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GIORNALE
DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI
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ROMA
TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI
1841
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GIORNALE
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TOMO LXXXVII
APRILE, MAGGIO E GIUGNO
1841.
ROMA
TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI
1841
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DIRETTORE DEL GIORNALE
S. E. il sig. principe D. PIETRO ODESCALCHI,
presidente della pontificia accademia di archeolo-
gia, membro del collegio filologico dell' universià
romana.
BETTI SALVATORE, professore di storia e mito-
logia e segretario perpetuo dell'insigne e pontificia
accademia di s. Luca , socio ordinario e censore
della pontificia accademia di archeologia.
BORGHESI BARTOLOMEO, accademico della cru-
sca.
CAPPELLO prof. AGOSTINO, già medico consu-
leni e della san. mem. di Leone XII, membro della
congregazione suprema di sanità.
CARPI PIETRO, professore di mineralogia, membro
del collegio medico-chirurgico e direttore del gabi-
netto mineralogico dell'università romana.
DE-CROLLIS DOMENICO, dottore di medicina.
FOLCHI GIACOMO, professore d'igiene, di terapeu-
tica generale e di materia medica, membro del col-
legio medico-chirurgico e direttore del gabinetto di
materia medica nell'università romana, membro del-
la congregazione suprema di sanità.
GERARDI FILIPPO, dottore di leggi.
POLETTI LUIGI, consigliere e professore di archi-
tettura pratica nell'insigne e pontificia accademia
di s. Luca, professore ordinario di architettura nel-
l'ospizio apostolico di s. Michele, professore ono-
rario della R. accademia delle belle arti di Mo-
dena, membro del collegio filosofico dell'università
IV
romana, architetto direttore della riedificazione del-
la basilica di s. Paolo, socio ordinario della pon-
tificia accademia di archeologia.
TONELLI GIUSEPPE, dottore di medicina.
VISCONTI cav. PIETRO ERCOLE , commissario
delle antichità romane, presidente onorario del mu-
seo capitolino, membro del collegio filologico del-
l'università romana, segretario perpetuo e socio or-
dinario della pontificia accademia di archeologia.
x^lNTALDI marchese Antaldo, a Pesaro.
ARMAROLI conte Leopoldo, giureconsulto, a Ma-
cerata.
ASTOLFI avv. Angelo, giureconsulto , a Bologna.
BARLOCCI Saverio , professore di fisica sperimen-
tale, membro del collegio filosofico e direttore del
gabinetto fisico dell' università romana , segretario
del consiglio amministrativo degli acquedotti , in
Roma.
BARTOLINI monsignor Domenico, camerier d'ono-
re di Sua Santità, in Roma.
BIANCHINI Antonio , segretario della società degli
amici delle belle arti, in Roma.
BIOLCHINI Pietro, segretario del giornale arcadico,
in Roma.
BRIGHENTI Maurizio, ingegnere, a Rimino.
BRIGNOLI di Brunoff Giovanni, professore, a Mo-
dena.
BRUNATI ab. Giuseppe, a Brescia.
BUONAPARTE S. E. don Carlo , principe di Ca-
nino, in Roma.
BUONCOMPAGNI LUDOVISI S. E. don Baldas-
sare, dei principi di Piombino, in Roma.
CAMILLI Stufano , giudice del tribunale di prima
istanza, in Urbino.
V
CAMPANARI marchese Secondiano, consigliere della
delegazione, socio ordinario della pontilicia accade-
mia di archeologia, a Viterbo.
CANTALAMESSA CARBONI Giacinto, ad Ascoli.
CAPOZZI Francesco, a Lugo.
CARDINALI cav. Luigi , socio ordinario e censore
della pontificia accademia di archeologia, in Roma.
CASSI conte Francesco, a Pesaro.
CASTRECA BRUNETTI Enrico, dottore di medi-
cina, in Roma.
CECCONI avv. Luigi, giudice capitolino di appello,
in Roma.
CHELINI padre Domenico, delle scuole pie, profes-
sore al collegio nazareno, in Roma.
CIAMPI cav. Sebastiano, a Firenze.
CICCONI ab. Tito, bibliotecario dell'Albani, pro-
custode generale coadiutore di arcadia, socio ordi-
nario della pontificia accademia di archeologia in
Roma.
CONTI dott. Filippo, medico, a s. Anatoglia di Ca-
merino.
COPPI ab. Antonio, socio ordinario della pontificia
accademia di archeologia, in Roma.
CORDERÒ DI S. QUINTINO cav. Giulio , mem-
bro della reale accademia, a Torino.
DE-LUCA ab. Antonio, vice-presidente dell'accade-
mia ecclesiastica, in Roma.
DE-MINICIS avv. Gaetano, a Fermo.
DIONIGI ORFEI contessa Enrica, in Roma.
EMILIANI Vincenzo Ercole, a Poggio Mirteto.
F'ABI MONTANI cav. Francesco, cameriere d'onore
di Sua Santità, sotto-custode di arcadia, in Roma.
FERRUCCI avv. Luigi Crisostomo, a Lugo.
FERRUCCI Michele, professore, a Ginevra.
FIORINI MAZZANTI Elisabetta, in Roma.
FOLCHI cavalier Clemente, presidente dell' insigne
e pontificia accademia di s. Luca, membro del col-
legio filosofico dell' università romana , ingegnere
TI
ispettore membro del consiglio d'arte, socio ordi-
nario della pontificia accademia di archeologia.
FONTANA cav. Pietro, a Spoleto.
FRANCESCHI FERRUCCI Caterina, a Ginevra.
GENNARELLI Achille, a Fermo.
GRIFI cav. Luigi, consigliere e segretario della com-
missione generale consultiva di antichità e belle
arti presso il cainerlengato della S. R. C. , socio
ordinario della pontificia accademia di archeologia,
in Roma.
GUZZONI DEGLI ANCARANI Carlo, a Trevi.
LARUS cav. Giovanni, imperiale e reale epigrafista
di corte, membro e vice-segretario dell' instituto ,
a Milano
LOPEZ cav. Michele , prefetto del real museo , a
Parma.
MAGGIORANI Carlo, professore sostituto di anato-
mia, fisiologia, igiene ec. nell'università, in Roma.
MALVICA barone Ferdinando , socio ordinario del
reale istituto d'incoraggiamento di Palermo, sotto-
intendente del distretto di Vasto.
MAMIANI DELLA ROVERE conte Giuseppe , a
Pesaro.
MARCHI padre Giuseppe, della compagnia di Gesù,
professore nel collegio romano , prefetto del mu-
seo kircheriano, membro del collegio filologico del-
l'università, socio ordinario della pontificia accade-
mia di archeologia, in Roma.
MARCOTULLI dott. Luigi, medico, a Sezze.
MASETTI canonico Celestino, a Fano.
MORDANl Filippo, a Ravenna.
MONTANARI Giuseppe Ignazio , professore, a Pe-
sa ro.
MOPiICHINI monsignor Carlo Luigi, chierico di ca-
mera, in Roma.
MUZZARELLI monsignor Carlo Emmanuele , udi-
tore della sacra rota, consultore della sacra con-
gregazione de' riti, in Roma.
VII
PAOLI conte Domenico, a Pesaro.
PERETTI Pietro, professore di farmacia e direttore
del gabinetto farmaceutico dell'università, in Roma.
PERUZZI monsignor Agostino, arciprete della metro-
politana, rettore dell'università, a Ferrara.
PIAN CIANI padre Gio. Battista, della compagnia di
Gesù, professore nel collegio romano, membro del
collegio filosofico dell'università, in Roma.
PUCCINOTTI dott. Francesco, professore nell'uni-
versità, a Pisa.
PUNGILEONI padre maestro Luigi, min. con., con-
sultore delle sacre congregazioni de' vescovi e re-
golari e de'riti, in Roma.
RAGGI avv. Oreste, in Roma.
HAMBELLI Gio. Francesco, professore, a s. Giovan-
ni in Persiceto,
RANALLI Ferdinando, a Firenze.
RICCARDI dott. Gregorio, medico, in Roma.
RICCI marchese cav. Amico, a Macerata.
ROVERELLA conte Gio. Antonio, a Cesena.
SALVI cav. Gaspare, consigliere e professore di ar-
chitettura teorica nell'insigne e pontificia accade-
mia di s. Luca, ingegnere ispettore membro del
consiglio d'arte, architetto de'ss. palazzi apostolici,
membro del collegio filosofico dell' università , in
Roma.
SANTARELLI Michele , professore di medicina , a
Macerata,
SANTINI dott. Angelo , medico primario , a Mon-
talboddo.
SANTUCCI ab. Domenico, in Roma.
SANTUCCI monsig. Loreto, custode generale emerito
di arcadia, membro del collegio filologico dell'uni-
versità romana, incaricato di affari della santa se-
de presso la corte di Toscana, a Firenze.
SCLOPIS di Salerano conte Federico, membro della
reale accademia delle scienze, a Torino.
SECCHI padre Gio. Pietro, della compagnia di Gè-
Vili
su, professore e bibliotecario del collegio romano,
socio ordinario e censore della pontificia accade-
mia di archeologia, in Roma.
SORGONI dott. Angelo, primo medico, a Montolmo.
TESSIERI padre Pietro, della compagnia di Gesù ,
sotto-prefetto del museo kircberiano, socio ordina-
rio della pontifìcia accademia di archeologia , in
Roma.
TORTOLINI ab. Barnaba, professore di calcolo su-
blime nell'università, in Roma.
TROMPEO cav. Benedetto, medico di corte di S.
M. la regina vedova di Sardegna, in Roma.
VACCOL1TNI Domenico, professore, a Bagnacavallo.
VALDRIGHI conte Mario, a Modena.
VALORI dott. Francesco, membro del collegio me-
dico-chirurgico , professore di sanità nella sacra
consulta, in Roma.
VENTUROLI prof. Giuseppe, presidente del consi-
glio d'arte pe'lavori di acque e strade, accademico
di merito di s. Luca nella classe dell'architettura,
membro del collegio filosofico dell'università , in
Roma.
VERMIGLIGLI cav. Gio. Battista, professore nell'uni-
versità, direttore del museo antiquario, a Perugia.
VESGOVALI Luigi, socio ordinario della pontificia
accademia di archeologia, in Roma.
VOLPICELLI dott, Garlo, professore sostituto di fi-
sica sperimentale nell'università, in Roma,
SCIENZE
Nuovo Ospizio per la cura fisico-morale de* men-
tecatti.
Leggi statutarie e regolamenti disciplinari pel
nuovo ospizio per la cura fisico-morale dei
mentecatti eretto in Ancona doli? ordine e sot-
to la invocazione di s. Giovanni di Dio, pre-
ceduti da un ragionamento intorno alla dot-
trina generale delle malattie mentali riguar-
date ne'loro fenomeni, nelle loro cause costi-
tutive e nelle occasionali, non che rispetto al-
la loro prognosi ed al loro trattamento cu-
rativo generale, del eh. sig. prof. doti. Bene-
detto Monti. Roma 1840.
mT ossedeva la città di Ancona un pubblico speda-
le, in cui a norma delle stabilite convenzioni dove-
vano pur essere ricoverati i dementi della città e pro-
vincia. Rinnovato lo stesso pio luogo nel 1818 per
opera dei religiosi dell'ordine di s. Giovanni di Dio,
e co' fondi dalla medesima città conceduti a tale
misericordioso fine, mancava di uno speciale stabili-
G.A.T.LXXXYII. 1
2 Scienze
mento, die facesse possibile il praticare verso i folli
quei soccorsi e quelle cure, onde oggi la scienza di
queste malattie insegna 1' efficacia. Bramoso perciò il
reverendissimo supremo generale dell'ordine p. Bene-
detto Vernò di sempre operare il bene che per lui si
poteva, si risolse a cercar modi d'istituire un appo-
sito e decoroso asilo pel trattamento di quelli. Fi-
nalmente dopo lunghe e molte sollecitudini di quel
fdantropo superiore , e dopo gravissime spese da lui
sostenute, si è posto nella sua piena attività il nuovo
ospizio, nel quale nulla manca di quanto a cotanta
opera si richiede, sì perle condizioni e la distribuzio-
ne delle varie parti ond'è composto il magnifico lo-
cale ; sì ancora per tutta quella varietà di mezzi e
di soccorsi che la scienza di questa altissima parte
della medicina ha insegnato proficui; sì finalmente per
la riunion felice di tutte le condizioni che richieg-
gonsi, perchè il novello stabilimento in ogni varietà
di casi di malattie mentali possa riuscire al suo fine.
Ed in vero offre il medesimo nelle sue interne di-
visioni svariati dipartimenti che rispondono ai generi
diversi delle anzidette morbosità. Sale, camere, gal-
lerie , passeggi , giardini , lavorìi pe' due sessi sono
nell'ospizio in maniera disposti, che giammai posso-
no essere sottoposti allo sguardo degli estranei: ne è
dato in alcun caso, anche di domestica cura, agli uo-
mini di vedere o parlare con le donne, neppur nel
sacro luogo della preghiera, dove accedono per vie op-
poste ond'eseguire le opere di religione, delle quali
sono capaci. L' edifizio intero , che di molto elevasi
da ciascun lato al di sopra de' circostanti caseggiati ,
gode di una esposizione atmosferica tanto salubre, che
può senza meno paleggiare le migliori di Ancona. An-.
Ospizio dei Mentecatti 3
nesso all'ospizio, ma da questo distinto, havvi altro
speciale stabilimento destinato a segregare i conva-
lescenti dagl'infermi: e per tal modo essenzialissimo,
tostocliè le mentali loro facoltà cominciano a ri-
prendere lo stato di ragione, recarli sotto circostan-
ze del tutto nuove o diverse da quelle che accom-
pagnarono lo stato delirante di essi. Cinque grandi
tavole, delle quali il volume dell'opera di cui favel-
liamo è arricchito, dimostrano con accuratezza ben
soddisfacente il prospetto dell'edificio, e le interne di-
visioni tutte di esso. Fra queste ne piace notare la
sala dei bagni, e l'altra degli stabilimenti elettrici ,
la macchina rotatoria, la camera oscura con bagno e
doccia, la camera oscura imbottita, i bagni a vapo-
re, la sala del bigliardo e musica , gli appartamenti
distinti per le persone di rango elevato. Anzi tutto
l'apparecchio delle cose e delle circostanze risponde
nel servigio e negli speciali trattamenti pei folli di
alta condizione alle abitudini della educazione e della
vita di essi, onde possa tutto influire nel più possen-
te modo sulle disposizioni intellettuali e morali dei
mentecatti.
D'uopo era per altro, che tutte queste benefiche
pietose cure venissero sostenute da leggi e norme da
scrupolosamente osservarsi pel buon ordine delle
cose, per la sempre fedele ed esatta esecuzione degli
offici loro nei singoli individui di alto o di basso
servigio, e per 1' accurata ordinanza di tutt' i mezzi
all'uopo richiesti. A tal effetto savissimo fu il divi-
samento del reverendissimo p. Vernò di redigere e pub-
blicare i regolamenti disciplinari, che sanzionati dal-
la sovrana autorità sono quivi inseriti; mentre por-
tati a conoscenza ed istruzione di chiunque faccia
/ Scienze
parte del governo interiore dell'ospizio, obbligano alla
più stretta e rigorosa osservanza ciascuno addetto ad
esso stabilimento. Oltre le leggi organiche dell'ospi-
zio, e quelle relative 2W ufficio del medico diretto-
re, dei religiosi sopraintendenti, prefetti ed altri, me-
ritano somma lode le dispozioni disciplinari aven-
ti per obietto l'ordine e la uniformità degli esercizi
di tutte le ore: il che possentemente contribuisce ad
abituare l'uomo al compimento de' propri doveri , a
liberarlo da quelle idee che lo rendono non pago del-
la sua sorte e di se stesso, ed a riprodurre gradata-
mente negli alienati 1' ordine normale delle idee o
delle affezioni morali. Quantunque determinar si con-
venga il vitto de'singoli alienali, secondo la specie e
lo stato della follia, pur certe norme generali dell'a-
limentazione convenivano dettarsi: e lodevoli trovia-
mo quelle ivi emanate sul proposito , non che su i
vari generi di lavoro e di occupazione da dovei'si
adattare alla varietà delle specie di alienazione, ed
alla diversità degl'individui alienati. Dimostrò infatti
l'esperienza, che l'ozio perpetuo, in che erano tenuti
un tempo gli alienati nel maggior numero degli sta-
bilimenti, fomentava efficacemente il delirio di quelli,
e ne moltiplicava le cattive tendenze; mentre l'atti-
tudine ad un lavoro, facile ma riflessivo, obbligando
l'alienato ad un certo esercizio regolare della sua ra-^
gione, non gli permette di riandare durante il giorno
le sue chimère, e gli procaccia per la notte un son-
no tranquillo. L'abolizione delle catene , delle per-
cosse e di altre corporali offese, con che si trattava-
no i maniaci furiosi , venne già richiesta per senti-
mento di umanità; tali mezzi esasperavano il furore
dei folli, e rendevanli indisposti a sentire l'influenza
Ospizio dei Mentecatti 5
di qualsiasi maniera di cura sì fisica e sì morale. Al-
tri mezzi di repressione vennero quindi sostituiti per
contenere gli alienati: e di essi è ben fornito Fospi-
zio. Ma oltre i metodi di restrizione pei furiosi j
son pur ivi per apposita legge stabilite le ricompen-
se e le pene da doversi applicare ed amministrare per
modo, che influendo sulle facoltà degli alienati rie-
scano insieme a raggiungere l'ultimo scopo, eli' è il
miglioramento e la guarigione di essi. L'indagine del
piacere o del genio degli alienati rende facile il da-
re ad essi una desiderabile ricompensa, o infligger lo-
ro un dei mezzi di correzione, come una delle più o
meno disaggradevoli privazioni, o secondo la gravità
dei casi, il cambiamento di dimora in camera nuda,
il carcere o la camera oscura. Su queste ed altre es-
senziali cose , non che sulle verificazioni dell' esatto
adempimento dei metodi e rispettive ordinanze, si ag-
girano le molto savie leggi disciplinari , che 'fanno
sommo onore all'egregio compilatore di esse, cioè al
supremo generale reverendissimo p. Vernò.
Lode però di gran lunga maggiore ha egli sa-
puto procacciarsi con un' altra sublime disposizione.
Convinto egli, che tutte le premure e tutt' i mezzi
possibili posti in opera per la cura fisico-morale de-
gli alienati tornano pressoché infruttuosi, ove diret-
ti non sieno da un' assistenza di un medico vera-
mente filantropo, e dotto altresì delle psicologiche co-
gnizioni, avvisò di stabilirvi la residenza di un medico
direttore. Da questo, siccome punto centrale, debbo-
no venir disposti e mossi tutt'i presidii al difficile ed
alto ufficio di sanazione conducenti; ed a lui pur in-
combono alcuni onori con sapiente sagacia prescritti
fra le menzionate leggi statutarie. E qui con fino cri-
6 Scienze
terio proseguendo a favellare il patire Vernò, discor-
re delle cagioni che giustamente reclamano per l'uo-
po di una terapia razionale un medico illuminato non
solo nelle mediche discipline, ma nelle scienze psi-
cologiche ancora istrutto. Niun altro invero, all' in-
fuori di un medico ed insieme psicologo, esser po-
trebbe idoneo a rettamente dirigere la cura di un
ospizio di alienati nell'amministrazione di tutt'i mez-
zi sì fisici e sì morali atti a procurare il consegui-
mento del ritorno del senno in quest'infelici. Fian-
cheggiato quindi da tali e consimili considerazioni sì
gravi, esitante non fu il Vernò in eleggere a diret-
tore fisico del religioso stabilimento il eh. prof. dott.
Benedetto Monti , di cui la perizia e la vastissima
scienza in questo difficile ramo specialmente di me-
dicina glie ne ispirarono tutta la piena fiducir. E ben
sull' ottima scelta possono riposar tranquilli il reve-
rendissimo generale, il suo ospizio ed il pubblico: il
quale ultimo se già rese i meritati plausi ad altra
produzione del Monti, saprà ben apprezzare pur an-
co il valore del Ragionamento intorno alla dottri-
na delle malattie mentali^ che precede, siccome di-
cemmo, il complesso delle leggi e de' regolamenti fin
qui memorati.
Cotale ragionamento, tutto filosofico e pienamen-
te coerente ai più sani dettami psicologici ( nei qua-
li non poche menti hanno naufragato ) in virlù della
concisione quasi aforistica ( in paragone alla -vastità
dell'argomento ), con cui è tessuto nelle sue propo-
sizioni, suscettivo non sarebbe di essere compendia-
to. Ma per non lasciarne pienamente digiuni i no-
stri lettori diremo, che quivi s'imprende primamente
a discorrere la natura delle facoltà dello spirito ed il
Ospizio dei Mentecatti n
vario modo con che le si manifestano alterate; e che
quindi si ragiona delle varie cause costitutive delle
mentali malattie, della classificazione loro, della pro-
gnosi e della cura generale di esse.
Si apre la strada al primo titolo con uno sguar-
do allo stupendissimo magistero delle facoltà dello spi-
rito umano, del quale l'organismo materiale è stru-
mento disposto a servirlo. Esamina a tal effetto, co-
me lo spirito nello stato del suo organo materiale si
manifesti per lo mezzo di tre feerie distinte di feno-
meni relativi alle facoltà che li generano, cioè cono-
scitiva, appetitiva, volitiva. Esamina, come dalle fa-
coltà intuitiva ed intellettiva risulta la conoscitiva ;
come lo spirito umano, avendo per la intuitiva per-
cepito gli oggetti co'quali è in rapporto, si determini
per la intellettiva ad applicare universalmente agli og-
getti dati dalla intuizione le tre primitive ed essen-
ziali nozioni, di essenza cioè, di causalità e di fine;
come V attività della facoltà intellettiva costituisca
nello spirito umano quell'atto che si chiama pensie-
ro; come il processo della facoltà conoscitiva venga
costituito dalla osservazione, memoria e concezione ,
che sono i tre momenti distinti, in ciascuno dei qua-
li stanno come principii fattori e solidari la intui-
zione ed il pensiero ; come nell'opera deL terzo mo-
mento del processo conoscitivo si consumano quegli
atti del pensiero, che sono dagl'ideologi chiamati co'
nomi di astrazione , di comparazione e di giudizio ;
come le varie attitudini, dette intellettuali, o i vari
talenti dello spirito umano , altro non sieno che le
vane attitudini che ha lo spirito istesso di associare
intra loro e di elaborare le idee dei diversi oggetti ,
e certe specialità di rapporti dei medesimi ; e come
8 Scienze
i vari talenti relativi ad un' arte o ad una scienza
non sieno che varie forme di queste attitudini , fra
loro distinte ed indipendenti, ma varie di grado e di
contemperamento nei diversi individui della specie
umana: donde il vario carattere intellettuale degli uo-
mini, che non procede dalla differenza delle anime,
ma bensì « siccome avvisavano già il beato Alberto
« Magno e s. Tommaso, dalle originarie od acquisite
« differenze della struttura e composizione delle va-
« rie parti ond'è composto l'organo, di cui ha mestie-
« ri lo spirito umano nella presente sua vita terre-
« na per esercitare e manifestare le sue facoltà. »
Nello scrutinio della facoltà appetitiva osserva,
come questa « riguardata nella sua essenza origina-
« ria , costituisce nello spirito umano una tenden-
« za primordiale, per la quale egli è immantinente
« mosso a sviluppare se stesso, ed a porsi in rappor-
ti to con gli altri esseri che lo circondano, e coll'Es-
« sere assoluto , il quale gli si rivela per la osscr-
« vazione delle cose, e per l'applicare ch'egli fa alle
« medesime delle nozioni di essenza, di causalità, e
« di fine che costituiscono la forma del suo pensie-
« ro, come l'Essere che contiene in se la ragione di
« se stesso e di tutte le cose e tutte le perfezioni;
« ed al quale aspira per conseguire il proprio perfe-
« zionamento o la pienezza del proprio essere: » af-
fetto fondamentale dello spirito umano , sentimento
sublime, sentimento religioso. Osserva come la pre-
lodata originaria tendenza si modifichi e si vada spe-
cificando sotto diverse forme distinte di tendenze, se-
condo la natura diversa degli oggetti in cui la si ter-
mina, e secondo le varie attitudini originarie ed av-
ventizie dell'organismo: come queste tendenze pos-
Ospizio dei Mentecatti q
sano dividersi in due classi, nell'una delle quali rien-
trano tutte quelle tendenze che chiamansi personali,
e nell'altra tutte quelle che appellar si possono so-
ciali : come queste forme fondamentali dell'atto ap-
petitivo dello spirito umano assumano certe modali-
tà, le quali per rispetto alle varie forme di tendenza
personale risolvonsi nell'amore della proprietà, nelF
orgoglio, nella circospezione, nella conservazione di
se stesso e nella sensualità; mentre in riguardo alle
varie forme di tendenze sociali non sono notevoli che
nell'amore dei vari individui di famiglia. Osserva da
ultimo, come l'uomo per la facoltà volitiva « è un
« essere libero e responsabile, poiché per essa a suo
« grado egli agisce ed opera non solo dentro se stes-
« so nel proprio subietto, e seconda e si oppone al-
ti le proprie tendenze, e le raffrena e dirige, ma e-
« ziandio sugli oggetti esteriori , e si oppone come
« reazione all'azione de'medesimi su di esso lui , e
« può e sa dominarli, secondo intenti da se stesso a
v se stesso dati e proposti. »
Or tutte queste facoltà dell' umano spirito ma-
nifestansi in uno stato normale, allor quando l'ordi-
ne delle idee, che l'uomo possiede, è conforme all'or-
dine reale delle cose , e quando nel caso contrario
egli possa e si accorda a cambiarlo, e quando in fi-
ne la forza della sua volontà può e sa dominare il
processo delle operazioni conoscitive , non che tutte
le varie tendenze della facoltà appetitiva e le sue pro-
prie azioni. Da queste condizioni, che costituiscono
lo stato della mente sana dell'uomo, ne risulta che
il morbo mentale o la pazzia si costituisce da quel-
lo stato dell'umano spirito, in cui le manifestazioni
o di tutte le sue facoltà, o di alcune soltanto, sono
io Scienze
deviate dalle condizioni or divisate , per una causa
permanente materiale, alterante direttamente o indi-
rettamente l'organo delle medesime. Emerge tosto per
tal modo la division primaria della pazzia in gene-
rale e parziale : ma sì la prima e sì tutte le varie
forme della seconda ricevono o possono ricevere iden-
ticamente tre distinti o differenziali caratteri, la me-
lancolìa cioè, la manìa e la demenza. Grave si è la
importanza di apprendere queste ed altre differenze
dei morbi mentali: e perciò il sig. Monti s'impegna
in presentarne la serie de' fenomeni psicologici i-ela-
tivi a ciascuna di esse , senza omettere le nozioni
di alcune complicanze o combinazioni fra loro dei di-
versi morbosi elementi.
Discende in appresso il sig. Monti a discorrere
la teorica della genesi dello stato morboso in gene-
rale, per quindi applicarla ai morbi mentali. E ripo-
nendo il carattere essenziale della vita organica nel-
l'interiore e continuo processo di azioni e reazioni,
dimostra di quali condizioni richieggasi la contempo-
ranea concorrenza per la effettuazione e conservazio-
ne dello stato sano dell'organismo vivente. In quat-
tro classi vi accenna potersi ordinare la molliplicità
e diversità possibile de'morbi: « cioè in malattie di
« alterata organizzazione ; in malattie da difetto di
« materiali interiori o dello stesso px-incipio di atti-
ci vita; ed in malattie prodotte e mantenute da ope-
« rosità morbifera di azioni di cose eterogenee, o in-
« trodotte nell'interiore organismo, o consistenti nel-
« le stesse materie disassimiliate di esso, sovercbianti
« più o meno la proporzione della forza conserva-
« tiva e reazionaria dell' organismo stesso. » Altre
suddivisioni vengono pur anco adottate dal N. A.; e
Ospizio dei Mentecatti ii
fra le medesime ne piace annotare, che la somma dei
morbi compresi nella quarta classe vien primieramen-
te suddivisa in universali, in locali, in universali-
locali , ed in locali-universali. E siccome in varia
proporzione possono intra loro trovarsi la forza rea-
zionaria o medicatrice dell'organismo e la forza del
principio morbifero; cosi da questo punto di vista si
fanno scaturire tre generi, nei quali contemplansi di-
stribuite le suddette malattie, cioè steniche, asteniche
ed iposleniche.
L'insieme di queste distribuzioni, e di molte al-
tre per brevità qui omesse , vien poi riferito ai mor-
bi mentali, i quali per le condizioni materiali che li
costituiscono entrano nelle classi, negli ordini, nelle
varietà, e nei generi nella generale classificazione del-
le malattie accennati. Vien tutlociò dal N. À. pati-
tamente dimostrato con ben accurata applicazione del-
le une distribuzioni alle altre: e quindi a contemplar
si rivolge le precipue remote cagioni dei morbi men-
tali, come 1' ereditarie disposizioni , la mancanza di
educazion morale ed intellettuale della prima età, le
varie circostanze della vita morale e politica dell'uo-
mo, e le accidentali e svariate malattie della vita or-
ganica. Dalla serie delle considerazioni giudiziose di
quanto si è fin qui discorso ognun ravvisa, che de-
sumer si dovevano i fondamentali principii per la
predizione dell'esito e per la scelta della terapìa da
doversi a ciascuno dei morbi mentali applicare ; e
queste norme ha ben seguito il sig. Monti.
E qui arrestando le nostre parole , congratular
ci dobbiamo col prefato chiaro professore per la ric-
ca suppellettile di medici e psicologici lumi , co'
quali si è prodotto in questo erudito ragionamento:
ta Scienze
e render dobbiamo in pari tempo tributi di somma
lode al reverendissimo p. Vernò, che zelo e profusio-
ne di mezzi non ha risparmiato per condurre il suo
stabilimento a sì decoroso ed utile stato, non senza
dar saggio di fino discernimento e di sapienza nella
disposizione onorevole delle sue leggi e regolamenti
disciplinari.
.ONELLI.
Memoria sulla moltiplicazione e coltura degli al-
beri nella provincia di Spruzzo ultra 1° in
riscontro al programma pubblicato dalla so-
cietà economica di detta provincia nel i837.
Teramo^ tipografia Angeletti 1840.
lTJLolta e giusta laude, secondochè a me ne pare ,
meritarono coloro , i quali veggendo che i trattati
agronomici di oltramontani scrittori non offrivano
che notizie in parte soltanto adattate alla coltivazio-
ne delle italiane campagne, tolsero a raccogliere buo-
ne regole, ed a formare un complesso di cognizioni
e di precetti, che utili si rendessero specialmente agli
agricoltori della nostra penisola, e potessero servire
ad essi di norma e di guida ne'campestri lavori; in
che a questi ultimi tempi egregiamente si distinse il
eh. Filippo Re, degli studi georgìci sopra ogni dire
benemerito. E siccome i terreni delle diverse italiche
Provincie offrono pure tante varietà e differenze,
Coltura degli alberi i3
nec .... terrete /erre omnia possunt,
e conviene esaminare
cultusque habitusque lo corinti^
Et quid quaeque ferat regio , et quid quaeque
recuset
così parmi doversi eziandio riconoscenza ed encomio
a coloro, i quali coi loro scritti som ministrano buoni
ammaestramenti intorno la particolare agricoltura di
qualcuna delle nostre provincie, e ne procacciano il
miglioramento ed i progressi, a ciò stimolati dal no-
bile desiderio della pubblica utilità.
A questo laudevolissimo intendimento è indiriz-
zata la « Memoria sulla moltiplicazione e coltura de-
ce gli alberi nella provincia di Apruzzo ultra 1° in ri-
« scontro al programma pubblicato dalla società eco-
« nomica di detta provincia nel i83y » stampatasi
in Teramo nella tipografia Angeletti nell'anno 1840
in 8.° Autore di questa memoria è il signor Pan-
crazio Palma , che la scrisse fin dal ricordato anno
i83y; e che ora essendo stato meritamente eletto a
presidente annuale della menzionata società econo-
mica, ba voluto pubblicare questo suo pregevole scrit-
to a significazione di grato animo , e con tutta ra-
gione avvisando che potesse provenirne vantaggio all'
antidetta provincia. E parmi che a questa si conven-
gano veramente speciali regole e precetti agrari : im-
perocché il suolo di una tale provincia presenta al-
l'occhio de'riguardanti un quadro singolare, veggen-
dovisi un intrigato ammassamento di apennini e sub-
apennini per diverse maniere ramificati, e che innal*
tA Scienze
zano al cielo maestosamente l'eccelse lor vette , dai
quali poi staccansi catene di fruttifere e deliziose col-
line, che sorgono dove più, dove meno elevate, e ta-
lune delle quali sempre più scemando di altezza, van-
no infine a livellarsi coi piani campi, ed altre esten-
donsi fino alle amenissime rive dell'adriatico mare.
E non è questo il primo scritto del sig. Palma
intorno a cose di agricoltura ; imperocché pubblicò
già colle stampe le sue Osservazioni sulla prospe-
rità della provincia del primo Spruzzo ulteriore
( Teramo, tipografia Angeletti i83 7 in 8.°) ; ed in
questa opera, dalla quale traspare ad ogni pagina il
desiderio della pubblica prosperità, ed insieme l'amo-
re del paese natio, che il dotto ed illustre autore vor-
rebbe vedere per industrie ed arti agrarie e traffichi
dovizioso e fiorente, oltre i molti altri importantissi-
mi oggetti di pubblica economia, de' quali con giu-
stezza di pensieri e di vedute , con moderazione di
progetti, e senza trascorrere in sottigliezze ed astra-
zioni si tratta , per modo che rende chiara testimo-
nianza delle non comuni e vaste cognizioni, che in
siffatta scienza lo scrittore possiede: si ragiona ezian-
dio con non minore maestria dello stato dell'agricol-
tura in quella provincia, e del miglioramento a che
potrebbe portarsi , e de' mezzi per ottenerlo : e si
espongono belle considerazioni intorno i cereali , le
canape ed i lini, le sete, i prati naturali ed artificia-
li, i boschi, la pastorizia ed altre importanti e prin-
cipali materie della rurale economia, precipua fonte
della prosperità e della floridezza de'popoli.
Ora nella nuova scrittura, che dal signor Pal-
ma si è messa alle stampe , ha egli tolto a trattare
della moltiplicazione e coltura degli alberi: parte, co-
Coltura degli albepi i5
me ognun vede, principalissima dell'agricoltura, e ma-
teria perciò degnissima di ogni più diligente investi-
gazione e studio. Egli con ottimo consiglio ha inti-
tolato il suo libro a S. E. il sig. march. D. Fran-
cesco Statella de'prineipi del Cassero, gentiluomo di
camera di S. M. siciliana e cavaliere dell' ordine di
Cai'lo III, il quale sostenendo in quella provincia con
molto plauso l'onorevolissimo officio d' intendente, ra-
gion voleva che al primo degnissimo maestrato della
medesima provincia si offrisse uno scritto indirizzato
al bene di essa, e per tal guisa se gli desse dimo-
strazione e segno di grato animo per la vigilanza e
per le cure, ch'egli adopera allo stesso scopo del pub-
blico bene.
Avuto riguardo al suolo della provincia, il qua-
le presenta le varietà da me sopra accennate, ragio-
na l'autore in questo suo pregevole opuscolo degli al-
beri più utili, sì da legno e si da frutto , che sono
più adattati agli appennini di quella provincia, alle
falde di essi, alle colline, alle basse terre ed alle ma-
rine, e medesimamente delle piante acquatiche da col-
tivarsi nelle sponde di fiumi e torrenti. Egli divide
in tre classi gli alberi , distinguendo i.° quelli che
somministrano cibo agli uomini ed agli animali do-
mestici; 2.° quelli i quali si adoperano per la costru-
zione delle case, de'navigli e delle masserizie; 3.° quel-
li che destinami ad ardere per tutte le umane ne-
cessità e per uso di pressoché tutte le arti, infra le
quali poche ve ne ha, cui non faccia mestiero il fuo-
co, singolarmente a'dì nostri, orachè l'uso del vapo-
re portentosamente concorre, dice l'illustre autore, ad
agevolare le manifatture nella loro creazione e nel ra-
pidissimo loro commercio; ond'è che l'abbondanza del
j6 ò c i k n z e
comhuslibile forma la ricchezza de'popoli, mettendo-
li in istato di produrre e vendere immensa copia di
oggetti d'industria, che agevolmente condotti e ven-
duti ne' mercati stranieri fruttino largo e ricco gua-
dagno.
Premessa una introduzione all' argomento , che
toglie a trattare, il sig. Palma divide il suo libro in
sei articoli. Nel primo di questi parla della necessi-
tà e de'mezzi di moltiplicare le piante legnose, o con-
servando le attuali e proteggendo la loro naturale ri-
produzione, ovvero facendo nuove piantagioni. E par-
mi assai giusta la osservazione fatta in questo pro-
posito dall' autore , che saranno infruttuose tutte le
cure e tutti i provvedimenti indirizzali alla conser-
vazione de'boschi esistenti ed alla educazione de'nuo-
vi, finche buone strade non apransi , le quali diano
a que'vegetabili tal valore da renderli utili a'proprie-
tari. Mancando comodo di strade a trarre vantaggio
dalle piante de'boschi, questi ( cui gli antichi, perchè
meglio si rispettassero, popolarono di tante divinità)
si bruciano, si tagliano per metterne a coltura il ter-
reno; ed il ferro distrugge ed abbatte non solamen-
te i grandi e maturi alberi, ma eziandio ( ciò eh' è
peggio ) i piccoli e crescenti. A promuovere poi la
moltiplicazione delle piante il sig. Palma con belle
e veraci parole espone il godimento, che ne produce
il pensiero di futuro profitto che procacciasi a noi
stessi, a'nostri figli, alla società ; e chi vuol vivere,
egli dice, nella riconoscente memoria de'posteri, la-
sci monumenti utili ed apprezzabili non meno di
quelli, cui le arti foggino co'fusi bronzi e co'marmi
scolpiti. E dimostrandosi bene esperto e dotto nelle
teorie della fisica, fa osservare come gli alberi e per
COLTCRA DEGLI ALBERI *.„
quello che assorbiscono, e per ciò che tramandano ,
contribuiscono a purificare ed a rendere salutevole
l'aere; ond'è che se ne dee procurare l'accrescimen-
to nelle vicinanze principalmente delle città, de'vil-
laggi e degustici casolari , servendo eziandio talune
piante per attirare sopra di sé la terribile folgore
preservandone le vicine case. Non insiste egli poi lun-
gamente sulla moltiplicazione degli alberi fruttiferi :
perciocché compensando questi nello spazio di pochi
anni le fatiche e spese fattevi , ne ravvisa ognuno
il vantaggio, e quindi nella coltura di essi veggonsi
in ogni anno progressi : ma nondimeno raccomanda
quella diligenza , che non da tutti i proprietari si
scorge egualmente in ciò adoperata. Ben si distende
l'autore nel ragionare degli alberi di alto fusto, che
servono per gli edifizi, per le costruzioni marittime,
per le macchine e pel fuoco ; della coltivazione dei
quali i proprietari non si danno gran pensiero e mol-
to meno i coloni, talmentechè sono poi costretti di
trarre da'più alti monti ed anche dall'estero i travi
e le tavole, di che Ihan bisogno per le fabbriche: in
tal maniera spendendo il loro argento per quello, che
potrebbero pure avere dalle lor terre. Ad invogliare
poi il sig. Palma e stimolare i suoi concittadini a
questo genere di piantagione, instituisce opportuna-
mente un minuto ed esatto calcolo della spesa che
vi occorre, e dell'utile che se ne ritrae.
Nel secondo articolo il sig. Palma ne insegna
quali alberi si deggiano preferire per farne vantag-
giose e profittevoli piantagioni, indicando i luoghi e
le posizioni che a ciascuna specie si convengono per
potem le piante sorgere felicemente, ed acquistando-
vi la naturale grandezza, mantenerci prosperose , e
G.A.T.LXXXVII, 2 '
18 Scienze
non perirvi d'immatura vecchiezza; posciachè diversi
luoghi ai diversi alberi si vogliono, e ne avvisa Vir-
gilio :
Fluminibus salices, crassisque paludibus alni
Nascuntur, steriles saxosis montibus ornit
Litora myrtetis laetissima^ denique apertos
Bacchus amat colles, aquilonem et frigora taxi»
Ed altrove
Fraxinus in sylvis pulcherrima, pinus in hortis,
Populus in jluviis, abies in montibus altis.
Colla guida poi della esperienza, ch'è la migliore e
più sicura maestra, si danno in detto articolo precet-
ti ed utilissimi ammonimenti sui modi, con cui po-
ter eseguire le diverse piantagioni con felice succes-
so, indicandosi eziandio il tempo che a farle è più
conveniente; ed il diligentissimo scrittore, che mostra-
si pur valente negli studi botanici , non solamente
tratta degli alberi indigeni , ma degli esotici ancora
fa parole ; moltissimi de' quali sonosi introdotti in
quella provincia, che dalle gelide vette di montagne
elevatissime ai tepidi piani de 'marittimi lidi offre tan-
te varietà di clima e di temperatura.
Si versa il terzo articolo intorno la potagione
degli alberi: operazione così importante, e col mezzo
della quale l'arte dell'agricoltore guida la pianta, per-
chè questa nel suo crescere prenda e conservi una
data forma, secondo la sua natura ed il genere di uti-
le che si vuol da essa ritrarre. E qui l'illustre au-
tore , il quale scrive per giovare la sua provincia ,
Coltura degli alberi mj
non già per fare vana pompa di agronomica dottri-
na, chiede perdono ai dotti, protestandosi che parla
a'rustici agricoltori, la più parte de' quali ignora che
le piante non solamente traggono dal suolo per mez-
zo delle radici il succo, con cui crescere e frutlifi-
care, ma che inoltre attirano alimento dall'atmosfera
per mezzo delle foglie: e che quindi a più facilmen-
te persuadere i villici di questa verità , dalla quale
dehbono dipendere le regole del polare, invece di ri-
ferire teoriche della vegetazione estratte da'libri, sti-
ma doversi prevalere di osservazioni pratiche ; colle
quali, ottener possa che il potatore ben ammaestrato
impugni il suo ferro , e questo ferisca per arrecare
alle piante miglioramento e salute, e non già distru-
zione e morte. Non omette poi in questo articolo
il nostro autore di parlare eziandio delle selve cedue.
Si continua pure a trattare della potatura nel se-
guente articolo 4-°? indicandovisi altre maniere di ese-
guire questa operazione, nonché il tempo opportuno
a praticarla: e singolarmente vi si ragiona de' giardi-
ni, ricordandovisi quelli che si denominarono cinesi,
perchè di tal modo se ne trovarono in quell' antico
impero, ed i giardini che chiamaronsi inglesi perchè
imitanti quelli, di che i signori britanni fecero or-
namento ai lor signorili castelli; e l'autore, dandovi
saggio della sua erudizione, vi ricorda antichi e ma-
gnifici giardini, anche con orti botanici, che furono
nella Italia in vicinanza di grandi città o splendida-
mente stabiliti da' principi. E piacemi il consiglio
che vi si dà a'doviziosi gentiluomini di procacciarsi
innocente e pura delizia e godimento nella coltura
de'giardini, ammirando nella tanta e sì pittoresca va-
rietà delle foglie, de' fiori e delle fruita, la bontà e
20 Scienze
la sapienza del divino creatore. E pare a me che fa-
rebbero pur bene i ricchi signori, se alcuna volta in-
vece de'cocchi e de' cavalli vagheggiassero gli aratri
e gli utili buoi , che sudano a solcare i lor campi,
e cangiassero colla libera e purissima aria delle col-
line lo stagnante e contaminato aere de'chiassuoli e
viottoli cittadineschi , e preferissero talvolta alle di-
pinte scene de'notturni teatri la prospettiva bellissi-
ma delle ridenti ed amene campagne.
Argomento del 5.° articolo è la maggiore possi-
bile moltiplicazione delle piante ; ed avvisando l'au-
tore che l'agiatezza di un popolo dipenda dal posses-
so del maggior numero di piante, che somministrano
cibo e materiali alle abitazioni ed alle arti, vorreb-
be che i magistrati, le società economiche, le acca-
demie efficacemente cooperassero a dar favore e pro-
movimento alle più utili piantagioni : e che i terre-
ni addetti all'esperienze di siffatti corpi scientifici si
convertissero di vivai di alberi , per dispensarne po-
scia i piantoni non già ai privati, ma sì bene ai pub-
blici stabilimenti ed ai comuni, i quali dovrebbero ri-
cuperare gli spazi ed i fossati intorno i paesi , per
lo più usurpati da'vicini, e formarne passeggi ornati
di alberi. E vorrebbe pure che a cura de'comuni si
guarnissero di piante i margini delle strade; ed espri-
me sentimenti di grato animo al direttore generale di
ponti e strade per alcune piantagioni di pioppi, sa-
lici ed ontani da lui fatte eseguire sulle rive del Vo-
mano, del Salino e della Piomba. Catone, dice il no-
stro autore, classificava i vantaggi delle varie colture
in una scala ; ma questa non è adattata per tutti i
paesi : ogni proprietario dee farsela colla scorta della
esperienza, lasciando che declamino i precettisti ; e
Coltura degli alberi 21
addita come questa scala debb'essere ordinariamente
fissata in quella provincia. Avverte i proprietari coi-
rne alcuni generi van perdendo pregio ognor più, e
come per ciò faccia loro mestiere di procacciarsi una
compensazione a questo danno nell'armento e nel bo-
sco: facendo loro considerare che un capitale di le-
gname costituisce per essi un fondo prezioso di ri-
serbo. Osserva poi il signor Palma come si accresca
grave danno traendosi dall'estero anche il legname ,
orachè per lo smodato introdursi di ogni maniera di
peregrine manifatture pagasi agli stranieri tant'oro in
acquisto di oggetti, che vendono non solamenle alla
classe de'nobili e de'ricchi, ma eziandio alla grande
massa del popolo inferiore: facendo belle ed utili con-
siderazioni intorno a questo passivo e dannoso com-
mercio, il quale forma una piaga che rode la nazio-
nale prosperità, e da cui dee ripetersi pure l'avvili-
mento de'lavori nostrali, e quindi le inoperose brac-
cia e la conseguitante miseria.
Offrendo a Pale un qualche fiore, ci dà il sig.
Palma nell'articolo 6.° del suo lodevole opuscolo un
rapido cenno sulla pastorizia, necessaria compagna e
sostenitrice dell'agricoltura. Lo chiamano a questo ar-
gomento parecchi economisti, i quali veduto l'avvili-
mento, in che caddero i prodotti de' nostri terreni,
ci vanno gridando: « Rivolgetevi ad accrescere i vostri
armenti, le vostre mandrie : per tal modo vi procac-
cerete una ricca sorgente di utili : ne avrete in mol-
ta copia animali da lavori campestri e da trasporti ,
carni e pelli, lane e formaggi ! A questo effetto ac-
crescete quanto più vi è possibile i prati naturali ed
artefatti. » E ci van poi citando ad esempio gl'ingle-
si, gli olandesi, gli svizzeri, i sardi, i dalmati. No-
22 Scienze
tando il sig. Palma la differenza che passa fra il re-
gno di Napoli e gli altri stati che si propongono per
essere imitati, osserva giudiziosamente ciò che meglio
si conviene alla provincia, per la quale egli scrive :
e conchiude che quivi la pastorizia non può essere
aumentata in se stessa, ma soltanto progredire insie-
me colla popolazione e coll'agricoltura, come compa-
gna di questa, e dandole e ricevendone aiuto; ed ag-
giunge che male e stoltamente consiglia chi vorreb-
be ricondurci indietro a vedere atterrati e recisi uli-
vi, gelsi, viti, frutti, siepi, perchè branchi di pascen-
ti bruti possano liberamente ed a lor posta vagare ,
siccome già a1 tempi di barbarici ed esiziali sistemi.
Nella conchiusione, che mette fine all'opuscolo,
il sig. Palma osserva con sentimento di compiacenza
che in quella provincia l'agricoltura va migliorando
in tutti i rami, e specialmente nella piantagione di
alberi fruttiferi; ma che vi ha urgente bisogno di mol-
tiplicare quelli da legname, e che la pastorizia si è
aumentata ed ingentilita , perchè fatta compagna ed
amica della coltivazione da nemica e rivale, qual già
le fu in altri tempi. Facendosi poi strada a dir co-
se di pubblica economia , trattovi dal desiderio del
bene della patria, che guida costantemente la penna
di questo scrittore, inculca die nell' adottare nuove
manifatture preferiscansi le dozzinali e di uso più co-
mune, avvertendo che quivi le arti non sono già con-
trariate dal difetto di capitali, di talenti, di attività
e di altri mezzi, i quali se credonsi necessari da ta-
luni scrittori, per tali non si riconoscono da' pratici
assennati osservatori, ma sì bene vi sono contrariate
dalla concorrenza di opere forestiere. Se vogliamo va-
lutare il presente nostro stato, egli aggiunge , para-
Coltura degli alberi 23
gemiamolo col passato, e non già con quello dì stra-
nieri popoli, i quali due secoli prima incamminaron-
si sulla via delle industrie e de'traffichi , e che pur
essi cominciarono con piccoli mezzi meschini intra-
prese , le quali poi col tempo, con leggi proteggitrici
e cogli stimoli del guadagno crebbero progressivamen-
te. Non dobbiamo pareggiare nel lusso quelle nazio-
ni, cui non possiamo pareggiare nelle ricchezze : dob-
biamo tenerci contenti de'successivi graduali miglio-
ramenti, e con essi livellare le nostre spese , impe-
gnandoci concordi ed unanimi per ottenere gli stessi
miglioramenti. Allorché il possidente vegga una nuo-
va manifattura sorta nella provincia, se ne allegri co-
me di un vero e nuovo utile venutogli nelle sue ren-
dite: e quindi proteggala quanto più egli può , pre-
ferendo l'uso di essa, ne si rechi a vergogna l'indos-
sare drappi nostrali, perchè men belli degli stranieri.
E riporta il dotto scrittore altre sue utili osservazio-
ni, che nell'angustia di questo articolo non mi è da-
to di tutte accennare, talune delle quali tratte op-
portunamente dalla storia. Noi grandemente ci con-
gratuliamo col sig. Palma per questo suo pregevole
scritto a lui dettato dal nobilissimo desiderio di gio-
vare la patria, la quale dee sapergliene grado. E rav-
visiamo ch'egli vi dice cose non solamente meditate
negli ozi del suo gabinetto, ma verificate colle cam-
pestri esperienze e colle proprie osservazioni nella
pratica ; e si fa ad esporre i suoi precetti colla mag-
giore chiarezza, perchè ognuno possa trarne profitto,
spogliandoli a tal fine di ogni pompa scientifica. Sap-
piamo che questo gentile e dotto signore passa una
parte dell'anno in una sua campagna , e quivi dili-
gentemente dà opera agli studi agrari : que'gentiluo-
^4 Scienze
mini che vorranno imitarlo, accoppieranno l'utile al
dilettevole. E qui piacemi di osservare come in Te-
ramo, capoluogo della provincia , cui si riferisce la
scrittura del sig. Palma, non poche opere di agricol-
tura a questi ultimi tempi si pubblicarono ; il che
rende testimonianza che in quella città coltivatisi le
più utili scienze. L'avvocato Giovan Francesco Nar-
di vi stampò i Saggi sulV agricoltura, arti e com-
mercio della provincia di Teramo: l'abate Berardo
Quartapelle vi mise in luce i suoi Principii della
vegetazione applicati alla vera arte di coltivare
la terra per raccorre dalla medesima il maggior
possibile fratto : vi scrisse il commendatore Mel-
chiorre Delfico Sulla coltivazione del riso nella pro-
vincia di Teramo e su di altri oggetti spettanti
alV agricoltura : il marchese Gianfilippo Delfico vi
trattò Della conservazione e riproduzione de1 bo-
schi : 1' avvocato Giacinto Armellini , presidente in
quella città del tribunale civile, vi pubblicò he leg-
gi protettrici dell' agricoltura, ossia V agricoltura
considerata sotto il rapporto del dritto romano e
delle leggi del regno delle due Sicilie: Ferdinan-
do Mozzetti vi mise alle stampe un Saggio d1 in-
fluenze meteoriche e del clima sulV agronomia ,
sulla pastorizia e su i rami diversi di economia;
ed ora il sig. Palma vi ha dato in luce il pregevole
opuscolo, che ha formato l'argomento del presente ar-
ticolo. Continui questo egregio e dotto gentiluomo
ne'suoi nobili studi, e con essi procaccisi alcun con-
forto al dolore venutogli dalla morte accaduta di cor-
to del suo chiarissimo fratello don Niccola Palma, ca-
nonico della cattedrale aprutina, dottor di leggi, so-
io dell' instituto di corrispondenza archeologica di
Coltura degli alberi 25
Roma e del regale instituto d'incoraggiamento di Na-
poli, ed autore lodato di varie opere e singolarmen-
te della eruditissima Storia ecclesiastica e civile
della regione più settentrionale del regno di Na-
poli: della quale storia io stesso ebbi già il piacere
di fare in questo medesimo giornale meritata ed ono-
revole menzione.
Giacinto Cantalamessa Carboni.
Il nuovo carcere ed il pubblico macello
eretti in Viterbo.
Xm.llorcliè si ergono monumenti di belle arti, e sta-
bilimenti di utilità pubblica di qualche entità, è op-
portuno di darne cognizione anche ai lontani, acciò
nelle contingenze d'imprese analoghe o profittino de'
compensi artistici e morali in essi posti in uso , o
v'introducano correzioni, riforme e migliorìe; ed ac-
ciò che gli autori si abbiano il plauso degli assenti
come de' presenti. Adesivamente a tali massime amia-
mo annunciare due monumenti innalzati in Viterbo ,
cioè il nuovo carcere già compiuto, ed il macello pub-
blico prossimo ad esserlo: i quali ci sembrano meri-
tare qualche osservazione dalle persone intelligenti di
tal sorte di opere. Ne dissimuleremo che a tali cau-
se di pubblicazione concorre pur anco quella specie
di ambizione patria di mostrare che questa città tro-
25 Scienze
vasi nello stadio d'emulazione colle principali dello
stato pontificio, per promovere ed accrescere gli agi
de'suoi abitanti ed il decoro civico.
La forma delle prigioni ed il sistema da pra-
ticarsi co'detenuti è un argomento che da più anni
occupa vivamente i governi ed i filantropi , e lun-
ghe discussioni han luogo tuttora sul miglior metodo
di amministrazione morale da farsi in esse (*). L'A-
merica ha somministrato all'Europa 1' esempio delle
case penitenziarie, nelle quali i detenuti sono con-
dannati ad un perfetto isolamento in apposite cellu-
le: e con tal sistema si pretende non solo di evita-
re la corruttela de'costumi de'buoni o men cattivi, la
quale ha luogo quando essi si trovano in consorzio
abituale coi viziosi e malvagi , ma pur anco di mo-
ralizzarne lo spirito. L' Inghilterra volle migliorare
l'asprezza di tanta solitudine: ma sostituì ad essa nel
consorzio il silenzio. In Francia non son concordi le
opinioni su i pretesi vantaggi morali ed umanitari di
tali metodi: e vuoisi da alcuni che la salute, e per-
fino le facoltà intellettuali de'detenuti, sotto tale re-
gime soffrano considerabilmente. Frattanto il sovrano
di Piemonte, avendo aperto un concorso pel disegno di
un carcere di tal natura, ha ottenuto un numero con-
siderabile di disegni, fra*i quali quello prescelto, e spe-
cialmente esaminato ed approvato dallo stesso sovra-
no, fu prontamente mandato ad esecuzione.il gover-
no pontificio , in cui il sistema carcerario da lunga
epoca stabilito meritò già l'elogio degli oltremontani,
(¥) In proposito è degua di rimarco l'opera di C. I. Petitti:
,, Della condizione attuale delle carceri ec,, Torino.Pomba i84o-
Carcere e macello di Viterbo 27
come quello che concilia l'esigenze della giustizia pu-
nitiva co'riguardi dell'umanità, non sembra persuaso
della superiorità de'vantaggi dell'invenzione oltrema-
rina, ed ama conservare i metodi, da tanta serie di
anni adottati. E ben vero però che non tutte , anzi
poche, sono le prigioni delle città subalterne dello
stato, le quali per la loro forma, posizione ed am-
piezza possano ben corrispondere alle condizioni preac-
cennate, e non diano luogo a querele e ad inconve-
nienti di vario genere. Sovente i processanti si la-
gnano, perchè alcuni inquisiti non possono essere con-
venientemente separati dai loro complici, onde preve-
nire fra essi i concerti che giungono ad eludere le fiscali
investigazioni : sovente reclamano i custodi per la po-
ca sicurezza di alcune prigioni, e l'opportunità che
queste presentano alla evasione dei detenuti anche
con modici sforzi ed artificii : altri reclamano contro
l'insalubrità de'locali, la mancanza di luce e di aria
pura, l'accumulamento di gas e vapori perniciosi, la
mancanza di salubri infermerie pe' maiali. Queste e
più altre querimonie si elevano relativamente alle ma-
teriali condizioni delle prigioni, ma tante volte inu-
tilmente.
Le prigioni della città di Viterbo presentavano
forse tutti gl'inconvenienti prodotti per l'angustia e
l'irregolarità del locale e per la stessa sua topogra-
fica posizione. Anzi sotto tale rapporto riuscivano som-
mamente indecenti: poiché erano situate nel centro,
nella più nobile e decorosa situazione della città, pres-
so il palazzo comunale, sulla bella contrada di s tra-
da romana e sulla maestosa piazza del comune, ove
han luogo d'ordinario i pubblici spettacoli ed il pub-
blico passeggio: e quindi gli spettatori ed i passanti
28 Scienze
erano rattristati dalle ferree griglie, dal triste suono
delle catene, dall'aspetto e delle lagnanze querule dei
detenuti, e dal fetore che sboccava da quelle sordi-
de aperture. La poca sicurezza delle rinchiuse, de'mu-
ri e dei tetti, i non rari casi di sfasci e di evasioni,
ponevano in frequente apprensione gli abitanti della
città e gl'interessati nella parte fiscale: e nell'estiva
stagione insorgevano pur timori di sviluppo di ma-
lattie esiziali, che talvolta si sono realizzati. Da lun-
ga epoca queste circostanze eccitavano querele ed in-
quietudini: ma senza alcun risultamento.
Era riserbato all'eccellenza di monsignor D'An-
drea, delegato apostolico della provincia viterbese, ii
soddisfare a tanti bisogni e porre un termine a tanti
inconvenienti. Si deve alla sua attività, genio e per-
severanza, se ottenute le opportune facoltà dall'emi-
nentissimo pro-prefetto dell'erario, in breve tempo fu
condotta a compimento la fabbrica di uno stabilimen-
to che meno per l'ampiezza, che per la filosofica di-
stribuzione degli ambienti, secondo lo spirito del tem-
po e del luogo, merita di esser dedotto a cognizione
anche de'meno prossimi. A far comprendere però il
criterio, col quale si è proceduto nel metodico ripar-
to degli spazi , giova di epilogare lo scopo e la de-
stinazione speciale dell'edificio, prima di presentarne
una sommaria descrizione.
Le carceri de'capo-luoghi di provincia nello sta-
to pontificio sono destinate alla reclusione di quei,
j.° che prevenuti di crimini soggiacciono agli atti in-
quisitorii, ed attendono il giudizio del tribunale :
2.0 che debbono espiarvi una pena giudizialmente
pronunciata, importante la detenzione semplice a te-
nore delle leggi penali: 3.° che sottostanno a misure
Carcere e macello di Viterbo 2q
e coercizioni in linea di polizia: 4-° che non possono
soddisfare i debiti civili validamente contratti: 5.° che
attendono di essere trasportati altrove per espiare pene
più gravi del semplice carcere, alle quali sono stati
condannati. Ora in queste carceri conviene por men-
te in ispecial modo alle seguenti esigenze :
i.° Che gli ambienti de' detenuti siano salubri
al più alto grado, e che la salute non vi soffra al-
cun detrimento.
2.0 Che sopravvenendo infermità in alcuno dei
prevenuti , sia egli assistilo e medicato con tali ri-
guardi, che concilino i diritti dell'umanità con quelli
della giustizia.
3.o Che siano prestati a tutti i mezzi convenien-
ti per ricevere i conforti e le istruzioni, ed adempiere
i doveri di religione.
4-° Che non sìa comunicato il mal costume e
le prave massime dall' un individuo all' altro , o da
una classe di detenuti ad un' altra.
5.° Che niun inquisito possa corrispondere coi
suoi complici od interessati , ad eludere le indagini
fiscali tendenti allo scoprimento de'fatti criminosi.
6.° Che sia prevenuta ogni possibilità di artifi-
cio o violenza per l'evasione dei detenuti dal carcere.
Sarebbe lunga opera 1' esporre minutamente le
parti amminicolari della fabbrica, praticate per sod-
disfare a tali esigenze: quindi ci contenteremo di pre-
sentarne una breve descrizione. La fabbrica del car-
cere adunque è situata in un estremità della città
presso l'antica rocca, ed è di forma quadrilunga, cioè
di romani palmi 3 20 ( met. 64 ) sopra 60 ( met. 14 ):
della quale uno de'maggiori lati formante il prospetto
si estende sulla prateria detta di sallupar a , l'altro
3o Scienze
posteriore vien formato dal muro castellano fiancheg-
giato da ampio barbacane o muro di precinzione.
Il prospetto presenta l'idea della semplicità, dell'au-
sterità e della robustezza: ed è diviso da otto gran
pilastri, che dal suolo si elevano a sostenere il cor-
nicione del tetto. Nel mezzo la porta vien formata
da un solido bugnato di peperino ( pietra vulcanica
del luogo ) sormontato da un' iscrizione , che ram-
menta le circostanze che determinarono la fabbrica,
e chi ne promosse e sostenne l'esecuzione. Il rima-
nente della superficie prospettica è occupata da fi-
nestre regolarmente disposte, e munite di opportune
inferriate e gelosie.
Penetrando nell'arabo ( pai. io ), nel primo pia-
no trovasi un robusto cancello di ferro, per cui si per-
viene ad un corridoio (palmi 170 X 12) nel senso
della lunghezza dell' edificio , dal quale volgendosi a
destra vedesi all'estremità V altare pel culto divino,
e sull'uno dei fianchi due carceri segrete, il car-
cere correzionale e due altre segrete: e sulP altro
fianco due segrete, il carcere pei ragazzi, due al-
tre segrete, e la porta, e la scala ascendente alla
camera dei secondini corrispoudente sopra l'ingresso.
Posteriormente poi all' altare , ma senza comunica-
zione interna, esistono la cucina della fornitura ed
altri ambienti relativi.
Volgendosi dall'arabo sulla porta del corridoio
che prosiegue a sinistra, veggonsi ai due fianchi due
segrete* ed all'estremità il cancello del carcere lar-
go o galeotta ( palmi 18 X 5o ). Questa da due li-
nee di quattro solide colonne vien divisa in tre spa-
zi longitudinali, de'quali i due laterali hanno murel-
li elevati dal suolo palmi 4 Per collocare i paglioni
Carcere e macello di Viterbo 3i
o stramazzi pe'detenuti, ed in basso hanno i venti-
latori per la rinnovazione dell'aria.
Di fronte all' andito poi osservasi la scala di
ascenso al piano superiore, nel quale a destra pre-
sentasi una corsìa avente in fondo una segreta, in
un fianco l'abitazione del custode consistente in una
sala, cucina e tre stanze: indi il carcere per le
donne, indi quello pe* debitori civili insolvibili, V in-
fermeria per gli uomini e la stanza per V infer-
miere.
A sinistra presentasi altra corsìa, sull'un fian-
co della quale apresi la stanza del secondino , il
quale mediante una finestra interna sorveglia tutta la
galeotta. Prosiegue una segreta, Yinfermeria delle
donne, Yinfermeria suppletoria per gli uomini, la
sala della visita de' carcerati, due camere pei mi-
nistri processanti, e due altre per gli atti di reli-
gione, conforteria ec.
Lungo un lato delle due corsie è praticato il
guardaroba o i locali per la fornitura carceraria, e
per gli oggetti de'detenuti ec. ec.
Finalmente all'estremità della corsia prossima alle
stanze per gli atti di religione esiste uno speciale
ingresso con cancello di ferro e scala esterna, con
altri ambienti ed attinenze, latrine ec. (pai. 26x60).
Or per dimostrare in qual guisa si è creduto sod-
disfare alle sopraccennate esigenze, osserveremo: i.° che
circa alla salubrità del locale, le segrete ( nelle quali
l'aria è d'ordinario più stagnante e contaminante ) so-
no collocate circa palmi 4 sopra il livello del cor-
ridoio, ed hanno una superficie di 260 palmi qua-
drati almeno, e l'altezza di oltre palmi ì>5: cosicché
cadauna di esse contiene oltre 65oo palmi cubici di
32 Scienze
aria, spazio ben sufficiente alla respirazione incolu-
me di più individui. Sono esse pavimentate di lastre
di peperino coperte di volta, intonacate tutte di bian-
ca calce, ed illuminate da finestre nella più alta ed
inaccessibile parte delle pareti o volte, ed aventi una
superficie lucida di circa 20 palmi quadrati. Non so-
no state praticate, come nelle anticbe prigioni, le la-
trine particolari, delle quali si sono rilevati i grandi
inconvenienti, tanto per l'opportunità die talora pre-
sentano all'evasione dei detenuti, quanto per le comu-
nicazioni verbali a danno delle inquisizioni, e per le
mefitiche esalazioni perniciose all' umana salute. Si
sono in vece posti in uso vasi esattamente chiusi, che
ogni giorno si sgombrano e tergono.
2.0 Circa i riguardi per gl'infermi osserveremo,
che speciali locali sono stati stabiliti per essi nella
parte più elevata e salubre dell'edificio. L'infermiere
è ad essi prossimo per ogni occorrenza. Si è stabili-
ta un' infermeria suppletoria per gli uomini, pel ca-
so in cui l'inquisizione non permettesse che compli-
ci e cointeressati in causa rimanessero nello stesso lo-
cale, o lo sviluppo di malattia contagiosa esigesse una
cautelata simile separazione.
3.° Per l'adempimento de'doveri di religione si è
stabilito l'altare in guisa, che tutti i detenuti possa-
no vedere od udire la s. messa e le sacre funzioni;
poiché l'altare trovasi in un punto quasi panoseopi-
co. Per le confessioni poi e per le speciali istruzio-
ni spirituali di una parte dei detenuti sonovi came-
re, come dimostrammo, appositamente destinate.
4-° Quanto all'isolamento de'singoli detenuti, os-
sia al sistema cellulare e penitenziario tanto proclama-
to per prevenire la diffusione dell' immoralità fra la
Carcere e macello di Viterbo 33
massa de'prigionieri, e per influire una pena nello spi-
rito atta a far ponderare l'utilità della buona condotta,
non si è convinta l'autorità governativa che i van-
taggi di esso sistema fossero evidentemente maggiori
degli inconvenienti che pur produceva. Quindi, anche
adesivamente all' uso fin qui mantenuto nello stato
pontificio, nel carcere di cui parliamo si è adottata
solo una specie d'isolamento dei detenuti durante la
inquisizione, alla quale vanno soggetti; al quale og-
getto son posti in apposite segrete, ma d'ordinario non
affatto soli. Nel resto le classi di varie specie di de-
tenuti sono collocate in diversi locali. Non si è pra-
ticata una maggior suddivisione e separazione, anche
sul riflesso che la detenzione non è d'ordinario assai
lunga, e coloro che sono condannati a lunghe pene
sono trasportati ai bagni ed alle grandi case di forze.
In ogni modo i locali che qui contengono molti de-
tenuti, e principalmente la galeotta, sono accurata-
mente sorvegliati: ed i soggetti perniciosi per le loro
massime e vizi sono all'occorrenza separati.
5.° Si è avuto in considerazione particolare, che
le inquisizioni criminali non venissero impedite o
deluse col mezzo di comunicazioni o scritte o ver-
bali fra complici od interessati: ed a tale oggetto le
segrete sono state collocate in vari e distinti punti
dell'edificio, acciò neppur le voci de'complici si oda-
no scambievolmente. Così le finestre delle segrete, per
la loro forma , posizione e mecanismo, impediscono
ogni specie di corrispondenze cogli esteri.
6.° Finalmente la solidità delle mura, delle vol-
te, delle porte, delle inferriate, unite alla vigilanza
de'custodi, garantiscono a sufficienza l'inevasibilità dei
detenuti, gli sfasci, i rapimenti delle chiavi ec.
G.A.T.LXXXV1I. 3
34 Scienze
Siccome però ogni opera umana è soggetta ad
un' ulteriore perfezione , e noi non siamo nudi en-
comiatori dello stabilimento carcerario di Viterbo, ci
facciamo lecito di osservare: Che il soverchio nume-
ro dei detenuti riunito nella galeotta non è affatto
senza qualche apprensione: e quindi quel locale po-
trebbe agevolmente dividersi con muro intermedio in
due o più ambienti: Che sarebbe opportuno qualche
ventilatore anche nelle segrete, per rinnovare l'aria
almeno in qualche ora del giorno : qualora a ciò fa-
re non si opponga la riflessione, che per le canne di
essi possa comunicarsi la voce dall'esterno : Che sa-
rebbe opportuno racchiudere, come adiacenza del car-
cere, il prato di sallupara che si estende innanzi il
prospetto, e collocarvi un corpo di guardia anziché
una semplice sentinella. Ad onta di queste addizio-
ni che noi proponiamo, e qualche altra che da altri
potrebbe proporsi, crediamo che il nuovo carcere di
Viterbo possa servire di modello e norma nella co-
struzione di simili edilìzi, e che lode somma si deb-
ba a S. E. monsig. D'Andrea, che ne meditò e ne
concepì l'idea, ed al sig. Vincenzo Federici di Viter-
bo, ingegnere in capo di acque e strade della dele-
gazione, che ne delineò in carta, e ne diresse il mate-
riale adempimento.
La iscrizione, di cui abbiamo di sopra fatto cen-
no, è la seguente :
Carcere e macello di Viterbo 35
TlRTVTI . ET . HONORI
GREGORI . XVI . P . M . PRINCIPIS . CLEMENTISS.
qvod . anno . x . sac . princip.
Avctore . Antonio . tosti . patre . card . aer . pko . praef.
cvra . instant1aq . hieronymi . db . andrea . ant1stitis
praefecti . frov . viterb . praet . pot.
carcerem • angvstvm . sqvalentem . e . media . vrbe . dimoveri
et . ampliorem . salvbrioremq . heic . extrvi . ivss1t
ordo . et . popvlv3 . viterb . voto . svscipto . m . p.
Una grande turpitudine esisteva nella città di
Viterbo , che più osservabile si rendeva nelT attuale
progresso della civiltà e decoro pubblico: cioè 1' ar-
bitraria mattazione di buoi, vacche, porci, agnelli ec.
in ogni luogo che restava comodo agli spacciatori di
carni , pizzicagnoli ed anche particolari. Sovente le
vie e le piazze vedevansi perciò contaminate da san-
gue ed immondizie, ed ammorbate col fetore. A por-
re un termine a tale inconveniente si concepì l'idea
di un pubblico ammazzatoio o macello , ove tutti
gli animali suespressi ed analoghi fossero uccisi e
mondati , indi inviati ai luoghi di smercio od alle
case particolari. Il locale per un tale stabilimento
era stato dalla civica magistralura destinato nel pia-
no di Taule, posto fra la collina del duomo e quel-
la della Trinità, e prossimo alle mure castellane ed
alla porta della città che apresi alla via di Tosca-
nella. Il luogo non ha prossime abitazioni, ma è vi-
cino alla parte più popolosa della città: e perciò con-
venientissimo all'uopo. Ivi scorre il fiumicello Are-
ione, che nell 'intraprendersi la fabbrica qualche an-
no indietro fu diviso in due rami, per dar luogo nel
mezzo di essi alla fabbrica. Appena però essa fu in-
30 Scienze
tra presa, venne interrotta da imprevisto circostanze:
lincile la prelodala eccellenza di monsig. D'Andrea non
eccitò ed agevolò il proseguimento , che oggi si ap-
prossima al compimento, e permette di annunciarne
la descrizione. Noi crediamo che anche quest'edificio
possa servir di norma per simili stabilimenti, per la
giudiziosa distribuzione degli ambienti , per la co-
modità delle varie mattazioni , e per l'eleganza ed
euritmìa.
Consiste adunque l'edificio in un rettangolo e-
steriore, o muro di recinto, di palmi 280 sopra 140
( met. 55, 6 X 3o, 8 ) alto palmi i3 ( met. 2, 9 ).
Il prospetto su di uno de'maggiori lati presenta un
portone d'ingresso ed altro di egresso, posti nelle
due metà di esso, ai quali si perviene mediante ponti
siili' Areione, ed una iscrizione intermedia. Al lato
di cadami portone è una stanza pel custode o por-
tinaio, e pel controllo delle bollette per l'andamen-
to regolare dello stabilimento.
Entrando il portone d 'ingresso trovasi un cor-
l'idoio largo pai. 12, ricorrente tutto all'intorno del
principal fabbricalo, che comprende tre distinti mat-
tatoi , cioè i.° quello del bestiame pecorino e ca-
prino : 2.0 quello del bestiame vaccino : 3.° quello
del bestiame porcino. Questi tre mattatoi costituisco-
no un edificio rettangolare di 266 sopra u3 palmi,
di cui l'altezza nel punto medio culminante è di pal-
mi 4°-
^ingresso al i.° mattatoio trovasi di fronte al
portone d'ingresso, e presenta una piazza quadran-
golare ( palmi 65 x 54 ) con una fontana di fac-
ciata. Nei due lati opposti di questa piazza, cioè nel
lato dell'ingresso ed in quello della fontana, sono sta-
Carcere e macello di Viterbo 37
bilite quattro rinchiuse per le pecore e per capre da
uccidersi : e nel lato intermedio sono gli stanzoni
per iscannare, scorticare e mondare gli animali pre~
detti, essendovi all'oggetto gli apparati e copia cV
acqua occorrenti. Nel quarto lato poi delle piazze
apresi il passaggio al 2.0 mattatoio.
E questo formato di un ambulacro con due ca-
nali di pietra ai lati, ove scorre l'acqua per aspor-
tare il sangue e le immondezze degli animali uccisi.
Cinque sono in cadaun lato i locali destinati alla
macellazione coi respettivi arnesi, divisi da pilastri
e cancelli : posteriormente poi , ad ogni locale evvi
una rimessa per ritenere le bestie di cadaun proprie-
tario. In queste rimesse poi, che hanno l'ingresso dal-
la parte del corridoio, si fanno entrare in prima le
bestie, sovente assai fiere, con ispeciale artificio. Le
porte delle rimesse sono appunto tanto larghe, quan-
to il corridoio (palmi 12): cosicché aprendole a
metà, cioè ad angolo retto, intercettano il transito pel
corridoio alla bestia sospintavi, la quale perciò viene
necessariamente indotta ad entrare nella rimessa, ove
rimane fino all'opportunità della mattazione. Dal mat-
tatoio delle bestie vaccine, cioè dall'ambulacro pre-
nominato, si passa al 3." mattatoio destinato pei porci.
Ha questo la medesima dimensione, piazza, for-
ma, fontana ed ambienti di quello delle pecore. L'in-
gresso corrisponde di fronte al portone di egresso.
Sono però diverse le disposizioni interne negli stanzo-
ni di mattazione e gli arnesi : poiché i maiali non
si squoiano, ma si pelano con acqua bollente: al qua-
le oggetto vi sono praticati i fornelli e speciali ap-
parati.
38 Scienze
Mediante poi il portone di egi*esso, le carni so-
no asportate alla respettiva destinazione. Noi non ci
siamo occupati dei particolari dettagli di questa fab-
brica, e dei compensi artificiosi che comprende: ma
in genere ne annunciamo la mirabile simmetria e cor-
rispondenza delle singole parti, ed il vago spettacolo
che presenta osservata dall'alto delle adiacenti colli-
ne, essendo coronata di pioppi lungo le sponde del-
XAreione. Il disegno è dell'architetto viterbese sig.
Pietro Mascini, che ne dirige altresì il lavoro.
Questi due stabilimenti pubblici , che possono
considerarsi anche come monumenti d'arte, indicano
che la città di Viterbo non è inerte nell'abbellirsi e
procurarsi gli agi sociali: e se ci fosse lecito far plau-
si ai progetti o di un nuovo teatro , o del nuovo
giuoco di pallone, o del pubblico passeggio nel pra-
to-giardini e simili altri, potremmo porre questa cit-
tà forse fra le più belle d'Italia, od almeno dello sta-
to pontificio. Ma i progetti nel maggior numero abor-
tiscono: e noi ci contentiamo per ora di averne espo-
sti due che vennero felicemente alla luce.
Viterbo 6 novembre 184.0.
G. Camilli.
%
Dell'ottica considerata come soggetto di poesia.
Discorso del P. Giuseppe Giacoletti delle scuo-
le pie , professore di eloquenza nel collegio
nazareno, letto all'accademia tiberina nell'adu-
nanza del 9 di novembre 1840.
Di.
opoche, per servire all'istituto da me professato,
ebbi per molti anni secondo mie deboli forze det-
tato filosofia ; come poi a cagione di novella chia-
mata de' miei superiori feci passaggio alla scuola di
belle lettere, tosto mi corse alla mente il pensiero,
e neir animo il desiderio di non lasciar totalmente
cader nell'oblio quelle scarse cognizioni che mi era
procacciato nelle discipline filosofiche ; mentre ad un
tempo doveva adoperarmi di ammaeslrare la gioventù
nell'oratoria e nella poetica, se non con lode, alme-
no con quella assiduità e lena di spirito che non ve-
nisse interrotta ed affievolita da studi troppo alieni
da queste facoltà. Quindi presi consiglio di volger
l'animo alla poesia didascalica: congiungendo così, co-
me meglio per me si potesse, i vecchi insieme ed i
nuovi studi. Al che pure fui mosso non solo da quei
vantaggi che reca all'universale la poesia didascalica,
già da molli scrittori considerati ; ma eziandio dalla
condizione particolare de' nostri tempi , ne' quali le
menti nutrite in gran parte di cognizioni scientifi-
che, solide e profonde, pare che cerchino puranche
nella poesia non superficie ma profondità, non solo
mera sposizione di effetti , ma ancora dimostrazione
4o Scienze
di cause : ed oltre a ciò una poesia, che tolga le sue
immagini dai fenomeni e dalle leggi naturali, apre
una strada sicura e conciliatrice da battersi in oggi
Ira le sfrenate e gigantesche fantasticherie de'roman-
tici, e le superstiziose ripetizioni de' mitologisti. Mi
diedi pertanto ad investigar meco stesso qual parte di
fisica dovessi togliere a subietto di poesia : ed in ta-
le ricerca varie cose mi si affacciarono alla mente.
Mi sovvenne di quella osservazione fatta da molti ,
e singolarmente dal celebre gesuita Roberti, che non
tutti gli argomenti, ond'è ricca la fisica, possono con-
venientemente cantarsi dalle muse: essendovene talu-
ni, i quali mancano di poetica bellezza intrinseca, ed
altri che non potrebbero esprimersi degnamente per
carmi a cagione di loro astruse difficoltà. Mi schie-
rai d'innanzi alla memoria diversi poemi didascalici
scritti da celebri autori, cominciando da Lucrezio fi-
no all' Arici ed al Ricci; e nel fare tal rassegna vidi
che vasti campi ed ubertosi rimanevansi tuttora a mie-
tere in questa provincia, anzi che quasi per tutto po-
trebbe farsi novella raccolta, attesa la ognor crescen-
te e variabile cultura, di che tutto dì fioriscono e frut-
tificano le scienze naturali, e per cui cangiano spes-
so spesso di orizzonte e di prodotti. Presi a consi-
derare varie parti di fisica più abbondevole a parer
mio, d'immagini poetiche, cioè l'acqua, l'aria, il ca-
lorico, il fluido elettrico: e tutte mi apparivano gran-
diose e leggiadre. L' ottica però si è quella che io
andava più d'ogni altra mirando e vagheggiando: per-
ciocché l' intrinseca bellezza poetica della medesima
non polea non colpire la mia immaginazione (e qua-
le immaginazione non ne resterebbe colpita ? ) in gui-
sa che, ove il tema si fosse potuto piegare al metro
Ottica nella poesia 4i
poetico, non lo avessi dovuto preferire ad ogni altro.
Ora Dante venne ad assicurarmi della possibilità di
vestire la luce con forme poetiche. Rileggendo la di-
vina commedia, forse con alquanto più di studio che
non ci avessi posto altre volte, incontrai sì frequen-
ti e bellissimi versi alla luce pertinenti, che mi di-
mostrarono meno scabroso, di quello che a prima vi-
sta mi si era presentato, il porre in poesia le leggi
ed i fenomeni di esso fluido. Inoltre mi stavano an-
cora presenti al pensiero due dissertazioni da me pro-
nunziate , son pochi anni , all' accademia de' lincei,
contenenti alcun che di nuovo intorno a' fenomeni
ottici , ed un' altra loro compagna che andava dise-
gnando e preparando ; le quali mi teneano la mente
in tal guisa legata all'ottica, da non potermene così
di leggieri distaccare. Fermai dunque per queste ra-
gioni di appigliarmi alla poesia della luce. Ed oggi
che mi reco ad onore di tener ragionamento in mez-
zo a voi, illustri soci, coltissimi uditori, mi sono ap-
punto proposto di svolgere le due principali di sif-
fatte ragioni: prendendo a dimostrare in primo luo-
go l'intrinseca poesia della luce; secondariamente la
possibilità ed agevolezza di esprimere con poetiche
forme questa poesia medesima.
La poesia intrinseca della luce si è tale e tan-
ta, che quasi starei in sul punto di affermare, la lu-
ce non esser altro che vera poesia, o la vera poesia
nuli' altro che luce. Ed in vero, chi mai ignora che
tra le molte denominazioni date a questa sublime fa-
coltà, quelle che più spesso ne suonano all'orecchio
sono di raggio celeste, di scintilla, di fuoco anima-
tore che l'animo investe, lo illustra, lo riscalda , lo
solleva al di sopra della bassa terra , siccome fiamma
^.2 Scienze
che tende smaniosa verso le alte regioni dell' aere ?
Certo è che in siffatte espressioni si contiene molto
di metaforico. Ma oltreché v'ha pur molto di reale e
proprio, che si manifesta all'interno hollore del san-
gue, del petto e del cerebro di un poeta inspirato ,
ed esternamente nel colorirsi del viso , nel lampeg-
giare degli occhi, nello atteggiarsi delle membra com-
mosse ; oltre a ciò, io diceva , non vi sarà chi non
comprenda esser già questo un argomento non lieve
dell'intrinseca poesia della luce, il prestarsi cioè eh'
ella fa, più di altro qualsivoglia elemento di natura,
a porgerne un'idea vivace ed espressiva dell'estro poe-
tico. INon basterebbe già questo solo pregio per chia-
marla in certo modo il fluido poetico ?
Ma osserviamo più addentro la natura della poe-
sia e della luce, per meglio conoseere come elleno
rassembrino due sorelle, nelle qualità e negli orna-
menti somigliantissime. A tutti è noto che il bello
è l'unico o almeno il primario obbietto della poesia.
Ora come dal divino Platone vien egli definito il bel-
lo ? Lo splendor del vero. Oh ! magistrale ed am-
miranda definizione ! definizione che nella sua fecon-
dissima brevità racchiude più sostanza di quella che si
trovi sparsa in ben cento di quelle lezioni sull'estetica,
che si sogliono produrre e riprodurre a'nostri giorni. Ma
ora non è mio divisamento di mostrare la sapienza,
l'estensione e Pubertà di cotal definizione : bensì de-
durre dalla medesima la poesia della luce. L' obietto
della poesia è il bello : il bello è lo splendor del ve-
ro : l'ottica ha per obietto un vero splendidissimo :
dunque l'ottica è poesia, poesia intrinseca, essenzia-
le. Che l'obietto dell'ottica sia splendidissimo, nel pu-
ro senso ottico, non occorrerebbe dimostrarlo se non
Ottica nella poesia 43
a'ciechi nati; ai quali però ove non facesse cotal di-
mostrazione un novello Cheselden ( e molli Chescl-
Jen vanta il secol nostro ), inutili riuscirebbero tulli
i ragionamenti. Ma per questo splendore dell'ottùsa
io qui voglio intendere ben altra cosa ; la quale or
ora andrò dichiarando dopo di aver detto alcun che
della sua verità.
Appunto perchè la luce è il solo fluido impon-
derabile percettibile alla vista ; perciò di esso si so-
no scoperte e misurale molte proprietà, forze, leggi
ed azioni più assai che degli altri fluidi sottili, e con
maggior esattezza. Si è calcolata appuntino la sua
sorprendente celerità ; si è valutata la sua intensità,
che scema in ragione dei quadrati della distanza dal
corpo luminoso ; la sua elasticità si è trovata perfet-
ta in guisa, che giammai non errano le leggi spettan-
ti alla riflessione. La teoria delle ombre; la coslan-
za del rapporto fra i seni degli angoli d'incidenza e
di refrazione ; i vari gradi di questa refrazione me-
desima nelle varie sostanze ; la decomposizione del
raggio bianco solare nei setti primitivi diversamente
colorati e refrangibili; le leggi della diffrazione e del-
la polarizzazione; ed altre proprietà e fenomeni del
fluido luminoso, si sono spiegate con geometrica cer-
tezza ed evidenza. Nulla dunque potrebbe desiderarsi
di più dal lato della verità in questa disciplina ; se
si metta da parte l'incertezza in cui ondeggiano tut-
tora i fisici rispetto all'intima natura della luce.
Ma qui parmi udir taluno che rammenti, per la
poesia non richiedersi mica la nuda e precisa verità,
bensì la verosimiglianza delle cose ; che anzi spesse
volte il vero semplice e misurato a compasso nuo-
ce piuttostochè giovi all'arte de' carmi. Però a siffatta
44 Scienze
obiezione è facile una doppia risposta. Perciocché, in
prima, la poesia didattica questo debbe avere di pro-
prio, che non si contenti della verosimiglianza ; sib-
bene che esponga le verità dell' arte o scienza cui
prende a subietto ; comechè non rifiuti le verosimi-
glianze, ove queste siano inerenti alle discipline me-
desime , oppure s' introducano negli episodi e ne-
gli altri ornamenti accessori. In secondo luogo certe
spezie di poesia, come per esempio l'epica e la liri-
ca, versando in gran parte intorno alle umane azio-
ni ed avventure, qualora si tenessero ne'limiti della
pura verità, ben poco di grande, mirabile e patetico
potrebbero mettere in campo; sibbene azioni malva-
ge miste con buone , straordinarie con indifferenti ,
forti e leggiadre con deboli e sconce. Quindi cotali
poemi sarebbero privi d'interesse, non levando l'uo-
mo al di sopra delle umane bassezze, non illuminando
la mente, ne commovendo il cuore. Dunque convie-
ne che la fantasia vesta d'immagini straordinarie e su-
blimi tratte dal verosimile siffatte opere, acciocché con-
seguiscano il loro scopo. Ma nell'ottica la cosa va di
gran lunga altrimenti. Avvegnaché l'ottica, senza nep-
pur escludere molte verosimiglianze che le son proprie,
principalmente in ciò che riguarda la natura della lu-
ce, i fenomeni della vista e le illusioni ottiche, e molte
altre cui può trasportare la fantasia nelle digressioni
ed altri accessori, siccome risulterà da quanto sono
per favellare in appresso ; l'ottica, dissi, senza nep-
pur escludere le verosimiglianze , offre verità tutte
splendide per se stesse; e qualsivoglia immagine ve-
risimile, presa d'altronde, non sarebbe in loro con-
fronto che un fioco barlume di domestica lucerna di
fronte ai vivi raggi del sole. Ed eccomi alla seconda
Ottica nella poesia ^.5
qualità del belio assegnata da Platone, qualità che sì
ampiamente e meravigliosamente campeggia nell'ottica.
Lo splendor della luce è di tanti generi , che
tutti ad uno ad uno discorrendo se ne potrebbero for-
se classificare molti generi di bellezza da adornarne
un trattato di estetica con qualche novità. Ma io, per
non estendere di troppo il mio ragionamento, mi sta-
rò contento ad alcuni tra essi. E cominciando dallo
splendido gaio e grazioso , chi è che non ravvisi
gran parte delia natura di questo informata e vesti-
ta ? L'oro della luce solare diviso dal prisma ne' set-
te raggi variopinti, le brillanti gemme del mare e de'
monti, i ridenti fiori del prato , gl'insetti luminosi ,
le vaghe farfalle, i diversi augelli, il verde dell'erba
e l'azzurro del cielo, con cento e cento scene di na-
tura composte dalla varia combinazione di tanti ele-
menti , spirano per ogni parte gaiezza e leggiadria.
Che diremo poi degli specchi o vitrei o metallici ,
piani , convessi o concavi , e delle loro naturali o
scherzevoli dipinture ? Che degli anelli colorati, del-
le ombre artificialmente delineate e composte, de'mi-
nimi corpicciuoli ingranditi dal microscopio, per cui
si svela un incognito regno di cose impercettibili ad
occhio nudo ? Ne meno del gaio e del grazioso cam-
peggia nell'ottica il grande ed il sublime. Graziose
insieme e sublimi sono le meteore dell'aurora sì diur-
na e sì boreale e dell' arco baleno. Idee sublimi ri-
svegliano l'ecclissi solari e lunari. A grande sublimi-
tà ti elevano i telescopi collo avvicinare ed ingran-
dire i corpi celesti, e discoprirti stelle divario colo-
re non pria vedute, e le nebulose della via lattea,
ed un'altra via lattea invisibile ad occhio nudo ; in
somma coll'aprirti dinanzi agli occhi l'immenso tea-
tro dell'universo nel modo che meglio ti porta a co-
^6 Scienze
nosóere la sapienza e l'onnipotenza di Dio. Di quan-
ta sublimità non è egli obbietto il sole, quell'amplis-
simo globo di luce e di calore, che spande i torren-
ti del suo fluido per ogni dove , e tutti illumina i
pianeti, e riscalda ed avviva e feconda la terra ? Al
sublime è compagno il mirabile e stupendo. I fe-
nomeni della vista , quelli particolarmente che par-
tecipano della fisica insieme e della metafisica, han-
no sempre fatto maravigliare i filosofi ; le apparenze
della fata morgana e tante altre ottiche illusioni ti
trasportano, per così dire, nel regno degl'incantesimi
e de1 prodigi. Gli effetti delle interferenze , per cui
luce aggiunta a luce genera talvolta oscurità, la stes-
sa decomposizione de' raggi attraverso al prisma , la
loro polarizzazione e le loro chimiche qualità, sono
cose da ingenerare ad un tempo il più soave diletto
e la più profonda ammirazione. Quanto poi non sono
stupendi, oltre ai microscopi e telescopi, tanti altri or»
digni e macchine ottiche, inventati dall'uomo per tanti
usi nelle scienze, nelle arti, ne'comodi e ne'piaceri
della vita ? Quanto non è maravigliosa e sorprenden-
te la recente scoperta fatta dal sommo Daguerre?
Resta dunque dimostrato dal detto fin qui, che
il bello dell'ottica riunisce le due qualità da Plato-
ne enunciate , cioè verità e splendore. Resta dimo-
stralo che questo splendore è di più sorti, principal-
mente grazioso, sublime e mirabile. Dunque non ri-
mane dubbio sulla poesia intrinseca dell'ottica.
Tuttavia credo potersi entrare eziandio più ad-
dentro in questa materia , guardando la poesia non
nel suo obietto, ma nella sua cagione efficiente. Nes-
suno ignora che l'immaginazione è la prima causa
produttrice di qualsivoglia poesia. Quindi sarà giusto
Ottica nelt.a poesia 47
lo argomentare così : Le cose, che piii delle altre col-
piscono la fantasia e vi durano impresse , sono del-
le altre più poetiche ; ma i fenomeni della luce col-
piscono più di ogni altra cosa la fantasia, e vi du-
rano impressi ; dunque essi fenomeni , e perciò an-
che le loro leggi, sono più di tutte cose intrinseca-
mente poetici. Ed invero le idee che noi riceviamo
dai cinque sensi , si differenziano di gran lunga fra
loro rispetto all'immaginazione. Quelle che si acqui-
stano per mezzo del tatto, costituiscono l'infima clas-
se : perocché, cessate le impressioni, ne svaniscono le
immagini, ed altro non resta nell'animo che la me-
moria di averle sentite, l'idea de' loro vocaboli, e la
facoltà di riconoscerle quando si offrono novellamen-
te gli obbietti da cui derivano. Abbiamo tutti le no-
zioni di durezza e mollezza, di levigatezza e scabro-
sità, di caldo e freddo, ed altre di simil fatta : ma
non è mica in nostro potere il riprodurre nell'ani-
ma le analoghe sensazioni a nostro piacimento, sic-
ché ci paia toccare e sentire corpi duri o molli, le-
vigati o scabrosi, caldi o freddi, ove questi non agisca-
no realmente sugli organi. Porrò in una seconda clas-
se, ma molto prossima alla prima, le nozioni acqui-
site pe'sentimenti dell'odorato e del gusto : giacche ci
costa assai fatica, e il più delle volte n'è impossibi-
le, richiamare alla mente le impressioni degli odori
e sapori altre fiale sentiti ; e qualora ne riesca ciò
fare, sono esse confuse , languide e quasi nulle. La
terza classe è delle idee de'suoni. Queste certamente
già differiscono assai dalle precedenti. Imperocché di
leggeri possiamo ritenere e riprodurre in noi stessi
e dai noi stessi, imitandola colla nostra voce od ezian-
dio tacitamente, una cadenza, un'aria, una sinfonia.
48 Scienze
Tuttavolta non è dubbio che coleste immagini acu-
stiche siano vinte lungo tratto dalle immagini otti-
che ; delle quali perciò io formo la quarta classe ,
molto superiore a tutte le altre e per la sua esten-
sione e per la varietà e per la vivezza. Infatti cotali
immagini s'improntano profondamente nell'animo, si
risvegliano con assai prontezza, puranche senza il con-
corso della volontà, siccome ne'sogni e nel delirio ,
e si rappresentano chiare e vivaci, talvolta anche trop-
po. Dunque la fantasia trova un vastissimo campo e
fecondissimo nelle sensazioni ottiche; dunque la poe-
sia del pari. E dove esisterebbe mai vera poesia de-
scrittiva senza le idee dei colori, delle figure e del
moto per la vista impresse nell'animo ? Scegliete pu-
re qualsivoglia produzione poetica, differente, per quan-
to vi aggrada, da quelle didattiche sulla luce : non è
egli vero che tutte le scene, tutti i quadri di che si
compone, ricevono da cotali idee il loro principale
effetto ? Pitture di boschi, di campi, di colli, d'ar-
menti, di fonti, di laghi, di viaggi, di tempeste , di
battaglie , che diverrebbero ove le immagini ottiche
non dessero loro vita, forza e leggiadria ? E certo più
soave al palato il sapoi'e di un pomo squisito , che
non sia gradevole alla vista il suo colore e la sua
forma : pure un poeta si troverebbe perduto ad un
tratto, ove quella qualità e non queste volesse ritrar-
re. Le armi, ond'è vestito un guerriero, si spacciano
con pochi epiteti o con qualche similitudine, quan-
do si parli di loro tempra, durezza e peso^: ma nel
dipingerne la diversa forma e grandezza, lo svariato
colore, il riflesso che operano sui raggi del sole, ed
altre sensazioni di che imprimono la vista, ne sbuc-
cia fuori un' ampia e gradevolissima descrizione. In
Ottica nella poesia 4q
somma avviene in gran parte della poesia ciò che più
estesamente si avvera della pittura, colla quale essa
ha tanta relazione : vale a dire, se le impressioni del
tatto, del gusto, dell'odorato e dell'udito non si pos-
sono dipingere in un quadro, ma le ottiche solamen-
te ; così queste in sommo grado si prestano alla
poesia, senza però escludere all'intutto le altre, mas-
simamente le acustiche. Del che porge anch'esso una
prova manifesta il gran codice dagli antichi poeti, vo-
glio dire la mitologia, la quale personifica e veste di
belle o strane forme corporee tante divinità imma-
ginarie per colpire la fantasia in quel modo che è
proprio delle ottiche impressioni: quindi una messe
copiosissima così alla poesia, come alla pittura ed al-
la scultura. Perciò è forza conchiudere che in qual-
sivoglia poesia, la quale tratti di cose materiali, le
immagini ottiche sono le precipue, e quelle dedotte
dagli altri sensi non sono che secondarie ed acces-
sorie. Dai che qual cosa conseguiti in favore di un
poema che risguardi l'ottica direttamente, ciascuno sei
vede. Nondimeno è d'uopo confessare, che le idee mo-
rali e religiose offrono anch'esse una poesia sublime
e celeste, al tutto diversa dalla materiale, e che non
solo ferisce la fantasia, ma regna sul cuore ; poesia
quindi più nobile e più degna d'esser coltivata. Ciò
non pertanto chi non vede che anche a questa poe-
sia l'ottica somministra grandi soccorsi ? Come si rap-
presenta in modo sensibile la sapienza ? come gli an-
geli ? come lo stesso spirito santifìcatore, e gran par-
te della gloria celeste ? Quante similitudini, metafo-
re ed episodi non si traggono dalla luce nelle opere
filosofiche, morali e religiose, massimamente poetiche ?
Anzi da questo io deduco un' altra prova a confer-
G.A.T.LXXXVII. 4
5o Scienze
mare la poesia intrinseca dell'ottica e la sua utilità.
Siccome discorrendo di religione e di murale serve
la luce ad apprestar similitudini, digressioni ed altri
ornamenti; così, viceversa, in un poema sulla luce si
potranno innestare similitudini , digressioni ed altri
ornamenti religiosi e morali. In tal modo, oltre al di-
lettar l'animo e allo istruir l'intelletto, un'opera di-
dascalica sull'ottica può eziandio insinuare a quando
a quando la virtù e commuovere gli affetti del cuore.
Ma qui parmi udir bisbiglio di taluni, i quali
dicono esser indarno che io prosegua più innanzi nel-
la dimostrazione di una verità, della quale essi veg-
gono abbastanza il fulgore, cioè che l'intrinseca poe-
sia dell'ottica è per se stessa evidente a chiunque sa
d'ottica e di poesia : esser quindi miglior partito che
io prenda a provare la seconda parte del mio assun-
to , quella cioè che riguarda V espressione di questa
poesia; essendo, a loro giudizio , assai malagevole e
pressoché impossibile lo esprimere condegnamente con
chiaro linguaggio poetico le geometriche leggi ed i
moltiplici fenomeni della luce.
Eccomi impertanto a procurare di soddisfarli. Ed
in sulle prime mi fo a distinguere leggi da leggi ,
fenomeni da fenomeni. Perocché si presentano molti
fenomeni di ottica, a dichiarar i quali bastano vivaci
descrizioni ; e queste nessuno dirà troppo difficili al-
la nostra volgar poesia, che ad ogni genere di descri-
zioni si acconcia con tanta proprietà e vaghezza. Al-
tri fenomeni poi richieggono di essere interpretati e
spiegati fino allo scoprimento delle loro cause; e que-
sti parimente ( purché uno si limiti a scoprirne le
cagioni più prossime e meno astruse, ed i loro mo-
di di agire più semplici ) non veggo perchè non ab
Ottica nella poesia 5.i
biano a potersi esprimere in buon verso, stante la co-
pia di nostra lingua, e dappoiché vengono da molti
autori con molta chiarezza ed eleganza espressi in
prosa. Lo stesso direni delle leggi. V'ha leggi nell'ot-
tica riguardanti sì la reflessione, sì la refrazione e sì
tante altre qualità e forze della luce, piene di tanta
semplicità, armonia e lucentezza, che ben lungi dal
rifuggire la favella poetica precisa, chiara, evidente e
sublime, anzi la suggeriscono , ed in certa guisa la
sforzano ad uscir della penna. Né si creda che sif-
fatte leggi al metro inchinevoli sian poche ; sono al
contrario in gran numero : tutto consiste nel ben co-
noscerle, cioè nel formarsene un chiaro e vivo con-
cetto, e con esse famigliarizzare la mente e la lin-
gua. Non è egli vero che spesse fiate il non sapersi
esprimere su di certe cose, o il non saper intendere
certe espressioni, procede, più che d'altronde , dalla
oscurità e confusione delle proprie idee ? Però non
voglio impugnare che nell' ottica non abbiano luogo
fenomeni e leggi inaccessibili al linguaggio poetico.
E come no, se il sono al prosaico ? Perchè sieno di-
chiarati in tutta . la loro profondità ed ampiezza certi
punti, è mestieri di siffatti calcoli algebrici e di cotali
figure e dimostrazioni geometriche, che sarebbe a chia-
marsi veramente stolto, per non dir pazzo in lutto,
chi presumesse di recarli in metro poetico, non pur
elegante ma intelligibile. Nondimeno, tolti via questi
punti più intralciati ed astrusi, tanto pur resta nell'
ottica di possibile e spesso facile a porsi in carmi ,
che, a tutto l'accogliere, se ne comporrebbe un lun-
go e compiuto poema.
La quale agevolezza , di vestire tanta parte di
scienza della luce con forme poetiche , potrei coni-
5a Scienze
provare, se bastasse il tempo, con esempi pressoché
innumerabili tratti da molti poeti e particolarmente
dall'Alighieri. Imperocché, restringendomi solo a que-
st'ultimo, di 600 passi, che ho raccolti dalla divina
commedia tutti relativi a cose di fisica, ne trovo da
4oo, la maggior parte nella cantica del paradiso, spet-
tanti qual più qnal meno all'ottica: e di questi al-
meno la metà belli, vivi e solenni. Io qui, a cagio-
ne di brevità , tralascerò tutti quegli esempi che si
possono dire puramente descrittivi. Tali sono quelli
in cui il divino poeta dipinge in vario modo ora Pom-
bre de'corpi, ora fiamme di diversa forma, luce e mo-
vimento : quando l'aurora, quando il crepuscolo ve-
spertino : spesso il sole o altro lume che non si può
sostenere coll'occhio: spesso i fioretti del prato o le
stelle del cielo: talvolta gli aloni, i pareli e l'iride:
talvolta più iridi parallele, o fiaccole simmetricamen-
te disposte che formano svariate figure , e muovono
di luogo e danzano e rendono soave armonia : in un
canto gli atomi che svolazzano per mezzo a'vivi rag-
gi solari introdotti nella camera oscura, in un altro
fulmini o fuochi fatui che strisciano per 1' aere e si
dileguano rapidamente. Queste adunque e cento altre
simili dipinture intralasciando , mi limiterò a pochi
esempi, come a quelli che più tengono dello scien-
tifico. Pertanto addurrò dapprima alcuni passi che ri
guardano la facoltà e l'azione del vedere. Nel canto
Vili dell'inferno così Dante esprime 1' impedimento
che pone alla vista l'aria nera e la nebbia :
Attento si fermò com'uom che ascolta :
Che l'occhio noi potea menare a lunga
Per l'aer nero e per la nebbia folta.
Otttca netxa poesia 5>3
Nel canto XXXI descrive lo stesso difetto di vedu-
ta per tenebre e lontananza :
Ed egli a me : Però che tu trascorri
Per le tenèbre troppo dalla lungi,
Avvien che poi nel maginare abborri.
Tu vedrai ben, se tu là ti congiuugi,
Quanto il senso s'inganna di lontano :
Però alquanto più te stesso pungi.
All'incontro poco dopo nel medesimo canto dice co-
me l'occhio raffigura gli obietti al dissiparsi della neb-
bia, oppure al loro avvicinarsi :
Come quando la nebbia si dissipa,
Lo sguardo a poco a poco raffigura
Ciò che cela il vapor che l'aere stipa :
Cosi forando l'aura grossa e scura,
Più e più appressando in ver la sponda,
Fuggimmi errore e crescemmi paura.
Ecco ora tre dei molti modi, in cui esprime la visio-
ne momentaneamente smarrita per effetto di soverchio
splendore. Il primo è nel canto XXV del paradiso :
Qual è colui che adocchia e s'argomenta
Di vedere ecclissar lo sole un poco,
E per veder non vedente diventa ;
Tal mi fec'io a quell'ultimo fuoco.
Il secondo sta nel canto XXVIII :
Un punto vidi che raggiava lume
Acuto sì, che 'l viso ch'egli affuoca
Chiuder conviensi per lo forte acume.
54 Scienze
Il terzo lo porge il canto XXX :
Come subito lampo che discetti
Gli spiriti visivi, sì che priva
Dell'atto l'occhio di più forti obietti ;
Così mi circonfulse luce viva,
E lasciommi fasciato di tal velo
Del suo splendor, che nulla m'appariva.
Dal canto poi XXVI di esso paradiso traggo un e-
sempio di risvegliamento dal sonno per lume acuto,
e di seguente incertezza nel vedere :
E come al lume acuto si disonna
Per lo spirto visivo che ricorre
Allo splendor che va di gonna in gonna ;
E lo svegliato quel che vede abborre,
Sì nescia è la sua subita vigilia,
Fin che la stimativa noi soccorre :
Così degli occhi miei ogni quisquilia
Fugò Beatrice col raggio de'suoi,
Che rifulgeva più di mille milia.
Vogliamo inoltre una pennellata, che ritrae quella il-
lusione ottica sì frequente, la quale consiste nell' ap-
parir mosso un corpo fermo, quando è un altro che
ad esso realmente si avvicina o se ne allontana ? Ce
l'offre il canto XXXI dell'inferno nella torre inchi-
nata di Bologna •
Qual pare a riguardar la Carisenda
Sotto il chinato, quando un nuvol vada
Sovr'essa sì ch'ella in contrario penda;
Tal parve Anteo a me che stava a bada ec.
Ottica nella poesia 55
Ma è tempo di passare a qualche tratto riguardante
la riflessione. Quelli che reco, senza però chiosarli ,
ond'esser più breve, sono ricavati i.° dal canto XV
del purgatorio :
Come quando dall'acqua e dallo specchio
Salta lo raggio all'opposi ta parte,
Salendo su per lo modo parecchio
A quel che scende, e tanto si diparte
Dal cader della pietra in egual tratta,
Sì come mostra esperienza ed arte ;
Così mi parve da luce rifratta (i)
Ivi dinanzi a me esser percosso,
Perchè a fuggir la mia vista fu ratta.
a.° Dal canto XXV dello stesso purgatorio :
E se pensassi come al vostro guizzo
Guizza dentro allo specchio vostra image ec.
3.° Dal canto I del paradiso :
E sì come secondo raggio suole
Uscir del primo e risalire in suso,
Pur come peregrin che tornar vuole ;
Così dall'atto suo per gli occhi infuso ec.
4-° Dal canto II :
E indi l'altrui raggio si rifonde
Così come color torna per vetro ,
Lo qual diretro a sé piombo nasconde.
(1) Qui ri fratta sta per riflessa.
56 Scienze
f>.° Da esso canto II :
Tre specchi prenderai, e due rimuovi
Da te d'un modo, e l'altro più rimosso
Tr'ambo li primi gli occhi tuoi ritrovi.
Rivolto ad essi fa che dopo il dosso
Ti stea un lume che i tre specchi accenda,
E torni a te da tutti ripercosso :
Benché nel quanto tanto non si stenda
La vista più lontana, lì vedrai
Come convien ch'egualmente risplenda.
Omettendo altri luoghi di questa spezie , riportiamo
pure alcun che intorno alla refrazione dal canto
XXXIV dell'inferno, dal II, XXIX e XXXI del pa-
radiso : i.° esempio :
Già era ( e con paura il metto in metro )
Là dove l'ombre tutte eran coperte,
E trasparean come festuca in vetro.
2.° esempio :
Per entro sé l'eterna margherita
Ne ricevette, come acqua recepe
Raggio di luce, permanendo unita.
3.° esempio :
E come in vetro, in ambra ed in cristallo
Raggio ri splende sì che dal venire
All'esser tutto non è intervallo ;
Così '1 triforme effetto del suo sire ec.
4-° Esempio :
Ottica nella poesia 5 7
Né lo interporsi tra '1 di sopra e '1 fiore
Di tanta plenitudine volante
Impediva la vista e lo splendore ;
Che la luce divina è penetrante
Per l'universo, secondo eh' è degno,
Sì che nulla le puote essere ostante.
Terminerò con un passo del canto III del paradiso,
che abbraccia insieme la reflessione e la rifrazione
della luce in vetro od acqua :
Quali per vetri trasparenti e tersi,
Ovver per acque nitide e tranquille ,
Non sì profonde che i fondi sien persi,
Tornan de'nostri visi le postille
Debili sì, che perla in bianca fronte
Non vien men tosto alle nostre pupille ;
Tali vid'io più facce a parlar pronte ;
Perch'io dentro all'error contrario corsi
A quel che accese amor tra l'uomo e '1 fonte.
Dagli addotti esempi, i quali, ripeto, son pochi
verso i molti che offre la divina commedia, abbastan-
za si rileva che il favellare in metro e linguaggio poe-
tico della luce, delle sue leggi e de'suoi effetti non
è poi fatica insuperabile e disperata. Che se deve a-
scri versi meritamente alla superiorità dell'ingegno ma-
raviglioso di Dante lo aver saputo dire con tanta mae-
stria tante cose nuove ed astruse e ad altri inaccessi-
bili ; potrà valere per compenso ad un ingegno quan-
tunque inferiore la maggior ricchezza presente di no-
stra lingua, la scienza dell'ottica a'nostri giorni così
estesa e completa e trattata da molti autori con assai
58 Scienze
chiarezza ed eleganza , alcuni parziali trattati poe-
tici o quasi poetici che di già esistono intorno ad ar-
gomenti ottici, e finalmente l'imitazione dello stesso
Alighieri.
Contuttociò non è mio avviso che possa uscir
della penna eziandio più magistrale un vero poema
sull'ottica, da leggersi e comprendersi alla prima let-
tura da ogni genere di persone. Questo sarebbe un
esiger soverchio; e quelli, cui ciò cadesse in mente,
prendano di grazia in mano l'ottica, non dico di un
Newton, di un Herscell, di un Canovai, dove quasi
tutto è calcolo e geometrìa, ma sì quella del Poli o
dell'Haiiy, ove i calcoli s'incontrano pochi e facili ,
anzi quella stessa delPAlgarotti scritta in elegante e
nitida prosa italiana e scritta per le dame; e pur ve-
dranno quanti intoppi ed intralci converrà superare
non senza fatica. Qual maraviglia dunque se un'ot-
tica messa in versi avrà mestieri a quando a quando
di qualche studio per essere ben compresa in tutte le
sue parti ?
Se non che io vorrei qui domandare a qual fi-
ne si compongono poemi didascalici. Forse per am-
maestrare gl'ignoranti del tutto in quell'arte o scien-
za, e dar loro, a mo'di dh*e, un corso di lezioni ex
cathedra ? Chi fosse di questo avviso errerebbe lungi
dal vero. Perciocché a tal uopo si richieggono trat-
tati filosofici, che abbraccino tutte le nozioni anche
più elementari e disposte in ordine precisamente lo-
gico ; al che sarebbe certo ridicola e pazza impresa
voler torcere la poesia. Si scrivono piuttosto i poe-
mi didattici colla mira di rinfrescar la memoria a quel-
li che già d'altronde studiarono le materie, e farli su
queste a quando a quando ritornare coll'allettamen-
to della poesia, e far loro impiegare non senza uti-
Ottica nella poesia 59
lira que'momenti d'ozio, i quali indarno si tentereb-
be di occupare su libri puramente scientifici. Imper-
tanto coloro, alla cui lettura precipuamente sono de-
stinati siffatti poemi , non incespicberanno ad ogni
passo nelle picciole difficoltà che abbiano a trovare
in leggendo, come addiviene a chi è del tutto igna-
ro delle cose trattate: il quale forse accusa i libri che
legge dell' oscurità e confusione propria soltanto del
suo cervello.
Ma si conceda pure che, trattando certi argomen-
ti, siano inevitabili passi intralciati e spinosi a leggi-
tori puranche versati in quelle dottrine. Non si può
forse sopperire alla necessaria difficoltà del testo con
opportune annotazioni ? Si niegherà forse alla poesia
didascalica quel soccorso, il quale richiede ben anche
ed ottiene la lirica e 1' epopèa ? Che se la Natura
delle cose di Lucrezio, la Grorgica di Virgilio, la
Filosofia dello Stay, VEcclisi del Boscovick e tante al-
tre opere didattiche senza illustrazioni e commenti
non sarebbono in molli passi intese che da pochi di
già sapienti in quelle materie, e pur con disagio; con
più ragione cotale aiuto dovrà concedersi ad un po^-
ma sull'ottica, come a quello che più tiene per sua
natura dello scientifico e del nuovo.
Le cose da me finora discorse, illustri soci, udi-
tori ornatissimi, sono le principali che divisava sot-
tomettere al vostro savio giudizio intorno all' ottica
considerata come soggetto di poesia. i.° Poesia intrin-
seca dell' ottica , riposta segnatamente nel suo vero
splendido , e nella sua efficacia sull' immaginazione.
2.° Espressione poetica applicabile a cotal poesia in-
trinseca, mediante la chiara e precisa cognizione delle
precipue leggi e fenomeni ottici , le opere in prosa
degli autori che ne trattarono, e soprattutto l'imita-
60 Scienze
zione di Dante. Quindi se i canti già da me pub-
blicati, e quelli che la Dio mercè spero di poter pub-
blicare in progresso di tempo su tale soggetto, si pre-
sentano agli ocelli de'leggitori con pecche e mancan-
ze non poche né leggiere , la colpa si è tutta dell'
autore e non dell' argomento. Frattanto però mi si
consenta di avvertire, che ai canti finora stampati nel-
V Album ho fatto subire parecchie mutazioni , come
suol intervenire ai lavori letterari di prima fattura ,
in seguito di nuove riflessioni o fatte da se stesso o
suggerite da dotti amici ed imparziali ; che tra essi
canti ne ho inserito alcun altro del tutto nuovo ed
inedito ; e che quando rivedranno la luce raccolti in.
sieme in un certo numero, saranno soccorsi di anno-
tazioni dirette a rischiarare i passi più astrusi , op-
pur quelli spettanti a novelle scoperte che si vadano
facendo nella scienza, o eziandio a qualche mia par-
ticolar opinione ed esperienza su di alcuni fenomeni.
Tutta l'opera poi, ove il cielo mi dia di portarla a
compimento, conterrà per lo meno una trentina di
canti. Finalmente dichiaro che in luogo del verso
sciolto , il quale suol giudicarsi più acconcio a sif-
fatto genere di componimenti, e che mi sarebbe per
avventura costato minor fatica , ho stimato bene di
scegliere la terzina : primieramente perchè alla più
bella parte, e direi quasi alla Venere delia fisica, mi
parea convenire l'ornamento della rima; in secondo
luogo per seguire più d'appresso le orme dell'Alighie-
ri, accompagnandomi con esso a cantare, per quanto
è da me, in uno stesso metro, come
La gloria di colui che tutto muove,
Per l'universo penetra e risplende
In una parte più e meno altrove.
Discorso accademico intorno ai principali pro-
gressi della geologia , ed allo stato presente
di questa scienza: recitato nella sala dell'ac-
cademia pontaniana da Leopoldo Pilla. Na-
poli, tipografia jlautina 1840, in 8.° difac. 35.
G,
Tli antichi poco o nulla sapevano di geologia, es-
sendo guidati piuttosto che dalle osservazioni, dalla
fantasia. Disputandosi nel i5iy intorno agli avanzi
organici sepolti negli strati terrestri , Fracastoro ne
dichiarava la loro vera natura, notando che non tutti
erano stati depositati nel medesimo tempo. Nel 1669
lo Stenone pel primo seppe distinguere la successio-
ne degli strati, e la loro età relativa. Vallisnieri, stu-
diando i corpi marini che sono sui monti, dichiara-
va la costituzione fisica dell' Italia settentrionale. Il
botanico Micheli, scorrendo le maremme ed i monti
senesi e quelli della campagna di Roma, indagava la
natura de'vulcani. Sulle orme di questi due cammi-
nando Arduino, partì i terreni in primari, secondari,
terziari o colli, ed in vulcanici: ed espose alcuni pen-
sieri sulla teorica della dolomizzazione (1), e su di
altre scoperte interessanti , in maniera che a lui si
debbono in gran parte gli avanzamenti di tale scien-
za. Ma tali scoperte furono dimenticate, come quelle
di Fuchsel.
(1) Così dice Boue, Guide de geologue voyageur. Paris i836,
tomo 1, cap. 7.
6a Scienze
Giva allargandosi in Europa tale scienza, ed i
viaggi famosi eli Pallas arrecarono grandi lumi. Saus-
surre strinse in legame la geologia con la fisica. Laz-
zaro Spallanzani, l'abate Fortis, Dolomieu, Faujas ed
altri illustrarono la scienza de'vulcani.
Werner con sommo accorgimento ordinò le mas-
se minerali secondo il posto che occupano nel globo,
portando la geologia al grado di scienza, e fondando
una scuola celeberrima, i cui allievi si sparsero per
ogni dove. Quest' uomo solo forma il terzo periodo.
Die egli molto potere all'acqua nella formazione dei
minerali, e pose così esca a grandi quistioni, che arre-
starono i progressi della scienza.
Un italiano fu il primo ad inalberare il Vessil-
lo della riforma, Breislak, pubblicando i suoi « Viag-
gi fisici e litologici nella Campania. » Quest' opera è
piena di osservazioni giudiziose e nuove sopra la for-
za del fuoco nel produrre sostanze minerali. Hutton
in Scozia contemporaneamente faceva conoscere i ma-
ravigliosi fatti di giacitura de'filoni granitici, e soste-
neva la loro uscita di basso in alto e l'origine vul-
canica. Humboldt e Du Buch si recarono in Italia a
studiare i terreni vulcanici, comparandoli con quelli
della Germania. Il primo visitò quindi in America i
giganteschi vulcani delle Cordelliere, e coi fatti rac-
colti dal Marzari-Pancati, dal Breislak e da altri si
stabili la origine ignea dei terreni cristallini.
Sotto un aspetto tutto novello eran tolti ad esa-
me i sedimenti marini, cioè studiando i corpi orga-
nici che vi sono sepolti. Si segnalarono in ciò Fra-
castoro, Fabio Colonna, Stenone, Scilla, Vallisnieri,
Arduino, Allioni, Brocchi, Cortesi con altri in Ita-
lia: come fra gli stranieri Schlotteim, Cuvier, Blumem-
bach, Smith, Brogniart, Buckland, Conybeare ec.
Progressi della geologia 63
Se prima le grandi formazioni geologiche erano
dedotte dallo studio dei terreni della Germania, e di
pochi altri luoghi di Europa , ora lo sono da quasi
tutto il globo.
La storia della geologia si può dividere in due
grandi periodi : il primo comincia nel secolo XVI, ed
ha termine verso la metà del secolo passato: l'altro
trae origine da questo punto e giunge a' dì nostri.
Il primo fecondo di poche utili verità e di molti va-
neggiamenti ed errori: il secondo, molto più breve, ter-
rà un seggio luminoso nella storia di questa scienza:
1' uno in gran parte italiano in ciò che vi ebbe di
buono, l'altro di tutta Europa.
Molti sono i geologi viventi. Nomineremo i prin-
cipali fra gl'italiani, cioè Sismonda, La Marmora, Da
Rio, Pareto, Catullo, Pasini, Savi , Guidoni, Nesti,
Repetti, Maravigna, Gemellaro e più altri. Parla in
fine l'A. dei grandi fenomeni geologici, e dell'utilità
della geologia.
Interessantissima e molto dotta è la memoria del
eh. sig. Pilla, di cui abbiamo dato un breve cenno.
Trattò egli un simile argomento nel Progresso , ope-
ra periodica di Napoli, limitandolo all'Italia : ma il
fece molto più estesamente. L' A. ha pubblicato la
prima parte de'suoi studi di geologia : Trattato mi-
neralogico delle rocce. Napoli 1840, all'insegna di
Aldo Manuzio, in 8.°
Enrico Castreca Brunetti.
61
Filosofia della morale, delV abate Antonio Rosmi-
ni Serbati roveretano. (È il voi. XI I delle ope-
re di lui.) Milano tip. e libr. Pogliani 1837
in 8.°
i. 1 on è nuova in Italia quest'opera morale; giacché
apparve la prima volta in Milano nel i83i nelle
nozze Castelbarco-Litla: avendo ben pensato l'autore,
che niuna gioia meglio si addica al monile dell'imeneo,
quanto i documenti della morale, che è la scienza della
vita e dei doveri. In questa seconda edizione trovasi
l'opera accresciuta non poco: e tra l'altre cose ti por-
ge una prefazione, che è come il germe del sistema,
che l'autore ha scelto nelle morali discipline. Dalla
prefazione adunque noi toglieremo ciò che basta ai savi
lettori per formare una qualche idea dell' opera : e
dobbiamo restarci contenti a ciò, quando la brevità pre-
scritta al giornale impone a chi scrive per esso ter-
mini i più angusti, e a noi conviene più accennare che
dimostrare.
L'intento dell'autore nella introduzione si è di toc-
care, i.° l'indole delle morali discipline, 2.0 la sfera
entro cui si racchiudono, 3.° la loro naturale parti-
zione.
I. Poiché l'uomo è un essere conoscitivo ed at-
tivo, la vita umana altra è teoretica, altra pratica.
Ma la filosofia non è azione; bensì è tutta contem-
plazione. Se non che avendo pure per oggetto l'azio-
ne, cioè la pratica, fu detta allora filosofia della pra-
Filosofia della morale 65
tica, e dovea dirsi teoria della pratica. Posto ciò, pa-
re all'autore di dividere la filosofia in due teorie: l'ima
a mostrare come stanno gli esseri e come operano, l'al-
tra ad ammaestrarci come noi stessi dobbiamo ope-
rare.
Ponno considerarsi le cose, oggetto del pensie-
ro, o come sono semplicemente, o come debbono es-
sere. E quanto alla morale, questo secondo riguardo
fa che si limiti a determinare, come esser debbano le
azioni umane: dal buon moderamento delle quali vie-
ne a noi la nostra perfezione (i). Giova adunque
raccogliere in uno speciale trattato quanto riguarda la
regola delle azioni, di cui l'uomo è autore e signo-
re; acciocché egli possa valersi di questo quasi codi-
ce a regolare i suoi passi nel cammino della vita.
La scienza morale non è adunque soltanto teo-
ria della pratica: dessa è ordinata ben anco alla pra-
tica. E siccome di ogni arte può darsi la teoria; que-
ste teorie convengono tutte alla morale dottrina, in
quanto sono teoria della pratica, ed ordinate alla
pratica umana dove trattasi di arti umane ; mentre
tutte le arti (definita Varie un abito di operare se-
condo certe norme ad un fine) sono esercitate dall'
uomo, e per ciò sono in potere dell'uomo. Ma fra la
morale e le arti p. es. del pittore, dello scultore, e le
figurative in generale, vi ha differenza; imperocché i.°
la morale rende buone le azioni umane; le altre ar-
ti non fanno che renderle atte ad ottenere qualche
effetto esterno, a produrre qualche cosa di diverso dall'
uomo, come una statua, una macchina, una manifat-
(1) Noi diremmo qui perfezionamento. D. V-
G.A.T.LXXXVII. 5
66 Scienze
tura; 2.0 la morale abborrisce le azioni in quanto so-
no umane (bontà d'intenzione); le altre arti abboni-
scono le azioni solo riguardo all'effetto cbe produco-
no, e all'industria del produrlo; non già riguardo all'
intenzione finale, colla quale si produce; 3.° la bon-
tà morale si stende per ciò a tutte le umane azioni, e
in tutte è essenzialmente la stessa: all'incontro la bon-
tà relativa delle azioni artistiche stendesi unicamen-
te a'singolari complessi d'azioni, che formano le arti
diverse: e in ciascuna arte la bontà (0 meglio Vat-
titudine delle azioni) è diversa secondo l'oggetto dell'
arte.
II. Ecco apparire l'indole nativa delle scienze mo-
rali, e cominciarsi a disegnare ben anco il loro quar
si perimetro. Sappia pur l'uomo infinite cose; ma a
che? se quella infinità di cognizioni non giova ad ab-
bonirlo. Abbia virtù di contemplare; contemplare è pri-i
ino passo ad agire (1); ma che? non contemplando
soltanto, l'uomo si migliora : il migliorarsi consegue
al modo di operare volontario e l'uomo, la persona
umana compiesi nella volontà; in guisa che la bontà
di questa è la bontà di quella. Doyeasi dunque distin-
guere dalle scienze ed arti, che rimotamente e acciden-
talmente giovano a perfezionar l'uomo, la scienza unica
e nobilissima, che segna le norme dell'operare volon-
tario, giusta le quali operando, la volontà si fa buo-
na e perfetta, e buono e perfetto pur si fa l'uomo.
Ma meglio e più precisamente notiamo il peri-
metro della morale. Vuoisi distinguere la dottrina del-
(i) Non pare al tutto esatta l'espressione; perocché dell' at-
tività dell'animo parlando, il contemplare è agire, non primo
passo ad agire. D. V.
Filosofia della morale 67
la perfezione umana dalla dottrina della morale.
La perfezione umana vien dietro alla morale, che è da
se piena di autorità e di potenza: e non riceve in pre-
stanza, ma dà ella sola splendore alla perfezione uma-
na. Quindi due scienze affini , ma al tutto distinte
nella loro natura, V etica e la scienza della perfe-
zione umana. Quest'ultima può quasi confondersi col-
V eudemonologia (scienza della felicità); giacche per
l'autore uomo felice e uomo perfetto sono modi, che
analizzati riescono per poco al medesimo.
La perfezione umana altra è àe\Y individuo, al-
tra della società. E può cercarsi, 1.° il concetto o
natura, 2.0 i mezzi di conseguire l'una e l'altra, e i
gradi onde l'uomo le si appressa e la tocca. Le qua-
li ricerche fanno luogo (oltre 1' etica , che pone la
causa della perfezione umana) alle seguenti scien-
ze (1):
a. Teletica, della perfezione umana,
Eudemonologia, della felicità umana:
ed espongono il concetto, l'essenza dell' umana per-
fezione e felicità, che hanno sede negl'individui.
b. ascetica, de'mezzi con cui V individuo può av-
vicinarsi ed educarsi alla virtù e perfezione.
e. Pedagogica , de'mezzi o arte di avvicinare o
educare alla perfezione gli altri uomini individui.
d. Jconomia, del governo della famiglia od arte di
governare la famiglia in modo da condurre o avvi-
cinare gì' individui di lei all'umana perfezione e fe-
licità coi soli mezzi dati alla società domestica, e coli'
uso del potere proprio del governo familiare.
(1) Diremmo più volontieri rami di scienze. D. V-
68 Scienze
e. Politica, del governo degli stati, o arte di go-
vernare la società civile in guisa di condurre o av-
vicinare $ individui di lei all'umana perfezione e fe-
licità, coi mezzi dati all'assodamento civile , e coli'
uso del potere proprio dal governo civile.
Tre adunque sono le arti di promuovere in aZ-
tri l'umana perfezione, secondo che ^'individui sono
od isolatamente presi, od uniti in società familiare,
od in civile consorzio. Egli è il vero, che la società sì
domestica e sì politica nulla sarebbero, o sarebbe-
ro indarno, se non fossero quasi due metodi di mi-
glioramento progressivo a prò de'membri che la com-
pongono rispettivamente.
Scienze affini all'etica, ma che non sono l'etica
propriamente detta. Dessa sola sta da se altissima so-
pra tutte, ed assoluta , non guarda 1' uomo ne altra
limitata natura; guarda bensì le verità eterne, impas-
sibili, che esigono riverenza e ubbidienza incondizio-
nata, senza bisogno di altra ragione estranea; ma per
una ragione semplice, irrepugnabile, evidente, che lu-
ce in esse, e non ammette eccezione, ignoranza, con-
traddizione, né lotta di sorte alcuna.
E qui nota l'autore, come fin qui l'etica si con-
fuse coll'eudemonologia: ed anzi nel regno del sen-
sismo si prese questa per quella: e il trono della mo-
rale fu rovesciato e assisa sulle ruine dominò una lar-
va di felicità. Non è di questo luogo il tener dietro
a tutti i passi del saggio autore: ne manca il tempo,
quando altro pure non ci mancasse.
III. E veniamo a toccare della naturale partizio-
ne della morale, secondo l'autore. Egli definiva l'eti-
ca: « La scienza che ordinatamente raccoglie le norme,
alle quali debbono aggiustarsi le azioni umane, e di-
Filosofia della morale 69
scorre la relazione che queste hanno a quelle nor-
me. » Ora nota, che le azioni potendosi considerare
realizzate, individualizzate, o classificate, deono esser-
vi, i.° delle norme generiche, le quali presiedano ai
generi delle azioni, 2.0 delle norme specifiche, le qua-
li presiedano alle specie delle azioni, 3.» un dettame
ultimo e particolare che proibisca o permetta nel fat-
to stesso l'azione particolare. L'etica dunque è a gui-
sa di un codice , il quale annunzi diversi ordini di
legge gradatamente più e meno generali; talché dalla
gerarchia delle estesissime discendendo ad ordini di
leggi più ristretti (cioè che si stendano a complessi
minori di azioni) venga da ultimo a prescrivere la con-
dotta da tenersi ne'casi particolari. E tutte codeste nor-
me essendo morali, deono avere di comune questo, che
tendono a indicare e precisare ciò che nelle azioni è
bene morale. Tutta l'etica può in un motto racco-
gliersi: Opera il berte morale, e fuggi il male mo-
rale. Imperocché essa colle sue forinole, colle sue leg-
gi quante mai sono, altro non vuole se non prescri-
vere ciò che è bene morale , e vietare il contrario.
Quindi la necessità di un principio universale, da cui
si deducono quelle forinole, applicazioni e corollari di
quel principio. Se io dico p. es. Non nuocere al tuo
simile, io dico un corollario, una applicazione della
norma universale: Fuggi quello che è mal morale. La
quale norma ha in se la ragione altresì de'suoi corol-
lari, delle sue applicazioni; imperocché nel caso pro-
posto, se mi si chiede perchè io non abbia a nuoce-
re al mio simile, io non ho altra risposta che questa:
Perchè è mal morale. Ma qui si scorge che la ra-
gione dell'ultima e universal legge sta nel dichiarare
Vessenza della moralità (natura del bene e del mal
jo Scienze
morale): conosciuta la quale, sentesi la forza di ob-
bligare, clic ba la morale legislazione, appunto perchè
la morale intende solo a indicare il bene morale, pei:
se evidentemente autorevole.
L'etica adunque vuol cominciare di necessità dal
chiari* l'essenza della moralità, per poterne dedurre
le leggi o norme morali, e fornirle di lume e di for-
za, che sono dall'intendere la preesistenza della evi-
dente autorità e necessità del bene , die tendono a
prescrivere alle umane operazioni. L'essenza poi della
moralità contemplata riflessamente dall'uomo, e netta-
mente pronunciata, è ciò che dicesi il principio del"
la morale.
Indi la divisione della morale in pura ed ap-^
plicata. Quella tratta del principio morale , e delle
condizioni di applicarlo; questa applica il principio ai
vari complessi di azioni umane, e ne trae le norme
morali compartite nelle varie loro più o meno am-
pie categorie.
La pura ha tre parti: ricercando, 1.° il principio
della morale, sede dell'obbligazione e generalmente del-
le leggi: 2.° la condizione del soggetto, a cui il prin-
cipio dee applicarsi: 3.° il modo di applicarlo. Ecco,
1.° la nomologia pura, 2.° Vantropologia morale,
3." la logica morale. La i.a intende a stabilire la
legge madre, che vuole essere applicata nìVuomo, cui
la morale è indiritta: la 2.a ci mostra 1' uomo qual
subbietto dell'obbligazione, del merito del bene e mal
morale: la 3.a prende dalle precedenti il principio
da applicarsi, ed il soggetto a cui applicarlo; ed of-
fre canoni o regole a dirigere la nostra ragione in co-
siffatta applicazione.
Quanto alla morale applicata , essa deduce ed
Filosofia della morale 71
ordina le leggi morali, che ponno considerarsi in so
stesse o nel soggetto che le eseguisce o trascura.
Riassumendo, la partizione dell'etica a pochi e
grandi tratti, secondo l'autore, è la seguente.
I.
ETICA PURA
Parte i.a Nomologia pura, della legge supre-
ma o principio della morale.
2.a Antropologia morale, dell'uomo morale nell'
ordine della natura.
3.a Logica morale, della maniera di applicare
senza pericolo di errore il principio morale al sog-
getto morale , e di dedurne le leggi e forinole in-
feriori.
II.
ETICA APPLICATA
Parte I. Delle leggi o formolo morali considera-
te in se stesse.
Sez. i.a Formole riguardanti l'essere inlelligen-
te supremo, doveri verso Dio.
Sez. 2.a Formole riguardanti l'essere intelligente
umano, doveri verso l'uomo.
Gap. 1.° Doveri verso la natura umana in ge-
nerale.
2 . . . . verso la natura umana per ispeciali
rapporti.
a . . . . nascenti dal rapporto dell'uomo con se
stesso, doveri verso se stesso.
72 Scienze
b . . . . nascenti dai rapporti di famiglia.
e . . . . nascenti dai rapporti di società politica.
d . . . . nascenti dai rapporti di società mora-
le, o religiosa.
e . . . . nascenti dai contratti o patti specia-
li ec.
Parte II. Delle leggi o formole morali conside-
rate nel soggetto che le eseguisce.
Sez. i.a Del principio attivo che eseguisce le
formole morali.
Cap. i.° Atti morali (natura dell'atto morale,
imputazione del merito ec).
Cap, 2.0 Abiti morali (virtù e vizi).
Sez. 2.a De' mezzi che aiutano il soggetto ad
eseguire le leggi.
Sez. 3.a Dell'effetto, che l'esecuzione o non ese-
cuzione delle leggi morali reca nel soggetto morale
(relazione fra virtù e felicità).
Chi non può ai lontani mostrare la basilica di
s. Pietro, miracolo delle arti, o quella risorgente di
s. Paolo fuor delle mura, che fa? Offre la pianta, il
disegno, e lo spaccato se vuoi, dell'una e dell'altra. Chi
ha non solo occhi, ma ingegno ed imaginazione, può
farsi una qualche idea di que'grandiosi edifizi : così
noi, a dare qualche idea a'savi nostri lettori dell'ope-
ra morale del eh. Rosmini, abbiamo dato non più che
uno schizzo. Voglia il cielo, che come s'invogliano i
lontani, dopo osservato il disegno, di venire a vede-
re co'propri occhi le basiliche de' celebrati apostoli:
così svegliati spiriti del bel paese s' invoglino di ri-
correre essi stessi tutta l'opera del Rosmini ! Il quale
se troppo forse parrà che conceda alla sua teoria
dell'ente, mostra sempre intelletto da volar come aqui-
Ricerche fisiologiche sul fegato ^3
la, e cuor buono: due cose rare a trovarsi, più rare
a trovarsi insieme, rarissime in questo secolo che van-
tasi di progresso.
D. Vaccolini.
Continuazione della rivista di articoli medici ec.
del doti. Giuseppe Tortelli.
Proseguimento della dissertazione del sig. doti.
Paolini: Ricerche fisiologiche sul fegato ec. ( V.
pag. 58, tomo LXXXI. )
K
ella parte prima si tiene discorso delle Diverse
opinioni degli autori intorno le funzioni del fe-
gato. Svariati pensamenti si emisero su tal proposi-
to da tanti sagaci indagatori della natura, che ne for-
marono subietto di ricerche, di meditazioni, di con-
troversie. I seguaci della patologia umorale, avendo in
venerazione le autorità d'Ippocrate, di Platone, di Ari-
stotele e di Galeno, vollero trovare nella bile gialla
la sorgente, e perciò la spiegazione di singolarissimi
effetti: cosicché nella soperchianza o nella degenera-
zione di quel fluido riposero la cagione fondamenta-
le e potissima di una famiglia quasi infinita di mor»
bi sì acuti ed infiammatori, e sì anche di croniche in-
fermità, come podagra, calcoli e depravazione del san-
y4 S C I E N Z E
gue. L' uffìzio però di secernersi nell' epate 1' umor
biliare non appagò la mente di alcuni, attesa la mo-
le di quel viscere , e la complicata sua struttura ;
Venne perciò il fegato elevato al grado di compiere
funzioni di assai maggior importanza alla vita. L'ope-
ra gli si attribuì nelle manifestazioni che apparten-
gono all'anima , e come sede si contemplò di certe
passioni, di determinate tendenze. Platone vi collocò
tutti gl'istinti animali: Galeno la sede dell'amore :
Areteo ed altri la facoltà appetitiva. I medici greci
ed arabi lo riguardarono come l'organo principale per
la preparazione del sangue; su tale avviso fermaronsi
Vesalio, Silvio, Colombo, Eustachio, Falloppio, Har-
veio: ed a fronte di gravi insorte opposizioni, salda si
mantenne tale ipotesi lino ai tempi del Malpighi.
Ne men discrepanti e moltiplici furono i pareri
e le dottrine professate dai moderni fisiologi intorno
l'uso della bile. Philipps4 Elliotson, Smith, Kiernan
ed altri gli negarono parte alcuna nella chilificazio-
ne: e reputandola come un escremento separato dal
chilo, allorché per 1' azione del fegato sì supponeva
trasmutato in sangue , la vogliono di natura escre-
mentizia al pari dell'orina. Altri considerandola sem-
pre come un umore escretorio, avvisano che la bile
tutt'al più contribuisca in quella funzione come po-
tenza eccitante , risvegliando cioè le contrazioni de-
gl' intestini. La giudicarono altri recrementizia: per-
chè mescolandosi col chimo unitamente all' umor
pancreatico, opera chimicamente nella chilificazione;
e la sospensione di questa funzione sotto la deficien-
za della bile astrinse a professare una tal dottrina, la
quale dopo Haller fu abbracciata da vari recenti scrit-
tori, come Magendie , Richerand , Brodie , Adelon ,
Ricerche fisiologiche sul fegato ^5
Scimi tz ed altri. Venne finalmente reputata la bile da
Tiedemann e Gmelin , De Renzi , Dujardiri e Ver-
ger in parte recrementizia ed in parte escrementizia:
giacche, a sentenza loro, alcuni de'materiali che la com-
pongono concorrono alla formazione del chilo, ed al-
tri vengono insieme colle fecce cacciati fuori del corpo.
L'origine della bile fu eziandio il subietto del-
le più fervide disputazioni , dopo che pei progressi
delle scienze anatomiche si conobbe il concorso al
fegato di due sistemi vascolari sanguigni, e perciò di
dua specie di sangue, quello cioè dell'arteria epatica
e quello della vena porta. Si agitò pertanto questio-
ne, se il sangue del primo o del secondo sistema som-
ministrasse i materiali della secrezione, o se vi con-
tribuissero entrambi. Con una somma di prove ana-
tomiche, fisiologiche e chimiche giudicarono recente-
mente Simon di Metz e Kiernan , col Malpighi ,
Haller e Valsalva, esser la bile un prodotto del san-
gue della vena porta. A stabilire cotale asserzione si
produssero dal Malpighi belle ed accurate investiga-
zioni sulla struttura del fegato eseguite: le quali po-
nendo in chiaro i rapporti organici fra le reti capil-
lari della vena porta e gli acini dei lobuli, tolgono
ogni dubbietà per la derivazione della bile dal san-
gue venoso. Addimostrava in pari tempo, potersi pa-
ragonare le attenenze delle minime propagini della
vena porta cogli acini del fegato a quelle che passa-
no fra le ultime diramazioni dell' arteria pulmonare
e le vescichette bronchiali : quantunque poi, al con-
trario di quanto avviene negli organi pneumonici nel-
l'officio della respirazione, non siensi ( siccome il N.
A. ne fa le maraviglie ) valutate le scoperte malpi-
ghiane, e siasi ad ogni costo voluta assegnare, se non
h6 Scienze
tutta, almeno una qualche ingerenza, al sangue dell?
arteria epatica nella secrezione della bile. Siccome
negletta venne altresì, o dimenticata, la ben conclu-
dentissima osservazione del Valsalva, il quale in una
donna, di cui favella il Morgagni, morta di anasarca
dopo lunga malattia, rinvenne che il fegato interna-
mente ed esternamente componevasi di tanti corpic-
ciuoli emulanti la forma e volarne di un piccolo cece,
e consistenti in follicoli membranosi racchiusi da fi-
bre carnee, disposte a foggia di rete e sparse per tutto
il fegato, ed accompagnate da vasi sanguiferi. L'inie-
zione di un liquido nero nell'arteria epatica penetrò
in tutta la sostanza del fegato, ma non già nella ca-
vità dei follicoli ; mentre all'incontro la medesima in-
iezione, praticata in un ramo della vena porta, si vi-
de estesamente introdotta in tutte quelle parti non
solo cui distribuivasi questo ramo, ma pur anco nel-
la cavità dei follicoli : donde estimò potersi ragione-
volmente dedurre la distribuzione dei sangue arterio-
so a tutta la sostanza del fegato, e che « ex eo ta-
te men sanguine tantum, qui per venam portae affer-
« tur, bilem separari. » La terminazione finalmente
dell'estremità della vena porta negli acini del fegato,
e di quelle dell'arteria epatica agli altri vasi, venne
pur rimarcata da Glissen, Bianchi, Walter , Mapper
e Cruveilhier, e costatata da Kiernan. La somma poi
delle prove fisiologiche risulta dall'esperienze fatte sui
bruti pria dal Malpighi, poscia dal Simon: per le qua-
li è certificato continuarsi la secrezione della bile do-
po la legatura dell'arteria epatica, ed arrestarsi dopo
quella della vena porta ; sebbene molto valore non
abbiano nell'animo del N. A. siffatti esperimenti. Con-
sistono da ultimo le prove chimiche sull'analogia di
Ricérche fisiologiche sul fegato nn
composizione fra il sangue della vena porta e l'umor
biliare : analogia sospettata ed ammessa dall' Hallero,
e confermata dallo Schultz.
Contrario divisamento sostennero Bichat e Brous-
sais , appoggiati a plausibili raziocini ed ai risulta-
menti delle vivi-sezioni. Fiancheggiati all'incontro dal-
lo studio delle anatomiche ricerche, e dalle iniezioni
de'vasi sanguigni del fegato, Magendie, De Renzi, Du-
jardin e Verger opinano che la bile derivi da amen-
due i mentovati ordini di vasi anastomizzantisi fra lo-
ro mercè delle ultime propagini: essendo probabile che
i primi sieno forniti dal sangue dell' arteria epatica,
ed i secondi da quello della vena porta.
Ond' essere completata la storia fisiologica del
fegato, esigeva che si offrisse un conciso conto del-
le diverse funzioni che a quest'organo vennero attri-
buite dai moderni, oltre la secrezione della bile. Ci
rammenta a tal effetto il N. A. essersi all'epate as-
segnato 1' officio di deflogisticare il sangue in modo
analogo a quello nei pulmoni operantesi : destinato
alternatosi il risguardarono Elliotson e Smith : la mi-
scela più intima col sangue di alcuni liquidi inomo-
genei gli venne tribuita da Magendie : l'opera della
intiera confezione del sangue venne in esso riposta
da Prevost e Dumas : l'acquistare che fanno nel fe-
gato i globe tti del chilo quella specie di vescica co-
lorata che nei globetti del sangue si ravvisa , fu la
modificazione portata da Milne-Edwards alla ipotesi
degli ultimi due scrittori. Ma tutte l'enunciate ipo-
tesi, quantunque desunte dai fatti, non persuadono a
convinzione lo spirito del N. A., il quale considera
que'fatti come troppo esclusivi ed isolati da non pre-
stare a quelle ipotesi salde fondamenta. Chi infatti
«o* Scienze
poggiò la sua opinione sulle particolarità anatomiche
del fegato ; chi sulla natura del sangue della vena
porta che per entro vi scorre, e su quella della hi-.
le ; chi su i rapporti organici che ha cogl' intestini
e colla milza; chi sui risultamenti delle vivi-sezioni ;
chi sulle osservazioni procacciate dalla embriologia ;
chi su quelle dell'anatomia comparata ; chi finalmen-
te su gli effetti prodotti dallo stato patologico di es-
so viscere. Niente pago di tali pensamenti il N. A.
fa stima doversi possibilmente raggiugnere la verità
nella investigazione degli uffizi del fegato, ricavando
da tutte le predette fonti argomenti di prove, e sul
complesso delle medesime stabilire mercè di rigorosa in-
duzione le funzioni probabilmente dal prefato visce^
re operate. E dietro gl'intrapresi studi sul fegato par-
ve al sig. Paolini trovarsi al grado di ricavare le se-
guenti conseguenze: a i . Che gli argomenti, sui qua-
(i li è poggiata l'opinione di coloro, che ammettono
« la chimica cooperazione della bile nella chilifica-
« zione, non sono abbastanza concludenti: e che in
« vece si danno osservazioni e ragionamenti tenden-
ti ti a far credere cotesto umore puramente escre-*
« mentizio. 2. Che, oltre alla secrezione della bile,
« sembra che il fegato serva alla sanguificazione in
« due modi : I. perchè in esso si elabora vieppiù
« quel chilo bruto che, assorbito dalle vene intesti-
li nali, è stato introdotto nella vena porta : a. per-
ii che depura il sangue della vena porta stessa dalle
« sostanze inassimilabili, che insieme al chilo sono
11 state assorbite dalle vene intestinali stesse. »
A questi due punti di disamina fisiologica diri-
gendo il N. A. il subietto del suo ragionamento, im-
prende nella parte seconda a tener discorso dell'ir*-
Ricerche fisiologiche sul fegato yg
(Iole escrementizia della bile. Per farsi strada allo
scopo, incomincia dal prender di mira l'analogia di
struttura e di disposizione esistenti fra l'apparecchio
biliare e quelli che elaborano e trasportano 1' orina
e lo sperma: umori senza alcun dubbio escrementizi,
e che debbono conseguentemente venir espulsi dal
corpo. Ed avverte erronea non doversi tenere questa
maniera di ragionamento: poiché non fu che per Fa-
nalogia della organizzazione del pancreas con quella
delle glandole salivali, che furono condotti i fisiolo-
gi ad opinare che anche la detta ghiandola satisfa-
cesse ad uffìzi somiglianti. Or dunque il N. A. tro-
va in sulle prime argomenti di analogia nelle simi-
glianze anatomiche: osservando, per le affermazioni di
Blainville e Cuvier, nel fegato del feto una disposi-
zione lobulare eguale a quella che presentano i reni,
transitoria sì nella specie umana, ma permanente in
alcuna specie di animali mammiferi : rimarcando mo-
strarsi il fegato nei giovani individui composto di
piccole cripte formate esse stesse di granelli , talché
dichiarò il Blainville non potere un anatomico sotto
questo punto di vista distinguere un pezzo di rene
da uno di fegato : avvisando al comun carattere di
metter foce i canali escretori di questi due organi
in una borsa formata da un ripiegamento dell' invi-
luppo integumentale ; di essere ambedue queste bor-
se soggette alla medesima malattia di concrezioni cal-
colose ; e di offrire sì la bile e sì 1' orina differenti
caratteri, a norma o della provenienza immediata dal
suo organo secernente, o dalla vescichetta in cui ab-
bia per qualche tempo dimorato.
All'argomento delle anatomiche somiglianze ac-
crescono maggior peso le osservazioni ed esperienze,
80 S G I E N 55 E
per le quali è dimostrato che la secrezione operata
nel fegato è in intime attinenze fisiologiche con quel-
le, da cui derivano liquidi che vengono dal corpo e-
spulsi. Risulta infatti per cotali attinenze un consen-
so od antagonismo di azione, in virtù del quale alla
deficienza od alla totale mancanza dell'opera di uno
di cotesti organi secernenti umori escretori succede
una maggior energia od alacrità di quella di un al-
tro. Così tolti i reni ad un animale , ovvero inter-
rotta comunque la separazione dell'orina, rinviensi il
fegato ingorgato di sangue, e la bile sensibilmente mo-
dificata ed anzi accresciuta : così in alcune specie di
animali trovansi riuniti il fegato ed i reni sotto una
stessa forma o in un organo solo. Viene altresì raf-
forzata l'opinione dell'indole escrementizia della bile
dai suoi caratteri microscopici e chimici, simili a quel-
li che propri sono degli umori escrementizi. Taccio-
no nella vita ferale le secrezioni della saliva, dei suc-
chi gastrici, dell'umor pancreatico, del succo intesti-
nale ; ma si effettuano bensì quelle dell'orina e del-
la bile.
Non pochi son poi e di molto maggior peso gli
argomenti che concorrono a porre in dubbio l'opera
chimica della bile nella chilificazione: o a dimostra-
re almeno che, se pur vi contribuisce, non vi si pre-
sta che come potenza eccitante il tubo intestinale, e
come involvente le materie non assimilabili degli ali-
menti, che nel crasso intestino trasmutansi in feccia.
Così la legatura del dutto coledoco non si oppone
alla confezione del chilo, come risultò dall'esperien-
ze di Magendie, di Levret, di Lassaygne, di Tiede-
mann, di Gmelin, di Philipps. E siccome risultamen-
li affatto opposti si ebbero dai cimenti di Brodie e
Ricerche fisiologiche sul fegato 8i
di Hebert-Mayo, ai quali fece eco lo Schultz, il quale
dichiarò erronei, inconcludenti e non meritevoli di
credenza tutti gli esperimenti dei primi; venne così
saggiamente il N. A. nell'avviso di ripetere le mede-
sime esperienze. Dichiarava lo Schultz, che tutti cani,
cui viene legato il coledoco, essendo presi da vomito
incessante , non potevano trattener gli alimenti per
il tempo necessario alla digestione : di modo che o
non avea luogo veruna produzione di chilo , oppu-
re se veniva a rimarcarsene, dovea credersi effettua-
to pria che istituita fosse la legatura. Il Paolini per
altro , quantunque ritenga non essere i suoi espe-
rimenti abbastanza ripetuti né abbastanza concluden-
ti , osserva contro lo Schultz , che il vomito appa-
rendo soltanto molte ore dopo la legatura del dutto
coledoco , devesi probabilmente reputare un effetto
della infiammazione gastro-enterica consecutiva alla
operazione, e non già del laccio che stringe il det-
to canale, siccome opinava lo Schultz; e che il vomi-
to non è così continuo e tale da mantenere intera-
mente vuoto lo stomaco da qualsiasi alimento. La chi-
lificazione d'altronde, indipendentemente dalla man-
canza della bile, può essere ritardata o sospesa in con-
seguenza dei dolori e del perturbamento nervoso in-
dotti dalla vivi-sezione. Ma oltre ciò 1' opportunità
colse il IN. A. di verificare pienamente le sue spe-
rienze mediante altri cimenti da esso lui praticati col-
l'assistenza ed opera di vari suoi illuminati colleghi.
Venne a tal uopo in due piccoli gatti dell' età
di 4° giorni circa, e digiuni da 16 ore, legato il con-
dotto coledoco con robusto filo di seta al più presso
all'intestino duodeno che fu possibile. Compiuta l'o-
perazione della riunione delle ferite ( in un gattino
G.A.T.LXXXVII. 6
82 Scienze
si praticò la gastrorafia ) mangiarono ambidue con avi-
dità carne lessata, e bevettero qualche sorso di bro-
do e di latte; mostraronsi quindi abbattuti, ne vol-
lero prender cibo se non se dopo alquante ore. Mo-
ri l'un di essi dopo lo spazio di 26 ore, senz'aver in-
contrato vomito, né scariche fecali; non presentò co-
lor giallo nella congiuntiva , ed emise orina di na-
turale apparenza. Turgidi si rinvennero la cistifel-
lea ed i precipui canali biliari ; vacui affatto e con-
tratti gl'intestini tenui e grande porzione del crasso;
materie dure e biancastre tro varonsi in vicinanza del-
l'intestino retto: disteso dagli alimenti ingeriti il ven-
tricolo , e parte di essi ridotta in un liquido denso
grigio e di odore agro ; appena cangiati di colore ed
appena rammolliti il fegato di bue da esso mangiato ,
ed una porzione di carne lessata presa nel giorno ad-*
dietro; parvero i reni avere un colore più rosso scu-
ro del naturale per ingorgo di sangue.
L'altro gattino dopo sei dì dai sofferti patimen-
ti tornò vispo e gaio qual era innanzi alla operazio-.
ne: e notevole soltanto vi occorse, che le materie fe-
cali per essere assai dure venivano espulse con dif-
ficoltà dal corpo , ed avevano un colorito alquanto
più scuro dell'ordinario loro carattere : F orina poi ,
cimentata più volte con la carta azzurra di tornaso-
le, non presentò che lieve arrossamento. Si tenne in
vita per 38 giorni: e quindi ucciso che fu, ne assun-
se la dissezione il eh. profess. Alessandrini , la cui
analoga relazione dei trovamenti necroscopici viene
ivi dal N. A. riferita colle parole istesse del celebre
professore. Risulla singolarmente da tale rapporto, che
lo stato di nutrizione di tutto il corpo era molto lo-
devole ; i vasi sanguiferi del fegato eransi ingranditi
Ricerche fisiologiche sul, fegato 83
soltanto a quel grado ch'esigerlo poteva la ingrandi-
ta j^iole del fegato ; la musculatura dell'animale ave-
va un colore rosso molto dilavato e tendente alquan-
to al giallognolo, colore che non appariva nella con-
giuntiva; obliterato era il coledoco in tutto quel trat-
to che percorre obliquamente le tuniche del duode-
no ; in questo era manifesta la pupilla che suol se-
gnare lo sbocco del coledoco: ma spremuta con cer-
ta forza, tanto la cisti quanto i condotti, non geme-
va la bile dalla pupilla, né la faccia interna e del-
lo stomaco e del duodeno, o la mucosità di queste
parti, che pure era molto copiosa, potè vedersi tinta
del color della bile. Necessari anzi furono reiterati
sforzi di pressione per far finalmente uscir dalla pu-
pilla la bile, che sciolta si rimarcò e di color verde
d'erba dichiarato : il che dimostrava ad evidenza, che
dopo l'allacciatura del canale non erasi più trasmes-
sa bile all'intestino. Volle ciò non ostante il N. A.
dissipare ogni dubbio mercè dell'analisi chimica, che
venne affidata al dott. Paolo Muratori: il quale si as-
sicurò mancare negli escrementi le sostanze proprie
della bile , ninna traccia esservi di soda e del suo
carbonato, ne di colesterina e di materia colorante,
e solamente rinvenirvisi una resina, ma diversa per
molti caratteri dalla biliare. Principali deduzioni trae
da queste sperienze e risultamenti il N. A. in con-
ferma degli altri primitivi esperimenti ed in sostegno
del suo scopo : cioè , che indispensabile non è alla
confezione del chilo la mescolanza della bile col chi-
mo, non avendo nell'ultimo esperimento le funzioni
assimilatrici sofferto sconcerto veruno ; die la diffi-
coltà nell'espulsione delle feci patita dall'animale, la
durezza loro, e la diversità di colore, inducono piut-
84 Scienze
tosto ad opinare che la bile sia un umore escremen-
tizio, e che serva come stimolo a favorire l'evacua-
zione di quelle eccitando le contrazioni muscolari de-
gl'intestini; che la niuna colorazione in giallo della
congiuntiva e dell'orina dopo la legatura del coledo-
co addimostra non essersi la bile assorbita, ma ben-
sì accumulata nella cistifellea e nei condotti escreto-
ri, resi perciò smisuratamente turgidi: mentre il rista-
gno della bile, specialmente nei pori biliari, si oppo-
ne all'opera secretoria del fegato : donde conseguita
un' alterazione del sangue, a cui forse potrebbe tri-
buirsi il color rosso molto dilavato e tendente alquan-
to al giallognolo che si osservò tingere la muscula-
tura del secondo gattino.
Anche varie patologiche osservazioni han fatto,
conoscere che nell'emergenze di completa ostruzione
del canal coledoco, benché impedito il passaggio della
bile nel duodeno per mescolarsi col chimo , non si
sospese la digestione, ne soffrì nocumento veruno; ed
unicamente rimarcossi men carico il color delle ma-
terie fecali, alquanto stentato il tragitto di esse pel
tubo intestinale, e più difficile la espulsione loro fuo-
ri del retto. Lungamente sopravvissero gl'infermi, dei
quali parlano Morgagni e Frank ; cosicché se la bi-
le fosse veramente indispensabile alla formazione del
chilo , non avrebbe potuto sostenersi la vita per la
privazione di quell' umore di primaria ed essenziale
necessità. ]Non ritiene il Brodie come meritevoli di
fede cotesti casi: in alcuni dei quali opina, che me-
diante la parte più florida del chimo siasi per un cer-
to tempo potuta sostenere la vita. La quale ultima as-
serzione viene dal Paolini impugnata.
La maggior parte de' moderni fisiologi conside-
Ricerche fisiologiche sul fegato 85
rando d'altronde che il chimo è acido Dell'uscire dal.
lo stomaco, salso poi ed alcalino nel dutto toracico,
avvisano combinarsi il principio alcalino della bile
con gli acidi idroclorico ed acetico del chimo, e neu-
tralizzarli. Intorno alla quale opinione, abbracciata re-
centemente dallo Schultz e che fu già di Boerhaave, ri-
piglia il N. A. che possa probabilmente il chilo ri-
cevere i predetti caratteri nelle glandole linfatiche del
mesenterio in virtù di successiva maggior elaborazione,
o dall umore separato dal pancreas analogo per la chi-
mica sua composizione all'umor salivare e quindi al-
calino. Un uffizio più complicato assai nell'opera del-
la digestione venne affidato alla bile da Tiedemann
e bmelin, all'opinione dei quali arrisero De Renzi
Dujaidm e Verger. Oltre la neutralizzazione opera-
ta dalla bile di una parte dell'acido proveniente dai
succhi gastrici, ritennero ancora che una gran parte
dei suo! materiali, la resina cioè, il grasso, il princi-
pio colorante, il muco ed isali, sieno espulsi dal cor-
po insieme cogli avanzi non digeriti delle sostanze ali-
mentari: mentre i principi! azotati di essa , come il
picromele, l'osmazoma e l'acido colico, unendosi agli
alimenti valgano a vieppiù assimilarli, e ravvicinarli
alla chimica animale composizione : ed in tal parere
confortami , perchè non si trovano negli escrementi
quei principii assorbiti insieme alle sostanze alimenta-
ri disciolte. Ma qui il N. A. oppone con Blumenbach,
non esser nell' economia animale alcun esempio di
un umore destinato insieme ad essere espulso e ad
essere assorbito e portato nell'interno del corpo istes-
so : dubita se i principi! assimilabili ed azotati, am-
messi da Tiedemann e Gmelin, trovinsi realmente nel-
la bile formati, o debbansi in vece tenere come nuo-
86 S C I E N % E
vi composti generati dai reagenti e dai processi chi-
mici adoperati ; tanto più che Thenard, Berzelius ed
altri esclusero la esistenza delle indicate sostanze ,
opinando anzi quest'ultimo che la scomposizione del-
la bile sia probabilmente più semplice di quanto in-
dicato viene dai prelodati professori d' Heidelberga :
dubita con Burdach, che possa quell'umore conserva-
re integri i suoi costituenti principii oi^ganici dopo le
diverse chimiche operazioni, e dopo l'influenza di sva-
riati ed attivi reagenti : oppone che dalla mancanza
delle sostanze assimilabili od azotate nella bile non
sia lecito dedurne la miscela di esse al chimo , po-
tendo le medesime aver sofferto mutamenti nell'atto
delle diverse composizioni e scomposizioni nel tubo
intestinale senz' aver contribuito alla formazione del
chilo. Per questi e per vari altri ingegnosi razioci-
ni ritiene in vece il N. A. più probabile, che all' as-
similazione degli alimenti prenda una grandissima par-
te il succo pancreatico per la natura doviziosamente
azotata, di cui son forniti i suoi componenti.
In favore altresì dell'influenza della bile nell'o-
pera della chilificazione si riprodusse da alcuni scrit-
tori l'argomento dell'Haller: cioè che ove fosse la bi-
le semplicemente un escremento separato dal sangue,
la natura gli avrebbe aperta una strada, non nel prin-
cipio dell'intestino, ma bensì nel retto, onde impedi-
re che mescolandosi col chilo recasse a questo alte-
ramente Della qual difficoltà solertemente si disbri-
ga il N. A. con improntare l'esempio dell'umore del-
la prostrata , che sbocca nello stesso condotto e pel
medesimo trapassa insieme allo sperma, senza essersi
perciò desunto che il primo modifichi l'intima natu-
ra del secondo e contribuisca per tal modo alla sua
Ricerche fisiologiche sul fegato 87
composizione. E siccome analogia egli rimarca tra le
attenenze che passano fra l'umor della prostrata ed
il seme, e quelle ch'esistono fra la bile e le materie
alimentari entro l'intestino contenute ; così analoghi
a lui sembrano gli usi dell'umore biliare a quelli del
prostatico. Dimostrato per tal modo abbastanza egli ri-
tiene, che « la bile influisce bensì sul chilo, ma piut-
« tosto indirettamente, e serve alla separazione del-
« le materie inassimilabili dal succo nutritivo, invol-
te gendole, modificandone alcune proprietà, e coadiu-
« vandone l'escila fuori del corpo, siccome appunto
« interviene fra l'umore della prostrata ed il seme.»
Concludenti perciò non trova il sig. Paolini, anzi per
molte ragioni combattuti , gli argomenti addotti dai
fisiologi circa la necessità della bile nella chilifica-
zione; mentre da osservazioni e da fatti positivi tro-
va favoreggiata 1' opinione di coloro che tengono la
bile per un umore escrementizio.
Alla funzione per altro del fegato di secernere
la bile sembra al sig. Paolini probabile di altra ag-
giugnere , che nella parte terza contempla : quella
cioè di contribuire alla sanguificazione con elaborare
il chilo bruto od imperfetto ch'è slato assorbito dalle
vene meseraiche, e depurare il sangue della vena por-
ta dalle materie inassimilabili assorbite dalle vene
istesse nel tubo intestinale. In conferma del suo as-
sunto incomincia dal discorrere della discrepanza che
passa fra il sangue della vena porta e quello delle
altre vene. Rammentate le indagini dell' Haller sul
proposito, tien parola dell'esperienze chimiche esegui-
te dallo Schultz, il quale pose in più chiaro aspetto
i caratteri fisici e chimici del sangue della vena por-
ta e di quelle delle arterie e delle altre vene , non
88 Scienze
che quella rassomiglianza già notata dagli antichi fra
il sangue della prima e l'umor biliare. Più nero egli
è questo dell'altro sangue venoso, non arrossa pei sa-
li neutri, nò pel contatto dell'aria atmosferica, ne per
l'azione dell'ossigeno: non si coagula, oppure si rap-
piglia in grumi men tenaci di quelli delle altre ve-
ne: contiene più cruore e minor quantità di fibrina
e di albumina, e meno di parti solide di quello del-
l'altro sangue venoso. Qualità poi essenziale e carat-
teristica del detto sangue si è di possedere il doppio
del principio grassoso di quello delle arterie e delle
altre vene : il quale principio è untuoso e di color
bruno nerastro. Or di tali fisiche proprietà ravvisate
dallo Schultz trovò il N. A. la conferma nelle os-
servazioni ed esperienze comparative che instituì sul
sangue umano e su quello del cavallo: le quali uni-
te ai primi cimenti, ed agli altri non molto dissimili
di Taehervy e di Stoek.es, guidano a credere essere il
sangue della vena porta dotato di una composizione
chimica particolare diversa da quella dell' altro san-
gue venoso.
