GIORNALE
ARCADICO
DI SCIENZE , LETTERE , ED ARTI
VOL. 217.
^-.,
icf/i--
GIORNALE
DI SCIENZE LETTERE ED ARTI
TOMO LXXIII
OTTOBRE, NOVEMBRE E DICEMBRE
1837.
ROMA
TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI
1857
SCIENZE
Sopra un corso di matematiche intitolato - Eleineii-
torum matheseos otc. . . . auctore Andrea Caraffa
e societate Jesu in collegio romano matlieseos
professore; e sopra la versione italiana eli que-
sti elementi fatta con moltissime annotazioni
dal prof. Paolo Volpicelli,
TT
^^ n corso completo di matematiche pure, che dall'
aritmetica procedesse alle più elevate dottrine del
calcolo così detto sublime , e che fosse compilato
sopra le piìi generali e rigorose teoriche della scien-
za, era per la Italia da desiderarsi. Un corso che
m se riunisse queste condizioni, era un bisogno e
un desiderio generale di tutti coloro, i quali si dan-
no allo studio delle scienze esatte; e la mancanza
di esso formava un vuoto considerabile nel tesoro
delle produzioni scientifiche italiane. Non può ne-
garsi che parecchie sono le istituzioni di matema-
tiche pure, pubblicate in Italia, che piìi o meno
tutte contengono delle parti esposte completamen-
te sotto qualunque aspetto; ma giovi ripeterlo, un
corso tutto basato sul piìi esatto, sul più generale,
sul più analitico, e sul più moderno della scienza.
4 Scienze
deslderavasi ancora; quando non ha guari compar-
vero alla luce gli elementi di matematica del p.
Andrea Caraffa della compagnia di Gesìi, professo-
re di matematica sublime nel collegio romano ; e
noi vedemmo con piacere grandissimo quest'opera
soddisfare in tutte le sue parti a quanto si desi-
derava. Strettissimo vi si ravvisa il concatenamento
delle idee , somma la precisione ed esattezza dei
metodi; ne mai alle formole si da quella estensio-
ne che loro non si appartiene. Pur troppo non po-
che formole soglionsi estendere comunemente oltre
i dovuti limiti , le quali tuttavia non valgono se
non sotto certe condizioni, se non in riguardo a
certi valori delle quantità che racchiudono! Gli ele-
menti suddetti sono scritti in idioma latino; e seb-
bene da taluno sia disapprovato il valersi nelle ope-
re scientifiche di questo linguaggio, perchè non vi-
vente ; pure noi crediamo che nelle matematiche
non debba incontrarsi tale disapprovazione; e son
ben cognite alcune opere recentemente pubblicate
in idioma latino da diversi distintissimi geometri,
nelle quali, oltre la profondita delle dottrine ivi
espresse, si scorge ancora eleganza e concisione di
termini, proprietà tutte dell'idioma de'padri nostri:
talché l'uso di esso in questa scienza invece d'in-
ceppare, come avverrebbe in altre, le serve di or-
namento, e le procura quella maestà e decoro che
hanno le dotte lingue in gran parte perchè piìi
non vivono; tutto essendo al di là della tomba sa-
cro ed orrevole.
Gli elementi, di cui parliamo, si dividono in tre
parti corrispondenti a tre volumi. Contiene il pri-
mo l'aritmetica generalmente dimostrata in tutte le
sue parti, e l'algebra, che oltre alle piìi clemen-
Matematiche del Caraffa 5
tari sue nozioni abbraccia eziandio le combinazio-
ni e permutazioni , la risoluzione delle equazioni
determinate ed indeterminate , le principali pro-
prietà dei numeri, le quantità medie, i logaritmi,
la soluzione dei problemi, la dottrina delle proba-
bilità, le serie si reali e si immaginarie, la conver-
genza e divergenza delle medesime, lo sviluppo del-
le funzioni in serie, le quantità infinitesime, e le
frazioni continue. Il secondo volume, senza trascu-
rare del tutto i luminosi metodi degli antichi geo-
metri, giunge alle due trigonometrie piana e sfe-
rica. Quivi si stabiliscono parecchie formole e se-
rie trigonometriche, e poi si applica di proposito
l'analisi alla geometria di due e tre dimensioni. Nel
terzo finalmente si contengono i due calcoli diffe-
renziale ed integrale, con le varie loro applicazio-
ni alla geometria; vi si espone altresì il nuovo cal-
colo dei residui, e quello delle differenze finite,
coi principali usi loro. Con questi tre volumi si
ha da un geometra italiano tutto un corso di ma-
tematiche pure, che può completamente istituire
chicchessia nelle medesime.
Il primo volume di questo corso matematico
è stato pubblicato in italiano dal chiarissimo pro-
fessore Paolo dott. Volpicelli, e da esso dichiarato
con moltissime annotazioni per maggior comodo di
coloro che debbono o vogliono con esso istituirsi.
Questa traduzione fu eseguita dal lodato professore
Volpicelli con molt'accuratezza, e risplende in essa
la eleganza e la precisione stessa che trovasi nel
lesto latino. Il medesimo professore, avendo ben pe-
netrato l'originale, ha corredate le malerie in esso
contenute di dotte annotazioni, le quali facilitano
l'intendimento dell'opera 5 e noi siamo di avviso,
6 Scienze
che la traduzione con simili annotazioni degli altFi
due volumi sark di una utili tk grande per quelli che
vogliono penetrare nei segreti arcani delle scienze
matematiche, e renderà l'opera del Caraffa supe-
riore a qualunque elogio. Per questa traduzione so-
no state aperte le associazioni, che si ricevono in
Roma nella tipografia Puccinelli in via della Valle
N. 53, e nella libreria nuova di Giovanni Gallarini
sulla piazza di monte ci torio N. 19, 20, 21, non che
dai principali librai d'Italia. L'acquisto di questa
traduzione per gli associati non sorpasserà la spesa
di scudi tre, e per maggior comodo dei medesimi ,
essa verrà in luce e sarà distribuita, non gik per
fascicoli, come suol farsi comunemente, bensì per
volumi, legati alla rustica, e coperti di carta colo-
rata, nella quale sarà stampato il prezzo del volu-
me stesso.
Barnaba Tortolini
Praelectiones theologicae , qiias in collegio rom.
societatis Jesu habehat Joannes Perrone e soc.
Jesu in eod. colleg. theol. prof. P^ol. IF, liomae
1836 in coli, urbano de propaganda fide (in 8°
di carte 466 ).
P.
arlando noi di quest'opera nello scorso anno ab-
biamo incominciato con breve articolo a dar cenno
del primo e del secondo volume , alquanto piìi ci
siamo allargati nel terzo: ora che in questo mede-
simo giornale trattiamo del quarto, non possiamo
dispensarci dal farne un estratto un poco più
Teologia del Perrome 7
lungo degli altri. Imperocché tale è la natura di
queste teologiche istituzioni , tale il consentimen-
to de' dotti neir approvarle , che crederemmo di
mancare alla stima che meritamente professiamo
verso il eh. autore, e all' amore che nutriamo verso
il vero, se brevemente dessimo conto di un lavoro,
che in Italia e fuori è stato accolto con tanto favore.
Due sono i trattati che conte ngonsi in questo
volume : il primo e De incarnatione , il secondo
De cultu sanctorum.
Veniamoli a poco a poco svolgendo incomin-
ciando dal primo.
Di due specie sono coloro, i quali hanno sem-
pre attaccato l'augustissimo mistero della incarna-
zione : quelli cioè che l'hanno interamente negato,
quelli che hanno tutto posto in opera per corrom-
perne la vera idea. Gli ebrei, gli increduli, ai qua-
li da non molto si aggiunsero anche i razionalisti,
sono del primo genere; appartengono al secondo gli
eretici di varie sette. Siccome però differenti sono
le armi, di cui gli uni e gli altri fan uso per soste-
nere i loro errori, così il N. A. saggiamente ha di-
viso in due parti questo trattato ed ha impreso a
confutare separatamente sì gli uni che gli altri.
Incomincia egli, com'è di ragione, la prima par-
te del suo trattato dal primo fondamento di que-
sto dogma, cioè dalla promessa e dalla espettazione
di un Messia : distingue un doppio errore, di que-
gli cioè che niegano essere stato giammai promesso
da Dio ed aspettato dagli ebrei un messia, e di quel-
li altri i quali sotto il nome di Messia non intendo-
no una determinata e particolare persona, ma qual-
sivoglia temporale liberatore, che secondo i sansi-
moniani potrebbe esser anco una femmina. A ribat-
8 Scienza
tere cotall empie assurdità dimostra il P. Perrone i
clic un Messia fu da Dio nella legge promesso , che
questi fu costantemente in ogni tempo aspettato da-
gli ebrei, e che dev'essere singolare ed unico, sic-
come si desume dall'universale e costante senso del-*
la tradizione degli stessi giudei, e dalle particolari
caratteristiche del Messia, le quali non si possono
attribuire ad un liberatore qualunque* Stretti in
tal guisa gli ebrei, e i loro ausiliari ricorrono essi a
vani pretesti. Alcuni dicono, non essere determi-
nato il tempo di tale venuta: altri venire tale epo-
ca dilazionata pe' demeriti e per que' peccati , di
cui si vanno giornalmente macchiando: altri final-
mente, non essere ancora compiuto il tempo della
promessa. A queste obiezioni risponde il N. A. con
altrettante proposiziofji, dimostrando, I.° che tal e-
poca e determinata dalla sacra scrittura, dalla per-
petua e costante tradizione de'giudei, dalla confes-
sione de'rabini, e finalmente dalla natura della co-»
sa stessa; 11.'^ che questo tempo non si può ritar-
dare; IH.*' che i tempi statuiti dalle profezie chia-
ramente appalesano esser questo Messia di già ve-
nuto. Per ciò fare con maggior precisione il N. A.
esamina prima il vaticinio di Giacobbe, quindi cjuel-
lo di Daniele, in fine gli altri due di Aggeo e di
Malachia ricorrendo ai fonti originali e confutan-
do tutte le obiezioni , che si possono desumere o
dalla varietà delle lezioni , o da qualunque altro
senso che dar loro si volesse. In IV.° luogo final-
mente dimostra il P. Perrone, che da tutti gli offi-
ci e doveri, che doveansi adempire dal Messia, chia-
ramente si argomenta esser lui di già venuto. I qua-
li doveri ed offici egli a due restringe , all'abro-
gazione cioè dcirantico culto e sacerdòzio colla so-
TeoIogia okl Perrone 9
stituzlone del nuovo, e alla chiamata delle genti al-
la cognizione e all'amore del vero Dio colla reie-
zione e dispersione del popolo etreo.
Stabilito nel modo da noi detto, che un Mes-
sia promesso sia di già venuto; si fa egli nel se-
condo capo a ricercare chi esso sia, e dimostra che
questo non può essere altro che Gesìi Cristo: im-
perocché pienissimamente in lui si compiono l'e-
poche , si verificano le caratteristiche e gli offici
del vero Messia. Questa certamente non e che una
naturale conseguenza delle dottrine fondamentali
esposte nei capo antecedente; ed è dall'autore sot-
tilmente sviluppata. Assai Leila e la confutazio-
ne che fa il p. Perrone del notissimo ebreo Salvador,
il quale con argomenti in gran parte ricavati da
Orobio imprese a fare l'apologia della condanna del
Giusto per eccellenza. ( Histoire des institution de
Mo'ise ec. tom. II. Paris 1 828. )
Sviluppiamo alquanto la tesi, la quale per non
trovarsi negli altri corsi teologici, merita di essere
conosciuta, e può anche servire come di un saggio
delle moderne quistioni che sono dall'autore trat-
tate. Restringendo in poche le molte cose scritte dal
Salvador nel citato libro egli sostiene che quel giu-
dizio fu giustissimo, 4.** perchè i giudici del Naz-
zareno appellarono agli articoli del Deuter. IV 1 5
e XVIII 20, co'quali condannavasi a morte chiun-
que avesse ardito o di annunciare dii stranieri o
parlare in nome di essis 2." perchè la sentenza fu
data secondo le forme giudiziarie che allora erano
in vigore, sforzandosi in ultimo di purgai'e gli ebrei
da ogni macchia di crudeltà e di sevizia, e di ri-
volgerla ne' soldati , i quali contro la mente del
giudice eccedettero nella esecuzione. A queste pre-
10 Scienze
tese ragioni del sedicente filosofo il N.A. con eviden-
tissimi argomenti risponde addimostrando j chq i
citati articoli del Deuteronomio non potevano ap-
plicarsi alla dottrina di Cristo, il quale predicava il
monoteismo^ ne altro Dio conobbe costantemente e
predicò se non quello d' Abramo, d'Isacco e di Gia-
cobbe, da cui diceva essere stato mandato. Che se
Cristo predicò se stesso vero figlio di Dio, cioè na-
turale e proprio e della stessa sostanza del padre,
avea proposto il mistero della TrinitU con parole ora
pili oscure ed ora piìi chiare, come portava l'intel-
ligenza de' suoi uditori, e che però non predicava
un Dio carnale, come presuppone l'ebreo : molto
meno la pluralità degli dei o un Dio diverso da
quello che gli ebrei adoravano: e che questa stessa
dottrina non era nuova ma dedotta dai medesimi
libri degli ebrei. Quanto poi alla illegalità del giu-
dizio, primieramente il N.A. si serve delle armi del
suo avversario, il quale dice : che si esigevano tre
tribunali, affinchè in qualsivoglia cosa s'inquiresse
contro il reo presunto: che l'accusato era trattenuto
fino all'ora della discussione senza essere sottopo-
sto ad alcuna frode o interrogazione suggestiva, af-
finchè l'innocente nella costernazione della sua men-
te non avesse a somministrare armi contro di se, pel
qual motivo eziandio dovevasi esaminare la probità
dc'testimoni: che davasi all'accusato la facoltà di di-
fendersi: che doveva differirsi o dilazionarsi l'esecu-
zione della sentenza al giorno appresso ed anche
al terzo: che rlcercavasi la pluralità de'voti per la
condanna: che al luogo del supplizio doveano tro-
varsi due magistrati, se per avventura anche per
istrada o in quel luogo si presentasse giusta cagione
dì assolvere il reo, siccome avvenne alla casta Su-
Teologia del Perrone M
^anna: che finalmente, esaurito quanto potesse favo-
rire il reo , i magistrati dicevangli : Quid turba-
sti nos ? Turhahit te Doininus in hac die : hac die
turhaberis., non in futuro saeculo.
Ninna peraltro di queste cose^ come narrano gli
stessi evangelisti citati dal medesimo Salvador, eh-
be luogo. In fatti, 1.° i farisei e i sacerdoti non fu-
rono mossi ad accusare Gesù Cristo per motivo di
religione e per bene della società, ma dal solo li-
vore ed invidia , come l'istesso preside conobbe :
2.*^ assai prima che s'impadronissero di lui avevano
macchinata la sua rovina: 3.° gli tesero molte in-
sidie per prenderlo in fallo colle sue stesse parole
ed accusarlo : h.^ ne' conciliaboli a ciò stabiliti di
comune consiglio la sua morte decretarono: 5.° cor-
ruppero col denaro uno de'suoi stessi discepoli per
tradirlo: 6.° appena fu carcerato, consultaron fra lo-
ro i seniori intorno al modo per mandarlo alla mor-
te: 7." i suoi stessi giù dici furono i suoi più acerri-
mi nemici: 8." tutto fu tumultuariamente operato
nello spazio di poche ore; cioè dalla mezzanotte cir-
ca fino alla mattina seguente: la religione non fu se
non il pretesto e il manto, con cui si cuoprirono. Im-
perocché prima accusarono Cristo innanzi al preside
come malfattore, quindi di delitto di religione, fi-
nalmente di delitto politico, e sempre senza idonei
testimoni; 9° finalmente colle minacce e cogli schia-
mazzi fecero forza al preside per estorcere da lui la
condanna di morte. Dalle quali cose chiaramente si
pare,che non solo fu iniquo,ma illegale, anche nelle
forme giudiziarie preposte dal medesimo avversario,
il giudizio contro di Cristo. Finalmente dimostra il
p. Perrone che non solo i soldati e i carnefici dipor-
taronsi a loro talento nel tormentare, nel villaneggi»-
12 S e 1 E n 2 E
re e nello schernire il redentore, ma gli stessi sacer-
doti e farisei addimostrarono una fierissima rabbia.
A convincersene basta solo la lettura di quella cru-
delissima passione nel modo come a noi gli evangeli-
sti la narrano. Ed infatti perchè non punirono quel-
lo schiaffo dato al Nazzareno contr'ogni dirittoj' Per-
chè in tutta la notte, contro il divieto della legge, al-
l'insolenza de'ministri lo abbandonarono? Perchè i
pontefici stessi richiesero da Pilato il supplicio della
croce ? Perchè i principi de'sacerdoti co^senìori in-
sultavano ed acerbamente beffavano quel giusto, fin
anco nel punto in cui rendeva l'anima al padre ?
Gittato cosi a terra fin dalle fondamenta V edifizio
dell'empio ebreo, passa il N. A. a confutare le ob-
biezioni e pone fine alla prima parte del suo trat-
tato.
Venendo poi alle prese contro gli eretici, pre-
senta primieramente la giusta ed esatta definizione
della incarnazione: quindi cominciando dalla divi-
na natura di Cristo, per ben esaurire e racchiude-
re tutta la materia, dimostra che in Cristo deve ri-
conoscersi e credersi la vera e propriamente detta
divinità ossia natura divina, e ciò perchè Cristo lo
predicò di se stesso ai giudei, lo predicò ai suoi di-
scepoli; né gli evangelisti, né i giudei lo presero in
altro senso , ne in altro modo hanno sempre gli
scrittori sacri insegnato. Parlando il N.A. della natu-
ra umana di Cristo, divide la materia in due propo-
sizioni, da cui deduce alcuni corollari. La prima
proposizione è questa, che il Verbo divino assunse
una natura umana intera e perfetta a noi consustan-
ziale dalla quale assunzione ne deriva, 1.° che la
carne di Cristo è vera , solida , non apparente e
fantastica, 2." che il corpo di Cristo non è venu-
Teologia del Perrone 13
to dal ciclo, ne di celeste sostanza è formato, ma
bensì è umano e preso dall'utero di Maria vergi-
ne, 3.° che il Verbo divino assunse un' anima ra-
gionevole, k^ che il corpo di Cristo a motivo del-
la sua natura fu sottoposto agli afifetti , ai dolori
alla corruzione e alla morte. Dimostra quindi il Per-
rone nell'altra proposizione , che Cristo fu conce-
puto di Spirito Santo, che nacque da Maria salva
la sua integrità, innanzi al parto, nel parto e dopo
il parto ; il quale sovranaturale concepimento di
Cristo viene dall'autore con ogni maniera dì argo-
menti e con scelta erudizione sostenuto, tanto con-
tro gli ebrei e razionalisti quanto contro gli eretici
di ogni tempo.
L'eresia di Nestorio è quindi confutata allor-
ché il N. A. parla della unione ipostatica delle due
nature in Cristo. Questo capo è suddiviso in due
articoli, nel primo de'quali si prova che unica e
divina è la persona di Cristo , dalla quale proposi-
zione fa discender l'altra, cioè che la Vergine bea-
tissima a ragione è chiamata Deipara^ ossia madre
di Dio.
UadozianisniOf quell'empia dottrina messa fuo-
ri nel secolo Vili, con cui per le due nature di-
stinguevansi in Cristo due filiazioni, una cioè na-
turale come figlio di Dio , 1' altra adottiva come
uomo, e che per conseguenza come il nestorianismo
veniva ad ammettere in Cristo due persone, è in
seguito attaccato dal p. Perrone. In questa sotti-
lissima quistione scevei*a egli tutto ciò ch'è di fe-
de da quello che è scolastico : e posto nel vero
suo lume lo stalo di essa, dimostra esser di fede
che Gesii Cristo è figlio di Dio naturale e non
adottivo. L'articolo III è contro di Eutiche, e tratta
44 Scienze
della distinzione delle due nature in Cristo dopo
l'unione iposlatica: imperocché quell'eretico era ca-
duto in un errore del tutto opposto a quello de'ne-
storiani. Il IV articolo è contro i monotelltl, ed in
esso dimostrasi che devono riconoscersi in Cristo
due naturali operazioni e volontà indivise e incon-
fuse. Tratta in appresso della comunicazione degl'
idiomi, così appellano i teologi l'uso di enunciare
scambievolmente le proprietà dell'una e dell'altra
natura in rapporto alla medesima persona, e prova
ad evidenza non potersi essa ammettere, che in con-
creto, e non già in astratto, come assurdamente han
preteso gli eterodossi detti perciò ubiquisti. Facendo
quindi passaggio all'adorazione dovuta a GesU Cristo
sostiene che l'umana natura di Cristo devesi adorare
con quel medesimo culto di latria con cui adorasi
quella divinità a cui è congiunta.
Qui il nostro A. fa alcune savissime osserva-
zioni, cioè che altro è Voggetto, altro il jnotivo d'i
questo culto: che il fondamento, ossia il motivo di
questo supremo culto verso l'umanità santissima dì
Gesh Cristo, essendo l'unione ipostatica, ne siegue
che siffatta adorazione non termini e non si fissi sol-
tanto nella stessa umanità di Cristo, ma nel Verbo,
che secondo s. Giovanni Damasceno gli divenne sus-
sistenza. In ultimo osserva che tanto è adorare la
umanità ossia la carne di Cristo, quanto adorare
Cristo stesso, che giammai questa umanità di Cristo
può adorarsi in astratto^ ma bensì in concreto sem-
pre, cioè tutto intero Cristo, il quale non può essere
diviso in parti. E qui in una nota, colto il destro, ri-
batte il dottissimo e d'altronde ottimo Feller , e i
giansenisti, i quali di teologica inesattezza tacciato
aveano la notissima orazione : Sacrosanctae et indi-
TEOLocrA DEL Perrone 15
mduae Trinìtatl, crucifixi domini nostri Jesit Chri-
sti humanitati etc.
Questa proposizione fa strada al N. A. a parla-
re della ragionevolezza della divozione al sacro cuor
di Gesù, dimostrando che questo culto approvato
dalla santa fede, e solito a praticarsi, è pio e lon-
tano da ogni superstizione: imperocché , siccome
anche osserva il cardinal Gerdil, se la parte singola-
re in cui si dirige l'adorazione non si adora se non
per l'unione ipostatica colla persona del Verbo, ne
segue che nell'adorazione del cuor di Gesù si adori
la stessa persona del Verbo, e però tutto Cristo, di
cui non è altra la persona se non la persona del
Verbo.
Riguarda il quinto capo i titoli e gli offici di
Cristo. Siccome però ninna controversia cade sopra
i titoli ch'esso ha dì capo degli uomini, degli ange-
li, di profeta, di re, di giudice, così sono più bre-
vemente sviluppati. Contro i sociniani peraltro sta-
bilisce la proposizione, che Cristo ebbe un sacerdo-
zio veramente e propriamente detto, e che colla sua
mortale vita ne compiè interamente gli offici: quin-
di fissa e dimostra in una particolare proposizione,
che fu mediatore di vero nome e come Dio e come
uomo. Quanto poi alla soddisfazione e al merito fa
vedere, che Cristo veramente e propriamente soddi-
sfece per noi alla divina giustizia, perchè come sa-
cerdote offerì se medesimo a Dio in sacrificio e in
ostia espiatoria : perchè come sicurtà accollossi i
nostri peccati, e ne pagò la pena per essi dovuta:
perchè col suo sangue ci redimette : perchè come
mediatore, ci riconciliò a Dio e lo placò. Con che
pone fine al suo trattato , il quale come ognuno
può di leggieri conoscere è si concatenato e connes-
46 Scienze
so, che una verità scende naturalmente dall'altra
come per legittima conseguenza.
Più breve è l'altro che segue intorno al culto
dé'santlf ed è diviso in sei capi. Spiegasi nel Ipri-
mo la vera idea e divisione del culto, il quale in
altro non consiste se non se in quell'onore che a
Dio si attribuisce o alle creature ad intuito e ri^
guardo di lui. Questo culto, siccome a tutti è ben
noto, dividesi in latria, dulia, e iperdulia, ed è in-
terno ed esterno. Nel secondo capo parla TA. del-
la onestà e pietà del religioso culto de' santi: està»
bilito conj iilosofica precisione lo stato della qui-
stione, dimostra che pio è il religioso culto de'san-»-
ti, ed immune da ogni idolatria. Perchè fare reca
la testimonianza delle sacre scritture che lo com»
mondano, l'antichissima tradizione e la consuetudi-»
ne della chiesa; passa quindi ad esaminare la natu*
ra della cosa stessa, e ricava per la sua tesi una prò»
va degli avversari medesimi, recando fra gli altri un
potentissimo argomento desunto dall' autorità di
Lelbnizio. Dal culto de'santi ne discende per con-
seguenza la loro invocazionet ed il p. Perrone so-
stiene esser questa utile, valendosi di argomenti de-
sunti dalla sacra scrittura, e confermando la sua
proposizione col senso tradizionale di tutti i secoli.
Passa in seguito a far vedere, che le reliquie
e i monumenti de'santi sono piamente ed utilmeu'-
te dai cristiani venerati. Per meglio provare la sua
tesi , divide i monumenti de' primi tre secoli in
quattro classi. La grande premura de' primi cri-
stiani in raccogliere i corpi de' martiri , gli pre-
senta il primo argomento : deduce il secondo dai
monumenti eretti sopra le reliquie de'santi, vale
a dire camere, altari ec, il terzo lo desume dalla
Teologia del Perbome 4 7
grande sollecitudine dei medesimi in separare le
ceneri de'martiri e dividerle da quelle degli altri
corpi : il quarto finalmente lo rileva dagli ossequi
con cui i cristiani le veneravano. Il capitolo quinto
tratta delle sacre immagini: ed in esso il N. A. di-
mostra in due separate proposizioni, prima che
dalla sacra scrittura si ricava esser lecita questa ve-
nerazione, quindi che questo uso e venerazione ri-
levasi ancora dall'uso. Siccome poi conveniva all' A.
di addimostrarla specialmente dai primi tre secoli,
cosi egli si serve di tre validissimi argomenti. Il
primo lo desunse dalla consuetudine che avevano i
cristiani primitivi di esprimere i misteri della no-
stra religione per mezzo de'simLoli, come erano il
pesce, la colomha ec, il secondo da questi medesi-
mi simboli che si trovano nelle pietre, nelle lu-
'Cerne, nelle gemme, nelle pitture, in cui veggonsi
anco espressi alcuni fatti del vecchio e del nuovo
testamento: il terzo dagli antichi monumenti di al-
tri simboli, co' quali i cristiani effigiarono alcuni
fatti della vita di Cristo, la Beatissima Vergine, gli
angeli, i santi, non che le figure degli animali, della
nave, dell'ancora ec. ec. L'a\itore a conferma della
sua dottrina non ha mancato di recare monumenti
antichissimi, e quasi contemporanei allo stabilimen-
to del cristianesimo, valendosi eziandio dei pili ac-
creditati scrittori delle belle arti, come a dire del
Winckelmann, Agincourt ec. Stabilitone l'uso, ne
dimostra la venerazione con prove positive, e spe-
cialmente con l'accusa data dai gentili ai cristiani
perchè venerassero la croce e i crocifissi. Saggia-
mente poi fa osservare col Petavio, che le immagini
non appartengono all' essenza della religione, ma
che sono del genere di quelle cose, che non sono
G.A.T.LXXUI. 2
18 Scienze
assolutamente necessarie, e però è in facoltà dellst
chiesa il farne uso o no , secondo cket esigono le
diverse circostanze, e la condizione de'fedeli. E ciò
che dice delle immagini applica ancora agli alti e-
sterni, ossia al rito di questa venerazione, essendo
cose che appartengono alla disciplina, e sono sotto-
poste al reggimento della chiesa.
Per ultimo parla della croce: e lasciata da par-
te la quistione sull'autenticità della medesima, im-
perocché se quella che adorasi è la vera croce en-
tra nel numero delle sacre reliquie, se fatta a so-
miglianza della vera appartiene alle immagini, il
N. A. dimostra che tanto il culto che i cristiani pre-
stano alla vera croce, e alla sua immagine, quanto
il segno della medesima che costumano di pratica-
re i cristiani, è privo di ogni superstizione.
Da questo quadro, che dei due trattati abbia-
mo colla maggior ristrettezza abbozzato, può bene
argomentarsi la bontà, la chiarezza e la filosofica
precisione di quest'opera arricchita di opportune
note di ogni genere. Ed infatti non solo di essa
hanno con lode parlato giornali accreditatissimi ,
ma toccando appena la sua meta è stata di già ri-
stampata in Augusta, in Lovanio ad uso di quella
cattolica università, ed altrove se ne apparecchiano
nuove edizioni. Noi non potremmo chiuder meglio
questo estratto se non riferendo quanto i dotti
editori di Lovanio ne dicono nel loro prospetto
di ristampa, traducendo fedelmente dal francese le
loro parole. » Il padre Perrone, dicon essi^ profes-
sore di teologia dommatica nel collegio romano, per-
suaso della necessità di combattere colle loro stesse
armi i moderni novatori avea da alcuni anni forma-
to il progetto di un corso d'istituzioni teologiche,
Teologia del Perrone 19
in cui consei'vandosl tutti i principii generali e le
opinioni le piìi sane della teologia antica, si trovas-
sero le confutazioni di tutti i moderni errori, ed of-
ferire COSI agli studenti de'seminari un corso adat-
tato alle circostanze presenti. . . . Per riuscirvi non
ha egli risparmiato ne premure ne fatiche: si è po-
sto al giorno de'sistemi filosofici e teologici dei no-
vatori alemanni, e ovunque le loro dottrine offen-
devano il dogma o la verità li ha solidamente confu-
tati o colTapplicazione degli antichi principii , o
colle loro stesse confessioni. Le numerose note, le
quali adornano il testo, piene di solida e svariata
erudizione, mostrano fino a qual punto ha spinto
l'autore le sue ricerche. Egli più volentieri si occu-
pa degli scrittori recenti: nel primo volume cita e
confuta frequentemente la teologia dommatica di
Wegscheider stampata in Halla nel 1828, opera tut-
ta infetta del razionalismo e del socinianismo mo-
derno. Il padre Perrone risale pili in alto, e nota
l'analogia eh' esiste fra questi errori e quelli di
Fichte, Koppen, Niethammer e di molti altri te-
deschi, i quali sonosi perduti in uno stravagante
idealismo.
» Le quistioni dibattute nel nostro paese , e
quelle che occupano al di d'oggi le sponde del
Reno, non sono sfuggite alla diligenza del p. Per-
rone. In una lettera indirizzata ultimamente ad un
professore della università cattolica ( di Lovanio )
egli si esprime così «Nel trattato de locis theologicis
« a Dio piacendo ho intenzione di scrivere intorno
* all'analogia della ragione e della fede, e in que-
« sto luogo chiamerò ex professo ad esame i tre
« sistemi di La-Mennals, di Bautain, e di Hermes,
« e farò conoscere quanto gli uni e gli altri siensi
20 Scienze
« scostali (lai vero senso cattolico nei 'loro rispetta
« vi sistemi, e fisserò la regola da seguirsi da quel-
« li i quali non vogliono traviare dal buon sentiero,
« che ci hanno tracciato i nostri maggiori. » Queste
consultazioni si necessarie punto non ritardano il
cammino dell'autore: le dilìicolta sono presentate con
tanta chiarezza, che all'istante si afferrano, e le ri-
sposte sono cosi precise, che confermano sempre più
la tesi. Le ricerche del P. Perrone lo hanno condotto
a trattare parecchie quistioni nuove, che prima di
lui non si sono vedute in altri corsi teologici....
„ L'opera che noi annunciamo non è dunque
semplicemente uno scritto di circostanza, ma di tut'^
ti i tempi: ne adattato ad un sol paese, ma a tutte le
scuole teologiche de'nostri giorni. Non si può rimane-
re indifferenti agli errori, e agli aheramenti de'teo-
logi protestanti o cattolici senza esporsi al loro di-
sprezzo, o non abbandonarli alla loro presunzione:
spesso poche parole bastano per addimostrare la futi-
lità della loro dottrina. Ma se s'ignorano i loro erro-
ri, si crede d'ignorarli per debolezza di spirito, e di
non aver forza per seguirli in quelle sublimi regio-
ni ove credono di volare. Ora non esiste opera piìi
propria a dare una giusta idea di questi errori, che
le istituzioni del P. Perrone, che ha veramente ap-
profondato le quistioni, e le ha sempre risolute coi
soccorsi degli antichi principii.
„ Questo non è solo uno scritto di pura con-
troversia: contiene un corso completo di teologia
dommatica utilissimo alla predicazione .... Ag-
giungiamo ancora che lo stile è facile e chiaro, il
metodo semplice e lucido, per cui piacevolissima
se ne rende la lettura, non vi si osserva alcuno
sforzo, alcuna pretensione, ma una costante sempli-
Teologia del Perrone 21
cita hen difficile a trovarsi in opere di siffatto
genere. „
Dopo il quale giudizio nuU'altro osiamo noi di
aggiungere a lode del eh. autore, il quale ha già da-
to alla luce il quinto vohiine che contiene i trattati
de grafia et de sacramentis in genere, de' quali
parleremo in appresso.
F. Fabi Montani
Continuazione della rivista di alcuni lavori di mC"
dico argomento pubblicati dai signori professori
Medici^ Ferrarese, Paolini, Borelli, Valentini ec.
(V.pag. 272, voi. 175).
Osservazioni di tisi polmonare con considerazioni
fisiologico-patologiche e terapeutiche intorno la
medesima. Del dottore Marco Paolini, letta n el-
la seduta della società medico-chirurgica di Bo-
logna nel 2Q settembre 1835, e tratta dal voi. 1
delle memorie della predetta società. ( Bolo-
gna 1836 ),
J-ia pratica esperienza conferma luminosamente
l'affetto, con cui il N. A. da principio alla sua in-
terressante osservazione; cioè, che « seljhene la ti-
fi sichezza polmonare ^colpisca il piìi delle volte gli
« oggetti più cari nella primavera della vita, seb-
« Lene prediliga le forme piìi delicate e gentili,
« pure non la perdona alcuna volta ad individui
« robustissimi, facendoli sua vittima nel vigore del-
22 Scienze
» la virilità, » Trovavasi infatti all'anno 31 della
età sua il milite, che il subietto forma di questa
istoria, immune da morbosi attacchi, a ritroso dei
disagi e disordini che seco porta la vita del soldato;
robustissima era la sua costituzione, ed atletica sor-
tito aveva la sua conformazione. Varie forme mor-
bose incominciò indi a soffrire, in virtìi delle quali
vide l'infermo la necessita di correggere le perni-
ciose abitudini contratte, e massimamente quella di
fumare il tabacco quasi continuamente, oppure di
masticarlo, e di frenare la soverchia passione del
vino di cui tracannava moltissima copia, e di bere
nel mattino boccali interi di acquavite. Dopo varie
alternative di morbose ingruenze e di non perfetta-
mente ricuperata salute, si vide prevalere il morbo
nel lato sinistro del torace sull'anno ^8 della età
sua, rendendosi più pronunciato con chiara diagno-
si, e presentando ad intervalli quelle calme e que-
gl'inasprimenti che soglionsi comunemente in cosi
fatte malattie osservare. Nel marzo del terzo anno ,
decorrendo il cinquantesimo di sua età, fattisi viep-
piìi manifesti i sintomi di tisi polmonare inoltrata,
cui aggiungevansi quelli di cronica enterite, fu ri-
coverato nell'ospedale di s. Orsola, ove il N. A. ri-
copriva la carica di medico assistente al prof. Pa-
lazzi medico-chirurgo primario in detto pio stabi-
limento (1). « Emaciazione estrema, tosse molesta
(i) Onorata ricordanza dobbiamo qui fare dello zelo, eoa cui
gareggiano nel prefato spedale il benemerito marchese Pietra-
mellara presidente della commissione amministrativa del medesi-
mo , e il prelodato sig. prof. Palazzi, tributando ad entrambi
le giuste lodi. Il secondo, cioè il sig. Palazzi , a progresso della
Rivista Medica. 23
B nelle ore della notte, e seguita nel mattino da
« sputo copiosissimo, piuttosto denso di un colore
« alle volte giallo-verdastro, striato di sangne, altre
« volte di un colore cinereo tendente al nero, di un
medicina ed a vantaggio dell'umanità, dopo avere nelle croniche
malattie tentati inutilmente i metodi di cura più commendati
dalla pratica, viene a mano a mano cimentando quei nuovi , di
cui yantansi dai giornali i fortunati successi. 11 presidente d'altron-
de, nel favorire quest'ultimo divisamento, vuole che niun mezzo
si lasci intentato, ancorché di alto prezzo, purché idoneo riten-
gasi ad arrecare un qualche conforto agl'infelici infermi di cro-
niche infermità, cui quell'ospitale é destinato. Ed il locale altre-
sì ha ricevuto molti ed utilissimi miglioramenti per le cure di
quella commissiono amministrativa, che gelosa è stata di secon-
dare le paterne intenzioni di quell' eminenlissimo arcivescovo.
Con lavori quindi più decorosi ed eleganti, ma insieme più op-
portuni per lo ben essere dei malati, si é provveduto all' abban-
dono di qualche sala umida, poco ventilata, ed in.=iilubre , col
sostituirvi in un quadrato capace di numero i8o infermi ,, quat-
„ tro ampie sale spaziose e ben ventilate, due per gli uomini e
,, due per le donne. Gli affetti di morbi venerei e sordidi cu-
,, tanei vengono accolti in sale separate , che sonosi di molto
„ migliorate. V'ha un nuovo locale per i bagni ad acqua , il
„ quale alla comodità unisce una certa eleganza. L'arena pei ba-
j, gni a vapore è stata ridotta a maggiore ampiezza, e le modi-
„ ficazioni aggiuntevi le hanno tolto alcuni difetti, per cui è
,, molto preferibile a quella ch'eravi in addietro. Anche il loca-
,, le destinato alla cura dei pazzi abbisognava non solo di esse*
,, re ampliato, ma eziandio che gli si togliessero non poche im-
,, perfezioni, le quali lo rendevano disadatto al trattamento di
,, siffatti ammalati. A ciò ha rivolto provvidamente la sua atten-
„ zione la suddetta benemerita commissione , ed al presente si
,, sta innalzando in vicinanza all'antico un nuovo fabbricato:
,, compito il quale , avranno quegl'infelici una più sana e co-
,, moda dimora, potranno instituirsi le necessarie separazioni ri-
,, chieste dalle varie specie di pazzia, si renderà più facile e più,
„ sollecita la operazione, e cos'i avrassi uno stabilimento non in-
„ feriore ai molti , che l'odierna civiltà ha perfezionati in Ita-
„ lia, e di ornamento e di decoro a questa nostra città. ,,
24 Scienze
« odore felentisslmo, difficolta di respiro continua
« e costante in qualunque posizione del corpo, sia
" nel letto, che alzato, accompagnata da un senso
« molestissimo di peso e di oppressione a tutto il
« torace, sebbene assaissimo remittente nel mattino,
« con sudori parziali, viscidi e profusi, ed esacer-
« bantesi vicino a sera, sensazioni dolorose e tensio-
« ne alla regione ombelllcale, diarea, orine scarse,
« di un color carico e quasi sempre sedimentose,
« dispepsia, ed abbattimento morale ( cosa straor-
« dinaria, perchè con coraggio e somma tranquUli-
« tà aveva tino ad ora sofferti tanti mali): tali erano
« i morbosi fenomeni che offeriva l'infermo, i quali
« pur troppo ci costringevano a lasciare ogni spe-
« ranza di ricondurlo in salute. „
Una lunga serie di terapeutici presldli fu posta
inutilmente in opera per l'indicato corso di circa
tre anni, con somma attività e costanza, con lo scopo
di debellare questa terribile malattia. Non si rispar-
miò di tratto in tratto il salasso, qualunque volta
una forte esacerbazlone lo richiedeva : si applica-
rono ripetutamente sanguisughe al torace ed all'ad-
dome; si praticarono molte fiate frizioni stibiate al
torace, e replicati vescicanti alle braccia, non che
in ultimo due fonticoli: si usò lungamente il kermes
minerale, la scllla, la gomma ammoniaca, l'estratto
di aconito, la mirra, i semi di fellandria, l'acqua di
calce, quella di catrame, i decotti di poligala ama-
ra e di lichen islandico, il decotto di Settala, il latte
in molta copia, l'acetato di saturno, il fumo delle
foglie di atropa belladonna state prima infuse in
una tintura di oppio, l'acido idrocianlco di Magen-
die, l'inspirazione del gas cloro, dell'aria marittima;
ne finalmente si trascurarono i purganti oleosi, i
RiriSTA Medica 25
clisteri, ed i mucilaginosi, quante volte furono dal-
la circostanza richiesti. In onta però di sì insistenti
tentativi mancò ai viventi 1' infermo nell' otto-
bre 1831.
Infra i vari trovamenti nescroscopicì, isvelati
dall'autopsia cadaverica, riflessibili sono i seguenti.
Si rinvennero quasi intieramente ossificate l'estre-
mità sternali delle coste e vere e spurie. La pleura
costale aderiva per molte briglie alla polmonare ;
era la prima in molti punti realmente ossificata per
lunghi tratti, particolarmente nelle regioni superio-
re ed anteriore di amendae i lati del torace, che
corrispondono alla 3^, 4^ e 5^ costa vera. A mano
a mano che la medesima si estendeva tanto anterior-
mente verso lo sterno, quanto posteriormente verso .
la colonna vertebrale, vestiva natura cartilaginea
marcatissima. assai grossa e robusta, la quale però
andava assottigliando,ed ofi'eriva piuttosto i caratteri
del tessuto fibroso e nelle parti superiori che guar-
dano le prime due coste, ed inferiormente ove ade-
risce al diafragma. La pleura polmonare alquanto
ingrossata, e sparsa qua e la di pseudo-membrane.
L'interno tessuto polmonare guasto ed interamente
distrutto;ampie caverne fra loro comunicanti, e con-
tenenti alcune un materiale marcioso, ne tenevano
le veci. Piccolo e ristretto lo stomaco; aumentato di
volume il fegato, di colore giallognolo e di una du-
X'czza considerevole ; la villosa del digiuno e piìi
quella dell'ileo di un color rosso-cupo, qua e la
sparsa di esulcerazioni, e al di sotto di esse materia
tubercolare. La pelvi del rene destro moltissimo di-
stesa, perchè occupata da un calcolo di renella si-
migliantissima all'arena, della grandezza di un uo-
vo di piccione, le particelle di cui avevano fra loro
26 Scienze
pochissima adesione. Si tennero dal N. A. per mol-
ti mesi in macerazione le coste unitamente alle por-
zioni ossee di pleura che ad esse aderivano ; venne
con tal processo distrutta la porzione cartilaginea,
e rimasero attaccate alle coste sei lamine o finestre
ossee, quattro delie quali della forma e del diame-
tro di un parietale di un feto settimestre, e le due
altre più piccole; e tali lamine presentavano tutt'i
caratteri fisici di una fisiologica ossificazione.
Lo studio dei rapporti fra le organiche lesio-
ni dalla necroscopia appalesate, ed i sintomi che
han segnato il corso del morbo, ha formato il su-
bietto delle meditazioni del N. A., il quale alla rife-
rita istoria aggiugne preziosissime considerazioni
fisiologico-patologiche che rendono assai istruttivo
il suo lavoro. Dalla degenerazione osseo-^cartilaginea
della pleura costale, assai meglio che dai profondi
guasti dei polmoni, viene spiegata la costante e mo-
lesta difficoltà sperimentata dall'infermo nell' atto
della inspirazione all'innalzamento delle coste. A
buon senno infatti riflette il sig. Paolini, che negli
ammalati di sola tisi polmonare la difficolta del re-
spiro o non compare che nell'ultimo stadio, oppu-
re comparendo dapprima segue per lo piìi le vicen-
de degli altri morbosi fenomeni , d' inasprimento
cioè e di tregua. Ma ingegnosa oltre modo ed assai
soddisfacente troviamo l'applicazione analogica del-
le odierne cognizioni che possediamo in fisiologia,
affin di rendere qualche ragione di un singolare fe-
nomeno, che precede le ultime ore del vivere de-
gl'infermi di tisi polmonare. La morte ivi di al-
cuni di essi è preceduta da una placida agonia, ed
il respiro degl'infermi di poco si fa più frequen-
te ; mentre all'opposto in altri presenta l'infermo
Rivista Medica 27
un orribile e miserando spettacolo di difficolta di
respiro salita al grado di ortofnea, di aspetto spa-
ventato, di smanie terribili, di conati assidui per
soddisfare al pressantissimo bisogno che ha di re-
spirare. Or cjuesti due opposti stati sembra che deb'
bano essere ingenerati da due opposte cagioni, e
che diverse fra loro, dice l'A., debbano offrirsi le
alterazioni patologiche degli organi polmonari, o
sia per l'estensione e la profondità loro, o sia per la
prevalenza del morboso processo in parti piìi o me-
no essenziali all'eseguimento di cos'i importante fun-
zione. E per render qualche ragione di cotale sin-
golarità, profittando il N. A. de'lumi che possedia-
mo in grazia degli esperimenti del Rolando, del
Legallois, del Wilson Philipp e del Brachct, ap-
plicandone al caso in proposito i principii fisiologi-
ci (1), conghiettura, che sebbene le alterazioni pa-
(i) Sottoponendo il sig. Brachet ad accurate investigazioni
il sistema nervoso ganglionarCj ed il nervo pneurno-gastrico , e
studiando in pari tempo l'influenza che questi esercitano sulla
funzione dei polnioni, giunse colla scorta dei fatti a poter de-
durre, che i nervi gangUonari presiedono ai cangiamenti chimici
del sangue ed alla secrezione bronchiale, mentre che al pneurno-
gastrico compete 1' ufficio di ricevere e trasportare l'impressione
al cervello che genera la sensazione del bisogno di respirare, non
che qualunque impressione disaggradevole prodotta nei bronchi
dalla presenza incomoda del muco e di qualsiasi altro corpo
straniero. Cosicché, in virtù di tale ufficio assegnato al nervo
pneumo-gastrico, il taglio di esso aegll esperimenti dei bruti
non permette più di sentire l'arrivo del sangue ne'polmoni, nò
di provare la sensazione che ingenera la privazione dell'aria re-
spirabile; sensazione in vero, che ove non siasi tocco il predetto
nervo, provasi in alto grado, e con tutte le forze tentasi di sod-
disfare, con agitazioni cioè, con apertura della bocca, con dilata-
zione delle narici.
28 Scienze
tologiche le più rimarchevoli sieno in apparenza si-
mìglianti tanto in chi fra i menzionati infermi fini-
sce placidamente i suoi giorni, quanto in coloro
che muoiono agitati da feroci smanie per respirare,
nulladimeno prevalendo nei primi i guasti nelle
propagini nervose dell'ottavo palo trovansi nelle
istesse condizioni di quegli animali, cui fu questo
nervo reciso sotto gli esperimenti indicati dal Bra-»
chet. Laddove gli altri infermi, cioè nei secondi ,
conservandosi intatte di esso nervo alcune dirama-
zioni, provano un irresistibile bisogno di respirare,
mentre per le degenerazioni degli organi, da cui
questa funzione dipende, mancano in molta parte
di mezzi onde poterlo appagare.
La prodigiosa copia di densa marcia, che per
un triennio gittò fuori dai bronchi l'infermo del
N. A., viene in conferma della dottrina di quei cli-<
nici , i quali ritengono non essere sempre quella
in proporzione colla estensione e col grado di dU
slruzione del tessuto polmonare, cui da luogo il ram-
mollimento dei tubercoli; e non esserne l'esclusivo
prodotto, ma effettuarsi pur anco per opera di un
filtro morboso, o di una secrezione purulenta, la
quale ha luogo dalle pareti spettanti all'incavo ul-
ceroso, e dagli stessi bronchi. Per tale continua ed
abbondante secrezione di pus egli e che depaupe^
rato viene il liquido riparatore di molta parte di
allumina necessaria alla nutrizione, e perdono gl'in-
fermi la vita nello stato di deplorabile marasmo,
Dal che desume il N. A. la giustissima avvertenza,
che tanto più sollecito l'Infausto fine sopravviene,
quanto più severa è la dieta a simili pazienti pre-
scritta, ed energico il metodo controstimolante pra-
ticato ; essendosi egli convinto che sono di molto
Rivista Medica 29
tllaggìori i danni da un tal trattamento derivanti
alla organica assimilazione, all'ematosìi alla nutri-
zione ed all'universale del malato, che i vantaggi
cui ritrae per la influenza di lui la parte affetta.
La trasformazione osseo^cartilaginea della pleu-
ra venne dal N.A. dimostrata mercè della consisten-
za, colore, forma, disposizione delle lamine, mercè
della tessitura insomma identica a quella che nello
stato normale dei due tessuti osseo e cartilagineo
riscontransi. La possibilità di cotale trasformazione
ossea delle membrane sierose e della pleura viene
roborata dalle osservazioni anatomico-patologiche di
vari scrittori ; e Tetiologia perfine se ne contem-
pla dal sig. Paolini) la cagione cioè di quest'orga-
nico pervertimento. E declinando in tale indagine
dall'esclusivo parere di coloro, che il risguardaro-
no come risultamento, o della irritazione, o della
flogosi , o di altrettante conseguenze di specifiche
materiali alterazioni dei solidi e dei liquidi essen-
zialmente fra loro diverse, fiancheggiato dalle fisio-
logiche considerazioni del Tommasini e del Medici,
e dalle belle osservazioni microscopiche instituite
dal Raspail al fine di scoprire il meccanismo che
tiene la natura nella fisiologica primordiale ossifi-
cazione e nell'accrescimento progressivo delle ossa,
è di opinione che le morbose trasformazioni ossee
cartilaginee e fibrose debbano ritenersi come modi
o gradi di una stessa condizione morbosa. E men-
tre per le osservazioni del Raspail rimane nel ca-
so in quistione rischiarato il meccanismo dell'ac-
cidentale ossificazione delle membrane sierose, gli
eccellenti lavori del Panizza d' altronde pongono
fuor di ogni dubbio la tessitura di esse eminente-
mente vascolare. Per lo che probabile giudica il N.
30 Scienze
A., che prevalendo pef l'ima parte nel sangue, per
un* alterazione della sua crasi , il carbonato ed il
fosfato di calce, oppure quegli elementi dai quali
questi sali risultano, ed avendo luogo per l'altra
dietro l'azione di un morboso stimolo un afflusso
maggiore di sangue nei vasi che per le sierose in
molto numero Serpeggiano, si formi l'incrostamento
calcare nelle pareti dei vasi, e ne risulti l'ossifi-
cazione : ossificazione che per le cose dichiarate è
verisimile che investa il vero tessuto membranoso.
Concorre a questo morboso risultamento, ad avviso
pur dell'A., l'iperemia o l'infiammazione: dalla qual
circostanza viene probabilmente favorito il mecca-
nismo dell'incrostamento. Effetto poi dell'esaurimen-
to della vitale energia debbe considerarsi l'alterata
miscela del sangue, ed analoga perciò a quella per
cui si effettuano nella età senile estese ossificazioni
di vasi e di membrane. Vien ciò comprovato dalla
considerazione delle cause che a cotesti alteramenti
danno luogo; tali sono l'abuso del vino e dei liquo-
ri spiritosi , le smodate fatiche lungamente soste-
nute, e gli eccessi di ogni genere che per l'esau-
rimento del principio vitale inducono una precoce
decrepitezza.
Dopo queste ed altre molte ben apprezzabili
premesse discende il N. A. a conchiudere nelle se-
guenti forme sul conto delle parziali ossificazioni,
e sul proposito di analogia di certi processi mor-
bosi ad essa affini. „ Per le quali cose tutte (egli
„ dice) parmi verosimile, che qualora in chi per
„ le cagioni esposte si generò quella miscela del san-
„ gue per la quale vi soprabbondano le sostanze
„ calcari, l'opera dei reni normalmente proceda, e
„ con tanta energia da essere sufficiente a liberarne
Rivista Medica 3f
f, il sangue, si aLbia in allora quella forma parti-
^, colare di malattia che si denomina renella; si pro-
„ duca in altri la gotta, perchè le loro abitudini,
„ gli abusi di venere cioè, il sonno e le oziose piu-
„ me affievolendo le forze nerveo-muscolari, e pre-
„ valendo la lassezza, intervengono facilmente ipe-
,, remie o infiammazioni nelle articolazioni, per cui
„ ivi quelle si separano a preferenza; e finalmente
„ in altri procedendo imperfettamente l'opera dei
„ reni , e per qualsivoglia cagione sviluppandosi
„ una attiva congestione, od un infiammazione nel-
„ le membrane, ne conseguita di queste la ossifi-
„ cazione „...,, Per tal modo considerando la con-
„ gestione vascolare e Tinfiammazione come le ca-
,, gioni prossime di quest'ultima degenerazione, si
„ spiega agevolmente come ora divenga ossea la
„ pleura, ora raracnoide del cervello ^ ora quella
„ del midollo spinale, ora il peritoneo, che inve-
„ ste il diafragma ec. Ondechè parmi di poter con-
„ chiudere, che la trasformazione ossea e cartila-
„ ginea della pleura costale del Toccati (tal era il
„ nome del subietto della presente istoria) debba
„ probabilmente considerarsi un risultamento im-
„ mediato dei replicati attacchi infiammatorii della
„ pleura, che unitamente a quelli dei polmoni egli
„ ebbe a soggiacere. „
Ne men sagace delle altre, o men ricercata con
medica filosofia, si è la spiegazione che ci offre il
N. A. della grave degenerazione tubercolosa dei pol-
moni ravvisata nel suo infermo per isquittinarne le
attenenze con le altre rimarcate lesioni. Se conge-
nita non era in quest'ultimo ed originaria la di-
sposizione all'affezione tubercolare, debb'egli averla
lucrata e col valor delle precedute cagioni e col
32 S e 1 E K « E
rigore dello tollerate morbose influenze. E qui
spinge piìi oltre le sue ricerche il N. A. per con-
chiuderne, ove fia possibile, che la morbosa con-
dizione dell'innervazione e della crasi del liquido
riparatore, da cui derivano i tubercoli nei polmoni,
sia per avventura uguale od analoga a quella che
ha prodotta l'ossificazione nella pleura. Vari argo-
menti riunisce in sostegno del suo assunto e di co-
tal conchiusione, che stabilisce per verisimile, per-
chè appoggiato a medesimezza o almeno analogia di
cause, ai caratteri fisici dei tubercoli, alle analisi
chimiche dei medesimi istituite dal Thenard, alle
ricerche di William Henry, alle sperienze di Proust,
ed alle osservazioni di Dupuy.
Con un sommario finalmente di considerazio-
ni terapeutiche chiude il sig. Paolini questa bella
e preziosa memoria di cui favelliamo, e che utili
possono tornare ai cultori dell'arte salutare. Fra i
vari farmachi recentemente preconizzati nella cura
della tisichezza, e che vennero, siccome superior-
mente si disse, amministrati, si conobbe che il pa-
ziente non ritrasse profitto dall' acido idrocianico
propinato sotto la formola di Magendie. Parve dap-
prima che diminuissero d' intensità le vespertine
esacerbazioni; ma niun cangiamento si rimarcò ne-
gli sputi e negli altri sintomi , mentre l' infermo
aveva d'altronde perduto affatto l'appetito, e lan-
guido sentivasi estremamente. La belladonna provo-
cava la tosse, e cagionava stordimenti e capogiri.
Fu in sulle prime abbastanza tollerato l'uso dell'a-
cetato di saturno, e parve moderasse i profusi su-
dori parziali; ma in seguito suscitò lancinanti dolori
nel tubo intestinale, che furon vinti dagli oleosi e
da' clisteri mucilaginosi. Non si promosse grave in-:
Rivista Medica 33
sulto di tosse, ne alcuna molesta sensazione dalla in-
spirazione del cloro gazoso, e soltanto qualche lieve
colpo di tosse alla sua prima impressione; ma ancor
questo sussidio terapeutico, sebben continuato per
un intiero mese, ebbe la istessa sorte degli altri ,
siccome inutile riuscì in tre altri infermi della stes-
sa malattia, ad onta dei prodigi che diconsi operati
dal cloro da Gannal e da Gottereau. Invalse già
da lungo tempo il consiglio di far dimorare i ti-
sici nelle stalle, siccome pur fece l'infermo del sig.
Paolini , o di soggiornare in vicinanza di valli o
di paludi ; ma inefficace ed anzi dannoso giusta-
mente ritiensi dal N. A. cotal suggerimento. L'os-
servazione infatti dimostra, come collocati quest'in-
felici sotto un' atmosfera umida e bassa o viziata
da eterogenee emanazioni, piìi prestamente si muo-
iano; mentre dall'altro canto le autopsìe fatte da
Reynaud , da Andrai e da altri , han fatto cono-
scere con quale facilita gli animali trasportati dal-
le contrade meridionali in un clima umido e fred-
do, o rinchiusi senza sole, contraggano l'affezione tu-
bercolare. Per lo che saviamente conchiude il N. A.
con Forget, che l'influenza di un bel clima è so-
la capace di prolungare l'esistenza dei tisici.
TONELLI
G. A. T. LXXIII.
34
Sulla logica, o sia primo trattato del Corso di fi-
losofia del sacerdote veneto Antonio Giusti pro-
fessore di essa disciplina nell'I. R. liceo convitto
di Venezia. Venezia 183G. Lettera critica di fra-
te Domenico BruschelU M. C, professore emerito
di logica e metafìsica nella pontificia università
di Perugia, alla Eccellenza Reverendissima di
monsignor Carlo Emmanuele de'conti Muzzarelli
uditore della s, romana rota ec> ec> ec.
D,
esiderava io da gran tempo e vivamente di con-
sacrarvi, monsignor mio stimatissimo, un qualche
argomento di ossequio, pel quale io dimostrassi
pubblicamente fino a qual segno mi onori della
dolcissima e generosa benivolenza che mi concede-
te. Ne prima d'ora io venni a ciò, impedito dal ti-
more di offerirvi cosa che al vostro pregevole aggra-
dimento non si uguagliasse. Tuttavia considerando
nel mio pensiero che un letterato e dotto , quale
voi siete, non può non riunire alla profonda sapien-
za quella nobile e delicata gentilezza che è tanta par-
te delle anime eulte, mi sono determinato ad inti-
tolarvi la presente epistola, la cjuale ad altro non
intende, se non a sottoporre al vostro giudizio al-
cune osservazioni che mi è sembrato buono di fare
intorno al primo trattato del nuovo corso di filosofia
che è dato alla luce in Venezia dal signor Giusti
colla promessa del compimento. E mi sollevo a spe-
rare che non avrete in ispregio l'offerta , comechè
Corso filosofico del Giusti 35
tenue; non gik perchè io la presuma degna dì voi;
SI bene perchè grazioso costantemente verso di me,
l'avrete a grado, e vorrete tutelarla col patrocinio
di un nome che ad ogni saggio e valente suona per
fama insigne sì venerato e carissimo. Dopo di che
vengo liberamente al proposito.
E innanzi tratto, quantunque niente per av-
ventura di nuovo ci dia quest'opera sotto T aspetto
della invenzione, dacché procede con cjuegli stessi
andamenti che dal comune dei logici e dei dialettici
da qualche secolo in poi furono praticati ; sembra-
mi tuttavia per ciò stesso ben commendevole il no-
stro autore per aver dato col proprio fitto a cono-
scere, siccome in punto di scienze, ma specialmente
di logica ( la quale delle altre tutte bassi a chiama-
re il fondamento), potrebbe la novità agevolmente
trasmodare in pericolo; e quindi meglio seguirsi in
essa le tracce dei nostri antichi di quello che espor-
si al rischio di non sicuro do2,matizare.
E veramente il signor Giusti ha diviso la sua
logica in cinque parti che a un dipresso equivalgono
alla omai vieta, se dir si voglia, distribuzione della
medesima solita a farsi precipuamente dalla piìi
parte delle scuole monastiche. Imperocché nella
prima si discori'e delle facoltà e delle operazioni
dell anima; nella seconda si comprendono le idee ed
i vocaboli che ne sono i nomi; nella terza i giudizi ,
le proposizioni, i raziocini e le argomentazioni; nel-
la cjuarta si pone il modo ad accertarsi della verità;
e nella quinta il metodo d'investigare la stessa veri-
tà e di proporla agli altri.
Nello svolgimento per altro della materia non
temerò di proferire, che il sig. Giusti, se non pri-
mo e solo, certo è da stimare a ninno secondo fra i
36 Scienze
perspicaci e savi ideologisti del tempo nostro ; flou
tanto per la notevole perspicuità dello stile , e per
quell'ordine lucido, che il venosino apprende a
qualsivoglia scrittore , quanto per la sodezza dei
pensamenti, per la giustezza delle ponderazioni, per
la esattezza dei raziocini, onde la sua beli' opera si
fornisce. Talché io bramerei, e penso che ogni buo-
no del pari lo bramerebbe, che questa logica larga-
mente si divulgasse nella penisola in preferenza di
molte altre che intollerabilmente e' ingombrano ,
acciocché dai giovani si studiasse con desiderio pri-
ma di avventurarsi al travalico, se lice usare cotal
parola, del mare immenso di cfuella scienza, la qua-
le come è atta e possente a sublimare gli spiriti e a
ben dirigerli se vi si attenda con sobrietà, cosi gli
altera e li disperde, ove con improvida intempe-
ranza sia coltivata.
Viviamo un secolo, in cui la sana filosofia è ne-
cessaria alle nazioni piìi che noi fosse in altro tem-
po giammai; e per aggiungere ad una sana filoso-
fia, d'uopo è informarsi ad una logica sana. Dac-
ché al certo non altramente che per la logica si af-
frenano le tendenze più o meno energiche di co-
loro, che si consacrano alla sapienza; e da siffatto
moderamento tutto dipende il ben riuscire dei gio-
vanetti che avranno un giorno somma influenza nel-
le civili bisogne della repubblica. Ora penso che
toccherobbesi a questo scopo si rilevato per la ope-
ra egregia di cui parliamo.
E lasciato a parte ch'essa non mostra servilità
di partito per cliicchcssia dei filosofi; dacché sic-
come è franca da un lato ad impugnare anche dei
pìlj rinomati quel che non sembra esattissimo, cos'i
dall'altro é sincera nell'applau lire alle opinioni di
Corso filosofico del Giusti 37
quelli che segnalaronsi per buona fede nell'ardua
ricerca della verità; dirò solo, che i principii da
lui gittati sono di tal maniera ben fermi, che men-
tre guidano l'intelletto a seguire la serie delle opi-
nioni ideologiche , troncano al primo colpo tutti
i sofismi dello insidioso materialismo.
Difatto poteva egli essere più giudizioso nel
segnare il principal fondamento di tutte le umane
cognizioni? Lo stabilisce l'autor chiarissimo nel sen-
so intimo e universale di tutti gii uomini, cioè a
dire m quella interna consapevolezza di ciasche-
duno, che è appellata coscienza. Quali utili conse-
guenze si derivino da cosiffatto principio, chiun-
que ha fiore di senno ben chiaramente lo vede.
Con ciò è dimostrata la essenziale attività ed ener-
gia dell'anima nostra, e viene al tempo medesimo
disvelata la falsità di que'sistemi, su cui pretendo-
no di puntellare l'ideologia i passionati fautori del
sensualismo. Dai quali si fa gran plauso a certuni,
che, non ostante le loro belle parole, hanno la mi-
ra di attribuire all'animale organismo ciò che non
può derivare se non da un essere puramente spi-
rituale.
Di che doveva seguitare, che il sig. Giusti si
andasse allargando, siccome ha fatto con tutta la
precisione, sulle varie operazioni dell'anima, enu-
merandone gl'incrementi, e con vera critica espo-
nendo di esse i diflferenti fenomeni. Il perchè dob-
biamo accertarci, che quanto resta del suo lavoro,
allorquando, come ci confidiamo, sarà di pubblica
ragione , a così beili preludi perfettamente ri-
sponderà.
La terza parte di questa logica ci offre un ot-
38 Scienze
timo quadro, per cosi esprimermi, di tutto ciò che
appartiene alla manifestazione dei pensamenti, spie-
gando con sempre uguale chiarezza come si enun-
cino i giudizi ed i raziocini, e quali sieno le for-
me delle diverse argomentazioni. E la quarta posa
i criteri della verità; e finalmente la quinta tratta,
come dicemmo, del metodo e di cercarla per se
medesimi, e di proporla agli altri. E qui è da no-
tare fra molte cose quel giustissimo esame com-
parativo che istituisce l'autore intorno ai due me-
todi, cioè l'analitico e il sintetico, non che l'appli-
cazione di ambedue alla invenzione ed allo inse-
gnamento; cose vanamente desiderate in molte ope-
re di cotal genere, e perciò al sommo pregevoli.
Onde, quasi riepilogando il detto fin ora, con-
cluderemo che il sig. Giusti siasi tenuto entro i
principii che ha professato, appresso la piìi seve-
ra disamina degli errori filosofici che in verità ser-
peggiano da ogni parte nei tempi nostri. E che
quindi non ci ha lode, la quale ad esso non si con-
venga, e la quale a migliore diritto per convenir-
gli non sia quando avrà recato innanzi alla italia-
na gioventù anche la metafisica. Per tal forma egli
sarà uno di que'benefici ristauratori della filosofia,
che fansi guida sagace al ritrovamento del vero ,
cui solo hanno da intendere tutti cjuelli che voglio-
no filosofare. Sotto il quale rispetto mi onoro di
far menzione d' una eloquente e dottissima prosa
dell'inclito porporato Paolo Polidori, avutasi da lui
medesimo nel 27 dello scorso aprile nell'aula mas-
sima dell'archiginnasio romano, in occasione dell*
apertura delle adunanze dell' accademia cattolica.
Ove io mi compiacqui di ascoltare nobilmente ma-
Corso filosofico del Giusti 39
neggìata questa materia (1); ed ebbi a risentire con-
solazione in vedere che i miei pensieri (mi sia le-
cito il dirlo) del tutto uniformi alle buone inten-
zioni del sig. Giusti , non divergessero punto da
quelli che nella sullodata prosa vennero dichiarati.
In breve, tornando per un momento al libro
di cui si ragiona, la vista dei lumi che ci dìx in
esso il veneto professore si è tale, che vivamente
ci stimola ad esortarlo anche una volta , perchè
non tardi all'Italia la promissione ch'egli ne fa di
compirne l'intero corso. Conciossiachè non dubitia-
mo che di quest'opera sia per giovarsi non tanto
la gioventìi amica delle filosofiche discipline e ab-
Lisognosa d'insegnamento, quanto coloro che hanno
in esso l'officio nobile di maestri.
Questo cenno di critica non potrebbe, monsi-
gnor mio stimatissimo, ad altri meglio essere in-
titolato che a voi; perchè alle finezze della lette-
ratura congiungete, per ciò che riguarda le scienze,
il pili retto discernimento. Qualunque egli sia, de-
gnatevi di aggradirlo per le ragioni che fino dal
bel principio vi addussi; e permettetemi che ab-
bia il bene di confermarmi
Di Vostra Eccellenza Riiia
Roma 19 maggio 1837.
Umo Devnio Obblmo Servitore
F. Domenico Bruschelli
(i) II subbietto della prosa fu concepito in questi termini;
,, Necessità di porre argine alla ognora crescente empietà del
secolo nostro con una riforma fondamentale degli studi filosofi-
ci, e in modo speciale della metafisica. „
40
Della cetraria islandica: Lichene d'Islanda.
Oono più anni dacché impresi a parlare del li-
chene islandlco, e fu quando conobbi che il carbo-
ne animale aveva la proprietà di assorbire la sostan-
za amara non alcaloidea contenuta nei vegetabili ;
ed in allora io proposi di trattare la decozione del
lichene islandico col carbone sopraddetto per aver
la gelatina spogliata dalla sua amarezza (1). In ap-
presso , seppi che alcuni chimici francesi avevano
parlato anche di questa preparazione del lichene,
ed il sig. Berzelìus nel suo trattato di chimica ne
fa egual menzione. Seppi in seguito che il salino
amarissimo del sig. Rigatelli, altro non era se non
che la sostanza amara contenuta in questo lichene.
Avendo dovuto preparare della gelatina dì questa
pianta, mi tornò l'idea di fare altre indagini.
Io qui non parlerò che di quelle cose cadute-
mi sotto i sensi: ed i miei colleghi giudicheranno
se questo mio lavoro potrà essere di qualche sus-
sidio alla scienza.
In primo m'avvidi che una decozione di liche-
ne di sapore amaro tingeva in rosso una carta tin-
ta col tornasole, e che bollita per lungo tempo per-
deva in gran parte la sua amarezza, ed in allora
non reagiva sopra la medesima carta. Se sopra una
(i) Gazzetta eccletica di Verona, marzo i833, pag. 87.
Cetraria Isalandica 41
decozione non prolungata coireboUizione versavasi
un poco d'acido solforico allungato, essa s'intorbi-
dava, e col riposo deponeva un precipitato gelati-
noso, il quale separato con pannolino ed alquanto
lavato, era amaro. Questa gelatina, dopo di essere
stata asciugata con carta emporetica, fu da me trat-
tata coll'alcool LoUente, e conobbi che questo flui-
do aveva disciolto la sostanza amara. Allungai la
soluzione coU'acqua, e si formò un intorbidamento,
quindi un precipitato giallastro, il quale aveva un
sapore amaro. La sostanza non disciolta dall'alcool
aveva un aspetto grumoso, era molle; fu fatta bol-
lire nell'acqua, si rigonfiò ed in parte si disciolse.
Fu separato il liquido da alcuni fiocchi, che riu-
niti presero un'apparenza gelatinosa, e questi fu-
rono messi a bollire nell'acqua contenente un po-
co di potassa: essi si disciolsero perfettamente, e
col raffreddamento si rappigliarono in forma di ge-
latina. Ridisciolta questa gelatina coU'acqua, vi fu
versato dell'alcool, del solfato di rame, del cloruro
di calcio, e formaronsi precipitati gelatinosi.
L'andamento di queste cose mi ha fatto sup-
porre, che la parte amara si sarebbe potuta sepa-
rare molto facilmente.
Misi in fatti una libra di lichene polverizzato
in infusione nell'acqua distillata fredda, nella qua-
le aggiunsi una dramma di carbonato di potassa
cristallizzato, ed agitai di tanto in tanto il miscu-
glio. Dopo lo spazio di poche ore trovai il liquido
amaro, ma veruna azione mostrò avere sopra la car-
ta tinta colla curcuma. Un'altra dramma di carbo-
nato di potassa aggiunsi al miscuglio antecedente,
e dopo il medesimo tempo rinvenni essere un poco
amaro. Una terza dramma dello stesso sale fu sciol-
42 Scienze
to nello stesso miscuglio, e dopo di averlo ben agi-
tato, il fluido cambiò in rosso la carta tinta di cur-
cuma; ma dopo qualche tempo cessò la sua azione
sopra la medesima, e l'amaro era del tutto sparito.
Tali descritte circostanze mi dimostrarono esser nel
lichene un acido, il quale a mano a mano combi-
navasi colla potassa e perdeva la sua amarezza. Ten-
tai allora di separare il fluido dal lichene, e ver-
sarvi sopra dell'acido solforico: ed ottenni un pre-
cipitato giallo verdastro, il quale non aveva pro-
priamente un sapore amaro, ma astringente. Conob-
bi in seguito che questo precipitato racchiudeva
della cera, della clorofilla, ed un poco di parte co-
lorante astringente.
Già dissi in altra circostanza, che 11 carbone
animale aveva la proprietà di assorbire la sostanza
amara contenuta in una decozione di lichene. Da
quanto sarò per dire vedrassi, che questo carbone
non solo ha la proprietà di assorbire la parte ama-
ra, ma ancora quella che costituisce la gelatina.
Una decozione di lichene perfettamente deco-
lorata col carbone, oltre al non essere più amara,
non e nemmeno acida. Fatta questa evaporare a
consistenza di sciroppo, non somministrò gelatina
col raffreddamento, ed il fluido tingeva in rosso una
carta colorata colla curcuma; cosicché, col solo trat-
tare la decozione col carbone animale, acquistò que-
sta proprietà. Questo residuo fu fatto bollire coli'
alcool, che disciolse pochissima parte colorante, ed
insoluti rimasero della gomma, che non formava ge-
latina coU'acqua, ed alcuni sali.
Il carbone, che ha servito al decoloramento del-
la decozione di lichene, fu lavato e diseccato, quin-
di trattato coli' alcool bollente , che non disciolse
Cetraria Islandica 43
che un poco di parte colorante: fu anche fatto bol-
lire colfacqua, e non mostrò avere veruna azione
sopra il medesimo : ma aggiunta un poco di po-
tassa all'acqua stessa, si ebbe un liquido colorato
giallo non amaro, che evaporato si rappigliò in ge-
latina, la quale bollita coU'alcool onde toglierli l'ec-
cesso di potassa e la parte colorante, il residuo avu-
to dopo tale trattamento aveva l'aspetto di una so-
stanza molle, oscura, che si discioglieva nell'acqua
bollente formando gelatina. Questa stessa gelatina,
dìsciolta nell'acqua in maggiore quantità, fu trat-
tata col carbone animale; la parte capace di som-
ministrare gelatina unita alla potassa venne inte-
ramente assorbita dal carbone, e la potassa si rin-
venne nel fluido acqueo»
Gl'indicati sperimenti sembrano sufficienti per
conchiudere, che la parte amara contenuta nel li-
chene possa appartenere ad un acido; che questa
sia nel lichene in combinazione , od in semplice
unione colla potassa, per il che possa disciogliersi
nell'acqua: che egualmente sia acida la sostanza at-
ta a formare gelatina: che questa sia del pari te-
nuta in soluzione dalla potassa: che la prima sia
un acido particolare: che la seconda appartenga all'
acido poetico. Il carbone, assorbendo questi due aci-
di, lascia libera la potassa: ma dico che il primo pos-
sa decomporsi, e che il secondo rimanga nel carbone
nel suo stato d'acido, il quale siccome insolubile nell'
alcool e nell'acqua non possa dal carbone riaversi
se non coU'addizione della potassa, la quale unen-
dosi all'acido poetico ritenuto dal carbone, forma il
pectato di potassa solubile nell'acqua e capace di
formare gelatina. Il sig. Berzeliiis nella sua anali-
si del lichene parla del bilichenato potassico. Un
M Scienze
dubbio della presenza dell'acido pectico in questo
vegetabile lo ha anche dimostrato, e Io ha creduto
nel sedimento estrattivo lo stesso chimico.
Che in realtà l'acido pectico ritrovisi nel li-
chene combinato colla potassa, si vedrà da quanto
sarò per dimostrare della gelatina di lichene otte-
nuta con prolungata ebullizione. Fu messa sopra
un filtro di carta: dalla medesima si separò un li-
quido alquanto viscoso, il quale non cambiava in
rosso una carta tinta col tornasole. Fu fatto eva-
porare: quindi fu messo in una capsula , e posto
al calore di una stufa onde diseccarlo: si ottenne
una sostanza lucida, che si distaccò facilmente dal
vase in forma di scaglie colorate in giallo scuro.
Furono messe dette scaglie nell'acqua distillata bol-
lente, nella quale si sciolsero in parte, ed insoluti
rimasero alcuni grumi molli, che furono separati
col mezzo di un pannolino. Il fluido diviso da que-
sti fu fatto evaporare, e non somministrò gelatina
col raffreddamento. Sopra una porzione di questo
furono versate alcune gocce di tintura di jodo, e
si ottenne una tinta blu, indizio che in esso si con-
teneva della fecola. Fu fatto evaporare il liquido
sino a secchezza, aumentata poscia la temperatura
si anneri rigonfiando e tramandando un odore di
zuccaro abbruciato: il residuo fu ridotto in cenere.
Messa questa nell'acqua distillata, si trovò che cam-
biava in rosso una carta tinta colla curcuma: ag-
giuntovi un poco di acido azotico, si produsse ef-
fervescenza: trattata la soluzione coll'ossalato d'am-
moniaca, si formò un precipitato bianco. 11 residuo
liquido evaporato sino a siccità fu trattato coU'al-
cool, il cpiale disciolse dell'azotato di calce, e ri-
mase insoluto un sale, il quale disciolto nell'acqua,
Cetraria Islandica. 4-5
e lentamente evaporato, somministrò dei piccioli
cristalli di azotato di potassa.
Un'altra sporienza che fa direttamente cono-
scere essere 1' acido pectico in combinazione colla
potassa, e che del pari lo è la sostanza amara, è la
ente.
Del lichene polverizzato fu messo in infusione
neir acqua distillata , e dopo qualche ora si vide
che tingeva alcun poco in rosso nna carta tinta
col tornasole: essa però non era punto amara. Fu
messa al fuoco, e portata all'ebullizione, indi colata
con panno di lana. Il fluido, che era alquanto den-
so, formò gelatina col raffreddamento. Questa gela-
tina era amarissima, e posta sopra un filtro di lana
lasciò separare un fluido, il quale non era ne acido
ne amaro. La gelatina, deacquificata in gran parte
con carta emporetica, fu trattata con alcool bollen-
te. Colato il fluido alcoolico, aveva un sapore ama-
ro. Diluito coU'acqua, non s'intorbidava: ma versan-
dovi cjualche goccia d'acido solforico allungatissimo,
diveniva opalino. Evaporato l'alcool si ottenne un
residuo amaro; il quale fu fatto diseccare, indi ab-
bruciare, e le ceneri furono disciolte nell' acqua ;
questa soluzione cambiava fortemente in rosso una
carta tinta colla curcuma. La gelatina, trattata già
coH'alcool, fu diluita con accjna distillata contenen-
te dell'acido acetico: filtrato il fluido, fu messo in
capsola di platino ad evaporare sino a siccità, e la-
sciò un residuo salino; portata la capsula all'incan-
descenza, e raff"reddata poscia, vi si versò un poco
d'acqua distillata, la quale soluzione tingeva in ros-
so la carta tinta colla curcuma.
Se la gelatina di sopra nominata, già trattata
coH'alcool, si faccia diseccare, e cjuindi polverizza-
46 S e I E N a e:
re, e poscia bollire colPacqua, può servire a for-
mare un'altra volta gelatina di lichene. Questa rac-
chiude una gomma della natura stessa della gom-
ma dragante, un poco di fecula, e del pectato di
potassa.
Riconosciuti i principii che costituiscono la ge-
latina di lichene, riconosciuto ancora essere l'ama-
ro contenuto nel medesimo un sale ^ il cui acido
che ritrovasi in eccesso è combinato con un po-
co di potassa , e che giustamente secondo il sig.
Berzelius potrà chiamarsi bilichenato potassico ,
formando il salino amarlssimo del sig. Rigatelli: os-
servato che quando l'eccesso dell'acido viene satu-
rato colla potassa, o con qualche altro ossido me-
tallico, il sale perdeva la sua amarezza, e che cer-
cando di togliere la potassa con un altr'acido, non
mai si è potuto avere l'acido isolato: considerando
ancora che un' ebuUizione prolungata del lichene
nell'acqua, era sufficiente per distruggere Tamarez-
za; ho desistito a fare ulteriori indagini onde avere
l'amaro isolato, ed invece mi sono convinto che per
ottenerlo conveniva seguire il metodo già annun-
ciato dallo scopritore, e che descritto ritrovasi nella
gazzetta eccletica di Verona, mese di giugno 1835, e
che per comodo de'miei colleghi vado a trascrivere.
» Sopra una parte di lichene polverizzato si ver-
sano quattro parti di spirito del commercio, che
segni 33 a 34 gradi dell'areometro di Baumèr Po-
sto ciò in matraccio, si faccia infusione a B. M. per
un'ora, quasi alla bollitura. Poscia si faccia bollire
per Saio minuti; così bollente se ne sprema con
forza la tintura, rimettendo nel matraccio medesi-
mo il vegetabile, sottoponendo subito ad altra pari
Cetraria Islandica 47
infusione e bollitura, ma con una sola parte di al-
cool ed una tli acqua dì fonte.
» Spremuta anche questa infusione, ed unita alla
prima, si rimette nel matraccio già reso poUito, fa-
cendola bollire per due minuti, filtrandola poi pron-
tamente per carta, o per stamina. Intanto che ope-
rasi la filtrazione, si versano 36 parti di acqua fred-
da sopra il residuato lichene; e ben bene agitato,
lo si abbandona alla quiete. In mezz' ora tutto il
vegetabile sarà deposto; e l'acqua, divenuta legger-
mente amara ed un po' torbida, si verserà tutta di-
ligentemente nella tintura alcoolica già filtrata, evi-
tando che si strascini la più piccola quantità di de-
posito.
» Aggiungendo all'acqueo spiritoso liquore tre
dramme di acido solforico (supposto che si abbia
operato sopra una libra di lichene: il che starebbe
nella proporzione di circa tre centesimi d'acido in
confronto della pianta), si per Tuna che per l'al-
tra addizione lattiginoso sarà divenuto tutto il li-
quore , separantesi tosto il salino amarissimo in
istrati fioccosi bianchi verdicci , e dopo d' averlo
bene agitato si abbandona alla quiete per alcune
ore. Pel riposo 1' amarissimo si sarà raccolto sul
fondo del recipiente, dal quale si toglie mediante
l'estrazione del liquore soprastante; o col mezzo del
sifone , o colla filtrazione portando sur un feltro
l'amarissimo deposito a spogliarsi delle ultime por-
zioni del liquor acido spiritoso; anzi sarà bene ver-
sarvi sopra poca acqua fredda, la quale filtrando
lo spoglierà affatto. La sostanza amara rimasta so-
pra il filtro si disciolga in 36 parti di acqua bol-
lente, e la soluzione in questo stato si filtri, e si
aggiunga tre dramme d'acido solforico: si agiti ben
48 S e I E W Z K
bpne 11 miscuglio dibattendolo con mazzo di vimi-
ni, ed abbandonato quindi a se stesso si vedrà a
separarsi il lichenino amarissimo in bellissimi fioc-
chi di un bianco perla, i quali si depositeranno
al fondo dei vase. Separati i quali per mezzo di
un pannolino, si lavano alquanto, indi con un po-
co di pressione sì spogliano dell'acqua che stret-
tamente tengono unita, poi si diseccano al calore
di una stufa. » Lo scopritore dell'amaro del liche-
ne assicura, che somministrato nelle febbri perio-
diche, come il solfato di chinina, tronca la fe])bre
siccome il medesimo.
Pietro Peretti
Professore di Farmacia
il'- e
49
LETTERATURA
Degli antichi tuscaniensi^ e dei varii modi
di seppellire in l^uscania.
Jl ra i popoli dell'antica Etruria annoverati da
Plinio (1) sono i tuscanieìises, la cui citta fu Tu'
scania, oggi Toscanella, mia patria. Siede questa
su la destra riva del fiume Marta, eh' è l'emissario
del lago di Bolsena, anticamente lacus vulsiniensis^
nella media distanza in circa fra detto luogo ed il
mare tirreno. Era posta su la via Clodia , ora di-
strutta, a miglia LVII da Roma, com'è a vedere
nell'antico itinerario che i dotti conoscono sotto il
nome di tavola peutingeriana. Ivi dopo la stazione
di Blera (scorrettamente segnato nella tavola Olerà)
altra cospicua citta della stessa nazione, oggi ridot-
ta a piccolo paese col nome di Biada, è segnata la
distanza di miglia Villi, quindi Marta SS, cioè
Marta fluinen ( poiché quel segno SS è il solito, col
quale nella tavola vengono i fiumi indicati ) : indi
immediatamente Tuscana senza interposizione di
(i) H. N. Uh. HI, 9.
G. A. T. LXXIII.
50 Letteratura
veruna distanza fra il fiume e la citta. Ed è cor
51 infatto, come dall'itinerario si rappresenta, esi-
stendo anche oggi il vecchio muro urbano di To-
scanella a contatto col fiume Marta, e col ponte ora
diruto che Io attraversa. Sebbene da tuscaniensis
venga Tuscania e non Tuscana, certo è che anche
negli antichi tempi fu detta questa citta pell'un mo-
do e nell'altro: e della seconda appellazione abbiamo
esempio indubitato in una lapida del musep Medi-
ceo pubblicata dal Gori e dal Muratori, e piìi accu-
ratamente dal Marini (1), contenente un catalogo di
soldati romani con la indicazione delle loro patrie,
dove si ha MENOPOTIVS TVSGANA. Da Tusca-
nia e Tuscana più tardi si fece Tiiscanella e
Toscanella, cpme oggi si dice. La cjuale appel-
lazione trovasi la prima volta ( parlo dei documenti
legittimi, non tje'falsi, come il celebre decreto di
Desiderio re de' longobardi favoleggiato da frate
Annio da Viterbo) usata nella lapida del 1300 po-
sta in Campidoglio , tuttora esistente, la quale vò
qui trascrivere come importante monumento alla
storia di detta città nel medio evo, ed è la seguente:
(i) Fratr. Arv. toni. I, pag. 333.
AnT/CIII TUSCAKIENSI 51
+ MILLE . TIIECETEMS . DUI . CVBIIENTIBVS . ANNIS.
PAPA . BOMFATIVS . OCTAVVS . IN . ORBE . VIGEBAT.
TVKC . ANIBALLENSIS . RICCARDVS . DE • COLISEO.
NEC . NO!V . GENTILIS . VRSINA . PROLE . CREATVS.
AMBO . SENATORE* . ROMANI . CV • PACE . REGEBANf.
PER . QVOS . lA , PRIDE . TV . TVSCANELLA . FVISTI.
OB , DIRV . DAPNATA . NEPIIAS . TIBI . DEPTA • POTESTAS.
SVMDl . ReGIM . EST . AT . DATA . IVRIByS . VRBIS. (1)
FRVMTI . RYBLA . BIS . WILIA . TERRE . COEGIT.
ANNVA . TE . ROMA • VEL . LIBRAS • SOLyERE . MILLE*
CYM . DEVS . ATTVLEIT . ROlVIANIS . FERTIUTATEM.
CAPANAIH . PP' I . PORTAS . DEDVCERE . ROWAM.
OCTO . LVDENTES . ROMANQS (sic) MIcTERE . LVDIS.
MAIOBI . PENA . Pp'l . PIETATE . REMISSA.
STNT . QVOq' . COMMVNIS . SERVATA . PALATIA . ROME.
DV . MODO . CERTE . RVANT . TLRES . q' • PALATIA . MVRl.
SI . RVBLSVS . FVRERE . TETET . FORT . ASSIS . IN . VRBEM.
VEL . lAM . PRDLATA . NOLI NT • DECRETA . TENERE.
IN . EOE . REPONATVR . SACRA . P • TPE . GVERRE-
TEPORE . VEL . CARO . SERVADA • PECVNIA . PRSVS. (2)
Scorgesi da questa lapida quanto ancora fio-
risse questa citta nel 1300. Imperciocché , oltre
(i) Male il Turriozzi lesse - libi denipla potestas SUMMl
REGIM IN IS EXTAT eie. [Memorie storiche della città di
Toscanella, Roma i^yS. ) Egli doveva leggere : Tibi dempta po-
testas sumendi reginten est, at data iuribus urbis - ch'è qnauto
dire; ti è stato tolto il diritto di governarti da te, e dato a Roma.
(2) Cf. Galletti, Inscript. Rom. tom. IL p. IV, V.
53 Letteratura
che quel suo ardimento eli rivoltarsi contro il se-
natore ed il popolo romano, che in quella epoca
si erano impadroniti del governo dello stato e do-
minavano in Toscanella , come su'l resto (di che
sono non poche altre memorie), cader non poteva
in capo d'una popolazione fiacca e ristretta , più
chiaro argomento n'è la grave pena, cui per la sua
ribellione fu condannata da'vincitori romani. Non
dico dell'esser privata del diritto di governarsi da
se, e d'aversi veduto spogliar delle porte e della
campana municipale coadotta a Roma, ne del do-
vere ogni anno spedire alle feste del carnevale ot-
to giuocatori (cose che ci «ricordano i puerili costu-
mi «li quella età, quando le più serie guerre so-
vente finivano con far co'nemici fl dispetto di bric-
colar nelle loro citta un asino, o col far correre
un palio dalle meretrici su '1 loro territorio, o con
altri insulti di tal fatta), dico bensì di quella par-
te di pena molto più solida e sostanziale, di che la
obbligava di spedire a sue spese a Roma parimenti
in ogni anno due mila rabbia di grano , ovvero
negli anni fertili di corrispondergliene il prezzo
equivalente. Trovasi negli archivi di quel comu-
ne, che lungo tempo la nostra citta sostenne si du-
ra multa, fino a che dai papi ne fu a poco a po-
co assoluta intieramente verso la fine del secolo XV,
Per quanta però si fosse la di lei opulenza nel
medio evo, non v'ha dubbio che nella epoca etru^
sca era lungamente maggiore. Testimoni ne sono
i ruderi delle magnifiche costruzioni di quel tem-
po, la unmcnsa quantità de' suoi ipogei, e soprat-
tutto l'ampiezza del suo territorio, che a dispetto
delle varie diminuzioni, cui andò soggetto ne'poste-
riori secoli, si estende pur oggi alla vistosa quan-
Antichi tusganieksi 53
tita (li rubbia dodici mila romane. E Com'egli e
per sua natura assai fertile, irrigato da perpetue
e spesse sorgenti, diviso in agili colli e pianure,
G per ciò ad ogni genere d'agricoltura opportunis-
simo, in fine perchè rimane a poca distanza dal
mare, facilmente comprendesi quali dovizie ritrar
ne dovessero gli antichi abitatori, presso i quali
l'arte de'campi era in un con la milizia il domesti-
co esercizio: ne meno lo era il commercio, al qual
uopo la citta possedeva il porto delle Marcile su'!
Litorale di Montalto, che le fu ne'piìi tardi tempi
confermato da un diploma dell'imperadore Federi-
co II. Scorrendo questo territorio, e le immense bor-
gate di cui veniva popolato, ben vediamo come gli
etruschi costumavano di diffondere la popolazione
fino agli estremi confini del medesimo, piuttosto che
tenerla raunata nella citta, dove per ordinario ri-'
siedevano i ricchi ed agiati cittadini^ gli addetti al
governo ed ai ministeri della religione , alle arti
più nobili ed ai diversi ministeri della vita civile.
Così ottenevano essi due grandi Vantaggi ^ quello .,
cioè che la gente addetta all'esercizio de'campi abi-
tava ne'campi medesimi, e lungi dal lusso della cit*
ta, e dai vizi che ne discendono, serbava intatta la
frugalità, la semplicità de'costumi e la robustezza
campestre; l'altro che, come bene osserva Aristotile
ne'libri della politica, nel caso di una nemica in-
vasione erano pronti alla prima difesa i cittadini
abitanti sullo stesso confine del territorio, di dove
ne volava l'avviso di borgata in borgata a tutte le
altre parti, ed alla cittk finalmente, che mai per
ciò non poteva esser colta alla impensata. Nelle pub-
bliche memorie di quella citta si contano meglio
ehe quaranta di simili borgate sparse nel suo ter-
54 Letteratura
ritorio, ed ancor queste durarono per la più parte
sotto la denominazione di castelli fino al secolo XV,
quando il cardinal Vitellesclii, generale delle armi
pontificie sotto il papa Eugenio IV, li distrusse ge-
neralmente in odio dc'piccoli tiranni che vi si era-
no annidati, e che domati comunque in breve vi
rinascevano. Atto fu quello di malintesa politica
militare: e da questo si dee ripetere la desolazione
delle nostre campagne , che poco piii poco meno
coU'opera de'villani abitanti fino dalla epoca etru-
sca in quelle borgate si erano conservate floride e
coltivate di stabile piantagione.
Perche non pos^sa dubitarsi dell'antica istitu-
zione etrusca di qUe'luoghi, durano in essi gl'ipo-
gei ed i cuniculi e le altre fogge di sepolcri che
dagli etruschi si usavano, e fra i loro ruderi non
di rado si scoprono iscrizioni d'etrusco carattere ,
e bronzi, e vasi, e tazze ed altri cocci indubitata-
mente appartenenti a quella nazione, siccome a luo-
go a luogo si vedono avanzi di muraglie che ebbe-
ro etruschi fiibbricatori. Ne men curioso è il ve-
dere come i dintorni di queste dirute borgate con-
servino ancora i segni e le rinascenze delle anti-
chissime piantagioni, comunque oggi insalvatichite
dalla lunga incuria e dal totale abbandono. Veg-
gonsi ceppi vetustissimi d'olivi^ pianta vivacissima,
e che una volta profondamente abbarbicatasi sul
sasso non perisce a dispetto di molti secoli, comun-
que imbastardisca il suo frutto per mancanza della
usata cultura: veggonsi lambruschi e frutti di più
specie al modo stesso degenerati dalla primiera gen-
tilezza, le quali piante non sogliono incontrarsi ne'
terreni che sempre fur bosco, e non mai tali piante
nutricarono. In somma un occhio osservatore ed av-
Antichi tuscaniensi 55
vezzo a simili indagini per piìi indizi permanenti
può facilmente riconoscere e rappresentarsi Tanti-
co statò di queste contrade senza pericolo di erro-
re. II che sebbene ini qualche parte si verifichi cir-
ca le sedi una volta abitate daìllé altre nazioni, che
poi dal mìondo disparvero, di niunai di esse si tro-
vano ne si frequenti ne si parlanti quanto della
Etruria, perche ninna al paro di questa fu opero-
sa per tramandare ai posteri le sue memorie e co'
àùoiì scritti in pietre ed in tegoli, e coll'artè di la-
vorare in ogni genere di metalli e nella creta, e
con quellai di fabbricare solidissime muraglie , di
tagliare lunghe e coiriode vie dentro alle rupi, di
appianar la fronte delle rupi medesime e di scol-
pirvi sopra ad ornato de' loro ipogei , di scavare
acquedotti sotterranei di straordinaria magnificenza,
e fare altre tali opere, che impresso portano inde-
lebilmente il nazionale car^attere.
Quanto piìi il territorio si accosta vicino alla
citta, tanto più gli antichi vestigi si moltiplicano
e più gr'andiosi divengono: è quegl*ipogéi che in-
tornò alle borgate mostrano d'aver appartenuto ad
una più ristrétta popolazione, presso la citta in-
gortibrano la più patrie delle terre adiacenti, quelle
principalmente che somministraivano un fondo tu-
faceo ed abbastanza solido per la costruzione delie
camere sepolcrali, che fu il modo più magnifico di
sepoltura usato dalla nazióne nello stato della sua
maggiore opulenza. Ora perchè il dire delle sepol-
ture degli etruschi è cosa quanto necessaria alla in-
telligenza de'loro costumi, tanto complicatai e varia,
utile sarà: e dilettevole a*noslri leggitori che loro ne
diamo un qualche ragguaglio particolare.
Quanto più c'inoltriamo nell'antichità trovia;
56 Letteratura
mo radicalo nella umana razza l'universale senti-
mento della immortalità dell'anima, e della vene-
razione e del rispetto che dovevasi a'cadaveri destra-
passati. Gli etruschi, le cui origini si perdono nella
caligine de'secoli antichissimi, non solo per questa
parte non cedono a verun'altra nazione antica , ma
fra tutti si distinguono per la varietà delle ma-
niere, con cui si studiarono di esercitare la loro aft'e-
zione ed il cullo verso le ceneri de'loro defunti. Io
le descriverò, incominciando dalle più antiche e pe-
rò più semplici e disadorne, fino a quelle del mag-
gior lusso e splendore, e che ci annunziano i piìi
bei tempi del loro imperio.
Troviamo dapprima i sepolcri fatti a tumulo ,
cioò una fossa cavata nel suolo di tanta grandezza e
non più, quanta bastasse a coprire il morto, cui poi
ricoprivano con rozze tegole e con la terra al di so-
pra ammonticchiata. Ognun vede che modo più sem-
plice di questo non può idearsi, e conviene perciò
riferirlo ai tempi più vetusti della nazione. Imper-
ciocché anche questa nazione ebbe i suoi principli,
e ondunque provenisse, allorché giunse e si fermò
in Italia, ebbe da prima a lottare con la povertà e
la scarsezza che sono indivisibili dal nuovo stato di
qualunque popolo, ancorché non abbia nemici a
combattere nel suo primo stabilimento. Qualche
coccio, che in questi tumuli si trova, è di quella ter-
ra di color nero, che fu la materia del più antico
loFO artifizio, e che attestano con la rozzezza del la-
voro e Ja semplicità delle forme i primordi della
nazione.
L'altra antichissima maniera noi crediamo che
fosse quella dei cuniculi, scavati alla profondità di
molti metri, più o meno secondo la natura del suo-
Antichi tlscanieksi 57
Io, (Iella larghezza eli due o poco più palmi ( salvo
alcuni pochi di maggior larghezza ) e dciraltczza
Laslante perchè vi si potesse andare in piedi e dirit-
ti della persona. La lunghezza di questi è talvolta
di un quarto di miglio romano : talvolta se ne tro-
vano molti insieme alla stessa profondita e livello ,
alquanto distanti gli uni dagli altri, ne mal, ch'io
mi sappia, comunicanti fra loro. Sembra, che come
fu poi praticato delle camere sepolcrali, ogni fami-
glia avesse il suo cuniculo, dove i suoi defunti nelle
successive generazioni venissero collocati. Si comin-
ciava ad interrarli dalla estremità opposta airin-
gresso, e cosi a mano a mano si riempivano di ca-
daveri e di terra, ed ora di rado vi si univano que'
vasi che dissi della piìi rozza maniera, e quando il
cuniculo era affatto ripieno, con grandi sassi ne
chiudevano l'ingresso. Per tale maniera i cadaveri
affidati alle profonde viscere della terra divenivano
inviolabili, ed agli uomini ed alle bestie inaccessi-
bili. Trovansi talvolta altissimi pozzi perpendicola-
ri quadrati o rotondi, che nel fondo cangiano la lo-
ro direzione in quella orlzontale, e divengono cuni-
culi al modo che qui sopra si è detto ; onde pare
che il pozzo non servisse ad altro che alla maggior
difesa del sagro deposito. Ma ed i tumuli ed i cu-
niculi cessero a poco a poco a quell'uso piìi nobile ,
in cui tutta sfoggiò la ricchezza della nazione, e che
non finì se non con la ricchezza medesima, quello
cioè delle camere sepolcrali.
Fuori sempre della citta ( dove, per quanto i
fatti dimostrano, non era concesso di seppellire i ca-
daveri ) ma in vicinanza, e per quanto potevasi , a
vista della citta medesima, le camere sepolcrali si
ordinarono o su la ripa adiacente ad una valle o ad
58 Letteratura
un fiilTrticello, quando queste ripe fossero praticabi-
li e di iinà materia che cedesse allo scarpello, od in
mancfarlza di queste sulla pianura, purché di un fon-
do abbastanza sodo da soffrire il piccone senza pe-
ricolo di sciòglielrsi e riiiriaìré. L' innato desiderio
degli udniihi di siotpravvivere alla morte nella me-
moria dei'pósteri^ come: dettava quella vicinanza di
sepolcreti all'abitazione de' vivi, dettava ugualmen-
te la lóro collocazione pt^esso le strade principa-
li, e più frequentate da' viaggiatori: costume che
appartenne egualmente agli altri più colti popoli,
e segnatamente a'greci ed a'romani, che solevano
porre le loro epigrafi mortuarie allo scoperto.
I toscani peraltro nascondevano le loro epigra-
fi dentro la stessa tomba, ne alcuna mii fiì dato ve-
derne al di fuori della medesima : nel che sé i de-
funti per'devano dal canto della celebrità de'lòro no-
mi, guadagnavano certamente da quello dellai du-
rata delle loro epigrafi, lontane come gli stessi ca-
daveri da qualunque pericolo di devastazione. Ne
voglio dire con questo, che nessun segno ponessero
al di fuori per avvertire i forestieri che in urt dato
sito esisteva un lor cimiterio. Nei celebri sepólcri
di CasteU'Asso presso Viterbo, oltre che vedesi la
rupe stessa che li contiene adornata architettonica-
mente di divei'se sculture (1)^ evvi Scritto in alto
a lettere cubitali incavate nel masso il motto -
?3HIOVZflD3 -eca suthines; (forse in pace salvi (2).)
{\)V. Orioli, Dei sepolcrali edijìzii della Etruria media, tav,
III. IV. r.
(2) Vincenzo Cànipanàri ^ Dell'urna con bassorilievo ed epi-
grafe di Aruhte figliai di Lare. Roma iSaS, giornale arcadico
aprile iSSj.
ArtTICHI TUSCANIENSI 59
e che per essersi trovato inciso in altre urne e mo-
numenti mortuari è fuor di dubbio che ai morti
appartenga.
Nei sepolcri di falcia non raro è stato di rin-
venire, comunque caduti dal loro sito e scomposti,
alcuni membri architettonici che presentavano la
idea d'un fastigio fabbricato sulle tombe e da lun-
gi visibile, non ammettendo quel suolo di scolpirli
sul masso medesimo. In Nofchia^ sulla rupe di tufo
che una tomba nascotìde, si vede un timpano con
figure a tutto rilievo di bella scultura, comunque
guasta e corrosa dal tempo ; cos\ in Sutri ed altro-
ve altri ornati si veggono non ad altr'Uopo lavorati
che ad indicar là pi*esen2a de'sepolcri a' passeggìeri.
Venendo ora a dire del modo col quale forma-
vansi queste càmere sepolcrali, dlstinguerehio quel-
le scavate nel masso solido di tufo, e per ciò capa-
ci di maggiori ornati e di più comode divisioni, co-
me quelle di Toscanella, dalle altre Scavate nel mas-
so pili cedevole di rena, come quelle di Vulcla.
Sono quelle di Tuscania di grandezze diverse ;
il che dipendeva dalla maggiore o minore agiatezza
delle famiglie. Le più grandi avevano dopo l'uscio
d'ingresso una camera quadrata di 10, 45, ed an-
che 20 palmi di grandezza, con due porte dì rim-
pettoj le quali mettevano a due camerini da questa
divisi^ ed ambedue grandi quanto la camera d'in-
gressOé Ne'camerini era un letto funebre per cia-
schedunoj lungo 10 palmi romani all'incirca, cioè
quanto il camerino medesimo, alti dal suolo 4 pal-
mi in 5. A capo del letto era per lo pili rappresen-
tato un origliere con un incavo nel mezzo per adat^
larvi la testa del cadavere. Tutto era poi formata
dello stesso masso ed a punta di scarpello. La voltai
60 Letteratura
delle camere e tle'camerini, alta per lo più mdno»
della grandezza, era sovente fregiata di una tra-
beazione a rilievo, ed i letti sovente vedevansi coi
piedi foggiati a colonne, al modo stesso che usava-
sì ne'letti triclinarii, al c[ual modo foggiarono an-
che le urne mortuarie. Che in fatti gli etruschi s'im-
maginarono, per quanto ne dettano tutti i loro mo-
numenti funebri, che morendo si riunissero ad un
allegro e perenne convito. Non sempre v'ha la ca-
mera anteriore; che ciò apparteneva alle grotte più
distinte: i letti bensì non mancano mai, anche lad-
dove è una sola camera ed affatto disadorna, e di-
sadorni i letti.
Sopra di questi collocavasi il cadavere disteso,
ed accanto gli ponevano i candelabri di bronzo, i
vasi usati nel sacrificio funebre, le armi de'guerrie-
ri,ed ì pili cari utensili di cui si erano in vita serviti.
Le grotte sfcavate nel masso arenario, non pre-
standosi questo con ugnale solidità a quella elegan-
za che il tufo, erano per lo piìi disadorne affatto,
ne altra cura si aveva nel cavarle che di renderle
capaci giusta il bisogno , e ben ferme ne'loi'o punti
d'appoggio. Una porta avevano anch'esse, la quale
al pari di quelle di tufo , era sempre chiusa di
grandi sassi di tufo giallo o turchino, pietra natura-
le del paese, e non si apriva che per introdurvi un
nuovo cadavere. In queste grotte, dove non pote-
vano formarsi per la debolezza della materia quei
letti funebri che dicemmo appartenere alle tombe
incavate nel tufo, trovansi il pili delle volte delle
urne.
Dai tegoli scritti rinvenuti in queste grotte si
rese manifesto, che ciascuna famiglia, almeno le più
distinte, ne avevano una propria; per ciò che vi si
Antichi tuscaniensi 61
li'ovarono le epigrafi riunite di piìi generazioni del-
la stessa famiglia. Il che esclude quel favoloso rac-
conto del greco storico Teopompo, col quale volle
dare ad intendere la promiscuità delle mogli fra
gli etruschi (1).
Oltre le grotte di sopra descritte si vedono in
Tuscania due grandi cimiteri circolari, l'uno de'qua-
li conserva 1440 loculi, e l'altro poco meno , senza
contare gli avanzi di altri in gran parte distrutti.
Imperciocché è certo che ne'pili tardi tempi della
nazione invalse il costume di bruciare i cadaveri,
che per rantichissimo rito da prima si deponevano.
Abbruciati pertanto i cadaveri, se ne raccoglievano
studiosamente le ceneri e gli avanzi delle ossa, quin-
di collocate in un vaso, si riponevano ne'loculi an-
zidetti. Quei COSI grandi, che ho accennato, servir
dovevano di cimiterio comune. Ma è da notare che
presso le più antiche grotte, scavate nel tufo, fuori
della porta d'ingresso è per lo più un loculo più
grande che quelli del suddetto cimiterio comune,
che probabilmente servì ai cadaveri della stessa fa-
miglia proprietaria della grotta per riporvi le cene-
ri de'suoi , quando il costume dell'abbruciamento
era invalso, e non esser costretti di deporlo ne'locu-
li del cinerario comune.
Chiuderò questo articolo con la descrizione del-
la tomba poco distante da Tuscania, denominata la
irrotta della regina, che a me sembra insigne mo-
numento della più antica architettura di questa
nazione.
(i) Jp.Athen. XII, 5.
62 Letteratura
Questa grotta è scavata sotto un gran deposito
di lava che ne forma la volta. Le pareti sono di quel
masso arenario, che abbiamo indicato. Vi §i v^ per
un cuniculo poco regolare di 40 e più palmi roii^^ni
della larghezza dì due uomini di fronte, il cui piarr
no è allo stesso livellp del piano della grotta. L'al-
tezza è anche maggiore per un terzo della solita. È
scavata in una rupe che termina la vallata del fiume
Marta alla clestra di questo. Dopo il cuniculo si en-
tra in una camera larga per uno de' suoi diametri
circa 17 palmi romani, per l'altro circa a 40. Ma
il lato di frpnte all'ingresso non fa una parete a ret-
ta linea, ma dove più dove meno rientra e sporge
HeU'iqternp della camera.
Uno di questi risalti della sudetta parete è ta-
gliato appunto come un pilastro quadrato, il quale
ha nella sua cimasa una scanalatura semplice e rozza
e senza altro ornato, e che forma una specie di gola
rovescia. A circa 5 palmi da questo pilastro verso
la parete destra della grotta si presenta l'apertura
d'un cuniculo molto più piccolo che quello d'in-
gresso, il quale gira dentro l'interno del masso, e
viene a sboccare con apertura siiiaile sopra la sini-
stra parete della camera. Lo stesso cuniculq si dira-
ma e s'allunga in altro siniile verso Ja parte più in-
terna del masso, e non fu mai potuto tracciare piìi
oltre che alla distanza di 15 palmi per la riempitu-
ra della terra e dell'acqua che vi ha scolato dalla
rupe,
Nel bel mezzo di detta camera si veggono due
colonne di peperino, l'ima di diametro pai. 2,
onc. 6, alta, compreso l'abacp, ch'è d'una semplice
pietra quadrata della stessa materia , palmi 7 ,
onc. 85 ; r altra del diametro di pai. 2, onc. 4, al-
Antichi tuscaniensi 63
ta, compreso l'abaco, pai. 8, onc. 7. Queste colon-
ne, la cui rotondatura non è molto raffinata, poggia-
no sopra il suolo senza alcuna base: sono formate di
due pezzi disuguali ciascuno: gli abachi sono ugual-
mente disuguali, con questo che quello della colon-
na pili bassa è alquanto pili grosso dell'altro che fu
data ^lla colonna più alta.
A non mplta distanza delle dije suddette colonne
il fusto di un'altra simile giace per ferra, la quale
forse con la sua caduta è stata causa che quella par-
te di volta che n'era sostenuta ha ruinato, e forse a
scavare quelle ruine si troverebbe anche l't^baco di
questa terza colopna. Intanto per impedire un pre-
cipizio maggiore è stato costruito un arco eli muro
recente che fa sostegno alla volta.
j^ella parete sinistra della camere^ vederi il ta-
glio d'una porta, qhe genibra dare adito ad altra ca-
mera cQqtigiia ^ la^ quale essendo tutt^ inferrata ,
non si potè scoprire quali diraensipni e qual. for-
ma si abbia, in un lato della camere^ qui descrit-
ta giace mezzo ricoperta di terra la parete di un'ur-
na di peperino, che a quel che sembra vi fu anti-
camente depositata per la sepoltura d'un cadavere.
Tutta questa rupe presentando la medesima for-
mazione dì masso arenario e di lava, siccome an-
cora la stessa esposizione ed altezza , sembra che
desse luogo ad una quantità di queste camere se-
polcrali, una contigua all'altra: e ciò si rende me-
glio manifesto dalle buche che rimangono nel suo-
lo superiore in pivi d'un sito, e che altro non so-
no se non gli sprofondamenti delle volte delle
grotte medesime.
Certo che la struttura di questa che abbiamo
descritta ci presenta la idea della piìi meschina ed i
64 Letteratura
irregolare architettura. Ben vedesì che ni un contò
vi si è fatto della simmetria. Quel rozzo pilastro,
che non ha altro compagno nell'interno della carne-»
ra: quella sua cimasa così goffa e senza idea d' al-
cuna cornice o riquadratura che chiuda quella me-r
schina baccellatura : quelle due colonne in pie-'
di formate di due pezzi, ancorché sì tozze e poco
sollevate dal suolo: quella grande sproporzione fra
il diametro e l'altezza loro: quella mancanza di un
basamento , comunque disadorno : quella inugua-^
glianza e rozzezza degli abachi, che ben si vedono
posti non ad ornar le colonne, ma a sorreggere la
volta in pili punti d'appoggio, che non avrebber
fatto le colonne stesse sopra le quali aggettano d*
alquanto da ogni parte, sono indubitati contrasse*
gni d'un' arte eh' è ancora in fasce , e non osa di
dare un passo in avanti. E abbenchè vi si veda
qualche scintilla d'ornato e d'abbellimento, non ne
ha la giusta idea e non vuole sagrificarlo alla so»
lidi la del lavoro. Ne dicasi che questa camera possa
appartenere agli ultimi tempi della nazione (1),
1." perchè 1' impresa di scavar tali grotte sotto
uno strato di lava mostra piìi robustezza di brac-
cia e di genio, che di scavarla nel solo tufo o nel
masso arenario, come nei medii e negli ultimi tem»
pi della nazione si praticò (2): 2." perchè vari e-
sempi abbiamo di grotte scavate e che apparten-*
gono indubitatamente agli ultimi tempi, ma ninna
che sia puntellata con colonne portatevi dal di fuo-
(i) Micali, Ant, tnonian. tav. LXIII,lom. lll,p- io5 a 107.
(a) Vedi Micali loo. cit- e le piante di sei diversi sepolcri
tuscaniensi distinti co' numeri 3,4, 5, 6, 7, 8.
Antichi tuscaniensi 65
ri, come in questa; mentre le colonne di cui par-
liamo non hanno nulla di comune ne con la lava
che ne forma la volta, ne col masso arenario che ne
forma le pareti ed il suolo: anzi tutte quelle degli
ultimi tempi sono intieramente costruite e nelle pa-
reti e nelle volte e ne'letti della unica e sola ma-
teria o tufacea o arenaria, in cui furono scavate,
ne vi manca mai quella regolare simmetria che qui
non si vede. È poi noto che anche ne'templi dell'
antichissima Grecia le colonne erano d'un diame-
tro molto maggiore che non chiedeva la loro al-
tezza, secondo le belle proporzioni che l'arte inse-
gnò molto più tardi: e sa pure ognuno che da prin-
cipio furono ugualmente collocate sul nudo suolo,
e che se non più tardi acquistarono il plinto e la
hase (1),
Secondìano Campanari
(i) Altre cose dall'antica Tuscania dovrebbero qui aggiun-
gersi, da che il suo territorio d'ogni parie ci presenta alcun
vestigio degli antichi suoi abitatori; ma tralasciando gli oggetti di
minore importanza, dirò alcune cose dell'antica acropoli , oggi
conosciuta sotto il nome di colle di s. Pietro. Recentemente si
scoperse nell'orlo della sua sommità un portico d'ordine tosca-
no {iffatto diruto , le cui colonne di peperino, ed altri membri
caduti nella sottoposta vigna Carletti, danno la idea di una fab-
brica assai grande e maestosa. Seguendo l'orlo medesimo vi si
trovano muraglie di fortificazioni etrusche^ composte di massi di
tufo senza calce. L'area interna è seminata di torri fatte a dop-
pio muro, e queste, comunque per lo più appartengano al me-
dio evo, sono frammischiate ad altre d'epoca romana. In alquan-
ti siti durano i vestigi delle antiche terme, che da questo col-
le scendevano nel piano inferiore della città in una estensione
considerevole. Può dirsi che questo colle è tutto traforato da
Cuniculi.
Il bel tempio di s. Pietro, che vi fu costruito circa il X o
r XI secolo, e che nelle primitive «uè forme si conserva a' di
nostri, è un insigne e raro monumento che racchiude in se dal-
G. A. T. LXXllI. 5
(rQ Lbttkratura
(a parte di ponente le sostruzioni del tempo etrusco, nel suo ii^-
terno ha inuri reticolati romani; vi si vedono le colonne di tut-
te specie che vi fijrono trasportate dagli antichi tempii pagani,
collocate secondo la rozza architettura che regnava al tempo
della sua fabbrica senza ordine e proporzione alcuna ; eppure
con un^ solidità di opera, ch'è da stupire.
Jja chiesa è divisa ip superiore ed inferiore. Vi sono pittu-
re antichissime, e tutte le pareti n'erano ricoperte. Bello è il
pavimento di musaico, bellissima la facciata,la più parte di mar-
mo, dove parimenti fra gli eleganti lavori del tempo romano
che vi sono innestati, si trovano congiunte le goffe opere del
medio evo: il che fa un contrasto assai curioso all'occhio de'ri-:
guardanti.
Poco luqgi è l'altro insigne né meno antico tempio di san-
ta Maria, che tutto è fabbricato sopra ruderi romani, dov'è la
nobile pittura di un giudizio unii'ersqle anteriore al i3oo. Che
dalla par{.e de'santi vi è dipinto qualche papa con una sola co-
rona nel suo triregno, costume che rimonta all'età di papa Cle—
jnente V o di Bonifacio Vili. In questo giudizio veggiamo le
opinioni del pittore non molto difformi da quelle della visione
di frate Alberico, ed in parte dello stesso Dante Alighieri. Men-
tre vi è rappresenlatq un diavolo gigantescQ a bocca spalanca-
ta, nella quale certi diavoletti minori infornano con un triden-
te le anime de'dannati , ed egli addentandole le inghiotte e lo
r^nde per il di sotto, di dove precipitano e si perdono dentro
alla bocca d'un dragone che chiude il pieduccio dell'arco, dov'
è la pittura, e che rappresenta l'inferno.
Oltre di queste e di altre antiche pitture di detto tempio ,
ve ne ha delle altre ugualmente stimabili nella chiesa dìs. Fran-
cesco, condannate a perire misei'amente in un colla chiesa stessa
che minaccia da gran tempo ruinaj altre in quella di s. agosti-
no, alle quali per inaudita barbarie ed ignoranza fu dato di
bianco, e che lasciansi per anco colà sotto nascoste, senza che ma-
no benefica vi sia che le ritorni alla primiera luce; altre pure in
quella della Rosa, e soprattutto nel vasto tempio de'miqori os-
servanti, dove sono tre quadri in tavola di raro merito di Scala-
brino da Pistoia, ed altro di P^rin Buonaccorsi, dello altrimenti
del Vaga, che come racconta il Vasari nella vita di lui, menato
da Fiorenza a Toscanells^ dal Vaga stesso, dove soprabbondava-
gli lavoro, molto quivi si Iratteniie con lui, e non solo ambedue
terminarono quell'opera che il Vaga ai'Ci'a presa, ma molte an-
cora che pigliarono di poi. E qui basti per ora di tali pitture ,
e degli antichi monumenti tutti della mia patria, de' quali,
quando che sia, terrò in altro tempo più lungo e serio discorso.
67
Tragedie dell'avvocato Giuseppe Pellegrini. Firen-
ze tip. Magheri 1837, in 12. di pag. 132.
Cxi
iovanna di Napoli e Decebalo sono le due
tragedie, che ha date in luce il giovane sig. Giu-
seppe Pellegrini: il quale dona alle lettere i l)re-
vi ozi, che gli rimangono da cure piìi gravi. Que-
sta è già buona raccomandazione; tanto piii che dal
felice ingegno di lui e da queste primizie ponno
aspettarsi altresì naaturi frutti per l'avvenire. Gio-
va adunque por gli occhi attentamente in queste
tragedie, che dii'emmo quasi due fiori del nativo
giardino; perocché sono tratte dal campo delle isto-
l'ie nostre nobilissime.
Quanto alla prima, Roberto re di Napoli, che
ebbe lodi dal Petrarca e le meritò, per motivi di
regno fece sposa Giovanna sua nipote ad Andrea
figlio di Carlo re d'Ungheria. Mancato ai vivi Ro-
berto nel 1343, Giovanna gli successe, e fu reina
di Napoli e di. Provenza; ma ne ella del marito,
ne il marito di lei, ne di tal principe i cortigiani
furono contenti. Perche due anni appresso sendo a
deliziarsi la corte in Aversa, questi ultimi o con-
sentendolo, o non impedendolo la regina, nelle te-
nebre miseran^ente lo strangolarono. Di che ella
stessa colse mal frutto; invano fu madre, invano
regina: Carlo della Pace, nipote a Lodovico re d'Un-
gheria, venne alla conquista del regno, e pose in
carcere la misera donna. Giunte a soccorso galee di
68 Letteratura
Marsiglia, Carlo con prieghi e lusinghe fu intorno
a Gipvanna per ottenere, che a lui cedesse il rer
gno non pure di Napoli, ma di Provenza: la trovò
ferma a favore di Lodovico duca d'Angiò, e quan-
do appunto questi era mosso colle sue forze per
liberarla, Carlo a dura morte la trasse. Tal fine eb-
be questa Giovanna, il cui nome (se la morte del
marito singolarmente non l'adombrasse) risplende-
rebbe di chiaro lume; tanto essa è lodata di sennp
e di fortezza nelle istorie!
Le tristi venture di lei hanno dato argomento
a Giacinto Battaglia di un libro, che uscì in Mi-
lano nel 1835: la sua fino ha dato convenevole ma-
teria al Pellegrini di una tragedia. La scena è la
reggia di Napoli: i personaggi Giovanna, Carlo, Lio-
nello (figlio di lei), Alberico (uomo di corte). La
tragedia non è istoria, ma poesia; e l'autore si è
valso onestamente del suo diritto, cogliendo però
mai sempre dalla storia ogni piìi piccola circo-?
stanza, che al teatro non disdicesse.
Al primo atto, Giovanna in carcere e in pre-
da a' rimorsi ode da Alberico annunziarsi Carlo ,
che viene a parlarle. A malincuore il riceve, e lo
rimprovera, ed è rimproverata ella stessa singolar-
mente della morte del marito. Pure ci le offre e
regno e liberta e un figlio in lui, che vorrebbe es-
sere adottato per tale, e regnar seco. Non persua-
sa, ma vinta in vista la generosa infelice, si arren-
de alle proposte.
Al secondo atto, Carlo si applaude confidando
ad Alberico di avere indotta Giovanna a'suoi dise-
gni, ne'quali egli venne pel timore delle navi giun-
te di Provenza. Lionello non conosciuto, e dicentesi
filio del Conte di Caserta, viene quale nunzio di lui
Tragedie del Pellegrini G9
a riclamare a nome di quella gente la liberta ed
il regno per Giovanna. Niega il tiranno lei non es-
sere libera e regina; ma dice, lei prima e lui se-
condo sul soglio: così la chiama con seco alla luce
del parlamento. Ed ellaj anzi che dissimulare i tor-
ti ricevuti dal tiranno^ li manifesta, e invita i sud-
diti ad ubbidire in vece a Carlo di Caserta. Il ti-
ranno deluso compatisce a lei quasi uscita di sennoj
e rassicura e rinvia i provenzali: al partire de'quali
in pili duro carcere chiude Giovanna.
Al terzo atto, essa nel!' orrore della prigione
e della notte trema non della morte vicina; ma si
dello spettro del morto suo consorte, cui le figura
innanzi la rea coscienza. In questa viene a trovarla
Alberico^ e a lèi si fa quasi angelo coiisolalore^ sve-
lando che il figliuol suo vive conservatole per cu-
ra di lui stesso e di Caserta : che questo figlio è
Lionello. Viene Lionello, che contro la mente del
tiranno erasi trattenuto: e la madre rivede il figlio,
questi la madre. Il giovine bollente anelando alla
vendetta vuole tosto trucidare il tiranno; ma la vo-
ce della madre lo persuade ad aspettare ora piìi
propizia. Giunge egli stesso inaspettato il tiranno,
e vuole da Giovanna che segni la cessione a lui del
regno^ o s'abbia tormenti e morte: sceglie essa que-
sti ultimi. Al che non può frenarsi Lionello , si
mostra, e tratto viene qual ribelle a forza con Car-
lo. Questi, benché sospettoso, si affida ancora ad Al-
berico, che sopra Ormondo rivolge e cresce ogni
sospetto di tradita fede.
Al quarto atto, di nuovo Giovanna è alla reg-
gia: ella diffida di Alberico; ma viene persuasa da
lui, e si acquieta per non iscoprire il figlio, atten-
dendo che si voglia ancora da lei. Viene il tiraii-
70 Letteratura
no, e parla della morte data ad Ormondo, e la mi-
naccia a Lionello come ribelle; se non che a'prie-
ghi di Giovanna lo iìi chiamare a se dinanzi, e lo
rimprovera acerbamente. E strigne quest'ultima a
soscrivere il foglio della cessione desiderata: al che
prestandosi ella, mal si frena l'ardente spirito di
Lionello, che per ciò stesso viene mandato a morte,
e in mano al crudele resta a forza Giovanna. Al-
berico doveva per comando di lui spegnere Lionel-
lo, e tornar tosto con la novella.
All'ultimo atto, sul far del giorno Carlo ha fi-
nalmente da Alberico la nuova e i segni della mor-
te di quel giovine infelice, e comanda si cerchino
quanti mai sono o si credono traditori, e s'ergano
patiboli, e chiama a se Giovanna. Essa richiede di
Lionello, ed egli invece la viene consigliando a ri-
tirarsi nella pace di un chiostro; richiede ella più
ansiosamente di Lionello, e il tiranno lo dice spen-
to, e ne mostra le vesti perforate ed intrise di san-
gue. Fuori di se dal dolore, ella nomina il figlio,
e parla di Alberico; Carlo, insospettito forte di ciò
che era veramente, nella sua ira va per punire, per
trucidare, e lascia Giovanna in guardia a un suo
fedele. Poco stante ei rientra con spada ignuda sen-
za manto, ed inseguendolo in armi Lionello ed Al-
berico egli afferra Giovanna. L'ultima scena vuoisi
qui riferire.
Lion. Empio, la madre.
La madre, empio, mi rendi ....
Car. A te la i^endo
Cosi (1).
(i) La trafigge.
Tragedie del Pellegrini 71
Lion. Oh Dio! (1)
Giov. Figlio ... sci salvo? vinci? ...
Oh gioia! . . . Oh dona il bacio estremo a questa
Tua sventiirata madre ... io lieta muoio . . .
Perchè muoio fra tue braccia . . . Mio figlio . . .
Ti benedico . . . Ah! mi perdona ... il fallo . . «
E mei perdoni il Sempiterno . . . cui
Davanti or or . . . Tu pure, fido, accogli (2)
Il benedir d'una madre spirante:
A chi mi uccise anch'io perdono . . . Addio. (3)
Lion. Ahi madre, ahi madre! io vo seguirti ... il ferro,
Ov'è il mio ferro?
Car. Fra le tante iiiie
Gioie di sangue or questa gioia è prima.
Lion. Ofi infame! ... (4) muori ...
Alb. Ferma ... l'onorato
Tuo brando no, degna è di lui la scure.
Cosi brevemente e con pochi personaggi, e senza
molli amori indegni sovente al coturno, è condotta
e tratta a fine l'azione, la quale a tutti parrà ve-
ramente tragica; salvo che da taluno volesse notar-
si meno verosimile in tiranno, che vive di sospetti,
quella cieca fiducia in Alberico, anche dopo qual-
che dùbbio contrassegno: e non abbastanza giusti-
ficata in Giovanna quella facilita di soscrivere la
cessione del regnò. Ma quanto al primo obbietto,
crediamo osservare, che anche il tiranno forza e che
(i) Gli cade la spada, e rimane immobile. 1 soldati disar-
mano Carlo.
(2) u4d Alberico .
(3) Muore.
(4) Raccoglie la spada ^ e gli si avventa; ma vien trattenuta
da Alberico.
72 Letteratura
si fidi pure in qualcuno; quanto al secondo, qneU
la cessione era in se nulla perchè strappata colla
forza e vivente il figlio; ma per allora valeva ad
ammansare il tirannOé
Perchè, tutto considerato, vuoisi dar lode all'au-
tore: il quale più e piìi ne avrà ponendo più cu-
ra allo stile ed alla versificazione r in che appare
forse qua e la alcuna negligenza, che però con la
sua lima ben può fare sparire agevolmente. Egli ha
fiore di giudizio, e un cuore che sente , e favilla
di poeta: e non rifugge dallo studio, anzi lo ama,
e può promettersi bene non pure nella lirica, ma
nella tragica palestra a pochi donata. Ammollisca
il suo verso alla dolcezza del Maffei, lo animi al
fuoco del Monti, lo conforti non all'asprezza ma alla
gravita dell'Alfieri: e se ama esempio unico, studi
di forza nell'Alighieri, e coglierà piìi degne palme
eziandio nella diificile tragedia. Ne già slimiamo a
lui esser uopo de' nostri consigli, ne a noi conve-
niente di darne; infatti egli è già bene innanzi nel-
la retta via , e noi sapremmo più presto ricevere
che dare a lui buoni suggerimenti. Ben vogliamo sì
abbia alcun segno del molto pregio, in che lo te-
niamo, aprendogli non pure l'jmimo nostro, ma il
cuore. E ciò sia detto una volta per sempre a li-
berarci da ogni nota o d'invidia o di presunzione,
da cui siamo in tutto alieni.
Venendo al Decebalo, non è chi non sappia il
trionfo di Traiano sui daci: « Gli debellò in varie
» battaglie, e per la seconda volta chiuse Decebalo
» in Sarmigetusa. Tutto costui tentò a salvamento
» di se e della patria: forza, umili ambascerie, ed
» anco tradimenti ; avendo celatamente spedilo al
» campo romano sicari per uccider Traiano , che
Tragedie del Pellegrini 73
fe furono scoperti e puniti. Finalmente espugnata
*) Sarmigetusa, sorse un orriiiilc spettacolo; mentre
» i daci, piuttosto che arrendersi a servitù, o cad-
» dero per le romane armij o si uccisero fra loro»
» bevendo ad un gran vaso di veleno fra reciproci
» brindisi la morte» o pure sterminandosi col pro-
» prio ferro, e distruggendo citta e reggia col fuo-
» co ... . » L'ultimo assedio e l'eccidio di Sarmi-
getusa è il soggetto della tragedia: la scena è quivi
nella reggia di Decebalo e nella tenda di Traiano
nel campo: 1 personaggi sono, oltre Traiano e De-
cebalo, Eniira figlia a quest'ultimo, Adriano confi-
dente a Traiano, Bicilio a Decebalo*
Al primo alto, questi consegna a Bicilio un pu-
gnale, perche vada a trucidare il nemico : quegli
rifugge il tradimento; ma innamorato di Emira, è
vinta a tal premio la sua virtli, ed acconsente a
farsi vile; tanto pili che lo crucia geloso sospetto,
che Emira arda segretamente per Traiano. Viene
ella, ed intesa dal facile amante la rea commissio-
ne del padre, lo trattiene. Giunge intanto Decebalo,
e dell'indugiare rimprovera Bicilio, che parte al-
fine per eseguire il cenno crudele; rimprovera an-
che la figlia, di'* parte colatamente con disegno, che
a pena travedesi, di risparmiare al padre la viltà
del delitto, all'amato Traiano la vita.
Al secondo atto, Traiano accoglie i duci a par-
lamento, e sono tra le squadre non conosciuti Emi-
ra e Bicilio in abiti romani: si delibera di assaltare
Sarmigetusa. Indi solo Traiano con Adriano com-
piagne alla sorte dei daci; umano cuore assai me-
ritevole degli elogi di Plinio! Intanto entra Bicilio,
e vuole ferirlo a tradimento; ma Emira lo trattie-
ne: egli è scoperto, e in Emira fa credere un suo
74 Letteratura
figlio Ireno. Qui Cesare indaga i cuori di un tal
padre e di un tal figlio, e questo ammira e quello
dispregia; ma ecco si ode rumore di armi e tumul-
to: ecco Adriano venire colk novella^ che Deceba-
lo « Feroce ed improvisò — Impeto ha fatto ne'
» ripari, e il campo — Precipitoso inonda » ; per
cui, aflìdati alle guardie que'due, Traiano accorre
al pericolo.
Al terzo atto , Cesare rassicuratosi ringrazia
Adriano di avere respinto Dccehalo, e gli dona per
grato animo 1' anello, che ebbe già egli stesso da
Nervaj e lo abbraccia, e lo sollecita ad eséquiare
i valorosi morti nel conflitto. Ed accogliendo so-
spetti sopra i due daci prigioni, vuole interrogarli;
ma Semfpré disposto ai clemenza dice: » Benigno —
» Il comun paìdre die lo scettro all'uomo — A so-
)' stégno dell'uom, non a flagello. » E il cuore gli
parla a favore di Emira; mia l'esercito ad alte gri-
da dimanda la morte del traditore Bicilio. Il buon
prence la sospende ancora, e corre a mostrarsi all'
esercito,- che lo desia; poi si propone di udire un
nunzio del re nemico , che col nome di Vezinate
e lo stesso Decebalo, come poscia si vede.
Al quarto atto, viene adunque' travestito De-
cebalo a ricercare dalla figlia: Traiano fa venire
Bicilio, indi Emira stessa, che nel calore del dialo-
go al fine si scopre essa ed il padre: e dal beni-
gno Cesare sono tutti restituiti a libertà, non sen-
za tremare per quella misera, alla quale pur dice:
» Fra tue sventure — Aver pensa in Traian padre
» e fratello. » Questa rara benignità fa tanto piii ri-
saltare la crudezza del re nemico.
All'ultimo, è notte, e Decabalo rimprovera Bi-
cilio di avere svelato il segreto alla figlia; ma ben
Tragedie del Pellegrini 75
J)iìi alto segreto egli svela al re stesso, l'amore di
Emira pel suo nemico. Il padre parla tosto alla fi-
glia, e propone sposarla a Bicilio; dal che ella ri-
traendosi, Decebalo rimprovera a lei la fiamma, che
nudre in seno pel suo nemico: e con eccesso di
barbarie la maledice. In quella Bicilio con spada
nuda vien annunziando il nuovo assalto, che mosso
hanno i romani, e Sarmigetusa già presa. Cresce la
furia nemica, e Decebalo disperato dice de' suoi ;
» Solo — M'abbandonar ... Ma non son io qiii me-
» co.'" » Al che la figlia ben risponde: » E teco io,
» padre. » Ma egli il barbaro due volte si sta per
ferire la figlia sua; se non che sopravviene il vin-
citore Traiano, e scopre egli stesso l'anlore per lui
di Emira; ma non può piìl salvarla, dacché Dece-
balo alfine tratto rapidamente un pugnale ferisce
la figlia e se stesso, e muoiono entrambi. La pietà
di Traiano è al suo colmo, e la catastrofe è così
tragica, che fa scusare quell'alto e quelle parole
di lui, con che si chiude l'azione: cioè il gettare
la corona d'alloro, 6 il dire:
» A terra va, malaugurato serto;
» Se a cotanto di rei sangue commisto
» Tu grondi pur d'un innocente sangue!
La versificazione in questa tragedia sembra più
spontanea : ben sarà lieve all'autore il toglierne
ogni piccola menda, che qui più rara si mostra, e
pur talvolta si mostra. Lo stile ha meglio del su-
blime, dove bisogna: e questo è forse generato dal
soggetto ben più alto, e d'interesse più universale,
e veramente romano. Perchè, e per altre ragioni,
che ai savi appariranno agevolmente dal solo cenno,
76 Letteratura
che abbiamo dato, se si avesse a decidere della mag-
giore bontà di queste due tragedie, noi preferirem-
mo alla Giovanna I di Napoli {prima la vorremmo
chiamata per non confonderla con altre) il Dece-
halo\ non ostante que' troppi travestimenti, de'quali
l'autore si è fatta egli stesso una necessithé Ma beri
lungi dal presumere di noi, o da altro basso affet-
to, come dicemmo, noi lasciamo in fine questo ed
ogni altro giudizio a menti più profonde e sicure;
contenti per nostra parte a rallegrarci di nuovo col
giovine autore de' bei passi , che ha dati in una
carriera la più malagevole, e del molto amore che
porta ai buoni studi: dai quali egli si avrà conso-
lata la vita e gloriosa con molto prò della omai de-
serta poesia e delle lettere*
i). Vaccolini
Osservazioni sul Bello.
Art. XIII*
B
el mese l'ottobre! Le triste cure della citta van-
no non pure in bando, ma sono quasi morte: e tut-
to è vita ne'campi, tutto allegria. Glii da la caccia
agli uccelli con pania e reti a'palmonì o paretai;
chi si arma pacifico a procacciar qua e la selvag-
gine per allegrarne le pingui mense: chi spoglia di
grappoli rubicondi le stanche viti; chi pigia le uve
e ne corona i larghi tini ; chi ne traggo il succo
spumante, e lo accomanda alle botti; chi rompe col
Osservazioni sul Bello 77
vomere il seno alla terra, e la prepara novellamen-
te a ricevere il seme, che è la dolce speranza dell'
avvenire; chi canta, chi Lalla, e ognuno gongola
d'allegrezza. Beata villa! beati agricoltori, se il loro
bene conoscessero ! E noi che facciamo , mi disse
Faustino, quel caro giovinetto tanto buono e stu-
dioso, che è il cuor del mio cuore?
FilQtimQ.
Quel che il giovine Plinio scriveva a Tacito suo!
Faustino.
|L che scriveva egli mai?
Filotimo.
» Tu ridi (scriveva (1)), ed hai di che ridere;
» queir io, che ben conosci, ho preso tre cignali
» proprio belli, bellissimi! Tu stesso? Io stesso in
» anima e in corpo; ma senza metterci nulla del
» mio ozio beato: stavami seduto alle reti, accanto
» erami non lo spiedo o la lancia, ma lo stilo e le
» tavolette. Meditavo e notavo; perchè se vuote tor-
» navan le mani, piene tornassero almeno le carte.
» Vedi bel modo di studiare! quell' agitarsi, quel
»> moversi del corpo desta anche l'animo: e da ogni
* lato le selve e la solitudine e lo stesso silenzio
» della caccia sono un grande incentivo a meditare.
>> E tu pure andando a caccia potrai al mio esem-
(i) Lib. I, Epist. 6.
78 Letteratura
» pio portare con teco non solo la panatlera e l'or^
» ciolefto; ma Len anco le tavolette. Vedrai Miner-;
» va errare sui monti, non meglio che Diana. »
Così egli il buon Plinio scriveva, se ben mi
ricorda; e noi, che abbiamo questo po' di respiro
dalla scuola e da'negozi, possiamo benché senza re-
ti od altri argomenti ( che lasciamo a piìi fortu-
nati cacciatori) fare a un dipresso ciò che il buon
Plinio faceva, e leggere qualche buon libro, e nel-
la memoria, se non nella carta, scriverne qualche,
bel tratto,
FaustinOt
Ho meco in buon punto il dialogo intitolata
^a Grazie di quell'anima soavissima del Cesari; ma
e' mi va per la mente ciò che mi avete ragionato
del Bello, il cui segreto ponete nell'ordine; onde
è bello per voi tutto che è, o si percepisce nell'
ordine: al che consentono mirabilmente, tra gli al- ,
tri, il Degerando, e prima due nostri famosi il Ger-
dil e il Muratori: il quale non dubitò affermare e-
spressamente (l) » quello che è certo, la bellezza
» ha da consistere nell'ordine. » Per questo mi pia-
ce, e mi par bella altresì quella letterina di Plinio,
che mi avete recata, dove è Iqce di ordine a mara-
viglia. Ma con^e sta, che è a noi piacente la villa
a questo tempo della vendemmia , nel quale ti è
bello quasi il disordine? come sta, che quel casino
di delizie, dove oggi verremo a ricrearci, e fin di
qua pur vediamo in lontananza con tanta varietà.
{1) FU. Mar. e. i6.
OssERvAxioNi SUL Bello -79
ci par hello? Appiè della riva del fiume Amone ,
che alta ripiegasi ed ha l'aspetto di facile clivo, si
gificc: ha Lei viali coperti di avellani con rami in-
trecciati a fare dove archi e volte, dove grotte tran-
cjuille; altrove ha piccoli stagni, nido a pesci guiz-
zanti; e il giardinetto di aranci e di erbe e di fio-
ri di ogni maniera vestito; ed il salire e il discen-
dere, e il piano e l'erta e la valle, e il vario re-
gna in un disordine, che piace, Non dìrehbesi qui
phe il bello anzi che in altro sta nel disordine?
Filotimo.
Questo bel luogo, dove il vario coU'uno trion-
fa, mi ha sembianza di un giardino inglese: lo di-
cono inglese, e dovrebbesi dire nostro più che stra-
niero; perocché l'italiii tutta non e ella dall'alpi al
mare per dono di natura il giardino del mondo ;
appunto perchè così varia e piacente, come il giar-
dino della reina descritto dal Bembo negli Asolimi^
anzi come l'incantato d'Armida (1)?
» Acque stagnanti, mobili cristalli,
» Fior varii, e varie piante, erbe diverse,
» Apriche collinette, ombrose valli,
» Selve e spelonche in una vista offerse:
» E, quel che il bello e il caro accresce all'opre,
V L'arte, che tutto fa, nulla si scopre.
Ne'quali versi è una viva dipintura del vero;
se noi sai, prima che il Milton avea egli il Tasso
[i) Tasso, Gerus. e. i6j st. g.
80 Letteratura
descritto così il Parco vecchio^ che era proprio un
incanto, e fu già delizia del duca di Savoia. E qui
rammenta di grazia ciò che ne gerisse il gentilissi-
mo Pindemonte, ed ha ripetuto quel nostro anio->-
revole (4) nelle sue Lettere inforno invenzioni e
scoperte italiane, dove alla domestica gloria viene
rivendicando ciò che degl'ingegni nostri si arroga-r
no gli stranieri. Ma pensa, che il disordine di che
mi parlavi non è che apparente; pensa come va-?
rieta ad unita naturalmente è congiunta nel Lei
paese, e per arte si trova ne'giardini teste ricor-r
dati, e per dono insieme di natura e di arte ne|
Lei casino altresì, che cogli occhi vediamo ed oggi
più che mai è il sospiro del nostro cuore. Ne a ca^
so qui sono tante Lellezze; chi le adunò o le spar^
se. Leu seppe la ragione segreta de'niezzi al fine^
seppe i rapporti delle cose , e come gli scuri di
un Lei dipinto fanno meglio apparire i chiari, e
come ancora certe negligenze ciie piacciono sono
artifìcii, e il disordine che piace non è in fondo
clie ordine; altrimenti piacer non potreLLe. Noi sia-
mo qui tra due fiumi il Senio e l' Anione, che scor-
rendo sopra terra sono frenati da alte rive: e in
mezzo si avvalla dolcemente il terreno, e ha colti
campi, che li paiono forse men Lelli, perchè alLeri
e viti e case e tutto ad un modo è ordinato a frutto,
prì^ che a diletto; ma non presenta malta varietà,
e COSI all'occhio è men Lello; Lcnchè ti empia in
fine i granai, e ti colmi la casa di ogni Lenedizionc
del cielo. Egli è men Lelia, io dico, in compara-
zione de'siti di collina, che hanno piìi varictU e la
[i] JiamOelli, Lettere. Bologna iSS;.
Osservazioni sul Bello 81
vista in pili largo campo si spazia; tuttavia è bello
perocché in ordine: e più Lello ti sarà alla mente,
ove ti volga addietro a pensare, che qui dove sta
Bagnacavallo colle sue ville era prima palude (par-
te della Paditsa^ di cui tocca Virgilio nell'unde-
cimo dell'Eneide dicendo:
» Da le piscose rive di Padusa
» Van per gli stagni schiamazzando a schiere
» Turbati i cigni (''))•
ed ora è colma pianura cosi ricca e feconda, che
ti ammiri di questa prodigiosa trasformazione. L'ar-
te ha trionfato della natura, e via cacciati i pesci,
e ciiiamata l'abbondanza iip'lieti campi; tanto che
par natura: e da questo verso il beato terreno ti
piace; perocché è in ordine.
Fausti. IO.
L'ordine in somma è per voi il segreto della bellezza!
Filo timo.
Così è; ma vediamo che ne pensasse lo scrittore
delle Grazie. Ne hai teco, dicesti, quel suo dialogo,
dove pon fuori le squisitezze della lingua nostra e
le eleganze del bel parlare gentile: rileggi di gra-
zia que'tratti, dove tocca della bellezza!
(i) Traduz. del Caro.
G. A. T. LXXIIL
82 Letteratura
Faustino '
T'anto nCè bel quanto a te piace, risponderò col
poeta, ed eccorni al Cesari. Egli adunque dice co-
sì: (1) » Tutti sottosopra, e meglio i pratichi e i
» dotti conoscono il bello dal brutto; il che fa cre-
» dere che essi ne comprendono la forma determi-
?> nata; ma ciò non è: perchè quando vengono a di^
» re che cosa egli sia, aqua haeret, si tengono in
V sulle generali senza toccar però il punto ». Gos\
egli in bocca del Vannetti, e continua a questo rao-^
do. » Io paragono la bellezza delle parole a quella
» di un volto: in un bel volto ci vuol essere parti,
» ciascuna verso di sé b«lla, bel naso, begli occhi,
» belle labbra, belle guance, e così via via. Anche
» le parole hanno le lor come fattezze ciascuna, e
V se tengono quella cotal forma di bello, che cia-=
» scun seqte ne §a d'ffinire^ belle si dicono e pictc«
s ciono. n
Filotimo,
l^'uso può fare parer bello talvolta anche ciò che
tale non è; ma vedi su ciò l'avviso del Cesari!
Faustino^
« Io ho sempre creduto (così egli fa parlare ancora
^ il Vannetti) che la bellezza sia, come alle cose,
(i) Cesarìf Prose seelte. MUmo pel Silvestri 1819, pag.i^^
cseg.
OiJSERVAZIONI SUL BeLLO 83
» COSI alle parole intrinseca, non accattata dall'uso.
» Gonciossiachè voi vedete certe cose essere di prì-
» mo tratto sempre parate belle, ed a tutti che le
» videro, così ne'corpi, come nelle forme del dire.
» Cosi un bel volto, e ciascuna parte di lui, nelle
» pitture, e nelle statue greche massimamente, fu
» sempre avuto per bello da tutti: il che non sa-
» rebbe avvenuto se nell'uso fosse dimorata la ra-
» gione del parer tali; perchè queste cose piaccio-
» no e piacquero nella prima vista, innanzi che
» gli occhi e gli orecchi vi si addimesticasser coli'
» uso. Il che pare, che importi, che in quelle tali
)) parti o parole sia veramente quella intrinseca for-
» ma del bello, che l'anima (da Dio creata con co-
» tali ingenite regole e norme e ragguagli della
» bellezza) sente issofFatto come le vede; e le sen-
» te per un certo rispondere ch'ella trova in se stessa
» di quelle sue fornie all'oggetto rappresentatole. »
Filotimo.
Meglio parmi avrebbe detto, che l'anima fatta da
Dio capace dell'ordine sente issoffatto come quelle
parti 0 parole siano in ordine.
Faustino.
Continua il nostro Cesari notando, che non ogni
ordine è beilo; ma ecco più innanzi le sue paro-
le (1). » Alla perfezione pochissimo giova lo stesso
» magistero dell'arte, se non vi si accompagni un
(i) Ivi, pag. i5l.
84 Letteratura
» certo naturai sentimento, che ci stampi l'iclea del-
■ la compiuta ])ellczza. Noi vegliamo talora tavole
» e figure condotte coi piìj vivi colori, e secondo
» le regole tutte dell'arte, die tuttavia sono morte
» e fredde e senza spirito; cioè appariscon dipinte,
» e non pimto vive. Raffaello era una seconda na-
» tura, che (quasi avesse nel pennello l'aura vital
» di Prometeo) dava la vita, e la pili hella e gen-
» li le a tutte le cose: e di lui si vuol dire cfuello
» che degli occhi della sua Laura disse il Petrarca,
» che que" dolci lumi s'acquistali par natura e non
» per arte. »
Filotimo.
Il senso della bellezza non è in tutti squisito
a un modo: e non è da tutti l'esprimerlo per ec-
cellenza. Raffaello fu in ciò singolare dagli altri. E
facoltà di jlcrcepir 1' ordine è in tutti; ma ne in
tutti a un modo: di pochissimi è l'esprimerlo ad ec-
cellenza: il che seppe Raffaello aiutato in gran par-
te da natura, e in parte ancora dall'arte. Ma se-
guita a leggere nel dialogo, e troverai che anch'egli
quel padre delle eleganze, che fu il Cesari, dovette
rendere omaggio al principio dell'ordine.
Faustino^
» Siccome io dissi di sopra (cosi il Vannetti) le pa-
» role son come in un volto gli occhi, il naso, la
» bocca, e ciascun'altra sua parte. Ora conciossia-
» che queste parti, siano pur belle e ben contor-
» nate al possibile, elle però non hanno separate
* dal tutto un centesimo della bellezza che acqui-
OSSERVAIIONI SUL BeLLO 85
» stano dall'csser disposte con quella ragione dell'
» una verso dell'altra, che hanno nei volti che di-
» pingea Raflfaello ; cosi le parole come che Lolle
» sieno ciascuna per se medesima, grandissimo cre-
» scimento di bellezza vien loro dall'essere insieme
» accozzate e composte a formare un intero con-
» cetto. »
Filotimo.
Vedi, che se non tutto concede all'ordine il Cesari
stesso; tanto però ne concede, che delle cento glie-
ne accorda novantanove. Ma io ci scommetto, che
se tu leggi innanzi in cjuel dialogo lo troverai da
ultimo in una sentenza con me. Leggi adunque, se
Dio t'aiuti; poiché il tempo (era di poco varcato il
mezzogiorno) e il luogo stesso ne invitano piacevol-
mente.
Faustino.
» Mi ricorda (cosi sempre il Vannetti (1) ), essendo
» io in Verona, d' aver fatto meco le maraviglie ,
» considerando quella parte del bellissimo palazzo
» detto della Granguardia , disegnato certo o dal
» Sammicheli o da altro che avea suo stile. In esso
• io vedeva ima tale armonia e consentimento di
» parti, che tutte cosi ben (direi quasi) cospirava-
» no a renderlo maestoso tutto, nobile e bello, che
» io non sapeva più di me stesso. E cercando pti-
» re della secreta ragione di tanta Ijellezza, io non
» potei altro dirne a me stesso, che cjuesto: Io sen-
(i) Ivi; png. i6i e seg.
86 LETTERATURA
» to ch'egli e Lello, ne so perche. La sua hellcxz.i
» non dee dimorare in quella delle parti , lioUa
» ciascuna verso di sèi perocché le stesse parti d'or-
» dine rustico, gli stessi occhi, gli stessi pilastri,
» i medesimi stipiti e cornici, e sottosopra le me-
» desime modanature io vedea, voltando 1' occhio
» in un altro nobii palagio che gli era non troppo
» lungi: e nondimeno questo non era, o certo non
» mi parca bello. Egli dovette esser adunque la
» cotale composizione o ordinamento di queste par-
» ti, che era nelCimo, e non punto nelV altro .... »
Filotimo.
Che vuoi di più a convincerti del pregio grande,
anzi essenziale dell'ordine nelle cose della bellezza,
anche per detto del Cesari? il quale seguitando, ben
mi ricorda, che quella felicita del Sammicheli in
opere d'architettura vuole da natura meglio che da
arte: ed io riferisco a mirabile consentimento di
natura coll'arte^ onde taluno sente squisitamente,
e squisitamente esprime l'eccellenza dell'ordine: il
che è proprio de'pochi, i quali toccano il sommo
delle arti belle.
Faustino.
Così conviene che sia: e voi bene avvertiste altra
volta col poeta filosofo , che 1' arte nostra a Dio
quasi e nipote, E m'invitaste a pensare la creazio-
ne, quando prima era il caos o sia il disordine; poi
venne l'ordine, o il mondo sensibile, cosi I)ello co-
me vediamo. Le cose in prima confuse aveano lite
Osservazioni sul Bello 87
ti*à loro, e per dirlo col Sulmonese (1):
» Questa lite clisciolse il buono Iddio
» E la miglior natura, che dal cielo
» La terra, dalla terra il mar divise^
» E dall'aer più denso il ciel sereno.
j> E poi clic tutte cose ebbe dal cieco
» Caos tratte a chiara luce, le lontane
» Alle vicine strinse in nodo amico*
FilotimOè
E qui è il velo della favola, cÌie copire piiré tiri
gran vero; ma questo vero è chiarissimo per la Ge-
nesi nell'immensa opera dei sette giorni^ né'quali
Iddio realmente ebbe creato il mondo t con che
pure ei c'insegnò il pregio dell'ordine* Che ben po-
teva con un solo atto della sua volontà in un fiat
crear l'universo: invece nel primo giorno creò la
lucCj nel secondo il firmamentOj nel terzo il mare
ed alberi e piante, nel quarto il sole la luna e le
stellcj nel quinto i pesci e gli uccelli, nel sesto
prima gli animali, poi l'uomo miracolo dell'ordi-
ne: e visto che così le parti ed il tutto erano una
bellezza, nel settimo giorno beatamente si riposò^
Perchè il Tasso, altresì bene avvisando nell'ordine
la suprema ragione della bellezza^ così cantò:
» Come Dedalo o Scopa od altro antico
» D'artificii gentil famoso mastro
» Prima raccoglie i peregrini marmi^
» E i lucidi metalli, e i cedri eletti
(i) Ovid. Metamóvf. I, i.
88 Letteratura
» Poi forma il tutto e la „ superba mole
» Comparte, e compie, e le sue volte e gli archi
j» Fonda sopra marmoree alte colonne;
» O pur di Caria a'simulacri appoggia,
» E fa teatri e logge entro e dintorno
» Con lavori di Ionia e di Corinto;
» Cosi di sua materia il Fabbro eterno
» Pria l'universo informa, e poi distingue
» Le varie parti, e l'abbellisce ed orna.
E con più acuto giudìzio (giova ripeterlo) il
sommo Alighieri avca detto prima, che l'arte nostra
a Dio quasi è nipote. Veramente ella studia il bel-
lo sensibile, che sta nell'ordine, e a quello spec-
chio formasi il bello ideale, da cui viene model-
lando e conducendo similmente in ordine le opere
della bellezza: la cui origine è gentile; per cui le
arti nostre vaghissime, se non. vogliono esser dege-
neri, devono farsi di continuo maestre di bontà e
di rettitudine, e datrici agli uomini non di vano
diletto, ma di vera felicita!
L'aria impregnata di mille odori tutti soavi ci
avvisò, che noi eravamo già presso al casino di Fo-
lizi, e gli occhi guardando ne furono certi; perchè
posto line al ragionare , salutammo i dolci amici
tornati allora dalla caccia, che nascosi dietro le sie-
pi ci venivano tirando pietruzze, e volevano pure
essere scoperti da noi. Dopo i lieti abbracciamenti
venimmo a inchinare la signora del luogo, che sta-
va formando colle sue mani un bel mazzo di rose,
di malve e di viole peregrine per collocarlo, come
poi fece, nel bel mezzo della tavola: la rpiale già
proparala al convito con acconcezza di ordine già
ci aspettava grazi osameiite.
D. Vagcolini
89
Praecipuorwn philosopìiiae systematum disquisitio
historica Aloisii Bonelli preshjteri romani. lìo-
mae 1 82 9. Tipis Bourliè.
Oembrera forse strano che dopo vari anni , da
che quest' opera è stata pubblicata dal chiarissimo
autore , imprendiamo ora brevemente a parlarne.
Il motivo però che a ciò e* induce è non solo
il rispetto e la stima che verso di lui nutriamo,
ma ancora il sapere che un de' nostri collabora-
tori darà quanto prima in questo medesimo gior-
nale un estratto di quelle istituzioni di logica e
metafisica, delle quali fa egli uso nella sua pri-
vata scuola che va di giorno in giorno crescen-
do in Roma di reputazione e di nome. Ora sic-
come questa storia filosofica serve come di pro-
legomeni alle istituzioni sopranominate, così spe-
riamo che non riuscirà ingrato questo estratto che
ne daremo colla maggior brevità possibile, accen-
nando pili tosto di quello che svolgendo quanto
contiensi in questo volume in 8. di pagine 183.
Tutta la materia è divisa in dieci capitoli.
Come ragion voleva, tratta nel primo delle dot-
trine eh' erano conosciute dagli antichi avanti che
apparissero quelli che furono in appresso nomi-
nati filosofi. Bella e naturale poi è la divisione eh'
egli fa dì tutta la filosofia in sei grandi epoche.
Lo spazio di circa 180 anni, quanti appunto
ne corrono da Talcte a Socrate, cominciando pò-
90 LetteìiaturA
co dopo r anno 600 avanti 1' era volgare , è Irt
materia contenuta nel secondo capitolo , ove reri-*^
desi conto della dottrina di Talete e de' suoi di-
scepoli , di Anassagora , della setta pittagorica ,
di Eraclito , della scuola eleatica j di Leucippo^
di Democrate , di Protagora , aggiungendovi in fi-
ne alcune utilissime osservazioni*
Il capo terzo è dall' autore impiegato in incór-
rere la seconda epoca della filosofia, incominciando
da Socrate fino al dominio de' romani nella Gre-
cia : il qual tempo è di anni circa 270. Dopo
avere assai Lene sviluppati i principi! di quella
dottrina socratica, che il venosi no neW^rte poe^
dea non cessava d' inculcare ai giovani perchè la
studiassero, passa ai discepoli di quell'insigne mae-
stro , a Platone , ad Aristotele , ai cirenaici. Lo
scetticismo , gli epicurei , lo stoicismo sono con
uguale! rapidità percorsi dal sig. ab. Bonelli. Al-
cune savissime riflessioni ^ nelle quali si fa la di-
visione dei sistemi dell' antica filosofia , e dove
parlasi delle principali nazioni della filosofia de' gre-
ci, occupano il capitolo quarto.
La terza epoca, che incomincia dalla distru-
zione di Corinto 145 anni avanti I' era volgare j
e giunge fino al risorgimento della filosofia nel de-
clinare del secolo XVI , è discorso nel quinto.
La filosofia nel tempo del romano impero, quel-
la del medio evo , i preludi della ristaurazione
della filosofia speculativa , il progresso delle co-*
gnizioni sperimentali, sono tutte cose che vengo-=
no dall'illustre professore sviluppate con la solita
sua chiarezza.
Ma già Galileo , Bacone da Verulamio, Car-
tesio, e Malebranche hanno felicemente segnata la
I<?TORIA FILOSOFICA 91
quarta epoca; e tutti i loro sistemi sono alquanto
più difFiisamente spiegati nel capo sesto, in cui si
contiene la storia della filosofia per circa 80 anni«
Un secolo abbraccia il tempo da Newton a
Condillac , ed in questo spazio vediamo compa-
rire grandi ingegni, un Leibnitz , un Bayle, un
Lock , un Genovesi. E benché taluni di questi
assai lungi andassero dal vero , nondimeno con-
viensi a diligente istorico favellarne senza par-
tito , ed accennando ove dicano il vero, ove ca-
dano in abbaglio, istruire 1' erudito lettore. Le vi-
cende della dottrina di Lock sono separatamente
dall' autore osservate : ed in fine di questo set-
timo capitolo fa il Bonelli le sue solite osser-
vazioni sulla quarta e quinta epoca , classifica i
metodi tenuti da cpie' filosofi , e fa specialmente
osservare quanto cpieste due epoche siano differen-
ti dalle due epoche della filosofia de' greci sì per
moltissimi pregiudizi superati, si ancora per mol-
te cognizioni aggiunte , e per essersi il metodo as-
sai migliorato nel filosofare.
Il tempo che scorre da Condillac, cioè dalla
meta del secolo XVIII, fino ai nostri giorni, è la
sesta epoca della filosofia considerata dal sig. abate
Bonelli. Alcune pagine egli impiega nello svolgere la
filosofia di Condillac, presentandone come suol dir-
si tutto il fiore , ed esamina quella di Bonnet e di
Elvezio. Il sistema di Emmanuele Kant, che a prin-
cipio giaccjuc nella oscurità in Germania, ma di
poi venne in tanta voga, è con ogni diligenza svolto
ed esaminato : ne tralascia di farne la istoria nar-
rando cjuante controversie abbia avuto , e quanti
illustri personaggi sieno venuti fuori a sostener-
lo. Dalla filosofia de' tedeschi passa l'autore a quella
92 Letteratura
dei britanni dopo Hume , e primo in campo si
presenta Tommaso Reid colla dottrina detta y^/o-
sofa del senso comune^ qtiindi Dugaldo Stewart ,
Antonio Shaftesbury, ed altri. Discorrendo poi della
rinnovazione della filosofia avvenuta quasi ai no-
stri giorni, dice 1' autore che nel presente secolo
nella Francia sono apparsi tre sistemi : due ven-
nero fuori in tempo dell' impero, il terzo poiché
ritornarono le cose all'ordine antico. Il primo è
quello di Destrutt de Tracy conosciuto sotto il no-
me d' ideologia , colla quale cercò di rendere in
forma piìi semplice , e di perfezionare le cose
trattate dal Gondillac : ed è dal Bonelli esposto
e confutato. A questa opera del Tracy fa eco l'al-
tra di Cabanis sulla relazione del fisico e del mo-^
vale neir uomo , il quale filosofo va molto di ac-
cordo col suo connazionale. Mentre la filosofia ra-
zionale riducevasi ad un meccanico empirismo da
Tracy e da Cabanis, non mancavano però nella stes-
sa Gallia modesti accurati e saggi cultori, i qua-
li sebbene eccitassero minore entusiasmo, divennero
nondimeno piìi utili , ed hanno una maggiore so-
lidità. Furon questi tra gli altri De Gerando au-
tore della Istoria comparata de sistemi della fi'
losofia^ del Trattato de' segni e del perfeziona-
mento umano • Laromiguiere , le cui lezioni filo-
sofiche non abbracciano tutta la scienza metafisica,
ma una indagine soltanto, cioè 1' esposizione delle
facoltà umane. Dopo avere discusso i sistemi di
J3onald e di La-Mennais, chiude il capitolo otta-
vo narrando lo stato delle filosofiche opinioni in
Italia, e facendo conoscere come in essa si stia al
giorno di tutto ciò che viene anche in questo ramo
di sapere prodotto dall' umano ingegno.
