

che  nel  subito  sbigottimento  sembra  cercare  questo 

soccorso. 

Psiche  non  ha  qui  le  ali  di  farfalla,  come  ri- 
chiederebbe l'origine  del  suo  nome,  che  altro  già 
non  vuol  dire  che  anima  e  farfalla.  Ma  di  ciò  ab- 
biamo pure  altri  esempi.  Ali  di  farfalla  hanno  ben- 
sì i  due  zeffiri;  forse  non  per  altra  autorità,  io  cre- 
do, che  del  Dizionario  istorico-mitologico  compila- 
to in  Milano  da  Giovanni  Pozzoli  e  compagni,  e  di 
un  moderno  quadro  dipinto  dal  francese  Prudhon. 
A  me  non  pare  però  ch'elle  sieno  ali  da  ornarse- 
ne un  zeffiro:  ne  so  che  niun  poeta  od  artefice  an- 
tico ce  ne  abbia  lasciato  esempio.  Certo  è  che  Lu- 
crezio gli  dà  le  penne  (1); 

It  Ver  et  Venus,  et  Veneris  praenuntius  ante 
Pennatus  graditiir  Zephyrus  vestigia  propter-^ 

le  penne  gli  da  Glaudiano  (2): 

Ille  (  zephyrus  )  novo  madidantes  nectare  pennas 
Condititi  et  glebas  foecundo  rore  maritata 

e  le  penne  gli  dà  pure  all'omero  il  greco  sculto- 
re che  operò  il  bassorilievo  della  celebre  torre  otta- 
gona  in  Atene,  secondo  che  ci  è  descritta  e  rappre- 
sentata dallo  Stuart  (3):  e  con  piccole  ali  di  pen- 
ne alle  tempie  può  anche  vedersi  presso  il  seniore 
Filostrato  (4).  Nulla  dirò  di  Apuleio:  che  egli  non 


(i)  Lib.  V,  verso  737. 

(2)  De  raptu  Pi-oserpinae,  lib.  II,  v.  88. 

(3)  Antiquités  d'Athènes^  I,  i4;  edizione  del  ii 

(4)  Immagini,  lib.  I  cap.  a4- 


Opere  di  accad.  di  s.  Luca  323 

ci  nai'ra  che  avesse  le  ali  di  farfalla  ne  pur  la  Psi- 
che: e<l  anzi  vuole  che  non  da  Zeffiro  ella  fosse  le- 
vata in  aria,  ma  sì  dall'aura  di  lui.  Mids  aura  mol- 

lis  spirantis  Zephyri suo  tranquillo   spirita 

^>e]iens^  Ed  in  altro  luogo  fa  eh'  esso  rechi  a  volo 
le  sorelle  di  Psiche,  clementissiniis  flatibus:  ed  al- 
trove, gremì o  spirantis  aurae. 

Ma  perchè  si  darebbe  a  Zeffiro  questo  simbolo 
di  un  volare  con  mollezza  non  meno  che  con  silen- 
zio? Che  tal  è  ne'mitologi  il  significalo  delle  ali  di 
farfalla.  Forse  eh'  egli  è  sempre  quel  soavissimo, 
che  nella  primavera  corona  di  foglie  le  piante,  e  in- 
fiora i  prati,  e  scherza  coU'onda?  Non  già:  anzi  tal- 
volta è  sì  gagliardo  e  sonoro,  che  leva  il  mare  a 
procella,  e  contrastasi  a  guerra  perfino  cogli  euri  e 
cogli  aquiloni.  Di  che  piìi  esempi  potrebbero  addur- 
si,  se  bisognassero,  così  de'poeti  greci,  e  special- 
mente di  Omero  che  nel  XII  dell'Odissea  lo  chiama 
rabbioso  nelle  tempeste^  come  altresì  de'latini:  ma 
giovino  questi  di  Virgilio.  Ecco  ciò  che  ha  nella 
Georgica  (1): 

j4t  Boreae  de  parte  trucis  cum  fulminata  et  cum 
Eurique  Zephyrique  tonai  domus.,  omnia  plenis 
Rara  natant  fossis.,  atque  omnis  nauita  ponto 
Humida  vela  legit: 

e  nell'Eneide  (2): 


(i)  Lib.  I.  V.  371. 
(2)  Lib.  I,  V.  i35. 


324  Belle     Arti 

Eiirum  ad  se  Zephjrumque  vocat-,  dein  talia  fatar: 

Tantane  vos  generis  tenuit  fiducia  vestri? 

lam  coelum  terramque^  meo  sine  numine^  venti^ 

Miscere^  et  tantas  audetis  tollere  malesi 

Laonde  poi  disse  Ovidio  (1): 

Inter  utrumqiie  fremunt  immani  turbine  venti: 
Nescit^  cui  domino  pareat,  unda  maris. 

Nam  modo  purpureo  vires  capit  Eurus  ab  ortu, 
Nunc  Zephjrus  sero  vespere  missus  adest. 

Essendo  perciò  Zaffiro  ne'suoi  spiriti  cosi  vario  , 
non  séitìbra  che  possa  con  particolare  attributo  di- 
stinguersi dagli  altri  venti  per  le  ali  niollissime  di 
farfalla:  cori  le  quali,  come  ognun  vede,  oserebbe 
invano  venire  A  contesa  co'  suoi  possenti  compa- 
gni. Lasceremo  quindi  ai  non  dotti  delle  cose  anti- 
che l'insegnare  ciò  che  lor  piace:  ma  noi  ameremo 
assai  meglio  di  star  coi  classici,  soli  competenti 
maestri  in  queste  cose  della  mitologia:  e  perciò  non 
daremo  le  ali  di  farfalla  che  a  Psiche:  e  dopo  essa 
al  Sonno,  che  in  altro  modo  già  non  ci  viene  che 
con  volo  tacito  e  lieve  (2);  ed  in  fine  alle  Ore,  se 
pure  ci  è  recato  diligentemente  dal  Millin  (3)  un 
bassorilievo  che  fu  gik  del  Townley,  ed  è  al  pre- 
sente nel  reale  museo  britannico:  e  se  pure  è  certo 


(i)  Trist.  lib.  I,  eleg.  2. 

(2)  Vedi  ciò  che  ne  dicono  il  Visconti  nel  Museo  pio  clemen- 
tina, tom.  I,  tav.  28;  il  Zoega  ne  Bassorilievi,  toni.  II  ,  tav.  gJ  : 
il  Zannoni  nella  Galleria  di  Firenze,  toni.  II,  serie  IV  delle  sta- 
tue e  de'busti. 

(3)  Galene  njythologique,  toni.  I,  tav.  XLV,  num.  199. 


Opere  di  accad.  di  s.  Luca  325 

che  voglia  significarsi  la  State  in  quella  figura  mu- 
liebre col  tirso  nella  mano  destra  ed  un  vaso  nel- 
la sinistra,  e  non  piuttosto,  come  io  credo,  un*an- 
cella  compagna  dell'altra  (  con  le  ali  pur  di  far- 
falla ),  che  ivi  seduta  sta  rallegrando  col  suono  le 
nozze  di  Amore  e  di  Psiche. 

Questo  gruppo  è  in  Inghilterra,  scolpito  dal 
celebre  artefice  pel  fu  cavaliere  Giorgio  Beaumont, 

Michele  Cervantes. 

Statua  del  cav.  Antonio  Sola 

di  Barcellona. 

Argomento  della  civiltà  vera  di  una  pazione  ip 
predo  essere  soprattutto  1'  onore  che  rendesi  alla 
memoria  di  que'  famosi  *  i  quali  con  belle  opere 
d'ingegno  (  cose  di  gentilezza  e  di  pace  )  intesero 
a  darle  una  vita  ,  che  ne  forza  d'  anni  ne  prepo- 
tenza di  barbarie  valgono  a  spegnere:  la  vita  cioè 
della  gloria.  Perchè  non  saravyi  cortese,  il  quale 
sinceramente  non  si  congratuli  col  popolo  spa- 
gnuolo,  che  oggi  di  questa  civiltà  porge  al  mon- 
do sì  splendidi  esempi.  Ecco  infatti  un  magnifi- 
co monumento  eh'  esso  innalza  a  Michele  Cervan- 
tes :  volendo  il  re  Ferdinando  ,  che  degno  di  se 
e  della  Spagna  sorga  in  bronzo  a  Madrid  presso 
l'umile  casa,  dove  il  grande  morì.  Opera  insigne 
per  concetto  non  meno  che  per  artificio  :  della 
quale  a  buon  diritto  vuol  Roma  dividere  il  me- 
rito con  essa  Spagna:  essendoché  in  Roma  ne  sia 
stato  fatto  il  modello  da  quel  chiarissimo  cava- 
liere Antoaip  Sola,  che  yeunc  fra'  noi  giovinetto  d^ 


326  Belle     Arti 

BarceUona  ad  apprender  l'arte  e  poi  a  seder  presi- 
dente deiraccadcmia  di  s.  Luca,  ed  in  Roma  pure 
sia  stata  fusa  dai  due  valenti  prussiani  Luigi  Jolla- 
ge  e  Guglielmo  Hopfgarten. 

Veramente  niuno  piìi  del  Cervantes  meritava 
che  la  patria  gli  fosse  graziosa  di  tanto  onore  : 
egli  che  fu  quasi  il  fondatore  delia  spagnuola  lette- 
ratura, porgendole  nella  Galatea,  nelle  Noi>elle  e 
soprattutto  nel  Don  Chisciotte  la  più  bella  e  si- 
cura norma  di  uno  scrivere  tutto  fior  di  favella  ,  e 
vivacità  e  leggiadria:  egli  che  con  esempio  rarissi- 
mo (ne  certo  sperabile  da  quanti  sono  romanzieri 
moderni,  ne'quali  gli  orrori  delle  narrazioni  sem- 
brano fare  a  prova  colla  barbarie  vergognosissima 
della  lingua)  sa  tuttavia,  dopo  due  secoli  e  mezzo  , 
delie  sue  immaginazioni  e  delle  castigliane  grazie 
innamorare  l'Europa.  E  noi  italiani  dobbiamo  sin- 
■golarmente  congratularcene:  sia  per  l'ossequio  e 
l'amore  che  portò  sempre  il  Cervantes  a  questa 
madre  onoranda  delle  nazioni;  sia  per  esser  egli 
studiando  le  cose  nostre  (  e  soprattutto  il  Pulci , 
il  Boiardo,  e  l'Ariosto  )  dimorato  lungo  tempo  in 
Roma  ,  in  Napoli  ,  in  Firenze  ,  in  Venezia  ,  ed 
aver  conversato  in  Ferrara  col  grande  infelice  che 
cantò  la  Gerusalemme.  Al  che  potrebbe  anche  ag- 
giungersi, l'essere  slato  familiare  alla  corte  dell'ita- 
liano cardinale  Acquaviva,  e  trovatosi  nel  1571  a 
Lepanto  fra  que'  magnanimi  ,  che  per  la  cristia- 
na libertà  combatterono  nell'armata  di  Marcanto- 
nio Colonna.  Imperoccliè  Michele  Cervantes,  co- 
me l'Alighieri  ed  il  Camoens,  segu\  anch'egli  l'an- 
tica usanza  d'ogni  uomo  nobile,  e  fu  guerriero.  E 
così  nel  vigore  del  braccio  e  nell'altezza  dell'ani- 
mo  §i   fosse   solo  rassomigliato  a  quc'due  gran  pa- 


Opere  di  accad.  di  s.  Luca  327 

tiri  delle  lettere  delle  loro  nazioni  !  Ma  eali  li 
rassomigliò  eziandio  nella  povertà  e  nelle  sven^ 
ture,  sapendosi  che  tolto  schiavo  da'corsari  alge^ 
rini,  fu  gittato  carico  di  catene  a  gemere  lunga- 
mente in  un  carcere.  D'onde  non  prima  riscatta^ 
to,  che  a  ciò  si  movesse  la  compassione  de' suoi, 
non  ebbe  poi  al  suo  ritorno  la  Spagna  piìi  be- 
nigna o  liberale  dell'AfFrica:  ne  trovossi  in  tanta 
larghezza  d'  impero  e  di  gloria ,  in  quanta  sten- 
dcvasi  la  monarchia  del  re  Filippo ,  chi  facesse 
almen  opera  di  cancellare  i  segni  de'ferri  su  quel- 
le nobili  mani!  Laonde  tratto  più  volte  prigione, 
strascinò  indi  la  vita  parte  nell'oscurità,  parte  nelT 
ultimo  fondo  della  miseria:  finche  vecchio  omai  di 
sessantanove  anni  la  consolatrice  provvidenza  degnò 
^fistorarlo  di  tanti  affanni,  e  più  delle  ingratitudi- 
ni di  questa  terra,  a  se  richiamandolo  a'23  di  aprile 
1616  nel  giorno  stesso  (cosa  memorabile)  in  cui 
l'Inghilterra  perdeva  pure  il  fondatore  delle  sue  let- 
tere Guglielmo  Shakespeare.  Fine  certamente  inde- 
gnissimo di  sì  grand'  uomo:  e  tale  che  alcun  di- 
rebbe, aver  la  fortuna  con  la  desolazione  e  la  men- 
dicità voluto  punire  in  lui  gli  alti  doni  della  na- 
tura. Ma  ne  toccò  forse  uno  men  duro  all'  animoso 
ed  immortale  italiano,  che  autore  del  più  stupen- 
do avvenimento  de'tempi  moderni,  poi  ch'ebbe  per 
forza  di  sua  gran  mente  e  fra  pericoli  e  fra  dileg- 
gi scoperto  un  nuovo  mondo  vastissimo,  ne  fece  una 
provincia  alla  donna  deirEbro.? 

