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Full text of "Giornale Arcadico di Scienze / Lettere ed Arti"

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GIORNALE 

DI  SCIENZE,  LETTERE  ED  ARTI 

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ROMA 

TIPOGRAFIA  DELLE  BELLE  ARTI 

1841 


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GIORNALE 


D    I 


TOMO  LXXXVII 

APRILE,  MAGGIO  E  GIUGNO 

1841. 


ROMA 

TIPOGRAFIA    DELLE    BELLE    ARTI 

1841 


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DIRETTORE  DEL  GIORNALE 

S.  E.  il  sig.  principe  D.  PIETRO  ODESCALCHI, 

presidente  della  pontificia  accademia  di  archeolo- 
gia, membro  del  collegio  filologico  dell'  universià 
romana. 


BETTI  SALVATORE,  professore  di  storia  e  mito- 
logia  e  segretario  perpetuo  dell'insigne  e  pontificia 
accademia  di  s.  Luca  ,  socio  ordinario  e  censore 
della  pontificia  accademia  di  archeologia. 

BORGHESI  BARTOLOMEO,  accademico  della  cru- 
sca. 

CAPPELLO  prof.  AGOSTINO,  già  medico  consu- 
leni  e  della  san.  mem.  di  Leone  XII,  membro  della 
congregazione  suprema  di  sanità. 

CARPI  PIETRO,  professore  di  mineralogia,  membro 
del  collegio  medico-chirurgico  e  direttore  del  gabi- 
netto mineralogico  dell'università  romana. 

DE-CROLLIS  DOMENICO,  dottore  di  medicina. 

FOLCHI  GIACOMO,  professore  d'igiene,  di  terapeu- 
tica generale  e  di  materia  medica,  membro  del  col- 
legio medico-chirurgico  e  direttore  del  gabinetto  di 
materia  medica  nell'università  romana,  membro  del- 
la congregazione  suprema  di  sanità. 

GERARDI  FILIPPO,  dottore  di  leggi. 

POLETTI  LUIGI,  consigliere  e  professore  di  archi- 
tettura pratica  nell'insigne  e  pontificia  accademia 
di  s.  Luca,  professore  ordinario  di  architettura  nel- 
l'ospizio apostolico  di  s.  Michele,  professore  ono- 
rario della  R.  accademia  delle  belle  arti  di  Mo- 
dena, membro  del  collegio  filosofico  dell'università 


IV 

romana,  architetto  direttore  della  riedificazione  del- 
la basilica  di  s.  Paolo,  socio  ordinario  della  pon- 
tificia accademia  di  archeologia. 

TONELLI  GIUSEPPE,  dottore  di  medicina. 

VISCONTI  cav.  PIETRO  ERCOLE  ,  commissario 
delle  antichità  romane,  presidente  onorario  del  mu- 
seo capitolino,  membro  del  collegio  filologico  del- 
l'università romana,  segretario  perpetuo  e  socio  or- 
dinario della  pontificia  accademia  di  archeologia. 


x^lNTALDI  marchese  Antaldo,  a  Pesaro. 

ARMAROLI  conte  Leopoldo,  giureconsulto,  a  Ma- 
cerata. 

ASTOLFI  avv.  Angelo,  giureconsulto  ,  a  Bologna. 

BARLOCCI  Saverio  ,  professore  di  fisica  sperimen- 
tale, membro  del  collegio  filosofico  e  direttore  del 
gabinetto  fisico  dell'  università  romana  ,  segretario 
del  consiglio  amministrativo  degli  acquedotti  ,  in 
Roma. 

BARTOLINI  monsignor  Domenico,  camerier  d'ono- 
re di  Sua  Santità,  in  Roma. 

BIANCHINI  Antonio  ,  segretario  della  società  degli 
amici  delle  belle  arti,  in  Roma. 

BIOLCHINI  Pietro,  segretario  del  giornale  arcadico, 
in  Roma. 

BRIGHENTI  Maurizio,  ingegnere,  a  Rimino. 

BRIGNOLI  di  Brunoff  Giovanni,  professore,  a  Mo- 
dena. 

BRUNATI  ab.   Giuseppe,  a  Brescia. 

BUONAPARTE  S.  E.  don  Carlo  ,  principe  di  Ca- 
nino, in  Roma. 

BUONCOMPAGNI  LUDOVISI  S.  E.  don  Baldas- 
sare,  dei  principi  di  Piombino,  in  Roma. 

CAMILLI  Stufano  ,  giudice  del  tribunale  di  prima 
istanza,  in  Urbino. 


V 

CAMPANARI  marchese  Secondiano,  consigliere  della 
delegazione,  socio  ordinario  della  pontilicia  accade- 
mia di  archeologia,  a  Viterbo. 

CANTALAMESSA  CARBONI  Giacinto,  ad  Ascoli. 

CAPOZZI   Francesco,  a  Lugo. 

CARDINALI  cav.  Luigi  ,  socio  ordinario  e  censore 
della  pontificia  accademia  di  archeologia,  in  Roma. 

CASSI  conte  Francesco,  a  Pesaro. 

CASTRECA  BRUNETTI  Enrico,  dottore  di  medi- 
cina,  in  Roma. 

CECCONI  avv.  Luigi,  giudice  capitolino  di  appello, 
in  Roma. 

CHELINI  padre  Domenico,  delle  scuole  pie,  profes- 
sore al  collegio  nazareno,  in  Roma. 

CIAMPI   cav.   Sebastiano,  a  Firenze. 

CICCONI  ab.  Tito,  bibliotecario  dell'Albani,  pro- 
custode generale  coadiutore  di  arcadia,  socio  ordi- 
nario della  pontificia  accademia  di  archeologia  in 
Roma. 

CONTI  dott.  Filippo,  medico,  a  s.  Anatoglia  di  Ca- 
merino. 

COPPI  ab.  Antonio,  socio  ordinario  della  pontificia 
accademia  di  archeologia,  in  Roma. 

CORDERÒ  DI  S.  QUINTINO  cav.  Giulio  ,  mem- 
bro della  reale  accademia,  a  Torino. 

DE-LUCA  ab.  Antonio,  vice-presidente  dell'accade- 
mia ecclesiastica,  in  Roma. 

DE-MINICIS  avv.   Gaetano,  a  Fermo. 

DIONIGI  ORFEI  contessa  Enrica,  in  Roma. 

EMILIANI    Vincenzo  Ercole,  a  Poggio   Mirteto. 

F'ABI  MONTANI  cav.  Francesco,  cameriere  d'onore 
di  Sua  Santità,  sotto-custode  di  arcadia,  in  Roma. 

FERRUCCI  avv.  Luigi   Crisostomo,  a   Lugo. 

FERRUCCI  Michele,   professore,  a  Ginevra. 

FIORINI  MAZZANTI  Elisabetta,  in  Roma. 

FOLCHI  cavalier  Clemente,  presidente  dell'  insigne 
e  pontificia  accademia  di  s.  Luca,  membro  del  col- 
legio filosofico  dell'  università  romana  ,    ingegnere 


TI 

ispettore  membro  del  consiglio  d'arte,  socio  ordi- 
nario della  pontificia  accademia  di  archeologia. 

FONTANA  cav.  Pietro,  a  Spoleto. 

FRANCESCHI  FERRUCCI   Caterina,  a  Ginevra. 

GENNARELLI  Achille,  a   Fermo. 

GRIFI  cav.  Luigi,  consigliere  e  segretario  della  com- 
missione generale  consultiva  di  antichità  e  belle 
arti  presso  il  cainerlengato  della  S.  R.  C.  ,  socio 
ordinario  della  pontificia  accademia  di  archeologia, 
in  Roma. 

GUZZONI  DEGLI  ANCARANI  Carlo,  a  Trevi. 

LARUS  cav.  Giovanni,  imperiale  e  reale  epigrafista 
di  corte,  membro  e  vice-segretario  dell'  instituto  , 
a   Milano 

LOPEZ  cav.  Michele  ,  prefetto  del  real  museo  ,  a 
Parma. 

MAGGIORANI  Carlo,  professore  sostituto  di  anato- 
mia, fisiologia,  igiene  ec.  nell'università,  in  Roma. 

MALVICA  barone  Ferdinando  ,  socio  ordinario  del 
reale  istituto  d'incoraggiamento  di  Palermo,  sotto- 
intendente del  distretto  di  Vasto. 