Istoria filosofica 93
Qui parrebbe finita 1' opera del sig. abate
Bonelli, eli cui non abbiamo fatto altro se non
se presentare, come avevamo promesso, un ristret-
tissimo estratto, astenendoci dall' entrare in di-
samina delle opinioni , le quali sono benissimo
esposte dall' autore, e con tanta chiarezza e bre-
vità che nulla vi si potrebbe aggiungere o to-
gliere. Nondimeno il dotto professore vi ha uni-
to due altri capitoli, con cui fa fine alla sua isto-
ria. Il primo di questi, cioè il nono^ tratta delle
diverse maniere di filosofare , e del loro succes-
so. Egli presenta il vantaggio che ne deriva dal-
la cognizione di tante opinioni fra loro discre-
panti, ed espone che cosa siasi fatto finora , g
che cosa ancora a far ci rimanga. Per ciò esegui-
re, e nel tempo stesso per dimostrare quali di es-
si filosofi abbiano nociuto , quali abbiano giovato,
tratta singolarmente della filosofìa contemplativa^
delV astratta, della sperimentale, delV empirismo ,
dello scetticismo, e della filosofia degV incredidi:
concludendo che lo spirito d' empìeth è prove-
nuto da vizio di filosofia, cioè dall'empirismo, o
scetticismo, il quale sotto qualunque forma riman-
ga ascoso ritiene sempre la sua indole, e non al-
tro produce se non la corruzione e la distruzio^
ne della buona filosofia. Egli non niega che siensi
scoperte piii cose, le quali prima ignoravano gli
uomini: ma saggiamente dice, che la filosofia non
tanto ricerca un maggiore numero di cognizio-
ni, quanto il criterio di attribuire ad ogni nO"
zione il suo valore e luogo.
Sviluppando finalmente ncll' ultimo capo il
presente stato della filosofia, segue la consueta di-
visione di essa in razionale, naturale, e morale.
94 Ijetteratura
Nota brevemente alcune cose intorno a queste due
ultime parti: ma alquanto piìi si trattiene nella
iìlosofia razionale, parlando separatamente della on-
tologia e cosmologia^ della psicologia^ ed in ul-
timo della logica.
Da questo quadro, che abbiamo rozzamente
tracciato, ben si vede la utilità di questo libro,
che sebbene non sia grande di mole, tuttavia per
le dottrine in esso esposte è di sommo pregio e
fa non dubbia fede del merito dell' autore, il qua-»
le da vari anni professa con molta lode la fi-
losofìa in questa capitale. La lingua, in cui è det-
tato, è la latina scolastica non priva di eleganza ,
sempre chiara e precisa. Come dicevamo in prin^
cipio, questa istoria serve di prelezioni al suo cor-
so parimenti latino pubblicato nel 1836, e che
accresciuto ed emendato è stato di nuovo messo in
luce nel presente anno, essendosene la prima edi--
zione esaurita. Elogio bellissimo ad ogni libro.
Noi desideriamo che il eh. autore prosegua
ad attendere a questi studi , e a darci novelli
parti del suo penetrante e sottile ingegno , noto
eziandio agli eruditi e filosofi per la Confutazione
del deismo già da lui pubblicata alcuni anni in-
dietro: e vorremmo che i giovani dalla lettura
di questa filosofica istoria si convincessero di cercare
sempre il vero ed il solido, e non già quelle cose o
stravaganti o fallaci, le quali talora sono venute
fuori anche dalla mente degli ingegni i piìi elevati,
P. BlOLCUIINI
95
Storia ecclesiastica e civile della regione pia set^
tentrionale del regno di Napoli^ detta dagli an-
tichi Praetutium^ nerbassi tempi Aprutium^ oggi
città di Teramo e diocesi Aprutina^ scritta dal
dottor di leggi don Niccola Palma canonico
della cattedrale aprutina ec. , volumi 5 in 4.
Teramo presso Ubaldo Angeletti dal 1832 al
1836,
A
yvenne a me alcuna volta di udire un qual-
che schifiltoso affermante doversi le storie, le qua-
li narrano i fatti e le vicissitudini di una sola cit-
ta ovvero di una sola e piccola provincia, repu-
tare e riguardare siccome opere di poca o ninna
importanza, buone solamente a pascere una vana
curiosità, ed a lusingare l'orgoglio patrio ed a far-
lo pili borioso e rigonfio. Ma bene udii pure piìi
frequentemente persone di miglior senno dire con
sana e vera sentenza, racchiudere in se stesse le sto^
rie municipali e provinciali un pregio non tenue
ed una reale importanza; imperciocché e servono a
conservarci memoria dei domestici avvenimenti, il
non conoscere i quali sarebbe brutta ignoranza, ve-
nendo qui opportune quelle parole di Cicerone :
mihi qiddem nulli satis eruditi videntur^ quibus
nostra ignota sunt (De Finibus lib. 1 cap. 2); e ci
raccontan esse la vita de'preclari concittadini, sti-
molandoci ad imitarne i laudati e nobili fatti , e
per tal guisa illustrano que'luoghi e quegli uomi-
96 Letteratura
ni, clic noi amar dobbiamo più caramente e con
pili di riverenza l'ammemorare; ed inoltre cosiìFat-
te storie giovano talvolta egregiamente per difen-
dere e regolare gl'interessi della patria, ponendoci
in mano buone e valide armi, con die tenerne il-
lesi ed inviolati i diritti, e respingere l'arbitrio e
la usurpazione; e somministrano eziandio ottimi e
sicuri materiali agli scrittori, i quali tolgono a com-
pilare la storia generale della nazione. E quindi
sappiamo per testimonianza di Plinio il giovane
nella epistola XXI del terzo libro, die sin da'tempi
pili vetusti fuvvi l'uso di guiderdonare con alcuna
onorevole od utile rimunerazione coloro , i quali
avessero scritto l'elogio di qualche cittk: Fuit mo-
rls antiqui eos, qui vel singulorum laude s, vel ur-
hium scripserant^ aut honorihus., aut pecunia or-
nare. Pertanto il signor D. Niccola Palma dottor di
leggi, canonico della cattedrale aprutina, socio del
regale instituto d'incoraggiamento di Napoli ed ap-
partenente alla società economica del primo ulte-
riore Abruzzo, già noto per altre dotte scritture e
singolarmente per l'elogio, di corto messo alle stam-
pe, di S. M. Maria Cristina di Savoia regina delle
due Sicilie (rapita nel fior degli anni all'amore de'
sudditi, a'quali per ogni maniera di alte e pregia-
te virtù erasi renduta carissima), scrivendo e pub-
blicando la ecclesiastica e civile istoria della plìi set-
tentrionale regione del napolitano reame, la quale
gli antlclil di nominarono Praetutium^ e fu dappoi
appellata ne'bassi tempi Jprutium, ed è oggi la il-
lustre citta di Teramo colla diocesi aprutina, fece
opera utilissima e di laudi, secondochè a me ne pa-
re, degnissima, e della quale dovranno saper gra-
do al valentuomo tutti gli abruzzesi, i quali nudro-
Storia pretuziana 97
no in petto amore della patria, ed hanno caro che
le belle e gloriose memorie della medesima, e la
ricordanza de'preclari uomini che vi nacquero e fio-
rironvi, non cadano bruttamente nella obblivione,
ma col mezzo della istoria si tramandino ai più tar-
di posteri.
La regione, della quale il signor canonico Pal-
ma imprese a scrivere le storiche memorie, oh' è
quella parte dell'Abruzzo, la quale è interposta al-
la corrente del fiume romano ed alle frontiere
dei dominii pontificii, e cui circonscrivono al po-
nente le vette de' monti appenoini ed all' orien-
te il mare adriatico, soggiacque a molte vicende
e rivoluzioni e politici mutamenti, e fu teatro di
avvenimenti degnissimi di essere dalla storia re-
gistrati. Per que' luoghi Annibale, superbo della
vittoria sul Trasimeno, spingevasi colie milizie di
Cartagine inverso la Puglia a fregiarvisi di nuo-
vi allori: e quando sotto la spada del fortunato ca-
pitano la liijertk latina spegnevasi, per que' me-
desimi luoghi Cesare mosse a discacciare da Cor-
finio que' romani, che vi parteggiavano pel gran-
de e sventurato Pompeo. E nc'posteriori secoli del
medio e dell'infimo evo la regione pretuziana tante
volte vide eserciti e udì strepito di guerra, quan-
te volte si battagliò pel conquisto del divizioso e
florido reame di Napoli, preda frequentemente ed
avidamente appetita, perchè preda bellissima. Le
vicissitudini, poi de'pretuziani sendo collegate spes-
so con quelle de'piceni, atrianì, vestini , peligni ,
marsi, marrucini, ferentani, sabini ed altri anti-
chi e celebri popoli, ne conseguita che la storia del
Pretuzio va ad essere di utilità e d'importanza an-
che per le provincie circostanti e per lutto il re-
G. A. T. LXXIU. 7
93 Letteratura
gno della citeriore Sicilia. Ed anche per la parte
ecclesiastica la storia del signor canonico Palma ,
non limitandosi a'soli abruzzesi, va a rendersi in-
teressante eziandio per altre popolazioni, posciachè
le diocesi di Ascoli, di Montalto e di Ripatranso-
ne (tre citta dello stato papale) si estendono, ol-
trepassando il Tronto, nel territorio napolitano, e
d'altronde la diocesi aprutina colla sua giurisdizio-
ne penetra ne'dominii della santa sede.
Nel primo volume della storia, di che io scri-
vo, stampato nel 1 832, la narrazione degli avveni-
menti è condotta a tutto il secolo XII. Premessa
una geologica descrizione dell' agro pretuziano, il
quale presenta uno spettacolo assai variato e pia-
cevolissimo a riguardarsi, imperciocché da un la-
berinto di appennini e sub-appennini, che torreg-
giano maestosi per diverse guise ramificati ( una
parte de' quali formò argomento a dotte osserva-
zioni del marchese Orazio Delfico, stampate in Mi-
lano ed in Napoli), provengono catene di amenissi-
me colline più o meno elevate, delle quali alcune
vanno sempre più abbassandosi fino a che si livel-
lano colle pianure, ed altre con pittoresca varietà
si protraggono insino al mare, Fautore entra a ra-
gionare de'primi e più antichi abitatori della re-
gione, e quindi de'pretuziani: descrive i confini del
Pretiizio ed i fiumi che ne bagnano il territorio:
parla come di Teramo, che ne fu e n'è la princi-
pale citta, così non meno delle altre citta e degli
altri luoghi abitati, e col corredo di bella e vasta
erudizione rammemora l'agricoltura, le arti, le stra-
de, il commercio, gli cmporii, la religione e le ma-
gistrature de'pretuziani, e narra i fatti più meri-
tevoli di ricordanza, che avvennero in quella parte
Storia pRETUziAifA 99
(l'Italia ne' tempi anteriori al cristianesimo. Passa
dappoi il (lotto scrittore ad esporre come la bene-
fica luce del santissimo Vangelo sorse ad illumi-
nare quc'popoii, e con dilii^enza non mai rallentata
prosegue a raccontare i^Ii avvenimenti, giungendo
col detto 1 volume all' anno 1200, e percorrendo
COSI un lungo e disastroso cammino, frequentemente
ingombro di spine ed infoscato talvolta da dense
tenebre. I monumenti, le iscrizioni, le opere degli
antichi scrittori o de'moderni, e le ragioni etimo-
logiclie, tutto accuratamente il signor canonico Pal-
lila studiò ed esaminò col migliore avvedimento e
giovandosi de'lumi della piìi sana critica; e molti
errori correggendo di coloro, che precedendolo avea-
no scritto intorno la storia de' luoghi medesimi ,
nari'ò le guerre, delle quali il Pretuzio fu teatro,
le mutazioni delle forme governative e de' gover-
nanti, i cambiamenti della ragione feudale ed ogni
maniera di pubbliche vicissitudini, che meritassero
di essere tramandate alla memoria de'posteri nelle
pagine della storia. E di non Jieve soccorso furono
al Palma nelle sue erudite investigazioni le carte
conservatesi negli archivi di antichi monisteri e le
cronache de'medesimi, avendo egli saputo con in-
finita solerzia trarre profitto dalle memorie di que'
cenobii , ne' quali solamente, cjuando corsero alla
Italia sciagurati secoli d' ignoranza e di barbarie,
serbossi accesa alcun poco la fiaccola del sapere ,
sendo state in quelle case della solitudine e della
preghiera, in que'romitaggi, raccolte ospitalmente le
profughe lettere; perguisachè siamo debitori a que'
pii cenobiti di preziose scritture a noi pervenute,
delle risorte scienze e della rinnovata civiltà. Aven-
do l'autore sottoposto una parte del primo volume
-100 Letteratura
della sua storia al giudizio dell'Instituto Archeolo-
gico di Roma, ne fu onorato dell'aggregazione tra
i soci corrispondenti, e fu invitato a cooperare alle
nobilissime elucubrazioni di quella congrega d'il-
lustri uomini di lettere, inlenti a conoscere e pub-
blicare i preziosi monumenti della classica anti-
chità.
Il li volume della storia del signor canonico
Palma, messo alle stampe medesimamente nel 1832,
contiene la narrazione degli avvenimenti de' secoli
XIII XIV e XV, e de'primi ventinove anni del se-
colo XVI; ed il III tomo, venuto in luce nel 1833,
registra le memorie de'fatti accaduti dall'anno 1530
al 1833. In questi due volumi il dotto autore, ar-
ricchito delle spoglie di vecchi polverosi arcliivi ,
e traendone a prezzo di lunghe cure e pazientissi-
me investigazioni lume di utili documenti e tesoro
inchiusovi di carte alla storia importantissime, egre-
giamente sé ne giovò pel suo erudito lavoro: e quin-
di attignendo a non torbide fonti, ha potuto con
diligenza e somma precisione descrivere le vicissi-
tudini non solamente della provincia a cui l'opera
si riferisce, ma di tutto il regno e de'rcgnanti, il
succedersi delle diverse dinastie , le rassegne de'
feudatarii, la serie de' vescovi di Teramo e di Cam-
pii, le notizie de' feudi della chiesa aprutina , le
origini e le conseguenze funestissime de'parteggia-
menti e delle civili turbazioni, che pur quella par-
te d'Italia, siccome le altre, ne'passati secoli mise-
ramente e fieramente dilaceravano, le carestie (pub-
bliche calamità, di che frequentemente si attristano
le pagine della storia), ed i mali e danni prodotti
dai banditi, funesta e lunga molestia dell'Abruzzo
e de'paesi circostanti, e gente audacissima, avvezza
Storia pretuziama 101
ti*a i ruljamentlj tra le coltella e tra il sangue, e
pronta maisempre ad ogni maniera di brutte e cru-
deli opere. I molti luoghi montuosi, alpestri e sel-
vaggi olFerivano facile scampo ne'pericoli alle male
Lrigate di que'banditi) che per orribil modo le cam-
pagne e le castella manomettevano, sottraendosi al-
le soldatesche, le quali infruttuosamente gli per-
seguitavano.
Il IV volume^ stampatosi nel 1834^ contiene
le cronache degli ecclesiastici e pubblici stabilimen-
ti, cioè del capitolo aprutino e di quello di Cam-
pii, delle collegiate, cappellanie e chiese parroc-
chiali, de'cenobii, monisteri e conventi di ogni ma-
niera, de' conservatorii e delle case destinate alla
educazione ed istruzione della gioventU. Di tutti gli
stabilimenti siffatti (neppur quelli ommessi che oi*
pili non sono) il diligentissimo storico narra il na-
scimento ovvero le pili vetuste memorie che se ne
conservano, le vicende a che soggiacquero, e ne pub-
blica le carte ed i monumenti di maggiore impor-
tanza, e che pili meritano di non essere dimenticati.
Finalmente fu messo alle stampe nel 1835 e
1836 il V ed ultimo volume, nel quale, oltre le
correzioni e le aggiunte a tutta l' opera, ed oltre
una carta corografica dell'antico Preluzio, si espon-
gono le notizie biografiche degl' illustri uomini; e
rifiutati primamente quelli , che furono da altri
scrittori erroneamente attribuiti alla regione pre-
tuziana, e ragionandosi dappoi di quelli che le spet-
tano soltanto per qualche titolo, e di quelli ezian-
dio intorno a'quali insorgono dubbiezze, si passa a
dire de'celebri uomini, i quali veramente ed affatto
appartengono alla medesima regione pretuziana, e
che acquistarono rinomanza per la santità de coslu-
102 Letteratura
mi, o che furono ornati di arcivescovili o vesco-
vili dignità, od insigniti di altri distinti ecclesia-
stici ofìici, ovvero decorati di gradi superiori negl'
insti luti regolari, od esercitarono calciche e magi-
strature, o fiorirono per fama di scienze, di lette-
re e di arti, o procacciaronsi nominanza e gloria
nella milizia: e non s'intralasciano le donne rendu-
tesi celebri ed illustri, alle quali pure dallo stori-
co si rende tributo di onorevole commemorazione.
Non senza molta utilità si rimarranno tali biogra-
fiche memorie: imperocché laddove non sia trasan-
dato l'omaggio di debite laudazioni a'preclari uo-
mini, si sparge utile semenza, che fruttificando ne'
viventi e ne' venturi , non potrà non riprodurre
esempli di bella dottrina e di nobili virtù.
Pertanto il canonico Palma, guidato da lauda-
bilissimi sentimenti di amor patrio, compilò e mise
in luce una storia de'pretuziani meritevole di gran-
de encomio per molti riguardi^ ma precipuamente
perchè egli, in vece di prevalersi degli scritti di
coloro, i quali prima di lui trattarono il medesi-
mo argomento, investigò con indefessa diligenza gli
archivi, da' quali seppe trarre dovizia d' inediti e
preziosi monumenti, perguisachc ha egli potuto ar-
ricchire le sue storiche memorie di molti diplomi^
bolle^ statuti^ placiti ed altre carte degnissime di
essere conosciute. Non poche di queste sono indu-
bitatamente di non lieve importanza; e ciò servirà
a difesa dello storico, se paresse a taluno che per
quella grande massa di documenti l'opera siasi ren-
duta di tal mole, qual potrebbe sembrare pur ba-
stante per la storia di un vasto reame o di una po-
tente e famosa repubblica. Vero è piuttosto che
quel frequente inserire che fa il canonico Palma
Storia pretuziana 103
nella sua storia, di qne'documenti dettati in si bar-
baro latino, nuoce alcun poco allo stile ed imba-
razza il filo della narrazione , e qualche leggitore
potrà forse scontentarsene. E veramente se non vi
stessero innestati que'brani di bruito latino, la let-
tura farebbesi meglio seguita e più gradevole, ed
inoltre la potrebbero gustare anche coloro, i quali
di ogni altra favella sono ignari fuorché della na-
tia. Ma il chiarissimo autore volle prefiggersi ( e
ciò varrà bene ad escusazione di lui) una rigorosa
accuratezza di prove e di testimonianze per tutti
gli avvéniménti ch'ei narrava, talmentechè ne rima-
nesse chiuso l'adito siccome al sincero e prudente
duljitare, così non meno al diffidare maligno, e si
costringessero i lettori a restare persuasi e convinti
della buona fede e veracità dello scrittore. E se
taluno si dorrk che il signor canonico Palma trop-
po frequentemente abbia interrotto i suoi storici
racconti con osservazioni e con morali ammonimen-
ti, e dira che Cj[ucsti vi si dovean seminare con ma-
no più parca, speriamo che a compensazione di ciò
varranno bene le molte ed utili considerazioni, in
ch'egli leggendo una tale storia spesso s'incontre-
rà, sull'amministrazione governativa, finanziera, giu-
diziaria e municipale, sulle vicissitudini della feu-
dale potenza, che in quelle contrade signoreggiò,
sui costumi pubblici, sul commercio, sulla indu-
stria € sull'agricoltura; e relativamente a questa ul-
tima giustissime a me sembrano le doglianze, che
muove l'illustre e dotto scrittore a pag. 310 e seg.
del voi. Ili sui danni provenuti dal grandissimo at-
terramento de'boschi e delle foreste, che, siccome
altrove, così pur nell' Abruzzo Teramano si fece ,
laddove non solamente la scure, ma il fuoco ezian-
104 LetteratuRìC
dio per quella sconsigliata devastazione si adoperò,
a ciò stimolando l'intemperante e matto desiderio
di ridurre seminabile a granaglie ogni e qualun-
que terreno: i montanari, non piìi contenti delle
ghiande e delle castagne, invocarono Cerere, che
presto volse le spalle a'iuoghi non atti a ricevere
i suoi doni: in que'moulì di forte pendio le piog-
ge trasportarono al basso la terra, in cui erasi vo-
luto stoltamente fare la seminagione de'grani, e vi
rimasero informi rocce e nudi sassi, che or nega-
no all'agricoltore ogni frutto.
Noi qui opportunamente ricordando quel verso
di Ovidio {Trist. Uh. 2): Et plus est patriae facta
referre lahor-^ di cuor sincero ci congratuleremo col
sig. canonico Palma, che durando lunga e nobile fa-
tica, a fronte ancora di una mal ferma e scomposta
sanità, condusse a termine un'opera, della quale do-
vranno sapergli grado gli abitatori del Teramano
Abruzzo, e se gli dovranno da essi riferire grazie
e perpetue laudi dell'aver egli egregiamente pro-
cacciato di mandare alla posterità col mezzo della
storia ed eternare le onorevoli memorie di quella
provincia. E ci rallegreremo eziandio colla illustre
citta di Teramo, le notizie della quale furono dap-
prima raccolte dal celebre Campano, che quivi ten-
ne l'episcopato, in una sua epistola indirizzata al
cardinal Papiense, ch'è la IV del 1 lib.; e dappoi
ebbe un suo valente storico nel marchese Giovan
Bernardino Delfico autore delle Memorie dlnte-
ramnia Pretuzia^ pubblicate in Napoli dalla stam-
peria reale nel 1812, e lodate dai cavaliere Luigi
Bossi nella Storia d'Italia antica e moderna, lib. 1
cap. X: il quale peraltro erroneamente attribuisce
quelle Memorie a Melchiorre Delfico fratello di
Storia pretuziana 105
Giovan Bernardino; ed ha ora quella raggiiardevol
città trovato nell'autore della storia ecclesiastica e
civile della regione più settentrionale del regno di
Napoli un altro valentuomo, che stimolato da ca-
rità del natio luogo tolse a scrivere diligentissima-
mente sugli avvenimenti del Pretuzio. Di questa
pregevolissima storia fecero onorevole ricordanza il
Giornale del primo Abruzzo ultra {iium. 28 art. 84),
gli Annali civili del regno delle due Sicilie {fase
XIX, gennaio e febbraio 1 836 a cari. 66 e seg.) ed
il Giornale abruzzese di scienze, lettere ed arti
{luun. V-, novembre 1836); ed il chiarissimo signor
canonico Palma, posciachè con lunghe e laboriose
investigazioni da' polverosi archivi , de' quali egli
seppe farsi una ricca miniera , trasse e pubblicò
tante carte ed importanti documenti, che vi giace-
vano dimenticati, e ci narrò nella più accurata ma-
niera le vicissitudini di una provincia, che pur fu
teatro di memorabili fatti, a buon diritto può darsi
vanto e gloria di avere contribuito un qualche uti-
le materiale al grande edifizio della italica storia;
ond'è ch'egli fiorirà nella grazia e nella universale
stima di quanti pregiano giustamente i buoni stu-
di e gli eruditi e dotti uomini: e quando sia tolto
a'vivi, rimarrà di lui bella e durabile fama.
Giaciuto Gantalamessa Carboni
107
"m > '• ' > !«—«—**■
VARIETÀ^
Notìzie intorno al foro de'inercanti di Bologna , volgarmente
detto la mercanzia. 4- Bologna pei tipi del Nobili e compa- _
gno 1857. (Sono cai-te 4o con una tavola in rame.)
JLIìcco un nuovo regalo che il signor Gaetano Giordani presen-
ta alla sua nobile patria. Con grande accuratezza sono in que-
sta operetta illustrate le memorie non solo della fabbrica del
Foro, opera dei secoli XIV e XV, ma anche del collegio de'
mercanti della città di Bologna. Gli amatori inoltre di tali cu-
riosità vi troveranno assai belle notizie anche su quell'architet-
tura clic impropriamente diciamo gotica.
B.
108 Varietà
Dello specchio mistico di bronzo rappresentante Ulisse e Tire'-
sia, illustrazione di Luigi Grifi consigliere e segretario della
commissione generale consultiva di antichità e belle arti, merìi-
bro dell' accademia de' lincei. 4- Roma i836. (Sono carte i4
con lina tavola in rame-)
V uolsi lodare l'egrègio signor cav. Grifi di averci data la vera
interpretazione (secondo noi) di ciò eh' è rappresentato in que-
sto singolarissima specchio mistico, dissotterrato ultimamente
fra le ruine di Vulci: opponendosi modestamente con molta eru-
dizione di greco e di etrusco a quelle che ne avevano pubblica-
to in Roma altri chiari archeologi.
B.
Lettera di Lucio Anneo Seneca a Lucilio. Delle vulgate
LXXXX. Bologna pel Nobili iSB;.
Xl signor Prospero Viani, illustre giovane lombardo, ha pubbli-
cato una bella versione di quella epistola di Lucio Anneo che
fra le vulgate è la novantesima, e con nobilissime parole ne ha
dato il titolo al cavaliere Dionigi Strocchi. Ne è traduttore l'ab.
Giuseppe Brambilla nome caro all'italiana favella, di cui come
oggidì è bella speranza, così per l'avvenire sarà ottimo sostegno.
Sovra lo stile di Seneca si provarono molli ingegni; ma alla pro-
va meglio di tutti riuscirono il gentilissimo Annibal Caro e Pie-
tro Giordani. Non sarem querelati di adulazione se diremo che
il Brambilla regge assai bene al loro paragone; né meneremo le
alte grida ov'egll facciasi minore di essi; perchè se il vincere i
meschini intelletti è vittoria assai magra, e di poco guadagno ,
Varietà' 109
il cedere ai grandi non fu mai cosa che desse vergogna. Noi bene
avremmo desideralo che il Brambilla si tenesse un po' più tem-
perato nel darci le viste del suo grande sapere in fatto di lingua.
Ma quel volgarissimo melius est abundare quam defìcere, è pure
la gran difesa per gli scrittori , e principalmente pei giovani
quel' è il sig. Brambilla! Che al fervido ingegno loro di buona
e non evitabile medicina suol provvedere il tempo.
Beniamiivo Barone
Discorso sull'agricoltura dell' agro romano, letto da A. Coppi
neir accademia tiberina il dì i"^ luglio iSo^. Roma tipografia
Sahiucci 1807.
ilei tempo che viviamo molti helluones antiquitatum credono
vanto l'annoiare la mente del pubblico con libri gremiti di cita-
zioni, di commenti, glosse, e annotazioni d'universale sapienza;
ond' è che un libro erudito e insieme filosofico è cosa molto
rara ai nostri dì. Questo discorso del signor Coppi intende a
cercare in quarepoca, ed in qual modo siano perite quelle cit-
tà fioritissime d'ogni bene che un di esistevano nell'agro di Ro-
ma; e come in possessione di pochi signori sian cadute quelle
terre che bastavano a nutrire tanti etruschi, latini, e sabini. Quin-
di l'autore narra ed esamina con maturo giudizio quelle leggi,
colle quali provvidero al coltivamento di quella or si miserabi-
le campagna i re, i consoli, gli imperadori, i pontefici e quanti
altri mai Roma tenosseroj e dotto negli arcani delle scienze eco-
nomiche e politiche, allo specchio del passato compone le nor-
me dell'avvenire; ed insegna i modi, pei quali in quel pauroso
ed infelice deserto potrebbero richiamarsi la salute, la ricchezza
e gli altri beni della vita civile. Egli infine discorre di quegli
economisti che scrissero nuovi progetti di agricoltura, e di que'
j'IO Varietà'
matematici che forruaron topografie, o disegnarono vie, cannU
e fiunii a comun beneficio. E di tutte queste materie egli ragio-
na con sobrie parole e eoa saldo criterio, mostrandosi profondo
in ciò che reca dinanzi al nostro giudizio. Il perchè noi credia-
mo che questo discorso sia im nobile frutto di quella patria ca-
rità, e di quel senno gentilissimo onde il nome del Coppi è già
solenne per tutta Italia,
B. Barone
alcune osservazioni sopra una memoria dal sig. Adriano Balbi,
con la quale si stabiliscono incontrovertibilmente i tempi di
due prese di Troia avvenute in due guerre mosse contro essa
dai greci.
XI eh. sig. Adriano Balbi con una ben ragionala memoria, che
primamente vide la luce nel giornale di scienze, lettere ed arti
ppf la Sicilia, e che riprodotta venne nell'Oniologia di Perugia
(fascicolo di maggio |834), ne addimostra la ragione per cui in-
torno all'epoca della presa di Troia discordarono e gli antichi
dotti, come dà a conoscere Gensorino nel libro sopra il dì na-
talizio, cap. XXI, ed i cronologi degli ultimi secoli. Chi volle
assegnare a questo avvenimento un'epoca, e chi un'altra, facen-
dosi dall' anno 1780 del mondo al 2820 corrispondentemente a
quel tempo, in cui ciascuno avvisò essersi incominciata la detta
guerra, la quale cessava colla mina di si famosa città. Le varie
loro opinioni circa 1' epoca di questa nascono principalmente
dalla difficoltà che gli uni incontrano a fermarla nell'anno sta-
bilito dagli altri; e ciò per la ragione, che i personaggi, i quali
ebbero parte nell' avvenimento medesimo, scontransi vissuti in
età diverse tra loro. Essendovi però sino dagli antichi tempi
prove certe, che essi tutti combattessero nella troiana guerra ,
Varietà' 111
non che storici documenti, che indicano avvenute in quella cit-
tà due guerre, potevasi con molta facilità assegnare , com'egli
ha fatto, l'epoca ad ognuna.
,, Troia non ebbe che sei re (sono parole del Balbi), sottq
l'ultimo dei quali ella fu presa ed abbruciata dai greci. Barda-
no, da cui essa a principio prese nome di Daidania, la fondò
l'anno del mondo 2524, e vi regnò anni trentuno; Erittonio vi
regnò anni settantaciuque; Troe^ da cui questa città, smesso il
norpe di Dardnnia, si nominò Troia, vi regnò anni sessanta; Ilo,
phe gli succedette, e da cui la fortezza di Troia s'appellò Ilio,
vi regnò cinquantaquattro anni; Laomedonte, anni trentasei; e
Priamo anni quaranta. Quindi avendo gli argonauti , ritornali
che furono da Coleo sotto il comando d'Ercole figlio d'Alcme-
na, battuto ed espugnato Troia, ucciso Laomedopte, e dato il
regno a Priamo figlio di lui, per essere stati esclusi dai lidi tro-
iani; ciò che narrano Darete Frigio, Diodoro Siculo, ed Igino:
la prima presa di Troia non può che essere avvenuta l'anno del
mondo 2780, in cui fini di regnare Laomedonte, e la seconda
l'anno 2820, in cui fini di regnar Priamo. Aggiungasi che il ve-
ro tempo della seconda presa di Troia viene ad emergere anco-
ra dalla vita di Teseo, della quale non vi ha nell'antichissima
stona serie di cose più esatta e più sgombra di falsità, cosi per
constar essa di fatti, che tra loro perfettamente concordano dì
tempi, e vengono anche da vari scrittori concordemente confer-
mati, come per essere stata ben dibattuta p dilticidata da Plu-
tarco e da Giovanni Meursio. Ora da essa risulta, che Teseo
verso l'anno del mondo 2^68, secondo del suo regno, le dodici
città dell'Attica componesse, e rassembrasse in Atene, e facesse
dai greci celebrare a Nettuno i giuochi istmi; ed anzi sottilmente
calcolando, io trovo che tutto questo caderebbe intorno a due
anni più in giù, cioè nell'anno del mondo ayyo. Cosicché, sic-
come dalle tavole arundelliane risulta esserne scorsi cinquanta
da questo avvenimento alla seconda presa di Troia , viene che
questa accadesse l'anno 2820 della stessa era; e che nella prima
guerra abbiano combattuto Telamone, Ercole, Teseo, Giasone,
Orfeo e tutti gli altri eroi del vello d'oroj e nella seconda i lor
figli ed i loi-o nipoti Agamennone, Menelao, Achille, Aiace ed
altri. „
112 Varietà'
Questa opinione delle due prese di Ti-oia, cronologicamente
ordinate dal Balbi, osservammo essere mirabilmente confermata
dal verso 5gg del libro IX dell' Eneide dove si legge bis capti
phrjges ec. Il La-Cerda, che commentò si dottamente l'altissi-
mo poeta, notò a quel luogo, che Troia fu presa tre volte: Tzet-
zes tameii in Tlieocr, ter ait captos , ab Hercule, amazonibus ,
graecis. Cosi pure Ugo Foscolo nel suo carme de'sepolcri, ove
osprimesi come segue:
....... e tutta narrerà la tomba
Ilio raso due volte, e due risorto
Splendidamente su le mute vie
Per far più bello l'ultimo trofeo
Ai fatati Pelidi.-
altenulo essendosi ad Omero, il quale nel III libro dell'Iliade
pone sul labbro a Priamo queste parole, nel favellare con Elena,-
Sovviemmi il giorno ch'io toccai straniero
La vitifera Frigia. Un denso io vidi
Popolo di cavalli agitatore
Dell'inclito Migdon schiere e d'Otrèo,
Che poste del Sangario alla riviera
Avean le tende, ed io co'miei m'aggiunsi
Lor collegato, e fui del numer uno
Il di che a pugna le virili amazoui
Discesero. Ma tante allor non furo
Le frigie torme no, quante or le achee.
L'egregio sig. Adriano Balbi, che con tanta diligenza e fe-
licità seppe fissare le epoche delle due prese di Troia, per gli
argonauti cioè condotti da Ercole , e pei greci capitanati da
Agamennone , saprà senza dubbio o smentire 1' asserzione di
Tzelze, d'Omero, e conseguentemente del Foscolo, o per piena
trattazione del suo argomento assegnare con egual precisione il
tempo di quella terza presa di Troia, fatta dalle amazoni.
Francesco Gapozzi
Varietà' ÌÌ3
in morte di Fulvia Òllvari Fulcini. Parma per Filippo Carmi-
gnani 1837 in 8. Voi. unico di carte 67.
Nella stessa occasione; Modena per Giovanni Vincenzi e comp.
1837 '" ^' ^^^' "'^'^ó di carte i io.
V^uesta gentilissima dama nacque in Modena ai 27 di settem-
bre 18 15 da quel patrizio Francesco Maria Olivari, e dalla mar-
chesa Guglielma Boscoli di Parma. Per gli aurei costumi e
pel non vulgare ingegno formò la delizia degli ottimi genitori >
che in lei, unica figlia superstite, si confortarono della perdila
di due altre, l'una maggiore a Fulvia e l'altra minore^ volale al
cielo in tenera età. Educata con ogni cura é come a gentildon-
na convenivasl, coltivava con amore la lingua italiana è fraricé-
sc, e gustava eziandio la tedesca e la latina. Era poi a mai'avl-^
glia istrutta rie'femmlriill lavori. Toccava il 18 anno quando era
disponsata al cav. Enrico Mazzarl Fulcini di Parma. Colmava di
giubilo la nuova casa, ed esatta nell'adempimento de'propri do-
veri, tutto amore era pel suo corisortej cui rallegrava di bella
prole: ma colta dopo il secondo parto da lunga e insanabile la-
fermità, munita di tutti i soccorsi della nostra religione nel 19
dicembre del i836 placidamente spirava^ lasciando nel più vivo
dolore i genitori, il consorte, gli amici, i congiunti, e quanti co-
nosciuta l'avevano.
Le belle virtù di questa egregia hanno dato luogo alle due
raccolte che annunciamo, e per cui gareggiaron fra loro Mode-
na, ov'ebbe 1 natali, e Parma ove andò a marito, in invitare al
canto valenti poeti. In fatti nella prima, tutta italiana, oltre la
elegante prefazione del eh. sig. prof. cav. Michele Leoni leggon-
si 1 sonetti del prof. Pietro Bernabò Sdorala, di Agostino Ga-
gnoli, del cav. prof P. A. Paravia, dell'avv. Marc' Antonio Pa-
renti e di altri illustri poeti, v' è un ode del conte Giovanni
Marchetti, ed una cantica di Giorgio Viani. Non potendo noi
riferire tutte queste poesie, ci contenteremo soltanto di riportare
per saggio un sonetto del sig. conte cav- Ferdinando di Casta-
gnola posto a carte 23.
G. A. T. LXXllI. 8
114 Varietà'
Fra le tombe di lor che un di la vita
Mi feano dolce, e invan richiedo al cielo^
Novella tomba, or or scoccato il telo
Di morte, al guardo mio pietate addita:
Non di chi sua giornata avea compita.
Perchè lo vinse dell'etate il gelo^
Ma di donna ivi posa il fragil velo
Che in suoi verd'anni fé da noi partita.
N'eran laudati il portamento onesto
E l'amor casto e il candido costume.
Neglette doti e d'altro secol degne.
Ah! tempo ben di lagrimare è questo;
Che ove rifulga di virtute un lume
E baJen che sfavilla e si dispegne.
Più estesa pel numero de' componimenti e per la varietà
delle lingue è la seconda raccolta, quella cioè di Modena. Dopo
un nuovo elogio della Pulcini vi sono poesie italiane, latine e
greche: due sonetti, l'uno spagnuolo l'altro inglese voltati in ita-
liano: ed iscrizioni italiane e latine. Qui pure veggonsi bei no-
mi, e fra gli altri quelli del marchese Tanari, delia contessa Ca-
terina Murari Risenfeld, del eav. Dionigi Strocchi, del prof. D.
Cesare Montalti, di Pietro Giordani, di monsig. Muzzarelli, dell'
ab. Giuseppe Manuzzi, e del prof. Michele Ferrucci. Anche il
Colombo, il nestore de'letterali viventi, nella saa «tà nonagena-
ria ha sparso un fiore sulla tomba di questa matrona, e volen-
tieri riferiamo il suo sonetto indirizzato all' afflitto consorte
(carte 5i)
V A n I K T a' ÌÌ3
Da quell'albergo avventuroso e santo;
Di cui fatta è novella abitatrice,
A te sen viene la tua donna accantòj
TécO s'asside, ti favella e dice:
Vedi, Arrigo, deh! vedi e come e quanto
Io viVà in grembo à Dio lieta e felice,
E póni freno a un angoscioso pianto
Che a te ndd men che a me si mal si addice.'
E ti conforta colla dolce speme
Che non sdggiornerai sempre quaggiusò
Dalia cara metà di te disgiunto.
Verrei verrà quel giorno in cui lassusò
Un'altra volta a me sarai congiunto,
E vivrem poi perennemente insieme.
Fra le iscrizioni latine ci sembra che trieriti di essere jiat'-
ticolarmente commendata questa del sig. prof Michele Ferrucci
HOSPES . SCIRE . SI . LIEET
CiÀEfiES . HEIC ; COMPOSITI . ADQTIÉSCVNT
FVLVIAE . FRANC . F . OUVARIAE
Ì)OMO . MVTINA . PATRICIA . NOBILITATE
QVAM i OMNIGENA . VIRTVTE . SPECTATISSIMÀM
IN . IPSO . ITVENTVTIS . FLORE . ÉXTINCTAM
HENRICVS . MAZXARlVS . QTI . ET . FVLCINIVS
EQVES . BENEF . COTNSTÀNtimAN
A . CVB 4 KAR . LVDOVICI . PRIÌNC . HÌSP . NOMINIS . DVCIS . LVCENS
MARITVS . MAESTISSIMVS * PRIMAM . CONDIDIT
IB . nEQVIETORIO . QVOD . ET . SIRI . DOMIQVE . SVAE . VMIVEHSAE
PARARI . IVSSIT . ANNO . MDCCCXXXVI.
116 Varietà'
E delle italiane non possiamo tacere questa affetttìosissima di
nionsig. MuZzarelli:
pAc2 . Alle . cbnbri
DI
FVLVIÀ «OtlVAHI
ESRMPIO . DELLE . VIRTV . PIV . RARE
COLPITA • DA. MORBO . IRREPARABILE
CESSÒ . DI . VIVERE
d'aNM . XXI
DA . TVTTI . PIANTA . DESIDERATA
IL . DÌ . 19 .DICEMBRE . 1836
MADRE . AD . AMALIA . E . MARIANNA . A . LEI . SVPEHSTlTl
FRANCESCO • E . GVGLIELMO . BOSCOLI
GENITORI . INCONSOLABILI
ENRICO . MAZZARI . FVLCIM
MARITO . AMANTISSIMO
ALLA . CARA . RAPITA
QVBSTA . MEMORIA
VLTIMO . PEGNO • DEL . LORO . AFFETTO
VOLLERO . COLLOCATA
II costume delle raccolte ad ogni circostanza che si presen-
ti, è in oggi così comune, che molti giustamente le hanno a
schifo, essendone per verità pieni a ribocco. Il Bettinelli ed il
Roberti fra gli altri furon tra'primi a riprovarne l'uso. Quando
però nobile sia il subietto, e giudÌ2iiosa la scelta de'coniponinien-
ti, non potranno certamente dispregiarsi coloro, che le promuo-
vono; imperocché é una bella mercede che rendesi alla virtù, ed
è onorevole la gara, in cui si mettono gl'ingegni, alcuni de'qua-
li forse non scriverebbero se non si offerissero loro queste occa-
sioni. Per verità se parlisi di raccolte per nozze, per lauree ec.
assai più ne piacerebbe la pubblicazione di qualche libro utile
fatta in tale circostanza, e dedicata a que' medesimi per cui si
Varietà' 117
vori'ebJiero invocare le muse. Trattandosi però di trapassati, non
sapremmo in qual altro modo si potesse tributar loro la nostra
gratitudine ed amore.
Volendo però parlare con quella sincerità, ch'è propria del
nostro giornale, diremo che nellq seconda raccolta non avremmo
voluto vedere né quelle sestine acrosticlie colla traduzione lati-
na in un epigramma acrostico (carte 86, 87), nò quel sonetto
estemporaneo (carte 61), il quale è tessuto in guisa, che può an-
che leggersi salendo dall'ultimo al primo verso. Questo esperi-
mento che sorprende, e può piacere a primo aspetto alla mol-
titudine, toglie assai alla gravità della poesia, inceppa la nien-
te dell'autore, e si oppone all'esatto e filosofico concatena-
mento delle idee Giustamente adunque siffatti coniponinienti
sono da coloro sbanditi che nella poesia cercano la solidità del-
le idee e la bellezza delle immagini, non già l'apparenza ed il
fumo. Che se poi anche con queste volontarie pastoie giunges-
sero a dare buoni componimenti, ammireremo maggiormente la
prontezza e la vivacità del loro ingegno.
F. Fili Momtam
La Georgìca e l'Eneide di Virgilio volgarizzale in ottava rima
da Lorenzo Mancini accademico residente della crusca, Fi-
renze, Ciardetti Voi. I, li in 8. iSSy,
Ui questa nuova traduzione di Virgilio terremo parola in uno
de'venluri fascicoli ragionandone a lungo.
F. F. M.
413
Necrologia - Rosini monsig. Carlo Maria.
V-4arlo Maria Rosini nacque a I^apoli il primq
giorno d'aprile del 1748 da Vincenzo e da Maria
Antonia \vA\ donna di singoiar bontà di costume
e di senno rnaraviglioso. Il padre suo era nato a
Rufrano, non ignobil terra dell'antica Lucania; ed
essendosi dato alla njedicina, di là era passato a Na-
poli ove si fé molto addentro in questa scienza
e nella letteratura. Egli stesso fu primo istitutore
al fanciulletto , avviandolo agli studi degl' idiomi
greco, latino, ed italico; e quindi conosciuta la inet-
titudine d'un maestro, cui lo avea jSdato piìi per
custodia che per insegnamento, di appena sett'an-
ni a'gesuiti lo consegnò, presso i quali sifikttamen-
te progfed'^ che braniarono farlo de' suoi : al che
piostravasi Carlo inchinalo, se la immatura morte
del padre e l'in^raenso lutto in cui restò immersa
la madre non Ip avessero impedito. Allora trovan-?
dosi in istrettezza grande di fortune, che il padre
avea poco curate, venne posto gratuitamente fra gli
alunni del seminario napoletano, ove si die alacre-
mente agli studi della rettorica e della poetica; e
quindi nel liceo arcivescovile applicò l'animo alla
ftlosofia e teologia, non senza faticarsi nelle leggi
SI civili e si canoniche. Ed avendo già il Rosini
presi gli ordini sacri, fu scelto ad instit^iire i g^r-
zonetti nel seminario medesimo: incarico cui adem-
pì con diligenza e severità grandissima. A questi
tempi trasportò dal francese al volgar nostro i Ru-^
(limenti di lingua greca ad uso degli alunni del se-
minario, lavoro che riesci molto approvatp e frut-?
119
tuoso. Appresso venne fatto prefetto degli studi
nel seminario, canonico della metropolitana, e dal
re Ferdinando scelto alla cattedra di s. scrittura
nell'università in luogo di Nicolò Ignarra, e posto
fra' primi soci dell'accademia ercolanese da lui re-
staurata, dandolo altresì compagno all'Ignarra nell'
interpretazione de'papiri. Ne'quali trovato il Rosini
pascolo adatto, si die a tutt'uomo a studiare in essi,
e non passarono cinque anni che pubblicò il non
breve libro di Filodemo TTspj rvjg Mcvcrjxvj^, aggiun^
lavi r interpretazione, il supplemento, ed un co-
mentarios lavoro di gran peso, d'erudizione e dot-
trina immensa, accollo con lodi infinite , e che sì
piacque al re Ferdinando , che la presidenza de'
papiri gli diede in perpetuo, e molti segni di regia
liberalità che illustrarono tanto il Rosini, quanto
l'intera accademia ercolanese. Lodi e prcmii siffatti
anziché invanire il Rosini, stimolaronlo a maggiori
cose: e già prometteva quanto prima una piena e
sicura istoria del Vesuvio, la quale ragionasse delle
varie eruzioni del monto , salendo infino a quella
di Tizio ; ed appresso dell' avvenimento delle li'e
consepolte cillki poi de' reali scavi di Ercolano, e
delle sue vicinanze, parlando insieme de'monumen-
ti quindi estratti, della biblioteca de'papiri, e del-
le vicende cui era stata soggetta. Questa storia, sì
necessaria ad illustrare ed interpretare que'cimeliij
Y aveva già intrapresa per reale comando Alessio
Simmaco Mazzocchi: ma impedito dalla grave età
e da altri lavori, non l'avea potuta compire. Il Ro-
sini si applicò solo ad essa, e con tanto maggiore
impegno, che prima avea faticato nel volume erco-
lanese intorno all' isagogica dissertazione ; e non
trascorse un triennio che ne ebbe condotta a fine
120
la prima parte, e collii medesima alacrità avrebbe
presto terminate le altre. In que'libri, pienissimi
d'ogni erudizione, non solo trattò la cosa con moU
ta scienza archeologica; ma della fisica e della mi-
neralogia si mostro spertissimo, usando di uno stile
sobrio e di una stretta maqiera di scrivere: aman^
do meglio sembrare talvolta nudo e digiuno, che
prolisso, e di vane frondi adornato. Grave iattura
fu per le buone lettere ch'ei non recasse a compi-
mento le altre parti dell' opera, impeditone dalle
cure del vescovato di Pozzuoli, a cui pochi mesi
dopo venne elevato. Allora ninna cosa avendo me-r
glio a cuore che l'istruzione de'cherici e sacerdoti,
riordinava il seminario, nuovi metodi proponendo
di cui egli stesso curava l'osservanza, interveniva
alle scuole, e con certami, premi , e lodi studiava
destare faville di utile emulazione, insegnando egli
stesso in casa i più valenti alunni nelle greche e
latine lettere. E perchè agli onesti solazzi non man-
casse l'utilità, scrisse parecchie comedie latine lepi-
dissime e castissime , che loro faceva recitare. Al
che aggiungendosi l'esatta disciplina de'costumi che
manteneva, e i dotti sacerdoti che uscirono di quel
seminario , ne crebbe siffattamente il grido che i
giovani vi accorrevano da ogni parte; ed egli, per-
chè non avessero cagioni di tornare alle lor case,
CQstrusse nuovìi villa ove due volte nell'anno a seco
diportarsi U conduceva, Somiglianti cure non disto-
glievapo Carlo d^l compiere le altre parti dell'uf-
ficio suo; che fino a tarda notte dava diligente opera
alle cose della diocesi, di cui più volte compiva la
visita , dando provvedimenti e leggi sapientissime.
Alle sagre funzioni assisteva continuo, predicando al
popolo, ed esplanando i rudimenti della fede: e nel
121
difendere poi i diritti di sua chiesa fu si fermo ,
che in tempi difhcilissimi corse pericolo di vita.
Della effusa liberalità ne'poveri lungo sarebbe il di-
re: onde non toccherò che l' ospizio che a grandi
spese fondò alle pericolanti fanciulle. Sapienza e vir-
tù SI grande il misero in tale fama , che i re di
Napoli gareggiarono nello stimarlo , e colmarlo di
onori , poiché fu consigliere intimo di stato , regio
cappellano , presidente più. volte dell'accademia er-
colanese , perpetuo della reale società borbonica ,
de' 24 consultori del regno, direttore per alcun tem-
po dell'istituzione letteraria di tutto il regno , e ven-
ne adoperato ne' pili gravi negozi della ecclesiasti-
ca repubblica. Modesto il Rosini fra tanti onori, fu
specchio di amista , di fede e di virtù bellissime.
Ebbe alla e diritta corporatura , orecchi lunghi ,
volto e sopraciglio grave , larga fronte, occhi tan-
to vivaci , che al sol vederlo mostravano l'acume e
l'alacritU dell'ingegno. Le gambe ebbe gonfie , tal-
ché al sopravvenire della vecchiezza non potea più
muovere i piedi : ma egli impaziente di riposo fa-
cevasi portare in lettiga per casa, ne'tempii , e per
le terre della diocesi. Per la sua frugalità ed asti-
nenza visse in buona salute fino all'ultima vecchiez-
za; mancando per appoplesìa a'18 di febbraio 1836.
Le iscrizioni del funerale furono composte da Ni-
colò Lucignano che ne disse funebre elogio , e ne
dettò un comentario latino elegantissimo. Con lati-
na orazione e con versi lo celebrarono gli alunni
del seminario , e con elegante narrazione di sua vi-
ta il cav. Prospero della Rosa.
Oltre le opere accennate di sopra, lasciò il Re-
sini stampate:
Vita Horatii Jacopi Martorcllii.
122
Epistola de locis theologicis - Romae 1 825. Tro-
vasi in fine all'opuscolo De vita Dominici Cop-
polae etc.
Opere inedite,
Sententia de conductione tacita - Exercitatio aca--
demica.
Dissertatio de novissimi paschatis dominici die.
De Laptismo novi foederis.
I)e authentico Nicaeni I canonum numero,
Commentarius in tit. decret, de feriis,
Graeciae chorographia.
Synopsis archaeologiae graecae.
De marmore graeco suessano dissertatio.
Dissertationìs isagogicae pars altera incepta.
Dissertazione intorno al tempio puteolano detto
di Serapide
Inscrizioni e versi in greco, latino ed italiano ecc,
Qt, F» Hambelli
NIHIL OBSTAT
E Jacopini Censor Theol. Deput.
IMPRI3IATUR
fr. Dom. Buttaonl O. P. S. P. A Mag.
IMPRIMATUR
4- Piatti Patriaixha Antiochenus Vicesg.
\
INDICE DELLE MATERIE
Contenute nel voi. 217.
SCIENZE
Caraffa, Corso di materiialiche tradotto
con note dal Volpicelli. P^S- ^
Perronc, Praelecliones theologicae, voI.IV- 6
Tonelli, Rivista medica (oonlìnuazionc). 2T
Giusti, Corso di filosofia. 34
Peretti, Della cetraria islandica. 4**
LETTERATURA
Campanari, Degli anlicbì' tuscaniensi e
del modo di sepDelIire in Tuscania. 49
Pellegrini, Tragedie. - 67
Vaccolini, Osservazioni sul bello,Art.XIII 76
Bonelli, Praecipuorum philosophiae sy-
stematum disquisitio historica.
Palma, Storia ecclesiastica e civile della
regione più settentrionale del regno
di iN;ipoli.
Varietà.
Necrologia di monsig. Rosrui.
Tavole meteorologiche.
89
95
107
118
GIORNALE
ARCADICO
DI SCIENZE , LETTERE , ED ARTI
VOL. 218. 219.
ROMA
ISELLA STAMPERIA DELLE BELLE ARTI
1837.
SCIENZE
Osservazioni medico-pratìohe, ed anatomicQ-^patolo-
giche intorno il melena. Lettera del dottor h.x\-
^e\o Santini membro di parecchie accademie, so-
cia corrispondente della società delle scienze fi-
siche, chimiche e te. di Parigi, medico primario
in Montalboddo, diretta al chiarissimo signor dot-
tore Francesco Valori membro del collegio me-
dico-chirurgico della romana università, profes-
sore di sanità della s. consulta, medico, fiscale di
Roma, ^ià presidente della società medico- chi-
rurgica di Bologna,, membro di molte accademie
mediche e letterarie d^ Italia ecc. ecc. ecc.
Chiarissimo Sig. Professore
G,
raJevole occupazione fu al certo per me l'es-
sere stato intento alle pratiche osservazioni medi-
che , ed or m'è gratissimo d'indirizzarle il risultato
di alcune di queste sul melena. Costume lodevolissi-
mo ed infinitamente vantaggioso fu sempre mai il
render note le mediche osservazioni fatte in cittk
e negli spedali , da cui moltissimo profitto trasse-
ro i medici che furono all' esercizio dedicati. Que-
st'uso applauditissimo è slato seguito da molli gran-'
G.A.T.LXXIII. 9
130 SCIRN*»
di dell'arte nostra , ed ha portato a tutti noi sicu-
ramente non poca utilità nell'esercizio pratico : ed
io per siffatta ragione intraprendo ad eseguire di
buon grado le tracce loro , sulla persuasiva di por-
tare notabile vantaggio ali* umanità. M* ingegnerò
dunque di dimostrare con succinte storie di varie
malattie ordinariamente letali, e primieramente una
delle poco frequenti, ma pericolose, che assale il
corpo umano , sperando che mi sarà pur concesso
di parlare, per quanto pur lo comporteranno le de-
boli forze mie , sopra quattro individui attaccati da
gravissimi meleni , morbi neri cTlppocrate , i quali
segnarono l'estremo pericolo , ed avrebbero indubi-
tatamente ed irreparabilmente incontrato T ultimo
loro fine, giusta il ricordo lasciatoci dal padre della
medicina su tale affezione: Morbus laethalis quidem
est , ìion autem consenescitt se curati e vinti non
fossero stati col metodo tutto deprimente, conforme
all'aureo trattato , ossia ricerche intorno al melena
del eh. professor Michele Santarelli^ presidente del
collegio medico-chirurgico della pontificia universi-
tà di Macerata, pubblicato in Foligno pel Tomassi-
ni nel 1830.
La medicina più che scienza è un'arte, diceva
egli , che non può apprendersi che al fianco di abili
artefici. Egli mi fece conoscere i processi morbosi
nel modo stesso con cui il celebre Frank si com-
piacque ad esso manifestarli , ed ebbi in tarepoca
favorevole circostanza di osservare non pochi infeli-
ci attaccati da sì terribile malattia: motivo per cut
non ignaro della sua maniera di curare e della sua
felice pratica , ho potuto sperimentarla e confer-
marla inoltre nel mio pratico esercizio , e quin-
di portare a salvamento i 4 nominati esseri che
sciaguratamente furon colpiti dalla detta infermità.
OssERVAsioNi SUL Melena 131
Fratlanto a me sembra non esser del tutto
disprezzabile il premettere una brevissima descri-
zione del medesimo morbo , onde far conoscere a
pi^ima vista ai giovani alunni il vero carattere e
la sua ordinaria ferocia , non che il suo crudel
fine , stante la moltiplicitk delle opinioni fra lo-
ro discordi tanto degli antichi , quanto dei mo-
derni scrittori intorno la diagnosi vera di detta
affezione : quindi il suo stato di cura : finalmen-
te la dimostrazione dell'opinione dell'illustre pro-
fessor mio universalmente accolta ed abbracciata
non solo , ma dello stabilimento della vera indo-
le e sede, e del di lei trattamento ancora riusci-
rà io spero molto proficua, giacche medicus siiffi-
ciens ad morhitm cognoscendam^ sufflciens est etiani
ad sanandwn^ aggiunge lungher: Da vera morborum
diagnosi certo therapiae fundamento etc.
Quel flusso di ventre adunque di materia ne-
ra , o rossiccia rigettata per bocca o per seces-
so , o per entrambi , che essendo per lo piìi prece-
duta da dolori vaghi del basso ventre , ed altri che
dalla lombare regione allo stomaco si estendano ,
morbo nero d'Ippocrate^ ossia melena^ o per me-
glio dire ematemesi dai moderni e segnatamente
dal celebre Speranza si appella, e con molta saviezza
fu meditata da Portai^ ed approfondita nei suo anda-
mento da Alibert'. Morbus luger , fluxus splenicus ,
dissenteria splenica , nigrae dejectiones di Saiwa"
ges. I controstimolisti lo riguardano come un sin-
toma di flogosi della membrana mucosa digestiva:
morbo con molta facondia designato da Tissot e da
Testa sulle malattie del cuore : vomito cruento con
secesso mucoso od anche senza di esso si ritenne da
Uoffniann , e denominato per infarcimento vascola-
132 Scienze
re sanguigno da Kaunph ec. Se tali perdite si rinno-
vano però di tanto in tanto strabocchevolmente ,
colui che ne è aggredito fra le pene e le angosce si
avvicina a pagare , o paga ancora l'inesorabile tri-
buto alla natura , ovvero vieii trascinato misera-
mente alla consunsione ed all'idrope.
L'erudita , compendiosa ed esatta descrizione
lasciataci dal vecchio di Coo nel lib. II de morhis ,
indispensabile al certo ne rende la lettui'a alla gio-
ventù per essere molto utile ed istruttiva. Molti
che le tennero dietro, e segnatamente Galeno^ la ri-
guardarono come prodotta dall'atrabile , da sangue
oscuro, e dalla sua amurca. Tanto Foresto come
Strunk la ripeterono da adunamento di sangue nei
vasi del ventricolo , della milza , e del fegato. La
milza, dice Stork, col mezzo dei vasi brevi scarica il
sangue nello stomaco ; il fegato per la via del con-
dotto bilifero se ne sgrava nell'intestino duodeno ,
ed in quest' ultimo caso la materia nera viene eva-«
cuata per l'ano piuttosto che per vomito od almeno
in tenuissima quantità. Siffatta opinione venne quin-
di abbracciata non solo , ma accreditata eziandio
da Boerhaave e da Wan-Svieten , cosicché fu da
quest'ultimo colle sue prodigiose osservazioni tal-
mente arricchita ed illustrata, che i medici di quei
tempi professarono generalmente la stessa dottrina ,
ed a prima giunta ha portato qualche sorpresa ai
moderni eziandio.
Simpsoìi intanto col suo acuto ingegno ben si
accorse , che la murchia che dai lacerati vasi sorti-
va , altro non era che sangue misto ad umori anne-
rito e ridotto a guisa di sciolta , e spesse volte anche
densa pece. Malgrado di ciò, la vecchia supposizione
non venne spenta: e concordemente unironsi le ulti-
OssERVAiioNi SUL Melena 133
me alle prime investigazioni, fissando per massima
certa ed indubitata, che il melena traeva origine dal-
la bile nera e dal sangue atro, o da entrambi. Molti
scrittori del passato secolo sono di tale avviso , e
sifìiitta idea non venne disprezzata dal famoso Sau-
vages.
Fu dai medesimi ritenuto che l'atrabile potesse
influire sul morale , e quindi ripetevano dalla me-
desima le alterazioni delle intellettuali funzioni , e
ritennero eziandio che quelli aggrediti dal melena
spesso rinvengonsl con tali cambiamenti, come Gil-
bert , Tissot ed altri attestano. Aggiungono di più
che la maggior parte di coloro affetti dal suddetto
morbo si riscontrano pensierosi , taciturni , qualche
volta maniaci , e spesso occupati da uu profondo si-
lenzio. Altri , contrari alla propria esistenza , ama-
no restar soli ed ansiosi di particolare egoismo. So-
no pur anco irritabili , fieri , impetuosi , sospettosi,
e facilissimi a dimenticare i beneficii usati. Passano
d'altronde con molta facilita dall'un estremo all'altro.
Posti in obblìo i partigiani della dottrina dei quat-
tro umori , vennero in campo altri a rigettare l'a-
trabile per incolpare il sangue. È cosa veramente
sorprendente che il nosologo di Edimburgo volente-
roso accetti la opinione di varii, che la materia nera
spesse volte picea, che disegna il melena^ possa sca-
turire dal fegato.
Essendo pertanto universalmente accolta l'idea
del celebre Tissot^ che la materia nera le tante volte
ripetuta da Ippocrate altro non sia che sangue ver-
sato entro il tubo intestinale , ed essendo stata una
tal massima dedotta da moltiplici osservazioni isti-
tuite da altri pratici anteriori al ^Fissot ^ e segnata-
mente da quelle di Hoffmann , si venne alla deter-
134 S e I E N Z K
minazlone d'i riunire sotto una sola denominazione e
specie il K>omito cruento ed il melena^ chiamandolo
einntemesi la maggior parte degli scrittori anche mo-
derni : e si riguardò la prima come una difFussione
della seconda affezione, tra'quali fu Cullen che ven-
ne interamente seguito da Kempft, ed uni le dette
due malattie in una soltanto.
Viceversa ammesso da alcuni I*infarcimento va-
scolare, non sanno stabilire se il melena attribuir si
debba a vizio de'fluidl o de' solidi , e poscia quali
dei due siano primieramente alterati. Montfalcon
propende in parte per la dottrina dei quattro umo-
ri , e Broussais è di sentimento che il sangue e gli
umori nutrienti alterar si possono nella loro compo-
sizione e produrre sconcerti morbosi. (Bcgin. Prin-
cip. gen. di physlol.) Il signor Polidori , dietro un
risultato di fatti , ammette nei vizi umorali la sor-
gente di varie malattie- Rochoux , Velpeau , e Se-
galas sono inclinati per l'alterazione degli umori ,
per cui non solo egli , ma altri ancora ripetevano
Vematemesi splacnica almeno nei suoi principii da
vizio nei fluidi. Tanto Speranza, quanto Barzellotti
escludono le malattie umorali (Vedi Giorn. de'lettc-
ratl num. XXVIL). Drejssing parlando di tale aife-
zione sulla diagnosi medica si unisce interamente a
Cullen ed a Kempft nella riunione del melena col-
r ematemesi, riguardandola come sola, e stabilì la
stessa cosa ed abbracciò il medesimo principio.
Di siffatto accoppiamento fece menzione Cui'
len medesimo ne'suoi elementi con molta precisio-
ne: lo che apprezzò immensamente il celebre Frank,
e nella sua maniera di curare le malattie umane
fece anch'(;gli motto del melena considerandolo co-
me una varicl'a AcW e materne si' Quest' accoppiamen-
Osservazioni sul Melena 135
It) poi efa stato in antecedenza valutato e sostenu"
to con molta fermezza da Lieutaudi e fu d'altron-
de tal massima talmente apprezzata^ che da molti
si riguardò il melena come un semplice profluvio
cruento, mentre il vomito sanguigno si confonde fa*
cilmente con Vemoftisi ed il morbo nero. E di fatti
la nominata emorragia venne riguardata per un
egual profluvio soltanto, benché non dovrebbe es-^
ser collocata in questo genere di malattia^ giacche
ha dei caratteri particolari^ e non ha molta somi^
glianza alle altre speciet ciò non ostante ne Pinel
ne Sawvages furono di unanime consentimento ad
includerla in questo genere» essendo una malattia
ospitante nel ventricolo e negf intestini sì tenui e sì
crassi»
Essa è sì fiera, che in pochissimi giorni da mor-
te a quegli sciagurati che attacca, Dodoneo nes-
sun' individuo vide giammai guarire, e Sauvagei ri-
corda ristabilirsi qualche donna, la cui cagione era
catameniale (Nosolog. method^ t. II).
Ma parlando alla sfuggita della condizione pa-
tologica tanto locale quanto generale del detto mor-
bo, non solamente Cullen ammette che per lo piìi
sia atonica, ma molti altri anche moderni, e col-
loca il melena fra 1* emorragie passive, e qualche
volta si estende a porla tra le attive, e principal-
mente allorché essa viene prodotta da soppressio-
ne di emorroidi, o di mestrui, ovvero di altre eva-
cuazioni, e finalmente ritiene il melena attivo al-
lorquando esso derivò da cause traumatiche.
Frank intanto, dopo avere istituita una rigo-
rosa disamina sulle cause del melena, conviene an-
ch'esso con Cullen, adoperando quasi le medesime
espressioni, che nella maggior parte dei casi deb-
136 SCIEMZK
La riguardarsi come astenica: ma però non esclu-
de, anzi non si mostra ritroso ad approvare altre-
sì esempi di opposta indole.
Ciò che immaginarono i due suddetti celebri
scrittori era stato molto prima argomento interes-
santissimo, e convenientemente trattato dal medico
di Losanna, essendo di unanime consentimento con
entrambi, ed opinò tanto la lacerazione quanto la
perdita sanguigna doversi ripetere dalla debolezza
e lassezza de' vasi sanguigni. Non dissentirono pUnto
da questa massima Pinel e Clark^ ed intieramente
ambedue convennero. Glie dirò poi di Dreyssitìg^ il
quale apprezzò tanto un tale sentimento, che lo
sparse ovunque per mezzo della sua opera, espri-
mendosi così alla pag. 11? «< Il vomito di sangue è
attivo o passivo; affetta però più spesso quest'ultimo
carattere. » Che dirò dell'illustre commentatore del
celebre Frank, il quale non rigettò il suddetto di-
visamento, ma gli accordò sommo rispetto ? Darà
ima soddisfacente soluzione al presente quesito ciò
che disse il eh. professor Santarelli nel citato di-
scorso, riportando io qui le sue stesse pai*ole:
« Mi sarà pertanto permesso di riguardare l'o-
« pinione di coloro che ultimi hanno parlato del
« melena del tutto uniforme alla sentenza del si-
« gnor GuUen , secondo la quale il melena è il piìi
« delle volte un'emorragia passiva ad atonica, osisla
« astenica la condizione delle parti ove la mede-
« sima succede.
« I seguaci della nuova dottrina medica italia-
« na vennero in questi ultimi anni in opposta sen-
« tenza. Persuasi che le emorragie siano sempre ed
« esclusivamente attive malgrado l'opposizione delle
« altre scuole , e riflettendo che i rimedi impie-
OssERVAWoNi SVI. Melena 137
« gatl con profitto contro il melena godono il pote-
« re di deprimere e controstimolare , suU'appog-
« gio , io dissi , di queste due salde considerazio-
« ni, e senza il soccorso di autopsìe cadaveriche, lo
« definirono un morbo ipèrsténico. Méntre questa
« paiate di patologia ei'a così diversamente ammes-
u sa ^ io avea già molto tempo pi*ima » e per piti
tt e pili anni raccolto non poche osservazioni, in
« virtù delle quali mi era lusingato di poter de-
« terminare la vera condizione morbosa producente
« il melena. E non Volehdo con Soverchia fretta , e
« con pochi fatti stabilire là mia opinione ^ cerca-
« va nuove osservazionij le quali ponessero fuori di
« ogni dubbio la sentenza da me adottata.»
Necroscopia degli estinti dal melena.
Fra gli scrittori principali, che si sono occupati
suiranatomia patologica di quelli periti dal morbo
nero, a me sembra che debba annoverarsi , ed as-
segnarsi segnatamente Bonneto , il quale nel suo a-
natoniico sepolcreto riferisce un caso di un giovine
ucciso dal suddetto morbo, i cui intestini la mag-
gior parte neri e sfacciati osservò, turgidi di sangue
nero i vasi del mesenterio, ed il colon ripieno del-
lo stesso umore che prima della morte avea in par-
te evacuato.
Le due interessanti osservazioni addotte da
Hoffmanth riportate da molti altri che lor tennero
dietro, ammettono nel tubo intestinale una dovizio-
sa quantità di nero umore puzzolente , ed i vasi
brevi turgidi di sangue ed altri perturbamenti nei
visceri addominali. Vcd. tom. IV par. 2 sect. 1 tom.
m pag. 76.
138 S G I fi n 2 fi
V'ha un caso altresì riportato dal eh. Santarelli
di un militare morto nello spedale di Terni neH799,
il quale essendo stato aggredito da molti dolori, ed
avendo questi continuato per 12 giorni, evacuò frat-
tanto molte materie nere fetidissime, e quindi cessò
di vivere all' approssimarsi dell' autunno. Essendo
stati con ogni diligenza puliti gl'intestini, la maggior
parte di essi fu riscontrata di un tessuto più denso,
più resistente dello stato normale, ed il medesimo
tessuto tinto di color rosso più o men carico. Ven-
ne dal suddetto professore creduto infiammato, av-
vegnaché non avesse osservato che pochi vasi rossi
e turgidi di sangue. Il detto soldato tedesco era
assai inclinato al vino.
Similmente riferisce le sezioni di altri cinque
estinti dal melena , e tutti presentano alle sagaci
investigazioni un lungo tratto del tubo gastro-ente-
rico infiammato. La flogosi pertanto venne dal me-
desimo rinvenuta più decisa ed evidente ove le in-
testina aderivano al mesenterio ed al mesocolon ,
per cui anche le dette membrane furono riscontrate
nel loro attacco di quando in quando più dense ,
più resistenti, e più rosse dello stato ordinario : dal
che chiaramente apparisce aver esse partecipato del-
lo stesso processo.
A conferma di tutto 'ciò vengo a riferire l'au-
topsia cadaverica di due uccisi pel melena, morti
nel civico ospedale di Macerata, fatta istituire dal
professor Santarelli in faccia a molti suoi alunni,
fra i quali era anch' io presente. La prima nella
persona di Andrea Bergiani venne praticata, il qua-
le aveva 50 anni circa, ed affezionalo soverchiamen-
te al vino. Da più mesi essendo egli soggetto a per-
dite di una materia nera e fetida per secesso, pre-
OssKRVAziom SUL Melena 139
cedute e accompagnate da leggeri tormlnl, e poscia
da una penosa esistenza, finalmente soccombette.
« Aperto l'addome , il fegato e la milza si pre-
« sentarono sani , le intestina tanto tenui che cras-
« se contenevano una gran copia di materia nera.
« Le loro pareti dal principio fino alla termina-
ti zione infiammate, ma non con egual forza in tut-
« ta la loro estensione. Rosse erano queste, ingros-
« sate e resistenti : si rinvenne ancora lungo il
« tubo alimentare tratto tratto di color atro por-
« zione del medesimo , dove non ebbe dimora la
« flogosi. Si riscontrò pure del sangue nero dopo
« aperte le membrane intestinali sparso fra l'ester-
« na ed interna membrana medesima: dal che ne
« dedusse esser vere ecchimosi tali macchie.
« La seconda nella persona di Pasquale Mar'
* chettl calzolaio. Avendo soggiaciuto a forti dolo-
« ri di stomaco varii anni addietro, questi veni-
« vano ancor più inaspriti dopo l'assunzione del
« cibo ; i medesimi l'aggredivan regolarmente, ed
* aveva molta stitichezza. Era assai corpulento e to-
« roso , passò poi ad una emaciazione straordinaria
« ed inesprimibile. Si aumentarono poscia i sud-
« detti dolori dello stomaco , e non risparmiarono
« successivamente di attaccare l'addome. Quindi il
« vomito di materie acquose, e poco appresso di ma-
« terie nere. Di poi si sospende il suddetto vomito^
* e viene da questo a quando a quando disgrazia-
« tamente obbligato a scaricare materie oscure e di
n spiacevole odore , e questi scarichi fetenti ven-
« nero accompagnati da piressia. Non tardò poi a
« sopravvenire il vomito di sangue puro e quindi la
■ morte dell'infermo.
140 Scienze
SEZIONE
« Aperto l'addome, si rinvenne l'omento senza
« adipe, ed avente delle irradiazioni inflammatoric.
« Lo stomaco aveva naturale il volume, ma presen-
« tò le pareti molto ingrossate, specialmente nella
« grande curvatura dove sembravano portate all'al-
te tezza di due linee. Niun rubore nella di lui ester-
« na ed interna superficie , e ninna lacerazione di
« vasi sanguigni. Il duodeno leggermente infiarama-
« to lungo il suo attacco al mesenterio , ed infiam-
« mata anche questa membrana maggiormente nel-
« l'adesione del medesimo. Gl'intestini tenui in-
« fiammati anch'essi con flogosi sempre crescente fi-
■ no agl'intestini crassi. Il mesenterio ne parteci-
« pava egualmente colla stessa progressione. I vasi
« venosi tanto di quest'intestini , come del mesente-
« rio gonfi , turgidi di sangue , ed accresciuti più
« del doppio della loro normale dimensione. L'in-
« testino ileon nella superficie interna presentò
« quattro punti distinti gli uni dagli altri di quasi
« due palmi , ove si rinvennero cinque o sei vasi
« per ciaschedun luogo rotti, e lacerati, dai quali
« gemeva il sangue venoso , ed i medesimi vasi col-
« iapsi. Gl'intestini crassi non dimostravano alcun
« vizio. In questi si rinvennero delle fecce, ma nei
« primi non si trovò umore alcuno atro costituente
« il melena. Gl'intestini tenui prima di giungere al
« cieco erano per un gran tratto esternamente ade-
« renti tra loro. I vasi brevi, abbenchè lo stoma-
« co, quale l'abbiamo descritto, come la milza fos-
« sero nello stato normale , pure comparvero di un
« volume doppio del naturale. »
OSSKRVAZIONI SUL MeLENA. 141
Ometto di riferire alcune sezioni per non anno-
iarla, e perche le ho credute inutili, essendo pres-
so a poco simili alle altre : ed i risultati delle me-
desime han fatto chiaramente conoscere che spes-
so la flogosi riscontrasi stabilita nel tubo intesti-
nale , e principalmente in quella parte che aderi-
sce al mesenterio ed al mesocolon. Sebbene 1' in-
fiammazione frequentemente abbracci il canale ga-
stroenterico, i medesimi si rinvengono per lo più
flogosati per l'altezza di un pollice ed anche più.
Frequenti volte alla stessa flogosi tien dietro l'inte-
stinale, in guisa che mostra di essere attaccato il me-
senterio non solo, ma le intestina eziandio da una
medesima contigua lesione.
Per la tumidezza e l'ingrossamento di alcune
linee delle pai'cti degl'intestini in vista di tale ac-
crescimento , e della tenuità dei visceri stessi, a
me sembra che la medesima flogosi possa aver so-
miglianza all'epatizzazione dei visceri parenchi-
matosi.
Nelle sezioni dei cadaveri ordinariamente sì
rinvengono le intestina nere ed oscure , stante la
presenza della flogosi ivi stabilita , che per me-
glio osservarle è mestieri evacuare la detta atra-
bile cos'i denominata d'agli antichi. Allora lavate le
intestina medesime si renderà ben chiara l'infiam-
mazione stanziata nelle pareti delle medesime , a
fronte delle altre alterazioni che possono negl'inte-
stini rinvenirsi.
Il celebre Frank nella sua epitome al parag.
611 , precisamente descrivendo V ematemed* aste"
nica , disegna fedelmente la necroscopia di una
donna morta pel melena^ nella quale rinvenne le
pareti del ventricolo rosse, e pih rosse ancora le
142 S e t S N Z K
riscontrò nella superficie del tubo intestinale di un
uomo perito del medesimo morbo , e di piìi injet-
tata universalmente di sangue senza erosione del
medesimi.
Sonosi per verità in parecchi cadaveri osser-
vati dei vasi venosi lacerati , dalle cui fenditure
scaturiva quel sangue in parte che ritrovasi coa-
gulato negl'intestini e che si trasse fuori durante
il corso della fatale malattia, come di fatto si rin-
vennero da noi le vene corrose ed aperte nelle due
descritte sezioni.
Se altrettanto avvenga nei canali arteriosi, non
saprei di presente addurne prove sufHcienti per
altrui e mio convincimento : ma ripeterò ciò che
scrisse su tal proposito T illustre prof. Santarelli
nelle suddette ricerche:
» Io non mi sono mai incontrato colla lace-
» razione dei canali arteriosi, ne posso ricordarmi
» che altri ci si siano avvenuti. È però possibile che
» ciò succeda, e lo deduco dalla seguente osserva-
» zione. Fui chiamato, son già molti anni, in Came-
» rino per visitare il conte Valenti. Erano parec-
» chie settimane che si trovava infermo, ed avea
» perduto per l'ano molto sangue parte oscuro e
» nero, e parte rosseggiante. Soggiaceva egli da mol-
»» ti anni al flusso emorroidale, e la presente ma-
» lattia si era manifestata nel suo principio con
» tutti i sintomi propri delle emorroidi esterne ed
» interne. Non si era riuscito a far cessare un tal
» flusso sanguigno, e l' infermo si trovava ridotto
» ad un'estrema debolezza. Essendo ricomparso nuo^
» vo scarico sanguigno, si dilatò l'ano, e si potè scor'
» gere che all' altezza di un pollice sgorgava del
> sangue rosso e spumoso, il quale veniva espulso
Osservazioni sul Melena 143
» a successivi colpi che erano isocroni colla pulsa-
» zione delle arterie. Si convenne derivare da un
» vaso arterioso lacerato questo flusso sì pertinace. »
Ora è ben naturale il persuadersi, che altret-
tanto possa avvenire nel melena, malattia tanto so-
migliante all'emorroidi, che spesso l'ultima termi-
na colla prima.
10 son portato a credere, che allorquando l'in-
fermo evacua unitamente materie nere sanguigne,
e quando queste evacuazioni si succedono senza in-
terruzione , e conducono l'infermo prontamente al
suo fine , si possa con molta verosimiglianza so-
spettare che sia lacerato qualche vaso arterioso. Que-
sta congettura deve però venir cimentata da sezio-
ni di cadaveri, affine o di confermarla o di escluder-
la. Disgraziatamente però non è a noi sempre per-
messo di aprire tutti i cadaveri di tal malattia : ed
io ho dovuto sostenere molti rifiuti dai congiunti
del defonto.
Ad oggetto di spander nuovi lumi sui disor-
dini rintracciati nei cadaveri estinti dal melena mer-
cè delle anatomiche sezioni; e quindi ad oggetto an-
cora d'investigare le cagioni segnatamente che pro-
ducono il medesimo morbo , non ometterò di dare
un cenno fugace delle principali,
CAUSE
11 soverchio cibo animale , 1' abuso del vino
e dei liquori , i veleni e gli ossidi metallici spe-
cialmente , la crapula , la soppressione de' mes-
trui e del flusso emorroidale ; cosi la retrocessio-
ne delle impetigini , il disseccamento delle ulceri
aperte da lungo tempo , e gli emuntori intempea-
^J^.^ SciENEE
tivamente chiusi , i cibi soverchiamente conditi con
aromi) e piìi le carni; coloro che hanno una lau-^
ta mensa, nell'età dei 50 ai 60 anni vengono più
facilmente aggrediiti. A quelli che abusano dei li-
quori non di rado, prima della comparsa dell'atro
flusso , precede o lo scirro dello stomaco o l'in-
duramento del fegato. I medici partigiani della dot-
trina browniana, che trattarono la maggior parte
delle malattie col metodo stimolante, s'incontraro-
no spesso con individui affetti dal melena. \\ ca-
so che racconta il prof. Santarelli di Cecchi ur-
bisagliese, che io stesso vidi piìi volte, il quale ve-
niva trattato per debolezza e dolori di stomaco pri-
ma con soverchia quantità di aceto ed anche per
clistere, e successivamente della tintura del ì^ith^
sebbene in età giovanile , passò rapidamente al
melena^
Anche l'abuso del caffè, il quale essendo pre-
so caldo assai irrita il tubo intestinale , è capace
di fare sviluppar la flogosi ove trova predisposi-
zione. Tissot riporta il caso di un uomo morto di
melena per abuso di caffè , e Santarelli è di av-
viso che richiami sempre l'affezione emorroidale: e
conferma questo suo divisamente il canonico Pier'
mattei, che io stesso vidi con esso in Cingoli , il
quale essendosi strabocchevolmente prevalso della
suddetta bevanda, gli vennero richiamate le emor-
roidi ed accresciuta l'imitazione del tubo intesti-
nale per avere antecedentemente soggiaciuto al
melena.
Quelli che furono sottoposti a coliche infiam-
matorie perseveranti, quand'anche giovani , a feb-
bri contagiose petecchiali se non vennero ne' pri-
mordi salassati, non è cosa rara osservarli mclenici.
Osservazioni sul Melena. 145
Egualmente quelli che per mala ventura furono sog-
getti a forti patemi ti' animo ed a repentine di-
spiacenze. In conferma di tutto ciò descrìve il caso
lo stesso prof, Santarelli di quel cavaliere macera-
tese che godeva lauta mensa, il quale dopo l'annun-
zio della perdita di una causa, fu preso dal melena^
ed appresso a due settimane morì di tal malattia.
E' quindi suo divisamento che i forti eccitamenti
dello spirito turbano in modo le funzioni intesti-
nali, in ispecie se contemporaneamente si faccia uso
di abbondanti alimenti , in circostanza che si do-
vrebbe tenere un regime opposto, che non è a ma-
ravigliarsi che si producano effetti analoghi a quel-
li indotti dal vino e dagli aromi. Forse per questa
ragione gli uomini 4i lettere vengono disposti a so-
migliante malattia,
Anche i colpi e le compressioni bruscame fat-
te sull'addome possono destare il melena. Qualche
volta si è visto prodotto dalla gotta , e dall' artri-
tide retropulsa. Queste sono le ordiuc^rie cagioni
che producono il melena ; ve ne sono anche del-
le altre , ma piìi di rado portano a questa tri-
sta affezione : e perciò lascio di trascriverle. Essen-
do pertanto le surriferite cagioni d'indole stimo-
lante, ed atte a creare la flogosi, non si potrà cer-
tamente attendere dalle medesime effetto adinami-
co, deprimente, ed in conseguenza la malattia di
cui si tratta sarh sempre adinamica iperstenica?
Dopo di aver esposto succintamente l'opinio-
:ne dei pratici intorno al melena^ e l'anatomia pato-
logica degli estinti di detta malattia , a me altro
non rimane in fine che descrivere le promesse e
principali quattro storie della suddetta affezione ;
lasciando l'esposizione di parecchi altri casi da non
G.A.T.LXXIII. 10
146 SciKMZE
doversene far gran conto, essendo stati di poca en-
tità , ed a mio credere di nessun pericolo , ma
che pur cedettero favorevolmente ed interamente
allo stesso metodo praticato per altri, benché me-
no attivo assai e piìi ristretto.
Mi limiterò soltanto ad esporre con la maggior
brevità , e possibile chiarezza , protestando che non
per desiderio di fama , ma per utilità soltanto del-
la scienza e dell* umanità mi sono indotto a tes-
ser le veridiche istorie dei suddetti quattro casi
melenici non molto frequenti , ma molto impor-
tanti in pratica, nella fiducia che i giovani non is-
degneranno di esserne aggiornati , perchè fatti in-
dubitati i quali si sono offerti alla mia pratica in
Senigallia , e porto lusinga che serviranno di guida
al letto dell'infermo.
PRIMA STORIA.
Il signor Giovanni Sbrigia di Sinigallia, do-
tato di sanguigno temperamento , dell' età di cir-
ca 21 anni, avendo per lo innanzi sempre goduto
sanità perfettissima , dopo qualche replicato pate-
ma d'animo venne sopraffatto da singolare tristez-
za , e da inappetenza e melanconia straordinaria.
Lagnavasi spesso di dolori al basso ventre e d'in-
comoda stitichezza. Le fecce venivano evacuate ogni
due o tre giorni. Era per lo pili inquieto, pensie-
roso , e facilmente adiravasi. Passava le notti or-
dinariamente desto, ed occupata la di lui mente da
pensieri funesti e da tristi avvenimenti. Avendomi
pertanto il medesimo consultato intorno a tali sin-
tomi prodromi, entrai tosto in sospetto che egli po-
tesse essere quanto prima assalito dal melena: e di
Osservazioni sul Melewa 14T
fatti cercai prevenirne il crudele attacco sommini-
strando al medesimo dei temperanti e rinfresca-
tivi insieme. Sospesi il vino ed il vitto animale, esor-
tando all'infermo la dieta, e gli prescrissi quindi un
salasso ai vasi emorroidali per mezzo delle sangui-
sughe : ed in vista del suo temperamento , e della
durezza de' suoi polsi non mancai d' insistere per
l'istituzione del salasso generale , a cui segui alle-
viamento notabile dei suddetti sintomi. In appres-
so andavo osservando l'andamento dei medesimi , e
non lasciai di raccommandare all'infermo l'uso del-
l'acqua tartarizzata , e dopo qualche giorno di tre-
gua prescrissi un purgante di due once di man-
na di Calabria sciolta con sulilciente quantità di de-
cotto cordiale solutivo: e gli venne epicraticamen-
te somministrato sulla vista di evacuare le fecce del
tubo intestinale , e poscia eliminare le escrezioni
impure ritenute , togliendo cosi dei materiali che
potevano alimentare e mantenere l'irritazione, e fa-
vorire in fine lo sviluppo della temuta flogosi , e
quindi la comparsa del flusso nero.
E quand'anche, giusta gl'insegnamenti del prof.
Santarelli, vietassi al malato qualsivoglia bevanda
calda , ed esigessi dal medesimo che la dieta fosse
assai parca e risultante per la maggior parte di lat-
ticini e di vegetabili ; e di più l'avessi consiglia-
to ad usare costantemente delle semate e limonate
fredde; pure, malgrado che i dolori del basso ven-
tre e la stitichezza avessero ceduto , non però ces-
sarono la tristezza , l'anoressia ed un certo mal'es-
sere. Perduto aveva il suo naturai colorito, ed acqui-
stato aspetto pallido e cacheticot e finalmente nel-
la notte dei 15 ottobre 1832 venne improvvisa-
mente assalilo da forti dolori all' addome. Questi
^48 Scienze
sempre più si rinforzano : siegiie la nausea ed un^
inesprimibile smania. Vengo immantinente a lui
condotto , ed osservo quanto siegue. Volto estrema-?
niente pallido , somma prostrazione di forze , de-
liqui che da quando a quando rinnovansi, estremità
freddissime: i di lui polsi irregolari, intermittenti,
e quasi formicolanti ed estinti. I dolori si rinforza-
vano ancora e la nausea: finalmente vengono espulse
per l'ano delle materie nere miste a sangue. In mez-
zo ad un quadro sì luttuoso e spaventevole , senza
punto valutare il pallore del volto, il lento battito
delle arterie , i polsi formicolanti, i deliqui, ma in-
coraggiato dalla stabilita massima dell'illustre pro-r
fessor mio, che debba cioè riguardarsi una tale af-
fezione iperstenica, e conseguentemente trattarla co-
me flogpsi, prescrissi immediatamente una larga mis-
sione di sangue e una dieta severissima, anzi esclusi
ogni alimento accordando solo bevande fredde. Po-
che ore dopo essendo tornato a visitare l'infermo. Io
rinvenni con forte piressia e con grande sviluppo di
calorico con accensione marcatissima al viso , q la
continuazione dei suddetti sintomi, Senza farmi ina-
porre eziandio dalla debolezza de'suoi polsi^ feci to-
sto rinnovare la en:^issione di sangue ad oggetto di
spegnere la flogosi; nia la secrezione melenica conti-
nuava, e le perdite di materia nera erano assai ec-
cessive. Frattanto apprestar feci al medesimo la de-
cozione fredda tamarindata a più riprese. Ma a
fronte di tali ajuti la flemmasia era sempre piìi mi
nacciosa: per cui rinunciai all'idea di evacuare la
materia nera che naturalmente erasi versata nel ca-
nale intestinale , e procurai a tutta possa a dimi-
nuire e spegner la flogosi : il che in rcallU merce di
tali soccorsi , e colla rinnovazione de'ripetuti salas-i
Osservazioni sul Met.ena 149
§i ili numerò di quattro, sono riuscito ad ottenere.
Persuaso pure che la secrezióne morbosa sarebbesi
diminuita j o del tutto mancata , quindi il giorno
appresso mi risolsi prescrivere al medésimo malato
un purgante di polpa di cassia nella quantità di due
òtìcié e data epicraticamente ^ la quale produsse no-
tabile vantaggio. Ma i dolori addominali e le materie
nere, miste però a féccci non cedevano ancora: mo-
tivò per cui cospirando le polpe acido-dolci, secondo
il professor Santarelli, a diminuire l'infiammazione
ed evacuare senza turbe è senza sforzi la materia
néra j io su tal riflesso non esitai punto a continuar-
ne l'uso , e poscia esortare l'infermo a servirsi dell'
acqua gelata eziandio : e feci la sera del 3.*^ giorno
injettare uri clistere di acqua con pòchissimo acéto ,
e tìòn lasciai peranco di farlo ripetere nei giorni ap-
pressò colla viva lusinga di distruggere la flogosi
stessa che io credeva esistere , benché ammansita ,
e successivamente arrestare la suddetta morbosa se-
crezione. Stante la continuazione dei dolóri ancora
non trascurai di somministrargli à cucchiajaie d'ora
in ora una mistura composta di A oncie di tintura
acquosa di digitale purpurea , un'ottava di acqua co-
òbata di lauro-ceraso , ed un'oncia di sciròppo di
radici aperitivo, sempre fredde. Nel quarto giorno le
materie nere eran molto diminuite , i dolori piìi sof-
fribili ^ lai febbre spenta. Si decorda al malato un
Lrodo panato nel pi'anzo, ed altrettanto nella sera ;
limonate fredde j ed il solito clistere di acqua ed a-
ceto freddo. Nel S."' invece della tintura acquosa di
digitale purpùrea si sostituì l'emulsione di gomma
arabica , due ottave di acqua coobata di lauro-cera-
so, ed un'oncia di siroppo di altea del Fcrnelio data
epicraticamente all'infermo.
450 Scienze
Contemporaneamente , e senza lasciare le be-
vande fredde , sebbene le sue fecce si fossero rav-
visate normali , e fossero scomparse le materie nere
ed allontanati interamente ì dolori addominali , si
continuò l'uso della suddetta emulsione, e si accor-
dò al mattino del latte allungato con acqua e poco
zuccaro.
Pe' risultati vantaggiosi ottenuti dal suddetto
metodo praticato contro il melena, e perchè ogni
giorno andava l'infermo acquistando, si accordò una
dieta meno rigorosa , e venne alimentato con leggero
pangrattato, e successivamente con brodi ristorativi:
inoltre si permise pure del riso. Essendo poi le cose
andate sempre meglio, avvegnaché si continuasse la
suddetta emulsione e il lauro-ceraso, non ebbi diffi-
colta, atteso Io spegnersi di tutti i sintomi, di conce-
dere al malato un uovo a pranzo, e quindi un poco di
lesso il giorno appresso. Tutto alla perfine cedette
favorevolmente. Feci continuare l'uso del latte e del-
le limonate per qualche tempo affine di confermare
la guarigione, ed allontanare una recidiva: il che suo-
le spesso accadere. Ora è pienamente ristabilito , ed
ha goduto e gode fino ad oggi sanità prospera.
SECONDA STORIA.
La seconda storia risguarda una donna di con-
dizione cameriera , la quale soggiacque già altre vol-
te al morbo nero , e fu curata in sua patria dall'ec-
cmo signor dottore Lazzarini condotto in Fano. Es-
sendosi prevalso in parte del metodo del celebre
Tissot^ egli la fece salassare.
Geltrude Baldini^ dell'età di anni 40 circa, di
cachetico e debole temperamento , di aspetto pallido
OsSERTAZIOm StL MeLENA. i^i
e lurido j hen mestruata , dedita al vino ed ai liquo-
ri, veniva di tanto in tanto sopraffatta da dolori al
basso ventre, segnatamente al fegato, il quale fu da
me rinvenuto alquanto resistente e voluminoso. In
pari tempo evacuava le fecce irregolarmente « ed or-
dinariamente globose. Facilmente dalla gioja passava
all'ira. Scorrea puranco le notti inquieta e senza
sonno. Un dolore allo stomaco cruciava bene spesso
Tinfelice Geltrude, dopo di aver desinato segnata-
mente. Tali sintomi precursori si affacciarono pri-
ma della comparsa del flusso nero: il che io ho pos-
tulo raccogliere nella prima visita. Passerò quindi
a descrivere la storia della detta Baldini^ strappata
dalle mani della morte.
Era pertanto la povera inferma in Ietto cruc-
ciata da dolori e da nausee , non disgitmte da ri'
petuti vomiti di materie nere e fredde» le quali ve-
nivano evacuate eziandio per l'ano. Tali deiezioni
erano precedute da senso di mancanza e da delìqui.
I polsi furono da me rinvenuti febbrili , ma bas-
si, irregolari, e intermittenti. Gli occhi incavati, ed
un freddo sudore bagnava la di lei pallida fronte.
L'inferma, oppressa ed estremamente atterrita, e con
voce sepolcrale, chiede soccorso. A vero dire in quel
momento ed a prima vista fui anch' io preso da
spavento t ma animato dal felice esito del metodo
tenuto per lo Sbrigia, cercai di non farmi imporre
dai suddetti sintomi, e dall' apparente abbattimen-
to di forze , e feci all'istante trar copiosamente san-
gue, che fu cotennoso. Siffatta emissione calmò mo-
mentaneamente i dolori e 1' orgasmo ; negai all'in-
ferma qualunque alimento , accordando solo bevan-
de fredde acidule. Segnai la solita ricetta di tin-
tura acquosa di digitale purpurea , acqua coobata
152 Scienze
di lauro-ceraso , e sìroppo delle cinque radici à-
pertive^ la quale venne apprestata epicraticamentei
ma attesa la particolare idiosincrasia dell'inferma
non fu tollerata , ed io volli sostituire alla digita-
le l'acqua di fiori di tiglio in riguardo anche de-
gli accessi convulsi, che tratto tratto rinnovavansi a
danno della malata stéssa. Intanto il morbo pro-
grediva a passi gigantéschi, ritornando in campo i
vomiti, le deiezioni di matèrie nere, ed i deliqui
sempre piìi forti e spaventevoli. Sopravvenne la feb-
bre anche piìi ardita , molta ambascia ed estrema
debolezza. Senza paventare péro la medesima, feci
rinnovare la sera il salasso , e continuare la sud-
detta mistura deprimente per restringere ed an-
nientare la flogosi , e per far diminuire ed anche
cessare la secrezione morbosa melenica. A fronte pe-
rò della dieta strettissima, di tre salassi, e del me-
todo tutto deprimente , ciò non pertanto Li rrialat-
tia non cedeva affatto, ed anzi aumentò di sintomi,-
sudori freddij lipotimie, per cui fu creduta estin-
ta , e venne interamente abbandonata. Mai essen-
do io sopraggiunto a tale spettacolo, la trovai an-
cora in deliquio, però d'assai diminuito: venne to-
sto soccorsa , e dopo brevi istanti tutto si dissi-
pò. Avea la voce fioca , ed il pallor di morte. Non
cessai dal farla salassare dal piede , ed al tempo
stesso la sottoposi all'uso dell'acqua gelata non solo,
ma le feci pur anco di quando in quando inghiotti-
re dei frustoli di ghiaccio , ed acqua agghiacciata.
Tutto ciò seguito, la paziente continuò e' per boc-
ca e per secesso a metter fuori una quantità stra-
bocchevole (li materie nere. Fo inoltre iniettare
dopo cinque o sei ore un piccolo clistere di a-
cqua di camera e di pochissimo aceto con lo sco-
Osservazioni sul Melena 153
pò, secondo il celebre Speranza^ ancora di promuo-
vere leggermente il moto peristaltico , ed allonta-
nare per quanto fosse possibile la nausea, la ten-
denza al vomito, ed il vomito medesimo , che con-
tinuamente e fin da principio prevalevano nella no-
stra paziente : e lo feci rinnovare la sera stessa ^
avendone col primo riportato qualche vantaggio^
Sulla vista ^intanto di diminitire ed allontanare la
flogosi, e successivamente, render minima la secre-
zione morbosa e l'irritazione ancora^ proposi l'ap-
plicazionè delle sanguisughe ai vasi emorroidali^
La notte fu meno tempestosa, e nel mattino assai
per tempo prescrissi Un purgante di polpa di cas^
sia dato all'inférma a poco a poco affine di evacu-
are stìnza turbe e sènza tenesmo le materie nére
separate , e quindi diminuire la flogosi. Da éssd
per verità trassi un marcato sollièvo , avendo do-
po alcune scariche di matèrie miste diminuito sen-
sibilmente i dolori dell' addome , e rimosso il vo-
mito con r allontanamento di spaventevoli deli-
qui i, e freddi sudori. Non pertanto fui d'avViso
che si dovesse continuare il ghiaccio ^ le bcVaildè
fredde e l'acqua coobata di lauro-ceraso: partico-
larmente si accordò alla medesima un pòco dì lat-
te allungato con acqua e zuccaro;
Essendosi poi nel giorno quinto i:*IafFacciati i
dolori , e sospettando che potessero èssi essere ef-
fetto delle materie nere ritenute nel tubo gastro-
enterico , feci subito somministrare a più riprese
una soluzione di polpa di tamarindo , che riuscì
molto proficua. A conferma ed appoggio del mia
operato giova qui ridire , che l'immortale vecchio
di Coo salassava prima j purgava dopo , e poscia
faceva bere del latte asinino (De morbis lib. 2, nuirii
454 S e 1 È n E E
71 ). Dopo aver consumata la suddetta soluzione ,
l'inferma viene interamente abbandonata dalla feb-
bre, il basso ventre trattabile si rende, la lingua
molle : la debolezza d' altronde si fa estrema. Da-
to perciò un certo apprezzamento ai suddetti sin-
tomi, cioè spenta la febbre e tutto il resto in me-
glio , non trovai difficoltà alcuna di accordare nel
pranzo uri leggero pan grattato , e susseguentemen-
te qualche brodo di pollo, nel quale avesse bollito
la farina di rìso : dal che ritrasse non lieve van-
taggio.
Essendo dipoi cessate le evacuazioni nere , i
deliqui e l'insoffribile smania, accordai alla pazien-
te anche un uovo, e quindi un vitto piti nutritivo
con poco lesso , senza lasciare per molti giorni il
latte la mattina , escluso però il vino per molto
tempo : come pure la continuazione in dose piìi ri-
stretta di fiori di tiglio e di lauro-ceraso, sommi-
nistrato di tale miscela ogni due o tre ore un cuc-
chiaio, ed accordai puranco qualche gelato di limone
la sera. Dopo siffatti aiuti e tal metodo dietetico,
l'inferma si è pienamente ristabilita, ed ha potuto ab-
bandonare il letto , ed occuparsi dei consueti lavori.
Senza però aver obliato , ma anzi avendo co-
stantemente e sempre presenti i dotti avvertimen-
ti datimi dal mio onorato ed esimio professor Saif
tarelli , che quelli che soggiacquero al flusso me-
lenico sogliono facilmente recidivare, e vengono or-
dinariamente assaliti da dolori addominali , ripe-
tendo più volte che la riproduzione di tali affezio-
ni si debbe alla continuazione della flogosi , la qua-
le non COSI facilmente durante il corso del morbo
si riesce pienamente ad estinguere in tal guisa se
colla continuazione della dieta temperante non si
OssERVAZioiti SUL Melena 155
riesce a dissiparla ; a suggerimento del sullodato
professore in tali casi proposi l'uso dell'acetato dì
ammoniaca ad oggetto di prevenire il ritorno dei
dolori; e piìi, dietro il risultato vantaggioso otte-
nuto dall'apprestazione della suddetta soluzione al
p. Cherubino anconetano stanziato in Macerata, da
me assistito come medico curante per pili anni , e
dal prof. Santarelli come consulente (il qual caso
fu da esso riportato nelle sue ricerche medesime
intorno al melena al cap. VII) feci sciogliere in 6
oncia di acqua distillata due dramme di acelato
di ammoniaca, con un'oncia di siroppo semplice,
e ne feci quindi prendere all' inferma a stomaco
vuoto un cucchiaio la mattina, ed un altro la se-
ra, due o tre ore prima della sua parca cena. La
qual formola venne più volte ripetuta , e ottenne
pure ottimi risultati : per cui non solo al flus-
so melenico non ha ulteriormente soggiaciuto, ma
neppure dai dolori addominali è stata in appres-
so aggredita. Conta già il 2 anno dell' ultimo at-
tacco e ristabilimento , e fino a tutt'oggi gode di
buona salute.
TERZA STORIA.
Questa aggirasi Intorno ad una donna di condi-
zione tessitrice, dell'età di circa 55 anni, di tempe-
ramento adusto bilioso , ed amante del vino , che
regolarmente pagò i suoi lunari tributi: madre di 4
figli , che per lo innanzi avea soggiaciuto a malattie
Sì pochissima entità. Ma essendo rimasta vedova , e
circondata dalla miseria e dalla tristezza, andava a
quando a quando soggetta a contrazioni spasmodi-
che (^Uo stamaco e del basso-ventre con borborig-
456 Scienze
mi, ed à particolare stitichezza , per cui era spessa
inquietata da moleste sensazioni all'ano. La medesi-
ma senza prendere cura alcuna della sua salute ,
trascurando anzi qualunque medico aiuto , venne fi-
nalmente aggredita da vomito di materie sanguino-
lenti oscure"; là qùal perdita sempre piìi aumentan-
do ^ i di lei congiùnti non tardarono in sì tristo
avveriitìientò di condurmi dall'inferma all'istante ,
onde non venisse ritardata l'àpprestaziond dell'op-
poi^tiiiiò soccorso. Essendomi pertanto avvicinato al-
la suddetta donna (Maddalena Gamhieri di Sinigal-
lia) la rinvenni in letto tutta intrisa di sangue nera-
stro j la quale era svenuta i è si contorceva tratto
tratto oppressa da dolori addominali, con polsi pi-
retici ed ineguali j terreo colore della cute , e spe-
cialmente del volto: secca ed arida la superficie del
corpo i sete inestinguibile. Là perdita per vomitoi
di sàngue aggl-umattì nerastro corrotto e fetido fu
di circa due libbre e mezza. La prostrazione di for-
ze era eccessiva , ed aumentavasi ancora colla rin-
novazione delle frequenti lipotimie e del vomito.
Ella era presa da orribile costernazione. Poste le
quali cose , lungi da me la sorpresa ed il timo-
re : e riconosciuta dal suddetto treno de' sintomi
la malattia per un inelena dinamico , non tra-
scurai di far tosto levare 10 oncie di sangue dal
braccio , e quindi segnai la consueta ricetta di di-
gitale ed acqua di lauro-ceraso , affinchè venisse
somministrata alla paziente a cucchiai d'ora in ora.
La solita rigorosissima dieta e le bevande fredde
furono raccomandate , escluso il vino e quàlunìque
sorta di alimento. Passate alcune ore dopo il sa-
lasso , tornai a visitare 1' inferma , e là rinvenni
nel medesimo stato dì prima: eràsi di più aumen-
Osservazioni sul Melena 15T
fato il vomito nerastro piceo con odore presso ql^e
insopportabile^ e similmente tale evacuazione av*
venuta era per l'ano, e questa nera, sciolta, asr
sai fetida : per cui, secondo i medesimi principii
esposti di sopra per debellar la flogosi , e frenar
l'eccessiva perdita , non mancai di far ripetere il
salasso^ e di raccomandare l'uso dell'acqua diac-r
ciata , usandola anche esteriormente. La notte fu
dalla paziente passata in meno crucci del giorno ^
ed i vQU^itivi e gli scarichi di ventre furon piìi
ristretti , e neììs^ mattina si osservò la mancanza
dei deliqui , e i dolori meno atroci. Mi appigliai
allora alla soluzione tamarindata di un'oncia della
polpa di tal frutto sciolta in una libbra di acqua
bollente , ed alla colatura feci unire un poco 4i
zuccaro , da consumarsi in giornata ; e feci pure
iniettare un clistere di acqua e poco aceto , e mer-
cè de' suddetti ajuti j*iportò considerabile vantag-
gio, cosicché la flogosi si andava intanto spegnendo,
Malgrado di ciò, giusta gl'insegnamenti di Frank^ di
Speranza^ e di altri, dovendosi evacuare senza tur-
be e senza sforzo le materie nere nel tubo inte-
stinale separate ed esistenti, fui d'avviso far pren-
dere air inferma due once di manna sciolte con
acqua comune , invece della cassia: la quale pro-
dusse scarichi abbondanti di materie parimenti ne-
re miste a fecce , con particolare vantaggio dell*
Inferma in questione. Inoltre si accordò del latte
con acqua e zuccaro. Non trovai pure inopportuno,
afHne di procurare una placida quiete a tanto tur-
bamento, di amministrare una miscela di U once di
acqua di lattuga, con quattro grani di estratto di
JQsciamo sciolto nella suddetta acqua, e darla all'iu'-
ferma a cucchiai di ora in ora: da cui si ottenne
158 Scienze
la bramata calma. Ciò non ostante si continua il
trattamento suddetto, e le bevande fredde , ed il
solito clistere di acetello: sì accorda il pan gratta-
to piuttosto freddo, acqua panata fredda per be-
vanda ordinaria. Fecesi uso interpolatamente ezian-
dio di acqua tartarizzata con poco zuccaros ma nel
mentre che si credea l'inferma già libera, inaspet-
tatamente ritornano i deliqui, i dolori addominali,
e le ripetute scariche di materie nere e fetenti con
polsi appena percettibili e smania eccessiva. Dall'
esposizione dei suddetti sintomi si rende chiara-
mente manifesto qual giudizio si sarebbe dovu-
to formare dall' esito della medesima nei pericoli
in cui era strascinata. L'orrore che avea ispirato
l'aspetto di quell'infelice agli astanti, è superfluo
il dirlo, giacché era stata quasi abbandonata a se
stessa, ed i di lei parenti immersi nelle lagrime.
10 non pertanto, fatto coraggio ai congiunti, ordi-
nai l'applicazione delle sanguisughe al podice, un
clistere di acqua acidulata fredda, e finalmente la
ridetta miscela di acqua coobata di lauro-ceraso,
11 tentativo sortì ottimo effetto: si sospesero in un
baleno le evacuazioni nere e fetenti, i polsi si rial-
zarono, cessarono i dolori e la smania, tutto infi-
ne si ricondusse alla normalità.
A fronte però di tanto miglioramento sì con-
tinuò a somministrare il lauro-ceraso , il latte e
l'acqua ghiacciata per qualche altro giorno , sen-
za omettere nella sera il solito clistere onde as-
sodare la migliorata di lei condizione. Quindi non
trovai ripugnanza alcuna nell'accordare una dieta
piìi mitigata e qualche pomo. Successivamente ven-
ne rimessa al vitto primiero, ma si continuò Tuso
dell'acqua di fiori di tiglio e di lauro-ceraso: e fi^»
Osservazioni sul Melema 159
naimente convinto e reso certo che ella era già al
pristino stadio di salute ricondotta, si sospese ogni
medicatura attiva, ed affidata a se stessa dopo qual-
che tempo sono stato fatto sicuro che godea sani-
tà perfetta, come tuttora la conserva.
STORIA QUARTA.
Anna Torcoletti di Senigallia, contando 69 an-
ni di età, irascibile , facile a passare dalla gioia
all'ira, di forte temperamento, dedita al vino, anzi
spesso ebria, infastidita da stitichezza e da patemi
d'animo, di aspetto pallido, e giallastro , il basso-
ventre sovente teso, aveva sonno inquieto ed inter-
rotto, dolori di stomaco, di ventre e di lombi. Una
debolezza grande unitamente ai suddetti segni pre-
cedettero la malattia. Nel luglio 1835 si accrebbe-
ro i dolori addominali , la prostrazione di forze ,
molta inappetenza, ed eccessiva agitazione dì ani-
mo. Sopravvenne intanto la nausea, e quindi il vo-
mito di fluido acquoso seguito da puro sangue, e
poscia da materie oscure. I polsi si resero bassi ed
irregolari, e poco appresso si rinnovarono le de-
iezioni alvine nere e fetentissirae. Non mancarono
in pari tempo sudori freddi, molt'ambascia, le estre-
mità inferiori segnatamente freddissime , deliqui
reiterati, pallore e terrore estremo. Essa avea già
preso un purgante di sale d'Inghilterra prima che
io la visitassi, il quale produsse varii scarichi di
materie miste: ma intanto si rinnovarono i vomi-
ti di sangue atro. Dalla riunione de'suddetti sin-
tomi avendo riconosciuta tale affezione per melena
di diatesi stenicay egualmente che gli altri tre de-
scritti, e tenendo per guida lo stesso metodo im-
^(50 Scienze
piegato pe'medesimi, senza punto dubitare propo-:
si immediatamente una larga emissione di sangue,
la solita dieta e le bevande fredde acidule. Es-
sendo tornati inutili i suddetti aiuti, e raddoppian-
do i dolori d'intensità, e le evacuazioni di materie
neve per l'ano rinnovandosi da cpiando a quando,
^ piii essendo comparsa una febbre decisa, non si
tardò a prescrivere una nuova copiosa sanguigna,
che fu ripetuta la sera. Il sangue estratto col pri-
mo salasso non presentò indizio di flogistica con-
sistenza, e si coprì poi di fqrte cotenna il secon-
do. Dopo ciò la tensione del ventre andò diminuen-
4o: COSI i dolori, la vibrazione de'polsi, il vomito
e le evacuazioni per l'ano di materie nere. Nella
mattina del dì seguente ha avuto delle considera-
bili tregue: ma queste furono di brevissima dura-^
ta, per cui si accrebbero i dolori con molta ferocia,
ie evacuazioni nere , e la prostrazione somma di
forze con pallore nel viso ed occbi incavati. La
piccolezza de'suoi polsi, e la frequenza di circa 130
pulsazioni per ogni minuto primo, manifestavano
chiaramente un funesto presentimento del piìi gra-
ve infortunio. Non fui pertanto inoperoso, ed in-
giunsi tosto la consueta soluzione tamarindata, e le
fredde acidule bevande. Il giorno appresso era la
paziente nel medesimo grave pericolo, e si aggiunse
di pili, oltre ai vivi dolori e agli scarichi di mate-
rie nerissime, la gonfiezza del basso ventre. Stimai
prudente consiglio di ricorrere alla polpa di cassia,
sul riflesso, a sentimento anche del celebre Tom-
inasinii che dopo reiterati salassi i purganti por-
tano dei maravigliosi effetti nelle flogosi enteriche.
Di fatti data all'inferma epicraticamcnte la cassia,
produsse copiose scariche di materie miste, il ven-
Osservazioni sul Melena 161
tre raen teso, i dolori momentaneamente calmati:
ma la febbre non cedette, e lungi dal migliorare
andò invece peggiorando la sua condizione, sicché
mi fu duopo ricorrere ai clisteri di acqua acidulata
fredda, ed alla solita tintura acquosa di digitale, ed
all'acqua coobata di lauro-ceraso nel modo avanti
notato. Persuaso intanto che la malattia in questio-
ne fosse tuttora mantenuta da morboso interno sti-
molo, e che miglior tentativo delle sanguisughe non
vi fosse in quell'istante, consigliai subito siffatto lo-
cale salasso, reputando che tale abbattimento fos-
se apparente: ed in conseguenza raccomandai che
si estracssero 8 once di sangue almeno per loro
mezzo, senza omettere 1' amministrazione di qual-
che frustolo di ghiaccio, che portò una significante
tregua, ma l'inferma poco appresso lagnavasi di do-
lori al basso ventre , il quale era gonfio enorme-
mente. Accusava con voce veramente fioca di sen-
tirsi morire: e frattanto agitavasi, e non trovava
posizione che le aggradisse e le procurasse requie :
i polsi erano minuti, frequentissimi e confusi. Un
freddo sudore le bagnava la fronte , ed il suo
volto era coperto dal pallor di morte , unito da
quando a quando da spaventose e durevoli lipoti-
mie. Tale era il suo stato deplorabile, allorché le
vennero somministrati i sacri spirituali conforti :
e quindi temendo una nuova riaccensione di flogo-
si ed un nuovo profluvio di melenica secrezione ,
fu allora che raccomandai la continuazione della
mistura deprimente , e proposi un nuovo clistere
di acqua acidulata fredda ed il ghiaccio onde im-
pedire la temuta riaccensione, od arrestarne i pro-
gressi. Ma essendosi già effettuata e l'una e l'altra ,
nel mentre che si praticavano tali aiuti , si rinno-
G. A. T. LXXIII. 11
162 Scienze
vò una perdita eccessiva di materia nera per seces-
so , e quindi un deliquio protratto , e convulsioni
spaventevoli. Rimosso il terribile deliquio e fre-
nate le convulsioni , si esibì un brodo di pollo ,
e quindi venne epicraticamente somministrata la
muciiagine di gomma arabica , acqua coobata di
lauro^ceraso , e siroppo d'altea del Fernelio. Qual-
che ora dopo chiese la suddetta mistura mucila-
ìrìnosa, accennando di sentirsi con essa ricreare e
diminuire sensibilmente i dolori , la tensione del
basso ventre , e la tormentosa smania. Prendea con
molto piacere la detta bevanda acidulata , perchè
sentia con essa temperarsi l'interno calore , e spe-
gnersi l'intensa sete. La febbre frattanto andava mi-
rabilmente cedendo, e quindi tutto si spense. I de-
liqui cessano interamente , ed intanto si accorda
del latte allungato con acqua e zuccaro : ma non
venne però tollerato dall'inferma , e si sostituì un
brodo panato , e di poi riso ben cotto e lungo as-
sai. Successivamente andando sempre più a dileguar-
si i sintomi morbosi , un dolce e placido sonno
viene a ristorarla : quindi si restrinse 1' uso del
ghiaccio, e della mistura controstimolante, e si da
in cambio dei brodi ristorativi e delle panatelle.
I polsi allora si rialzarono : e quand'anche venis^
se tratto tratto minacciata da vomito, fu esso però
dissipato dal ghiaccio amministrato ben di soven*
te. Le estremità si riscaldarono bastantemente , e
cessò del tutto la suddetta smania. Le deiezioni fe-
cali eran miste a pochissima materia nera , il bas-
so ventre era molle e cedevole al tatto senza alcun
vivo dolore. Mostrando l'inferma desiderio di pren--
der cibo, oltre il solito brodo ristretto al mattino,
il pan grattato col brodo al pranzo e alla cena ,
Osservazioni sul Melena 163
le fo aggiungere nel pranzo medesimo un uovo nel
primo dì , e poscia nel giorno appresso un poco
di lesso eziandio , un frutto Len maturo , ed ac-
qua panata con poco zuccaro per ordinaria bevan-
da. Finalmente tutto si normalizza , e l'ammalata
si sente Lenissimo, meno della indispensabile debo-
lezza, la quale mercè di una dieta piìi diminuita ed
un poco di vino, prima inacquato assai e poi manco,
e coU'aiuto di qualche amaricante, andò a distrug-
gersi e tutto si ricondusse in un perfetto equilibrio.
Da questa intanto , e da altre tre storie da me se-
gnate, ognuno s'accorge che il metodo antiflogistico
è stato continuamente in proporzione del bisogno di
ciascun caso. Dai salassi generali e locali ripetuti ,
dalla digitale purpurea, dal tamarindi, dalla cas-
sia , dal giusquiaìiio , dalV acqua coobata di lauro-
ceraso, e dal ghiaccio, i suddetti infermi risorsero
dal loro pericoloso ed estremo stato. Se l'uso in-
tanto per replicati giorni senza interruzione con-
tinuato dei suddetti rimedi , e delle bevande ge-
late e dei controstimolati non interrotti sino all'
estremo, sottrassero le denominate inferme da tan-
to rischio, e portarono a tanto buon termine il
loro ristabilimento ; un trito criterio ed un sem-
plice buon senso ci fa vedere qual'esito fatale si
sarebbe ottenuto nel suddetto morbo ove adopera-
lo si fosse il metodo stimolante. A mio senso con
tal metodo sarebbero tutti periti, od almeno trat-
ti in uno stato cronico. Qui pernicioso sarebbe
riuscito assolutamente il sistema di Brown , quel-
lo di Le Roy di detrimento , e nullo quello di
Mai^oir. Il metodo però controstimolante, suggerito
ed inculcato dall'illustre professor Santarelli in si-
mili casi, è stato profittevolissimo: e sebbene egli ab-
164 Scienze
borra i sistemi , ma segua , come dissi nella m\2^
lettera diretta al celebre Speranza , la pratica di
Sjdenhani , di Grani , di Stoll, di Frank, spesso
peraltro non ha difficolta di estendere , o di raf-
frenare , e qualche volta di ratificare ; per cui è
più indulgente nel raddolcire , e nel risarcire , e
meno avverso nelT evacuare , pur nondimeno nel
melena ai suoi alunni ha costantemente raccoman-
dato nella maggior parte dei casi il metodo antir!-
flogistico.
Non sarà inutile in fine l'avvertire , che qual^
che volta può presentarsi il melena anche sintoma-
tico , e con febbre di accesso , come ebbe campo
di vedere il dottore Aiwitj figlio. La storia di que-
sta malattia è degna di considerazione per la gran
quantità di sangue che si è perduta tanto per vomi-
to, quanto per secesso. L'autore avendo osservato
che i parosismi febrili si rinnovano ad un'ora fis-
sa, si determinò di prescrivere la china in alta dose
per bocca e per clistere. Questo trattamento ven-
ne coronato dal miglior successo.
•Ecco, chiarissimo sig. professore, i risultati del
metodo curativo da me posto in opera su tali gra-
vissime malattie. Ella spogliato di ogni prevenzio-
ne per qualunque siasi medico sistema , e che sa
così ben dentro vedere nell'utilissima e difficilissima
arte di sanare , sapra giudicare se altri mezzi vi sa-
rebbero stati onde impedire il termine fatale da
cui erano evidentemente minacciati i sopra indicati
individui, e se quello da me usato sia stato il solo
che potea salvarli. Certo si è, che nell'uniformità
dei casi , le cure e l'esito tantp uniformi lusinga-
no non poco il medico che ne ha avuto il tratta-
mento: se non altro, perchè a vista di tanto peri-s
Osservazioni sul Mèlena 165
colo, con sintomi sì spaventosi, non si fece impor-
re da quelle fiillacì apparenze , che sogliono talvol-
ta avvilire i clinici più esperimentati. Al di lei sa-
vio discernimento pertanto lascio il decidere, se i
pensamenti da me esposti ed appoggiati all'esperien-
za, che in ogni medica dottrina esser deve il fon-
damento, degni siano della pubblica luce, ed uti-
le recar possano alla pratica medicina : mentre ella
che trovasi nella capitale con tante riguardevoli oc-
cupazioni mediche, e che a tante società scientifi-
che meritamente appartiene, darà alle mie quel pe-
so che possa animarmi a renderle colla stampa di
pubblico diritto nel tanto celebrato giornale Ar-
cadico.
La prego intanto accettare questo mio lavoro
quale attestalo di quell'alta stima e riconoscenza ,
che da molto tempo bramava tributarle, e col de-
siderio de' suoi pregiatissimi comandi ho 1' onore
di professarmi
Di lei, chiarissimo sig. professore,
Montalboddo Ì5 giugno 1837.
Dmo Obblmo serv. ed amico
Angelo dott. Santini medico primario
1G6
Teorica delle quantità proporzionali,
T'
-L^ esperienza dell'insegnamento mi ha condotto a
trattare alcuni punti delle matematiche co n princi-
pii più generali, e con metodi, a mio parere, più
semplici e spediti de'già conosciuti. Ne presento un
saggio al pubblico, incominciando dalla teorica del-
le quantità proporzionali già letta nell' accademia
de*Lincei il dì 28 luglio 1834. Questo articolo sarà
seguito da altri relativi alla geometria analitica ed
al calcolo infinitesimale. Mi sia lecito intanto di pre-
mettere alcune considerazioni generali necessarie al
rigore e alla chiarezza dell'argomento.
Delle quantità considerate rispetto alla loro
variazione, ragione^ misura^ dipendenza
e limiti.
1. Le quantità che dentro certi limiti cangiano
di stato, or crescendo, or diminuendo, quale per es.
l'altezza barometrica , si dicon variabili ; e costanti
quelle che in mezzo alle variazioni delle altre si
mantengono invariabili.
Una quantità variabile sì dice continua tra cer-
ti limiti, se dentro i medesimi la differenza fra due
de' suoi stati successivi possa rendersi minore di
ogni assegnata comunque piccolissima: se avviene al-
trimenti , la quantità variabile dicesi discontinua.
Una quantità continua, suscettibile di svanire, chia-
masi evane scibile.
Matematica. 167
In una quantità che varia attualmente di gran-
dezza, conviene distinguere i passi od i gradi del suo
crescere da' passi o gradi del suo diminuire. I pri-
mi, aggiungendosi successivamente alla quantità, so-
no affetti naturalmente dal segno -i-, e si dicono po-
sitivi-, i secondi, sottraendosi successivamente dalla
quantità, sono affetti naturalmente dal segno — , e si
dicono negativi. Si potrà giudicare della maniera di
esistere di una quantità variabile, osservando di
quale specie di gradi si componga.
Una quantità si dice dupla , tripla , quadru-
pla , . . . . multipla di un' altra , se è uguale alla
seconda ripetuta due , tre , quattro , . . . molte vol-
te: e al contrario la seconda si dice subdupla , sub-
tripla , subquadrupla , . . . . summultìpla o aliquo-
ta della prima. Da qui le voci di duplicare , tripli-
care, quadruplicare , . . . moltiplicare-^ suhdaplica-
re , suhtriplicare , subquadruplicare , . . . . suminul-
tiplicare, È manifesto che il minimo multiplo e il
massimo summultiplo di una quantità è la c|uantità
medesima.
Due quantità si dicono commensurabili , qualo-
ra possa esistere un'unità di misura summultipla di
ciascheduna di esse: altrimenti si dicono incommen-
surabili.
2. Dividere una quantità, per es. una lunghez-
za, per un'altra cjuantità omogenea, è trovare quale
summultiplo dell' una debbasi prendere e quante
volte ripetere per avere un equivalente esatto dell'
altra. Il quoto della divisione così definita chiama-
si ragione geometrica, e l'atto con cui si determi-
na , rapporto geometrico. Quando dicesi, in modo
assoluto , rapporto e ragione , intendasi rapporto
geometrico e ragione geometrica.
168 Scienze
Pertanto la ragione geometrica di due quan-
tità consiste in un segno destinato a indicare quale
summultiplo delVuna dehbasi prendere , e quante
s>olte ripetere per avere un equis>alente esatto del-
Valtra, Quest'ultima si dice termine antecedente del
rapporto ; quella termine conseguente: donde, per
compendio , l'antecedente e il conseguente del rap-
porto. Segue dalla difinizion precedente, che la ra-
gione di due quantità è sempre un numero o in-
tero^ o frazionario^ o incommensurabile: se l'ante-
cedente è un multiplo del conseguente, la ragione
è un numei'o intero; se l'antecedente è un aggre-
gato di alcune delle parti uguali in cui si conce-
pisce diviso il conseguente, la ragione è un nume-
ro frazionario; se l'antecedente e il conseguente so-
no incommensurabili, la ragione è un numero in-
commensurabile: egregiamente NeAvton: nPer nume-
rum non tam multitudinem unitatum^ quam abstra-
etani quantitatis cujus\>is ad aliani ejusdem generis
quantitatenij quae prò unitate habetur^ rationem iu'
telligimus. »
La ragione di due quantità incommensurabili
può considerarsi come limite di un numero razio-
nale variabile. Infatti prendiamo per unita di mi-
sura un piccolissimo summultiplo del conseguente:
il residuo, che lascerà rantecedcnte diviso per tale
unità, sarà piìi piccolo di tale unità, e però al pa-
ri di tale unità si potrà attenuare al di là di ogni
grado assegnato. Così le due quantità cessano di es-
sere incommensurabili, scemandone una di tal par-
te che si può suppor minore di qualsivoglia co-
mimque piccolissima; e per conseguenza la loro ra-
gione può considerarsi come limite alla ragiono di
quantità commensurabili, ossia ad un numero ra-
zionale.
Matematica 1G9
In ogni caso la ragion di due grandezze si
esprime per la frazion continua^ nascente e svilup-
pantesi nelVatto che cerchiamo il massimo comu-
ne summultiplo delle due grandezze.
Se nel rapporto di due grandezze, tenuta fer-
ma l'una di esse, si faccia variar l'altra per con-
tinuità, è palese che variera pure per continuità
il numero che ne rappresenta la ragione geome-
trica: dunque il numero, preso nel senso di New-
ton, è una quantità continua.
*3. Misurare una quantità, è determinarne la
ragione all'unità di misura. Tra le quantità dello
stesso genere si suole scegliere per unità di misu-
ra, la pili semplice, cioè quella che per esser fis-
sata richiede il mìnimo numero di dati. Così eleg-
gesi per unità fra le linee una retta , fra le su-
perficie un quadrato, e fra i volumi u?i cubo: per-
chè la retta , il quadrato ed il cubo sono tra le
quantità del loro genere le piìi semplici.
È facile a provarsi che la ragione di due quan-
tità non varia, variando l'unità che ne misura i ter-
mini. Quindi nel calcolare le ragioni delle quan-
tità omogenee, il nome ed il simbolo di una gran-
dezza può sempre riguardarsi come il nome ed il
simbolo del numero ottenuto misurandola con la
medesima unità, onde si suppongono misurate tut-
11^. A B M
te le altre. Losi se -— - , -— - , -— - rappresentano
D Ci J3
ragioni di linee, B sì può riguardare come simbolo
di uno stesso numero in tutte le ragioni.
Poiché ogni numero può riguardarsi come la
ragione fra due quantità omogenee di una specie
qualunque, perciò alla ragione fra due grandezze
di una specie potrà sempre surrogarsi un' eguale
170 Sciente
ragione fra due grandezze di un'altra specie* Cosi
alla ragione -j- di due forze Ai, Ai , potrà surro-
garsi un'eguale ragione di due linee Bi , Bi.
Ora tra le quantità l'estensione è metrica emi-
nentemente: è la sola che ammetta divisioni faci-
li, distinte, permanenti. Dunque tornerà di sommo
vantaggio il rappresentare tutte le grandezze , e
principalmente quelle che sfuggono a' sensi , per
mezzo dell'estensione, ed in modo speciale, dell'e-
stension lineare. Ed è ciò che in ultima analisi si
fa sempre ; e forse per questa cagione si chiama
semplicemente geometra, chi è versato nelle mate-
matiche in tutta la loro estensione.
Dunque , se convengasi di non comprendere
sotto i nomi ed i segni delle diverse quantità che
le loro ragioni alla rispettiva unità di misura, si
potrà dire senza contradizione che rma linea e ugua-
le ad U7ia superficie, ad un volume, ad una forza^
ad un tempo, ad una velocità: essendoché ciò si ri-
duce a dire che numeri, distinti con nomi diver-
si, sono eguali tra loro. Questa convenzione si è
fatta in tutte le matematiche , e merita di essere
attentamente osservata, e tenacemente ritenuta: per
essa la eterogeneità delle grandezze sparisce dal
calcolo, e ne rimane soltanto 1' apparenza ne' vo-
caboli.
D' ora in poi, avvegnaché e lecito senz' alcun
inconveniente, potremo supporre, per fissar le idee,
tutte le quantità rappresentate da linee.
4. Una quantità variabile dicesi funzione di
unaltra quantità variabile, chiamata indipendente,
se determinata questa, rimane necessariamente de-
terminata la prima. Così in un circolo variabile, fis-
Matematica. 171
salo il raggio, tutto rimane determinato : dunque
sono funzioni del raggio la circonferenza e la su-
perficie, non che la superficie ed il perimetro di
qualsivoglia poligono regolare inscritto e circo-
scritto.
Una quantità variabile dicesi funzione di un
sistema di altre quantità variabili^ chiamate indi-
pendenti , se a determinare la prima è necessario
e basta che sieno determinate le seconde. Così in
un triangolo variabile tutto è determinato , deter-
minati che siano i tre lati : quindi sono funzione
de'tre Iati ciascun angolo , la superficie, il raggio
del circolo inscritto e circoscritto ecc.
Dall'osservare che più variabili sono vincola-
te tra loro per mezzo di un' equazione , può in-
ferirsi leggittimamente che ciascuna variabile è fun-
zione delle altre: ma dall'osservare che una quan-
tità variabile è funzione di altre , e o no lecito di
ammettere la possibilità di un' equazione che in-
sieme le vincoli? Sark in luogo piìi opportuno di-
scussa e sciolta una tale quistione.
Una quantità si dice funzione simmetrica di
altre, se si mantiene sempre la medesima alternan-
do come si vuole il posto di queste. Così per es. in
u = ]/'{2xj -h 2yz H- 2zx — x^ — y' — z ) ,
u è funzione simmetrica delle quantità x , j" , z.
Una funzione si dice simmetrica rispetto a pia
sistemi di quantità , se si mantiene invariabile, al-
lorché si alternano le quantità di un sistema, colle
analoghe quantità di uno qualunque de' rimanenti
sistemi. Così in
1T2 Scienze
— 2(A"a7-+-B'y-|-C''z),
D è funzione simmetrica rispetto ai tre sistemi eli
quantità analoghe ( x, A, A', A"), (j, B, B',B"),
( z, C, C, C" ).
Se un sistema variaLile può distribuirsi irl
gruppi simmetrici di quantità , cioè in gruppi tali
che le quantità di un gruppo si possano alterna-
re colle analoghe quantità di uno qualunque de'
gruppi rimanenti , senza che varii perciò il razio-
cinio che vincola con formule le parti del sistema,
allorai è palese che anche nelle formule si potrà
operare siffatta alternazione- Così per es. in un tri-
angolo variabile designati per a , 6 , e , i tre la-
ti , e per A , B , G gli angoli rispettivamente op-
posti , noi potremo distribuire i sei elementi a ,
Z> , e , A , B , G , del triangolo in tre gruppi sim-
metrici 1.« ( « , A ) , 2.° ( è , B ) , 3.° ( e , G ) t
essendo chiaro che alternandoli come si vuole , il
raziocinio che li andrà vincolando con formulenon
potrà variare ; e però le formule continueranno a
sussistere in mezzo a tale alternazione.
Per indicare che una quantità u è funzione
delle variabili x , jy , s .... si scrive
u = f{x,j, z...).
La differenza tra lo stato attuale e Io stato'
successivo di una quantità variabile , si dinota fa-
cendo precedere la caratteristica ^ alla lettera che
rappresenta la detta quantità. Gosì l'espressione
Matematica il 73
offre la quantità x con più o meno la variazione
5x. Una tal variazione si chiama or differenza , or
grado, or passo , ora elemento: si dice grado o pas-
so , perchè sì riguarda quasi come un passo che
fa la quantità camminando per uno stato variabi-
le; si dice elemento per essere come una delle ana-
loghe parti elementari, onde la quantità crebbe suc-
cessivamente e formossi.
E manifesto che la variazione di una quantità,
funzione di altre, dipende dalle variazioni di que-
ste. Così, se si ha
" = fi^ì 7» 2 . . . ) »
sarà
u-h^u= f(jc -h- djc , j '-h dj , 3 -4- Ss . . , ) 7
p perciò
he = f(x H- ^x , / -t- 0/ , z -+■ §2...) — fi^CìJì z...y.
cioè Velemento o passo di una funzione è la diffe-
renza tra due stati successivi della medesima, e
si ottiene sottraendo dallo stato della funzione, ove
le variabili sono cresciute di un passo, lo stato
precedente.
5. Limite di una quantità è un'altra quantità,
a cui la prima si può avvicinare continua al di là
di ogni assegnata comunque piccolissima differenza.
Chiamo simultanei i limiti di una quantità, quan-
do questa non possa mai trovarsi intermedia fra
due qualunque de'medesimi, o superar l'uno qua-
lor sia dall'altro ecceduta. Dico poi simultanei i li-
biti rispettivi di più quantità, ogniqualvolta niu-
174 Scienze
na di queste possa giungere a coincidere col suo
limite, senza che ciascuna delle altre coincida col
proprio.
Teorema. Limiti simultanei P, Q, R . . . . di
una medesima quantità X sono tutti eguali tra loro.
Dimostrazione. Infatti se fra due di essi limi-
ti, per es. P ed R, esistesse una differenza, la quan-
tità X potendosi avvicinare a ciascuno di essi al di
la di questa differenza, trovar si potrebbe inter-
media a'medesimi, o sopravvanzare il minore e sot-
tostare al pili grande; il che si oppone alla ipotesi
della loro simultaneitk. Dunque
1.° Limiti simultanei di quantità eguali sono
eguali tra loro : imperocché limiti simultanei di
cjuantita costantemente uguali, possono considerarsi
come limiti simultanei di una sola e medesima
quantità.
2.° Se sussiste un equazione, finche le quan-
tità che la compongono si troimno in un cèrto si^
stema, sussisterà egualmente quando tali quantità
passano ad un altro sistema limite del primo. Im-
perocché i membri dell'equazione nel secondo si-
stema diventan limiti ai rispettivi membri dell'e-
quazione nel sistema primitivo, non potendosi ef-
fettuare il passaggio delle quantità dall'un sistema
all'altro, se non per gradi insensibili, ne'quali tut-
tavia l'equazione sussiste.
Segue da qui che tutti i teoremi relativi ai nu-
meri razionali , sussìstono anche pe' numeri irra-
zionali, potendosi questi riguardare come limiti de'
primi.
Nota. Questo metodo che stabilisce 1' egualian-
za de'limiti , col supporre fra essi una differenza
che poi si trova esausta , si diceva dagli antichi
metodo delV esaustioni.
Matematica 175
Della proporzione geometrica.
6. L' egualianza di due ragioni geometriche si
dice proporzione geometrica. Allorché in modo as-
soluto si dice proporzione , si sottintende geome-
trica.
Se in una proporzione sì sostituisca ad ogni an-
tecedente il prodotto del rispettiamo conseguente per
la ragione , la data proporzione si trasforma in
A G
una identità. Infatti la proporzione — = — , ove
chiamisi r la ragione , sicché §i abbia A = Br ,
C = Dr , si trasforma in
Br Dr
X ^ "d" ' °^^^^ *" r = r ,
identità manifesta.
Date più. proporzioni , combinando in diver-
se guise i loro termini , altre moltissime possono
dedursene , le quali perciò si diranno dedotte ri-
spetto alle prime che sono le fondamentali.
Criterio delle proporzioni dedotte.
A dedurre con sicurezza nuove proporzioni
dalle fondamentali , e a scoprirne con evidenza la
legittimità , basta prendere da ogni rapporto del-
le proporzioni fondamentali il prodotto del con-
seguente per la ragione , e sostituirlo nelle pro-
porzioni dedotte ovunque si trova l'equivalente an-
tecedente, dopo ciò le proporzioni dedotte dovran-
no convertirsi in identità , cioè dovranno mostrar-
si identiche le ragioni che le costituiscono.
476 Scienze
Dimostrazione. Infatti , se le proporzioni fon-
damentali divengono identità , quando in esse si
pone invece di ogni antecedente il prodotto del re-
lativo conseguente per la ragione ; identità debbo-
no divenire del pari tutte le nuove proporzioni
che da quelle si derivano per via di conseguenze
necessarie , cioè per via di modificazioni identiche
d'identiche ragioni.
Per es. voglia dimostrarsi che dalla proporzione
a è « -±r mx h -^ iny
-H == ^, discende la seguente = , :
PC y a ^^^ nx b ^3^ nj
chiamata r la ragione di « ad x , e però di h ad
j , applicando il criterio si avrà
rx ± mx ry •=t Ttir . , , r
— cioè 1 identità
rx =F nx ry ^^ip. nj r :=f^ ii r =f:i ii
Nel modo medesimo si prova che da
si deriva
^=3 Z
a b
a x' -^ j
X ax --\~ hj -\- cz
V [Ax' -4- B/' -^ Cz- — 2{K'jz -^ lò'zx H- C'xj)]
V [A« -H Bò' -+- Ce - 2{Mbc -r- B'ca -^ Cab)Ì
Teorema. Un equazione omogenea rispetto a cer-
Matematica 177
te quantità , continua a sussistere , se a tali quaw
tità si sostituiscano altre quantità rispettivamen-
te proporzionali alle prime. Cosi per es. nell'equa-
zione
omogenea rispetto alle quantità x , j- , 2 , abbiasi
X i j- : z '. '. p : q '. r ^
é però (designata per e la ragione -^ = -h =— »),
X = ep , y z= eq , 2 :r= er.
Sostituendo questi valori di JC , j* , z, nella pre-
cedente equazione, e dividendo per e^", si avrà
j^pin ^. B^2« _^ c^a/i ^ A'^^r»* -h B'r"/?" -+- C'^"^" :
cioè r equazione (1) sussiste tuttavia , dopo che
alle quantità x , j- , z , si sono sostituite le quan-
tità p , q f r.
Si vede in generale che l'equazione risultan-
te dalla prescritta sostituzione , non è che l'equa-
zion primitiva , divisa per una certa quantità.
Nota. Esistono molti trattati sulla proporzio-
ne ; ma la proporzione non è che un attributo del-
le quantità proporzionali: conviene considerar que-
ste in astratto , rilevarne le proprietà , e fissarne
i criterj.
G. A. T. LXXIII. 12
M8 Scienze
Proporzionalità delle quantità variabili
semplice, diretta, inversa, composta.
7- Due quantità variabili si dicono proporzio-
nali o che variano in proporzione , se la ragione
(li due stati comunque diversi dell'una , è costan-
temente uguale alla ragione de'due stati corrispon-
denti dell'altra. Cosi in un circolo l'angolo centra-
le è proporzionale all'opposto arco, perchè la ra-
gione di due stati dell' angolo si dimostra esser
uguale alla ragione degli stati corrispondenti del-
l' arco.
Teorema. Se due quantità sono proporzionali ,
1.° la ragione de' loro corrispondenti valori è co-
stante \ ^° r una di esse è uguale al prodotto
delValtra per una costante, e viceversa. Dim. Yi,
Ya , Ys ì ' . . rappresentino diversi stati della pri-
ma quantità , ed Xi , Xa , Xs , . . • gli stati rispet-
tivamente corrispondenti della seconda: la propor-
zionalità delle due quantità esige che si abbia
Yx _^ Yi^_ Xi
Y7 ~ X2 ' Y3 ~~ X3 '"'
donde (supponendo giusta la convenzion fondamen-
tale delle matematiche che ( Yi , Ya , Ys , . . . ) ,
( Xi , Xa , X3 , . . ) , sieno numeri esprimenti le
ragioni de'diversi stati delle due quantità alla ri-
spettiva unità di misura ) , deducesi alternando i
termini medj
Yj. Ya Ys
X""" XT" Xs
Matematica 1 79
cioè se dite quantità sono proporzionali , la ragio-
ne fra gli stati corrispondenti delle medesime , è
costante.
Chiamata r questa ragione , si avrà
Y. -- rXi , Ya = rX^ , Y3 = rXs , . . .
sicché , se per x , j s'intendano due valori cor-
rispondenti e variabili delle due quantità, viene
a stabilirsi la seguente formula
per cui si potrà dire che una quantità propor-
zionale ad un' altra , è uguale al prodotto di que-
sta per una costante.
Viceversa : due quantità Sono proporzionali ,
se r una è uguale al prodotto dell' altra per una
costante: imperocché da jn = rxi , j^ = rxa , vie-
JKi Xx
ne — =
y-i X'ì
Dunque due quantità proporzionali non varia-
no che per gradi proporzionali^ e viceversa-, impe-
rocché siffatti gradi non sono in sostanza che stati
corrispondenti delle due quantità.
Teorema. Ilaria sempre una ragione ^ , ad
Ggìu variamento non proporzionale de' suoi termini.
Dim. Infatti non può sussister la proporzione
cioè a meno che i gradi ^j , ^x non siano in pro-
porzione con Y ^ X.
180 Scienze
Due quantità x ,j sì dicono reciprocameìité
o inversamente proporzionali , se l'una x è propor-
1
zlonalc ad — ' , reciproco dell altra^ mentre per op-
posizione la proporzionalità si dice diretta , quan-
do X è proporzionale ad j.
Una quantità U dicesi variare nella ragion
composta di molte altre Sìt^v^x^j^z....,
quando varia in proporzione col prodotto di queste.
Una quantità x dicesi variare in ragion dupli-
cata., triplicata , . . . , o siihdupUcata ^ subtriplica-
ta .... di un altra quantità / , se varia in pro-
porzione colla seconda , terza .... potenza o ra-^
dice di tale quantità.
Criterii delle quantità proporzionali.
La proporzionalità si può considerare, 1.** tra
due quantità ; 2." tra una quantità e un sistema di
molte altre ; S.'^ tra due sistemi di quantità. Di qui
la ricerca di un criterio per ciascuno di questi
tre casi.
/. Criterio
8. Due quantità così tra loro dipendenti, clic
ciascuna cresca o diminuisca ad ogni minimo cre-
scere o diminuire dell'altra , saranno proporziona-
li , i^e ( in qualunque stato si contemplino ) al rad-
doppiarsi , triplicarsi ., quadruplicarsi dell'u-
na ; si raddoppia , triplica , quadruplica ..... ne-
cessariamente anche Valtra.
Dimostrazione. Siano x , x^ due stati qualun-
que della prima quantità \ ed jr , j-i i due stati
Matematica ISI
corrispondenti della seconda : io dico che la enun-
ciata condizione ha sempre per conseguenza neces-
saria la proporzione
^ __^
Infatti x ed xi o sono commensurabili od incom-
mensurabili.
Supponiamo primieramente che sieno ambe-
due commensurabili dall'unità u , e che u entri m
volte in X , ed n in Xi i cioè si abbia x ■~- mu ,
Xi = nu ( ove m ed u son numeri interi ): sark
X ni
iKi n '
Si chiami Ui lo stato della seconda quantità che
corrisponde allo stato u della prima. Quando u di-
viene mu , nw, Ui diverrà per la condizion dell'e-
nunciato mui , nui. Cosi i due stati della seconda
quantità che corrispondono ai due stati mu = .ri,
nu ^= Xi della prima , sono rappresentati non me-
no da J'ìj'i che da mui , nUy. Dunque j- = mui ,
j"i = nui ; e per conseguente
z.
ni
K
n
rC
= ^.
Xi
J^
Dunque
I Supponiamo in secondo luogo che x , Xi sie-
1 no incommensurabili. Si chiamino §x , ^7 , i resi-
1 dui che lasciano gli antecedenti x ,^ , misurati
182 S e I B N 2 B
che siano dalle unita u , Ui , rispettivamente equi-
summultiple de' conseguenti Xi ^ji .
X — ^x , Xi saranno commensurabili , e si
avrà per la conclusion precedente
pp — r'^x y — ^j
xx J\
Ora u od Ui pub attenuarsi al di là di ogni asse-»
gnata comunque piccolissima quantità , e quindi
anche ^x o 5r. Dunque ^ , *^ sono limiti delle ra-
gioni commensurabili ^- ^, e di piìi li"
miti simultanei , non potendo Tuna di queste ra^
gioni trovarsi al di sopra del suo limite, quando
l'altra è al di sotto del suo.
Punque (§, 5.)
i __^
Cosi rimane pienamente dimostrato che per cono-
scere se una quantità è proporzionale ad un'altra ,
basta osservare se al raddoppiarsi , triplicarsi ,
quadruplicarsi .... dell' una; si raddoppia, tripli'
ca, quadruplica . . . anche l'altra.
Due quantità saranno inversamente proporzio-
jiall , se al duplicarsi , triplicarsi , quadruplicar-
si .. . dell' una ; si subduplica , subtriplica , sub-
quadruplica . . . l'altra. Imperocché se al duplicar^
si , triplicarsi , quadruplicarsi . . . dell'una x , l'al-
tra / si subduplica , subtriplica , subquadrupli-
1
ca . . . ; allora e manifestamente — . che si duplica ,
Matematica 1 83
triplica , quadruplica . . . . , ossia che è direttamen-
te proporzionale con x : e però si avrà.
Applicazione. Nella geometria la sovrapposi-
zione dimostra immediatamente che in un circo-
lo, 1.° ad angoli centrali uguali si oppongono ar-
chi uguali; 2.° che l'angolo centrale cresce o dimi-
nuisce , e si raddoppia , triplica , quadruplica . . .
con l'opposto arco. Dunque l'angolo centrale è pro-
porzionale all'opposto arco.
//. Criterio
9. Se una quantità U varia al variare di pia
quantità s-,t,v,jc,j-^z..., e varia proporzio-
nalmente a ciascuna di esse , quando si conserva-
no costanti tutte le altre-^ si conchiuda che in ogni
caso ella segue la ragion composta di tutte , o che
varia in proporzione col prodotto di tutte.
Dimostrazione. La quantità U variando unica-
mente al variare delle quantità s , t , v ., jc ,j- ,
z . . , e perciò essendone funzione , io la contrase-
gnerò così
U =/(^ , i , V , X ,J , 3. . .) ì
e per indicare i diversi stati di una quantità , ap-
porrò degli apici alla lettera che la rappresenta.
Chiamo R la ragione fra due stati qualunque del-
la quantità U , dimodoché si abbia in generale
ISA Scienze
(1) U=U„ R:
indicando n il numero delle quantità s , t , y -, x ^
y , 2 . . . variate in U.
Ciò posto
1.° Sia w = 2 , ed Uà = fis , t' , i^ , x ,^ ,z, , .)
L'equazione (1) equivarrà in tal caso a
f{s, t,v, JC,j,z ...) =f{s',t', V,x,jr, 2...) R»
che divisa per Vi = f ( s , t , v i x , y , z . , . ) ^
diventa
f{s', t, V, x,j, z...) f{s\ t, y,x,jr,z...)
Ora in questa equazione il primo membro rappre-
senta la ragione de'due stati , ne'quali si trova U,
per la variazione della sola quantità j^ ; ed il coeffi-
ciente di R rappresenta la ragione de'due stati ne'
quali si trova U per la variazione della sola t.
Quindi per la ipotesi fondamentale , cotesta equa-
zione si riduce a
4 = 7, R • donde R[ = — ] = 1 . 1
cioè se delle quantità ■? , ^ , y , x , _^ , z . . . , le !
sparlanti son due ; U segue la ragion composta di
queste due. j
%'' Sia « -r 3, ed Us = / (^' , ^' , (^' , X , j- , z . . .):
l'equazione (1) equivarrà a
f{s, t,v^x,r,z...)^ f(s\ t\ v\ j:, /, z . . .) R,
Matematica 1 85
che divisa per JJ^ì -= f ( s ., t\ \f , x ,y , z . . » ) j
diventa
fjs, t, y, x,j, z ...) _ f^s, t', v\x,y, z . . .)
f{s', t', y, x,j,z...) /{s, t',y, x,j, z...) '
Ora in questa equazione il primo membro rappre-
;^enta la ragione de' due stati ne' quali si trova U
per la variazione delle due quantità s ^ t \ ed il
coefficiente di R rappresenta la ragione de' due
stati ne' quali si trova U per la variazione della so-
la quantità v. Quindi per la conclusion preceden-
te cotesta equazione si riduce a
r-", . — « ^= -^ R: donde R[ ^= — ] — ^ . ^
s t V U3 J t'
cioè se delle quantità j,i,(^,j?,^,z...,/e va-
rianti son tre ; U segue la ragion composta di
queste tre.
3.° Nello stesso modo , se w t= 4 , ed U4 — /( / ,
< , i^' , jc' ,^ , z . . . ) , l'equazione (1) divisa per
Us = /( / , i' , i^' , j? , ^ , z . . . ) , si riduce a
f{s, t,V, X,J,Z ...) __ f{s, t', v\ X,J, ^ • • Op .
f{s', t\y',x,j,z..,) ~ f{s', t\ V, oc,j,z.. .) '
che per la conclusion precedente diviene
«^ . r-, ^= '-', R; donde R[ = -— ] ==-..-■
t y' X U4 s t
Ormai ben si scorge che l'andamento del raziocinio
è sempre lo stesso: dunque si può conchiudere in
generale
e I E N Z E
u
s
t
v
X
J
z
u„ -
s
7'
V
oc
J
z
186
e perciò (§. 7) U = A. ^ if t» x^ s . . . ,
designando A un coefficiente costante. Pertanto, se
le qiLOJitità s, t, v, oc^j, z . . > variano tutte simid-
taneameìite; U segue la ragion composta di tutte.
Qualora tra le quantità s, t^ v^ x, j, z . . . ve
ne fosse alcuna , x per es. , che restando costanti
le altre, seguisse la ragion inversa di U, è chiaro
che neir ultimo risultato si dovrà scrivere invece
di essa, il suo reciproco x"*, il quale è direttamen-
te proporzionale con U.
Applicazione. Nella geometria la sovrapposizio-
ne dimostra immediatamente, 1.° che due paralle-
lepipedi sono coincidihili , se un triedro dell'uno
è coincidibile insieme agli spigoli con un triedro
dell' altro ; 2,^ che un parallelepipedo di angoli
costanti cresce o diminuisce coi tre spigoli con-
correnti ad uno de' suoi vertici , e che si raddop-
pia , triplica , quadruplica . , . con uno qualunque
di essi , rimanendo costanti gli altri due. Dunque
un parallelepipedo di angoli costanti varia in pro-
porzione col prodotto degli spigoli concorrenti ad
uno de suoi vertici.
Dunque, ove si scelga per unità di volume il
cubo avente per lato l'unità lineare , il parallele-
pipedo rettangolo sarà uguale al prodotto della ba-
se per l'altezza.
Matematica 1 87
III. Criterio
10. Se due sistemi di quantità 1.° (ljm,n,p,q..,),
2°{s.,t,v,Xjy...) sieno così tra loro dipen-
denti che ogni singola quantità delV uno riesca
proporzionale ad ogni singola quantità delV altro ,
quando restano invariabili in entrambi i sistemi le
quantità rimanenti ; si conchiuda che in qualun-
que caso il prodotto di tutte le quantità del 1 °
sistema, varia in proporzione col prodotto di tutte
le quantità del secondo.
Dimostrazione. Nel 2.° sistema {s,t,v.)X,j,z.,.)
si tengano ferme tutte le quantità , tranne s.
s in vigor della ipotesi e del criterio preceden-
te, varierà al variare delle quantità del 1." sistema
/ , TO , 71 , yo , ^ . . . , seguendone la ragion compo-»
sia , e perciò si avrà
l = A..lmnpq.'.,
denotando A una costante.
Or da qui si deriva / = sAr^m'^n'^p'^q'^ • • • »
e questa equazione dimostra che la quantità / del
4.° sistema (/, m,n,p, q. .) varia in ragion inversa di
ciascuna delle quantità compagne m, n^p, q, . . . ,
quando in entrambi i sistemi si conservano costan»
ti tutte le altre quantità. Dunque , in forza di que-
sta conseguenza e della ipotesi , / varia proporzio-
nalmente al variare di ogni singola quantità del si-
stema (w' , 71-* ^p-^ , q-^ , . . . , j- , i , t» , X , j)' . . ,)»
sostando tutte le altre. Si avrà dunque pel cri te-»
rio precedente
^88 Scienze
/ w-> Tf'^ p-^ q'^ ...stvxj
h "i-^ «;' p;' 9;' "'^,^,^.^.Jr" '
e quindi
l m n p q > ' . s t v x y . , ,
l^ m^ n^ Pi q.'-' s^ t^vxy^...
ciò che er^ da dimostrarsi.
Osservazioni sulla proporzionalità delle quantità
immaginarie : in qual senso le quantità proporzionali
possano dirsi quantità eguali.
11. Questi criterj sussistono ancora nel caso che
le quantità variabili divengano immaginarie. Im-
perocché una quantità immaginaria della forma
f{x) ^ f{x) /-1 ,
si dice che diviene doppia, tripla, quadrupla . . . ,
qualora doppia , tripla , quadrupla diven-
ga simultaneamente ciascuna delle sue parti reali
f(x) , (p(jc). Cosi la proporzionalità delle quantità
immaginarie variabili , si riduce a quella dellQ
quantità reali che vi sono comprese,
12. Nella proporzionalità se scelgansi ad uni-
tà di misura delle rispettive grandezze certi loro
stati corrispondenti , potrà dirsi in forza della
definizione delle quantità proporzionali e del num.3:
1.° Glie una quantità è uguale ad un' altra ,
se la prima sia proporzionale alla seconda ;
2.** Che una quantità è uguale al prodotto
Matematica. Ì 89
di molte altre , se la prima sia proporzionale al
prodotto delle seconde ;
3.° Che il prodotto delle quantità di un si-
stema , è uguale al prodotto delle quantità di un
altro sistema , se il prodotto delle prime sia pro-
porzionale al prodotto delle seconde.
Così , per esé ^ là proporzione
i m n s i V
li ' mi ' nt Si ti yt
diventa l m n -= s t v ^ ove scelgansi ad unita di
misura delle quantità l^m^n^s.,tjS>t i loro
stati corrispondenti h , /tìi , nt ^ Si •, ti ^ Vi •
Adoperando questo linguaggio, è manifesto che
le proporzioni si cangiano in equazioni tra quan-
tità che prese nel loro senso letterale sono ete-
rogenee , in equazioni perciò che presentano una
contradizione apparente. Non è a dir quanto gio-
vi il saper all'uopo sostituire alla sincopata es-
pressione apparentemente contradittoria , quello
che vi è di sottinteso, e che vi riconduce le-
sattezza dissipando l'assurdo.
Le applicazioni degli esposti criterj si estendo-
no naturalmente a quanto involga obbietto di quan-
tità: scienze , arti e commercio. Per esempio , nel-
l'industria fabbricante e commerciale da una parte
si hanno gli elementi de'mezzi che somministra la
natura e l'arte , non che i tempi ne' quali essi han-
no agito o debbono agire ; dall'altra , gli elementi
degli effetti che questi mezzi hanno prodotto o deb-
bono produrre. I nostri criterj giovano evidente-
mente a determinar subito , quando la ragion cdm-
190 Scienze
posta degli elementi de' mezzi segua la ragion com-
posta degli elementi degli effetti.
La teorìa generale delle quantità proporzionali
sembra essere il vero anello che unisce all'algebra
tutte le diverse parti delle matematiche.
Domenico Ciieliri delle Scuole Pie
Professore di MaLematiche
nel Collegio Nazareno.
Cenni per la Storia medica del Colera contagioso
di Roma nell'anno 1837 desunti da osservazioni
private.
A Pietro Lupi maestro amatissimo, degli studiosi
caldissimo incoraggiatore, questi cenni su la scia-
gura patria^ a testimonio pubblico di stima , di
animo grato, Socrate Gadet.
F
JL ]
ra gl'innumerevoli scritti intorno al colera con-
tagioso , ve ne hanno parecchi commendevolissimi,
de'quali toccheremo brevemente e liberamente.
In alcuni ammiriamo la osservazione profon-
da , ma non sempre , ne in tutti di questa clas-
se , raggiata sulle forme morbose , specialmente
indigene de' vari luoghi in che si è studiata la
malattìa , ne sulle altre analoghe a trarne crite-
rj terapeutici , ne forniti sempre dì viste meta-
fisiche. Tuttavolta si debbono tenere pregevoli ,
perchè le investigazioni diligenti fondano le ba-
Stckiia del colèra 491
sì empiriche ed immutabili della medicina ; per-
chè le peculiarità topografiche possono giovare al-
la induzione circa le varietà de'sintomi e coope-
rare alla storia Universale futura del morbo.
In altri scritti veggiamo raccolte e poste a
confronto varie osservazioni e pensamenti , don-
de i criterj clinici. Fra cjuesti v'hanno opere lo-
devolissime , quasi biblioteche fi^Iosofiche; ma sog-
gette alcune fiate ad eccezioni, dai fatti osserva-
ti ulteriormente , ne tutte in egual modo arric-
chite de'paragoni colle malattie locali ed analoghe
per le induzioni curative.
— Lasceremo quelli , ne' quali sembri che
traluca un fanatismo di opinione preconcepita ; se
furono immaginati a priori , tendono a piegar la
natura alle chimere ipotetiche e formano classe
secondaria , considerabile solo per la storia delle
sette e delle teoriche in medicina.
Abbiamo tacciuto gli scritti non pratici di
utilità mediata , più convenevoli all'ozio clinico ,
il quale vorremmo augurarci.
E chiaro, che i primi soltanto si voleano pre-
scegliere a formarsi una qualche idea del con-
tagio , quando se ne temea l'invasione ; ma niu-
no scrittore potea fornire un quadro , in che non
fossero specialità relative ai luoghi, ove si era stu-
diato , specialità che non poteano riapparire do-
vunque. E per verità non avevamo , ne potevamo
avere un quadro metafisico del morbo risultante
dai quadri speciali di ogni regione , dai soli ele-
menti immancabili. D'altra parte, sebbene vi fosse
stato, dovea modificarsi fra noi, come dovunque, pel
clima, per le condizioni sociali. Il trovare poi scritta
la cedenza morbosa in alcuni luoghi per alcuni ar-
492 Scienze
gomenti, in altri per opposti; l'analogìa, che ricor-
da il cielo equatoriale benigno, infenso il polare
alla lue sifilitica; favorire alcune condizioni topo-
grafiche alcuni contagi , come il suolo marittimo
il tifo itterode; la circoscrizione delle affezioni pe-
riodiche speciali ; le varie costituzioni epidemi-
che , nelle quali la malattia curata altra volta con
un metodo, ne esigeva diverso e forse opposto ,
comandava , che non solo sì attendesse alle affe-
zioni indigene ed alle condizioni straordinarie epi-
demiche, ma ancora ad una comparazione con quelle
forme speciali patologiche , colle quali fra noi con-
suetamente si presentano e combattono i morbi .
Per lo che ci è sembrato necessario notare le pre-
disposizioni universali e particolari , le cause con-
correnti , osservare e fermare diligentemente la
sindrome colerica variforme ; e ricordando le af-
fezioni miasmatiche indigene , mostranti spesse fia-
te sembianze diverse , donde i diversi metodi e
peravventura contrarii nelle medesime epidemie ,
le varietà nelle forme di ogni esantema , poteva
credersi che il colera , sebbene contagio nuovo ,
si mostrasse con vario apparato , leggendo come
terapie speciali, talvolta opposte, fosser tornate pro-
fittevoli , anzi necessarie a debellarlo. Con ciò si
voleva attenzione alle forme primitive di quello ,
sendo facile riconoscere le seconde da libri e dal-
la osservazione. Abbiamo accennato i criterj pro-
nostici , le malattie secondarie , e gii esiti , non
tacendo le infermità , che aveano accompagnato il
contagio , senza fermarci sulle condizioni topo-
grafiche e sociali e sulle affezioni morbose indi-
gene, perchè notissime e piìi convenienti alla sto-
ria completa del morbo romano , che a cenni su
Storia del colera 193
quello. E siccome non v'ha specifico che valga a di-
struggere l'elemento contagioso , era mestieri gio-
varci de' lumi , che porgevano le osservazioni altro-
ve istituite in casi analoghi , ricercare quello rie-
scisse a'nostri clinici vantaggioso , e valutando le
tendenze istintive degli infermi , colle quali spesse
volte accennavano il metodo curativo migliore, at-
tendere alle ftidicazioni , che forniscono le varie
sindromi analoghe , vascolari , neurotiche , gastro-
enteriche , miasmatiche , contagiose , e perfino alle
tossicologiche , quantunqiie più rare. Da ultimo si
voleva avvertire i risultamenti delle sezioni cadave-
riche altrove istituite, meditando l'indole del prin*
cipio ingenerante , misteriosa, e fierisslma. — 'Dalle
quali cose produconsi analogie e discrepanze dura-
ture negli animi degli studiosi, tendenti a viemeglio
investigare la natura de'morbi paragonati.
Ci è sembrato convenevole toccare alcuni ar-
gomenti circa le vie e gli effetti del veleno per
quanto giovi al pratico ; che fin Yk peravventura ne
è concesso splgnere la temperanza delle ipotesi ,
affinchè le cose premesse trovassero un conforto fi*
losofico dai raziocini; intendendo a quell' armonia ,
contemplata dall'antichità sapiente, cui mira l'inge-
gno infrenabile dei neoterici per piantare basi no-
solegiche dalle osservazioni, e dai paragoni empiri-
ci; poiché le malattie non aborrono da alcune leggi
generali, sebbene modificate perfino in qualunque
individuo. E noi per essere brevi abbiamo fuggito
di far eco alle autorità e di portare in campo pic-
ciole confutazioni con aumento dello scritto, e fa-
stidio del leggitore sazio già forse della immensa
mole bibliografica generata dal nuovo contagio.