Lode  sia  al  cavaliere  Sola,  il  cjuale  con  quella 
verità,  di  cui  il  bello  è  la  perfezione,  ci  fa  con- 
templare l'immagine  di  questo  famoso.  Certo  noi  lo 
vediamo:  egli  è  desso  Michele  Cervantes:  abbastan- 
za il  palesano  quell'  autorevole  sua  figura,   cjuella 


328  Belle    Arti 

fronte  spaziosa,  quegli  occhi  scintillanti  del  fuoco 
deiranima,  quell'andar  franco  che  ben  dimostra  la 
generosità  de'suoi  spirili  e  l'uomo  d'armi  e  di  av- 
venture, e  quel  vestire  che  in  tutto  ci  ritrae  I'usq 
spagnuolo  del  secolo  XVI.  Egli,  pienq  di  una  inj- 
maginazione  sublime,  è  in  atto  di  mutare  il  passo; 
attQ  che  pììi  artificiosaniente  non  sarebbe^!  potuta 
esprimere  dallo  scultore,  sia  pel  movimenta  natu- 
ralissimo delle  gambe,  a  cui  accompagnasi  quello  di 
ti|tta  la  persona,  sia  pel  contrasto  d^lle  pieghe  dell' 
abito,  e  specialmente  del  mantello  con  leggerezze^ 
mosso  dall'aria.  Nella  mano  destra  ha  un  rotolo  di 
scritture,  indizio  d'uomo  di  lettere:  e  la  mano  sini- 
stra posa  sull'elsa  della  spada,  a  significare  la  pro-r 
fessipne  sua  di  soldato  e  la  gentilezza  della  sua  ca- 
sa. E  notisi  accprgimento  del  cavaliere  Sola.  lEgli  hs^ 
coperta  questa  mano  con  un  lembo  del  mantello,  a 
fine  di  non  mostrarla  storpia  come  il  Cervantes  l'ave-? 
va  per  un  cplpp  di  artiglieria  che  il  ferì  alla  bat- 
tagli^ di  Lepanto:  e  così  da  una  parte  serbare  quel- 
le ragioni  del  bello,  delle  quali  le  arti  non  hanno  la 
maggior  cosa:  e  non  incorrere  dall' ci^llra  nelle  cen-? 
sure  di  chi  va  in  traccia  del  vero. 

Tutto  è  vita,  tutto  è  verità,  tutto  e  nel  tem- 
PQ  medesiimo  graziosa  dignità  in  questa  statua:  la 
emazie  per  sentenza  di  chiarissimi  professori  ed  in- 
|;endenti  di  belle  arti  dirò  essere  una  delle  piìi  sin- 
golari, che  per  eccellenza  di  magistero  sieno  state 
operate  a  questa  età  nostra:  com'è  certo  una  delle 
più  importanti,  considerato  l'uomo  celebratissimq 
che  raffigura.  Aggiungere)  ai^zi,  che  da  molti  an-; 
ni  non  §e  o'era  pili  fusa  fra  noi  un'altra  simile  in 
bronzo;  perciocché  è  semicplossale,  avendo  dieci  p£^ls 
mi  e  mezzo  di  altezza. 


329 


VARIETÀ' 


Museum  gregorianum,  Carmen.  Romae  ex  typographeo 
minervali  i838.  (Sono  carte  XI). 


JLia  magnificenza,  con  che  N.  S.  Gregorio  XYI  ha  dato  inco- 
minciamenlo  nel  Vaticano  ad  un  nuovo  museo  di  cose  preziose 
in  oro,  in  bronzo^  in  argilla,  ed  in  ogni  maniera  di  marmi,  come 
grandi  testimonianze  istoriche  delle  arti  non  meno  che  della  re- 
ligiosa e  civile  sapienza  de'  nostri  antichissimi  progenitori  di 
Etruria,  ha  inspirato  questo  carme  al  chiarissimo  P.  Giambatti- 
sta Rosani,  generale  delle  scuole  pie,  membro  del  collegio  filo- 
logico dell'università  romana  e  della  pontificia  accademia  di  ar- 
cheologia. Non  gioverà  dire,  ch'esso  è  degno  e  della  maestria  e 
del  nome  di  si  elegante  scrittore,  e  (oseremmo  anche  aggiungere) 
del  grande  argomento  ;  essendo  gli  scritti  latini  del  P.  Rosani 
omai  in  tutta  Italia  notissimi  e  lodatissimi.  Gradiscano  perciò  ino- 
stri associati  di  averne  qui  un  bel  saggio  ne'versi  seguenti. 

G.  A.  T.  LXXIV.  22 


330  V    A    B    I    K    T    A* 

,,  Omnia  sint  delecta  licet,  non  omnibus  unum 

„  Est  pretiura  aut  faciesj  pictura  hic  praevalet:  illiQ 

„  Sed  mage  forma  placet.  Summo  de|apsus  OlympQ 

„  Mercurius  nymphas  inter  mihi  ridet,  alendum 

,,  Dtjm  studet  infaqtem  nulricis  more  Lyaeunj 

,,  Credere  Sileno;  rapiet  te  forsan  Apollo 

„  E  solio  responsa  caiiens;  maris  unda  silescit 

^,  Dicentein  venerata  deum,  tota  insula  plaudit, 

E  poi  : 

,,  Prae  cunctis  simulacrum  illud  supereminet  iugens, 
,,  Quod  primi  effossum  terra  stupuere  tudertesj 
„  Quera  tamen  exibeat  Martem,  geniumque,  virumqwe 
„  Archaicis  inhians  studiis  gens  dimicat,  atque 
„  Lis  incerta  manet,  longumque  manebit  in  aevunj. 
„  Maguanimum  interea  triplices  concorditer  artes 
„  Pontificem  super  astra  ferunt,  ditaverit  allo 
„  Quod  signo  musea  recens:  circum  ordine  recto 
„  Stant  clypei,  galeae,  tripodes,  stant  tela,  trophea, 
„  Candelabra,  foci,  rerum  stat  cista  sacrarum 
„  Conscia,  virtutem  commendat  biga  latinam. 
„  Mobilis  in  medio  relitiet  custodia,  facti 
„  Quidquid  in  apricum  Tyrrhenia  contulit  auri. 
■      „  Malcriam  praecedit  opus;  sic  arte  refulgent 
-•'"„  Annuii  et  armillae,  sic  torques,  fibulae,  inaures 
„  Rite  laboratae  apparent,  ut  Gallia  certe, 
„  Anglia  yel  nequeat  parili  contendere  laude  ,^» 


Varietà'  331 

Opuscoli  diversi  di  F.  M.  Ai>ellino  segretario  perpetuo  della 
reale  accademia  ercolanese  e  dell'  accademia  poiitaniana  , 
professore  nella  reale  università,  corrispondente  della  so- 
cietà reale  di  Berlino  e  di  altre  accademie.  Volume  terzo 
con  una  tavola  in  rame.  8,  Napoli  i836  da' torchi  del  Tra- 
mater.  (  Sono  carte  334  )• 

XNon  ci  è  stato  inviato  se  non  ora  da  Napoli  questo  terzo  vo- 
lume degli  opuscoli  del  cav.  Avellino,  letterato  celebratissimo 
ed  uno  di  quelli  che  più  onorano  all'età  nostra  i  gravi  studi  di 
antichità.  Il  volume  è  come  gli  altri  due  precedenti  un  tesoro  di 
critica  e  di  archeologia.  Ecco  di  che  vi  si  tratta;  i.  Osservazio- 
ni sui  secundarum  e  sumrnarura  maglstri  ricordati  in  talune 
iscrizioni ,  con  tre  annotazioni;  la  prima,  di  alcune  iscrizioni  di 
Larino  e  dei  liberti  con  due  cognomi  :  la  seconda,  del  nome  di 
lACQN:  la  terza,  di  alcune  iscrizioni  colla  voce  summarura  ; 
2,  Secondo  saggio  di  osservazioni  numismatiche,  a  cui  segue  un 
annotazione  sul  monumento  nucerino  di  Virtio  e  sulle  monete  nu- 
cerine  col  cavallo;  3.  Osservazioni  sopra  un  edito  diploma  mili- 
tare dell'imperatore  .Alessandro  Severo,  con  un'annotazione  so- 
pra alcune  iscrizioni  col  nome  raso  di  .Alessandro  Severo;  4-  Os- 
servazioni sopra  un'iscrizione  trovata  ne' sotterranei  del  campa- 
no anfiteatro,  con  un'annotazione  sopra  un'antica  iscrizione  re- 
lativa al  culto  del  dio  Silvano  ;  5.  Giunte  e  correzioni  alle  cose 
trattate  negli  altri  due  volumi. 


uilla  beata  Michelina  proteggitrice  di  Pesaro,  inno  del  conte 
Francesco  Cassi.  8.  Pesaro  dalla  tipografa  Nobili  i838. 
(  Sono  carte  ug  ). 

ideila  fausta  occasione,  in  chela  sapienza  diN.  S  Gregorio  XVI 
La  innalzato  all'onor  delia  porpora  reiiiinenlissimo  signor  car- 
dinale Luigi  Ciacchi  di    Pesaro ,  il   conte   Francesco    Cassi    con 


332  Varietà* 

quest'  inno  si  è  rivolto  aUa  beata  protettrice  della  sua  pa^ 
tria.  Chi  non  coposce  in  Italia  il  pome  dì  Francesco  Cassi?  dell' 
intimo  aipico  e  del  cugiijo  di  Giulio  Perticari  ?  del  traduttore 
(chiarÌ5sÌ0)O  della  Farsaglia  ?  S'cchè  ognuno  al  50I0  annunzio 
prederà  subito,  che  questi  suoi  versi  sieno  aduntempo  cosa  gra- 
ve ed  elegante,  e  tutti  pieni  di  spiriti  classici.  E  tali  sono  ve- 
ramente; e  vogliamo  di  cuore  congratularcene  con  quei  cortese, 
in  una  età  in  cui  molti  stoltissimi,  bestemmiando  ciò  che  non 
sanno,  troppo  dimostrano  di  aver  l'idionja  ricchissimo  e  poten- 
tissimo dell'Alighieri,  del  Petrarca,  dell'Ariosto  ,  del  Tasso,  per 
inetto  a  nonso  quali  bisogni  di  certa  scuola  distruggitrjce  in  tut- 
to di  ogni  bellezza,  di  Ogni  dignità,  di  ogni  immagine  di  nazio- 
nale letteratura.  Or  ecco  una  poesia  che  si  direbbe  ronjantica 
(se  potesse  questo  nome  senza  infamia  propunpiarsi  da  labbro 
italiano)  quanto  sU'  argon^ento:  p  pure  osservisi  pome  il  conte 
Cassi,  nemicissimo  di  contaminarsi  in  quella  turpitudine,  ha  sa- 
puto egregiamente  e  da  italiano  vero  tenersi  agli  pterni  esemplari 
del  bello  stile!  Valga  il  seguente  saggio,  dove  cantasi  del  pelle- 
grinaggio che  la  pia  pesarese  fece  a'iijoghi  santi  della  Palesliaa| 
p  descrivesi  un  dipinto  famoso  di  Federico  Barocci  ; 

Di  pietate  e  di  sdegno  un  guardo  died§ 

Ai  tristi  avanzi  del  cenapol,  dove 

li'ultim^  mensa  s'imbandì  d'amore  . 