MAMIANI  DELLA  ROVERE  conte  Giuseppe  ,  a 
Pesaro. 

MARCHI  padre  Giuseppe,  della  compagnia  di  Gesù, 
professore  nel  collegio  romano  ,  prefetto  del  mu- 
seo kircheriano,  membro  del  collegio  filologico  del- 
l'università, socio  ordinario  della  pontificia  accade- 
mia di  archeologia,   in  Roma. 

MARCOTULLI  dott.  Luigi,  medico,  a   Sezze. 

MASETTI  canonico    Celestino,   a  Fano. 

MORDANl  Filippo,  a  Ravenna. 

MONTANARI  Giuseppe  Ignazio  ,  professore,  a  Pe- 
sa ro. 

MOPiICHINI  monsignor  Carlo  Luigi,  chierico  di  ca- 
mera, in  Roma. 

MUZZARELLI  monsignor  Carlo  Emmanuele  ,  udi- 
tore della  sacra  rota,  consultore  della  sacra  con- 
gregazione de' riti,  in  Roma. 


VII 

PAOLI  conte  Domenico,  a  Pesaro. 

PERETTI  Pietro,  professore  di  farmacia  e  direttore 
del  gabinetto  farmaceutico  dell'università,  in  Roma. 

PERUZZI  monsignor  Agostino,  arciprete  della  metro- 
politana, rettore  dell'università,  a  Ferrara. 

PIAN CIANI  padre  Gio.  Battista,  della  compagnia  di 
Gesù,  professore  nel  collegio  romano,  membro  del 
collegio  filosofico  dell'università,  in  Roma. 

PUCCINOTTI  dott.  Francesco,  professore  nell'uni- 
versità, a  Pisa. 

PUNGILEONI  padre  maestro  Luigi,  min.  con.,  con- 
sultore delle  sacre  congregazioni  de'  vescovi  e  re- 
golari e  de'riti,  in  Roma. 

RAGGI  avv.  Oreste,  in  Roma. 

HAMBELLI  Gio.  Francesco,  professore,  a  s.  Giovan- 
ni in  Persiceto, 

RANALLI  Ferdinando,  a  Firenze. 

RICCARDI  dott.  Gregorio,  medico,  in  Roma. 

RICCI  marchese  cav.  Amico,  a  Macerata. 

ROVERELLA  conte  Gio.  Antonio,  a  Cesena. 

SALVI  cav.  Gaspare,  consigliere  e  professore  di  ar- 
chitettura teorica  nell'insigne  e  pontificia  accade- 
mia di  s.  Luca,  ingegnere  ispettore  membro  del 
consiglio  d'arte,  architetto  de'ss.  palazzi  apostolici, 
membro  del  collegio  filosofico  dell'  università  ,  in 
Roma. 

SANTARELLI  Michele  ,  professore  di  medicina  ,  a 
Macerata, 

SANTINI  dott.  Angelo  ,  medico  primario  ,  a  Mon- 
talboddo. 

SANTUCCI  ab.  Domenico,  in  Roma. 

SANTUCCI  monsig.  Loreto,  custode  generale  emerito 
di  arcadia,  membro  del  collegio  filologico  dell'uni- 
versità romana,  incaricato  di  affari  della  santa  se- 
de  presso  la  corte  di  Toscana,  a  Firenze. 
SCLOPIS  di  Salerano  conte  Federico,  membro  della 

reale  accademia  delle  scienze,  a  Torino. 
SECCHI  padre  Gio.  Pietro,  della  compagnia  di  Gè- 


Vili 

su,  professore  e  bibliotecario  del  collegio  romano, 
socio  ordinario  e  censore  della  pontificia  accade- 
mia di  archeologia,  in  Roma. 

SORGONI  dott.  Angelo,  primo  medico,  a  Montolmo. 

TESSIERI  padre  Pietro,  della  compagnia  di  Gesù  , 
sotto-prefetto  del  museo  kircberiano,  socio  ordina- 
rio della  pontifìcia  accademia  di  archeologia  ,  in 
Roma. 

TORTOLINI  ab.  Barnaba,  professore  di  calcolo  su- 
blime nell'università,   in  Roma. 

TROMPEO  cav.  Benedetto,  medico  di  corte  di  S. 
M.  la  regina  vedova  di   Sardegna,  in  Roma. 

VACCOL1TNI  Domenico,  professore,  a  Bagnacavallo. 

VALDRIGHI  conte  Mario,  a  Modena. 

VALORI  dott.  Francesco,  membro  del  collegio  me- 
dico-chirurgico ,  professore  di  sanità  nella  sacra 
consulta,  in  Roma. 

VENTUROLI  prof.  Giuseppe,  presidente  del  consi- 
glio d'arte  pe'lavori  di  acque  e  strade,  accademico 
di  merito  di  s.  Luca  nella  classe  dell'architettura, 
membro  del  collegio  filosofico  dell'università  ,  in 
Roma. 

VERMIGLIGLI  cav.  Gio.  Battista,  professore  nell'uni- 
versità, direttore  del  museo  antiquario,  a  Perugia. 

VESGOVALI  Luigi,  socio  ordinario  della  pontificia 
accademia  di  archeologia,  in  Roma. 

VOLPICELLI  dott,  Garlo,  professore  sostituto  di  fi- 
sica sperimentale  nell'università,  in  Roma, 


SCIENZE 


Nuovo  Ospizio  per  la  cura  fisico-morale  de* men- 
tecatti. 

Leggi  statutarie  e  regolamenti  disciplinari  pel 
nuovo  ospizio  per  la  cura  fisico-morale  dei 
mentecatti  eretto  in  Ancona  doli? ordine  e  sot- 
to la  invocazione  di  s.  Giovanni  di  Dio,  pre- 
ceduti da  un  ragionamento  intorno  alla  dot- 
trina generale  delle  malattie  mentali  riguar- 
date ne'loro  fenomeni,  nelle  loro  cause  costi- 
tutive e  nelle  occasionali,  non  che  rispetto  al- 
la loro  prognosi  ed  al  loro  trattamento  cu- 
rativo generale,  del  eh.  sig.  prof.  doti.  Bene- 
detto Monti.  Roma  1840. 


mT  ossedeva  la  città  di  Ancona  un  pubblico  speda- 
le, in  cui  a  norma  delle  stabilite  convenzioni  dove- 
vano pur  essere  ricoverati  i  dementi  della  città  e  pro- 
vincia. Rinnovato  lo  stesso  pio  luogo  nel  1818  per 
opera  dei  religiosi  dell'ordine  di  s.  Giovanni  di  Dio, 
e  co'  fondi  dalla  medesima  città  conceduti  a  tale 
misericordioso  fine,  mancava  di  uno  speciale  stabili- 
G.A.T.LXXXYII.  1 


2  Scienze 

mento,  die  facesse  possibile  il  praticare  verso  i  folli 
quei  soccorsi  e  quelle  cure,  onde  oggi  la  scienza  di 
queste  malattie  insegna  1'  efficacia.  Bramoso  perciò  il 
reverendissimo  supremo  generale  dell'ordine  p.  Bene- 
detto Vernò  di  sempre  operare  il  bene  che  per  lui  si 
poteva,  si  risolse  a  cercar  modi  d'istituire  un  appo- 
sito e  decoroso  asilo  pel  trattamento  di  quelli.  Fi- 
nalmente dopo  lunghe  e  molte  sollecitudini  di  quel 
fdantropo  superiore ,  e  dopo  gravissime  spese  da  lui 
sostenute,  si  è  posto  nella  sua  piena  attività  il  nuovo 
ospizio,  nel  quale  nulla  manca  di  quanto  a  cotanta 
opera  si  richiede,  sì  perle  condizioni  e  la  distribuzio- 
ne delle  varie  parti  ond'è  composto  il  magnifico  lo- 
cale ;  sì  ancora  per  tutta  quella  varietà  di  mezzi  e 
di  soccorsi  che  la  scienza  di  questa  altissima  parte 
della  medicina  ha  insegnato  proficui;  sì  finalmente  per 
la  riunion  felice  di  tutte  le  condizioni  che  richieg- 
gonsi,  perchè  il  novello  stabilimento  in  ogni  varietà 
di  casi  di  malattie  mentali  possa  riuscire  al  suo  fine. 
Ed  in  vero  offre  il  medesimo  nelle  sue  interne  di- 
visioni svariati  dipartimenti  che  rispondono  ai  generi 
diversi  delle  anzidette  morbosità.  Sale,  camere,  gal- 
lerie ,  passeggi ,  giardini  ,  lavorìi  pe'  due  sessi  sono 
nell'ospizio  in  maniera  disposti,  che  giammai  posso- 
no essere  sottoposti  allo  sguardo  degli  estranei:  ne  è 
dato  in  alcun  caso,  anche  di  domestica  cura,  agli  uo- 
mini di  vedere  o  parlare  con  le  donne,  neppur  nel 
sacro  luogo  della  preghiera,  dove  accedono  per  vie  op- 
poste ond'eseguire  le  opere  di  religione,  delle  quali 
sono  capaci.  L'  edifizio  intero  ,  che  di  molto  elevasi 
da  ciascun  lato  al  di  sopra  de' circostanti  caseggiati , 
gode  di  una  esposizione  atmosferica  tanto  salubre,  che 
può  senza  meno  paleggiare  le  migliori  di  Ancona.  An-. 