Che se illanguidito vigore di sanità tolto non
G. A. T. LXXUl. 13
194 Scienze
ne avesse osservare intieramente le fasi del morbo <
forse questi cenni sariano meno incompleti; forse le
malattie indigene ed intercoi'renti narrate e com-
parate; forse maggiori analogie afferrate, e svolte,
adempiendo meglio allo scopo di presentare il co-
lera contagioso quale fosse stato da noi studiato iti
patria l'anno 1837*
Vedendo quanto l'argomento del colera conta-
gioso affaticasse gl'ingegni più svegliati , e quanto
discordasser fra loro intorno alla indole, all'appara-
to sintomatico ed al metodo curativo del morbo,
proponevamo rimanerci intieramente dallo scriver-
ne, parendo consiglio piìi avveduto il tornar sulle
opere e notare quelle specialità, che si avvicinavano
ai fatti osservati, avendo unicamente per iscopo la
propria istruzione. Ma poiché la Commissione d'in-
columità pubblica sapientemente comandava a cia-
scun medico di sua pertinenza lo stendere un rap-
porto ragionato intorno ai casi colerici, affine di
raccogliere i materiali per una storia completa di
tanta nostra sventura, ci apparecchiamo a rendere
quel breve conto, che permetterà la pochezza del
tempo, e le osservazioni, non istituite per sottopor-
re a pubblico esame, ne al tutto complete quanto
alle fasi del contagio, poiché cel vietava proseguir-
le dal dodici al ventitre di agosto il nostro infei'ma-
re, seguito da non breve convalescenza (1).
§. 1. La stagione invernale precedente fu avver-
sa pel freddo umido protratto a buona parte della
primavera, donde squilibrio elettrico, e malo atteg-
giamento degli organismi animali e vegetanti (2),
Occorsero affezioni flogistiche (3), reumatico-catar-
rali in un subito, forse con indole contagiosa, tosta-
Storia del colera 195
mente cessate prima del freddo e dell' umido (*).
Crebbero allora le periodiche, ma pel calore suc-
cessivo atmosferico scemarono , tornando verso il
cadere di luglio, talvolta con sembianza algido-co-
lerlca (4). Queste malattie richiedevano i metodi
consueti. Languente fece il commercio la vicinanza
del morbo , che sgomentava col vieppiìi appros-
simare.
Le quali cose tendevano a viziare la riproduzio-
ne, la innervazione.
§. 2. Erano pili predisposte al morbo le donne,
più i vecchi, meno i bambini, molto i poveri, i su-
dlcj (5), coloro che lasciavano intieramente le abitu-
dini , i convulsionari, i convalescenti, gli affetti da
malattie croniche, da periodiche specifiche (6) , e
maggiormente il contagio si diffondea nelle giornate
umide, nuvolose , e quando forte calore a piogge
brevi susseguiva.
Favorivano lo sviluppo di quello, e spesso fa-
ceanlo grave, i patemi perturbanti (7), rattristanti;
gli errori nell'uso del vino e de'cibi (8) in ispecie
vegetabili, i quali si vogliono togliere parcamente in
Roma durante la state (9), e molto più si doveano
attesa la pravità delle stagioni precedenti, che avea-
no impedito la vegetazione normale.
Lo inducevano talvolta le verminazioni, spesso
gl'irritanti salini emetici e catartici; (vedi nel cenno
statistico il numero 13).
Questi fatti invitavano a supporre che le con-
dizioni organiche, in che sembra languido e mal di-
sposto il nesso vitale; gli argomenti che perturbano
o prostrano le forze; quelli che irritano soverchia-
mente il tubo gastro-enterico, d'ordinario favoreg-
giassero lo sviluppo del malore.
1S6 Scienze
Dalle cose anzidette, dalla sede principale mor-
bosa, se ne potrebbono trarre induzioni profitte-
voli alla patologia?
§. 3. Precedevano il morbo, e forse ne erano i
primi sintomi, un languore, una stanchezza, una se-
te, una sazietà, in qualche caso appetito normale,
brivido e calore alternati, dolori reumatici vaghi,
polso frequente, contratto.
Succedeva malessere epigastrico, respiro breve,
ansioso, formicolamento e talora crampi delle estre-
mità, strignimento gutturale, alterazione di voce ,
tinnito, offuscamento visivo. Il capo si facea grave,
vertiginoso (sebbene alcuna fiata la condizione del-
lo stomaco fosse regolare) — affuocato come da vam-
pe — aveavi tendenza a deliqui — nasceva per le
membra un fremito quasi elettrico sgomen latore.
S'aggiugnevano borborigmi, diarrea, egestioni fe-
cali, biliose, siero-albuminose, spumeggianti, con te-
nesmo urente allo sfintere dell'ano. Invadeva d'ordi-
nario nella mattina (10) o verso la mattina questa
diarrea, che diremmo colerica per distinguerla dal-
le altre precedenti la venuta del morbo, duranti
immutate fino al declinare di quello (11). Sul deci-
moquarto giorno (v. n. e. s. 26) sul settimo (v. n. e.
s. 1) sul quinto (v. n. e. s. 18) sul terzo (v. n. e. s. 8
16 23 28) poche ore dopo il suo apparire seguiva-
no altri sintomi, o si mostrava con quelli all'impen-
sata ; quindi nausea, vomiturizione, vomito alter-
nato colle deiezioni alvine, la cute si mantenea tutt'
ora calda.
Il malessere toraco-epigastrico saliva rapida-
mente ; gii occhi cominciavano a spaventarsi, ad
infossare ; a venir vecchie, corrugarsi le estremità;
i quali due sintomi prodotti dalla irritazione in-
Storia del colera 19T
lestinale notavamo sempre nelle varie forme del
morbo straniero (12). Poco poi la cute s'impallidiva,
acquistando colore di cenere; le unghie, le labbra,
le orbite, si tigneano di un turchiniccio; il cingolo
precordiale diventava fornace ardente (13), cui tal-
volta i miseri solo colle mani accennavano — oc-
correva in qualche caso singulto, spesso ambascia
estrema gli splgneva a nudarsi — raro emetteano
grida disperate — seccava il velo muccoso, donde in
essi sete inespleblle, irritavansi le vie urinarie, dif-
ficoltavasi l'udito — arrossava la sclerotica; vomiti e
diarrea frequenti e copiose, le urine cessavano, s'ab-
bassavano le tempie — l'invecchiamento crescente,
universale, estremo, toglieva sembianza cadaverica,
orrenda per cianosi salientlssima, cute marmorea,
insensibile, quando bagnata da sudore vischioso ,
quando macchiata, dendritica (14) od eruttiva, (15)
premuta albeggiante — capelli sparsi agglutinati,
alito agghiacciato, contrattura scrotale, voce clango-
sa, spenta, spasmi tonici, e clonici atrocissimi, veglia
continua, facoltà intellettuali integre pili spesso,
più spesso apatìa , polso frequentissimo, contrat-
to, irregolare, fuggente nella esplorazione, sovente
nullo, completavano il quadro spaventevole dello
stadio algido-clanotico (16).
Questi sintomi vari di numero, di grado, di
combinazioni duravano da qualche ora ad uno o
due settenari, cessando la vita, o decrescendo più
o meno proporzionatamente, e variamente, spie-
gandosi nuove forme sovragglugneva malattia se-
condaria, svolgendosi piìi spesso, e durando i fe-
nomeni pili notevoli della pienezza colerica, mo-
dificandosi gli altri. Allorché tutti scemavano, pre-
ceduta lieve reazione febbrile succedeva immediata
convalescenza, breve ne'casi piìi miti.
198 Scienze
§. h. "Variando i sintomi in numero, in grado,
in combinazioni, davano luogo a sembianze parti-
colari individue, dalle quali desumeremo le coleri-
che primitive.
Alcune dapprincipio mostravansi, che si sareb-
bono dette cadaveriche; forse perchè erano tocchi
i più predisposti; occorrevano a preferenza nelle
donne; aveano stadio algido cianotico salientissimo,
difetto di senso, e di moto ( v, n. s. 12 ) (17) ne*
casi non fulminanti poche egestioni, qualche secre-
zione urinosa, stupidita, angoscia, lassezza estrema;
ad intervalli una forza muscolare, che mal si pote-
va argomentare dal restante apparato de' sintomi;
( V. n. s. 7 ) (18) sendo i morbi seguenti nervosi;
forme morbose pessime, d'ordinario letali. In que-
ste vedemmo le subtifiche primitive, in quelle le
primitive tifiche (^). Piìi tardi occorsero, special-
mente fra gli uomini, affezioni spasmodiche delle
estremità, talora lievi, talora fierissime, in genere
senza grave apparato concomitante, le quali curate
subito, o svanivano, o duravanp per lungo trat-
to, seguite dal colera, od almeno da qualche sìnto-
ma gastro-enterico (19). Tenemmo queste forme co-
me spasmodiche primitive.
Avveniva osservarne altre in sul principio
particolarmente fra le donne , precedute alcuna
volta dalla diarrea ( v. n. s, 22 ) con lingua sor-
dida, emetocatarsi piìi grave, talvolta verminosa,
addome dolente, ottusitU di udito , stadio algido
prolungato ed intenso, polso appena percettibile.
A questi sintomi d'ordinario lunghi, seguivano af-
fezioni gastriche, meningee, il tifo, le periodiche.
Giudicammo essere queste forme meningo muccose
pili ( V. n. s. 2 ) (^20) o meno gravi e circoscritte
(v. n. s. 22).
Storia del colera 199
Finalmente apparvero altre sembianze con af-
fanno notevole, Locca e pelle aride, sete inestingui-
bile, talvolta febbre, gli altri fenomeni più. mo-
derati ( V. n. s. 1 3 ). V'erano i precursori (v. n. s.
24 ) ( se non le avesse ingenerate l'abuso delle po-
tenze incitanti ) ( v. n. s. 6 13 25 28 ) per lo più
vincibili, e vantaggiosi, poiché cautelavano infermo
e curatore ( v. n. s. 24 ), forme morbose di minor
pericolo, quando non prodotte da gravi errori (21)
brevi (22) costituenti spesso sul declinar del conta-
gio la cosi detta colerina; se v*erano poi concomi-
tanze, o sùccesioni, spiegavano indole infiammatoria.
Dalle quali cose si tenne, che queste ultime costi-
tuissero le fisonomie flogistiche (23).
Vedendo gli esantemi divenuti indigeni spesso
infiammatorj, non sembra soverchiamente ipotetico
supporre che , se restasse fra noi questa malvagia
eruzione interna, sarebbe per mostrarsi, almeno ge-
neralmente, colle ultime sembianze.
Tali forme morbose erano per lo più compli-
cate, e frammiste intra loro (24) ( v, n. s. 19),
§. 5. Come per lo sviluppo di altre malattie
si vogliono peculiari disposizioni , così vedemmo
(§. 2) quali condizioni organiche, e quali cause favo-
rissero lo sviluppo del contagio. Toccheremo ora
alcuni argomenti, che prenunciavano buono, o tri-
sto esito.
La mitezza delle cagioni concorrenti, se v'era-
no state, le condizioni organiche fiorenti, la prestez-
za de'soccorsi, le comodità della vita davano a spe-
rare un morbo mite , o vincibile. Quando si svol-
geano gradatamente e lentamente i sintomi precur-
sori dello stadio algido cianotico, era buono, poi-
ché avvertivano ad usar cautele, con le quali men
200 Scienze
difficilmente si trionfava di quelli. I crampi all'estre-
mità, sebbene acerbissimi, senza fierezza di sintomi
rispondenti, non presagivano esito infausto ( vedi la
nota 19 24) (25). Kra meno grave lo stadio spaven-
tevole, quando seguiva la progressione ordinata de'
fenomeni (^). Il sangue estratto mostrante cotenna,
indicava correzione di crasi , reazione vascolare ,
vigente processo riproduttivo. Le egestioni (26) ( v,
n. s. 13 28 ), le eruzioni critiche tornavan buone.
Il diminuire graduato e proporzionato della forma,
specialmente della sete, del crampo toraco epigastri-
co, della emeto-catarsi ; il cangiare delle sostanze
siero-albuminose in verdognole o gialle; il riappa-
rire delle urine; lo spiegarsi del polso, finalmente
un sonno placido, ristorante , ingenerante madore
tiepido, universale , ringiovanendo, decrescendo il
calore cianotico.(2T), pronunciavano la convalescenza.
La invasione notturna diventava perniciosa ac-
cidentalmente (vedi la nota 10), poiché d'ordinario
non si imploravano subito 1 soccorsi medici.
Il temperamento, la gravezza di un sintoma, la
sindrome, eran presagio spesse fiate del morbo se-
condario.
Quantunque la gravidanza non disponesse al
contagio (28), le incinte di più mesi perivano, forse
per la mobilità nervosa, per la tendenza infiamma^
toria, per l'angustia toracica. Per questa principal-
mente gli asmatici, i rachitici (v. n. s. 17) (^). Per
l'attitudine flogistica forse, per la sensibilità esal-
tata, per la spossatezza, le perdite e la soppressio-
ne de'lochi pericolavano le puerpere (*). Il sangue
estratto sempre nericcio, molle, vischioso, con poco
siero, e macchie oleose, era cattivo.
Quando lo stadio algrdo-cianotico aggrediva su-
Storia del colera 201
bitamente, come nelle forme tifiche primitive, spon-
taneo od ingenerato da cagioni valutabili, era pes-
simo , pessimo il denudarsi continuo dell' infermo,
per l'angoscia insopportabile, l'indicare co'gesti il
crampo toraco-epigastrico, non sentire le irritazioni
esterne. Ne precorreva guarigione il singulto (29).
Brevemente : quanto piìi era malconcio dapprima
l'organismo, quanto piìi grave il vizio delle funzio-
ni, in ispecie della vita vegetativa, o dell'apparato
sensorio, tanto più pericoloso era lo stato dello in-
fermo.
(*) Queste viste pronostiche, tolte dalla osser-
vazione clinica del contagio, non sembra formino
eccezione ai presagi da Ippocrate a noi.
§. 6. Le malattie secondarie, aveano indole più
grave con qualche vestìgio colerico (*). Osservam-
mo affezioni dell'apparato gastrico, del sistema nu-
tritivo, del nervoso (vedi la nota 20) (30). Il nostro
maestro, professore Tommaso Sarrecchia,ne osservò
del cellulare; si videro eruzioni cutanee esantema-
tiche, eri tematiche, e morbi depuratori (31), raffer-
mandosi le ossertazioni de'buoni clinici intorno al-
la indole de'morbi spiegata sulle malattie seconde,
e sulla convalescenza.
Questa era lunga, dopo un colera grave, con
pirosi (32), anoressia, dispepsia, borborigmi, languo-
re universale, difetto di calorificazione (33), des-
quammazione cutanea (vedi la nota 15), edemi ec.
Mancavano se 1' affezione era stata lieve e semplice.
La mestruazione in molte fu consecutivamente ab-
norme.
C) §• '^' Come nel §. 1 accennammo le malattie
precedenti il morbo, cos'i ora diremo in breve delle
intercorrenti, e delle successive allo scemare di quel-
202 Sciènze
lo. Le perniciose con apparato algido-colerìco com-
battute in luglio cogli alcaloidi antipiretici, quasi
inducevano in alcuni medici opinione, essere il sor-
gerite contagio miasmatico epidemico. Peraltro, aven-
do sempre dubitato di quelle sembianze, convennero
bentosto in uno, riconoscendo, a tenore de'fasti me-
dici, specialmente colerici, nelle forme nuove l'ag-
gressione temuta. Crebbe il contagio, e verso la me-
tà di agosto sali al sommo, e le affezioni periodi-
che inversamente decrebbero. Fu sofferto in gene-
rale malessere nel tubo digestivo; occorsero infer-^
mila gastriche, tifiche, rare volte letali ; sempre
qualche rudimento, o complicazione , o successio-
ne colerica, De'bambini pochi ammalarono. Sceman-
do il morbo risorsero le periodiche, ribelli? ano-
male, talvolta perniciose; le reumatiche apparvero,
(*) Nulla avvenne di speciale ne'metodi cura-
tivi, provvedendo quasi tutti alle perturbazioni in-
testinali con la dieta, con le cautele, talora cogli
emetici, spesso col tamarindo,
C) Nel pieno del contagio scemò il numero de-
gli uccelli in citta. L'atmosfera non si mostrò di-^
versa dagli altri anni,
{*) A diminuire il morbo discendente sembra
cooperasse l'abbassamento di temperatura, indotto
in ispecial modo dalle piogge ne' dintorni di Roma
verso la metà di settembre,
§, 8. La disparità delle opinioni negli autori
stessi più famigerati, impose fin dal giugnere del
contagio, di raccogliere quello tornava giovevole a'
professori scevri di opinioni sistematiche, di valu-
tare le tendenze istintive degl' infermi, osservare
con diligenza i risuUamenti, attendendo alle forme
morbose indigene. E considerando, che, tranne Te-
Storia del colera 203
lemento ingenerante , non vincibile con modo co-
nosciuto, le indicazioni curative si doveano togliere
da un apparato sintomatico, col quale avessero ana-
logia molte forme morbose indigene; e molte osser-
vate da' clinici valenti; considerando poi che l'ele-
mento peregrino avrebbe spiegato forme speciali ,
relative alle condizior." topografiche, alle fisiche per-
manenti, od accidentali, alle morali, che tanto in-
fluiscono a modificare qualunque malattia, risulta-
va , che il pratico si recasse freddamente al letto
dell'infermo, notando nel morbo nuovo tutto quello,
che potea desumere da altri morbi sempre curati,
rammentando quello fosse tornato vantaggioso in
forme analoghe, quantunque rare. Così sariano scese
spontanee le indicazioni dall'apparato de'sintomi ,
valutato relativamente alle forme, ed alle condizioni
piìi analoghe ; ricordando però sempre , essere il
morbo ferocissimo, ed appartenere alla famiglia de'
contagi. D' altra parte conosciamo noi gli elementi
di qualunque malore? qual diritto a supporre che
il nuovo rovesciasse i canoni empirico-patologici ,
le osservazioni per lunghi secoli istituite giungesse
a fiaccare solennemente?
Dicemmo il principio speciale del colera conta-
gioso non essere vincibile da argomento conosciuto.
Sofferirono il morbo alcuni, che aveano tolto come
profilattico il proto-cloruro di mercurio, il quale
ispirava fiducia pe'suoi componenti. Alcuni usatolo
come curativo, mancavano; ne veggiamo tal farmaco
sanzionato nelle immense peregrinazioni del morbo
indiano. La dimenticanza poi dei vantati specifici
facea dubitare intorno alla polvere di carbone ve-
getabile , lodata come neutralizzante : ma notando
buoni effetti senza prescriverla, stimavamo coiivene-
204 Scienze
vole aspettare, che fatti numerosi ed evidenti la
innalzassero fra medicinali eroici (34). Ne mai pre-
scrivemmo la digitale come specifico , quantunque
la usassimo in una forma angioitico-colerica ( v. s.
n. 13) senza buon risultamento, dovendo anzi la-
sciarla, perchè irritante lo stomaco, siccome accadde
osservare una volta al professore Sarrecchìa. Non as-
seriamo , che questo vegetale potesse disconvenire
in qualche rudimento dei morbo con fisonomia flo-
gistica, o peravventura subneurotica, forse quale de-
primente, forse quale narcotico; ne' quali casi co-
me convengono gli antiflogistici alle sembianze in-
fiammatorie, così abbiano giovato alcuni soporiferi
nelle neurotiche. Ricordiamo avere proposto noi
stessi all'Ingegnoso professore Rietelli, il quale ir\
S. Galla istituiva gli sperimenti colla digitale pur-
purea , tentarne prudentemente le prove col tasso
baccato per trarne conchiusloni vantaggiose, aven-
dolo stimato affine alla digitale sommi ingegni d'I-
talia ( quantunque secondo alcuni più irritante, e
meno efficace ) desiderandone sperimenti nelle ma-
lattie del cuore, e delle arterie il chiarissimo nostro
maestro professore Giacomo Folchi (Materiae me-
dlcae compendium t. 1. e. VII. Irritantla p. 177).
Ma spiegata la forma, conoscendo l'azione prima del-
la digitale irritatrlce del tubo digestivo, di già so-
verchiamente irritato; valutandone la seconda lenta
e dubbia, quando si vogliono pronte e sicure, ten-
dente a convergere i moti vitali, quando si brama
divergenza e vigoria estrinseca, ci è sembrata pro-
prio quella sostanza, che in que'momenti si dovesse
proscrivere. Tuttavolta avremmo posto da canto le
argomentazioni a priori^ ed atteso al fatto empirico,
quando avesse avuto la nota di certezza, quantun-
que solo in alcune determinate forme morbose.
Storia del coleri 205
§. 9. Consigliano i pratici osservatori il salas-
so nella pletora, che precede gli esantemi, quando
l'età, il temperamento, il clima, la costituzione epi-
demica ed altre condizioni il richieggano , perchè
fioriscano semplici e presti. La quale indicazione
tornava profittevole, se una forma morbosa pletori-
ca annunciava il colera.
C) Si commendavano le sostanze narcotiche ,
talvolta a dosi generose, le fregagioni sui luoghi af-
fetti dalle spasmodie , le potenze eccitanti diffu-
sive nelle condizioni di avvilimento organico ; le
quali cose erano confortate dalle osservazioni cli-
niche sul morbo straniero. Usammo con vantaggio
lo josciamo ne'pochi perturbamenti nervosi che ve-
demmo minaccianti colera , e trovammo utilissime
le fregagioni sulle membra afflitte da'crampi. Nel-
le poche forme convulsive curate non osservammo
languori organici da prescriver narcotici eccitanti,
o medicine eccitanti diffusive.
Occorrendo saburra gastrica, sendo il capo al-
quanto perturbato, qualora speciali cagioni noi vie-
tino, si prescrive l'emetico nel sospettar di alcune
forme tifiche, perfino aftose (35), e la ipecacuana
fu vantaggiosissima, quando si teneva imminente il
morbo, forse perchè la sottrazione di alcuni prin-
cipii, la commozione dell'organismo, l'antitesi della
vita esterna resa pih attiva diminuisse, o neutra-
lizzasse od annullasse l'elemento convergente, che
si potea riguardare come fattore morboso? Nelle
forme analoghe , attendendo i pratici alla diver-
genza vitale, prescrivono le infusioni diaforetiche
di tiglio, di sambuco, e notammo i vantaggi delle
medesime, o favorendo esse il vomito, o promoven-
do il traspiro. Se cagioni individuali vietino Teme-
206 Scienze
tico , si usano i purganti , anche quando si vuol
prevenire la eruzione delle afte, a sottrarre le sa-
Lurre irritative, a semplicizzare, dirò così, l'affezio-
ne. Difatti si sperimentarono non solo innocui, ma
necessarii i lubricanti, come la cassia, la manna,
gli oli di olive, di mandorle dolci, e perfino di ri-
cino a mondare il ventre piìi prestamente, o facea
d' uopo un semplice catartico antelmintico* Negli
scaldamenti del tubo intestinale nocciono gli eme-
tici, ed i catartici salini : i purganti drastici e le
prime sostanze vedemmo (§. 2) essere state cagione
concorrente del morbo indiano.
Si lodava la polpa di tamarindo, le bevande
subacide, mucillaginose, i clisteri mucillaginosi nel-
le diarree prenuncianti colera; d'altra parte tutto
ciò è indicato nelle diarree comunali, e nelle ir-
ritazioni del tubo digestivo, e si ordinava con otti-
mo risultamento. Ma queste diarree eran poi sempre
veramente coleriche.'* e se tali, non erano mai al-
quanto lunghe, od accompagnate almeno da qualche
sintoma particolare.'' erano sempre vincibili (36)?
Saremmo condotti a credere, che quelle veramente
coleriche poco fossero docili a tali medicine, ma
tendessero a spiegare alquanto meglio la forma spe-
ciale (37), come saremmo d'avviso, che una diarrea
sporadica disponesse al colera straniero per l'affe-
zione dell'organo sul quale sembra gittarsi eletti-
vamente il veleno. Consigliano i pratici le sangui-
sughe ai vasi emorroidari, ed anche il salasso, ne*
casi di tenesmo, dissenteria, ed irritazione enterica.
Consigliano il riposo, le cautele, un vitto rela-
tivo, non mai eccitante; le quali cose giovavano se-
condo i casi al prenunciarsi della forma colerica.
Si avevano per buone le sostanze narcotiche.
Storia del colera. 207
eccitanti difFuslve nello stadio algido. Vedendo con-
dizioni algide solenni, con spasmodle orribili in
s. Galla, tentammo acquietare i sintomi con argo-
menti eccitanti diffusivi, ed oppiati: ma l'eJBetto scon-
fortò dall' usarne ulteriormente (38). Le infusioni
telformi di sambuco e di tiglio, celebrate nello sta-
dio algido pieno, sembravano utilissime per la vir-
tìl elettiva, ma accrescevano il vomito, soperchio,
dopo egestloni soperchle, ne diminuivano la con-
dizione morbosa della cute, come nel colera spo-
radico e nella perniciosa colerica. Imploravano an-
siosi gl'infermi le bevande nevate, subacide, demul-
centi , le quali giovano nel colera sporadico e nel
sintomatico, nelle affezioni gastro-^enteritlche ^ con
bassa temperatura^ polso minimo, talvolta impercet-
tibile, forse perchè sottraenti calorico, forse perche
atte a diminuire la convergenza vitale; qualora non
avessero sofferto grave congestione di polmone, che
vieta la neve» e le pozioni subacide, queste si accor-
davano con ottimo successo; e nella scarsezza de'li-
moni prescriveasi l'aceto diluito a piacere nell'a-
cqua^ lievemente addolcito, da togliere a brevi in-
tervalli. Spiegata la sindrome colerica , il tama-
rindo non si tollerava in genere sotto qualunque
forma (39). Come nelle affezioni enteriche irrita-
tive, nelle afte , giovano i clisteri mucillaginosi,
le unzioni oleose sull'addome, particolarmente col-
l'infuso di camomilla, i calefacienti alle estremità
(40), nonché il senapismo sullo stomaco celebrato
dovunque, così abbiamo veduto nociva l'applicazio-
ne della neve (41), parimenti vantaggiosi i vesci-
catori quali rubefacientl, trasportati su varj pun-
ti dell'organismo , affetti da dolore perfino che la
cute venisse arrossata, scaldata e i dolori calmas-
208 Sciente
sero. Le frizioni usate nelle irritazioni gravi del-
le vie digestive giovavano sulle parti cruciate da*
crampi, fatte co'pamii di lana Lagnati neiralco-
ole canforato. Vi sostituimmo alcune volte per eco-
nomia l'acquarzente, e ne risultava lo stesso. Le
quali cose tendevano a ravvivare la vita cutanea,
a riequilibrare le forze, e per parlare il linguag-
gio de'polaristi , ad invertere le correnti termo-
idro-elettriche. Le forme algide indigene impone-
vano di avvolgere e di trattenere gli ammorbati
entro coperte di lana, le quali restituissero grada*
tamente il calorico: ma quelli a stento satisfaceano a
tali indicazioni, sendo spinti da smania indicibile
a denudarsi: quindi durava, cresceva lo stadio al-
gldo-cianotico , dando luogo in seguito a funeste
metastasi.
Non vedemmo che le forme tifiche primitive
ammettessero terapia, ne che la canfora usata con
tanta lode in alcuni casi di tifo giovasse le subti-
fiche, ne ci salvava gl'infermi il metodo rivellente
irritante, consigliato nelle medesime affezioni. Ebbe
nota di vantaggio il confricare le membra afflitte
da formicolamento o da crampi nella pienezza
colerica.
Nelle gastro-enteriti, nelle diarree, e nelle dis-
senterie valgono i purgativi blandi, lubricanti non
escluso il ricino, specialmente quando v'hanno com-
plicazioni elmintiche : e li usammo utilmente nel
colera gastrico, preceduti e susseguiti da frammen-
ti di neve.
Le forme infiammatorie richiedevano piìi lar-
gamente l'uso delle sanguisughe, qualora la fiam-
ma toraco-epigastrica non avesse ceduto ad altro
soccorso, rammentando essere necessarie nelle ga-
f
Storia, del colera 200
stro-enteriti , nelle afte. Le avremmo consigliate
eziandio ai vasi emorroidari, se l'infermo avesse
potuto giacersi sopra un lato , e se le dejezioni
alvine lo avessero conceduto. E ricordando l'appa-
rato di congestione toracica, dell'asma, della cia-
nopatia , esigenti spesse fiate il salasso, le minac-
ce di flogosi gastrica , pneumonica , la complican-
za infiammatoria negli esantemi, ed i risultamenti
necroscopici del colera straniero, fu quello qualche
volta ordinato con ottimo effetto , serbando però
sempre una tale moderazione voluta da'clinici, os
servata da'chiarissimi nostri maestri Pietro Lupi,
De-Mattheis, e Tagliato nelle affezioni eruttive cu-
tanee o meningo-muccQse, ingenerate da elemento
dissolutore (42).
Ne' morbi acuti intestinali è indicato un vit-
to tenuissimo ; per la qual cosa ordinavamo un bro-
do leggiero e freddo , notando, che il più lieve
errore dietetico induceva esacerhazione.
Questo contagio ha confermato il canone, do-
versi cioè le malattie secondarie curare riguardane
do alle precedute, con lodevole temperanza ne' me-
todi , specialmente nell' antiflogistico mantenendo
aperti gli emuntorj; indicazione essenziale nel cu-
rare le successioni di un morbo, che aveva altera-
to la miscela organica, inteso a sciogliere il nesso
vitale.
Nella convalescenza del morbo indiano gio-
varono i criterj forniti dalle convalescenze delle
affezioni gastro-enteriche, periodiche, tifodi, angioi-
tiche ecc. rammentando quanto lentamente torni
la normalità in quell'organismo leso nella vita ve-
getativa, e nell'animale per le alterazioni della cra-
si, dell'innervazione, della digestione. Quindi si prc-
G.A. T. LXXm. 14
210 Scienze
scrìveva un vitto leggiero, proporzionato alla gra-
vezza preceduta, poiché la convalescenza è l'ulti^
mò periodo della malattia, che va gradatamente
a confondersi colla salute; periodo, in che le fun-
zioni piìi offese con pili di lentezza si equilibrano,
§. 10. Nell'istituire un paragone fra il cole-
ra indico, ed altre affezioni morbose, come accadde
rinvenire analogie tra loro, cosi è stata rilevata una
discordanza da talune, per la quale si avvicinerebbe
alle condizioni gastro-enteritiche, ed aftose, perchè
il metodo eccitante, usato nelle algide perniciose,
nelle colere nostrali, e nelle condizioni di languore
organico non è stato riconosciuto vantaggioso in
Ancona giusta le asserzioni di testlmonj oculari, ne
Tebbero tale sperlmentatlsslmi clinici romani. Ma
vi hanno fatti numerosi, ed osservazioni impar-
ziali, che mostrano curatore il metodo suddetto.
Potrebbesi far prova di conciliare queste discre-
panze valendoci delle analogie?
Sembra ragionevole, almeno non assurdo sup-
porre, che l'elemento colerico si riproduca nell'or-
ganismo umano, donde avveleni altrui pe'vasi as-
sorbenti cutanei e polmonali, e tolto per le vie
digestive forse venga decomposto, e neutralizzato
come il vipereo , e talvolta alcuni de'vegetabili.
Difetto di predisposizione, o forza digestiva rese
immune chi trangugiò le sostanze della emetoca-
tavsVf Questo elemento, a modo de'contaglosl ( ve-
di le belle considerazioni del dottissimo Bufalini ne'
Fondamenti di patologia analitica capo 23 §. 05, 3
edizione pesarese ). Sembra che dapprima alteri la
crasi sanguigna, come si argomenterebbe dalle fle-
bolomie ne' prodromi Istituite {A3) , che irriti le
membrane vascolari, produccndo reazioni, ed cru-
Storia del colera. 211
zloni in quelle, donde le palpitazioni di cuore, la
contrattui'a arteriosa (forma vascolare primitiva di
pletora, di efFemera): che si gitti sul sistema nervoso
assalendone in particolar modo l'apparato vegeta-
tivo, e locomotore, donde le nevralgie, le disereti-
sie (44) ( forma nervosa primitiva spasmodica, sub-
tifica, tifica, (*) Pare talvolta, per una disposizione
intestinale sia antecedentemente invitato a produr-
re gastricismo, diarrea, dissenteria ( forma menin-
go gastro enterica primitiva , diarroica , dissente-
rica ecc. ) ; ultimamente fiorisca quasi sempre con
esantema polimorfo elettivo sulla membrana muc-
cosa, specialmente verso la valvola iliaca (forma me-
ningQ-muccosa primitiva, in ispecie enterica ) (45).
Questa progressione sintomatica di varia gra-
vezza, notata generalmente, analoga in qualche mo-
do agli effetti ( sebbene in generale più solleciti )
delle injezioni emetiche e catartiche, segna in alcu-
na guisa la via del veleno all'osservatore. Ma talu-
ni argomenti meccanici , o veleni acri, alcuni gas
mefitici^ per la sola irritazione della membrana
muccQsa producono talvolta una sindrome istanta-
nea, analoga ai casi gravi del colera contagioso , da
indurre quasi il sospetto vi fosse prima nell'orga-
nismo qualche morboso elemento, o predisposizione,
sindrome però, che massimamente dipende dai conr
sensi, e dalla continuità degli organi,
(*) Stimo pregio dell'opera il trascrivere quasi
intieri due quadri tossicologici, l'uno relativo alle
sostanze meccanico irritanti ingerite, desunto dal^
la medicina legale dell'illustre Puccinotti (lezione
19 §. 3), l'altro dall'articolo asfissia del cclebratissi-
mo Adelon (dizionario classico di medicina, articolo
212 Scienze
suddetto, sezione (2) intorno all'avvelenamento pel
gas deutossido di azoto.
(*) I veleni meccanico-irritanti producono ,
scrive queir illustre italiano » rossezza, secchezza,
» ed ardore delle fauci e della lingua .......
» senso di stringimento all'esofago; la
■ regione epigastrica si sente come morsicata e di-
» laniata , tutto l' addome è lacerato da profonde
» e insopportabili trafitture. I conati al vomito si
» affacciano, e si succedono pili o meno rapidamen-
» te. Lo stomaco non può ritenere i liquidi anche i
» pili grati; la deglutizione è difficilissima e vi ha
» talora una completa disfagia , sete ardente , ed
» inestinguibile .... il ventre trafitto sempre da
» atroci dolori , da meteorismo , o da contrazione
» violenta verso la colonna vertebrale, . . . d' or-
» dinario è tormentato da dejezìoni frequenti, per
j» lo più con tenesmo,.. . i tegumenti della mano
» si fanno duri , aggrinzati , coriacei ; succede lo
» stesso di quelli de'piedi, che sembrano tappezza-
» ti di una lamina cornea, assolutamente insensibi-
» le. Succedono a questi i sintomi di irradiazione
» dolorosa, come il singhiozzo, la dispnea, e talora
» l'ortopnea, i polsi intermittenti, o miuri, la is-
» curia, il freddo, il granchio spasmodico delle e-
» stremi ta, i tratti della faccia si fanno cadaverici,
» e la scena luttuosa termina spesso o nell'abbando-
» no totale delle forze, o in una smania furibon-
» da, e in mezzo alle convulsioni cloniche le piìi
» orribili. Nella maggior parte de'casi l'irradiazione
» dolorosa non arriva a sconcertare le facoltà intel'
» lettuali; l'avvelenato dai veleni meccanico-irritan"
» ti le conserva sino alla morte. »
Storia del colera. 213
(*) il professore francese narra così l'esempio
di asfissia pel gas nitroso : » comunicato da Des-
» granges, in cui però il gas non fu fiutato puro,
» cosicché il malato morì soltanto in capo a ven-
» tiquattr'ore. I sintomi che dapprima osservaronsi
» furono, somma debolezza, certo calore acre e sec-
» co nelle fauci, la irritazione dello stomaco e del
* petto, il senso di stringimento all'epigastrio, la
» diilìcoltk di respirare Dopo dodici ore
>• r aspetto del malato divenne azzurro, afFannossi
» il suo petto , sopraggiunse . . é . il singhiozzo ,
» grandi dolori alla regione del diaframma ....
» alcuni movimenti convulsivi, e da ultimo creL-
» be l'ansietk fino alla morte, che accadde di mez-
» zo a terribili angoscie. » I sintomi speciali di que-
sto quadro presentano forme irritative: avvene ana-
loghi al quadro universale della asfissia del mede-
simo fisiologo; angoscia, cianosi, apatia, debolezza,
diminuzione circolatoria, nutritiva, calorifica ecc. nel
cadavere , lividore del sistema capillare generale ,
turgore sanguigno nell'apparato venoso, vacuità nel-
l'arterioso (Vedi il principio dell'articolo suddetto
nel dizionario).
(*) Ecco due quadri sintomatici da irritanti
esterni pe'consensi e per la continuità degli orga-
ni, i quali riuniti forniscono i principali fenome-
ni del colerico contagioso (46) e e' invitano a cre-
dere , che lo stadio algido-cianotico dipenda massi-
mamente dalla irritazione primitiva del contagio
sul velamento muccoso, o dalle accessorie connesse
alla tendenza ad erompere, o dalla effettiva eruzio-
ne dell'esantema. Che se volesse objettarsi: non es-
sere semplicemente irritativa l'azione de'suddetti
214 Scienze
veleni sulle vie coperte dalla muccosa ; assorbirne
i vasi, donde i perturbamenti; saria pur forza am-
mettere una irritazione intestinale, o polmonale, ri-
cordando, che la crasi sanguigna si viziava dappri-
ma, o contemporaneamente allo stadio spaventevo-
le del morbo straniero.
(*) E siccome non istimiamo fisiologica la con-
dizione di un tratto tegumentale mondo da esante-
ma, quando altrove fiorisca circoscritto, notando pre-
cedute e complicate le simpatie della membrana
creduta da alcuni introflessa, cosi quantunque l'ir-
ritamento, o la proclività esantematica avvenisse sol-
tanto nel tubo digestivo, non crederemmo normale
la condizione degli altri punti del velamento inter-
no. Il rossore poi della sclerotica, il tinnito, la sec-
chezza nasale, la cianosi delle labbra, la sete, la vo-
ce colerica, il prurito inane urinario, l'ardore allo
sfintere dell'ano ci forniscono argomenti analogici,
le autossie cadaveriche, i fatti per credere pertur-
bato l'intero tegumento muccoso (47).
(*) Come tende a svolgersi il principio cole-
rico, o svolto, o morbosamente elaborato, o molti-
plicato sulla muccosa, in ispecie intestinale, sembra
debba questa perturbare per consensi membrana-
cei e nervosi la polmonale, antecedentemente irri-
tata peravventura della crasi innormale sanguigna,
contemporaneamente dal tendere eruttivo, o dalla
eruzione, ultimamente dalla diminuzione sierosa del
sangue.
(*) E come gli esantemi hanno lor periodo la-
tente, esisteva già in molti casi nell'organismo il
principio colerico; occorrevano quindi ordinati nel
maggior numero i sintomi prodromi; perchè gli al-
tri non procedevano in proporzione , ma compii-
Storia del colera. 215
dati, moltiplicati, precipitati? Non sembra per ca-
gione che agisse subitamente ? Avvi qualcosa di
analogo nelle malattie? Notiamo alcun che di simi-
le ne'morbi affini? Guardando accuratamente al qua-
dro degli esantemij non veggiamo alcune fiate una
subitaneità di eruzione , la quale contemplata su
tratti piìi vasti e più vitali della membrana muc-
cosa, debba produrre effetti notabili e subitanei?
(*) Irritato il tubo gastro-enterico, ecco ai sin-
tomi vascolari e nervosi di perturbamento ripro-
duttivo, di reazioni, di squilibrio elettro-organico
aggiugnersi e confondersi la contrattura gastro-en-
terica, un moto convergente, la catarsi , la emesi,
quindi impoverimento siero-celluioso , vecchiezza ,
difetto urinario (48).
(*) Irritate le vie aeree, ecco la cianosi, la per-
fringerazlone , la voce colerica. Notammo due sin-
tomi costanti nel quadro del morbo; invecchiamen-
to ed infossamento delle estremità e delle orbite ,
e cianosi delle medesime parti; quelli per affezio-
ne dinamico-spasmodica e meccanico -sottrattiva ;
questa per vizio di sanguificazione , esprimenti in
qualche modo, se mal non ci opponghiamo, l'affe-
zione doppia della muccosa, enterica e pneumatica.
(*) Irritate le vie urinarie , dissierato il san-
gue, ecco la secchezza molesta interna, la soppres-
sione urinosa completa.
{*) Irritati nuovamente ed inversamente i ner-
vi del tubo digestivo, de'bronchi , delle vie urina-
rie, ecco il cingolo toraco-epigastrico , le anoma-
lie, gli squilibrj mutabili di circolazione, le vam-
pe, l'infuocamento; ecco nuova causa di gelo cuta-
neo, il singulto, il corrugarsi dello scroto, il cessare
della voce, il tetano, i crampi, l'ottusità uditiva, vi-
21G Scienze
siva e , forse per un ordinamento di Provvidenza
compensatrice, una certa apatia. Adunque gli spas-
mi compagni, e consecutivi della eruzione potranno
talvolta riguardarsi come secondar]?
L'apparire di un fenomeno piuttosto in alcuni
tempi, che in altri, invita a supporre una catena-
zione colle cause ricorrenti. Lo svolgersi della for-
ma colerica al mattino, o verso il mattino ( quan-
do fosse universalmente osservato), dipenderebbe
dalle vicende della elettricità atmosferica, dai pe-
riodi nelle funzioni, dal collapso enterico dopo l'o-
perositk digestiva abituale , o soverchia disponente
al morbo , quando i seminj diffusi per una scin-
tilla inavvertita talvolta divampano? Gessata l'opera
digestiva, succederebbe l'erompere elettivo del con-
tagio ? Ma l'abbassamento di temperatura verso il
giorno, chiudendo la cute, compenserebbe il deca-
dimento intestinale? Al fritto i fatti rispondano; su-
dare taluni verso il mattino abitualmente , spesso
nelle convalescenze, rimettere le febbri continue;
ristorarsi, lusingarsi gli etici. Sveglia, operosa col
nuovo sole è la mente, a'vivi concetti, a profondo
meditare inclinata ; grave , inerte verso la notte ,
prevalendo la vita nutritiva; donde agli scioperati
stessi il poeta:
Dalla mattina a terza
Di voi pensate
(*) A tenore delle predisposizioni e delle cau-
se si turbava pili l'uno de'due sistemi vascolare e
nervoso, o l'apparecchio gastrico.
(*) I maschi, giovani , temperanti , forniti di
buone condizioni organiche, di prevalente vita ri-
produttiva, sperimentavano d'ordinario la forma flo-
gistica. Forse la vitalità vascolare, e la crasi nor-
Storia del colera 217
male scemano la virulenza contagiosa; forse vince -
vanla ne'bambini poco percossi dal malore ; forse
intendevano a fiaccarne la possa dissolutiva quelle
benefiche reazioni vasali che partorivano moderate
perturbazioni nervose, mite irritazione enterica, lie-
ve decadimento, presta convalescenza?
(*) Sono poi normali in tutti le condizioni va-
scolari? una viziosa posizione anatomica non mai so-
spettata, una condizione patologica inavvertita, un
occulto aneurisma, o varice, un corpo abnorme na-
scostamente cresciuto non potevan complicare gli
squilibrj nervoso-vascolari, indurre apoplessie ra-
chidiano encefiiliche , viscerali, paralisi, altre for-
me tetaniche, preparare infiammazioni?
(*) Ma il difetto di resistenza vitale, di coecsio-
ne fisiologica nelle donne, ne'vecchi, ne'soperchia-
mente mobili, negli intemperanti, ne'convalescenti
ecc. impediva all' organismo vincere nel cimento ,
gittavasi quindi prepotente il veleno sul sistema
nervoso; tiranneggiava l'apparato vegetativo, o sen-
sorio, distruggendo le ragioni vitali, prorompeva col-
la eruzione, o come veggiamo negli esantemi mali-
gni, la tentava più funestamente; meno feroce, ma
per lungo spazio malmenava l'apparato locomotore.
Ecco le fonti delle spasmodie successive, delle pal-
pitazioni nervose, de'tifi speciali (49).
(*) Ma gli esantemi fioriscono talvolta varj. La
tendenza eruttiva, la eruzione toracica, eran propor-
zionate sempre alla gastro-enterica? Non e mai l'ap-
parato respiratorio abnorme ? Senza supporre in
qualche caso una anomalia eruttiva, potrebbe attri-
bufrsi qualche forma, in apparenza nervosa, ad una
condizione patologica del torace , ad una lesione
istromcntalc anteriore? Sarebbe in questi casi piìi
218 Scienze
grande il vizio della ematosi? la cianosi, la perfi*!-*
gerazione più intensa? non si parrebbe un Sopore,
in fine un awelenaniento per difetto, o vizio tra^
scendente di composizione sanguigna?
(*) La predisposizione, le cagioni concorrenti <
forse poca affezione vascolai*e, o nervea, potevano fa-
vorire la forma meningo-muccosa più spesso gastri-
ca? indurre efflorescenza più diffusa, più lenta?
(*) Sembra da queste nascere le pirosi, le di-
spepsie, le gastriche, le diarree, le dissenterie, i vo-
miti, qualche colera secondario sporadico ; sembra
nascere dalle medesime cause le affezioni meningo-
muccose, e meningee, i tifi neurilematici.
(*) Rapito il siero e T adipe al sistema cellu-
ioso, egli sembra, che per antitesi, o vizio di mi"
scela succedano gli edemi, le idropié
(*) Le discrasie, i solidi morbosi stemprati, vo-
gliono crisi, o fruttano malattie secondarie; quindi
i sudori, le ipostasi, le diarree, le eruzioni; i mor-
bi depuratori, se la forza vitale trionfi ; lenti ^ se
lungamente combatte; letali, se manchi.
(*) Compiuta l'opera eruttiva, allorquando le
ragioni vitali prevalevano, ecco placarsi il crampo
precordiale, le dejezioni decrescere; scaldarsi, nu-
trirsi, ringiovenire la cute; dileguar la cianosi; ri-
suonar la voce; gli spasmi far tregua; nuovamente
le urine separarsi, rimanendo peraltro malconcio il
velamento interno, e gli organi piìi affetti nel com-
pletar delle forme , come vedemmo accennando la
convalescenza.
Premesse c|ueste linee teoretiche, comparando
la sensibilità fisiologica del velamento cutaneo èol-
l'interno, sembra, che se è molesta una condizione
esantematica cutanea, debba tornare molestissima una
Storia del coiSra 219
tendenza, una elaborazione morbosa gasti*o-enterica
atteso il sentire più Sfjnisito dell'organo, come ac-
cadde osservare nelle afte infantili. Che se il meto-
do calefacente fu proscritto dal Sydenliam negli
esantemi, parrebbe molto più sì dovesse in questo,
attesa la vita, ed il senso meglio notevole delle parti
aflfette. E Gioan Pietro Frank proscrisse lo irritare
le prime vie nelle afte de'bambini , consigliando
le cose rinfrescative. Chi si avviserebbe curare la
eresipele, la scarlattina, il vajuolo, la miliare in ogni
caso colle applicazioni stimolanti? Chi Usa oggimai
gli stimoli nelle condizioni gastro-enteritiche? Che
se in alcuni casi hanno giovato gli eccitanti inter^
namente, sembra possa essere avvenuto nelTordirsì
di alcune condizioni subtifiche , più speciali forse
di qualche luogo, di qualche costituzione epidemica
talvolta ovunque di qualche individuo, con grande
perturbamento del sistema nerveo, e notabile ten-
denza dissolutiva. E come veggiamo scarsa la efflo-
rescenza in alcuni esantemi quando impediscano al-
cune particolarità l'innervazione critico-eruttiva in
qualche forma cosidetta maligna, curabile dalle po-
tenze che eccitano, quasi risveglianti, se l'affezione
non sia in grado considerevole, ne dipenda da certi
consensi, irradiazioni, o metastasi morbose sui nervi,
cosi peravventura può avere giovato per un istante
il metodo nella forma subtifica del colera, analoga
in qualche modo agli avvelenamenti vipereo e set-
tico , quando siavi slata deficienza di vigore erut-
tivo. Peraltro questo metodo è spesso incerto, non
esistendo sempre gli argomenti ( come osservò quel
sommo italiano che è Giacomo Tommasini nelle no-
zioni sul cholera morbus e. 4) per conoscere, se un
languore apparente sia l'effetto di prostrazione uni-
220 Scienze
versale, o di squilibrio vitale: quindi gli è mestieri
( per quanto la gravezza il permetta ) tentare con
prudenza il fondo morboso.
Difterisce il morbo indiano dalle afte (50) ,
malattia talvolta contagiosa , esantematica sul tubo
digestivo, mostrante varie forme, perchè le afte han-
no generalmente periodo piti lungo, minore appa-
rato ed, a giudizio di alcuni pratici , sembrano ri-
cusare le sostanze subacide , le quali tornano van-
taggiose nelle applicazioni locali esterne. Sappiamo,
essere varia la durazione degli esantemi, breve la
miliariforme, cui d'ordinario assume il colera, lun-
ga la pustolosa , cui assumono le afte. Sappiamo
quanto l'organismo tolleri alterazioni, e snaturamen-
ti nelle malattie di corso men rapido. Sappiamo ,
che le sostanze subacide coagulano il latte alimen-
to de'bambini, i quali a preferenza vengono afflitti
da tal malore. E perciò credere si potrebbe , che
queste specialità le disgiugnessero? tali considera-
zioni varrebbono ad avvicinarle?
(*) Proponevamo alcune viste teoretiche, le qua-
li vogliamo sieno tenute a modo di semplici ipo-
tesi , poiché passò stagione di chimere allettatrici
stornanti dalla verità; ne i contagj, misteriosi per
indole , permettono , ne permetteranno forse mai
conchiusìoni notevoli e positive intorno alle vie che
percorrono , agli organi che attaccano successiva-
mente, alle modificazioni che inducono e meno d'as-
sai questo, ospite fiero e nuovissimo. Tuttavolta era
convenevole ridurre i fatti osservati in un punto ,
porli in una luce, tentarne lo svolgimento, stando
in aspettazione , che altri fatti e conchiusioni in-
fraliscano l'opera, per attendere noi subitamente a
distruggerla.
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Storia del colera 221
D'altro lato, se non possiamo formarci idea del-
le cose nuove in altra guisa, che paragonandole alle
conosciute, per rilevare di esse le proprietà e la
natura, se dal noto costumiamo investigare l'igno-
to, forse non verranno spregiati questi pochi cenni
patologici , comunque toccati , scevri almeno dalla
farragine delle erudizioni, tendenti a mostrare il
colera contagioso in qualche analogia pratica con
le malattie indigene e note. Ne stimavamo poterli
trasandare, poiché i metodi curativi e le induzio-
ni patologiche consentono.
832
IN O T E
(*) (i) Questi cenni furono compilati e trasmessi per ordÌDQ
della Commissione di pubblica incolumità sul cessare dell'otto-
bre, poi riveduti, corretti, accresciuti del ragionamento ad indi-»
care il metodo dello scritto (svolgendo in ispecie alcune idee del-
l'esordio, e del paragrafo ottavo) e di qualche articolo, notato
coll'asterisco ; da ultimo scevratl di molte citazioni personali, e
delle locali; che ogni cosa asserita è derivata e giustificata da una,
spesso da più osservazioni, le aitali avrebbono per lunghezza ar-
recato soverchia noja. Le osservazioni furono istituite nell'ospi-
tale colerico in s. Galla dal 7 al li di agosto, e dal 28 dello stes-
so mese al i5 ottobre ne' rioni di s. Eustachio e Pigna, ai quali
appartenevo come medico della casa di soccorso;, o nella pratica
privata.
(*} (2) A queste cagioni l'espertissimo clinico Tommaso Sar^
recchla ed io attribuimmo una febbre perniciosa di prima inva-
sione che si potea dire flogistico reumatica con tipo anomalo
dopo affezione reumatica infiammatoria in De-A. F- di tempe-
ramento sanguigno, gravida di mesi sette, guarita colla china.
(*) (3) Curai e vinsi in quel tempo una aortite in S. V. di
abito angioitieo,
(*) (4) Il professore Gaetano Cavallini mio amico, osservatore
accuratissimo, vinse in que' giorni una perniciosa algida cogli
alcaloidi della China. Qualche tempo prima del contagio, il pro-
fessore lodevolissimo P. R., mio amico, osservò un caso letale
di cianopatia, indipendente da lesione precordiale come risultò
dalla autossia.
(3) In s, Galla ho osservato notevole in proporzione il nu-
mero delle filatrici di lane.
(*) (6) Miasmatiche. M. A. ebbe il colera complicato, pre^
ceduto, e seguito dalle periodiche speciali.
Storia del colera. 223
(^) Un patema perturbante, a quanto sentii dire, predispose
ftl contagio letale un mio carissimo ed affettuoso amico F. L. V.
nel fiore dell'età e delle speranze !
(*) (8) I giorni appresso le feste era comune vedere accre-
sciuto il numero de' colerosi per le intemperanze.
(*) (9) Niuno ignora essere epidemiche fra noi nella state le
affezioni gastriche, biliose, diarroiche, dissenteriche, coleriche,
specialmente per l'abuso delle fruita nelle povere persone ; sul
cadere di quella apparire le periodiche colle forme suaccennate,
forme prodotte spesse volte dalle cagioni medesime.
(io) Da »in cenno statistico desunto per ine dagl' infermi ap-.
partenenti ai rioni di s. Eustachio e Pigna, riguardante quelli
veduti nel primo giorno dello stadio algido-cianolico, rilevo, che
il morbo dal 27 di agosto al 28 di settembre attaccava a prefe-
renza nelle ore mattutine ; e nelle potturne,particolarniente nel
settembre; rarissime volte nelle pomeridiane, od alla sera- Si può
stabilire questa proporzione, riguardo però alle sole osservazioni
da me istituite, non pretendendo generalizzarle ; 21 assaliti di
niattina, de'quali 9 in agosto; ii di notte, de' quali in agosto i;
uno nella sera sui primi di settembre; uno pelle ore pomeridiane
sugli ultimi. Se queste risultanze fossero universali, almeno fra
noi, come sono state in alcuni luoghi, inviterebbono a tentarne
la spiegazione. Rilevo dal cenno statistico, che alcuni de'mancat:
hanno implorato tardi il soccorso medico, poiché fui invitato dal-
le ore i5 alle 20 (ore della mia guardia medica nella casa di soc-
corso) a visitare V. R. (v. e. s. io) S G. (i5 ivi)P. T. (17 ivi) B.A.
(20 ivi) ammorbate fin dalla notte, e vidi a caso P. C. (23 ivi) pa-
rimenti algido cianotica dalla notte, la quale si credeva affetta da
convulsioni infantili,
(11) M. E, di temperamento linfare, e C. F. fanciullo gra-
cile sopportarono la diarrea sporadica prima del contagio, e du-
rante il contagio, senza presentare mai la forma di quello.
(12) Sebbene questi sintomi non sieno unicamente del morbo
indiano, ma si notino in qualunque grave irritazione gastro-en-
terica, non pertanto gli ho rinvenuti costantemente con varia in-
tensità nelle varie fornie del contagio. Nella mia dimora in s. Galla
mi furono fatti notare dal reverendissimo padre Vernò generale
de'benfratelli, direttore degli ospedali colerici, cui si conveniva
dare ascolto, perocché antecedentemente professore di chirur-
gia, spoglio da ogni prevenzione sistematica, era stato in grado
di raccogliere le idee pratiche più positive e più giuste intoruo
ai conlagj si in Livorno, durante il tifo itterode, che in Ancona,
surto il colera indiano. N. R. vomitando, perdette i sensi sur un
224 Scienze
sedile del palazzo Dorìa nella via del corso verso le ore 19 e
mezzo del a5 settembre. Mancando sintomi speciali, e la certezza
che non apparisser poi, attesa la indole subdola e proteiforme
del morbo, fu mestieri inviarlo all'ospitale del Gesù e Maria; ed
a tal uopo, non potendo giovarmi della barella parrocchiale, feci
disinfettare di nuovo quella dello stabilimento, raccomandando,
si ponesse l' infermo in luogo di osservazione. Cade in acconcio
scrivere, ad onore del vero, come, ben lungi dal trovare la me-
noma opposizione per queste novità negli illustrissimi signori de-
putati, li rinvenni anzi benissimo disposti, eccitati sempre da
quella filantropia e gentilezza, che tanto li onora. Cessata la con-
dizione spasmodica al N., questi spiegava al professore Tagliabò,
primario dell'ospitale, una forma periodica, volta successivamen-
te in continua sinoca: quindi il fé trasferire in s. Spirito nel
quarto giorno. 11 sacerdote N. D. morì improvvisamente nel con-
vento di s. Andrea della valle; vedutone il cadavere, né rinve-
nuti i succennati sintomi, né altro che di sospetto, asserii norz
presentare indizio contagioso, né l'autossia il dimostrò.
Non attendendo alla fisonomia particolare, alla condizione
delle estremità ec. ma solo alla emetocatarsi, si potriano vantare
facilmente curagioni numerose e maravigliose.
(i5) Espressione vivacissima del reverendo sig. d. Giuseppe
Genliluccl vice parroco in s. Niccolò in carcere.
(i4) Gli eccellentissimi professori Galli e Luchini, miei ami-
ci, notavano nell'ospitale di s. Spirito, che quando lo stadio al-
gido si protraeva lungamente, apparivano larghe enchimosi su'
cubiti e sulle ginocchia, decrescendo , dendritiche, tanto supe-
riormente, che inferiormente.
(i5) Sintoma particolarmente osservabile con forma miliare^
in una vittima della filantropia,che fu il professor Antonio Caval-
lini, noto e pregiato dalla repubblica medica, ed in M.S. serva ec.
(16) Si diceva che le mosche rifuggissero dai colerosi; le ho
vedute poggiarsi sugli algido-cianollci , e sulle materie emesse.
Sarebbono gli insetti uno dei veicoli del contagio ?
(1^7) S. T. e S. G. rachitiche ed anziane mancarono In po-
che ore.
(j8) Forme notate nell'ospitale di s. Galla, e nella città,
(jg) Il mio pregevolissimo amico signor N. L. narrava, come
nella morte del padre, vittima del funesto morbo, sofferse formi-
colamento e torpore alle braccia, vinti colle frizioni alcooliche;
ai quali successe affezione morbosa gastrica. Fra L. da M. di tem-
peramento sanguigno bilioso fu assalito dalla diarrèa ; la sera
seguente si aggiunsero crampi atroci contrattivi alle sure ed alle
Storia del colera 225
piante, alle mani tensivi, pe' quali ordinai frizioni continue collo
«pirito canforato. Eseguite egregiamente nella notte, cessarono i
crampi sul meriggio pel sudore: dopo due giorni fu assalito da
gastralgia, che continuò per di cinque, sendo cessata la diarrea
il di antecedente, e fu guarito.
(20) B. P. di temperamento linfare infermò colle periodiche;
successe colera, poi febbre gastrica, poi tifode, poi eruzione pe-
ticulare, anasarca, di nuovo le periodiche e fu convalescente sul
quadragesimo della malattia. Caduto nuovamente nelle perio-
diche, nuovamente furono debellate. La signora B. M. anziana,
pletorica, soggetta a gastro-epatiti, sofferse il colera , in seguito
irritaziqne epato-enterica, ematocataisi per lungo tratto; ricu-
perando lentamente la salute.
(21) Il reverendo signor D. G. G. dette luogo allo svolgersi
della forma sinoco-colerica coH'assistere nuovamente i colerosi
appena acquietati i crampi e diminuita la diarrea ; questo zelo
fu cagione, che il morbo crescesse fino al giorno quattordicesimo
con dolore toraco-epigastrico acerbissimo, né volgesse a conva-
lescenza prima del ventunesimo,
(22) B. B. ec. ebbe la colerina , sembrando, che il sistema
vascolare e 1' apparato gastrico soli fossero alquanto più pertur-
bati, forse anche a cagione della cura subitanea, vestendo il morbo
forma irritativa gastrico-effemera.
(*) (23) Riporteremo una autossia cadaverica relativa alla
forma infiammatoria, che debbo al professore Sarrecchia.
Fu trasp<^rtata dalla casa degli esposti nell'ospitale di s. Gio-
vanni una nutrice sul principio del contagio romano, la quale
presentava sintomi sospetti. Posta pertanto in luogo appartato,
non fu omesso il metodo antiflogistico, atteso l'apparato infiam-
matorio ; ma lasciò la vita sulla metà del quarto giorno di ma-
latti^.
Sezionata, si videro polmoni aderenti alle pareti toraciche,
turgidi di sangue nereggiante, poca sieriosità pericardiaca, cuore
voluminoso, addome teso da gas nebbioso, irritante, quasi di sa-
pore metallico , stomaco arrossato , incrassato intestino digiuno
contratto, ileo livido, prossimo a cangrenarsi, verso la valvola
eruttivo, con fprma miliare, fegato naturale, cistifellea gonfia di
bile atra, vena cava turgida per sangue piceo, vescica contratta,
vuota, utero infiammato, cresciuto, muccosa uterina cangrenata;
sendo istituita questa sezione per la sola conferma della diii-
gnosi, non si ricercaroqo altre specialità.
(*) (24) Il signor L. C. di florido temperamento sanguigno
linfare, di età matura, nariava avere sofferto patema perturbante
G. A. T. LXXllI. 1 5
226 Scienze
pel quarto giorno, dacché era stato preso dalla diarrea verso il
cadere di agosto, nel quinto la sferza del sole, pioggia, affatica-
mento, inquietudine pe'suoi lontani. Acchetò una molestia epi-
grastica usando pozioni nevate ed ebbe la notte tranquilla. Nel
mattino sopravvenne nausea, vomiturizione, borborimmi; creb»
be sul meriggio la noia stomacale , svegliandosi crampi e lan-
guore, per le quali cose tolse in breve spazio molte gocce di
alcQole canforato , si confortavano le membra, ardeva Io stoma-
co. Ebbe subito ricorso all'olio di mandorle dolci, all'infuso di
camomilla, quindi vomito, deliquio; riavutosi come da sonno
placidissimo-, bentosto se gli affuocava il capo, gli si freddavano
l'estremità; implorò ed ottenne salasso largo, interrotto da li-
potimie, quindi compiuto. Successe lo stadio-algido-danotico; lo
stomaco a quando a quando divampava, con senso di espansione,
meno molesta e strignimento ; le frizioni furono frequentissime
per quattro giorni all'estramità, alla colonna vertebrale ; la mente
serena, operosa, apalistica, talvolta lieta, talvolta velata pe' de-
liquj ; segui poscia dimenticanza delle cose occorse ; noU'unde-
cimo della diarrea, sesto del vomito, incominciava la convalescen-?
ja, con tormini, dispepsia, pirosi notevole, esacerbala dal deci-
monouo al vigesiniosettimo per un pò di vino diluito. Bevve fino
jl quadragesimo la posca con sollievo.
Ora viene molestato da ipocondriasi, talora da amnesia leg..
giera, da crampi esacerbanti ad intervalli nel qiinacciare delle
vicende atmosferiche, durevoU perfin mezz'ora, se non li scioglie
il riposo e il lepore.
(*) (25) Sono lieto, che queste osservazioni sieno state con-
fermate dal mio amico professor Giuseppe Pelrucci osservatore
diligenlissimo, il quale mi scriveva; „ Rapporto al prognostico
,, del colera contagioso, si può dire per esperienza , che allor-^
,, quando i crampi erano il primo sintoma nell' invasione, allor-
„ quando appena comparso il vomito, o la diarrèa si manifesta-r-
,, vano, senza gravezza soverchia, la malattia era vincibile, e di
„ breve durata. Una giovane di gracile temperamento , per ben
„ due volte fu assalita da, forti crampi, contemporaneamente alla
,, diarrea, ma nello spazio di qualche ora la malattia si sciolse.
,, Altra giovane di temperamento sanguigno soffri per qualclic
,, ora dapprincipio crampi, quindi angoscia allo scrobicolo del
,, cuore, vomito leggiero e tornjini; ricuperò presto la salute.,,
(*) (sjfj) Il alio amico professor Giuseppe Ponzi, curatore in-r
defesso degli ammorbati, ebbe diarrèa giudicatrice,
C) (37) ,, Arcanum quendani, ac inexplicabilem conseusuni
,, obsetvavimiis ii}ler morbos vcnlj-is, et lugrbos cutis ,,. Caglivi
Storia del colera 22T
,, della pratica medica, aforismi sulla colica: Alvi laxitas, cutis
,, densitas; cutis raritas, alvi densitas. „ Ippocrate citato dal Ba-
glivi nel medesimo aforismo ,, Quod si . . . et veuter suppressus
,, fuerit, et stotnaclius cibos adiiiittat , neque evomal , pulsus
,, magni et validi sint et couvulsio desinai, sed calar ubique
,, increscat et exlrema infestet, soinnus vero omnia concoquat ,
„ secundo die, aut tertio solvendus est aeger, et ad consueta
„ mittendus ; at contra si omnia vomitu i-eijciat, sudor perennis
„ effluat, frigeat laborans etlividus fiat, pulsus etiam prope ex-
,, tincti sint, et vires cadant , quum ita inquam se Iiabuerit ,
,, inde honestam fugam capessero bonum est. ,, Areteo delle
cause, e segni de'morbi, L. a G. 5 tradotto e pubblicato per cu-
ra di Boerliaave.
(aS) La compagna del mio amico L.V. non si parli da pres-
so lui agonizzant>i; ve la strigneva amore di moglie, E quando
il misero sospirava per l'ultima volta, ella, non che si lasciasse
cadere, si gittò colla sua sopra la bocca di lui, la baciava, spe-
rando forse fermarne la vita fuggente, o d'una morte entrambi
1 morire; però non contrasse il contagio, quantunque gravida. Gio-
I vinetta e bella, vive lult'ora profondamente mesta, sempre fisa
I nelle Immagini della felicità perduta.
I (*) (29) ,, In pesslmis aphtis molestus, et funeslus singul-
I tus. ,, Boerhaave, Aforismi del conoscere , e curare le malattie
(§. 99^1.) (Si sìngultus accedat (diarrheae, vel dyssenteriae) le-
thale. Raglivi, Afoiismi della diarrea, e della dissenteria.
(3o) Non raro (cliolera sporadica) iuflaminntionem, gangrae-
„ nam, syncopem, aut lienteriam, febrasque leutas Inducit. ,,
ÌBorsieri, Delle istituzioni di medicina pratica T. 4- C. 4-
Il dottor Antonio Cavallini già ricordalo dopo sofferto il
colera pali affezione reumatica; convalescente, cadde in un mor-
bo proteiforme con sembianza dapprincipio periodica, poi ga-
strico-muccosa con turbamento delle vie urinarie, forse per con-
comitanza di antitesi podagrosa ; nuovamente apparve la forma
^ periodica, spegnendosi la vita afflitta verso il giorno quadragcsi-
' mo del terzo malore. Il polso si mostrò quasi sempre angioilico.
(*)I1 suUodalo professor Pelrucci mi scriveva; ,, Costa dagli
j, scrittori sul colera asiatico , e dalle nostre osservazioni, che
,, sono funestissime le successioni di esso. Un'uomo guarito dal
,, colera fu preso da febbre, e nel settimo giorno niori apoplel-
,, tico. Altro uomo similmente, dopo i sintomi colerici, fu attac-
I ,, calo da cistite, e ne peri dopo due mesi. ,, M. L serva, ces-
I salo il morbo, è divenuta maniaca.
Il mio pregiatissimo amico Alceo Fcliciani, professore di chi-
228 Scienze
rurgia, clopo il colera sofferse e soffre tutt'ora ad intervalli ppr
qunlche minuto primo crampi molesti alle sure ed alle piante,
in ispecie quando vi ha squilibrio elettrico nell'atmosfera. Un
medico dai sintomi prodromi colerici ha sperimentato, e speri-
menta senso notabile di freddo.
(*) (3i) Il sullodato professor Ponzi notò ascessi depuratori".
(32) Il sullodato sig. D.G. G. sofferse la pirosi.
(33) Sintomi tollerati dal medico, il quale soffre senso di
freddo.
(34) Se vi fosse uno specifico contro il colera straniero^ ogni
cura senza quello sarebbe vana, come ogni cura è vana senza
gli alcoloidi della china contro le affezioni periodiche speciali?
C) (35) ,, Si in talis morbi initie purgans datur, aphtae . . .
praecaventur. ,, Bperhaave nel luogo citato.
(36) G. V. (v. e. s. 26) ebbe la diarrea precedente il colera
per dì i4» Fra L. da M. crampi, ed una gastragia dopo la appa-
rizione della diarrèa. Il professor chirurgo Antonio Volpi, seb-
bene usasse il tamarindo contro questa, fu vittima del colera
succedenle.
(5t) Il vajuolo, il morbillo, la scarlattina ec. per quante cau-
tele si usassero sempre fiorirebbono.
(38) Fu amministrato l'alcoole canforato al reverendissimo
s. D. G. G. senza che io il sapessi ; ma dovette lasciarlo subita-
mente, perchè risvegliava la fierezza del cingolo precordiale
(v. n. 1/^)
(39) Non lo tolleravano fra le altre C. C. e P. G. (v. e. s.
n e i4) Forse largamente diluito, addolcito, saria stato meno per-
turbante.''
[*} (4o) ,, Dolores ventris a deambulatione nudis pedibus su-
„ per frigidum pavimentum facta, appositis lateribus calidis plan-
„ lis pedum, statini sanantur, crescente namque calore in pedi-
,, bus imminuitur sensim dolor in ventre. ,, Baglivi afor. cit.
„ Porro si frigidi etiam pedes sint, unguine et adarce et euphor-
,, bio inungito, et lanis abvolveto. Areteo nel 1. e. ,, Si extreinae
,, partes corporis frlgent, ungcndae sunt calido eleo, cui cerae
,, pauilum sit adjutum, calidisque fomentis nutriendae. Si ne
,, sub iis quideni quies facta est, extrinsecus contra ventriculum
„ ipsum cucurbiliila admovenda est, aut sinapi superimponen-
,, dum. Celso l. 6 e. 11.
(4i) Consigliarono l'applicazione della neve sullo scobricolo
del cuore al reverendo D. G. G. il quale dovette toglierla all' i-
stante, e ricorrere alle fomentazioni da me sempre a lui com-
mendale.
Storia del coleri 229
(42) Pochi salassi furono prescritti alla signora P.M.» a M. S.
(v. n. s. i3 19.) 1 a M. A. Questo ultimo sofferse le periodiche
prima, e dopo il colera (v. n. 6.) che spiegò forma complessiva-
inenle subangioitico-gastrica; e guarirono perfettamente. O. V.,
curato egregiamente del morbo dal mio collega sig. d. Muzio, im-
provvisamente assalito da colica, con forma iuQammatoria fu da
me visitato per comando degli illustrissimi signori deputati della
C. di s. , non potendosi rinvenire in quel momento il preloda-
to dottore; cousiderando alla affezione preceduta non prescrissi
salasso, facendo applicare invece dodici sanguette all'ipogastrio,
togliere olio di ricino, e calmante freddo. Non avendo rivedu-
to rinfermo, perchè non spettava a me il curarlo, odo dai pa-
renti, che là malattia sovraggiunta fu debellata con queste sem-
plici indicazioni. Un metodo più attivo saria stato più vantag-
gioso ?
(43) j, Molti pur sono anch'oggi, che pensano di riporre
j, nella lesione immediata del sistema nervoso e ne' suoi tuiba-
,, menti dinamisi l'azione totale de'veleni. Fontana ...fu il pri-
„ nio a far crollare cotesta massima. Nysten provò, che gli effetti
„ dell'òpio introdotto nello stomaco sono sempre gli stessi, ben-
,, che si taglino i nervi di quell'organo. Le sperienze di Magen-
,, die e Delille sull'avvelenamento degli animali decapitati, quelle
,, di Brodie col woorara, quelle di Wedemeyer, di Emmert e di
,, Viborg coU'acido prùssico applicato immediatamente sui cor-
;, doni nervosi, provano, che la ipotesi dell'azione immediata dai
„• veleni sul sistema nervoso patisce assai eccezioni, che non è da
„ potersi generalizzare a tutti i veleni e che non contrassegna
,, il loro modo dinamico di agire quel primo atto deleterio, che
,, arreca la niorte. ,,
„' La maggior parte invece dei moderni tossicologi sembra
„ inclinata ad attribuire 1' azione dei veleni alla loro introdu-
,, zione nel torrente circolatorio. Chrisistou e Coindet hanno
„ sospesa l'azion venefica di alcune sostanze introdotte nelle ve-
„ ne, per mezzo della legatura dell'aorta. Il Magendie però colia
„ trasfusione del sangue di un cane avvelenato coU'upas nelle
,, vene di altro cane sano, non vide effetti venefici. Non sempre,
,, né tutti i veleni adunque spiegano la loro azione mortifera pri-
„ mitiva nel sangue; e troppo ignoti sona altronde i rapporti,
„ che tra il sangue e il sistema nervoso esistono per assicurarsi,
,, che in molti casi quel primo non sia piuttosto un veicolo di
„ una azione, che va a fare intera esplosione sui nervi. (Lezioni
di medicina legale del professor Francesco Puccinotti. L. i8 §.9.)
{*) II Mugeudie sospese l'azione venefica in un cane, injcitando-
ii30 Scienze
gli nelle vene quaiilità notevole di acqua. Meditando su questo
fatto il dottor Verniere istituì alcuni sperimenti, dai quali fu
invitato a concliiudere, che inducendo ,, nel membro avvelenato
,, una pletora locale per mezzo di una legatura mediocremente
,, stretta, basterà aprire una delle principali vene della parte iu-
,, gorgata per produrre lo scolo del sangue carico del principio
,, velenoso.,, Vedi Ann. unlv. di med. deirOmodei t. 49- Ninno
ignora, che alcune affezioni contagiose, come la lue sifilitica, la
peste, attaccano primitivamente il sistema linfatico, d'onde i bu-
boni, i gavoccioli ec
(*J (44) Aberrazioni di motilità di Reimann, di Puccinotti
(v. Lezioni sulle malattie nervose di questo L. 6).
(45) Il colera contagioso, detto asiatico, indiano, risultante
da un'esantema poliinoi-fo sul velamento muccoso, a prevalenza
miliare, potrebbe chiamarsi esantema miliare interno?
(*) (46) L'afonia, che non è registrata in questi quadri, fu
notata dal Bagllvi;,, Quod ut plurimun» homines ex improviso et
„ sine uUa causa nianifesta et signis alios morbos comitantibus
,, in subitum vitae discrimea incidunt et cadunt velut apople-
,, etici eum exlremilatilius frigidis, pulsu exib'ssimo .... apho-
nia. ,, (Aforismi; de'lumbrici di fanciulli'; quindi dal Landre Beau-
vais in qualche irritamento delle vie digestive, scrivendo ,, Tal-
,, volta l'afonia dipendette da'vermi, o da altre materie noce-
,, voli contenute nelle prime vie e fu guarita dai vomitivi. ,, Di-
zionario class, di med. art. Afonia ; ed il Baglivi: ,, In colice bi-
,, liosa succedit frequenter aphonia et vox rauca et per totum fe-
,, re morbi decursum durat. ,, Pietro Frank (Epitome del conosce-
re e curare le malattie t. 3, o. 2, gen. 5j, dice, essere i-auca la
voce di bambini aftosi. V ha parinìenti qualche sintomo, come
il senso di sazietà, che si può osservare in alcune forme irritati-
ve enteriche.
(47) Alcune diarree, dissenterie, talvolta il colera sporadico,
alcuni reumi catarrali, non risultano da perfrigerazione cutanea ?
Gli argomenti che irritano con tratto di membrana muccosa non
commovono gli altri? non inducono spesse volle antitesi der-
mica ? Su questi consensi non sono fondate alcune indicazioni
terapeutiche ?
Nello stadio algido delle periodiche ,, ungues et labia li-
,, vent,cutis anserina fit et maculis interdum cocruleis notatur,,
Giuseppe Frank, Precetti di pratica medica universale voi. i ,
p. I, e. 1, §. 11.
,, His vomiilbus et dejectionibus copiosis et crebris non-
,, nuiHjuam adjungitur singullus, vox rauca et quasi clangori
Storia del colera 231
^, sìmiiis, oculoriim dcpressio, angor stomachi, sudatluncula circa
jj frontern, pulsus exilis, exti'emoruin perfrigeialio, aut Iwidiis
,, color, ciincta scilicet, quae propria sunt cliolerae morbi. ,,
Gode l'animo nel trascrivere queste osservazioni del nostro Bor-
stcri sulla terzana colerica, dimostranti quanto egli si fermasse a'
sintomi (Delle istituzioni di medicina pratica, tomo primo parte
prima.)
(*) (48) Nell'aumento secretorio gastro-enterico sembra, clie
la muccosa epatica e cistica separino maggior copia di bile, donde
il turgore della cisslfellea. Che lo spasmo del caledoco vieti l'e-
gresso biliare.'* Che l'avvizziniento successivo allo spasmo per-
metta l'egresso della bile, donde le egestizioni giallo-verdognole,
corrispondenti a qualche grado di solazioni contrattive?
(*) (49) Per lesione della sostanza nervosa , secondo le idee
del Pucciaotti (Lezioni sulle malattie nervose.)
(*) (5o) „ Solent autem aphtas in ore apparituras praece-
,, dere febris continua putrida, aut intermiltens, continua ia—
„ età, incipiens cum diarrhoea, vel dysenteria, magna et perpe-
,, tua nausea, vomitus, prostratus appetltus , anxietas ingens,
,, saepe repetens circa praecordia, debilitas magna, magna eva-
,, cuatio quaecuinque humorum . . . perpetua querela de pon-
,, dere, et dolore circa stomachum. ,, Boerhaave nel luogo cita-
lo §.980.
232
Continuazione della rivista, di alcuni lavori di me-
dico argomento pubblicati dai sigg. proff. Medi-
c/, Ferrarese, Paolini, Borelli, Valentini, ecc*
Della necessità di sottoporre in medicina le pro-
prie osservazioni ed i proprii giudizi alle osser-
vazioni ed ai giudizi dei periti dell'arte. Ragio-
namento del prof. Ippolito Borelli professore di
clinica e di operazioni chirurgiche nel reale li-
ceo, letto alla reale accademia lucchese di scien-
ze lettere ed arti nelt adwuinza de" 28 maggia
1836. Lucca 1837.
.entre esperienza ed osservazione ovunque ri--
suona, cJ altamente si fa stima da tutti di apprez-
zarle, osserva con dolore il sig. Borelli che tentia-
mo ad ogn'istante intuonare alle orecchie, che l'ar-
te nobilissima di guarire non potè raggiungere gli
avanzamenti di che si pregiano le scienze mediche,
appunto per aver perduto di mira Y esperienza e
Y osservazione. Da sì grande ed aperta contraddizio-
ne dì linguaggio è tratto il N. A. a dubitare, che
l'indicato ritardo ai progressi dell'arte salutare, pur
troppo verificato ai giorni nostrii non derivi già dal-
Taver perduto di mira l'osservazione e l'esperienza,
ma piuttosto dall'aver preferito la propria osserva-
zione ed i propri giudizi alla osservazione, alia es-
perienza ed ai giudizi dei periti dell'arte. Or co-
Rivista Medica 23^
testo errore gravissimo di dialettica, che si crede-
rebbe appena possibile nel secol nostro che si pre-
tende il pili illuminato ed il piìi dotto di quanti
mai ne trascorsero, viene dal sig- Borelli giustamen-
te dimostralo frequentissimo ili medicina. Va egli
foborando il suo asserto con chiamare in sulle pri-
me a rassegna alcuni fatti interessanti di clinica, ed
in essi rileva l'odierno declinar notevole di talu-
ni processi operatorii dalla retta osservazione ed
esperienza, su cui era basato il consenso universale
dei dotti. Cos'i in fatti in opposizione a quest'ul-
timo si pretende in oggi curare gli ascessi linfa-
tici e gli ascessi per congestione con incisioni cro-
ciali tanto profonde e vaste, che pongano allo sco-
perto tutta l'area dei medesimi. E quasiché la ca-
rie delle ossa paragonare si potesse ad un* acuta
infiammazione del tessuto cellulare e della cute ^
si raccomandano come l'imedio sicuro ed efficace'
le generose dep lezioni sanguigne , anche in quei
casi nei quali tanto grave complicazione esiste iti
parti assai lontane da quelle^ in cui comparvero le
marce a far tumore. — Così contro l'unanime sta-
bilito accordo de'chirurghi si sostengono opinioni
incoerenti sullo scirro ed il cancro, si annunzia il
perfetto combaciamento dei pezzi di un osso frat-
turato senza la quiete assoluta dei medesimi^ si ri-
chiama la proscritta pratica delle suture cruente
riservata solo a qualche molto raro incontro , si
proclama senza riguardo e distinzione come mez-
zo sicuro ed efficace l'amputazione delle membra
comprese da gangrena , e si abbandona perfìn dal
eh. Dupuytren la tanto conosciuta necessaria avver-
tenza di risparmiare nelle amputazioni delle mem-
bra una certa quantità di parti molli a difesa del
234 S e I E N X tì
moncone. Validamente però si oppone ai progJ*es-
s'\ dell'arte di guarire siffatto sconsigliato procede-
re, assai ovvio in medicina, di anteporre le pro-
prie osservazioni e giudizi alle osservazioni ed ai
giudizi dei periti dell'arte*
Dal consenso universale dei dotti ripeter deb-
besi quanto vi ha di certo e dimostralo nella sto-
ria nella morale, nella filosofia, nella giurispruden-
za, nella politica , nelle Itìggi sociali j nelle arti e
nelle scienze ; e quanto vi ha di errore e di dub-
biezze derivò in ogni tempo dall'aver seguito le pro-
prie osservazioni, i proprii lumi, la ragione indivi-»
duale e privata. Ed altrettanto si dimostra dal sìg<
Borelli essere costantemente avvenuto in medicina^
Nella osservazione era riposta quest'arte benefica pei'
quel periodo di tempo che trascorse dalla sua pri-'
ma origine fino alla pubblicazione delle opere dell'
immortale Ippocrate dì Goo ; ma i cultori quin-
di dell'arte salutare, penetrati della fallacia di una
medicina puramente imitativa, e dei pericoli ai qua-
li conduceva l'amministrare a caso e senza guisa i
rimedi , dovettero necessariamente conoscere il bi-
sogno di guardare un pò piìi addentro le cose e non
fidarsi unicamente alle apparenzier, non regolando per
tal modo i giudizi loro sul consenso universale dei
preceduti sapienti. Si gareggiò quindi negli esami,
nelle analisi, nei confronti, nei dubbi, nei sospetti,
e ne sursero in medicina le congetture, i ragiona-
menti, le induzioni, le teoriche delle malattie fino
allora osservate stupidamente, per usar la frase di
un gran maestro. Ne lice dirsi perciò, che la mag-
gior parte dei medici abbandonasse il buon sentie-
ro a pregiudizio dell'arte; poiché le induzioni, che
i medesimi ne trassero dai fatti e dalle cose osser-
Rivista Medica. 233
vate, non sono nella sostanza diverse dai fatti stes-
si, dei quali sono anzi una conseguenza legittima ,
necessaria, immediata; induzioni anzi indispensabili
a costituire la buona osservazione, di cui sono la mi-
glior parte ed il compimento, come giustamente ri-
fletteva il Zimmermann. Nocquero bensì ne'progres-
si dell'arte le teorie di Temisene , di Erasistrato ,
di Erotllo, di Tessalo di Tralles, di Asclepiade, di
Galeno, di Paracelso, di Wan-helmonzio, di Silvio
de la Boe, del Borelli, del Bellini, del Gaubio, del-
rHoflfmann, del Gullen, del Brown, e di altri molti
che qui non giova il ricordare. E nocquero appun-
to, perchè gli autori delle medesime non seguirono
che i propri lumi , la propria ragione , disprez-
zando le osservazioni ed i giudizi de' lor colleglli.
Siccome per altro alle medesime teoriche non si
piegò l'animo di tutti i dotti: così a tutti coloro (e
furono la maggior parte) che resistettero alla pre-
potente influenza delle teorie generali e dei siste-
mi, dobbiamo noi tutto quello che di buono e di
certo possediamo in medicina.
Or quella istessa norma di umana prudenza, che
presiedeva all'origine ed agli avanzamenti dell'arte,
dirige ancora la mente dei cultori della medesima
nell'applicarne le regole alla pratica. Se dubbia in-
fatti ed equivoca ci sembra la natura delle malat-
tie alla nostra cura affidate, o quando, ad onta di
una diagnosi rettamente istituita, non si veggono
coronati di esito favorevole i nostri sforzi, onde ri-
muover dall'animo il timor dell' inganno, i dubbi
e le incertezze, ricorriam tosto ai consigli ed alla
pratica dei nostri colleghi ; e se i giudizi di cjue-
sti non giungono talfiata a togliere intieramente le
dubbiezze, noi seguitiamo il parere del maggior nu-
236 Scienze
mero e dei plìi dotti e più sperimentati nell'arte,-
perchè reputiamo in loro maggior autorità e maggior
consiglio. Che se negl' incontri di non perfetta con-
cordia ciascheduno persistesse tenacemente nella opi-
nion sua , sdegnando scendere nell'altrui, le incer-
tezze non toglierebbonsi ih chi dirige la cura, ne
profitto alcuno all' infermo da tal contegno ridon-
derebbe. E fievoli non sono raiica le ragioni per le
quali il medico prudente debbe in ogni cosa ri-
portarsi al sentimento ed al giudizio dei periti delT
arte. La ragione individuale o privata (solendo o-
metter per brevità le altre tutte, che molte sareb-
bono) lungi dal rischiarare le tenebre del nostro
intelletto , non solo ci lascia nei dubbi che ci de-
rivarono dai sensi e dall' intimo coriviricimento, ma
bene spesso questa facoltà dell'animo, che ne distin-
gue dai bruti, a nient'altro ci giova che ad avva-
lorare ed accrescere i dubbi medesimi. Che di ve-
ro, se per opera della ragione vediam risplendere
le verità più importanti ; pe' sofismi e per le allu-
cinazioni della medesima vediamo sorgere le più
assurde opinioni, tanto più che incerte ed imper-
fette sono le nostre cognizioni. ,, E se questo è ve-
rtì di tutti gli uomini, non dovrà il medico dif-
fidare' dei propri lumi , e delle cognizioni che
gli provengono dai sensi, dall'evidenza, dalla ra-
gione ? Il medico che non conosce se non imper-
fettamente le cagioni dei morbi, la natura e l' in-
dole dei medesimi, la tessitura e l' intima costi-
tuzione della macchina umana , le funzioni che
le competono nello stalo di salute, le alterazioni
che queste subiscono nello stato di malattia, e gli
effetti dei rimedi che si applicano al corpo u-
mano ? Qual peso potranno avere le disposizioni
fi
Rivista Medica 237
3, di un sol metlico (fosse pur egli un SytlenU^m,
„ un Borsieri, un Pietro Franck) in un'arte, nella
,, quale il giudizio è cliflicile, l'esperimento peri-
,, coloso ? Ove le apparenze ti sembrano realtà, le
„ realtU ti sembrano apparenze ? Ove malattie di
„ natura totalmente diversa li presentano lo stesso
,, apparato di sintomi, ed ove le malattie che in nul-
,, la differiscono nel fondo loro, ti presentano una
,, serie di fenomeni totalmente diversi? Ove l'ecci-
„ tamentp ti sembra difettivo, quando è inalzato al
„ suo pili alto grado: ed elevato al sommo, quando
,, è ridotto a tanto di debolezza che non ammette
,, più guarigione ? Chi avrà tanta fiducia nelle forze
„ della sua mente da ripromettersi di schivar sem-
„ pre tutti gli equivoci, tutti gli errori che deri-
„ var possono dall'età, dal sesso, dalla fisica costitu-
„ zione degli ammalati, dalle loro consuetudini, dal-
„ le loro passioni, da' climi, dalle costituzioni at-
,, mosferiche, e da mille altre cause non solo dif-
,, ficili a calcolarsi, ma bene spesso inosservate ed
,, occulte? ,,
Non intende però il N. A. con questo linguag-
gio frapporre un ostacolo ai progressi dell'arte stessa.
Da che troppo è palese la differenza che passa fra
conoscere e conoscere con certezza ; fra l'arricchire
un'arte ed una scienza di nuove cognizioni, di nuovi
fatti, e lo stabilire una regola ed un criterio per
discernere la verità dall'errore ; regola e criterio
indispensabili per non essere costretti a dubitare di
tutto senza eccezione; regola e criterio che non pos-
sono trovarsi nella ragione di tutti i dotti. Potremmo
noi infatti, aggiugne il N. A., dichiarare esser falso
tutto quello che si oppone al consenso universale
dei periti dell'arte, incerto e dubbioso ciò che as-
'238 Scienze
seriscono alcuni, contraddicono altri, e certo uni-
camente quello che concorda colle testimonianze di
tutti o della maggior parte dei dotti, se mancassero
le invenzioni, le scoperte, i fatti che sono il fonda-
mento ed il subietto della questione ? Ma non deb-
bono d'altronde dimenticarsi giammai i sani prin-
cipii della medica filosofia, l'ol^livione dei quali co-
stituisce un ostacolo gravissimo ai progressi dell'
arte. La nuova dottrina, proposta da Brown ai cul-
tori dell'arte salutare, non era forse manifestamente
contraria alle massime ed alla pratica di tutti quelli
che preceduto l'avevano nella onorata carrieraPQuan-
ti vi eran titoli per isperare, che i periti dell'arte
stessa non l'avrebbero accolta innanzi di averla raf-
frontata coi fatti e colle cliniche osservazioni? Ep-
pure la miglior parte dei medici di Lamagna e
d'Italia errò lungamente dietro alle teoriche dello
scozzese riformatore: e per ricondurli sul buon sen-
tiero fu d'uopo dell'opera di molti lustri. Ma di si-
miglianti teoriche, che i veraci progressi ritardano
dell'arte, la caduta è sempre certa, perchè gì' in-
ventori di esse le innalzano sul!' instabile fonda-
mento del proprio ingegno, e qualche volta di una
fervida fantasia ; a differenza delle teoriche risul-
tanti da conseguenze immediate legittime dei fatti,
ed a questi soli strettamente legate, delle quali sa-
rebbe ardimento il dubitare, e colle quali si sa-
rebbe conseguito 1' intento d' innalzare una teoria
generale che uguagliar si potesse a tutte quelle che
pili si pregiano nelle scienze e nelle arti induttive.
Si emancipò talvolta da qualche vile servaggio l'u-
mano spirito, come da quel d' Aristotele con gli
sforzi sempre lodevoli del Cartesio ; ma questi a
torto sostituì a tanto incerto criterio altro criterio
Rivista Medica 239
più incerto ancora, con sostituire la ragione indi-
viduale e privata ad altra ragione egualmente privata
ed individuale. Tanto egli è vero, che gli errori
in quei calamitosi tempi derivanti alla .filosofica
disciplina non provenivano già dall'aver seguito la
testimonianza ed il consenso del genere umano o
dei periti della medesima ; ma provenivano Lensì
dall'aver seguito l'autorità privata di un sol uomo,
che per essere di lumi superiori a tutti gli altri
del suo tempo, e però giustamente venerato da tutti,
non lasciava di esser uortio, e quindi soggetto all'
errore.
L'aver quindi anteposto le proprie osservazio-
ni ed i propri giudizi alle osservazioni ed ai giu-
dizi dei periti dell'arte, è stato l'errore gravissimo
di logica medica, che dal N. A. in questo suo dotto
lavoro si è dimostrato aver rontri])uito a ritardare
i progressi dell'arte. Ed infatti ( chiuderemo colle
parole istesse dell'egregio prof. Borelli ) » bandita
» quella servile imitazione, che nei tempi dell'igno-
» ranza e dell'empirismo comandava tante pernicio-
» se applicazioni di rimedi: scosso il giogo di una
» filosofia futile e cavillosa, che insegnava soltanto
» ad occuparsi di sottigliezze e di sofismi : tolti di
» mezzo tanti ridicoli pregiudizi , che impedivano
» le ricerche le piti necessarie alla cognizione dei
» morbi: dissipati tanti prestigi, tanti segreti, tanta
» superstizione che la medicina miseramente ingom-
» bravano: aperto un campo libero alle osservazio-
» ni ed alle esperienze: stabilite le regole per ben
» distinguere le profonde dalle superficiali osserva-
» zioni, la vera dalla falsa esperienza: applicato al-
» la medicina il vero spirito di analisi e di filo-
» sufica induzione! determinala l'indole od essenza
240 Scienze
» della più gran parte dei morbi , la vera azione
» dei più cogniti rimedi: rischiarati dalla luce be-
» nefica, che tutte le naturali scienze fanno a gara
» per diffonclere sulla medicina: ricchi dei mate-
» riali preziosi accumulati nel corso di tanti secoli:
» che altro mancherebbe ad innalzar l'edifizio del-
» l'arte medica, solido e bello al par di quelli che
» in tante arti e in tante scienze vediamo già innal-
» zati, se non l'accordo e l'efficace cooperazione di
» tutti quelli che l'opera loro impiegar potrebbero
» ?il grande uffiziof »
Jnstitutiones medichiae practicae qiuis ad usitm ili-
•ventittis digessit Petrus Alojsias f^alentini
in romana universitate prof. etc. ^tc. f^ol. f^I.
De retentionibus. Romae \ 837.
R
eU'arduo disimpegno di un'opera d'istituzioni
prosieguo con lodevolissimo disegno e con non or-
dinaria soddisfazione il dotto sig. prof. Valentini.
11 volume , di cui passiamo ad esibire un rapido
cenno, presenta varie cose di sommo interesse, fra
le quali noverar ne piace lo scopo della partizione
dell'argomento, che tratta. Varie affezioni intende
egli di escludere dall'attuale subielto, rilegando sol-
tanto in questa classe quei morbi, che o da im-
pedita secrezione di umori promanano, o da riten-
zione di già separati fluidi e di sostanze da elimi-
narsi derivano. In quatlr'ordini dividendo la me-
desima, comprciidc nel primo le ritenzioni delle se-
crezioni recrcmcnlizie, la pncumatosi cioè, la poli-
RirisTA Medica. 241
pionia giustamente sostituita al vocabolo polisarcia,
e l'idrope. Nel secondo descrive le ritenzioni delle
sostanze escrementizie a qualche uso spettanti , e
qucàte ristringe alla ritenzione del latte e della bi-
le, distinguendo con novelli vocaboli di galactepi-
schesis la prima, e di colepischeseos la seconda, os-
sia l'itterizia. Tratta nel terzo delle ritenzioni delle
secrezioni escrementizie che al ripurgo della mac-
china son destinate, della iscuria cioè, della disu-
ria, della stranguria, della coprostasi secondo il lin-
guaggio dì Alibert, dell'amenorrea, della ritenzione
dei lochi o lochioepischesis. Abbraccia nel quarto
le ritenzioni delle sostanze eterogenee, che posso-
no entro di noi ingenerarsi, vermi cioè, corpi car-
tilaginei ed ossei nelle capsule delle articolazioni ,
ed i calcoli. In generi e specie ciachedun ordine è
suddiviso, per tener dietro non solo all'ordine della
natura, ma pur anco per semplificare vieppiù agli
allievi la medica istruzione. Molta squisitezza di
giudizio vi risplende nella diagnosi e nella prognosi
non solo, ma pur anche nella terapia , in cui la
scelta primeggia dei presidii i piìi costatati da una
sperienza veramente retta e tuta. E se o amor del
patrio decoro non c'inganna, o sentimento di stima
I e di amicizia per il N. A. non ci tradisce , asserir
' osiamo di trovar quest'opera sempre piii merite-
I vole di stare lunghissimo tratto innanzi a varie al-
i tre dettate su tale argomento. Non di tutti gli ar-
j ticoli c'interterremo a render conto, ma di quelle,
j che sembrane! più notevoli cose, volendo far cen-
no diremo, che il N. A. sulle tracce dei più celebri
scrittori pratici ha compilato il suo lavoro; che con
ordine degno di molta lode vi sono disposte le ma-
\\ terie, e da lui trattate con la massima diligenza e
G.A.T.LXXÌII. 1G
242 Scienze
con niuna sistematica prevenzione; che frequente e
felice uso egli fa delle ippocratiche verità; che con
modestia degna d' imitazione espone talvolta i suoi
giudizi, le sue conghietture e le sue stesse osser-
vazioni.
Nel terzo genere dell'ordine primo , in cui si
ragiona delle idropi, spiega singolari e chiare vedu-
te, e parla con molta cognizione dei fatti. Espostene
le prime divisioni e suddivisioni in primario sinto-
matico e secondario, in acuto e cronico, in libero e
saccato, ne da le opportune definizioni, ne stabilisce
i diagnostici segni , ne annunzia i differenti pre-
sagi con la scorta di vari scrittori e degl'ippocra-
tici oracoli, e ne statuisce la piìi retta terapia do-
po la disamina bene spesso di alcuni metodi o da
proscriversi o da seguirsi con molta riserva. Varie
distinzioni pur si accordarono all'idrope a lenor del-
la sede dal morbo aggredita, come di annasarca ,
idrorachite, idrotorace, asci te, idrocele, idrometra,
idartro ecc., ed in ciasceduna di queste varietà si
trattiene il N. A. a svolgere i punti teste contempla-
ti di diagnosi, pronostico, e cura non solo, ma sib-
bene sulla indagine minuziosa delle cause ( quan-
tunque pur accennate nelTidrope in generale ) si
proegumene e sì occasionali e prossime la discorre
con somma accuratezza. Il pervertimento isolato o
congiunto delle funzioni di assorbimento o di esa-
lazione, l'aumento cioè di attività di quest'ultima,
o la diminuzione di energia della prima, riten-
gonsi come cagion prossima dell'idrope. E sicco-
me il pervertimento di tali funzioni o da universal
languore o da rigor soverchio dell'organismo deriva;
così per guida della terapia da seguirsi , e col so-
stegno del quadro fenomenologico ristringe a que-
RiYiSTA Medica. 2'43ì
ste due condizioni della macchina umana la prin-
cipal varietà generale dell'idrope. Ne senza ragione
compiange il folle amor sistemativo di alcuni, che
ad un costante effetto della flogosì riferiscono l'i-
drope, ed il curativo trattamento debilitante co-
stantemente gli assegnano. Non è dunque il diu-
retico che contro il cieco operar degli empirici
costituir debhe la cura dell'idrope e delle sue spe-
cie e varietà; ma sibbene ora il metodo antiflogi-
stico, ora un complesso di presidii tendenti a ria-
nimai'e il languore dell'organismo e delle sue fun-
zioni. Debbonsi le varie specie di diuretici ad un
tal trattamento associare, e la scelta di essi verrà
dalle circostanze indicata. Il N. A. perciò savie re-
gole ne addita a seguirsi, che abbastanza encomiar
non potremmo. Le più. recenti scoperte terapeuti-
che non vi sono ommesse; ed onorata menzione si
fa della balleta larata cotanto encomiata dal con-
sigl. Brera, dell'unguento utilmente celebrato dal
eh. Barzellotti (di gommagotta, sugo di scilla con-
densato, estratto di digitale porporina e di grami-
gna congiunti all' adipe) nell' anasarca, e di altre
proficue preparazioni.
Vari trovamenti necroscopici rendono vieppiù
prezioso questo lavoro del prof. Valentini. Di al-
cuni ben singolari faremo ricordanza. Nella se-
zione di un soldato di anni 35 perito nell'ospe-
dale di s. Spirito, ed in cui conformatio pectoris,
cor , et omnia \fasa eraiit naturalia , rinvenne il
pericardio sì ripieno e turgido di siero negrican-
te » ut magnum occuparet spatium, pulmonesque
» utrobidem pleurae adhaerentes coangustaret. E-
» tiam subnigrum sexum sinistrum pcctoris cavita-
24A Scienze
» tem inundabat, dum vacaLat dextera. In cursu
» morbi tam perspicua fuerunt praecipua thoracis
» et pericardii symptomata, ut nobls fuerit expe-
» ditum statuere judicium. Et in hoc casu observa-
» vimus statina post obitum insigne crurum et pe-
li dum aedema evanescere. Ejusmodi faenomenon
» etiam ab aliis fuit adnotatum, sed nunquam expo-
» situm. » Rarissima altresì ne sembra l'osservazio-
ne che ci narra risguardante la idropisia dello
stomaco in un giovane di anni 20, di gracile co-
stituzione, il quale sforzandosi ad ascendere sulla
sommità di un altissimo albero di pino, ne cadde da
una ben considerevole altezza riportando gagliarde
contusioni in sul dorso e nelle braccia. Dopo al-
cuni giorni divenuto inetto alla digestione ciba-
ria, restituiva gli alimenti in un con le bevande
per vomito » ita ut brevi tempore viribus desti-
» tutus et consumptus decumberet. Duobus exactis
» mensibus incepit febris intermittentis larva, cura
y> eum adeundum me parente» accersiverint. Haec
» febris paulo post fiebat lenta, cum anxietate, vi-
» gilia, sensu ponderis et remissi doloris in regione
» epigastrica, magna abdominis distentione , quae
» ab ipso epigastrio incipiebat , et assicuro vomita
» serosi et subnigri humoris. Post sexaginta dies ab
» initio febris occubuit eager; et in ejus cadavere
» omnia viscera erant in naturali statu; sed in ven-
» triculo enormiter distento et lato circa triginta li-
» bras ejusdem umoris, qui rejiciebatur, reperi. »
Si è trascurato fin qui dai trattatisti d'istitu-
zioni di medicina pratica il completo dettaglio dei
vermi umani, e per possedere le piìi accurate no-
zioni delle varietk loro e le singole descrizioni dei
Rivista Medica 245
medesimi, d'uopo era che gli allievi della scienza,
ed anzi i cultori tutti dell'arte salutare si rivol-
gesserò appositamente a consultare le opere degli
elmintologi , e i diversi trattati clinici di questo
ramo. Il N. A. per altro ha saviamente aggiunto
nel presente volume la esatta descrizione di essi,
e le pili sufUclenti nozioni che li risguardano de-
gunte dal celebri scrittori che si sono in questo
lavoro distinti , e specialmente Rudolphi , Brera,
Delle Ghia] e. Meritano poi qui di essere ricor-
date due curiose osservazioni alla sua pratica of-
fertesi. Parlando egli dello strongilo gigante di Ru-
dolphi soggiugne, che una fanciulla attaccata da feb-
bre nervosa rese per le vie urinarie un verme
» quem expertissimus mcdlcus Maceroni curiose
» servavlt, et examini subjeclt ili. prof. Metaxa, qui
» judicavit esse strongylum, curavitque, ut ejus
» icon in suis memoriis zoologico — medlcls delinea-
» retur. » — » Cum mediclnani facere inclpiebam ,
» ( e questa è l'altra delle osservazioni indicate )
• virginem viglnti quatuor annorum curabam, con-
» sumptlone et lenta febri infausti amoris causa
» correptam. Laborabat etiam sinu fistuloso in ab-
» domine , duos circiter transversos digitos ab ilii
» sinistri crista. Causa hujusce sinus fulsse videtur
» praeposteracerotiapplicatlo ab empirico instituta
» ad quandam resolvendam duritiem. Sponte cnim
» dlsrupto tumore, fìstula consequuta est .... Cum
» manu molliter circumferentlam fistulae comprime-
» barn, ut stagnans pus abiret, ad orificium extra-
9 neum corpus comparuit, quod strobili mucro vi"
» debatur. Hoc apprehenso et detracto volsella ,
» lumbricum palmi longum et instar calami cras-
» sum esse vidi, Ablato verme , e sinu imrainuit
/
246 S e I K w z E
1) puris fluxus; sed paulo post eadem puris quanti-
M tas profluxit, et aegra consumpta perit » (1).
(i) Rarissimi non sono colali esempj di uscita di lombrìci per
le pareti addominali fuori del corpo. Borsieri, nel cap. X del suo
ottavo volume d'Istituzioni mediche, cita diversi autori, che in-
nanzi a lui avevano osservato questo fatto: altri emintologi ne
han quindi fatta menzione, e fra le più recenti osservazioni de-
gne di rimarco non sì debbe omettere quella del dottor Licci,
il quale dalla apertura di un tumore nell'ombilico vide espulsi in
più fiate neir intervallo di oltre tre mesi cinquantasei lombrici
senza alcun segno di elmintiasi, senza vedersene giammai veruno
per le vie sedali, cosicché il relatore dubbioso si rimane (come
leggesi nel Filiatre Sebezio di Napoli, fascic. di aprile iSSy) in
derivarne la provenienza dalle intestina o da altro particolare ri-
cettacolo. Altro più curioso avvenimento leggiamo nel fascic. d'a-
gosto i83t dell'or menzionato giornale in una memoria del dottor
Guastamacchia di Terlizzi (Bari), avente titolo di,, Osservazione
,, di elmintiasi, nel corso della quale essendosi fatto un piccolo
,, ascesso alla parte superiore della regione ipogastrica, e screpo-
,, lato naturalmente, ne uscirono a diversi intervalli degli ento-
,, zoari vivi. Più, di una nuova specie di ascaridi, ai quali serban-
,, dosi il nome datogli da Brenìser di oxyyris vermicularis,sì ag-
,, giunge per la prima fiala l'altro di aler sanguineus, ossia as-
,, caride nero-sanguigno , dal suo colore. ,, Il soggetto della sto-
ria riferita dal sig. Guastamacchia fu una fanciulla di anni cin-
que, la quale dopo una caduta con lievi contusioni sul lato de-
stro del corpo incontrò un mal essere generale, che per due mesi
la mantenne trista ed abbattuta. Sursero quindi, dopo indolen-
za dei genitori su questo precorso stalo, forti coliche, enfiagio-
ne dell'addome, costipnzione delPalvo, febbre ec. Fece la malat-
tia il corso di un elmintiasi , ed intanto comparso un tumorello
rossiccio e dolente quattro dita sotto l'ombilico sulla linea bian-
ca, screpolò dando uscita a pus, ed in seguito ad un cutozoaro
vivo simile a quelli cacciali per la bocca e per l'ano. Continuò
ad uscire per 1' apertura del piccolo ascesso ad ogni quindici
o venti giorni un lombrico vivo, ed altri tuttavia se n'elimina-
rono pur vivi per l'ano. L'una e l'altra circostanza durò per
lette mesi, a capo dei quali mori perfettamente tabida. E qui
non sarà inutile il riferire altro particolare successo di questa
isterica narrazione, cioè che la fanciulla negli ultimi istanti di
Rivista Medica 247
Non ci (llflfonderemo ulteriormente in questo
sunto, non comportandolo la brevità del nostro isti-
tuto; ma raccomandiamo incessantemente la lettura
originale dell'opera, la quale nell'interesse con cui
sono discusse le materie addimostra un uomo di lun-
ga mano istrutto nella scienza, abituato alla osser-
vazione ed al raziocinio di tutti gli elementi dell'
arte.
TONELLI
sua lacrimevole esistenza evacuò ascaridi vivi, di un color neiK»-
sanguigno, e che si mantennero tali per qualche ora, mentre aU
cani andarono pure strisciando sul pavimento. Sezione del cada-
vere non fu istituita, cosicché non potè chiarirsi la perforazione
degl'intestini: ma nel presente caso non sembra potersene dubi-
tare, tostochè altri simili lombrici vennero espulsi per la bocca
e per l'ano. Che anzi ad avvalorare l'opinione già emessa da varj
scrittori, sostenuta dalle osservazioni e dall'autorità del celeber-r-
rimo consiglier Brera, e recentemente seguita dall'egregio signor
Delle Chìaje contro la sentenza dell'illustre Rudolphi e del va-
lente Bremser, rammentar possiamo ciò che il prenominato si-»
gnor L(icci aggiugne alla sua osservazione, che la sezione di uri
cadavere manifestò già al benemerito professor Antonucci da sei
buchi forato l' intestino di un giovine per opera di tre lombrici,
che da tre strade usciti per tre altre avean fatto ritorno.
248
Biografìa del ca^. doti. Domenico Monchini pro-
fessore di chimica nella università romana,
JL/opo lunga pezza, da che un celebre italiano ces-
sò di vivere, noi forse avremmo incorsa la taccia
di ripetere circostanze di già cognite nel dare un
comentario della vita e delle opere sue? No: queste
poche pagine consacrate alla sua memoria offrono
una collezione non anco redatta de'giudizi da tutta
l'Europa riscossi circa i suoi lavori scientifici; senza
omettere qui fatti personali che debbono accom-
pagnarli. Non ci è noto scrittore, che in tale rela-
zione lo abbia considerato: anzi forte maravigliamo
di tale mancamento. Poco fa rinfacciava il Costa
che le iscrizioni^ gli elogi, le storie, i versi fiocca'
>vano in guisa da ricoprirne il nostro classico pae-
se; ma il rigido e savio censore de'nostri tempi nel-
la copiosità rigurgitante degli scritti, e nella pro-
fusione di ciance venali, non disse che la fama d'ine-
diti personaggi non sia, qual devesi, curata. Rendia-
mo un tributo al nome di Domenico Morichini di Gi-
vitandino, comune dell'Apruzzo Marsicano, che per
se noto vivrà perpetuo negli annali delle scienze chi-
miche: ma di lui tacere ciò che non giunse a cogni-
zione di tutti ci sembra che sia detrarre alla sua glo-
ria. Siamo grati al eh. Muzzarelli, che dell'onor pa-
trio degnamente geloso il primo e il solo sentì l'ob-
bligo di noverarlo tra gV illustri italiani viventi', ma
la modestia di lui, che rifuggiva da qualunque lode,
Biografia, di Morichini 249
e con lettere pregava di ?io?i tenersi conto di sé ,
ratlenne il lìiografo in limiti molto angusti (1). Mo-
richini fu sommo quando agli erudimenti altri so-
no iniziati, e professore quando altri principiano
ad istruirsi. Sorto in regione fertile d'ingegni pre-
coci, e non giunto a varcare il secondo lustro ,
lungi dal borgo natio, circuito da monti e disadat-
to al pieno incremento intellettuale (2), nel col-
legio Tuziano ( appellato cosi dalla famiglia Tu-
zi di esso fondatrice ) e nel seminario di Sora com-
piva in cinque anni la carriera difficile delle let-
tere greche e latine, della filosofia razionale, delle
niatematiche e della fisica ; ne si creda di volo
e senza studio profondo. Come subito avrebbe rac-
colta l'ammirazione della università romana, che
dopo tre anni lo decorò della laurea di onore
nelle scienze mediche?
Non possiamo qui trattenerci dal contempla-
re nelle nostre provincie l'istruzione pubblica: e
compresi da riconoscenza per la cura di monar-
ca provvido, non cessiamo sospirare che a novelli
metodi e a completo insegnamento sia congiunto lo
zelo d'idonei precettori bramosi di render colti alla
patria tanti giovani di un acume straordinario ,
capaci non solo di municipale, ma di grido eurO'
peo. Morichini fu di questa classe: e come altri
non isterilì sotto guida insudiciente o poco atti"
(i) V. la biografia del prof. Monchini scritta nell'anno 182G,
e pubblicata neWjilbum distrib, 4i>anno III- iSdd.-. Diario rom.
nuva. g4> ^^j novembre anno medesimo. - Alcuni giornali hanno
ripetute notizie tolte da questi fonti.
(?) Di Anselmo Moricluni e di Matilde Moratti era nato a a3
Beltembre 1773.
250 S e I E N 2 K
va, ne mai dimentico fu della terra che gli ap-
prestò doppia culla di vita naturale e scientifica,
fino agli ultimi suoi giorni commendava i mae-
stri di Sora, e per lab. Silvestri nutriva una gra-
titudine verace.
Tratto in Roma da viva brama di sapere, fu
da un congiunto sacerdote accolto; ne appena il
piede vi posava, che distinto dal solo merito ren-
devasi caro al Pessuti e al Gandolfi delle scuole
pie: sotto le quali scorte volle meglio consolidare
le sue cognizioni nella fisica e nei calcoli della
quantità continua e discreta, mentre un Benelli,
un Volpi, un Sisco, un Bucciolotti, de'quali du-
ra onorata e stabile ricordanza, plaudivano ai ra-
pidissimi suoi voli nelle mediche discipline. Ben
presto giovinetto ancora si trasse a competere con
emoli distinti, a guadagnarsi la carica di medico
assistente nell' ospedale di S. Spirito, a praticarvi
molte accurate osservazioni sulla tisichezza (1) ,
a correre nel cimento con celebri e vecchi rivali
nell'archiginnasio per ascendere la cattedra: ed era
seduto poco innanzi nelle scranne de'discepoli. Tut-
ti superò di molto; ma non compiva l'anno ven-
tesimo; e ostar poteva con volto imberbe alla scel-
ta? La scienza giovanile dovè cedere al rispetto del
bianco crine! Triplicò lo sperimento; uguale ne fu
l'esito. A tanto ingegno non potè negarsi guider-
done: dopo altri cinque anni fu nominato a pro-
fessore di chimica. Il primo anno del presente se-
colo fu primo deìVordùiario suo insegnamento nelV
apertura che fecesi della università , sebbene già
(ij Memoria sugli sputi de' tisici, iuedita.
Biografia di Morichini 251
nel concorso i in cui Giov annetti fu prescelto (in-
sieme col valoroso Bomba), aveva conseguita Vap-
provazione, e per ordine sovrano senza prove ulte-
riori gli era commessa la lettura soprannumera-
ria, come scrìsse il dotto Renazzi (1). Dal generale
Dallemagne, nel tempo dell' usurpazione francese,
con Martelli e Corona fu scelto per la parte chi-
mica degli studi, e sotto la presidenza di Pessuti
fu segretario dell'istituto nazionale per la classe di
fisica e di matematica.
L'immortale Lavoisier produceva in quel tem-
po una rivoluzione nella chimica. Roma non fu
prima tra le citta di Europa che ricevesse la no-
vella scuola in danno dell'altra di Stahl ciecamente
venerata. Morichini, primo cultore del filosofo della
Senna, non poco lume diffuse nel metodo di scom-
porre l'aria nella parte respirabile e nella teoria
della combustione. Se non come i Laplace, i Prie-
stley, e i Berthollet, fu pure tanto assiduo nel chia-
rire i fatti, che confusi ammutirono i tenaci ama-
tori del flogisto. Chimico faticoso e intrepido po-
neva mente di analizzare ogni sostanza, e tosto in
alcuni denti elefantini sotterra rinvenuti giunse a
scoprire 1' acido fluorico , che anche trovò nello
smalto dei denti umani, e nelle ossa di tutti gli
animali. Erano sì poche e incomplete le conoscenze
sulla natura di questo acido, che Morichini deve ri-
putarsi uno de'primi osservatori: ne temeraria sa-
rebbe l'assertiva che prima di Ampere la sostanza
fluorica vagamente fosse annunziata. Pessuti presen-
tò l'analisi nelle memorie di matematica e di fi-
li) Storia della università romana Voi. IV, p. 4^i'
252 Scienze
sica della società italiana delle scienze (1), per cui
noto a' principali professori di Europa ebbe con-
tinua corrispondenza sulle indagate leggi elettri-
che, al quale scopo si rivolgevano allora gli studi
e le ricerche de'fìlosofi. Scrutatore del fluido mara-
viglioso, da gran tempo meditava Wan-Swinden
sull'analogia che dicevasi avere col magnetismo, e
dagli effetti svariati tentava rintracciare la cagione
occulta. Mentre De Lue emetteva l'ardita conget-
tura „ che r elettrico fosse composto da qualche
operazione che sul globo esercita l'influenza de'rag-
gi solari nell'incontro dell'atmosfera „ egli erede-
vaio diffondersi con l'affine forza magnetizzante dall'
azione chimica della luce senza altra concorrenza.
Noi non difendiamo questa opinione.» ci basta che
fosse motivo a scoperta bellissima, sebbene piìi ci
aggrada il sentimento che l'influsso luminoso sia co-
me un mezzo di sviluppo simile a quello strofinìo
del vetro e del contatto dei metalli. Il prisma di
Newton nella scomposizione della luce oh quanti
nuovi fenomeni presentava ! Rochon avea potuto
studiare le proprietà calorifiche de'raggi. Herschel
e Lesile col soccorso del fotometro in appresso ri-
levarono quella proprietà meno risultante nel rag-
gio violetto, in cui Scheel, Davy, Bockman, Wolla-
ston e Berard rinvennero più sensibile l'azione chi-
mica. Ma dopo gli apparecchi del celebre liitter
il professore dell'università romana sempre dubbio-
li) Analisi di alcuni denti fossili di elefante trovati fuori di
porta del popolo di Roma, pi-eceduta danna memoria storica del
conte Morozzo 1802. Analisi dello smalto di un dente l'ossile di
elefante, presso la Società Italiana delle scienze tom. XII, p. u,
i8o3. - Corxeaioui e giunte fatte alla aiedesima memoria.
Biografia di Morichini 253
so sulla uniformità dell'elettrico e della calamita,
e tocco dalla esperienza che il ferro lungamente te*
huto nell'atmosfera si magnetizza, rintracciando la
causa sospettò che dalle correnti elettriche, o dall*
influsso della luce derivasse. Quasi di sue ricerche
e di sue forze non sicuro (come ad uomo saggio si
addice) in disamina lunga e difficile al soccorso si
affidava del eh. dott. Carpi suo diligente allievo, del
prof. Barlocci e del prof. Settele illustri suoi colle-
ghi. Con tale assistenza nei mesi di giugno e di lu-
glio (dell'anno 1812), in giorni non umidi, all'azio-
ne dello spettro luminoso disponeva gli aghi di
ferro a tal fine costrutti dal meccanico Luswerg, fa-
cendo toccarli col lemLo estremo del raggio violet-
to, in cui si appalesava la forza dopo avere invano
tentato tutti gli altri. Appresso qualche ora gli aghi
davano segni magnetici, e tali d'attrarre la limatu-
ra di ferro, e da fissare la consueta direzione, come
nella bussola de' naviganti. Mentre i raggi non re-
fratti dal prisma concentrati anche da una lente
sviluppavano piccola e dubbia forza, il raggio vio-
letto trasmetteva tanta elettricità da renderla sen-
sibile nel condensatore voltaico ; e la punta dell*
ago, alle azioni chimiche più sottoposta, mostravasì
più propensa per la tendenza magnetica. Qualche
forza sperimentò pure risultante dal raggio verde,
e dal violetto lunare, debole sì, ma non come la de-
Lolezza luminosa fa supporre. Nulla ottenne dal rag-
gio rosso, e dalla luce de'corpi terrestri nello sta-
to di combustione. AIO settembre dell'anno mede-
simo nell'accademia de'lincei lesse la sua Memoria
sopra la forza magnetizzante del lembo estremo del
raggio inoletto, riportata dalla Biblioteca britannica,
dagli Annali di fisica e da' primi giornali curo-
254 Scienze
pei (1). A tale annunzio non fu defraudato di elogi,
e qualche straniero confessò che sterile non sia la
terra feconda de'Galilei, de'Torricelli, de'Volta, de*
Galvani e de'Beccaria. Deve ancora tribuirsi lode a*
soci degli sperimenti : Barlocci fu accorto di rac-
cogliere e di condensare in una lente tutta la di-
spersa parte violacea dello spettro prismatico, il
cui foco proiettato e fatto scorrere dal mezzo dell'
ago verso le punte produceva un eflfetto istantaneo
e pili sensibile: a Metaxa fu commessa 1' applica-
zione dell'elettricismo della luce sugli animali; vol-
le assumere Poggioli quella del magnetismo solare
sulla vegetazione, seguendo forse la via dal Caldi-
ni molto innanzi tenuta per Vinflusso delVatmosfe-
rica elettricità sulle piante ^ e anche col soccorso
dell'ordinaria calamita eseguì con Orioli non pochi
sperimenti (2). Debbonsi queste osservazioni pri-
mitive tutte alla sapienza italiana, e debbensi a Mo-
richiai che ne diede l'impulso.
Anche dopo una seconda memoria di confer-
ma che diresse a Marziale Daru barone dell' impe-
ro, in cui precisava l'opportunità del tempo e il
metodo necessario, senza de'quali vano riuscirebbe
ogni tentativo (3), Berard di Montpellier, Gay-Lus-
sac , Thenard e Vauquelin in Parigi movendone
dubbiezze ripetevano piuttosto il fenomeno dal ma-
fi) Bibl.Brit. t.LII, a Genève i8i3. Ann. de phys. t. XLVl,
von Gilbert Sclieiweigg Tourn. 6. 37-20-16-Gilb. annal. 43, 212.
(2I Memoria Ietta nell' accademia de' lìncei stampata tra gli
Opuscoli scelti di Bologna.
(5) Memoria seconda sopra la forza magnetizzante del lembo
estremo del raggio violetto, letta neiracc. de* lincei il 22 aprile
i8i3. Roma.
Biografia m Moriciiini 255
gnetismo terrestre. Da Milano il senator Moscati ne
rendeva partecipe OJier, e dalle indagini proprie
e da quelle di Gonfigliacclii di Pavia dubitava clie
forse una qualche accidentale causa deludesse Mo-
richini, uomo di grande merito e di sublimi talen-
ti dotato , come conchiudeva (1). Ma in Firenze
Babbini confermava l'effetto contrastato, ravvisando
una inclinazione dell'ago verso il raggio chimico.
Dopo massima diligenza convintone Ridolfi, chiedeva
consiglio da Pictet, che avvalevasì dell'autorità di
lui in tale argomento di controversia (2); e molte
testimonianze si leggono nel giornale di Brugna-
talli ^ negli atti de IV accademia pistoiese e nella bi'
blioteca universale di Ginevra (3). I fatti de'fisici
fiorentini ad evidenza provarono, non ottenersi ri-
sultamenti favorevoli dalla umidita dell'aria: l'uno
avvertiva di mancare i segni magnetici , allorché
l'igrometro segnasse alcuni gradi , e l'altro si ac-
corgeva che uno spettro solare desistesse della for-
za magnetizzante facendovi scorrere una colonna va-
porosa. Ogni personaggio, che venne a visitare la
capitale del mondo, dovè convincersi di ciò che for-
se impugnava con ostinatezza; ricorderemo Davy il
più sincero amico del Morichini, e Playfair persu-
aso da Carpi che pubblico attestato ne diede (4).
Instruttane parimenti mad. Somerville, donna per
sapere molto celebre, ritornata in Londra involgeva
di carta la metà di alcuri finissimi aghi , e sulle
(1) Bib. britt. t. LUI, i8i3 p. igS. Gilb. 45-338-46, 076.
(1) Ivi t. LII. p. 171-Schweigg. 91, 2i5.
(3) Gior. di Brugnatelli 5 bimestre 1816. Atti dell'acc. pisto-
jese 1816 p. 790. Bibl. univers. T. IV, V. V. Selcweigg. 9, 2i5.
(4)Bib. imivers.T. VI, p. 17. Selcweigg. 46, 252-Pagg. 6, 493.
256 S e I E K « fi
parti scoverte proiettava il concentrato raggio ma-
gnetizzante , o li esponeva sotto un vetro azzurro
al semplice influsso solare rivestendoli con nastri
del medesimo colore. Ai tentativi corrispose l'even-
to (1). Erman erasi sforzato dimostrare, che dalla
forza calorifica derivasse tutta quella tendenza degli
aghi; ma Ghrlstie ha ben provato di accrescersi sot-
to la fredda temperatura, ed ha ridotto a calcolo
la differenza degli archi descritti dagli aghi di fer-
ro , di rame e di vetro sospesi ad un filo sotto
r influsso del sole e di quelli sottratti dalla lu-
ce (2). Kastner confermò la verità della cosa, sebbe-
ne non sia giunto a darne la ragione; e Braumgar-
tener in Vienna, profittando dei mezzi adoperati,
ossidava un ago di acciaio; e al sole disposto un
punto lucido diveniva magnetico col poh boreale\
se vi erano molti punti lucidi, acquistavano il polo
medesimo, e ciascuna parte ossidata il polo austra-
le (3). Non devesi passar sotto silenzio l'ingegnoso
apparato che Prandi diresse al Morichini. Faceva
uso invece del prisma newtoniano di una gran len-
te slmile a quella in Parigi costrutta dal Bernie-
res, in cui con mezzo facile riusciva perfettamente
ad isolare il raggio violetto, e a condensarlo in uno
specchio concavo: ma la morte, che alle scienze lo
ha presto rapito, impedì l'applicazione, ne sappia-
mo se altri l'abbiano tentata (4). Seguirono le or-
me della inglese donna Zschock e Strohlin , che
(i) Ann. de chim. et phys. XXXI, 393.
(2j Bib. univer. t. XXXIV, p. igr, t. XLI, p. 52. Pogg. 6,
239-9, 5o5-Abhanklder Beri. Acad. i8i5-i8i5.
(3j Ann. de chim. et phys XXXIII, 333.
(4) Giorn. arcadico, maggio 18 13, Voi. LUI, p. x38.
Biografia di Morìchini 257
pretende di aver preceduto di anni dicci questi
sperimenti: ma noi ci serviamo della sua conferma
senza fermarci nell'assertiva che potrebb'essere gra-
tuita (1). Nel ferro e nel vetro Matteucci sperimene
tò la forza elettrica solare, e Barlocci in una me-
moria Ietta nell'accademia de'lincei , disse: che fa-
cendo cadere il raggio rosso e il violetto in due
dischi di rame, se comunicava nell'uno e nell'altro
i nervi crurali di una rana, ne otteneva forti con-
trazioni (2). Zantedeschi e Mayez nel seguire que-
ste traccie meglio spiegarono la forza elettrica non
solo, ma il magnetismo de'raggi piìi refrangibiii (3):
vi consentirono in Palermo Scinìi, in JXapoli Cassola,
e molti studiosi fisici d'Italia che omettiamo rife-
rire. Ma i fenomeni di elettricitk non furono previ-
sti dal primo indagatore? Non aveva egli commes-
sa l'applicazione sugli animali a Metaxa , fatta di
poi da un altro compagno de'suoi sperimenti? Ci
serviremo delle parole del p. Pianciani, uno de'
molti ornamenti dell' inclita compagnia di Gesù :
Morichini aveva venti anni prima osservati alcuni
indizi elettrici col condensatore del Volta : e noi
possiamo aggiungere che in alcune inedite memo-
rie anteriormente scritte , che presto verranno a
luce, non solo questi , ma ben altri fatti si rile-
vano, che dovendosi meglio verificare non furono
pubblicati (4). Qui siamo indotti a direi che se nel
(t) Kastnei-jArcliiv. i5, 1^5- Minerva iSjg-S, i3i.
(2) Antologia iSag aprile e luglio p. i^5, Gioru. arcad. i83o
giugno p. 20^-Rib. uuiv. t. XLII, p. 11.
(3) Poligrafo di Verona i85i maggio.
(4) Terza memoria sul nidgnelismo della luce 18 15, inedita.
Sperienze elettro-magnetiche sulla luce solare, 1817-inedila. V.
Pianciaui, Islituz. fisico-chiaiiclie. Roma i854, t- HI, p. 104.
G. A. T. LXXIII. 17
258 Scienze
medesimo fonte doppia forza di elettricità e di ma-
gnetismo fu da lui rinvenuta , il primo se non
ha sciolto il problema dell'uniforme natura e della
influenza mutua, ne ha dato qualche non equivoca
dilucidazione. Se avesse proseguito l' esame , forse
sarebbe giunto con altro metodo a que' ritrovati ,
che innalzarono quindi a sublime rinomanza un
Oersted, un Arago, un Ampere, un Davy, un Bar-
low, a'quali Romagnosi poco dopo l'invenzione del-
la pila e il p. Baccaria avevano in Italia preceda^
to; ma privo di ozio tranquillo, e distratto dalle
cure domestiche e dagli obblighi di cattedra e di
professione medica , senza il soccorso degli amici
non avrebbe potuto arricchire le scienze dei doni
compartiti, che sono suflicienti circa le osservazioni
elettro-magnetiche a porlo nel medesimo grado di
onore col Nobili, col Zamboni, col Configliacchi ,
col Marianini e col Dei-Negro tra' nostri recenti
fisici pili famosi. Tante prove incontrastabili po-
tranno in dubbio rivocarsi? Ridolfì, Babbini e Zan-
tedeschi hanno assegnate le cause, che sono d'im-
pedimento al fenomeno, in modo da potersi dire,
che questo sia suggel che ogni uomo sgannì. Ma
oppositori non mancano. Un Despretz non ha ri-
tegno spacciare, che le spenenze del Monchini non
siano ben confermate. Plìi oltre si avanzano Riess
e Moser, ascrivendole al magnetismo della terra ,
come scrissero anche Grottlius e Ruhlandr per que-
sta opinione sembra determinarsi della Rive, che ne
tesse la storia; e tutti vogliono che isolando il fer-
ro da qualunque accidentale causa , non si debba
ottenere alcuna tendenza magnetica. Abbiamo a ma-
ravigliarci come il Seebek neghi al raggio violetto
quella forza che concede a tutta la luce solare; e
Biografia di Mortchini 2ó9
Còme si opponga da molti essere il ferro per se
Stesso magtietico. Ciò non ignorava Moricliini, ma
dimostrò che la luce sviluppasse maggiormente
cfUella forza naturale pei* se debole (1). Dopo il pro-
fessor di Pavia, che diede il segno della guerra ,
tutti quelli che lo hanno assalito ripeterono che
fosse tratto ad inganno dalla mancanza di accurato
esame, o da suo presentimento: ma con le favore-
voli disposizioni dell'atmosfera non aveva egli ri-
mosso qualunque indizio di errore, come scrisse a
Guy-Lussac, e come gli avevano raccomandalo il ce-
lebre Volta, che anche dissentiva^ il caVi 2ambi*oni
e Pai^adisi presidente dell'istituto italiano? Se vo-
gliamo allontanarci dal suo sistema circa V assor-
l)imento del magnetismo eh' esercita il globo dai
i*aggi solari, come fa dalla luce e dal calorico, an-
che nell'altra ipotesi che la terra sia come una
gi*artde calamita, non potrebb'esser vero che l'effi-
cacia del sole la determini nel ferro? Bastano per
chiuder la bocca a tanti contradittori le dotte os-
servazioni d'Haeser, che meritarono il premio nella
Germania, e che possono servire di baluardo alle
dottrine del Morichini: gli opposti argomenti vi so-
no tutti confutati (2)* Immersi noi nello studio del-
(i) Ann. de chimié et phys. t. XLII, p. 5o4-Bib. univ. Juil-
let i8o3, p. 325. -Ruhland : Ueber die polarisclie Wirkung des
gefiirbten heterogenen Lichtes. - Pogg. 6 ii^6. Schcweig 9, 217.
(2) De radii lueìs violacei vi magnetica, auctore Henrico Hac-
ser vimariensi, cominentalio-Jenae i832-Cosi riferisce prima di
esporre le sue spcrienzc e le nuove sue opinioni ,, Primuni ne-
,, gligentiae Moricliiniutn accusai Configliachius, non tantam ab
,, eo adhibitam esse curam in instituendis observationibus, quan-
„ tam rei subtilitas et difficultas poslulasset. Satis profecto gra-
„ VIS accusatio; sed co facilius rcjicicnda, quo est injuòlior. „
260 Scienze
la bibhla, non potendo inoltrarci in un campo, nel
quale sempre fummo stranieri, ci appelliamo al va-
lore de'magnanimi abruzzesi per difendere un ser-
to contrastato al nostro chimico nazionale.
Premuroso del pubblico bene, e zelatore della
salute de'popoli, dissipò vieti pregiudizi, da' quali
Strabone e il grande Tullio non furono immuni ,
per la vicinanza delle saline artificiali. Nelle ma-
remme di Corneto, non lungi dal dominio toscano,
era di sommo vantaggio per lo stato pontificio la
formazione delle saline: ma il regno limitrofo noi
consentiva, e la sciocca credulità del volgo move-
va lagnanze per la infezione atmosferica. Invano
Riccy erasi opposto all'errore comune. Morichini,
prescelto da Lante tesoriere generale al patrocinio
di questa causa, con tale forza e dottrina entrò nel-
l'arringo a sedare ogni tema contro i dispareri di
Petri, di Zuccagni, di Gazzeri, di Tozzetti e di al-
tri tìsici fiorentini, clic dopo tre anni di continue
discussioni, furono eseguite le saline, ne danno sa-
nitario si è mai ravvisato. Molto scrisse in tale sub-
bietto (1); ne lasciò di confutare l'avvocalo Lupac-
(p. i4),, Confìgliachium postea fere omnes Moricliinii adversarii
„ secuti sunt.,. Non ometteremo poche parole di una lettera, che
nel 1834 gli scrisse, e che meriterebbe di essere riportata per in-
tero. „ Tua est, Morichini amplissime, summa illa laus, primo
,, conjunctionem arclissimam, quae intercedit inter lucis atque
,, virium niagneticarum naturam olarissimeeruisse, atque tandem
„ aliquando germanicis quidem physicis persuasum est, ea quae
„ tu ante hos viglnli annos in publicum de radii violacei vi ma-
,. gnelica edidisti, esse verissima. ,,
~ (i) Parere sopra la questione se la formazione di una salina
artificiale nella spiaggia di Gorneto possa rendere insalubre l'a-
ria di quella città e de'contornl. Roma i8o3. -Confutazione di uno
Biografia di Moriciiini 261
chloli e il collega Giovannellì plagiario del nostro
Camerari: e gli argomenti suggeriti dalla nuova chi-
mica da lui difesa fondavano sulla esalazione d'in-
nocui vapori dell'acqua marina ( cioè da un com-
posto di acido muriatico con la base di soda ) non
ristagnante, e non imputridita, come spesso avviene
nelle risaie, delle quali dovè giudicare nell'agro
di Bologna e della Marca. Si condusse con Folcili
nelle valli bagnate dal Tronto, e vide che nelle fer-
tili campagne di Ascoli e di Fermo potevasi senza
nocumento proseguire la coltivazione del riso, se
in luoghi convenevoli fosse ristretta, e ne diresse
il fisico rapporto a monsig. Olgiati segretario della
sacra consulta (1). L'abruzzese De GroUis, scrivendo
di quest'opera prodotta dal precipuo maestro di po-
lizia medica in Roma, dopo qualche ristretto enco-
mio gentilmente si avanza a rilevare la pecca di
una trascuratezza di forma, quantunque ne sia buo-
na la sostanza e solo infetta di alcune minuzie, co-
me nella pittura, in cui purché le parti essenziali
sieno rilevate^ le altre, che per la lontananza non
appariscono, possono essere tralasciate e mal di-
pinte senza il minimo 'vituperio per Cartista. Ma ci
perdoni il nostro concittadino: l'indiscreto mgliot
scritto anonimo, nel quale si è preteso di provare che le saline
infettino l'aria. Roma x8o3.-Esame del voto chimico de'professori
fiorentini. Roma i8o3. -Riflessioni sopra gli scritti contrarii alla
formazione delle saline nella spiaggia di Corneto. Roma i8o3.
-Bi'evi rilievi sopra l'ultima memoria dell'avvocato LupacchioU
distesi dal Monchini sopra le saline di Corneto. -Apologia delle sa-
line di Corneto alle obbiezioni del sìg. Giovanni Gazzeri chi-
mico toscano, i8o5.
(i) Relazione fìsica sulle risaie della Marca. Roma iS^G.Dellc
riiaie del Bolognese, 1818.
262 Scienze
con cui (lice potersi cribrare i ragionamenti del
Alorichini, non gli ha fatto discernere la mondiglia
dalla buona sentenza: troviamo in tutte le opere sue
logica pura, quadri sinottici, ordine preciso e stile
tutto scientifico, e se non terso almeno non trascu-
rato (1). Brocchi, 1' infiiticabile geologo, scrisse
che l'analisi a lui diretta delle acque e del gas ìn-r
fiammabile del Tevere, già da Riccioli previsto, sia
per certo la pia bella, la più accurata e la più circo-^
stanziata fino ad ora intrapresa siti gas che sbuca-
no di sotterra (2). Fu il Morichini che spiegò d'on-^
de provenisse l'efficacia dell'acqua di Nocera nelT
Umbria , tanto famosa poi salutari effetti, e già dal
Camillo di Perugia, dal De Fabra prof, di Ferrara,
e dal Massimi medico romano analizzata; dopo aver
conosciute tutte le sostante solide, che in dose non
eccessiva vi erano diffuse, dall'abbondanza AeW ossi-
gene si fece a dedurre ogni virtìi medicinale. Que-
sto sassio confermò tutti nella stima che si aveva
non meno di un operoso e dotto che di un medico
perito nell'arte salutare, come si disse in un foglio
letterario (3). Copiosi elementi ottenne ancora nel-
r analisi delle acque termali solfarate presso Civi-
tavecchia, nebag?u taurini, e nel fonte di ficoncella,
cosi pure nella sorgente acetosa e nella santa che
sono in Roma non lungi dalla via ostiense, onde
trae origine il fosso delle acque acidule da Carpi e-
saminato (4). In tutte le analisi adottava il metodo
(i) Giorn. Arp. maggio iSaS, Voi. LUI, p. i3r.
(2) Dello stalo lìsico del suolo di Roma 1820, p, i^S. V. la
lettera diretta al eli. sig. Brocchi, Giorn. arcad. t, VI, p. 178.
(3) Man. letterario di Roma 1808, dicembre n. i, p. 27.
(4) Saggio medico chimico sopra le acque di Nocera per Laz-
Biografia di Morichini 263
da Bergaman unito con quello del Murray ; e senza
qui riferire gli applausi riscossi da molti scienziati,
ci basta di osservare che non reggono punto al pa-
raggio le opere sulle medesime acque scritte dal
Zambroni e dal Torraca. Nel regno de'vegetabili
quante belle indagini non fece!' Assegnò l'uso me-
dico dell' olio di Croton Tìlli e della gomma di
lUivOì in cui dall'odore credeva contenersi Vacida
benzoico- ma dopo una serie di bellissime osserva-
zioni non esservi si convinse. Erudita per lo storico
ragguaglio del medesimo uso presso gli antichi^ ed
utile per la pratica fu commendata la sua memoria
dalla Società Italiana delle scienze , e possono in
parte convenire le stesse parole alla lettera che al
Folchi diresse nel giornale arcadico (1). Non mai
stanco di svolgere le carte di vetusti scrittori, si avva-
leva dei ritratti lumi per dimostrare che sia troppo
vecchio ciò che a' nostri giorni con qualche appara-
to si rinnovella: e riprodusse un sistema che tra le
fole si ascrive de'nostri buoni antichi, nella diffe-
renza delle orine del sangue dopo la digestione e
di quelle del chilo dopo il cibo (2). Volle anche
coU'esempio provare la trascuratezza moderna nel
rintracciar gli elementi delle sostanze animali per
utilità dei fisiologi e per dilucidazione patologica ;
oltre gli sperimenti varii sul latte di bufala fino al
zarini. Roma 1807- -Memoria sopra le acque termali di Civita-
veccliia. Roma 1821. -Notizie sopra le due acidule adoperate in
Roma 1818-V. il giorn. arcad. t. IX, p. j45, t. XXXI JC,p. 3o5.
(i) V- nel t. XXII, p. jQg, la lettera di 19 luglio 1824, e il
t. XVII della società Italiana delle scienze-Verona i8i5.
(2) Sopra alcune sostanze che passano indecompostc nelle
orine, memoria, ivi.
2G4 Scienze
suo tempo ignoti (1), ci diede T analisi della bile,'
umore che si credeva ben conosciuto, per dimostra-
re che molto rimanea da sapersi anche dopo le dili-
genze del Thenard, del Lassainge, e del Chevalier.
Ne si arrestò sulla bile umana, ma la venne a rico-
noscere in molti animali e in vari pesci: descrisse
la natura del picromele del Berzelius , e trovò l'a-
cido margalico e Folaico dopo avere spiegata la co-
lorazione (2). Opinava contro Bonhomme, che r^elle
orine dei rachitici sia Yacido malico insieme coUW-
salico, e con molte fatiche forse il primo ha ritro-
vato la causa dell'ammollimento delle ossa nella ra-
chitide (3). Non appena De Courtois ci annunziò la
scoperta deìViodio, scese nd'più minuti rintraccìa-
menti per la maniera di combinarlo con altre so-
stanze, e per la proprietà di volatilizzarsi in vapori
violetti (4) : e quale aspettativa non offre l'applica-
zione della pila invece delle scosse della macchina
elettrica da lui primieramente tentate nella cura de*
morbi, come ci assicura il P. Pianciani chiamato a
parte de'suoi nobili pensieri? Orioli dipoi si distinse
per l'uso della elettricità metallica nella terapeuti-
ca, anche senza far uso della pila voltaica : onde
Rambelli di giusto sdegno si accende nelle sue let-
tere per le usurpazioni fatte dagli stranieri in que-
sta parte scientifica ( come fecero nelle altre ), che
(i) Sperienze sul latte di bufala — inedite.
(2) Sperienze sulla bile, nelle memorie della Società italiana.
T. XX. Modena 1829.
(5J Memorie due sulla causa dell'ammollimento dello ossa
nella rachitide: - inedite.
(4) Memorie sull'estrazione dell' jodio e sue combinazioni;
— inedita.
Biografia di Moaicumi 26S
non si vergognano ascriverla a Most di Stadthangen,
a Monsford d'Inghilteri'a, a Capman di Pensilvania,
e a Miliier di Baltimora. Giova di osservare che an-
che prima dell'Orioli profittasse il Morichini della
pila, invenzione tutta italiana, o formando coppie
metalliche sulle membra da curarsi, o applicando-
la separatamente per mezzo di un conduttore ; ma
non essendo questi lavori di pubblico diritto, non so-
no giunti forse a cognizione del Rambelli molto ri-
conoscente pel suo precettore, che non tralascia ri-
spondere alle accuse de'chimici francesi per la sco-
perta del magnetismo solare (1).
Ecco il ragguaglio delle opere sue più cono-
sciute ; ne tutte le inedite ci sono note (2) ; ne po-
tremo tener conto di tutte quelle da valenti uomini
a lui dedicate, bastandoci solo rammentare il Gan-
dolfi nel trattato DelVottima costruzione delle mac-
chine elettriche , che non disdegnava i consigli di
un suo discepolo, e il Peretti nelle sue Ricerche del
lattugarioy che di lui riportava le note (3). Per la
impostaci brevità non ci è permesso descrivere
quali e quanti nobili pensieri volgesse a bene socia-
le: valga per tutte la testimonianza del Cappello, al-
tro medico illustre di Abruzzo, che lo cita con ri-
spetto in ogni pagina de'suoi libri. Nelle celebri
memorie sulla idrofobia, le migliori che abbiamo
in un male tanto terribile, riferisce di aver egli ot-
tenuta la cura di un accesso sintomatico con l'uso
(i) Lettere al doti. Domenico Ferri, lettera VI presso la Ri-
creazione di Bologna.
(q) Merita esser notato un discorso di scelta frase latina;
Oratio inauguralis die 25 novembr. i8o2. — inedito.
(3) Antologia rom. 1797. Giorn. arcad. t. XLVI.
260 S e 1 K N Z E
della china; e scrivendo del morbo asiatico, mentre
desolava l'Europa settentrionale, ricordò d'aver egli
fondata sul rapporto di sintomi, reso ne'fogli da me-
dici tedeschi, un' opinione molto ragionevole, che
troppo tardi e senza profitto fu generalmente segui-
ta. Sospettava che per l'analogia con gli effetti dell'
acido prussico^ e dell'acqua di lauroceraso , come
riferiva Kostler, s'insinuassero contro la vitalità ve^
lenosi elementi da rintracciarsi per combatterli nel
sangue, nel vomito, nelle orine e nel sudore. Cosi
l'egregio chimico pensava, mentre gli altri con em-
pirismo volgare applicavano formachi senza scopo q
senza ragione ! Cappello ritornato da Parigi, ove
fu spedito con Lupi e con Meli a studiare il morbo ^
che definì contagioso, e sostituito al vajolo , disse
pieno di riconoscenza, che il profondo pensamento
del Monchini^ ottimo amico e collega^ riportato nel
primo colerico lavoro fosse applaudito e non affatto
trascurato da espertissimi e dotti stranieri (1).
Fu primo che insegnasse veramente chimica in
Eoma. Cercò dare incremento e lustro a quella cat-
tedra, che dal grande Benedetto XIV ripeteva ori-
gine. Il cardinale Consalvi, a tutti primo nel mini"
stero della pubblica cosa, con mano prodiga in ogni
dispendio lo sorreggeva: e il tesoriere Lante , che
appellò magistrato amante del decoro della patria^
lo seguiva ne'luminosi consigli. Al Morichini si de-
ve l'erezione di un chimico gabinetto, che richiama
Jo sguardo dell'osservatore tra gli scelti e innume-
(i) Storia medica del cliolera indiano osservato da Agostino
Cappello ... nel i852, art. XIV. -"V. il giorn. arcad. T. L. i83i,
p. 46, e gli Opuscoli scelti scientifici, iioma i83o.
Biografia di Morichini 267
revoli strumenti fisici, e tra le copiose raccolte di
storia naturale ampliate alla università romana dal'
la munificenza del sommo gerarca Gregorio XVI.
Prestò molti servigi allo stato, e non ultimo fu quel-
lo della riduzione della moneta erosa a gravi per-
dite soggetta con la semplice pratica, senza una nor-
ma scientifica e sicura ; per cui fu rivestito della
carica à^ ispettore a dirigere nella reverenda came-
ra qualunque altra chimica operazione,
La polizia medica può dirsi sorta con lui : per-
chè le leggi d'incolumità pubblica erano in parte
sconosciute, e in parte mal dirette, o non adempite.
Fu il primo che col senno e coll'opera riuscisse a
formarne molte, e a ricavarne in uso le altre: onde
manteneva continua corrispondenza col magistrato
di salute. Prescrisse la forma e il luogo de'cimiteri
e dei sepolcri; fu membro e poi presidente del con-
siglio generale di vaccinazione,
Medico primario dell'ospedale di s. Spirito, e
tutto consacrato per l'arte salutare, impartiva soc-
corso nelle sale magnifiche e negli squallidi abituri,
ove spesso soccorreva l'indigenza. Pio VII nel ter-
mine delle sue gloriose fatiche affidossi alle cure di
lui : Pio Vili ne'momenti estremi della sua vita al
suo fianco lo ratteneva : i due pontefici fra le brac-
cia di lui spirarono. Il principe reale di Danimarca,
sottratto da morbo pericoloso, dopo avere sperimen-
tato il genio, reduce ne'dominii lo fregiò dell'ordine
di Danebrog: fu questo un distintivo di onorificen-
za dal Morichini ottenuto e non ambito! La repub-
blica di S. Marino non giudicò meglio di emendare
la perdita del conte Giulio Perticari, che creandolo
in di lui vece suo patrizio. Fu medico della casa
dell'imperatore e re in Roma, e socio di molte il->
268 Scienze
lustri accademie; rammentiamo quella degli Arcadi
(tra'quali da Loreto Santucci, allora custode genera-
le, gli fu dato il nome di Melampo di Coo) , quella
de'Lincei, delle scienze di Torino e di Monaco, la
società italiana di Modena, la reale di Londra e l'i-
stituto. Dopo anni trent'uno d'insegnamento un bi-
glietto del Camerlengo gli accordò la giubilazione;
in ricompensa però delle altre sue fatiche era già
pensionato : nondimeno per amore della scienza e
per pubblico vantaggio^ come scrisse monsig. Muz-
zarelli, non intermise le sue lezioni.
Non potendo tener conto di tutti i suoi rap-
porti scientifici, non ometteremo i principali. Quel
Gay-Lussac, cui pareva non molto sicura la forza
magnetizzante del raggio violetto, spesso ai Morichi-»
ni scriveva per conferire argomenti della piìi grave
importanza. Davy, di mente sublime e di cuore sen-
sibile, non contento dei pubblici tratti di omaggio ,
sull'orlo del sepolcro, da cui l'amico lo aveva ritolto
in Roma, destinava cinquanta lire sterline al sommo
italiano benefattore delle chimiche scienze. Non
appena la consorte da Ginevra comunicava in cor-
tese foglio r onorevole largizione , Morichini più
generoso ergeva tre busti all'immortale chimico in-
glese nella sua magione, e nelle università di Roma
e di Bologna. Così pure il gran Luigi XIV, persuaso
che il mondo sia la patria de'sapienti, cumulava di
premi un Allacci bibliotecario del Vaticano , un
Graziani segretario del duca di Modena e im Vi-
viani matematico del gran duca di Firenze, sebbe-
ne suoi sudditi non fossero. Ma questa regia ge-
nerosità cede di merito alla privata: la casa di lui,
qual santuario delle scienze , fu riverita da ogni
dotto viaggiatore. Cuvier molto stimava l'imparzia-
ÉlOGRAFlA DI MORICHINI 269
le (Il lui giudizio, Cotugno e Tommasinl ehbero
con lui stretti legami di amicizia. Per la sua ce-
lebrità, e per la dolcezza de'costumi, si affezionava
ogni animo anche ritroso : direttore di una com-
pagnia, di scienzati, che a sollievo delle fatiche del
giorno adunavasi nella sera con eruditi colloquii ,
vi era l'oracolo e la delizia : invido non mai, ve-
nerava le persone anche quando censurare ne do-
vesse i sentimenti. Prova ne sia la relazione sul pro-
gresso della chimica, della fìsica , e della storia
naturale: con quale ritenutezza non si oppose al sì-
stema di Murray e di Reynold circa gli aereoliti (1)?
Abbiamo desiderato di spargere sulla sua tomba
que' fiori , che egli ha sparsi per la memoria di
Gandolfi e di Gismondi; ma le nostre deboli forze
non hanno potuto raggiungere i dotti commentari
sulla vita deirillustrc fisico e dell'eccelso mineralo-
go che a gara sono letti e si riprodocono nell' I-
talia ! Possono soltanto a noi convenire le parole,
che a quest'ultimo dedicava, con le quali di lui di-
remo : Vuoici sommamente che le fatiche deiranno
scolastico., e la difficoltà di raccogliere notizie d'un
uomo quanto abile altrettanto modesto , ci abbia
fatto ritardare così a lungo il pagamento del no-
stro debito (2).
Egli è morto : le spoglie compiante riposano
in s. Marcello nel suo sepolcro gentilizio (3). Bom-
(t) Giornale Arcadico toni. 6, pag- i56, 3 19.
(2) Necrologia del prof. Bartolomeo Gaudolfi 1824. Necrolo-
gia del prof. Gismondi iSaS - ristampate nella biografia degli
italiani illustri e de' contemporanei - V. I, Venezia i834 *
p. i35, e 201.
(3) Spirò nella sera del ig novembre i836, e fu sepolto nel
giorno 21.
2T0 Scienze
La medico insigne di Lanciano nel tempo stessa ha
cessato di vivere ! Rimangono in Roma Cappello,
De CroUis e Nibby ad onorare l'Abruzzo; e del de-
funto Morichini rimangono sette figli ottenuti da
Cecilia Calidi sua virtuosa consorte, che sono tutti
eredi della perspicacia paterna e tutti sono educati
alle lettere e alle scienze* Già monsig. Carlo Luigi
prelato di grande ingegno e di maniere affabili^ vice-
presidente dell'ospizio apostolico, in alcune opere
date in luce sugli stabilimenti di beneficenza^ e nel
cooperare alla istituzione di una recente cassa di ri-
sparmio (degna di essere imitata)j mostra qual sia il
suo genio per l'economia pubblica e per la statisti-
ca. Gli dobbiamo molte delle presenti notizie; e pre-
gandolo di accettare in primo attestato di ammira-
zione questi nostri biografici comenti, facciamo vo-
ti che sieno impresse le opere inedite deirilliistrc
genitore con un quadro della vita, in cui sapra con
gentili tratteggiamenti ritrarci la pittura fedele di
un oggetto che sì da vicino ha contemplato. Ci da-
rk contezza delle doti morali, e tra queste di un
animo pacato e dolce, quantunque stizzoso ed ira-
condo fosse il temperamento, di una umiltà pro-
fonda e molto aliena dalla jattanza, di rispetto per
la chiesa e pei donimi di nostra santa religione. Non
fu della classe di quei filosofi^ che danneggiano gra-
vemente da una parte la società, mentre dall'altra
qualche lieve bene compartiscono: indivise sue pro-
prietà furono illibati costumi e gran sapere. Noi ci
siamo proposti rappresentarlo nel solo ramo scien-
tifico, e sarà nel morale illustrato da un figlio af-
fettuoso e degno.
Vittorio Iandelli.
2T1
LETTERATURA
Dé'nuovi lavori eseguiti nella diaconia de'ss. P^ito
e Modesto^ descrizione del principe don Pie-
tro Odescatchi dei duchi del Sirmio, riveduta
e corretta dalt autore.
Oe molto è da commendare la sollecita e prov-
vida cura, che il regnante pontefice massimo Gre-
gorio XVI (in mezzo ai gravissimi negozi del prin-
cipato, e del reggimento universale biella chiesa)
pone in conservare dalle ingiurie del tempo gli an--
tichì avanzi della grandezza e della maestà dell'im-
perio che s'ebbe questa nostra Roma; molto è pure
da aversi in ammirazione, e da doversi con sommis-
sime lodi celebrare lo studio e l'amor grande ch'egli
mette in far riparare dalle imminenti rovine , ed
in ritornare alla venerazione dei fedeli que'templi
che per la loro molta celebrità, e per le belle me-
morie che ci conservano, come sono d' onore e di
decoro alla religione nostra santissima, cosi recano
non leggiero conforto e splendore notevole alla ec-
clesiastica istoria. E qui , per ciò che certamente
ne parrà ad ognuno, vuoisi con sentimenti di sin-
cera riconoscenza ricordare il nome di monsignore
Antonio Tosti tesoriere generale, che propone ali*
272 S e I B N « B
ottimo principe così fatte opere, e sa poi con inar-
rivabile zelo, e con pronto e fermo animo, in brevd
correr di tempo, menarle a buono e felice riusci-
mento. Ed in fatti appena abbiamo veduto restau-
rato il patriarchio lateranense, ed in molte parti
racconciata la basilica di san Sebastiano, ecco che
per comandamento del pontefice è quasi dalla non
lontana ed intera sua distruzione salvata, e più con-
venientemente rimessa al pubblico culto, l'antica e
celebrata diaconia de'ss. Vito e Modesto suU'Esqul-
lino. Poiché dunque ho tolto sopra di me l' inca-
rico di descrivere i nuovi lavori che in quel tempio
sono stati operati, io mi avviso, a maggior chiarezza
di chi sì farà a leggere questa mia umile e rimes-
sa scrittura, di dividerla in tre parti. Nella prima
narrerò la istoria de'ss. Vito e Modesto, cosi come
sta ne' pili riputati scrittori. Nella seconda tesserò
la istoria di quel tempio, non intralasciando, come
meglio per me si potrh, di dichiarare e d'illustra-
re altresì i monumenti che in esso si conservano.
Nella terza finalmente, seguitando tutto quello che
dall'egregio architetto signor cav. Pietro Campore-
sej soprastante a'iavori, mi si è venuto mano mano
annotando, esporrò le riparazioni che vi sono state
eseguite. E senza piìi entro in materia.
PARTE PRIMA.
Istoria de ss, Vito e Modesto,
Molte sono le leggende, le cronache, e gli scrit-
ti che delle geste gloriose di questi santi martiri
vanno attorno; ma alcuni sono senza meno da re-
putarsi apocrifi, altri decisamente falsi, perchè man-
Diaconia, de'ss. Vito e Modesto 273
canti di ogni luce di verità, e di quella sana cri-
tica, la quale se vuol esser sempre la guida di tut-
te le opere dell'intelletto, a mille doppi deve poi
mostrare la sua face quando è discorso d'istoria. Il
Ruinart, ne'suoi atti sinceri de'martiri, niun motto
fa dei nostri santi, e solo in una nota agli atti di
san Cipriano li ricorda. Quel che ne scrissero il
f^aragine, il f^/gliega, il Ribadeneira, ed il Calca-
gni nella istoria di Recanali, di cui questi martiri
5ono protettori, se nella sustanza in molte parti po-
sa sulla verità, in alcune altre da essa si diparte:
o almeno questi scrittori scambievolmente si con-
traddicono in modo, che dubbia cosa sarebbe il ri-
portarsi alla loro autorità. Il perchè ho io stimato
bene di qui riferire quel tanto, che de'nostri santi
dice Adone nel suo martirologio. Nel quale divisa-
mento tanto più mi sono fermato , quanto che le
cose da lui narrate sono in gran parte confermate
dal Papebrochio, critico, come ognun sa, solennis-
simo. Ecco adunque come quell'antico istorico de'
martiri, sotto il dì quindici del mese di giugno ,
narra la istoria del martirio de'nostri santi: la qua-
le io niente altro fo che, a maggior comoditk de'
leggitori, voltare in nostro linguaggio.
» I santi martiri Vito, Modesto e Grcscen/Ja
videro la prima luce del giorno in Sicilia. Fino dal-
la prima età il giovinetto Vito pareva già fatto ma-
turo in ogni generazione di virtìi. Ila suo padre ,
fermissimo idolatra , tentò dapprima ogni via di
persuasione a ri trarlo dal culto che aveva abbrac-
ciato : e mentre nella sua cattiva mente molinava
dì ridurlo con gastighi a sua volontà , Vito , così
da un angelo ammonito , di notte tempo calatosi
in un naviglio, e tolti in sua compagnia Grescen-
G. A. T. LXXITT. i8
274 Letteratura
zia ch'era stata sua nutrice , e Modesto marito di
lei, dopo breve e felice viaggio approdò alle arene
della Lucania. Da lì a non molto tempo passato
venne egli ricerco e menato innanzi a Diocleziano
imperadore, affine di liberar la figliuola dal demo-
nio, da cui era posseduta ; ciò ch'egli ottenne col
mezzo dell'orazione. Quel principe iniquissimo, mol-
ti e larghi donativi impromettendogli, voleva pie-
garlo ad onorare i falsi iddii, ed all'in tutto l'a-
nimo del giovinetto dal santo e fermo suo propo-
nimento svolgere e tramutare ; ma in niente riu-
scendo nel perverso suo intendimento , comandò
che legato e stretto da dure catene venisse chiuso
in oscurissimo carcere, e con lui altresì Modesto e
Crescenzia. Appresso , quasi a ludibrio , li espose
nell'anfiteatro al cospetto di tutto il popolo. Dopo
questo li fé gittare in un bagno bollente di pece
e piombo liquefatto, entro cui i valorosi campioni
di Cristo, a somiglianza dei tre fanciulli della for-
nace, cantarono lietissimi cantici all'onore di Dio.
Usciti illesi di quella caldaia, fu loro lasciato con-
tra un lione ferocissimo, il quale ai santi martiri
pervenuto, in un attimo, messa giìi ogni naturale
ferocia, mansuetissimo s'accosciò loro ai piedi, ed
in segno di festa e di riverenza si diede a lambir-:
li. Da ultimo, vinto il sacrilego principe da tanti
fatti, e vedendo che la moltitudine presa alla gran-
dezza del miracolo traevasi tutta a seguitarli, e a
Cristo vero Iddio a convertirsi, impose che appa-
recchiata una catasta, ivi sopra le innocenti vitti-
me si distendessero. Mentre per così fatto e dispie-
tato modo erano i martiri di Dio tormentati, e le
ossa loro si dislaccavano e si scommettevano, d'un
subito videsi in ogni intorno farsi un tempo neris-
Diaconia de'ss. Vito e Modesto 275
slmo con un lampeggiare ed un tonare ne più ve-
duto, ne udito mai , e la terra scuotersi con tale
strepito e così violentemente, che i templi degli id-
dii crollarono a terra, molti sotto le loro rovine
frangendo ed ischiacciando. Fiorenza, donna nobi-
lissima e pietosissima, si fece con ogni stadio a rac-
cogliere i corpi dei santi martiri, ed in un luogo,
a otto miglia da Roma, chiamato Mariano.) oggidì
Marino (ove Tultlmo martirio con costante e gene-
roso animo sostennero), di aromi preziosi e di ogni
sorta di spezierie acconciatili , riverentemente li
seppellì. » E così ha fine la istoria di Adone.
PARTE SECONDA.
Istoria del tempio ed illustrazione
dei monumenti.
Narrata la istoria dei martiri, è ora a dover tes-
ser quella del tempio (1) : e per prima cosa ove
esso si sta. Giace la diaconia dei ss. Vito e Mode-
sto sul monte Esquilino , in macello martjrum ,
presso l'arco di Gallieno innalzato da Marco Aure-
lio Vittore. Vogliono alcuni che il nome di macel-
lo sia a questo tempio venuto dall'essere stato un
tempo poco lungi di la il macello liviano- ciò che
è un medesimo che dire il pubblico mercato: che
macella dagli antichi venivano nominati i mercati
(i) Debbo gran parte di queste notizie alla somma cortesia
4cl sig. abate don Salvatore Leoni, il quale delle cose romane
i de'tempi di mezzo, e specialmente delle ecclesiastiche , è assai
erudito.