Del  pretorio,  del  tempio,  e  della  reggia 

Passò  per  mezjo  alle  ruiae,  e  tutte 

Del  Nazaren  cercando  le  vestiglc 

S'abbandonò  pel  doloroso  calle.  ' 

E  rattamente,  come  s'ella  avesse 

Armatp  d'improvvisa  ala  le  piante, 

Jj'altpzza  guadagnò  del  sacro  monte 

Ove  spirò  l'uom  Dìo.  Né  vi  fi4  sopra, 

Che  in  subita  e  celeste  estasi  assorta, 

Si  trasmutò  dal  suo  concetto  antico. 

Ed  alla  mente  e  al  guardo  altrui  difese 

Jja  conoscenza  sua.  Perchè  d'un  tratto 

piti  capo  il  feltro,  da  le  spalle  il  sacco, 


Varietà'  333 

Ed  il  borclon  di  maa  le  uscirò;  e  un  lieid 
Lume  e  un  soave  odor  di  paradiso 
Dal  divin  volto  e  dalle  aurate  chiome 
Abbandonate  al  vento  ella  diffuse. 
Si  fé' degli  cicchi  porte  al  cielo:  e  il  cielo j 
Tra  nube  e  nube  aperto,  disserrava 
Un  torrente  di  l'aggi  e  di  fulgori 
Onde  fu  circonfulsa.  In  quel  medesmo, 
La  vii  succinti  veste  colofossi 
D'un  aurea  luce,  e  in  larrghi  e  lunghi  seni 
Con  tanta  maestà  le  si  diffuse 
Oltre  dai  pie,  che  di  celeste  manto 
Rendè  figura,  e  Michelina  apparve 
Della  terra  non  più,  ma  dell'empirò 
Beata  cittadina:  e  da  se  Sola 
Tutto  il  Calvario  tenne.  Tal  tu  fosti, 
O  santa  pellegrina,  un  di  veduta 
All'alta  fantasia  di  chi  nell'arte 
Del  bel  pennelleggiar  fu  odor  secondo 
D'Urbino,  e  tal  ti  ritraeva  in  quella 
Spirante  tela^  ch'era  un  di  la  pompa 
Del  tiio  delubro,  e  ch'indi  a  noi  rapita 
Dallo  straniero,  e  allo  stranier  ritolta. 
Oggi,  non  senza  cittadina  invidia, 
Tra  tanti  altri  miracoli  dell'arti 
S'ammira  in  Vatican  (i).  Ma  effigiata 
Perchè  ei  non  t'ebbe  ancor  quando  scendesti 
Nella  gran  tomba,  e  d'alto  sdegno  accesa 
Tu  prorompevi  contra  i  male  usati 
Brandi  de'prenci,  cui  lasciar  non  calse 


(i)  Il  quadro  rappresentante  la  beata  Michelina  in  estasi  sul 
calvario,  opera  del  Barocci,  fu  tolto  dagli  stranieri,  e  portato  a 
Parigi.  Ora  è  nella  galleria  vaticana. 


334  Varietà' 

Il  santo  loco  in  man  de'cani  ?  O  quando 

Peregrinasti  alla  città  che  accolse 

11  dlvin  parto,  e  al  re  del  re  la  culla 

Nel  fien  distese  perchè  avesse  eterni 

Pregi  umiltade  ?  O  quando  in  queste  mura 

Tra  il  benedir  de'ricchl  e  de'  mendichi 

Festi  ritorno,  e  ti  rendevi  a  quella 

Romita  stanza  che  d'ognun  t'ascose 

Alla  veduta,  e  ch'oggi,  a  testimone 

Di  palra  riverenza,  è  fatta  parte 

Del  gentil  tempio  sacro  alla  gran  madre 

Cui  Gabriel  disse  Ave  ?  Oprato  avrebbe 

Nuovi  portenti  il  creator  pennello 

Del  suo  pio  Federico,  e  tutte  vive 

Ne  renderla  le  glorie  tue  ne'suoi 

Dolci  colori.  E  più  ne  alletterebbe 

A  entrar  cogli  occhi  dentro  l'umll  cella 

Che  i  tuoi  respiri  ultimi  accolse.  In  vista 

Ne  offrirebbe  la  povera  parete, 

E  le  devote  Immagini  e  la  croce 

Ond'essa  è  Intramezzata;  e  quivi  sotto 

Sul  nudo  suolo  il  pagliericcio,  donde 

Di  soave  pallor  dipinta  11  viso, 

Dalla  vita  mortai  tu  ti  diparli, 

E  t'alzi  lieta  a  que'beatl  scanni, 

A  cui  rado  o  non  mal  da  letti  d'oro 

E  da  seriche  coltri  anima  vola. 


Elogio  storico  d'  Isabella  Pellegrini  romana,  scritto  dal  cava-^ 
liere  Francesco  Fabi  Montani.  8.  Bologna  costipi  di  Giovanni 
Bortolotti  i838.  (Sono  carte  i8.) 

Jjene  ha  fatto  il  sig.  cav.  Fabl  Montani  a  raccogliere  coll'usala 
sua  diligenza  queste  memorie  di  una  gentil  giovinetta  che  fu  ve- 


Varietà'  335 

rametite  fiore  d'ingegno  e  di  leggiadri  costumi.  Tanto  seppe  ella 
di  belle  lettere,  e  tanto  valse  principalmente  nell'arte  d'improv- 
visare, che  fu  delizia  mentre  che  visse  del  Perlicari  e  del  Biondi 
e  da  essi  e  da  altri  nobili  spiriti  con  lodi  pubbliche  celebrata  o 
sotto  il  proprio  nome,  o  sotto  quello  arcadico  di  Belisa.  E  cosi 
non  ci  avesse  della  sua  vita  abbandonati  sì  presto  !  Che  sarebbe 
oggi  non  piccolo  splendore  del  bel  sesso  italiano  ,  e  sederebbe 
chiarissima  fra  le  Ferrucci, e  le  Verdoni,  e  le  Orfei,  e  le  Malvez- 
zi, e  le  Sampieri,  e  le  Roero,  e  le  Guacci  !  Ma  nata  in  Roma  H 
dì  3o  di  luglio  1787  ,  dovette  cedere  al  comun  fato  il  di  16  di 
aprile  1807,  piena  della  speranza  di  volare  all'amplesso  del  sUo 
Dio  che  tanto  desiderò  sulla  terra. 

Non  senza  diletto  si  leggerà  questo  scritto,  che  le  ha  conse- 
crato  il  sig.  Fabi  Montani;  scritto  che  non  solo  tante  cose  elegan- 
temente ci  narra  delle  virtù  della  dotta  ed  amabile  Isabella,  ma 
ci  reca  molti  be'saggi  di  quella  gentil  vena  di  poesia.  Valga  per 
tin  esempio  questo  sonetto: 

Tempo  verrà,  né  fia  che  mi  conforté, 

Che  il  mio  crln  fatto  bianco,  e  curvo  il  dórsOj 

Soli  Compagni  avrò  pena  e  rimorso, 

O  che  il  sol  cada  o  il  nuovo  giorno  apporte. 
Tempo  verrà,  che  al  guardo  mio  più  corte 

Parranno  Tore  del  tempo  trascorso, 

E  troncherà  della  mia  vita  il  corsoi 

Colpo  fatale  della  man  di  morte. 
Tempo  verrà,  che  al  trono  eterno  iuiiarite, 

U  senza  velo  il  sommo  Iddio  si  onora. 

Io  sarò  tratta  pallida  e  tremante. 
Vedrò  tremando  il  giudice  severo 

Che  a  me  sdegnato  ....  Il  veggo,  e  tardo  ancora 

A  porre  il  piede  nel  camoiin  del  vero  ? 


336  Varietà' 

V amor  e  agli  estinti.  Carme  di  F.  M.  Torricelli.  8.  Firenze 
co' tipi  della  Galileiana  iSSy.  (  Sono  carte  20.) 

JLé  il  conforto  dell'amicizia  nelle  sventure  del  conte  Francesco 
Cassi,  che  tuttavia  piange  la  cara  e  virtuosa  Elena  ,  la  perduta 
sua  figlia.  Il  sig.  conte  Torricelli  di  Fossombrone  ha  saputo  di 
si  bella  poesia  vestire  tante  pietose  immagini,  che  non  poco  que- 
sto carme  crescerà  il  suo  nome  già  chiaro  di  gentile  scrittore  del- 
la nostra  favella.  Eccone  un  saggio. 

Che  se  ogni  piaggia  della  terra  è  un'ara. 

D'onde  è  bello  il  pregar  chi  tutte  ha  in  cura 

L'anime  a'corpi  affisse  e  le  disciolte. 

Perchè  queste  di  luce  alma  consoli, 

„  Quanti  dolci  pensier,  quanto  desio 

All'urna  cara  dell'estinto  bene 

Lui  menerà,  che  ad  onorarla  move 

DI  lodi  e  fiori,  di  preghiera  e  pianto? 

Tu  proverai,  siccome  piana  e  breve 

Sempre  è  la  via,  che  ne  conduce  al  loco 

Ove  giace  chi  amammo.  Ed  o  ti  piaccia 

Lasciar  d'Elena  i  venerandi  avanzi 

Sotto  i  grandi  archi  delle  logge  altere 

Cui  crebbe  fama,  colorando  i  duri 

Casi  di  Giobbe,  quei  pittor  famoso 

Che  sopra  Cimabue  si  tolse  il  grido; 
Ovver  ti  aggradi  dai  pisani  chiostri 
Ridurli  al  natio  suolo,  andrai  sovente, 
Passaggiero  in  Etruria,  o  sull'Isauro 
Viator  cittadino,  alti  segreti 
D'amor  paterno  a  mormorar  su  quelli. 
E  lì  resta  a  tuo  senno;  ma  potrai 
Tutti  all'urna  gittar  gli  accenti  e  i  voti, 
Non  già  gli  sguardi:  e ,  al  dipartir  del  piede. 
Gli  occhi  non  sazi  torneranno  indietro. 


Varietà'  337 

Della  vita  e  delle  opere  di  Filisto  siracusano, 

Xl  sìg.  Celidonio  Errante  ha  pubblicato  lo  scorso  anno  nel  Gior. 
naie  di  scienze  lettere  ed  arti  perla  Sicilia  un'Importante  lavoro 
sulla  vita  e  sulle  opere  di  Filisto,  di  quel  piccolo  Tucidide,  co- 
me lo  chiama  Cicerone.  Egli  inoltre  ci  ha  dati  con  traduzione  e 
con  note  tutti  i  frammenti  che  si  conoscono  degli  scritti  dell'il- 
lustre siracusano  :  aggiungendone  quattro  o  cinque  di  più  a  quel- 
li raccolti  e  pubblicati  dal  GoUei'.  Il  signor  Errante  aveva  già 
fatto  il  medesimo,  e  con  egregia  lode  di  critica, della  vita  e  del- 
le opere  di  Oicearco  da  Messina. 


Su  lafdosofia  della  medicina.  Cenno  del  dottor  Lorenzo  Ma>sana. 
8.  Messina,  tipografia  Pappalardo  i836.  (Sono  carte  22.) 