Ma questi annotati caratteri fisici e chimici del
sangue della vena porta propri sono ancor della bile,
e perciò fondamento pur somministrano di verosimi-
glianza dell' analogia ammessa fin dagli antichi fra
questi due umori. Che se risultameli li discordi fra lo-
ro, e principii moltiplicì ed assai differenti si otten-
nero da Thenard e Berzelius, da Tiedemann e Gmelin,
da "Vogel e da Fourcroy , contrappone il N. A. al
genio di tali risultanze i ragionamenti di Raspail, 1*
opinione di Cadet dimostrata ampiamente dal Mura-
tori, risguardanti molte delle rinvenute sostanze nel-
la bile come il prodotto dei vari artifizi chimici , e
Ricerche fisiologiche sul fegato 89
ritenendo la bile come composta in grandissima par-
te di materie grasse.
Che se della pren linciata discrepanza del san-»
gue della vena porta dal rimanente sangue venoso vo-
lesse squittinarsi la ragione ; non è pago il sig. Pao-
lini della spiegazione adottata dagli antichi , che la
causa di tanti e sì notabili cangiamenti operati nel
primo sangue riposero nell'influenza dell'omento e del
mesotolon, o nell' opera della milza. Gli aggrada in
vece di affermare, che il sangue della vena porta ri-
ceva le specifiche proprietà ed i materiali in esso pre-
valenti da diverse sostanze solide e liquide, non che
da porzione di chilo bruto od imperfetto ad esso me-
scolatosi mercè dell'assorbimento operato dalle vene
meseraiche alla superficie interna degl'intestini; vero-
simile essendo che il chilo intieramente confezionato
entri direttamente nei chiliferi vasi, mentre una por-
zione dell'imperfetto si faccia strada per l'indicato as-
sorbimento. Che anzi non solamente diversi liquidi
con materie in essi disciolte, ed una parte di chilo
non per anco totalmente assimilato è verosimile che
vadano mercè dell'assorbimento venoso a mescolarsi col
sangue della vena porta, modificandone la sua intima
composizione ; ma ritiene anche il N. A. come cosa
molto probabile, che in esso s'introducano alcuni gaz
composti per la maggior parte d'idrogeno puro e di
acido carbonico. Ne conseguita perciò la necessità di
risguardare nel sangue della vena porta una riunio-
ne di principii inassimilabili, i quali debbono venir
espulsi dal corpo, perchè mescolandosi alla massa ge-
nerale del sangue non potrebbero a meno di altera-
re la normale sua crasi. Ne conseguita parimenti non
essere del tutto ipotetico l'asserto, che nelle tortuo-
90 Scienze
se diramazioni della vena porta epatica patisca il chi-
lo assorbito dalle vene meseraiche alcune modifica-
zioni e permutamenti, pei quali acquisti un maggior
grado di assimilazione paragonabile in un certo mo-
do a quello^ che in maniera sconosciuta imprimono
le glandole conglobate al chilo ivi fluente pei vasi
linfatici. Spogliasi per tal modo il sangue nel fegato
da quei principii inassimilabili , dai quali viene ge-
nerato un liquido escrementizio (come pare che debba
tenersi la bile per virtù dei raziocini nella parte se-
conda discussi ), e così ne fluisce il perchè 1' epate
concorra in varia guisa all'opera della sanguificazio-
ne. Se non che a tali uffizi soddisfa l'epate in mo-
do diverso da quello dei reni e del pulmone. Che
di vero la funzione di questi organi nell' economia
animale ha per iscopo di depurare la massa generale
del sangue da molti principii inutili o nocivi, i qua-
li risultano o da sostanze straniere assorbite dal cor-
po umano, ovvero da materie eliminate dai nostri tes-
suti mercè del processo nutritivo, o che avanzano alle
molteplici secrezioni ; laddove il fegato libera parzial-
mente da principii inomogenei il sangue refluo de-
gl'intestini, e così impedisce che si mescano alla mas-
sa del sangue e vi portino delle alterazioni.
Concorrer fa il signor Paolini in sostegno della
sua ipotesi due altri generi di raziocini e di docu-
menti. Riposa il primo sulla considerazione delle som-
me attenenze anatomiche e fisiologiche che gode l'e-
pate coli' universale della macchina nel tempo della
vita intra-uterina : consiste il secondo nella conside-
razione degli argomenti tolti dallo stato patologico.
Legame di argomenti ben giusto: poiché ove resti fer-
ma la somma degli argomenti fisiologici , ne fluisce
Ricerche fisiologiche sul fegato gì
legittima la relazione dei patologici ancora. E per
parlar dei primi rammenta il N. A. la precoce com-
parsa dell'epate nell'embrione degli animali ovipari e
vivipari, che oggetto fu di questione se al cuore pre-
cedesse la formazione del fegato. Rammenta singolar-
mente la costante direzione all'epate della vena om-
bellicale, che nata dalla placenta trasporta la mate-
ria nutritiva al feto, quantunque sul modo di comu-
nicazione discordi sieno i pareri degli autori. E
tanta costanza egli stabilisce della inserzione del tron-
co della vena ombellicale nel fegato , e di tale im-
portanza egli giudica una tale disposizione alla eco-
nomia animale del feto, che in tutte le ricerche da
lui instituite e da Geoffroy Saint-HUaire attesta non
aver rimarcato alcun caso di mostruosità, in cui la
detta vena siasi diretta ad altro punto del corpo da
questo diverso. Dal che egli desume come indubita-
to, che siccome natura nulla opera indarno, così pro-
babilmente con tale disposizione di parti consista il
fine nel subire nel fegato l'umore nutritizio una ul-
teriore elaborazione , e nel perdere principii inassi-
milabili. Discende manifesto da tali contemplazioni,
come alterata o sospesa la funzione del fegato, pas-
sando immutato il sangue della vena porta nella mas-
sa generale sanguigna, quanto dalla miscela di que-
sto umore ridondante di non poche sostanze inassi-
milabili e di chilo bruto ne debba patire la normale
sua crasi o la sua chimica composizione. Tutte in-
fatti le morbosità dell'epate , per poco inoltrate che
sieno, contrassegnate vengono da un peculiare colo-
rito che tinge la cute dell'infermo, e dall' abito cachet-
tico che lo distingue: dimostrando così essere accom-
pagnata la malattia da un disordine più o men gra-
g2 Scienze
ve della sanguificazione. Non vuol negare il N. A.,
che in alcune rare circostanze nella itterizia, sì di so-
vente congiunta ai vizi del fegato, il color giallo del-
la cute debba reputarsi effetto del disperdimento del-
la bile nel torrente della circolazione in esso intro-
dotta per opera dell'assorbimento, come quando forti
ostacoli si oppongano alla escrezione della bile nella
cavità del duodeno. Ma preferibile giudica il divisa-
mento di altri scrittori, pei quali nel maggior nume-
ro dei casi vuoisi riconoscere una depravazione del
sangue o una conseguenza di una scomposizione dei
suoi elementi venuta in seguito di una lesione dell'
epate. Chiarissimi autori testificarono l'esistenza de-
gli elementi della bile nel sangue degl'itterici: e per-
ciò impugnarla non vorrebbe, potendo realmente al-
cuna rara volta avvenire l'assorbimento di essa. Ma
d'altronde non trovasi inclinato ad entrare in questa
sentenza, addottrinato dalle diligenti analisi chimiche
di recente praticate da Chevreul, Collard de Marti-
gny, Lassaigne, Kan di Dublino e Le Canu, dimo-
stranti che nel sangue dei predetti infermi giammai
si trovano tutt'i principii della bile ; addottrinato al-
tresì dall'esperienze del Magendie, il quale iniettan-
do bile nelle vene di un cane, vide avvenire la mor-
te dell'animale senza indizio veruno di presenza del-
la bile nel sangue ne pel colore , ne pel sapore , e
senza verun'alterazione di colore della cute ; addot-
trinato finalmente dai molti fatti riferiti dal Morga-
gni, dal Frank, dal dottissimo De Renzi , e confer-
mati in parte da essolui, di non essersi cioè manife-
stata ittexùzia in vita nella cute di alcuni individui,
nei quali compiutamente chiusa si vide per opera di
grossi calcoli l'apertura del dutto coledoco. L'itteri-
Ricerche fisiologiche sul fegato g3
irìa all'incontro si trovò congiunta per lo più a le-
sione più o men grave dell'epate, o a congerie di cal-
coli o radunamento di bile concreta, ne'condotti escre-
tori: per lo che opponevansi gravissime difficoltà all'
azione secernente dell'organo stesso. E numerosi so-
no i fatti comprovanti , che la impedita secrezione
della bile, o per un vizio del fegato o per un osta-
colo al corso della vena porta, sia la cagione di quel
disordine particolare della crasi del sangue in che con-
siste l'itterizia.
Non manca da ultimo la patologia di prestare
argomenti in favore dell'altra funzione, che sembra
esercitare il fegato per ciò che riguarda la confezio-
ne del chilo. Se ad onta di completa ostruzione e di
induramento delle glandole meseraiche, raggiunsero al-
cuni individui un' estrema vecchiezza; se si manten-
ne per molti mesi la vita sotto il corso di una ta-
be glandolare mesenterica per virtù di degenerazione
delle glandole linfatiche rese inette a compiere le ri-
spettive funzioni ; non ripugna alla ragione il cre-
dere, che non solo le vene intestinali eseguendo l'as-
sorbimento del chilo facciano in parte le veci de'va-
si lattei, ma che anche in mancanza dell'opera delle
glandole suddette sia dal fegato maggiormente elabo-
rato il chilo, fino a raggiugnere quel dato gi-ado di
assimilazione che non ha ancora ricevuto nel tubo
digerente, rendendolo idoneo ad essere convertito in
sangue. « Del rimanente poi ( con tali espressioni si
« appressa il N. A. a dar compimento al presente suo
« lavoro ) tengo ferma credenza , che la particolare
« morbosa condizione del sangue, eh' è conseguenza
o delle alterazioni del fegato, verrà vie maggiormen-
« te convalidata e distinta, a misura che s'instituiran-
q^ Scienze
« no dai medici più esatte investigazioni , e che si
« ripeteranno dai chimici le analisi di quell' umore
« nelle epatiche infermità. »
Sì, ben legittima troviamo quest'ultima espres-
sione del eh. sig. Paolini: e tanto legittima , che a
tutte le asserte tesi dal N. A. sostenute diremmo do-
versi ella estendere ed applicare. Con ingegnosissimi
raziocini infatti si è egli studiato dimostrare finquì la
cooperazione dell'epate nella funzione dell' ematosi e
l'indole escrementizia della bile ; ma ulteriori inve-
stigazioni, ulteriori chimiche indagini, concorrere uni-
camente potranno a render più salde, ferme ed evi-
denti le sue studiate dimostrazioni ; essendo finquì
assai gravi i dubbi che all' animo si presentano per
soscriversi alle medesime. Così per dichiarare suffi-
cientemente dimostrato dalla patologia, essere la se-
crezione della bile in così intime attenenze con quel-
le dell'orina da supplitisi fra loro più o meno scam-
bievolmente, converrebbe testificare con fatti moltis-
simi ed inconcussi cotesta vicaria manifestazione di
risultati , cotesto supplementario avvicendarsi di se-
crezioni. Converrebbe che gli esempi d' inopia della
orina venissero assistiti da documenti di eguali e con-
simili circostanze indicanti in pari tempo l'aumento
di secrezione e dì escrezione dell' umor biliare. Né
coli' impugnare 1' asserto della composizione chimica
della bile esser simile a quella ch'è propria degli u-
mori escrementizi, sembra potersi ragionevolmente in-
correre nella taccia di scetticismo spinto tropp' oltre;
poiché sul valor dei chimici argomenti , o , per dir
meglio, delle chimiche analisi, ci porge lo stesso sig.
Paolini consiglio di ritenutezza. Quante sagaci obie-
zioni non ha egli accampate ( alla pag. 21 e seg. )
per conchiudere sulla semplicità della bile istessa, non
Ricerche fisiologiche sul fegato g5
tanto ricca di principii elementari, come da taluni si
è buccinato e ritiensi ! Le deduzioni altresì, che trag-
gonsi dai risultamenti ottenuti mediante le vivi-se-
zioni, non sembrano pienamente bastevoli a stabilire
una dottrina fisiologica di gran peso , qual è quella
su cui si sono aggirate le meditazioni del sig. Pao-
lini. Si lianno infatti risultanze equivoche ed anche
contraddittorie ; giacche alcuno dei bruti cimentati
presentò integre le sostanze ingollate, alcun altro le
offerse più o men digerite. Si dà peso in quegli e-
sperimenti alla circostanza dei dolori sofferti dagli ani-
mali durante il travaglio dell'operazione ed allo sta-
to di depressione vitale, che necessariamente si suc-
cede, per attribuire tal fiata a queste sofferenze ( co-
me alla pag. 35, nura. i ) la sospensione delle fun-
zioni digerenti e della chilificazione. Tal fiata d' al-
tronde la circostanza di tali sofferenze perde ogni va-
lore, come nell'esperimento del secondo gattino; per-
chè egli ebbe la fortuna di trionfare dei suoi pati-
menti, e non presentare sconcerti nelle sue funzioni
assimilatrici. Né il dilemma contro 1' asserzione del
Brodie (pag. Sj ) sembra assai valido per infràngerla;
poiché contro la prima parte del dilemma potrebbe
opporsi il fatto del secondo gattino cimentato dal sig.
Paolini : potrebbe opporsi perciò non essere impos-
sibile, che venga successivamente compartito dalle for-
ze organiche un grado di assimilazione incompleta, ma
capace di apprestare un materiale abile alla nutrizio-
ne. Assai più robuste difficoltà finalmente sono state
recentemente con somma avvedutezza emesse dal eh.
prof. Metaxà giuniore nei suoi medico-chirurgici an-
nali, ed a questi perciò rimettiamo i nostri lettori.
TONELLI.
96
Notizie isteriche intorno alV osservatorio
del campidoglio.
JLie scienze basate sull'esperienza e sull'osservazio-
ne sono quelle che addimostrano la forza dell'umana
mente: e noi in tanto avanzamento di esse vediamo
quante cose grandi si sono scoperte e poste in uso,
delle quali neppure si potea sospettare lo svolgimen-
to. Chi di fatti avrebbe creduto dalla semplice sperien-
za dello stropicciamento dell'ambra, la quale attrae i
frammenti di paglie, di carta e di altri piccoli ogget-
ti, poterne derivare le grandi scoperte fatte intorno al
fluido elettrico, fino a fare scendere innocuo ai piedi
dell'osservatore il tremendo fulmine, a decomporre i
corpi più refrattari , ed a servire a mille utilissime
cose? Chi del vapore acqueo tante sorprendenti appli-
cazioni alle arti e ai commercio? E ciò dicasi di al-
tri molti scoprimenti. E se queste cose onorano som-
mamente lo spirito umano, la scienza astronomica pe-
rò è quella che ha mostrato con maggior chiarezza
quanta potenza abbia il creatore infusa nell'uomo: il
quale, atomo impercettibile in questo globo, con ma-
tematica certezza ed esattezza misura e calcola i mo-
vimenti, le distanze, le masse e tutto ciò che è su-
scettivo di esser sottoposto a disamina : e tanti pro-
gressi ha fatti da doversi considerare l'astronomia la
sola forse che abbia attinto la perfezione, o che almeno
vi sia assai più prossima delle altre scienze tutte, ab-
benchè esse siano a portata de'nostri sensi, e più su-
Osservatorio del, Campidoglio 97
scettive di esser sottoposte ad esperimenti. E ciò mi
pare tratto stupendo della provvidenza, la quale ci po-
se innanzi questa immensa mole, e fecela a noi co-
noscere, affinchè vedessimo colla propria nostra men-
te quanto è grande quel Dio che l'ha creata: Coeli
enarrant gloriam Dei.
Essendoci pertanto proposti d'inserire a quando
a quando in queste carte le notizie degli osservatorii
astronomici che in diversi tempi si stahilirono non
meno in Roma sede di ogni arte e scienza , che
nelle altre città cospicue d' Italia , prenderemo gra-
dita occasione Y imprendere a parlare dell' osserva-
torio che si vide innalzato a' giorni nostri sul più fa-
moso luogo del mondo, sul campidoglio, siccome di
quello che tanto splendore arreca alle scienze ed a Ro-
ma stessa , e fa conoscere principalmente con qua-
le amore siasi sempre fra noi coltivato e promosso lo
studio del cielo e delle sue leggi.
L'origine di questo stabilimento si dee all' im-
mortale Pio VII : il quale, esimio apprezzatore delle
scienze, volle che esse fossero di ornamento e di dife-
sa alla religione: sicché nel centro della medesima fon-
dò quel genere d'istruzione che denominòymca sa-
cra, diretto a far conoscere le moderne scoperte del-
le scienze, onde ingrandire le idee che ci offrono la
magnificenza e l'ordine di tutto il creato, ed affinchè
tali cose non s'ignorino da chi deve rispondere ali'
abuso che fa di esse la miscredenza. Volle pertanto
che tal facoltà si aggiungesse alle altre dell'univer-
sità di Roma (1) e che gli allievi destinati al servigio
della chiesa ne seguissero il corso.
(1) Giornale arcadico tom. y4* Pa8' I0^> e seS" Centri intor-
G.A.T.LXXXVI. 7
c)8 Scienze
Non potremmo compilare la storia propostaci sen-
za parlare del prof. cav. Scarpellini non ha guari de-
funto. Condottosi egli nel 1782 dalla sua patria Fo-
ligno al collegio d'Umbria in Roma per continuare
il corso delle scienze naturali, fu nel 1794 destina-
to rettore per la educazione ed istruzione degli alun-
ni di tal collegio. Consegui nell'anno stesso la cat-
tedra di scienze lisico-matematiclie nel collegio roma-
no: indi il duca di Sermoneta D. Francesco Caetani
invitò graziosamente il nostro professore ad assumere la
direzione dell'osservatorio da esso fondato nel suo pa-
lazzo ai ginnasi, che trovasi innanzi al collegio stes-
so. Soppresso questo per le passate vicende, lo sta-
bilimento di macchine fisico-astronomiche , e l'acca-
demia de'lincei ripristinata nel 1794» vennero sì l'uno
e sì l'altra accolte da quel duca nel 1801, ed i re-
divivi lincei per ben cinque anni tennero le loro adu-
nanze nel suo palazzo, coltivando l'astronomia. Que-
sti studi erano analoghi a quelli che nel i6o3 pro-
pose il gran Federico Cesi col fondare in Roma la
famosa accademia de'lincei, riattivata dopo 190 anni
dal cav. Scarpellini.
La sovrana munificenza di Pio VII vedendo que-
sto onorevole stabilimento ricoverato, dirò così, in un
palazzo privato, ordinò che si prendessero le stanze del
collegio umbro, e che ivi fosse ricondotta l'accademia
suddetta colla raccolta delle macchine di fisica , di
chimica, e di astronomia del cav. Scarpellini (1): e così
no la cattedra di fi sica sacra nell'archiginnasio romano dell'ab.
Salvatore Proia.
(i) Questa insigne raccolta di slromenti fisico-astronomici,
molti dei quali sono lavoro delle mani del dotto ed istaucabile
Osservatorio del Campidoglio 99
nel 1807 accadde questa traslazione nel luogo me-
desimo ove era sorta l'accademia stessa. 11 giorno 17
di agosto monsig. Lante con dotto ragionamento venne
a significare ai lincei esser le sovrane disposizioni pre-
cisamente le stesse dell'immortale fondatore dell'ac-
cademia principe Federico Cesi, e di aver voluto il
santo padre porre a lato della propaganda della reli-
gione quella delle scienze.
Nel giorno i5 febbraio 1817 il sopra lodato pon-
tefice si recò a visitare l'accademia, e ad osservare le
macchine del prof. Scarpellini: e questo giorno me-
morando nella storia dei lincei fu eternato col seguen-
te monumento innalzato nello stesso luogo :
PIO VII PONT. MAX.
OPTIMO PRINCIPI
ANNO MDCCCXVII
IN MEMORIAM AVSPICATISSIMI DIEI
XV KAL. MART.
QVOD LYNCEORVM ACADEMIAM
ET THEATRVM PHYSICES
ADITV EIVS NOBILITATA SINT
FEL1CIANVS SCARPELLINIVS LYNCEORVM
RESTITVTOR
D. N. M. Q. E.
Al fine stesso dirigendo le sue cure il gran Leo-
ne XII, die all'errante accademia de'lincei il più no-
bile e grandioso seggio che potea mai darsi, il cam-
prof. Scarpellini, è stata ora acquistata dal governo, e trovasi a
disposiaioue del cardinale camerlengo di s- Chiesa.
ioo Scienze
pidoglio. « Così (mi servirò delle espressioni stesse del
» dispaccio del primo ministro) il santo padre riven-
» dica nel miglior modo possibile l'onore di quella
» rupe, alla quale le scienze, le lettere, le belle ar^
» ti, che vi hanno una reggia, danno uno splendore me-
» no abbagliante dell'antico, ma pacifico e tale che
» l'umanità possa gioirne senza ribrezzo. »
Così nel 1825 fu traslocata l'accademia col ga-<
binetto fisico dal collegio umbro, ove per 18 anni con-
tinuarono i lincei le loro sedute, sul campidoglio. Il
cav. Scarpellini a celebrare la memoria di sì fausto
avvenimento trattò un tema ingegnoso, esponendo il tri^
onfo di Federico Cesi (1), e fece collocare nella sa-?
\à capitolina dei lincei la iscrizione seguente:
LEONI XII PONT. MAX.
QVOD LYNCEORVM ACADEMIAM
EIVSQYE RESTITVTORIS
THEATRVM PIIYSICES
EX VMBRIAE COLLEGIO
IN QVO HAEC IPSE COMPARAVERAT
IN CAPITOLIVI^
AD SCIENTIARVM ET ARTIVM DECVS.
D1GNI0REMQVE SEDEM TRANSTVLERIT
ANNO MDCCCXXV
LYNCEI BENEMERENTES POSVERVNT,
(1) Scritto del duca Federico Cesi fondatore e principe dell'
accademia de'lincei, nel dì 27 luglio 1826, giorno del suo trionfo
in campidoglio, letto e comentato dall'ab. D.Feliciauo cav. Scar-
pellini restauratore dell'accademia. Roma pel De Romanis 1826
in 4- di fac. ai. /
Osservatorio del Campidoglio lot
Per quanto cospicuo fosse per celebrità quel pa-
lazzo, abbisognava però allora di ristauro, attese le de-
vastazioni subite in tempi tristissimi, che giova non
rammentare. La generosità del principe Altieri, senato-
re di Rema, cede gran parte del palagio onde con-
tenere le macelline e la biblioteca.
Ed eccoci al punto di parlare dell'origine dell'
osservatorio astronomico capitolino. Si sa ebe una del-
le predilette occupazioni degli antiebi lincei fu lo stu-
dio del cielo: il solo Galileo basti per tutti. I più glo-
riosi monumenti della scienza degli astri da questo
centro ebber vita, e la tanto importante misura de'tem-
pi: e moltissime tra le più cospicue dignità della chie-
sa favorirono e coltivarono l'astronomia, ed i più ce-
lebri maestri di questa scienza si gloriarono di appar-
tenere ai redivivi lincei. Fin dal principio del suo
pontificato Leone XII , dando nuove forme alla loro or-
ganizzazione, rivolse le sue cure alia fondazione di
un osservatorio che tempio fosse di Urania, e qual con-
vengasi in Roma. Per sì grandioso concetto, che tan-
to onora la mente di quel sovrano, altro più ben ac-
concio punto però di quello del campidoglio esigevasi,
perebè si trovassero riunite in esso alla magnificenza
tutte quelle qualità e circostanze, che ai giorni noslri
sono per tali edifici riputate essenziali dai grandi mae-
stri della scienza astronomica, e dai più accurati os-
servatori. Sicché sulla vasta estensione di Roma doveva
scegliersi un'altra più opportuna contrada che offrisse
la naturale elevazione del luogo sugli altri, ove a pian
terreno solidamente basare gl'istromenti astronomici;
e remota fosse da tutte le abitazioni, e soprattutto im-
mune da qualunque brandimento. Tanto al presente
esigono i progressi della scienza, e tanto il perfezio-
namento a cui furon portati i delicatissimi istromenti.
102 Scienze
All'astronomia dunque rivolgendo le cure i lin-
cei, invece di vantare un altro Galileo, aspirarono al-
la gloria di sperarne più discendenti. Alla istruzione
perciò degli alunni di Urania, piuttosto che alle pro-
prie loro astruse contemplazioni, rivolsero i loro pen-
sieri i successori del Cesi. V'ebbe pertanto fin dai pri-
mordi della restaurazione dei lincei in Roma chi fa-
vorito più dal tempo che dalle fortune impiegò lun-
ga età , e continuo travaglio di cure e di mani, per
formare l'occorrente per tale istruzione. Questo ele-
mento del tempo, fuorché a Dio non necessario, ba-
stò per quanto fu necessario al conseguimento dell'
assunto intrapreso dal benemerito Scarpellini. Fu dei
luminosi esempi, dei quali abbonda Roma, fu dello
zelo ispii^ato dalla religione, e della forza che fa sen-
tirne i doveri, il merito di questa costanza.
Inutile però sarebbe stata per lo scopo senza il
potere e la volontà sovrana. Sicché stabilissi di co-
struire sulle vette del campidoglio una specola per ri-
dar vita agli astronomici istromenti allogati fra le mac-
chine fisiche o in sale soggette a brandimento. So-
pra dunque uno dei tre bastioni, che fiancheggiano il
sontuoso palagio centrale del campidoglio, fu proget-
tato di costruire il proposto osservatorio: e venne pre-
ferito l'orientale, che riguarda l'antico foro romano,
come il più ben basato, il più aperto, ed il più ac-
cessibile degli altri dalle sottoposte sale destinate al-
le adunanze accademiche de'lincei (i). Al cav. Scar-
(i) Nicolò V fece fortificare la parte del tabularlo che guar-
da il foro romano, e nell'angolo dirimpetto all'arco di Settimio
Severo fece costruire il bastione onde servisse di controforte a
tutta la fabbrica. Su questo bastione venne basato tutto l'edifi-
cio dell'attuale osservatorio.
Osservatorio del Campidoglio io3
pellini fu dato l'incarico di sorvegliare alla costruzio-
ne dell'osservatorio. E benché conoscesse bcn'egli non
esser esso un luogo adattato per osservatorio, pure vol-
le trarne un partito nuovo ed utilissimo, quale si è
quello d'insegnare il maneggio degl'istromenti. E non
sia discaro perciò il raccontare il seguente annedolo
avvenuto al medesimo. Stavasi egli tracciando l'im-
pianto delle mura dell'edificio sul ripiano di quel ba-
stióne, secondo il suo disegno: allorché uno dei più
famosi astronomi inglesi gli si presentò recandogli com-
missioni del celebre Herschel tornato da'suoi viaggi.
Parmi, egli disse l'astronomo, volersi qui piantare un
osservatorio. Altro impianto, rispose egli, ben sapete
esigersi attualmente per ben fissare gl'istromenti astro-
nomici. Lo scopo prefisso è di far conoscere come si
adoperino: e piuttostochè servire ad astronomi, debbe
istruire coloro che vogliono divenir tali. Sarà dunque
Roma la prima, soggiunse, a dar tal esempio: poiché
osservatorii son dapertutto, ma non stabilimenti ove
s'insegni il maneggio delle macchine.
DESCRIZIONE DELL'OSSERVATORIO
ERETTO SUL CAMPIDOGLIO.
Il vasto ripiano del bastione destinato a servire
di base alla camera centrale di quest'osservatorio per-
metteva potersi orizzontare in guisa, che le sue pareli
fossero esattamente rivolte agli otto punti principali
della così detta rosa , o bussola de' venti. A diriger
quindi queste particolarità alla simmetria ed elegan-
za dell'edificio, e specialmente allo scopo dell'istru-
zione, fu prima di tutto fissato con ripetute osserva-
zioni 1' esatto piano del meridiano , e condotta per
io^ Scienze
esso sul pavimento la linea meridiana tracciata sopra
fascia metallica incastrata in lastre di marmo. Su que-
sta linea, descrittosi l'ottagono, s'innalzarono le otto
mura formanti 1' ottagono stesso all' altezza di circa
quattro metri sopra il pavimento. Ai due muri pa-
ralelli al piano del meridiano sono due gabinetti per
collocarvi, in quello a ponente il quadrante murale, e
la lunetta meridiana in quello a levante. Sugli al-
tri sei muri sono le porte d' ingresso nel gran ter-
razzo che circonda l'osservatorio, che è il ripiano del
bastione.
Giace a ponente il bel telescopio cato-diottrico
di otto piedi di fuoco, sul suo ricco montante, tutto
costruito in Roma per munificenza del duca D. Ales-
sandro Torlonia, e da esso donato e destinato ad uso
dei lincei e della studiosa gioventù romana. Vi fece
anche erigere un gabinetto per custodirlo: e da que-
sto facilmente si trasporta nel terrazzo, onde per ogni
parte si possa dirigere al cielo (i).
L'esterna parte del muro occidentale dell'otta-
gono viene fiancheggiata dalla scala, per cui dalle sot-
toposte sale si ascende al ripiano del bastione: e so-
pra questa scala ripiegasi l'altra, per cui si va alla som-
mità dell'edificio, o sopra la copertura dell'ottagono,
e dei due paralelli gabinetti. Tal copertura è forma-
ta di lamine di piombo, e circondala da una ringhie-
ra di ferro , ove tutto si gode il bel panorama di
Roma.
Sul muro orientale dell'ottagono, che è il prin-
cipale del bastione, essendo largo ben 14 palmi, è ba-
(i) Vedi Giornale arcadico tom. ^4- P" 2*> e sec
Osservatorio del Campidoglio io5
sato il gabinetto e i pilastri di marmo che sostengo-
no la lunetta meridiana: e su tal fondamento, che
sporge dal piano del foro romano, riposa il pilastro
prolungato sopra la copertura per fissarvi l'istromento
a calotta ruotante, che è il punto più elevato di tut-
to l'edificio.
Sopra le porte poi al nord e al sud si forma-
rono aperture, onde per opportune fenditure introdur-
re i raggi della luce nelle lunette degl'istromenti mo-
bili ad esse dirette; e lo stesso si praticò per quelle
degl'istromenti fissi, e tutte munite e difese dai rispet-
tivi sportelli di ferro.
Queste precauzioni si ebbero specialmente in ri-
guardo al doppio oggetto della pubblica istruzione :
giacche, oltre all'esercizio nell' uso e maneggio degl'
istromenti astronomici, si volle ancora su quest' os-
servatorio associare gli usi e gli esercizi di quanto ap-
partiene alla parte sperimentale dell' ottica istruzio-
ne, rami delle umane cognizioni di stretto rapporto
e legame tra loro, secondo le idee di Keplero.
P. Biolchini,
io6
Discorso intorno a Francesco Stelluti
da Fabriano accademico linceo.
AL CHIARISSIMO
CA.V. FELICIANO SCARPELLINI
prof, di fisica sagra nella romana università,
segretario perpetuo della cel. accademia de'lincei,
e membro di alcune illustri società europee (i).
1 nome vostro, o signore, associato negli annali del-
le scienze a quello degli uomini ad esse più bene-
meriti, suona da molto tempo chiarissimo anche ol-
tremonti ed oltremare per modo , che mimo igno-
ra quanto nell'ottica, nell'astronomia e nelle restan-
ti fisiche discipline abbiate utilmente e sapientemente
operato. Siccome per altro non è ultima delle glorie
vostre 1' essere stato il restauratore ed amplia tore
ingegnosissimo della celebrata accademia de'lincei; co-
sì io divisai intitolare a voi con ogni ragione uno
scritto, il quale intorno le opere discorre di France-
(i) Il benemerito prof. Scarpellini, che cessò di vivere la sera
del di 29 novembre i84o,due giorni innanzi avea firmato il di-
ploma di socio corrispondente dell'accademia de'lincei al eh- si-
gnor prof. Camillo Ramelli di Fabriano già socio di varie acca-
demie. Esso fu l'ultimo !
Memorie di F. Stblluti 107
sco Stelluti da Fabriano , uno tra i quattro fon-
datori di quella famosa società.
Amor di patria, die a mille in bocca , a dieci
in petto risuona, dettava a me le poche incolte pa-
role: ed amore di quell'istituto muova voi ad eccet-
tarle benigno: che io colla più distinta stima mi rac-
comando.
Di voi, eh. sig. professore,
Di Fabriano 3o agosto 1840.
Urho Dmo serv. vero
Camillo prof. Ramelli.
k_yulle vecchie rovine del peripato cominciava già a
grandeggiare nella prima aurora del secolo XVII la
filosofia di osservazione: e gì' italiani , all' indole dei
quali ha sempre convenuto una dottrina positiva, un
metodo certo, sperimentale, erano già venuti a capo
di restaurarla con mirabile scoprimento, quando l'In-
ghilterra pel suo Bacone, e la Francia pel suo Rena-
to miravano appena da lungi con progetti e consigli
alla filosofica riforma. Né crediamo sia da tacersi quan-
to osservò non ha guari un potentissimo ingegno ,
che alle condizioni cioè singolari della filosofia sep-
pero essi piegare tal metodo naturale abilmente per
modo, che qualunque savia determinazione ed appli-
cazione di esso possa venir oggi pensata , altro non
sarà che là fecondazione di alcune verità supreme ,
108 Scienze
ed un seguito dei principii trovati da quegli antichi
nostri italiani. Ora fra tante contrade della eulta pe-
nisola, in cui il bel sì dolcissimo risuona, Roma non
mosse certamente ultima alle utili novità, sia perchè
scossa dalla cosentina accademia fondata pel Telesio
sul vicino Sebeto , sia perchè eccitata da Francesco
Patrizi morto fra le sue mura. Imperocché non ap-
pena le sventure toccarono acerbissime il famoso Le-
to, non appena le fiamme arsero il Bruno sotto gli
occhi stessi de'romani, che gli animi più ardenti ven-
nero ed ingagliarditi* siccome suole spesso avvenire:
e sorta poco appresso si vide, prima della difficile at-
lantide inglese, e della fiorentina accademia del ci-
mento, la romana società de' lincei, cui debbesi dal
mondo civile la ricomposizione degli studi sperimen-
tali, pregio singolarissimo e gloria tutta italiana. Alle
osservazioni, agli esperimenti, alle nuove scoperte per-
tanto si consacravano interamente que' lincei : a se
stessi ed allo studio delle naturali discipline i più
chiari ingegni tiravano: e sebbene nelle spinose con-
troversie delle razionali dottrine si addentrassero, tut-
tavia perchè le condizioni degl'ingegni sì prospere non
erano ancora da rischiarveli, studiavano e promove-
vano a tutto potere le matematiche piuttosto e le na-
turali scienze: e per adornarle di chiarezza e venu-
stà, non trascuravano le amene lettere; pensiero tan-
to vantato oltremonte , e nato prima e rinato ap-
presso nelle italiche terre. E ciò fu per vero dire
opporlunissima cosa : dacché le trasmodale acutezze
introdottesi nella locuzione de' poeti e degli oratori
sedotto avevano in parte anche i professori delle scien-
ze esatte: ed in Roma specialmente, ove l'ingresso
del Marini, principale corruttore del gusto, rassomi-
Memorie di F. Stblluti 109
gliò ad un trionfo , era più che altrove necessario
chiarire la falsa luce, che cacciata in fondo l'antica
e nobile semplicità formato avea quegli spiriti falsi
ed affettati, che presero il gonfio pel sublime, l'an-
titesi per l'eloquenza, « Nondimeno in quei tempi,
0 comunque si studiasse non bene, si studiava mol-
« to e da molti: e, che sommamente importa, da'si-
« gnori. » E tali erano coloro, che all' indicata ac-
cademia de'lincei le fondamenta gittando sull'eterna
città, potenti di mezzi, si acquistarono un diritto all'
ammirazione de'posteri. Siccome peraltro un partico-
lare individuo seppelliva allora per lo più il proprio
merito fra gli errori ch'erano con esso al contatto ;
così laudabil cosa a me parve ritorre uno di quei va-
lorosi all'edace dente dell'oblìo, che poco più del solo
nome sembra aver rispettato. Ed oh ! fossero in me
le forze rispondenti al buon volere. Come vedrebbesi
chiaramente mostrato, che Francesco Stellati da Fa-
briano fu letterato non volgare del secolo XVII , il
quale zelò sempre coi lincei alla restaurazione de-
gli studi: poiché accademico fondò, crebbe , difese
quell'istituto, filosofo mirò agli scoprimenti con istu-
di sperimentali, poeta si dilungò dalla falsa barbarica
eleganza de' tempi suoi!
Da Bernardino Stelluti e Lucrezia Corradini ,
amendue di nobili ed illustri fabrianesi famiglie (1),
nato era Francesco nel 1577 (2)- ^ perchè cresciu-
to coi chiari ingegni , che fiorivano allora in patria
nell'accademia de'disuniti (3), mostrò sempre fino dai
teneri anni pronto e perspicace 1' ingegno , e facile
schiuse il cuore a morigerato e generoso sentire, ven-
ne da' suoi inviato a Roma sui finire del secolo XVI
col divisamento, che desse opera alla giurisprudenza.
no Scienze
Vi attese egli di fatto con molta lode di profondo sa-
pere e di rara onestà anche oltre il settantesimo anno
del viver suo. Ma perchè io son d'avviso tacer le par-
ticolarità della vita di lui , che non comprovano il
mio assunto, dirò piuttosto come egli si acquistasse
ben presto l'amicizia di persone celebrate per coltu-
ra di mente, per disimpegno di cariche, per chiarez-
za di linguaggio, e sopra tutte del giovine Federico
Cesi marchese di Monticelli. Non aveva questo com-
piuto il diciottesimo anno, quando del bello opera-
re e delle scienze tutte amantissimo, religiosi e dot-
ti uomini in sua casa di frequente accoglieva per se-
co loro negli sludi intrattenersi: e pia che ad altri
erasi affezionato al nostro Francesco, giovine stu-
diosissimo delle matematiche, e non meno di Fe-
derico saggio e virtuoso (4)- Stelluti l'animo già
ardente di Federico nell' amore delle naturali disci-
pline più ancora accendeva ; Stelluti l'amicizia ed il
consorzio di altri svegliati ingegni a lui procurava ;
Stelluti il dotto Gio. Eckio, che nelle carceri di Ro-
ma sfavasi a torto accusato, presso Federico a salvamen-
to traeva. E poiché questo valente medico venne, do-
po il ternano Anastasio De-Filiis, per opera di Stel-
luti nostro a risplender quarto fra il chiaro senno ,
che nel xj agosto i6o3 metodo e leggi prescrisse a
fondare la celebre accademia de'lincei, chi non vede
come la gloria della creazione di lei, attribuita dalla
più parte al solo Cessi, debba col nostro Francesco
principalmente partirsi ? Aveva egli allora soli 26 an-
ni: nò tuttavia moveva 1' animo alla ricerca del ve^
ro con giovanile baldanza e smodata vaghezza di no-
vità: che sceltosi anzi col motto Quo serius eo ci-
tius ad insegna Saturno, il più tardo nei movimenti
Memorie di F. Stelluti ih
celesti tra i pianeti conosciuti a quei giorni, fu sem-
pre nel divisamente, che sul cammino delle scienze
quegli sia più certo di avvicinarsi alla meta , che a
passi più lenti e misurati s'inoltra. Ben videro gli al-
tri due soci i meriti del fahrianese , e quanto a lui
dovessero per l'accademica istituzione: talché un gra-
do attribuendogli eguale al Cesi, venuto principe nel
a5 del successivo dicembre (5) soltanto, ambedue cori'
sislieri nominarono della nascente loro società. Così
o
avessero dato ascolto ai consigli di Francesco! Si fos-
sero così sepaiali fra loro per qualche tempo al rom-
bare di quel turbine , che per opera della cabala e
dell'invidia il padre, il padi-e is tesso di Federico, chia-
mò sopra quell'onorevole istituto! Gridav asi ai nova-
tori, ai negromanti: saccheggiavasi la sala accademi-
ca, ricorrevasi a'magistrati: e con quel tuono, che si
adopera talvolla ancor presso noi, fra cui non son
tutti morti gli eredi di quella ignoranza insolen-
te e di quella feroce viltà ; s' imprecava ai lincei
come a'ncmici della religione e dello stato. Fu così
per morire in sul nascere istesso quella celebrata ac-
cademia: ma Stelluti, accoppiando fermezza e pruden-
za, stette immobile all'urto e alle opposizioni: e vin-
se. Non movevano no , non movevano quell' anima
forte le ingiuste tacce d' irreligione, e di occulte mi-
steriose cifre , su cui tanto disputarono : benché di
queste , rese ancor più sospette dal giuramento che
Ira lor si prestavano , tutta ne vedesse la giovanile
imprudenza; che pio era Francesco , religiosa la so-
cietà, innocente quella crittografia a' nostri giorni sve-
lata (6). Noi moveva l'Echio cacciato dalle mura dei
Cesi: che egli in sua casa, come in sicuro asilo, lo ri-
parava. Non il duca, che di notte traeva con adu-
112 S e I E N Z E
latori e scherani a cercare del figlio: che Francesco
balzato di letto, e della sola vesta coprendosi, riman-
dava cheto l'iroso, francamente rispondendo esser il
giovine Federico partito per Acquasparta. Stelluti an-
zi pregavano, perchè al figlio di tornare a Roma scri-
vesse: a Stelluti, in modi però meno acerbi a quel-
li usati col De-Filiis , che si guardasse bene di più
corrispondere con Federico imponevano. Non ristava
però egli a tale audace imperiosità di quei ricchi po-
tenti: e quantunque sapesse che le sue lettere inter-
cettate venivano , scriveva al principe , scriveva all'
Eckio, e di quello che in Roma accadesse, scriveva loro
quanto bastasse a renderli cauti e vigilanti per le in-
sidie che venivano approntate. Ma che non può cie-
co ostinato spirito di parte ! A vincere prudenza e fer-
mezza , sì ben rare in animo giovanile, gli sparsero
contro le accuse di fattucchiere: e per tutti i cantuc-
ci ancora di. Roma ne parlavano a modo, che dovet-
te da se stesso ascoltare essersi da lui per arte dia-
bolica mandata la dirottissima pioggia, che impedì al
duca di raggiungere il figlio nella notte in che era
partito. Vide egli allora come utile fosse serbarsi a mi-
glior tempo: e senza lasciarsi stornare dal suo propo-
sto, con quella prudenza, che i malaccorti chiama-
rebbon viltà, abbandonò piuttosto improvvisamente Ro-
ma, quasi astretto da impensato accidente, e se ne
tornò alla sua Fabriano (7). Voi, voi solinghi monti
dei palrii appennini, ridite voi quanta occulte insidie
a lui si tendessero! Voi lo vedeste come taciturno di-
lungar non poteasi dalle vostre valli per timore di es-
sere assalito! Né ciò bastava ad abbattere la sua co-
stanza: che le guardie date all'Eddo nel bandirlo da
Roma, tennero nel ritorno la strada di Fabriano per
Memorie di F. Stelluti ii3
cercare, ma indarno, Stelluti, il quale avvisato della
venuta loro, erasi già messo in sul niego. L'impru-
denza per altro, che ebbero coloro di millantare l'or-
dine avuto di bruttamente oltraggiarlo, strinsero il no-
stro linceo a lasciare anche le sue native contrade ,
nelle quali sperato aveva un asilo, ed a trasferirsi se-
gretamente a Parma (8), onde vivervi tranquillo fino
a che dato gli fosse di tornarsene a quella Roma, a
cui T interesse e la professione di legale lo chiama-
vano, ed a cui egli per altro nella sua fermezza tor-
nar non sapeva se non linceo. E Roma infatti, giac-
che tutto alla perfine non potevano gì' intrighi ed i
cortigiani del Cesi, Roma nel fervore della persecu-
zione contro i lincei apprezzando i meriti del no-
stro Francesco, volle, ed è questa bella lode per lui,
aggregarlo nel 7 settembre i6o5 alla romana nobil-
tà , e per la chiarezza del suo lignaggio e per la
vastità .ella sua dottrina (9). Tanta era l'opinione,
che a preferenza de'suoi colleghi si mantenne Fran-
cesco ! E fu per essa, che dopo 3 anni dalla disper-
sione degli accademici tornar potette in Roma, men*-
tre gli altri n'erano in bando, onorato e riverito; fu
per essa, cui dovrebbe specchiarsi chi per troppo bol-
lente amore rovina sconsigliatamente il progresso, se
nel 1609 ^ principe dei lincei, lo sfortunato giovi-
ne Cesi , ai consueti esercizi tornò ed agli utili la-
vori della amata scientifica sua società. Col solo Stel-
luti divise egli allora le studiose sue cure , ed a
questo solo, ma fido compagno, tutto il suo amo-
re aveva rivolto, e tutti apriva i pensieri del suo
belV animo (10). E Stelluti previde perchè non si
rinnovassero le sofferte amarezze, Stelluti gratificò i
Barberini (11) perchè l'accademia tornasse in fama
G.A.T.LXXXVII. o
n4 Scienze
ed in vita. Chi se non egli infatti procuratore gene-
rale fu di quell'istituto (ia) ? Chi si elesse ordina-
tore del liceo in Napoli ? Chi sobbarcò agli incari-
chi più rilevanti ? Chiamato Francesco nel 3 marzo
1612 a trattar gli affari de' lincei , tutto si volse a
procurare per la società ogni sorta di vantaggi: ed ora
un terreno comperava con iscaturigine di acqua sul-
furea e casale per farvi esperienze , ora curava per
ogni modo la stampa e la circolazione delle opere
degli accademici (i3). Ed il carico della economia ,
gravoso ancor più per la povertà de'mezzi, così res-
se avveduto, che quando l'accademia impennate le ali
era per levare franco il volo oltre le mura di Roma,
il dottissimo Porta scriveva da Napoli, che nulla a-
vrebbe senza lo Stelluti nostro conchiuso. Vi andò
egli pertanto nel 27 aprile i6i3 provveduto d'istru-
zioni e danari, così per cercarvi un palagio, in cui
stabilire il nuovo liceo, come per informarsi dei sog-
getti che meritassero d' esser aggregati. Frequenti e
dotti abboccamenti tenne Francesco e col celebre Por-
ta istesso, che gli venne amicissimo (14)? e coi più
valenti di quella capitale , ove caldo come era sem-
pre dell'onore de'lincei collocar fece nella chiesa del-
la carità un epigrafico elogio ad Anastasio De-Filiis
già defunto. Trovò egli atti all' uopo tre dei molti
palagi visitati: ma perchè non è a dirsi quanta dili-
genza poneva in tutte cose, di niuno fece acquisto,
rendendo piuttosto nel 16 del successivo luglio dei
letterati conosciuti e delle cose operate conto il più
bello ai colleghi , che lui vollero in pubhlica ragu-
nanza solennemente commendato. E che non fece il
nostro accademico, che non zelò per quella società
a lui sì cara ? Partiva da Roma nel 16 14 il biblio-
Memorie di F. Stelluti ii5
tecario Angelo De-Filiis , ed egli si toglieva ancora
le cure di quell'ufficio. Ad opera grandiosa, a molli
e costosi lavori con iscarsezza di moneta miravano i
soci ? Ed egli col romano tipografo Antonio Rosset-
ti tal contratto a novennio statuì , che lo scopo ai
mezzi acconciava. Si voleva in campidoglio colloca-
re al defonto monsig. Virginio Casarini un' iscrizio-
ne ? Ed egli scriveva al valente Cassiano del Pozzo,
che per mezzo del cardinal Barberini curasse non il
titolo d1 accademico linceo tra gli altri del Cesarmi
venisse lasciato. Né qui è a tacersi come presso gli
Stelluti nostri serbato veniva manoscritto un tomo in
4-° intitolato : Lynceographum, quo norma studio-
sae vitae lynceorum philosophorum exponìtur a
Francisco Stellato fabrianensi A. L. Poiché ve-
niamo da ciò assicurati , che il linceografo appunto
giammai pubblicato , a cui furono tanto intorno gli
accademici ed il loro principe, e di cui il eh. Ode-
scalcbi dà il compendio, dovette essere lavoro del no-
stro Stelluti: al quale pertanto con più ragione for-
se che ad Angelo De-Filiis attribuir si possono an-
che le Praescrìptiones Ljnceae, a nome del Fabri
cancelliere dell' accademia nel 1624 stampate (i5).
Ma che sto più a dire siffatte particolarità ? Moriva
nel 2 agosto i63o in Acquasparta l'infaticabile e dot-
tissimo principe Cesi: e Stelluti, che sempre eragli a
fianco, che fin dal 23 dicembre 1626 ottenuto ave-
va da Federico di aggiungere al proprio il cognome
di Cesi, ed inquartarne l'arma perchè di lui paren-
te (16), Stelluti, che fino all'ultimo respiro fu sem-
pre il suo amico verace , rendette non solo alla ve-
dova di quel valente tutti i servigi, ch'erano in po-
ter suo, continuando con invariabil costanza ad assi-
1 16 Scienze
stere e difender lei e le figliuole, ma prese inoltre,
ciò che viene nel nostro scopo, a sostener l'animo e
la perseveranza de'lincei, i quali dopo tale epoca pos-
siamo francamente asserire non essere che in lui e
per lui soltanto vissuti. Passati infatti appena i pri-
mi giorni del dolore , scriveva a monsig. Ciampoli ,
scriveva a Cassiano del Pozzo , perchè le cose dell'
accademia vedovata del suo principe non minassero,
perchè altro nuovo in qualche potente signore, e de-
signava quanto a se il cardinal Barberini , n'eleg-
gessero. Ma vani tornavano i voti di lui ed anche
la stampa dell' Istoria naturale del Messico, di cui
niun altro rimasto era più di lui informato , ed in-
torno a cui per benefizio et onore dell 'accademia
aveva egli faticato tanti anni e con tanta spesa
della sua casa (17), posta veniva in non cale da-
gli altri colleghi, che andarono ben presto dispersi ed
abbietti. Non fece così per altro Stelluti : poiché la
pubblicazione di quell'opera insigne e ben rara, eh'
è l'unico fruito sino a noi pervenuto de' lincei , si
beve interamente (18) allo zelo instancabile di
Francesco, il quale, non mai dimentico del suo
signore e delV accademia, non depose mai il pen-
siero di assicurare la gloria sì delVuno come del-
Valtra. Ben sa difatto chiunque aperto abbia quel li-
bro, dovuto primamente all'Hernandez, compilato poi
dal Recchi, ed arricchito infine d'importantissime no-
vità ed aggiunte dai lincei, quante cure vi spendes-
se attorno fin dal 16 12 l'operosissimo nostro acca-
demico: il quale non pago di averne riportato privi-
legi di privativa per la stampa e dai pontefici, e dal
gran-duca di Toscana, e dall'imperatore, e dal re di
Francia, tanto adopeiò, tanto fece, allorquando si vi-
Memorie di F. Stellati 117
de abbandonato dai nostri italiani, che venuto a Ro-
ma per ambasciatore del re cattolico Alfonso Turia-
no, e caricatosene della spesa per dedicar quell'ope-
ra al suo monarca Filippo IV, potette finalmente ot-
tenerne la stampa in Roma nel i65i pei tipi di Vi-
tale Mascardi, ed inserirvi le celebri Tabulae phy-
tosophicae del suo Federico Cesi, alle quali Fran-
cesco premise una sua lettera dedicatoria a D. Ro-
drico De-Mendoza altro ambasciatore del re spagnuo-
lo al X Innocenzo (19). Quanto poi diremo che fos-
se il merito di lui siccome accademico, se oltre al
già narrato , ed alla pubblicazione di questa grande
opera , in cui la più parte de' lincei ed egli stesso
aveva lavorato, mostreremo noi coli' analisi delle sue
dotte fatiche, essersi da esso e come filosofo e co-
me poeta raggiunta sempre la restaurazione degli stu-
di, che lo scopo lodevole fu di quella società cele-
brata ?
E toccando primamente delle razionali scienze,
dirò com'egli, per agevolarsi il cammino ad una ri-
forma, volle con temperanza veramente italiana, an-
ziché tutto spregiare nell'aristotelica dottrina, occu-
parsi piuttosto a ritogliere dal ginepraio e dalla pro-
lissità dei commentatori le idee chiare e nitide del
profondo stagirita, scrivendo nel 1604 tra le tempe-
ste stesse accademiche un Compendio di logica (20),
cui non saprei dire se precedesse, ovver susseguisse
l'altro Corso filosofico di logica, fisica e metafisi-
ca con quindici corollari e compendi delle altrettan-
te dispute di tutto il corso suddetto (21) : e mollo
meno precisare, se oltre il merito di aver sempliciz-
zato le scolastiche quisquilie, null'altro somministras-
se al pari del primo in vantaggio della sperimentai
1 1 8 Scienze
filosofìa. Non fu però così Della fi sortomi d di tutto
il corpo humano del sig. G. Bat. Porta accademi-
co linceo, da lui brevemente in tavole sinottiche ri-
dotta ed ordinata, ed al card. Francesco Barberino
intitolata, che nel i63j pei tipi del Mascardi in Ro-
ma pubblicava. Poiché se i sommi Bacone e Leibni-
zio stimaron la scienza fisonomica tutt'altro che spre-
gevole e ridicola: se Herder nel 1778, e Lavater so-
pra tutti nel 1781 ebbero fama per lavori consimili;
se nell'attuale fdosofia stessa ne parlarono e l'acutis -
simo Kant , ed il dott. Spurzheim caldo seguace di
quel Gali, la cui craniologia riscosse pure l'ammira-
zione d' Europa , e rivisse non ha guari per Brous-
sais e per l' italiano Fossati , come potremo noi
frodare di molta lode lo Stelluti , che precedendo
per due secoli le idee del giorno se ne occupò col
vero metodo dell' osservazione , mentre tutti geme-
vano all'aristotelico giogo, ed approvar seppe 1' ope-
ra del Porta, prima nel ridurre a principii la fisio-
gnomonia ? Né credasi che fosse questo un lavoro
semplicemente meccanico : dacché nell1 ordinare eoa
brevità e chiarezza in quattro soli libri quello che il
Porta con molte contraddizioni ed errori scrisse in sei,
dovette egli e per omettere, e per riunire, e per i-
scegliere le opinioni più probabili molta fatica e gra-
ve senno adoperarvi d'intorno. Vero è che lasciò con-
dursi dall'esempio del napolitano, nel quarto libro spe-
cialmente, a quelle fantasticherie di correggere colla
virtù di erbe, pietre ed animali, i vizi e le passioni
umane: aspetto puerile, che non vestono certamente
gli studi dello svizzero Lavater e del craniologo te-
desco ; ma vero è altresì che non può come a que-
sti darsi al nostro SLclìuti la brutta taccia di fatali-
Memorie di F. Stelluti 119
smo, dacché egli stesso ai lettori sì bella dichiarazio-
ne ne faceva (22) da chiaramente mostrare, come nel-
lo stesso empirismo fuggisse con mente italiana gli
estremi, e sviare non si facesse dai veri più certi ed
importanti. Un curioso trattato, oltre a ciò, della
mano dell'Intorno paragonata all'i piedi di alcuni
animali quadrupedi e di uccelli , assicurava nella
prefazione di venire approntando : e sebbene questo
veduta più non abbia la pubblica luce , ci appalesa
tuttavia, come di tal novella parte arricchir volesse
le osservazioni del Porta , e quanto della psicologia
comparata, ch'era fio d'Aristotile in oblio, benemerito
venisse egli prima che il famoso Cartesio a novella
vita la chiamasse. Né tacerò finalmente intorno a ta-
li studi, siccome sponesse con molta chiarezza , se-
guendo il Porta, che la visione in noi degli oggetti
non doppi deriva dall'indirizzare un occhio solo alla
volta (23) : dacché ciò mostra quanto a torto si at-
tribuisca al Gassendi il merito tutto di questo pen-
samento, apprezzato pure da chi non seguendo i me-
tafisici ed imburghesi ricusa di attribuire la spiega-
zione del problema o al concorso degli assi ottici con
Cartesio, o all'identità dell'impressione con Brigg, o
per la storia del cieco operato da Cheselden all'am-
maestramento del tatto. Non furono però questi gli
studi prediletti di Francesco: che le matematiche pu-
re ed applicate bene aveva più a cuore, come quel-
lo che degli altri tre lincei colleghi suoi nella fon-
dazione stessa dell'accademia incaricato venne ad in-
segnar la geometria, secondo Euclide, ad osservare e
calcolare il moto degli astri, e proporre le macchine
e gli opportuni islromenti, ed a fare su ciò la terza
tra le cinque lezioni, che tener dovevasi ne'tre gior-
120 Scienze
ni di ciascuna settimana. Nella prima lezione infatti,
data poco appresso ai i5 di ottobre i6o3, con molta
chiarezza espose egli, a senso dell'Odcscalchi, i prin-
cipii ed i supposti della geometria , e mostrò nella
meccanica la costruzione di una maravigliosa scala
per ascendere, la quale con somma facilità poteva ed
abbreviarsi ed estendersi. Nella parte astronomica poi
non dirò, che lasciò scritto in latino un opuscolo Ad
inveniendum arcuili semidiurnum cuiuscumque gra-
dus eclip tlcae (24): non dirò che ogni cura ponen-
do a raffrontare le osservazioni di Tolomeo colle tico-
niane, le diverse latitudini rilevava delle stelle fisse,
e le attuali posizioni notava di Sirio, del minor ca-
ne e di Venere , dalle cui fasi ben egli argomentò
il tolemaico errore di averla nel terzo cerchio collo»
cala (25). Dirò bensì, che venuto amicissimo al som-
mo Galilei tutti gli scoprimenti astronomici di lui pre-
stamente risapeva, tutti egli medesimo colle proprie
osservazioni raffrontava, a calcolar tornando dei sa-
telliti di Giove i periodici moti, le grandezze, le di-
stanze e l'ecclisi col loro pianeta ; ne alcuna del-
le sue maravigliose scoperte era dal fiorentino filoso-
fo pubblicata, che l'amico fabrianese non ne accom-
pagnasse l'edizioni con poetiche lodi, delle quali ap-
presso diremo (26). Né questo è tutto. Ognun sa co-
me il celebre Saggiatore, che fruttò poi i terribili se-
mi, i quali avvolsero Galileo nella più fatale sciagu-
ra, traesse origine dalla Libra astronomica e filoso-
fica , che sotto il finto nome di Lotario Sarsi pub-
blicato aveva in acerba risposta al Galilei il gesuita
Grassi, uno dei più rinomati fisici de'tempi suoi. Or
bene : Stelluli , che era sin da principio informato
della controversia, e di tutto col fiorentino linceo se
Memorie di F. Stelluti 121
la intendeva, Stelluti nel 7 settembre 162 1 scrive-
va da Acquasparta , che si desse cenno a Galilei
starsi aspettando con desiderio la sua lettera con-
tro il Sarsi, affinchè gli servisse ancora per un
poco di stimolo , essendo ornai tempo ctì escisse
fuori (27). E perchè questi indugiava ancora, ed il
nostro Francesco caldissimo era di sostenere l'amico,
il socio, il luminare dell'italiana filosofia, gl'indiriz-
zo egli stesso in Firenze una risposta che aveva ap-
prontata perchè l'esaminasse. Vergognato allora quel
dolente della sua troppa lentezza, inviava nel 19 ot-
tobre 1622 a D. Virginio Cesarini, e per esso al prin-
cipe Cesi, il manoscritto del suo celebrato saggiatore
scrivendo : La risposta del sig. Stelluti non è ar-
rivata qua se non pochi giorni sono, sicché ap-
pena gli ho potuto dare una. scorsa. Che se aves-
si avuto tempo di leggerla pia consideratamente,
non dubito che ne avrei cavati avvertimenti da
poter migliorare la mia: ma la rivedrò e mi ser-
virò dell'avviso. Intanto non mi è parso di dover
differire più lungamente il mandar la mia (28).
E qui più cose vengono a notarsi. L'una è, che men-
tre il Cesarini ed il Ciampoli fino al 22 dicembre si
tenevano l'originale del saggiatore, pubblicato poi sul
finire dell'anno venturo, per notarvi alcune mende, e
lo inviavano quindi al Cesi perchè facesse altrettan-
to, esciva in Terni nell'istesso anno 1622 in 4-° 1°
Scandaglio sopra la libra astronomica e filosofi-
ca di Lotario Sarsi nella controversia delle co-
mete di Gio. Battista Stelluti. Dal che argomentasi
quanto Galilei approvasse la risposta del nostro Fran-
cesco, coinè la credesse degna di precedere anche la
sua nella pubblica luce, e come vada errato l'Ode-
122 Scienze
scalchi nell'asserire (29) che non venisse mai pubbli-
cata, forse perchè dopo il saggiatore ogni altra risposta
era inutile. L'altra è di cercare, come lo Scandaglio,
che sappiamo esser lavoro di Francesco per attestato
e dello stesso Galileo e dell' Odescalchi , il quale
scrisse, che di lui esisteva nella biblioteca Albani an-
che l'originale manoscritto, sia poi comparso alle stam-
pe col nome di Gio. Battista Stellati, il quale era
fratello carnale di Francesco e matematico non vol-
gare, ed a cui quell' opera attribuiscono non solo i
bibliografi e gli storici (3o), ma fin anche una let-
tera che diretta al Guiducci, ed esistente tuttora nel-
la biblioteca Albani medesima (3r), palesa come Gio.
Battista e non Francesco fosse per pubblicare il ri-
cordato scandaglio. Sul che ci sia lecito esporre una
nostra congettura ; ed è , che avendo per una par-
te velato fino allora ciascuno il proprio nome nella
famosa disputa sulle comete, ed essendo per l'altra
Francesco circospetto sempre, siccome abbiamo vedu-
to, e guardingo di non accettar brighe, verosimile è
essersi voluto anch' esso occultare nella persona del
fratello Gio. Battista, il quale, lungi da lioma e non
occupato in pubblici affari, aveva poco assai o nulla
di che temere i risentimenti degli avversari. Checche
sia per altro di ciò, certa cosa è, che sebben Gali-
leo e quindi Stelluti avessero torto nel fondo della
questione, riguardando le comete come esalazioni del-
la terra ammassate negli spazi celesti , ed illustrate
dai raggi solari ( errore per altro che al dir di Fri-
si (32) era ancora V errore de'teinpi ); lode tuttavia
non poca tributar dobbiamo a Francesco, che accop-
piando sempre fermezza a prudenza, sì bellamente en-
trò in quella famigerata conlesa per difendere l'im-
MKMORIK DI F. STELLUTI 123
mortai fondatore della sperimentale filosofia. Nò qui
ebber termine gli studi suoi intorno ad essa, che glo-
ria può dirsi veracemente italiana, siccome diremo a
principio: dacché a tutt' uomo studiavasi egli di co-
gliere ogni buon destro per vantaggiar la storia na-
turale, che tanto aveva in amore. Notammo già quan-
te cure fossero da lui spese intorno alla naturale isto-
ria del Messico, estesa a tutti i tre rami di quella
disciplina; ma per toccare di ognuno, parlando della
mineralogia , ricorderemo come avendo il principe
Cesi, pochi anni prima della morte, discoperto nel ter-
ritorio tudertino presso il suo feudo di Acquasparta
un legno, da lui chiamato metallo/ito, lo Stelluti im-
prese a scrivervi un breve trattatello a penna , che
nel 1637, presso le molte ricerche avutene, pubbli-
cò in Roma per imitale Mascardi intitolandolo :
Trattato del legno fossile minerale nuovamente
scoperto ; all' illustre cardinal Francesco Barberi-
no intitolandolo. Credette egli (33), è vero, in quest'
opera un tal legno procedere da una spezie di ter-
ra che ha assai dei cretoso , ed a poco a poco tra-
smutasi in legno coll'aiuto deTuochi sotterranei esi-
stenti in quei luoghi, e delle acque sulfuree e mine-
rali: lo che si oppone alla più parte degli odierni na-
turalisti, i quali lo ritengono composto dagli avanzi
de'vegetabili in lontane epoche, e nei grandiosi cata-
clismi seppelliti ; ma chi non sa esser questo uno
fra i fenomeni geologici^ la cui spiegazione riesce
più difficile ai naturalisti per sentimento del cele-
bre Patria (34) ? Chi non sa, che questo valentissimo
mineralogo ed il eh. Gensanne, a gravi difficoltà cre-
dendo soggetta la opinione comune, dichiararono piut-
tosto collo Stelluti il carbon fossile (35) una terra
124 Scienze
semplicemente argillosa inzuppata di bitume per azio-
ne vulcanica, da cui si lanciano particelle piccolis-
sime al pari delle molecole terree , che simultanea-
mente erompono a formar dappoi strati argillosi ? Ma
lungi noi dal soscriverci a tale opinione col nostro
concittadino, crediamo anzi che il minerale da lui de-
scritto non sia il vero carbon fossile sparso a dovi-
zia dalla provvida natura sotto le mani dell'uomo ma-
nifatturiero a vivificare l'industria di Francia e d'In-
ghilterra, ma sibbene una delle varie ligniti, che tan-
to abbondano nei terreni dell'agricola Italia. Dapoi-
chè ricordando che il nostro Francesco si persuase
anch'egli da principio, esser questi legni tronchi o fru-
sti di alberi sotterrati, e formati poi con quell'onde
dai fuochi sotterranei, ed acque minerali che ivi sca-
turiscono (36): e richiamando il Planco (3j), e chiun-
que altro volesse censurarlo, ad oltre due secoli ad-
dietro, quando al nostro linceo era ignoto ancora se
nascesse un tal legno in altre parti, e se ne aves-
se scritto autore alcuno : crediamo aver bastante-
mente difeso uno scritto , che meritò pure di essere
tradotto in latino dal bravo Daniele Maior, ed inse-
rito appresso negli atti dell'accademia de'curiosi (38),
e che alle i3 stampe, delle quali è corredato, uni-
sce pur quella di alcune belle ammoniti, le quali in
Acquasparta e nel territorio di Fabriano sua patria
erano state da Stelluti fra i molti zooliti, di cui avea
conoscenza, diligentemente osservate. Venendo poi al-
la botanica, a cui pure lasciò scritto il Santini aver
egli dato opera, dobbiam confessare, che quantunque
della cassia, deìVelleboro, deWamomo, del balano
e di altre piante abbia egli trattato (3()), tuttavia il
suo nome ricordato non sarebbesi dai filologi , se il
Memorie di F. Stelluti ia5
ciottissimo Fabio Colonna, tanto con esso in amici-
zia congiunto, non si fosse avvisato, ad onore e ri-
cordanza del fabrianese per ogni genere di virtù e
varietà di scienze lodatissimo (4o) , di cangiare alla
messicana pianta stolquahvit o chilli ripiena di frut-
ti foggiati a stella^ l'equivoco e barbaro suo nome
in quello di pianta stellata. Che se tal genere non
fu poi ricevuto da Linneo, ne da veruno dei bota-
nici successori sino a' nostri giorni (4.1) , altrettanto
avvenne degli altri generi per le piante cesia e bar-
berina, che lo stesso celebrato Colonna, ad equiparar
forse Stelluti con quei due splendidi sostegni primi
dei lincei, aveva accortamente introdotto. Non fu co-
si per altro per le zoologiche scoperte, nelle quali a
causa dello studio posto nella psicologia comparata è
a collocarsi fra i più benemeriti. Si tacciano le ri-
cerche continue e le osservazioni esatte, ch'egli ra-
gunava pe'suoi colleghi a compimento dell'opera mes-
sicana; si tacciano le cose da lui scritte del corvo ,
della murice, della seppia, del castoro (42)? S1 tac~
cia quanto di un lione tratto alla dimestichezza dal-
la ferocia nativa, ed in Parma per lui osservato , ai
suo diletto e chiaro Eabri scriveva (43). Non tacere-
mo però noi , che inventato appena dal suo amico
Galileo 1' utilissimo istrumento , cui gli stessi lincei
dettero il nome di microscopio , stelluti fu il
primo che alle più belle scoperte lo volse, in quelle
osservazioni impiegandolo, che divennero poi sì fecon-
de, per la insettologia fra le mani dei Lenoveck e dei
Reaumur. Egli adunque dette a noi innanzi lutti esat-
tissime microscopiche osservazioni suìVape, che inci-
se elegantemente in grande tavola, e di belle e dotte
spiegazioni corredale, unite furono all'apiario del Cesi,
126 Scienze
ed offerte nel i6a3 al pontefice Urbano Vili, già Maf-
feo Barberini: il quale, avendo appunto l'ape nel gen-
tilizio suo stemma, cercava Francesco di rendere con
tutta la famiglia benevolo alla sua diletta accademia.
E tanto furono lodate queste di lui osservazioni, ri-
petute con ogni diligenza intorno ai più piccoli mem-
bretti , e verificate poi non solo dal Colonna e dal
Fontana, ma ben ancbe dai posteriori naturalisti, die
Stelluti stesso se ne compiacque a segno da riprodur-
le dopo più minuti confronti e miglioramenti con al-
tra incisione e con lunga nota nella sua traduzione
di Persio, come nella grand'opera messicana tornò ad
inserirle con attestazioni di lode il Colonna (44)- Né
qui ristava l'operoso nostro fabrianese; poicbè col mi-
croscopio osservò anche il gorgoglione, ed i risulta-
ti pregevoli espose in altra nota allo stesso Persio ,
corredandoli di esatta incisione. Perchè poi nello stem-
ma dell' accademia si avvide mancare alla lince un
fiocchetto di lunghi peli sull'apice di ambo le orec-
chie, lo che è il più evidente carattere; così egli la
dette nella medesima opera del satirico di Volterra,
con Ogni diligenza effigiata, facendola ritrarre non so-
lo dalle due che, prese vive nell' Abruzzo , aveva il
card. Barberini spedite al principe Cesi, ma giovan-
dosi anche di quelle che osservate aveva nei monti
di Fabriano sua patria, ove erano state prese più vol-
te (45): e correggendo così Plinio, che nell'India le
voleva soltanto e nell'Etiopia. Tanto era adunque il
suo amore ai naturali studi nel togliersi anche al-
le gravi cure della giurisprudenza, col venire per qual-
che mese a diporto in seno della propria famiglia !
Fu qua diffatti, che osservò con tutto agio Yonocro-
tato degli antichi, uccello dell' ordine dei palmipedi,
Memorie di F. Stellati 127
detto oggi pellicano, di cui non si limitò egli a da-
re i brevi ed esatti cenni diretti tantosto al Cesi, con
lettera scritta in volgare da Fabriano nel 6 gennaio
1624, ma una seconda ne scriveva latina pur da Fa-
briano nel io dicembre 1625 all'altro amico Fabri,
e nelle annotazioni fatte da'lincei all'opera del Mes-
sico la inseriva (46). La descrizione del quale ani-
male, ebe tanto trattenne i naturalisti, pare a noi sì
commendevole da cercarne forse invano la migliore
dai moderni ornitologi, dacebè notammo osservate con
precisione e certezza più cose, ebe Buffon conghiet-
tura soltanto e sospetta.
E cbi sa quant' altro operato non avrebbe il
suo filosofico genio, se la dispersione dell'accademia
colla persecuzione di Galileo per un lato, e la pro-
tezione ebe Urbano Vili accordava dall'altro alla poe-
sia ed ai suoi cultori, fra i quali pur egli si trova-
va, non lo avesser consigliato per la sua tranquilli-
tà di volgersi a questo studio, sempre per altro collo
scopo della restaurazione, che era pur quello de'suoi
lincei ! Perchè infatti a purgare dalla corruttela , la
quale avea presso che spenta coll'italiana ogni altra
letteratura (47)» il migliore avviso era quello di far
novellamente spirare le antiche aure ateniesi e ro-
mane, richiamando gl'ingegni a quell'antico bello; co-
sì lo Stelluti pubblicò in Roma pel Mascardi nel
i63o, al suo card. Barberino intitolandolo, il Persio
tradotto in verso sciolto e dichiarato. Che se ta-
luno chiedesse, perchè questo, tanto inferiore ad altri
poeti ed agli stessi satirici latini Orazio e Giovena-
le, prendesse egli a tradurre, risponderemo, che il fe-
ce forse per cacciare dagli ameni giardini dell'ita-
liane muse gli animali immondi, che i pia bei fio-
128 Scienze
ri ne aveano cincischiati e pesti , senza accattare
l'odio de'oontemporanei: ai quali volgeva così lo sde-
gno di Aulo Fiacco, che, non risparmiandola a Ne-
rone, riprese nella prima sua satira i poeti romani di
stile affettato ed ampolloso. Né poco, oltre al merito
dello scopo, sembra a noi che sia quello intrinseco
del lavoro, o pongasi mente alla molta fatica che du-
rar dovette a rinvenire, come egli stesso dice, le pa-
role più proprie ed intelligibili di nostra lingua per
dare agl'italiani senza sopraccarico di ornati marine-
schi un satirico, che per le straordinarie metafore, le
frequenti ellissi, le ricercate allusioni chiamato ven-
ne il (4$) Licòfrone latino: o riflettasi, ch'egli pri-
mo ed in mezzo all' universale depravamento donò
all'Italia una vera traduzione di questo poeta, tenta-
ta poi da altri un secolo dopo soltanto, né raggiun-
ta tampoco dal classico autore di Basville ai giorni
nostri, se credette utile tornarvi sopra il napolitano
Mazzarella Farao. Lungi però noi dall'entrare qui in
difficili ed odiosi confronti, noteremo che il Salvini
reputò un azzardo il tradurre Persio in isciolti, do-
poché in tal genere di versi lo aveva elegantemen-
te, così egli dice, tradotto il nostro Stelluti; note-
remmo che Monti stesso quest'una menda vi segnò,
tranne altra di poco conto, di gettare cioè perpetua-
mente tre e quattro versi del proprio per empire le
lagune di Persio: alle quali doveva supplirsi sì, ma
in modo, che non isnervasse la precisione del testo,
o ne tradisse lo spirito (49 )• Ma lasciando che altri
dicano, se il eh. autore della mascheroniana raggiun-
gesse poi egli tale scopo, rispondeva già a questo lo Stel-
luti medesimo, che se non avea interamente imitato
il testo in quel suo modo di dire così breve e ri-
!
Memorie di F. Stelluti 129
stretto^ era stato per non esser pia oscuro di luit
e perciò in alcune cose si era un poco dilata-
to (5o): e rispondevano inoltre per noi l'Odescalchi,
che (5i) questa versione chiamò bellissima e vera-
niente elegante, l' Adiratali (52) che la disse chiara,
nobile ed ingegnosissima, il Colonna che incuora-
talo per onor dell'accademia a pubblicarla, Cassiano
Dei-Pozzo con altri amici che la commendarono, e
la vita, che campata all'oblìo, ha tuttora bella e fio-
rente (53). Nò a questa soltanto il merito di lui per
la restaurazione delle lettere si restrinse: mentre se
yera è, come verissima , 1' opinione del Torti (54) ,
che dal genio per l'ode pindarica nacque poi il nuo-
vo genere di lirica emulatrice dei voli levati dai ci-
gni di Grecia e di Roma, allo Stelluti è dovuta par-
te almeno di quella gloria, eh' egli tutta attribuisce
all'Adimari per l'italiana traduzione del lirico greco
pubblicata soltanto nel i63i: poiché il nostro linceo
aveane già molti anni prima inspirato il gusto con pa-
recchie sue odi e canzoni, per le quali mostrò, che
bevendo alle fonti degli antichi classici si poteva va^-
lere almeno quanto i freddi petrarchisti ed i turgidi
mariniani. Leggasi infatti di grazia Yode, che nel 16 18
intitolava a donna Olimpia Aldobrandini principes-
sa di Rossano e Medula; leggasi l'altra, che nel Sag-
giatore dell'immortale suo amico Galilei nel 1623 a
laude di lui pubblicava; leggasi il Parnaso, canzone
che nel i632 per le nozze degli eccellentissimi Gio.
Federico Cesi duca d'Acquasparta, fratello del già de-
funto suo amico, e Giulia Veronica Sforza Manzoli
dedicava; e poiché la negligenza più che l'edace den-
te del tempo ci furò molte altre poesie dello stesso
genere, si riscontrino nelle citate le non poche ori-
G.A.T.LXXXVIL 9
i3o S C I E W Z E
ginali bellezze sparsevi, totalmente opposte a quelle
degli spiriti di allora, che nei concettini e nella va-
rietà delle figure ogni pregio ponevano. Bello infatti
a noi sembra lo scrivere :
Ciò che quaggiù si mira
Originar fra noi,
Tutto convien che l'ira
Provi del tempo, e gli alti scherni suoi;
Da i bei confini eoi
Non prima il giorno è sorto,
Che lo miriam dall'onde ibere assorto... ec.
Non ha, non ha fermezza
Quaggiù nostra possanza.
Stato di vasta ampiezza
Ha men pronta l'aita, ha men costanza;
Strale, che più si avanza
Per l'aeree contrade,
Con tracollo maggior trabocca e cade.
E questo nell'ode all' Aldobrandino nelP altra poi a
Galileo cantava :
Ai confini di Alcide
Sicuro altri le spalle
Rivolge, e senza guide
Su cavo legno per l'ignoto calle
Della lubrica valle
Dell'ocean profondo
Vassene, e aggiunge un nuovo mondo al mondo ec.
Novelli solo a noi
Quei discoprirò imperi,
Non già nuovi agli eroi,
Memorie di F. Stelluti i3i
Che là negli ondeggianti lor sentieri
Giunti v'eran primieri:
Ma scopri tu più scaltro
Orbi a ciascun novelli, e pria d'ogni altro.
E qui se dato mi fosse di toglier tutte ad esa-
me queste liriche poesie, potremmo agevolmente mo-
strare quanti veri filosofici, e quanti belli pensamenti
chiudano senza cadere nel marinesco. Se non che
noi toccar piuttosto vogliamo di altri lavori suoi, coi
quali pure studiavasi ritrarre gl'italiani dalle lambic-
cature di che tanto allor si piacevano , quantunque
mezzi assai meno potenti fossero delle traduzioni
che richiamavano ai classici latini, e delle liriche che
ai greci esemplari si modellavano. Serbavansi cioè in
tempi ancora a noi vicini, in parecchi volumi serba-
vansi canzoni, madrigali, stanze, ottave, sonetti di
argomento sacro e profano, fino al notabilissimo nu-
mero di 271 componimenti; serbavansi in due altri
quadernetti non poche rime in lode di belle donne;
vi era una canzone eroica in morte della propria
madre; v'era un giocoso capitolo indiritto al colto
suo concittadino Gio. Vecchi de Vecchi , descriven-
dogli la città di Porto (55). Ma o fosse la solita non
curanza , che gì' italiani hanno per le belle cose di
cui sono forniti a dovizia, o fosse la condizione in-
felice de'passati tempi, nei quali tante perdite simili
toccammo, di queste ed altre di lui originali poesie
pochissime a noi pervennero, né possiamo quindi dar-
ne più ora che un nudo catalogo. Fra quelle peral-
tro sopravvissute all'oblio, e che pur bastano a chia-
rirci dello stile di Francesco, il quale ne mandò al-
cune alla luce, come i sonetti sulle macchie osser-
i3a Scienze
vate nel sole dall'amico Galileo, e sulla carta da li-
no introdotta in Italia da'suoi fabrianesi, ed altre ri-
me al card. Barberini inserite nel Persio (56), me-
rita distinta ricordanza un poemetto ài i32 seste ri-
me intitolato il Pegaso, che nel 1617 pei tipi del
Mascardi pubblicava in Roma nelle nozze del suo ca-
ro amico principe Cesi colla Isabella Salviati. E ben-
ché egli richiamate le amiche muse nel mezzo de1
suoi continui studi matematici e filosofici, come si
esprime il Rossetti che intitolò quello epitalamio al-
la sposa, lo avesse come suol dirsi a penna cor-
rente prodotto , ne volesse quindi permetterne la
stampa; pure ognuno troverà in quei versi a molta
naturalezza e filosofia congiunta quasi sempre chia-
rezza e venustà. Rechiamone alcuni in comprova.
E vide ancor con geminato corno
La dea più bella allor , che più riluce,
Di macchie asperso chi ne arreca il giorno,
Scabroso il volto la notturna luce,
E quel, che il pie lassù men pronto move,
Con due scorte girar, con quattro Giove.
Tu, Galileo, che di savere avanzi
Qualunque ingegno a maggior pregio arriva,
Tu queste tutte non più viste innanzi
Meraviglie n'additi, onde si ascriva
Sol de'tuoi sguardi all'ardimento altero
Questo del ciel novello aspetto e vero ....
INon usa no di consumar sul dorso
Di bel destriero inutilmente il giorno,
Poiché lo punga al salto, o sferzi al corso,
Grave lo guidi, oppur l'aggiri intorno,
Nessun può trarne onor, che in gioco tale
Viepiù del cavaliero il destrier vale ....
Memorie di F. Stelluti i33
Di sue virtù si chiare intanto al grido
Di già son corsi i più lodati ingegni,
Sin di là tratti al suo famoso nido
Dalle fredd'alpi, ed oltre i salsi regni :
Tutti amico riceve e lieto accoglie
Del suo liceo ne l'onorate soglie.
Che se in questa ed altre di lui poesie trovansi qua
e là, io noi niego, parecchi ricercati concetti e tra-
lignanti metafore , che opponendosi alle nostre lodi
mostrano non essersi raggiunto lo scopo lodevole del-
la riforma, chiamandosi a modo di esempio nel ci-
tato Pegaso strepitosi sputi di foco le palle di ar-
tiglieria, e tromba del bel che dentro al cor na-
sconde il nome della Salviati , nel cui viso trovò
accollo
Quant'han di bello il ciel, la terra e il mare;
Poiché v'ha stelle, e perle, ed ostri, e fiori,
Che san gli occhi appagar, beare i cori;
ricordiamoci, che ubi plura nitent, non ego paucis
offendar maculis. E chi non sa oltre a ciò, che sic-
come ogni letteratura della propria nazione, così ogni
uomo del proprio secolo, necessario è che mostri la
impronta, e che il tipo per qualche modo ne renda?
Chi non sa, che Claudio Achillini e Girolamo Pre-
ti , i primi fra la turba degl1 imitatori mariniani ed
amicissimi dello Stelluti , arrivarono in vita loro a
tanta gloria, quale pochi uomini possono vantare di
aver conseguita ? E come non sentirne l'influenza ,
come non lasciarsi addescare alcun che da tanta se-
duzione e tanto fanatismo, il quale giungeva a pa-
i34 Scienze
gare in Francia 14 mila franchi i\ versi dell' Aehil-
lini (57) ? Aveva allora questa nazione in Gugliel-
mo Bartas, aveva la Spagna in Baldassare Graziano
due caldi ammiratori e seguaci dello Scrittore dell'A-
done, che non Italia sola, come blaterano alcuni, ma
tutta Europa di puzzolente bava bruttò. Pm^e Stelluti
chiuse tanta gagliardia di mente da resistere a stimo-
li così efficaci, quali sono l'amicizia , l'interesse , la
gloria : e se piegò talvolta un pocolino all'universa-
le depravamento, se non giunse a compiere una ri-
forma nelle lettere, fece almeno di rattenerne la foga,
mostrò con petto forte un bellissimo esempio di tem-
peranza. E questa è alla perfine ogni laude: dacché
le restaurazioni importanti sono sempre l'opera lenta
del tempo, e merita assai bene di esse chi ne gitta
i primi semi , chi vi prepara gli animi scostandosi
dalla turba corrotta, siccome fece Stelluti, che non
si confuse tra quei freddi ed infelici copisti, che l'Ita-
lia produsse dall'imprigionamento del Tasso ( i58o)
alla maturità del Metastasio ( iy3o): e che meritò
quindi, se il patrio amore non c'illude a considerar-
lo soltanto anche come poeta, un cantuccio almeno,
forse non molto lontano dal Chiabrera , il quale si
abbandonava pur egli ad un' eccessiva turgidezza di
stile, e studiavasi nella esagerazione de'tropi (58), ne
demeritò tuttavia di esser consideralo fra i più cele-
bri scrittori de't empi suoi.
Dopo le quali cose fin qui discorse pare a noi
dimostrato, che se nell'accademia de'lincei, volta tutta
nel secolo XVII alla riforma de'buoni studi, ebbe Ro-
ma pel Cesi, ebbe l'Umbria pel De-Filiis, ebbe l'e-
stero per l'Eddo i primi fondatori chiarissimi di tanta
benemerita società, ebbe anche il Piceno pel fabria-
Memorie di F. Stelluti i35
nese Francesco stelluti V 'accademico , il filosofo,
il poeta non volgare: il quale, mirando sempre a rag-
giungere lo scopo di quella, il quarto ma non ulti-
mo fu, cui spetta tanta gloria, e cui troppo ci duo-
le, che uè marmo, ne epigrafe, né ritratto, prodiga-
ti ora a tutta gente, sorga per laudabile ricordanza
o in quella Roma che, sua gloriosa palestra, lo ac-
colse sempre fra l'amore e la stima de' principi , fra
il plauso e l'amicizia de'primi letterati di quel seco-
lo fino alla più onorata vecchiezza oltre il i65i (5c)):
o in Fabriano sua patria, che tanto onorò, e che er-
gergli pur dovrebbe un monumento, onde accendere
all'imitazione di lui i cuori facili de'giovanetti.
;36
NOTE
(l) Sulla cospicua nobiltà di queste famiglie vedansi le no-
te 9 e 16. Gli Stelluli,un ramo dei quali ebbe poi dagli Scala la
contea di Rotorscio, dettero nel i3ii il nobile e potente Stelluto
di Tinto, e nel i338 Cecco di Tinto podestà entrambi di Arce-
via (Le scienze ed arti nobili ravvivate in Arcevia. Tesi pel Ca»
prari J752;: noverarono appresso Giovanni Battista fratello car-
nale di Francesco, di cui alle note 3o e 3i: Annibale loro nipo-
te, ch'ebbe gran fecondità nella poesia, e mancò nel 1682 (An-
tichità pie- tom. 17 a e. 164, Quadrio voi. 5, parte 2, e. 498).- Gi-
rolamo, che nel i653 era uditor di rota in Geuova (Fontana, Bi-
blioteca legale): monsig. Annibale governatore in Benevento nel
1727: monsig. Ignazio succedutogli in quel governo, poi vesco-
vo in Macerata: Maria, detta Teonoe fra le arcadi pastorelle del-
la colonia Giania, altra accademia fabrianese- Fra i Corradini si
contano un Giuseppe giureconsulto e poeta ( Ant. pie. tom. 17
a e. 170, Pellini Epigr.) vissuto circa il 1578: un Ruggero priore
della collegiata nel i584, ricordato anche dal nostro Gilio(Dialog.
ec. e. 70. Camerino pel Gioioso); Antonio legale di qualche fama
defonto in Roma nel i6g3 (Ant. Pie tom- 7 a e. 172, e Galletti
Iscrizioni Pie. a c.g3y, monsignor Francesco Bernardo vescovo di
Marsi di Abbruzzo morto nel 17 18; Giovanni Battista, che l'in-
tero suo censo legò nel 1748 a pubblica beneficenza pei giovani
sopra tutti studenti in Roma giurisprudenza; Margherita detta fra
le slesse pastorelle della colonia Giania Egina Tritonia ed altri.
(2) Nei libri battesimali non ci è venuto fatto trovar la na-
scita di Francesco da Bernardino figlio di Giovanni Battista del
fu Vincenzo; ma la notizia desunta dell'Odescalchi a e. 267 cor-
risponde a quanto Stelluti segnò di proprio pugno in un mano-
scritto della biblioteca Albani. Vedi anche testamento del 20 apri-
le 1640, rogito Lodovico Manni.
(3) Precedette questa per epoca l'accademia stessa de'lince», e
Memorie di F. Stelluti 137
nel i58o come già nota alla repubblica delle lettere si onorava dei
valenti Mambrino Roseo scrittore infaticabile di 22 opere, Gio-
vanni Andrea Giglio prosatore e poeta distinto , Durante Scac-
chi, Giuseppe Favorini medici chiarissimi, dei quali e dell'acca-
demia vedasi la biblioteca picena, Malatesta Garuffi nelP Italia
accademica.
(4) Odescalchi D. Baldassare duca di Ceri.- Memorie istorico-
criticbe dell'accademia de'lincei. Roma pel Salvioni 1806 a e. io.
Bellissima opera, cui abbiamo attinto più volte senza che abbia-
mo per altro sempre a citarla.
(5) Fu lo Stellati stesso, che dopo l'Eddo disse al Cesi in
quel giorno: ,, A voi diamo lo scettro, e voi noi altri fratelli go-
vernerete ,,. Odescalchi op. cit. a e. 28. In ogni accademia poi
al più potente e ricco, ma non per questo primo in merito, suole
spesso conferirsi tal grado.
(6) Si ha dal linceografo a quant' opere dì pietà si consacra-
vano gli accademici, e quanta illibatezza di costume si volesse
in loro che aveano a proteggitore sGiovanni Evangelista. La ci-
fra oscurissima, spiegata ora dal conte Domenico Morosoni, ad
altro non mirava (Lett. al Cancellieri. Venezia pel Picotti 1829)
che a coprire alcuni segreti riguardanti oggetti scientifici, o ven-
ne chiarita per alcune lettere serbate dai nostri Stelluti e conse-
gnate alla eh. memoria dell'ab. Cancellieri.
(7) Copiosa neve il sopraggiunse per via, ed in Gualdo Ta-
dino dovette starsene rifugiato presso un amico de'lincei.
(8) Le nostre diligenze non ci hanno fruttato fin qui alcuna
notizia intorno a quanto operasse egli colà.
(9) Ho letta io stesso copia legale dell'originale diploma, in
cui dopo commemorati i pregi di Francesco, la nobiltà ed anti-
chità di sua famiglia, conclude: „ In senatorum ordinem merito
,, cooptandum esse... quique ab ipso venient omnes cives patri'
,, tiique romani . . . sint „ •
(io) Odescalchi op. cit. a e. 87,88.
, (11) Offrendo le osservazioni sulle api ad Urbano Vili, scri-
vendo in poesia tanto amata da quel pontefice, e dedicando i suoi
lavori più importanti al cardinale Francesco.
(12) Fu eletto per 5 anni, e solenne procura ne rogò il fan-
i38 Scienze
di notaro capitolino; ma nel 16 marzo 1617 venne per altri 5
anni confermato, come da istromento rogato dal notaro capito-
lino Forapalti.
(i3j Vendette i libri sulla magìa del Porta in Venezia: di là
ritirò 600 copie degli elementi dei curvilinei scritti da quel fa-
moso napolitano onde cederli per poco al romano libraio Rosset-
ti, incuorandolo così a pio de' lincei: e propose di far lavorare
carta a conto dell'accademia nella sua Fabriano-
(i4) La Chiappiuaria, commedia del Porta, venne in Roma per
Bartolomeo Zanetti nel 1609 dedicata all'illustre sig. Francesco
Stelluti T. (cioè Tardigrado) linceo (come nel 1614 fu in Napoli
per io Scorigio dedicata a Federico Cesi la tragedia dello stesso
Porta intitolata Ulisse), ed ivi dicesi a e- 3, che il nostro fab da-
nese, chiamato sei salissimo ne? matematici studi et filoso fici esercì*
tii, gode d'una vera et virtuosa amicizia con quel valente. Debbo
alla gentilezza dell'illustrissimo sig. Niccola Morlupi, amante del-
la patria, e questo libriccino ed altre notizie del nostro linceo-
(i5) I signori conti Stelluti Cesi, dai quali discende 1' av-
vocato coute Francesco, attuale presidente del tribunale di pri-
ma istanza in Ancona ov'è anche giudice di appello nel tribunale
di commercio, caro già a quel flore di senno che fu l'eminentis-
limo Giuseppe Albani, nella cui stima salì ad altre onorevoli ca-
riche, membro di più accademie, e gentile scrittore in prosa ed
in versi, serbavano gli originali delle opere da Francesco publica-
te, i rami delle incisioni tutte in quelle impresse, l'indicato lin-
ceografo, e moltissimi altri manoscritti, dei quali faremo ricordan-
za a'iuoghi opportuni, anziché riportare l'esteso catalogo, uni-
camente ora rimasto presso i medesimi: sendo il restante parte
smarrito, parte inviato a Roma nel 28 novembre 1821 al defun-
to chiarissimo abate Cancellieri.
(i6) Ho letto io stesso copia legale dell'originai diploma, in
cui il celebre Federico Cesi scrisse che per autentiche scritture
gli è noto discendere Francesco per lato di Stelluti dallo stes-
so stipite della potente famiglia Chiavelli, la quale dominò la pa-
tria nostra; e per banda della madre Corradini, figlia di Maria
Franchi dall'Aquila, da uno dei sig. Piccolomini duchi di Amai,
fi nipoti di Pio II, da'quali pur egli derivava: e ciò sia detto per
Memorie di F. Stelluti 139
la nobiltà di tali famiglie: aggiungendo poi il principe, che Stel-
luti per 25 anni si era adoperato nelle cose di lui con vero amo-
re. Ed in fatti ,, Caesio vivo et mortuo, scrive il Planco (Fabii
Columnae Phytobasanos, Medionali a e. 3i), gratus fuit Stellu-
tus, nam vivum ter ipsum hospitio excepit Fabriani, et Neapo-
lim eius graliabis peliit- . ., et mortuo in libris eumubique extol-
lit. ,, (V- Odesc. op. cit., e DuPelit Thouars bibl. univ.).
(17) Stelluti medesimo in una sua lettera del 17 agosto i63o
diretta a dei-Pozzo, e pubblicata dall'Odescalchi a e. ig6-igg.
(18) Odescalcbi op. cit. a e. 200.
(io) Stelluti aveva dunque precedentemente trovato anche
altro mecenate.
(20) Posseggo io stesso l'autografo di questo opuscolo, che ha
la data del 1604, e su cui vedi anche Odescalchi op. cit. e. 53.
(21) Nell'elenco degli Stelluti, di cui alla nota i5.
(22) ,, Essendo questa professione conghietturale, non sempre
,, conseguisce il desiderato fine: perciocché i segni del corpo pos-
,, sono solamente accennarci l'inclinazioni, che nel corpo posso-
„ no haver origine, ma non già l'azioni della nostra libera volon-
„ tài onde operando l'uomo virtuosamente mediante il suo libe-
,, ro arbitrio, . .. viene a spogliarsi di quei vizi, ai quali è egli
,, inclinato per il mal temperamento del suo corpo ec. „
(23) Persio trad. ec. a e. 26 e 27, alla lunga nota 1.
(24) In volume segnato num. i36g nella biblioteca Albani di
Roma, dalla quale mi ha tratto le poche notizie rimastevi de'lin-
cei il mio concittadino ed amatissimo discepolo dottore Enrico
Castreca Brunetti.
(25) Persio tradotto a e. 80 n. 7, a e. 62 n. 8.
(26; Ivi a e. 148 n. 1, ove ricorda, che più volte con Galileo
in compagnia di Cesi ed altri letterati ha ripetute in Roma quel-
le osservazioni astronomiche: e l'intrinsichezza con quel primo
doveva esser tale, che Colonna nel 1628 volendo avvertirlo di
scrivere con prudenza e riserva intorno le cose scritturali, ne
incaricava per iscritto Stelluti (Odescalcbi op. cit. a e. 191). E*
degno poi di esser notato, che il nostro Francesco compilò anche
la vita di quel chiarissimo luminare, e che il ms. autografo ser-
bato dagli Stelluti venne inviato nel 1776 al sig. senatore Nelli
i^o Scienze
in Firenze. (Da lettere originali dell'eminentis. Alessandro Spada
del io settembre 1776, e di Carlo Annibale Stelluti del io sud-
detto).
(27) Bulifon Antonio, Lettere memorabili istoriche, politiche,
ed erudite. Napoli 1697, tomo 4 e- òi, e seg.
(28) Aggiungeva poi; „ La supplico a scusarmi appresso il
,, sig. Francesco Stelluti (era dunque egli, e non il fratello Gio-
,, van Battista, che scriveva lo Scandaglio) se non gli scrivo, non
„ avendo io un momento di tempo: „ ed in altra del 9 ottobre
1623, diretta pure al principe da Bellosguardo, dice aver veduto
il frontespizio del Saggiatore , mandatogli da Stelluti ec, come
nel 20 febbraio 1627 satutavalo di cuore promettendo di rispon-
dergli a bocca. (Dal giornale de'lelterati di Roma 1749- Roma
pel Pagliariui in 8 a e. 19 e seg.) Andarono poi smarrite presso
gli Stelluti le molte autografe lettere scritte da Galileo al nostro
Frauccsco, che in tal corrispondenza soltanto avrebbe avuto il
suo elogio.
(29) Op. cit. a e. i45.
(30) Haym, Biblioteca de'libri rari italiani, tom. 4« a c« 92 a-
1. Milano 1808; De-Chales, De progres math. e. 9. ad an. 1622;
Santini, Picenorum math. elogia, ed altri.
(3i) Al codice n. 1369: ed è all'incirca la medesima che il ti-
pografo Tommaso Guerrieri indirizzò nel citato Scandaglio al sig.
Mario Guiducci stesso: ed in esso leggesi, che Giovanni Battista
importunato dagli amici ,, si compiacque di notar frettolosamente
,, per quiete di molti quello ch'egli avea neila Libra del Sarsi e
,, suo Bilancio considerato: e ciò fece con occasione di trattenersi
,, nei caldi dell'anno passato in una sua villa, piuttosto perchè
„ andasse per mano di quegli amici, che a ciò l'haveano astret-
„ to, che per le stampe: ma essendo per via di questi capitato
,, nelle mie, non ho voluto in alcun modo restasse nascosto; né
,, credo che sarà discaro ai studiosi , venendo da persona che
,, non solo delle scienze legali, che professa, ma anco filosofiche,
„ et delle historie, ed altri componimenti di bella e varia lette-
,, ratura ha non ordinaria cognizione e gusto. „ Tal mss. adun-
que non esclude la mia congettura, la quale anzi è avvalorata in
qualche modo dall'altra cautela di aver mostrato cura della pub-
Memorie di F. Stblluti 14 i
blicazioné il solo stampatore, ch'era pur quello di cui servivansi
allora i lincei ( Odescalchi op. cit. a e. i5a); mentre poi dalla
lettera di Galileo sopra citata (nota 28) viene condotta al gra-
do quasi di certezza, talché reputo aver io rivendicalo totalmen-
te a Francesco l'onore dello Scandaglio.
(3a) Elogio del Galileo. Milano 1778 pel Galeazzi a e. 54-
(33) Trattato suddetto a e 6.
(34) Storia naturale dei minerali inserita nell'edizione del
Buffon fatta in Firenze pel Bartelli i833,tomo XXII a e. 575, in
cui a e. 56? trovasi anzi non ricevuta l'opinione opposta a quel-
la di Stellati.
(35) Opera e luogo citato a e. 575 alla 579.
(36) Trattato suddetto del legno fossile a e. 6.
(37) Planco Iano, Fabii Columnae lyncei Phytobasanos,Me-
dìolani 1744 a e- XXXI.
(38) Primo e terzo anno a e. 523 alla 53 1.
(3g) Santini los:, Picenorum mat. elogia, Macerata* 1779 ty-
pis Capitani; e Persio tradotto ec. a e. 72, 96, 107, 125, 107.
(4o) Rerum medicarum novae Hispaniae thesaurus etc. Ro-
mae i65i a e. 865: „ Stellutam arborein . . . appellaremus, in
mutui amoris signum, quo maxima devincimur ab immensa erga
nos benevolenza, non modo genere, sed omni virtutum ac disci-
plinarum varietate clarissimi viri d. Francisci Stelluti lyncei col-
lcgae nostri, cuius laudes, quamvis anobis hoc loco taceantur, ex
variis doctissimi viri scriptis iam omnibus fere satis notae sunt. „
(40 Cosi scriveva il dottissimo professore Antonio Bertolo-
ni al suo chiarissimo amico nobile professore Filippo dei baro-
ni Narducci di Macerata, che ad onore del nostro Piceno leva di
se bella fama nella filologia.
(42) Persio tradotto ec. e. 4> 6, *5, 85, 169.
(43) Rerum medicarum ec ut supra a e. 543.
(44) "V. Litta, Famiglie celebri italiane fascicolo 7. Cesi di Ro-
ma, Milano 1822 pel Ferrano con 5 tav. in rame, e l'estratto che
ne dette la biblioteca italiana n. 77, maggio 1822; Persio tradot-
to dallo Stelluti stesso e. 126, e 127; Rerum medicarum ec. ex
Francisci Hernandez e. 757 e 8g5.
(45) Persio tradotto ec. a e- 36. La stessa mancanza del fioc-
i4^ Scienze
chetto è anehe nei disegni dell'Odescalchi, ma non già in quel-
lo del frontespizio del Phytobasanos di Fabio Colonna.
(46) Rerum medicarum ec. a e. 680, e letta nella biblioteca
Albani al codice n. 3ig a e- i3i e seg. , donde avendola io trat-
ta per l'intero, ho letto che Stelluti sarebbe andato fra due o
tre giorni dal principe desiderosissima di vedere non solo il li'
bro del sig. Rycquio, ma anche le scritture del sig. Galileo.
(47) Botta, Storia d'Italia in continuazione al Guicciardini
toni. 7 a e. i36, edizione di Capolago.
(48) Andres, Dell'origine, progressi e stato attuale di ogni let-
teratura, tom. 2 a e. 645. Venezia i83o.
(4g) Salvini Antonio Maria, Traduzione di Persio, Firenze pel
Manni 1726 in 4-, e Satire di A. Persio Fiacco, traduzione di V-
Monti. Piacenza 1804 a è. 77.
(5o) Persio tradotto ec. a e- 1 della prefazione a quelli che
leggono.
(5i) Op. cit. e. 19S.
(52) Traduzione di Pindaro. Pisa pel Tenagli i63i in 4 a e
12!, e 47*-
(53) Odescalchi op. cit. e. 194 e *98; Rerum medicarum etc.
C. 719; Fontanini, Eloquenza italiana. Venezia 1727, e. 191; Haym,
Bibliografia italiana. Milano i8o3 c.ioi lib. 4; Paitoni, Bibliogra-
fia degli autori greci e latini volgarizzali tom. 3 e. 102. Venezia
1774., Planco, Fabii Columnae lyncei Phytobasanos ec. Mediola-
ni 1744 e. XXXI, ed altri molti.
(54) Prospetto del Parnaso italiano tom. 2 e. 124-
(55) Il fabrianese De-Vecchi fu poeta giocoso e satirico, che
mori nel 1628, sessagesimo dell'età sua. Vedi Quadrio, Storia e
ragione d'ogni poesia tom. 2 e. 562. Il catalogo, di cui alla nota
i5, attesta l'esistenza delle indicate poesie: più di un prologo in
4 rima, in cui la poesia arringa la duchessa Olimpia Aldobrandini,
alla cui presenza uno stuolo di accademici dovea recitare gli amo-
ri di Zeffiro e dori: di una selva per iscrivere un trattato di
amicizia, contenente dottrine, esempi, e sentenze di autori latini,
e di parecchie poesie infine inviale a Francesco da valenti lette-
rati.
(56) Per le macchie solari, scoperte da Galileo, Stelluti scris-
Memorie di F. Stelluti 14.3
. prima e diresse al principe Cesi con lettera del i5 febbraio
l6i3 un madrigale (Bulifon, Lettere memorabili ec. Napoli 1697
tom. 4i e. 52), quindi nell'edizione delle lettere di quel valentis-
simo pubblicò uu sonetto. Annotando poi l'altro sonetto sulla car-
ta da lino (Persio tradotto ec. e. 8o-85 n. 4) asserì, che nella sua
Fabriano cominciò a fabbricarvisi l'anno 990. Si veggauo su tal
proposito Tiraboschi (Storia della letteratura italiana moderna
1789, t. 5 e. 98), che in Padova e in Trevigi da Pace di Fabriano
circa il i5jo, e Zanti Giovanni (Nomi e cognomi delle strade e
borghi di Bologna: mss. comunicatomi dal mio dotto amico cav.
marchese Ricci, il cui Dome stia per elogio), che in Bologna da
un maestro Polese da Fabr ano prima del 1200 l'accertano intro-
dotta. Noi poi aggiungiamo, che se ai fabrianesi è dovuta la pro-
pagazione di questa manifattura in Italia, spetta pur loro nel cor-
rente secolo la gloria o di aver trattato i primi in Italia stessa
la sostituzione di allre materie allo straccio , siccome fece il mio
coltissimo amico nobile Carlo Campioni, che trasse carta dalla
paglia, dalla malva, dal granturco, e da altri molti vegetabili, e
fin auco dalla segatura del legno misto ad un terzo di straccio (V.
Giornale arcadico tomo "4 p 5o5j; o di aver felicemente imitato
i perfezionamenti stranieri, siccome praticarono i sigg. Miliani, e
fra questi il peritissimo giovane sig. Giuseppe, che ha dato non
ha guari una carta, la quale per la bella lustratura eguaglia, e
per la qualità della pasta sorpassa la tanta che circola sotto il
Come di Bath, per inganuare coloro che fra gli esteri soltanto tro-
vano il bello. In quanto poi al poemetto il Pegaso, reso ora bea
raro, ne ho ricevuta comunicazione dal reverendissimo d. Anto-
nio Bracci canonico bibliotecario del duomo, già due volte vici-
rio capito! ire , ed attuale pro-vicario generale in patria , alla
cui gentilezza, potenza di mente, ed acutezza di raziocinio vado
di ben-altro debitore io, che ebbi da lui la seconda vita coll't'du-
Cazione ai buoni studi, ed a cui piacemi render qui pubblica te-
stimonianza dell'amor mio riconoscente-
(57) V. Album di Roma 1840 a e- io5. L'Achillini ed il Pre-
ti scambiavansi sonetti con Francesco , alle cui premure deve
l'Achillini stesso l'aggregazione ai lincei, molto da lui desiderata.*
poiché, presentato antecedentemente da monsignor Ciampoli, non
era stato ricevuto (Odescalchi op. cit. e. i/p/
i44 Sciènze
(58J Così Corniaut, Secoli della letteratura italiana Iota. 7
e. 42«
(59) Non abbiam potuto trovare il giorno certo della morte
di lui, che dovette però vivere oltre il i65i in cui si pubblicò l'o-
pera dell'Hernandez. Parlarono eoa lode di Stelluli il Tiraboschi,
Storia della letteratura italiana tom. 8 e. 284 edizione cit. Qua-
drio, Storia e ragione di ogni poesia tom. 2 e. 3o4 . • . Ferrano,
Costume antico e moderno, edizione di Firenze iSSavol. 8c.*o,5,-
Biblioteca universale antica e moderna. Venezia pel Mis-saglia i832,
articolo di Du Petit-Thouars,- tutti gli autori sopra citati ed al-
tri molli, fra'quali B. Gamba nella sua bell'opera bibliografica sui
testi di lingua. Livia duchessa di Urbino scrisse da s. Lorenzo nel
12 agosto 1640 ad un eminentissimo: „Le virtuose qualità delsig.
„ Francesco Stelluti ... io suppongo, che siano molto ben no-
,, te a V. Eminenza per haver egli per lo spazio di 4o e più an-
„ ni faticato in cotesla corte, et in diverse occasioni dato saggio
,, del suo valore ,,. Nell'opera dell'Hernandez, e lo ripeteva il
cit. Planco, scrivevasi di lui a e. 543: ,, Viro, ut ob animi can-
,, dorem omnibus est carissimus, ita ob matheseos scientiam tam
„ Clavio, Valerio, et Magino olim amicissimus, quam a Galilaeo
,, nunc estimatissimus „. Ebbe anche amici Giovanni Démisia-
no di Cefalù in Sicilia, filosofo teologo e filologo insigne , che
fu da esso fatto aggregare ai lincei: come tentò anche, ma inutil-
mente, per Mario Schipani, medico e filosofo napolitano., e per
l'altro medico fabrianese Fa voi ini, annunciandolo per un oracolo
di filosofìa e di medicina, nelle buone lettere assai colto , e già
professore della sua arte in Ferrara (Odescalchi op. cit o. i^?):
intorno al cui merito può vedersi la biblioteca picena , e la me-
moria inserita nel Colucci, Antichità picene tom. 240 n3-;i 19.
^»-S£g&©^a3-e—
i45
KnmsR
Sui limiti di alcune espressioni immaginarie.
Memoria di Barnaba Tortolìni, professore di
calcolo sublime nelV archiginnasio della Sapien-
za , e professore di fisica mattematica nel colle-
gio urbano di propoganda fide.
Sui limiti dell'espressioni
r, sena
( !+«) * , ■
\ / a
quando alV infinitesimo oc reale si sostituisca
V infinitesimo immaginario oc •+■ /3 ^ — i .
,.°E
noto che chiamando a, un infinitesimo rea-
le, i limiti» verso i quali convergono le due espressioni
{ i+a)
i
« sena
ce
quantunque per valori nulli di «, si presentino sot-
to le forma indeterminate
dr co o
i —,
' o
Contuttocciò si verifica
G.A.T.LXXXVI. io
146 Scienze
i
v a* sent-
imi ( i -+- a ) = e , Zi»j = i
a.
ove e denota la base dei logaritmi iperbolici. La ri-
cerca di questi due limiti è di somma importanza nel
calcolo infinitesimale, e da essi dipende la differen-
ziazione di qualsisia funzione. Conviene però accer-
tarsi, se questi limiti rimangano invariabili, quando
in luogo dell'infinitesimo u reale si sostituisca l'imma-
ginario della solita forma
« + j3 V — i.
La presente breve memoria verserà unicamente sulla
ricerca dei limiti verso i quali convergono le due
espressioni
i
(I+a + ^-) ' i±pì/—ì
per valori nulli di a e j3 , supponendo cogniti x li-
miti delle medesime espressioni a variabile reale.
2.° Un'espressione qualunque immaginaria gode
della proprietà di potersi rappresentare sotto la for-
ma trigonometrica
r ( cos t ■+■ |/ — i. sen t )
essendo ;• una quantità reale, e t un arco parimenti
reale, e si avrebbe
Limiti di espress, immag. 147
a •+■ 8 V — i = r ( cost ■+■ V — i . seni )
d'onde necessariamente
oc = rcost , 8 = rsent
dalle quali r, t sono determinati dalle condizioni
r* = a2 -+- 82 , te/iff* = —•
a
ed insieme
r = ( «a H- /32 ) t = n ?r 4- are. tewg- i_
a
purché s'intenda per la notazione are tang v un ar-
co compreso fra — • , e — ~« : la quantità r dicesi il
modulo dell'espressione immaginaria, e t V argomen-
to. Ciò posto, una quantità immaginaria dicesi infini-
tesima , se infinitesime sieno le variabili « e 8 che
la compongono, in modo che
li m ( a -H 8 [/~ — i) = o
racchiude necessariamente
lim « = o , lini 8 = o
per le quali anche il modulo r convergerà verso il
medesimo limite, ossia
lim. r = o.
i/j.8 Scienze
All'opposto l'argomento t rimane di valore finito, men-
tre si avrebbe
,. J3 °
lim tangt == Zzm. J-i == -h
« °
E chiamando t l'angolo corrispondente a questo li-
mite, si dedurrà semplicemente
ta72# T =: fotti — •
3.° Si riprenda ora l'espressione ad infinitesimo
reale
oc
lim ( i -+- oc ) = e
sarà fuori del limite
a
oc) — e
essendo i una quantità da svanire simultaneamente
ad a, quindi chiamando x una quantità qualunque va-
riabile, ed indipendente da «, avremo la nuova equa-
zione
x
« X
(i+a) = ( e, -4- i )
e passando ai limiti si ottiene
Limiti di espress, immag. 1^9
x
a.
lini ( 1 -t- « ) = e
ove senza alterarne il valore si potrà sostituire anche
ux invece di «, per cui
OC x
lini ( 1 «f- a, x ) — e .
Quest'ultima formola, che sussiste per x reale, si po-
trà estendere per 1' immaginaria x \/~ — 1 , potendo
in quest' ultimo caso servirsene per fissare il senso
della notazione e , cioè
oc x lr — l
lini ( 1 •+, « x[/~ — 1 ) = e
e fuori del limite si potrà scrivere
, ,« X V * T
(i+«X|/' — 1) — e 4-1
I rappresenta un infinitesimo con oc. Elevando ades-
so il primo, e secondo membro all'esponente immagi-
nario
e passando ai limiti otterremo
i5o Scienze
i
,. , <fiV — ' oc
km (i + « X[/~ — i ) = e
che per re = i si riduce a
i
ai/" — i
km ( i -f- a ]/~ — i ) = e.
Fi i mane pertanto dimostrato, che se in vece di « rea-
le si sostituisca l'immaginaria oc y/~ — i , il limite del-
l'indicato binomio seguita ad essere la base dei lo-
garitmi iperbolici.
4.0 Supponiamo adesso che l'immaginaria risul-
ti delle due parti a, e ]3 (/" — 1; in questo caso è I
facile vedere che il trinomio
porgerà col porre l'infinitesimo reale
fi
, , , ^ ,«-+-/3i/"— 1 . , >a-f-/Sl/'-i/ . _ »a-H3|/
(i-hc-r-pl/-l) rK =(H-«) ' (l-j-S^-l)
nella quale i fattori del secondo membro si potran-
no rappresentare per
LIMITI DI ESPRESS. IMMAG. l5l
I
fi -.
i-f-at ) rK = f (l .+-«) I
a
,.w-.)^:=i=((^-.Fl)(,^^'(,")
Passando ai limiti col fare a = o, /3 = o, e ponen-
do per brevità
v A
£ = Zi/» — «
ed avvertendo che per valori reali di « e 0
lini ( i •+- a )a = e = fói» ( i -+- ^j/" — i ) *
si dedurrà
Zini (i 4_a ) » ^K = e
T , r, r \ « "t- jS|/V- » I -+-£/■— I
i5a S e i e n a b
quindi il nuovo limite che si cerca, sarà
e|Ai
TI., a r v«H-iSj/"-I H-Sl^-I \->rl\/~-\
Imi {i-hort-P[f — *) =c 'e
la quale si riduce evidentemente a
z;w(i4-«-H/V'-i)a"H/V~~I==*
come si ha nel caso della variabile reale.
5.° Perla determinazione del limite verso, il qua-
le converga il rapporto del seno all' arco nel caso
della variabile immaginaria, cercheremo prima il li-
mite del binomio (#)
( i .*. «x y — • t. )
per valori piccolissimi di a, essendo x una quantità
reale ; chiamando ora m un numero convergente ver-
so l'infinito, e fatto
1
a = ~-«
m
si supponga come al num. 2.0
x
i+^i/" — i=r( cost -f- 1/* -~ 1. $en£ )
(*) Gauchy, Résumès analytiques;
Limiti di espress, immag. i53
e si avrà
x
, tangt = *—
m
r= iH--<
V ™2J
quindi come già è cognito
/ x \m m , .
f x -f- . — . |/" — il = r ( cosmi -h \f — x.senmt).
Ora è facile il vedere che
x>\m>Ym "2liml...
lim r = Urti. I/iiLh > = e 2m
f x*\m*f'
tangt x
Uni . = i = lini —
t m:
d'onde Um mt — x.
Con questi valori il significato dell'esponenziale
xif -. i
e v verrà definito dalla forinola
oc\/- — i
e = cosx -\-v — i. sen x
Questa dà immediatamente
senx=.
a/" — i
i54 Scienze
la quale sussiste per valori reali della x , e potrà
estendersi a valori immaginari , servendo il secondo
memiro per rappresentare la notazione
senx — sen ( a .+. fip/* — 1 )
Con crueste avvertenze si faccia
2JCL/* — 2
e v — 1 = 0 , ossia ixy/' — 1 = log (i-h9)
avremo
senx 1 1
* I
(14-©) Zog- ( i-t- 9 )<>
0 rappresenti nella generalità un infinitesimo imma-
ginario; e si ivrà per conseguenza
senx
Um a hm.
x
log (i+6)«
E siccome qualunque sia 0, e reale ed immaginario
1
Um log ( 1 4- $ )•* __ loge = 1
cosi stabiliremo in generale per x = 01 •+■ $\f — r
a,!£Ìf±.y.~».)M,
«-»- /3^ — 1
Limiti di espress, immag. i55
come succede nel caso della variabile reale. Inoltre
dall'equazione che porge il rapporto del seno all'ar-
co in funzione della 9 si ottiene reciprocamente
x
i * \0* (l -i-Or senx
e pas
sando ai limiti
1 ,. oc
t* lun<
lim (14-©), = e
senx
cioè il limite di una espressione dipende dal limite
dell'altra.
6.° La ricerca degli indicati due limiti si può
anche ottenere mediante la riduzione dell'espressio-
ni immaginarie alla forma
A + Bi^-i
e che verremo ad'esporre brevemente.
Se con le due quantità immaginarie
a -f- j3l/" — 1 » m H- n \f— 1
si formi la potenza
e si ritenga
« = rcost , 8 =a rsent , tangt = — .
i56 Scienze
abbiamo dalla riduzione di queste espressioni
( aH-/3i/v- 1 f+àV— l „ eG {cosE -+- i/"— i.jctiE )
quando per brevità si ponga
E = nlogr •+- mt t G = mlogr — nt
Si sostituisca i ■+■ a invece di a, e si chiami R, e T
il modulo e l'argomento dell'espressione immaginaria
i -{. a -f- 13|/" — i = i+r( cosi 4- V — f-sent )
o, ciò che torna lo stesso, pongasi
x •+• r (cosi h- |/*— . i. seni) = R (cosT .+. j/"— i.wnT)
si avrà con gran facilità
R = (i+ xrcost 4- ra ) , tarcg- 1 =
v i -{- rcosi
quindi risulterà
( i^eH-ZSi/-— i )TO*B^—1 =eG (cosE .+-,/■— i.«/iEl
ove in questo caso
E = nZo#R -f. i»T , G = mlog R — nT
Queste ultime formole ci daranno la riduzione del
Limiti di espress, immag. 157
cognito binomio alla forma A -+• Bl/ — 1; ed infatti
per l'eguaglianza
T
m -H n\/~ — i
a -|- /S|/" — 1
si
i ha
a /3
m= — , ri = —
ovvero
a» -j- 0» a' 4- /32
7w = n = —
r r
e perciò le quantità E e G si trasformano in
^ Tcosé ,sen£Zog-r\ j Tcosi 5e«tZog-R
E = , G = 1
r r r r
d'onde riuscirà
(n.a^/3^— i)*W-1 = eG (cojEh-i^— i.wnE)
Nel prendere il limite di quest'ultima espressione si
dovrà fare nel secondo membro r = o, e mutare t m
t ; non apparisce però immediatamente il limite ver-
so il quale converga il secondo membro, mentre per
r = 0, si verifica
t58 Scienze
R=i, T = o, logR=o
quando per T si prenda l'arco compreso fra — < , e — «,
per cui le due espressioni
logR T
o
si presentano sotto una forma indeterminata di *-" :
Facciasi pertanto
zrcost -+- r2 = 9
9 convergerà verso lo zero con r, e si ricava
r __
2C0SÌ_f- r
quindi
~ é „ log ( i ■+- 9 \
ed
insieme
logR
= I cosi 4- »-i J to» ( i-H 0 J
T
Per la frazione ■-« ponendo primieramente
Limiti di espress, immag. iSg
T tangT T
tangT
si ottiene
seni
r i^-rcost tangT
Passando ora ai limiti, ed osservando che per valori
reali di Q e T
r T
lini log ( i •+• 0 ) =i, Uni
tangT
si avrà
lini = cosx y lini — . = senz
r r
dalle quali
UniF. = o , UmG = cos*x ■+• $en»r = i
dunque in fine
y.° Per la riduzione del seno di arco immagi-
nario sarà della forinola dell'esponenziale immaginario
;en (oc -+- /3|/"-i) = Vsen ( rco^ ) ■+- Qcos ( rco,s£ ) |/"- i
160 SciKHlE
quando per brevità pongasi
rsent , — rsent rsent — rsent
p=e ±1 ; , q_ e -e
quindi avremo
sen (oc -+- /3|/* — i) Vsen (rcost) -+. Qcos (rcost) |/" — i
« -H /Si/" — i r (cosi -4- |/" — i.sent)
Si ponga
ricaveremo con facilità i valori di M, N, cioè
-. P.?<?rc ( rcost ) cost Qcos ( rcost ) serci
Qcos ( rcost ) cost Vsen ( rcost ) seni
r r
e dovrà verificarsi
lim sen(« + ^-r) = ^ R f
Per conoscere i limiti, verso i quali convergono le
quantità M, N, dovremo fare al solito r = o, e mu-
tare t in t ; conviene però prima eseguire una tra-
sformazione di variabili nella seconda parte del va-
Limiti di espress, immag. 161
lore di M, e nella prima di N e che consiste a fare
irsent
e — i — .
6 sarà un infinitesimo con la r convergendo simul-
taneamente verso lo zero, e si ottiene
tarscnt
e =14-5, ursent = log ( i •+■ $ )
d'onde l'espressioni di M, N si trasformano in
nit t> x sen (rcost) — rsent i
M = VcosH ! ' 4, e senH
rcost 1
log ( i-h 8 )*
N = sentcost ( C°* ^rcost \ L. P SJ£f2fÌÌ?
Di più per r = o si ha P = 1 , e per conseguenza
t- Hit »• 5CW {rcost*
hmm.=cos2uim
•+• sen2zlim
rcost 1
log (1 4- £)9
7- Tvr ( i- 1 ,. ■sera (rcost J \
{ «^ rcost >
( Zo§- (n- 0)7 ;
Ma si è dimostrato che per valori reali delle varia-
bili
G.A.T.LXXXVII. „
162 Scienze
sen ( rcost ) --
lim. •> = i , lim. log ( i "4- fi ) = i
dunque
Wi». M = i , Z/w. N = q
e si dedurrà in 6ne
sen ( « -f. jSj/"— i )
Zi/».
/V-
come già si è dimostrato in altra maniera.
Per mezzo della ricerca di questi due limiti fa-
cilmente si stabilisce nel calcolo infinitesimale, che il
differenziale di qualsisia funzione si mantiene della
stessa forma, quando la variabile divenisse immaginaria.
L'esposte riflessioni saranno apprezzate da chiun-
que giustamente non voglia desumere il passaggio del
reale all'immaginario dalla generalità dell'algebra, ma
dedurlo bensì da principii certi ed incontrastabili.
i63
Estratto di alcune memorie scientificlie lette nel-
le ordinarie adunanze dell'accademia medi-
co-chirurgica di Ferrara nel corso degli an-
ni i836, 1837, 1838, 1839. Bologna 1840,
tipografia della Volpe, in 8. di fac. 123.
dedicalo al magistrato illustre di Ferrara dagli
accademici attivi. Bella e nobile gara tra la patria
che largheggia sussidi, ed i suoi figli che le offrono
i frutti dei loro sudori. Quanto mai sono rari tali
esempli ! E non ne conseguita forse utilità, onore e
rinomanza ad entrambi ? Sorgea quest'inclita accade-
mia in seno a domestiche pareti: l'aumento de'mem-
bri e la celebrità loro lece sì che procurassero di
renderla pubblica. Il eh. professore sig. dott. France-
sco Valori, membro dell'accademia medico-chirurgica
di Ferrara , operò sì fattamente alla legale istalla-
zione della medesima, come altresì al riaprimento do-
po le vicende del i83i, che ciò si deve quasi per
Jo intero alla sua valevole cooperazione.
L'estratto, di che teniamo parola, fa seguito al pri-
mo pubblicato in Ferrara nel 1 83 1 pel Bresciani:
ivi si dà conto delle memorie scientifiche lette nel-
le ordinarie adunanze degli anni 1827, 28, e 29.
Per cinque anni l'accademia tacque, stante i travol-
gimenti politici di alcune provincie d'Italia. Segno il
compilatore 1' ordine alfabetico, ed incomincia dalla
memoria del dottor Giuseppe. Baruffi di Crespino.
j64 Scienze
i. Dell'1 azione del sistema nervoso sul pro-
cesso della cicatrizzazione animale. Enumerate
alquante funzioni morali e fisiche che si compiono
per 1' influsso nervoso arrecando o piacere o dolo-
re, dice èsser nociva od almanco increscevole la ri-
gogliosa copia de'nervi sensitivi nel processo della ci-
catrizzazione. Le piante, ove incise siano nei loro ra-
mi o fibre, in breve tempo ri vegetano piene di vita:
la facoltà formativa ne'c orpi animali segue la ragio-
ne inversa dei progressi della potenza nervosa. E in-
dispensabile pel cicati'izzamento un certo grado di flo-
gosi e largo afflusso di sangue. Osserva negli indivi-
dui sensibili il processo cicatrizzante le ferite ado-
perarsi stentato e malagevole; facile e pronto negli
atletici. I pratici videro nella state e nell'inverno
condursi le ferite più difficilmente a buon termine
che nella primavera e nell'autunno. Così nelle zo-
ne equatoriali il corso di ogni fei'ila è arduo e pe-
ricoloso : la indole dei climi, il genio delle meteo-
re, gl'istantanei cambiamenti dell' aria , gli squilibri
elettrici, ed altrettali fenomeni della natura, dispie-
gano una valida influenza sulle membra offese. Ne
trae da ultimo conseguenze utili alla pratica: dover-
si cioè attutire con adatti argomenti la facoltà sen-
sitiva, ed allontanare tutto che potrebbe attristare i
feriti. Le quali cose, se non sono del tutto nuove ,
ci sembrano trattate con molto studio e dottrina, e
poste in aspetto molto belio ed interessante.
2. Elogio del dottore Gaetano Zanetti. Fu
scritto dal dott. Giuseppe Benelli. Nacque il Zanetti
in Ferrara il 21 di ottobre 1763: laureato in medici-
na, occupò le principali condotte della provincia e
verie cariche municipali e sanitarie con sodisiazione
Memorie scientifiche i65
di tutti. Ritornato in patria, venne ascritto al colle-
gio medico ed all'accademia medico-chirurgica. Avea
fatto studio particolare di belle lettere. Ci rimango n
di lui scritti medici e filosofici che meriterehbono la
pubblicazione.
3. Dell'incubo. Il dott. Benetti dice esser mor-
bo poco studiato : avervi rivolto l'attenzione, perchè
lo soffrì terribile e ripetuto sul finire del 1 835. Vi-
cende atmosferiche, salute mal ferma, gravi alterazio-
ni morali, temperamento oltremodo nervoso, digestio-
ni per lo più imperfette e stentate, furon le cause che
prepararono e determinarono a un tempo la malattia,
alla quale forse eran forieri spaventevoli sogni, un'
apatia per le cose dianzi carissime, alternata da pre-
sagi funesti sulla sua esistenza. Dormiva una notte,
e pareagli esser desto e circondato dalla famiglia che
il soccorreva, minacciato essendo di soffocazione da
spettri che gli stringe ano fortemente e petto e ven-
tre: volea gridare e muoversi e noi potea: si svegliò
ansante e tutto il dì ebbe abbattimento morale e di
forze. Per ben cinque notti si rinnovellò tal disastro.
Purganti, china- china, divagamento il sanarono; ri-
mase però molestato da una dolorosa pulsazione del-
le carotidi e delle temporali, che ridestavasi al più
lieve turbamento e dopo occupazioni mentali alquan-
to protratte. Considerando l'A. le cause che produsse-
ro l'incubo, ed i rimedi che lo guarirono, dichiara
aver sede nei nervi che presiedono alle funzioni, nel-
lo sconcerto delle quali consiste appunto la genera-
le forma dell'incubo.
4. Di alcuni pregiudizi volgari sulla vacci-
nazione. Combattuto vittoriosamente dal medesimo
dott. Benetti il pregiudizio volgare del tramestio degli
1G6 Scienze
umori viziati colla vaccina, sorto dagl'insegnamenti
della patologia umorale, stabilisce ogni età aver suoi
morbi: quindi tutt'al più aversi a temere per quelli
proprii dell' infanzia. Discutendo se la vaccinazione
determini un processo di genio specifico diffusibile o
veramente locale, egli si attiene a quest'ultima sen-
tenza. Dappoiché locale è l'operazione, locale la svol-
ta affezione, locali le mutazioni che accadono nei
diversi suoi stadi e locale la rigenerazione. Se vi
sono sintomi di generale reazione, doversi tribuire
alla flemmasia cutanea, o ai promossi consensi, piut-
tostochè all'assorbimento della materia introdotta, ov-
vero alla sua mescolanza co'fluidi animali. E con altre
gravi sentenze si adopera a sventare tali pregiudizi:
ed è perciò che facciam preghiera al coltissimo autore
onde voglia rendere di pubblico diritto questa memoria.
5. Fegato di una vaccina con lobo soprannu-
merario collocato nel torace. E osservazione del
prof, dì zooiatria Tommaso Bonacciolì. Questo vi-
scere, normale per la posizione, aveva un prolunga-
mento che per un' apertura dell' aponevrosi del dia-
framma si estendeva sopra la faccia anteriore del dia-
framma stesso: il lobo era di figura ovale, largo un
decimetro, due lungo, grosso tre centimetri: era vera
produzione del fegato. La vaccina trova vasi nell'età
del maggior vigore, robusta, e perfettamente sana.
6. Appendice ceca nel tenue intestino. Osser-
vata dal medesimo in un bue sano. Esisteva circa la
metà del digiuno: era pieno delle malerie solite a tro-
varsi in quell'intestino: lungo tre decimetri e più: a-
vea movimento vermicolare più pronto e deciso del
resto del tubo intesi inalc. L'osservò aperto appena il
basso ventre della bestia mattata.
Memorie scientifiche 167
7. Mummia nell'utero. Giunta una vacca all'ot-
tavo mese di pregnezza, ammalò di metrite da cui
guari. Recò non poca maraviglia veder scomparsi i
segni di gravidanza. Visse per cpuattr'anni in florida
salute: uccisa, si trovò l'utero in istato normale, ed
il cadavere del feto asciutto ed abbronzato come
mummia.
8. Due feti morti e secchi nell addomine ed
un terzo fatto scheletro nell'utero. Sezionando il
detto zooiatro una pingue scrofa di 4- anni , riscon-
trò due feti aridi locati sotto il rene destro in pros-
simità della corrispondente ovaia. Nell'interno della
matrice altro feto divenuto scheletro con le ossa spol-
pate e prive di cartilagini e tegumenti naturalmen-
te disposte. Questo fenomeno, come anche dice l'A.,
non è raro.
9. Febbre grave in una cavalla somigliante
alla petecchiale dell uomo. Dopo aver sostenuto
per vari giorni un esercizio smodato, questa cavalla
gravemente infermò. » Prostrazione estrema di forze ,
inappetenza, orecchie e gambe fredde, occhi scintillan-
ti e stupidi; pupilla dilatata ed insensibile: vasi del-
la congiuntiva alquanto iniettati: respirazione: breve:
bocca asciutta: pelle meno morbida del naturale e pe-
lo qua lucido, colà fosco e sollevato: deiezioni alvi-
ne scarse: polso cardiaco irregolare; quello delle ar-
terie or piccolo e frequente, or tardo e vibrato, ora
esilissimo ». Questi erano i sintomi della prima gior-
nata che si mantennero più 0 meno intensi fino al
ventunesimo dì. Si adoperarono salassi, catartici, be-
vande nilro-stibiate e di lauro ceraso, clisteri emol-
lienti e vescicanti. Dopo il ventesimo terzo giorno,
tornati in isccna con maggiore allarme que' sintomi,
i68 Scienze
a questi si accompagnavano accessi frenetici, lingua
nerastra, sussulti continui, disfagìa, irregolarità de'pol-
si. Oltre a ciò molte piccole macchie nere somiglianti
a petecchie umane mostraronsi sulla congiuntiva, sul-
la pituitaria , nei bordi e nell'interno delle labbra ,
delia bocca e della vulva, e sulle superficie vescica-
tonale del petto e delle cosce. Allora si praticarono
due setoni al petto spalmati con unguento di can-
taridi: nel 25.° giorno al furore subentrò il letargo, si
estrasse due volte sangue, si fecer clistei, e si ammi-
nistrò un purgante composto di aloe, cremor di tar-
taro, e piccole dosi di digitale e di taxus bacchetta.
D'indi in poi volse al meglio: al 3o.° giorno era sa-
nata. Altro caso somigliante, benché meno grave, ri-
corda il Bonaccioli. Saviamente quindi ci fa sapere
esser tali cavalli appartenuti ad agricoltori che avean
perduto buoi per carbonchio , e ci fa avvertiti non
raramente trovarsi simili macchie nella superficie del-
la cavità, nei visceri racchiusivi e nei vasi maggiori,
quando dopo una febbre avente i caratteri della car-
bonchiosa all'esterno non era apparso esantema com-
burente di sorta.
io. Grossa iperostosi negli antri della gana-
scia anteriore. Un bue fu colpito da altro colle cor-
na nel punto centrale della guancia destra. Non die-
de indizio di malattia, tranne un mal' essere che si
manifestava di tanto in tanto. Dappoi la pelle esul-
cerò nel luogo offeso, tramandando scarsa quantità di
pus fetido: la guancia era tumida e calda: stillicidio
dalle nari: febbre leggiera: alito fetido, bocca ulcerata
con molte ineguaglianze soprattutto nella destra parte
della volta palatina: distrutta la gengiva dei 4 ulti-
mi molari destri, i quali, tocchi appena, caddero. Uc-
Memorie scientifiche 169
ciso il bue, la sezione mise allo scoperto un grand'
ammasso irregolare di sostanza ossea che occupava il
centro della ganascia maggiore: i tramezzi erano can-
cellati, v Quel tumore osseo, che a prima giunta sem-
brava porzione di encefalo passata a putrefazione ,
occupava eziandio molta parte della cavità nasale con
distruzione dell' etmoide, del palatino, dei turbinati,
estendendosi fin quasi nell'orbita dell' occhio corri-
spondente «. Altra iperostosi semisferica era aderen-
te alla mucosa che tapezza l'antro: la membrana pal-
lida, consistente e di grossa tessitura. Macerati ed
asciutti questi tumori, pesò il primo i3 libbre, l'ai—
i tro due. Le lamine ossee tegumentali e palatine del-
la mascella eran molto assottigliate.
li. Fecondazioni straordinarie di vacche. Una die
a luce quattro vitelli in due parti con circa rnezz'
ora d'intervallo: una seconda 5, l'uno pochi minuti
appresso l'altro: una terza presentò il caso singolare
di un vitellino mostruoso mummia, tolto dalla vagi-
na colla mano, al quale dopo 25 giorni succedette
un parto naturale di un feto ben conformato e vi-
goroso.
12. Perniciosi effetti prodotti dalla intempe-
i stiva amministrazione del tartaro slibiato nei ca-
valli. Assoggettati vari cavalli all'uso del tartaro sti-
biato, morirono più 0 men presto con gravi dolori.
La sezione de'cadaveri mostrò in tutti ernie negl'in-
testini tenui, ed in taluni gl'intestini stessi forati. Il
1 cavallo non può vomitare per istruttura sua partico-
lare. L'A. dice averne veduto il vomito per cause
morbose, ed una volta anche per tartaro stibiato. Nel
corso di sua pratica l'adoperò con successi felicissi-
mi in alcune morbosità. Due cavalli ne sopportaro-
170 Scienze
no impunemente una quantità straordinaria: ed uno
in particolare affetto da gravissimo trombo, al quale
vennero per errore amministrate in una sola volta
sei once , dopo non lieve disturbo tornò alla pri-
miera salute, ed il tumore quasi per lo intero sva-
nì. Altro infermo per grave parafiinosi ne tollerò tre
once, senza evidente sconcerto: anzi le orine, che a
stento fluivano, si resero più spedite, e con inaspet-
tata prontezza si dissipò la malattia.
i3. Intorno alle gravi circostanze che accompa-
gnarono la febbre aftosa de'' buoi della provincia
di Ferrara. ( E inserita nel fase, io del giornale let-
terario scientifico modenese 1840.)
14. Descrizione di un utero unicorne rinve-
nuto in una a°nella di sei mesi. Eccone i carat-
teri: « Posizione sulla linea media del tronco: figura di
cono allungato colla sommità in alto e ricurva all'in-
dietro: volume assai maggiore di quello di una me-
tà di un utero normale d'individuo della stessa età:
cavità unica: nessuna traccia di preesistita duplicità:
ambe le ovaia e le tube: ambi iligamenti larghi: ana-
logia colPutero della specie umana. » Il prof. Lio-
nello Poletti vi fece alcune riflessioni : e qui ter-
minano i molti ed interressanti lavori del sig. Bo-
naccioli.
i5. Dei vantaggi dell'atropa belladonna in di-
Verse affezioni morbose. Il prof. Gregorio Bononi
ci accerta in questa memoria, che non rade volte ce-
de la uretritide, particolarmente se accompagnata da
scolo gonorroico acuto, sotto l'uso delle frizioni del-
l'estratto di belladonna unito col grasso suino ro-
sato: e vide più pronto e decisivo il miglioramento, se
innanzi a quelle frizioni praticava sul luogo una fo-
Memorie scientifiche 171
mentazione fatta col decotto delle foglie o radici del-
la stessa pianta (1). L'osservò opportunissimo nella
periostite, nelle necrosi infiammatorie, nell'artitide ,
nelle affezioni reumatiche e nei cronici turgori emor-
roidali. Tale utilità fu appiriscente, per la prontez-
za con cui i mali procedevano al loro fine, per l'azio-
ne sulla località e sul generale, minorando i sinto-
mi di reazione, e per la leggiera dose che occorre-
va porre in uso. Detto di un'ernia inguinale incarce-
rata che guarì, passa ad esporre varie conchiusioni-
16. Storia di una frattura complicata della
gamba con enorme stravaso. Lo spirito di questa
memoria del dott. Bononi si fu di raccomaudare l'uso
pratico del metodo controstimolante: consigliando non
venire con troppa prontezza all'amputazione.
17. Della necessità di un codice in medicina.
Bel tema trattato dal prof. Luigi Buzoni. È deside-
rabile che questo codice si faccia.
18. Induzioni patologiche ed igieniche trat-
te dalla fisiologia della traspirazione. Queste in-
duzioni sono preziosissime per la patologia e per 1'
igiene. E un degno lavoro del prof. Buzoni.
19. Della necessità di un linguaggio sciupìi*
ce uniforme e legale nella denunzia delle ferite.
L'argomento è ventilato con dottrina dal medesimo.
Pare però non avere aggiunto felicemente lo scopo.
20. Della virtù della corteccia delV acacia
virginalis di Pohl. La storia di questa pianta, dei
suoi caratteri botanici, fisici e chimici, la esposizione
(1) Il eh. signor dott. Francesco Valori ci accerta aver' egli
sperimentato con successo tal maniera di medicare.
1^2 b C I E N Z E
delle pretese azioni farmaceutiche, ed i modi di pre-
scrizione, costituiscono i punti principali della pri-
ma parte di questa memoria del dott. Alessandro Col-
la. Nella seconda si riportano vari casi di metrorragia
curati felicemente colla corteccia di acacia alla dose
di una dramma, da somministrarsi in due o più gior-
ni secondo la gravezza del morbo.
21. Del gabinetto di materia medica delV uni-
versità ferrarese, della colutea arborescens, e del-
la bignonia radicans americana. Il suddetto prof.
Colla, autore della memoria, ha cooperato all'istitu-
zione di quel gabinetto. Tributa egli lode al eh.
monsig. Peruzzi, ai prof. Folchi, Crescimbeni, Giaco-
mini ed altri, che arricchironlo di sostanze medicina-
li. Il prof. Colla die a vedere non aver trasandato
di studiare e fare sperimenti sulle specie meno cogni-
te. Vide difatti dotate di azione purgativa le foglie
della colutea arborescens : e le silique della bi-
gnonia radicans utili contro la dispnea e V asma
convulsivo
22. Sulla cultura de* medici. Non sembra mai
abbastanza aver detto , inculcando questi principii :
moltissimi medici antichi e recenti possono servire di
ottimi esempi. E una memoria del medesimo profes.
Colla.
23. Delle cause che possono accelerare la
vecchiaia. Amò il prof. Giovanni Costa rinnovellar-
ci alla mente quelle virtù, per le quali non solo si
può prolungare la vita , ma renderla eziandio meno
disagevole e dura : la moderazione sopra tutte.
24. DelV arte farmaceutica in generale. La
farmacia ha progredito evidentemente, dappoiché trae
i suoi sostegni dalle scienze chimiche e naturali. Ha
Memorie scientifiche 17 3
progredito come arte , perchè i metodi di composi-
zione sono d'assai perfezionati, e semplificati sono gì'
istromenti d'analisi e di sintesi chimico-farmaceutica.
Ha progredito come scienza, poiché ha principii che
la sostengono, discipline che regolano le sue operazio-
ni , leggi le quali altro non sono che 1' espressione
dei risultati ottenuti col metodo sperimentale. Sull'
utilità sua, sull'aiuto che presta alla medicina ed a
varie arti, non è chi ne dubiti. Memoria del mede-
simo.
25. Della febbre aftosa sporadica delVuomo.
Lo stesso prof. Costa, parlando intorno ad alcun ej sin-
golari malattie osservate in Ferrara nel i835, espo-
neva come la febbre aftosa dominante epidemica nei
fessipedi domestici erbivori ed omnivori si era pure
manifestata, in modo però sporadico, nella specie uma-
na; attaccando di frequente i bambini ed assai rara-
mente gli adulti. Bei fatti per provare una verità non
posta ancora in piena luce, esser cioè derivati a noi
molti morbi dai bruti specialmente domestici.
26. Di una straordinaria affezione venerea
curata col mercurio. 11 dott. Giuseppe Deworski, in
una sua memoria diretta a convalidare 1' azione del
mercurio nella sifilide, riporta un caso gravissimo, il
quale mediante bagni e frizioni mercuriali alle cosce
che si continuarono , benché si presentasse copiosa
salivazione, guarì.
27. Delle principali classificazioni mineralo-
giche. Il dott. Alessandro Pelisi, parlato delle classi-
ficazioni mineralogiche di Hauy e di Berzelius, dice
non potersi dare vero ordinamento in mineralogia se
non si desume dall' insieme di molti caratteri come
fece Blumembach. Si attenne egli ad un ordinamento
174 Scienze
eclettico nel distribuire i molti pezzi, de'quali è com-
posto il gabinetto mineralogico di Ferrara.
28. Caso di assoluta astinenza di un cavallo.
Una lettera del sig. Fauvet riporta questo caso. Da
un branco smarriti tre cavalli si credettero involati:
dopo 20 giorni si avvertì il proprietario, che in un
tugurio senlivasi molto fetore: atterralo l'uscio, si tro-
varono i cadaveri di due cavalli, il terzo corse ad un
fontanile, ove tanto bebbe quanto capir ne poteva il
suo ventre. Cominciò quindi gradatamente a man-
giare, finché tornò ad uno stalo di salute floridissi-
mo. Col muoversi, forse i cavalli da loro slessi s'im-
prigionarono : l'uscio era senza serratura, i cadaveri
intatti.
29. Dell'importanza del fegato nelV umana
economia. Il dott. Foschini rese questa memoria di
pubblico diritto nel 1839.
30. Cenni sulla scoperta, uso ed utilità delV
ascoltazione nella medicina pratica e nella chirur-
gia. Discorse il dott. Girolamo Gambali l'utilità dello
stetoscopio, in special modo di quello metallico perfe-
zionato dal dottore Ulisse Breventani, e ne convalida
l'uso con vari sperimenti inslituiti nell' ospedale ci-
vile di Ferrara.
3i. Sul cholera morbus indiano. Non posso ac-
consentire coli' opinione del sig. dott. Gambali , il
quale dice esser miasmatico il contagio di questo mor-
bo, ed esser trasferibile dall' un luogo all'altro per mez-
zo dell'aria. Checché se ne dica, fa d'uopo ritener
fermo, l'aria non esser veicolo del contagio cholerico,
ma mezzo validissimo di distruzione: pel solo conlat-
to comunicarsi da un individuo all'altro il cholera: 1
cordoni sanitari e gV isolamenti esser tornati utilis-
simi. Me ne appello alla vera storia.
Memorie scientifiche iy5
3a. Intorno la patologia dinamica. Ne mostra
il dott. Gambari alcune utilità , ed accenna alcune
cose che non le sembrano convenienti,
33. DelVuso delle polveri del Per etti nelle
febbri consecutive alle cause tran orna tiche e alle
grandi operazioni chirurgiche. Il medesimo trovò
molto utile l'amministrazione di queste polveri.
34. Dei pericoli che incorrono coloro ai quali
si radono i capelli durante malattie cerebrali. Il
dott. Gio. Battista Grandi presenta in prima le sto-
rie di due donne malate di tifo con prevalenza al
cerebro, le quali essendo oltremodo infastidite da gran
numero d'insetti sui capelli, se li raserò : sopraggiun-
se però fiero dolor di testa, delirio, sopore e morte.
La sezione mostrò il cervello e le meningi iniettate,
e spandimento di siero. Ad una terza inferma per si-
noco nella convalescenza apparvero flitteni al capo:
si rase i capelli, ed egualmente funesto fu il fine. La
sostanza midollare del cervello indurila ed iniettata,
le meningi fra loro imbrigliate con false membrane,
specialmente in vicinanza della gran falce : nelle pleu-
re, negl'intestini e più ancora nel peritoneo una con-
siderevole iniezione di vasi.. Ad un accattone di i3
anni di età, affetto da tigna umida, il taglio de'ca-
pelli per poco non costò la vita. Ad un contadi-
no di anni 5o cadde il cappello nell'acqua: per ricu-
perarlo dovè tenere il capo esposto alla pioggia, e se
lo ripose molle di acqua. Ne ammalò di sinoco-en-
cefalite, del quale guarì. Essendo comparsi sul capo
vari piccoli tumori flemmonosi, si tagliò i capelli :
sopraggiunse eresipela flemmonoso alla faccia e par-
te capillata, tremori, sussulti e singhiozzo : il sesto
giorno morì come apoplelico. Non ebbe luogo la se-
176 Scienze
zione del cadavere. L'A. dà belle spiegazioni del co-
me vadano ad accadere talvolta funeste conseguenze
dal taglio de'capelli, laddove altre volte non produ-
ce alcuno sconcerto.
35. Storia di una perniciosa cholcrica. Il
dott. Eliodoro Guitti curò con esito felice questa per-
niciosa cholerica complicata con emalemesi. Ricorda
ancora due altre perniciose chol eriche portate a gua-
rigione coll'antiperiodico.
36. Della tosse convulsa epidemièo-contagio-
sa che regnò in Ferrara negli anni 1827, 28 e
29. Menò strage in ispecial modo de' bambini e fan-
ciulli. La malattia presentavasi con tosse secca ad
intervalli, che crescendosi facea clangosa, ferina, con-
tinua: in chi somigliava il canto del gallo, in chi il
latrato. Ora preceduta da mal ferma salute, da inso-
lita inquietezza, dall'abbandono de'fanciulleschi tra-
stulli, da sospiri, da inappetenza: ora assaliva d'un
tratto, cosicché al principio sembrava toccar l'apice.
Nulla, o poca e tenace, la separazione del muco, feb-
bre intermittente o sub-continua, oppure niuna rea-
zione, affanno. Inoltre vomito, faccia rosso-livida, oc-
chi gonfi o ingorgati di sangue , muscoli del collo
contratti come d'uomo strozzato, epistassi, emorragie
pulmonari, dolore di capo, ottusione di mente, tur-
gore cerebrale, appoplesia, ernie intestinali, minaccia
di soffocazione e soffocazione. Malattie secondarie di
lento corso furono la leuco-flemmasia, l'idrotorace, la
tisi. Gli antichi adoperarono una quantità enorme-
mente varia di farmachi, per lo più opposti tra loro:
ragione per cui non si potè stabilir la diatesi di tale
epidemia. L'autore usò il tartaro emetico unito allo
zucchero; così preponderando sintomi nervosi la tin-
Memorie scientifiche xjj
tura di belladonna; il salasso, se la febbre era ardita,
o mostrato si fosse impegno al capo ovvero al petto; le
frizioni stibiate quando la malattia trapassava lo stato
acuto; il calomelano nella verminazione e gastricismo.
Conchiude il eli, dott. Guitti esser la tosse convul-
siva epidemico-contagiosa di natura infiammatoria con
prevalente elemento nervoso, e l'azione del contagio,
che la promoveva, irritante o stimolante come vogliasi.
3j. Intorno Varticolo diatesi del dizionario
delle scienze mediche di Parigi. Lettera del prof.
Giovanni Andrea Magri. Ecco al solilo i francesi, che
tutto fanno e nulla sanno, non esser nemmen buoni
ad illustrare i significati di una parola.
38. Sulla teoria della Jlogosi del prof. Gio-
vanni Rasori. Non si fece il prof. Magri a rilevarne
la giustezza o fragilità de'principii, ma sibbene a stabi-
lire esser quest'opera di gran peso, né potersi abbattere
che con altrettanti fatti, quanti ne espone l'autore; non
già alla spicciolata e con sarcasmi contro il genio di
un uomo che si distinse sopra tutti i medici d'Italia.
3a. Sugli empirici e sulV empirismo. Lo studio
delle opere di Celso die motivo allo stesso prof. Magri
di scrivere sei lettere intorno a quest' argomento per
ammaestrare in ispecial modo la medica gioventù.
4o. Storia di un enorme tumore sul parietale
destro. Un villico di anni 14, di cattiva costituzione
fisica, fu colpito dalle corna di una vacca nel parietale
destro. Non patì sul momento alterazione di sorta :
dopo alcune settimane accusò un dolor fisso in quella
regione che il costrinse a chieder soccorsi. Invano si
adoperò cura antiilogistica generale e locale: la febbre
si fece ardita, la vista si offuscò, e quindi si perdette:
formicolio agli estremi inferiori che ne impedivano il
G.A.T.LXXXVII. 12
178 Scienze
moto, improvvise e gravi convulsioni epilettiche , che
scomparvero quando rimase emiplegiaco in tutta la si-
nistra parte del corpo, marasmo. Nel settimo mese com-
parvero due tumori, che cresciuti di mole si uniron tra
loro : tumore dolente in guisa da farlo sempre lamen-
tare. Applicossi sopra il medesimo un empiastro risol-
vente: non ostante l'infermo durò in quello stato lacri-
mevole per più giorni. Recò maraviglia come incomin-
ciasse a rincarnarsi, a rianimarsi il volto , a ricuperar
le forze. L'amaurosi persisteva, il tumore ingrandiva ,
la sinistra metà del corpo era priva di moto: una sen-
sazione di freddo intenso ora alla regione dorsale, ora
a tutte le estremità, ed un senso come se egli fosse
irresistibilmente tratto a cadere all'in giù. Inoltre feb-
bre, veglia e contrazioni convulse dell'urto inferiore
destro. Dopo vari opinamenti esposti da alcuni profes-
sori consultati all'uopo, il prof. Malagò incise il tumo-
re, dal quale sgorgò vivo sangue; impeditane l'ulteriore
uscita, si medicò la ferita nel terzo giorno, e die mar-
ce con odore di carie, senza stilla di sangue: non vi
erano fungosità. L'infermo visse ancora io giorni, e
fra indicibili angoscie spirò. Il tumore era totalmente
celluioso, coperto da una membrana particolare liscia,
trasparente ed avente forma di segmento di sfera: la
faccia corrispondente al cranio concava. La cellulare
disposta a laminette raggianti dalla superficie concava
alla convessa: il tumore avea il vero aspetto di fungo,
ed era zeppo di materia gelatinosa: aderiva al parietale
destro che era forato a mò di cribro: ne era consunta
la esterna lamina fin quasi ai margini ; l'interna nel
centro e consumata la diploe. La dura madre imbri-
gliata strettamente al tumore ed al cervello, contenen-
do fra i vani dei punti così adesi non piccola quantità
Memorie scientifiche iyg
di siero .Nel lombo destro eravi un sacco ripieno di mar-
ce : sfacciata e distrutta la parte media e posteriore del
medesimo: i nervi ottici atrofizzati : le altre parti del
cervello sì fattamente disorganizzate da non potersi de-
scrivere. I visceri dell' addome e torace sanissimi. La
teca ossea del cranio fu depositata nel gabinetto patolo-
gico dell'università di Ferrara.
4-i. Intorno i climi fisici. Non conosconsi le al-
tre maniere di climi : fu tema esposto dal prof. Anto-
nio Neri.
42. Modificazioni della blouse di Paulin. Si
deve al detto prof. Neri. Consiste nella collocazione
della lanterna al di sopra del capo, con ebe si toglie
la diretta comunicazione tra l'aria, che serve ad alimen-
tare il lume, e quella della blouse-. va così meno sogget-
ta alla rottura il cristallo e spandesi più luce.
43. Sul cholera morbus. 11 dott. Giuseppe Leo-
nida Podrecca si mostra titubante sulla sua vera natu-
ra contagiosa.
44- Sopra un carattere anormale offerto dal-
la superficie interna dell' ' amili os umano. Descrive il
prof. Lionello Poletti un uovo a due feti abortito da
una donna fra il terzo e quarto mese di gravidanza.
Riferisce come sulla faccia interna di ambedue gli am-
nios, e soprattutto nel sinistro, avesse rinvenuto una
materia omogenea di colore giallo ocraceo semi-fluida
deposta qua e là o in grani, o in masse, oppure in
astrati. Non la suppone ingenerata dopo morte: 1. per-
chè l'amnios non era punto alterato : 2. perchè tale
deposito non s' incontra in ova vicine a. putrefarsi, ed
era minore sull'amnios del feto morto prima: 3. per-
chè non si sarebbe limitato all'inviluppo, ma avrebbe
investito l'individuo che contenea. Oltre a ciò la super-
180 Scienze
ficie interna dell'amnios offriva qua e là filamenti bian-
castri, sottili, terminati da un capolino alla membrana
amniotica fortemente aderenti : erano eziandio elasti-
ci. Nella seconda parte si fa a riflettere esser questa
innormalità, condizione normale di alcuni bruti, come
la pecora e la vacca a gravidanza inoltrata. E qui FA.
espone alcune belle sperienze cbe gli meriteranno lo-
de negli studi dell'embriogenesi.
45. Della formazione del vomere nella specie
umana. Sottoponeva all'accademia e quindi descriveva
il suddetto prof. Poletti una serie crescente di vomeri
a diversi periodi di vita intra-uterina ed extra-uterina.
Con accuratezza, cbe indarno si cercberebbe negli au-
tori, ne seguiva lo svolgimento, ne divisava gli stadi, e
di questi fissava le analogie con istati permanenti di
animali inferiori. Riporta alcune belle osservazioni che
la brevità prefissa toglie di accennare.
46. Sulla forza assimilatrice. Il medesimo prof.
Poletti , prende le mosse dal considerare come le
tentate applicazioni dell'influsso elettrico sulla cristal-
lizzazione al solidifieamento ed ordinamento regolare
de'materiali, onde vengono risarciti i tessuti organici e
il potere discoperto nella pila di condensare i globuli
di un liquido animale e disporli in fibre, siano nuovi
passi verso il gran fine d'identificare i fenomeni della
natura vivente a quelli dell inorganica, mirando a riu-
nirvi eziandio l'atto ultimo della nutrizione. Stimava
però prudente consiglio il conchiudere, non potersi an-
cora propalare, a quella causa medesima, da cui ven-
gono determinate le forme cristalline dei corpi mi-
nerali, tutta doversi la plastica dei vivi. E così prose-
gue ragionando con finissimo discernimento e giudizio.
47. Sopra un caso di fusione dei frontali coi
Memorie scientifiche 181
parietali. Anomalia rinvenuta in un feto umano qua-
drimestre. La fusione si estende a più che la metà in-
feriore dei margini anteriori dei parietali e degli e-
s terni coi frontali. Nel resto fra un margine e l'altro
vedesi uno spazio lineare verticale. Anche questo è
lavoro del eh. Poletti, che arricchì questo giornale di
sue dotte produzioni.
48. Sullo studio della natura nei reattivi chi-
mici. Il chimico-farmacista Filippo Rivani, considerata
la chimica nelle affinità che ha colle altre scienze , dis-
se la sintesi e l'analisi esser di molto ed esteso giova-
mento nelle disamine chimiche. L'uso dei reattivi in-
correre in una difficoltà: ed è, che sebbene essi indi-
chino ora le terre alcaline e metalliche, ora gli acidi
o altri principii, non vi conducono a determinare a
quale degli acidi l'ima o l'altra base si appartenga. A
questo inconveniente rimedia la dottrina delle affinità,
che fu paragonata alla bussola de'navigatori. Con ciò
apparisce il bisogno di conoscere la natura dei corpi
e le affinità che ne governano i loro vari stati, ed il
modo di essere prima di approfondire le analisi per
mezzo dei reattivi.
49. Sulla natura delle febbri intermittenti che
regnarono in Ferrara nella primavera dell'anno
i836. Le trattò il dott. Francesco Trevisiani col sa-
lasso e coi deprimenti : le credè d'indole infiamma-
toria. Non saprebbesi acconsentire generalmente a tali
massime.
50. Sopra un caso di delirium tremens. Eb-
be origine dal vapore dei liquori spiritosi, che l'in-
fermo preparava : l'accesso fu dei più terribili. Il sud-
detto Trevisani fece istituire replicati salassi dal brac-
cio, applicazione di sanguisughe e ghiaccio al verti-
idi Scienze
ce: amministrò acqua di lauro ceraso, drastici e be-
vande nitrate, e così l'infermo ricuperò la salute.
5i. DelV insegnamento della patologia gene-
rale. Il dott. Luigi Bosi presenta un ben inteso qua-
dro di patologia : inculca che i giovani s'istruiscano
dei principii dell'arte e del valore del linguaggio me-
dico : che si educhino i loro intelletti a ben osser-
vare, a ben esperimentare ed a ben usare della ra-
gione critica delle cose. Alla storia appartenersi la
cognizione dei sistemi e delle opinioni che formano
oggi la parte principale dello studio della patologia,
ed intorno alle quali non dibattersi quistioni che per
farne spiccare alcuna prediletta. De'quali ragionamenti
e di altri assai gravi splende questa memoria.
52. Necessità di una semiologia illustrata
dallo stato attuale della medicina. Dimostra il me-
desimo quanto siano poche e meschine le cognizioni
di semiologia che noi abbiamo , portando acuta di-
samina sulle moderne ed antiche opere. Unisce il
suo voto a quello del dott. Giulio Covoni, che nel
Raccoglitore medico di Fano, tomo i, p. 33, dimo-
strò la necessità in che sono i medici di una l'agio-
nata semiotica , e come debba esser questa giovata
dalla patologia , dalla fisiologia , eziologia , anatomia
patologica ed altre scienze affini.
53. Delle naturali cagioni che ritardano e
ritardar possono il naturale progredimento della
scienza medica. Si mostrano dal dott. Bosi le ca-
gioni del ritardo nel progresso della scienza medica:
le quali, sebben vere, non sono si facilmente supera-
bili. E con questa memoria si dà fìsse all'opuscolo ,
■che è stato compilato con molta dottrina e sagacia dal
dott. Luigi Bosi segretario dell'accademia. Gli altrui
Memorie scientifiche i83
pensamenti intorno ai vari rami dello scibile sono sta-
ti trattati con molla verità: lo che ha reso più agevole
lo esporre con molta brevità le cose stesse: e il dico a
laude del signor Bosi.
Questo secondo estratto sarà l'ultimo : mentre
i processi delle ulteriori sedule verranno periodica-
mente pubblicati dal bulletlino delle scienze medi-
che della società di Bologna : la qual cosa mentre
arricchisce (se non errassi) la già doviziosa accademia
bolognese, mostra rattiepiditi gli animi de'ferraresi.
Enrico Castreca Brunetti.
i84
LETTERATURA
Intorno ad alcune iscrizioni, e ad una poesia inedi-
ta del Marcelli. Lettera alla eccellenza di mon-
signor Carlo Emmanuele Muzzarelli uditore
della sacra romana rota.
Monsignore veneratissimo
JLJl luce della rivelazione morcelliana, per usar
le parole di Pietro Giordani , cominciò a spandersi
dalla città di Fermo per Italia tutta non meno, che
per le straniere nazioni : perchè avendo essa città
avuto per buona ventura nell'anno 1764 Stefano An-
tonio Morcelli a pubblico insegnatore di rettorica nel
collegio gesuitico (1), zelantissimo com'era della in-
(i) 11 eh. Labus (Gior. arcad. voi. digeriti. 1821) afferma essere
stato officio del Morcclli insegnar grammatica nel collegio gesui-
tico di Fermo. Tuttavolta però dai due saggi intitolati AgonFir-
manus degli anni 1^65 e 1766 apparisce chiaramente ch'egli det-
tava le lezioni di rettorica.il che si conferma ancora dal fu mon-
signor Giuseppe Baraldi nella sua Notizia biografica del Morcel-
li, il quale dice di aver ciò ricavato da alcune sue lettere scrit-
te al cugino Francesco.
Iscrizioni del Morcelli i85
contaminata latinità, dettava egli due anni dopo ai
suoi discepoli un comentario di latine iscrizioni, con
che veniva già preparando quegli aurei suoi precetti
del bene scrivere in epigrafia. E saviamente l'erudito
avv. G. Fracassetti, annunziando a V. E. con lette-
ra del 27 marzo i835 il trovamento in Fermo del
manoscritto di quel comentario, opinò (1) contenersi
in esso la primissima idea, e quasi l'archetipo della
grand'opera De stilo inscriptionum pubblicata dal
Morcelli nel 1781. E sebbene il dottissimo cavalier
Giovanni Labus nella necrologia del Morcelli (2) af-
fermi, che dopo l'anno 1773, essendogli stata data in
cura dal cardinale Alessandro Albani la sua splen-
dida biblioteca, immaginasse 1' opera suddetta, pure
mediante quel bellissimo comentario , chiaro appari-
sce essere stata concepita molti anni innanzi. IN è le
sole regole con che rettamente comporre in epigra-
fia ei dettava, ma non poche iscrizioni ancora dona-
va a'suoi scolari tutte elegantissime, come appare da-
gli esperimenti scolastici o saggi, che chiamava jdgon
Firmanns: ne'quali si legge che insegnava De stilo
lapidario vetere, e faceva anche recitare le iscrizio-
ni In urbem et monumenta firmano- ^ che furono da-
te in luce prima dello stesso avvocato Fracassetti e
poscia da Michele Ferrucci ; come altresì quelle pel
cardinalato dell'arcivescovo Paracciani (3); iscrizioni
(1) Giorn. Arcad. voi. di aprile e maggio i834 e i835.
(2) Ivi voi. di gennaio 1821.
(3) Nel voi. di dicembre 1822 dello stesso giornale si riferi-
scono nove iscrizioni in lode di Fermo, pubblicate poi dal Fer-
rucci nel 1823 in Modena pe' tipi Soliani. Nell'arcadico, marzo
i823, leggonsi quelle pel cardinalato del Paracciani.
186 Letteratura
che non si leggono nelle opere del Morcelli pubbli-
cate in Roma e poscia in Padova.