276 Letteratura
de'commestlbili, come ce ne danno non dubbia te-
stimonianza que' versi di Plauto nell'AuIularia:
Venio ad macellum^ rogito pisce s'. indicant
Caros: agninam caram^ caram bubulam,
y^itulinam^ cetum^ porcinam^ cara omnia (1).
Altri poi più favolosamente che secondo verità, a
quel che io ne penso , si credono, e tra questi è
Pietro Martire Felini da Cremona, che ivi fosse la
casa di un solennissimo ladrone detto Macello , e
che da esso si derivasse il nome di macello limano,
detto poi ancora macello de'martiri (2). Io stimo
però che sebbene una tale denominazione possa ve-
nire da quella che in antico si ebbe il luogo non
molto lungi dalla nostra diaconia; pur non da'mer-
cati , macella , ma dalla voce medesima recata ad
altra significazione si derivi: voce già in uso nella
bassa ed infima latinità, e restata nel nostro comu-
ne volgare, in cui macello serve anche a significare
carni/lcina e strage. Ed in fatti Roma da'sacri scrit-
tori fu detta m,acello generale de^martiri: Ita una
Roma m,actandis Christi ovibiis generale quasi ma-
cellum erat (3). Il Boldetti , che scrisse dei cimi-
teri de'martiri, sembra che stia fermo in questa me-
desima sentenza là dove dice: » Oltre gli anfiteatri,
» i fori, e le pubbliche vie, dove dai gentili si fa-
» cea strage di popolo per la confessione di Cristo,
(i) Atto 2 scena 8.
(2) Nel suo trattato delle cose maravigliose dell'alma città
di Roma, a fac. 177.
(3) Thomas Stiiplet, De magnitudine romaaae ecclesiae ,
cap. VI.
Diaconia de'ss. Vito e Modesto 277
» v'erano ancora luoghi a parte per la carnificina de'
» medesimi, a'quali restò poi sino a'nostri tempi il
» titolo di macello de martiri (1). » E si farà sem-
pre più certa una tale opinione, sicché a mio giu-
dizio non possa più mettersi in dubbio , se alcun
poco si consideri che la denominazione di macello
si diede altresì a'iuoghi che tali non furono, poiché
ninna sorta di commestibili vi si spacciava; e cosi ma-
cellum martyriim fu detto quello j4d aquas salvias^
e l'altro chiamato Gatta iugiter manans^ ciò è a dire
il Gianicolo ed il Vaticano. E per mettere un fine
alle autorità, reciterò le parole stesse di Ottavio Pan-
ciroli , il quale nel 1625 cosi scriveva: » Da qui
» ( dal macello de'martiri ) credo sia venuta la di-
» vozìone di quelli, che essendo morsicati da cani
» arrabbiati vengono a questa chiesa ( a quella dei
» ss. Vito e Modesto ), e fanno benedire del pane ,
» e mangiatolo passano sotto quella pietra ( la pie-
» tra scellerata) (2), sopra della quale dalli cani
» arrabbiati dello inferno furono sbranate le mem-
» bra di tanti innocenti martiri, e secondo la fede
» e divozione così da Dio s'impetra la grazia della
» implorata santità (3). » Ed ancora a'dì nostri con
egual fede e divozione corre il popolo , ed in is-
pezialta la gente grossa della campagna , a cui spes-
so incontra d'esser morsa da cani arrabbiati, ed in
quel tempio usa le stesse divote pratiche: il per-
chè fattesi da un sacerdote recitare sopra la parte
tocca dal crudele morso certe peculiari orazioni , si
(i) Osservazioni su i cimiteri de' martiri, lib. I cap. XVIJ.
(2) Vedi Appendice, lettera A.
(3) Tesori nascosti dell'alma città di Roma, a fac. 8o5.
278 Letteratura
mette tutta carpone a passare e a ripassare sotto
quella pietra che fu tinta e Lagnata del sangue di
tanti martiri. E certo che il predicato di scellera-
ta alla pietra, ove furono mozzate quelle sante ed
innocenti vittime, per la barbarie e le scelleranze
che ricorda, sta pure assai bene: e con pili verità,
a mio pensare , che non 1' ebbero presso gli an-
tichi nostri e la porta carmentale, d'onde uscirono
i Fabii rimasi tutti uccisi alle acque del Cremerà;
e la strada dove la figliuola di Servio Tullio passò
col carpento sul cadavere del padre ucciso da Tar-
quinio superbo; ed il campo presso la porta col-
lina, ove le vestali colpevoli venivano sepolte vive;
ed in fine l'accampamento ove si morì Druso pa-
dre di Claudio imperatore»
Ora a voler dire tutto ( seguitando ) sulla po-
sizione del nostro tempio , non voglio tacere che
Anastasio bibliotecario nella vita di Leone III la
chiama de sardas, denominazione da non confon-
dersi col vico sardonum o sardoruni^ a trenta mi-
glia da Roma, citato dallo stesso biijliolecario nel-
la vita di Leone IV. Quel che Anastasio con la pa-
rola de sardas abbia inteso di significare, non mi
è venuto fatto, nel breve tempo accordatomi a det-
tare questa mia descrizione, di trovarlo, per quan-
to non abbia tralasciato di svolgere e di consultare
molti autori, ponendo a capo di essi lo stesso Ana-
stasio nelle due citate vite de' pontefici. Il perche
mi risto dal farvi parola sopra, lasciando che al-
tri di me più pratici in questa sorta di studi dichia-
rino e dilucidino la cosa a dovere. Dirò solo che
v'ha chi pensa, che una tale denominazione possa
derivare da qualche particolar genere di commesti-
bile che in abbondanza si spacciasse nel prossimo
Diaconia de'ss. Vito e Modesto 279
macello lìviano, e che avesse quel nome: su di che
però io non mi ardisco di pronunziare sentenza
alcuna.
Detto del luogo ove è posto il tempio, mi fa-
rò ora a narrarne la istoria per 'cjuel pochissimo
che se ne sa. Il citato Anastasio bibliotecario nella
vita di Stellino IV lo chiama chiesa antichissima:
Ecclesia certe s. f^lti ( sono sue parole ) in macel-
lo 'vetustissima in urbe est^ atqiie ibi monasterinm.
Questo monastero, di cui parla Anastasio, da mol-
ti si vuol che sia quel medesimo, di cui nell'otta-
vo secolo era abate il celebre monaco Filippo chia-
mato pontifex unius diei^ il quale portatosi al pa-
triarchio lateranense per farsi incardinare nella
usurpata dignità pontificia , ne venne a grida di
popolo discacciato : sì che uscito papa di s. Vito,
ritornò monaco al monìstero. E Fioravante Marti-
nelli è in questa medesima sentenza, dicendo: Ex
huiiis loci monasterio (recito le sue parole) asswn-
ptus fiat in pseudo-ponti ficem , tempore Stephanl
If^ 1 Philippus presbyter. Il cardinal Baronie, il
CiaCconio, il Bosio, il Panciroli, il Marliani, il Pan-
vinio, il Donati, il Nardini ed il Grevio, che par-
lano di questa chiesa, tutti sono uniformi in dire
che al cessare delle persecuzioni contra i cristiani
fu presso la basilica siciniana eretto il nostro tem-
pio ad onore dei ss. martiri Vito e Modesto. In
processo poi di tempo, essendo esso profanato per
un sagrilegio commessovi nei dì dello scisma d'Ur-
sìcino contra s. Damaso papa, rimase per lunghis-
simi anni abbandonato. Qui a dir vero montereb-
be assai il conoscere chi il sacrilegio commettesse,
e quale sì fosse; ma tanto i sovracitati autori, quan-
to altri ancora da me in proposito consultati, nien-
280 Letteratura
te dicentlone, è di necessità che dobbiamo in que-
sto desiderio rimanere.
Andando innanzi dirò, che, se devesi stare al-
Tautorita del Panvinio, la nostra chiesa sarebbe sta-
ta eretta in diaconia da san Gregorio il grande ( e
sarebbe la diciottesima tra le diaconie): dal che
seguiterebbe, che fino dal sesto secolo avrebbe do-
vuto essere in qualche celebrità ; ma come si ve-
drà nell'appendice, in cui ho stimato pregio del-
l'opera il dare cronologicamente la serie dei car-
dinali diaconi (1), essa non ha cominciamento che
dal secolo undecimo.
Sisto IV, pontefice di assai onorevole ricordan-
za, fu quegli che diede opera con grandi lavori a
riparare questo tempio : e per così fatto modo lo
ritornò in decoro, che poteva quasi dirsi di averlo
dalle fondamenta eretto; che anzi moltissimi, ma-
lamente interpretando il fundavit che leggesi nella
iscrizione che sta sopra la grande porta del tem-
pio, la quale dice
SIXTVS . mi . PONT . MAX . FVNDAVIT . UTT
caddero nell'errore di credere , che questo pon-
tefice fosse stato il primo che la chiesa ai ss. Vito
e Modesto innalzasse: non ponendo mente , che il
fundare^ oltre al ponere fundamenta, significa rem
aliqaam firmare, confirmare, stahilem reddere. Ed
in fatti in tal significato il verbo fundare fu ado-
perato da Virgilio quando disse:
(i) Vedi Appendice, lettera B.
Diaconia de'ss. Vito e Modesto 281
. . . dente tenaci
Anchora fundabat naves (1):
e poi per traslato : Fundare urbem legìbus (2) :
e COSI Plinio nel panegirico: Fundare salutem., se-
ciiritatem (3). Per tutti però valga ciò che il Du-
Cange, in fatto di questi studi reputatissimo, nota
al verbo fundare: Haud abs re fuerit hic obser-
vare^ non eos solum ecclesiae vel monasterii dici
fundatores qui primwn ecclesiam aut monasterium
extruunt, sed etiani illos qni instaurant et augent
maxime. Huius rei plura suppetunt in veteribus
tabulis argumenta (4).
Fermata per questo modo la significazione del
verbo fundare nel nostro senso, e dichiarato che il
pontefice Sisto IV non eresse, ma riacconciò questo
tempio, seguiterò dicendo come apertolo al pub-
blico culto vi stabili la cura delle anime, la qua-
le nell'anno 1566 passò nella prossima chiesa di
santa Prassede per nuova rovina che esso pati. Sotto
il pontificato di Sisto V, intorno l'anno 1586,
s'ebbero questa chiesa le monache dell' ordine di
san Bernardo: le quali per l'angustia del moni-
stero non potendo piii contenervisi, vennero man-
date a stare in quello di santa Susanna a Ter-
mini, ed in lor vece fu data a custodire a' mo-
naci cisterciensi della provincia romana, che ne
formarono la stanza del procurator generale dell'
ordine. Fu nell'anno 1779 che i cistcrciensi la-
(i)Lib. VI 3.
(2) LJb. VI. 8 II.
(3) Gap. 8.
(4) V. Mabillon in Stat. ss. ordinum S. Benedicti. Seec III,
Pars. I cap. 4o4- - Saec. IV, Pars I cap. 209.
282 Letteratura
sciarono e la chiesa ed il convento dei ss. Vild
e Modesto per passare a quello di santa Maria
in Carinis: ed alcuni cherici regolari mariani della
santissima concezione del regno di Polonia, sotto
il reggimento delle scuole somasche, entrarono in
vece de'monaci alla custodia del tempio. E cosi
si rimasero le cose fino al primo deliramente re-
pubblicano del governo di Francia. Nell'anno 1801
un modesto fraticello da Pistoia, per nome frate
Antonino dell'ordine de'predicatori, vi fondò un
piccolo conservatorio di povere zitelle: le quali,
durante l'autorità dell'impero francese, furono fatte
passare nel conservatorio Borromeo, e la chiesa
venne data ili rettoria ad un sacerdote secolare.
Nel 1813 una pia unione di sacerdoti ottenne la
casa, un tempo monistero, presso la nostra dia-
conia, e vi stabilì un ritiro a farvi gli esercizi
spirituali, in cui altri non sì ricevono se non i
giovani e gli uomini che vivono d'accattare il pane
limosinando. Finalmente tanto la chiesa, quanto la
casa che si sta presso, dalla san. mem. di Leone
XII nel nuovo ordine delle parrocchie di Roma
furono date a succursali della cura di santa Maria
Maggiore. Ecco, per quello che io ho potuto sa-
perne, la istoria del tempio. Facendomi ora a di-
chiarare e ad illustrare le memorie che vi si con-
servano, stimo bene di dar cominciamento dalle di-
pinture, le quali, per quanto non siano bellis-
sime opere d'arte, pure non voglionsi tralasciare
per non rendere mozza questa mia descrizione.
Tre sono gli altari che si vedono nella chiesa
del ss. Vito e Modesto; e tre sono le dipinture che
soprastanno ai medesimi. Quella del maggiore altare
rappresenta san Bernardo ginocchioni che adora la
Diaconia de ss. Vito e Modesto 283
Vergine , la quale si sta nel più alto del quadro
col bambino Gesù alle braccia: opera che il Ti-
ti (1) lia detto da alcuni credersi di Cesare Rosset-
ti, e da altri di Pasqualino Marini. Ma Francesco
Posteria ( come si appara dal Ranghiasci ), il quale
fece le aggiunte e le annotazioni all'opera del Titi,
dice essere di Andrea Pasquali di Recanati (2).
Chiunque peraltro sia stato l'autore di quell'opera^
ha essa assai perduto sì pel tempo che l'ha in gran
parte distrutta, e si perchè in quella età, non cer-
tamente favorevole alle artij vi fu collocato un cor-
nicione che passando in mezzo alla dipintura là ta-
gliò in gUisa^ che il santo adora di sotto al corni-
cione la Vergine che sta sopra; e perdutasi in tal
guisa ogni proporzione, vedesi il santo dottore datf
quasi del capo a quella informe opera muraria.
L'altare a destra , dedicato a san Vito , è a somi-
glianza dell'altro che gli sta di contro , foggiato a
modo di edicola; ma sembra però di un'architettu-
ra più antica di quella del secolo XV, in cui Si-
sto IV rinnovò il tempio. Della dipintura dell'al-
tare a sinistra di chi entra nella chiesa non met-
te conto il parlare: tanto pare che ella sia sotto la
mediocrith! Non così può dirsi dell'altro in onore
del nostro santo, in cui stanno affreschi di buona
mano, i quali senza meno sono da riportarsi all'e-
tà di Sisto. Sono essi spartiti in due piani ^ infe-
riore e superiore: nel basso la dipintura è con tre
pilastrini scompartita, tutti decorati con certi or-
(r) Descrizione delle pitture, sculture ed aixhitetture espo-
ste al pubblico in Roma. Pagliarini 1763.
(2) Annotazioni e aggiunte al Titi. Fac. 476.
284 Letteratura
nati che sentono lo stile di quel tempo, e forma-
no tre scompartimenti a maniera di nicchie. Nel
centro è la figura di santa Margherita vergine e
martire col dragone a'piedi; alla destra è san Seba-
stiano, ed alla sinistra san Vito rappresentato in un
gentile e bel giovinetto, che usa il vestire del decimo-
quinto secolo, ha bionda zazzera, e stagli a'piedi un
cane, certo a significare la speziai protezione in che
esso tiene coloro che cadono, per morsi di cani , nel
male della idrofobia. Nell'alto poi della divota anco- j
ne divisa a modo di cimasa, della parte inferiore della j
dipintura sta rappresentata Nostra Donna seduta in i
trono, con al seno il suo divin figliuoletto; alla destra
è santa Grescenzia nutrice di san Vito , ed alla sini-
stra san Modesto suo marito , amendue compagni al
beato giovinetto nel martirio e nella morte. Lo stile
di queste pitture tiene assai della secchezza di quel-
la etk, per ciò che spetta al disegno ed al trattar del-
le pieghe e del panneggio; ma sono assai da avere in ,
pregio per la veritk che si scorge nella espressio- j|
ne de' volti , e per la semplicità della composizione.
Ora quest'opera d'arte sarebbe molto da riputarsi, se
posto mente all'anno 1483 che vi sta segnato , e resi
pili certi dal confronto che un qualche valente arti-
sta facesse tra essa e l'affresco della pinacoteca vati-
cana in cui vedesi Sisto IV che prepone il Platina
alla custodia della biblioteca , e gli altri dell'anti-
ca tribuna della basilica dei ss. XII apostoli , i
quali ora sono nella sala capitolare di san Pietro
in Vaticano: sarebbe molto, dissi, da reputarsi se po-
tesse riferirsi a Marco degli Ambrogi detto Melozzo
da Forlì, che appunto allora trovavasi in Roma in
ufficio di pittore del pontefice , ovvero a qualcun
Diaconia dr'ss. Vito e Modesto 285
altro di que'valorosi artisti, che nell'età del Peru-
gino fiorirono ad onore di Roma e delle arti (1).
Questo è tutto ciò che in fatto di dipinture sta
nella chiesa de'ss. Vito e Modesto, e questo è pur tut-
to che per me poteva dirsene. Ora verrò ad una ad
una qui riportando tutte le lapidi che stavano nel
tempio: e di coloro, alla memoria de'quaii sono con-
sacrate, narrerò quei tanto in brevissime parole che
per le istorie se ne sa. La prima lapide, che si pre-
senta m mezzo alla chiesa, è quella di uno degli ulti-
mi cardinali diaconi di questo titolo, cioè di Giusep-
pe Livizzani modenese. Ecco come sta scritta;
JOSEPH
SANCTORVM . MARTYRVM . VITI . ET . MODESTI
S . R . E . DIACONVS . CAR . LIVIZZANI . MVTINENSIS
^ VIXIT . ANNOS . LXVI
OBIIT . DIE . XXI . MARTII . MDCCLIV
ORATE . PRO . EO
Questo cardinale fu segretario de'memoriall sotto il
grande pontefice Benedetto XIV, da cui venne crea-
to cardinale il dì 26 di novembre 1753: dignità che
gode per soli tre mesi.
(I) Faaos, confronto dal celebre pittore signor barone Camuc-
..' fZT^ "^ '''"'' '°° S'' ^^'" ^he si ammirano in varie
citta dell Umbna e specialmente nella piccola chiesa di s. Gia-
como f le eutà d. Spoleto e di Foligno, egli è nella ferma opi-
Spagóa '^P'^'^^S" '""'^^'"'^ ^ Giovanni Spagnuolo detto lo
286 Letteratura
Sopra questa lapide, più verso il maggiore alta-?
re, è sepolto il cardinal Fabio degli Abati Olivieri di
Pesaro, diacono ancor esso di cjuesto medesimo tem-
pio. Ecco la lapide che sta innestata nel pavimento:
B . O . M
FABIO . DE . ABBATIBVS . OLIVERIO . PISAVRENSI
DIACONO . SS . VITI . ET . MODESTI
S . R . E . CARD.
R . CLEMENTE . XI . P . M . CONSORBINO . SVO
SVCCESSORI . A . PONTIFICIIS . DIPLOMATIBVS
SIRI . SVBSTITVTO
INTER . VTR . SIGNAT . REFERENDARIOS
LATERANENSIS . BASILICAE . CANONICOS
ET . PROTONOTARIOS . ADLECTO
DEMVM . POST . EIDEM . COLLATAM
APOSTOLICI . PALATII . PROPRAEFECTVRAM
IN . PVRPVRATORVM . PATRVM . COLLEGIVM
PRID . NON . MAI . AN . MDCCXV . COOPTATO
yiRO . ANIMI . MODERATIONE . IVSTITIA . PIETATE
OMNIBVS . ORDINIBVS . SPECTATISSIMO
PHILIPPVS . DE . ABBATIBVS . OLIVERIVS
FRATRIS . FILIVS
BENEDICTI . XIV . AB . HONORE . SACRI . CVBICVM
PATRVO . OPTIMO . POSVIT
VIXIT . ANN . LXXIX . M . IX . D . Vili
PBIIT . V . ID . FEBR . A . MDCCXXXVIII
ORATE . PRO . EO
Fabio degli Abati Olivieri di Pesaro fu cugino aj
Diaconia de'ss. Vito e Modesto 28T
pontefice Clemente XI, per esser nato di Giulia Alba-
ni sorella al padre di esso pontefice. Sendo stato no-
minato pro-maggiordomo, fu innalzato al cardinala-
to da Clemente il dì 6 di marzo, correndo l'anno
1715. Poscia venne eletto segretario de' brevi, nel
cui officio servì eziandio i pontefici Innocenzo XIII
e Clemente XII. Era nato il dì 29 di aprile 1656,
e morì il dì 9 di febbraio 1738.
In terra, a sinistra delle due trascritte lapidi,
si legge questa iscrizione:
MCCCCC
D . o . M
DEPOSITV . ADAMATIS
QVONDA . VXORIS
ANTONII . DE . NOVAPJA
ANO . IVBILEI
DIE . 24 . lyNH
i5oo
pili si fosse questo Antonio da Novara noi so, niun'
altra memoria essendovi di lui che la lapide stessa.
Io avviso però, che essendo stata questa chiesa per
qualche anno cura di anime, può essere assai fa-
cilmente intervenuto che nel trovarsi il buon An-
tonio da Novara di stanza nella parrocchia, essen-
dogli mancata la consorte, volesse con questa sem-
plice iscrizione lasciarne una memoria agli avvenire.
Ancora innestata nel pavimento stava la ser
guente iscrizione:
288 Letteratura
D . O . M
HIC . HIERONYMI
NIGRI . VERONEN
EPI . CLVGIEN
OSSA . REQVIESCVNT
CAROLVS . lANVTIVS
F . F
ANNO . D . MDLXXXVI.
Girolamo Negri veronese, protonolario apo-
stolico, successe nel vescovato di Chioggia a Fran-
cesco Pisani veneziano il dì 18 di ottobre 1573.
Dopo aver egli retta lodevolmente per cinque anni
quella chiesa, avendola rinunciata, se ne venne a
Roma, dove non molto appresso morì.
Alla destra del tempio sul pavimento si leg-
geva quest'altra iscrizione mancante in qualche
parte:
D . o . M
D . BALDVINO . MORELLO . S . TI
EX . BELGIO . ORIVNDO . MON ,
ROSERIIS . IN . GOMITA
BVRGVNDIAE . ABBAT . RE
ROMAE . APVD . 8 . PONT
ORDINIS . CISTERC
VICARIO . AC . PRO
GENERA
OBIIT . AN . SAL
AET . SV
DIE . XX
Diaconia de'ss. Vito e Modesto 289
In mezzo era lo stemma con sopra l'impresa, e
sotto vi si leggeva:
GRATI . ANIMI
MONVMENTVM . POSVIT
Ninna notizia posso io dare di questo abate cir-
sterciense, e ninna hanno saputo darmene i ci-
stcrciensi stessi, avendo essi ne'passati rivolgimenti
politici perduto l'archivio in cui erano conservate
le memorie piìi solenni del loro ordine.
Sopra a questa iscrizione un'altra n* era che
cosi diceva:
G.A. T.LXXIII. 19
290 Letteratura
D . o . M
HIC . lACET . RDVS . ADM . D
FELIX . RECHETMBERGER
HVIVS . YEN . ABATIAE . B . M
DE . PLASSIO
INCLYTI . ORDINIS . CISTERCIENSIS
IN . BOEMIA
RELIGIOSVS . PROFESSVS
ET . IN . COLLEGIO . STI i BERNARDI
PRAGENSIS
SAC . THEOL . PROFESSOR
ROMAM . VENIT . DIE . IV . NOVEMBRIS
MDCCXXXVIII
ET . DIE . IX . MENSIS . EIVSDEM . PIISSIME
OBDORMIVIT . IN . DOMINO
REQVIESCAT . IN . PACE
AMEN
SEPVLCHRALEM , HVNC . LAPIDEM
APPONI . CVRAVIT . RMVS . DD
PHILIBERTVS . QVARRE
ABBAS . DE . VTERINA . VALLE
ET . ORDINIS . CISTERCIENSIS
APVD . STAM . SEDEM
GENERALIS . PROCVRATOR
Questo religioso , alla cui memoria è intitolata lai*
lapide, fu professo nell'abazia di Nostra Donna di m
Plus, in latino Plassumj nella diocesi di Praga nel
DiAcoitiA dk'ss. Vito e Modesto 291
régno di Boemia: e più di quello die nella lapide
è ricordato, non mi è venuto fatto di sapere di lui.
L' abate Filiberto Quarre fu abate di Casserthal
nel ducato un di, ora regno di Wittemberga, dio-
cesi di Spira. Sendo aì)ate , nel capitolo generale
dell'anno 1738, celebrato nel mese di maggio, fu
eletto a procuratore generale. Morì a'24 di aprile
1739. Queste notizie del Quarre ho io potuto estrar-
re dalla lapide che in memoria di lui sta nella chie-
sa di santa Croce in Gerusalemme, chiamata basilica
sessoriana, di contro all'altare di sant'Elena: ed è
ivi predicato nomo per santità di vita, per dot-
trina, per erudizione e per prudenza chiarissimo.
A sinistra dell'aitar maggiore sta il piccolo de-
posito del cardinal Carlo Visconti, col ritratto del
medesimo in marmo, sotto di cui cosi sta scritto:
B . O . M . IlAROLO . VICECOMITI . MEDIOLANENS . S . R . E . CARDINALI
QVI » A . PIO . un . P . M . E . SENATV . REGIO . AD . EPISCOPATVM
i IWDE . AD . CARDINALATVM . PROVECTVS . MVLTIS . AD . REGES
*' IMPERATOHESQ . LEGATIONIB . SVMMA . CVM • LAVDE . PERFVNCTVS
: VETVSTISSIMAE . GE>'ERIS . SVI . NOBILITATI . PRAECLARE . OMNI
11 EX . PARTE . RESPONDIT • VIXIT . ANN . XLII . OBUT • HOMAE . ID
I
HOVEMB . AN . SAL . M .DLXV . KAROLVS . VICECOMES . ALB12AT1
COMES . MAGNO . PATRVO . B . M . P .
Io mi penso che più di ciò che si legge nella la-
pide non possa dirsi di questo cardinale, rapito sì
giovane alla chiesa, all'imperio ed alla patria. Solo
aggiugnerò, che egli fu diacono de'ss. Vito e Mo-
desto, ed uscito di nobilissima famiglia milanese
j come fu quella de'Visconti: e che essendo stato già
Ij ambasciadore della sua patria alla maestà di Filip-
po II, e protonotario apostolico e vescovo di Venti-
292 Letteratura
miglia, ascese al cardinalato, in cui dopo poco tem-
po mori.
Or passando dietro l'abside del grande altare,
vi si trova la seguente iscrizione ;
FEDERIGVS . COLVMJyfA ' •
PALIANI . PRINCEPS
A . RABIDO . CANE , ADMORSVS
B . VITO . LIBERATORI . SVO
AEDEM . RESTAVRAVIT
A . D , M . DG . XX
Federico Colonna, principe di Paliano e di fiute-
rà e duca di Tagliacozzo, fu figliuolo primogenito
del gran contestabile Filippo e di donna Lucrezia
TomacelH, e tenne ancli'egli la dignità di gran con-
testabile del regno di Napoli. Uomo valorosissimo
della sua età, avendo militato in Ispagna, entrò tan-
to nella grazia del re Filippo, che lo v'olio con-
giunto in matrimonio con una sua parente, cioè con
donna Margherita d'Austria ereditaria de'principati
di Butera e di Pietrapercia, nata da Giovanna d'
Austria figliuola a quel famoso che vinse i turchi
alle Echinadi. Quindi fu viceré d'Aragona, e mori
gloriosamente difendendo Tarragona assalita da*
francesi e da'catalani. Questi morso da un cane, e
rimaso libero dalla rabbia di esso per intercessio-
ne di san Vito, sciolse il suo voto, racconciando I^
nostra chiesa a questo santo intitolata,
Sotto questa iscrizione sta la grande lapide, in
cui si parla della solenne consagrazione fatta del
tempio dei ss. Vito e Modesto dal cardinale Enrico
Caetani, e della concessione formale che nel mese
di febbraio dell'anno 1586 il pontefice Sisto V HQ
Diaconia de'ss. Vito e Modesto 293
diede alle monache di san Bernardo. E perchè nul-
la manchi in questa mia descrizione, ecco che qui
la riporto a parola:
D . O . M . MDLXXXVI . IDIB . FEBRVARII . S . D . M . SIXTVS . PP . V
CONCESSIT . HAC . TIT . ECCLIAM . CONFHIB . S . BERNARDI . PROCVRAN
F . MICHAELE . ALEXANDRINO . ET . DECIO . AZZOLINO . CARDD
PATHONIS . PRO . MONRIO • MOSflALIV . A . D . CONFRATE. COIVSTRVEN
REMANEN . TN . DENOMINATIONE . TT . CARD . QVAM . DIE . XX
MARTII . EIVSDEM * AN . ENRICVS . S . R . E . TI . S . PVDENTIANAE
PRAESB . CARD . CAIETANVS . ET . PATRIARCHA . ALEXANDRIN . ASSISTE.V
SIBI.RAPHAELtO.BONÉLLO.ARCHIEPO.RAGVSlNO.CAMltLO.DADDEO. EP
ERVGNATEN . CVRTIO . ClNQVlNO « DIAC . ET . XPHARO . EVBALO . SVB
DIAC . CANCIS . BASIL . S . M.M * CONSECRAVIT . AD . HONOREM . SS . VITI
MODESTI . ET . CRESCENTIAE . MARTYR . AC . BERNARDI . ABB . ET. IN
ALTARI.MAIORE.INCLVSIT.RELIQVIAS.SPIOR^SS.MARTYR.ET.SS.IACOEI
MAlORIS . APLI . MARCELLI NI . PP.ET . MART . GREG . PP . PMI . BIBIANAE
VIRG.ET . MART.ET . ALIOR . PLVRIMOR . SS.INSTANTE . PETRO . FVLVIO
V . I . D . PRIORE . HORATIO . FVSCHO . ET . ANDREA . ARBERINO
CVSTODIBS . AC . CAMILLO . CONTRERA . CAMERARIO . PRAEFATAE
CONFRATERNITATIS
A toccare alcun che dei porporati ricordati in
questa iscrizione, dirò essere il cardinale Michele
alessandrino il cardinale Michele Bonelli nipote di
san Pio V, da cui fu onorato della porpora in età
di venticinque anni nel 1556. Nell'anno 1568 fu
fatto carmelingo di santa chiesa, e appresso gran
priore in Roma dell'ordine gerosolimitano , e ve-
scovo di Albano. Fu uomo gravissimo, e di gran-
dissima autorità nelle cose della chiesa anche sotto
i seguenti pontefici. Morì nel 1598 d'anni 57. Il
cardinal Decio Azzolino di Fermo da segretario di
Sisto V, e da vescovo di Cervia, fu da esso pon-
tefice innalzato alla sacra porpora nell'anno 1 585,
294 Letteratura
e fatto arciprete della liberiana basilica di santa
Maria Maggiore; morì giovanissimo nel 1587, non
avendo oltrepassato gli anni 38 della età sua. Da
ultimo il cardinal Enrico Caetani romano, dei du-
chi di Sermoneta, da Sisto V ebbe il patriarcato
alessandrino, e nell'anno 1585 la porpora. Sosten-
ne pili legazioni, e quindi fu carmelingo. Ebbe fa-
ma di principe sovra ogni dire caritatevole, e per si
fatto modo, che per far limosine vendè tutti i suoi
vasi sacri e tutte le suppellettili. Pienissimo di me-
riti si morì nell'anno 1599, sendo nato nel 1550.
Avendo, come meglio ho potuto, dichiarati i
monumenti, ed illustrate le memorie che si cout-
servano nella celebrata diaconia dei ss. Vito e Mo-
desto (le quali nella più gran parte, a cagione de'
nuovi lavori ivi eseguiti, sono state raccolte in un
androne dietro il maggiore altare), è a doversi par-
lare da me al presente del plìi classico monumento
che ivi medesimo si stia; intendo dire della pietra
denominata scellerata^ che alla pubblica venerazio-
ne, chiusa in un ferriata, si giace dal lato destro
dell'altare ai nostri santi martiri intitolato. Ecco
ciò che vi si legge sopra:
Diaconia de*ss. Vito e Modesto 295
AETERNAE . ANIMAE
L . AELII . TERTI . CAVSIDIGI
QVAE FVIT . CON
BIGIO ANNIS
XXX
CVIV
PERV
ARME.... DVL
GISSIMO . Fino . L . AELIVS
TERTIVS . PATER . HVNG . PLAGEN
TIA . HABET . PATRIA . QVEM . ROMA
GREAVIT . MARMOREO . POSI
TVM . SOLIO . ARAMQVE . SAGRA
VIT . IN . HORTIS . ALLI . FILETIANI
CARISSIMI . AMICI . CVRANTE
L . AELIO . COMA . PATRVO . FILIO
INNOGENTISSIMO
E nella base sta
ANGPOniNA
E perchè a me piiace sempre dì riferir le cose a
cui si spettano, voglio che per ognuno si sappia,
come per mia mala ventura essendo io poco o nulla
sperto in questa sorta di studi lapidari, ho voluto
consultarne tre miei dotti ed onorandi amici, il ca-
valiere Pietro Ercole Visconti, il reverendo padre
Giampietro Secchi della compagnia di Gesti, ed il
marchese Giuseppe Melchiorri, ciascuno de' quali ,
cortesissimo com' è per bontà di animo , mi ha a-
perto il suo parere ; ed ecco ciò che intorno ad un
tal monumento può dirsi.
396 Letteratura
La iscrizione, che qui sopra ho riportata a pa-
rola, trovasi stampata nel Fabretti a facce 387, e
nel Muratori a facce 667, 5. Il Fabretti ha stam-
pato Allius, ed il Muratori Aeliiis : dicendo il se-
condo : ex Ligorio. E questa volta davvero Pirro
non è stato impostore, perchè il Muratori ha detto
appuntino come visibilmente si legge nel marmo.
Or ecco che il Fabretti, stampando Allius^ in luogo
di Aelius^ toglieva questa memoria alla famiglia Elui
per darla aiìì'Allia, che vi apparisce solamente in
Allio Filetiano amico e non parente, negli orti del
quale stette il sepolcro. Nelle linee 3, 4, 6, 7 sono
nel Muratori alcune lettere che mancano nella copia
del Fabretti. Singolare è altresì, a quel che ne dice
il Visconti, fondatosi sulla autorità del Grutero (1)
e del Fabretti (2), il leggersi in questa lapide al
luogo della solita intitolazione agli dei mani quella
affatto non usata aeternae animae, che è la più ma-
nifesta prova che in marmi scritti si abbia della
speranza di una vita avvenire non ignota ai gentili
medesimi. La qualifica di causidico^ con la quale è
chiamalo L. Elio Terzo, ci fa conoscere la condi-
zion sua. Le linee perdute, che il Fabretti annota
dicendo r Ubi lacuna vertitur, lapis in medio ex-
ca\>atus est, et circiim circa attritus contactu et o-
sculis Christi fìdelium : ne dicevano la età. Il pa-
dre, omonimo al figliuolo, è quello che pone il mo-
numento: e, secondo l'uso che gli antichi avevano
di dettare essi medesimi le funebri loro memorie
poste ai più cari, forse egli fu l'autore de' due se-
(i) Fac. CCCCXXIV n, 5, e MCVH. n. 2.
(2) Fac. 378 a 379.
Diaconia, de'ss. Vito e Modesto 297
guenti versi esametri scritti assai alla buona, se pure
non uscirono dal dettatore dell'epigrafe contra sua
voglia : e sono :
Himc Placentia habet, patria quem Roma creavit.
Marmoreo positum solioj aramqite sacravit.
Vi sono due sbagli di quantità, uno de' quali po-
trebbe difendersi : sono però amendue chiarissimi.
Da questo tratto della iscrizione ad alcuni si fa ma-
nifesto (alla sentenza de' quali io fortemente m'acco-
sto), che il causidico L. Elio Terzo era nato in Roma,
e morto in Piacenza : ad altri pare che invece fosse
egli nato in Roma, ed avesse avuto stanza, forse per
diritto di cittadinanza o per alcuna particolare magi-
stratura, in Piacenza. Questi si confortano delle pa-
role marmoreo positum solio, e dell'essere in Roma
il cippo : quelli oppongono , che il cippo può ben
chiamarsi un cenotaffio posto negli orti di Allio Fi-
leziano, e che il dirsi Placentia habet, e non habuit,
chiaramente indica ch'Elio Terzo stava allora in Pia-
cenza; ne in altro modo poteva starvi, che morto. Ed
aggiungono, che questo Placentia habet fu probabil-
mente imitato dal tenet Parthenopes della famosa la-
pide del sepolcro di Virgilio. Seguitando poi il pa-
rere del chiarissimo padre Secchi non è piìi a porsi
in dubbio, che Aelius Tertiiis ed Aelius Coma sieno
que' due personaggi medesimi che compariscono in
un marmo matteiano pubblicato dal Grutero (1), che
l'ebbe dal Gudio, poscia dalfAmaduzzi (2) e dal Cor-
(i) Grutero p. 1090: i4> iS, i6.
(2) Mouum. Matthaelan. Clas, X, inscript. n. 2, voi. IH
fac. io3.
298 Letteratura
siili (1). L'ara matteiana è scritta da tre Iati, e vi si
legge così ;
Dì faccia
HIG . CONSERVATA . EST
SEX . AELI . TERTI . GONIVX
SERGIA . SYNTIGHE . SERGI
PAVLI . QVONDAM .' PR AEF
VRB . ALVMNI . GHRYSIPPI
ALVMNA . FEGERVNT . AELII
TERTIVS . ET . GOMA . INGOM
PARABILI . FEMINAE
^l lato destro
D.M
SEX . AELI . VIGTO
RIS . SGRIBAE . QVAE
STORI . FEGERVNT
AELII
TERTIVS . ET . GOMA
PATRVO
u^l lato sinistro
D.M
L . AELI . PERPETVI
LEGATIONE . FVNGTI
PATRIAE . SVAE . COLONI
AE . VLPIAE . THAMVCA
DIS.EX .NVMIDIA
FEGERVNT
AELII . TERTIVS . ET . GOMA
FILII . LEVGADIO
(i) Series praef. iirb. fac. 8x, 82.
Diaconia de'ss. Vito e Modesto 299
Per le quali epigrafi è a doversi conchiudere, che
questa famiglia (giusta le deduzioni savissime del lo-
dato padre Secchi) era aflfricana, e venne in Roma fino
dal tempo dell'imperatore Adriano: imperocché il
Marini (1), abbandonate le ragioni non vere del Cor-
sini che assegnò all'anno di Cristo ITO la prefettura
di quel Sergio Paolo, la fissò all'anno 173 circa, ed a
Sergio aggiunse il prenome di Lucio sulla fede di
una base pel Marini medesimo pubblicata : e per
questo modo abbiamo noi un' epoca certa da asse-
gnare a questo marmo di s. Vito, detto pietra scelle-
rata. La nostra iscrizione facilmente, se non è come
la lapide scellerata, è certo gentilesca, ad onta di
t^ìXQÌV animae aeternae del buon avvocato Elio Terzo,
il quale era probabilmente platonico. Questa frase fa
un bel contrasto coli'
ANePQniNA
come vuole il chiarissimo padre Secchi che si scriva,
e non già come scorrettamente sta nell'originale: pa-
rola che latinamente suona il medesimo che umanitus^
ovvero humanam est, ed in volgare è cosa umana,
ovvero è umano, o meglio umano è. Da ultimo è d'av-
vertire, che tantp il Fabretti, quanto il Muratori omi-
sero di notare, forse perchè non l'osservarono a ca-
gione del guasto grandissimo della pietra, che dal lato
sinistro vi sta una patera, come dal lato destro (na-
scosto al presente dal muramento) doveva essere il
prefericolo: il perchè il nostro monumento, piut-
tostochè pietra sepolcrale, deve chiamarsi cippo.
(i) Lettera di Clemente Cardinali intorno alla serie dei pre-
fetti di Roma del Corsini, pag. 26, osservazione XXXVII.
300 Letteratura
E qui avrebbero fine le memorie, che nella no-
stra diaconia si conservano : se non che date queste
ad esaminare ed a raffrontare al mio chiarissimo ami-
co signor cavalier Visconti con un suo prezioso codi-
ce, in cui si vedono diligentissimamente scritte tutte
le lapidi che si leggono nelle chiese di Roma, ho avu-
to da lui la notizia, che il celebre Mazzocchi aveva
pubblicato una iscrizione, la quale al suo tempo tro-
vavasi nella chiesa dei ss. Vito e Modesto nel basa-
mento dell'aitar maggiore (1). Stando così la cosa, ho
io stimato bene di qui riferirla, e di darne la illu-
strazione. Così si legge :
FL . EVRIGLES . EPITYNCANVS . V . G
PRAEF . VRB . CONDITOR . HVIVS . FORI
CVRAVIT
Nel Iato medesimo sta scritto :
COLL . X . KAL . FEBR
ARRIANO . ET . PAPO . COS
Ancor questa iscrizione e stata da due pubblicata, dal
Grutero cioè (2) e dal Corsini nella sua opera della
serie de' prefetti di Roma (3) all' anno 243 dell* era
volgare; ma questo secondo, per quanto sia stato dot-
tissimo in antichità, è caduto in un'assai grave inesat-
tezza, avendo tralasciata la voce curavit, e malamente
congiunta la iscrizione d'un lato con quella dell'altro
(1) Mazzocchi, Epigr. anticjuae urbis cap. XXXV.
(2) Fac. i68. 7.
(3) Fac. 129.
Diaconia de'ss. Vito e Modesto 301
senza darne contezza. Egli ci fa conoscere che VEpì~
tincano prefetto della ciltk, di cui è qui discorso,
sostenne la sua dignità l'anno di Roma 996, di Cri-
sto 243 (1). Spiega inoltre il compendio Coli, per col-
locavit ; ma il chiarissimo padre Sacchi stima che
sia un participio da riferirsi alla statua posta su que-
sta base ; ed intanto egli così opina, in quantochè la
iscrizione ricorda un forum, che probabilmente era
dinanzi la basilica di Siciaiino, situata, come ognun
sa (2), fra le chiese di san Vito e di sant' Antonio
abate; e d'altronde quasi nessun foro di basilica ne
mancava (3). Il Visconti per contrario crede, che
questa opera pubblica dì un foro possa riferirsi alla
rinnovazione fatta del macello liviano sotto nome di
foro : come il forum olitorium, piscarium,: e ciò, se-
condo lui, sarebbe prova che quel nome non durò
fino alla seguente età. I consoli finalmente nominati
nella iscrizione erano L. Annius Arrianus e C. Cer-
Sfonius Papus nell'anno V di Giordano III e di Ro-
ma 996 (4). Ce li dà intieri un diploma militare
pubblicato già dal grande Marini (5), ed ultimamen-
te dal chiarissimo Clemente Cardinali (6).
E qui abbia fine la seconda parte di questa
mia descrizione.
(i) Corsini a fac. iQg.
(2) Nardini, Tom. II fac. 4i. Nibby nota 2.
(3) Grutero fac. 7, e Nardini.
(4) Eckhel D. N. V. VII fac. 3i3r
(5) F. A. pag. 466 n. XIII.
(6i Dip. mil. fac. XXV.
302 Letteratura
PARTE TERZA.
Nuovi lavori operati nel tempio.
Non potranno mai da' cortesi leggitori giusta-
mente pregiarsi i nuovi lavori operati nella dia-
conia de'ss. Vito e Modesto sull'Esquilino, se prima
con parole brevissime da. me non si dà un cenno
di ciò ch'era questo tempio fino a tutto il mille
ottocento trentasei. Certamente non in Roma, ma
quasi nel piìi riposto e deserto contado, non era
chiesa che più di quella mettesse ribrezzo a chi vi
entrava, sia che si fosse fermato a ragguardarne
il tutto , sia che diligentemente si fosse fatto ad
esaminarne a parte a parte il fabbricato. Piuttosto
che reputarla un tempio consagrato ad onorare Id-
dio, sarebbesi avuta per una spelonca e forse peg-
gio. Era fa in sul liminare un bussolone, a somi-
glianza di rastello, di cui più villana cosa non po-
trebbe immaginarsi; una scala di legno, a pubblica
veduta di chi entrava in chiesa, menava sopra ad
una cantoria si rozza e si goffa, che ninna maniera
di disegno se ne sarebbe potuta trarre, e tutta nel
parapetto formata a travicelli entro il muro inte-
stati. Le pareti erano oltre ad ogni dire brutte e
deformi: un bianco opaco tutte da cima in fondo
le velava: qua e la n' erano venuti a terra gli in-
tonachi, e mostravano il mal fermo stare di esse,
ed in ispezialta quelle alla sinistra parte vedevansi
imbevute dalla umidita, e pel salnitro intromes-
sovisi comprese da muffa e tramandanti fetore; e ciò
a cagione del campo santo, che da quel lato nel-
l'esterno aveva il suo terrapieno addossato alle pa-»
Diaconia db'ss. Vito b Modesto 303
reti della chiesa, in un'altezza di piìi palmi mag-
giore al piano di essa. E questo piano oh che mi-
serabile cosa era a vedersi! Perchè tutto formato a
mattoni, nella piìi gran parte spezzati o corrosi dal
tempo e dalle acque piovane che giù dai tetti vi
cadevano sopra. Di soffitto non parlavasi punto, e
tutte vedevansi a giorno le armature del tetto, le
quali in qualche punto, perchè putride e logore,
fortemente minacciavano di rovinare e precipitare
a terra la parte superiore del tempio. L'abside, che
ab antico era stato fatto nel maggiore altare, con
barbarie non più veduta né udita mai, venne nel
passato secolo chiuso in guisa, da formare un qua-
drilatero. In jSne per compire sì miseranda descri-
zione è a dirsi, che piuttosto che lasciar quella chie-
sa in uno stato di così grande sconcezza, indegna
di un santuario, valeva assai meglio distruggerla e
pareggiarla al suolo: perchè se Iddio in c^uel tem-
pio non sarebbe mai più stato adorato , almeno
non sarebbe andato incontro a riceverne, con que-
gli sconci che mostrava , disonore e vergogna. Ma
r ottimo nostro principe , il santo padre Grego-
rio XVI di ogni più bell'opera amantissimo, non
poteva permettere che una chiesa sì celebrata per
antichità, e da un suo antecessore eletta a succur-
sale della basilica liberiana, o cadesse a terra per
vecchiezza, o si rimanesse in quello stato di vitu-
perevole decadimento. Il perchè, approvati i consi-
gli di S. E. Rma monsignor Antonio Tosti tesoriere
generale, ordinò i nuovi lavori che a quel tempio
si convenivano, commettendone la direzione a quel-
la speziai commissione deputata alle fabbriche ca»
merali, di cui trovasi degnamente a capo il signor
don Prospero Sciarra Colonna principe di Roviano.
304 Letteratura
il quale se in ogni cosa che dal sovrano gli si com-
mette pone amore e zelo grandissimo , in questi
lavori ha saputo mettere si fina diligenza, e sì fran-
co e regolato procedimento, che si è ottenuto il fi-
ne che dal sovrano medesimo si bramava con po-
chissimo dispendio del pubblico erario. Il che sia
qui detto a lode di quell'illustre cavaliere , ed a
confessione del vero.
Or ecco ciò che in quel tempio si è operato.
Le armature dei tetti nella più gran parte sono
state rinnovate , e tutti generalmente racconciati ,
non intralasciando di porre ogni possibile studio in
ben fermare la solidità di que'muramenti, che for-
mano l'insieme del fabbricato, e che più partico-
larmente sostengono la grande copertura dei tetti
medesimi. Le armature de'tetti vedonsi ricoperte di
un soiHtto a lacunari di forme quadrilatere a va-
rie grandezze, spartito da fasce, o costoloni, a sim-
metrica disposizione: fra'quali sta, come è dovere,
in veduta quello di mezzo di forma ettagona, en-
tro cui è dipinta la impresa del pontefice regnan-
te, chiusa a festoni di forma elittitìa a foglie d'al-
loro. Negli altri lacunari si vedono a chiaroscuro
variamente dipinti diversi involucri e rosoni di or-
nato, come dicesi, a frappatura. Le pareti sono di-
pinte a somiglianza di un binato di pilastri d'or-
dine ionico , ai quali soprasta la trabeazione che
investe il già detto soffitto. Tre binati per ciascun
lato maggiore si veggono disposti in maniera, che
ì due altari laterali stanno nel mezzo del prima
binato verso il grande altare, e gl'interpilastri , non
che i pilastri medesimi, sono a svariati colori di-
pinti ad immitazione de'marmi. Ciò fu operato dal-
l'ingegnere romano signor Giuseppe Frattini.
Diaconia de'ss. Vito e Modesto 305
L'essere stato con provvido consìglio abbattuto
il muro che chiudeva l'abside, ha reso il maggior
altare tutto isolato, e si vede bello e maestoso qua-
si signoreggiare il tempio. Quindi, coU'opera del-
l'architetto signor cav. Gamporese, all'abside è sta-
ta ricostrutta la volta a foglio di mattone , ed in
essa stanno spartiti de'cassettoni a croce greca, con
un fondo azzurro, a guisa di smalto; in fine le pa-
reti, che girano sotto le imposte della volta, sono
state divise e dipinte a grosse pietre di marmi.
L'aitar maggiore e l'anterior presbitero sono
chiusi da una nuova balaustra a due portate , di
marmo carrarese e di altri mischi, sopra un gra-
dino a tutta larghezza della chiesa, formata da una
base ed otto pilastri con isfondi di marmo detto
porta santa, che sostengono la cimasa simile di car-
rarese. Essi pilastri suddividono sei spazi, quattro
de'quali raccliiudonsi a griglie di marmo, e due a
balaustri di marmo frigio detto paonazzetto. Una
terrazza alla veneziana nel piano piii elevato del
presbitero e dell'abside ne forma il pavimento, a
scomparto di variate tinte a fasce, che lo racchiu-
dono ad imitazione de'marmi.
La dipintura a fresco del san Bernardo in atto
di adorar la Vergine, che stava nel maggior altare
di questo tempio , perchè dagli intendenti venne
giudicata meritevole di conservarla alla istoria del-
Tarte, è stata dal muro distaccata dal valente ar-
tefice signor Pellegrino Succi , e riportata in tela
con quell'apparecchio e maestria che soltanto qm
in Roma conoscesi; ed altro quadro è stato a quel-
la dipintura sostituito (1).
(i) La dipiuFura è stata incassata nel muro dietro 1' aitar
maggiore.
G. A. T. LXXin. 20
306 Letteratura
Di contro al maggior altare si è fatto un nuo-
vo coro, il quale è sorretto da due colonne d'or-
dine dorico , e da due pie diritti che intestano ne'
muri laterali: uno de'quali chiude in se una scala a
chiocciola per ascendervi sopra, essendosi nell'altro
formata una piccola stanza a fine di rìporvi qualche
arredo del tempio. Tutto questo coro, o cantorìa che
voglia chiamarsi, è collegato con la trabeazione pari'
mente di ordine dorico; sopra cui una continuata
sponda di balaustri di doppio ventre , come dicono
gli architetti, interrotti da pilastri, racchiude e cin-
ge il luogo deputato a quel sacro rito di salmodia.
Nell'altezza poi dell'arcbitrave e del fregio , sullo
spazio dell'intercolunnio di mezzo , si legge questa
iscrizione;
OMNIPOTEWTI . DEO . SACRVM
IN.HQNOREM.SANCTORVM.VITI.MODESTI.ET.CKESCENTIAE.MARTYRH.
AEDEM . A . 3AECVL0 . CHE • lUI . CELEBREIW
QVAM . SIXTVS . lUI . P . M . AB . INCHOATO . REFECIT
GREGORIVS . XVI . P . M . VETVSTATE . DILABENTEM
WOVO • CVLTV . RESTITVIT . AN . M . DCCC . XXXVII
CVEAM . AGENTE . ANI . TOSTIO . PRAEF . AEHAhI
Gli antichi altari laterali , de'quali nella seconda
parte di questa descrizione ho dato qualche cenno,
sono stati ridipinti a foggia di marmo bianco per
metterli in armonia col restante di tutta la chiesa.
Il pavimento poi è stato tutto intero restau-
rato, vedendosi ammattonato nella piìi gran parte,
e chiuso da fasce di marmo. E perchè poi la umi-
dita , che s'intrometteva nell'interno della chiesa
dalla parte ov'è il campo santo , piìi non recasse
quei danni che tanto avevano contribuito a rovi"
Diaconia de'ss. Vito e Modesto 307
nar il tempio, con molta avvedutezza è stato for-
mato , a guisa di un fosso , un'intercapedine fra il
muro esterno della chiesa ed il terreno del campo ,
in modo che ora il fondo di quell'intercapedine, co-
perto a selciata, sta più Lasso del pavimento della
chiesa : e nell'interno di esso tempio si è levata
via una parte di muro in grossezza , e si è co-
strutta una fodera di tegoloni distaccata dal mu-
ro medesimo: il quale era imbevuto di quella umi-
dita: e ciò perchè non ritorni fuori a nocumento
delie riformate pitture. E qui non posso trala-
sciare di far sincerissimi voti, perchè somiglianti
I provvedimenti siano posti in pratica in molti al-
tri templi di questa Roma, affinchè in tutto non
periscano tanti monumenti insigni della religione
e dell'arte: e specialmente, per addurne un esem^
pio, nell'antichissima chiesa de'santi Nereo ed Achil-
leo, ove, per la grande umidità che si è messa
dentro, vanno in gran parte perdendosi que'cele-r
iratissimi musaici che vi si ammirano.
Così a novella vita è stato ora restituito l'an-
tico e celebrato tempio de'ss. Vito e Modesto per
comandamento del regnante sommo pontefice Gre-
gorio XVI. Deh! conceda il cielo all'ottimo e cle-
mentissimo principe giorni lunghi e felici, a prò
della religione, ad utilità de'popoli, ad incoraggia-
mento delle arti]
308 Letteratura
APPENDICE
Baronia i ad ann. Christi 192, sotto il pontifi-
cato di s. Eleuterio papa. - Imp. Commodo. num. k.
Cita alcuni martiri: che diteti ad petram sce-
leratam {sic hahent hanc acta antiquitus scripta ,
quae in nostra hihliotheca asservantur ) plumbatis
necati sunt. Questi atti narrano, che i detti santi
martiri patirono il martirio ante amphitheatrum :
dal che deduce il Baronio, che presso 1' anfiteatro
fosse ouel luogo. Avverte, che in altri atti dei mar-
tiri s'incontra la menzione di questa pietra, non no-
minata dagli scrittori gentili, i quali ricordano ben-
sì il vicum sceleratum^ portam sceleratam^ castra
scelerata, campum, sceleratitm. Pare che egli opi-
nasse il primo, che la pietra che è a s. Vito {lapis
ille sepulchralis inscriptione hominis gentilis nota-
tus)t fosse la pietra scellerata. O pure crede che fos-
se quella che è a s. Pietro poco lungi dalla porta
santa, e dice: Porro alteram earum eiusmodi nomen
consecutam esse, nulla est penes me dubitatio.
ELENCO
Dei cardinali che hanno avuto per titolare
la diaconia dei ss. Vito e Modesto.
Leone cardinale diacono di s. Vito, monaco e
aLate del monastero di s. Clemente. È incerto da
Diaconia de'ss. Vito e Modesto 309
qual pontefice sia stato creato cardinale. Mori sotto
il pontificato di Pasquale II.
Amico ^ monaco e abate di s. Lorenzo fuori del-
le mura , creato cardinale da Pasquale II , e morto
nel pontificato di Calisto II.
Gregorio cardinale di s. Vito^ 11 quale si trova
tra'cardinali che sottoscrissero nel 1123 la bolla da
Calisto II diretta al vescovo di Genova.
Lucio Boezio,, romano, monaco di Vallombro-
sa, creato cardinale nel 1134 da Innocenzo II, e
morto nel 1147.
Rinaldo Brancaccio napolitano, creato da Urba-
no VI nel 1381, e morto nel 1427.
Jacopo Antonio ì^enerio, o sia Veniero^ da Re-
canati, creato cardinale da^ Sisto IV nel 1473, e mor-
to nel 1479.
Giambattista Savelli, di una delle più famose
famiglie di Roma , creato da Sisto IV nel 1480 , e
morto nel 1494.
A Scanio Maria Sforza, dei duchi di Milano ,
creato da Sisto IV nel 1484, e morto nel 1503.
Carlo Domenico del Carretto, genovese, dei
marchesi del Finale, creato da Giulio II nel 1505, e
morto nel 1514.
Nicolò Ridolfi, fiorentino, nipote di Leone X
per parte di sorella, dal medesimo fatto cardinale
nel 1517, e morto nel 1550.
Guido Ascanio Sforza, dei duchi di Milano, de-
nominato il cardinale di Santafiora, creato cardina-
le da Paolo III nel 1534, e morto nel 1564.
Carlo Caraffa, napolitano, creato da Paolo IV
nel 1555, e morto nel 1561.
S. Carlo Borromeo, milanese, creato da Pio IV
nel 1560, e morto nel 1584.
310 Letteratura
Carlo Visconti^ milanese, creato nel 1505 da
Pio IV, e morto dopo otto mesi.
Giudo Ferreria vercellese, creato da Pio IV nel
1565, e morto nel 1585.
^Scanio Colonna^ romano, figlio del celebre
Marcantonio Colonna, creato da Sisto V nel 1586, e
morto nel 1608.
Buonviso Buonwisi^ lucchese, creato nel 1598
da Clemente Vili, e morto nel 1603.
Lelio Biscia, romano, creato da Urbano Vili
nel 1626, e morto nei 1638.
Benedetto Monaldi Baldeschi, perugino, crea-
to da Urbano Vili nel 1633, e morto nel 1644.
Federico Sforza, romano, dei duchi di Segni,
creato nel 1645 da Innocenzo X, e morto nel 1676.
Francesco Maria Mancini, romano, creato da
Alessandro VII nel 1660, e morto nel 1672.
Giovanni Delfino, veneto, creato da Alessandro
VII nel 1664, e morto nel 1699.
Fabio degli Abati Oli\>ieri, pesarese, creato da
Clemente XI nel 1715, e morto nel 1738.
Domenico Orsini, romano, dei duchi di Gravi-
na, creato da Benedetto XIV nel 1743, e morto nel
1789.
Giuseppe Livizzani, modenese, creato da Bene-
detto XIV nel 1753, e morto nel 1754.
Luigi Maria Torrigiani, fiorentino, creato da
Benedetto XIV nel 1753, e morto nel 1777.
Andrea Negrone, romano, creato da Clemente
XIII nel 1763, e morto nel 1789.
311
Imitazione del primo capitolo
del libro di Tobia.
Di
'i Galilea su i colli altera siede
Una citta che a sua tribù die nome;
Neftali è detta: a Naasson sovrasta
Oltre alla via che ad occidente guarda,
E si lascia a sinistra la turrita
Sefet. Qui s'ebbe culla il buon Tobia,
Che dal retto cammino unqiia non torse
Il pie, quando di ceppi e di catene
Salmanassar, di x\ssiria empio tiranno,
Gravava il popol d'Israello. I mali
Dell'iniquo servaggio a' suoi scemava.
D'ogni suo aver facendo copia ad essi;
E benché giovinezza a lui velasse
Della prima lanugine le gote.
In tutt'opre mostrò senno canuto.
Quando Geroboam, tra folle e altero
Non so qual più, fatto a se d'oro iddio
In faccia di vitel, trasse le genti
A piegar le ginocchia, e dargl'incensi;
Egli diviso dalla turba insana,
Solo, col cor compunto, al sacro tempio
Di Solima veniva, e d'Israello
Inchinandosi al Dio, facea devota
Offerta di primizie, e degli accolti
Frutti; e al terz'anno ripartiali poi
Interamente fra' novelli alunni.
312 Letteratura
E ne fea dolce ai peregrin conforto.
Si condusse ad onor la giovinezza,
E del suo cuore e degli affetti suoi
Alla legge di Dio cesse il governo.
Fatto d'anni maturo, a se restrinse
In nodo maritale Anna, fra quante
Fioriano in sua tribìi caste donzelle,
La pili casta e piìi bella, e da lei s'ebbe
L'alta dolcezza del sentirsi padre.
Ella gli spose un figlio, che dal nome
Del genitor nomossi, e fu Tobia.
Nel sen del giovinetto istillò prima
Piegar la fronte ossequiosa a Dio,
A se del santo suo voler far legge,
E d'ogni fellonia viver digiuno.
Quando colla sua prole, e la diletta
Moglie fu tratto negli amari passi
Di rio servaggio, e alle superbe mura
Di Ninive ristette, ei di se offerse
A sua tribìi d'ogni boutade speglio.
E mentre tutti a divietato pasto
Metteano i denti, egli non ruppe fede
Al suo signor, ed alle immonde carni
Mai non pose le labbra. In cor mantenne
Di Dio memoria integra, onde gli accadde
Ritrovar grazia innanzi al re, che a lui
Diede recarsi a suo talento ovunque,
E a suo talento oprar. Tobia frattanto,
Commiserando di sua gente al duolo.
Sempre era tutto in ristorarla, e santi
Di salute ricordi a lei porgeva.
Visitò terre molte, e alla cittade
Giunto di Rahes, per regal larghezza
Cinque e cinque talenti ebbe d'argento.
Imitazione del libro di Tobia 313
Della sua stirpe la miseria e i danni
Allor gli furo innanzi; e tu, Gabelo,
Principalmente che gemevi al fondo
Corresti agli occhi di Tobia, che pronto
Ricco peso d'argento a te prestava
Di tua scritta a fidanza. In questa usciva
Salmanassar di vita; e a lui nel regno
Senacheribbo succedea, che nuovo
Odio recando d'Israel ne'figli,
Lor fea l'esiglio a sostener più duro.
Ma poi Tobia a consolar gli afflitti
Congiunti, e i fidi amici, ed i compagni
Moveva intorno, e dividea con essi
Le povere fortune, e il parco desco.
Non si tornò digiun dalle sue soglie
Chi trasse a lui per fame, e non ignudo
Chi venne ignudo a domandar mercede.
E se tra via de'suoi veduto avesse
Corpi uccisi insepolti, ed egli apriva
Colle sue mani agl'infelici avanzi
De^suoi fratelli lacrimata fossa,
E di lieve terren li ricopria.
Poi quando in fuga da Giudea fu volto
L'empio Senacherib, sovra cui l'ira
Piovve del ciel, di sue ladre opre stanco,
E fatti segno alle feroci brame
I miserelli a schiavitìi ridutti,
Tinse nel sangue lor l'onda del Tigri;
Egli notturno delle morte salme
Andava in cerca; delle pi'oprie braccia
Lor fea feretro, e dell'antica madre
Le componea pietosamente in grembo.
Poiché di questo si die voce al fero
Sir dell'Assiria, il volle spento. Quindi
314 Letteratura
Contro lui fe'di morte editto; e d'ogni
Aver lo dispogliò. Ma veglia Iddio
Sempre alla guardia de'suoi servi! Ignudo
Fuggiva il buon Tobia colla soave
Sposa, e la prole fanciuUetta, e fido
Ricetto avea dovunque^ che le buone
Opre facile scampo apron da furia
Di re tiranno. Ei nell'amor di tutti
Viveva, e scampo avea per tutto. Appena
Era surto dal mar cinque e quaranta
Fiate il Sol, che l'empio re vedea
Farsi delle sue vene in terra laco
Per man de'figli suoi; tal che Tobia
Potè tornar sicuro alle sue case,
E rifiorir nella fortuna antica*
G. I. Montanari
Una scrittura inedita di Rodolfino f^enuti.
Al eh. sig. professore Salvatore Betti,
■ Clemente Cardinali.
E
ccovi, pregiatissimo amico, una scrittura inedita
di Rodolfino Venuti. L'anno 1828 ne estrassi copia
dall'originale esistente nella sceltissima biblioteca
di Filippo Aurelio Visconti, nome sempre caro a
quanti si travagliano nello studio delle romane an-
tichità. Quando non vi dispiaccia , potrebbe pub-
blicarsi nel nostro giornale arcadico. Trattandosi in
Scrittura di R. Venuti 315
essa di una quistione agitata fra gli archeologi circa
un secolo fa, permettetemi accennarne qui il moti-
vo : e ciò servirà, lo spero, a maggior intelligenza
dello scritto del Venuti.
Nel mese di dicembre dell'anno 1744 fu esca-
vata nel cimiterio di Pretestato lungo la via appia
la seguente iscrizione cristiana:
HIG REQVIESCET IN
PACE FEDE CVSTITVT
VS ILARVS QVI VIXIT
ANNVS PL. MS. XXV
Colomba con Monogramma Colomba
corona nel sacro con corona
rostro nel rostro
Recata la lapide a mons. Silvestro Merani sagrlsta
pontificio , egli ne die notizia a Benedetto XIV
di santa memoria: il quale ordinò che la iscrizio-
ne venisse degnamente illustrata. Monsignor Gior-
gi ne die l'incarico al celeberrimo canonico Alessio
Simmaco Mazocchi: e nel gennaio dell' anno 1745
comparve in Roma pe' torchi del Pagliarini una
dotta lettera del napolitano archeologo; lettera che
ottenne le lodi del romano giornale de'lctterati. Al-
la interpretazione datane dal Mazocchi sursero av-
versari il P. Lodovico Sabbatini de Anfora da pri-
ma, l'arciprete Girolamo BarufFaldi di poi; questi
piìi convenientemente; quegli meno, e per avven-
tura troppo operosamente. Rispose ad ambidue il
Mazocchi ; il cui nipote Filippo raccolse in ap-
presso in un sol libro, stampato in Napoli sul fi-
nire dello stesso anno, quante scritture eran ve-
316 LSTTERATURA
nule a luce in quella controversia; e corredando il
tutto di sue annotazioni, intinse contro il Sabba-
tini la pezza nel fiele , piìi che non convenisse.
La quistione cadeva precipuamente sulla frase FE-
DE GVSTITVTVS {fide o infide constitutus), che
il Mazocchi riteneva indicare il battesimo dollaro;
il Sabbatini la conferma nella fede , o sia la cre-
sima ; il Baruffaldi , essere Ilaro un catecumeno.
Dalla lettera seguente si conosce, che il sommo pon-
tefice volle anche averne in iscritto il parere del-
l' ab. Rodoifino Venuti allora presidente alle ro-
mane antichità. Si vede chiaro che il Venuti la
ebbe scritta, prima che alcuna delle accennate pro-
duzioni fosse stata pubblicata con la stampa; e che
allontanandosi egli dalla opinione del Mazocchi e
del Baruffaldi, si accostava a quella del Sabbatini.
Conservatevi in buona salute, ed amatemi quan-
to io vi amo.
Scrittura inedita di Rodoifino Fenuti.
Non ci è dubbio che la inscrizione ritrovata
nel corrente anno 1744 nel cimitene, o sìa colomba-
rio di Pretestato, non meriti per la sua singolarità
di essere considerata , non tanto per la ortografia ,
e pronunzia delle parole, quanto ancora per la so-
stanza della cosa, e per i simboli che si vedono in
essa scolpiti. Ci faremo a parlare della prima os-
servazione, indi passeremo alla seconda.
Prima di spiegare i caratteri del nostro epi-
taffio, per poter dare una determinata epoca al me-
desimo, osservo che la figura di questi, non meno
che la disposizione, è disuguale, tralignando dalla
bellezza ed eleganza dell'antico alfabeto ropiano.
Scrittura di R. Vimuti 317
L' occhio osservatore ne è legittimo giudice. Que-
sti caratteri pertanto non possono dirsi puramente
romani da chi abbia la minima cognizione della ve-
ra struttura di questi e di quelli ; essendo 1 pri-
mi imbastarditi dall'ignoranza che a gran passi cre-
sceva nel popolo romano, tanto nelle lettere minu-
te che nelle maiuscole. Anzi vi è chi vuole, che ta-
le introduzione incominciasse fin da che i goti si
confederarono con i romani : che accadde prima
dei tempi di Massimino, come osservò fra gli al-
tri Ugone Grozio sul fondamento di Procopio e di
Giornande: onde è da stabilirsi il tempo del nostro
marmo verso il terzo secolo di Cristo.
Passando adesso al minuto dettaglio dei carat-
teri dell'epitaffio, osservo, che quantunque i mede-
simi a prima vista paiano belli, si ravvisano non
ostante per la maggior parte mal formati ed al-
terati , quali erano già cominciati a formarsi nel
secolo terzo. Osservisi primieramente la lettera G
che si scorge sempre formata ad una medesima gui-
sa, senza che abbia uguale corrispondenza nel gi-
ro, e nella positura delle due corna. Al contrario
non è sempre uguale la figura delle E, come delle
altre lettere replicate entro lo spazio di poche righe.
La forma 'biella lettera F con quattro tagli, benché
particolare, non si può dire sbaglio d'inavverten-
za; poiché altrove s'incontra non di rado in iscri-
zioni assai più brevi di questa , e basta di addi-
tarne due nel fine del supplemento diplomatico del
Mabillon. Finalmente è osservabile ancora la lette-
ra P, l'occhio di sopra della quale è minore della
sua proporzione.
Venendo alla locuzione; spesse volte negli an-
tichi monumenti si vedono le lettere V ed E in luo-
318 Lettejia.tur,a,
go della I ed 0; come nella nostra inscrizione, dove
leggesi REQVIESGET, FEDE, in luogo di REQVIE-
SCIT, FIDE, e ANNVS per ANNIS. Quest' ultimo
nome io credo per altro che alle volte lo declinas-«
sero come sensus^ almeno nel parlare comune: tanto
pili che, per osservazione di Gassiodoro fatta nella
sua ortografia, facilmente accadeva che alcune pa--
rolc neir atto di essere pronunziate perdevano la
loro vera espressione , onde col tempo giunsero a
perderla anche nella scrittura stèssa; non potendosi
ascrivere a sbaglio particolare, poiché non sarebbe
facile ascerrere senza accorgimento. Prova probabi-
le del mio assunto sia la persona istessa nominala
nelTepitaffio, ove si vede mancare la H, che in altri
simili nomi si osserva; eppure unicamente per esso
s'intagliò la memoria.
Parrà forse che troppo minutamente io abbia
voluto riandare ogni apice del nostro sasso; ma mi
è parso ben fatto di stendermi alquanto sopra la
material forma della scrittura, per fare osservare
lo stato in cui trovavasi l'alfabeto romano nel terzo
secolo, in cui penso che il marmo, scolpito fosse. Del
restante sono pieni i monumenti cristiani di termi-
ni e frasi indicanti pili la loro semplicità che la lo*
ro eleganza, come dice Arnobio nei lii^.'o 1 j4d\^^
Gent.f difendendoli dalle calunnie ed irrisioni dei
gentili. Quu7u, egli dice, de rebus agitar ah osteii'
tatione suhmotisy quid dicatur spectandum est^ non
quali cum auctoritate dicatur-^ ne quid aures coni'
mulceat^ sed quas adfcrat audientibus utilitates.
Passando adesso a considerare in secondo luogo
il monumento in se stesso, osservasi essere questa
memoria sepolcrale eretta ad un fedele chiamato
Jlaro-, nome che ritrovasi frequentemente e nei mo-
Scrittura di R. Venuti 319
numenti dei gentili, ed in quelli de'cristiani; onde
Lasterà addurre pochi esempi per prova. Il sig.
Marangoni negli atti di s. Vittorino alla p. 31 ri-
porta la seguente iscrizione de'gentili :
CAEDIA . L . L . THALEA
L . CAEDIVS . L . L . HILARVS
FILIVS
Il eh. monsignor Giorgi, nel suo trattato de'mono-
grammi cristiani, alla p. 19 ne riporta una cristia-
na che dice
HILARI . VIVAS . IN . DEO
Si vede anche appresso il Boldetti dato alle femi-
ne il nome d'HILARA; e se ne trovano nel Bosio
esempi con la lettera aspirata H e senza. È qui da
osservarsi l'equivoco che può nascere in due versi
cristiani riferiti l'uno dal Boldetti, l'altro dal Buo-
narroti ; dove in uno leggesi HILARE . SEMPER
GAVDEAS ; e nell' altro SEMPER . VIVAS . GVM
TVIS . PIE . ZESES ; che pare possa alludere ad
acclamazioni convivali; quando veramente è il. no-
me proprio del possessore del vetro.
Si dice nel nostro monumento che Ilaro HIG
REQVIESGET . IN . PAGE. Ancora il monumento di
s. Colomba spiegato da monsignor Fontanini co-
mincia HIG. IN . PAGE . REQVIESGIT; e frequenti
sono nei sepolcri cristiani simili espressioni, che
significano riposo^ dormizione, sonno di pace. Il ter-
mine in pace significa Ilai'o esser morto nella co-
munione della chiesa cattolica, e il Buonarroti così
spiega tal formola; quindi il Fabretti ha in marmo
320 Letteratura
non solamente IN . PAGE, ma ancora FIDE! . CA-
THOLICAE; ed altrove leggesi IN PAGE GVM SAN-
CTIS; IN PAGE DOMINI; IN PAGE DEI; IN PAGE
GHRISTI. Fortunato Scacchè fu di parere che la
formola IN PAGE distinguesse i martiri dai non
martiri; ma ciò s' intende quando ella sia sola e
scompagnata da altri contrasegni e caratteri deno-
tanti a parte il martirio.
Restano adesso da osservarsi le parole FEDE
CVSTITVTVS; che credo doversi leggere in fide
constitutus. Per quante diligenze abbia fatte, non
mi è riescito ne'marmi cristiani di ritrovare simi-
le formola. Una iscrizione greca riporta il sig. Ma-
rangoni, ritrovata nel cimitero di Priscilla Tanno
1725, che ha molta somiglianza con la nostra, di-
cendo :
AYEPAAAIANOC
AnA$AArCA)NEG
EKOIMHENEN . EPPI
NHMNHeHAYTOYO
0EOGTOYG . APNAG
Aurelianus Paphlagonus Dei serviis credidit R-
dem , dormit in pace ; recordetur ipsius Deus in
saecula.
Cade adesso la questione se la espressione so-
pra riferita indichi martirio, e se il nostro Ilaro
si debba riconoscere per martire. Ma per procede-
re in questo difficoltoso punto , mi servirò degli
insegnamenti del nostro pontefice Benedetto XIV.
Egli pertanto nella sua dotta opera De canon,
sanct. al lib. 4 ed al tom. 1 lib. \ §. 8 e 9 di-
vide i martiri in tre classi: alcuni egli chiama de-
Scrittura di R. Veduti 321
signatij cioè quelli che condannati alla morte e pro-
fessata la fede pubblicamente avanti il tiranno, non
fu ciò non ostante eseguita la sentenza, detti per-
ciò confessores ; ed in questo numero si devono
ascrivere que'padri del concilio niceno, ai quali si
riferisce che Costantino imperatore lasciasse le ci-
catrici. Altri furono detti consumati o coronati, e
furono quelli che morirono ne' tormenti o poco do-
po. Altri finalmente li chiama ^indicati, per il cul-
to restituitogli dalla chiesa. Del primo genere po-
trebbe essere stato il nostro Ilaro^ tanto piti se leg-
gesi PRO FIDE GONSTITVTVS.
Ma se mi fosse lecito di dire il mio sentimento
sopra ciò , osservo , che erano soliti i primi cri-
stiani di occultare i misteri della loro religione, ut
fideles, come dice s. Cirillo nella quinta catechesi,
intelligant, et qui non tenent ne laedantur: come
esempio ce ne può essere una iscrizione riportata dal
Noris ne'fasti consolari p. 43 e dal Fabretti nelle
Insc. p. 577, in cui dicesi che un certo Severo Pa-
scasio PERCEPIT . XI . KAL . MAIAS, senz'altro
intendendosi qui il battesimo, come viene provato
dalle parole che sieguono ET ALBAS SVAS DE-
POSVIT AD SEPVLGRVM; per cui s'intende che
Pascasio fu battezzato ai 21 di aprile il giorno di
pasqua, e mori ai 28 dello stesso mese non aven-
do per anche deposta la veste candida, eeremonia
principale nell'acquistare il carattere di cristiano,
che credevano di essenza di occultare, o solamente
accennarlo oscuramente. Questa è la ragione per cui
spiegarono questo mistero sovente con le oscure pa-
role GRATIA SANGTA CONSECVTVS; CVM SPI-
RITA SANGTA AGGEPTVM. Per mezzo del bat-
tesimo adunque ricevevano l'innocenza, come ben
G.A. T.LXXIII. 21
322 Letteratura
dichiara s. Gio. Grìsostomo nell'omelia XXI; dicen-
dosi i nuovi battezzati suscepti^ accepti^ et illumi-
nati. Quelli poi che erano confermati nella fede di-
cevasi CONFIRMATI e CONSTITVTI IN FIDE;
come credo deve intendersi del nostro Ilaro. Ed
in vero fu molto a proposito a ciò il decreto pub-
blicato sotto il nome di Melchiade papa alla Diss,
V can. \ de conf.-, dove dicesi: Spiritus SanctuSi, qui
super aquas baptismi salutifero descendit lapsu^ in
fonte plenitudinem tribuit ad innocentiam^ in con-
firmatione consti tutionem praestat ad fldem.
Resta a dire qualche cosa sopra il monogram-
ma di Cristo circondato da palma con le due let-
tere allusive a Cristo A ed U; e le colombe con
le corone nei rostri. Ognun sa che nessuno di tali
segni è indicativo di martirio; e quantunque la pal-
ma, per decreto della s. congregazione de'riti, an-
che per se sola sia indicativa di martirio, essendo
la corona di palma con il gioiello ed i lemnisci at-
torno al monogramma di Cristo, deve alludere alla
sua sola passione e vittoria. Le colombe sono sola-
mente indizio di purità, di semplicità, di fede e
di altre morali virtìi, e per questo si veggono at-
tribuiti ancora ai martiri; come in un vetro ripor-
tato dal Boldetti pongono in mezzo la purissima
santa Agnese. Quindi s. Cipriano nel suo trattato
De zelo et livore dice: Non enim chrlstiani homi-
nis corona una est^ quae tempore persecutionis ac-
cipitur; habet et pax coronas suas^ quibus de va-
ria et multiplici conversione victores prostrato et
subacto adversario coronamur.
323
BELLE ARTI
J^itriLvii de archile ctiira libri decem, apparatu prae-
munitii emendationibus et illustrationibus refecti^
thesauro variarum lectionwn ex codicibits tendi-
que quaesitis et editionibiis ituiversis locupletati^
tabulis centiim qaadraginta declarati ab Aloisio
Mariiiio marchione Vacunae et eqidte pluriiim
ordinwn. Accedunt compendiiim architecturae e-
mendatitm et indices tres. Opus in quatuor volu-
mina in folio distributum. Romae 1 837.
B
Articolo I.
ella ed utile impresa è stata quella del commen-
datore marchese Luigi Marini di dare una nuova edi-
zione deirarchitettura di Vitruvio, correggendone il
testo, illustrandola con dottissimi comenti, ed ornan-
dola di numerose tavole. Opera già da molti anni an-
siosamente desiderata dai dotti, e di cui altissime
speranze avean fatto concepire le dissertazioni lette
e pubblicate dall'autore sopra alcuni de'più difficili
problemi vitruviani : le quali speranze furono di
gran lunga superate dalla pubblicazione del presen-
te lavoro, il quale non solo ha intieramente offu-
scato il pregio di tutte le altre edizioni, ma le ha
rese talmente inutili , che ognuno il quale abbia
fior dì senno vorrà, siam certi, studiare d' ora in-
nanzi il testo vitruviano secondo la nuova lezione.
Con sommo diletto insieme ed istruzione ci sia-
mo dati alla lettura di quest'opera, la quale come-
324 Belle Arti
che in gran parte fosse già da noi conosciuta, pure
non lo era in modo da poterne tutti a parte a parte
enumerare i pr^igi; e ci siamo assicurati che nulla
evvi a desiderare si per la parte archeologica ed
artistica, sì ancora per l'esecuzione tipografica, per
l'esattezza de'disegni e per la nitidezza delle inci-
sioni, le quali non poco ne accrescono il merito,
e rendono molto pììi facile l'intelligenza del testo,
essendovene molte fedelmente eseguite secondo la
descrizione di Vitruvio, e molte che offrono accon-
ci esempi di monumenti, per illustrare, e talvolta
anche rettificare i precetti vitruviani.
Gratissima cosa al certo per tutti gli amatori
de'buoni studi dev'essere il vedere che in questo
nostro tempo, troppo alla facile letteratura procli-
ve, vi sia pur taluno il quale non isdegni di attin-
gere alle più recondite e doviziose sorgenti della
veneranda antichità, onde trarne qualche lume per
le lettere e per le arti. Ne ultimo fra i pregi dell'
illustre autore è da noverarsi quello di aver dato
finalmente a Roma un illustratore di Vitruvio, non
potendosi riguardare come tale Sulpicio , il quale
altro non ha fatto che pubblicare in Roma il te-
sto vitruviano copiato da un codice manoscritto. E
a dir vero vergognoso era il pensare che un'opera
scritta in questa città, dedicata ad un imperatore
romano, e che di tanti nostri monumenti fa men-
zione, non fosse stata ancora da alcun romano il-
lustrata; e che mentre quasi tutte le altre nazioni,
e molte delle citta d' Italia potevano vantarsi di
avere qualcuno, che adoperato si fosse a dichiara-
re e comentare l'opera di Vitruvio, ninno ve ne
avesse in Roma, ove pur tanti mezzi esistevano per
rendere l'impresa meno diflicile, sia per la prodi-
giosa quantità di codici che nelle nostre biblioteche
Edi*, di ViTRurio 325
si conservano , sia per li monumenti ancora esi-
stenti, i quali all'intelligente osservatore molte cose
disvelano, onde meglio intendere questo scrittore.
Bella adunque non solo ed utile è stata l'im-
presa del Marini con tanti dispendi e si lunghe fa-
tiche condotta a termine; ma piena ancora di amor
patrio, e tale da destare una nobile invidia in chi-
unque abbia animo capace di altamente sentire. Af-
finchè però taluno non creda questo nostro giudi-
zio muovere piuttosto da una parziale prevenzione,
che da solidi argomenti ; ci proponiamo di porre
sotto gli occhi de'nostri lettori una breve analisi
dell'opera stessa, dalla quale meglio che da qualun-
que nostro dire ne apparirà l'eccellenza ed impor-
tanza. Saremo brevi per quanto la vastità della ma-
teria ce lo permetterà, non arrestandoci che ove
ne parrà aver il Marini fatto fare un nuovo passo
alla scienza; ovvero ove alcuna nuova ed ingegnosa
lezione venga da lui proposta, che non sia data da
alcun altro testo a stampa ; o quando finalmente
colle sue interpretazioni faccia comprendere qual-
che passo di Vitruvio non ancora ben inteso da'
suoi comentatori.
I conienti fatti dal Marini sull'opera di Vitru-
vio sono in due parti divisi, cioè in emendazioni ed
in illustrazioni'-, nelle prime rende ragione di tutti
i cambiamenti introdotti nel lesto, seguendo per
lo più l'autorità de'codici; nelle seconde pòi dk tut-
te le osservazioni filologiche ed artìstiche, che alla
più facile intelligenza dell'antico scrittore possono
condurre, non lasciando di riferire, ne'passi piìi dif-
ficili, anche le altrui opinioni, aggiungendovi però
sempre la propria. Metodo molto utile, e che tutti
i comentatori dovrebbero togliere ad esempio, acca-
32(5 Belile Arti
dendo pur sovente che anche i più dotti facciano
Tin grandissimo sfoggio di erudizione, afTastellando
autorità di classici ed opinioni di altri comentatori
senza dar quindi alcun giudizio. Ne questo è il solo
pregio che distingua il Marini dagli altri comen-
tatori , ma ve ne ha ancora un altro da noi nel
corso di tutta l'opera costantemente osservato ; il
quale è, che giammai il dotto comentatore ti abban^
dona nelle grandi difficolta, saltandole, come da ta-
luno far si suole, a pie pari. Quanto ciò debba ap-
prezzarsi, chiunque colla lettura degli antichi scrit-
tofi sia alcun poco familiare, facilmente ne con ver"
ra. Ogni qual volta osservi il comentatore restar
mutolo nelle maggiori difficolta, e noti fare alcuno
sforzo per superarle, ti sembra vedere uà amico ,
che neir uopo maggiore ti abbandona e codarda-
mente si asconde. Non cosi il Marini, il quale quan-
to più oscuro è il passo che imprende a dichiara-
re, tanto maggior luce cerca spandervi: e quanto
piti gravi difficolta gli si presentano, tanto maggior-
mente si sforza di superarle. Meglio però tuttociò
apparirà dall'analisi dell'opera.
Primo a presentartisi è Y apparato vitrui^iano.
In esso tiene il primo luogo la vita di Vitruvio ,
nella quale del nome, della patria, della condizio-
ne, degli studi, e dell'età di lui con molta eru-
dizione e sana critica si ragiona. Quindi dell'opera
stèssa dì Vitruvio si tratta, ed in poche pagi-r
ne ne hai una cosi viva pittura, che anche colui
il quale giammai non l'avesse letta, potrebbe for-
marsene una chiarissima idea. Ove però e della va-
stità dell' opera, e dell' improba fatica del Marini
puoi farti un'idea, si è nelle tre disquisizioni che
sicguono, nelle quali parlasi de'codici, delle edizio-
Ediz. di ViTRuvio 327
ni e delle traduzioni. Il solo pensare che un'opera,
la quale ha pure una certa estensione, e stata in
ogni suo periodo, in ogni sua frase, anzi in ogni
sua parola confrontata con più di cinquanta testi
a penna, tredici a stampa, e con tutte le traduzioni
in diverse lingue, è cosa da scoraggiare anche i più
intrepidi. Non possiamo adunque che render gra-
zie all'indefesso comentatore, il quale non rispar-
miando ne spese ne fatiche , ci ha dato una così
bella edizione di Vitruvio, la quale andremo libro
per libro esaminando.
Il libro primo comincia con la dedica che Vi-
truvio fa della sua opera ad Augusto. In questa già
trovansi due emendazioni, che con lievissimo cam-
biamento del testo, ne rendono il senso piano ed
indubitato, di oscuro ch'egli era, e male da tutti
i traduttori spiegato. Viene poscia il primo capi-
tolo, in cui di tutto ciò che l'architetto deve sa-
pere si ragiona. Qui il Marini ha mostrato molta
dottrina nell'esporci gran parte del sapere degli an-
tichi, e specialmente là dove dell'analogia favella
che i pittagorici immaginavano fra l'astronomia e
la musica. Parlando della musica giustamente osser-
va, che non tre ma sei erano le consonanze presso
gli antichi; onde non vuol leggere con tutti gli edi-
tori ed i codici diatessaron et diapente et disdia-
pason , ma piuttosto diatessaron et diapente , et
exordine ad disdiapason. Su di che non vogliamo
tuttavia celare una nostra osservazione , la quale
è che senza fare tanta violenza al testo potrebbe
cangiarsi soltanto et in ad^ e si avrebbe con ciò lo
stesso senso, cioè diatessaron et diapente^ ad dis-
diapason. La correzione del Marini però è appog-
giata al testo vitruviano, trovandosi la stessa frase
usata da Vitruvio nel libro quinto.
328 Belle Arti
Nel secondo capitolo parla de*prlnclpli delTar-
chitettura: e qui una bella correzione è stata fatta
dal Marini, leggendo coU'autoritk de'codici aiit etiam
enibatere, correzione che non so come sia sfuggita
a tutti gli altri editori, essendo chiarissimo il senso,
e dicendo Vitruvio che le proporzioni ne'tempii si
hanno aut e columnarum crassitudinibus, aut tri-
glj'pho, aut etiam emhatere. La parola ip^^oczr.p, se-
condo Vitruvio, corrisponde alla latina motì?«/M^: an-
zi, se mal non mi appongo, credo aver trovato la
vera etimologia ed il genuino senso di questa paro-
la, non ancora dato da altri che io mi sappia. Vi-
truvio in tre modi fissa il modulo pe'tempii, dal dia-
metro cioè della colonna, dal triglifo, e dalla lar-
ghezza della facciata del tempio. Quest'ultima ma-
niera di fissare il modulo credo che sia precisamen-
te quella che lo fa chiamare s/x^arvjp, cioè «.no rou
k[x[io(.ivivj^ perchè è appunto la larghezza del lato ,
dal quale si entra, che determina questo modulo.
Dopo due capitoli, i quali non offrono alcuna
importante osservazione, viene il quinto nel quale
parla delle torri e delle mura. Questo , senza che
noi ci dilunghiamo inutilmente, nessuno dubiterà
che dal dotto comentatore del De' Marchi sia stato
convenientemente illustrato. In fatti in esso vengo-
no, quantunque con molta sobrietà, maestrevolmente
esposti i principii di fortificazione conosciuti dagli
antichi. Finisce poi Vitruvio il suo primo libro
parlando della direzione che debbono avere le stra-
de nell'interno delle città, e della scelta che si de-
ve fare de'luoghi per gli edifizi pubblici. La direzio-
ne delle strade, secondo lui, dev'essere detcrminata
da quella de'venti; e qui una bella disquisizione sì
presenta sul numero de'venti, sul nome ch'era loro
Ediz. di Vitruvio 329
dato dagli antichi, e sulla corrispondenza ch'essi
hanno co' moderni ; argomento trattato con mol-
ta erudizione dal Marini ed accompagnato da due
tavole, nell'una delle quali da le diverse divisioni
de'venti secondo i vari sistemi degli antichi, nell'
altra la così detta Torre deventi^ ossia il monu-
mento ottagono di Andronico Girreste esistente in
Atene, inciso con molto gusto e precisione.
Sette sono le tavole, alle quali ha dato luogo
questo lihro; quattro delle quali ideate dal Marini
per dichiarare il testo vitruviano, e tre di monu-
menti ancora esistenti : la prima cioè di cariatidi
e telamoni, la seconda delle fortificazioni di Pom-
pei, e la terza della torre di Andronico Girreste.
Il secondo libro, al dire di Vitruvio stesso, do-
vrebbe trattare de'tempii; ma lasciando un tal sog-
getto pe'libri seguenti, si occupa in questo dell'o-
rigine degli edifizi, e de'materiali che servono per
la loro costruzione. Dopo aver dato adunque nel
libro primo i principi! scientifici dell'arte , viene
a darne, per cosi dire, i principii materiali. Que-
sto libro, di non minore importanza, contiene sul-
la maniera di costruire degli antichi, e sulla cura
che essi ponevano nella scelta de'materiali, utili no-
tizie , dalle quali sarebbe grandemente a deside-
rarsi che i moderni traessero qualche partito onde
render piìi solide le loro costruzioni.
La prima cosa, di cui parlasi in questo libro,
è la maniera colla quale i pili antichi popoli fab-
bricarono le loro prime abitazioni. Di due popoli
pili particolarmente ragionasi, cioè de' colchi e de'
Irigii. Affinchè meglio si comprenda il testo vitru-
viano, il quale, a dir vero, nelle altre edizioni era
alquanto oscuro, è stata aggiunta una tavola, nel-
330 Beele Arti
la quale a colpo d'occhio vedi il metodo tenuto da
cotesti popoli per costruire i loro abituri. Non
dalla sola tavola però risulta la piìi facile intelli-
eenza del testo, ma da tante emendazioni con lie-
vissimo cambiamento delle parole date dai codici,
le quali Io rendono facile e chiaro d' intralciato
ch'egli era ed oscuro. Cosi, a cagion di esempio,
cambiando il tecta recidentes in teda erigenies
vedi subito que' tetti acuminati soliti a fabbricarsi
dai colchi; e poche linee dopo, mutando il detineiv
tes de'codici in deprimentes, hai una lezione piìi
chiara, e che meno si allontana dai manoscritti, di
quello che leggendo con tutte le altre edizioni exi"
nanientes. Ma troppo lungo sarebbe se volessi en-
trare in siffatti particolari, non essendovi, per così
dire, pagina in cui emendazioni di tal sorta non si
ritrovino. Queste principalmente hanno contribuito
a rendere il testo vitruviano piii fluido e piìi cor-
retto: ma poiché private del contesto non sareb-
bero per avventura di facile intelligenza ai miei let-
tori, perciò ne sceglierò soltanto pochissime. Lascio
adunque le altre emendazioni contenute in questo
libro, perchè quasi tutte dello stesso genere, e mi
limito ad osservare che molte località soprattutto
vi sono state rettificate. Cosi per esempio Maoàliia
Q Calentuin, citta della Spagna ulteriore, vi sono sta-
te felicemente sostituite a Marsiglia nelle Gallie
della maggior parte delle edizioni; e parlando nel
capitolo settimo delle diverse cave di pietre, le ga-
bienses hahno molto giustamente preso il luogo del-
le pallienses ed alUenses date da tutti gli altri
editori, essendo celebre presso gli antichi la pietra
gabina, e non trovandosi alcuna menzione delle al-
tre cave. Per la stessa ragione sono state escluse le
Ediz. di Vitrutio 331
amiterninae , ed in loro vece sostituite le ante-
mninae.
Dopo aver parlato delle diverse cave , passa
Vitruvio ad esporre nell'ottavo capitolo le varie co-
struzioni usate tanto dai romani, quanto dai greci:
e l'intelligenza di questo capitolo è resa molto piìi
facile da una tavola, in cui tutti questi diversi ge-
neri di costruzioni sono esattamente delineati. Fi-
nalmente pone termine a questo libro parlando de'
legnami che possono con maggior vantaggio impie-
garsi nella costruzione degli edifizi, e della stagione
favorevole per tagliarli. Oggetto con molta dottrina
trattato dal Marini, e già da lui grandemente ap-
profondato nell'edizione del De'Marchi. Tre sole ta-
vole accompagnano questo secondo libro, il quale
non è stato che un riposo, onde con maggior lena
poter affrontare le difficolta del libro seguente.
Nel terzo libro comincia Vitruvio ad entrare
più particolarmente ne'precetti dell'arte, ed in esso
trovansi tre delle principali difficolta vitruviane ,
cioè Ventasi^ gli scamiUi impari^ e la voluta ionica-,
difficoltà che tante quistioni hanno suscitato fra i
dotti e gli artisti, e che a tanti dispareri hanno da-
to motivo. Se però senza spirito di parte prende-
rai tutte queste opinioni a disamina, ed a quella del
nostro comentatore le affronterai, vedrai chiaramen-
te non potersene piìi alcuna ragionevolmente so-
stenere: tanta è l'autorith de' monumenti e la forza
delle ragioni onde sono avvalorate le asserzioni di
lui. Cominciamo però con ordine ad analizzare que-
sto terzo libro. In esso Vitruvio tratta de' tempii,
e primieramente delle loro diverse forme; in antis,
prostjlos, amphiprostylos^ peripteros, pseudodipte-
rosj dipleros ed hjpaethros. Di ciascuna di queste
Jiq OlVUlllY 08E9J8 e
233 Belle Arti
forme e data nelle tavole la fii^ura, a seconda della
descrizione vitruviana, ed inoltre uno o più esempi
di antichi monumenti, i quali meglio co'precetti di
Vitruvio si accordino. Tale è il tempio di Temide
a Ramnunte per la forma in antis^ il quale è ac-
compagnato dall' altro di Diana Propilea in Eleusi
singolare per la sua forma, che utrinque in antis^ ov-
vero «jayj V) TxuQocardoi potrebbe dirsi, seguendo la
nomenclatura vitruviana. Per l'amfiprostilo è dato
il tempio ionico suU'Ilisso, unico esempio fino al-
lora conosciuto di tal forma, al quale ora può ag-
giungersi quello della Vittoria aptera scoperto suU*
acropoli di Atene. La pianta di questo tempio vie-
ne sempre piii a confermare la giustezza deiropi-
nione del Marini, il quale non crede doversi ripe»
tere le ante nella parte posteriore, ma soltanto le
colonne.
Dopo le forme passa Vitruvio a parlare delle
specie de'tempii, le quali dalla diversità degl'inter-
colunni ricevono le denominazioni di picnostile ,
sìsfile, diastile^ areostile ed eicstile. L'intercolunnio
Gustilo è da Vitruvio preferito agli altri, e ne fa
autore Ermogene, dal quale pare che molti dc'suoi
precetti abbia tratto, dicendo di lui: Reliqidsse fon-
te s Wide posteri possent haurire disciplinarwn ra-
tiones. Ne solo Ermogene, ma anche altri archi-
tetti dell'Asia minore debbono essere stati gli au-
tori, da'quali tolse Vitruvio molte delle sue rego-
le, che debbono perciò principalmente all' ordine
ionico applicarsi, essendo con quest'ordine fabbri-
cati quasi tutti gli editìzi ora conosciuti in quel
paese. Giustamente adunque il Marini ha dato pro-
porzioni ioniche alla maggior parte de'tempii de-
scritti da Vitruvio, come quelle che sembrano esse-
re itale dallo stesso Vitruvio prescelte.
Ediz. di VrxRUVio 333
Il più importante soggetto però di questo ca-
pitolo è Ventasi: problema che ha dato origino ad
opinioni molto assurde; ma che è stato posto così
in chiaro dal Marini coU'autorita degli antichi scrit-
tori, coll'aiuto de'monumenti e col contesto vi tra-
viano, che ora non mi sembra piìi poter dar luo-
go al menomo dubbio. Primieramente stabilisce il
dotto comentatorc, non doversi eseguire Tentasi che
dopo la rastremazione; ed infatti così esige il con-
testo vitruviano. Passa quindi a dimostrare V esi-
stenza dell'entasi negli antichi monumenti coU'au-
torita di molte colonne e pilastri ancora esistenti,
ed aggiunge altro non essere che una pratica tenu-
ta dagli antichi architetti affinchè la colonna non
sembrasse piìi sottile nel mezzo: opinione appog-
giata all'autorità di Eliodoro Larisseo, il quale dice
Xf'cvoc .... y.CKtà [j.iav. nphg vprj a-svcyjxcvsv.
Qnal dimensione dovesse aver Tentasi, non di-
cesi da Vitruvio : ma pure da un altro passo nel
quinto capitolo di questo stesso libro si ricava, do-
ver essere eguale alla profondita delle scanalature:
Crassltiidlnes striarum faclendae sunt quantum adie-
ctio in media columna invenietur. Conosciuta adun-
que la profondita delle scanalature, si conoscerà an-
cora la dimensione dell'entasi. Qui il Marini stabi-
lisce un esattissimo calcolo per provare, che in qua-
lunque colonna combinando T aumento delT entasi.
colla diminuzione della rastremazione, il mezzo del-
la colonna non supererebbe mai in diametro Timo
scapo, come molti avevano assurdamente supposto.
Termina finalmente col dare un metodo pra-
tico per facilmente descrivere cotesta entasi. Tale
appunto doveva essere stato lo scopo di Vitruvio
nel porre alla fine di questo libro una figura per
334 Belle Arti
eseguire 1' entasi. La figura è perita con le altre
che accompagnavano il suo lesto : ma se non era
quale è stata dal Marini delineata, certo poco po-
teva differirne. Jm.'llc
Altro problema, ed anche più celel>re, è quel-
lo degli scamilli impari trattato nel capitolo se-
guente. A quante discussioni abbia questo dato luor
go, ninno, che pur di Vitruvio abbia inteso parla-
re, evvi che ignori. Quali assurdità da uomini per
ingegno sommi, e per erudizione ammirabili siansi
sostenute, non parrebbe credibile, se i loro scritti
non esistessero per farne testimonio. In poche pa-
gine hai la storia di tutti questi deviamenti dal
retto sentiero: ma onde non abbisognare di molte
parole per tutti confutarli, ti mette sott'occhio il
Marini i tre passi di Vitruvio, ne'quali degli sca-
milli impari si ragiona; dal confronto de'quali chia-
ramente risulta, non potersi gli scamilli altrove col-
locare che sotto la base e sopra il capitello: il che
da se solo basta per confutare la maggior parte
delle altrui opinioni. Passa quindi ad esporre quel-
la del Baldi, la quale piìi all'interpretazione da lui
proposta si avvicina; ma quello che dal Baldi pro-
ponesi come una ipotesi, dal Marini è dimostrato
come un teorema. La verità ti apparisce sì chiara
ed evidente, che non sai intendere come mai tanti
uomini sommi andassero cosi lungi dal segno.
Una sola cosa resta ancora a potersi discutere,
ed è quale fosse la loro forma. Se avessero cioè un
piano perfettamente eguale, ovvero inclinato dall'
un de'lati. Ambedue le forme sono ammesse dal Ma-
rini: la prima, perchè ancora esistente in molti mo-
numenti: la seconda, perchè risultante da ciò; che
dice Vitruvio nel capitolo seguente, nel quale vuole
Ediz. di Vitruvio 335
che le colonne laterali, malgrado della rastremazio-
ne, abbiano il loro lato interno esattamente a per-
pendicolo : il che non può farsi che ponendo un
corpo a piano inclinato sotto la colonna, il quale
pili da una parte che dall'altra la rialzi. A questa
pratica mi sembra principalmente aver avuto ri-
guardo Vitruvio , ed è perciò che li ha chiamati
impares, aggiunto che con maggior proprietà con-
viene a questi ultimi che ai primi. Colla quale spie-
gazione bene si scorge, che cosa abbia voluto inten-
dere Vitruvio allorquando nel capitolo quinto di
questo libro, parlando de'capitelli ionici, dice do-
versi collocare non ad libellam sed ad aequalem
modidum^ ut quae adiectio in stjlohatis facta fue-
rit^ in superiovihus memhris respondeat.
Oltre l'aver riferite in iscritto le diverse opi-
nioni emesse su tale argomento, ha il Marini anche
ideato due tavole , nelle quali le principali sono
delineate: di modo che consultando quest'opera hai
una completa biblioteca vitruviana, e di nulla più
abbisogni per approfondare quanto vuoi la materia.
Dopo aver parlato degli scamilli impari, passa
Vitruvio nel capitolo seguente a dare tutte le pro-
porzioni dell'ordine ionico: capitolo egualmente ric-
co di ai'gomenti assai e frequentemente discussi, fra
i quali debbono in ispecial modo annoverarsi la
Lase e la voluta ionica. Ambedue questi soggetti fu-
rono già separatamente trattati dal Marini in due
dissertazioni, nelle quali a fondo tali problemi fu-
rono sciolti. Nell'opera, che andiamo esaminando,
non ha dato che un estratto di questi suoi lavori,
ma sufficiente per intendere il testo vitruviano. Spe-
cialmente la voluta ionica è stata a lungo trattata
in una nota alla fine del presente capitolo, nella qua-
I
Belle Arti
le seguendo il testo vitruvlano se ne da una descri-
zione geometrica, che a molti monumenti tuttora esi-
stenti ritrovasi pur conforme.
Ricchissimo di tavole è questo libro. Esso solo
ne ha somministrate trentadue al nostro autore, fra
le quali, oltre quelle che sono state ideate dal me-
desimo a seconda del testo vitruviano, alcune danno
le diverse opinioni degli altri comentatori su Ten-
tasi, gli scamilli impari, la base e la voluta ionica^
e le altre ti somministrano un ricco corredo di mo-
numenti per meglio intendere le dottrine vitruvia-
ne. Questi monumenti sono, i tempii di Temide a
Ramnunte, e di Diana Propiiea in Eleusi pel gene-
re in antis-^ di Augusto e Roma in Pola, di Ercole
a Cori, e di Antonino e Faustina in Roma pel pro-
stilo; il tempio ionico presso l'ilisso per l'amfipro-
stilo; di Teseo in Atene, di Minerva Poliade in Prie-
ne, di Giove nel portico di Ottavia, di Giove To-
nante alle radici del campidoglio, e dì Marte Ul-
tore nel foro di Augusto pel periptero; di Diana in
Magnesia, di Giove Agoreo in Selinunte, e del Sole
in Palmira pel pseudodiptero; di Apollo Dldimeo
in Mileto, e di Cibele in Sardi pel diptero; in fine il
Partenone, il tempio di Giove Olimpico in Atene, e
quello di Nettuno in Pesto per l'ipetro. Inoltre, do-
po aver dato l'ordine ionico esattamente delineato
secondo i precetti vitruviani, vari esempi ne ag-
giunge tratti da'migliori monumenti ancora esisten-
ti, e questi sono i tempii di Eretteo in Atene, di Mi-
nerva Poliade in Priene, di Bacco in Teo, di Apollo
Didimeo in Mileto, e della Fortuna Virile in Roma.
Nel quarto libro Vitruvio termina l'argomento
già incominciato a trattare nel terzo, cioè i tempii.
Avendo già dato nel libro precedente le propor-
Ediz. di Vitruvio 337
zionl dell'ordine ionico, da. in questo quelle del co-
rintio e del dorico.
In questo libro però più che mai apparisce
quello che già avevamo osservato nel precedente :
cioè che quasi tutti i precetti vitruviani sono esclu-
sivamente applicabili all'ordine ionico. Infatti l'or-
dine corintio di Vitruvio tutte le sue proporzioni
o dal dorico o dall'ionico desume, e nulla gli resta
di proprio all'infuori del capitello. Quanto al do-
rico poi comincia dal dire, che: » Nonnulll antiqui
architecti negaverunt., dorico genere aedes sacras
oportere fieri , quod mendosae et disconvenientes
in his sjmmetriae confìciebantur » : va quindi enu-
merando tutti gl'inconvenienti che risultano dal fa-
re uso di proporzioni doriche ne'tempii.
A molte emendazioni ed illustrazioni cosi filo-
logiche come artistiche hanno dato luogo questi pri-
mi capitoli: ma chi senza troppo entrar in questi
particolari vorrà pur convincersi de' miglioramenti
fatti al testo vitruviano, basterà che getti uno sguar-
do sulle tavole eseguite esattamente secondo le pro-
porzioni date da Vitruvio, e vedrà come gradite
riescano all'occhio, e come siano scevre da tutti
que'difetti ch'erano stati attribuiti a Vitruvio da
coloro che, o male il suo testo avevano letto, ovvero
non bene interpretandolo avevano dovuto imper-
fettamente rappresentarlo. Nell'osservare queste ta-
vole una soprattutto ci sembra degna di partico-
lare menzione, ed è quella dell'ordine corintio ese-
guita con somma maestria dal defonto prof. Pietro
Fontana, il quale senza alcun aiuto di macchine, ha
pure inciso un rame da poter sostenere il confron-
to colle pili belle incisioni di tal genere che si fan-
no all'estero.
G.A.T. LXXIIL 22
338 Belle Arti
Dopo aver parlato delle proporzioni interne, e
della direzione de' tempii, passa Vitruvio nel capitolo
sesto a trattare delle porte. Capitolo di difficilissima
intelligenza si per la minuzia, colla quale da Vitru-
vio ciascuna delle più piccole parti viene descritta ,
SI ancora perchè molto ne'codici era viziato a cagio-
ne della frequenza di parole tecniche, le quali non
potevano essere bene intese dagli amanuensi, e nel-
le edizioni sono state spesse volte confuse. Il Ma-
rini però, stabilito un parallelo diligentissimo fra
le varie lezioni de'codici, ha dagli errori stessi fat-
to sorgere la vera lezione corroborandola sempre
coU'autorita de'monumenti.
Ma il soggetto il piìi discusso di questo li-
bro è il tempio toscano. Le altrui opinioni sono
riferite dal Marini ad ogni passo che offra una
qualche difficoltU, e talvolta la migliore fra que-
ste è prescelta, talvolta una nuova viene propo-
sta accompagnata sempre da solidi argomenti ed
autorità. A quest'ultima classe appartiene l'inter-
pretazione del passo » stillicidium tecti absoluti ter-
tiario respondeat: » ove la parola tertiario male era
stata da tutti gl'interpreti e comentatori spiegata,
veJendovici un senso intricato ed astruso, mentre
che nel pili ovvio e naturale doveva intendersi,
cioè che la gronda del tetto compiuto debba cor-
rispondere alla terza parte della colonna.
Dopo il tempio toscano si danno da Vitru-
vio le proporzioni de'tempii monopteri e peripte-
ri, e quindi ne nomina alcuni di forma irrego-
lare che a niuna delle classi da lui descritte pos-
sono appartenere. Pone fine a questo libi'o parlan-
do delle are e determinandone la posizione e la
direzione.
Ediz. di Vitrutio 339
Tutti questi capitoli sono stati illustrati con
una ricca suppellettile eli monumenti, ed anche
questo libro perciò è da molte tavole accompagnalo.
Oltre quelle che direttamente all'illustrazione del
testo vitruviano han servito, trovi cosi per l'ordine
corintio come pel dorico i piìi begli esempi an-
cora esistenti; cioè pel primo, l'ordine corintio
del Panteon, di Giove Tonante, e di Marte Ulto-
re in Roma, oltre quello di Augusto e Roma in
Pola; pel secondo il Partenone, l'ordine dorico di
Priene, del tempio di Nettuno in Pesto, di Erco-
le in Cori, e del teatro di Marcello in Roma. Pe'
tempii rotondi sono stati prescelti quel di Serapide
in Pozzuoli, e quelli di Vesta in Roma ed in Ti-
voli. Nominandosi inoltre da Vitruvio tempii di
forme irregolari, i quali dai precetti da lui dati
alquanto si allontanavano, varii esempi sono stati
dal Marini riuniti, che vengono in conferma del-
l'osservazione vitruviana, e sono i tempii della For-
tuna Virile in Roma, di Giove Olimpico in Agri-
genti, di Gaio e Lucio in Nimcs, quelli di Erctteo,
di Minerva Poliade e di Pandroso nella cittadella di
Atene, e finalmente il tempio di Cerere e Proser-
pina in Eleusi. Anche il capitolo sulle are ha da-
to motivo al Marini d'immaginare una bella tavola,
ove se ne veggono rappresentate molte delle più
antiche e delle meglio conservate, fra le quali una
esistente nella villa Pamphily del tutto inedita.
Avendo terminato Vitruvio di parlare nel quar-
to libro delle proporzioni de'tempii, passa nel quin-
to a trattare degli edifizii pubblici , e primieramen-
te del foro. Distingue egli il foro greco dal latino,
ed ambidue sono dal Marini con molta dottrina il-
lustrati, spiegandone chiaramente tutte le parti; ma
soprattutto la distribuzione de' maeniana , e la so-
340 Bellb Arti
prapposizione degli ordini sono state l'oggetto di
pili erudite disquisizioni. Congiunte al foro erano
le basiliche: e di queste parla Vitruvio nel capitolo
seguente, nel quale non solo delle basiliche in ge-i-
nerale, ma piìi particolarmente della basilica da lui
edificata nella colonia di Fano si ragiona. Di gran-»
di difficolta è stata questa sorgente a motivo del
tempio di Augusto, il quale doveva essere nel mez-»
zo dell'un de'lati della basilica, senza che dalla hsi-^
silica stessa impedita venisse la vista del pronao.
Tutte queste difficoltà però sono state vittoriosa-^
mente superate dal Marini, come di leggieri potrà
convincersi chiunque osserverà la tavola da lui im^
maginata, ed al testo vitruviano l'affronterà.
Il soggetto tuttavia piìi importante, e su cui
più a lungo si è trattenuto Vitruvio in questo li-«
bro, e quel dei teatri. I principii della musica pres-
so gli antichi vi sono esposti: ed il Marini in bre-
ve sì, ma con molta dottrina e criterio , ti mette
al giorno di quanto su tale scienza è stato dagli
antichi scritto. Il diagramma d'Aristosseno è chia-i
ramente spiegato, ed in poche pagine trovi le piìi
importanti notizie che gli antichi scrittori di mu-»
sica ci hanno in molti volumi lasciate. Esposti i
principii generali dì musica, passa Vitruvio a farne
l'applicazione alla distribuzione generale degli echei^
soggetto anch' esso molto discusso dagl' interpreti,
le principali opinioni de'quali sono riferite, ed in
gran parte refutale dal nostro autore, che non la-
scia anche su ciò di dare la sua propria, perfetta-»
mente d'accordo colle parole del testo. Termina Vi-»
truvio il soggijtto de'leatri col dare la descrizione
tanto del teatro latino quanto del greco, e coU'as-»
segnare le diflferenze che fra l'uno e l'altro esiste-^
Ediz. di Vitruvio 341
vano. La disposizione de'trigoni e de' quadrati, che
male da alcuni comentatorì era stata interpretata,
è lucidamente esposta, così con le parole come con
le figure : e molte delle parti degli antichi teatri ,
non ancora ben conosciute, vengono con l'autoritk
de'monumenti esattamente determinate.
Ai teatri succedono le terme e le palestre, sog-
getti trattati da Vitruvio in due capitoli separati ,
ma che però presentano due edifizii destinati presso
a poco agli stessi usi, e che i romani imitarono sen-
za alcun dubbio da'greci. A questa analogia non sem-
brano aver posto mente gl'interpreti di Vitruvio , e
tutti coloro che delle palestre si occuparono, per mo-
do che diedero di tali edifizii piante che non pos*
sono in modo alcuno essere approvate. Nelle pa-
lestre come nelle terme il corpo della fabbrica
era nel mezzo ovvero in uno de'lati, ed i portici
all'intorno. Invece gl'interpreti di Vitruvio han-
no immaginato di fabbricare la palestra intorno
ai portici, i quali secondo Vitruvio stesso avevano
due stadi di lunghezza, onde ne risulterebbe un edi-
fizio di proporzioni gigantesche: il che per certo i
greci non solevan fare. Il Marini però, seguendo la
scorta sicura de'monumenti, ha interpretato le pa-
role vitruviane cogli avanzi delle antiche palestre
ancora esistenti, quali erano stati dati dal sig. ca-
valier Canina nella sua grand'opera sull'architettura
degli antichi.
Nelle terme ancora molte illustrazioni e corre-
zioni di grande importanza sono state fatte dal no-
stro cementatore, ma soprattutto il laconico è stato
con molta chiarezza spiegato , e tutto il meccanismo
di quel clipeo, il quale col suo innalzarsi ed abbas-
sarsi doveva variarne la temperatura. Pone fine a
342 Belle Arti
questo libro Vitruvio parlando della costruzione de*
porti , ove le varie pratiche usate dagli antichi per
costruire sotto l'acqua sono chiaramente dal comen-
tatore dimostrate: e così terminando di parlare degli
edifizii pubblici, si fa strada a trattare nel libro se-
guente degli edifizii privati.
Anche questo libro è da un ricco corredo di ta-
vole accompagnato, le quali molti monumenti con-
tengono, onde viemeglio intendere i precetti vitru-
viani. Ad illustrazione del foro hai non solo il foro
latino e greco, secondo Vitruvio , ma inoltre il foro
di Traiano in Roma e quel dì Pompei.
Per le basiliche hai quella di Otricoli, ed i
frammenti capitolini delle basiliche Ulpia e Giulia.
I teatri sono non solo in tutte le loro parti a se-
conda del testo vitruviano delineati, ma inoltre co-
me esempi del teatro latino si danno quelli di Pom-
peo e Marcello in Roma, ed il teatro di Gubbio.
Pel teatro greco si danno il teatro di Telmisso, e
quello di Erode in Atene, di Esculapio in Epidau-
ro , e quello di Pompei coli' odeo, ai quali si ag-
eiunaono i teatri di Tormina e di Ercolano. Inoltre
OD
per le palestre hai quelle di Efeso, di Gerapoli, di
Alessandria in Troade, e quella di Badenweiler: e
per le terme quelle di Tito. Finalmente pe' porti
antichi hai quello di Claudio alla foce del Tevere
coll'aggiunta di Traiano. Vedi qual ricchezza di mo-
numenti, e qual giudizio nella scelta, non essendo-
vene alcuno, che non sia di grandissimo giovamen-
to o per intendere il testo di Vitruvio, o per cor-
roborare le asserzioni del suo comentatore !
{Sarà continuato)
Vincenzo Ballanti
343
VARIETÀ'
Notizie istoriche intorno alla vita ect agli scritti di monsignor'
Francesco Pacca arcivescovo di Benevento, pubblicato dal
cardinale Bartolomeo Pacca suo pronipote^ 8. Velletri, ti-
pografia di Luigi Cappellacci iSSy. (Un voi. di carte 97).
vji gode veramente l'anima nell'annunciai-e una novella opera
di quel porporata amplissimo, oh' è oggi splendore non meno
che principe del sacro senato. Egli fra le alte cure della cliiesa
e del principato non sa dimenticare le lettere.- e schivo d' ogni
ozio, piacesi essere altrui d'esempio nell'onorare con impo'-tan-
tissimi scritti la religione e l'Italia. Uomo in tutto degnissimo di
quella fama, ond'è sì celebrato in Europa> e di quella riverenza
con che il riguardano quanti hanno in pregio la virtù vera e la
vera sapienza.
Questa vita di monsignor Francesco Pacca arcivescovo di
Benevento è cosa da porgere diletto e istruzione ad ogni maniera
di leggitori; tanto l'eminentissimo autore ha saputo arricchirla di
belle e curiose notizie, soprattutto del pontificato di Benedet-
to XIII, quando una mano d' uomini vilissimi e rapacissimi sì
turpemente abusò della bontà del sovrano. Degno del suo amor
patrio è il difenderei eh' egli fa in tale occasione i beneventani
da quelle malvagità, ed il provare che niun suo concittadino vi
ebbe parte. Non diremo poi con qual giudizio ci dia conto del-
le diverse dissertazioni che il dotto prelato recitò nell'accademia
344 Varietà'
romana de' concili innanzi al gran Benedetto XIY, il quale a
crescere in flore le scienze sacre e profane in questa capitale so-
leva spesso della sua presenza onorare le quattro accademie ,
ch'egli apri nel proprio pontificio palazzo del Quirinale: quelle
cioè de' concili, dell'istoria ecclesiastica , della liturgia e dell'
archeologia. Né infine diremo come a tenerezza ci commova il
cuore la narrazione delle virtù veramente evangeliche, le quali
ornarono quel piissimo e mansuetissimo in tutto il tempo che
sedette sulla cattedra di Benevento , fino a rinunciare di esser
promosso alla porpora da Clemente XIII, per non mettersi in
una spesa che minorato avrebbegll il modo di esercitare la sua
carità verso i poveri. Oh sia in eterna benedizione la memoria
di si degno pastore, che volle farsi specchio de' Borromei e de'
Sales !
Monsignor Francesco Pacca nacque di genitori nobilissimi
in Benevento il dì 3o di gennaio ioga, fu fatto arcivescovo del-
la sua patria da Benedetto XIV il dì 20 di marzo 175*2, e san-
tamente passò al riposo de'giusti il dì 12 di luglio ijSS.
S. Betti
yolgarìzzamento di maestro Donato da Casentino dell' opera di
messer Boccaccio De claris mulieribus, rinvenuto in un co-
dice del XIV secolo dell'archivio cassinense. Ora la prima
volta pubblicato per cura e studio di D. Luigi Tosti mona-
co della badia di Montecassino. 8. Napoli dalla tipografia
dello stabilimento dell'ateneo i836. (Un voi. di carte XXXII
e 322, col fac-simile del carattere del codice.)
JL/ ell'opera del Boccaccio De claris mulieribus si conoscono da'
bibliografi quattro traduzioni italiane: due stampate, e due ma-
noscritte. Stampate sono quelle del Bagli e del Betussi; mano-
Varietà' 3A5
scrìtte le altre del fiorentino Sassetti e di maestro Donato da
Casentino. Di quest'ultima si hanno tre codici: due nella bibliote-
ca reale di Torino: ed uno del secolo XIV nel famoso archivio di
Montecassino. Da esso il dotto e benemerito monaco P. D. Luigi
Tosti ha tratto la copia, di che ha fatto dono agli amatori della
lingua italiana del secol d'oro. Cosa da sapergliene assai grado:
tanto più che non poteva usarsi da lui una maggiore sagacità e
diligenza, confrontando egli spesso la traduzione coli' originale
latino, e con note giudiziosissime rendendo ragione qua e là
delle diverse lezioni saviamente emendate o restituite. Nondime-
no l'amore, che portiamo a questi studi del bel dire, non ci farà
si ciechi, che osiamo raccomandare il libro del maestro da Ca-
sentino come un testo de'bellissimi del trecento: perciocché s'egli
è certo che a quando a quando vi trovi ciò che generalmente era
proprio degli scrittori di quell'aureo secolo, come a dire un can-
dore, una ingenuità, una proprietà, e talor anche un'efficacia che
t'empie di diletto e di maraviglia; certo è pure, che troppo spesso
la costruzione del periodo vi è stranamente intralciata, e, quel eh'
è più, invano vi cerchi sovente un lume di ragione grammaticale.
Il che reca veramente stupore in un uomo, che non solo inse-
gnò grammatica pubblicamente in Venezia, ma fu chiamato ad
erudirne in Ferrara il giovinetto Nicolò III d' Este: e tanto poi
fiori nell'amicizia e nella stima del Petrarca, del Boccaccio e del
Salutati.
Al volgarizzamento di Donato ha fatto il eh. editore ed illu-
stratore seguire per la prima volta la pubblicazione, i. Del Pro-
testo fatto per comandamento de'' signori di Firenze a'rettori ed
altri uffici che ministrano ragione, Jatto per Francesco di Pa-
galo Vettori a di i5 settembre i455. - 2. Della Copia della let-
tera del gran turco a papa Nicolò quinto, tradotta d'arabico in
greco, e di greco in latino, e di latino in volgare. - 3. Della Co-
pia delle lettere che papa Nicolò quinto rispose a quella del
gran turco, fatta in lingua arabica per messer Gregorio Castel-
lano, e poi in greco, e di greco in latino, e di latino in volgare
per lui detto.
S. Betti
346 Varietà'
Analisi storico-topografico-antiqiiaria della carta dei dintorni
di Roma , di A. Nibhy pubblico professore di archeologia
nelVuìm>ersità romana, membro del collegio filologico della
stessa iinii'ersità e della commissione generale consultiva di
antichità e belle arti, scrittore interprete di lingua greca
nella biblioteca vaticana, socio dell' accademia romana di
archeologia, deW accademia delle belle arti di s. Luca, dell'
accademia reale ercolanese di Napoli, dell' accademia rea-
le delle scienze di Monaco , dell' istituto reale di Francia ,
delVaccademia delle belle arti di Firenze ec. ec. Tomo I.
8. Roma, tipografìa delle belle arti i85n. (Sono carte 564).
ìLcco un'opera eruditissima e lungamente desiderata da quan-
ti sono amatori delle antichità romane. L'autore non ha bisogno
di lodi, essendo già per tanti altri insigni lavori chiarissimo in
Italia e fuori. Vogliamo bensì dire, che questo libro ai pare ben
degno della sua fama. Sarà esso seguito fra breve dal secondo
volume, cli'è già sotto il torchio; poi dal terzo , ed indi dalla
gran carta topografica di Roma e de'suoi contorni.
Nelle spomalizie della nobil donzella signora Chiara Neroni di
Ripatransone col nobil uomo signor conte Perfetto Ditta-
iuti di Osimo. Il marchese Filippo Bruti Liberati d. d. d.
8. Ripatransone, tipografia laffei 1837. (Sono carte 12.)
lYLanco male che abbiamo nozze senza noiosissimi versi! Il
signor conte Bruti Liberati ha preso a celebrar quelle della sua
parente Neroni con le notizie, che ci dà, di Ascanio Condivi di
Ripatransone, alunno, amico ed islorico del gran Michelangelo
Buonarroti.
Varietà' 347
Stato antico ed attuale del porto, città e provincia di Civitavec-
chia, descritto da Pietro Manzi cavaliere della legione di
onore. - 8. Prato tipografia di Fr. Giacchetti iSSy. (Sono
carte 68.)
Xl traduttore chiarissimo di Tucidide, di Erodiano, di Q. Cur-
zio, ristorico della conquista del Messico e della rivoluzione di
Francia, si è destato alfine dal sonno in cui sembrava da parec-
chi anni dormire alla letteratura. E noi di cuor sincero ce ne
rallegriamo, facendo plauso a questa giudiziosa ed elegante ope-
retta, con la quale ha voluto degnamente onorare la patria sua.
Le istorie di Genova scritte dal marchese Girolamo Serra e da
Carlo Varese f compendiate ; in ottava rima da Gian Carlo
di Negro patrizio genovese. 8. Genova, tipografia de' fra-
telli Pagano iSSy. (Sono carte io5.)
Oempre tenero della sua nobilissima Genova non lascia occa-
sione il signor marchese Di Negro di celebrarne le glorie. Ecco-
ne un nuovo testimonio in questo libretto: in cui se assai mo-
strasi l'amor della patria, specialmente centra ciò che ne scrisse
il Varese, assai pur mostrasi l'eleganza poetica. La storia ge-
novese del Serra è qui compendiata in quattro canti; de' quali
l'autore ha donato il titolo al celebre amico suo signor marche-
se commendatore Luigi Biondi. Noi ne daremo questo piccolo
saggio;
Era età di possanza e di valore,
Spirto guerrier signoreggiava l'alme,
E di religion fervido ardore
348 Varietà*
Spingea l'Europa a memoraiide palme;
La terra, culla un di del Redentore
Quando vesti nostre terrene salme,
Sotto un giogo fremea profano e tristo>
Tal che l'idea destò del gran conquista.
Angli e normanni e il successor di Piero
Caldo ai liguri allor porgeano invito.
Sconfitti i mori e tolto lor l'impero
Di Cirene, e disgombro il sardo lito,
Con tremendo sul mar urto guerriero
Corser veloci al gran disegno ardito>
Tardi non mai nell'opre e nel consiglio>
Invitti sempre nel maggior periglio.
Caroli Boucheroni oratio habita in regio taurinensi attienaeti
prid. non. novembr. ann. MDCCCXXXyiII. - 8. Taurini
eclentibus Chirio et Mina in vico padano. (Sono carte ^o).
Xl-icordare un'opera del cav- Bouclieron è il medesimo che lo-
darla. Questo sommo italiano, presente onore della università di
Torino, a tanto splendore ha recato l'eloquenza latina , che leg-
gendo le cose sue ti sembra proprio legger quelle di alcuno scrit-
tore del secol d'Augusto. Oh perchè dobbiamo noi così raramen-
te dare altrui questa lode! Veramente gran danno, per non dire
vergogna, che da'nipoti sia cosi trascui'ata la lingua imperadrice
degli avi ! Quanto meglio sarebbe che men tedesco ed inglese si
studiasse in Italia, ed anche men arabo e men copto e siriaco > e
più intanto si attendesse al latino ed al greco ! Non che noi di-
sprezziamo le altre lingue : ma grideremo sempre, che primo e
gran fondamento di sapienza, a noi genti italiane, è il sapere mas-
simamente leggere nelle opere di coloro, che furono i padri del-
Varietà' 349
la filosofia e civiltà nostra, anzi della filosofia e civiltà di tutta
Europa.
Or ecco un'orazione degna compagna delle altre che abbia-
mo dal cav. Boucheron.- nella quale con tutti i lumi dell'elocu-
zione il celeberrimo autore consolaci delle virtù e delle opere
del suo re Carlo Alberto, nome augusto cosi per magnanimità e
per giustizia, come per patrocinio verso ogni maniera di lettere
p di arti belle.
S. B.
Jtfaria Stuarda in Hamilton , dipìnto dal professore Raffaello
Giovannelti, descritto dall'avv. Luigi Fornaciari. 8. Lucca
dalla tipografia Giusti iSSj. ( Sono carte 3 1 ),
V-ion assai eleganza, saviezza ed intelligenza di arte ha scritto
il eh. Fornaciari intorno un dipinto, che sembra essere stato se-
gno a diverse cpnsure. Noi non abbiamo veduto il guadro del
professor Giovannettij ma l'avviso di un letterato sì giudizioso e
si dotto ci dà cagione di poterci meritamente congratulare di un'
opera, la (juale con tanta lode ci viene annunziata , descritta e
difesa.
350 Varietà'
A solennità e memoria del giorno terzo di ottobre 1807, "* '^''^
il nobil giovane Teofilo Conversini patrizio pistoiese e l'in-
clita nobile donzella Irene Vivarelli Colonna facenansi co-
muni le sorti della vita. 8. Pistoia dalla tipografia Cina,
( Sono carte 22 ).
Jlicco la descrizione di un altro dipinto : lodato parimente con
bella eleganza da un illustre italiano, dall'ab. Pietro Contrucci.
Rappresenta esso l'incontro di Buondelmonte con la madre e la
figlia Donati, gran seme di sciagure alla città di Firenze. La pit-
tura è slata condotta a fresco dal valente signor Pietro Clivi nel
palazzo de'fratelli Vivarelli Colonna in Pistoia.
Le opere di Albio Tibullo tradotte in terza rima dal marchese
Luigi Biondi romano. 8. Torino, tipografia Chirio e Mina
1857. (Un voi. di carte 129 ).
Dante in Ravenna, dramma del marchese Luigi Biondi romano.
8 . Torino , tipografia Chirio e Mina 1837. (Un voi. dicarteii2).
JLIi queste due insigni opere del marchese Biondi si parlerà ne'
venturi volumi.
I
Varietà' 351.
Della vita e delle opere dell'architetto Vincenzo Scamozzi, com^
mentario. Giuntevi le notizie di Andrea Palladio. 8. Treviso
dalla tipografia Andreola 1837. ( Sono carte 178 ).
Vi opera del oli. sig. Filippo Scolari, il quale l'ha intitolata al-
l'insigne e pontificia accademia romana di s. Luca. Noi voglia-
mo sommamente lodarne e la diligenza e la critica : talché non
sapremmo qual cosa di più possa aggiungersi, soprattutto alle no-
tizie del grande Scamozzi.
Antichi vasi dipinti della Collezione Feoli , descritti da Secon-
diano Campanari socio di varie accademie. 8. Roma 1807.
( Un voi. di carte 265 con due tavole ).
X vasi qui descritti sono 169, e pressoché tutti della maggiore
importanza per l'istoria delle antiche credenze e delle arti dei
nostri maggiori, L'egregio sig. Campanari vi ha mostrato quella
singoiar dottrina delle cose greche ed etrusche, di che diede già
saggio nella dissertazione premiata solennemente nel 1806 dalla
pontificia accademia romana di archeologia Intorno i vasi fitldi
dipinti e rinvenuti ne'sepolcri dell' Etruria compresa nella dizio-
ne pontificia.
352 Varietà'
Prose scelte del padre Daniello Bartoli tratte dalle opere mino-
ri del medesimo ad uso della gioventà studiosa. Volumi se-
condo e terzo. 12. Pesaro dalla tipografia Nobili iSS?.
( Il secondo volume è di carte 27^, il terzo di carie 28j ).
Sull'utilità di questa scella, e sul raro giudizio che vi usa il sì-
gnor professor Montanari , fu parlato da noi nel tomo LXXI a
carte aS^. Quanto a questi due volumetti, noi non possiamo che
sinceramente ripetere ciò che ivi dicemmo del primo.
Quesiti sopra i pubblici ufficiali., del barone Giuseppe Manna.
8. Torino iSao presso Gaetano Balbino. (Sono carte 99 ).
V i si discorre della scelta, delle virtù, e dei doveri di quegli
uomini che dal sovrano sono chiamati a parte dell' amministra-
zione dello stato. Il libro é pieno di be'precetti, di religione , di
filosofia. Il barone Manno è fra i chiarissimi letterati d'Italia, ed
ì suoi scritti piacciono per eleganza, piacciono per sapienza.
Varietà' 353
Sulla cappellina degli Scrovigni neW Arena di Padova , e sui
freschi di Giotto in essa dipinti, osservazioni di Pietro E-
stense Selvatico. 8. Padova co'tipi della Minerva i836. (So-
no carte i44 con 20 tavole ia rame ),
S^uesta cappella, di cui si sa che l'Hancarville aveva in animo
di pubblicare l'illustrazione, è uno de' più preziosi monumenti
che seguano l'aurora delle arti nostre. L'egregio signor conte E-
stense Selvatico per molle nobili ragioni ha preso a scriverne; e
principalmente, dic'egli, perchè pavento che anche su questo mo-
numento piombi da qui a non molti anni la invano lagrimata
sorte di altri molti, che sotto i nostri occhi vedemmo quasi con
esultanza abbattuti, e si rimanga al paro di quelli senza uno sto-
rico che lo ricordi, senza una pagina che né conforti a mirarlo.
Pensiero degnissimo, e da quel dotto e gentile cavaliere ch'egli è !
li Apocalisse di s. Giovanni Evangelista, ridotta in versi italiani
da Felice Bisazzà di Messina. - 8. Messina dalla tipografia
Nobolo i83';. (Un volume di carte XV e 69 ).
X^a pubblicato in quest'anno stesso una traduzione dell'Apoca-
lisse il chiarissimo monsignor Agostino Peruzzi .• e n'ha ottenuto
plauso da quanti si conoscono di nobile poesia. Or eccone un'al-
tra, e di scrittore parimente chiaro, cioè del sig- Felice Bisazza.
Noi non prenderemo qui a confrontale fra loro, tra perchè sem-
pre odiosi sono 1 paragoni, e perchè hanno ambidue seguita una
via diversa ; essendosi usata dal Peruzzi la terza rima , e del Bi-
sazza il verso sciolto. Diremo bensì che molta maestria di lingua
abbiamo ravvisata nel traduttore messinese, ed una dignità di
verso assai rara in questo tempo di romantica corruzione, e con-
venevole soprattutto, come ognun vede, a tanta gravità e santi-
G. A. T. LXXIIL 23
354 Varietà'
tà di originale. Di che abbiasi lode il valoroso , ed ognor più si
conforti in un'arte supremamente nostra, come è la poesia: della
quale gl'italiani non sarebbero ora si schivi , se prostituita non
la vedessero all'ignoranza non meno, che alla viltà del servaggio
straniero.
A Maria Vergine liberatrice, i maestrali della città di Spoleti ,
la quale nei mesi estivi dell' anno iSS^ J'u prodigiosamente
inviolata dal pestifero morbo per gliauspicii di tanta padro-
na, solenni grazie con questo carme tributano. - 8. Bologna
pei tipi del Nobili e compagno iSSy. ( Sono carte i4 h
J3asti a lode dell'egregio autore, sig. professor Pietro Bernabò
Silorata, darne qui questo saggio;
Ohimè già troppo di si amare sorti
Sofferse il danno Italia, e parve estinto
Il perpetuo sorriso onde fiammeggia
Questo cielo purissimo. Dai monti
E dal gemino mare invan difesa
La terra degli eroi, nel grembo accolse.
Repugnante, la sozza idra che venne
Dalle sabbie deirindico deserto
Contaminando Eui-opa, e ricovria
Cittadi e ville d'infinito pianto-
Oh sicule marine, oh popolose
Liguri balze, e voi sponde cui bagna
Il bel Tirreno, quanto suon di lutti,
E quante ciglia dolorose, e quanti
Feretri, e lungo palpitar di madri
Inhanzi aveste ! L'aere felice
Che vi rabbella, tutto si veslia
Varietà* 355
DI condensi vapori, e su pei colli
E per l'immensità delle campagne
Sedea, come di tombe, una quiete.
Frattanto a mille per virtude arcana
Eran percosse dallo strale che mai
Non fere indarno, le vite fiorenti
Di leggiadrezza e di valor .• cadeva
Il popol, come all'autunnale orezzo
De'querceti le foglie, e tutta in duolo
Parve natura.
Antonio Peretti regiensi. F. A. Pungileoni M. C.
JLostulastl a me, studiose vir, lion ìndubias de vita et scriplls
lacobi Belli notitias, ut tibl datum sit illas in unum colligcre ,
posterisque tradere. Noctuas Atlienas, sicuti commune fert pro-
verbium, tulissem scribens in hac vetustissima patria tua, laco-
bum non infimae plebis natum vitae limen attigisse. Bonos pa-
l'entes, qui e Galli a erant oriundi, primos habuit educatores.
Latinae grammalices et rethoricae scholas non modo frequenta-
vi t, sed luculentissima ingenii arguraenta dedit. In francisca-
lium institutum ingressus, solemni emissa professione, bonarum
artium curriculum explevit. Quanta deinde in eo esset mentis
acies, quam firmum de rebus tlieologicis iudicium, publicis ex-
perimentis aperuit. Sacerdos factus, non sibi dumtaxat, sed to-
tius ordinis bono natum arbitratus, eani vivendi innuit rationem,
quae eo Consilio eaque vigilantia , quae maxima esse debet ,
scientìarum discipulis viam sternit. Provincialis ministri titulo
et potestate merito decoratus, erga subditos urbanitatcm exerce-
re in prelio habuit, ita tamen ut nimiae indulgentiae notam ef-
fugeret. Per annos circlter triginta insigniora Italiae suggesta
orator nulli secundus ascendit. Advcrsus maledicentissimos dl-
vinae revelationis oppugaatores non satis illl fuit sacras compo-
356 Varietà'
nere orationes, easque doctiorum rautinensìum plaussu memo-
riter recitare; veruni etiam Parmae dum esset elegantibus typis
ducalis typographiae publici juris fecit, ia quibus scripturae
sanctae solida veritas invictissime viadicatur. Quartuni eius-
dem materiei volumen, olim apud doctissimum urbiventanis
praesulem Franciscum Orioli, qui confrater eius et intimus fuit,
nuper inter patres cardinales a Gregorio XIV Pontifico O. M.
adlectum , diligentissime custodltum , nunc in tabulano ordi-
nis delitescit et lucem expetat. Bononiae binos in sacris cele-
britatibus divi Petronii et beatae Cathariaae bononiensis pane-
gyricos habuit, quos ibi, typis, ni fallor, Lelii a Vulpe, evulga-
vit. la Thusciae civitate celeberrima, quatn lucenses incolunt ,
serraonem, cui titulus, si me non fallii memoria ,, Discorso po-
litico „ typico praelo mandavit. In Urbis divi Marcelli tempio
reverendissimi Caesarolii, prloris gen. incliti ordiais servorum
Virginis Mariae, nomea et virtutes oratione funebri decoravit.
Plaudentibus omnibus nostratibus laudatus lacobus in procura-
torem generalem electus, proprium institutum quousque potuit
vindicavit, iuvit, auxit. Consultoris congregationis sancti offici!
atque episcopis probandis muneribus usque ad ullimam sene-
ctam optime functus, apoplexi afflatus religiosissime inter con-
fratrum preces et lacrymas e vita excessit.
Datae ex aedibus ss. XII Apost de Urbe XXIII kal. dee.
an. MDCGGXXXVII.
I. Il santo libro della genesi difeso da* nuovi assalti de' moderni
liberi pensatori. Parma dalla stamperia reale.MDCCLXXXVIII
e MDCCLXXXVIIII.
II. Nelle solenni esequie del Rev. P- M. Filippo Cesaroli prior
generale de'servi di Maria, orazione funebre del Rev. P. M.
Belli procuratore generale de' min. conv. , consultore del s.
officio ed esaminatore de'vescovi« Roma MDCCCI.
Ante aram basilicae ss. XII Apost. maximam hoc extat elogiuni
in marmore iacisum.
Varietà*
357
' QVIETI . ET • MEMORIAE
lACOBI . BELLI . MIN . CONV-
DOMO . KEGIO . LEPIDI
ORATOBIS . POETAE • THEOLOGI . AETATIS . STAK
PRAESTANTISSIMI
QVEM . PORTIFICES . MAXIMI
PEBDVELLIBVS . ECCLESIAE . COERCENDIS
EPISCOPIS . PROBANDIS
SIBI . A . CONSILIIS . ADSCIVERE
VIXIT , ANN . P . M . LXXXX
IN . MAXIMA . OMNIVM . GRATIA
M0DESTIS3IMVS
'M . SVI . ORDINIS . MAGISTERIVM . HAVD . SEMEL . RECVSAVIT
DECESSIT . XIII . AVO . AN . MDCCCXXIIII
FVNVS . PVBLICVM . LAVDATIONEM . ET . TITVLVM . BECKEVIT
AVE . SENEX . PIENTISSIME . ET . VALE . IN . PACE
359
INDICE
DELLE MATERIE CONTENUTE
]\EL TOMO LXXIII, VOLUMI 217,218, 219
DEL GIORNALE ARCADICO
SCIENZE
Caraffa , Corso di matematiche tradotto con
note dal Volpicelli pag. 3
Pcrrone, Praelectiones t?ieologicae, voi. IV. ,, 6
Toiudli^ Rivista medica ( continuazione ). ,, 21
Giusti^ Corso di filosofia ,,34
P eretti^ Della cetraria islandica ....,, -^(0
Santini.) Osservazioni intorno il melena . ,,129
Chelini, Teorica delle quantità proporzionali. „ 166
Cadete Cenni sulla storia medica del cholera in
Roma ( con tavola ) ,,190
Tonelli^ Continuazione della rivista di alcuni
scritti medici deproff. Medici ^ Ferrarese^
\ Paolini, Borelli., Valentini ec . . . „ 232
Jandelliy Biografia del cav. Domenico Morichi-
ni ( con ritratto ) „ 248
LETTERATURA
Campanari., Degli antichi tuscaniensi , e del
modo di seppellire in Tuscania. . . . „ 49
Pellegrini., Tragedie • „ 67
Vaccolini, Osservazioni sul bello, Art. XI II..,, 76
360
Bonelll,, Praecipuorum phìlosophiae sy sterna"
tutìi discfuìsitio historica « 89
Palma, Storia ecclesiastica e civile della regio-
ne pia settentrionale del regno di Napoli. „ 95
Nf^crolngia di inonsig. Ilosini , , . . . ,,118
Odescn/j/iì, Descrizione de' nuovi lavori fatti
alla diaconia de" ss. Vito e Modesto . . „ 231
Montanari^ Imitazione del primo capitolo del
libro di Tobia ,,317
Ve miti, Spiegazione diana iscrizione cristiana.^j3\^
BELLE ARTI
Vitruvio emendato ed illustrato, dal marchese
Luigi Marini ( art, /. )• • • • • • • ,,323
Varietà.
Tavole meteorologiche.
ERRORI
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NIHIL OBSTAT
E, Jacopini Censor Theol. Deput.
IMPRIMATUR
Fr. Dora Buttaoni 0. P. S. P. A Mag.
IMPRIMATUR
A. Piatti Patriaicha Antiocheuus Vicesg.
Osservazioni Metereologiche. j( Collegio Romano )( Novembre 1837.
Oie Baromet.
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si-
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z. eli. oriz. nu
nuvoloso
nuv. sole trai,
chiaro nuv. oriz
nuvoloso
2. eh. mi. oriz.
ici. nuv. sp
chiarissimo
ser. vaporoso
2. chino, ori.nu
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m. nu. sp.
vap. nuv. sp.
vap. Du. oriz.
nuvoloso
nuvolcsissiruo
nuv. sp.
nuvoloso
ser. nuv. sp.
rissimo
ehia
ser. nuv. sp.
chmo. oriz. nu
chino, oriz. nu
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GIORNALE
ARCADICO
. DI SCIENZE , LETTERE , ED ARTI
VOL. 220. 221. 222.
R O MA
SELLA STAMPERIA DELLE BELLE ARTI
1838.
GIORNALE
DI SCIENZE LETTERE ED ARTI
TOMO LXXIV
GENNAIO, FEBBRAIO E MARZO
1838.
ROMA
TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI
1838
Ili
DIRETTOIIE DEL GIORNALE ARCADICO
S. E. il slg. principe D. PIETRO ODESCALCHI ,
membro del collegio filologico dell'universitk ro-
mana, socio ordinario della pontificia accademia
di archeologia.
COMPILATORI
BETTI SALVATORE, professore di storia e mito-
logia e segretario perpetuo dell'insigne e pontifi-
cia accademia di S. Luca, socio ordinario e censo-
re della pontificia accademia di archeologia.
BIONDI marchese commendatore LUIGI, presiden-
te della pontificia accademia romana di archeo-
logia, soprintendente generale degli studi di bel-
le arti in Roma per S. M. il re di Sardegna ,
membro del collegio filologico dell'università ro-
mana, accademico della crusca.
BORGHESI BARTOLOMMEO , accademico della
crusca.
CAPPELLO prof. AGOSTINO, già medico consu-
lente di Leone XII, membro della congregazione
suprema di sanità.
CARDINALI CLEMENTE, consigliere governativo
della legazione di Velletri, segretario dell'accade-
mia volsca veliterna.
CARPI PIETRO, professore di mineralogia e mem-
bro del collegio medico dell'università romana.
DE-CROLLIS DOMENICO, dottore in medicina.
FOLCHI GIACOMO, professore d'igiene, di tera-
peutica generale e di materia medica , membro
del collegio medico dell'università romana, e del-
la congregazione suprema di sanità.
IV
GERARDI FILIPPO, dottore in legge.
POLETTI LUIGI, professore residente e cattedra-
tico coadiutore di architettura pratica nell'insi-
gne e pontificia accademia di S. Luca, professore
ordinario nell' ospizio apostolico di s. Michele ,
professore onorario della R. accademia delle bel-
le arti di Modena, direttore della riedificazione
della basilica di s. Paolo, socio ordinario della
pontificia accademia di archeologia.
TONELLI GIUSEPPE, dottore in medicina.
VISCONTI cav. PIETRO ERCOLE , commissario
delle antichità romane, presidente del museo ca-
pitolino , segretario perpetuo e socio ordinario
della pontificia accademia romana di archeologia.
COLLABORATORI
DEL GIORNALE ARCADICO
Al
^NTALDI marchese Antaldo, a Pesaro.
ANTINORI marchese Giuseppe, professore, a Pe-
rugia.
ARMARGLI conte Leopoldo, giureconsulto, a Ma-
cerata.
ASTOLFI avv. Angelo, a Bologna.
BARLOGGI Saverio, professore e membro del col-
legio filosofico dell'università, segretario del con-
siglio amministrativo degli acquedotti, in Roma.
BELLENGHI monsig. D. Albertino, benedettino-Ca-
maldolese, arciv* di Nicosia, consultore delle sa-
cre congregazioni de'vescovi e regolari, dell'indi-
ce e degli affari ecclesiastici straordinari , socio
ordinario della pontificia accademia di archeolo-
gia, in Roma.
BIANCHINI Antonio, segretario della società degli
amici delle belle arti, in Roma.
BRIGHENTI Maurizio, ingegnere, a Rimino.
BRIGNOLI di Brunoff Giovanni, professore, a Mo-
dena.
BONAPARTE S. E. Don Carlo, principe di Musi-
gnano, in Roma.
CAMILLI Stefano, a Viterbo.
CAMPANARI Secondiano, socio ordinario della pon-
tificia accademia di archeologia, in Roma.
CAMPANARI Vincenzo, in Roma.
VI
CANALI Luigi, professore e bibliotecario, a Pe-
rugia.
CANONICI FACHINI marchesa Ginevra, a Ferrara.
CANTALAMESSA CARBONI Giacinto, in Ascoli.
CASSI conte Francesco, a Pesaro.
CECILIA Gio. Francesco, in Roma.
CHELINI padre Domenico, delle scuole pie, pro-
fessore, in Roma.
CIAMPI cav. Sebastiano, a Firenze.
CONTI ab. Andrea, presidente del collegio filoso-
fico dell'università, in Roma.
CONTI dott. FILIPPO, medico, a s. Anatoglia di
Camerino.
COPPI ab. Antonio, socio ordinario della pontifi-
cia accademia di archeologia, in Roma.
CORDERÒ DI S. QUINTINO cav. Giulio, membro
della reale accademia delle scienze, a Torino.
DE-LUCA ab. Antonino, in Roma.
DIONIGI ORFEI contessa Enrica, in Roma.
DUMOUCHEL padre Stefano , della compagnia d
Gesìi, astronomo del collegio romano, in Roma.
FARI MONTANI cav. Francesco, dottore in filoso-
fia ed in sacra teologia, sotto custode di arcadia.
FERRUCCI avv. Luigi Crisostomo, a Lugo.
FERRUCCI Michele, professore, a Ginevra.
FIORINI Mazzanti Elisabetta, a Terni.
FOLCHI cav. Clemente, consigliere dell' insigne e
pontificia accademia di s. Luca, ingegnere ispet-
tore membro del consiglio d'arte, ingegnere del-
la s. congregazione delle acque , membro della
commissione consultiva delle belle arti , archi-
tetto del sacro tribunale della consulta, socio or-
dinario della pontificia accademia di archeologia,
in Roma.
vii
FONTANA cav. Pietro, a Spoleto.
FRANCESCHI FERRUCCI Caterina, a Ginevra.
GUZZONI DEGLI ANCARANI Carlo, a Macerata.
JONII avv. Lodovico, giudice, a Norcia.
LABUS dott. Giovanni, a Milano.
MALVICA barone Ferdinando, socio ordinario del
reale instituto d'incoraggiamento, a Palermo.
MAMIANI DELLA ROVERE conte Giuseppe , a
Pesaro.
MARCOTULLI dott. Luigi, medico, a Sezze.
MORDANI Filippo, a Ravenna.
MONTANARI Giuseppe Ignazio, professore, a Pe-
saro.
MORICHINI monsig. Carlo Luigi, referendario del-
l'una e dell' altra segnatura , ponente del buon
governo, prelato aggiunto alla s. e. del concilio,
abbrevlatore sopranumero del parco maggiore ,
pro-presidente dell'ospizio apostolico di s. Mi-
chele, in Roma.
MUZZARELLI monsig. Carlo Emmanuele, prelato
domestico, uditore della sacra rota, in Roma.
ODDI Giuseppe, professore e membro del collegio
filosofico dell'università, in Roma.
PAOLI conte Domenico, a Pesaro.
PERETTI Pietro, professore, in Roma.
PERUZZI monsig. Agostino, rettore dell'università,
a Ferrara.
PIANCIANI padre Gio. Battista , della compagnia
di Gesù, professore nel collegio romano, mem-
bro del collegio filosofico dell'università, in Roma.
PUCCINOTTI dott. Francesco, medico, in Firenze.
PUNGILEONI padre maestro Luigi, minore con-
ventuale, consultore delle sacre congregazioni de'
vescovi e regolai"! e de'riti, in Roma.
vili
BAMBELLI Gio. Francesco, professore, a s. Giovan-
ni in Persiceto,
RANALLI Ferdinando, a Firenze.
RICCARDI dott. Gregorio, medico, in Roma.
RICCI marchese cav. Amico, a Macerata.
ROVERELLA conte Gio. Antonio, a Cesena.
SALVI cav. Gaspare , consigliere e professore di
architettura teorica nell'insigne e pontificia ac-
cademia di s. Luca, ingegnere ispettore membro
del consiglio d'arte, membro del collegio filosofi-
co dell'università, architetto de'ss. palazzi aposto-
lici e del sacro tribunale della consulta, in Roma.
SANTARELLI Michele, professore, a Macerata.
SANTUCCI ab. Loreto , custode generale emerito
di arcadia , membro del collegio filologico del-
l'università, incaricato di affari della santa sede
presso la real corte di Toscana.
SGLOPIS di Salerano conte Federico, membro del-
la reale accademia delle scienze, a Torino.
SORGONI dott. Angelo , medico comprimario , a
Narni.
TORTOLINI ab. Barnaba, professore, in Roma.
VACGOLINI Domenico, professore, a Bagnacavallo.
VALDRIGHI conte Mario, a Modena.
VENTUROLI prof. Giuseppe, presidente del con-
siglio d'arte pei lavori di acque e strade, membro
del collegio filosofico dell'università, in Roma.
VERMIGLIGLI cav. Gio. Battista, professore neir
università , direttore del museo di antichità , a
Perugia.
VESCOVALI Luigi , socio ordinario della pontifi-
cia accademia di archeologia, in Roma.
VIOLA Sante, a Tivoli.
VOLPICELLI dott. Paolo, professore, in Roma.
SCIENZE
Sopra alcuni nuovi riflettori lavorati in Roma per
uso di grandi telescopii. Memoria del professore
Feliciano cav. Scarpellini-, letta nelV accademia
romana de^ lincei nella pubblica adunanza del
giorno 3 di agosto 1835 (1).
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fssere la scienza sublime degli astri per la di-
gnità del suo soggetto, per la perfezione delle sue
teorie, come dice La Place, il più bel monumento
dello spirito umano, il titolo più nobile di sua in-
telligenza, è una verità che ci attesta la storia di
tutti i tempi, di tutte le nazioni, di tutte le scien-
ze. Innalzarsi questo monumento sopra l'aiuola, che
ci fa tanto feroci, e penetrar esso nella immensità
dello spazio, fede ne fanno i voli sicuri , che già
l'umana intelligenza vi fece ; poggiarvi essa collo
sguardo oltre anche la possa della facoltà visiva ,
che le venne accordata, prova ne porgono i gigan-
(i) Essendosi esaurita la prima edizione di questa memoria,
che con magnifica stampa fu pul)blicala dalla tipografia Sai-
viucci nell'anno i835 per ordine di sua eccellenza il sig. duca D.
Alessandro Torlonia, noi crediamo far cosa grata agli amatori
nazionali ed esteri, che la ricercano, di riprodurla in questo
giornale, coH'agyiunta di un appendice assai importante.
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teschi passi, che fece nell'ottica, coi quali le natu-
rali forze vinse e se stessa. Se non è questo l'api-
ce del gran monumento, fu però, non v'ha dubbio,
la scala, con cui essa giunse a misurarne l'altezza.
Ecco perchè men feroce , ma pili eccelso divenne
lo spirito umano , alloraquando da questa bassa
terra partì a conquistare col telescopio alla mano
l'immensità dello spazio. Sia chi si voglia l'inven-
tore di tale istromento, certo e che Galileo, gran
luminare de'nostri antecessori lincei , giustamente
feroce della sorprendente facoltà della visione, per
non degradarla a fermarsi sopra terrestri oggetti
di questa misera aiuola, come in origine si fe'per
trastullo, fu il primo a rivolgere questo suo istru-
mento nella vastità dello spazio , dacché vide su
questa , al dire di Bailly , dominii occupati e già
fatti partaggio dei grandi e dei ricchi; perciò quel
tubo dirizzando verso del cielo, l'immenso mondo
della scienza scoprì , e vi rinvenne il gran domi-
nio , che non appartiene che al genio. Fu questo
grande slancio dell'occhio linceo, che sublimò l'a-
stronomia, e coronò tante altre corone, come rimar-
cò Frisi, dell'immortal Galileo. Narrar le conquiste,
che senza stragi ed oltraggi, ma a gloria dello spi-
rito umano, a nome della scienza, a prò della so-
cietà questo genio vi fece, sarebbe oltraggiare alla
memoria indelebile, che quasi tutti nel mondo con-
servano, del più famoso scientifico avvenimento.
Per la qual cosa incoraggialo l'uomo per tan-
ta conquista, convinto potersi la sua facoltà visiva
a dismisura ingrandire , e ampliarsi oltre ancora
il già assai ampio acquistato dominio, tutti gli sfor-
zi della scienza e dell' arte impiegò ad ingrandire
e perfezionare quella scala, a salir sulla quale , a
Nuovi Riflettori 3
tanta altezza nello spazio , dato già ne aveva Ga-
lileo il celebrato esempio. Fu perciò da quella me-
morabile notte , in cui egli Ta sulla torre di Ve-
nezia, la prima volta mostrò ai grandi della terra
il più nobile e il più vasto dominio, che a nome
della scienza conquistato egli aveva nella immen-
sità dello spazio; e fu da quel momento fino a que-
sti nostri ultimi giorni a tal progredimento il te-
lescopio portato, che del doppio almeno in tanta
immensità si accrebbe dell' astronomica scienza il
dominio.
Son note le epoche più rimarcabili di que-
sto progredimento, che tanto onora lo spirito uma-
no , e tanto nobilita la scienza. Viste e ben com-
prese le vie , che prende la luce ne' suoi incontri
diversi colle superficie di convergenza, visti i rap-
porti che colle varie curve di esse i luminosi rag-
gi vi ottengono, era indi£ferente l'assumer le leggi
a quegl'incontri dei raggi prescritte, a questi rap-
porti colle curve legati, sia che i raggi, le diafane
od opache superficie di convergenza invadendo, vi
fossero rifratti, sia che vi venissero riflessi; impe-
rocché dalle diafane superficie convesse , e dalle
concave delie opache, sempre risultando o dei ri-
fratti, o dei riflessi raggi paralleli, la convergenza
in un punto, che foco fu detto, l'immagine sem-
pre in qualunque siasi rapporto di loro curve ne
risultava dell'oggetto raggiante , e l'apparente suo
ingrandimento, e l'estimato suo avvicinamento era-
ne sempre il risultato.
Aumentandosi questo sempre in ragione della
distanza del foco dalla superficie di convergenza ,
era in potere dell'ottica di ottenere ancora ulte-
riori ingrandimenti , guardando le già aumentate
4 Scienze
immagini portate vicine all'occhio con lenti dì più
o meno piccola distanza di foco e di forza , per-
ciò pili o meno aumentatrice. Ecco i pochi e sem-
plicissimi principii cato-diottrici, su cui tutta è ba-
sata del telescopio la teoria.
Fu della prima specie, o diottrico, il cannoc-
chiale , che r Italia vanta aver prima rivolto a
scoprire le maraviglie del cielo : come in questa
prima epoca del telescopio, vantò Roma aver da-
to i primi vetri di convergenza o lenti oLbiettive
delle maggiori distanze di foco. Sono ricercate an-
che a'giorni nostri quelle di Eustachio De-Divinis
e del Campani.
Fu della seconda specie, o catottrico, il can-
nocchiale ideato in origine in Francia , e poi in
Inghilterra eseguito: e può dii-si, che i riflettori di
convergenza segnarono la seconda epoca del tele-
scopio, come i vetri di convergenza , o i cannoc-
chiali diottrici avean segnato la prima.
Vide il gran Newton, come già vista aveala
l'immortale Keplero, l'importanza delle ottiche co-
gnizioni per la sublime scienza degli astri ; e come
questi ne trasse le verità capitali, cosi quegli giun-
se a formarne un corpo di scienza , che il titolo gli
meritò di fondatore. Che cosa non fece nelle mani
di questo genio rarissimo il prisma cedutogli da
Gassendi? Fra tante maraviglie, che giunse a sco-
prirvi, si avvide ancora, ch'essendo i vetri di con-
vergenza un assieme di prismi, d'uopo era che da
quelli gli effetti risultassero del prisma , la di-
spersione cioè dei raggi luminosi , e la colora-
zione perciò delle immagini nel punto della con-
vergenza di quelli , ove queste vengono rappre-
sentate. Questa verità teoretica confermata dal fat-
Nuovi riflettoki 5
to, oltre l'aberrazione dei raggi luminosi dal pun-
to di lor convergenza, che doveane risultare, cosi
per la varia refrangibilita dei raggi colorati , co-
me per la sferica configurazione dei vetri refrat-
tori , donde questa doppia aberrazione deriva a
guastar le vere immagini, gli fece concludere la
imperfezione dei vetri di convergenza, e troppo
presto gli fece anche dire disperato il pensiero
di tentarne la correzione. Non è raro l'esempio, che
certe verità dimostrate , quando non abbiano an-
cora di tutti i fatti la guida , conducono talora a
troppo azzardate conclusioni. Certo derivarono que-
ste da alcune avvertenze sfuggite sopra teoretici
tentativi , per cui piìi tardi avvenne la disperata
correzione, che colla lente acromatica, come ognun
sa, in appresso si ottenne. Compensò di assai però
Newton il ritardo di questa celebratissima inven-
zione , che perfezionò la prima specie di cannoc-
chiale, e lo compensò col darci la seconda specie
o telescopio catottrico formato, come ognun sa, di
un riflettore di convergenza, presso il cui foco il
cono luminoso , pria che vi giunga , vien lateral-
mente piegato da un altro piccolo riflettore piano
posto ad angolo semiretto coll'asse, e nel punto dì
convergenza dei raggi la già ingrandita immagine
dell'oggetto, e avvicinata all'occhio a piacimento si
aumenta mercè delle lenti di varie forze, colle qua-
li vien riguardata. Di questa specie appunto è il
gran telescopio , che qui vi presento, e che perciò
catordiottrico, o newtoniano fu detto. Se fu New-
ton il primo ad eseguirlo non più lungo di sei
pollici, e quindi Halley di cinque piedi ; non fu
però il primo a proporre a tal uso i riflettori ,
poiché Cartesio, Mersenne, Gregori, e Cassegreu ne
6 Scienze
avevan pria di lui concepita l'idea. Le questioni
però fra loro insorte, le opinioni sul sistema mi-
gliore da scegliersi, e sopra tutto le loro specula-
zioni sulle figure paraboliche o elettriche da dar-
si a tali riflettori, non favorite dalle esperienze per
la somma difficolta di ottenerle, ne ritardarono, e
quasi distrussero le belle idee. Newton pili felice
a seguire le vie dei raggi riflessi , che quelle dei
rifratti nel telescopio , riducendo tutto a nozioni
semplici, e a circoscriverle dentro i termini della
possibilità, fu il primo ad eseguirlo, e meritò es-
serne detto l'inventore, come il sarebbe stato anche
dell'acromatico, se quelle sviste non l'avessero trat-
to fuori dalle vie dei raggi rifratti.