Jrlene  di  savie  considerazioni  è  quest'opuscolo,  e  ne  trarranno 
utile  i  professori  della  scienza  medica.  II  dottor  Maisano  mostra- 
si soprattutto  inimicissirao  de'sistemi;  e  sembraci  con  ragione:  di- 
cendo non  senza  verità  a  carte  8;  „  Dando  un  colpo  d'  occhio  a 
tutti  i  sistemi  medici,  è  agevole  il  comprendere:  i.  che  ciascuno 
dì  essi  è  costituito  da  principii  parte  dedotti  da  fatti,  e  parte  da 
ipotesi;  2.  che  nessuno  di  essi  sistemi  spiega  adequatamente  i  fe- 
nomeni dell'economia  vivente  tanto  nello  stato  fisiologico,  quan- 
to nel  patologico,  e  tutti  gli  effetti  che  producono  in  noi  gli  es- 
seri fisici  e  le  affezioni  morali;  3.  che  nessuno  de'medesimi  scio- 
glie le  difficoltà,  che  gli  si  oppongono:  4-  che  le  osserv,azioni,  le 


338  Varietà' 

esperienze,  i  raziojclnli  che  si  adducono  in  loro  favofc,  non  sono 
quasi  giammai  esatti:  5.  che  con  somma  difficoltà  comprendono 
in  una  o  poche  leggi  tutte  le  operazioni  della  natura  :  6.  che 
quasi  tutti  commettono  degli  errori  nel  tessere  le  lunghe  argo- 
mentazioni, e  nell'avvalersi  di  astratte  e  generali  proposizioni 
per  la  formazione  de'loro  principii  fondamentali;  7.  che  nessuno 
di  essi  va  esente  dal  difetto  di  abusare  della  ragione.  Per  cono- 
scere la  verità  di  queste  asserzioni  basta  leggere  qualunque  ope- 
ra che  versa  sull'istoria  della  medicina  ,,. 

Egli  quindi  crede  che  coloro  debbano  veramente  onorarsi 
come  lumi  e  padri  dell'arte,  che  si  valsero  dell'esperienza  ragio- 
nata e  del  raziocinio  sperimentato  ,  e  detti  soao  empirici-razio- 
nali, o  meglio  eccletici  :  fra'  quali  singolarmente  loda  Ippocrate, 
Sydhenam,  Baglivi,  Borsieri,  Tissot,  Franck,  Pinel*  Scarpa,  Ci- 
rillo e  Cotugno.  „  Il  gran  pregio  (egli  aggiunge)  di  questi  uomi- 
ni generalmente  venerati  per  tutta  Europa  non  consiste  nell'ave- 
re ricercato  refìmera  gloria  di  essere  inventori  d'un  qualche  si- 
stema, ma  sibbene  nell'avere  contribuito  chi  in  un  modo  ,  e  chi 
in  un  altro,  a  fondare  o  rassodare  i  canoni  pratici  dell'  arte  d. 
guarire.  „ 


Elogio  di  Antonino  Puritano,  scritto  dall' ab  i  Èmmanuele  Vacca- 
ro  segretario  generale  del  reale  instituto  d'  incoraggiamento 
di  agricoltura,  arti  e  manifatture  per  la  Sicilia.  8.  Palermo 
tipografia  di  Filippo  Salii  iSo;.  (Sono  carte  16.  ) 

ixntonlno  Furilano  fiorì  in  questi  anni  nella  Sicilia  con  lode 
chiarissima  dì  professore  di  chimica.  Celebri  soprattutto  in  Eu- 


Varietà  339 

ropasono  i  suoi  Pensieri  f.sico-chimici  sulla  i>ita.  Secondo  il 
s.g.  ab.  Vaccaro  quando  il  Berzelius  difendeva  contro  il  Davy 
quella  teorica,  per  cui  spiegasi  l'attrazione  chinlica  dei  corpi 
per  la  sola  inOuenza  dell'elettricità,  senza  la  distinzione  di  flui- 
do  elettrico  vitreo  e  resinoso,  il  Furitano  già  l'Insegnava  In 
Sicilia. 


Biografie  e  ritratti  d'illustri  siciliani  morti  nel  cholera,  precedu- 
ti dalla  storia  del  cholera.  Palermo,  tipografia  Lao. 

c 

V^.  SI  annunzia  favorevolmente  quest'opera,  tutta  patria,  che  a 
moment,  vedrà  la  luce  In  Sicilia.  Le  biografie,  fra  le  quali  W. 
geremo  principalmente  quelle  dello  Scinà,  del  Bivona,  delI'Alel 
s.,  del  Palm,erl,  verranno,  per  ciò  che  sembra,   scritte  da  varil. 

I  d.segn.  de  ritratti  saranno  però  del  Patania,  e  le  incisioni  del 
Waincher.   Scrittore  della  terribile  istoria  ci  si  annuncia   essere 

II  cmanssimo  ab.  Borghi. 


Corso  completo  di  anatomia  descrittila  colle  differenze  nelle 
età,  sessi,  razze  ed  anomalie.  Di  Giovanni  Gorgone  profe,- 
sore  di  anatomia  nella  R.  università  di  Palermo.  Palermo, 
dalla  reale  stamperia.  Tomo  secondo,  nell'anno  i836. 

Importantissima  per  la  scienza  è  quest'opera,  perchè  non  pur 
contiene  tutti  i  progressi  che  fin  qui  ha  fatto  1' anatomia,  ma 
dall  Illustre  autore  è  altresì  stata  arricchita  di  molte  nuove  os- 
servazioni  e  scoperte. 


340  Varietà' 

In  morte  di  Laura  Di  Negro-Spinoìa.  Cantica.  8.  Genova,  tipo-' 
grafia  déf rateili  Pagano  i838.  (Sono   carie  7.  ) 

Vi  il  lamento  di  un  tenerissimo  padre,  del  marchése  Gian  Car- 
lo di  JNegro,  sul  sepolcro  della  sua  figlia.  Se  l'insigne  cavaliere 
ha  mostrato  in  tanta  sventura  tutta  la  sua  cristiana  rassegnazio- 
ne: in  questi  versi  ha  voluto  poi  vaneggiar  dolcemente  nelle  più 
care  immaginazioni.  Vede  egli,  scosso  dal  suo  letargo,  un'ange- 
lica creatura  stendergli  amorosa  la  mano  ,  e  dirgli  che  di  lei  si 
rassicurasse: 


Ben  la  conobbi;  e  del  paterno  afiettoi 
Sentia  la  dolce  voluttà  nel  seno  ! 
Ed  ella  a  me'  ;  M'ascolta,  o  mio  diletto. 

Mira  qual  sotì  .<  ti  rinconforta  almeno  ; 
Cessa  di  lagrimar  ;  pe'figli  miei 
L'amor  di  padre  in  te  non  venga  meno. 

Tu  gli  amasti,  ed  amare  or  più  li  dei 

Come  parte  migliore  di  te  stesso  .... 
Fu  un  punto  sol  più  noQ  bearmi  in  lei. 

Deh  I  perchè  sparve,  e  mi  negò  l'amplesso  ? 
Che  forse  l'alma  con  la  sua  congiunta 
Termine  al  duol  vedeva  in  lei  concesso. 

Anzi  più  forte  del  dolor  la  punta 

Provai  ridesto:  perchè  prima  in  vista 
Di  forze  vidi  l'altra  figlia  emunta, 

Che  abbandonata,  lagrimosa  e  trista, 
Ver  me  fisa  tenendo  la  pupilla 
Parca  dirmi:  E*  comun  quel  che  ci  attrista! 


Varietà'  341 

statistica  dì  coloro  che  furono  presi  dal  cholera  asiatico  in  Ro- 
ma neWanno  185^  ,  umiliata  alla  Santità  di  N.  S.  Papa 
Gregorio  Xyi  dalla  commissione  straordinaria  di  pubblica 
incolumità.  4-  Roma  tipografia  camerale  j838.  (Un  volume 
di  carte  i45.  ) 

iTjLonumeoto  pur  troppo  doloroso  delle  nostre  sventure!  Da 
questa  ufficiale  statistica  risulta,  che  il  morbo  asiatico  colpi  in 
Roma  4444  uomini,  e  49^8  donne.  Di  quelli  guarirono  i8g5,  mo- 
rirono 255i;  di  queste  guarirono  2060,  morirono  2868. 


E  stata  collocata  in  Roma  nella  chiesa  di  s.  Andrea  delle 
Fratte  la  seguente  iscrizione  in  marmo  per  onorare  la  memoria 
di  un  dottissimo  nostro  compilatore,  ch'è  ivi  sepolto  ,  cioè  dell' 
abate  Girolamo  Amati. 

A  ^  iì 

Hieronymus  •  Paschalis  .  f  .  Amatius 

Sabiniauo 

io  ,  bibliotheca  .  vaticana  ,  a  .  graecis  .  scribundi$ 

doctor  .  philologus  .  lycaei  .  magni 

vir  .  censorius 

in  .  collegio  .  antiquitatibus  ,  explicandis 

moribus  ,  simplex 

peculio  ,  pauper 

doctrina  .  atque  ,  animo  .  divitissimus 

qui  .  natus  .  eid  .  iun  .  a  .  MDGCLXVIII 

obiit  .  XII  .  kal  .  maias  .  a  .  MDCCCXXXIV 

Petrus  .  Odescalchius  .  Aloysius  .  Biondius 

Jjauretus  .  Santuccius  .  Salvator  .  Bettius 

Aloys  .  Poletlius  .  Aloys  .  Vescovalius 

amico  .  sodali  .  et  .  praeceptori 

miiemosynoa 


342  Varietà' 

Notice  sur  le  musée  Dodwell  et  catalogne  raissoné  des    objets 
cjuHl  contieni.  8.  Rome  iSBy.  (Uà  voi.  di  carte  no.) 

limono  qui  dlligeriteiTiente  descrìtte  le  antichità  d'  ogni  maniera 
egiziane,  elrusche,  greche  e  latine,  che  lasciate  furono  dal  eh.  ar- 
cheologo e  viaggiatore  Odoardo  Dodwell  morto  in  Roma  nel 
i832,  e  che  dagli  eredi  son  poste  in  vendita.  La  prefazione  fran- 
cese è  del  cav.  Bunsen  segretario  generale  della  direzione  dell' 
institnto  di  corrispondenza  archeologica;  la  descrizione  italiana 
è  del  signor  dott.  Braun  segretario  compilatore  dell'iuslituto  me- 
desimo. Vi  sono  però  importanti  osservazioni  de'celebri  Borghe- 
si, Rosellini  0  Lepsius.  Che  rarità  di  bronzi,  di  vasi,  di  pietre  , 
di  sMialti,  di  vetri  o  figurati  o  scritti  !  Curiosa  fra  tante  altre 
ghiande  missili  di  piombo  diremo  quella  proveniente  da  Peru- 
gia, coir  iscrizione  da  una  pirte  Ij--XI— DIVOM-r-IVLIV"— ,  e 
dall'altra  con  la  saetta  di  Giove.  „  Non  pare  dubbioso  (  avverte 
intorno  ad  essa  il  Borghesi  I  che  fosse  usata  nell'assedio  di  quella 
città  al  tempo  di  L  Antonio,  in  cui  veramente  sappiamo  che  i 
cesariani  nielius  missilibus  rem  agebant.  Comparando  poi  V  ab- 
breviatura L-XI  colla  frattura  dell'altra  e.  XII  (  n.  gg  ) ,  parmi 
che  in  ambedue  debba  spiegarsi  L'}gio,Q  che  indichino  la  legio- 
ne, a  cui  que'frombolieri,  d,ii  quali  furono  lanciati,  erano  attac- 
cati. Egual  senso  avià  probabilmente  il  XVI  (n.gg)  dell'altra  col 
nome  OCTAVI,  che  potrà  anch'essa  riferirsi  ad  Ottaviano.  ,, 

Oltre  alle  antichità  v'è  anche  una  collezione  litologica:  co- 
sa veramente  di  somma  importanza  agli  amatori  de'più  be'  mar* 
mi  d'ogni  parte  del  globo. 