Altre però ve n'erano egualmente inedite e sco-
nosciute in Fermo; imperocché frugando io non ha
guari fra le vetuste carte di mia famiglia, ove si con-
servano alcuni autografi di mio zio stato scolare del
Morcelli nel 1766, ed essendomi anche venuto fatto
d'avere un manipolo d' iscrizioni di altro scolare di
quella cima d'ingegno, ne trovai alcune inedite , ed
altre con varianti, benché già stampate (1). Ho per-
ciò divisato di offerirle all' E. V. come a caldissimo
zelatore di ogni generazione di studi: intendendo in
tal modo recare un qualche servigio a tutti, che si
conoscono di tal fatta scritture : poiché il gran Mor-
celli è universalmente celebrato qual principe de'la-
tinisti di questa età, e creatore immortale della scien-
za epigrafica. E, come dimostrò il celebre professore
Schiassi nel suo lessico morcelliano , ogni iscrizione
(1) Non solo iscrizioni temporanee dettò il Morcelli in Fer-
mo, ma se ne trovan diverse incise ne'marmi; frale qualison de-
gne di ricordo quella sullo stradone che conduce alla chiesa me-
tropolitana di questa città; l'altra pel cardinale Stefano Borgia, e
la terza che fu composta per ricordare le nozze della contessa
Chiara Spinucci col principe Saverio di Sassonia. Lesse al-
tresì il Morcelli varie dissertazioni in questa accademia degli er-
ranti: tre delle quali furono già pubblicate. La prima versa Sul-
lo studio delle antiche monete (Milano 1829, Bonfanti; pubblica-
ta per cura del cav. Labus: la seconda : Dell' arte critica diplo-
matica (Memorie di religione, di morale e di letteratura., giornale
di Modena) pubblicata per cura dell'esimio conte A. Evangelista:
e l'ultima: Delle arti e delle lettere degV italiani prima della fon-
dazione di Roma pubblicata da Michele Ferrucci in Modena nel
1820, tip. Solia.ii, e poscia riprodotta ucl giornale di detta cit-
tà toni. IP, pag. 4o3 e seg.
Iscrizioni del Morcelli 187
formata secondo i precetti di quel grande maestro,
cum optimis certare debet.
Oltre alle iscrizioni , monsignore illustrissimo ,
tengo anche una poesia del Morcelli tutta scritta di
mano sua, e inedita per quanto io mi sappia (1); e
questa pure mi è dolce di presentarle. Tali esametri,
tutto fiore di lingua e di eleganza, furono da lui det-
tati allorquando l'arcivescovo Paracciani nel 1766
venne decorato della romana porpora.
Accolga, monsignore veneratissimo, questo segno
della sincera mia stima per isdebitarmi almeno in par-
te delle cortesie di che ella mi onorò nell'ultima mia
dimora in codesta metropoli: e con riverente animo
me le inchino.
Di Fermo 3o luglio 1840.
Umo devmo obb. ser.
Avv. Gaetano De-Mimcis.
(1) Si crede inedita questa poesia, poiché nella raccolta del-
le poesie latine, che col titolo Stepìi. Anton. Morcelli electorum
libri II fu stampato nel 1818 in Padova nella tipografia della
minerva per cura del retore Andrea Andrei, non si trova.
Fircnanis adolescentibus sacra sollemnia obeuntibus
apud coli. soc. Ies. anno MD . GC . LXVL
Jediculam ingredientibuSi
I.
Mariae . Sanctae
Virgini . Dei . Parenti
Sollemnia
IL
In ipsa aedicula.
Mariae
Magnae . Dei . Matri
Hieronymus . Et . Antonius
Fratres . Matteucci
IH.
Mariae
Virgini . Optimae . Maximae
Philippus . Et . Michael
Fratres . Catalani
IV.
Mariae
Reginae . Regum
Filiorum . Regum
Paullus . Et . Iosephus
Fratres . Guerrieri
Iscrizioni del Morcelu 189
V.
Mariae
Augustae . Luci
Orbis . Terrarum
Iosephus . Et . Octavius
Fratres . Falconi
VI.
Mariae
Paciferae . Adiutrici
Franciscus . Martellus
Ignatius . Montanus
VII.
Mariae
Matri . Christianorum
Ioannes . Francolinus
Ignatius . Garullus
VIII.
Mariae
Custodi . Iuventutis
Eugenius . Savinus
Franciscus . Guerrierus
190 Letteratura
IX.
Mariae
Sospitae . Tutelari
Hieronymus . Moricius
Vincentius . Paccaronus
X.
Mariae
Munificae . Opiferae
Àntonius . Gratianus
Philippus . Riccius
XI.
Mariae
Clementi . Exoratae
Iosephus . Riccius
Philippus . Vitalis
Kotum.
Mariae
Virgini . Dei . Parenti
Et
Aloisio . Gonzagae
Optano . Patrono
Hieronymus . Matteuccius
Firmanus
IsfcRIZIONI DEL MORCELLI igl
Triennium . In . Ludo
Rhetorico
Ex . Sententia . Versatus
Votum . Merito
Anno
MDGCLXVI
Donum.
Senatus . Firmanus
Inopia . Frugum . Sublata
Coronam . Auream
Ex . Pecunia . Publica
Mariae . Adiutrici
Donum . Posuit
Anno . M.D. C, C . LXVI
Agon Firmanus
Apud Coli. Soc. Ics.
anno M.D .C.C .LXVL
Urbano . Paracciano
Archiepiscopo . Et . Princ . Firman.
Ioan . Baptista . Aragonio
Praei'ecto . Urbis
limi . Viris . Civilibus
III . Viris . Aerariis
Agonem
Adspectu . Suo . Decorantibus
iga Letteratura
Adolescentes . Rethorici
De . Laboribus . Suis . Laeti
Exultant . Gestiunt
E' stampata nell' Agon Firmanus del 1766.
Nuncupatio libelli philosophici.
Urbano . Paracciano
Arcbiepiscopo . Et . Principi . Firman.
Philosoplricam . Disputationem
Illustri . Grada . Excipienti
Theodorus , Ercolanus
Disceptaturus
Apud . Coli . Soc . Jes.
L . M . D .
Urbano . Paracciano
Cardinali . Archiepiscopo
Purpureum . Pileura
In . Tempio . Maximo
Rite . Tollenti
Firmanum
Canonicorum » Collegiura
Principi . Suo
Fausta . Omnia
Precatur
Iscrizioni del Morcelli ig3
Gratulatio.
Urbano . Paracciano
Archiepiscopo . Ex . Principi . Optimo
In . Amplissimum . Cardinalium . Collegium
Cooptato
Senatus . Populus . Que . Firraanus
Voti . Compotes
Gratulantur
Granarioduni in agro firmano.
Cyro . Leto
Antistiti . Munificentissimo
Quod . Cives . Consiliis . Exemplis
Opibus . Iuverit
Templum . Sibi . Commissum . P . S .
Amplificaverit
Aras . Ornaverit . Sacrarium . Locupletaverit
Patrimonii . Bene . Collocane!! . Documenta . Dederit
Ex . Decreto . Pontificis (*)
(¥) Di Ciro Leti nell'opera Inserì pt, corti, sub., ediz. pat. p.
ioo, si ha una iscrizione mortuaria dello stesso Morcelli ordinala
dal card. Paracciani arciv. di Fermo.
G.A.T.LXXXV1I. i3
x94
Letteratur a.
Epitaphium.
Sacerdotibus
Magnae . Animae . Prodigis
Quos . Aegrorum . Saluti
Ultro . Intentos
Vis . Pestis . Absumpsit
Polyandrion
Epitaphium.
Septiraio . Et . Lucillae
Filiolis . Mellitis
Quos . Malae . Pustulae
Peremerunt
Aurelius . Et . Claudia . Finii
Valete . Animae . Carissima^
Monumentimi fwtum prò antiquo.
Genio (*)
Socratis . Plnlosophiae
Parentis
Quem . Apollo
Omnium . Mortalium
Sapienti ssimum
Iudicavit
n V. Morcelli, De stil. iuscnpt., ed. pat. Il, pag. 53o e 5cg.
Sui geni-
Iscrizioni del Morcbllt ig5
Epitaphium.
D. M.
Socratis . Philosophorum
Principis
Quem . Atlienienses . Incolumem
Oderant
Sublatum . Requirunt
Plato . Aristonis
Civi . Et . Magistro . Suo
Quod . M . Pinarius . M . F . Laenas
Gravem . Contumeliam . In . Patrem
Iecerit . Ob . Eam . Rem . limi . Viri
Civiles . M . Pinarium . M . F . Laenatem
Urbe . Domo . Congressu . Aequalium
Prohibitum . Ad . Calendas . Ianuarias
Extorrem . Esse . Iubent
Pons.
L . Aurelius . Capito
Faciundum . Redemit
limi . Viri . Civiles
Probaverunt
J96 Letteratura
Fons.
C . Furius . Baculus
A . Velino . In » Urbem
Perfosso . Monte
Substructis . Fornicibus
Derivavit
Monumentimi.
M . Valerio . Maximo
Diclatori
Etruria . Pacata
Seditionibus . Arretinorum . Compositis
Licinio . Genere . Cnm . Plebe
In . Gra tiara . Reducto
S . P . Q . R.
Le seguenti due iscrizioni sono tratte dallo stes-
so autografo , ma non è certo se sieno del
Morcelli.
Titulus imperatoria,
Laudonio . Imp,
Bello . M . Theresiae . Aug . Auspiciis
Suscepto
Friderici . Borussiae . Regis . Impetu
Retardato
Iscrizioni del Morcelu 197
Scevenitio . Nocturna . Aggressione
Capto
Germaniae . Urbes
Conservatori . Suo
Civi Ragù sino.
Traiano . Iacobi . F . Laliko
Cora . S . R . I
Civi . Optimo . Et . De . R . P . Optime . Merito
Quod
Cives . Suos . In . Summa . Cantate . Annonae
Frumento . Suppeditato . Levaverit
Ex . S . C.
A . M . I) . C . C . LXIV
De Urbano Paracciano cardinali amplissimo
cum primum in purpura conspiciendum se dedita
Iiexametri.
Aspice, sidonio dudum qui clarus in ostro
Par decori ipse suo graditur; tamen omnibus idem,
Qui fuit, officioque animoque: hic scilicet ille est
Urbanus, sancto quem nuper romulidarum
Concilio inseruit Clemens ; quo principe Firmum,
Maxima quo plaudat sibi Roma. An cernis euntem
Virtutum quantus sequitur chorus ? ipsa sed agmen
Ducit ovans Astraea: ipsa nani purpura parta est
lusdtia, haud uuquam argento venalis et auro.
1766.
198
Apocalisse di s. Giovanni Evangelista recata,
in versi italiani da Agostino Pcruzzi, canonico
arciprete della metropolitana di Ferrara. Edi-
zione seconda corretta dell'autore, adorna del
testo a fronte e di nuove e pia ampie anno-
tazioni. Ferrara tipi Negri alla Pace i6"4oj
8. pag. 216.
Mi
Lirabile tra i libri divini mi è parso sempre que-
sto dell'Apocalisse. Anche Dionigi areopagita, co-
mechè lo noti d'oscuro ( io direi misterioso ) , ne fa
le maraviglie. S. Girolamo poi ( giudice competen-
te ) lo dice libero sopra ogni lode, e tale che ogni
parola comprende sensi e maraviglie innumerevoli ,
chi sappia trovarle. Che dire degli stolti, i quali
dannando ogni cosa che non intendono, si argomen-
tano in questo libro, certamente divino , non esse-
re né senso né ragione ? Quello che disse il poeta:
Non ragioniam di lor; ma guarda e passa.
Non che tutto per entro sia luce, che luca a bas-
se menti : e chi degli umani potrebbe fissare il so-
le ? E pure ogni occhio sicuro mira a suo agio le
stelle , che smaltano il firmamento ! La troppa lu-
ce di quella ci abbaglia; la meno di queste ci rassi-
cura. Ma tra le stelle ed il sole qual mai confron-
to ! Quegli che disse: « Io son chi sono: » quegli che
nominar non dovremmo senza umiliarci col cuore
Apocalisse ino
e colla persona, l'eterno Iddio, non nelle stelle, ma
nel sole pose il suo tabernacolo; benché, come av-
visa il poeta ( che meglio tiene dall'estatico di
Patmos ),
La gloria di Colui, che tutto muove,
Per l'universo penetra, e risplende
In una parte più e meno altrove !
Tra gli altri libri della scrittura e V Apocalis-
se sarebbe mai la proporzione che è tra le stelle ed
il sole ? Non è da me risolvere questo dubbio ono-
revole per la più alta delle visioni ; bensì parmi da
osservare, che la stessa maggiore oscurità dell'Apo-
calisse è segno che è più misterioso; quando ai co-
rintii scriveva l'apostolo: « Loquimur Dei sapien-
tiam in mysterio> quae ab scondita est. » Per questo
mi parve più sopra dar titolo di misterioso al libro
che va sugli altri come aquila, e fu dettato da ta-
le , che fu veramente tra discepoli quasi la pupilla
di Gesù Cristo.
Dante solo finora avrebbe potuto far nostro que-
sto , che dir si potrebbe il miracolo de' libri santi.
Ma dopo Dante chi vale ? Il Tasso forse ; se non
che le Sette giornate non valgono un canto dell'
Alighieri ! Ne già mi si apponga a irriverenza ver-
so i poeti nostri il libero sentenziare: io sono fran-
co e sincero, e dirò colle parole dei Venosino:
« et liane veniam petimusque damusque vicissim. »
Del resto il secolo passato potè gloriarsi della
parifrasi di questo misterioso libro di san Giovanni
aoo Letteratura
fatta in versi italiani dal bolognese Flaminio Scar~
selli , degna di venire al cospetto di quei fiore di
sapienza, che fu Benedetto XIV', degnissima di es-
sere accolta nella sene de'testi di lingua italiana dal
eh. Bartolomeo Gamba, e nel parnaso straniero tra
le poesie scritturali per cura dell' Antonelli , fortu-
natissimo de' tipografi a questa età !
Il secolo nostro all'incontro può essere superbo
di quattro versioni: quella anteriore alla altre di mon-
signor Peruzzi (di cui toccai a' i5 maggio 1836
nel giornale di Modena intitolato 1' Amico della
gioventù tom. XV, num. 89 , pag. 52. e segg. ;
poscia a'3o marzo 1837 annunziandone la prima edi-
zione nell'Arcadico voi. 172, pag. 347 e seg.) in
terza rima: quella di Felice Bisazza ( della quale
toccò pure V Amico della gioventù nel precedente
suo num. 77 a Pag- i55 e seg. ) in versi sciolti :
l'altra del Perez ( uscita a Palermo del i836 ) in
quarta rima: e l'altra finalmente del Mancini ( usci-
ta a Siena del 1 838 ) in terza rima. Questo me-
tro io preferisco, e me ne appello all' Alighieri. Quan-
to poi al merito delle quattro versioni, rimetterò
la decisione a più sincero giudizio; onde altro non mi
rimproveri come già Apelle il calzolaio. Solamente
parmi accennare ai benevoli, che leggeranno questo
articolo, che se amano vedere almeno il capo VI di
ciascun traduttore e ciò che bisogna a potere sen-
tenziare, veggano L'Imparziale, foglio periodico di
scienze, lettere ed arti che esce quasi nel centro del-
la Romagna, e precisamente in Faenza ( Num. 5,
8, 9 ei 11 del 1840). In quanto a me non pos-
so non ringraziare monsignor Peruzzi , che aman-
domi di molto amore e stimandomi colla misura del
Apocalisse 201
cuore , mi fece degno fino dal 1826 di leggere ad
uno ad uno i canti dell'Apocalisse da lui tradotti ,
e di notarne le bellezze molte , e quelli che a lui
parevano difetti, ed a me erano nei discernibili ap-
pena in tanta luce della versione: la quale fu da
lui incominciata fino dal 18 15, e da' censori appro-
vata poi per la stampa del 1 836 la prima volta. Deg-
gio ringraziarlo altresì che a' miei conforti si lasciò
indurre a dar fuori la lunga e degna fatica: e mi è
bello rammentare, che io primo ottenni da lui ( che
nulla mi sa niegare ) quel saggio offertone neWA-
mico della gioventù , cui altro ne seguì nelle Poe-
sie scelte- date dal prof. Sdorata in Bologna, even-
ne poi la edizione ferrarese del 1837 di tutta quan-
ta l'Apocalisse. Dicevo allora nell' Amico della gio-
venta'. « Vi ha un genere di poesia che mai non in-
vecchia: e si è quella divina de'sacri libri , tra'qua-
li è una vera maraviglia il libro dell'Apocalisse. Da
simil fonte, e non d'altronde, trasse il sommo poe-
ta italiano, Dante Alighieri > ciò che lo fa singola-
re da tutti gli altri poeti antichi e nuovi : ciò che
lo fa essere il poeta sovrano non pure dell'Italia no-
stra, ma di tutto il mondo: non pure di una età ,
ma di tutti i secoli. A conservare questo vanto, che
è bellissimo di tutti , ci giova studiare nelle carte
del sommo nostro poeta; ma più giova studiare in
quelle, ond'egli tolse virtù da volare sopra gli altri
come aquila: dico nelle sacre carte, miniera inesau-
sta del sublime e del bello universale. » Ho ripor-
tato queste mie parole, non perchè mi piaccia ripe-
termi; ma perchè quelle furono esordio a lodare il
saggio offerto prima, come ho accennato, della ver-
sione in isciolti del Bisazza, giovane di altri spiri-
aoa Letteratura
ti e di belle speranze. E questa lode di poetico ar-
dimento mi piace rinnovargli colle parole di un nu-
me al figliuolo d'Enea, generosa progenie: - Macte ani-
mo - sic itur ad astra ! -
Ma questa lode al giovine siciliano signor Bi-*
sazza non dee detrarre a quella maggiore dovuta al
senno maturo di un Nestore de'letterati, monsignor
Peruzzi : come il valore del giovine Darete non
dovea strappare le sudate corone dal capo del vec-
chio Entello. Qui trattasi di una versione di libro
eminentemente inspirato , dove più che mai la let-
tera uccide e lo spirito vivifica; dove ogni verbosità
frugoniana è peccato, ogni parsimonia dantesca è vir-
tù; dove al concetto dee servire in tutto la parola,
non alla parola il concetto; dove lo studio profon-
do de'sacri libri dee guidare la penna del tradutto-
re. E per questi speciali requisiti del volgarizzamen-
to, massime del libro arcano dell'estatico di Patmos,
niuno meglio di monsignor Peruzzi poteva promet-
tersi la palma incontro al Bisazza: il quale dal Pe-
rez mi pare talvolta pur vinto, senza che venga per-
ciò meno la stima debita a monsignor Mancini.
Ed a chi ama i confronti, pur sempre odiosi ,
potrei indicare le carte dell' Imparziale , che per tut-
to il cap. VI dell'Apocalisse, siccome ho detto, po-
se quasi alla prova in campo glorioso i quattro insi-
gni volgarizzatori , de'quali la mente si è volta a
renderne sulle orme di Dante tra i libri divini il più
mirabile: ciò che fa onore eziandio al nostro secolo,
non invano innamorato del sublime cantore de'tre
regni: il cui volo pur vince ogni altro volo, che sia
non più che di terrene incerte penne !
Ma perchè non mi è piaciuto mai farmi ere-
Apocalisse 2o3
dere sulla parola ( come sanno quegli amorevoli, che
da quattro lustri non isdegnano le povere mie note):
e perchè potrei io stesso, siccome uomo, ingannar-
mi; nò voglio che il mio inganno pregiudichi comun-
que alle lettere ( che io amo quanto il vero ed il
hello ): ecco, mi risolvo di raffrontare i quattro vol-
garizzatori in quel tratto divino del cap. VI, dove
è descritto il terremoto con tanta evidenza, con tan-
ta forza, da disgradarne e SU io Italico (lib. 6 ) ,
e Seneca il tragico ( in Troade act. II, i ) ; e
qual altro scrittore del Lazio , ancora più degno ,
che quel terribile fenomeno tolto avesse a descri-
vere.
( PERUZZI )
Cap. Vl^vers. 12 Edizione del 1840,
del testo fino alfine. tip. Negri. Ferrara.
Tremò il mondo allo scior del sesto (1), e 'n bruna
Gramaglia il sole si converse tutto,
Tutta di sangue rosseggiò la luna.
Nudo di stelle il ciel comparve in lutto,
Qual dalla furia d'aquilon trovolto
Perde il fico ogni onor di fronda e frutto.
Sparve,, come volume in se l'involto
Il cielo, e andò con orrido fracasso
Ogn'isola, ogni monte capovolto.
Schiavi, liberi, re, superbo e basso
Vulgo, e duci, e guerrir che 'n terra sono,
Volser fuggendo a'monti e agli antri il passo.
(t) Suggello.
2o4 Letteratura
Su noi cadete, udiansi in flebil suono
Dir, ci ascondete dell'aspetto a'iampi
Del divo agnello e del seggente in trono.
Dell'ira loro è il d'i! Ahi! Chi ne campi?
Prego il lettore a porsi dinanzi gli occhi il te-
sto, e vegga la versione italiana, e pensi i miei dub-
bi, che non sono che dubbi a più sicuro giudizio!
Non è qui il magnus del vers. 12, e non è be-
ne espresso il cader delle stelle dal cielo sopra la.
terra del vers. i3. Al motae del vers. 14 non cor-
risponde il capovolto', potendo monti ed isole esser
mossi di luogo senza essere capovolti. Meno evidente
nella versione torna quel vivo e vero: Absconderunt
se in speluncis et in petris montium: del qual ver-
bo absconderunt tanto si piace l'apostolo, che ripe-
ter fa nel susseguente vers. 16 ai tremebondi: Abscon-
dite nos a facie sedentis; apostrofando monti e spe-
lonche. A proposito di che par meno la bellezza del
Volgare, che dice parafrasando: Ci assondete delVa-
spetto a'iampi - Del divo agnello e del seggente
in tro?io: - dove il testo dice: « A facie sedentis super
thronum, et ab ira Agni. » Sarei stato qui coscen-
zioso dell'ordine stesso delle parole divine; tutto che
una libertà onesta nelle traduzioni non mi dispiaccia,
come altrove ho più volte manifestato in queste car-
te. Del resto io sono, mi accorgo, troppo esigente: e
voglio essere creduto allora soltanto che fo plauso al-
la brevità, alla forza, alla verità, che regnano in ge-
nerale nel volgarizzamento di monsignor Peruzzi ,
degnissimo di ogni onore. Lo stesso vincolo della ri-
ma può tarpar qualche ala all'ingegno, o ritenerla, per
dir più vero. Ma vediamo come sciolto da quel via-
Apocalisse 2o5
colo abbia saputo alzarsi il Bisazzal Egli, libero da
pastoie, poteva toccare più là che le stelle !
(BISAZZA)
E come si dischiuse il suggel sesto,
La terra si crollò fuor dell'usato,
E il biondo capo doloroso il sole
Scolorò di ferrigno al par di vile
Cinereo sacco di Cilicia, e apparve
Suffusa di sanguigno in ciel la luna.
E del cielo le tremule fiammelle
Si riversaron giù per l'arsa terra,
Come d'albero levansi le foglie
Quando un gran vento le affatica intorno!
E il ciel recesse qual rivolto libro,
E le vitree isolette e le montagne
Dalle tacite lor sedi fur mosse.
E quei che stringon la corona al capo
Ed i prenci, e i tribuni, e i ricchi e i servi
Riparar tutte alle petrose bocche
De'cavi spechi. Ed alle aeree rupi
Ed ai monti, che siedono alle valli,
Gridavano così: Su noi cadete,
Dai volto difendeteci di lui
Che calca il trono, e delfagnel dalVira.
Perchè in terra disceso è il dì tremendo
Del divino furor: chi fia che regga?
Così il Bisazza nel giovanile suo volo ! Ed io,
seguendo il mio modo semplice e piano, noterò qui
e qua ciò che mi parrà da notare allo specchio dell'
ordine e della ragione, rinnovando pur sempre veri
»o6 Letteratura
sensi di stima a quel novello ingegno della fiorita
Sicilia.
Al vers. 12, doloroso è equivoco se pertenga a
capo, o vero a sole. Ferrigno e sanguigno fan-
no rima in versi non rimati: il che sta bene come
l'elmo e la spada ai non guerrieri.
Al vers. i3, stellae de cacio ceciderunt: le tre-
mule fiammelle del cielo si riversarono. Secondo il
mio debole sentire qui dovea dirsi propriamente stel-
le, cioè i corpi splendenti delle stelle ; non le tre-
mule fiammelle soltanto, cioè le loro apparenze o qua-
lità. Del cielo, genitivo, non rende quel de cacio
del testo, il quale oh quanto fa evidente il cecide-
runt tanto proprio, che è peccato mutarlo! Passando
ad altro , ficus emittit grossos suos particolarizza
l'estatico, e generalizza il traduttore a discapito dell'
evidenza, e della forza altresì.
Al vers. 14, vitree e tacite qui sono epiteti tol-
ti manifestamente al fondaco del Frugoni, buon ani-
ma. Se il Bisazza rendesse Ovidio, gli si potrebbe
perdonare la profusione, la ridondanza; ma qui ogni
apice aggiunto toglie al sublime, che vuole brevilo-
quenza. Nò alia grave matrona si addicono nastri, fet-
tucce e fiori come alla svenevole donzella.
Al i5, Quei che stringon la corona al capo
sono i re dunque, va bene! ma perchè circonlocuzione
ovidiana? E poi: a'poeti ancora ed a' guerrieri sta bene
la corona. La parola re qui vale una gemma prezio-
sa: né mille pietruzze volgono una tal gemma! Pas-
siamo oltre: In speluncis et petris absconderunt se,
dice il sacro testo: il quale, ancora per esser sacro,
meno vuoisi mutare. E il Bisazza: Riparar tutti al-
le petrose bocche - De? cavi spechi ... E perchè piut-
Apocalisse 507
tosto non dire: S'ascoser tutti in le petrose tane:
e ad ogni modo non mai alle bocche, ma nell'interno
delle spelonche ? E qui ancora il volgarizzamento ha
troppe fronde, e vide l'ombra del Frugoni, e Dan-
te freme !
Al i5 e 16, ab scondite ed absconderunt vo-
gliono tali e quali essere conservati nella versione ,
chi intende il sublime; che non invano è da credere
li ripetesse l'estatico, che trovata un'idea, la vagheg-
gia, se serve ad incarnare il suo concetto. Ma proce-
diamo: Che calca il trono e delV agnel dalV ira.
Questo verso correggerebbe Quintilio, o m'inganno.
Il vers. 1 7 degno è palesemente dell'estatico ; quel-
lo del traduttore è così fiacco, che a pena lo diresti
uscito dalla fervida vena del Bisazza, al quale non
può negarsi il fuoco od estro della terra natale. Se
egli potesse udirmi: e le mie parole giungessero a pie-
di dell'Etna, gli direi: tornasse sul suo lavoro , to-
gliesse il troppo che nuoce, riducesse la sua Apocalis-
se a brevità ragionevole, e tutta la componesse (quan-
to è possibile) allo specchio del divino originale. E da
siffatte parole non vorrei già che prendesse a sconfi-
dare di se: voli, sì voli; a questo è nato; ma come
Dedalo, non come Icaro l'ardimentoso. Né vorrei pure
sospettasse in me altro sentimento da quello del ve-
ro e del bello. Io lo stimo assai: e appunto perchè
lo 6timo, e in lui traveggo una gloria d'Italia, mi fo
coscienza di dirgli alla libera quello che sento: la pa-
rola de' vecchi volentieri è udita da' giovani della sua
sfera!
Ma io m'avveggo che una pagina e un altra è
ingombra, ed io passar non deggio il segno imposto
in queste carte. Né d'altra parte voglio mancare air
2o8 Letteratura
la promessa. Che fare adunque? Mi resta a dare il sag-
gio della versione del Perez e di quella del Mancini
commentandole; ciò porterebbe in lungo: dunque farò
così, darò il tratto dell'una e dell'altra, contentando-
mi di scrivere in corsivo ciò che io credo degno di
essere appuntato: e porrò fine con poche parole mie
a questo articolo. Il senno degl'intelligenti lettori sup-
plirà all'involontario difetto,
(PEREZ)
Ma non sì tosto il suggel sesto aperse,
Tutta tremò la terra ad una scossa,',
Il sol d'oscuro velo si coperse,
Si fé' la luna come sangue rossa.
E le stelle piombar dal firmamento,
Come si levan d'albero le frutta
Se l'affatica impetuoso vento.
Del ciel la volta in sé medesma tutta
S'avvolse recedendo, quasi fosse
Volume, che in se stesso si ravvolge ;
Tremaro i monti, e l'isole commosse
Givan pel mar che d'intorno le volge.
E i tiranni, e i potenti, e il ricco, e il forte,
Liberi e servi s'appiattar veloci
Sotto le rupi ad invocar la morte,
E sì diceano in disperate voci :
Piombate, o monti; a noi morir fia dono-,
Dell' agnello al terribile sembiante
Deh ! ne togliete, e del sedente in trono.
È il dì dell'ira, e chi può starle innante ?
Volevo qui al tutto tacermi, e non posso non loda-
Apocalisse 209
re lo spirito del volgarizzatore, il quale parmi s'ac-
costi bene allo spirito del sacro autore.
( MANCINI )
Ed il sesto suggello ornai schiuderà.
Gran tremuoto shidio: la solar lampa
Quasi cilice sacco si fe'nera:
Di vivo sangue la luna si stampa:
Ecco dal cielo in terra astri cadenti,
Di folgor d'ignei globi ognuno e vampa.
Come da ramo scagliano i crescenti
o
Teneri frutti le ficaie scosse
Da tempestosa gagliardìa di venti.
E come un libro avvolto raggrupposse
Il cielo; abbandonaro le natie
Lor sedi i monti, e l'isole fur smosse.
Ognuno a quella orrenda traversìa
Re, principe, tribun, ricco, possente,
Libero, servo, agli antri rif uggia
Ed alle rocce. E tal grido si sente :
Oh dirupi, o montagne, oh ! sovra noi
Piombate ! Ecco disvelasi il sedente,
Terribil faccia ! Ecco 1' agnel con lui !
Giunse il magno lor dì, giunse il furore :
Deh ! celatene tosto ad ambedui !
Qual braccio ornai resisterà, qual core ?
Ho segnato in corsivo alcune cose, come promisi di
fare. Ora si mi è d'uopo dire a chi legge: « Se' savio
e intendi me'cli'i'non ragiono : » e pur troppo vo-
lendo esser breve, divenni oscuro !
Giunto alla fine: Non per elez'ion ma per de-
G.A.TXXXXIVI. 14
aio Letteratura
stino', io chieggo perdono ai degnissimi, che sulle po-
ste di Dante volarono nel regno del rivelato mondo,
se ho osato porre la lingua in cielo : mi ha mosso
amore de'buoni studi, ai quali non può non tornare
a bene l'aspergerli della rugiada celeste. Dante, l'al-
tìssimo de'poeti nostri, ne fece nobile esperimento, ed
ai futuri diede esempio eternamente imitabile. Felice
chi può seguire il suo volo ! Ciò giova a tornare in
istato l'italica poesia, ahi insozzata ai fonti di Babi-
lonia e ne' fanghi perpetui di chi si noma dal fan-
go ! Giova altresì alla morale , ed all'ossequio della
nostra santa, vera ed unica religione, che come il so-
le abbraccia e avviva 1' universo. Pel quale riguar-
do io applaudo al mio onorevole amico , monsignor
Peruzzi, che ha fornito di note perpetue la sua ver-
sione , per questo ancora stimabilissima. Il pregio
delle quali non giudicherò già io , che non mi arro-
go di tanto : giudicò saviamente un altro mio de-
gno amico don Celestino Cavedoni, laddove nell'ami-
co della gioventù [num. 5, agosto i83y, voi. 2,
pag. i36 ) annunziava la prima edizione dell'Apoca-
lisse di monsignor Peruzzi: il quale ha migliorato an-
cora il volgarizzamento e le note in questa nuova e-
dizione , che ha dato occasione a questo qualunque
mio ragionamento. Di questo studio continuo, a bene
singolarmente della gioventù, si abbia pubblica com-
mendazione (1).
prof. D. Vaccolini.
(1) Note sono le traduzioni in verso, e le prose originali dì
monsignor Peruzzi, che abbiamo per un gioiello alle lettere no-
Apocalisse 211
stre gloriose sotto l'insegna dell'Alighieri ! Non. sarà fuori di luo-
go limitarsi a rammentarne alcune poche di tante sue: e quanto
alle Dissertazioni anconitane riportarci a ciò che dissero le Effe-
meridi romane e la Biblioteca italiana, per tacere di altri pur fa-
vorevoli giudizi: quanto ad altri giornali, indicare sulla Storia
d'Ancona di esso monsignore ciò che ne disse 1' autore del pre-
sente articolo neW Amico della gioventù ( i5 settembre i836 a p.
97 ed altrove ). Quanto a noi, l'indicare i volumi dell' Arcadico,
dove fu parola delle cose peruzziane, di alcune almeno.
PAG.
Voi. 107, novembre 1827, De' siculi italici fondatori d'
Ancona 3^o
124, aprile 1829, Versioni di Catullo . . . . Ii3
i3o, ottobre 1829, Versioni di Properzio . . . i45
i34, marzo i83o, Panegirico di .5. Petronio . • 25a
147, marzo i83i, Versione di Catullo .... 352
184, novembre i853 , Panegirico di s. Vincenzo
de'Paoli 222
10,3, settembre i835, Panegirico di 3. Filomena. 376
212
Friderici Schillerii carmina nonnulla a Fran-
cisco Philippio latinitate donata. Vcnetiis^ ty-
pis losephi Antonelli 1840.
E,
Igli è gran tempo, che due diverse scuole insorte
fra la famiglia de'letterati italiani, credendo provve-
dere al maggior lustro della nostra letteratura, pre-
sero a contendere fra loro, e per opposte vie si con-
fidarono di conseguire lo scopo de'lor desiderii. Chi
sien eglino costoro, che per volgere d'anni non an-
cor fecero posa dalle loro discordie, io eredo vano ri-
dire ; perocché è ornai noto lippis atque tonsoribus:
e i nomi di classicismo e di romanticismo, sotto le
cui insegne militarono e militali tuttavia, son passati
in proverbio fra noi , e abusati a tal segno , che il
dire a chicchessia: Tu se? classico o romantico: e dir-
gli: Tu sei uomo litigioso; torna ad uno stesso.
Or colesti uomini, i quali al primo muovere della
questione aveano forse d'ambe le parti intenzioni lo-
devoli e rette, costoro, senza avvedersene, passo passo
inoltrandosi nella questione si trovarono talmente di-
sviati dal buon sentiero, che , anzi che riconoscersi
dell'errore, amaron meglio di correre alla cicca, e riu-
scire per contrarie vie a qua! ch'egli fosse il preci-
pizio. Ond' è che a lutto diritto il miglior fiore dei
nostri letterati non mai si ristanno dal gridar con
Orazio: Vida in contraria currunt: gli uni perchè
chiuder vorrebbero gl'ingegni in limiti troppo brevi ,
gli altri perchè s' argomentano di lasciarli correre a
lor senno e non soggettarli ad alcuna legge.
F. SCHILLERII CARMINA 2l3
Ne vogliam noi in queste brevi parole ( a tutt'
altro intese che a prender parte in siffatte materie )
chiamare ad esame e dar sentenza quàl di questi due
vizi debba dirsi il maggiore. Sì bene direni franca-
mente, che il torto è d'ambe le parti, se non per al-
tro, per questo almeno, che, senza recar giovamento
di sorta alla nostra letteratura, si trasser dietro una
greggia di malaccorti, e, il direm pure, dissennati let-
teratelli, i quali invece di procurar d' instruirsi con
1 ungbi e severi studi, reputaron gloria far eco alle vo-
ci di qual delle due scuole cosi alla ventura seguita-
rono. E questo è il bel frutto, che a danno gravis-
simo delle lettere , e a non minor detrimento della
concordia de'letterati, derivò da sì lungo contrastare.
Né altrimenti doveva accadere: dappoiché, inviperiti
gli animi, invece di considerar freddamente la natu-
ra della disputa cui dato avean mano, si lasciarono
piuttosto abbindolare dal lor amor proprio: e, confon-
dendo l'utile vero della nostra letteratura colla sma-
nia d'opprimere la parte contraria, si gettarono alla
disperata in una lizza, non saprei se più indetermi-
nata o puerile. Quindi è che mentre studiar doveano
di conserva qual veramente fosse la via da seguirsi
in tanta discordanza di sentimenti, amaron piuttosto
durarla negli odi, che recedere un pochissimo da ciò
che pensavano.
A cessare, se pur sarà possibile, dagli animi ita-
liani questa malaugurata discordia, e stabilir finalmen-
te in qual conto aver si debbano fra noi gli scritti
de'letterati oltramontani, surse opportuno l'egregio cul-
tore delle muse del Lazio, del quale annunziamo ai
nostri leggitoiù un saggio di poesia alemanna recato
da lui in bellissimi versi latini.
214 Letteratura
Il sig. Francesco Filippi in questo picciolo vo-
lumetto ci presenta di alcuni de'migliori poetici com-
ponimenti di Federico Schiller : i quali avendo egli
vestiti di forme latine, si è proposto dimostrare più
a fatti che a parole, che mal s'appongono coloro che
alzar vorrebbero una barriera insuperabile fra la no-
stra letteratura e quella degli oltramontani, nulla di
bello volendo conoscere nelle poesie di questi, trat-
tone una stemperata manìa di rompere ogni regola,
e correre a seconda del loro genio tempestoso. Otti-
mo divisamento ! Imperocché mentre il eh. tradutto-
re intende a vendicare la fama degli oltramontani ,
ottiene ad un tempo di smascherare que' tristi , che
per solo desiderio d'indurre novità, senza considerare
fin dove sia lecito avanzarsi, gettansi senza consiglio
nel campo degli stranieri, e, schifando le domestiche
ricchezze, ne colgono alla rinfusa ogni fiore, e con-
fondono coli' ottimo il pessimo , e viziano se stessi
ed altrui.
Come e quanto il Filippi sia riuscito nell' im-
presa è facile giudicarne, chi voglia osservare, che ne'
versi recati da lui con tanta eleganza e forbitezza di
stile nella lingua di Virgilio e di Tibullo , non ha
frase o concetto, che non si rinvenga negli scrittori
più idolatrati declassici. E perchè a coloro, che fi-
nor non lessero il volumetto di cui è discorso, le no-
stre parole non sembrino forse troppo ampollose e
lanciate alla ventura, noi non crediamo inopportuno
recar qui alcun brano di questa nobile versione. Così
sarà facile a ciascuno darne giudizio per se medesi-
mo, e noi godremo d'aver molti compagni nel nostro
sentimento.
A tal uopo veggasi da prima come il Filippi re-
F. SCHILLERII CARMINA 2l5
citi in elegantissimi esametri e pentametri i contrari
affetti, che lo Schiller nel canto della vittoria desta
negli animi de'greci e de' troiani.
Poeta.
Pergama conciderant bello expugnata decenni;
Flebile erat, murus quod l'uit ante, solum.
Ebriaque eventu graiorum turba secundo,
Ditibus et Troiae praegravis exuviis,
Navibus instructis illas radebat arenas
Ellespontiaci qua fluit unda freti,
Gaudens, quod rapidis turgebant carbasa ventis,
Appulsura tuis, Graecia pulchra, plagis.
Chorus.
Nunc agedum laetis resonet concentibus aer,
Ad patrios quoniam nunc datur ire lares.
Hos versus nostrae solverunt vincula prorae.
Patria nos reduces, patria cara manet.
Poeta.
Troades et captae astabant longo ordine, et aegrum
Pergebant tristi pascere luctu animum;
Lividaque attonitis variabant pectora palmis,
Pallentes, fusis hirta per ora comis.
Inter victorum laetantia verba ferocum
Fundebant tetricis cantica maestà modis.
Quaeque suos casus, et tristia damna gementes,
Quae tulerunt, Priami dum ruit alma domus.
2X6 L ET TERATURA
Chorus.
Troia, terra vale: colles, valeatis, amati:
Nos procul a vobis sors inimica trahit!
Externos patimur dominos et barbara iussa.
Non melius vitam deposuisse fuit ? e te.
Né men sublime è quel tratto in cui il poeta, volen-
do descrivere il caso infelice di Ero e Leandro, cosi
apresi il campo alla descrizione.
Se prospectantes adverso e littore turres
Cernitis, annorum moenia senta situ,
Aureo flammantis fulgentia lumine solis,
Hellespontiaci qua furit ira freti,
Iinpete et borrendo undarum se longa Propontis
Volvit in euxinum saxa per arcta salum ?
Auditis magno resonantem murmure fluctum,
Qui fervens altos rumpitur ad scopulos ?
Europam ex Asia valuit divellere quondam;
Non tamen est tanta vi pavefactus amor.
Leandri atque Herus praecordia fixerat illis,
Perlita quae multa gestat amaritie,
Divus amor telis, etc.
Ma in questo nobilissimo componimento, che d'
ogni parte risplende di soavi non meno che di ro-
busti pensieri, ciò che, senza dubbio, maggiormente
rapisce l'animo de'leggitori è là dove il poeta dipin-
ge la misera Ero in atto di riconoscere l'esangue spo-
glia del suo Leandro oppresso dai flutti, ed essa me-
desima che quindi si precipita nel mare. Qual verità
F. SCHILLERII CARMINA 21 7
di concetti, qual vivezza di colori ! Qual maestria di
espressione non si ammira in questi versi che dan
fine al componimento ?
Primo illa intuiti! formas agnoscit amatas,
Nec potis est ingens illacrymare dolor.
Frigida, mentis inops, obtutum figit in ipso ;
Dein sibi ubi nullam spem superesse videt,
Nunc oculos volvit caeli ad convexa superni,
Nunc ad deserti regna profunda Èrebi.
Quasque ingens animi pallere coegerat angor,
Iam fervent tenerae nobili ab igne genae.
Nunc manifesta pates, austera potentia divum !
Exigis heu nulla ius pietate tuum,
Semper terribilis, non exorabilis unquam!
Ante diem vacua stat mihi parca colu.
Mi tamen est actum plenae dulcedinis aevum,
Ne sors sorte mea laetior ulla fuit.
Usque operata tibi, donec mea fata tulerunt,
In tempio vixi fida ministra tuo.
Quod non ingatum est, tibi nunc mea vita litabit,
O regina Venus, o mihi sola dea.
Dixit, et in verbo turri se mittit ab alta.
Late diffusos ventilat aura sinus.
In mare praecipitat, nec longe a corpore caro
Optatam cupido combibit ore necem.
Per sua regna deus duo sancta cadavera volvit,
Immensoque illis prò tumulo ipse venit,
Perfruiturque suae contentus gaudia praedae,
Pergit et assuetas sedulus ire vias.
Et numquam exbausta torrentes fundit ab urna
Idem qui semper tempus in omne fluent.
ai 8 Letteratura
E tanto basti a far fede, che il fin qui detto intor-
no a questa versione, e allo scopo del traduttore, non
è che una nuda e schietta verità.
Quanto poi si spetta alla fedeltà del traduttore
nel trasportare nell'idioma del Lazio versi dettati in
una lingua così diversa dall'usata da lui, noi, perchè
ignari di questa lingua, nuli' altro diremo, eccetto che
avendo raffrontato la versione latina del Filippi col-
V italiana di Antonio Bellati , e appunto nel canto
della vittoria e nel vaticinio di Cassandra, ci abbia-
mo osservata non poca simiglianza. Il che, senza dub-
bio , può bastare a farci credere che il Filippi non
siasi allontanato dall'originale.
Sia dunque lode e gratitudine all'esimio tradut-
tore, il quale, come già altra volta, così pur questa
ha dimostrato quanto sia il senno onde è guidato nei
compiere così nobili lavori, e quanto in lui possa quel
lungo studio che ha fatto negli scrittori latini. Nò
minor lode e minori grazie gli sien rese per aver egli
con savio intendimento intitolato questo suo lavoro
al eh. sig. barone Antonio Mazzetti, a cui ben con-
veniasi un sì degno tributo d'onore, e perchè caldo
favoreggiatore degli ottimi studi e de'letterati, e per-
chè buon cultore anch'esso delle muse latine, come
chiaramente apparisce dai versi ch'egli ha pubblicati
alcuni anni addietro. Chiuderem finalmente queste no-
stre parole esortando l'egregio Filippi, a non cessarsi
da sì lodevole impresa, qual è questa cui pose mano:
conciossiachè seguitando a vestire di poetiche forme
latine altri componimenti oltramontani simili a que-
gli che meritamente lodiamo, farà cosa gratissima al-
l'Italia, e piecipuamente a coloro che sanno apprez-
Musaico Prénestino 2ig
zare il hello ed il buono, venisse pur anco dalle più
interne regioni dell'Affrica, o dall'ultimo confin della
Cina.
Tommaso Borgogno C. R. S.
Nuove osservazioni sul musaico prenestino.
y
amor paterno si estende nell' autore alle opere
che son figlie del suo intelletto. Amando io perciò la
mia interpretazione del pavimento in musaico rinve-
nuto nel tempio della fortuna prenestina, pubblicata
in istampa del 1827 presso Giunchi e Mordacchini,
non posso più soffrire che sia stata mal indicata, e
meno che sia stata da qualcuno contraddetta indebi-
tamente. Perchè presi occasione di occuparmene nel
seguente articolo, in cui rettificar credo tutte le idee
che potrebbero del mio opuscolo mal concepirsi, ed
in ispecie le esternate testé nel giornale letterario
scientifico modenese dal eh. prof, don Celestino Ca-
vedoni contro V esistenza da me creduta della basili-
ca emilia e fulvia in Preneste. Su di che lessi una
mia dissertazione il dì i5 luglio 1840 nella pon-
tificia accademia di archeologia romana, addimostran-
dola unica, e giammai edificata entro il recinto del
tempio della fortuna.
Sapendo io bene, che quel musaico fu rinvenu-
to nell' edificio addossato alla sostruzione primitiva
220 Letteratura
del tempio della fortuna, il quale fu costantemente
dagli scrittori detto il delubro inferiore (i): sapendo
da Plinio , che ì musaici cominciarono in Roma
sotto Siila, de' quali a'suoi tempi esisteva uno che
questi aveva fatto lavorare, e situare nel delubro della
fortuna in Preneste (2); lo credei quello, di cui Plinio
parlò; lo credei un voto di Siila a quella dea che
tutto di riconosceva origine delle sue fortunate geste,
volendo essere perciò detto fortunato (3) ; lo credei
un voto, ciò che era costume di ogni credutosi da
lei beneficato (4)-
E nello specialmente considerarlo non piacquer-
mi quelli effetti della fortuna , che ci vide espressi
il Kircker, niuno apparendone ai miei occhi: non il
viaggio di Alessandro al dio Aminone, che il Polignac
vi suppose ordinato da quel Siila di se solo ambiziosis-
simo; non altro fatto di lui stesso, che non seppe poi
esprimere il Volpi: non il corso, anzi che la inonda-
zione del IN ilo del Montfaucon : non la carta geo-
grafica di Dubos: non l'incontro di Elena e di Mene-
lao fantasticato dal Winckelman: non l'imbarco de'
grani di Chapuy: non il viaggio di Adriano in Ele-
fantine con le città Eliopoli e Menfi dal solo Bar-
telemy vedute: non finalmente 1' Egitto conquistato
dall'imperatore Cesare Ottaviano Augusto sopra Mar-
cantonio e Cleopatra che ci vide il Fea. Giacche non
apparendovi cosa che indichi questo conquisto, è poi
(i) Nibby sul restauro del tempio della fortuna di Cost.
Thon, pag. 11.
fr) Plin. lib. 36 e 25.
(3) Plutarc. ed Appian. Alex., De bello civ. lib. I, e. 18.
(4) Volpi, Lat. vet, De Praeneste e 26, p. 129.
Musaico Prenestino 221
mestieri riflettere che qualunque mediocre conoscito-
re delle arti nei diversi tempi, e nel relativo diverso
pregio, si avvede essere il musaico prenestino assolu-
tamente di quelli, che sub Sfila caeptavere.
Indi anche io esternare volendo il parer mio, lo
feci, esattamente disegnare sul monumento stesso, lo
feci anche incidere onde ne restasse sempre la me-
moria: e confesso primieramente che anche a me sem-
brò veder ivi l'Egitto. I mori intenti a scagliar frec-
ce contro le cicogne , che dall' alto piombano in
basso: le rupi con cunicoli de'serpenti : il lago Ar-
chelao QA.NTEC, k sfinge GMNTIA, il cercopiteco
KPOKTA2} la giraffa in aspetto di bue, o di porco,
KHIIIENYABOYC , il mostro col viso umano ONO_
KENTAPA, il rinoceronte PINOKEPOC, la lince AINC,
e tanti altri bruti terrestri mi additarono la parte su-
periore: come la inferiore inondata dal Nilo m'ap-
parve dalle palme e dal fiore di loto, dagli anfibii ippo-
potami, coccodrilli e delfini, dall'egizie barche, e dal-
le fabbriche sulle colline scoperte.
Degli edifici poi i più vili mi sembraron alber-
ghi di pastori, o di animali; mi sembrò destinato a
sepolcri de'grandi quello che ha V effigie di quattro
cadaveri infasciati all'egizia: quello sostenuto da quat-
tro colonne con sacerdoti, il tempio di Anubi dal ca-
ne ivi sopra un'ara esistente; quello con festoni di
lauro, il tempio d'Oro; quello con più colonne, innanzi
al quale vedesi un edificio rotondo accessorio con due
guglie, ove persone supplichevoli ed un marinaio tri-
dentifero sembrano consecrare il volo a sacerdotes-
se che lo ricevono, dette le piangenti d'Iside, credei
che d'Iside fosse il tempio. Ma il più vasto e ricco
con tenda e vasi di libazione, presso cui un naviglio
222 Letteratura
con soldati, ed il condottiero vien da persona sacer-
dotale con palma nell'una mano, e nell'altra il ne-
pente, accolto qual vincitore ed amico, mi parve il
tempio di Serapide, ove Siila in quel condottiero si
fosse fatto rappresentare tributante omaggio alla di-
vinità, della quale dicevasi la fortuna ministra.
Credei cosi avere esternata chiara la mia opi-
nione, ed averla con solide ragioni fondata: allorché
lessi nel nostro Album del 4 giugno i836 , par-
landosi del tempio della fortuna di Preneste , e ri-
ferendosi d' altri le opinioni tenute sul prenestino
musaico, che : Vi vide Cecconi il principio della
fortuna immensa di Siila'. « mentre non potevo aver
veduto ciò che non v'era affatto. Per vedervi il princi-
pio della fortuna immensa di Siila , avrebbe dovuto
esservi espressa l'Affrica, ed i primi fortunati eventi
di quello ivi accaduti, e non l'alto e basso Egitto col
Nilo fuor del suo letto. E siccome non piacemi sem-
brar privo di senno a chi abbia veduto il musaico ,
e non abbia letta la mia interpretazione; così quella
relazione del mio parere intendo sia erronea , forse
per mera oscitanza escita dalla penna, d'altronde dot-
ta, dell'autore.
E giacché dal solo Fea, opponendosi anche alla
sostanza della mia esternata opinione, si negò che Pli-
nio parlasse di questo musaico; si negò che il luogo
della sua reperizione fosse un delubro ; si negò che
Siila vi si facesse rappresentare, anzi che Cesare Ot-
taviano Augusto nella conquista d'Egitto: è mestieri
che brevemente gli risponda.
Avendo Plinio detto : Lithostrata caeptavere
iam sub Sylla, parvulis certe crustis : tengo certa
opinione che intese precisamente de'inusaici figurati co-
Mosaico Prenestino 223
me quello prenestino. Perchè se lithostraton signifi-
car può in genere qualunque pavimento ricoperto di
pietre, di qualunque grandezza, figura e colore, si-
gnifica poi in ispecie il musaico di che parlai, se-
condo 1' uso fatto di tal voce da mille autori , tra'
quali Isidoro dicendo: Lithostrata parvulis crustis
et tessellis iunctis in varios colores (i): Crapaldo>
Furie tti e mille altri.
Avendo poi Plinio stesso proseguito: Extatque
hodie quod in Fortunae delubro Praeneste fecit:
vanamente negasi che il delubro della fortuna non fosse
ove si rinvenne; poiché ciò sarebbe contro la opinione
di quanti sin qui hanno quel luogo definito; saria con-
tro la sua struttura, che combina colla descrizione
già da Cicerone lasciataci : Is est hodie locus se-
ptus religiose propter Iovis pueri, qui lactens
cum limone in gremio Fortunae sedens, mammam
appetens, castissime colitur a matribus (2). Con-
chiudevo in fine: Che se, riprovando io la opinata
esistenza della basilica emilia e fulvia nel tempio
della fortuna, non mi è sin qui possibile indica-
re la sita vera situazione, possa altri pia di me
valente supplirvi: ma non perciò sembrami punto
indebolirsi la dimostrazione degli errori di chi
pretese duplicarla, e nel tempio esistente assicu-
rarla francamente. D1 altronde io ritengo che deb-
ba essere stata prossima al foro verso il mezzo
dì, perchè ho sempre innanzi gli ocelli il detto
di Vitruvio : « Basilicarum loca adiuncta foris,
(i) IsJd., De orig. lib. i5, cap. 8.
(2) Cic, De divin. lib. 2.
2a4 Letteratura
quam calidissimis partibus oportet constitui. » Ed
a consolidare sempre più la opinione che questo mu-
saico fosse stato veramente ritrovato nel delubro in-
feriore del tempio da Plinio indicato, anziché voluto
esistente in una delle due basiliche emilia e fulvia
da Fea immaginate entro il tempio della fortuna, im-
presi ad esporne le ragioni in quella dissertazione,
che, come già dissi, circa la esistenza della basilica in
Preneste da me supposta fu contraddetta dal eh.
prof. Cavedoni, il quale soffrirà ciò che, col dovuto
rispetto al suo merito, vengo a ridire.
Dicevo in quella : Quanto al dedursi da Gar-
rone che due fossero da lui vedute, e non una
basilica, seppure ho senno, io trovo che non po-
teva meglio esprimere la unità della basilica nel-
la quale esisteva Vorologio solare, che dicendolo
fatto da Cornelio: « In basilica aemilia et fulvia: »
Un fanciullo sa bene che « in basilica » è ablativo
singolare. E perciò rivolgendomi agli autori che cre-
derono diversamente, dissi: Incominci or qui a per-
donarmi Suarez, se sostengo aver egli errato al-
lorché disse: « Fuere quoque Praeneste basilicae,
ut liquet ex Varrone (i)». E degli altri storici prene-
slini dissi : Cecconi delle surriferite varroniane e-
spressioni, ed anzi citandole in unico suo appoggio
( disse )^ --fi erano due basiliche, una delle quali
chiamavasi emilia e V altra fulvia , e avevano in
mezzo V oriolo solare (2). Petrini aggiunge, che
furono erette dai consoli L. Emilio Paolo e Ful-
(1) Suarez, Praenest. antiq. lib. 1, e. 17.
(2) Geccopi, Stor. di Palestrina, lib. 4> e. 5, Jl 7.
Musaico Prenestino 225
vio Nobiliore: ed ancìCegli, chiamandone il solo te-
stimone Garrone , arriva ad indicarne la prospet-
tiva (i). E conchiusi che: Se non saria permesso
che a' poeti aggiungere episodi interamente co-
niati nella poetica immaginazione , quanto mag-
giormente riprovevole fu in istorici travolgere ed
anche variare i detti di altri autori !
E siccome ognuno degli antichi scrittori delle
prenestine cose aveva creduto due basiliche prenesti-
ne indicate da Varrone, perchè quegli la nominò con
due cognomi, emilia cioè e fulvia, così a smentire
questa duplicità ricordai: Che la edificazione di que-
sta unica basilica essendo accaduta sotto Emilio
e Fulvio, d'entrambi nella sua unità portasse il
nome, e perciò fosse da Varrone detto: « In basi-
lica aemilia et fulvia: » ove soggiunsi che: Questo
mio modo di pensare, analogo alla naturale per-
suasiva , è unisono a Turnebo commentatore di
quel preciso passo di Varrone, esprimendo egli :
« M. Aemilius Lepidus et M. Fulvius Nobilior cen-
suram una gesserunt, e quibus Fulvius post ar-
gentar ias nonas faciendam locavit. Eam Varo ae-
miliam etfulviam appellat. » È perciò evidentissi-
mo che Varrone quando disse: « Eam aemiliam et
fulviam appellat: » nominò quella assolutamente
unica basilica coi due epiteti emilia e fulvia.
Perchè devo primieramente ringraziare il signor
professor Cavedoni, il quale è con me d'accordo che
la basilica da Varrone nominata emilia e fulvia fos-
se una soltanto, ammettendomi che io dimostri : Co-
(i) Petrin., Annal. pag. 4o.
G.A.T.LXXXVII. ,5
aa6 Letteratura
me queste parole di Vairone rettamente intese
non indicano che una sola basilica, la quale ap-
pellatasi emilia e fulvia, dai. nomi dei due cen-
sori delVanno 575 M. Emilio Lepido e M. Ful-
vio Nobiliore (1). Ed essendo con me d'accordo che
nello escludere la basilica dal recinto del tempio, die-
tro la definizione delie basiliche , e gli usi a' quali
erano destinate, conchiusi: Era impossibile affatto
figurarsi entro il tempio della fortuna esistente la
basilica emilia e fulvia : si compiacque farmi eco
in dicendo della mia opinione: Come quella unica
basilica essere non poteva altrimenti neW interno
del tempio della fortuna prenestina , ma sibbene
fuori del recinto di quello : e così corregge le
false e strane opinioni del Suarez , del Petrilli,
del Fea, e dello stesso suo pro-zio Cecconi ve-
scovo di Montalto (a).
D' altronde non posso tacermi se il lodato eh.
autore nel §. 2 di quel suo articolo così parla di me:
Vautore lascia peraltro a desiderare una mag-
giore accuratezza e precisione riguardo a' riscon-
tri degli scrittori da lui citati. Ed entrando ne'par-
ticolari prosiegue: Egli adduce un passo di Turne-
bo, che sembra fare una cosa sola della basilica
emilia fulvia prenestina ricordata da Garrone ,
e della basilica che Tito Livio pone, XL, Siffat-
ta fare dal solo censore M. Fulvio Nobiliore in
Roma « post argentarias nonas et forum piscato-
(1) Gioru. lett. scent, modenese nuin. x3, ottobre 1840, pag.
i3, 5. 1.
(2) Ivi nel citato 5-
Musaico Prenestino 227
riunì. » Ma se la sentenza del Turnebo pongasi ve~
ra, la basilica prenestina scomparirebbe dal passo
di Garrone, Forse Turnebo supponeva che Voro-
logio solare , visto da Garrone in Preneste, esi-
stesse prima in Preneste stessa, e che di là ve-
nisse da Cornelio Siila trasportato in Roma e col-
locato al coperto nella basilica emilia fulvia : e
questa pare anche a me la più verisimile inter-
pretazione di quel passo difficile di Varrone [i).
Sì, non posso tacermi nulla di quanto egli dice:
non sembrandomi atto a farmi ricredere non solo, ma
né anche a dubitare di ciò cbe penso della esistenza in
genere della basilica emilia e fulvia in Preneste, tut-
toché estranea dal recinto del tempio della fortuna.
Se uno scrittore non deve lasciare a desiderare
accuratezza e precisione riguardo ai riscontri degli
scrittori da lui citati , molto meno è tollerabile la
mancanza dell'accuratezza e precisione in chi si ele-
va in suo critico. Mi si dice che addussi un passo
di Turnebo , che sembra fare una cosa sola del-
la basilica emilia fulvia prenestina ricordata da
Varrone^ e della basilica che Tito Livio pone ,
XL, 5 1 , fatta fare dal solo censore Marco Ful-
vio Nobiliore in Roma « post argentarias nonas
et forum piscatorium. » Ma come ciò, se Vairone da
me prima di Turnebo citato è testimone della esi-
stenza della basilica diversa dalla romana, ed in Pale-
stina assolutamente esistente, avendo detto: Ut Prae-
neste incisum in solario vidi, quod Cornelius in
basilica aemilia et fulvia inumbravit (2) ? E se
(1) Luog. cit. §. 2.
{ a) Yarron., De ling. lat. lib. 5.
228 Letteratura
quindi fu da me citato il commentatore di questo
passo Turnebo, per escludere che Varrone ( come er-
roneamente da alcuni credevasi ) nel dire d'aver egli
veduto, in Preneste esistente, inciso un orologio so-
lare in quella basilica , intendesse che due fossero
ivi anzi che una basilica? Turnebo, commentando
quel preciso passo di Varrone , spiega che avendo
quegli detto: In basilica aemilia et fulvia: ciò fu
perchè M. Emilio Lepido e M. Fulvio furono uni-
tamente censori quando fu fabricata , non mai per-
chè due fossero le basiliche, l'una emiiia cioè, e l'al-
tra fulvia: perchè, com'era costume , ambi i censori
dando all'unica basilica il loro rispettivo nome: E am
Varrò aemiliam et fulviam appellai (i). Turnebo
adunque escludendo che Varrone intendesse di due
basiliche , ed ammettendo che indicasse aver veduta
una basilica in Preneste, anziché furia scomparire da
Preneste, mi sembra confermarne ivi la esistenza. Con-
fesso che non mi è dato quindi intendere come mi
si dica in contrario, che: Turnebo faccia una cosa
sola della basilica emiiia e fulvia prenestina ri-
cordata da Varrone , e la basilica che ricorda
Tito Livio in Roma. Né so intendere che: Se la sen-
tenza di Turnebo pongasi vera, la basilica pre-
nestina scomparirebbe. Di quel Turnebo che asso-
lutamente, e ongrua congruis ref erendo ,non può aver
parlato dell'altra esistente in Roma, commentando chi
parlò della esistente in Preneste!
Che se, per sostenere ad ogni conto questo scom-
parimento della basilica prenestina, vuoisi che: Tur-
(i) Turneb. pag. i3i.
Musaico Prenestino 229
nebo supponeva che V orologio solare visto da Gar-
rone in Frenesìe esistesse da prima in Preneste
stessa , e che di là venisse da Cornelio Siila tra-
sportato in Roma, e collocato al coperto nella ba-
silica emilia e fulvia : se si aggiunge dal mio con-
traddittore : E questa pare anche a me la pia ve-
risimile interpretazione di quel passo difficile di
Garrone : a me sembra ciò inverisimile affatto. La
gnomonica, quell'arte di fabbricare orologi solari, che
proviene dalla parola gnomone, il quale negli orolo-
gi a sole si appella l'ago, o lo stile, quasi dicasi distin-
guitore delle ore: la gnomonica, dissi, assai chiaramen-
te si fa conoscere un'arte di fabbricare orologi nelle
pareti di muro esposte al sole, e non al coperto, si-
tuando prima il suddetto gnomone fisso al muro che
vi segna la misura delle ore indicabili dall'ombra del
gnomone stesso. Ed è perciò che Varrone così appun-
to descrisse l'orologio solare, dicendo: Ut Praeneste
incisum in solario vidi, quod Cornelius in basilica
aemilia et fulvia inumbravit. Come mai può essere
dunque la piti verisimile interpretazione di quel
passo, che questo orologio solare, a guisa di un ori-
uolo da saccoccia o da tavolino, fosse da Preneste, tra-
sportato in Roma per opera di Siila e collocato al
coperto nella romana basilica emilia e fulvia ? Se
Varrone dice che lo vide fatto da Siila, in Preneste:
Praeneste incisum in solario vidi quod Cornelius
inumbravit ; come può idearsi che Siila da nemico
divenuto protettore, dopo fattolo in Preneste, lo tra-
sportasse in Roma ? Come idearsi che Siila, il quale
tanto fece in beneficio de'monumenti prenestini, vo-
lesse privarla di questo orologio per portarlo in Ro-
ma: e ciò facendo tanto difficilmente, quanto sarebbe
23o Letteratura
stato da Preneste trasportare in Roma un orologio
solare, anzi che qui farne piuttosto un altro ? Tanto
difficilmente, quanto che la combinazione del sole nel
locale prenestino si combinasse essere la stessa in Ro-
ma ? Tanto incomprensibilmente, quanto dovess' essere
al coperto ?
Dopo tanti sin qui valenti storici delle prene-
stine cose, i quali hanno tutti raccolto da Varrone,
testimone di vista, che in Preneste esisteva una basi-
lica con un orologio solare fabbricatovi, mi permetta
il chiarissimo contraddittore che anch'io mi rimanga
tranquillo in questa opinione: io che s'ebbi in vista
di dimostrare la reperizione fatta del musaico prene-
stino nel delubro del tempio, anziché in una basili-
ca, dovrei essere più contento d'escluderne la esisten-
za nel recinto del tempio, anziché escluderla affatto da
Preneste intiera ; ma che non mi sento affatto per-
suaso dalle ragioni in contrario addotte : ripetendo ,
che il commento di Turnebo, pedissequo al passo di
Varrone che attesta aver veduto in Preneste un oro-
logio fabbricato in una basilica, anziché farla da Pre-
neste scomparire, vieppiù ne conferma la esistenza in
quella città.
avv. Luigi Cecconi.
— »-£g^>©egs«"-
23l
Biografia di Francesco Maria Franceschinis.
A MONS. C. E. MuZZARELLI - RoMA.
Monsig. venera tissimo,
s,
'olamente l'altro giorno ricevetti in Venezia, dove
era trattenuto come membro di una commissione dell*
I. R. istituto per aggiudicare i premi alle opere pre-
sentate al concorso risguardanti arti e mestieri , la
graziosa sua lettera : e mi affretto a ringraziarla della
per me onorificentissima disposizione di V. E. a mio
riguardo.
Io darò all' imparziale persona tutta la storia
della mia carriera letteraria, e delle mie qualunque
siansi qualificazioni : lasciando eh' essa lor dia quel
valore che crede , e che a me non converrebbe di
dare. Le manderò anche il nome del redattore delle
memorie che mi risguardano, onde sappia se si potrà
dar fede alla valutazione ch'esso ne avrà fatto. Io par-
to oggi per Milano , dove mi fermerò sin verso il
24 del corrente; poi prenderò la via di Parma, Mo-
dena e Ferrara, patria fortunata del conte Alfonso suo
zio, e di lei che ne segue sì degnamente le orme ;
dovendo in essa passare alcuni giorni presso sua emi-
nenza il cardinale Arezzo, che da tanti anni mi onora
a32 Letteratura
non solo della sua grazia e del suo patrocinio , ma
della sua amicizia.
Intanto la prevengo, che le manderò 1' articolo
subito dopo il mio ritorno in Padova, che sarà ver-
so il 6 del venturo. Se mai ne abbisognasse prima,
potrà entro l'indicato termine scrivermi a Milano. Al-
tro non mi resta che ringraziarla di nuovo del suo
gentile divisamento sul mio conto, ed offerirmi pie-
namente e desiosamente a' comandi suoi, protestan-
domele di essere con la più alta stima e considera-
zione quale ho l'onore di segnarmi.
Francesco Maria Franceschinis.
Al medesimo. - Roma.
Ritornato da' miei piccoli viaggi mi affretto a rag-
guagliarla de' cenni risguardanti l'esser mio, e lamia
qualunque siasi letteraria carriera; obbedendo al per me
onorificenlissimo desiderio di lei, monsignore, di vo-
lerli inserire nelle sue memorie dei letterati viventi.
Eccoli dunque: ben inteso che sia pienamente in ar-
bitrio di lei di mettere o non mettere i fatti che io
fedelmente le trasmetto per intero; o come crede, e
nel punto di vista o nel modo che a lei parrà più
conveniente.
Francesco Maria Franceschinis, il quale nel bat-
tesimo ebbe il nome di Giacomo, che poi mutò in
quello di Francesco Maria nella professione religiosa
che fece tra i cherici regolari della congregazione di
s. Paolo, detti volgarmente bernabiti, nacque in Udi-
ne, dal conte Marzio Franceschinis e dalla contes-
Biografia del Franceschinis 233
sa Lavinia nata Caratti di lui consorte, l'anno 1757,
di antica patrizia famiglia oriunda di Firenze, da do-
ve al tempo delle fazioni ivi dominanti venne con
altre undici famiglie a stabilirsi in Udine, chiaman-
dosi in allora Belhwilla, cognome che ne'pubblici re-
gistri e negli atti notarili sempre si aggiungeva a
quello di Franceschinis. Educato il nostro Franceschi-
nis nella casa paterna sino alla morte della madre,
cui perdette nell'età di tredici anni, fu con un fra-
tello maggiore posto nel collegio de'nobili in Udine
diretto dai padri bernabiti: nel quale subito si distin-
se, occupando nelle scuole il primo posto di onore.
D'anni 14 sostenne pubblico esperimento di un lungo
corso compito di geometria. Compiuto il i5 anno,
si dichiarò di voler entrare nella congregazione dei
bernabiti: e dopo non molto passò a Monza, dove fe-
ce la solenne professione religiosa in quell'istituto; e
quindi in Milano continuò gli studi filosofici e ma-
tematici; dei quali diede pubblici replicati saggi; col-
tivando allo stesso tempo le belle lettere e singoiar»
mente la poesia, a cui era grandemente inclinato e
disposto.
Passato allo studio teologico in Roma, si acqui-
stò fin d'allora la singolare benevolenza del non mai
abbastanza lodato cardinale Gerdil: si fece molto am-
mirare nelle private e nelle pubbliche adunanze degli
arcadi; continuò sotto il p. Jacquier i suoi corsi ana-
litici; sostenne pubbliche tesi di teologia ; e fu de-
stinato ad insegnare filosofia in Bologna. Nel primo
anno stampò una dissertazione di filosofia morale in
occasione che diede di tale scienza pubblico applau-
ditissimo saggio il conte Marco Antonio Fé di Bre-
scia , alunno del collegio de'nobili di s. Saverio , e
234 Letteratura
scolare di esso professore, verso cui il Fé, specchio
ch'ogni domestica e pubhlica virtù, conservò sempre
e conserva la più alta stima e la più viva amicizia.
Passato quindi ad insegnare le matematiche , ebbe a
scolare il fu chiarissimo marchese Filippo Ghisilieri,
che di i5 anni sostenne pubblico esperimento di un
intero corso di analisi finita ed infinitesimale con am-
mirazione universale ; onde fu poi il Franceschinis
nominato professore onorario dell'università nella fa-
coltà matematica. Stampò quindi una profonda me-
moria sulla tensione delle funi diretta al celeberri-
mo conte Giordano Riccati, nella quale si propose di
mostrare l'erroneità d'una nuova teoria su tal argo-
mento proposta dall' illustre Frisi ; ed ebbe la com-
piacenza di avere in risposta dal Riccati due bellissi-
me lettere, nelle quali conferma con nuove dimostra-
zioni i ragionamenti e i calcoli di esso. Altra forse
più interessante pubblica prova de'suoi progressi nelle
matematiche diede di lui il giovane conte Francesco
Amalteo, che seguitando poi a coltivare le scienze e
le lettere divenne ed è uno de'più colti e dotti ca-
valieri delle venete provincie.
Mentre alle scienze il professore attendeva, col-
tivava ad un tempo le lettere: e si distinse con va-
rie orazioni panegiriche, e con moltissimi sonetti e
canzoni che gli meritarono grande estimazione. Inva^
ghitosi poi delle scienze politiche, le insegnò a vari
giovani; ed uno di essi, il fìignami, espose pubblica-
mente molte tesi di quelle scienze sotto gli auspicii
dell' eminentissimo cardinale Buoncompagni allora se-
gretario di stato; il quale nella sua legazione di Bo-
logna aveva preso il Franceschinis in molta affezio-
ne. All' occasione delle summentovate conclusioni
Biografia del Frànceschinis a35
stampò in latino un opera intitolata Elementa poli-
tica che dal cardinal Gerdil fu mólto lodala. Ritor-
nato quindi coll'animo alle matematiche , stampò tre
opuscoli dedicati al medesimo cardinale segretario di
stato: l'uno sopra la celebre questione dei logaritmi
de'numeri negativi: l1 altro sopra la spinta degli ar-
chi e delle volle : il terzo sulla teoria delle paralel-
le. Desiderando poi i celebratissimi cardinali Buon-
compagni segretario di stato, e Gerdil della congre-
gazione di s. Paolo, di averlo in Roma, gli ottennero
dalla santità di Pio VI un posto nell'inclita congre-
gazione de' sacri riti , nella quale entrò , tuttoché
giovane di 3i anni, alla fine del 1788: ed in essa
non tardò a distinguersi. L'anno susseguente fu allo
stesso tempo professore di teologia ai chierici del suo
istituto: ma alla fine dell'anno cessò per essere stato
nominato professore di metafisica neli' archiginnasio
della sapienza; nel quale sospese dopo sei mesi l'in-
segnamento per essere stato dal senato veneto doman-
dato al santo padre perchè si portasse a Venezia ad
esaminare, in compagnia di due altri matematici, un
progetto dì regolazione del fiume Brenta. Il che gli
venne, con onorificentissimo biglietto della segreteria
di stato, accordato. Tornato quindi a Roma , e ripi-
gliate le sue funzioni, siccome cominciate erano le
novità politiche in Francia, che male auguravano di
quel regno, intraprese un' opera di lunga lena inti-
tolata la Legislazione dedotta dai principii delV
ordine, di cui uscì il primo volume dedicato a Pio
VI : del quale tutti i giornali parlarono con gran
lode, e singolarmente quello di Pisa più accredita-
to di ogni altro e diretto da monsignor Fabroni.
Avendo poi dopo il regicidio di Luigi XVI pubblicato
236 Letteratura
anonime quattro lunghe canzoni precedute da un di-
scorso preliminare, che furono in più luoghi ristam-
pate (per le quali, non meno che per l'opera della
legislazione, era sinistramente riguardato dal numero
sempre crescente dei fautori della rivoluzione fran-
cese), al primo avvicinarsi dei francesi verso Roma
chiese ed ottenne il permesso di ritirarsi a Venezia.
Nel suo soggiorno in Roma visse famigliarmente
col cardinale Buoncompagni di straordinari talenti for-
nito, e col cardinale Flangini grande amico di som-
mi letterati, e sommo letterato egli stesso; del quale
era pure teologo, e con cui lo univa maggiormente
la non lontana parentela che aveva col degnissimo
di lui genero conte Giulio Toppota Pancieri vene-
to patrizio. Fu pure molto caro al rispettabilissimo
cardinale Archinto, che non isdegnava di veuire qual-
che volta a passare qualche ora con lui nel suo col-
legio di san Carlo a Catinari. Ma fu egli singolar-
mente famigliare dell' eminentissimo Gerdil, che abi-
tava nella stessa casa, e con cui passava qualche tem-
po quasi ogni sera : protestando poi sempre , diceva
egli , che di quel più che sapeva era debitore all'
avere per molti anni con esso quasi giornalmente con-
versato , e alle opere dal medesimo stampate. Nella
sua dimora in Roma recitò pure in arcadia, oltre a mol-
ti discorsi e poesie nelle sedute semipubbliche, due ora-
zioni nelle due pubbliche adunanze per la festa dei
natale e per la passione, accolte con distinti applau-
si: e prima di partire avendo riformato il disegno del-
la sua opera della legislazione, ne stampò un primo
volume delle Lessi costitutive dedicato al cardinale
Roverella. Stando in Venezia e continuando i peri-
coli della guerra , gli s' inviò da Roma 1' impetrata
Biografia del Franceschtnis 237
grazia di starsene presso il vescovo di Treviso: e ca-
duta Roma in poter de'fvancesi , chiese al santo pa-
dre, tradotto a Firenze, la sua secolarizzazione. E do-
po che caduto il governo di Venezia passarono con
molte venete provincie, e tra le altre Udine sua pa-
tria, sotto la dominazione austriaca, portossi a Vien-
na: dove aspettando l'organizzazione dell' università
di Padova, nella quale sarebbe stato impiegato come
professore di calcolo sublime , si occupò del lavoro
di un poema e di una cantica intitolata V Italia libe-
rata, di cui non istampò che quattro canti in ter-
za rima; giacché le mutate guerresche vicende, che fu-
rono sì propizie all'armi austriache nell'Italia, non gli
consentirono di continuare. Scrisse poi in francese
(dovendosi stampare in Vienna) un' opera intitolata
Le goiwcrnement, che non vide la luce, avendo dovu-
to lasciare Vienna per la perdita fatta nel cinque dalle
armi austriache degli stati d'Italia, dove nel i8o3 era
stato il Franceschinis destinato in qualità di segre-
tario aulico ad accompagnare in una perlustrazione
idraulica per le provincie venete il chiarissimo con-
sigliere aulico sig. Wiebeking , nome europeo, che
ora trovasi in eminente situazione presso S. M. il re
di Baviera.
Divenuto suddito del governo italiano, portossi
a Milano ed ottenne subito di essere nominato profes-
sore di matematica applicata nell'università di Pado-
va, e di esser fatto membro e segretario di una gran-
de commissione idraulica per sistemare i fiumi ed i
torrenti delle venete provincie. In quella università
recitò un' orazione sulle matematiche applicate: indi,
imitando il Zanotti nell'incontro della sua orazione
sopra le belle arti recitata in Roma, altre due ne se-
238 Letteratura
risse, nella prima delle quali si finse un avversario
che confutasse e diminuisse le lodi date da esso a
quella scienza nella sua orazione: nella seconda difen-
de le ragioni e le lodi esposte nella orazione preceden-
te, contro le obbiezioni ad essa fatte. Furono le suddet-
te tre orazioni insieme stampate; e fruttarono all'autore
il pubblico concetto non solamente di profondo pen-
satore , ma altresì di elegante ed eloquente scritto-
re. Fatto membro attivo dell1 I. R. accademia delle
arti e delle scienze, recitò in essa varie dissertazio-
ni : stampò pure 24 elegantissime canzoni in me-
tro anacreontico, dedicate a gentilissima dama, di un
genere , può dirsi , nuovo ; giacche non impiegando
che sei stro fette di quattro versi l'una, nelle prime
quattro espone un oggetto fisico, dal quale nelle due
ultime cava una massima morale.
Fatto reggente dell'università l'anno 1809, per
misure dalla necessità suggerite , le quali per altro
in niun modo opponevansi a quella sommissione che
devesi ad un governo costituito, fu sospettato dal go-
verno d'allora di affezione soverchia per gli austria-
ci , in quei pochi giorni che restarono in Padova ;
e quindi fu destituito dalla cattedra. Invitato due
anni dopo dal conte Alessandro Annoni, col quale
aveva vissuto alcuni mesi amichevolmente in Vien-
na, a dirigere l'educazione dell'unico suo figlio, vi an-
dò: ma non vi restò che poco più di due anni, giac-
che gli austriaci venuti al possesso delle provincie
venete, non meno che delle lombarde, gli restituirono
la sua lettura tuttoché occupata da altro soggetto: alla
quale perciò ritornò nella università di Padova. Pres-
so i conti Annoni fu con somma nobiltà ed ami-
cizia trattato ; e il poco tempo che si occupò dell'
Biografia del Franceschinis 23g
educazione dell'ancor tenero loro figlio gli bastò per
presagire che sarebbe esso riuscito uno de' più savi
e più colti e più amabili e benefici signori della sua
patria. E tale è certo il conte Francesco ; il quale
malgrado del poco che il Franceschinis fece per lui,
conservò e conserva per esso vivissimi sentimenti di
gratitudine e di amicizia.
Appena giunto in Padova fu incaricato di varie
commissioni idrauliche, fu fatto reggente dell'univer-
sità, e alla fine dell'anno fu fatto presidente di una
commissione organizzatrice della pubblica istruzione, e
destinato in seguito a visitare tutti gli stabilimenti di
pubblica istruzione sì civili e sì ecclesiastici, sì maschi-
li e sì femminili. Fu poi confermato con caso nuovo
reggente. Ebbe allo stesso tempo ad esaminare vari
piani di regolamento relativi al porto di Malamocco,
e stampò la vita di Carlo V, che è la prima del-
la raccolta degli uomini illustri del Bettoni. Fu no-
minato segretario perpetuo per le scienze dell' I. R.
accademia di Padova; e fu insignito dell'I. R. ordi-
ne austriaco della corona di ferro, come cavaliere di
terza classe. Cominciò poi la reggenza dell'università
anche per il terzo anno, sino che venne la nuova si-
stemazione: nella quale università si adoperò con lui
l'aureo conte Goes governatore, perchè fosse ristabi-
lita la facoltà teologica : e dietro V istanza del sud-
detto religiosissimo conte governatore, propose i sog-
getti per le rispettive cattedre, i quali furono tutti
da S. M. nominati, e i quali ben corrisposero ai vo-
ti del piissimo sovrano ed alla pubblica aspettazione.
Ebbe in seguito varie altre non facili commissioni
idrauliche, unitamente al celebre ingegnere Romani:
ed ebbero la compiacenza che i loro pareri fossero
2^0 Letteratura
dalle superiori autorità approvati. Fu successivamente
aggregato a varie accademie. Era già stato sino dal
1 796 eletto membro dei quaranta della società italiana
residente allora in Modena: ma cessò di appartenere
alla medesima, perchè nei cinque anni che si trat-
tenne a Vienna fu da autorevoli persone consiglia-
to a cessare ogni corrispondenza con la Cisalpina.
Fu fatto socio onorario dell'accademia delle belle ar-
ti di Venezia, dopo che lesse in essa l'elogio di Gio-
vanni di Udine, il quale stampato piacque grande-
mente. Lesse e stampò varie dissertazioni nell'I. R.
accademia delie scienze, lettere ed arti di Padova,
non che nell'ateneo di Venezia. Stampò un poema
in versi sciolti di diciotto libri intitolato : La mor-
te di Socrate: nel quale spiegò tutti que'precetti di
morale, ai quali può condurci la sana ragione sen-
za la rivelazione; e seppe dare al medesimo un aspet-
to e un interesse drammatico, e vi aggiunse una dis-
sertazione sulla immortalità dell' anima , mostrando
singolarmente, come ne la morale, ne la politica po-
trebbono reggersi, ove quel dogma non fosse ricevu-
to e stabilito : la quale non meno del poema fu
grandemente commendata.
Ripigliò quindi l'opera della legislazione, e ne
stampò tre grossi volumi in ottavo col titolo d'in-
troduzione: ne'quali si propose di fornire, ad uno che
dovesse assumere l'augusto carattere di dar leggi con-
venienti ad una nazione, tutti i lumi necessari.
L'opera poi verrà divisa in molte parti sepa-
rate, le quali se la sua avanzata età, e le moltiplici
sue occupazioni e studi disparati, non gli conseati-
ranno di terminare , ciò sarà senza discapito delle
parti che saranno uscite: giacché ciascuna starla da se.
Biografia del Franceschinis 241
Produsse contemporaneamente un poema in ot-
tava rima di 24 canti, dedicato al S. E. monsignor
Ladislao Pirker dilettissimo in allora patriarca di Ve-
nezia, ed ora arcivescovo di Erlaw in Ungheria, me-
ritamente stimato uno de'più grandi poeti della Ger-
mania.
Porta detto poema per titolo 1' Atenaide. Esso
è drammatico-didascalico; e come la giovane Atenai-
de gran filosofessa si fece di pagana cattolica, e di-
venne imperatrice moglie di Teodosio il giovane ;
così si propose l'autore in esso di mostrare l'unio-
ne della sua filosofia con la vera religione. Quindi
può dirsi che comprenda tutti i motivi di credibi-
lità della religion nostra messi in azione nelle va-
rie vicende, per cui fece passare la sua eroina. Se
fu molto ammirato in allora, il sarà assai più nel-
la ristampa, che si sta preparando ricca di molti can-
giamenti ed emendazioni.
Né mancarono altri minori lavori poetici. Vi
ha una serie di vaghe anacreontiche in occasione d'il-
lustri nozze padovane ; e vi sono cinque odi all'
occasione del monumento di Canova dirette al con-
te Cicognara, che n'ebbe tutto il merito: ed una
pure assai lodata per l'ultima venuta di S. M. Fran-
cesco I in Italia.
Si distinse poi in modo singolare in una pro-
lusione recitata lo scorso anno nell'aprimento degli
studi all'università; e in altra recitata lo scorso ot-
tobre a Venezia sul commercio, il giorno in cui fa-
cevasi la solenne distribuzione dei premi agli oggetti
di arti e mestieri.
Non credendo poi aver abbastanza della religio-
ne favellato nel poema, scrisse un' opera in due vo-
G.A.T.LXXXVII. 16
2^.2 Letteratura
lumi sopra la religione medesima; nella quale opera si
propone di dare della medesima quasi una dimostra-
zione, come dicono le scuole, a priori, mostrando eh'
ella è quale dovea essere, sì riguardo a colui die l'ha
data, e sì riguardo a coloro che l'hanno ricevuta.
Se occorresse dire alcuna cosa del carattere mo-
rale dello stesso autore, converrebbe dire che da quanti
paesi il conobbero fu sempre riputato di gentilezza
e di bontà singolare , e portato in particolar modo
alla beneficenza. Quindi fu sempre grandemente ama-
to; e si acquistò in ogni paese le più distinte rela-
zioni di servitù e di amicizia. Tra le quali illustri
relazioni non nominerò che quelle che ha con gl'in-
signi porporati, il cardinale Albani e il cardinale A-
rezzo, i quali l'onorano di singolare benevolenza.
Eccole, monsignore, la mia vita : le qualificazioni
che io do alle cose mie sono sinceramente quelle che
sentii dare dal pubblico. Ella, il ripeto, faccia di que-
sto scritto tutto quello che crede.
Se avrò occasione di poterle mandare alcune mie
opere a Roma, non mancherò sicuramente di farlo, gra-
to alla generosità con cui volle riguardare la mia po-
vera persona. Intanto augurandole nelle non lontane
santissime feste di Natale ogni prosperità, passo a se-
gnarmi coi sentimenti della più alta stima e consi-
derazione,
Di lei, monsignore,
Padova 8 ottobre 1829.
Dvmo obbrfto serv.
G, M. Frawceschinis.
Biografia del Franceschinis 243
N. B. Questo illustre italiano cessò di vivere in
Padova nel dicembre dello scorso anno 1840.
OPERE DEL FRANCESCHINIS.
Della tensione delle funi. Dissertazione diretta
al conte Giordano Riccati, con due lettere del mede-
simo all'autore. Bassano 1764. Se ne legge un arti-
colo nelle effemeridi letterarie di Roma, anno 170^,
num. i5.
Institutionum politicarum elementa. Bononiae
1787, ex tipografia s. Thom. A.quin. Detto giornale
anno 1788, primo art. n. 17; secondo n. 18.
Delle altezze barometriche. Dissertazione geome-
trico-analitica presentata al sig. cav. Lorgna. Vero-
na 1790, in 4- Intorno a questa dissertazione si leg-
ge un breve articolo nelle effemeridi stesse, num. 4»
«791-
In morte di Luigi XVI re di Francia. Canzo-
ni IV, in 4-° di pag. 70 ; senza nota di luogo ed an^
no. Il luogo però fu Roma e forse nel 1794» leggen-
dosene un articolo nel giornale della letteratura ita-
liana, tomo 4» a car- 211. Mantova 1794-
Nell'anno poetico, ossia raccolta annuale di poe-
sie italiane di autori viventi, opera periodica die si
pubblicava inVenezia sulla fine dello scorso secolo dal-
la tipografia pepoliana in 8 , si ritrovano vari com-
ponimenti del nostro autore.
La legislazione dedotta dai principii dell'ordine,
tomo 1. De'rapporti e delle leggi generali dell'uomo,
dello stato di società naturale, e dei fondamenti della
società civile, dai principii dell'ordine dedotti. Roma
nella stamperia Pagliarini 1792, in 8.
244 Letteratura
Intorno quest'opera, che serve come di proemio
alla seguente, si trova un articolo nelle effemeridi ci-
tate di sopra, num. 5i, anno 1792; ed un altro può
leggersi nel giornale della letteratura italiana, tomo
1. Mantova 1793, a carte 280.
Intorno l'opera delle matematiche applicate (Pa-
dova , Bettoni 1808), si legge un articolo nel mese
letterario di Roma, giornale diretto da Felice Ma-
riottini, num. 7,0 1 marzo 1809, c* 265.
La legislazione dai principii dell'ordine dedotta,
parte prima: Delle leggi costitutive. Roma nella stam-
peria Pagliarini 1795, tomo 1 , in 12. Nelle citate
effemeridi si leggono due articoli, il 1 al num. 1 1 ,
al 12 il 2, anno 1796.
Nel catalogo ragionato dei libri d'arte e d'anti-
chità posseduti dal conte Cicognara , tomo secondo
(Pisa presso Niccolò Cappurro 1 821}, viene ricordata
una lettera sul libro intitolato: Opere di scultura, e
di plastica di Antonio Canova descritte da Isabella
Albrizzi. Padova 1810, in 8. - Tolta dal giornale let-
terario di Padova.
La morte di Socrate , poema , 2 volumi in 8.
Venezia, Picotti 1820.
L'Atenaide, poema, 2 volumi in 8. Padova per
la Minerva 1822.
Di questi due poemi si parla con lode nel li-
bro: Degli scrittori greci e delle italiane versioni del-
le loro opere, notizie raccolte dall'ab. Fortunato Fe-
derici. Padova pei tipi della Minerva 1828.
Discorso recitato per la distribuzione de' premi
d'industria il giorno 4 ottobre 1829. Venezia, Anto-
nelli i83o.
Sopra questo discorso è a leggersi un articolo
Biografia del Francbschinis 245
dell'illustre letterato Giuseppe Bianchetti inserito nel
Poligrafo, giornale di scienze, lettere ed arti, tomo
VI, a car. 5i. Verona 1 83 1.
Della religione cattolica, la quale dimostrasi ta-
le essere quale esser doveva sì rispetto a colui che
la diede, e sì riguardo a quelli a cui fu data. Pa-
dova, coi tipi della Minerva in 8.
Quest'opera serve d'illustrazione al poema dell' Ate-
naide, e ne uscì un primo volume. Sospesa la conti-
nuazione por altri letterari lavori, e quindi ripiglia-
ta, venne condotta a termine nel modo sopraddetto.
Intorno la medesima si leggono 3 articoli nel Poli-
grafo sopra citato, il 1 nel tomo i3, i833; il 2 nel
16, anno suddetto; e il terzo finalmente nella nuova
serie di esso giornale, tomo i, i834«
La Georgica e V Eneide di Virgilio volgarizzate
in ottava rima da Lorenzo Mancini accademi-
co residente della crusca , tomo I e II. Firen-
ze per Leonardo Ciardetti 1837. Articolo I.
Xm.vendo parlato più volte di volgarizzamenti, com'è
a vedere qua e là nelle carte di questo giornale, e
particolarmente nel voi. a52 a pag. 335 e segg.; e
dal latino in ispecial modo : un rimprovero si solle-
va contro di noi, ed è che abbiamo taciuto delle ver-
sioni di Virgilio del eh. Mancini. A togliere pertan-
to anche questa querela, eccoci a dire colla usata in-
genuità ciò che ci sembra di tali versioni. E prima
246 Letteratura
vogliamo rendere tributo di lode all'indefesso e dili-
gente traduttore, che a giovare le nostre lettere di-
sviate dietro la moda di oltremonte e di oltremare le
richiama di continuo allo specchio de' classici , veri
maestri di ogni bellezza. Che se ci avverrà di nota-
re qui o qua ( a maniera di dubbio onesto ) qualche
piccolo neo nella luce delle sue carte, si attribuisca
non a manco di stima per lui ( che l'onoriamo anzi
grandemente ); ma all'amore del vero, cui non pos-
siamo mancare per l' istituto nostro: e potendo, noi
vorremmo. Qualunque sia però l'opinione nostra sulle
cose della elocuzione, vogliamo sia ricevuta come un
invito al traduttore medesimo per dubitare : lascian-
do a lui ed ai più savi del bel paese il sentenziare.
Se quella mente del Caro, mancato alle lettere
del i566, avesse potuto dare le seconde e le terze
cure alla sua versione della Eneide nell'ozio campe-
stre della deliziosa Frascati, noi che ad una voce la
lodiamo, imperfetta com' è, la loderemmo senza fine
come cosa al tutto compiuta ; ne d' altra versione
vorremmo sapere, massime dopo la splendida edizione
tipografica e calcografica dovuta al favore della eccel-
lentissima duchessa di Devonshire ( Roma, tip. De-
Romanis 1819, voi. 2 infoi.).
Né certo ricorderemo la versione del p. Ange-
lucci (Napoli 1649, in 12), che altri direbbe più
fedele , e 1' Algarotti chiamò più servile : ne quella
magnifica del p. Ambrogi ( Roma 1763 , voi. 3 in
fol. ), magnifica quanto alla edizione, non quanto a
dare lo spirito di Virgilio : molto meno la letterale
del Candido ( Napoli 1768, voi. 2 in 8. ), e la in-
felice del Dallebasse (Venezia 179^, voi. 2 in 8.):
né la stessa del Bondi (Parma 1790, voi. 2 in 8.)
Geougica ed Eneide di Virg. volgamzz. 247
piena di frasche più che di eleganza : ne quella del
sommo tragico Vittorio Alfieri ( Pisa 1808, in 4- )»
che 1' anima virgiliana già non avea : ne quelle del
languido Soave, o del Solari ( che altri troppo seve-
ramente chiamò crocifissore di Virgilio ), né dello
stesso Arici, ne del Leoni, ne di altri che in versi
sciolti resero il gran poema del mantovano, che noi
salutiamo come l'eletto maestro dell'Alighieri.
E persuasi, che le migliori traduzioni di esame-
tri latini vogliano e possano essere in versi sciolti per
noi italiani ( come il Caro per la Eneide, il Marchet-
ti per Lucrezio, il Bentivoglio per Stazio , il Cassi
per Lucano in fatti mostrarono, in modo da toglie-
re ad altri la speranza di superarli ): ta ceremmo del-
le versioni dell'Eneide in ottava rima ( che troppi vin-
coli pone a' traduttori ) ; quantunque assai lode co-
gliessero ed il Beverini ( Lucca 1680, in 12 j imi-
tatore di que'due sommi Ariosto e Tasso, ed il P. Boz-
zoli (Cremona 1782, voi. 2 in 8 ); e per tacere di
altri ( come lo stesso Alessandro Marchetti e 1' An-
guillara, che ne diedero de' frammenti ), il eh. Man-
cini : al quale corre già lieto l'animo ed il pensiero.
Ma perchè non sarehbe ne degno a noi ne a ta-
le illustre filologo, né comportevole a' cortesi nostri
lettori, l'andare con occhio di Aristarco per tutti i
libri della nuova traduzione in brusca di frivolezze:
limitiamoci ad alcun che del lib. II dell'Eneide, in-
cominciando dal Conticuere omnes. Sono tante le
bellezze in quel libro, che basterebbero a far cono-
scere Virgilio , se il resto del poema ne mancasse :
e così bastano, se vengano quelle bellezze ben recate
nel campo della lingua nostra, a far conoscere un tra-
duttore, come il eh. Mancini, ornamento degnissimo
3^8 Letteratura
della nobile accademia della crusca , la quale tiene
il seggio delle italiche muse, proteggitrici di quel dol-
cissimo idioma, che suona mai sempre dall' Alpe al
Lilibeo. Ma fine a'preamboli, e veniamo a noi.
« Inde toro pater Aeneas sic orsus ab alto.
« Dal sublime parlando e ricco letto.
Udito del testo è reso dal sublime, che indica luo-
go eminente degno a tal dicitore: il ricco è di più.
k Troianas ut opes et lamentabile regnum
a Eruerint danai
« come Varie achea,
« Non il valor, le misere ruine
« Della mia patria consumasse alfine.
Eruere viene da ruere e dalla prepositiva e in-
dicante altezza. Eruerint dà idea di rovesciamento,
di ruina. E piaciuto il consumasse al eh. volgariz-
zatore : e sia ; ma perchè non rendere opes et la-
mentabile regnum, se non colle misere ruine ? Se
non traltavasi che di misere ruine, non era bisogno
dell'arte troiana a consumarle: e pure senza quell'ar-
te, dice appresso il narratore Enea :
« Troiaque nunc stares, Priamique arx alta maneres.
Ben altro adunque rimanea che misere ruine !
Vinfandum dolorem, tanto bello e vivo, è re-
cato in due volte quasi : memorie dolorose oltre
ogni detto: e perchè ciò era assai poco e come un'om-
bra rimpetto al sole, il volgare dice appresso cose in-
Georgica ed Eneide di Virg. volgarizz. 249
fonde, di cui parte spetta aWinfandum, e parte al
miserrima. Meglio era risovvenirsi come imitò l'Ali-
ghieri, facendo dire all'uopo suo al conte Ugolino :
Tu vuoi ch'io rinnovelli = Disperato dolor che 'l
cuor mi preme. Non sapremmo parola italiana atta
ad esprimere Vinfandum, non bastando le voci ine-
sprimibile, inenarrabile alla poesia : forse non ab-
biamo che immenso dolore all' uopo di Enea ; ma
V immenso non è in tutto Vinfandum. Tant'è: le lin-
gue hanno parole e modi non traducibili dall'una al-
l'altra favella ! e chi de'latini saprebbe rendere il di-
sperato dolore di Ugolino ?
« . . . .Et iam nox numida caelo
« Praecipitat
Quanto è bello quel precipitare della notte! Ma non
sappiamo come il traduttore ho tolto molta evidenza,
e Virgilio a Virgilio, dicendo :
« E già s'affretta d'occidente ai lidi,
« Raccogliendo la notte il nero manto:
precisamente alla frugoniana. E non è stato più fe-
lice a rendere il « suadentque cadentia sidera so-
mnum n quando cantò :
« E il sonno persuadono discese
« Al mar le stelle , che la sera accese.
Cadentia significa cadenti: dunque discendendo vo-
lea dirsi, e non discese : e volea lasciarsi quell'inu-
tile erudizione, che la sera accese. Brevità è sem-
a5o Letteratu r^a
pre raccomandata, e più nel rendere Virgilio : a cui
nulla si può aggiungere, nulla togliere senza danno
o pericolo, chi vuole palma d'onore traducendone le
bellezze. E l'ordine vuoisi altresì secondare, che ha
le parole allo specchio delle idee. Diversamente non
bene si riesce , come avvenne al eh. volgarizzatore
in questo tratto :
« Instar montis equum, divina Palladis arte,
« Aedificant : sectaque intexunt abiete costas.
« Votum prò redi tu simulant
La prima idea è quella del cavallo a guisa di un
monte : poi 1' arte divina a fabbricarlo : poi la par-
ticolarità delle costole inteste di recisi abeli: poi il vo-
to simulato al ripatriare. Veggasi ora la versione, e
giudichi ognuno che abbia fiore di senno , se chia-
rezza, evidenza, brevità ed altro di bello poetico non
si perda nel volgare !
« Di travi incise nelVidee foreste
« Edificare-, da Minerva istrutti,
« Un cavallo che detto un monte avreste;
« Come da voti a dipartirsi indutti,
« E con quello a placar Vira celeste
« Simulacro votivo anzi che a? flutti
« / navigli affidar : di questa trama
« Tal vola intorno la bugiarda fama.
V ea fama basta a Virgilio , ed al traduttore è
bisogno di questa trama la bugiarda fama.
Il votum prò reditu simulant chi sa intenderlo
nel volgare ? Il resto a'eortesi e savi leggitori !
Georgica ed Eneide di Virg. volgarizz. 25 i
« Huc se provecti deserto in litore condunt,
« Nos abiise rati, et vento petiisse Mycenas !
Ciò basta a Virgilio: ed il traduttore, non potendo
rendere le idee coll'ordine del testo, va dicendo a suo
grado :
h . . . . Il greco stuolo
« Solca tacito il mar per questo lido,
« E che torni deluso al patrio suolo
« Per noi si crede, come suona il grido',
« Che quel profondo sen tutta a chi guata
« Da Troia cela la pelasga armata.
Ben può perdonarsi verbiloquenza all' Anguilla-
ra, che rende la prolissità ovidiana, non a chi rende
la breviloquenza virgiliana. Quasi pittura è poesia ,
traduzione è copia; ora chi patirebbe un quadro di
Raffaello copiato con aggiunte d'altro pennello e d'al-
tro ingegno, che non fu quello dell'unico urbinate ?
Dove tutto è semplice ed uno, come in Virgilio pit-
tore alla sua volta della natura, non cresca un iota
chi non vuole mancare a sé e all'Italia, la quale aspet-
ta versioni da stare al paraggio, se non coll'originale
inimitabile, almeno con quella del Caro, che potrà
vedersi ne'tratti notati di sopra come è sempre trion-
fa tr ice ! Sempre diciamo, colle debite restrizioni !
Il panduntur portae del verso 27, che in due
parole dice tanto, cade nel volgare :
« Le disusate porte aprono intere.
a5a Letteratura
E più cadono le parole, che diremmo inspirate,
di Laocoonte al v. 42 e segg'> rendute così ;
« O turba sciocca, o perfido Timete !
« Da lunge grida : che i nemici andranno
« Davver lontani y o miseri, credete ?
« E che doni d1 achei son senza inganno !
« Così v'è noto Ulisse ? O proverete
« Siccome da murai macchina danno
« In assalto novel dà questa mole,
« 0 piene ha d'armi le profonde gole :
Guardisi al latino :
« O miseri, quae tanta insania, cives ?
« Creditis avectos hostes ? aut ulla putatis
« Dona carere dolis danaum ? Sic notus Ulysses?
« Aut hoc inclusi ligno occultantur achivi ;
« Aut haec in nostros fabricata est machina muros,
« Inspectura domos, venturaque desuper urbi,
« Aut aliquis latet error
Basta il confronto ad ogni occhio sicuro , senza al-
tra chiosa !
Né loderemo queste parole di Sinone risponden-
ti al vers. ioo e segg. del testo , che è meglio che
un sole innanzi al parelio :
« parmi,
« Che de'miei mali trattenervi è cosa
« Importuna per voi, per me odiosa.
« Voce si tronchi che pietà non desta.
« Ove lingua pelasga in van qui gridio
Georgica ed Eneide di Virg. volgarizz. a53
« E chi greco a troìan si manifesta
« Si confessi nocente, o re, m'uccidi.
« Voto è d'Ulisse questa morte, questa
« A prezzo immenso compreran gli atridi,
E meno possiamo lodare dove si fa dire a Sinone ri-
guardo a'figli di lui fuggitivo :
« forse vermigli
« D'innocente faran sangue i penati,
« E 'l fio paterno pagheranno i nati:
analogamente al v. i3g e seg. del testo. Non piace
la trasposizione, né il far vermigli di sangue i pe-
nati, studiata espressione , che ad animo commosso
non si conviene ! La passione, che è forte, non vuo-
le arte, ma natura !
Noi non vogliamo, né dobbiamo fermarci ad ogni
passo ; ma non possiamo non arrestarci a quel luo-
go di tanta splendidezza , dove è descritta la morte
di Laocoonte. Quel luogo è sublime, e lo sarà ad ogni
secolo , comunque la luce della vera religione , che
atterrò gl'idoli , lo abbia spogliato del terror sacro ,
che diffondeva Al tempo degli dei falsi e bugiardi.
E perchè ognuno possa gustare i versi dell'esimio tra-
duttore, recheremo le ottave per intero se fia possi-
bile seguitamente ; pregando i cortesi leggitori a por-
si innanzi il testo dal vers. 2o3 al 233. A qusl di-
vino originale è da riferirsi la traduzione , che sarà
tanto più pregevole quanto sarà più vicina e degn'
copia di quello. Ma ecco le ottave !
254 Letteratura
« Quand'ecco ( in ripensarvi inorridisce
« La mente ) di ver Tenedo alla proda
« Venir due grandi e mostruose Lisce,
a a Dall'irta cresta, dall'immensa coda,
« Che sferza l'onde, e spire alterna e strisce ;
« Nell'aria il collo e il petto si disnoda;
« Per l'Ellesponto il resto si trascina,
« E rade la pacifica marina.
« Nunziale da lontan de'flutti d'Elle
« Il suon, la spuma, e già toccan la sabbia.
« Scintillan gli occhi, e triplici a vedelle
b « Lambon le lingue le fischianti labbia.
« Sbigottiti diam via, fugge l'imbelle
« E il prò : ma d'ambe la guidata rabbia
« Cerca Laocoonte; e prima ad esso
« Stringe i due figli di tenace amplesso.
« E dilania e divora a morso a morso
« Le tenerelle membra ed innocenti:
« Dipoi, con dardi alla difesa accorso,
e « Il genitore assalgono i serpenti.
« E già del doppio tortuoso dorso
« L'avvinghiano iterati avvolgimenti.
« Squammoso groppo d'ogni intorno il veste ;
« Sopravvanzano i capi e l'irte creste.
Giova al viandante alcun riposo : ed a noi gioverà
soffermarci per alcuna osservazione.
All'evidenza dell'azione descritta dal poeta fanno
e V angue s gemini dei vers. 2o3 e 2o4> e 1' UH del
vers. 212 , ed il serpens uterque del 2i4« H tra-
duttore fa venire due bisce : poi il concreto cam-
biando in astratto, togliendo al senso per condiscen-
Georgicà ed Eneide di Virg. volgarizz. 255
dere all'ideale, e sminuendo cosi la vivezza dell'ipo-
tiposi, Villi ed il serpens uterque rende, con clie ?
colla guidata rabbia ! Questa agisce alla fine dell'
ottava ( che abbiamo seguata col b ) e sul principio
della seguente : poi meglio tornano in campo propria-
mente i serpenti.
Ampie xus del vers. 214, da amplector, esprime
benissimo 1' idea dell' avvinghiare. Noi italiani non
abbiamo chela parola amplesso , cioè abbracciamen-
to , e vi abbiamo annessa più specialmente idea di
benevolenza. Tutt'altro qui che benevolenza nel con-
cetto dell'autore, nella viva pittura del fatto : ne l'ag-
giunto tenace giova a dare cupa tinta all' amplesso,
che doveva dirsi funesto, terribile, o meglio ancora ,
a significarne l'orridezza, che al cuore paterno e de-
gli spettatori annunziava.
I serpenti non durano nell'azione espressamente
nell'ottava e; poiché vengono ad agire gViterati av-
volgimenti, e sino lo squammoso groppo, e i capi
e Virte creste', quando nell'originale i serpenti reg-
gono sempre essi: e lo vedi dal vers. 217 e segg.,
dove il corripiunt, il ligant, Vamplexi, il terga da-
ti, il superane, mostrano e l'ordine dell' idea domi-
nante riguardo alle associate, e la convenienza di os-
servare 1' ordine stesso nella versione ; se non anzi
la necessità, chi voglia dare netto Virgilio !
Poesia è qui più che altrove viva e parlante pit-
tura: e se i punti principali del quadro non richia-
mano a sé tutto l'occhio e la mente dello spettato-
re, l'effetto del quadro è meno assai, e più la fatica
di chi guarda : e dove è fatica non può essere il pia-
cere, quel piacere che nasce a chi pone il guardo e
l'animo in bella dipintura ! Ma seguitiamo col tra-
duttore :
2.56 Letteratura
« Da' vivi nodi, dalle strette orrende
« Con tutta possa di mani e di braccia
« Sciogliersi l'infelice invan contende,
d « E quanto più si sforza, più s'allaccia.
« Bruite ha di sangue e di velen le bende,
« Dal petto gridi spaventosi caccia
« Come toro che fugge al sacerdote,
« E l'incerto coltel dal capo scuote.
« Ma i due chelidri, dal fornito scempio
« Rapidi distaccandosi, sen vanno
« All'alta rocca, di Minerva al tempio,
e « E de' pie della dea schermo si fanno:
« E dentro il cavo dello scudo, ov'empio
« Fora ogni oltraggio, rannicchiati stanno.
« Religioso allor novo terrore
« Ogni faccia imbiancò, strinse ogni core.
La lode debita al traduttore daranno gli spiriti
cortesi, che intendono la difficoltà del tradurre , e
massime in ottava rima dietro i nostri epici Ariosto
e Tasso. A noi, lo ripetiamo, sembra che il rende-
re gli esametri latini in versi sciolti sia il meglio.
Allora non il vincolo della rima e del ritmo, allora
si può dare cosa per cosa, e talvolta parola per pa-
rola, sempre periodo per periodo, e tener più P or-
dine lucido dell' autore : ordine che se togli di un
iota, manchi a chiarezza, a evidenza , a leggiadria :
pregi perpetui declassici latini, e di Virgilio fra gli
epici singolarmente. Non per questo dissentiremo al
Mancini, aversi per buona cosa il tener vivo il me-
tro italiano, nato fatto per l'epopeia : ottima cosa ci
basta sia riguardata conservare ne'versi sciolti la di-
Georgica ed Eneide di Virg. volgarizz. 25 7
gnità, la bellezza della poesia del Lazio, come fece
il Caro o tentò : che se impedito dalla morte non
potè limare il suo benaugurato lavoro , profano ter-
remo ogni labbro che a tanto scrittore dia biasimo
e mala voce col veleno del Castelvetro: veleno, il cui
effluvio offender potrebbe forse chi legge di volo la
dedica del eh. Mancini allo stesso Annibal Caro :
del quale ripeteremo mai sempre a ragione con vo-
ce presa dall'Alighieri :
« Onorate l'altissimo poeta.
Ma troppe pagine , e più che non volevamo ,
dato abbiamo alVEneìde. Torneremo altra volta a scri-
vere della versione della Georgica, onorata fatica al-
tresì dell1 egregio traduttore : col quale ci rallegria-
mo, che ami tanto le nostre lettere, da porle saggia-
mente allo specchio declassici, per onore di questa
Italia :
« Di ogni altra cosa insegnatrice altrui !
prof. D. Vaccolini.
G.A.T.LXXXVII.
a58
Elogio del padre Giuseppe Pennazza da sant'
Eustachio , sacerdote delle scuole pie ; letto
nella sala del comune di Pesaro per la so-
lenne distribuzione dei premi delV anno sco-
lastico 184.0 da Giuseppe Ignazio Montanari.
lY_lentre coll'animo andava cercando subietto de-
gno da porre dinanzi all'attenzion vostra in questo
giorno di premi e di cittadina allegrezza , o amica
fortuna, o singoiar beneficio di amicizia, 0 l' una e
l'altro insieme mi offersero persona di che io parlas-
si, degna di voi , non meno che della celebrità di
questo giorno e di questo luogo. E certamente a gran-
de ventura io mi reputo avere oggi a mostrarvi un
compagno di quel lume di santità e di cristiana fi-
lantropia, ehe fu Giuseppe Calasanzio, in Giuseppe
Pennazza da saut'Eustachio: e, quel che più è, un pe-
sarese in lui. Vero è che veggendo io che persona
del mondo non ne ha fin qui fatta parola fra voi ,
ne quello stesso dottissimo e diligentissimo Olivieri
vostro ne ha pure conosciuto il nome , io mi sono
in sulle prime soffermato, e quasi tolto giù dal pri-
mo pensiero : ma venutami a mano bastevole copia
di fatti, della fede de'quali non è a dubitare, e co-
nosciute virtù grandi e sapere di quest'uomo, mi è
parso non sia da lasciar sotterrato col comune degli
uomini , ne si debba cessare alla vostra città una
bellissima lode, quale è quella dell' aver dato mano
ad una delle più sante ed utili istituzioni. Ma nello
Elogio del Pennazza 25<j
stesso farmi a scrivere di lui sono stato in forse se
tornasse meglio serbar modo di elogio, adempiendo al-
le sole parti di lodatore* o tener via di semplice bio-
grafo narrando senza più qual fosse il corso della vi-
ta di quest' uomo di Dio ; e mi stava in fra due a
giudicare se il porre in piena luce tanti ineriti, quan-
ti egli ebbe, mettesse Conto : o il lasciare che dalla
Sola esposizione de' fatti nascesse V elogio. Tuttavia
considerando che il primo modo potrebbe dare so-
spetto d'artifiziosa lode, al secondo potrebbero man-
care molte epoche necessarie a biografo, ho riputato
meglio venir narrando ed illustrando insieme i fatti,
perchè al difetto di alcune memorie supplisca la chia-
rezza di quelle che sono rimaste,
Dico adunque che nel primo di gennaio del
1620 ebbe nella città di Pesaro vita e battesimo Giu-
seppe , e gli furono genitori messer Giambattista e
madonna Lionora Pennazza, famiglia della quale per
molte indagini che io mi abbia Usate non ho potuto
trovare memoria altra, se non che aveva casa nella
parrocchia di sant'Arcangelo; e pare che ella andas-
se a spegnersi in Giuseppe, che n'era unica prole ma-
schile, Ne manco saprei dire s'ella fosse de'primi or-
dini della città ; soltanto mi è agevole inferire che
onesta assai fosse , perchè trovo che al sacro fonte
dierono fede pel fanciullo due di nobili famiglie pe-
saresi, messer Maffeo Banci e Livia Gatani. Laonde
a chi faccia ragione del costume de'vecchi, egli è cer-
to per lo meno che la famiglia Pennazza doveva es-
sere di onestà molta, e aver luogo fra le distinte cit-
tadine: perchè ove altrimenti fosse stato, due nobili
non n'avrebbero voluto il parentado spirituale. An-
che il titolo di messere dato al padre mi è indizio di
a6o Letteratura
ciò. Un' altra cagione poi, la quale mi conduce a cre-
dere che la famiglia de'Pennazza fosse di molta one-
stà, si è la buona riuscita che fe'Giuseppe: il quale
ove non fosse stato nella purità della fede cristiana
nutrito e ne'buoni studi , non sarebbe salito certa-
mente a quell'altezza a cui lo vedremo levarsi : ne
l'avrebbe degnato d'amicizia quel grande santo che
fu il Calasanzio. Dico di più, ch'egli doveva essere
dotato d'anima nobilissima: perchè senza questo non
avrebbe fermato di rendersi non solo uomo di chie-
sa, ma de'compagni di san. Giuseppe. Vero è che quel-
la pianta sublime aveva gettate radici per tutta l'Eu-
ropa: e la Germania , e i fioritissimi regni di Polo-
nia, di Ungheria, di Boemia, d'Aragona, e la Cata-
logna, e l'Austria, e le due Castiglie, per tacere del-
l'Italia, s'allegravano del vederla crescere a beneNdella
civile società e della religione; ma pur vero è anco-
ra che contro questa battagliavano ferocemente venti
gagliardi, e le minacciavano procelle fortunose e mi-
na. Che le sante opere al mondo, per qual arte mi-
rabile di provvidenza non so, si sono dilatate e ras-
sicurate per opera della persecuzione de'nemici ; ne
alla mala razza degli scribi e de'farisei bastò avere cro-
cifisso l'Uomo Dio, ma sì rinovella i suoi furori con-
tro ogni giusto che venga a ristorare il mondo. E pe-
rò se il Pennazza ebbe innanzi da se (e come no?)
le calunnie degli avversari artifiziose, e perchè mos-
so da finto zelo autorevoli in apparenza , dovè es-
servi guidato da lume di cielo, o da sicuro giudizio,
o, quel che mette meglio pensare, dall'uno e dall'al-
tro. Conciossiacchè nel i64*> cioè sul fare del ven-
tunesimo anno, vestiva in Roma l'abito delle scuole
pie: e dopo avere date non dubbie prove di vocazio-
Elogio del Phnnazza 261
ne non falsata, nel 1642 agli otto di settembre si
giurava religioso con solenne professione. E qui dop-
pia è la prova che io ho del suo sapere e del suo
buon zelo: perocché fu subitamente posto a profes-
sare rettorica nelle più frequenti case dell'ordine, e
fu sempre in corrispondenza di lettere col santo fon-
datore , a modo che ne parola , ne atto facesse , se
prima dal suo padre non aveva consiglio o comando.
Ma in quella che il nostro Pennazza si dava a tutt'
uomo ad ammaestrare la gioventù, cosa che in que'
tempi era più che mai difficile per lo mal gusto che
aveva depravato le scuole e le menti italiane , e si
affaticava a fronteggiare i deliri del secolo suo con
sani precetti e con esempli sicuri , eccoti piombare
sull'ordine tale fortuna che ad un punto lo abbattè,
e poco è che io non dica lo annientò. Conciosiac-
chè per male arti di pessimi uomini , i quali sotto
maschera di pii ascondevano la più nera perfìdia, in-
dettato il pontefice Innocenzo X un breve del 17
marzo 1646 abolì l'ordine , e lo ridusse a semplice
congregazione senza voti. Quindi altri sedotti pas-
sare a vestire la persona di altre lane, non dico can-
giar ordine, poiché a colai uomini non è ordine pro-
prio, ma tutti sono indifferenti del pari: quindi al-
tri più vigliacchi ancora disertare dalle insegne , e
nella stessa fuga imbizzarrire : quindi tolta ogni au-
torità agli stessi rimasti in congregazione, ed assog-
gettati alla podestà de' vescovi , e 1' una casa disso-
ciata dall'altra : quindi distrutte le leggi dettate dallo
spirito di Dio per bocca del Calasanzio, ed abban-
donato l'arbitrio del dettarne di nuove agli slessi av-
versari dell'ordine. In tanto sconvolgimento di cose,
in tanto forluneggiare, il Pennazza fissò gli occhi al
362 Letteratura
santo suo padre: e lui veggeiulo intrepido in mezzo
le furie della fortuna , senza cedere o abbandonarsi
dell'animo , ricordevole del giuramento solenne che
aveva fatto a Dio di vivere tutta la vita nell'ordine,
si governava continuamente secondo le norme che gli
venivano dal Caiasanzio. Ma perchè il dolce aere na-
tivo , e V amore de1 suoi lo stimolassero a prendere
stanza per sempre in patria , ove erasi portato per
malattia e per assistere i genitori, e a sciogliersi, che
il poteva, da ogni pensiero di rientrare all' ordine ,
pure egli non volle né promettere a' suoi, ne con-
cedere cosa alcuna a se stesso, se prima dalla voce
del padre suo non avesse conforto di buon consiglio.
Abbiamo una lettei-a di lui segnata da Pesaro il 2g
marzo del 1646, cioè dodici giorni dopo la pubbli-
cazione del breve di abolizione dell' ordine , diretta
al santo padre Giuseppe, la quale dice così : « I miei
« parenti desiderano che io resti per sempre in casa:
« aderirò a ciò, ogni qualvolta vostra paternità mi fa-
n rà certo che la religione non sia più per riaversi:
« ma quando mi dirà che la religione non sarà di-
ce strutta, io non farò altra risoluzione; e starò aspet-
« tando in Pesaro grata risposta, p Alle quale pro-
posta il santo rispondeva, e profetando senza velo di
profezia, ma con chiarezza di scolpite parole: « V,
« R. stia di buon animo, e non creda alle cose che
« scrivessero alcuni appassionati , e tenga per certo
« che resterà in piedi l'istituto. » E quindi in altra:
« Né si dia a credere che la religione nostra, sehbe-
« ne ora pare distrutta ad istanza di chi Dio sa, non
« debba più risorgere; ma bensì più che mai ampliar-
« si coll'aiuto del Signore: e penso non dobba pas-
« sar molto. » Alle quali parole restò così rassicu-
Elogio del Pennazza 263
rato dell'animo il padre Pennazza, che gli rispondeva:
« La lettera di vostra paternità mi ha fatto maggior-
« mente assodare nella mia vocazione non senza di-
« sgusto de'miei, che accecati dogli interessi monda-
te ni volevano che lasciassi la religione. Le do par-
ti te che questi signori pesaresi desiderano il nostro
« istituto, e mi dicono che vogliono che in tutti i
« modi ci venghiamo. » E questo è vero: ed io ag-
giungerò di più , che pochi anni dappoi che fu re-
stituita la religione delle scuole pie , il comune di
Pesaro entrò più volte a proporre que'padri per l'e-
ducazione e l'istruzione della gioventù: e trovo che
una persona pia esibiva un assegnamento perchè si
fondasse un collegio , e il consiglio municipale de-
cretava che si cedesse a que'padri l'emolumento usa-
to darsi per la pubblica istruzione , e così con 42
voti favorevoli il 25 ottobre del 1692 accettava quei
religiosi; i quali però non vennero, né so io il per-
chè; se non vogliam credere, come io son di pensa-
re, che essendosi essi stabiliti con più agio nella vi-
cina città d'Urbino, ed apertovi un collegio, fin dal
suo nascere rinomatissimo , cessassero il pensiero di
stendersi anche a Pesaro. Alla qual cosa mi condu-
ce 1' aver trovato proposto negli atti consigliari del
1697, cioè cinque anni dopo l'atto con che si ac-
cettavano gli scolopi, che a spese pubbliche si man-
tenessero due giovani pesaresi nel collegio di Urbi-
no, i quali in fatto vi furono posti. Queste cose, co-
me ognun vede, confermano ad evidenza che il Pen-
nazza scriveva il vero, quando scriveva che l'istitu-
to del Calasanzio era desiderato in questa nobilissi-
ma città: né il Bonada s'ingannava nell'asserire che
Pesaro faceva istanze per ottenere i padri delle scuo-
a64 Letteratura
le pie. E se non era che quell'ordine ebbe a soste-
nere dieci anni di dura persecuzione, anzi a lottare
apertamente per la propria esistenza, il Pennazza a-
vrebbe veduto nella propria palria aver sede i figliuo-
li del Calasanzio. Ma come non fu fallace nella sua
asserzione il religioso pesarese, cosi non fu nelle sue
promesse il santo istitutore; conciossiaccbè dopo una
lunga ed ostinata battaglia combattuta per l'una par-
te con tutte l'armi più ree della calunnia e della ipo-
crisia, per l'altra rintuzzata coll'umiltà più sincera,
e colla pazienza più esemplare , venne alla fine il
giorno del meritato trionfo : e il glorioso pontefice
Alessandro VII nel dì 24 gennaio del iò56 reinte-
grava e ripristinava l'ordine del Calasanzio. Era sta-
ta maraviglia il vedere le prime corone d'Europa in-
terpoli presso il pontefice per l'ordine del Calasan-
zio, dal quale avevano avuto tanto prò nei loro rea-
mi : ma fu maraviglia maggiore il vedere, in meno
che non dà volta un secolo, quella religione non so-
lo tornare in fiore qual prima, ma sì avanzare d'as-
sai ; conciossiacchè si giungessero a noverare nell'Eu-
ropa stabilite ed aperte all'istruzione ducento quat-
tordici case delle scuole pie. Della qual cosa non è
a prendere maraviglia alcuna : perocché non può a
meno che non prosperi, e non si distenda largamente
nel mondo un istituto che tanto ritrae dalle norme
evangeliche e dallo spirito della religione cattolica ;
e si mantiene saldo ne' suoi principii colle arti della
vera pietà e della sana filosofia, lnfatto di quest'or-
dine vedemmo uscir uomini per santità illustri, e del
pari per dottrina celebrati : e tutti li vedemmo in
ogni tempo accesi in quella carità cristiana che è soc-
correvole e pietosa agli infelici. Starà sempre in e-
Elogio del Pennazza 265
sempio ed in ammirazione de' posteri quella pagina,
nella quale il Calasanzio insegnava che i primi of-
fici si denno alla virtù sventurata. Desideroso che tra
i suoi fiorissero i buoni studi, egli scrisse al superio-
re della casa, che in Firenze fioriva fino dal i63o:
« Si dessero de'suoi quanti volesse al Galilei: se per
« caso dimandasse che per qualche notte restasse là
« il padre Settimii, glielo permetta: e Dio voglia che
« ne sappia cavare il profitto che doveria. » Quindi
poi ne venne che la sapienza del Galilei parve tra-
sfondersi ne'padri delle scuole pie : e l'Italia ebbe a
noverare con sua gloria fra i discepoli di quel som-
mo italiano i padri Angelo Sesti, Clemente Settimii,
Francesco Michelini, successore al Galilei stesso nel-
la cattedra di Pisa, uomini chiarissimi e non ignoti
a chi pur da lungi abbia venerato il sacrario della
filosofia. La quale serie di grandi savi non fu mai
interrotta, e potrei qui segnare il nome de' Corsini,
de'Beccaria, dei Fontana, dei Canovai, dei Del Ric-
co, filosofi, fisici, astronomi , matematici sommi , se
non mi piacesse rendermi , che è tempo , al nostro
pesarese. Il quale tosto che ebbe, che l'ordine suo era
di nuovo approvato dal sommo pontefice, volò di Pe-
saro a Roma: e come che vi lasciasse vecchi i geni-
tori, pure in lui la forza della vocazione prevalse a
quella del sangue. Io credo che al suo primo rien-
trare all'ordine corresse col cuore sulle labbra, e co-
gli occhi pieni eli lacrime al sepolcro del santo suo
padre, ed ivi abbandonatosi della persona ne baciasse
la pietra, e a lui e a Dio ringraziasse delle avvera-
te predizioni. Ma poco ebbe a rimanersi in Roma:
conciossiacche piacque eh' egli andasse a professare
lettere nella casa di Napoli, ove certamente dovette far
266 Letteratura
prova del suo sapere. Sebbene il campo maggiore
della sua gloria doveva essere Roma, e principalmen-
te il collegio nazareno. Infatti la sperimentata sua
virtù congiunta a sapere e dottrina grande per ogni
tempo , per lo tempo in cui egli visse grandissima
in fatto di belle lettere ( perocché le erano guaste
e corrotte ), gli offerse stanza in quel collegio sul fa-
re del 1657; e piacque a' superiori dargli incarico di
prefetto degli studi. Ivi egli si pose a tutto potere
alla educazione di quegli alunni: e conoscendo che
prima radice d'ogni sapere è la schietta pietà, fondò
la congregazione laure tana , la quale sveglierebbe e
terrebbe viva ne' teneri petti la devozione alla gran
Madre di Dio; e quindi fondò un'accademia che dis-
se degli incolti, e cui assegnò per impresa un giar-
dino per l'una parte fiorente, per l'altra ancora im-
boschito, con questo motto in culti prosperàbun-
tur. Il quale presagio al certo non andò a voto, per-
chè di quella uscirono ( per tacere di molti ) e l'Al-
garotti, e il Paradisi, e il celebrato Labindo, ed uno
de'più fecondi poeti dell'età nostra Angelo M. Ricci:
e quindi in tanta fama venne, che fu aggregata con ti-
tolo di colonia nel 1741 all'arcadia romana. E ben
si appose il nostro Pennazza: perocché quelle acca-
demie, che agli occhi de'mondani non offrono utilità
alcuna, se bene e sottilmente si guardi giovano assai
all'istruzione de'giovinetti : e sono come la prima are-
na in cui essi discendono a provarsi : talché se rie-
sca che aura di lode gli inanimi, o gara di studio ed
emulazione li punga ai fianchi, o censura ragionevo-
le li metta al punto di far meglio, essi alla fine esco-
no di quel puerile aringo maturi di forze, o per lo
meno si bene atteggiati da porgere di se grandi spe-
Elogio del Pennazza 267
ranze, e poi mantenerle. Per la qual cosa io vorrei,
o signori, che voi imitando questo illustre concitta-
dino, ogni pensiero vi deste perchè non venga meno
alla gioventù nostra cotanto utile palestra. Per que-
sta forma il Pennazza giovò di buon conforto le let-
tere languenti e semivive; e precorse di molti anni
l'istituzione , e le prime non ignobili e non inutili
fatiche degli arcadi, i quali a ciò stesso miravano di
sanare l'infetta letteratura, e di cessare le matte stra-
nezze de' poeti fi).
E buon aiutatore sì nell' opera dell' accademia
e sì in quella dell'istruzione il nostro pesarese trovò
nel dotto ed indefesso padre Camillo Scasellati d'Ur-
bino, uomo di molte lettere e di trascelta dottrina,
e per que'tempi più presto maraviglioso che sommo:
il quale in uso delle scuole pie aveva dettato isti-
tuzioni grammaticali, epistolari, oratorie e poetiche,
attinte alla buona vena degli antichi, ed esposte in
latina favella sempre nitida, e dirò pure trascelta nella
parte dell'eleganza, quantunque non così egualmente
sicure in quella dello stile. Ed olirà ciò scrisse di
buone orazioni e poesie latine, le quali avvegnaché
nei concetti sentano un pò del l'affinato, nulladimeno
non putono di stravaganza, come le più di quel tem-
po, ed in fatto di lingua ritraggono dall'antico. Que-
ste una colle istituzioni avendo il Pennazza provate
acconce a formare la mente e lo stile ne' giovani,
volle pubblicate; e fattosene egli stesso editore, man-
dò innanzi alle medesime alcune brevi prefazioni as-
(i) L'arcadia fu fondata il 5 ottobre 1690, e l'accademia de-
gli incolli nel i65S, cioè trentadue anni prima.
268 LETTERATURA
sai ingegnose in fatto di elocuzione e di stile, se pe-
rò ad alcuno non potesse parere che in quest'ultima
parte non sapessero al tutto di quella semplicità che
è il più efficace carattere degli scrittori del secolo di
Augusto. Da queste però è facile a giudicare ch'egli
era retore, e sentiva molto innanzi nelle cose della
lingua latina ; perlocchè niuno gli contenderà mai
d'essere stato abilissimo uomo di lettere, e non igno-
bile scrittore : tutti gli concederanno titolo di risto-
ratore del gusto : perchè, quanto era da lui, adoperò
a migliorarlo.
Considerando le quali cose non è maraviglia ve-
dere com'egli salisse ai primi gradi nella sua religio-
ne, e come ognuno l'avesse in grande stima ed opi-
nione. Che la virtù si fa sempre strada agli onori, e
perchè invidia o basse passioni le stiano incontro ,
ella si leva gloriosa , e quasi a trionfo sulla nebbia
delle umane perversità. Il nostro Pennazza nel i65g
fu fatto procuratore generale dell'ordine: incarico al-
tissimo e nobilissimo, al quale si richiede somma co-
noscenza delle cose, avvenga che colui, il quale vie-
ne a questo onore, debba porre mano agli affari di
tutta quanta la religione, e trattarne presso le sacre
congregazioni ed innanzi a' tribunali ; ne altra som-
missione abbia, che al preposito generale. Poscia nel
i665 fu eletto assistente generale della provincia ro-
mana, senza cessare dall'incarico di procuratore : ed
è a sapere, che per tutta la religione quattro soli so-
no gli assistenti, i quali presieduti dal preposito ge-
nerale hanno il reggimento di tutte le cose dell'or-
dine ; nelle quali cariche il Pennazza si mostrò qua-
le ciascuno sperava, anzi 1' aspettazione stessa seppe
d'assai superare. Ma sopra tutti gli uffici dati al no-
Elogio del Pennazza 269
stro pesarese, a me piace quello che gli fu posto a
mano quando l'ordine, anzi Roma, l'Italia, il mondo,
cominciarono a chiedere che il venerabile Giuseppe
Calasanzio fosse elevato all'onor degli altari. Conve-
niva scegliere persona matura di senno , ragguarde-
vole per dignità, degna di un ordine insigne, d'una
causa nobilissima. A cotanto onore fu sortito il no-
stro Pennazza : era ben a ragione, che egli, il quale
era stato sì preso alle virtù di quel grande, e n'ave-
va in se molta parte ritratto, fosse eletto postulato-
re della causa di lui, e primo desse le mosse, e di-
rei quasi appianasse la via alla sua beatificazione. Non
so quali cose egli facesse, ne come in ciò si adope-
rasse : ne la brevità che mi è imposta patirebbe che
io me ne andassi in lunghe indagini : ben so che vi
riuscì a sua somma lode, e nel 1669 ^u presente in
s. Pantaleo alla giuridica ricognizion del cadavere del
venerabile Giuseppe. E qui vorrei avere forza di stile
e colori di favella efficaci a descrivere quale era il
cuore del pio religioso al vedersi dinanzi dopo tanti
anni intatta, e poco è che non dica viva, la spoglia
mortale del suo padre, anzi più che padre ed ami-
co ! Ma perchè diffido di me, e il dir poco più che
il tacere mi dorrebbe, lascio a voi immaginare i di-
versi affetti che in quel punto/ si fecero a combatte-
re quella l'eligiosa anima. Ben fu avventurato in que-
sto il Pennazza; e avventuratissimo sarebbe stato se
avesse potuto raccogliere appieno il frutto delle sue
fatiche, e venerare sugli altari il suo santo istituto-
re. Ma passato di questa vita il glorioso pontefice
Alessandro VII il 22 di maggio del 1667, la causa
della beatificazione del Calasanzio, come che solleci-
tata da tutta la cristianità e da tutte le corone d'Eu-
270 Letteratu ra
ropa, per alcun tempo intiepidì ; e per nove interi
pontificati, cioè per lo spazio di ottantuno anni , o
non se ne parlò, o poco si fece, perchè era riservato
all' immortale Benedetto XIV spedire il breve della
beatificazione il f di agosto del 1748. Perlocchè il
Pennazza non potè egli avere tanta consolazione di
vedere quel desiderato decreto ; e né manco quello,
con che Benedetto XIII asseverava le virtù del Ca-
lasanzio essere chiare e paragonate in grado eroico;
conciossiacchè ancoi'a fiorente degli anni, che non an-
davano oltre i cinquantacinque, gli venne oltre la vi-
ta. E vano che io mi fermi a narrare la pia e reli-
giosa sua morte : poiché uomo vivuto integramente e
santamente per tutta l'età sua, non poteva non sug-
gellare l'ultimo atto della sua vita con tutte le cri-
stiane virtù. Né manco mi fermerò a descrivere il
pianto del collegio nazareno, ov'egli morì: né il do-
lore di tutto quanto l'ordine che si vide privato di
un personaggio, il quale sino all' ultimo aveva dato
buona mano alla religione negli uffici onorevoli, che
solo per morte in lui cessarono : ognuno sei può ve-
dere di per se, considerando che i buoni lasciano sem-
pre desiderio , e non manchevole memoria. Per me
basti il recarvi innanzi l'elogio, ch'egli ebbe meritato
al suo nome, elogio giustissimo , e per puro amore
di verità a lui fatto dall'istorico delle scuole pie, pa-
dre Rodolfo Brasavola; e questo vi tenga fede di quan-
to fin qui vi ho esposto. « Il Pennazza ( dice egli )
« fu zelantissimo del nostro istituto, e pose ogni ope-
« ra, ogni pensiero per avanzarlo, e tutte le sue fa-
« tiche vi spese. » Nella quale brevità se voi ponete
mente, troverete il compendio di quante lodi si pos-
sono dare ad uom religioso. Delle quali lodi senza
Elogio del Pennazza 271
dubbio una parte è dovuta a questa nobilissima città;
che dando i natali al Pennazza , diede a se lustro ,
all'ordine delle scuole pie conforto e sostegno, e in
esse aiutò l'italiana civiltà. Conciossiaccbè io non te-
ma errare affermando, che di queste scuole gran prò
venne ad ogni maniera di studi : e che i costumi ,
i quali l'avanzar degli studi secondano , ne trassero
non lieve incremento. Laonde mentre io congratulo
con voi, concittadini del Pennazza, lui pongo ad e-
sempio di questa gioventù studiosa ; avventurata se
saprà imitarlo nel sapere, felicissima se dalla pietà di
lui saprà fare a se specchio e ritratto !
Del ben tradurre Orazio, articolo III ed ultimo.
( Vedi i precedenti articoli nel tomo 84 a pag.
335; e nel tomo 85 a pag. 273 e segg. )
xmppartengono al nostro 6ecolo, come osserva il Gam-
ba diligentissimo nella serie de'tesli di lingua, i vol-
garizzamenti della poetica di Orazio del Cesari, del
Vincenzi , del Massucco , del Solari e di altri. Ma
levossi in grido singolarmente la versione del Gargal-
lo : della quale tacere sembrar potrebbe per mia par-
te una quasi irriverenza. Ne dirò, come so e posso:
ed i savi e discreti uomini mi perdoneranno se tro-
vandosi in Orazio i pregi di filosofo e di poeta, pre-
gi che il nostro secolo ama congiunti secondo natu-
ra, io non poeta ma amante delle lettere e della fi-
losofia mi attento uscir fuori con osservazioni, le nua-
171 Letteratura
li dimanderebbero il senno dell'acuto Vannetti. Io pef
mia parte ripeto, che non mi arrogo alcuna autorità;
io non pongo altro che qualche dubbio al tribunale
de'ma estri dell'arte. E dopo avere innanzi toccato de-
gli altri poemi del venoaino, non avrei potuto sen*
za taccia d' idiota o d' inerte passare inosservato il
codice del buon gusto: che tale ad una voce è det-
to e tenuto il poemetto dell'arte poetica, che ha for-
ma di epistola ai Pisoni, e in un disordine apparen-
te insegna e insegnei'à l'ordine a tutto il mondo, Fin-'
che terran V usato corso i cieli. Quell'apparente di-
sordine , che non può dispiacere se già non volessi
condannare quella beltà, di cui il poeta cantava: Le
negligenze sue sono artificii: fu motivo a molti,
ed all' avvocato Petrini singolarmente, di scomporre
l'epistola ai Pisoni e ricomporla in altro ordine: ciò
che lodarono lo stesso Metastasio, che l'avea per egli
tradotta, ed i letterati di Pisa ( 1778, toni. ag,art.
4), e lo stesso Voltaire, che dal castello di Ferney
così scriveva a'25 settembre 1777 : « Ho sempre cre-
« duto che l'arte poetica di Orazio era come Roma
« tutta scompigliata dai barbari: e per questa ragione
« io teneva il Boileau superiore a Fiacco, perchè più
« regolare. - Oggi preferisco l'autore dell'arte in ter-
« ze rime : havete latto ciò che hanno eseguito i pon-
« tefici, avete riedificato Roma ec. » Anche il p. Soa*
ve, il quale non lasciò nil intentatimi nelle lettere ,
si argomentò di riordinare la poetica; ma per quanto
sia da valutarsi autorità di traduttori ed interpreti, io
avrò sempre per dappiù quella de'codici ; anzi di Ora-
zio stesso, che ci diede l'arte in apparenza senz' arte.
Ha fatto bene il Gargallo di lasciarla tale quale, senza
por le mani dove non vanno poste. Quanto alla fa-
DEL BEN TRADURRE ORAZIO 2y3
mosa versione di lui, seguirò l'edizione di Pesaro
( stamperia Nobili 1839 in 16 per cura del prof.
Montanari ). Quanto al testo, seguirò l'edizione di
Padova ( tipi del seminario 1739 per cura e studio
dell'egregio Francesco Dorighelli ) non senza con-
sultare anche le edizioni di Napoli del i8i5 con ver-
sione di Eramanuele Viggiano, e del 1822 di Claudio
Arezzo; giacche ci trovo appunto sul testo alcune in-
gegnose osservazioni di quello squisito giudizio di Do*
menico Martuscelli. E perchè suole ingenerar noia in,
alcuni la critica, oomechè ragionevole, fingerò un dia-
logo tra quel maestro dell'arte, che fu Francesco
Maria Zanotti, ed un amico del vero e del bello ,
che chiamerò Filotimo. Questo modo di botte e rispo-
ste con alcuna festività rallegrerà alcun poco il freddo
tema.
Filotimo. Che è, maestro, questo bel codice del
buon gusto, che dite arte poetica di Fiacco ?
Z annotti. Una pistola ai Pisoni, padre e figli ,
nobili romani: i quali, Pompilio sangue, tenevano
dall'origine l'amore alle cose di belle lettere, sempre
unite in antico alla vera filosofia. Degno sodalizio !
FU, Perchè dite in antico ? Non è egli sempre
i da aversi, che fiori e frutti siano di una pianta mede-
sima, e che di questa sia una la radice ? E il bello
non è egli anche vero, e il bello e il vero non sono
I ordine ? e l'ordine nelle parti non ha specchio la na-
tura, di cui è propria la concordia di tutte cose se-
condo l'ordine eterno, di cui immagine benché smorta
si è questo universo che noi ammiriamo? E se è cosi,
perchè la concordia, il sodalizio di lettere e di arti
belle colla filosofia, fu in antico, e non al presente ?
Zan. Chi ha voce e mano s'immagina facilmente
G.A.T.LXXXVII. 18
274 Letteratura
di loccare all'eccellenza delie lettere e delle arti senza
il soccorso della filosofia : e i più superando ad onta
del precetto del poeta, che disse: Seguita i pocìii e
non la volgar gente : vuoisi essere letterato ed arti-
sta senza filosofia, cioè senza senno e senza mente. Da
ciò i capricci del Marini e dell'Adulimi nella poesia,
e quelli del Bernini e del Borromini nelle arti figura-
tive : da ciò quella turba di cantafavole e di svenevo-
li da fare compassione. Certamente Virgilio ed Ora*
zio e Petrarca furono prima filosofi, eminentemente
filosofi, e poi volarono poetando. E filosofo fu Leonar-
do da Vinci, filosofo Palladio, filosofo Michelangelo:
e perchè tali, colsero i due primi nella pittura, nell'
architettura i primi onori; l'ultimo nelle tre arti fi-
gurative tenne del divino. E con perpetua vicenda si
videro lettere ed arti salire all'apogeo di loro felici-
tà, poi precipitare e tornar quindi in cima ; secon-
do che ebbero compagna o no la vera filosofia. E ben
disse il venosino dell' eloquenza ;
« Scribendi recte sapere est et principium et fons,
a Rem tibi socraticae poterunt ostendere chartae :
« Verbaque provisam rem non invita sequentur.
FU. Lasciatemi, di grazia, tradurre così :
« Del ben compor fonte e principio è '1 senno.
« Te le carte socratiche potranno
« D'idee fornir, e la concetta idea
« Ubbidienti seguiran le voci,
Zan. Non è veramente il senno', ma il sapere, cioè
la scienza, qua! fonte e principio del bene scrivere:
DEL BEN TRADURRE ORAZIO 2^5
rem, (lice Orazio, e iam ripelc poco dopo , e pare
intender debbasi il soggetto. Se vuoi idee, convernati
dire poi similmente più appresso le idee, e non Videa.
Ma seguitiamo :
« Qui didicit, patriae quid debeat, et quid amicis:
« Quo sit amore parens, quo frater amandus et hospes;
« Quod sit conscripti, quod iudicis officium: quae
« Partes in bellum missi ducis : ille profecto
« Reddere personae scit convenientia cuique.
FU. Ecco la versione ;
« Uom che imparò quel che alla patria debba,
« Quel che agli amici : con amor diverso
« Come '1 padre, il fratel, l'ospite s'ami ,
« Qual sia del senator, quale il dovere
« Del giudicante, quai d'un duce in guerra
« Sieno le parti : affé questi a ciascuno
« Render saprà ciò ohe a ciascun conviensi,
Zan. Proseguite, rendendo il testo che dice egregia-
mente ;
« Respicere exemplar vitae, morumque iubebo
<< Doctum imitatorem, et vivas bine ducere voces.
FU. Ecco la versione bella e lampante :
a II dotto imitator vo che contempli
« L'esemplar de'costumi e della vita,
u E quindi tragga le animale voci,
276 Letteratura
Zan. Ma nota tanto Orazio la virtù dell'ordine, che
noi male faremmo se per gustare alcun che della poe-
tica non ci facessimo da prinoipio, laddove appuntò
col fingere pittura in disordine ne innamora vieppiù
dell'ordine :
« Humano capiti cervicem pictor equinam
« Iungere si velit, et varias inducere plurnas,
« Undique collatis membris; ut turpiter atrura.
« Desinat in piscem mulier formosa superne ;
« Speclatum adinissi risum teneatis, amici ?
FU. E si può render così :
« Cavallina cervice a testa umana
« Pittor se appicar voglia, e quindi a membri
« D'ogni spezie accozzali innestar piume
« D'ogni color, talché di vaga donna
« Stremisi '1 capo d'atro pesce in coda
« Deformemente : a simil mostra ammessi
« Potreste, amici, contener la risa ?
Zan. Parmi avreste potuto rendere 1' equinam
del testo colla simile parola usata dall'Ariosto e da
qualche antico : equina. Mi suona meglio che ca-
vallina : e parmi ancora che quel mulier formosa
superne desinat in piscem non sia reso a pennello
col di vaga donna stremisi 'Z capo d1 atro pesce
in coda. Mulier non è solamente capo, e il desi-
nat non è solo coda. Ma le versioni a un bell'in-
circa sono come fiori dipinti a petto ai veri.
FU. Come gemma in anello, sembra a me ca-
da qui la osservazione di Domenico Martuscelli in
DEL BEN TRADURRE ORAZIO 277
quanto sl\Y amici ; che dai più si tiene per vocativo
e riferentesi ai Pisoni, ai quali è indiritta l'epistola:
ed invece il Martuscelli la intende per modo ditti-
co come dicesse : etiamsi essetis amici pictoris. Le
sue ragioni sono: i.° che nel verso susseguente Ora-
zio nomina a dirittura Pisones al vocativo, e sareb-
be un duplicar vocativi senza necessità : 2.0 troppa
familiarità non può credersi avesse Orazio coi nobili
Pisoni, che altrove chiama sangue reale, Pompilius
sanguis; onde non è presumibile li chiami così alla
libera, ed alla prima col nome di amici senz' altro.
E propone di tradurre così :
a Ammessi a riguardar sìmil pittura
« Il riso tratterreste, ancorché amici
« Voi del pittore ? O miei Pisoni ec.
Questa opinione ha contro il voto di diciotto secoli,
in cui commentatori e traduttori ( e spero ancora
quelli che verranno poi ) hanno tenuto e dato V ami-
ci vocativo. Nò abbastanza sembrano le ragioni al-
legate per persuaderne contro tanta autorità ; molto
più poi che la prima ragione è smentita da tutta P
epistola, in cui il poeta mostra tanta confidenza coi
Pisoni : e la seconda non vale , perchè parlando in
confidenza, non è fuori di luogo ripetere Pisones do-
po aver detto amici un verso innanzi. Ma io vi di-
vento un ciarlone, e tacerò tanto quanto ho parlato.
FU. Mai no, mai no : voi siete savio, e le pa-
role de'savi non sono mai troppe ! Quanto a me, le
vostre sono quasi aura di aprile ai fiori del prato ,
che destansi e quasi gioiscono, gestiunt, per dirlo con
M. Tullio !
278 Letteratura
Zan. Davvero che mi fareste insuperbire, se noli
sapessi che amore move le vostre parole, siccome il
cuore ! Io deggio sempre avere in mira la mia po-
chezza : ne senza perchè credere aver detto a tutti
il venosino :
« Sumite materiam, vestris, qui scribitis, aeqilam
« Viribus, et versate diu quid ferre recusent,
« Quid valeant numeri. Cui lecta potenter erit res,
« Non facundia deserit hunc, nec lucidus ordo !
E qui lasciate, di grazia, che io entri nelle lodi del-
l'ordine con quell'amico dell'ordine, quale si fu a ma-
raviglia il nostro Fiacco.
a Ordinis haec virtus erit et venus, aut ego fallor,
« Ut iam nunc dicat iam nunc debentia dici,
« Pleraque differat, et praesens in tempus omittat:
« Hoc amet, hoc spernat promissi carminis auctor.
l?il. Non vi dispiaccia la versione :
« Egual scegliete a'vostri omeri soma
« Voi, ch'opra a scriver date; e qual soverchia,
« Qual tollerabil sia, con lunga prova
« Intendete a librar; non lìa che manchi
« Lucid'ordin d'idee, copia di voci
a A chi pari al poter scelga argomento.
« De l'ordine (p m'inganno) ecco in che poggia
« Il bello e '1 buon: autor d'esteso carme
« Ciò che dire or si dee, pur or ei dica ;
« Più cose storni, ed or per ora ommctta :
« Questa cara gli sia, quella odiosa.
DEL BEN TRADURRE ORAZIO 279
Zan. Appena appena io sento Orazio ! Egli è
quasi come mirare un parelio a fronte del sole ve-
ro e vivo, l'osservare codesta versione ! Vequam del
latino parmi corrispondere al nostro proporzionata,
meglio che aN eguale della versione: così aWequitas
corrisponderebbe meglio proporzianalità , propor-
zione, che eguaglianza. Bellissimo il concetto ora-
ziano : Ordinis haec virtus erit et venus, bellissi-
ma l'espressione ! Ma quanto perde il concetto, quan-
to l'espressione se dite volgarizzando: De V ordine....
ecco in che poggia il bello e '/ buon ! Dico ciò
che mi sento, e parole non ci appulcro. Voi mi scu-
serete. Voleste che io dicessi, e dico schietto : Aut
ego fallor, suggiungerò bensì, e con più ragione che
Orazio al luogo notato !
FU. Se qui fosse il coro, come sulle scene, lo-
derebbe a cielo la vostra modestia ; ma io , che vi
ascolto, vi loderò facendo le parti e di uditore e di
coro altresì. E giacche siamo qui, piacevi ritocchia-
mo questo tasto ?
Zan. Tanto nCe bel, quanto a te piace , ri-
sponderovvi coli' Alighieri : ed ecco i versi :
« Actoris partes chorus officili mque virile
« Defendat, neu quid medios intercinat actus,
« Quod non proposito conducat, et haereat apte.
« Ille bonis faveatque, et concilietur amice,
« Et regat iratos, et amet peccare timentcs:
« Ille dapes laudet mensae brevis, ille salubrem
« Iustitiam, legesque, et apertis otia portis :
« Ille tegat commissa, deosque precetur et oret,
« Ut redeat miseris, abeat fortuna superbis.
a8o Letteratura
FU. « D'attor le parti ed i virili uffici
« Sostenga il coro, ne fra un atto e l'altro
« Canto frapponga, che non ben consuoni,
« Né combacisi adatto al fin proposto.
« Di favor di benevoli consigli
« Sia largo a'buoni; i furibondi attempri;
« L'orgoglio ami ammansir; frugali mense,
« Salubri leggi e la giustizia esalti,
« E in aperta magion gli ozi securi.
« Arcan commesso ei celi, e preghi e implori
« Da' numi che fortuna amica rieda
« Agl'infelici, ed a'superbi avversa.
Zan. L' apertis otta portis allude alle porte
del tempio di Giano, che in tempo di pace tenevansi
aperte dai romani, e non è reso bene con quel verso
« E in aperta magion gli ozi securi.
E il prego tanto bello e giusto in latino :
« Ut redeat miseris, abeat fortuna superbis:
non è reso a pennello nel volgare :
« . che fortuna amica rieda
« Agl'infelici, ed ai superbi avversa.
Il redeat va bene col rieda', significando che la for-
tuna, cangiatasi di lieta in avversa, torni, rieda, ami-
ca agl'infelici. Non va bene il dire torni, rieda, av-
versa ai superbi; dovendo piuttosto dire venga av-
DEL BEN TRADURRE ORAZIO 28 1
versa di lieta die fu ai superbi, o si converta in ne-
mica, avversa, ai medesimi.
FU. E che dite , se leggasi nel testo et amet
pacare tumentes, col Martuscelli meglio che colla
comune peccare limentes ?
Zan. Intendo meglio la gradazione : il coro fa-
vorisca i buoni, faveat bonis: consigli gli amici, con-
silietur amicis ( questa lezione preferirei): regga gli
irati, regat iratos: calmi gli orgogliosi tumultuanti,
amet pacare tumentes. E mi ricorda che Sofocle
nel Filottete fa pietoso il coro a quel re di virtù e
potenza lodato, che non più tra gli agi della corte,
ma viveasi allora misero in una grotta : e fa che ag-
giunga voti, affinchè Ulisse e Neottolemo prestingli
aiuto a risorgere. E nell'Elettra fa il coro consiglia-
re all' afflitta di sommessamente dolersi per non ir-
ritare Clitennestra ed Egisto, tanto nemici alla me-
moria del tradito Agamennone. Ed Euripide nell'Ip-
polito dà al coro di mitigare l'ira di Teseo pregan-
te Nettuno a mandare un mostro marino contro il
figliuolo Ippolito. E tutto mi porta ad ammettere la
nuova lezione tumentes in luogo di timentes , ad
onta de'codici bisognosi di essere posti allo specchio
del bello e del vero , come avvisò la fatica di quel
gran critico che fu Scali gero. Donar vuoisi ali' au-
torità de'manoscrilti ; ma più alla ragione : cui non
può essere che mancasse giammai il poeta filosofo.
Se non che parmi che voce esca, oltre la yostra, a
dirmi col Menzini :
« Oh chi se'tu
« Chi se'tu che di luce in tutto privo
« Altrui vuoi far di luminosa guida ?
282 Letteratura
FU. Non temete siffatto rimprovero. Quest'au-
torità di menare diritto altrui per ogni calle delle
lettere, vi dà non pure la vostra età e il vostro sen-
no ; ma quello studio che poneste sulla poetica del
gran maestro di color che sanno, e l'uso che ave-
te di ben comporre. E sentendo così innanzi nelle
cose della bellezza, sareste non pure scortese; ma inet-
to, se niegaste del lume vostro fare partecipi gli spi-
riti del bel paese, che da voi aspettano conforto, sic-
come i fiori chinati e chiusi dal notturno gelo.
Ma poiché in me ponete amore sopra gli altri ( di
che vi so grado e grazia senza fine, e con altrettan-
to amore vi corrispondo ), lasciate che io senta da voi
ripetermi quegli aurei versi di Orazio , dove audaci
chiama coloro che schiccherano versi senza favilla poe-
tica, e consiglia a chi vuol provarsi al nobile cimen-
to di slare a'consigli di savi amici.
Zan. Che posso io niegarvi, cuor del mio cuo-
re ! Eccovi i versi che richiedete :
« Ludere qui nescit, campestribus abstinet armis;
« Indoctusque pilae discive trochive quiescit,
« Ne spissae risum tollant impune coronae.
« Qui nescit, versus tamen audet fingere. Quid ni?
« Liber et ingenuus, praesertim census equestrem
« Summam nummorum, vitioque remotus ab omni.
FU. « Chi di giostre non sa, del marzio campo
« L'arme non tocca; chi mai palla o disco
a O paleo non trattò, stassi 'n disparte;
« Onde non faccia l'accerchiata folla
« Impunemente alto scrosciar le risa.
« Versi osa far chi pur non sa. Chi '1 vieta ?
DEL BEN TRADURRE ORAZIO 283
« Libero ingenuo e, quel eli' è più, d'equestre
« Censo è fornito, e d'ogni taccia scevro.
Zan. Egregiamente ! Ma seguitiamo, e sia à vo-
stra istruzione e mia , o carissimo ; affinchè non ci
poniamo a far cosa mai invita Minerva , e ciò che
facciamo sia per noi dato a giudicare a chi sa e può
giudicarne; ne ci esca così presto dallo scrigno.
Tu nihil invita dices faciesve Minerva :
Id tibi iudicium est, ea mens. Si quid tamen olirà
Scripseris, in Meti descendat iudicis aures,
Et patris et nostras, nonumque prematur in annum.
Membranis intus positis. Delere licebit
Quod non edideris : nescit vox missa reverti.
Fil. Sentite la traduzione; poiché la vostra bon-
tà è come il mare, inesauribile !
« Tu di Minerva ad onta oserai nulla
« Dir, ne oprare; e cosi giudichi e pensi,
« Che a scriver mai se alcuna cosa imprendi
« Talor, di Mecio giudice a l'orecchio
« La sottoponi, ed al paterno e al nostro;
« E per nov'anni a maturar la lascia
o Ne'custoditi fogli. Egli è permesso
« Ciò cancellar, che agli occhi altrui celavi ;
« Lanciato strai più non ritorna in cocca.
Zan. Questo tratto in principio non mi pare
tanto felice nella versione, quanto lo è nell'ultimo:
dove anzi che rendere
284 Letteratura
« Parola detta mai non si ritira,
vi è piaciuto discostarvi dicendo con vivacità senza
dubbio :
« Lanciato strai più non ritorna in cocca.
E la metafora è bella, e quadra bene, e può subito
essere inlesa, e con diletto. Ma quali siano le parli
di un vero censore udiamo da Orazio !
« Quintilio si quid recitares : corrige, sodes,
« Hoc aiebat et hoc : melius te posse negares,
« Bis terque expertum frustra : delere iubebat
« Et male tornatos incudi reddere versus.
« Si defendere delictum, quam vertere, malles,
« Nullum ultra verbum, aut operam insumebat ina-
nem ;
« Quin sine rivali teque et tua solus amares.
Che se io leggessi qui in vece di quin, crede-
rei forse non meritare la frusta da'pedanti, sostituen-
do innanzi il pronome quasi dicesse : Nullum ver-
bum aut operam amplius insumebat prò te, qui
AMAres ec. Ma il vero si rimanga in sella , e voi
ite innanzi liberamente !
JFil.a A recitar se andavi
« Tuoi versi a Varo : Emenda un pò ( dicea )
« Questo e quell'altro. Io non so far di meglio;
:cffi « Due volte e tre mi son provato indarno.
« Dunque cancella e i mal torniti versi
i
DEL BEL TRADURRE ORAZIO 285
« Di nuovo ( gl'imponea ) batti coll'incude.
« Se poi volevi, di mutar invece,
« Scusar l'errore; opra e parole invano
« Più non spendea, perchè a tua voglia amassi
a Tuoi parti e te, senza rivai, tu solo.
Zan. Ma seguitiamo: che un fido censore è co-
me un amico, e ben disse Tullio : Amicus certus
in re incerta cernitur. Va bene che tu mi accarezzi
nel porlo ; ma meglio poi che mi salvi nella burra-
sca !
« Vir bonus ac prudens versus reprehendet inertes,
« Culpabit duros, incomptis adlinet atrum
« Transverso calamo signum, ambitiosa recidet
« Ornamenta, parum claris lucem dare coget,
« Arguet ambigue dictum, mu landa notabit :
« Fiet Aristarcbus : non dicet: Cur ego amicum
« Offendam in nugis ? Hae nugae seria ducent
« In mala derisum semel exceptumque sinistre,
FU. « Uom saggio e onesto i dilombati versi
« Condanna; i duri non risparmia; i rozzi
« Sgorbia ad un frego trasversai di penna;
« Sfronda '1 fogliame; a rischiarar ti sforza
« I sensi alquanto oscuri; ambigui detti
« Non lascia inavvertiti; altri, cui vuoisi
« Novel contorno, d'indicar non lascia :
« Né fia che volto in Aristarco ei dica:
« Percìiè V amico amareggiar per ciance ?
« Ciance son queste, che a ben tristi punti
« Riducon chi una volta a farsi giunse
« Zimbello al riso, e fu fra scherni accolto.
286 Letteratura
Io leggerei parimi claros lucem dare coget;
anziché claris al dativo: e la ragione salta agli oc-
chi. Seguiterei poi a leggere F'iet Aristarchus non
dicet ; perchè al modo che traducendo voi leggete
non mi talenta. Parmi leggiate : Fiet Ari 'star •chus;
non dicet ; così non solo variate la punteggiatura ,
ma del nec fate non : piccole mutazioni ; ma tali
che cambiano il senso. Intendo Orazio che dice: Il
fido censore sì farà un Aristarco, non sarà un a-
dulatore che dica fra se: Disgusterò io V amico
per siffatte inezie ? E così corre la lezione comu-
ne, la vostra non mi garba; se mai altra lezione vi
piacesse , che al tutto non voglio nemmen credere.
Andremo d' accordo tuttavia, se tradurrete a un di-
presso così :
« E volto in Aristarco, ei già non dica:
« Perchè l'amico amareggiar
Ma che voi vi turbate, mi fate il viso dell'anno?
FU. A dirvela, la versione non è già mia: ella
è una maraviglia piovutaci quasi manna dal ciclo !
Zan. Ed io l'ho approvata in più luoghi, e par-
mi felice dai tratti che mi avete recitati. Ma cosa
perfetta al mondo non si dà, e la manna non cade
più dal cielo, come sapete. Del resto lode si abbia
chi di lode è degno, e il traduttore qualsiasi sia con-
tento al voto de'savi; non cercando il mio, che non
vale se non tanto quanto un molle zeflìro alle alte
querele. Del resto io ringrazio voi, che mi abbiate pro-
curato il piacere di conoscere qualche cosa di una
nuova versione : e più vi ringrazierò, se tutta vorrete
darmela a leggere ; imperciocché come si conosce dal
DEL BEN TRADURRE ORAZIO 287
flore la pianta, così da'poclu tratti io ho potuto ar-
guire che debba essere, se non ottima, buona alme-
no tutta la versione. E basta: a rivederci !
Qui il dialogo si finì, e finisco anch'io di più te-
diarvi.
prof. D. Vaccolini.
Sasrsri di traduzioni delle orazioni
di M. T. Cicerone nel secolo XIX.
"iffìcile troppo si è ben tradurre in volgar nostro
Cicerone quando levasi in forense grandiloquenza ;
più assai d'allora che si aggira modestamente in filo-
sofiche disquisizioni. Tutti gli uomini di senno ra-
gionano in modo presso che uguali , non tutti gli
oratori parlano a un modo; 1' intelletto capace di ra-
gione non si muta, perchè il vero è immutabile ; si
muta il cuore, troppo libero campo alle passioni, che
la faccia del bene mascherano, velano e mutano per
mille guise. Quindi il filosofo, che parla all'intelletto,
non seguirà un modo in Atene, un altro in Roma; non
uno sotto la repubblica, un altro sotto l'impero. Ma
l'oratore che parla anche al cuore, e principalmente
al cuore, altro parla in Atene ed altro in Roma, altro
sotto la repubblica, ed altro sotto l'impero. Dee mo-
vere le volontà di molti: e per muoverle dee a quelle
piegarsi egli slesso, per poi piegarle egli stesso con ar-
te, che sembri natura. La lingua filosofica e quasi uni-
s88 Letteratura
versale, la lingua ilei popolo è diversa pe'diversi popo-
li; anzi pei popoli stessi in mutate condizioni di reg-
gimento, di passioni, di fortune, di studi. Cicerone,
che seppe essere stretto e calzante nelt'esporre dogmi
di filosofìa, usò per conformarsi al popolo ed alla cu-
ria del suo tempo tanta larghezza, che a noi italiani
in tanta diffusione di lumi pare per poco soverchia.
Il Poerio oggidì parla da filosofo meglio che da orato-
re, e convince e persuade, senza quell'apparato di qua-
si vaniloquenza, che nella stessa orazione di Milono
tradotta dal Bonfadio si manifesta. A che quella lun-
ga difesa poggiata sul falso ? Od almeno sopra un
equivoco : Fé cerimi id servi Milonis neque
imperante, neque sciente, neque pr aesente domino,
quod suos quisque servos in tali re facere voluis-
set. Falso era quel neque imperante, neque sciente,
e falso appariva dal processo: equivoco era quel quod
suos quisque servos in tali re facere voluisset.
Ognuno vorrebbe esser difeso dai servi con freno d'in-
colpata tutela, niuno di sana mente potrebbe volere
ciò che la natura non dà, perseguitare il nemico che
fugge, incalzarlo nel suo ripostiglio, trucidarlo, e per
mano de'servi farsi d'assalito assalitore, di assassinato
farsi assassino. Fu dannato Milone, e dovette man-
giare i pesci a Marsiglia, non pel timore, da cui so-
praffatto fu M. Tullio nel recitare l'orazione; ma per-
chè il sangue di Clodio gridava vendetta in faccia agli
uomini ed agli dei. Certamente dinanzi all'Areopago
in Atene Cicerone non avrebbe abusato la pazienza
de'giudici con tante e sì studiate parole : e volendo
pure difendere una causa non buona ( che al dire di
Ovidio fassi peggiore patrocinandola) non avrebbe tra-
dito o mascherato la verità nella esposizione del fatto,
Orazioni di M. T. Cicerone 289
non avrebbe tratto tanto in lungo l'apologia per non
istancare tutte le orecchie, per non indignare tutti
gli amici col manifesto orpello dell1 eloquenza : ed è
orpello mai sempre, quando ancora ha bella scorza, e
manca assai la sostanza, che è la ragione, la verità.
Ma io veggo molti farmi il viso dell'arme, i quali
giudicano M. Tullio più dalle lodi di Catullo, che dai
biasimi di Tacito o Quintiliano che siasi. Lo giudicano
dalla opinione ereditata dai padri: e tolgono al tempo,
che danna o assolve gli uomini e più gli scrittori, di
decidere imparzialmente. Non si creda però, che non
si possa scusarlo attribuendo al suo secolo quella dif-
fusione meglio asiatica che romana, e l'essere in cor-
rotta città fractum et elumbem.
Comecché siasi ( che non mi arrogo di senten-
ziare) non manco io stesso di porre gli occhi sulle carte
di Cicerone, e lodo che altri le faccia leggibili a tutti
nella nobile lingua italiana. E lasciando i passa ti vol-
garizzatori , ornai giudicati dalla nazione , porrò ad
esame la traduzione data da quel chiaro spirito di
Romagna, che fu Gaspare Gar atoni ( M. Tidlii Ci-
ceronis, Oratio prò T. Annio Milone cum adno-
tationibus et versione italica. Bononiae CIO ' IO •
CCC . XVII. ex typ. franceschia ad signum co-
lumbae in 8. ) : non che la traduzione dell'Orazio-
ne a favore di A. Licinio Archia data dalV avv.