Ospizio  dei  Mentecatti  3 

nesso  all'ospizio,  ma  da  questo  distinto,  havvi  altro 
speciale  stabilimento  destinato  a  segregare  i  conva- 
lescenti dagl'infermi:  e  per  tal  modo  essenzialissimo, 
tostocliè  le  mentali  loro  facoltà  cominciano  a  ri- 
prendere lo  stato  di  ragione,  recarli  sotto  circostan- 
ze del  tutto  nuove  o  diverse  da  quelle  che  accom- 
pagnarono lo  stato  delirante  di  essi.  Cinque  grandi 
tavole,  delle  quali  il  volume  dell'opera  di  cui  favel- 
liamo è  arricchito,  dimostrano  con  accuratezza  ben 
soddisfacente  il  prospetto  dell'edificio,  e  le  interne  di- 
visioni tutte  di  esso.  Fra  queste  ne  piace  notare  la 
sala  dei  bagni,  e  l'altra  degli  stabilimenti  elettrici  , 
la  macchina  rotatoria,  la  camera  oscura  con  bagno  e 
doccia,  la  camera  oscura  imbottita,  i  bagni  a  vapo- 
re, la  sala  del  bigliardo  e  musica  ,  gli  appartamenti 
distinti  per  le  persone  di  rango  elevato.  Anzi  tutto 
l'apparecchio  delle  cose  e  delle  circostanze  risponde 
nel  servigio  e  negli  speciali  trattamenti  pei  folli  di 
alta  condizione  alle  abitudini  della  educazione  e  della 
vita  di  essi,  onde  possa  tutto  influire  nel  più  possen- 
te modo  sulle  disposizioni  intellettuali  e  morali  dei 
mentecatti. 

D'uopo  era  per  altro,  che  tutte  queste  benefiche 
pietose  cure  venissero  sostenute  da  leggi  e  norme  da 
scrupolosamente  osservarsi  pel  buon  ordine  delle 
cose,  per  la  sempre  fedele  ed  esatta  esecuzione  degli 
offici  loro  nei  singoli  individui  di  alto  o  di  basso 
servigio,  e  per  1'  accurata  ordinanza  di  tutt'  i  mezzi 
all'uopo  richiesti.  A  tal  effetto  savissimo  fu  il  divi- 
samento  del  reverendissimo  p.  Vernò  di  redigere  e  pub- 
blicare i  regolamenti  disciplinari,  che  sanzionati  dal- 
la sovrana  autorità  sono  quivi  inseriti;  mentre  por- 
tati  a    conoscenza  ed  istruzione  di  chiunque    faccia 


/  Scienze 

parte  del  governo  interiore  dell'ospizio,  obbligano  alla 
più  stretta  e  rigorosa  osservanza  ciascuno  addetto  ad 
esso  stabilimento.  Oltre  le  leggi  organiche  dell'ospi- 
zio, e  quelle  relative  2W  ufficio  del  medico  diretto- 
re, dei  religiosi  sopraintendenti,  prefetti  ed  altri,  me- 
ritano somma  lode  le  dispozioni  disciplinari  aven- 
ti per  obietto  l'ordine  e  la  uniformità  degli  esercizi 
di  tutte  le  ore:  il  che  possentemente  contribuisce  ad 
abituare  l'uomo  al  compimento  de'  propri  doveri ,  a 
liberarlo  da  quelle  idee  che  lo  rendono  non  pago  del- 
la sua  sorte  e  di  se  stesso,  ed  a  riprodurre  gradata- 
mente negli  alienati  1'  ordine  normale  delle  idee  o 
delle  affezioni  morali.  Quantunque  determinar  si  con- 
venga il  vitto  de'singoli  alienali,  secondo  la  specie  e 
lo  stato  della  follia,  pur  certe  norme  generali  dell'a- 
limentazione convenivano  dettarsi:  e  lodevoli  trovia- 
mo quelle  ivi  emanate  sul  proposito  ,  non  che  su  i 
vari  generi  di  lavoro  e  di  occupazione  da  dovei'si 
adattare  alla  varietà  delle  specie  di  alienazione,  ed 
alla  diversità  degl'individui  alienati.  Dimostrò  infatti 
l'esperienza,  che  l'ozio  perpetuo,  in  che  erano  tenuti 
un  tempo  gli  alienati  nel  maggior  numero  degli  sta- 
bilimenti, fomentava  efficacemente  il  delirio  di  quelli, 
e  ne  moltiplicava  le  cattive  tendenze;  mentre  l'atti- 
tudine ad  un  lavoro,  facile  ma  riflessivo,  obbligando 
l'alienato  ad  un  certo  esercizio  regolare  della  sua  ra-^ 
gione,  non  gli  permette  di  riandare  durante  il  giorno 
le  sue  chimère,  e  gli  procaccia  per  la  notte  un  son- 
no tranquillo.  L'abolizione  delle  catene  ,  delle  per- 
cosse e  di  altre  corporali  offese,  con  che  si  trattava- 
no i  maniaci  furiosi  ,  venne  già  richiesta  per  senti- 
mento di  umanità;  tali  mezzi  esasperavano  il  furore 
dei  folli,  e  rendevanli  indisposti  a  sentire  l'influenza 


Ospizio  dei  Mentecatti  5 

di  qualsiasi  maniera  di  cura  sì  fisica  e  sì  morale.  Al- 
tri mezzi  di  repressione  vennero  quindi  sostituiti  per 
contenere  gli  alienati:  e  di  essi  è  ben  fornito  Fospi- 
zio.    Ma    oltre  i  metodi  di  restrizione   pei  furiosi  j 
son  pur  ivi  per  apposita  legge  stabilite  le  ricompen- 
se e  le  pene  da  doversi  applicare  ed  amministrare  per 
modo,   che  influendo  sulle  facoltà  degli   alienati  rie- 
scano insieme  a  raggiungere  l'ultimo  scopo,  eli'  è  il 
miglioramento  e  la  guarigione  di  essi.  L'indagine  del 
piacere  o  del  genio  degli  alienati  rende  facile  il  da- 
re ad  essi  una  desiderabile  ricompensa,  o  infligger  lo- 
ro un  dei  mezzi  di  correzione,  come  una  delle  più  o 
meno  disaggradevoli  privazioni,  o  secondo  la  gravità 
dei  casi,  il  cambiamento  di  dimora  in  camera  nuda, 
il  carcere  o  la  camera  oscura.   Su   queste  ed  altre  es- 
senziali cose  ,  non  che  sulle   verificazioni  dell'  esatto 
adempimento  dei  metodi  e  rispettive  ordinanze,  si  ag- 
girano le  molto  savie   leggi    disciplinari  ,  che  'fanno 
sommo  onore  all'egregio  compilatore  di  esse,  cioè  al 
supremo  generale  reverendissimo  p.  Vernò. 