Varietà'  343 

Per  le  nozze  Borghini  e  Manzoni  versi  di  P.  P,  e  ragionamento 
istoripo  di  Carlo  Frediani  socio  corrispondente  ec.  su  le  di- 
verse gite  fatte  a  Carrara  da  Michelangelo  Buonarroti.  8, 
Massa  pei  fratelli  Frediani  tipografi  ducali  iSSy.  (Soao  car- 
te 97.  ) 

JLjascBremo  stare  i  versi  del  signor  P.  P.,  perchè  di  queste  poe- 
sìe nuziali  è  giustamente  stanca  l'Italia.  Diremo  beasi  che  im- 
portantissimo ci  è  sembrato  per  la  vita  e  per  l'arte  del  Buonar- 
roti il  ragionamento  del  sig.  Frediani,  anche  pe'quindici  docu-? 
menti  inediti,  ch'egli  ci  fa  conoscere  la  prima  volta. 


Iscrizione  trovata  in  Roma  negli  ultimi  scavi,  che  per  ordi- 
ne del  governo  si    sono  fatti  presso  il  tempio  della  Concordia. 

M  .  ARTORIVS  .  GEMINVS 

LEG  .  CAES  .  AVG  .  PRAEF  .  AERAR  .  MIL 

CONCORDIAE 


Sulle  esposizioni  di  belle  arti  in  Bologna  nel  1807.  Lettere  ad 
Epijanio  Fagnani  di  Mortara.  8  Firenze  costipi  della  Ga- 
Uleiana  i838  (Sono  carte  43.) 

IN  è  autore  il  signor  Michelangelo  Gualandi,  il  quale  con  tan- 
to rara  quanto  bella  franchezza,  dicendo  il  bene  ed  il  male  che 
ha  trovato  nelle  opere  della  esposizione  bolognese, ciba  dato  un 
esempio  del  modo  con  cui  utilmente  può  parlarsi  d'arte.  Pecca- 


344  Varietà' 

to  che  più  culto  e  corretto  non  sia  il  suo  scrivere  !  Peccato  an- 
che quel  suo  far  tanto  le  maraviglie  di  quella  tela  da  teatro,  più 
che  vero  quadro  da  cavalletto,  in  cui  dipinse  il  Bruloff  l' ultimo 
giorno  di  Pompei  ! 


Con  singoiar  piacere  annunziamo  ,  che  a  momenti  avremo 
dal  celebre  professor  Roslal  di  Pisa  la  sua  Storia  della  pittura 
italiana  esposta  con  monumenti.  Sarà  essa  per  la  pittura  in  Italia 
ciò  che  per  la  scultura  è  l'opera  del  Cicognara,  L'autore  la  divi- 
de in  quattro  grandi  epoche:  la  prima  (con  24  tavole  in  rame)  dal 
nascere  della  nostra  pittura  fino  al  Masaccio:  la  seconda  (con  52 
tavole)  da  Filippo  Lippi  a  Raffaello:  la  terza  (con  4°  tavole)  da 
Giulio  Romano  al  Baroccio:  la  quarta  (con  44  tavole)  dai  Carac- 
ci  all'Appiani  (  esclusi  i  viventi  ). 


I  sig.  Grenville  Tempie  e  Carlo  Mangny  hanno  trovato  a 
Costantina  una  iscrizione  rotta  in  tre  pezzi,  che  cosi  ci  è  recata 
dal  Constitutionnel  dei  29  di  marzo  i838.  Essa  è  importante  so- 
prattutto per  una  colonia  siguitana,  di  cui  fin  qui  non  si  ave- 
va notizia. 


Varietà'  345 

M  .  AVRELIO  .  ANTO 

NINO  .  CAES  .  IMP  .  DES 

TINATO  .  FILIO 

IMP  .  CAES  .  DIVI  .  M  .  ANTONI 

NI  .  PII  .  GERMANICI  .  SARMATI 

CI  .  FIL  .  DIVI  .  COMMODI  .  FRATRIS 

DIVI  .  ANTONINI  .  PII  .  NEP  .  DIVI 

IIADRIANI  .  PRONEP  .  DIVI  .  TRA 

lANI  .  PARTIIIGI  .  ABNEP  .  DIVI 

NERVAE  .  ADNEPOTIS 

L  .  SEPTIMI  .  SEVERI  .  PERTINA 

CIS  .  AVG  .  PARTIIIGI  .  ARABICI 

PARTHICI  .  ADIABENICI  .  PRO 

PAGATORIS  .  IMPERI  .  PONTIF. 

MAK  .  TRIB  .  POT  .  V  .  IMP  .  Vili 

COS  .  PROCOS  .  FORTISSIMI 

ET  .  SANCTISSIMI  .  PRINCIPIS 

COL  .  SIGVITANORVM 


In  ojjitii   Caroli  Bouclieroni  V.  C 
ad  Ludo\>icuiii  Saulinin  coni,  equit. 

1.1  micia  cullili  iiiibcri  inihi  veiiit  epistola  casus! 

Ul  legi,  ut  voccm  surpuit  ipse  dolor! 
Ergo  lain  subilo    vi  iati   opprcssus  iniqua 

Ilaiiae  atcjuc  orbi  CAROLVS  abripilur  ? 

G.  A.  T.LXXIV.  23 


346  Varietà* 

CAROLVS  occubuit,  quo  non  sapientor  alter, 

Non  alter  fuerat  plenior  eloquio, 
Seu  graìae  mallet  mopstrare  repondita  linguae^ 

Seu  veterls  promens  divitias  Latii, 
Oictarvt,  doctis  quae  passim  tradita  chartis 

Nulla  aetas  nunquam  posterà  suspiciet. 
Illuni  non  equiden),  Sauli  carissime,  fani^m 

Qui  sjbi  quaesivit  perpetuam  ipgenio  ; 
^on  illum,  pqlcra  partam  qui  laude  coronam 

Innectens  capiti  tempia  tenet  superum; 
Sed  nos,  nos  potius  puto  flendos,  tanta  quibus  smilt 

Et  tot  in  hoc  uno  funere  adempta  bona. 
Quando  alium  pQsthac  b'ceat  nanciscier,  in  quq 

Tarn  claro  yirtus  enitpat  iubare  ? 
Oh  !  ubi  prisca  fidps,  nullius  conscia  fraudis, 

Servata  et  casto  pectore  amicitia  ? 
Num  poterit  quisquam  ingenuos  aequare  }epores  7 

Sermonis  dulces  quis  referet  veneres  ? 
Optabam,  3auli,  carmen  Ubi  ferrp,  sodalis 

Exiguum  trjstes  munus  ad  eipsequias  ; 
Nec  queo  ;  raens  animi  damno  perculsa  recenti 

Frangitur,  adsuetum  denegat  officium. 
Quarp  age,  qups  npllo  potui  modo  ftipdere  cultw 

Conspersos  lacrimis  accipe  versiculos. 
Fors  erit,  ut  saevo  recrealus  vulnere,  amici 

Et  mores  valeam  dicere  et  ingeuium. 

j&enpvap  XV  kal.  aprii   ^nn.  MDqCGXXXVIII. 

jyi.  FgRFiVCCIVS. 


Pontificia  acca4emia  romana  di  archeologia. 

xn  adempimento  de'paragrafi  i  e  2  del  titolo  8  dello  statuto  , 
si  propone  un  premio  a  chi  meglio  dichiarerà  il  seguente  argo- 
meqto  •• 


Varietà'  317 

,,  Fare  un  paralello  critico  delle  leggi  etrusche  e  delle  gre- 
,,  che  italiche, siano  religiose,  siano  civili,  colle  greche  elleniche, 
„  lidie,  egizie,  e  fenicie:  e  dichiarare  quale  de'  quattro  popoli 
„  stranieri  possa  avere  avuto  una  maggior  parte  nella  civiltà  del- 
„  l'Italia  primitiva.  ,, 

Potranno  concorrere  al  premio  i  letterati  di  qualunque  na- 
zione, eccettuati  isoli  socii  ordiuarii  ed  onorarli  dell'accademia. 
Il  premio  è  di  una  medaglia  in  oro  di  zecchini  quaranta. 
Le  dissertazioni,  in  lingua  latina  ,  italiana  ,  o  francese,  do- 
vranno essere  presentate  ,   senza  nome  di  autore,  entro  il  mese 
di  novembre  del  futuro  anno  i83g. 

Dovranno  essere  scritte  in  carattere  chiaro  e  leggibile. 
Porteranno  esse  una  epigrafe,  ed  avranno  una  scheda  sigil- 
lata con  entro  il  nome  e  l'indrizzo  dell'autore ,  e  di  fuori  l'epi- 
grafe stessa  posta  alla  dissertazione. 

Il  giudizio  sarà  pronunziato  nel  mese  di  dicembre  del  me- 
desimo anno.  La  dissertazione  premiata  verrà  impressa  negli  atti. 
Le  schede  appartenenti  a  quegli  scritti,  a' quali  non  sarà  stalo 
aggiudicato  il  premio,  non  si  apriranno  ma  saranno  bruciate. 

Le  dissertazioni  dovranno  essere  dirette  per  la  posta,  od  al- 
trimenti, ma  chiuse,  sigillate  e  franche  di  porto  ,  al  cav.  Pietro 
Ercole  Visconti  segretario  perpetuo  della  pontifìcia  accademia 
romana  di  archeologia. 

Quando  non  vengano  per  la  posta,  dovranno  essere  conse- 
gnate nelle  mani  del  detto  segretario  perpetuo  deli*  accademia  , 
il  quale  ne  darà  ricevuta  al  portatore. 

Dall'aula  del  romano  archiginnasio  il  di  5  aprile  i838. 

Il  Presidente 
MARCHESE   LUIGI  BIONDI 


//  socio  ordinario  segretario  perpetuo 
Cav.  Pietro  Ercole  Visconti 


3/i8  Varietà' 

yulcain.  Recherches  sur  ce  dieu,  sur  soii  eulte,  et  sur  les  prin- 
cipaux  inoiiuments  qui  le  representent,  faisanl  suite  au  Ju- 
piter  du  jnéine  auteur  ;  par  T.  B.  Emérìc  David  membre 
de  Vinslilut  rojal  du  Frnnce  [academie  des  inscriptions  et 
beìles-lettres)  cheualier  de  la  légion  d'honneur.  -  8  Paris  , 
imprirfié  par  autorisation  du  roi  aVimprimerie  royale  i838. 
(Vn  voi.  di  pag.  io4,  con  una  tavola  in  rame). 


J/ Iene  di  belle  e  dotte  .considerazioni  (se  pur  qualche  volta  non 
debbano  dirsi  troppo  sottili  )  è  questo  trattato,  il  quale  è  uscito 
a  far  seguito  all'altro  importantissimo, che  il  sig.cav.Einéric-David 
pubblicò  nel  i833  intorpo  a  Giove.  L'autore  chiarissimo  è  qui 
tutto  in  provare,  che  Vulcano,  divinità  simbolica^  non  è  altro  che 
il  Fuoco  atmosferico  e  terrestre  detto  dai  greci  con  proprio  vo- 
{Cabolo  Efesto,  dai  latini  yulcqiius  (dice  Servio)  quasi  yolicauus, 
quod  per  aerem  volat.  Ninna  nuuiiera  di  erudizione  manca  u 
quest'opera,  piccola  di  mole  e  grave  di  cose;  la  quale  con  utili- 
jtà  e  con  piacere  verrà  Ietta  dai  letterali  non  meno  che  dagli 
artisti. 


Della  educazione  usata  d^gl^  antichi  in  allevare  i  loro  figlifioli, 
discorso  di  Pandolfo  Collenucci  da  Pesaro.  8  Pesaro,  stam- 
peria del  Nubili  i838  ^Sono  parte  22.) 