Ecco le specie di telescopi, coi quali l'umano
ingegno giunse a sorpassare i confini assegnati alla
sua facoltà visiva. Essendo la scienza dei cieli la
scienza propria dell'uomo, mentre la causa supre-
ma, l'ordine universale, il tutto d'ogni suo sapere
senza maestro vi legge, pare che fosse a lui dato
di potervi penetrar collo sguardo anche al di là di
quei termini, che erano bastanti alla naturale sua
continuazione, ai suoi rapporti, ai suoi bisogni ,
perche appunto in quelle immense regioni la glo-
ria di un Dio onnipotente sentisse che gli narrano
i cieli , e le opere ammirabili delle di lui mani
scorgesse , che il firmamento gli annuncia. Esser
circoscritti anche quei termini, ai quali pervenne,
prove ne porgono la sua limitata natura, le finite
sue facoltà , la differenza immensa che passa tra
r infinito e il finito. Esser però pervenuto agli
estremi possibili, non lo dice il fatto, noi consen-
te il progredimento, di cui si scorge, e si spe-
Nuovi Riflettori 7
rimenta capace. Ed eccomi al punto, su cui inten-
do tutto volersi aggirare questo mio ragionamento.
Avea già Newton traveduto fra la verità e l'er-
rore la impossibilita di correggere il primitivo can-
nocchiale diottrico; le due aberrazioni, cui soggia-
cea per essenza, certo facevano disperarne il rime-
dio. Ma Eulero non le rinveniva neirocchio umano,
prototipo di perfezione delle diottriche superficie
di convergenza. Dunque o netta non era la verità
per la parte di Newton , o era a discifrarsi con
lo studio dell'occhio. Stava Kllngestlern per Eulero,
e pel suo Newton Dollond, e per la verità stavano
l'esperienza e l'analisi, le quali dopo il conflitto
delle opinioni, e della prevenzione per un gran no-
me, mercè della prima lente acromatica da Dollond,
eseguita ad imitazione dell'occhio, decisero la pos-
sibile correzione dei cannocchiali diottrici , come
Newton istesso dopo le speculazioni sulle curve da
darsi ai riflettori deciso avea sulla possibilità del
telescopio cato-diottrico. Quando slan mossi i pas-
si sempre sulla via del vero, è sicuro e sollecito il
progredimento, ch'altri vi tenta: se si devia però,
o vi s' immaginano ostacoli, il rientrarvi o il supe-
rarli esige lungo tempo e decisa costanza. Che dif-
ferenza fra il primo cannocchiale di Galileo pochi
pollici lungo, e che piìi di tre volte non ingrandi-
va le immagini, e quello che il primo diresse al
cielo per discoprire e mostrare le maraviglie dell'
universo? Qual diff"erenza poi, e che lunghezza di
tempo fra questi e gli acromatici di Dollond, e il
COSI detto gigante ottico di Fraunofer , che esiste
a Dorpat."* Che differenza fra il primo telescopio
di Newton sei pollici lungo, e quello di llcrschel di
quaranta piedi, visitato a Slough come una delle
8 Scienze
maraviglie del genio e dell'arte? Fattasi la stupenda
invenzione di ampliare la facoltà visiva, si sarebbe
mai pensato dall'ingrandimento di tre volte poter-
la condurre oltre quello di tremila, quando un tal
progredimento in entrambi i casi erasi anche ripu-
tato impossibile? Ma allo spirito umano dar si vol-
lero facoltà di ragione: e tali non sarebbero, come
accade nei bruti , se la qualità non avessero del
progredimento. Non avrebbero neppur sognato Ga-
lileo e Newton gli accaduti al tempo nostro: e quel-
li che questo tempo chiameranno antico prenderan-
no forse di noi compassione. E bene, a che segno,
direte voi, potrà lo spirito umano arrivare a pene-
trare collo sguardo nella immensità dello spazio?
Avvi forse possibilità di attinger quei limiti, che
dicemmo alla sua finita natura assegnati? Io non so
per quali altre scale diverse dalle rinvenute fino-
ra potesse oltrepassare i fin qui toccati confini, per
altri tentarne più remoti, ma sempre finiti: come
non sapeasi un giorno poco distante dai nostri ,
con quali altri motori diversi dai già conosciuti
spinger si potessero con velocità straordinaria e
per terra e per mare le vetture e i battelli , che
furon poi detti a vapore. So però, che della finora
usata scala servendosi, ad ampliare nello spazio il
dominio della scienza, la scienza istessa e gli stes-
si suoi principii ne suggeriscono i mezzi egualmen-
te possibili. L'ardito assunto sta tutto, o ad allun-
gare le distanze focali, e in proporzione ampliare
le aperture così delle diottriche, come delle catottri-
che superficie di convergenza, ovvero ad immagina-
re un metodo, che assicuri a tali superficie tanta
esattezza delle loro curve, che il risultato della ma-
novra sia quasi quello della matematica espressio-
Nuovi Riflettori 9
ne; risultato, che fu creduto quasi impossibile nel-
le curve di lunghissima distanza focale. Dimostra
in fatti la teoria, esser questa la qualità essenziale
di dette curve: anzi potersi con essa compensare
l'eccessiva lunghezza dei fochi ad ottenerne i piìi
forti ingrandimenti. Starebbe dunque in questo me-
todo il gran segreto dello sperato progredimento.
Non è qui luogo di prendere in considera-
zione i giganteschi macchinamenti, e le difficolta che
si accrescono nel trattar telescopi di si enormi e
proporzionate dimensioni accresciuti. Sta alla mec-
canica il superarle , come le superò nella prima
epoca del cannocchiale, quando si videro rivolgersi
al cielo quelli di Ugenio e di altri di ben 123 piedi
di focale lunghezza. Dove non giunse il desio di
sapere, e la pazienza, il travaglio, l'impegno di ve-
der pili degli altri.**
L'ardito assunto , che dicemmo suggerirci la
la scienza che ora scendo ad esporre , si deve al
peritissimo ottico sig. Alberto Gatti , da Magliano
provincia di Alba in Piemonte, ingegnere geometra,
membro della reale società di agricoltura, e cor-
rispondente della reale accademia delle scienze di
Torino. Incoraggiato questo perito ingegnere dal-
le speranze di rinomatissimi astronomi sulla pos-
sibilità di migliorare i telescopi e i lavori di ot-
tica, e molto pili dai felici tentativi che per tren-
t'anni egli fece per riempir tali speranze , e per
oltrepassare quei limiti , cui fin qui si pervenne
in detti lavori; e provocato da un articolo da lui
riscontrato nel Monitore di Francia del giorno 30
settembre 1819, in cui dicevasi, appartenere a ben
piccolo numero di dotti il dichiarare, se possa spe-
rarsi ancora qualche perfezionamento nella fabbri-
G. A. T. LXXIV. 2
f 0 S e I E N S E
caziene clegl'istrumenti di ottica , si mirabilmente
finora eseguiti; si decise a pubblicare nel supple-
mento alla gazzetta piemontese num. 36 del gior»
pò 26 marzo 1824 le sue prime idee sopra un me»
lodo da lui immaginato , di cui già con semplice
annunzio prevenuto aveva il pubblico nel 1820 con
questo titolo: » Nuova maniera di migliorare gl'i-
strumenti ottici con sempre crescente progressio-
ne. » Persuaso egli dal propri suoi tentativi, che
il cercato miglioramento non potrebbe ottenersi che
per una via affatto diversa dalle finora battute , an-
nunciò nel num. 77 della stessa gazzetta sotto il
giorno 27 giugno 1822, che le nuove esperienze
da lui istituite lo avevano intieramente convinto,
che la via da lui presa non solo conduceva, ma
era l'unica a migliorare gl'istrumenti ottici , e
specialmente le due specie di telescopi. Recatosi
egli in appresso in Roma, ove sembrano ingigan-
tirsi le belle idee , continuò a perfezionare i saggi
dei suoi lavori, dei quali sovente ebbe occasione
di mostrare ai dotti e agli amatori nazionali e
stranieri 1 belli risultamenti. Non poterono essi
sfuggire alla perspicace considerazione di uno dei
pili illuminati ministri del governo, l'eminentis-
slmo e reverendissimo principe signor card. Giu-
lio Maria della Somaglia decano del sacro colle"
gio, e in allora segretario di stato di Leone XII,
Egli pertanto, prima di sottoporre al sovrano una
memoria umiliata dal Gatti sopra la sua inven-
zione, volle con suo dispaccio del giorno 13 no-
vembre 1826 consultare il giudizio della roma-
na accademia dei lincei: la quale nominò fra i
suoi membri una speciale commissione, incarlcan-
(loia del richiesto esame^ deU'interpcllato scntimen-'
Nuovi Riflettori 11
to , e della redazione di un rapporto al corpo
accademico, che avendo quello approvalo, n'ordinò
per copia conforme alla segreteria di stato la tras-
missione.
Accordò essa, che di questo rapporto fosse per-
messa la pubblicazione colla stampa, a gloria ed
incoraggiamento dell'inventore, cui anche fu ag-
giunto qualche attestato della beneficenza sovrana.
La commissione medesima continuò nello stesso
incarico per altri rapporti, che in diverse epo-
che l'accademia diresse ai successivi segretari di
stato, gli eminentissimi e reverendissimi principi
signori cardinali Bernetti e Albani , sopra altri
quesiti sullo stesso argomento, dei quali venne o-
norata.
Ecco i cenni istorici, che fissano l'epoca della
invenzione del nostro Gatti, dell'interesse che ne
prese il governo, dell'accoglimento che ne ottenne
in Roma. Da queste cose apparisce quanto ne sia be-
nemerita la romana accademia dei lincei, che fu
la prima a proferirne giudizio, a registrare, a ga-
rantire ne'propri atti tutto ciò, che sotto gli occhi
suoi avvenne nel progredimento di tale invenzione,
come ancora negli onorevoli risultati, che poscia,
come si dira, ne derivarono. E siccome agli antichi
lincei tanto appartenne per le cure e per l'interes-
se che ne presero, il memorando assunto del gran
Galileo loro collega, di spinger per il primo lo
sguardo nella immensità dello spazio , come ai
ristabiliti lincei tanto appartiene quello del Gatti
di oltrepassare quegli immensi confini, parrebbe
essere riserbato alla Lince Romana di dirigere e
regolar i più acuti sguardi fin dove sarà permesso
ad occhio mortale.
12 Scienze
Ma tempo è che io scenda a qualche det-
taglio deUa invenzione che io presi ad esporre,
e spcciahnente del metodo, che le dh il pregio
di una interessantissima novità. Diretto essendo per
vie non ancora tentate l'assunto del Gatti pel mi"
glioramento delle diottriche e delle catottriche
superficie di convergenza, preferì di cimentarlo
in queste ultime, o nei riflettori, convinto di uguali
successi nelle prime, o nei refrattori. Quindi si
fece in primo luogo a cercare quali fossero i corpi
più acconci a costruirsi, affinchè la migliore ri-
flessione si avessse dei raggi luminosi; e poscia
qual fosse il metodo il pili sicuro per ridurli a
precisa superficie di convergenza, a fine di con»
seguirvi la più decisa terminazione delle imma-
gini degli oggetti riflessi. Sulla scelta pertanto dei
materiali, e sul metodo di trattarli consiste l'as-
sunto, e la qualità di questa invenzione. Dopo il
perfezionamento recato coli' acromaticismo nelle
semplici refringenti superficie di convergenza, ap-
partiene alla chimica, all' ottica, all'analisi di re-
golare la scelta dei vetri: ma dai risultamenti di
più tentativi la scelta dipende dei materiali più
acconci per le riflettenti; e sotto questo aspetto,
o per trovarli in natura o per comporli , è più
scabroso l'assunto; il metodo per ridurli poi in
esatte superficie, in entrambi è lo stesso.
Si sa quale ardua difficoltà, e di quanta spesa
sia la fusione delle leghe metalliche solite ad as-
sumersi per costruire i riflettori pei telescopi ;
si sa il penoso e lungo travaglio per condurli al-
la perfezione , e l' alterazione che a lungo tempo
vanno essi a subire. Ma tanti essendo in natura
} materiali capaci non meno che i metalli del
Nuovi Riflettori 13
più bel pulimento e della più viva riflessione dei
faggi , pareva piìi giusto al nostro Gatti di ri-
correre a questi, che in tanta copia la natura ci
offriva, e che con pili regolari forze e processi,
e con sintesi piìi ordinata e tranquilla^ a dovizia
troviam preparati.
Furono pertanto i primi suoi tentativi so-
pra le così dette pietre dure, le agate, le sar-
doniche, i diaspri, in genere le silicee come le
piìi capaci di tersissimo pulimento ; ma queste,
oltre il valore, non porgevano speranza ad avere
riflettori di gran diametro, benché gli effetti ne
guarentissero la scelta. Con non minori successi
tentò egli i porfidi e i graniti a procurarsi piìi
grandi aperture. Cimentò gli smalti , le obsidia-
ne, e perfino i marmi conchigliari, o altre specie
di pietre assai compatte e di ardito pulimento
capaci.
Questi saggi che per suo studio teneva, e so-
vente mostrò ai commissari dell' accademia, e le
indagini che coi confronti vi raddoppiava, lo con-
dussero finalmente al sommo della sua invenzio-
ne, che il decise per la scelta del marmo così
detto nero-antico , da qualcuno creduto il tena-
rio, così dagli antichi chiamato, perchè cavavasi
a Tenaro promontorio della Laconia, e tal ripu-
tato , mentre Plinio e Strabone lo dicono pre-
zioso, e adattissimo al pulimento da specchio: ed
è certamente che per questo carattere meritava
fra i naturali prodotti nella proposta ricerca, e
nella scelta, la preferenza.
Restava quindi sempre un ostacolo a supe-
rarsi ( onde ridurre ad esecuzione il suo pi'o-
getto), quello cioè dei mezzi pecuniari. AUor-
14 S e I E N « E
che il Gatti fece conoscersi in Roma , non aveva
potuto esercitare il suo genio inventore che so-
pra piccolissimi specchi, i quali potevano soltanto
dare un' idea della cosa: ma perchè la scienza vi
guadagnasse, e perchè le fatiche dell'inventore fos-
sero coronate da un felice successo, e ne traman-
dassero la memoria alla posterità, conveniva farne
l'esperimento sopra una scala piìi vasta: ed a fare
ciò abbisognava un qualche generoso protettore.
Esso il rinvenne nell'egregio sig. duca don Alessan-
dro Torlonia, senza l'aiuto del quale 1' invenzione
del Gatti giacerebbe forse tuttora negletta , la di
lui sussistenza sarebbe tuttavia incerta, e l'umani-
tà defraudata dai progressi e dalle scoperte ulte-
riori delle scienze astronomiche, cui il perfeziona-
mento dei telescopi apre la strada. Egli amantis-
simo delle cose belle, e di tutto ciò che può aggiun-
gere lustro e splendore alla nostra dominante , si
mostra in tutto 1' emolo del colto e virtuoso suo
germano don Carlo, possessore del piìi bello e gran-
de acromatico inglese che esista fra noi. E difatti ,
inteso appena l'elogio della scoperta e dei vantag-
gi che ne potevano risultare per la scienza, e de-
sideroso eziandio di conservare a Roma e provve-
dere alla sussistenza del povero inventore (in età
avanzata già pervenuto) non esitò un istante a fis-
sare un congruo giornaliero sussidio a favore del
medesimo, onde potesse lavorare e ridurre a perfe-
zione i suoi riflettori.
E siccome ad ottenere ciò si richiedeva inoltre
una spesa non piccola, onde procurarsi i materiali
necessari alla lavorazione, e tutt'altro alla medesi-
ma inerente; volle provvedere anche a questo, assu-
mendo il tutto a suo carico, e prescrivendo al Gat-
Nuovi Riflettori 15
ti eli iluìla trascurare o tenergli occultò di quanto
potevagli occorrere^ onde raggiungere (ne'suoi la-
vori) la maggior perfezione. Fu appunto per tali
non comuni facilitazioni che si ottenne 1' intento
bramato.
Non fu però che nell* anno 1833 che per la
prima volta venne in luce un riflettore di 8 piedi
di foco, il quale volle che a foggia dei pili belli
lavorati in Londra fosse nobilmente montato e di
tutti i movimenti capacej a norma del modello che
sulle mie idee erasi gik esibito; onde il telescopio
romano, dalla terra al cielo rivolto, i movimenti se-
guire potesse degli astri. Tralascio di descrivere il
meccanismo egregiamente in Roma eseguito dal pe-
rito nostro meccanico sig. Angelo Lusvergh, limi-
tandomi a rappresentarne nell' annessa figura la
semplice idea della disposizione delle parti, le qua-
li equilibrate essendo nella migliore maniera fra
loro, si prestano con facile e dolce andamento ai
grandi e piccoli movimenti operati dalla sola mano
dell'osservatore, colle note viti di rappello.
Dopo di ciò avendo osservato il signor D. Ales-
sandro Torlortia, che lo specchio suddetto essendo
di una grandezza comune non avria procurato alla
invenzione quella pubblicità, ed al suo autore quel-
la fama che in casi consimili deve desiderarsi, ordi-
nò che due altri se ne costruissero di straordinaria
grandezza. Esso in ciò fare da niun altro desiderio
venne animato, se non da quello di aprire un cam-
po air ingegno del Gatti onde giungere potesse al
sublime ed alla perfezione del suo lavoro, e nuU'af-
fatto gli calse se per raggiungere questo scopo si
richiedesse maggior tempo o dispendio. A tale ef-
fetto volle che il Gatti potesse giovarsi (sempre a
i& Scienze
sue spese) dell'opera del suo allievo Belli, della stes^
sa patria del Gatti e della stessa inclinazione, per
isperarne un degno successore. Volle inoltre che i
medesimi venissero costruiti sotto la mia direzione
e presso di me in Campidoglio, avendo a tal fine
generosamente apprestato due grandi deschi di su-
perbo nero antico, il primo di 20 piedi di foco e
poli. 26 di diametro, il secondo di poli. 28, ed in
entrambi le facce ridotte in superficie di conver-
genza Tuna del foco di 20 piedi, V altra di 40,
misura francese. Nel dare tali disposizioni genero-
se non fu per esso di piccolo eccitamento il de-
sio, che Roma non dovesse più invidiare un tele-
scopio di Herschel.
Terminato il primo di questi riflettori, si volle
osservarne un qualche effetto. Troppo vicini erano
per esso gli oggetti terrestri, e non era a profa-
narsi su questi. La curiosità ne spinse però a di-
rigere la grave massa alle solite tusculane colline
non più remote di circa 12 miglia. Nulla io dirò de-
gli osservati effetti, poiché ne decise il pubblico at-
tiratovi dalla curiosità, e dalla voce che ne precorse;
dirò solo che il celebre capitano Basilio Hall ed al-
tri dotti inglesi si felicitarono di avanzare le loro
congratulazioni con chi era stato di si bell'opera il
benefico promotore: ed io mancherei a me stesso ,
ed al dovere di storico, se non riferissi tali partico-
larità, e non mi associassi in rendere all'egregio sig.
D. Alessandro Torlonia quel tributo di lode, che la
giustizia e la verità m'impongono, per un tratto si
bello di commendevole generosità.
Restami ora a far conoscere il fondamento del
nuovo metodo immaginato dal sig. Gatti per ridurre
in superficie di convergenza o le refrangenti o le
Nuovi Riflettori 17
riflettenti materie. Questo metodo, che abbraccia tut-
ti gl'istrumenti della diottrica e della catottrica , in
genere è quello conosciuto ed usato dagli ottici di
tutti i tempi. Fu però a tal finezza condotto dal Gat-
ti, e su tale ragionamento basato, che, come dicem-
mo , il pregio acquista di una novità la piìi inte-
ressante; e ravvicinando il massimo sforzo della pra-
tica alla matematica espressione, ardisco chiamarlo
il non plus ultra della mano operatrice dell'ottica.
Sa benissimo questa mano, diretta dalle ottiche co-
gnizioni, e dalla esperienza addestrata, stare il tut-
to di sua professione nel saper dare alle materie che
ha scelto le precise superficie curve di convergen-
za, che loro sono assegnate. Questo primo passo non
altro richiede, che poche cognizioni, ma molta pe-
rizia e diligenza, sia nel descriver le curve, sia nel
ricavarne le superficie, che piatti o forme son det-
te, colle quali ridur si dovranno le assunte super-
ficie, acciò ne siano le concentriche corrispondenti;
sia finalmente nel ridurre Je forme stesse , o nel
concentrarle.
Ottenute così le richieste curve, e fedelmente
tradotte sulle superficie non atte ancora a riflettere
o a rifrangere i raggi di luce, trattasi compartir lo-
ro quel lustro , che la bella riflessione acquistino
degli specchi, o delle lenti la brillante trasparenza.
Ecco il piìi pericoloso momento per loro. Accade
sempre, piìi o meno, che il progresso al lustro sia
in ragione reciproca di quello alla precisione delle
curve, che è l'essenziale. Conobbero i piìi accorti
periti lo scoglio di questo momento , che porta a
passi retrogradi , e si studiaron di abbatterlo ; ma
non fu ancora annullato. Si conoscono i mezzi as-
sunti per conseguire siffatto pulimento. Per quanto
48 Sciente
siano essi i più fini, certo è che ilon sono consìé^
guiti colle stesse identiche superficie, che formaroii
le curve: e tanto basta perchè queste siano alterate*
Non può adunque sperarsi, che per le vici finorat
battute si possa in esse conservare quella qualità,
ch'è l'essenziale.
Ora ecco come, ragionando e tentando, feli-»
cernente vi giunse il nostro inventore per altra via<
Fissata e compartita coi noti processi la curva ri->
chiesta ai suoi riflettori, fabbrica egli sopra la incur-
vata lor superficie quel piatto o forma, che do-
vrà migliorarla, raffinarla, allustrarla, affinchè colla
forma sempre la stessa sia il lavoro incominciato e
finito. Ecco l'inalterabilità della curva, anzi il con--
tinuato suo perfezionamento*
Tutto questo lavoro s'incomincia e si compie col
solo smeriglio dal grosso fino all'impalpabile. Con
una regolare e graduata decantazione delle sue poN
veri si prepara una serie pi'ogressivamente piìi fina^
che a piacimento può protrarsi ad una eccessiva
sottigliezza; e con esse gradatamente travagliando la
superficie del riflettore , si arriva al lustro del
piìi forbito acciaio, e delle gemme stesse ; e ciò
che pili importa , a conservai^e la curva , anzi a
ravvicinarla con progressivo perfezionamento alla
matematica espressione. Marciano dunque cosi in
ragion diretta fra loro alla perfezione queste due
delicate condizioni delle superficie di convergenza.
Ecco perchè questo elegantissimo metodo fu chia-
mato dall'inventore » Nuova maniera di migliorare
gl'istrumenti di ottica con sempre crescente pro-
gressione; i> il che s'è vero per matematica idea ,
per la fisica però forza è confessarvi un confine. Da
tutto l'esposto apparisce, che questa nuova maniera
Nuovi Riflettori 19
sta interamente nella natura, nelle qualità, nella
costruzione della forma, che incomincia il lavoro,
e lo conduce con quella progressione crescente, se
non al massimo , certamente al maggior grado del
suo perfezionamento.
Lungo sarebbe il dettaglio della preparazione
di tali forme; e d'altronde» consistendo specialmente
su queste lo studio, il travaglio , i tentativi di tanti
anni, e il servigio che l'inventore ne rese all'indu-
stria e alla scienza, non mi sarebbe permesso col
descriverlo di appropriarmi e di spacciare l'altrui.
Dirò soltanto, poiché tali forme furono talora mo-
strate , essere esse una superficie o concava o con-
vessa, secondo che lo richiede il lavoro da farsi, la
quale risulta da un assieme di pietre dure collegate
fra loro con tale ingegnoso artificio, che un tutto ri-
sulta esattamente concentrico alla superficie , che si
lavora. Giunta essa all'ultimo grado , il brillante
delle pietre dure supera quello dell'arte.
La felice occasione offertasi al Gatti di costrui-
re i due gi*andi riflettori sopra indicati, ha por-
tato anco in questi ultimi mesi ad un passo di
tanta entità, che arrecando eziandio nel lavoro una
facilità e un risparmio di tempo, va del doppio ad
accrescere il pregio dell'invenzione. Tali sono sem-
pre i frutti del favore e della munificenza che ac-
cresce i mezzi, e dà il diritto alla gloria a chi sa con
senno accrescerli a tempo.
Ma qui sento da qualcuno obbiettarsi : Come
dunque son divenuti famosi i riflettori di Herschel
a Londra, quelli di Schroeter lavorati da Scander
in Germania; come le obbiettive acromatiche di Dol-
lond, quelle di Fraunofer, e quelle perfino appre-
stateci dal nostro dotto Prunelli in Ancona, le quali
20 Scienze
riscossero già 1' approvazione e l'applauso di lutti i
dotti in Europa, quando non prima di oggi si sa l'in-
venzione fatta dal Gatti» e di piìi si asserisce esser
l'unica a conseguir il miglioramento degli ottici
istrumenti?
Il miglioramento egli cercò col suo nuovo me-
todo: il miglioramento cercaron col loro i sopra ci-
tati celebratissimi ottici addotti in esempio. Ninno
prelese aver conseguito la perfezione. Che se stesse
il miglioramento nella invenzione , che non prima
di oggi si seppe, si farà forse onta a chi, senza que-
sta, così egregiamente finora operò, e meglio in ap-
presso potrebbe col conoscerne ora il nuovo sistema?
Chi sa con questo qual nuovo spettacolo offri-
rebbero i riflettori di Herschel, le acromatiche di
Fraunofer condotte col nuovo metodo di Gatti fino
al contatto della matematica precisione, e qual for-
za aumentatrice perciò varrebbero a sostenere? Non
potrebbe star quivi il contatto del microscopio col
telescopio?
Sperando di vedere avverata questa mia as-
serzione, terminerò col riportare un fatto, che da
pochi giorni non senza sorpresa osservai, e che par-
mi ad evidenza mostrare di che divenga capace , e
che possa perciò farci sperare quella qualità essen-
ziale nella superficie di convergenza^ che ci vien ga-
rantita dal nuovo metodo , ch'esposi , e dai risulta-
menti del fatto. Si è detto , che i riflettori non per-
verranno mai a renderci nette e decise le immagini
a quella distanza focale, cui si è detto portati i ri-
frattori. Non entro qui in tale questione, che deve
sotto pili aspetti esser presa ad esame: parlo soltan-
to dei riflettori , ai quali vuoisi prefinito un confine
per trarne fuori, ed ingrandite e decise averne le
Nuovi Riflettori 21
immagini , quando specialmente quello di un pro-
porzionato diametro vsia prefinito quasi impossibile
al maneggio.
Se alla meta di un raggio di 80 piedi sta il
foco dei raggi paralleli riflessi da una superficie
di convergenza in un punto da essa 40 piedi di-
stante, qual'è quella prossimamente del piìi gran-
de telescopio di Herschel , come in quello spec-
chio di 4 piedi di diametro, come conservar l'in-
tegrità di un arco , che ha per raggio 80 pie-
di senza farlo diventare uno specchio quasi pia-
no, o stranamente alterarlo, qualora il lustro gli
sia dato per le vie ordinarie, o piuttosto non sia-
ne assicurata l'integrità della curva solo possibile col
sistema del Gatti? Glie a lui sia stato possibile , me
ne ha convinto il fatto che qui riporto , e che da
pochi giorni fece egli osservarmi in uno specchio di
marmo nero, non già di 4 piedi di diametro, ma di
soli 5 pollici, e di ben 45 piedi di foco, vale a dire
di una superficie di convergenza che ha per raggio
90 piedi,
Dopo l'avvenuto in consimili tentativi, e nello
stesso specchio di 40 piedi di Herschel, benché isti-
tuiti sopra specchi metallici e di maggiori diame-
tri, parrà incredibile il dire, aver io ed altri in
questo bel saggio ultimamente dal nostro inventore
eseguito , dirò quasi a dispetto delle migliori condi-
zioni , nette e decise osservato le immagini degli
oggetti alla consueta distanza del Tuscolo fortemente
ingranditi con una sola oculare di 6 pollici di foco,
Gon che parmi deciso il gran pregio della fin qui
discorsa invenzione del Gatti.
Ecco il tributo, che per me si dovea a que-
st'uomo impagabile; al governo che col favorirlo
22 S e I E N l K
accrebbe a Roma la gloria di averlo: a quest'ac-
cademia che il pregio dichiarò della invenzione di
lui , e fa oggi conoscerla alle colte nazioni : e a
quel benefattore, che a lui e a se stesso un bel
posto di gloria va ad assegnar nella storia.
APPENDICE
Chiunque abbia percorsala fin qui riprodotta
memoria negar non potrà, aver Roma anche nelle
scienze e nelle arti meccaniche quel vanto, che tut-
ti le accordano nelle arti belle, nel genio e buon
gusto eh' essa ispira, e nel favore e protezione ,
che sempre distinse la patria dei Mecenati. Noi
ne abbiamo a' giorni nostri un luminoso esempio
nel fatto che vien riferito nel diario di Roma num.
8,27 gennaio 1838, in cui alle notizie, che al-
tre volte vi furono riportale sui nuovi riflettori in-
ventati, e per la prima volta costruiti in Roma,
troviamo aggiunto qualche ulteriore dettaglio di non
lieve interesse , e piìi che bastante a contestare
la nostra asserzione. Noi non istaremo a ripetere
come il Mecenate dei nostri giorni fece ancor per
le scienze cose che far non poteva l'antico. I po-
steriori progressi fatti nelle arti meccaniche, nel-
l'ottica, nell'astronomia e nel buon gusto danno ai
nostro una tal preferenza. Tutto questo è abba-
stanza esposto nella memoria del prof. cav. Scar-
pellinì, che abbiamo ripubblicato in questo giornale.
L'atto filantropico dell'esimio romano signor
duca don Alessandro Torlonia , diretto non solo
a trar dalla inopia il bravo ottico signor Alberto
Gatti piemontese, il quale giacevasi in Roma per
mancanza di mezsi quasi inoperoso nei difficili lavori
Nuovi Riflettori 23
della sua professione, ma a trar partito ancora dai ta-
lenti in Roma nascosti, e farne su lei tutta riverbe-
rare la gloria, è certamente tale che qualifica l'uomo
di genio e di cuore, il cittadino che ha vero amor
per la patria, il seguace della benintesa filantropia.
Il pensiero di congiungere con quest'atto vir-
tuoso non solo 1' ardita intrapresa di fare avere
a Roma il vanto stesso eh' ebbe Londra , quan-
do il celebre Herschel fu il primo a mostrarvi i
grandiosi suoi riflettori metallici, ma anche la glo-
ria di superarli, e di cedere ad essa Roma, il nuo-
vo insigne istrumento, è tale che qualifica l'uomo
promotore delle belle invenzioni, e che le più ra-
re cose sacrifica alla gloria e all'onor della patria.
La decisa determinazione poi di provocare non
solo la perizia dei nostri meccanici nel costruire
il montante per uno di tali riflettori , e di ave-
re un gran telescopio dalle mani loro, a prefe-
renza di esteri macchinisti, che venivan proposti,
ma di porli ancor nell'impegno di esibirlo di tal'
eleganza e ricchezza che degno fosse di Roma , e
della scienza, cui specialmente servir dovea nel
confronto, che veniva proposto fra i consueti ri-
flettori metallici e i nuovi di nero-antico in Roma
inventati, è una determinazione dell'uomo che co-
nosce quali risorse ebbe sempre la patria sua coli'
eccitare 1' emulazione e la gara, e che sa apprez-
zare e promuovere i nuovi cimenti , che a tanto
alto grado innalzarono a' dì nostri le scienze, e le
arti che ne dipendono.
Questi tratti di genio e di spirito, che si di-
ramano su tutto, sono di ben altro Mecenate, e ben
altro presidio e decoro difibndono , quando è lo
spirito pubblico che ne vien riscaldato, Roma ne
24 Scienze
porse l'esempio; ma in tempi più illuminati e colti
olii oggi nasce in Roma sa ed insegna a nobilitarli.
Aflìnchè però l'ulteriore dettaglio , con cui ci
prevenne nel citato numero il Diario dì Roma, ab-
bia qui appresso la memoria, che abbiamo ripro-
dotta, il proprio suo posto, e pervenga oltremonti,
e se ne perpetui fra noi più durevole ed onorata la
ricordanza, noi volemmo quasi per continuare nell'
argomento di quanto accadde in appresso dargli
luogo più acconcio nel presente appendice,
JVon e qui a parlarsi del gigantesco macchina*
mento, che Roma similmente vedrà costruirsi dai
nostri meccanici per dar gli opportuni movimenti
ad uno dei più grandi telescopi cato-diottrici che
siasi finora rivolto al cielo. A questo scopo ven-
nero preparati i due grandi riflettori forni:» ti già
coi due sopranominati deschi di marmo nero-an-
tico. Il loro diametro è di circa 28 pollici , e il
loro foco di 20 piedi, misura di Francia. Uno di
essi è lavorato ancora nella faccia opposta, con un
foco però di circa 40 piedi, giacche la natura del
materiale è suscettiva in entrambe le superficie
di una egualmente tersissima riduzione. Si è così
ottenuto un superbo riflettore a due facce per gì'
indicati fochi diverse: e postosi esso in billico so-
pra solido montante per alternarne a piacere le
riflessioni sulle due superficie, ofi^re uno spettacolo
di maraviglia, e un mobile di un nuovo genere di
lusso non mai più veduto. Questi nuovi riflettori,
lavorati in Roma sul Campidoglio nella officina dell'
accademia dei lincei , stanno attualmente colassù
esposti alla vista clegli amatori nazionali ed esteri ,
che vi si portono ad ammirarli, e ad osservarne i
grandiosi effetti.
Nuovi Riflettori 25
Alla speciale ammirazione però, che tutti tri-
butano al generoso promotore eli cose sì belle, ci
richiama il dettaglio ulteriore cui destinammo il
presente appendice. Pago il suo spirito di aver sol-
levato un virtuoso artefice, di aver favorita e pro-
mossa la nuova e bella invenzione di lui, e di aver
cooperato alla gloria dell'amata sua patria, e al de-
coro in essa dei buoni studi, nulla mai ostentò, e tal
ne prese compenso in se slesso, che neppure ambi
portarsi a vedere i prodotti delle sue beneficenze.
Indottovi finalmente però dal desiderio di quel-
li, che ne avevano partecipato, condiscese: e recossi
ad osservare il telescopio, eh' egli aveva ordinato
costruirsi interamente in Roma, e servire special-
mente ai progressi fra noi delle scienze e delle ar-
ti. Stavasi esso da qualche anno depositato nella bi-
blioteca dei lincei , ove rivolgere non potendosi al
cielo, forza era soddisfare la curiosità degli amato-
ri verso le colline del Tuscolo, e profanarlo a guar-
dare uomini, case e piante, invece degli astri pei qua-
li l'egregio amatore l'avea destinato. Fu quivi certo
ove l'amor suo per la patria sentì compiacenza, ve-
dendo in essa costruito nella fabbrica del perito no-
stro macchinista sig. Angelo Lusverg un istrumento
non solo elegante e ricco, qual lo aveva ordinato, ma
di tal perfezione da emular quella di simiglianti
istrumenti, che si hanno dalle piìi rinomate fabbri-
che di Europa. Fu quivi che il genio suo per la scien-
za fece proporgli di trasportarlo sopra l'osservatorio
del campidoglio, onde poterlo rivolgere, e meglio
impiegare allo sguardo del ciclo. Intese però le dif-
ficoltà del trasporto di tanto inacchinamento, volle
egli stesso salirvi. Varie cose colassìi proposte, ri-
chiese il parere dello Scarpellini, che diretto ave-
G. A. T. LXKIV. 2
26 Scienze
va la fabbrica di detto osservatorio, e fornito Io ave-
va di tutti gristrumenti, altri acquistati, altri co-
struiti da lui stesso per l'istruzione della gioventù
nella pratica astronomia. « Conosco, rispose il prof.,
le rare qualità del cuore di vostra eccellenza : ma
ignorando il destino, a cui riserba il telescopio, pro-
ferir non saprei all'uopo alcun mio sentimento. « Fu
quivi, ove l'aura del campidoglio idee generose per
la patria ispii'ava agli antichi, che le sue svelò il
generoso amatore della gloria di Roma. « Sapete voi,
disse, l'impulso che mi decise ad ordinarlo; or che
quassù trovo tutto allestito allo studio del cielo, non
posso meglio che sul campidoglio destinarlo a prò
dei lincei, che da un sommo pontefice vi ebbero
una reggia; a prò della studiosa gioventù romana,
che vi riceve istruzione in questo studio divino. «Or-
dinò quindi, che premessi i debiti uffici, fosse a sue
spese costruita vicina all'osservatorio una opportu-
na camera per custodirlo, da cui potesse agevolmen-
te trasportarsi nell' adiacente terrazzo, e per ogni
dove rivolgersi nelle astronomiche osservazioni. Co-
ronò finalmente questa beneficenza con suo pregia-
tissimo dispaccio diretto all' accademia dei lincei,
col quale dichiara, voler colla sua offerta rassegnare
a questo dotto corpo, che tanto onora la sua patria,
un omaggio di quella stima che gli tributano l'Ita-
lia e le colte nazioni, e accrescere alla studiosa gio-
ventù romana, cui specialmente destina il suo do-
no, quell'incoraggiamento, che sul campidoglio si
porge allo studio del cielo.
Il corpo dei lincei intanto si è fatto un pregio
d'intrecciare questo serto di virtuose azioni, che i
ispira l'amor della patria, con altri fregi che por- l
gè l'amor della scienza. Premessasi al sopra lodato
Nuovi Riflettori 27
dispaccio ossequiosa risposta, ripiena di sentimenti
dì riconoscenza non solo pel prej^iatissimo dono
fatto airaccademia, e per 1' onore di cui vien ri-
colmata, ma di ammirazione ancora pel nobilissimo
scopo che si ebbe di ottenere in Roma non meno
che altrove le piìi difficili e pregevoli cose dedi-
cate ai progressi delle scienze, e al servigio di chi
le coltiva, fu nominata una deputazione scelta dal
corpo accademico, che a nome suo e della studiosa
gioventù romana rassegnasse in persona i sentimen-
ti medesimi al benemerito amator della patria. Fu
questa deputazione composta de'seguenti lincei: Illmo
e Riho monsignor Girolamo Galanti; S. E. il sig.
principe don Pietro Odescalchi; S. E. il sig. don Ma-
rio Massimo duca di Rignano , e due dei signori
professori della università di Roma, Ecmo sig. dot-
tor Pietro Carpi, e sig. cav. don Feliciano Scarpel-
lini, il quale come segretario perpetuo dell'accade-
mia offrì l'omaggio da essa reso al benemerito dona-
tore col diploma, che lo dichiara linceo fra i mem-
bri di onore.
Ad eternare inoltre la memoria di tanta muni-
ficenza leggesi ora sul campidoglio, nella lapide ap-
posta dentro la nuova camera del telescopio, la se-
guente iscrizione:
28 Scienze
ALEXANDRO . TORLONIAE
PATRIAE . AMANTISSIMO
ARTIVM . SCIENTARVMQVE . PROPAGATORI
QVOD . HOC . TELESGOPIVM
APVD . CAPITO LIVM
NOVO . ARTIS . MOLI MINE
IMPENSA . SVA . INSTRVI . FECERIT
ET . AD . LYNCEORVM
STVDIOSAEQVE . IVVENTVTIS . VSVM
AEDE . APPOSITE . PARATA . ESSE . VOLVERIT
COLLEGIVM . LYNCEO . MVNIFICO
PONI . CENSVIT
ANNO . MDGCGXXXVII
Finalmente il corpo accademico si è fatto un
dovere di partecipare ai supremi magistrati, clie
presiedono alla pubblica istruzione, questa gene-
rosità dell' illustre sig. duca don Alessandro Tor-
lonia , dirigendo anche ai medesimi copia con-
forme del suo soprallodato dispaccio. Tale aggra-
dimento sentirono essi in questa nobile gara del-
la patria e della scienza , nella quale per l'una
e per l'altra ci porgono luminosi esempi, e ci pre-
cedono per l'eminenti loro attribuzioni, che l'Emo
e Riho principe sig. cardinale Lambruschini come
segretario dì stato, e come prefetto della s. con-
gregazione degli studi, e l'Eino e Riiio principe sig.
cardinale Giustiniani come camerlengo della S. R. C.
e come arcicancelliere della università di Roma,
ed entrambi come membri di onore nell'albo dei
lincei, si degnarono di contestare con pregiatissimi
loro dispacci a sua eccellenza diretti non solo la
loro compiacenza pel servizio, ch'ella ha reso alle
Nuovi Riflettori 29
scienze, ma la loro soddisfazione, e quella del go-
verno per lo zelo ch'ella prende a promuovere
in Roma le utili invenzioni, e la gloria della sua
patria; e onorandola in fine dei loro elogi, por-
gono incoraggiamento ai veri filantropi, e nella mi-
glior maniera ricompensano le loro virtù.
Noi non potremo in miglior maniera contesta-
re il fin qui esposto, che terminando quest' ap-
pendice coi tre sopralledati dispacci, dei quali con
assai desiderio di conoscerli corse voce di tanto ap-
plauso. Previo pertanto il dovuto permesso noi li
riferiamo, perchè conoscasi il pregio delle virtù,
la gara di esaltarle, il merito in Roma dello spirito
puijblico, e rendasi a tutti, e specialmente uni-
Quique^ suiirrp.
Jjettera di S. E. il sig. duca don Alessandro Torlonia
diretta al cav. segretario perpetuo delV
accademia de lincei.
Ella ben conosce, pregiatissimo sig. cavaliere,
che nell'essermi prestalo, dietro le sue raccoman-
dazioni, in sollevare l'ottico Alberto Gatti, e pro-
curargli i mezzi di sussistenza, nuU'altro ebbi in
vista se non che esercitare un atto di filantropia
verso un uomo quanto bravo altrettanto sventu-
rato, e quello altresì di favorire la scienza, ai pro-
gressi della quale mi si diceva che la di lui scoper-
ta avrebbe assai contribuito.
Si rammenterà ancora, come compito appena
un primo saggio del suo lavoro, volli che si ap-
prestasse dal nostro bravo meccanico Angelo Lus-
Wergh il tubo in metallo non solo, ma tutto il
corredo necessario, onde potesse aversi un tele-
30 S e I E N « E
scoplo cato-diottrico intieramente perfetto e degno
di Roma.
Avuto poi l'avviso che a rendere proficuo l'uso
del telescopio stesso richiedevasi un locale atto a
contenerlo e garantirlo ad un tempo dall'azione
dell'aria, non indugiai un solo istante a dare le
opportune disposizioni, onde venisse costruita di ma-
teriale una camera contigua a codesta sua specola
eretta sul Campidoglio, la quale corrispondesse allo
scopo anzidetto.
Ora poi che tutte queste cose sono compite,
nulla di meglio mi si presenta al pensiero che of-
frire il telescopio stesso a questa inclita accademia
de' lincei , della quale ella ricopre con tanta lode
il carico di segretario perpetuo, e la quale può
in Roma considerarsi il sacro deposito delle scienze.
Nell'offrire pertanto a questa inclita accade-
mia il suddetto telescopio, come un omaggio dei
sentimenti di sincero rispetto che nutro verso della
medesima, è mio divisamento ch'esso non solo possa
servire al di lei uso, ma a quello eziandio della
gioventìi romana che nella sublime scienza si oc-
cupa dell'astronomia: e mi chiamerei ben fortu-
nato se questo mio tenue omaggio potesse con-
tribuire all'incremento della scienza, e ad accre-
scer lustro e decoro all'amata mia patria.
E certamente non avrei potuto destinar quest'
Qo-getto in luogo migliore, che là dove le scienze
per oracolo del sovrano, che vi traslatò i lincei,
ebbero una reggia; e la dove ella completò il cor-
redo dcgl'istrumenti destinati allo studio del cielo
e alla pubblica istruzione.
Gradisca in tale incontro, pregiatissimo sig.
cavaliere, le nuove assicurazioni di sincera stima
Nuovi Riflettori 31
e considerazione, colle quali ho l'onore di rasse-
gnarmi
Roma li 23 novembre 1837.
Devmo servitore
A.LESSANDR0 ToRLONIA.
Lettera dell" eminentissimo e reverendissimo sig.
Cardinale segretario di stato diretta al predetto
sig. duca don Alessandro Torlonia.
Dal benemerito restauratore e segretario per-
petuo dell' accademia de' lincei mi è stato parte-
cipato, che V. E. per l'amore delle scienze esatte,
e per l'incoraggiamento che con avviso commen-
devolissimo cerca di dare agl'ingegni patrii , ha
fatto dono all'insigne accademia suddetta di un bel-
lissimo telescopio cato-diottrico, costruendo ben an-
co a sue spese una camera acconcia all' uopo ove
collocarlo presso la specola del Campidoglio.
Questo atto di munificenza , degno dell E.
V. , non solo ha risvegliato nei soci lincei sen-
timenti di dovuta gratitudine verso di V. E., ma
ha meritato altresì il gradimento del governo e della
sacra congregazione degli studi: ed io in nome sì
dell'uno e sì dell' altra ne porgo a lei i più sin-
ceri ringraziamenti insieme co'raiei particolari, com-
piacendomi ancora io di appartenere a quello scien-
tifico stabilimento.
Voglia la E. V. continuare a proteggere e fa-
vorire i buoni studi e le arti belle a decoro sem-
pre maggiore dell'inclita Roma a lei riconoscente.
Io mi pregio intanto di confermarle i sensi della
mia costante e perfettissima stima.
Roma 6 gennaio 1838.
Servitore vero
L. Cardinal Lambrusguini
32 Scienze
Lettera delV eminentissimo sig. Cardinal camerlengo
diretta allo stesso sig. duca don
Alessandro Torlonia.
Dall'egregio sig. cav. professore don Feliciano
Scarpellini, segretario perpetuo deiraccademìa de*
lincei , ha appreso il sottoscritto cardinal Giusti-
niani come TE. V. ha voluto aggiungere un magni-
fico ornamento alla detta accademia, un nuovo sti-
molo alla gioventù nell'onorata carriera delle scien-
ze , e particolarmente dell' astronomia, un monu-r
Tnento glorioso sacro alle scienze e alle arti cqI
magnifico grandioso dono di un telescopio catodiot-
trico, che ella, secondando gl'impulsi del generoso
suo animo, ha offerto all'accademia per uso della
medesima e per quello eziandio della studiosa gio-
ventìi romana. Avea gik avuto occasione il cardina-
le scrivente di ammirar da vicino la grandiosità e
l'esattezza di sì bel lavoro, e di considerare il van-
taggio che ne deriverà alla pubblica istruzione; era
a lui noto per parte del nominato sig. cav. profes-
sore il lodevole scopo, che l'È. V. si era proposto
nella esecuzione del medesimo, di apprestare cioè
ad un tempo pietoso sollievo al rinomato, ma po-
vero ottico Alberto Gatti, di facilitare i progres-
si dell'astronomia, e di sostenere con tal lavoro ,
interamente perfetto, il lustro e lo splendore di
Roma diletta sua patria; e neppure ignorava che per
compimento dell'opera volle ella a sue spese inte-
ramente costruita di materiale una camera conti-
gua alla specola, eretta sulla vetta del campidoglio
dal lodato sig. professore, atta a contenerlo e cu-
stodirlo. Tutti questi savi e generosi tratti sono ab-
Nuovi Riflettori 33
bastanza eloquenti per renderne il meritato elogio
all'È. V. , e per destarne, in chi sa apprezzarli ,
gratitudine verso di lei. Contuttociò per la prote-
zione e per l'incoraggimento, che nella sua rappre-
sentanza di camerlingo di S. R. Chiesa dee il car-
dinal sottoscritto dare alle Lelle arti e alle srìen-
ze, soddisfa volentieri al suo cuore , esternandole
Ja sua compiacenza, e rallegrandosi colle arti e
scienze medesime , che riconoscono fin da ora un
mecenate nell'E. V.
È anche propria al sottoscritto questa circo-
•stanza per rassegnarsi con distinta considerazione.
Roma 16 del 1838.
Servi tor vero
G' Cardinal Giustiniani
34
Esperimenti da praticarsi negli animali domestici
con diversi materiali tolti dagli ammorbati
di cholèra indiano.
\^e i più assennati cultori d'Italia nell'arte sa-
lutare proclamarono contagioso il cholera delle In-
die comparso appena fuori del suolo natale , il
nostro eh. compilatore prof. Agostino Cappello sino
dal 1831 mostrava eziandio in queste carte, che
sarebbesi quel morbo universalmente diffuso e fatto
indigeno non meno per la ignoranza che per la
umana malizia. Questo gravissimo giudicio nel suo
libro sul cholera di Parigi del 1832 fu chiarito
con tali prove e sì profonde dottrine , che sonosi
sventuratamente appuntino avverate. A buon di-
ritto perciò fu quel lavoro dagli stessi dotti d'ol-
tremonte proclamato superiore a quanti eransi fino
allora pubblicati. Quindi la storia severa farà pa-
lese il penetrantissimo avvedimento del sommo re-
gnante pontefice Gregorio XVI per averlo beni-
gnamente destinato consigliere nel supremo dica-
stero di sanità. Pel quale incarico il collega no-
stro non ha mai smentito l'acquistata celebrità,
ma duratura anzi e perenne sarà l'onorevole sua
fama. Che se a noi tutte, al pubblico solamente in
parte sono note le savie sue operazioni , memo-
rande saranno sempre per Roma le sagacissime e
replicate sue previsioni intorno 1' esotico flagel-
lo. Laonde con ansietà attende il pubblico il no-
vello suo lavoro annunziato in diversi medici gior-
Esperimenti pel Cholera 35
nali col tilolo Argomenti dimostrativi per la estir-
pazione del cholera indiano dappresso V isterico
suo andamento negli stati romani.
Che se noi come direttore di questo giornale
abbiamo avuto in animo di tessere un nuovo elogio
all'ottimo collega nostro, ce ne correva anche de-
bito : dacché per sovrana benignità concedutoci
la direzione di qualche pubblico stabilimento, e
il far parte della commissione straordinaria della
pubblica incolumità di Roma , ci siamo nell' in-
fortunio giovati non poco de'suoi consigli nelle no-
stre speciali incumbenze. Savissima era stata quin-
di la risoluzione della commissione straordinaria
d'incolumità, creata dall'adorato pontefice , quan-
do Ancona era flagellata dal morbo, di aggregare il
Cappello al suo medico consiglio tostochè egli fu
reduce dalla sua gloriosa missione da quella cit-
tà (1). Ma nel rinunciarvi per superiore coman-
do , per trovarsi egli membro del suddetto dica-
stero supremo di sanità, protestavasi in una pie-
na adunanza della commissione appo l'eminentissi-
mo presidente e gli eccelsi personaggi che la com-
ponevano, che nel giorno del pericolo, che Dio te-
nesse lontano, sarebbesi a tutt'uomo prestato. Il per-
chè la commissione straordinaria richiamavalo nel
(i) Quando gli ufficiali documenti del cholera di Ancona sa-
ranno messi alla luce, vedrassi luminosamente il compiuto trion-
fo dell'italiana sapienza. Immortale ne rimarrà la gloria al no-
stro governo con molto onore del sig. Cappello colà generosa-
mente accorso, e per sovitano comando destinatovi a sorvegliare
il medico servigio e a dirigere le sanitarie misure, che furono da
esso alacremente e con fermezza sostenute (siccome ha praticato
sempre) anche in quei di, nei quali o guardava il letto o stava
coavalescente pel grave cholera da cui era stato ivi colpito.
Il Diuttorg
36 Scienze
(lì 31 di agosto per sorvegliare specialmente i medici
e le fiirmacie destinate alle case di soccorso di vari
noni- ed egli mentre che notte e dì era chiamato
ed accorreva indefessamente alla cura degli ammor-
bati di cholera, corrispondeva all'invito con somma
diligenza e con non cornane accorgimento (1). Ne fu
ciò bastevole pel Cappello; ma pel suo vero deside-
rio pei progressi della scienza medica, poiché ve-
duti avea delusi per altrui nequizia e presunzio-
ne gli sforzi generosi del governo, e l'instancabile
suo zelo, offriva egli alla commissione sotto l'ano-
nimo cinquanta zecchini d'oro affine di conseguire
gli sperimenti accennati nel seguente progetto, che
noi qui, stante il ritardo deli' opera dai suddetti
giornali annunciata, estimiamo pregevole di pub-r
blicare con ischiarimenti aggiunti in nota dali'au^
tore. Dobbiamo inoltre rendergli lode, come testi-
moni di fatto, del dolore provato per vedersi man-
dati a vuoto i saggi suoi divìsamenti. La qual cosa
avvenne, perchè nel discutersi i fondi e il luogo
per eseguirsi il progetto, il morbo fortunatamente
andava in totale decadimento, che i moltiplici ten-
tativi dall'illustre autore proposti non sarebbonsi
potuti conseguire.
Pietro principe Odescalchi direttore
(i) Contemporaneamente umiliava all'Emo Gamberini, se-
gretario per gli affari di stalo interni, un suo rapporto che l'Emo
passava al supremo dicastero di sanità con tantp sapere ed
istraordinario zelo da questo eccelso porporato presieduto, nel
quale dichiarava aver egli stimalo di accettare l'incarico della
commissione straordinaria di pubblica incolumità non tanto per
lo scopo di sorvegliare i medici e le farmacie delle case di soc-
corso, che ogni accorto medico avrebbe dovuto e potuto rnggiu-
guere , quanto per gli sperimenti in discorso e per aver voce
nella generale disinfettazioue di Roma.
Ili DlBETTORE
Esperimenti pel Gholera 3t
Emi e Rnii Principi
Agostino Cappello consigliere di sanità umilia
all' EE. W. Rme gli annessi fogli, supplicandole
divotamcnte di averli in considerazione; onde prov-
vedere colla maggiore possibile sollecitudine a
quanto viene in essi esposta, avendo gik l'anonimo
depositato in mano del supplicante la somma di
50 zecchini destinata all'operatore. Che della gra-
zia ce.
Agli Emi e Rmi Principi componenti la com-
missione straordinaria dell'incolumitU di lloma.
Roma 5 settembre 1837
La commissione straordinaria di pubblica in-
columità di Roma, per secondare lo zelo di iin ano-
nimo, invita un medico o un chirurgo, che ripu-
terà essa idoneo, a praticare colle debite cautele
sanitarie i cjui sotto notati esperimenti con le se-
guenti condizioni:
1° La commissione provvederli non meno ai
locali ed inservienti, che ai diversi animali dome-
stici richiesti all'uopo.
2.^ Le sperienzc saranno colla massima dili-
genza praticate sotto la direzione e la presenza di
Agostino Cappello consigliere di sanità, che ne com-
pilerà la opportuna relazione.
3.° Il medico o chirurgo operatore, oltre la
pubblica lode , qualunque ne sia il risultamento ,
conseguirà un pi'cmio di 50 zecchini d'oro offerto
dallo stesso anonimo, allorché avrà adempito a ciò
che segue.
4." Almeno per tre volte dovranno ripetersi i
38 Scienze
singoli esperimenti, il primo de'qualì sarà col san-
gue de'cholèrici innestato nei conigli, non solo co-
me fu praticato all'ospedale della Carità di Parigi
dal chiar. Rayer, ma eziandio dal chiar. Namias in
Venezia (1).
5.° Qualora veggansi i risultati a seconda de*
pensamenti del medico italiano, il sangue de'coni-
gli ammorbati di cholera sarà inoculato a galline,
polli d'India, piccioni, cavalli, vacca nostrale, gio-
venca svizzera, capre, pecore, cani e gatti etc. (2).
6.° Sarà cura dell'operatore di porre alla Loc-
ca di un cholerico gravissimamente algido e mori-
fi) Noi conosciamo i lavori del Namias solamente per gli
estratti di alcuni medici giornali: né dubitiamo che questo va-
lente medico non abbia calcolati gli esperimenti eseguiti talora
sotto i nostri occhi dall' illustre Bayer (Stor. medica del chole-
ra indiano osservato a Parigi, Roma i833 pag. 269 e »eg. ). Se
nonché dicesi che il Namias non vide la morte ne' conigli , se
non col sangue de'cholèrici (Bibl. italiana num. 242 pag. 168);
mentre in Parigi anche il sangue di uomo vivente, e non chole-
rico innestato ne'conigli produsse la morte presso a poco cogli
stessi fenomeni ed identici risultamenti necroscopici ; senza che
indizio di cholera siasi mai colà manifestato nei conigli inoculati
col sangue colerico. Perlochè in un suo opuscolo il eh. Marco-
Uni, mettendo in avanti l'autorità nostra, poneva in dubbio i ri-
sultati a seconda dell' opinione del veneto professore. Questi
d'altronde aveva sapientemente conchiusa la necessità di atten-
dere a questo genere d'investigazioni, d'onde trar si possono o
tosto o tardi utili corollari. ( Bollettino delle scienze mediche
di Bologna, agosto e settembre i836 pag. ioo-4). Più a lungo noi
torneremo sopra quest'argomento nel nostro lavoro annunziato
dal suddetto bollettino (ottobre iSSy, e dal Filiatre di Napoli,
ottobre id ).
(2) Estimiamo superQuo di ripetere, che se di rado, tutta
via in più luoghi, inclusive qualche volta in Italia, sieno stati
attaccati, malgrado della diversa organizzazione, dal cholera in-
diano gli animali domestici.
Esperimenti pel Cholera 39
bondo un vetro per raccorvi l'espirato vapore, on-
de immediatamente inocularlo presso il letto dell'
infermo in alcuni de'suddetti animali, non escluse
le capre, pecore, cani e gatti (1).
7." Si raccoglierà una quantità del così detto
fluido cholerico da individuo appena morto, e tra-
passato dopo 10 ore almeno di stadio algido, spre-
mendo appositamente detto fluido dalle pustole che
trovansi nel canale enterico per inocularlo ne'sud-
detti animali (2).
8.*^ Praticherassi altrettanto col fluido bianchic-
cio , che trovasi talvolta nella vescica orinaria ne'
morti pel cholèra algido.
9.° Il medesimo sarà subitamente praticato co'
fluidi cholèrici emessi in detto stadio per vomito
e per alvo, vivente l'ammorbato.
IO.** Passato il cholera nello stadio di reazio-
ne, si prenderanno sul corpo vivo le diverse ma-
fi) Questo uostro divisamento non fu mai da alcuno proposto:
e ci pare non doversi omettere resperimento, stantechè il cho-
lera il più rapido e mortale spiegasi sovente con gravissima in-
normalità dell'organo respiratore. Nel suddetto lavoro sul cho-
lera di Parigi (pag. 271) fu per noi anche detto il tentativo d'in-
trodurre sotto la pelle degli animali le gazose sostanze intesti-
nali. A Mosca senza alcun risultato fu innestata nei cani una so-
stanza mucilaginosa e putrescibilissima, ottenuta dal condensa-
mento de'vapori nelle sale de'cholerosi [Jaenichen, Moscou i83i).
Ma prescindendo che di raro videsi la disposizione degli animali
domestici a risentire l'azione del contagio in discorso, poteva
pure la detta sostanza, henchè raccolta in una cholcrica sala ,
essere snaturata dall'aria atmosferica, o da altre sostanze disin-
fettanti che probabilmente usaronsi nelle sale de'cholerici.
(2) Questo tentativo fu del pari ricordato nella stessa istoria
medica sul cholera di Parigi.
Ad Sciente
terie eruttive raccolte in più tempi per innestarle
immediatamente come sopra (1).
11.° Le inoculazioni saranno non solo fatte sot^
to l'epidermicle, ma taluna eziandio nelle labbra e
nelle mammelle.
12.° Se in alcuno de'suddetti animali pei pra-
ticati tentativi si svolgesse l'indiano cholèra, do-
vrassi subito cogli stessi materiali nel medesimo rac-
colti ripetersi l'inoculazione nelle altre specie (2).
13.° Non meno di un mese sarà il tempo per
compiersi le accennate esperienze, onde fare le più
possibili accurate osservazioni (3).
14.° Perchè le cause esteriori concorrino a fa-
cilitare la riproduzione, e se fosse possibile la mo-
difìcazione del morbo (4), sarà cura di un veteri-
nario istruito di sorvegliare al nutrimento piutto-
sto nocevole, capace cioè di svolgere molt'aria, e di
riscaldare il canale digestivo degli animali in di-
scorso ; racchiudendoli inoltre in luoghi umidi e
poco ventilati.
(i) Ciò che dicesi in questi tre articoli (8, 9, e io) non ci
sembra essere stato da alcuno divisato: bensì le materie eruttive
furono per noi stessi proposte nella citata opera (Stor. medica
del chol. indiano pag. ini).
(2) Nei soli cani fu qualche volta innestato il sangue de'
morti conigli dal lodato Namias.
(3) Siccome ognun vede, neppure un mese, un anno ec. sa-
rebbero bastevoli al proposito nostro. Se non che nel cholerico
dominio, e dappresso ciò che dicesi nell art. \^, con qualche
probabilità potrcbliesi ottenere alcun soddisfacente risultato.
(4) Questo si sarchile il più desiderabile voto. Il che fu per
noi, dietro l'istotico andamento del vajuolo vaccino, ragionato
nel i835 in un esame critico diretto al chiar. Moreau de Jonués
(pag. 52-3 nota, e Gior. arcadico toni. LXIV).
Esperimenti pel Cholera 41
15.^ DI giorno in giorno, in cui saranno ad ore
stabilite praticate le operazioni accennate, il vete-
rinario visiterà più volte nella giornata (non esclu-
sa qualche notturna visita) i detti animali per ve-
dere e notare qualunque piccola innormalita. Cbe
se per caso se ne mostrasse taluna di sospetto cho-
lèra, dovrà tosto avvertirsi il direttore.
16.° Finalmente se durante gli esperimenti si
dessero tali circostanze , che richiedessero a talen-
to del direttore alcun novello tentativo, tanto per
la parte igienica quanto per la curativa, non con-
templato in questi articoli , le persone incaricate
all'oggetto dovranno prestarsi per ciò che concerne
l'opera loro (1).
A. Cappello cons. di sanità'
(i) Malgrado di ciò che verrà per noi all'evidenza dimostra-
to Dell'annunciato lavoro per l'estirpazione del cholera indiano,
difficilmente per la umana malvagità raggiugnerassi a' nostri di
l'importaulissimo scopo. Vede quindi ognuno l'interesse, anzi il
necessario bisogno di mettere a prova replicate volte in più
tempi, e in regioni diverse, gli esposti tentativi diretti da'medici
espertissimi e filantropi, sotto i quali molte circostanze possono
insorgere per litrarne al fiue alcuij salutevole risultamento.
G. A. T. LXXIV. 4
A2
Descrizione ed uso della macchina ad asse rotante^
mobile^ del sig. Vincenzo Raffaelli
musaioista romano.
y\ mezzo precipuo di che valgonsl gli artisti, so-
prattutto gl'incisori, per incavare o rilevare sulle
sostanze dure qual tu voglia forma, è il moto ro-
tatorio, Essi adattano in tante guise e siffattamente
la superficie da incidere contro un bottone, o così
detto fongo, che questo , intriso precedentemente
nelle polveri di smeriglio, carindone, o diamante
stemperate in olio, con la rapida sua rotazione scol-
pisce nella superficie stessa quelle forme volute
dall' artista , e che 1' abile mano vi sa ritrovare.
Ma questa comune applicazione del moto rotatorio
alle arti belle, suppone che le superficie da lavo-
rare sieno di facile maneggio; esclude perciò tutte
quelle che non possono per la grandezza delle di-
mensioni, e pel soverchio peso loro trasportarsi co-
modamente con la mano; quindi sono di lor natu-
i*a impossibili mediante questo processo le incisio-
ni di grandi cammei, e di lavori tutti d'intaglio so-
pra sostanze durissime di considerevoli dimensioni.
Per applicare, il moto rotatorio a siffatti lavori
Macchina ad asse rotante ec. A3
faceva d'uopo trovare un metodo, che fosse dirit-
tamente l'inverso del precedente; si volea cioè por-
tare non già la sostanza da incidere contro il di-
sco rotante, ma bensì questo contro la sostanza, ed
in tutte le direzioni, senza die avesse perciò a ri-
stare il molo stesso. Bisognava pertanto costruire
un sistema che potesse fornire un asse capace ad un
tempo di due moti, Tuno progressivo, rotatorio l'al-
tro, sotto qualunque direzione dell'asse medesimo.
Niuno è, penso, che non riconosca la utilità som-
ma di questo meccanismo , tanto per le incisioni
de'cammei e per le opere di scultura , quanto pei
lavori di musaico in pietre dure, come sono quelli
che si eseguiscono in Firenze; e niuno più del sìg.
Vincenzo Raffaelli, musaicista romano valentissimo
non solamente per lavorare pietre dure , ma per
ogni maniera di opere foggiate a guisa di monu-
menti antichi, sentì questa utilità. Egli difatto sep-
pe inventare tal meccanismo per valersene in ese-
guire i grandi lavori di sua professione, ove delle
sostanze durissime debbono fra loro connettersi per
linee curve, e con precisione dirò quasi geometri-
ca. Con questo mezzo meccanico ha lavorato egli,
non è molto, un grande musaico in tondo con pie-
tre tutte durissime della Siberia, foggiate a squam-
me; ordinazione del sig. conte Gourieff, ora mini-
stro di Russia presso la corte di Napoli.
Questo meccanismo è della piìi grande sem-
plicità. Si compone di un cilindro verticale, che
si fa ravvolgere attorno se stesso mediante un ro-
toue, o qual altro agente si voglia, tale da comu-
nicare il movimento di rotazione. All'estremità in-
feriore di questo cilindro viene applicato un asse
mediante un bilico a squadro, come quello del pie-
44 Scienze
de dei barometri portatili. Egli è facile vedere che
imprimendo il moto rotatorio al cilindro verticale,
dovrà l'asse mobile parteciparne mediante il bili-
co, nel quale sono 1 chie assi congiunti; ne cesserà
il movimento facendo passare l'asse mobile da una
in altra direzione. Avvertendo che i diametri del
bilico si taglino a meta , ed ivi abbia principio
anche l'asse mobile: questo non potrà oscillare di
sorta, e nel modo traslatorio che gli verrà impres-
so descriverà costantemente superficie coniche. Per
agevolare l'uso dell'asse mobile si è fatto in guisa
che possa questo accorciarsi ed allungarsi ad arbi-
trio, venendo composto di due pezzi, uno dei quali
scorre dentro l'altro secondo il bisogno. L'artista
per usare di questa macchina tiene un manubrio,
pel quale a bell'agio viene dirigendo l'asse mobile,
applicando così al luogo del lavoro la sua estremi-
tà inferiore acconciamente guernita di un bottone.
Alcuni movimenti di traslazione semplicissimi nei
pezzi sostenitori, ed al bisogno la situazione diver-
sa del cilindro verticale, possono servire pel piìi
spedito uso della macchina qui accennata.
L'applicazione pili importante di questo siste-
ma è appunto quella che riguarda il lavorio delle
pietre dure, Il RafFaelli, nel servirsene a tale ogget-
to, ha guernito l'estremità inferiore dell'asse mo-
bile di un bottone, che agisce nel modo già indi-
cato mediante il frapposto smeriglio: e così ricava
nelle medesime le casse di quella forma che più
gli piace, per commettervi poi gli altri pezzi a per-
fetto contatto.
Serve indispensabilmente questa macchina in
tutti quei casi, nei c|uali la pietra dura, o il siste-
ma composto di esse, ha tali dimensioni da non pò-
Macchina ad asse rotante ec. 45
tersi presentare alla ruota ordinaria ne'suoi diversi
punti; giacche con questo meccanismo la ruota o il
bottone si potrà condurre sopra le diverse parti
della pietra» la quale per una sua faccia già essen-
do aderente ad un piano, ed ivi connessa pel suo
contorno con altre, potrà con tanta facilita, spedi-
tezza, e precisione lavorarsi, quanta mai non se n'eb-
be coi metodi fin ora conosciuti per questi lavori;
e tale potrà essere la sottigliezza dei filetti ottenuti
con tal nuovo mezzo dalle pietre stesse, da maravi-
gliarne qualunque.
Nei diversi usi di questa macchina se invece
del bottone si adoperasse la cosi detta ruota da
tagliare, allora questa segherà verticalmente, oriz-
zontalmente, obliquamente, ed in qualunque modo
piacerà. Adattandovi poscia il trapano terebra di
Plinio, vi si faranno fori come si vogliono, a qua-
lunque distanza, ed in qualsiasi direzione: senzachè
mediante un secondo bilico potrà ottenersi un se-
condo asse, che diretto con la mano in quella stes-
sa guisa che si dirige la punta di un bulino , a
maraviglia eseguirà quei lavori che maggior deli-
catezza e precisione degli altri esigono. Perciò a
gran ragione il Raffaelli asserisce, potersi di leg-
gieri col mezzo della sua macchina lavorar pietre
dure ed intagliar cammei di straordinaria grandezza,
e che per un simigliante meccanismo probabilmen-
te saranno stati eseguiti gì' intagli e incavi degli
obelischi egiziani, dei sarcofaghi, e di altri monu-
menti dell'antichità piìi remota, nei quali scorgia-
mo tale precisione di contorni, e tale acutezza di
spigoli e di angoli , che non saprebbe conciliarsi
coi mezzi ordinari della scultura, tanto per la gran
mole dei monumenti stessi, quanto per la eteroge-
46 Sciente
neita delle sue parti, per lo più essendo quei mo-
numenti formati di granito.
L' uso del bilico a squadra, per fare che un
asse continui sempre la sua rotazione comunque
venga diretto , non è nuovo in meccanica. Infatti
con questo mezzo si eseguiscono i trasporti dei mo-
ti rotatori da uno in altro luogo, ed i chirurgi val-
gonsi di esso a molto vantaggio, per segare le ossa
in quelle regioni del corpo umano, che non per-
mettono l'uso della sega comune. Ma ciò non dimi-
nuisce punto all'ottimo artista RafFaelli la lode che
merita per la invenzione della macchina qui per
cenni descritta. Infatti lasciando dalTun dei lati, che
ignorava esso del tutto l'uso del bilico medesimo
pel trasporto dei moti rotatori, sempre vero è che
r aver egli pel primo introdotto nelle arti belle
questo mezzo meccanico, fecondissimo di applica-
zioni, e sopra ogni altro esatto e preciso, rende il
Rafifaelli superiore ad ogni elogio, e sommamente
benemerito dell'arte che tanto lodevolmente pro-
fessa.
P. VOLPICELLI
4.7
Teorica des>alori delle proiezioni.
iJa
applieazloh dell'algebra alla geometria consiste
nel tradurre in lingua algebrica le quistioni rela-
tive alle quantità estese , onde piìi facilmente ri-
solverle e dimostrarle: per essa le moltiplici pro-
prietà geometriche si compendiano in brevi for-
mule, nelle quali poi si vedono e si seguono le im-
magini e i movimenti dell'estensione. Le basi di
questa scienza possono ridursi a tre: alla trigono-
metria ; alla teorica delle proiezioni e delle coor-
dinate; ed al calcolo infinitesimale. Nella presente
memoria mi propongo di esporre, un poco più ge-
neralmente e precisamente che d'ordinario, i prin-
cipii de'valori delle proiezioni , ed i mezzi di ri-
durre la proiezione delle aree a quella delle ret-
te: dichiaro come, date più rette, si determina la
retta che proiettata sopra un asse mutabile a pia-
cimento, è sempre uguale alla somma delle pro-
iezioni omologhe delle prime, retta che con nome
desunto dalla meccanica, dico risultante^ chiaman-
do le altre componenti'^ e dimostro che una retta
moltiplicata per la proiezione che riceve da un'al-
tra retta, è uguale alla somma delle componenti
dell'una, moltiplicate rispettivamente per la pro-
iezione che ricevon dall'altx'a. Da questo teorema,
il quale nella teorica delle forze divenendo il prin-
cipio delle velocità virtuali tutta in se racchiude
A8 Scienze
la meccanica, si deriva un nuovo metodo somma*
inente semplice , elegante e spedito di trattare la
geometria a due e a tre coordinate, finita ed infi-
nitesimale , del quale darò un saggio ne' fascicoli
susseguenti di questo giornale.
Definizioni - proiezione di un punto, di una linea
e di Una superficie-, asse e piano dirigente:
conseguenze : distanze relative
e simboli delle proiezioni.
(*) 1 3. Un punto proiettato parallelamente a
un piano dato sopra una linea, è l'intersezione che
quivi produce il piano condotto dal punto paral-
lelamente al dato.
Un punto proiettato parallelamente ad un as-
se sopra una superficie, è quivi il piede della ret-
ta condotta dal punto parallelamente alTasse dato.
Un punto proiettato , si dice proiezione del
punto. La proiezione di ini punto e ortogonale od
obliqua, secondochè la retta che lo proietta, è per-
pendicolare od obliqua all'estensione sopra cui lo
proietta.
a ) La proiezione di una linea o di una su^
perfide, è il luogo geometrico delle proiezioni de'
suoi puntii
è ) La retta che Unisce il punto colla sua pro-
iezione, si dice retta proiettante. Similmente, il pia-
no che proietta un punto sopra una linea, si chia-
ma piano proiettante. È palese che i punti com-
(*) I numeri de'§§. fanno seguito a quelli dell'articolo sulle
quantità proporzionali.
Valori delle proiezioni A9
presi In una stessa retta o in uno stesso piano pro-
iettante , hanno tutti la medesima proiezione. Il
luogo geometrico delle rette, che proiettano una li-
nea sopra una superficie, si chiama superficie ci-
lindrica proiettante: cjuindi tutte le linee che alj-
Lracciano la medesima superficie proiettante, han-
no evidentemente la stessa proiezione.
e ) Il piano o l'asse parallelamente a cui si
proietta, dirigendo tutte le rette proiettanti, si di-
rà piano o asse dirigente-^ l'inclinazione del piano
o asse dirigente alla linea o superficie che riceve
le proiezioni, obliquità di proiezione ; e le proie-
zioni si diranno di eguale obliquità^ se le linee o
superficie che le ricevono, inclinino egualmente ai
rispettivi piani o assi dirigenti; ed omologhe^ se sia-
no fatte sopra un medesimo asse o piano, parallela-
mente allo stesso piano o asse dirigente. Allorché si
nominano le proiezioni, prescindendo da ogni asse
e piano dirigente, s'intendono le ortogonali.
Dato il piano dirigente^ la proiezione di una
linea sopra un asse, è in questo il segmento com-
preso fra i piani proiettanti gli csti'emi della li-
nea ; essendoché in tale segmento cadono tutte le
proiezioni de'punti intermcdii della medesima. Quin-
di 1.° la pi^oiezione sopra un asse di più linee in-
tercette fra due piani proiettanti j è la medesima
per tutte; 2.° le proiezioni di una medesima linea
sovr' assi paralleli , sono eguali in tutti , siccome
rette parallele comprese tra piani paralleli; 3." per
proiettare un punto od una linea sopra un asse, si
può proiettare dapprima sopra una superficie od
una linea, ed in seguito proiettarne la proiezione
sull'asse.
d) La distanza di due punti proiettata sopra
50 S e I E N 35 È
una retta, dicesi anche distanza de' due punti siU
mata nel senso della retta. La distanza di un pun-
to da una superficie, stimata nel senso di un asse^
e la retta condotta dal punto alla superficie parai*
lelainente all'asse» La distanza di un punto da una
linea, stimata nel senso di un piano ^ è la retta con-
dotta dal punto alla linea parallelamente al piano,
e) Affine di meglio parlare alla immaginazio-
ne e di conseguire simmetria ne'risultati, nella pre-
sente teoria io designerò i piani dirigenti e i piani
che ricevono le proiezioni, con lettere grandi-^ e con
lettere piccole, gli assi dirigenti e gli assi che ri-
cevono le proiezioni. Per indicare che una linea p
e proiettata suU' asse *r , essendo d il piano diri-
gente, si scriverà
Similmente, per indicare che un'estensione a e prò*
iettata sul piano x , essendo d l'asse dirigente, si
scriverà
d
In una parola, nell*estensione da proiettarsi collo*
cheremo in alto e alla sinistra il piano o asse di-
rigente, e in basso e alla destra l'asse o piano che
riceve la proiezione. Nel caso delle proiezioni or-
togonali si ometterà di segnare il piano o asse di-
rigente: così il simbolo ax , indicherà la proiezio-
ne della linea a sull'asse x. È evidente che une'
stensione è uguale alla sua proiezione sopra se me-
desmaz cosi aa ~ a.
L'angolo formato da due estensioni /? ed *r ,
s'indicherà oosi
'px t
Valori delle proiezioni bi
cioè si porrà un punto in alto e alla sinistra di-
nanzi alle lettere rappresentanti le due estensioni.
Nota 1. Immaginiamo una linea che varii di
grandezza: se co^ gradi positivi essa progredisce in
un senso, co'gradi negativi retrocederà in senso con-
trario. Dunque una linea, se generata da un pun-
to moventesi in un senso , si riguarda come po-
sitiva-^ generata da un punto moventesi in senso
contrario, dovrà riguardarsi come negativa-^ e il se-
gno ( "^ ) indicherà il senso del moto generatore.
Le lettere impiegate a designare una linea varia-
bile si ordinano in modo che il punto generator
della linea non passi per il luogo indicato da una
lettera qualunque , se non dopo di esser passato
per il luogo della lettera che precede. Cosi l'or-
dine delle lettere serve a rappresentare il senso del
moto generatore.
Nota 2. Una retta a partire da uno qualun-
que de' suoi punti , presenta due direzioni oppo-
ste ( vale a dire, a partire da quel punto si può
camminare sulla retta in due sensi contrarii ) ,
delle quali se l'una si prende per positiva, l'altra
e negativa. Quindi per conoscere completamente
una retta, bisogna conoscerne tre cose, la grandez-
za, la direzione, e la posizione.
Proiezione da' punti sopra un asse.
14. Per trovare la proiezione P ( fig. 1. ) di
un punto M sopra un asse Ox in un modo facile ed
uniforme, si fissa Yorigine dell'asse in un punto
qualunque O: ivi l'asse si concepisce diviso in due,
\ uno positivo, e l'altro negativo: se l'asse è orizzon-
tale,suole tenersi positivo quello che corre dalla si-
52 Scienze
nistra alla destra dell'origine; e quello che corre
dal basso in alto » se l'asse è verticale , od obliquo
all'orizzonte.
La parte dell'asse compresa tra l'origine e la
proiezione del punto, quale OP, si dice ascissa del
punto; ed è positiva o negativa, secondochè si con-
ta sull'asse positivo o sul negativo, È palese, che le
ascisse de punti non solo fanno conoscere colle lo-
ro estremità le proiezioni de' medesimi, ma eziandio
le mutue distanze di tali proiezioni.
Se l'ascissa di un punto ( sia positiva, sia nega-
tiva ) s'indica per es. colla lettera x, Tasse su cui si
conta, si suole indicare colla stessa lettera posta all'
uopo tra parentesi, come per es. asse {x).
PROIEZIONI DELLE RETTE.
Espressione algebrica delle medesime sia per mez'
za delle linee trigonometriche, sia per mezzo del-
le ascisse: proiezione del contorno di un poligono.
15. Una retta proiettata sopra un piano paral-
lelamente ad un asse, è un'altra retta: imperocché
le linee proiettanti i diversi punti della retta, essen-
do parallele e attraversate dalla retta, sono tutte
nel piano determinato dalla retta e da una di esse ;
e d'altronde l'intersezione di due piani è una retta.
rt ) Le proiezioni sopra un piano di due rette
parallele (essendo qualunque l'asse dirigente), sono
parallele: giacche riescono paralleli i piani proiet-
tanti due rette parallele. Dunque la proiezione in
un piano di un parallelogrammo è un altro parai-
Valori delle proiezioni 53
lelogrammo; e però sono eguali e parallele le prò-
lezioni di due rette uguali e parallele.
16. Teorema. La proiezione ortogonale di una
retta a sopra un asse x^ o sopra un piano x , è
uguale al prodotto della medesima pel coseno del-
la inclinazione reciproca: cioè ax =-a cos'ax ,
a^^= a cos'ax.
Dimostrazione. Immaginando o costruendo l'a-
naloga figura, si vedrà che la proiezione ortogo-
nale di una retta a sopra un asse o sopra un pia-
no, può riguardarsi come un cateto di un trian-
golo avente per ipotenusa la retta data , e per
angolo adiacente al cateto, l'inclinazione della ret-
ta a alla sua proiezione ; e d'altronde un cateto
è uguale al prodotto dell'ipotenusa pel coseno del-
l'angolo adiacente,
a ) Poiché
aba = ab cos'ab = bab ;
perciò una retta moltiplicata per la proiezione che
riceve da unaltra^ è uguale alla seconda molti-
plicata per la proiezione che riceve dalla prima.
17. Teor. La proiezione obliqua di una retta
a sopra un asse x , è uguale al prodotto della
retta per la ragione de" seni degli angoli che il
piano dirigente d fa colla retta e colV asse; cioè
D sen'Da
ax = a
sen'DX
Dim. Si conduca per l'origine O (fig. 1.) la linea
OM parallela alla retta data a e diretta nel mede-
simo senso: MP rappresentanti in profilo il piano
54 Scienze
che, parallelamente al piano dirigente OD, proiet-
ta in P sull'asse Ox — (x) il punto M; OP rap-
presenterà il valore della proiezione di a, e sarà
^ °«r. Da O si conduca Op perpendicolare al
piano MP, e però anche al dirigente OD. I triangoli
PO/?, MOp rettangoli in p, danno
Op -^ 0?cosFOp = OMcosMOpz
ma OP - - Drtx , cosVOp = senBOP — sen'ox ,
OM = a , cosMOp — senDOM = sen-oa :
dunque sostituendo
p . n se fi' Da
ctx sen'DX ^^ a sen'oa , e pero cix — a .
sen'ùx
-. , . sen'ùa
L espressione a rappresenta esattamen-
sen'ux
te il valore della proiezione dì a , offrendone la
grandezza e la direzione. Infatti essendo la ret-
ta a positiva e sewnx costante, la nominata espres-
sione sarà positiva o negativa insieme cori sen'ua.
Ora questo seno (se l'angolo 'Da si conti a partire
dal piano dirigente OD e piegando verso l'asse Ox
positivo ) sarà positivo o negativo, secondochè l'an-
golo 'Da resta dalla parte del piano dirigente che
guarda l'asse positivo o negativo, e però secondo-
chè è positiva o negativa la proiezione di a, come
rilevasi dalla figura.
a) Teor. La proiezione obliqua di una retta a
sopra un piano x, è uguale al prodotto della retta
per la ragione de' seni degli angoli che Vasse diri'
gente d fa colla retta e col piano-, cioè
(I sen'da
- sen'd\
Valori delle proiezioni 55
La dimostrazione è la stessa che quella del pre-
cedente teorema: solo convien supporre nella fig. 1.
che OD rappresenti in profilo l'asse dirigente, Ox
il piano che riceve le proiezioni; e Op un piano per-
pendicolare all'asse dirigente, e però alla linea pro-
iettante MP.
b) Da questi due teoremi si ricava che le rette
parallele sono proporzionali alle loro proiezioni
omologhe.
1 8. Teor. La proiezione di una retta a sopra
un asse (x), essendo qualunque il piano dirigente
D , è rappresentata nella grandezza, direzione e po-
sizione da
X — ' X \
intendendo per x V ascissa del punto donde la ret-
ta incomincia, e per x Vascissa del punto ove la
retta finisce.
Dira. La proiezione della retta a sull'asse (x),
è in quest'asse il segmento compreso fra i piani che
proiettano gli estremi di a parallelamente al pia-
no dirigente (§. 43). Or questo segmento quando gia-
ce tutto intero sull'asse {x) positivo, ovvero sull'as-
se (x) negativo, è manifestamente uguale alla dif-
ferenza tra le ascisse x\ x , relative agli estremi
di a : così in questo caso sussiste il teorema. Che
se la retta a cade proiettata, parte sull'asse (x) po-
sitivo e parte sul negativo, allora una delle ascis-
se, per es. quella del punto donde incomincia a ,
e certo negativa, e nel supposto esempio potrà far-
si j? -^ — X , e si avrà x' — x -= x' 4- x, cioè la
proiezione di a eguale alla somma de' valori posi-
tivi delle ascisse: lo che si accorda perfettamente
colla figura. Inoltre l'espressione x' — 'X si accor-
da pure colla figura nel mostrarci che la proiezio-
56 Scienze
ne di a è negativa ( cioè diretta nel senso dell'asse
{x) negativo) ogni volta die l'ascissa del punto, don-
de la retta incomincia, è maggiore dell'ascissa del
punto ove la retta finisce. Dunque in ogni caso la
proiezione di una retta sopra un asse^ è uguale al-
la differenza delle ascisse de' punti ove la retta fi-
nisce ed incomincia.
19. Teor. La somma delle proiezioni de'' lati
di un poligono sopra un asse {x) , essendo qua-
lunque il piano dirigente d, è nulla.
Dim. Il poligono sia di n lati a, a\ a", ...rt('?^V,
i quali a cominciare da «, sì succedano per ordi-
ne giusta il corso del perimetro, j?, x\ x' -, ••. ,r(""*)
siano le ascisse de'vertici consecutivi a cominciare
da dove comincia il lato a: si noli che dopo il ver-
tice nesimo , ritorna il primo vertice , e però
Ciò posto , le proiezioni de' lati sull'asse (x)
saranno
^a^ -= X — X, ^a'x = x"— x', ... ^a('^-^)f = x— x^""').
Ora sommando membro a membro , e 1' una do-
po l'altra tutte queste uguaglianze, la somma de'
secondi membri si riduce a zero, e però si ha
D(a -h a' -f- a' . . . H- flf'f-»))r = o.
Nota. Per valutare con precisione, quanto al*
la grandezza e direzione, le proiezioni di pili ret-
te date sopra un asse Ox (fig. 1), basta condurre
per l'origine il piano dirigente OD, poi ima linea
parallela ed eguale ad ognuna delle rette date, e di-
retta nel medesimo senso: le proiezioni delle rette
Valori pelle proiezioni 57
COSI condotte, avranno la stessa grandezza e dire-
zione che le proiezioni delle prime rette, ossia Io
stesso valore; e per sapere se sono positive o nega-
tive, basterà osservare se cadono suU' asse positivo
o negativo, ovvero se le rette date, riportate alVori-
gine, restano dalla parte del piano dirigente che
guarda l'asse positivo o negativo,
Metta risultante e sue proprietà,
20, La risultante di piìi rette date divergenti
da un centro, è la retta la cui proiezione sopra un
asse mutabile ( essendo qualunque il piano dirigen-
te ) è sempre uguale alla somma delle proiezioni
omologhe di tutte le rette date, le quali si diran-
no componenti della prima. Quindi è palese che ,
trattandosi di proiezioni, si potrà sostituire la ri-
sultante alle componenti , e viceversa. Si sa dalla
meccanica, che se le rette componenti rappresentas-
sero forze, la retta risultante rappresenterebbe la
forza unica cui equivalgon le prime. E di qui che
si sono desunte le denominazioni di risultante e di
componenti,
a ) Teor. La risultante di due rette VA , VB
( fig. 2. ), è la diagonale VR del parallelogrammo
costruito sulle medesime prese per lati.
Dimostrazione, x -, x\ x designino sopra un
asse {oc) le ascisse de' vertici V , A , R » essendo
qualunque il piano dirigente. Le proiezioni delU
rette VA , AR , VR , saranno
ed x" — jc proiezione di AR , rappresenterà pure
G. A. T. LXXIV. 5
58 SciEWIK
la proiezione di VB , essendo AR e VB rette pa-
rallele , uguali e dirette nel medesimo senso.
Ciò posto, è manifesto che la proiezione x" — x
della diagonale VR, è uguale alla somma delle pro-
iezioni oc — X, x' — 'X di VA, VB : dunque la
diagonale VR è , per la definizione , la risultante
delle due rette date VA , VB.
h ) Teor. La risultante di tre rette date VA,
VB , ve ( fig. 2. ) non situate nel medesimo pia^
no, è la diagonale VR del parallelepipedo costrui-
to sulle medesime prese per ispigoli.
Dim. Infatti VR, diagonale del parallelogram-
mo costruito sopra VA , VB , è la risultante di
VA , VB ; e VR', diagonale del parallelogrammo
costruito sopra VR, VG, è la risultante di VR, VC,
e però di VA , VB , VG. Ora VR' è pure eviden-
temente la diagonale del parallelepipedo costruito
sopra VA , VB , VG. Dunque ec.
e ) Problema. Date pia rette divergenti da un
punto ^ trovare la loro risultante.
Soluz. Sulle prime due rette, prese per lati,
si formi un parallelogrammo: la diagonale sarà la
loro risultante. Su questa diagonale e sulla terza
retla, prese per lati, si formi un nuovo parallelo-
grammo: la nuova diagonale sarà la risultante del-
le prime tre rette date. Proseguendo così , l'ultima
diagonale sark la risultante di tutte le rette date.
In cotesti parallelogrammi successivi, i lati pa-
ralleli alle rette date formano evidentemente un po-
ligono, il quale è chiuso dall'ultima diagonale. Quin-
di yoer trovare più speditamente la risultante di più.
rette date, si formi un poligono, i lati del quale
( a cominciare dal punto donde divergono le reta-
te date ) siano successivamente paralleli ed egua^
Valori delle proiezioni 59
li a ciascheduna delle rette date^ e dirette nel me-
desimo senso : la retta che chiude il poligono , e
la risultante richiesta. Dunque, viceversa, il lato
di un poligono^ stimato in senso contrario al corso
del perimetroy è la risultante di tutti gli altri lati.
d ) Teor. La risultante di più rette date è uni"
ca, e però si può tenere qual ordine si vuole nel
determinarla.
Dim. Supponiamone possibili due R , R' , e di-
verse da zero: nel piano delle medesime conducia-
mo per la loro comune origine un asse (x) perpen-
dicolare ad R, e però obliquo ad R'. La proiezione
ortogonale di R sopra (x) sarà nulla , e non quella
di R'. Ora si la prima come la seconda proiezione ,
dovendo essere uguale alla somma delle proiezioni
omologhe delle medesime componenti, dovrebbe ave-
re uno stesso valore. Dunque è assurda la fatta ipo-
tesi di due risultanti.
e) Teor. Una retta r moltiplicata per la proie-
zione che riceve da un altra tj, è uguale alla som-
ma delle componenti a , b , e , d . . . de ir una r,
moltiplicate rispettivamente per la proiezione eh»
ricevon dall'altra q'. cioè
qrq = rqr = aqa -f- bqb -4- cqe -+- dqd -+- «e
Dim. Si proiettino ortogonalmente sopra q le
rette r, a, è, e, </,....: si avrà, per la defi-
nizione della risultante,
rcos'qr = acos'qa -r- bcos'qb-ì-ccos'qc -hdcos'-^cc.
e, moltiplicando tutto per y,
rq cos'qr = aqcos'qa -+- bqcos'qb -t cqcos'qc -f- «e.
60 Scienze
Ora qcos'qr , qcos'qa , qcos'qb , qcos'qc , ec. sono
le proiezioni qr -, qa -, qb -, qc , ec, che la risultan-
te e le componenti ricevono rispettivamente dalla
retta q. Dunque ec.
/) Teor. // quadrato della risultante r è uguu'
le alla somma de"" quadrati delle sue componenti
« , Z? , e , r/ , . . . , piii due volte la somma delle
medesime moltiplicate a due a due e pel coseno
dell'angolo che comprendono i cioè
(1) r" = ^» ^ Z,^ -+_ e' -+- ^^ H- ce.
-+- 2ab Gos'ab -+- 2ac cos'ac -+- 2ad cos'ad . .
-f- Ibc cos'bc -^ 2bd cos'bd , .
^t- 2cd cos'cd ^ ec,
Dim. Si proietti r ortogonalmente sopra ciascu-^
na delle rette r , a , b , e , d . . . : sì avrh , pel teo^
rema precedente , rrr ossia
(2) r' = ara -f- brb -f- ere H- dra -K ec. ^
ma per la definizione della risultante
ru = a -+- bcos'ab -+- ccos'ac -f- dcos'ad -+- ec,
rb ^= b ~+- a co s' ab +- ccos.bc -+- d cos'bd -+- ec.
re ^=^ e -\- acos'ac -+- bcos'bc -f- dcos'cd -+- ec.
rd =^ d -h acos'ad -f- bcos'bd -+■ ccos'cd -f- ec.
Sostituendo questi valori nella formula (2) e ridu-
cendo , si avrà la formula (1).
21. Teor. Se più rette si proiettano omologa-
mente sopra un piano, la risultante delle loro pro-
iezioni coincide colla proiezione della loro risul-
tante.
Valori delle proiezioni 61
Dim. La risultante di piìi rette date può con-
siderarsi come l'ultimo Iato di un poligono, i cui
Iati rimanenti siano paralleli ed uguali alle rette
date, e diretti nel medesimo senso; e viceversa. Ora
la proiezione di tal poligono sopra un piano è ma-
nifestamente un altro poligono, i cui lati sono pa-
ralleli ed uguali alle omologhe proiezioni delle ret-
te date e della risultante, e diretti nel medesimo
senso. Dunque la proiezione della risultante delle
rette date, ultimo lato di questo poligono, è la ri-
sultante delle proiezioni delle stesse rette, proie-
zioni rappresentate dai lati rimanenti.
PROIEZIONI DELLE AREE.
Definizioni - area; asse del piano: convenzione pro-
pria a render sensibile lo stato positivo o jiega -
tivo di un area, e a ridarre la proiezione delle
aree a quella delle rette.
22. Area è ogni superficie piana chiusa da una
linea rientrante.
a ) Asse di un piano e una retta indefinita per-
pendicolare al piano in un punto fissato ad arhi-
trio. Noi supporremo, che l'asse di un piano si di-
vida in due a partire dal piano: l'uno positivo, e
l'altro negativo; e poscia, che ciascuno di essi , a
guisa di una persona ritta sul piano, abbia la sua
parte destra e sinistra. Nella declinazione de' pia-
ni si diranno omologhi i loro assi dello stesso no-
me, cioè e i positivi, e i negativi.
b ) Teor. La declinazione di due piani è ugua^
le a quella decloro assi omologhi.
Dim. VA , Vi3 rappresentino due piani in prò-
62 Scienze
filo; e Va, Yb i corrispondenti assi omologhi, as-
si che coincidono allorché è nulla la declinazio-
ne de'due piani. Per V si conduca un piano perpen-
dicolare allo spigolo de'due piani VA, VB: tale pia-
no conterrà gli assi Ya, VZ>, e inciderà ne'due piani
l'angolo AVB, misura della loro declinazione. Ora
gli angoli AVB, aYb sono eguali, avendo ambedue
lo stesso complemento aVB : dunque la declina-
zione de'due piani è uguale a quella de' loro assi
omologhi.
Si noti che sono complementarii, l.** gli angoli
che una retta fa con un piano e coll'asse del piano ;
2.° gli angoli che un piano fa con un altro piano e
coll'asse di questo.
e ) Lo stato positivo o negativo di una linea
si desume dal senso in cui si muove il punto che
genera la linea: lo stato positivo o negativo di un'
area può del pari desumersi dal senso del moto che
genera l'area. Moto generatore di superficie piana,
è il moto rotatorio di una retta intorno ad un asse
perpendicolare alla retta.
Supponiamo che ciascun* area giacente in un
piano sia animata da un moto rotatorio intorno all'
asse del piano: è manifesto che quando essa rota
(Jalla destra alla sinistra dell' asse positivo, roterà
dalla sinistra alla destra dell'asse negativo, e vice-
versa. Ciò posto:
1.° 710Ì immagineremo che ogni area positii'a
tenda a rotare dalla destra alla sinistra dell'asse
positivo; e però dalla destra alla sinistra dell'asse
negati\>o^ ogni area negativa.
2.° E converremo di rappresentare ogni area
positiva con un proporzionale segmento delV asse
positivo'^ e però con un proporzionale segmento delV
as^e negativo^ ogni area negativa (§. 3).
Valori dcllg ?ro1e«ios! 63
Queste due convenzioni sono valevoli a ridur-
re la proiezione delle aree a quella delle rette. Si
avverta, che quando senz'altro aggiunto si dirk, 1.
asse^ si sottintenda positivo-^ 2.° dalla destra alla
sinistra^ o dalla sinistra alla destra^ si sottintenda
detrasse del piano.
d ) Noi qui designeremo il piano e Tarea con
lettera grande; e con la stessa lettera, ma piccola,
l'asse del piano e dell'area. E converremo, che se A^
Rappresenta sul piano X la proiezione dell' area
A, Ax rappresenti sopra x (asse del piano X) la
proiezione di un segmento A dell'asse a.
Valore della proiezione ortogonale ed obliqua
di un area.
23. Teor. La proiezione ortogonale di un area
A sopra un piano X , è uguale al prodotto dell
area pel coseno della sua declinazione dal piane
cioè Ax = AcorAX.
Divideremo la dimostrazione in due parti. Pri-
mieramente dimostreremo, che AcorAX rappresen-
ta con esattezza sul piano X la proiezione ortogo-
nale di A, quanto al valore numerico-^ poscia, quan-
to allo stato positivo o negativo giusta la conven-
zion fondamentale.
Prima parte. 1.^ Sia A l'area di un triangolo
ABC (fig. 4.) il cui piano interseca lungo MN il pia-
no MNX = (X): dagli estrerai di uno fra i suoi tre
lati, non perpendicolare ad MN, per es. di AB, ti-
riamo perpendicolari ad MN le Aa, BZ>; e per C la
AB' parallela ad AB, e terminante tra aA, ^B, pro-
lungate se occorre: ne nascerà il parallelogrammo
AB' doppio dei triangolo ABC, avendo con questo
64 Sciente
comune la base AB e l'altezza, e sarà =AA'.a/> — 2A#
Ora siffatto parallelogrammo proiettato sul piano
(X), diventa un altro parallelogrammo, il quale,
presa per base la proiezione del lato AA' ( cioè
AA.'cos'AX.) , avrà un' altezza ==: ab^ e quindi una
superficie
= AA.'.abGos'AK. -= 2Acos'AX.
Dunque la proiezione del triangolo ABC , essendo
meta della proiezione del parallelogramo AB', sarà
= Acos'AX*
2." Sia A un' area poligona: essa potrà decom-
porsi in triangoli t, /, t" . . . , le cui proiezioni sul
piano (X), sommate daranno la proiezione di A. Si
avrà dunque
Ax ^(t ~ht' 4- t" .,. )cos-AX -= Acoi-AX.
3.° Finalmente sìa A un'area chiusa da una li-
nea curva: essa, come limite de'poligoni inscritti e
circoscritti , proiettata sul piano (X) diverrà
= Acoj-'AX.
Dunque, in ogni caso, AcorAX rappresenta con
esattezza sul piano (X), quanto al valore numerico,
la proiezione di A.
Seconda parte. Da un punto della intersezione
de'piani (A), (X), elevati gli assi omologhi a, jt, im-
maginiamo che r area A roti continua dalla destra
alla sinistra dell'asse a: e facile a vedere che sul pia-
no (X) la proiezione A^ di A, roterà intorno all'as-
se X positivo
1.° Dalla destra alla sinistra, finche la declina-
zione 'XA varia nel primo quadrante o nel quarto;
2.° Dalla sinistra alla destra, finche la declina-
zione 'XA varia nel secondo quadrante o nel terzo;
Valori delle proiezioni G5
Allorché poi la declinazione 'XA passa dal pri-
mo al secondo quadrante, e dal terzo al quarto,
la proiezione A^ svanisce evidentemente.
Pertanto la proiezione ortogonale di A sul pia-
no (X), è positiva o negativa giusta la convenzion
fondamentale, e si annulla insieme con l'espressione
Aco^'AXé Cosi rimane pienamente dimostrato il
teorema.
a ) Poiché
Ax '= Acoj"AX = kcos'ax -= A«;
perciò , rappresentando Varea A con un segmento
A deWasse rt, alla proiezione ortogonale da piano
a piano potrà surrogarsi la proiezione ortogonale
da asse ad asse.
h ) Teor. La proleùone obliqua di uri area A
sopra un piano X , e uguale al prodotto delVarea
per la ragione de'seni degli angoli che Vasse di'^
rigente d fa coir area e col piano: cioè
fl? . sen'dK
Ax — A — ,
sen'dX.
Dim. OM ( fig. 1.) rappresenti in profilo Ta-
rea A; MP la superficie cilindrica, che proietta sul
piano Ox -=: X , l'area A parallelamente all'asse
dirigente ODi OP rappresenterà in profilo sul pia«
no X la proiezione di A, e si avrà OP = A^*
Da O si conduca il piano Od perpendicolare all'as-
se dirigente OD , e però alla superficie cilindrica
proiettante MP prolungata se occorre: infine 0/> de-
signi in profilo la proiezione ortogonale che il pia-
no Od riceve sia dall'area OM ^= A , sìa dall'area
OP = A^. Si avrà pel teorema precedente
66 Scienza
Op = OVcosVOp == OM cosìAOp
ma cosVOp -= senVOTì = sen-d'^ ,
cosUOp — fe/zMOD = je«-^A :
dunque sostituendo
A-^sen'dX = Asen'dA, e però Ay=!A .
seri'dX
Quest'ultima eguaglianza dimostra che le aree
parallele sono proporzionali alle loro proiezioni
omologhe.
e ) Essendo
d\ A sen'dA . cos'da . sen'Da D
Ax=A j^ = A ;^ = A ^=5
sen'dX cos'dx sew^x
d D
ossia Ax = Ax ;
perciò per ridurre la proiezione delle aree a quel-
la delle rette, basta rappresentare le aree con pro-
porzionali segmenti de'proprii assi, e poscia surro'
gare ai piani i loro assi e viceversa.
Jrea risultante e sue proprietà.
24. Area risultante di più aree date divergen-
ti da un centro, è l'area la cui proiezione sopra un
piano mutabile a piacimento ( essendo qualunque
l'asse dirigente), è sempre uguale alla somma delle
omologhe proiezioni delle aree date, le quali si di-
ranno aree componenti della prima. È palese che,
trattandosi di proiezioni, si può surrogare l'area ri-
sultante alle componenti, e viceversa.
a ) Grobl. Date più aree A , B , G , . . . , tro-
varne l'area risultante.
Valori delle proiezioni 67
Solnz. Dal centro donde divergono le aree da-
te, elevati sulle medesime i relativi assi omologlii
a ^ b ^ G . , . . ^ prendiamovi sopra segmenti rispet-
tivamente uguali ad A , B , C . . . . ( §. 3 ): la risul-
tante R di questi segmenti rappresenterà la gran-
dezza e l'asse dell'area risultante. Infatti proiettia-
mo sopra un asse qualunque x i segmenti R , A , B,
C , . . , essendo D il piano dirigente: si avrà
D D
R^ =3 ( A -t- B -f- G H- ec. ), ;
donde , surrogando agli assi ì piani e viceversa ,
si trae
''rx = ''( A -f- B -t- C -+- ec. )x •
Or questa formula esprime che sul piano X la pro-
iezione dell'area R , essendo d l'asse dirigente , è
uguale alla somma delle omologhe proiezioni delle
aree date A , B , G , ec.
b ) L'area risultante gode quindi le stesse pro-
prietà, che la retta da noi chiamata risultante.
Dunque
1.° Un area moltiplicata per la proiezione che
riceve da unaltra^ è uguale alla somma delle aree
componenti dell una , moltiplicate rispettivamente
per la proiezione che ricevon dall'altra.
2° Il quadrato dell'area risultante è uguale
alla somnui de^ quadrati delle aree componenti , pia
due volte la somma delle medesime moltiplicate a
due a due e pel coseno dell'angolo che comprendono.
e ) Le aree date siano due A , B , ed R la loro
risultante: è facile a vedere che i piani di A , B , R,
s'intersecheranno tutti e tre secondo una medesima
68 Scienze
linea. Inoltre ciascuna delle aree componenti A , B,
sarà uguale alla proiezione che sopra il suo piano
riceve da R^ essendo asse dirigènte una retta qua-
lunque situata nel piano delV altra componente. In-
fatti proiettiamo sul piano di A le aree A , B , R ,
prendendo per asse dirigente una retta d situata nel
piano di B : si avrà per la definizione
'^Ra -= ^{k -+- B)A :
Ora è palese, che la proiezione di A sopra se mede-
sima, è uguale ad A , e che la proiezione di B, fatta
parallelamente all'asse d situato nel piano di B, sva-
nisce in una linea; cioè ^ Aa = A, Ba = o: dunque
'^Ra = A.
d) he aree date siano tre A, B, G, ed R la loro
risultante. Ciascuna delle aree componenti A , B, G
sarà uguale alla proiezione che sopra il suo piano
riceve da R , essendo asse dirigente la intersezione
de'piani delle altre due componenti. Infatti proiet-
tiamo sul piano di A le aree R, A, B, G, prenden-
do per asse dirigente la intersezione d de'piani di B,
e di G; si avrà
'^Ra='^(A + B -h C)a; ma "^Aa = a/Ba - o/^Ga-- o:
dunque Ra = A.
Quindi data uri area, se ne avranno le aree
componenti rispettivamente parallele a tre piani.,
proiettando l'area data su ciascuno destre piani, es-
sendo asse dirigente la intersezione degli altri due
piani.
Valori delle proiezioni 6Ò
Nola. Il piano chiamato invariabile dall'autore
tlella meccanica celeste, non è altro che il piano del-
l'area risultante,
e ) Teor. Se parallelamente agli assi delle fac-
ce interne di un poliedro tiriamo da un punto altret-
tante rette nella stessa direzione, ed eguali rispetti-
vamente alle facce del poliedro\ la risultante di tali
rette sarà zero, e però una (fualunque di esse , sti-
mata in senso contrario, sarà la risultante delle
altre.
Dim. Se consideriamo le proiezioni come posi^^
tive o negative, secondochè le rette proiettanti par-
lano dalle facce interne od esterne del poliedro ; si
rileverà facilmente, che sopra un piano qualunque
la somma delle proiezioni della prima specie , è
uguale alla somma delle altre proiezioni, e però
eguale a zero la somma di tutte. Inoltre si vede, che
le facce interne del poliedro che danno la prima
specie di proiezioni, debbono fare col piano angoli
acuti; ed angoli ottusi, le facce interne rimanenti.
Ciò posto, se alle facce interne sostituiamo eguali
segmenti de'loro assi, si dovrà verificare di questi
proiettati sopra una retta, ciò che abbiamo verifi-
cato di quelle proiettate sopra un piano (§. 23 e).
Cosi i poliedri hanno, rispetto alle proiezioni ,
le slesse proprietà che i poligoni. Si noti che gli an-
goli che fanno tra loro le facce interne, sono sup-
plementarii agli angoli de'loro assi; come gli angoli
interni di un poligono sono supplementarii agli an-
goli che fanno i suoi lati, riportati ad un punto
(§.19. nota ).
TO Scienze
Aree chiamate momenti:
proprietà del momento della risultante,
25. Momento di una retta è il prodotto della
retta per la sua disianza da nn punto supposto y^^j-o:
la distanza tra siffatto punto e la retta, si dice brac
ciò della retta\ ed il punto fisso, centro de'hracci o
de"" momenti. Il braccio di una retta può essere ortO'
gonale alla retta, od obliquo: quando altro non si
aggiunga, si supporrà ortogonale. L'angolo obliquo
onde una retta declina dal suo braccio, si dira obli-
quità del braccio.
a) Il momento di una retta con braccio or-
togonale è, per la definizione , un'area doppia del
triangolo avente per base la retta, e per vertice il
centro de bracci.
b ) Se una retta VA = a ( fig. 5.) declina dal suo
braccio Ma^ = rt, coll'angolo M«yA = (y, condotta
Mn perpendicolare a VA , si trarrà dal triango-
lo Ma^n ,
Mn = a seni) :
cioè, moltiplicando il braccio obliquo pel seno di
obliquità, si ottiene il braccio ortogonale. Inoltre il
triangolo VMA sarà ^= ^ aa, senco ; cioè il triango-
lo avente per base una retta di braccio obliquo , e
per vertice il centro de bracci , è uguale al semipro-
dotto del momento (aa) pel seno di obliquità. Quin-
di, chiamati omologhi i momenti ne' quali i bracci
declinano dalle proprie rette con eguale angolo, po-
tremo stabilire, che i momenti omologhi di più rette
sono aree proporzionali ai triangoli aventi per base
le rette, e per vertice il centro de'bracci.
È manifesto potersi sempre supporre un mo-
Valori dille proiezioni 7{
mento eguale ad un'area data: quindi la teorica del-
le proiezioni delle aree può ridursi alla teorica del-
le proiezioni de'momenti.
e ) Affine di fissare con chiarezza il segno (=i=)
de'momenti, noi supporremo:
i.*^ Che ciascuna retta tenda a muoversi nel
senso della propria direzione, e per conseguente a
far rotare il proprio braccio ed il proprio momen-
to intorno al centro de'bracci;
2.° Cbe nel centro de'bracci s'innalzi positivo
e negativo l'asse di ciascun momento, cioè 1' asse
di ogni piano determinato da una retta e dal suo
braccio;
3.° Che un momento sia positivo o negativo,
secondochè tende a rotare dalla destra alla sinistra
dell'asse positivo o negativo.
d ) Teor. In un piano il momento della risul-
tante di pia rette è uguale alla somma de^ momenti
omologhi delle medesime.
Dim. Nel piano supposto (fig. 6) siano
Va = a, Yb = b. Ve = e, ec.
più rette divergenti dal punto V ; Vr = r sia la
loro risultante, ed M il centro de'bracci. Per V e
per M conduciamo VM -= D: presa la retta D per
asse dirigente, proiettiamo r, a, b, e, ec. sopra un
asse {x) perpendicolare a D. Poiché in questa ipo-
tesi (*) sen'jcjy = 1, si avrà
[") Nota. Angolo è la superfìcie piana generata da un raggio
indefinito rotante intorno ad un punto. Quindi un angolo se ge-
xieralo da un raggio laoventesi in un senso, si riguarda come pQ-
72 Scienze
(1) rsen-rD "A asen'oD -+- bsen'bB +csen'cD -+~ ec»
Ciò posto, i bracci che dal centro M vanno orto-
gonali alle rette r, «, b, e, ec, siano
Mr, rr= r, , Ma^ = a^ , M^^ = è^ , Me = c^ , ec;
i triangoli rettangoli MVr„ MVfl!,, MV^,, MVc,, ce,
daranno
^e/irD = r- , j'e/i'flD = -^ , seivbìJ ~ -i , ec.
Sostituendo i valori di questi seni nell'equazion pre-
cedente, e moltiplicando per D, risulta
(2) rr, ~ aa^ -*- hb ^ h- ce -t- ec»
Supposte positive le rette D, r, «, &, e, ec, Io
stato positivo o negativo de'momenti rr^, aa.^ bb^, ce,.,
ec. dipende dallo stato positivo o negativo de'brac-
ci, e però de'seni seivrD., sewaD, ec. Or questi seni,
ove gli angoli si contino positivi girando dalla de-
stra alla sinistra, riescono solamente positivi per
le rette situate alla destra di VM, cioè per le rei'
sitivo; generato da un raggio moventesi ia senso contrario , do-
vrà riguardarsi come negativo. Noi converremo di riguardare gli
angoli come positivi o negativi, secondochè il molo rotatorio che
li ha generati, si suppone fatto dalla destra alla sinistra, o dal-
la sinistra alla destra. Inoltre nell'indicarli col simbolo -pq, con-
verremo che il raggio generatore si muova passando dalla posi-
zione indicata dalla prima lettera, alla posizione indicata dalla
seconda. In virtù di questa convenzione si avrà
setvYìa sen-aD
senBa = — sen-aì) , e r— = 7-.
sen Dx sen.xu
Valori delle proiezioni 73
te che tendono a far rotare i proprii momenti dalla
destra alla sinistra. Cosi nell'ultima formula (2),
l'espressione algebrica de' momenti è in pieno ac-
cordo col loro stato positivo o negativo giusta la
convenzion fondamentale; ed il proposto teorema è
completamente dimostrato.
Tale teorema si può anche enunciare ( come in
meccanica) cosi: in un piano il momento della risul-
tante è uguale alVeccesso dè'momenti che tendono
a rotare nel medesimo senso, sopra i momenti che
tendono a rotare in senso contrario,
e ) Risulta poi da questo teorema, che in un
piano, immaginati i triangoli aventi per vertice il
centro dé'bracci, e per base la risultante e ciascuna
delle componenti ; il triangolo della risultante è
uguale alla somma de* triangoli delle componenti
(§. 6) ( avuto per altro il debito riguardo ai segni
giusta la convenzion fondamentale ).
/ ) Teor. // momento della risultante di pia ret"
te divergenti da un punto, coincide col momento ri'
sultante dé'moinenti omologhi delle medesime rette.
Dim. Immaginati i triangoli aventi per vertice
il centro qualsivuole de'bracci, e per base la risul-
tante e ciascuna componente, tutto riducesi a prova-
re che il triangolo della risultante proiettato sopra
un piano qualunque, diventa eguale alla somma de*
triangoli delle componenti omologamente proiet-
tati ( §. 24 ). Ora tutti questi triangoli proiettati
nel piano, hanno per vertice comune la proiezio-
ne del centro de'bracci, e per base la proiezione
della risultante e di ciascuna componente. Quin-
di il primo di tali triangoli ( in forza del §.21,
e del teor. prec. ) è uguale alla somma degli altri.
D. Cheliwi delle Scuole Pie
G.A.T.LXXIV. G
Fi<r. i.
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P "'"-■' d
Fio'. 5.
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Yi,. S.
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é^
77
Dizionario classico di medicind^ di chirurgia , e
d'igiene pubblica e privata composto da Adelon,
Andrai^ Beclard^ Bietta Bre schei ^ Chemel , /.
Cloquet^ G. Cloquet^ Coutanceau, Desormeaux,
Ferrust Georget, Guersent, Indelot, Lagneau^
Landre-Beauvaisy Marc^ Marjolin^ Murata Oli-
vier^ Orfila^ Pelletier, Raige-Delorme, Rajer ,
Richard , Rochoux, Rottan, Roux , e Rullier.
Prima traduzione italiana di M. G. Levi, dottore
in medicina e filosofa, membro del veneto ate-
neo ec con parecchie giunte spettanti alla me"
dicina teorica e pratica in ispezialità italiana.
Kenezia 1837 per Giuseppe Antonelli editore
ec. ec. in 8. grande , tomo XXXIIl di pag. 482.
E
bbe già il suo principio nell'anno 1833 la ver-
sione di quest'opera nell'idioma italiano. Hanno fin
qui proseguito con pari impegno e zelo in sì lode-
vole impresa il traduttore ed il tipografo. Raggiunto
veggiamo, per ciò che ne sembra, lo scopo prefisso,
die mirava a riunire in un sol corpo (per quanto
possibil fosse) le opere, i sistemi, le cognizioni de'
più rinomati scrittori della facoltà medico-chirur-
gica: e con ciò molta fiducia può nutrire il sig. Levi
di veder sostenuto ed incoraggiato il commende-
vole suo disegno. La stampa d'altronde è in buoni
caratteri, e la traduzione corretta e non senza ele-
ganza: cosicché per questi titoli tutti di vantag-
gio e di ornamento vi ha luogo a presagirsi ot-
78 Scienze
timo 11 compimento del lavoro. Fece di già co-
noscere l'editore nella sua prefazione al primo vo-
lume, che nel testo o non tenevasi ragionamento
di tutti i sommi travagli dei corifei professori
italiani, ovvero se ne teneva talfiata discorso con
brevità soverchia, e senza darvi quella convenevo-
le estensione „ che può e deve bramare chi nacque
„ sotto il bel cielo di Ausonia, a cui riuscirà (egli
„ scriveva) in oltre gradito maggiormente leggere
„ le parole stesse degli autori suoi connazionali so-
„ lito a venerare per fama o per conoscenza per-
„ sonale di essi. „ Intese egli perciò con somma
cura a porre quasi sott' ogni articolo del presente
dizionario le scoperte ed i pensamenti de' nostri
compatriotti illustri con certa ampiezza, riportan-
do ora per intiero gli scritti loro, ed ora valen-
dosi di quei compendi già divulgati da altri medici
italiani. Fedele d' altronde 1' ili. traduttore nella
esecuzione delle promesse dell'editore, si è ognora
mostrato interessantissimo in supplirvi nella mag-
gior bramata latitudine e perspicacia col preaccen-
nato metodo; che anzi non ha omesso talvolta di
aggiungervi novelli inediti lavori, che intorno a va-
rii argomenti è riuscito procurarsi da non pochi
scrittori della nostra penisola.
In conferma di che ne giova dire, che nel vo-
lume di cui facciam menzione molti sono gli artico-
li addizionali di sommo pregio che inserti vi si leg-
gono. Registrati sono p. e. alla voce parto, un com-
pendio redatto dal prof. Palletta delle „ Congettu-
re sul meccanismo del parto „ di Calza prof, di
ostetricia nella università di Padova: il „ Caso di
parto non naturale, condotto a felice terminazione
mediante incisioni alla bocca dell'utero „ del prof.
Dizionario di Medicina 79
Bonglovanni di Pavia, e compendiato dal sig. Cor-
tiellani: il caso di un ,< Parto per l'ano osservato
nel 1821 ,i descritto con molta erudizione ed accu-
ratezza dal pr'of. Malacai^ne, il cjUale lo ha arricchi-
to di vaiMe istoi*iche notizie di pr'esso che consimili
avvenimenti. Susseguono le ,, Osservazioni intorno
al parto, nel quale il bambino è disceso nella va-
gina colla spalla e parte anche del petto ,, del dott.
Giuseppe Guerra; e contro le idee e metodo pro-
posto da quest' ultimo in simili emergenze , vi si
aggiugne indi appresso un cenno della dissertazione
del dottor Lenci, che sembra con pili senno discor-
rere della opposta manovra, favellando singolar-
mente ,, Degli accidenti che accompagnano il parto,
in cui il feto presenta la mano, e del metodo inse-
gnato dal dottor Guerra. ,, Entrano a far parte del
presente volume di questa raccolta i dotti ragio-
namenti del prof. Palletta intorno ai Parti precoci
e maturi di feti morti, estratti dalle sue Exercita-
tiones pathologicae ec. ; il compendio della interes-
sante dissertazione medico-legale del cav. Domeni-
co Meli, intitolata ,, Dei parti naturali anticipati ,
deirattitudine a vivere dei prematuri nascenti, e dei
loro diritti civili : „ un articolo originale dello
stesso sig. Meli intorno alle Proprietà vitali delVute-
ro grai^ido, ed ai parti che avvengono dopo la iner-
te della pregnante., articolo per la prima parte il-
lustrato da ricerche diligentissime e riflessioni assai
mature, da relazioni d'istorici avvenimenti della se-
conda, e da opportune deduzioni di cinque corolla-
rii. Finalmente dopo i „ Cenni intorno al mecca-
nismo naturale del parto per la faccia, del dottor
Biagini ,, riferiti in compendio, segue un pregevo-
le ed erudita articolo del prof. Puccinotti che versa
80 Sciente
su la „ Medicina legale del parto legittimo, seroti-
no e cesareo: ,, nel quale articolo, dopo alcune isto*
riche premesse, si discorre sulla ,, Legittimiti dei
parti serotini „ se quali ammissibili o no ,, de'
parti tardivi simulati ,, della sostituzione del par-
to „ dei parti gemelli ,, della superfetazione „ e
della contrarietà di pareri sulla sua esistenza „ non
che delle prove di essa appoggiate all'anatomia pa-
tologica „ e dei segni per contestarla: „ del parto
cesareo „ della operazione cesarea vaginale, pubica,
ed addominale ,, dello condizioni che si richiedono
al taglio cesareo „ delle cautele che debbono pra-
ticarsi in questa operazione „ e delle questioni sul-
la capacità vitale dei parti cesarei.
È annesso alla voce passione, dopo rarticolo del
testo, un prolisso ma interessante discorso del ce-
lebratissimo consiglier Brera diretto a dimostrare
ad evidenza, che „ l'esame delle passioni non deve
,, essere giammai negletto da un buon medico, gìac-
„ che queste agiscono spesso come cause produttri-
,, ci delle malattie, ed alcune fiate, o promosse con
„ industria, oppure per caso, sono slati rimedi! va-
„ levolissimi per curare delle infermità che aveva-
,, no resistito fin'allora ai medicamenti piìi attivi. „
Air articolo di patologia di Rochoux aggiungonsi
dal laborioso redattore la idea della patologia spe-
ciale'^ una succinta rassegna delle varie partizioni
dei morbi marcate da diversi autori dall'epoca di
Galeno fino a quella del Fanzago, tradotto dal Mi-
chelotti nel 1824; e la notizia del sistema neolo-
gìco di Mason Goud pubblicato nel 1827. Ed aven-
do il Levi già parlato dei sistemi o metodi di pa-
tologia di Hannemann, di Bufalini, di Puccinotti
sotto i rispettivi articoli, come di omeopatia, mi-
^
Dizionario di Medicina 81
stiojiismo, induzione, ai modesiml rimette il leggi-
tore, aggiungendovi per ultimo il lunghissimo arti-
colo dei eh. prof. Tommasini „ Sullo stato attuale
della nuova patologia italiana. „ Distinto pur viene
il vocabolo paura da un ingegnoso ,, Saggio sugli
effetti nocivi e salutari della medesima „ dell' ili.
sig. G. Federigo, ricco di riflessioni e di esempi.
Altri italiani lavori degni di considerazione vi
trovan luogo in seguito, come quello del chiar. prof.
Fantonetti sulla pellagra ; quello del valente sig.
Delle Ghiaie di „ Osservazioni sulla struttura della
epidermide umana : „ l'altro curiosissimo e del pa-
ri interessante per l'esito e per le spiegazioni re-
catene dal dotto autore sig. Cesare Ruggieri al vo-
cabolo pelo, di una ,, Storia ragionata di una don-
na avente gran parte del corpo coperta di pelle e
pelo nero: „ la „ Memoria su di un pelvimetro di
novella invenzione ,, del sig. Galbiati già noto per
altri suoi commendevoli scritti; il „ Caso di pera-
figo cronico „ del sig. Asdrubali; i „ Casi storici di
Zannini di totale o presso che totale adesione del
pericardio al cuore ; la descrizione „ Delle nuove
membrane perineali „ del dottor Argenti ; la re-
centissima memoria del prof. Roux di Parigi ,, So-
pra il ristauramento del perineo ne'casi di divisio-
ne o di rottura completa di questa parte „ recata
in idioma italiano ed in fine arricchita di una os-
servazione del dottor Biagini di Pistoia, a cui se
non devesi la priorità del metodo (perchè giusta-
mente tribuita allo scrittor francese, secondo inse-
gna la pili rigorosa imparzialitk) debbesi per altro
la conferma dell' eccellenza del metodo di sutura
proposta dal Roux, avendola per il primo praticata
in Italia con felice evento, ed avendo anzi dissi-
82 Scienze
pato quei dubbi che lo scrittoi' francese Inspirava
nei pratici per distorli dall'usiirla nella lacerazio-
ne recente.
Compiesi il volume, di cui è discorso, coH'ad-
dizione di altre pregevolissime produzioni a' vo-
caboli periodicità e periodico , cioè del sig. Zam-
belli „ Sulla periodicità ed intermittenza delle ma-
lattie: „ del preclaro sig. Puccinotti sulla „ Perio-
dicità nelle febbri, e della sua causa e trattamen-
to: ,, Sulla flogosi delle febbri periodiche pernicio-
se: „ Sulla storia delle febbri intermittenti perni-
ciose di Roma negli anni 1819, 4820, 1821: ,, e
del sig. Notarianni „ Osservazioni pratiche sulle
febbri di mutazione : ,, scrittore, che dopo il Torti
si è impegnato il primo a favellare in Italia delle
febbri periodiche; scrittore che ne ha parlato con
molto senno e perspicacia, e spessissimo menziona-
to con lode dal Puccinotti nella prefata sua storia.
Susseguono da ultimo la erudita „ Memoria suU'
,, origine delle febbri periodiche in Roma e sua
„ campagna „ dell'egregio romano prof. Folchi, il
quale fra le moltissime cose in essa memoria no-
tevoli propone specialmente una ingegnosa e soddi-
sfacente congettura di spiegazione del modo di agi-
re della chinina nelle febbri periodiche, sostenuta
valorosamente da fisico-chimici argomenti e da spe-
rienze: l'istruttivo „ Saggio di un esame critico isti-
„ tuito delle malattie periodiche, e principalmente
„ delle periodiche, febbrili, e delle virtù che han-
„ no la china ed alcuni preparati della medesima
„ per debellarle „ dell'altro chiar. romano prof.
Pietro Manni: e le „ Cinque nuove forme di malat-
„ tic periodiche apiretiche „ osservate per la pri-
ma volta negli anni 1825 e 1826 dal prof Fulci
di Catania.
Dizionario di Medicina 83
Da questo rapido esibito quadro di scientifiche
produzioni nel presente volume registrate sembra
risultare giustissimo, che siffatta raccolta sia assolu-
tamente ben degna di esser divulgata piìi che non
è anche tra noi italiani; e che molta lode retribuir
debbasi al sapiente ed instancabile traduttore sig.
Levi, il quale con sì numerose e scelte aggiunte va
sempre piìi ad arricchire di soda erudizione e di
stabile pratica utilità il suo lavoro, che ci auguria-
mo veder condotto prontamente al desiato termine
coH'usato studio ed accuratezza , che procurar gli
sapranno la comune soddisfazione degli scienziati
cultori della medica e chirurgica facoltà.
ToNELLI
•
// nuovo salvadanaio, ossia dei beni derivanti dalla
cassa di risparmio, - Racconti popolari di D. V. ,
preceduti dalVidea del regolamento della mede-
sima, a comune intelligenza ed utilità. - Bologna
pei tipi di Gio. Bartolotti 1837, di pag. 56, in 8.^
T
XI vantaggio che deriva dalle casse di risparmio
vien provato tutto giorno dal fatto. Tale benefi-
ca istituzione onora grandemente l'umanità, e fa
piovere continue benedizioni alla memoria di quel
primo, che offerse questa sicura tavola di rifu-
gio a coloro che trovansi costretti a dure e quo-
84 Scienze
tldlane fatiche, onde provvedere a'Lisogni della vita.
Un'opera sì pietosa fioriva primamente nella Svizze-
ra sull'ultimo periodo del passato secolo, passò dap-
poi in Inghilterra, venne introdotta in Francia, e fu
bene accolta in Italia, ove molte se ne trovano al
presente e nel Piemonte, e nel regno Lombardo-Ve-
neto , e nella Toscana, e negli stati pontifici. La
eulta Bologna ha voluto imitare il bello esempio
della capitale, e delle altre cospicue citta italia-
ne , ed ha aperta una cassa di risparmio , mer-
cè di una società di cento private persone , che
l'ha stabilita e la dirige gratuitamente con un fon-
do di cinque mila scudi, derivanti da cento azio-
ni di scudi cinquanta l'una, da investirsi in fon-
di pubblici ed in fruttiferi capitali. Siamo d'avvi-
so che tutti coloro, i quali si trovano in non mol-
to comodo stato, e non hanno perduto il bene del-
l'intelletto, vorranno approfittare di questa bene-
fica istituzione, onde porre a fruttifero risparmio
gli avanzi della giornata pel tempo dell'infortu-
nio e della vecchiezza.
Gli annunciati racconti popolari sono scritfì
dall' egregio prof. D. Vaccolini con molta disin-
voltura e franchezza di dettato. In essi l'autore po-
ne con aggiustato modo sott'occhio l'utilità che da
detta opera pietosa al basso popolo proviene , e
combatte con accorto e sano raziocinio molti di
que'pregiudizi e di quelle false opinioni, che tan-
to sono in esso radicate a danno del civile e mo-
rale progresso. Queste scritture ci ricordano i bei
lavori àe Sacchi e àe Canta sovra argomenti di
simil fatta, che valgono a rischiarare le menti ot-
tenebrate dalla ignoranza e dalla falsa educazione;
e degne quindi di molta lode.
Il nuovo Salvadanaio 85
Recheremo qui per intero il secondo di que-
sti racconti, che ha per titolo: Un buon amico va-
le un tesoro.
* Io me n'andava per la citta imbacuccato nel
mio mantello una di queste giornatacce di mag-
gio, che mi è parso peggio del novembre e del-
la tregenda: e ruminando tra me non so che pen-
sieri di debiti fatti e non pagati. In quella un mio
amicone del cuore mi abbracciò: È cent'anni, disse,
che non ho avuto il bene di vederti, e sì ti ho cercato
per mare e per terra! Come stai, e che fai dunque,
meta dell'anima mia? Io sospirava e non rispondeva
parola. E che dunque? quegli replicava. Finalmen-
te trattomi poco meno che il cuore dal cuore, io
gli dissi: Così così. Come come? Non istai bene,
benone, come io ti auguro e voglio sempre? 0 se-
guiresti la moda del rispondere: ma non ce male^
così così? Tratto un gran sospiro, io non aggiun-
si motto. Ed egli: Ho capito, sei innamorato! Die-
di allora in uno scoppio di ridere, scordando per
un momento la trista fonte de'miei malanni. E in
confidenza, che nessuno ci senta, gli dissi all'orec-
chio: ho mille spese, e neppure un quattrino! Po-
co male, ripetè il compagno : eccoti la mia borsa
con cento luigi: fanne il tuo bisogno! Allora mi tor-
nò l'anima in corpo, e strinsi al petto quel gene-
roso; tanto che ebbi a soffocarlo. Adagio adagio, ei
diceva, non rendermi male per bene: vedo l'ecces-
so della gioia e della gratitudine; ma ogni eccesso
nuoce! Io cominciava quella tiritera del ringrazia-
re, che la moda ci ha appresa: ed egli ponendo-
mi la mano alla bocca m'impose tacere , soggiun-
gendo: Le cose degli amici denno essere comuni ,
anche i consigli; e questi io darò a te, come die-
86 S e 1 E N Z K
di innanzi a me stesso. Odili, e sia questo un pri-
mo segno di grato animo, il più accetto che pos-
sa darmi! Io spendeva e spandeva, ed erami ridot-
to al verde: vidi allora, che l'uomo dee-sì consu-
mare, ma prima guadagnare, e guadagnare in huon
dato per non rimanersi in secco; che quella ari-
dità della borsa porta aridità di bene. Pensai adun-
qjie a lavorare in qualche arte: scelsi quella di
stampatore, meschina veramente al giorno d'oggi.
Non serve: guadagnai qualche scudo, e a capo alla
settimana depositai il guadagno alla cassa di rispar-
mio: così i giorni di festa , che prima io soleva
andare al caffè, all'osterìa a giocarmi piacevolmente
poco meno che la camicia, fui alla chiesa , al pas-
seggio, e lessi qualche libro di viaggi , che mi era
una consolazione. Tornava la settimana per lavorare:
ed io al lavoro, e di nuovo quegli scudi guadagnati,
e di nuovo depositati. Il denaro intanto si accre-
sceva co'frutti che ingrossavano in capitale sempre
fruttifero , e non ci pioveva ne tempestava sopra.
Seguitai questo bel giuoco senza dire il mio segreto
ad anima vivente; neppure a te, cuor del mio cuore!
La faccenda è ita tanto innanzi, che io de'miei ri-
sparmi posso offrirti questa borsa, che io destinava
appunto per te, quando ringraziando il cielo ti ho
ritrovato. E tu che hai fatto in questi tanti mesi,
che non ci siamo veduti.'' Io arrossiva, e pure ri-
spondeva: Ho giuocato, ho girato su e giù senza far
nulla, ed ecco che mi era ridotto con un pugno di
mosche in mano! Quegli si fece burbero ( ma era
il burbero di buon cuore): e soggiungeva: Qui
bisogna' mutar vita, o ch'io basta: confida-
mi le tue magagne, e le racconceremo. E pensa to-
sto un mestiere, a cui dedicarli. Non più giuochi,
Il nuovo Salvadanaio 87
non più vizi, non più romanzi, non più .... Giu-
dizio in somma : e quello che avrai guadagnalo ,
alla fine della settimana portalo alla cassa di ri-
sparmio. Benedetta istituzione, che fa l'uomo pre-
vidente, economo e industrioso, e, ciò che è più ,
huon marito, buon figlio, buon padre, buon cit-
tadino! Io abbracciai di nuovo il mio benefatto-
re, e seguitai i suoi consigli, e mi trovo contento,
arcicontento! »
Francesco Capozzi
Intorno allo scorbuto osservato nel forte di Nar-
ni dal sig. dottor Angelo Sorgoni. Lettera cri-
tica del dottore Camillo V^ersari da Forlì alVe-
gregio dottor Francesco Bertinatti socio corri-
spondente della società medica di Livorno^ del-
la medico-chirurgica di Bologna, di quello de-
gli euteleti di s. Miniato, membro del collegio
di chirurgia nella reale università di Torino ,
professore di anatomia nella reale accademia di
belle arti. - „ Liberum cuique sit unum iudicium\
sua illi placuit opinio: mihi forsitan nim,ium mea\
quid quid dictum sit, id non contradicendi sed
veritatis studio dictum putetur. „ Freind. -
P
jL regiatisimo amico. Dacché cortesemente onora-
ste col dedicarmi l'utile vostra lettera sopra un
caso di scorbuto (1) raro, gravissimo, e tuttavia
(i) Inserita nel num. 25 del Repertorio medico-chirurgico
88 Scienze
ben vinto in poche settimane pel metodo tera-
peutico da me prescelto, e con undici salassi, sen-
tii dentro l'anima il bisogno di porgervene grazie ,
e seco voi rallegrarmi. E appunto, siccome ricor-
derete, vi adempie con pronti e zjfiFettuosi caratteri.
Mi riserbava però di darvene anche alcun pubblico
segno a maggiore argomento del grato animo mio,
ed in omaggio alle vostre chiare virtìi dell'intel-
letto e del cuore. Ma la mia spesso avversa for-
tuna noi consentì. Ora che me ne trovo ripara-
to, e perchè è pure in me costante quel ripetu-
to proposito, debbo e vo'sdebitarmi di parte almeno
de'tanti obblighi che a voi mi stringono. Che trop-
po mi graverebbe l'apparirvi tuttora disconoscente,
siccome troppo gravommi il sì lungo silenzio che
ho dovuto, mio mal grado, durare, e piìi il pensiero
che ne poteste essere interprete sinistro. Tenue però
e l'offerta che son per farvi, anzi lievissima, per la
pochezza mia non proporzionata agli alti meriti
vostri. Pure Tardisco nella soave fiducia che spirano
gli animi gentili , e per la bontà e generosa indul-
genza con che altre volte mi deste conforto , e al
pubblico raccomandaste alcune mie opericciuole.
Vogliate ora degnarvi di benignamente accogliere
e proteggere anche questa minore.
Mira essa all'esame critico delle osservazioni e
riflessioni sullo scorbuto dal nostro socio sig. dot-
tor Angelo Sorgoni non ha guari pubblicate nelle
Memorie della società medico-chirurgica di Bolo-
picmoiUese compilato dal dott. De Rolandis, e nel fascicolo di
marzo i852 del Bollettino delle scienze mediche di Bologna , e
ucl fascicolo di luglio i836 del Giornale Arcadico.
IntoUno allo Scorbuto 89
i*iia è nel Giornale Arcadico. Sertibrandomene non
affatto indegno V argomento , ne ho prestamente
voluto cogliere l'occasione. E mi vi sono determina-
to tanto più volentieri ^ quanto che è materia di
mutua attinenza. Io vi ho alcun diritto per essere
piaciuto al sig» dottor Sorgoni di attinger molto
dalle mie premiate » Ricerche sullo scorbuto: » voi
ne compartecipate per la felice guarigione del vo-
stro scorbutico Filiberto Qiublier di Messeri, che
appunto, siccome scriveste e comprovaste, ne andò
interamente debitore al frutto pratico AeWe idee pa-
tologiche e delle osservazioni da me distese e svilup-
pate. Sicché ho caro e preziosissimo quel fatto; caro,
perchè vostro, e a chiare note manifesta salva una
vita che con altri mezzi curativi sarebbesi estinta;
preziosissimo, per l'accuratezza e semplicità istorica
con che Io dipingeste, e tale eziandio per le varie
importanti naturali induzioni di che è capace a vie-
meglio convalidare la mia sentenza. Onde me ne
sta a cuore il molto possibile profitto. E il trarrò
forse con maggiore estensione di quello m'abbia già
fatto, quando alla per fine aderendo alle istanze di
alcuni amici miei manderò in luce rinnovate, più
ampie, e chiarite le mie sopraindicate Ricerche.
Il sig. dottor Sorgoni studiò lo scorbuto sopra
molti condannati , i quali già da alcun tempo vi
eran disposti e per istanchezza di viaggio dal Forte
Urbano a quel di Narni, e per altri disagi e mise-
rie e patemi di carcere. Cola ne vide conseguire la
manifestazione all'umidita di certi cameroni, in cui
furono quegli infelici rinchiusi. I sintomi e i se-
gni, che ne raccolse e discusse, disvelano a mio av-
viso un'indole sì benigna da indurne il dubbio di
morbus maculosiis di WerlhofF, Bohrens e Brachet,
G. A. T. LXXIV. 7
90 Scienze
ossia della purpura haemorrhagica di Wìllam, del
phenygmus^ della emorrea petecchiale, e dello scor-
buto petecchiale e della spilosi de'neoterici.
Ma per quel mio dubbio non voglio già che
da taluno si pensi doversi a quel dotto e perito no-
stro socio i rimproveri da Sydenham, da Willis,
da altri diretti a'medici de'loro di contro la tan-
ta facilità di rinvenire lo scorbuto : sendone io
stesso allenissimo dall'ammetterli a' nostri, e lui
dovendo per molti rispetti estimare, e lealmente
stimandolo. Pure, e perchè egli non ha toccato del-
le malattie affini allo scorbuto, e appunto nemme-
no del morbus maculosus da Vichman considera-
to come un grado dello scorbuto; perchè nelle mie
Ricerche non ne porsi io stesso i caratteri distin-
tivi , stimerei bene che alcuno riparasse a quelle
nostre omissioni. Io glie ne saprei grado, e meco
glie ne saprebbero i giovani cultori dell'arte salu-
tare. Né solo questi d'Italia nostra, ma quelli an-
cora di Francia , ove non ha molto, per fede del
barone Alibert e del dottor Fourneaux Gaen (1) ,
confondevasi quel morbo con lo scorbuto.
Io ne ho alcune volte notato da me a me la
grandissima rassomiglianza: e pur mi ricorda d'ave-
re udito su tale materia dispute non definite nem-
men da' pili abili e sperimentati pratici nostri. E
come non altrimenti? Le cagioni del morbus macu-
losus, benché varie, pure nella generalità corrispo-
sero a quelle dello scorbuto. I sintomi prodromi di
entrambi, parecchi de' costituenti , son pressoché
uguali. La cura vuoisi incirca dirigere da consimili
(i) Quegli nella nosologia naturale, questi nella sua tesi.
Imtornò allo Scorbuto 91
itidicazlonlj e praticarci con mezzi ed aiuti unifor-
mi. Oltre a ciò la guarigione di qUe'malati ci si ap-
palesa col graduato ricomporsi del tessuto dermoi-
deo, principalmente per le sue azioni sudorifiche
e diaforetiche, e la morte degli Uni e degli altri
è spesso repentina per rotture di vasi sanguiferié
Altronde anche gli argomenti necroscopici concor-
rono ad oifuscarné la desiderata chiarezza del giu-
dizio. Di fatto in vari cadavdi^i di mancati pel mor-
bus nìnculosus ti*ovossi il sangUe assai fluidoj e pei*-
sino ne*visceri àbbondanteniénttì provveduti di ar-
terie. Ne ciò soltantoi sibbene, e non radè volte, ftì
ne'medesimi discoperta l'anévr'ismatica condizione,
talora manifesto il vero anevrisma^ mentrechè si ri-
conobbero in altri e spandimenti sanguigni, e stra-
vasi ne'viscei*i toracici, negli addominali^ ne'musco-
11, e in altre par'ti. A dir vei:*o son queste tutte gra-
vissime circostanze, e si omogenee, da obbligare ad
ammettere una assai stretta ed essenziale patologica
prossimità tra le due indicate morbose affezioni. E
ciò sta bene; ma che ne profitta? Non ne avvertì
forse sapientemente il gran vecchio di Goo, che quo-
que honis ntedicis similitudine s pariunt erì*ores et
difficultates? E le apparenze di uguaglianza di na-
tura non direm noi con Baglivi potere indurre a
diagnosi bugiarde pel criterio di sola analogia? E
non le inducono forse ne'morbi, che variamente no-
miniamo secondo le differenze de*gradi loro, e la
successiva diffusione da un sistema all'altro?
Il valore diagnostico vuol esser serbato netto
ed interoi e qu^indo non s'abbia cosi stabilito, dob-
biamo sollecitarci -a procacciamelo. Vorrei quindi
commesso anche quel punto controverso di cliniche
disquisizioni all' attenzione de'piìi esercitati ed in-
92 Scienze
dusti'i osservatori dell'uomo infermo, e però Io rac-
comando alla molta vostra sagacia. Forse taluno, più
amico delle sottigliezze che delle pratiche verità, po-
trebbe per avventura giudicar questo tema di poco
peso. Quelli però che sanno, doversi la medicina
trattare come parte di storia naturale, ed intendo-
no, dietro i dettami della schietta ipocratica osser-
vazione, a migliorarla per l'eflìcace solidità di tutti
gli argomenti della nostra piìi perfezionata espe-
rienza, tengo che meco si accordino intorno alla sua
profittevole importanza. Tale veramente mi sembra,
e tale anzi è, per l'obbligo almeno che corre a cia-
scuno di noi d'illustrare, per quanto ne è dato, la
natura de'morbi non ancora ben conosciuti o non
affatto distinti. Per tanto sacro dovere avrei io stes-
so tentato di fissare i confini fra l'una e l'altra in-
fermità. Ma no, conosco temeraria l'impresa, come
quella ch'è assai superiore alle mie forze. Difficile,
dilicato n'è l'argomento; scarso il possesso di clini-
che e necroscopiche relative osservazioni; a ben ap-
prezzarle è necessaria molta perspicacia, e ad util-
mente istituirle vasta pratica e vero acume. Per si-
mili riflessi porgerò adunque a me stesso il sano
consiglio di Orazio:
Sumite materiani vestris^ qui scribitis, aequam
yiribus., et versate diu^ quid ferre recment.
Quid valeant humeri: ^
sicché mi rimango, e a voi lascio ed affido la solu-
zione del problema. Tuttavia permettetemi che vi
sottoponga pochi pensieri, che mi vennero alla men-
te meditando sopra quel suggetto.
Parvemi nel picciol numero de' casi da me os-
Intorno allo Scorbuto 93
servati vedere pel morbus maculosus una semplice
congestione del sistema sanguigno, e per Io scor-
Luto una profonda angioite di propria forma e sui
generis. Chiedeva a me stesso in quelle meditazioni:
Per non confondere l'uno coll'altro potrebbero soc-
correre la loro sintomatologia , ed alcuni criteri!
tratti dall' esito e dalla durata? L' apparato feno-
menologico del vero scorbuto non è sempre grave,
e di una commovente tristezza? Seguiva: Non è così
del morbus maculosus. Il sonno dello scorbutico
non ricrea, ne ripara alla lassezza di tutta la per-
sona, anzi r accresce. Lo scorbuto ha stadii bene
riconoscibili. Il morbus maculosus ne manca. E mi
soggiungeva: In quello, grande la tendenza alla ca-
rie e al cancrenoso processo: in questo, luna e l'al-
tra degenerazione rarissime : nel primo, dolori di
reumatica apparenza; le piaghe ben risanate, le fe-
rite anche ad antica cicatrice facili a riaprirsi; age-
vole pure il disciogliersi del callo osseo già succe-
duto a riparate fratture : non presentarsi nel se-
condo que'dolori, ne le indicate rinnovazioni di so-
luzion di continuo', il molto guasto interno della
bocca, dei denti, delle gengive de' veri scorbutici, e
le varie gravi e successive degenerazioni di queste
parti, il fetore insopportabile del loro alito e del
traspirato dall'esterior superficie del corpo, non cor-
rispondere alla leggerezza di poche consimili con-
seguenze ne'cronicamente compresi dal morbus ma-
culosus. Forse che nel morbus maculosus non è
generalmente felice? Certo ne pufi variare il corso:
e se sovente in questo è breve, pure può durar mesi
ed anche anni per chiara testimonianza dell'illustre
Bateman; ma quella prontezza e lunga durata non
competono mai all'assoluto scorbuto de' trattatisti.
94 S e I E N X B
Piacciavi or meco discendere a quel dì Narnì ,
e concederrni cl^e ne sia compilatore del piU impor-
tante, a quando 3^ quando aggiungendo alcune mie
considerazioni,
Dopo avere l'onorevole nostro socio esposti i
sìntomi, ne distingue e fissa tre ordini, che risulta^
Xio dalla varia loro entità^ e dalla maniera stessa
Qon cui si sono sviluppati. Riferisce il primo ad
una generale alterazione dell' orgamismo: e a con-^
trassegni ne dà color terreo, plumbeo, verdognola
del volto, e di tutta la superfìcie del corpo, Vop^
pressione del respiro, la torpidezza delle funzio-
ni del basso ventre; il morale abbattimento ; // senso
di spossatezza; le orine, ed altro di questa natura.
Però que'sintonii, a quanto mi pare, non sono così
proprii e caratteristici dello scorbuto da conseguir-^
ne necessariamente le diagnosi. E di vero non ve
ne ha alcuno patognomonico, e pel maggior numero
ci si offrono a forieri anche della porpora emorra-
gica e della pellagra, Oltre di che ci occorrono in
molte altre malattie, principalmente nelle croniche
del sistema irrigatore sanguigno; in varie subdole
nevrosi prodotte da patemi o da mala nutrizione, e
in alcuni morbi de'cavatori, de'cavametalli, de'lavo-
ratori di molti metalli, e di altri artefici, Quanto
poi alla generale alterazione dell'organismo, comu-
ne pur essa a molte altre croniche malattie, penso
che possa solo avverarsi negli scorbuti carcerari ,
in alcuni navali e castrensi, e in genere nepre-;
parati da lungi, non sapendola concepire ed am-^
inettere ne'pronti casi di scorbuto, a modo d'esem-
pio ne' prodotti da eccesso di esercizio (1), da abu^
(i) La relaziono del doU. Nilsche ne contiene buon numero.
Intorno allo Scorbuto 95
so d'acqua vite e di vino (1), e negli altri per al-
tre cagioni acutamente sviluppatisi. Di qual natui'a
gli sembrasse quella generale alterazione, forse non
dice abbastanza ; poiché dopo molti ingegnosi ri-
flessi sulle cachessie conchiude, potersi stabilire in
una loro specie particolare distinta dalle altre ,
tanto per ragione delle cause morbose e de" sin-
tomi^ quanto per ragione del modo di risoluzione
e deir analogo metodo di cura. E qui monta e
giova il notare come più spesso ne indichi i mez-
zi di prove, anzi che porgerne le dimostrazioni; co-
me ometta i criteri dell' anatomia patologica, ed il
valore anche di quelli che ei potea trarre dalle au-
tossie de'pochi individui perduti. Che era adunque
quella generale alterazione dell'organismo tante vol-
te recata in campo? Era ella forse prodotta da ri-
lassamento di coesione, da molecolare innormalitk
d'impasto organico, o da modifìcazioni nella chimi-
ca riparazione, da varietà di temperie, di crasi ne'
fluidi, da elettrici, galvanici perturbamenti, da di-
minuita innervazione, od anche da alcune di que-
ste condizioni insieme? In ogni modo confesso ri-
uscirmi assai oscura quella complessiva indicazio-
ne di organiche generali alterazioni: siccome mi
riesce difficile ed astruso l'accoglier l'idea, che se
un morbo nel suo principio le induce, sia poi in
nostro potere il risanarle con qualche prontezza,
e pel solo soccorso di pochi e lievi mezzi, cioè
del ferro e degli acidi, E poi quella generale al-
terazione dell'organismo esprime una conseguenza
delle malattie universali , comprende in se tutti
(i) EUis e Riclierand ne ebbero a curare parecchi.
$6 Scienze
i cambiamenti possibili per le molto estese, senza
qualificarne o distinguerne alcuno. Ella è idea plU
d'astrazione che di pratico momento, è idea che por'
gè norma di cura, e che qualora non si giunga a
precisare nella sua reale essenza può rescire an-»
che dannosa. Questa precisione d'altronde è tut-*
torà desiderabile. Il second'ordine componeasl di
sintomi esprimenti ringorghi sanguigni , indi di
travasi e di emorragie. Era il terzo di stato infiam-
matorio. E quei tre distinti ordini sintomatici si
presentavano tanto regolari e costanti, e fra loro di
tal maniera connessi, che secondo le osservazioni del
nostro socio costituivano altrettanti stadi del mor-
bo precisi e chiarissimi. Intorno a che non vorrò
muover dubbiezza: sebbene in pratica mi sappia
non assolute le serie e successioni de'perlodi de'
morbi, o almeno non cosi ordinate e limpide quali
le leggiamo nel maggior numero degli autori.
Continuo ad attenermi al principale della me-
moria del nostro socio. Osservo quindi che meco
Stabilisce la sede o condizion patologica dello scor-
buto nel sistema sanguigno, e meco pur agita la qul-
stione propostami, son già dodici anni, se dipenda
dalle flebite o dalle arterie. Giudica francamente di
quella: e ne adduce a comprova non le necroscopi-
che necessarissime osservazioni, ma i criteri sinto-
matici, che sin da Celso sappiam dichiarati di per se
non bastevoli a caratterizzare lo stato mor]>oso. E
certo ben poco valgono, massime scompagnati dai
necroscopici, e più quando non si rafforzino con al-
tri idonei argomenti: siccome sarebbero, a modo d'e-
sempio, quelli dedotti dalle cagioni o potenze che
prediligono un dato tessuto o viscere, quelli che ri-
sultano dalla esclusione od eliminazione di altri
Intorno allo Scorbuto 97
modi patologici, gli altri a itivantibits et laedenti-
hus, e aggiungnerei anche il mio ab electivis.
Poc'oltre premette differenza di sintomi tra i
morbi delle arterie e delle vene pel ceppo flogistico
delle une e delle altre, e quelli riferisce a sconcerto
di funzioni de'vasi sanguigni: quindi per l'arterite
determina vibrate, dure, innormali le pulsazioni;
per la flebite la sola loro frequenza. A questi sinto-
mi sfigmici altri ne aggiunge, e li trae dalle cutanee
apparenze, dall'aspetto della lingua, e della emo-
scop'ia. Per le arterie pretende il corpo bianco-pal-
lido, solo alle gote rubicondo , pallido-rossa la lin-
gua, il sangue estratto pur rosso, a duro crassamen-
to, e molte volle cotennoso; per le vene, abito terreo
verdognolo talvolta, lal'altra plumbeo, lingua fosco-
pallida, oscuro il sangue, di lento e diflicile coagulo.
Dice poi la flaciditk sintoma di lor cachessia, e fini-
sce enumerandone altri che dichiara comuni e alla
flogosi arteriosa e a quella delle vene.
Mi prefìggo esser breve. Sospendo adunque
le meno importanti osservazioni, che potrei di se-
guito comunicarvi. Ma fuor di dubbio, e per l'es-
senziale dello stato di critica rifletto, essere que'sin-
tomi insufficienti a comprendere e distinguere le
suddette flogosi vascolari; non dover dire dell' arte-
riosa, sibbene della flebite, come quella che dal dot-
tor Sorgoni, e innanzi a lui anche da altri, fu giu-
dicata essenziale assoluta cagione dello scorbuto. K
prima d'ogni altra cosa suppongo, che voglia egli
alludere alla lenta flebite universale^ così detta da
molti trattatisti , dovendomivi io indurre per la
notata alterazione dell'organismo nel primo stadio
e per l'ordinario cronico corso dello scorbuto. Per
la quale ragionevole mia supposizione non regge
98 Scienze
il carattere della frequenza de'polsl. E di vero non
è più presto dell' acuta universale flebite che del-
la cronica? E appunto il grande maestro di tra-
gica eloquenza medica , e osservatore accuratissi-
mo delle cause manifeste e de' segni de' mali, vo'
dire il sempre ammirabile Areteo, nel libro se-
condo De venne concavae acuto morbo (1), ci in-
segnò: Pidsatus arteriarum exigni sunt , creber"
rimi ac veluti oppressi atque repulsi- Dissero si-
milmente tutti coloro che poscia si diedero allo stu-
dio ed alle descrizioni dell'acuta flebite universa-
le: e i più moderni giunser perfino a precisarne
le battiture per ogni minuto primo oltre le cen-
toventi, talvolta anche fino alle cencinquanta. Qua-
le fiducia adunque potrem noi accordare a quel se-
gno del nostro socio? In quante altre malattie di»
sparatissime non sentiam pure frequenti le pulsa-
zioni, e talora innumerabili? Che se lo scorbuto di-
pendesse dalla indicata flebite, dovrebbe alterare le
intellettuali facoltà perchè essa le altera. Potei io
slesso notarlo in alcun caso, e più apertamente il
notarono in molti Hodgson , Delbant , Breschet e
Scarpa. Anzi questo lume chiarissimo d'Italia no-
stra fu il primo a dichiarare la febbre della fle-
bite analoga alla tifoidea. Per contrario è nello scor-
buto integra la mente , e durante il corso del di
lui completo sviluppo alcuni alienati riacquistaron
perfino il grandissimo beneficio della ragione. Leg-
gete il fatto riportato dall'illustre professor Carlo
Luigi Dumas, nella sua classica Dottrina generale
(ij Gap. VII pag, 39. Patavii MDCG. Typis Petri Maria©
FramboUi.
Intorno allo Scorbuto 99
delle malattie croniche tom. I p. 229 (1), relativo
ad una religiosa di anni 40 da gran tempo mania-
ca , che per perfetto scorbuto ne risanò, A con-
ferma di quanto or ora ho asserito leggete Taltro
di Pechlin, piaciuto ad un Gian Giorgio Zimmer-
man nella non mai abbastanza letta , ne mai ab-
bastanza lodata Esperienza nella medicina toin. Ili
p. 326 e ?,Q^. (2), dal quale appunto questo som-
mo deduce anche nell'estremo periodo dello scor-
buto una capacità d' idee le più sublimi e le più
belle. Ne dimenticate, come anche la parte visibile
della cerebrale organizzazione sia stata generalmen-
te dagli osservatori rinvenuta in fisiologiche con-
dizioni. E dopo tutto ciò potreste voi cosi di leg-
gieri convenire nella flebite, quale esclusiva condi-
zion patologica dello scorbuto? Per me non so con-
sentirla: ne mai la consentirò, fino a che per solide
prove di notomia patologica non mi si dimostri.
Forse dirà il sig. dottor Sorgoni: I sintomi di co-
lor terreo, talvolta verdognolo, talora plumbeo de'
tegumenti , la lingua fosco-pallida , e le qualità
indicate del sangue estratto, validamente concorre-
re a sostenere la stessa flebite. Risponderei : Non
mancar essi in altri mali ancorché d'indole assai
diversa, per esempio nelle fisconie, massime sple-
niche sopravvenute a molti accessi di febbri pe-
riodiche; in varie maniere di clorosi, nella mala-
cia, e più nella pica, in cui la depravazione del
gusto fece inghiottir ceneri, terra, carbone, gesso
ed altre somiglianti inassimilabili e nocevoli mate-
y\) F'irenze, Guglielmo Pialli i8r3.
(2; .Milano, fliaspero e Buocher i8i5.
r'JOO Scienze
rie. E facile verificare questa opposizione mossa
da fatti osservati e non infrequenti. Io ne ho rac-
colti parecchi esempi, e recentemente uno straor-
dinario di una giovane. Presentava tutti que'sinto-
mi, per quanto potei stabilire, unicamente prodot-
ti dall'aver mangiata molta cera. E ne aveva ella
tanta fame e così insuperabile, che suo malgrado
talora non potea nemmen nelle chiese rattenerse-
ne, ed involavano alcun pezzo dalle candele. Ho cre-
duto bene particolarmente toccare di quest'esempio,
stimandolo all'uopo a preferenza di quelli che sono
a mia notizia, e non avendone di simili ancora tro-
vato istoria in niun autore.
Anche le modificazioni del sangue degli scor-
butici non sembranmi di gran conto per la diagno-
si essenziale, e principalmente laddove si parli di
quello estratto dopo il primo stadio. Prescindo da
quanto scrissi sulla incoagulabilità del sangue degli
scorbutici nelle mie Ricerche. Potrei in questa epi-
stola a buon diritto, come dice Terenzio, giovarmi
del mio per cose mie: pure mi sono studiato, e mi
studio di non ripetere ciò che notai nelle mede-
sime. Avverto bene in proposito , che gli esperi-
menti di Boissier de Sauvages e di Manetli (1) pro-
varono, conseguire all'uso degli acidi, ed in ispecie
all'uso dell'acetico e del citrico, un incremento del-
la naturale fluidità del sangue. Laonde, e per non
essere state dal dottor Sorgoni nel 1." e %^ stadio
(i) Sono riferili nella prima dissertazione di quello intitola-
ta: Dei medicamenti che attaccano alcune determinale parti del
corpo umano ec. tradotta ed accreeciuta con note dallo stesòo
Manclti. Firenze i754>
Intorno allo Scorbuto 101
prescritte le sanguigne, ed avendo egli continuato
a curarli cogli acidi, potreldjesi la lentezza e dif-
ficolta del rappigliarsi del sangue de'suoi scorbu-
tici assegnare all'azione degli acidi stessi ammini-
strati. Io v'inchinerei, anche per un fatto ojffertonìi
da una anginosa febbricitante, a cui, intorno a sei
anni fa, ordinai che si aprisse la vena. Rivisitatala
il giorno dopo, e osservatone il sangue estratto, non
ne vidi un vero crassamento, sibbeue un circolo ro-
seo men ampio del consueto che ne tenea le veci,
ed era circoscritto da sostanza pur rosea di consi-
stenza poco maggiore dell'olio, cinta da siero bian-
castro alquanto abbondante. Me ne sorpresi: e inter-
rogatala se fosse amica degli acidi, rispose che sì: e
mi aggiunse essere da alcuni anni ingorda dell'aceto,
e che lo bevea in copia colla quotidiana insalata.
Potrei dagli autori attingere consimili indica-
zioni , cioè di sangue difettivo , o del tutto man-
chevole di coagulabilità indipendentemente da scor-
buto, e dall'uso degli acidi e de'sali , sia durante
la vita, sia dopo cadaverica ispezione. Ma voi sie-
te tanto erudito, e di sì felice intelletto, da ritornar-
li ben di leggieri alla colta memoria: onde mi pare,
che se me ne prendessi la briga, non altro faces-
si che recar vasi a Samo , o nottole ad Atene ,
od acqua ad Arno. Quindi più presto dirò dì due
non mandati alla luce, e occorsi in questa pro-
vincia : il primo agli egregi e onoratissimi ami-
ci miei e cari concittadini sig. dottori Valbonesi
e Pascucci: il secondo a me stesso. Fu quello os-
servato in Forlimpopoli , in seguito ad ima fra
le varie flebotomie fatte a certo signor canonico
Saleghi, d'abito appopletico , soggetto a frequenti
turgori sanguigni cerebrali. S'instituì sotto profondo
402 Scienze
sopore, e mostro poi invece del crassamento lin li-
quido cupo compreso in urta specie di sottilissimo
membranoso involucro. Io qui, dopo alcun teimpo^
curai il suddetto sig. canonico, e ne'salassi prescrit-
tigli anche irt ugual circostanza non mi avvenne!
mai conferma di simile singolarità. Vidi l'altro in
questa mia patria nel sangue venoso del canonicoì
Federico Gaddi. Era ipocondriaco, e per reuma^
convulsioni e vecchiezza quasi affatto impotente alla
locomozione. Gli si rinnovavano a quando a quando
le convulsioni con forma epilettica, e senza vero
periodo. Tornarongli in una notte deiragoslo 1830
per la prima volta susseguite da febbre;, rossor di
volto, iniezione d'occhi, aumento altissimo d'indivi-»
duale temperatura ; e per ricorrenti intellettuali
alterazioni e furore , rese più gravi e considere-
voli. Prescrissi tosto un largo salasso, che in breve
lo migliorò, e gli segnai una soluzione di tartaro
stibialo per bevanda. Rivedutolo al mattino, era api-
retico, e di mente sana. Il sangue estratto avea flui-
da e cosparsa di fiocchetti nerastri la porzione ros-
sa; naturalissimo il siero*
Torno di volo alla flebite del dottor Sorgo-
ni, ed oppongo da ultimo per l'applicazione della
medesima allo scorbuto, che si ebbero e riconob-
bero flebiti universali primarie e consecutive , e
tuttavia non diedero a divedere la sintomatologia
dello scorbuto.