Lode  però  di  gran  lunga  maggiore  ha  egli  sa- 
puto procacciarsi  con  un'  altra  sublime  disposizione. 
Convinto  egli,  che  tutte  le  premure  e  tutt'  i  mezzi 
possibili  posti  in  opera  per  la  cura  fisico-morale  de- 
gli alienati  tornano  pressoché  infruttuosi,  ove  diret- 
ti non  sieno  da  un'  assistenza  di  un  medico  vera- 
mente filantropo,  e  dotto  altresì  delle  psicologiche  co- 
gnizioni, avvisò  di  stabilirvi  la  residenza  di  un  medico 
direttore.  Da  questo,  siccome  punto  centrale,  debbo- 
no venir  disposti  e  mossi  tutt'i  presidii  al  difficile  ed 
alto  ufficio  di  sanazione  conducenti;  ed  a  lui  pur  in- 
combono alcuni  onori  con  sapiente  sagacia  prescritti 
fra  le  menzionate  leggi  statutarie.  E  qui  con  fino  cri- 


6  Scienze 

terio  proseguendo  a  favellare  il  patire  Vernò,  discor- 
re delle  cagioni  che  giustamente  reclamano  per  l'uo- 
po di  una  terapia  razionale  un  medico  illuminato  non 
solo  nelle  mediche  discipline,  ma  nelle  scienze  psi- 
cologiche ancora  istrutto.  Niun  altro  invero,  all'  in- 
fuori di  un  medico  ed  insieme  psicologo,  esser  po- 
trebbe idoneo  a  rettamente  dirigere  la  cura  di  un 
ospizio  di  alienati  nell'amministrazione  di  tutt'i  mez- 
zi sì  fisici  e  sì  morali  atti  a  procurare  il  consegui- 
mento del  ritorno  del  senno  in  quest'infelici.  Fian- 
cheggiato quindi  da  tali  e  consimili  considerazioni  sì 
gravi,  esitante  non  fu  il  Vernò  in  eleggere  a  diret- 
tore fisico  del  religioso  stabilimento  il  eh.  prof.  dott. 
Benedetto  Monti  ,  di  cui  la  perizia  e  la  vastissima 
scienza  in  questo  difficile  ramo  specialmente  di  me- 
dicina glie  ne  ispirarono  tutta  la  piena  fiducir.  E  ben 
sull'  ottima  scelta  possono  riposar  tranquilli  il  reve- 
rendissimo generale,  il  suo  ospizio  ed  il  pubblico:  il 
quale  ultimo  se  già  rese  i  meritati  plausi  ad  altra 
produzione  del  Monti,  saprà  ben  apprezzare  pur  an- 
co il  valore  del  Ragionamento  intorno  alla  dottri- 
na delle  malattie  mentali^  che  precede,  siccome  di- 
cemmo, il  complesso  delle  leggi  e  de' regolamenti  fin 
qui  memorati. 

Cotale  ragionamento,  tutto  filosofico  e  pienamen- 
te coerente  ai  più  sani  dettami  psicologici  (  nei  qua- 
li non  poche  menti  hanno  naufragato  )  in  virlù  della 
concisione  quasi  aforistica  (  in  paragone  alla  -vastità 
dell'argomento  ),  con  cui  è  tessuto  nelle  sue  propo- 
sizioni, suscettivo  non  sarebbe  di  essere  compendia- 
to. Ma  per  non  lasciarne  pienamente  digiuni  i  no- 
stri lettori  diremo,  che  quivi  s'imprende  primamente 
a  discorrere  la  natura  delle  facoltà  dello  spirito  ed  il 


Ospizio  dei  Mentecatti  n 

vario  modo  con  che  le  si  manifestano  alterate;  e  che 
quindi  si  ragiona  delle  varie  cause  costitutive  delle 
mentali  malattie,  della  classificazione  loro,  della  pro- 
gnosi e  della  cura  generale  di  esse. 

Si  apre  la  strada  al  primo  titolo  con  uno  sguar- 
do allo  stupendissimo  magistero  delle  facoltà  dello  spi- 
rito umano,  del  quale  l'organismo  materiale  è  stru- 
mento disposto  a  servirlo.  Esamina  a  tal  effetto,  co- 
me lo  spirito  nello  stato  del  suo  organo  materiale  si 
manifesti  per  lo  mezzo  di  tre  feerie  distinte  di  feno- 
meni relativi  alle  facoltà  che  li  generano,  cioè  cono- 
scitiva, appetitiva,  volitiva.  Esamina,  come  dalle  fa- 
coltà intuitiva  ed  intellettiva  risulta  la  conoscitiva  ; 
come  lo  spirito  umano,  avendo  per  la  intuitiva  per- 
cepito gli  oggetti  co'quali  è  in  rapporto,  si  determini 
per  la  intellettiva  ad  applicare  universalmente  agli  og- 
getti dati  dalla  intuizione  le  tre  primitive  ed  essen- 
ziali nozioni,  di  essenza  cioè,  di  causalità  e  di  fine; 
come  V  attività  della  facoltà  intellettiva  costituisca 
nello  spirito  umano  quell'atto  che  si  chiama  pensie- 
ro; come  il  processo  della  facoltà  conoscitiva  venga 
costituito  dalla  osservazione,  memoria  e  concezione  , 
che  sono  i  tre  momenti  distinti,  in  ciascuno  dei  qua- 
li stanno  come  principii  fattori  e  solidari  la  intui- 
zione ed  il  pensiero  ;  come  nell'opera  deL  terzo  mo- 
mento del  processo  conoscitivo  si  consumano  quegli 
atti  del  pensiero,  che  sono  dagl'ideologi  chiamati  co' 
nomi  di  astrazione  ,  di  comparazione  e  di  giudizio  ; 
come  le  varie  attitudini,  dette  intellettuali,  o  i  vari 
talenti  dello  spirito  umano  ,  altro  non  sieno  che  le 
vane  attitudini  che  ha  lo  spirito  istesso  di  associare 
intra  loro  e  di  elaborare  le  idee  dei  diversi  oggetti , 
e  certe  specialità  di  rapporti  dei  medesimi  ;  e  come 


8  Scienze 

i  vari  talenti  relativi  ad  un'  arte  o  ad  una  scienza 
non  sieno  che  varie  forme  di  queste  attitudini ,  fra 
loro  distinte  ed  indipendenti,  ma  varie  di  grado  e  di 
contemperamento  nei  diversi  individui  della  specie 
umana:  donde  il  vario  carattere  intellettuale  degli  uo- 
mini, che  non  procede  dalla  differenza  delle  anime, 
ma  bensì  «  siccome  avvisavano  già  il  beato  Alberto 
«  Magno  e  s.  Tommaso,  dalle  originarie  od  acquisite 
«  differenze  della  struttura  e  composizione  delle  va- 
«  rie  parti  ond'è  composto  l'organo,  di  cui  ha  mestie- 
«  ri  lo  spirito  umano  nella  presente  sua  vita  terre- 
«   na  per  esercitare   e  manifestare  le  sue  facoltà.  » 

Nello  scrutinio  della  facoltà  appetitiva  osserva, 
come  questa  «  riguardata  nella  sua  essenza  origina- 
«  ria  ,  costituisce  nello  spirito  umano  una  tenden- 
«  za  primordiale,  per  la  quale  egli  è  immantinente 
«  mosso  a  sviluppare  se  stesso,  ed  a  porsi  in  rappor- 
ti to  con  gli  altri  esseri  che  lo  circondano,  e  coll'Es- 
«  sere  assoluto  ,  il  quale  gli  si  rivela  per  la  osscr- 
«  vazione  delle  cose,  e  per  l'applicare  ch'egli  fa  alle 
«  medesime  delle  nozioni  di  essenza,  di  causalità,  e 
«  di  fine  che  costituiscono  la  forma  del  suo  pensie- 
«  ro,  come  l'Essere  che  contiene  in  se  la  ragione  di 
«  se  stesso  e  di  tutte  le  cose  e  tutte  le  perfezioni; 
«  ed  al  quale  aspira  per  conseguire  il  proprio  perfe- 
«  zionamento  o  la  pienezza  del  proprio  essere:  »  af- 
fetto fondamentale  dello  spirito  umano  ,  sentimento 
sublime,  sentimento  religioso.  Osserva  come  la  pre- 
lodata originaria  tendenza  si  modifichi  e  si  vada  spe- 
cificando sotto  diverse  forme  distinte  di  tendenze,  se- 
condo la  natura  diversa  degli  oggetti  in  cui  la  si  ter- 
mina, e  secondo  le  varie  attitudini  originarie  ed  av- 
ventizie dell'organismo:   come  queste  tendenze  pos- 