Xl  nome  celebre  del  Collenuccio  nel  secolo  XVj  la  somma  rari- 
tà iu  cui  venuta  era  questa  operetta  innanzi  che  il  prof.  Monta- 
nari ne  facesse  in  non  molte  copie  la  presente  ristampa  per  ono- 
rare l'andata  deireminenlissimo  Ciacchi  a  Pesaro  ;  e  più  le  cose 
utilissime  che  sono  in  essa,  ed  il  mostrarvisi  apertamente  (sono 
parole  Al  esso  eh.  sig.  Montanari  ),  molte  dottrine  intorno  l'edu- 


Varietà'  349 

cnzione  letteraria  dei  figliuoli,  le  quali  ora  si  hanno  per  nuo- 
ve, e  si  giudicano  venule  conseguenti  ni  progredimento  della  ci- 
viltà, esser  vecchie  e  molto  innanzi  che  a  noi  passale  per  lo  capo 
dagli  arcavoli  dé'bìsavoli  nòstri  :  ci  consigliano  a  pubblicar!» 
con  nuove  cure,  e  farne  cosi  un  bel  dono  si  que'nostri  associa- 
li, elle  hiinno  tullavia  ili  riverenza  la  nieiiioria  e  il    senno   degli 


avi. 


Memorie  delle  tipografie  calabresi  compilale  da  Filo  Capialbi 
con  un  appendice  sopra  alcune  biblioteche  di  Calabria,  ed 
un  discorso  sulla  tipografia  montalionese.  8  Napoli  i835  e 
i836  dalla  tipografia  Porcelli. 


l_ja  tipografia  nelle  Calabrie  è  antichissima:  imperocché  nel 
1475  a  Reggio  si  stampavano  già  libri  ebraici,  e  nel  j/fS  libri 
latini  a  Cosenza  Jl  sig.  Capialbi  parla  in  quesl' opera  diligente- 
mente di  molte  rarità  tipografiche  ignote  a'più  reputati  biblio- 
grafi, soprattutto  nell'appendice  dove  ci  descrive  alcune  biblio- 
teche di  quella  parte  d'Italia. 


Saggio  storico  sulla  vita  di  Epicarmo,  coi  frammenti  delle  di 
lui  opere  raccolti  ed  illustrati  da  Luigi  Tirrito.  8  Paler- 
mo, tipografia  Pedone  i856.  (Un  voi.  di  carte  144). 

li  sig.  Tirrito  .confuta  l'opinione  di  alcuni  che  vollero  Epicar- 
mo   nativo    delia    Grecia  di  oltremare,  piuttosto  che  siciliano  » 


350  Varietà' 

come  il  dissero  invece  Aristotile,  Cicerone,  Irzio,  Orazio  ed  Ate- 
neo. Anzi  egli  crede  che  la  sua  patria  fosse  Crnsto  ;  hcncliò  Si- 
racusa e  Megara  il  pretendano  lor  cittadino.  Dichiara  poi  che  ad 
un  solo  Epicarmo  appartengano  tutti  i  frammenti  che  ahbiamo 
sotto  questo  norae,i  quali  dal  sig.  Tirrito  sono  tradotti  in  italiano. 


De  siculo  nummo  urbis  Galariae. 

JLà  quc3to  il  titolo  di  una  lettei-a  pubblicata  dal  canonico  Giu- 
seppe Alessi  nel  volume  5o  delle  Effemeridi  della  Sicilia  (giugno 
18^7  );  e  fu  l'ultima  che  il  dottissimo  archeologo  dettò,  essendo 
egli  poco  dopo  caduto  vittima  del  morbo  asiatico.  Di  Galaria 
non  si  conoscevano  monete  di  alcuna  sorte  .-  e  qui  I'  Alessi  ne 
pubblica  una,  la  quale  descrive  così.-  Ipsuni  en/m  CAAAPINON 
inscriptum  esse  conspicitur.  Nec  tantum  nomea,  veruni  etiam  a- 
lia  nolatu  digna  in  hoc  parvulo  nummo  conspiciuntur.  In  eius 
antica  parte  stat  Bacchus  barba  tunicatfue  prolixa,  qualis  aegy- 
ptius  Bacchus  effmgilur,  cyathum  dextera,  sinistra  tliyrsum  ge- 
rens,  cui  uitis  palmes  pone  dextrum  pedem  assurgit;  et  in  posti- 
ca parte  uvae  racemus  binis  ornatus  foliis,  quem  subtus  stat  ur- 
bis inscript  io,  a  sinistra  dexteram  versus  ducta ,  indegne  supra 
rediens,  subtus  CAAAPI,  et  super ISOl^  cernitur:  unde  difficilem 
omnibus  praeter  perilis  (  et  praecipue  Carolo  Gagliani,  cui  sors 
eum  obtulit  ,  quique  eius  imaginem  nostro  dilcctissimo  Carolo 
Gemmellaro  delineare  permisit  )  se  se  offerì.  Quae  animadver- 
tenda  censuimus,  ut  fnciUime  recognosci  possit  ,  si  quando  tuis 
recurrat  oculis.  Et  qunmvis  naxiorum,  catnnensium. ,  r.liarumque 
urbìum  numismata  Baccìii  caput  barbatum  referant ,  et  praeci- 
pue naxiorum,  eliam  cyathum  in  Bacchi  manu,  et  iitis  surculum 
habeant,  nullibi  in  siculis  numismatibus  stans,  tunica  tectus,  co- 
que stata  conspicitur. 


Varietà'  351 

Le  argonauliche,  poema  greco  di  Apollonio  rodio,  portate  in. 
poema  italiano  dal  professor  cavaliere  Baccio  dal  Borgo, 
con  note  ed  illustrazioni.  8  Pisa ^  tipografia  Nistri  iSSy  e 
iSZSyVolumi  tre. 

J_icco  il  terzo  volgarizzamento  che  ci  si  dà  di  un  poema  greco, 
se  non  grande  ,  certo  importantissimo  e  tale  che  non  disgradì 
Virgilio  di  leggerlo  e  in  molte  parti  d'imitarlo.  Quelli  del  cardi- 
nal Flangini  e  del  conte  Coriolano  di  Bagnolo  sono  però  in  ver- 
so sciolto;  in  quel  verso  cioè,  di  cui  l'italiana  poesia  andar  deve 
superba,  vuoi  per  nobiltà  e  dignità,  vuoi  per  vivacità  ed  armonia, 
dopo  il  Caro  ed  il  Monti.  L'egregio  sig.  prof.  Dal  Borgo  ha  vo- 
luto scegliere  pel  suo  lavoro  piuttosto  l'ottava  rima,  provandosi 
d'imitare  lo  stile  ariostesco.  Di  che  non  vorremo  già  biasimarlo  : 
purché  non  intenda  darci  per  fedelissima  l'opera  sua,  né  metter 
per  canone.che  il  verso  sciolto  non  è  cosa  degna  di  un  traduttore 
italiano,  come  disse  anni  sono  non  so  quale  presuntuoso.  Se  poi 
veramente  ariostesco  sia  il  verseggiare  del  professore  pisano  , 
noi  non  vorremo  qui  deciderlo  ,  anzi  non  vorremo  affermarlo. 
Certo  è  tuttavia  che  qua  e  là  ne'dodici  canti,  ne'  quali  ha  egli 
con  lodevol  giudizio  divisi  i  quattro  lunghissimi  libri  di  Apollo- 
nio, certo  è,  dissi,  che  si  leggono  delle  ottave  assai  belle  per  fa- 
cilità e  per  eleganza.  Loderemo  in  fine,  e  sommamente,  la  dot- 
trina e  il  criterio  ch'egli  ha  mostrato  ne'prolegomeni. 


Esercizio  di  goniometria  e  di  trigonometria  sferica  dettato  ai 
Suoi  assistenti  ed  allievi  dal  cav.  Niccolò  Cacciatore  di- 
rettore del  osservatorio.  8  Palermo  iSS^  presso  France- 
sco Lao.  (Un  volume  di  pag.  224  con  due  tavole.) 

Al  celebre  autore,  alunno  e  successore  del  Piazzi,  ha  pubblica- 
to quest'opera  per  uso  di  coloro,  che  dallo  studio  delle  materna- 


352  Varietà' 

ticlie  vogliono  procedere  a  quello  deirastronomia.  Elln  vuol  ri- 
putarsi come  l'anello  intermedio  delle  loro  applicazioni.  ì^dkù- 
sionc  e  cliiarezza  sono  le  doti,  che  annunziano  subito  la  mente 
e  la  mano  del  cav.  Cacciatore. 


Le  antichità  della  Sicilia  esposte  ed  illustrate  per  Domenico 
lo  Fasó  Pietrasanta  duca  di  Serradìjalco  Tomi  tre  in  fo- 
glio. Palermo   i834  ^  1807. 

\ 

Xli  nostro  desiderio  di  dare,  quando  chena,un  ragionato  estrat- 
to di  quest'opera  insigne,  che  tanto  onora  il  chiarissimo  e  nobi- 
lissimo autore,  e  la  Sicilia  e  l'Italia.  E  intendiamo  con  ciò  di  far 
cosa  utilissima,  noti  che  grata  agli  amatori  delie  antichità  ed 
«'professori  delle  belle  arti. 


Pe  le  auspicate  nozze  de'nobili  signori  marchese  Giovanni  Costa- 
bili,  e  contessa  Mahina  Riosti  Estense,  ambi  di  Ferrara  , 
prose  e  poesie  ec. 

Xl  iun  avvenimento  più  dolce  alle  città  può  incontrare  del  fau- 
sto connubio  di  degno  con  degna,  onde  speranza  di  prole  pur 
degna.  Questo  ha  provato  nel  febbraio  del  i838  la  città  di  Fer- 
rara; dove  sono  comparse  prose  e  j^oesic  ,  molte  delle  quali  me- 
ritino che  se  ne  tenga  memoria  in  queste  carte. 


Varietà'  353 

T.  Scritti  inediti  (li  Daniello  Bartoli,  Fulvio  Testi  ,  Al!)erto 
Lollio,  ora  per  la  prima  volta  pubblicati,  Ferrara  tip.  Negri  alla 
Pace  in  8.  ili  pag.  45.  Gli  ha  levali  dagli  autografi  della  biblio- 
teca del  sig.  marchese  Gio.  Battista  Costabili  il  preposto  alla  cu- 
stodia della  biblioteca  stessa  ,  Girolamo  Negrinl.  Sono  cinque 
lettere  del  Bartoli,  una  del  Testi,  ed  un  frammento  di  A.  Lollio 
circa  il  dettar  commedie  in  prosa. 

2.  Descrizione  della  quadreria  Costabili  ,  parte  I,  l'antica 
scuola  ferrarese,  Ferrara  idem  di  pag.  5o.  E  lavoro  del  C.  Ca- 
millo Ivaderchi,  e  tale  da  essere  raccoinandato  agli  amatori  delle 
arti  e  della   domestica  gloria. 

3.  Vita  di  Scipione  Maffei,  ossia  cenni  intorno  la  vita  ,  ivi 
idem  di  pag.  io. 

Notizie  intorno  la  vita  di  Onofrio  Minzoni,  ivi  tip.  Poma- 
tclH  in  8  di  pag.  i6.  Queste  e  la  precedente  sono  dettate  da  G. 
M.  Bozoli. 

Vita  di  Girolamo  Carpi  pittor  ferrarese,  Ravenna  tip.  Ro- 
veri in  8  di  pag.  t3. 

4-  Sopra  la  biblioteca  pubblica  di  Ferrara.  Osservazioni  del 
cav.  Valéry  tradotte  da  D.  Giuseppe  Antonelli  vice-bibliolec:!- 
rio  con  annotazioni,  Ferrara  tip.  Bresciani  in  8  di  pag.  -2^. 

5.  Sono  traduzioni:  l'Inno  di  Omero  a  Venere  pel  e.  Gio. 
Roverella  in  versi  sciolti,  Forlì  tip.  Casali  in  8  di  pag. XX.  Alcu- 
ni epigrammi  dal  greco  e  dal  latino  pel  prof.  Cesare  Montalti, 
ivi  idem  pag.  io.  Alcune  odi  di  Anacreonte  per  Giovanni  Chit- 
to,  Ferrara  tip  Negri  alla  Pace  in  8.  Canzone  dal  francese, in  8, 
Bologna  tip.  Nobili. 