1 confini per consuetudine assegnati agli scrit-
ti epistolari non mi permettono ulteriori minute
discussioni: onde pili concisamente che possa farò
pochi altri riflessi. Volgesi di bel nuovo l'autore
al fondo organico di generale alterazione, e con-
fortandosi delle autorità di Trotter, di Sasheim,
Intorno allo Scorbuto 103
e (li Sprengel, lo riferisce a difetto di ossigeno. Ave-
va io già mosse contro le prime alcune non con-
futate opposizioni. Contro l'uguale di Bedoel, e la
seguente di Sprengel recata dallo stesso Sorgoni:
Humida^ nebulosa aeris indoles ita nocete ut minus
sanguis oxydari possit. Recentium nutrimentorum
defectus et infirmare vires et sanguinis depra\>a-
tioni falere propter oxjgenis defectwn dehet : fa-
rò poche umilissime parole, dirigendole alla più la-
ta e favorevole interpretazione di questa sentenza
per l'opinion del Sorgoni, comecché proprio fos-
sero dallo Sprengel dettate intorno lo scorbuto. Di-
co adunque vero, che l'aere umido e nebbioso nuo-
ce anche nel proprio difetto di ossigeno; ma è pur
vero, che indipendentemente dalla minore introdu-
zione di quel gas sviluppasi lo scorbuto per igro-
metriche impressioni; ne è men vero, che la man-
canza di freschi alimenti possa concorrere a inde-
bolire le forze, e contribuisca a produrre imperfetta
ematosi. Però quella non sempre arreca un assolu-
to difetto di ossigeno, e questa può essere viziata
di altre molte maniere, e per varie cagioni. Vi sa-
ranno forse degli scorbuti per la ctiologia da lui
pretesa ; ma non so ne posso accettarla per tutti.
Non nel marittimo, poiché l'aria di mare abbonda
di ossigeno ; non negli acuti , mancando il tempo
a quella chimica lenta sproporzione : ne meno in
quelli d'individui ben nutriti, abitanti sane posi-
zioni: non finalmente negli altri che a Marryat, a
Manrò, a Wilson, a Weicard, a Lamothe fecero in-
colparne l'abuso delle fruita e di altri cibi vege-
tabili. Abbiamo poi esempi di guarigioni di scor-
buto senza l'amministrazione di acide sostanze: e la
natura della risohuionc del 1.° stadio di quel di Nar-
404 Scienze
ni non ne è prova, solamente asserendosi otténtìtà
con critiche orine e critico sudore. Occorreva ana-
lizzare questi liquidi escrementizi j od almeno as-
soggettarli ad alcune esperienze per poterne dedur-'
re una sana conchiusione. E forse allora sarebbe
stata uguale a quella di Parmentier e Deyeux, che
dopo i loro chimici processi sul sangue degli scor-"
butici lo dichiararono poco differente dall'ordinà-»
rio (1). Adunque il difetto di ossigeno non è né asso-
luto, ne necessario, ne dimostrato. Non si può quindi
sostenerne dipendente la venosa flacidita ammessa
dal Sorgoni nel suo secondo stadio dello scorbuto, e
molto pili se si consideri che nel primo ammini-
strava gli acidi. Altronde quante volte non avrà an-
ch'egli veduti flacidi i ventricoli per acute e croni-
che malattie dei precordi, e fors' anche con chiara
iperossidazione del sangue? E badate che egli stesso
nella sua „ Narrazione (2) di un caso di lenta an-
gioite „ non di flebite, avverti il cuore e i vasi del
torace al pari degli osservati nell'addome squalli-
di., flacidi ed assai sviluppati.
Non ho che ridire sul metodo curativo te-
nuto dal medesimo. Fu semplice, da migliori pra-
tici ispirato, condotto con saviezza e prudenza. N'eb-
be quindi molta prosperità di successo: del che se-
co lui mi rallegro di cuore.
Serbando la distribuzione del nostro autore,
debbo per ultimo ricordarvi che giudicò non cou-
(i) Veggasi nel dizionario di chimica di Klaproth l'articolo
Sangue.
(a) Opuscoli della società medico-chirurgica di Bologna, fa-
scicolo i6 p. 24.
Intorno allo Scorbuto 105
tagioso lo scorbuto , e nel trattato di questa qui-
stlonc si attenne interissimamente alle mie Ricer-
che. Del che quantunque mi senta onorato , non
so rimanermi dall'osservare che come scrittor po-
steriore era forse a desiderarsi che ne spingesse piìi
innanzi le investigazioni. Poteva recare altre autori-
tà, oltre alle già addotte da me, tanto per questa
quanto per l'opposta sentenza. Per la negativa pote-
va aggiunger quella dell'illustre mugellano Antonio
Cocchi, o almeno la vostra che stimo non ignoras-
se, e che nasceva pure dalla osservazione. Io certo
non vorrò trascurarla: anzi, perchè include l'impor-
tanza del vero, reputo utile qui riferirne il para-
grafo relativo, copiandolo appunto dalla citata vo-
stra lettera. » ]>fel letto accanto havvi un soldato
» affetto da leggiero scorbuto, che fa l'infermiere
» al Quiblicr. Trattato cogli acidi, colla coclearia
» e colla bevanda delle acque termali solforose, ne
y> guarisce. Nella stessa sala vi sono 31 infermi, e
» qualcheduno predisposto allo scorbuto, alcuni con
» piaghe. Amici fra loro , tutti si prestano a prò
» del grave infermo. Niuno rimane però infetto.
» Eccovi impertanto un caso di scorbuto gravissi-
» mo , che non si mostra contagioso in favorevole
» occasione. Per ciò avete un nuovo fatto per non
» crederlo tale, » Penserei non superfluo a tutte le
cose discorse soggiungerne poche altre per poi rie-
pilogarne il complesso; ma da una parte considero
nel più importante discusse le opinioni del nostro
socio, spero, con bastevol chiarezza; dall'altra vedo
questa mia prolungata d'assai: onde fo fine, pregane
i dovi ad occoglierla benignamente per l'animo con
che ve l'oftero. Siatene giudice imparziale, e favo-
rite di scrivermi come sia il dottor Sorgoni riusci-
G. A. T. LXXIV. 8
166 Scienze
to a render manifesta la sua fleLite, e se abbia, se-
condo il suo proposito, diradate le tenebre che co-
privano ancora la natura dello scorbuto.
Addio, mille volte addio: amatemi siccome v'a-
nso, conservatevi all' onore e all' incremento delle
scienze mediche , alla felicita di vostra famiglia ,
alla consolazione degli amici, ed aggradite un ab-
braccio.
1)1 Porli a' 14 del 1837
Camillo Versari
Cenni inforno la cattedra di fisica sacra
neir archiginnasio romano.
3l. ra le molte cattedre di scienze sacre , da cui
leggono ed istruiscono neiruniversita romana della
sapienza valentissimi maestri in divinità, havvi quel-
la cosi detta di fisica sacra fondata nel 1816 dal-
l' immortale pontefice Pio VII. di santa memoria.
Questa cattedra ha per iscopo l'applicazione delle
scienze naturali alla considerazione delle opere del-
l'autore supremo della natura, col doppio fine di
magnificare il nome di questo divino autore, e di
confutare gli errori che derivarono dall'abuso del-
le scienze istesse; e comechè un'altra del medesi-
mo genere n'esistesse gik da lunga pezza neiruni-
versita di Cambridge fondata dal celebre Boylc ,
pure per assai titoli ne va superiore quella, di che
parliamo.
Cattedra di fisica sacra 107
In un ramo di pubblica istruzione, che ha per
oggetto l'applicazione delle scienze naturali alla
considerazione di Dio, non può immaginarsi siste-
ma ne pili ordinato, ne piìi sublime di quello, che
la stessa divina sapienza ne tratteggiò; laonde con
saggio divisamente dal primo libro del Genesi de-
sunse la nostra cattedra l'ordine e la distribuzione
delle materie, nonché l'appellazione di fisica mo-
saica, fisica sacra, cosmogonia teologica. Pertanto
in sei grandi trattati se ne divide Tampio argomen-
to, essendoché in sei giorni divise Mosè l'opera di-
vina della creazione , ed a ciascun trattato serve
di tema ciò che creò Iddio nella corrispondente
giornata. Quindi è che si occupa il I della crea-
zione del mondo, o piuttosto della creazione del-
le sostanze elementari ; il II del firmamento , o
sia dell'aria, e della divisione delle acque; il III
della distribuzione delle acque sopra la terra di-
visa in continenti e mari, e della produzione de've-
getabili; il IV dei corpi celesti, de'loro movimen-
ti, e de'loro uffici; il V della produzione de'pesci
e dei volatili , il VI finalmente della produzione
degli altri animali, e della formazione dell'uomo.
Non è mia intenzione di dare in questo arti-
colo un ragionato estratto dell'intero corso delle
lezioni che da questa cattedra sì dettano: e perciò
non entro ne' particolari di ciascun trattato , ne
seguo via via per serie ordinata i punti , o sia
le contemplazioni, in cui è suddiviso ciascuno. Di-
rò solo, che se])bene il genere d'istruzione che que-
sta facolth si propone richiegga che siano cognite
agli uditori le generali teorie delle scienze, nondi-
meno basando sopra di queste il piìi bello ed il
più sublime dell'applicazione, che dee farsene, con
108 Scienze
bene intesa maestria vi si sviluppano a minuto, e
persino con apposite dimostrazioni sperimentali ,
le principali non meno che le pili recenti dot-
trine della fisico-chimica , dell'ottica , della geo-
logia , dell' astronomia , della storia naturale. Ne
questo è già un uscire di via, come talvolta la mal-
dicenza andò divulgando e cornando per diminuire
alla nostra cattedra il credito, a cui in breve per-
venne: che anzi è un corrispondere appuntino al-
le lodevoli vedute del sapientissimo pontefice che
la istituì. Sapea ben egli quel supremo padre e
pastore della cattolica chiesa, che d'ordinario gli al-
lievi delle scuole, ove cotali scienze si apparano ,
sono sapienti del secolo, e giganti che assalir vor-
rebbono il cielo; per cui con assai provvido consì-
glio dispose che i giovani ecclesiastici dalla nuova
cattedra le apparassero, e così eglino pure sapienti
addivenissero, ma di quella sapienza, che da Dio sca-
turendo, a Dio riconduce.
Quello però che forma il carattere distintivo di
questa scuola, e la rende non men delle altre com-
mendevoHssima, è la direzione ch'ella da a cosiffat-
te scienze , in genere alle filosofiche. E primiera-
mente siccome a' dì nostri ogni scienza^ per servir-
mi della frase dell'illustre Wiseman ( conferenza
I ), è stata individualmente messa a sacco^ e non
traggonsi piìi dal fondo di tenebrosa metafisica in-
viluppata da oscuro gergo scolastico errori e so-
fismi che degradano la ragione , ma da' progressi
• delle utili scienze la depravazione e l'ignoranza si
sforzano di derivarli: cosi è che adattando l'istru-
zione a'tempi, le vie insegna ed i sicuri modi, on-
de colle scienze stesse combatterli e vincerli; talché
confuso ne resti e l'empio che delle scienze si abu-
Cattedra di fisica sacra 109
sa , e r ignorante che le scienze teme e calunnia.
Di poi lasciando al nudo spositore, che s'impingua
in volumi , le vane e lunghe discussioni sopra il
sacro testo scelto per guida, prende ad interpre-
tarne in modi quanto veri, altrettanto ingegnosi i
più difficili luoghi, a spiegarne nel senso il piìi ac-
concio, ed insieme il piìi letterale i passi più os-
curi, a far conoscere a via di fatti, come non fu e
non sarà mai possibile di coglierlo in fallo, od in
opposizione colla scienza, sì che faccia d'uopo al-
l'incredulo confessare essere Un solo l'autore della
natura e quel della grazia , che pria in patribus
et prophetiSi novissime vero locutus est nohis in filio
( Hebr. e. 1 ). In fine non contenta di aver forma-
ta la mente, rivolgesi al core: e giovandosi sempre
de' lumi e de'progressi delle scienze, si fern^a trat-
to tratto sulla considerazione delle maraviglie delle
cose create, onde alla reazione di tante idee sì su-
blimi l'ingegno, si eletrizzi la fantasia, e vivo si
desti il sentimento. La divota sagacita dell'asceti-
co sapra additarti nella sensitiva, che fugge la ma-
no che se le appressa , nel polipo che si molti-
plica, nell'insetto che si trasmuta, svariati e nuo-
vi motivi per sollevar tua mente al creatore. Ma
questo è ben altro che ricevere, come dalla nostra
cattedra si ricevono, impressioni di un genere af-
fatto straordinario e trascendente , di cui solo è
capace colui che dopo avere assottigliato lo intel-
letto ne' veri delle matematiche, in quelli delle scien-
ze naturali ha nudrito lo spirito.
Per la qual cosa si rende manifesto come que-
sto ramo di pubblica istruzione riuscir debba uti-
lissimo ad ogni ceto di colte persone, e precipua-
mente a coloro, le cui labbra custodiscono la scien-
no Scienze
za, e che maestri esser denno in Israello. Che pe-
rò si debbe assai buon grado al pontefice massi-
mo, che Io istituì ; a quel suo zelantissimo mini-
stro Ercole cardinal Gonsalvi, che lo promosse; al-
l'attuale professore sig. cavaliere D. Feliciano Scar-
pellini, che ne concepì il vasto e ben ordinato di-
segno, e lo esegui ne'preziosi suoi scritti. Faccia-
mo voti che, per la generosità di qualche illustre
mecenate della religione e delle scienze, questi scrit-
ti, in cui la filosofia e la natura parlano di Dio al-
la mente, al core, ed agli occhi, moltiplichino l'im-
magine loro ne'torchi, ed ottengano in Roma la pub-
blicità delle stampe, come già non ha guari per la
generosa testamentaria disposizione del conte di
Bridgewater, l'hanno ottenuta in Inghilterra opere
consimili, che la fama oscureranno di quelle dei
Boyle, dei Paley, dei Derham, dei Sturm, dei Nie-
wentitt, dei Schevchezer.
S. Proja
Dell'induzione e polarizzazione
del termo-elettricismo,
J\.\ fenomeni d'induzione magneto-elettrica ( Bi-
blioteca italiana, 1829, pag. 398; Bib. univ. di Gi-
nevra, gennaio 1830, pag. 28 ) aggiungo ora quel-
li d'induzione termo-elettrica, intorno a' quali mi
occupai fino dall'anno trascorso ( Gazzetta privile-
giata di Milano 1837, 2 marzo, num. 61 ), e che
non mi venne fatto di leggere in alcun fisico. A
Termo -ÉLETTRieiSMO 111
questo scopo in determinate clirezioni avvolgeva
a dei pezzi di metalli cristallizzati delle spirali
formate di sei ad otto spire con filo di rame cir-
condato di seta, i capi delle quali rannodava con
quelli del filo del galvanometro, come ho ricor-
dato nelle ultime mie esperienze termo-elettriche,
che pubblicai nella gazzetta privilegiata di Mila-
no (24 febbraio 1838, num. 55), ed immergeva
ora una ora altra superficie di ciascun pezzo di
metallo in un bagno di acqua calda, che era al-
la temperatura dai 30.^ 50.*^ R. Ora esperimentan-
do a questo modo, n'ebbi nel galvanometro delle
distintissime deviazioni ora in una direzione ora in
un'altra, seconda le diveirse superficie che immer-
geva nel bagno caldo, e la diversa disposizione dei
cristalli metallici. Cos'i in un pezzo di bismuto del
peso di due libbre comuni , che avea sei facce ,
ebbi in quattro delle superficie opposte, prese a
due a due, due correnti dirette in sensi contrari: e
nelle altre due superficie parimente opposte, due
correnti che facevano, sviare l'ago dalla medesima
parte. Presentando uno spigolo al bagno di acqua
calda, coll'inclinare il minerale piuttosto da un la-
to che da un altro, ottenni nella spirale delle cor-
renti, che facevano deviare 1' ago ora a destra ed
ora a sinistra. In un pezzo di antimonio del peso
di una libbra, che presentava parimente sei facce ,
in quattro di esse ottenni declinazioni dal medesi-
mo lato, ed in due declinazioni dal lato opposto;
mentre in altro pezzo ebbi soltanto quattro decli-
nazioni distinte. Devesi però notare, che gl'indicati
minerali non presentavano facce regolari. I paral-
lelepipedi rettangolari di antimonio e bismuto , in
tutte le facce opposte si manifestarono correnti che
m Scienze
sviavano l'ago dai lati opposti. Analoghi fenomeni
riscontrai, sebbene in grandezza di molto minori,
nei solfuri di piombo j di ferro, e nell'ossido di
stagno. Disponendo in questi cristalli metallici altra
spirale ad angolo retto alla prima, all'immergere
nel bagno caldo le anzidette superficie ebbi de-
clinazioni ora opposte ora cospiranti alle prece-
dentij secondo che diversamente introduceva nella
spirale il pezzo metallico. Levate le spirali dal con-
tatto dei cl'istalli metallici, e riscaldate parzialmen-
te e totalmente, non ebbero mai virtìi di fare svia-
re l'ago dalla sua posizione. Tutti gli anzidetti es-
perimenti furono rinnovati col bagno di mei^cu-
rio , col calorico della fiamma e delle brage ; e
adoperando il ghiaccio^ ebbi effetti opposti a quelli
prodotti dal calorico. È necessario notare^ che l'ago
non ritorna alla posizione primitiva se non sucessi-
vamente, e che per tutto quel tempo che il metallo
ha temperatura diversa nelle varie sue parti ^ l'ago
del moltiplicatore è in continuo movimento. Non ho
trovato che l'ampiezza delle oscillazioni decresca se-
guendo la ragione delle diminuzioni di tempera-
tura. Vi sono de'punti stazionari, vi sono dei sal-
ti, che pare s' attengano al moto irregolare del-
le molecole costituenti i d'istalli metallici. Que-
sto movimento continuo dell' ago è per me una
prova non dubbia di una continuitk di correnti,
che circolano nel metallo per l'inegualianza di tem-
peratura nelle differenti sue parti. Fatto impor-
tantissimo per la dottrina del termo-magnetismo
terrestre. Con corpi non conduttori, com'è il cri-
stallo di monte, non ebbi effetto di sorta: ed ef-
fetti nulli od equivoci con conduttori non cristal-
lizzati. Dagli accennati risultamenti, che appresso
Termo-elettricisjho 1 i 3
illustrerò con analoghe figure, parmi dimostrata
rinflncnza della cristallizzazione nel determinare
il senso della corrente termo-elettrica, che io chia-
mo polarizzazione, per quella analogia che ha que-
sto fenomeno con quelli della polarizzazione della
luce e del calorico. I fisici sin qui, ad eccezione
di pochi, hanno considerata la materia dei corpi
conduttori sottoposti all'influenza elettrica come pu-
ramente passiva, senza avere riguardo a quell'a-
zione difessa esercita sopra di questo agente delia
natura; e per questo non poche delle teoriche lo-
ro riuscirono oscure e poco meno che contrad-
dittorie. È da questa azione che bisogna farci aiu-
tare per intendere, in qualche modo, la infissa-
zione dell'elettrico negli aggregati della materia,
e precipuamente in quelli de' metalli magnetizza-
ti. La stessa spirale avvolta a Un polo di una ca-
lamita, che si sottoponga ad una temperatura di-
versa da quella dell' aria circonfusa , dà indizio
al galvanometro di una corrente diretta in un sen-
so: avvolta al polo opposto dà argomento di altra
corrente, che fa dal lato contrario sviare l'ago del
moltiplicatore. Io mi limito per ora a questi nuo-
vi fatti cardinali, perchè è fermo mio intendimen-
to di venire ai particolari di questa materia. Da essi
parrà manifestissimo, come abbia intieramente se-
parata l'influenza che il filo metallico potrebbe ave-
re nel producimento di questi efl'etti, per la sem-
plice inegualianza di temperatura, e come abbia ne-
cessariamente dovuto conchiuderc all'esistenza di
correnti elettriche nella massa dc'cristalli metallici
risvegliate dal calorico.
Il 1 marzo dei 1838, Milano.
Prof. Francesco Zantedesciu
114
LETTERATURA
Seconda rivista di alcune recenti opere
italiane di archeologia.
1. Fasti duumvirali di Pompei: di Raimondo
Guarini. Napoli presso Raffaele Miranda \ 837, 8.®
di pag. 247.
Gì
ià altre volte tributammo in questi fogli al
eh. sig. Guarini i dovuti elogi sì per l'amore che
porta agli studi epigrafici, e sì per le molte opere
che va pubblicando in tal genere: e gli rendiamo
ora sincere grazie di quest'ultima qui annunzia-
ta. Qual fatica abbia egli dovuta durare nel com-
porta, si farà chiaro anche a chi non abbia il
lavoro di lui sotto gli oechi, se vorrà considera-
re che in esso leggonsi oltre a 300 iscrizioni tut-
te pompeiane , e nella massima parte difficili a
leggere: diciamo di quelli titoletti scritti sulle pa-
reti esterne delle case; affollati alcune volte in mo-
do, che confondonsi l'un l'altro con istrano scon-
volgimento; e, ciò che è peggio, in gran parte per
l'azione dell'aria svaniti. Pure a tutta questa in-
composta congerie potè il Guarini dare un qual-
che ordine; sia separando i magistrati dagli altri;
sia raccogliendo in un sol punto le diverse me-
Rivista Archeologica. 1 1 5
morie delle genti diverse.' e ciò in ispccie gli die
( motivo a produrre molti, e spesso ingegnosi sttp-
plimenti. Ma lo scopo primario, cui l'A. mirò, fu
per lui raggiunto? abbiamo in quest'opera una se-
; rie cronologica dei duumviri di Pompei dai mo-
' numenti scritti? una tal serie è poggiata sopra va-
lidi fondamenti? A me par già sentire che alcu-
ni lo nieghino ; e si dolgano dell' abbandonarsi
' che fa troppo sovente l'A. a leggiere congetture.
Ma risponderemo: Leggeste questi fasti duuimnrali?
E se li leggeste, perchè far carico all'A. di cosa
per lui quasi ad ogni pagina confessata? Egli non
pretese dare il certo per ciò che non lo è, e mol-
to meno per ciò che appena appena è probabi-
' le; e nel §. XXV, nel quale radunò alcuni schia-
rimenti necessari per la intelligenza della tavola
' cronologica de'duumviri pompeiani, dichiarò am-
i piamente, che que'nomi di duumviri, che in essa
tavola sono senza alcun distintivo, debbonsi rite-
i nere per dubbi; che quelli, i quali per distinti-
vo hanno una lettera C, sono certi di fatto, ma
! s'ignora l'epoca del loro duumvirato; ed infine che
con due GG son distinti quelli, de'quali v'è cer-
tezza anche per l'epoca. Ghe se si volesse aggiun-
gere, che sarebbe stata utile per le nuove future
scoperte aver almeno un elenco alfabetico di que'
duumviri, che certi di fatto, non lo sono per Te-
poca, noi conveniamo che veramente questa utilità
poteva risultarne.
Prendendo di mira la indicata tavola crono-
logica, che sta al finire dell'opera, vediamo che
essa dal 681 giunge all'A. 831 di Roma; cpiindi
si spazia per 150 anni. Ma le magistrature, che vi
sono notate, non oltrepassano le 76; dunque anco-
116 Letteratura '
ra che tutte queste magistrature avessero i neces-
sari caratteri di certezza, sempre ne mancherebbe- 1
to quasi altrettante per riempire le diverse lacune, i
Ma di queste 76, se ne hanno 9 senza alcun distin-
tivo; e quindi, per confessione dell' A.* dubbie nei
nomi, dubbie per l'epoca: altre 52 sono con una
sola C, quindi non v'è altra certezza che quella dei
nomi: restan dunque Sole 15 contradistinte con due
ce. Noi non faremo parola dlcUna ne delle prime,
ne delle seconde: rimarcheremo però che le terze i
riferisconsii secondo il N. A., agli anni di Roma 681
740 752 754 755 756 757 158 776 785 787 798
814 821 830. Ma queste magistrature furon tutte
fissate ad anni certi e sicuri per mezzo di argomen-
ti incontrastabili? Non dubitiamo punto di quelle
del 740 752 754 756 767 776 785 787 814; per-
chè basate sopra marmi scritti, notati coi consoli
di quegli anni: ci sia permesso dubitare delle al-
tre; e tali dubbi appoggiare a qualche argomento.
Ed incominciando dalla piìi antica, cioè da quel-
la del 681, conveniamo col sig. Guarini j che in
esso anno si avessero i primi duumviri in Pompei.
Imperocché se la colonia di Siila debbesi ritenere
dedotta in quella citta in vigore della facoltà accor-
data dal senato a quel fortunato dittatore, non po-
tè essere posteriormente al 676, anno in cui Siila
morì: non anteriore al 674, anno in cui ottenne
quel privilegio. Ora prendendo fra queste due date
la via di mezzo, per probabile congettura può fis-
sarsi la deduzione della colonia sillana nel 675: ma
la legge xicilia prescriveva un quinquennio prima
di stabilire definitivamente gì' interessi fra i mu-
nicipii ed i nuovi coloni; quinquennio nel quale
pe' nuovi coloni non eranvi magistrati, all'infuori
Rivista Archeologica 117
dei tre (era questo per lo più il numero) che avean
preseduto alla deduzione: dunque dal 675 andiamo
appunto al G80; e per conseguenza solo nell'anno
seguente poterono essere i duumviri in Pompei.
Ma che questi primi duumviri pompeiani si nomas-
sero C. Quinzio F'algo e M. Porcio, come il Gua-
rini crede, noi noi vediana chiaro. Ne già neghia-?
mo che que'due godessero insieme del duumvirato;
perchè ne fan fede le iscrizioni dal N. A. prodot-
te; solo diciamo essere incerto che lo godessero nel
681. Ne vale, secondo noi, l'argomento che ne ad-
duce il Guarini, desumendolo da una lapida, in cui
si narra che sotto il patronato di C. Quinzio f^al-
go furono restaurate le porte, le mura, ed i bastio-
ni di Eclano; perchè, anche ammettendo per certo
(che non lo è), esser seguito quel restauro nell'anno
678; anche accordando, che il C. Quinzio del marmo
di Eclano fosse non diverso dal C. Quinzio del mar-
mo di Pompei; non perciò ne scenderà la certezza,
che esso C. Quinzio dovesse esercitare in Pompei
il duumvirato precisamente nell'anno 681, e non
posteriormente.
Rapporto ai duumviri del 755, sono essi dal
N. A. poggiati a due lapidi. L'una porta segnati i
consoli ordinari del 754, l'altra cjuelli pure ordi-
nari del 755; e perciò crede che nel 755 continnas-
se regolarmente lo stesso duumvirato del 754. Noi
gli opporremo le sue stesse dottrine a pag» 212; cioè
» Vanno di Roma segnato nella tavola cronologica^
sempre s intende che sia il secondo semestre dell'
anno consolare, per esempio 680 di Roma vuol di-
re il 1 luglio delVanno 680, terminando il 30 giu-
gno dell'anno 681. » Ora se M. Pomponio Marcel-
lo e L. f^alerio Fiacco incominciarono ad esercitare
118 Letteratura
il ddumvlrato il 1 lui^lio del 754, come consta da
una lapida segnata coi consoli G. Cesare e L. Pani-
lo, dovettero terniinare il 30 giugno del 755; e quin-
di I>cne sta che siano ricordati in altro marmo se-
gnato coi consoli P. Alfeno e P. Vinucio. Dunque
fu uno solo il duumvirato per essi esercitato; e que-
sto nel 754, e la continuazione nel 755 devesi espel-
lere del tutto dalla tavola cronologica. Similmente
se non si avrà a radiare dalla tavola, almeno con-
verrà riporre fra quelli di anno incerto il primo
duumvirato di M. Staio Rufo e Gneo Melisseo
Apro. Il Guarini per una lapide segnata coi consoli
S. Elio e C. Senzio, nella quale que' due diconsi
D. V. I. D. ITER, ritiene che ambidue fossero du-
umviri, e senza interruzione negli anni 757 e 758.
Notiamo in primo luogo, che que' consoli essendo
gli ordinari del 757, e sotto di essi cadendo per
fede del marmo l'iterata magistratura di Rufo e di
Melisseo, non avrebbero mai potuto esercitare la
prima nel 758! in secondo luogo crediamo che ninna
ragione ne stringa a ritenere, che le due magistra'-
ture dovessero essere continuate e senza interruzio-
ne. Non poteron forse esercitare la prima anterior-
mente al 754, dove son molte lacune, ed anche eser-
citarla in due anni diversi l'uno dall'altro?
I duumviri del 798 son fissati dal N. A, sul-
l'appoggio di un marmo, in cui leggonsi i consoli
M. eluvio e P. Glodio. Egli li crede indubbiamente
sult'eti nel secondo nundino semestrale di quell'an-
no- Ma perche altri potrebbe riferire quella sur-
rogazione un decennio prima, staremo in attenzio-
ne che ne dica il preciso quel letterato chiarissimo,
che si sobl^arcò all' enorme peso della retti Reazio-
ne de'fasti ipatici. Passando ad altro, vogliamo am-
Rivista Archeologica 119
mettere che in vlrtìi della legge Petronia si riapris-
se l'anfiteatro pompeiano l'anno 821; ma non per-
ciò cji conseguenza ne viene, che il quarto duum-
virato di C. Caspio Pausa debba cadere in quel-
l'anno; e non oppugnando che il marmo, in cui quel-
la lege Petronia è ricordata, possa appartenere al-
l'anno 821, dicianno che 1^ diversità che s'incontra
fra le magistrature di esso Pausa indicate in quel
marmo, e quelle indicate in altri marmi, ne'quali
pur (Jicesi quadrumviro per la quarta volta , dan
motivo a credere che queste siano a quella anterio-
ri. In fine riponiamo fra i non sufficientemente cer-
ti l'unico duunjviro dell'anno 830, perchè lo stesso
sig. Guarini non sa decidere se M- Epidio Sabino
coprisse la n^agistratura in quell'^nnp, o nel pre-
cedente, 0 nel seguente.
Non dispiaceranno, vogliamo sperarlo, al sig,
Guarini cjueste libere osservazioni; le quali tendo-
no al profitto della scienza, non a menomare, ben-
ché in piccola parte, la giusta riputazione che egli
gode: perchè sappiamo quanto egli sia amante del
vero, assai pili che della propria opinione; e lode-
volmente ne die replicate prove in istampa. Il per-
chè, 0 crederà egli che queste note possano con-
durre alla scoperta del vero, e ne sarà a noi gra-
to; o avrà argomenti per infievolirle o renderle inu-
tili del tutto, e noi lo ringrazieremo; ripetendo con
Tertulliano per lui addetto: Veritas soror naturae^
ed al caso nostro aggiungendo: Et ftlia temporis. Per
queste medesime ragioni vogliamo farlo avvertito,
che la lapide num. 35, che egli dà a pag. 190, non
e pompeiana; ma passò nel regio museo borboni-»
co dal museo borgìano veli terno ; il Donati ( pag,
316-T), rodcrici (/Mann, didasc. pag. 73), il Rub-
120 Letteratura
hi ( Diz. d'ant. v. Derisor ), ed il Zaccaria (Ist. lett.
V. 14 pag. 97 ) ne pu])blicf»rono la parte meno com-
pleta. Ambedue le f^cce furon edite di poi al num.
67 della nostrci silloge d'iscrizioni antiche»
L'argomento principale del libro, cioè la serie
dei duumviri pompeiani, abbraccia i primi dician-
nove paragrafi di esso sino alla faccia 164. Vengon
poi nel §. XX alcuni monumenti edilizi; e nel se-
guente alcune iscrizioni sacre, imperiali , anfitea-
traili, sclier2?evoli, Le sepolcrali sono al §. XXIL Al-
cune relative a terme e a programmi di locazioni
sono al §. XXIU. Quindi discorre delle opere pub-
bliche fatte in Pompei da Eumachia^ e da Numisnio
Frontone di lei figlio; cioè il calcidico, la cripta,
ed i portici della Concordia: e nel §. XXV dà i
già ricordati avvertimenti per 1' intelligenza del-
la tavola cronologica de'duumvirl pompeiani; e fin
qui tutti i monumenti riportati nell'opera proven-
gono da Pompei. Ma nel §. XXVI sono altri mo-
numenti scritti greci e latini, derivanti da altri luo-
ghi; fra i quali ricordiamo una tavola in bronzo di
patronato, che serve di bella giunta a tutte le com-
pagne radunate gìh dal eh. Gaz^era: essa è datata
VI . IDVS . APRILES . FLAVIIS . LEONTIO . ET .
BONOSO . GONSS; il che ci porta all'anno 344 dell'
E. V. Non vediamo però, come da questo bronzo
unicamente, al dire del N. A. , siam debitori di
tutti tre i nomi di ambidue i consoli-, si col dotto
Borghesi (Boll. arch. 1836 pag. 152 e segg. ) ripe-
teremo, che gì' interi nomi di essi derivano dai di-
versi marmi che li ricordano, insieme accuratamen-
te confrontati; e che ne' fasti debbesi notare Fla-
vio Domizio Leonzio^ e Flavio Sallustio Bonusa,
Rivista Archeologica J2I
il. Sulla iscrizione della statua militare in bron-
zo collocata nel niloOo museo etrusco istituito dal
sommo pontéfice GregOHo XVI\ lettera di Gio. Bat-
tista F'ermiglioli. Pefitgid, Baduel 1837, 8.° di pAh.
Molte e diverse esposizioni Intorno la iscrizio-
ne di questa celebre statua tiidertina furono pub-
blicate nel diario romano ed altrove. Il sig. Ver-
miglioiì) che tiene il primato in questi italici an-
tichissimi studi, espone coli' annunziata lettera la
propria opinione. Incomincia dal ricordare, come
codeste breivì épigi^afi nelle statue metalliche sia-
no i pili insigni monitmenti delle vecchie nazio-
ni: quindi intei^pUntando e dividendo quella in que-
stione, composta di Una sola linea, legge ( voltia-
mo noi per comodo della stampa i caratteri etru-
sci in romani ) AEIA * L . TRVTIVIS . PVNV . MI.
VERE; e traduce: ego AEIA, ovvero Àveia^ Lar-
this TRVTIDI, ovvero Trutedi, filia, FONO: SVM
VERVS. Poca o niuna difficoltà s'incontra nelle
prime tre voci: cosi nella quarta PVNV, facilmen-
te ognuno riconosce il latino pono ; ed in questa
prima parte dell'epigrafe contiensi l'azione di Ae-
ia o Aveia figliuola di Larte Trutidio^ o Trute-
dio- Imperocché termina qui il primo senso. Da
esso conviene staccare il seguente MI . VERE. Col
primo favellava colei che pose ed innalzò la statua;
convien cercare nell'altro brano il soggetto che la
statua rappresenta: e questo similmente da per se
stesso favella, all'uso delle antichissime iscrizioni
greche , come la sigea e la deliaca presso Chis-
sul. Forse potrebbe sembrare a taluno, che il mo-
nosillabo MI arbitrariamente sia stato prolungato
in £«/x£; ma il sig. Vermiglioli ne adduce in ap-
G. A. T. LXXIV. 9
422 Letteratura
poggio altri esempi in altri monumenti. Che se l'ul-
tima voce VERE, secondo una variante lezione, dee
piuttosto essere AERE; in tal caso contraendo re-
golarmente la E , si avrà ARE ; e questa voce ,
nella statua di un militare, altro non può signifi-
care che l'Apvja de'greci, il Marte de'latini. Quin-
di si dovrebbe interpretare: Suin Mars.
Questa breve letterina fa prova della somma
maestria di chi la scrisse.
III. Lettera archeologico-medica delV avif.
Gaetano De Minicis al sig. dott. Felice A\>etranu
Perugia', presso Badicel 1837, 8.° di pag, 24.
Die motivo a questa lettera il ritrovamento
fatto dall'A., nell'antico Falerio, di una iscrizione
per un medico di quella colonia romana. Mancan-
te nel principio, non conserva che le sole due se-
guenti righe - Q. TVLLIENI Q. L. - PHANIAE.
MEDIGVS. Ne riporta poi in N. A. una greca pur di
Falerio, spettante ad un certo tal Asclepiade perga-
meno, medico pur esso : e ben fa il sig. De Minicis
a contraddire il Colucci; il quale parve inchinato a
credere che spettasse al celebre Asclepiade, che
l'arte medica innalzò alla degna gloria in Roma ver-
so la metà del settimo secolo. Imperocché , quando
anche mancassero altri argomenti, basterebbe quest'
uno, che Asclepiade era nato a Prusa nella Bitinia ,
mentre l'omonimo medico della lapida di Falerio
dice esser nativo di Pergamo. Dopo avere scritto dì
questi due marmi , ne ricorda il N. A. assai più di
medici e chirurghi diversi: e senza meno in assai
maggior numero poteva ricordarne, se consultate a-
vesse altre raccolte epigrafiche; ed in ispecie lo Spon
Rivista Archeologica 123
che molle ne recò nelle sue miscellanee, e quanto ad
esso aggiunse il Marini nelle iscrizioni Albane; e
quanto piìi si ha nelTopera tuttora inedita del pe-
rugino Mariotti. Alle tante iscrizioni di rimedi me-
dicinali già cognite, si aggiunga la seguente di re-
cente scoperta a Daspich in Francia. È sopra un
pezzo di argilla con lettere incavate ed a rovescio,
per essere riprodotte in rilievo, e diritte median-
te l'impressione j tradussero (non sappiamo con
quanta felicita); Liquore balsamico di Q. Valerio
Sesto^ contro la vista torbida e le vertigini. Q. VA-
LERI . SEXTI . STAG - TVMAD . CALIGINES -
OPOBALSAMATVM -
In fine il sig. De Minicis raccoglie alcune no-
tizie di Tommaso Euffreducci e di Paraninfo For-
tunati. Ambidue nacquero a Falerone; ambedue eser-
citaron l'arte salutare, il primo sul terminare del
secolo XIV, il secondo verso la meta del XVI t
e termina per accennare quanto giovamento ri-
cever possano dallo studio dell'archeologia, e pre-
cipuamente dalla numismatica, così la filologia co-
me la storia medica.
IV. Le antiche lapidi del museo cTEste illu-
strate. Padova coi tipi della Minerva 1837, 8.° di
pag, 190, e 6 non numerate.
Isidoro Alessi nelle Ricerche istoriohe di Este,
pubblicate oltre la meta del secolo scorso, pieno
com'era di amore per le cose patrie , non soffrì
che la memoria delle antiche iscrizioni andasse per-
duta; e dotto com'egli era, assai giudiziosamente
le estensi tutte trascrisse, e convenientemente il-
lustrò. Se la patria debbe essergli grata, non mi-
124 Letteratura
nor gratitudine merita il nobile sìg. Vincenzo Fra-
cassani ; il quale occupossi in raccogliere i mo-
numenti qua e là dispersi; die loro opportuno e
conveniente ricovero in un pubblico museo; chia-
mò presso di se il prof. Giuseppe Furlanetto, af-
finchè desse opera in illustrarli; e volle che il la-
voro di quel dotto si pubblicasse con le stampe.
Il nome del Furlanetto suona cosi lodato in Italia
e fuori, che non abbisogna di nuovi encomi. Chi
non conosce infatti colui, pel quale avemmo il gran
lessico del Forcellini, aumentato di oltre a venti
mila voci?
Divide egli la illustrazione delle lapidi estensi
in sette paragrafi. Sono nel primo cinque monu-
menti sacri; sei monumenti istorici nel secondo;
il terzo, destinato ai sepolcrali, ne conta quaran-
tadue. Vengon nel quarto otto figuline; ventiset-
te frammenti nel quinto; nel sesto un monumento
cristiano; uno euganeo nell'ultimo: in tutto montano
a novanta. Ma nelle copiose note se ne hanno piU che
altri cinquanta. Non tutti questi monumenti però
sono letterati: nel paragrafo quinto ve ne ha un-
dici anepigrafi; rappresentano sculture diverse, per
lo pili mancanti e spezzate: ed anepigrafo è l'u-
nico cristiano , in cui veggonsi i primi genitori
che si son cibati del vietato frutto, e dietro lo-
ro chi gì' indusse a commettere una tanta colpa.
Non tutti i monumenti scritti sono inediti; anzi
la massima parte non lo sono. Fra gli estensi ci
paion nuovi quelli dati ai N. VII. XXIII. XKIX.
XLIX. L. LII. LUI; ed altri undici ne incontram-
mo nelle note. Anche tra i frammenti ve ne ha
alcuni non prima pubblicati; ma son essi di nin-
no o poco vantaggio alla scienza; ed anche fra le
Rivista Archeologica. 125
figuline ve ne ha taluna, ora per la prima volta
stampata.
Nelle note riportò il eh. Furlanetto molte let-
tere che gli ebbe dirette il nostro Bartolomeo Bor-
ghesi, in risposta ai qu ^siti fattigli dall'amico. Es-
se lettere son tante, e cosi importanti, che gran
parte del molto merito di guest' opera dee riven-
dicarsi al Borghesi. Le illustrazioni delle lapidi son
tali, che non desideri erudizione giustamente col-
locata, e dove il bisogno la chiede; giusta critica,
esattezza, precisione, dottrina. E per iscendere al-
la particolarità, noi dobbiamo raccomandare ai be-
nigni lettori la bella illustrazione di una lapida,
nella quale son ricordati dieci Magistri , e due
Magistri wci. Quante dottrine non ci sparge a
larga mano il Borghesi! Anche bellissima è la il-
lustrazione delle celebri iscrizioni del monte Ven-
da; nelle quali si racconta come L. Gecilio il Cal-
vo per ordine del senato stabilii nell'anno 612 i
confini fra i padovani e gli estensi ; ed un mar-
mo a pag. 93 è assai interessante, perchè da es-
so s'impara la esistenza di una legione V. Urbana.
Non termineremo senza notare , che il mo-
numento euganeo è descritto soltanto , senza ri-
portarne il testo. Il eh. Furlanetto però si dichia-
ra pronto a comunicare questo, e gli apografi esat-
tissimi di tutti gli altri cogniti nella stessa lin-
gua, a chi volesse occuparsi nella illustrazione di
essi. E ciò non solo, ma si offre pure di pubblicar-
ne la interpretazione , quando sark egli per dare
alla luce le antiche lapidi padovane che trovansi
già collocate nelle logge del civico salone. Noi fac-
ciamo fervidi voti affinchè questa nuova fatica del
Furlanetto venga sollecitamente alla luce; potendo
126 Letteratura
da essa raccoglier la scienza nuovi vantaggi, nuovi
lumi gli studiosi; come già per queste lapidi estensi
fu vantaggiata la prima, ed istruiti furono i secondi.
V. Dichiarazione di un dittico consolare del-
la chiesa cattedrale di A ostai del prof. Costan^
zó Gazzera. {^Dal voi. XXXVIII delle memorie del-
la reale accademia delle scienze di Torino^ 1 835.
4.«/?g.)
Ebbero in costume i consoli ed altri magistra-
ti, dal finire del terzo secolo dell'E. V. a quasi tut-
to il sesto, di far lavorare alcune tavole eburnee,
le quali al primo assumere la loro magistratura
porgevano in dono al sovrano in attestalo di loro
devozione. Alcune di queste giunsero sino a noi;
e sono quegli avori che diciamo dittici. Il Buonar-
roti, il Donati, il Leichio ci avevan date alcune ope-
re su tali monumenti: venne a luce il famoso dit-
tico quirinianOf e intorno ad esso scrissero l'Ansal-
di, il Barelli, il Bartoli, il Boni, l'Hagenbuch, il
Leichio, il Maffei, il Mazocchi, l'Olivieri, il Passe-
ri, il Volpi, e forse altri; e fu allora che il Gori,
raccogliendo quante scritture erano a lui cognite
intorno le diverse tavolette eburnee di tal genere,
ne pubblicò nel 1759 in tre volumi in f. il The-
saurus veterum djpticorum^ nel quale gran parte
ebbe il Passeri. Erano 25 tali dittici. Devesi unire
ad essi quello di Cremona pubblicato dall'AlIegran-
za nel 1781; l'altro del seminario di Geranda, dio-
cesi di Sion, edito dal De Levis nel 1809; uno tri-
vulziano di Milano, del quale fu pubblicata la slam--
pa senza dichiarazione alcuna. Per modo che ai 28
uno se ne aggiunge ora dal eh. prof. Gazzera ia
questo dell'archivio della chiesa di Aosta,
Rivista Archeologica 127
Pregio singolare del quale si è, l'essere impe-
riale e consolare nel tempo slesso: imperocché in
ciascuna delle facce esterne delle due tavolette por-
ta sculta l'intera figura dell'imperatore Onorio, con
leggenda intorno al capo D . N . HONORIO . SEM-
PER . AVG ; e nella parte inferiore di ognuna il
nome del donatore PROBVS . FAMVLVS .V.C.
CONS . ORD. Onorio è rappresentato in piedi , e
quasi di prospetto, entro una specie di edicola for-
mata da due pilastrini dorici , con arco intagliato
a fogliami: ha un leggier vestigio di barba sul lab-
bro superiore; il sacro nimbo è intorno al capo di
lui; gli cinge la fronte un diadema formato da dop-
pio ordine di perle: vestito di lorica con la gor-
gone sul dinanzi , vien essa traversata dal balteo ,
che neir una delle due tavole regge il parazonio ,
nell'altra la spada con testa d' aquila nell'impugna-
tura: il paludamento gli scende dall'omero sinistro;
ricchi calzari gli ornan le gambe fino alla metà, e
pei molti giri lasciano scoperte le dita de'piedi. Reg-
ge nell'una tavola con la sinistra lo scettro, con la
destra il clipeo posato a terra: nell'altra sostiene con
la sinistra un globo, sul quale vedesi una Vitto-
rietta con palma in una mano, e laurea nell'altra,
quasi in atto di voler incoronare l'augusto; con la
destra tiene il labaro portante il sacro monogram-
ma, e con leggenda IN NOMINE XPI VINGAS SEM-
PER. Ambedue le tavolette sono contornate da una
doppia cornice di dentelli ed ovoli da tre lati; me-
no cioè l'inferiore, dove è l'iscrizione del donatore.
Il monumento è di perfetta conservazione ; e per
quanto si riconosca in esso il decadimento del gu-
sto dal lato delle arti, pure ciò viene in certo tal
modo compensato dalla diligenza dell'artificio.
128 Letteratura
Altro pregio di questo monumento si è, Y es-
sere il più antico (li quanti si conoscono di cjata
certa. li consolato or4inario di Probo ci richiama
all'anno 406 dell'E. V; ed è questo quel Sesto Ani-?
cip Probo, figliuolo del console del 3T1, phe ebbe
gli stessi nomi i e che si per Ig gente Anicia , si
per la Faltonia dei Probi, è illustre ne' fasti del-
l'impero non naeno, che in quelli della chiesa. L'an-
po 406 però ci (Ji>??Qstra, che allora Onorio conta-
va l'anno vigesimo secondo di età, non il vigesimo
sesto i ed è forse questa la ragioq naturale tlella
poca barba che ha sul labbro superiore soltanto ;
senza cercare in cip cpl N. A. un ornamento mi-
litare. Conveniamo con lui pienamente, quando di-
ce esser questo il vero ritratto di Onorio; perchè
dalle sole medaglie non si potrebbero certo ritrar-
re le sembianze precise e distinte di quell'augusto.
Ci permetta però dubitare, che in queste tavolette
Onorio abbia grandi orecchini ad uso femminile o
persiano, formati da due grosse perle. Nella tavola
litografica, che abbiamo sott'occhi, quelle due grosse
perle non ci sembra che pendano dalle orecchie :
d'altronde le monete di Onorio, che ci mostran la
testa di lui in profilo, non han mai tali orecchini:
quelle che ce la mostran di faccia, hanno le due
estremità del diadema cadenti sul collo, ornate di
una gemma: quindi par da credere, che anche nel
dittico abbiansi quelle perle a considerare come le
estremità del diadema, piuttosto che orecchini.
In questo dotto e diligente lavoro del eh. pro-
fessor torinese sì hanno le necessarie notizie sulT
uso primiero di tal fatta di avori, e su quello cui
furono in appresso destinati nelle chiese: si discor-
re del loro pregio, quali monumenti d'arte e di
JRlVISTA ARCpEOLOGICA 139
storia; si dice dei vantaggi phe la scienza e la let-
teratura ne trassero; di ogni parte della rappre--
sentaoza di questo dittico aqgustano si danno buo-
ne illustrazioni; di ogni voce delle leggende, sagaci
interpretazioni. Forse si potrebbe muovere qualche
dubbio intorno quella della parola FAMVLVS; ma
ciò ci condurrebbe troppo alle lunghe ; il che non
comportasi dalla natura di questi fogli.
VI. Philippi Schiassi , de tjpo ligneo theatri
saguntini. Bologna presso Tiocchi 1836, 4«° di p. 23
Qon due grandi tavole in rame.
La celeberrima Clotilde Tambroni, nome ca-»
rissimo all'Italia edagli studiosi delle greche elegan-'
ze, in un viaggio fatto in Ispagna Tanno 1798 in-
sieme al suo niaestro D. Emanuele a Ponte, fermos-
si per qualche tempo a Valenza: di là si recò al
vicino Morviedro^ luogo dove rifiensi che antica-^
mentre sorgesse Sagunto. Amante com' essa era di
ogni cimelio antico, si die a trascrivere in que'con-
torni le lapidi greche , le fenicie, le romane che
v'incontrò; fece disegnare i bassorilievi ed i resti
delle antiche fabbriche; sopra di ogni altra cosa pe-^
rò rivolse le sue premure ai grandiosi resti del tea-
tro; e ne fé' eseguire dall'Arnau un modello in le-
gno con moltcì industria e diligenza lodevolissima
operato. Tornata in patria lo recò seco, e dopo al-
quanti anni ne fé' dono al eh, prof. Filippo Schias-
si; nelle cui case in Bologna ricordiamo averlo noi
stessi replicate volte ammirato, Ora il dotto autore
con la indicata memoria lo partecipa al pubblico
esattamente inciso in due grandi tavole in rame, e
degnamente descritto ed illustrato.
130 Letteratura
Già questo teatro era noto agli eruditi per le
opere di Emanuello Martino, di Gioacchino Alcara-
zio, di Giuseppe Emanuello Miniana, di Bernardo
Montfaucon, di Giovanni Poleni, di Guglielmo Lo-
nyngham, di Ennio Palosio Navarro: e più recen-
temente ne ebbero scritto Giulio Ferrarlo, Antonio
Ponzio, Giosuè Ortisio Sanzio , ed Alessandro La-
borde. Ma rapporto all' esattezza e precisione non
han che fare le tavole prodotte da qualcuno dei
ricordati, con quelle pubblicate ora dal dotto pro-
fessor bolognese. Il quale d' altronde, raccogliendo
il fiore di quanto altri prima ne scrissero, spesso
si oppose loro, e sempre con sodi argomenti. Del
che solo un esempio basterà citare ; cioè quanto
egli espose intorno l'antica ed intralciata questio-
ne dei vasi sonori o echei, che Vitruvio prescrisse
nella formazione de'teatri.
Chiunque leggerà questa dissertazione dello
Schiassi non potrà a meno di non convenire , che
la lingua latina anche a'giorni nostri si presta spon-
tanea per esprimere con eleganza e chiarezza qua-
lunque subietto, sia pur esso del tutto nuovo: e con-
fesserà pure che Filippo Schiassi è uno fra i primi
latinisti dell'età nostra.
VII. Saggio sopra alcune monete fenicie delle
isole baleari: del cav. Alberto della Marmerà. (Dal
voi. XXXf^III delle memorie della reale accade-
mia di Torino 1834, A."" ftg.).
In Maone nell'isola di Minorica, così presso il
slg. Antonio Ramis come altrove, trovò il sig. cav.
della Marmora un considerevol numero di antiche
medaglie con caratteri fenici , le quali erano stale
Rivista Archeologica 131
da alcuni nummografi attribuite a Serpa nella Lusi-
tania, da altri a Cadice o a Siviglia nella Betica, dai
pili airisola di Gossura: il Mionnet le ebbe collo-
cate tra le fenicie incerte. E prudentemente; per-
chè il N. A. basandosi sulla dottrina, che le mone-
te di bronzo d'incerta patria debbansi ritenere co-
me appartenenti a que'luoghi ne'quali spesso si rin-
vengono, non dubita assegnare quelle in questione
alle isole baleari; tanto piìi che la lingua ed i tipi
avvalorano, non contraddicono quella massima. Le
due tavole in rame, che accompagnano questo sag-
gio, rappresentano alcune di esse monete affatto nuo-
ve, altre imperfettamente prima descritte; non che
alcune figure di antichi idoli in bronzo, che ser-
vono per illustrarle.
Vedesi in esse per tipo costante una figura
virile panciuta, di faccia, con tre corna sulla testa:
nella destra un martello , nella sinistra un serpe
ravvolto al braccio. Talvolta la stessa figura è pur
nel rovescio ; tal altra ci ha un bue cornupeta in
diverse positure: ma in altre le forme son più re-
golari; non tre corna, ma otto raggi sono intorno
al capo, e la figura è vestita di tunica: sempre vi
sono lettere fenicie. In quelle, nelle quali la rap-
presentanza del tipo è più regolare, vi sono anche
leggende romane, cioè INS . AVG; e nel rovescio si
ha la testa nuda di Tiberio con lettere TI . CAES.
AVG . GERM ; o quella pur nuda di Germanico
GERMANIGVS . CAES. Quella figura , dice il sig.
cavaliere, si da a conoscere per un dio Cabiro le-
ste sbucciato dall'uovo mondiale, ma pieno di vita
e di possanza. La picciola statura, lo sferico ven-
tre, il rannicchiamento del corpo, l'arcuata po-
situra delle gambe, indicano l'infanzia, l'immedia-
132 Letteratura
ta uscita dall'uovo dove stava il nume cosi rlncKui-
so; la barba, la robustezza delle membra, e le cor-
na, son tutti indizi della forza virile, l'essenza di
un dio Cabiro, cioè potente, sviluppata all'istante
della nascita. Trascurando le cabiriche divinità gre-
che, asiatiche ed egiziane, il N. A. cerca pe' carat-
teri fenici della monete, la spiegazione della raffi-
guratavi divinità nella fenicia teogonia.
E ne'frammentì di Sanconiatone riferiti da Eu-
sebio trova che ai sette cabiri fenici , fiarliuoli di
Sjdick^ ne venne aggiunto un ottavo; cioè Esmun
assomigliato ad Esculapio, Questo Esmun è la fi-,
gura caratteristica delle monete baleariche ; assai
facilmente ve la trasportarono i cartaginesi; e col-
l'andar del tempo sotto la dominazione dei romani
fu convertito in Esculapio , come provano le due
monete bilingui. Dall' analisi poi di ciascuno degli
elementi delle leggende fenicie, che con molta dot-
trina ed ingegno intraprende l'A.. chiarissimo , ne
raccoglie le due parole Insula boetica., o boetico-
rum; e già vedemmo che nelle due bilingui, a ca-
ratteri romani si aggiunge INS«/« AVGa^i/. Noi non
siamo in grado di poter tener dietro a questa par-
te della memoria ; ma non perciò non ammiriamo
l'amore dell' A. N. a cjuesti diffìcili studi.
Vili. Quadro di geografia numismatica , da
servire alla classificazione geografica delle collezio-
ni, con un catalogo generale delle città, delle quali
si conoscono le monete non solo autonome , quanto
dei re e degli imperatori, arricchito di parecchie
nuove sedi e nuove teste, e corredato di alcune no^
tizie geografiche da Carlo Strozzi, Firenze costipi
Bencini \ 836, 4.° di pag. 1 04, con una gran tavo^
la colorita,
Rivista Archeologica 133
Il p. Bober gesuita aveva immaginata una carta
geografica numismatica: la possedette il Sestini; ed
ora è nella galleria di Firenze. Il sig. marchese Car-
lo Strozzi, che per oltre due anni fu discepolo del
Sestini, voleva pubblicare quella carta del Bober;
ma non avendone potuta ottenere la comunicazione,
sì accinse a farne una consimile; che è quella per
noi annunziata. Ritiene il nobile autore di aver fat-
to cosa di gradimento al pubblico: e per vero un'
opera che raccoglie in un sol libro la intera serie
ed ordine delle città numismatiche; che da luogo
a poter verificare sopra una carta le posizioni e le
vicinanze di molte citta che usarono tipi o simili
o analoghi; non solo deve riuscir grata ai nummo-
grafi, ma a quelli eziandio che studiano nella storia
e nell'antica geografia.
Il quadro del sig. marchese segue 1* ordine
geografico dell'Eckhel; ed è distinto in cinque co-
lonne indicanti, 1.° i regni e provincie; 2." i no-
mi antichi delle citta: 3." i nomi moderni di essi:
4.° le medaglie così autonome come imperatorie, con
la serie rispettiva degli augusti: 5.° le posizioni geo-
grafiche; consistenti di due lettere alfabetiche, l'una
maiuscola , 1' altra minuscola segnate a lato della
gran carta geografica, per accennare prontamente
alla posizione delle rispettive città. Al fine dell'o-
pera poi sono tre indici alfabetici; il primo dei re-
gni, Provincie, popoli e città in latino: il secondo
dei rispettivi nomi moderni; il terzo degli antichi
re e principi.
Ma e egli vero che l'A. eh. abbia aumentata
la numismatica, come dice nel titolo dell'opera ,
di nuove sedi e di nuove teste? E lo ripete egli
nelle notizie generali: dove parlando dell'opera del-
134 Letteratuaa
l'incomparabll Sestini classes generales , dice <li
aver aumentate molte teste e molte citta che in
quell'opera non si hanno. Questo vero si farà chia-
ro a chi voglia anche parzialmente rincontrare e
ravvicinare 1' un libro all'altro: ma non sappiamo
se il risultato ne sarà favorevole al sig. marche-
se. Per cagion di esempio nella sola Spagna Be^
tica abbiara trovate mancanti le citta di j4bra «
Amhra^ Antlcaria^ A sparla^ Augurina , Barea ec;
e COSI in altre provincie e regni abbiam trovato
mancare altri nomi, che nelle classes generales non
si desiderano. Almeno avesse il N. A. addotto il
perchè di tali preterizioni! Così vogliamo notare
che manca la bella serie dei re della Battriana
e delle Indie, pubblicala dal dotto Raoul-Rochette;
e forse altre mancanze si potrebbero facilmente
addurre, se le già accennate non fossero plìi che
sufficienti a provare non vera l'asserzione del sig.
Strozzi. Quindi è che non potendo noi decidere
se r opera sua veramente sia utile alla scienza ;
conveniamo che migliorata , riveduta , accresciuta
delle monete scoperte che si vanno giornalmente
facendo, una utilità potrà recare agli studiosi.
IX. Real museo borbonico descritto ed illu-
strato da Erasmo Pistoiesi. Voi. 1. Roma^ tipografìa
delle belle arti 1 836 in 8.° gr. fìg. di pag. 64 e
128, fase. I. IL III.
Fin da quando venne a luce il primo fasci-
colo di quest'opera pensammo scriverne alcun che
nel nostro giornale: ma siccome sembrar poteva
precoce il giudizio , ci parve prudente aspettare
ehe l'impresa progredisse. Vedendo però che dopo
Rivista Archeologica 135
il terzo fascicolo, da lungo tempo ne aspettiamo in-
vano il proseguimento, rompiamo il silenzio: e ciò
per le ragioni che in seguito saran chiare.
Divide il sig. Pistoiesi il suo lavoro in due par-
ti. Nella prima dà uno storico ragguaglio delle di-
verse eruzioni del Vesuvio. Essa non è terminata; ma
stando ora all'eruzione del 1822, pare che non si
prolungherà molto più in la delle 64 facce che
sinora ha riempite. Può questa prima parte consi-
derarsi come una introduzione alla seconda, nella
quale sono le illustrazioni del museo reale borbo-
nico. Ogni fascicolo, secondo il manifesto d' asso-
ciazione, deve contenere 10 tavole in rame, e 64 pa-
gine d'illustrazioni. Se nei tre annunziati fascicoli
le illustrazioni si spaziano in sole 128 facce, la ra-
gione si è, perchè le altre 64 furono impiegate, co-
me dicemmo, nella storia delle vesuviane eruzioni.
Trenta però son le tavole; e se alcune poche riferi-
sconsi a monumenti, la cui illustrazione si leggerà
ne' fascicoli futuri, ciò si vede che fu per comodo
degli incisori: i quali d'altronde non poteron con-
durre a fine due tavole, le illustrazioni delle quali
si leggon già nel testo pubblicato.
Queste tavole contengono monumenti antichi
e delle arti risorte. Otto ne incontriamo di questo
secondo genere; e spettano ad originali di Raffael-
lo, Bourdon, Correggio, Sabatino, Schidone, Par-
megianino, Tiziano, Andrea del Sarto (tav. I II XI
XII XIII XIV XXI XXII). I monumenti antichi
sono in pittura, in marmo, in bronzo, in istucco.
Di pitture ve ne ha sei; cioè Agamennone e Crisei-
de (tav. Ili), Achille e Briseide (tav. IV), Giove e
Giunone (tav. V), Genio delV armonia (tav. VI), At-
tore tragico (tav. XV), Polifemo (tav. XVI). In mar-
136 Lbtteratura
mo si ha iirt y4 polla citaredo (tav. VII), il supposto'
Aristide (tav* XVII), due busti di Giunone ed uno
di Giove (tav* XVIÌI), due candelabri (tavv IX) i
un antico vaso fittile? dipinto è aliai tav. VIII; diver-
se armi alla tav. X; un vaso di bronzo alla tav. XX;
gli stucchi del soffitto del tepidario alla tav. XIX.
Rimarrebbe da accénnaire la illustrazione di altre
due pitture antiche; cioè Periètope ed UlisseO, ed
una scena comica^ ma già: dicériimo che di queste
mancan le tavole ; come per contrario sono senza
illustrazioni le tavole che rappresentano Augusto,
Giunone, un fauno, alcune pareti, un vaso dipinto,
una vasca di marmo, e la statua equestre di Balbo.
Questa è la materiale distribuzione dei tre fascicoli
che abbiamo sott'occhi*
Venendo ora alla parziale illustrazione de'mo-
numenti, diciamo che questa non ci sembra opera
del Pistoiesi. E perchè non sia giudicata ardita que-
sta accusa, ne diamo un esempio* Eccolo*
AGAMENNONE É CRISEÌDEj DIPINTO POMPEIANO*
Pistoiesi, ta^f. III. p.2Ì e segg.
» Criseidd succinta di pallio^ raccogliendo con
la destra una parte della gonna, mentre la sinistra
ha fra le mani di Agamennone, posa il piede sulla
scala del naviglio che deve ascendere. In essa vi scor-
gi la sorpresa, la perplessità, il tumulto degli af-
fetti, poiché le duole lasciare il talamo del re dei
prodi Atride ad essa tanto benigno, mentre le scal-
da il cuore la dolce idea di rivedere la patria, di
stringere al seno il genitore. - Agamennone affettuo-
samente la guida a salir sulla nave, che a'suoi af-
Rivista Archeologica 137
fetti la toglie, e incurvasi a dirle l'ultime parole, il
lamentabile addio. - Due guerrieri dissimili di età,
di aspetto, li sieguono, e a mio credere colui che
sostien l'asta è Menelao, l'altro è Ulisse. - Prossimo
a Griseide evvi un garzonetto: egli è un Camillo de-
stinato a ministrare all' ecatombe che con la schia-
va resa libera va in offerta ad Apollo. - L'attitudi-
ne di Atride è quella d'uom rassegnato all' acheo
consiglio; e fé buon senno il pittore a farlo tale ,
e con sommesso sguardo, per nascondere (juel ve-
race affetto, ch'era difficil cosa esprimergli in viso,
senza offendere il decoro che a re di tanti re con-
venivasi serbare, e farlo freddo attore intervenire
in quella scena d'irreraeabil commiato. »
Guglielmo Bechi nel Mus, borb. voi. II tav, LVII*
» Griseide succinta il pallio, raccogliendo con.
una mano la falda della gonna per non essere impac-
ciata al salire, tiene l'altra fra quelle di Agamen-
none, ed ha già posto il piede sulla scala del navi-
glio, sul quale è in atto di ascendere. Sembra com-
battuta da contrari affetti; dall'una parte lasciare il
talamo del vincitore tanto ad essa benigno; dall'al-
tra il rivedere la cara patria e 1' antico padre le
scalda il cuore. Ed Agamennone affettuosamente te-
nendola per mano, ed incurvandosi a dirle le ulti-
me parole ed il lamentabile addio, l'aiuta egli stesso
a salir sulla nave che a'suoi affetti la toglie. Due
guerrieri di età varii e di aspetto ( uno dei quali
è forse figurato per Ulisse ) li sieguono; ed è a lei
vicino un garzonetto, forse il Camillo destinato a
ministrare all'ecatombe che con Griseide va in of-
ferta ad Apollo. Oltre che l'attitudine dell'Agamen-
G. A. T.LXXIV. 10
138 Letteratura
none è stupenda , e compone benissimo in questo
gruppo, fé buon senno il pittore a farlo curvato,
per nasconder quell'affetto ch'era difficil cosa espri-
mergli in viso, senza offendere il decoro che al re
di tanti re convenivasi serbare: e farlo interveni-
re freddo attore in quella scena di commiato, non
gliel comportava il subietto. »
Pure il pistoiesi ( pag. 23 ) scrisse di qtiesto
quadro: Per quanto io valgo nelle forze^ descrivo
ed illustro. Giudichi il lettore se la descrizione e là
illustrazione è sua o del Bechi.
Ma perchè un esempio non sia reputato poca
cosa, noi senza aggiugnerne altri, preghiamo chi
ne ha voglia di fare , come noi abbiam fatto; e
vedrà nelle illustrazioni del real museo borbonico
in Napoli gli originali di quelle del sig. Pistoiesi.
Per abbreviare poi la facilità del rinvenirle, leg-
ga nell'opera le illustrazioni del eh. Bechi al voi.
I tav. 1 2 54; al voi. II tav. 1 17 32 33 53
58 59; al voi. Iti tav 3 18; al voi. IV tav. 1 1G
46; al voi. V tav. 19: e le confronti con quelle
del Pistoiesi tav. 1 2 4 5 6 9 11 12 13 14 15
16 19 20 21 22. Legga quelle del eh. Pinati al voi.
I tav. 50, al voi. Ili tav. 8, e le confronti con
quelle del Pistoiesi tav. 7 e IT. Nel tomo V tav.
9 la illustrazione del eh. Quaranta la paragoni a
quella della tav. 18 del Pistoiesi: quella della tav.
10 del medesimo, la riavvicini a quella del Ca-
terino voi. IV tav. 13; e quella del eh. Avellino
voi. IV tav. 20, la confronti con l'altra della tav. 8
del Pistoiesi.
Ma si dirà: Dunque ninna parte egli ebbe in
questa romana illustrazione del musco borijonico?
Sì, rispondiamo: son sue le notizie della vita di Raf-
Rivista Archeologica i39
faello premesse alla tavola prima; quelle intorno
Omero premesse alla tavola quarta; e così si dica
di Tiziano, di Correggio ec; e non era da credere
che nella illustrazione dei monumenti di un celeber-
rimo museo si volesse dar per giunta una raccolta
di notizie Liografiche.
Ricordiamo come il Battelli, editor fiorentino
dell'opera del Ferrario sul costume antico e moder-
no, a coonestare quella contrafazione produsse alle
stampe un voto del dottor Perugini: ricordiamo che
l'avvocato Gollini, in altro voto pure a stampa, alle
ciarle del Perugini oppose valide e sode ragioni :
ricordiamo come il tipografo Stella entrò per terzo
nella quistione , e gridando contro il primo, clas-
sificò i diversi gradi di duolo per le contrafazioni
diverse. Lasciamo che il Pistoiesi decida di per se,
se l'opera sua debba entrare fra quelle di cui lo
Stella tenne discorso.
X. Sopra una iscrizione sipontina, osservazioni
di agostino Gervasio accademico ercolanese. Na-
poli pe'tipi Giordano 183T, 4.° di p. 58.
Nell'antica Siponto, poc'oltre un miglio lungi
dall'odierna Manfredonia, fu nell'anno 1812 escava-
ta la seguente iscrizione - DMS - LIBERALIS COL -
COL SIP SER ARCKAR - QVI ET ANTE EGIT
RATIONEM - ALIMENTARIAM SVB CVRA -
PRAEFEGTOR ANNIS XXXII - VIVOS SIRI
FICERAT DEDIT AVGVRINO - REIP SER VER-
NAE MESORI FIL SVO RARISSIMO - OVl VIX
ANN XXII M VI DX. - Oltreché essa ha il pre-
gio di essere inedita, è pur rimarcabile per taluna
frase che ora per la prima volta si ha in monu-
140 Letteratura
menti epigrafici^ cioè EGIT RATIONEM ALIMEN-
TARIAM. Glie se agere rationes soleva spiegarsi am-
ministrare'^ ora per l'autorità di questo marmo, e
per le dottrine del sig. Geryasio che son poggiate
anche a testimonianze di Sceyola e di Ulpiano, di-
remo che propriamente soleva adoperarsi nelle am-
jninistrazioni affidate ai servi: e sembra pure che
non differente significato abbia a darsi ai servi
AGTORES nominati nelle lapidi,
Sono assai dotte le investigazioni del N. A. in-
torno la ragione alimentaria^ e sull'averla il servo
liberale amministrata per 32 anni, quand' essa era
sub cura praefectorum. Non minor dottrina si ha
nelle ricerche intorno i diversi mensores; presa oc-
casione dai quali, illustra il frammento di un mar-
mo, che ricorda un mensor sacomarius : e perchè
la voce greca (jvjxojjua (d'onde la latina sacoma) può
indicare tanto il contrapeso, quanto \xn istromento
qualunque di misura, ritiene che i sacomarii fosse-
ro i costruttori dei pesi e delle misure da servire
di modello.
Nulla sfugge alla sagacita del N. A. Fa egli giu-
diziose osservazioni grammaticali intorno la voce
ARGKarmj-, dove è ridondante la C, o la K; sul FI-
GERAT per fecerat, sul VIVOS per vivus, sul ME-
SORI per mensori; e sul COhonorum COhOniae,
in cui quella ripetizione è un vezzo della lingua la-
tina, usato per dare maggior enfasi al dire, come
vivere vitam^ pugnare pugnam ec. Non tralascia in
fine distinguere in pociie facce la storia dell'antica
Siponto sull'appoggio de'classici antichi e de'monu-
menti.
■''■' Facciamo voti sinceri, perchè il sig. Gervasio
conduca a fine, e dia alle stampe il suo lavoro in-
Rivista Archeologica. 141
torno le antiche iscrizioni di Lesina, promesso a
facce 45 di questa dissertazione. Se, come questa ,
sarà quello dotto e diligente, non potrà a meno di
non riscuoterne sinceri ringraziamenti da quanti
amano questi studi.
XI. Caroli Boucheronii specimen inscriptionum
latinaritm, edente Thoma V^allaiirio. - Torino pres-
so Poniha 1836, in 8.° di facce XIV e 116.
Diamo fine a questa seconda rivista con l'an-
nunzio del libro del eh. Boucheron. Vero è che esso
non essendo di subietto archeologico, non avrebbe
dovuto, strettamente parlando, esser qui annunziato;
ma vero è pure che la moderna epigrafia molto le-
gasi con r antica; e d'altronde riteniamo che ogni
luogo sia convenevole per dir le lodi del eh. profes-
sor torinese. E chi non conosce il Boucheron (1)? Chi
non lo colloca in uno de'primi seggi in tutto ciò che
riguarda latina letteratura? Ne avemmo lucentissi-
mo esempio nella torinese raccolta de'classici da lui
diretta, per lui di dottissime prefazioni arricchi-
ta. Quindi è che un fascicolo d'iscrizioni portante
in fronte un nome sì bello, è senza dubbio una
raccolta di eleganze spontanee, convenevoli , non
ampollose, non inutili, non raccozzate qua e la dai
(i) Mentre il presente articolo slampavasi, ne giunge l'infau-
sta notizia, che questo insigne ornamento della italiana letteratu-
ra ha dovuto soggiacere al comun fato degli uomini il di 16 di
marzo corrente. Il cav. Boucheron, membro della reale accademia
delle scienze di Torino, professore di eloquenza greca e latina in
quella università, di storia e mitologia nell'accademia delle bel-
le arti e di letteratura nell'accademia militare, era nato in Tori-
no il 28 di aprile 1773.
142 Letteratura
lessici. Slamo certi di far cosa grata al Lenlgno let-
tore, riportandone qui una. Scegliamo quella, nella
quale Anna Perotti narra le molte e strane vicende
di sua vita. Essa insieme al consorte guerreggiò nelT
Egitto, nella Germania, nella Spagna: due volte fatta
prigioniera, due volte tornò alio sposo, che pianta
r avea per morta: rimasa vedova , ottenne premi
militari, e lo stipendio dei forti; e ciò per inaspet-
tato evento; nel quale ebbe gran parte il nostro
marchese Biondi. Ma sentiamo il Boucheron. ^
ANNA PEROTTA.
Da bona inerba, hospes: casta et strenua sum,
nec ignota ci\>ibus.
Corea antiqua me genuit, taurinis proxima ;
Anna \>ocor. Laudata olini puella si choros ducerem^
et multis ambita procis , uni tamen Perotto flda^
qui decus in militia gesserai. Huic virgo nupsi ,
hunc Gomitata sum in ardua bella, certa simul mo-
ri ut Abradaten Panthea.
Ad V^arum equo merui, ad Nilum cum gallis,
formam prò viro probans. Memphin vidi^ et Thebas
centum portarum, et Sjenen-, sub solibus Horum et
Osiriden mirata monstrosa numina. Ad pjramides
conflixi, ubi veloces arabes mactavimus, pugnantes
connixo poplite equites peditesque. Postea per so-
litudine s erravimus, exhausto potu, enecti siti., ti-
tani tolerantes palmis agrestibus. Sjria dein Idu-
maea nos excepit irrigua fontibus. Eo venerat exer-
citus loppen phoenicum et divitem Tjrum armis
oppugnatuni: sed subita calamitas nos vietare s op-
pressit. Saucia, captiva, barbaris sortito obtigi, qui
me aquas taurinas miserunt mari. Biennio in ser-
Rivista Archeologica. 1-43
sfitute inansi vidica vivo coniuge^ exedens cor de-
siderio^ moerens dulcem patrium et propinquo s: taìi-
dem frustrata vi gilè s per illunem noctem ine hosti-
bus eripui.
Gennaniam deinde obivi, invisura virum. Is re-
dihat ex Iena victor, ob virtutem donatus framea,
Occurri cuni mithra et amictu barbaro', ubi me ad-
spexit^ amplexu et fovit calidis lavacris. Commili-
tones interea coenam parabant cibis castrensibus.
JVos cyathos aurire^ liic inerum dare^ hic suaviuni.
Tunc vir procacem intuens: Heus tu^ aiebat^ quid
libi tactio hanc? mea est,, ne per lovem adtigeris.
Cooriebatur risus , et quisque Ljaeuin patrein et
amorem invocans, me dictis gaudebat lacessere. Sic
coena ad multam noctem producta, large libavimus
genio., laetantes reditum et victoriam: quippe impe-
rator, devicta regione a Rheno ad sarmatas , nos
affecerat adorea.
Tunc nostra cohors in Iberiam transiit'. ego vi-
rum sequor per pjrenaea iuga. Sunt casus et pu-
gnae^ multosque hostes orco demittimus. Sed gens
obdurata cladibus in martem redibat ferocior: nos
vicimus ade, UH nos fame absumptis frugibus. f^idi
arva collucentia fiammis\ vidi grandaevas matres
ut thjades mere in pr celia: alias semianime s ca-
ptivos laniare ferro. Dum manus ad Saguntum con-
serimus, capior excussa equo , ineque in navem
detrusam britannus per triennium tenuit.
Inde re verter cum Kictorius rex, recepto re-
gno, in gallos allobroges legiones mitteret, tutaium
flnes. Ibi Perottus meus, pinnas murorum prehen-
dens manibus, hostilem in urbem primus irrumpity
me co mite.
Ovans in patriam redii, Sed omnium rerum vi-
144 Letteratura
cissitiulo est. Vir adverso \>ulnere interit: ego sene-
cta deflorui'. quae amazones acquavi, nunc lana vi-
etilo incerto lare.
Erat sacrificulus in agro opimo affi ni s ineas:
hiinc adivi, rogans per solitudinem meam et com-
munes penates, ut ne aegram squalore annisque
obsitam desereret. Is coeluni obtestatus, me ina-
nem dimisit correptam convicio.
Insperato Taurini adfuit Angelius pictor, domo
romanus, argivus arte, me pingens in sene quem
fìlia turgidulis fletu oculis uheribus alit in cu-
stodia. Tabula notam fecit. Spectatum adniissus
Alojsius Biondius eques romanus, fLos delibatus
populi, rem narravit Carolae augustae, regis sor ori;
quae non passa est suam benignitatem in me da-
udier. Exinde in benefìciis ad aerarium delata ,
retuli praemia fortiumi multi insuper annulos, tor-
ques et armillas, militaria dona, mihi miserunt mu-
neri. Hinc populares , me per viam monstrantes
digito: En, aiunt, haec illa est.
Sic rectius ago et volito viva per ora virum.
Tu interea, hospes, vale.
L'editore eh. discorre nella prefazione della
necessita e convenienza della lingua latina nella epi-
grafia: non contrasta potersi, e con qualche van-
taggio, usar la italiana nelle mortuali: ma in cjue'mo-
numenti, che restar devono per fondamento della
storia, sostiene doversi usare la prima, che unisce
alla convenevolezza dello stile maggior nerbo e pre-
cisione. E qui siamo a quella questione, che da lun-
ghi anni tiene divisa l' Italia; se debba cioè la epi-
grafia latina abbandonarsi , e far luogo alla italiana.
Già pur troppo l'amore della lingua del Lazio va
di giorno in giorno in decadenza! Perchè volerne ac-
Rivista Archeologica 145
celerare la totale ruina, con escluderne Fuso «la
quella specie <li componimenti, i quali sino a po-
chi anni indietro furon di suo privativo diritto?
Questo è un mancare di patria carith. È la favella
latina il monumento pili splendido della nostra po-
tenza antica; essa ci addita le glorie de'nostri pro-
genitori; ci rammenta che con essa regolavansi un
di i destini del mondo. Ben altrimenti la pensaro-
no i grandi di Roma antica: consigliavano ì giovani
ad aver sempre fra le mani le opere de'greci. E noi,
ad essi inferiori di tanto, vogliamo escluder l'uso
della lingua latina anche dall'epigrafia! Se voglia-
mo che la italiana letteratura fiorisca , raccoman-
diamo ai giovani lo studio delle lingue di Grecia
e del Lazio; esortiamoli a tenersi lontani da quel-
la scuola di tenebroso romanticismo, che già dagli
sparsi semi va raccogliendo velenose frutta; e in fat-
to di epigrafia, facciamo s'j che non resti deserta la
scuola dei Morcelli, degli Schiassi, dei Boucheron.
Ma si dirà: Il nostro idioma, così dolce, è for-
se inetto all' epigrafia ? Mai no ; ed alcune iscri-
zioni dettate dal Giordani, dal Contrucci , e da
altri pochi, fan prova che i modi ed i concetti
latini si posson piegare al genio della lingua fi-
glia. La questione però non è se possano o no far-
si iscrizioni italiane ; che il fatto 1' avrel)I)e deci-
sa da molti secoli : ma sì , se allo stile lapidario
si prestino ugualmente ambedue le lingue; e dalle
prove che finora ne avemmo, ci sembra che le doti
di concinnità, precisione, convenevolezza siano piìi
nelle iscrizioni latine che nelle italiane. Altri ri-
prendono: Solersi far le iscrizioni, perchè a tutti sia-
no manifeste; cpielle in ispecie che scrivonsi sui
sepolcri de'trapassati, se dettate in latino, non ot-
146 Letteratura
tenere lo scopo cui son dirette; addolcire cioè il
cordoglio ne'congiuntì, ricordare ai passeggieri le
virtuose azioni di que'che furono, servire di ec-
citamento al ben operare; e un ottenere lo scopo,
perchè pochi conoscono la lingua latina. Già po-
tremmo rispondere, ben tenue poter essere il frut-
to morale che dalle iscrizioni italiane si spera, si-
curo il danno: questo per l'abbandono della lingua
de'nostri padri; quello perchè il popolo non legge,
ma vuole l'esempio della virti^i vivente, attiva, soc-
correvole ai bisogni. Ed anche trascurato ciò, dire-
mo che le stesse ragioni potrebbero valere anche
più per le iscrizioni che onorano il merito degli uo-
mini che san distinguersi dal volgo; per quelle che
rendon grazie al sommo Iddio de'beneficii che gior-
nalmente ci comparte: quindi ne scenderebbe che
le sacre e le onorarie non meno che le mortua-
li dovrebbero scriversi in italiano. Farmi che l'ar-
gomento corra; e ne discenda che le iscrizioni ser-
vono per istruire il popolo, e dirigerlo al bene
operare. E noi ripeteremo, che il popolo non sa
leggere; che per ottenere un sì grande scopo mo-
rale sarebbero inutili le iscrizioni, senza gli esem-
pi: che il danno ne risulterebbe sicuro; e per fine,
che crediamo le iscrizioni documenti per la storia.
Un dotto fiorentino assai ingegnosamente trat-
tò da poco una tal quistione : egli per concilia-
re i due partiti propose » che le iscrizioni funera-
» rie ed onorarie ad uomini e donne insigni per
» pubblici meriti, come ancora tutte quelle destina-
» te per sacre e profane pompe, e tutte eziandio
1» le nazionali risguardanti monumenti pubblici di
» qualsivoglia maniera, compresi anche gli istituti
» di scienze, lettere, ed arti in generale, conservato
RivrsTA Archeologica 147
» un solo sentimento venissero scrìtte in ambedue
» le lingue, e poste parallele o sia di fronte nel me-
» desialo cartello o marmo » Molti sono ì vantaggi
che da cosi fatto sistema l'A. eh. spera che siano
per risultare. Noi ne accenneremo taluno, e con le
sue stesse parole: » Così la gioventù in ispecie, che
» pur troppo oggidì si è fatalmente riposta dagli
» studi di latinità, tra per l'alto e disdegnoso ram-
» maricare de'savi sclamanti contro quel codardo
» costume, e pei pubblici assidui ed incancellabili
» esempli, gitterk schiava nel fango le raeretricie
» straniere contigie, rinvigorirà le flacide fibre del-
» Tantico vigore , si mostrerà degna progenie di
» Virgilio e di Dante; così il forestiere, che porrà
» piede su questa sacra terra , vedrà regnarvi ia
» pieno meriggio la madre augusta accanto all'ono-
» randa famosissima figlia; così egli pure proverà un
» arcano senso di dolcezza se buono, e benedirà an-
» che per questo all'Italia; così romperassi d'invidia,
» se malvagio; così, se per sua sfortuna gli sia igno-
» ta la soavità del volgare eloquio, prenderà con-
» tezza di nostre glorie antiche e moderne pel mi-
» nistero del latino. » Volesse il cielo che il siste-
ma proposto da quello scrittore cortesissimo venis-
se abbracciato da ambidue i partiti! Ne tornereb-
be vantaggio a questa dolcissima favella italica; e
non pili si opinerebbe di espellere la lingua madre
dalle iscrizioni.
Questo avevamo scritto, quando ci giunse un
giornale milanese, in cui leggemmo come due ita-
liani, due francesi , e due americani han divisato
d'innalzare a Parigi un monumento a Carlo Botta,
nome carissimo a tutte e tre le nazioni. Diedero essi
l'incarico al prof. Boucheron dell'iscrizione da por-
148 Letteratura
visi sopra: ed è quella che riportiamo insieme con
la traduzione italiana fattane dal sig. L. T. Così le
parole del gentil fiorentino incominciano già a frut-
tificare.
H . S . E— CAROLVS . BOTTA — DOMO . S . GEORGIO .
IN . SALASSIS— MEDiCVS . ET . HISTORICVS — QVI .
GRAVIS - RERVM . PRONVNTIATOR . IDEMQ . SVA-
VIS— AMERICAN AE . LIBERTA!* i PVGNAS . CVM AN-
GLIA . MAtRE — PARI . FACVNDIA * ET . VERITATE .
EXPRESSIT — ITEM . DVAS . ITALORVM . AETATES —
A . CAROLO . V * IMP . AD . NAPOLEON . ADVEN-
TVM — BINIS . OPERIBVS . COMPLEXVS — IMPOTEN-
TEM . EXTERNORVM . DOMINATVM— ET . POPVLA-
RIVM . CALAMITATES . VITIA 4 ET . VIRTVTES —
LIBERO . ORE . EXPOSVIT ~ VIR * APVD . SVOS .
INSIGNIS . QVOD . PATRIVM . SERMONEM — A . SER-
VILI . PEREGRINITATE . PVRGAVIT— ABSTINENTIAM .
QVAM . IN . ALIIS . LAVDAVERAT — IPSE . FLAGI-
TIOSIS . TEMPORIBVS . EXHIBVIT — NEC . VNQVAM .
IN . TENVI . RE . DE . PAVPERT . CONQVESTVS .
EST— CAROLVM . ALBERTVM . SARD . REGEM — A .
QVO . EQYESTREM . DIGNITATEM . ACCEPIT~FOR-
TVNAE . VINDICEM . HABVIT — VIXIT . ANN . LXXI —
OBIIT . PARISIIS . IV . ID . AVG . AN . MDCCCXXXVH.
Rivista Archeologica 149
QVI . E . SEPOLTO --CARLO . BOTTA— DI. S. GIOR'
GIO . DI . SALVZZO —MEDICO . E . STORICO —CHE .
GRAVE . E . INSIEME , PIACEVOLE • NARRATORE .
DEI , FATTI — LE . GVERRE . DELLA , LIBERTA' .
AMERICANA , CQLL' INGHILTERRA . MADRE . PA-
TRIA—CON . FARI , FACONDIA . E , VERITA' , DE-
SCRISSE — E . LE . DVE . EPOCHE . DEGLI . ITA-
LIANI ~ DA . CARLO . V . IMPERATORE . A . NA-
POLEONE — IN , DVE , OPERE , COMPRENDENDO ^-^
LA , PREPOTENTE . SIGNORIA . DEGLI . STRANIERI —
E . LA . calamita' . I . VIZI . E . LE . VIRTv' .
DEI . POPOLI— FECE . LIBERAMENTE , PALESI —
VOMO . CELEBRE , FRA' . SVOI . VA , CHE . LA
PATRIA , FAVELLA — PVRGo' , DALLA . SERVILE .
FORESTERIA — DELLA . TEMPERANZA . CHE . NE-
GLI . ALTRI , LODAVA — IN , TEMPI . CALAMI-
TOSI . PORSE . ESEMPIO . EGLI . STESSO — NE .
MAI . POVERO . SI . DOLSE . DELLA . POVERTA' .
SVA — IN . CARLO . ALBERTO . RE . DI . SARDE-
GNA — DA . evi . FV . FATTO . CAVALIERE —TROVO'.
IL . VENDICATORE 7 DELLA . SVA . FORTVNA — VIS-
SE . ANNI . LXXI — mori' . A . PARIGI . A . Dì' ,
X . d' . AGOSTO . MDCCCXXXVII
c. c.
150
Vitruvii de architectura libri decem^ edente Aloisio
Marinio ee. (V. il voi. antecedente a carte 323).
CONTINUAZIONE.
VJrii edlfizi privati, come abbiamo già osservato,
sono descritti da Vitruvio nel sesto libro. Qui co-
mincia a venir meno uno de'piìi sicuri mezzi, che
tanto all'interpretazione del testo vitruviano ha con-
tribuito, e del quale con sì sana critica fin ad ora
fece uso il Marini, voglio dire l'autorità de'nionu-
menti. Pochissimi sono gli edifizi di tal genere che
il lungo scorrer de'secoli, e più che i secoli la ma-
no devastatrice degli uomini, abbia lasciato giun-
gere fino a noi. La città di Pompei, è vero, ci dà
molti esempi di case antiche: ma in una piccola
città di provincia si cercherebbe invano la ma-
gnificenza e lo splendore delle abitazioni de'dovi-
ziosi cittadini della capitale. Inoltre se Pompei ci
dà un'idea delle case romane, nulla ci resta delle
greche: ed è per ciò che di maggiore ingegno e pa-
zienza ha fatto d'uopo al nostro cementatore, onde
tutte spiegarne le parti, le quali alcune volte Vi-
truvio non fa che accennare, come quelle che da
tutti eran conosciute a'suoi tempi. Prima però di
descrivere i vari edifizi comincia dall'osservare che
in diversa maniera deve costruirsi sotto le diverse
latitudini. Qui fa mostra di alcune idee filosofiche
sulla natura generale delle cose, ed immagina un
trigono nell'universo, il quale dall'orizzonte e dall'
elevazione del polo viene determinato. Questo tri-
gono, male dagl' interpreti spiegato, è slato dal
Ediz. di Vitruvio 151
Marini con una figura delineato, dalla quale se niu-
na buona idea puoi ritrarre in fatto di filosofìa,
puoi almeno intendere il senso delle parole vi-
truviane.
Nel terzo capitolo comincia Vitruvio a dare le
proporzioni, e a descrivere le parti della casa ro-
mana. Le parole cavedio ed atrio^ male da alcuni
interpretate come due cose distinte, ha il Marini di-
mostrato essere presso Vitruvio la stessa cosa: dal
che grandissima chiarezza risulta per la più faci-
le intelligenza del testo. Nella costruzione de* ca-
vedi! molta difficoltà presentavano le parole inter-
pensiva et colliciae, le quali insieme con parecchie
altre molto felicemente sono state dal Marini in-
terpretate, in modo che con quest'opera a tutti gli
amatori della lingua latina ha reso servigio, dan-
do il vero senso di molte parole erroneamente
spiegate fino ad ora ne'lessici. Sarebbe adunque
grandemente da consigliarsi a chiunque si pro-
ponesse di pubblicare un nuovo vocabolario della
lingua latina, che con iscrupolosa diligenza consul-
tasse quest'opera, onde trarne nuove e più esatte in-
terpretazioni di moltissime voci.
Egualmente difficile era il ben comprendere
quali fossero i cavedii testudinati; ma osservando la
figura delineata dal Marini, ed applicandovi le pa-
role vitruviane, facilmente potrà aversene una giu-
sta idea. Questi cavedii non dovevano già essere a
volta, come generalmente solevasi intendere dagl*
interpreti, nominandosi da Vitruvio le contignatio-
nesj le quali con la volta mal si addicono; ma
ricoperti bensì da un tetto in forma di testug-
gine, dal che traevano la loro denominazione.
Dopo i cavedii le alae e le fauces sono de-
scritte da Vitruvio, parole anch' esse mal' intése
j52 Letteratura
dalla maggior parte de'coiijentatori, ma che il Ma*
rini , seguendo soprattutto la pianta delle case
pompeiane , ha con molta esattezza determinate.
Da queste stesse case di Pompei ha egli tolto due
esempi di cavedii, cioè il telrastilo ed il toscano,
i quali vengono in conferma de'cavedii da lui im"
maginati secondo la descrijjione vitruviana. Oltre
i cavedii anche gli eci sono stati dal Marini delineati
con figure, ed i vari generi di essi sono stati tutti
separatamente rappresentati, cioè il corintio, l'egi-
zio, il tetrastilo ed il ci;5Ìceno. Esposte così e di'
chiarate tutte le parli delle antiche case romane,
passa a darne la pianta generale , la quale ninno
certo negherà essere la più esattamente corrispon-
dente alla descrizione di Vitruvio , e nello stesso
tenjpo d'accordo co'monumenti ancora esistenti.
Descritte le case cittadinesche, passa Vitruvio
alle rurali. Di queste però non dà altre proporzio-
ni architettoniche: anzi dice, che se si volesse fab-
bricare con piìi di eleganza una casa di campagna,
dovrebbero prendersi le proporzioni dalle case cit-
tadinesche. Quindi è che gli edifizi rurali non han-
no avuto bisogno di alcuna tavola, e la descrizione
che ne fa Vitruvio è stata soprattutto dichiarata
dal Marini coU'autorità degli altri scrittori di cose
rustiche, i quali non gran fatto da'precetti vitru-
vianì si allontanano.
Dopo la casa romana vien€ la greca, e di que-
sta egualmente che della pei ma si dk una pianta
con molta esattezza delineata secondo la descrizione
dell'autore. Di tutte le parti sono date giustissime
interpretazioni, ma soprattutto del ^vp'^pchv e del
TiooGTug o Trapwrag, non bene intesi dalla maggior
parte degli altri cementatori.
Ediz. di Vitruvio 153
Nell'ultimo capitolo di questo libro sì parla del-
le costruzioni sotterranee e delle sostruzioni, e spe-
cialmente di queste ultime, le quali erano con gran-
dissima cura costruite dagli antichi, che amavano
di avere le loro abitazioni sopra luoghi elevati per
godere di una bella veduta. Tutti i particolari so-
no descritti da Vitruvio onde rendere queste co-
struzioni solide, e capaci di resistere alla spinta del-
le terre: al che non sembra che abbiano molto at-
teso i moderni, vedendosi spesso rovesciare sostru-
zioni recentissime, mentre le antiche ancora resi-
stono malgrado del lungo scorrere di tanti secoli.
Piena di erudizione, e di notizie non date da
altri autori, è la prefazione del settimo libro. In es-
sa pài che altrove mi sembra aver fatto uso Vitru-
vio di quella eleganza di stile , che negli scrittori
dell aureo secolo di Augusto esclusivamente si rin-
viene. A torto infatti il suo stile viene criticato da
molti, che trovar vi vorrebbero le floride frasi del-
1 eloquenza ciceroniana, e che senza por mente che
non è il linguaggio di un retore, ma si di un ar-
chitetto il quale dà i precetti della sua arte, vor-
rebbero giudicarlo per ciò di un' epoca posteriore.
A me pare al contrario che, ove pur tante altre pro-
ve mancassero, il solo stile sarebbe sufficiente per
far credere che abbia scritto a quel tempo. Parec-
chie frasi, è vero, sono alquanto inesatte, molti pe-
riodi duri, ed in genere invano cercherebbesi quel-
la fluidità ed eleganza, che è propria de buoni scrit-
tori di quel secolo; ma niuna espressione pur vi
rinvieni, che non convenga alla più pura latinità
degli ultimi tempi della repubblica, e de'primi del-
l'impero. Se talvolta puoi accusarlo di aver adope-
rato modi di dire un po' antiquati, non ne troverai
G.A.T.LXXIV. il
154 Letteratura
mai alcuno che atl una latinità posteriore possa con
ragione assegnarsi.
Molti sono gli autori e le opere che si ricor-
dano in questa prefazione , come ancora molti gli
architetti, e gli edlfizi da loro fabbricati. Tutti que-
sti soggetti con grandissima erudizione sono stati il-
lustrati dal Marini, e specialmente i nomi, colTau-
torita de'numerosi codici da lui consultati, in gran
parte corretti. I principali sono quei di Chersifro-
jie, Pitio, Dlade^ Deimaco., e Fiiflzio^ i quali ine-
sattamente erano stati dagli altri editori pubblica-
ti. La più. bella correzione però fatta in questa pre-
fazione è quella della parola sessiinonio: lezione as-
surda data da Giocondo, e seguita da tutti gli altri
editori sull'autorità del solo codice bolognese, e con-
traddetta da tutti gli altri manoscritti. Questo voca-
bolo non trovasi usato da alcun altro antico scrit-
• tore, e sa piuttosto di bassa latinità ; quantunque
dal Gessner e dal Forceliini sia stato ricevuto, sul-
l'autorità di Turnebo, ne'loro dizionari.
In due parti può dirsi diviso questo settimo li-
bro; ne'primi sei capitoli parlasi del finimento del-
le fabbriche, cioè de'pavimenti, degl'intonachi e del-
le pitture: nell'altro si dà un trattato de'colori. Con
molta diligenza esegulvansi dagli antichi i pavimen-
ti, e vari strati di grande solidità solevansi costruire
inferiormente, onde impedire qualunque movimen-
to alla superficie, e cosi rendere lo strato superiore
inalterabile. Questo stesso metodo tenevasi anche per
la costruzione delle strade , ed è perciò che tante
se ne conservano ancora con poligoni così ben com-
messi da sfidare ancora molti secoli avvenire. Co-
testi strati avevano varie denominazioni: il primo
chiamavasi statuminazione^ il secondo ruderazione,
Ediz. di Vitruvio 155
ecl il terzo nucleo. Sopra questi facevansi i pavi-
menti di varie e bellissime forme, ed i più begli
esempi dal Marini ne sono stati scelti e riuniti in
una tavola. Vitruvio nomina i pavimenti settili ed
i tessellati^ parole che da molti comentatori erano
state confuse. Il Marini però con molta erudizione
dichiara e prova, doversi pei primi intendere i pa-
vimenti fatti con lastre di varie pietre, e pei secon-
di i musaici. Anche pe'musaìci due Jaegli esempi so-
no dati dal nostro comentatore, cioè il celebre mu-
saico di Otricoli esistente nel museo vaticano, ed il
gran musaico ultimamente scoperto a Pompei.
Dopo i pavimenti vengono gl'intonachi: e tutte
le diverse pratiche usate in ciò dagli antichi sono
dal Marini con molta chiarezza esposte; ma soprat-
tutto la dove delle volte nel terzo capitolo si ragio-
na, è stato portato grandissimo vantaggio al testo.
Coll'autoritk di Palladio , dell' anonimo e di molti
codici ha il Marini letto: Imum caelum earuin pu-
mice trullissetur , deinde arena dirigatur , postea
autem creto marmore poliatur : nelle quali paro-
le hai il metodo tenuto dagli antichi nel fare gl'in-
tonachi, mentre il testo delle altre edizioni ne da-
va una idea del tutto erronea.
Nel capitolo seguente, ove degl' intonachi ne'
luoghi umidi si ragiona, sono state felicemente so-
stituite le tegidae mammatae alle hamatae degli
altri editori, come quelle che presentano una fa-
cile etimologia dalla loro forma stessa , e delle
quali vari esempi si ritrovano ne'ruderi antichi ,
che con molta diligenza sono stati delineati.
Dopo gl'intonachi vengono le pitture, le quali
di vario genere dovevano essere ne'diversi edifìzi.
La megalographia e Vopiis topiarium sono le due
156 Letteratura
maniere principali descritte da Vitruvio: il testo pe-
rò era cosi viziato, che difficilmente poteva trar-
sene un senso ragionevole. Il Marini tuttavia coti
la sola traslocazione di un inciso ha reso la fra-
se vitruviana chiarissima , e concordante con ciò
che dice Plinio parlando di Ludio inventore di chie-
sto genere di pittura che topiaria si appella. Con-
tro siffatta maniera di dipingere forse con troppa
veemenza si scaglia Vitruvio, mentre vediamo che
con molta grazia ne fu fatto uso dagli antichi, e
con buon successo fu imitata da'moderni ne'così
detti arabeschi. Nella descrizione di queste pittu-
re, la voce harpaginetuU, male intesa da tutti gl'in-
terpreti ed editori , è stata coU'autorità de'monu-
menti molto giustamente spiegata, e tre tavole ha
il Marini formale, nelle quali i più begli ornati
delle pitture pompeiane veggonsi riuniti.
Dopo questo capitolo, grandissima è la confu-
sione che si ritrova in tutti i codici ed edizioni del
secolo decimoquinto. Molte trasposizioni, non solo
di periodi, ina di capitoli intieri, sono state erro-
neamente introdotte per incuria degli amanuensi :
il che ha reso la materia, di già per se molto dif-
ficile, anche piìi astrusa ed intralciata. Giocondo è
stato il primo a riordinare il testo e ad introdur-
vi notabili miglioramenti. Non credo però potersi
dare a cpiesto editore il vanto di aver da per se
solo così ristabilita la lezione del testo, ma piut-
tosto suppongo aver egli avuto sotto gli occhi qual-
che altro manoscritto di Vitruvio non giunto fino
a noi, il cjuale non era così viziato in questo luo-
go. Infatti non solo ha Giocondo ristabilito l'ordine
nella narrazione vitruviana, ma vi ha aggiimto in-
tieri periodi, i quali sono del tutto concordanti col
EdIZ. di VlTRtJVlO 157
contesto , e perfettamente scritti nello stile vitru-
vlano. I codici di Vitruvio che noi conosciamo deb-
bono venir da una sola sorgente, combinando tutti
nelle trasposizioni erronee che si trovano in questi
capitoli.
Malgrado però che nlun manoscritto abbia po-
tuto servire di guida al Marini per qui correggere
il testo dato da Giocondo, pure molti miglioramen-
ti vi ha introdotti servendosi di una giudiziosa cri-
tica. Cos'i, a cagione di esempio, la parola moluntur
che mancava nel capitolo sesto, e che era esubex'an-
te nell'ottavo, è stata molto ragionevolmente riposta
al suo luogo. Il capitolo intorno al minio, che con
ninna ragione era stato da Giocondo diviso in due,
il Marini l'ha di nuovo riunito in un solo: poiché
le parole Revertar nwic ad minii temperaturam ser-
vono chiaramente a ricondurre il discorso al minio,
dopo aver parlato dell'argento vivo, e non già ad
incominciare un nuovo capitolo.
In due classi dividonsi da Vitruvio i colori, in
naturali cioè ed in artefatti. I primi sono l'ocra , la
rubrica , il paretonio, il melino, la creta verde ,
l'orpimento, la sandaraca , il minio, la crisocolla,
l'armenio e l'indaco. Tutti sono con molta erudizio-
ne dal Marini illustrati: e per evitare una confusio-
ne fatta da alcuni interpreti, comincia egli dal di-
mostrare che il minio di Vitruvio corrisponde al ci-
nabro de'moderni, ed il minio de'moderni è secon-
do Vitruvio la sandaraca usta. I colori fattizi poi
sono l'atramento , il ceruleo, l' usta, la cerussa ,
l'erugine, la sandaraca fattizia e l'ostro. Qui tratta
a lungo della porpora presso gli antichi, e dimostra
coU'autoritk di Plinio in qual maniera dalle con-
chiglie si ritraesse.
Finalmente nel capitolo de'colori imitanti gli
158 Letteratura
altri, molte materie coloranti sono nominate da VI-
truvio non ancora Len conosciute. Sopra tutte ha
sparso grandissima luce il nostro comentatore: ma
quelle che con maggiore erudizione sono state trat-
tate sono Vistino, il vaccinio e X'iaotxi^.
Gon questo libro pone termine Vitruvio ai
suoi precetti d' architettura propriamente detti ,
e termina di dare le regole direttamente applica-
bili alla costruzione degli edifizi. Ne libri seguenti
d'idraulica , d' astronomia e di meccanica si ra-
giona : libri non meno istruttivi de' precedenti ,
perchè lo stato di tali scienze a'tempi di Vitru-
vio ci fanno conoscere, e degni ben sono di es-
ser consultati da tutti coloro che a queste stesse
scienze si applicano almeno per isterica erudizione.
Le acque adunque formano il soggetto dell'
ottavo libro, ove si espone la maniei'a di ritro-
varle, di condurle e di livellarle. Inoltre si ra-r
giona a lungo sulla salubrità dell'acqua, dandosi
diversi metodi per esperimentarne la bontà, e si
enumerano molte sorgenti buone o nocive , sco-
perte nelle diverse regioni della terra. Sembra che
l'autorità di Vitruvio su tal materia fosse di gran
peso presso gli antichi. Frontino ci dice, nel suo
trattato sugli acquidotti, aver dato Vitruvio il nome
ad una fìstola che dicevasi quinaria. Siccome poi
tutta la nomenclatura delle fistole, le quali a mi-
surar l'acqua servivano, dipendeva dallo stesso prin-
cipio, così v' ha ragion di credere che non alla
sola quinaria , ma a tutte in genere abbia dato
il nome Vitruvio.
Dall'alto prende Vitruvio le mosse per trat-
tare un tal argomento, cominciando dall' enume-
rare le varie opinioni degli antichi fiiosofi sugli
Edix. di Vitruvio 159
elementi componenti il sistema universale della na-
tura, ed adottando, secondo il suo solito, quella
de' pittagorici, i quali quattro ne riconoscono. Fra
questi principalmente si distingue il principio umi-
do, con culto particolare adorato nella religione
egizia: dal che prende motivo di parlare dell'ado-
razione speciale, in che i sacerdoti egiziani ave-
vano il canopo. In ciò è stata fatta al testo dal
Marini una bella correzione, a dir vero già pro-
posta dal Fea, ma che non era stata adottata dallo
Schneider nella sua edizione di Vitruvio; edizione
che per certo doveva riguardarsi fino adesso come
la migliore per la correzione del testo, ma che ora
è stata di molto superata da quella del Marini, si
per le nuove emendazioni fatte dal nostro cementa-
tore, e sì ancora pel copioso corredo di tavole che
l'accompagnano, delle quali l'altra è intieramente
mancante , e perciò di pochissimo vantaggio sotto
il rapporto artistico. In questa sola prefazione due
passi sono stati diversamente pubblicati dal Marini
e dallo Schneider: e chiunque avrà la pazienza di
confrontarli, giudicherà facilmente quale delle due
lezioni debba proferirsi.
Nel capitolo primo ancora di questo stesso li-
bro, per tacere di tanti altri esempi, ove parla de-
gli esperimenti da farsi dopo aver trovata l'acqua,
è stato dal Marini, colla sola espunzione della pa-
rola /io«, corretto un gravissimo errore introdot^
to da Giocondo nel testo , e non avvertito dallo
Schneider. Si può adunque asserire con franchezza,
che l'edizione dello Schneider, nella parte in cui
può con ragione dirsi superiore alle antecedente-
mente pubblicate, è di minor pregio di quella del
Marini, e nelle altre parti non è pur capace di so-
stenerne il confronto.
160 Letteratura
Nel secondo capitolo si ragiona dell' origine
delle piogge, e s' indicano le sorgenti de'principali
fiumi conosciuti dagli antichi. Tutto ciò che da' geo-
grafi e dagli storici dell'antichità fu scritto su tal
materia, è stato dal Marini con huon esito messo a
profitto, tanto per isciogliere molte difficoltà che si
presentavano, quanto ancora per meglio determina-
re alcune località, intorno alle quali gli altri editori
erano incerti. Il capitolo però di questo libro, ove
incontrasi il maggior numero di tali difficoltk, è il
terzo. In esso Vitruvio enumera con molta eru-
dizione tutte le sorgenti che erano meglio cono-
sciute per qualche singolare proprietà; il, che ha
dato luogo a grandissime ricerche geografiche ed
erudite con istancabile pazienza eseguite dal Ma-
rini, non che a molte emendazioni che lungo sa-
rebbe di voler tutte c[ui riferire. Le principali so-
no quelle delle pagine -148 e 149, come ancora l'al-
tra dell' ^rabiaq uè Nomadum in vece di Numida-
rum, come erroneamente leggevasi in tutte le altre
edizioni.
Ne delle sole sorgenti di acqua parla Vitruvio
in questo capitolo, ma da esse prende occasione di
parlare ancora di altri prodotti naturali indigeni
de'vari paesi; e la dove nomina varie sorte di vini,
ì\ protropo ed il tmolite sono stati molto giustamen-
te sostituiti aI protiro ed al melife della maggior par-
te delle altre edizioni. Oltre i vini, molte piante so-
no anche menzionate da Vitruvio, e fra queste spe-
cialmente il laserpizio e stato con molta erudizione
illustrato dal Marini: e quantunque non possa deter-
minarsi a quale delle piante da noi conosciute esso
corrisponda , pure tutto ciò che ce ne han detto
gli antichi è stato dal nostro comentatore in una
nota riunito.
EdIZ. di VlTRUVIO 161
Tre epigrammi greci vengono da Vitruvìo ri-
feriti in questo capitolo, i quali in pochissimi co-
dici si leggono, e sono molto viziati per l'imperi-
zia degli amanuensi. Sclineider ne ha dato la le-
zione pili corretta, profittando principalmente di
Fozione (Excerpta pag. 126), il quale riporta gli
stessi epigrammi. Una sola osservazione sulla lezione
schneideriana mi si presenta, ed è sul primo pen-
tametro del terzo epigramma, in cui leggesi:
Aovrpòe [xev ày^ft'j^Txcig d[31oc^^ iariv l'/j-v^'
ed ove invece di àpXa/3>7 leggerei piuttosto c</5X«/3àg
per la quantità, essendo la terza di «pXa;/3/j di na-
tura sua lunga. So Lene che i greci si permettono
molte licenze nella loro poesia, e potrebbe per av-
ventura sostenersi anche l'altra lezione: ma avendo
una parola, la quale dk lo stesso senso con una lo-
cuzione forse anche più greca, e che meglio adat-
tasi alle regole della prosodia, mi sembra doversi
questa preferire.
Dopo gli epigrammi greci molte altre corre-
zioni di grandissima importanza si trovano fatte dal
Marini in questo stesso capitolo , fra le quali ne
indicherò soltanto due. La prima è dove leggesi:
» C. luluis Masinthae filias .... cicm patre sub
Cassare militavit: » e l'altra « Qui magna vigilantia
et infinito studio locorum^ proprietates aquarum-
que virtutes ah inclinatione caeli terraeque regio-
num qualitatihus ita esse distrihutas scriptis de-
claraverunt ». Lungo sarebbe il voler qui riferire
tutte le ragioni che hanno indotto il Marini a pub-
blicare cos'i questi due passi, scostandosi dalla le-
zione di tutti gli altri editori. Noi non vogliamo
1G2 Letteratura
che accennare i principali miglioramenti fatti dal
Marini al testo vitruviano, affinchè coloro che lo
leggeranno possano più facilmente osservarli : e
quelli che non vorranno tutto da capo a fondo stu-
diarlo, possano pure da per se stessi giudicarne.
Nel quinto capitolo parla Vitruvio de'vari stru-^
menti che solevansi adoperare dagli antichi per li-
vellare le acque, e specialmente del corobate, del
quale dice voler dare la figura nel fine del volume.
Questa, come tutte le altre, non esiste più, ma è
stata dal Marini secondo la descrizione vitruviana
esattamente delineata, e nella stessa tavola sono sta-
te ancora rappresentate le diottre e la livella ad
acqua. Questi ultimi istrumenti, non essendo partir?
colarmente descritti da Vitruvio, ne trovandosene
esempi nell'antichità, sono stati delineati, quali dor-
vevano essere presso a poco, per servire allo scopo
al quale erano destinati. Terminata la descrizione
del corobate, in tutte le edizioni si leggono le pa-f
role: » Ei sì erit fastìgium magnum facilior erlt dei
cursus aquae. Sin autem intev\>alla erunt lacunosa,
substructionihus erit succurrendunii » le quali evi-
dentemente non hanno che fare in questo luogo,
e si vede chiaramente essere uno sbaglio de'copi-!
sti. Il Marini però non solo le ha tolte di qui co->
me fuori di posto, ma ha anche trovato dove col-
locarle, cioè nel principio del capitolo seguente, ove
riempiono perfettamente una lacuna che si ritrova
in tutti i codici ed edizioni, ed egregiamente com-
binano col contesto. In questo capitolo parla delle
diverse maniere di condurre l'acqua per mezzo di
acquidotli, ovvero di tubi di piombo o di terra
cotta. Tutti questi metodi sono chiaramente esposti
dal Marini, ma in ispecial modo là dove si tratta
EdIZ. di VlTRUVIO 163
della maniera di far discendere e risalir 1' acqua
ne'luoglii d'ineguale livello, molte belle innovazio-
ni sono state fatte nel testo, fondate tutte sull'au-
torità de' codici, e fra le altre è stata introdotta
la parola colliqidarla invece dell'antica columnaria,
spiegandone chiaramente l'uso e l'etimologia. Una
tavola ancora è stata ideata dal Marini per indica-
re queste varie specie di acquidotti, aggiungendovi
anche un castello per la distribuzione dell'acqua; e,
come monumenti che vengono in conferma delle sue
asserzioni , sono stati dati in un' altra tavola gli
acquidotti esistenti alla porta tiburtina, ed il ca-
stello dell'acqua Giulia sull'Esquilino. Queste sono
le tavole che accompagnano l'ottavo libro.
Sempre crescenti sono le difficoltà nell'opera
di Vitruvio, e chi per poco sentisse venirsi meno
M coraggio, mal potrebbe compiere l'arringo. I due
ultimi libri, che ci rimangono ad esaminare, sono
quelli su i quali il nostro cementatore deve aver
durata somma fatica per darceli quali si leggono
nella sua edizione. Maggiori erano gli ostacoli che
dovevano superarsi , si perchè il soggetto diviene
più astruso, s\ ancora perchè i codici sono più vi-
ziati; e minori erano le risorse, per la mancanza dei
monumenti, e per l'abbandono de'comentatori , i
quali pochissimi sforzi han fatto in questi ultimi
due libri, ed hanno del tutto trascurato di dichia-
rarne i passi più oscuri.
La prefazione stessa di questo libro era stata
divisa in più brani dagli altri editori fino a Rode.
Eglino avevan fatto tre capitoli separati delle sco-
perte di Platone, di Archimede e di Pittagora, rife-
rite da Vitruvio solo come esempi atti a provare la
grande utilità che ritrae la società dalle scoperte
164 Letteratura
scientifiche. Ove comincia dunque il quarto capito-
lo delle altre edizioni, deve riguardarsi come termi-
nata questa prefazione: e quivi comincia Vitruvio a
svolgere la materia trattata in questo libro, parlan-
do dei dodici .segni dello zodiaco e de'sette pianeti,
Nel principio di questo capitolo ha dato il Marini
un elenco di tutti gli scrittori antichi di astronomia,
e di tutte le loro opere che sono giunte fino a noi.
Da questi ha desimto le principali correzioni, con
cui ha grandemente migliorato il testo. Ad ogni
passo un poco dilficile forma egli un parallelo fra
Vitruvio e gli altri autori , e cos'i non solo si hanno
le diverse opinioni degli antichi su questo soggetto,
ma dal confronto di queste stesse opinioni, e dalle
parole viziate de' manoscritti, risulta la vera le-
zione. Confrontando il testo dato dal Marini con
quello delle altre edizioni, facilmente scorgerassi
quanto sia stato migliorato. Noi secondo il nostro
solito non isceglieremo che pochi esempi per darne
una idea ai nostri lettori.
Nel capitolo primo si leggeva in tutte le edi-
zioni, che Giove fa la sua rivoluzione „ post annos
undecim et dies tricentos sexaginta tres: ,, mentre
che il Marini, calcolando il periodo tolemaico, ha
veduto che la rivoluzione di Giove doveva farsi in
undici anni, trecento tredici giorni ed alcune ore.
Allora appoggiato alla lezione del codice vaticano 11
ha corretto il testo, ed ha ietto post annos undecim
et dies trecentos tredeciinx il qual numero si avvi-
cina molto più dell'altro al vero tempo impiegato
da Giove nella sua orbita periodica. Questa corre-
zione ha indotto necessariamente l'altra di trecentis
sexaginta diehus invece di trecentis sexaginta quin-
cjue diehus , per lo spazio di tempo impiegato da
Eniz. DI ViTRuvio 165
Giove nel percorrere ciascun segno dello zodiaco.
Quello poi che prova sempre pili la giustezza della
correzione del Marini si è, che in tutti i codici sì
legge trecentis saxaginta, e non sexaginta qidnque
diebiLs.
Nel principio del capitolo secondo si leggeva
ne'codici De zona duodecim signorum et contrario
opere ac ciirsu : lezione resa anche peggiore dalle
correzioni degli editori, e che il Marini molto in-
gegnosamente ha ristabilita sopprimendo le due let-
tere o e e, erroneamente ripetute dagli amanuensi, e
dando perciò De zona duodecim signorum et septem
astrorum contrario per ea cursu.
I capitoli quarto e quinto, ne'quali si descrivo-
no le costellazioni boreali ed australi, sono quelli
che contengono le maggiori emende. Questi due ca-
pitoli sono oltremodo viziati ne'codici: ma il Mari-
ni, seguendo la descrizione delle costellazioni data
dagli altri astronomi antichi, e soprattutto il globo
farnesiano, solo monumento che ci rappresenti le
costellazioni quali erano state ideate dagli antichi,
ha fatto al testo grandissimi vantaggi , che sarebbe
lungo di qui enumerare, ma che consigliamo di ve-
rificare a tutti coloro che vorranno convìncersene.
Dopo viene la descrizione dell'analemma, per
mezzo del quale si determinava il rapporto fra il
gnomone e l'ombra onde formare gli orologi solari.
Il Marini ha non solo esattamente delineato l'analem-
ma quale viene descritto da Vitruvio, ma siccome in
questo sono indicate soltanto le ombre equinoziali ,
ne ha aggiunto un altro per mezzo del quale posso-
no aversi le ombre mensili. Molti antichi orologi so-
lari sono stati dal Marini riuniti in una tavola, per
farne conoscere le forme piU straordinarie nomina-
lS^ Letteratura
te da Vltruvio. Descritti siflfatti orologi passa Vitru-
vio a parlare degli anaforici, o sia di quelli ad
acqua. Di grandissima difficolta era la costruzione
di tali orologi presso gli antichi a motivo dell'ine-
guaglianza delle ore, dividendo essi, come ognun sa,
in dodici parti eguali il giorno e la notte: il che
rendeva le ore del giorno pili lunghe nell'estate e
più brevi nell'inverno, ed il contrario accadeva per
quelle della notte. Ad indicare questo cambiamento
giornaliero delle ore, macchine ingegnosissime ven-
gono descritte da Vitruvio, le quali da ninno de'suoi
interpreti erano state ancora ben comprese. In fatti
niun comentatore ha dato le figure rappresentanti
gli orologi ad acqua, tranne Perrault, dal quale le
copiarono gli editori udinesi , quantunque sieno
molto discordanti dal testo vitruviano. Il Marini al
contrario le ha delineate con tanta esattezza, che
non solo corrispondono perfettamente allo scopo de-
siderato, ma vi trovi pur anche ragione di ciascuna
parola impiegata da Vitruvio.
Due altre tavole di grandissima importanza
accompagnano questo libro, una delle quali ci da
le costellazioni quali vengono descritte da Vitruvio,
e l'altra il globo farnesiano esistente in Napoli ,
fatto disegnare e pubblicato molto più correttamen-
te di quello che lo era stato fino ad ora.
Colla descrizione degli orologi anaforici termi-
na Vitruvio il suo nono libro, e passa a trattare del-
le macchine sì civili e sì militari nel decimo. Questo
libro se è l'ultimo nell'ordine con cui è distribui-
ta l'opera, può certamente dirsi il primo per le dif-
ficolta che presenta. La maggior parte de' comen-
tatori sono stati così scoraggiati dall'oscurità e cor-
ruzione del testo, che o hanno intieramente dispe-
"EdiZ. di VlTRUViO 167
rato di poter giungere ad alcun buon risultato, ov-
vero han fatto lievissimi sforzi ^ e con poco huon
esito. Giustamente quindi il Marini , ammaestrato
dall'esempio degli altri, cominciò il suo lavoro su
Vitruvio da questo libro, per potere con maggior
vigore incontrare tutti gli ostacoli e superarli. Quan-
to ciò gli sia ben riuscito, facilmente potrà vedersi.
Nel primo capitolo comincia Vitruvio dal defi-
nire le macchine e darne i diversi generi: quindi
fa una distinzione fra macchina ed organo^ dicen-
do che per mettere in moto la prima fa bisogno
di pili persone, mentre per l'altro ne basta una so-
la. Come esempi di quest'ultimo sono dati gli scor-
piojii e gli anisocicli. Niuno ancora aveva potuto
spiegare che cosa intendesse Vitruvio col nome di
anisocicli: e que' pochi che avevan pure proposta
qualche congettura, l'avevan data così priva di fon-
damento, ch'essi stessi erano i primi a dubitarne.
Il Marini, persuaso che il miglior mezzo per inten-
dere questo libro era uno studio profondo deMe-
chanici e Mathematici s^eteres, ha cominciato a svol-
gerli non solo nelle migliori edizioni , ma ancora
iie'più corretti manoscritti, ed ha riunito materiali
<la poterne facilmente dare una nuova edizione. Stu-
diando cotesti autori s'imbattè in una figura di Ero-
ne data da Pappo (Coli. Mathem. lib. Vili, probi.
VI, prop. 10), in cui appunto vien rappresentato
un istrumento mosso dalla forza di un sol uomo,
ed atto a sollevare grandi pesi per mezzo del mo-
vimento di circoli ineguali. Dal che egli fu a buon
diritto indotto a credere, esser questo e non altro
r organo indicato da Vitruvio col nome di aniso-
cicli.
Nel secondo capitolo si cominciano a descri-
468 Letteratura
vere le macchine trattorie, e primieramente la ca^
pra. Composta di tre travi l'immaginarono tutti gli
editori ed interpreti di Vitruvio, indotti in errore
da Giocondo, il quale invece di tigna duo di tutti
i codici aveva letto tigna tria, cambiando il testo
senza alcuna necessita. Il Marini però ha ristabi-
lito l'antica lezione de' codici, dimostrando che di
questa macchina composta di due travi deve asso-
lutamente parlare Vitruvio , e che altrimenti non
si potrebbero spiegare i retinacida ed i funes an-
fani, provando inoltre che una tal macchina era
conosciuta dagli antichi, e che trovasi descritta da
Aristotele e da Erone. Varie altre macchine per in-
nalzar pesi e per fare salir l'acqua sono descritte
da Vitruvio, e tutte con molta diligenza illustrate
e disegnate dal Marini: ma le più complicate e dif-
ficili fra le macchine civili sono la tromba di Gte-
sibio e l'organo idraulico. La macchina di Gtesibio
altro non era che una tromba aspirante e premen-
te: ma siccome molti particolari sono indicati da
Vitruvio per la sua costruzione, il formarla esat-
tamente a seconda della descrizione vitruviana riu-
sciva assai malagevole: e lo stesso Newton, il quale
è stato il solo fra i cementatori il quale abbia spar-
so qualche luce su cjuesto libro, nulla dice di que-
sta macchina. Il Marini ha principalmente profit-
tato della descrizione che da Erone (Spirit. p. 180)
di una tromba destinata ad estinguere gl'incendi,
ma che differiva in alcune cose da quella di Ctesi-
Lio; ed inoltre della trom])a antica trovata presso
Civitavecchia, che si conserva nella biblioteca va-
ticana, e che a dir vero combina piìi colla descri-
zione di Erone che colla vitruviana. Oltre i mo-
numenti anche i codici sono stati chiamati in soc-
Ediz. di ViTRurio 4G9
corso , e col loro aiuto molti miglioramenti sono
stati fatti al testo in quésto capitolo: e così il Ma-
rini, fornito di tutti qilesti mezzi, ha potuto ideare
una tavola, la quale esattamente corrisponde alla
descrizione data di questa macchina da Vitruvio.
La pili complicata però delle macchine de-
scritte iiella prima parte di questo decimo libro
e senza dubbio l'organo idraulico.
Molte correzioni sono state fatte al testo a co-
minciare dal titolo di questo capitolo, il quale in
tutti i codici si legge de hydraiiU'cis^ e che giu-
stamente il Marini ha cambiato in de hjdriudis
con l'autoritk di Plinio e di Ateneo. Inoltre alcune
parole sono state confuse dagli amanuensi che non
ne capivano il significato, come arca ed arcala, le
quali indicavano due parti distinte delTorgano, e
che sono state dal Marini riposte nel loro luogo.
La diflicolta maggiore però era 1' intelligenza di
tutto il meccanismo di questa màcchina, che non
era stata rappresentala, e molto imperfettamente,
che da pochissimi interpreti di Vitruvio.
Determinato però bene il senso di ciascuna
parola^ e fissate le differenze che passano fra l'or-
gano descritto da Vitruvio, e quello di Erone , il
nostro conienfatore ha tolto tutte le difficolta, ed
ha delineato una tavola , colla quale ove si con-
fronti il testo vifruviano , tutto si trova maravi-
gliosamente combinare.
Dopo le macchine civili descrive Vitruvio le
militari. Se fino ad ora il nostro comentatore ha
lasciato di gran lunga dopo di se tutti gli altri in-
terpreti, ora può dirsi a ragione essere egli il solo,
ninno avendo potuto intendere questi ultimi ca-
pitoli. Una delle prime difficolta che si presenta-
G.A. T.LXXIV. 12
170 Letteratura
va era il diciferare le sigle adoperate da Vltruvio
per indicare le misure delle parti componenti le
catapulte e le baliste. Il Marini con un metodo
analitico ha provato primieramente , che V unita
alla quale riferivansi tutte queste frazioni era il
diametro del forame che doveva ricevere la ma-
tassa. Era d'uopo trovare quale fosse il denomina-
tore di queste frazioni , non essendo indicato da
Vitruvio. Da principio credette egli che fosse il nu-
mero 12, ma poscia molto giustamente stabili es-
sere divisa l'unita in sedici parti. Alle ragioni da
lui addotte per determinare questa divisione, po-
trebbe aggiungersi che Vitruvio stesso nel capi-
tolo primo del libro terzo, ove parla del numero
perfetto, riconosce il numero 16 come perfettis-
simo , e divide il piede in sedici digiti , ed il
danaro in sedici assi. Che anzi in questo stesso li-
bro al capitolo XIV , parlando del diametro che
deve avere il forame del capitello della balista, lo
determina in digiti , i quali nel numero di 16
formano il piede. Fissato il denominatore, era d'uo-
po conoscere anche il numeratore: e qui il Ma-
rini, dopo avere esposto i vari metodi usati da-
gli antichi per esprimere le frazioni , ci fa co-
noscere che lo erano per mezzo di lettere greche.
Ne è da maravigliarsi se ha trovato in un au-
tore latino le frazioni indicate alla maniera greca,
mentre molte cose tolse Vitruvio dagli autori gre-
ci: e specialmente ciò che riguarda le macchine
militari, egli copiò quasi interamente da essi.
Non bastava però l'aver determinato il valor
delle sigle per poter con esattezza delineare le mac-
chine secondo i precetti vitruviani, mentre queste
sigle spesse volte erano viziate per colpa degli ama-
Ediz. di Vitruvio iti
tluensì. Ad altri principi! bisognava dunque ricor-
rere per poterle anche correggere quando non fos-
sero esatte: ed a questa correzione giunse il Marini,
specialntiente la dove sì determina il forame del-
la balista dal peso del sasso che deve lanciare. Do-
po molti calcoli trovò finalmente» che il diametro
del forame era eguale alla radice cuba del peso
moltiplicato per cinquanta: ed applicando questa
scoperta alle sigle vitruviane, vide che la maggior
parte di esse erano esatte, e quelle che erano state
mal copiate, furono con matematica precisione fa-
cilmente corrette.
Superate tutte queste difficoltà^ restava ancora
a bene intendere ciascuna delle parti componenti
siffatte macchine. Anche queste furono assai accu-
ratamente delineate dal nostro comentatore : per
modo che leggendo il testo, ed avendo avanti gli oc-
chi la figura, trovasi agevolmente dato conto di cia-
scuna.
Oltre le catapulte e le baliste , anche le al-
tre macchine oppugnatorie sono state con egual di-
ligenza illustrate e delineate, ed esse compiono il
numero delle centoquaranta tavole accompagnanti
quest'opera.
Ci resta ancora a dire qualche cosa del terzo
volume, nel quale sono state primieramente riuni-
te tutte le varie lezioni risultate dal confronto de*
numerosi codici, e di tutte le edizioni. Monumen-
to colossale di pazienza filologica, e di cui non po-
trebbe citarsi il secondo esempio. Gli editori an-
, che più accurati de'classici si sono sempre limi-
tati a dare le varianti di pochissimi codici , e
queste soltanto ne'passi un poco ambigui. Qui il
filologo trova riunite per ciascuna parola tutte le
172 Letteratura
varie lezioni, dì modo che può facilmente convin-
cersi della giustezza della lezione adottata dalTedi-
tore, ovvero preferirne un'altra.
Il tesoro delle varie lezioni è seguito dal com-
pendio di architettura comunemente chiamato 1'^-
nunimOf perchè appunto non si conosceva chi ne fos-
se stato il compilatore. Il Marini però coH'autorita
del codice secondo vaticano ha dimostrato, che que-
sto compendio fu fatto da Flavio Eutropio, sotto il
quarto consolato di Valentiniano secondo. Il testo
del compendio è stato dal Marini stesso in molti
luoghi emendato, confrontandolo co'tre codici esi-
stenti in Roma; e colle quattro edizioni che ne so-
no state pubblicate. Non vi aggiunse illustrazioni,
perche superflue, essendo trattati in questo com-
pendio gli stessi soggetti di cui parlasi nel testo
vitruviano.
Pongono fine all' opera tre indici copiosissimi
ed esattissimi: il primo delle materie contenute tan-
to nel testo, quanto ne'comenti: il secondo delle pa-
role greche, ed il terzo degli autori citati nelle note.
Queste sono le riflessioni suggeritemi dalla let-
tura della nuova edizione del Marini: e scrivendole,
lo scopo principale che mi sono proposto si è sta-
to di farne vie meglio apprezzare il merito ai let-
terati ed agli artisti. Se nulla si è ancor fatto in Ro-
ma per incoraggire un'opera cosi favorevolmente
accolta da tutta l'europa, possa almeno la mia debo-
le voce destare ne'miei concittadini il sentimento
della riconoscenza ben dovuta ad un autore, che con
tanto studio e fatica, e con non lieve dispendio con-
dusse a termine un lavoro, da cui non piccola glo-
ria deriva alla nostra patria!
Vincenzo Ballanti
173
Jn funere serenissimi Àntonii Saxoniae regis^ ora-
tio habita in sacello vaticano XI kal. ianuar. ad
sanctissimum doniinum Gregorium papam XP^I
ab angelo Mai praelato domestico et sacri con'
silii Christiane nomila propagando a secretis. 4.
Jiomae 1837. (Sono carte 16)
A
ngelo Mal, ora porporato amplissimo di santa
chiesa, è di si famosa celebrità in Europa e fuori,
che non v'ha sapiente che al nome di lui non levisi
per riverenza. Egli principe de' moderni filologi ,
egli scopritore maraviglioso ed illustratore dottis-
simo d'insigni opere greche e latine, egli donato in
fine, come ben disse il Niebuhr, quasi provvidenza
del cielo alle lettere di questo secolo. Or ecco l'ulti-
mo scritto che il grand'uomo ci ha dato colle stam-
pe innanzi che la Santità di Gregorio XVI rime-
ritasse tante fatiche, tanta virtìi, tanta gloria colla
porpora vaticana.
Le belle azioni, che fecero a tutti si veneran-
da la vita del re Antonio di Sassonia, sono qui nar-
rate come convenivasi al luogo augusto dove l'ora-
zione fu recitata, alla maestà di chi l'ascoltava, alla
dignità di chi la diceva. Tutto in essa spira be-
neficenza, mansuetudine, religione, amor vero del
retto: sicché il cuore veramente ti gode all'imma-
gine di quella egregia bontà, che tanto ritrasse da'
costumi de'patriarchi. « lam ut regias (egli dice)
» AntOTiU virtutes et opera brevissime attingam ,
174 Letteratura
» magnum statini ab irjito principatu liberalltatis
» clocumentum extulit, remissa reipublicae ingenti
n pecuniae summa , quae more valere ac feudali
» iure ad eum pertinebat. Rursus levandis populi
» oneribus vìgilanter inlentus, vectigalia varia, nec
» non superflua quaedam officia antiquavit: rogan-
» tibus rusticis, feras regio venatui reservatas ma-
» gnam partem sustulit; aulicas impensas imminuit;
» cuncta ad parsinionìam, quam Cicero maximum
» reipublicae vectigal esse ait, revocavit; simpli--
» cilatem denique atque modestiam sibì ac suis
» sumniam indixit. - Sic pulso luxu domestico, nil
» mirum est quod publicis operibus et commodi-
» tatibus pecunia abunde suffecerit. Hinc spiendi-
» dus fluvio Muldae pons impositus cum infinita
» commeantium utilitate. Hinc in urbe Lipsia, in
» eius celeberrimae acadcmiae gratiam, absolutum
» augusteum. Hinc in regni metropoli Dresda exor-
» natae aedes et auctae, novaeque litterarum , rei
» agrariae et variarum artium scholae institutae.
» Vultis promptam Antonii regis liberali tatem co-
» gnoscere? Aedificium quoddam populi usibus ap-
» prime commodum in monte proximo repente
» nunciatur aquarum diluvio dirutum. Ilex ipse il-
» lue, sumpta pecunia, advolat, atque id protinus
» instauratum opificibus miseris reddit. Vultis mi-
» sericordiam rescire? Maestissimae matris preci-
» bus filium unicum, sortis lege militiae addictum,
» repente restituit. Denique laus non mediocris An^
» tonii regis est , quod cum Leone XII pontifice
» maximo, quem olim prope hospitem Drcsdae iia-^
» buerat, singuiarem araicitiam et litterarum com-
» mercium coluit, eique et successoribus eius ob-
» scquium summum exhibuit. »
Orazione del Mai 175
Singolare è anche quel luogo , e pieno di ele-
gantissima facondia, dov'egli favella di quanto v'ha
di più felice e gentile e magnifico nel regno sasso-
ne, non che delle citta fiorentissime di Dresda e di
Lipsia: » Atque ut iucundiora potius dicam (aveva
toccato il Mai delle grandi battaglie da Napoleone
combattute nella Sassonia) nemo certo est qui sa-
» xonicum rcgnum, quamquam adversitatibus diu
» vexatum, peculiari admiralione dignum non ar-
» bitretur: nam et dialecto inter teutonìcas puris-
» sima et suavissima utìtur, et litteratis hominibus
» apprime affluit, et industria varia atque opificiis
» miris excellit. Quid memorem germanorum Athe-
» nas Lipsiam, ad quam propter summorum ma-
» gistrorum famam, librorum multitudinem, do-
p ctrinarum universitatem, celebres etiam bis quo-
» tannis novorum et veterum scriptorum nundinas,
» tota ex Europa concurri tur? Tanta vero est in
» urbe regali Dresda monumentorum veterum si-
» ve pictoriae artis sive statuariae copia, ut cura
Il nobilioribus urbibus certare possit, in nonnuUis
» etiam videatur superior. Ncque soli saxonici na-
» tura feliciorum regionum honori cedit: exuberat
» enim metallorum variorum fodinis, pretiosis la-
« pidibus atque marmoribus, argillis etiam unde
» murrhina vasa ad miraculum fiunt: alendo deni-
» que populo magnam vim frugum fructuumque
» suppeditat; riguis fiuminibus, latis pastionibus,
» caeduis silvis, salinarum vectigalibus, amoenita-
» tibus plurimis, et multitudine rerum quae ex-
» portantur, abundat. Quis enim nescit quantae fue-
» rint apud saxones christianae religionis ecclesiae-
» que opes iam inde a Carolo magno tot pinguium
» sacerdotiorum institutore? Ncque ipsam denique
176 Letteratura
» belllcam saxonici pppuU gloriam reticere queo,
» iam usque abs gentis origine inclytam, et fortis-
» s>ìrms ejfei'cituunj imperatpribus clarissimisque
» gestis refertaiTi. »
Bellissimo infine, e tjegno di iina filosofia, come
quella del Mai, tutta fondata nella verità delle sa-»
ere carte e jiella prudenza delle profane, è il chiu-
dersi dell'ora^ipne; » Iam vero liuic regi, quum sui
» ex quadara consuetudine agnomen quaererent ,
» quo ab aliis distingueretur, non gloriosijm, non
» fortem, non triumphatorem? non maximum, non
» aliis humanae superbire titulis appellaverunt ;
>i sed, quod eius moribus apprime congruebat, be-
» NiGNUM nuncupaverunt. Gaude igitur, Antoni rex,
» isto tuo perliumano ac perhonprlfico benigni ti^
» tulo: queni si ceteri orl)is dominatores exemplQ
» tuo aid^niabiint , benignos vicissim experientur
» populos; quodque magis prodest, supremi Numi'?
» nis benignitatem sibi conciliabunt. »
Sicché un voto noi terminando faremo: un vo-
to che vivamente ci sorge dal cuore: ed è che una
mente si alta, un ingegno si nobile, non voglia a'
negozi gravissimi della chiesa e del principato co-
s'i dare tutte le cure sue, che non gli rimanga più
tempo di onorare cp'suoi scritti qqesto secolo e l'i-
taliana sapienza, p di giovare coU'autoriia di tanto
nome le migliori dottrine, che già troppo visibiU
mente volgono in basso.
Salvatore Betti
177
IS^otizie della vita e delle opere delVah. Luigi Nar-
di, scritte da lui medesimo a monsignor Carlo
Emmanuele Muzzarelli uditore della sacra ro-
mana rota»
J-J^ convenienza e la gratitudine, per la bontà la
quale V. S. Uhm e Revma addimostra per la me-
schina mia persona , mi obbligano a ringraziarla
della favorevole opinione che ella nudre a mio ri-
guardo ; ma l'intimo sentimento della mia nullità
non mi permette di compiacerla coll'inviarle noti-
zie risguardanti me, e le esili cose da me stampate.
Bisogna dire che qualche mio amico le abbia
fatto concepire di me un'opinione, la quale essen-
do figlia della benevolenza, non potrebbe sostener-
si nell^ di lei opera , ove il solo merito debbe
aver luogo.
Ebbi il bene nell'anno scorso di conoscerla di
persona ( che di fama ben la conosceva ), e pran-
zare seco lei in Rimino in casa Martinelli : e fin
d'allora conobbi la gentilezza d'animo che l'adorna;
per cui tengo per fermo, che ella non sapra dar-
mi torto , e nel dispensarmi non vorrà recarsi ad
onta il ragionevole mìo rifiuto.
Lodo poi sommamente il di lei divisamento ,
quantunque l'impresa sia delicata. Vedo però che
attenendosi a pure cose di fatto, siccome ella di-
visa, non avrà a dolersi l'amor proprio dei lette-
rati, il quale è veramente genus irritabile. Non si
478 Letteratura
perda d'animo, che l'opera farà onore all'Italia e
al dotto autore.
Un buon mese fa fui pregato dal sig. don Gae-
tano Vitali di Rimino ad interpellare il eh. Bor-
ghesi sulla questione dello scudo d'oro in oro , e
potei avere ( ciò che altri forse non avrebbe facil-
mente ottenuto ) una bella lettera a me diretta, che
tosto passai al mentovato Vitali. Ho voluto ciò ac-
cennarle, perchè essendo ella ferrarese , e giudice
in causa, possa procurarsela, nel caso che la cre-
desse atta a somministrarle dei lumi.
Le rispondo da Pesaro, ove mi ritrovo ( ed ove
mi fermerò fino ai iO di novembre) per assistere
alla stampa di un mio lavoro, il quale se non può
essere di grande utilità per ragione della mia im-
perizia, potrà movere però qualche penna piìi fe-
lice a trattare certi argomenti di sacra antichità, i
quali reputo di sommissima importanza. Nel secon-
do volume specialmente vorrei credere clie i car-
dinali e la prelatura romana dovessero ritrovare un
certo interesse, poiché parmi vi sia per la prima
volta spiegato il sistema urbico dei primi secoli del-
la chiesa, e in modo da distruggere tutte le impor-
tune ciance dei Pistoiesi ed altri nemici della s. se-
de. Gli uditori della sacra rota vi fanno molta figu-
ra, come quelli che dai primi secoli fino alla fine del
medio evo appariscono le persone che venivano im-
mediatamente dopo i cardinali.
Scusi la lunga diceria: mi continui la benevola
di lei padronanza: e mi creda quale ossequiosamente
mi protesto
Di" V. S. Il Ima e Riiia
Pesaro 9 ottobre 1829.
Dmo Obiho Servitore
Luigi Nardi
Notizie di L. Nardi 179
P. S. Avevo questa lettera ancora aperta sul ta-
volino, quando è venuto da me il dottissimo e mio
amicissimo sig. marchese Antaldo Antaldi, col quale
non avessi mai ragionato del contenuto della medesi-
ma! Per quanto mi sia schermito, ho dovuto compia-
cerlo coU'inviare a V. S. Illma e Rma un elenco del-
le mie cose pubblicate, il quale sotto fascia riceverà
in questo corso, non so se col corriere o colla dili-
genza, non sapendo se le cose stampate siano portate
dall'uno o dall'altra. Nel secondo caso bisogna diri-
gersi all'uffizio delle diligenze per ritirarlo. Ha volu-
to anche ch'io aggiunga le seguenti cose, le quali non
meritano la pena di essere riferite (e che V. S. Illma
e Riiia potrebbe risparmiare); ma che per non po-
termi esimere, e pel riflesso fattomi dal sig. marche-
se ch'io costringerei V. S. Illma e Rma a rivolgersi
ad altri per averle, brevemente accennerò.
Nacqui ai IT agosto 1T7T a Savignano diocesi di
Rimini. Ebbi a coetanei e condiscepoli , e quin-
di a perpetui amici, il conte Giulio Perticari ed
il sig. Bartolomeo Borghesi , ed a compagno l'ab.
Girolamo Amati che sta in Roma, ove avrei sem-
pre dimorato, e dimorerei, se vi avessi avuta una
nicchia comoda in qualche biblioteca, o negli ar-
chivi. L'archeologia sacra e profana ha sempre avu-
ta una predilezione nelle mie occupazioni.
Ho girato l'Italia a palmo a palmo, da Napoli
a Torino, e da Venezia a Pisa per istruirmi: e mol-
ti viaggi ho replicati. Stetti sei mesi a Parigi ,
quando il mio vescovo, che mi vi condusse, fu co-
stretto a portarvisi. Questi a forza volle darmi una
parrocchia in Rimino, la quale ho rinunziato (e ciò
fu l'anno scorso) tostochè ho potuto farlo, lascian-
do anche le cariche di teologo della diocesi, di con-
480 Letteratura
visitatore della medesima ec. , per potermi occu-
pare de' miei libri, e dell'indice della Gambalun-
ga , specialmente de' codici mss. , pergamene ed
edizioni del 400, il quale ho compito. Non sono
più dunque arciprete, come ella si degna intitolar-
mi; ma canonico, avendo avuto la bantà la colle-
giata di Savignano di farmi tale d'onore semplice-
mente. Bignardi ed Ossuna mi diressero in Savi-
gnano nelle belle lettere: monsignor Gaetano Ma-
rini fu il mio mentore in Roma, come lo fu l'abate
Andres per due anni in Parma, ove appresi l'ebrai-
co dal celebre de'Rossi. Questi conservarono sem-
pre amichevole commercio di lettere con me me-
schino che gli andavo interpellando. Così approfit-
tai dei lumi che mi davano le lettere del celebre
Ennio Quirino Visconti, Perticari, Borghesi, Del
Bene di Verona, Labus di Milano, ab. Amati, mon-
sig. Marchetti ed altri. Onde ella vede ch'io sono la
povera cornacchia di Esopo vestita delle altrui pen-
ne. Per carità, adunque non mi esponga al ridico-
lo; poiché se non curo lodi, non amo però la deri'»
sione. Mi conosco sinceramente.
Luigi Nardi
Questo pio e dotto ecclesiastico cessò di vìvere
in Rimini il dì 5 giugno 1837. Egli fu uno de'prin-
cipali fondatori della rubiconia simpemenia de'fi-
lopatridi, e fu socio corrispondente della romana
accademia di archeologia; fu pure uno de'collabo-
ratori del giornale arcadico, nel quale vennero a più
riprese inseriti vari suoi articoli.
Nel num. 917 della yoce della Verità^ 17 giu-
gno 1837, si legge un articolo necrologico dell'uo-
mo illustre.
Notizie di L. Nardi 181
Il eh. prof. Giuseppe Ignazio Montanari ha
pubblicato nella gazzetta di Bologna alcuni cenni
riguardanti il Nardi, che gli furono comunicati da
lui medesimo, appresso sua richiesta.
È pure stato reso di pubblico diritto l'opu-
scolo che porta il titolo - Delle lodi del canonico
Luigi Nardi sa\figna7iese^ orazione di Francesco
Rocchi con una lettera del cav. Bartolomeo Bor-
ghesi sul luogo del congresso triumvirale. - Forlì
dalla tipografìa Casali 1837.
NOTA DELLE OPERE DEL NARDI.
1. Alcune poesie, tra le quali un idillio stampato
il 1807 senza data, ma pel Biasini. Cesena.
2. Difesa del titolo della chiesa cattedrale di Ri-
mino. Pel Marsoner. Rimini 1808.
3. Cronotassi dei vescovi della santa chiesa rimi-
nese. Rimino per gli Albertini 1813.
4. Descrizione antiquaria-architettonica dell' arco
di Augusto, ponte di Tiberio, e tempio mala-
testiano di Rimino, in fol. con 17 rami; con
in fine una lettera del oh. sig. Borghesi all'au-
tore suir arco di Augusto. Rimini pel Grandi
1813.
5. Porcus Troianus, o sia la porcetta, in 4.° Rimi-
no per gli Albertini 1813.
6. » » con aggiunte. Bologna pel Nobili 1821. (1)
(i) Intorno questa seconda edizione «i legge un articolo as-
sai pungente nelle effemeridi letterarie di Roma tom. V. Roma
iSat a carte 289 segnato colle finte iniziali X. Y. Z. , ma che
sappiamo appartenere ad un illustre professore dell' università
romana della sapienza.
482 Letteratura
7. Sinodo della chiesa di Rlmlnl, per gli Alberti-»
ni 1818.
8. Lettera al prof. Salvatore Betti soprai alcune la-*
pidi riminesi. Nel voi. XXV del giornale ar-
cadico, dicembre 1820.
9. Risposta alla critica pel Porcus J^oianiis. Sen-
za data, ma in Bologna, pel Nobili 1821.
10. Alcune iscrizioni latine. Rimino pel Grandi
1814, ed altre, altrove.
11. Introduzione breve e facile allo studio della s.
scrittura, voi. 2. Bologna pel Nobili 1822.
12. Lettera in aggiunta a detta introduzione. Ib. Si
noti, che quivi trovasi una lettera umanissi-
ma del sommo pontefice Pio VII in commen-
dazione di detta opera.
13. Terzine inedite di Fazio degli liberti, con po-
stille. Milano tom. XIII della biblioteca italia-
na, della quale l'autore era socio corrispon-
dente.
14. Direzione storica per coloro che si portano alle
acque minerali di s. Marino. Rimino per gli
Albertini 1823. Si noti che questa operetta
fruttò all'autore il patriziato della repubblica
predetta.
15. Dissertazione sopra un'antica lapida ed un nuo-
vo municipio. Voi. V degli atti dell'archeolo-
gia romana. Roma 1821, De Romanis.
16. Sui vici antichi nelle città. Roma pel Boulzaler
1824, e nel giornale arcadico, di cui l'autore
era collaboratore. Settembre 1824.
17. Sopra alcune parole italiane antiche, e spiega-
zione della terzina di Dante
» Se dimostrante del più alto tribo »
Notizie di L. Nardi 1S3
Roma pel Boulzaler 1824. Questa opinione
deilautore sopra detta terzina fu adottata dal
eh. P. Cesari : Dialoghi sulle bellezze di Dan-
te Purg. dial. XI p. 574, e dal eh. prof. Co-
sta nella nuova edizione di Dante in Bologna
1826, e nel giornale arcadico dicembre 1824.
18. Sopra il luogo del triumvirato tra Lepido, Ot-
taviano, e Marcantonio. Roma Boulzaler 1825,
e nel giornale arcadico 1825.
19. Lettera miscellanea sopra l'uso dello specchio
e pettini da ornamento presso le antiche don-
ne cristiane: sui mansionarii: e sopra la storia
d'Italia del Botta. Nel giornale ecclesiastico
di Roma, del quale l'autore era collaborato-
re, 1825, tom. I fase. IV.
20. » » con aggiunte. Pesaro pel Nobili 1825.
21 Epistola nelle nozze Laghi e Lettimi con una
lettera inedita del conte Giulio Perticari all'
autore. Pesaro pel Nobili 1825.
22. Dei compiti, feste , e giuochi compitali degli
antichi, e dell' antico compito savignanese in
Romagna, in U° Pesaro pel Nobili 1827.
23. Chiarimenti sull'antico compito savignanese, in
8.° Pesaro pel Nobili 1829.
24. Sullo spirito di vertigine odierna in materia di
religione. Memoria inserita nel giornale dei
calobibliofìli d'Imola, fascicoli di settembre
e di ottobre 1829, e stampata anche a parte.
Imola pel Calcati 1829.
25. Dei parrochi. Opera di antichità sacra, e disci-
plina ecclesiastica, voi. due in 4." Pesaro pel
Nobili 1830 (1).
* ■
(i) Nel nuovo giornale de' letterati num. 55, Pisa i83i, a
carte ^4 ^ un articolo su quest'opera segnato coU'iniziale X.
184 Letteratura
26. Compendio della vita della serva di Dio suoi*
Cecilia Nobili, con appendice di Un fatto sin-
golarissimo di s. Pietro martire in Romagna
nell'anno 1249, in 8.° Pesaro pel Nobili 1830.
27. Sulla parola cardinalis. Dissertazione in U.° Pe-
saro pel Nobili 1 830.
28. Sinodo della santa chiesa di Cervia. Rimino pel
Marsoner 4836.
29. Dell'epoca nostra, operetta che è sotto i torchi.
30. Opinione sul maggior numero dei cattolici adul-
ti salvandi, opera inedita.
Monumenti scelti horghesiani illustrati da Ennio
Quirino Visconti , nuovamente pubblicati per cu-
ra del dottor Giovanni Lahus I. R. epigrafista
di corte, socio di varie accademie scientifiche ,
letterarie, e di belle arti. Milano ^ dalla società
tipografica de'' classici italiani 1 837, in ottavo, di
facce XLVIII e 316, con 46 tavole in rame.
D.
'opo che Teccellenza del principe don Marcan-
tonio Borghese ebbe fatte nobilmente disporre nel-
la sua villa del Pincio le antiche sculture ereditate
dagli avi, e le molte più da lui stesso raccolte ed
acquistate, rivolse il pensiero a renderle pubbliche
per mezzo di incisioni in rame; e volle che venis-
sero nobilitate dalle illustrazioni di quel Visconti,
il quale già por l'opera intorno il museo pio de-
mentino aveva levata gran fama di se in tutta Euro-
pa. Lo stesso Visconti sceglieva que'monumenti, che
pili credea meritevoli di commentario: egli sorve-
gliava chi doveva farne la incisione, affinchè que-
Monumenti BORGHEsum 185
sta fosse esatta e fedele: ed a seconda che 1 dise-
gni da lui riveduti si terminavano, presentava egli
al principe generoso le relative illustrazioni, e ne
veniva largamente ricompensato. Mentre così nobil
lavoro progrediva, volle il mecenate amplissimo ,
che la intera collezione de'monumenti di antichità,
da lui radunati in quella sua villa piii che principe-
sca, venisse in piccoli rami incisa a contorno; vol-
le che, sotto la direzione dello stesso Visconti, il
Lamberti ne scrivesse le dichiarazioni (1); e di que-
sta edizione fece dono agli amici, affinchè potesse-
ro avere idea adequata de' tesori antiquari da lui
posseduti. Intanto all'opera maggiore si occupava
col massimo impegno il romano archeologo: già ot-
tanta tavole erano incise; ed il principe aderiva già
al progetto fattogli per alcuno; di chiamar in Ro-
ma cioè il Bodoni, onde nella stessa villa quel ti-
pografo egregio co'suoi caratteri eseguisse la stam-
pa di un'opera tanto importante. Sopravvenute pe-
rò circostanze funeste per Italia e per Roma , fu
rimandata a'tempi piìi opportuni la esecuzione del
dispendioso disegno; poi la morte di quel mecenate
libéralissimo, e la lontananza del Visconti da Roma
fecero restar l' opera in abbandono. Tornati tran-
quilli i tempi, fuvvi chi desiderò che un lavoro così
dotto non restasse piii lungamente in oblio: ma i
commentari archeologici, s'ignora per qual destino,
erano andati smarriti. A fortuna viveva ancora il
Visconti; si ricorse a lui; ed egli, che conservata avea
copia delle illustrazioni piìi interessanti , si offeri
(i) Indicazione di tutte le sculture del palazzo e della vili»
Borghese detta Pinciana. Roma 1796, 8. ' ' ' '
G.A. T.LXXIV. 13
186 LETTERA.TURA
di supplire alle rimanenti. Prevenuto però da mor-
te immatura, non potè adempire la promessa; e so-
lo i figli suoi , radunati gli scritti paterni che a
queiropera si riferivano, li trasmisero in Roma. Alla
poca parte delle illustrazioni mancanti fu supplito
sia con le brevi esposizioni tratte dalla ricordata
opera del Lamberti (1); sia con quelle dallo stesso
Visconti pubblicate ne Monumenti gabini (2): una
ne fu tolta dal Winckelmann (3); sei ne scrisse bre-
vemente il cav. Gio. Gherardo de Rossi (4): e cosi
nel 1821 pe'tipi del De Romanis (5) venne a luc€
in Roma quest'opera dottissima; della quale il cht
Labus dà ora la ristampa per noi annunziata.
I lavori del Visconti non han bisogno di elo*
gio: ognun conosce quanto fosse vasto il sapere di
quell'uomo. Dotato di memoria prodigiosa , imbe-
vuto della lettura de'classici greci e latini, niu-
no seppe più facilmente di lui trovare il vero ar-
gomento di ogni antica rappresentanza, e conva-
lidare le interpretazioni delle più sicure ed incon-
trastabili prove s ni un letterato forse , e sol po-
chi artisti seppero uguagliarlo, ma non superar-
lo, nel decidere del merito delle sculture con ve-
(i) Sono tali le illustrazioni delle tav. XI, i; XII, 3 di que-
sta milanese ristampa.
[i) Le illustrazioni delle tav. Ili, 2; VI, i; X, 2; XVIII, a;
XIX, 3j XXI, a.
(3) La tav. XXXm.
(4) Le tavole XXIII, 2; XXXVIII, 2; XLII, i e 2; XLIII, i e 2.
(5) Illustrazione de' monumenti scelti borghesiani, già esi-
stenti nella villa sul Pinciu, scritte dal celebre Ennio Quirino
Visconti ec. ec. date ora per Ja prima volta alla luce dal cav.
Gio. Ghejrardo de' Rossi e da Stefano Piale, sotto la cura di Vin-
cenzo Feoli. Roma 1821, voi. 2 iu gran foglio figurati.
Monumenti borghÈsiani 187
ra e soda artistica cognizione: ninno seppe riunir
meglio la novità delle riflessioni alla brevità; per
modo che gli scritti di lui mai non son deturpati da
quella superfluità estranea al subietto, la quale pro-
va più ia povertà dell'ingegno, di quello che il
vero sapere. Queste doti, ed altre moltissime che
tutta le ripubblica letteraria attribuisce alle ope-
re del Visconti, in questa da lui condotta con lar-
ghezza di tempo e di premio sono riunite in gra-
do sublime; e se talvolta non colse il vero (1),
nulladimeno sono così ingegnose, così istruttive le
sue dichiarazioni, che anche nell'errore mostrasi
uomo grandissimo. Noi volendo dare un sunto ri-
stretto di quest'opera egregia, per tenere un qual-
che ordine, divideremo i monumenti in sei para-
grafi. Diremo nel primo, dei mitologici; nel secon-
do, di quelli che diconsi di mitografia eroica; agli
altri di storia greca sarà destinato il terzo ; il quar-
to a quelli di storia romana; le sculture che ri-
ferisconsi a'costumi religiosi e civili verranno in-
dicate nel quinto paragrafo ; e nel sesto le quat-
tro di scuola moderna.
§. 1. Mitologia. Se insegna Erodoto che gli egi-
ziani furono i primi ad innalzar templi e are ai nu-
mi, giusto è che da essi prenda le mosse questo pa-
ragrafo. Due sono i monumenti che si riferiscono
alla religione di quel popolo antichissimo: uno di
femmina leontocefala sedente (2) ; l'altro maschile
stante (3): ambidue dello stile il piii antico, nella
(i) Forse nella illustrazione delle tavole III, i; IV, i; X, i;
XXXVI, i; XXXVII, 4.
i-ì) Tav. XXIII, 3.
(5) Tav. XXIII, 4.
188 Letteratura
sua semplicità e rigidezza ben diverso dal posterio-
re d' imitazione; ambidue intieri e di perfetta con-
servazione. La figura femminile ha un gran disco
sulla testa con un serpentello nel mezzo; l'abito dal-
le reni le scende fin presso ai piedi ; i polsi e le
gambe sopra la caviglia sono ornati di periscelidi'.
nella mano sinistra tiene il mistico Tau. Fuvvi chi
credette la testa esser di gatto, chi di cane, chi di
cebo specie di scimia; ma che sia di leone è certo,
si pel confronto di altri egiziani monumenti, sì per
alcuni segni, che quasi collare ne accennano la giu-
ba. Alcuni la dissero Iside; altri una secondaria di-
vinità. Sembra che il Visconti propendesse a rico»
noscervi Neith^ o l'egiziana Minerva. La figura ma-
schile è tutta nuda , se non che un grembiale li-
stato le cinge i lombi; ha le braccia pendenti e at-
taccate ai fianchi ; la sinistra gamba alquanto piìi
avanzata della destra; il capo coperto da un berretto
a strisce. Puoi dirlo un idolo, ovvero un sacerdote.
Scendendo alla greca mitologia , che fu pur
quella de'romani , ricordiamo primieramente una
statua di Nemesi (1). Fu trovata a Gabi mancante
della testa, ma quella pur antica che le fu adatta-
ta, non lascia desiderare la propria. Dal gesto di
piegare il cubito destro verso il petto, e dal cornu-
copia che regge nella manca, si riconosce quella di-
va personificazione della giustizia e della fortuna.
La illustrazione di questo monumento, mancando
fra le carte del Visconti, venne supplita con ripe-
ter quella che ne avea pubblicata n^' Monumenti
(1) Tav. Ili, 3.
Monumenti borghesiani 189
gahini (1). Dalla citata descrizione del Lamberti (2)
è tratta la illustrazione di una statua dì Cerere (3).
La testa è coronata di spiche; anche un mazzo di
spiche ed una corona sostengon la mano sinistra giù
stesa , e la destra alquanto elevata ; il panneggia-
mento è condotto con tale eleganza e maestria, che
può riguardarsi come uno de'migliori esemplari. Cui
non è noto il Saurottono, celebre bronzo di Pras-
sitele? Plinio descrivendolo ci fa sapere che era un
Apolline fra giovine e fanciullo; Marziale ce ne in-
dica l'altitudine: le moltissime copie che se ne co-
noscono, fecero si che prima di ogni altro il Win-
ckelmann potesse con argomenti di certezza dar
loro il nome che conveniva. Il bellissimo Apolline
borghesiano (4) in atto di saettare il ramarro è una
copia, anzi la piìi intera che finor si conosca, di
quel simulacro greco lodatissimo. Apollo fu talvol-
ta confuso col Sole; ma una statua borghesiana del
Sole (5) è unica appunto, perchè come tale lo rap-
presenta e co'suoi propri caratteri che da Apolline
lo distinguono: ha egli Io strofìo bucato con sette
fori, per inserirvi sette raggi metallici; gli si ve-
dono a'piedi due protome di cavalli; e due soli ca-
valli die Omero al Sole, Eto e Pireo. 11 tutto insie-
me, copiato da buon esemplare greco, conserva mol-
to del nobile e dignitoso; le mani, ed i simboli che
esse reggono, sono moderno, ma conveniente restau-
(i) Tay. XII n. ?ii edlz. milan.
(2) Parte II p. gS,
(3) Tav. Xl, I.
(4) Tav. XXI, 3.
(5) Tav. XXI, 1.
190 Letteratura
ro. Era tla poco tornata a luce, quando il p. Biagi
Bel 1772 stampò un libretto per provare quello
di cui ninno dubitava; cioè che questa era l'imma-
gine del Sole.