Ospizio  dei  Mentecatti  q 

sano  dividersi  in  due  classi,  nell'una  delle  quali  rien- 
trano tutte  quelle  tendenze  che  chiamansi  personali, 
e  nell'altra  tutte  quelle  che  appellar  si  possono  so- 
ciali :  come  queste  forme  fondamentali  dell'atto  ap- 
petitivo dello  spirito  umano  assumano  certe  modali- 
tà, le  quali  per  rispetto  alle  varie  forme  di  tendenza 
personale  risolvonsi  nell'amore  della  proprietà,  nelF 
orgoglio,  nella  circospezione,  nella  conservazione  di 
se  stesso  e  nella  sensualità;  mentre  in  riguardo  alle 
varie  forme  di  tendenze  sociali  non  sono  notevoli  che 
nell'amore  dei  vari  individui  di  famiglia.  Osserva  da 
ultimo,  come  l'uomo  per  la  facoltà  volitiva  «  è  un 
«  essere  libero  e  responsabile,  poiché  per  essa  a  suo 
«  grado  egli  agisce  ed  opera  non  solo  dentro  se  stes- 
«  so  nel  proprio  subietto,  e  seconda  e  si  oppone  al- 
ti le  proprie  tendenze,  e  le  raffrena  e  dirige,  ma  e- 
«  ziandio  sugli  oggetti  esteriori ,  e  si  oppone  come 
«  reazione  all'azione  de'medesimi  su  di  esso  lui  ,  e 
«  può  e  sa  dominarli,  secondo  intenti  da  se  stesso  a 
v    se   stesso  dati  e  proposti.    » 

Or  tutte  queste  facoltà  dell'  umano  spirito  ma- 
nifestansi  in  uno  stato  normale,  allor  quando  l'ordi- 
ne delle  idee,  che  l'uomo  possiede,  è  conforme  all'or- 
dine reale  delle  cose  ,  e  quando  nel  caso  contrario 
egli  possa  e  si  accorda  a  cambiarlo,  e  quando  in  fi- 
ne la  forza  della  sua  volontà  può  e  sa  dominare  il 
processo  delle  operazioni  conoscitive  ,  non  che  tutte 
le  varie  tendenze  della  facoltà  appetitiva  e  le  sue  pro- 
prie azioni.  Da  queste  condizioni,  che  costituiscono 
lo  stato  della  mente  sana  dell'uomo,  ne  risulta  che 
il  morbo  mentale  o  la  pazzia  si  costituisce  da  quel- 
lo stato  dell'umano  spirito,  in  cui  le  manifestazioni 
o  di  tutte  le  sue  facoltà,  o  di  alcune  soltanto,  sono 


io  Scienze 

deviate  dalle  condizioni  or  divisate  ,  per  una  causa 
permanente  materiale,  alterante  direttamente  o  indi- 
rettamente l'organo  delle  medesime.  Emerge  tosto  per 
tal  modo  la  division  primaria  della  pazzia  in  gene- 
rale e  parziale  :  ma  sì  la  prima  e  sì  tutte  le  varie 
forme  della  seconda  ricevono  o  possono  ricevere  iden- 
ticamente tre  distinti  o  differenziali  caratteri,  la  me- 
lancolìa  cioè,  la  manìa  e  la  demenza.  Grave  si  è  la 
importanza  di  apprendere  queste  ed  altre  differenze 
dei  morbi  mentali:  e  perciò  il  sig.  Monti  s'impegna 
in  presentarne  la  serie  de'  fenomeni  psicologici  i-ela- 
tivi a  ciascuna  di  esse  ,  senza  omettere  le  nozioni 
di  alcune  complicanze  o  combinazioni  fra  loro  dei  di- 
versi morbosi  elementi. 

Discende  in  appresso  il  sig.  Monti  a  discorrere 
la  teorica  della  genesi  dello  stato  morboso  in  gene- 
rale, per  quindi  applicarla  ai  morbi  mentali.  E  ripo- 
nendo il  carattere  essenziale  della  vita  organica  nel- 
l'interiore e  continuo  processo  di  azioni  e  reazioni, 
dimostra  di  quali  condizioni  richieggasi  la  contempo- 
ranea concorrenza  per  la  effettuazione  e  conservazio- 
ne dello  stato  sano  dell'organismo  vivente.  In  quat- 
tro classi  vi  accenna  potersi  ordinare  la  molliplicità 
e  diversità  possibile  de'morbi:  «  cioè  in  malattie  di 
«  alterata  organizzazione  ;  in  malattie  da  difetto  di 
«  materiali  interiori  o  dello  stesso  px-incipio  di  atti- 
ci vita;  ed  in  malattie  prodotte  e  mantenute  da  ope- 
«  rosità  morbifera  di  azioni  di  cose  eterogenee,  o  in- 
«  trodotte  nell'interiore  organismo,  o  consistenti  nel- 
«  le  stesse  materie  disassimiliate  di  esso,  sovercbianti 
«  più  o  meno  la  proporzione  della  forza  conserva- 
«  tiva  e  reazionaria  dell'  organismo  stesso.  »  Altre 
suddivisioni  vengono  pur  anco  adottate  dal  N.  A.;  e 


Ospizio  dei  Mentecatti  ii 

fra  le  medesime  ne  piace  annotare,  che  la  somma  dei 
morbi  compresi  nella  quarta  classe  vien  primieramen- 
te suddivisa  in  universali,  in  locali,  in  universali- 
locali  ,  ed  in  locali-universali.  E  siccome  in  varia 
proporzione  possono  intra  loro  trovarsi  la  forza  rea- 
zionaria o  medicatrice  dell'organismo  e  la  forza  del 
principio  morbifero;  cosi  da  questo  punto  di  vista  si 
fanno  scaturire  tre  generi,  nei  quali  contemplansi  di- 
stribuite le  suddette  malattie,  cioè  steniche,  asteniche 
ed  iposleniche. 

L'insieme  di  queste  distribuzioni,  e  di  molte  al- 
tre per  brevità  qui  omesse  ,  vien  poi  riferito  ai  mor- 
bi mentali,  i  quali  per  le  condizioni  materiali  che  li 
costituiscono  entrano  nelle  classi,  negli  ordini,  nelle 
varietà,  e  nei  generi  nella  generale  classificazione  del- 
le malattie  accennati.  Vien  tutlociò  dal  N.  À.  pati- 
tamente dimostrato  con  ben  accurata  applicazione  del- 
le une  distribuzioni  alle  altre:  e  quindi  a  contemplar 
si  rivolge  le  precipue  remote  cagioni  dei  morbi  men- 
tali, come  1'  ereditarie  disposizioni  ,  la  mancanza  di 
educazion  morale  ed  intellettuale  della  prima  età,  le 
varie  circostanze  della  vita  morale  e  politica  dell'uo- 
mo, e  le  accidentali  e  svariate  malattie  della  vita  or- 
ganica. Dalla  serie  delle  considerazioni  giudiziose  di 
quanto  si  è  fin  qui  discorso  ognun  ravvisa,  che  de- 
sumer si  dovevano  i  fondamentali  principii  per  la 
predizione  dell'esito  e  per  la  scelta  della  terapìa  da 
doversi  a  ciascuno  dei  morbi  mentali  applicare  ;  e 
queste  norme  ha  ben  seguito  il  sig.  Monti. 

E  qui  arrestando  le  nostre  parole  ,  congratular 
ci  dobbiamo  col  prefato  chiaro  professore  per  la  ric- 
ca suppellettile  di  medici  e  psicologici  lumi  ,  co' 
quali  si  è  prodotto  in  questo  erudito  ragionamento: 


ta  Scienze 

e  render  dobbiamo  in  pari  tempo  tributi  di  somma 
lode  al  reverendissimo  p.  Vernò,  che  zelo  e  profusio- 
ne di  mezzi  non  ha  risparmiato  per  condurre  il  suo 
stabilimento  a  sì  decoroso  ed  utile  stato,  non  senza 
dar  saggio  di  fino  discernimento  e  di  sapienza  nella 
disposizione  onorevole  delle  sue  leggi  e  regolamenti 
disciplinari. 


.ONELLI. 