6.  Le  gemme  simboliche,  sono  derivate  da  un  costume  po- 
lacco in  numero  di  ii  con  note  prese  dalla  storia,  dalla  geolo- 
gia, dal  simbolo  diverso.  E' una  prosa  dedicata  dal  sig  Gio.  Ber- 
toni. Ferrara  tip.  Bresciani  in  8  di  pag.  32. 

7.  Amore  e  pace,  carme  in  ottava  rima  del  prof.  Domenico 
Vaccolini,  in  8  Bologna  tip.  Nobili. 

Egloga  di  Luigi  Caroli,  Ferrara  in  8,  tip.  Negri  alla  Pace. 
La  montagna  di  Odilla,  leggenda  in  ottava  rima   di  Iacopo 
Cabianca,  Padova  tip.  Carlallier  e  Sicca  in  8  di  pag.  a3. 
Lettera  di  L-  B.    Bologna,  in  8  pel  Nobili  di  pag.  io. 


354  Varietà' 

Lungo  sarebbe  il  dire  di  tutto;  per  cui  è  forza  trapassare  in 
silenzio  assai  cose  ;  non  intendendo  per  nostra  parte  di  dare  o 
levare  il  merito  ad  alcuna.  Bensì  vogliamo  lodare  il  costume  di 
publicare  in  occasione  di  cbiare  nozze,  invece  di  un  ammasso  di 
poetiche  ricantate  adulazioni,  qualche  veramente  utile  prosa  o 
poesia,  che  abbia  a  dare  anzi  che  ricevere  pregio  nelle  illustri 
sponsallzie. 


Cenno  del  cav.  Giuseppe  Neroni  sull'origine  di  Ripatransone  pub- 
blicato nel  faustissimo  imeneo  del  conte  Filippo  Neroni  ca- 
detto nelle  guardie  nobili  di  Sua  Santità  colla  nobile  signo- 
ra marchesa  Teresa  Malasp ina  di  Ascoli.  Ripatransone  JSSy, 
tip.  laffei. 

i^ieno  riferite  grazie  al  coltissimo  sig.  marchese  Filippo  Bruti 
Liberali  per  aver  esortato  il  suo  concittadino  sig.  cav.  Neroni  a 
pubblicare  questo  interessantissimo  opuscolo,  con  cui  si  rivendi- 
ca l'origine  di  Ripatransone.  Il  Garzoni,  il  Quatrini,  il  Borgia, 
ilTanursi,i  quali  scrissero  delle  cose  di  quella  città,  la  fecero  de- 
rivare dalle  antiche  rovine  di  Cupra  Montana.  L'opinione  soste- 
nuta dal  nostro  autore,  se  non  come  certa  almeno  come  molto 
probabile,  è  che  Ripatransone  abbia  il  vanto  di  sorgere  dalle 
antiche  rovine  di  Cupra  Marittima,  si  perchè  Strabone,  Fronti- 
no, l'Itinerario  dell'imperatore  Antonino,  le  tavole  del  Peutin- 
gerio  ci  parlano  in  modo  particolare  di  questa  città  ,  che  do- 
veva essere  equidistante  dal  castello Truentino  e  Fermano,  si  an- 
cora perchè  non  è  presumibile,  che  due  grandissime  città  o  si  toc- 
cassero quasi  insieme  o  fossero  al  più  distanti  due  miglia.  L'  e- 
gregio  cavaliere  non  manca  di  convalidare  anche  con  altri  ar- 
gomenti il  suo  assunto,  e  molto  bene  determina  tanto  il  luogo  di 
Cupra  Montana,  quanto  di  Cupra  Marittima  ed  il  Cuprae  Mons 
o  sia  Ripatransone.  Sarebbe  stato  però   desiderevole  che  avess3 


Varietà*  355 

recato  le  due  iscrizioni  gii  noie,  nelle  quali  si  fa  memoria  dei 
Cuprenscs  Montani, trovate  l'una  a  Massaccio  ,  e  l'altra  in  poca 
dislan/a  ed  anche  le  iscrizioni,  nelle  quali  si  nomina  Cupra  Ma- 
rittima, e  singolarmente  il  frammento  pubblicato  dall' Anìaduzzi 
rinvenuto  a  Vico  Marano,  con  quella  in  cui  si  ricorda  la  ristau- 
razione  del  tempio  della  dea  Cupra. 

E  qui  opportuno  mi  sembra  il  riferire  un'  opinione  ester- 
natami dal  eh.  P.  Gio:  Pietro  Secchi  della  compagnia  di  Gesù  , 
prof  di  greca  filologia  e  custode  del  museo  kircheriano  nel  col- 
legio romano,  al  quale  comunicai  1'  opuscolo  di  cui  qui  si  par- 
la. Egli  tiene  per  fermo  che  l'origine  di  Cupra  sia  dai  picenti , 
e  i  picenti  dai  sabini  ,  che  sono  detti  TYPPHNOI  da  Strabone 
con  un  nome  dato  dai  greci  a  tutti  gli  antichi  popoli  d'  IlaUa , 
malamente  tradotto  per  etrusci  fuori  diEtruria.  Gli  etruschi, cosi 
chiamati  solamente  dai  romani,  sono  anch'essi  tirreni ,  ma  non 
tutti  i  tirreni  sono  etruschi.  Crede  egli  adunque  che  il  nome 
KYIIPA  di  Strabone  corrispondente  al  latino  Cupra  sia  nome 
sabino,  perchè  secondo  Varrone  Cyprum  in  lingua  sabma  era 
ristesso  che  bonuin,  forse  da  cupio ,  e  da  questa  voce  deduce  il 
medesimo  Varrone  il  nome  di  cyprius  vicus  in  Roma  ,  come 
da  Cypra  o  grecamente  KTIIPA  dovrebbe  dedursi  il  Mars  Cy- 
prius, cioè  figliuolo  di  Giunone  venerato  vicino  a  Gubbio,dicui 
si  scoperse  il  tempio  nella  fine  del  secolo  passato.  Quindi  opi- 
na, che  possano  conciliarsi  le  due  sentenze  de'valenti  archeologi 
citati  dal  sig.  cav.  Neroni  intorno  alla  dea  Cupra:  altri  de'quali 
appoggiati  all'autorità  di  Strabone  giudicarono  che  fosse  la  gre- 
ca HPA  o  Giunone,  ed  altri  che  fosse  la  dea  Bona  degli  antichi 
italiani.  Imperocché  la  dea  Bona,  per  testimonianza  di  Macro- 
bio  (Saturn.  lib.  I,cap.  XII  ediz.  Gronov.},  era  creduta ;70feK<jani 
habere  lunonis,  ideoque  sceptrunt  regale  in  sinistra  manu  ei  ad- 
ditum;  e  a  giudizio  del  detto  prof,  cosi  fu  nella  mitologia  super- 
stiziosa de'raisleri  pagani.  Ed  in  vero  questa  non  dovrebbe  mai 
confondersi  colla  mitologia  degli  artisti  e  de'poeti  specialmente 
latini,  che  alla  mitologia  comune  d'Italia  innestarono  la  mitolo- 
gia poetica  della  Grecia;  e  molto  meno  colla  mitologia  simbolica 
de'filosofi  gentili,  che  tentarono  per  mezzo  di  essa  accordare  le 
assurdità  della  mitologia  pagana  colla  ragione,  il  che  fu  l'ultimo 


35G  Varietà' 

rifugio  dell'  idolatria  comballuta  dal  cristianesimo.  La  mito- 
logia ha  pur  le  sue  epoche  cronologiche:  e  se  fossero  fissate,  se 
ne  trarrelìbe  gran  vantaggio.  Ciò  ch'è  vero  per  un  tempo,  non 
è  vero  per  un  altro  nella  storia  di  questo  svariatissimo  errore 
del  genlilesimo  ! 

Noi  non  manchiamo  di  lodare  il  sig.  cavaliere  Neroni  per 
la  sua  erudizione  ed  ingegno,  e  lo  incuoriamo  a  far  raccolta  d'i- 
scrizioni ed  antichità  patrie,  perchè  Capra  marilliinn pnù  darne, 
e  saranno  sempre  importantissime  per  la  storia  di  Ripatransone 
non  solo,  ma  ben  anco  della  nostra  penisola. 

t".  Fabi  Montani. 


Liriche  di  Giuseppe  Montanelli.  Firenze  coi  tipi  della    Galileia- 
na 1837.  (Fase,  di  pag.  61  in  4-) 


Xja  biblioteca  italiana  nel  suo  N.  CCLXII,  ottobre  183^,  diede 
plauso  al  Montanelli  per  queste  liriche  elaborate  alia  buona 
scuola,  e  che  certamente  non  sono  prive  di  bellezze.  I  pensieri 
non  sono  esagerati,  non  vi  trovi  immagini *lrane;  si  bene  delica- 
tezza di  sentimento  ,  pittura  esatta  delie  passioni  ed  avventure 
umane,  spontaneità  e  dolcezza  di  dettato  poetico,  pregi  tutti  che 
assai  dilettano  la  mente  ed  il  cuore  di  chi  legge.  Quindi  a  noi 
pur  piace  incoraggiarlo  a  porre  l'ingegno  suo  ad  altri  lavori,  che 
j)ortino  come  questi  l'impronta  del  cuorejpoichè  dov'ei  non  par- 
la o  detta,  non  è  bellezza,  non  pregio  alcuno;  e  tutto  riesce  ari- 
do e  freddo. 

I  titoli  delle  poesie  qui  riunite  sono  ;  La  madre  povera. 
I>avanti  al  cimiterio  della  terra  natale.  Saluto  a'  quattro  poeti 
italiani.  L'Ave  3Iaria  della  mattina.  L'Ave  Maria  della  sera.  La 
campana  del  Deprofundis.  Rimembranze  d'infanzia.  11  salice.  L.* 


Varietà'  357 

ti'ovitlella.  Per  un  nuovo  ponte  sull'  Arno.  Il  giovine.  La  sposa 
del  ricco.  IJ  poeta  cieco.  Lamento.  A.  G.  D.  JNiccolini.  La  poesia. 
Se  noi  ci  apponiamo  al  vero  ,  lo  giudichino  i  leggitori  di 
questo  giornale  dal  saggio  che  segue,  tolto  dal  compouimeuto. 
La  cauipana  del  Deprofundis. 

Ma  più  non  ci  attristi  l'orror  della  fossa. 

Vedete  quegli  astri  ?  qui  polvere  ed  ossa  .  .  , 
I  nostri  diletti  saliron  lassù. 

E  già  de'futuri  già  sanno  il  destino, 

Proteggon  le  genti  che  sono  in  cammino, 
Compreser  gli  arcani  del  tempo  che  fu. 

Il  gemito,  o  padre,  che  t'esce  dal  seno 
Fra  gl'inni  che  allegran  l'eterno  sereno 
Del  IJglio  beato  s'accoglie  nel  cor, 

E  mentre  lo  credi  qui  dentro  sepolto, 
Ei  dice  all'Eterno  con  supplice  volto  : 
,,  Consola  il  martire  del  mio  genitor.  „ 

Non  muore  disperso  sull'aura  notturna 
Che  lene  sussurra  tra  i  salci  dell'urna^ 
O  donna  ,  il  sospiro  del  petto  fedel; 

E  al  par  dei  sospiri,  che  al  tempo  giocondo 
Sfogavan  la  piena  del  cor  verecondo. 
E  caro  al  tuo  fido  che  t'ama  dal  ciel- 

E  suona  oltre  il  regno  dei  mondi  lucenti , 
O  madre,  la  voce  degl'inni  gementi 
Ond'io  disacerbo  l'immenso  niarlir;  ; 

Mi  vedi  se  assorto  ni'inspiro  al  creato, 
Mi  vedi  se  ai  mesti  favello  inspirato, 
31i  vedi  se  lervo  di  santo  desir.  .  .  . 


358  Varietà» 

E  quando  varcate  le  nubi  e  le  stelle, 
Non  cupo  rimbombo  d'umane  favelle, 
Ma  l'eco  dei  cieli  per  noi  suonerà: 

Udremo  la  voce  dei  nostri  diletti: 

O  spirti,  diranno,  tra  gli  angeli  eletti 
Venite  alla  gioia  che  fine  non  ha. 