Della bellissima fra le dive sono in quest' o-
pera molti simulacri. Una statua (1) la rappresen-
ta nuda , mentre s'avvolge intorno alle anche un
leggier pannolino, quasi in atto di asciugarsi dopo
il bagno; anche la sua nudità non insulta la mode-
stia, virtù insegnata dalla natura. In altra statua (2)
ha lungo e sottil panneggiamento; e riposa il pie
manco sopra uno sgabello; indicando così che è la
Venere domiseda o pudica. Una terza la rappre-
senta nuda totalmente (3) ; a' suoi piedi è un del-
fino , sopra il quale un amore. Essa è la Venere
7rovTi« o marina^ ed è questo uno de' più rari mo-
numenti in quest'opera dichiarati , per la sua in-
tegrità riputatissimo, per la composizione ed ese-
cuzione degno de'piìi pregiati maestri. Il Visconti,
noverando molte altre statue di quella diva , non
dubitò contarla fra le cinque piìi perfette; insie-
me-cioè alla medicea, alla chigiana , alla capito-
lina, ed alla vaticana lavantesi. Anche nuda, e di
perfetta conservazione è una quarta Venere (4), cui
si dà l'epiteto di vincitrice , perchè il torace , le
ceree, ed altri pezzi dell'armatura sono aggrup-
pati presso un amorino che le sta dal sinistro la-
to, e leva su con ambe le mani la celata, quasi vo-
(i) Tav. XII, 1.
(2) Tav. XII, I.
(3) Tav. X, 3.
(4j Tav. XVI, X.
Monumenti borgiiesiani 191
lesse adattarsela in testa. L'azione della diva, di por-
si ad armacollo il balteo, da cui pende la spada che
ella tiene dalla sinistra, è unica nell'antichità fi-
gurata. Winckelmaim credette che somigliasse ad
una descritta da Gistodoro; e Visconti osserva, che
questa sol una può chiamarsi armata insieme e vin-
citrice. Una quinta statuetta (1), in cui son restau-
ro il destro braccio e 1' Amorino , si dichiara per
Venere, cos'i per la sottil tunica, che discinta la ve-
ste in modo che par quasi nuda, come per l'affibbia-
tura di essa, che caduta dall'omero manco , ne fa
restar nudo parte del seno. Ciò che rende unico
questo simulacro è l'alto del pie sinistro, che al-
quanto alzato comprime un utero, nell'orifizio del
quale vedesi l'uman feto rivolto di schiena. Non fu
ignota agli antichi la Venere pandemo o comune ,
la vulgivaga^ la peribasia o vagante, Vetera o dru-
da, la porne o cortigiana; e se Fidia, rappresen-
tando la Venere casta, per simbolo delle sue virtìi
le pose sotto i pie la testuggine; se la popolare in
Atene era assisa sopra un caprone , per emblema
della sfrenata libidine; la volgare in questo simu-
lacro borghesiano calpesta col piede il frutto de'
suoi piaceri, e par che si vanti di rimanere infe-
conda. Un gruppo di Venere e Marte (2) non mol-
to si discosta da altri consimili, che a noi perven-
nero in pitture, in bassorilievi, in istatue, in me-
daglie; ma sopra gli altri ha merito per la conser-
vazione, per la mole, per lo stile. Certo sotto l'as-
petto di que'numi celansi due romani ritratti; ma
(0 Tav. XVII, I.
(2) Tav. IX.
192 Letteratura
andò lunsri assai dal vero chi volle riconoscere nel-
la figura muliebre una Faustina; ed anche peggio
chi opinò l'uno esser Coriolano, l'altra Volunnia.
Non vogliamo da Venere disgiugnere Erma-
frodito, frutto de'suoi amori con Mercurio. Due gia-
centi ne sono in questa raccolta (1). Il primo pe-
rò è il più celebrato ed il pili perfetto di quan-
ti altri ne rimangono di simil composizione; dor-
me, ma di un sonno men profondo che voluttuo-
so; le forme delle membra sono svelte, delicate, e
per quanto il subietto lo comporta grandiose; la
testa maravigliosamente bella ; la positura non è
senza l'attrazione di una certa decenza. Né da Ve-r
nere sono da scompagnare le grazie, le quali spes^
so la corteggiano. Un gruppo per leggiadria ed ìsr-
quisitezza di lavoro mirabile (2) le rappresenta nu-
de, non avendo esse bisogno di ornan^enti: un se-r
condo gruppo le figura intorno ad una colonna che
servi di ornato ad una fonte (3). Potresti crederle
ninfe; ma il nostro autore propende a dirle grar-
zie, perchè antichi epigrammi ci notiziano che que-r
ste adornarono i fonti di n:jolti vetusti lavacri; e
perchè l'azione di appendere le vesti menta depo-
ste ha maggior relazione alle grazie, che alle nin-
fe abitatrici delle onde. Siano però le une, siano
le altre , ciò che ninno contrasterì^ si è, che la
composizione di questo gruppo è vaghissinjo, es-s-
quisito il merito dello scarpello. Alle grazie sia
compagno Amore. Quattro simulacri del più bello
(i) Tav. XIV o XV.
(•i) Tav. V, a.
(3j Tav. XX.
Monumenti borghesiawi 193
fra gli dei sono in questo volume: uno alato stan-
te (1), che mal fu tla certuni caratterizzalo per
un genio. Questa statua per la sua bellezza ec-
citò l'entusiasmo di Winckelmann (2) quanto po-
chi altri monumenti. Al Visconti sembra ricono-
scere in essa una copia dell'Amore tespiese di Pras-
jjitele, il quale come placida divinità attende nel
tempio i voti dei supplichevoli. Altre due statue
Io rappresentan fanciullo; scherza nell'una con un
uccolietto che ha fra le mani (3); piange nell'al-
tra (4), perchè incatenato ne'fianchi e al pie sini-
stro. I^e brevi dichiarazioni di questi due marmi so-
no del Dc-Rossi. Un gruppo (5) cel mostra insieme
con Psiche, la quale è supplice e genuflessa a lui di
lato ; disposizione ed azione che in altri gruppi
di simil subietto non s'incontrano.
I^a statua di Diana succinta (6) fu trovata a
Gabi; e qui si ripete la illustrazione che il Viscon-
ti ne avea pubblicata ne' Monumenti gabini (7).
Celebratissimo è quel torso, cui per moderno re-
stauro furon supplite in bronzo la testa, le ma-
ni, i piedi , e che da questo supplemento tras-
se il nome di Z>ingarella (8); ma il brodiero, che
attraversando il petto scende sul fianco sinistro,
ed il foro che sta sull'omero manco per fermar-
ci) Tav. XIII.
(2) Storia dell'arte ec. lib. V, cap. I, J. a.
(3) Tav. XLII, I.
(4) Tav. XLII, 2.
(5) Tav. XI, 2.
(6) Tav. X, 2.-
(7) Tay. XII nurn. 32 ediz. Milan.
(8) Tav. II, r.
^94 Letteratura
vi la faretra, dan motivo all'autore dottissimo per
riconoscervi una Diana faretrata. La sopravveste di
questa figura, assai rara per la sua forma, è la
xistide degli antichi. La vendetta di questa di-
va cacciatrice contro il giovinetto Atteone, che la
mirò bagnarsi nelle acque gargafie, è rappresen-
tala a bassorilievo in un sarcofago, per invenzio-
ne e composizione particolare, ed anche pregevo-
le , perchè non facile occorre vedere quel mito
in antichi monumenti (1). La favola vico divisa
in quattro scene; nella prima il figliuol di Ari-
steo preparasi alla caccia r Diana sta bagnandosi
nella seconda, mentre Atteone si compiace in ri-
mirarla; ma già la vendetta del nume incomin-
cia, già le come spuntan sulla testa di lui: e la
vendetta si compie nella terza scena, in cui ne
fan massacro i suoi propri cani : nell'ultima la
disgraziata Autonoe insieme ad altra donna rac-
coglie i resti del cadavere del figliuolo. Ne me»
feroce fu la vendetta contro i niobidi. Un conser-
vatissimo bassorilievo rappresenta quella trage-
dia (2); oltre quattro cavalli, vi sono sculte di-
ciannove figure; i quattordici figli, cioè sette per
ciascun sesso ; Niobe ed Anfione genitori dolen-
tissimi; due pedagoghi ed una nudrice. Questo mo-
numento era stato pubblicato da Wlnckelmann (3);
ed il Visconti ne corregge qui le inesattezze.
Una statua giacente (4), dal tralcio di vite che
ha nella destra, dalla nebride in cui è distesa ,
(1) Tav. XXA'I e XXVH-
(2) Tav. XXXI.
(3) Mon. ant. ined. N. 89.
(4) Tav. YIII.
Monumenti borghesiani 195
dalla corona di edera , e dal credemno clie le
cinge la fronte, facilmente si ravvisa per un Bac-
co. Nelle baccanti di Euripide si legge: « Soave è
» Bacco sui colli, quando avviene che fornito del-
» la sua nebride, compiuti i rapidi tiasi, caden-
r> do egli si gitti al suolo. » Questo passo del tra-
gico greco spiega precisamente la nostra scultu-
ra. Bambino fra le braccia del suo educatore Sile-
no cel mostra un gruppo (1), la cui conservazione
è delle piìi rare; anzi opinano i periti dell'arte, che
specialmente le gambe del Sileno siano le più per-
fette di quante la scultura ne ha imitate, e che non
ha distrutte l'età. Come pel monumento che prece-
de Euripide, cosi per questo servono di completa il-
lustrazione alcuni versi di Galpurnio Nemesiano (2).
Un centauro, somigliantissimo al piìi vecchio dei
due capitolini sculti da Aristea e Papia afrodisie-
si, ha su quello il vantaggio di aver conservatoli
putto che lo cavalca (3); il quale per la corona di
edera vien giustamente dichiarato un genio di Bac-
co. Egli mentre con l'una mano sta in atto di sfer-
zar il centauro, con l'altra lo tiene avvinto ; e la
favola infatti ne dice, che fu l'ubriachezza che pro-
dusse la distruzione di quella razza prepotente e fe-
rina. Una zona cinge i Ranchi del genietto; essa è
quell'arnese proprio per l'equitazione, che ventra-
lia e lumbaria dissero i latini, perizomata i greci.
Un fauno (4) sonante la tibia , si poggia col go-
(i) Tav. Ili, 1.
(2) Bucol. ed. "5, V. 27 e segg.
(3) Tav. II, 2.
(4) Tav. XII, 3.
196 Letteratura
mito ad un pilastro, e tiene incrocicchiate le gam-
be l'una sull'altra. Il famoso fauno dipinto da Pro-
togene, e conosciuto sotto il nome di Anapovomeno
o sia di riposante, era in tale atteggiamento. Che sia
desso l'originale di questo grazioso marmo? Un gran
vaso marmoreo, o cratere (1), per l'eccellenza del
lavoro il più bello fra quanti dall'antichità a noi
pervennero, ed insieme uno de'monumenti classici
dell'arte greca, mostra sculto a bassorilievo un tiu'
so\ nel quale oltre Bacco appoggiato ad una sua se-
guace che suona la lira, e Sileno sostenuto da un
fauno, sono altri sei seguaci di quel nume, tre per
ciascun sesso. Balla uno la scomposta sicinnidey suo-
na l'altra la duplice tibia, trae il terzo una baccan-
te che suona la lira, mentre altre due uniscon la
danza al suon de'crotali ed allo scuotimento de'tim-
pani. Graziosissima è l'immagine di una ninfa (2)
che seduta a terra sul lido del m'are sta giuocando
agli aliossi. Lasciammo per ultimo di questa clas-
se mitologica un gruppo (3), in cui il Visconti rico-
nobbe Mercurio e Vulcano dalla scure e dal caduceo
sculti sul tronco apposto nel mezzo delle due figu-
re, per servire ad esse di sostegno; perchè quella
interpretazione fu contraddetta dal eh. Raoul-Ro-
chette (4) : il quale fatto un confronto fra questo
ed altro gruppo del museo di Napoli (5), che rap-
presenta Oreste ed Elettra, per ingegnosi argomenti
ritenne, che nel borghesiano, lasciata simile la fi-
li) Tav. XXXIV e XXXV.
(2) Tav. XVIII, I.
(5) Tav. IV, I.
(4) Mon, ined. Oresieide p. 176.
(3) Finali, R. M. borbonico p. 162, 166.
MONUMEMTI BORGITESIANI 197
gura dell'Oreste, si sostituisse ad Elettra Pilade; e
per conseguenza questo gruppo rappresentasse que'
due famigerati amici. Noi non dobbiamo entrare in
tale quistione; ricordando di aver assunta la qua-
lità di espositori, non quella di giudici. Le ragioni
del romano archeologo , e quella del francese son
pubbliche nelle stampe. O è dalla parte del torto
il Raoul-Rochette, e questo gruppo chiude la clas-
se mitologica de'monumenti scelti borghesiani: o lo
e il Visconti, ed esso monumento sarà da conside-
rare come primo fra quelli del secondo paragrafo.
§. II. Mitografìa eroica. L'immagine di un giovi-
ne eroe di robusta bellezza, tutto nudo, salvo che
avvinto de'cesti sino alla metà delle braccia , ed
in attitudine del feroce esercizio del pugilato, chi
altro può essere se non Polluce (1)? Gli antichi poe-
ti lo dissero prode ed invitto nelle contese de'pu-
gni; descrissero la celebre tenzone di lui con Ami-
co; e forse l'artefice in quell'atto lo rappresentò ,
dimostrando nel suo atteggiamento cosi la cupidità
dell'ofFendere, come la cautela dello schermirsi. Un
bassorilievo ci mostra la nascita di Telefo (2). Au-
ge la genitrice consegna il bambino avvolto nelle
fasce ad una sua confidente; una piccola cerva al-
lude alla notissima favola di quel figliuolo di Er-
cole. E da notare che mancando questa esposizione
fra i manoscritti del Visconti, vi fu supplito con
quella che in precedenza ne aveva pubblicata Win-
ckelmann (3). Un conservatissimo sarcofago rappre-
(1) Tav. XVII, I.
(2) Tav. XXXIII.
(3) Mon. ant. ined. N. 71.
198 Letteratura
senta nella principal faccia la storia di Meleagro (1).
Vedesi a destra quell'eroe, che ha ucciso già uno de*
testiadi, e si appresta a combatter l'altro ; Eride,
la dea della discordia, sta tranquilla spettatrice dei-
tragica scena; alla sinistra Altea, miglior sorella che
madre, condotta da una furia getta il fatai tizzone
sul fuoco; mentre Nemesi, o la parca, che con un
pie calca le ruota simbolo della vita , ha già se-
gnata col calamo su di un volume l'ultima ora di
Meleagro. Nel mezzo giace moribondo sul letto lo
sfortunato eroe; due germane, la nutrice, il vecchio
Eneo lo circondano addolorati; e v'è pure Atalan-
ta, la quale si cuopre il viso per non vedere l'a-
maro frutto della sua bellezza e del suo valore. Ge-
lebratissima è la statua operata da Agasia efesino,
e volgarmente detto il gladiator combattente (2). Già
Winckelmann avea veduto quanto erronea fosse
quella denominazione; e lo reputò un guerriero sot-
to le mura di una città assediata. Lo Stosch lo cre-
dette piuttosto un discobolo; il Fea lo giudicò Aia-
ce d'Oileo alle prese con un inimico, o l'intrepi-
do Leonida alle Termopili; Lessing lo disse Gabria;
Heyne, un guerriero che si ripara da un colpo sca-
gliatogli dall'alto; Mongez, un eroe che si esercita
ne'ludi ginnastici; Gibelin, un giuocatore di pallo-
ne; Sickler, Agenore figlio di Antenore. Tutti tra-
viarono dal vero. Il nostro Visconti vi riconosce un
eroe combattente contro le amazoni; e se, nell'ope-
ra di che scriviamo, lo disse Aiace Telamonio con-
tro Menelippe, in altra memoria della quale dire-
(i) Tav. XXVIIL
(3) Tav. I, I.
Monumenti borghesi ini 199
mo al finire di quest'estratto, evidentemente lo di-
chiara per Teseo combattente contro Ippolita. Ben
meritava questa insigne statua cosi dotta illustra-
zione ; essendo essa uno de' capolavori della gre-
ca scuola fra i pochissimi che a noi pervennero ,
e tale che nel complesso delle sue eccellenti bel-
lezze non può dirsi inferiore ad alcun altro in me-
rito d'arte. Altro simulacro, sul quale il Visconti
fece molto studio, si è quella statua da Im dichia-
rati per Achille (1). Ai molti argomenti , ed alle
sottili indagini di lui , altre ingegnose congetture
oppose il eh. Raoul-Rochette (2) , reputandola un
Marte; opinione già prima esternata da Winckel-
mann (3). Abbenchè noi saremmo forse inclinati
piìi a seguire in ciò i dotti oltramontani, pure non
abbiamo voluto mutare il nome che il Visconti det-
te a questa nobilissima statua. La storia compas-
sionevole del riscatto del cadavere di Ettore è in
bassorilievo ricco di molte figure (4); lo avea pub-
blicato il Winckelmann (5); ma presa avendo una
scena accessoria pel subietto principale, lo spiegò
non degnamente , dandone anche un rame poco
accurato.
§. in. Storia greca. Un erma in marmo pen-
telico ci rappresenta la nota immagine di Epicu-
ro (6); ed un secondo nello stesso marmo vien dal
(1) Tav. Ili, I.
(2) Mon. ined. t. i, p. S"] e segg.
(3) Mon. ant. ined. p. 33.
(4) Tav. XXX.
(5) Mon. ant. ined. num. i35.
(6) Tav, XXXVII, 3.
200 Letteratura
dotto espositore dichiarato per Pittaco (1); dobbia-
mo avvertire però, che non ostanti le cose scritte
dal Visconti in quest'opera, nella consecutiva del-
la greca inconografia non ne fece più motto. Una
statua acefala (2) con le anaxaricU e spada al fian-
co, fu supplita di bella antica testa barbuta: fuv-
vi chi la disse di Massinissa; ma oltre che le hrcic^
cae non convengono ad un re de'massili, abbiamo
di lui rifratti sicuri che questo non somigliano. Par
certo che rappresenti un re dell'Armenia; dirlo Ti-
ridate, sarebbe congettura non dispregevole, ma pri-
va d'appoggio; convien quindi contentarsi alla de-
nominazione dì re barbaro. Un busto di bello sti-
le (3) e di vaga e bizzarra disposizione ne' capel-
li calamistrati, fu reputato della famosa Berenice,
la prima fra le regine di Egitto di tal nome ; ed
il Visconti in quest'opera vi convenne. Ma certo in
appresso mutò parere , non avendone fatto cenno
nella greca iconografia; e per vero quel busto non
somiglia i certi e sicuri ritratti di quella regina (4).
Una statua pallata sedente (5), mostra senza meno
il ritratto di un filosofo; dirlo con certuni Belisa-
rio, è puerilità; dirlo con altri Diogene o Grisip-
po, si oppone alla certa cognizione delle immagini
di que'filosofi; convien quindi contentarsi a deno-
minarlo col Visconti d'incerto filosofo o oratore.
§. IV. Storia romana. Il celeberrimo busto di
(i) Tav. XXXVII. 4.
(2) Tav. XXIII, I.
(3) Tav. XXXVI, r.
(4) Icon. greca voi. 3 p. ago tav. XI, edir. milan.
(5) Tav. V, I.
Monumenti borghesi ani 201
M. Agrippa (1) fu dal nostro autore altre due vol-
te pubblicato; nella romana iconografia cioè (2) e
ne'inonumenti gabini (3); ma l'esposizione che qui
ne fa è più di quelle elaborata in alcuna parte.
Una statua muliebre acefala (4) , vestita di tuni-
ca ) picciol peplo sul petto, ampio manto che ne
vela il capo , e da cui pende un serto di vitte di
lana, tenente dalla sinistra il corno dell'abbondanza,
fu restaurata per Cerere , ponendole nella destra
una manna di spiche; e le fu opposta una masche-
ra antica d'indubbio ritratto di Livia Augusta. Da
Gabi (5) provenne la testa maggiore del naturale
di Tiberio, con corona civica (6); lavoro da pochi
uguagliato fra i ritratti imperiali che giunsero sino
a noi. Anche gabine (7) son le due statue di Ger-
manico e di Claudio (8) figli ambidue 4» Nerone
Claudio Druso; la prima di esse è forse la piìi ec-
cellente fra quelle che ci presentali ritratti romani
seminudi all'eroica. Anche la medesima provenien-
za ha una statua loricata , cui fu adattata una te-
sta di Caligola (9); e qui si ripete quella stessa il-
lustrazione che il Visconti ne aveva pubblicata ne*
monumenti gabini (10). Di Agrippina minore sono
in quest'opera due ritratti; l'uno inserito sopra una
(i) Tav. XXXIX, I.
(2) Voi. II, ediz. di Milano.
(3) Tav. Ili, num. a, ediz. luilan.
(4) Tav. XXII, I.
(5) Mon. Gab. Tav. XIV, num. 3g ediz. mil.
(6) Tav. XXXVI, 2.
(7) Mon. Gab. Tav. IV, 5, 7 ediz. mil.
(8) Tav. XIX, I, 2.
(9) Tav. XXI, 2.
(10) Mon. Gab. Tav. XIV, 28 ediz. mil.
G.A.T.LXXIV. 14
202 Letteratura
statua di Euterpe (1); l'altro effigiato nella sua pri-
ma giovinezza (2); la descrizione di questa seconda
statua mancando ne' manoscritti del Visconti , fu
supplita dal De Rossi. Per finezza e per eleganza
di scultura una delle più pregiate statue, fra quel-
le di romano abito vestite, quella si è cui si dà il
nome di Britannico (3), nome che forse non le di-
sconviene; la bulla^ che da un nastro le pende sul
petto, è ornamento proprio dell'età di quel giova-
ne ed infelice Cesare. Condotto con gran morbi-
dezza è un busto di Nerone (4), ed anche di mol-
ta rarità; perchè il pubblico abborrimento, che se-
guitò la memoria di quel prìncipe scellerato, fé si
che pochi ritratti certi di lui fino a noi potessero
giungere. Già in altre due opere (5) aveva il Vi-
sconti fatto note le proprie congetture intorno il
ritratto di Gneo Domizio Corbulone ; ed in que-
sta (6) adduce piìi particolarmente i motivi e gli
argomenti che lo guidarono a quella scoperta. Ad
una statua loricata di mirabile artificio , ma ace-
fala, fu sovrapposta una testa di Traiano (7); e qui
se ne ripete la illustrazione datane ne' monumenti
gabini (8). Similmente da quell'opera (9) vien qui
(1) Tav. XXII, 2.
(2) Tav. XXIII, 2.
(3) Tav. XVI, 2.
(4) Tav. XXVII, 2.
(5) M. Pio Clem. Voi. VI, p. aSg Tav. 62; Mon. Gabini p-
81, Tav. XVII, ediz. di Milano
(6) Tav. XXXVI, 3.
(7) Tav. XIX, 3.
(8j Tav. III, num. 3 ediz. niil.
{9) Tav. VI, num. i5 ediz. miì.
Monumenti borohesiani 203
riprodotta la illustrazione di una statua acefala (1)
cui fu posta una testa moderna di Plotina. Il piìi
evidente e sicuro ritratto di Elio Vero Cesare, che
si conosca in tutta l'antichità, è una grandiosa sta-
tua imperatoria, secondo l'eroico costume, coperta
di un solo paludamento sugli omeri (2). Uno de'piìi
nobili monumenti gabini è quella statua femmini-
le (3) in sembianza della Concordia, cui fu impo-
sta una testa di Sabina; la illustrazione non diver-
sifica punto da quella dal Visconti già prima pub-
blicata (4). La testa del famigerato Antinoo (5) è
di tale eccellenza, che non dubita l'A. N. asserire
essere nel suo carattere la più bella che mai scar-
pello abbia creata. Essa era già stata pubblicata da
W^inckelmann (6); il quale forse le voleva non ra-
gionevolmente anteporre il pur celebre bassorilie-
vo Albani di quel bitino. Un busto colossale di An-
tonino Pio (7), mancando della illustrazione del Vi-
sconti, fu brevemente descritto dal De Rossi. Dei
due fratelli per adozione e colleghi sul soglio, M.
Aurelio e L. Vero, son due teste colossali (8) che
riuniscono alla non ordinaria mole il pregio di uno
scarpello franco ed istruito, e quello di una per-
fetta conservazione. Non minore è la conservazio-
ne, e non minore è il pregio artistico di due bu-
(1) Tav. XVIII, 2.
(2) Tav. XXII, 5.
(3)TaT.VI, I.
(4) Mon. Gab. Tav. XIII, num. S4 edJz. rail.
(5) Tav. XXXVI, 4.
(6) Mon. ant. ined. num. 179.
(7) Tav. XXXVIII, t.
(8) Tav. XXXIX, 2 3.
204 Letteratura
sti di L. Settimio Severo e di Settimio Geta CD
provenienti da Gabi (2) , ed il secondo precipua-
mente per la rarità delle immagini di lui da tener-
si in gran pregio. Una statua in sembianza di Ce-
rere (3) fu dal Visconti creduta una Soemiade^ itiA
poi, cambiando parere, in altra opera (4) cori mi-
glior consiglio la disse Giulia Mammea» Terminie-:^
remo questo? paragrafa, ricordando un busto quasi
colossale di Roma (5) di sor^prendente nobiltà e bel-
lezza; ed una testa pitr colossale^ ed unica nel sua
genere, rappresentante la Spagna (fi); come è chiaro
dal coniglia, e dalla corona di olivi e di viti che
gli circonda la fronte^i^
§. V. Costumi religiosi f cii'ili ec-Vnnra. trian-
golare (7) presenta dalTuna faccia il tripode de*
quindecemviri con la cortina, sulla quale il corvo
sacro; dalla seconda la figura di un quindecemviro
sacrificante; dalla terza la corona di spiche de' fra-
telli arvali, con sopra Taquila, Una statua femmi-
nile (8), dal gesto delle mani aperte e supine, che
era il proprio della preghiera^ vien detta Vadoran*
te; tutto ciò che non è nudo (e questa è pochissimo)
è in porfido, operato con la maggior finezza e dili-
genza di maestria e di lavoro* Un bassorilievo con
(1) Tav. XXXVIII, 3, 4.
(2) Mon. Gabini Tav. IV, 4 XIV, 07 ediz. mif.
(3j Tav X, I.
(4) Notizia del Museo Napol. fra le opere varie voi- IV, p-
498 nuni. 420 ediz. mil.
(5) Tav. XXXVII, i.
(6) Tav. XXXVIII, I,
(7) Tav. XLI.
(8) Tav. VI, 2.
Monumenti borghesiani 205
figure maggiori del naturale (1), per le vittime de'
tori chiamate massime, e per le insegne della di-
gnità suprema che vi si vedono espresse, fu detto
trionfalei ed appartenne senza meno a qualche arco
od altro pubblico monumento delle vittorie di un
qualche augusto. Precisar quale, è impossibile: la
testa senile, ma senza barba, di quella figura che
50stifin l'acerra, dimostra che è anteriore ad Adria-
no; e facilmente in quella figura devesi riconoscere
un de' flamini, o un degli auguri, vestito con la
laena villosa. Altro bassorilievo eccellente per l'ar-
te e pel soggetto singolare (2) rappresenta tre don-
ne turrite e coronate d'alloro: son desse tre città
greche personificate, che stanno per offrir sacrifici
a qualche imperatore, quasi a nume presente, e co-
me loro liberatore. Altri due egregi bassorilievi e-
sprimono un coro di vergini sacrificanti e danzan-
ti (3). Nel primo un'ara a forma di candelabro sta
dinanzi al prospetto di un tempio corintio tetrasti-
lo; due vaghissime donzelle stanno ornando l'ara di
grandioso encarpo; mentre una terza ha in mano
delle frutta per offerirle al nume. Nel secondo al-
tre cinque, non meno vaghe di quelle, si avanzano
danzando intorno al tempio, e tenendosi l'una l'al-
tra per mano, con atteggiamento graziosissimo. Il
discobolo (4), benché non d'intera conservazione co-
me il vaticano, è però elaborato con maggiore dili-
genza e finitezza. Un vaso marmoreo di bella for-
(i) TaT. XXIX.
C2) Tav. XXXII.
(3) Tav. XXIX, e XXV
(4) Tav. IV, I.
20(5 Letteratura
ma, e di elej?anti proporzioni (1), è ornato di quat-
tro maschere; tre sileniche e barbute, una imberbe
faunina; vi è pure un pedo, due nebridi, e due cem-
bali sospesi; tutto il lavoro è grandioso, di stile e-
gregio, e di perfetta integrità.
§. VI. Monumenti moderni. Due statue di ca-
milli, o ministri di sacrifici (2), benché moderne,
meritano l'attenzione di chi ama le arti; si perchè
egregiamente copiate dalTantlco, e sì pel ricco ma-
teriale in che sono condotte. I panneggiamenti son
di alabastro orientale fiorito di color giallo a liste
rossastre; nella cintura e nel piccol manto di rosso
antico; le teste e le altre membra di bronzo. Il
gruppo di Apollo e Dafne (3) fu sculto dal Bernini,
mentre ancor seguitava i buoni principi! dell'imita-
zione dal vero. Dello stesso scultore è il David (4)
in atto di scagliar il sasso con la fionda; ma Toperò
quando già erasi dato in braccio alla maniera. Le
descrizioni di questi due marmi sono del De Rossi.
Fin qui dei lavori del sommo archeologo in-
torno i Monumenti scelti borghesiani. Se non che il
eh. Labus, nel darne questa ristampa, l'arricchì di
altra produzione pur del Visconti. È questa una
memoria scritta in lingua francese, da poco tempo
pubblicata dal Panofka. Il Labus ne ebbe copia per
cortesia del Raoul-Rochette. Si raggira intorno un
vaso fittile, ricco di figure e d'iscrizioni, apparte-
nuto prima al Durand, ora presso il conte di Pour-
{ij Tav. XL.
(2) Tav. VII, I, 2.
(3) Tav. XLIII, I.
(4) Tav. XLIII, 2.
Monumenti borchesuki 207
lales-Gorgler. Già il Millin V avea pubblicato ne*
suoi Monumenti inediti (1), dai quali l'editore mi-
lanese tolse i disegni, che in tre tavole (2) accom-
pagnano questa memoria. Il Visconti la ebbe divisa
in quattro paragrafi: descrisse nel primo il monu-
mento , per la forma e per la integrila pregevo-
lissimo: spiegò nel secondo la rappresentanza della
faccia anteriore. Si vede in essa un'amazone a ca-
vallo combattente contro un guerriero a piedi, ed
aiutata da altra amazone pedestre : le iscrizioni
greche insegnano esser Ippolita la prima , Teseo
il secondo, l'altra Dinomxiche. La mossa del Teseo
somigliando perfettamente quella del così detto G/a-
diator combattente borghesiano, ne prende il Vi-
sconti motivo, come già sopra accennammo, a con-
validare e rettificare in parte la propria esternata
opinione intorno quel nobilissimo marmo di Aga-
sia. La faccia posteriore del vaso viene spiegata nel
terzo paragrafo: vi è dipinta una donna ( Dinoma'
che ) che presenta la tazza ad un giovine ( Polite ),
innanzi al quale è una seconda figura femminile
(Filonoe). Fra le diverse cerimonie degli sponsali,
eravi pur quella, che obbligava la suocera di pre-
sentar la tazza al futuro genero, affinchè questi be-
vesse; quindi è chiaro che il vaso fu dipinto nel-
l'occasione del matrimonio di Polite con Filonoe
figlia di Dinomache ; ed assai facilmente la somi-
glianza del nome di costei con quello dell'amazo-
ne pedestre della faccia anteriore, consigliò a rap-
presentarvi quel combattimento, nel quale Dinoma'
(i) Tomo i.p. 355.
(a) Tav. agg. lett. A. B. C.
208 Letteratura
che aveva avuta parte. Nel quarlp paragrafo ana-
lizza 11 Visconti le iscrizioni del vaso. Tutta la me-
moria per la molta dottrina cl>e racchiude è l^en
degna di quell'archeologQ sublime.
Sieno rese sincere grj^zie al eh. Labus per la
diligente cura adoperata non solo in questo volu-
me, ma nella ristampa di tutte le opere del Viscpn-
ti; opere che si spaziano per diciannove volumi» e
che contengono un vero tesorp della più recondita
dottrina In ogni ramo della scienza deir^ntlcl>lta.
E se questi fogli verranno a fortuna nelle mani di
lui, vogliamo pregarlo a non ritardare più oltre la
pubblicazipne di altri scritti Inediti tjl quell'inge-
gno italiano, che sappiamo tener egli in serbp; e
di pubblicare insiememente rin41ce geneirale, da li^i
con tanta fatica e diligenza redatto; dal quale molr
ta utilità tornerebbe agli amatori di questi studi.
c. e.
Poesie dell'avvocato Giuseppe Pellegrini. Firenze
per V> Batelli e figli 18S5, in 12 di pag. 190.
Adalberto^ cantica dello stesso. Ivi presso S> l/si-r
gli 1836, in 12 di pag. 72.
K
el fascicplp (Ji pttpbre ^837 gbbianjiQ parla-r
tp di due tragedie dell'avvoc^tp Pellegrini , la Gio-
\>anna e il Decebalo, Ipdandp l'ingegnp di lui cp-
s\ ben disppstp agli studi gentili. Se tantp può
nella drammatica ppesia, campp difficile quant'al-
tro mai, npn era a dubitare che egli avesse innanzi
Pqe$ie pel Pellegrini 209
nella lirica ^ingolairipente niiett^to palme onorate. Di
,che fummo certi al giungerci questo caro libretto ,
che pra annunciamo; e contiejie le ppesie già pub-
blicate fino dal 4835, e J' Adalberto cantica uscita fi-
no dal ^83Q anteriornjente alle lodate tragedie. Così
sempre più ^bbianio a rallegrarci con lui, che ha
mente e cypre per la nobile poesia, ed è putrito
nella scuola de'classicì, speci^ln^ente di Dante, au-
tore e maestro degnissimo a chi ama di scrivere
con forza, con evidenza, con leggiadria. Il Pelle-
grini si è provato non solo nelle terzine, jna sn-
elle in altri metri, e fiesce più che molto nel-
Tottava rima. Ricorderemo singolarmente la can-
tica intitolata la Gloria in ter:5Ìne, e V Adalberto
in ottave: ma tratti dalla dolcezza dell'argomento
toccheren^o di un canto intitolato nCa Jj^neficenza,
virtù tanto cara al gentile scrittore.
Una scena gli si appresenta di crude ire fra-
terne, e dice
p . . . . tutta è di guai la terra piena,
>> r^iun sorriso di ciel più la serena.
^ continua cosi;
» - No, vcfx grida una voce alta e solenne,
■ Non abbai>4p^a ì suoi figliuoli Iddio.
B Mi scpssi, e vinto il guardo non sostenne
» D'un viso il fiannimeggiar superno e dio;
» Librato in aèr s^Ue bisinche penne
» Di mirande sembianze angipl vid'io;
» - No, suoi figliuoli Iddio non abbandona,
V £d è sempre benigno anco se tuona.
210 Letteratura
La voce, che così dice, è la voce dell'angelo custo-
de, che lo guida in cielo
» Entro il torrente deireterna luce.
Ai prieghi della gran Madi-e il Verbo manda sul-
la terra la heneficenza , colia quale il poeta di-
scendendo, ode da un povero tugurio lamentarsi
misera madre, che stringe al seno un caro figlio,
cui necessità di guerra trar vuole tra Tarmi: el-
Ja così dice:
» - O mio diletto figlio, anima mia,
» Sola speranza a'miei anni cadenti,
» Chi all'amor mio t'invola, anima mia,
» Me lasciando agli strazi ed ai tormenti?
» Questi occhi senza te, anima mia,
» Da chi saran mai chiusi dopo spenti?
» Chi mai di terra coprirà quest'ossa,
» Chi pace pregherà sulla mia fossa?
La povertà era tanto più dura alla mìsera madre,
che al prezzo dell'oro avrebbe potuto ricomprarsi
la vita del figlio: ed ecco la beneficenza le piove
in seno dell'oro, e si asconde e sparisce. A questa
scena succede un' altra di una famiglia, che geme
intorno al vecchio padre, e riceve soccorso dalla
donna celeste:
» Come appassite mammole la testa
» Ergon se brina le rinfreschi alquanto,
» Il padre e i ristorati parvoletti
» Gioiosi alzaro i serenati aspetti.
Altre miserie sono descritte, e sempre nuove mi-
sericordie. Riferiamo quest'una almeno:
Poesie del Pellegrini 31 1
a Cacciata deirovil timida agnella
» La vergine di Dio dolora e piagne,
» Che un' empia le rapi forza rubella
» Il santuario e le dolci compagne.
* » Cupidi intorno a se la meschinella
» Vede lascivi ceffi e man grifagne;
» Ah che sperar non può quella colomba
» Di serbare il candor che nella tomba!
» Ma innanzi le si para, e le fa scudo
» Del santo petto la divina, e fuore
» Dal tempestar del pazzo mondo e crudo
» La ritorna agli amplessi del Signore.
Mentre il poeta si accende di affetto per quella ce-
leste, l'angelo di lui custode
» - Non abbandona i suoi figliuoli Iddio -
B Sclamò, e la santa vision sparìo.
Così varietà con unita trovasi congiunta nel com-
ponimento, che abbiamo toccato. Vorremmo, che i
termini prescritti ci permettessero recare altri trat-
ti di queste poesie; ma ciò non potendo, non lasce-
remo di confortare l'autore a piìi degne opere, scio-
gliendosi affatto dal vincolo di una soverchia imi-
tazione, la quale se è buona a chi comincia (benché
niuna cosa, che sia soverchia, può tornar buona),
certamente diventa cattiva (se già non lo è) quan-
do uno scrittore avendo volato pei fiori del giardi-
no delle lettere e succhiatone il dolce , dee omai
da se come ape produrre il mele. Il signor avvo-
cato Pellegrini è gik bene innanzi, e non ha biso-
gno di venire accattando ora da Dante, ora da al-
tri de'versi interi, come ha praticato in alcuni pas-
212 Le tteratura
si abbenchè rari, notandoli convenientemente. Può
già fare da se, e far bene, come ciascuno avrà, po-
tuto conoscere dai pochi brani arrecati di sopra.
Un suo pregio è (juello di cercare l'armonia imita-
tiva, <e più volte è riuscito con felice successe* tut-
tavia qualche rsr? volta lascia forse apparire lo stu-
dio e l'arte; cosa contraria al bello stile, che vuol
parere tutto natura. Ma (jneste sono lievi mende,
se pur sono, e da potersi facilmente levare. JL noi
non vogliamo, che l'autore creda alle nostre parole
se non quando intendiamo a lodarlo del suo molto
ingegno e dell'amore alle belle cose, pi che a non
parere ne scarsi, né soverchi, vogliamo almeno re-
care alcune terzine dell'elegia in morte di S. A. I.
e R. Maria Anna Carolina di Sassonia, che fu gran-
duchessa di Toscana: cosi vedrassi altresì come l'au-
tore foggi le sue tergine,
I» Al consorte, alla prole il pensier corre,
» Che di duol proni in atto miserando
» Stanno Testremo suo sospiro a corre,
» Teneramente gogguardolli, e quando
j» Vide que' volti incominciò pietosa;
» - Questi cari, o signor, ti raccomando.
» Deh non pianger, consorte! Avventurosa
» È mia fortuna: figlie, non piangete
V Or che la madre vostra al ciel si sposa.
i> Non pensate, ven prego, alla morente;
■ Che questo è sonno, e al ridestarci tutti
p Ci abbraccerem lassuso eternamente.
P Sol d'una grazia estrema or farne lieta
» Ben puoi, tu amico, questa pellegrina;
» Ah! la chieggo alla tua tenera pietà.
Poesie del Pellegrini 213^
» Vedi umana grandezza ove dechina:
' » , , , • . •• '"^
»... Tosto che spenta
» Or or fia pure questa spoglia grama«
» S'erga una prece airanima contenta,
» Che propizi A colui che ^Ccoglié ed ama
» Deirumild il sospiro» ei pili che il pianta
« D'intemerato cor gli affetti brama.
» Qilel che vano è per me regale ammanto ^
» Copra la nudità del povei'ellOj , :,.! i. |
» Che dai digiuni e patimenti è affranto. ^^,.^ ,
jtt Vedi che ai me stende le braccia: oh! quell9t.j.:j
» Duro mi £ora abbandonar', se indietro , ^j.,
w Non gli lasciassi in t0 padre e, fratello*^ ^^,,3^
» E oh come fia pei* me sul mio fere tra ;j,9„ q^i
» Quel benedetto suqpregar' di pace «jil^
» D'ogni ùmania armonia piìi dolce nietro!, ^^^
» Ma già s^appressa del Signor* la pace <
» A consolai* quest^anima . . i spirante
» Addio j figlie» consorte . . * . io vado in pace
4 < « «
Conchiudendo ci rallegreremo » che Una fiorita spe-
ranza alle dolcissime lettere abbiasi nel giovine au-
tore. Quando l'Italia è dolente di tante e sì gravi
perdite, ai novelli si conviene studiare di forza nei
classici» e non lasciare alla nostra età il rimpro-
vero di mancare alla gloria, dimenticando ciò che
a cima di lode conviensi» come avvisava un gran-
de epico nostro; .
» Chi non gela, non suda, e non s^estoUe
i> Dalle vie del piacer, là non perviene. »
D. Vaccolini
2U
Due lettere del Barthélemy.
AL CONTE ETTORE BORGIA,
CLEMENTE CARDINALI
Xntitolandovi queste due lettere , credo far cosa
conveniente a voi cui le dirigo, a me che ve le of-
fero. A me, perchè l'argomento loro essendo intor-
no una tessera ospitale, ricordo con vera compia^
cenza che una tessera d'ospitalità, non mai rotta in
tre generazioni, esiste fra la vostra e la mia fami-
glia: a voi, si perchè il monumento era nel domesti-
co vostro museo, e sì perchè non dubito punto, che
non sia per esservi gratissima la lode del cardinale
vostro prozio.
Piacciavi dunque, mio carissimo Ettore , acco-
gliere benignamente questa ofiferta, e ritenerla a te-
stimonianza di quella amicizia, che non essendo del
caso, ne della fortuna, da lunghi anni ci tiene uniti.
£ state sano.
Di Velletri il primo di dicembre 1837,
LETTERA I. DEL SIG. BARTHÉLEMY (1).
A Monsieur Adler (2). Paris ce 25 iuin 1782 (3).
l'ay vù avec beaucoup de plaisir, monsieur, l'in-
scription que vous m'avez fait l'honneur de me co-
Lettere di Bartiiélbmy 2f5
muniqiier de la part de monsignor Borgia, dont les
lumieres ne me laissent aucun doute sur rautenticité
de l'originai, et sur l'exactilude de la copie. le rap-
porterois volentiers ce monument au VI ou V siede
avant l'ere vulgaire (4). L'inscription est en diale-
cte dorique, tei qu'il etoit en usage dans la Grande
Grece, ou elle a eté trouveè. Quelques lettres pre-
sentent des formes peu connùes, mais leur valeur
est determinée par les anciens monuments , ou par
le sens de l'inscription : telles sont les suivantes.
D - A: Gomme dans les plus anciennes medail-
les de Zanclé ou Messine (5).
l-r =
%-/ote: comme sur la colonne de mons. le
senator Nani. '^^
M - M: comme sur plusieurs monuments (Gp*l
+ -s(7). n.
M - 2 : Comme sur les anciennes medailles de
Sybaris, Posidonium etc. (8).
4^-X(9).
Il faut remarquer encore le digamma avant le mot
OIKIAN; e Vomicron fesant quelque fois la fonction
de V omega. D'apres ces notions , je vais tracer l'in-
scription avec les caracteres plus usités.
0EO2 . TTXA . 2AQTI2 . AIA
OTI . 2IKAINIAI . TAN . FOX
KIAN - KAI . TAAAA . HANT
A . AAMIfìPr02 . HAPArOP
Al . nPOHENOI . MINKfìN
APMOSIAAMOi; . ArA0AP
X02 . 0NATA2 . EniKQP
02.
£n voicy maintenant la traduction litterale en latin.
216 Letteratura
Dea Fortuna servatrix
dat Sicaeniae domum
et reliqua omnia,
(culli esset) Demiurgus Paragorasj
(CUBI essent) Proxeni, Mincon,
yirmOxidamus, Agatharcus,
Onatasi Epicurus (10).
Ce decret est signe d'aboril par Paragoras, qui etoit
deraiurge: c'est le tìtre que donnoient a leurs prin-
cipaux magistrats plusieurs villes d'origine dorien-
ne (Voyèz Tucyd. lib. V, e. 47, Hesichius etc.) (11).
Le decret est signé enjcore pap cinq proxenes :
ce nornt se donne souvent a des citoyens chargés de
protegei' les etrangers, qui avoient obtenU le droit
d'hospitalité dans une ville (12). Leur signature
prouve qu'iJ s*agit icy de la concession d'un pàreil
droit, et quef par le mot OIKIAN, il faut entendre
la maison, Thospice public, oìi Fon avoit soin de
loger les nouveaux hosles (13): c'est peut étre dans
ce sens que paripi les difFerentes acceptions que
Suidas donne au mot piX^U , on trouve celui de
Le privilege de l'hospìtalité publique en en-
tranoit d'autres, exprimés dans le decret par ces
mots KAI . TAAAA . HANTA (14).
La seule difficulté qui m' arrete , est le mot
2IKAINIAI. l'avois d'abord cru qu'il pouvoit desi-
gner la nalion des sicanes, qui avait autrefois pos-
sedè la Sicile , et qui du tenjps de Thucidide
(lib. 1) (15) reduite a bien peu de cliose, occupait
ancore quelques unes des cotes occidentales de cette
isle. Mais le nora de ce peuple etoit 2IKAN0I, non
Lettere di Bartiiélemy 217
2IKAIN0I; et de plus on auroit dit 2IKA.IN0I; plu-
tei qiie 2IKAINLAI, aitx sicaniens plutot que a la
Sicanie. Il paroit dono qu'il s'agit icy d'une femme
vìommi^e Sicania (16). On pourroit incidenter sur
ce nom, ainsi que sur celai de Mincon , qui vient
aprés; l'un et l'autre ne se trouvent peut étre point
dans les anciens auteurs; mais ce n'est pas une rai-
son de le rejetter t et loin de nous arreter sur des
objets si minucieux, concluons de ce que nous avons
dit, que Tinscription contient un decret pour ac-
corder a quelqu'un l'hospitalité publique.
Le decret est grave sur une de ces tablettes de
culvre, que dans de pareilles occasìons on remettoit
entre les mains de la personne favorisce, pour luì
servir de titre. Cet usage est prouvé par plusieurs
exemples ; par deux entr'autres, que le P. Paciau-
di a rapporté dans ses Mommi. Pelopon. T. 2 p. 143.
Ciceron ( //: f^err. lib. IV e. 65; en parlant des hon-
neurs que le senat de Syracuse lui avoit decernè,
- ainsi qu'a son frere, dit: Decernunt statimi primiim
ut cimi L. fratre hospitium publice fieret
id non modo tum scripseriint^ verum edam in ae-
re inciso nobis tradiderunt. Autre exemple : le se-
nat et le peuple de Malthe ayant accordé Thospita-
litè publique k un certain Demetrius , ordonnerent
d'inserire le decret sur deux tablettes de cuivre, et
d'en don ne r une a ce Demetrius : no6%i'Jiccj xooj t>jv
àlC^ÓXH (17).
Si vous croyez, monsieur, que ces notes rassera-
blées il la hate, et au milieu d'une foule d'embar-
ras, meritent d'etrc mises sous les yeux de mons.
Borgia; je vousserai obligè de \es lui envoyer, en y
joignant l'hommage de mon rcspect, et de ma recon-
G.A.T.LXXIV. 15
218 Letteratura
noissance. Acceptez en meme temp pelui de Testi-
me, et de 1' attachement inyiplable , avec le quel
i'ay l'honneur d'etre,
Monsieur,
Votre tres-humble et ires-obeissant serviteifp
Bartliélemy
LETTERA II,
Monsieur (13).
C'etoìt unicmement pour me cpnformer a vos
desirs que j'avois hazardcs quejques remarques sur
l'inscription , que vous ra' avlez fait l'honneur de
m'envoyer. le ne les aurois pas destinées a l' im-
pression ; mais vptre sufFrage me rassure, et je se-
ra! tres flatté , si elles peuvent contribuer a faire
connpitre ce monument (19).
Le observations contenìies dans votre lettre,
monsieur, confirment la haute idée que j'avois de
vos lumieres. Jl est singulier en efFet , qu'on n'eut
pas exprimé sur cette lame de bronze le nom de la
ville (20): mais outre que nous ne pouvons aujord-
hui juger des usages de ces temps reculés, ainsi que
vous l'avez remarqué vous meme, je vous prie de
considerer que ce n'est pas icy un monument pour
la poslerilé, mais une simple concession faite à une
personne particuliere, ou a une nation. Les noms
des magistrats ne suffispient ils pas pour donner U
cet acte l'autenticité dont il avoit besoin ( 29 ? Il
me semble qu'il en coute moins d'adopter cette idée,
que de prendre le mot 2A0TI2 pour le nom d'une
ville, dont il ne reste aucune trace dans les auteurs
anciens (22). Ce nom ne se trouvc pas dans les ecri-
Lettere di Barthélemy 219
valns grecs (23); il m'arreta au moment qiie je vis
rinscription. le chcrchois a le decomposer, lorsqii'
im de mes amìs, qui arriva par liazard, me propo-
sa de le prendre pour le ferainin de lAOTHP. L'a-
nalogie de la langue justifioit cette conjecture, et
je la preferai a toutes celles que j'avois imaginées.
Si r on oppose qii'en Sicile les doriens disoient
^QTEIPA, au lieu de 2A0TI2 , nous repondrons
que dans la Grande Grece ils ont pù employer cet-
te seconde forme. l'ajoute que 2AQTI2 se lie natu-
rellement avec les deux mots precedens. Vous se-
riez d'avìs, monsieur, de les isoler, comme dans
plusieurs inscriptlons qui commencent par AFAOH
TTXH: mais ce deux mots, n'y sont ils pas toujours
au datif ? Je ne puis verifier le fait, parceque je
n'ay à la campagne, cu je me trouve, aucun recueil
d'inscriptions. le ne me rappelle pas non plus, si
dans les concessions d'Iiospitalité rapportées par le
P. Paciaudi, et citées dans ma lettre a mons. Adler,
il est fait mention des descendents de la personne
à qui Fon avoit accordé ce privilege (24).
Reste le mot 2IKAINIAI, qui n'est pas moins
embarassant que celai de 2AQTI2. Il peut designer
une femme, ou la petite nation des sicaniens. De
ces deux acceptions, j' avois preferé la premiere,
vous clioisiries volontìers la seconde. Il me semble
que dans les privileges, que les peuples s'accor-
doicnt mutuellement, on n'exprimoit pas le nom
de la ville principale, ni celui de la nation, mais
le nom patronymique des habitans ; par exemple
on ne disoit pas Bysance accorde k Athenes, mais
les bysantiiis accordent aux atheniens etc. (25).
Si dans ces sortes de discussions, il etoit per-
mis de se laisser alier au scntimcnt et au rcspect,
220 Letteratura
ie me serols sans hesiter rendu a vos reflexions i
le vous prie, monsieur, de croire qu'il m'a fallu du
courage pour resister au penchant qui m'entrainoit,
l'ignore si de nouvelles recherches me met«
troient à portée de donner plus d'etendiie a l'e^xpli-
cation que j'ay eu l'honneur de vous proposer; mais
je ne puis m'y livrer dans le sejour que j'habite, et
ou je compte de passer encore quelques mois : j'y
suis prive de tous les secours necessaires, et n'ay
pas meme la copie de l?i lettre que j'ecrivis a mon-'
sieur Adler.
Ne jugeriès vous pas a propos, monsiour, de
comuniquer rinscription a des savans plus en etat
que moi de lever tous les doutes ? le prendrois la
liberto de vous indiquer entr'autres le pere Paciau^
di k Parme, et monsieur de Villoisons de notre ar
cademie des inscriptions a Venise (26). I,e premier
est tres familifirisé avec les monuments anciens, le
second avec les auteurs grecs : 1' une et Tautre se
faroient un devoir de concourir aux vuj^s d'un prer
lat destine a relever une branche de literature trop
negligée aujourdhui (27). Ils n' auroient pas plus
de zele que j'en ay eprouvé, mais vous pourriez en
attendre plus de succés. J'ay l'honneur 4'etve «^vec
un respect sans bornes,
Monsieur,
A' Ghanteloup en Touraine ce 24 aoust 178?,
Votre tres-humble et tres obelssant serviteur
Barthélemy
221
NOTE
[ì] Cui ilon è nòto Gioì Iacopo Bartliélémy ? Nato a Cassis
il 20 gen. 1716, morì a Parigi il 3o aprile 1795. Celebre nu-
ihismaticOj dottissimo poliglotte^ molte opere consegnò alle stam-
pe; quella però che più l'onora è il J^iaggio d'Anacarsi.
Queste due lettere originali sono presso di me. Furon citate
dal Siebenkees [Expos. lab. hosp. p. 5) dal Lanzi [Saggio dilin-
gàà etrusca voh \ p. 108), dal Fea ( in ìVinckelmann voi. 1 p.
258 noia a; e nella lèttera al Card. Borgia nel i volume della
Sua tìfiisceliahéA]. Non asserirò che siano inedile, perchè non po-
tei consultare le opere diverse del Barthélemy pubblicate da
SàintiCrOix a Parigi (1798 voi. 2 in 8). Conservai religiosamente
la ortografia degli autografi.
(2) Giorgio Cristiano Adler danese^ esimio conoscitore delle
linguft dotte^ illustrò Ife motiete cufiche bofgiane, come vedremo
alla nota (27).
(3) Questa data è chiarissima; tome dunque nel rame della
tessera che sta unito alla dissertazione del Siebenkees, e alla let-
tera del Fea^ dicesi prope repvrta anno MDCCLXXXHl? Que-
sti originali del Barthélemy assicurano che il bronzo era tornato
in luce fin dal 1782.
(4) Uguale opinione tenne il DcLama nella Tavola alimen-
tare veleiate p. 88.
iS) Si vegga pure il Torremuzza Nummi Siciliae ec. ec. tav.
XLV num. 9; Montfaucon Paleogr. Gr. pag. 127.
(6) Fra gli altri, ricordo il marmo sigeo presso Chishul , e
presso Chandler ; la colonna già del museo Nani in Venezia ;
una pesarése oUveriana; ed una medaglia in Eckhel Num, anecd.
tab. ni num. 5.
(7'' Parmi di ugual forma la S nella medaglia argentea de-
scritta da Winckelmann Storia dell'arte. Ediz. rom. voi. i p. 164.
(8) Anche nella colonna naniana ed altrove.
(9) Di ugual forma in una gemma ed in una patera etrusca
che portano scritto il nome di Achille ( Maffei Oss. lett. voi. 5;
Winkelmann Man. ined, num. 174).
222 Letteratura
(io) Da questa interpretazione si allontanarono Schow{Charta
pnpyì'eicea graece scripta e/c.p.iial, Siebenkees e Lanzi (ne'Iuo-
ghi citati); ma fu abbracciata dal Fea , cui parve consentire an-
che il ciottissimo Ennio Quirino Visconti. Tenne diverso parere
il Fabricy, il qual ne scrisse per incidenza alla faccia 208 della
Diatribe de bibliogr. antiq. etc,
(li) Si vegga anche Martini Etiinologicon, ed Hoffman Le-
xicon. I platonici così nomavano il creatore dell'universo
(12) Aggiungo, che la voce TTpo^svot era propria e caralteri-
stica dell'ospitalità pubblica, come provò il Fea ( Misceli, p.
XXVI), contro il parere di Schow e di Siebenkees, il quali cre-
derono questa tessera borgiana di privata ospitalità. L'opinione
dell'archeologo italiano viene corroborata ; dalla testimonianza
di Polluce {Onom. lib.5. e. 4- segni. 69), di Snida (Trpofjvoi;, di Lu-
ciano (in Phalar.), di Eustazio ( In Iliad. ad lib. Ili e. 70 ) e
dalle lapidi (Grut. p. ecce. 8/ Chandler Iiiscr. antiq. p, I. N.
60 61, P. II. u4ppend,n\\m. io. Guattani Mon. ant. ined. a. 1787.
p* 76). Sì vegga inoltre Biagi De decr. athen. e. XXIV. §. II, e
Paciatidi Mon. Pel. T. II. p. i35.
(i3) ìioct oi;<ia^'Ieggesi nella tessera di Boisco figliuolo di Li-
cofronCj e uelTaltra di Licisco ed Echestene (Biagi presso Guat-
tani Mon. ant, ined. a, 1787 p, 69, 70), ed in una di Delo (Reines.
CI: VIL num. i4; Paciaudi Mon. Pel. T. IL p. i4o).
(i4) zai To. ciXKa, tìì/.ìo, o(Ta nella ricordata tessera di Boisco.
Si vegga Biagi De decr. athen. e. XXIV, e Siebenkees diss. cit.il
quale a lungo e dottamente scrive della frase xai ra aXKa Travra
Essa fa ricordare 1' OMNIA COMMODA, e 1' OMNIS HVMA-
NITAS di due iscrizioni balneari edite dal Marini Frat. Arcali
p. 53i.
(i5) Non nel libro I, ma nel VI di Tucidide leggoSixavoi'Ss
ftsv wjToùi npùroi <^a,ivov s)/oiy.icrdiJi.s)/oi con quel che siegue. Dionigi
d'Alicarnasso (lib. I.) e Pausania negli Eliaci testimoniano altret-
tanto; cui fan eco fra i latini Silio Italico lib. XIV v. 33; Soli-
no Cap. XI; Servio nell'ottavo dell'Eneide, e forse altri più.
Veggasi Cellario Notizia Orbis Antiq. eie. e Cluverio Sicil. antiq.
(16) Il Feia vuole che questo sia nome' d'uomo o pur di
donna; e così opinarono prima di lui il Siebenkees , il Lanzi ec.
(17) Questo si legge in una tessera ospitale in bronzo, che
verso la metà del secolo XVI possedeva Achille Maffei. Smezió
la inserì nella sua raccolta al f. I.XVI, e vi aggiunse la tradu-
zione latina di Benedetto Egio. Fu acquistata poi da Fulvio Or-
sino, che la pubblicò appresso al trattato De legibus et senatus
consultis dell' Agostini. Quindi passò in potere del cardinale
Lettere di Ba-Rthélemy 223
Odoardo Farnese; poi nel museo dei duchi di Parma , infine ia
quello regio borbonico in Napoli , dove credo che attualmente
esista. Oltre lo Smezio e 1' Orsino , la pubblicarono il Grutero
p. ceco. 8; il Wandale Diss. 77 p. 233; il Tomassini De tess.
hosp. e 16; il Gualtieri Tah. sic. p. 63 ; 1' Abela Malta illustr.
lib. 2 notiz, 4; e Monsignor Onorato Bres Malta antica illustr.
p. 192, il quale ne die un rame esattissimo, ed a lungo ne scrisse.
Il medesimo Demetrio figliuol di Diodato avea ottenuta una
simil tessera di Agrigento, la quale parimenti si conserva nel re-
gio museo borbonico in Napoli. L'oratore Antocicle ateniese si
dava vanto di averne avuta una uguale {In oral.de niyster. Inter
orat. graec. Stephan. ): ed in Tito Livio leggiamo Hospitium cum.
eo ( Timositheo Liparensi) S. C. factum ( lib. V. e. 16 ).
(iS) Abbertchè manchi in questa lettera il soprascritto, pure
dal Contesto di essa è chiaro che fu indiritta al cardinale ( allora
monsignore) Stefano Borgia.
(19) Sembra che il Borgia scrivendo al Barthélemy gli chie-
desse il permesso di ptibblicare la lettera precedente; ma otte-
nutolojnon se ne valse-
(20) Nellsi più volte ricordata tessera di Boisco, non è nomi-
nata la cittaj ma credesi Corcira. Manca pure il nome della città
nella tessera d' Ermio figliuolo d' Asclepiodoro , che si ha in
Grutero p. e. 8.
(21) y'eteres, quonìam non poterant omnes suos hospites na-
scere, tesseram illis dabant, quam illi ad hospitiareversi osten-
debant praeposito hospitii ; unde intelligehantur hospiles. Cosi
Lutazio, Stat. Teb. lib. VII v. 237.
(22) Il Lanzi (luogo citato) nella voceSoonj credeva indicati
i popoli santini nella Lucania, de'quali a' tempi di Plinio rima-
neva appena memoria [Hist. nat. lib. Ili e. i5). Si vegga Cel-
lario T. I. p. 727, e Cluverio Ital. antiq. p. 1381: anche Fa-
bricy vide nelle voci 2aoTif e 2<x«;viaj i santini ed i sicani.
(23) Non la Fortuna, ma cosi Pausania epiteta Bacco e Gio-
ve (Lib. 2- e. 3i; lib. g e. 36)j come imparo dal Fea, cui lo sug-
gerì il Visconti.
(24) Paciaudi cita le due tessere 6.1 Demetrio ricordate nella
nota (17), e che si leggono nel Torremuzza Inscr. Sicil. D' al-
tronde con la parola Qioi incomincia una tessera nel Muratori
p. LXXXVIII. 2; e con la fase 0£oj ayaSo? una fra i marmi oxo-
niensi in Chishul p. 129, in Prideau p. 117.
(25) Chi delle tessere ospitali, e di quelle di patronato e di
clientela volesse avere maggior contezza, può leggere le dotte
disquisizioni dello SchulteroZ>e iure hosp.apud i'ef;del Columbo
224 LsTTERATUnA
De sale hospitali; del Moehb De variis tesseris; del Verpoorten
De i'erlio Isvoy; de Simon De Vospitnlilé; del Paff De ìio3[rHr(li^
tate; del Tomassini De thess. hospit ; del Morcclli Diss. mille
tessere; dello Spalletli Dick. dì una lesserà ospit; del Serra v Fer-
ragut nella Tavola boccoritana; del Gazzera Di un decr di pa-
tronato ec. ( il quale die una complela raccolta di tali decreti di
patronato, e solo deesi aggiungere quello scoperto di poi, e pub-
blicato nel Bollettino dell islit. archeologico del 18061. Olire Pa-
ciaudi, Biagi, Brcs già ricordati L'elenco di coloro che scrissero
intorno questa tessera borgiana si avrà nella nota seguente.
(26) Non so se il Borgia, abbracciando il consiglio del Bar-
ihélemy, scrivesse al P. Paciaudi: so che scrisse al Villoiaons; e I»
risposta originale di lui contenente la illustraz'one di questa la-
mina deve essere fra le carte del Borgia alla Propaganda (Vedi
Siebenkec» op. cit. p. 5). Credo non sia discaro l'aver qui uniti
i nomi di coloro che si travagliarono nell' interpretape questo
interessante n>onun7ento , scrivendone alcuni di proposito, altri
per incidenza. Sono i seguenti.
Siebenkees,£'.r/jo.y?7/o tabulae hospitalis ex aere antiquìssimae etc.
Fea, Lettera sul papiro e sulla lamina ospitale ee.
Barthélemy, Nelle due lettere qkii pubblicate.
Villoisons, Nella lettera ricordata nel principio di questa notaf,
Biagi, Dissertazione inedita sulla tessera ospitale borgiana. (Si
vegga la prefazione al voi. IX dei Saggi delP accad. etru-
sca di Cortona; e la p. 4 dell'opera di esso Biagi Mon. g,r-~
lat. mas. naniani.)
Scow, Nella Cknrtha papyracea graece scripta.
Lanzi, Nel saggio di lingua eirusca.
Ignarra, De Pkalriis primis graecorum politicis societatibus^
Fea, Nell'edizione della storia dell'arte di Winckelmann.
Richard Payne Kv'tghl, u4n anatycal essaj orithe Greck alphabvt.-
Fabricy, Nello Specimen variarum lectionum sacri textus.
De Lama, Nella tavola alimentaria veleiate.
(27J Non solo questo elogio è meritato, roa qualunque se nt
facesse sarebbe minore del vero. A chi non è noto il museo borgia-
no, raccolto precipuamente con infinite curee dispendio da STE-
FANO BORGIA cardinale amplissimo di Santa Chiesa? Il quale
non contento di aver impiegata una lunga e luminosa vita in ra-
dunarlo, volle che i più celebri fra i monumenli in esso raccolti
fossero degnamente illustrati dai più celebri archeologi di Ger-
mania, d'Inghilterra, di Danimarca, non che di Francia e d'Ita-
lia. Per ricordare a' miei concittadini qual tesoro possedemmo
fra le patrie mura, darò qui un elenco delle opere intorno esso
Lettere di Bìrthélemy 225
TOUseo, asjai più pieno di altri molti che ne fui-ono por lo addie-
tro dati alla luce. Per maggior chiarezza dividerò quest' elenco
in quattro paragrafi.
5. I OPERE INTORNO MONUMENTI
DEL MUSEO BORGIANO.
I. Museum cuflcum borgianum yelitris, illustravit GeorgìuS
ChìHstianus Adler altomanus. Roma, Fulgoni t^82,4 ^g- ^e i*^
sono estratti nelle Effemeridi romane del io8'2, e nelle Novella
fiorentine dello stesso anno. Si vegga il seguente num. XXIV.
II. Fragmentum copticum ex actis s. Colutili martjrris eru-
tum ex membranis Vetustissimi saeculi F", ac latine redditunt ,
quod nunc primum in lucem proferì ex museo suo Stephanus
Borgia. Roma, Francesi 1783, 8 fig. La prefazione è del Borgia;
il resto del P» Giorgi. Vedi il segueùte num. XXX,
III. Philippi Invernizzi romàni , de fraenis eorumque gene-
ribus et partibus apud veteres StocTpi^ix. Roma, Zempel 1785,8 fig.
Ve n'è un estratto nelle Effem. rom. del 1785 : il bronzo che
die motivo a quest'opera fu nel museo borgiano.
IV. Bassirilievi volsci in terra cotta, dipinti a vari colori ,
trovati nella città di Velletri. Roma, Salomon! 1785, f- fig. La
illustrazione è del P. Becchetti; ne fu inserito con estratto nelle
Effem- rom. del 1786. Di questi monumenti singolarissimi scris-
sero pure rinvernizzi (opera ricordata qui sopra nam. III>; il
de la Borde, Descriptioìi du musaique d'Italica; il Raj>onì, Recueil
des pierres antiques gravées; il Fea nella Storia delle arti del
ÌVinckelmann;\\ Paolino nel Viaggio alle indie orientali: \\ Riccy
nelle M.em. storiche di Alba Longa; il D'Agincourt nella Histoire
de la decadence des arts; il Finali nel Museo borbonico-, e forse
altri.
V. Calceo veliterno in terra cotta illustrato. Fra i Mon ani.
ined. di Gius. Ant. Guattani anno 1785, 4» tav. 2
VI. Expositio fragmenti tabulae marmoreae operibus cae-
latis et inscriptionibus graecis ornatae musei borgiani Velitris ,
auctore Arnoldo Heeren bremensi. Roma, Fulgoni 1786, 4 ^ff*
Tradotta in tedesco ed inserita nella Bibliothek der alter litte-
ratur und Kunst; un estratto si ha nelle Effem. rom. del 1786.
VII. Specimen versionum Danielis copticarum, nonum eius
caput memphilitie et sahidice exibens, ex museo borgiano Ve-
litris edidit et illustravit Fridericus Munter hafniensis. Roma
Fulgoni 1786, 8.
VIII. Il lustrazione di un vessili/ero in bronzo del muse»
226 Letteratura
borgianol Fra i Mon. ani. ined. del Guattani, anno 1787,4 T'av'.
2 P- 17-
IX Cista mistica del museo borgiano. Fra i Mon. ant. ined.
del Guattani, anno 1787, 4 p- 29.
X. Terra cotta del museo borgiano rappresentante un già'
diatore illustrata. Fra i Mon. ant. ined. del Guattani anno 1787,
4 Tav. 3 p. 43.
XI. Bassorilievo del museo borgiano con Ercole ed Ebe
illustrato. Fra i Mon. ant. ined. del Guattani, anno 1787,4 Tav-
1, p. 47 I^ questo marmo scrisse poi il Visconti Museo wors-
leiano.
XII. Nummi aegyptii impePatorii in museo borgiano Veli'
tris prostantes. Roma. Fulgoni 1787,4 fig. Ne è autore Giorgio
Zoega. Un estratto fu inserito nelle Effem. rom. del 1787.
XIII. Illustrazione di un bassorilievo del museo borgiano
rappresentante le carceri del circo.FvA i Mon.ant. ined. delGusit'
tani, anno 1788, 4- Tav. I. p. g3.
XIV. Epistola de gemma navim cum Dioscuris desuper cor—
ruscantibus referente, in museo borgiano Velitris extante; au'
ctore Jo. Christophoro Amadutio. E inserita nel terzo volume
del Novus thesaurus gemmarum veteruni;Vi.oxaA. MonaMini 1788,
8 fig. Un estratto se ne ha nelle Effem. rom, del 1788^.
XV. Charta papyracea graece scripta musei b'oi^giani Ve"
litris, qua serles incolarum Ptolemaidis Arsinoiticae in aggeribus
etfaslibus operantium exhibetur, edita a Nicolao Schow. Roma
Fulgoni 1788, 4 fig- Un estratto è nelle Effem. rom. del 1788-.
XVI. Expositio tabulae hospitalis ex aere antiquissimae in:
museo bogiano Velitris adservatae , auctore Jo. Philippo Sie-
benkees. Roma Fulgoni 1789, 4 fi?- Fu tradotta in tedesco ed
inserita nella Bibliothek der alien literatur und Kunst; ed un
estratto è nelle Effem. rom. del 1789. Si vegga la precedente
nota (a6).
XVII. Epistola Nicolai Schow in qua mumus Ulpiae Paula'
liae ineditus ex museo borgiano Velitris illustratur. Roma Ful-
goni 1789, 4 fig- Un estratto ne fu inserito nelle Effem. rom.
del 1789
XVIII. Fragmentum evangelii s. Johannis graeco-copto he-
baicum saeculi IV; additamentum ex vetustissimis membranis le'
ctionum evangelicarum eie. ex veliterno museo borgiano nunc pO'
deunt in latinum versa et notis illustrata opera et studio Fr. Au-
gustini Antonii Georgii. Rom.i. Fulgoni 1789, 4 fig- Nelle Effem.
rom. dello stesso anno ve n'ò un estratto-
XIX. M. Friderici Munter commentatio de indole versionis
Lettere di Barthélemy 227'
novi testamenti sahùìice: accedunt fmgmenta epistoìarum s.Pnuli
ad Timotfieum ex membranis sahidicis musei borgiani felitris.
Hafniae, Scliultz 1790, 4-
XX. Illustrazione di un antico piombo del museo borgiana
di Velletri-, appartenuto alla memoria ed al culto di s. Genesio
vescovo di Brescello; del P. Ireno Affò. Parma : Cai'mignani
lygo, 4- fig- i"! Esti'atto è nelle Effeni. rom. del 1790.
XXI. Globus coelestiscufico-arabicus veliterni musei bargia'
ni a Simone Assentano illustratasi Padova 1790^ 4 ^^S- Nelle
Effeni. rom. del i8gi ve n'è un estratto.
XXII. Lettera dell'avv. D. Carlo Fed sulpapiro e sulla la-
mina greca ospitale borgiana. E inserita nel voi. i della Miscel-
lanea deirautore. Roma: Pagliarini J790, 8 fig.Un estratto è nelle
Effem. rom. del 1791; si vegga la preced* nota (26).
XXIII. Sjstema brahmanicurìt liturgicum mythologicum ci-
vile ex monumentis indicis musei borgiani f^elitris , dissertatio-
nibus historico criticis illustravit Fr.Paullinus a s.Bartholomaeo .
Roma; Fujgoni 1791, 4- ^S U'^ estratto è nelle Effem. rom. del
1792; ed uno nel Nuovo Giorn.Encicl. d'Italia, maggio 1782. Si
veggano i seg. numeri XXVII, eXXVlII.
XXIV. Museum cuficum borgianwn f^elitris. Pars, II (vedi
preced. n. I). Illustravit lac. Georgius Adler. Inserti sunt numi
cufici edito ris. Hafniae: Thiele 1792, 4- tig- Si Teggano i due nu-
meri seguenti.
XXV. Articolo della biblioteca di Torino sulla seconda
parte del musèo cufico borgiano di Giacomo Giorgio Cristiano
Adler. Torino: stamperia reale 1793, 8.
XXVI. Articolo tratto dai nunt. XXIX e XXX del foglio
letterario impresso in Venezia nel 1793 col titolo Memorie per
servire alla storia letteraria e civile , nel quale si dà l' estratto
della seconda parte del museo cufico borgiano d' Adler. 4- Ne fu
autore Simone Assemani.
XXVII. Lettera del conte Gastone della Torre di Rezzonico
sui monumenti indici del museo borgiano illustrati dal P. Pao-
lino da s. Bartolomeo. Roma 1793. Si vegga il precedente num.-
XXIII, ed il seguente XXVIII.
XXVIII. Scitismo sviluppato in risposta al sig. conte Ga~^
stone della Torre di Rezzonico sui monumenti indici del museo
borgiano del P. Paolino da s. Bartolomeo. JXomA 1793,4-
XXIX. Musei borgiani Velitris codices manuscripti avenses,
peguani, siamici, malabarici, indostani ; animadversionibus hi-
storico criticis castigati et illustrati a P. Paulina a s. Bartholo-
/228 Letteratura
maeó. Roma: Fulgoni 1892^ 4* ^'?- Un estratto nelle Éff. ratti;
del 1793*
XXX. De miraculis s. Colutili et reliquiae s. Panésii marty'
ris, thebaica fragiìienta duo ex museo velit. borgiano depromptd
et illustrata a F'r.Augustina AnUGeorgio. Roma Fulgoni lygS,^.
Yi è inserita la ristampa della prefazione del Borgia, di cai nel
precedente num. II.
XXXI. Fossilia aegyptiaca musei borgiani Kelitris, descri-
psit GeorgiuS Wad danus. Velletri 1794 Un estratto è nelle
Effem. roin. del 1795-
XXXII. Lettera dell' Ab. Domenico Sestini Sopra due Uolsche
rnedaglie di Segni esistenti nel museo borgiano. È inserita nel!'
Antologia Romana del marzo 1794? 4'
XXXIII. Lettre sur les beaux arts et ett pdrtiduliét sut" Id
cabinet d'antiquilés et d' histoire naturelle de inonsègneur le
card. Borgia a yelletri; par l'abbé Etienne Borson. Roma 1796,'
8. Ve ne ha Un estratto nel Magasin Encjclopedique de Paris
per Millin, anno II. T. VI- p. 376 e segg.
XXXIV. Lettera di Domenico Seslini sopra due medagli e di
Aegira città dell' Acaia dei musei sanclemente e borgiano in Vel"
letri. E' Inserita fra le Lettere numismatiche dell'autore, voL V
p. XIX e segg.
XXXV. Apogrdpkon descriptionìs orbis terraé figurii et
narrationibus distinctae, manu germanica, opere nigelliari disco-
loris, circa medium saeduli XF" tabulae ahende musei borgiani
Velitris consignatae , quod Camillus lo* Paullif. Borgia summd
fide maximoque studio expressum i recognitumque eruditis spÉ-i
ctandum proponit A. C« 1797* in f. mass.
XXXVI. Lettera di È»Q. Visconti sopra due monitménti,tte'
quali è menzione di Antonia Augusta. Roma: Fulgoni 1798,4- fig.
Uno dei due monumenti è una medaglia in bronzo del museo'
borgiano.
XXXVII. Dissertazione sopra un antico sigillo d'Adria esi-
stente nel museo borgiano in yelletri: di Girolamo Bocchi. Adria
XXXVIII. Illustrazione di un antico sigillo di Padova esi-
stente nel museo borgiano in Velletri. Parma; Gozzi i8ooy 4- ''S*
L'autore è Girolamo Trevisani.
XXXIX. Lettera di Raffaello d'Urbino conforme alVorigina.
le esistente nel museo borgiano in Velletri. Inserita nelle Memo-
rie Enciclopediche del Guattani 1804, 4-
XL, Notice sur la vie et sur le musée du cardinal Borgia a
Lettere di Barthélemy 229
felletri par A. L. Millin. Inserita nel Magasin «ncjrcìopedique
dello stesso Millin 1807, 8.
XLI. Catalogua codlcum copticorum MSS.qui in museo bar-
giano felitris adservqtur : auctore Georgia Zoega dano. Roma
Propaganda 1810, f. fig. Si vegga il N. che siegue.
XLII. Observations sur le catalogne des MSS.coptes du mu'
t^e Borgia a Velletri, ouvrage posthume de George Zoega ; par
ChampoUion le jeune. Inserite Pel Magasin ejiciclopedique del Mii-
lio, ottobre 18 ix, 8.
XLIII.De lohannis Hyrcani Hasmonaei iudeorumsummi po,i-
tificis hebraeo-samaritico mimo borgiani musei Kelitris piane a-
necdoto , phoenicum litteratum cuius fontes primum inquiruntur
pommentarius- Quest'opera del P. Fabricy. Fu stampata in 8, ma
non mai pubblicata. Ne vidi un esemplare nella biblioteca che
fu di Filippo Aurelio Visconti.
5. II. OPERE INTORNO MONUMENTI ACQUISTATI PEL
MU3E0 BORGIANO DOPO LA PUBBLICAZIONE DI ESSE.
XLIV. Osservazioni del proposto Anton Francesco Cori in"
forno alcuni monumenti rappresentanti il presepe, inserite nella
^dizione del poema di Sannazaro X)e parta virginis procurata dal
inedesimo Cori alla faccia XXXI esegg. La gemma cristiana, che
vi si illustra, dal museo Vettori passò nelborgiano.
XLV. Animadiiersiones in lamellam ahenean antiquissimam
fnusei victorii. Roma. Zenjpel, i74'» 4 ^8" L'autore è il comm.
Francesco Vettori.
XLVI, Sanctorum 'septeni dormientium hìstoria ex ectjpis
fnusei vietarli expressa, dissertatione ac veteribus monumentis il-
lustrata. Roma; Pagh'arini 174'» 4- fig* L'autore è il comm. Fran-
cesco Vettori. Così la gempia dei sette dormienti^ come la lamina
del num, precedente dal museo Vettori, passarono nel borgiano.
XLV li. fUustrazione di un antico sigillo della Garfagnana:
di Giuseppe Garampi. Roma. Pagliarini 1759,4 fig- H Borgia a-
(Cquistò quel famoso sigillo, e poi lo donò a Clemente XIV di s. m.
XLVIlI. Lettera delV ab. Gaetano Marini al sig. Gaspare Ga-
ratoni sopra un'antica iscrizione cristiana. E' inserita del voi. VI
del Giornale Pisano 1771, in 12; e nel voi. XV della Raccolta di
dissertazioni ecclesiastiche del Zaccaria,
XLIX Illustrazione di una lapida greca scritta dall'ab. Gae-
tano Marini. E' inserita nel voi. XVI del Giornale Pisano 1774
12. p. 174- esegg. Questo marmo e quello del n. precedente aequi*
«tò il Borgia dallo stesso Marinif
230 Letteratura
L. Musaico a bassorilievo illustrato. E' inserito nelle Memo-
rie per le belle arti del Guattani; maggio 1788, 4 fig- H Borgia
lo acquistò dal Ceccarini.
§. III. OPERE INTORNO MONUMENTI DEL MUSEO BOR-
GUNO, PUBBLICATE DOPO FATTANE LA VENDITA.
LI. Di una lamina volsca veliterna del museo borgiano, lette-
re divinatorie di Francesco Orioli. Bologna Nobili 18 16,4- Edizio-
ne incompleta, non mai messa in commercio.
LII- Lettera di Clemente Cardinali sopra due antichi marmi
scritti, \ns^r'\\.& nel Giornale enciclopedico òì NopoH,mag.i8i8, 8.
LUI. Dissertazione di Bernardo Quaranta sopra un bronzo
antico già del museo borgiano. Nel voi. 3 degli Atti della società
pontaniana. Napoli 1819, 4 fig-
LIV. Osservazioni sopra il museo per lo innani^i borgiano in
yelìetri e di A. H. L. Heeren, inserita nella terza sezione voi. I
del giornale pubblicato in Lipsia da C. A. Beettiger, presso Go-
schep, intitolato Amalthea, 1S10, 8,
LV" In tabulam aheneam veliternorunt commentarium Rai-
mundi Guarini. Napoli, società filomatica: i8ao, 8.
LVI. Schedium de lamina veliterna. Nel Giornale Arcadico
1820, 8. N'è autore il P. Luigi Parchetti C, R. Somasco.
LVII. De inscriptione greca musei borgiani F'elitris epistola
Cajetani Migliore pubblicata d^me con note nelle Effem. lettdì
Roma, agosto 1822, 8.
LVIII. Nummi unciales aerei musei borgiani Velitris a Geor-
gia iSoega descripli cum adnotationibus Phil. Aur. Kicecomitis ;
edidit C- Cardinali. Nel voi 3 della Nuova collezione d'opuscoli
pubblicata in Firenze dall'Inghirami, 182?, 8,
LIX. Minerva, Mercurio, Argo e l'Argonave, bassorilievo in
broni^o già del veliterno museo borgiano, descritto da C. Cardi-
nali. Nel voi. I delle Memorie romane di antichità e belle arti,
Roma 1825, 8 fig.
Jj^' Descrizione del toro Api egiziano in bronzo esistente nel
museo borgiano ; di Giorgio Zoega. Roma nel voi, 2 delle Me^
morie di ant. e belle arti 1825, 8.
LXI. Descrizione di alcuni vasi fittili del museo borgiano ,
stesa da Luigi Lanzi. Roma nel voi. 2 delle Meni, di ant. e belle
arti 1825, 8.
LXII. Lettera di Clemente Cardinali intorno un'antica lapi-
de cristiana, inserita nel voi. 2 degli Atti dell' accad. romana di
Archeologia 1825, 4«
Lettere di Barthélemy 231
LXIII. Terre cotte volsche (v. il prec. n. IV) illustrate da
Gio. Battista Finali, nel voi. X. del Museo borbonico tav. 9, io
II, 12. Napoli i834, 4» fi?*
LXIV. Due bassorilievi egiziani in marmo illustrati da Ber-
nardo Quaranta, nel voi. X del Museo borbonico tav. 48- Napoli
1834, 4, fig-
LXV. Bassoriliei-o egiziano illustrato da B. Quaranta, nel
voi. XI del Museo borbonico, tav. 19. Napoli |835j 4*fig-
LXYI. Queste due lettere del Barthélemy.
§. IV. OPERE INEDITE INTORNO MONUMENTI
DEL MUSEO BORGIANO.
LXVII. Algonti canonici veliterni ex aere musei borgiani
felitris sigillum vetustissimum illustravit Aloysius Cardinali. Ma-
noscr. autografo presso di me.
LXVm. Illustrazione della lamina \>olscadel museo borgia-
no, di Lodovico Coltellini. Yeàì l'opuscolo del rned. Coltellini in-
titolato: Dissertazione eopra un ara etrusca.
LXIX. Inscriptiones borgianae. L'autografo dell'ab. Ignazio
M. Raponi è presso la propaganda; io ne ho una copia.
LXX. Iscrizioni antiche borgiane con note di C. Cardinali.
Manoscr. autogr. presso di me.
JjXXL Memoria di Filippo Aurelio Visconti sopra il museo
borgiano veliterno. Ne ho una copia descritta dall'autografo.
LXXII. Memoria di Daniele Francescani sul bue Api del
museo borgiano. Vedi \e Relazioni accademiche del Cesarotti, Op.
compi, voi. XVIII p. 124 e segg; ed il Mustoxidi nel secondo vo-
lume della Traduzione d'Erodoto, dove è anche il rame del mo-
numento.
LXXIII. Sigilla impressoria ahenea musei borgiani Velitris
a Phil. Aurelio yicecomite ex afysuitoiq descripta anno 1812. Ne
ho una copia tratta dall'autografo.
LXXIV. Ad iscripfionem Flauiae Antoninae musei borgia-
ni commentarius, sivede antiquis iudaeis italicis exercitatio epi-
graphica; auctore Caietano Migliore. L'autografo nella pubblica
biblioteca di Ferrara, fra i codici uum. 269.
LXXV. Illustrazione delle patere etrusche borgiane scritta
da Luigi Lanzi, in Firenze. Vedi l'opera d'Inghirami Monumenti
etruschi o di etrusco nome.
LiX.X.yi. Calendari runici borgiani illustrati dal dottor Chri-
stiana Romus. Manoscritto autografo alla propaganda.Yedi Borson
p. 38 dell'opera qui sopra i-iportala al num. XXXIII.
232 Letteratura
LXXVII. Dissertazione del P. Angelo M. Cortenovis suUt
medaglie illiriche del museo borgiano. Vedi l'opuscolo del Corle-
novis mìÙIoÌaìo: Iscrizione greca di Basilea ec. nella prefazione.
LXXVm. Illustrazione d'un mappamondo tedesco del i4oo
esistente nel museo borgiano : dell' ab. Giuseppe Toaldo. Vedi
Francesconi; Di un' umetta lavorata all'agemina p. LIV.
LXXIX. Illustrazione di un mappamondo tedesco del i4oo
esistente nel museo borgiano : del conte Si/none Slratico. Vedi
Francesconi di un' umetta lavorata all'agemina p. LIV.
IjXXX. Illustrazione della grand' urna di basalte gerogli fica-
ia entro p. fuori esistente nel museo borgiano del card. Stefano
Borgia. Vedi Cancellieri, Elogio del card. Borgia p. 6.
LXXXI. Illustrazione di un antico sigillo di Fiumicino esi'
stente nel museo borgiano del card. Stefano Borgia. Vedi Cancel-
lieri, Elogio del card. Borgia p. 9.
LXXXII. Esposizione del codice messicano di pelle di cervo
lungo palmi 42, esistente nel museo borgiano: di Lino Giuseppe
Fabreca. Vedi Borson a p. Sg dell' opera indicata qui sopra al
num. XXXIII.
LXXXIII. Note ed illustrazioni di un calendario necrolo-
gico, e di una liturgia di Monte Cassino esistente in un codice del
museo borgiano. Mss. presso la propaganda.
LXXXIV. Dissertazione di Clemente Biagi sulla te,ssera o-
spitale borgiana. Vedi qui avanti la nota (•!&).
LXXXV. Dissertazione elei Villoisons sulltt tessera ospitale
borgiana. Vedi qui avanti la nota (q6).
LXXXVI. Autografo di Raffaello esistente nel museo bar-
giano con noie di Daniele Francesconi. Vedi l'opuscolo del Fran-
cesconi intitolato, Congetture sopra una lettera di Raffaello ec.
p. 100.
LXXXVII. Catalogus icodicunt coptothebaicorum musei bor-
glani, auclore Federico Engelbreth. \. Borson a p. 21 dell'opera
qui innanzi notata al num. XXXIII.
LXXXVIII./«,//ce delle statuine in bronzo esistenti nel museo
borgiano; di Luigi Lanzi. Ne posseggo una copia tratta dall'auto-
grafo per cortesia di Filippo Aurelio Visconti.
LXXXI X Dissertazione dei vasi di creta del museo borgia-
no (diversa dal n. LXl!; di Luigi Lanzi. Ne posseggo copia trat-
ta dall'autografo per favore di Filippo Aur. Visconti.
XC. Descrizione dei monumenti egiziani del museo borgiano
di Velletri, fatta da Giorgio Zoega. L'autografo è presso di me.
XCI. Codices copti borgiani ab Aloysio Mingarelli illustrali.
Vp.yoe -ji àeXìeMeniorie del Mingarelli scritte dall'ab. Cavalieri.
Lettere di Barthélemy 233
XCII. Le iscrizioni antiche cristiane del museo borgiano in
P'elletri con note di Luigi Cardinali.Uautogvato è presso di me.
xeni. Medaglie delVinfuno evo esistenti nel museo borgia-
no, descritte da C. Cardinali. L'autografo è presso di me.
XCIV. Stima e descrizione del museo borgiano veliterno.
Ne posseggo una copia tratta dairoriginale dei signori barone
Akérblad e Filippo Aur. Visconti.
XGV. Inventario e stima delle medaglie, idoli di metallo,
iscrizioni lapidarie, vasi antichi , codici, altre antichità lasciale
dal card. Borgia in Roma, composto dall' ab. Gaetano Marini e
Pilippo Aur. Visconti. Ne ho una copia desunta dairoriginale.
Certo in ninno dei molti cataloghi delle opere relative al mu-
seo borgiano, che si hanno alle stampe , sono ricordati non dico
tutti, ma neppure la metà, ola terza parte di questi novantacin-
que articoli. Ognuno può farne il confronto con gli elementi pub-
blicati nel Giornale della letteratura italiana ( Mantova 1794 ) ■>
nelle Effemeridi enciclopediche (Napoli lygS), nelle opere di Bor-
son (qui sopra n. XXXIII), di Millin (qui sopra n. XL), di Asse-
mani (qui sopra n. XXI) e nelle altre del P. Paolino da s. Barto-
lomeo [Vitae synopsis Stephani card. Borgiae], del Nuzzi [Leti,
sitll'orig. ed uso del nome Papa), del Renazzi [De laudibus Leo-
nis X oratio) , del Baraldi [Notizia biografica del card. Stefano
Borgia). Anche nell'immagine di Carlo Scapin libraio in Padova,
morto nell'agosto i8oi, si leggono i soli nomi de'principali scrit-
tori del museo borgiano. Altre moltissime poi sono le opere nelle
quali leggonsi riportati ed illustrati altri monumenti borgiani. Io
terminerò questa lunga nota , accennandone alcune, gli autori
delle quali furon certo i primi luminari dell'archeologia de'tempi
nostri, e di quelli de'nostri padri.
Adler. Vedi qui avanti i n. I e XXIV.
Affò. Vedi qui avanti il n. XX.
Akérblad, Vedi qui avanti il n. XCIV-
Amaduzzi. Vedi qui avanti il n. XIV ; nelle sillogi lapidarie
inserite fra gli annedoti romani; neW Jchnographia vet-Romae.
Antemori. Nella storia del duomo d'Orvieto.
Antolini. Nel tempio d'Ercole in Cori; nella raccolta de' can-
delabri.
Arevalo. Nell'edizione delle opere di Prudenzio,
Assemani. Vedi qui avanti i n. XXI. e XXVI; nell'estratto di
una diss. sulle iscrizioni cuneate di Persepoli.
Astle. On the radicai letters of the pelasgians and their domi-
nations.
Avellino. 'ì^cWltaliae veteris numismata.
G.A. T. LXXIV. 16
03/|. Letteratura
Barthélemy. Vedi qui avanti il n. LXVI.
Becchelti. Vedi qui avanti il n. IV.
Biaei. Vedi qui avanti il n. LXXXIV; ne Monuin. gr^ et la'
tin. musei naniani.
Bocchi. Vedi qui avanti il n. XXXVII.
Borgia. Camillo. Vedi qui avanti il n. XXXV.
Borgia Stefano. Vedi qui avanti il n. LXXX e LXXXI; nei
commentari De critce vaticana, de cruce vehternci.
Borson. Vedi qui avanti il n. XXXIII.
Cancellieri. Nell'opera De secrelariis ec.
Cardinali Clemente. Vedi qui avanti i n. LII. LIX, LXII,
LXXeXCIII' nella silloge d'iscrizioni; nelle iscrizioni veliterne.
Cardinali Luigi. Vedi qui avanti i n. LXVII e XCII.
ChampoUion. Vedi qui avanti il n. XLII.
Coltellini. Vedi qui avanti il n. LXVIII; nella diss. sopra un
ara etrusca
Corlenovis. Vedi qui avanti il n. LXXVII.
D' Agincourt. Nella storia della decadenza delle arti.
Da s. Bartolomeo . Vedi qui avanti i n. XXIII, XXVIII e
XXIX; ne" monumenti indici naniani ; nel viaggio alle Indie ;
neW India orientalis Christiana ; nella diss. De latini sermonis
origine; nella diss. De veteribus indis.
De Blasi. Nella serie de'principi longobardi.
De la Barde. Nella descrizione del musaico d'Italica.
De Lama. Nella tavola alimentare veleiate
Della Valle. Nelle lettere senesi.
Di Rezzonico. Vedi qui avanti il n. XXVII.
Engelbreth. Vedi qui avanti il n. LXXXVII.
Fabreca. Vedi qui avanti il n. LXXXII.
Fabticy. Vedi qui avanti il n. XLIII; nella Diatribe qua bi-
bliographiae antiquae et sacrae ec. .
Fea. Vedi qui avanti il n. XXII; nella storia dell'arte di Win-
ckelmann.
Finati. Vedi qui avanti il n. LXIII.
France.iconi. Vedi qui avanti i n. LXXII e LXXXVI.
Gabrini. In una lettera inserita nell'Antologia Romana del 1790.
Garampi. Vedi qui avanti il n. XLVII.
Giorgi. Vedi qui avanti i n. II. XVII e XXX.
Gori. Vedi qui avanti il n. XLIV.
Guarini Vedi qui avanti il n. LV; in diversi suoi commenta-
ri; ne' sugelli antichi.
Guatlani. Vedi qui avanti i n. V, VIII, IX, X, XI, XIII,
XXXIX. L.
Lettere dì Bartiiélemy 235
Heeren. Vedi qui avanti i n. XI e LIV; nel Coni, in opus cae-
taluni musei pii eleni.
ignàrrà. ^e\V operai Ì)e phratriisec.
inghirami. iSe'nioriiitnénti etruschi; nella nuova collezione di
opuscoli;
invernizzl. Vedi qui avanti il n; ìli; nell'opera De puhlicis et
trimirialibus iudiciis.
LabuSi Nella prefazione al niuseoi chiaranlonti j nella diss. De
la cértitudé (te la sciénce des àntiquités.
Lanzi Vedi qui avanti i n. LXl, LXXV> LXXXVIIIéLXXXI X,
bel saggio di lingua etruscà.
Lazzaririi. Nell'opera De vario tintinnabulorum usti.
Marini. Vedi qui avanti i n. XLVIII, XLIX, XCV; nelle iscri-
zioni albane; nfe'fratelll arvali; ed in altri scritti minori.
MarOrii. Nell'opera De episcopis ostiensibus et veliternen.
Melchiorri. Nella diss. In vélerem Demetrii Superistaetitulum.
Migliòre. Vedi qui avanti i d. LVII e LXXlV.
Milìiii. Vedi qui avanti il ri. XL; nella Calerle mythologique.
Mingàrelli. Vedi qui avariti il ri. XCI.
Munier. Vedi qui avariti i ri. VII e XlX.
Noel. Nel diziotìaiio della favola, ediz. di Milano.
Novu^ thesaurus genimaruni etc:
Orioli. Vedi qui avanti il n. LI.
Parchetti. Vedi qui avanti il n. LVI.
Payné Knigt. An anatycal essay on the greck alphabeth.
Perrini. Nel gabinetto minéràlogicO del Nazareno.
Quaranta. Vedi qui avanti i n. LUI, LXIV e LXV.
É.amus. Vedi qui avanti il n. LXXVI.
Raponi. Vedi qui avanti il n. LXIX; nel Recueil des pierres
grave'es; nella lettera De quodam epigrammate graeco.
Riccy. Nelle nlenloritì stòriche d'Alba longa.
Schovv. Vedi qui avanti i n. XV e XVII.
aerassi. Nella vita di Torquato Tassò.
bestini. Vedi qui avariti i ri. XXXII é XXXIV.
Siebenkees. Vedi qui avanti il n. XVI.
StraticO. Vedi qui avanti il n* LXXlX.
Tariirii. Nel supplimento al Baridtiri.
Toaldo. Vedi qui avanti il n. LXXVltl.
trevisani. Vedi qui avanti il n. LXXXVIII.
Vermiglioli. Nella lettera sopra una patera elrusca; nelle iscri-
zioni perugine.
Vettori. Vedi qui avanti i n. XLV e XLVL
Villoisons. Vedi qui avanti il n. LXXXV.
23G Letteratura
Visconti Ennio Quirino. Vedi qui avanti il n. XXXVI; nel
museo pio dementino; ne'monumenti gabini.
Visconti Filippo Aureiio. Vedi qui avanti in.LXXI,LXXIir,
XCIV e XGV nel museo cliiaramonti.
Wad. Vedi qui avanti il n. XXXI.
ìVoide. Nel Novum testamentuni geaècuni.
Zoega. Vedi qui avanti i n. XII, XLI.LVIII, LXe XC; nell'
opera De usu et origine obeliscorum; ne' bassorilievi Albani.
E ritornando col discorso là donde ebbe principio questa
lunga nota, dirò che ogni elogio che far si potesse del card. Ste-
fano Borgia sarebbe minore del vero, essendo ben difficile lo-
darne degnamente la dottrina, l'amore agli antichi monumenti,
la larghezza della spesa in raccoglierli, la cura instancabile nel
procurarne convenevole illustrazione, la protezione verso i dotti
di ogni nazione, la stima ed il rispetto che le sue virtù gli sep-
pero conciliare <fai letterati dell'Europa intera.
c. e.
237
Intorno a un poema del sig> Lamothe-Langon. Di-
scorso a S. E. il sig. commendatore Mouttinho
amhasciatore e ministro plenipotenziario del Bra-
sile in Francia (1).
1. X lon vi ammirerete, o venerando signore, che
io imprenda a ragionare di un poema che ebbe vi-
ta in terra straniera; perchè voi ben sapete che se
io non so ne vorrei dipartirmi dall'antica sapien-
za de'padri miei, soglio nondimeno riconoscere la
dignità di quelle opere che non si disformano alle
leggi eterne dell'inlelletto umano. Oh! certo non è
disonesta la mia querela, allorquando io grido a
quella superba e rozza povertà, in che per alcuni
si vanno ravvolgendo le umane lettere; e allorquan-
do io mi compiango di que'tanti scrittori, i quali
ad altro non sembrano intesi che ad incuorare le
vergogne del secolo, o a sgomentare il volgo lavo-
rando ed istoriando terrori. L'esempio di questi ma-
li ci venne dalla setta di que'falsi dottori in tutto
forestieri all'Italia, i quali bestemmiando il senno
degli antichi vollero gittare in fondo le ferme e ri-
cevute ragioni dell'arte; perchè disperati erano di
quella bontà, onde i greci, i latini , e i maggiori
italiani furono esempio a tutto il mondo civile. E
(i) Les merveilles de la natme; par le barou Laiuothe-Lau-
gon. Paris i858 iti 8.
233 Letteratujijv
ben diritto che siano invecchiate per noi e per tutti
i popoli le forme cieUe credenze antiche, e quella
altre reliquie di non perfetta ciyilt'4 che gi^ fu^»
rono fatte polve e dal martello del tempo, e dal
jrjigliore talento delle genti nupye, E dirò anch'ÌQ
gl^e i poeti debbono tenersi lontani da quelle gio-=
ponde ma viete invenzioni, che nj^l s'innesterebbe^
fO nelle menti di poi tanto diversi d^i greci per
sì lungo travasare di tempi, di favelle, di servitù,
e d'imperio. Ma che per questo? La bellezzj^ e I4
ragipne song lumi iniraortali nel mondo; e se dopo
tanto giro di età. abbiamo ancor viye e spiranti di
una fioritissittiia y\m. la virtù di Qnjero, di Demo-r
Stene e di Fidia, f^reinmo consiglio piucchè bar-?
baro nel ripugnare esempi di perfezione che furo-?
no e sono i rniracoli dell'umano potere,
2. Autore del poema di cui ragiono è il baro^
pe Lamothe-Langon, uomo di ben nudrito ingegno,
e che in poco di tempo ha levato nriolto grido di
se. I Racconti^ onde egli fece dono alla Francia, so-»
no invenzioni naturali e gentili che non ti Rìettonq
avanti ne speittri, ne lucerne nudrite qpl midollo
degli uonjini, ne macelli di carne viva, ne bordelli
d' infami libidini, Egli si tenne al vero ufficio de-^
gli scrittori, i quali sono mandati in terra al ri-
storo della umana dignità, non a salmeggiare i for-?
lunati delitti, ne a lusingare le inique voglie dell*
uomo. E a buon conto la virtìi paga con troppe lar
grime quel santo magisterio, ond'ella si fa conforta^
trice del genere umano, senza che le si levino in vi-?
so le beffe e le scellerate industrie de' romanzieri.
Farmi poi che lo stile del Langon sia di maniera
riposata e sicura: e che le passioni sieno da lui fi-
gurate quasi sempre a legge di vero. Tu vi cono-
PORMA DI Lamotiie 239
sci un senso tutto modesto, e a dolci spiriti nu-
trito; una schietta intelligenza della natura e dell*
arte: die è pure la stessa natura, che a nuove for-
me si viene foggiando nelle mani dell'uomo. Che se
alcuna volta le immagini ti si fan fredde e mute di
quell'arcano affetto, che è 1' istrumento principale
dell'eloquenza, non sei costretto a lamentare quel
gran puntar d'ingegno, e quel giocar di immagina-
zione con che taluni si vanno comprando le rive-
renze della stolta moltitudine. Ora vengo al poema.
3. Il quale è compartito in sei canti, e tratta
delle Maraviglie della natura. Argomento di mole
tremenda, perocché nell'universo tutto ha le mira-
bili impronte dell'onnipotenza; i cieli, il mare, un
vermicciuolo, un fiore, la polvere delle vie. Non
volle l'autore (ne il potea) descriverci tutte le ope-
re della creazione; bensì quelle trascelse che piìi
facilmente si prestano ad esser cantate; nel che beil
mostrò di essersi informato a quella grande dottri-
na indarno combattuta dai romantici, che i grandi
concetti non sono poesia ove non abbiamo in se uno
spirito efficace ad animare gì' insensati oggetti del-
la natura. Questo principalmente divide poesia da
prosa. Quel dolce incanto, con che si acquieta l'an-
goscia d'ogni umano desiderio; quel tale delirio di
felicita, che ci fa morti alle pene, e alle dure deli-
zie del mondo; quella potenza d'umano affetto, che
in certo modo riscalda le cose viventi, e crea come
dal niente un novello ordine di natura: queste so-
no le prime qualità che io domando al poeta, e del-
le quali il Langon mi da nobilissima vista (1). Ma
(i) Bacone da Veiulamio diedu uu" alta definizione della
240 Letteratura
tali qualità non debbono con tormento continuo la-
vorare nciranimo del poeta: e ne manco il potreb^
bero. Onde al raffreddarsi di quelle, risorge l'ope*
/ ra del giudizio a disporre e a disegnare le imma-r
gini secondo le vive apparenze del vero; a sceglie-;»
re fra le possibili forme quelle che meglio assen-
tono alle immagini stesse; e infine a legare e a reg^
gere quasi con filo interiore il complesso di tutti
quanti i pensieri. E anche per queste belle indu-^
strie l'illustre francese parmi degno di lode. Ma
dovrò io lodare il Langon di quelle opinioni po-
litiche, ond'egli ha ingrossato la materia del suo
poema? No: la didascalica , del cui genere è que-?
sta invenzione, può bene distendersi oltre i termini
che le sono prescritti: può dai mistici velamenti
della favola, dalle storie, e dai libri della morale
procacciare molti casi ed accidenti, che narrati in-^
ducano maraviglia e diletto; per tal guisa è variato
quel perpetuo tenore d' insegnamento che di per
se renderebbe fastidioso l'ufficio della didascalica
poesia. E già cjuel Cesare trucidato, que' miracoli
orrendi, e quell'Augusto piovuto dal cielo, di che
Virgilio cantava nelle georgiche, sono esempio no-
bilissimo alla libertà de'poeti; esempio al quale eb»
ber la mente e il gran Fi*acastoro , e il Vida , e
l'Alamanni, e l'altra bellissima schiera de'didasca-^
liei italiani. Nondimeno questo Langon fece non
opportuno consiglio mescendo alle sue invenzioni af-
fetti stranissimi al principale argomento: il quale
poesia ; definizione che forse era più acconcia ai tempi suoi di
quello che lo sia ai tempi nostri. V. De augmentis sc'entiarum.
Lib. -2. cap. I.
PoEnlA DI Lamothe 241
per essere tutto sublime, e veramente sacro, do-
mandava tutt' altra discrezione; e per nulla dovea
infettarsi di que' tristi umori di parte, onde sono
ammorbate oggidì molte delle cose umane. Consen-
to air illustre francese, che il poeta possa alcuna
volta denudare i giudizi segreti, gli affanni, e i de-
siderii dell'animo suo; ma poiché l'argomento è scel-
to, noi dobbiamo a questo servire: non questo a noi;
e molto meno possiamo violentemente slogarlo so-
vra materia diversa pel solo fine di magnificare pas-
sioni private. Ne mi si rechi innanzi l'esempio di
Dante Alighieri, Primieramente all'onnipotenza di
queir ingegno poteva esser concesso un ardimento,
lal quale non volle disciogliersi lo stesso Omero; e
appresso egli correva altra acqua: perchè mirava
al ristoramento delle miserie italiche, non ad irri-
tare le rabbie de'partiti.
4, Il nostro poeta è valentissimo nel descri-
vere. Tu hai come spiranti e pieni di vita i con-
cetti che egli ti pone dinanzi ; e la tua anima si
rallegra mirabilmente a quello stile numeroso, gra-
ve e soave ad un tempo. Farmi però che alcuna
volta il Langon stemperi le idee in un soverchio
di parole: ciò che forse è da reputare al poco ma-
gisterio poetico tollerato dal linguaggio francese; o
forse io stesso m'inganno, essendo io per natura non
troppo amico della bella fronda, e devoto all'amo-
re del nervoso e denso parlare dei vecchi italiani
e dei latini. Giudicar poi se la dizione del Langon
sia di vena al tutto purissima, in me straniero e in
tanta povertà di studi sarebbe ingiusta e noiosa te-
merità. Dirò piuttosto che il Langon sa temperare
mirabilmente a suo prò gli affetti di chi legge od
ascolta. Ed oh! in qual viva tenerezza di lagrime se
242 Letteratura
n' andava il cuor mio , allorquando io leggeva in
questi canti le sventure di Cristoforo Colombo (1)!
5. Fra i grandi peccati della setta romantica
io soglio annoverare il dispregio di quel sacro pre-
cetto; Scribendi recte sapere est et principiam et
fons. Di che ben addentro senti la ragione il nostro
francese; e me ne persuade il vedere che egli po-
se per fondo al poema un ordine di dottrine non
false, ne mozze, ne pensate secondo la facile sapien-
za de'moderni filosofi: e poiché queste sono incarna-
te a una bellissima forma di poesia, saranno lodate
dai filosofi ; e piacevolmente educheranno gli intel-
letti ad utilissime verità. Duolmi però che il poe-
ta sen vada in troppo aspri detti contro la gene-
razione de'romantici; che il vero con soavi e mo-
deste parole vuol predicarsi ; e oltre questo alcu-
ne potenti e onestissime ragioni, in che sogliono ar-
marsi costoro, debbono con sottile diligenza e debi-
to ossequio essere riguardate. Del resto non mi è
possìbile dubitare che le sentenze del Langon sia-
no lontane a ragione; anche lo stesso Byron ed il
Goethe impugnarono le romantiche opinioni (2). E
chi non vede che se la poesia può nudrirsi ai li--
bri de'teologi e de'filosofi, non può ne deve tramu-
tarsi in teologia ne in filosofia? Si pongan pure i
(i) la Italia pur finalmente le sciagure di Cristoforo Colom-
bo hanno un degno cantore nel genovese Costa,
(2) Intorno alle presenti condizioni della nostra letteratura il
sig. Luigi Cicconi ha pubblicato in Parigi due lettere dirette al
celebre sig. Michaud membro della R. accademia francese. Io
penso che queste due lettere siano assai strane j e disordinate
dal vero, e che l'italiana sapienza abbia molto a dolersene. Per-
ciò mi son creduto in debito di esaminarle. la breve le mie os»
jervazioni vedranno la luce.
Poema di IìAmothb 243
poeti, se loro è in grado, sulla decantata vìa del
progresso nmano; ma ricordino che il desiderio di
npyità è degnissìino di anime libere allorquando
non sian soverchiate (juelle regole che son l'opera
(della ragione umana e de'secoli, perciò non ci dia^
no mostri né orrori? e finalmente considerino che
tutti quegli scrittori, che manomettono l'antica one^
sta e le ragioni della favella, fanno un' onta cru"
deli$3Ìm9 ^Ua civile maestà della patria,
C. GyZZONI DEGH AwcARAMf,
^55
Opuscoli varii di Pier Alessandro Paravia raccolti
ed emendati dalV autore, Torino per Giacinto Ma-'
rietti 1837,
Orazione pel riaprimento degli studi nella regia uni-f
ver sita di Torino Vanno 1837, Torino tipogra^
p.a CJiirio e Mina,
Oaggio pensiero è stato quello del eh. sig. Pier
Alessandro Paravia dottore di ambe le leggi, cav.
del sacro militare ordine de'ss, Maurizio e Lazzaro
e prof, di eloquenza italiana nella regia università
di Torino, di raccogliere in questo volumetto di car-.
te 288 varie produzioni originali già da esso pub-
blicate, ed ora, come si pare dal titolo, in qualche
luogo emendate. Tre sono le vite che vi si leggono:
la prima è di x\lfonso Varano ristampata anche in
244 Letteratura
Roma nel 1825 dal Mordacchini, innanzi alle opere
teatrali di quel poeta divise in quattro volumi: la
seconda è del Tiraboschi, la terza di monsig. Fran-
cesco Bianchini. Nella prima vita si è l'autore dif-
fuso in mostrare come il Varano fu benemerito dell'
italiana tragedia e della poesia dantesca, cui con-
tribuì a rimettere in onore: discorre nella seconda
del merito e delle fatiche letterarie del biblioteca-
rio modanese, cui l'Italia dovrà sempre esser gra-
ta, perchè fu il primo a darci una compiuta isto-
ria della sua letteratura (1). La vita del Bianchini è
un compendio di quella dettata da Alessandro Maz-
zoleni: vi sono però aggiunte notizie interessantis-
sime tratte da una vita inedita del Bianchini scrit-
ta dall'avv. Giuseppe Cito napolitano , e che fu al
Paravia comunicata dal eh. monsignor Muzzarel-
li. Seguono la bella orazione sulle lodi di Filip^
pò Farsetti, recitata nella grande aula della regia
accademia di belle arti di Venezia per la solen-
ne distribuzione de'premi il dì 2 agosto dell' an-
no 1829, e l'altra parimenti elegante per l'inaugu-
razione del monumento posto nell'atrio interno del
(i) L'elogio del Tirabosclii scritto dal sig. canonico Eugenio
Guasco, che il sig. Paravia dice di non sapere se fu dato in luce,
fu pubblicalo in llonia nella stamperia Pagliarini l'anno 1796
col seguente titolo - Adunanza tenuta dagli Arcadi nella sala
del serbatoio il di l'i marzo lygS in lode del defunto Cratillo
Idèo cav. abate Girolamo Tiraboschi- Dopo la prosa seguono va-
rii bei componimenti, fra i quali primeggiano i nomi di Giusep-
pe Antinori, di Francesco Antonio Fasce, e di Luigi Lamberti.
Quest'ultimo dettava un bellissimo sonetto inserito nel dello li-
bro a pag. 5i, che con alcune varianti veniva ristampalo in
morte di Carlotta Melania Duchi Alfieri, e si legge alia pagina
.10 delle - Poesie e versioni inedite o disperse di Luigi Lamberti
reggiano. Reggio 1822 -stamperia Torreggiani e compagui.
OptrscoLi DEL Paravia 245
teatro della Fenice in Venezia ad onore di Carlo
Goldoni, orazione declamata nell'atrio medesimo la
mattina del giorno 26 dicembre 1830. L'autore, per
riuscir nuovo in argomento di già da altri trattato,
prese a parlare di ciò che nella vita del Goldoni è
veramente veneziano , e fece vedere » che grande
obbligo ha Venezia col suo cittadino per la gloria
che le ha procacciato in qualità di grande scritto-
re. » E fra i varii argomenti per dimostrare la sua
proposizione ha recato ancor questo, cioè » l'onor
grandissimo che deriva a Venezia dall'avere il Gol-
doni cosi vivamente rappresentato, e cosi largamen-
te diffuso il veneziano costume. » In fatti chiunque
pongasi a leggere le commedie di lui non può non
gustare, ammirare ed amare quell'ingenuo e lieto
costume de'veneziani.
La biografia del conte Gio: Francesco Galeani
Napione di Cocconato è un tributo di gratitudine,
ch'ha voluto egli offerire alla memoria di un uomo
insigne per bontà di costume, per incarichi soste-
nuti, e per varietà di cognizioni. In fine di essa bio-
grafia è riportata la iscrizione latina, che il mede-
simo cavalier Paravia gli fece erigere nel chiostro
del seminario patriarcale di Venezia, ove in pietra
ne fece anco scolpire il ritratto. Leggesi per ulti-
mo un affettuosissimo sonetto, che il nostro A. com-
pose quando in compagnia della contessa Luigia
Lappiè, figlia del Napione, ne visitò il sepolcro nel-
la domestica sua chiesetta al Rubatto. Esso è il se-
guente.
246 LetteratuiìA
Ahi! troppo tardi io venni j e mi deluse
Di tua verde vecchiezza il dolce inganno;
Venni, ma poi che l'urna a te dischiuse
Morte nimicai di color che sanno^
Or io bacio quest'urna^ a cui le muse
Pensose deMor mali assidue stanno:
Piango, e le gote di pàllor suffusé
Meco la figlia tua piange il suo danno.
Ma la fedele! che ti visse a Iato
Può all*afflitto pensiero e al guardo mesto»
Fingersi almeno il tuo sembiante amato;
lo, che da miei più cari esule resto^
Spero indarno conforti all'egro sfato
Se il ciel nimico mi rapia pur questo^
Il ibrano intorno al p. Éartoli e alle sue sto-
fie e tolto da quelle lezioni, che il Paravìat ténei^
suole innanzi ad Una moltitudine dì svegliati gio-
vani^ e le quali vorremmo per vantaggio delle let-»
fere che fossero gik di pubblico diritto. In que-
sto squarcio mentre il prof, si fa a svolgere i pre-
gi di quel Bartoli, di cui disse il Monti che riiuno
conobhé tnegiio i più riposti segreti detta riosircL
lingua^ non manca d'indicarne anco i difetti^ e sag-
giamente avvisa la gioventù * che il Bartoli è scrit-
tore di storie maraviglioso, ma ch'è più fàcile che
sia da tutti ammirato, che imitato da alcuno *
La dissertazione sulla patria deMue Plinii è in-
dirizzata al cavaliere Ippolito Pindemonte , ed in
questa dimostra con salde ragioni che i Plinii eran
più tosto nati in Como, di quello che in Verona.
Nella lettera al conte Giovanni F'rancesco Na^
pione tratta del volgarizzamento delle lettere di
Plinio il giovane fatto dall* abate Giovanni Tede-
Opuscoli del Paravia 247
scili, pubblicato la prima volta in Roma nel 1727
e quindi in Livorno nel 1753-59: la qual ristam-
pa sarebbe stata l'ultima, se in Milano, non ha mol-
to, non se ne fosse procurata una nuova edizione.
Il Napione aveagli addimandato che cosa pensasse
di tale volgarizzamento; il Paravia dimostra in que-
sta lettera che Tabate Tedeschi si giovò della tra-
duzione del Sacy, data fuori nel 1701 quando i li-
bri francesi non aveano ancor tanta voga al di qua
delle alpi. Egli per far questo confronto esamina
con attenzione le sole prime cinque lettere del pri-
mo libro: anzi omettendo la prima, che è breve e di
poco momento, restringe il suo esame a sole quat-
tro lettere , le quali non sono neppure delle piìi
lunghe: aggiunge, che se entro a così brevi termi-
ni gli riuscirà di cogliere il Tedeschi in tali e tan-
te colpe verso il suo autore^ che basterebbero a de-
turpare la sua traduzione quando anche non vi s'i?i-
contrassero che queste, dovrà giudicarsi da questo
saggio se la detta traduzione meriti , non dirassi
quella stima , ma neppure quella indulgenza con
che da taluni sembra essere stata fìno ad or ri-
cevuta. Nota inoltre nel Tedeschi una grande infe-
deltà, per cui o fa dire a Plinio ciò che non dice,
o gli fa tacere ciò che dice, o gli fa dire il con-
trario di ciò che dice.
Dalle quali osservazioni è chiara la conseguen-
za, che questo scrittore abbisognasse di essere inte-
ramente tradotto, non essendo se non di poche let-
tere le versioni che ne abbiamo fatte dal Dolce,
dal Vannetti, dal Zannolini , da donna Margarita
Fabri negli Altemps e da altri. E questa gloria
devesi al medesimo cav. Paravia, il quale non solo
ne stampò un saggio nell'Antologia fin dall' anno
248 Letteratura
1825, e nel primo tomo degli atti dell'ateneo di
Venezia, ma in appresso tutti volgarizzò que'dodici
libri, aggiungendovi in fine opportune note. Ne man-
cò di apporvi allora il testo latino, affinchè meglio
si potesse confrontare dai dotti là li^aduzione. Della
quale letteraria fatica amplissimo frutto raccolse il
Paravia, si pe'favorevoli giudizi che ne vennero dati
dai giornali, si ancora per essere stata riprodotta
nel 1834 in Torino dal Marietti, non avendo manca-
to l'autore di rivedere e di ritoccare il suo lavoro.
Ritornando però agli opuscoli, di cui abbiamo
incominciato a parlare, dopo la lettera al Napione
segue una breve, ma assai elegante notizia della con-
tessa Anna di Schio di Serego Allighieri, illustre da-
ma colta da immatura morte nel 1829 in Verona sua
patria, e sopra la cui tomba sparsero fiori illustri let-
terati encomiandone in prosa ed in verso lerare virtìi.
Vengono per ultimo dodici articoli necrologici,
inseriti in diversi tempi o nel giornale di Treviso, o
nella gazzetta di Venezia. Sono essi di Giovanni An-
tonio dalla Bella padovano già prof, di fisica speri-
mentale nell'università di Coimbra, del conte Fran-
cesco Benedetti Forestieri di Sinigaglia, che con tan-
ta grazia avea incominciato a tradurre l'elegie di Ti-
bullo, del conte D. Agostino Carli Rubbi commenda-
tore del s. ordine militare de'santi Maurizio e Lazza-
ro, e figlio del celebre Gian Rinaldo Carli, di Gio-
vanni Battista Gasparri morto in Venezia nell'ottavo
lustro di sua età, di Paolo Giaxich, di Antonio Me-
nizzi gih direttore della regia zecca di Venezia, di
D. Giuseppe Monico arciprete di Postioma, di Giu-
lio Perticar!, il cui nome è superiore ad ogni elogio,
e del conte Alessandro Sclopis di Salerano torinese
cultore illustre della lingua latina e della poesia.
Opuscou del Parwia. 249
Anche uno di questi articoli necrologlcl è con-
secrato alla memoria di Clemente Bondi, di cui si fa
a rivendicare la fama, correggendo il Sismondi, il
quale gli movea rimprovero perchè avesse scritto
cose profane. ,, Io per me, dicea il sig. Sismondi,
vorrei che un abate facesse poemi religiosi se tale è
la sua vocazione, o veramente che dimenticasse del
tutto, o ne lasciasse dimenticare che egli è abate „.
Il Paravia fa vedere, che il Bondi non fu mai prete,
che mai non appose alle sue opere il titolo di abate,
e che solamente per suo comodo vestiva di nero. Ab-
benchè, a dire il vero, le poesie di questo ex-gesuita
sono tutte sì oneste, che possono liberamente lasciarsi
nelle mani delle persone le piìi scrupolose ; e solo
ne dispiace che c[uanto sono commendabili per la fa-
cilità delle espressioni, e per la spontaneità del ver-
so, altrettanto siano a notarsi per la poca sceltezza
della lingua, per la poca eleganza dello stile.
Chiude il volume la notissima orazione pel gior-
no onomastico del re Carlo Alberto, orazione di cui
già si sono moltiplicate l'edizioni, e che tanto meri-
tamente è stata lodata. Di questo libro poi è piaciu-
to all'autore di donare il titolo al sig. conte Cesare
Benevello della Chiesa, rendendogli ragione del mo-
tivo che avevalo indotto a tale ristampa, e delle se-
conde cure adoperatevi.
Dato un breve estratto di cjuello che contiensi
in quest'aureo libretto, che come tale non dubitia-
mo chiamarlo, passiamo a parlare dell'orazione pel
riaprimento .degli studi recitata dal medesimo Para-
via nella grande aula della regia università di Tori-
no il giorno 3 di novembre dello scorso anno 183T.
E primieramente ci rallegriamo coli' oratore
perchè lin dal bel principio, anzi che dir male del
G.A. T.LXXIV. 17
250 Letteratura
nostro gecolo , egli si compiace appunto di esser»
nato in tal tempo, Imperocché quando fa mai cIC
egli (r uomo) operasse maggior numero di prodi-
gi ? E qui brevemente si fa a descrivere i progress
si che a'nostri giorni hanno fatto le scienze , le
lettere, e le arti; nella quale narrazione con molto
accorgimento sa egli cogliere il destro per tribu-
tare le dovute lodi alla maestà di Carlo Alberto vC'
l'o mecenate de'dotti. Il soggetto poi ch'egli impren-
de a trattare è veramente nobile e degno, Imperoc-^
che posto per principio, che la religione di Cristo
dovesse introdurre le pratiche di un nuovo culto
e formar le regole di una nuova morale, dovea al-
tresì gittare le fondamenta di una nuova lettera-
tura, e render tanto più perfette le opere dell'in-
gegno, quanto piùi del suo spirito si fossero avviva-
te. Questa verità è quella che con molta eloquenza
prende egli a dimostrare: la quale se non è nuova, è
certamente da lui con molta novità trattata. Breve-
mente riporteremo qualche saggio di tale orazione, e
sceglieremo appunto quello in cui Tautore parlando
della tragedia discorre eziandio del Sofocle astigiano.
>» Ne siffatto contrasto (fra la passione e la virtìi) in
veruna composizione si manifesta piìi vivamente che
nella moderna tragedia, la quale però tanto dovea
vantaggiare l'antica, quanto piìi ci commuove un
uomo che lotta colle proprie passioni di quello ch'è
percosso da una inevitabile fatalità. Ed oh! miei si-
gnori, perchè mai quel vostro illustre e incompara-
bile scrittore, in grazia del quale l'italiano coturno
non piìi teme il paragone collo straniero, perchè
mai si è chiusa egli stesso questa fonte d'interesse
drammatico , della quale avea fatto nel Saul così
magnifico sperimento ? Perchè volle egli sì sovente
apparir greco, quando ''ichicdeano i tempi, ch'egU
Opuscoli del Paravia 251
fosso sempre italiano ? Perchè mai in luogo di pro-
tliir sulle scene i grandi fatti delle nostre istorie,
volle egli ricondurvi quell'eterne schiatte dei Pelo-
pidi e dei Labdacidi, cos'i spesso colpite dal dispet-
to degli uomini o dallo sdegno de'numi ? Perchè in
luogo di mostrarci i suoi eroi travagliati da quelle
passioni, che tutti sentono, ce li volle mostrar per-
cossi da quella fatalità, cui nessun crede ? Sebbene
tale e tanta è la forza del cristianesimo, che lo spì-
rito di lui s'insinua in quelle opere istesse, che piìi
ne. sembran lontane: e però se il Chateaubriand ha
dimostrato (1) che la Ifigenia e Y Andromaca di Ra-
cine, l'una cosi docile e rassegnata, l'altra cosi tem-
perata e modesta, non son già formate suU'esemplar
greco, ma sul tipo cristiano; perchè non si dirà for-
mato su questo tipo anche il Polinice d'Alfieri, quel
Polinice, per cui tutti provano la tenerezza di Anti-
gone, quel Polinice che in mezzo all'ira ingenita a
quella casa fatale esce in sentimenti cos\ virtuosi e
jnagnanimi; e che alle feroci parole di Etocle
Io moro.
E ancor t'abborro . . , ,
risponde quelle altre;
Io moro , . . e a te perdono.
Or donde, richiedo io, donde trasse l'Alfieri questa
sublime parola perdono ? Forse dal gentilesimo ,
presso cui la vendetta era un sentimento nobile e
sacro, che si associava perfino alla religion de'se-
polcri? Forse dal teatro greco, nel quale non v'ha
(i) Genio del cristianesimo, par. II lib. 2 cap. 6, 8.
252 Letteratura
passione che ricorra più frequente e piìi animata
di questa? Forse dallo sdegnoso Giuvenale, che disse
la vendetta piìi gioconda ancor della vita? (1) For-
se? . . . Ma che vale lo smarrirsi in indagini, quan»
do ogni cosa è patente? Sì, miei signori, quella so-
lenne, quella consolante parola perdono, che apre
alla morente Clorinda del Tasso le porte della fe-
de e del cielo, che al moribondo Gusmano del VoU
taire fa perdonare gli eccessi di una vita scelle-
rata ed infame, questa parola l'Alfieri non la potea
togliere, ne la tolse in effetto, che da quel codice
di carità, il quale fece dell'oblio delle offese una re-
gola, e dell'amor de'ncmici un comando „.
Quanto poi non è sublime e toccante il seguen-
te luogo, in cui viene a parlare della cristiana umil-
tà! ,, Vi accadde egli mai, o signori, di udir lo-
data dagli antichi poeti l'umiltà delle lor donne? O
non era anzi il loro incomportabile orgoglio, ch'essi
tentavano di espugnare colla lusinga de'doni, colU
seduzione delle lagrime, e per fino colla virili degl*
incanti? Ma dapoi che sfolgorò agli occhi dell'uni-
verso l'esempio di una vergine prediletta in sin-
goiar modo dal cielo per effetto della sua straordi-
naria umiltà , da poi che a questo segno si rico-
nobbero i seguaci di quel divino maestro, che sì
gloriò di esser mite ed umil di cuore; la umiltà per-
de la indebita taccia di virtìi meschina ed abietta, e
venne anzi in tal pregio, che i poeti commendando
la umiltà della lor dorma, tutte stimarono in questa
di compendiar le sue lodi, di restringere le sue vir-
tù. E di ragione: imperocché qual v'ha incanto sulla
terra che a quel s'agguagli della modesta e verecon-
da bellezza, che raccolta negli occhi, ristretta ne've-
(i) Et vindicta bonum vita iucundius ipsa.
Opuscoli del Paravia 251^
11, schiva ne' modi, non ambisce conquiste , non
ostenta trofei, che non s'avvede se altri 1' ammira ,
non invanisce se altri la loda, e che seco recando un
raggio quasi di cielo essa è pur sola che o lo ignori,
o noi prèzzi ? E per ciò appunto che la umiltà ge-
nera sì pudiche grazie e sì care virtù: per ciò che
dalla sola umiltk procede la vera grandezza, ne vie-
ne, come ha già notato un grande ingegno (1), quell'
Incontrarsi così di sovente la parola umiltà nelle
amorose rime dell'Ai lighieri; il cui poema sacro ba-
sterebbe pur solo a darmi oggi vinta la prova, e
quel chiamare Beatrice d'umiltà vestita, e quel dire
che in chi parlar la sente non pur nasce ogni dol-
cezza, ma eziandio ogni pensiero umile. La qual lo-
de ben consuona colla purità di quella cara anima
di Beatrice, la quale raccomandando alla pietà di
Virgilio lo smarrito suo amico
s'
„ Gli occhi lucenti lagrimando volse: „
deUcatisslmo atto, il quale ci rende vieppiù preziose
quelle lagrime, che spreme la passion da suoi occhi,
ma che il pudore le fa nascondere agli occhi altrui,,.
Ma per riferire tutti i tratti più belli di que-
sta orazione converrebbe riportarla per intero, e ci
gode l'animo in vedere, che quasi appena uscita sia
stala riprodotta in Bologna fra le poesie e prose ine-
dite o rare degl' italiani viventi ad onore della no-
stra letteratura, e del chiaro autore, il quale con tan-
ta eleganza e proprietà di lingua scrive siccome in
prosa, così anche in verso.
F. Fabi Montani.
(i) y. l'art, di Niccolò Tommaseo „ sull'amore di Dante ,,
il quale leggesi nel Subalpino, agosto iS56y". 4'29-
254
BELLE ARTI
Siiir e spressione nelle opere di belle arti^ discorso
recitato alV insigne e pontificia accademia romana
di s. Luca, nella premiazione scolastica del 1 837,
dal cav. Antonio Sola, scultore, presidente della
medesima accademia, professore della R. di Ma-
drid e dell'I, e R. di Firenze, socio onorario del-
la pontificia romana di archeologia ec. Traduzio-
ne dalla lingua spagnuola.
V^osì vasto, o giovani valorosi, è l'argomento che
oggi imprendo a discorrervi: dell' espressione cioè
in queste arti belle, oggetto carissimo de'vostri stu-
di e del vostro amore; ch'io reputo quasi impossi-
bile, non che arduo, il darvene una piena contezza
nella bi'evitk del tempo, che la presente solennità
mi concede. Cercherò dunque in sì ampio mare
guardar solo, dirò così, ad una sponda: ristringen-
domi ad osservare non altro che il magistero di es-
sa espressione in alcuna delle opere antiche, nelle
quali vedesi condotta con maggior perfezione. Dì
grazia prestatemi udienza.
Opere nell'arte piìi notabili e più perfette, o
giovani, vogliono aversi quelle che mostrano eser-
citare più forza sulle nostre facoltà della mente.
DlSCOftSO DEL CAV. SoLA* 255
S'i» elle Sole hanno il pregio di piacer" sèmpre: el-
le solej quasi un'occulta divinità le inspiri^ non te-
tnono che rnai si sfiori la lor giovinezza. Ma d'onde
credete voi che provenga sì grande portento? Com'è
che tutte le cose in terra appassiscono e cadono, e
in queste sole non possa là comun legge della na-
tura? Gom' è che ne il volger de*secoli, ne il ca-
priccio degli uomini^ ne l*uso dominatore hanno
t*agione alcuna sovr'esse? V'ha dunque alcuna cosa
nell'arte, che tanto valga a insegnare? Si, o giovani,
v'ha: ed è Tattendere, come principal magistero,
alla giusta espressione ed alla beltà delle forme'. Ed
ora qual'opera, fra tutte quelle che sfuggite sono
al guasto del tempo, qual'opera mal potrebbe in
ciò, non dico vincere, ma uguagliare il Laocoonte?
Sovr'esso quindi io chiamerò la vostra attenzione,
con tanto maggior efietto, siccome spero, in quanto
che da voi stessi potrete poi in vaticano inspirar-
vi sul famoso gruppo, ch*io singolarmente all'osse-
quio della gioventìi raccomando. Ma prima che all'
analisi procediamo^ è duopo che di una gran veri-
tà slate persuasi; cioè della parte altissima che la
moral condizione ha sopra il corpo umano nell'e-
steriormente manifestare le varie passioni di gioia
o di patimento: o per meglio esprimermi, fa di me-
stieri, o giovani, l'aver per certissimo, che il diver-
so stato sociale, la divèrsa educazione, e tante al-
tre circostanze diverse del vivere inducono ferma-
mente fra uomo ed uomo una differenza conside-
rabile di sentire e di patire. Siffatta differenza dai
greci artefici non pure non fu mai trascurata, ma
stimata fu, siccom' è veramente , una legge della
natura: e ad essa costantemente tennero fisa l'anima
nell'operare in tela od in marmo, non altrimenti
256 Belle Arti
che a quella bellezza, la quale informar doveva tut-
te le membra, sia nelle passioni miti e gentili, sia
nelle fiere e violenti: nelle une e nelle altre chie-
dendo sempre que'sommi il Lello e la dignith. Cer-
to accresceva ciò la difficolta delie arti: ma que'gre-
ci maestri alla grande scienza ed alla grande pra-
tica sapevano maravigliosamente congiungere ciò
che anima veramente e regge tutto il regno intel-
lettuale, dico la più profonda filosofia: dalla quale
mai non dipartendosi, guardate la come le loro ope-
re nel tempo stesso che per espressione vivacissi-
ma ci commovono, per divina beltk ci dilettano.
Dissi filosofia : ma dissi altresì grande scienza
di operare. La quale, o giovani, consisteva nel cer-
care profondamente i principi i onde sono mosse le
passioni dell'animo, e nel conoscere tutte le altera-
zioni che ne avvengono alia vita organica ed ai vi-
sceri che la compongono. Scopo fu anche questo
principalissimo delle loro meditazioni: il quale re-
cavali a contemplar la natura sia da se stessi, sia
colla guida de'piìi eccellenti maestri che già l'ave-
vano investigata: sempre fermi però, siccome dissi,
alla ragione morale delle varie persone che dove-
vano rappresentare. Nobile compostezza di corpo,
gridavano essi nella vita civile : e nobile compo-
stezza di corpo, gridavano pure nelle arti belle, le
quali volevano che di quella fossero immagini e gui-
datrici.Gosi davansi a vicenda la mano, per formar-
ne un tutto maraviglioso, ed il fisico ed il morale: e
ne derivavano due canoni dell'arte, che mai non do-
vevano scompagnarsi, la verità e la bellezza: canoni
così solenni, che solo essi formarono l'essenza , solo
essi il gran segreto della scuola greca: intorno a'qua-
li la sapienza di Platone esce in queste sentenze :
Discorso del cay. Sola.' 257
„ La sanità, dlc'egli, la forza delle membra, la fran-
„ chezza. Il coraggio, la magnanimità, la costanza
„ sono qualità che costituiscono la perfezione degli
,, esseri della umana specie, e piacciono per se stes-
„ se e piacer devono necessariamente e per sempre.
„ Le passioni all'incontro non servono alla nostra fe-
„ licita, che quando moderate sono dalla prudenza.
„ La vista delle irritate passioni non ha quasi mai
„ nessun'attrattiva : anzi spaventati siamo dall' im-
„ peto loro. Ciò che a preferenza cerchiamo nello
„ spettacolo ch'esse ci rappresentano, non è il ve-
„ derle svelate colle loro violenze : non è il vederle
„ in tutta la loro sfrenatezza: ma si il mirarle re-
„ presse dalla virtù di chi soffre. I disordinati mo-
„ vimenti, le contrazioni, le grida, indeboliscono la
„ pietà nostra invece di accrescerla. Così pure l'al-
„ legrezza smodata ci ha immagine di debolezza.
„ Noi vogliamo che fra'tormenti i piìi fieri , che
„ nell'agonia, e che fin dopo morte l'uomo conservi
„ pieno di calma il suo esteriore. La tranquillità è
„ ciò che annunzia un'anima superiore agli affanni
„ ed alla istessa morte. Tanto nel morale quanto
„ nel fisico, tanto ne'piaceri quanto nelle pene, vo-
„ gliamo che l'uomo sia compiutamente uomo , e
„ che ci si porga nello stato della maggiore su-
„ hlimita, a cui possa innanzi agli occhi nostri ele-
„ vansi l'anima di un mortale : che sia pieaa cioè
„ di quella quiete inalterabile, che consideriamo
„ siccome propria della divinità. „
Così scriveva, o giovani, il gran discepolo di
Socrate : così a noi rivelava i principii che reggeva-
no i greci costumi. Ne già rimasero essi fra quel
popolo come semplici teorie. Male avviserebbe chi
ciò credesse : imperocché a tutti è noto , come
258 Belle Arti
que'grandi sapevano ne'giorni della sciagura non so-'
lo con saldo petto soffrire, ma con imperturbabile
volto incontrare queirulfimo fine, il cui aspetto e
pensiero suole ogni altro uomo empir di spavento.
Con questo saldo petto n'andarono in bando Ari-
stide e Temistocle; con questo imperturbabile volto
morirono di condanna Socrate e Focione , ed Epa-
minonda traevasi il fatai ferro dalla ferita i e quin-
di lo scultore Agesandro, fermo a quei costume ma-
gnanimo, rappresentò pure il suo Laocoonte , il
quale benché di greca stirpe non fosse, era perà
fratello ed Anchise , e sacerdote di Nettuno e di
Apollo, e per questo mostrar doveva l'aspetto e l'a-
nimo di un eroe.
Ciò premesso, ci giovi, o carissimi, considerare
alquanto i generali principi! che agiscono suH'or-
ganismo, pei quali l'uomo e sente e fa ad altri sen-
tire le proprie perturbazioni per mezzo dei movi*-
menti diversi prodotti dai moti muscolari della sua
faccia j cioè a dire, consideriamo com'egli ci fa co-
noscere il vario stato, in che l'anima si ritrova, o
di piacere, o di dolore, o di gioia, o di tristezza, o
d'ira, o di spavento. Nel che non userò più auto-
revoli parole di quelle che scritte sono nella fisio-
logia del chiarissimo professor Medici , presente
onore della bolognese università. „ È il cervello ,
dic'egli, un istrumento materiale delle facoltà dell'
anima per mezzo de'nervi, e della midolla allunga-
ta e della spinale, ed in comunicazione cogli esterni
organi de'sensi, e coi muscoli motori del tronco e
delle articolazioni, di guisa che agiscono essi e si
mutano proporzionatamente alla qualità e al grado
della forza, che primitivamente li fanno movere. Il
quale ordinamento di cose essendo prescritto da
,1
Discorso del cav. Sola' 259
«ha legge immutabile dell' organizzazione , il lin-
guaggio rii azione seguir dee norme certe e costanti.
Il linguaggio articolato può essere difettivo, ambi-
guo, incerto : ma nulla ambiguità, nulla incertez-
za è nella espressione immediata della natura „.
Cosi il prof. Medici.
Ora con queste idee morali de'greci , e con
queste leggi della natura, osserviamo di grazia il fa-
moso gruppo del Laocoonte, il quale ce le mostra
cos'i chiare e sublimi, che invano cercherei additar-
vi altra opera , che gli si potesse paragfonare così
di antico come di moderno artefice.
il soggetto ivi rappresentato è forse il piìi tra-
gico che l'arte statuaria abbia giammai condotto ,
ed è notissimo anche ai mezzanamente istruiti nelle
cose troiane, non che a voi, o giovani, che aver do-
vete a memoria i divini versi dell'Eneide. E perchè
non ci è rimasa la tragedia di Sofocle ! Abbiamo
nel Laocoonte il più sublime esempio del modo ,
col quale i greci desideravano che i loro eroi con
dignità tollerassero le più terribili ambasce. Il do-
lore che soffrir deve il suo corpo , e la grandezza
dell'anima sua sono si bene espresse in tutte le par-
ti del gruppo , che lo spettatore guardar noi può
senz'essere profondamente commosso dalla sua di-
savventura. L'artefice, che seppe con tanta espres-
sione operare , bisogna bene che dentro a se con
inestimabile forza sentisse la maraviglia di un invit-
to coraggio. Ritrarre infatti il solo dolore che cosa
sarebbe stata ? Per riunir tutto ciò , che forma un
vero magnanimo, dar doveva Agesandro, e lo diede,
alle figure del gruppo tali attitudini, che colle bel-
le lince conservassero tutti i prestigi della bellezza.
260 Belle Arti
Ove si consideri quest'opera rispetto ai canoni
dell'arte, che costituiti sono dalla invenzione, dalla
composizione , dalla espressione ^ dalla simetria ,
dalla bellezza, e dalla intelligenza anatomica, ve-
drassi che le due prime qualità, cioè 1' invenzione
e la composizione, così congiunte sono colla terza,
vale a dire coll'espressione, che malgrado dell'esse-
re state dall'artefice separatamente meditate , mo-
stransi tuttavia cos'i naturali e conformi alla rap-
presentazione del gruppo, che sembran tratte dal
vero. In qualunque lato risguardasi, è una maravi-
glia. L'elezione delle linee è tale, che appena po-
trebbe idearsene una migliore; ciascuna attitudine
delle tre figure è per se bellissima, e riunite in
gruppo formano un vero incanto di armonia, senza
che niuna copra le parti piìi essenziali all'altra , e
che elle sieno fra loro o troppo separate o troppo
unite. Se l'artista avesse condotta l'opera sua stret-»
to alla narrazione che di quel fatto mitologico ci ha
lasciato la poesia, cioè se rappresentato avesse Lao-
coonte ed i figli soffocati da'serpi che loro si avvi-
ticchiarono intorno; certo la composizione sarebbe
stata naturalissima, ma non so quanto artistica e
quanto gradevole : che v'ha, o giovani, gran diflfe-
renza fra il modo di narrare un fatto e quello di fi-
gurarlo per mezzo delle arti belle : altro volendo il
sensorio dell'udito, ed altro quel della vista.
Se tutte però le parti, che costituiscono l'arte ,
trovansi con tanto gusto e sapere in quest'opera riu-
nite, l'espressione tuttavia vuol dirsi sopra tutte le
altre trionfatrice. Con qual evidenza di verità non
ci mostra l'artefice la sua idea in cosa tanto difficile!
Ecco là in grandissimo affanno un padre e due figli!
Si volgono con pietk i giovinetti verso l'autore de'lo-
Discorso del cav. Sola.* 261
ro giorni, e in quella che gli domandan soccorso ,
sono pur tutti intesi a disciorsi, per quanto valgono
le loro forze, da'serpi che fieri ed ardenti divinco-
landosi stringon loro e pungon le membra. Sente
l'infelice padre nel profondo dell'anima i lamenti
di que'suoi cari , e gli ha piìi crudeli del dolore
stesso ch'ei soflfre pel terribile rettile che già gli fe-
risce il fianco: sicché allontanando gli occhi da essi,
li rivolge al cielo in atto di chieder soccorso agli
dei in tanta sua pena. Non s'i però, che non si ado-
peri anch'esso con forti braccia a disnodarsi dalle
spire di que'feroci assalitori, secondo l'istinto che a
tutti da la natura di conservare per ogni modo la
vita.
In mezzo a tanti sforzi ed a tanti affanni vede-
te però come in tutte e tre le figure mostrasi aper-
tissima quella dignità, che i greci costumi volevano
nel soffrir degli eroi ! Imperocché ninna di esse ha
movimento che sia ignobile, ninna che sia violento :
tutte ci danao vista di lottar colla morte umana-
mente si, ma senza viltà.
In tale stato, a cui niun altro è a paragonarsi
per la sciagura, niente ha perduto Laocoonte della
beltà delle sue forme, benché sieno elle ritratte in
quella condizione orribile di tormento. E ninna al-
terazione appare altresì nelle forme de' figli , sia
perchè l'angoscia dell'animo non è cosi forte in essi,
come nel padre: sia perchè l'epidermide, onde i lo-
ro muscoli sono coperti, essendo piìi densa a cagio-
ne della lor giovinezza, non mostra tanto gli attac-
chi e de'muscoli medesimi e delle ossa. E chi dira
nondimeno che il movimento delle tre figure non sia
conforme a quello che produce il più intenso do-
lore ? 11 forte grado di eccitamento , in cui si tro-
262 Belle Arti
vano i muscoli, fa si che il corpo umano tenda a ri-
concentrarsi per quanto può, piegando tutte le sue
articolazioni. Or si osservi come, per cjuesto princi-
pio della natura, niuna delle articolazioni di Lao-
coonte e de'figli si trovi in una tensione completa:
(intendo nelle parti antiche, non gik nelle restaura-
te e moderne, le quali non entrano nelle mie consi-
derazioni, reputandole fuori dell'intenzione del gre-
co artefice). Il corpo del padre è inchinato alquanto
verso la parte anteriore: la sua testa verso la poste-
riore e da un lato. Il petto è in direzione opposta
del basso ventre; le cosce formano un angolo con le
gambe. Sicché vedete, o giovani, che tutta la figura
dimostra una tendenza chiarissima a contrarsi : ciò
che le imprime quel carattere di patimento e di af-
fanno, che SI mirabilmente ci stringe a compassione.
Il figlio, che gli è al lato destro, mostra pili
tenera età , ed è quello dei tre che soffre più acer-
bo strazio. Uno dei rettili si è interamente impa-
dronito di lui, tenendolo stretto alle braccia e alle
gambe , e con rabbia lo morde alla regione delle
coste del destro fianco. A tanto dolore il giovinet-
to pili non resiste, e tutto miseramente abbando-
nasi al serpe, onde solo è sorretto. Espressione na-
turalissima e semplicissima, e propria di quell'età;
come impropria sarebbe stata del padre, in cui vo-
Icvasi far vedere un maggior coraggio e decoro nel-
le sue pene,
È molto visibile la contrazione delle membra
nell'altro giovinetto al lato sinistro. Inchina egli il
suo corpo in avanti, ed innalza verso il petto la
coscia sinistra, piegandone indietro la gamba. L'al-
tra gamba si sostiene alquanto sul suolo, ma in tal
maniera che manifestamente si vede in quale stato
Discorso del cav. Sola' 263
di eccitabilità si ritrovi, sia pel piegarsi che fa il
ginocchio, sia per non appoggiare al suolo che la
sola punta del piede, Rivolge egli verso il padre
la faccia con tale un'espressione d'angoscia, che il
vedi vivo non solo , ma n' odi quasi i gemiti e le
parole: e con un braccio tenta se può svilupparsi
dalla coda dell'angue, che gli si è attortigliata al
piede sinistro. Tutta la sua figura quasi reggesi in
aria, per la gran forza con che il serpe afferrato gli
ha il braccio dritto, Si, dico, o giovani, tal è que-
sta figura per la prontezza delle sue mosse , pel
contrasto delle sue parti, per l'energia della sua
espressione, che viva la vedete e gemente, e quasi
siete mossi ad accorrere a prestarle soccorso.
La testa nell'uomo e la sede principale de'sen-
si : è in essa che le passioni si manifestano a pre-
ferenza di tutte le altre parti del corpo. Devesi ciò
ai diversi movimenti de' muscoli. Quindi noi da'
moti particolari che nel volto producono le turba-
zioni dell'animo, conosciamo il genere di letizia o
di affanno, onde l'uomo commosso: il qual segno è
certissimo, perchè ce lo porge natura, ed è uguale
in ciascuna emozione. Nelle passioni moderate e mi-
ste, da una sola parte de'muscoli sono mosse le for-
me del viso. Nelle eccessive però e veementi, e so-
prattutto nelle dolorose, come nel Laocoonte, tutti
sono i muscoli eccitati e contratti. Si osservino, e si
troverà che i muscoli frontali ed orbiculari, contrat-
ti verso il loro centro, formano una massa verso le
ciglia, e precisamente verso la radice del naso. Da
tal movimento risulta , che gli occhi alquanto si
chiudono, e che cresce il volume della parte supe-
riore delle guance in virtù della contrazione della
parte inferiore d'essi muscoli orbiculari. La pelle
264 Belle Arti
seguita questo moto muscolare, sì corruga orizzon-
talmente in mezzo alla fronte, e perpendicolarmen-
te fra le due ciglia, e qua e fa intorno agli occhi, e
precisamente al loro angolo esterno.
Contraendosi i comuni elevatori del naso, n'al-
zano essi i lati inferiori, e n'aprono le narici. Per
la cagione medesima avviene, che contraendosi tutti
i muscoli motori delia bocca , ella sconciamente e
storcesi ed apresì, se da una ragione di decoro non
è moderata, come appunto nel Laocoonte.
Il disordine dei capelli e della barba di questo
infelice dimostra , che la cute della parte capillata
della testa è in istato d'irritazione , irli divenendo
essi, come appunto ci fa osservar la natura in chi
è soprappreso da grande spavento.
Tutta l'azione esterna de'muscoli in queste tre
figure si manifesta chiarissima a chi non è ignaro di
anatomia: e ben ci appare l'oppressione che ha luo-
go ne'loro visceri , ed in quelli principalmente del
padre. È Laocoonte in atto d'inspirar l'aria, onde
ha pieni i polmoni: ed ha gonfia perciò la regione
del petto e degl'intercostali, secondo che appunto
dh la natura. Imperocché l'inspirazione ed espira-
zione dell'aria avviene molto piìi frequente nell'uo-
mo che soffre un grande martire , gravitando su i
polmoni l'agitazione di tutto il corpo, e comprimen-
doli, e diminuendone il movimento : per la quale
azione sente egli mancarsi la vita, e quindi si sfor-
za d'introdurre nel petto molta piìi aria che non
sembra al bisogno suo necessaria, teuiendo che non
gli manchi la respirazione centro dell'uman vivere:
e ciò per quell'istinto che anche negli estremi ci
anima a conservar l'esistenza.
Discorso del cav. Sola' 2^5
E che poi dirò della circolazione del sangue ?
Nelle tre figure del Laocoonte quest'altra fisica azio-
ne dei corpi trovasi non meno sublime. L'eccitabi-
lità medesima, che altera il movimento e la sensibi-
lità di tutto il corpo, altera principalmente, 'come
sapete, o giovani, il moto del cuore. Da quest'alte-
razione risulta , che il cuore o affrettando il suo
moto tramanda alle arterie piìi sangue del consueto:
o ritardandolo, dalle vene non lo riceve. In Lao-
coonte sembra che la contrazione ch'egli soffre , lo
acceleri : perciocché osservasi, che la vena iugulare
esterna del collo, la cefalica del braccio che passa
dal petto per di sopra il deltoide, ed il bicipite, e
la sefena interna delle cosce, e tante altre compari-
scono assai pili gonfie; siccome pure le sujjal terne
che coprono le braccia, le mani ed i piedi. Quasi
rette sono le vene principali, ed ondulate le subal-
terne, come appunto ce le presenta natura. vAv
E altresì proprietà delle violenti emozioni il
produrre un determinato movimento così generale
come particolare di tutte le membra. Osservato ab-*
biamo il primo di questi movimenti: visibile è il
secondo sopra i grandi muscoli , facendo muove-
re separatamente ed alternativamente tutte le fi-
bre che li compongono. Ora nel Laocoonte consi-
derate questo movimento convulso delle fibre e nei
deltoidi , e negli obliqui interni, e nei retti ante-
riori, e ne'basti delle cosce, e fino nelle dita de'
piedi. Sì, o giovani, piacciavi bene considerarlo;
sul marmo originale però, non su i gessi, i quali,
per lo pili, a cagione della stanchezza» delle forme,
apparir non ci fanno queste ultime finezze dell'ar-
te e del profondo sapere del grande artefice.
Qual magistero infine non apparisce in tutte
G.A.T.LXX1V. : ...?:;■;: Hi- >,.j.ìu. ;> -r,. i8u. : ■
2(W) Belle Arti
le articolazioni delle ossa, e in tutti gli attacchi dei
loro tendini muscolari ! Oh vero prodigio di arte,
che malgrado di tante divisioni e suddivisioni di
parti, di tante minuzie di vene, di fibre muscolari
e di^attacchi di ossa, che bisognate sono ad Agesan-
dro per rappresentarci l'altezza di tanto dolore, pur
tuttavia ci mostra e nell'insieme e in ciascuna del-
le sue parti una grandiosità, una dignità, una bel-
lezza, e con esse una verità che rapisce. Io noi
guardo mai, che una forza altissima di ammirazio-
ne non mi levi quasi sopra me stesso : io noi guar-
do mai, che pili nobile non mi sembri quasi quest'
essere umano : che non mi congratuli colla munifi-
cenza de'sommi pontefici che salvato e difeso ci ha
sì gran capolavoro : che infine alla mente non mi
soccorra chi la statua di JNiobe fece così parlare :
Gli del mi cangiarono in pietra: ma Prasitele que-
sta pietra animando , mi fece \>i^ere. Sì, il portento
che Prasitele operò nella Niobe, quello stesso operò
Agesandro nel Laoeoonte ! Sicché io lo credo uno
degli esempi più insigni della sublimita dell'arte, a
cui giunsero i greci : e certo il maggiore nel gene-
re suo che fino a noi sia pervenuto.
Ne siavi chi ciò che fu pregio della scuola gre-
ca voglia ritorcere a suo difetto, voglio dire la nu-
dità delle' figure. Imperocché ciò provenne, o gio-
vani, non già da una grossolana incoerenza , che in
que'sapientissimi sarebbe temerità il supporre , ma
sì da quel vìvo entusiasmo con che tutta la nazione
risguardava la bellezza del corpo umano. Fortunato
entusiasmò per noi sì tardi posteri, a' quali è dato
così il vedere co'propriì occhi e toccar colle mani
fili dove nella teorica e nella pratica giungessero i
miracoli dei loro scarpello nella parte piìi diffici-
le dell'arte, che e quella del nudo I
Discoiiso Dfit cAv. Sola* 267
Per le quali considerazioni, o giovani carissi-
ttiij voi ben vedete» che il vero modo di apprende-
re a dare una perfetta espressione alle nostre opere
di arte è quello di osservar la natura colla guida
de' grandi maestri ì studiandola con alta filosofia
nelle sue vàrie emozioni sì morali e sì fisiche, e so-
prattutto attendendo alle parti muscolari che agi-
scono nel corpo umano, ed avvertendo alle varie
forme che prendono, ed alle diverse modificazioni
che ricevono dalla cute , secondo il sesso e l'età.
Persuadetevi però che invano in un solo modello si
cercherehhe il vero tipo di una espressione perfet-
ta; e che il copiarla da un opera, per bella che sia,
sarebbe un lavorare per reminiscenza, non mai per
proprio convincimento.
268
Uape italiana delle belle arti '- giornale dedicato
ai loro cultori ed amatori. Roma 1835- 1837 ,
a spese degli editori proprietari. Dalla tipografia
Salviucci, voi. 3 in fol. fig. {Voi. I p. 64, tav, 38;
• voi. II p. 58, tav. 36 ; voi. Ili p. 68 tav. 36 :
in tutto pag. 190, tav. 110.)
Di
'ice abbastanza il titolo di quest'opera, che deb-
bonsi avere in essa i fiori piìi eletti delle belle ar-
ti; e l'esecuzione di questi tre primi volumi giu-
stifica a creder nostro quel titolo. Anche ci sembra
che assai convenientemente così gli editori proprie-
tari, come il eh. sig. marchese Giuseppe Melchior-
ri direttore, abbiano intitolato i tre volumi a tre
celebri accademie; il primo cioè alla pontificia ro-
mana di s. Luca; il secondo alia pontificia di Bo-
logna; alla I. e R. di Firenze il terzo: perchè niu-
no a pili giustizia debbe proteggere un' impresa ,
destinata al vantaggio di quelle arti belle , delle
quali gli italiani viventi maestri fan parte di quel-
le accademie. Volendo noi far parola di una tal*
opera, confessiamo star nell'incertezza del dove in-
cominciare: tanta è la ricchezza che in questi vo-
lumi si rinchiude! Sonovi ben sessantotto dipinti ;
quindici de'quali in tavola, trentacinque in tela, di-
ciotto in a-fresco: sonovi otto bassorilievi in mar-
mo, dieci gruppi, venti statue: sonovi cinque mo-
numenti di architettura; ed oltre a ciò una gem-
Ape italiana. 269
ma incisa, e tre medaglie. Per tenere un qualche
ordine, seguiremo la norma adottata nell'indice che
sta alla fine di ogni tomo; piuttosto che tener die-
tro al numeri progressivi di ogni volume. Quindi
diremo prima della pittura, separando l'antica dal-
la moderna; poi della scultura, con ugual divisio-
ne; infine dell'architettura. E perchè la materia è
assai vasta ; e d'altronde la natura di questi fogli
non comporta articoli di molta estensione; dovre-
mo il più delle volte star contenti ad un brevis-
simo cenno dei diversi lavori.
Pittura di scuola antica.
Di quell'urbinate, che sopra tutti com' aquila
vola, sono due tavolette assai facilmente servite a
formare un grado d'altare (voi. I tav. 23 24). E
divisa ognuna in tre nicchie ; in questa vedi nel
mezzo s. Caterina della ruota, s. Bernardino da Sie-
na a destra, a sinistra s. Giovanni da Caplstrano;
in quella la penitente di Magdalo è fra i santi Lui-
gi IX di Francia e Bonaventura. Questi dipinti ,
da uomini valentissimi ( sono tali il Minardi e il
Pungileoni, e tali furono il Laudi e il Wicar) ven-
nero aggiudicati a quel sommo; e li dissero della
sua prima maniera. Nel che conviene il Melchior-
ri; non senza rimarcare però, che si avvicinan es-
si più che altri qualunque all'epoca della seconda
maniera ; non essendovi indizio alcuno di quella
grettezza, che nello stile di Pietro dà talvolta nel
secco; anzi distinguendosi per la spontaneità, e per
una certa grandiosità nel modo di piegare: prero-
gative, che unite alla purità del disegno, alla sem-
plicità del concepimento, alla vaghezza del colorito,
270 BKX.tK Arti
formano di queste tavole due preziosi gioielli, de*
quali può ben a ragione reputarsi beato possesso-^
re il nobile conte Guido di Bìsenzo. Pure di quel
genio urbinate è il disegno di una tavola in rame
dipinta da incerto autore, e posseduta in Roma dal
Vescovali ( voi. Ili tav. 22 ). Dicemmo incerto il
dipintore; ma per buone ragioni il Ranalli s'in-
duce a credere che fosse Francesco Huviales spa*-
gnuolo, detto il Polidorino. Attestano in fatti i bio-
grafi dell' essersi il Ruviales travagliato con pre-
dilezione a dipingere soggetti tolti dai disegni di
Raffaello. L'abbreviatura FRA , che leggesi a bas-
so del quadro, può ben convenire alle iniziali del
nome di lui, ed alla patria , supponendolo arago-
nese; ed in ciò ben si accorda la indicazione del-
l'anno MDXXVI. Che poi il disegno sia invenzio-
ne del Sanzio, non è da dubitare : lo indicano le
lettere V. I. Urbinas mi^emV, che pur si hanno in
molte stampe di Marcantonio. Di piìi , l' originale
di esso disegno è nel regio museo di Napoli, do-
ve pure n' è una copia ad olio , operata da An-
drea di Salerno; infine se ne conoscono due stam-
pe antiche, del Raimondi l'una, l'altra di Ugo da
Carpi. Rappresenta il dipinto una deposizione dal-
la croce : il corpo del Redentore vien sorretto in
parte dal prediletto Giovanni , in parte da Nico-
demo; mentre quel d'Arimatea sta sconficcando la
destra mano dalla croce; appiè di questa la madre
addolorata e le afìlitte Marie accrescono la pietà
della scena. Forse lo stesso Sanzio non troverebbe
indegna del suo pennello la freschezza e l'armonia
delle tinte vive e gagliarde di questo quadro.
Un fresco, che vedesi appiè di un corridoio su-
pcriore nel convento di s. Onofrio in Roma, fu dal
Ape italiana 271
Bottarì, dal Lanzi, dal Della Valle giudicato di ma-
no del Vinci. Rappresenta in mezzo ovato la nostra
donna sedente, con in braccio il divin figlio, il qua-
le benedice un divoto (mezza figura) che ginocchio-
ni le sta dinanzi. Il prof. Betti (voi. II tav. 22) non
niega, che il viso della Vergine e la testa del divo-
to siano di stile leonardesco: ma così magre sono
le forme del bambino, e così trascurato in alcima
parte è il disegno, che fa restar in dubbio se debba
attribuirsi al Vinci un tal fresco; il quale d'altron-
de manca di quella grandiosità, che fu cosa tutta
propria di Leonardo. Questo dubbio si aumente-
rebbe, quando potesse provarsi vero ciò che il Bet-
ti per giudiziosi raffronti e per argomenti d'indu-
zione va immaginando; cioè che il divoto rappre-
senti il protonotario apostolico Cabanyas : perchè
questi morì nel 1506; mentre Leonardo non si re-
cò in Roma che verso il 1513.
Due tavole esistenti al Quirinale, nell'apparta-
mento detto dei principi^ rappresentano i santi apo-
stoli Pietro e Paolo (voi. I tav. 4). Sono opera di
quel Baccio della Porta, il quale vestito l'abito di
s. Domenico, si disse fra Bartolomeo da s. Marco.
Che egli le operasse, lo attesta il Vasari; ed assi-
cura inoltre come partendo da Roma , senza aver
compita la tavola del s. Pietro, lasciò a RatTaello
Sanzio suo amicissimo che la finisse; del che si han
chiari indizi osservando con attenzione l'originale,
che per ciò appunto aumenta molto di pregio.
Di quel Lodovico Caracci, che giustamente fu
detto fons ingeniorum, si hanno nell'Ape due tele:
nell'una (voi. I tav. 20) dipinse in mezze figure mag-
giori del naturale la disputa di nostro Signore co'
dottori: grandioso e lo stile, puro il disegno, viva-
2T2 Bellk Arti
ce il colorito: dalla galleria Mosca di Pesaro, passò
in quella del conte Antonio Cabrai. Nell'altra (voi.