Memoria  sulla  moltiplicazione  e  coltura  degli  al- 
beri nella  provincia  di  Spruzzo  ultra  1°  in 
riscontro  al  programma  pubblicato  dalla  so- 
cietà economica  di  detta  provincia  nel  i837. 
Teramo^   tipografia  Angeletti  1840. 

lTJLolta  e  giusta  laude,  secondochè  a  me  ne  pare  , 
meritarono  coloro  ,  i  quali  veggendo  che  i  trattati 
agronomici  di  oltramontani  scrittori  non  offrivano 
che  notizie  in  parte  soltanto  adattate  alla  coltivazio- 
ne delle  italiane  campagne,  tolsero  a  raccogliere  buo- 
ne regole,  ed  a  formare  un  complesso  di  cognizioni 
e  di  precetti,  che  utili  si  rendessero  specialmente  agli 
agricoltori  della  nostra  penisola,  e  potessero  servire 
ad  essi  di  norma  e  di  guida  ne'campestri  lavori;  in 
che  a  questi  ultimi  tempi  egregiamente  si  distinse  il 
eh.  Filippo  Re,  degli  studi  georgìci  sopra  ogni  dire 
benemerito.  E  siccome  i  terreni  delle  diverse  italiche 
Provincie  offrono  pure  tante  varietà  e  differenze, 


Coltura  degli  alberi  i3 

nec  ....  terrete  /erre  omnia  possunt, 

e  conviene  esaminare 

cultusque  habitusque  lo  corinti^ 
Et  quid  quaeque  ferat  regio  ,  et  quid  quaeque 
recuset 

così  parmi  doversi  eziandio  riconoscenza  ed  encomio 
a  coloro,  i  quali  coi  loro  scritti  som  ministrano  buoni 
ammaestramenti  intorno  la  particolare  agricoltura  di 
qualcuna  delle  nostre  provincie,  e  ne  procacciano  il 
miglioramento  ed  i  progressi,  a  ciò  stimolati  dal  no- 
bile desiderio  della  pubblica  utilità. 

A  questo  laudevolissimo  intendimento  è  indiriz- 
zata la  «  Memoria  sulla  moltiplicazione  e  coltura  de- 
ce gli  alberi  nella  provincia  di  Apruzzo  ultra  1°  in  ri- 
«  scontro  al  programma  pubblicato  dalla  società  eco- 
«  nomica  di  detta  provincia  nel  i83y  »  stampatasi 
in  Teramo  nella  tipografia  Angeletti  nell'anno  1840 
in  8.°  Autore  di  questa  memoria  è  il  signor  Pan- 
crazio Palma  ,  che  la  scrisse  fin  dal  ricordato  anno 
i83y;  e  che  ora  essendo  stato  meritamente  eletto  a 
presidente  annuale  della  menzionata  società  econo- 
mica, ba  voluto  pubblicare  questo  suo  pregevole  scrit- 
to a  significazione  di  grato  animo  ,  e  con  tutta  ra- 
gione avvisando  che  potesse  provenirne  vantaggio  all' 
antidetta  provincia.  E  parmi  che  a  questa  si  conven- 
gano veramente  speciali  regole  e  precetti  agrari  :  im- 
perocché il  suolo  di  una  tale  provincia  presenta  al- 
l'occhio de'riguardanti  un  quadro  singolare,  veggen- 
dovisi  un  intrigato  ammassamento  di  apennini  e  sub- 
apennini  per  diverse  maniere  ramificati,   e  che  innal* 


tA  Scienze 

zano  al  cielo  maestosamente  l'eccelse  lor  vette  ,  dai 
quali  poi  staccansi  catene  di  fruttifere  e  deliziose  col- 
line, che  sorgono  dove  più,  dove  meno  elevate,  e  ta- 
lune delle  quali  sempre  più  scemando  di  altezza,  van- 
no infine  a  livellarsi  coi  piani  campi,  ed  altre  esten- 
donsi  fino  alle  amenissime  rive  dell'adriatico  mare. 

E  non  è  questo  il  primo  scritto  del  sig.  Palma 
intorno  a  cose  di  agricoltura  ;  imperocché  pubblicò 
già  colle  stampe  le  sue  Osservazioni  sulla  prospe- 
rità della  provincia  del  primo  Spruzzo  ulteriore 
(  Teramo,  tipografia  Angeletti  i83 7  in  8.°)  ;  ed  in 
questa  opera,  dalla  quale  traspare  ad  ogni  pagina  il 
desiderio  della  pubblica  prosperità,  ed  insieme  l'amo- 
re del  paese  natio,  che  il  dotto  ed  illustre  autore  vor- 
rebbe vedere  per  industrie  ed  arti  agrarie  e  traffichi 
dovizioso  e  fiorente,  oltre  i  molti  altri  importantissi- 
mi oggetti  di  pubblica  economia,  de' quali  con  giu- 
stezza di  pensieri  e  di  vedute  ,  con  moderazione  di 
progetti,  e  senza  trascorrere  in  sottigliezze  ed  astra- 
zioni si  tratta  ,  per  modo  che  rende  chiara  testimo- 
nianza delle  non  comuni  e  vaste  cognizioni,  che  in 
siffatta  scienza  lo  scrittore  possiede:  si  ragiona  ezian- 
dio con  non  minore  maestria  dello  stato  dell'agricol- 
tura in  quella  provincia,  e  del  miglioramento  a  che 
potrebbe  portarsi  ,  e  de'  mezzi  per  ottenerlo  :  e  si 
espongono  belle  considerazioni  intorno  i  cereali ,  le 
canape  ed  i  lini,  le  sete,  i  prati  naturali  ed  artificia- 
li, i  boschi,  la  pastorizia  ed  altre  importanti  e  prin- 
cipali materie  della  rurale  economia,  precipua  fonte 
della  prosperità  e  della  floridezza  de'popoli. 

Ora  nella  nuova  scrittura,  che  dal  signor  Pal- 
ma si  è  messa  alle  stampe  ,  ha  egli  tolto  a  trattare 
della  moltiplicazione  e  coltura  degli  alberi:  parte,  co- 


Coltura  degli  albepi  i5 

me  ognun  vede,  principalissima  dell'agricoltura,  e  ma- 
teria perciò  degnissima  di  ogni  più  diligente  investi- 
gazione e  studio.  Egli  con  ottimo  consiglio  ha  inti- 
tolato il  suo  libro  a  S.  E.  il  sig.  march.  D.  Fran- 
cesco Statella  de'prineipi  del  Cassero,  gentiluomo  di 
camera  di  S.  M.  siciliana  e  cavaliere  dell'  ordine  di 
Cai'lo  III,  il  quale  sostenendo  in  quella  provincia  con 
molto  plauso  l'onorevolissimo  officio  d' intendente,  ra- 
gion voleva  che  al  primo  degnissimo  maestrato  della 
medesima  provincia  si  offrisse  uno  scritto  indirizzato 
al  bene  di  essa,  e  per  tal  guisa  se  gli  desse  dimo- 
strazione e  segno  di  grato  animo  per  la  vigilanza  e 
per  le  cure,  ch'egli  adopera  allo  stesso  scopo  del  pub- 
blico bene. 

Avuto  riguardo  al  suolo  della  provincia,  il  qua- 
le presenta  le  varietà  da  me  sopra  accennate,  ragio- 
na l'autore  in  questo  suo  pregevole  opuscolo  degli  al- 
beri più  utili,  sì  da  legno  e  si  da  frutto  ,  che  sono 
più  adattati  agli  appennini  di  quella  provincia,  alle 
falde  di  essi,  alle  colline,  alle  basse  terre  ed  alle  ma- 
rine, e  medesimamente  delle  piante  acquatiche  da  col- 
tivarsi nelle  sponde  di  fiumi  e  torrenti.  Egli  divide 
in  tre  classi  gli  alberi  ,  distinguendo  i.°  quelli  che 
somministrano  cibo  agli  uomini  ed  agli  animali  do- 
mestici; 2.°  quelli  i  quali  si  adoperano  per  la  costru- 
zione delle  case,  de'navigli  e  delle  masserizie;  3.°  quel- 
li che  destinami  ad  ardere  per  tutte  le  umane  ne- 
cessità e  per  uso  di  pressoché  tutte  le  arti,  infra  le 
quali  poche  ve  ne  ha,  cui  non  faccia  mestiero  il  fuo- 
co, singolarmente  a'dì  nostri,  orachè  l'uso  del  vapo- 
re portentosamente  concorre,  dice  l'illustre  autore,  ad 
agevolare  le  manifatture  nella  loro  creazione  e  nel  ra- 
pidissimo loro  commercio;  ond'è  che  l'abbondanza  del 


j6  ò  c  i  k  n  z  e 

comhuslibile  forma  la  ricchezza  de'popoli,  mettendo- 
li in  istato  di  produrre  e  vendere  immensa  copia  di 
oggetti  d'industria,  che  agevolmente  condotti  e  ven- 
duti ne' mercati  stranieri  fruttino  largo  e  ricco  gua- 
dagno. 