Luigi Borsari ( che sento aver traslatate tutte le
scelte ) e leggesi nel voi. I del Solerte , giornale
letterario dell'Emilia , e bibliografia dello stato
pontificio ) nuova serie ( Bologna, coi tipi delle
muse 1841 a pag. 32 e segg. ). Comincio dalla MU
loniana.
Al cap. 9 fxssa l'oratore lo stato della queslio-
G.A.T.LXXXYIL 19
290 Letteratura
ne. <( Rimane ( egli dice ), che voi non dobbiate, a
« giudici, altra cosa cercare se non quest'una, quale
« de'due sia stato l'insidiatore. Ed acciocché questo
« possiate meglio per argomento comprendere, il fatto
« io vi narrerò brevemente: voi ascoltatemi, ve ne
« prego, con diligente attenzione. — Publio Clodio
« avendo determinato di straziare la repubblica nella
« sua pretura con quante scelleragini per lui si po-
« tesse , e vedendo che per la dilazione de' comizi
« nell'anno avanti pochi mesi di quella gli sarebbon
« rimasi ; siccome quegli che non al grado dell'ono-
« re riguardava, come gli altri fanno, ma e non vo-
« leva aver collega Lucio Paolo, cittadino di virtù sin-
« golare, e voleva intero un anno per lacerar la re-
« pubblica; d'improvviso si ritrasse dall'anno suo, e
« nel prossimo si gittò, non, come si fa, per alcun
v religioso rispetto, ma per procacciare, secondo eh'
« egli stesso diceva, al suo magistrato, cioè alla di-r
« struzione della repubblica, anno pieno e compiuto.
«v Occorrevagli all'animo, che mozza sarebbe la sua
« pretura ed infralita, se Milon fosse console: e lui
« per 1' appunto vedeva per sommo consentimento
« del popolo romano salire al consolato .... Anda-
ti va egli puhblicamente dicendo, che rapire a Mi-
ci Ione il consolato non si poteva, la vita potevasi.
« Questo significò sovente in senato, in parlamento
« manifestò. Disse ancora più avanti ; poiché a Fa-
ci vonio, uom valentissimo, domandategli con quale
K speranza vinto Milone infuriasse, rispose, che fra
« tre o al più quattro giorni sarebbe morto : e di
« presente Favonio a Marco Catone il ridisse. In
ci questo , sapendo Clodio ( che agevol cosa era il
« saperlo ) dover Milone il di tredicesimo avanti le
Orazioni di M. T. Cicerone 291
« calende di febbraio andare a Lanuvio , per ivi
« nominare il flamine ; che a lui , siccome dittato-
ci re del luogo, andata era solenne, legittima, neces-
« saria ; il giorno innanzi partì egli stesso improv-
« visamente di Roma, per porre insidie a Milone ,
« come per lo fatto s'intese, in sulla fronte di un
« suo podere. E partì egli, lasciando mancare l'esca
« del suo furore ad una mal animata raunanza, che
« si tenne quel dì medesimo : la quale non avreb-
« be trascurata giammai, se non fosse stato sollecito
« di trovarsi al luogo ed al tempo di quella impre-
« sa. Milone il dì seguente stette in senato insino
« al oongedo, indi a casa tornò: vestito e calzari mu-
ti tò: alquanto ancora, finché la sua donna si accon-»
« eia, come accade, si soffermò : partì finalmente a
« cotal ora , che se Clodio era per venire a Roma
« quel giorno, avrebbe già potuto esservi giunto. Gli
« si fa incontro Clodio tutto leggiero a cavallo, sen^
« za cocchio, senza impaccio veruno , senza i suoi
« soliti compagni, e, ciò che quasi mai usato non era,
« senza la moglie: mentre questo insidiatore, che quel
« viaggio ad uccisione aveva disposto , veniva colla
« moglie in cocchio, involto con mantello, con inu
« pacci dimolti, con grande, con delicato, con don-
« nesco accompagnamento di paggi e di fantesche.
« Scontrossi egli in Clodio dinanzi al detto podere
« all'ora undecima o in quel torno. Subitamente dal-
« l'alto dimolti armati gli fanno impeto sopra : quei
« che gli eran dicontro, uccidono il cocchiere : egli
« gitta indietro il mantello e sbalza dal cocchio. E
« mentre gagliardamente si difendeva, quelli che ol-
« tre con Clodio erano andati, tratte le spade, parte
<i si rivolgono verso il cocchio per assalir Milone alle
292 Letteratura
« spalle, parte credendolo già morto , cominciano a
« battere i servi di lui che dietro venivano, Fra i
« quali servi coloro che coraggioso animo avevano»
« o fedele al padrone, altri ci lasciarono la vita, al-
ci tri vedendo presso al cocchio combattere, e vieta-
ci to il recare al signor loro soccorso ; anzi udendo
« ch'egli era ucciso, e udendolo da Clodio stesso e
« credendolo : questi servi di Milone ( io noi dico
« per discarico , ma come fu veramente ) non per
« comando di lui, non lui consapevole e non pre-
ti sente, fecero quello che ciascuno in simil caso vo-
ci luto avrebbe fatto dai servi suoi.
« II. Queste cose, come io le vi ho raccontate,
« cosi, o giudici, avvennero appunto : 1' insidiatore
« fu superato, dalla forza fu vinta la forza, o plut-
ei tosto fu dal valore oppressa l'audacia. »
Non istarò a notare con occhio di pedante la
versione del Garatoni ( del quale non so chi più in-
nanzi o meglio vedesse nelle orazioni il M. Tullio
al nostro tempo ) : non dirò che le tronche parole
sarebbon, Milon, e forse anche agevol, cotal non
le ama troppo la lingua nostra, meno poi in una ma-
gnifica orazione : non dirò che dimolti per molti è
addiettivo del dialetto bolognese ; poiché si potrebbe
soggiungere qualche esempio del Segneri : non dirò
nemmeno , che in qualche tratto ( rare volte però )
amerebbesi più fedeltà nelle minime cose ancora, di-
co nell'ordine lucidissimo delle stesse più piccole par-
ti di un periodo: altrove mi piacerebbe più accomo-
data la versione all'indole della lingua nostra, non
amante di trasposizioni; onde, a cagion d'esempio, io
vorrei reso il principio del §. 1 1 come segue: « L'in-
u sidiatore fu superato, la forza fu vinta dalla forza,
Orazioni di M. T. Cicerone 293
(( o piuttosto l'audacia fu oppressa dal valore. » Del
resto un senso di quiete e di contentezza ti si de-
sta e dura nell'anima al leggere la versione del Ga-
ratoni, ed è prova che è riuscito a maraviglia ; aven-
do osservato all'incontro in tutte le altre che n' ab-
biamo, fosse pur quella del Bonfadio, non avvenire
così. E non so come il Gamba diligentissimo nella
Serie dei testi di lingua italiana, almeno nella pe-
nultima edizione, dico in quella di Venezia 1828 ,
non facesse motto del Garatoni frai volgarizzatori più
celebri di Cicerone : egli, che me tanto lungi da quel
famoso volle pur nominare al §. 884 e g45 per va-
rie annotazioni critiche, che ebbi occasione d'inseri-
ìe in questo reputato giornale dell'anno 1825, sopra
alcuni volgarizzamenti del buon secolo della lingua ,
appunto di Cicerone. Ma più fa specie, che avendo
scritto del Garatoni e lo Strocchi nell'elegantissimo
comentario latino riprodotto in Faenza con caratteri
bodoniani, tipografia Montanari e Marcolini nel i83o,
e qualche altro dopo di lui, fra i quali quello squisi-
to giudizio di Filippo Mordani, insigne nostro colla-
boratore, nelle vite de'ravegnani ( Ravenna tip. Ro-
veri ); non che tra le biografie di romagnuoli ( Forlì
i835 ): e l'instancabile G. M. Bozoli nella biografia
degl'italiani (Venezia i834, V(n- *•> a Pag- 4^2 ) :
niuno di essi abbia notato espressamente, che la ora-
zione di Cicerone a favore di Milone, con note e con
volgarizzamento del Garatoni ( il quale morì agl'idi di
febbraio del 18 17 ), era già in pronto e riveduta per
la stampa, anzi approvata dai censori, fino dal 7 dicem-
bre 18 16, e uscì in Bologna del 1817 senza alcuna
nota, che indicasse di essere postuma. Que'che hanno
scritto del Garatoni, que'che lo hanno avvicinato, que'
2g4 Letteratura
che hanno a cuore le lettere e i letterati della colta
nostra Romagna, prego che vogliano por l'animo a scio-
gliere il dubbio natomi, che la edizione della milonia-
na uscisse, vivo il Garatoni. Io non amo che il vero:
e quanto amo il vero deggio amare che la vita de'chia-
ri nostri scrittori sia studiata appunto nello specchio
del nudo vero. Del resto quale che siasi il giudizio dei
savi e buoni su questo punto della edizione della mi-
loniana, come nel resto : io, che mi conosco da nulla,
mi acquieterò agevolmente nella prudente loro sen-
tenza. Mi si perdoni questa lunga dicerìa, che non
bisognava: né io l'avrei posta qui se lo stesso studio
della verità non mi si apponesse a colpa da taluno,
che ama se meglio che l'onore delle lettere e il santo
vero.
Vengo ora all'orazione di Cicerone a favore di
jérchiaì volgarizzata dal eh. avv. Luigi Borsari. Ec-
cone l'esordio. Farò andare di conserva le poche mie
osservazioni tratto tratto che mi nasceranno; volendo
innanzi essere scusato dall'illustre volgarizzatore, che
io stimo tanto da farlo giudice delle mie stesse osser-
vazioni; le quali accolte da lui, che è cima di lettera-
to, mi parrà acquistare quel peso, che da me non
ponno in alcun modo aspettarsi. I savi che leggeranno
pongansi sott'occhio il testo latino pe' necessari con-
fronti : io mi valgo della edizione di Milano della so-
cietà de' classici, e precisamente dell'antologia latina
per la classe di umanità superiore ( Milano 1818, a
pag. 69 e segg. ), che è nelle mani di lutti : questo ri-
guardo mi ha indotto a sceglierla di preferenza, cer-
to d'altronde della correzione trattandosi di un libro
fatto per le scuole e stampato con molta cura. Ma
perchè trattasi di ben giudicare, e ben giudicare non
Orazioni di M. T. Cicerone 2g5
si può senza richiamare l'argomento dell'orazione: mi
si permetta ricordare qui, che A. Licinio Archia poe-
ta, antiocheno di origine, venne a Roma l'anno della
fondata città 648, e dagli eracleesi fu donato della cit-
tadinanza in grazia di Lucullo : ebbe altresì la citta-
dinanza di Roma in virtù della legge plauzia papi-
ria l'anno 661. Ma passati 28 anni, un certo Gracco
mosse lite ad Archia sulla cittadinanza, facendosi for-
te, come è da creder e, sulla legge papia : Ne quis pe-
regrinus prò cive se gereret, cura civis non esset.
Cicerone assunse la difesa del maestro, e provò Ar-
chia essere cittadino in virtù delle leggi, e meritare
di essere fatto cittadino, se ancora non lo fosse. Ma
ecco l'esordio, secondo la versione dell'avv. Borsari.
« Se punto è in me d'ingegno , o giudici , che io
« ben so quanto sia scarso; o alcun'arte di favella-
« re, di cui per verità ho molt'uso; e se alcun che
« io vi possa, mercè di quelle lettere e di que'studi,
« che io sempre amai : di tutte queste cose , quali
« esse siano , devesi giuslamente il primo frutto ad
« Archia. » Si qua exercitatio dicendi, in qua me
non inficior mediocriter esse versatum: il traduttore
dice ( ommesso il se ) alcun! arte di favellare, di
cui per verità ho molt'uso. Io, subordinatamente a
migliore giudizio, dubiterei se arte rispondesse ad e-
xercitatio', l'esercizio fa l'arte, è un mezzo all'arte;
ma non è l'arte : e qui la modestia di Cicerone di-
ce esercizio, non dice arte. Ancora dubiterei se di
favellare rispondesse a coppella al dicendi; l'arie del
dire, del bel dire, è definita la rettorica; l'arte à\ fa-
vellare è piuttosto la grammatica. Tutti parlano, tutti
favellano , non tutti sono eloquenti : e qui di elo-
quenza intende M. Tullio. Ma questo passi; ciò che,
2qG Letteratura
non panni assolutamente da passare si è il dire di
cui per verità ho molfuso: dove è qui la modestia,
dove è il non inficior , dove il mediocriter ? E
quando volessi sofisticare, chiederei un corrispondente
più accomodato al latino vel in primis , ed all' al-
tro a me repetere : chiederei il periodo più sostenu-
to alla fine nella versione : e se si cercasse eleganza,
invece di cominciare col se punto è in me l'ingegno,
direi se fiore è in me d'ingegno. Ma non è da guar-
dare tanto alla vernice, quando la forma e la mate-
ria è lodevole. Ora è da seguitare, lasciando altri nei,
se vi fossero, ad occhio più perspicace.
« Perciocché quanto può il mio pensiero riguar-
« dar nel passato, e rivelare la memoria de'miei più
« teneri anni, io veggio costui essermi stato maestro
« e autore ; perchè io volgessi e ponessi l'animo in
« quegli studi. » Manca nel volgare il corrisponden-
te al latino inde usque repetens : ne l' evidenza del
principali et ad suscipiendam et ad ingredien-
dam rationem horum studiorum trovo nel volgare :
volgare è porre l'animo a qualche studio ( meglio che
in qualche studio ): non basta, trattasi dell'eloquenza,
che vuole non pur l'animo, ma e il cuore e la lingua
e tutto l'uomo : e Cicerone a tutt' uomo erasi dato
appunto all'eloquenza, come pare accenni modesta-
mente sì, ma chiaramente in questo luogo ; anche per
ciò che dice dopo.
« Che se questa voce informata dall'esortazione
« e da'precetti di lui valse al soccorso di alcuni, egli
« è solenne mio debito giovare, per quanto è da me,
« e recar salute a colui dal qual ebbi di poter giova-
ci re e salvar gli altri. » Non approverei in italiano la
frase informata dalV esortazione e da' precetti : e
Orazioni di M. T. Cicerone 297
confermata dice il latino , non informata : sem-
pre il verbo formare ; ma altrimenti modificato dalle
prepositive in e con. Debemus , dice il latino, e
quantum est sitam in nobis : il plurale in luogo del
singolare, non senza perchè, usa Cicerone; lo veggano
i savi, e primo di tutti il eh. volgarizzatore.
a Ma come troppo in noi è diversa la ragione
a dell'arte e l'ingegno, altri del mio dire non maravi-
« gli. Ne io pure ho dato a questo unico studio ogni
« mia cura; imperocché tutte insieme le umane arti
« stringe, direi quasi, e congiunge un comun vinco-
« lo di parentela. »
Qui per non riuscire infinito, mi limito a deside-
rare più fedeltà nella versione ; quella fedeltà, di cui
cominciando dal 1825 ho toccato più volte, esami-
nando in queste carte volgarizzamenti i più celebrati.
Non credo ripetere il già detto, a'eortesi che leggono
volentieri il giornale arcadico: e sanno gli avvisi del
soavissimo e giudiziosissimo Perticari, e di quell' altro
onore di Romagna, che fu Paolo Costa, in quanto a
elocuzione.
« Ma perchè strano non paia, che in civil pia-
ci to e in pubblico giudizio, innanzi a pretore elettis-
« simo e severissimi giudici, e nel convento di sì gran
« moltitudine, io prenda una favella lontana del tut-
ti to dalle consuetudini e dai modi forensi: io vi chieg-
« gio una grazia, o giudici, che, mentre si addice alla
« qualità del mio cliente, a voi, spero, non sarà gra-
« ve il concedere. All'oratore che parla per un poe-
ti ta sommo, per un dottissimo, presenti tanti uomini
« di lettere, ove tanta è la gentilezza vostra e la ec-
« cellenza di questo preside, concedete di spaziare
« più libero alquanto per le ragioni delle lettere e
398 LETTERATURA
« degli studi. E permettete che difendendo colui, che
« nel beato ozio di essi studi non conobbe i pericoli
« de'giudizi, io usi favella a questi luoghi, può dirsi^
« insolita ed inaudita. Che se di tanta grazia mi sa-*
« rete cortesi, io farò di mostrarvi: che non solamene
« te questo Licinio, che è cittadino, non vuole sce*
« verarsi dal ruolo de'cittadini; ma ascriversi dovreb-
« be, se non lo fosse. »
Quel tanto consenta hominum ac frequentici ,
non piacerà a tutti reso così nel convento di sì gran
moltitudine; perchè convento non è oggi parola che
significhi concorso , frequenza di persone : convento
è convento^ e la religione se ne è appropriata l'uso,
come si sa. Non piacerà, che Yuti genere dicendi
sia reso col prenda una favella. Questa benedetta
favella ( l'ho di sopra in parte accennato ) è meglio
parola ( e viene dal fare de'latini), è lingua , me-
glio dico, che eloquenza. Così in Dante Inf. 2 :
« Con angelica voce in sua favella :
ed Inf 5:
« Fu imperatrice di molte favelle.
E Boccaccio , nov '. 427: <( La giovane udendo la^a-
vella latina. » E il Redi leti. 1, 18: « Metterò qui
la sua traduzione dàlia favella greca nella latina. »
Taccio altri esempi, bastandomi ragione addotta
e autorità, ed uso ancora, a concludere, che favella
meglio si usa a significare semplice parola o lingua,
di quello che eloquenza.
Ma io non voglio, né so essere quasi Aristarco;
Orazioni di M. T. Cicerone 299
per cui mi taccio* contento a dare quale si è il vol-
gare della perorazione. I savi giudicheranno, e il tra-
duttore vedrà se gli convenga donare le seconde e
le terze cure alla sua versione annunciata delle ora-
zioni scelte di M. Tullio; onde sia degna di lui e
del secolo in cui viviamo. Se i miei conforti voles-
sero appo lui, io vorrei di cuore confortarlo a non
lasciare fatica per darne uno squisito volgarizzamen-
to, che sino dai tempi di Fausto da Longiano, scrit-
tore Unto encomiato, ci aspettiamo con desiderio.
« Laonde, vostra mercè, o giudici, sia salvo que-
« st'uomo, di quella candida fede che vi attesta la
« lunga amicizia di tanti egregi, e di quell'ingegno
« che ognuno estima in chi i grandi ingegni in-
« memora (questi / troppo fanno cacofonia). Ecco
« sorge in favor suo il benefizio delle leggi, l'auto-
« rità di un municipio, il testimonio di Lucullo , i
« libri di Metello. Se valga adunque a sì gran cau-
<( sa la raccomandazione degli uomini e degl'iddii, fa-
« te, o giudici, io ve ne prego, che quell'onesto al~
« la fine nella vostra fede riposi, ne lo fiacchi il ri-
ti gor vostro, ma la vostra umanità lo conforti. Egli
« è colui che voi celebrava e i vostri capitani e le
« romane imprese, e prometteva d'illustrare con glo-
« riosa istoria i tristi casi, che di recente ci afflissero:
« egli è di coloro, che come cosa sacra furono appel-
li lati ed onorali presso ogni gente. Ond'io porlo spe-
« ranza, che le cose, le quali secondo mio stile con
« brevi e semplici parole vi esposi, saranno nel vostro
« senno approvate. E troverà grazia appresso voi tut-
« ta questa diceria, nella quale sono andato (#), di fo-
-
{") La stampa noti ha che sono ondulo, e forse dovrebbe
3oo Letteratura
« rensi consuetudini e di quell'egregio ingegno e de-
« gli studi di lui. Certo io ne sono da chi questo giù-
» dizio presiede. »
Queste ultime parole limpidissime nel testo po-
trebbero dar luogo ad equivoca interpretazione ? E un
mio dubbio ; ma e questo e ogni altro, che io taccio,
vedranno e sceglieranno ( lo replico ) i savi e i di-
screti, ed egli stesso il eh. volgarizzatore.
prof. D. Vaccolini.
aggiungersi dicendo o parlando; anzi senza forse, per corrispon-
dere al locutus sum del latino.
3oi
I
Epigrammi tradotti dal greco.
I.
CENA D'UN AVARO.
n vasellame Dissi adirato
D'argento solido Co'piatti fulgidi :
Risplendentissimo, Oh ! in piattel terreo
Cinna non posemi Bastevol fossemi
Altro che fame. Cibo recato !
II.
SUPERBO NELLA LIETA FORTUNA.
Copia grande di tesori
E di onori
Al mio Carmi intorno sta:
Ma nel suo novello stato
Ha obbl*iato
Ogni senso d'amistà.
Qual si fosse la sua storia,
Di memoria
Tuttaquanta gli uscì fuor.
Né la sorte, che giuocando
Va cambiando,
In lui mette alcun timor.
3oa Letteratura
Una volta mendicante
Venia innante
Supplicando colla man:
Or che siede a ricca mensa
Non dispensa
Né gli avanzi del suo pr.
La Fortuna, o Carmi, è lie
Forse in breve
Testimon sarai del ver.
Tutto cambia di presente :
Te pezzente
Torneremo a riveder.
III.
CONTRO UN PUGILATORE.
Per ben vent'anni
Il duro Ulisse
Tra mille affanni
Pei mari errò.
Giunto al suo tetto
In lui si affisse
Il cagnoletto,
E '1 ravvisò.
O Stratofonte,
Dopo quattr'ore,
Tai rechi impronte
Dal colpeggiar,
Epigrammi tradotti dal greco 3o3
Che i tuoi ne fanno
Alto stupore,
Ne te più sanno
Raffigurar.
Non dare orecchio
A'detti miei:
Fa' che lo specchio
Sia testimon.
Innanzi ad esso
Giurar tu dei :
Io quello stesso
Di pria non son.
IV.
IADRO CHE RUBA MERCURIO,
Aulo fra tenebre,
Per vie secrete,
Fatta sacrilega
Preda d'Ermete,
Che dell'arcadiche
Piagge è signor ;
Di lui che aligero
Figlio di Giove,
Posto è per vigile
Custode, dove
I forti addestransi
Meglio al valor;
3o4 Letteratura
Di lui che a tenere
Vacche si piace
Pur anco stendere
La man rapace;
Aulo tra '1 ridere
Picea così :
Che tra i discepoli
Non sia valore
Tale che superi
L'insegnatore,
No, più non dicasi
Da questo dì.
V.
CONTRO UN MEDICO.
Cinque infermi
Alessi il medico
Ad un'ora visitò:
Cinque n'unse
De1 suoi balsami,
Cinque a Dite ne inandò,
Un sepolcro,
Un sol becchino
Ebber tutti;
E giù per gl'inferi
Di conserto
Tutti presero
Il medesimo cammino.
Epigrambii tradotti dal greco 3o5
VI.
l'astrologo e il nocchiero.
Un nocchier venne tutto sollecito
A ricercare da Olimpo astrologo,
Se verso Rodi fuor di cimento
Spiegar potesse i bianchi lini al vento.
Cui l'indovino : Non troppo carico
Muova il tuo legno : sciogli dal margine
Quando le messi vedrai già bionde,
Né t'affidar di mezzo verno all'onde,
Ciò fermo : lieto potrai ben correre
Quell'ampio tratto di pian ceruleo,
Ed approdare senza periglio,
Purché i ladroni non ti dian di" piglio.
VII.
GRAN NASO.
Ermocrate del naso, se fai senno,
Non già '1 naso d'Ermocrate dirai:
Che le piccole cose non si denno
Alle maggiori attribuir giammai.
Vili.
VECCHIA AZZIMATA.
E crine e denti hai compero,
Hai compro e fuco e cera:
Il prezzo d'una maschera
Forse minor non era ?
G.A.T.LXXXVII. 20
3o6 Letteratura
IX.
BENI DELLA MORTE.
Perchè mai timidi
Morte vi fa ?
Sol per lei trovasi
Pace sincera:
In fuga volgesi
De'morbi pallidi
Per lei la schiera:
Ha per lei termine
La povertà.
La morte è unica,
Viene un sol di:
IN è più tormentaci
Dopo quel giorno,
Sì come sogliono
Le febbri squallide
E tante zacchere
Che fan ritorno
E ci dilaniano
Pur tuttodì.
Epigrammi tradotti dal greco 307
X.
MORTE SENZA LEGGE.
Ghiri and ette fiorite
Dà Nico vecchierella
All'urna di Melite
Intatta verginella,
La qnal meglio dovria,
Se men bizzarra fosse
La morte, a questa pia
"Vecchietta infiorar l'osse.
XI.
CANIZIE.
Al sapiente
Il crine candido
Aggio gne onor ;
Ma la canizie
Nuda di merito
Fa il vecchio stolido
Più stolto ancor,
É venerando
Ancor che tacito
Un vecchierel ;
Ma s'egli parli
Parole insipide,
Non altro restagli
Che degli anni la soma e il bianco pel.
3o8 Letteratura
XII.
BELTÀ1 FUGACE.
Questi fioretti, di mia mano or colti
Qua e là dove il pratel meglio ridea,
Ecco ti mando in un bel serto accolti,
O Rodoclea.
La viola e il narciso qui pompeggia,
Qui la rosa dispiega il suo vermiglio,
Col rugiadoso anemone biancheggia
L'intatto giglio.
Orna di questi il capo e quindi abbassa
Di tua fiorita etade l'alterezza ,
Dicendo: Come il fior, cosi trapassa
Mortai bellezza.
XIII.
GRAN NASO.
Comunque ch'ei si provi e ch'ei si faccia
Non vien mai dato a Proclo il naso tergere,
Se mezzo naso men lunghe ha le braccia.
Ne starnutando può le voci adergere :
Salva, o Giove; che l'udire è niente:
L'alto fracasso si va tutto a spergere
Pria che dal naso giunga ove si sente.
Epigrammi tradotti dai- greco 309
XIV.
TRE SORDI.
Gran lite infra due sordi un dì si mosse,
E un giudice fu dato alla quistione
Che più de'duo avea le orecchie grosse.
Trattosi il primo a dimandar ragione ,
Disse : Signor, costui pagar non vuole
De'miei goduti alberghi la pigione.
E l'altro : Ben puoi dir di queste fole :
Io mi stetti al molino in fin l'aurora.
Ed il giudice : A che tante parole ?
La vostra madre non è viva ancora ?
Mantenetela adunque : il non sapere
Sì giusta legge troppo indegno fora.
XV.
PRIAPO GUARDIA D'INCOLTA VIGNA.
Cotesta vigna, o mio bel Rufo, dove
Ponesti il dio Priapo alle vedette,
Contiene, a molto dir, non più di nove
O dieci viticelle languidette:
Tal che se viene a far le usate prove
Il ladro con sue arti maledette,
Mentre che il resto è fuor d'ogni periglio,
Forse al custode poria dar di piglio.
3io Letteratura
XVI.
A CERBERO D* ARCUILO CO.
Orribil Cerbero,
Ch'alto latrando,
L'ombre dell'Erebo
Vai spaventando,
Poniti in guardia
Contro la nera
Ombra che approssima
Alla riviera.
E morto Archiloco
Autor de'versi
Del più vipereo
Veneno aspersi.
Schermo qual siasi
Nulla ti vale,
Se col mortifero
Giambo t'assale.
Qual poter abbiasi
Coll'aspro accento,
Licambe facciane
Chiaro argomento.
A un dì medesimo
Di lui fé' carca
E delle figlie
La stigia barca.
EPIGRAMMI TRADOTTI DAL GRECO 3ll
XVII.
RINGRAZIAMENTO DI CENA.
Cinna cortese, che mi credi degno
D'avermi teco a nobile convito,
Più che assai ti ringrazio, ma non vegno,
Se mei consenti; che pel dolce invito
Vanno già le mie brame al loro segno,
Contento al molto onor, che m'è largito :
Dommi pasco così lieto alla mente,
Né grevezza di cibo il corpo sente.
XVIII.
morte d'Orfeo.
Della tua cetra al suon le antiche selve
Non moveransi più, né i massi grevi,
Né la famiglia delle crude belve;
Né potrai più arrestar, come solevi,
Le grandini sonore, il mare, i venti,
Né la caduta di fioccate nevi.
Veggo le muse all'urna tua dolenti
E Calliope tua madre da' bei lumi
Di lagrime versare ampi torrenti.
All'uom che gioverà che si consumi
Plorando i figli spenti, se alla prole
De'celesti non vai pianto di numi ?
3i2 Letteratura
XIX.
ARCO E FARETRA AD APOLLO.
Come s'avvisa Alcon che il dolce nato
Miseramente dalle spire orrende
Di gran serpe nel corpo era aggirato;
Senza punto indugiar l'arco protende,
Vibra di salda man punta mortale,
Che l'aspe fiero nelle fauci prende;
Né dal ferro il fanciul s'ebbe alcun male,
Ancor che si paresse in quel momento
Le belle membra rasentar lo strale.
Sull'elee or pone il gemino strumento,
Faretra ed arco, illustre di valore
Non men che di fortuna monumento.
XX.
PRIMIZIE DE* CAMPI A CERERE.
Picciol dono di picciol campicello
Un fastellin di spiche a te qui pone
Il tuo Sosicle, o Cerere; il più bello
Dell'estiva stagione.
Madre benigna, io vo'che mi conceda
Che, dopo aver la mano mia stancata.
Di nuovi doni apporlator io rieda
Colla falce spuntata.
Epigrammi tradotti dal greco 3 1 3
XXI.
API NEI ROSTRI.
Trionfale di guerra monumento
Rostri già fissi alle vaganti navi
Neil' aziaco naval combattimento,
Or d'api denso stuolo abbiam nei cavi,
E ferve l'opra lor sì che già pregni
Son de'più dolci e rugiadosi favi.
Cesare augusto, tu di pace i segni
Coll'arti della guerra in bell'accordo
Come giugner si ponno al mondo insegni.
XXII.
ENEA IN ITALIA.
Le parche nei destini avean fissalo
Del superbo Ilion l'orrenda clade,
Come il sangue regal fosse versato.
Ma il tuo navilio, Enea, ver le contrade
D'Ausonia intanto veleggiando muove,
E colà fia che la futura etade
T'onorerà qual tutelar suo Giove.
Felice Troia pur quando s'adima !
Se la città, che dee per ogni dove
Stender lo scettro, il capo indi sublima.
3i4 Letteratura
XXIII.
STATUA i>' ALESSANDRO.
Quanto dagli occhi sfolgora di luce,
O artefice preclaro, il tuo lavor !
Miro nel bronzo il gran peliaco duce
E sospeso mi tiene alto stupor !
A' persiani pavidi fuggenti
Ben io concedo un facile perdon :
Chi stupirà che fuggano gli armenti
Se d'improvviso appar fulvo lìon ?
XXIV.
CAPRETTA DIVORATA DAL LUPO.
Tirsi mio, che giova il pianto,
A che giova oguor di stille
Il sereno tutto quanto
Irrorar di tue pupille,
Se andò giù nell'Orco cupo
La vezzosa caprettina,
Se la cruda ugna del lupo
Si ghermì la poverina ?
Ora latrano i molossi:
Ma qual prò, se orribil pasto
N'è già fatto; e fin degli ossi
Né un minuzzolo è rimasto ?
Epigrammi tradotti dal greco 3 1 5
XXV.
CONTRA UN GRAMMATICO.
Cinegiro infelice e vivo e spento !
O il ferro micidial ti rende monco,
O le lingue ti dan sempre tormento.
Teste pugnando rimanesti cionco
Dell'una man, ed un grammatic'ora
Di netto l'un de'piè ti fece tronco.
Ab. Domenico Santucci.
— *»-^S>0<S§3-«=~
3i6
BELLE ARTI
Lettera sopra un antico paliotto, lavoro di cesel~
lo in argento del secolo XII, indritta al n. u.
sig. conte Francesco Carle schi membro della
congregazione di revisione in Roma, dal cav.
Giacomo avvocato Mancini di città di Castel-
lo, accademico etrusco della valle tiberina ec.
PREGIATISSIMO AMICO,
Città di Castello il dì 3 marzo i84i'
D,
acche io v'indrizzai quella qualunque siasi mia
memoria intorno alla vita ed alle opere di Raffael-
lino dal Colle, non ebbi più l'ardimento di distur-
barvi dalle vostre gravi ed assidue occupazioni. Mi
lusingo però che voi, sì passionato per le scienze ed
arti, non disdegnerete ch'io, quasi a vostro allevia-
mento, per poco ve ne distragga per parlarvi di due
ben utili opere , forse a voi note , le quali ad in-
defesso studio e premura del eh. signor Francesco
Gherardi Dragomanni di s. Sepolcro slannosi presen-
temente sotto i tipografici torchi. Nella prima di esse
Antico paliotto 317
si conterrà una generale biografia di tutti gli uomini
illustri, che a diverse età fiorirono nella nostra bella
ed amena valle tiberina : nell'altra avran luogo sto-
rie e cronache, ed allre si vetuste e sì moderne pro-
duzioni di simil genere da'medesimi utilmente scrit-
te. In quest'ultima verrà inserta un' inedita e dotta
memoria, che presso di me si serba, già scritta dal
eh. mio fratello canonico don Giulio, intorno alla vi-
ta e geste dell'augusto nostro concittadino, e massi-
mo pontefice papa Celestino II, eletto fregio ed alto
decoro di questa nostra patria. Nella medesima, co-
me si conveniva, egli fa grata ricordanza di un ma-
gnifico paliotto d'argento, lavoro di cesello, cui se-
condo un' antica ed invariabile patria tradizione il
laudato pontefice donò generoso a questa sua tifer-
nate canonica, ove tuttora gelosamente si custodisce.
Il sig. d'Agincourt, di cui ad altra occasione ci-
tai le precise parole ( Istruz. storie a-pittor . not. 1,
pag. 45 ), ragionando del medesimo, estima franca-
mente essere il più rispettabile monumento della
scuola greca nel secolo XII ( Suor, dell1 arte, toni.
Ili, pag. 179. Ediz. Giacch. ); e quindi ne fece
a corredo della sua storia il disegno incidere nella
tav. 22, num. i3. Non v'ha pertanto dubbio alcuno,
che questo antico monumento pregevolissimo non sia
per la storia delle arti sorelle; e come tale merita una
accurata illustrazione, eh' io, benché di deboli forze
fornito , oso qui intraprendere : nutrendo al tempo
stesso la più viva fiducia, che a voi sì caldo amato-
re ed accorto conoscitore non tanto delle vetuste ,
quanto delle moderne loro produzioni, sarà per avven-
tura graditissima ; e vieppiù perchè essa tutta s'ag-
gira intorno ad una sì bella patria antichità.
3i8 Belle Arti
Sebbene a voi, che tante volte contemplata l'a-
vrete, note in genere sieno le sue dimensioni; con-
tuttociò io con precisione vi dirò, che la medesima
ha quattro palmi e mezzo d'altezza e nove di lun-
ghezza. Dividesi il suo prospetto in tre riparti prin-
cipali, dove si veggono in mezzo rilievo espresse di-
verse saere rappresentazioni. Nel riparto di mezzo è
inserito un grand'ovato di sesto acuto, nel campo di
cui senza apoggiatori, o postergale, sta il Salvatore ada-
giato in un sedile, che viene sorretto da due sottili
colonnette di uniforme grossezza, poggianti nel suo-
lo con due zoccoletti in forma di capitello con foglia-
mi all'ingiù. Egli colla sinistra tiene un libro , che
dritto posa nel ginocchio, e che può credersi il li-
bro della vita nominalo nell'Apocalisse ( cap. 20 ,
nutrì* i5 ), da cui soleano togliere gli antichi fedeli
le religiose figure. Ha la destra avanti il petto, be-
nedicendo col solo indice e medio alzati. Questo mo-
do di organizzare le dita non è veramente d'uso la-
tino, né greco; e però il crederei una svista dell'ar-
tefice; ma egli lo ha ripetuto nella fuga in Egitto ,
di cui or farò parola. Forse credette, che alzandosi
tre dita per dinotare il mistero della Trinità bastas-
sero anche due in persona di Cristo, che essendo egli
stesso presente non avea bisogno di simboleggiarsi coli'
elevazione del terzo dito. Nell'adorazione de' magi pe-
rò in appresso vedremo ch'ei figura il bambino che
benedice all' uso latino col pollice , indice e medio
eretti. Ma tornando al Salvatore, egli posa in uno
sgabelletto i piedi, che senza idea di scorcio si pre-
sentano dritti in punta; e sono oltremodo piccoli più
che i cinesi: un diadema co'raggi a croce greca gli de-
cora il capo : l'attorniano dall'un lato il sole, dall'al-
tro la luna e varie stelle.
Antico paliotto 319
Nelle quattro lunette, che riquadrano lo sparti-
mento, sono espressi i quattro simboli degli evange-
listi, tutti alati. Nel libro che tiene il bue si scor-
gono un C appresso un A coll'asta orizzontale del
T posata nel suo vertice, e sotto un S. Forse egli
è il monogramma, che ricorda il nome dell' artefice
a chi l'indovina. Il riparto a destra è diviso in due
paralellogrammi, l'uno superiore, inferiore l'altro; ed
è pur così diviso quello della sinistra. Il superiore a
destra rappresenta tre fatti : un angelo che annuncia
il Verbo alla vergine posta sotto uno stretto taberna-
colo : indi la vergine stessa che visita s. Elisabetta :
le loro teste sono sormontate da due torrette strana-
mente terminate a sguscio. Segue la natività : la ver-
gine posa in uno stramazzo : indietro evvi una spe-
cie di culla , dove giace il bambino tutto fasciato :
sopra risplende una stella : il bue e l'asino statinosi
colle teste affacciati alla culla. In alto si vede l'aper-
to della campagna, dove in piccolo si rappresentano
due angeli, che manifestano il santo natale a due pa-
storelli, dietro i quali sbucan fuori tre teste di pe-
corelle : al di sotto della vergine sta scolpita in pic-
colo una donna sedente , che lava in una conca il
bambino ; e poco discosto siede un vecchietto. Es-
sendo quasi rappresentanza a parte, col bambino ri-
petuto , sembra che siano la vergine medesima e s.
Giuseppe. In ciò l'artefice è stato attaccato alla ve-
rità della storia più di colui, che fece la porta della
metropolitana di Benevento, il quale decorò l'azione
del natale con due donne serventi; errore giustamen-
te ripreso dal eh. monsig. Ciampani ( Vetera monu-
menta , tom. Ili, cap. 5, pag. 27 ). Non ignoro poi,
che alcuni eruditi uomini da me eaiandio sentiti pen-
320 Belle Arti
sano, che il rappresentare l'asino ed il bue nel pre-
sepio fosse introdotto da s. Francesco ; da che ne
verrebbe, che 1' età di sì fatto monumento non do-
vesse riportarsi all'epoca di Celestino II, anteriore di
oltre un secolo alla nuova costumanza. Dico però ,
che l'opinione di questi signori è combattuta forte-
mente dai fatti.
L'Arringhi nella sua Roma sotterranea ( lib. 3,
Cap. 42 ) ha pubblicato la figura del sarcofago gual-
diano, già nel portico della basilica liberiana; ed ivi
fra le altre cose si osserva nel mezzo il bambino in
culla coll'asinello ed il bue. Questo marmo era stato
trovato nelle ricerche che si fecero de'cimiteri e ca-
tacombe nel fine del i5oo , e perciò il suo lavo-
ro fu opera de'primi secoli della chiesa. Nella porta
di s. Paolo si vede il presepio, dove in disparte sta
giacente un bue. L'età di questo monumento è quella
di Alessandro II ( Ciamp., Vet. moti. toni. /, cap. 4,
pag. 3 7 ). In altra porta similmente di bronzo della
metropolitana di Benevento si rappresenta il s. na-
tale, dove il bambino non è sulla culla, ma dentro
una conca assistito da due donne, le quali attendono
a lavarlo; non ostante però affacciate alla culla vuo-
ta sono due figure, che monsignor Ciampini, per es-
sere mal' espresse , dice non aver potuto distinguere
se fossero il bue e l'asinelio ( Tom. Ili , cap. 5 ,
pag. 48). Detto prelato non ebbe che il disegno tras-
messogli dall' arcivescovo di Benevento ; ma si può
credere che fosse accurato; e che però quelle figure
siano effettivamente mal concie anche nell'originale.
Chi ne ha mezzo, potrà farvi più matura considera-
zione. Intanto sembra più probabile, che essendo il
bue chiaramente nella porta di s. Paolo, ed il bue
Antico paltotto 32 i
e l'asinelio nel sarcofago gualdìano, sieno anche nel-
la porta di Benevento le figure di quegli animali. E
che aveano di fatto a guardare due persone ripiegate
al di sopra di quella culla , dove non era l'oggetto
che dovea interessare? L'antichità di questo monu-
mento si riferisce dal medesimo monsig. Ciampini a
circa il iioo ( ivi, pag. 3j , 38 ). Sembra perciò
che l'opinione di ripetersi da s. Francesco l'uso di
collocare il bue e 1' asino nel presepio non abbia
fondamento.
Difatti s'egli è indubitato, cha l'opinione di es-
sersi trovati il bue e 1' asinelio nel presepio è ben
antica presso i cristiani; e s. Girolamo ad Eustochio
( Epist. 27 ), san Gregorio Nazianzeno ( Ovatto de
Christi nat. ), il Nisseno ( De Christi general. ) ,
Paolino a Severo ( Epist. n ), Cirillo ( Chathec.
12 ), Prudenzio ( In cath. die 8 ) , il Damasceno
( In car. de nat. Christi ), a sentimento del Baro-
nio, ne fanno la più chiara testimonianza ( Annali,
toni. I, introduzione num. Ili)', ed il Sandini chia-
ma sentenza dei peggiori critici quella in cui si vuo-
le , che tutti abbiano parlato in senso mistico anzi
che istorico ( Hist. fam. sac. De Christo domino,
cap. 1 ). E perchè dunque non avranno in secoli più
rozzi del XIII rappresentato questo fatto come il cre-
deano, avvenuto secondo la più letterale credenza dei
padri, che ne aveano parlato precedentemente ?
Seguendo la linea a sinistra, nell'alto del terzo
ripartimento si vede la vergine seduta in un taber-
nacolo col bambino. Un re in ginocchio gli fa l'of-
ferta; e due in piedi sono per farla : ciascuno ha un
bussolotto coperchiato, sul disegno delle lanterne, do^
ve sono i donativi : il bambino li benedice colle tre
G.A.T.LXXXVII. 21
32 2 BelI.eArTI
dita erette, pollice, indice e medio : in alto splende.
la stella. Dietro le figure occupa il prospetto in ul-
tima linea un muro a larghe pietre riquadrate con
torri terminate a sguscio; son forse le mura di Bet-
lemme. Termina il paralellogrammo la presentazio-
ne al tempio: la vergine dall'un lato presenta il bam-
bino : in mezzo avanti un tabernacolo sta il vecchio
Simeone, che dimentico di essere ebreo si sta lati-
namente vestito in piviale, sotto cui involte alza le
braccia per riceverlo : dall'altro lato un vecchio, for-
se s. Giuseppe , tiene le braccia ancor esso involte
nel pallio, ed alzate in atto di offerire due colombe.
Nell'estremo a destra sorge una colonna senza idea
alcuna di restremazione, scanellala sottilmente a chioc-
ciola : sulla sommità di essa s' affaccia una picciola
torretta : anche all'estremo delia sinistra s'innalza uno
sconcio fabbricato con torretta al di sopra.
Tornando a destra del paliotto, nella parte in-
feriore la vergine sull' asinelio va in Egitto : avanti
marcia san Giuseppe gravato di portare accavalciato
sulle spalle il bambino , forse per dare breve posa
alle braccia della vergine, che ha le mani composte
a preghiera verso Gesù ; e questi, volto colla faccia
indietro, la benedice col solo indice e medio eretti.
Vola al di sopra un angelo che addita la strada: que-
sto pensiere ha un movimento che si sente al cuo-
re. Appresso scorgesi la presa di Gesù nell'orto: Giu-
da lo abbraccia seguito da una diecina di sgherri ,
tre de' quali fanno fronte nel primo piano del pro-
spetto : degli altri posti indietro si veggono le teste
coperte di celata e barbuta : sono armati chi di lan-
cia, chi di alabarda e chi di asta forcata : un altro
Sgherro sta dietro Gesù afferrandolo , ed a tutte le
Antico paliolto 3a3
facce si è cercato dare una tinta di ferocia col te-
nere il forame della pupilla più largo, specialmente in
Giuda.
Passando al paralellogrammo di sinistra, evvi la
crocifissione : la croce presenta scritto nella sommità
Giesus : la lettera G gira tutta in circolo nel fondo,
e la lettera E è come la C con la gambetta retta in
corpo, del gusto che suol dirsi gotico : le altre so-
no maiuscole romane ; mescolanza tutta propria an-
che di secoli anteriori al XII, e precisamente osser-
vabile in un antico marmoreo titolo di Celestino ,
che tutt'ora esiste presso la porta laterale di questo
nostro duomo detta di mezzo, come eziandio avverte
il canonico Mancini nella di sopra enunciata vita
del lodato pontefice. L'interposizione dell' I debbe at-
tribuirsi alla barbarie dell'artefice probabilmente gre-
co. Avvezzo egli a scrivere Gesù col iota avanti l'ita;
e dovendo ora accomodarsi al suono latino della G,
si è confuso col valore greco del gamma, che avanti
la epsilòn, equivalente la E dolce, fa ghie presso i la-
tini ; e così avanti la E gli venne interposta la I.
1 Anche il sig. d' Agincourt soprallodato pensa , che
I l'opera sia di artista greco, che potea essere in Ro-
| ma ( Sto?\ delVarte^ voi. Ili, parte /, pag. 179 ).
\ Gesù ravvisasi crocifisso senza corona di spine , co-
Ìjj me usavasi negli antichi secoli ( Gori, Simbole lett.
\ voi. III). Il Gori dice , che in tutte le pitture e
sculture, in buon numero da lui vedute del XIII e
XIV secolo, non si trova espressa la corona di spine
I nel crocifisso. Ha il capo un pocolino pendente verso
I la spalla desti'a ; ma sostiensi sul collo : dal che, seb-
! bene abbia quasi chiusi gli occhi, si deduce ch'egli
è rappresentato vivo. Si vede però che già incomin-
324 Belle Arti
ciava a declinare l'antico costume di far Gesù con
gli occhi aperti : cosicché a poco a poco al voltar del
secolo XIV venne da tutti rappresentato, come già
morto. Una croce da me posseduta, che gl'intendenti
tutti, unitamente al fu sig. cav. Wicar, stimano di-
pinta da Giotto, di cui già ad altra occasione feci pa-
rola ( Istruz. stor. pltt. tom. /, pag. 2y3 ), mostra
nell'un lato il crocifisso vivente, nell'altro già morto
si scorge. Ognun comprende, che epoche di tal sor-
te prima di fissare un uso generale possono comoda-
mente ammettere due secoli , non essendo cosa più
difficile a cambiarsi, che usi di religione adottati si-
no dalla prima educazione, e riguardanti la disciplina
degli oggetti più sacri. Egli non è vestito, ma soltan^
to bendato ai fianchi sin giù presso al ginocchio. Le
immagini più antiche furono per lo meno tunicate dal
petto fin presso il ginocchio ( Lami, Discorso delle
sue. immag. nelle novelle letterarie del 1767 ).
Ma nel secolo XII cominciò a dipingersi, senza alcun
dubbio, la nudità soltanto velata : tantoché Giunta
pisano, coetaneo di s. Francesco, così rappresentò il
crocifisso messo alle stampe dal eh. Alessandro da
Morrona ( Pisa illustrata , tom. Ili, tav. pen. per
la pag. 5 1 7 ). Ed in esso è pure osservabile, che sta
ad occhi serrati, e capo affatto pendente dal collo, co-
me già morto : dal che resta confermato quanto di
sopra è stato riflettuto sugli ocohi aperti de'crocifìssi.
Relativamente a'piedi, nel nostro sono separata-
mente inchiodati, come sempre fecesi sino alI'XI se-
colo. Nel XII cominciaronsi ad inchiodare talvolta
con una punta sola : metodo che si vede adottato uni-
versalmente ai tempi di Cimabue e di Giotto ( Buo~
narroti, Pietri cimit. pag. 264 )• U nostro artefice
Antico paliotto 325
conservando 1' uso de'quattro chiodi, nel tempo che
adollava il cangiamento negli occhi e nella veste, ci
dà sicuro argomento d'aver lavorato per entro il seco-
lo XII, in cui certamente incominciò la mescolanza
degli usi nuovi co'vecchi. I piedi sono affissi ad un
suppedaneo; uso antico che vedesi eziandio espresso
nella citata porta di s. Paolo, perchè non possa dubi-
tarsi se nel secolo XII vi si potesse rappresentare.
Due angeli, uno per lato, decorano la sommità della
croce; ed in terra a destra di essa sta la vergine : a si-
nistra s. Giovanni, ambedue in atti dolenti : in ultimo
sono espressi tre santi, che tali li fanno credere le am-
pie e raggianti laureole, che ne circondano le teste.
Quello di mezzo è un vescovo con la casula rotonda
alzata ai lati delle mani, in una delle quali si vede
il loro per dove passava il pastorale, al presente man-
cante; la cui punta era confitta in altro foro , che
si vede abbasso nella figura di mano sinistra : con l'al-
tra tiene un libro. La mitra, che gli copre il capo, è
sì bassa, che le sue punte sormontano appena il ver-
tice di esso : segno conveniente all'età di questo la-
voro. A destra evvi un soggetto, che sembra vestito
di dalmatica talare a grandi maniconi, tenendo stret-
to avanti il petto con ambe le mani un libro, forse
quello degli evangeli. Certamente tutta la sua figu-
ra è conforme a quella di s. Agapito diacono del
santo pontefice Sisto II, che con altri santi si vede
nel musaico della tribuna di s. Marco in Roma, ope-
ra dell'ottavo secolo, come dimostra monsig. Ciani-
pini che ne pubblicò il disegno (Veter. monum. tom.
II, tav. 3j). Il santo, posto a sinistra, è vestito di una
stretta tonaca talare, che mostrasi tutta dalla gola al
piede, cinto la vita con una zona. Parte d'un pallio
32G Belle Arti
dalla spalla destra gli scende sino al petto : si vede
alla sinistra l'altra, che dalla spalla gli scende al pie-
de, mostrando di essere ampio per la quantità delle
pieghe colle quali s'accoglie : tiene la mano sinistra
sopra il fianco stringendo un libro : la destra appiat-
tata all'alto del petto con la palma di faccia al ri-
guardante; e colle dita indice ed anulare soli distesi ,
come appunto tengonsi a far le corna.
Il Certini, che ne parla nella vita di Celesti-
no pag. 36, dice che il vescovo è s. Florido : l'altro
a destra s. Amanzio suo diacono; e l'altro a sinistra
s. Donino, secondo lui ambi sacerdoti tifernati. Per
un santo vescovo ed un diacono santo i vestiari tor-
nano a dovere ; ma l'altro potrà forse credersi che
abbia l'alba e la cappa, o pluviale, per rappresentare
un ecclesiastico ? Io veramente desidererei, che fosse
così per coonestare quell'atto piccante della sua de-
stra. Potrebbe allora credersi, che avesse voluto com-
por le sue dita a grecamente benedire. Avrebbe dovu-
to comparire il dito medio curvo ed inclinato, e non
abassato affatto. Ma l'artefice se ne dimenticò ; e così
rimasero eretti il solo indice ed auricolare, il quale
pure dovrebbe stare qualche poco ricurvo. In un si-
mile sconcio incappò l'artefice autore del musaico,
che un tempo ornava la tribuna della basilica vatica-
na, di cui ha pubblicato il disegno lo spesso citato
eh. monsig. Ciampini ( toni. I, tav. i3 ). Ivi la ma-
no, che si figura uscire di mezzo la luce splendente
nel vertice della volta, forma le corna con uno sba-
glio di più sulla qualità delle dita erette, che sono il
pollice e l'anulare. Questa mano è certo, per tant'altri
esempi, che vi si rappresentò per simboleggiare il no-
me di Gesù Cristo, come dottamente spiega il citato
Antico paliotto 327
autore ; e però è certo ancora, che essa dovea essere
grecamente composta a benedizione ; altro contrase-
gno di greco autore. Ma perchè al nostro santo si
dovette adattare una mano così fatta ? Osservo, che
la corona clericale non è omessa dall' artefice sul ca-
po del diacono, che manca su quello di questa figura:
osservo ancora che la sua tonaca ha come una lista,
che va dalla gola al piede, e che non ha del clericale:
qui dunque s. Donnino non è sacerdote. Tuttavolta
se fu romito, potè ben convenirgli una mano che sim-
boleggiasse il nome di Gesù, ed il libro del vangelo
indicante la perfezione evangelica del suo stato.
Da tutta l'esposizione fin ora fatta risulta abba-
stanza, che questo pezzo insigne d'antichità de'secoli
di mezzo è convenientissimo all'epoca di Celestino II.
Ma quello, che più ne convince, è lo stato dell'arte,
con cui si vede condotta quest'opera certamente an-
teriore ai primi sviluppi della scuola pisana. Le fac-
ce sono goffe, e quasi ovali vessichette: gli occhi han-
no una pupilla animata da un foro, che dilatato ser-
ve a dar fierezza : i piedi, che stanno di faccia, sono
privi di scorcio e posano in punta: le dita sono can-
delette senza nemmeno que'piccoli nodi, che ad esse
dava il disegno de'piselli sulla fine del XII secolo :
i panneggi sono duri e gretti. Pur nondimeno qual-
che testa, come quelle de'magi, quella di Gesù cro-
cifisso, mostra alcuna sufficienza : vi sono delle mos-
se assai discrete ; e qua e là l'azione del fatto pren-
de un certo movimento. Il tutto insieme per quel
barbaro tampo mostra un'impresa difficoltosa, e for-
ma uno spettacolo che piace. Non vi è dubbio, che
senza scapito della sana critica possa riputarsi ono-
revolissima beneficenza del nostro Celestino. Dopo il
3a«ì Belle Arti
fin qui ragionato altro a me ora non resta , che di
professarmi tutto vostro colla solita distinta stima ed
amicizia.
Messina ed ì suoi monumenti, per Giuseppe La
Farina. Messina, stamperia di Giuseppe Fiu-
mara 1840 in 8.° di fac, 172 con tavole.
JLia illustrazione dei monumenti della grandezza e
della civiltà italiana non può tornare che preziosa.
Sia dunque lode al sig. La Farina che le patrie glo-
rie in questo libro dottamente addimostra. Ben vide
egli quanto meschina cosa siano le guide pe'viaggia-
tori, i più de'quali ad osservare le materiali cose an-
ziché gli uomini qua son tratti. Vuole con questo
lavoro additarci il complesso degli studi, dello sta-
to scientifico, letterario ed artistico, della società, del-
l'industria, dell'agricoltura, del commercio.
Giace Messina a maniera d'anfiteatro sul mare
rincontro gli estremi apennini di Calabria, avente a
destra il ricurvo braccio di s. Raniero, a sinistra lo
storico Peloro, ed alle spalle una catena di amenis-
sime colline.
Le case, composte per lo più di due piani, in-
vece delle finestre hanno spaziosissimi balconi : de-
siderano i messinesi essere inondati dalla luce. Le
acque potabili sono ottime: l'uso dell'acqua gelala
rimonta a circa due secoli: fu di tal giovamento che,
secondo il Pisanello ed il Reina, le febbri maligne di
Monumenti di Messina 329
està diminuirono per modo die si ebbero mille morti
di meno ogni anno. Erano in uso un tempo bagni
di acque dolci, oggi si preferiscon quelli di mare.
« Messina co'suoi borghi nel 1674 dava una po-
polazione di 120, 000 anime : ma le guerre civili di
queir epoca, la peste del 1743, ed i terremoti del
17O3 la decimarono in orribile guisa. Da quell' ora
in poi Messina presenta un considerevole aumento.
« Nel 1798 la città di Messina unita a' casali
dava un censo di 46 > o53 anime. Alla fine dell'an-
no i83i, di 83, 772: un anno dopo era pergiunto
ad 84, 49°* Al i836 l'aumento toccava gli 87, 4*8.
Oggi la popolazione ammonta a 90, 000; delle quali
55, 000 dimorano in città e nei borghi , e 35, 000
nei casali.
« I nati sfanno nella città come 1 : 26, e nei
casali come 1 : 28. I bastardi stanno a'iegittimi co-
me 1:9 (#). Il numero medio de'nati è di 3, 34^»
fra i quali 22 parti doppi. Il numero medio dei mor-
ti è di 2, i54> quello dei matrimoni è di 786. »
Il commercio d'oggidì è nullo paragonato all'an-
tico : consiste in vino, olio, seta, agrumi, sugo di
limone, spirito di vino, pesce salato. Le campagne di
Sicilia celebri per fertilità non sono ben coltivate ,
l'industria e le migliorie agricole non vi sono intro-
dotte : la pastorizia è quasi interamente scomparsa
dall'isola. Il mare è ricco di molto buon pesce: ogni
anno se ne consumano 175, 000 libbre circa: ciò pro-
(*) Si osservi che tra i proietti, che riceve l'ospedale di Mes-
sina, vati compresi quelli di parecchi comuni della provincia, i
quali son privi affatto di ruote.
33o Belle Arti
va i messinesi essere ictiofagi. La pesca del corallo
non è più in uso.
Il territorio del municipio si estende per miglia
quadrate 120 : esso ha l'annua rendita di ducati 121,
473, 82. La stessa proviene in ducati 1, 826, 92 da
beni patrimoniali; in ducati 1,073,9 da provv enti
giurisdizionali: in ducati 4?97J dalla privativa della
neve, ed in ducati 109, 102 dai dazi di consumo ;
oltre a ciò ducati 80, 000 circa sulla consumazione
de'frumenti a così detti campisti.
Non meno di io spedali civili esistevano in Mes-
sina, i quali tutti furono riuniti in un solo. L' ar-
chitettura di questo grande ospedale è magnifica, sem-
plice e di buon gusto. L'edificio è quadrato ed oc-
cupa un'area di canne 2730 : le sale per gl'infermi
sono ventilate e spaziosissime, non così quelle delle
fanciulle trovate, che son guaste e bisognevoli di molto.
Una porzione di quest'ospedale è destinata ai soldati
infermi. Lo stabilimento è fornito d'una comoda far-
macia e d'un vago orto botanico. Accolse nel i83g
1, 811 uomini ammalati, e 1, o5g femmine: mantiene
58 trovatelli. L' ospedale per gli storpi fondato nel
1827 ne ricovera 116. Messina ha quattro monti di
prestanza : l'A. riporta il quadro dei movimenti dei
monti di pegnorazione pel corso dell'anno i838.
Ebbe origine nel i548 un collegio di studi di-
retto dai gesuiti : nel i5g6 diveniva università, dalla
quale fiorirono uomini celebratissimi. Dopo la rivolta
dei 1674 fu chiusa, e rinacque per volere del regnan-
te Ferdinando II il 29 luglio i838. » In una vasta
sala avvi la biblioteca pubblica ricca di 20,000 volu-
mi. Giacomo Longo donava nel 1728 al municipio la
sua scelta e copiosa libreria, che dopo morte si tenea
Monumenti di Messina 33 i
aperta al pubblico, e quindi si riuniva alla gesuitica,
della quale tenghiamo parola. Vi è un museo iniziato
fin dal 1806 per cura del prof. Carmelo La Farina ,
clic proponevalo in un suo discorso nell' accademia
de'pericolanti, e nella quale onoranda impresa venne
mollo favoreggiato dal p. priore don Gregorio Cian-
ciolo cassinese promotore dell'accademia summentova-
ta. Oggi il museo racebiude una mediocre collezione
numismatica di monete urbiebe ed imperiali ed una
ragguardevole galleria di quadri ..;. E incominciata an-
cora una collezione di vasi greco-siculi, di conchiglio-
logia, ebe col tempo speriamo veder condotta a perfe-
zionamento. Sonvi inoltre due sarcofagi in marmo, ed
alcune iscrizioni latine, arabe e greebe. »
Nel collegio delle scuole pie si educano 3a alun-
ni. L'orfanotrofio dei dispersi contiene 26 orfani ebe
sì ammaestrano nelle principali discipline e ne'prin-
cipii della musica. Il convitto della bassa gente, de-
stinato agli orfani artigiani, ne educa 27 alle arti e
mestieri. La casa di s. Angelo de' Rossi istruisce e
mantiene 12 giovanetti e 12 giovanette. Il semina-
rio ne inizia agli studi sacerdotali 63. Ha 5 reclu-
sori per civili ed orfane donzelle , ebe in tutto ne
accolgono i64- Esistono ancora due scuole lancaste-
riane ne'due circondari interni , quella del priorato
con 181 fanciulli, e quella dell'arcivescovato con i3o.
« Messina ebbe ne'passati secoli l'accademia de-
gli abbarbicati fiorente nel i636 ; quella della^-
cina fondata nel 1639; quella della clizia e di teo-
logia morale nei principii del XVIII secolo. Nel
1725 fu istituita l'accademia degli accorti, e nel 29
quella àé pericolanti ^ la quale tuttora dura sotto il
titolo de'peloritani, associata per opera del Murato-
332 Belle Arti
ri a quella dei dissonanti di Modena. Essa è fioren-
te d'illustri soci stranieri.
« La stampa venne introdotta in Messina da Er-
rigo Scomberg alemanno. Nel 1^"]% vediamo pubbli-
cata una vita di s. Girolamo pei torchi di lui. Varie
sono state le vicende fra noi di questo potentissimo
elemento della moderna civiltà. Oggi Messina ha sei
tipografie, che imprimono le opere dei nostri scritto-
ri , ma che in nulla a' impicciano negli utili lavori
della ristampa. Un gabinetto di lettura fu aperto il
1 gennaio del corrente anno 1840, ove convengono
più che cento soci, ed ove arrivano quasi tutti i gior-
nali del regno, i più accreditati d'Italia e non pochi
dell'estero. »
Oltre la biblioteca dell'università, già ricordata,
ne esiste un'altra nell'oratorio unito alla chiesa di
s. Gioacchino ov'è buona collezione di stampe anti-
che, di scelte edizioni, non che di disegni e minia-
ture, fra le quali primeggiano quelle dello Scilla. Il
monistero de'cassinesi possiede una vasta biblioteca,
ed un archivio ricco di pergamene importanti per la
siciliana diplomatica e per la storia dell'ordine. Ric-
chissima era altra volta la biblioteca de'basiliani di
manoscritti greci e latini, che sventure ed avarizie bar-
baramente sfiorivano. La torre delle campane, altre vol-
te prezioso deposito di manoscritti, serbava gli antichi
privilegi messinesi con altre scritture reputate impor-
tanti alla franchigia dei medesimi. » Ivi, dice il Bon-
fìglio, era una libreria scritta a penna in favella gre-
ca, legata alla città da Costantino Lascari dottissimo e
nobilissimo greco costantinopolitano, ed i libri di ra-
gion civile scritti in carta pecora e miniati d'oro. »
Questi preziosi monumenti furono dal conte di s. Ste-
Monumenti di Messina 333
fano involati e trafugati in Ispagna, ove impinguaro-
no la biblioteca dell'Esctiriale.
Vari sono ancora i gabinetti privati di storia na-
turale e di numismatica ohe adornano questa delizio-
sa città. Il sig. Pietro Campanella ha formato un ga-
binetto di storia naturale, ove va osservata una com-
pleta collezione di solfati di strontiana di Sicilia : una
collezione completa mineralogico-vulcanica dell'Etna,
ed altra delle isole eolie. Una raccolta di rocce pri-
mitive, di minerali metallici, agate, diaspri e marmi
di Sicilia, oltre due ricche collezioni de'minerali vul-
canici del Vesuvio ordinati secondo Monticelli e Co-
velli: finalmente una collezione delle conchiglie viven-
ti e fossili siciliane, e de'minerali degli stati uniti di
America (*). Il sig. Paolo Smeriglio ha raccolto ed
ordinato , giusta il sistema di Lamarck, ben più di
2, 000 conchiglie sicule ed esotiche. Oltre a ciò gran
numero di conchiglie microscopiche di que' mari e
dell' estero. Una lunga serie di terrestri e fluviatili
delle Indie, dell'America, dell'Affrica e dell'Europa, ed
una raccolta di conchiglie fossili di que' dintorni. Inol-
tre evvi una estesa collezione di marmi siciliani, di
crete antiche e di buoni quadri. Il sig. Benoit ha una
collezione ornitologica sicula, intorno alla quale pub-
blicò pei tipi di Giuseppe Fiumara un catalogo ra-
gionato. Possiede ancora una raccolta di conchiglie
terrestri e fluviatili delle Indie, dell'America e dell'Af-
frica, non che una numerosissima d' Europa : final-
mente bella è la collezione delle conchiglie marine.
(*) Ha pronte per comodo degli amatori delle scienze varie
collezioni classificate dei più belli esemplari a vari prezzi-
334 Belle Arti
Antichissimo è il diritto di Messina di batter
moneta. Il sig. Giuseppe Grosso Cacopardi, uno dei
più generosi cultori delle cose patrie, ha riunito una
collezione di medaglie greco-sicule, Calabre, consolari
ed imperiali ricca di più che 4, ooo tipi in oro, ar-
gento e rame , oltre una bella raccolta di 35o vasi
greco-siculi, un'allra di medaglioni moderni , ed in
fine una di conchiglie di Sicilia e straniere. Così il
Longo possiede una collezione di medaglie siciliane
in prima forma d'argento che è molto bella e ricca:
una non piccola serie di medaglie siriache, egiziane,
greche e Calabre : una stupenda raccolta d'imperato-
rie di argento , ed infine una di medaglie estere di
rame e di argento.
Le private raccolte, di che tenemmo discorso, for-
mano il più bell'elogio dell'amor patrio de'messinesi.
Questi magnanimi han prima reso il trihuto alle co-
se patrie, e ne hanno arricchito i loro musei a pre-
ferenza delle straniere : quelle spiccano sopra tutto.
Incuoriamo que'prodi a portar le loro cure sugli al-
tri rami della storia naturale, e segnatamente sull'ic-
tiologia e sulla fitologia.
Messina vanta quattro epoche glorio? e nella pit-
tura. Esse portano i nomi di Antonello degli Anto-
ni, di Polidoro Caldara da Caravaggio , di Antonio
Barbalonga e di Agostino Scilla. Parlando il Lanzi
del Barbalonga dicea : « È tenuto per uno dei mi-
gliori pittori di quell'isola ( Sicilia ) che ne è stata
abbondante più che non credesi. » Tante opere con-
dussero quei valenti ed i loro scolari, che le molte
chiese ed alcuni palazzi di Messina ne sono dovizio-
samente arricchiti. Tanto è grande il numero dei di-
pinti, che sembrano cosa vana il poterne dar qui cen-
Monumenti di Messina 335
ni anche brevissimi, tanto più che il sig. La Farina
adoperò brevi concetti per indicarne i pregi, cosicché
il lettore amante delle arti belle vi troverà delizioso
pascolo.
Lo stato morale e scientifico di Messina ha fat-
to sempre bella mostra di se. Eccone le più veridi-
che prove. Die essa i natali a Dicearco lo storico t
al retore Aristotile, ad Ibico, al poeta Lieo, al fa-
moso medico Policleto, e ad Evemero istorico cele-
brato. Quale italiano non onora la fama di Guido
delle Colotiue, di Stefano Protonotaro e di Tomma-
so di Saxo progenitori della volgare favella ? Famosi
sono i nomi di Tommaso da Messina, di Bartolomeo
da Neocastro giureconsulto, poeta ed istorico solen-
ne , di fra Giovanni Andrea Gatto teologo e mate-
matico, di Alfonso Cariddi, di Francesco ed Anto-
nino Faraone, di Marco Pagliarino, dello storico Bon-
figlio, di Andrea Barbazio, del grande Francesco Mau-
rolico , e dei celebri medici Bartolomeo Castelli ed
Alfonso Borelli. Nel bel sesso Nina è famosa nei fasti
dell'italiana poesia, Cameola Turingo e la Bonfiglio
che vien ricordata dal Boccaccio: famosa poetessa fu la
moglie di Severino Boezio. Pina del Gallo comentò
Euclide : Nicoletta Pasquale era peritissima nella lin-
gua italiana, latina, greca ed ebraica: ed Anna Ar-
duino, che parlava le lingue greca, latina, francese e
spagnuola, era cotanto esperta nelle filosofiche disci-
pline da tenere pubbliche conclusioni , nelle quali
mostrò erudizione e sottigliezza d'ingegno. Nel ma-
neggio delle armi non v'era cavaliero che la ugua-
gliasse, tanto che il principe di Piombino, nipote di
Gregorio XV, invaghitosi della fama di lei la toglie-
va in moglie. Altri molti uomini e donne celebri con-
ta Messina: ma basti il già detto.
336 Belle Arti
Questa città è caduta e risorta le mille volte :
la peste, la guerra , la fame , i tremuoti sovente la
desolarono, la manomisero e la ridussero meschinis-
sima. Novella fenice però è risorta sempre dalle fu-,
manti sue ceneri più bella e più grande, ed ora tro-
vasi in tale stato da avvantaggiare immensamente. Il
cielo avvalori novella vita, e storni i suoi fulmini da
questa sventurata città !
E. C. B.
Introduzione alla storia della pittura italiana,
esposta con monumenti da Giovanni Rosini.
Pisa, presso Nicolò Capurro i838 in 8, di
pag. 61 fig.
Storia della pittura italiana esposta con monu-
menti da Giovanni Rosini. Epoca I da Giun-
ta a Masaccio , tomo I. Ivi , idem i83g , di
pag. 264; tomo II, idem di pag. 1^2.
1 Cicognara colla sua storia della scultura, di cui
il prò ed il contra notarono già i più colli spiriti
d' Italia e di oltremonte , empiva un vuoto che ri-
maneva nella storia delle arti nostre. Il Lanzi col-
la sua storia della pittura adempiva il desiderio d'o-
gni cuore gentile. Parve buono con questi esempi al
professore Rosini ( che osservò a Parigi i monumen-
ti rapiti all' Italia dalla superba delle conquiste , e
che cedendo alla forza la ragione furono poscia nel
Istoria della pittura 337
riso della pace restituiti a questa sede perpetua del-
le arti belle , a questo nativo giardino del mondo )
parve buono dissi al lodato professore di darne la
storia della pittura italiana esposta con monumenti:
e maturato il suo pensiero, e confortato da studi con-
tinui , aprì l' intendimento dell'opera in questi ter-
mini.
« Essa è preceduta da una introduzione , dove
« si espongono le vicende dell' italiana pittura per
« cinque e più secoli. Succede il volume, cbe dal-
« la sua origine conduce la storia sino alla morte
« di Masaccio, e contiene intieramente la Prima
« epoca , illuminata da 36 tavole in rame.
« Questa ( egli dice ) è la parte più difficile ,
« non che la più importante del mio lavoro. Sarà
« in essa dimostrato qual fosse veramente la culla
« delle arti italiane; e quali aiuti la pittura riceves-
« se dalla scultura , quando ambedue concorrevano
« ad abbellire i monumenti religiosi, che in ogni pai>
<( te allora d' Italia si elevavano.
« La seconda epoca , che principiando da Fi^
« lippo Lippi giungerà sino a Raffaello, sarà distri-
« buita in due tomi, e accompagnata da 44 ° 4&
« tavole.
« La terza epoca da Giulio romano al Baroccio
sarà egualmente in due volumi distribuita e illustra-
ta da 3a a 36 tavole.
« La quarta ed ultima epoca dai Caracci ad
« Appiani, oltre i due volumi, avrà 36 a ^o tavo-
« le; le quali cominciando dalla chiamata di s. Mat-
te teo all'apostolato di Lodovico, termineranno colla
« celebre lunetta che del pittor milanese si amrai-r-
« ra nella pinacoteca di Brera. »
G.A.T.LXXXVII. aa
338 Belle Arti
Quando agli etruschi dona cotanto l'età novel-
la che cerca le origini delle arti in Italia , e dalla
terra cortese aperta alle ricerche degli eruditi sorgo-
no monumenti da far hello il museo gregoriano (or-
namento del secolo e delle arti): pareva doversi me-
glio guardare all'avviso di Plinio, che l'arte della pit-
tura precedesse in Italia la fondazione di Roma : e
non era da passare il tempio della salute ornato d'im-
magini da Fabio pittore : ne la curia ostilia , dove
M. Valerio Massimo Messala pose il quadro tanto
famoso quanto quello in Atene della battaglia di Ma^
ratona ; perciocché rappresentava dipinta la disfatta
de'cartaginesi e di Ierone in Sicilia operata da Mes-
sala, meglio che quella de'persiani operata dal fiore
de'capitani Milziade. E seguendo G. Cesare, era da
guardare nel tempio di Venere genitrice 1' Aiace di
Timomaco : e sotto Augusto la battaglia d' Azio ed
il trionfo di quell'imperatore. Ma come fare, se da
quelle ruine non iscamparono i maravigliosi dipinti ?
Ben è a dolere, che le ingiurie della fortuna e degli
stranieri tanto potessero da privare l'Italia di tali mo-
numenti, che provassero la sentenza pliniana che d^
ce : Hic multi s iam saeculis summus animus in pi-
dura. Senza rinunziare alla gloria domestica ( e sen-
za perdere ogni speranza di rischiararla quando che
sia ) lodiamo che il professore di Pisa dia tutte le
cure all'opera divisata, che vorremmo intitolata Sto-
ria della moderna pittura italiana ec.
Una ben ponderata introduzione pi-ecede la sto-
ria: della quale opera, finche non sia piena, non cre-
diamo poter sentenziare. Bei principii annunziano bei
progressi e fine felice. Chi ben comincia ha la me-
tà delV opra. Auguriamo prosperi eventi al degno
Istoria della pittura 33 q
cultore delle gentili discipline , che saprà spogliarsi
di ogni parzialità, di ogni amore di municipio, dan-
do a ciascuno ciò che si dee. Una cosa avremmo de-
siderato : che non limitasse il fine della sua storia
all'Appiani ; ma imitando il Cicognara, che si riposò
nel sommo Canova, portasse l'opera sua ad acquietar-
si nel barone Camuccini, onore di questa Roma e della
pittura in Italia, come sa tutto il mondo, che lo sa-
luta nostro principe delle arti belle.
Prof. D. Vaccolini.
*e
Atti dell'imperiale regia accademia di belle arti
in Venezia per la distribuzione de'premi dell'
anno 1839. Venezia per la erede Picotti, ti-
pografia dell'I. R. accademia, in 8, di p. 60.
Y i ha innanzi l'elogio di fra Giovanni Giocondo
letto il dì 11 agosto i83g nell'I. R. accademia di
belle arti in Venezia dal nobile dottor Emilio de Ti-
paldo professore di storia geografia e diritto marittimo
nell'I. R. collegio della marina, socio onorario della sud-
detta accademia ec. Uom degno d'eterna memoria,
dicono a buon diritto i domenicani quel fra Giocon-
do, onore del secolo XVI e della religione a cui ap-
partenne : uomo di maturo giudizio, e di acutis-
simo ingegno, degli architetti corifeo, di tutte le
buone arti antica e moderna biblioteca , lo disse
G. C. Scaligero suo discepolo: dottissimo e di scien-
340 Beile Arti
za faconda, lo disse il Panvini: di scienza univer-
sale il Vasari. Fu onorato da due pontefici, da un
imperatore, da un re, da due principi , da una re-
pubblica, dai dotti e buoni del suo tempo, tanto rie-*
co d'ingegni e di mecenati. Monumenti del suo va-
lore lasciò nelle officine degli Aldi e de' Giunti , e
nella storia degli studi classici. E pure di ootant'uomo
incerti sono l'anno della morte, l'età , il luogo del
deposito, e le vicende, e la famiglia , e poco meno
che il nome. Un secolo, che tanto operò, ha questa
colpa di non avere eretto monumento, che duri e no-
ti ciò che non s'ignora degl' ingegni minori. Questa
colpa non è del nostro secolo, ii quale se meno ope-
rar deve per iniquità di fortuna, non lascia però ino-
norati i benemeriti, e riboccano le epigrafi, le bio-
grafie, gli elogi, i comentai'i; e spesso le arti eterna-
toci, come dell'incisione, della pittura, della scultu-
ra singolarmente , vengono chiamate a conservare la
memoria di cqloro, che per opere degne di mente o
di cuore o di mano parer potrebbero immeritevoli
di morire, per dirlo col venosino.
Pieno di erudizione si è questo discorso, ed è
a proposito per lodare un religioso dottissimo in ogni
maniera di scibile , e di architettura singolarmente
maestro, di cui la varietà delle opere si accorda colla
varietà de'suoi studi. Ma udiamo l'elogista su questo
particolare : « Due ponti a Parigi ( egli dice ) , un
« castello in Normandia, un ponte sull'Adige, un al-
te tro alla Brenta ; un acquedotto al Sile; un argi-
ne ne alla Piave , un argine al mare ; una sala del
« consiglio alla sua patria; a Venezia una intera cou-
rt trada con ponte , chiese , mercati ; consolidare le
« fondamenta di un tempio; distruggere le torri e le
Accademia di bèlle arti in Venezia 34 1
« case di una città; cavar fosse, rizzar baluardi, con-
« gegnare trinciere, levare terreni sulle porte novel-
« le , aprir feritoie che dien varco angusto all' ani-
ci pia strage dei cannone omicida. E poiché siamo
« a questo della varietà, noteremo come ad essa non
« abbia mancato Giocondo fino nella qualità di an-
ce tichi autori da se trascritti, dati in luce, illustra-
ci ti. Catone, Cesare , Vitruvio , Plinio il giovane ,
« Frontino, Aurelio Vittore, Ossequente. Sei secoli
« di distanza ; da Cartagine non anco distrutta fin
« oltre a Costantinopoli edificata : la lingua schietta
« di Roma repubblica, e quella che viene più e più
« intralciandosi da Augusto a Traiano , da Traiano
« a Teodosio : lo stile storico, il didascalico, Pepi-
te stolare, l'agricoltura, l'architettura, l'idraulica, la
« fisica, l'antichità, la guerra, i costumi. » Così par-
mi potersi dire fra Giocondo l'uomo di molti secoli:
e degno era risuscitarne le lodi nell'insigne accade-
mia , che delle arti venete conserva la gloria. Ma
perchè non passi questo cenno senza qualche utilità,
sia documento agli artisti di erudirsi nelle lettere e
nelle scienze de'secoli precedenti e di quello in cui
vivono ; giacché in essi dev'esser mente a ben con-
cepire , cuore a ben volere , mano a ben eseguire.
Manca un' altra cosa, la fortuna : e questa ponno
aspettarsi oggimai da principi di generoso ed alto ani-
mo, che intendono veramente alla prosperità de'po-
poli, che ricaderebbono nella barbarie , se lettere e
scienze ed arti non fossero sorrette e promosse da lu-
me benefico di potenti, che è a guisa di sole a ter-
reno fecondo di eletti germi ! Felici noi, che fra tan-
ti astri benefici abbiamo sui soglio di Pietro un lu-
me maggiore , che dalla cella romita tratto in cima
342 Belle Arti
al candelabro illustra tutto un secolo; talché dai set-
te colli una voce sopra ogni voce s'innalza, ripeten-
do con più ragione quel di Virgilio :
« Magnus ab integro saeclorum nascitur ordo ! »
prof. D. Vaccolinl
Collezione di manuali d'arte, mestieri, manifat-
ture, agricoltura e commercio , proposta in
Bologna da'1 signori Amoretti fonditori e tipo-
grafi, dottor Sedetti e dottor Evangelisti ma-
tematici, e dottor Trebbi medico li 7 agosto
184.0.
K
ella città di Bologna meglio che altrove nel bel
paese credo dovere allignare felicemente la teorica
applicata alla pratica in arti , mestieri ed industria:
preso questo nome nel suo più largo , onesto signi-
ficato. Imperciocché lasciamo stare la copia di dotti
e colti spiriti , di meccanici e chimici vigilanti , di
mezzi e di occasioni a pensare e fare cosa degna al
progresso delle arti utili e delle buone discipline, in
vincolo fratellevole collegata : recentemente il pro-
fessore Aldini, fisico fortunatissimo, ha lasciato alla
città di Bologna, sua patria, un gabinetto fornito e
ricco di più e più vesti e guanti di amianto ad uso
degli spegnitori d'incendi: de' quali ripari la Senna e
il Tamigi, per tacere dell'Italia, videro le prove felici;
Collezione di manuali ec. 343
aggiungendo una dote ricchissima da mantenere il la-
boratorio, ed una scuola di chimica applicata alle
arti. E già sino dal 1828 il professore Luigi Vale-
riani Molinari, economista di chiaro nome ( che io
lodai e loderò come degno concittadino), chiamò ere-
de la città di Bologna, cui lasciava un peculio di 23
mila scudi da erogare parte negli archi e portici del-
la Certosa ; parte in una scuola di geometria e mec-
canica applicata alle arti ed ai mestieri, con premi
agli artieri per incuorarli all'utile ed onorata fatica,
che fa dalle spine germogliare le rose in questo eter-
no giardino del mondo, guardato dalle alpi e dal ma-
re ; e non guardato mai abbastanza dalle nebbie di
oltremare. I portici sono a monumento di quella be-
nefica anima del professore Valeriani : la scuola di
lui ed i premi, come la scuola dell' Aldini, avranno
sede nel magnifico locale delle già scuole pie, dove
è accolta la biblioteca del comune ( che prima era
in s. Domenico ), e pe'ristauri che si fanno a quelle
sale gloriose pel favore dell' eminentissimo legato sig.
cardinale Vincenzo Macchi^ mecenate delle arti, e
per le cure dell'inclito senatore marchese Guidotti,
e degli altri nobilissimi e cortesissimi, di cui abbon-
da la città madre delle gravi ed utili discipline. Af-
fretto co' voti l'adempimento dell'una e dell'altra isti-
tuzione, di quella dico dell'Aldini più recente, e di
quella del Valeriani più lontana di tempo : e tutto
mi ia confidare il presto adempimento, che si avrà,
assegnando emolumenti condegni a'pi-ofessori ed im-
piegati dello stabilimento ; che un solo stabilimento
sarebbe a farsi in due sezioni diviso, l'uno di chimi-
ca, l'altro di meccanica applicata. Con questo soda-
lizio delle istituzioni si verrebbe a secondare il voto
344 Belle Arti
«Iella natura , la quale consegnò all' arte le scienze
tutte sorelle , come le muse : e tali che prosperare
non ponno a maraviglia senza una più intima unio-
ne, come il ramo dal ramo disgiunto dare non può
suoi frutti, non vegetare; dovendo insieme trar vita
e alimento dal tronco e stipite comune.
L'impresa di questi manuali dovrebbe farsi per
servire principalmente alle due istituzioni, di cui ho
toccato. 11 moto degli atomi dà vita alla chimica, ai
suoi effetti ed alle sue applicazioni ; il moto de'cor-
pi dà vita alla meccanica, e a quante sono macelli-
ne ed industrie umane. Dammi un punto fuori della
terra, diceva Archimede, e moverò l'universo. Date-
ci, io dico, queste scuole, ed alle scuole buoni ma-
nuali : ed avrete il progresso delle arti, dell'industria,
del commercio, della privata e pubblica felicità. Fa-
vore di ricchi e potenti, studio di dotti e savi, fer-
vore di giovani accesi dell'amore di gloria, che per
noi è negli studi, protezione di governanti: tutto,
tutto fa confidare bella accoglienza in Bologna sì alle
scuole, di cui ho toccato, sì a questa collezione di
manuali ordinata all'uso di quelle scuole. L' istitu-
zione delle quali forma una gloria del nostro secolo,
che deve operarsi molto nel bene per meritare dai
secoli avvenire quel nome , che da se si è dato di
secolo dei lumi, di secolo del progresso !
prof. D. Vaccolini.
— »*§©Q€gS*=»-
345
varietà'
Elogio della principessa Guendalina Borghese nata Talbot, scrit-
to dal principe D Pietro Odescalchi dei duchi del Sirmio,
colf aggiunta di alcune poesie della medesima principessa
recate in versi italiani dal cav. Angelo Maria Ricci- 8.° Ro-
ma i84i> tipografia delle belle arti ( Sono pag. 5o col ri-
tratto della defunta ).
XI principe Odescalchi in tutte le sue opere mostra la sua no-
biltà, così nelle sentenze come nelle parole : stimando quel suo
giudizio, non poter esser nobile nelle cose chi prenda dall' infi-
mo uso del volgo, come fanno molti oggidì , il linguaggio per
significarle. Qui però ci è sembrato il signor principe aver mo-
strato siffattamente la beltà del suo cuore, che noi vogliamo con-
gratularcene non pure con lui, ma con Roma eh' è lieta di es-
sergli patria. E che , dicendo queste cose dell' onorando nostro
direttore, noi male non ci apponiamo, sia di prova questo passo,
dove con classica verità, semplicità ed eleganza, senza quel ger-
go boriosissimo de'miserabili nostri seguaci delle ciance straniere,
narrasi la beata morte della Borghese.
,, La principessa Borghese fu costretta a porsi in letto la
,, sera del venerdì di esso mese di ottobre con un sì leggiero
„ riscaldamento alla gola, che i professori dell'arte non solo non
„ dubitarono che riuscir dovesse a mal fine, ma neppure il ten-
,, nero in conto d'infermità. Ne'giorni che seguitarono sembra
346 Varietà'
„ certo che tanto quel riscaldamento, quanto la febbre cresces-
,, sero, benché dalle persone che non erano della casa niente
,, se ne sapesse: imperocché i medici e ricorsero a' salassi e ap-
„ prestarono farmachi rifrigeranti , da' quali la inferma provò
„ un grande alleviamento. Fu più per metter fine a quel picco-
,, lo male, e per troncarlo in un subilo, che mossi da necessità,
,, che i chirurgi si consigliarono, la mattina del lunedì, di scari-
,, fìcarle, come dicono, le tonsille : dopo la quale operazione
,, ella da se stessa si dette per affatto guarita: tanto trovossi me-
,, glio della gola e tutta ben rimessa della persona. Le novelle
,, adunque della sanità della principessa da5 parenti e da'fami-
,, gliari si ebbero allora per felicissime : e tanto più, quanto che
,, seppesi avere nella mattina del martedì 27 ( giorno ahi troppo
„ infausto e doloroso ! ) e ricevuto graziosamente in mezzo agli
,, scherzi ed alle celie i chirurgi ed i medici , e presa con gusto
,, una leggera refezione in compagnia del principe, il quale non
,, può significarsi a parole quanto di quel bene stare di Guen-
„ dalina si rincorasse. Misero sposo! Infelice padre! Quali acuti
,, dardi stanno per trafiggerli il cuore ! Non appena era passala
„ un'ora, che così care speranze si cangiarono in lutto e in af-
,, fanno! Fattosi di nuovo il medico a visitar Guendalina : sen-
,, tito eh' ebbe il polso, e secondo l'arte guardatala in viso,
,, videsi improvvisamente tutto turbare; laonde col pallore sul
„ volto e con tronche ed incerte parole richiesele , se provasse
,, per caso alcun nuovo incomodo o al capo o alla gola. Di che
,, niente altro avuto in risposta, se non che ella sentivasi mara-
„ vigliosamenle bene : quasi a se medesimo non desse fede , si
,, rimase tutto mutolo e pensieroso. Quindi sopraggiunto altro
«, medico, e fatte insieme le ispezioni non che le domande me-
,, desime, e sempre con eguale risposta della malata, i due pro-
„ fessori infine uscirono della camera. Appena furono oltre al
,, limitare, ecco che loro corsero ansiosamente incontro e mari-
,, to e domestici e famigliari per intender pure una volta quali
,, fossero le novità dell' inferma. Ai quali i due medici, chinan-
,, do afflittissimi il viso, e gli occhi asciugandosi dalle lagrime ,
,, non altro annunziar poterono in affannosi detti , se non che
,, pur troppo la principessa era ornai agli estremi : e che nello
Varietà' 347
„ stato in cui trovavasi, niente più giovando o virtù di medici-
„ na o arte di medicanti, non rimaneva che 1' affrettarsi a chie-
,, dere per essa gli ultimi aiuti della religione! Ciò che al te-
,, nero sposo ed a tutti furono queste parole, io non basto a
,, dirlo ! L'ambascia estrema fu vinta per un istante dall'estremo
,, stupore : ma abbandonatasi poscia ad un libero sfogo, empi
„ tutto di pianto e di desolazione il palazzo. Mentre che queste
,, cose avvenivano, ecco, più a caso die richiesto a tanto ufficio,
,, presentarsi il Confessore di Guendalina, il quale sapendola in-
,, ferma veniva per visitarla. Perchè dettogli dai circostanti a
,, quel fine si trovasse la principessa , senza frapporre indugio
,, lasciò guidarsi entro la camera di lei, che ignara del pericolo,
„ nella pace della virtù riposavasi. Fattosi il buon padre d'ap-
,, presso al letto, affabilmente richiesele, se posto ch'era venuto
,, alla sua presenza le sarebbe in grado di confessarsi. Cui Guen-
,, dalina, niente sospettando di ciò che era , tranquillamente ri-
,, spose: Assai volentieri, padre mio : ma vorrei rimanermi sola
,, alcun poco per raccogliermi in vie medesima e più diligente—
,, mente ricercare la mia coscienza.Bene vi consentì il confessore:
,, ed affinchè a quel che chiedeva potesse ella dare libero effet-
j, to, si uscì dalla stanza. Ma che ! i professori ch'erano colà ri-
,, masi, udito che la principessa non erasi ancora a lui confessa-
,, ta, per quanto eragli cara quella bell'anima lo scongiurarono
,, di non tardare: essendo che del vivere di Guendalina più non
,, restavano che minuti. Ascoltato questo, tornò egli nuovamen-
,, te alla inferma, e con parole più aperte che non avesse fatto
„ la prima volta, le dette a conoscere che la sua malattia dava
„ forte a temere a quelli dell'arte medica: che perciò sarebbe
,, stato bene, senza rimandar le cose più in là , di acconciar su-
,, bito gli affari dell'anima. Né dell'apparecchiarsi si desse pen-
,, siero alcuno : perciocché avendo egli da alquanti anni in pra-
,, tica ogni suo fatto che risguardasse lo spirito, avrebbe saputo
,, con poche dimande soddisfare ogni suo desiderio. Umile
„ Guendalina e sommessa a chi docilissimamente aveva sempre
,, obbedito, non frappose tempo e lasciò da lui confessarsi. Com-
,, piuta piamente la confessione , a lei rivolto il ministro della
», chiesa con gravi e sante parole le fece intendere, che essendo
348 Varietà'
,, pur troppo venute meno tutte le umane speranze intorno àl-
,, la sua guarigione, era giunto il momento di fare della sua vi-
„ ta un generoso sagrifìzio a Dio : sicché non potendo confo r-
„ tar l'anima, impeditane dal male, col sagramento dell' eucari-
,, stia , sarebbe stato cosa opportuna di confortarla con quello
,, della estrema unzione- Fu a tale annunzio che il placido viso
,, di Guendalina leggerissimamente si conturbò : ma vinto Subì»
,, to quel primo e leggier sentimento, non dirò di timore, ma
,, di umana fragilità, avendo rivolti con grande affetto gli oc-
,, chi al cielo, quasi dicesse : Fa di questa tua serva, o mio Dio,
,, ciò che meglio ti piace ! tutta ricompostasi a calma ed a se-
,, renità , attese devotissimamente che la segnassero del santo
,, olio de'moribondi. Ma il morbo micidiale ad ogni istante cre-
„ sceva per modo, che Guendalina, benché in ogni sua facoltà
„ della mente fosse a se presentissima, incominciò a provare gli
,, ultimi aneliti di una vita ch'è per ispegnersi. Di che facilmen-
,, te avvedutosi il confessore, nel leggere che faceva sopra di lei
„ le ultime preghiere della chiesa, le pose a baciare il crocifisso.-
„ il quale essendo riconosciuto da essa per quelle stesso, innan-
,, zi a cui pregar soleva nel piccolo suo oratorio, schiuse lieta-
,, mente le labbra ad un caro sorriso , quasi vedesse I' adorato
,, confidente di tutti i pensieri suoi; e con affetto baciatolo, in
,, quel tenerissimo bacio spirò. ,,
Nuovo saggio dell'origine delle idee, volumi tf. Roma tipogra-
fia. Salviucci, in 8, i85o ( Articolo ultimo ).
vJuando le lettere nostre piegavano in sinistro, a salvarle da
perdizione i savi nostri le richiamarono allo specchio di Dante :
così quando la scienza delle scienze si perde o nel matto ideali-
smo, o nel vile sensualismo, buono è richiamarla allo specchio
dell'angelico dottore s. Tommaso. Questo panni si faccia da'pru-
Varietà 349
denti nostri, fra'quali il Rosmini Serbati tiene un luogo degno.
Non vorrà egli vagheggiar troppo quella sua idea dell'ente : sa-
prà arrestarsi dove la ragione abbandona il filosofo e lo lascia
in balla dell'immaginazione.
Ne'primi volumi , de' quali altrove si è dato un cenno in
queste carte, scoperse e additò il nodo della questione in ordi-
ne alle idee, ne narrò la storia , ne diede la sua teoria: trovò
qualche cosa di concreato col nostro spirito , che lo fa intelli-
gente.- e questo elemento ingenito o concrealo avvisò essere più
semplice di ciò che altri avesse opinato o sospettato. Si mise
quindi a ricercare quale si fosse questo elemento semplicissimo
sfuggito a tanti occhi: lo notò in una idea semplicissima costi-
tuente V unica forma dell'intelletto e della ragione : e venendo
alla pratica applicazione in questo ultimo volume, espone come
corollari della sua dottrina i discorsi sul criterio della certezza
( che per lui è la percezione dell'ente) sulla forza del ragiona-
mento a priori, e sulla prima divisione delle scienze: tema tan-
te volte agitalo, e da tanti, e sempre nuovo ed intatto.
La percezione adunque dell'ente è pel Rosmini fonte d'ogni
certezza : contro questa percezione non valgono dubbi scettici ,
che dessa sia una illusione; che è impossibile, che l'uomo per-
cepisca una cosa diversa da sé : che lo spirito comunica alle co-
se percepite le sue proprie forme : che l'idea dell'essere è mezzo
a conoscere tutte le cose, e perciò sorgente d'ogni verità : quin-
di l'idea dell'ente per lui è la verità stessa, il principio o crite-
rio del certo e del vero: quest'idea dell'ente bene applicata ge-
neraci quattro primi principii del ragionamento, o le concezioni
comuni: quindi la certa cognizione de'corpi, di noi, di Dio: fi-
nalmente la legge morale ; essendo l'idea dell'essere la suprema
per giudicare del bene in universale , il principio dell' endemo-
nologia.
Volendo stare col Rosmini, diligentissimo senza dubbio, la
idea dell'enee in universale, come semplice e pura possibilità, co-
me idea vaga, indeterminata, inavvertita e unicamente formale,
sarebbe pel dotto autore la prima idea , il primo principio in-
nato della psicologia e dell'ontologia: il criterio de'giudizi nella
logica; il supremo principio del bene e del dovere nella morale;
35o Varietà'
il fondamento e l'anello del mondo ideale col reale , ciò che le
ga la vita speculativa o teoretica colla pratica.
Del resto egli parte non dal dubbio metodico di Cartesio ;
ma da uno stato d'ignoranza metodica : la quale però non con-
siste già in un' assenza perfetta di ogni cognizione; ma bensì nel-
l'assenza puramente della cognizione filosofica, ossia di ulterio-
re riflessione.
Checché vogliasi pensare delle dottrine del Rosmini sull'o-
rigiue delle idee ( che non vogliamo giudicarne ), non potrà mai
niegarsi a lui una forza d'ingegno per ideare ed esprimere i suoi
pensieri allo specchio dell'angelico dottore e del sommo Alighie-
ri, vero poeta filosofo.
A noi dee bastare di avere dato un breve cenno anche del-
l'ultimo volume ; onde i leggitori nostri si facciano un' idea di
quest'opera sottilissima di uno de'filosofi, che va certamente per
la maggiore. E qui vogliamo si abbia le nostre lodi , le nostre
congratulazioni; perchè indefesso studia alle cose della filosofia
e della morale ; e promuove quanto è da lui l'amore dell'ordine
e la comune felicità.
P. V.
Progetti di sistemazione del Po, del signori Giovanni Gagliardi
e Borgnls ( Bibl. it. maggio 1840, a pag. i65)
X ra l'alpi e l' apennino è una famosa vallata , che si stende
per trecento miglia in lunghezza, e cento in larghezza raggua-
gliata. Il Po co'suoi trenta influenti accoglie e porta all' adriati-
co tutte le acque : giova una si copiosa ramificazione d' acque
correnti a conservare qui stesso il bel giardino del mondo. Ma
ogni bene quaggiù è accompagnato da mali, e tanto buon ser-
vigio de'fiumi non lascia di avere sovente i suoi malanni. Le
passate alluvioni lo hanno provato pur troppo ; e se non era la
V A K I E T A' 35 I
carità che si movesse al soccorso delle infelici popolazioni, noi
piangeremmo ancora amaramente la sciagura delle acque. Sen-
tendo dappresso i mali si pensa a'rimedi : ed ecco appunto ri-
sorgere nuovi pensamenti indiritti a garantire le popolazioni
dalle invasioni delle acque , migliorando eziandio i terreni e la
navigazione.
A tale proposito il signor Gagliardi propone di formare un
nuovo alveo rettilineo, largo almeno come il Po grande attuale,
che cominciasse a Serravalle ed avesse foce nella sacca o rada
dell'Abate presso Goro: la sua lunghezza sarebbe di metri 238oo,
poco più della metà dell' attuale. E così sarebbe riunita in un
convoglio tutta la copia d'acqua, che ora si scarica in mare per
otto canali, compresa la diversione di Goro.
Il sig. Borgnis conserverebbe invece il Po grande nello sta-
to attuale da Serravalle sino alla Contarina .- lascerebbe il Po
d'Ariano o di Gorp : alla Contarina poi il nuovo alveo verreb-
be in retta linea allo sbocco in Val Salsa , con una larghezza
non meno del Po grande attuale, ed una lunghezza di sole cin-
que miglia. Altro taglio proporrebbe da farsi a comodo di lun-
ghezza circa due miglia diretto a togliere la grande curvatura
di Gorbola. Fa conoscere i vantaggi del suo progetto sopra
quello del Gagliardi, e dà molti cenni non nuovi, ma giudiziosi,
sui provvedimenti opportuni per la compiuta sistemazione del
Po e de'suoi influenti.
Se fosse lecito fra tanto senno sorgere a dire la mia qua-
lunque opinione, vorrei proporre una opinione quasi di mezzo
fra i due progetti Gagliardi e Borgnis , e sarebbe di fare due
grandi rami del Po, partendosi l'uno dalla Contarina per iscari-
carsi a retta linea in Val Salsa ; l'altro partendosi dallo stesso
punto per ridursi parabolicamente nella rada di Goro, o sacca
dell'Abate. Si scanserebbe un unico convoglio di tante acque ,
quando la natura ha indicato sempre il suo voto, che il Po ab-
bia più rami: si avrebbe il benefizio delle acque correnti in più
località ad utile dell' aria, che dove sono acque correnti è più
sana : si seconderebbe più l'attuale sistemazione, a cui non pare
da opporsi così diametralmente. Le innovazioni totali in materia
di fiumi non sono mai prudenti: né le passate furono poi coro-
35a Varietà'
nate da si felice esito, che sia sicuro l'abbandonarsi alla cieca in
braccio a novità, delle quali vuol dirsi a ragione pericolosum est
credere et non credere.
Ma io non ho inteso certamente, che di esporre un mio dub-
bio a chi sa e può risolvere in oggetto di tanta difficoltà , che
ha provato e prova i più acuti ingegni della beata penisola. Il
desiderio del bene move le mie parole: e l'animo volonteroso mi
scuserà appo i benevoli che leggeranno.
P. V.
A santa Mustiola comprotettrice della città di Pesaro , inno dì
Francesco Cassi. 8. Pesaro 1841 dalla stamperia di Anne-
sto Nobili ( Sono pag. i5 ).
v_ihe peccato che questo nobilissimo ingegno non ci dia più
spesso delle sue cose in tanta vena di poesia ch'egli ha, in tanta
dignità di scrivere ed eleganza! Ma il conte Cassi sembra ripo-
sarsi ora sugli allori, che a buon diritto gli fruttarono da tutta
Italia la bellissima sua traduzione di Lucano. Intanto lo ringra-
zieremo di averci per questo nuovo inno fatto conoscere ch'egli
non ha lasciato la dolcezza delle muse : inno veramente degno
della santità del soggetto e della chiara fama dell'autor suo.
Della povertà in Lucca, ragionamento deW avv. Luigi Forna-
ciari. 8. Lucca, tipografia Berlini 1841 (Sono pag. /±ó).
Xreziosissimo volumetto, nel quale con alta filosofia non meno
che con gentile eleganza ragionasi di una delle più grandi pia-
Varietà' 353
ghe della civiltà de'popoli, e si avvisano i modi di curarla, chia-
mando insieme a soccorso la ragione de'governi e la santità del-
la religione. Noi l'abbiamo letto e siamo tornati a leggerlo con
ammirazione non meno, che commozione di animo : e ci giova
consigliare di far altrettanto coloro , che in più speciale manie-
ra sono deputati alla pubblica beneficenza. Essi avranno in que-
st'opera di che pascere ad un tempo la mente ed il cuore. Ve-
ramente questo signor Fornaciari è un fior di giudizio e di sa-
pienza in tutte le cose, alle quali pone l'ingegno: e non sa-
premmo dire chi più di lui in Italia sia benemerito di ciò che
oggi dobbiamo avere più a cuore, la morale pubblica e la di-
gnità delle lettere.
12 arte di scriver lettere, dedotta dall' analisi de' classici scrittoi
ri latini ed italiani per opera di Giuseppe Ignazio Monta-
nuri. 8. Firenze dalla tipografia calasanziana 1840 (Un voi."
di ).ag. 117. )
Xl dotto , infaticabile e benemerito prof. Montanari ha voluto
con questo libro, tutto fior di giudizio e di eleganza, giovare so-
prattutto la gioventù italiana, e riparare al guasto che le dottri-
ne forestiere hanno menato in ogni parte della nostra letteratu-
ra. Ed egli v'ò riuscito , come era bene a supporsi di quel sua
fino criterio : sicché noi caramente raccomandiamo quest1 opera
non solo a'giovani eh' esser vogliono italiani in Italia, ma sì ad
ogni maniera di maestri che non vogliono tradire la fede che in,
essi hanno gli alunni.
G.A.T.LXXXVII. 23
354 Varietà'
Elogio funebre alla memoria del chiarissimo e reverendissimo
padre maestro Giovanni Tommaso Turco di/ìnitor generale
de'minori conventuali, consultore della santa romana ed uni-
versale inquisizione, pronunziato nella insigne basilica de1
ss- XII apostoli il dì 22 dicembre 1840 dal padre maestro
Angelo Vincenzo Modena dei predicatori , professore di sa-
cra teologia nella romana università. 8. Roma presso Ales-
sandro Monaldi i84i.(Sono pag. 29.)
V i si ragionano con calda eloquenza e con gravità ecclesiasti-
ca, da uno de'più dotti padri che oggi onorano Pordiue insigne
di s. Domenico, le virtù e le sacre fatiche di un religioso de'mi-
nori conventuali, il quale all'età nostra fu sommo nella scienza
della divinità, e non meno esempla rissimo per santità e soavità
di costumi: cioè del p. Giovanni Tommaso Turco, che con tanto
rincrescimento de'buoni ci mancò il 16 di dicembre 1840.
Della utilità che si può ricavare dal latina arcaico e popolare
memorato qua e colà dai grammatici per l'istoria degli o-
dierni volgari d'Italia. Lezione di Giovanni Galvani. 8. Mo-
dena ( Sono pag. 4°- )
JL/avoro assai dotto e pieno di avvisi acutissimi, come son tutti
gli scritti che fin qui ci ha donato il eh. signor Galvani; né sa-
premmo dire se più dimostri la sua perizia delle cose latine o
delle italiane. •
Varietà' 355
Memorie isteriche della santa grotta, della chiesa e del mona-
stero di s. Benedetto sopra Subiaco , raccolte dall' odierno
abate regolare dell'anzidetto monastero. 8- Roma, tipogra-
fia delle belle arti i84o ( Sono pag. 84 con un rame).
è autore l'illustre padre abate D. Vincenzo Bini : ed è co-
N
sa di non lieve importanza non solo per le memorie di quel ce-
leberrimo santuario, ma si per le arti ancora e per l'istoria ec-
clesiastica.
Sulla moltitudine degli amici, opuscolo di Plutarco. 8. Ferrara
1841 presso Domenico Taddei co' tipi Pomatelli. ( Sono p.
16).
VUosì monsignore Agostino Peruzzi , meglio cbe con quelle
non so se noie o rancide fanciullaggini delle raccolte poetiche,
congratulava in modo degno di un sapiente alle nozze Trentini
e Costabili. Deb non sia vano in Italia l'esempio di questo buon
Veterano della nostra letteratura !
Per la solenne dedicazione del busto di Luigi Biondi nella vil-
letta di Negro il dì 28 di luglio 1840.8. Genova, tipografia
dei fratelli Pagano ( Un voi. di pag. 80).
Xjcco una raccolta di poesie, e non diversa forse da tante altre.
Che ne direbbe il Biondi all'aureo e carissimo suo Di Negro, noi
336 Varietà'
so : so bene che loderebbe assai il proemio di Pietro Giordani, e
l'elogio scritto da Lorenzo Costa: e bacerebbe la fronte al nobi-
lissimo genovese per la memoria si tenera che serba di tanta ami-
cizia.
Versi di Giuseppe Gioacchino Belli romano- 8. Roma i83q, ti-
pografia Salviucci. (Un voi. di pag. 197 ).
Xl sig. Belli ha bevuto ad assai limpidi fonti in fatto di poesia.
Egli ha studiato da senno i classici e la lingua del bel paese, co-
me hanno sempre fatto i valentissimi nostri : ed ecco da ciò il
piacer grande con che si leggano i suoi versi. Né quelli solo
che cantano cose domestiche, o religiose o civili: ma sì gli altri,
che imitando lo stile del Berni, del Firenzuola e del Gozzi , ci
muovono a un ridere così lieto sulle stoltezze del secolo. E sì
che noi non siamo usati molto lodare un genere di poesia , in
cui è facile cadere nelle scurrilità e ne'sozzi equivoci del Gua-
dagnoli ! Ma il sapore veramente attico che sì spesso hanno i
versi faceti del Belli vuol che facciasi un'eccezione.
Nel giorno delle augurate nozze del duca Alessandro Torlonia
con Teresa Colonna , questi disegni originali di valentissi-
mi artisti, rappresentanti alcune glorie de 'Colonne si , con
dichiarazioni /'storiche Ottavio Gigli devotamente offre. ^.
Roma, dalla tipografia Salviucci i84ou
Xur beato che non abbiamo qui per nozze cotanto illustri una
raccolta di poesie ! Ma il sig. Gigli non è degli stolti che ancor
Varietà1 357
sognano in Italia queste vecchie ciance. E quindi il lodiamo di
avere anzi preso con eleganza di stile ad illustrare quattro be'
disegni, ove sono rappresentati altrettanti fatti della gran casa
de'Colonnesi. Il primo è l'andata di papa Martino V al posses-
so, disegno di Cesare Masini : il secondo , Stefano e Giacomo
Colonna che sono venuti incontro al Petrarca presso Capranica
per offrirgli la loro casa, diseguo del cav. Pietro Paoletti: il ter.'
zo, Agabito Colonna che con rischio della vita viene a rivedere
vestito da pellegrino la sua moglie Mabilia Savelli, disegno del
prof. Francesco Coghettij il quarto, Prospero e Pompeo CoIoa-
na a Barletta, disegno di Carlo Paris.
Memorie dei compositori di musica del regno di Napoli, rac-
colte dal marchese di Villarosa. Napoli , dalla stamperia
reale i84o.
Notizie di alcuni cavalieri del sacro ordine gerosolimitano illu-
stri per lettere e per belle arti, dello stesso autore. Napoli,
stamperia del Fibreno, i^l\i.
V_ion questi due bei lavori il marchese di Villarosa ha recato
lustro al suo nome ed alla storia delle lettere italiane- Escono
in Napoli per le stampe biografie, elogi, annali, storie di arti e
di artisti, di lettere e di letterati, di scienziati e di scienze. An-
cora Napoli mancava di una storia patria dei compositori di mu-
sica : di quella potentissima arte che di tanta soavità lusinga i
sensi e l'animo, e che tanto regno oggi ha preso nelle nazioni
incivilite. Napoli è il paradiso dell'armonia .• ed il numero e la
eccellenza de'suoi cittadini in quest'arte avanzano ogni altro
popolo del inondo. Il prepotente imperio della moda travolge,
358 Varietà'
o diversamente impronta i gusti intorno al bello. E la musica
specialmente è corsa in questi dì a tale rivolgimento. Perchè
non tornare a vita nelle memorie degli uomini i nomi di que'
grandi, le musiche de'quali han sofferto l'oltraggio del tempo,
ed ai nostri orecchi raffinati sono venute fioche : ma che pur
tuttavia furono miracoli d'ingegno ai loro tempi , e han dato
principio e vita alla presente civiltà musicale ? Per tanto Napoli
sarà gratissima, e lo sarà Italia, al buon marchese di Villarosa.
che con ischietta e calda opera di scritto ha soccorso a tanto
difetto nella storia delle arti in Napoli, e si è mostrato pio alla
patria, risuscitandone i nomi che furono illustri, e che ingiusta-
mente erano seppelliti dal tempo.
Il secondo lavoro del Villarosa intorno ai cavalieri geroso-
limitani illustri per lettere e per belle arti, oltreché adempie un
vuoto nella filologia, rettifica od accresce il concetto che hanno
le menti dell'antico ordine gerosolimitano- La storia delle sue
prodezze in armi ha esaltato ed esalta di maraviglia religiosa i
cuori dei presenti: e, quantunque spenti quegli antichi fatti
guerreschi, ancora lo splendore della loro gloria arde intero nei
fasti della milizia. Ma era noto a pochissimi eruditi , come al-
cuni di que1 vecchi cavalieri fossero prodi a maneggiare colla
spada la penna: come al vigore delle membra accompagnassero
quello dell'intelletto , ed aprendo l'animo alla cultura che sola
porgono i buoni studi, dessero anch'eglino movimento ed incre-
mento al gran mondo della sapienza. Così dimostrarono che alla
forza delle membra si può congiungere finezza di spirito nobile:
e che quelle fibre, le quali erano usate alle ferree sansazioni del-
la guerra, erano ancora capaci di quelle placide e delicate della
letteratura.
S.C.
Varietà' 389
Sulla vera religione dalla ereazione del mondo in/ino a Cristo
Salvatore. Dissertazione storico-dogmatica del dottore An-
tonio Dragoni primicerio della santa chiesa cremonese ec.
Cremona, tipografia di Giuseppe Feraboli i83g.
Sulla chiesa cremonese, e sull'antica ecclesiastica disciplina uni-\
versale. Cenni istorici del suddetto- Dalla medesima città e
tipografia 1840.
Xillor quando monsignor Bartolomeo Casati prendeva in Cre-
mona solenne possesso della sua cattedra, monsignor Antonio
Dragoni primicerio di quel capitolo , nella letizia di si memo-
rando giorno, gl'intitolava quella sua dissertazione. Il principio
su cui fondasi tutto il ragiouamento del dotto autore, socio cor-
rispondente della romana accademia di archeologia , si è, che
fuori della religione cristiana (col qual nome intendesi la catto-
lica, apostolica, romana) per l'uomo non vi è stata, né giammai
vi sarà per essere salvezza. La credenza di un riparatore, il quale
nella pienezza de' tempi sarebbe venuto nel mondo , incominciò
dopo il fallo di Adamo: e però essa religione (a car. 1): " benché
promulgata quaranta secoli dopo la creazione, nacque e continuò
col mondo : poiché da Adamo fino a Giovanni Battista, conser-
vatasi, accresciutasi, fiorita nel cuore e nelle opere de'giusti di
tutti i tempi, umili, sinceri e pii adoratori del vero Dio in ispi-
rilo e verità, i quali perchè credevano, speravano, desideravano
Christi incarnalionem futuram quam nos credimus factam ( Aug.
epist. 57 ad Dard.) furono per lui salvi ,,. Sviluppa quindi il eh.
Dragoni questa proposizione con molto raziocinio , critica ed
erudizione. In fatti parla a lungo del peccato di origine e dei
suoi tristi effetti: de'giusti che furono prima della vocazione
di Abramo, e da questo patriarca fino a Mosè: di quelli che
vissero in tempo della legge scritta: come jlddio suscitasse i
profeti per imprimer viemmeglio questa verità ne' popoli: con
quanta precisione fosse vaticinato il messia: come nascesse da
una vergine , predicasse e morisse raccomandando alle genti
quella religione medesima, in cui aveva creduto Adamo , e la-
36o Varietà'
sciando alla sua chiesa un perpetuo capo visibile nella persona
di sau Pietro e de'suoi successori. Un siffatto raziocinio uon è
certamente nuovo, ed assai profondamente, come accenna anco
il Dragoni, fu svolto dal celebre Bossuet nel suo discorso sulla
storia universale. Nondimeno anche questa dissertazione è assai
pregevole perla chiarezza e per l'erudizione e pel metodo; né il
pio autore si rista dal premunire di continuo i fedeli , perchè si
guardino da quelle strane dottrine, che specialmente dissemina-
te con buon garbo in questi ultimi tempi, mirano a sottrarre i
fedeli dal soavissimo giogo di Gesù Cristo.
Questo breve scritto serve di base ai Discorsi sulla storia
ecclesiastica cremonese ne' primi tre secoli del cristianesimo, in
appresso pubblicata con molta sua lode (*), in continuazione de'
quali sono i Cenni sulla chiesa cremonese, di cui terremo breve-
mente parola.
Incominciano essi dal 32o,cioè da santo Stefano I , che fu
il decimo terzo vescovo di Cremona; e distendonsi fino alla mor-
te di san Silvino trigesimo primo vescovo, il quale passò di que-
sta vita nel 773, epoca in cui venne Cremona sotto la domina-
zione franco-lombarda per la discesa di Carlo Magno in Italia.
Pertanto trovasi in questo volume, ugualmente dedicato alla ec-
cellenza reverendissima di monsignor Casati, l'istoria di diciotto
vescovi tutti santi, tutti per dottrina e per zelo illustri: vedesi
continuato il sacro senato , ossia presbiterio di quella chiesa,
senza lasciarsi mai alcuna interruzione: parlasi delle diaconesse,
delle vergini, delle vedove ivi fiorite io santità : in una parola
di tutto ciò che in qualsivoglia guisa interessar possa non solo
l'istoria della chiesa cremonese , ma bensì l'universale, essendo
tutta l'opera fornita di non comune erudizione attinta a sicure
fonti. Ed invero il eh. autore ci racconta come avessero origine
le parrocchie di campagna, quale fosse la disciplina del battesi-
mo, della penitenza, dell'eucaristia, il modo come fino al secolo
(*) Non essendoci riuscito di procurarci tale opera, ci rimet-
tiamo ai giornali ecclesiastici e scientifici, che ne hanno con
mollo onore parlato.
Varietà' 36 i
IX si santificassero le feste , qu ile (osse I' obbligo di udire la
messa, l'antichità degli oratorii domestici, la fondazione de' rao-
nisteri e de'luoghi pii, e mille altre pregevolissime cose di ec-
clasiastica archeologia.
Siccome poi la profana istoria è strettamente collegata col-
l'ecclesiastica, così monsignor Dragoni, qu.indo gli è stato d'uo-
po, non ha omesso di riferire eziandio que' fatti , che avevano
strettissimo legame colla sua opera. Sono essi le frequenti e nu-
merose irruzioni di barbari tutti aspri e feroci , benché diversi
di nome, d'indole e di costumi, e i continuati mutamenti di gover-
no fatti dai goti, dai longobardi, dai franchi, accompagnati mai
sempre da devastazioni , rapine, stragi e divisioni di terre ope-
ratesi tra gl'insaziabili vincitori.
L'amore della verità , 1' affetto alla santa sede , i voti che
continuamente fa l'autore, perchè i cristiani conoscano il be-
neficio da Dio ricevuto, e si mantengano fidi alla loro vocazio-
ne, ben si manifestano in questi da lui per modestia chiamati
cenni, e scritti se non con forbita eleganza, certamente con mol-
ta spontaneità e chiarezza. Noi di cuore desideriamo , siccome
anche l'autore ce lo fa sperare, ch'egli li prosegua almeno fino
al concilio di Trento- Avremo allora così una piena e sicura
istoria della chiesa cremonese. Chi ha fatto il più, può fare an-
co il meno. Dopo tanta luce sparsa ne'secoli, i quali erano più
oscuri e mancanti di monumenti sicuri , perchè arrestarsi ora
che gli sarà il lavoro certamente più facile a proseguirsi ? Noi
ce ne confidiamo: ed il Signore sia quello che gliene accordi
agio e potere.
F. Faei Montani.
23*
36a Varietà'
Istituzioni sacro-oratorie , opera di F. Gaudenzio 'da Brescia
cappuccino. Imola dalla tipog, Benucci 1840, in i6 difac. il^ì.
i3e la sacra eloquenza dovesse insegnarsi col soccorso di auto-
rità, avremmo quelle de'Paoli, de'GiroIami, degli Agostini , che
vanno per la maggiore ; poi quelle de'Segneri , de' Fenelon, dei
La-Luzerne, de'Trublet, de'Gisbert, de'Muratoii,de'Liguori, de*
Ricci, de'Riccardi e sino de'Blair. Avremmo le osservazioni (per
tacere di altri ) del eh. monsignor Peruzzi sulle orazioni quare-
simali del prof. Barbieri : e, se nulla valessero, avremmo le no-
stre uscite di mano in mano in questo giornale sulla biblioteca
di panegirici ( Tom. 35, 3j, 43 e 45). Ma più che l'autorità, noi
stimiamo doversi consultare la ragione, la quale riconoscendo
nell'eloquenza una espressione della morale, non puà dare altre
Tegole per la eloquenza profana, altre per la sacra; se non ri-
guardando che quella mira a persuadere coi dettami della legge
naturale, questa colla guida della rivelazione ( compimento e
quasi corona della legge naturale): quella si dà cura d'innamo-
rare della verità e del pregio delle cose per lo più temporali ,
questa delle eterne : quella varia di abito e di maniere a secon-
da delle diverse verità , che vuole persuadere questa non ha ,
ne può avere che l'abito sempre maestoso e solenne della reli-
gione. Giova che i precetti dell'oratoria sì rendano più chiari a
tutti quelli, che amano profittarne pel bene universale; felicità
non può essere nel mondo se la virtù non sia illuminata e soste-
nuta dalla religione santissima!
Egli è quindi a lodare il p. Gaudenzio da Brescia , che più
brevemente del p. Gaetano da Bergamo (in quel suo libro inti-
tolato VUomo apostolico al pulpito) ne ha dato queste Istituzio-
ni sacro -oratorie : alle quali se più copia di esempi, tolti dai
solenni nostri oratori e da'ss. padri singolarmente, avesse potuto
dare, avrebbe fatto opera ancora più proficua e commendevole.
Ma la strettezza de' precetti non toglie , che i leggitori nutriti
allo studio delle scritture sante e della sana morale non abbiano
a scegliere e cercare ne'predicatori ed elogisti cristiani quelli, che
seppero dare non parole, ma cose ■: e cose degne del pergamo !
0. V.
Varietà' 363
La filanda a vapore in Fossombrone. Memoria del conte Giu-
seppe Mantiani. Pesaro, stabilimento tipografico di A. No-
bili 1841, in 8, di facce 16.
.Li elio stato pontificio Lugo, Ancona, e quasi contemporanea-
mente Modigliana e Fossombrone, hanno eretto filande a vapore
per la trattura delle sete- La casa ducale di Leuchtenberg la
fondava in quest'ultimo luogo, famoso per tale industria, colla
spesa di scudi 14 mila. La seta è oggetto industrioso rimarche-
volissimo in Italia, che ne dà ogni anno tredici milioni di libre.
Descrive l'A. tutto ciò che v'ha di più notevole nella fab-
brica, e presenta il confronto dei due metodi, dell'antico cioè e
del recente a vapore. La casa ducale (per suo uso) consumava
tredici libre di bozzoli per ogni libra di seta reale.- col nuovo
metodo ne consuma libre 11, 6, o al più libre 12 se il genere
non è di ottima qualità , trascurando del tutto la mezza seta
ed i doppi ; poiché tanto con 1' un metodo quanto con V altro
quest'ultimo prodotto è in relazione con la seta reale e col peso
dei bozzoli. La seta ottenuta colla filanda a vapore è di miglior
qualità, sicché può calcolarsi ragguagliatamente un utile sui
prezzi di bai. 20 per libra di seta reale ; oltre a ciò per ottene-
re una libra di seta coli' antico metodo occorreva una spesa di
bai. 34, mentre ora ne occorrono 24- Chiaro apparisce le mag-
giori utilità essere il miglioramento del prodotto, poiché la qua-
lità del filo è più bella e più lucente, e le spese molto diminui-
te. Tale miglioria impedirà che le nostre sete grezze vadano ai
telari stranieri. Questa memoria del sig. conte Giuseppe Mamiani
è commendevolissima tanto perchè ci rende istruiti di un mi-
glioramento manifatturiero che fra noi va dispiegandosi, quanto
per la dottrina e per l'amore delle cose patrie di cui rifulge
tutto il suo scritto.
fi. C. fi.
364 Varietà'
Cenni per una nuova storia delle scienze mediche di Giuseppe
Cervello. Verona, tipografia di Giuseppe Antonelli 1841 ,
in 8, difac. i[\.
1.1 è 1' Italia uè altre colte nazioni hanno una storia medica
universale e completa. I grandi uomini che si sono sobbarcati a
tale impresa gigantesca, per quanto il loro genio fosse grande ,
le fatiche e le ricerche immense, furono schiacciati dall' immen-
sità dell'opera; i loro scritti non riuscirono che imperfetti. Molli
dotti occorrono per recare a termine opere di tanta lena. 1 fran-
cesi il tentarono per la letteratura in genere: ma al solito consi-
derarono grande ìa sola Francia, le altri nazioni pigmee. Errori
d'ogni maniera sono i gioielli che ornano quell'operone , che fa
inarcare le ciglia agli stolidi.
Il eh. sig- Cervetto, benemerito già della storia medica d'Ita-
lia, propone in questo suo scritto (pel quale ottenne una meda-
glia d'oro da S. M. il re di Sardegna) una nuova storia filosofica
medico-chirurgica „ la quale provvedendo dall'uri lato all'imper-
fezione de'posseduti lavori, ed al naturale bisogno del cronolo-
gico proseguimento, si mostri dall'altro fornito dei voluti carat-
teri ; d' offrire a gratitudine ed esempio gli andati maestri , mo-
strando anche le cause, le influenze e i legami degli errori di
loro; risparmi agli studiosi prezioso tempo e fatica per la parte
bibliografica, la più utile ed essenziale, ma finora la meno cu-
rata perchè la più esigente ; additi il cammino delle scienze no-
stre confrontate colle ausiliarie e sorelle, e più colla progredien-
te civiltà e col genio della filosofia dominante per desumerne
quanto a fare rimanga; comprenda, nella sintetica sua tessitura,
un ordine che, sembra mancare tuttora rispetto ai meriti delle
varie nazioni antiche e moderne e nel complesso e nel partico-
lare; e meglio ci chiarisca sulle personali notizie dei più splen-
didi artisti che, in relazione ai tempi e luoghi in cui vissero e
fiorirono, comunque attivamente cooperarono coll'ingegno e col
cuore allo scientifico dilatamento e al benessere sociale. ,,
La partizione del lavoro necessaria in tale impresa, seguen-
do le divisioni geografico-topograliche, consister dovrebbe in
Varietà' 365
commissioni o giunte locali civiche secondarie che raccolgano i
precipui materiali della relativa porzione di storia medico-chi-
rurgica spettante a quel municipio, e li dispongano in un cert'
ordine già convenuto: e le altre in comitati primari e nazionali,
i quali radunino tutti gli scritti e ne facciano lo spoglio e la fu-
sione in un tutto omogeneo.
Riguardo alla forma, preferisce la biografica collegata colle
circostanze ed i tempi. Ritiene esser cosa frustranea allo scopo
lo incominciare dalle prime età de' popoli, nelle quali non fu
scienza medica: vuol che si travalichino le due più tremende
catastrofi di cui fu scena la terra, la caduta dell'impero ed il
medio evo colla sua lunga e tenebrosa notte durata fino ai be-
nemeriti figli di Benedetto, nella quale l'arte salutare fu presso-
ché spenta. Alla enunciata non remota epoca addivenne, che suc-
cedute alle nordiche le meridionali invasioni, molcirono queste il
servaggio della più tribolata parte del vecchio mondo, traducen-
dovi quel poco scibile campato dall'universal naufragio- La sto-
ria medica anteriore a quest' epoca ha avuto moltiplici e dotti
scrittori. Il dott. Francesco Freschi di Piacenza ha intrapreso a
Firenze ( tip. della speranza, tomo i, i83g-4o) la seconda edizio-
ne della storia prammatica della medicina di Curzio Sprengel ,
proponendosi di correggerla, illustrarla e continuarla fino a'
giorni nostri. Nel i tomo, colle recenti scoperte fatte in ispecial
modo in Egitto, pone in maggior chiarezza la medicina antica ,
abbatte Ippocrate ed i suoi seguaci, e col eh. dolt. Cervetto sta-
bilisce l'epoca della vera scienza medica al secolo XVI dell'era
volgare ( Vedi, Annali universali di medicina, voi. 97 , p. 5o8,
marzo i84«, Milano).
Le norme per le commissioni sian poche e chiare , affine di
ottenere uniforme il lavoro. Studio della vita e delle opere
degl'illustri trapassati senza gare municipali: ricerche di docu-
menti, scioglimento di punti storici e scientifici controversi con
disquisizioni imparziali e severe: ordine cronologico il più atto a
mostrare il regolare cammino così della nostra come d'ogni altra
arte e scienza; prospetti sinottici dei vari rami coltivati in tem-
pi diversi: raccone in line le care immagini dei grandi maestri.
Die un bel saggio in questo genere FA. pubblicando nel
366 Varietà'
i834 i Cenni per una storia dei medici veronesi e loro antico
collegio: come altresì un ottimo modello di filosofica biografia
nel suo scritto intorno a Giambattista Da Monte, intorno al qua-
le tenni discorso nel tomo 84 pag. g3 di questo giornale. Leg-
go ora nel voi. 4 Pag- 2^9 degli annali medico-chirurgici di Ro-
ma, che il prof. Giuli di Siena ha discoperto un documento, col
quale prova essersi fondata a Siena la clinica fino dal i5 otto-
bre i326 da un tal medico di Montepulciano per nome maestro
Onesti. Appoggia in singoiar modo il suo opinamento alle se-
guenti parole del codice : " Et praedicta maxima fieri dehent
,, per vos qui debetis curare, quod civitas Senarum bonis et ex-
„ pertis medicis repleatur. ,, Tale controversia però ha duo-
po di essere ventilata.
L'A. ha promesso di pubblicare la vita di Alessandro Bene-
detti di Legnano nel veronese (intorno a cui mi propongo tene-
re ragionamento ì, lume chiarissimo della medicina italiana del
XVI secolo, istitutore di un teatro per la istruzione anatomica,
ed il primo che desse vere idee della contagione della peste, che
ora con isciocchi argomenti un tal francese Clot bey crede
non contagiosa. Per tali inique massime in questi giorni stessi
la peste mena strage maggior dell'usato in Egitto: in Alessandria
anche il quartiere de'franchi, che per lo innanzi n' era stato li-
bero a causa delle savie precauzioni, è ora in preda del tremen-
do morbo: alcuni vascelli mercantili sono appestati : e la spedi-
zione pontificia, che in Egitto si recò per trasportare le colonne
di alabastro che ornar debbono la basilica di s. Paolo, ha perdu-
to il suo medico dott. Ruga, e qualche altro di cui s'ignora il
nome. Ma lasciati da lato questi funesti casi, che son prezzo
delle idee e de'vaneggiamenti talora fatalissimi che andiam nier-
cando oltremonte, porrò termine coll'esortare i veri medici ita-
liani a collegarsi per cotant'opera , affinchè poste in chiaro le
nostre grandi e non frodate ricchezze , possiamo far argine alle
sempre crescenti straniere devastazioni.
Enrico Castrici Brunetti.
Varietà' 367
Cenni sulla chirurgia plastica ,e sopra Branca di Branca da Ca-
tania, deXsdott. Antonino Insegna. Catania, presso i fratelli
Sciuto 1840, in 8. di fac. aa.
VJTaleno, Cornelio Celso e Paolo d'Egina parlarono della rino-
plastica . i loro precetti dimenticati, furono posti in opera da
Alessandro Benedetti, da Vesalio e da Ambrogio Pareo. La chi-
rurgia plastica ebbe origine nell' India. Dieffenbacb crede non
essersi eseguita tale operazione in Europa prima del secolo XIV
e XV: non ostante è certo che in Sicilia, in Abruzzo ed in Ca-
labria fu conosciuta ed usata.
Nel principio del XV secolo godeva già rinomanza Branca
di Branca in Catania per lo innestare che facea con successo la
pelle del braccio sulle deturpanti ferite del naso: per cui Ferdi-
nando I, allora re, lo ricolmò di favori, ed accordò a lui ed a'suoi
l'ufficio del suggello della dogana di Palermo nel dì n gennaio
ind. VI, anno MCCCCXII. Il suo figlio lo imitò perfettamente
in quest'arte, e ne rese migliore il metodo, come ce ne assicura
Bartolomeo Fazio, De viris illustr- pag. 38. Lodarono e parlaro-
no di Branca molli storici e grandi medici, cioè Girolamo Ren-
da Ragusa, Gio. Battista De Grossis, Vito Amico Statella, Paolo
Zacchia, Giovanni Schenkio, Gilberto Cognato, Pasquale Gallo
ed altri.
Rimase in disuso questa cerusica operazione, finché al na-
scere del XVI secolo la ripose in voga un altro celebre italia-
no, Gaspare Tagliacozzi di Bologna, allora professore in patria,
il quale stampò De curtorum chirurgia per insitionem : additis
cutis traducis instrumentnrum omnium atque deligationibus ico-
nibus et labulis libri duo. Venetiis i Sgy, in fol. ; opera ristam-
pata col titolo che segue; Chirurgia noi'a de narium, aurium la-
biorumque defechi per insitionem cutis ex humero, arte hactenus
omnibus ignota, sarciendo. Francofurti , ap. Ioannem Saurium
i5g8 , in 8. In tale opera dichiara essere stato il Branca egre-
gio professore in quest'arte. Scrisse ancora una Epistola ad Hit'
ronymum Mercurialem de naribus multo ante abscissis reficicn*
368 Varietà'
dis, ch'esiste nell'opera del Mercuriale intitolata Ite decoratone
ivi, 1587. Finalmente si hanno dal medesimo i Consilia medica
nella raccolta di Lautenbach intitolata Italiae medìcorum ... Con-
silia medicinalia, ivi, i6o5, in 4-
Professori di alta rinomanza hanno trattato in vari tempi
della maniera di rifare il naso : tali sono Mercuriale, Fallopio,
Fyens discepolo del Tagliacozzi ed altri. L' Ughelli nell' Italia
sacra, tomo 9, p. 626 dell'edizione romana (1662), dice che in
Tropea città della Calabria fioriva Petrus Vioneus chirurgus qui
labia et nasos mutilos integritale donavi l. Prima però di Pietro
Vioneo ne fu l'inventore, secondo afferma Gabriello Barri, un al-
tro "Vioneo per nome Vincenzo di Maida nella Calabria che sem-
bra vissuto nel fine del secolo XV. „Ex hoc oppido (Maida) fuit
Vincentius Vioneus medicus chirurgus eximius, qui labia et na-
sos mutilos instaurandi artem excogitavit. Fuit et Bernardinus
eius ex fratre nepos et huius artis baeres: viget modo huius fì-
lius, et itidem artis haeres. ( De antiqet situ Calabriae. ) „ Che
la rinoplastica si esercitasse ed anche per lungo tempo si mante-
nesse in Tropea, lo dice Gio. battista Cortesi, professore celebre
di chirurgia in Bologna e quindi in Messina. Descrivendo gl'i-
stromenti da lui usati in quest'operazione, giudica grossolani
quelli dei chirurgi di Tropea, che però chiama instauratores di
quest'arte.
Dopo costoro la chirurgia plastica migliorò nei metodi, che
possono complessivamente ridursi a tre. I. Tagliare le parti lon-
tane, in ispecie del braccio, per innestarle al membro perduto.-
metodo detto italiano. II Collocare quanto prima si può la par
te staccata; metodo che ha il nome di iuxta positione. III. Ri-
torre dalle altre parti vicine o lontane i pezzi necessari all'ope-
razione: e tal uso fu detto metodo indiano Gl'indiani recidon ta-
lora dagli schiavi i pezzi che vogliono rimettere agl'individui
che ne mancano.
Tale operazione, che sembra essere stata estesissima in Ita-
lia, non fu ammessa nel rimanente di Europa: e se non vi fosse
la storia di un naso tagliato e rimesso nel i5o,2 da Griffon in
Losanna, non si potrebbe citare alcuu'esempio di tali operazioni
fuori d'Italia, esclusi gl'indiani; poiché i chirurgi degli altri
Varietà' 369
paesi contentaronsì di discutere intorno alla possibilità del me-
todo del Tagliacozzi, che alcuni attribuirono a potere infernale.
La fallacia forse dei risultamenti di tale operazione ci dà conto
del perchè sia stata fino al declinare del passato secolo ristretta
iu Italia, e qui ancora spesso posta in dimenticanza.
Questa pregevole memoria rivendica a Branca di Branca di
Catania l"uso di un' operazione in quei tempi nuova. Era desi-
derabile però che ci avesse dato maggiori notizie intorno a quest'
uomo, indicando almeno l'epoca della nascita e della morte di
tal valente chirurgo e del suo figlio; se si conservano suoi scrit-
ti o sono indicati dai bibliografi, ed altre somiglianti cose. L'A.
però ha spiegato bella e scelta erudizione intorno alla chirurgia
plastica. Quindi è che non può se non tributarsi lodi al signor
dott. Insenga, il quale, giovane ancora, pone mano a lavori di
storia medica, scopo a cui son dirette le fatiche di molti gravi
medici d'Italia. Ma per esser equo voglio soggiungere, che le no-
tizie dai dotti desiderate, saranno state disperse dal tremendo
impero del tempo, il quale pur ci conserva intatte moltissime
istorie, che sono il disonore degli uomini e delle nazioni, e che
per un malaugurato fanatismo ogui dì si pongono a luce.
Enrico Castreca Brunetti.
Nuove osservazioni sulla basilica emilia efulvia, delVaw. Luigi
Cecconi, giudice capitolino d'appello e socio corrisponden-
te della pontificia accademia romana d'archeologia.
Al eh. sig. profess. don Celestino Cavedoni, nel Giorn. letterar.
scient. moden. num. 16, in proposito della mia dissertazione so-
pra la basilica emilia e fulvia torna a dire: „ Siccome fui dolen-
,, te nel vedermi costretto a contraddire al eh. sig. Cecconi e ad
„ altri, che posero in Preneste la basilica emilia e fulvia di Ro-
„ ma, così sou ora lieto in vedendo che il mio parere confronta
3yO V A R I E T A'
„ con quello del eh. sig. Gennarelli, esposto nel tiberino a8 di-
,, cembre 1840. ,, Su di che replicherei, che egli sempre urbano
non dovea dolersi di coutraddire al mio parere, ogni dì fra lette-
rati trattandosi quistioni, purché si conservino, com'è suo costu-
me, le leggi della civiltà. Replicherei quindi che non trovo causa
di corroborare la sua opinione in ciò che disse di me il sig. Gen-
narelli nel tiberino.
,, Io non posso (disse) entrare a parlare in dettaglio di que-
,, sta singolare e curiosa dissertazione ; poiché s' aggira in una
,, base assolutamente falsa, supponendo V autore che la celebre
„ basilica emilia e fulvia fosse in Preneste, mentre, sappiamo eh'
,, era in Roma ,,. Ove pregherei il signor Cavedoni a riflettere,
che bisogna non aver letto affatto questa mia singolare e curio~
sa dissertazione, per dire che la sua base fosse nella esistenza
della basilica in Preneste. Io ebbi solo scopo di provare, che il
musaico fu rinvenuto in un delubro, anzi che in quella basilica,
addimostrandola perciò unica ed esistente impossibilmente nel
recinto del tempio della Fortuna.
Prosiegue il Gennarelli: „ Anzi mi giova credere ch'ei non
„ abbia letto quel passo di Varrone , sia perchè è diverso da
„ quello che leggesi in Varrone, che cita, e che sta esattamente
,, registrato in capo di questo articolo.- sia perchè richiama il li-
,, bro 5, mentre quel tratto leggesi al paragrafo quarto del sesto
,, libro; sia infine perchè parrebbe incredibile che il sig. Cec-
,, coni non avesse inteso un passo di scrittore latino, quale non
„ offre certo difficoltà. „ E a tali ulteriori gentili espressioni ,
facendomi falsano od ignorante, m' è d' uopo rispondere, «he
mentre io né so dove, né s'egli abbia letto Varrone , io lo lessi
come lo riferii nel rnio libro che ha il frontespizio : M. Terentii
farronis pars librorum quatuor et vigiliti de lingua latina. Lug-
duni apud haeredes Seb. Griphii »56i. Al che soggiungo che
fino ad ora non m'era fatto dubbio d'intendere il latino.
Ma giacché come 10I0 fondamento del Gennarelli in contrad-
dire alla mia dissertazione, e del Cavedoni in divenir lieto d'a-
verla contraddetta, è l'annotazione di Muller al controverso luo-
go di Varrone, giova prima di parlarne riferirla: Basilica aemi-
lia et fulvia. Non duo sunt, sed eadenv. quod intelligitur maxime
Varietà' 371
ex iis que Plutarcus (Caesar 29) narrat: extructa est ea basilica
a M. Fulvio Nobiliore censore anno 5^3, qui collegatn habebat
M. Aemilium Lepidum eie. E sin qui non mi occorre ridire, tro-
vandolo concorde alla mia opinione sulla unità. Indi prosiegue:
Varrò, referente Plinio N- H. Vili, 60, primum solarium, quod
diligentius ornatum esset, et Romae caelo congrueret, iuxta ro-
stra positum dixerat a Q. Marcio Philippo L. Panili in censura
collega: et crediderim hoc ipso tempore etiam Paullum basilicam
su aia ilio horologio ornavisse, de quo h- l. libro dici tur. Corne-
lius tamen qui fuerit in medium relinquo, et de universa quae-
stio/te aliorum iudicia expecto. Le quali espressioni ponderate ,
non mi è dato comprendere come Muller abbia inteso fare scom-
parire la basilica prenestina parlando della romana , quasi che
non potessero essere in Preneste ed in Roma due basiliche e-
gualmente nominate.
Opina Muller che nello stesso tempo, in cui Q- M. Filippo
costruì in Roma il primo orologio solare, anche Paolo ne co-
struisse uno simile in adornamento della sua romana basilica. Dopo
ciò, come potrà egli avere inteso parlare della basilica nominata
da Varrone, il quale disse aver veduto in Preneste un orologio
solare: ut Praeneste vidi incisum in solario? ed in Preneste asso-
lutamente costruito nella basilica,- poiché indicandone anche l'A.
coli' immediato relativo quod, di necessità congiunto all' orolo-
gio veduto in Preneste, lo indica in Cornelio Siila: Quod Come-
lius in basilica aemilia et fulvia inumbravit? Io non saprò mai
comprendere che Muller parli dell' identifico orologio indicatoci
da Varrone; questi avendolo indicato costruito da Cornelio Sii-
la, quegli da Paolo. Sicché non potendo egli in fine superare la
difficoltà delle varroniane espressioni; Quod Cornelius in basilica
aemilia et fulvia inumbravit : sortinne dicendo: Cornelius tamen
qui fuerit in medium relinquo, et de universa quaestione aliorum
iudicia expecto. Ora vò lusingarmi che al sig. Gennarelli non
riescirà tanto arduo, come dice nel suo tiberino, di spiegare co-
me anche altri abbiano pure inteso a ritroso il testo varroniano.
e sono un Suarez, un vescovo Cecconi e un avv- Fea.
NIHIL OBSTAT
Fr. Ioannes Baptista Marroco Min. Conv. Censor Theol.
IMPRIMATUR
Fr. Dom. Buttaoni O. P. S. P. A. Mag.
IMPRIMATUR
N. Ferrarelli Archiep. Myren. Locumtenens et Pro-Vicesg.
373
CONTKN UTE
NEL TOMO LXXXVII , VOLUMI 2S9 , 860 , 261
DEL GIORNALE ARCADICO,
Nota de1 compilatori e collaboratori. . pag. m
SCIENZE.
Monti , Leggi statutarie pel nuovo ospizio
dei mentecatti in ancona ec. « i
Palma, Moltiplicazione e coltura degli al-
beri nella provincia di Abruzzo ultra
primo « 12
Camilli, Il nuovo carcere ed il pubblico ma-
cello di Viterbo , , « 25
Giacoletti, Dell'ottica considerata come og-
getto di poesia. , « 39
| Pilla, De' principali progressi della geologia. « 6i
I Rosmini Serbati, Filosofia della morale. « 64
: Paolini , Ricerche fisiologiche sul fegato
( continuazione ) « 7 3
Biolchini, Notizie istoriche intorno alVos-
servatorio del campidoglio .... « 96
Rametti, Discorso intorno a F. Stelluti . « 106
Tortolini, Su i limiti di alcune espressioni
immaginarie. ...,....« \fó
Castreca-Brunetti , Estratto delle memorie
dell' ] accademia medico-chirurgica di Fer-
rara « i63
G.A.T.LXXXVII. 24
374
LETTERATURA.
De-Minicis, alcune iscrizioni ed una poe-
sia inedita del Morcelli « 184
Peruzzi, Traduzione delV Apocalisse . « 198
Schiller , Carmina nonnulla a Francisco Phi-
lippio lat alitate donata « 212
Cecconi , Nuove osservazioni sul musaico
prenestino (con tav. in rame ). . . « 219
Franceschinis , Biografia scrittasi da se
stesso « 23 1
Mancini^ La georgica e Veneide di Virgi-
lio tradotte « 245
Montanari , Elogio del P. Giuseppe Pen~
nazza « 208
Vaccolini, Del ben tradurre Orazio ( Art.
Ili ed ultimo ) « 271
— Sassi di traduzioni delle orazioni di
Cicerone nel secolo XIX. . . . « 207
Santucci, Epigrammi tradotti dal greco. « 3oi
BELLE ARTI.
Mancini , Lettera sopra un antico paliotto
del secolo XII « 3 16
La Farina, Messina e i suoi monumenti. « 328
Bosini, Istoria della pittura italiana , tomi
primo e secondo « 336
Atti delVI. e R. accademia delle belle arti
di Venezia « 33g
Collezione di manuali a" arte ec. da pub-
blicarsi in Bologna ...,,,« Z^'i
Varietà.
Tavole meteorologiche.
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DI SCIENZE, LETTERE ED ARTI
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TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI
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GIORNALE
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TOMO LXXXVIII
LUGLIO, AGOSTO E SETTEMBRE
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ROMA
TIPOGRAFIA DELLE BELLE ARTI
1841
SCIENZE
Discorso di monsignor Carlo Luigi Monchini, let-
to alla pia società in soccorso de^poveri or-
fani pel colera nella terza generale sessione
tenuta neW oratorio del p. Car avita il 23 di
marzo 1841.
c
olio scorso anno compievasi il terzo, da che la
nostra pia società comparte la sua caritativa assisten-
za a que' miseri figliuoli d' ambo i sessi, che priva-
va degli amati genitori la fiera pestilenza colerica. In
questo tempo essa , protetta in ispecial modo dalla
Divina Provvidenza che mai non lascia senza confor-
to chi in questa terra è ministro de'suoi favori, ado-
perava quel più che potea, sia perchè avessero gl'in-
felici orfanelli quanto bastasse alla loro sussistenza,
sia perchè si educassero al bene, compiendo in tal mo-
do il santo uffizio che si era imposto fin dal principio
della sua istituzione. In questo luogo sacro alla religio-
ne, come alla religione che l'informò è sacra la nostra
4 Scienze
pia società, già due altre volte si raccolse quel nu-
mero di benemeriti soci, che vuole il regolamento ri-
conoscano e approvino quanto fu adoperato dal consi-
glio che l'amministra e dirige. A tal fine fu a tutti an-
tecedentemente mandato il conto del 184° cne porge
al solito tre separate tavole; l'una del numero e col-
locamento degli orfani, l'altra delle somme incassa-
te e delle spese fatte, finalmente la terza dell' anda-
mento economico che si prevede per l'anno vegnen-
te. Dovendo, o signori, per debito di mio ufficio te-
nervi in questo dì breve ragionamento , ho pensato di
schierarvi sott' occhio come in un punto tuttociò che
adoperò la nostra istituzione , tanto per ciò che ri-
guarda l'amministrazione, quanto per ciò che spetta
alla parte morale ne' tre anni trascorsi. Io dunque al-
tro non farò che esporvi in semplice e piano stile
i fatti, de'quali voi medesimi foste gran parte; per-
ciocché essi sono eloquenti per se stessi più di quel-
lo potrebbe essere il più facondo discorso; né la ca-
rità, che creò e regge la pia società degli orfani, si
piacerebbe nella naturale sua modestia di lunghi e
pomposi ragionamenti.
La carità ispirata dalla religione di Cristo era
la pietra, sulla quale innalzavasi, cessata appena la
pestilenza, la pia società degli orfani: la carità e nul-
l'altro era il mezzo, con ch'essa contava di raggiun-
gere felicemente lo scopo proposto. Rammenterete, o
signori, con compiacenza que'primi giorni della sua isti-
tuzione, quando essa approvata non solo ma conforta-
ta dal comun padre e sovrano, mise alla luce l'ordina-
mento, secondo che intendeva stabilirsi. Vidersi allo-
ra in ogni parte della città andare attorno elette cop-
pie di persone ancor del più alto ceto ed eccitare
Poveri orfani pel colera 5
la pietà de'buoni romani perchè dessero i loro soc-
corsi per la sant'opera. Né quelle fatiche furono in-
fruttuose; perchè questa nostra città, già usa ad ogni
maniera di opere caritative, corrispose volenterosa, e
792 nomi furono scritti nel ruolo de' novelli soci.
V'ebbe altresì chi non potendosi caricare di un'an-
nuale pensione, donò un soccorso per una sola vol-
ta; v'ebbe chi scarso di danaro diede cose o da let-
to o da vestire; poiché a quel bene tutti vollero con-
correre, e colle generose offerte del ricco si unì anche
l'obolo della vedova. Se scorri le note de'nostri so-
ci, vi leggi ogni condizione di persone. Vedi innan-
zi tutti il sovrano pontefice porre nella cassa della na-
scente società mille scudi del suo privato peculio ,
larghissima offerta che, data da principio qual dono
straordinario, si ripete ogni anno nel dì della sua so-
lenne incoronazione; tantoché pare che non gli tor-
ni lieto quel giorno, se non si consoli di questa bel-
l'opera di carità. Il sacro collegio de'porporati seguì
il nobile esempio del padre e pastore de'fedeli, e mil-
le scudi diede anch'esso del suo. Io sarei troppo lun-
go, e dispiacerei al certo alla virtù di molti grandi
personaggi, se qui volessi riferirne i nomi ad uno ad
uno. Essi stimarono di compiere un lor sacro do-
vere essendo generosi co'nostri poveri, e si terrebbe-
ro offesi dalla lode, seguitatori come sono di quel
vangelo che vuole in simili cose non sappia la sini-
stra ciocché fa la destra. I cittadini di ogni grado
concorsero altresì e i fabbricanti e gli artieri ancor
più minuti e persone di chiesa e parecchi moniste-
ri: cosicché io debbo confessare, o signori, che nel-
lo svolgere gli annali delle romane opere di benefi-
cenza, nel che mi piaccio da più anni, non ho Irò-
6 Scienze
vato clie giammai pio istituto sorgesse sì rapido e sì
coadiuvato da tutti, come avvenne della pia società
degli orfani del colera, che fu veramente quel gra-
no di senapa che presto distendesi in grand'albero.
In cotal modo il Signore, ricco nella sua misericor-
dia, confortava chiesta città, nella quale spegneasi quel
morbo distruggitore che avea furiosamente percossa
tanta parte del mondo. E i molti stranieri che visi-
tano Roma, trattivi o dalla magnificenza de'monumen-
ti, o dalla grandezza del nome e delle memorie, o dal-
la bellezza de'capolavori dell'arte, o da devoti sensi
di religione, concorrevano altresì a quel bene, ne li
rih'aeva diversità di religiose credenze. Nominerò per
tutti quello che tutti vinse in larghezza, l'imperiai
principe delle Russie, che mille scudi depositò nelle
mani del nostro tesoriere.
Avuti pertanto in pronto cotesti soccorsi, sen-
za frappor dimora si cominciò a compartirli: e il pri-
mo anno stesso si giunse a sussidiare tutti que'figliuo-
li e donzellette eh' erano restate prive di ambedue
i genitori, che sommavano nullameno che a quattro-
cento. Ma il consiglio, animato da'si bei principii e
desideroso di allargare al più possibile il bene intra-
preso, diede opera anche a soccorrere quegli orfani
che aveano viventi le madri, ma che nel perduto pa-
dre avean perduto pressoché ogni sostegno. Infelici
vedove, cariche di prole numerosa, come alimentarla
se lo scarso guadagno di una donna giunge appena
a mantenere se stessa! Ma coli' aggrandire il sussi-
dio conveniva aggrandire le fonti delle limosine. Due
accademie musicali date al teatro, che dicono di Apollo,
rendettero quasi ottocento scudi: prodotto che fu più
lauto di quel che suole avvenire in simili contingen-
Poveri orfani pel colera n
ze, dappoiché le spese indispensabili assorbiscono gran
parte dell' introito. In tanto tutte le dame romane
si affaticavano in lavori di lana e di seta: ed era una
bella gara di fare o il meglio o il più curioso o il più
gradito in quelle opere, da cavarne danaro anche da'più
ritrosi a prò de'poveri orfanelli. Giornate al certo dì
dolce memoria saranno quelle, in che cavavansi a sor-
te nella villa Borghese que'numeri, che dovevano at-
tribuire i premi a chi avesse comprato le polizze del-
le lotterie che facevansi a beneficio degli orfani del
colera. E già que' vaghissimi lavori, e cento altre bel-
lissime cose ad allettare la comune curiosità, erano
state poste a solenne mostra nella sala Argentina tap-
pezzata di variopinti drappi ed ornata di splendidis-
sime lumiere. Codeste due lotterie diedero più che
ottomila scudi di profitto, mescendo al vantaggio de'po-
veri il diletto che suole venire da simili sollazzi, se-
gnatamente a que' eh' ebbero in sorte la vittoria. E
poiché sono nel dire di onesti ricreamenti volti al
bene degli orfanelli, ricorderò le feste date in Campi-
doglio nel palazzo accordato per gentilezza de' nobi-
li conservatori , le quali furono ricche e splendide
oltremodo da onorarne Roma in faccia ai molti stra-
nieri che vi convennero.
Io però non ho toccato fin qui fra i parecchi
mezzi usati all'introito della nostra amministrazione
quello che, se non fu il più largo, fu certamente il
più virtuoso e il più degno di una cristiana istitu-
zione. Una nobilissima dama in compagnia di spec-
chiatissimo cavaliere ecco muovere del suo palagio e
gire attorno per più di presso i ricchi segnatamente
stranieri ( poiché i nostri eran già soci ) e chiede-
re ed ottener soccorsi pe'nostri pupilli. Non il fati-
8 Scienze
coso scendere e salire di molte scale , non qualche
accoglienza men che cortese, non alcune volte an-
cora la dispiacente ripulsa intiepidisce o spegne tan-
ta carità : e dopo molte visite, si raccoglie un frut-
to abbastanza ubertoso. Ma io nel ricordare tanta vir-
tù sono forzato, o signori, di ricordare anche un gran
dolore: dolore di che questo medesimo sacro luogo
conserverà lungamente la memoria: quando a mezzo
novembre dello scorso anno luttuosissimo si vestiva-
no di nere gramaglie queste pareti, s'immolava l'ostia
di propiziazione su quell'altare, e s'intendeva la vo-
ce del sacro oratore che lamentava la morte e cele-
brava le virtù rare di quell'angiolo che fu la prin-
cipessa Guendalina Borghese! E quelle virtù non ri-
manevano senza nobile imitazione. Altre principesse,
il cui nome la loro virtù stessa m'impone tacere ,
rinnovellavano la pietosa questua a domicilio e ne
raccoglievano messe ancor più larga. Ecco, o signo-
ri, come un bene è generato da un altro: come u-
na sola opera sia animatrice di moltissime virtù: co-
me da buona radice vengano frutti migliori: come in-
somma si apra e dilatisi sempre il campo a merita-
re per la vita interminabile.
Tali sono le fonti, dalle quali si trassero i mez-
zi del sussistere della nostra pia società. Come a lei
largamente venivano, essa largamente gli apriva: e de-
rivandoli fino a giungere a que' miserelli cui erano
destinati, essa ne potea per tal modo soccorrere fino
a seicento. E nel ridire il modo di distribuire que' soc-
corsi io entro per necessità nella seconda parte del
mio discorso, che dee come in breve carta porre sot-
t'occhio il lato morale e più importante della istitu-
zione. Quantunque, a dir vero, il procacciare di mez-
Poveri orfani pel colera g
zi economici all'opera, che vi ho indicato fin qui ,
contenga in se principii di grande moralità nelle mol-
te virtù esercitate dai generosi soci; nel che sembra-
mi appunto che stia il più bello di essa opera , la
quale ha così immedesimato l'elemento economico al
morale da non potersi disgiungere.
Per ciò che spetta alla buona educazione dc'no-
stri fanciulli vi è ben noto, come l'ordinamento dà
loro un amorevole tutore che tenga in tutto le ve-
ci del padre. In questa reciprocanza di uffici degli
orfani e de'tutori è tutta l'anima della istituzione ,
la quale dà il soccorso non perchè sia pasciuto l'uo-
mo, come il sarebbe qualunque animale, ma sì per-
chè questi riconoscendo la mano benefattrice senta
per lei amore e gratitudine; e quindi, profittando sag-
giamente di questi affetti, il benevolo tutore guidi a
virtù il suo novello figliuolo, ne corregga i difetti ,
ne temperi le passioni , lo incammini all' industria
operosa, lo avvii sul buon sentiero di religiosa pie-
tà, fuori del quale non v'ha che traviamento ed erro-
re. Il consiglio, che vedea esser questo il fuoco ani-
matore dell'opera, fece quanto per esso si potea ad
accenderlo e ravvivarlo. Una breve ma succosa istru-
zione ai tutori era messa a stampa fin dal 1889, nel-
la quale era toccato quanto baslasse a dirigere i rap-
porti tanto economici quanto morali ch'essi hanno co'lo-
ro pupilli. Intanto la società traeva partito da tutte
le altre pie istituzioni, segnatamente dalle scuole, che
dal tempo in che si tengono notturne si appellano,
le quali ricevono gran parte de'nostri orfani occupa-
ti come sono nel dì agli opifici e botteghe. In co-
teste scuole, nelle quali mediante l'opera gratuita di
buoni ecclesiastici e secolari l'azione educativa pre-
io Scienze
vale all'istruzione, anzi l'istruzione stessa non è che
un mezzo all'educazione, i nostri orfanelli traggono
gran bene; laddove le altre scuole, che sono aperte
il dì, gli toglierebbero ai lavori, cui è forza che l'uo-
mo avvezzi le mani fin dalla prima età della vita.
Molte sono in Roma le ragunanze e congregazioni
di religione che hanno luogo la domenica ; ciò non
ostante si stimò bene stabilire in diversi luoghi del-
la città alcune chiese, dove separatamente i maschi
dalle femmine potessero convenire per essere parzial-
mente interrogati sulle cose del catechismo, indispen-
sabili a sapersi per chi di cristiano non voglia ave-
re il solo nome. I PP. della compagnia di Gesù ,
che già fin dal cominciamento della nostra società
tanto bene vi fecero, e le dame del sacro cuore, so-
no i due ordini religiosi che con vero zelo si ado-
perano a ciò; e veramente non poco vantaggio si ca-
va per le anime de'nostri orfani da quelle ragunan-
ze delle feste, cui vigilano con singoiar carità i si-
gnori consiglieri e consigliere secondo il loro tur-
no. Questi convegni tanto utili furono sostituiti al-
le visite domiciliari, che si facevano da principio pe'so-
li maschi con molta fatica e poco profitto. IN è già
impediscono gli orfani dall'andare al catechismo del-
la parrocchia, la quale è centro, da rispettarsi assai,
di quanto concerne le pratiche religiose.
La società in soccorso degli orfani del colera ,
per ragioni che altre volte ebbi 1' onore di svolgere
da questo luogo medesimo , volle costituirsi in pia
opera a domicilio; quindi non ebbe per se né ospi-
zi , ne ricoveri di sorta. Però v'ha giovinetti e don-
zellette di tale indole, che sarebbe malagevole edu-
carli convenientemente nelle private case : la socie-
Poveri orfani pel colera i i
tà cinese ed ottenne allogarli ne' pubblici ricelti di
poveri. V'ebbe di quelli cbe si posero, a cura della
società, senz'alcun suo dispendio in quegli albergbi
caritatevoli ; ve n' ebbe di altri cui fu assegnata la
pensione solita darsi a quel pio luogo die gli acco-
glieva. Così l'ospizio apostolico di S. Michele , quel-
lo detto di Tata-Giovanni , alcuni conservatoci edu-
cano certi de'nostri orfanelli. Altri con savio divisa-
mente furono inviati fuori di Roma, dove sono sta-
biliti degli ospizi di fanciulli agricoltori, o conser-
vatorii, die locati in città di provincia ritengono for-
me di vivere più semplice e frugale. I PP. della com-
pagnia fondarono un ricetto per venti de'nostri or-
fanelli a s. Stefano rotondo al monte Celio. Alcu-
ne delle nostre egregie consigliere statuirono scuole,
dove raccolgonsi dui'ante il dì le donzelle, e sotto a-
bili maestre apprendono i lavori donneschi, gli ele-
menti necessari del leggere , scrivere e calcolare, e
soprattutto i rudimenti del catechismo. Coleste scuo-
le sono a lodarsi assai, e ritraggono del bene dell'e-
ducazione di famiglia e dell'altra che si ha ne'pub-
ci conservatomi. E per vero il buon avviamento del-
le donne è del più grande interesse per la civil con-
vivenza : perchè divenute madri, sono le prime edu-
catrici dell'uomo e ne dirigono i primi passi nel cam-
mino della vita. Altre delle nostre donzelle appren-
dono V arte della seta in una fabbrica al Quirinale,
che il consiglio stimò bene incoraggire pel vantaggio
che possono esse trarne in quella industria che me-
riterebbe fra noi essere aggrandita. Di tal fatta so-
no le cure prodigate a ben seicento orfani pel cole-
ra, che la società ha potuto soccorrere e prendere a
tutela. Né tante sollecitudini sono tornate vane: che
ia Scienze
anzi se si considera il picciol numero di quelli ,
co'quali si è dovuto usare di una carità severa per
emendarli, dobbiamo piuttosto consolarci.
Eccovi, o signori, presentato come in iscorcio
quanto adoperò la nostra pia società sotto il rappor-
to economico e morale in tre anni da cbe vive. La
sua opera però non è ancor compiuta: e per condur-
la a buon termine abbisogna di validi soccorsi. E
perchè col volger del tempo quanto più ci allonta-
niamo dai giorni della sciagura, tanto più se ne affie-
volisce la rimembranza, e molti soci mancarono sia
per morte, sia per partenza da Roma, sia perchè com-
piuto il tempo della loro obbligazione , il consiglio
fé mettere a stampa un breve eccitamento a coope-
rare a sì bella e caritatevole intrapresa; e fidato nel-
la divina provvidenza, e nella carità de'romani che
non ha giammai smentito se stessa, prosegue nel corren-
te anno a compartire i soccorsi medesimi, nonostan-
techè lo stato preventivo delle rendite, che vi fu pur
comunicato , presenti una qualche deficenza. Unite
dunque, o generosi signori, i vostri sforzi a que'del
consiglio onde s'impingui l'albo de'nostri soci e l'e-
ducazione de'nostri orfanelli si compia. Rammemori
ciascuno di voi come detto a se stesso da Dio: Or-
phano tu eris adiutor.
Poveri orfani pel colera i3
Rapporto sopra lo stato attivo e passivo della cas-
sa della società ih soccorso dei poveri orfani
pel colera durante il 1840, anno terzo della
pia istituzione ; che il consigliere ragioniere
incaricato di questa amministrazione ha pre-
sentato e letto al consiglio della stessa pia so-
cietà il giorno 9 di febbraio i84-i.
Il sottoscritto, nell' adempiere uno degli inca-
richi della onorifica destinazione che gli si è volu-
ta affidare , quella cioè di far conoscere al termi-
ne di ciascun'anno a questo rispettabile consiglio, ed
a tutti i componenti la società in soccorso dei po-
veri orfani pel colera, lo stato finanziere della cas-
sa della stessa società; con piacere deve annunziare,
che nel corso dell'anno 1840, e terzo della istituzio-
ne della citata pia unione, si è verificato quanto al-
la fine del 1889 in prevenzione fu esposto, almeno
per ciò che aveva relazione ai mezzi necessari: on-
de durante il passato esercizio poter sostenere il man-
tenimento degli individui di ambedue i sessi rimasti
orfani pel colera nel numero di 4^1.
In comprova di questo deve aggiungersi, che i
fondi avanzati dall' esercizio 1889, e quelli in varie
guise incassati durante il 1840, hanno offerto il mo-
do in detta epoca, non solo di soddisfare all' asse-
gno fissato pel giornaliero mantenimento di ogni or-
fano; non solo ha permesso d'impiegare a favore dei
medesimi una somma limitata, onde sovvenire ai par-
ticolari bisogni per generi di vestiario e di letto, e
di sostenere eziandio qualche spesa straordinaria re-
lativa all'oggetto della istituzione; ma dopo ciò si è
i4 Scienze
anche ottenuto un avanzo da calcolarsi nell' introi-
to del corrente 184.1.
Il sottoscritto peraltro, dovendo esporre le co-
se a questo consiglio ed alla intera società con tut-
ta quella candidezza che si conviene, non può dispen-
sarsi dal fare osservare, che il decorso anno 1840 ,
sì generoso nello spargere in tutta la Europa ogni
sorta di calamità , pur troppo non ha voluto rispar-
miare in certo modo la nostra pia istituzione. E con-
trariando in più maniere la medesima, e diminuen-
done quegli introiti su' quali si aveva il diritto di
contare, ha impedito che si verificasse totalmente quan-
to nel preventivo pel 1840, redatto al principio del
passato anno, si credette di potere asserire.
Quindi è avvenuto, che gli t^ 4000' cne s* te"
nevano depositati al sacro monte di pietà, e che nel
decorso anno diedero un fruttato di -7=% 16^: 44»
sonosi dovuti ritirare nel passato novembre : onde
impiegarli a sostegno delle spese dell'infausto 1840;
e la prima alba del quarto periodo della nostra pia
istituzione, ossia il primo del trascorso gennaio, in ve-
ce di trovare in cassa l'avanzo , che nel preventivo
pel passato esercizio su dati quasi certi si era cal-
colato dover essere di 7^ 5884: 87, non vi ha rin-
venuto che 7^ 2729: 62 ; sebbene nella detta epo-
ca il numero degli orfani per morte e per essere giun-
ti all'età prescritta siasi diminuito di 33 individui ;
e non ostante che i componenti questo consiglio, a
fine di dimostrare l'interesse che prendono al felice
andamento di questa nobile opera di carità, abbiano
voluto caricarsi di non poche spese.