Ili tav, 7) rappresentò la fuga della santa famiglia
in Egitto; e perchè, abbandonando le idee comuni
ad altri pittori che quel subietto trattarono, imma-
ginò i santi viaggiatori al tragitto di un fiume; co-
s'i questo quadro comunemente è conosciuto sotto
nome della barchetta. Esso è nella galleria Malvez-
zi-Bonfiglioli in Bologna; ed il sig. Gaetano Gior-
dani nel descriverlo prese motivo a narrare con
quanta sollecitudine si adoperasse Lodovico per di-
venire eccellente , e come riuscisse straordinario
maestro, e forse il primo dell'età sua; con bell'or-
dine poi, e convenienti parole tiene discorso di mol-
te altre opere di quel capo-scuola, esistenti in Bo-
logna,
Del cugino del quale, diciamo di Annibale, due
freschi eccellenti vediamo qui primamente prodot-
ti a contorno. Rappresentano due miracoli di s. Die-
go. In uno (voi. I tav, 17) con l'olio di una lampada,
che arde innanzi un'immagine di Maria Vergine, ri-
dona la vista ad un fanciullo cieco; nell'altro (voi. II
tav. 31), rimproverato dal superiore di troppa pro-
digalità, per aver nascosto nel grembiale una quan-
tità di pani che distribuir voleva ai poveri, nell'
aprire quel panno, si trovano non già pani, ma fre-
schissime rose. Mirabili son questi dipinti, o riguar-
di l'armonia della composizione, o l'espressione del-
le teste, o la correzione del disegno. Erano nelle
maggiori pareti della cappella d Herrera in s. Gia-
como degli spagnuoli; e perchè quella chiesa minac-
ciava rovina, prima che sì bei freschi deperissero, il
cav. Sola direttore dell'accademia spagnuolà in Ro-
ma li pose in salvo, facendoli trasportare jn: tela* con
Ape iTALiAicA 2T3
opera del dlllgentissimo Succi, esperto quanto altri
mai in quella difficil'arte. Ma que'due dipinti son
opera di Annibale Garacci, o di Francesco Albani?
A questo secondo volle rivendicarli ultimamente il
marchese Bolognini Amorini; e noi contenti di aver
ciò notato, ne lasciamo il giudizio ai maestri dell'
arte.
Di Daniello Ricciardelii, dalla patria detto da
yoUerra^ evvi un fresco esistente nella chiesa del-
la Trinità de'monti ( voi. I tav. 10 ); il colorito pe-
ro è del suo allievo Paolo Rossetti. Rappresenta
l'Assunta; ed il eh. Pungileoni nel descriverlo non
trascurò di notare qualche anacronismo nel costu-
me, e negli angeletti la mancanza di quella delica-
tezza di forme e di modesti atteggiamenti, che aver
debbono quelle sostanze eteree. Del Sassoferrato ev-
vi una Vergine con diversi santi , esistente nella
chiesa di s. Maria sull'Aventino (voi. I tav. 14):
è desso uno de'quadri di maggior mole che quegli
operasse; e benché già fosse stato inciso, pure non
sufficientemente era noto. Del Ghirlandaio è una sa-
cra famiglia ( voi. I tav. 27 ) , dipinta a tempera
sulla tavola, esistente nella ricca galleria Bisenzo;
la verità e la semplicità dell'espressione sono in es-
sa unite alla purità ed eleganza del disegno. Lo
sposalizio di s. Caterina (voi. Ili tav. 16), esistente
nel collegio de' barnabiti in s. Carlo a Catinari,
fu dipinto da quell'Innocenzo da Imola, il quale
seppe nelle opere sue imitare per modo il sommo
urbinate, da essere state per molti giudicate ope-
re di Raffaello. Questa tavola ne è una prova di
più in numero, perchè si distingue per purità di
disegno, e per armonioso accordo di tinte.
Di Francesco Raibolini, detto il Francia., de-
274 Belle Arti
scrisse il Giordani una delle opere pili pregiate,
esistente nel palazzo pubblico di Cesena ( voi. IH
tav. 25 ). Rappresenta la purificazione di Maria , e
la presentazione di N. S. al tempio: l'autore vi
scrisse FRANGIA . AVRIFEX . BON . F. È noto
come il Raibolini forse eccellente orefice, e co-
me solo nell'età di quaranta anni incominciasse a
dar opera alla pittura , nella quale sali poi in
tanta fama. Del fresco di Meloxzo da Forlì tra-
sportato in tela, ed esistente nella pinacoteca vatica-
na (voi. I tav. 1 ), già altre volte ebbe scritto il
Melchiorri nelle notizie intorno quel pittore e le
opere di lui. Rappresenta il pontefice Sisto IV
nell'atto che prepone il Platina alla biblioteca va-
ticana, presenti i cardinali Pietro Riario e Giu-
liano della Rovere, ed i loro fratelli Girolamo Ria-
rio e Giovanni della Rovere. La tavola, nella quale
Benvenuto Tisi detto il Garofalo dipinse la risurre-
zione di Lazzaro (voi. I tav. 3G), è in Ferrara nella
cappella del sagramento nella chiesa di s. France-
sco. Il sig. Michele Ruggero giustamente crede che
l'operasse Benvenuto dopo tornato da Roma; perchè
in alcune attitudini, e specialmente nel Cristo e ne-
gli apostoli, si travede alcun che di raffaellesco. Un*
opera nobilissima del Vannucci è il fresco della
cappella Sistina al vaticano, rappresentante il Si-
gnor nostro che dk le chiavi a s. Pietro , presenti
gli altri apostoli, e con molte pili figure ( voi. I tav.
30 ). Anche di sommo pregio è il fresco del Zani-
pieri ( voi. Il tav. 4 ) esistente in un volto del -pa-
lazzo Mattei in Roma, ed ingiustamente preterito
dal Malvasia. Vi dipinse quel mirabile ingegno l'in-
contro di Giacobbe con Rachele presso un pozzo
vicino ad Aran. Ln spaziosa campagna vestita d'ai-
Ape italiana 275
beri, il cielo limpidissimo e ridente, il gregge la-
nuto, l'opportuna collocazione ed atteggiamento del-
le figure, tutto insieme è degno di colui, che emu-
lando i sommi giunse ad uno dei primi seggi nel-
ritalica pittura.
La pietà di Andrea Mantegna (voi. Il tav. 7) ;
la sacra famiglia di Bernardino India veronese (voi.
II tav. 13); l'ultima cena del Signor nostro di Giot-
to (voi. II tav. 49); la Vergine con alcuni santi di
Andrea d'Assisi detto V Ingegno (voi. II tav. 28); la
Vergine col bambino Ge«ìi, ed i santi Francesco e
Lucia di Agostino Marti (voi, II tav. 34); la tavola
in cui Giovanni spagnuolo, detto lo Spagna^ dipinse
lo sposalizio di s. Caterina (voi. Ili tav. 31); il fre-
sco di Baldassar Peruzzi rappresentante Maria Ver-
gine con alcuni beati (voi. Ili tav. 19), son ope-
re di molto pregio, ed assai convenientemente de-
scritte. Anche maraviglioso è l'a-fresco del Pintu-
ricchio nella cappella Bufalini a s. Maria in Jra-
Coelif con diversi miracoli di s. Bernardino (voi. Ili
tav. 13); ma questo era stato già pubblicato prima
dal d' Agincourt, poi dal Giangiacomo; come ap-
prendemmo dalle memorie di quel pittore, diligen-
tissimo recente lavoro del dotto Vermiglioli. Di
quell'Aniello Falcone, che per aver dipinti molti
combattimenti, fu nomato l'oracolo delle battaglie^
riportò Vjipe un bel quadro con la morte di s. Ma-
ria Egiziaca (voi. Ili tav. 28). Per buone ragioni ri-
vendicò il Melchiorri a Benozzo Gozzoli l'annunzia-
zione in tavola, che è in s. Maria sopra Minerva
(voi. Ili tav. 4); molti Tavean reputata opera di fra-
te Giovanni da Fiesole sopranomato l'angelico. Una
delle più classiche pitture a fresco del secolo XV
che Roma possegga, è quella senza meno esistente
276 Belle Arti
nella medesima chiesa de'pp. domenicani nella cap-
pella Garafa, nella quale Filippo Lippi dipinse la
disputa di s. Tommaso d'Aquino (voi. Ili tav. 10).
Se le pitture finora ricordate della scuola an-
tica furon opera d'italiani; non mancano neW^pe
le descrizioni di alcune altre di oltramontani; cioè
due di Nicolò Pussino (voi. Il tav. 1); una di Clau-
dio da Lorena (voi. II tav. 16); una di Pietro Paolo
Rubens (voi. IH tav. 34). Il primo dei due quadri
del Pussino è presso il nobile conte di Bisenzo; il
secondo nella galleria Colonna. Rappresenta quello
la predicazione di s. Gio. Battista; 1' altro fu detto
da taluni il sonno de pastori-^ ma errarono; perchè
non v'ha dubbio che quel dipinto rappresenti il
principio di quella novella del Decamerone ( giorn.
V nov. 1 ), dove si narra come Galeso, per vir-
tù di amore, da sciocco e rozzo che era, divenne
savio e gentile. Tanto il principe Odescalchi, quan-
to il marchese Biondi, descrivendo esse due tele
del Raffaello della Francia, assai convenientemen-
te ne rilevarono le molte bellezze. Il quadro di
Claudio rappresenta la restituzione di Griseide ,
nell'atto che Ulisse al padre la consegna: lo pos-
siede monsignor Zacchia. Ed il barone di Montriblo-
nd possiede il Rubens. In questa tela quel Tiziano
delle Fiandre pitturò la notissima favola di Ercole
che torce il fuso vicino a Iole; questa con ischerze-
vol modo gli stringe l'orecchia, quasi in atto di pu-
nirlo pel donnesco lavoro mal fatto.
Pittura di scuola moderna.
Venendo ora alla scuola moderna, diremo pria
d'altra di tre opere del barone Vincenzo Gamuc-
Ape italiana 277
cini. Nell'una viene effigiato l'ingresso di Francesco
Sforza in Milano, quando il 25 marzo del 1450 pre-
se possesso di quel ducato ( voi. I tav. 2 ); questo
lo ebbe ordinato il duca D. Salvatore Sforza-Gesa-
rini. Nell'altra è dipinto Finnalzamento di Gioas al
trono, mentre vien rispinta dal tempio la furibon-
da figlia del perfido Acabbo ( voi. II tav. 1 1 ); es-
so è tuttora nello studio dell'autore, e fu descritto
assai eruditamente dal cav. Angelo Maria Ricci. Il
terzo ( voi. Ili tav. 23 ) raffigura quel miracolo di
s. Francesco di Paola, già dal Bianchini descritto
in questo giornale (giugno 1830 p. 360); glie lo
commise la maestà del re delle due Sicilie, ed or-
na l'abside del famoso tempio, che con regia mu-
nificenza fu innalzato in Napoli a quel santo. Ab-
benchè alcuno abbia rimarcata qualche menda nel
primo di questi tre quadri; pure conoscendo noi che
il disegno di esso, secondo promise il direttore del-
XJpe^ debbe essere stato diretto ed approvato dal-
lo stesso autore del dipinto , non vogliamo farne
motto: ne della nostra lode ha bisogno l'autore. Chi
non conosce in fatti il Camucclnì? chi ignora qual
seggio tenga egli nell'italica pittura? Nò minor fa-
ma gode, e meritamente, il magico pennello del cav.
Laudi; la cui morte, avvenuta nel 1830, fu pubbli-
ca sciagura. Descrive il Melchiorri ( voi. Ili tav. 17)
una tela di lui, rappresentante l'Addolorata; essa è
in proprietà del Lucchetti negoziante di quadri:
ma noi non possiamo col Melchiorri dirla unica to-
talmente compita che del Landi esista in Roma;
perchè ( a cagion di esempio ) deve egli ricorda-
re di aver più volte veduta in Roma, nella casa del
fratello di chi scrive quest'articolo , una sacra fa-
miglia di quel famoso maestro; opera compiutisisi-
2T8 Belle Arti
ma, e da non temere il confronto della qui pub-
blicata.
Nel volto di una delle sale del magnifico pa-
lazzo quirinale è la tela ( voi. II tav. 2 ) , nella
quale il cav. Palagi dipinse Cesare il dittatore, in
atto di dettare a quattro amanuensi, secondo nar-«
rano Irzio e Plutarco. Il cantore di Gofifredo che
vien raccolto in s. Onofrio ( voi. I tav. 5 ), ed una
sacra famiglia ( voi. Ili tav. 11) sono tele operate
dal prof. Agricola: quella pel duca di Bracciano ^
questa per la duchessa di Sagan. Osserva il Pungi-
leoni quanto esattamente abbia nella prima il pit"
tore eseguiti i due precetti oraziani dell' unità e
della semplicità ; nota il Betti come la seconda
provenga da un bassorilievo del Buonarroti , che
possedeva il Wicar. Anche due sono le opere del-
l'altro nostro professore Podesti pubblicate nell'^-
yoe; in una ( voi. I tav. 25 ) veggiamo il Tasso in
atto di leggere il suo poema alla presenza del du"
ca Alfonso d'Este e della sua corte ; questa tela
esiste nello studio dell'autore. L'altra è un dipinto
a fresco ( voi. Il tav. 32 ) esistente nella villa Tor-
Ionia fuori di porta nomenlana; vi è rappresenta-
to Bacco che rende cieco Licurgo re della Tracia*
Così il cav. Visconti pel primo, come il Raggi de-
scrivendo il secondo, assai acconciamente rilevano
i molti pregi di questi dipinti ; ma sembra a noi
che le molte bellezze del primo non siano passate
nella incisione. Nella ricordata villa Torlonia e pu-
re Ta-fresco del prof. Francesco Coghetti ( voi. Ili
tav. 14), in cui dipinse l'ingresso di Alessandro ia
Babilonia, secondo la narrazione di Q. Curzio.
Esiste nella galleria dell'accademia di s. Luca
quella tela, nella quale ii cav. Silvagni dipinse la
Al*E ITALIANA 279
sfida <li Etedcle e Polinice ( voi I. tav. 8 ); egli pre-
se a guida di tragico astigiano; e con esso alla ma-
no ben può chiarirsi il dipinto. Il cav. Cavalieri
operò per la chiesa di s. Filippo Neri in Torino
un quadro, in cui vedesi il beato Sebastiano Val-
frè portato dagli angeli in paradiso ( voi. II tav.
8 ). Giuseppe Bossi, che con grave danno dell'ar-
te e delle lettere fu rapito da morte non anco-
ra compiuto l'ottavo lustro d'età, dipinse la nave di
Faone ( voi. II tav. 5 ), togliendone il soggetto dal-
la Saffo, romanzo del conte Alessandro Verri. Que-
sta pittura, che giustamente vien lodata per la pu-
rità dello stile e per la finezza del gusto, è presso
il nobile don Gaetano Melzi dei duchi di Lodi nel-
la sua villa di Como. Non meno pregevole è rollra-
po, dipinto a fresco dal Sabatelli (voi. I tav. 38)
in una delle sale del palazzo Pitti a Firenze; come
assai adequata è la descrizione che ne fa il Missirini.
La sacra famiglia, dipinta da Anna de Fratnich
Salvotti veronese ( voi. I tav. 12 ), fu già descrit-
ta in questo nostro giornale dal Biondi; e quel-
la descrizione è ripetuta neW^pe. Giulio Sabino
gallo, scoperto dai pretoriani, è opera del profes-
sore Camillo Guerra, esistente nel reale palazzo di
Caserta ( voi. I tav. 21 ), già da altri molti, co-
me ora dal Bianchini lodata. Maravigliosa ne sem-
bra anche a noi rinvenzione; ma guardando nel
rame, che abbiamo dinanzi agli occhi, pare che
alcuna gamba non sia hen giustificata a qual figura
si appartenga. Nella chiesa di s. Benedetto in monte
Cassino ( voi. I tav. 28 ) è quel quadro descritto da
monsignor Muzzarelli, nel quale il cav. Sessa rap-
presentò assai vivamente il martirio di s. Bertario e
de'monaci suoi compagni. Il De-Vivo dipinse in tela
280 B È L L E A R T I
la morte di Eudossla (voi. II tav. 1 7); storia dolente,
accaduta in Damasco verso la meta del settimo se-
colo di Cristo. Già l'inglese Hughes ne fece argomen-
to ad una tragedia, nella quale molto si dilungò dal-
la storica verità; al contrario del napoletano pittore,
che ad essa si tenne strettamente. Di grandi propor-
zioni e di bellissima esecuzione è la tela del prof.
Bezzuoli (voi. II tav. 26), in cui si vede rappresenta-
to l'ingresso di Carlo Vili in Firenze. Esiste nel-
l'imperiale e real palazzo Pitti. Riconosci in essa i
ritratti di Poliziano, di Machiavelli, di Savonarola,
e di quel Pier Capponi, la cui coraggiosa virtìi fé
salva in quel frangente la patria. In Palermo nel-
la chiesa di s. Maria degli Angeli è la sacra fami-
glia del cav. Natale Carta ( voi. II tav. 29 ); in San-
severino, la Vergine che riceve il celeste messaggio
dall'arcangelo Gabriele, dipinto di Filippo Big^iuoli
(voi. II tav. 35 ): nella cappella del pubblico cimi-
terio di Lucca, la Vergine del rosario , opera del
prof. Michele Ridolfi ( voi. Ili tav. 2 ). La scena pa-
storale dipinta dal cav. Paoletti , e posseduta dal
Moroni , fu assai degnamente descritta dal Biondi
( voi. Ili tav. 26 ): la congiura de'Pazzi del Mussi-
nl, posseduta dal Finzi in Firenze ( voi. Ili tav. 32),
fu esposta dal p. Tanzinl: ed il direttore Melchior-
ri descrisse così il Faustolo che presenta alla mo-
glie Romolo e Remo, quadro del professor Duran-
tini (voi. Ili tav. 29); e così il fresco esistente nel-
la ricordata villa Torlonia, in cui il Fioroni rappre-
sentò l'incoronazione di Cleopatra (voi. Ili tav. 35). ,
Di autori oltramontani di scuola moderna ve-
diamo riportati otto dipinti in questi tre volumi.
Diremo primamente di due che furono operati dal
fu cav. Wicar. Nell'uno raffigurò Temistocle, quan-
Ape italiana. 281
do si rifugia presso Admeto re de'molossi ( voi. I
tav. 34 ); lo possiede il nobile sig. conte Giulio Ra-
sponi in Ravenna; e fu già descritto dal nostro prof.
Betti (sue Prose nella Bibl. scelta di opere italiane;
Milano pel Silvestri, voi. 209 p. 199). L'altro è la ce-
lebratissima tela, in cui pitturò il risorgimento del
figlio della vedova di Naim (voi. Ili tav. 26); essa sta
a Lilla in Francia; e noiVÀpe si riporta la descri-
zione che il Missirini ne ebbe pubblicata nelle Ef-
femeridi romane del 1821 ( voi. VI p. 38 e segg. ).
Nel casino della villa Massimo, presso s. Giovanni
Laterano, esiste quel fresco, nel quale il prof. Fe-
derico Overbek, ispirato dal cantor di Goffredo, ef-
figiò la morte di Odoardo (voi. I tav. 15). Nella
casa che fu di Federico Zuccari in via sislina il
Bartholdy fece operare diversi a-freschi, Nell'^yoe
vediamo incisi e descritti dal Betti, dal Gerardi, dal
Melchiorri quelli di Guglielmo Schadow che dipin-
se i fratelli di Giuseppe nell'atto che a Giacobbe
presentano la veste di lui (voi. I tav. 18); di Pie-
tro Cornelius, in cui si vede Giuseppe che a Fa-
raone spiega il sogno ( voi. I tav. 31 ); di Filippo
Weit, indicante in allegoria i sette anni di fertilità
(voi. II tav. 14). Nello studio dell'autore è la te-
la, in cui Pietro Herzog pitturò l'apoteosi di Erco-
le ( voi. Ili tav. 5 ) ; ed è presso il commendator
Thorwaldsen quella, nella quale il danese Alberto
Kucher finse la morte di Correggio (voi. Il tav. 20).
Avendo il pittore preso a guida la tragedia dell'
Oehleschluger intitolata // Correggio, falsò la storia:
e se il direttore non avesse fatto fermar VJpe su
questo fiore, certo non sarebbe stato una perdita.
E fin qui di pittura.
G.A.T.LXXtV. 19
282 Bèlle Arti
Scultura di scuola antica.
Di scultura di antica scuola sono neWÀpe due
statue ed un bassorilievo. Questo fu operato da quel
Michelangelo, che meritò esser detto divino: esiste
nel museo vaticano; rappresenta Cosimo de'Medici
allorquando vedendo oppressato il popolo di Firen-
ze, intende a sollevarlo; e ponendosi alla sua te-
sta, procura abbassare l'oligarchia (voi. Ili tav. 18).
Le quali cose accaddero nel 1434; allorché chia-
mato egli capo della repubblica, seppe poi tenerla
per trent'anni. Le statue furono operate da Fran-
cesco di Quesnoy detto il Fiammingo l'una, l'altra
da Giuseppe Angelini. Quella rappresenta s. Susan-
na, ed è nella chiesa di s. Maria de'fornari al foro
Traiano ( voi. I tav. 1 1 ); questa Gio. Battista Tira-
nesi, e fu destinata alla chiesa di s. Maria del Prio-
rato suU'aventino (voi. II tav. 25). Molti piìi sono
i monumenti di scuola moderna in gruppi, in sta-
tue, in bassorilievi.
Scultura di scuola moderna.
I gruppi son dieci. Il cav. Matteo Kessels rap-
presentò il diluvio universale con assai felice con-
cepimento ( voi. I tav. 9 ). Un padre, che giunto all'
estremità di una rupe, la quale sovrasta ancora alle
acque, si adopera a trarre sull'alto la sua consorte,
che quasi priva di sentimento, vedesi abbandonata
al sostegno che il marito le porge, ed a mala pe-
na può stringere alle spalle un suo figliuoletto: sce-
na miseranda di quella tremenda tragedia! Gennaro
de Crescenzo scolpi Aiace in atto di difendere il
Ape italiana 283
corpo di Patroclo ( voi. I tav. 22 ): il cav. Paolo Le-
moyne la fuga di Medea dopo aver uccisi i fi-
gliuoli ( voi. I tav. 32 ): Giovanni Maria Benzoni ,
Achille che sorregge la ferita Pantesilea ( voi II
tav. 24 ). Questi quattro gruppi sono tuttora ne-
gli studi degli autori. Ignoriamo dove siano quelli
operati da Ercole Danti ( voi. Il tav. 36 ) e da Giu-
stino Leone ( voi. Ili tav. 8 ); il primo scolpi Ga-
nimede rapito dall'aquila; Diomede che rapisce il
Palladio il secondo. Il nobile cav. Beaumont possie-
de la Psiche trasportata dai Zeffiri , scultura del
prof. Giovanni Gibson (voi. II tav. 15 ) : è nel
museo di Madrid il Nestore difeso da Antiloco, ope-
ra del cav. Giuseppe Alvarez , già in questo no-
stro giornale (a 1823) lodata dal prof. Poletti.
Per l'infante di Spagna don Sebastiano il cav. Sola
operò la strage degli innocenti in sole tre figure
( voi. 1 tav. 35 ); un manigoldo che raggiunta un in-
felice madre, la quale si reca in braccio il figliuolo,
afferra questo per una gamba, ed inalza il ferro di
morte, mentre quella tenta invano respingere il fe-
roce assalitore. Per la chiesa cattolica di s. Francesco
in Dublino scolpi Giovanni Hogan il gruppo della
pietà ( voi. Ili tav. 3 ). Nelle descrizioni di questi
lavori si adoperarono Betti, il Melchiorri , 1' Ode-
scalchi, il Giucci.
Molte piìi sono le statue. Il discobolo del cav.
Matteo Kessels è in Inghilterra presso il duca di
Dewonshire ( voi. II tav. 27 ) : il prof. Rinaldo
Rinaldi scolpi Ulisse riconosciuto dal cane ( voi. I
tav. 16), e la celeberrima Giovanna d'Arco (voi.
Ili tav. 21 ) : Luigi Bienaimè cosi la Diana sor-
presa nel bagno ( voi. I tav. 19 ) , e cos'i Zeffiro
( voi. Ili tav. 36 ): il lodato Gibson la statua d'Amo-
284 Belle Arti
re ( voi. Ili tav. 15 ), e quella rappresentante Gu-
glielmo Husckisson, che è nel nuovo cimiterio di Li-
verpool (voi. I tav. 26). In essa però poco ci piacque
veder nudo il petto e le braccia, coperte le gam-
he ed i piedi. Innocenzo Fraccaroli scolpì l'Achil-
le ferito nel tallone da una freccia di Apollo ( voi.
I tav. 38 ): il cav. Alessandro Laboureur il s. Gre-
gorio Magno per la basilica ostiense (voi. II tav. 6);
statue convenientemente lodate dagli espositori Ore-
ste Raggi e Giuseppe Melchiorri. Sono sculture
del prussiano Emilio Wolf, un guerniero che ve-
ste le armi ( voi. II tav. 9 ), ed Amore con le spo-
glie di Ercole ( voi. Il tav. 33 ): di Filippo Pampa-
Ioni, così Filippo Brunelleschi ed Arnolfo di Lapo,
statue situate in Firenze innanzi la canonica di s.
Maria del fiore (voi. II tav. 18); come Amore che
tende insidie , presso l'eccellenza del principe di
Tre vignano ( voi. HI tav. 9 )• H professor Ferdinan-
do Pelliccia condusse con molta maestria una bac-
cante ( voi. II tav. 12 ): il s. Paolo del prof. Ada-
mo Tadolini ornerà la risorgente basilica ostiense
( voi. III tav.' SO ): il Galileo fu operato da Emilio
Demi livornese ( voi. Ili tav. 27 ); e l'Euridice da
Sabino de Medina spagnuolo ( voi. Ili tav. 30 ).
Dei bassorilievi, tre ne ammiriamo del commen-
dator Alberto Thorwaldsen. Sono nell'uno le Parche
( voi. I tav. 3 ); Nemesi è nel secondo ( voi. II tav.
3 ); nel terzo il giudizio delle armi di Achille ( voi.
III tav. 33 ). Cui non è noto il ThorAvaldsen? Egli
non abbisogna di lodi: pure non ristaremo dal dire
che forse non a tutti piacerà l' aver egli nel se-
condo degli indicati bassorilievi ( temendo forse che
la sua mente non fosse bastantemente aperta all'os-
servatore ) indicato con lettere il proprio pensiero;
I
Ape italiana 285
scrivendo sul carro della diva NEMESIS; sulla ruo-
ta VENTVRA VBERTA' SVENTVRA PENVRIA ;
sui cavalli OBBEDIENTE, INOBBEDIENTE; sulla
spada di uno dei genii PENA. Non meno lodato
del Thorwaldsen è il prof. Pietro Tenerani : egli
scolpi pel marchese di Northampton la Garitk ( voi.
I tav. 16); tenerissima scena, che forma la delizia
dei cuori sensibili, e nati a beneficare altrui. Pie-
na di forza è l'invenzione di Ponziano Ponzano ( voi.
III. tav. 6 ), rappresentante Ercole, domatore di Dio-
mede e de'suoi cavalli. Piena di sentimento è la
stele operata dal lodato prof. Rinaldi, ed esistente
in s. Luigi de' francesi, per la quale il Baldi volle
tramandare a'posteri una durevol memoria del do-
lore sofferto nella perdita dell'amato figliuolo ( voj.
II tav. 21 ). Degno di molta lode è il monumento
sepolcrale a Mario Gramiccia eseguito dal già ri-
cordato Laboureur (voi. Ili tav. 12). Nella descrizio-
ne di questi bassorilievi si adoperarono il Biondi,
il Betti, il Gerardi e il direttore deWJpe.
Prima di passare ai monumenti architettonici,
dobbiamo ricordare che lo stesso direttore in una
tavola (voi. I tav. 13) pubblicò una gemma ed una
medaglia, operate dal cav. Giuseppe Girometti , e
due medaglie del di lui figlio Pietro Girometti. Rap-
presenta la gemma una baccante che scherza con
Amore: le medaglie sono coniate ad onore di Gio-
vanni Battista Niccolini, di Ennio Quirino Viscon-
ti, e del card. Placido Zurla.
architettura.
Resta l'architettura; della quale soli cinque mo-
numenti vediamo riportati in questi tre volumi del-
286 Belle Arti
XApe. Uno è il rinomatissimo tempio di Possagno,
eretta dalla pietà di Antonio Canova (voi. I tav. 7). È
noto come quell'artista egregio, unendo la cella del
Partenone al portico del Panteon, ne ideasse un sol
edificio; e quelTidea mandasse ad effetto, con dispen-
dio maggiore a qualunque forza di privato : è pur
noto che gettata la pietra fondamentale nel 1819,
era già la fabbrica di molto avanzata; quando quegli
che era creatore, direttore, e guidatore dell'opera fu
chiamato a miglior vita. Ognun sa che l'opera non
perciò restò interrotta; perchè affidato dall'illustre
defonto all'onore, alla fede, alla probità dell'amato
fratello l'obbligo di compire il tempio, non solo fu
in breve terminato, ma volle inoltre l'erede che il
Missirini ne desse alle stampe un'accurata descrizio-
ne. Quell'opera vide la luce in Venezia pei tipi
dell'Antonelli; e da essa il direttore dell' ^yoe facen-
do copiare il prospetto ed il fianco esterno , l'inter-
no spaccato e la pianta, procurò che con adequate
parole ne scrivesse il marchese Biondi. Il prof. Gio-
vanni Battista Silvestri descrisse la chiesa della Ma-
donna di s. Biagio a Montepulciano, opera assai lode-
vole di Antonio Sangallo (voi. II tav. 10). Il tempio di
Maria Vergine nella terra dell'Ariccia, inalzato con
architettura di Lorenzo Bernini , fu descritto dal
cav. Folchi (voi. Ili tav. 24 ); e per ultimo vediamo
due opere assai lodate del marchese Luigi Gagnola;
cioè il campanile di Urgano nel Bergamasco, descrit-
to dal prof. Poletti ( voi. I tav. 33 ); ed il celebra-
tissimo arco della Pace in Milano ( voi. Il tav. 23 ).
Meritano esser lette le riflessioni, che su questo fe-
ce il Ruggiero.
Sia lode al direttore Melchiorri, ed a que'let-
terati che concorsero co'loro scritti a render utile
Ape italiana. 287
r impresa, e che noi ricordammo già tutti o quasi
nel decorso di quest' articolo. Pria di chiudere il
quale vogliamo anche retribuire il meritato enco-
mio a quegli artefici, che weWJpe adoperano la ma-
tita, o il bulino. Molti più furono i disegnatori di
quello che gli incisori delle tavole in rame: fra i
primi contiamo Apolloni, Becchio, Bigioli, Boldini,
Borani, Brunori, Buonaiuti ( Raffaello ), Galendi, Ga-
mia, Chiari, Consoni, Cortazzo, Durantini, Gozzini,
Guglielmi, Mancinelli, Martelli, Morani , Mussini ,
Narducci, Pio, Podesti, Razzetti, Silvestri, Tevenin,
Valentini, Ventura. Sono fra i secondi Biondi, Buo-
naiuti (Ignazio), Cartoni, Costa, Cremonesi, De Caro-
lis, Del Vecchio, Garzoli, Gatti, Lebas, Mitterpoch,
Morghen, Wenzel, Adoperano a vicenda ora la ma-
tita, ora il buUno Giuseppe Alcaide, Pio Bertoni,
Gioacchino Camilli, Francesco Pagliuolo.
Desideriamo che il sig. direttore e gli editori
prosieguano nell'impresa; e dal favore che essa ri-
ceve prendano consiglio a sempre più migliorarla:
che da essa molto utile può derivare alle arti: le
quali, se dopo risorte furon patrimonio degli ita-
liani pili che di qualunque altro popolo, trovaro-
no ognora in questa eterna citta e sotto la prote-
zione dell'ammanto papale quell'incoraggiamento ,
pel quale uà giorno fu tanto decantata la Grecia.
C. €.
288
Su di un dipinto del cav. Giovanni Silvagni,
professore e consigliere dell'accademia
di san Luca.
JLie molte opere del valente dipintore sig. cav.
Giovanni Silvagni romano, tenute in pregio da'pri-
mi maestri dell'arte, e note assai perchè celebrate da
dotte penne, hanno fatto chiaro il suo nome, e gli
hanno meritato estimazione grandissima. E qui basti
solo accennare, tale esser quella ch'egli gode presso
il regnante pontefice massimo Gregorio XVI, che sol-
lecita Sua Santi tk di conservare il celebre fresco del
Domenichino esprimente la flagellazione del santo
apostolo yÉndrea nella cappella al medesimo dedica-
ta sul monte Celio, al Silvagni commise l'ardua ed
onorevole impresa di ritrarne copia in tela dal qua-
si perduto originale. L'opera del Domenichino rivi-
ve ora nella copia del Silvagni.
Bene pertanto si avvisò il reverendissimo pa-
dre don Francesco Amici, abate camaldolese del mo-
nistero di s. Angelo Magno di Ascoli, il quale vo-
lendo porre in quella chiesa (che molte pregiate
opere di pittura racchiude) un quadro del santo
abate Romualdo fondatore dell'insigne suo ordine,
lo volle dipinto dall'esperto Silvagni.
Il prelodato P. Amici tolse a suggetto del quadro
quel passo luminoso della vita del santo, in cui si
narra da san Pier Damiani ch'egli rimproverasse a
Ottone IH imperadore il doppio peccato di aver
Dipinto del Silvagni 289
morto Crescenzio centra la fede del giuramento, e
di ritenersi a concubina Stefania consorte dell'estin-
to; e che imponesse a quel monarca la penitenza di
recarsi a pie nudi la sul monte Gargano. Per un
suggello COSI grandioso, e per un quadro da collo-
carsi in un altare ( e che perciò conveniva avesse le
figure almeno al naturale), non fu accordala al Sil-
vagni che l'angustissima tela di soli romani palmi
nove e once sei di altezza, e di palmi sei e once due
di largezza. Pure una tale angustia è servita a far
.più risaltare l'ingegno mirabile di lui. Ecco com'
egli ha disposto i materiali del suo quadro.
L'azione è rappresentata come avvenuta nella
reggia stessa di Ottone. Una parte di ampia sala, sor-
retta e divisa da doppio ordine di colonne, serve di
campo al quadro; nel davanti del quale vedesi alla
destra parte s. Romualdo vestito di bianca cocolla,
appoggiato colla destra mano al suo bastone, e aven-
te la sinistra leggermente innalzata. E all'altra par-
te Ottone coperto delle vestimenta imperiali, che
abbandonato il maestoso suo seggio, cade genu (les-
so a'piedi del santo. Due monaci son posti ali' in-
dietro di questo ; Stefania con due cortigiani son
dietro di Ottone nella opposta parte.
Con quanto accorgimento abbia il Silvagni co-
si disposta la sua composizione, lo fa conoscere la
difficoltà che incontravasi nel vestiario proprio del
principal personaggio, qual era s. Romualdo. Bianca
da capo apiè si presentava al pittore la sua figura;
e buona cosa per lui sarebbe slata questa, se aven-
do piìi grande la tela, avesse potuto collocare nel
mezzo quella gran massa di chiaro: ma nel pic-
col suo quadro un convenevol luogo doveva eziandio
Iasciari>i all'impcradore. Il perchè assegnò egli al
290 B E L L E A R T i
santo la destra parte e con maestria cercò un effetl»
di luce assai ristretto; riuscì ad avere molta degra-
dazione; e potè portare le ombre fin sopra le figure
meno principali. Ma il bianco, comechè ristretto, ri-
manendo tuttor da una parte, avrebbe sconcertalo
rec|uilibrio nell'effetto. Per tanto a conseguir l'ar-
monia, necessario rendevasi che il bianco dominasse
tutto il quadro, o ( a meglio esprimerci con frase
pittorica ) che tutto il quadro fosse intonato pel
bianco; cosa difficile assai pel pericolo d'incorrere
nella tanto ingrata monotonia. Quindi l'accorto Sil-
vagni adoperò un color acqua di mare nella tunica
deirimperadore; frammischiò il Lianco al violato
nella spalliera della sedia, e tenne biancastro tutta
il fondo del quadroj e quindi pure v'introdusse del-
le masse oscure, e ottenne per esae un incantevol
contrasto, immaginando la sala separata da griglie
di ferro dorato in quella parte ove si rappresenta
Fazione; dandovi luogo a cortine di color rosso; va-
riando a piU colori il tappeto che cuopre il pavi-
mento; e adattando agli omeri di Ottone un ricco
paludamento colorito di porpora, e guernito di oro.
Ma non è solo la scelta e la distribuzion de*
materiali che costituisce una bella composizione j
essa mancherebbe di tutto, ove le figure mancas-^
sero della espressione , mediante la quale il pit-
tore parla ai sensi e all'animo degli spettatori. Il Sil-
vagni, che nelle sue produzioni fa dominare mai-
sempre que'gran pensieri che derivano dalla reli-
gione e dalla filosofia, sa ancora esprimere con na-
turalezza e verità i caratteri proprii, e i sentimen-
ti dai quali vuole animate le sue figure. E ciò egli
consegue non col fermarsi solo sui lineamenti del
volto ( al che restrinsero taluni tutta l'arte e tutto
lo studio loro); ne con isgarbate esagerazioni a ma-
Dipinto dej. Silvagni 291
niera del depravato gusto romantico; ma col dare
alle figure il gesto lor naturale , e col proporzio-
narle in tutti i movimenti del corpo. Di fatto se
osservi il venerando vecchio fermo sur ambo i pie-
di, e poggiato colla destra mano al bastone, tu scor-
gi subito la posizione naturalissima di un che sente
sopra se il grave peso di anni novantuno: se gli fisi
sul volto lo sguardo, e miri altresì che senza scom-
porsi leva in alto la manca mano , tu dici subito
cJregli indirizza al monarca un rimprovero; ma che
i modi e le parole dell' uom di Dio nulla hanno
di rigido e d'imperioso che irrita, e tutta conten-
gono la dolcezza che alletta. L'umile ma insieme
dignitoso atteggiamento di Ottone in mezzo allo
splendore e alle magnificenze della reggia ; quel
braccio destro con garbo proteso verso del santo ;
il suo volto composto a dolore, se ti appalesano i
sentimenti di un cuor contrito, ti dicon pure che
non è desso un uomo che implora, ma uno che si
arrende alle ammonizioni che ascolta. Ne lascian
dubbio degli interni loro sentimenti quant' altri
sono figurati nel quadro; imperocché agli atti de-
voti de' compagni del santo è facile il conoscere
ch'essi porgono a Dio ringraziamenti per l'effica-
cia donata alle esortazioni del servo suo : e come
nel volto e nel gesto de'cortigiani appare l'ammi-
razione pel fatto di Ottone, così in quello di Ste-
fania si legge apertamente il dispetto.
Conservare il costume corrispondente ai tem-
pi, ai popoli, ai diversi luoghi, alle persone, fu
sempre una delle principali ricerche de'bravi pit-
tori, i quali non ignorano quanto ciò contribui-
sca a conseguire lo scopo dell'arte loro. Il Silva-
gni, che ne fu sempre osservatore scrupoloso, non
292 ' BblleArti
lo fu meno nel quadro di che si parla. Puoi quin-
di ravvisare nell'architettura lo stile longobardico,
che ti dimostra la decadenza estrema in che erano
a que'tempi le arti : vedere Ottone che sopra la
bionda chioma e liscia , perchè profumata giusta
l'uso di quel secolo , cinge la corona detta ferrea
di Monza, ed ha l'imperiale ammanto quale a'suoi
dì costumavasi: e ad uno sguardo che volgi a'cor-
tigiani riconoscer subito il vestiario civile e mili-
tare alemanno.
Che lascia a desiderare il Silvagni in quest'o-
pera sua ? Egli che ha genio fecondo d' immagi-
nare , e conosce a fondo l'armonia degli estremi
dell'arte, ha saputo raggiungere quel che chiamasi
pero, e ci ha fatto dono di quel che dicesi hello.
E bello per verità reputeranno il suo quadro e
quelli che riconosciutavi la natura nella sua sem-
plicità, si appagheranno di contemplarla senza piti
progredire; e quelli altresì che piii severi cercan
di tutto la ragione, perchè in esso tutto troveran
ragionato. E quando il Silvagni ha riportata l'ap-
provazione di essi, a che debbe aspirar da vantag-
gio.** Egli ha assicurata la celebrità del suo nome
così in questa come nelle altre sue tele.
F. Andreozzi
293
Memoria della vita e delle opere del giovane
maestro di musica Gustavo Terziani.
Agli amici di Gustavo Terziani, Ottavio Gigli.
jL erchè lamentando, come troppo dolorosamente
immatura, la morte di sì caro amico quel conforto
prendiate che solo vi rimane a sperare nell'ammi-
razione e nell'amore, in cui potessero venire presso
agli uomini le virtìi della mente e dell'animo suo,
ove fossero sapute: ciò feci per l'amicizia che a lui
mi congiunse mio debito, certo che giammai occa-
sione alcuna mi si darebbe nella quale potessi pili
caramente aggradirvi. Proseguite a godere, se pur
v'è dato, le dolcezze d'una vera amicizia e vivete
felici.
Ahi morte ria, come a schiantar se'presta
Un frutto di molti anni in sì poche ore !
Petr.
Le care speranze che allietavano un'onesta fa-
miglia continuamente consolandola della certezza
d'un pili beato avvenire, insieme a quelle di che
già la patria assai volte ebbe a onorarsi per i pub-
blici esperimenti dati dall'ingegno del giovane mae-
stro di musica Gustavo Terziani, con lui, il giorno
31 di agosto del 183T, dall'universale de'suoi con-
cittadini si condolsero come troppo acerbamente in
sul fiore inancate: e fu allora che il crudelissimo
294 Belle Arti
morbo asiatico, venuto a disertare questa nostra
Italia, nella tribolata citta nostra menava stragi
grandissime, tanto che nel dimostrare i suoi lagri-
raevoli, e sempre piìi terribili effetti, portava nella
famiglia Terziani infino a que'dì vivuta tranquil-
lamente, contenta allo stato a cui era stata sortita,
l'estrema desolazione e miseria. E che tanto imper-
versare di fortuna fosse venuto a perturbarla e di-
sperare, è da tenersi potersene trovar certa cagio-
ne nell'amor ferventissimo, portato dall'infelice Gu-
stavo alla madre. Imperciocché questo in lui era
così acceso, che infermata della pestifera malattia,
nell'apprestarle i rimedi per tornarla a salute, non
gli lasciava por mente a cansare il contatto, o al-
meno usando delle debite cautele in alcun modo
guardarsene : che anzi traportandolo quanto più
peggiorando si sentisse di pericolo, dall'accostarle-
si, sollevarla, recarsela al petto niente lo poteva
ritenere , in tanto che sempre più ad ogni ora
perigliandosi ad appestare, ne rimase finalmente
preso, e in poco andare, come diremo, morto: in-
contrandogli in ciò sventura da fare verso di se
in ogni tempo, pietoso ne senza lagrime chiun-
que avrà a sapere , che la madre stessa che so-
pra la sua vita l'amava, e che tutta mille volte
a qualunque rischio l'avrebbe messa a sua salvez-
za fosse divenuta in brevissimo spazio, in si fiero
modo di lui micidiale. La qual cosa nel giorno ap-
presso ben chiaro si vide far quando passata di
questa vita quella rara donna, ugualmente ammalò
prima il figliuolo più piccolo, e non guari dopo
il nostro Gustavo. Quella sventurata in ciò me-
no da compiangersi, che dovendole morire l'amor
suo il figlio che di sue fatiche l'intera famiglia
Memorie del TERaiANi 295
onoratamente sostentava, ed essa restare in vita
sostenendo il dolore continuo che per sua ca-
gione si fosse in lui avventato il mortifero male
e seguitane la morte, fosse senza tanta inestima-
bile ambascia comportare innanzi a lui trapassa-
ta, mentre per ninna altra cosa al mondo pote-
vale essere caro il conservarla se non per que'
^ suoi miseri figliuoletti, che senza di lei, e del
maggiore fratello, avrebbero dovuto stentare la vi-
ta, e forse consumarla per ogni estremità. Ma per-
chè alquanto di sollievo prendiamo nel discorre-
re come il cielo in tale estremo mandasse a quel-
la famiglia un insperato soccorso, in un amico con-
giunto a Gustavo con piìi che fraternale dimesti-
chezza ; mi farò a raccontare con speranza , che
un SI raro esempio accenda altri ad imitarlo, co-
me morta la madre questi veggeadolo costernato
nell'animo, e già così mal disposto del corpo da
potere appena la vita, considerando come rima-
sti sarebbero que'due fratelli, uno de'quali già era
infermato, se senza aiuto, senza chi piìi li cam-
passe lui fosse venuto a morte, avvisò consigliarsi
al meglio con ogni maggior forza di ragioni, di
prieghi, di lagrime persuadendolo, acciocché la-
sciato chi curasse con la piìi affettuosa sollecitu-
dine il fratello infermo, egli in tale stato, essen-
do già in lui accasciata ogni vigoria d'animo e di
corpo, si lasciasse menare in casa sua, ove non era
senza speranza che per i svariati sollievi rimosso l'a-
nimo da quanto potesse accrescergli tristezza, di-
straendolo in altri pensieri, lo potesse riavere. In
sul primo tentarlo a lasciar la casa paterna, quasi
il cuor gli desse piìi non avere a tornarvi , dal
suo proponimento di volere quivi insieme ai suoi
296 Belle Arti
fluire , non si poteva a verun modo mutare , ma
quindi da capo 1' amico pietosamente riducendo-
gli a mente come senza di lui rimarrebbero i suoi
fratelli , in si tenera età , digiuni di ogni arte ,
minacciati della vita, esposti airarbitrio della for-
tuna, che allora avversavali si crudelmente, vinto
si lasciò piegare e in tanto, e si grave dolore ab-
bandonato si diede a seguire l'amico. Troppo in
parte m'allargherei se partitamente volessi far co-
noscere ai miei leggitori con quanti industriosi tro-
vati una vera amicizia cercasse trovar modo di ces-
sare tanto dolore, confortandolo a ridursi pur an-
co seco in quelle case , ove di care rimembran-
ze potesse promettersi a lui alcun sollievo recare:
come che sempre meglio nell'andare s'accorgesse
per tali amorose sollecitudini poco o niun refrige-
rio venirne a lui, che già stancato, e noiato d'ogni
cosa pili attrattiva a godere, caramente lo doman-
dava d'essere menato in sua casa a ristorarne l'ani-
mo abbattuto, e le membra faticate per si fiere an-
gustie e vigilie. Veramente inutili, e come tali ul-
time furono le cure dell' amico a rimuovere del-
l'animo quello che tanto duramente lo passionava:
ma sebben tali che a niente riuscirono, non essen-
do stato per lui che in ogni maniera non fosse aiu-
tato a campare la vita, non mi sembrarono da pas-
sarsi senza particolare ricordo, per essere interve-
nute a questi tempi che molti fanno gran sembianti
d'esserti amico, mentre non sono che pochi quelli i
quali senza aver l'anima contaminata d'alcuna bassa
passione, alla vista d'alcun pericolo accomunassero
la lor sorte alla tua. Cosi al mancare del giorno
31 agosto andava la vita a Gustavo, quando in su
l'annottarsi già gli occhi affossati, ed all'intorno in-
Memoria del Terziabq 297
llviJiti, non disgiunti da altri segni piti manifesti
della temuta malattia, dallo spasimare dello stoma-
co in continuo travaglio , qualunque rimedio anzi
che migliorarlo peggiorandolo , nel male sempre
peggio aggravava: percliè innanzi che i medici al
tutto lo disperassero, nell'animo di piìi vivere dif-
fidatosi , siccome colui che presso al suo fine si
sentiva, pianamente quanto le forze giel soft'ersero
sollevatosi in sul letto si rivolse all'amico che al-
lato gli sedeva. E veggendolo con gli occhi aggra-
vati di pianto , di poi averlo piìi con cenni , che
con parole confortalo a non rammaricare si dolo-
rosamente, e che per lui, che sperava a pace dura-
tura passare, non raddoppiasse ad ogni ora Tango-
scia e le lagrime , caldamente Io richiedeva che
degli estremi conforti della religione lo volesse far
consolato: e senza pili con voce affiocata che a Dio
l'accomandasse, lo tenesse in memoria agli amici,
vivo nel cuor suo, in queste parole in bocca ammez-
zate in ^ul guancial ricadendo. Per tal modo in set-
te ore fra le braccie d'un amico, e i conforti del-
la religione, nella sua gioventù di venti quattro an-
ni Gustavo non alterato all' aspetto della morte ,
con serena tranquillità, tutta fiducia in Dio , non
era più che nella memoria degli amici e de'congiun-
ti, senza pure essere stato in quella estrema ora rac-
consolato dal compianto de'suoi cari, che solo due
di avanti gli avrebbero attorniato il letto condo-
gliando. A chi si faccia, come noi, a considerare la
breve , ma virtuosa ed utile sua vita mostrando
quanto spesso riescano vane le fatiche e le sperane
ze degli uomini per acquistar fama e procacciarsi
una gloria, che o dall'invidia, o dalla malignità del-
la fortuna e de'tempi ci può essere inlino all'estrc-
G. A. T. LXXIV. 20
298 Belle Arti
mo di nostra vecchiezza fra gli stenti ritardata, q
non rade volte nel buono degli studi, nel fiore degli
anni e delle speranze la vediamo spenta. Non consu-r
mò adunque quel pochissinjo di vita, che gli fu data,
in un ozio neghittoso, conie i piìi fanno, il nostro Gu-
stavo, che nato in Vienna di Pietro Terziani ed Anna
Steinkard il 17 febbraio del 1813, aggiungeva appe-
na l'anno tredicesimo del viver suo quando dal pa-
dre, che volevalo per tempo, siccome l'avevano dili-r
gentemente allevato, costumare, e farne un ornato
giovane, era raccomandalo alle cure ed al sapere di
reputati maestri che nello studio delle lingue il piìi
diilettevolmente che potessero, da non fargli disa-r
morare gli studi, l'addentrassero, Onde poi seppe,
ed assai in processo di tenipo se n'ebbe ^ giovare,
l'italiana, la latina, la tedesca, e la francese: ìr\ cip
seguendo, come dissi, non pure la volontà del pa-
dre, ma la sua propria inclinazione che lo tirava
eziandio a studiare la musica, dal padre che asr
sai gloriosamente la professava messagli con ogni
pili lusinghevole modo in amore. Ma ciò hen egli
ad antiveduto fine operava, sicconie colui che già
n'aveva presa esperienza, e sapeva quanto onorato
e sovente utile riuscisse prevalere agli altri d'inge-
gno in alcuna arte, della quale l'alterezza de'grandi
piacendosi valesse a portare negli aninrji loro dilet-
to: ove se in essi- trovisi gentilezza alcuna di senti-
re, radamente addiviene che non vi pervenga com-
passione verso chi lo procurò, solita pure accen-
dersji all'aspetto della virtù infelice nel desiderio,
quanto commendevole, glorioso, che un ingegno da
natura sortito a cose alte, sovvenuto d'ogni suo bi-
sogno per loro non vada piùi tapinando la vita, col-:
pa e vergogna del secolo in cui visse. Di questo bcr
Memoria del Terziari 299
fieficio, che dobbiamo riconoscere dall'ingegno util-
mente adoperato, s'ebbero a ristorare dalle in^^iu-
rie della fortuna molti uomini infelicissimi, i cfuali
nel possedere la parte graziosa dell'arte, che per
istudio non si acquista, ma sì ci vien da natura, ven-
nero in tanto amore, e furono sì sommamente tenu-
ti cari da alcuni magnifici signori, che nella lor gra-
zia divenuti grandi, in compenso al provato godi-
mento riportarono felicitata la vita, di tutti que'be-
ni adagiati da goderla nella tranquillità beatissima
degli sludi,
Quest' arte divina della musica, che davasì jj
professare Gustavo, s'ebbe sempre, rispetto alle al-
tre, maggiori gli onori e le ricompense, e ciò, a^
mio parere, perchè solo attese a un breve e vano
dileticare , ?l rendere meno noiosa la vita ad aW
cuni sazievoli signori senza accenderli a magnani»
me imprese; che forse se a questo fine di spoltri-!-
re fla un ozio neghittoso, e sollevare gli animi tor-
nandoli ad innamorare d'alcune eterne verità, fos-»
se stata adoprata , la storia con molti lagrimevoli
esempi ci persuaderebbe che non punto diversa
fosse stata la sua dalla fortuna delle altre arti so-
relle quando non si dipartirono dal loro santo uffi-
cio, pi tale arte adunque al cielo sì caramente di-
letta riconobbe eziandio Pietro Terziani la quie^
te dell'animo, le agiatezze della vita, quando tras^
mutatosi in Vienna, perchè del suo ingegno erasi
voluta deliziando profittare una principesca fami-
glia di quella citta, in cjue'beati ozi che gli era-^
no dati a godere , andava con lusinghiere spe»
ranze ogni di meglio allietandosi, veggendo ere-,
scere nella persona e nell'ingegno il suo Gustavo,
che come sperava preso della sua arte n' avreb*
300 Belle Arti
Le cavato sostentamento quanto utile dignitoso, d^
non avvilire giammai alla potenza. Ne trovò l'ani-?
mo del giovane non rispondere ai suoi desiderii,
che anzi assecondando con essi la sua ben dispo-r
sta natura, davasi tutto alla musica, nella quale al
ritorno loro in Roma nel 18^8 volle essergli il
padre stesso maestro, ^on avendo il giovane Gu-r
stavo altro pensiero che lo studio della musica, al-r
tro diletto che in quella per cui tuttodì travaglia-
vasi, alqijaìJtQ dopo fece venire il suo padre nel
desiderio di farlo discepolo nel con trapunto del-
l'onore vivente della musica italiana, del maestro
don Giuseppe Baini: a ciò ancora risolvendosi, nor^
potendo egli insegnarlo, conje avrebbe desiderato,
per le molte occupazioni in cui la più parte del
giorno dimorava a guadagnarsi la vita. A que-?
sto adunc|ue affidatolo, in poco spazio si videro i
progressi rapidissimi del suo ingegno nelle pri-r
me composizioni tanto ecclesiastiche, quanto teatra-
li. Nella chiesa del Gesù un salmo a otto voci e due
cori dava qual suo primo saggio degli studi, ri-r
portandone lode da incuorarlo a scrivere; quando
la sqmma delle cose di Franciì» si tramutavano
nella maestà del re Luigi Filippo , in s. Luigi
de'francesi una messa a quattro vqci, nella qua-
le ben si conobbe, le speranze della prima gio^
ventù non essere state lusinghe d'amore paterno,
ma SI fqndate sopra un ingegno che non avrebr
Le fallito a fine glorioso. Il Daniele, spartito sa-
cro per l'oratorio della Chies? Nuova, molte arie
ed altri pezzi concertati per teatrp, gli conferma-
rono il nome di dotto maestro, e squisito cono-
scitore di quel bello, che nelle sue opere si stu-
diava riporre. Penso non sark chi maravigli che
Memoria del Terziani 301
si addéntro sentisse nell'estetica dell'arte sua^ do-
ve si voglia considerare che formandosi in noi sor-
tita da natura la disposizione, dai primi insegna-
menti il gusto a hene profittare degli studi , ta-
li nella sua prima gioventù l'ebbe, da non patire
quella sventura quasi a tutti comune nello studio
delle altre arti, d'avere a scordare l'imparato, per
informare nuovamente la mente al vero bello. In
ciò dovendo lodarsi alla fortuna del padre, o piut-
tosto dell'arte sua stessa, che la provvidenza divi-
na ha voluto mostrare essere cosa veramente ve-
nuta dal cielo a sollievo degli uomini, dalle altre
anche in questo volendola privilegiata: perciocché
mentre tutte per le calamita pubbliche, per l'in-
stabilità della fortuna e degli uomini, ora scadono,
ora tornano in fiore, la musica durò senza corromper-
si cosa veramente celeste infino al suo secolo d'oro,
che fu dopo la meta del sècolo XVlII. Che l'ingegno
del nostro amico fosse ricco di queste doti, me ne fa-
ranno fede quante famiglie fra noi trovano onesto
e sospirato ricreamento nella musica, dalle quali
soventi volte era a grandi istanze richiesto, perchè
mettesse ordine e vita ne' concerti, del suo sonare
eziandio il piano-forte l'animo d'ognuno molcendo,
che in tali soavità da tristi pensieri si solleva e al-
lontana.E voi siatemene pur testImonie,o giovani, che
da lui apparaste quel canto passionato, quel sonare
il piano-forte affettuosamente, lasciando ad altre la
gloria d'essere ammirate per appianare tedesche dif-
ficoltà, mentre voi eravate contente a quella del com-
muovere maravigliosamente a cari affetti, non senza
riportarne lode, dove la necessità il richiedesse, d'a-
gilità di mano destrissima da non ispaventarsi a qua-
lunque malagevolezza d'arte. Se solo per voi, cui in-
titolai queste parole, avessi scritto, inutile non che
3C2 Belle Arti
gravoso terrei 1' avervi tornalo sopra tali dolorose
ricordanze dell' ingegno suo: ma ad altri dovendo
far ritratto di lui, che non sapevano quanto degna-
mente meritasse della vostra amicizia, le credetti
necessarie a far sapute le sue virtù, e a disfogare in
parte l'acerbezza del dolore per s\ grave perdita
sentilo. Or dunque non mi rimane clie appagare la
vaghezza di coloro^che conosciutone l'animo e l'inge-
gno, desiderassero avere contezza della sua persona
che era graziosa e dilicata, aggiungendosi all'avve-
nenza naturale del volto^che si derivava in gran par-
te degli occhi temperati a soavissima malinconia, l'a-
mabilità delle maniere a maraviglia cortesi, nell'inti-
mità dell'amicizia, solita tornare in piacevolezza fa-
ceta. Complessionato a non lunghe fatiche, a non abu-
sar degli studi, egli senza darsi pensiero alcuno, non
temperandosene, rendette la sua salute cagionevole
tanto che assai ebbe a patire nella sua breve vita.
Fu travaglialo pur molto dall'invidia d'alcuni amici
di mentita fede, donde poi in lui venne quell'andar
contegnoso che a molti sembrò sentire di superbia,
in vero non essendo che trista esperienza del vi-
le e falso procedere d'alcuni, fra i quali a soste-
gno della vita aveva dovuto costumare. Ma se ave-
sti amareggiata la vita per salute divenuta infer-
miccia, per invidia insolente, in vita trovasti com-
penso nel tuo ingegno, di cui potesti far lieta la
tua famiglia, nelle virtìi rarissime che l'anima t'a-
dornavano; or quanto non l'hai tu pur grande, e
desiderabilissimo nella durevolezza della tua memo-
ria ne'concittadini! Che laddove dei piìx il nome e
il cadavere insieme si seppelliscono, il tuo, o Gu-
stavo Terziani, solennemente esequiato rimane ca-
rissimo alla tua patria, e vi tornerà sempre grato
fin che la musica porti ne'cuori nostri dolcezza.
303
Opere di pittura e di scultura condotte da alcu~
ni accademici di s. Luca e descrìtte dal prof. Sal-
\^atore Betti segretario perpetuo dell' accademia.
I.
li giudizio delle armi di achille, bassorilievo
del commendatore Alberto Thorwaldsen
danese (1).
E.
(uano già compiute le funebri cerimonie in-
torno al sepolcro di Achille, e compiuti pure i
giuochi che onorar solevano la memoria de'valorosi:
quand'ecco la nereide madre di quel magnanimo
farsi in mezzo all'adunanza de'greci recando seco
le armi che Vulcano aveva fabbricate al figliuo-
lo, e porle premio al piii invitto. Un profondo
silenzio si mise per tutto il campo al parlare di
Teti : vagheggiando ognuno con cupidità generosa
r altissimo dono , ed i piìi egregi riandando col
pensiero i propri fatti e gli altrui : ma ne Me-
nelao, ne Diomede, ne Aiace d'OIleo, ne lo stesso
Agamennone re dei re , dice Ovidio, osarono le-
varsi al grandissimo acquisto. Soli trassero innan-
zi animosi Aiace di Telamone ed Ulisse , e lungo
tempo ne furono a contesa fra loro. E chi avrebbe
ardito frapporsi arbitro di quegli sdegnL? Chic-
li) V. la tavola XXXIII dell' anno III dell' Ape Italiana ,
giornale romano di belle arti.
304 Belle AnTi
deva Aiace per giudice Agamennone, Nestore, Ido-
meneo, il fiore della prudenza del campo acheo:
ne Ulisse li rifiutava : ma i tre ^avi a quella pro-
posizione fissi a terra gli sguardi, e in se grave-
mente raccolti, si stavano pur dubbiosi ed incerti,
stimando gran pericolo la decisione. Allora alzossi
Nestore e disse :
Dtiopo è che questa rea lite non sia
Da noi decisa, ma da teucri schiavi
Memori ancor della successa pugna.
Essi tra Ulisse e Aiace imparziali
Proferiran chi a dritto aver pia debba
Larmi di Achille (1).
Approvarono lietamente l'avviso del veccliio non
pure Aiace ed Ulisse, ma tutti i greci: sicché fatti
condurre in mezzo gli schiavi troiani , in essi il
maggiore Atride rimise il sentenziare cjual dei due
forti avesse recato a Troia più guasto. Disse il Te-
lamonio la sua ragione, la disse il Laerziade: quegli
con soldatesco ardire, questi con alta e copiosa elo-
quenza di oratore: la quale tanto potè, che a lui per
coraun giudizio fu data vinta la gara. Di che Aiace
surse poi in colai furore, che accusando feroce-
mente e cielo e terra d'essersi al Tonta sua congiura-
t!, poco stette che preso da disperazione colla pro-
pria spada si passò il petto. Chi non conosce la tra-
gedia sublime che di questo fatto ci lasciò Sofocle?
Fatto nell'istoria della guerra troiana celebratissi-
mo, sul quale avremmo, oltre a' versi epici che ci
(i) Q. Calabro, lib. V. Traduzione della Bandettlni.
Opere di accad. di s. Luca 305
rimangono di Ovidio e di Q. Calabro, anche i tragici
di Esdiilo, di Astidamante, di Pacuvio, di Ennio,
se non ci fossero stati rapiti dal tempo divoratore.
Non sombra però che tutta l'antichità si unisse
concorde a favorire la ragione dell'itacense: anzi fu-
rono moltissimi che stimarono essere stato fatto ad
Aiace un oltraggio^ oltraggio che da Nettuno gli fu
poi con tanta solennità riparato. Imperocché andato
naufrago Ulisse sulle coste di Mila in Sicilia, e in
quella fortuna andate pure disperse pel mare tutte le
cose sue, lo scudo di Achille fu dalla corrente delle
acque portato a pie del sepolcro del Telamonio, che
sorgeva sul promontorio reteo, là dove nel giorno
appresso da una folgore fu incenerito. Cosi questa
maraviglia ci è narrata da Tolomeo Efestione: con
cui si concordano in parte Pausania e gli autori di
due epigrammi della greca antologia. Dico in parte:
perchè secondo quegli epigrammi la sola asta dell'
eroe fu gittata dalla marea sulla tomba di Aiace : e
secondo Pausania era opinione degli eolii, che ciò
fosse avvenuto di tutte le armi di Achille. Con
Pausania stette Ugo Foscolo, che nel carme deVe-
polcri così cantava al suo Ippolito Pindemonte :
Felice te che il regno ampio dé'venti^
Ippolito^ a tuoi verdi anni correvi !
E se il piloto ti drizzò V antenna
Oltra risole egee, d'antichi fatti
Certo udisti sonar delV Ellesponto
I liti, e la marea mugghiar portando
Alle prode retee farmi d'Achille
Sovra rossa d' Aiace. A' generosi
Giusta di gloria dispensiera è morte.
306 Belle Arti
Il commendatore Alberto Thorwaldsen ha toltrf
in un suo bassorilievo a rappresentarci questo giu-
dizio, ponendosi dalla parte di coloro che nell'es-
sere stato anteposto Ulisse ad Aiace vollero sapien-
temente simbolèggiatOj come le armi degli eroi si
convengano meglio ad un valore pieno di genero-
sità e di prudenzai i che ad una forzai baldanzosa di
braccio e di petto. Finissimo avviso, e certo piìi de-
gno di quello di Ovidio,^ che disse invece nel XIII
delle Trasformazioni :
Fortisqiie viri tiilit ctrmd disertus»
Imperocché non solo parlatore facondo reputava-
si dagli antichi il Laerziade, ma e'sémpio nobilis-
simo di saviezza, di mansuetudine, di generosità,
di religione: diverso in ciò appieno dal Telamonio,
a cui altra lode per avventura non concé'devasi da*
greci, che quella del suo indomabil coraggio, del
terribil vigore, e dell'esser sovrano, siccome^ il de-
scrive Omero,
Degli omeri e del capo agli altri tutti.
Orgogliosissimo infatti e talora empio verso gli dei
così ce lo dipingono questi versi di Sofocle (1):
Sì tosto come
Aiace si partì di casa^ diede
Di mente guasta indizio al padre suo.,
(i) Aiace, atto III, se. Ili, traduzione del marchese Massi-
miliano Angelelli.
Opere di accad. di s. Luca 307
// qiLal con savie parole gli disse:
» Figlio^ ti studia esser 'valente in armi^
» Ma ognor rammenta che viene da numi
» Lonor della vittoria. » Egli superbo
E stolto a lui rispose: » Padre^ vince
» Anco il vii con Vaila degl'i dei,
» Io mi confido senza il loro aiuto
» Acquistar fama. » Questi detti altieri
Egli movea. Poij quando un altra volta
JJ" incitava Minerva a fare scempio
De'nemici^ con tale tracotanza
A lei rispose: » O dea, del tuo soccorso
» Gli altri greci sovvieni', dovè io sono.,
» Non fa danno la guerra. » Empie parole,
Cagione all'ira grave di Minerval
Non a'troiani schiavi^ come fecero Omero, Q.
Calabro e Luciano, ne a' greci, come fece Ovidio,
diede il Thorwaldsen l'onore di questo giudizio, ma
SI a Minerva dea della sapienza e fieramente irata,
secondo Sofocle, contra la superbia del Telamonio.
Ne dì ciò il famoso artefice vorrà esser ripreso, sì
perchè Omero nell' XI delFOdissea ci dice assolu-
tamente, che le armi di Achille
Teti, la madre veneranda, in mezzo
Le pose, e giudicaro i teucri e Palla:
SI perchè il simulacro della dea era veramente nel
luogo, dove si fece il giudizio, come pone Ovidio
che Aiace dicesse nel fine del suo ragionamento :
Este mei memore s: aut si mihi non datis arma,
Huic date. Et ostendit signum fatale Minervae;
308 Belie Arti
e sì finalmente perchè Minerva è pur giudice di tan-
ta lite in un antico disco di argento, eh è a Pietro-
burgo presso il conte di Stroganow, e che dopo il
Koehier fu pubblicato dal Millin (1). Opera che for-
se unica si conosceva delle arti greche o latine in-
o
torno a questo giudizio, prima che l'instituto ar-
cheologico di Roma ci desse quel suo antico bas-
sorilievo (2): altro non sapendosi dei celebri dipin-
ti di Parrasio e di Timante, che quanto ne scrive
Ateneo, e più particolarmente Plinio (3): Ergo ma-
gnis sitffragiis (Parrhasius) superatus a Timanthé
Sami in Aiace armorumqiie iudicio, herois nomiìie
se moleste ferra dicehat^ quod iterum ab indigno
victiis esset.
Vedesi adunque nel mezzo ddl bassòi*iIievo la
gran Tritonia, che in tutta la sua pompa di figliuo-
la di Giove, cioè coH'asla nella mano sinistra, l'el-
metto in capo, l'egida al petto, ed un ampio peplo
sopra la lunga tunica, impone colla mano destra a
due schiavi troiani di recare incontanente ad Ulis-
se le armi di Achille. Obbediscono essi al cenno
della dea: e l'uno porge aU'itacense l'elmo e la spa-
da, l'altro è già per deporgli a'piedi lo scudo. Gra-
ziosissime figure di giovinetti son questi schiavi, e
leggiadramente succinti: ed uno ha in testa il ber-
retto frigio per segno di sua nazione. Accoglie Ulisse
il glorioso presente: ne, sapientissimo ch'egli è, dà
segno alcuno di montarne in orgoglio. Ma con mo-
desta dignità risguardandolo, appoggiato all'asta la
(i) Galene raytholog. tav. CLXXIII n. 629.
(a) Anno i835, tav. XXI.
(3) Hisl. nat. lib. XXXV, e 36
Opere di accad. di s. Luca 309
mano sinistra, ed al fianco la destra , sembra più
dal favore della dea protettrice che dalla sua virtù
riconoscerlot ben sapendo essere Aiace, dopo il Pe-^
lide, il maggior maestro di guerra che fiorisse nel
campo greco, secondo che ha cantato Pindaro nella
settima delle nemee, ed egli stesso conferma nella
tragedia di Sofocle ;
Mio nemico
Di\>enne fin da quando mi far date
Varmi di Achille. Ma negar non posso
Che de* greci venuti sotto Troia^
Achille tranne^ fu il maggiore Aiace.
lì che aveva pur detto nell'XI dell'Odissea, Ta do-
ve il poeta pone che il Laerziade vedesse ed inter-
rogasse nel paese de' cimmerii l'ombra del grand'
emulo suo. Tal' è poi la foggia del suo vestire, che
il nudo vi signoreggia all'uso della scuola greca: ed
in capo ha il plico, come dopo Nicoraaco sogliono
dargli tutti gli artisti.
Ma dall'altra parte il guerriero di Salamlna ,
che niun freno conobbe mai agl'impeti dell'animo,
dell'avverso giudizio non pur querelasi, ma tutt'ar-
de di rabbia: sicché se ne batte colla destra la fron-
te, mentre con la mano sinistra tiene fieramente im-
pugnata l'elsa della spada che gli pende dal fian-
co. Anch'egli ha la tunica e la clamide in dosso :
così poste però ad ornamento della persona , che
in parte ci mostrano ignude le più belle forme del-
le atletiche membra. Ivi presso è il sepolcro di A'
chille, significato alla greca da una colonna col no-
\ne AXIAAEY2, e sopravi un'urna. Vedi a pie seder-
$i un^ (jonna di $Qvr limane sembiauije, che in u«
310 Bel^eArti
vestire schietto, e cinta del diadema le chiome, fa
di un ginocchio sostegno al gomito del braccio si-
nistro, e letto della mano al bellissimo viso. In at-
to di sublime dolore e di abbandono, non sembra
dar tregua alquanto a'sospiri, che per ascoltare il
giudizio della gran figlia di Giove, a cui con me-
sta attenzione si volge, Ella è Teti, la dea dal piq
d'argento, la più leggiadra delle nereidif
Veramente ini gode l'anima di aver qui potu-^
to scrivere queste parole intorno all' opera di un
famoso, ch'è oggi cosj gran parte della gloria delle
arti europee: di un famoso, a chi non so s'io debba
pili essere stretto da ossequio per le tirili sue, cUq
da benevolenza per le sue cortesie.
IL
Eteocle e Polinice, quadro del cav.
Giovanili Sihagni romano (1).
I tristi casi di Edipo furono variamente nar-«
rati dagl'istorici e da'poeti: avendo creduto alcuni,
ch'egli per un avverso destino non pur si togliesse
nel talamo la propria madre Giocasta o Epicasta^
ma ne avesse anche figliuoli: altri al contrario ne-
gando che le incestuose nozze fossero feconde di
prole. Tenne Omero questa seconda opinione nell'
Odissea, la dove è a vedersi il comento che ne fa
Pausania. Cosi coloro che seguono il gran principe
de' poeti e 1' antico autore della Edipodea, poema
ricordatoci da esso Pausania, pongono che Giocasta
(i) V- la tavola YHI dell' Jpe Ilalima,
Opere di a ce ad. di s. Luca 311
morisse prima che l'incesto avesse l'abbominato suo
corso : e dicono ch'Edipo generasse da una Euriga-
nea, nata d'Iperfa, i quattro figliuoli Eteocle, Po-
linice, Ismene ed Antigone. Que'due fratelli , gio-
ventù ferocissima, furono la sciagura con cui gl'iddii
vendicaronsi del delitto paterno e di tutte le col-
pe della casa di Labdaco; perciocché non solo dan-
narono essi il vecchio e cieco Edipo a vivere mi-
serabilmente cattivo nella sua reggia, ma odiandosi
con crudele odio l'un l'altro per lo spartimento del
|:egno^ vennero a tale ch'entrambi di ferro 3Ì uc-
piserp.
Cip narravano gli antichi della Grecia, prima
che il Serissimo fatto si recasse spettacolo su'teatri
di jfVtene. Ma i poeti tragici, che soprattutto in Gre-
cia giovaronsi delle ragipni di un'arte che inventa
pd imita, non fedelmente narra come l'istoria, volen-
do al terrore del fratricidio aggiungere anche l'orro-
j'e dell'infame nascimentp di chi Ip cpmmise, ebbero
senza più que'due scellerati fratelli per frutto di
scellerate nozze. Cosi Eschilo, cosi Sofocle, così Eu-
ripide adoperarono, cosi da ultimo il supposto Se-
neca , nelle tragedie che tuttora ci rimangono di
quelle abbominazioni: e così forse avevano adope-
fatp quegli altri greci e latini, de'quali il tempo ci
ha invplatp le opere : e fra essi Senocle, Nicoma-?
co, Licofrone, Accio e Giulio Cesare,
Vittorio Alfici*'? nelle cui tragedie ninna ma-
niera di terrore è mai scarsa, da que'principi dell*
arte non si allontanò, ne il doveva, nel suo Polinice:
l'atto quarto del quale ha inspirato al cavaliere Gio-
vanni Silvagni, consigliere e professore dell'accade-
mia di s. Luca, la pittura di un insigne suo quadro,
Jl che vorrà per prima cosa avvertirsi da chi l'ost
312 Belle Arti
serva: imperocché se Euripide nelPatto quarto del-
le Fenisse^ ed indi il Racine nè'Due fratelli inimici^
posero ch'Eteocle e Polinice convenissero insieme in-
nanzi a Giocasta per accordarsi di pace ( cosa che
invano cercheremmo ne' Sette a Tebe di Eschilo, e
nella Tebaide di Stazio): fu però autore l'Alfieri del-
l'apparecchiata pompa del sacrificio, del sospetto di
un veleno, della rovesciata tazza del patto, di quel-
la furia, di quell'atrocità. Il quadro adunque del
cavaliere Silvagni non può avere altro interprete
che la tragedia dell'astigiano. Ed ivi il pittore ha
scelto appunto il momento, in che , venuto meno
ogni accordo, Eteocle ardente d'ira ed impaziente
d'indugio si volge a Creonte, e minaccioso gli dice j
Tu^ Creonte, a morir pensa nel campoi
Fra il ferro argiva e la tebana scure
Scelta ti lascio. Vieni*
Egli è dall'un de'lati del quadro, in atto di correre
precipitoso al campo, dove dalle furie paterne è
spinto al grande misfatto. Dall'altro lato è Polinice,
non men furibondo, che accettata la disfida del san-
gue fraterno, è sul profferire le alfieriane parole:
Al campo io vengo. Trema ! Invano Giocasta infe-
licissima con preghiere e con lagrime spera di trat-
tenerlo, e gli afferra il braccio, con cui dalla guaina
ha egli già tratto impetuosamente la spada : invano
pure gli è a'piedi prostrata la misera Antigone , e :
Z)i te, di noi pietade abbi, gli grida, al suo partire
disperatamente opponendosi. Polinice , tentando
trarsi sdegnoso a quel femminile ritegno, non altro
sembra ascoltare che la voce di un'erinni che tiralo
alla vendetta: e già gode di compierla, giU in tutti i
desidei'ii si pasce della strage dell'abborrito fratello.
Op5re di accad, di s. Luca 313
Ivi, quasi nel mezzo, veclj Creonte tutto chiu-
rlo ne'suoi insidiosi pensieri, scuro del volto e rab-
Jjuffato della persona, divorare in segreto, come
perla sua preda, il trono di Tebe; e movere tutta-
via con pietà ipocrita parole di pace. E pace pur
grida il sacerdote venerando , che con le brac-
pia mae§tosaniente levate scorgi presso all'ara che
arde innanzi a'siniulacri di Giove e di Minerva. In-
tanto il popolo, in incredibile commovimento qua e
la per sì gran sagrilegio, per s\ grande orrore, par-
te accompagna con gemiti ed urla l'atroce provoca-
zione, parte sgombra dinanzi a quella furia di Eteo-
cle per dargli libero il passo. Tutto è confusione,
tumulto, pianto, spavento. Il cielo stesso ne freme;
e fra le colonne del reale atrio ti atterrisce l'aspet-
to di un aere procelloso e nero, d'onde scoppia»
due folgori nunzie dell'ira de'numi per l'imminen-
te fi'atripidiq.
Tal è il dipinto che il cavaliere Silvagni ope-
ro nell'anno 1820, terzo della pensione onde lo sti-
mò degno l'immortale Canova ; dipinto che l'acca-
deniia di s. Luca acquistò poi per la sua galleria.
Ili
Cerere e lYittolemo^ bassorilievo del prof.
Rinaldo Rinaldi padovano (1).
Fu già un tempo , siccome è noto, in ciii
la Grecia di pUremarc mettendo a profitto l'igno^
(;) Vedi la tavola XII deU'aimo IV dell'^/^e Jte^Uan^.
G. À. T. LX^iiy. 31
314 B E L L E A R T I
ranza de'popoli di Europa sul linguaggio, sulla fi-
losofia e sulle istorie degli orientali , con sicurtà
pari alla sua vanita si disse di tutte le scienze e
le arti unica ritrovatrice. Non dobbiamo perciò
maravigliarci se volesse anche arrogarsi la maggio-r
re beneficenza , che Iddio proyvidentissimo ab-
];>ia conceduto a'mortali. Dico il seminare, il micr
tere ed il macinare il frumento non pur ne'paesi
ellenici, ma in tutta la terra : pretendendo in tal
maniera mostrarci il suo primato della civiltà, anzi
della natura, coli' aver indotta l'umana famiglia
dalla vita errante del pascolare le greggi ( di cui
tanto compiacesi ogni barbaro) a farsi amore e de-?
lizia di una compagna dove dimorisi faticando. La-
onde essendo i greci, non so se per leggerezza o per
leggiadria grandissimi favolatori in tutte le cose,
finsero subito uqa cotal novelletta che diceva, come
recatasi Cerere in apparenza umana, andò nell'At-
tica, ed ivi fu accolta ad amorevolissimo ospizio dal
re Celeo di Eleusi. Di che volendo la dea rendere
alcun degno merito a cjueiruomo cortese e a quel
popolo, prese come altissimo dono ad ammaestrare
Trittolemo, figliuolo del re, nell'opera del semina-
re il grano. Ne ciò solo : ma dando al giovane lo
stesso suo carro guidato da due alati serpenti, com-
misegli che così percorresse il mondo, e a tutte le
genti si facesse autore di quel beneficio.
Questo f\ivoleggiarono i greci : e a dare alla
favola un'apparenza di vero, ne instituirono feste
e misteri : sicché il volgo , che ninna cosa crede
piti fermamente che le incredibili, non dubitò che
tal fosse veramente il fatto quale si raccontava: la-
sciando a'filosofi ed agli eruditi il trovarvi solo un'
Opere di accad. di s. Luca 315
allegoria. Ma chi ora considera le istorie e le tra-
dizioni antichissime dell'oriente ( ed in ciò niun se-
colo può vantarsi sul nostro pe'tanti studi dottis-
simi che si fanno di quelle lingue e di quelle an-
tichità ) , non vorrà pili ricevere la greca favola
ne pur sotto forme allcgoriciie: ed anziché crede-
re cbe gli attici insegnassero i primi alle altre na-
zioni di usare quell'alto favore della provvidenza,
terrU invece che gli attici medesimi ciò apprendes-
sero da'fenici-egizi: i quali non è più dubbio, che
dallo stato selvaggio del cibare le ghiande, dell'erra-
re di tana in tana, e dell'avere per suprema legge
la forza, riducessero la Grecia ad alcun termine
di buon vivere sotto nome di pelasgi e di cileni. E
che infatti di quella nazione dominatrice fosse Trit-
tolemo, non oscuramente è indicato da un'antica fa-
ma, che secotido Diodoro dicevalo compagno di Osi-
ride. Aggiungasi l'autorità di Apoilodoro, che gli
diede per padre l'Oceano: sapendosi che i greci di
que'tempi rozzissimi solevano col nome di figliuoli
del mare, o del gran fiiune, chiamare chiunque da
terre straniere approdava ai loro lidi: sicché poi
Omero e Platone poterono scrivere con istorica al-
legoria , ì' Oceano essere stato generatore di tutti
gli dei.
Cerere non fu che l'Iside egizia, come ci te-
stimonia Erodoto: ne credo che per altro i crete-
si dicessero esser nata fra loro, se non perchè l'iso-
la di Creta, cosi ben situata fra l'Europa, l'Affri-
ca e i'xlsia, fu la prima conquista de'navigatori fe-
nici, quando cresciuti straordinariamente in poten-
za vollero farsi ad un tempo e mercadanti e con-
quistatori, ed inviare colonie a tentar nuovi traffi-
ci nc'paesi di occidente. Per questa ragione mede-
316 Belle Arti
sima anche Giove fu detto da Creta. Da quell'isola
il culto di Cerere passò in Sicilia: e dì \ì^ con tutr
te le arti pelasghe, e principalmente colla siciliana
agricoltura, fu indi recato in Grecia, ove la viva-
cità di quegringegni non tardò a farlo subietto del-
le più leggiadre invenzioni.
Ora il professor Rinaldo Rinaldi padovano ,
accademico di s. Luca, ha voluto questa favola gre-
ca rappresentare in un bassorilievo , che orna il
frontone alla loggia del bel calino fatto edificare
in Albanq da Domenico 5enucci co'disegni dell'ar-
chitetto Francesco Gasperoni. Opera veramente gen-
tile di quel riputato scultore, e quanto possa mai
dirsi accomodata ad un luogo, dove per ricchezza
di messi vedi Cerere mostrarsi in tutto, come caur
ta Onaero nell'inno^
De* numi e de* mortai primo sostegnq
E gioia prima.
La composizione del bassorilievo è in tal forr
pia. Vedi nel mezzo la dea, che tutta avvolta nel
peplo, salvo una parte del petto ch'è ignuda, sostie-
ne colla mano destra il corno di Amaltea, e por-
ge colla sinistra un manipolo di spighe ad un gio-
vane, che facilmente ti si fa conoscere per Tritto-
lemo. Imperocché nobile di aspetto come figliuolo
di re, e leggiadro di forme come chi gih in fasce
fu educato e nutrito da Cerere stessa, certo non
puoi credere ch'egli sia un qualche incolto e sal-
yatico montanaro, benché ti si mostri cos'i succinto
della sua veste, e col pungolo in mano, e tutto in-
teso a fare che due giovenchi reggano il nuo-
yo peso dell'aratro , a cui sono aggiogati. Yolgesi
Opere di accad. di s. Luca 317
egli ad ascoltare grinsegnamenti che gli da la dea
intorno quell'opera, che dovrà fra poco di biade
bionde e granite far ondeggiare il campo : e con
tal sentimento gli ascolta , che non sai dire qual
cosa nell'avventuroso alunno ti sembri maggiore ,
se l'attenzione o la maraviglia, la venerazione o Taf-,
fetto. E doveva b^n esser cos'i, chi consideri quan-
to grande sia la divinità che di sua presenza de-
gnava un mortale, e quanto augusto il mistero dì
beneficenza ch'ella annunziava. Poco quinci lontano,
disteso sul dosso di una rupe, è Pane dio de'pa-
stori e delle foreste, anzi piuttosto antichissimo sim-
bolo della natura e della fecondità che vivifica tut-
te le cose: il quale del braccio sinistro essendosi
fatto puntello al volto, pare con diletto insieme e
curiosità rimirare quel primo vomere che fende le
zolle dell'Attica: e forse già pensa rendersi grato a
Giove ed agli altri dei, rivelando loro il luogo dove
celasi Cerere per ira della rapita figliuola. Che certo
l'ha egli riconosciuta, benché non sia sotto le sem-
bianze di quella divinità, che come dice Callimaco,
tocca co'piedi il suolo e col capo l'olimpo. All'oppo-
sta parte è ritratto con immagine d'uomo il fiume
Cefiso. Vedilo che sedendo alla riva, tiensi col brac-
cio destro sul!' urna, d' onde scaturiscono le sue
acque ad irrigare i campi di Eleusi. Figura assai
opportuna non meno alla bella composizione del
bassorilievo, che ad indicare come princìpal soccor-
so all'agricoltura sono le correnti che i fiumi reca-
no a fecondar le campagne. E bene altresì l'artefice
le ha posto a lato due piccole barche: volendo con
ciò significare il commercio che introdurre dove-
vasi nell'Attica per la nuova e preziosa coltivazione.
Cosi di una singolare semplicità, come ognun
318 B E L L E A R T T
vede, è il componimento di questo bassorilievo: al
modo appunto che sono tutte le cose belle. Dell'ar-
te con cui è condotto non parlerò: perchè il no-
me del professor Rinaldi è assai chiaro fra gli
scultori che oggi fioriscono la scuola classica di Ro-
ma e d' Italia. Vorrò solo considerare , che ninno
avrebbe potuto piìi strettamente attenersi alla dot-
ta antichità sia nelle vesti, sia negli attributi cosi
della dea, come delle altre figure rappresentate. Im-
perocché se Cerere ha qui velato il capo e cinto
insieme di un serto di spighe, ben sapeva Fartefi-
ce che così hanno gli antichi pili specialmente ri-
tratta quella veneranda legislatrice, o per meglio
dire quella regina delie dee, come la chiama Calli-
maco : e ne addurrà in esempio molte insigni mo-
nete della Sicilia, specialmente di Palermo, di Sira-
cusa, di Leontini, di E;iaa, anzi la rarissima di Ate-
ne, dov'è appunto Cerere dall'una parte, e dall'altra
Trittolemo che recasi sui carro a propagare la nuo-
va, .provvidenza per l'universo. Se dalla tunica talare
e dal peplo, onde con matronale decoro è amman-
tata, ha fatto apparirle ignuda uìia parte del petto,
vi dira essergli noto ciò che il Winckclmann (1)
aveva osservato sull'uso misterioso che in molte ope-
re antiche ha questa dea di mostrar le mammelle.
Se in una mano le ha posto il corno di Amaltea , vi
dirà pure essere anche c]uesto fra gli attributi di
Cerere, singolarmente nelle monete di Catania , di
Etna, di Siracusa e di Demetrio Sotero: attributo,
come ognun sa, dato la prima volta da Bupalo nel-
l'olimpiade LX alla Fortuna, colla quale spesso gli
i) Storia dell'arte del disegno, lib. V, cap. VI, §. 7.
Opere di accad. di s. Luca 3 19
antichi hanno confuso la dea protettrice deH' agri-
coltura. E se jfigurata l'ha con un viso di si mara-
vigliosa dignità e bellezza, vi dirà in fine di avere
avuta in mente l'idea non solo di una cosa celeste ,
ma SI appunto della divinità di Cerere, che con tanta
perfezione e sublimità di lineamenti ci è rappresen-
tata soprattutto nelle monete italiche di Metaponto:
nelle quali studiando il Rinaldi, non mancò insieme
di avvertire, come alla dea di Eleusi, benché bellis-
sima ed autorevolissima, doveva pur darsi alcun
grado minore di quella beltà maestosa che si con-
viene a Giunone.
Pane è quale tutta l'antichità delle arti ce Io
ha dipinto: mezzo capro cioè delle cosce e de'pie-
di, simo del naso, con piccole corna, con barba ir-
suta, col pedo e con la fistola pastorale. Di sotto poi
alla rupe, dov'egli giace, vedesi sbucare un serpe
a strisciarsi pel campo. Chi ne ignorasse la signifi-
cazione, sappia che indizio de' misteri eleusini , i
quali a tutta la gentilità furono santi e famosi. Ne
il Cefiso, coronato com'è di alga, è rappresentato
men dottamente: e centra chi pretendesse, che gli
antichi nel dare ad un fiume le forme umane usas-
sero essenzialmente porgli le corna ad indicare la
forza delle sue acque, l'artefice che qui ha credu-
to passarsi di questo attributo taurino ben potrà
opporre l'esempio di molte altre opere prestantis-
sime d'arte, e soprattutto ciò che ultimamente ne
ha scritto il celebre segretario dell'accademia er-
colanese e mio venerato amico, cav. Francesco Ma-
ria Avellino (1) , la cui autorità in queste cose
vuoisi avere gravissima.
(i) Opuscoli, voi. I, cart. 107.
320 Belle Arti
tv.
Psiche trasportata dai zeffrij gruppo in marina
del prof. Giovanni Gibson di Liverpoot (1).
La favola di Amore e Psiche fu per lungo tem-
J)0 creduta una leggiadra fantasia di Apuleio : im-
perocché stimavasi esser vissiito dopo lui quell'ate-
niese Aristofonte, che secondo Fulgenzio iief sci-isse
ne'suoi perduti libri intitolati Djscrdstia. Niun'ope-
ra d' arte conoscevasi inoltre con certezza di tem-
po 0 di artefice, la quale potesse dirsi condotta in-
nanzi al secondo secolo dell'era volgare, in cui fiorì
il filosofo di Madaùra. Ma lasciando stare che dub-
Lià molto è l'età di Aristofonte, ne può ancora: ben.
giudicairsi di qual secolo fosse precisamente, i mo-'
derni critici hanno di questa favola ravvisato indi-
zi chiarissimi in tin celebre epigramma di Melea-
gro, poeta che il dottissimo lacobs vuole con belle
ragioni essere stato contemporaneo dell'ultimo de'
Seleùci. Ciò tuttavia che per sempre ha posto ter-
mine alla qtiistione si è il famoso cammeo di Ti-
fone, artefice vissuto sicuramente sotto i re di Ma-
cedonia successori di Alessandro; per non parlare
dei dipinti della grotta di Corneto pfubblicati dai
Byres , certissimo lavoro etrusco : e delle pittu-
re ercolanesi del volume terzo , operate , con si-
curezza non minore, un secolo almeno prima di
Apuleio. Sicché ora, senza disputare piìi oltre. Vor-
remo dire col Grcuzer, esser còsa probabilissima
(r) Vedi la tavola XV dell'anno II dellV/JC italiana.
Opere di accad. di s. Luca 321
che in questa graziosa immaginazione eli Psiche si
celasse alcuno degli antichi misteri di Amore, che
sapevansi dagl'iniziati (uno de'qùàli potè èssere il
poeta Meleagro ), ma che descritti è qùctsi Rivelati
furono primaniente né'libri di Apuleio e di Arislto-
fonte.
Dalla narrazióne del libro quarto di Apuleio è
tratto il soggetto di questo gruppo, condotto iti Riar-
mo dal professore Giovanni Gibson di t/ivèrpool,
accademico di merito di s. Luca. Imperocché Psiche
e rappresentata in qUel primo momento j in che i
zeffit*i la levano à volo dalla sommità dello sco-
glio, dove l'oracolo aveva comandato a' geni tori dì
condurla ei di abbandonatala i é dove Apuleio ce la
descrive piangente e atterrita sia del trovarsi in
quella orribile solitudine^ sia del Sapere per le pa-
lmole di es^o oracolo j eh' ella già non sarebbe an-
data al talamo di un mortale , ma sì di un iddio
più velenoso e malefico di qualunque serpente. El-
la quindi tutta in sé ristretta guarda con naturale
atto di timidità la terra, d'onde vien sollevata* Sem-
plicisslntio è il suo vestire, siccome quello che solo
le copre la inferior nudità; e le chiome ha stret-
te dietro il capo in un nodo, fatto da un piccolo
strofìo che altresì le circonda leggiadramente la te-
sta. I due zefllri, ignudi tutti della persona e co-
fonati di fiori, recati si sono la donzelletta a seder
sulle spalle, e pare che l'assicurino di allegrezza:
sapendo ben essi j siccome servi di Amore che li
chiama Apuleio, qual ventura le sia preparata dal
loro signore^ ed a cjual luogo deliziosissimo la con-
ducano. E l'uno le abbraccia dilicatamente i fian-
chi e le gambe: l'altro la regge al ginocchio , ed
alza la mano destra per ricever quella di lei ,
322 BelleArti
che nel subito sbigottimento sembra cercare questo
soccorso.
Psiche non ha qui le ali di farfalla, come ri-
chiederebbe l'origine del suo nome, che altro già
non vuol dire che anima e farfalla. Ma di ciò ab-
biamo pure altri esempi. Ali di farfalla hanno ben-
sì i due zeffiri; forse non per altra autorità, io cre-
do, che del Dizionario istorico-mitologico compila-
to in Milano da Giovanni Pozzoli e compagni, e di
un moderno quadro dipinto dal francese Prudhon.
A me non pare però ch'elle sieno ali da ornarse-
ne un zeffiro: ne so che niun poeta od artefice an-
tico ce ne abbia lasciato esempio. Certo è che Lu-
crezio gli dà le penne (1);
It Ver et Venus, et Veneris praenuntius ante
Pennatus graditiir Zephyrus vestigia propter-^
le penne gli da Glaudiano (2):
Ille ( zephyrus ) novo madidantes nectare pennas
Condititi et glebas foecundo rore maritata
e le penne gli dà pure all'omero il greco sculto-
re che operò il bassorilievo della celebre torre otta-
gona in Atene, secondo che ci è descritta e rappre-
sentata dallo Stuart (3): e con piccole ali di pen-
ne alle tempie può anche vedersi presso il seniore
Filostrato (4). Nulla dirò di Apuleio: che egli non
(i) Lib. V, verso 737.
(2) De raptu Pi-oserpinae, lib. II, v. 88.
(3) Antiquités d'Athènes^ I, i4; edizione del ii
(4) Immagini, lib. I cap. a4-
Opere di accad. di s. Luca 323
ci nai'ra che avesse le ali di farfalla ne pur la Psi-
che: e<l anzi vuole che non da Zeffiro ella fosse le-
vata in aria, ma sì dall'aura di lui. Mids aura mol-
lis spirantis Zephyri suo tranquillo spirita
^>e]iens^ Ed in altro luogo fa eh' esso rechi a volo
le sorelle di Psiche, clementissiniis flatibus: ed al-
trove, gremì o spirantis aurae.
Ma perchè si darebbe a Zeffiro questo simbolo
di un volare con mollezza non meno che con silen-
zio? Che tal è ne'mitologi il significalo delle ali di
farfalla. Forse eh' egli è sempre quel soavissimo,
che nella primavera corona di foglie le piante, e in-
fiora i prati, e scherza coU'onda? Non già: anzi tal-
volta è sì gagliardo e sonoro, che leva il mare a
procella, e contrastasi a guerra perfino cogli euri e
cogli aquiloni. Di che piìi esempi potrebbero addur-
si, se bisognassero, così de'poeti greci, e special-
mente di Omero che nel XII dell'Odissea lo chiama
rabbioso nelle tempeste^ come altresì de'latini: ma
giovino questi di Virgilio. Ecco ciò che ha nella
Georgica (1):
j4t Boreae de parte trucis cum fulminata et cum
Eurique Zephyrique tonai domus., omnia plenis
Rara natant fossis., atque omnis nauita ponto
Humida vela legit:
e nell'Eneide (2):
(i) Lib. I. V. 371.
(2) Lib. I, V. i35.
324 Belle Arti
Eiirum ad se Zephjrumque vocat-, dein talia fatar:
Tantane vos generis tenuit fiducia vestri?
lam coelum terramque^ meo sine numine^ venti^
Miscere^ et tantas audetis tollere malesi
Laonde poi disse Ovidio (1):
Inter utrumqiie fremunt immani turbine venti:
Nescit^ cui domino pareat, unda maris.
Nam modo purpureo vires capit Eurus ab ortu,
Nunc Zephjrus sero vespere missus adest.
Essendo perciò Zaffiro ne'suoi spiriti cosi vario ,
non séitìbra che possa con particolare attributo di-
stinguersi dagli altri venti per le ali niollissime di
farfalla: cori le quali, come ognun vede, oserebbe
invano venire A contesa co' suoi possenti compa-
gni. Lasceremo quindi ai non dotti delle cose anti-
che l'insegnare ciò che lor piace: ma noi ameremo
assai meglio di star coi classici, soli competenti
maestri in queste cose della mitologia: e perciò non
daremo le ali di farfalla che a Psiche: e dopo essa
al Sonno, che in altro modo già non ci viene che
con volo tacito e lieve (2); ed in fine alle Ore, se
pure ci è recato diligentemente dal Millin (3) un
bassorilievo che fu gik del Townley, ed è al pre-
sente nel reale museo britannico: e se pure è certo
(i) Trist. lib. I, eleg. 2.
(2) Vedi ciò che ne dicono il Visconti nel Museo pio clemen-
tina, tom. I, tav. 28; il Zoega ne Bassorilievi, toni. II , tav. gJ :
il Zannoni nella Galleria di Firenze, toni. II, serie IV delle sta-
tue e de'busti.
(3) Galene njythologique, toni. I, tav. XLV, num. 199.
Opere di accad. di s. Luca 325
che voglia significarsi la State in quella figura mu-
liebre col tirso nella mano destra ed un vaso nel-
la sinistra, e non piuttosto, come io credo, un*an-
cella compagna dell'altra ( con le ali pur di far-
falla ), che ivi seduta sta rallegrando col suono le
nozze di Amore e di Psiche.
Questo gruppo è in Inghilterra, scolpito dal
celebre artefice pel fu cavaliere Giorgio Beaumont,
Michele Cervantes.
Statua del cav. Antonio Sola
di Barcellona.
Argomento della civiltà vera di una pazione ip
predo essere soprattutto 1' onore che rendesi alla
memoria di que' famosi * i quali con belle opere
d'ingegno ( cose di gentilezza e di pace ) intesero
a darle una vita , che ne forza d' anni ne prepo-
tenza di barbarie valgono a spegnere: la vita cioè
della gloria. Perchè non saravyi cortese, il quale
sinceramente non si congratuli col popolo spa-
gnuolo, che oggi di questa civiltà porge al mon-
do sì splendidi esempi. Ecco infatti un magnifi-
co monumento eh' esso innalza a Michele Cervan-
tes : volendo il re Ferdinando , che degno di se
e della Spagna sorga in bronzo a Madrid presso
l'umile casa, dove il grande morì. Opera insigne
per concetto non meno che per artificio : della
quale a buon diritto vuol Roma dividere il me-
rito con essa Spagna: essendoché in Roma ne sia
stato fatto il modello da quel chiarissimo cava-
liere Antoaip Sola, che yeunc fra' noi giovinetto d^
326 Belle Arti
BarceUona ad apprender l'arte e poi a seder presi-
dente deiraccadcmia di s. Luca, ed in Roma pure
sia stata fusa dai due valenti prussiani Luigi Jolla-
ge e Guglielmo Hopfgarten.
Veramente niuno piìi del Cervantes meritava
che la patria gli fosse graziosa di tanto onore :
egli che fu quasi il fondatore delia spagnuola lette-
ratura, porgendole nella Galatea, nelle Noi>elle e
soprattutto nel Don Chisciotte la più bella e si-
cura norma di uno scrivere tutto fior di favella , e
vivacità e leggiadria: egli che con esempio rarissi-
mo (ne certo sperabile da quanti sono romanzieri
moderni, ne'quali gli orrori delle narrazioni sem-
brano fare a prova colla barbarie vergognosissima
della lingua) sa tuttavia, dopo due secoli e mezzo ,
delie sue immaginazioni e delle castigliane grazie
innamorare l'Europa. E noi italiani dobbiamo sin-
■golarmente congratularcene: sia per l'ossequio e
l'amore che portò sempre il Cervantes a questa
madre onoranda delle nazioni; sia per esser egli
studiando le cose nostre ( e soprattutto il Pulci ,
il Boiardo, e l'Ariosto ) dimorato lungo tempo in
Roma , in Napoli , in Firenze , in Venezia , ed
aver conversato in Ferrara col grande infelice che
cantò la Gerusalemme. Al che potrebbe anche ag-
giungersi, l'essere slato familiare alla corte dell'ita-
liano cardinale Acquaviva, e trovatosi nel 1571 a
Lepanto fra que' magnanimi , che per la cristia-
na libertà combatterono nell'armata di Marcanto-
nio Colonna. Imperoccliè Michele Cervantes, co-
me l'Alighieri ed il Camoens, segu\ anch'egli l'an-
tica usanza d'ogni uomo nobile, e fu guerriero. E
così nel vigore del braccio e nell'altezza dell'ani-
mo §i fosse solo rassomigliato a quc'due gran pa-
Opere di accad. di s. Luca 327
tiri delle lettere delle loro nazioni ! Ma eali li
rassomigliò eziandio nella povertà e nelle sven^
ture, sapendosi che tolto schiavo da'corsari alge^
rini, fu gittato carico di catene a gemere lunga-
mente in un carcere. D'onde non prima riscatta^
to, che a ciò si movesse la compassione de' suoi,
non ebbe poi al suo ritorno la Spagna piìi be-
nigna o liberale dell'AfFrica: ne trovossi in tanta
larghezza d' impero e di gloria , in quanta sten-
dcvasi la monarchia del re Filippo , chi facesse
almen opera di cancellare i segni de'ferri su quel-
le nobili mani! Laonde tratto più volte prigione,
strascinò indi la vita parte nell'oscurità, parte nelT
ultimo fondo della miseria: finche vecchio omai di
sessantanove anni la consolatrice provvidenza degnò
^fistorarlo di tanti affanni, e più delle ingratitudi-
ni di questa terra, a se richiamandolo a'23 di aprile
1616 nel giorno stesso (cosa memorabile) in cui
l'Inghilterra perdeva pure il fondatore delle sue let-
tere Guglielmo Shakespeare. Fine certamente inde-
gnissimo di sì grand' uomo: e tale che alcun di-
rebbe, aver la fortuna con la desolazione e la men-
dicità voluto punire in lui gli alti doni della na-
tura. Ma ne toccò forse uno men duro all' animoso
ed immortale italiano, che autore del più stupen-
do avvenimento de'tempi moderni, poi ch'ebbe per
forza di sua gran mente e fra pericoli e fra dileg-
gi scoperto un nuovo mondo vastissimo, ne fece una
provincia alla donna deirEbro.?
Lode sia al cavaliere Sola, il cjuale con quella
verità, di cui il bello è la perfezione, ci fa con-
templare l'immagine di questo famoso. Certo noi lo
vediamo: egli è desso Michele Cervantes: abbastan-
za il palesano quell' autorevole sua figura, cjuella
328 Belle Arti
fronte spaziosa, quegli occhi scintillanti del fuoco
deiranima, quell'andar franco che ben dimostra la
generosità de'suoi spirili e l'uomo d'armi e di av-
venture, e quel vestire che in tutto ci ritrae I'usq
spagnuolo del secolo XVI. Egli, pienq di una inj-
maginazione sublime, è in atto di mutare il passo;
attQ che pììi artificiosaniente non sarebbe^! potuta
esprimere dallo scultore, sia pel movimenta natu-
ralissimo delle gambe, a cui accompagnasi quello di
ti|tta la persona, sia pel contrasto d^lle pieghe dell'
abito, e specialmente del mantello con leggerezze^
mosso dall'aria. Nella mano destra ha un rotolo di
scritture, indizio d'uomo di lettere: e la mano sini-
stra posa sull'elsa della spada, a significare la pro-r
fessipne sua di soldato e la gentilezza della sua ca-
sa. E notisi accprgimento del cavaliere Sola. lEgli hs^
coperta questa mano con un lembo del mantello, a
fine di non mostrarla storpia come il Cervantes l'ave-?
va per un cplpp di artiglieria che il ferì alla bat-
tagli^ di Lepanto: e così da una parte serbare quel-
le ragioni del bello, delle quali le arti non hanno la
maggior cosa: e non incorrere dall' ci^llra nelle cen-?
sure di chi va in traccia del vero.
Tutto è vita, tutto è verità, tutto e nel tem-
PQ medesiimo graziosa dignità in questa statua: la
emazie per sentenza di chiarissimi professori ed in-
|;endenti di belle arti dirò essere una delle piìi sin-
golari, che per eccellenza di magistero sieno state
operate a questa età nostra: com'è certo una delle
più importanti, considerato l'uomo celebratissimq
che raffigura. Aggiungere) ai^zi, che da molti an-;
ni non §e o'era pili fusa fra noi un'altra simile in
bronzo; perciocché è semicplossale, avendo dieci p£^ls
mi e mezzo di altezza.
329
VARIETÀ'
Museum gregorianum, Carmen. Romae ex typographeo
minervali i838. (Sono carte XI).
JLia magnificenza, con che N. S. Gregorio XYI ha dato inco-
minciamenlo nel Vaticano ad un nuovo museo di cose preziose
in oro, in bronzo^ in argilla, ed in ogni maniera di marmi, come
grandi testimonianze istoriche delle arti non meno che della re-
ligiosa e civile sapienza de' nostri antichissimi progenitori di
Etruria, ha inspirato questo carme al chiarissimo P. Giambatti-
sta Rosani, generale delle scuole pie, membro del collegio filo-
logico dell'università romana e della pontificia accademia di ar-
cheologia. Non gioverà dire, ch'esso è degno e della maestria e
del nome di si elegante scrittore, e (oseremmo anche aggiungere)
del grande argomento ; essendo gli scritti latini del P. Rosani
omai in tutta Italia notissimi e lodatissimi. Gradiscano perciò ino-
stri associati di averne qui un bel saggio ne'versi seguenti.
G. A. T. LXXIV. 22
330 V A B I K T A*
,, Omnia sint delecta licet, non omnibus unum
„ Est pretiura aut faciesj pictura hic praevalet: illiQ
„ Sed mage forma placet. Summo de|apsus OlympQ
„ Mercurius nymphas inter mihi ridet, alendum
,, Dtjm studet infaqtem nulricis more Lyaeunj
,, Credere Sileno; rapiet te forsan Apollo
„ E solio responsa caiiens; maris unda silescit
^, Dicentein venerata deum, tota insula plaudit,
E poi :
,, Prae cunctis simulacrum illud supereminet iugens,
,, Quod primi effossum terra stupuere tudertesj
„ Quera tamen exibeat Martem, geniumque, virumqwe
„ Archaicis inhians studiis gens dimicat, atque
„ Lis incerta manet, longumque manebit in aevunj.
„ Maguanimum interea triplices concorditer artes
„ Pontificem super astra ferunt, ditaverit allo
„ Quod signo musea recens: circum ordine recto
„ Stant clypei, galeae, tripodes, stant tela, trophea,
„ Candelabra, foci, rerum stat cista sacrarum
„ Conscia, virtutem commendat biga latinam.
„ Mobilis in medio relitiet custodia, facti
„ Quidquid in apricum Tyrrhenia contulit auri.
■ „ Malcriam praecedit opus; sic arte refulgent
-•'"„ Annuii et armillae, sic torques, fibulae, inaures
„ Rite laboratae apparent, ut Gallia certe,
„ Anglia yel nequeat parili contendere laude ,^»
Varietà' 331
Opuscoli diversi di F. M. Ai>ellino segretario perpetuo della
reale accademia ercolanese e dell' accademia poiitaniana ,
professore nella reale università, corrispondente della so-
cietà reale di Berlino e di altre accademie. Volume terzo
con una tavola in rame. 8, Napoli i836 da' torchi del Tra-
mater. ( Sono carte 334 )•
XNon ci è stato inviato se non ora da Napoli questo terzo vo-
lume degli opuscoli del cav. Avellino, letterato celebratissimo
ed uno di quelli che più onorano all'età nostra i gravi studi di
antichità. Il volume è come gli altri due precedenti un tesoro di
critica e di archeologia. Ecco di che vi si tratta; i. Osservazio-
ni sui secundarum e sumrnarura maglstri ricordati in talune
iscrizioni , con tre annotazioni; la prima, di alcune iscrizioni di
Larino e dei liberti con due cognomi : la seconda, del nome di
lACQN: la terza, di alcune iscrizioni colla voce summarura ;
2, Secondo saggio di osservazioni numismatiche, a cui segue un
annotazione sul monumento nucerino di Virtio e sulle monete nu-
cerine col cavallo; 3. Osservazioni sopra un edito diploma mili-
tare dell'imperatore .Alessandro Severo, con un'annotazione so-
pra alcune iscrizioni col nome raso di .Alessandro Severo; 4- Os-
servazioni sopra un'iscrizione trovata ne' sotterranei del campa-
no anfiteatro, con un'annotazione sopra un'antica iscrizione re-
lativa al culto del dio Silvano ; 5. Giunte e correzioni alle cose
trattate negli altri due volumi.
uilla beata Michelina proteggitrice di Pesaro, inno del conte
Francesco Cassi. 8. Pesaro dalla tipografa Nobili i838.
( Sono carte ug ).
ideila fausta occasione, in chela sapienza diN. S Gregorio XVI
La innalzato all'onor delia porpora reiiiinenlissimo signor car-
dinale Luigi Ciacchi di Pesaro , il conte Francesco Cassi con
332 Varietà*
quest' inno si è rivolto aUa beata protettrice della sua pa^
tria. Chi non coposce in Italia il pome dì Francesco Cassi? dell'
intimo aipico e del cugiijo di Giulio Perticari ? del traduttore
(chiarÌ5sÌ0)O della Farsaglia ? S'cchè ognuno al 50I0 annunzio
prederà subito, che questi suoi versi sieno aduntempo cosa gra-
ve ed elegante, e tutti pieni di spiriti classici. E tali sono ve-
ramente; e vogliamo di cuore congratularcene con quei cortese,
in una età in cui molti stoltissimi, bestemmiando ciò che non
sanno, troppo dimostrano di aver l'idionja ricchissimo e poten-
tissimo dell'Alighieri, del Petrarca, dell'Ariosto , del Tasso, per
inetto a nonso quali bisogni di certa scuola distruggitrjce in tut-
to di ogni bellezza, di Ogni dignità, di ogni immagine di nazio-
nale letteratura. Or ecco una poesia che si direbbe ronjantica
(se potesse questo nome senza infamia propunpiarsi da labbro
italiano) quanto sU' argon^ento: p pure osservisi pome il conte
Cassi, nemicissimo di contaminarsi in quella turpitudine, ha sa-
puto egregiamente e da italiano vero tenersi agli pterni esemplari
del bello stile! Valga il seguente saggio, dove cantasi del pelle-
grinaggio che la pia pesarese fece a'iijoghi santi della Palesliaa|
p descrivesi un dipinto famoso di Federico Barocci ;
Di pietate e di sdegno un guardo died§
Ai tristi avanzi del cenapol, dove
li'ultim^ mensa s'imbandì d'amore .
Del pretorio, del tempio, e della reggia
Passò per mezjo alle ruiae, e tutte
Del Nazaren cercando le vestiglc
S'abbandonò pel doloroso calle. '
E rattamente, come s'ella avesse
Armatp d'improvvisa ala le piante,
Jj'altpzza guadagnò del sacro monte
Ove spirò l'uom Dìo. Né vi fi4 sopra,
Che in subita e celeste estasi assorta,
Si trasmutò dal suo concetto antico.
Ed alla mente e al guardo altrui difese
Jja conoscenza sua. Perchè d'un tratto
piti capo il feltro, da le spalle il sacco,
Varietà' 333
Ed il borclon di maa le uscirò; e un lieid
Lume e un soave odor di paradiso
Dal divin volto e dalle aurate chiome
Abbandonate al vento ella diffuse.
Si fé' degli cicchi porte al cielo: e il cielo j
Tra nube e nube aperto, disserrava
Un torrente di l'aggi e di fulgori
Onde fu circonfulsa. In quel medesmo,
La vii succinti veste colofossi
D'un aurea luce, e in larrghi e lunghi seni
Con tanta maestà le si diffuse
Oltre dai pie, che di celeste manto
Rendè figura, e Michelina apparve
Della terra non più, ma dell'empirò
Beata cittadina: e da se Sola
Tutto il Calvario tenne. Tal tu fosti,
O santa pellegrina, un di veduta
All'alta fantasia di chi nell'arte
Del bel pennelleggiar fu odor secondo
D'Urbino, e tal ti ritraeva in quella
Spirante tela^ ch'era un di la pompa
Del tiio delubro, e ch'indi a noi rapita
Dallo straniero, e allo stranier ritolta.
Oggi, non senza cittadina invidia,
Tra tanti altri miracoli dell'arti
S'ammira in Vatican (i). Ma effigiata
Perchè ei non t'ebbe ancor quando scendesti
Nella gran tomba, e d'alto sdegno accesa
Tu prorompevi contra i male usati
Brandi de'prenci, cui lasciar non calse
(i) Il quadro rappresentante la beata Michelina in estasi sul
calvario, opera del Barocci, fu tolto dagli stranieri, e portato a
Parigi. Ora è nella galleria vaticana.
334 Varietà'
Il santo loco in man de'cani ? O quando
Peregrinasti alla città che accolse
11 dlvin parto, e al re del re la culla
Nel fien distese perchè avesse eterni
Pregi umiltade ? O quando in queste mura
Tra il benedir de'ricchl e de' mendichi
Festi ritorno, e ti rendevi a quella
Romita stanza che d'ognun t'ascose
Alla veduta, e ch'oggi, a testimone
Di palra riverenza, è fatta parte
Del gentil tempio sacro alla gran madre
Cui Gabriel disse Ave ? Oprato avrebbe
Nuovi portenti il creator pennello
Del suo pio Federico, e tutte vive
Ne renderla le glorie tue ne'suoi
Dolci colori. E più ne alletterebbe
A entrar cogli occhi dentro l'umll cella
Che i tuoi respiri ultimi accolse. In vista
Ne offrirebbe la povera parete,
E le devote Immagini e la croce
Ond'essa è Intramezzata; e quivi sotto
Sul nudo suolo il pagliericcio, donde
Di soave pallor dipinta 11 viso,
Dalla vita mortai tu ti diparli,
E t'alzi lieta a que'beatl scanni,
A cui rado o non mal da letti d'oro
E da seriche coltri anima vola.
Elogio storico d' Isabella Pellegrini romana, scritto dal cava-^
liere Francesco Fabi Montani. 8. Bologna costipi di Giovanni
Bortolotti i838. (Sono carte i8.)
Jjene ha fatto il sig. cav. Fabl Montani a raccogliere coll'usala
sua diligenza queste memorie di una gentil giovinetta che fu ve-
Varietà' 335
rametite fiore d'ingegno e di leggiadri costumi. Tanto seppe ella
di belle lettere, e tanto valse principalmente nell'arte d'improv-
visare, che fu delizia mentre che visse del Perlicari e del Biondi
e da essi e da altri nobili spiriti con lodi pubbliche celebrata o
sotto il proprio nome, o sotto quello arcadico di Belisa. E cosi
non ci avesse della sua vita abbandonati sì presto ! Che sarebbe
oggi non piccolo splendore del bel sesso italiano , e sederebbe
chiarissima fra le Ferrucci, e le Verdoni, e le Orfei, e le Malvez-
zi, e le Sampieri, e le Roero, e le Guacci ! Ma nata in Roma H
dì 3o di luglio 1787 , dovette cedere al comun fato il di 16 di
aprile 1807, piena della speranza di volare all'amplesso del sUo
Dio che tanto desiderò sulla terra.
Non senza diletto si leggerà questo scritto, che le ha conse-
crato il sig. Fabi Montani; scritto che non solo tante cose elegan-
temente ci narra delle virtù della dotta ed amabile Isabella, ma
ci reca molti be'saggi di quella gentil vena di poesia. Valga per
tin esempio questo sonetto:
Tempo verrà, né fia che mi conforté,
Che il mio crln fatto bianco, e curvo il dórsOj
Soli Compagni avrò pena e rimorso,
O che il sol cada o il nuovo giorno apporte.
Tempo verrà, che al guardo mio più corte
Parranno Tore del tempo trascorso,
E troncherà della mia vita il corsoi
Colpo fatale della man di morte.
Tempo verrà, che al trono eterno iuiiarite,
U senza velo il sommo Iddio si onora.
Io sarò tratta pallida e tremante.
Vedrò tremando il giudice severo
Che a me sdegnato .... Il veggo, e tardo ancora
A porre il piede nel camoiin del vero ?
336 Varietà'
V amor e agli estinti. Carme di F. M. Torricelli. 8. Firenze
co' tipi della Galileiana iSSy. ( Sono carte 20.)
JLé il conforto dell'amicizia nelle sventure del conte Francesco
Cassi, che tuttavia piange la cara e virtuosa Elena , la perduta
sua figlia. Il sig. conte Torricelli di Fossombrone ha saputo di
si bella poesia vestire tante pietose immagini, che non poco que-
sto carme crescerà il suo nome già chiaro di gentile scrittore del-
la nostra favella. Eccone un saggio.
Che se ogni piaggia della terra è un'ara.
D'onde è bello il pregar chi tutte ha in cura
L'anime a'corpi affisse e le disciolte.
Perchè queste di luce alma consoli,
„ Quanti dolci pensier, quanto desio
All'urna cara dell'estinto bene
Lui menerà, che ad onorarla move
DI lodi e fiori, di preghiera e pianto?
Tu proverai, siccome piana e breve
Sempre è la via, che ne conduce al loco
Ove giace chi amammo. Ed o ti piaccia
Lasciar d'Elena i venerandi avanzi
Sotto i grandi archi delle logge altere
Cui crebbe fama, colorando i duri
Casi di Giobbe, quei pittor famoso
Che sopra Cimabue si tolse il grido;
Ovver ti aggradi dai pisani chiostri
Ridurli al natio suolo, andrai sovente,
Passaggiero in Etruria, o sull'Isauro
Viator cittadino, alti segreti
D'amor paterno a mormorar su quelli.
E lì resta a tuo senno; ma potrai
Tutti all'urna gittar gli accenti e i voti,
Non già gli sguardi: e , al dipartir del piede.
Gli occhi non sazi torneranno indietro.
Varietà' 337
Della vita e delle opere di Filisto siracusano,
Xl sìg. Celidonio Errante ha pubblicato lo scorso anno nel Gior.
naie di scienze lettere ed arti perla Sicilia un'Importante lavoro
sulla vita e sulle opere di Filisto, di quel piccolo Tucidide, co-
me lo chiama Cicerone. Egli inoltre ci ha dati con traduzione e
con note tutti i frammenti che si conoscono degli scritti dell'il-
lustre siracusano : aggiungendone quattro o cinque di più a quel-
li raccolti e pubblicati dal GoUei'. Il signor Errante aveva già
fatto il medesimo, e con egregia lode di critica, della vita e del-
le opere di Oicearco da Messina.
Su lafdosofia della medicina. Cenno del dottor Lorenzo Ma>sana.
8. Messina, tipografia Pappalardo i836. (Sono carte 22.)
Jrlene di savie considerazioni è quest'opuscolo, e ne trarranno
utile i professori della scienza medica. II dottor Maisano mostra-
si soprattutto inimicissirao de'sistemi; e sembraci con ragione: di-
cendo non senza verità a carte 8; „ Dando un colpo d' occhio a
tutti i sistemi medici, è agevole il comprendere: i. che ciascuno
dì essi è costituito da principii parte dedotti da fatti, e parte da
ipotesi; 2. che nessuno di essi sistemi spiega adequatamente i fe-
nomeni dell'economia vivente tanto nello stato fisiologico, quan-
to nel patologico, e tutti gli effetti che producono in noi gli es-
seri fisici e le affezioni morali; 3. che nessuno de'medesimi scio-
glie le difficoltà, che gli si oppongono: 4- che le osserv,azioni, le
338 Varietà'
esperienze, i raziojclnli che si adducono in loro favofc, non sono
quasi giammai esatti: 5. che con somma difficoltà comprendono
in una o poche leggi tutte le operazioni della natura : 6. che
quasi tutti commettono degli errori nel tessere le lunghe argo-
mentazioni, e nell'avvalersi di astratte e generali proposizioni
per la formazione de'loro principii fondamentali; 7. che nessuno
di essi va esente dal difetto di abusare della ragione. Per cono-
scere la verità di queste asserzioni basta leggere qualunque ope-
ra che versa sull'istoria della medicina ,,.
Egli quindi crede che coloro debbano veramente onorarsi
come lumi e padri dell'arte, che si valsero dell'esperienza ragio-
nata e del raziocinio sperimentato , e detti soao empirici-razio-
nali, o meglio eccletici : fra' quali singolarmente loda Ippocrate,
Sydhenam, Baglivi, Borsieri, Tissot, Franck, Pinel* Scarpa, Ci-
rillo e Cotugno. „ Il gran pregio (egli aggiunge) di questi uomi-
ni generalmente venerati per tutta Europa non consiste nell'ave-
re ricercato refìmera gloria di essere inventori d'un qualche si-
stema, ma sibbene nell'avere contribuito chi in un modo , e chi
in un altro, a fondare o rassodare i canoni pratici dell' arte d.
guarire. „
Elogio di Antonino Puritano, scritto dall' ab i Èmmanuele Vacca-
ro segretario generale del reale instituto d' incoraggiamento
di agricoltura, arti e manifatture per la Sicilia. 8. Palermo
tipografia di Filippo Salii iSo;. (Sono carte 16. )
ixntonlno Furilano fiorì in questi anni nella Sicilia con lode
chiarissima dì professore di chimica. Celebri soprattutto in Eu-
Varietà 339
ropasono i suoi Pensieri f.sico-chimici sulla i>ita. Secondo il
s.g. ab. Vaccaro quando il Berzelius difendeva contro il Davy
quella teorica, per cui spiegasi l'attrazione chinlica dei corpi
per la sola inOuenza dell'elettricità, senza la distinzione di flui-
do elettrico vitreo e resinoso, il Furitano già l'Insegnava In
Sicilia.
Biografie e ritratti d'illustri siciliani morti nel cholera, precedu-
ti dalla storia del cholera. Palermo, tipografia Lao.
c
V^. SI annunzia favorevolmente quest'opera, tutta patria, che a
moment, vedrà la luce In Sicilia. Le biografie, fra le quali W.
geremo principalmente quelle dello Scinà, del Bivona, delI'Alel
s., del Palm,erl, verranno, per ciò che sembra, scritte da varil.
I d.segn. de ritratti saranno però del Patania, e le incisioni del
Waincher. Scrittore della terribile istoria ci si annuncia essere
II cmanssimo ab. Borghi.
Corso completo di anatomia descrittila colle differenze nelle
età, sessi, razze ed anomalie. Di Giovanni Gorgone profe,-
sore di anatomia nella R. università di Palermo. Palermo,
dalla reale stamperia. Tomo secondo, nell'anno i836.
Importantissima per la scienza è quest'opera, perchè non pur
contiene tutti i progressi che fin qui ha fatto 1' anatomia, ma
dall Illustre autore è altresì stata arricchita di molte nuove os-
servazioni e scoperte.
340 Varietà'
In morte di Laura Di Negro-Spinoìa. Cantica. 8. Genova, tipo-'
grafia déf rateili Pagano i838. (Sono carie 7. )
Vi il lamento di un tenerissimo padre, del marchése Gian Car-
lo di JNegro, sul sepolcro della sua figlia. Se l'insigne cavaliere
ha mostrato in tanta sventura tutta la sua cristiana rassegnazio-
ne: in questi versi ha voluto poi vaneggiar dolcemente nelle più
care immaginazioni. Vede egli, scosso dal suo letargo, un'ange-
lica creatura stendergli amorosa la mano , e dirgli che di lei si
rassicurasse:
Ben la conobbi; e del paterno afiettoi
Sentia la dolce voluttà nel seno !
Ed ella a me' ; M'ascolta, o mio diletto.
Mira qual sotì .< ti rinconforta almeno ;
Cessa di lagrimar ; pe'figli miei
L'amor di padre in te non venga meno.
Tu gli amasti, ed amare or più li dei
Come parte migliore di te stesso ....
Fu un punto sol più noQ bearmi in lei.
Deh I perchè sparve, e mi negò l'amplesso ?
Che forse l'alma con la sua congiunta
Termine al duol vedeva in lei concesso.
Anzi più forte del dolor la punta
Provai ridesto: perchè prima in vista
Di forze vidi l'altra figlia emunta,
Che abbandonata, lagrimosa e trista,
Ver me fisa tenendo la pupilla
Parca dirmi: E* comun quel che ci attrista!
Varietà' 341
statistica dì coloro che furono presi dal cholera asiatico in Ro-
ma neWanno 185^ , umiliata alla Santità di N. S. Papa
Gregorio Xyi dalla commissione straordinaria di pubblica
incolumità. 4- Roma tipografia camerale j838. (Un volume
di carte i45. )
iTjLonumeoto pur troppo doloroso delle nostre sventure! Da
questa ufficiale statistica risulta, che il morbo asiatico colpi in
Roma 4444 uomini, e 49^8 donne. Di quelli guarirono i8g5, mo-
rirono 255i; di queste guarirono 2060, morirono 2868.
E stata collocata in Roma nella chiesa di s. Andrea delle
Fratte la seguente iscrizione in marmo per onorare la memoria
di un dottissimo nostro compilatore, ch'è ivi sepolto , cioè dell'
abate Girolamo Amati.
A ^ iì
Hieronymus • Paschalis . f . Amatius
Sabiniauo
io , bibliotheca . vaticana , a . graecis . scribundi$
doctor . philologus . lycaei . magni
vir . censorius
in . collegio . antiquitatibus , explicandis
moribus , simplex
peculio , pauper
doctrina . atque , animo . divitissimus
qui . natus . eid . iun . a . MDGCLXVIII
obiit . XII . kal . maias . a . MDCCCXXXIV
Petrus . Odescalchius . Aloysius . Biondius
Jjauretus . Santuccius . Salvator . Bettius
Aloys . Poletlius . Aloys . Vescovalius
amico . sodali . et . praeceptori
miiemosynoa
342 Varietà'
Notice sur le musée Dodwell et catalogne raissoné des objets
cjuHl contieni. 8. Rome iSBy. (Uà voi. di carte no.)
limono qui dlligeriteiTiente descrìtte le antichità d' ogni maniera
egiziane, elrusche, greche e latine, che lasciate furono dal eh. ar-
cheologo e viaggiatore Odoardo Dodwell morto in Roma nel
i832, e che dagli eredi son poste in vendita. La prefazione fran-
cese è del cav. Bunsen segretario generale della direzione dell'
institnto di corrispondenza archeologica; la descrizione italiana
è del signor dott. Braun segretario compilatore dell'iuslituto me-
desimo. Vi sono però importanti osservazioni de'celebri Borghe-
si, Rosellini 0 Lepsius. Che rarità di bronzi, di vasi, di pietre ,
di sMialti, di vetri o figurati o scritti ! Curiosa fra tante altre
ghiande missili di piombo diremo quella proveniente da Peru-
gia, coir iscrizione da una pirte Ij--XI— DIVOM-r-IVLIV"— , e
dall'altra con la saetta di Giove. „ Non pare dubbioso ( avverte
intorno ad essa il Borghesi I che fosse usata nell'assedio di quella
città al tempo di L Antonio, in cui veramente sappiamo che i
cesariani nielius missilibus rem agebant. Comparando poi V ab-
breviatura L-XI colla frattura dell'altra e. XII ( n. gg ) , parmi
che in ambedue debba spiegarsi L'}gio,Q che indichino la legio-
ne, a cui que'frombolieri, d,ii quali furono lanciati, erano attac-
cati. Egual senso avià probabilmente il XVI (n.gg) dell'altra col
nome OCTAVI, che potrà anch'essa riferirsi ad Ottaviano. ,,
Oltre alle antichità v'è anche una collezione litologica: co-
sa veramente di somma importanza agli amatori de'più be' mar*
mi d'ogni parte del globo.
Varietà' 343
Per le nozze Borghini e Manzoni versi di P. P, e ragionamento
istoripo di Carlo Frediani socio corrispondente ec. su le di-
verse gite fatte a Carrara da Michelangelo Buonarroti. 8,
Massa pei fratelli Frediani tipografi ducali iSSy. (Soao car-
te 97. )
JLjascBremo stare i versi del signor P. P., perchè di queste poe-
sìe nuziali è giustamente stanca l'Italia. Diremo beasi che im-
portantissimo ci è sembrato per la vita e per l'arte del Buonar-
roti il ragionamento del sig. Frediani, anche pe'quindici docu-?
menti inediti, ch'egli ci fa conoscere la prima volta.
Iscrizione trovata in Roma negli ultimi scavi, che per ordi-
ne del governo si sono fatti presso il tempio della Concordia.
M . ARTORIVS . GEMINVS
LEG . CAES . AVG . PRAEF . AERAR . MIL
CONCORDIAE
Sulle esposizioni di belle arti in Bologna nel 1807. Lettere ad
Epijanio Fagnani di Mortara. 8 Firenze costipi della Ga-
Uleiana i838 (Sono carte 43.)
IN è autore il signor Michelangelo Gualandi, il quale con tan-
to rara quanto bella franchezza, dicendo il bene ed il male che
ha trovato nelle opere della esposizione bolognese, ciba dato un
esempio del modo con cui utilmente può parlarsi d'arte. Pecca-
344 Varietà'
to che più culto e corretto non sia il suo scrivere ! Peccato an-
che quel suo far tanto le maraviglie di quella tela da teatro, più
che vero quadro da cavalletto, in cui dipinse il Bruloff l' ultimo
giorno di Pompei !
Con singoiar piacere annunziamo , che a momenti avremo
dal celebre professor Roslal di Pisa la sua Storia della pittura
italiana esposta con monumenti. Sarà essa per la pittura in Italia
ciò che per la scultura è l'opera del Cicognara, L'autore la divi-
de in quattro grandi epoche: la prima (con 24 tavole in rame) dal
nascere della nostra pittura fino al Masaccio: la seconda (con 52
tavole) da Filippo Lippi a Raffaello: la terza (con 4° tavole) da
Giulio Romano al Baroccio: la quarta (con 44 tavole) dai Carac-
ci all'Appiani ( esclusi i viventi ).
I sig. Grenville Tempie e Carlo Mangny hanno trovato a
Costantina una iscrizione rotta in tre pezzi, che cosi ci è recata
dal Constitutionnel dei 29 di marzo i838. Essa è importante so-
prattutto per una colonia siguitana, di cui fin qui non si ave-
va notizia.
Varietà' 345
M . AVRELIO . ANTO
NINO . CAES . IMP . DES
TINATO . FILIO
IMP . CAES . DIVI . M . ANTONI
NI . PII . GERMANICI . SARMATI
CI . FIL . DIVI . COMMODI . FRATRIS
DIVI . ANTONINI . PII . NEP . DIVI
IIADRIANI . PRONEP . DIVI . TRA
lANI . PARTIIIGI . ABNEP . DIVI
NERVAE . ADNEPOTIS
L . SEPTIMI . SEVERI . PERTINA
CIS . AVG . PARTIIIGI . ARABICI
PARTHICI . ADIABENICI . PRO
PAGATORIS . IMPERI . PONTIF.
MAK . TRIB . POT . V . IMP . Vili
COS . PROCOS . FORTISSIMI
ET . SANCTISSIMI . PRINCIPIS
COL . SIGVITANORVM
In ojjitii Caroli Bouclieroni V. C
ad Ludo\>icuiii Saulinin coni, equit.
1.1 micia cullili iiiibcri inihi veiiit epistola casus!
Ul legi, ut voccm surpuit ipse dolor!
Ergo lain subilo vi iati opprcssus iniqua
Ilaiiae atcjuc orbi CAROLVS abripilur ?
G. A. T.LXXIV. 23
346 Varietà*
CAROLVS occubuit, quo non sapientor alter,
Non alter fuerat plenior eloquio,
Seu graìae mallet mopstrare repondita linguae^
Seu veterls promens divitias Latii,
Oictarvt, doctis quae passim tradita chartis
Nulla aetas nunquam posterà suspiciet.
Illuni non equiden), Sauli carissime, fani^m
Qui sjbi quaesivit perpetuam ipgenio ;
^on illum, pqlcra partam qui laude coronam
Innectens capiti tempia tenet superum;
Sed nos, nos potius puto flendos, tanta quibus smilt
Et tot in hoc uno funere adempta bona.
Quando alium pQsthac b'ceat nanciscier, in quq
Tarn claro yirtus enitpat iubare ?
Oh ! ubi prisca fidps, nullius conscia fraudis,
Servata et casto pectore amicitia ?
Num poterit quisquam ingenuos aequare }epores 7
Sermonis dulces quis referet veneres ?
Optabam, 3auli, carmen Ubi ferrp, sodalis
Exiguum trjstes munus ad eipsequias ;
Nec queo ; raens animi damno perculsa recenti
Frangitur, adsuetum denegat officium.
Quarp age, qups npllo potui modo ftipdere cultw
Conspersos lacrimis accipe versiculos.
Fors erit, ut saevo recrealus vulnere, amici
Et mores valeam dicere et ingeuium.
j&enpvap XV kal. aprii ^nn. MDqCGXXXVIII.
jyi. FgRFiVCCIVS.
Pontificia acca4emia romana di archeologia.
xn adempimento de'paragrafi i e 2 del titolo 8 dello statuto ,
si propone un premio a chi meglio dichiarerà il seguente argo-
meqto ••
Varietà' 317
,, Fare un paralello critico delle leggi etrusche e delle gre-
,, che italiche, siano religiose, siano civili, colle greche elleniche,
„ lidie, egizie, e fenicie: e dichiarare quale de' quattro popoli
„ stranieri possa avere avuto una maggior parte nella civiltà del-
„ l'Italia primitiva. ,,
Potranno concorrere al premio i letterati di qualunque na-
zione, eccettuati isoli socii ordiuarii ed onorarli dell'accademia.
Il premio è di una medaglia in oro di zecchini quaranta.
Le dissertazioni, in lingua latina , italiana , o francese, do-
vranno essere presentate , senza nome di autore, entro il mese
di novembre del futuro anno i83g.
Dovranno essere scritte in carattere chiaro e leggibile.
Porteranno esse una epigrafe, ed avranno una scheda sigil-
lata con entro il nome e l'indrizzo dell'autore , e di fuori l'epi-
grafe stessa posta alla dissertazione.
Il giudizio sarà pronunziato nel mese di dicembre del me-
desimo anno. La dissertazione premiata verrà impressa negli atti.
Le schede appartenenti a quegli scritti, a' quali non sarà stalo
aggiudicato il premio, non si apriranno ma saranno bruciate.
Le dissertazioni dovranno essere dirette per la posta, od al-
trimenti, ma chiuse, sigillate e franche di porto , al cav. Pietro
Ercole Visconti segretario perpetuo della pontifìcia accademia
romana di archeologia.
Quando non vengano per la posta, dovranno essere conse-
gnate nelle mani del detto segretario perpetuo deli* accademia ,
il quale ne darà ricevuta al portatore.
Dall'aula del romano archiginnasio il di 5 aprile i838.
Il Presidente
MARCHESE LUIGI BIONDI
// socio ordinario segretario perpetuo
Cav. Pietro Ercole Visconti
3/i8 Varietà'
yulcain. Recherches sur ce dieu, sur soii eulte, et sur les prin-
cipaux inoiiuments qui le representent, faisanl suite au Ju-
piter du jnéine auteur ; par T. B. Emérìc David membre
de Vinslilut rojal du Frnnce [academie des inscriptions et
beìles-lettres) cheualier de la légion d'honneur. - 8 Paris ,
imprirfié par autorisation du roi aVimprimerie royale i838.
(Vn voi. di pag. io4, con una tavola in rame).
J/ Iene di belle e dotte .considerazioni (se pur qualche volta non
debbano dirsi troppo sottili ) è questo trattato, il quale è uscito
a far seguito all'altro importantissimo, che il sig.cav.Einéric-David
pubblicò nel i833 intorpo a Giove. L'autore chiarissimo è qui
tutto in provare, che Vulcano, divinità simbolica^ non è altro che
il Fuoco atmosferico e terrestre detto dai greci con proprio vo-
{Cabolo Efesto, dai latini yulcqiius (dice Servio) quasi yolicauus,
quod per aerem volat. Ninna nuuiiera di erudizione manca u
quest'opera, piccola di mole e grave di cose; la quale con utili-
jtà e con piacere verrà Ietta dai letterali non meno che dagli
artisti.
Della educazione usata d^gl^ antichi in allevare i loro figlifioli,
discorso di Pandolfo Collenucci da Pesaro. 8 Pesaro, stam-
peria del Nubili i838 ^Sono parte 22.)
Xl nome celebre del Collenuccio nel secolo XVj la somma rari-
tà iu cui venuta era questa operetta innanzi che il prof. Monta-
nari ne facesse in non molte copie la presente ristampa per ono-
rare l'andata deireminenlissimo Ciacchi a Pesaro ; e più le cose
utilissime che sono in essa, ed il mostrarvisi apertamente (sono
parole Al esso eh. sig. Montanari ), molte dottrine intorno l'edu-
Varietà' 349
cnzione letteraria dei figliuoli, le quali ora si hanno per nuo-
ve, e si giudicano venule conseguenti ni progredimento della ci-
viltà, esser vecchie e molto innanzi che a noi passale per lo capo
dagli arcavoli dé'bìsavoli nòstri : ci consigliano a pubblicar!»
con nuove cure, e farne cosi un bel dono si que'nostri associa-
li, elle hiinno tullavia ili riverenza la nieiiioria e il senno degli
avi.
Memorie delle tipografie calabresi compilale da Filo Capialbi
con un appendice sopra alcune biblioteche di Calabria, ed
un discorso sulla tipografia montalionese. 8 Napoli i835 e
i836 dalla tipografia Porcelli.
l_ja tipografia nelle Calabrie è antichissima: imperocché nel
1475 a Reggio si stampavano già libri ebraici, e nel j/fS libri
latini a Cosenza Jl sig. Capialbi parla in quesl' opera diligente-
mente di molte rarità tipografiche ignote a'più reputati biblio-
grafi, soprattutto nell'appendice dove ci descrive alcune biblio-
teche di quella parte d'Italia.
Saggio storico sulla vita di Epicarmo, coi frammenti delle di
lui opere raccolti ed illustrati da Luigi Tirrito. 8 Paler-
mo, tipografia Pedone i856. (Un voi. di carte 144).
li sig. Tirrito .confuta l'opinione di alcuni che vollero Epicar-
mo nativo delia Grecia di oltremare, piuttosto che siciliano »
350 Varietà'
come il dissero invece Aristotile, Cicerone, Irzio, Orazio ed Ate-
neo. Anzi egli crede che la sua patria fosse Crnsto ; hcncliò Si-
racusa e Megara il pretendano lor cittadino. Dichiara poi che ad
un solo Epicarmo appartengano tutti i frammenti che ahbiamo
sotto questo norae,i quali dal sig. Tirrito sono tradotti in italiano.
De siculo nummo urbis Galariae.
JLà quc3to il titolo di una lettei-a pubblicata dal canonico Giu-
seppe Alessi nel volume 5o delle Effemeridi della Sicilia (giugno
18^7 ); e fu l'ultima che il dottissimo archeologo dettò, essendo
egli poco dopo caduto vittima del morbo asiatico. Di Galaria
non si conoscevano monete di alcuna sorte .- e qui I' Alessi ne
pubblica una, la quale descrive così.- Ipsuni en/m CAAAPINON
inscriptum esse conspicitur. Nec tantum nomea, veruni etiam a-
lia nolatu digna in hoc parvulo nummo conspiciuntur. In eius
antica parte stat Bacchus barba tunicatfue prolixa, qualis aegy-
ptius Bacchus effmgilur, cyathum dextera, sinistra tliyrsum ge-
rens, cui uitis palmes pone dextrum pedem assurgit; et in posti-
ca parte uvae racemus binis ornatus foliis, quem subtus stat ur-
bis inscript io, a sinistra dexteram versus ducta , indegne supra
rediens, subtus CAAAPI, et super ISOl^ cernitur: unde difficilem
omnibus praeter perilis ( et praecipue Carolo Gagliani, cui sors
eum obtulit , quique eius imaginem nostro dilcctissimo Carolo
Gemmellaro delineare permisit ) se se offerì. Quae animadver-
tenda censuimus, ut fnciUime recognosci possit , si quando tuis
recurrat oculis. Et qunmvis naxiorum, catnnensium. , r.liarumque
urbìum numismata Baccìii caput barbatum referant , et praeci-
pue naxiorum, eliam cyathum in Bacchi manu, et iitis surculum
habeant, nullibi in siculis numismatibus stans, tunica tectus, co-
que stata conspicitur.
Varietà' 351
Le argonauliche, poema greco di Apollonio rodio, portate in.
poema italiano dal professor cavaliere Baccio dal Borgo,
con note ed illustrazioni. 8 Pisa ^ tipografia Nistri iSSy e
iSZSyVolumi tre.
J_icco il terzo volgarizzamento che ci si dà di un poema greco,
se non grande , certo importantissimo e tale che non disgradì
Virgilio di leggerlo e in molte parti d'imitarlo. Quelli del cardi-
nal Flangini e del conte Coriolano di Bagnolo sono però in ver-
so sciolto; in quel verso cioè, di cui l'italiana poesia andar deve
superba, vuoi per nobiltà e dignità, vuoi per vivacità ed armonia,
dopo il Caro ed il Monti. L'egregio sig. prof. Dal Borgo ha vo-
luto scegliere pel suo lavoro piuttosto l'ottava rima, provandosi
d'imitare lo stile ariostesco. Di che non vorremo già biasimarlo :
purché non intenda darci per fedelissima l'opera sua, né metter
per canone.che il verso sciolto non è cosa degna di un traduttore
italiano, come disse anni sono non so quale presuntuoso. Se poi
veramente ariostesco sia il verseggiare del professore pisano ,
noi non vorremo qui deciderlo , anzi non vorremo affermarlo.
Certo è tuttavia che qua e là ne'dodici canti, ne' quali ha egli
con lodevol giudizio divisi i quattro lunghissimi libri di Apollo-
nio, certo è, dissi, che si leggono delle ottave assai belle per fa-
cilità e per eleganza. Loderemo in fine, e sommamente, la dot-
trina e il criterio ch'egli ha mostrato ne'prolegomeni.
Esercizio di goniometria e di trigonometria sferica dettato ai
Suoi assistenti ed allievi dal cav. Niccolò Cacciatore di-
rettore del osservatorio. 8 Palermo iSS^ presso France-
sco Lao. (Un volume di pag. 224 con due tavole.)
Al celebre autore, alunno e successore del Piazzi, ha pubblica-
to quest'opera per uso di coloro, che dallo studio delle materna-
352 Varietà'
ticlie vogliono procedere a quello deirastronomia. Elln vuol ri-
putarsi come l'anello intermedio delle loro applicazioni. ì^dkù-
sionc e cliiarezza sono le doti, che annunziano subito la mente
e la mano del cav. Cacciatore.
Le antichità della Sicilia esposte ed illustrate per Domenico
lo Fasó Pietrasanta duca di Serradìjalco Tomi tre in fo-
glio. Palermo i834 ^ 1807.
\
Xli nostro desiderio di dare, quando chena,un ragionato estrat-
to di quest'opera insigne, che tanto onora il chiarissimo e nobi-
lissimo autore, e la Sicilia e l'Italia. E intendiamo con ciò di far
cosa utilissima, noti che grata agli amatori delie antichità ed
«'professori delle belle arti.
Pe le auspicate nozze de'nobili signori marchese Giovanni Costa-
bili, e contessa Mahina Riosti Estense, ambi di Ferrara ,
prose e poesie ec.
Xl iun avvenimento più dolce alle città può incontrare del fau-
sto connubio di degno con degna, onde speranza di prole pur
degna. Questo ha provato nel febbraio del i838 la città di Fer-
rara; dove sono comparse prose e j^oesic , molte delle quali me-
ritino che se ne tenga memoria in queste carte.
Varietà' 353
T. Scritti inediti (li Daniello Bartoli, Fulvio Testi , Al!)erto
Lollio, ora per la prima volta pubblicati, Ferrara tip. Negri alla
Pace in 8. ili pag. 45. Gli ha levali dagli autografi della biblio-
teca del sig. marchese Gio. Battista Costabili il preposto alla cu-
stodia della biblioteca stessa , Girolamo Negrinl. Sono cinque
lettere del Bartoli, una del Testi, ed un frammento di A. Lollio
circa il dettar commedie in prosa.
2. Descrizione della quadreria Costabili , parte I, l'antica
scuola ferrarese, Ferrara idem di pag. 5o. E lavoro del C. Ca-
millo Ivaderchi, e tale da essere raccoinandato agli amatori delle
arti e della domestica gloria.
3. Vita di Scipione Maffei, ossia cenni intorno la vita , ivi
idem di pag. io.
Notizie intorno la vita di Onofrio Minzoni, ivi tip. Poma-
tclH in 8 di pag. i6. Queste e la precedente sono dettate da G.
M. Bozoli.
Vita di Girolamo Carpi pittor ferrarese, Ravenna tip. Ro-
veri in 8 di pag. t3.
4- Sopra la biblioteca pubblica di Ferrara. Osservazioni del
cav. Valéry tradotte da D. Giuseppe Antonelli vice-bibliolec:!-
rio con annotazioni, Ferrara tip. Bresciani in 8 di pag. -2^.
5. Sono traduzioni: l'Inno di Omero a Venere pel e. Gio.
Roverella in versi sciolti, Forlì tip. Casali in 8 di pag. XX. Alcu-
ni epigrammi dal greco e dal latino pel prof. Cesare Montalti,
ivi idem pag. io. Alcune odi di Anacreonte per Giovanni Chit-
to, Ferrara tip Negri alla Pace in 8. Canzone dal francese, in 8,
Bologna tip. Nobili.
6. Le gemme simboliche, sono derivate da un costume po-
lacco in numero di ii con note prese dalla storia, dalla geolo-
gia, dal simbolo diverso. E' una prosa dedicata dal sig Gio. Ber-
toni. Ferrara tip. Bresciani in 8 di pag. 32.
7. Amore e pace, carme in ottava rima del prof. Domenico
Vaccolini, in 8 Bologna tip. Nobili.
Egloga di Luigi Caroli, Ferrara in 8, tip. Negri alla Pace.
La montagna di Odilla, leggenda in ottava rima di Iacopo
Cabianca, Padova tip. Carlallier e Sicca in 8 di pag. a3.
Lettera di L- B. Bologna, in 8 pel Nobili di pag. io.
354 Varietà'
Lungo sarebbe il dire di tutto; per cui è forza trapassare in
silenzio assai cose ; non intendendo per nostra parte di dare o
levare il merito ad alcuna. Bensì vogliamo lodare il costume di
publicare in occasione di cbiare nozze, invece di un ammasso di
poetiche ricantate adulazioni, qualche veramente utile prosa o
poesia, che abbia a dare anzi che ricevere pregio nelle illustri
sponsallzie.
Cenno del cav. Giuseppe Neroni sull'origine di Ripatransone pub-
blicato nel faustissimo imeneo del conte Filippo Neroni ca-
detto nelle guardie nobili di Sua Santità colla nobile signo-
ra marchesa Teresa Malasp ina di Ascoli. Ripatransone JSSy,
tip. laffei.
i^ieno riferite grazie al coltissimo sig. marchese Filippo Bruti
Liberali per aver esortato il suo concittadino sig. cav. Neroni a
pubblicare questo interessantissimo opuscolo, con cui si rivendi-
ca l'origine di Ripatransone. Il Garzoni, il Quatrini, il Borgia,
ilTanursi,i quali scrissero delle cose di quella città, la fecero de-
rivare dalle antiche rovine di Cupra Montana. L'opinione soste-
nuta dal nostro autore, se non come certa almeno come molto
probabile, è che Ripatransone abbia il vanto di sorgere dalle
antiche rovine di Cupra Marittima, si perchè Strabone, Fronti-
no, l'Itinerario dell'imperatore Antonino, le tavole del Peutin-
gerio ci parlano in modo particolare di questa città , che do-
veva essere equidistante dal castello Truentino e Fermano, si an-
cora perchè non è presumibile, che due grandissime città o si toc-
cassero quasi insieme o fossero al più distanti due miglia. L' e-
gregio cavaliere non manca di convalidare anche con altri ar-
gomenti il suo assunto, e molto bene determina tanto il luogo di
Cupra Montana, quanto di Cupra Marittima ed il Cuprae Mons
o sia Ripatransone. Sarebbe stato però desiderevole che avess3
Varietà* 355
recato le due iscrizioni gii noie, nelle quali si fa memoria dei
Cuprenscs Montani, trovate l'una a Massaccio , e l'altra in poca
dislan/a ed anche le iscrizioni, nelle quali si nomina Cupra Ma-
rittima, e singolarmente il frammento pubblicato dall' Anìaduzzi
rinvenuto a Vico Marano, con quella in cui si ricorda la ristau-
razione del tempio della dea Cupra.
E qui opportuno mi sembra il riferire un' opinione ester-
natami dal eh. P. Gio: Pietro Secchi della compagnia di Gesù ,
prof di greca filologia e custode del museo kircheriano nel col-
legio romano, al quale comunicai 1' opuscolo di cui qui si par-
la. Egli tiene per fermo che l'origine di Cupra sia dai picenti ,
e i picenti dai sabini , che sono detti TYPPHNOI da Strabone
con un nome dato dai greci a tutti gli antichi popoli d' IlaUa ,
malamente tradotto per etrusci fuori diEtruria. Gli etruschi, cosi
chiamati solamente dai romani, sono anch'essi tirreni , ma non
tutti i tirreni sono etruschi. Crede egli adunque che il nome
KYIIPA di Strabone corrispondente al latino Cupra sia nome
sabino, perchè secondo Varrone Cyprum in lingua sabma era
ristesso che bonuin, forse da cupio , e da questa voce deduce il
medesimo Varrone il nome di cyprius vicus in Roma , come
da Cypra o grecamente KTIIPA dovrebbe dedursi il Mars Cy-
prius, cioè figliuolo di Giunone venerato vicino a Gubbio,dicui
si scoperse il tempio nella fine del secolo passato. Quindi opi-
na, che possano conciliarsi le due sentenze de'valenti archeologi
citati dal sig. cav. Neroni intorno alla dea Cupra: altri de'quali
appoggiati all'autorità di Strabone giudicarono che fosse la gre-
ca HPA o Giunone, ed altri che fosse la dea Bona degli antichi
italiani. Imperocché la dea Bona, per testimonianza di Macro-
bio (Saturn. lib. I,cap. XII ediz. Gronov.}, era creduta ;70feK<jani
habere lunonis, ideoque sceptrunt regale in sinistra manu ei ad-
ditum; e a giudizio del detto prof, cosi fu nella mitologia super-
stiziosa de'raisleri pagani. Ed in vero questa non dovrebbe mai
confondersi colla mitologia degli artisti e de'poeti specialmente
latini, che alla mitologia comune d'Italia innestarono la mitolo-
gia poetica della Grecia; e molto meno colla mitologia simbolica
de'filosofi gentili, che tentarono per mezzo di essa accordare le
assurdità della mitologia pagana colla ragione, il che fu l'ultimo
35G Varietà'
rifugio dell' idolatria comballuta dal cristianesimo. La mito-
logia ha pur le sue epoche cronologiche: e se fossero fissate, se
ne trarrelìbe gran vantaggio. Ciò ch'è vero per un tempo, non
è vero per un altro nella storia di questo svariatissimo errore
del genlilesimo !
Noi non manchiamo di lodare il sig. cavaliere Neroni per
la sua erudizione ed ingegno, e lo incuoriamo a far raccolta d'i-
scrizioni ed antichità patrie, perchè Capra marilliinn pnù darne,
e saranno sempre importantissime per la storia di Ripatransone
non solo, ma ben anco della nostra penisola.
t". Fabi Montani.
Liriche di Giuseppe Montanelli. Firenze coi tipi della Galileia-
na 1837. (Fase, di pag. 61 in 4-)
Xja biblioteca italiana nel suo N. CCLXII, ottobre 183^, diede
plauso al Montanelli per queste liriche elaborate alia buona
scuola, e che certamente non sono prive di bellezze. I pensieri
non sono esagerati, non vi trovi immagini *lrane; si bene delica-
tezza di sentimento , pittura esatta delie passioni ed avventure
umane, spontaneità e dolcezza di dettato poetico, pregi tutti che
assai dilettano la mente ed il cuore di chi legge. Quindi a noi
pur piace incoraggiarlo a porre l'ingegno suo ad altri lavori, che
j)ortino come questi l'impronta del cuorejpoichè dov'ei non par-
la o detta, non è bellezza, non pregio alcuno; e tutto riesce ari-
do e freddo.
I titoli delle poesie qui riunite sono ; La madre povera.
I>avanti al cimiterio della terra natale. Saluto a' quattro poeti
italiani. L'Ave 3Iaria della mattina. L'Ave Maria della sera. La
campana del Deprofundis. Rimembranze d'infanzia. 11 salice. L.*
Varietà' 357
ti'ovitlella. Per un nuovo ponte sull' Arno. Il giovine. La sposa
del ricco. IJ poeta cieco. Lamento. A. G. D. JNiccolini. La poesia.
Se noi ci apponiamo al vero , lo giudichino i leggitori di
questo giornale dal saggio che segue, tolto dal compouimeuto.
La cauipana del Deprofundis.
Ma più non ci attristi l'orror della fossa.
Vedete quegli astri ? qui polvere ed ossa . . ,
I nostri diletti saliron lassù.
E già de'futuri già sanno il destino,
Proteggon le genti che sono in cammino,
Compreser gli arcani del tempo che fu.
Il gemito, o padre, che t'esce dal seno
Fra gl'inni che allegran l'eterno sereno
Del IJglio beato s'accoglie nel cor,
E mentre lo credi qui dentro sepolto,
Ei dice all'Eterno con supplice volto :
,, Consola il martire del mio genitor. „
Non muore disperso sull'aura notturna
Che lene sussurra tra i salci dell'urna^
O donna , il sospiro del petto fedel;
E al par dei sospiri, che al tempo giocondo
Sfogavan la piena del cor verecondo.
E caro al tuo fido che t'ama dal ciel-
E suona oltre il regno dei mondi lucenti ,
O madre, la voce degl'inni gementi
Ond'io disacerbo l'immenso niarlir; ;
Mi vedi se assorto ni'inspiro al creato,
Mi vedi se ai mesti favello inspirato,
31i vedi se lervo di santo desir. . . .
358 Varietà»
E quando varcate le nubi e le stelle,
Non cupo rimbombo d'umane favelle,
Ma l'eco dei cieli per noi suonerà:
Udremo la voce dei nostri diletti:
O spirti, diranno, tra gli angeli eletti
Venite alla gioia che fine non ha.
Siccome il torrente precipita al piano,
E il fiume va in traccia del vasto oceano,
E un porto sospira la nave nel mar,
Sospinte nostr'alme da vago disio
Sospiran la pace ch'è in grembo di Dio.
Ah quando i diletti potremo abbracciar !
' Fbancesco Cafozzi.
Sei Poggio, villa del principe Felice Buciocchi. Bologna i838,
tipi della Volpe al Sasii, in 4 grande.
1.1 on avvi in Italia persona educata a' buon! studi, che non co-
nosca ed ammiri ì bei versi dell'esimio sig. prof. Vincenzo Valo-
rani, che a Bologna è di presente lume splendidissimo nell'arte
medica. La bella collezione di Prose e poesie inedite o rare d*
italiani t'<Ve«^/, pubblicala dal Sìlorata, s'ingemmò alquante vol-
te de'suoi preziosi lavori, che noi abbiamo gustati a più riprese,
ed in cui riscontrammo tutti que'pregi, che sono richiesti in ve-
ra poesia* Il perchè vogliamo di cuore applaudire all'eletta e fe-
conda mente del loro autore, che i severi studi dell'arte saluta-
re sa condire si bene colla più squisita cultura delle lettere ,
Varietà' 359
rinnovando cosi l'esempio di «juel Redi, che fu bel vanto alla
gentile Toscana.
La villa del sig. principe Felice Baciocchì ha dato argo-
mento ai versi che qui riferiamo, in cui dipinte vedi si al vivo
le care delizie che Tadornano, che meglio non si potrebbe cOn
fiammingo pennello ia un campo di dimensione si angusta.
SONETTO
O viator, che dai giardin di Flora
T'affretti alla città del picciol Reno,
Fa sosta, e poggia a questo clivo ameno;
Che ti fja dolce di sacrargli un'ora.
Qual sull'Arno, rapir vedrai qui ancora
La primavera alle sorelle il freno;
Qui pur benigno è il suol, l'aere .sereno.
Qui pur l'arancio ai brevi di s'infiora.
Vedrai da tergo e a dritta alme colline,
Felsina a manca, e di ville ingemmato
Un piano a fronte cbe non ha coofine;
^, fra si vaghe immagini beato,
Chiaro signor di venerando crine
Pago assai più che in signoria di stato,
Né defrauderemo i leggitori nostri della elegante versione
latina del IVIontaltij che gli sta a fronte.
O qui Felsineam, rapientibus essedra mannis,
Litorc ab etrusco petis urbem, siste, viator.
Siste; supergressum viridantis culmina clivi
luverit hic partem solidi trivisse diei.
5G0
Varietà'
Alteniis qiiotquot virilius se dij^erit anniis,
Hic sibi ver omnes, oblilo, viiidical, Arno:
Milis et hic vernat puro sub sydere lellus;
Citrus et hic Qoret^ glaciali iiiipei'via brumae:
Hic faciles retro dextraque adsurgere colles
Felsina laeva; oculis lato patel obvia tractu
Undique planities, villisque oneratas renitet;
Iiiclytus hacc inter nieritis senloque verendus
Olia carpii herus, veleris quein gloria fastus
Nulla movet, laetuin potioris niuuere pacis.
Vogliamo altresì appalesare al Valorani il desiderio, che è iu
Hoi, di avere alle mani in un sol volume gli sparsi suoi compo-
uiiiienti; ciò che toruerebbe carissimo, ne siani certi, a tutti co-
loro che hanno in pregio la bella italiana poesia.
Francesco Capozzi^
3G1
INDICE
DELLE MATERIE CONTEMUTE
IVEL TOMO LXXIV, VOLUMI 220,221, 222
DEL GIORNALE ARCADICO.
Nota de compilatori e collaboratori del giornale.
SCIENZE
Scnrpellini , Sopra i riflettori del Gatti
( con raìAe ) pag. 1
Cappello , Esperimenti da praticarsi negli
animali domestici pel cholera indiano „ 34
f^olpicelli, Descrizione della macchina ad
asse rotante mobile del Raffaelli . ,, 42
Chelini, Teoria de"" valori delle proiezioni.,, 47
Dizionario classico di medicina, chirur-
già ec. „ 77
Vaccolini, Il nuovo salvadanaio. . . . „ 83
Versari, Intorno allo scorbuto osservato
dal Sorgoni nel forte di N arni. . . ,,87
Proia, Cenni intorno la cattedra di A sica
sacra nell'archiginnasio romano . . „ 106
Zantedeschi , Induzione e polarizzazione
del termo-elettricismo „ 1 00
LETTERATURA
Cardinali, Seconda rivista archeologica ita-
liana • . „ 114
G. A. T. LXXIV. 24
362 ^
Marini, Sua edizione e traduzione di Vi'
tvu\>io ( articolo secondo ed ultimo ). „ 1 50
Mai, Oratio in funere Antonii regis Saxo-
niae ,♦ 1 T3
Nardi, Notizie della sua vita scritte da lui
medesimo „ 1 77
Visconti, Monumenti borghesiani pubblica-
ti dal Lahus . . „ 184
Pellegrini, Poesie „ 208
Barthelemy, Due lettere inedite con le note
di C, Cardinali „ 214
Guzzoni, Intorno a un poema del sig. La-
mothe Langon „ 237
Paravia, Opuscoli ed orazione . . . . „ 243
BELLE ARTI
Solò, Discorso sulV espressione nelle opere
greche di arte „ 254
VApe italiana „ 269
Andreozzi , Intorno un dipinto del cava-
liere Silvagni >« 288
Gigli, Memorie della vita del maestro di
musica Gustavo Terziani ti 293
Betti, Descrizione di alcune opere di pit-
tura e di scultura condotte da professori
accademici di s. Luca ?» 303
Varietà
Tavole meteorologiche.
NIHIL OBSTAt
É Jacopini Cénsor Theol. Depift.
IMPRIMATUR
tr. Dom. Buttaoni O. P. S. P. A Mag.
IMPRIMATUR
A. Piatti Patriarcha Antiocbenus Vicesg.
Osservazioni Meteorologiche. )( Collegio Romano )( Gennaro i838.
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Pioggia
E vapor.
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SSiiiiìì
Stato del Cielo
chiaro
nuvoloso
coperto
nuvoloso
cliiarissifflo
vapo^os.
nuvoloso
cbiarissiuio
vaporoso
chiarissimo
ser. vap.
eh. nuv. orl2.
nuv. tutto
«I
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pop. piove
nuv. sol. trai,
chiarissimo
nuv. sol. trai,
chiarissimo
ser. nu. sp<
cbÌRrissinto
ser. nuv. ap;
chiarissimo
coperto
nuvoloso
chiarissimo
nuvoloso
cop. piove
ser, nuv, sp.
chiarissimo
snj. miv. sp.
chiarissimo
jL'i'. nuv. sp.
nuvoloso
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