Premessa  una  introduzione  all'  argomento  ,  che 
toglie  a  trattare,  il  sig.  Palma  divide  il  suo  libro  in 
sei  articoli.  Nel  primo  di  questi  parla  della  necessi- 
tà e  de'mezzi  di  moltiplicare  le  piante  legnose,  o  con- 
servando le  attuali  e  proteggendo  la  loro  naturale  ri- 
produzione, ovvero  facendo  nuove  piantagioni.  E  par- 
mi  assai  giusta  la  osservazione  fatta  in  questo  pro- 
posito dall'  autore  ,  che  saranno  infruttuose  tutte  le 
cure  e  tutti  i  provvedimenti  indirizzali  alla  conser- 
vazione de'boschi  esistenti  ed  alla  educazione  de'nuo- 
vi,  finche  buone  strade  non  apransi ,  le  quali  diano 
a  que'vegetabili  tal  valore  da  renderli  utili  a'proprie- 
tari.  Mancando  comodo  di  strade  a  trarre  vantaggio 
dalle  piante  de'boschi,  questi  (  cui  gli  antichi,  perchè 
meglio  si  rispettassero,  popolarono  di  tante  divinità) 
si  bruciano,  si  tagliano  per  metterne  a  coltura  il  ter- 
reno; ed  il  ferro  distrugge  ed  abbatte  non  solamen- 
te i  grandi  e  maturi  alberi,  ma  eziandio  (  ciò  eh'  è 
peggio  )  i  piccoli  e  crescenti.  A  promuovere  poi  la 
moltiplicazione  delle  piante  il  sig.  Palma  con  belle 
e  veraci  parole  espone  il  godimento,  che  ne  produce 
il  pensiero  di  futuro  profitto  che  procacciasi  a  noi 
stessi,  a'nostri  figli,  alla  società  ;  e  chi  vuol  vivere, 
egli  dice,  nella  riconoscente  memoria  de'posteri,  la- 
sci monumenti  utili  ed  apprezzabili  non  meno  di 
quelli,  cui  le  arti  foggino  co'fusi  bronzi  e  co'marmi 
scolpiti.  E  dimostrandosi  bene  esperto  e  dotto  nelle 
teorie  della  fisica,  fa  osservare  come   gli  alberi  e  per 


COLTCRA    DEGLI    ALBERI  *.„ 

quello  che  assorbiscono,  e  per  ciò  che  tramandano  , 
contribuiscono  a  purificare    ed  a  rendere    salutevole 
l'aere;  ond'è  che  se  ne  dee  procurare  l'accrescimen- 
to nelle  vicinanze  principalmente  delle  città,  de'vil- 
laggi  e  degustici  casolari  ,  servendo  eziandio   talune 
piante  per  attirare  sopra  di  sé   la  terribile    folgore 
preservandone  le  vicine  case.  Non  insiste  egli  poi  lun- 
gamente sulla  moltiplicazione  degli  alberi  fruttiferi  : 
perciocché  compensando  questi  nello  spazio  di  pochi 
anni    le    fatiche  e  spese  fattevi  ,    ne   ravvisa   ognuno 
il  vantaggio,  e  quindi  nella  coltura  di  essi  veggonsi 
in  ogni  anno  progressi  :  ma  nondimeno    raccomanda 
quella    diligenza  ,  che  non  da  tutti  i  proprietari    si 
scorge  egualmente  in  ciò  adoperata.  Ben  si  distende 
l'autore  nel  ragionare  degli  alberi  di  alto  fusto,  che 
servono  per  gli  edifizi,  per  le  costruzioni  marittime, 
per  le  macchine  e  pel  fuoco  ;  della  coltivazione  dei 
quali  i  proprietari   non  si  danno  gran  pensiero  e  mol- 
to meno  i  coloni,  talmentechè  sono  poi  costretti  di 
trarre  da'più  alti  monti  ed  anche  dall'estero  i  travi 
e  le  tavole,  di  che  Ihan  bisogno  per  le  fabbriche:  in 
tal  maniera  spendendo  il  loro  argento  per  quello,  che 
potrebbero  pure  avere  dalle  lor  terre.  Ad  invogliare 
poi  il  sig.    Palma  e  stimolare  i  suoi    concittadini  a 
questo   genere  di  piantagione,  instituisce   opportuna- 
mente un  minuto  ed  esatto  calcolo  della   spesa   che 
vi  occorre,  e  dell'utile   che  se  ne  ritrae. 

Nel  secondo  articolo  il  sig.  Palma  ne  insegna 
quali  alberi  si  deggiano  preferire  per  farne  vantag- 
giose e  profittevoli  piantagioni,  indicando  i  luoghi  e 
le  posizioni  che  a  ciascuna  specie  si  convengono  per 
potem  le  piante  sorgere  felicemente,  ed  acquistando- 
vi la  naturale  grandezza,  mantenerci  prosperose  ,  e 
G.A.T.LXXXVII,  2    ' 


18  Scienze 

non  perirvi  d'immatura  vecchiezza;  posciachè  diversi 
luoghi  ai  diversi  alberi  si  vogliono,  e  ne  avvisa  Vir- 
gilio : 

Fluminibus  salices,  crassisque  paludibus  alni 
Nascuntur,  steriles  saxosis  montibus  ornit 
Litora  myrtetis  laetissima^  denique  apertos 
Bacchus  amat  colles,  aquilonem  et  frigora  taxi» 

Ed  altrove 

Fraxinus  in  sylvis  pulcherrima,  pinus  in  hortis, 
Populus  in  jluviis,  abies  in  montibus  altis. 

Colla  guida  poi  della  esperienza,  ch'è  la  migliore  e 
più  sicura  maestra,  si  danno  in  detto  articolo  precet- 
ti ed  utilissimi  ammonimenti  sui  modi,  con  cui  po- 
ter eseguire  le  diverse  piantagioni  con  felice  succes- 
so, indicandosi  eziandio  il  tempo  che  a  farle  è  più 
conveniente;  ed  il  diligentissimo  scrittore,  che  mostra- 
si pur  valente  negli  studi  botanici  ,  non  solamente 
tratta  degli  alberi  indigeni  ,  ma  degli  esotici  ancora 
fa  parole  ;  moltissimi  de'  quali  sonosi  introdotti  in 
quella  provincia,  che  dalle  gelide  vette  di  montagne 
elevatissime  ai  tepidi  piani  de 'marittimi  lidi  offre  tan- 
te varietà  di  clima  e  di  temperatura. 

Si  versa  il  terzo  articolo  intorno  la  potagione 
degli  alberi:  operazione  così  importante,  e  col  mezzo 
della  quale  l'arte  dell'agricoltore  guida  la  pianta,  per- 
chè questa  nel  suo  crescere  prenda  e  conservi  una 
data  forma,  secondo  la  sua  natura  ed  il  genere  di  uti- 
le che  si  vuol  da  essa  ritrarre.  E  qui  l'illustre  au- 
tore ,  il  quale  scrive  per  giovare  la   sua   provincia  , 