I prospetti segnati coi numeri 1 e 2, che fan-
Poveri orfani i>el colera i5
no seguito al presente rapporto (*) , offriranno a ciascu-
no i necessari dettagli sopra quanto qui sopra si è
solamente accennatogli, facendo conoscere il visto-
so numero degli orfani pel colera che al comincia-
re del corrente anno trovavansi sussidiati o colloca-
ti per opera della nostra società, ascendente in com-
plesso a 602 individui; ed il 2, gì' introiti ed esiti
della cassa della stessa società durante il 1840, non
meno che il residuo al 3i dicembre delle somme
incassate, da servire di base al principiato esercizio.
Finalmente il prospetto num. 3 porrà sotto gli oc-
chi di ogni socio il preventivo formato pel corren-
te anno 1841 , e redatto con la maggiore possibi-
le precisione; il quale se in qualche modo si pre-
senta non così rassicurante, come si è verificato nei
preventivi che lo hanno preceduto, non deve punto
allarmare, e molto meno diminuire il zelo di una pia
associazione , piena di carità operosa, e che persua-
sa che colui che in Dio confida mai non resterà deluso,
aumenta di coraggio e di attività in proporzione de-
gli ostacoli che gli si parano dinanzi.
Dal citato preventivo infatti rilevasi, che il fon-
do di cassa esistente al decorso 1 gennaio ed ascen-
dente, come si è esposto, a 7=? 2729: 62, aumenta-
to colle seguenti partite, cioè 7=7 1277: io, 5, per
contributi arretrati, ma che si calcolano di probabi-
le esigenza; 7=7 3461: 88 per contributi da riscuo-
tersi durante l'anno da coloro che a ciò sonosi ob-
bligati ( somma che dovrebbe conteggiarsi per 7=7 5192:
(*) Si è creduto inutile di recar qui questi prospetti , tro-
vandosene un sunto così preciso nel presente rapporto di S- E.
il sig. generale don Pompeo de'principi Gabrielli.
i6 Scienze
82, formando essa il totale (lei versamenti da farsi
in cassa da tutti i contribuenti, ma che si diminui-
sce di circa un terzo, essendosi osservato che negli
anni passati a tale quantitativo ammontava appun-
to la diminuzione d'introito, che per varie cause si
verificava in dette riscossioni ) : 7^7 iooo generoso
dono della Santità di N. S. Papa Gregorio XVI; e 7=?
1280, che a tanto per approssimazione si valuta il
risultato di varie questue, e di più feste laicali già
attivate, si otterrà nel presente esercizio un introi-
to di circa t^ 97x^: 60. 5. Calcolando quindi le
spese da sostenersi entro lo stesso periodo di tem-
po, cioè 7^ 10696: 82 pel mantenimento di nume-
ro 410" orfani di ambo i sessi: più circa 7=^ 3oo per
istraordinarie somministrazioni a titolo di generi di
vestiario e di letto: ed unita a questo la somma di
7=7 5o5 per altre spese certe, che nello stesso pre-
ventivo veggonsi dettagliate, si avrà un totale di spe-
sa da sostenersi nei 1841 di t^t ii5oi: 32, la qua-
le potrà essere minorata di circa -p^ 5j3: 40, per
quel numero di orfani che durante la detta epoca
saranno forse diminuiti: rimanendo così la cifra del-
l'esito di 7=7 11027: 92.
Ora se la spesa non oltrepasserà 7^ 11027: 92,
e l'introito non sarà minore dei 7=^ 9718: 60: 5; a-
vreino la dispiacente conseguenza , che alla fine del
corrente esercizio 1841 la cassa della società in soc»-
corso dei poveri orfani pel colera si troverà con un
deficit di t=£ 1309: 3i: 5 ; vuoto che potrebbe an-
che aumentarsi , se le calcolale riscossioni , come
per più motivi è accaduto negli anni precedenti, non
corrispondessero con precisione alle partite inscritte
nell'introito del preventivo suddetto.
PoVEKl ORFANI PEL COLERA iy
Il sottoscritto dovrebbe sottoporre all' esame di
questo rispettabile consiglio qualche proposta , onde
in antecedenza suggerire un riparo all' indicato dis-
quilibrio, il quale aumentandosi potrebbe recare del-
le conseguenze di maggiore rammarico. Crede egli
però di esimersi da questo: conoscendo che lo stes-
so consiglio , in genere già istruito di quanto si è
esposto, si occupa con avvedutezza, con prudenza e
con ispirito di carità, dell'esame di vari progetti, non
disgiunti dalla confidenza in Dio, atti a riparare l'an-
nunziato sbilancio, e prevenirne bene anche l'aumen-
to; il prestantissimo consigliere segretario di questo
nobile consesso, con un breve ma ben inteso discor-
so in istampa , avendo eccitata di già in prevenzio-
ne la pietà e sensibilità di ogni classe di persone ,
onde accrescere il numero dei contribuenti alla no-
stra pia opera, ed aumentati così i mezzi, poter giun-
gere con maggior facilità al fine che forma lo sco-
po di questa caritatevole istituzione.
Il consigliere ragioniere
Pompeo Gabrielli.
G.A.T.LXXXVIII.
i8
Continuazione della rivista di lavori di medico
argomento, del dott. Giuseppe Tonelli.
De galvanismi acus^puncturae magneticae con-
iuncti nonnullis in nervorum morbis praestan-
tia. Epistola ad D. Enokhine, russorum impe-
ratoris a consiliis ec. F. Cervelleri auctore.
Neapoli 1839.
De Vemploi de V électro-magnetisme dans les ma-
ladies des nerfs, et des dijferens procédés d1
application des apparéils électro-magnétiques
a excitation a courens graduels et a soustra-
ction dans les traitements des paralysìes, de
la sciatique, de Vamavrose, de Vépilepsie , et
des plusieurs autres névroses, des plaies et
des tumeurs anciènnes de differente nature,
et en particulier de certaines tumeurs articu-
laires et scrofuleuses. Par F. Cervelleri, do-
cteur ec. de Vuniversité de Naples ec. Naples
1840.
resentò nel primo degli enunciati lavori il eh,
sig. Cervelleri varie interessanti osservazioni di ma-
lattie dei nervi da essolui felicemente trattate col
galvanico magnetismo ; e sviluppò le sue idee sulle
nervose morbosità e sull'influenza che 1' elettricismo
esercita sulla economia animale nello stato sano e
morboso. Torna ora sullo stesso argomento nel suo
Rivista medica io
secondo lavoro, dimostrando la ragionevolezza di que-
sto terapeutico presidio da potersi in varia loggia ap-
plicare pel ristabilimento di equilibrio delle corren-
ti nerveo-elettriche or con l'uno or con l'altro dei
memorati apparecchi. Un breve e enno esporremo di
ambedue questi lavori,
Narra nel primo il N. A. come in varie nevral-
gie e nelle paralisi circoscritte ridonasse ai suoi in-
fermi, mercè delFago-puntura, la salute, ed in altri al-
meno una sensibilissima moderazione ; come utilissi-
mo siagli riuscito questo mezzo in altre croniche ir-
ritazioni dei nervi; come debellato ne abbia invete-
rati dolori muscolari ed artritici, benché promananti
o da meccanica o da reumatica o da sifilitica cagio-
ne, e quantunque avessero queste morbosità resistito
ad altri farmachi amministrati. Tenue vantaggio egli
poi traendo in altr'emergenze dall'uso della elettrici-
tà, e vedendo cogl'infelici succ essi non corrispondere
alle sue concepite speranze i fausti predicamene del-
l'apparato galvanico, avvisò di associare l'azione del
galvanismo a quella dell'ago-puntura: istituendo pre-
cisamente il primo cimento in un infermo, in cui fru-
stranea era di già tornata l'azione della elettricità gal-
vanica, u Erat infirmus ( son sue parole ) paraplegia
« diu post apoplexiam, praecordialem a I. P, Frank
« nuncupatam, ex diaetae intemperantia, vini praeser-
« tini ortam, laborans. Tres in partes acus illi hiflxi,
« infra scapulas videlicet duas sibi parallelas, et obli-
« que ac profunde in musculos ac nervos confixas ,
« sic ut per tertiam partem acus superna parte exter-
« ne remanerent. Erant acus magneticae ex chalybe
« carburato constructae, pollices tres longae ; aliae
« duae ex ipsis inter lumbos et sacrum infictae fuere,
20 Scienze
« sed inversa ratione, ut liberae extremitates inferne
« essetit; alias demura acus in femore introduxi sub-
« ter trocanteres in directione plexus ischiatici ex in-.
« furia parte illas pellens. Tu ne pilam paratam adpro-
« pinquari, polumque zincum supernis acubus, cu-
ce preum mediis contactu posui. Statini ac conducto-
« res acus tetigere (mirabile dictu ! ), quibnsdam meis
« adstantibus auditoribus ac obstupescentibus, mu-
« sculi c-mnes antea inertes snbsultarunt et sese agi-
tarunt ; dolores flammasque per spinam infirmus
« sensit, et simul vellicationes tota cute extremitatum
« inferiorum adparuerunt, anserina tamquam in fe-
ti bribus facta. Paulo post polum zincum super sa-
« crum, cupreumque super acus nunc dexteri, nunc
« sinistri femoris transtuli: et illice dolores, motus
« violenti convulsivi in musculis se agitantibus facti
ci sunt, et sic per semihoram. Binos post dies opera-*
« tio repetita fuit, infirmo alacriter incitante, ac illius
« utilitatem approbante: et bene se habuit, nam sen-
« sus motusque membris in mortuis iam reverteban-
« tur, spesque erat sanitatem diu nequicquam opta-
te tam obtinendi. Per menses duos alterna die reme-
« dium applicando, scire sat erit quod aeger conva-
« luit, ac demum in civitatem et officium reversus est
« suurn. »
Sommo incoraggiamento fu pel sig. Cervelleri
un sì fausto risultato : cosicché dando alacremente
opera ad estendere il suo metodo alla cura di altri
malori, potè compiacersi di vederlo eoi'onato di feli-
ce successo in alcune ischiadi, una delle quali ben in-
veterata avea resistito all'amministrazione di molti far-
machi ; in una cronica nevralgia facciale, ed in una
invecchiata cardialgia, pel trattamento della quale ap-
Rivista medica 21
plico egli due aghi magnetici all'epigaslrio, ed altro
sopra le vertebre dorsali, onde stabilirvi le polarità
della pila. Dopo la narrazione islorica dei divisati
morbi, mercè del galvanismo magnetico risanati, vol-
gendosi a dare una qualche interpretazione ai fatti
rammenta con sorpresa elianto poco alla medica pras-
si tornassero proficue le applicazioni dell' elettrico e
del galvanico fluido, che tanto d'altronde illustrarono
la fìsica, la chimica, la fisiologia. La incostanza in-
fatti dei successi fece porre in oblìo questa specie di
terapìa, e fu cagione che da molti recenti scrittori
pur anco si proclamasse infruttuosa. Ma sembra che
all'elettro-puntura eziandio siasi riservato il medesi-
mo destino di oblivione, tostochè pochissimi ne posse-
diamo utili documenti pratici: quantunque abbiano
alcuni avvisato potersi con tal metodo ridonar la vita
agli asfittici, e siasi pur suggerito di far penetrare fino
al cuore gli aghi affìn di eccitarvi un artificiale inner-
vazione. Or da due fisiche fonti opina il sig. Cervel-
leri doversi derivare la inutilità del galvanismo : e
ben lo addimostra. Non si è , invero , posta mente
dagli sperimentatori alla differenza delle parti che deb-
bono porsi in contatto, onde avvenga dei fenomeni
galvanici la manifestazione : vennero bensì sopra una
medesima parie applicate le polarità galvaniche. « Cur
« galvanismi influentiae ( esclama qui il N. A.. ) Car-
li poris quamvis exponendo regionem, sensatio nulla
« vel medica adverlitur , et con tra super incisimi
« operando cadaver, nervosque musculis per condu-
ci ctorès filos aplando , partes convulsive moventur,
« quamquam ( quod mirum ) vitalitate careanl ? Non-
« ne quia culis substantiae differentiam non porri-
« gii, in cadavere vero nervorum ac musculorum te-
22 Scienze
« xtu differens ad phaenomena excitanda galvanica
« maxime est opportunus ? » Altra condizione, che
il N. A. accenna richiedersi pel felice successo , si
è quella di spingere l'azion diretta del metallo al-
la parte offesa ; ed ecco perchè nelle paralisi p. e.
poco giovi o nulla la concussione dei muscoli: « Dira
« ita infirmitas immunis intus recedit, ac saevior ab-
« sconditur. »
Dal modo quindi più retto di valersi del galva-
nismo viene a fluirne la vera cagione del profitto e
la costanza più sensibile di questo : il che non po-
teva conseguirsi tostochè non si attendeva alla de-
composizione della naturale elettricità per la differen-
za delle due sostanze, a Cui negotio acuum maxi-
« me magneticarum, ut experientia me docuit, fida-
ti tio duas in partes textu diversificantes , convenit
« ne dum, veruni et pilae voltianae applicatio aliis
« electricis machinis ad hoc longe utilior et ad ner-
« vos musculosque concutiendos ac sanos reddendos
« aptior. » Addottrinato per tal foggia il N. A. dal-
l'esperienza, ritiene, che « electricitas agit non secus
« ac innervatio nova per illas partes earum vitalita-
« tem sic affieiens , ut. totam per extensionem per-
« currat , sensumque exaltatum interdictum vel in-
« normalera corrigat ».
A sanzione più dimostrativa delle sue idee sul
proposito s'intertiene quindi il N. A. nella compa-
razione del modo diretto di agire di alcune potenze
medicinali su i nervi, sulla spinale midolla, ricono-
scendo l'attività di esse diretta alla decomposizione e
manifestazione della naturale elettricità per riordina-
re il sospeso o interrotto circolo di questa nei luo-
ghi infermi. E rammentando l'influenza della elettri-
Rivista medica 23
cita atmosferica sulla umana salute, nel pervertimen-
to di equilibrio della elettricità nervea ripone la cau-
sa dei morbosi sconcerti nell'animale economia, e nel-
l'ordinamento dell'equilibrio indicato trova conferme
della maniera di agire dell'apparato galvanico e del-
l' elettro-galvanico. E mentre futili sono pel N. A.
dichiarate le tante ipotesi e teorie immaginate intor-
no la patologia e tei'apia dei morbi nervosi, come di
congestione, d'irritazione, di flogosi, tutto egli age-
volmente spiega colla face della sua dottrina elettri-
ca. Mancarono, è vero, sotto le mani di moltissimi
pratici i salutari effetti della elettricità ; ma ciò av-
venne perchè non si avvertì esser necessario: « non
« externam electricitatem, sed intimas naturales gal-
li vanicas positivam ac negati vam extricare , ac pa-
ci tentes reddere. » E sotto questa condizione egli è,
che la pila voltiana rettamente applicata ingenera ma-
ravigliosi effetti. Rende elogio per tal modo il signor
Cervelleri alla dottrina e sagacia dell'egregio Pucci-
notti ; apprezza le portentose sperienze dei eh. pro-
fessori Ettingshausen e Knolz negli apparati elettro-
magnetici di rotazione e d'induzione; quelle altresì
del Matteucci e di altri prestanti italiani, non che
la osservazione del dott. Farini.
Addottrinato così il N. A. dal lume delle sue
osservazioni, e roborato dal peso dei suoi ragionamen-
ti, propone la pratica applicazione del galvanismo in
tutte le dimaniche affezioni nervose, e specialmente
nelle croniche, come nelle paralisi, nelle nevralgie,
nelle convulsioni, qualora semplici esse feieno e sce-
vre da qualsiasi complicanza. Mercè del fluido galva-
nico poi, col soccoi'so degli aghi magnetici trasmes-
so, congettura egli potersi trattare molte topiche lo-
24 Scienze
cali infermità, per ottenere, a mo'di esempio, che gì'
invecchiati tumori, indolenti ed a qualche degenera-
zione inchinevoli, i linfatici ascessi, le artropatie, le
distensioni dei vasi, le anchilosi , si fondano, si as-
sorbano, si correggano, e sieno all'ordine ricondotte.
Chiude questa prima memoria il sig. Cervelleri col-
l'avvertire alla distinzione dei casi pratici, nei quali
abbiasi o nell'un modo o nell'altro ad eseguire l'ap-
plicazione del galvanismo nella cura dei morbi.
Ma vieppiù intento il N. A. ad accordare mag-
gior estensione al discusso argomento, imprende nel-
la seconda sua memoria ad illustrarlo con ulteriori
raziocini , ed arricchirlo di fatti, di osservazioni, di
esperimenti , siccome brevemente fai-cmo conoscere.
Premette in sulle prime, che vi ha entro l'organismo
una sorgente di elettricità , che massima influenza
esercita in tutte le funzioni della vita. Questa elet-
tricità sostanziale o galvanica sembra elaborarsi dal-
la natura nei centri nervosi con modi che sfuggono
alle nostre ricerche ; alle parti lontane vien diretta
la medesima, onde porle in movimento; dal centro al-
la superficie del sistema nervoso esistono sempre cor-
renti nerveo-elettriche dirette o inverse, cosicché può
dirsi che la centralizzazione o forma contrattiva cor-
risponda al polo positivo, e la effusione o forma espan-
siva al polo negativo. L'antagonismo e 1' alternativa
di queste differenti affezioni di correnti neiveo-elet-
triche mantengono l'equilibrio nello stato di salute;
dalla interruzione di tale antagonismo vengono inge-
nerati i morbi dinamici dei nervi, e perciò la indi-
cazione terapeutica si è in essi di ristabilire nei ner-
vi inverse correnti.
Non vi ha che la teoria degl'imponderabili che
Rivista medica. 25
renda ragione dei disordini nei nervi : ed il N. A.
è di avviso non allontanarsi dal vero nello stabilire,
che il fluido nerveo-galvanico sia pe' nervi quel-
lo che l'aria è pei polmoni, ed il sangue pel siste-
ma irrigatore. Ma lo varietà patologiche delle ne-
vrosi non si arrestano mica ai nervi; ogni sistema an-
zi ed ogni fibra organica ne sono influenzate, ed in
singoiar modo il sistema irrigatore unito intimamen-
te al nervoso, cosicché sono questi due grandi siste-
mi i depositari della vita. Disse già il valente Puc-
cinotti, essere officio del sistema irrigatore d'inalììare
i nervi di un vapore per mezzo di una continua esa-
lazione di siero diretto a conservare la conducibilità
delle correnti elettriche e fornire in pari tempo l'ele-
mento termico. In grazia di tale corrispondenza le
correliti idro-elettriche che portansi dai centri all'e-
sterno, e le termometriche che volgonsi dalla perife-
ria all'interno, costituiscono un sistema generale di
correnti termo-idro-elettriche. Agevolmente così si co-
nosce , che se l'imponderabile trovasi in eccesso su
qualche nervo, il tessuto di cui non sia in tutta la
sua estensione umettato, la forma morbosa in tal ca-
so sarà una irritazione locale, una nevralgia, che po-
trà ad ogni istante inasprire o dissiparsi a norma della
interruzione o del ristabilimento della conducibilità
nerveo-galvanica.
In conseguenza di questi principii « di altri per
brevità omessi risulta, che la prima e la più essen-
ziale indicazione nella terapia di un gran numero di
nevrosi è quella di riporre in equilibrio le correnti
nerveo-elettriche. Dichiara a tal uopo il sig. Carvel-
len, che 1' uso dei suoi apparecchi forma il più sem-
plice ed insieme utile mezzo opportuno a razionai-
20 Sciente
mente soddisfare alle diverse terapeutiche indicazio-
ni, siccome ampia fede ne somministrano i felici suc-
cessi da lui conseguiti nel tempo che gli ha posti a
contribuzione. L? aparecchio a correnti magnetiche,
e tre diversi apparecchi galvano-magnetici, ad ec-
citamento cioè, a correnti graduate, ed a sottra-
zione, vengono dal N. A. descritti e raccomandati.
Per la formazione del primo fu d'uopo stabilire due
polarità con quattro aghi magnetici situati gli uni in-
contro agli altri, e porre tutti gli aghi in diretto rap-
porto con barre magnetiche , di cui i poli contrari
sieno in perfetta corrispondenza con quelli del lato
opposto: vengono in tal modo poste in movimento le
due correnti e vanno a confondersi. Nel secondo ap
parecchio, cioè galvano-magnetico ad eccitamento
situar conviene gli aghi magnetici in molti punti
come alle braccia, ai femori , alle gambe, al dorso
ligarne tutte l'estremità libere con fil di ferro , po-
nendo gli ultimi delle due estremità in rapporto coi
poli della pila. L'apparecchio galvano-magnetico a
correnti graduate consiste nel non usare, siccome
nel precedente, il filo di ferro per unire gli aghi, ma
far restare i medesimi a qualche linea di distanza dai
conduttori , ovvero di porre il polo positivo in co-
municazione con 1' ago che ferisce il nei'vo, mentre
l'altro conduttore rimansi a piccola distanza dal se-
condo ago. Finalmente V apparecchio galvano-ma-
gnetico a sottrazione può in diversi modi formarsi:
diversi aghi magnetizzati si applicano l'ira dopo l'al-
tro, e riunisconsi alla loro radice mercè d'una catena
che si tuffi con la sua libera estremità nell' acqua.
Trovandosi gli aghi sotto la pelle presso le parti af-
fette, si precipita l'imponderabile sul conduttore e ces-
TlVISTA MEDICA 2 7
sa il morboso disordine. Può altresì adoperarsi l'ap-
parecchio a correnti graduate in modo da far dirige-
re la corrente dall'interno al di fuori; fissandosi so-
pra i nervi affetti un ago, cui si approssima il polo
positivo, se ne pone un allro che abbia appena fo-
rato la cute, in rapporto col polo negativo.
La varietà di questi apparecchi viene dal N. A.
determinata a forma delle varietà dei morbi che im-
prendonsi con essi a combattere. La somma dei sor-
prendenti vantaggi conseguiti dall'applicazione dei me-
desimi viene pur constatata da un quadro di osserva-
zioni che lo stesso sig. Cervelleri vi aggiunge. Ap-
parisce ivi quan te guarigioni e salutari effetti abbia
l'imponderabile operato anche nelle infermità ribelli
alle ordinarie terapeutiche amministrazioni, e dichia-
rate insanabili, come paralisi croniche, nevralgie osti-
nate, tumori articolari cronici ed incurabili, sia scro-
folosi sia sifditici, ascessi freddi, sciatiche ribelli , e
pcrfin piaghe di strumosa progenie, si videro con l'at-
tività di tal presidio condotte a cicatrice. Ma qual
dei menzionati apparecchi usar fia d'uopo in una o
in altra delle diverse morbosità, non si omette dal
N. A. dichiarare : ed appoggiato sempre ai più sobri,
ma concludenti raziocini nella rispettiva emergenza
annessi.
Delle quali cose e risultanze non pago il N. A.
tentar volle di più oltre estendere il dominio e le
mire di possanza del suo contemplato imponderabi-
le. Spinto cioè dall'ardor di conoscere, se coll'aiuto
delle correnti galvano-magnetiche giunger si poteva
allo scopo di trasmettere nell'interno dell'organismo
sostanze medicinali, volle sopra se medesimo, ed in
alcuni individui infermi intraprenderne in varia for-
28 Scienze
ma i cimenti: siccome all'uopo riferisce di aver pra-
ticato con soluzioni di tartaro stibiato, di tintura di
cantaridi, di estratto di bella donna, di stricnina, e
con la decozione di robia. Desumere dal complesso
delle istituite sperienze si può, che molto rapido di-
viene l'assorbimento sulle parti, nelle quali sono sta-
ti fissati gli aghi magnetici e dopo le applicazioni del
galvano-magnetismo. Ma qualora la soluzione medi-
cinale pongasi in un bicchiero di cristallo, traversato
nel fondo da due fili di ferro da mettersi ciascuno
in comunicazione con un dei poli della pila , non
manca di appalesarsi l'effetto della trasmissione. Que-
sta però è più rapida e sensibile , quante volte im-
bevansi delle compresse nella dissoluzione medicina-
le, e situate vengano fra l'estremità dei fili condut-
tori e degli aghi che per questo mezzo comunicano
colla pila. E poi tanto vero, che in grazia delle ap-
plicazioni del galvano-magnetismo spiegano grande at-
tività i vasi capillari assorbenti, che per mezzo del
suo processo è pervenuto il N. A. a condurre a ci-
catrice invecchiate piaghe, benché di genio scrofoloso:
siccome apparisce da una delle sue osservazioni che
qui presceglier ne piace a trascrivere.
« A un malade, qui souffrait depuis quatre mois
« à cause des plaies scrofoleuses au cou, j' avais con-
« seillé 1' application topique de l'onguent de mer-
« cure. Un mois s' était presqu' éconlé d' après ce
« nouveau traitement, et les plaies se trouvaient dans
« le meme état, sans qu' aucun symptome de sali-
ce vation ni d'autre nature eut annoncé l'absorption
« du reméde. Dan cet état, j' ai applique sur les pia-
te ies douze grains d'onguent napolitain, j' ai fixè des
« aiguilles obliquement autour des plaies, et j' y ai
Rivista medica 29
« dirìge dessus des couraus graduels. l'ai découvert
« les plaies aprés huit heures, et toute trace de mer-
ci cure ètait disparue. A la troisiòme application de
a l'onguent, la salivation s'est manifestée. On a su-
« spendu l'application d'onguent mercuriel, tout en
« continuant les courans: et la guérison au bout de
« quatre mois a été radicale, n
Con plausibile modestia concliiude il eh. prof.
Cervelleri di aver unicamente consegnato al pubbli-
co in queste sue produzioni il frutto delle sue spe-
rienze per sottometterle al giudizio dei dotti. Affine
però di meglio secondare le intenzioni del N. A., ed
anche (il che è preferibile) affine di cooperare ai ve-
raci e sodi progressi della scienza, fa d'uopo ripete-
re con zelo ed esattezza l'esperienze medesime di lui.
Con ciò assicurarci potremo della energia non solo
di sì possente imponderabile , ma sibbene della co-
stante energia ed attività di questo nella cura delle
umane infermità. Impiegato vedremo così agli usi te-
rapeutici quell'agente istesso, che regola e compie le
funzioni dell'organismo e presiede quasi alla vita.
TONELLI.
— «££g5Q^§3?ffB=~-
3o
a ■iiimwiimuwJM
Risultamenti delle grandi operazioni di chirur-
gia eseguite nelV arciospedale di s. Spirito in
Sassia di Roma dai eh. prof. Francesco Rucci
ed Antonio Speroni chirurgi primari di esso
stabilimento, membri del collegio medico-chi-
rurgico ec.\ e dai loro chirurgi sostituti dal-
l'1 anno i835 al 1840 (*).
ngombrati ognora da sistemi, da teorie e da mok
tissime inezie, e stanchi a dir vero di tanti deliri, go-
de veramente 1' animo di far presente a' leggitori di
fatti esposti con tanta candidezza , che credo dover
riuscire di vera e grande utilità a' giovani non solo
ma eziandio a' provetti. Era veramente cosa vergo-
gnosa, che nessuno de' tanti medici e chirurgi dotti
che questa capitale illustrano si fosse posto a raccorli
e divulgali gli avesse. Fu per le cure di S. E. monsig.
Antonio Gioia commendatore di s. Spirito, che si pub-
blicarono gli annuali elenchi, e sotto i suoi auspici
se ne continua la compilazione. Volentieri quindi mi
sono accinto all'opera, desideroso di far palese agli stra-
nieri non solo, ma agl'italiani ancora, qui non istar-
si già, oziando, ma operarsi cose senza strepito e seri-
(*) Questi cenni sono stati desunti dagli elenchi delle opera-
zioni in due fogli atlantici, che vider luce nel i856 e 1807 , da
un volume in 8. nel i838, e da tre in 4- del i83g, 1840 e 1841 ;
stampati tutti nella tipografia Pulcinelli a Roma.
Operazioni di chirurgia 3i
za farsi strombettare. Il ciarlatanismo letterario non
ha mai allignato fra noi: anzi, confessiamolo pure, sia-
mo soventi volte caduti nell'eccesso opposto.
Delle operazioni eseguite nel corso di sei anni
nell'arcispedale di s. Spinto io do conto: e per rin-
venire più facilmente il nome di esse, ho seguito l'an-
damento alfabetico.
Amputazioni. i835. In quest'anno furono ese-
guite due amputazioni della gamba sinistra, le quali
ebbero infausta terminazione : la prima a causa di
gangrena, l'altra pel riassorbimento del pus. Buono
però fu l'esito dell'amputazione del destro braccio.
i836. In 5o giorni guarì un giovane, al quale
si era amputata la gamba destra.
i83y. Presso a scoppio di fulmine un tal Ghi-
giotti di Terni sentì un avvampante scuotimento nel
mognone della spalla destra fino alle dita , le quali
restarono istupidite ed incapaci di esercizio. Dopo al-
quanti giorni svanì tale incomodo: ma scorsi tre me-
si vide sollevarsi nella mano una leggera tamefazione
indolente, non inerte alla pressione. Progredì lenta-
mente, e dopo 3 anni era simile ad un grosso limo-
ne: e sì vivi dolori arrecavagli, che erano causa di feb-
bre. Riconosciuto il tumore per un vero fungo san-
guigno, fu aperto a solo fine di aderire alle preghiere
dell'infermo. Si dovette quindi amputare l'antibrac-
cio. Sino al settimo dì tutto progrediva bene : ma
cominciando la piaga ad impallidire e dar sanie , il
20 giorno perì. I visceri del basso venire si trovaron
più o men flogosati; i polmoni distrutti e natanti nel-
le marce; nessun sintonia avea palesato tali alterazio-
ni. Un'amputazione dell'omero destro sortì esito felice.
1 838. I due amputati della coscia, per metasta-
tico riassorbimento di pus ai polmoni , perirono.
3a Scienze
i83g. L'amputazione di una coscia riuscì nel
modo più lusinghiero.
1840. Una vasta e profonda ferita nella parte
interna della regione carpiana malmenò vari ten-
dini flessori delle dita , troncando quello attinente
al mignolo e 1' arteria radiale , da cui infrenabile
emorragia. Si fece la compressione col torculare , il
quale rimosso dall'infermo perchè vedea la ferita pros-
sima a cicatrizzare, sgorgò nuovo sangue dalla recisa
arteria per modo che se ne infiltrò il tessuto cellu-
lare. Si praticò allora un taglio per rinvenire 1' ar-
teria, la quale fu allacciata, ma inutilmente , perchè
dopo due giorni die altro sangue. Si ebbe finalmen-
te ricorso all'amputazione dell'antibraccio, e così si
salvò la vita al paziente. - Una puntura di spino nel
dito medio sinistro arrecò appoco appoco una vasta
suppurazione in tutta la mano: due aperture davano
esito a marce fetentissime. Il tendine dell' estensore
di quel dito distrutto : la instituita disarticolazione
rendette più gravi i sintomi, sicché amputossi il ter-
zo inferiore del braccio : ma la febbre e 1' emana-
zione, che da lungo tempo il cruciavano, lo trasse-
ro alla tomba 18 giorni dopo l'amputazione. Si tro-
vò il pus nella sinistra cavità toracica. - Un colpo
di scimitarra sul dorso della mano sinistra produs-
se una ferita complicata colla recisione dei tendi-
ni estensori delle dita indice, medio, anulare e mi-
gnolo, con frattura degli ossi del metatarso sostenito-
ri delle tre ultime dita e con divisione di vari ra-
moscelli arteriosi, dai quali una rilevante emorragia.
Per rendere regolare la ferita , si disarticolò il dito
indice e si segarono le tre ultime ossa del metatar-
so. Un disordine dietetico destò gagliarda febbre e vi-
Operazioni di chirurgia 33
vissima flogosi alla mano, da cui gangrena. Per ener-
gica cura ai separarono le parli corrotte: ma denu-
dati i moncherini in parte si necrosarono, e dopo la
desquamazione sursero novelle carni a base di buo-
na cicatrice, che nel tempo in cui scrivevansi le isto-
rie era completa ( febbraio 184.1 )■
Aneurismi, i835. In seguito di un salasso nel-
la vena basilica del braccio destro, si lese 1' arteria
brachiale ; sottoposto l'infermo al metodo del Guai-
tani, ne ottenne guarigione.
1837. Legatura della carotide primitiva. Quest"
operazione mostra il coraggio dei professori. L'infera
mo avea riportato dieci ferite, due penetranti nella
cavità del basso ventre, sette in varie regioni del cor-
po, tutte muscolari, ed una con lesione della caroti-
de primitiva , la quale fu allacciata. Se i1 esito non
corrispose alle speranze, l'esattezza dell'atto operativo
fu dimostrata dalla sezione del cadavere.
Bubbonocele, i835. Due furono i casi di bub-
bonocele : esauriti i mezzi che 1' arte insegna affine
di schivare il taglio, si dovette non ostante proceder-
vi: ma l'esito fu felice.
i836. Dopo aver posto in opera ogni tentativo,
fu impossibile riporre 1' ernia strozzata ad un tal
proietto malsano, stupido, in età di 70 anni. Sotto-
posto all'operazione, riuscì facile; si sarebbe portato
a guarigione l'infermo, se egli stesso togliendosi l'ap-
parecchio non avesse dato causa alla sua morte. L'inte-
stino strozzato si trovò del colore naturale, l'intero
omento cambiato in una massa d'idatidi. La superfi-
cie delle intestina era ricoperta in vari punii di strati
di linfa coagulata, che costituivano false membrane.
1837. Un caso di bubbonocele riuscì infausto.
G.A.T.LXXXVIII. 3
34 Scienze
La sezione del cadavere mostrò l'omento e le inte-
stina mortificati, e gli altri visceri con indizi di flo-
gosi.
i838. Ad un tal campagnolo di anni 71, affet-
ta da ernia inguinale, rimase questa incarcerata. Ogni
sforzo per riporla in cavità tornato inutile, si operò.
L'omento era gangrenato, un' ansa d'intestino tenue
lividastra. Nel giorno 4* perì. Il grande omento, tutto
corrotto, avea aderito alle parti vicine e specialmente
intorno all'annulo inguinale. Le intestina alterate per
inspessimento di sostanza , e la porzione dell' ileon
prossima al ceco presentò un' apertura avvenuta per
gangrena. L'altro caso di bubhonocele guarì.
i83c). Interessantissime sono le tre storie di er-
nie incarcerate, le quali si operarono con risultamen-
ti così felici che superarono la comune aspettativa.
Furono asportati dei grossi pezzi di omento grangre-
nati, e nel terzo caso l'intestino stesso mortificato si
aprì spontaneamente, e dall'apertura vennero fecce:
una ben'intesa medicatura però salvò la vita al pa-
ziente, e gli rese uno stato di salute floridissimo.
1840. Aperto il sacco erniario, apparve un cor-
picciuolo albicante che aderiva ai muscoli addomina-
li : si riconobbe essere un testicolo. L'infermo guari.
Ricorso per estremo aiuto all'operazione, si rinvenne
l'ansa intestinale lividastra ed una porzione di omen-
to infiammato. Nel rimuovere l'apparecchio, si vide
che»- un piccolo foro comunicante coll'addomine favo-
riva uno stillicidio di marce in quella cavità. Abben-
chè si adoperassero tutte le cautele per impedire tale
disastro, l'infermo soccombette. Si trovarono nella ca-
vità addominale molte marce fetide, l'omento inaltera-
to, gl'intestini di color carico, l'ileon, nella porzione che
Operazioni di chirurgia 35
avea formato l'ernia, più colorito. Aperto al terzo in-
dividuo il sacco erniario, si trovò un entero-epiploce-
le, e l'omento per tal modo inviluppava l'ansa inte-
stinale che si durò fatica a disgiungerlo. Sebbene in
sul principio le cose pendesser buona piega, non o-
stante sopraggiunsero sintomi d'incarceramento, e l'in-
l'ermo morì al quarto giorno. Si rinvenne nel cada-
vere l'omento semi-adeso all'orlo della ferita, e sot-
to questo una porzione dell'ileon molto ristretto nel
diametro e prossimo a gangrena.
Castrazione, i835. Si asportò un testicolo sar-
comatoso del peso di libbre sei romane. La suppura-
zione, in principio limitata, si dilatò oltremodo , e
quindi la piaga si gangrenò. L'autopsia mostrò il pro-
cesso gangrenoso avere attaccato l'intero cordone sper-
matico,
i836. Sottoposto un faochino all'estirpazione del
destro testicolo, era vicino a guarire: ma avendo in-
cautamente preso molto cibo, sopraggiunse febbe ga-
strica che lo privò di vita. Il peritoneo si rinvenne
flogosato , le intestina livide e prossime a gangrena.
1837. Un caso di castrazione con esito felice,
i838. Quattro casi come sopra.
1839. Ad un tal falegname di anni trenta si
estirpò un testicolo divenuto maggiore cinque volte
del naturale e idatidico. Mortificato per ben due vol-
te il tralcio spermatico, die causa ad abbondante emor-
ragia. Sopraggiunse quindi un' eresipela flemmonoso
nell'ipocondrio destro e la prossima porzione inferio-
re del torace, che lo condusse a morte il quinto gior-
no dopo l'operazione.
1840. Asportato il testicolo sarcomatoso, l'infer-
mo andava migliorando, quando per disordine diete-
36 Scienze
tico destassi gagliarda febbre e la ferita tendeva a
gangrena, ad arrestar la quale ed a salvar la vita al
paziente abbisognarono tre mesi di cure. - Difficilissi-
ma fu l'esecuzione di asportare ad altro individuo un
testicolo sarcomatoso, per essere esulcerato, dolentis-
simo, aderente ai setto, e l'infermo malmenato quan-
to mai da sifilide. Le diligenze adoperate ebbero bril-
lante successo, tornando al quarantesimo dì l'infer-
mo al militare servigio.
Cataratta^ t835. Operaronsi col metodo della
depressione sei oatarattosi ; uno di questi divenuto
tale per causa traumatica, cui sopraggiunse commo-
zione cerebrale, abbenchè speditamente operato, rima-
se cieco per paralisi dei nervi ottici: gli altri più o
meno completamente riacquistarono la vista.
i836. Sottoposti due catarattosi alla depressio-.
ne ricuperarono la facoltà visiva.
1837. Quattro operati come sopra,
i838. Cinque operati come sopra.
1839. Più o meno completamente rividero la
luce quattro catarattosi operati, come tutti gli altri,
col metodo della depressione.
1840. Quattro casi come sopra.
Cheilo plastica, 1 838. Un solo operato cori
buon successo.
Cheilorajia, i838. Come sopra.
Cìstotomia, i835. Otto sono i casi di cistoto-
mia eseguiti con appositi metodi secondo il bisogno:
sei ne guarirono: eran tutti giovanetti, un solo con-
tava 35 anni di età. La sezione dei due cadaveri pre-
sentò nel primo la vescica contratta, ingrossato il tes-
suto, esulcerata la mucosa: nel secondo la vescica in-
filtrata con ulceri nella parte interna, il cuore flac-
cido, i suoi ventricoli dilatati.
Operazioni di chirurgia 3y
i836. Delle tre cistotomie eseguite col taglio la-
terale, due ebbero felice risultamento, la terza infausto.
Fu trovata in questi la vescica contratta, inspessiti i
tessuti, la mucosa esulcerata. Il rene sinistro impic-
colito e suppurato nella sostanza tubulosa, il corri-
spondente uretere sfiancato; il suo lume era tre vol-
te più grande dell'ordinario.
1837. ^°^ metoa,° laterale si praticò spedita-
mente un' operazione di cistotomia. Sopraggiunta al
quinto giorno ardentissima febbre, tensione timpani-
tica e delirio feroce, condussero l'infermo al sepolcro.
La vescica orinarla nella superficie interna avea per-
duto la sua lucentezza per esserne stata consunta la
mucosa. Le maglie della sottoposta carnosa eran così
rilevate, che rassembravano una rete. Segata la pietra,
si trovò la striscia di cuoio cbe l'infermo si era intro-
dotta per l'uretra nella vescica,
i838. Delle quattro cistotomie eseguite col me-
todo laterale, tre riuscirono propizie. Sezionato il ca-
davere del quarto infermo, si trovò il collo della ve-
scica in istato di suppurazione , le sue tuniche in-
spessite e corrugate, il diametro degli ureteri quadru-
plicato, i reni atrofizzati.
1839. Quattro casi come sopra. La sezione ca-
daverica mostrò in quello perito, gli ureteri eguali in
diametro agl'intestini tenui, la pelvi renale ed i ca-
lici altrettanto sfiancati: i reni molli. Fin da bambi-
no avea molto sofferto nelle vie orinane , e sovente
avea emesso orine miste a sangue : non ostante era
giunto ai 21 anni di età.
1840. Temendo N. N. il taglio, si assoggettò alla
litotripsia: col qual metodo instituiti molti vani ten-
tativi, determinò finalmente sottoporsi al taglio, seb-
38 Scienze
bene martoriato da acutissimi dolori che si esacerba-
vano nell'orinare, fino a destar convulsioni e deliqui.
Si trovò il calcolo diviso in due pezzi del peso di
un'oncia e sei ottave. L'infermo, dopo aver molto sof-
ferto, soccombette al quarto giorno. La vescica orina-
ria ridondava di un umore gelatinoso : il taglio ari-
do e come tendente alla mortificazione. - Riguardano
il secondo e terzo caso due individui di 7 in 8 an-
ni di età, che operati col taglio laterale guarirono al
ventesimo giorno.
Disarticolazione , 1839. Due casi : uno riguar-
da la disarticolazione del dito medio, la quale si ese-
guì nell'articolazione me tacarpiana ; l'altro della fa-
lange unghiale del dito minimo.
Estirpazione delle tonsille ', i835. Tanto era-
no ingorgate, che rendevano malagevole il deglutire
ed il respirare : se ne fece paratamente 1' ablazio-
ne, e così le funzioni lese tornarono allo stato nor-
male.
Del bulbo dell'occhio, i836. Un giovinetto gra-
cile, in seguito di fungo midollare, che avea origine
dalle pareti della cavità orbitale destra, il bulbo dell'
occhio protruse e degenerò. Morì al quinto giorno :
il pezzo patologico esiste nel museo (*).
(*) II museo anatomie o dell' arciospedale di s. Spirito in
Sassia ebbe origine nel 1796. Il celebre profess. Giuseppe Flaiani
ne fu il fondatore non solo, ma l'arricchì di molte ed eccellenti
preparazioni. Fra queste rimarcabili sono quelle dei sistemi ner-
voso, arterioso e venoso del corpo umano., che i più colti viag-
giatori medici di Europa ammirano.
Moltissimi, e taluni di grande rarità, sono i pezzi patologie»
i quali vorrebbero esser separati dai naturali, ordinati e descrit-;
Operazioni di chirurgia 3g
Di wì* ulcera della faccia, i838. Un tal con-
tadino, sveltosi un neo dalla gota, ne derivò piaga fun-
gosa che non avendo ceduto ai caustici, i quali pri-
ma di presentarsi all' ospedale furono adoperati , si
venne alla demolizione dell'intera piaga, che occupa-
va tutta la gota destra fino all'angolo della bocca: e
cosi al termine di due mesi si ebbe una stabile e non
deformante cicatrice.
Di sarcomi, i83g. La gangrena, cui preceduto
avea copiosa emorragia in seguito di estirpazione del
sarcoma della natica sinistra, involò l'infermo. Altro
sarcoma nella cavità della bocca si estirpò ad un
tale, cui già nel i83y si era in quest'ospedale rise-
cata parte della mascella inferiore. L'esito fu fortu-
nato.
1840. Una lupia apertasi per suppurazione avea
degenerato in tumore sarcomatoso, il quale amputato,
al quattordicesimo dì l'infermo rimase libero.- Un neo
materno nella parte anteriore superiore della coscia
destra, forse irritato, crescendo in volume arrecava mo-
lestia e dolore cui sopraggiunse febbre. Screpolata la
pelle che il ricuopriva, die origine ad imponente emor-
ragia, per cui fu amputato : pesava 5 libre.
ti. Il eh. sig. prof. Francesco Bucci die conto di 20 di questi
pezzi nel i835 ( Roma pel Boulzaler in 4, con IV tav- litograf. )
Magnifico è tal museo pel lusso degli armari , sopra i quali
in bella serie sono i ritratti dei più valenti medici, chirnrgi ed
anatomici. Gli allievi di quell'ospedale gratuitamente vi deposi-
tano i preparati (Vedi la biografìa di Giuseppe Flaiani scritta
da Luigi Frank nel tomo 26, pag. 471 degli annali universali di
medicina di Omodei, ove si parla di questo museo).
4o Scienze
Fistole 1 835. Ve ne furono di tutte specie, si-
nuose, anfrattuose, complete ed incomplete in doppio
senso; i casi furono io, tutti operati col taglio e gua-
rirono , tranne un militare impaziente che quindi
tornò.
i836. Furono eseguite quattro operazioni di fi-
stola all'ano, che furon portate a solida guarigione.
1837. ^e ^ue operazioni di fistola all'ano sor-
tirono felice risultamento. Del caso di seno fistoloso
al mento, guarito col renderlo completo, ne ho dato
conto al tomo 83, p. 162 di questo giornale, parlan-
do Dei cenni sa di una malattia della faccia, me-
todo efficace per guarirla, ed osservazioni prati-
che di Francesco Gattei.
i838. Due fistole all'ano sanate.
1839. Sei fistole all'ano, che più o men presto
guarirono.
1840. I due individui affetti da fistole all'ano,
benché complicatissime, risanarono.
Gastrorafia , i836. Per ferita di basso ventre
uscì porzione di omento e d'intestino: si riposero in
cavità, ma inutilmente: per cui fu forza eseguire la
gastrorafia la quale salvò la vita al paziente.
1837. Abbenchè avvenissero cose sinistre dopo un'
operazione di gastrorafia, nulladimeno il malato guarì.
Idrocele, 3 835. Dodici individui affetti da qué-
sto morbo si ricovrarono all' ospitale: vennero tutti
operati giusta il metodo delle iniezioni. Due recidi-
varono, e tornati ad operarsi guarirono : in un terzo
vi fu suppurazione, ma risanò.
i838. Operati come sopra si liberarono da tale
malattia: furono sei casi.
1840. Come sopra.
Operazioni di chirurgia 41
Labbro leporino, 1840. Si procede alla cruen-
tazione dei bordi colle cesoie, concedendolo la poca
spessezza del labbro : il contatto dei lembi si man-
tenne fermo con due soli puuti di sutura staccali, che
si coadiuvarono con fasciatura unitiva. Dopo io gior-
ni la cicatrice era solida e completa.
Meliceride, i83g. Con trequarti da idrocele vo-
tossi un meliceride, e s' iniettò quindi per la stessa
cannula del vino allungato. Chiuso l'accesso all'aria,
suppurò al quinto giorno, ed al 14 era sanato.
Paracentesi della vescica orinarla, i835. Si
eseguì la punzione a causa di completa ed invinci-
bile iscuria : le orine sgorgarono corrotte e sangui-
nolente , nulladimeno il malato torna a' suoi lavori
dopo i5 giorni.
i836. Due furono i casi di paracentesi della ve-
scica orinaria: guarì l'uno, nell'altro la sezione del
cadavere mostrò un voluminoso tumore di consisten-
za lardacea, il quale riempiva quasi la piccola cavità
della pelvi , e comprimendo la vescica dava origine
ai sintomi che determinarono la punzione di quel vi-
scere. Il pezzo patologico si conserva nel museo.
i83y. Una ritenzione di orina ed un infiltra-
mento di questo liquido minacciava gangrena allo scro-
to ed all'involucro cutaneo del pene di un tal coc-
chiere di 69 anni di età. Impossibile l'esecuzione del
cateterismo, si dovè necessariamente eseguire la pun-
zione ipogastrica. Fluirono di fatti in copia le orine,
e l'infermo ne fu grandemente sollevato: non ostan-
te le parti infiltrate si gangrenano e l'ammalato muo-
re. L'autopsia mostrò flaccido ed attenuato l'altro fon-
do della vescica: scendendo però il tessuto ingrossa-
va progressivamente. Il foro artificiale era ulceralo in-
^2 S C I E N Z E
sieme ai tessuti esterni. Aperta, si trovarono varie ul-
ceri nel suo basso fondo : obliterato era il meato ori-
nario dal collo della vescica alla porzione corrispon-
dendente dell'uretra. La prostata infarcita: sezionata,
presentava vari follicoli ripieni di marcia.
Polipi, i835. Un polipo esistente nella sinistra
narice, avente la sua stretta base nella parte alta del
tramezzo, fu estirpato colle pinzette, e senz'allra cu-
ra si liberò l'infermo da tale malanno.
1837. Esisteva questo polipo nel lato sinistro del
setto nasale, ove altre volte erasi manifestata una so-
migliante vegetazione. Fu svelto colla pinzetta : nel
sesto giorno uscì dall'ospedale.
Pterigio, 1839. Eseguita ad un tale l'escissio-
ne del pterigio in ambedue gli occhi, risanò.
Risecazione della mascella inferiore, i836.
Due casi riuscirono ottimamente: si ebbe in uno de-
gl'infermi la riproduzione della parte asportata, cosic-
ché ora può eseguire con facilità la masticazione.
Tracheotomia , i83g. Col metodo di Fabri-
zio d'Acquapendente, usando la cannula di Buchoz,
si operò la tracheotomia. La sezione del cadavere mo-
strò l'organo vocale tumido ed esulcerato nel suo in-
terno, ed il laringe era poco men che otturato.
Trichiasi, 1837. In una trichiasi nella palpe-
bra superiore dell' occhio destro , si fece l'escissione
di porzione ellittica trasversale nella cute della det-
ta palpebra, e riunita la ferita con due punti di su-
tura , cessarono tutte le molestie che soffriva ; do-
po quindici giorni tornò alle sue occupazioni.
Uretrotomia, i838. Si eseguirono due opera-
zioni di uretrotomia per estrarre dei calcoli. Dopo 5
o 6 giorni uscirono dall'ospedale sanati: uno di co-
storo era stato sottoposto alla cistotomia nel i836.
Operazioni di chirurgia 4^
Il numero totale delle operazioni è di 162 , i
morti furono 27. Eccone l'elenco :
OPERATI MORTI
Amputazioni
Aneurismi ........
Bubbonocele
Castrazione
Cataratta
Cheiloplastica
Cheilorafia
Cistotomia
Disarticolazioni
Estirpazioni varie
Fistole
Gastrorafia
Idrocele f
Labbro leporino
Meliceride
Paracentesi della vescica orinarla .
Polipi . . .
Pterigio
Risecazione della mascella inferiore.
Tracheotomia. ,
Trichiasi
Uretrotomia
12
6
2
1
12
5
IO
3
25
- ;
I
-
I
-
23
7
2
-
7
2
27
-
2
-
24
-
1
-
1
-
4
2
2
-
1
-
1
-
1
1
1
-
2
-
Totale 162 | 27 fi
Dopo aver'esposte le cose principali intorno alle
discorse operazioni, converrebbe che sul pregio loro
portassi la mia opinione: ma avendone l'infaticabile
dottor Tonelli dato giudizio nel volume 92 degli an-
nali universali di medicina compilati da A. Omodei,
integro a'iettori lo sottoporrò. « Siccome il titolo stesso
« di questi due volumi lo annunzia ( parlava delle
44 SiìiiDzi
« operazioni del 1837 e 1 838 ), brevi e concise sono
« le istorie, ma chiare abbastanza per portare il let-
« tore alla espressiva conoscenza dei fatti. Vengono
« con ingenuità riferite le infauste terminazioni di
« alcune di esse: e ben si rileva che parto esse fu-
« rofio della gravezza del morbo, o della negligenza
« dei pazienti nell'invocare con soverchio indugio i
« presidii dell'arte. Encomiar però vi si debbono e la
« scelta de'raetodi conosciuti, e la sagacia nel richia-
« marli alla pratica osservanza, e la dotta precisione
« nell'esporli » (*) . E sembrando a me giusto e con-
veniente tale opinamento, non posso non disapprova-
re taluno ( Annali medico-chirurgici di Roma ), che
le cose più serie e più importanti trattando con modi
faceti e scherzevoli, disprezza quel savissimo precetto,
doversi cioè parlare di cose gravi con nobile e soda
dizione, e le gaie condire con ogni maniera di gra-
zie e di amenità.
(*) Nel volume 97 degli annali suddetti alla pag. a35 (gen-
naro 1841 ) il medesimo dottor Touelli dà ragguaglio dell'elenco
sommario delle operazioni di alta chirurgia eseguite nel i83g>
45
/. Di un nuovo (strumento idrometrico. Memo-
ria del dottor Quirico Filopanti. Bologna ti-
pografia Mar sigli in 8, di pag. 80 fig.
II, Memoria sui fuochi fatui> del medesimo. Ivi
idem pag. 6>,
I, M^À idrometria, volendo determinare la quantità di
acqua che scorre per un dato alveo in tempo dato,
ha dovuto ricorrere al ripiego di sperimentare picco-
le vene d'acqua in condotti artificiali; onde cosiffat-
ta misura fece dipendere dalla ricerca delle veloci-
tà della corrente in un certo numero di punti del-
la sezione, e riguardò il prodotto dell'area delia se-
zione per la media delle velocità, come eguale pros-
simamente alla portata. E gli strumenti idrometrici
dovettero limitarsi a darne , meglio che la velocità
della corrente, la resistenza ad un ostacolo. Ma dal-
la resistenza come far dipendere la velocità ? Dal mon-
do della realtà trapassiamo ad un mondo di conget-
ture intanto , che ipotesi diverse si hanno ; per cui
la resistenza de' fluidi è proporzionale al quadrato
della velocità per alcuni, per altri alla semplice ve-
locità, per altri poi al cuho di essa. La quale diver-
genza di opinioni si fa più credibile se rammentisi,
che la teoria idraulica poggia su principii ipotetici
del moto lineare de'fluidi, sulla perfetta scioltezza ed
incoerenza dalle molecole liquide ec. Il signor dottor
Filopanti ha pensato uno stromento misuratore del-
la portata e della velocità dell'acqua , che non di-
46 SciKNZE
penda dalla mentovata teoria della resistenza de'fludi:
ed ha portato in questa materia sì l'esattezza possi-
bile, si quella fecondità di conseguenze, sì quella lu-
cidezza dell'ordine nell'ideale, nell' esperimentare, nel
dedurre, che sono proprie di chi coli' uso delle ma-
tematiche si avvezzi al rigore ed alla chiarezza del
ragionare : -di che , quanto al nuovo stromento , fu
lodato e dal professore torinese ab. Baruffi nell'adu-
nanza dei dotti del 1840, e dal bolognese prof. Ber-
telli, mio onorevolissimo amico e già collega di stu-
di, il quale ha riferito con quel suo lino giudizio ,
con quella sua ingenuità all'accademia delle scienze
dell'istituto. E meritò che la memoria con tali suf-
fragi onorata si pubblicasse nei nuovi annali delle
scienze naturali, che per cura di vari dotti della u-
niversità e del collegio e di altri ancora escono nel-
la patria de'Manfredi, de'Guglielmini , e del viven-
te eh. professor Venturoli, che tiene il campo nella
idraulica, non meno che nella meccanica.
Due teoremi premettonsi: 1. se la velocità, con
cui ciascuna molecola fluida incontra una superficie,
s'imagina decomposta in due, l'una normale l'altra pa-
rallela: l'acqua, che per lei passa in tempo dato, e-
guaglia quella che vi passerebbe se le singole mole-
cole si affacciassero colla sola forza e direzione nor-
male: 2. immerso un piano o superficie qualunque
in una corrente sino ad essere in quiete relativa rispet-
to ad essa: la pressione per parte delle colonne su-
periori è sempre la stessa, purché il piano non can-
gi posizione e distanza, rispetto alla superficie supe-
riore dell'acqua. Ciò prova in brevi parole l'autore,
e rimettesi alla dimostrazione analitica data dal eh.
prof. Sereni nella sua idrometria.
NUOVO ISTROMÉNTO 47
La parte principale del nuovo strumento è la
navicella di latta od altra lastra metallica abbastan-
za robusta : discendendo o salendo lentamente nel-
l'acqua, dove s'immerge, in direzione rettilinea dal-
la superficie della corrente ai fondo dell'alveo e vice-
versa ; dee mantenersi appropriatamente parallela alla
dilezione della corrente; facendo che non venga sen-
sibilmente alterato il corso dell'acqua stessa. Perciò
la sua lunghezza supera d' assai le altre sue dimen-
sioni , e la sezione massima traversale non eccede
uno o due decimetri quadri : e la prora è a foggia
di acuta cuspide: due fori sono praticati opportuna-
mente. Nell'interno ha due recipienti parallelepipe-
di eguali ad accogliere l'acqua dai due orifizi: que-
sti due recipienti sono così disposti, che ponno le-
varsi a volontà e rimettersi all'uopo. Un piccolo tu-
bo, che si solleva verticale sopra l'altezza della mag-
gior piena, dà comunicazione tra l'aria interna e l'e-
strema; ed ascende lungo una spranga dentata , che
muove la navicella per farla ascendere o discendere:
ed è graduata , assicurata e regolata in tutto con
quelle avvertenze, che meglio s'intendono di quello
che si possano spiegare senza 1' aiuto di una figura ,
che qui non diamo ; potendo ciascuno ricorrere alla
memoria dell'autore; anche per vedere spiegato l'u-
so dell' istrumento , e come egli abbia arricchito di
quattro nuove curve la geometria, e di due utili as-
sa l'idraulica. La più osservabile sembra al prof. Ber-
telli quella, la cui equazione si è
R cotans . oc „ ,
Y = — ° - -+- 8 A
sen. x
48 S C I E 17 a E
la quale presenta tutta la somiglianza ad una doppia
batterìa di bottiglie leggiadrissime , le une in piedi
sull'asse delle x , le altre capo volte ed inserite tra
i vani delle prime. La figura è così elegante, che nul-
la più; ma la curva si raccomanda singolarmente in
quanto , che essa sodisfa a varie condizioni utilissi-
me: per esempio, che la curva a determinata distan-
za abbia due ordinate in un certo rapporto raziona-
le determinato; che fosse quadrabile, e lo spazio com-
preso tra le due ordinate la curva e l'asse avesse un
determinato valore: che vi avesse un punto di fies-
so in un determinato luogo: che la convessità o con-
cavità rivolte fossero in un modo più che in un al-
tro: e che il valore analitico della sua ordinata mol-
tiplicato pel valore dell'ordinata della prima curva e
per dx fosse integrabile. Indi ne trae 1' autore per
punti continui, tracciata la scala delle portate, e quel-
la delle velocità; con tanta facilità, brevità ed elegan-
za, che è una maraviglia. Quindi è chiaro che il Fi-
lopanti può esser lieto di questa sua memoria , che
mostra ciò clic nelle scienze dicesi genio , accompa-
gnato dall'amore costante allo studio ed alla fatica ,
ed alla gloria altresì : che sono guide a maggiore e
più onorato trionfo nel campo delle matematiche. Ben
era degno, che la memoria stessa fosse letta in com-
pendio nell'adunanza de'dotti il 26 settembre 1840.
II. L'altra memoria sui fuochi fatui fu letta al-
l' accademia delle scienze dell' istituto di Bologna
il 21 maggio 1840 , ed è estratta dai nuovi anna-
li delle scienze naturali, tomo 5. Lo scopo è di
provare, che non sono mere apparenze di luce co-
tali fuochi, ma sono di natura ignifera manifestante-
si sensibilmente: e lo ha sperimentato in una imi-
NUOVO ISTROMENTO 49
tazione artificiale, coll'immergere nell'acqua pezzetti
di fosforo, ottenendo segni di combustione manife-
sta allo sviluppo del gas idrogeno perfosforato.
Oltre i mezzi chimici , che potrebbero lasciar dub-
bio sull'identità della materia e del fenomeno : ha
sperimentato con mezzi fisici correndo dietro a fuo-
chi fatui armato di una canna , a capo della quale
era disposta della stoppa facilmente accensibile. E gli
effetti parvero nel senso suindicato; e bastano alme-
no a confortare, altri ancora a rinnovare gli esperi-
menti per porre fuori dubbio la natura ignifera di
cotali fuochi ; ma per rendere altresì alla fisica più
chiaro un fenomeno , di cui meglio che i filosofi
dell'antichità parlò il nostro Dante, come è a vede-
re da una mia sposizione di alcune cose di Dante
toccanti la fisica inserita in questo giornale ( otto-
bre 1825, a pag. 120 ) , e con aggiunte e corre-
zioni uscita ancora in Imola del i83i neW antolo-
gia di prose di autori viventi', com è a vedere in
questo stesso giornale [agosto i832, a pag. 233).
Non a caso abbiamo indicato quel senno del-
l'Alighieri, poeta filosofo: il quale basta solo a pro-
vare un vero, che da molto ci va per la mente: che
un sodalizio fra le scienze e le lettere vuol porsi
oggimai, a volere che rifioriscano; avendo per espe-
rienza, che ogni qualvolta furono divise caddero in
un languore, che appena furono vive: e d'altra par-
te quando aiutarono le une le altre , tornarono in
fiore. Certo il pensiero e la parola sono legati da
natura : e chi tenta discioglierli e separarli fa quasi
, come colui, che dal corpo l'anima, l'anima dal cor-
po volesse separare al lutto in un essere misto ,
i composto di corpo organico e di anima razionale, sic-
G.A.T.LXXXVIII. 4
gQ Sciente
come è l'uomo. Assai si tentò fino dallo scorso seco-
lo di separarne come i rami dell'albero della scien-
za tra loro e dalla pianta : uopo è oggimai torna-
re a' principii, e dopo avere a parte a parte conside-
rati i rami, il tronco, e le radici, ricomporre l'albe-
ro a volere che mostri quella che dicono vita ve-
getativa; e 1' occhio che guarda la forza passi anche
ai midollo, e viceversa!
Prof. D. Vaccouiu.
^-a-fig^QSggs-*^
5i
Eziologia delV intermittente perniciosa endemica
alle campagne romane. Considerazioni di Mi-
chele Santarelli dirette al sig. conte Filippo
Spada, patrizio ternano, rettore dello spedale
civico di Macerata, ingegnere professore eme-
rito del liceo di detta città.
INTRODUZIONE
CAPITOLO I.
N.
on appena io ebbi pubblicato, sono già sei lustri
e mezzo, le mie Ricerche intorno alla cagione che
in alcuni anni occasiona l'intermittente perniciosa in
Roma e nelle vicine campagne, riportai alle mie lun-
ghe e pericolose fatiche il premio dell' adesione dei
più dotti medici di quella capitale, Monchini, Bom-
ba, Folchi e finalmente De Crollis , i quali ultimi
aggiunsero nuovi fatti confermativi della mia dottri-
na. Ma il maggior guiderdone, che da essa si riscos-
se, fu quello di vedere adottato il suggerimento che
ne proveniva: cioè di difendere nelle ore notturne e
nelle mattutine la superficie del coi'po de'sani dal fred-
do atmosferico, e nel coi-so della malattia di non per-
der mai di vista le prime ingiurie morbose da detta
cagione generate. Molti furono garantiti dalFaggres-
sione, e molti più sicuramente ristabiliti sul decorre-
re della febbre. Era questo 1' unico scopo a cui io
avea mirato, ed a cui solo penso che nell' esercizio
5a Scienze
della propria arte debba tendere ogni pensiere del
medico.
Ma qual'è quel fatto che non trova oppositori ?
Dopo un lasso di tempo sì lungo è stata combattu-
ta ia mia dottrina con osservazioni manchevoli e sup-
poste, e da uomini non esercitati a vero dire nell'ar-
te salutare. Ma la verità è così pudica, che si lascia
adombrare dal più leggiero velo. Per questa ragione
ho reputato indispensabile chiamare ad esame gh ar-
gomenti che mi sono stati opposti. Non tutti i miei
lettori possederanno forse le mie Ricerche , per le
quali la mia dottrina è esposta in chiara luce, e di-
mostrata con fatti indubbi. Per questo motivo darò
cominciamento al presente mio lavoro con un pro-
spetto compendioso di tutti i fenomeni in detta me-
moria commemorati , i quali riguardano lo stato at-
mosferico, e la succedanea intermittente. In appresso
mi farò a parlare delle obbiezioni , colle quali si è
cercato di contrariarli, ed anche di negarli. E poiché
ora le preconcep'ite opinioni, ora le avversioni d'ani-
mo disviano la ragione umana dal retto sentiero , per-
ciò mi condurrò a rintracciare le fondamenta dell'i-
potesi de'miasmi putridi già da Morton proposta , e
da Cullen difesa, la quale si è poi riportata in cam-
po da'miei avversari.
Iq dirigo queste considerazioni a voi, mio rispet-
tabile amico , che nato e vissuto in Terni avete le
tante volte vista la perniciosa indigena nel vostro pae-
se, e che molte e molte fiate foste in mia casa spet,
latore dell'esattezza del mio osservare.
Intermittenti perniciose 53
CAPITOLO II.
Prospetto termometrico delle differenze
de"1 calori delle diverse parti dell'anno.
2. Nell'anno 1808 si pubblicarono per le stam-
pe del Quercetti in Osimo le mie ricerche intorno
alla causa della febbre perniciosa dominante nell'agro
romano: per le quali mi sembrò di aver dimostrato*
essere la perniciosa generata da grande e Subitanea
Sottrazione del calorico dalla superficie del corpo uma-
no antecedentemente riscaldato da forte e per molti
giorni prolungato calore. Ripeteva io il riscaldamento
dai calori della state nei mese di agosto < e nei due
mesi laterali, ed ascriveva la diminuzione del caloria
Co all'allungamento delle notti , ed all'umidità dell'
atmosfera.
3. Si dovea però per mezzo di osservazioni nu-
merose istituite in paese asciutto , e posto presso a
poco allo stesso grado di latitudine boreale, in cui si
trovano le campagne romane, cioè a gradi 4.1 e 42 +
determinare 1' elevazione del calore ombratile nelle
ore meridiane, e la relazione di lui al calore nottur-
no, a fine di ottenerne risultato comparativo. Questo
io eseguii specialmente nei tre anni successivi nella
provincia del Piceno. Ecco le parole, colle quali io
esprimo il risultato approssimativo delle mie ricerche
estratto dai miei giornali: « Determinando i diversi
« gradi di calore propri a ciascheduno dei detti mesi,
« si rinviene che il calore medio meridiano eonve-
« niente al mese di luglio è di gradi ai ; al mese
« di agosto è di gradi 22 ; di gradi 19 al mese di
54 Scissi i
« settembre; di 16 al mese di ottobre; di 12 al me-
« se di novembre; di 8 al mese di dicembre; di 6
« al mese di gennaio. » ( Parte III, pag. 5a, lin. 4
e seg. op. cit. )
4- In quanto ai mesi successivi febbraio, marzo,
aprile, maggio e giugno, il calore quotidiano si au-
menta senza mai pervenire all' altezza dei mesi che
si seguono.
5. Ciò rinvenuto, m'incombeva rintracciare la
causa della diversa durata dei calori diurni de'sum-
mentovati mesi.
6. Prima di riferirli fo avvertire che i mesi di
luglio , agosto , settembre ec. posseggono un calore
più intenso e più prolungato di quelli che ad essi in
lunghezza corrispondono per l'altra metà dell' anno
giugno, maggio, aprile, marzo ec, atteso il calore ac-
cumulato , del quale si trova imbevuta la superficie
della terra.
7. Ripeto le stesse mie parole: « Essendo il sole
« la cagione del più alto e sostenuto calore, che sì
« sente sulla superficie del globo, e dovendosi pari-
ti menti il raffreddamento di quest'ultimo all' occul-
te tazione di quell'astro, siamo tentati di credere, che
« i giorni più caldi debbano esser quelli, nei quali
« il sole rimane più a lungo sopra la superficie della
« terra che noi abitiamo; per l'opposto i più freddi
« quelli, ne'quali esso più rapidamente se ne parte.
« Così, secondo una tale supposizione, le più calde
« giornate sarebbero quelle del solstizio, del cancro,
« e le più fredde quelle del capricorno. Abbenchè la
a cosa a primo aspetto sembri dovere essere così, pu-
« re non la è assolutamente. I giorni più caldi non
« sono quelli che e prima e dopo rimangono egual-
Intermittenti perniciose 55
« mente distinti dal solstizio di giugno, ma sibbene
« quelli che seguono per molti dì appresso un tal
« giorno. Parimenti i più freddi giorni del verno non
« sono quelli delle tre ultime settimane di dicem-
« bre , ma sì veramente quelli del mese che segue.
« Un tal fenomeno deve ripetersi dal calore accu-
li mulato nei lunghi giorni sulla superficie del gio-
ii bo, il quale unendosi al calore diretto delia luce,
« accresce la di lui intensità. Quindi è che i giorni
« del mese di luglio e di agosto sono più caldi di
« quelli di maggio e di aprile , benché egualmente
« lunghi: ed è pure per questa ragione che i mesi
« di novembre e di dicembre sono meno freddi dei
« mesi di gennaio e di febbraio. » ( Pag. 55, lin. 2,
op. cit. )
8. Ora gli effetti di quest'accumulamento gli ho
fatti conoscere colle seguenti parole.
o. « Quindi in quei sei primi mesi dell' anno
« nel maggior numero delle ore diurne domina il
« fresco, ed il caldo non si fa sentire che sul mez-
« zodì. Dal che ne deriva, che per la maggior parte
« del tempo di tali giorni gli uomini rimangono ad
« una mediocre temperatura * e solo per poche ore
« vengono trasportati ad una più elevata. » Per lo
contrario l'andamento dei mesi successivi è ben di-
verso ; imperciocché il calore diurno non solo si au-
menta di molti gradi , ma si dilata e si estende al
maggior numero delle ore. Ma quale e il rapporto
d'estensione di questo calore diurno col freddo not-
turno che gli tien dietro ? « Ho cercato di determi-
« nare la rispettiva durazione del freddo dei divisati
« mesi, ed ho trovato non estendersi più di quattro
« ore nel luglio, a cinque nell'agosto e a cinque e
56 Scienze
« mezzo nel settembre. Essendo così lunga la dura-
«* ta del caldo, e per l'opposto così corta quella del
« freddo, gli uomini si trovano sempre circondati da
« un intenso calore. » ( Pag. 61 e 62, lin. 6 e seg.
op. cit. )
io. Ma quale è il grado del freddo nelle ore
notturne dei mesi di luglio , agosto e settembre ne'
suddetti luoghi, vale a dire quanto è l'abbassamento
del termometro giusta la scala di Reaumur ? Rispon-
do colle parole usate nella menzionata mia opera :
« Rilevai dai medesimi giornali, che nel corso dell'
« anno non vi è mai alcuna serie di giorni, la qua-
« le presenti nel giro delle ventiquattro ore maggior
« differenza, fra i diversi abbassamenti ed elevazioni
« del termometro posto in luogo ombroso, di gradi
« sette circa. Tali risultati da me ottenuti in tutte
« le città, ove io mi era fino a quel tempo intrat-
« tenuto, li vidi anche verificati nell'Umbria per le
« stagioni mancanti della febbre perniciosa, cioè nei
« mesi di luglio, agosto e settembre. »
11. Questo però non era tutto. Le leggi fin qui
esposte riguardano il calore ombratile. Ma evvi un
altro calore che chiamava a se le mie indagini. Vo-
glio dire il calore solare , quello cioè che segna il
termometro esposto direttamente ai raggi del sole. Im-
piego due paragrafi per far conoscere la differenza che
passa nelle diverse stagioni dell'anno fra il calore om-
bratile ed il solare. Nella primavera il primo suole
essere eguale alla metà del secondo. Nell'inverno que-
sto è quattro o cinque volte maggiore del primo. Ma
nella state la differenza è ancor minore di quella del-
la primavera. Prendendo per termine medio il ter-
mometro portato a gradi venti, così mi adopero per
Intermittenti perniciose Bj
renderlo sensibile: « Se nella state il calore nell'om-
» bra è venti, sarà trentasei quello del sole ; nella
» primavera se il calore dell'ombra è gradi dieci, a
» gradi venti sarà quello del sole: e finalmente se
» nell'inverno il termometro posto all'ombra sarà a
» gradi quattro, quello esposto al sole ascenderà a se-
» dici e più ancora ( pag. 101 lin. 21 ) ». Se mai
potesse avvenire che un fisico dimenticasse questa no-
stra animadversione , egli non apprezzerebbe quanto
è necessaria la forza del calore diurno, e rispettiva-
mente quella del freddo notturno.
12. Il presente prospetto risultava dalle osserva-
zioni da me istituite nel Piceno, vale a dire, in una
provincia costeggiata dall' apennino e dall' adriatico:
questo la fiancheggia all'est, quello all'ovest. Regione
in conseguenza di clima temperato. In oltre il piano
di questa regione è assai inclinato, giacché dalla ci-
ma di Colfiorìto, la più elevata della catena adiacen-
te dell'apennino , fino alle sponde dell'adriatico non
evvi maggior distanza di miglia 56. Quindi per tale
inclinazione i torrenti vi corrono rapidi, i venti vi
soffiano impetuosi , ed il suolo è arido ed asciutto.
Laonde chi volesse ripetere queste osservazioni, do-
vrebbe eseguirle in più punti e per molti anni. Per
lo che ancora le cifre del calorico per le diverse ore
del giorno indicano il rapporto generale dei diversi
luoghi delle elevazioni ed abbassamenti del termome-
tro, anzi che lo specifico di uno o di un altro luo-
go; ed ho prescelto un numero decimale, come più
atto a rappresentare l'idea di questo rapporto. Que-
sto metodo non può evitarsi allorché trattasi deter-
minare il calorico di una provincia. Per la stessa ra-
gione volendo far conoscere il rapporto generale fra
58 Scienze
il calore meridiano ombratile ed il solare, sono par-
tito dal grado venti del termometro di Reaumur, quan-
danche ciò avvenga ben di rado dopo il corso di più
anni e ne'soli luoghi montagnosi. Colla stessa dispo-
sizione e colla stessa intelligenza devesi interpretai'e
quanto io asserisco nelle pag. 88, 89 delle mie ri-
cerche, ove parlando della temperatura delle campa-
gne romane esprimo col num. 8 il maggiore abbas-
samento del termometro nella notte, e col num. 24
la maggior elevazione del mercurio nelle ore meridia-
ne. Imperciocché la perniciosa assai rara si riscontra
in esse allorché il termometro segna nel mese di lu-
glio e di agosto nelle ore meridiane gradi a4; ed è
numerosa poi, allorché molto più altamente esso sale.
Io allora parlava dei rapporti dei due calori e nulla
più ; giacché la più bassa discesa del termometro a
gradi 9, come unica e singolarissima, era stata da me
osservata il 21 agosto 1798, e come tale avvertita.
i3. Venendo poi alla regione opposta ai Pice-
no, cioè alle campagne romane, io ho rinvenuto che
la temperatura di questi ultimi paesi è più calda
della temperatura dell'antecedente con rapporto va-
rio fra loro a seconda che quelli sono più elevati, o
più vicini ai piedi o alle ramificazioni dell'apennino
ed agli alvei dei fiumi. Ponendo in relazione Mace-
rata centro dei Piceno con Roma, il termometro all'
ombra in questa può elevarsi a 27 e 29 gradi nel
mese e nelle ore, nelle quali nella prima città ap-
pena ascenderà a 23 e 24 gradi. E questa differenza
di quattro gradi circa può essere adottata per tutti i
mesi dell'anno. Io parlo di mesi, di stagioni, di an-
ni, e non già di giorni: imperciocché potrebbe avve-
nire che mentre nel Piceno si gode un calore tem-
Intermittenti perniciose 5\)
perato, nelle campagne romane regnino venti freddi
e tempestosi. Il mio discorso è diretto a determinare
la temperatura media di queste due porzioni degli stati
romani.
CAPITOLO IH.
Umidità delle campagne romane.
14. Per quello spetta all'umidità, la quale nelle
campagne romane è assai grande, ed in forza di cui
il freddo notturno dei mesi estivi in dette regioni è
molto più intenso di quello che si rinviene nel Pi-
ceno, a fine di conoscere la cagione, mi è duopo ri-
cordarne la topografica conformazione. Può l'agro ro-
mano rassomigliarsi ad una parabola, il cui asse dal-
la cima degli apennini sia condotto fino alle spon-
de del mediterraneo. Questo mare rappresenta l'or-
dinata, ed i due lati della curva partendo dalle vette
dei medesimi si prolungano con irregolar forma l'uno
a destra sui confini dell'Etruria, l'altro a sinistra sui
confini napolitani. La lunghezza di quest'asse può es-
sere espressa col num. 160 miglia. Dalla quale con-
figurazione ognun vede che il piano dell'agro roma-
no è quasi orizzontale, e circondato da un vallo di
monti: in opposizione a quanto abbiamo osservato dell'
agro piceno, ed è perciò che i fiumi vi camminano
lenti, ed i venti vi spirano moderati e placidi. Tra
questi, quelli che sorgono dal mediterraneo sono mol-
to umidi, perchè bagnati dalle acque che tragittarono
e ritenuti dal vallo suddetto. Laonde, senza la me-
diazione dell'igrometro, qualsivoglia straniero che vi
venga percepisce immediatamente ritrovarsi in umida
60 Scienze
regione, e lo confermano in tale divisamente le an-*
bondanti verdi erbe.
Il sig. Gioia afferma che la quantità delle piog*
gè che cadono in Roma eccede di una decima parte
quella che bagna la città di Milano; stando il rap-
porto della prima colla seconda come centimetri io5
a centimetri g5, 5. Le osservazioni del prof. Mon-
techiari, istituite in Macerata pel corso di anni dieci,
dimostrano la copia delle acque cadute in detta città
anche molto minore. Questo fatto accusa la sorgente
della maggiore umidità , che rinveniamo per mezzo
dell'igrometro nei paesi romani. Imperciocché mentre
in Milano e nel Piceno coli' abbreviarsi le ore diur-
ne, e collo scemare del calore si permette alle acque,
le quali nella state si erano sollevate nell'atmosfera,
ed ivi si rimanevan disciolte, di riabbassarsi negli strati
inferiori, e ritornare a versarsi sopra la terra; nelle
contrade romane a queste vanno a congiungersi quel-
le che vi recano gli umidi venti. Ai fiumi ed ai mol-
ti laghi permanenti nelle campagne romane, io ag-
giungeva le avventizie acque stagnanti negli incolti
terreni.
i5. Ma con qual metodo apprezzare la forza
dell'umidità sul corpo umano, essendo a ciò inetti gli
stronfienti di metereologia ?
CAPITOLO IV.
Apprezzamento degli effetti dell'umidità
sul corpo umano.
16. Io mi sono condotto nella maniera seguen-
te: e questa maniera l'ho esposta così: « In un gior^
Intermittenti perniciose 6i
» no sereno e secco, mentre il termometro segnava
» gradi dieci, ho fatto sì che esso s'innalzasse a gradi
» venti, tenendolo per pochi istanti fra le mie mani.
» Giunto appena ad un tal grado, ed avendo atteso
» scrupolosamente perchè non lo oltrepassasse, l'ho
» abbandonato, ed ho osservato esattamente il tempo
» impiegato dal mercurio per ritornare alla propria
» temperatura, ossia a quella dell'atmosfera di gradi
» dieci. In altro giorno segnando il termometro si-
» milmente gradi dieci, ma essendo umida Y atmo-
» sfera, ho ripetuto lo stesso esperimento: ed abban-
» donato il termometro dopo che era giunto a gradi
» venti, ho seguito cogli occhi il mercurio per osser-
» vare quanto tempo impiegasse a ricondursi a gradi
» dieci, vale a dire alla comune temperatura: ed ho
» riconosciuto che in quest'ultimo esperimento si era
» condotto a livello de'corpi circostanti in un tem-
» pò molto minore del primo, cioè in due terze par-
» ti. Ripetendo queste osservazioni, ho ritrovato co-
» stantemente che ne'giorni umidi il termometro di-
» scendeva più prestamente, che ne'giorni secchi, e
» mi è sembrato di poter stabilire che i tempi im-
» piegati in questa discesa fossero tra loro in ragio-
» ne inversa dell'umidità. » (pag. 82 lin. 2, op. cit.)
17. Essendo il calore normale dell'uomo a gra-
di 3o, ogniqualvolta non ben difeso da vestimenta si
conduca in atmosfera umida collocata a gradi dieci
o sedici, immensa è la sottrazione del calore che ad
ogni istante gli viene rapita. Imperciocché i primi glo-
betti acquosi, che bevvero il calorico dalla di lui su-
perficie, restituiti allo stato di fluido elastico si sol-
levano e cedono il loro posto a nuovo vapore, il qua-
le ripete lo stesso processo. Questo processo si ria-
/
6a Scienze
nova ad ogni istante: e per tale rinnovazione l'uo-
mo si trova spogliato di quella copia di calorico che
è necessaria allo stato di salute, giacche la secrezio-
ne del calorico animale non è si copiosa da poter
compensare tante successive sottrazioni.
18. Parlando io dello stato presente delle cam-
pagne romane, non lasciava d'incolpare per la som-
ministrazione dell'umidità gli straripamenti de'fiumi,
ed i negati scoli alle acque piovane, attesa la negligente
coltura delle terre ai nostri giorni. La conformazio-
ne geografica però di sopra accennata e la costituzio-
ne atmosferica sono bastevoli a produrre la malattia
di cui ci occupiamo, e le ultime cagioni non hanno
fatto altro che aggiungere nuova forza alle preesisten-
ti. Laonde, che un forte calore nelle ore meridiane;
che un freddo intenso nelle ore successive ; che il
passaggio rapido del primo al secondo ; che queste
condizioni atmosferiche effettuantesi nell'autunno ren-
dano questa stagione ferace di malattie e mortali, sem-
bra non potersi revocare in dubbio. Una tal verità
era conosciuta, e Celso ce 1' ha descritta nel modo
seguente: « Corpus ergo et aestate, et subinde me-
» ridianis caloribus relaxatum subito frigore excipi-
» tur. Quo fit ut autumnus plurimos opprimat : » ed
un tal passo fu da me riferito nelle mie ricerche pag.
63. Che cosa dunque io ho fatto di più ? ho ricercate
le leggi che reggono queste condizioni. Queste leggi ri-
conosciute hanno fugato le ipotesi adottate in conse-
guenza di poche ed incerte osservazioni. Se il calore
da alcuni era stato accusato per le sue variazioni oc-
casione di malattia, non si era però accordato all'u-
midiva nell'offendere l'umana salute quella parte che
ha col succedere al calore atmosferico; e l'altra più
Intermittenti perniciose 63
importante che esercita direttamente sopra le super-
ficie de'corpi. Questa umidità è grande nelle campa-
gne romane, e non limita la sua azione alla stagio-
ne autunnale. Nel corso dei dodici mesi dell' anno
spiega più o meno efficacemente sugli abitanti di quel-
le contrade il suo potere. Dal che ne nasce, che in
dette regioni l'aria è pestilente, per usare il linguag-
gio dei latini, o per meglio dire che è generante la
febbre,
CAPITOLO V.
Testimonianza degli antichi sulla insalubrità
delle campagne romane.
Ed in verità, indietreggiando, la storia ci. fa sa-
pere che in tutti i tempi cotesto paese fu soggetto
a febbri, onde fu detto esser la febbre la dea di Roma.
Allorché Romolo gettò le fondamenta di questa citta,
la collocò, dice Cicerone, in paese pestilente. : « Lo-
« cumque delegit et fontibus abundantem, et in re-
te gione pestilenti salubrem » ( De rep. lib. II, cap.
VI ). Io riportai un brano di Celso nelle mie ricer-
che (pag. i55 ), e feci conoscere che nel discorrere
egli della peste descrive la febbre periodica, l'emitri-
tea e la perniciosa ( lib. III, cap. VII ). 11 professor
De Matthaeis molti anni appresso si occupò dello stes-
so argomento, e dimostrò che il vocabolo peste pres-
so i romani significava febbre deleteria. Spesso noi rin-
veniamo in Tito Livio afflitta Roma da peste; il che
deve intendersi quasi sempre da febbre; e questa non
di rado originata da straordinari intensi calori estivi
susseguiti nelle ore notturne da venti umidi e freddi.
64 Scienze
19. I primi romani, addottrinati dall'esperienza,
avevano portate a grande altezza le loro case e rese
anguste le vie (1), a fine di reprimere parte del ca-
lore delle ore meridiane: e questa costruzione procac-
ciava salubrità alla loro città. Si ebbe conferma di
questo vantaggio, allorché il sesto de' cesari Nerone
abbassò gli edifizi e dilatò le vie (a).
20. Ora in periodo sì lungo di tempo le cam-
pagne romane sostenevano comuni opulenti, ed i cir-
condari di Roma divisi in minime parti (3) erano
coltivati dalla possente tribù rustica, che da essi ri-
traeva ricche messi ed ogni altro frutto terreno. Tan-
to era lo studio e la gelosia de' coloni romani, che
il danneggiar le loro biade od altro cereale ec. por-
tava seco pena capitale (4). In tal epoca cade la dub-
biosa ammirazione di Plinio, se sì ubertosi prodotti
fossero espressi da coltura maggiormente industre e
curiosa, o dal godere la terra di essere esercitata da
vomere laureato diretto da mano trionfale.
(1) Romani in montibus positam, et convallibus cenaculis su-
blatam, atque suspensam, non optimis vii», angustissimis semitis,
prò sua Capua pianissimo in loco explicata ac prae illis semitis
irridebunt atque contemnent. (Cic, De lege agraria in Rullum.)
(1) Erant tarnen qui crederent veterem illam formam sai u bri-
tati magis conduxisse, quoniam angustiae itinerum , et altitudo
tectorum non perìnde solis vapore perumperentur; at nunc pa-
tulam solitudinem, et nulla umbra defensam graviore aestu arde-
scere (Tacit. lib. XV, cap. 43).
(3j " Bina tunc iugera populo romano satis erant: nulli quem
,,maiorem modum attribuit ( Plin. lib. XVIII, cap II). „ Ed in
alcuni secoli appresso: *« Quippe est lege Stolonis Licinii incluso
,, modo quiuque iugerum: ,, (loc. cit.) e più tardi ancora : "Per-
,, niciosum intelligi civem cui seplem iugera non esscnt satis; ?J
(idem- loc. cit. )
(4) Vedi Plinio lib. XVIII, cnp. III.
Intermittenti perniciose 65
ai. Ora questa tribù abitava tutta, o quasi tut-
ta, entro le mura della vostra città, ove si recava a
sua sicurezza e delle proprie derrate. Ne è esempio
e prova ciò che Cicerone afferma di Capua, non es-
sere stata abbattuta da'romani a simiglianza di Car-
tagine e Corinto, affinchè i coltivatori vi avessero do-
micilio , e magazzini i loro frutti (i). Pratica allo-
ra comune, oggi non interamente abbandonata, per-
chè necessaria. Fu questa necessità fisica, e la custo-
dia delle proprie persone e de' raccolti, le quali rite-
nendo entro le mura di Roma la tribù rustica, la po-
se a parte delle pubbliche deliberazioni, delle mag-
giori magistrature e della più sicura difesa della cit*
tà. Per le quali cose risulta, nei felici tempi di quel*
la repubblica la febbre e la natura pestilente di quel
suolo essere stata prodotta dalla geografica conforma-
zione, e dalla condizione atmosferica. Non eravi al-
lora da accusare abbandono di terre, né sterpi ed in-
setti commessi alla putrefazione.
CAPITOLO VI.
Corrispondenza della gravitò della febbre colla
condizione geografica del terreno , e collo sta-
to atmosferico. Paragone delle campagne ro-
mane colle picene.
22. E poi al giorno d'oggi osservazione costan-
te, che il numero e la gravezza delle febbri periodi-
(i) Ut esset locus comparandis, contentisque fructibus; ut
aratores cultu agrorurn defessi, urbis domiciliis uterentur ( Cic.
in Rullum oratio li, cap. 8" ).
G.A.T.LXXXVI1I. 5
6(> Scienze
che va descrescendo , allorché ci allontaniamo dalle
spiagge del mediterraneo, e che pervenuti alle cime
della catena degli apennini la febbre periodica quasi
mai si riscontra abbenchè semplice. Discendendo poi
dalle vette dei detti monti verso l'oriente perfino al-
l' adriatico, se ne va scorgendo da quando a quando
qualcuna , e sempre più facilmente fra gli abitatori
delle sponde de'fiumi o delle spiagge marittime. Es-
se sogliono essere rade anche nell'autunno. Ma ove
in questa stagione dell'anno le giornate fossero calde
ed umide le notti , si ravvisano epidemiche e non
mortali. Nel corrente anno 1840 essendo stato estre-
mamente caldo il settembre e la prima metà di otto-
bre in tutto il corso del dì, e sopravvenendo ogni se-
ra nell'annottare freddo umido, vento sciroccale, che
soffiava fin dopo il levar del sole, le febbri periodiche
sono state per questa insolita cagione nella Marca co-
sì copiose , che niuno de' medicanti avea altrettanto
giammai osservato nel lungo corso del suo pratico
esercizio. 11 clott. Nisi, condotto in Urbisaglia, affer-
ma aver il novero de'suoi malati superata la somma
di quelli di molti e molti anni. Né fra queste perio-
diche benigne mancò ancora qualcuna maligna o per-
niciosa, ogni qualvolta l'infermo imprudentemente e
troppo a lungo, e non difeso da atte vestimenta, si
fosse esposto al freddo notturno ed all'umido vento
di scirocco. Domenico Marconi villico di professione
partiva da Loreto, e nelle ore meridiane cammin fa-
cendo giungeva sull'imbrunir del giorno a Monte Cas-
siano, e leggermente vestito passava la notte in agre-
sti faccende: fu collo da periodica, alla quale nel ter-
zo accesso si associò profondo sopore. Il dott. l'io-
retti, filosofo e medico peritissimo, lo assisteva. Il doli.
Intermittenti perniciose 67
Belloli, medico comprimario in Macerala, fra le molte
l'ebbri di accesso di benigna natura, una ne ebbe a
combaltere letargica in Agostino Simoncini. Similmen-
te altri, altre. Ne'menzionati casi non fu mestieri sa-
lassare gì' infermi , e la febbre dall' antiperiodico fu
vinta.
a3. Collazionando ora i luoghi , le cause e le
malattie de' due opposti paesi , cioè delle marche e
dell'agro romano, posti allo stesso grado di latitudine
boreale, noi veniamo a convincerci che la salubrità
delle prime dipende da un più mite calore de'giorni
estivi , e dalla siccità della sua atmosfera. Vediamo
ancora, che nelle campagne romane la gravezza e la
frequenza delle febbri siegue il rapporto delle due
menzionate condizioni atmosferiche. In oltre che ogni
qual volta nelle marche queste stesse due condizioni
si avvicinino alquanto a quelle che abbiamo rinve-
nute nell' agro romano , anche quivi qualche febbre
con sintomi di pernicie non lascia di farsi vedere, In
regioni poi così lontane il maggior numero e gravez-
za delle periodiche segue il rapporto delle località a
seconda che queste possono contribuire all' aumento
delle cagioni da noi incolpate. Per tal modo in Ter-
racina posseggono un domicilio più esteso. Molto for-
te lo hanno in Terni, attesa l'umidità della caterat-
ta del Velino, che si aggiunge a quella sovramenzio-
nata, abbenchè coli ivate ne siano le terre. E per la
stessa ragione nella Fara , nel cui sottoposto pia-
no verdeggiano fino al principio di dicembre spon-
tanee felci , qualora s'introducano nella sua vallata
all'agosto venti umidi, le stragi sono frequentissime.
La stessa legge con più miti effetti si eseguisce nelle
marche. Scevro o poco meno dalle febbri periodiche
68 Scienze
e il dorso dell' apennino. Qualcuna se ne riscontra
dopo la metà dell'inclinato piano, che forma questa
provincia. E qualcuna anche di più nel littorale ma-
rittimo. Che se in alcuna parte di questo littorale
marittimo si aprono le bocche di qualche fiume, rice-
vendo l'umidità atmosferica nuova addizione , anche
qualche perniciosa vi si riscontra , come nelle fauci
delPEsino, del Tronto ec.
24. Le quali cose ben considerate si rileva, che
la perniciosa endemica regna sempre nella stessa sta-
gione; che essa vi regna allorché evvi calore sommo
diurno , ed umidità nelle notti ; che ove o questo
caldo o questa umidità non coesistano, ahbenchè nella
stessa stagione e nello stesso paese, la febbre non si
rinviene neppur essa: che la copia e l'energia della
medesima siegue strettamente l'intensità delle due ca-
gioni assegnate , con queste cresce , con queste de-
cresce: che se in mezzo al corso dell'epidemica co-
stituzione sopravvenga forte meteora, che disturbi l'ac-
cennato connubio, come piogge dirotte e continuate,
ed impetuosi venti, eziandio nelle campagne romane
la malattia cessa anch'essa di maniera che la nascita,
l'infierire e lo spegnersi di questa è congiunto colla
presenza di quelle. Ogni altra cagione può esistere
senza che appariscano febbri perniciose ; quella sola
è necessaria ; qualunque altra può inframmischiarvisi
senza poterne usurpare il diritto della genesi.
25. Per lo che se in un luogo rinverrai melma,
belletta, o altro deposito, in altrettanti e più luoghi
queste mancheranno: ed esisterà la febbre, purché si
riuniscano calore ed umidità. Se in altro luogo ti in-
contrerai con vegetabili di fetido odore, com^ con la
cava putefina ec., in cento altri vi cercherai inulil-
Intermittenti perniciose 69
mente tali vegetabili, ma pure la perniciosa vi avrà
stanza. Se in tal luogo rinverrai minerali vapori, sol-
ferei, ammoniacali, gassosi fluidi; in duecento essi
mancheranno, ma non mancherà la febbre. Se in qual-
che regione, sia ampia, sia angusta, ti verrà fatto d'im-
batterti in sostanze organiche consegnate alla corru-
zione, e non vi esisterà calore ed umidità, la perni-
ciosa non si svilupperà giammai. Finalmente senza la
presenza di alcuna delle menzionate cagioni, siano so-
litarie, siano composte, tu troverai sempre la perni-
ciosa ogni qual volta a giorni sereni prolungati e
ealdi subentrano fredde ed umide notti.
CAPITOLO VII.
I fenomeni morbosi confermano V eguale natura
delie due febbri negli opposti paesi.
26. Pei rapporti poi da noi investigati, che in-
tercedono fra le marche e le campagne romane, ci tro-
viamo costretti a concludere, che da cause della me-
desima natura, anzi dalla stessa sola causa elevata a
maggiore o minor potenza, se ne deve ripetere la pro-
duzione. I fenomeni morbosi vengono a cospirare nel
confermarci in questa conseguenza. Cosi le une co-
me le altre osservano la periodicità, così le une co-
me le altre dan principio ai loro accessi col freddo,
e le une e le altre danno fine ad essi col sudore ;
queste e quelle son fugate colla chin«, abbenchè le
prime necessariamente e le ultime possono molte vol-
te dispensarsene.
70 Scienze
CAPITOLO Vili.
Esempi che confermano la nostra eziologia.
27. Io mi sono limitato a porre a confronto que-
ste due porzioni dello stato romano per chiarire la
mia dottrina : e questo paragone sarà bastevole per
comprovare l'eziologia da me sostenuta. Ma non man-
cano esempi lontani di febbri periodiche gravissime
senza la presenza né di paludi, ne di soslauze in pu-
trefazione , per il solo soffiare di venti umidi. Così
per le rapide variazioni nella temperatura, e per la
umidità nella Carolina del sud, dice Gioja (1), do-
minano le febbri intermittenti, le terzane, le quarta-
ne; e seguendo lo stesso autore vediamo, che a Ve-
racruz per 1' umidità prodotta dalle continue piogge
l'aria è molto insalubre, e quest'insalubrità vien tolla
«la venti, o diminuita almeno, rendendo più asciutta
1' atmosfera. Ma di esempi tali, o di altri più uni-
formi alla nostra questione , io non fo cenno se
non perchè si vegga il gran potere dell'umidità an-
che sola a produrre disordini gravissimi nella nostra
macchina.
CAPITOLO IX.
Autorità e testimonianza dei medici romani.
28. Tali cose io scrivea, ed il mio scritto ve-
(1) Filosofia della statistica pag. 176, 177.
Intermittenti perniciose 7 1
niva nello mani del conte Giovanni Fiorenza uno dei
letterati italiani, ed ora vice delegato dell'anconitana
provincia. Lo consegnava egli nel cominciar del 1808
al tipografo Quercetti in Osimo , e a proprie spese
lo imprimeva. Si divulgò il mio lavoro per l' Italia,
ed io ebbi a consenzienti non pochi medici romani.
Due ne nominerò, i quali non nei loro discorsi sol-
tanto , ma nelle opere rese poi di pubblica ragione,
mostrarono di avere adottato la mia dottrina. Il pri-
mo di questi è il dottore Monchini medico e chi-
mico insigne : il secondo il dottor Folcili fisico e cli-
nico primario nell'arciospedale di s. Spirito. Ambi me-
dici, ambi professori nell'università romana, ambi nati
nel suolo, ove la perniciosa si produce, ambi scru-
tatori della sua genesi nella città e ne1 luoghi vi-
cini, ambi vittoriosi nel combatterla. Il terzo è il dot-
tor de Crollis, medico e letterato di alta fama, che im-
piegò molti dialoghi nell'illustrare questa malattia dall'
aria romanesca prodotta. Or mentre io mi riposava
all'ombra di tali maestri, al pari de'quali niun me-
dico straniero può venire al confronto nel conoscerla
e nel trattarla , mi sono state recentemente opposte
alcune difficoltà ed argomentazioni, le quali se po-
sassero su salde fondamenta dirtruggerebbero la mia
sentenza. All'esame di queste obbiezioni e di queste
difficoltà dall'importanza dell'argomento io son chia-
mato.
CAPITOLO X.
Opposizioni proposte dal sig. dottor
Puccinotti.
29. Il sig. Puccinotti, nella seconda parte della
72 Scienze
sua opera intitolata storia delle febbri intermittenti
ec. pubblicata in Macerata nell'anno i836 pei tipi di
Giuseppe Mancini Cortesi, propose una sua ipotesi,
colla quale attribuisce la produzione della perniciosa
a specifico miasma generato nelle contrade romane.
Prima però di provare l' esistenza di questo miasma
si fa ad esaminare la mia dottrina, che egli cerca di
rovesciare per sostituire la propria. Mi trovo quindi
nella necessità di qui riferire paratamente tutti gli
argomenti da esso impiegati in questo suo tentativo.
Voglio rappresentarli colle sue stesse parole. « Àve-
» vano già e Celso, e il Doni, e Lucantonio Por-
» zio, e Zimmermanno notato per una delle princi-
» pali cagioni di codeste febbri il passaggio dai fer-
» vidi calori diurni ai freddi notturni. Non essendo
» riuscito a' chimici di render coercibile verun ele-
» mento dell'aria palustre, era facile negare il mias-
>» ma come cagione, e sostituire a questo l'altra delle
» alternative di temperatura. Così adoperò il Santa-
» relli, che però ha il merito d'essere stato il primo
» a sottoporre a osservazioni termometriche le sud-
» dette temperature, e fissarne i gradi di differenza.
« Egli ottenne da' suoi esperimenti fatti tra il finire
» d'agosto ed il cominciare di settembre nell'aria di
» Terni, mentre dominava la perniciosa, che il ter-
» mometro segnava gradi 26 R. a mezzodì, a mez-
» za notte gr. 20, all'accostarsi dell'aurora gr. 9. Il
» perchè la differenza fra il calore diurno e quello
» della notte sarebbe stato di gr. 17: differenza im-
» ponente che farebbe passare il corpo umano in po-
» che ore dal calore della state al freddo del verno.
» Saviamente, quindi egli domanda a se stesso ; se
» nel corso dell'altre diverse stagioni dell'anno possa
Intermittenti perniciose y3
» l'uomo mai trovarsi circondato da un raffreddamen-
» to così forte, come quello che produce la perni-
» ciosa; e se pure ci si trovasse qualche volta, come
» accade che la perniciosa non si vegga comparire ,
» fuori che ne1 mesi ultimi della state , e ne' primi
» dell' autunno. Conclude poi francamente, che in
» nessun tempo e in nessuna circostanza si può pre-
» cipitare da un forte calore secco e veemente, co-
» me quello di gr. 24 per lo meno, ad una atmo-
» sfera umida e raffreddata a gradi 8. Ora se si di-
» mostrasse ai sig. Santarelli che codesta imponente
» differenza termometrica non esiste negli anni e nel-
» le stagioni e ne'luoghi, dove domina la perniciosa,
» e che al contrario dove si osserva anche più mar-
» cata, la perniciosa non domina, saremmo all'argo-
» mento logico adoperato di sopra pei calori e 1' u-
» nudità , che distruggerebbe completamente la base
» sperimentale della sua teorica. « ( Cap. XXI pag.
75 e 76 op. cit. ).
Per dare effetto a questa promessa il sig. Puc-
cinotti espone alcune osservazioni termometriche isti-
tuite a Roma, altre in Narni, ed altre sue proprie.
Per lo che si scorge che egli sarà per porre le mie
colle altrui osservazioni in confronto. Noi le riferi-
remo come egli stesso le descrive. E poiché trattasi
di comparazione tra fatti e fatti , veggo indispensa-
bile premettere l'esposizione delle cautele necessarie
ad osservarsi nell' uso del termometro, e nell' espri-
mere le temperature medie dei mesi , degli anni , e
dei luoghi : cautele che dovranno esser sempre pre-
senti allo spirito di colui che vorrà costituirsi giudi-
ce nell' attuale controversia.
y4 Scienze
CAPITOLO XI.
DelV apprezzamento del calore medio
d'un luogo.
3o. Primieramente colui, che vuol conoscere il
grado della temperatura attuale dell' atmosfera, deve
isolare il termometro ; imperciocché ogni qual volta
venga sostenuto, ed appoggiato ad un corpo qualun-
que, non può non comunicare col calore che da det-
to corpo o gli yien tolto, o gli vien somministrato.
In appresso il termometro collocato o nel pri-
mo piano, o nel secondo del fabbricato, segna un ca-
lore più elevato di quel termometro che è situalo ad
un piede sopra il suolo ; nelle giornate umide o pio-
vose io ho riscontrato questa differenza di uno o an-
che due gradi.
Terzo, il termometro fissato nella parte orienta-
le del fabbricato sarà più elevato nella stessa ora del
mattino dell' altro posto all' occidente dello stesso lo-
cale. Viceversa nelle ore pomeridiane contemporanea-
mente questo segna qualche grado di più del pri -
mo. E ciò si avverte parlando del calore ombratile;
vale a dire allorché il termometro da alti edifizi sia
difeso dall' azione diretta della luce.
In quarto luogo questa differenza è anche mag-
giore ove nella stessa ora si esplorino due termome-
tri, l'uno al mezzodì, l'altro a tramontana, posti all'
ombra.
Quinto , se il termometro sarà in prossimità a
qualche muro o fabbricato parteciperà del grado di
temperatura di questo, e differirà da altro che ne fos-
se lontano.
Intermittenti perniciose 75
Sesto, in ogni caso è mestieri che il termome-
tro non possa ricevere sopra di se i raggi della luce
riflessa, i quali innalzerebbero la sua graduazione.
In settimo luogo, il termometro posto nella vetta
di un colle colla fedele osservanza delle suddette con-
dizioni, segna la temperatura più bassa nelle ore del
giorno confrontato ad altro stabilito ai piedi del col-
le, il quale riceve, oltre i raggi diretti, anche i ri-
flessi. Ma nelle ore mattutine il termometro, colloca-
to ai piedi di detto colle, si rinviene più basso del
primo, attesa l'umidità che in quell'ora vi si trova.
Questo abbassamento è anche maggiore, se l'osserva-
zione sia istituita in una valle.
Ottavo, volendo determinare la temperatura at-
mosferica di una provincia per collazionarla colla tem-
peratm-a di altra provincia, oltre le suddette cautele
altra se ne richiede, in ispecialità nella questione che
si agita presentemente.
Nelle marche le terre, che sono bagnate dall'a-
driatico per ampia zona, sono più calde delle terre che
seguono più in là nella metà di detta provincia : e
queste godono di una temperatura più riscaldata della
fascia successiva, che si prolunga sui colli che appog-
giano agli apennini. Di fatto nella piuma maturano
in antecedenza e meglio i cercali, prima si raccoglie
la messe, e molti alberi che in essa prosperano, ma-
le nella seconda, nulla affatto nell'ultima fruttificano.
Non pertanto evvi a presentare la seguente eccezio-
ne. Nelle giornate calde serene ed estive due ore prU
ma del mezzodì sorge un vento di mare regolarmen-
te dall'adriatico, che tempra la prima zona, e tiene
per due ore la di lei temperatura più bassa che nel-
le zone successive, precipuamente nella seconda. Que-
76 Scienze
sto si verifica in Fermo dalla parte di s. Caterina ,
in Montusano, in Montegranaro, in Montesanto, id,
Recanati, ove il sig. Puccinotti fu medico condotto;
e così di seguito. Dal che ognun vede quanto riesca
difficile presentare una cifra approssimativa della me-
dia temperatura di detta provincia, e specialmente nel-
le ore antimeridiane.
Nelle campagne romane ne'giorni summentovati
si osserva la stessa legge: più intenso è il calore lun.
go il mediterraneo per tutto il corso del giorno. Ma
in certe ore, cioè nelle vespertine, si solleva un ven-
to di ovest dal mare che abbassa la temperatura dei
luoghi situati a molta distanza dal lido, la quale rie-
sce intollerabile agli abitanti, e che supera l'abbassa-
mento del termometro osservato nell' istessa ora in
Roma.
Finalmente la difficoltà d'espi'imere con nume-
ro quotuplo i gradi di calore medio delle diverse sta-
gioni e dei divei'si anni incontra nuove difficoltà a
seconda che l'osservatore si colloca in città più ele-
vata o più bassa. Colui che avesse posto stanza in
Iesi non rinverrebbe in accordo le proprie osservazio-
ni con quelle di fisico che avesse sede in Macerata.
Altrettanto avverrebbe a due osservatori, il primo re-
sidente in Terni, l'altro in Santogemine. E mestieri
allora d'esprimere i risultati con numero di approssi-
mazione; ed eseguir ciò esattamente, trattandosi di va-
sta provìncia, non solo è difficile, ma direi impossi-
bile specialmente ad uomo solo privo di associazione.
Tutte queste considerazioni debbono esser ben fitte
nella mente di colui che pretende censurare le mie
ricerche, e che il sig. Puccinotti non poteva negli-
gentare.
Intermittenti perniciose 77
3i. Venendo ora al primo dubbio obiettatomi
dal sig. Puccinotti, se il termometro possa nel corso
d' un giorno discendere da gradi 26 a gradi 9 del
termometro reaumuriano, come io ho asserito d'avere
riscontrato: imperciocché per tal discesa sarebbe pas-
sare , sono sue parole , il corpo umano in poche
ore dal calore della state al freddo del verno.
Lo pregherò a ricordarsi che ciò non solo è possibi-
le, ma quotidianamente avviene ogni qualvolta si os-
servi il termometro nelle ore prime del giorno ali*
ombra , e si continui a tenergli dietro nel mezzodì
all'ombra, e quindi contemporaneamente al sole. Di
fatto mentre nella primavera l'istromento all' ombra
nella mattina segna gradi i3, sul mezzo giorno all'
ombra si troverà a gradi 20, e contemporaneamente
al sole salirà a gradi 35 e 36. Veggasi la parte IV,
pag. 100 e seguenti delle mie ricerche, ove parlo del-
le differenze del calore ombratile e del solare nelle di-
verse stagioni e giorni dell'anno, a cui l'uomo si tro-
va esposto. E ciò sia detto per rispetto ad una tale
possibilità assoluta, e fatta astrazione a tutte le al-
tre circostanze del calore diurno alla durata del me-
desimo, ed alla mancanza dell' umidità. Non dovea
adunque il mio avversario allarmarsi , e non si sa-
rebbe allarmato, se si fosse esercitato in questo gene-
re di esperimenti. Ma veniamo al caso concreto con-
tro cui egli ha mosso le sue obiezioni. « Nel gior-
« no 21 agosto 1798 sul mezzodì il termometro era
« asceso sopra i gradi 26 di Reaumur; si tenne fer-
« mo a quest'elevazione fino all'approssimarsi del tra-
« montar del sole. Quindi cominciò dolcemente a
« discendere, ed era a gradi 20 dopo la mezzanotte.
« Riosseryato non mollo dopo, si ritrovò di aver fat-
78 Scienze
» lo maggior cammino ancora, ed all'accostarsi del
» nuovo giorno pervenne frettolosamente fino a gra-
» di 9. In seguito sull'apparire del sole nell'orizzon-
» te ritornò a salire: ed a seconda che quest' astro
» sferzava più direttamente co1 suoi raggi la super-
» ficie della terra, rapidamente ascendea; di modo
» che all'ore 12 d'Italia già segnava gradi 18; e 26
» poco dopo il mezzodì » ( Parte II delle mie ricer-
che pag. 41 e 42 )•
Questo taano indicava un fatto singolare. Esa-
miniamo con ispirito di verità e sinceramente tutto
questo passo. Dopo d'aver narrato ciò che io riscon-
trai ai 21 agosto del detto anno, così proseguo. « Io
» non starò qui a narrare la mia sorpresa. Il letto-
» re può immaginarsela al considerare che non già
» a gradi 7 fra il calore notturno e diurno di dif-
» ferenza, come presso a poco in altri luoghi io avea
» riscontrato; ma bensì gradi 17 passavano fra il
» calore del giorno e quello della notte nel tempo
n che la perniciosa dominava ( idem loco cit. ) » Io
adunque fui sorpreso dalla novità dell' osservazione.
Ma fin dall'anno 1792 osservava in Orvieto la per-
niciosa, e la ripetea dal raffreddamento notturno, come
asserisco nelle pag. 35 e 36 parte seconda , di cui
mi giova riportare l'intero frammento. « Nel 1792
» io mi ritrovava in Orvieto per osservare la febbre
» perniciosa dal principio della state fino alla fine
» dell'autunno. Tutti gli infermi dell'ospedale rima-
» nevano sotto la mia direzione, e quasi tutti quelli
» della città: onde io poteva contare sulla totalità del
» numero. Fu secchissimo il luglio di quell' anno,
» ed affatto priva di pioggia la prima metà del mese
» di agosto: e per tutto questo tempo non si vide com
Intermittenti perniciose 79
» padre veruna perniciosa. Nel giorno i5 di que-
» st'ultimo mese cadde una pioggia abbondante, che
» dalle ore 21 durò fino all'imbrunire della sera. Di-
» sparvero in seguito prontamente le nubi, e si ras-
» serenò il cielo: onde calde divennero le ore me-
» ridiane, e quelle che il sole impiega per declina-
» re, ma fresche le notturne, e le mattutine dei dì
» che seguirono. Dopo alcuni giorni si videro appari-
» re nell'ospedale infermi di febbre perniciosa, i qua-
» li di mano in mano aumentandosi in numero, tal-
» niente si moltiplicarono in appresso nella città e
» nell'ospedale, che io ed altri due medici eravamo
» incapaci d'assisterli interamente. Ecco pertanto in
» una regione, ed in una stagione in cui la perni-
» ciosa suole essere epidemica, mentre esistono tutte
« le altre cagioni, cui è stata da tanti autori attri-
» buita, non riscontrarsene però veruna se non do-
» pò il cadere delle piogge, ed a tal epoca germoglia-
» re frequentissima, e produrre mali infiniti. In ap-
» presso io rinnovai e confermai le stesse osserva-
» zioni in altre città dello stato romano feraci an-
» ch'esse di tali malattie. La febbre perniciosa com-
» pariva tanto più prestamente, o tanto più tarda ,
» quanto prima o dopo cadevano le piogge. »
Dunque a mio avviso, e di chiunque ha letto
la mia opera, in quell'epoca io non attribuiva al gra-
do nove sopra lo zero del termometro la condizione
necessaria per dare occasione alla febbre perniciosa:
giacche se così avessi pensato non avrei esternate le
maraviglie sopra un fenomeno che non sarebbe stato
per me nuovo, allorché la perniciosa dominava ne-
gli anni antecedenti. Seguitiamo il resto del paragra-
fo a pag. 43, il quale è stato così da me espresso.
8o Scienze
» Se la differenza del calore diurno e notturno era
» grandissima, allora numerosissime e gravissime si
0 presentavano tali malattie: ma se questa differen-
» za era minore , allora anche la perniciosa si ri-
» scontrava più rara e meno feroce*, e finalmente quan-
» to prima cessava una tal differenza, tanto più pre-
» sto dispariva la perniciosa ». Dunque per le mie
parole la perniciosa era stata da me rinvenuta a di-
versi gradi di differenza del calore notturno col diur-
no. Ma qual era, giusta il mio avviso, e quanta quel-
la differenza dei suddetti gradi di calore in cui in-
cominciasi a vedere la perniciosa? Io Tavea afferma-
to poco prima, e l'ho quindi ripetuto allorché ho pre-
sentalo i prospetti delle differenze di detti due calo-
ri nel mese d'agosto e nei laterali nell'arie saluhri.
Questa differenza, uso le stesse parole, era di gra-
dì 7 circa (pag. 4* linea 1 1). Dunque la pernicio-
sa era stata da me rinvenuta ogni qualvolta fra il ca-
lore notturno ed il diurno vi fosse una differenza
maggiore dei n od 8 gradi. Il numero 17 di diffe-
renza indicava il maximum da me segnato in tutto il
lungo corso delle mie ricerche. Per lo che a gradi 11,
12, i3 ec. del termometro si dovea rinvenire, e s'era
da me rinvenuta, la perniciosa ogni qual volta lo stes-
so grado di raffreddamento notturno si fosse congiun-
to all'umidità atmosferica sine qua ?io?i, condizione
affatto indispensabile. Con qual ragione adunque, an-
zi con qual lealtà il sig. Puccinotti vuole attribuir-
mi il grado 9 di abbassamento nella scala di Reaumur
qual unico e necessario termine di raffreddamento per-
chè possa sorgere la perniciosa? In seguito di que-
sta falsa supposizione egli si fa poi strada a parago-
nare le mie osservazioni con quelle di altri osserva-
Intermittenti perniciose 8i
tori. Questi soli rilievi sono sufficienti a capovolta-
re tutto il suo ragionamento. Io però non isfuggo
questa comparazione, quantunque non necessaria al
nostro caso.
CAPITOLO XIL
Osservazioni del naturalista Brocchi, e prima
obiezione del sig. Puccinotti
32. La prima di queste è la relazione di quat-
tro osservazioni istituite dal chiarissimo natui'alista
Brocchi. Voglio qui trascrivere il passo del Puccinotti.
« Nell'anno 1818, nel quale il chiarissimo Brocchi
» istituì le sue esperienze sull'aria palustre di s. Lo-
» renzo fuori delle mura di Roma, la febbre ende-
» mica malmenò così fattamente la campagna roma-
» na^ che tra luglio agosto, e settembre furono ac-
» colti nell'ospedale di sj Spirito intorno a 6000 feb-
» bncitanti. Le notti destinate alle sperienze furo-
» no nel 2, 4> 7> 25 settembre. Il chiarissimo pro-
» fessore Barlocci, compagno del Brocchi, segnava la
» temperatura. Nella prima notte presa la media del
» maggior caldo diurno a gradi 25 Reaumur, e aven-
» do avuto a mezza notte gradi 19, la differenza sa-
» rebbe stata di 6. Nella seconda notte avendo avu-
» to alla stessa ora gradi i3, la differenza sarebbe sta-
» ta di 12. Nella terza avendo avuto gradi 16, la dif-
» ferenza sarebbe stata di g. Nella quarta avendo
» avuto gradi 17, la differenza sarebbe stata di 8.
9 In codest' anno adunque non a Terni, ma ne' sob-
» borghi di Roma stessa, non si è mai notata la dif-
» ferenza stabilita dal Santarelli di gradi 16 o 17
G.A.T.LXXXVIII. 6
82 Scienze
» tra i calori diurni e i freddi notturni : e ciò non
» ostante la febbre romanesca infieriva massimamen-
» te » ( Opera cit. cap. XXI pag. 17 ). E neces-
sario premettere che lo scopo del naturalista Brocchi
era quello di riconoscere, se nell' atmosfera romana,
mentre regna la perniciosa, esista alcun miasma , a
cui tal malattia possa attribuirsi. In tal ricerca era
stato preceduto dal fisico Carradori , il quale non
avea potuto scoprire alcun principio settico nelle arie
mal sane : del che avea dato contezza nel giornale
del Brugnatelli. Erasi il Brocchi provveduto di alcuni
vasi contenenti il ghiaccio, per mezzo de' quali rac-
coglieva 1' umidità dell' atmosfera ridotta a fluido
acquoso , e quindi sottoponendola a diversi cimenti
ne rintracciava i principii. A s. Lorenzo fuori delle
mura, lungi da Roma poco più di mezzo miglio, si
eseguirono questi tentativi. Fia or bene trascrivere
originalmente le parole di lui.
» Preparati e riempiuti con questa cautela i re-
» cipienti, gli esposi all' aria libera nel campo delle
» sepolture contiguo al portico della basilica. Ma
» tuttoché questo luogo sia così chiamato, non sono
» stati mai ivi sepolti i cadaveri : poiché altrimenti
» non avrei scelto un sito, da cui potevano sorgere
» particolari e meramente locali esalazioni.
» Gli esperimenti furono falli nelle giornate 2, !
» 4» 7 e 25 di settembre, essendo colà rimasto nelle
» tre prime dall' imbrunir della sera fino a due ore
» dopo la mezza notte, e nell' ultima passai la not-
» te intera fino allo spuntar del sole. Ecco le os-
» sensazioni meteorologiche istituite dal sig. Barlocci.
a Nella notte del giorno due il termometro di
» Reaumur segnò alle ore dodici gradi 19 sopra lo
Intermittènti perniciose 83
t> zero, e l'igrometro di Sausure gradi gì, 7^: cal-
» ma, e cielo sereno. In quella del giorno 4 il ter-
» mometro fu a gradi i3 , l'igrometro agli 86, 18,
» e 1' elettrometro di Sausure indicò elettricità po-
» sitiva dalla divergenza di un mezzo grado , senza
» il soccorso dell' addensatore : cielo sereno e ven-
n ticello di ponente. IN eli' altra del giorno 7 il ter-
» mometro passò ai gradi i5, l'igrometro ai gì, 74,
» 1' elettrometro die lievi indizi di elettricità nega-
» tiva : nubi interrotte e lampi in distanza. Nella
» notte del giorno 25 il termometro segnò gradi 17,
» e l'igrometro 86: calma, e cielo sereno fino all' al-
» ba, indi pioggia » ( BibL Ital. num. XXXV, no-
vembre 1818 pag. 221 ).
33. Facciamo alcuni rilievi su questo passo del
Brocchi , perchè esso costituisce il principale e più
valido argomento, con cui il Puccinotti volle rove-
sciare la mia opinione. Le prove negative nulla va-
gliono contro le positive, giusta i precetti della buo-
na logica. Con osservazioni di 4 notti si pretende di-
struggere le osservazioni di tanti anni ? Ma vediamo
il valore di ciascuna di queste osservazioni. Nella not-
te del giorno 2 il termometro discese a gradi ig: nel-
la notte del giorno i5 agosto i7g8 anche il mio ter-
mometro s'abbassò fino ai gradi ig, o 20. Dai pro-
spetti da me presentati nelle mie ricerche parte IV
risulta, che nella mezzanotte anche dei dì sereni cal-
dissimi della state, il termometro rimane frequente-
mente fra il 180 e 20" grado fino alla mezza notte,
e che 1' abbassamento successivo non si avvera che
sull'aggiornare: e la ragione si è, perchè suU'albeggiare
del giorno il raffreddamento della terra si è fatto mag-
giore per la protrazione della notte, e per la soprav-
34 Scienze
venienza dell' umidità. Se si fosse accompagnato il
termometro fino al mattino, si sarebbe certamente ri-
trovato più vicino allo zero.
Nella seconda notte, malgrado dell'agitazione del-
l'atmosfera, il sig. Broccbi alle due ore dopo la mez-
zanotte rinviene il termometro a gradi i3. Ognun
vede, che se l'osservazione fosse stata prolungata fino
al mattino si sarebbe riscontrato molto più al basso.
Non pertanto in questa notte alla stessa ora si rinvie-
ne di sei gradi più vicino allo zero il termometro pa-
ragonato all' abbassamento della prima notte. Qual fu
la cagione di questa differenza ? Il venticello di po-
nente, che conduceva sopra la stazione del naturalista
il freddo della parte marittima della campagna romana.
Nella terza, nubi interrotte e lampi in distan-
za. Vale a dire era quel turbamento nell' atmosfe-
ra , che o distrugge, o menoma infinitamente le forze
dei due coefficienti ; il freddo da me rinvenuto , e
l'umidità. Ma anche in questo terzo caso non si per-
venne ad osservare il termometro nell' ora del suo
maggiore abbassamento, cioè nella mattutina. Nella
quarta il sig. Brocchi dopo la serenità della notte se-
gna nellr alba pioggia.
In questa notte adunque non poteva conservare
l'atmosfera quella placidità che io ho sempre richie-
sta, e sempre osservata. Queste osservazioni adunque
erano insufficienti a stabilire veruna massima tanto af-
fermativa quanto negativa. E di fatto non se ne preval-
se il Brocchi contro la mia opinione. E neppure il
Monchini ed il Folcili, il primo de'quali somministrò
al Brocchi tutti i reattivi nel laboratorio chimico ro-
mano per esplorare le acque raccolte dall' umidità, ed
assistè alle operazioni chimiche. Ed il secondo , che
Intermittenti perniciose 85
contemporaneamente teneva dietro al termometro nel
collegio romano, non ne fu scosso, e non disertò dalla
mia sentenza.
34. Mentre il Brocchi faceva le sue osservazioni
altrettante ne istituiva il prof. Folchi, il quale così ne
scrisse nei giornale arcadico tom. XXXIX pag. i5 :
« Io ho consultato le tavole metereologiche della spe-
» cola gregoriana del mese di settembre 1818, e pre-
» osamente di que' giorni ne' quali il Brocchi esegui-
» va 1 suoi sperimenti sulla mal' aria: ho fatto il con-
» fronto della temperatura del mezzo giorno , con
» quella della mezzanotte notata da questo fisico, ed
» ho rilevato una differenza di i3 verso lo zero del
» termometro di Reaumur ; e son ben persuaso che
» la differenza sarà stata maggiore nel mese prece-
» dente di agosto. » Di questo maggiore abbassamen-
to dobbiamo esser certi pel detto mese. Ma dobbia-
mo essere ancora più certi di ulteriore abbassamen-
to, se l'osservatore avesse esplorato il termometro al-
lo spuntar del giorno.
Inoltre le suddette osservazioni sono state isti-
tuite nel mese di settembre ; cioè le prime tre nei
primi gmrni 2, 4, ?j e la quarta nel giorno 25 del-
lo stesso mese. Ma egli è certo per le mie tavole
metereologiche, che in detto mese la differenza del
calore diurno relativamente al notturno è molto mi-
noie di quella che si riscontra costantemente ne' mesi
di luglio ed agosto, mesi pericolosi ed infami, giusta
il consentimento di tutti gli scrittori, e di tutte le po-
polazioni delle campagne romane. Ancora un' altra
considerazione. Le osservazioni dal sig. Brocchi isti-
tuite si eseguirono nel campo delle sepolture con-
tiguo al portico della basilica di s. Lorenzo. Ora pò-
86 Scienze
teva il termometro non risentirsi della temperatura
di quel fabbricato ? Volendo rilevare il grado del ca-
lore dell' atmosfera era mestieri allontanarsene. Non
lo fece il Brocchi perchè le sue ricerche a rinvenirlo
non erano dirette.
Non negligentiamo un importantissimo riflesso.
I malati ricevuti nelP ospedale di s. Spirito provenir
vano tutti dal luogo ove il Brocchi si era colloca-
to ? Essi derivavano da tutta la campagna romana,
Si sa che il maggior numero ed i più gravemente
infermi sono somministrati da quella parte ch'è più
vicina al mediterraneo , dove l'umidità è maggiore ,
ed il freddo matti.) lino insoffribile. Se in questa par-
te, nei giorni del maggior affollamento degli infermi,
nelle ore mattutine fosse stato consultato il termo-
metro , non possiamo dubitare che quest'istrumento
avrebbe presentato le differenze da me notate ; im-
perciocché le condizioni atmosferiche di quei luoghi
s'avvicinano moltissimo a quelle di Terni, in cui io
istituii le mie ricerche.
35, Concludiamo colla maggior buona fede, ed
appoggiati a logica severa , che le osservazioni del
Brocchi non si oppongono alle mie: anziché esse, per
quanto lo permettono il mese, il giorno, le ore, nel-
le quali furono eseguite, in qualche modo assodano
quanto da me è stato stabilito. Volere con esse op-
pugnare la mia sentenza, è un mancare d'analisi ri-
gorosa, e prevalersi d'erronea induzione. Il Puccinotti
avrebbe potuto recarsi nei mesi di luglio ed agosto
nei luoghi, ne'quali gli uomini venivano colpiti dalla
perniciosa , e ripetere le mie osservazioni nelle ore
da me accusate, per poter trarne legittima conseguen-
za, o a conferma, o ad esclusione di quanto io ho
Intermittenti perniciose 87
scrìtto. Allora sì il suo argomento non sarebbe sta-
to antilogico.
CAPITOLO XIII.
Osservazioni di Folchi e di De Crollis
che sussidiano la mia teorica.
36. Abbenchè le considerazioni esposte fin qui
sieno bastanti a respingere l'obiezione del sig. Puc-
cinotti , e che quindi io potrei passare innanzi ad
esaminare le successive : non pertanto esse mi chia-
mano ad aggiungere qualche nuovo fatto confermati-
vo della mia dottrina. Il primo di questi fatti mi
viene somministrato dal dottissimo Folchi. Riferisco
le di lui parole : « Una state uniformemente calda
» e secca è la più scarsa di febbri; e la più ferace
» è quella in cui vanno cadendo le piogge, e suc-
» cedono vicende di temperatura nell' atmosfera. Que-
» sto fatto non avea bisogno di ulteriore conferma,
» perchè osservato più volte, e generalmente ricono-
» sciuto dai pratici romani ; pur tuttavia è bene sa-
» pere, che dal 1826 in qua abbiamo avuto maggior
» numero di febbricitanti , e si sono dovute aprire
» nuove sale in s. Spirito, essendo cessata nei mesi
» estivi quella siccità, che dominato avea nei cinque
» anni precedenti » ( Giornale Arcadico To. XXXIV
pag. 14).
Io raccomando a lettori imparziali di leggere
tutt' intera la memoria del prof. Folchi ; impercioc-
ché troveranno in essa nuovi fatti , ed ulteriori os-
servazioni confermative della mia sentenza.
37. L'elegante e giudizioso dottor De Crollis ne'
88 Scienze
suoi ragionamenti, alla parte 2.a del 3.° pag. io, di-
ceva: « L'improvviso freddo, aiutalo forse dalla cra-
» pula e dal disordinato vivere, è la vera cagione ,
» onde così spesso qui ( in Roma ) nell'autunno si
» cade infermi. » E volendo egli suggerire il riparo
a queste malattie, scriveva nella pag. 9 della stessa
opera (toc. cit.): « Se in ciascuno di questi (luoghi)
» formeranno un rustico albergo , dove nel piovoso
» tempo e nel freddo della notte i loro lavoratori
» possano ripararsi; se li provvederanno di grossi pan-
» ni che dall'improvviso freddo li difendano, più non
» vedranno a molti di quei meschini nel vigor della
» febbre cader di mano la falce; più non vedranno
» sparirne molti, condotti negli spedali con grave dan-
»> no delle loro incolte. » Ma è indispensabile a co-
lui che ama istruirsi del nostro argomento leggere tutt'
intera la suddetta opera pubblicata nel i834 e 1 836
per i tipi del Boulzaler. Il diligente autore va ricer-
cando tutte le contrade di Roma ed i luoghi vicini;
e le rinviene tanto più pestilenti , quanto maggior-
mente umidi e freddi nelle ore notturne, e caldi nel-
le diurne.
38. Alle suddette testimonianze non posso a me-
no di non aggiungerne altra di non minor peso. Men-
tre il maggior numero degli infermi ricevuti in s. Spi-
rito sono somministrati dalle vicinanze dei fiumi, dei
laghi e del mare; quest'infelici mettono querele con-
tro il freddo notturno, e più fortemente contro il fred^
do delle ore mattutine. I men disagiati dormono entro
baracche, le cui pareti sono di lenzuola; altri si ag-
grottano al ridosso degli acervi formati dalle mietu-
te biade. Alcuni di essi , volendo esprimere il raf-
freddamento dell'atmosfera, mi dicevano che gli steli
Intermittenti perniciose 89
del frumento, allorché all'incominciar dell' opera da
essi si abbrancavano, eccitavano nelle loro mani la sen-
sazione della brina. Uso le loro parole. Ed intanto
seminudo nel giorno aveano esposto il loro corpo ai
raggi solari. E qual'è f gli il grado di calore in cui
si trovavano immersi per tante ore ? 36 e 4° della
scala di Reaumur.
3 9. Nelle mie ricerche sulla causa della febbre
perniciosa io avea affermato, che il calore ombratile
de'giorni estivi era di gr. 25 circa sulle ore del mez-
zodì ne'luoghi feraci di tal malattia. Ma in altra par-
te della mia detta opera io aveva fatto parola del ca-
lore solare corrispondente all'ombratile nelle varie sta-
gioni dell'anno, come di sopra ho riferito. Parlando
poi della state io avea affermato, che essendo il ca-
lore ombratile a gr. 21 nelle ore meridiane e ne'
luoghi salubri , nelle stesse ore esso saliva a gr. 36
del termometro di Reaumur. Questo rapporto non
poteva venire dimenticato da qualsivoglia scrittore che
di tali cose discorrere volesse. Dopo ciò potrà do-
mandarsi, qual sia la maggior differenza de' calori not-
turni e diurni nelle nostre regioni : se questa possa
giungere a gradi 17; e se questa differenza, dall'umi-
dità dell'atmosfera resa più intensa, e più sottraente
il calore animale J possa recar nocumento a quegli in-
felici che ne debbono risentire l'azione ? Allorché 10
mi occupai della mia questione, non mi rinserrai già
in un gabinetto; ma percorsi le contrade ed i luo-
ghi pestilenti, perchè mio scopo era rinvenire il vero.
90 Scienze
CAPITOLO XIV.
Seconda obiezione del Puccinotti.
4o. Il secondo argomento logico del sig. Puc-
cinotti è stato da esso così esposto: « Finalmente tra
» vari medici delle città della provincia di Roma af-
» fetti dalla stessa febbre , che per alcuni anni mi
» sono stati cortesi di loro notizie su coteste diffe-
» renze di temperatura, nessuno è giunto mai a ve-
» rificare i gradi santarelliani » ( idem loc. cit. ).
4i. Qui il sig. Puccinotti produce la testimo-
nianza di medici ignoti, e, quel che è peggio, affetti
dalla perniciosa, cioè incapaci in tale stato di osserva-
re. In questione così grave non si potevano omettere i
nomi degli osservatori, e tanto più perchè si trattava
di distruggere le osservazioni dei più dotti medici ro-
mani, Monchini, Folcili, De Crollis, tutti seguaci del-
la mia opinione. E dove si ritrovavano que' medici
fisici indagatori della natura ? Mi permetta il sig. Puc-
cinotti di rispondergli, che io soia persuaso non ave-
re eglino mai esistito. Qui non posso accordare ad
esso quella cortesia, che egli vanta aver ritrovata da
quei sognati medici. Molti pratici , a vero dire, so-
no già 33 anni allorché la mia opera si pubblicava,
mi dichiaravano uniformarsi al mio sentimento. Non
disprezzai il loro assenso, ma non mi parve di tale
autorità da produrlo al pubblico. Diano alla luce i
corrispondenti del Puccinotti le tavole delle loro os-
servazioni, nelle quali siano controsegnati gli anni,
1 mesi, i giorni, le ore, le temperature. L'esamine-
remo allora scrupolosamente; la verità sarà il guider-
done delle nostre indagini.
Intermittenti perniciose gì
Pone poi il Puccinotti termine a questa sua ma-
niera di ragionare col seguente racconto: a Uno de'
» più distinti tra questi, il dottor Sorgoni medico a
» Narni, luogo prossimo ali1 osservatorio del Santa-
» relli, scrivevami (4 luglio i833 ), che un illustre
» fisico della sua città avea tenuto conto per i5 an-
» ni delle variazioni termometriche de'mesi d'agosto
» e settembre, durante il corso delle febbri. In tutto
» questo periodo di tempo, la differenza della tem-
» peratura atmosferica tra le ore diurne e le not-
» turne è slata per ordinario di gr. 7 di Reaumur,
» ed in qualche raro caso di gr. io ; imperciocché
» ordinariamente ne'mesi di agosto e settembre, os-
» servato il termometro nella mezza notte, si notò se»
» gnare gr. i5, nel mezzo giorno gr. 22; ed in al-
» cuni dì anche il grado 25, ne mai si è osservato
» attingere grado alcuno sotto il i5 nelle notti de'
» suddetti mesi » (Idem loc. cit. pag. 77).
42. Prima di esaminare 1' autenticità di queste
osservazioni facciamoci a riconoscere le circostanze
delle medesime. Narni , picciola città fabbricata sul
fianco di un monte, che va a congiungersi con una
branca dell' apennino, è a io miglia di distanza all'
ovest di Terni. La Nera, fiume proveniente dal som-
mo giogo dei detti monti , dopo di aver lambite le
mura di questa ultima città placidamente fluisce ri-
stretta in angusto alveo nel piano sottoposto a Nar-
ni. Per lo che, mentre questo piano risente gli effetti
dell' umidità del fiume, la città in eminentissimo luo-
go collocata gode di puro aere ed asciutto. Nella mia
lunga dimora in Terni io non di rado era chiamato in
Narni a visitare infermi; ma non ricordo di essere mai
stato consultato per febbri perniciose dagli abitanti
92 Scienze
dell' interno circondario. Per lo contrario la città di
Temi è edificata nel piano, che si presenta al viag-
giatore dopo che discendendo da Somma ebbe attra-
versata la catena degli apennini, ed i gioghi de' suc-
cedenti colli. Questi colli, rialzandosi verso il nord,
diventano monti, e sono chiamati piedi monti. Dalla
parte del sud si sollevano anche gli opposti, e co-
stituiscono la montagna delle Marmore. Questa geo-
grafica conformazione ritiene la città come entro cul-
la. Intanto la Nera, dopo aver ricevuto il Velino a
tre miglia di distanza verso 1' est fra monti e sco-
gli, viene a bagnare le mura di Terni per tutta la
di lei lunghezza dall' est all' ovest. Qui il fiume vien
diviso in più canali, che servono ad esercitare tren-
tasei pistrini d'olio, ed ad inaffiare le terre. Umido
quindi è il suolo di Terni per queste condizioni ; e
maggiormente umido ancora, perchè la gran cataratta
del Velino, la più alta del globo terrestre, cadendo a
piombo sulla Nera in forma di gigantesca e biana co-
lonna, umida rende la vallata, in cui succede la lo-
ro congiunzione ; ed iride perpetua, allorché il sole
non si elevò tanto alto, ne'giorni sereni corona il
capo di essa. Umido è l'aere circostante. Spalleggia-
to da due opposti monti e colli, e ricevuto dalla Nera
nella sua precipitosa discesa fino a Terni, conduce
in questa città nuovi acquosi vapori. Colui che stra-
niero si avvicina alla città di Terni, anche nel caldo
estate e ne' dì sereni, non riesce a discoprirla col-
l'occhio, perchè coperta da intenso vapore. Penetrato
in essa nelle ore notturne, sperimenta molesta sensa-
zione alla cute di umidità, che lo invita a difendersi
con maggiori vestimenta. Niun vento può agevolmente
penetrare nella città a nettarla dalla sua umidità, in
Intermittenti perniciose g3
fuori del vento d'ovest ; ma i soffi di questo vento
incontrandosi coll'opposta Nera ne rispingono indie-
tro i vapori, e li versano nella città e valle terna-
na. Ora doveasi ragionevolmente di buona fede porsi
a confronto l'atmosfera narnese con la ternana ? Que~
sto è quello che ha preteso suggerire il sig. Pucci-
notti con le parole, parlando di Narni, luogo pros-
simo aW osservatorio del Santarelli; cioè, io sog-
giungo, distante miglia io mediante larga pianura.
Non solo Narni, ma Strongone, Cesi, Santogemine,
Collescipoli ec, posti in colli eminenti, godono aria
salubre, mentre ne' loro piani sottoposti bagnati dalla
Nera germoglia non rara la perniciosa. Si conduca
il sig. Puccinotti in Terni, ponga ivi stanza per più
anni , ripeta le mie osservazioni , e successivamente
le collazioni colle sue. Sappia intanto che il mio do-
micilio era a i5o passi dall' alveo del fiume, e nel-
la casa dei sigg. Censi. Ritorniamo al fisico narnese.
Egli, per quanto scrive il sig. Puccinotti, istituì le
osservazioni nella mezza notte, nel mezzo giorno,
e ne segnò le differenze, le quali furono ordinaria-
mente di sette gradi, ed in qualche raro caso di gra-
di io ; né mai osservò attingere grado alcuno
sotto il i5 nelle notti dei suddetti mesi. I miei pro-
spetti presentano eguali risultati ne' luoghi asciutti
per la provincia del Piceno nella mezzanotte ; di
modo che non sarebbe sospetto ardito l'opinare, che
da' miei risultati sia stata espilata una tale relazione.
Ma qui trattasi non già della mezzanotte , ma dell'
albeggiar del giorno. Può essere anche minore la dif-
ferenza del calore meridiano posto a confronto con
quello della mezzanotte. E che? per questo sarà for-
se legittima conseguenza affermare altrettanto dell' ore
g4 Scienze
mattutine? Dal che risulta che il mentito illustre fi-
sico narnese volendo infrapporsi nella soluzione del
problema, di cui io mi era occupato, ha errato per
quindici anni nella scelta del luogo e del tempo.
Ma è poi vera l'esistenza di questo fisico in Narni ?
Perchè non farne conoscere il nome ? In contesta-
zione di fatto, a testimonio che si presenta allo sco-
perto come son io, può contrapporsi testimonio occul-
to e velato ? Ho cercato io di supplire a questa de-
ficienza. Ho scritto e fatto scrivere in Narni per ria--
tracciare codesto illustre fisico, che riposa sulla fede
di Puccinotti e di Sorgoni ; e non mi è riuscito di
rinvenirlo. Finalmente mi son diretto all' autorità lo-
cale: ed ecco ciò che il sig. Francesco marchese E-
roli gonfaloniere attuale, personaggio di altissima sti-
ma, mi scrive con sua lettera dei 22 ottobre 184.0:
« E vero che il sig. dottor Sorgoni ha esercitato in
» questa città la medicina in qualità di medico com-
» primario condotto, e riscosse un qualche credito.
» Mi è ignoto però che esso con altro dotto fisico
» si esercitasse in termometriche osservazioni diur-
» ne e notturne , giacché su ciò non ne ho sentito
» fare parola da alcuno. »
In quanto alla qualifica di medico distinto, pro-
fusa generosamente dal sig. Puccinotti al suo corri-
spondente, io mi conterrò per ora nel più profondo
silenzio. Ma se codesto leale corrispondente venisse
provocato a dichiarare il nome del sapiente fisico, che
per i5 anni tenne dietro alle variazioni termome-
triche in Narni ; si può scommettere cento contro
uno, che egli si troverebbe nella necessità di nomi-
nare o testimone morto, o anche peggiore. Né que-
sta mia affermazione è vana, ma sorge da conoscen-
Intermittenti perniciose g5
za Je'personaggi venuti in iscena a figurare in argo-
mento che eglino non conoscono.
CAPITOLO XV.
Osservazioni del sìg. Puccinotti.
44- Malgrado della voglia del sig. Puccinotti di
offendermi, giusta la sua consuetudine che non rispar-
miò evocare dal regno de' morti l1 ombra di ftasori ,
egli si avvide che l'osservazione del Brocchi, non de-
stinata a rintracciare i calori notturni, è soltanto ac-
cessoria in tempi non opportuni ; e che le testimo-
nianze d'ignoti medici e d'un fisico anonimo non basta-
vano a cancellare i risultati d'osservazioni che pre-
sentavansi in accordo colla teoria del moto della ter-
ra e colle leggi meteorologiche , e che erano state
confermate da medici dottissimi e di fede degni. Si
decise di comparire egli stesso, e così rinvenire luo-
go e tempo aventi forme atte alla questione che agi-
tava. Avrebbe potuto, dopo sì numerosi anni trascorsi
dalla pubblicazione delle mie ricerche a quella della
sua opera, ripetere egli stesso le mie indagini, o in-
vitare dotti medici ad eseguire altrettanto. Le ope-
re però di Monchini, di Folcili, di De Crollis, che
successivamente si venivano pubblicando tutte con-
fermative della mia sentenza, lo ammaestravano bastan-
temente di non potersi attendere da ulteriori nuovi
cimenti i risultamenti da esso desiderati. Avrebbe po-
tuto dopo il Brocchi, cioè negli anni 1B19, 20,21,
nei quali dimorò in Roma, e ne' quali infierì la per-
niciosa, tener dietro al termometro reaurnuriano: ma
in quegli stessi anni il prof. Folchi si occupava e
96 S d I E N { C
scriveva di questo argomento , e forse contempora-
neamente altri fisici e medici ripetevano le mie os-
servazioni. Nella tema di ritrovarsi in contraddizione
con questi, respinse un'occasione tanto opportuna per
lo scioglimento della questione. Non gli era permes-
so rintracciare tertimonianze nel 1817 , perchè in
quell'anno e negli anni antecedenti la perniciosa non
si fece vedere. Si trovò dunque nella necessità di ri-
correre all'anno 18 18, anticipando le sue osservazio-
ni di un mese a quello in cui il Brocchi ed il Fol-
cili tenevano dietro al mercurio. Il Folcili avea per
tutto quel settembre ritrovato il mercurio a i3 gra-
di verso lo zero, quand'anche non avesse prolungato
le sue osservazioni che alla mezzanotte; ed avea di-
chiarato persuadersi che pel mese antecedente , cioè
per l'agosto, sarebbe stato rinvenuto più vicino allo
zero. Da Roma adunque era mestieri sottrarsi e con-
dursi ad altro luogo scevro da contestazioni. Se ne
venne egli in Ferentino di Campagna, e così ci de-
scrive i suoi ritrovati : « Tra il finir dell'agosto ed
» il principio di settembre la massima differenza che
» io notassi tra il calore de'giorni, ed i freddi della
» mezzanotte ed i mattutini, non giunse mai al di
» sopra di gradi dieci di Reaumur » ( Storia delle
febbri intermittenti §. 32, cap. XXI, pag. 76 ).
45. Qui mi conceda il mio avversario , che io
alle sue preferisca le osservazioni del dotto ed inge-
nuo prof. Folcili. Ma il luogo prescelto dal sig. Puc-
cinotti era egli atto a sciogliere il problema? Feren-
tino è edificato sopra ameno ed elevato colle; e noi
abbiamo suggerito, che le città in tal modo collocate
sono esenti dalla perniciosa, abbenchè il piano ne sia
ingombro; come in Strongone, in Collescipoli, in San-
Intermittenti perniciose 97
togemlne ec. Splendidissimo esempio mi suggerisce il
suolo di Farfa, fertilissimo più che altro mai di per-
niciose. Gli abitanti dimorano nel corso dell'anno nel-
le sottoposte campagne: ma appena si avvicina il tem-
po delle perniciose, tutti salgono nella città ; ed in
essa si riparano dalla febbre. Nei piani sottoposti a
Ferentino dovea condursi il nostro avversario, ed al-
lora avrebbe per lo meno ritrovato la possibilità di
raccogliere osservazioni comparabili colle mie e con
quelle degli scrittori sopraccennati ; imperciocché da
quei piani dovevano provenire gì' individui infermi.
Questi leggeri cenni fan diffidare assai sull'esattezza e
corrispondenza dell'asserto del Puccinotti colla natura
delle cose. In quanto a me, tengo per nullo quanto
egli ha scritto. La testimonianza d' uomo prevenuto
non può contrabilanciare quella di tanti professori
dotti e veritieri e spogli di basse passioni. Una osser-
vazione passeggiera non può contrastare fatti nume-
rosi e per più anni ripetuti. Intanto mi giova chia-
mare 1' attenzione del lettore su di una espressione
del Puccinotti. Scrive egli che il Folchi rinvenne il
termometro abbassato verso lo zero, partendo dal ca-
lore meridiano per gradi 12, ed anche i3. Perchè
questa infedele inesattezza ? Folchi lo ha rinvenuto
al grado i3 assolutamente: ed ha reputato esser di-
sceso nel mese anteriore più bassamente, come costa
dal suo passaggio da noi di sopra riferito. Allorché
parleremo degli esperimenti istituiti dal Brocchi per
rinvenire il miasma pernicioso, e riferiti dal Puccinot-
ti, ci si presenterà una prova ineluttabile della sua
meschina lealtà. Ciò basta per chi sinceramente ricer-
ca il vero.
46. Si era obbligato il sig. Puccinotti di mo-
G.A.T.LXXXVIII. 7
9B Scienze
strare: primo, che può esistere epidemica la pernicio-
sa senza abbassamento del termometro ai gradi da lui
richiesti : in secondo luogo di mostrare, che può esi-
stere 1' abbassamento di termometro ai gradi da me
rinvenuti senza comparsa di perniciosa. In quanto al-
la prima parte, mi persuado di aver fatto conoscere,
ehe le prove di lui , o non sono sufficienti al pro-
posto suo scopo, o sono false, e mancanti d'autori-
tà. Ci rimane dunque ad esaminare la seconda par-
te del logico di lui argomento.
CAPITOLO XVI.
Continuazione dello stesso esame.
47- Due sono le osservazioni dal Puccinotti
prodotte. La prima fu da esso eseguita nella vetta
del monte di Trisulli , ove si trattenne tre giorni.
« In uno di questi tra il calore meridiano, e quello
» dell' alba notai una differenza di gr. i3. » (Cap.
XXI pag. 78 op. cit. ). Sono sue parole. La secon-
da ebbe luogo in Urbino. Riportiamo il passo inte-
ro: « Pesaro e Urbino mi hanno offerto la medesima
» osservazione. Pesaro, situato in bassa pianura sul
» littorale adriatico, già una volta molestato da feb-
» brili endemie perchè palustre, oggi risanato in gran
» parte , non lo è tanto che ogni anno d1 estate e
i> d'autunno non presenti parecchi esempi di fèbbri
» miasmatiche : ora in Pesaro tra l'agosto ed il set-
» tembre del 182/j. io non notai una differenza ter-
» mometrica tra il giorno e le notti maggiore dei
» 9 gradi. In Urbino, dove l'aere purissimo rende af-
» fatto sconosciute le febbri di mefitismo, nello stes-
Intermittenti perniciose gg
» so anno nel dì 12, 16, e 24 «1' agosto tra i ca-
» lori asciutti ed eccessivi del mezzo giorno , ed i
» freddi dell' alba susseguente, il termometro mi at-
» tinse i gradi 12, ed anche i3 di differenza. » (Id.
loc. cit. )
E veramente cosa maravigliosa che il fisico di
Narni, non avendo in i5 anni osservato mai il ter-
mometro disceso nella notte più in là di gradi sette,
ed alcune rare volte di gradi dieci, il sig. Puccinot-
ti in una rapida escursione eseguita a Trisulti ed Ur-
bino lo abbia ritrovato a gradi tredici. Non è que-
sto un fatto escogitato? Pure liberamente voglio am-
metterlo,
48. Qui debbo ricordargli, che a tre condizio-
ni fisiche io ascrivea la genesi della febbre pernicio-
sa a calori lunghi e prolungali di molti giorni , ed
elevati a certo grado di altezza, come 25, 26 ed an-
che più, seguiti da freddi mattutini indicati dalla di-
scesa del termometro a gradi 12 e i3, ed anche più,
in alcuni casi accompagnati poi da umidità formata-
si nelle ore notturne, e pervenuta alla maggiore in-
tensità nelle ore mattutine. Ne' due così sopraccen-
nati per di lui confessione mancava quest'ultimo ele-
mento, il quale è di tanta forza, che non esistendo,
la febbre perniciosa non può generarsi. Io mostrai
quanto sia grande e rapida la sottrazione del calo-
re animale nella superficie del corpo operata dall'u-
midità,
49. Che un freddo asciutto delle ore notturne, suc-
cedaneo al calore del mezzo giorno, con forte abbas-
samento del calorico potesse incontrarsi in diverse
stagioni ed in vari giorni, io non solo lo avevo ri-
conosciuto, ma ne avevo presentato il prospetto gè-
100 S C I E IT Z K
aerale per le mie osservazioni. Nella parte quarta*
pag. ioo e seguenti, avevo anche fatto riflettere che
il calore solare si rinviene a gradi 3 7; mentre l'om-
bratile è a gradi 21 sulle ore del mezzo dì, ed a
i3 su quel torno nelle ore notturne, senza che per
questo ne sorga la perniciosa nelle regioni prive d'u-
midità. E qual è quell'uomo, che a tali passaggi non-
si trevi esposto frequentissime volte? Allorché si vuo-
le sciogliere un problema, non si deve trascurare al-
cuno dei dati coi quali esso è presentato. Nella
nostra questione, calore sommo in istagione caldissi-
ma e prolungato ; freddo mattutino per 1' allunga-
mento delle notti ; maggior freddo operante, come di
sopra abbiamo dichiarato, per la presenza dell' umi-
dità , mancanza di riparo per difìcienza di conve-
nienti vestimenta. Una sola di queste condizioni ora-
messa , la perniciosa o non si genera, o non ci of-
fende. Con questo ultimo sussidio poi io ho potu-
to difendermi dalla perniciosa nelle moltiplici occa-
sioni, nelle quali ho percorso le regioni che ne era-
no feraci. Rifletta bene il sig. Puccinotti a quest'ul-
timo riparo rinvenuto utile dagli abitanti di Terni
nelle campagne rom ane , e testificato da De Crollis
e dal Folcili.
5o. Nella Barberia, sulla testimonianza di Gioia,
rinviene il sig. Puccinotti una differenza ancor mag-
giore di quella da me rinvenuta nelle campagne ro-
mane. E supponendo che colà non esistano febbri
perniciose, ne trae subito la conseguenza: Dunque la
differenza de' calori non è la cagione della genera-
zione della medesima. Esaminando però con maggio-
re diligenza, e senza prevenzione, la condizione geo-
logica e meteorologica di quelle regioni rinverremo che
Intermittenti perniciose io*
ove esista umidità per acque stagnanti, anche colà re-
gnano tali febbri. Legga egli il rapporto inviato al-
l'accademia reale di Parigi dalla commissione scien-
tifica di Algieri presieduta dal sig. Bory-de S. Vin-
cent, e vedrà che anche in quel paese esercita la sua
azione deleteria, mi prevalgo delle parole della rela-
zione, copiose febbri periodiche ( Vedi atti dell'accad.
di Parigi i83g ).
5i. È per non lasciare alcuna difficoltà propo-
stami dal Puccinotti risponderò a quanto egli affer-
ma intorno a Pesaro, ove egli , mentre o si recava
o ritornava fugacemente da Urbino, cioè tra l'agosto
ed il settembre dello stesso anno 1824, non rinve-
niva la differenza termometrica tra il giorno e
le notti maggiore di 9 gradi ( pag. 78 loc. cit. ).
52. Osservazioni così frettolose , e senza il
confronto delle febbri nella stessa epoca dominanti ,
non danno dritto ad alcuna logica conclusione. Co-
me mai in uno spazio di pochi dì, venendo da Re-
canati, pò tea in Urbino ed in Pesaro istituire osser-
vazioni esatte e numerose di meteorologia , porle in
relazione colle malattie dominanti , e con sicurezza
trarne rigorose conclusioni? Pesaro era una volta seg-
gio di gravissime malattie; e lo dovea tanto alla con-
formazione geografica del suo suolo, quanto all'impa-
ludamento delle sue campagne. Queste sono state
asciugate; ma pur qualche volta la febbre vi si fa ve-
dere , cioè allorché dominano i venti sciroccali. Ri-
mane la città di Pesaro fabbricata fra due monti l'uno
al nord, 1' altro al mezzodì. Un anfiteatro di colli-
ne che parte dal primo, e circolarmente perviene al
secondo monte, racchiude un piano del diametro, mi-
surandolo daW adriatico, di poco più di due miglia.
102 S G I E N Z K
L'Isauro lo scinde pel mezzo. Ed il mare forma una
sottesa dall'uno all'altro monte. Se spirino venti sci-
roccali, l'umidità da questi recata, e quella del ma-
re con essa congiunta, rendono umidissima quella città.
Il territorio di Pesaro rappresenta in miniatura la
campagna romana. Simili dunque ne sono le condi-
zioni ; simili gli effetti. E fino a tanto che la con-
formazione di quel paese sarà la medesima, le perni-
ciose non potranno giammai essere pienamente fugate.
Il volgo ignaro, a vero dire, ripete dalle immondez-
ze di un canale che attraversa la città, e da cui esa-
la ribultevole odore, la nascita delle suddette febbri:
non riflettendo che benché il canale vi esista colle
menzionate qualità costantemente in ogni mese ed in
ogni anno, pur non ostante non in ogni mese nò in
ogni anno comparisce ivi la febbre : e non facendo
conto che gli abitanti delle campagne , quand'anche
da esso lontani, ne sono più facilmente aggrediti de'
con ladini. Ma l'esempio di Pesaro non era opportu-
no in questo luogo: perchè il mio avversario s'era pro-
posto di provare, che può darsi forte discesa da ca-
lore di 22 o 23 gradi , a quello di 12 o i3 sen-
za generazione d'intermittente perniciosa. Pesaro, la
sua aria, le sue febbri potevano ricordarsi , allorché
presentava la prima obiezione ; cioè allorché voleva
dimostrare coll'autorità di Brocchi, del fisico narnese
e degli ignoti medici distinti, che può esistere la per-
niciosa senza abbassamento di calore. Presentemen-
te questo esempio era straniero al suo raziocinio ;
e forse si è compiaciuto di aggiungerlo per porlo a
paralello colle contemporanee osservazioni d'Urbino.
Io penso che egli abbia sentita l'inefficacia di questa
sua narrazione al controbilanciare i fatti da me e-
Intermittenti perniciose io3
sposti ; giacche poco appresso così prosiegue: « Ma
» quand'anche si verificasse questa causa nel modo
» sostenuto dal Santarelli, e messa a contatto coll'ef-
» fetto, questo si notasse comparire e scomparire , ac-
» crescere e sminuire in ragione di essa, senza l'e-
» sistenza de' rapporti fra la natura dell'effetto e la
» causa stessa, non sarebbe ancor dimostrato clinica-
» mente che essa ne fosse l'esclusiva produttrice. Im-
» perocché molti vari effetti possono seguire le ra-
» gioni di tempo e di grado d'una medesima causa,
» senza che tutti stieno a pari grado di relazione in-
» trinseca, quanto alla loro natura colla causa asse-
)> gnata. Cosa faceva il gran freddo notturno sugli
» abitatori dell'agro romano, secondo il Santarelli?
» Sottraea uno de'principali stimoli vitali, il calore
» animale. Quindi ne dovea seguire una gravissima
» ipostenia', ed in questa condizione patologica ri-
» poneva l'autore, probabilmente allora browniano, la
» natura della perniciosa. La china come agiva? Sti-
» molando l'eccitamento illanguidito e restituendolo
» ad una energia sufficiente per elaborare di nuovo
» il calorico perduto e rimettere la sanità » ( op. cit.
PagS- 79 e 8o )•
53. Qui il Puccinotti esce dall' argomento che
io mi era proposto. Mio assunto fu di ritrovare qual
sia la causa occasionale della febbre perniciosa ro-
mana. Egli mi vuol trasportare a discutere sulla cau-
sa prossima. I pratici, i veri pratici , fuggono da tali
trascendenti questioni. Così Ippocrate , allorché nel
primo libro de' morbi popolari alla sezione 2.a pag.
126 narra , che regnarono febbri continue diurne e
notturne , semiterzane , terzane, quartane , erronee:
allorché dice , che fu da esso riscontrate nell'autun-
104 Scienze
no ec, allorché descrive la condizione della stagione
acquosa, umida e la pertinacia de'venti etesii, e que-
sti ne incolpa; si dovea ad esso domandare in qual
modo tali cagioni hanno operato ? Ed il suo silen-
zio a questa domanda ci avrebbe dato il diritto di
negare il potere de'menzionati agenti ? Similmente ,
allorché Lieutaud nella sua Sjnopsis ( parte prima
pag. 36 ) afferma che le febbri intermittenti regnano
quando soffiano venti umidi, si dovea rigettare que-
sta eziologia perchè non si è impegnato a dimostra-
re in qual modo opera la suddetta meteora ? Noi ab-
bandoniamo alle scuole questo genere di ricerche spes-
so trascendenti.
54- Io ammisi alcune verità proclamate da'Brown,
ed ebbi per soci in tale ammissione i più grandi pra-
tici dell'Europa, fra i quali 1' immortale Giampietro
Frank. Ma non adottai il sistema dello scozzese. Mi
prevalsi della parola eccitamento, nel modo stesso con
cui il legislatore della medicina disse : Rara vcnus
corpus excitat: colla protesta d'ignorare in che esso
consista. Nell'usare questo vocabolo non bastava che
io dichiarassi, nelle mie ricerche pag. 187 lin. 24, non
appiccarglisi da me alcuna idea sistematica, ed im-
piegarlo perchè da molti pratici usato. Sydhenam chia-
mò anch'esso la febbre una fermentazione, una de-
spumazione : avvertendo però il lettore, adoprare tal
vocabolo per accomodarsi al comun linguaggio, e non
già perchè egli la reputasse un movimento fermen-
tativo o di despumazione. Il sig. Puccinotti non igno-
rava, allorché quella taccia calunniosa mi rimprove-
rava, non ignorava, dissi, la mia memoria (sull'inse-
gnamento medico) pubblicata in Macerata nel i3o5
pe'tipi del Capitani, e nella quale provai la do Uri-
Intermittenti perniciose io5
Ma browniana essere una vera ipolesi. Se dissi la
sottrazione del calorico trarsi dietro concidenza, di-
minuzione di forze vitali, ripetei un fatto espresso da
tutti i pratici. Di fatto Mercato riconosce nella perni-
ciosa una mancanza di calore. Morton vi rinviene spe-
gnimento della fiamma vitale; Torti chiama principio
congelatilo la causa di queste febbri. Mi si dovea
quindi rimproverare l'impiego della parola eccitamen-
to diminuito, cui io facea seguire dietro il seguente
brano: « Ma io non propongo questa spiegazione ,
» perchè venga da me indubitatamente adottata; giac-
» che mi sono prefissa la legge di non appoggiare ve-
» run ragionamento sopra qualsivoglia ipotesi, ma sol-
» tanto per soddisfare gli animi di coloro , che ad
» essa aderissero » ( Pag. i56, i5j, i53 delle mie
ricerche , loc. cit.).
55. Ogni qualvolta poi avessi sostenuto codesta
patologia, sarei stato meritevole di censura: costando
per l'esperienza dell'illustre Franck e di pratici eser-
citatissimi, che il vino e l'oppio accordano alla china
maggior forza e sicurezza di vittoria nel trattamento
delle perniciose ? In quanto poi al passaggio di varia
temperatura, ed a quello dell'umidità, queste meteore
operano diversamente giusta la maniera con cui tale
assodamento si effettua. Si legga la filosofia statistica
di Gioia al lib. 3.°, e si vedrà a quante diverse ma-
lattie sono sorgente (i). Ma il mio avversario tiene
ben diversa sentenza ; cioè le alternative di caldo
(l) Vedi infra gli altri Brtinner , Osservazioni medico-fisi'
che »ul clima ili Seucgarnbia.
io6 Scienze
e freddo portano da per tutto malattie di comu-
ne diatesi reumatica o infiammatoria ( pag. 80
loc. cit. ).
56. Lascio a' periti nell' arte il portar giudizio
su questa restrizione. In quanto a me, non volendo
escire dal perimetro della mia questione, affermo, non
esservi condizione esterna che più frequentemente oc-
casioni la febbre, quanto tali vicissitudini. L' effime-
ra più o meno prolungata dal transito del caldo ai
freddo il più delle volte è prodotta. 11 popolo ne è
persuaso, e perciò suole chiamarla febbre di raffred-
damento. L'intensità, la durata, la rapidità, con cui
vicendevolmente si succedono questi due stati , im-
partiscono alla febbre forme diverse e diverso anda-
mento.
57. Prosegue poi egli il suo discorso col doman-
darmi: « Quale è la causa che toglie all'organismo la ca-
» pacità di mantenere la propria temperatura? l'uo-
» mo regge non solo a 1 7 gradi di differenza di que-
» sta che seguano in poche ore; ma passa impune-
» mente da un bagno a vapore in pochi minuti ad
» un bagno freddo, e da un caldissimo teatro ad una
» strada coperta di neve, da un desco di calde vivan-
» de e vini più eccitanti agli agghiacciati sorbetti, e
» quindi ad un bollente caffè. Sappiamo che la spe-
» eie umana vive anche tra il trenta ed i trentu-
» no gradi di calore del termometro di Reaumur ,
» come al Senegal, e dai 35 sotto lo zero come più
» volte in Siberia: il che forma una scala di 66 gr. »
( pag. 54 loc. cit. )
58. Se queste posizioni, in cui l'uomo può ri-
trovarsi, sieno equiparabili anzi identiche con quella
che è stata il soggetto della nostra discussione, aspet-
Intermittenti perniciose 107
to che lo decidano i dotti nell'arte. Darò termine a
questo paragrafo col trascrivere lo scioglimento pro-
gettato dal Puccinotti. Sentiamolo: « Quale è code-
» sta causa? Il Santarelli non vi ha pensato; e per
» le cose avvertite il suo libro diventa una prova
» indiretta delle più luminose dell'esistenza di quel
» principio etiologico medesimo ( il miasma palustre )
)> che egli si è adoprato a combattere » (p. 81 loc. cit. ).
5q. Non mi tratterrò su questa metafisica pato-
logia: ma farò avvertire a chi legge la contraddizio*-
ne che racchiude un sì breve paragrafo. Io non avea
pensato a questa causa. E poco dopo afferma, che
io mi era adoprato a combatterla. Questa contrad-
dizione è una evidentissima prova del livore del suo
animo. Non solo io l'aveva conosciuta, perchè spet-
tava a Morton ed a Cullen, ma l'aveva anche com-
battuta e con qualche estensione nella prima parte
delle mie ricerche. Il sig. Puccinotti ce la presenta
come sua, e come cosa di gran valore. Lo abbando-
nerei in tal felice discoperta, giacche mi astenni sem-
pre dal sindacare il machinismo de' cervelli che vo-
gliono figurare nel mondo come inventori. Egli però
nel discuoprirla e nel dimostrarla si prevale di que-
gli elementi che fin qui ha contro di me oppugnati,
cioè calore, freddo ed umidità. Se ne prevale con ra-
gionamenti artificiosi, con fatti non provati.
CAPITOLO XVII.