Siccome  il  torrente  precipita  al  piano, 
E  il  fiume  va  in  traccia  del  vasto  oceano, 
E  un  porto  sospira  la  nave  nel  mar, 

Sospinte  nostr'alme  da  vago  disio 

Sospiran  la  pace  ch'è  in  grembo  di  Dio. 
Ah  quando  i  diletti  potremo  abbracciar  ! 

'  Fbancesco  Cafozzi. 


Sei  Poggio,  villa  del  principe  Felice  Buciocchi.  Bologna  i838, 
tipi  della  Volpe  al  Sasii,  in  4  grande. 

1.1  on  avvi  in  Italia  persona  educata  a'  buon!  studi,  che  non  co- 
nosca ed  ammiri  ì  bei  versi  dell'esimio  sig.  prof.  Vincenzo  Valo- 
rani,  che  a  Bologna  è  di  presente  lume  splendidissimo  nell'arte 
medica.  La  bella  collezione  di  Prose  e  poesie  inedite  o  rare  d* 
italiani  t'<Ve«^/, pubblicala  dal  Sìlorata,  s'ingemmò  alquante  vol- 
te de'suoi  preziosi  lavori,  che  noi  abbiamo  gustati  a  più  riprese, 
ed  in  cui  riscontrammo  tutti  que'pregi,  che  sono  richiesti  in  ve- 
ra poesia*  Il  perchè  vogliamo  di  cuore  applaudire  all'eletta  e  fe- 
conda mente  del  loro  autore,  che  i  severi  studi  dell'arte  saluta- 
re sa  condire  si  bene  colla  più  squisita  cultura  delle   lettere  , 


Varietà'  359 

rinnovando  cosi  l'esempio  di  «juel  Redi,  che    fu   bel  vanto  alla 
gentile  Toscana. 

La  villa  del  sig.  principe  Felice  Baciocchì  ha  dato  argo- 
mento ai  versi  che  qui  riferiamo,  in  cui  dipinte  vedi  si  al  vivo 
le  care  delizie  che  Tadornano,  che  meglio  non  si  potrebbe  cOn 
fiammingo  pennello  ia  un  campo  di  dimensione  si  angusta. 

SONETTO 


O  viator,  che  dai  giardin  di  Flora 
T'affretti  alla  città  del  picciol  Reno, 
Fa  sosta,  e  poggia  a  questo  clivo  ameno; 
Che  ti  fja  dolce  di  sacrargli  un'ora. 

Qual  sull'Arno,  rapir  vedrai  qui  ancora 
La  primavera  alle  sorelle  il  freno; 
Qui  pur  benigno  è  il  suol,  l'aere  .sereno. 
Qui  pur  l'arancio  ai  brevi  di  s'infiora. 

Vedrai  da  tergo  e  a  dritta  alme  colline, 
Felsina  a  manca,  e  di  ville  ingemmato 
Un  piano  a  fronte  cbe  non  ha  coofine; 

^,  fra  si  vaghe  immagini  beato, 
Chiaro  signor  di   venerando  crine 
Pago  assai  più  che  in  signoria  di  stato, 

Né  defrauderemo  i  leggitori    nostri  della  elegante  versione 
latina  del  IVIontaltij  che  gli  sta  a  fronte. 

O  qui  Felsineam,  rapientibus  essedra  mannis, 
Litorc  ab  etrusco  petis  urbem,  siste,  viator. 
Siste;  supergressum  viridantis  culmina  clivi 
luverit  hic  partem  solidi  trivisse  diei. 


5G0 


Varietà' 


Alteniis  qiiotquot  virilius  se  dij^erit  anniis, 
Hic  sibi  ver  omnes,  oblilo,  viiidical,  Arno: 
Milis  et  hic  vernat  puro  sub  sydere  lellus; 
Citrus  et  hic  Qoret^  glaciali  iiiipei'via  brumae: 

Hic  faciles  retro  dextraque  adsurgere  colles 
Felsina  laeva;  oculis  lato  patel  obvia  tractu 
Undique  planities,  villisque  oneratas  renitet; 

Iiiclytus  hacc  inter  nieritis  senloque  verendus 
Olia  carpii  herus,  veleris  quein  gloria  fastus 
Nulla   movet,  laetuin  potioris  niuuere  pacis. 

Vogliamo  altresì  appalesare  al  Valorani  il  desiderio,  che  è  iu 
Hoi,  di  avere  alle  mani  in  un  sol  volume  gli  sparsi  suoi  compo- 
uiiiienti;  ciò  che  toruerebbe  carissimo,  ne  siani  certi,  a  tutti  co- 
loro che  hanno  in  pregio  la  bella  italiana  poesia. 


Francesco  Capozzi^ 


3G1 

INDICE 

DELLE  MATERIE   CONTEMUTE 

IVEL  TOMO  LXXIV,  VOLUMI  220,221,  222 
DEL  GIORNALE  ARCADICO. 

Nota  de  compilatori  e  collaboratori  del  giornale. 
SCIENZE 

Scnrpellini  ,   Sopra   i  riflettori    del  Gatti 

(  con  raìAe  ) pag.         1 

Cappello  ,   Esperimenti  da  praticarsi  negli 

animali  domestici  pel  cholera  indiano  „  34 
f^olpicelli,  Descrizione  della  macchina  ad 

asse  rotante  mobile  del  Raffaelli  .  ,,  42 
Chelini,  Teoria  de"" valori  delle  proiezioni.,,  47 
Dizionario   classico   di   medicina,   chirur- 

già  ec. „       77 

Vaccolini,  Il  nuovo  salvadanaio.  .  .  .  „  83 
Versari,  Intorno   allo    scorbuto   osservato 

dal  Sorgoni  nel  forte  di  N arni.  .  .  ,,87 
Proia,  Cenni  intorno  la  cattedra  di  A  sica 

sacra  nell'archiginnasio  romano  .  .  „  106 
Zantedeschi  ,  Induzione    e  polarizzazione 

del  termo-elettricismo „     1 00 

LETTERATURA 

Cardinali,  Seconda  rivista  archeologica  ita- 
liana          •     .     „     114 

G.  A.  T.  LXXIV.  24 


362  ^ 

Marini,  Sua  edizione  e  traduzione   di  Vi' 

tvu\>io  (  articolo  secondo  ed  ultimo  ).     „     1 50 

Mai,  Oratio  in  funere  Antonii  regis  Saxo- 
niae ,♦     1 T3 

Nardi,  Notizie  della  sua  vita  scritte  da  lui 
medesimo „     1 77 

Visconti,  Monumenti  borghesiani  pubblica- 
ti dal  Lahus .     .     „     184 

Pellegrini,  Poesie „     208 

Barthelemy,  Due  lettere  inedite  con  le  note 

di  C,  Cardinali „     214 

Guzzoni,  Intorno  a  un  poema  del  sig.  La- 

mothe   Langon „     237 

Paravia,  Opuscoli  ed  orazione .     .     .     .     „     243 

BELLE    ARTI 

Solò,  Discorso  sulV  espressione  nelle  opere 

greche  di  arte „     254 

VApe  italiana „     269 

Andreozzi ,  Intorno  un  dipinto  del  cava- 
liere Silvagni >«     288 

Gigli,  Memorie  della  vita  del  maestro  di 

musica  Gustavo  Terziani ti     293 

Betti,  Descrizione  di  alcune  opere  di  pit- 
tura e  di  scultura  condotte  da  professori 
accademici  di  s.  Luca ?»     303 

Varietà 

Tavole  meteorologiche. 


NIHIL  OBSTAt 

É   Jacopini  Cénsor  Theol.  Depift. 

IMPRIMATUR 
tr.  Dom.  Buttaoni  O.  P.  S.  P.  A    Mag. 

IMPRIMATUR 

A.  Piatti  Patriarcha  Antiocbenus  Vicesg. 


Osservazioni  Meteorologiche.  )(  Collegio  Romano  )(   Gennaro  i838. 


mot. 
si- 


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Si- 
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cop.  pio. 
nuvoloso 


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chiarissimo 
nuv.  sp. 
nuvoloso 


chiarissimi!] 


nuvoloso 
nuv.  sp. 
nuvoloso 


coperto  pia. 
sol.   Irai, 
nuvoloso 


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Evapor. 

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Slato  d»l  Cielo 


nuvoloso 
coperto  piove 

»» 
nuvoloso 

ì> 
coperto 


cliiarissimo 

nuvoloso 

coperto 


chiarissimo 
nuvoloso 


ouv.  sp. 
chiarissimo 


chiariss. 
vaporoso 
chiariss. 


nuvoloso 
coperto 


nuvoloso 
cop.  piove 
chiariss. 

coperto 
chiaro 


cop.  piove 


„  sole  trai, 
chiariss. 


chiar.  nuv.ori:^ 
nuv.   sole  Irai, 
chiariss. 


coperto  pio. 
nuT.  sp. 
nuv.  tutto 


coperto   piQve 
nuvoloso 


auvo)osa 
vaporoso 
coperto  tutto 


T? 


Osserva 

lioni 

Meteorologiche.  )(  Collegio  Romano  ](    Febbraro  i838. 

;         O 

;     Ì5 
1        1 

2 
3 

4 
5 
6 

9 

10 

11 

12 

i3 

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Ore 

Baromet. 

Terra, 
esterno 

rerrnometro 
max.  min. 

Igrora. 

Vento       ( 

Pioggia 

Evapor. 

Stalo  del  Cielo 

nuvoloso 
ser.  nu.  sp. 

mat. 

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ser. 

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nuvoloso 
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nuvoloso 

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0        0 
S.      f. 
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1     5o 

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Evapor.   Stato  del  Cielp 


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1  6 

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2 


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nuvoloso 

„   sole  trai, 
chiaro 


pliiavissimo 
ser.  nuT.  sp. 
coperto 


nuv.  spar. 

nuvoloso 

chiaro 


vaporoso 
chìarissinio 


nuvoloso 

11 
coperto 


„  piove 


cluanssimq 

nuvoloso 

coperto 


■f,    pio.  assai 
nuvoloso 


vaporoso, 
coperto 
,  piove 


nuvoloso^ 
nuv.  sp. 
^  iperlo 


uuv.  sp. 
nuvoloso 
chiaro 


ra.  nuT. 


sp. 


coperto  piove 


m.  nu .  sp. 
vap.  Sole  trai, 
nuv.  pio.  assa^ 


wi^iT'ii'TtrnlTt^Tirir'irTflTrBiwfrrTTrfvrinT'TTiT'-^^jì'wff  TTrfTMTWpii»  -*""twtt*  ' 


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mat. 

si- 

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si- 

mat. 

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ser. 


Baromet. 


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ser. 

mat. 


ser. 

mat. 

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ser. 

mat. 

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mat. 

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ser. 

mat, 

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mat. 

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ser. 


mat. 
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Il  »o  4 
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Terni, 
esterno 


Termometro 


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7  5 
5 
6 


10 


»4 


14  4 


i5  3 


16 


14 


i5  5 


14  5 


3% 


Igrom. 


i3 


26 


Vento 


SO 
SSE 


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Pioggia 

E vapor. 

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2     3 

2     7 

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1      25 

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1     i5 

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6    75 

Q     7 
3 

4 

3    5 

SSiiiiìì 


Stato  del  Cielo 

chiaro 

nuvoloso 

coperto 

nuvoloso 

cliiarissifflo 

vapo^os. 
nuvoloso 
cbiarissiuio 


vaporoso 
chiarissimo 

ser.  vap. 
eh.  nuv.  orl2. 


nuv.  tutto 
«I 
>t 

pop.  piove 
nuv.  sol.  trai, 
chiarissimo 

nuv.  sol.  trai, 
chiarissimo 


ser.  nu.  sp< 
cbÌRrissinto 


ser.  nuv.  ap; 
chiarissimo 

coperto 

nuvoloso 

chiarissimo 

nuvoloso 
cop.  piove 


ser,  nuv,  sp. 

chiarissimo 
snj.  miv.  sp. 


chiarissimo 
jL'i'.  nuv.   sp. 
nuvoloso 


J"^--'