Generazione del miasma,
secondo il Puccinotti.
60. Guglielmo Cullen avea attribuita la genesi
I08 S C t E R Z E
della febbre intermittente ai miasmi. Questa esala-
zione^ dice egli, si solleva mediante il calore del-
le terre umide , o luoghi paludosi ( Elementi e e.
tomo I, 55, 84 ).
Il sig. Puccinotti però riguarda incompleta l'e-
ziologia di coloro, i quali non s'appigliano che all'
influenza delle paludi. Egli richiede maggiore esten-
sione di cause , vale a dire , l'ammarcimento di so-
stanze organiche esistenti in terreni umidi o palu-
dosi. Chi somministra queste sostanze ? Sentiamo co-
me egli si esprime : « L'alternativa di caldo ed umi-
» do eccita il processo putrefattivo delle sostanze
» vegeto-animali, di che è impregnata la belletta de'
» margini suddetti ( delle paludi ) e si produce il mi-
» asma. Cosa si effettua nelle incolte pianure , ed
» erbose, o coperte eli avanzi di steli , o radici ce-
» reali recisi ? Non esiste anche su queste superficie
» una materia organica, che passa all' ammarcimen-
» to, se le condizioni fisiche del calore e dell' umi-
» dita la favoriscono ? » ( cap. XXIV pag. 99, op. cit.)
Egli dunque aggiunge alla prima cagione , cioè
alle paludi, questa seconda, perchè è di fatto che nei
vasti campi dell' agro romano non esistono paludi sì
numerose da somministrare elementi putrefattivi, co-
me io avea dimostrato nelle mie ricerche : ed egli
era convenuto nelle campagne romane generarsi la
febbre perniciosa , abbenchè nella maggior parte di
esse non siano paludi , venendo somministrate le
sostanze acquose, o dall' umidità delle terre, o dalle
piogge per mancanza di coltura.
61. Ma esiste poi questa putrefazione delle ra-
dici e degli steli delle recise biade, e dell'erbose pia-
nure ? Egli non si è data pena di dimostrarlo. E pu-
Intermittenti perniciose 109
re avrebbe dovuto farlo ; imperciocché questa era la
prima , e la più indispensabile ricerca che doveasi
istituire. Io potrei rispondere, che gratuita essendo la
sua osservazione , la mia negativa abbenchè gratui-
ta basterebbe a minare il suo edilìzio. Quello però
che egli non ha fatto in senso affermativo, io voglio
eseguirlo in senso negativo.
i. Nel tempo della messe molti coloni, come di
sopra abbiamo dimostrato, sono aggrediti dalla febbre
perniciosa, abbenchè gli steli delle recise biade non
abbiano ancora avuto tempo di putrefarsi.
2. In molti campi estesissimi, dopo recise le bia-
de, gli steli, o siano stoppie, sono consegnate al foco,
e non ponno perciò cadere in marcimento; pur non
ostante la perniciosa vi si genera senza alcuna eccezione.
3. Nelle terre poi, ove alle stoppie si permette
di sussistere , si riscontra in esse veramente alcun
segno di putrefazione ? Io non ho potuto riconoscer-
Velo; abbenchè addetto all' agricoltura , e possessore
per quasi quarant' anni di vasto predio in detti luo-
ghi, mi sia adoperato per rinvenirlo. Verdeggianti si
rimangono i residui vegetabili, e gli armenti vi rin-
vengono gradito pascolo.
4- I prati erbosi poi non si disseccano, e molto
meno s'infradiciano ne' mesi, ne' quali regna la per-
niciosa , ma molto più tardi ed al sopravvenire dei
freddi dell' autunno. Si squarci col ferro il suolo di
detti prati, allorché la perniciosa è più che mai fre-
quente, e non si ritroverà in essi alcun processo pu-
trefattivo, per quanta diligenza s'impieghi in tale ri-
cerca.
5. La valle di Farfa è coperta di felci, che ver-
deggiano per tutta la state, e per tutto l'autunno: ma
^i'io Scienze
la perniciosa vi è gravissima , ed allora gli abitanti
di quella valle si riparano nella vetta del colle, ove
esistono le loro abitazioni.
62. In appresso il sig. Puccinotti riferisce l'o-
pinione di William Addisson e di Daniel sulla ra-
diazione terrestre. Nulla ho io da opporre alla tem-
peratura discordante delle terre nude, paragonate a
quelle che sono coperte d'alberi da essi voluta. Ma
il sollevamento di molecole organiche in islato di
putrefazione non è però dall'autorità di delti scrittori
dimostrato. E questa una ipotesi ingegnosa, che abbi-
sognava di fatti chiari ed autentici per potersi sol-
levare al rango delle verità. Il nostro autore la ven-
de per sicura: e nel capitolo susseguente con piena
fiducia ci descrive il processo fisico, mediante il quale
la perniciosa si genera. « Piiunite, dice egli, sopra un
» tratto esteso di terreno in pianura una quantità
» di grandi e piccoli ristagni d'acqua, dove materie
» vegetabili ed animali si trovino immerse , o fate
» che molti residui di vegetabili restino sparsi sulla
» superficie di uno slesso suolo non paluslre , ma
» incolto, e senza alte piantagioni, o edifìzj: sotto-
» ponete cotesto terreno per un' intera stagione ad
j> una temperatura diurna di 24 e 26 gradi di Pi.,
» attendete che dirotte, ma brevi, e fra loro inter-
» vallate lo inaffino le piogge ; questo suolo vi di-
» venterà sotto l'azione evaporante del sole un cen-
» tro di esalazioni, che si mescoleranno accessoria-
» mente colla sua atmosfera, le quali saranno tenute
» combinate, sospese, ed innocue finché durerà un'
» alta temperatura. Ma colla notte incominciando la
» terrestre radiazione, il vapore disciolto , e combi-
» nato coli' atmosfera se ne disgrega, si condensa, e
Intermittenti perniciose ih
» si precipita. Ne questo vapore, che si precipita, è
» solamente un vapore umido, ma esso deve conte-
» nere con se combinata una parte di queste sottili
» sostanze che esalarono dalla tetra per l'azione del
» sole diurno. V è dunque indubitatamente nell' at-
» mosfera di tali luoghi disciolta una materia, qua-
» lunque ella sia, che dal suolo elevata, dal calori-
» co si combina con questo, e rimane innocua fin-
» che la radiazione tellurica della notte non la con-
» densa e precipita » ( Cap. 25 pagg. 102 e io3 ,
op. cit. ). Esaminiamo partitamente questo brano ,
che in un sol gruppo riunisce l'intero sistema puc-
cinottiano. « Riunite sopra un tratto esteso di ter-
» reno in pianura una quantità di grandi e pic-
)> coli ristagni d' acqua , dove materie vegetabili ed
» animali si trovino immerse. » Se questi piccoli ri-
stagni sono di origine recente , i vegetabili manca-
rono di tempo per venire a morte, e per imputridi-
re: mentre intanto già la febbre periodica si mostra
ed abbatte i men cauti. Vidi, dopo alcuni giorni che
le piogge erano cadute , e qualche volta anche due
giorni appresso, entrare negli spedali infermi di per-
niciosa: e questa osservazione consuona con quanto
di sopra abbiamo avvertito e comprovato colla te-
stimonianza di scrittori gravissimi.
E questo rilievo comprende i residui de' vege-
tabili, i quali dovrebbero appartenere alle stoppie del
frumento, secondo l'autore: giacche in essi non rin-
verrete putrefazione alcuna o incominciata , o con-
dotta a fine, mentre la perniciosa già domina.
63. Tn quanto alle matei'ie animali, esse apparter-
ranno o alle numerose specie delle falene o degli sca-
rabei; giacche alcune di queste vivono , e si molti-
uà Scienze
plicano nei campi ove furono seminali il frumento,
o qualche allro cereale. Ma gli individui di queste
specie si sottraggono dall' acque stagnanti o col vo-
lo o fuggendo co' loro piedi. Il sig. Puccinotti avreb-
be dovuto tener loro dietro , sorprenderle nella loro
decomposizione, e presentarle al pubblico o moribon-
de o disfatte. In quanto a me, non sono stato così
fortunato di rinvenirveli; e se alcuni individui talo-
ra in qualche avvallamento si trovano , così scarso
ne è il numero da non potersi loro attribuire il gi-
gantesco fenomeno richiesto dal nostro avversario.
64. Proseguiamo, u O fate che molti residui di
11 vegetabili restino sparsi sulla superficie di uno stes-
» so suolo non palustre , ma incolto , e senza alte
» piantagioni o edilìzi : sottoponete cotesto terreno
» per una intera stagione ad una temperatura diur-
w na di 24 e 26 gr. di R. , attendete che dirotte ,
» ma brevi, e tra loro intervallate lo inaffino le piog-
» gè; questo suolo vi diventerà sotto l'azione evapo-
» rante del sole un centro di esalazioni, che si me-
» scoleranno necessariamente colla sua atmosfera, le
» quali saranno tenute combinate ec. » Qui mi sia per-
messo avvertire il nostro avversario , che nelle cam-
pagne romane, prive di alte piantagioni e di edifìci,
nelle ore meridiane il calore non ascende a gr. 24
o 26, ma a 36 ed a 4° del termometro di lleaumur.
Quest'errore sarebbe stato suggerito o da inesperien-
za nelle meteorologiche osservazioni, o dalla tema di
mettere allo scoperto 1' ingiustizia del suo rimpro-
vero antecedentemente obiettato contro di me , che
l'uomo cioè non possa nel giro di poche ore discen-
dere a differenza di gradi 17 del calore atmosferi-
co ? Giacche potendo essere, come egli conviene, il
Intermittenti perniciose ii3
calore notturno a gradi i3, per giungere a gradi 40
evvi la differenza di gradi 27. La qual differenza se
è vera, come è verissima, noi intendiamo la ragione
per cui mentre fra centomila uomini racchiusi entro
le mura di una città duecentocinquanta soltanto ca-
dono infermi per perniciosa; di diecimila abitanti all'
opposto, sparsi nelle esteriori campagne, cinquecento
contemporaneamente ne sono almeno colpiti.
65. Continua: ci Ma colla notte incominciando
» la terrestre radiazione, il vapore disciolto e com-
» binato coll'atmosfera se ne disgrega, si condensa e
» si precipita. Ne questo vapore che si precipita è
» solamente un vapore umido, ma esso deve conte-
» nere con se combinata una parte di quelle sottili
» sostanze che esalarono dalla terra per l'azione del
» sole diurno. » Due schiarimenti io bramerei otte-
nere dall' autore di questa dottrina. Primieramente
perchè le sottili sostanze, ossia il miasma, nel solle-
varsi dalla terra e ealire.in alto non offende gli uo-
mini che ivi si ritrovano ? Mentre nel discendere li
rende infermi ed anche uccide ? Questi vapori sono
più condensati nel tempo della loro ascensione, più
radi e meno intensi, dopo che dal calore del sole fu-
rono sollevali e rarefatti. Nella discesa debbono con-
servare la diradazione a cui dal calore furono condot-
ti. In secondo luogo queste sottili sostanze, associate
ed avvolte dall'umidità, non dovrebbero perdere gran
parte della loro virulenza per tale inviluppamento ?
Non è egli una legge fisica che i miasmi dalle acquo-
se particelle contornati diventano men deleteri?
66. Qui domando a'miei lettori attenzione su di
un esperimento atto a confermare il presente mio di-
scorso, ed il quale in oltre potrebbe; essere all'urna-
G.A.T.LXXXV1II. 8
ii ^ Scienze
jiità utile in qualche circostanza: mi lusingo che mi
perdoneranno la breve digressione a cui mi abban-*
dono. Sul finir del passato secolo venne recato l'a-
rabo vaiolo nella città di Terni: grave e spesso mor-
tale era la malattia. Io avea suggerita l'inoculazione,
perchè la discoperta di Ienner , atteso lo stato bel-
licoso dell'Italia, non era ancora a me nota. A fine
di acquistare a quest'operazione maggior accoglienza
ideai il seguente temperamento. In un cucchiaio di
limpidissima acqua io scioglieva due o tre gocce di
pus vaioloso. Immergevo l'ago in questa mescolanza,
e superficialmente lo introducevo sotto l'epidermide.
Non di rado l'operazione andava a vuoto, ed era me-
stieri rinnovarla. Ma ove essa prosperamente proce^
deva , il fanciullo soggiaceva a vainolo benignissimo
risultante da poche e ben formate pustule ; mitissi-
ma n'era la febbre e l'esito felicissimo. Posso ricor-
dare fra i molti due ancor viventi individui a testi-
monio del vero. Il primo il sig. Nicoletti patrizio ter^
nano. Il secondo il marchese Luigi Sciamanna uffU
ciale oggi nelle truppe pontificie. Posto ciò, per ra-
gionamento di somiglianza non ne dovrebbe fluire la
seguente conseguenza ? Cioè, che il miasma pernicio-
so, nel discendere dagli alti strati atmosferici nella
superficie della terra associato ed avvolto dall'umidi-
tà, deve essere men feroce da quando ascendeva, od
almeno di egual virulenza ? Più mite, perchè dirada-
to; di minor forza deleteria, perchè avvolto da par*-
ticelle acquose.
Ma io non voglio lasciare passar franca l'accusa
data alla belletta delle paludi e de' pantani. Accor-
diamo per un momento che questa belletta strascini
seco avvolte molte sostanze organiche animali. Ma
Intermittenti perniciose it5
poiché collo straripare delle paludi le acque inonda-
rono alcuna parte del lembo delle terre che le rac-
chiudono ; due dubbi ne sorgono. Furono le sostan-
ze animali imputridite che diedero nascita alla feb-
bre, o piuttosto la maggiore evaporazione delle acque
atteso il loro debordamento dalla circonferenza delle
paludi ? Lo scioglimento non è difficile, se si consi-
deri che nelle campagne romane si vede sorgere la
perniciosa, abbenchè non vi esistano materie organi-
che in disfacimento. E stato chiamato a testimone il
lago Trasimeno, ma infedelmente. Quaranta sono le
miglia che circondano quel lago. In parecchi luoghi
si disse , il suo fondo sottrarsi allo scandaglio ; ed
alcuni rimasero dubbiosi d'onde provenga tanta copia
di acque. Comunque ciò sia, essa è limpida, e non
abitata da insetti. Allorché placide sono le acque e
tranquilla 1' atmosfera , cioè allorquando nella calda
stagione l'evaporazione è grande, e l'umidità non è
discacciata da venti , allora la perniciosa è più co-
mune e più grave.
67. Mi sembra non inopportuno in questo ca-
pitolo ricordare i due seguenti esempi. Francesco A-
mici patrizio maceratese, attesi i grandi calori della
state, discese nel Musone torrente di limpidissime ac-
que, non interlineato da vegetabili in putrefazione ;
ed ivi si trattenne per lungo tempo. Fu preso da per-
niciosa. Il sig. Giuseppe Rinaldini, ispettore presen-
temente del censo delle due provincie di Macerata ed
Ancona, per la stessa ragione de'forti calori estivi ce-
lebrò un prolungato bagno nel torrente Chiento, a-
vente le condizioni del Musone, e non molto lungi
da Montolmo; soggiacque alla stessa febbre. Il dott.
Boccanera restituì entrambi in salute colla corteccia
ii6 Scienze
peruviana. In ambidue questi casi la putrefazione di
sostanze organiche siano animali, siano vegetabili, non
poteva accusarsi, perchè non esistevano né animali,
ne vegetabili nelle sponde de'suddetti torrenti; per-
chè in quei luoghi niun individuo era stato aggredi-
to da perniciosa. La sottrazione del calore dalla su-
perficie del corpo dei due menzionati individui, ope-
rata dalle fresche acque , che ad ogni istante e col
rinnovarsi, maggior quantità ne rapivano, si presenta
sola e potente all'occhio dell'osservatore. Fu uno de*
principii del gran Newton, di non ammettere nella
ricerca delle verità più cause di quelle che bastano
alla produzione de'fenomeni ( Reg. Ili ).
CAPITOLO XVIII.
Continuazione dello stesso argomento.
68. Ci rimane finalmente di esaminare l'ultimo
argomento proposto dal sig. Puccinotli. Facciamo che
parli egli stesso: « I vapori infetti che esalano dalle
» risaie della Lombardia, condensati in tubi di vetro,
» dettero al Moscati sulla loro superficie una mate-
» ria organica fioccosa e fetida. Il Brocchi, avendo ri-
» petuta la stessa esperienza sull'aria di Roma, otten-
» ne in fondo alla storta di vetro un liquore torbi-
» diccio, con abbondanti fiocchi biancastri di sostan-
» za apparentemente gelatinosa, la più parte de'qua-
» li erano sotto sembianza di tenuissime e traspa-
ia retiti pellicole. Che sebbene per un istante egli re-
» putasse colesta materia non essere altro che la fel-
)> ce istessa del vetro, dichiara però in fine della sua
ì> memoria: I. Che molti sono i fatti che provano
Intermittenti perniciose i i n
» l'esistenza del miasma e inducono nella opinione
» che esso si svolga da sostanze organiche putrefatte.
» II. Che di grande peso debba reputarsi l'esperimen-
» to del prof. Moscati. III. Che infondendo nel va-
li pore atmosferico da lui cimentato dell'acido muria-
» tico ossigenato, trovò in capo ad alcuni giorni nel
» fondo delia caraffa un piccolo sedimento di polve-
» re biancastra , o piuttosto di leggeri fiocchetti, di
» cui non avendo potuto eseminare la natura, racco-
» manda che a preferenza di qualunque altro fosse
» ripetuto da' fisici questo esperimento. Invitato da
» tale consiglio il eh. prof. De Renzi, replicò l'espe-
» rienza in Napoli co'vapori atmosferici dell' infetto
» lago d'Agnano. Ottenne anch'egli de'iiocchetti lat-
ti tiginosi, che dopo decantato il liquore in che nuo-
ti tavano, eseminati sopra una carta, presentarono leg-
» giere pellicole, e un intreccio di delicatissime fila,
ti Raccolti sopra una lamina di platino, e fatta ar-
» roventare, emanarono un tanfo empireumatico, co-
ti me allorché si bruciano peli , unghie o altre so-
li stanze animali; quindi si carbonizzarono ed ince-
» nerirono, e dopo le sue diligenti esperienze potè
» asserire : Di essere intimamente persuaso dell'esi-
ti stenza dell'amoniaca e della sostanza estrattiva ve-
li getale ed animale nell'acqua evaporata dagli stagni
( Cap. XXV, pag. io3, 104 op. cit. ).
Gq. Analizziamo scrupolosamente questo passag-
gio. I vapori rinvenuti dal Moscati esalavano dalle
risaie della Lombardia. Ma nelle campagne romane
non vi sono risaie. Dunque il paragone non è esal-
to. Di fatto il naturalista Brocchi si esprime nel mo-
do seguente, parlando degli esperimenti tanto del Mo-
scati, quanto dell'Ozanam; e ponendoli in confron-
n8 Scienze
to con quelli diligentemente eseguiti da esso sull'a-
ria delle campagne romane , coi quali non vanno
d' accordo : « Forse la condizione dell'aria dell' a-
» grò romano è diversa da quella che fu cimenta-
» ta nelle risaie di Lombardia : e la cosa è anzi
» molto probabile, poiché questa doveva esser pre-
» gna d'effluvi esalati da un terreno inondato, ove
» infradiciano vermi , insetti, rettili ed altri siffatti
» animali; laonde le locali circostanze son ben dif-
» ferenti. » ( Brev. saggio d'esperienze sull'aria cat-
tiva de'contorni di Roma pag. 229, 23o della Bib,
ital. tom. XXXV, novembre 18 18. )
70. Io poi escludo assolutamente il vocabolo
forse impiegato dal Brocchi, attesi i riguardi che vol-
le praticare verso il suo amico Moscati. Ad eguali
eccezioni soggiacciono gli esperimenti istituiti dal De-
Renzi sull'aria del lago d'Agnano. Come paragonare
l'atmosfera sovrastante ad un lago ove esistono ani-
mali, ed altre sostanze putrefattibili , coll'aria roma-
na in quelle regioni ove tu non puoi rinvenire nò
alcun lago avente materiali da corrompersi, e neppu-
re steli di piante al marcimento assoggettate? In al-
cune stagioni la perniciosa previene il taglio della mes-
se, e mentre ancora biondeggiano le spighe del fru-
mento. Di questo ultimo fatto ce ne dà testimonian-
za lo stesso Brocchi, di cui trascrivo il passo: « Gli
» operai della campagna, correndo la stagione della
» mietitura del grano, non potevansi procciare a ca-
li ro prezzo , sì per essere tanto scemato il numero
» di quegli atti al travaglio, si perchè quelli che rima-
» nevano sani non volevano senza un buon compen-
» so risicare la propria salute ( pag. 209 op. cit. ).
71. Ci riinane ora di consultare l'istesso Broc-
< Intermittenti perniciose ng
felli originalmente. E mestieri leggere la sua memo-
ria interamente per ravvisare con quali e quante
cautele egli siasi adoperato per evitare l'ingresso ne'suoi
esperimenti di materie straniere. La traspirazione del-
le mani dell'operatore compartiva all'acqua risultan-
te dai Vapori umidi condensati odore fetido * che
con facilità sarebbe stato attribuito da men cauto fi-
sico all' aria stessa. Anche i pannolini, siano di li-
no , siano di cottone* furono da esso ritrovati pro-
ducenti lo stesso effetto, e quindi tenuti lontani. Co-
sì ogni altra sostanza esterna che potesse nuotare nel-
l'atmosfera; e tutte queste diligenze non solo acqui-
stano piena fede allo sperimentatore, ma costituisco-
no un rimprovero a quelli che non le avvertirono e
non le praticarono. Ora quali sono i risultamenti
del Brocchi?
72. Primieramente che i vapori provenienti dal-
le acque, nelle quali furono infuse o sostanze organi-
co-animali, o vegetabili, mostrarono aver con essi av-
volta una sostanza organica fetida, e nel primo caso
congiunta ad ammoniaca. Le acque per lo contrario ri-
sultanti dal condensamento de'vapori dell'aria roma-
na non solo si trovarono scevre dall'associazione di
simili fenomeni, ma presentarono quegli stessi che si
ottengono sottoponendo al medesimo cimento l'acqua
purissima e distillata. Riferiamo le stesse di lui pa-
role. « Una porzione di acqua , ma diligentemente
» raccolta, dalla sera fino alla mezza notte fu posta
» in due separati bicchieri. Versai in uno con certo
» intervallo di tempo alcune gocciole di soluzione
» di ossi-muriato di mercurio, che per le infusioni
» putride animali è un delicato reattivo: ne adocchiai
»> verun cambiamento. Nell'altro bicchiere ne lasciai
120 Scienze
» cadere due o tre di nitrato di argento, affine di
» scoprire se esistevano almeno insensibili quantità
» di materia estrattiva vegetabile: e non conseguii ve-
» run risultato. E superfluo di notare die se l'acqua
» non è affatto scevra da muriato di soda , si avrà
» in tale circostanza un precipitato di muriato d'ar-
» gente Pesai inoltre cinque once di acqua atmosfe-
» rica: e siccome sperata alla luce e spiata con len-
» te manifestava alcuni peluzzi ed altre molecole stra-
» niere, giudicai opportuno, per averla purissima, di
» passarla per un filtro di fina carta, in cui feci per
» più fiate trapelare dell'acqua stillata comune. L'in-
» tradussi poscia in una fiala pulitissima , e vi ag-
ii giunsi buona copia di acido muriatico ossigenato,
» con l'avvertenza di agitar ben bene la miscela, af-
» fincbè esso si unisse all'acqua. Dopo quattro gior-
» ni vidi nel fondo una polvere biancastra , ma in
» così tenue quantità che sarebbe stato impossibile
» d'istituire su di essa alcun' esperimento. Altre otto
» once furono abbandonate all'aria libera in una sco-
» della di vetro guernita di un velo. Poiché il flui-
» do fu ridotto alla quantità di alcuni grani, fiuta-
» to non palesò odore di sorta: e per intero svapo-
» rato, non lasciò che poche molecole che sembraro-
» no straniere e fortuite.
» Poco lume seppi finora ritrarre relativamente
» al principale mio scopo. Mi rimaneva ancora una
» buona quantità di acqua , equivalente al peso di
j) una libbra. Ne presi otto once, e pensai di sot-
» tometterle a una lentissima distillazione a bagno
» di sabbia per avere il residuo , se pur rimaneva,
» e in pari tempo raccogliere il liquore distillato.
» L'acqua fu prima filtrata, indi messa in una stor-
Intermittenti perniciose 121
» ta nuova di vetro esattamente lavata, a cui si adat-
» tò un recipiente lutato intorno al collo. Poiché fu
» ridotta a pochi grani, rimossi l'apparato dal fuoco,
» e la porzione stillala fu trasfusa in una caraffa a
» turacciolo smerigliato. Contro la mia aspettativa,
» e non senza compiacenza, trovai che il poco li-
n quore rimasto nella storta era torhidiccio, e mo-
» strava abbondanti fiocchi biancastri di sostanza ap-
» parentemente gelatinosa, la più parte de1 quali era-
» no sotto sembianza di tenuissime e trasparenti pel-
» licole.
» Prima di istituire alcun saggio su quella ma-
» teria volli chiarirmi se per avventura derivasse dal
» vetro della storta: essendo già noto, che usando la
» distillazione in simili arnesi si ha un pò di selce.
» Mi accinsi ad eseguire per mero scrupolo l'espe-
» rimento, essendo già persuaso che questa selce do-
» vesse provenire in dose assai piccola da una stor-
» ta di così poca capacità, quale fu quella messa in ope-
» ra. Vi distillai adunque una quantità eguale di pu-
» rissima acqua già distillata in altra simile storta ,
» e con mia sorpresa ottenni la stessa materia fioc-
» cosa, ed in egual dose all'incirca, come era pari-
» mente torbido il liquore residuo. Volli distillare
» di bel nuovo l'acqua già stillata, e ciò fino alla ter-
» za volta, e sempre col medesimo esito.
» Non mi rimane alcun dubbio che la sostan-
» za avuta dall'acqua atmosferica non fosse la selce
» del vetro. Avendola separata colla decantazione,
» lavata e seccata , ne gettai una porzione su una
» lamina rovente di platino: e non presentò veruna
» mutazione , se non, che acquistò una tinta più gri-
» già. Lasciai la lamina sui carboni ardenti per un trat-
122 Scienze
» to di tempo, e accanto ad essa riposi altra lamina"
» con una presa di vetro finamente polverizzato: que-
» sto si fuse, configurandosi in globetti , l'altra die
» un lieve indizio di essersi agglutinata, e si mostrò
» rafrattaria. Né la cosa deve recar maraviglia: im-
» perocché la sostanza del vetro sciolta nell' acqua
» calda dovea aver perduto la maggior parte di quel-
n la porzione di soda, che la rende fusibile, la qua-
» le rimane nell'acqua. L'altra quantità, che mi avan-
» zò della stessa polvere, fu trattata al cannello con
» un pò di soda, e si ridusse in un vetro limpido
» e permanente. La sostanza estrattiva all' opposto
» così dello zafferano, come dell'acqua putrida, pre-
» cipitata coll'acido muriatico ossigenato, ed ottenu-
» ta con altri espedienti , e che ha essa pure un
» aspetto fioccoso, incarbonisce al fuoco, indi si ri-
» solve in cenere. Deggio aggiungere che se in cam-
» bio di adoperare recipienti di velro vogliasi evapo- ,
» rare l'acqua pura in quelli di porcellana, non va
» esente questa medesima dall'essere intaccata con la
» lunga digestione a caldo, segnatamente se è inver-
» niciata. Di fatto se si vorrà esplorare con la len-
» te, e fatto con favorevole riflesso di luce la su-
» perficie dell' acqua ridotta con la svaporazione a
» piccola quantità, si scorgerà galleggiarvi delle sot-
» tili pellicole: e versando quel pò di fluido, ed asciu-
» gando all'aria il recipiente, se ne adocchierà con
» la lente in maggior copia aderente al fondo, ma.
» nifestamente apparendo che provengono dalla so-
» stanza del vaso. » (Bibl. italiana, fascicolo XXXV
novembre i8i3, pagg. 227, 228, 229. Memoria del
Brocchi, Saggio d'esperienze sull'aria cattiva de' con-
torni di Roma. )
Intermittenti perniciose 120
73. Ponga ora a paralello il lettore questa se-
rie di sperimenti col ragguaglio che ne ha dato il
Puccinotti, e vedrà che questi ha omesso di riferire
gli ultimi risultati della distillazione dell'acqua distil-
lata purissima , i quali per tre volte presentarono i
medesimi prodotti; cioè una sostanza fioccosa in forma
di pellicole, e nella slessa quantità che si era otte-
nuta con l'acqua proveniente dai vapori raccolti dal-
l'atmosfera. Questa omissione importava nella men-
te di chi legge che dette pellicole provenissero dalle
sostanze organiche in putrefazione natanti nell'atmo-
sfera; se lo lasciava nella persuasione che ad esse so-
le appartenessero ; mentre all'opposto pe' susseguen-
ti cimenti era dimostrato derivare esse dalla sostan-
za del vaso. Egli è vero che il sig. Brocchi, per quel-
la sua connaturale modestia notissima, dichiara di non
sapere se ha rettamente sperimentato, e che protesta
la più alta stima al professore Moscati. Ma mentre
egli parla così di Moscati, ricorda la differenza che
ha dovuto intercedere fra l'aria romana e quella delle
risaie di Lombardia pregne di vermi, insetti , rettili
ed altri sì fatti animali. Questa protesta non basta-
va per discoprire l'animo del naturalista ? Egli dà fi-
ne alla sua memoria col proporre il modesto dubbio,
se gli sperimenti da esso istituiti fossero stati capaci
di appalesare la materia fugace del miasma. Ma se
gli esperimenti del Brocchi, i più esatti fino ad ora
praticati , non l'arrestarono e non la discoprirono ,
quali prove sono state prodotte per farla conoscere ?
11 chiarissimo Barlocci, che indefessamente assistè a
tutte le operazioni del Brocchi, volle che io fossi cer-
to aver quel naturalista portata sentenza del tutto
uniforme ai risultali de' suoi esperimenti : e tutto
124 Scienze
ciò mi partecipava per mezzo del professor Fol-
cili suo e mio amico, il quale me ne rendeva inte-
ro con sua lettera dei 7 aprile 1841. Ora parlano
altamente i fatti : con qual convincimento possiamo
appellare a frasi e maniere di dire, che i primi non
annullano, e che soltanto mostrano la modestia del-
lo scrivente ?
7 4* Ma ciò che toglierà ogni dubhio dalla men-
te di qualsivoglia medico si è il considerare, che noi
siamo tutto giorno esposti agli effluvi delle sostanze
organiche in putrefazione, siano vegetabili, siano ani-
mali, siano miste : senza che per questo da alcuno
ne sia stata mai contratta la perniciosa. Sostanze or-
ganiche in putrefazione s'innalzano tutto giorno da'le-
tamai, dalle latrine, dai chiassetti, dai ghetti , dalle
stalle, dai sepolcri; e niuno fu mai preso da perni-
ciosa. I bifolchi in quegli stabulari non solo dimo-
rano , ma dormono illesi dalla febbre. E come mai
mentre tutte queste esalazioni disgustose all'odorato,
e ributtevoli, e di tanta densità e di tanta forza rie-
scono innocue tutto giorno ; allorché sono diradate,
fuggitive, incoercibili, potranno godere un potere tan-
to delle prime maggiore ? Il prof. Monchini, gran chi-
mico e medico sperimentatissimo, che agli esperimen-
ti del sig. Brocchi fu presente, riconobbe immediata-
mente l'inesistenza di quel sognato miasma: e pochi
anni appresso, venuto per ordine della s. consulta ad
esaminare l'insalubrità dell'aria di Campofilone pro-
vincia di Fermo, basò il suo giudizio nella dottrina
da me sostenuta.
7.5. Dopo le quali cose io invito il lettore a con-
siderare in breve prospetto l'orditura dell'opera puc-
cinottiana. Le osservazioni del Moscati e dell' Oza-
Intermittenti perniciose 12S
tiara istitute nelle risaie della Lombardia, abbencbè
non esatte, somministrano i materiali fondamentali al
suo sistema. Ma in Roma non vi sono risaie. Era
mestieri dunque rinvenire altri elementi di putrefa-
zione ; e questi furono gì' insetti ed i residui delle
mietute biade. L'autore però si dispensò dal provare
1' esistenza di queste sostanze in istato di disorga-
nizzazione. Lo suppose gratuitamente. Nelle campa-
gne romane molti infermavano contemporaneamente
alla messe. Questo fatto non fu ricordato. Le osser-
vazioni del Broccbi, lette da capo ad imo, non pro-
vano l'esistenza di un miasma. Se ne riferirono tan-
te , quante bastavano a farlo dubitare. Era mestieri
annullare le numerose mie osservazioni. Si oppose-
ro ad esse quelle di quattro giorni istituite nel me-
se, di settembre, come se la temperatura di quei so-
li quattro giorni fosse stata limite a quella di tutto
il resto della stagione. Le mie osservazioni sono d'ac-
cordo con quelle di Folcivi e di De-Crollis, e si vo-
gliono distruggere con quelle di un fisico anonimo
e di medici innominati. Si confina il potere del cal-
do e del freddo umido a generare infiammazioni e
reuma, senza por mente agli effetti vari , a seconda
della loro intensità e diverso modo di succedere. Si
sostituisce ad esso una sostanza del tutto immagi-
naria; perebè si volle supporre ebe la corteccia pe-
ruviana possegga contro di essa una specifica azione.
E non si riflette, ebe non solo detta corteccia gio-
va nella stagione, ebe si crede generante il miasma,
ma in tutte le stagioni, in tutti i luogbi, ove esista
periodicità semplice, e non complicala con altra affe-
zione morbosa. Sarebbe ora stravagante problema do-
mandare se il sig. Puccinolti abbia combattuto la mia
126 Scienze
opinione per sostituirle la sua, ovvero se abbia richia-
mata l'ipotesi de' miasmi per aprirsi la via ad oppu-
gnarmi? Ma ritorniamo a contemplar la natura.
CAPITOLO XIX.
Degli effetti àelVaria romana sugli abitanti
delle campagne.
76. Al forastiere, che viene nell'ampio spazio
delle campagne romane, si presentano uomini di a-
spetto ben diverso dagli abitatori delle regioni circon-
vicine. Non rinviene quivi né la civiltà, né la gen-
tilezza toscana; non la franchezza de'piceni; qui non
ode il clamoroso lagno del napolitano. Uomini silen-
ziosi e seri si fanno ad esso innanzi. Pallido e tenden-
te al giallo è il colorito della loro pelle ; tardo e
grave é il loro passo; poco curiosi, non pongon men-
te al passeggiero: interrogati, gli danno breve, o niu-
na risposta. Non ti fissano gli occhi nel volto ; ma
fugacemente ti riguardano piegando il collo nell'op-
posto lato, e quindi ti squadrano tutto il corpo. Sem-
brano orgogliosi di se stessi, disprezzare ogni altra
cosa : cantilene sono da essi intonate con noia e
stucchevolezza. Cupi sentimenti nascondono nel lo-
ro animo. Se hanno torti a vendicare, ciò fanno pro-
ditoriamente e col ferro. La gelosia è la passione lo-
ro dominante. Le donne posseggono un miglior co-
lorito ed animo mite. Gli abitanti nelle terre e ca-
stella murate, edificate nella cima di alti colli, si al-
lontanano molto da'loro modi, ed hanno maniere somi-
glianti a quelle de' popoli circostanti.
Viaggiando in quei piani s'incontrano qua e là
Intermittenti perniciose 127
individui panciuti; ed esplorando il loro addome, in
alcuni si rinviene ostrutto il fegato, in altri la mil-
za. Ma nel maggior numero di essi la gonfiezza è
primaria; cioè non prodotta dalle menzionate ostru-
zioni: sono i primi, ma più i secondi, sottoposti spes-
so a parecchi accessi febbrili. La febbre , che come
dicemmo , fu sempre indigena in tutto il paese ro-
mano , anche in quelli che dalle suddette affezioni
morbose non sono afflitti, si fa frequentemente vede-
re. Gli stranieri, che quivi vengono a prendere domici-
lio, dopo pochi anni cambiano colorito, costituzione
e carattere morale, e risentono più fortemente de'na-
tivi l'azione morbosa di quell'atmosfera. Generalmen-
te parlando quegli che sono affetti dagli accennati di-
sordini vanno spesso tottoposti a profluvio di ventre,
che cessa e facilmente si rinnova. Lambendo colla
lingua alcuna parte della superficie del loro corpo ,
essi la rinvengono qualche fiata di salso sapore.
Il medico, che assiste agli infermi di qualsivoglia
malattia, si avvede ben presto che la traspirazione ,
le orine, le fecce de'suoi malati emettono un odore
più molesto di quello, che incontrava negl' infermi
abitanti in altra lontana regione. Anche ne'cadaveri
de'defonti per qualunque morbo scorge qualche cosa
di vario nelle tinte, nell'odore, nel tessuto de'visceri,
paragonalo a quello da esso osservato nelle adiacenti
Provincie. Ma noi dobbiamo presentare con compen-
diosa descrizione ciò che la natura ci ha mostralo
nella lunga nostra pratica. L'ordine, che mi condurrà,
sarà quello stesso, col quale le malattie mi si offrirono,
a fine di escludere qualsivoglia pensiero dalla natu-
ra non suggerito.
1 cache liei, quegli che avevano edematose l'estre-
123 Scienze
mità inferiori, e tumido il ventre, sono stati da me
trattati utilmente co'purgativi. Le pillole del signor
Fordice furono da me prima usate preferentemente.
Ma la tintura acquosa di rabarbaro congiunta col sa-
le mirabile di Glaubero, e ripetuta quotidianamente,
ha più spesso soddisfatto i miei desiderii. Proibisco in-
tanto all'infermo di esporsi all'aria mattutina e ves-
pertina, e suggerisco una dieta temperante, escluden-
do rigorosamente la cena. Esigo che indossi vesti-
menta piuttosto grevi. Le camicie di lana sottilissi-
ma, ove indigenza noi vieti, somministrano efficacis-
simo sussidio ad un tale trattamento. Se, tali cose
praticate, nulla in sanità si lucri, consiglio l'infermo
di fuggire quel cielo, e di ripararsi o in altri colli,'
o- in lontana provincia. Impedisco così che si formi
l'idrope tanto ascitica, quanto anasarcatica. Ogni qual
volta l'infermo a quest' ultimo malore fosse giunto ,
gli prescrivo da quando a quando un forte drastico,
e contemporaneamente istituisco frizioni nel basso
ventre con mano spalmata di olio. Il resto della cu-
ra non differisce dall' antecedentemente esposta. In
tutti i suddetti casi è ben cosa rara che io possa di-
spensarmi dal prescrivere l'emetico.
Se questi infermi, prima di divenire cachetiei o
ascitici, soggiacquero a febbre periodica, e come suo-
le essere erratica o poco avvertita (sulla quale pree-
sistenza io istituisco diligenti e ripetute ricerche), ese-
guile le summenzionate prescrizioni, passo finalmente
all'uso della corteccia peruviana.
In quanto agli infermi affetti da fisconia, ne par-
lerò in appresso.
Veniamo alla perniciosa semplice. Non ritorne-
rò a descriverla. Fu dipinta da Mercato e da altri
Intermittenti perniciose i2()
osservatori, e da me delineata su di un numero as-
sai esteso d'infermi (i), e prego il lettore di consul-
tare le mie ricerche. La perniciosa semplice aggredi-
sce a preferenza i deboli, i vecchi: ma non risparmia
alcuno, se la causa occasionale fu assai poderosa. Pal-
lido è il loro volto, fredde le membra degli aggredi-
ti, piccolo il polso prima anche dell' ingresso della
febbre. Brividi di freddo gli assalgono sempre crescen-
ti. Diventano stupidi, non odono, non rispondono ,
ed un sudore freddo bagna la superficie della pelle.
Dopo alcune ore di un tale slato i polsi incomin-
ciano a rialzarsi, leggermente si riscalda la pelle, ri-
tornano a poco a poco i sensi, ed il parosismo cessa.
Alcune volte questi infelici mancanti di sussidio muo-
iono nel terzo giorno, molti nel quinto, il minor nu-
mero nel settimo. So che qualcuno non potè sfuggi-
re la morte anche al primo accesso ; di modo che
senza la cognizione della causa e dell'ordine succes-
sivamente tenuto dai sintomi, si cadrebbe nell'errore
di reputarlo morto per appoplesia.
La sezione de'cadaveri di quest'infelici non pa-
lesa alcuna infiammazione in verun viscere. Echima-
toso è il dorso dei loro cadaveri; oscura è la parte
posteriore del polmone , ed alcune echimosi si rin-
vengono ora in questa, ed ora in quella parte di qual-
sivoglia viscere, non escluso il cervello; ma cedevoli
si presentano tali parti. L'addome alcune volte infos-
sato e le intestina come vuote , altre volte elevato
il primo, e gonfie di aria le seconde. In generale tutte
le carni dei defonti sono pallide, lasse e come sfibrate.
(i) Parte V.
G.A.T.LXXXVIII.
i3o Scienze
A quest'infermi la corteccia peruviana, ammini-
strata senza mora, indubitatamente giova. In alcuni di
essi mi sono trovato nella necessità di associarle o il
vino o il laudano. E mestieri ritrovarsi nella faccia
del luogo per convincersi di quanto ho esposto.
Ma molti individui, specialmente agricoltori, al-
lorché la febbre gli aggredisce covano già interna-
mente altre indisposizioni , o morbose affezioni che
gioverà esporre, incominciando dalle più semplici, e
come io le ho rinvenute.
Alcune fiate, allorché io ho visitato l'infermo, ho
ritrovato molti segni che accusavano zavorra delle pri-
me vie. Se gli accessi antecedenti, per le indagini da
me istituite, non mi si presentavano tanto forti da te-
mere il di lui spegnimento al nuovo accesso; io ap-
pena trascorso il parosismo prescrivevo l'emetico: e,
dopo terminata l'azione di questo, un clistere purga-
tivo. Ed intanto prima dell' aggressione della nuova
febbre cercavo di rendere meno dubbiosa la sorte del-
l'infermo, facendogli prendere qualche porzione del
febbrifugo.
Più e più volte sono stato chiamato mentre l'an-
tecedente accesso era stato gravissimo, e mentre mol-
ta colluvie biliosa e gastrica infarciva le prime vie.
Era mestieri opporsi contemporaneamente a due di-
sordini, ed il trascurare alcuno di essi importava gra-
vissimo pericolo. Io prescrivevo allora la corteccia pe-
ruviana unila al diagridio, e non risparmiavo qualche
clistere purgativo; per tal modo evacuavo le materie
impure, e vietavo alla febbre divenir mortale.
È stata discritta da altri la perniciosa emetica.
Non recherò noia al lettore se brevemente narrerò il
Intermittenti perniciose i3i
risultato delle mie osservazioni. La perniciosa emeti-
ca può essere indotta da due condizioni: o da impu-
rità delle prime vie, o da flogosi dello stomaco. Prima
indagine del medico deve esser quella di rinvenire,
da quali dei due summentovati disordini sia generato
il vomito : questa ricerca diverrebbe infruttuosa ogni
guai volta non si riuscisse a discoprire quale ne fu,
la causa e la successione de'sintomi. Se l'infermo pri-
ma di essere aggredito dalla febbre si sarà satollato
con cibi soverchi, di difficile digestione, o abbia in-?
gurgitato bevande acquose impure; se il vomito, pre-
ceduto da leggiere nausee coli' espellere parti delle za-
vorre, sarà divenuto men frequente ; se questo vomir
to si sarà rinnovato nel tempo della piressia, senza
aumento di frequenza e d'intensità; finalmente se fra
un parosismo e l'altro i polsi siansi mostrati non feb-
brili, ma normali : verificandosi tutte le testé men-
zionate circostanze, si potrà conchiudere essere il vo-
mito prodotto da colluvie gastriche. Allora l'emetico
o l'emetico-catartico dovrà dar cominciamento alla
cura. Noi siamo confermati in questa diagnosi dai
buoni effetti che sieguono P espulsione delle nocive
materie. Per l'opposto se 1' infermo prima di essere
colpito dalla febbre, o nel tempo della di lei aggres-
sione, bevve vino o liquori alcoolici (il che tra i vil-
lici non è infrequente): se il vomito e le nausee con-
tinuarono senza tregua anche nell'intervallo de'diver-
si parosismi; se le bevande specialmente calde accre-
scono il vomito ed il dolore dello stomaco ; se nel
tempo infrapposto ai parosismi, aqche nel principio
della malattia, si rinvenga il polso febbrile e concen-
trato, il che non avviene nell'antecedente caso : al-
lora siamo bastantemente cèrti coesistere unitamente
i32 Scienze
alla febbre la fiogosi dello stomaco. Lo ripeto: senza
la storia esatta degli errori che hanno preceduto, e
dei sintomi che hanno accompagnato la malattia , è
impossibile raggiungere la soluzione del problema. Ove
esiste infiammazione, è necessario combatter questa pri-
ma col salasso generale, quindi col locale. Non dob-
biamo farei imporre allora dal timore, che la febbre
spenga l'infermò. H maggior pericolo nasce dall'infiam-
mazione. Ho visti alcuni villici all'ingresso del pri-
mo parosismo, e nel tempo del freddo, ingollare re-
plicatamene l'acquavite o vini gagliardi. E in tal ca-
so che lo stomaco facilmente s' infiamma. Ciò ben
s'intende, se si convenga meco, le varie parti del si-
stema umano poter soggiacere contemporaneamente a
diverse e contrarie azioni, e quindi cadere in oppo-
sti stati.
La perniciosa alcune volte è accompagnata da
diarrea. Ma la cagione della diarrea non è sempre la
stessa. Può esser prodotta da innormali digestioni
rese note dalla, storia della malattia. In tal caso de-
ve precedere qualche purgativo e qualche clistere
alla china. Altre volte la diarrea è l'effetto del fred-
do, o perchè l'infermo bevve acqua gelata, o perchè
non difese l'addome con bastevoli vestimenta. Le cal-
de pozioni , e fra queste l'infuso di tè, le calde fo-
menta al basso ventre, i tiepidi lavativi, recano pronto
sollievo. Ma la diarrea può essere anche generata da
fiogosi di qualche parte del canale alimentare. In ta-
li ipolesi ha dovuto precedere alla febbre l'azione di
qualche agente stimolante: il bassoventre non può sof-
frire o in questa o in quella parte la più leggiera
pigiatura. Esaminandolo colla maggior circospezio-
ne e delicatezza, sperimentasi pure in qualche pun-
Intermittenti pekmctose i 33
to maggior resistenza che altrove : finalmente anclie
nell'intervallo che intercede fra i parosismi febbrili,
il polso non è interamente apiretico, e l'arteria con-
serva o durezza o ristringimento del suo diametro.
Ciò che ho dello della diarrea si osserva anche
nella dissenteria. Stoll ha descritto la dissenteria reu-
matica, cioè quella prodotta da perfrigerazione. Il più
spesso però è l'effetto dell'infiammazione del retto. Il
trattamento deve soggiacere alle regole di sopra espo-
ste. Allorché 1' infiammazione di qualsivoglia par-
te delle intestina si unisce alla febbre periodica; do-
po spenta la prima, io somministro la corteccia pe-
ruviana unita allo sciroppo semplice, a quello di al-
tea o di viole.
Il sintoma più grave e più frequente, perchè ac-
compagna sempre, o quasi sempre la perniciosa, è il
sopore: ragion per cui dal più antico de'nosologi fu
la perniciosa appellata soporosa. Il sopore mostrasi
nel tempo degli accessi, e diviene più prolungato, e
più grave ne' successivi. La sua maggior intensità
diede allora il sinonimo di comatosa, e finalmente di
letargica alla febbre. Si avvidero ben presto i medi-
ci che questo sopore era l'effetto di condizione adina-
mica, perchè dal salasso ricevea accrescimento, perchè
veniva fugato dalla china, e dalla medesima marita-
ta al vino o al laudano. Si credettero eglino auto-
rizzati chiamare periodiche, nervose, maligne tali feb-
bri: colla quale parafrasi comprendevano anche quel-
le associate da altri sintomi , ma provenienti dalla
stessa diatesi.
Questo sopore è sempre ed invariabilmente l'ef-
fetto della medesima condizione morbosa? Appellasi
ella o adinamica, o di anestesia, o di collapso, o ner-
i34 S e t te n z te
vosa, o con qnal si voglia altro nome venga dalle op-
poste scole indicata ? Esigerà in ogni caso lo stesso
trattamento? Indubitatamente la febbre soporosa pe-
riodica alcune volte viene peggiorata dal metodo ec-
citante. Ed in molti luttuosi casi la notomia ha rinve-
nuta flogosi .o in questa o in quella parte del Cervello,
mentre in altri niuna ve ne potei discoprire. Non si
deve già confondere la raccolta di sangue venoso oscuro
o nei seni, o nella parte posteriore del cervello t o
nei plessi de' ventricoli, coll'infiammazione. Le men-
zionate raccolte di sangue possono essere il risulta-*
to dell'illanguidita, e successivamente spenta vitalità*
e quindi dell'obbedienza di detto fluido alle leggi del
peso.
Possono dunque rinvenirsi dei casi* nei quali si
trovino combinate fra loro l' infiammazione di qualche
parte del cervello e la diatesi febbrosa. Ora allorquan-
do coesiste la febbre periodica e l'infiammazione, è
mestieri combattere quest'ultima col salasso generale,
in appresso col locale ; qualche volta ripetere l'ante-
cedente* Se il medico si fa imporre dal timore della
periodicità, può esser sicuro della perdita dell'infer-
mo. Debbo però confessare che ho sempre rinvenuto
queste flogosi più docili al salasso, poste al paragone
colle infiammazioni solitarie e non congiunte alla pe-
riodica. E questo un fatto che non può essere igno-
rato da medico di prolungata ed estesa pratica , e
tale da non doversi dimenticare da quegli scrittori, che
di patologiche affezioni sogliono discorrere. Io adun-
que, fino a tanto che non sono persuaso di avere spen-
ta l'associata infiammazione, non discendo al febbri-
fugo.
Ma con quali indizi ed argomenti siamo noi resi
Intermittenti perniciose i35
certi della coesistenza dell'infiammazione colla febbre
periodica ? Qui più che mai è necessaria la storia
delle cagioni molteplici che hanno preceduto la ma-
lattia: e senza una storia circostanziata ed esatta, io
ignoro, come un abile esercente possa fare acquisto
dell'indicazione prima, a cui deve soddisfare.
Le cagioni morbose che hanno preceduto, o si
sono associate alla febbre, pongono il medico nella
via a bene sciogliere il problema seguente :
« Se il malato era pletorico, se prima d'infer-
mare, o nel primo corso della malattia usò liquori,
bevve il vino ; se dopo alcuni accessi febbrili, atte-
sa la loro tenuità, li trascurò, e si espose al sole nel-
le ore meridiane, e curvo persistè nel travaglio ru-
stico ». Siamo avvertiti che un qualche viscere ha
potuto esser disposto alla flogosi. Ho assistiti alcuni
infermi in questo spedale maceratese , che venivano
dalle campagne romane, dopo aver sostenuti parecchi
parosismi febbrili non molto gravi , e che seguendo
un sì lungo viaggio a piedi tanto nelle ore nottur-
ne, quanto sul mezzo giorno, erano rimasti esposti agli
infocati raggi del sole per lunga pezza. Appena ri-
patriati, il nuovo accesso si svilluppò con grave so-
pore. In tutte queste ipotesi i seguenti sintomi met-
tono allo scoperto la questione. Il dolore e la gra-
vezza del capo non cessa dopo i parosismi , ma si
mantiene abbenchè men grave. L'albuginea degli occhi
è alquanto rossiccia, ma più spesso gli angoli de'me-
desimi. La faccia dell'infermo non è coperta intera-
mente di quel pallore che si riscontra nella perni-
ciosa semplice; le carni, spento il parosismo, non di-
scendono pienamente a quella freschezza che io ho
rinvenuta e descritta, allorché non vi è complicalo-
i36 Scienze
ne di socia affezione. I polsi esaminali con troppa
fretta, abbenchè sembrino apiretici , pure paragonati
a quelli degli accessi febbrili non lo sono interamen-
te: e se lo sembrano essere, non pertanto bene esplo-
rati, l'arteria si rinviene ristretta, e non adagiantesi
sulle dita esploratrici. Allora io non dubito punto
che all'intermittente sia congiunta l'infiammazione
del cervello. Istituisco quindi un salasso generale, e
dopo di esso applico le sanguisughe all'occipite. Ge-
neralmente parlando queste due flebotomie sono suf-
ficienti a spegnere l' infiammazione. Ma se ciò non
avvenisse , ed interamente o in molta parte i sinto-
mi teste descritti esistessero, io non mi ricuso di ce-
lebrar nuovo salasso. Mentre ciò faccio, ordino che
sia iniettalo lavativo emoliente e purgativo: e se do-
po tutto ciò o contemporaneamente sintomi gastrici
si facessero vedere, vado somministrando qualche so-
luzione ecoprottica. Le quali cose eseguite, do subi-
to di mano al febbrifugo.
La verità fu sempre il mio scopo : per lo che
non rifuggo confessare, che due infermi ricevuti mol-
ti anni in dietro in questo ospedale maceratese ri-
masero spenti per avere io trascurato queste ultime
diligenze. E qual è quel pratico che possa gloriarsi
di non essersi mai ingannato ? Quante sono le circo-
stanze della vita che turbano l'attenzione dell'uomo
il più avveduto, e che gli fanno dimenticare quelle
stesse massime che furono il frutto di lunga prnl:-
ca e di profonde meditazioni ? Potrei nelle opere che
tutto giorno si vanno pubblicando sul nostro argo-
mento discoprire non uno o due casi somiglianti ai
miei, ma molti e molti; ne'quali si trascurarono od
ignorarono tutte quelle precauzioni, di cui io ho da-
to 05 ora un breve quadro.
Intermittenti perniciose 187
Abbenchè non di raro , dopo che fu pe1 salas-
si risoluta l'infiammazione, si appalesi l'intermitten-
te gravissima ; ciò però non è sempre. Il più delle
volte la periodica non è sì grave da non potersi dif-
ferire la prescrizione del febbrifugo per qualche gior-
no. Circostanza non rara nel caso di associazione del-
le due malattie. Temo che molti medicanti in tale
apprezzamento non siano stati circospetti, quanto era
mestieri esserlo. Ma dobbiamo ricordarci, che la slessa
appoplesia pletorica nell'inverno, cioè allorquando non
può temersi riunione con essa di febbre periodica ,
non pertanto più spesso che non si crede suole do-
po le venti quattro ore, o anche dopo tempo dop-
pio, rinnovare suoi colpi. Questa specie di periodi-
cità non ha potuto sottrarsi agli occhi de' dotti os-
servatori , e non deve restare inavvertita nel tempo
che domina 1' intermittente. Mentre tali cose narro,
non voglio dar credito alla pratica, oggi anche trop-
po comune presso alcuni medici, di prescrivere pre-
cipitosamente il salasso al primo accesso febbrile, ed
anche di ripeterlo perchè accompagnato da alcuni sin-
tomi fallaci di orgasmo, e, come essi dicono, di rea-
zione. Deplorai molti infermi da questa falsa dottri-
na perduti; ed è per l'opposto sentenza comunemen-
te ricevuta da coloro che a tali malattie spesso furon
presenti, che un'intempestiva flebotomia uccide irre-
parabilmente l'infermo, in ispecialità se sia pervenu-
to alla vecchiezza.
Un emiplegia, che col cessare del parosismo com-
pletamente con essa cessi, a me non fu dato mai di
riscontrare. Altri la descrissero, ne io voglio ad es-
si negar fede. Ma se l'emiplegia è costante, se essa
persiste anche nel tempo dell'apiressia; non vi è ogni
i38 Scienze
ragione per credere che l'infiammazione del cervello
e della midolla oblongata ec. sia la primaria affezio-
ne ? L'esacerbazione febbrile può in molti casi esser
l'effetto di connubio dell' intermittente colla flogosi
delle menzionate viscere; e può ancora in altri casi
spettare al gastricismo, da cui è influenzato il siste-
ma circolatorio. Se si esaminassero con rigore chi-
mico molte storie rese di pubblico diritto intorno a
questa malattia, sarebbe facile dagli stessi sintomi,
che in esse si trovano ricordate, rinvenire conferma a
questo mio dubbio; abbenchè gli scrittori delle me-
desime siano stati molto generosi nel dipingere a for-
ti caratteri qu e' propri della sola periodicità.
Fra gli effetti più frequenti dell'aria romana so-
pra gli abitanti delle sue campagne evvi l'ostruzione
della milza. Quelli che soggiacquero alla perniciosa,
ove furono ben trattati nel corso della malattia , e
che in appresso si allontanarono da quella pestilente
regione, non si videro mai affetti da vizio del sud-
detto viscere. Ma se precipuamente nel decorso del-
la febbre non furono purgati, mentre esistevano za-
vorre addominali, non è cosa rara che si vadano ri-
petendo con inegual periodo accessi febbrili benché
miti, e che dopo un qualche tempo la milza appa-
risca tumida all'ipocondrio sinistro. Ma anche la pe-
riodica non perniciosa, ove siasi prolungata per molti
mesi in quel paese, è seguita da sì fatta tumescen-
za. I cadaveri di coloro, che per essa periscono, mo-
strano il liene aumentato quasi sempre di volume.
In alcuni una teca, dura più della sostanza del vi-
scere, ne circonda l'esterna superficie, mentre il re-
sto del parenchima si mostra molle e di colore più
oscuro del naturale. In altri, invece della teca sud-
Intermittenti perniciose i3g
detta, ho ritrovata qualche porzione centrale della mil-
za indurita, e molle il rimanente. Aprimmo in que-
sto teatro anatomico il cadavere di un villico , la
cui milza elevata a grande volume era però molle più
del consueto, e come vicina a spappolare. Qual'è la
natura di questo disordine ? E inutile che io lo di-
chiari. Ma se una tal lesione è una vera flogosi colle
sue varie terminazioni , questa flogosi è essa prima-
ria, e cagione della febbre? 0 piuttosto un prodotto
della preceduta piresia ? Ecco come io m' industrio
per risolvere un tal problema. La corteccia peruvia-
na, che in sull'incominciamento della febbre è effica-
cissima nel distruggerla , riesce inutile a debellarla
ogni qual volta siasi stabilita la lesione di cui tenia-
mo discorso. Questa stessa lesione per lo contrario,
dopo che esistette per lungo tempo , si rende sotto
l'uso della medesima più caparbia, e più difficile quin-
di ad esser fugata. L' induramento della milza non
apparisce ordinariamente nei primi giorni della feb-
bre, anche allorché questa è gravissima ed uccide i*
infermo. La sezione de'cadaveri di quegl'individui, che
furono spenti ne'primi accessi, non mostra l'indura-
mento di detto organo. Sono noti i sintomi della sple-
nite: ma tanto nel primo corso della perniciosa, quan-
to di altra semplice intermittente, niuno di essi fu
riscontrato e commemorato come essenziale dai no-
sologi. Non è quindi ragionevole concludere, che la
cronica infiammazione della milza sia una termina-
zione delle febbri periodiche generate in arie umide,
nel modo stesso come nelle febbri continue, dopo la
prima o seconda settimana , alcune volte o le fauci
s'infiammano o le parotidi o qualsivoglia altra parte.
Mi rimane ora esporre succintamente con qua-
li mezzi pel corso di molti anni abbia io combat-
i4o Scienze
tuto con felice successo un tal disordine. Sono ri-
cevuti in quest'ospizio clinico agricoltori prevenien-
ti dalle campagne romane, ed alcune volle qualche
militare che ebbe stazione nelle contrade pivi basse
delle Romagne: i quali dopo aver soggiaciuto per mol->
to tempo a febbri intermittenti , sparuti e cachetici
qui se ne vengono. Alcuni di essi portano seco il
solfato di chinina, altri pillole di estratti amarican-
ti. Tutte queste cose sospese, io istituisco subito un
salasso dal piede sinistro ; il giorno appresso faccio
applicare le irudini al podice. In seguito io purgo l'in-
fermo. Ma se febbrile fosse il polso, o dura l'arteria,
rinnovo il secondo salasso dal piede. Tali cose ese-
guite, prescrivo ogni mattina all'ammalato un' oncia
e mezza ed anche più di tintura forte acquosa di ra-
barbaro, nella quale ho sciolto un'ottava , od anche
due di sale mirabile di glaubero (solfato di soda). Non
abbandono questa tintura, la ripeto quotidianamen-
te, e la sospendo qualche volta per un giorno se le
evacuazioni alvine fossero soverchie. Applico poi so-
pra l'ipocondrio sinistro il ceroto di cicuta. Se il bi-
sogno lo richieda, dopo la seconda e terza settima-
na discendo al terzo salasso. La dieta è sempre se-
vera , ed è negata la refezione della sarà. Spenta
la febbre, ed abbisognando l'infermo di maggior nu-
trimento , alla zuppa della mattina aggiungo in sul
principio un qualche frutto, ed in appresso qualche
vegetabile cotto od ovo sorbile con frustolo di pa-
ne. Ho ricondotto a sanità molti e molti infermi, do-
po aver fatto inutilmente uso di altri metodi.
Tali cose io dirigeva a voi, rispettabilissimo sig.
conte, a voi che ben conoscete unico mio studio es-
sere stato mai sempre quello di : « Kitam impen-
dere vero. »
i4i
niwvMmanrai
Praelectiones theologicae quas in collegio ro-
mano S. I. habebat Ioannes Perrone e soc.
lesiti in eoclem collegio theol. professor. Ro-
vine i83g. Ex collegio urbano de propagan-
da fide. Voi, VI et VII.
&L compiere l'analisi del VI volume (*), altro non
ci resta che il parlare del trattato della penitenza.
Definita questa dal eh. autore come virtù , e come
sagramento, riparte egli tutta la materia in cinque ca-
pitoli suddivisi in varie proposizioni.
Il primo capo, in cui trattasi della verità di que-
sto sagramento, lo divide in due proposizioni. Dimo-
stra nella prima esser la penitenza un vero e pro-
prio sagramento della nuova legge istituito da
Mostro Signore, per cancellare i peccati commes-
si dopo il battesimo. Siccome però i protestanti, pel
falso principio da loro adottato della giustificazione
e delle manifestazioni del peccato originale, attribui-
scono al battesimo tutti gli effetti della penitenza;
così i cattolici, i quali professano la genuina dottri-
na del tutto contraria ai principii di essi, ne traggo-
no una conseguenza del tutto opposta. La differenza
si è questa: che i protestanti, per così dire a priori,
si fingono i dogmi, li adattano alle loro teorie, o al-
meno da esse li deducono: i cattolici all'incontro sta,n-
(") Vedi il tomo LXXX1V a «art. ùg e segg.
i4^ Scienze
no immobilmente fermi alla costante e perpetua dot-
trina e prassi della chiesa. Pertanto avendo la chiesa
riconosciuto sempre in essa un distinto ministro, un
distinto soggetto, una distinta materia, una distinta for-
ma, distinti effetti, distinta istituzione , distinte pro-
prietà, il p. Perrone nell'altra proposizione sostiene
essere la penitenza un sagramento dal battesimo
distinto.
Il secondo capo è della contrizione. Dopo aver-
ne data col concilio di Trento la definizione, a mag-,
gior chiarezza stabilisce: I. Esser di fede che la con-
trizione imperfetta, chiamata attrizione, è un dono di
Dio, e che quantunque per se non giustifichi il pec-»
catore, tuttavolta lo dispone ad impetrare la grazia di
Dio nel sagramento. II. Esser prossimo alla fede, che
questa contrizione, la quale può talvolta essere per-,
fetta per la carità, riconcili 1' uomo a Dio prima an-
cora di ricevere il sagramento; non doversi però aU
tribuir questa riconciliazione alla sola contrizione sen-
za il voto in essa incluso di ricevere il sagramento.
Dal che giustamente deducesi, esser dottrina ricevuta,
specialmente dopo il concilio di Trento, che non sia
necessaria per ricevere questo sagramento la contri-a-
zione perfetta, siccome insegnano taluni, ed in par-
ticolar modo i giansenisti. Passando poi alle questio-
ni scolastiche, brevemente esamina: i. Se nell'attri-
zione ricerchisi un gualche amore iniziale, ovvero
basti il solo timor delle pene: a. Se questo amor ini-
ziale consista nel solo amor di speranza, o come di-
cesi di concupiscenza, ovvero in amore di amicizia
e benevolenza: 3. Che secondo altri quella carità teo-
logica presa nel proprio senso , la quale ricercasi
per la giustificazione, non consiste nell'amore di he-
Teologia del Perrone i43
nevolenza e di amicizia, ma nel solo amor di con-
cupiscenza. Premesse queste brevi osservazioni, ed ac-
cennata la controversia circa il timore con cui si con-
cepisce l'attrizione, ossia se per la giustificazione nel
sagramento della penitenza basti quel timore, che na-
sce da una soprannaturale minaccia delle pene tempo-
rali , ovvero vi si debba includere anche quello delle
pene eterne , nella I.a proposizione sostiene il cano-
ne V del concilio di Trento ; e nella II.a contro i
giansenisti, che la contrizione perfetta riconcilia
V uomo a Dio prima che riceva II sagramento
della penitenza, purché però slavi Incluso II voto
di riceverlo. Nella III.a proposizione finalmente dimo-
stra non essere necessaria la contrizione perfet-
ta a ben riceverlo.
Il capo III riguarda l'auricolar confessione ne-
cessaria a rimetter i peccati dopo il battesimo. Il eh.
autore prova questa verità con tre distinte proposizioni:
ricavandola, I. Dalla sacra scrittura, in cui Cristo a
forma di giudizio istituì il sagramento : II. Dall'an-
tica e costante tradizione de'padri : HI. Dalla eresia
de'montanisti e de'novaziani, i quali ammettendo la di-
vina istituzione della confessione, restringevano solo
ad alcuni peccati la facoltà generale concessa di as-
solvere: e però dal sostenere in questa III proposi-
zione, non esservi alcun peccato che non possa ri-
mettersi a coloro, i quali sono disposti , viensi sem-
pre più a confermare il salutevole dogma della ne-
cessità dell'auricolar confessione.
Se la contrizione e la confessione costituiscono
l'essenza del sagramento della penitenza , e giovano
a rimettere la pena eterna ; la soddisfazione ne co-
stituisce la integrità e vale a rimettere quella parte
i/i4 Scienze
di pena tempoi'ale, che ordinariamente dopo ricevuto
il sacramento resta a scontarsi o in questa o nell'al-
tra vita. Siccome peraltro i protestanti rigettano ogni
necessità di soddisfazione, come ingiuriosa alla croce
di Cristo: imperocché nei loro sistema Dio c'imputa i
meriti di Gesù Cristo in modo, che più egli da noi non
ricerchi alcuna espiazione de'falli; così il p. Perrone
nel cap. IV discorrendo della soddisfazione, nella pri-
ma proposizione addimostra, che insieme colla col-
pa non si rimette sempre tutta la pena, ma che
ordinariamente, tolta per la potestà delle chiavi
la pena eterna, resta la tempora! pena a pagar-
si : e nella seconda, la quale è un corollario della
prima, che i ministri della penitenza possono e de-
vono ingiungere delle soddisfazioni salutari e con-
venevoli ai penitenti.
A questa proposizione aggiunge egli alcuni bre-
vi ed utilissimi scolii sulla penitenza pubblica, i quali
assai bene valgono a far conoscere la consuetudine
della chiesa in infliggere le pene, a ribattere le pazze
opinioni de'giansenisli, ed a mettere in guardia gl'in-
cauti, ai quali così belle e così utili si dipingono le
antiche pene canoniche.
Lasciati a parte i gradi dei penitenti, cioè de*
piangenti, degli udienti, de 'prò strati e de7 consi-
stenti, le loro stazioni e le loro opere, osserva: I. Che
non devono confondersi insieme, siccome ordì nana-
mente far sogliono i giansenisti , la penitenza sa-
gramentale ordinata da Gesù Cristo e necessaria a
tutti, colla penitenza canonica, che per l'ordinario e
più rettamente i teologi chiamano ceremoniale, e che
appunto, perchè tale, non fu ne costante nò uguale,
ma varia secondo i luoghi, i tempi e le circostanze,
finché a poco a poco andò interamente in disuso.
Teologia del Pekrone i45
TI. Che neppur si debbono tra loro confonde-
re , siccome fanno i novatori e i seguaci del sino-
do pistoiese , la penitenza canonica colla penitenza
pubblica, la quale sotto qualche aspetto fu in vigo-
re fin dal tempo degli apostoli: quantunque, siccome
osserva il Petavio, per deficienza de'monumenti siamo
in grande oscurità sul metodo tenuto dai sacerdoti
ne'primi due secoli. In fatti non senza frode e ma-
lizia il sinodo di Pistoia confondendo queste due pe-
nitenze ne dedusse, che l'ordine della penitenza ca-
nonica era stato dalla chiesa stabilito sull'esempio de-
gli apostoli, né arrossì di attribuire a delitto alla chie-
sa di averla cambiata: dicendo di riconoscere in quel
mirabile ordine ed augusto tutta la dignità di un
sagramento così necessario, sceverata da quelle sot-
tigliezze che nel processo di tempo vi si aggiun-
sero. Questa sentenza però fu, come ognun sa, con-
dannata da Pio VI ( Prop. XXXIV della notissima
costituzione Auctorem fidei) come temeraria, scan-
dalosa, conducente al disprezzo della dignità del
sagramento, come in tutta la chiesa usò di am-
ministrarsi, ingiuriosa alla chiesa medesima.
III. Che la penitenza canonica non fu istituita,
se non nel finire del secolo III , in occasione della
eresia de'novaziani, e ch'essa restringevasi solo alla pu-
nizione di tre delitti, l'idolatria cioè, l'adulterio e l'o-
micidio. Inoltre che queste pene non imponevansi in-
differentemente a tutti i fedeli, ma ad alcuni sola-
mente, anzi ad una determinata classe d'individui. Ed
invero n'erano eccettuati i cherici maggiori, ordina-
riamente le donne, e i figli di famiglia. Dovevano es-
sere colpevoli di pubblici delitti: e perciò non astrin-
gevansi ad essa penitenza , se non coloro eh' erano
G.A.T.LXXXVIII. ,o
,i46 Scienze
siali chiamati in giudizio , e convinti innanzi alla
legge, siccome attesta più volte sant'Agostino. Impo-
nevasi poi questa penitenza una sola volta: e quei die
fossero tornati novellamente a cadere erano per sem-
pre allontanali dalla eucaristica mensa, alla quale solo
nel punto della morte venivano riammessi,
IV. Osserva coll'illustre arcivescovo Marchetti di
eh. mem., doversi distinguere la prassi e la discipli-
na della chiesa universale circa la penitenza canoni-
ca, da quella delle chiese particolari : ed in conse-
guenza i canoni e i decreti della chiesa universale dai
canoni e decreti di qualche vescovo , o concilio , o
chiesa particolare, avendosi eziandio riguardo alla va-
rietà de' tempi : nò doversi queste cose tra loro
scambiare, siccome molti fanno per dedurne poi la
così detta disciplina dell' antica chiesa. Imperocché
eccettuato il concilio I niceno , che fece tre canoni
penitenziali pe'soli apostati e pe'caduli nell'idolatria,
niun altro concilio ecumenico stabilì canoni peniten-
ziali, ed in conseguenza praticossi nella chiesa quella
varietà di punizioni, che più si credeva opportuna.
V. Finalmente fa rimarcare col più volte nomi-
nato Petavio, esser la penitenza; che oggidì si costu-
ma, più analoga e conveniente ai tempi degli aposto-
li e della primitiva chiesa, di quello che sia l'altra in-
trodotta poi da'santi vescovi e da'eanoni più o meno
severi, a seconda che richiedevano i tempi ed i luoghi.
Le quali cose ( giustamente conclude il p. Per-
rone ) se si abbiano ognora presenti, facilmente si ripa-
rerà alle declamazioni de' giansenisti , che sospirano
quell'aurea ed intemerata disciplina dell'antica chiesa
in modo da dispregiare quella che di presente è in
vigore. Imperocché operando così più agevolmente si
Teologia del Perrone 147
dispensano dall'una e dall'altra penitenza: dall'antica,
perchè più non costumasi: e dalla moderna, perchè
ad essi non talenta.
Esaurita così la dottrina della soddisfazione, nel
quinto , ossia ultimo capo del trattato , parla della
materia.) della forma e del ministro di questo sa-
gramento. Fatte le solite osservazioni sulla materia
prossima e remota, necessaria 0 libera ec, viene alla
forma, che i protestanti, per essere ragionevoli ai loro
principi!, sostengono esser dichiarativa e non già ef-
fettiva. Ribatte egli nella prima proposizione così em-
pia sentenza; nella seconda confuta 1' altro loro er-
rore, cioè che qualsiasi fedele abbia da Cristo ri-
cevuta la potestà delle chiavi: nella terza che, per
validamente assolvere nel sacramento della peni-
tenza, oltre la potestà di ordine ricercasi ezian-
dio quella di giurisdizione: e però V approvazione
del vescovo non esser una mera testimonianza d'i-
doneità, come pretenderebbero i giansenisti , ma
una vera collazione di potestà e di giurisdizione:
il perchè senza tale approvazione i sacerdoti in-
validamente ed illecitamente amministrare cotesto
sagramento; finalmente nella quarta ed ultima pro-
posizione dimostra, che i vescovi hanno il diritto di
riservarsi i casi, non solo quanto alV esterna po-
lizia, ma anche innanzi a Dio : e però i sacer-
doti, eccetto V articolo di morte, invalidamente as-
solvere i penitenti dai casi riservati.
Per corona di questo trattato tanto breve, quan-
to succoso , in cui 1' autore seguendo il suo solito
metodo nel confutare i novatori, ed in ispecie i gian-
senisti ed il sinodo di Pistoia, ha sempre sostenuto
la dottrina del concilio di Trento, aggiunge due bel-
148 Scienze
lissimi tratti, il primo di s. Gregorio magno, con cui
insegnasi ai ministri il modo di usare co' penitenti :
l'altro di san Paciano, col quale vengono i penitenti
ammaestrati a ben ricevere questo sagramento. Appo-
sitamente poi e con molt'avvedutezza nell'ultima no-
ta si fa a discorrere della morale teologia di sant'Al-
fonso de'Liguori, e della sana dottrina in essa con-
tenuta. In latti non manca di riportare gli autentici
decreti del sacro tribunale della penitenzieria, i qua-
li ancor noi riferiremo a parola : se mai taluni , il
che sarà ben difficile, non ne avessero la giusta con-
tezza.
Dubitando alcuni confessori, anche dopo i de-
creti della santa sede, ne'quali si dichiarava che nulla
degno di censura era nelle opere di questo santo ,
se nell'amministrazione del sagramento della peniten-
za si potesse tenere sicuramente il metodo usato da
quell'espertissimo e savissimo vescovo, il zelante cardi-
nale De 'Rohan-Chabot, arcivescovo di Besanzone di
eh. meni., nel 1 83 1 propose questi dubbi alla sacra
penitenzieria: « I. Utrum sacrae theologiae professor
» opiniones, quas in sua theologia morali profitetur
» B. Alphonsus Maria De-Ligorio, tuto sequi ac pro-
» fiteri possit ? II. An sit inquietandus confessa-
» rius , qui ornnes B. Alphonsi Mariae De-Ligorio
» sequitur opiniones in praxi sacrae poenitentiae tri-
» bunalis, hac sola ratione, quod a sancta sede apo-
» stolica nihil in eius operibus censura dignum re-
» pertum fuerit ? » Ai quali la stessa sacra peniten-
zieria il 5 luglio i83i cosi rispose : « Ad l affir-
» matwe : quin tamen inde reprehendi censeantur,
» qui opiniones ab aliis probatis auctoribus traditas
» sequuntur. Ad II negative : habita ratione mentis
Teologia del Perronk i^g
a san-etae sedis circa approbationem scriptorum ger-
ii voruiri Dei ad effectum canonizaliunis. » Dalle qua-
li risposte conclude il Perrone, non doversi commen-
dare la disobbedieuza di coloro, che ancora incolpa-
no, come meno sicura, la dottrina di un santissimo
e dotlissimo prelato, di cui Pio VII nel decreto Art
tuta ec. in data de*2i dicembre iHi^- disse: « Apo-
» stolo dignas virtutes quasi iubar emisit, cura voce
» et scripto in media saeculi nocte errantibus viam
» ostendit, tjua eruti de potestate tenebrarum tran-
» sire possent in Dei lumen et gloriam. »
I trattati delle indulgenze, dell'estrema unzione,
dell'ordine e del matrimonio conlengonsi nel settimo
volume. Seguiremo ad analizzare solo i due primi.
Tutta la materia delle indulgenze è divisa, o per
dir meglio ristretta, in cinque proposizioni precedute
da un compendioso proemio. Fatto il novero de'suoi
avversari , e definita l' indulgenza « la remissione
» della pena temporale che dopo la sagramentale as-
» soluzione è dovuta al peccato, valida nel foro in-
» terno innanzi a Dio, fatta per mezzo dell'applica-
» zione del tesoro della chiesa da legittimo superio-
» re: » si fa egli ad esaminare le parole tutte di ta-
le definizione, dicendo che da essa ben si rileva: 1. Qua-
le sia la vera e principale natura e nozione della in-
dulgenza, che soltanto si aggira circa la pena tem-
porale dovuta ai nostri peccati: la qual pena deve ri-
mettersi extra forum con'scientiae, supposte però le
necessarie disposizioni nel soggetto, e la necessaria au-
torità in chi le dispensa. 11. Che tale remissione di
pena non esclude le nostre soddisfazioni, ma le sup-
pone : e però le indulgenze doversi considerare co-
me un supplemenìo alle nostre soddisfazioni, alme-
i5o Scienze
no sagramentali, e a quelle che in noi eccita l'inter-
na nostra disposizione di animo inclinata ad una sin-
cera conversione. Che poi tale sia la mente della chie-
sa, ben lo chiarisce in una nota riportando l'autorità
del santo pontefice Gregorio VII, e de'cardinali Ba-
ronio, Gaetano , Bellarmino e Pallavicino. III. Che
l'indulgenza non è un semplice rilasciamento della
pena canonica valida solamente nel foro esterno, ma
anche nel foro interno ed innanzi a Dio, ossia ch'è
una remissione parziale o totale di quella soddisfa-
zione, che per le commesse colpe o in questa o nel-
l'altra vita debhonsi pagare alla giustizia divina. IV.
Che non solo errarono turpemente i valdesi, i wiclef-
fif.i, i luterani, i calvinisti e i loro seguaci, i quali
negarono questa facoltà alla chiesa : ma cogli stessi
eretici essere gravemente caduti in errore i giansenisti,
i pistoiesi ed altri scrittori neoterici, tanto circa la no-
zione delle indulgenze, restringendole al solo rilascia-
mento della pena canonica , quanto circa il tesoro
della chiesa , che vorrebbero essere una invenzione
degli scolastici, e circa il valore delle indulgenze, che
credono esser nulle per le anime de'trapassati. V. Fi-
nalmente l'autore, chiosando sempre la sua definizione,
dimostra a che cosa riducansi tutte quelle calunnie e
voci, con cui anche oggi giorno dagli eretici e dagl'
increduli si maltrattano le indulgenze, e si censura
la dispensazione di esse, come eversive di ogni mo-
ralità , quasi che dieno licenza al peccare : ed in
ultimo a che cosa riducansi quelle indulgenze per
anticipazione, che continuamente i protestanti han-
no in bocca.
La prova di queste verità, che naturalmente discen-
dono dalla data definizione, costituiscono tutto il trat-
Teologia del Perrone i5r
tato. In fatti nella prima proposizione , secondo la
dottrina del concilio di Trento , sostiene che nella
chiesa è la potestà di conferir V indulgenza data
da Gesù Cristo , e che fuso di esse fu sempre salu-
tevolissimo ai cristiani. E qui nel ribattere le obbie-
zioni de'protestanti e degl'increduli, che le chiamano
abusive, perchè ingiunte al bacio di una croce, e per-
chè con tanta facilità rilasciate, sottilmente osserva:
I. Che gli avversari in questo caso, chiamando l'ec-
cesso delle indulgenze contrario ai principii di mo-
ralità, ci danno non volendo essi stessi una bellissi-
ma testimonianza della dottrina della chiesa circa la
necessità della soddisfazione, di cui l'indulgenza al-
tro non è se non una diminuzione. II. Che non ci
si può opporre questo medesimo abuso senza gitta-
re a terra tutto il principio del protestantismo, ossia
della riforma della sola fede giustificante, senza la ne-
cessità delle buone opere. III. Che anche un'amplis-
sima indulgenza concessa per una piccolissima opera
di pietà ingiunta può egregiamente conciliarsi co'
principii di moralità, imperocché la giustizia di Dio
si concilia colla remissione delle pene, ottenuta se-
condo le condizioni richieste. IV. Che l'eccesso delle
indulgenze, se alcuno mai ve ne fosse, non attacca
la cosa stessa, ma la facilità o il modo di concederle.
In fatti , lasciate le testimonianze degli antichi pa-
dri, e specialmente di s. Cipriano, i quali si scagliava-
no contro la troppa facilità delle indulgenze, omesse
le sanzioni de'concili e de'romani pontefici, che cer-
carono di riparare all'abuso , è chiarissimo il decre-
to del concilio di Trento nella sessione XXV , in
cui dicesi che si desidera la moderazione nel con-
cederle, secondo Vantica ed approvata consuetu-
l52 S C I E N Z Z
dine della chiesa, affinchè per la troppa facilità
V ecclesiastica disciplina non si snervi.
Sostenuta la cattolica dottrina con validissimi
argomenti, e ribattute le opposizioni degli avversari ,
passa il N. A. a quella che non è di fede, ma pros-
sima alla fede, dimostrando nella II proposizione, che
le indulgenze liberano l'uomo dalla pena del rea-
to non solo innanzi alla chiesa , ma ancora m-
nanzi a Dio; e nella III, che nella chiesa si dà il
tesoro delle indulgenze composto dei meriti di
Cristo e dei santi. Siccome però non solo hanno
negato questa proposizione Lutero, Calvino ed i lo-
ro seguaci, ma eziandio taluni neoterici, che tuttavia
si professano per cattolici, affinchè costoro non ol'i'en-
dansi del vocabolo tesoro, a maggior chiarezza della
cattolica dottrina fa egli le seguenti premesse; I. Che
questo tesoro, fonte delle indulgenze, in tanto è com-
posto de'meriti di Cristo e de' santi, in quanto che
sono soddisfattorii: sapendosi da tutti i teologi es-
sere le opere buone meritorie, impetratole e sod-
disfattorie, cioè meritorie per se, impetratone per se
e per gli altri, e soddisfattone, se si parli de' santi,
pe'debiti loro e degli altri: pe'debiti loro, cioè per
quello che attese le proprie colpe devono a Dio: pe'
debiti degli altri, atteso il soprabbondante prezzo da
loro sborsato in compenso de' loro falli. Il perchè
quando dicesi essere il tesoro composto di meriti, il
nome di merito prendesi in senso più lato, cioè per
soddisfazioni, o come ad altri piace per impetrazioni.
II. Che all'essenza della indulgenza, e però al-
l' applicazione del tesoro, non si ricercano i meriti
dei santi : i quali meriti non si aggiungono se non
a modo di un tal quale amminicolo o cumulo, co-
Teologia del Perrone i53
me parla Clemente VI, afiìnchè venga onore e glo-
ria ai meriti di Cristo, e non si rimangono oziose le
soprabbondevoli soddisfazioni de'santi.
III. Che questo tesoro non solo è composto de'
meriti de'santi che dimorano in cielo, ma anche di
quelli che tuttora vivono in terra: i quali certamen-
te, come insegna il catechismo romano, possono sod-
disfare alla divina giustizia tanto pe'loro quanto per gli
altrui debiti.
IV. Finalmente che dalla chiesa mediante la con-
cessione delle indulgenze ci si applicano i meriti di
Cristo in quella stessa guisa, in cui fuori del sagra-
mento ci si applicano i meriti dello stesso Cristo, il
quale comunica la dignità ai meriti de' santi colla
grazia santificante, per cui a Dio sono uniti. Dal che
avviene che Iddio a riguardo dei meriti di Cristo e
dei santi, col ministero della chiesa e colle condizio-
ni da essa volute, rimetta le pene temporali , ossia
le soddisfazioni che richiederebbero i nostri peccati.
Dalle quali cose si conclude, che il tesoro delle in-
dulgenze sono gli stessi meriti di Cristo e de' santi,
in quanto che sono o soddisfattorii, o impetratorii, o
soprabbondanti, e che l'applicazione di essi dipende
interamente dalla chiesa.
Finalmente nella IV proposizione, la quale è cer-
ta, ne può senza nota di temerità mettersi in dubbio,
sostiene il N. A. che possono le indulgenze , a mo-
do però di suffragio i applicarsi alle anime del
purgatorio. Le quali indulgenze a modo di suffragio
assai differiscono dalla semplice orazione e preghiera:
imperocché, oltre la ragione della impetrazione, quel-
la largizione ha in se l'oblazione del prezzo, ossia là
soddisfazione, la quale dassi a Dio col tesoro della
i54 Scienze
chiesa. Altrimenti dovrebbe dirsi che ugualmente pre-
sterebbe il suo officio presso il giudice quegli che lo
pregasse a dimettere un carcerato per debiti, e co-
lui che gli offerisse quanto è d'uopo a pagarli, spe-
cialmente se chi offre fosse costituito in dignità, e a
tale officio eletto dal principe, siccome nel caso no-
stro è la chiesa.
Restandogli poi a parlare del ministro e del sog-
getto succintamente, il p. Perrone se ne spedisce per
mezzo di alcuni scolii. L Ricerca se l'indulgenza sia
assoluzione o soluzione, e risponde esser assoluzio-
ne e soluzione rispetto ai viventi, soluzione rispetto
ai defunti. Assoluzione per chi dà, soluzione per chi
riceve. In appresso definisce e distingue l'indulgenza
plenaria dalla parziale e da quelle altre dette qua-
rantene.
IL Quanto al ministro, dice che il solo ponte-
fice, perchè capo di tutta la chiesa, e primate in es-
sa di vera giurisdizione, può concederle a suo bene-
placito, e che i vescovi solo le possono dare secon-
do la limitazione fatta dal concilio lateranense quarto
sotto Innocenzo III, cioè non più di un anno nella
consecrazione della chiesa, e non più di ^o giorni
negli altri casi. Col qual decreto, come dichiarò già
Pio VI nel suo breve Super soliditate, vengono con-
futati Eybel e Palmieri , i quali avevano insegnato
poter i vescovi almeno ai proprii sudditi compartir
la plenaria indulgenza, deducendolo da tre falsi prin-
cipii da loro adottati: 1 cioè, che l'indulgenza altro
non sia che la remissione della pena canonica nel
foro esterno; 2, che il romano pontefice come par-
ticolare vescovo della chiesa di Roma possa conceder-
la ai suoi sudditi immediati, come tutti gli altri ve-
Teologia del Perrone i55
scovi nelle loro diocesi; 3, che non possa esso coar-
tare la facoltà de'vescovi, senza invadere i loro di-
ritti.
III. Quanto al soggetto, sostiene che ai defunti
non valgono se non a modo di suffragio, di preghiera,
di oblazione ec, o, come dice s. Tommaso, seconda-
riamente ed indirettamente:, imperocché non posso-
no essi far quell'opera ingiunta per cui si concede l'in-
dulgenza, siccome possono farlo i viventi, che però
possono primariamente e direttamente lucrarle; ne
manca di fare osservare, che pe' defunti non avendo
un infallibile effetto, ma dipendendo dal beneplacito
di Dio V accettazione di esse, svanisce quel preteso
calcolo matematico degl'increduli, con cui millanta-
no, che atteso il gran numero delle indulgenze con-
cesse ai defunti, più non dovrebbe rimanere alcun' a-
nima nel purgatorio. Finalmente chiude il trattato
colle condizioni che si richiedono per parte del re-
cipiente.
Assai più breve è il trattato che segue della
estrema unzione. Lo divide l'autore in due soli ca-
pi. Nel I parla della verità del sagramento della estre-
ma unzione: e con una sola proposizione dimostra,
che la estrema unzione è un vero e proprio sa-
gramento istituito da Gesù Cristo , e promulgato
dall'apostolo san Giacomo, ricavandolo dalle paro-
le di quell'apostolo, dal senso con cui perpetuamen-
te e costantemente fu tal passo interpretato, dalla con-
tinuata consuetudine dell'una e dell'altra chiesa, cioè
orientale ed occidentale nell'amministrazione di que-
sto sagramento, e dalla confutazione di tutte le ob-
biezioni che dagli avversari si fanno.
Il II capo contiene importantissimi scolii sa tut.
l56 S C I R N Z K
te le parti del sagramento della estrema unzione. Di-
mostra, I sulla istituzione di questo sagramento non
esservi alcuna quistione presso gli antichi , e so-
lo in appresso gli scolastici aver incominciato a ri-
cercare, se fosse istituito da Gesù Cristo, ovvero dal-
l'apostolo ricevutone particolare autorità da Cristo o
dallo Spirito Santo, che internamente glielo insegna-
va : il che riducesi a ricercare, se Gesù Cristo sia sta-
to il mediato o immediato autore del sagramento :
della quale ultima cosa, dopo il concilio di Trento,
può appena più dubitarsi.
II. Che la materia detta remota secondo san
Giacomo è 1' olio di olivo. Quanto alla benedizione
del vescovo, se sia di necessità di precetto divino o
di sagramento, o solo di precetto ecclesiastico, sicco-
me vorrebbero alcuni teologi, insegna doversi tenere
nell'amministrazione di questo sagramento la parte
tuziare. Certo è però, come osserva Benedetto XIV,
che l'oiio degl' infermi può anche dai semplici preti
benedirsi con tacita o espi'essa licenza del sommo
pontefice, e che i preti orientali 1' hanno spesso fin
dai più rimoti tempi benedetto , senza essere stati
per ciò rimproverati giammai.
Nel III e nel IV parla della varietà delle parti
del corpo da ungersi, e delle formole praticate, aven-
do per lungo tempo la chiesa latina adoperata la in-
dicativa; dal che si deduce non esser di essenza la
forma deprecativa, come opinarono alcuni scolastici.
Nel V tratta del ministro, il quale deve essere
il solo sacerdote, ne già gli anziani del popolo, come
pretendevano gli antichi protestanti: o gli uomini pii,
probi, prudenti, come voleva Carpzovio: e che giam-
mai in caso di necessità fu amministrato dai laici o
Teologia del Perronk 157
dai diaconi, come dicono Basnagio e Launoio : ben
rilevandosi il contrario da tutto il contesto, dall'ar-
gomentazione del pontefice Innocenzo I, e dall'assur-
do die ne seguirebbe, se in altro modo si potessero
prendere le parole del suddetto santo pontefice. Ne
manca in appresso il N. A. di spiegare il senso in
cui si debbono interpretare le parole di Beda al cap.
V dell'epistola di san Giacomo , ne di far rilevare
che gli ecclesiastici monumenti raccolti dai suddetti
Basnagio e Launoio riguardano l'unzione cerimoniale,
e che l'autorità di Tommaso Waldese non è sì gran-
de da doversi anteporre a quella del tridentino. Quan-
to all'essenza di questo sagramento, se debbasi con-
ferire da uno o da più sacerdoti, dichiara non man-
car antichi esempi dell'estrema unzione amministrata
da un sol sacerdote.
INel VI mostra, che i soli adulti battezzati e gra-
vemente infermi debbonsi ungere, e non già i fanciulli,
i sani, come voleva Dalleo ; che se presso i greci ed
altri orientali venivano unti i vecchi, non si propo-
nevano essi al certo un'unzione sagramentale,ma bensì
una meramente cerimoniale, e che questo sagramento
soleva amministrarsi or prima, or dopo il viatico, co-
me anche in oggi per varie cause si costuma.
Finalmente nel VII parla degli effetti, tra' qua-
li è la remissione de' peccati veniali per se, come
dicono i teologi, e mortali secondariamente, ossia
per accidente contro la opinione di Sambovio, che
attribuiva a questo sagramento il potere di rimette-
re anche i peccati mortali. Che se ciò si volesse con-
cedere, dovrebbe dirsi essere ordinato direttamente a
rimettere i peccati mortali in questo senso, cioè che
i58 Scienze
rimette quelli, di cui non ha il penitente coscienza,
da qualunque cagione sia ciò per provenire.
Gli altri due trattati, dell'ordine cioè e del ma-
trimonio, li riserbiamo ad altri articoli, ne'quali ezian-
dio parleremo del trattato de' luoghi teologici , di
cui ha già il p. Perrone pubblicata la prima parte; il
qual trattato è preso in un punto di vista veramente
nuovo, e scritto con quella profondità di dottrina e
vastità di erudizione, che tutti giustamente ammira-
no nel eh. autore superiore ad ogui elogio.
F. Fabi Montani.
Statistica medica di Milano dal secolo XV fi-
no ai giorni nostri , escluso il militare , del
dottore Giuseppe Ferrarlo. Milano , presso
Giuseppe Bernardoni 1 838-1 840. Volume It
in 8, di fac. 658.
&
'e degno di lode è colui che rende la vita di un
solo individuo più lunga e florida, quanto maggior-
mente lo sarà chi dà norme ai governi , affinchè la
esistenza di popoli sia più lunga e meno disagiata !
Fra costoro debbono collocarsi quei grandi che di
statistica si occuparono , ed in ispecial modo della
parte medica. Quindi è che l'utilità e dignità stes-
sa dell' impresa forma elogio bellissimo , ed intesse
corona di non caduchi allori a Giuseppe Ferrano ,
il quale in Italia ed in Europa siede fra i più illu-
Statistica medica di Milano i5g
stri ed indefessi coltivatori e propagatori di sì utile
scienza. Già die opere di statistica medica accuratis-
sime : continua ora la compilazione di quella di
Milano, intorno alla quale terrò ragionamento.
Nella prima parate si espongono dall'A. i con-
cetti filosofici sull'ordinamento della statistica. Al
principio del secolo XIX surse la scienza statistica,
ed il più grande filosofo statista fu Melchiorre Gioia.
Si die vanto agli stranieri, cioè ad Achenwal profes-
sore a Gottinga ( 17^ ), di avere inventato la pa-
rola statistica. Questo vocabolo derivando forse dalle
voci latine status o statutus, o dalle italiane stato,
stabile, statuito, fu per la prima volta adoperato da
Girolamo Ghilini nella sua opera intitolata Teatro
degli uomini letterati alla pag. 235 e 362 del pri-
mo volume. Il Segneri usò statisti in senso di per-
sonaggio di governo, consigliere o ministro che re-
gola affari di stato.
Achenwal definisce la statistica: « Profonda co-
» gnizione di cose rimarchevoli e veramente esisten-
» ti in uno stato ». Gioia nella sua logica statisti-
ca: « Arte di descrivere, calcolare, classificare tutti gli
» oggetti in ragione delle loro qualità costanti e va-
» riabili: » ed altrove: « La scienza che descrive un
» paese in modo da presentarne i vantaggi e i dan-
» ni di ciascun'oggetto per norma di tutti i cittadi-
» ni, di ciascuna professione, del governo, degli e-
» sieri » ( Indole, estenzione e vantaggi della sta-
tistica. Milano i83o ). Secondo Gian Domenico Ro-
magnosi significa: « Esposizione dei modi di essere e
» delle produzioni interessanti delle cose e degli uo-
» mini presso di un dato popolo ». In un articolo
segnato P. M. inserito nella biblioteca italiana ( gen-
l6f> ScTtWZE
naio 1838) si definiva la statistica., indicandone l'u-
tile scopo, ce'seguenti termini: « Riteniamo che la
» statistica di un paese non debba esser altro, che la
» fedele ed ordinata esposizione di tutto ciò che es-
» so contiene di notabile e giovevole a sapersi , e
» che può esprimersi in quantità determinate. Egua-
» le incarico, per vero dire, ha pure il geografo : ma
» fra esso e lo statista v'è questa differenza, che al
» primo incumbe di somministrare le nozioni gene-
» rali degli oggetti che il paese presenta , e che il
» secondo deve decomporre tali nozioni, f porgerle
ì) suddivise in quegli elementi, che imporla di cono-
» scere e di apprezzare. Così, per esempio, il geo-
» grafo indica la popolazione di un regno, d'una cit-
» tà, d'un luogo qualunque : lo statista non si ac-
» contenta di ciò, ma distingue i maschi dalle femmi-
» ne, i fanciulli dagli adulti, i nubili dagli ammo-
» gliati ec. Queste nozioni cosi decomposte, dovendo
» esprimersi in quantità numeriche, vengono ordina-
» riamente presentate in forma di tabelle o prospetti,
» non solo per abbreviare la descrizione di tanta co-
» pia e minutezza di oggetti, ma per facilitare ezian-
» dio i confronti, che occorre spesse volte d'istituire
» fra le condizioni di un paese e quelle di un al-
» tro. Taluni poi credono le statistiche soltanto fat-
» te per appagare la dotta curiosità dei coltivatori
» delle scienze politiche ed economiche: altri prelen-
» dono invece che non debban servire che ai biso-
» gni dell'amministrazione pubblica e dei governi.
» Noi crediamo che esse giovar possano a questo du-
» plice fine, semprechè le notizie che porgono siano
» sicure, ed in qualche modo autentiche ed officiali ».
Il eh. dott. Ferrano passa ad esporre i princi-
Statistica medica di Milano ,6i
pn statistici di Gioia, Romagnosi e di Tommasini, i
qual, sebbene di grandissima utilità , per esser bre-
ve, tralascio. In questi capitoli si presentano con mol-
ta chiarezza e giudizio le sentenze principali riguar-
dane la scienza statistica (dalla pag. ? alla p. 58 )
Propone quindi un registro degli ammalati, ed una
tavola statistica ad uso degli spedali ed anche delle
case private.
È un vero bisogno che gli stabilimenti sanitari
abbiano un registro in forma di tavola con apposite
divisioni contenenti gli elementi statistici nece sari per
potere dalle loro somme e medii settimanali, mensi-
li ed annuali, dedurre corollari per comune norma di-
rettrice Lna tavola si redigerà per le infermerie me-
diche, altra per le chirurgiche, l'una pe'maschi, l'al-
tra per le femmine, Queste notizie in compendio sa-
ranno possdnlmente, secondo 1' A., le seguenti così
ordinate ( pag. 5o, ).
I. Relative alla località dell'infermeria N. N
ordinaria o straordinaria.
Situata a piano terreno, o al primo piano, se-
condo ec, esposta a settentrione, levante, mezzodì
ponente e e. '
Altezza, lunghezza, larghezza del locale: a voi
ta di muro, o a soffitta di legno, con pareti imbian-
cate dalla calce, o no.
Avente N. porte, N. finestre, N. ven-
tilatori ec, le cui aperture, tutte comprese, som-
mano N. braccia in quadro.
Ambiente suo molto o poco ventilato; vicino o
no ad acque stagnanti.
Elevazione barometrica, temperatura ed umidità
interna dell'infermeria.
G.A.T.LXXXVIII.
i6a Scienze
Confronto col massimo e minimo del barome-
tro, termometro ed igrometro esterno ; osservazioni
aggiunte sul vento dominante, ago magnetico, stato
del cielo, ec.
II. Relative alla persona ammalata.
Sesso, età, quale temperamento ed abito di cor-
po, slato, se celibe, coniugato o vedovo, professione,
abitudini buone o cattive: per esempio, si ubriaca ?
fuma molto tabacco? è dedito ad eccessiva venere? ec.
Soggetto o no a malattie o vizi organici eredi-
tari, congeniti od acquisiti: per esempio, è affetto da
rachitide, scrofola, scorbuto, sifilide ? ec; con quan-
ti salassi o sanguisughe, e con quali rimedi, per es.
la digitale, ec, furono curati i precedenti suoi in-
comodi o malattie, e se v'ha palpitazione di cuore od
altri fenomeni morbosi , in chi soggiacque lungo il
corso della vita all'abuso del salasso o d'altre gene-
rali sottrazioni sanguigne ec ; proveniente da qual
paese, secco od umido; notizie straordinarie spettanti
al caso, ec
Causa della malattia presente, se è nota, dub-
bia od ignota; giorno in cui cominciò il male; se sia
stato curato subito o no, e con quali rimedi.
III. Relative alla durata ed all' 'esito della cu-
ra medica nelV infermeria.
Giorno d'ingresso del malato nell' infermeria e
nome della sua malattia.
Se è morto nelle prime ventiquattr'ore del suo
ingresso.
Giorno in cui è guarito o morto dopo normale
trattamento curativo , ovvero passato in qualche al-
tra infermeria, o dimesso cronico od insanabile.
Statistica medica di Milano i63
Numero dei giorni che rimase in cura nell'in-
fermeria.
Totale numero dei giorni che durò dal princi-
pio al fine la malattia.
Se dimesso guarito è ricaduto, o fu colpito da
altra, e quale malattia, nel corso del primo mese dal-
la partenza dell'infermeria.
IV. Relative ai rimedi usati pel malato.
Numero dei salassi e quantità del sangue cava-
to, delle sanguisughe, delle ventose, dei vescicanti ,
dei clisteri ec. od altre operazioni chirurgiche.
Quali e quanti i rimedi interni ed esterni far-
maceutici e loro costo.
V. Relative al vitto prestato al malato.
Quale e quanto; suo costo.
VI. Relative al servizio particolare e gene-
rale.
Numero dei medici e dei chirurgi, compresi il
direttore, l'ispettore e gli aggiunti medici o chirurghi,
e loro costo.
Numero dei sacerdoti e loro costo, comprese le
spese per l'esercizio del culto.
Costo dei portantini, infermieri, portinai, lavan-
dai, cuochi, facchini ec. ec.
Costo per acquisto e consumo di attrezzi e stru-
menti medico -chirurgici; cinti, ventriere, sospensori,
calze espulsive ec.
Idem pel dissettore e pel gabinetto anatomico.
Idem per biancheria , materassi e cuscini , co-
perte di lana, vesti, fasce, pezze, filacce ec.
Idem pel mobigliare necessario all'infermeria ed
alle persone addette al servizio.
Idem pei combustibili, legna, carbone, cera, can-
dele, olio ec.
i64 Scienze
Idem per uso dei locali, riparazioni, imbianca-
ture annuali, espurghi anticontagiosi ec.
Idem per la cancelleria, ragionateria ed ammi-
nistrazione interna ec.
L'A.. fa quindi rilevare l'utilità di questo spec-
chio. Il confronto delle osservazioni meteorologiche
dell'interno dell'infermeria coll'esterno servirà al me-
dico per conoscere quali variazioni sono più a meno
fauste, sotto quali di queste si svolgono le malattie
asteniche o steniche, leggiere o gravi , e somiglianti
cose. La somma di tutte le età dei malati di un mese,
divisa pel numero dei malati, farà conoscere l'età me-
dia che a preferenza infermò in quel mese. Egual-
mente dalla somma mensile si avrà il sesso, il tem-
peramento, stato, professione e tutt'altro nella tavo-
la indicato. Discorse tali cose, che formano un dot-
tissimo proemio, incomincia la storia della statistica.
Epoca I. Nozioni statistiche presso gli ari"
fichi popoli fino alV E. V. Non esiste alcun' opera
antica che tratti della scienza statistica, seppure non
vogliasi riguardare come tale l'opera di Senofonte de
redditibus (*). Le antichissime nazioni col dividere
la popolazione in caste e tribù, mostrano aver ado-
perato una maniera di statistica partizione. Non si
applicò alla medicina, che altro non era che un'arte
empirica esercitata per lo più dai sacerdoti. Fiorirono
due grandi personaggi, Mosè grande statista-politico,
ed Ippocrate primiero statista-medico. Servio Tullio
534 anni avanti l'È. V. istituì il censo non ancora noto
al mondo.
(*) In questo giornale al ionio 12, pag. 112 si legge un fa-
vorevolissimo giudizio dato intorno 1' opera di Senofonte delle
finanze di Atene , tradotta ed illustrata da Antonio Padovani
prof, ordinario di statistica in Pavia, ove fu stampata nel i8at
col testo a fronte.
Statistica medica di Milano iC5
Epoca IL Dal princìpio delVE. V. sino al-
l''anno iooo. Decadenza in Italia della statistica,
e d'ogni scienza per la successa invasione delle
orde barbare del nord di Europa. Augusto fu il
primo che estese il censo a tutte le provincie 28 an-
ni avanti l'È. V. Visse in quest' epoca Claudio Ga-
leno di Pergamo, genio sublime e brillante, al dire
di Sprengel, il quale comentò ed illustrò Ippocrate.
Tra i lavori statistici sulla popolazione deesi ricordare
la tavola della vita futura di Ulpiano, che è la più
antica tavola della mortalità che si conosca. Eccola.
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i66 Scienze
Nell'opera Corpus iuris civilis romani : dige-
storum lib. XXXV, tit. II ad le geni falcidiami evvi
un regolamento che dimostra, come avessero gli an-
tichi romani già fatto studi statistici, affine di calco-
lare la durata probabile della vita. Alla filantropia di
alcuni personaggi devesi la erezione de'lazzaretti, de-
gli ospedali e delle case di ricovero pe' trovatelli.
Epoca III. DalVanno iooo delV E. V. fino
al 1 7 5 o. Elementi della moderna scienza di sta-
to denominata anche col suo vocabolo tecnico di
statistica, dapprima in Italia, poscia in altre na-
zioni europee, e principio del reale di lei risor-
gimento contemporaneo a quello delle altre scien-
ze ed arti belle. In Milano fu proposto un censo
generale che compievasi nel 1248. Il risorgimento
della notomia nel XIV secolo operò assaissimo pei
futuri progressi della medicina. La repubblica veneta
fino dal XII secolo die ordine per la prima a tutti
i suoi registri con tanta diligenza e con forma sì ac-
curata e magnifica, che quelle pergamene vergate in
tempo, in cui le altre nazioni d'Europa non sapeva-
no quasi scrivere, costituiscono anche al dì d'oggi un
venerabile monumento. Oltre a ciò colle leggi 9 di-
cembre 1268, e 24 luglio 1296 prescrivonsi regole
e forinole, secondo le quali dovevano i suoi diplo-
matici 0 governatori raccogliere, ordinare e presen-
tare al senato la descrizione di quegli stati e paesi,
in cui venivano destinati a risiedere. Saggio ben lu-
minoso di studi statistici fatti a Venezia è quello che
diede nel i3o6 Marino Sanudo il vecchio, sopran-
nominato Torsello, nell'opera da lui composta col ti-
tolo : Liber secretorum fidelium crucis , la quale
nella raccolta Gesta Dei per francos è uscita dai
Statistica medica di Milano 167
tipi vecheliani in Annover nel 161 1 , tratta da un
codice di Paolo Petavio. Questo grand1 uomo, delinea-
ta la topografia dell'Europa, dell'Asia e dell'Affrica,
la scena cioè, come dice Gioia, ove devono compa-
rire gli attori , nella quale egli fece agire flotte ed
eserciti, passa ad enumerare i diversi rami di com-
mercio elle uniscono l'occidente all'oriente, e con-
cepisce l'alto disegno di proclamare quel sistema con-
tinentale, che abbiamo veduto praticarsi da Napoleo-
ne, al grande oggetto di troncare ogni relazione fra
l'Europa e le altre parti del mondo dagl'infedeli oc-
cupate. Così altre importantissime materie statistiche
va ordinando e discutendo, per riunirle nel fine in ta-
vola sinottica che diresti tracciata dalla mano mae-
stra di un Gioia.
Forse nel 1171 fu compilato nella medesima re-
pubblica il Catasto delle case, che venne rinnovel-
lato nel i425. Migliore erane l'ordinamento di quel-
lo, che il duca Carlo di Calabria nel 1 32 7 fece com-
porre da un giudice, e di quelli che ai tempi di Car-
lo V erano in vigore nella Lombardia. » Altro lumi-
noso monumento delle statistiche cognizioni fu pre-
sentato al senato veneto nel 1421 dal suo doge Tom-
maso Mocenigo, il quale espose con somma precisio-
ne la bilancia del commercio marittimo e terre-
stre attivo e passivo fra i veneti stati e le straniere
regioni. Quel doge descrisse minutamente la qualità
e quantità delle droghe, medicine, lane, sete, coto-
ni, metalli, colori ec, che dall'Asia e dall'Affrica ve-
nivano trasportate in Venezia; ed anche ciò che ave*
rapporto col debito pubblico e modo di ammortizzar-
lo, col commercio, colla navigazione, colle forze dello
stato ec. era da lui investigato, fino la potenza na-
i68 Scienze
vale della stessa repubblica ». Gli altri stati d'Italia
giaceano in molta oscurità rapporto alla statistica.
Il Lastri nelle sue Ricerche sull'antica e mo-
derna popolazione della città di Firenze per mez-
zo dei registri del battistero di s. Giovanni ne fa
conoscere le nascite di detta città dall'anno 1^-5 1 al
177/1-5 e ricorda un antico libro di battesimi dell'an-
no 1370 esistente in Siena. I registri di tal sorta
nel nord di Europa toccano appena il i5° e 160 se-
colo. Prima del concilio di Trento ( i545 ) i parro-
chi non erano obbligati a formare i registri di bat-
tesimo.
Ciovanni Graunt pubblicò nel 1661 le sue Osser-
vazioni sopra le tavole della mortalità. Nel 1666
Galeazzo Gualdo Priorato compilò la Relatione del-
la città e stato di Milano , e quindi molte altre
relazioni riguardanti diversi stati d'Italia e d'Europa.
I. Isaac Quatroux o Quintroux nel 1671 pubblicò a
Parigi lo stato generale dei battesimi , matrimoni e
morti di Parigi degli anni 1670 e 167 1. Dopo que-
sti l'inglese W. Petty stampò nel i683 le Osserva-
zioni sulle tavole di Dublino , e nel 1691 die a
luce in Londra l' Aritmetica polìtica, in cui istitui-
sce confronti tra l'Inghilterra e la Francia. Edmon-
do Halley esaminò le tavole mortuarie di Breslavia
nelle transazioni filosofiche dell'anno i6g3.
Lo studio dell'anatomia umana ampliatosi e dif-
fuso arrecò grandi vantaggi alla medicina, come in-
signi furono quei ritratti dalle osservazioni intorno
all'epidemie fatte da Baillou detto Ballonio, da Syd-
henam, da Baglivi, da Lancisi, da Torti e da Val-
carenghi.
La polizia medica e la istituzione dei lazzaret-
Statistica medica ni Milano 1O9
ti resero meno feroci e meno frequenti le posti. Ve-
nezia nel i4o3 e i/^BS avea dato primiera l'esempio
Pisolare i malati di peste e di sottoporre le merci
alla depurazione. Ferrara nel 141 o, come asserisce il
dott. Luigi Buzoni nel suo opuscolo Di alcune di
quelle più giravi pestilenze che in diverse epocìie
afflissero V umanità ( Ferrara pel Bresciani 1829
in 4* )•> avea anch'essa un ben'ordinato lazzaretto.
In Francia ed in Germania sul declinare del
XVII secolo fu creduta la statistica studio nuovo.
Achenwal, che dopo qualche tempo ne ordinò le va-
rie nozioni, fu proclamato fondatore. Niemann co-
mincia l'era statistica da Francesco Sansovino vene-
to, il quale coi materiali che per le citate leggi del
12Gb e 120,6 gli ambasciatori ed i consoli raccoglie-
vano nelle varie parti del mondo, pubblicò nel 1 567
in Venezia Del governo dei diversi regni e re-
pubbliche così antiche come moderne. Butte inco-
mincia lo studio statistico da Vito Luigi di Seken-
dorf, che ne tracciò l'idea nel i656, e da Ermanno
Konring che ne diede lezioni accademiche in Helm-
stadt verso il 1660. Il nostro Gioia nomina esso pu-
re tra primi il Sansovino, e dopo lui Giovanni Bo-
terò piemontese , che stampò in Venezia nel i6o5
sotto gli auspici del doge e del senato la sua Rela-
zione della repubblica. In essa espone la topogra-
fia, la popolazione, le ricchezze , le rendite pubbli-
che, le forze navali e terrestri, l'amministrazione ci-
vile, il clero ed altre cose che porgono 1' idea pre-
cisa del veneto dominio in quell'età : al quale pro-
spetto ne aggiunse un altro consimile intorno allo sta-
to della chiesa; e fino dal i5g2 avea dato a luce in
Roma le sue Relazioni universali, in cui descrive-
va le tre parti dell'antico mondo da accurato statista.
170 Scienze
Al sorgere del XVII secolo lo studio della sta-
tistica cominciò a svolgersi sul Reno ed in Francia,
e se ne han prove nei saggi dì Gaspare Ens a Co-
lonia nel 1609 e 1611, di Pietro d'Avitry a Parigi
nel 1622, di Sully sotto il titolo di Economie reali,
e nelle Repubbliche degli Elzeviri in Olanda intor-
no al i63o , nelle quali furono inserite alcune di
quelle de'veneti e di altri italiani. Questo studio si
dilatò moltissimo in Germania: così in Francia nella
prima metà del secolo XVIII si fecero noti parecchi
saggi sul calcolo di ogni specie, e si distinsero De
Parcieux, De Massence, Moheau, Saint-Cyr , Pom-
meles, Cordorcet, Buffon, Neker con altri.
Epoca IV. Dall'anno 1750 al 1800 delFE. V.
Lezioni ed opere pubbliche intorno alla moder-
na scienza statistica presso le varie nazioni di
Europa. Il nuovo ed ultimo censimento di Milano
fu ordinato nel 17 18 e compito nel 1757: può pro-
porsi a modello per tutti i governi dell'universo. Le
statistiche e le scienze economiche primeggiavano in
Italia : venerandi sono i nomi di Pietro Verri , di
Pompeo Neri, di Rinaldo Carli e di Cesare Becca-
ria ; le loro opere classiche ed immortali. Nel regno
di Napoli il Galanti compilò nel 1789 la Descri-
zione del regno delle due Sicilie , opera che ot-
tenne plausi in Italia ed altrove.
La parola statistica nel 1789 fu usata in In-
ghilterra, ed in quel torno anche in Francia. Schlò-
tzer e Busching raccolsero in copia nelle loro opere
geografiche preziosi materiali statistici , sehhene mal
digeriti. Il senato di Venezia nel 1764 ordinò che
allo spirare di ogni lustro si rifacesse la statistica ;
i magistrati lo eseguirono da inesperti , celando i
Statistica medica di Milano 171
rlsultamenti di quei lavori, e col loro inopportuno
silenzio trassero forse in rovina la patria. Questa fa-
mosa repubblica fino dai suoi primordi fu guidata
nelle sue colossali imprese dalle cognizioni statisti-
che : e quando le coprirono di tenebre , apparvero
i primi segnali della sua caduta, la quale dopo non
molto si verificò.
Eulero nel 1760, Lambert nel iy65 e Bernoul-
li nel 1771 diedero nelle memorie dell'accademia di
Berlino alcune belle dissertazioni sui vari rami del
calcolo di probabilità. Il barone Bienfeld nelle sue
Istituzioni politiche al capo 14 presenta con bre-
vità la Storia dell1 aritmetica politica dal secolo
XVI fino al 1760, anno in cui stampava. Secondo
lui , P aritmetica politica era stata ridotta a scien-
za particolare appena da 70 anni in poi. Hensler e
Tetens nel 1767, Chassetdi Florimont nel T781, ed
in seguito Mohsen, Crome, Schrader, Budde, Mul-
ler ed altri si applicarono al calcolo delle rendite ed
ai quadri statistici. W. H. Mùller pubblicò nel 1799
vari prospetti sul Brandeburgo. Le scienze di stati-
stica fecero grandi progressi in Alemagna e soprat-
tutto in Prussia dopo Federigo il grande.
La Danimarca, avida di tutto ciò che ha rappor-
to colla polizia medica, offre pei tempi moderni in-
numerevoli materiali. La Russia, che cominciò ad oc-
cuparsene nel 1764» ci fornì le sue osservazioni nel-
le memorie dell'accademia di Pietroburgo , e sono
ben ricordevoli quelle di Kraft raccolte nel volume
dell'anno 1782.
Franklin negli Stati-uniti avea pubblicato nel
1785 un articolo sull'aumento della specie umana.
Malthus ed altri scrissero sopra i vantaggi ed i dan-
172 Scienze
ni delP accrescimento della popolazione. Gli ameri-
cani per il loro stesso regime si trovarono obbli-
gati di tenere i registri della popolazione e rinnovar-
ne la numerazione ogni dieci anni. Nei loro medi-
ci Mitchel a New- York, Rush a Filadelfia ed altri,
ebbero uomini atti a secondare le proprie utilissime
vedute.
Fiorirono in quest'epoca grandi medici, tali so-
no Borsieri, G. Pietro Frank, Stoll, Zimmermann ,
Brown ed altri. Molte e grandi furono le scoperte :
e si pose la base di alcune scienze.
Epoca V. Dall'anno 1800 al 1840 delVE. V.
Pubblico insegnamento teorico e pratico della
statistica presso tutte le nazioni, anche applicata
alV arte medica. L'imperatore Leopoldo, che nel 1795
avea prescritto l'insegnamento della statistica in tut-
te le università, fece coprire la nuova cattedra di sta-
tistica in Vienna da Ignazio De Lucca. I suoi succes-
sori favoreggiarono sì bella intrapresa, e al giorno d'
oggi s'insegna la statistica generale delle nazioni nel-
le università di Pavia, Padova, Vienna, Praga ec. Nel
regno lombardo-veneto da parecchi anni si pubblica-
no annualmente colle stampe i prospetti statistici del-
la popolazione, dei nati, dei morti e dei matrimoni
delle singole provincie. Nel regno sardo v'ha un il-
lustre società di dotti intenta a favorire la statistica
in ogni suo territorio, non meno che in altri prin-
cipati d'Italia.
In Francia il ministro Neker istituì un dicaste-
ro statistico , che fu conservato in mezzo alle più
strane vicissitudini di quella nazione : fu poi aggiun-
to al ministero dell'interno. Si formò altresì in Pa-
rigi una società, che die a luce nel 1804 un'opera
Statistica medica di Milano 178
sullo stato della Francia : e negli anni prossimi fu-
rono pubblicati molti prospetti statistici degli ospe-
dali e luoghi pii. Arago a Parigi, Quetelet a Brussel-
les coi loro annuari presentano già da parecchi an-
ni estesi elementi di statistica. A Ginevra si ha da
molto tempo una particolare predilezione pei lavori
di statistica, come ci dimostra la sua Bibliotéque uni-
verselle.
Nell'Inghilterra la pubblicità del suo sistema go-
vernativo ne facilitò la coltivazione. Fra le più re-
centi opere statistico-civili devesi ricordare il qua-
dro della gran Brettagna di Beart.
In Russia si adottarono nel 1802 efficaci misu-
re per la raccolta e l'ordinamento dei materiali ne-
cessari alla compilazione di un prospetto generale sta-
tistico, di cui comparirono alcuni saggi nel 1804.
La Prussia eresse nel i8o5 un apposito officio
pei lavori statistici, che nel 1809 fu aggregato al mi-
nistero dell'interno.
Nel 1802, scrive Balbi, e prima che a Parigi,
a Londra ed a Berlino si dessero alle stampe quei
scientifici giornali, che trattano esclusivamente della
geografia e della statistica, Genova ebbe i suoi An-
nali di geografia e di statistica compilati dal ce-
lebre Gràberg di Hemso, che sebbene per nascita ap-
partenga alla Svezia, pure vuol essere annoverato fra
i dotti italiani, avendo nella nostra favella pubblica-
to la maggior parte delle sue opere, ed essendo egli
collaboratore di più riputati scritti periodici d'Italia.
In Lombardia primeggiò Gioia, quindi Romagno-
si qual principale scrittore degli Annali di statìstica
pubblicati in Milano dal 1824 in poi: e per la sta-
tistica applicata alle venete provincie ( 1824 ) ricor-
iy4 Scienze
derassi ognora il eh. Antonio Quadri. Adriano Balbi
da più di 3o anni si occupa delle scienze geografia
che e statistiche.
Il dott. Giorgio Norb. Schnabel professore di sta-
tistica a Praga pubblicò, non ha guari, la statistica
generale di Europa. L'ultima edizione è del i833 ;
e fu tradotta a Pavia nel 1 835.
« La prima compilazione delle effemeridi, secon-
do l'illustre astronomo di Milano cav. Carlini, fu di
pochi anni posteriore all'invenzione della stampa, e
devesi a Giovanni Mùller di Conisberga, conosciuto
comunemente sotto il nome di Regiomontano deri-
vatogli da quello della sua patria , il quale le pub-
blicò per tutta la serie degli anni compresi fra il i^jS
ed il i53i. Le riprese Stoffler di Tubinga nel 1482,
conducendole fino al i55o. Questo lavoro fu conti-
nuato per opera principalmente degli astronomi ita-
liani Cavalli, Magini, Argoli, Mezzavacca, Manfredi,
Capelli e Zanotti, ne fu più interrotto fino a'giorni
nostri, vedendo noi pubblicarsi regolarmente il Nati-
tical almanac a Londra, la Connaissance des tetris
a Parigi, V^stronomisches iahrbuc a Berlino, e le
Effemeridi astronomiche a Milano ed a Bologna ».
Gl'italiani furono i primi a dare ragionate e pub-
bliche norme di statistica medica con pratica appli-
cazione: e l'antesignano fu Giovanni Rasori, dando il
prospetto di un semestre, cioè dal dicembre 1807 al
maggio 1808, della sua clinica regia militare , che
era posta nell' ospedale militare di s. Ambrogio : il
quale prospetto rimase adora poco attendibile, perchè
scoprironsi in esso sbagliate o trascurate delle im-
portanti cifre , come mostrarono Cerri e Giannini.
Rasori applicò pure il metodo numerico per conosce.
Statistica medica di Milano 175
re qual fosse l'esito delle peripneumonie dietro l'uso
del tartaro stibiato, e la quantità dei salassi stati fat-
ti nelle singole infiammazioni del polmone, e ne ab-
biamo convincente prova nella sua memoria Delle
peripneumonie infiammatorie e del curarle prin-
cipalmente col tartaro stibiato, da esso pubblicata
fin dall'anno 181 1. Così nel 1819 die un nudo e
preciso ragionamento sulla Mortalità comparativa
delle sale mediche e della clinica medica dello
spedale civico di Milano negli anni 1811, 1813
e 1814.
Dal prof. Valeriano Luigi Brera nell'anno i8ia
fu stampato in Padova il Prospetto dei risultati ot-
tenuti nella clinica medica regia di Padova, e si
continuò fino al 1826. Il metodo statistico del prof.
Brera fu migliorato negli anni 18 12 e seguenti.
Il dott. Tiene dava alle stampe nel 181 1 in Pa-
dova un Saggio nosograjico, ossia le risultanze ot-
tenute sopra 556 infermi curati nell'ospedale grande
di Vicenza nell' anno 18 io. Corredò questo saggio
di una tavola meteorologica, in cui egli pose i medii
mensili del barometro, termometro, igrometro ed ane-
moscopio. Così nel 18 18 die il Bilancio medico del
tifo contagioso che regnò epidemico sulla provin-
cia vicentina nel 181 7I, nel quale presentò savissi-
me riflessioni medico-praticbe riguardanti l'abuso che
solea farsi dei salassi e dei controstimolanti.
Pubblicò il dott. Enrico Acerbi nel 18 19 le An-
notazioni di medicina pratica fatta nelf ospedale
maggiore di Milano nel 18 16. Si proponeva con-
tinuarle, ma la morte immaturamente lo colse.
Pregevoli tavole statistico-cliniche veggonsi nel-
l'opera del dott. Annibale Omodei Del governo pò-
176 Scienze
litico -me dico del morbo petecchiale con un pro-
spetto nosografico-statistico-comparativo della feb-
bre petecchiale che ha regnato epidemicamente
nella Lombardia negli anni 18 17 e. 181 8 per uso
dei medici e dei magistrati ( Milano 1822-24, voi.
2 ). In questo trattato inserì moltissime tavole stati-
stiche spettanti alle varie provincie e comunità lom-
barde.
Il dott. G. M. Zecchinelli die a luce una Nar-
razione dell'origine, propagazione, andamento, cu-
ra ed esito del tifo contagioso , che ha regnato
epidemico nella R. città di Padova nei primi ot-
to mesi del 18 17. E un rapporto all'ufficio della con-
gregazione municipale della detta città, nel quale tro-
vasi il prospetto de'petecchiosi, distinti secondo l'età
e la professione.
11 prof. Mantovani, destinato a dirigere la cli-
nica medica pe'chirurgi in Pavia, pubblicò nel 1820
le Lezioni di terapia speciale sulle infiammazioni
e rendiconto clinico dalVanno scolastico 1818 al
1819. Il cav. Carlo Speranza, prof, di clinica medi-
ca nella ducale università di Parma, oltre uNAnno
clinico-medico degli anni 1822 e 1823 fatto di pub-
blica ragione nel 1825 in Parma, die 1' altro anno
clinico-medico pel 1823 e 1824: eruditissimo lavoro,
al quale unì un comentario sul tetano.
Francesco d'Hildebrand, prof, di clinica medica
a Pavia, pubblicò gli Annales scholae clinicae me-
diacae ticinensis pars prima. Papiae iftib^pars al-
tera, Papiae i83o : opera in cui dispiega un vastis-
simo sapere, e che correda di eccellenti quadri sta-
tistici degli infermi in essa clinica da lui curati dal
18 17 al 1821. Pubblicava in Milano il prof. Giaco-
Statistica medica di Milano 177
mo Tommasini nel i83o il Prospetto dei risulta -
menti ottenuti nella clinica medica di Bologna
dalVanno 1823 a tutto il 1828. Il numero degl'in-
fermi è diviso secondo la varia gravezza e qualità di
malattia colla rispettiva mortalità per 100. Il eh. G.
B. Fantonetti dava alle stampe a Milano nel i832 i
suoi risultamenti statistici nella memoria Ratio me-
dendi in clinico instituto medico ticinensi anno
i83o-3i. Il quadro statistico per gli anni i83i-32
fu dal prof, medesimo gentilmente donato all' A. col
permesso di pubblicarlo: e ciò egli ha fatto a pag.
3x2. Anche 1' illustre Gaspare Federigo compilò il
Rendiconto generale degli ammalati ricevuti nella
clinica medica delV I. R. università di Padova
( ivi i837 ).
Dal i83o in poi, dacché il cholera morbus asia-
tico s'introdusse nell'impero russo, da cui si diffu-
se per l'Europa, l'Affrica e l'America, i quadri sta-
tistici e topografici si aumentarono oltremodo: e vano
sarebbe il volere enumerare tutti quelli che riguar-
dano tal contagio.
Il eh. dott. Giuseppe Ferrario nel i834 die la
Statistica delle morti improvvise di Milano, opera
che fu premiata e pubblicata dall'I. R. governo au-
striaco. Questa produzione abbraccia il considerevole
periodo di 84 anni, cioè dal 1780 al 1 834 » e^ G
corredata di io3 tavole statistiche. Si continuò es-
sa nei due annuari di Milano per gli anni 1 834»
i835 e i836. Proponendosi nella suddetta opera
l'applicazione in grande della statìstica alla pratica
dei vari sistemi dominanti di medicina, per avvantag-
giare, o almeno dimostrare quale fosse di essi il mi-
gliore, torna ad insistere sul bisogno di un sì utile
G.A.T.LXXXVIII. 12
1^8 Scienze
sperimento nella Statistica giornaliera, ed in quella
del cholera avutosi in Milano e nel regno lombar-
do-veneto nel i836, lavoro inserito nelle Effemeri-
di mediche di Fantonetti.
Giacomo Locatelli, al quale i riconoscenti cit-
tadini milanesi stanno ora erigendo un monumento
nel civico spedale, compilò il Prospetto della cli-
nica medica dello spedale maggiore in Milano per
Vanno 1816. - I Riassunti numerici annuali delVi-
stituto clinico di medicina pei chirurgi presso V
I. R. università di Pavia dall'anno 1820 al i834,
furono scritti dal prof. G. Del Chiappa. Gli annuali
ragguagli si pubblicarono negli annali universali di
medicina di Omodei.
La clinica medica pei chirurgi nelVI. R. u-
niversità di Padova, alla quale supplisce dalVan-
no scolastico i83o-3i al 1 833-34 il doti. Giaco-
moandrea Giacomini : esposizione compendiata per
opera di Gio. Battista Muglia. Padova i836. In
tale scritto è aggiunto altresì , sotto forma di qua-
dro sinottico, un saggio di ordinamento e denomina-
zione delle malattie, secondo la loro indole e sede,
giusta le vedute dello stesso Giacomini.
Il prof. Carlo Giacinto Sachero al Rendiconto
clinico per gli anni accademici 1 835-3 7 (Torino
i838 ) unì un quadro nosologico, secondo 1' ordine
anatomico-fisiologico da lui adottato nell' insegna-
mento. Nella medesima Torino il dott. Bernardino
Bertini pubblicava nel i835 la statistica nosologica
dal 1821-34 dello spedale de'ss. Maurizio e Lazzaro,
distinguendone i malati secondo i mesi dell'anno, la
loro età, professione ec. Il Saggio di statistica del
regio manico/nio di Torino dal 1 gennaio i83i
Statistica medica di Milano 179
al 3i dicembre i836 del dott. Giovanni Stefano
Bonacossa ( Torino 1837 ) raer^a di essere propo-
sto a modello in opere di simil genere, avendo egli
adoperato una minutezza ed una precisione mirabile.
Anche il Longaretti stampò nel i833 un Quadro
statistico dei mentecatti incorrati negli asili di
Bergamo dall'anno 1823 al i833.
Il dott. A. Bosi, medico provvisorio dello spedai
le di Faenza, compilava nel 1 887 la statistica medica
di quello spedale dal luglio i836 al fine di giugno
i837.
Passando alle statistiche chirurgiche, incomincia
FA. da quella del prof. Bartolomeo Signoroni come
la migliore. Pubblicò questi nel 1825 i Risultameli-
ti avuti nella clinica chirurgica dell' 1. R. univer-
sità di Pavia in quell'anno , esponendoli con can-
dore e verità. Passato il Signoroni nel i83o alla cat-
tedra chirurgica di Padova, die molti articoli di chi-
rurgia teorico-pratica, epilogati in un libro, affinchè
servir potesse di testo per le sue lezioni di chirur-
gia pratica. Vi unì le risultanze ottenute nel trien-
nio scolastico i83o-33 della medesima clinica chi-
rurgica di Padova. // prospetto delle malattie ed
operazioni avute nell'istituto chirurgico di perfe-
zionamento in Vienna durante l'anno 1821-22, sot-
to la direzione del prof. Kern, fu riportato dall' A.
per confrontare questi risultamenti con quelli del prof.
Signoroni: e da ambedue le opere ha formato i ri-
spettivi quadri statistici, la materia dei quali era fusa
in quegli scritti.
Il prof. Frank a Lipsia nel 1808 dava i risul-
tamenti della sua clinica di Wilna capitale della Li-
tuania: Acta instituti clinici caesareae università-
ilio Scienze
tis vilnensis annus primus et secundus 1805-1807:
nel 18 12 Annus tertius, quartus, quintus et sextus,
cioè lo stato della sua clinica dall'anno 1808 al 181 1.
Dei ridicoli omiopatici mi taccio : mentre, più
tosto che meritare l'occuparsi di loro, son degni di
esser fischiati dalla più vile plebaglia.
L'A. parla quindi dei computi fatti dagli arit-
metici politici sul numero degli abitanti, matrimoni,
nati e morti, sulle loro proporzioni, sulla vita media
e probabile in generale , e sopra la mortalità degli
spedali. F, tutti questi gravissimi argomenti di sto-
ria statistica svolge egli con grande erudizione e mae-
stria , appoggiando le sue idee a quelle dei sommi
maestri, a tavole statistiche di ogni maniera , tratte
dalle varie nazioni del globo. Presenta quindi le pro-
poste, le discussioni e le determinazioni di alcuni prin-
cipali corpi scientifici di Europa sulla statistica medi-
ca, i giudizi intorno alle sue opere statistiche, ed in
fine riporta per intero la memoria che lesse a Pisa
nel giorno 7 ottobre i83q intitolata: « Ragionamenti
n sull'utilità e necessità della statistica patologica ,
» terapeutica e clinica ; pensamenti sull' istituzione
» pubblica di una statistica medica nazionale e ma-
il gistrale, consentanea alla filosofia del secolo XIX.»
Fu inserita nel volume 92 pag. 249 degli annali
universali di medicina di A. Omodei, qui riprodotta
con l'aggiunta di alcune note, e di un modello di
tavola nosografica.
Le opere di statistica pubblicate dal eh. dottor
Ferrano sono di tale importanza, che meritano es-
sere profondamente studiate dai governi e dai dotti.
La diligenza e l'esattezza, pregi necessari nella stati-
stica, spiccano soprattutto nei suoi scritti. Cento ot-
Statistica medica di Milano i8r
tantasei tavole impaginate economicamente dispose
nel primo tomo dell'opera in discorso, la quale con-
tiene la storia della statistica fino a'nostri giorni. Si
sobbarcò egli all' enorme fatica di porre a disamina
tutti i calcoli presentati dagli statistici, intorno ai qua-
li ragiona: e molti di questi che trovò errati , pre-
senta correttissimi : altri ne creò egli stesso col mi-
nutissimo studio di opere che ne mancavano. Oltre
a ciò arricchì quest'opera delle vedute teorico-prati-
che dei diversi autori medici , le quali servono per
mostrare i rapporti tra le seguite norme e le risul-
tanze statistiche che si ebbero : il che è metodo uti-
lissimo e sommamente commendevole, perchè mostra,
e meglio lo mostrerà coll'aumento dei fatti, quali so-
no i sistemi medici preferibili.
L'angustia di un giornale mi ha limitato in tanta
ricchezza di dottrine, di erudizione e di fatti, a spor-
re soltanto le più importanti cose trattate dall' A.,
ed a presentare una maniera di bibliografia statistica,
dalla quale chiaro apparisce ciò che gì' italiani han-
no operato tanto nei tempi antichi quanto nei mo-
derni, prima per fondare, e quindi per rendere grande
e filosofica la scienza statistica.
( sarà continuato. )
Enrico Castrecà Brunetti.
Ili2
LETTERATURA
L'illustre Italia.
Dialoghi di Salvatore Betti.
DIALOGO PRIMO.
i.N«
on sono molti mesi passati che stando io, co-
inè soglio, atteso di buon mattino a'miei studi, venne
a me un pittore non solo degli amicissimi , ma de'pri-
mi che a questo tempo fioriscano le nostre arti: impe-
rocché tutto dato nobilmente a seguire le divine scuole
di Leonardo e di Raffaello, gloriasi di non avere in-
chinato giammai l'altezza dell'ingegno italiano ad al-
cuna viltà forestiera. Di che non può credersi quan-
to mi sia caro anche per questo : considerando esse-
re così tepido a* nostri giorni , per non dir mezzo
spento, l'amor della patria : e chi gittarsi qua e chi
là scapestratamente non meno nelle arti, che nelle
lettere : quasi tutto sia eccellente , che non porti
l'illustre ITALIA i83
seco alcuna sembianza di cosa nataci di qua dall'al-
pe. Grand'esempio della sazietà, che anche l'abbon-
danza del gentile e del bello suol generare in anime
non bene educate a niuna vera beltà e gentilezza !
Anzi esempio dello stretto vincolo che fra loro han-
no i disordini degli stati e quelli dell'intelletto. Oh,
diss'io appena vidilo entrare, sii tu il ben venuto, o
Guglielmo ! Qual mia fortuna, o carissimo , ti con-
duce sì di buon'ora a consolar di una visita l'amico
tuo ? M'è bisogno, egli rispose, il tuo consiglio in
cosa che da molti giorni ha voluto, non che ogni mia
opera , ma dirò quasi tutti i pensieri miei. Affé , o
Guglielmo, io soggiunsi, che a ben povero senno tu
ti rivolgi se t'è bisogno di aver consiglio ! Ma se a
questo difetto può sovvenire la lealtà e 1' amicizia ,
parla pure : che io sarò in ascoltarti tutt'anima, non
che tutt'orecchi.
Egli allora prese a narrare così : Io non ti dirò
di un signore cortese, di cui non so se il più magnifico
si sappia in Italia e fuori: di un signore, che per amor
vero alle belle arti sembra quasi voler rifiorire l'età glo-
riosa de'Medici e degli Estensi. Noi ne abbiamo spesse
volte parlato : ne qui vale ridire le lodi sue. Or questo
signore, fattomi a se un giorno richiedere siccome suo-
le, desiderò ch'io vedessi una sua gran sala, a cui non
saprei dirti qual'altra in Roma sia da ugualiarsi, così per
la luce che d'ogni parte v'entra bellissima e per la va-
stità, come per la forma che ha di un perfetto quadrato.
Puoi tu immaginarti se colle parole più belle che io
avessi gli lodai quella nuova sontuosità principesca:
tanto più che in Italia ( e, ciò ch'è più indegno, in
Roma stessa ) colle altre corruzioni straniere si è pu-
re introdotto da alquanti anni un certo far sì tacca-
184 Letteratura
gno eziandio nelle fabbriche, che giureresti i presen-
ti signori non vagheggiare più altro che la meschini-
tà e la grettezza così nelle vesti, come nelle aule di
loro gentile ricreazione. Quanto diversi, o Betti, dal-
la grandezza de'nostri avi e dall'antica dignità delle
arti ! Ma vuoisi essere in tutto o francesi o britan-
ni : con cento varietà di sete e di nastri e di veli,
e talor anche di carte, scusare la più eccellente pom-
pa della pittura : colla gala degli arredi, cosa che sì
presto passa, supplir la mancanza della decorosa am-
piezza del luogo : sicché ci è venuta quasi a dispetto
quella romana magnificenza del secolo XVI emula
della maestà de' cesari ! Con viso assai lieto accol-
se il nobilissimo quelle mie congratulazioni : il per-
chè con maggiore benignità ristrettosi meco , dopo
avermi un poco guardato, con un tal sorriso mi dis-
se, ch'essendomi la bella sala così piaciuta, a lui pu-
re piaceva che io dovessi trovare il modo di ornar-
la. Ma di ornarla, soggiunsemi, all'italiana : percioc-
ché nato e cresciuto, per divino favore, in questo
giardino dell'universo , non ho maggior pensiero in
ogni mia opera che di mostrarmene buon cittadino.
Sia dunque cura del vostro valore nell'arte il dipin-
gervi quante più glorie potete de' nostri avi : sicché
andandovi poi a diporto, io possa almeno tra le pa-
reti domestiche sollevai*e lo spirito; e coli' alterezza, che
dà una illustre patria, additarle non che agli stranie-
ri , ma sì agl'italiani perchè meglio si conoscano e
si rispettino. E di quali glorie intende vostra eccel-
lenza, io risposi ? Perchè molte ne abbiamo, e fiori-
teci in tutti i secoli , così religiose e civili , come
guerriere, letterarie ed artiste. In voi rimetto lo sce-
gliere, egli riprese : né altro per ora vi chieggo, che
L'ILLUSTRE ITALIA l85
di porgervi degno, non pur di questa fiducia, ma del-
l'italiana grandezza. Chinai a tali parole il capo, non
saprei affermarti se più per modestia , o per timore
che avessi : considerando , come Dante direbbe, II
ponderoso tema - E V omero mortai che se ne car-
ca. E poco stante presi ed ottenni licenza da quel
gentile, promettendogli di tornar quanto prima co'miei
disegni.
Ora non sai tu, Salvatore, che cosa mi sia pro-
posto ? Egli vuol solo rappresentate alquante glorie
italiane : ed io intendo invece di ritrargliele presso-
ché tutte. E come, io soggiunsi ? In una vasta cam-
pagna, diss'egli, rallegrata qua e là da be'poggi e bo-
schetti e ruscelli, ove credasi che fra l'erbe ed i fio-
ri, o presso il zampillar d'una fonte, o sotto l'om-
bra di un albero, vivano i piaceri dell'antica vita gli
spiriti più famosi di quante sono mai state le gene-
razioni dell'italica civiltà. Credi tu che troppo senta
di mitologico questo concetto ? A cui io : Noi cre-
do ; perchè consolazione non più moderna che anti-
ca dell'umana miseria, in questo sogno di una notte
eh' è il nostro vivere, non è forse l'immortalità delle
anime ? Ed oh benedetta anche per questo la religio-
ne del vangelo, che predicando la certezza di un'al-
tra vita, ci dà tanta speranza di dover essere nuo-
vamente co'nostri più cari là dove tutto è sempiter-
no e beato ! Ti so dir anzi, che non saprei pensar
cosa che meglio di questa tua finzione confacciasi al-
la ragione di tutti i tempi, dovendo tu rappresenta-
re un consorzio di celebri estinti. Qual poema in-
fatti meno mitologico della divina commedia ? E pu-
re l'eccellenza di quell'unica mente ci porse a vede-
re, sopra quel suo prato di fresca verdura, tanti spi-
i86 Letteratura
riti magni e donne e cavalieri d'ogni credenza reli-
giosa e nazione. E tenne forse altro modo il divino
urbinate, quando nelle stesse camere de'pontefici di-
pinse il Parnaso e la scuola d'Atene ? Ma dimmi in-
tanto alcun che delle precise ragioni dell'opera tua ;
perciocché appena so immaginare come tu ci abbia
potuto convenientemente ritrarre, non dirò tutti, ma
sì almeno la maggior parte de'sommi ingegni che ono-
rarono l'Italia.
E Guglielmo : Ho io ritratti qui tutti coloro co-
si dell'antica come della novella Italia, i quali, per
quanto la mia poca dottrina ha saputo trovare, fiori-
rono massimamente per fama di scienze, di lettere e
di arti: non attendendo in ciò ad alcune loro opi-
nioni, le quali non perchè furono meno rette ebbe-
ro perciò meno rinomanza e seguito fra le genti, e
meno mostrarono l'inventiva e l'altezza dell'ingegno
italiano: se non vogliasi dir piuttosto la libertà che
richiedesi così a creare come a combattere un gran
pensiero. Oltreché in certi alti spiriti non tutto può
essere sì riprovevole, che anche vaneggiando essi in
gravissimi errori non ti rivelino sovente, come lampi
di una mente creatrice , verità non pur grandi ma
spesso feconde di utilissimi insegnamenti. Aggiungi la
varietà de'giudizi : e le sentenze quanto discordi in-
torno alla virtù ed al vizio (cose talor mutabili secon-
do il mutarsi de'governi e de' tempi ), altrettanto con-
cordi inforno alla celebrità. Qual uomo di stato nel-
1' istoria francese salì in maggior grido di quell'Ar-
mando di Richelieu, che per tanto tempo ebbe in
mano la volontà del re e la fortuna della nazione?
E pure quanta diversità di sentenze sulla sua vita !
Intantochè chi l'alza fino alle stelle, chi lo deprime
L ILLUSTRE ITALIA IO 7
fino agli abissi : ed il Montesquieu non lia dubitato
chiamarlo il pessimo de' francesi. Ora chiunque egli
si fosse , certo è che tutti in Francia il porranno
sempre fra i famosissimi per fatti e di guerra e di pa-
ce : sicché se anche l'autore dello spirito delle leggi
avesse dovuto fare pe'suoi questo lavoro che ho fatto
io per gl'italiani, non sarebbesi già passato del Ri-
chelieu, anche disapprovando, o per dir meglio ma-
ledicendo, cotanta parte delle sue imprese : oltre al
non perdonargli ( superbia francese ! ) d'essersi alzato
a si gran potestà pel favore di due de'nostri, cioè del
maresciallo Concini e della regina Maria de'Medici.
Due sole condizioni d'illustri ho io tralasciato :
quella cioè de'fortunati ch'eroicamente essendo vissuti
in ogni perfezione di virtù, non consente il culto ve-
nerabile de'nostri padri che senza profanazione possa-
no mai esser posti in altro luogo che in cielo. Perchè tu
non vedrai qui niun dottore o padre della chiesa, e
niuno pure di que' patriarchi che furono tanta luce di
carità e d'amor santo in mezzo gli orrori de'secoli del
ferro e dell'odio. L'altra condizione , che altresì ho
tralascialo, è di coloro che un' augustissima dignità
fa soprattutto degni di gran riverenza alle genti cri-
stiane. Ciò sono i romani pontefici. Ed oh , Betti ,
quali nomi famosi mi è stato mestieri di omettere !
Certo, rispos'io, famosissimi e d'alto ossequio così
nel magistero delle cose divine, come nella civile sa-
pienza ; e nell'aver poi sotto il gran manto accolte
a patrocinio e lettere e arti, voluto a tutta Europa farsi
autori di pubblica beneficenza, e preso cotanta cura
della grandezza e dignità italiana. Imperocché lascia-
mo parlare gli stolti : ed a noi sia certissimo, che sca-
duta Italia da ogni antica maestà d'impero : fatta vi-
188 Letteratura
le di opere, feroce di leggi, superstiziosissima di co-
stumi : ridotta infine a non aver altra forza, che la
barbarica della vendetta : guai se al grand'uopo non
fosse occorsa la santità della mente e del petto de'
romani pontefici, i soli che onorande e maestose fi-
gure ( se talor ne togli quel consesso di savi che gui-
dò la repubblica veneta ) si sollevassero in mezzo al-
l'universale abbiezione colle virtù dell'animo, quan-
do più non potevasi colle armi : tenesser fede al no-
me romano : ed a'piè si vedessero e cesari e re, non
so se con gloria maggiore della religione o dell' al-
tezza italiana. Così è , riprese Guglielmo : sì eh' io
spesso rido la presunzione di chi le cose leggermen-
te considerando , non avverte la maraviglia di una
gran successione di principi, la quale, benché com-
battuta da odii fierissimi, ha nondimeno veduto tanti
strani rivolgimenti d'imperi, e lo spegnersi di tanti re-
gni che per fortuna e per armi parevano d'ogni parte
sì fiorenti di vita e quasi sfidare i secoli ! Una succes-
sione di principi che, con tutta l'antichità sua, osserva,
o Betti, come non pur si mostra piena di nervi e vigore,
ma sì parla ancora intrepida ed autorevole, circondata
da quasi ducento milioni de'suoi fedeli, il sacro linguag-
gio che già tuonò sulle labbra de'Gregori, degli Ales-
sandri, degl' Innocenzi ! Oh ben puoi credere quante
volte in quest' opera abbia io dovuto far forza alla
mente, e quasi alla mano ! Ma la riverenza delle som-
me chiavi mi ha trattenuto.
II. Eccoti pertanto il disegno che sembrami do-
ver proporre per la prima delle quattro pareti. Ho in-
teso di "voler qui ciò ch'ebbero di più illustre le scien-
ze : incominciando da quelle che le altre più avan-
zano di nobiltà e sublimità, dico le morali e le me-
l'illustre ITALIA jgq
tafisiche. Sicché signore della grande schiera ho po-
sto Pittagora, il grandissimo, a chi fra'gentili dobbiamo
primieramente il gran dettato: Che gli dei ci hanno
conceduto due cose bellissime fra tante altre, la be-
neficenza e la verità. Perciocché ricordami che da te
mi fu detto ( anzi non so in quale tua opera scri-
vesti ), essere stato quel savio assolutamente italiano.
Non sono stato io, risposi , o Guglielmo , il primo
ad attribuire alla nostra gente questa gloria dell'an-
tica filosofia, anzi fonte principale del sapere italico e
greco : ma sì furono Aristosseno, Teopompo ed Ari-
starco, il cui testimonio ci rapportano Clemente ales-
sandrino ed Eusebio : seguiti poi fra' moderni dal Da-
ti, dal Maffei e dal Macri. Anzi quest' ultimo con
assai dottrina difese teste 1' opinione , che già pu-
re ne aveva uno de'più sublimi nostri intelletti, san
Tommaso d' Aquino : che foss' egli cioè della Samo
italica, confusa poi dalla greca boria coli' isola dell'
Egeo. E chi sa che quel Neante, il quale in Clemen-
te alessandrino si dà per sirio, non fosse anzi di Siri
città celebratissima ed antichissima della magna Gre-
cia ? D'onde probabilmente venne pur quel Ferecide,
figliuolo di Badi, da cui ebbe Pittagora i primi in-
segnamenti della sapienza. Certo è che della patria
di questo famoso non ebbero i greci una cognizione,
che potessero dir sicura : e che 1' isola di Samo si
trasse innanzi ad appropriarsela più per caso di no-
me, che per altra fondata ragione. Perciocché quel-
l'isola non può di Pittagora vantar altro precisamen-
te , che l'autorità di chi lo disse di origine samia :
là dove l'Italia ti mostra il luogo della sua stanza ,
della sua grandezza, della sua morte : ti mostra la
sua filosofia, cui diede il nome d'italica: infine ti mo-
190 Letteratura
stra ciò che imprese a fare con tanto amore di cit-
tadino ne'governi della nazione. E chi vorrà inoltre,
soprattutto nell'istoria italiana, giurar più sulla fede
di que'greci di là dal mare, i quali con vanità incredi-
bile e con propria sentenza attribuendosi il princi-
pio ed il fiore di tutte le civiltà della terra, mentre
oltraggiavano col nome di barbare le altre genti, era-
no poi essi stessi chiamati fanciulli dagli egiziani ?
E veramente gran senno dobbiamo ravvisare ogni gior-
no in quella loro licenza di antichità ! Gran sen-
no veramente ci mostrano in questa nuova luce di
studi, in questo percorrere che si è fatto e si fa dal-
l'un canto all'altro la terra con tanti aiuti di lingue,
e più di filosofia , e con tanti nuovi confronti delle
opere d'ogni popolo e generazione !
Hai ben ragione, disse Guglielmo : e mi sovvie-
ne del nostro Girolamo Amati, quando pur difende-
va che Zeusi, fiorito sempre in Italia, e discepolo di
Demofilo d'Imera, era dell'italiana Eraclea. Al che io:
Né l'Amati errava : e prima di lui avevano tenuta
quella sentenza, non solo gli altri italiani Giambati-
sta Bianconi e Vincenzo Cuoco, ma sì pure i fran-
cesi Hardouin e Brizard. Laonde spero che avrai po-
sto con gran sicurtà fra' nostri artefici anche quell'
immortale maestro. E puoi tu dubitarne, rispose Gu-
glielmo ? Attendi, e il vedrai fra quegli altri che più
onorarono le antiche arti di questa madre comune ,
cioè fra i due scultori celehratissimi di Reggio e di
Leontini. Or eccoti Pittagora: ed è colui che sedendo
su bianca pietra e all'ombra di un faggio, vedi in aspet-
to pieno di certa dignità misteriosa, che ben si affa,
se non erro, alla ragione della sua filosofia : essen-
doché egli stimasse, come testimonia Giamblico, i se-
L'ILLUSTRE ITALIA IQI
greti della sapienza non doversi aprire che ai degni:
cosa che forse apprese da quelle arcanissime dottri-
ne de'caldei e degli egiziani. Ed io : Bene hai detto,
forse: perchè ad alcuni dottissimi , e soprattutto al
Vico , non sembrano possibili ad una età sì remota
i viaggi di Pittagora né in Egitto, ne in Tracia, né
in Asia : e quanto a quelli nelle Indie, l'acuto giu-
dizio del Romagnosi già pose in gran dubbio la sa-
pienza antichissima de' brahmani : benché Plutar-
co, Origene, Clemente alessandrino ed altri di quel-
l'età, in cui sì facilmente giuravasi sulle vecchie fa-
vole, non pur gli abbiamo per veri , ma ci narrino
perfino, avere il filosofo voluto in se sostenere il ri-
to della circoncisione, perchè non gli fossero vietati
in Egitto gli arcani del suo maestro Sonchide arci-
profeta. E Guglielmo : Tempi veramente sciaguratis-
simi, quando è bisogno che la verità sia un arcano !
Ma pur troppo, diss'io, è talor necessario, se non ce-
larla del tutto al volgo, almeno temperarne a quella
infermità d'occhi la luce sfolgorantissima ! E ciò fe-
cero pure i romani : ed è sentenza di Varrone , in
un passo conservatoci da sant'Agostino nella città di
Dio, doversi molte cose anche importantissime igno-
rare dal popolo, che sono vere, e molte altre lascian-
gli credere che sono false : in ciò stare dicendo egli
il segreto della sapienza, con cui si reggono le città
e gli stati. Sentenza ch'egli prese forse da Parmeni-
de, il quale oltre a tutti i pitagorici parve convinto di
quel gran vero, che pur troppo ciò che ai saggi sem-
bra ridicolo, è necessario agli stolti ! Imperocché, se
non erro, Simplicio racconta aver egli composto due
opere di filosofia : l'una pe'dotti, nella quale con su-
blimità di pensieri esponeva le sue dottrine : l'altra
iqa Letteratura
pel volgo, ove degli dei parlava secondo le comunali
opinioni. E che altro intendeva Socrate quando a
tutti gli uomini faceva colpa della menzogna^ salvo
a quelli che seggono al timone della repubblica ? Co-
munque ciò sia, riprese Guglielmo ( giacche io non
mi pregio molto d'iniziato ne' misteri del governare
gli stati ) , a me bello è il pensare che i tempi di
Pittagora, la Dio mercè, non torneranno mai più: né
avremo quindi mestieri di ritagliarci col ferro niuna
parte del corpo per apprendere la perfezione della
virtù. Perciocché l'immensa luce, che al mondo è ve-
nuta dall'essersi trovata la stampa, ha trionfato di tut-
ti gli arcani e tolto per sempre l'ombra che offuscava
il vero. Ed alla stampa è poi seguitato 1' altro non
meno utile provvedimento, introdotto forse prima d'
ogni altro fra noi (benché in mezzo le ire di chi gridava
alla profanazione della sapienza) da Alessandro Pic-
colomini arcivescovo dottissimo di Patrasso : di di-
scorrere cioè nella lingua viva le cose della ragione,
perchè sia così reso universale, come Dante direbbe,
il lume ch'è fra la verità e l'intelletto , senza biso-
gno alcuno di saper greco o latino. Ma di ciò se ti
piace, disputeremo altra volta. Prosiegui intanto a dir-
mi ciò che con franchezza ti pare di quella imma-
gine di Pittagora. Egregiamente, io dissi, hai tu fatto
ponendolo a sedere, siccome principe ch'egli fu vera-
mente dell'antico sapere : essendoché la filosofia non
abbia preso precisamente condizione di scienza, che
per opera di Talete e di Pittagora : con questo pe-
rò che la setta italica ebbe alcun che di maggior fon-
damento, che non ebbe l'ionica. Imperocché, o Gu-
glielmo, debbesi ad essa principalmente non pur tut-
to ciò che di più spirituale ed alto filosofarono So-
L'ILLUSTRE ITALIA Iq3
crate e Platone, ma quanto di più ragionevole dispu-
tarono poscia e greci e romani intorno la scienza ci-
vile, di cui a Pittagora dà Giamblico la gran lode
non solo di primo maestro, ma di ritrovatore. Che
veramente, o mio caro, ebbe ragione quel nostro Vi-
co allorché disse, la Grecia non avere avuto altro a'
tempi del savio di Samo, che la sapienza poetica, la
quale non è che la filosofia de'popoli ancora barba-
ri. E chi non sa infatti che fosse fino all'età del fi-
gliuolo di Sofronisco la greca filosofia, che ne pure
aveva per farsi intendere un filosofico linguaggio ? E
Guglielmo : Piacemi, o Betti, questo giudizio tuo: e
desidero che cosi mi approvi anche il modo, onde ho
voluto che si conosca il filosofo al solo primo guar-
darlo. Vedi infatti che ho scelto fra le tre immagi-
ni, che di Pittagora ci dà Ennio Quirino Visconti,
quella più grave e dirò pur pittoresca del rarissimo
conformato del reale museo di Parigi : perciocché al
romano archeologo quel volto dignitosamente barbato
sembrò più confarsi all'opinione che gli antichi ave-
vano delle sembianze del sapientissimo. Oltreché
quella foggia di vestire, senza mostrare ignuda tanta
parte della persona, è a me sembrata non solo più
decorosa a chi primo fra'gentili usò la morale a di-
mostrare la religione, ma sì più istorica : e tale che
bene convengasi col candore della veste di lino, che
secondo Giamblico e Filostrato indossavasi così da
Pittagora, come da'suoi discepoli: per adoperar cosa,
dicevamo, data loro dalla terra, anziché tolta alle spo-
glie di alcun vivente. Avrei anche, sulla fede di Elia-
no, potuto cingergli il capo d'una corona d'oro. Ma
io non credo in Pittagora quella superbia : e certo
male si affa, se non erro, ad un savio non pure di
G.A.T.LXXXVIII. i3
ic)4 Letteratura
sì gran sentimento, ma modestissima: per non di-
re che invano se ne cercherebbe esempio in veru-
na delle immagini sue. Gli ho posto in mano le se-
ste : essendoché, filosofo delle proporzioni e dell'ar-
monìa, ordine principalissimo del suo insegnare fosse
la geometria, che sì acutamente chiamava istoria del-
le cose sensibili e materiali. Quanto in ciò diverso,
o Beili, dagli epicurei e dagli stoici ? E vedigli a'
pie la lira ed un abaco, come a colui che le verità
intellettuali soleva far comprendere e co' numeri e
colla musica , eh' egli diceva purgatrice efficacissima
delle passioni dell'animo. Credi tu che subito si co-
nosca esser egli Pittagora ? Chi non è al tutto ignaro,
io risposi, delle cose filosofiche, penso che veramente
non possa in questa effigie non ravvisare incontanen-
te il fondatore della scuola italica.
A lui presso, seguitò Guglielmo, è Parmenide,
quasi di alcuna cosa interrogandolo : al quale vedi
in mano un Amorino, siccome a chi diceva, non al-
tro che amore avere insieme composti tutti i prin-
cipii degli esseri, e così formato a quest'armonia gli
elementi e le sfere. Perciocché di Parmenide non ho
potuto trovare immagine, non che genuina , ma né
pur di dubbia opinione. Ed io : A me, s'ho a dirti il
candido vero, non sa in tutto piacere questo modo tuo
di ritrarlo : pensando che il filosofo, in ciò che nomi-
nò Amore, ebbe in mente più alta idea ed intellet-
tuale che la greca divinità di Cupido. Or non po-
trebbe, o Guglielmo, abbandonarsi questa, dirò così,
troppo volgare rappresentanza di una mitologia , a
cui non pare che l'alto senno del sapiente di Elea pre-
stasse veruna fede , e porre invece eh' egli col dito
indicasse quel suo famoso uno> ai quale, sceverando
L'ILLUSTRE ITALIA Iq5
ciò che è da ciò che appare, intendeva ridurre tutte
le cose dell'intelletto ? Fa inoltre che assai venerabile
sia di aspetto, e con bianche la chioma e la barba,
come ce lo descrive Platone nel dialogo che intitolò
da lui, Nò saresti forse ripreso se anche lo incoronassi
dell' alloro poetico : essendo stato anch' ei di que'
vecchi, che al modo di Senofane e di Empedocle scris-
sero in versi le filosofiche loro dottrine, e perciò po-
sero con Esiodo i principii della poesia didascalica.
Certo è migliore, disse Guglielmo, l'avviso tuo:
ed io lo seguirò volentieri. Vicino a Parmenide sono
Ippaso, Alcmeone, e quel Filolao, di cui (oltre ad es-
sere stato il primo a rivelare agi' italici ed a1 greci
il segreto pittagorico del muoversi della terra) niuno
con maggior fondamento aveva mai disputato la na-
tura dell'anima, e mostratane l'immortalità : sicché il
suo libro, come sai, giunse a Socrate così caro, che
fino ricordavalo in queli' istante , che vittima , non
so se più della malvagità o dell'ignoranza, dovette ber
la cicuta. E lui e quegli altri intentissimamente ri-
guardano Marsilio Ficino e Pico dalla Mirandola, lie-
tissimi in vista di trovarsi innanzi a'famosi, che già
invaghirono Platone di venir fra noi, e il fecero quin-
di tornare in Atene sì ricco de'tesori della nostra sa-
pienza. L'uomo che dietro a Parmenide osservi in quel-
l'atto d'inspirarsi quasi ne'sublimi ragionamenti del fi-
losofo samio e de'suoi seguaci, è Vincenzo Cuoco: di
cui l'antica dottrina italica, e soprattutto le scuole di
Crotone e di Elea, non ebbero né più eloquente né
più dotto investigatore : benché, lasciatosi anch' egli
trarre alle sottilità metafisiche di quel sublime so-
gnatore che talvolta fu il Vico, movesse alcun dub-
bio suir esser vissuto mai questo grande, ch'ora egli
196 Letteratura
contempla con tanto amore : quasi che Pittagora, se-
condo quel suo parere, non fosse stato veramente che
un'idea trovata dagli antichi ad indicare un famoso
collegio italico di sapienti. Opinione ben diversa dal-
l' altra che avuto ne aveva il Dodwello , che anzi
volle supporne due : l'uno greco , e l'altro tirreno.
Ma tuttavia , diss' io , eccellente è il suo libro de*
viaggi di Platone in Italia : nel quale se non è la
purità della lingua , è certo la purità del pensiero :
e soprattutto 1' amore della patria e della sapienza.
Sicché con giudizio italiano seguite vi sono le dot-
trine più ragionevoli sulle nostre antichità; alle quali
diede anch'egli più alta origine che non le favole ome-.
riche e i sogni de' greci: erudizione ornai da collegio.
Zenone di Elea, proseguì a dire l'artista, secon-
do l'immagine che ci è difesa del grande Visconti y
è quell'altro che là ti si porge in atto di chi disputa:
sendo stato egli il primo, come sai, a trovare, o se vo-
gliasi perfezionare, quella deduzione naturale di prin-
cipii e di conseguenze, onde formò l'arte della dialet-
tica : arte che con esso Zenone, il quale insegnò a Pe-
ricle filosofia in Atene, essendo passata d'Italia in Gre-
cia, fece poi le supreme delizie di Socrate. Ed ag-
giungi, diss'io, la gloria di Platone : il quale da al-
tri non apprese, che da questo nostro, l'arte del dia-
logo, che niuno scrivendo usò innanzi a Zenone. E
sia con lui ( prosegui Guglielmo ) e con Dicearco eh'
è ivi, sia fra loro stessi, mostrano, siccome vedi, piut-
tosto con certa licenza che con libertà quistionare,
quinci il Pomponazzi, il Telesio, il Cardano, il Bru-
no; quindi il Patrizi , il Porzio ed il Campanella :
ascoltanti Iacopo Sleilini, Francesco Maria Zanotti e
il Soave ed il Costa, sul volto de'quali bene scorgi
L ILLUSTRE ITALIA I97
la maraviglia di quelle audacie di una filosofia, che
uscendo allora di sotto il giogo di Aristotele, troppo
parea tripudiare di sfrenatezza, com'è l'uso talora di
chi lungamente è vissuto schiavo. E nondimeno, di-
ce lo Stellini al Costa, non fu quella vulcanica men-
te del Bruno che insegnò al Cartesio non solo il prin-
cipio dell'universale dubitazione, ma sì il sistema de'
vortici, eh' indi il francese fdosofo si fece suoi con
quella medesima sicurtà, con che a sant'Anselmo ar-
civescovo di Cantorbery, ma italiano, tolse in tulto
la famosa dimostrazione dell'esistenza di Dio ? E da
chi il Gassendi, risponde il Costa, trasse 1' opinione
degli atomi, da chi trasse il Leibnizio quella sua fan-
tasia dell'ottimismo ?
Oh, io esclamai, il mio Paolo Costa ! Egli è ve-
ramente desso quel caro spirito , eh' io tanto amai !
Egli è desso quello stupendo intelletto, che invaghi-
to supremamente del sommo bello, eli' è la sapienza,
non ebbe forse chi più all' età nostra meritasse se-
dersi allato al Galluppi , al Mamiani , al Rosmini.
E l'altro è dunque Francesco Maria Zanotti ! Il gran-
de, a chi l'autore della Zaira scriveva, desiderare che
fosse inciso sul suo sepolcro : Qui giace un uomo
che veder voleva V Italia e il Zanotti ? Al che Gu-
glielmo con un certo maligno sorriso : Veramente ,
disse, doveva il Voltaire assai desiderare di veder l'I-
talia. E forse per altro che per curiosità di fdosofo
e di poeta. Oh! per quale dunque, risposi ? Ed egli:
Pel sangue. Come, replicai, pel sangue ? Sì certo ,
riprese, pel sangue : e se vuoi più saperne, leggi il
secondo tomo delle memorie di Luigi XVIII ( vedi
che ti do testimonio un re di Erancia ) , e trove-
rai che alla corte di Versaglies era certo a tutti, ed
198 Letteratura
il Voltaire stesso affermavalo, essere stato lui il frut«
lo degli amori l'urtivi dell'autrice de'suoi giorni con
un principe Canalunga napolitano. Laonde chiamava
poi suo fratello Caino il duca di Richelieu, la cui na-
scita volevasi macchiata d'una eguale bruttura. Oh dav-
vero, diss'io, che m'era ignota questa novella ! Ed ho
piacere di averla appresa per dare, come fo, qualche
volta la berta a'miei amici di Francia. Ma tu avevi
certo disegnato, o io m'inganno, un' altra figura fra
il Cardano ed il Bruno , e 1' hai poi cancellata! E
Guglielmo : Sì, tei confesso : aveva io posto fra que'
due disputando Lucilio Vanini. Ma quando sovven-
nemi dell'accusa che gli fu data di ateo , sentii per
1' ossa corrermi un brivido, sì che la mano non po-
tè seguitare, e quasi mi si agghiacciò. Perchè, preso
da ira per tanta perversità d'intelletto, cancellai in-
contanente quell'effigie di un empio. Ed io : Siali lo-
de, o Guglielmo : essendoché l'ateo in quella mali-
zia di voler distruggere l'idea consolatrice d'una bon-
tà sapientissima , che governa 1' ordine dell' univer-
so, distrugge ad un tempo fino dalle fondamenta l'u-
mano consorzio ! Colpa che niuna legge civile ha mai
lasciata impunita, e su cui tutte le religioni hanno
con orrore invocato il folgore del cielo. Senonchè
io non credo la natura umana così perversa , anzi
piuttosto sì cieca , che con retta considerazione , o
per meglio dire coscienza, possa negare Iddio. Impe-
rocché se l'uomo ha mente, come tutto non gli par-
la intorno d'una onnipossente cagione di ciò che è ?
Ma forse ne pure il Vanini, benché di pensieri au-
dacissimi, fu tinto egli stesso di tanta macchia: nar-
randoci gli scrittori delle sue memorie, come tratto
innanzi al parlamento di Tolosa, ed ivi appostogli di
L ILLUSTRE ITALIA igg
negar fede alla divinità, tolse subito di terra un fu-
scello di paglia e gridò a' giudici, che anche quella
cosa sì piccola e vile bastava a persuader 1' uomo
della esistenza di un Dio. Vero è che i giudici noi
credettero, e secondo la severità del secolo il con-
dannarono ad esser arso : ma è vero altresì che non
tutti tennero giustissima quella sentenza: di che, non
volendoti parlare dell' Arpe e del Bayle , ti addurrò
l'autorità del Brouckero. Anche però sul dubbio (così
modestamente il dirò ) che potesse il Vanini essere
colpevole di sì orribil peccato , egregiamente hai fat-
to a non lasciarti sedurre da quella troppa sua fa-
ma, e a toglier costui d' un luogo, dove certo nes-
suno se l'avrebbe volentieri sofferto compagno. Deh
cuopra sempre l'oblìo, che un uomo italiano abbia po-
tuto solo cadere in sospetto di esser ateo !
III. Guardando però più oltre : Hai voluto là ,
diss' io , ritrai-ci , se non erro, l'imperatore filosofo
M. Aurelio, ed al suo fianco quelle felicità de' loro
tempi Tito , Nerva ed Antonino. Sono essi , rispose
Guglielmo : e m' è piaciuto die presso loro si stes-
sero i due Bruti , Servilio Ala, M. Gatone , Trasea
ed Elvidio, non solo pacificati col nome di re , ma
sì maravigliati che sul trono de'cesari abbia indi se-
duto tanta mansuetudine e tanta giustizia. Oh questi
( dice ivi Elvidio al suocero suo ) questi non credet-
tero di regnare il dì che fatto non avessero alcun be-
neficio ! Ne seppero gli eccelsi spiriti, che niun be-
neficio a'mortali fecero più magnifico del pronuncia-
to appunto quella sì virtuosa sentenza ! Qual varietà
da questi pastori de'popoli a' tiranni che imperaro-
no all'età nostra ! Qual varietà pure da questi a que'
tempi , in cui pur troppo a niuno più consenlivasi
200 Letteratura
d'essere innocente, se il principe noi voleva ! In cui
le atrocità del regnante , come ho qui spesso inteso
narrare da Tacito, erano per paura seguitate anche
da'buoni ' Essendoché opera regia e grandezza impe-
riale si reputasse l'ucciderli.
Vedi anzi, o Betti, stender loro Marco Bruto la
mano in atto di amistà cittadina, magnificandoli che
in tanta altezza di potestà fossero stimati degni di
udir la voce del vero, e grandissima maestà di prin-
cipe credessero quella benignità eh' è la consolazio-
ne degl'infelici. E Trasea, l'anima generosa che osò
vagheggiar la virtù ( sì bella gli parve ) in tempo che
solo dal vizio traevasi ed oro e possanza ed onori ,
recare innanzi ai venerandi augusti, che sono per sor-
gere da pietà e da ossequio commossi , quell' Arria
che donna fortissima ha tuttavia in mano il pugnale,
come se pur dicesse il sublime : Peto , non duole.
Poco lungi è il tarentino Lisia , vecchio severo eh'
educò alla Grecia la virtù di Epaminonda: e così egli,
come Burro, Boezio e Simmaco appena diresti che ab-
biamo altro pensiero, dall'altezza in fuori di quella
femminile magnanimità. Alla quale altresì sono inten-
te, con non so che d'orgoglio del sesso, qua Porzia,
e Cornelia di Pompeo, e Agrippina di Germanico, e
Pompea Paolina, e Gisilla di Berengario : e più oltre
sotto quel salice Isabella Sforza, che ancor piacesi del
libro ch'ella compose sulla tranquillità dell' animo ,
come Battista di Montefeltro piacesi pur del suo in-
torno alla umana fragilità ; e quella Vittoria Colon-
na, che altri ammiri per l'ingegno gentile, nel quale
però non fiorì sola fra le italiane : io ammirerò per
l'animo invitto conlra l'insaziabile e crudelissima del-
le cupidità, l'ambizione : sicché rifiutando un trono,
L ILLUSTRE ITALIA 201
die solo colla colpa potea guadagnarsi , disse altera-
mente allo sposo: « Esaltarlo la sua virtù sopra ogni
fortuna e gloria delle più famose corone : una roma-
na bramare, non esser regina, ma sì chiamarsi sposa
di tal capitano, che per coraggio e grandezza d'ani-
mo seppe vincere i re più possenti. » Né te ho qui
dimenticata, virtuosa e bella Maria Teresa di Savoia
Carignano, principessa di Lamballe, la quale allo stra-
zio disonesto che vollero della tua vita le belve del-
la francese libertà , solo conforto avesti il pensie-
ro di serbar fede alla sventura della tua Maria An-
tonietta !
IV. A' più insigni, che fra noi o filosofarono di
cose intellettuali, o coll'esempio e colle opere furo-
no specchio delle morali , ho voluto far seguitare co-
loro, che con maggior fama di prudenza governarono
gli stati , e delle leggi e della ragione economica dis-
sero le più alte sentenze così nell' antica come nel-
la rinnovata civiltà di Europa. Per la qual cosa ec-
coti qua tre famosissimi legislatori, che l'Italia diede
a quella prisca umanità e giustizia : Zaleuco , Ca-
ronda e Numa. Favellano essi , come tu vedi , con
gravità di modi, indizio dell' altezza delle cose , in-
torno la sapienza con cui si porsero così concordi al
bisogno de'popoli, ch'è quello principalmente d'esser
felici. E veramente, diss'io, tutti e tre difesero, quan-
to è cosa umana, la pubblica felicità : tutti e tre fe-
cero sacro ne'cittadini il beneficio dell'innocenza cen-
tra il mal talento o la temerità del più forte : tutti e
tre infine resero utile agli uomini il maggior favore
del cielo, l'esser disposti a virtù. Imperocché niente
v'ha nell'umana sapienza che sia forse più savio e su-
blime di que'brani delle leggi di Zaleuco e di Caronda,
202 Letteratura
che ci ha conservati Diodoro : lasciando star Noma,
che primo ai nostri mostrò, uomo di prestantissima sag-
gezza , il gran fondamento di una civiltà vera : cioè
colla sola guerra non viversi. Oh quegli è dunque, o
Guglielmo, il legislator de'locresi ! 0 Zaleuco, io non
so se veramente tu precedesti ogni altro a dar leggi :
certo è però che fosti gran tempo innanzi a Licurgo e
a Solone. Io non so se prima di te, come afferma Giu-
seppe Flavio, avessero ancora i greci nella loro favella
il vocabolo Icsrsre : certo è però che tu le scrivesti as-
DO h
sai prima di loro. Né mai senza diletto ne leggo in
Diodoro il proemio : là dove anzi tratto volesti che
fosse certa al popolo la verità che v'ha un Dio: ed ogni
condizione di cittadini consigliasti a innalzare spes-
so lo sguardo e il pensiero al cielo per maravigliare e
benedire il miracolo di un ordine così stupendo. Né
Caronda tenne meno alla prudenza italiana. Imperoc-
ché, per non entrarti a dire di altre sue cose , non
fu egli il primo fra tutti i legislatori a volere che i
figliuoli dovessero a spese pubbliche essere ammae-
strati delle lettere ? Giudicando che dalla natura si
ha il vivere, dice Diodoro, ma non da altro si ha , che
da una mente bene disciplinata , il vivere felicemen-
te. E che poi non ordinò sull' onore dovuto agli
dei ed ai magistrati ? Che sugli ospiti e su'poveri ?
Che infine sulla patria ? Morir per la patria ( si ha in
una sua legge ) si reputi più onesto, che abbandonare
onestà e patria per desiderio di vita. Meglio è da for-
te morire, che vivere con vergogna ed obbrobrio.
Senni sublimi, qui m'interruppe l'amico mio! Ed
oh di questi si fosse sempre piaciuta Italia, anziché
andare con viltà sì studiosa in traccia di tante ciance
straniere ! E che ci mancava in questo giardino dell'
l' ILLUSTRE ITALIA 203
Universo ? Forse la virtù militare ? Forse le arti ? La
libertà forse, la fortezza dell'animo e la sapienza? Noi
ne avemmo anzi da insegnarne le altre genti, fino a ri-
scattare per ben due volte l'Europa dalla vergogna della
barbarie. Ma noi volemmo troppo spesso dimenticare
la dignità nostra : e reputare gran dono quello che ci
si faceva d'alcun ignoto piacere ! Ed ecco da prima la
Grecia far molli con ogni maniera di voluttà questi
petti virili, e spegnere a poco a poco, non ch'altro, la
gravità romana : ecco molti secoli appresso operare il
medesimo (che è maggior onta) l'Inghilterra e la Fran-
cia ! Sicché sempre, o Betti, noi rovinammo, quando
appunto cessammo d'essere noi medesimi : né solo ne'
costumi, ma sì nelle lettere e nelle arti. Oh noi schiavi,
e degni quasi di esserlo ! Deh, Guglielmo, diss'io, non
accrescere colla tua generosa bile la mìa ! Che ben sai
il mio animo in tutto ciò che nelle cose nostre sa di
straniero. Così non avessimo mai reso vano il beneficio
fattoci dalla provvidenza d'essere circondati dall'alpe e
dal mare ! Ma perchè segregarci non è possibile dagli
altri popoli, procaccisi almeno di là da'monti alcuna
cosa di meglio, se v'ha , di quelle baie o scioperag-
gini di una civiltà chimerica : di quelle ridicole sman-
cerie, di che si fa gala : di quell'aver tutto a passeg-
giera usanza, incominciando dalle ragioni del decen-
te e del bello : e cerchisi soprattutto di non dimen-
ticare giammai l' utile e virtuoso rispetto che a se
debbono le nazioni. Oh lascia intanto, carissimo, che
io t'abbracci e ti baci pel tuo nobile sdegno, e ti ri-
peta quel dantesco: Benedetta colei che in te s'in-
cinse ! E tu segui avanti a parlarmi di questi grandi.
E Guglielmo : Quanto all'effigie di Numa, io mi son.
giovato di quella che il Visconti approvò nelle monete
ào4 Letteratura
romane, soprattutto delle genti Marcia e Calpumia»
Di Caronda credevasi aver l'immagine in una meda-
glia di Catania, dov'è un uomo colle corna in fronte
e coronato d'alloro. Ma reputo anch'io collo Spane-
mio essere ciò un errore, e quel capo doversi anzi at-
tribuire a Bacco o a Sileno : nò infatti il Visconti ne
tenne conto nell'iconografia. Perchè dunque conoscasi
senza più questo nostro famoso» ho stimato porgli in
mano la spada, siccome a chi vendicò sopra di se, per
quanto recaci un'antica opinione, la negligenza di una
stessa sua legge, la quale condannava che niuno do-
vesse ne'pubblici parlamenti presentarsi coll'arme. Ed
avviso pressoché uguale ho avuto quanto a Zaleuco :
avviso che lunga pezza ho però dovuto considerare ,
prima di risolvermi a posporre la bellezza dell'arte al-
la ragione del vero. Imperocché mi è sembrato, che co-
lui il quale dipinse vVntigono di profilo, per celare il
difetto dell'occhio che gli mancava, aveva sopra di me
il vantaggio ( oltre al voler adulare un potente ) di
ritrarre una fisonomia che da tutti già conoscevasi,
qual di principe vivente e chiarissimo. Ma io come fare
a mostrar Zaleuco con alcun segno particolare che age-
volmente faccialo riconoscere in si grande antichità di
tempo, che fuvvi infino Timeo da Tauromenio ( repu-
gnanti però tutti gli altri antichi e principalmente Pla-
tone, Aristotele e Cicerone ) che negò essere mai vis-
suto ? L'ho dunque effigiato cieco d'un occhio ; se-
guendo Eraclide Pontico, Ebano e Valerio Massimo,
i quali a questo severo dator di leggi assegnarono tal
riverenza agli ordini della giustizia, che dissero aver
sentenziato se medesimo ad esser privato d'un occhio
per salvare dall'estrema infelicità umana il figliuolo,
cui una colpa dannava a perderli ambidue.
L* ILLUSTRE ITALIA 3o5
Ed io: Ne in un rilratto oserò condannarti: non
dovendo ivi la bellezza soprastare come tiranna, ma
sì farsi unicamente compagna alla verità. Intanto io
considero, o Guglielmo, per l'esempio di questo Ca-
ronda e di questo Zaleuco , essere stato frutto del
grand'albero italiano quella inflessibile severità delle
leggi, che fece si rigidi e Bruto e Manlio nel punire
i figliuoli, benché si abbia da molti per una special
durezza del popol romano. E quanti altri fatti da
questi non diversi noi non sapremmo , se rimase ci
fossero le memorie di que'secoli antichissimi dell'ita-
liana fortezza ! Così credo io pure, soggiunse il pit-
tore. Que'due che attenti sembrano ad ascoltarli so-
no Sulpizio e Scevola ; dopo i quali vedi Atteio Ca-
pitone ed Antistio Labeone, fondatori all'età di Augu-
sto delle due grandi sette de'nostri giureconsulti. Qua-
si m'incresce, diss'io , di veder qui Capitone ! Che
niuno più di costui bruttò e tradì la dignità delle
leggi : intantocbè, vilissimo d'animo com'egli fu, ap-
pena mi si fa credere che avesse quella tanta scien-
za di diritto che gli si attribuisce. Uomo veramente
rotto ad ogni vergogna di adulazione , che per gra-
dire a Tiberio dichiarò in pien senato doversi co-
me fior di latino ricevere le parole ch'uscissero a ca-
priccio di bocca al regnante ! Quanto da lui diverso fu
Labeone ! Il quale, per non parere che la virtù sua do-
vesse nulla al favore di Cesare, volle, personaggio di
libertà incorrotta come chiamalo Tacito, rimanersi
nella pretura, anziché per grazia dell'imperadore se-
der console come ambì Capitone. Vuoi dunque, sog-
giunse Guglielmo, ch'io tolga costui ? No, lascialo, io
risposi : che già m'hai detto avere in quest'opera vo-
luto spesso considerare la fama dell'ingegno, piuttosto
che la virtù dell'animo.
206 Letteratura
Quell'altro è Salvio Giuliano autore dell'editto
perpetuo: e presso ha Giulio Paolo : e vedi come lie-
tamente accolgono que'due, che dopo le tenebre di
tanti secoli rifiorirono d'una prima luce la scienza, e
ne furono sì benemeriti, Irnerio e Bartolo ! Uomini ,
diss'io, veramente preclari e da nominarsi in esem-
pio : che 1' antica eredità degli avi non soffersero
di veder più oltre vilipesa e giacente. Sì, amico, ere-
dità degli avi : perciocché la giurisprudenza è tutta
senno italiano , senza concederne parte alcuna né
agli egizi, ne a'greci. Sicché oramai da tutti i più savi
è stimata solenne favola, che noi un tempo cercammo
di là dal mare la prudenza delle dodici tavole; noi
concittadini di Zaleuco, di Caronda e di Numa non
pure, ma di cjuell'Onomacrito da Locri che ordinò alle
leggi i cretesi, e di quell'Àndromada da Reggio che fe-
ce il medesimo coi calcidesi. Così, riprese Guglielmo,
ho pure inteso ragionar altri pratichissimi delle isto-
rie e delle cose politiche: i quali inoltre considerava-
no, che alquante di quelle leggi né mai ebbero i greci
di là dal mare, né potevano averle.
Ora ti volgi a quel gruppo. Quello che vedi in
mezzo è Cesare Beccaria, che per mano tenendo il
Filangieri è sul rispondere ad una quistione mossagli
da Giandomenico Bomagnosi, presenti l'Alciati , il
Gentili, l'Averani, il Martini, il Lampredi, i quali
pongono sì gran mente a udir quella voce che alta
suonò in tutta Europa. E quell'antico chi è, diss'io,
che sì animoso favella al Gravina con tanta maravi-
glia dello Spedalieri e del Pagano ? E l'amico mio :
Egli è il virtuoso Guido da Suzzara legista chiarissimo
del secolo XIII, il quale di minacce non pauroso, né
da lusinghe corrotto, osò in mezzo all'universale viltà
Li' ILLUSTRE ITALIA 207
innalzare una voce generosa per Corradino di Svevia
e Federico d'Austria : dicendo a quell'atrocità di Car-
lo, che del suo voto il chiedeva: Non dovere un prin-
cipe maguanimo levarsi sopra gli atterrati e gementi :
la morte di quegli sventurati giovani essere un abu-
sare scelleratamente della vittoria. Le quali cose così
pur movono ad ammirazione quelle due venerande
presenze, che più oltre scorgete, cioè il Renazzi ed il
Nani, che sonosi per un istante cessati dal leggere,
come attentamente facevano, l'istoria della legislazio-
ne dataci a questi giorni da Federico Sclopis. E que'
cinque, che osservi quasi provocarsi a parlare 1' un
l'altro, sai tu che dicono ? Dicono non doversi, secon-
do una gravissima sentenza di Tullio, risguardar gli
uomini come si risguardan gli armenti : per quanto
è 1' utile cioè che unicamente può ricavarsene, E
l'uno è il Genovesi, l'allro il Verri , indi il Galia-
ni, il Carli ed il Gioia , principi degli economisti
italiani : l'ultimo de'quali è in quell'atto, che vedi,
di disputare sulle statistiche con Marino Sanuto il
vecchio, maravigliando la veneziana sapienza, che la
prima fu ad indicare all'Europa uno studio, ch'è oggi
così gran parte della scienza politica ed economica del-
le nazioni. Or questi sembrali solleciti solo degli sta-
ti e delle città : là dove Angelo Pandolfini in dispar-
te non pare che d'altro curi che del governo della fa-
miglia. Ed io : Ben dici che questi furono i principi
de'nostri economisti : ma presso a tanto senno posso-
no collocarsi anche altri di bella fama, i quali pari-
mente si mostrarono degni di una nazione, che creò
la scienza e così 1' avanzò : dico il Bandini , il
Mengotti, lo Scrofani, il Palmieri, il Delfico, il Va-
leriani. E perchè poi tralascerai il genovese Corvet-
208 Letteratura
to, che in mezzo alle maggiori calamità che mai ag-
gravassero la monarchia francese, eletto da Luigi XVIII
ad amministrare le rendite dello stato, non solo re-
staurò per quanto gli fu possibile la cosa pubblica ,
ma con tanta virtù antica potè indi tornarsene alle sue
case poverissimo d'ogni altra dovizia, fuorché dell'ono-
re ? Ben volentieri, disse Guglielmo , farò di trovar
modo che qui non manchino né pure le loro imma-
gini.
V. Guarda poi là in quella valle, quasi da tutti
divisi, ragionar fra loro i più grandi uomini di stato,
che l'Italia abbia dati al governo così della patria ,
come d'alquanti regni d'Europa. Que' primi che av-
volti maestosamente nella loro toga applaudono all'
antica severità ed integrità di Brancaleone d'Andalò,
l'uno è Valerio Poplicola, l'altro è Catone censore:
nomo così principale nel reggimento della repubbli-
ca , che i suoi concittadini gli alzarono in città li-
bera una statua , non perchè invitto capitano aves-
se trionfato , ma perchè le cose dello stato, che già
pendevano al peggio, egli austero magistrato raddriz-
zasse con ottimi ordini , e più colla gravità dell' e-
sempio. JNoi non conosciamo veramente la sua effi-
gie, se non per le parole di Plutarco, che cel ritrae
rubicondo del volto, d'occhi azzurri, e robusto della
persona. E tale farò che sia nel dipinto. Gli altri so-
no i due Cassiodori , che in tempi all' Italia infeli-
cissimi provvidero che al tutto non si spegnesse la
civiltà romana, ne passassero affatto nel ferro i re-
gni di Odoacre, di Teodorico e di Amalasunta. E con
essi è Pier delle Vigne, gran cancelliere dell'impera-
dor Federico II : e narra al minor Cassiodoro le pro-
prie sciagure, non per sua colpa , ma per malvagità
della meretrice
L' ILLUSTRE ITALIA 209
a Che mai dall'ospizio
» Di Cesare non torse gli occhi putti,
i> Morie comune e delle corti vizio :
dolendosi ahi troppo tardi di non averlo pure imita-
to nel dar le spalle alla reggia, come imitollo nella
sì breve fortuna e nell'amor delle lettere !
Seguono i dogi di Venezia Andrea Dandolo, Pietro
Gradenigo ed Andrea Gritti: i quali vedi quasi attoniti
nell'aspetto di Paolo Paruta, gran lume della repubbli-
ca e grand'onore dell'italiana prudenza. Cosi è vera-
mente, diss' io : ne credo che più forte intelletto e
più grave giudizio, e, ciò eh' è maggior cosa, animo
più incorrotto, abbia avuto mai in Italia, e forse in
Europa, quella scienza che dicesi della ragion di sta-
to : la quale è bene indegno che si spesso cercasse
gli esempi in Lodovico Sforza ed in Cesare Borgia.
Ma non conosco, o Guglielmo , quegli altri due che
non men venerabili in vista gli sono quasi alle spal-
le, Il crederesti, rispose egli ? E a me sembralo che
uno de'senni più saggi della repubblica veneta ( che
tanti pur n' ebbe ) sia quel Pantaleone Barbo , il
quale a Costantinopoli, quando fu presa dalle armi
latine, anteponendo l'utile della patria all'invidia di
una gran pompa, dissuase i crociati di porre la co-
rona dell'impero greco sull'onorando capo del Dan-
dolo, anzi della regina dell'Adriatico : la quale ma-
gnanimamente mostrò di non averne bisogno. L' al-
tro è il prudentissimo Giorgio Cornaro. Prudentissi-
mo il dissi f e doveva anzi dirlo maestro solenne a'
popoli, che seguono la religion del vangelo , di ciò
che le leggi di una civiltà vera debbono aver santo
G.A.T.LXXXVIII. 14
210 Letteratura
eziandio fra le ferocità della guerra. Imperocché i di-
ritti del guerreggiare non vogliono più oltre allargar-
si che richiegga l'opprimere il nemico armato, e l'as-
saltarlo o nel campo aperto o nelle sue rocche. Laon-
de il vituperare che spesso i vincitori fanno le spo-
se e le figlie de'vinti, e il non arrestare i lor furo-
ri ne pure appiè degli altari, è cosa non dirò inde-
gna di una gentil milizia, ma iniqua, sozza, selvag-
gia. Per la qual cosa il Cornaro, desideroso che la
sua Venezia desse all' Europa anche questo esempio
di cristiana virtù, essendo in ufficio di provveditore
nella guerra che la repubblica nel millecinquecento
otto ebbe con Massimiliano imperadore, ordinò che pre-
sa la terra di Cremons tutte le donne si riducessero
in una chiesa, guardate severamente da ogni milita-
re licenza; e volle inoltre che restituite fossero a'sa-
cerdoti l'ecclesiastiche suppellettili, da alcuni scorret-
ti soldati tolte ne'templi di Dio: non cessando l'uomo
venerabile di gridare, che la guerra de'veneziani era
conira l'esercito di cesare, non contra la pudicizia e
la religione. Ed io : Egregio cittadino, e degno della
Roma de'Fabrizi e de' Curi ! E bene sta che ce ne ab-
bi qui fatto ammirare 1' immagine. Ma parmi là il
re Roberto quegli che, posato familiarmente il destro
braccio sulla spalla di un suo confidente, tanto pia-
cesi ne'discorsi di que'due che gli sono dintorno. E
Guglielmo : Gli è desso : e il canuto, a cui il re mo-
stra quel grande atto di dimestico affetto, è il gran
siniscalco Nicolò Acciaiuoli. Negli altri due ravvisa
Domenico Caracciolo e Rernardo Tanucci.
E sì che vorrai sgridarmi, continuò egli, di aver qui
posto anche due donne ? T' inganni , io risposi : per-
ciocché non ho mai stimato, avere la bontà celeste di-
L ILLUSTRE ITALIA 211
schiuso a noi soli tutto il tesoro della saggezza : ben-
ché creda che meglio si addicano al bel sesso le cure
che recano a prosperità e santità le famiglie: e più
gli si convenga di usare con gentilezza e modestia il
dono di quelle grazie, delle quali certo la provviden-
za gli è stato largo per consolare l'umana vita e ren-
derla più leggiadra. Ma nondimeno io non sq chi de-
gli uomini più famosi non sarebbesi tenuto grande ( la-
sciamo stare le antichissime ) della prudenza di stato
che apparve in Elisabetta d'Inghilterra, in Maria Te-
resa d'Austria ed in Caterina di Russia. F< poco mino-
ri, ripigliò Guglielmo, furono a quelle valorosissime,
non pure Adelaide marchesana di Susa e la contessa
Matilde, che là sono con Ermengarda marchesana d'
Ivrea, ma le due che vedi più presso, cioè Caterina de'
Medici ed Elisabetta Farnese ; l'una delle quali essendo
regina di Francia, e l'altra di Spagna, sostennero vi-
rilmente lo scettro di quelle nazioni venuto a mani
0 giovanili o inesperte. Or guarda Caterina, veneranda
matrona, che sembra in quella vecchiezza ravvivar tut~
ti gli spiriti per ributtare da se 1' accusa d' aver
meditata la strage del giorno di san Bartolomeo. E
la vedova di Filippo V già mostra di persuadersene:
tanta è efficacia d'ogni atto e la possanza d'ogni parola
della figliuola di Lorenzo de' Medici. E cosi fu ve-
ramente la cosa , com' ella dice : e così la stimerà
chiunque vorrà senza studio di parte considerare ornai
le memorie più certe di quell'età : ne più oltre por-
gersi schiavo d' ingiustissime prevenzioni , alle qua-?
li sì l'ira delle fazioni e sì 1' odio d'una principes-
sa italiana hanno troppo leggermente dato credito nel-
l'istoria francese. Ed io: Se la riputazione di una gran
donna deesi giustamente difendere e purgar d'ogni mac-
2i2 Letteratura
chia, ella è certamente quella di Caterina de'Medici :
e godemi il cuore che già non manchino generosi che
si sieno accinti a farlo.
Non ho poi duopo, continuò l'amico mio, di dir-
ti chi sieno quegli altri due, che poco lungi , assisi
sotto quel platano, osservi ornati il petto delle inse-
gne dell' Annunziata : perchè le note sembianze , e
l'abito men di principi che di soldati, abbastanza t'in-
dicano Vittorio Arnadeo II e Carlo Emmanuele III.
Oh quali re di Sardegna ! Perciocché usarono così la
saggezza della mente in dar leggi a'ioro popoli, co-
me il potere della spada in difenderli: grandi politici
che furono e capitani e fondatori d'ogni bene e pos-
sanza della monai-chia. Non è egli così , mio Betti ?
Egli è così, diss'io : e piacemi che Carlo Emmanue-
le sia in quell'atto modesto di scusarsi al padre : il
quale generoso e benevolo gli stende la mano , più
non dubitando che ad usar que'rigori contro di lui
non fosse indotto un tal figlio, anzi da ragion severa,
che da animo irriverente. E bene gli hai posto allato
il maggior uomo, e certo il più saggio ed accorto, che
mai amministrasse le cose del regno, Giambatista Bo-
gino. E così fosse stato in lui nel millesettecento qua-
rantacinque di tener fermo il suo signore nel trattato
colla corona di Francia ! Che gloria di Carlo Emma-
nuele sarebbe stato di aver dato finalmente effetto ad
un pensiero magnanimo del gran Giulio II.
Senonchè in altri ragionamenti si è messo Mer-
curino Arborio di Gattinara, che resse gran cancel-
liere i consigli di Carlo V , ed a cui più quistioni
indirizzano intorno ad alquanti fatti di quel poten-
tissimo, così Carlo del Carretto ed Ippolito d'Este, co-
me Renato Birago e Giovanni Morone : intanto che
L'ILLUSTRE ITALIA 2l3
dall'altra parte il Consalvi, tratto al dir suo l'attenzio-
ne di Ottaviano Ubaldini, di Oliviero Carafa, di Gian-
francesco Commendone e di Marino Caracciolo, nar-
ra con vivacità al Mazzarino ed all'Alberoni i terri-
bili rivolgimenti che a'suoi anni arrivarono non me-
no in Italia, che in Francia e in Ispagna : e come
fu presso a spegnersi e poi risorse la casa d'Ugo Ca-
poto : e come tentossi invano di abbattere la sede del
vaticano, e di sbigottire il santo petto di Pio: e co-
me infine a nuovi patti si strinsero in Vienna , lui
presente, i potentati di Europa. Discorsi gravissimi di
gravissimi avvenimenti : di falli or mirabili di valo-
re, or santi di virtù, or infami di colpe. De'quali so-
no pure per entrare autorevoli testimoni Francesco
Melzi duca di Lodi e Girolamo Lucchini, l'amico
del gran Federigo di Prussia, il ministro de' re che
seguirono, l'autore dell'opera sulla confederazione del
Reno : comechè egli guardi intorno se ancor vegga
giungere Orazio Sebastiani e Carlo Andrea Pozzodi-
borgo. E vorrei esser da tanto, che l'arte mi bastas-
se ad esprimere lo stupore, onde pendono dalle lab-
bra del cardinale e quell'animo liberissimo di Dona-
to Giannotti, ed Ottavio Sammarco, e Scipione Am-
mirato : mentre Giovanni Boterò e Lodovico Settala
con certa curiosità osservano il Boccalini, ingegno vi-
vissimo, che con satirico ghigno è intento a scrivere
non so quali cose in un libro.
Compiesi questa parte del quadro con Luiduar-
do vescovo di Vercelli ed arcicancelliere e primo con-
siglio di Carlo il grosso : il quale a Ferrico Cassi-
nelli , arcivescovo di Reims e segretario del re Car-
lo V di Francia , narra con quella franchezza tut-
te le vicende della sua vita , e le ragioni del ri-
2i/h Letteratura
pudio che della regina Riccarda fece l'inetto suo prin-
cipe, quando imbecille affrettava la mina de'carolin-
si colle opere stesse $ onde innanzi a lui altri re af-
frettarono quella de'merovingi.
Qui io dissi : Or deh, Guglielmo, aprimi deh la
ragione perchè io qui non veggo i tre solennissimi,
anzi forse i maggiori che mai per giudizio di espe-
rienza avesse l'Italia, Cesare Augusto e Cosimo e Lo-
renzo il magnifico ! Ed egli : Egregiamente, rispose,
li chiami tu solennissimi : né v'ha dubbio che non
potessero con dignità qui sedersi fra'primi e per gra-
vità di consiglio e per magnanimità. Senonchò mi è
sembrato che a molti sarebbe meglio piaciuto veder-
li fra quegli altri preclari spiriti, che con rara libe-
ralità e cortesìa non pur favorirono, ma nobilitarono
fra noi quanto ha di bene l'umano ingegno. Perciocché,
o Betti, passato è l'impero de'cesari, passata è la repub-
blica fiorentina : ne più sente l'Italia o il beneficio
o il peso di quella superiorità maggiore che di cit-
tadini, e di que'famosi governi. Ma duraci ancora, e
ci vive e fiorisce bellissimo, ciò eh' essi operarono a
ringentilirci l' ingegno, e per grazia d'arti e di lette-
re farci principi di tutte le fantasie : e lasciamo a lor
senno cianciarne l'ignoranza o il bestiale animo degli
ammiratori degli Ugo e dei Lamartine. Tantoché non
saprebbe pensar l'Europa un'altezza di secoli maggio-
re di quella che prima onorossi di Augusto , poscia
de'Medici : altezza che più non teme o l'ira di Cin-
na, o l'emulazione di Rinaldo degli Albizi, o il pu-
gnale di Francesco de' Pazzi : altezza infine che le
menti degli uomini venereranno, o a libertà inchi-
nino o a signoria, finché rimanga pur loro un con-
cetto di nobiltà e di leggiadria. Ed io : T'approvo in
L'ILLUSTRE ITALIA 2l5
tutto, o Guglielmo , cotesto avviso : e tanto più di
buon grado , quanto che mostra chiarissimo il mag-
gior potere che a fare immortali le umane cose, secon-
do eh' è dato quaggiù, ha la sapienza, che il principa-
to: e come dalle opere degli eletti ingegni, meglio che
dalle spade de'soldati, possono a se promettere i gran-
di re una più durabile vita e una gloria più sincera
ne'posteri. E certo ove sono gl'imperi famosi di Ciro,
di Alessandro, di Cesare? Ove sono, o Guglielmo ,
se non solo nella memoria che agli avvenire degna-
rono tramandarne i nobili scrittori antichi ? Più de-
gno adunque, perchè richiamaci a più gentil merito
e saldo, è il luogo che nel tuo dipinto intendi dare
a quell'imperadore del mondo ed a qu e' principi della
loro patria : e ben sarà che non potendo allogarvi la
maestà pontificia di Leone X, non vi manchino al-
meno il padre ed il bisavolo incomparabili. Ti lode-
rò tuttavia se in ultimo, benché non ultimi d'animo,
tu qui ponga Cerchio de'Cerchi , Giano della Bella
e Michele di Landò , che in quella loro saviezza
provvidero di leggi eccellentissime la repubblica di
Firenze : benché poi Giano e Michele n'avessero per
degno merito il bando, secondo la natura ingratissi-
ma de'governi che si reggono a popolo.
VI. Il qual desiderio consentitomi da Guglielmo,
riprese egli : Chi non sa quale stretto vincolo con-
giunga fra loro le leggi, la ragione di stato, e l'isto-
ria ? Chi non sa che il più degli errori, ne'quali of-
fendono gli scrittori che partitamente trattano dell'una
o dell'altra di queste scienze, provengono appunto dal
non volerle sufficientemente conoscere tutte e tre ?
Perciocché qual più intima e ragionevole corrispon-
denza fra gli statuti e i governi di un paese, ed i co-
216 Letteratura
stumi del popolo che gli ha ricevuti ? Tanl' è, diss'io,
o Guglielmo: e quindi si pare la temerità ch'è in molti
di voler giudicare le varie leggi delle nazioni, e ripu-
tarle sovente o crudeli o frivole, senza avvertire a cui
servir debbano, o quali avvenimenti politici le consi-
gliarono : tacciando così di stolte le menti meglio sa-
gaci, che preso ad educare o a mantenere un popo-
lo alla religione, alla quiete, alla temperanza, ad al-
tro non attesero più sottilmente che all'esperienza: la
quale per la voce appunto dell' istoria ti dice quali
ne sieno sempre stati i più forti affetti , e quali le
più ostinate abitudini. Se tale temerità non fosse in
loro, oltraggerebbero così come fanno ( e duolmi di
porre in questo numero il Delfico , non saprei dire
se perchè veramente così pensasse, o perchè non fu
uomo più grande di lui ne'paradossi ), non oltragge-
rebbero, ripeto, tante leggi perfino del popol romano,
il più savio in ragion pubblica che mai fiorisse al
mondo. Or dunque tu agli uomini di stato e di legge
hai fatto seguire in questi tuoi disegni gl'istorici : ed
hai fatto savissimamente : ed io non so dirti con qual
diletto contemplerò tante immagini di famosissimi ,
che nell'antica Italia emularono i primi ingegni della
Grecia, e nella moderna furono padri e maestri agli
altri lutti che indi vollero, con gravità giudicando,
tramandare a'posteri eloquentemente i fatti di un gran
popolo.
Primi, allor prese a dire l'artista, ho posto fra
gl'istorici Fi listo da Siracusa e Timeo da Taurome-
nio, delle cui opere, sì spesso dagli antichi e rammen-
tate e lodate, non può la perdita deplorarsi abbastan-
za. Conciossiachè Cicerone, come sai, chiamasse Fili-
sto per virtù di sentenze e per nervo di stile il picco-
L'ILLUSTRE ITALIA 217
lo Tucidide : e Plutarco tenesse in sì gran conto Ti-
meo, che nella vita di Nicia sembra quasi anteporlo
al magno istorico della guerra del Peloponneso. So-
no essi que'due, che hanno là messo a dotto ragiona-
mento , e certo delle cose della bella loro Sicilia ,
Diodoro di Agirio detto comunemente il siculo, istori-
co ad essi minore, ma pieno d'industrie, ed a noi per
sorte rimaso qual tesoro fortuito di notizie, se ben con-
fuse, spesse volte però sceverate dalle tante follie de'
greci intorno al favoleggiare 6ulle antichità e stille ori-
gini delle nazioni. A Filisto, come a prode che fu e
capitano degli eserciti del suo amico Dionigi, ho dato
un vestir militare : Timeo, che fu sì rotto alla maldi-
cenza e alla satira, ha i segni di quest'acerbità di na-
tura anche sul volto : a Diodoro mi è sembrato con-
venir meglio la tranquillità dell'animo in una vene-
randa vecchiezza. Ma i tre massimi storici de'latini ho
posti insieme a sedere su quell'erboso rialto : ed ec-
co là Sallustio, in cui con ossequio si affisano Dino
Compagni e Camillo Porzio, che tanto ritrassero a
quella sua brevità e forza : ecco Livio , ecco Ta-
cito , a chi presso inchinasi il Davanzali , come ad
ascoltare le sue parole , mentre i due primi sono
in atto di sorgere incontro al Machiavelli, al Guic-
ciardini ed al Botta, tratti loro dinanzi dal Murato-
ri. Stupiscono di tant'arte di scrivere, di tanta facon-
dia, di tanta eleganza Paolo Diacono e Liutprando,
i quali ben fanno comparazione fra questa gran ve-
na d'oro ed il fango ed il ferro che menava il loro
secolo di vituperata memoria. Ne vi mancano , ben-
ché più addietro, Velleio Patercolo e Quinto Curzio:
e in quel caldo quistionare che fanno ho inteso che
Curzio riprenda l1 altro non pure della gonfiezza sì
218 Letteratura
spesso eccedente de'suoi concetti, ma dell'odiosa adu-
lazione al tiranno : e adducagli se stesso in esempio
di dignità : il quale più non potendo esaltare le virtù
nostre, ne avendo baldanza di maledire apertamente
il vizio che regnava, prese anzi a narrare le geste di
un grandissimo della Grecia. A cui voglio che ri-
sponda Velieio : a Male io feci pur troppo, lascia-
tomi abbagliare all'ornamento della pretura, ch'am-
bii ed ottenni da Tiberio, intercedente Seiano ! Ma
non avevi tu, volendo pure con quella pompa e con
que'fiori di retore descrivere alcuna segnalata impresa
degli antichi, non avevi tu niun fatto glorioso de'no-
stri, senza procacciartelo dalla Grecia ? Spento adun-
que in Italia era il nome di chi vinse Annibale, ne-
mico ben più tremendo che non fossero Dario e Poro?
Spento il nome di chi tutta rovesciò la possanza di
Antioco e di Mitridate ? Di chi o trasse Perseo in ca-
tene, o sconfisse i cimbri, o conquistò la Gallia ? E
dimmi, trattarono forse di altre cose che di patrie i
più solenni italiani che ti precedettero, e che là vedi
oggetti immortali della riverenza de'posteri ? » Alle
quali parole rivolti, come a lode anche propria delle
opere loro, si mostrano in vista si paghi que'due, che
hanno pur or lasciato di riandare insieme le malvage
parti che ruinarono la repubblica fiorentina, Bernardo
Segni e Benedetto Valichi.
Quegli altri, che indi osservi, e che in alquan-
ti fatti e nelle loro cagioni non sembran concordi ,
sono il Denina e il Giannone, che ha per mano il
Colletta. Seguono il Davila ed il Bentivoglio. E ben
J)armi, io lo interruppi, a quell'atto del lor favellare,
che inorridiscano ambedue al tanto sangue sparso e
alle tante colpe, di cui si fecero narratori, ringrazian-
L'ILLUSTRE ITALIA 219
<ìo il cielo che almeno ne fosse esente l'Italia» E Gu-
glielmo : Bene hai detto : e tale appunto è stato in
ciò il mio pensiero. Ma il Giambullari elegantissimo,
in mezzo qui al Giovio, al Sigonio, al Foglietta, al
Bonfandio, allo Strada ed al Bonamici, è tutto, come
vorrei che si conoscesse, in non volere ammetter per
buone le ragioni che essi recano d'avere scritte in latino
le loro istorie : benché in que'padri del nuovo nostro
volgare, ne'quali studiarono il Machiavelli ed il Guic-
ciardini, aver potessero, com' ebbero appunto coloro,
uno specchio magnifico dell'eccellenza della lingua del
sì anche a trattar cose dell'altissima gravità di Livio
e di Tacito. » Oltreché, aggiunge Giambatista Adria-
ni, era mai possibile che valeste ad emulare per in-
genua purità ed eleganza nessuno di que'sommi del
Lazio, che i loro scritti dettarono in una lingua non
già, come avete fatto voi, del tutto morta nell' uso
del popolo, ma sì fiorente di vita, di ricchezza, di no-
biltà ? E che n'è avvenuto ? Questo, o concittadini,
n'è avvenuto : che siete stati imitatori, comechè va-
lenti, e non altro : là dove se, piuttosto che scrivere
con parole e frasi cercate a studio nell' altrui favel-
la, aveste scelto di esprimervi liberamente nella vostra,
vi sarebbe ora onorevole d'esser detti signori delle vo-
stre cose, e non servì. E credevate che i posteri do-
vessero egualmente o meglio studiare nelle opere vo-
stre latine , che in quelle che avevano di Cesare ,
di Cicerone e di Livio ? Quale stoltezza a non vo-
ler essere , direi quasi , scrittore di niuna età ! Di
che più d'ogni altro m'hai tu fatto maraviglia, o Bon-
fadio : il quale fosti di tanta grazia nel parlare mo-
derno, che non è chi non voglia leggere le tue let-
tere leggiadrissime ed il tuo volgarizzamento della mi-
220 Letteratura
loniana. » Nella quale sentenza volentieri consento-
no que'tre, che già non accade doverti dire essere il
Costanzo, il Capecelatro e il Mascardi. Anzi Giam-
pietro Maffei, ch'è pur con loro, rivoltosi al Serdo-
nati gli protesta grand'obbligo dell'avere con favella
sì candida volgarizzato i sedici libri della sua storia
delle indie orientali : e pentesi quasi di non averlo
fatto egli medesimo con quella semplicità gentilissima
con cui dettò le vite. Un luogo ho pur dato fra essi
al maggior de' Villani, benemerito sopra tutti dell'età
sua d'averci serbato tante preziose memorie in quell*
aurea cronaca, che sì spesso t' ho inteso lodare non
so se più per rettitudine di giudizio (tranne un poco
di credulità) o per soavità e leggiadria di lingua. Ma
doveva io poi lasciare l'istorico della nostra letteratura?
Doveva lasciare chi l'uguagliò nell'amor patrio, e sì
dottamente scrisse gli elogi de'nostri primi letterati e
filosofi ? Ecco dunque là il Tiraboschi, che seduto a
quel ceppo fronzuto di faggio ha sulle ginocchia un
libro, in cui sta scrivendo : ed ecco là pure Angelo
Fabbroni, tutto inteso al Vico, che dell'antica ragio-
ne dell' istoria disputa vivacemente con Francesco
Bianchini e con Iacopo Martorelli : i quali non tut-
te però gli consentono quelle sue tante sottilità me-
tafisiche, benché maraviglino l'altezza di sì gran men-
te, ed il nuovo cammino per essa dischiuso a chi me-
glio che colla vista di una spanna intenda giudicare
delle origini e della primitiva sapienza delle nazioni.
Segregati da tutti gli altri, e cose più alte con-
siderando, come sono le vicende ora prospere ed ora
fiere della religione, ho posto finalmente in quell'a-
mena valletta il padre dell'istoria ecclesiastica Cesare
Baronio, e con esso il Pallavicino e l'Orsi: sì umili
L'ILLUSTRE ITALIA 321
lutti e tre in tanto splendore di dignità e di dottri-
na, che hannosi tolto in mezzo quel Daniello Bar-
tolo rnaraviglioso in ogni maniera di scrivere; nelle
istorie però della sua compagnia, inarrivabile.
VII. L'anello, dirò così, che insieme congiunge
l'istoria civile e religiosa colle scienze della natura,
io stii.io escere le onere de'viaggiatori. Perciocché se
questi ardili non sieno nell'una e nelle altre versati
più che mezzanamente, percorreranno il mondo per
sola curiosità , o per farsi prendere alle favole del
volg'^ : noi* mai ner accrescere il tesoro delle verità
umane. Laonde in quello spazio , che sì opportuno
mi si porge- nella sala fra l'una e l'altra finestra del-
la parete, ho appunto allogati i più solenni de' nostri
viaggiatori, de'quali uVè sovvenuto. E vedili tutti in-
torno a Cristoforo Colombo, che seduto in mezzo ad
Antonio Zeno e ad Americo Vespucci ha spiegato so-
pra quella gran pietra una carta geografica, e mostra
i vasii imperi di là dall'Atlantico da lui primiera-
mente restituiti alla notizia ed al consorzio delle al-
tre parti della terra. Uomo grandissimo così per vir-
tù, come per infelicità : alle cui ceneri non sembra
né pur oggi volersi conceder pace ed onore, sollevata-
si contra lui l'invidia scandinava con tutte le iattan-
ze e le stoltizie di un Rafn ! Quelli che al genove-
se più vicini , con atti chi di stupore e chi di giu-
bilo , pendono da' suoi discorsi sono Marco Polo ,
Nicolò Zeno , il Gabato , i Cadamosto , 1' Usodima-
re e il Di Negro : ai quale ultimo però Giovanni
Cobotto dice modestamente all'orecchio, come tu ve-
di , eh' egli col figliuol suo Sebastiano , navigando
per ordine di Enrico VII re d'Inghilterra, già visita-
to aveva un anno e più innanzi al viaggio del Co-
222 LBTf BR ATDIIA
lombo le coste che sono dallo stretto di Baffin fino
alla Florida. Vedi quindi il Della Valle e il Pisani:
e più oltre il Belzoni, che tratto in disparte da Pie-
tro di Covigliano, ascolta le ragioni che questo viag-
giatore illustre del secolo decimoquinto adduce con-
tra l'inglese Bruce , perchè siagli reso il merito di
aver primo fra gli europei, non pur viaggiato nell'A-
bissinia, ma veduto le fonti del Nilo. Alle quali cose
se non pare ivi aver mente fra Mauro camaldolese, egli
è perchè non può rimanersi di congratulare al por-
porato suo confratello Placido Zurla, che con belle
sposizioni illustrò non solo quel famoso suo plani-
sferi©, ma sì dottissimo tutti i viaggi de'veneziani : e
che dopo avergli parlato del sommo geografo amico
suo Adriano Balbi, presente onore d'Italia, addila al
buon religioso il Sanuto, il Ramusio, il Coronelli ,
il Canovai, il Napione, il Baldelli , e quel Lazzaro
Papi , a chi pochi altri de' moderni sono da ugua-
gliarsi per la sagacità e la saviezza delle sue lettere
sulle indie orientali. E que'due, diss'io, che là posa-
no all'ombra, erro forse o sono Simone Stratico e Do-
menico Alberto Azuni ? E Guglielmo ; Son dessi : e
credo che ognuno vedrà qui volentieri gl'insigni au-
tori del dizionario nautico e del sistema universale
del diritto marittimo in Europa. Osservi anzi come
lo Stratico è caldamente sul quistionare ? Egli confu-
ta all? Azuni quell'opinione, che ritrovatori della busso-
la sieno stati i francesi: e mostragli un libro di Fla-
minio Venanson, ove questo errore, dopo il Napoli Si-
gnorelli, vittoriosamente riprovasi come contrario a tut-
te le certe notizie e ragioni de' tempi. Ne tace del
milanese Hager, che tutte le cose volendo esserci ve-
nute dalla Cina, pretese anche difendere che l'inven-
L' ILLUSTRE ITALIA 223
zion della bussola tragga origine dall'impero celeste.
Infine , o Betti , non doveva desiderarsi qui la pre-
senza di chi alla gloria delle leggi marittime , eh' è
sì antica in Italia per l'opera delle tavole amalfitane
( lasciamo a' barcellonesi l'onore di quelle sul con-
solato di mare ), aggiunse l'altra forse maggiore del
perfezionamento della nautica , Flavio Gioia, 1' in-
ventore certissimo di essa bussola. Ed eccolo là ,
che guarda quell'uomo tirreno, il quale su quel pog-
gio è per dar fiato alla tromba marina , pur nostro
trovato.
Vili. Senonchè mi par tempo infine di venire
alle scienze sì fisiche e sì matematiche : nelle quali
senza niun dubbio gl'italiani furono maestri a quan-
ti altri da poi levarono grido nell' Europa moderna.
Egli è il vero, diss'io : né pare che fra tante cose ,
che dall'orgoglio e dall'ingratitudine degli stranieri ci
si contrastano, abbiaci mai alcuno voluto togliere que-
sta lode. Anzi leggo nel discorso, che il d'Alembert
ha fatto precedere all'enciclopedia, queste precise pa-
role, delle quali ho ben tenuto memoria : Noi sa-
remmo ingiusti a non conoscere tutto ciò che dob-
biamo alfltalia : perciocché di là ci son venute
le scienze , le quali poi hanno portato sì ricco
frutto in ogni altra parte di Europa. Né diversa-
mente aveva detto il Voltaire nella ventesimaseconda
delle lettere filosofiche : Noi francesi ed inglesi non
siamo venuti nelle scienze che dopo gl'italiani. Or
bene, seguitò Guglielmo : ecco qua dunque coloro
che fra noi le trattarono con maggior fama : impe-
rocché ben vedi che porli qui stutti, in tanta ricchez-
za ed antichità di sapere, sarebbe cosa a cui non ba-
sterebbero tutte e quattro le pareti, non che questa
sola parte di una di esse, benché sì ampia.
224 Letteratura
Ed incominciando da' fisici, quegli è Alessandro
Volta, che mostra sperimentando le maraviglie del più
portentoso strumento, dice l'Arago, che Fumana in-
telligenza abbia giammai creato , la pila: d' onde si
derivarono , dopo il Galileo ed il Torricelli, le più
stupende rivelazioni che strappammo, per così espri-
mermi, al segreto della natura, e che fecero salir sì
alto la scienza. Ed a lui presso appunto è il Torri-
celli, non cosi sollecito del suo baromelro, che più
noi sia di que'nuovi trovati dei gran, comasco , de'
quali ragiona ad Ocello e ad Empedocle. Quasi a se
stessi non credono ciò che pur veggono i due filo-
sofi di Lucania e di Siracusa : e gli ho in tale atto
rappresentali, che dicano con altissimo stupore: « Noi
solo congetturando immaginavamo i misteri della na-
tura : e questi sperimentando ne hanno arditamente
afferrato il vero ! Qual mai piccola idea con tante
nostre teoriche avevamo noi dall' universo ! Quanti
erano i sogni che noi chiamavamo scienza dell'esse-
re ! » Sì, Guglielmo, io risposi: molti furono i sogni
di que' nostri vecchi : ma non vorremo per questo
considerarli con minor gratitudine che riverenza. Es-
si spesso sognarono, guidali com'esser poterono uni-
camente dal lume dell'induzione. Ma senza que'so-
gni di menti sagacissime ( parlo soprattutto de'pitta-
gorici ) credi tu che ora non sogneremmo anche noi ?
Essi dissero molte cose di là dal vero : benché sia
fuor di dubbio che grandissime verità fisiche ( lasciamo
stare le astronomiche , nelle quali è mirabile come
tanto e sì profondamente sapessero, che ben poco i
posteri ebbero ad aggiungere a ciò che que'maggiori
conobbero ) che grandissime verità fisiche, dissi, non
pur travedessero, ma sì anche trovassero, come fece-
L' ILLUSTRE ITALIA 225
ro principalmente questo Empedocle nostro e Demo-
crito ed Anassagora. Ma que' loro sì scusabili erro-
ri quanti altri non ne risparmiarono a noi ! Furon
essi, o Guglielmo, che ci resero più cauti al filoso-
fare : furono quelle audacie di pensieri, che sovente
innalzarono il nostro intelletto ad altrettante audacie:
alle quali poi seguitò, prima con un certo barlume ,
indi felicissimamente con sì piena luce la verità ! Oh
sì veramente ( ed in ciò mi rallegro colla novella età )
la scienza delle cose naturali ha maggiormente avan-
zato in due secoli dal Galilei al Volta, che non a-
vanzasse in ventidue da Talete e da Pittagora al Ga-
lilei : ed a tale noi siamo giunti, dirò così, col pas-
so dell'omerico Nettuno, che se l'essenza delle cose
toccar potesse i nostri sensi, d'onde tutte ci proven-
gono le cognizioni, a noi già quest'arcano sarebbesi
rivelato. Ma rimaso esso nascosto a tutte le specula-
zioni degli antichi, che pur n'ebbero sì gran presunzio-
ne (principalmente nelle scuole di Mileto e di Elea),
rimarrà del pari nascosto alle dimostrazioni delle no-
stre sperienze. E sempre sarà un mistero, che a se stesso
riserbò Iddio, forse per farcene gioire là dove tutta
ci verrà svelata questa oscurità sublime della sua sa-
pienza !
E Guglielmo : Ocello non ho saputo far cono-
scere in altro modo , che ritraendolo vestito di lino,
come conveuivasi a pitagorico: e barbato e scalzo ,
secondo eh' era pur uso di quella scuola : e sotto
il braccio gli ho posto la famosa sua opera della na-
tura dell'universo. Quanto ad Empedocle, la dignità
dell'aspetto, la porpora ond'egli è adorno, i calzaretti
color di rame, e la corona dell'alloro poetico, di cui
ha cinto le chiome, abbastanza indicano, secondo le
G.A.T.LXXXVIU. i5
226 Letteratura
notizie che ce ne porge Eliano, questo sommo filo-
sofo e poeta e cittadino , non so se più benemerito
dell'antica sapienza, o della civiltà italica, della qua-
le umanissimo e benignissimo diede esempio con in-
cliti fatti anziché con ippocrite parole. Ed io, con-
templando quelle venerande sembianze: Oh salve, dis-
si, Agrigento, che andar puoi fra le altre città glo-
riosissima non pure della sublimità della mente, ma
della rettitudine del consiglio di un generoso, che
sì nobile noncuranza mostrò dell'uni suo nello spe-
gnere le ree fazioni fra' tuoi cittadini , come palesa
chi rifiutò il premio spontaneo del principiato che
glie ne venne profferto ! Questo gran precursore, ri-
pigliò Guglielmo, della moderna fisica, il quale pri-
ma di ogni altro greco ed italico pose la dottrina;
de'quattro elementi onde si compongono i corpi , e
coll'esposizione della clessidra antivenne in qualche
modo il ritrovato mirabile del Torricelli, ha dietro a
se, che gli si affissa cogli occhi e più coli' intendi-
mento, quel Domenico Scinà , che tutta la filosofia
del magno agrigentino, non che la vita e le opere,
illustrò con dottrina degna della sua fama : e vedi
uno stuolo d'altri rinomatissimi che a quella tanta sa-
pienza fanno corona. Non ravvisi il Lana , il Frisi,
il Beccaria ? Non il Galvani, che accennando al suo
nipote Aldini ed al Vassalli-Eandi: « Pur troppo, di-
ce, senza il senno del gran comasco e senza la pila
non avrebbe la mia si celebrata scoperta avuto quel-
l'immensa importanza ch'ebbe poi nella fisica, nella
chimica, nella fisiologia ! » E quell'altro è Tiberio Ca-
vallo, che al Cigna e all' inventore del termomolti-
plicatore, della metallocromia, della pila termoelettri-
ca, Leopoldo JNobili, mostra il suo micrometro; né
L ILLUSTRE ITALIA 22 7
tace i vantaggi recati alla scienza per le altre sue in-
venzioni dell'elettrometro e del direttore : e vuol sa-
pere se l'alta successione del Volta mantengasi tut-
tavia con onore fra gl'italiani. Sì certo , rispondegli
il Nobili : ne sa finir di lodargli i lavori insigni del
Confiliachi, del Melloni, del Marianini, delPÀntinori,
del Zamboni e di tanti altri che dal Lilibeo alla Dora
fanno cotanto illustre il nome d'Italia. Né addietro si ri-
mangono il Beccari , il Gardini, il Delia-Torre: se-
nonchè li vedi più attesi a Salvatore dal Negro, che
loro narra come Gian-Domenico Romagnosi, non così
grande filosofo e giureconsulto che non fosse anche
gran fisico , avvisò il primo l'azione che la corrente
elettrica della pila esercita sull'ago calamitato : e non-
dimeno dopo venti anni l'Oersted divulgò come suo
quel ritrovato fra '1 plauso dell' Europa , e 1' eroica
nostra pazienza. Quegli ch'è poi là fra il Galvani e
1' Aldini non è mestieri eh' io ti dica chi sia : che
ben riconosci 1' amico tuo Domenico Monchini , il
quale cortesissimo, come fu sempre , vedi trarsi al-
quanto da parte perchè non rimangasi indietro quel
lume del sesso gentile, Laura Bassi. Degna compagnia,
diss'io, d'italiani : a'quali quante mai cose non invo-
larono gli stranieri ! Ma grave omissione ( scusami
deh ! ) parmi avere tu fatto di un sapiente, che man-
cato a'vivi ne'trentacinque anni, fu degno di succe-
dere al Castelli nella cattedra di Pisa , e di esser
proposto a quella di Padova dall' immortai Galileo.
Intendo dire di Nicolò Aggiunti dal borgo a s. Se-
polcro: il quale in queste cose della fisica fu sì acuto
sperimentatore, che a lui debbesi di avere innanzi a
tutti osservato il salir dell'acqua ne'tubi capillari, e
attribuito ad una egual cagione 1' ascendere che fa
228 Letteratura
il chilo negli angusti meati degl'intestini. Ne ciò ba-
sta: ma il primo pure immaginò colla velocità de'pen-
doli il modo di trovare la proporzione delle resisten-
ze de'mezzi dell'aria e dell'acqua. So che la Francia,
si arroga di aver preceduto ogni altra nazione nelle
sperienze de'tuhi capillari, attribuendola al Rho : ma
so pure che il Rho visse dopo l'Aggiunti, e che niun
dubbio v'ha più sul primato dell'illustre toscano, appres-
so ciò che ne ha trattato il Nelli nel saggio sull'istoria
fiorentina del secolo decimosettimo. E perchè non po-
trebbe star qui anche quell'altro eccellente giovane,
accademico del cimento, a cui il Viviani dà il merito
d'avere inventato la preziosa macchina per conoscere
se l'acqua possa comprimersi, cioè Paolo del Buono ?
Anzi perchè a decoro chiarissimo di questi studi non
vi starà pure , in un luogo degno di tanta altezza ,
il granduca Ferdinando II , che fondata avendo in
Firenze una particolare accademia di naturali sperien-
ze, inventò, secondo le testimonianze di esso Viviani,
alquanti utilissimi strumenti di fisica ? Sono sì rari
i grandi principi, che amano farsi cittadini della re-
pubblica delle lettere e delle scienze, che non parmi
certo doversi obliar coloro che in ciò si partono dal
costume degli altri. E Guglielmo: Oh certo, disse,
questi valenti non voglion essere dimenticati ! E puoi
tu credere con qual'arte mi adoprerò a riparar l'omis-
sione, soprattutto di quel principe sì benemerito che
fu Ferdinando de'Medici.
IX. Attendi intanto a quell'altro bel numero :
e già subito conoscerai esser de'nostri che con mag-
gior grido si diedero alle scienze chimiche. Oh guar-
da il Segato, che al Dandolo, al Brugnatelli, al Gio-
bert rivela il segreto di quello stupendo pelrificare
L ILLUSTRE ITALIA 32Q
che fece tante parti animali ! Perchè si a lungo tar-
dò, che poi glie lo impedisse la morte, a dichiarar-
celo ne'suoi scritti ! E guarda pure come ad Angelo
Sala, cui l'Haller dà lode d' avere il primo lasciato
in Europa le inezie e i deliri , e trattato la chimica
qual vera dottrina, fanno grazie 1' Andria, il Saluz-
zo, il Covelli, il Fabhroni, il Morozzo, il Sementi-
ni, e quel napolitano Carlo Giovanni Laubert, che
l'emula Francia reputò degno di succedere al suo Par-
mentìer ! Or se non era che il Guglielmini fu uno
de'più grandi legislatori delle acque, qui avresti ve-
duto lui pure : essendo egli stato di tal sapere e pra-
tica anche in queste cose, che il Fontenelle con un
colai motto sì spiritoso, che se fosse stato negli scritti
di un italiano sarebbesi senza più gridato al secento,
disse che a purgare la chimica dalle sue fecce l'illu-
stre bolognese fece scorrervi sopra la geometria.
DIALOGO SECONDO.
I. Mentre queste cose Guglielmo diceva , ecco
dal servo annunciarsi il venir di Fernando, giovane
di molte lettere e d'ingegno vivace, ed a me dilettis-
simo anche quando non sappiamo concordarci insie-
me in alcuna quistione. Perchè chiesto a Guglielmo
se gli fosse grave di averlo terzo nei nostri ragiona-
menti : Anzi no, rispose : che io pure l'ho caro as-
sai, e spesso viene a visitarmi là dove io dipingo. E
che calde dispute abbiamo talor fra noi ! Inclinato
com'è, giovane ancora di non matura esperienza ben-
ché di bontà egregia, a certe novelle idee, o meglio
dirò forestiere, intorno alle cose dell'arte. E così pur
delie lettere, io soggiunsi, non eccettuate le istorie.
23o Letteratura
Sicché fatto cenno al servo che facesse entrare Fernan-
do : Oh, quando il vidi, tu vieni certo, dissi, in huon
punto ! Perciocché vogliamo dircene delle fierissime;
anzi arrovellarci peggio di Filippo Argenti e di quegli
altri del quinto cerchio : essendo gran tempo, panni,
che tacciono fra noi le risse e non ci diamo hen hene
a capelli. Rise Fernando alla celia : e stesa cosi a me
affettuosissimamente, come a Guglielmo, la mano: Sa-
mtà, disse, ed allegrezza, o amici. Il parlar faceto del
nostro Betti mi dà ch'egli è al solito di buona vena,
e eh' io senza recarvi molto fastidio posso un poco
trattenermi con voi. Fastidio ! rispose Guglielmo. Tu
ci dai anzi piacere , e sempre se' il ben venuto. Or
pregoti di sedere, e d'essermi tu pure consiglio e giu-
dice in quest'ampio disegno che ti vedi innanzi.
E così dettogli in brevi parole ciò ch'egli inten-
deva rappresentare: Noi eravamo , continuò, in sul
parlare degli scienziati , che ho qui posti : ed ap-
punto avevamo già toccato de'chimici. Sicché, se tu il
credi, proseguirò. E Fernando : Anzi l'avrò in grazia,
soggiunse : solo che qua il nostro Betti non voglia
anche in queste cose delle scienze giudicare per mo-
do, che mostri sempre la sua grande avversione a ciò
die sa di straniero. T'inganni, diss'io, o Fernando, se
cosi stimi : perciocché non v'ha dubbio ( e teco vorrò
pregiarmene) ch'io non sia molto più tenero della mia
patria, che dell'altrui : ma sono altresì amico del ve-
ro : nò v'ha chi più di me s'inchini sincero anche a
quegli stranieri , che hanno veramente lode di ec-
cellenza. Ed oh se vedessi come sempre ch'io penso
a quel Bacone, a quel Cartesio, a quel Keplero , a
quel Newton e a tali altri sommi, il mio cuore lie-
tamente salutali ! Oh se dirli potessi l'ammirazione e
* L ILLUSTRE ITALIA 23 1
il piacere , onde si spesso leggo ora questa ed ora
quell' opera insigne di scrittori eziandio più moder-
ni di tante dotte e gentili nazioni ! E chi è poi che
mi vinca nell' essere, non dirò affettuoso , ma quasi
devoto alla cortesia di que'valentissimi che di là da'
monti mi son graziosi della loro benevolenza ? Se-
nonchè l'ossequio e l'amore che ho per essi non sa-
rà mai tale, che io vegga tutto risplendentissimo ne'
forestieri, e sia poi cieco alle virtù de'miei concittadini
per questo solo che nacquero di qua dal mare e dall'
alpe. Sì, caro amico, il dico e il ripeto: sono grandi
quegli stranieri : ma noi lo siamo al pari di loro : e
certo il fummo da prima. Ed è per noi massimamen-
te se oggi veggasi la maraviglia , che certo né que'
greci nò que' romani avrebbero né pur potuto imma-
ginare giammai : cioè il nobil contendere di sapienza
e di gentilezza che fa con noi, non solo quell'antica
barbarie de'britanni e de'galli , ma quella dirò quasi
bestialità de'eimbri e de'sarmati, e fin l'ultima gente
del settentrione, già irta e selvaggia, ed ora si pulita
e civile. Ed ecco, gridò Fernando, le usate iattanze !
Ecco le solite vanità patrie! Ma dimmi tu, di grazia,
fummo noi, o piuttosto non fu Carlo magno co'suoi
francesi, che le arti e le scienze quasi morte richia-
mò a vita novella, non che in Italia, ma in tutta Eu-
ropa ?
Oh! anche tu, giovinetto, diss'io, anche tu se"
di coloro che qua ci recano Carlo come luce a dira-
dare le nostre tenebre ! Deh eh' io non rida di te ,
come ho riso pur d'altri, che anche questa millanteria
vollero gridarci sul viso, non so se per dileggiarci, o
provar meglio la loro ignoranza ! E Fernando : A me
però non par cosa molto da ridere. E come no, io ri-
23a Letteratura
presi, se quel Carlo visse in Francia a'tempi per le let-
tere così felici, che non potè avere nel regno ne pure
chi fosse mezzanamente atto a dirozzarlo in grammati-
co, e dovette reputar gran dono del cielo, venuto già
ne'trent'anni ed ignorantissimo, d'esserglisi presentato
a Pavia quel buon vecchio di Pietro da Pisa ? Come
no, se fra'suoi più cari ebbe due altri dotti italiani,
che certo non avevano mai studiato in Francia, Pao-
lo diacono e Paolino poi patriarca di Aquileia ? E
Alcuino, m'interruppe l'amico, dove tu lasci Alcuino,
che fu il vero maestro di quel grandissimo ! Ed io :
Già non voleva tacere di Alcuino. Ma non so di qual
gloria sia alle lettere francesi questo famoso monaco,
il quale non pur ebbe origine inglese, ma da giova-
ne viaggiò in Italia , e venne a Roma dove la reli-
gione non soffrì mai che le dottrine al tutto giaces-
sero; e di qua si condusse a Pavia, che già incominciava
ad essere città di scienze ; e ciò prima che aprisse
la sua scuola a Yorck , e levasse di se quel grido
che mosse Carlo a chiamarlo in Francia , ed a vo-
lerlo, sebbene per quattro soli anni , al suo fianco.
Deh lascia queste beffe, o Fernando, a'perpetui ne-
mici del nostro nome : i quali, senza ossequio veruno
alla vecchiezza negli uomini venerabile, e sacra nelle
nazioni , ardiscono morder le poppe che dieder loro
il nutrire per sì lunghi anni di fanciullezza ! Que'
francesi di Carlo non avevano ne arti proprie, ne let-
tere : altro non sapendo che al modo de'barbari usar
le armi.
Qui Fernando chinati gli occhi stette alquanto
sopra di se : poi ripreso quasi baldanza : Checché sia
di questo, continuò ( che io non voglio tanto osti-
narmi nel contraddirti ), non potrai almeno contende-
l' ILLUSTRE ITALIA 233
re , ch'essendo finalmente divenuto languido il nostro
braccio, come direbbe Vincenzo Cuoco, per l'abuso
dell'energia, noi stemmo allora sotto il giogo di que'
francesi, presso i quali fu l'impero, non meno dell'Ita-
lia, che di quasi tutta l'Europa. E da chi ebbe Car-
lo, diss'io, questo impero se non da noi stessi ? Com'
egli calò in Italia, se non chiamato da'nostri ponte-
fici, i quali stanchi di sopportar più oltre le per-
fidie dei re longobardi, e soprattutto di Desiderio in-
gratissimo, si mossero a chiedergli il merito dell'ave-
re legittimata del regno la famiglia di Carlo Martel-
lo ? Perciocché que'tempi così correvano : che senza
la saggezza e 1' autorità di papa Zaccaria ( checche
oggi ne cicalino alcuni scrittori di là da' monti ) ,
certo è che i francesi, in quell'antichissima loro ri-
verenza alle ragioni dei re, non si sarebbero mai pie-
gati a veder Pepino sul trono di Childerico. Fu gra-
to Carlo a' pontefici del beneficio del regno pater-
no e suo : e ciò vuoisi riputar lode di un animo ,
a cui non mancarono veramente molte virtù precla-
re. E dico anche del regno suo : perchè chi non
sa, che per la sola ragion del più forte aveva egli cac-
ciati i legittimi eredi della corona d'Austrasia ( i due
figli cioè del re Carlomanno suo fratello ) e riunito
quello stato alla Neustria ed alla Borgogna, che so-
le gli erano toccate in parte alla morte del padre ?
Or che sarebbe avvenuto di Carlo , se Adriano I
ivesse unti del regno di Carlomanno que'due pupil-
i, come venivane stimolato dal re Desiderio loro avo
ricovero nella sventura, e dal vecchio Unoldo du-
a di Aquitania ? Ricusò Adriano di porgersi a quel-
ntto ; e salvò per tal prudenza la Francia da una
gerra civile : la quale infine terminata sarebbesi per
234 Letteratura
l'autorità della chiesa, in un regno ove potentissimo
era il sacerdozio, ed i vescovi, come dice il Gibbon,
creato avevano il polere dei re. Senzadio Carlo, aven-
do inimico Adriano principe di sì grandi spiriti, ed
in armi i due innocenti nipoti dal pontefice coronati,
era egli sicuro di escir trionfante da una usurpazio-
ne sì manifesta ? Cessi dunque chi tanto innalza i
meriti di quel fortunato verso la sede romana e l'I-
talia : e creda ch'egli volle in alcun modo rimeritare
colla sua spada i favori eh' ebbe segnalatissimi dalla
tiara. Ne quella sua guerra longobarda, o Fernando,
fu poi cosa da onorarsene molto un re grande e guer-
riero. Perciocché giunto Carlo alle alpi, e veduto il
longobardo contrastargliene animoso il passo, fu su-
bito pien di spavento; memore, ancora delle terribili
stragi che già de'suoi franchi commisero in aperta cam-
pagna i re Autari e Grimoaldo, senz'averne cancel-
lato la fama le brevi scorrerie che, favorito sempre
dall' autorità de' papi , esercitò il re Pepino in Ita-
lia contra il malvagio Astolfo. Sicché, dicono il Da-
niel e il Deuina, era egli in punto di fuggirsene ver-
gognosamente co'suoi , se nell' estremo pericolo non
gli avessero sgombrato dinanzi ogni ostacolo la reli-
gione ed il senno, così di esso Adriano, come di An-
selmo abate di Nonantola. Quindi l'esercito francese
non trovò poi a combattere che a Pavia un nemico,
ch'estenuato dalla pestilenza e dalla fame, poco stan
te se gli die prigioniero.
Dunque, m'interruppe allora Fernando, seconD
l'opinion tua Carlo non ebbe il regno di Desidero
che dalla munificenza de' papi. Tant'è, io risposi i_ ni-
na cagione avendo egli avuta di calare in Italiane
non quella di rendersi alla chiamata di Adriano: il
l' ILLUSTRE ITALIA 235
quale risoluto di abbattere al tutto la possanza de'lon-
gobardi, stimò saviezza di gratificare del loro regno un
fortissimo, la cui famiglia, da esso e da1 suoi antecessori
raffermata sul trono, avrebbe sempre dovuto di buona
ragion di stato, non solo rimanersi nell'ossequio della
sede apostolica, ma sì procacciarne l'esaltazione e di-
fenderla. Certo è poi che il re Carlo ebbe animo così
alieno dal volerci umiliare e far servi alla Francia, che
non pure fondò fra noi un regno d'Italia senz'alcuna
superiorità forestiera, ma costantemente mostrò qui d'
onorare la maestà dell'impero e del sacerdozio. Perchè
preso modestamente il solo titolo di patrizio, appena
osava levare un pensiero a quello di augusto , con
che di proprio moto ed affetto salutollo Leone III.
E potresti tu dirmi s'egli altrove che in Roma si con-
dusse a prendere la corona de'cesari ? Potresti dirmi
se indi con altro titolo si chiamasse che con quello
glorioso d'imperador de'romani ? Per la qual cosa non
so d'onde alcuni traggano il nome d' un impero de'
franchi fondato da Carlo magno : essendoché niuno
degli antichi nominasse mai altrimenti quella vastis-
sima sua monarchia, che impero romano o d'occiden-
te. Ben fuvvi un impero francese : e il vedemmo na-
scere e perire a'dì nostri per la spada e per la men-
te di un italiano : impero che non durò (per così di-
re) che pochi romorosissiini giorni, seguendo la neces-
sità d'una nazione che di tutto si stanca presto, anche
della maestà e della gloria. Che più ? V'ha chi sa-
rebbe indotto quasi a pensare , che Carlo ( per ciò
ch'indi mostrò ) non tenesse in quell'onor grande, che
dicesi, l'esser nato francese: avendo tolto perfino alla
sua patria, non ch'altro, la sede del regno, e recatala
in Alemagna: là dove pur volle vecchissimo che in
236 Letteratura
Aquisgrana giacessero le sue ossa: dopo avere però som-
messo ( fatto gravissimo ) alla potestà di papa Leone
III il suo testamento, perchè, come dicono gli annali
de'franchi , approvandolo il soscrivesse.
Qui Guglielmo, che più volte era stato quasi sul-
l'interromperci le parole, presomi finalmente con amo-
re per mano : Deh, disse, non sembrati ch'ornai que-
sta quistione sia trapassata ogni termine ! Se vi pia-
cesse, amici, finirla, o rimetterla a miglior tempo (che
non voglio già interdire al nostro Fernando di far le
risposte ), io seguiterei volentieri a parlarvi de' miei
disegni. Ed io : Hai ragione , o Guglielmo : e di
grazia scusaci di questo svagarci che abbiamo fatto,
se non per amore di Carlo magno, per quello alme-
no d'Italia. Sì sì , soggiunse pure Fernando : e me
scusa principalmente, cosi per giovinezza inesperto : e
prosegui intanto a farci conoscere i personaggi del tuo
gran dramma pittorico.
II. E Guglielmo: Noi eravamo a'chimici : or ecco
qua i botanici, la cui scienza in Europa dee pur tan-
to all' Italia , che diedele perfino l'instituzione degli
orti, mostrando ad esempio quelli di Padova e di Pisa.
E primo fra essi è Sestio Nigro, nominato da Gale-
no subito dopo Dioscoride, ed anche notoci per l'ef-
figie che ne ha pubblicato il Visconti. Ed io : Se il
primo non fu Sestio , certo fu il principale , o io
m'inganno, che meritasse fra gl'italiani d'esser chia-
mato botanico : benché innanzi a lui ponesse uno stu-
dio grandissimo in questa scienza il portentoso inge-
gno di Empedocle, il quale può dirsi d'averne quasi
poste le fondamenta col trovare che fece il sesso del-
le piante. Oh, soggiunse allora Fernando, quelli che
con Sestio favellano sono certo l'Alpino ed il Cesai-
i/ ILLUSTRE ITALIA 287
pino ! Ma non era forse quell'aretino allogato meglio
fra'medici o fra gli anatomici ? E Guglielmo : Un uo-
mo così solenne nelle scienze, come fu il Cesalpino,
allogavasi bene non pur fra gli anotomici e i medi-
ci, ma fra'primi sapienti che scossero il giogo della
servitù scolastica , e vollero filosofando esser liberi.
lo l'ho però voluto qui porre, perchè credo che aves-
se altri anatomici e medici e filosofi che l'uguagliasse-
ro : ma che niun botanico gli fosse pari al suo tem-
po. Sicché veramente il reputeremo del numero de'
fondatori chiarissimi della scienza pe'sedici suoi libri
intorno alle piante : ne'quali questo è J soprattutto a
considerarsi, eh' egli primo indicò il metodo di par-
tizione per le fruite e pel luogo del ricettacolo, a-
vanzando così di un secolo e mezzo il Iussieu. Lo-
de assai più certa, che non sia 1' altra così contra-
stagli dell'assoluta scoperta della circolazione del san-
gue : la quale nondimeno avvisò per modo , che il
Freind dissela conseguire con facile e necessaria de-
duzione dalle dottrine di questo nostro italiano. E
veramente poco ebbe a fare l'Arveio dopo di lui, do-
po il suo maestro Acquapendente famoso ritrovato-
re delle valvole delle vene , e dopo il bellunese Eu-
stachio Rudio, da chi precisamente imparò a Padova,
come ha ben provato a'dì nostri Giammaria Zecchi-
nelli, le cose più essenziali sulla struttura e sull'uf-
ficio del cuore. Anzi, diss'io, il Senac ( vedi, o Fer-
nando, non ti adduco uno de' nostri) dichiarò alta-
mente ehe appresso il Cesalpino niuno può veramen-
te pretendere il titolo di scopritore della circolazio-
ne del sangue, non essendo andato l'inglese che pro-
priamente sulle orme dell'italiano, come un viaggia-
tore che visiti una regione già indicatagli da un al-
238 Letteratura
tro. Comunque sia, potendo stare questo nostro gran-
de in più luoghi del tuo dipinto, come bene avver-
ti, o Guglielmo, stia pur qui fra'botanici.
Allora Guglielmo: Piacemi questa tua approvazione.
Ed il Cesalpino parla appunto con Sestio dell'avanza-
mento ch'egli procacciò il primo alla botanica de'moder-
ni: e tiene intanto per mano il Mattioli, gran tradutto-
re e fomentatore di Dioscoride. E perchè non ho po-
tuto qui darvi anche il Malpighi, l'autore immortale
dell'anatomia delle piante ! Ma ho stimato quel lu-
me chiarissimo delle scienze, comechè fosse pur som-
mo nella botanica, non dover mancare alla compagnia
degli altri principi degli anatomici , i quali certo si
sarebbero mal contentati di non averlo vicino.
I due che dopo il Mattioli si mostrano in quel-
la gran fede di amicizia, sono i lincei Federico Cesi
e Fabio Colonna, ingegni acutissimi : imperocché dal-
le tavole filosofiche di Federico, uice Giovanni Bri-
gnoli, trassero e il Iunius e il Linneo e il Iussieu e
l'Adanson, ciò che con maggiore filosofia disputarono
sulla botanica. E senza Fabio, che avrebbe mai fatto
il Tournefort ? E bene il confessò l'illustre francese,,
riprese Fernando. SI confessollo, io risposi: e confes-
sollo con candida lealtà : ed è veramente da recar ma-
raviglia che sì rado ne seguisser l'esempio i dotti della
sua nazione. E quell'altro, o Guglielmo, parmi essere
il Tozzi. Egli è desso, rispose l'artista: ed in tanta mo-
nastica semplicità ho voluto che pur mostrasse il buon
vecchio alcuna onesta alterezza dvaver datò alla bo-
tanica uno de'più splendidi lumi in quel suo discepolo
Pietro Antonio Micheli. Qui surto in pie , per un
subito moto, esclamò sdegnoso Fernando : E dopo que-
sta sì grande sagacità e potenza d'ingegni ebbe pur
L'ILLUSTRE ITALIA 23()
coraggio il Decandolle di parlare sì Lassamente de-
gl'italiani quanto alla filosofia della scienza ! Ed io :
Sì, amico : ebbe questo coraggio ! E l'ebbe all'età dei
Viviani, dei Nocca, dei Bertoloni, dei Gussone , dei
Savi , dei Brignoli , dei Tenore, dei Moris ! E vol-
le perfino far sembiante di non conoscere il più bel-
lo e eompiuto lavoro, che sia escito giammai intor-
no all'anatomia e fisiologia de' vegetabili, l'opera cioè
di esso Viviani Sulla struttura degli organi ele-
mentari delle piante e sulle loro funzioni della
vita vegetale ! Gran che , o Fernando , che voglia-
ai perpetuamente di là da'monti tener cattedra d'er-
rore sulle cose de' nostri , ed imputarci a colpa se
in Francia o in Inghilterra o in Germania ignorisi ciò
che fassi in Italia ! Ma quella non so s'io dica simu-
lazione o scortesia del professor ginevrino ( che igno-
ranza non oso chiamarla ) non si volle senza nota la-
sciar passare dal Brignoli. Ed oh pur benedetta quel-
la sua opera veramente di carità patria ! Non V hai
tu veduta ? Bispose egli : Sappi anzi che mi è stata di
gran consiglio ed utile in questa parte del mio lavoro.
Vedete qui intanto al Micheli congratulare il
Trionfetti , il Tillio, il Zannoni : mentre a Vitalia-
no Donati sono più particolarmente attesi il Monti,
lo Scopoli, Giovanni ed Ottaviano Torgioni e il Pe-
tagna, ammirando la narrazione di que'suoi viaggi in
Asia e in Egitto, e commiserando la morte che l'uo-
mo egregio trovò sulle coste del Malabar. Seguono
1' Allioni e Pietro Arduino , a' quali il Pontadera
presenta 1' opera sua sulla natura del fiore. « E tu,
dice là il Comparetli al Corti , tu il primo trova-
sti, che il succo de'vegetabili ascende e discende pe'me-
desiini vasi. « Gli è vero, a lui risponde il botanico
240 Letteratura
di Viano : ma non considerasti tu innanzi a tutti la
particolare struttura del collaretto della radice, o sia
il nodo vitale ? » Quindi una gara gentile di testimo-
niarsi l'un l'altro la propria ammirazione è fra il Gan-
dhi! e il Pollini, autori d'importantissimi sperimenti,
quegli sull'azione dell' elettrico nelle piante , questi
sulla vegetazione degli alberi : a ciò partecipando al-
tresì il Cavolini, che avvisò il primo la maniera on-
de fioriscono le fucagrostidi di Teofrasto e la zoste-
ra : ed il Vandelli, l'illustratore principalissimo della
dracena, la quale il Linneo non volle in Europa con
altro titolo onorare che di vandellia. Allora Fernando,
non senza gran commozione di animo : 0, disse, Gu-
glielmo, non è mestieri che tu ci dica chi è l' altro
che viene appresso : che io ben riconosco l'immagine
di tale , che al Betti fu amico , ed io sommamente
amai come maestro che mi fu carissimo nella romana
università ! Certo egli è desso, riprese Guglielmo, egli
è desso quell' Ernesto Mauri , che sì giovane e non
men famoso mancò in questi anni all'onore italiano.
Perdita gravissima, e di qua e di là dall'alpe meri-
tamente compianta ! Ed egli, come vedete, è col Bai-
bis, col Bivona e col Sebastiani, a chi mostra le ope-
re di quella Elisabetta Fiorini Mazzanti, ch'è tanto
decoro non pur della scienza , ma della mente del
gentil sesso, il quale in Italia più che in altra regio-
ne, la Dio mercè, sembra inteso a più nobili studi che
a follie di romanzi.
III. In questi altri poi non dovrebbe esser dif-
ficile il ravvisare coloro che principalissimi scrissero
di quell'arte, che gl'italiani non profanarono mai, co-
me i greci, abbandonandola a mani servili : dico l'a-
gricoltura a'nostri avi sì veneranda, che ancor si ri-
L' ILLUSTRE ITALIA 24»
cordano quelle mani trionfali che fra noi guidavano
il vomere laureato. E sono essi ( lasciando stare Var-
rone, che come dottissimo de' romani porrò fra' som-
mi eruditi ) Pier Crescenzi, Francesco Ginanni, Giam-
batista da s. Martino, il Gagliardo ed il Re. E cui
cerca, disse Fernando, cui cerca egli il reggiano geor-
gico, che il veggo con tanta sollecitudine volgersi in-
dietro ? E Guglielmo : Cerca il bolognese Giovanni
Cavallina: e intende restituirgli l' invenzione del se-
minatore , con incredibile impudenza involatagli dal
Duhamel. Come pure vuol rendere a quel buon mi-
nore conventuale, che fu Agostino dalla Mirandola,
il merito della prima sperienza fatta di moltiplicare
gli agrumi per sola opera delle foglie : sperienza che
parimente si attribuirono poi a vicenda ( usata inso-
lenza ! ) il Beclcero e 1' Hobbergio. Gli altri sono
piuttosto intesi a bearsi ne'versi che loro canta Luigi
Alamanni. Gentile immaginazione, disse Fernando ! E
cosi qui panni veder l'autore elegantissimo della col-
tivazione, coma immagino che fosse alla corte di Fran-
cesco e di Enrico di Francia , quando colla dolcez-
za del patrio verso consolava gli ozi di Caterina de'
Medici. E bene hai posto con essolui il Rucellai :
che veramente non so qual più grazioso libro e soa-
ve di quelle sue Api abbia il nostro Parnaso : e la-
scisi cianciare uno stolto di questi giorni, che colle
zampe
« Sciupa il fien di Parnaso e lo scompiglia: »
non vergognatosi di stamparci sul viso , che quella
semplicità carissima di poesia, tutta fior virgiliano, è
dagl'italiani sopportata ornai nimium patienter ! Ma
G.A.T.LXXXVIII. 16
242 Letteratura
vorrà menartìsi buono di aver poi trascurato il Tan-
sillo, autore anch'esso de'più leggiadri di un poemet-
to intitolato il Podere: e trascurato insieme tanti altri,
che pure con bella lode fra' moderni cantarono co-
se georgiche, come per esempio lo Spolverini, il Ba-
ruffaci, Zaccaria Betti, il Lorenzi, l'Arici? Ma se
io doveva, soggiunse Guglielmo, effigiar qui tutti quan-
ti, o Fernando, e non i soli maggiori, penso che a
tanto numero appena sarebbero bastate, non dico le
pareti di quella gran sala, ma sì le muraglie dell'
intero palazzo. Ho posto adunque i due più famosi,
che dopo Virgilio poetarono di cose campestri: i due che
sono non pur delizia di quanti hanno cara la scienza,
ma si studio e diletto di chi sa intendere quella sin-
golare eleganza e purità di favella, onde vengono me-
ritamente allegati in esempio sì autorevole. Se così è,
diss'io, poni anche senza alcun dubbio il Tansillo: per-
ciocché affermerei quasi per certo, che il fiorentino con-
sesso non ha onorato ancora fra' testi del parlar gen-
tile il Podere del poeta napolitano, se non solo perla
ragione che quella sì graziosa operetta, trovata a caso,
non ci si è fatta conoscere che a questi ultimi anni.
E Guglielmo : Sarà dunque terzo il Tansillo nel mio
disegno fra quel senno elegantissimo dell' Alamanni
e del Rucellai.
IV. Ma intanto, amici, quali avete voi che fra
gl'italiani siano principi della scienza che più propria-
mente ha nome di naturale ? Ho sentito dir sempre,
rispose Fernando, che siane padre in onore il vecchio
Plinio, e che veri principi se ne vogliano salutare Er-
molao Barbaro, a chi Ermenegildo Pini dà veramente
lode di primissimo ristoratore, poi l'Aldrovandi fon-
datore della zoologia, indi il Redi, il Vallisnieri, lo
l' ILLUSTRE ITALIA 243
Spallanzani e Felice Fontana. E cosi, rispose Gugliel-
mo, ho sempre creduto anch'io. E perciò vedeteli par-
titi in vari gruppi, e chi in pie e chi seduto, là pres-
so quell'erboso antro, su cui una gran rovere span-
de ombra così gradevole. Ed io : Cosa veramente cu-
riosa quell'uomo sì grave d'anni, che curvo sul suo
bastone rimira Plinio sì arditamente! E sì ch'egli è il
medico Leoniceno, che piùmo ne'libri del veronese av-
visò molti errori Dall'animo libero di un sapiente, che
jion offuscato da cieca riverenza per niuna vecchia
opinione, non contempla che il vero, ne altro cerca,
ne altro vuole, e ride sul volto a' pedanti ogni lor
servile arroganza ? E Guglielmo : Appunto egli è des-
so : ne ho stimato dover passare uno de'più forti in-
telletti del secolo decimoquinto, il quale se non recò
a niun'altezza la scienza, vide però in quel primissimo
albore, che la natura poteva e doveva in altro modo,
che non si era fatto, studiarsi ed interpretarsi. Ora
osservate il Vallisnieri, ch'è surto incontro a quell'in-
gegno stupendo di Giacinto Cestoni, che tanto egli eb-
be in onore fino a chiamar la sua morte una sciagura
pubblica del suo tempo. Ma il Redi, che sarebbe for-
se venuto anch'egli a far festa a quel suo amicissimo,
n'è ritenuto dal narrare che gli fa Ferdinando Lui-
gi Marsili non pur quanto opeiò ad avanzar l'uma-
no sapere, soprattutto nelle sue opere sul Danubio e
sulla storia fisica dei mare , ma e le sue imprese di
guerra, e i suoi viaggi, e i casi della sua schiavitù,
e i morsi infine con che l'invidia prese invano a brut-*
targli l'onore,
Qui Fernando, facendo un cenno cortese colla
mano destra a Guglielmo perchè dovesse alquanto re-
starsi, a me rivoltosi disse : Ecco, o Betti, un nostro
244 Letteratura
infelice, a chi un re grandissimo riparò i danni che
fecegli un grandissimo imperadore. E chi fu egli quel
re ? Fu Luigi XIV, io risposi, che con nuovi onori
compensò in Francia al Marsili gli onori perduti in
Germania : lode veramente egregia di un principe ,
eh' emulando ciò che Francesco primo operò per le
arti, andava del pari invitando dall'Italia a Parigi i
più ciotti ed illustri che ammaestrar potessero alle scien-
ze la sua nazione: tantoché dopo averci tolto e il Cas-
sini e il Maraldi e il Poli, volle avere altresì quel no-
bilissimo bolognese-, E quando ho io negata mai la ge-
nerosità dell'animo di Luigi, che certo in ogni cosa fu
somma ? Ma vorrei che tu pure considerasti, se nell'a-
ver tratto in Francia così il Marsili, come quegli altri
italiani, abbia egli avuto mente soltanto alla propria
benignità, o non seguito piuttosto un senso di quel-
l'ambizione che fu in lui sì possente , e provveduto
a'bisogni della crescente civiltà del regno. Vero è che
presto a Ferdinando Luigi fu a noia quello star sì
lontano dalla ddetta patria : ne la corte ebbe nel gra-
ve suo animo bastanti lusinghe a fargli dimenticare
d'essere italiano : ne sopra il dovere di cittadino po-
se l'ammirazione e la gratitudine verso quel princi-
pe, che anche dopo la vergogna de'patti in suo no-
me proposti a Gertrudemberga (certo era morto il Maz-
zarino ) dal maresciallo d'Uxelles e dall'abate di Po-
lignac i poeti ed i pratici del mestier delle corti chia-
mavano il gran re. Gran re ( oh mi sia lecito , co-
munque sia, pensar col mio capo ! ) gran re chi dopo
quel suo tanto delirio di signoreggiar 1' Europa , se
non al tutto cadde, anzi non precipitò, dovette solo
reputarlo all'essersi da'suoi doni lasciata sedurre, di-
ce Orazio Walpole, l'amica e dama d'abbigliamento
l' ILLUSTRE ITALIA 2/^5
della regina Anna cT Inghilterra , ed al mutarsi del
ministero britannico eh' indi ne avvenne ! Deh se il
Marsili non avesse avuto, o Fernando, quella carità
di patria, guarda il gran lustro che coll'instituto di
Bologna sarebbe mancato all'Italia !
Chinò il capo Fernando a queste parole : sicché
proseguì Guglielmo : Ecco il Breislack che ancor qui-
stiona con Ermenegildo Pini tutto caldo in voler di-
fendere, presente il Fortis, esser acquea la fluidità pri-
mitiva della terra, anziché ignea. Ecco il Vianelli, che
col Bonanni e coll'Olivi richiamasi del Nollet , che
osò involargli il trovato di que'piccoli insetti di ma-
re, ch'egli denominò lucciolette notturne : trovato pe-
rò che all'italiano rivendicò il grande Linneo. Chi poi
non conosce le immagini del Gis mondi, del Marza-
ri , del Tondi , di Giovanni Arduino ? Quello che
vedete più oltre è il Mangili, che seduto sur un tron-
co d'acero ha dinanzi aperte le opere di Carlo Bo-
naparte principe di Canino: ma rivolto ha gli occhi
al Gioeni, tutto inteso a lodargli i lavori degl'illustri
suoi siciliani Gemellaro e Maraviglia, ed a parlargli
delle scoperte ittiologiche di Anastasio Cocco, a cui
ultimamente il fiammingo Contraine ( ed osservate
sdegnarsene il Ranzani j osò contrastargli quella del
rovetto prezioso. Tu poi, Betti, devi senza dubbio rav-
visare il filosofo che ho là ritratto con alcune con-
chiglie in mano, in atto di farne disputa con quegli
altri che sì attentamente gli sono intorno. Il ravviso
certo, io risposi : egli è desso appunto Giovanni Broc-
chi. Ma vorrei che tu, nel parlare che fa , gli dessi
qualche maggiore vivacità: essendoché fosse tale, che
le eloquenti parole escivangli del petto più come fiam-
ma di un vulcano, che come onda di un gran fìu-
246 Letteratura.
me. Uomo veramente d'ingegno preclaro, e di cildì1
pari all'ingegno ! Io l'ho sempre presente all'anima ì
e tu, amico, mei fai oggi presente anche àgli occhi.
Quelli, che ha seco a ragionare, sono, se non erro,
il Gualtieri, il Poli e il Renier : perciocché altri non
potrebbero stare più opportunamente con Ambrogio
Soldani, ch'io pur conobbi 4 essendo tuttavia giovinet-
to. E Guglielmo : Veramente sono essi. E Con sì bel
numero ha fine nel mio disegno la parte che dar do-
vevasi all'istoria naturale : scienza in cui gl'italiani *
come vedete, possono star bene a fronte di qualsiasi
più dotto popolo dell' Europa. Ma credo poi che i
grandissimi delle altre tre classi scientifiche , che or
succedono, tali debbano stimarsi, che non sia chi più
di essi meriti lode di avere insegnato a tutte le mo-
derne nazioni : essendoché originalmente sia nostra
la medicina, nostra l'anatomia, nostra gran parte del-
la matematica : quantunque gli stranieri , fattisi pef
tempo alla nostra scuola, salissero poi anch'essi a tan-
ta e sì giusta altezza di fama. Senonchè i maestri do-
vranno sempre dirsi maestri : discepoli i discepoli. Sa-
rebbe vano, soggiunse Fernando, l'entrar teco a con-
trasto per questa verissima nostra gloria: anzi ho udi-
to spesso io medesimo molti gentili stranieri, non so-
lo non disputarcela, ma sì rendercene onore e merito.
Donde vedi, o Betti, che non è in me alcun animo
d'offendere la comun patria. E t'amerei io , risposi ,
se tu l'avessi ? Primo dovere a chi vuol essermi ami-
co ( se nulla vale la mia amicizia ) e l'essere italia-
no : italiano anzi tutto ! Perciocché chi è tale, egli
è anche pio, egli è generoso, egli è fedele, egli è cor-
tese: egli sente inoltre la dignità di quest'umiliarsi ,
che fa il savio fra noi, ad un solo tremendo destino
l' ILLUSTRE ITALIA 247
c maggior delle cose , il quale vietagli anche ne'fatti
civili ti' innalzare autorevole quella voce, che già fu
riverenza e legge dell'universo.
Levossi a quesli detti Fernando, e non senza al-
cuna lagrima mi si lasciò cadere colle braccia sul col-
lo : sì ch'io, con pari tenerezza di amore accoltolo fra
le mie, il baciai sulla fronte. Poi rivolto a Gugliel-
mo , che affettuosamente guardavaci : Tu dei certo ,
gli dissi, esserti trovato in assai strette avendo qui a
collocare tante persone. Imperocché quale artificio non
dev' esserti stato bisogno a dare un fior di possibile
varietà agli atti ed alle positure, non che ai gruppi de"
personaggi che compongono si vasto dramma ? Tu sai,
egli rispose, che qui trattasi di scienze e lettere, non
di battaglie o palestre : qui è società di sapienti, per
lo più vecchi e gravi, non di persone che fanno mo-
stra di lor bellezza ed agilità. Poco diversa general-
mente è la maniera di vivere, per lo più a caso, in
tutti gli uomini dati agli sludi : contemplare, cioè,
osservare, scrivere, e non so che altro : se pur non
fosse alcun che di disputa, spesso veramente un pò acre
e superba, infermità della nostra natura. Ne Raffaello
stesso, non ch'altri , mi è sembrato aver potuto supe-
rare questa necessità : che nella sua scuola di Atene,
la quale ha molto della ragione del mio disegno, tutte
le persone, salvo due o tre gruppi, sono a un dipresso
in uno stato di ragionare tranquillo con pochissima
diversità di azione. E certo non ho io voluto, come
ne pur volle nel suo dipinto quel grande, rappresen-
tare alcun fatto o mirabile o strepitoso : ma si dare
unicamente, con qualche connession ragionevole, una
continuazione d'immagini d'uomini celebra rissimi in
ogni maniera di dottrina: ove credo che altro dilet-
248 Letteratura
to non sì desideri , che veder tanta potenza d' in*
'jegni riunita insieme, e poter quasi conversare con
que'famosissimi , come se ancor ci vivessero : ingan*
nando così il tristo pensier del sepolcro. Tal è sta-
to il mio verissimo intendimento: e tale forse fu quel*
lo del signore cortese, il quale nell'allogarmi l'opera
non d' altro parlommi che del diletto di potere spa-
ziarsi in mezzo a queste glorie d' Italia, e mostrar-
le a'foreslieri ed a'nostri. Sicché, amici, non v'aspet-
tate ne pur qui un gran movimento di affetti, o una
straordinaria varietà di azioni, ne'pacifici sapienti che
sarò ancora per dimostrarvi : riserbando qualche mag-
gior ardore di spiriti ad un' altra parte del mio la-
voro, ove porrò tali uomini , che non già fra le pa-
reti d'una segreta stanza o di un liceo si procaccia-
rono l'ammirazione de'posteri.
V. Or mirate i più illustri medici che onora-
rono l'antica nostra dottrina : Eraclide da Taranto ,
Acrone da Agrigento, Democede da Crotone, Celso e
Scribonio Largo : co'quali vanno quasi del pari que*
due buoni vecchi della rinnovata Italia, Antonio Be-
nivieni e Benedetto da Legnano, uomini assai bene-
meriti e all'età loro chiarissimi : essendo stato il pri-
mo, come ben avvisa 1' esimio De-fìenzi, il fondatore
dell'anatomica patologia, di cui fu poscia immortale
perfezionatore il Morgagni : e potendo il secondo chia-
marsi il Sydenham del secolo XV. Vaga e nuova »
disse Fernando, quella figura del crotoniate così ve-
stita mezzo fra il persiano ed il greco ! E bene sta:
che tutti così riconoscono a quella tiara, ch'egli si è
già tolta di capo, ed a quella catena d'oro che ador-
nagli il collo e il petto , il medico famosissimo chà
guarì Dario dTstaspe ed Atossa. E sì che a quei tar-
L* ILLUSTRE ITALIA 2^
dì e sfavi egli narra le sue avventure in Atene e alle
reggie di Samo e di Susa , la sua schiavitù , le sue
fortune, e la carità della patria ond'elesse di rifiuta-
re tutte le sontuosità che gli offriva il gran re. Tu
hai indovinato il concetto mio, rispose Guglielmo: ben-
ché Celso, cui vedi in mano le lettere dottissime del
Bianconi , attenda piuttosto a Leonardo Targa , che
ricercalo di alquanti dubbi sulla sua opera della me-
dicina, della quale quel veronese ci porse la più cri-
tica insieme e compiuta e bella ristampa. Edio: Non
fa poi che tu mi dica chi è quell' altro , che primo
è là della schiera di coloro che fiorirono al tempo del
rinnovarsi delle scienze, e più possentemente giova-
rono a mondarle dalla brutta scoria della barbarie.
Egli è Girolamo Eracastoro, l'onor di Verona : la cui
anima del pari informarono i geni di Timeo, d'Ippo-
crate e di Virgilio : non sapendo dire fra matemati-
co medico e poeta qual fosse più : certo però in tut-
to fu grande. Ed al fianco ha il Manardo , il Mer-
curiale, l'Argenterò, il Brasavola, il Botallo , il Be-
nedetti : e quell'uomo di massimo e quasi divino in-
gegno, come chiamollo il Vesalio , cioè Giambatista
da Monte : il quale più risolutamente sequestratosi
da coloro, che quasi in altro non facevano consiste-
re la medicina, salvo in interpretare e chiosare gli an-
tichi testi (senza volere aprir gli occhi a niuna luce
d'osservazione o sperienza), pose il primo in Europa
le fondamenta della clinica, e fece cotanto avanzare
dopo il Benivieni ed in compagnia del sommo Ingras-
sia ( l'Ippocrate siculo ) l'anatomia patologica. E pure,
m interruppe Fernando, questa lode concedesi comu-
nemente a Silvio de la Boe olandese ! Da chi, rispo-
si io, poco sa dell'istoria medica, e niente delle cose
a5o Letteratura
nostre, ne mai ha letto i consulti medici del Da Mon-
te. Anzi da chi non considera , che 1' università di
Padova era nel secolo XVI la celebre scuola, ove tutti
i settentrionali convenivano a studiar medicina: e che
le opere del Da Monte, morto forse nel millecinque-
cento cinquantuno, precedettero d'oltre a cent'anni
quelle di Silvio : le quali non escirono precisamen-
te se non dopo ch'ebbe l'Heurnio (che fu scolare in
Padova) recata seco in Olanda questa parte della no-
stra sapienza medica. Or se a Silvio darai il titolo
di sommo restauratore della clinica, gli darai ciò che
veramente gli si conviene : ma quanto al senno di
averne poste il primo le fondamenta, sarebbe inde-
gnità e sconoscenza chi ne volesse involar la gloria
all'italiano filosofo. Oh quanti poi Veggo, o Guglielmo,
seguire il glorioso numero! E che eccellenza d'ingegni,
e che celebrità di fama di qua e di là da'monti e da'
mari ! Ben fra essi riconosco alla nota effigie e il Zac-
chia fondatore della medicina legale, e il Bellini crea-
tore della medicina meccanica, e il Cocchi e il Tor-
ti e il Lancisi. Indi il Ramazzini , il Macoppe , il
Dei-Papa, il Lanzoni, il Borsieri, il Pasta, il Brera,
l'Acerbi. E quell'altro chi è, che con siffatto ardore
sembra difendere la sua ragione in mezzo a que'due,
i quali per tal modo lo ascoltano, che ben mostrano
dargli vinta la causa ? E come in altra maniera rap-
presentare, soggiunse Guglielmo, il cosentino Tom-
maso Cornelio , il quale fin dal secolo XVII aveva
chiaramente osservata quella che la ingrata posterità
ha poi chiamata irritabilità halleriana ? 0 Haller, tu
facesti pure un gran furto ! Ne tu ne facesti, Hun-
ter, uno minore appropriandoti le sperienze di que-
sto nostro sul succo latteo, di che i colombi nutriscono
L'ILLUSTRE ITALIA 2^1
1 propri figli ! I quali farli stranieri ( tal1 è la tra-
scutaggine che abbiamo delle cose nostre ! ) sarebbe-
ro più oltre rimasi nascosti, se due generosi italiani,
il Signorclli ed il Macri, non gli avessero innanzi a
tutta l'Europa gridando manifestati. Quelli ch'indi os-
servi assentire al Cornelio sono il Sarcone, il Serao,
il Cirillo, gran decoro tutti e tre del regno di Napoli.
Sventurato Cirillo, esclamò Fernando; non pos-
so che versar lagrime tenerissime, sempre ch'io ricor-
do la trista istoria della tua fine ! E ben pare che
con pietà ti riguardino il Rubini, il Iacopi, lo Scu-
deri, il Carminati , il Giannini , e quel Rasori che
tranquillo in tanta animosità di contese, onde fu accol-
ta la Sua dottrina, attende forse per rinnovarle che col
Tommasini qua vengano (ed oh sia ben tardi !) quegli
altri tre sommi che oggi si onorano la medicina italiana,
il Bufalini, il Puccinotti ed il Medici. La fine, diss'io,
del Cirillo ha fatto spesso a me pure battere il cuore di
compassione» Tal uomo egli fu, e tal fiore di mente
italica, e soprattutto benevolo alla cara memoria del
padre mio, quando giovinetto e Vago d'ammaestrarsi
volle per alquanti anni dimorare in Napoli. Ma ella
pur troppo, o Fernando, fu pari alla maravigliosa stol-
tizia di chi potè credere, che una libertà saggia dovesse
mai venirci di là, dove come tiranno essendo stato trat-
to al supplizio un re benignissimo, e condannali nel
Capo i Maleshcrbes, i Lavoisier, i Bailly ed i mag-
giori per virtù, per dignità , per sapienza , sostenne
poi tutt'un popolo per tanto tempo d'esser posto al
taglio della mannaia, come vii torma, da tali svergo-
gnatissimi in ogni licenza e scelleratezza ! Ho ribrez-
zo a solo pronunciare que' nomi ! E quasi ciò non
bastasse , eccolo tollerare d' essere taglieggiato d.dla
a5a Letteratura
dappocaggine insolente di un Barras : ed infine, già
reso oggetto universale di orrore, eccolo messo al gio-
go da un soldato fortunatissimo, di cui fu tanto l'os-
sequio verso quella nuova maestà di repubblica, fino
a farne un giorno sbalzare i legislatori dalle finestre
della loro grand' aula. Deh Dio , che più non torni
un' età, di cui certo niun altro secolo e niun altro
popolo saprebbero mostrarci ne la più crudele, ne la
più ignominiosa ! Deh che nessuno di là da'inonti c'in-
viti più ad oltraggiare sì turpemente l'umanità, ed a
prender norma da' fatti abbominevoli di settembre !
Deh che più non dobbiamo veder fra noi, imitatori
di que-' ribaldi, gli Speziale ed i Vanni !
Ma lasciamo un discorso che già mi fa rizzar d'or-
rore i capelli: e dimmi piuttosto, o Guglielmo, non
è quegli Stefano Gallino ? E sì che anch'egli ha qual-
che cosa che lo contrista nel mostrare che fa con
quell'atto all'Araldi, al Zeviani ed al Rosa la sua ce-
lebre opera delle osservazioni su'nuovi progressi della
fisica del corpo umano ! E come no, rispose Gugliel-
mo, se questo principe degl'italiani fisiologi lu il pri-
mo a fare in Europa la gran divisione dell'uomo sen-
ziente e dell'uomo vegetante, e dieci anni e più do-
po se la usurpò il francese Bichat ? Ed il Bosa così
paziente l'ascolta, io soggiunsi ? Il Rosa a cui tanti
bellissimi esperimenti involò pure , coli' usata impu-
denza, il Bichat medesimo a provar propria del san-
gue la virtù- pulsifica delle arterie? Ma ben surse
a strappar di viso la maschera al ladro il sommo suo
discepolo Bufalini : ed è ciò forse che rende ivi l'o-
norando vecchio sì tranquillo di sua ragione. Più oltre,
seguitò Guglielmo, è Giovanni de Garro, che con Lui-
gi Sacco non così gloriasi di aver propagato, soprat-
L'ILLUSTRE ITALIA 253
tutto nelle parti settentrionali di Europa e nella Tur-
chia e nelle Indie, il beneficio della vaccinazione, che
più non rallegrisi alla novella d'essere state per sen-
no di due italiani (prima di Agostino Cappello e poi
di Luigi Toffoli) conosciute alfine con sagaci sperien-
ze le cagioni della rabbia canina, indicando i certis-
simi provvedimenti, perchè il mondo preservisi anche
da quest'altro sì terribil flagello. E così l'Italia, sem-
bra dire Angelo Gatti , non sia tarda ad accogliere
quel vero dono di umanità! ]Nè in questo pure imiti
la Francia dell'età mia; là dove io, benché medico
del re, tante ebbi a comportare e persecuzioni ed in-
giurie perchè, o Carro, dovesse farsi buon viso al tro-
vato maraviglioso di lenner.
Quegli, ch'è là ristrettosi col Moscati, è il Zu-
liani : e l'altro che vedi sì famigliami ente mosso in-
contro al Fanzago , il quale con tanta benevolenza
l'accoglie, è Antonio Testa. Oh certo è desso, io dis-
si subito, il grande autore dell' opera sulle malattie
del cuore ! Io giovinetto il conobbi a Pesaro, quand'
egli andava pel regno italico visitando le università
ed i licei : e ben ricordami di quella sua patriarca-
le benignità, e di quelle parole che standomi a'fianchi
del mio Giulio Perticari n'ebbi di conforto agli studi.
Io ho sempre presente quella sua persona: e tu me l'hai
egregiamente rappresentata, o Guglielmo, in tutta la
mansuetudine e semplicità di filosofo. Ed egregiamen-
te altresì, riprese Fernando, m'hai rappresentato l'au-
tor classico dell'opera sulla struttura, sulle funzioni
e sulle malattie della midolla spinale, Vincenzo Ra-
chetti : che scarno del corpo, rubicondo del viso, e
sommamente piegando al serio, è in alta meditazio-
ne: e pare ancor qui fuggire la compagnia degli ami-
^54 Letteratura
ci, che fu sì tristo presagio della fine che attendeva
nel fior degli anni un ingegno così fervido e cosi
acuto. Qual danno alle scienze e all' Italia ! Ma oh
il venerando vecchio che là scerno assiso a pie di
quel verde poggio, ed atteso per modo alle cose che
con viso lietissimo va leggendo in un picciol libro ,
sì che non par sollecito d' altro ! Lascia eh' io veg-
ga che libro è desso ; giacché v' hai scritto il tito-
lo , quantunque in carattere così minuto. Oh ve' !
Egli è Luigi Cornaro, l'autore dell' eccellente opera
della vita sobria ! E veramente hai ragione, o Gugliel-
mo : che sebbene egli non professasse arte medica ,
anzi sentisse sì avanti nella matematica e nell'idrau-
lica, nondimeno si ha per tanto benemerito della sanità
umana, che chi segue i suoi insegnamenti, non pure
ha speranza di protrarre felicemente il vivere per lun-
ghi anni , come lo protrasse egli fin quasi ai cento,
ma poco o niente ha bisogno di aver ricorso a far-
machi ed a medici.
VI. Sicché m'approvate, o carissimi, ciò che fin
qui ho rappresentato ? E chi non l'approverebbe, ri-
spose Fernando ? E Guglielmo : Deh così pure mi
approvaste quello che segue ! Perciocché siamo a mas-
sime nostre glorie : e tali che per giubilo e maravi-
glia , italiano eh' io sono , spesso nel disegnare tre-
mavano non pur la mano, ma quasi l'anima. Or ve-
dete gli anatomici : schiera famosissima e numerosa :
per la quale noi fummo i primi a scuotere il giogo
della presunzione araba, ed a distruggere al tutta l'er-
ror galenico. E che notabile avanzamento ha fatto
dopo noi la scienza nelle altre parti di Europa ? Im-
perocché quegli è il vecchio Mondino che incominciò
a restaurarla nella prim'alba, per così dire, che bian-
L' ILLUSTRE ITALIA 2 55
cheggiò all'umano intelletto nel secolo XIV: ed intor-
no ha l'Achillini, il Colombo, il Massa e l'Asellio.
Indi è quel senno di Gabriele Fallopio, che data lo-
de a Berengario da Carpi di tanti suoi trovamenti e
soprattutto dei due piccioli ossi dell' udito , afferma
che del terzo osso fu assolutamente ritrovatore l'In-
grassia ; il quale più là scorgete col Carcano , col
Casserio, col Canani, col Iasolino e coll'Aranzi, attesi
a Costanzo Varali che loro narra com'egli scoperse l'ori-
gine de'nervi ottici dalla midolla allungata, e come il
Dodard si appropriò ( col solito vezzo di ne pur nomi-
narlo ) le osservazioni sue intorno alla voce. Oh, scla-
mò allora Fernando, ecco ecco qua due grandissimi !
Io li riconosco ! Sono essi l'Eustachio e Fabrizio d'A-
cquapendente ! Ed io ; Basterebbe un solo di questi
all'eternità della fama di qualunque più altera nazione.
All'Italia però, disse Guglielmo, non bastano : e la ma-
dre delle scienze vuol dare alla riverenza di Europa
anche quel sublime gruppo che più oltre osservate ,
del Malpighi cioè, del Morgagni, dello Scarpa, del
Cotugno e del Mascagni. E come se fosse ancor po-
co, aggiungete il Bianchi, che ravveduto di alcuni suoi
abbagli stende volentieri la destra ad esso Morgagni
per testimonianza di non amar le contese più oltre
che richiegga 1' amore del vero : ed indi il Santori-
ni , il Valsalva , il Molinetti , il Fattori, il Rolan-
do , e quel Malacarne che sì confidentemente parla
al Brugnone già caldo emulo suo. E perchè fra tanti
nomi prestantissimi non abbia a desiderarsene uno
anche del gentil sesso , eccovi pure fra il Pacchioni
e il Girardi il portento forse unico di una donna,
Anna Morandi, che a grande onore chiamata a se-
dere nell'instituto delie scienze di Bologna , fu indi
256 Letteratura
eletta ad insegnare anatomia dalla cattedra in quella
illustre università.
Altissimo senno ( così Fernando ) ! Ma credo
nondimeno che anche altri di bella fama avrebbeci
qui potuto il nostro Guglielmo rappresentare. Certo,
rispose egli, l'avrei potuto : ma, a dir vero, non l'ho
voluto : che, come ho detto altra volta, a me basta
( salvo il poco che può saperne un artista ) a me basta
solo di mostrare le più celebri rinomanze della na-
zione. Così fra'chirurgi, che succedono agli anatomi-
ci, non vedrete pure che i più nominati : ancorché
per tutti potesse bastare il solo immortale Scarpa. E
chi hai tu posto della eccellente schiera, diss'io ? Per-
ciocché non riconosco fra essi che il Vacca Berlin-
ghieri , il Palletta , il Monteggia e il Flaiani : e se
pure non erro, il Forlenzi che forse delle mirabili sue
operazioni degli occhi parmi che ragionar vorrebbe
coli' assalirli, se noi vedesse più attento alle dotte au-
dacie dell'Atti, che anche gli parla dell'operarsi che
fece di recare a maggior perfezione la sua celebre for-
bice. Or bene, riprese Guglielmo : attendete più oltre,
e sì vedrete Cesare Magati, a cui ne pure il Portai
ha potuto toglier l'onore d' essere stato il restaurato-
re della vera chirurgia in Europa : benché prima di
lui abbia avuto l'Italia ( e mirateli al fianco suo ) que*
padri antichissimi e benemeriti che furono Guglielmo
da Saliceto e Lanfranco da Milano ; ed indi Giovan-
ni de Romani e Mariano Santo, de' quali è disputa
ancora a chi debba assegnarsi il merito di aver in-
ventato il grande apparecchio : quantunque al De Ro-
mani tutti concedano 1' invenzione dello sciringone
scanellato e della tanaglia : ed indi il Ferro, che ci
diede poi l'alto apparecchio; ed il Tagliacozzi il qua-
L* ILLUSTRE ITALIA. 2,^7
le perfezionò quell' italiano trovato del secolo XV
( non so se del Vioneo o del Branca ) di rifare perfet-
tamente qualunque parte del volto a chi per male
l'avesse perduta. E doveva io poi tralasciare il Polo-
ni inventore dell'apparecchio laterale, insegnato da lui
medesimo a frate Giacomo, che ne portò la notizia in
Francia ? Doveva tralasciare il Ciucci, a cui il fran-
cese Civiale involò al tutto l'invenzione della tenacula,
o sia pinzetta a tre hranche , per l'operazione della
litotrizia ? Oh oh, diss'io, ancor questo furto ! E l'ar-
tista : Si, ancor questo furto : e hasla a chiarirsene
il veder l'opera dei Ciucci stampata nel milleseicento
settantanove. Donde non pur evidente, ma irrepugna-
bile si fa la prova, che l'estrazione della pietra senza
usare il taglio deesi all'Italia, anziché alla Baviera o
alla Francia: come ultimamente ha preso a mostrare
un tenerissimo della patria, il professor Cittadini di
Arezzo. Doveva tralasciare il Severino , il Da Vigo,
il Guattani, il Molinelli, il Brambilla, il Bertrandi, il
Nannoni, il Sisco e quel principe de'litotomi di Eu-
ropa Francesco Paiola ? Tralasciare infine i valentis-
simi ostetrici Reyneri ed Asdruhali ?
Intanto che ciò ragionava, volgevasi a noi l'arte-
fice p.er intendere il parere di ambedue. Perchè il gio-
vane amico nostro : Caro Guglielmo, disse, mi darai
licenza che io ti parli colla franchezza di chi t'ama ed
onora ? Anzi le ne prego, rispose Guglielmo : e tanto
più di cuore, quanto che vorrei che mi facessi accorto
di alcun errore. E Fernando : Tu m'hai mostrato fin
qui tanti sommi : e di due soli non ho ancora né
udito il nome, ne veduto i sembianti : cioè di San-
torio Santorio e di Gianalfonso Borelli. Io non te li ho
mostrati finora, riprese Guglielmo, perchè ho stimato
G.A.T.LXXXVIII. 17
258 Letteratura
la statica animale, di cui que'due furono fondatori, po-
ter essere quasi nodo che stringa nel mio disegno le
scienze mediche alle matematiche. Ma vedili 1' uno
e l'altro star come nel mezzo appunto fra i medici e
i matematici.
Allora io : Quanta diversità di fortuna fra que-
sti due italiani ! Ecco là il Sanlorio , che ricevuto
in grazia da una possente repubblica, ebbe agi d'ogni
maniera, e stipendi larghissimi e protezioni per illu-
strare tranquillamente se stesso e la scienza ! Ed ec-
co il Borelli, mente forse più acuta, andar per Ita-
lia quasi sempre ramingo, e pasciuto di sole sterili
onorificenze : poi esule da Messina, sua seconda pa-
tria, finire i suoi giorni in Roma raccolto dalla mi-
sericordia de'padri delle scuole pie, che oggi tanto si
onorano delle sue ceneri ! E d' onde provenne mai ,
disse Fernando, quell'esilio suo da Messina ? Proven-
ne, io risposi, dalla maledetta fidanza che gl'italiani
hanno sempre avuto nelle armi forestiere per mutar
signore sotto nome di libertà. Insorsero i messinesi
nel milleseicento settantaquattro contro agli spagnuoli,
i quali dominando l'isola di Sicilia avevano con gio-
go di ferro abusata la pazienza pubblica , e violala
superbamente ogni franchigia. Fomentava quella com-
mozione Luigi XIV: e tale sicurtà, secondo il solito,
aveva egli dato della sua fede in proteggerla , che i
messinesi in quella gran fiamma d'ira contra l'autori-
tà di Carlo II, e in quelle tribolazioni in cui si tro-
vavano di estrema carestia, lo elessero re di Sicilia.
Ed infatti parve in sui primi che all' ambizione ed
avidità di Luigi piacesse assai di assicurarsi la bel-
la preda : sicché avendo presa la guerra con qual-
che ardire, le sue squadre tennero per alcun tempo
l' ILLC3TRE ITALIA 2 59
il mare in favore de' siciliani contra tutte le forze
della Spagna e dell'Olanda confederate. Ma non tar-
dò molto il francese a dimenticar tutto , e prima la
regia fede, a Nimega : là dove più sollecito di se stes-
so , che dell' umanità ( non dico della sua fama ) ,
per primo patto di pace stipulò il libero abbandono
di Messina alle armi spagnuole. E sì che Luigi potè
forse a Nimega dirsi l'unica volta veramente grande
ne'consigli di Europa ! Ed ecco adunque in un bel
mattino il maresciallo Lafeuillade, governator di Mes-
sina , improvvisamente annunziare ai magistrati del-
la città , com' egli con tutte le soldatesche francesi
era comandato dal suo re di escire della Sicilia nel
termine di quattr' ore : quindi provvedesse ognuno
alla propria sicurezza. Vedi , o Fernando , come
al solo ricordare tanta scelleratezza , mi tremano e
voce e polsi , e mi si rizzano i capelli per racca-
priccio ! Sette mila sciagurati corsero subito precipi-
tosamente a gittarsi sulle navi del maresciallo, fra le
lagrime, fra i singulti, fra le grida, fra gli ultimi sa-
luti che allri davano alle mogli ed ai figli, altri al-
le madri, allri infine alla patria : intantochè due al-
tri mila, a' quali fu anche negata quella pietà, inva-
no stendevano dalla riva le braccia per esser raccol-
ti, Entrato poco dopo il pretore di Spagna, alzò in-
contanente il suo tribunale: e tale strage commise di
chiunque avesse congiurato per 1' infedeltà francese
contra la potestà spagnuola , che tra per gli uccisi
e per coloro ch'ebbero scampo al fuggire , l' infelice
Messina, ch'era in fiore di ben sessantamila e più abi-
tanti, fu ridotta ad averne appena undici mila. Tra
i fuggiti trovossi il Borelli, che dalla cattedra aveva
in quel tumultuare osato dire agli alunni qualche pa-
260 Letteratura
fola d'odio conlia il principato di Carlo. Impuden-
tissimo, gridò Guglielmo! Ma intanto, ripigliò Fer-
nando, Luigi XIV il magnifico dovette almeno ai mi-
seri, che aveva il maresciallo condotti seco, mostra-
re in Francia gli effetti della sua liberalità. Il ma-
gnifico, soggiunsi io, fece ai miseri la grandissima li-
beralità di gittar loro un tozzo e pochi soldi per un
anno e mezzo : avendoli prima dispersi per tutte le
terre del regno. Credette poi che ciò fosse troppo :
e tolto loro ogni soccorso, gli obbligò infine, per gra-
dire alla corona di Spagna, a partirsi tutti dagli sla-
ti francesi. Veduto avreste allora tanti uomini per
gentilezza di sangue , per antiche dovizie e per di-
gnità illustri mendicare sulle pubbliche vie un pane
e un asilo : altri stimare più ospitale la terra decur-
tili, e colà condursi in numero di forse duemila: ai-
tri da ultimo (e furono cinquecento), presi all' esca
delle parole ch'ebbero in apparenza benigne dall' o-
ralore spaglinolo a Parigi, ardire di far ritorno alla
patria. Ma giunti appena, il viceré non intese far gra-
zia che a soli quattro fra essi, e gli altri tutti con-
dannò al capestro od al remo. Tal fine ebbe quella
fallace intenzione de'messinesi di rivoltare lo stato !
Ma il riandare le nostre sciagure non faccia traviarmi
più oltre : e piuttosto , o Fernando , giacche tu se'
ancor giovanetto , prendine esempio, e registralo fra
i cento altri, onci' è piena l'istoria patria. E qui
tacqui.
VII. Oh si ! tolse a dire Guglielmo : cessiamo
questo discorso, e la tristezza che n'abbiamo presa si
muti in letizia all' osservar che faremo tante altre
sfolgorantissime nostre glorie , le quali non soggette
a legge di niuna volontà forestiera, sono e saranno
l' ILLUSTRE ITALIA 2G1
sempre patrimonio eccelso di questa comune patria. Vo-
lete gloria infatti maggiore della geometria, dell'idrauli-
ca, della meccanica, dell'astronomia italiana ? Ma pri-
ma levatevi su ed inchinate questo gran vecchio, di cui
non so se mai altro sorgesse a veder tanto nell'universo:
intelletto potentissimo, che siede in cima qual re non
pure della novella fisica, ma d'ogni parte della matema-
tica. Egli è Galileo Galilei ! Egli è il padre veneran-
do della rinnovata filosofia ! E guardate come : Tutti
Vammlran, tutti onor gli fanno : e non solo i mo-
derni, ma gli antichissimi , pregiandosi di tanto po-
stero. Imperocché quelli che ivi seduti, con sì rive-
rente affetto se l'hanno recato in mezzo, l'uno è Ti-
meo da Locri , massimo astronomo , come il chia-
ma Platone : anzi principe degli astronomi antichi,
secondo che Porfirio salutalo : e miratelo all'aspetto e
alle vesti palesare la nobiltà della sua stirpe e la sua
ricchezza. Gli altri due sono Archita da Taranto ed
Archimede da Siracusa, che tennero un egual seg-
gio nel regno della meccanica : e il quinto è Iceta,
di cui afferma il Bailly, niuna cosa più diligente aver
saputo dire il Copernico sul moversi della terra. Ha
in mano Archita quella tal lettera che gli scrisse Pla-
tone e che ci ha conservata Laerzio : ed Archimede
posa l'un de'piè sopra una bianca pietra, ov'è dise-
gnata la celebre figura della proporzione del cilindro
colla sfera : cosa di che pare il sommo siracusano
essersi compiaciuto più d'ogni altro suo ritrovato, se
ordinò che fino fosse scolpita sul suo sepolcro , con
quella stessa amorosa sollecitudine onde scolpita fu
Antigone sul sepolcro di Sofocle. Egli è quasi, come
vedete, sull'inchinarsi per delineare col dito sopra la
362 Letteratura
polvere alcuna figura geometrica, secondo die usava
fare sovente, se Plutarco ci narra il vero : non po-
tendo qui delinearla sulle sue carni medesime, umi-
de di unguenti, com'era pur solito nell'uscir del ba-
gno. Ma, disse Fernando, è propriamente sua quell'
effigie ? E l'artista : Io mi son valuto di una meda-
glia che così il Gronovio come l'Avercampio suppo-
nevano aver l'immagine di Archimede, e che dal mu-
seo del principe di Butera pubblicò il Partita. Ma non
se ne persuase il giudizio del gran Visconti nell'ico-
nografia greca : al quale non parve meno da dubita-
re del bassorilievo del museo capitolino.
Intanto chi poteva io porre vicini al Galilei se non
il Sarpi suo famoso amico, ed il caro e fedel discepolo
Vincenzo Viviani? Ed ho fatto appunto che dal Viviani
al suo maestro presentisi Giuseppe Luigi Lagrange, il
maggior matematico de'nostri tempi: il quale con amore
stendendo al Galilei la mano, protestasi d'aver gra-
zie al suo gran principio delle velocità virtuali, s'egli
ebbe aperto sì largo campo a dedurne, siccome fece,
tutta la meccanica de'corpi solidi e de'fluidi. Da lato
al torinese abbia poi i vostri sguardi Bonaventura Ca-
valieri, l'autore del metodo degl'indivisibili: che lieto
di quell'atto di gratitudine affettuosa verso il sapiente,
accennalo al Comandino : a cui sembra però esser più
caro il contemplare Archimede. Ma di niente altro di-
reste vaghi, che solo di conversare fra loro, quei tre
che indi vi si mostrano alquanto più indietro. Rara
e fortunata famiglia ! E già credo che conosciate chi
sono. Sono, diss' io , i Riccati : e quegli è Iacopo ,
che co'due figli Vincenzo e Giordano va certo ricor-
dando ciò che di più acuto e sublime trovarono in
*.' ILLUSTRE ITALIA 2G3
ogni qualità di analisi. E il Grandi e il Fagnani e
il Paoli , posata la lettura di un' opera del sommo
Giovanni Plana, la quale quest'ultimo recasi in ma-
no, ve', o Fernando, che in disparte gli osservano :
e comechè desiderosi di trarsi più innanzi, pare che
tuttavia non ardiscano, quasi temano di turbare quel-
la contentezza domestica.
Tal è stato appunto, continuò Guglielmo, l'avviso
mio : e piacemi d' averlo esposto con quella facili là,
che vi ha reso agevole, come veggo, d'intenderlo sì
chiaramente. Non so però se per quest'altro gruppo m
arriderà la fortuna medesima. Imperocché ho immagi-
nato qui un'adunanza de'primi fra'nostri algebristi, do-
po l'immenso Lagrange: ho figurato cioè il conventuale
Paccioli che primo fu in Europa a risolvere le equa-
zioni del secondo grado, il Tartaglia che pure il pri-
mo ci porse la soluzione di quelle del terzo, e Lodo-
vico Ferrari che in fine antivenne tutti nello sciogliere
le altre del quarto. Ed essi sono intorno al Rufini, d'au-
torità famosa, a lui chiedendo se alcuno in queste su-
blimità sia passato più oltre. « No, Paolo risponde
loi'o : la scienza sta tuttavia in Europa dove gl'italiani
l'hanno lasciata : ne io ho potuto lodar la prova, che
a sciogliere le equazioni del quinto grado fecero pur
due valenti, il Casella e il Malfatti. E che non male
io mi apponessi, ne sia qua il giudizio al Fergola ed
al Frullani. » E Fernando : Chiaro qui pure è il tuo
concetto: e forse il sarà maggiormente, se allato al
Rufini porrai anche il Cossali e il Franchini, altri in-
signi maestri, oltreché istorici dell'algebra : e se un
luogo altresì concederai a Leonardo da Pisa, sì bene-
merito della scienza pe'numeri volgarmente chiamati
arabici, che nel secolo decimoterzo recò in Italia dall'
264 Letteratura
Affrica. Oli sì, rispose Guglielmo : e veramente fallo
che non sieno qui lutti e tre! E ti ringrazio, carissimo,
di avermene avvisato. Ma tri non mi dicesti una volta,
o Betti, di aver conosciuto il Brunacci ? Si certo, io
risposi, il conobbi quand'egli, come avvertii d'Antonio
Testa, percorreva con ufficio pubblico le provinole del
regno italico : e mi ricordo ancora di quella sua bella
persona e di quella gentile favella. Or eccolo là : e
par mi, se non m'appongo, di non so che querelarsi. E
Guglielmo: Querelasi del matematico Diot, che noi
milleseltecento novantotto si appropriò come sua la
soluzione delle equazioni a differenze finite a coeffi-
cienti variabili del second'ordine, benché l'avesse già
egli non pur trovata, ma pubblicata fin dal milleselte-
cento novantuno. E quelli, ond' è attorniato , sono
Gregorio Fontana, il Canterzani, il Pessuti , il Sa-
ladini, il Venturi e l'amico suo Mascheroni ; che di
ben altro furto straniero, rispondegli, mi dolgo io, cioè
delle note al calcolo differenziale di Eulero ! Se non
che con quella soavità d'animo, che tanto illustroila in
vita, vedete metter parole di conforto fra loro l'esimia
autrice delle instituzioni analitiche Maria Gaetana
Agnesi: la quale di tutti lodandosi, parimente lodasi
della Francia, che per l'accademia delle scienze fece
della sua opera un sì splendido elogio, e pel Bossut
la tradusse: né manca di ricordar l'onore, con che sul-
le rive della Senna ultimamente fu accolto Gugliel-
mo Libri, geometra eccellentissimo, e dato per suc-
cessore nell'università di Parigi al Legendre : intan-
to che Pellegrino Rossi, gran maestro di ragion pub-
blica, veniva eletto a sedere co'pari del regno. Don-
na rara , sclamò Fernando, ed intelletto a chi non
so quale altro per altezza eli meditazione possa nel
l' ILLUSTRE ITALIA 265
suo sesso uguagliarsi! E tu attendi, o Guglielmo, a
ritirarla per modo che dimostri in tutto la singolare
sua religione e modestia. Così farò, soggiunse l'arte-
fice : e porrò in questa figura uno studio particolare:
sicché ne tu né il bel sesso troviate poi di che la-
mentarvi.
Ma seguitiamo di grazia : e chieggasi all'Europa
intera s' ella ha uomini maggiori di questi da porre
allato al Keplero ed al Newton. Dico di Giandome-
nico Cassini e di Giuseppe Piazzi, i nomi de' quali
congiunti con quello del Galilei dureranno immor-
tali fra i grandissimi conquistatori del cielo. Accan-
to al Cassini è il suo scolare e nipote Maraldi : ne
vi avreste desiderato l'amico Francesco Bianchini, se
una svia maggior gloria non mi avesse consigliato a
porlo fra gl'istorici: siccome quegli che da'simholi de-
gli antichi osò dedurre una istoria universale, di cui
1' Italia ( il vero dice Ugo Foscolo ! ) non seppe in
cent' anni ne profittare ne gloriarsi, ma che fu seme
in terra straniera ad una troppo famosa opera. Dal
Piazzi è poco lungi 1' Oriani , che in quel conver-
sare tiene per mano il suo caro De-Cesaris, il qua-
le vedete volto amorevolmente al Gagnoli ed al Reg-
gio. E tu pur grande , diss' io , o virtuoso Oriani !
Sì che già ringraziai di cuore Vincenzo Monti di
quello che nella sua celebre orazione, umiliando
l'arroganza di un Lalande, disse di te e del Piazzi:
che avrebbe cioè mandato all'insolente francese le pia-
nelle di ambidue, perchè ben dovesse considerarle pri-
ma di parlare o scrivere de'matematici dell'Italia. Pia-
cquemi anche in te quell'altezza d'animo e gratitudine
così degna di un sapiente : che richiesto da coloro ,
che in que'tempi reggevano a repubblica la Lombardia,
a66 Letteratura
di dover dare come professore di Brera il giuramento di
odiare i re, ti levasti con indignazione e rispondesti:
« Una regia benignità averti sollevato dal volgo de-
gli uomini: non saper comprendere come ad osser-
vare le stelle fosse bisogno di giurar odio ai re. »
Ne giurasti. Or lascia, m'interruppe Fernando, lascia
ch'io meglio contempli il volto di questo savio, che
in mezzo alla comune viltà ebbe animo cosi franco,
in mezzo all'ingratitudine fu si grato , e veramente
fu libero in mezzo a quel nuovo servaggio. Deh per-
chè sì rari ci dà il mondo gli esempi di tali uomi-
ni che all'utile antepongano volentieri l'onore, lave-
rà vita de'grandi popoli ! Così Fernando diceva con
bellissimo sentimento di carità patria. Ond'io ripresi:
Ma il Reggio, o Guglielmo, ha tal vicino ch'io ben
conobbi non solo , ma tanto ammirai ed amai per
quella sua bontà piuttosto maravigliosa che grande ,
e per la eccellente dottrina che ornavalo in ogni ma-
niera di scienze e di lettere. No, eh' io non m' in-
ganno : egli è Domenico Testa : e dal suo libro che
ha in mano intorno a'zodiaci, già immagino eh' egli
narri all'amico gli strani vaneggiamenti di alcuni fi-
losofi di là da'monti sull'antichità de'zodiaei di En-
ne e di Dendera. Non doveva, rispose Guglielmo, non
doveva io dunque qui ritrarre un dottissimo, a cui an-
zi la modestia, che l'ufficio che tenne alla corte di
quattro papi, vietò di prender seggio fra'primi ? Un
dottissimo, che com'ebbe la dignità, così pur ebbe la
mente di Francesco Bianchini ?
Volgetevi ora a quegli altri che seguono : e so-
no il Riccioli, il Magini, il Montanari, il Marinoni:
ne vi manca il Toaldo , il padre della meteorologia
moderna, non altrimenti che il fosse Empedocle del-
l' ILLUSTRE ITALIA 267
l'antica. Se pure , diss' io , potrà mai la meteorolo-
gia innalzarsi ad altezza alcuna di scienza : quistio-
ne che appunto crederei aver risoluta in contra-
rio questo benemerito nostro. Nondimeno, continuò
Guglielmo, sarà sempre lode al Toaldo di aver fatto
nella meteorologia tutto ciò ch'era mai a farsi da un
fisico e da un astronomo : sicché se alcuno vorrà
quind'innanzi provarsi a render possibile quello che
tu ora slimi impossibile, dovrà di là incominciare ove
arrestossi il Toaldo.
Gli tien presso Luigi Lili : e miratelo colà se-
duto , e tutto inteso a far calcoli matematici , ed a
scriverli in un suo libro. Ed allato ha Ignazio Danti,
che qui pure salutalo novello Sosigene, avendo il Ca-
labrese proposto a Gregorio XIII ciò che 1' egiziano
propose a Cesare: quella riforma del calendario, cnd'og-
gi governansi l'Europa civile e l'America, anzi tutta
cristianità. Eccetto però la Russia, ripigliò Fernando:
la quale di una disputa religiosa intende ancor fare
una contesa di fisica e di astronomia : e con qual
grido, se non d'idiotaggine, certo di ostinazione, noi
voglio dire ! Quasi il vero de'movimenti celesti e de'
fenomeni della natura non possa pe'seguaci di Fozio
esser più vero ( miseria umana ! ) quando sia trovato
da tale , che da loro discordi in alcuna cosa di fe-
de ! Così per sola caparbietà di setta l'impero dei czar
rimansi tuttavia separalo dalla gran famiglia della no-
bile Europa : e ciò contra 1' esempio che glie ne ha
dato, tardi sì, ma pur glie ne ha dato la Gran Bre-
tagna. E perchè dunque i russi , soggiunse Gugliel-
mo, non recansi del pari ad onta di usare gli occhia-
li, e non hanno ribrezzo d'inforcarseli al naso, essen-
doché questo Salvino degli Armati, che qui vedete e
268 Letteratura
che fu buon cattolico, gli abbia inventali senza volerne
prima chieder licenza al patriarca di Mosca ? Guai se
in Isacco Newton fossero stali sì fatti scrupoli ! Che
non avrebbe egli così studiato negl'italiani, come stu-
diò: e soprattutto nel Galilei, nel Cavalieri e nel Tor-
ricelli : anzi in questi due gesuiti, che qui parimen-
te scorgete, il Zucchi e il Grimaldi. Perciocché non
v'ha dubbio, che dal Grimaldi non togliesse il som-
mo britanno ( ne già egli il nega ) quanto scrisse non
pure sulla diffrazione della luce, ma sulla dilatazio-
ne de' raggi solari nel prisma : e che il Zucchi non
gli porgesse il primo vero concetto del suo telescopio
di riflessione.
Ed io : Saviamente hai tu chiamato, Fernando,
quella protervia de'russi una miseria umana : di che
pur troppo non sanno abbastanza guardarsi ne pure
le più possenti e gloriose nazioni, com'è certo quel-
la che può alla terra mostrare il gran Pietro e Ca-
terina seconda ! Giovami intanto , o Guglielmo , fra
questi rinomati ottici vedere anche il Maurolico ( e
potevasi tralasciare ? ) che fisico, geometra e mecca-
nico de' primi dell' età sua , non così scoprì 1' uso
dell'umor cristallino nell'occhio, che tutto non avvi-
sasse magistralmente 1' artifìcio della visione : e con
esso il De-Dominis, sì benemerito della teorica geo-
metria dell'iride, di cui scrisse prima assai del Car-
tesio: il quale, non volendo certo far contra ciò che
hanno fatto sì spesso gli altri filosofi di sua nazio-
ne, credette meglio di neppur nominarlo. Ma gran
curiosità moverà in tutti, che qui guarderanno, l' im-
magine di Giambatista Porta inventore della camera
oscura, senza cui non avrebbe certo il Daguerre pen-
sato mai all'ingegno mirabilissimo di quella sua mac-
L'ILLUSTRE ITALIA 269
dimetta. Or non avrai tu, disse allora Fernando, non
avrai di grazia, o Guglielmo, uno spazio qui intorno,
che possa empirsi delle persone di quattro artefici
principalissimi di canocchiali : artefici onde tanto si
onora non pur l'Italia, ma l'istoria delle scienze, emu-
li come furono di questa presente gloria di Giamba-
tisla Amici ? Intendo dire del Divini , che verso la
metà del seicento ne fabbricò uno diottrico di settan-
tadue palmi: del Campani, da cui se n'ebbe un al-
tro di duecento e dieci, il quale fu portento a quel
tempo, e comperato dal re di Francia valse poi al
Cassini le sue maggiori scoperte : come pur dèi Gual-
tieri, che uno ce ne diede catadiottrico nel milleot-
tocento undici, e più grande di quello dell'Herschel :
ed infine d'Alberto Gatti, teste morto fra noi pove-
rissimo, benché aprisse nuove vie alla perfezione dell'
ottica , per ispingere ( come diceva lo Scarpelhni )
con pia potenza lo sguardo nelV immensità dello
spazio, inventando e costruendo per uso de'telescopi
que'suoi mirabili riflettori di levigatissimo marmo ne-
ro, o tenario, da gareggiare non solo co'metallici del
medesimo liei schei , ma da superarli. E Guglielmo :
Povero Gatti, no io non dimenticherò ne il tuo va-
lore, ne la disagiata vita a cui la sorte ti condannò
fino all'estrema vecchiezza, ne la tua modestia ! E tu
pure starai fra questi famosi, ed onorerai tal luogo,
ove certo e italiani e stranieri trarranno spesso alla
splendidezza ed al nome del gentile signore. E così
mi concedesse fortuna ( pur mi giova ripeterlo ) di
non mostrarmi al tutto minore dell'alta impresa ! Ne
lascerò indietro, se io lo possa ( e farò di poterlo per
quante industrie avrà l'arte), il Divini, il Campani e
il Gualtieri.
0 Letteratura
Ma non è ella, o Fernando, la prospettiva una
parte così principale dell'ottica, che non dubitò un
nostro grande di chiamarla geometria di questa scien-
za ? E Fernando : Tal è veramente. Or credo, con-
tinuò Guglielmo , di aver dunque ben fatto a porre
qui gl'italiani che con maggior fama la recarono ad
ammaestramento di Europa. Senonchè darò solo fra essi
i tre padri verissimi della scienza, che non dubito es-
sere stati Pietro della Francesca , il quale se trattò
innanzi a tutti : e poi Daniello Barbaro , che d' un
passo da gigante fece avanzarla, sottoponendola alle
regole della geometria : indi l'onor di Pesaro, l'amia
co" di Galileo, quel Guidubaldo del Monte, a chi fra
le altre lodi di meccanico sommo e d'inventore degli
orologi solari a raggi rifratti, deesi pur quella ( colla
stessa autorità del Montucla ) d'essere stato il più so-
lenne de' veri prospettici onde si pregi la matema-
tica : a lui attribuendosi l'aver trovato per primo il
modo di prospettare una linea, da cui poi trasse cosi
agevolmente le maniere diverse di mettere in prospet-
tiva qualsiasi punto. Se poi avrò luogo che basti, vi
porrò anche altri. Che invero questa parete ( e ne
glorierò l'Italia ) mi pare ben carica : e si che anco-
ra mi resta un'abbondanza tale di cose, che non solo
non vuoisi lasciare indietro , ma diremo anzi essere
di non men grande che principalissima importanza.
Vili. Certo un assai decoroso spazio m'è forza
lasciare all'idraulica, ch'è tutta pianta del terren no-
stro scientifico, da niuno. grazie a Dio, contrastata-
ci : qui avendo avuta le prime sue leggi , qui i più
celebrati maestri. Veramente avrei potuto spedirmene
co'soli due padri grandissimi della scienza, il Castel-
li ed il Guglielmini. Ma essi ebbero cotal seguito di
L ILLUSTRE ITALIA 2J l
rinomatissimi, che qui ognuno ne cercherà le immi-
gini, ognuno con desiderio vorrà vederle. E però se
chiederassi dei due Manfredi (Eustachio e Gabriello),
io qua mostrerolli a fianco del Guglielmiui loro con-
cittadino, maestro ed amico. Se del Michetini, del Po-
leni, del Zendrini, del Michelotti : eccoli là , dirò ,
che attendono ciò che ragiona loro quel Bartolomeo
Ferracino, il quale a nessuno sì degli antichi e sì de'
moderni fu secondo nell'architettura idraulica. Oh certo
stupendo ingegno e mente creatrice ! Alla descrizio-
ne delle cui macchine, di sì maravigliosa invenzione,
hanno pur mente il Bonati e il Ximenes : mentre al
Lorgna fanno il Regi, l'Avanzini, il Bidone le più ca-
re congratulazioni per la palestra che aprì sì nobile
alle nostre scienze fondando la società de'quaranta ita-
liani. Ravvisate indi da presso il Lecchi, che il suo
libro dell'idrostatica mostra al Perelli e al Fantoni: i
quali stupiscono d'ammirazione al magistero, onde il
sagacissimo gesuita arginò il Po e fece entrarlo nel
Reno,
Quanto in fine a' meccanici , il mancar qui il
Galilei, il Torricelli, il Lagrange, che ne furono prin-
cipi, e che altrove ho dovuto porre, farà parer forse
agl'indotti, che l'Italia non abbia saputo serbare l'ere-
dità di Archita e di Archimede. Ma i pratici della
scienza ne rideranno. Intanto ne avete qui alquanti,
e di rara eccellenza : Muzio Oddi, Angelo Marchet-
ti, Gianantonio Stancari, Eustachio Zanotti , Maria-
no Fontana : a'quali i posteri ( e sia ben tardi ) por-
ranno allato questo nostro venerando Giuseppe Ven-
turoli. Né vi desiderate Giuseppe Torelli : a cui dee
l'Europa la diligcntissima delle traduzioni latine non
che delle sposizioni di Archimede , insieme coi co-
272 Letteratura
menti di Eutocio ascalonita , la quale dopo la sua
morte fu pubblicala in Oxford. E volete sapere, se
mai di sembianze non li conosceste , chi son questi
altri ? Sono essi Gaspare Nardi ed Aristotele Fiora-
vanti, che nel millequaltrocento cinquantacinque tra-
sportarono co'loro ingegni dall'uà luogo all'altro in
Bologna la così detta torre della magione, alta ottanta
piedi: e quegli che segue è il Zabaglia, l'allievo porten-
toso della natura, che de' suoi ritrovati, così rozzo ed
a caso come fu sempre, è in ragionamento con Picco-
la Fortis e con Giuseppe Morosi : indi è Giovanni
Dondi, l'autore dello stupendo orologio, che poi die
il nome alla sua famiglia. E sì che non meno d'ogni
altra piaceravvi di contemplare l'immagine di Giovan-
ni Branca da Santangelo nel pesarese ! Imperocché fu
egli che primo lento la grand'esperienza di applicare,
siccome forza motrice, la potenza del vapore dell'acqua
all' uso della meccanica. Tìtolo immenso alla bene-
merenza di un secolo, che per tale sperienza ha ve-
duto sì grande e subila trasformazione in ogni parte
della meccanica, della navigazione, della statica, del
commercio, anzi dirò meglio di tutte le arti : titolo
che a questo poderoso ingegno italiano già concedo-
no i posteri anche oltremonte, più non potendo ne-
garsi fede al testimonio della sua opera sulle macchi-
ne stampata in Boma, se la memoria non fallami ,
nel milleseicento ventinove.
Qui Guglielmo tacevasi : ed io sorto in piedi ,
pregai l'artista ed il giovine amico a ricrearsi alquan-
to e darsi sollievo, prima di ripigliare il discorso sul-
l'altra parte dell' opera : avendo intanto ordinato al
servo che ci confortasse un poco di qualche con-
fetto o bevanda.
L'ILLUSTRE ITALIA 273
DIALOGO TERZO.
I. Quando appresso quel riposarci tornammo di
nuovo ad osservar l'opera del nostro artista : Che è
questo, gridò ammirato Fernando ! Tu da tanta pace
scientifica, o se vogliamo dire, da un nobil dramma,
fai repentinamente passarci ad una tragedia : tante
armi io veggo e tanta faccia di guerra ! Ne trage-
dia ne guerra avremo, rispose Guglielmo: perchè san-
gue non si verserà : molto meno si porrà nessuno, lo-
dato Dio, al fil della spada ed al disonore : e salvo
un poco di sdegno (effetto di questi animi pieni di
patria e di ardire ) tu, Betti, potrai lieto e tranquil-
lo rimanertene in casa, e noi alle nostre tornarcene
non pur senza orrore, ma parimente tranquilli e lie-
ti. Ho qui posto, come già v' è chiaro, i più eccel-
lenti e famosi capitani d' Italia : stimando essere an-
ch'essa la milizia una grande scienza, ed avere nelle
matematiche il suo principalissimo fondamento. Anzi
pur nella fisica , diss'io : e soprattutto poi nell' isto-
ria. E Platone, che tanto le concedette ne'libri del-
la repubblica, l'annoverò fra le filosofiche. E certo
beatissimi dirò gli stati , ove a chi ha in mano la
spada è pur sempre in mente di non avere perciò
spogliata la qualità d' uomo e di cittadino ! Fortu-
nati i popoli, che strascinati a guerre disastrosissime,
delle cui cagioni sono spesso innocenti, e più spesso
ignari, trovano ne'vincitori la mansuetudine e l'uma-
nità ! Il che daremo a Platone, che sia effetto pre-
clarissimo della filosofia ; s'egli però non ci neghi che
anche v'abbia gran parte la religione.
Ma tu, ripigliò Fernando , ci mostri qui vera-
G.A.TXXXXVI1I. 18
2 74 L E Y T S R A T U R A
mente tulli i sommi grandi guerrieri? Tutti que'gi-
ganti, non già della favola greca, ma dell' istoria di
una eia immortale ? Tu qui troverai, rispose Gugliel-
mo, i soli uomini più famosi che fecero esperimento
del valore italiano, non già distruggendosi fra loro ,
ina sì combattendo contra 1' armi straniere. Donde
comprendete, amici, ch'io mi son passato di tutti que*
capitani di ventura, che nell'età di mezzo, senza niun
ordine di vera milizia, furono vergogna e flagello del-
le città italiane. Sciagurati ! Che altro non fecero ,
che sventuratamente mostrare il vigore del petto e
del braccio ( e spesso con quella maschia gagliardia
degli antichi ) in mezzo le furie di una continua e
gran sedizione ! Egregiamente, diss'io. Lasciamo pure
ad una selvaggia letteratura il narrare, non che quel-
le civili abbominazioni, ma quel ludibrio di pensieri
e di cose ( che dico narrare, quando dovrei dir ce-
lebrare ? ) si lasciamo narrarle e celebrarle a coloro,
cui tanto gode 1' animo di rimestare le patrie brut-
ture: aitando gl'italiani, dimentichi affatto del mag-
gior grido che vada per l'universo, a tal si ridussero
che la servitù sdegnando, né sapendo tollerare la li-
bertà (la libertà cioè delle leggi e della ragione che a
nessun consente d'essere impunemente vizioso), si ge-
larono con vili armi a dilaniarsi a vicenda, quasi non
fossero più nati d'un sangue. E pure il nome della re-
gina delle nazioni viveva allora, siccome vive oggidì !
E pure avevamo fuggita quell'ultima umiliazione, che
già ebbero a sostenere da'f ranchi la Gallia, dagli an-
gli la Britannia, la Pannonia dagli unni : quando su-
perbissimi vincitori , perduta in tutto la ricordanza
della romana benignità, rapirono per fino a quelle in-
felici rejrioui l'antico nome degli avi ! Sì, o Gugliel-
L'ILLUSTRE ITALIA 87$
mo : siano come morii alla memoria nostra coloro ,
ch'ebbero per morta l'Italia ! SI la vergogna de' po-
steri e la maledizione dell'Alighieri ricoprano, non so-
lo quelle sempre cadenti e risorgenti tirannidi , ma
e l'insolenza e la beffa di quelle repubbliche, che in
tante atrocità d'odi precipitarono la patria : e che in
tutto orgogliose , salvo nel parlar dell' Italia ( alte-
rezza di que' famosi antichi ), non pare che avessero
altro fine , se non ardendo e guastando rompere af-
fatto il gran vincolo , che tien salda ogni nazione
perchè non precipiti e non si dissolva ! Oh per quan-
ti e quanti secoli aiTestaron coloro il risorgere di
questa novella luce di civiltà !
Ma furono pure, disse Fernando , furono pure
que'tempi in Italia. Sì certo furono , continuai : ed
è ciò grande onta per uomini, che fra quanti fiori-
rono sulla terra erano saliti ad altezza sì memorabi-
le. Ma perchè cancellarsi non possono, vorremo noi
compiacercene, ed antipodi ad un'età imperatrice, in
cui fummo i primi e potentissimi di tutte le genti ?
Né mai contra la riverenza degli avi finiremo di ri-
cantarci , che indi per molti secoli , sfolgorati dalla
fortuna ad esser preda d'ogni generazione di barbari,
cademmo così d'animo e di virtù, che il nostro va-
lore non fu quasi più altro che una rabbia di met-
terci l'un l'altro il coltello al petto gridando : « Di
chi vuoi tu essere schiavo ! » Oh, dunque, ripigliò
Fernando, stimi tu dunque essere stata una gran di-
versità fra quelle nostre guerre de'tempi di mezzo, e
le altre che in questo suolo medesimo combatterono
gli antichi romani ! Non erano del pari italiani e gli
ernici, e i latini, e i volsci, e i sanniti, e gli etru-
sci ? Non erano italiani que'di Taranto e di Siracu-
2-jG Letteratura
sa ? Erano, io risposi, italiani : ma tanta diversità cor-
se ira le une e le altre guerre, o Fernando, quanto
dalla parte de'romani fu grande il pensiero di voler
que'piccoli stati , quasi membra sparse di un corpo
medesimo , ricoti giungere insieme a formarne un po-
polo che slesse invittissimo con tra ogni barbaro : e
quanto, dalla parie delle signorie e delle repubbliche
del medio evo, fu malvagio il consiglio di voler anzi
rompere violentemente sì magnanima unione, per ces-
sare, se fosse stato possibile, ogni nome ed autorità
di nazione. Ed a che altro infatti mirarono costan-
temente, se non al nobilissimo fine di un impero ila-
lieo, tutti i gloriosi sforzi di Roma, dopo ch'ebbe ve-
duto lo strazio che di se slesse facevano quelle om-
bre di libertà plebee, quinci tiranneggiate dai Fala-
ridi, dai Dionigi, dai Geronimi, quindi oppresse dai
Calippi, dagli Agatocli, dagli Aristodemi : e, quel eh'
è più, messe al giogo or dai fenici e dai greci , or
dai cartaginesi e dai galli ? Sicché può tenersi per
cosa certa, che ove quell'alto pensiero fosse manca-
to, sarebbe stata al tutto perduta l'Italia. E puoi di
grazia tu dirmi a qual segno precisamente tirassero
gli uomini di stato e di guerra de'secoli di mezzo ,
là dove niuno di que' governi vedemmo fermi giam-
mai in un medesimo politico proponimento ? Là
dove capitani e soldati non d'altro più si mostraron
solleciti, che di vendere le loro spade ed i loro sde-
gni a chi meglio offerisse , oggi per danaro combat-
tendo colui, che altresì per danaro avevano difeso ieri ?
Imperocché chiederei se questo appunto non fecero i
Malatesti, i Bracci, i Piccinini, gli Sforza, i Gatta-
melata, i Baglioni, i Vitelli, per tacere di quanti al-
tri furono veri obbrobrii di una onorata milizia, eia
l'iU.USTRE ITALIA 277
sì turpemente vituperarono l'arte teste restaurata (e non
senza alcuna virtù) per Alberico Balbiano. E cbe si
ciancia di servii condizione ? Perchè anzi non lodasi
quella romana o generosità o sapienza, che a tutti la-
sciò libere le proprie leggi, e primo ai municipii d'I-
talia, da'quali altro non volle che le spade per tute-
lare la patria ?
Mi chiedi qual'eravi diversità? La diversità e' è
abbastanza mostrata da ciò cbe poi n'è seguito : im-
perocché le guerre romane partorirono la libertà in
casa e la nostra grandezza per 1' universo : mentre
quelle de'secoli barbali altro effetto non ebbero che
la necessità del servaggio e l'umiliazione. Oh siati in
mente, o Fernando , che le brutture de' popoli non
traggono diversa cagione da quelle degli uomini : cioè
dall'abbandono che si è fatto della virtù ! E virtù ab-
bandonarono i nostri italiani del medio evo : i qua-
li inetti a levarsi a niun grande concetto antico, non
solo in quel perpetuo contrastarsi non ebbero alcun
pensiero di patria e di onore, ma sì non cercarono
altro che di sfogare nel sangue l'insolente loro am-
bizione : d'ogni affetto umano, dirò così, non conser-
vando quasi più che lo sdegno. E che ? Oserei trop-
po affermando , che mai fra que' feroci non alzossi
squillo di tomba, che non fosse per provocarsi l'un
l'altro cittadino alla sconfìtta e alla morte ? Indi gior-
ni d'iniquità seguiti da giorni d'iniquità : indi dispe-
razioni codarde di vinti, tripudi lagrimevoli di vin-
citori. E sì che forse cessarono , o non piuttosto si
accrebbero sciaguratamente le nostre ire dopo la pa-
ce che s'ebbe a Costanza, quando pareva appunto che
Italia, ornai libera da Federico, dovesse tutta in una
gran volontà riunirsi e rifiorire di concordia e di for-
278 Letteratura
za ? Bene, o Guglielmo , bai chiamato quell'eia una
continua e gran sedizione ! Una sedizione, fra le cui
fiamme tutto in Italia fu rissa ed insidia ed arme di
provincie contro provincie, di città contro città, an-
zi di padri contro figli, di fratelli contro fratelli ! Una
sedizione, che senza niun prò ( e poteva averne la
bassezza od atrocità di quel vivere ? ) scelleratamen-
te ci bruttò il ferro così a Montaperti come a Cam-
paldino, così alla Meloria come a Chioggia , così a
Maclò come a Caravaggio, ed a quante altre batta-
glie da mani italiane fa sparso il sangue italiano ! E
v'ha pur peggio : che di quelle esequie tristissime del-
la patria, uomini di corrottissimo animo si facevano
pompa ed onore, anzi non arrossivano di ricever pre-
mi da chi anche non arrossiva di darli !
Veramente, disse Guglielmo , spaventosa imma-
gine, ma pur troppo vera, delle nostre sciagure ! E
durò tanti secoli ! Là dove quella delle discordie de'
tempi romani ( che destino dell'umana natura non è
l'esser perfetto ) appena bastò il corso della vita di
un uomo. Ed aggiungi, io ripigliai, che se per quelle
terribili gare di Siila e di Mario, di Cesare e di Pom-
peo, d'Augusto e d'Antonio , e s'altre mai ve ne fu-
rono , dovemmo sovente raccapricciarci, mai non do-
vemmo arrossir di vergogna. Dividevansi, è vero, con
avversa volontà i cittadini, mai però non si spegneva
la patria : solo ella pendeva incerta a qual de' suoi
figli dovesse commettere l'autorità di guidare le sue
aquile alla vittoria e di reggere cotanto impero. Deh,
amici , deh onorevole e grato vi sia di richiamare
spesso alla memoria de'posteri la dignità di que' tem-
pi ( ne per questo siate sì cattivi filosofi, che ravvi-
sar non vogliate la necessità delle seguenti fortune,
~— ~"l fc> ILLUSTRE ITALIA 279
alla cui potenza non fu mai ch'uomo savio ricusasse
di sottomettersi ) : la dignità, dissi, di que' tempi in
cui il nome di romano s'ebbe al mondo piuttosto
per quello di una specie umana , che di un gran
popolo ! In cui quegli uomini sommamente uomini
posero il fondamento a tutte le civiltà de'secoli colle
lor leggi ! In cui sul campidoglio stava la potestà
della terra , che imponeva il nostro volere , e dava
e toglieva i re alle nazioni ! In cui la patria due
suoi cittadini chiamava col titolo d'affricani, uno con
quello d' asiatico : e chi di ci'etico , di acaico , di
macedonico : e citi d'isaurico, di dalmatico , di nu-
midico ! In cui non pur la Spagna, la Britannia, la
Germania, la Gallia, ma sì gl'imperi di Sesostri , di
Ciro e di Alessandro non furon più che nostre Pro-
vincie ! In cui infine levato in ammirazione potè Ovi-
dio cantare , che allorché Giove dall' alto inchinava
lo sguardo alla terra, altro non trovava a dover tu-
telare che non fosse romano !
Tacevami ciò detto : timoroso di abusare più ol-
tre la bontà dell' uno e dell' altro amico. Ma sor-
to ad abbracciarmi Fernando : Sì , sì , gridò , io ti
do fede non solo di riandar sovente quel tempo, ma
sì di non voler d'altro parlare a'miei figli, se mai io
n'abbia , ed ai figli de'miei figli , s'io pur li vegga !
Tolga Dio che perciò intenda sediziosamente incita-
re que'teneri animi contra i legittimi principati , ai
quali è poi piaciuto alla provvidenza di affidarci in
governo ! Ma certo è che dovendo loro porgere uno
specchio di nazional dignità e grandezza, li trarrò ad am-
mirare il bellissimo dell'età romana, anziché l'altro sì
rugginoso che ci vien proposto da questi gretti magni-
ficatori del medio evo, i quali non rifinano di dirci:
280 Letteratura
« Studiate in que'feudi, in quelle repubbliche, d'onde
ci derivò quest'orditi civile. » Stoltissimi ! Da que'feudi
e da quelle repubbliche ( meglio chiamarle tirannie e
licenze ) non altro ci derivò che il rossore : il quale
come infine ci potemmo torre dal volto, se non ap-
punto dimenticando ciò che per otto e più secoli si
era fatto e pensato da un'ignoranza che fino andò umi-
liandosi alle balordaggini boriose degli arabi ? Certo,
o Betti, se io a'miei figli e nipoti potrò mai narra-
re i falli di quell' età , il farò solo per ammaestrarli
come niun' altezza è così sublime , che le fazioni e
V ignavia non facciano precipitarla : e per indurli a
benedire il cielo, che ci dà vivere finalmente in un
secolo, in cui niun male può esser mai tanto gran-
de , che incomparabilmente noi passi quella vecchia
fierezza di non avere avuto più sacro, in questo suolo
medesimo, niun vincolo di sangue e di cittadino.
Allora Guglielmo : Or pensi tu dunque, o Betti,
che di nessuno spirito di gloria possiamo noi conso-
larci fra quelle viltà ? Ed io : Consoliamoci ( perchè
non credasi la virtù italiana potersi mai al tutto spe-
gnere ) consoliamoci pure, che ben si conviene, nelle
imprese magnanime di Gregorio VII e d'Innocenzo III,
gl'italici massimi di quell'età : andiamo a venerare le
ossa di Giovanni Vili, che a Carlo il calvo impera-
dore, il quale chiedeva sfatichi della fedeltà nostra,
alteramente rispose: « Non esser mai nato sotto il cie-
lo romano chi desse in ostaggio i suoi figli: » non che
di Alessandro III (del gran Bandinelli) per la cui sacra
mente fu abolita la schiavitù. Parla loro di Farinata
degli Uberti, che alla sua patria, a Firenze bellissi-
ma, riparò il danno di dover essere diroccata e abbat-
tuta : ma non dire chi erano i malvagi che sofferse-
L'ILLUSTRE ITALIA 28l
to di congiurarsi a tanta scelleratezza. Parla loro de'
prodigi di fortezza e di amor patrio, onde Ancona si
rese mirabile all'assedio, di cui la cinse il gran can-
celliere dell'imperador Federico Barbarossa, ministro
così empio come il suo principe : ma non dire che
il senato veneto non vergognossi di aggiungere le sue
nobili armi alle barbare per oppugnare e distruggere
( se stato fosse possibile ) una sì fiorente città d'Ita-
lia. Parla loro del popolo di Siena, quando condotto
da Matteino Menzano levossi fieramente a difendere
la sua libertà contra l'imperador Carlo IV, il quale,
con estrema onta violando la santità dell'ospizio, fu
audace d'escire in piazza co' Suoi baroni ed armati a
combattere i cittadini : senonchè preso, rinchiuso, tre-
mante, non dovette ad altro la vita che alla grandez-
za d'animo de'vincitori. Parla loro di Costanza figliuo-
la del re Manfredi, e spdsa di Pietro d'Aragona, la
quale avendo avuto in mano Carlo II d'Angiò, e po-
tendo pubblicamente spegnerlo per vendetta di Corra-
dino ( com'era la sentenza de" giudici), virtuosissima lo
salvò , mostrando quanto un cuore italiano vincesse
in generosità un malvagio Angioino. E se ciò non ba-
sta, recali a baciar le zolle de'campi di Legnano, ad
onorar le mura dell'abadia di Pontidio, ad ammirare
a Venezia, a Genova, a Pisa i trofei, non de'propri
fratelli, ma de'barbari così dell'oriente come dell'oc-
cidente.
Fine però al ragionare più oltre di un tema, in-
torno a cui ogni più tardo ingegno, se lo scaldi una
sola favilla di virtù e di patria, diverrebbe faeondo:
e piuttosto, o Guglielmo, giacche questo bel sole di
aprile invitaci ornai ad andare per qualche villa a di-
porto, entraci a dichiarare il disegno di questa, che
282 Letteratura
non tragedia chiamerò eoll'amico nostro, ma forse non
male una specie di epopea. Son pronto, rispose Gu-
glielmo: ed oli s'io desidero che qui più che altrove il
mio lavoro ritragga degli affetti arditi e gagliardi e
della maestà del subietto! Perchè quanto so caramente
vi prego di non essermi scarsi della vostra attenzione,
e soprattutto di franche correzioni e di avvisi.
IL Ponete mente per prima cosa a quel grup-
po, intorno a cui confesserò d'essermi adoperato con
più particolare studio ed amore. Quegli ( e chi noi
conosce ?) è Napoleone, che in piedi, e l'una mano
avendo posata sul destro braccio di Andrea Massena
( che appunto suo destro braccio soleva egli chiama-
re questo immortai guerriero, quando non chiamava-
lo figlio della vittoria ) narra come ancor giovanetto
e di piccola condizione, dataglisi grande ogni cosa ,
si cinse la corona dell'impero francese e del regno
italico : e come fattosi capitano non pur degli eserci-
ti di Francia e d'Italia, ma e di quelli di Polonia ,
d'Olanda, e di gran parte della Germania, tutto fio-
re sceltissimo di combattenti, recò per Europa sì fat-
tamente il terrore della sua possanza , che potè dir-
si niun altro, dopo que' gloriosi greci e romani, aver
combattuto battaglie più sanguinose : niuno dopo Au-
gusto avere avuto in mano con maggiore arbitrio le
sorti delle nazioni e dei re. Vantinsi pure Alessan-
dro di Arbella, Scipione di Zama, Cesare di Farsa-
glia : ed egli si vanterà di Marengo e di Austerliz-
za. Il riguardano quasi immoti , tutto ponendogli
mente, e il vincitore de'cartaginesi ad Imera, e Dio-
ne, e Coriolano, e Sertorio , pieni l'animo di tante
stupende imprese. Mentre allato al Massena, in vari
atti di maraviglia , ma lieti principalmente che ita-
l' ILLUSTRE ITALIA 283
liano, per svia virtù, sia il ricordo de' più splendidi
fatti delle armi francesi , vedete qua Luigi Gonzaga
duca di ISevers, e Tommaso di Savoia che succedette
al Condè nella dignità di gran maestro di Francia :
là i due Trivulzi, il Caraccioli, lo Strozzi, l'Ornano
ed il Concini, che nostri concittadini come fu il sommo
nizzardo , tennero parimente sugli eserciti di quel re-
gno nome e potere di marescialli : e più addietro ,
ma per valore principalissimi, Lorenzo Orsini signor
di Ceri e Giovanni de' Medici capitano delle hande
nere. Ne ho voluto passarmi di Sforza Sforza conte
di Santafiora, che condottiero delle milizie ecclesia-
stiche, e animosissimo, fu autor principale della vit-
toria che Carlo IX ebbe sull'ammiraglio di Colignì a
JVIontcontour.
Ma Cesare dittatore, che gravemente innanzi a
Napoleone è seduto con M. Antonio accanto , ap-
piè della statua di Quirino, osservate come ha volto
il guardo a Camillo che gli sta presso: presi ambi-
due da sdegno che un uomo italiano, spogliata tutta
Italia de'suoi più belli e ricchi ornamenti, osasse far
serva la loro Roma, comechè per brevissimi anni, ai
discendenti di Brenno e di Vercingentorige. Del quale
sdegno entra altresì partecipe Vespasiano , che poco
lungi, seduto anch'esso a'fianchi di Galha, di Pertinace,
di Gordiano terzo e di Tacito augusti, ben è memo-
re di quel vilissimo Giulio Sabino, che sì orgoglioso
andava per tutta Gallia colla porpora de' cesari in-
dosso, vantandosi dell'esser giaciuta col dittatore l'a-
vola sua, e di quella sozzura nato suo padre. Né fre-
mono d'ira minore , quinci Cincinnato e Curio e i
Deci, quindi Papirio Cursore e il distruttor di Car-
tagine e il vincitore di Perseo : e soprattutto quella
284 Lbtteratura
grande spada della repubblica Claudio Marcello, che
ancor gloriasi a Fabio Massimo ed a Flaminino di re-
care appese ad un' asta le spoglie di Viridomaro : e
Manlio Torquato che , avendone in vista cotal di-
letto Valerio Corvino, con gioia così feroce guardasi
al petto la collana da lui tolta all' abbattuto gallo.
Deh pur così, come sembra che queste cose mi ap-
proviate, avess'io bene espresso colà l'incorrotto ani-
mo di Fabrizio, e seco insieme e Lutazio, e Levino,
e gli eroi del Metauro, e Mummio, ed Appio Clau-
dio Caudiee , che ha presso a se Calatino in quel!'
atto che vedete di rendere ancor mercè alla sublime
fortezza del suo tribuno Calpurnio ! A'quali intendo
che Regolo, con un gesto d'orrore, compiangasi de'
tempi così mutati: che là dove egli con tanta magna-
nimità sostenne anzi morire, che vedere sciolte sen-
za prò di Roma le sue catene, oggi anche ne' gran-
dissimi (come fu certo quest' uomo di Corsica) non
viva più, salvo in cose inette, una scintilla non dico
di carità, ma d'onore di patria ! Sicché il maggiore Af-
fricano, già raccoltasi sulle spalle la toga, è per al-
zarsi a dimandargli ragione, come con opera sì perver-
sa abbia potuto macchiare cotanta sua gloria. Ma trat-
tenuto è da Mario, così rabbuffato ed irsuto com'è,
secondo il ritratto che ce ne fa Velleio; e quasi al-
legro in cuore che sole non si narrino ornai le sven-
ture sue sulle ruine di Cartagine, essendo venute a
pareggiarle quelle di Napoleone sugli scogli di Sant'
Elena. «Ed ob ben gli sta, esclama d'altra parte Lucullo
ai due grandi Metelli, ben gli sta se dato essendosi
agli stranieri, dagli stranieri n'abbia avuto quella meri-
to ! Sebbene poi con tardo ravvedimento, dopo essersi
tutto perduto il prezzo delle sue vittorie, se ne sie-
L.* ILLUSTRE ITALIA fl85
no dall'inimico implorate le ceneri. » Che pensi Cor-
nelio Siila, lascio che meglio s'immagini : il quale
del sinistro braccio fattosi al mento colonna, è anzi
immerso in profonde considerazioni : benché Pompeo
non so qual parola gli sussurri all'orecchio. Atto cui
bene considera Alessandro Verri, che in disparte ritrat-
tosi, è qui pure osservatore attentissimo di ciò che
valga a rammentargli alcun fatto famoso di que'romani.
Oh Germanico, disse allora Fernando ! Come hai
perduta, o Germanico, quella dolcezza e serenità di
viso , che coli' odio di Tiberio ti valse l'amore degli
uomini ! E tu, Agrippa, e tu, Corbulone, come com-
mossi avete que'vostri aspetti severi anche a maggio-
re severità ! E dico di te il medesimo, o Petilio Ce-
nale : e di te, fortissimo Dillio Vocula , che volesti
anzi cadere sotto il ferro di un traditore, che inchi-
nare la romana tua fronte dinanzi a barbara potestà:
e gridasti alle legioni quelle sì generose parole : « Non
fate dire ( uso un passo di Tacito volgarizzato dal
Davanzati ) non fate dire per tutto il mondo sì mo-
struosa cosa , che voi siate cagnotti di Civile e di
Classico ad assalire Italia ! E se germani e galli vi
condurranno alle mura di Roma, vostra patria, com-
battere tele voi ? Mi raccapriccio a pensarvi ! Farete
per Tutore treviro le sentinelle ? Daravvi un batavo
il segno della battaglia ? Rifornirete le schiere de'ger-
mani ? » Ed io : Nobile , grave , e vivace del pari
sembrami, o Guglielmo, fin qui, non che degnissima
d italiano, tutta questa immaginazione. Imperocché a
Napoleone non togli ( siccom'è il vezzo di alcuni pic-
coli spiriti ) ciò che nella memoria de'posteri il farà
sempre di fama chiarissima : lasciando anche stare
l'aver in Francia con senno veramente italico cessa-
2BG Letteratura
ta quella furia d'atrocità, che per tanto tempo segre-
gò una sì nobi! nazione dall'umanità piuttosto che dal-
la civiltà di Europa: ma solo con austera giustizia non
vuoi reputargli in lode ( e chi l'ardirà in Italia? ) ciò
che quell' alto vedere di capitano e quegli animi e
concetti regi vituperò, così dinanzi a questi suoi con-
cittadini, come nella coscienza d'ogn" uomo religioso
e gentile.
III. Né qui ha fine, seguitò l'artefice, il richia-
marsi de'nostri : ma perciocché Napoleone anche in
altre cose non meno gravi fece fallo alla rettitudine
e grandezza sua, sebbene poi tardi se ne pentisse »
mirate qua nuova scena. Ecco Emmanuel Filiberto ,
il vincitore di s. Quintino, che ristrettosi col suo Eu-
genio, appena sa porger fede al l'acconto che un ita-
liano così abusasse il favore della fortuna , che in-
sieme colla patria volesse abbassare le loro stirpi rea-
li fino a' piò di coloro , che ancor tremano il no-
me della casa di Savoia, posti in rotta, siccome fu-
rono , in tante battaglie e dispersi. « Torino dive-
nuta città di Francia ! E per cui opera, dice Euge-
nio ? Non già di Filippo d'Orleans o de' marescialli
Marsin e Lafeuillade, de'quali sotto quelle mura io vi-
di il dorso alia memorabil giornata degli otto di set-
tembre. Non già dei Calinat, dei Villeroi, dei Vii—
lars, dei Vendome, ch'io pur disfeci. Ed oh fossi giun-
to per tempo a Denain ! » E venuta pure città di
Francia la mia nobile Parma, grida Alessandro Far-
nese, colle mani coprendosi il viso per la vergogna !
E non già per le armi di quell' Enrico IV, che mi
chiamò il maggior capitano del secolo, e che io scac-
ciai dall'assedio di Parigi e di Rouen. « Anzi la stes-
sa tua casa d'Este , o mio prode e magnifico Fraa-
L" ILLUSTRE ITALIA 387
cesco primo, la stessa gloriosa tua casa andò esule da
una terra, che d'ogni bellezza d'arti adornò e d'ogni
gravità di sapere ! esclama Raimondo Montecuccoli.
E non già pel Turrena, a cui dopo l'immortal con-
flitto di san Gottardo io tenni fronte per modo, che
ancor fra'posteri pende incerto il giudizio a qual si
debba di noi un più bello alloro. » Ma più d'ogni
altro non che turbato, ma preso da un religioso rac-
capriccio vi si presenta Marc' Antonio Colonna, il guer-
rier delle Echinadi, che piissimo innalza gli occhi e
le mani a pregare il cielo, che ad uomo di sì pre-
stante valore perdoni clemente l'ingratitudine e i tan-
ti oltraggi , onde ahi troppo macchiossi verso 1' uf-
ficio santo e la veneranda canizie di Pio VII ! Se-
nonchè con diverso animo, e quasi ardendo negli sguar-
di ferocemente, il rimirano e Bartolomeo Colleoni e
Prospero Colonna e Ferdinando Davalos, gli eroi del
Bosco, di Milano e di Pavia. Ne serbano altro con-
tegno Gian Iacopo Medici marchese di Marignano,
e più Francesco Gonzaga : il quale al venturier te-
merario che mosse a volerci opprimere , confidando
nelle discordie nostre e nella perfidia di un Lodovico
Sforza, anziché nelle proprie armi, fece parer fortu-
na l'essersi potuto aprire a Fornovo un varco dispe-
rato al ritorno ed alle sue antiche libidini : dopo a-
vere però cosi al Taro come a Rapallo dovuto ren-
derci a forza tutte le sue rapine, non pur d'oro e di
bronzo, ma, come dice il Bembo , d' innocenti fan-
ciulle e fin di vergini a Dio consacrate. Tornarono
però quelle armi, soggiunse Fernando, e conquista-
rono nuovamente il regno di Napoli. Tornarono, ri-
spose Guglielmo, ma non per proprio valore : sì be-
ne per tradimento di quel doppissimo animo di Jfer-
2fift Letteratura
limando di Spagna, il quale inviò il Consalvo ad aia
tare L'impresa, con accordo però che dovesse fra i due
re partirsi il dominio dell' infelice paese. Or poco
durò quel patto : né mollo si stette dalla contesa a
venire al sangue : ed essendo quindi mestieri che ad
uno de' contendenti fosse pur forza di soggiacere, que-
sto, siccome sempre è stato in Italia, toccò a'francesi.
Vero è che se insoffribile fu chi n'andò, chi rimase
non fu migliore di lui : salvo l'essere men rotto alle
ingiurie ed all'arroganza.
IV. Qui diss'io : E quegli chi è che sì venera-
bile in vista, bianco delle chiome, e pressoché cieco,
è in quell'atto generosissimo di mutare giovanilmente
i passi col vessillo di san Marco in mano ? Noi co-
nosci, rispose Guglielmo ? E pur famosissima è la sua
immagine. Enrico Dandolo egli è, che ancor si ricor-
da di aver vecchio di ben novanlaquattr'anni, ma tut-
to caldo di spirili di fede^ e di patria, piantato il pri-
mo quella gloriosa insegna sulle mura di Costanti-
nopoli. E negli altri, che intorno gli fanno corona,
riconoscete Francesco Morosini peloponnensiaco ed
Angelo Emo, stupefatti ( come con ogni industria farò
che palesino ai lor sembianti ) stupefatti, dico, che il
veneto leone abbia così cessato dopo tredici secoli di
ruggire. E sì che a crederlo ha duopo di quasi tut-
ta l'autorità dell'istoria Sebastiano Ziani, che tratti a
se Pietro Orseolo ed il vincitore di Tiro Domenico
Michiel , mostra loro con onesta alterezza l' anello
dell' oro , onde Alessandro III pontefice privi legiol-
lo di sposar l' Adriatico , allorché fu alfine costretta
l'imperiale superbia di Eederico Barbarossa d' adora-
re per capo della chiesa chi aveva avuto per se la
fede della repubblica. Anzi vorrei che tanto potesse
L'ILLUSTRE ITALIA 20*9
l'arte , die mi fosse agevole rappresentare come qua
a questi altri invitti capi di guerra sembra fin dub-
bia la testimonianza stessa de' fatti : cotanto supera
ogni lor credere, cbe alla regina de'mari, là dove nes-
suno mai nacque e morì se non libero, possa un gior-
no essere stato fatale di venire in altrui signoria ! E
sono essi Ordelaffo Faliero che all'impero veneto ag-
giunse la Dalmazia, Lazzaro e Pietro Mocenigo, Ber-
nardo Con tari ni e Benedetto Pesaro: il quale ultimo
voltosi inoltre pietosamente a mirare Marc' Antonio
Bragadiao:« 0 veneziano Regolo, dice, a die giovò coa-
tra l'ardir di colui l'aver tu mostrato fin dove mai possa
giungere la maggior virtù di un grand'animo : sicché,
commessa avendo la strage di ottantamila ottomani al-
l' assedio di Cipro , preso poi con perfida fede dai
barbari, lasciasti farti ( e né pur si mosse quella tua
imperterrita fronte ) uno scempio sì orribile della tua
vita ! « A che giovò, rispondegli il Bragadino ? A far
vera prova d'esser sangue italiano, a mostrare ancor
possibili i grandi esempi anticbi, ad accendere di ver-
gogna i posteri ? Il che pur ebbe a cuore, soggiun-
ge, questo Lodovico Flangini che mi vedi al fianco:
il quale per non esser minore di virtù a niun gre-
co o romano, volle, benché mortalmente passatogli d'
una lancia il petto, farsi vestir l'arme e condurre sul
cassero della nave, in mezzo all'armata ch'egli contro
a'turchi capitanava, dicendo agli amici che d'altro lo
consigliavano : « Così ad un patrizio veneto si con-
viene morire ! » E Fernando : Tu m'hai sì fattamen-
te esaltato l'animo, ch'io ti prego, o Guglielmo, d'ar-
restarti alquanto , finché meglio consideri o piutto-
sto veneri queste eccelse presenze. Guardate aspetti
d'impero ! Guardate intrepidezza e tranquillità d'eroi !
G.A.T.LXXXVIII. 19
2f o Letteratura
Cerio appena per fortezza valgono a pareggiarli quei
tre, che d'altra parte sono in sì grandi ragionamenti ,
Carlo Zeno , Vettor Pisani ed Andrea Contarmi , i
quali veramente col caldo affetto di Temistocle e di
Camillo amarono la patria loro. Felicissimi, se non
avessero mai dovuto bruttarsi di sangue italiano ! Con
questi invitti dovea la repubblica alzarsi in Europa
a sì gran nome ed autorità ! Con questi sfidare ani-
mosa l'odio e l'invidia delle rivali ! Con questi trion-
far di Cambrai, non altrimenti che i romani trionfa-
rono della guerra sociale e di Annibale ! Con questi
infine rendersi degna d'aver propizia la provvidenza,
quando contra la santità dell'ospizio e la ragion delle
genti uno scelleratissimo marchese di Bedmar con-
giurò di mandarla tutta a fiamme ed a sacco ! Né
mancavi Nicolò Orsini, conte di Pitiglhmo, che ca-
pi iau generale delle genti di terra ancor sembra co-
gli occhi e col braccio minacciare Massimiliano ce-
sare, e con formidabile atto di valor romano difen-
dere dalle artiglierie tedesche il rotto muro di Pado-
va; e non pur contrastare all'inimico l'entrata della
città, ma costringerlo disperato a lasciar l'impresa.
V. Ed or dove , diss'io, dove mai sono que'pos-
senti di Genova , che pur fecero sì gran testimonio
d'essere anch'essi del nostro sangue ? E che dunque,
rispose Guglielmo, non t'è dinanzi Andrea Doria in
quell'atteggiamento che ancor mostra pentirsi d'esse-
re stato in armi tanti anni a prò di Francesco I, per
averne poi premio di sì odiosa dislealtà ? Vendicossi
però : e nobilissima, e quale da quell'alto spirito po-
teva attendersi, fu la vendetta : che per sempre aven-
do abbattuta in patria l'insegna de'gigli, volle infine
( e ben poteva far legge d'ogni sua volontà ) essere
L'ILLUSTRE ITALIA 2QI
anzi uguale che principe a'suoi concittadini. Nobile e
bravo Andrea, esclamò Fernando, e gran ricordo del
valore e del senno de'nostri avi, tranquille riposino le
onorate tue ossa ! No, non siati d'affanno che la geno-
vese libertà cadesse sotto i colpi di un corso. Percioc-
ché se calamità d'ogni popolo fu quell'audacia di un
italiano fattosi forestiero, godi invece ch'ella men che
ad ogni altro nocque al popolo genovese : fiorendo
oggi la patria tua, posata ogni setta, fra quante sono
più doviziose e forti ed ornate d'Italia : e sicura in-
viando al traffico le sue navi per tutti i mari, fatta
una delle regine del mediterraneo sotto lo scettro di
tale casa , cui aggiunge benevolenza e maestà così
l'essere come il voler comparire di stirpe italica ! E
Guglielmo : Bene , o Fernando , ti sei apposto. Tu
senti in tutto, intorno alla presente condizione della
donna della Liguria, ciò che ne sento io. E questa è
stata appunto cagione perchè nel mio lavoro abbia volu-
to in que'valorosi mostrare minor apparenza d'ira verso
Napoleone. Ond'è, come vedi, che appena a tanti sdegni
qui pongono attenzione e Prospero Adorno e Paolo
Eregoso, nel riandare che fanno la sanguinosa battaglia,
in cui sconfissero l'armata francese condotta da Re-
nato d'Angiò : e Filippo e Giannettino Doria : que-
gli capitano illustre della vittoria di Capo d'Orco, là
dove videsi morto a' piedi il viceré Ugo Moncada :
questi in sembiante di accennare allo zio il feroce
Dragutte stretto in catene e prostrato vilmente in ter-
ra, così com'egli giovinetto fortissimo il prese con tut-
te le sue navi e dannollo al remo. Ed oh questo fos-
se stato il fine di quel terribil corsale, ne Andrea gli
avesse poi conceduto il riscatto con tanto guasto del-
la cristianità !
ac)2 L B T T E H A T U R A
Ma che guardi, o Fernando, che guardi colà si
fisso l'occhio e la mente ? Guardo, diss'egli, quel guer-
riero, che dopo il supremo aspetto d'Andrea sembra-
mi quasi il più nutrito nell'arme ed il maggiore fra
tanti grandi. Quegli, rispose l'artista, è Biagio Asse-
reto, che alla giornata di Ponza disfece gli aragonesi
ed ebbe prigioni i re Alfonso V di Aragona e Gio-
vanni di Navarra. E cosi due famose azioni compi ad
un tempo : l'una di mostrare agli stranieri la geno-
vese potenza : l'altra di far palese anche in quel fie-
ro ed orrido secolo l' ilaliana generosità» Perciocché
dati i due sommi principi in potestà di Filippo Ma-
ria, Visconti , il quale allora signoreggiava Genova ,
furono dal duca di Milano accolti coll'ossequio degli
animi nobili verso una grandezza infelice, e riman-
dati liberi senz'altra richiesta del vincitore, che di vo-
ler soprattutto l'amistà di Alfonso il magnanimo. Nò
tacerò di quest'altro che gli è vicino, cioè Damiano
Caiani : del quale è noto come non volle che nella
fama delle il aliane virtù andasse sola la continenza
di Scipione in Ispagna. Essendoché inviato della re-
pubblica a trar vendetta del grave oltraggio, che ri-
cevuto aveva dal re di Cipro ( il quale fu poi de-
bellalo da quel Pietro da Campofregoso, ch'è più là
con Paganino Doria ) , ebbe per forza d'armi prima
Nicosìa e poi Palo : dove essendogli un giorno con-
dotte innanzi settanta vaghissime giovinette, cadute in
mano de'suoi soldati , non soffri , uomo gravissimo ,
che lor si recasse veruna vergogna : anzi a' rapitori se-
veramente gi'idando , che già non aveali spediti la
patria con. tante navi in que'mari perchè facessero di
tali prede, e se stessi e il nome ligure colle lascivie
disonorassero, ordinò che intatte si restituissero alle
braccia de'loro padri o mariti.
L* IT.UJSTRE ItALTA - 893
Se però non vi pare che questi genovesi diano
vista d'aver gran mente alle cose che quivi narra l'im-
perador de'francesi : salvo il rammentarsi le calamità
dell'assedio, onde furono stretti ; all'incontro v'ho nn'
altra gente più oltre che ben dimostra avervi inlen-
tissimo, non che il guardo e l'orecchio, ma tutto l'a-
nimo. Perciocché vedete il valoroso Ermocrate , che
rese a Nicia così funesta l'impresa contro le mura e
la libertà di Siracusa : e gli è accanto quella virtù
di Nicolao, che benché vecchio ed orbato di due cari
figli caduti in battaglia sotto il ferro ateniese, gridò
magnanimamente a'suoi concittadini : « Avessero per
iniqua la sentenza di Dioele ! Dovessero nel capita-
no di Atene, misero e prigioniero, rispettare la mae-
stà sempre venerabile della sciagura ! » E la fronte
imperterrita, che indi vi scerno, è Giovanni da Pro-
eida, che levali gli occhi per un istante dal libro che
ha in mano ( ed è la nobilissima tragedia, o Betti ,
del tuo Niccolini ) direste, voltosi com'è a Palmieri
dell'Abate, già già consolare di un sorriso quel volto
austero all'intendere , esser 1' isola di Sicilia andata
immune dall' umiliazione novella : sicché al concul-
cato popolo non fosse più necessaria l'estrema ragione
di un altro vespro. Terzo fra essi è Ruggeri di Lo-
ria, quell'emulo di quanti maggiori capitani di mare,
dice il Giannone, vantar possano le istorie greche e
romane : e qui cerca ad ambidue gl'inesorabili spiriti
far sue scuse dell'essersi ( dopo avere in tante batta-
glie umiliata la casa d'Angiò ) piegato infine a ren-
dere infruttuosa colla giornata di Capo-Orlando la
vendetta della siciliana oppressione.
IV. Che se piacciavi saper degli altri ( e vedete
numeroso stuolo ! ) cha indistintamente poi seguono
2q4 Letteratura
e sono insieme in quel caldissimo ragionare, dicóvi
che in essi avete le immagini di coloro che, ne'secolì.
che corser da poi* ressero con sommo impero esèrciti pò*
tentissimi, soprattutto d'Austria e di Spagna : e spes-
so li guidarono alla vittoria, e sempre all' onore. E
come potrebbero con animo indifferente udir non solo
di tanti casi italiani, ma sì della sorte di principi che
in così ostinate e sanguinose guerre si travagliarono
contro la Francia ed il suo imperatore ? Certo noi
possono Ferdinando Gonzaga, Alfonso DaValos, Giam-
batista Castaldo, Ottavio Piccolomini, Enea Caprara,
Ernesto Monteenccoli : noi possono Ambrogio Spino-
la, Federico "Veterani, Antonio Carafa, e i due Ser-
belloni : noi possono infine Fabrizio Colonna, Matteo
Galasso , Gian-Carlo Caracciolo , Antoniotto Botta
Adorno, Gian-Luca Pallavicino. E che dirò di Scipio-
ne Brancacci, che a Filippo V difese Cadice contra
l'armata inglese guidata dal duca d'Ormortd ? E d'An-
tonio Galeani iSapione, che rarissimo ingegno, gover-
nando con potestà suprema gli eserciti portoghesi di
mare e di terra, riformò secondo i novelli ordini alla
casa di Braganza le sue soldatesche, quante ne avea di
qua e di là dall'Atlantico ?
E quali altri bellicosissimi avrei anche potuto rap-
presentarvi , che tanto alla nostra età gareggiarono
coll'antico ardire, quanto era degno ad un nome co-
sì principale ne'fasti della bravura e dell'intrepidez-
za ? E molti ne vivono tuttavia, egregi vecchi, cam-
pati a sì grandi eccidi e disagi, e mostrati a dito quasi
esempio e maestri di mirabil fortezza ai nipoti. Ma
intanto onorate qua il Fontanelli, il Pino, il Serras,
il Fiorella, il Fresia : colà il Teuliè , il Severoli , il
Ferino , il Lecchi , le cui ceneri sono ancor calde.
l' illustre italu 29S
Onorate questo mantovano De-Pegri , che sdegnoso
d'essere minor di cuore ad alcuno, anche al suo Mas-
sena in Wagram, fece infermo com'era di corpo, ma
vigorosissimo d'animo, condursi in seggiola tra le pri-
me fde della sua divisione ne'cornbattimenti della guer-
ra sassone del milleottocento tredici. Valorosissimi, che
ridursi non potendo all? abbietta virtù del non fare ,
e da lina prepotente neccssilà sospinti a dover pure
pugnar per altri che per la patria, vollero almeno di
gloria contendere con una nazione, che poi in ogni
incontro doveva esserne loro sì poco grata ! Ma quan-
do un uomo d'Italia ha comunque le armi in mano,
niente più al mondo considera che l'onore. E sì che nel
solo anno milleottocento tredici, mentre lui t'ardeva di
guerra l'Europa, ben ducentoquindici mila de'nostri
erano in campo a combattere per l'impero napoleonico!
Eccoli là quegli alunni e concittadini del gran capita-
no, eccoli là rammentando le giornate più memorabili
d'Italia, di Spagna, di Germania, di Russia. Ne pen-
sate che lor cada dell'animo alcuna di quelle sfortu-
nate prodezze. Non pensate che il Pino non ricordi
il conflitto di Maloiaroslewitz, là dove sedici mila ita-
liani, usciti contro a novanta mila russi, parte ne uc-
cisero, parte ne sbaragliarono : e la fazione di Ples-
zcenice, quando dieci de'nostri tennero fronte ad una
numerosa schiera, parimente di russi, guidata dal ge-
nerale Lanskoi, e salvarono alla Erancia il suo ma-
resciallo Oudinot, che ferito avea chiesto difesa alle
nostre spade. Non pensale che il Fontanelli taccia del
Zucchi ( il gigante di Lahn ), del Villata, del Nar-
toni, del Palombini, del Mazzucchelli : ne il Seve-
roli delle stupende prove del Bertoletti all'assedio di
Tarragona, e di que'leoni di Napoli che con Flore-
20,6 L B T T É E A t II U
stano Pepe una fama immortale si acquistarono Sul*
le mura di Danzica. Sì tutti , o generosi , tutti qui
siete presenti così alla memoria de'vostri estinti com-
pagni d'arme , come alla lode ! E voi pure il siete
con essi, Sebastiani, Arrighi ed Ornano, cui il pre*
sente dominio , cosa spessissimo passeggiera , non
potrebbe mai togliere al grembo della grande fami-
glia italica, della quale i vostri corsi perennemente
saranno parte, sotto qualsiasi scettro d'Europa voglia
ancor porli la provvidenza. Sì, dico, perennemente il
saranno, finche quella ferma ed invariabil ragione non
mutisi, che la che Algeri sia sempre Affrica, Macao
sempre Asia, e Quebec sempre America : la ragione
cioè della geografia naturale.
Ottimamente, diss'io, o Guglielmo. Sicché il pre-
tendere ( come per l'orgoglio della nascita di Napo-
leone osano alcuni di là dall'alpe ) che i popoli della
Corsica non sieno più italiani, percliè nati in paese
da non molti anni soggiogato alla Francia, sarebbe il
medesimo che dir francesi que' fiorentini, torinesi e ro-
mani, i quali ci nacquero nella breve insolenza che
cambiò Firenze, Torino e Roma in città dell'impero
francese. Oh ardì forse niuno di noi chiamare italia-
ni quelli di Avignone e di Carpentrasso, quando la
patria loro , né già per pochi anni , fu provincia del
governo civile di Roma ! Ma di tutti, continuò Gu-
glielmo, di tutti i bravi di quella famosa isola ( do-
po la suprema altezza di Napoleone) nessuno uguagliò
costui che qui vedete. Lo conoscete voi ? Egli è il
guerriero, a chi Vittorio Alfieri die il titolo del suo
Timoleone, dicendolo più degno di nascere ed ope-
rare in secolo meno molle : egli è il capitano che il
gran Federico salutò per la prima spada di Europa.
.L'ILLUSTRE ITALIA 297
Oli, gridò Fernando, egli è dunque Pasquale de'Pao-
lì ? Sì, riprese l'artista : e posato l'uà braccio sulla
sinistra spalla del suo Mario Peraldi, e l'altro alte-
ramente tenendosi al fianco, riguarda quell'alto con-
quistatore, cui mostragli a dito il Cervoni, cli'è ivi
fra il Casabianca, i due Abatucci, il Gentili e il Ca-
salta. Né solo il riguarda : ma non saprei dirvi se più
lo esalti il pensiero che un suo concittadino sotto-
ponesse al giogo la Francia, o più il crucci l'ira che
una nazione, da lui sopra tutte abborrita, facesse fi-
nalmente suo prò del tanto sangue versato per la li-
bertà dell'isola contra la superiorità genovese. Onde-
che al fiero spirito rivoltosi non senz'acerbità Fran-
cesco Caracciolo : « Ma tu, gli dice , provvedesti tu
poi alla gloria tua ( vano è parlare di libertà ) con
quel sì disperato operarti perchè dalle forze galliche
cadesse la Corsica nelle britanniche ? Oh il ben tri-
sto cambio ( se ciò fosse avvenuto ) sarebbe toccato
a'tuoi concittadini ! Imperocché ninno al pari di me
conobbe pur troppo la generosità de'figli di Albione !
Ma questo Carlo duca di Gravina, che è qui meco*
terribilmente vendicò a Trafalgar col suo il mio sangue
con sì enorme perfidia sparso da chi in campo aperto
essendomi stato sempre inferior di prodezza, amò poi
essermi superiore , ne glie lo invidio , in quante mai
arti sa usare il livore e la fraude. Certo nessuna glo-
ria guerriera potrà mai lavare all'ammiraglio Nelson
1' onta della mia morte. Ed oh quasi duolmi che
in troppo onorato arringo egli spirasse , ferito come
fu di un gran colpo in tal famosa battaglia, ove un
eroe sì nobile napolitano guidava l'armata di Spagna ! »
E quel fiorentino ( tal mi par^ alla foggia ) chi
è, diss'io, che pieno d'animo, ma contristato di cuore,
298 Letteratura
levasi con sì mala sofferenza in sui pie, e sembra co-
gli occhi cercare alcuno ? Tu vedi in esso, soggiun-
se Guglielmo , il Ferruccio : il quale udendo come
anche la sua Firenze ( e per un uomo d'aulico san-
gue toscano ! ) fosse aggiunta al dominio di Francia,
guarda se inai ritrovi Lorenzino de'Medici o Filippo
Strozzi. E l'intrepido finalmente che capo di dodici
bravi osservate fra essi interporsi perchè non facciano
impeto contra l'imperatore, già non dirovvi che sia Et-
tore Fieramosca : e vorrei che bene avvisaste la for-
za ch'adopra a frenare quella impetuosità di ferocia :
pieni come sono di mal talento i compagni suoi, e
soprattutto i romani Ettore Giovenale e Giovanni
Brancaleoni, che siavi stato chi un giorno assogget-
tasse la patria ar posteri di coloro, ch'essi con ardire
sì memorando prostrarono nella disfida di Barletta. E
qui compiesi, amici, la parte del mio disegno , ove
principal personaggio è Napoleone , e sono maggiori
affetti la maraviglia o l'ira di ciò ch'egli fece in quel
funesto sogno d'impero francese: essendoché troppo di
là discosti sieno questi altri che seguono, perchè pos-
sano ben raccogliere le parole del massimo capitano.
VII. Il seniore de'Berengari ed Arduino sono in-
di que' primi che a se chiamano i vostri sguardi : e
vedeteli al viso ed agli atti lamentar la tristizia e ma-
ledizione de'loro tempi italiani e l'ingratitudine di chi
ci viveva. Seguono altri due coronati : l'un de'quali è
Manfredi : e certo il ravvisate alle note sembianze de-
scritteci dall'Alighieri : perciocché
« Biondo era, e bello, e di gentile aspetto,
» Ma l'un de'cigli un colpo avea diviso :
L* ILLUSTRE ITALIA 299
V altro è Bonifacio marchese di Monferrato , che fa
principe delle armi cristiane alla seconda crociata, e
poi ehbe il regno di Macedonia. Capitani secondo
quelle loro età gloriosissimi, che qui ora si narran le
imprese che in tanta fierezza di guerre ebbero a so-
stenere, e le proprie sventure. Se sventura dee dirsi
di Un re il morire in campo della morte de'valorosi.
Oh quanto invidiato avrebbeti, o Bonifacio, quell'ul-
tima fine il fratel tuo Corrado e l'amico Balduino !
Ma niun generoso, disse Fernando , invidierà molto
la fine del re Manfredi : perchè se costui morì combat-
tendo da forte, morì però tinto di una gran colpa :
di quella cioè d'avere, per insaziabile cupidigia di re-
gno, rotto fede al proprio nipote ( infelicissimo gio-
vinetto ! ) ed usurpatogli lo stato. Senzachè qual' altra
difesa , sospettosissimo come fu de'suoi popoli, aveva
egli voluto sempre dintorno a se, che non fosse d'ale-
manni e di saracini ! Egli regnante in Italia , e itt
Italia nato, e di madre italiana ! Anzi pur di padre,
io risposi : essendoché Federico II nascesse a Iesi città
della Marca. Certo io non so, Fernando, come scu-
sare a Manfredi tanta perfidia : e sì che il vorrei per
gli alti beneficii che in quel restaurarsi ed escire dal-
l'orridezza della barbarie del mio evo ebbero da lui
le nostre lettere : le quali pur coltivò colla gentilez-*
za che meglio potevasi all'età sua. Ma egli, mal co-*
noscendo la condizione de'tempi, parve seguir da cie-
co i destini che ornai incalzavano alla ruina la casa
di Svevia : ostinossi, picciol principe d'una parte d'Ita-
lia, a levar capo con tra chi allora faceva tremar sul
trono le più possenti e gloriose corone : né volle cre-
dere che in Italia la più formidal fazione fosse la guel-
fa , quella cioè de' popoli mal sofferenti di più per-
3oo Letteratura
mettere all'Imperiale arroganza d'oltraggiare la religio-
ne e il venerando suo capo, e di correre e calpestare
qual proprio campo queste provincie, senz'altro titolo
che di un nome, né altro credito che l'ignoranza o
piuttosto il vendersi di alcune genti di curia. Se ciò
stato non fosse : se le armi guelfe non si congiuravano
contra la schiatta degli Enrici, de' Corradi e de' Federici:
e più, se l'autorità de'pontefici non tonava e folgorava
dal valicano: avrebbe mai quella crudele anima di Car-
lo d'Angiò passato le alpi al conquisto del regno di Pu-
glia ? Certo no, soggiunse Guglielmo : ed oso affer-
marlo, benché dovessi avere avverso il giudizio di un
italiano dottissimo, di Giuseppe de Cesare. Ed a ra-
gione hai chiamala crudele anima quella di Carlo :
e potevi anche dirla scelleratissima : contro la quale
non giovò ch'indi levassero una voce di pietà e reli-
gione, non solo Gregorio X, ma lo stesso Clemente IV
6uo benefattore : anzi san Tommaso d'Aquino, di cui
forse ( se narra la fama il vero ) ahi qual vendetta
prese l'atroce tiranno !
Che dite poi di quel terzo, che l'uno e l'altro
re mira ascoltando, nò vuol quasi reputarsi minore ?
Ho inteso ritrarre in esso Ranieri Acciaiuoli, che per
virtù d'armi fece suo il principato di Atene, di Co-
rinto e di una parte della Beozia con Tebe. In niun
luogo ho però messo cotanto amore, quanto in questa
valletta ch'indi vedete : nel dipinger la quale farò che
non siavi parte che non rida d'erbe e di fiori : e gli
arboscelli ad un zefiretto agiteranno le molli frondi :
e quella fonte scaturirà con acqua sì limpida e viva,
che parrà quasi <T argento : e raccorrassi poi in un
canaletto, che andrà serpeggiando per la verdura. E
come no, se ivi di tanti travagli hanno riposo, e pren-
L* ILLUSTRE ITALIA 3oi
doti letizia coll'antica Clelia, quelle più moderne lu-
ci del gentil sesso, Marzia TJbaldini, Orsina Viscon-
ti e Caterina Sforza ? Imperocché può avervi alcuno,
che non sia nuovo nelle nostre istorie, ed ignori l'a-
nimosità della prima, anzi le maraviglie del suo co-
raggio a Cesena ? Ignori l'intrepidezza della seconda
a fronte dell' esercito veneziano a Brescello ? Ignori
la risoluzione ed il cuore della terza a Forlì ? De-
gnissime di altri tempi, anziché de'crudeli ed igno-
bili in cui fiorì tanto animo ! Che se fosse loro toc-
cato d'essere in quell'antico vivere de'romani, chi può
dire di quali corone d'alloro e di quali statue non le
avrebbe onorate la gratitudine della patria ! Ma me-
moria che giammai non perirà, diss'io, hanno elleno
nelle istorie : le quali più bastano al mondo contra
ogni forza di tempo , che non il bronzo ed il mar-
mo, di cui ha spesso fatto così mal uso talor l'avari-
zia , e talor pure 1' ignoranza de' posteri. Ed infatti
una slalua ebbe appunto da' pisani Chinzica de' Si-
smondi, che la patria salvò dal furore de'seracini ve-
nuti a dare la città illustre alle fiamme. Ma ora dov'è
quell'opera ? E chi più serberebbe memoria di Chin-
zica, se fatta non l'avessero eterna gli scrittori di quel-
l'età ? In proposito di che dirotti, o Guglielmo, che
anche quest'onor de'pisani vorrei che fosse qui del bel
numero : e che con alcune altre ( che altresì ne son
degne ) le dessi pure compagna Bianca Maria Viscon-
ti, moglie a Francesco Sforza, della quale si narrano
sì gran valentie nel fatto d'arme combattuto a Cre-
mona.
Veramente, disse Fernando, con incredibil pia-
cere veggo quelle eroine ! E con pari veggo Piero
Capponi , che se non ebbe eccellente animo di ca-
3oa Letteratura
pitano , uguagliò nondimeno per invitto ardire qual
cittadino più generoso ebbero Atene e Roma : e quella
sua fiera risposta al re Carlo Vili, nell'atto di lace-
rargli in sul viso la carta dell'ignominioso trattato ,
vivi'-, eterna quanto il nome dell'italiana virtù. E bene
liai posto con lui Q. Fabio, che ai cartaginesi con
fierezza non minore gridò, in grembo alla sua toga
recar loro o la guerra o la pace : e quel C. Popilio,
« Che il re di Siria cinse
» D'un magnanimo cerchio, e colla fronte
» E colla lingua a suo voler lo strinse,
Allora io : Conosco agli atti questi animosi, ma
non così l'altro che vien da poi. Chi egli è mai ? E
Guglielmo : Mi parve bene di non lasciare Pietro di
Albitone cavaliere pisano, il quale a Maiorica ruppe
sì generosamente gli accordi fra il re moro e i capitani
dell'armata cristiana, gridando che già i suoi concit-.
ladini, ardendo di vendicare la patria altre volte pre-
sa e guasta dagl'infedeli, s'erano dalle navi gittati ornai
alla riva , e furiosi movevano a far giornata. E fu
ciò vero, soggiunse Fernando ? Non pur fu vero, con^
tinuò Guglielmo : ma non altri che il gran cuor de'
pisani s'affrontò allora co'barbari, aftinché l'averne uc^
cisi cinquantamila, e trentamila schiavi aver liberati,
ed acquistata l'isola, e fatto prigione il re, fosse glo-
ria di una sola città italiana. Ma come poteva non
esser da tanto un popolo che avea tuttavia dinanzi agli
occhi i trofei d'Affrica e di Sardegna , e rammentava
Cesarea e Gerusalemme espugnate principalmente per
la virtù de'suoi ?
Vili. Non ho finalmente dimenticato ( e il pò-
L'ILLUSTRE ITALIA 3o3
teva io ? ) gli eroi di Rodi e di Malta, che de' loro
petti fecero scudo per tanto tempo alla civiltà di Eu-
ropa contra gl'impeti della barbarie d'Affrica e d'Asia:
e difesero che quell'atroce ignoranza, armata di ferro
e di quante ha furie la superstizione, non ruinasse
quasi rupe di Tantalo ( per dirla con Pindaro ) sul
capo di tutta cristianità. Ond'è che de'selte gran mae-
stri dell'ordine, che furon de'nostri, ho scelto Fabri-
zio del Carretto, il quale fra gli altri prudenti e va-
lorosi fu, se non erro, il più valoroso e prudente. E
posata la mano sull'elsa della spada statinogli di co-
sta Giovanni Diandra , 1' espugnatore di Smirne , il
vincitore della giornata d'Imbro : ed Aurelio Bottigel-
la, cli'ebbe grido del maggior capitano di mare che
avessero i cavalieri nel secolo XVI. E così il gran
maestro, come que'due gagliardi, e con essi Gabriel-
lo Tadino di Martinengo, ingegnere grandissimo, per
cui Rodi durò contra le forze di Solimano finché du-
rar potè per opera d'uomo in mezzo al folgorare di
tante armi , porgonsi attenti alla narrazione che fa
delle sue prodezze il torinese Paolo Simeoni prior
di Barletta. Oh, disse Fernando, mi conteresti in gra-
zia , o Guglielmo , alcuna cosa di queste prodezze ,
giacche ora non sanno tornarmi a mente ? E Gu-
glielmo : Assai di buon grado , amico : essendoché
il Simeoni fu di coraggio così indomabile, che non
so s'abbia esempio maggiore ne pur fra' romani. Chi
più intrepido, chi più scaltro in guerra, chi più ar-
dito , chi più in tutte le opere sue italiano ! E di-
rovvi che in lui la sventura ( come accade ne'forti )
fu quasi più grande gloria della prosperità. Imperoc-
ché nel combattere sull'armata dell'ordine essendo ca-
duto prigione , fu da quell' Ariadeno , che più co-
3o4 Letteratura
munemente dicono Barbarossa, non solo tratto a Tu-
nisi e gittato schiavo in un carcere, ma dato a guar-
dare , per accrescergli la miseria, a due rinegati. Non
cx'ediate però che Paolo di ciò sbigottisse : e molto
meno che vile si consumasse in inutili lagrime. Non
aveva egli più la sua spada : ma bene aveva il suo
cuore, aveva la fede sua , aveva infine le sue stesse
catene : e voi sapete come all'uomo , che prende fi-
ducia in Dio e nella propria virtù, ogni cosa può di
leggieri farsi strumento di libertà e di salute. E tale
appunto fu il caso di questo gran cavaliere : l'ardir
suo, la sua fede, ed insieme le sue catene, mirabil-
mente sovvennero al difetto della sua spada. Or co-
me , riprese Fernando ? Deh segui ! che già sento
alla sorte del vaioloso tremarmi ogni spirito. E Gu-
glielmo : Slavano un giorno i due disertori di Cri-
sto , eh' erano a guardia di Paolo , nel carcere con
essolui, non so se per godere della sua sciagura , o
per certificarsi della tenacità de'suoi ceppi. Quando
con un seminante fra sereno e nobile non so qual
più ( certo avevalo Iddio degnato d' un raggio della
sua misericordia ! ) rivoltosi il cavaliere a quegli sciau-
rati, mostrò loro alteramente i suoi ferri , quasi bel
trionfo che fossero di un campion della croce. « E
guardate, disse, guardate la sicura quiete dell'animo
con cui li sopporto. Guardateli , infelici fratelli , e
considerate se la coscienza vostra è sì quieta in co-
desta misera libertà. » Una favilla dell'antica fede ar-
deva in que'petti : e bene se ne accorse Paolo : che
levati subito gli occhi al cielo ( giacche non poteva
le mani ) orò umilmente all'altissimo che deh ! non
gli rigettasse la sua preghiera.
E certo non fu da Dio rigettata, io soggiunsi !
i/ ILLUSTRE ITALIA 3()5
E puoi tu dubitarne, rispose Guglielmo ? Rigettò mai
Dio ad alcuno un vero prego del cuore ? Donde Pao-
lo colle parole che sa più sante inspirare la religione
della carità e del perdono, avendo prima tratto alle
lagrime, poi al pentirsi i due rinegati, poco andò che
se li vide non solo a'piedi, ma risolutissimi di vestir
nuovamente le armi di soldati di Cristo, e così fare
ammenda col proprio sangue al delitto. Spezzati al-
lora i suoi lacci , corsero immantinente a schiudere
le altre prigioni, ove (orrore a dirlo ! } quasi belve gia-
cevano sei mila e più schiavi cristiani. Pensi ognuno
il grido di gioia che gl'infelici levarono tostochè vi-
dero il lor Simeoni ! Pensi come tutti gli furono in-
torno salutandolo qual angelo liberatore ! Senonchè
quello non era tempo di molli ed oziosi affetti : tem-
po era quello di fortemente operare, d'usare il braccio,
e principalmente di rompere ogni dimora: stando a tut-
ti ancora sul capo l'ira e la scimitarra del Barbarossa.
« Su via, compagni, esclamò Paolo , speranza e co-
raggio : coraggio e speranza, o prodi : che in noi, sta
in noi la gloria o di un illustre morire o della vit-
toria. Si rinfranchi 1' antica virtù , se pur giace : si
rinfranchi soprattutto lo spirito della fede : ed io vi
sarò, io fino all'ultimo sangue, capitano e padre qual
più mi vorrete. « Sì capitano, sì padre, sì quasi id-
dio : gridarono tutti a una voce ! a E così mezzo
ignudi comperano, condotti da Paolo, si gittarono fe-
rocissimi fuori della lor tana , e per prima cosa ir-
ruppero nell' armeria. Perchè ad un tratto armatisi
de'ferri e d'ogni arnese di guerra ch'ivi trovarono, mos-
sero con grande animo ad assaltare la rocca.
Aveva poco innanzi il governatore avuto avviso
di quel tumulto : laonde ordinate subito le sue genti
G.A.T.LXXXVIII. 20
3o6 Letteratura
su'merli e sulle bertesche, non parve che in sì grande
sorpresa si abbandonasse al tutto di fidanza e di ardire;
o disperasse almeno di poterai per alcun tempo difen-
dere. Vano pensiero ! Aveva a far egli con sei mila
esciti di schiavitù, soldati di prova, e pronti a'cenni
di un Simeoni , che qua e là qual folgore scorreva
fra' suoi, e già colla voce e coli' esempio anima vali
a dar la scalata. INon tardò quindi il barbaro ad av-
vedersi dell'estrema gravità del pericolo, e poco stan-
te a perdersi d'animo : sicché non pensando più ad
altro in quello spavento che a salvarsi, stimò final-
mente fortuna, abbandonando la rocca, d'aver trovato
pure uno scampo alla fuga.
Era allora a vedersi l'anima sublime di Paolo !
Salì egli incontanente la maggior torre a dispiegarvi
al vento la bandiera cristiana, così per letizia del fat-
to, come per avvisarne l'armata di Carlo V, che in-
nanzi stava sull'ancore. Se qual da fulmine restasse
di ciò atterrito Ariadeno, ognun se lo immagini. Qua-
si fuori di se, tratto al romore, precipitò colui a'piè
della rocca con nove mila de' suoi , ne tacque pro-
messa alcuna o minaccia : ma vana tornò in que'petti
ogni sua minaccia o promessa. Sicché bestemmiando
e fremendo, e della sua sciagura accusando il cielo
e la terra : poiché già sentivasi alle spalle i soldati
di Carlo , che con acclamazioni festose usciano nel
lido, dovette infine, venutogli meno ogni altro con-
siglio, lasciarsi strascinare anch'egli al terrore e alla
calca de'suoi, e fuggire a Bona.
Così per cuore e prudenza di questo nostro aper-
tesi alle soldatesche cristiane inopinatamente le porte
di Tunisi, dopo tanti disagi, v'entrò Carlo in trion-
fo e ricevette la sommissione. Trionfo magnifico e d'
l' ILLUSTRE ITALIA 307
antica maestà : ove però tutti gli ocelli palavano me-
glio cercare il rozzo saio di Paolo, che non la porpora
e il diadema di Cesare : il quale allor generoso, anzi-
ché prenderne invidia, avendo raccolto ad onore gran-
dissimo il cavaliere e levata a cielo la virtù sua, affer-
mò innanzi a tutto l'esercito doversi principalmente a
Paolo Simeoni la fortuna di tanta impresa. Eccelso
animo ebbe certo costui, diss'io : e ben merita per la
memoria di sì gran fatto vivere famoso ne'posteri !
Tacevami ciò detto : e tra per la tenerezza e la
maraviglia taceva pure Fernando. Perchè dopo alcu-
na pausa Guglielmo continuò : Sendo qui all'estremo
della parete , ho voluto finir le scienze col Sammi-
cheli e con Francesco de Marchi, principi dell'archi-
tettura militare : e ritrarre per forma quest' ultimo ,
che al Castriotto, ad Antonio da Sangallo, al Zan-
chi, al Paciotto ed al Papacino ragioni i turpissimi
furti, che delle sue invenzioni fece in Francia il ma-
resciallo Vauhan : e dica insieme degli obblighi che
lo stringono a Luigi Marini, e soprattutto alla virtù
patria di quel Francesco Melzi, che non avendo in
tempi iniquissimi potuto far quanto bene desiderava
all'Italia, volle almeno essere soddisfatto di vedere nel-
le opere del Marchi arrossir lo straniero, che con su-
perbia ci calcava ad un tratto e predava. Indi è Fe-
derico Giambelli, il terribile ingegno, l'Archimede di
Anversa, come il chiama lo Schiller : ne ho voluto
che alcuno vi desideri o Giulio Frontino, che fra'suoi
stratagemmi registri cotanti stupendi fatti; o Giuseppe
Grassi, che il suo gran vocabolario militare accresca
di nuove voci.
Fin qui il primo giorno. Donde essendo ben al-
3o8 Letteratura
to il sole, e la stagione ridente, ci levammo insieme
per andare alquanto a diporto. Dandoci però fede l'un
l'altro di rivederci nel dì seguente.
( Sarà continuato. )
N. B. Essendo occorsi alquanti errori in questi dialoghi, si
darà V errata- corrige de'più essenziali a pie del volume; avver-
tendo che sono stati tutti emendati nelle copie tirate a parte-
3<>9
La georgica e Veneide di Virgilio volgarizzate
in ottava rima da Lorenzo Mancini, accade-
mico residente della crusca. Firenze per Lo-
renzo Ciardetti 1837 ec. (Articolo II ed ultimo).
M.\ più compiuto de'poemi di Virgilio, quello che eb-
besi e le seconde e le terze cure del poeta, si è la
georgica : vero gioiello della lingua latina, della poe-
sia e dell' agricoltura , che è madre e nutrice delle
arti. Peccato, che noi tardi nipoti non possiamo pie-
gare la fronte ne l'animo a quelle innumerevoli di-
vinità, che ad ogni pie sospinto ti facevano come fun-
ghi sorgere i gentili; i quali ad ogni zolla di culto
terreno davano quasi il suo dio custode o proteggi-
tore ! Cicerone istesso, benché ministro di falsa reli-
gione, ne poneva in deriso quella immensa copia di
divinità, tra le quali ne lo sterco , né la cloaca ne
mancavano. Noi scorti da lume veramente celeste dan-
niamo non pure il dio Stercuzio e la dea Cloacina;
ma e la Venere impudica, e il Giove adultero, e la
vendicativa Giunone, e quanta è mai quella turba di
bugiardi dei , che eccitano oggimai compassione , e
meriterebbero in realtà le onde di Lete; se già a mo-
do di simboli non servissero ancora in parte a'pittori e
agli scultori, per verità non assennati abbastanza per
rinunciare al culto della mitologia nelle opere di pen-
nello e di scarpello. Quanto a'poeti, il nostro secolo
può essere contento, che ha veduto a terra gl'idoli,
e trionfare ne' versi la religione vera, e gli enti so-
3io Letteratura
prannaturali di lei, dannati avendo all'oblio que'fal-
si e stolti del gentilesimo. Questa condizione della
italiana poesia fa che stucchevole si renda quella fi-
latessa di nomi, divini agli antichi, ridicoli a noi, di
Bacco e di Cerere, di Pane e di Silvano , e quegli
altri mille che ti vengono innanzi nella georgica di
Virgilio : la quale non può essere spogliata di essi
senza perdere il suggello, per cosi dire, della origi-
nalità; e per altra parte a noi riescono insopportabili.
Non intendiamo con ciò sminuire il pregio all'opera
veramente perfetta del mantovano poeta ; chi vuole
giudicarla, dee portarsi al tempo dell'autore : solo in-
tendiamo dire, che le versioni della georgica non pon-
no essere accolte oggidì con quella benevolenza, che
l'autore istesso ed i volgarizzatori meritano senza dub-
bio, quale per fedeltà, quale per eleganza, quale per
altra prerogativa !
Più fortunata l'eneide, che per la qualità di e-
popeia meglio ammette ciò che dicesi macchina, o sia
intervento di esseri soprannaturali, che tali siano ve-
ramente, o finti almeno dalla fantasia del poeta !
Dal eh. Bartolomeo Gamba avemmo la bibliogra-
fia de' traduttori di Virgilio nel Poligrafo di Verona
sino dal r 83 r . Egli notò anche ne'primi tempi della
gentilissima lingua nostra quattro versioni in prosa,
ed una in terza rima per lo meno dell' eneide. Una
nel secolo XV. Nel susseguente poi, che fu il sor-
riso delle lettere, notò la versione dei 12 perle stam-
pe di Giunta ( 1 556 ) colla sentenza dell' Algarotti
giudiziosissimo, che in tutti questi volgarizzamenti
V eneide i>'è di tanto inferiore a quella del Caro,
quanto questi è a Virgilio. E per tacere di altri,
noteremo con lui que'che in ottava rima trasportare*-
Opere di Virgilio 3if
rio il divino poema del Lazio, come il Cerretani sa-
nese ( i56o ), il Dolce veneto , il cui lavoro senza
nervi e senza sangue postumo apparve ( i5G^ ), e 1'
Udine concittadino a Virgilio ( i5o,7 ). Più altri fe-
cero italiana l'eneide, come accennammo nell'artico-
lo I parlando di queste versioni del eh. Mancini.
Ma non si creda che alla georgica mancassero
traduttori. Tra'primi merita encomio di fedeltà il fer-
rarese Antonio Maria Nigrisoli, che diede in versi la
sua versione stampata la prima volta in Vinegia (i543).
Poi è a ricordare il più fortunato Bernardino Daniel-
lo ( i545 ) : e meschini prosatori il Venuti e il Fa-
brini ( i58i,88).
Venuto al secolo XVIII passar vuoisi il Cantati
modenese per la sua traduzione in versi sdruccioli en-
decasillabi ( 1757 ), e l'Àmbrogì minore di se nella
versione ( iy58 ) : ancora vuoisi passare il Soave, co-
munque nella sua soprabbondanza non affatto infe-
lice ( iy65 ). Ma non può passarsi il conte Alessan-
dro Biancoli, del quale il Gamba accennando il la-
voro poco noto ( e che meritava di esserlo ) e la edi-
zione di Pesaro 1 768 in fol. dedicata a S. A. il du-
ca di Toscana, dice il verseggiare ben sostenuto. Di
questo illustre spirito di Romagna , che fu il Bian-
coli, scrivemmo nel tomo XXX, voi. go, giugno 1826
a pag. 36 1 e segg. di questo giornale, annunziando
la ristampa della georgica tradotta in versi italiani dal
medesimo : ristampa dovuta alle cure del concittadi-
no prof. G. Ignazio Montanari di Bagnacavallo. Ag-
giungemmo, che lo statuto agrario di s. Mai'ino ( Pii-
mino 18 13 ) volendo dare il vero succo de' precetti
virgiliani per la coltura de'campi, scelse appunto e ri-
portò in parte la versione del Biancoli; tanto fedele,
3i2 Letteratura
che niente più. Si usa ancora nelle souole di Roma-
gna con molto onore, comechè qualche incenso all'
idolo frugoniano ( che ora è caduto ) recar dovesse
il Biancoli : e fu peccato del secolo e della fortuna,
meglio che suo ! Rileggasi di grazia quel nostro ar-
ticolo, che risparmia a noi ora di molte parole in lo-
de di tale, il cui poemetto delle Maioliche , rinvenu-
tosi ultimamente, risusciterà la sua fama nella edizio-
ne, che ne sta preparando in Bologna il nipote con-
te Oreste Biancoli bagnacavallese ( Vedasi V Impar-
ziale di Faenza, num. 16 e 24 del 1840).
Seguitando, non passeremo il Tornieri, che sa-
crificò alla rima di troppo, avendo dato in ottave la
georgica ( 1780 ) : né il Bondi, che in versi sciolti
non senza qualche riuscita diede la sua ( 1800 ): ne
il Vincenzi lodato per lo stile e fidatezza (1800, 1816):
né ( per tacere di altri già troppi ) un Benedetto dei
Bene ( 1809 ), ed un Arici ( 1822 ) uomini lodatis-
simi.
Le prime palme daremo al nostro marchese Bion-
di ( sempre pulito scrittore in terza rima ), ed al ca-
valiere Strocchi ( sempre trionfante in versi sciolti ).
11 poligrafo di Verona pose a fronte nel i838 I toni.
/X, pcig. 233 e segg. ) le versioni del Biondi e del
Mancini sul principio col testo : noi porremo a fron-
te la versione dello Strocchi con quella del Man-
cini. Qualche osservazioncella al bisogno soggiunge-
remo, secondo l'istituto nostro, che è di aprire schiet-
tamente i nostri dubbi, al giudizio de'savi sottomet-
tendoli per amore del vero e per la gloria delle let-
tere ; rimosso mai sempre ogni spirito di parte o di
presunzione, da cui siamo alieni. E potremo ingan-
narci ; ma volontariamente non vorremo altri ingan-
Opere di Virgilio 3i3
Tiare ! Il che vogliamo sia detto e ridetto una volta
per sempre.
Ogni savia e gentile persona pongasi innanzi il
testo del libro I della georgica virgiliana sino al ver-
so 42 inclusivamente , i quali contengono non più
che la proposizione e l'invocazione. E legga i seguen-
ti versi dello Strocchi, secondo la splendida edizione
'di Prato in 8, i83i, con rami.
I
« Che cosa giovi a fecondar le biade,
» A quel segno di stelle aprir la terra,
» Viti ed olmi accoppiar, reggere armenti,
D Lanuti custodire, e con qual arte
» Le frugali educar pecchie convegna,
» Mecena, a dir comincerò. Voi chiari
» Occhi del mondo, che il volubil anno
» Governate dal ciel, Cerere e Bacco,
» Se la vostra mercede in miglior esca
» Si trasmutò di Caone la ghianda,
» E la nuova vendemmia i schietti rivi
» Colorò di Acheloo, driadi e fauni,
» Divinità di pio cultore amiche
» A me venite, i vostri doni io canto.
» Tu che nel sen della percossa terra
» Col poter del tridente apristi al primo
» Animoso corsier, Nettuno, il varco;
» Tu nume di Tegèa selvosa, a cui
» Innumerevol numero di armenti
» Pasce l'erba di Cea, se non assonna
» Del tuo Menalo in te l'affetto antico,
» Pane maestro di lanuta greggia,
» Del materno Liceo lascia le selve,
» E qua vieni da me. Tu degli olivi
3i4 Letteratura
» Prima inventrice dea, tu giovinetto
» Trovator dell'aratro, e tu, Silvano,
» Che a man ti rechi un tenero cipresso
» Da radice divelto, o tutti o tutte
» Divi e dive, che i campi in guardia avete,
» E la poca semenza in pingue messe
» Accrescendo nudrite, e voi che ai solchi
» Giù mandate dal ciel gran copia umori.
» Cesare, te massimamente invoco,
» Te, Cesare, per cui s'inforsa il mondo
» Qual collegio de'numi a se ti scriva
» Quando che sia ; se a cittadine mura
» Appressando vorrai regger la terra,
» La terra a te dator- delle ricolte
» A te signor delle stagioni adori
» Velata il crin del tuo materno mirto ;
» O ti piaccia esser dio dell'ampio mare,
» Te sol ne'voti il navigante invochi,
» Inchini a te l'ultima Tuie, e Teti
» Con quanto ha d'acque a genero ti compri;
» O ti piaccia salir novello agli astri
» Astro de'giorni estivi, e tu nel mezzo
» Fra la vergine vieni e le seguaci
» Braccia dello scorpion, che le ritira
» E più spazio di cielo a te rassegna.
» In qual che nume convertir ti deggia,
» ( Ne già te rege tuo l'inferno aspetti ;
» Lungi da te di tal regno la sete,
)) E lascia dir che del giardini di Eliso
» Grecia si ammira, e la chiamata indietro
» Fanciulla nega di seguir la madre )
» Aspira al corso di animosa prora ,
» E passion comportando all'ignoranza,
Opere di Virgilio 3 i5
» • Che offende il pio cultor, vien meco in via,
» E a lasciarti chiamar ne' voti impara. »
La versione dello Stronchi; maestro di ogni ele-
ganza, fu giudicata da'savi come l'altra sua degl'inni
di Callimaco : e noi non aggiungeremo parola, rive-
renti a tale, che Italia saluta come il Nestore de'let-
terati, che vantansi e sono amici della gloria di Dan-
te; tanto più che professando eloquenza in Ravenna
egli sparge di fiori perpetuamente la tomba di quel
divino. Bensì loderemo lo Strocchi, il quale se su-
però ogni altro recando in terza rima gl'inni di Cal-
limaco ed alcuni di Omero: prescelse di dare in versi
sciolti la georgica. Noi lo ripetiamo , non ha metro
più degno agli esametri latini la lingua nostra : ogni
altro, massime col vincolo della rima, sarà con dan-
no della fedeltà o con pericolo certamente, fosse pu-
re opera del tersissimo marchese Biondi ( la cui pen-
na dava oro continuamente ). Ne toccammo altra vol-
ta le ragioni, che sono singolarmente della maggiore
libertà che lasciano gli sciolti al traduttore, e della
facilità pur maggiore a conformarsi al testo in ogni
minima cosa : il che è essenziale rendendo Virgilio,
perfetto scrittore che vuoisi rispettare in tutto, come
colui che fino a un capello foggiò a maraviglia il suo
poema; non altrimenti che Raffaello un suo quadro ,
Canova un suo gruppo, Bassi un suo paese, togliere
o mutare un apice al quadro, al gruppo, al paese di
que'maeslri sarebbe peccato ! Ora chi potrebbe patir-
lo riguardo alla pupilla di Augusto, Virgilio ? Ma con
ciò non s'intenda spregiarsi da noi questa o quella
versione rimata, e meno quella del eh. Mancini: del-
la quale anzi riporteremo il tratto, che risponde al
tratto recato dello Strocchi.
3i6 Letteratura
i.
« Quel che fecondi l'alma terra e pieno
» Faccia il ricolto; qual de' segni additi
» L'ora d'aprirle coll'aratro il seno,
» E agli olmi adulti maritar le viti ;
» Come da mandrian provido sieno
)> Moltiplicati i greggi e custoditi;
» E intorno all'api quali cure e quanto
» Studio convenga, o Mecenate, io canto.
Una certa larghezza si permette all'ottava, e a
buona ragione la si consente il eh. Mancini : al qua-
le potrebbe chiedersi però come non abbia reso di-
stintamente Quae cura boum, qui cultus habendo
sit pecorì, come nel testo ; ma in quella vece abbia
confuse per così dire le gregge e date in cura al man-
driano ; quando altra è la cura che vuoisi alle Dian-
dre, altra quella che vuoisi ai buoi, che arano la ter-
ra. Al mandriano basta custodire, moltiplicare le raz-
ze in branco; al contadino bisogna tenere grassi e for-
ti i bestiami in ben guardate stalle, affinchè servano
alla coltura de'campi. Ma seguitiamo col eh. Manci-
ni, il quale vince se stesso vincendo le difficoltà del
metro per rendere francamente Virgilio.
2.
« Voi, Bacco ed alma Cerere, del mondo
» Lumi, che l'anno per lo ciel guidate,
» Se l'uom, vostra mercè, volse nel biondo
» Frutto le ghiande della prima etate,
Opere di Virgilio 3 17
» E mescolò dell'uve il rubicondo
» Succo all'onde acheloe, me vostro vate
» Udite : e driadi e fauni odano ancora,
» Che dei presenti la campagna adora.
Ferie simul faunique pedem dryadesque
puellae, munera vestra cano. Invita il poeta e Bac-
co e Cerere e fauni e driadi : Venite insieme , dice
loro (ad ascoltare s'intende ) : il traduttore audite ,
dice, ed odano; manca dunque il venire in compa-
gnia, segno di concorde animo, ad ascoltare. Quan-
to all'ordine, non è al tutto conforme al latino, ed
è peccato : di che le ragioni mostra il Costa nella
elocuzione; tanto che non è uopo ripeterle. E un cen-
no basta a'savi nostri leggitori !
3.
« E tu, gran nume, la cui destra afferra
» 11 tridente del mondo scotitore,
» Dal qual percossa la novella terra
» Partoriva un fremente corridore ;
» Tu pur, cui mandra innumerabil erra
» Per le balze di Cea, divo pastore,
» Cultor de'boschi di Saturno antico,
» A me venite, i vostri doni io dico.
Ecco finalmente, benché tardi, reso il ferie pe-
dem; se non che manca il simul espresso, E tardi
diciamo , perciocché dopo aver detto prima udite o
odano, l'invito a venire per ascoltare diventa fuori
di luogo, contro la virtù dell'ordine lucido, del qua-
le parla a maraviglia Orazio nel codice del buon gu-
3i8 Letteratura
sto. Anche il viunera vestra cario è posto tardi, e
il dico non rende abbastanza il canto , come qui
vuole propriamente il poeta. Ma continuiamo.
« Il paterno Liceo lassa e la cima
» Del tuo Menalo, o Pane, e vieni o dotto*
» D?agne custode : né il fanciul che prima
» Co'curvi aratri il suol vergine ha rotto,
» Ne l'inventrice dell'oliva opima
» Pallade manchi, ne Silvan che sotto
» Umane forme fra gli agresti è spesso,
» Svelto portando un tenero cipresso.
Bella dottrina saper custodire le agnelle ! Ma
Pane era un dio e sapeva Varie per eccellenza. Del
resto Virgilio si contenta dire Pan ovium custos ,
ne aggiunge idea di dottrina qui non bene a propo-
sito. Ruppe dovea dirsi qui, e non ha rotto, aven-
do riguardo al tempo. Svelto capiamo dovere stare per
divelto', ma così alla prima chi legge è tentato a ri-
tenere svelto per agile', e sì che Silvano ( prima idea
che subito presenta il traduttore ) dovea essere agilis-
simo.
5.
« Accorrete benigni, o numi tutti,
» Quanti questo educate o quello stolo
» Con propria cura, e sovra i semi o i frutti
w Diffondete opportune acque dal cielo.
» E tu che non vedrai d'Erebo i flutti,
Opere di Virgilio 319
» Ma pur nasconde del futuro il velo
» In qual coro entrerai degl'immortali,
» M'arridi, Augusto, ed al mio voi dà l'ali.
Al mio voi dà Vali, e ni arridi vengono dop-
piamente a dire ciò che nel testo detto è verso la fi-
ne dell'invocazione :
Da facilem cursum, atque audacibus adnue
caeptis.
Questa anticipazione interrompe le idee, che si
legano ad Augusto, e che è forza al traduttore con»
tinuare nella ottava seguente.
6.
« 0 Roma anco vegliar dalle stellanti
» Sedi tu voglia; e far l'orbe felice,
» Che te dalle stagioni arbitro canti
» E d'ampie messi deità datrice ;
» O dio del mar divenga, e i naviganti
» Te invochin solo, e in te la genitrice
» Delle cerulee vergini profonde
» Compri il genero suo con tutte l'onde.
Il cingens materna tempora myrto del vers. 28
di Virgilio manca al volgare. Tethys all'incontro è
reso con una circonlocuzione delle cerulee vergini
profonde ne bella, nò opportuna.
32G Letteratura.
» Od astro novo nella calda zona
a Armi dell'anno fra gli alterni eredi
« Brillar dov'ampio sito infra Erigona
» E lo scorpion ti s'apre : il mostro* oh vedi !
» Già le branche ritira, e t'abbandona
» Dell'infiammato ciel più che non chiedi.
» Che né l'ombre da te sperin la legge,
» Né tu il fren desiar che Pluto regge.
Tardis mensibus dice il testo al vers. 3a: ora i tar-
di mesi sono essi adunque alterni eredi delVanno 2'
o lo sono essi soli ?
8.
» Sebben d'Eliso maraviglie attesti
» Il tebano cantor, né Prose rpina
» Alla madre tornar curi. Tu questi
» Principii audaci al termine incammina,.
» E per pietade degl'ignari agresti
» Avvalora colui che gli addottrina;
» Terrestre ancora, i bei sudor ne apprezza,.
» E i voti umani ad ascoltar ti avvezza.
E superbo il dire colui che gli addottrina: più mo-
desto è Virgilio dicendo ad Augusto: Mecum mise-
ratus agreste^ ignares'y come meglio al vers* 4 J del
testo.
Conchiuderemo, che ogni cielo ha le sue nubi,
ed ogni versione i suoi nei. Del resto a volere esse-
Opere di Virgilio 3ai
re imparziali, come sempre, diamo il giudizio del Po-
ligrafo ( nel luogo citato ) sulla traduzione della geor-
gica del eh. Mancini : egli è di questo tenore : « Il
» verseggiare è per dir vero felice, commendevole ci
» sembra il linguaggio poetico : e risguardando alla
» difficoltà delle rime obbligate, noi possiamo affer-
» mare essere questo uno tra i più felici volgarizza-
» menti della georgica. » Al che aggiungiamo , che
se il eh. volgarizzatore con quell'animo suo sempre
inteso agli studi porrassi a limare la versione, quan-
to fece Virgilio stesso il bellissimo originale, acqui-
sterà sempre più lode di pulito scrittore, come è de-
gno a chi siede maestro di gentilezza nella beata Fi-
renze !
prof. D. Vaccolini.
Saggio di epigrammi dell'antologia tradotti
dalVab. Domenico Santucci.
I.
VACCHERELLA DI MJRONE.
M
iron dall'opra sua fuor di se tratto,
Sì cara vaccherella è viva, disse :
E l'altra ov'è, che a lei simile ho fatto ?
G.A.T.LXXXVIII. ai
323 Letteratura
IL
PIE VELOCE.
Aria, vaghissimo figliuol di Meneclo,
Certo, tarsensi, vien con laude a Perseo
Autor di vostre mura:
Tanto in vista e in valor lo raffigura.
Tutto avvampante con pie alato correre
Il vedi sì, che non poriagli l'omero
Perseo mostrar per quante
Forze accogliesse ad affrettar le piante.
Mirar ben puossi al primo uscir del carcere,
O quando già a toccar la meta è prossimo:
Ma l'occhio il cerca invano
In tutto quanto l'interposto piano.
III.
LADRO FAMOSO.
Trasse dal tempio dell'alme esperidi
Menisco ladro tre pomi d'auro,
A quanti die di piglio
Furtivo già d'Anfitrione il figlio.
Come poi diede vivo spettacolo
D'esser combusto dinanzi al popolo,
In questo pur si vide
Non dissimile punto al grande Alcide.
Epigrammi tradotti 3a3
IV.
1SOLETTA FERACE.
Isoletta mi son di piccol giro :
Ma lio viti e terebinti e pingue terra
E belle lande ovunque mi raggiro.
D'altre più vaste un circolo mi serra :
E qualunque lodar voglia l'ampiezza,
E dir ch'io perdo al paragon, non erra.
Ma prive di vigor, senza adornezza,
Da tutte parti il nudo aspro terreno
Per se fa Lestimon di lor magrezza.
Prove di ricco suolo i frutti sieno :
Non vale il dir : A stadi i'son più grande.
Un solchetto del Nil può l'arso seno
Invidiar dell'affricane lande ?
V.
MENSA DELL 'AVARO.
Una cena a chi non basta ?
Ma chi accetta il dolce invito
Del convito
Che prepara Salammo,
Vede a prova
Che conviene
Far due cene.
3a4 LfiTTXRATCKA
VI.
iMMERltEfOLE TRIONFANTr.
Ier la Vittoria
Da un tal fu vista
Per le vie muovere
Pensosa e trista.
Di che ammiratosi,
Quegli a lei vólto :
O dea, perdonami,
Che mal t'ha colto ?
Che mal ? Sei l'unico,
La dea riprese,
Che di me misera
Non sai le offese ?
Aristo è origine
Delle mie pene,
Che immeritevole
Per sua mi tiene.
Poria non piangere
Or la Vittoria,
Che ad uom la cessero
Privo di gloria !
Aristo presemi
Non altrimenti
Che i nocchier sogliono
Prendere i venti.
Epigrammi tradotti 3aS
VII.
SEPOLCRO D'UN CONTADINO.
Benignamente accogli, o madre antica,
Entro al tuo seno Eucralida il colono,
L'util memorando della sua fatica;
Che di sua mano induslre il frutto sono
Queste piante d'olivi e queste viti,
Onde ne viene umor più assai che huono.
Ben ei le folte messi, e gl'infiniti
Arbor di frutti ch'ombrano il terreno,
E gli erbaggi piantò sì saporiti.
E, solchi aprendo, facea poi che pieno
Scorresse un rivo a nutricar le piante,
Che messi i germi nel tuo grembo avieno.
Fa' dunque d'esser lieve e verdeggiante
Per largo tratto dove il veglio posa :
Ivi di sua beltà tutta s'animante
La famiglia de'fior vaga e odorosa.
Vili.
1NFIDIOSO.
Era Acete d'invìdia sì riarso,
Che, visto il sozio in maggior croce appeso,
Tutto comparve di livore sparso.
326 Letteratura
IX.
IL MEDICO E IL POETA.
Cotante morti al mondo non addussero
L'acque tutte che giù si riversarono
A'dì deucalionei, o quando il misero
Fetonte mal guidò le rote fervide,
Quante reconne verseggiando Potamo
Ed il medicator ben noto Ermogene.
Sicché quattro saran le stragi orribili
Da trapassar famose in ogni secolo :
Fetonte, Deucalion, Potamo, Ermogene.
X.
CONTRO UN PVGILATORE.
Un chiaro pugile
Del ludo olimpico ,
Di nome Stratofonte,
Ebbe mento ed orecchie e naso e fronte.
Contuso il misero
Da colpi orribili
Fece cotal visaggio,
Che nulla potè aver del suo retaggio.
In fatti a' giudici
La pinta immagine
Recata dal fratello,
Fé di presente dir: No , non è quello.
Epigrammi tradotti 3a;
XI.
TUMULO DI MIBA.
Vestita in bronzo vergine
Qui resto, o viator,
Di Micia sovra il tumulo
Immersa nel dolor ;
Finché l'onde discorrano,
Finche germogli il suol,
Finché viaggi candida
La luna e splenda il sol.
Sopra quest'urna in lagrime
Io sempre mi starò,
E qui Mida rinchiudersi,
Tacente accennerò.
XII.
TUMULO D'UN FANCIULLO.
Niente ancor non mi sapea d'affanni,
Quando mi dipartii da questa vita
Callimaco fanciul sol di cinque anni.
Non lamentar, se sai, la mia partita :
Cui poco tempo a viver fu concesso,
Ben dei saper siccom'egli in sua vita
Videsi ancor da pochi mali oppresso.
3a8 LETTERATURA
XIII.
QUERELA DEL NOCE.
Povero noce ! lungo il sentier nato,
Ahi ! quanti sassi a me per giuoco vibrano
I protervi ragazzi d'ogni lato.
Tutte quasi rendendo al suol le foglie,
E i tanti germi che si rinnovellano,
In fine io lascerò le intere spoglie.
Io fruttifero : e in ciò mio sommo danno :
Val meglio isterilir, che in gran dovizia
Patir d'oltraggi sì gran copia ogn'anno.
XIV.
CUPIDO IN GEMMA.
i
Io vidi in una gemma Amor che il dorso
Preme d'afro lion; vidi l'impero,
Onde a sua voglia ne governa il morso ;
E domo ir vidi sotto lui quel fiero,
E come col flagello anche il molesta:
A tal veduta mi tremò il pensiero.
Ahi ! di me debil che faria cotesta
Possanza di sì barbaro fanciullo,
Che sgagliarda il signor della foresta
E di lui prende così vii trastullo ?
Epigrammi tradotti 3 29
XV.
RVINE DI MICENE,
Degli eroi le patrie antiche
Non son più per alcun loco,
O se sono, un cotal poco
Di rottami solo appar.
Ne fai tu fede, o Micene :
Nel passarti or ora innante
Mi ti offristi oh ! in qual sembiante
Miserabile a mirar.
Non che ad altro, solamente
A una rupe che nell'aria
S'erga alpestre e solitaria
Ti vedea fatta simil.
Anzi tal mi venne al guardo
Piaggia inospite e diserta,
Che sembianza offriami l'erta
Di spregevole capril.
In quel mezzo, per ventura
Mentre guardo il tetro ostello,
Sentii dir da un vecchierello
Che passava per colà :
Una volta per le mani
De' ciclopi qui sublime
Erse al ciel le altere cime
Tutta d'oro una città !
33ò Letteratura
XVI.
CATTIVO CANTORE.
Canta e ricanta il gufo
Canzon di trista sorte,
Ma il canto di Dcmofilo
Anche al gufo dà morte.
XVII.
PIGRO.
Vide Marco nel sogno, ahi ! trista idea»
Marco vide se stesso che correa.
A non rinnovellar più tal cimento
Prese pel sonno eterno ahorrimento.
XVIII.
SÀTIRO DI MUSAICO.
Viatore e Satiro»
Vìat. Ben mi so io - siccome facili
I satirelli - sono a deridere ;
Ed or qual è il tuo avviso
Mettendo, come fai, cotanto riso ?
Sat. Rido mirando - io me medesimo
Come di varie - giunte petruzzole
Fatto fui di presente
Nume, e per tale m'adorò la gente.
Epigrammi tradotti 33 i
XIX.
TUMULO DI VECCIUERELLA BEVITRICE.
Nell'arca sepolcral, ov'è sepulta
La vecchietta Maronide, da un lato
Larga tazza da ber l'autore ha scalta ;
Però ch'ella non pur di tutto fiato
I calici votava, ma e garriva
Sì che noiava tutto il vicinato.
Un nonnulla cinguetta ancor non viva
Là di sotto al coperchio; e non lamenta
Già la sua prole di soccorso priva,
Che vive in un col padre macilenta;
Ma il calicion, che sopra le sta asciutto,
Dica che più d'ogn'altro la tormenta:
Che di buon vino il vorria colmo tutto.
XX.
trist'uomo al magistrato.
Non la virtù, ma la fortuna, o Cadmo,
Te in alto a levar prese,
Vaga di far palese,
Che dessa veramente
E diva onnipossente.
33a Letteratura
XXI.
PERNICE MORTA DAL GATTO.
O delle rupi aeree
Antica abitatrice ,
Or non hai più di vimini
Né un tetto, o mia pernice
Ne, quando al roseo margine
Appar la nuova aurora,
Potrai le alette scuotere
Al sol che te l'indora.
Ahi ! che il gatto venefico
Ti smozzò il capo; e tutto
Il resto, oh ! scelleragine,
Co'denti ebbe distrutto.
Se parte di te misera
Alcuna ancor ne avanza,
Di sotto a questo cespite
Abbia secreta stanza.
Non io farò mai suppliche
Che siati il terren lieve,
Anzi un terreno pregoti
Qual è più duro e greve;
Non foi-se l'avversario
Un dì qua pur s'avventi,
E sperda crudelissimo
Fin anco i tuoi frammenti.
Epigrammi tradotti 333
XXII.
MERCURIO DI SE E DI ERCOLE.
Io mi sono, o pastori, il vostro Ermete :
Per poco mei di quercia e poco latte,
Meschini doni, facile m'avete.
Alcide non si placa per sì fatte
Tenui offerte : di sangue una fiumana
Chiede di capri e di agnelline intatte.
Si dice poi com'egli ne allontana
Dal gregge i lupi. In fin però che importa
O sia il lupo che il gregge vi dishrana,
O sia il custode che a morir lo porta ?
XXIII,
A CERBERO DELLA TENUTA D*ARCHILOCO.
0 tu, che i regni di Cocito immane
Assordi con altissimo latrar,
Più ch'altra volta mai, trifauce cane,
Or veglia ben sull'atro limitar.
Se al suon de'giamhi di veneno aspersi
Licambe colle figlie il sol fuggì,
Poria l'accento di que'crudi versi
Dar volta all'ombre e ricondurle al di.
334 LiTtÈ rat d n
XXIV.
LA NIOBE DI PRASSITELE.
Son Niobe : fui da'superi
In sasso convertita :
Poi per man di Prassitele
Tornai dal sasso in vita :
XXV.
MERCURIO DI SE E DI ERCOLE.
Qual sii die t'incammini
Alla città più prossima,
O a'floridi giardini
Che son d'intorno, sostati,
E ascolta quanto Ermete or ti dirà.
Duo siam gì' iddii presenti,
Ambo custodi a'termini,
Me che parlar tu senti
Benigno ed amorevole,
Ed Ercol che accigliato ivi si sta.
Venne, pocli'è, di pere
Dovizia ;«!» offerirnesi :
Egli le più sincere
A se trasse di subito,
E l'altre amare e guaste a me serbò.
Epigrammi tradotti 335
Così dell'uve avvenne :
Le più gustose e tenere
Tutte per sé ritenne:
E i duri e acerbi grappoli,
Che non potean piacergli, a me lasciò.
Tal sozio non mi piace :
E dura cosa vivere
Con chi non vuol la pace :
Però le offese cessino,
E quando a noi farassi il pio cultor
Onusto del suo dono,
Non metta tutto in cumulo,
Ma dica : Queste sono
Le offerte sacre ad Ercole :
Con quest'altre ad Ermete io rendo onor.
Compendio della storia romana di monsignore
Pellegrino Farini. Lugo , per Vincenzo Me-
landri in 8. Voi. /, i838; voi. II e III, 1839;
voi. IV, 1840.
^o veduto quasi nascere, crescere, prosperare que-
st'opera data a vantaggio della gioventù studiosa : ne
ho scritto qua e cobi alcuna parola di lode all'usci-
re de'primi volumi. Ora che il quarto irò apparso ,
dopo averne veduto, per singolare bontà del chiaris-
simo autore, il manoscritto : panni non debba esser-
mi disdetto, che di tutta l'opera io parli più a lun-
go ; dico più a lungo; non degnamente quanto me-
336 LiTTiUTon
rita un lavoro condotto con molta cura delle cose e
della lingua, ed accolta con plauso di tutta Italia.
Finisce alla caduta della repubblica, e lascia in de-
siderio di vederne la continuazione sotto l' impero.
Di che, se agio non manchi al dotto autore, merite-
vole di ogni favore, credo poter promettere alle let-
tere, che vogliono intera la storia romana in un or-
dinato compendio da porre nelle mani de'principian-
ti, e tale che risponda al bisogno ed alla convenien-
za altresì, giusta la mente di Tacito, che si propose
narrare: « Qualis status urbis, quae mens exercituum,
» quis habitus provinciarum, quid in toto terrarum
» orbe validum, quid agrum fuerit; ut non modo ca-
» sus eventusque rerum, aed ratio edam causaeque
» noscantur. » Egli è ben vero, che prima vuoisi la
nuda narrazione dei fatti, poi quella de'costumi e del-
le leggi, e allora spaziando per la regione delle co-
se apprestare il lume della filosofia, che è come il so-
le al creato. Tuttavia qualche lampo di quella, che
dicono metafisica della storia, si può far tralucere a
quando a quando; in modo però che non abbagli i
giovinetti, pei quali è fatto 1' andare non al fulgore
di pieno giorno ; ma alla luce riposata del mattino :
farebbe altrimenti mancare al lucido ordine, e dimen-
ticare che la virtù visiva sì degli occhi, si della men-
te vuole essere non isforzata, ma esercitata con mo-
derazione : il continuo esempio la fa più forte a pro-
ve sempre maggiori : anche la natura va per gradi ,
e non per salti, nel 6U0 corso ordinario : quella è la
maestra che non inganna , se bene si seconda, e si
ascolta con amore.
Intanto quei due occhi della storia , che sono
geografia e cronologia, non deono mancare chi vuole
Storia romana 337
dal compendio di monsignor Farmi trarre tutto l'u-
tile, che egli si propone ed a ragione può aspettarsi
nelle nostre scuole di umanità e di rettorica. Non dee
mancare il buon senso, ossia la logica pratica, negli
apprendisti : non la buona filosofia a'precettori; senza
ciò l'opera aver non potrebbe pieno successo a bene
de'nostri studi. Tutto l'agir cleono lasciare i parenti
ai loro figliuoli di attendere alla istruzione dello spi-
rito, invigilando sopra loro continuamente : cleono i
maestri essere provveduti di tali emolumenti da po-
tere donare se stessi senza stento e senza vergogna
al loro ufficio , che è nobilissimo ; comunque non
manchino gl'insipienti di avvilirlo, non per altro che
per matta superbia e per ispiri to di egoismo da do-
versi sbandire oggimai sotto il paterno regime di prin-
cipe santissimo e sapientissimo. Al quale il nostro se-
colo è debitore per la protezione concessa alle let-
tere ed alle arti, e molto più per avere agli autori
garantiti i frutti dell' ingegno e della mano in cose
letterarie ed artistiche per l'appunto, con un consen-
so tra i potentati fra l'alpi e il mare, che move da
concordia conservatrice dell'ordine e della gloria; on-
de la felicità de'popoli, che il cielo privilegia ponen-
doli in mano di tali governanti ! Questo cenno mi
si permetta a cagione di onore e di grato animo pel
novo segnalato beneficio. Proprie erano cla'secoli a cia-
scuno la casa, il campo, le suppellettili; non proprie
le opere dell'ingegno e della mano. Questo è trionfo
dell'ordine: tardo, ma degno ! Ed infinita conviene che
sia negli autori la gratitudine a tanta sapienza e pre-
videnza, che i secoli di Pericle, di Augusto e di Leo-
ne cotanto in grido giammai non videro ! Ecco un
vero progresso ! Al quale seguiranno altri beni, per-
G.A.T.LXXXY1II. 22
338 Letteratura
clic da cosa nasce cosa : ed, a cagione di esempio, più
giusti onorari saranno assegnati ne' comuni ai mae-
stri : i quali se costretti a lottare col bisogno , che
opprime , non ponno venire con alacrità alla prova
dello insegnare, dura e difficile quant'altra mai. Dis-
sodare un terreno è grave cosa, più grave dirozzare
le menti, e spargervi semi, che fruttino a bene delle
famiglie, delle città e dello stato : chi presiede alle
cose degli studi non è possibile che consenta difetto
di emolumenti dove è larghezza di fatiche : e quali
fatiche ! Il sudore del corpo è il meno, se si valuti
l'opera della mente, che per umana debolezza sente
stanchezza e tutti gì' incomodi delle vita. Ora come
può prestarsi all'esempio dell'istruire una mente do-
ma dalla necessità e da quell'avvilimento, che gl'igna-
ri doviziosi spargano sulla turba de'maestri, cui man-
ca non pure un tozzo di pane, ma quell'onore che
sarebbe almeno un conforto nell'indigenza? Qui la pa-
rola farebbesi acerba; ma buono è mitigarla nella spe-
ranza di un dolce avvenire, che non mancherà dopo
l'aurora annunciatrice di chiaro giorno, e di certa e
lunga serenità. Onore a chi ha, più onore a chi sa:
ed è in tale ufficio singolarmente sa insegnare ai no-
velli il sapere, onde l'avere e il potere : che sono i
primi elementi della privata e pubblica felicità ! Buo-
no è che a mani degne venga dato di spargere i se-
mi della dottrina ; ma queste mani siano mosse da
forza animatrice di ogni pubblica cosa, e sicure da-
gli assalti dell'invidia e della fortuna, nemiche eter-
ne dell'ordine e della comune prosperità !
Tornando a noi, lieti di care speranze, applau-
diamo: che un buon compendio come di storia sacra,
così di storia romana ci abbiamo, e tutto italiano, da
Storia romana 33g
quel fiore di sapiente, che è monsignor Farini, lume
(Mia Romagna e delle lettere : a cui auguriamo non
lodi ( che abhondano meritamente ) , ma premi a tan-
ta virtù convenienti.
D. Vaccolini.
Serie cronologica storico-critica de\>escovi faen-
tini compilata dal canonico Andrea Strocchi
faentino. Faenza tipografia Montanari e Ma-
rabini iB/j-O^ in 4» di fac. XII e 3o8.
É
innanzi il ritratto di quel chiarissimo D. Placi-
do Zurla cardinale, che fu finche visse, ed è tutta-
via ornamento dell'ordine camaldolese, delle scienze
e della religione universale. E vi ha la dedica al
medesimo : vi ha la prelazione, dove l'autore ricorda
la sua promessa latta tre anni fa al pubblicarsi delle
sue memorie istoriehc del duomo di Faenza ( Giorn.
are. toni. 70, pag. 98 ) di dare la serie cronologica
de'vcscovi, per supplire alPUghelli, il quale, a senti-
mento dello stesso padre di ogni erudizione Lodovi-
co Muratori, avendo bisogno di gran riforma, que-
sta non se gli può dare, se non da chi del pae-
se si mette con tutte le braccia a coltivare quella
parte di terreno che a lui tocca. Nella storia de'
vescovi d'Italia l'Ughelli omette, a parere dell'auto-
re della sili chiesa e della patria zelantissimo, 8 ve-
scovi faentini, e \ che non lo sono aggiunge ad essi.
340 Letteratura
Da croniche manoscritte, e da altre memorie di Faen-
za e di città vicine, congetturando talvolta, ha tratto
l'autore istesso di che comporre la cronologia de've-
scovi della chiesa faentina dai secolo III, sino all'an-
no di Cristo i832: cominciando da s. Savino vesco-
vo e martire del 780 sino al presente monsignor Gio-
vanni Benedetto de'conti Folicaldi bagnacavallese, che
fu promosso appunto alla sede episcopale il 2 luglio
i83fl. Avendo io stesso avuto occasione di sommini-
strare notizie di chiese e luoghi pii della città di Ba-
gnacavallo dal 1270 in poi, oltre quelle che ha po-
tuto accogliere dagli storici hagnacavallesi, miei con-
cittadini, l'autore ha inserito in quest' opera alcuna
di tali notizie , essendo la città di Bagnacavallo ora
soggetta al vescovo di Faenza, della cui diocesi è par-
te nobilissima.
In prima col favore del celebre Muratori non
dubita porre in serie un DeoJato all'anno di Cristo
783, deducendolo da una iscrizione in marmo, esisten-
te ancora ne II' antica Pieve di s. Pietro in Sjlois
presso Bagnacavallo, che dee leggersi, secondo lui, co-
me appresso ;
« De donis Dei et sancti Petri apostoli temporibus
» Domini Deus Dedit Vb episcopi Iohannes hu-
» milis presbyter fecit per indictionem quintam. »
E nel documento I presenta incisa tale iscrizione nel-
la forma che vedesi in quel marino : iscrizione, che
esercitò lungamente l'ingegno degli eruditi ; tra'quali
l'abate Pinzi, nelle Addende alla pregiata sua disser-
tazione De nummis ravennatibus , appropriolta al
pontefice s. Deodalo I , che fu al principio del VII
Vescovi di Faenza 341
secolo ; fondandosi sulle sigle VB . EPC . che spie-
ga urbis episcopus: e non sarebbe fuori di luogo la
osservazione dell' indizione 5 , se nelle discordanze
cronologiche volle starsi alle Tabi e s chronologicqu.es
de John Blair, tr adulte $ de Vanglois par Chan-
Ireau ( Paris 1795 ), che quel Deodato pone dall'
anno di C. 61/j. al 617 inclusive: al qual anno 617
corrisponde appunto l'indizione V, portata dalla iscri-
zione bagnacavallese ( di cui altra simile, se non è
la medesima, sull'autorità di anonimo ne cita il Friz-
zi nelle memorie di Ferrara, toni. I a pag. &44i co~
me esistente in marmo bianco al muro della casa del
rettore di s. Vito, villa del ferrarese territorio }. Al-
tra opinione sul nostro Deodato si è quella del Ros-
si, che lo fa arcivescovo di Ravenna dall' anno 847
al 85o, a cui consente l'Amadesi. Ed un'altra soste-
nuta dal canonico Scalabrini , che fosse vescovo di
Yaghenza per la sigla suddetta, che spiega vico ha-
bentini. Ed altra di chi lo pose tra' vescovi d'Imola:
altra finalmente di chi lo vuole vescovo di Faenza.
Diversità di pareri fra tali e tanti eruditi fa dubitare
chi ama la chiara luce del vero ; ma come sperarla
in quella lontananza di tempi , che non lasciarono
.memoria di un vescovo sia di Ravenna, sia d'Imola,
sia di Faenza ( come piace all' autore ) fuorché una
lapide bagnacavallese : della quale sono a vedere le
opinioni discusse nelle Notizie istoricìie della chie-
sa arcipretale di s. Pietro in Sjlvis dì Bagnaca-
v allo pubblicate sui manoscritti del canonico Igna-
zio Guglielmo Graziarti dal p. Coleti ( Venezia
1772 al cap. V, VI, VIIs FUI). Ma e che, si
dirà ? Bagnaca vallo a qual diocesi apparteneva ne'pri-
mi secoli, a quale ne'susseguenli ? Io non saprei ac-
342 Letteratura
certarlo con giuramento, stante le opinioni ventilate
nelle istorie patrie: dovendosi fare alcun caso altresì
di quanto scriveva l'emidi tissimo Passeri del 1770 da
Pesaro al p. Coleti sul dubbio se quel Deodato do-
vesse darsi alla chiesa faentina od alla ravennatense:
( rW, cap. V , a pag. 3o in nota. ) « Ma chi sa
» quali erano allora i confini delle due diocesi ? »
Sia che mutassero il corso i Burnì Senio e Lamone,
tra'quali è Bagnacavallo , e più o meno variassero ì
confini delle diocesi: sia più veramente, che il do-
minio temporale d'allora variando così spesso, secon-
do che le città vicine sempre in guerra tra loro e con
la stessa Bagnacavallo la soverchiavano, lo spirituale
altresì più o meno si allargasse : sia per altra ignota
cagione, certo pare potersi dai documenti arguire, che
que'confini delle diocesi di Ravenna e di Faenza, e
d'Imola altresì, andassero variando sensibilmente. Ma
non vorrei oppormi all'autore, che viene sostenendo
con buone ragioni il suo asserto, e dona il vescovo
Deodato a Faenza, se già il Muratori sentenziò: Fa-
ventinìs liccat cimi sibi tribucre. Che se amore di
verità togliesse ad alcuno di sottomettersi all'autorità
di taì nomi, si consigli colla ragione : e dove ella
manca, o la sua luce è annebbiata od oscura, chiegga
lume dagli eruditi, che sono da tanto di trarre dal
fumo splendore, come ha tentalo di fare il sig. ca-
nonico Strocchi, benemerito della sua chiesa e della
diocesi, che egli onora colle sue illustrazioni. E ono-
ra anche Bagnacavallo, quando dice le lodi del ve-
scovo nostro monsignor Folicaldi, che regge presen-
temente la diocesi faentina : tra le quali poteva, an-
zi doveva aggiungere, che sotto gli auspici di lui fu
aperto in Bagnacavallo a' 26 settembre 1840 il nuo-
Vescovi di Faenza 343
vo ospitale degl'infermi nel locale già de' pp. girola-
mini , che fu acquistato reggendo la chiesa faentina
il chiaro monsig. iNicolò de1 marchesi Tanari a'20 no-
vembre 1820: e nella fabbrica cominciata del i83o,
poi ritardata per le vicende de'tempi, finalmente com-
piuta dal 1840, furono posti gì' infermi , siccome è
noto per averne parlato sì la gazzetta di Bologna ,
e sì quella di Lugano : la quale nomina eziandio l'ar-
chitetto, di origine da quel cantone, cav. Magistretti in-
gegnere di bella fama. Delle lodi giustamente iribui-
te all' odierno vescovo Folicaldi ben può allegrarsi
Bagnaeavallo: non così del regalo fattone dall'autore
della serie cronologica, il quale a pag. 41 v^Q esegg.
attribuisce un prete di nome Costantino alla pieve
di s. Pietro in Sylvis, ne'rcmoti tempi matrice di Ba-
gnaeavallo. Egli si fonda sopra una lettera ( che ri-
porta fra' documenti ) del pontefice Giovanni Vili ,
dell'anno 881, indiritta al così detto Constanti no sa-
cerdoti ecclesiae faventinae de plebe sancti Pe-
tri tran silvani. Di che io dubiterei; poiché leggendo
nelle istorie patrie e ne'momimenti, trovar parmi, che
in Sylvis od intra Sylvas fosse denominata preci-
samente la chiesa della pieve di Bagnaeavallo : non
già senza equivoco trans sylvas\ poiché se era den-
tro, m, intra , certamente rispetto al papa Giovanni
Vili, che scomunica il prete Costantino per essere sta-
to promosso dall'arcivescovo di Ravenna senza licen-
za apostolica alla chiesa vescovile di Faenza, la no-
stra pieve non poteva essere al di là, trans sylvas.
Ma qui verrebbe una indagine a fare sulla selva o
selve , di cui si tratta : e sulle pievi di s. Pietro ;
imperocché egli è ben vero, che gli storici eruditi ne
parlano ; ma o che io non l'intendo o che essi con-
344 Letteratura
fondono troppo agevolmente luoglii con luoghi ; in-
tanto die non distinguono abbastanza almeno il den-
tro dal fuori dall'ocre. E paravi pure dovesse la cri-
tica camminare eziandio fra le tenebre col lume del-
la ragione, anzi della lingua, che ad indicare la po-
sizione rispettiva dc'luoghi ha preposizioni non sog-
gette a tali e tanti equivoci, quali fanno nascere so-
vente gli eruditi per tirare alla loro opinione qual-
che cifra od iscrizione , che donano ad un luogo e
forse spetta ad un altro. Del resto io non porrò la
voce in cielo: troppo contento a radere la terra se-
minata dei fiori delle lettere e dei frutti delle scien-
ze esatte. Lascerò ad altri di volare come conviensi
chi vuol trovare il sole oltre le nubi, che ascondono
ai bassi mortali il vivo splendore. Ma non lascerò di
ammirare il degno autore, che pieno di zelo dissipò
molte ombre dalla notte , che copre le antiche me-
morie della chiesa faentina. Ed incuorandolo a non
cessare, lo ringrazierò senza fine di avermi nominato
con tanto onore alla pag. s63 per quella iscrizione
bagnacavallese, che accenna il vescovo Iacopo, al tem-
po del quale furono poste del 1278 le prime pietre
della chiesa de'pp. minori conventuali in Bagnacaval-»
lo , della quale io gli diedi copia con altre notizie
patrie che conservo manoscritte. E trovandomi avere
una cronica faentina, traduzione manoscritta da quel-
le di Gregorio Zuccoli, non lascerò qui di notare ciò
che io vi leggo del vescovo di Eaenza, che fu Gio.
Francesco di s. Giorgio de'conti di Blandrata l'anno
i6o3, regnante Clemente| Vili. Nella cronica è chia-
mato cardinale di s. Clemente: ed ebbe si questo ti-
tolo, come è a vedere di seguito alle vite del Plati-
na, in quella di Clemente Vili, scritta da Giovanni
Vescovi di Faenza 345
Stringa (pdg- 856 edizione di Venezia i643 ) : e
nota essere stato proposto papa all' ultimo conclave
esso cardinale; ma non essendo riuscito, pare si ac-
corasse; onde poi potrebbe arguirsi una causa motri-
ce o concomitante della di lai malattia e morte. Ma
ecco le parole del cronista, clie accenna altresì qual-
che beneficenza del cardinale vescovo, non riferita dal-
lo Strocclii d'altronde diligentissimo. Il cronista con-
chiude adunque cosi : « Compita 1' operazione del
» conclave, il cardinal s. Clemente determinò, per con-
» siglio de'medici e per indisposizione che si senti-
» va, di andare ai bagni di Lucca, ove s'aggravò il
» male, e finalmente li tolse la vita. Fece testamen-
» to, e lasciò molte cose alla sua chiesa, et una gran
» quantità di denari alla compagnia della morte per
» maritar donzelle. » Ma basti oggimai, ed abbia di
nuovo l'autore soprallodato commendazione.
D. Vaccouni.
-=a-Sgg&©g§§S-=—
346
L'arte di scriver lettere, dedotta dalV analisi de1
classici scrittori latini ed italiani per opera
di Giuseppe Ignazio Montanari. Firenze dalla
tipografia calasanziana 1840 , in 12, di pag.
120. Intitolato ai giovanetti studiosi dal p. Sta-
nislao Gatteschi delle scuole pie, editore.
esideroso di giovare alla tenera età io diedi fuori
nel i83i: Dello scriver lettere, prima istruzione
pe ''fanciulli in cinque lezioni. Lugo per Melandri
in 8, di pag. 36; che uscì di nuovo in Firenze del
i834 nel Giornale defanciulli, tipografia Ciardet-
ti in 8 gr. dalla pag. 355 alla 365 inclusive, con
allre cose mie adatte all' intelligenza delle piccole
menti. Parve al mio onorevole amico e concittadino
prof. Montanari di scrivermi sul proposito di quelle
mie Lezioni alcune osservazioni, che sono a vedersi
in questo giornale {marzo i83i, a pag. 222 e segg.):
e vi aggiunse colle lodi, che io non credevo di me-
ritare, la promessa di dar fuori appo le ferie autun-
nali un suo trattatello per bene scrivere lettere la-
tine e italiane. Intanto il professor G. F. Rambelli
dava fuori 1' Istruzione epistolare pe1 giovanetti
( Imola i83i ) confessando di avere tolto e dal Vi-
centini , e dal Giardini , e dalle mie prime lezioni
stesse. Ne parlò il prof. Montanari in questo gior-
nale [luglio i83i a pag. 80).
Una seconda edizione diede il Rambelli [Pesa-
ro i833 per Nobili, in 16, di fac. 64 ); ed io ne
Arte di scriver lettere 347
toccai in questo stesso giornale [luglio i832, usci-
to soltanto del i833 , a pag- 238 e segg. ) Altre
edizioni si successero a confermare il pregio e l'uti-
lità della Istruzione epistolare del Rambelli (*). Ma
come ai giovanetti di poca età o ignari di latino
giova il bel trattatello del prof. Gianfrancesco
Rambelli , così confido ( dice il prof. Montanari )
che non torni inutile questo ai pia provetti , e
specialmente a coloro che allo studio della lin-
gua toscana accoppiali quello della latina ; seb-
bene anche chi nulla sa di latino (aggiunge egli)
può apprender benissimo dal trattatello mio, aven-
do io recato gli esempi tolti dai latini nei volga-
rizzamenti pia pregiati. » Sono a lodare le nuove
cure del prof. Montanari ; perchè egli è verissimo ciò
che il Gozzi ( Gaspare ) saviamente notava : Nessu-
na parte ha V eloquenza pia necessaria da esser
saputa convenientemente, quanto quella che allo
scriver lettere s'appartiene.
E pare che quanto egli è condiscendente a'mo-
derni, altrettanto voglia un freno dall' ossequio agi'
antichi, con una certa temperanza e moderazione; che
è sempre prudente e ragionevole : e scrivendo latino
vuole si abbia riguardo a costumi liberi, franchi, schiet-
ti; scrivendo italiano, vuole più larghezza come è del-
l'uso. Gicerone solo fra' latini vuole si sludi dai gio-
(") Io conosco le edizioni seguenti per dono del prof. Ram-
belli. Quarta edizione: Pesaro i853, in 16, di fac. 78, approvata
da'censori il i5 gennaio iS54- Quinta edizione: Bologna i855, in
16, di fac. 70. Settima edizione: Perugia 1887, in 12, di fac. 100,
ampliata di una breve raccolta di lettere moderne del Monti,
del Perticare del Costa, del Giordani ec
348 Letteratura.
vani, cui permette di leggere anche Plinio : del qua-
le forse più esempi che non bisogna qui diede, se so-
lo Cicerone vuole si studi. Caro, Bonfadio, Tasso (Tor-
quato ) ed il Redi propone loro de'nostri; ma e dei
Bembo dà esempi : dal Monti e dal Perticar! e con-
sorti vuole appararsi la parte de'convenevoli di più con-
facenti ai nostro tempo : poco accenna di pregio in
questi nostri maestri ; ma egli sa bene potersi da lo-
ro apprendere più che i convenevoli. Del resto egli
secondo i diversi generi delle lettere ne prende una
da Cicerone o da Plinio, ed una da un classico ita-
liano , facendovi sopra quello studio di analisi , che
tanto giova a conoscere ed apprendere lo stile epi-
stolare. Anche da Seneca prende qualche cosa: e quan-
to a Cicerone si vale della traduzione del Cesari, che
è uno stento comparato singolarmente a quella spon-
taneità dell'originale.*; quanto a Plinio si vale della
traduzione del Paravia, e mollo bene; quanto a Se-
neca si vale di quella del Gozzi, tanto degno scrit-
tore, che il solo suo nome vale un elogio. Da ulti-
mo ha un appendice sulle qualità esterne di una let-
tera. Potrà parere a taluno che troppo severo io por-
ti eiudizio sulla versione delle epistole di Cicerone
di quel toscanissimo p. Cesari , in cui se fu molto
lo studio fu poca la favilla che dà vita alle carte. E
perchè io non voglio essere creduto sulla parola, da-
rò qui la traduzione di una lettera di raccomanda-
zione offèrta dal prof. Montanari subito alla pag. 7,
rimettendo i leggitori a ciò che notai sino dal 1827 nel
voi. di aprile a pag. i35 di questo giornale, sulla ver-
sione delle epistole appunto di Cicerone fatta dal Ce-
sari. Ivi si vedranno pure le lodi che io dava al Goz-
Arte di scriver lettere 349
zi per la sua Scelta di lettere , dalla quale panni
togliesse alcun che lo stesso prof. Montanari.
Cicero S. D. Memmio ( lib. i3, ep. 3 ). Au-
lum Fusium unum ex meis intimis, observantis-
simum studiosissimumque nostri, eruditimi homi-
nem, et summa humanitate , tuaque amicitia di-
gnissimum, velini ita tractes, ut mihi corani re-
cepisti. Tarn mihi grattini id erit, quam quod gra-
ti ssimum. Jpsum praelerea summo officio et sum-
ma observantia Ubi in perpetuimi devinxeris. Vale.
« M. T. C. a C. Memmio salute. Io ho que-
» sto Aulo Fusio, che è de'miei intimi, uno che più
» mi onora, e di me tenerissimo ; persona di tutta
» umanità e degnissimo della tua amicizia. Vorrei
» che tu mei trattassi secondo che di presenza mi li
» sei obhligato. Questo mi sarà la più cara cosa che
)> tu possa farmi: ed oltre a ciò, lui medesimo ti sa-
» rai obhligato di somma cortesia e riverenza per tut-
» ta la vita. Addio. »
Il traduttore parla di Aulo Fusio, come si par-
lerebbe di una masserizia, o come dicono mobile di
casa : Io ho questo Aulo Fusio. Certo ognuno a-
vrebbe detto: Aulo Fusio è dermici intimi : quel te-
nerissimo sa di lezioso , e basterebbe tenero : non
so poi perchè, dove il padre della romana eloquenza
ha ob servanti ssimum studiosissimumque, il tradut-
tore dalla polvere, in cui si avvolge , ci regali uno
che più mi onora e di me tenerissimo, potendosi ri-
tenere meglio due addietlivi propriamente superlativi:
eruditimi hominem dice il lesto, e La traduzione uni-
camente persona. Povero Fusio, la tua erudizione e
35o Letteratura
sfumata sotto la penna del Cesari toscanissimo ! Ve-
lini ita traete s: Vorrei che tu mei trattassi: ecco
di nuovo il povero Fusio messo a paro di un mo-
bile di casa, mei trattassi, e dovea dire lo trattassi,
o se è persona dovea dire la trattassi. Ma basti a
non parere che io voglia farla da Aristarco; lascio il
giudicare a'più savi; non senza manifestare un desi-
derio, che il prof. Montanari in una nuova edizione
ci traduca egli stesso ( e potrà farlo da suo pari ) le
epistole, che qui ci regala di M. Tullio.
Meglio mi sembra valersi del Paravia per la tra-
duzione di Plinio: il quale scrittore, che troppo tiene
del secolo d'argento e di una cotale cortigianeria, vor-
rei però offerto men di frequente all'esempio de' gio-
vani in un trattato magistrale, siccome è questo del-
l' Arte di scriver lettere. Qualora non credesse il
prof. Montanari di tradurre egli stesso anche le epi-
stole di Plinio, riducendole qui a minor numero (e
sarebbe miglior consiglio per una certa uniformità e
per la sua molta perizia di queste cose ) : potrà a
mio giudizio valersi della versione del Paravia ; po-
nendo il testo pei'ò in relazione colla versione. Di-
co questo , perchè dove a pag. g , C. Plinio scri-
ve a Traiano raccomandandogli Rosiano Gemino, il
testo dice: Mei summe obscrvantissimum expertus^
la versione che è appiedi del Paravia dice: Lo tro-
vai pieno di rispetto per te : e ciò può derivare da
diversità di lezione ; ma bisogna sia consono il testo
alla versione in ogni anche menoma cosa.
Quanto alle traduzioni del Gozzi, ripeto che non
si potrebbe desiderare di meglio: ma se, non si vuole
un'opera di musaico, starebbe forse bene in una nuo-
va edizione, che il prof. Monlauari ci (lasse egli tut-
Arte di scriver lettere 35 i
te le traduzioni : cosi il suo libro sarà tutto di que-
sto secolo e degno del cedro.
Del resto io lascio ai savi e discreti di senten-
ziare, contento a palesare alcun dubbio, clic risoluto
sarà occasione a migliorare, come è possibile, questo
trattatello dell'esimio prof. Montanari : cui si dee lo-
de altresì per le continue sue cure a profitto della
studiosa gioventù : di che gli rende merito lo stesso
p. Gatteschi delle scuole pie , editore diligentissimo
di questo trattatello àcWArte di scriver lettere, di
cui il fin qui detto è abbastanza, se non anzi sover-
chio a'giudiziosi nostri leggitori : nella cui cortesìa io
confido, siccome soglio.
D. Yaccolini.
35a
VARIETÀ*
Lettere di Carlo Botta, colVaggiunta del ragionamento sulle me-
morie risguardanti la vita e il secolo di Salvator Rosa. To-
rino 1841 presso P. Magagni.
lion si leggeranno senza curiosità le lettere familiari d'un uo-
mo di tanto nome nella nostra letteratura. Attendendo che alcu-
no prenda fra noi a ragionarne da senno, ci piace perora di re-
car qui una di esse, perchè sappiasi quale opinione quel famo-
so scrittore avesse di chi con tanto piacer d'odorato va oggi fru-
gando per le cloache del medio evo a trarne fuori un diluvio di
stO''iacce} di romanzacci, di tragediacce, e di poemacci. Eccola.
Al sig. conte Nomis di Cossilla.
,, Parigi 3o dicembre i833.
,, La mia opiuionc concorda con la sua circa gli sforzi che
,, si fanno per illustrare la storia patria, non solo in Piemonte ,
,, ma ancora in altri luoghi. la questo tempo si può piuttosto
,, rispigolare che mietere : né quanto vi si potrà scoprire sarà
,, mai tauto, che cambiar possa i caratteri già conoscimi de' se-
,, coli. Forse iti qualche Ieggeudaccia , od in qualche lalinaccio
,, di notaio ignorante, si potrà rinvenire quanti soldi di pedag-
j> g'O s* pagavano nel passate un fiume, o di dazio per transita-
Varietà' 353
j, re una merce, o quante genuine una comunità era obbligata
,, di pagare al signor feudatario prò alendo cane mastino sub
,, turri : o che UH de scindo Georgia tagliaverunt vineas et bla-
,, das, sul territorio di Caluso, cuoi centum barbutis: o che pure
,, UH de Scindo Georgia pissare non poterant, quin a Castro
„ Montalenghae viderentur; alcune, dico, di questo o simili cose
„ si potranno forse rinvenire; ma ciò che importa, o che momen-
„ to reca nel carattere già conosciuto di certi secoli , no. Qual-
,, che insulsaggine di più , qualche goffaggine di più si potrà
,, raggranellare , e nulla più. Gran cosa è nei nostri tempi lo
,, spirito servilmente pedissequo ! Siamo veramente le pecore
,, cantate dall'Alighieri. Nacque in Edimburgo un uomo di raro
,, ingegno, the scrisse con bella ipotiposi dei castelli, delle stal-
,, le, e dei conventi del medio evo. Subito alzossi un grido dal-
,, l'isola del Ferro sino a Reggio in Calabria, medio evo, medio
„ evo, medio evo- A sentir gli eutelechisti, quella età fu la più
„ fiorita ed eroica del genere umano : e dàlia , dàlia, dàlia, me-
,, dio eco, medio evo, medio evo: ed ecco uscir fuori un diluvio
„ di storiacce, di romanzacci, di tragediacce , di poemacci sul
,, medio evo. lo conosco un dottore che, tutta volta che sente
„ nominare medio evo, si leva il cappello per riverenza. In som-
,, ma io non so che diamine d'alchimia ci abbiano trovalo: e ve-
,, dono tutte le perfezioni iu un mare d'ignoranza, di goffaggi-
,, ne, di barbarie. Odo che un certo Albertazzo,o Albertone che
,, sia, di Bologna, cui nessuno conosce, sia uomo più grande di
„ Temistocle e di Giunio Bruto. Dicono che il medio evo ci ha
,, fatti e covati. Certo sì che sono gli uomini e le donne di quel-
,, l'età che ci hanno generati : ma 1' educazione dell' intelletto
„ non l'abbiamo ricevuta da quelle bestie, bensì da coloro che,
,, dando loro sulle corna , rimisero in luce la civiltà greca e la
,, civiltà romana. Veramente i lambicchi e gli stillicidi dei si-
„ gnori Thierry, Cousin, Barante e Lerminier sulla storia dei
,, bassi tempi, sono cose stupende e da far voltare il cervello a
,, chi ne ha. Fatto sta poi, che nemmeno in ciò evvi nei lodato-
,, ri e distillatori di quei tempi infelicissimi una opinione ferma,
,, frutto di attenta considerazione o ragione ; anzi non è altro
,, che un metodo pecorino suscitato da un vento venuto da E-
G.A.T.LXXXVII1. a3
354 Varietà'
ditnlmrgo, e per parer nuovi diventano assurdi. Staremo a ve-
,, fiere che nascerà. Sinora non si vede altro, che - Ulrum chi—
maera bombicans in vacuo boileano possit coinedere secwulas
,, intenliones. Ciò poi, di che io non posso restar capace, è che
,, nulla patria di Machiavelli, dico nell' Italia , si corra dietro a
„ sì ridicole chimere. Certo l'era è molto eunuca e pecorina! ,,
B.
Orazione pé1 defonti associati alfa propagazione della fede, letta
da monsignore Stefano Rossi ligure addì i">. gennaio i84' in
s- Maria della pace, ne funerali celebrali dalle romane chi-
lìarchie. Roma presso Giuseppe Gismondi tipografo della
propagazione della fede, in 8, di fac. 20.
vJuando l'eloquenza del pergamo avea perduto in Italia della
sua dignità, quella mente di Prospero Lambertini arcivescovo di
Bologna, che fu poi papa gloriosissimo, ammirato alle doti degli
oratori francesi l'accomandò fossero tradotti de'brani di que'sacri
dicitori per esempio «'giovani religiosi; ma aggiunse cosa neces-
sarissima : che non fosse alterato il carattere dell'eloquenza ita-
liana. Intanto che ne seguì ? Quello che sempre avviene a chi
troppo conversa cogli stranieri: che i modi nativi si alterano, si
perdono in fine per vestire gli strani. Perchè fu giuoco forza a'
prudenti richiamare gli studiosi d'Italia a'principii : allo studio
de'padri greci e latini, del Schieri unico ancora, e di Dante che
tolse a'iibri santi ed alla misteriosa apocalisse singolarmente ciò
che Io fa singolare da tutti poeti antichi e nuovi. In lui forza ,
evidenza ed affetto, in lui que'pregi che s, Basilio notava ne'poe-
ti dell'antichità.
A questi fonti diremmo avere attinto monsig. Stefano Rossi,
che nuova lode si è acquistalo con questa orazione di requie ai
defunti della propagazione della fede: orazione, in cui non sap-
piamo che sia da ammirar più o il giudizio o l'affetto o Telo-
Varietà' 355
quio. I suffragi resi da'legiouari di Roma ai defonti associati al-
la santa opera della propagazione della fede : sono I, il miglior
compimento di siffatta propagazione : 2, e saranno nel dì del fi-
nale giudizio una delle glorie più belle a'romani legionari mede-
simi. Ecco i punti dell'orazione, la quale andrà per le bocche di
quanti sono pel mondo cattolico soci della propagazione della
fede. Continui monsignore come Io studio, così l'uso della sacra
eloquenza, e cessi all'Italia il bisogno di farsi bella allo specchio
dello straniero ■ dessa che ha in se pur tanto da ornare tutto il
mondo , se vuole e sa conoscere le proprie dovizie ne'tesori de'
classici, e nella mente e nel cuore di quanti zelano con amore
le cose dell'evangelico ministero.
D.V.
Osservazioni dell'abate Giuseppe Manuzzì sulle voci e locuzioni
italiane derivate dalla lingua provenzale, opera del profes-
sore Vincenzo Nan'nudci- Firenze, pvesso David Passigli e
soci, i84ij in 8 [fase, lei sino alla pag. 8o. )
U na bella lode si è acquistata il sig. abate Giuseppe Manuzzi
da Forlì, pubblicando in Firenze il Vocabolario della lingua ita-
liana, già compilato dagli accademici della crusca, e da esso lui
nuovamente corretto ed accresciuto. Egli è già alla lettera S, ed
ha iu pronto la lettera T : sua mercè, le giunte alla quarta im-
pressione oltrepassano a quest'ora le 100 mila. Al che se aggiun-
gasi le correzioni fatte da lui con quel giudizio ereditato in par-
te dal p. Cesari, del quale fu amicissimo ; in parte acquistatosi
da lui medesimo nel sacrario della vera filosofia: potrà aversi
buono argomento da estimare per quello che vale la sua fatica,
che da più omeri sarebbe ; ed egli , emulando il Mombelli suo
concittadino, l'ha sostenuta da sé pazientemente e degnamente.
E così pare in Italia e fuori ai savi e discreti uomini, i quali (sé
356 V A R I E T A'
mai nulla fosse slato da apporre al M'anuzzi ) detto avrebbero
lui avere dato assai più del bisognevole al comune delle perso-
ne. Il contrario si studia mostrare questo sig. Nannuccì, che spo-
gliando senza dirlo le osservazioni del eh. Giovanni Galvani, ed"
il dizionario del Raynouard, si è fatto bello delle penne altrui,
e si> mostra pavoneggiandosi di qualche voce pescata qui o qua
tra gli scrittorelli della lingua provenzale, anzi in qualche dizio-
nario di essa, e la ti regala in onta al Manuzzi, il quale osserva
a ragione ni un utile alla lingua nobile potersi per avventura
sperare da quelle spazzature da mondezzaio , che quasi gemme
ci- tragge in mezzo il Nannucci. Mostra ben egli il Manuzzi, che
con quelle sole opere del Galvani e del Raynouard alla mano
avrebbe potuto di quel fango trarre in poco d'ora di molte pre-
ziosità : delle quali parole per saggio nota le seguenti : Angeli-
cale; Baratta per inganno, fraude; Bello leziosaggine ad accat-
tare benivoglieiiza ; Breve per corto, relativamente a cose mate-
riali; Cominciaglia, cominciamento, voce che manca alla crusca;
Consiroso per mesto e pensoso (od angoscioso, travagliato, giusta
il vocabolario) ; Cristianare per farsi cristiano; FalUgione pei"
fallo; Folleare per folleggiare; guerrera e guerriera per nemica;
penalo per compassione, pietà : e qualche altra che non merita
la pena .- né questa pena sarebbesi data il Manuzzi, se non per
iscoprire il segreto della scienza del suo avversario , che a talu-
no pute di plagio Non già che non si confessi egli stesso, quel
bennato spirito di Romagna, di avere in opera erculea e quasi
infinita dato qualche rara volta piede in fallo : non già che si
creda, od abbia promesso mai di nettare quasi le stalle di Augia.
Egli per bene della lingua ( bisognosa tuttavia di più compiuto
vocabolario ) ha tolto sopra di sé una fatica degna a chi del Ce-
sari tiene poco meno che l'anima con più finezza d'intendimen-
to. Di che vogliamo abbiasi da noi pure commendazione: e se
consentendo alle dottrine del Monti e del Perticali dove la luco
del vero sfavilla, e non ormeggiando sempre quella beata memo-
ria del Cesari, tiene la via di mezzo, che è quella della ragione.-
chi bene osservandolo noi pregierà e loderà quanto è degno ?
Ma all'incontro buttando gli occhi sulle Osservazioni uannuccia-
net chi non compiangerà alle lettere di usare ancora talvolta il
Varietà' 35;
■modo delle trecche e deJ bettolieri e peggio, lanciando peggio
che sassi a clu meriterebbe poco meno ebe l'ovazione colà dove
della Ungila 'il più bel fior si coglie? Sarebbe inai invidia numi
cipale, die fa scordare la gentilezza natia del bel paese tosco al
sig. Nannucci e consorti? Ai quali chiederebbesi, se non altro,
più buona fede nel riportare o chiosare ciò che appuntano del
Vocabolario del Manuzzi. Il quale vocabolario ( chi sa?) avreb-
bero forse voluto intitolarsi della Lingua toscana anzi che dell'
italiana, come ha fatto il degno forlivese ! Come clic sia non do-
vrebbe la fatica del bravo Manuzzi essere disconosciuta dove la
lingua d'Italia ha suo trono: uè per una parola si dovrebbe
scomunicare tutto un vocabolario cosi grande e grosso; se già
non vogliasi per una spica di loglio maledire tu Ita la messe, co-
piosa e bella a maraviglia. Ci guarderemo di risuscitare quistio-
»i sui diritti e sulle origini della lingua, per non ritoccare le
slesse corde, che a tutti non garbano: e solo verremo gridando
»1 Nannucci, ed al Manuzzi altresì, pace, pace, pace. Che fanno
le misere guerre de'letterati ? Da concordia nasce il bene, dal suo
contrario nasce ogni male : chi vuole adunque il bene, ricordisi
che siamo tutti uomini e possiamo errare , siamo tutti fratelli e
dobbiamo perdonarci a vicenda ; dobbiamo amarci scambievol-
mente !
D. V.
Regolamenti ed alti preliminari per la cassa di risparmio in Ra-
gnacavallo- Bagnacavallo dalla tipografia Bellucci 184 1, in
8, di pag. 24-
vJome prima la S. di Nostro Signore accolse nella capitale l'i-
stituzione della cassa di risparmio, fu del r85tì, alla sovrana sa-
pienza facemmo plauso in queste carte; sì per rendere all'ottimo
principe e più che padre tributo di riconoscenza; come per age-
volare ad ogni intelletto la cognizione, ad ogni cuore l'amore di
cosiffatta istituzione, diretta a prevenire le miserie del povero;
358 Varietà'
contribuendo altresì a farlo industrioso, previdente ed economo,
e quindi ancora costumato. E lo nostre parole furono seme, che
fruttò forse ancora la pronta e felice propagazione di tale stabi-
limento nelle provincie. Bologna e Spoleto, Ferrara e Forlì, Ra-
venna e Faenza vollero averne subito, né tardi almanco, nel loro
seno. E non era a maravigliare di Bologna, la quale da'secoli
vantare ben può il Monte matrimonio, vera cassa di risparmio ,
che riceve dai cinque sino ai trecento e più scudi, pagando il
frutto e frutto de'frutti, oltre gli utili, che cedouo a favore del-
lo stabilimento quando non si verifichino le condizioni o di ma-
trimonio, o di laurea, o di altro fine onorevole propostosi depo-
sitando, o quando la morte intervenga, come meglio appare dai
regolamenti, de'quali un estratto uscì in Bologna per le stampe
Gamberini e Parnieggiani nel 1822; i quali utili si ripartono a!
depositanti in proporzione. Ecco il vero raocMIo delle casse di
risparmio, delle quali alcune troviamo da gran Ic'tnpo in Isviz—
zera singolarmente : come troviamo tracciato il progetto di uno
Stabilimento di una cassa generale dei risparmi del popolo, ese~
guibili presso i principali governi di Europa, del signor della.
Rocca in S, pag. 1 ic) (Brusselles, in luglio i-jSGJ {*) nelle ope-
re del Vasco torinese, che ne chiarì l'idea, e l'applicò al fine di
opporsi alle usure e concorrere alla prosperità del popolo. Più
lungi cercando , troviamo nelle consorterie di arti e mestieri ed
in pie congregazioni qualche cosa di simile, quanto al porre in
comune colla mira di previdenza di bisogni ed apprestamento
di soccorsi.
Ma che alligni nelle grandi città una così benefica istituzio-
ne, che abbisogna di molti generosi spiriti associati e della faci-
lità di fare investimenti, non è da farne le maraviglie: i contrari
ad ogni opera buona opponevano non potere dessa aver luogo
in piccole città, in ristretti comuni. A cotestoro abbiamo qua e
(") INe parla Giambattista Vasco torinese, economista del se-
colo passato, com'è a vedere nella raccolta di Scrittori italiani
di economia politica, lom, 35, a p. 190 e segg. Milano, 1804,
stamperia Destefanis.
Varietà' 359
colà da contropporre la risposta de'falti : un fatto singolare ab-
biamo a segnalare in Bagnacavallo, città della Romagnuola fer-
rarese, che conta nell'interno anime 4 mila, e ti 8 in g mila nel-
l'esterno: 4o generosi e cospicui soci hanno posto 9.0 scudi per
ogni azione, e formata la dote di se ottocento hanno aperta il
27 giugno 1841 la cassa di risparmio, dopo averne riportata be-
nignissima approvazione sovrana sino dal 23 dicembre passato.
La prima domenica indicata fu l'incasso in 60 nuovi libretti di
credito di se. 122.01; la seconda, cioè il 4 luglio, fu di se. 245.-
concorso avendo artieri, domestici, fanciulli , e parecchi ti ì con-
tado, i quali alla stagione de'ricolti profittano dello stabilimen-
to, che si regge assai bene, e va prosperando contro i presagi
sinistri de'bassi spiriti. Ad inanimare e confortare valsero mol-
tissimo le savie e calde parole del presidente sig. conte commen-
datine Filippo Foli caldi, che in veste di gonfaloniere installò la
società il 20 aprile passalo, per incarico avutone dalle Eni. TjIj.
reverendissime il sig. cardinale Malici segretario di stato, ed il
sig- cardinale Ugolini legato della provincia.
L'allocuzione è qui stampata col regolamento , col tenore
delle approvazioni, e colla nota dc'soci Dei premi sono propo-
sti annualmente ai più operosi ed assidui depositanti, da dispen-
sarsi nelle feste ed allegrezze pubbliche: e yli utili tutti essendo
per la cassa, erogar devesi il netto in opere di beneficenza, pre-
standosi gratuitamente i soci a reggere e sostenere la cura e l'e-
sempio dell'amministrazione. E contemporaneo uscì un avviso
con istruzioni diramate alle parrocchie ed ai notabili della città.
Buono che il popolo ha compreso facilmente le parole, onde si
chiude l'avviso dei 7 giugno, che sono le appresso: " Ma una
gara onorala uopo è che sorga tra beneficati e benefattori , a
volere da questa istituzione i più bei fruiti : concordia nel be-
ne, agiatezza comune, felicita ! ,, Io mi applaudo di potere al
meno con alacrità rendere alla cassa di risparmio la qualun-
que opera mia in veste di segretario, dopo avere di simili isti-
tuzioni dichiaralo ili istampa la utilità sino dal suo nascere
nella capitale e in Bologna singolarmente. Così le mie parole
bene accolte acquistarono per l'argomento alcun valore!
D. V-
36o Varietà'
L'invito di Da/ni Orobiano a Lesbia. Cidonia, con note del cav.
Antonio Bertoloni. Bologna 1840.
il chi non vengono conosciuti ed ammirati cosiffatti versi? Chi
non sa che l'arcadico nome di Dafni Orobiano nasconde quello
del gran concittadino di Torquato , Lorenzo Mascheroni ? Ma-
tematico e poeta: vero miracolo d'ingegno, che seppe maritare
due opposti , e tanto felicemente , da sembrare due parti con-
giunti di amicizia da una natura medesima. Il suo poemetto co-
me prima si mostrò, riscosse i plausi dei letterati contemporanei,
e, quello ch'è meglio, maggiori ne riscuote da quelli che vennero
dopo. Parlò la voce dei giornali più riputali, e fra'primi l'effeme-
ridi letterarie di Roraa,tom. 22,num. 47; ed in tutte le raccolte
poetiche v'inserirono come gemma quei versi. Così il sommo Vin-
cenzo Monti consacrò un suo riputatissimo poemetto in cinque
canti ed in terza rima alla memoria dell'illustre bergamasco.
E a questo proposito non saprei trapassarmi senza riferire le
parole stesse, che il fu Defendente Sacchi poneva a ciò in un
suo bell'articolo biografico, al quarto volume della biografia de-
gl'italiani illustri del secolo 18 e de'contcmporanei, pubblicata
per cura di Emilio Tipaldo (Venezia 1837).
,, Il suono più gentile che mandasse la cetra del Mascheroni
fu senza dubbio 1' Invito a Lesbia Cidonia. Non accade parla-
re a lungo de'suoi pregi; solo varrà il dire che quegli cui pun-
ge amore per la patria letteratura, scorgendo in questo poemet-
to un verso elegante e grave, tanta diligenza oraziana nella scel-
ta degli epiteti, tanta bellezza e novità d'idee, tanto nitore e
soavità nelle immagini e venustà nello stile , sente una segreta
dispiacenza che l'autore non siasi tutto consacrato alla poesia :
che certo avrebbe colti i più belli allori sull'italiano parnaso.
Eppure questo si squisito poemetto non è che la descrizione
de'musei di Pavia; ma l'aridezza dell'argomento era nulla, ove,
come disse il Monti, le grazie parlano profonda filosofia. „
Il Mascheroni diresse il suo invito poetico alla gentile ed
elegantissima poetessa Grismondi : donna che fra le rare si me-
Varietà.' 36 i
vitò il tributo di un grande, e le lodi infinite che i letterati
più insigni dell'età sua diedero spontanei al suo sapere. Chi poi
avesse desiderio d'intendere i particolari della vita di lei, se ne
faccia a leggere l'elogio pronunciato nella inaugurazione del
suo busto nell'ateneo di Bergamo, il giorno Si gennaio i83g,
dal conte Pietro Moroni, e pubblicato in quella città nello stes-
so anno. Ai ebe si aggiunga la biografia dettata dalla elegan-
tissima rimatrice vivente, Elena Monleccbia; inserita nell'album
di Roma.
Vorremo che il poemetto di Lorenzo Mascheroni, matema-
tico insigne, fosse esempio di saviezza agli scienziati, special-
mente di cose naturali: quando essi tengono in conto di nulla
la divina arte della poesia: non ripensando il profitto che le
scienze tutte possono derivarsene per manifestarsi agli occhi non
acuti del popolo.
NOTE.
Crediamo opportuno di aggiungere alcun che alle annota-
zioni dell' illustre botanico , a maggiore schiarimento del poe-
metto.
Vers. 2. Inclito ciglio. D. Baldassare Odescalchi duca di
Ceri, mecenate de'poeti, e poeta egli stesso; del quale scrisse un
elogio il cognato suo Giacomo de'principi Giustiniani, eminen-
tissimo cardinale, stampato nel giornale arcadico tom. 12, giugno
183^; ed un articolo il cav. Francesco Fabi Montani, inserito fra
quelli della ricordata Biografia del Tipaldo. L'Odescalchi invi-
tava la Grismondi a recarsi in Roma con una sua canzone che
comincia: — Lesbo fu lieto un giorno — D'una gentil donzella
ec. — Alla quale essa rispondeva con le ben note terzine: — D'
alto incendio di guerra arde gran parte — D'Europa ce Poe-
sie, delle quali fu parlato con molta lode nell'Antologia rom. t. ir).
Vers. 67 e 68. — Che si ami più dell'eritrea marina: — Le
torniate conchiglie ec — Intorno questo argomento il chiaro
poeta vivente A. M. Ricci pubblicò nel i83o in Roma un poe-
ma in versi sciolti in 8, intitolato : Le conchiglie.
Vers. 117. -Manda dal Bolca. - Intorno a questo monte scrisse
362 Varietà'
alcune lettere eruditissime monsignor Domenico Testa, inserite
nel giornale della letteratura italiana die si pubblicava in Man-
tova sul fine dello scorso secolo.
Vers. i34- - Stromboli. -Intorno al vulcano di quest'isola
abbiamo un'assai erudita lettera del celeb. Ippolito Pindemon te,
inserita nell'Antologia toni. 6.
Vers. 146. - Ricco di corona. - Merita di andar ricordato e
letto il bellissimo inno agli uccelli del eh. P. Antonio Buonli-
glio, inserito fra quelli da lui pubblicati in Roma.
Vers. i55. -Le occhiute leggerissime farfalle- - Il poeta fer-
rarese Lorenzo Rondinetli pubblicò un suo poema, dedicato al-
la celebre Bandettini, che ha per titolo i Bruchi ( Modena 1829,
in 8).
Vers. 427 e 428. - Riconosci il gentil candido baco. - Cura de'
ricchi sericani. -Alessandro Tesauro pubblicò un suo poema die
ha per titolo la Sereide. Torino 1 585. Vercelli 1777, in 8.
Vers. 478- - Il legume d'Aleppo. - Il caffè, sul quale argo-
mento abbiamo un elegante poemetto in ottava rima del gesuita
Lorenzo Baratti, ed un bel sonetto di Clemente Bondi , inserito
fra le «uè rime.
Vers. 4^9- " Clizia amorosa. - Il cav. Ricci diede al parnaso
un suo poema in terza rima intitolato, Le georgiche de fiori.
Vers. 5o4- - Che nozze han pur le piante.- Il celebre medico
e poeta Erasmo Darwin pubblicò un poema che ha per titolo
gli Amori delle piante ,\\ quale è stato maestrevolmente tradotto
da quel Gio. Gberardini, di cui sarebbe assai a dolersi , se non
dovesse proseguire la sua bell'opera intorno i futuri vocabolaristi.
Vers. 4q^- - Q11' pure il sonno. - Il cav. Ricci ha reso di
pubblica ragione il suo orologio di Flora, nel quale sono anche
comprese le piante, che col loro chiudersi, diconsi dormire.
S. C.
Varietà' 363
Carlo Botta, che nìuno oserà tacciar di pedante, diceva nel 1802
questo sdegnoso sonetto (se non bello in tutto) nell' accade-
mia subalpina contro alcune barbare parole , che leggevansi
nel messaggio di Francesco Melzì al corpo legislativo in.
Milano.
Atalia mia, chi t'ha il parlar tuo guasto,
SI chiaro un dì, che andar per lui men letti
D'Atene e Roma i nobili dialetti,
Onde muove Arno ancor sì altero fasto?
Vili istrioni con servile impasto
Hau di Certaldo i puri fonti infetti,
E con massacri, mozion, regretti
Storpi danno al cantor del fiero pasto.
Ah vegg'io ben, che la straniera verga,
Che ti percuote, fa che stranio accento
De'servi figli sulle labbra alberga !
Né spero io già, che il mio lungo lamento
Dirizzar possa le curvate terga,
Né ch'altri faccia al parlar dolce intento.'
Questo sonetto fu pubblicato nella gazzetta privilegiata di Ve-
nezia degli 8 di aprile 184»-
Di un nuovo testo del Giorno di Giuseppe Parini, lettera al sig.
Salvatore Betti di Cesare Canta 8. Milano 1841, tipografia
Bemardoni. ( Sono carte 23).
J.1 Parini, che curava molto la proprietà della lingua, e mollo
altresì l'eleganza dello stile e l'armonia de'versi,non credeva che
l'immortale poema del Giorno , nelle edizioni che andavano in-
364 Varietà'
torno, fosse ancor giunto a tal perfezione, che se ne potesse con-
tentare la gran madre della vera poesia, l'Italia. Perciò non re*
stando mai d'usare la lima, alquante cose aggiunse, altre variò,
altre infine riprovò del tutto. Trovato fra le sue carte questo te-
soro di seconde cure, fu pubblicato dal Reina, ma solo a pie
delle opere del Parini: essendosi voluto egli tenere nel testo del
Giorno , senza molta ragione , all'autorità delle stampe che ne
correvano. Ma diversamente ha pensalo il sig. ab. Mauro Colo-
netti : il quale ha preso finalmente a darcene un'edizione, dove
tutte sono poste per entro il testo medesimo e le varianti e le
aggiunte fattevi dal grand'uomo con giudizio così eccellente. E-
dizione quindi da preferirsi ad ogni altra, che finor si conosca.
Della ragione de'più notabili cambiamenti operati dal Pari-
ni nel suo poema parla qui da suo pari, ad un caro amico di
Roma, il sig. Cesare Cantù, letterato, come ognun sa, di si bella
fama in Italia e fuori.
Memoria di archeologia cristiana per la invenzione del corpo
e pel culto di s. Sabiniano martire, che si veliera nella con-
gregazione delire scuole minori in collegio romano , scritta
dal P. Giampietro Secchi della compagnia di Gesù, e pub-
blicata nella solenne accademia di poesia tenuta in onore
del santo giovanetto nel giorno 28 di maggio dell'anno 1 8 4 1 •
8. Roma 184*, presso Alessandro Monaldi. ( Sono carte 4^. )
v^hi dirà questo libretto un tesoro di antichità cristiane, dirà
ciò di' è vero: e niuno certo Vorrà dubitarne, quando pensi ch'è
opera d'uu letterato, qual è il padre Secchi, così principale per
celebrità di dottrina in Italia e fuori. Quante nuove cose vi si
ragionan su' nomi, quante sulle acclamazioni, e soprattutto di
quella in pace, quante sulla paleografia delle lapidi cristiane,
quante sui segni del martirio, che sono indicati nelle catacom-
Varietà1 365
be ! Ma nluno assolutamente con maggior magistero ha trattato
de'vasetti del sangue, che sogliono trovarsi ne'sepolcri degli anti-
chi fedeli, e confutato ciò che n'hanno fin qui vaneggiato gli ete
rodossi.
Di una strana opinione del signor Sismondo Sismondi nella sua
storia delle repubbliche italiane intorno al popolo di Roma-
gna. Apologia composta da Antonio Vesi cesenate. 8. Faen-
za presso Montanari e Marabini i84i. (Sono carte 83.)
jj{ on v'ha quasi ingiuria che qua e là nella sua opera non si
permetta il Sismondi contro a'popoli della Romagna : e soprat-
tutto non cessa di ricantarci che sono essi e crudeli e perfidi.
Tanti oltraggi d'uno straniero hanno giustamente commosso lo
sdegno del signor Vesi: il quale pieno il petto d'una lodevolis-
sima carità patria (così tutti in simili casi lo imitassero!) mostra
in questa erudita e calda operetta quanto lo scrittor ginevrino,
con siffatte calunnie, abusato abbia il dovere d'istorico.
Versi di Giuseppe Corsi. 8. Pisa presso Ranieri Prosperi i84i-
( Un voi. di carte 23. )
JLj autore di questi versi è un giovanetto toscano di diciolto
anni d'età, e tutto caldo delle italiane glorie. Egli studia di forza
la bella lingua del sì ed i suoi classici: e quindi ognun può cre-
dere di quali speranze consoli la presente misera condizione del-
la poesia de'nipoti di Virgilio e dell'Alighieri. Segua il sig. Corsi
a percorrere la nobilissima via, guardandosi sempre da questa
366 Varietà1
contaminazione straniera, cbe tanto brutta ed avvilisce a' nostri
giorni l'Italia .• e faccia soprattutto d'avere spesso il consiglio e
l'approvazione dell'uomo illustre, a cui ha intitolato queste pri-
mizie : intendiamo dire del cavaliere Giovanni Rosini.
Elogio storico di Luigi Camoens, scritto da Filippo Mordani
ravennate. 8. Bologna co? tipi delle muse i84i- (Sonocar. iS.)
.Cicco l'elogio che ci dà di un grande il signor Mordani, da cui
ne abbiamo avuti tanti altri bellissimi. Ed esso è degno del pa-
ri di quel suo grave giudizio e di quella sua eleganza.
Istruzione epistolare pe' giovanetti compilata da Gianfrancesco
Rambelli lughese. Edizione ottava ricorretta dall' autore ec.
8. Bologna 1841 dalla tipografia di Giuseppe Tiocchi e
comp. ( Un voi. di carte i47-)
VJonoscevasi già in Italia questo bel trattato dell'egregio signor
Rambelli : e da lutti sommamente e meritamente lodavasi. Que-
sta ottava edizione, che noi soprattutto raccomandiamo a mae-
stri ed alunni, è stata dall'autore non pur ricorretta, ma si ar-
ricchita di un appendice di lettere di alquanti de' moderni più
illustri in quest'arte di scrivere con eleganza : come a dire di
Gasparo Gozzi, dementino Vanuetti, Vincenzo Monti, Giulio
Perticari, Paolo Costa, Pietro Giordani, Antonio Cesari , Luigi
Biondi, Salvatore Betti, Pellegrino Farini, Michele Colombo,
Fortunato Cavazzoui Paderzini e Francesco Federighi.
Varietà' 367
Congetture sopra un'iscrizione sannitica, lette all' accademia er-
colanese dal cav. F. M. Avellino segretario perpetuo. 4- Na-
poli dalla stamperia reale 1841. (Sono carte 26. )
^Annunziare un'opera del cav- Avellino è annunziare un vero
dono agli eruditi di Europa. Qui l'autore dottissimo mostra so-
prattutto il gran magistero che La delle antichissime lingue che
parlarono i nostri avi, e delle loro paleografie: sicché bene in-
terpretata l'iscrizione sannitica, procede con egual perizia a da-
re una sua divinazione sul senso della celebre iscrizione osca
pompeiana di Adirano.
Discorso intorno ai mezzi più probabilmente valevoli a preser-
vare i prodotti agricoli dai danni recali dalle locuste , che
nel 1839-40 hanno infestato diversi territori della delega-
zione maceratese , e sul modo di diminuire d'assai i perni'-
dosi effetti che i succiameli ( orobanche bot. ) producono
alle piante leguminose, recitalo nell' accademia de' e alenati
di Macerata dal dol.t, Filippo Narducci prof, di botanica
nella pubblica università di Macerata, socio ec- Loreto tipo-
grafia dei fratelli Rossi, 1841, in 8, difac. 27.
LI uè interessanti cose intorno all'agricoltura tratta il sig. doli.
Narducci. Spone nel primo il metodo di estirpare le locuste ,
come già stabilirono Doria e Metaxà , sterminandole col fuoco
allorché sono in istato di larva: poiché accaduta la metamorfosi,
riesce impossibile distruggerle, il loro numero essendo prodigioso.
Propone quindi snidare da'eampi, in cui si seminano pian-
te leguminose ed in ispecie le fave, l' orobanche (succiamele
fiamma, fiammina, fiorone, fuoco sabatico, malocchio, angine dei
francesi ), per non veder più rinnovellato nei nostri campi, dice
368 Varietà'
FA., il favicidlo. Vuole che si sbarbichi questo parassito prima
della fioritura, per impedir che si svolgano e maturino novelle"
semenze. Micheli, Lapi con altri ( che opinarono come il Nar-
tlucci ) proposero, per adescare i contadini , mangiarli allessi o
fritti: hanno essi un sapore amarognolo per alcuni non ingrato.
„ Tutto ciò, egli dice, non è novità, ma applicazione in piccolo
di metodo conosciutissimo. „ Sembra di fatti dover ciò riuscire
molto utile e proficuo, se con diligenza ed instancabilità venga
applicato alle campagne della delegazione maceratese, che nel
i83c;-4o ebbero a soffrire moltissimo dalle locuste (acridium ita-
licuni ), e che in quasi tutte le annate isteriliscono per l'oroban-
che. — Reca piacere che si occupino i dotti di materie cotanto
utili all'agricoltura, ed è a lodarsi il signor prof. JNarducci che
nella maceratese accademia dei catenati ricorda istruzioni agri-
cole di grave interesse.
E. C. B.
Della origine, progresso e stato del museo di anatomia fisiologi-
ca e patologica umano-comparata delVI. e R. università di
Pisa nell'anno i83c;. Storia del dott. Filippo Civinini pisto-
iese, pubblico prof, d'anatomia umana, direttore degli sta-
bilimenti anatomici di detta università ce- Pisa presso Ra-
nieri Prosperi 1841, in 8, di facce 5a.
X. ino dal declinare del secolo passato, e più manifestamente
nell'anno accademico 1818-19, il governo toscano potiea niente,
affinchè si erigesse un musco anatomico in Pisa, il quale non fu
posto in essere che undici anni dopo. Tommaso Biancini di Ca-
stel Bolognese con diligentissime ed efficaci cure dava incomin-
ciamento al medesimo, allorché còlto da un grave morbo , che
lo trasse al sepolcro, abbandonar dovette la onoranda impresa.
Varietà' 369
Succeduto l'A. allo infelice Biancini nell'anno 1 834-35, tro-
vò molte preparazioni rese affatto inservibili. Sole 60 se ne po-
terono ricuperare: più di altrettante graziosamente egli donò.
Con poco più di 120 pezzi cominciava ad avere esistenza reale
questo museo. La moltiplicità dei presenti ed i lavori riguardanti
pezzi organici sani e morbosi, e prodotti dalle malattie sì dell'
uomo e sì degli animali, in parte eseguiti dal eh. prof Civinini,
arricchirono questo gabinetto di i3oo oggetti: numero rilevan-
tissimo, per la infanzia del medesimo.
A lode ed onore de'generosi, che furono coitesi di donativi
al museo pisano, noteremo che il prof. Regnoli dava numerosa
serie di calcoli orinari ed alcuni pregevoli pezzi, ottenuti da fa-
mose operazioni del suo particolare esercizio. I professori padre
e figlio cavalieri Gaetano e Paolo Savi disponevano , che dal
museo di storia naturale passassero nel fisio-patologico alcuni
calcoli, stupendi anche per la nobilissima derivazione loro dal
museo mediceo, con alcune mostruosità animali egregiamente pre-
parate. 11 prof. Giambatista Mazzoni di Firenze facea presente
di pezzi bellissimi e rarissimi ereditati dal grande Lorenzo Nan-
noni, e ne aggiungeva dei propri. Importantissimi doni fece il
prof. Pietro Vannoni: altri, riguardanti in ispecie calcoli orina-
ri, il prof. Menici : così i dottori Simone Notari e Leopoldo Fe-
di, il prof. Barzellotti, il prof. Carlo Biagini di Pistoia, l'archia-
tro Del Punta, il dott. Cartoni ed altri molti (*). Insigniva il
prof. Panizza il gabinetto di Pisa di alcuni eccellenti preparati
che servirono di tipo alle tavole di quel lavoro sui vasi linfatici,
che è quanto in proposito vanta di meglio l'odierna anatomia.
„ Il prof. Alessandrini, preclaro non meno per gl'interessanti suoi
lavori, che per il nobilissimo museo d'anatomia comparata, di
che per lui va superba la sempre dotta Bologna, consentì vo-
lentieri arricchirlo, oltre di eletti articoli di elmintologia e litiasi,
anche di pezzi di sue superbe iniezioni del sistema branchiale
f*J Nel fine dell'opuscolo, del quale ragionasi, evvi l'elenco
di tutti quei gentili che fecero presenti al gabinetto anatomico
G.A.TXXXXV1II. 24
370 Varietà'
dei pesci ultimamente da esso illustrato, e di belle ed utilissime
scoperte arricchito. ,, Il venerando prof. Catullo di Padova si
fece un pregio donare i verni! più rari da esso posseduti, i qua-
li se non compiono la collezione elmintologica, la estendono e
rendono ragguardevolissima, sia per la rarità degli oggetti, sia
perchè della viennese raccolta di Bremser facessero parte, sia
perchè posti insieme da Malacarne, da Renier e da Brera.
Né solamente i privati mostrarono generosità, ma i pubbli-
ci stabilim nti eziandio : tali furono il museo di s. Maria Nuova
di Firenze, quello di Pavia, quello di storia naturale di Pisa,
l'altro di Padova, non che quello di anatomia comparata di Bo-
logna per cooperazione dei loro direttori- ,, Al gran duca Leo-
poldo II piacque disporre, che tutti gli articoli di mostruosità sì
umane che di animali cessassero di appartenere al suo I. e R.
museo, e che da questo passassero al nuovo gabinetto pisano, il
quale così coll'acquisto di circa 80 bellissimi ed utilissimi pezzi
venne arricchito considerabilmente ed ottenne splendidissimo ti-
tolo d'onore e di gloria. ,,
Il museo è diviso in tre classi, cioè I fisiologica ; II terato-
logica ; III patologica.- ed in sei generi : 1 osteologia, 1 neolo-
gia, 3 splancnologia. 4 angeologia , 5 nevrologia, 6 embriologia.
Ogni classe ha cartelli di diverso colore; in ogni oggetto evvi la
sua denominazione in cartelli di colore eguale alle classi, cui
appartengono, ed il numero d'ordine che richiama il catalogo ,
il quale è un indice sommario degli articoli esisteuti nel museo.
Ivi, additata la classe ed il genere, si dà qualche notizia scientifi-
ca e brevissima osservazione intorno a ciascun pezzo, e si citano
articoli stampati o manoscritti, i quali contengono le descrizioni
ed illustrazioni di alcuni pezzi fatte dal direttore o da qualche
collaboratore. A tal'uopo il museo è fornito di apposita libreria,
per la quale vi è un'indice separato, in cui, oltre il titolo del
libro, è posto il numero corrispondente a quello del cartello e
del catalogo. La qual cosa ci sembra di tanta utilità e con tanta
sapienza disposta, che iion possiamo che ammirare il eh. prof.
Civiuini. Questo valente italiano colTopera e cogli scritti ha
sommamente giovato alla notomia, ed a buon dritto merita di
esserne proclamato benemerito.
E. C. B.
Varietà' 37 r
Malattie predominanti in Civita Castellana, e razionali mezzi
onde possibilmente guarentirsene, opuscolo del dott. Mauro
Leonardi medico primario di detta città- Fuligno, tipogra-
fia Tomassini 184 1 > in 8, difac. 48.
vJuest'operetta, dedicata alla magistratura ed ai primati di Ci-
vita Castellana, viene divisa dall'autore in due capitoli. Nel pri-
mo trattasi delle malattie d'inverno e di primavera, stagioni nel-
le quali a preferenza dominano le infiammazioni acutissime e ge-
nuine , che prediligono il capo, le fauci , gli apparali pneu-
monico e gastro-enterico ed il sistema fibroso delle articolazio-
ni. Nel secondo si ragiona delle malattie estive ed autunnali, che
sono: 1 le esantematiche, come i morbilli, il zoster, la scarlatti-
na, la miliare, il vaiolo ec. 2. Le gastriche, che di leggieri ve-
stono caratteri nervosi. 3. Le periodiche di ogni tipo, non rara-
mente al grado di perniciose.
Il eh. dott. Leonardi, allievo del celebre Tommasini, dispie-
ga con tutta forza le dottrine di quel valente italiano , senza
però invilirle, contraffacendole, come molti proseliti usarono a
discapito della medica rinomanza del Nestore dei clinici italiani.
Nello insinuare agli abitanti di Civita Castellana le più adatte
misure igieniche per evadere possibilmente dall'azione delle cau-
le morbose (ragionando in fine anche sui funghi), si fa a com-
battere virilmente i pregiudizi ivi regnanti intorno ad alcune ma-
niere di medicare, i quali per lo più riconoscono la loro origine
dalla ignoranza e caparbia di coloro, che acquistaronsi , Dio sa
come, qualche riputazione tra quei popoli che ebbero a curare.
Qui parmi non fuor di luogo il raccomandare a' medici somma
prudenza per non porre eglino stessi altre basi a novelli pregiu-
dizi, e per non far parere all'occhio del volgo inutili e dannosi
gli stessi farmachi più preziosi, solo perchè se ne fece insolente
abuso.
Di altro pregevolissimo scritto del dott. Leonardi ne die conto
il prof. Ceccarini al toni. 66, p. 20"" di questo girnalc, facendo-
ne ben meritati elogi, e noi pure nel presentare questa eenuo
372 Varietà'
intorno alle Malattie predominanti iti Ch'ita Castellana, altamen-
te lodiamo l'A. che si è dedicato a studi di pratica medica i piò
utili, mostrandosi avverso a quelle sottigliezze metafisiche, che
invece di arrecar luce, spandono densissimo fumo innanzi al pie-
no meriggio dei veri fatti, dei quali dee essere contesto l'edificio
della medicina (*).
E. C. B.
Rapporto del consiglio d'amministrazione della cassa di rispar-
mio sulla gestione dell'anno 1840 col reso-conto ec. Bologna
dai tipi governativi della Volpe 1841 '" 4> & PaS- 24-
G;
iova tener dietro a queste benefiche istituzioni, come facem-
mo sino dal loro nascere. Quella di Bologna, di cui ora annun-
ziamo gli atti posti innanzi alla seduta degli azionisti del 1 feb-
braio 184 1, procede prosperamente. La serie di questi atti è la
seguente: i- Rapporto del consiglio di amministrazione. 1. Di-
spacci del i4 luglio 1840 dell'eminentissimo segretario di stato per
gli affari interni e del ì giugno 1840 dell'eminentissimo sig. car-
dinale Lambruschini, da cui si rileva la superiore sodisfazione al-
la cassa di risparmio di Bologna. 3. Rendiconto e bilancio in
modo riassunto per tutto l'anno 1840. 4- Rapporto de' sindaci
revisori.
La morte avvenuta del benemerito presidente del consiglio
di amministrazione sig. conte commendatore Vincenzo Brunetti
(*) Compilato il presente articolo, abbiamo con molto pia-
cere letto gli elogi di questa operetta nel bullettaio delle scien-
ze mediche di Bologna volume XII, serie II, p. 72; e nel racco-
glitore medico di Fano num. 809 del 23 e 5o agosto 1841,
pag. 144.
Varietà' 373
non ha portato alcun danno allo stabilimento, essendo succedu-
to il degnissimo sig. conte Lodovico Isolani nella carica. Si nota-
no anzi felici risultamene, e come gli assegnati premi hanno
sempre più incoraggiato le classi minori a prevalersi del benefi-
cio della cassa. Notasi ancora l'aggiunta dell'atto e regolamento
speciale pei depositi vincolati , ed il vantaggio apprezzato di
succursali ricevitorie. Del resto furono 6/f68 i depositanti, che
nel 1840 portarono i loro risparmi, 532 in più degli anni 'pre-
cedenti. E nell'esercizio del 1840 entrarono in cassa se 124,677: 80
provenienti da 26, 821 deposili, e più che se 27o,736:56 ; 8 da
estinzione di somme sovvenute: onde insieme se. 3g5, 4 14 .- 36.- 8.
I ritiri furono 4o48 per se 6g, 992.54 compresivi i frutti.
S'impiegarono se. 323,2i3:62 in crediti sulla provincia, chiro-
grafari verso stabilimenti, comuni e consorzi: in sovvenzioni
con ipoteche e crediti ben garantiti contro privati E si è fatto
fronte alle spese d'amministrazione e d'impiegati, ottenendo tut-
tavia una rimanenza in cassa di se. i,566: 27.4. La rendita net-
ta a tutto il 1840 risulta di se 2,991 : ^.-5; la quale, cumulata
agli avanzi degli anni precedenti, costituisce a prò dell'azienda
un attività di se. 6, 5 1 6 .- 46 : 8.
La parte più difficile degl'investimenti è stata agevole ed
immune da ogni sinistro nelle sue conseguenze.- ed ogni ramo
dell'amministrazione, tanto ardua quanto beneficala prosperato
per le vigili cure del consiglio, e per la esattezza e diligenza de-
gl'impiegati operatori. Ai quali tutti vuoisi commendazione,
tanto a quelli che sono come anima e mente; quanto a quelli
che sono braccia per mantenere e promovere uno stabilimento
di tanta utilità materiale e morale per le classi minori, il cui
buon costume e l'amore al lavoro onesto ed utile vengono ecci-
tati dalla cassa di risparmio : ciò che influisce cotanto sulla pri-
vala e pubblica felicità!
D. V.
—> =»-^9©<^^-<=»— ■
NIHILJOBSTAT
Fr. Ioannes B. Marrocu M- C. Censor Theologui.
IMPRIMATUR
Fr. Dom. Buttaoni O. P. S. P. A. Mag.
IMPRIMATUR
J. M. Vespignani Archiep. Tyaneus Vicesg.
375
BSllMtW ©SIILI smtus®
CONTENUTE
NEL TOMO LXXXVIII, VOLUMI 262 , 263 , 2G4
DEL GIORNALE ARCADICO.
SCIENZE.
Morichini, Discorso alla società pel soc-
corso de'poveri orfani ec. . . pag. 3
Tortelli, Continuazione de'lavori di medico
argomento » 18
Bucci e Speroni, Risultamenti delle grandi
operazioni di chirurgia in s. Spirito in
Sassia » 3o
Filopanti, Nuovo istromento idrometrico, e
Fuochi fatui » 4^
Santarelli, Eziologia del V intermittente per-
niciosa delle campagne romane » 5i
Terrone, Praelectiones theologicae . . » 141
Ferrarlo, Statistica medica di Milano. » i58
LETTERATURA.
Betti, V illustre Italia [paiate prima) . » 182
Mancini , Georgica ed Eneide di Virgilio
volgarizzate » 3og
3y6
Santucci , Saggio di epigrammi tradotti dal-
l'antologia )) 321
Farini, Compendio della storia romana. » 335
Strocchi, Serie storico-critica de* ve scovi dì
faenza » 33g
Montanari^ L'arte di scriver lettere. . » 346
Varietà.
Tavole meteorologiche.
377
Alcuni errori occorsi nell'articolo del sig. prof. Santarelli.
PAG.
1IN.
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CORREZIONI
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Variaxioni od Errori principali occorsi nei Dialoghi
del prof. Betti.
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