Coltura  degli  alberi  mj 

non  già  per  fare  vana  pompa  di  agronomica  dottri- 
na, chiede  perdono  ai  dotti,  protestandosi  che  parla 
a'rustici  agricoltori,  la  più  parte  de' quali  ignora  che 
le  piante  non  solamente  traggono  dal  suolo  per  mez- 
zo delle  radici  il  succo,  con  cui  crescere  e  frutlifi- 
care,  ma  che  inoltre  attirano  alimento  dall'atmosfera 
per  mezzo  delle  foglie:  e  che  quindi  a  più  facilmen- 
te persuadere  i  villici  di  questa  verità  ,  dalla  quale 
dehbono  dipendere  le  regole  del  polare,  invece  di  ri- 
ferire teoriche  della  vegetazione  estratte  da'libri,  sti- 
ma doversi  prevalere  di  osservazioni  pratiche  ;  colle 
quali,  ottener  possa  che  il  potatore  ben  ammaestrato 
impugni  il  suo  ferro  ,  e  questo  ferisca  per  arrecare 
alle  piante  miglioramento  e  salute,  e  non  già  distru- 
zione e  morte.  Non  omette  poi  in  questo  articolo 
il  nostro  autore  di  parlare  eziandio  delle  selve  cedue. 
Si  continua  pure  a  trattare  della  potatura  nel  se- 
guente articolo  4-°?  indicandovisi  altre  maniere  di  ese- 
guire questa  operazione,  nonché  il  tempo  opportuno 
a  praticarla:  e  singolarmente  vi  si  ragiona  de' giardi- 
ni, ricordandovisi  quelli  che  si  denominarono  cinesi, 
perchè  di  tal  modo  se  ne  trovarono  in  quell'  antico 
impero,  ed  i  giardini  che  chiamaronsi  inglesi  perchè 
imitanti  quelli,  di  che  i  signori  britanni  fecero  or- 
namento ai  lor  signorili  castelli;  e  l'autore,  dandovi 
saggio  della  sua  erudizione,  vi  ricorda  antichi  e  ma- 
gnifici giardini,  anche  con  orti  botanici,  che  furono 
nella  Italia  in  vicinanza  di  grandi  città  o  splendida- 
mente stabiliti  da'  principi.  E  piacemi  il  consiglio 
che  vi  si  dà  a'doviziosi  gentiluomini  di  procacciarsi 
innocente  e  pura  delizia  e  godimento  nella  coltura 
de'giardini,  ammirando  nella  tanta  e  sì  pittoresca  va- 
rietà delle  foglie,  de' fiori  e  delle  fruita,  la  bontà  e 


20  Scienze 

la  sapienza  del  divino  creatore.  E  pare  a  me  che  fa- 
rebbero pur  bene  i  ricchi  signori,  se  alcuna  volta  in- 
vece de'cocchi  e  de'  cavalli  vagheggiassero  gli  aratri 
e  gli  utili  buoi  ,  che  sudano  a  solcare  i  lor  campi, 
e  cangiassero  colla  libera  e  purissima  aria  delle  col- 
line lo  stagnante  e  contaminato  aere  de'chiassuoli  e 
viottoli  cittadineschi  ,  e  preferissero  talvolta  alle  di- 
pinte scene  de'notturni  teatri  la  prospettiva  bellissi- 
ma delle   ridenti  ed  amene   campagne. 

Argomento  del  5.°  articolo  è  la  maggiore  possi- 
bile moltiplicazione  delle  piante  ;  ed  avvisando  l'au- 
tore che  l'agiatezza  di  un  popolo  dipenda  dal  posses- 
so del  maggior  numero  di  piante,  che  somministrano 
cibo  e  materiali  alle  abitazioni  ed  alle  arti,  vorreb- 
be che  i  magistrati,  le  società  economiche,  le  acca- 
demie efficacemente  cooperassero  a  dar  favore  e  pro- 
movimento alle  più  utili  piantagioni  :  e  che  i  terre- 
ni addetti  all'esperienze  di  siffatti  corpi  scientifici  si 
convertissero  di  vivai  di  alberi ,  per  dispensarne  po- 
scia i  piantoni  non  già  ai  privati,  ma  sì  bene  ai  pub- 
blici stabilimenti  ed  ai  comuni,  i  quali  dovrebbero  ri- 
cuperare gli  spazi  ed  i  fossati  intorno  i  paesi  ,  per 
lo  più  usurpati  da'vicini,  e  formarne  passeggi  ornati 
di  alberi.  E  vorrebbe  pure  che  a  cura  de'comuni  si 
guarnissero  di  piante  i  margini  delle  strade;  ed  espri- 
me sentimenti  di  grato  animo  al  direttore  generale  di 
ponti  e  strade  per  alcune  piantagioni  di  pioppi,  sa- 
lici ed  ontani  da  lui  fatte  eseguire  sulle  rive  del  Vo- 
mano,  del  Salino  e  della  Piomba.  Catone,  dice  il  no- 
stro autore,  classificava  i  vantaggi  delle  varie  colture 
in  una  scala  ;  ma  questa  non  è  adattata  per  tutti  i 
paesi  :  ogni  proprietario  dee  farsela  colla  scorta  della 
esperienza,  lasciando  che  declamino  i  precettisti  ;  e 


Coltura  degli  alberi  21 

addita  come  questa  scala  debb'essere  ordinariamente 
fissata  in  quella  provincia.  Avverte  i  proprietari  coi- 
rne alcuni  generi  van  perdendo  pregio  ognor  più,  e 
come  per  ciò  faccia  loro  mestiere  di  procacciarsi  una 
compensazione  a  questo  danno  nell'armento  e  nel  bo- 
sco: facendo  loro  considerare  che  un  capitale  di  le- 
gname costituisce  per  essi  un  fondo  prezioso  di  ri- 
serbo. Osserva  poi  il  signor  Palma  come  si  accresca 
grave  danno  traendosi  dall'estero  anche  il  legname  , 
orachè  per  lo  smodato  introdursi  di  ogni  maniera  di 
peregrine  manifatture  pagasi  agli  stranieri  tant'oro  in 
acquisto  di  oggetti,  che  vendono  non  solamenle  alla 
classe  de'nobili  e  de'ricchi,  ma  eziandio  alla  grande 
massa  del  popolo  inferiore:  facendo  belle  ed  utili  con- 
siderazioni intorno  a  questo  passivo  e  dannoso  com- 
mercio, il  quale  forma  una  piaga  che  rode  la  nazio- 
nale prosperità,  e  da  cui  dee  ripetersi  pure  l'avvili- 
mento de'lavori  nostrali,  e  quindi  le  inoperose  brac- 
cia e  la  conseguitante  miseria. 

Offrendo  a  Pale  un  qualche  fiore,  ci  dà  il  sig. 
Palma  nell'articolo  6.°  del  suo  lodevole  opuscolo  un 
rapido  cenno  sulla  pastorizia,  necessaria  compagna  e 
sostenitrice  dell'agricoltura.  Lo  chiamano  a  questo  ar- 
gomento parecchi  economisti,  i  quali  veduto  l'avvili- 
mento, in  che  caddero  i  prodotti  de'  nostri  terreni, 
ci  vanno  gridando:  «  Rivolgetevi  ad  accrescere  i  vostri 
armenti,  le  vostre  mandrie  :  per  tal  modo  vi  procac- 
cerete una  ricca  sorgente  di  utili  :  ne  avrete  in  mol- 
ta copia  animali  da  lavori  campestri  e  da  trasporti , 
carni  e  pelli,  lane  e  formaggi  !  A  questo  effetto  ac- 
crescete quanto  più  vi  è  possibile  i  prati  naturali  ed 
artefatti.  »  E  ci  van  poi  citando  ad  esempio  gl'ingle- 
si, gli  olandesi,   gli   svizzeri,  i  sardi,   i  dalmati.    No- 


22  Scienze 

tando  il  sig.  Palma  la  differenza  che  passa  fra  il  re- 
gno di  Napoli  e  gli  altri  stati  che  si  propongono  per 
essere  imitati,  osserva  giudiziosamente  ciò  che  meglio 
si  conviene  alla  provincia,  per  la  quale  egli  scrive  : 
e  conchiude  che  quivi  la  pastorizia  non  può  essere 
aumentata  in  se  stessa,  ma  soltanto  progredire  insie- 
me colla  popolazione  e  coll'agricoltura,  come  compa- 
gna di  questa,  e  dandole  e  ricevendone  aiuto;  ed  ag- 
giunge che  male  e  stoltamente  consiglia  chi  vorreb- 
be ricondurci  indietro  a  vedere  atterrati  e  recisi  uli- 
vi, gelsi,  viti,  frutti,  siepi,  perchè  branchi  di  pascen- 
ti bruti  possano  liberamente  ed  a  lor  posta  vagare  , 
siccome  già  a1  tempi  di  barbarici  ed  esiziali  sistemi. 
Nella  conchiusione,  che  mette  fine  all'opuscolo, 
il  sig.  Palma  osserva  con  sentimento  di  compiacenza 
che  in  quella  provincia  l'agricoltura  va  migliorando 
in  tutti  i  rami,  e  specialmente  nella  piantagione  di 
alberi  fruttiferi;  ma  che  vi  ha  urgente  bisogno  di  mol- 
tiplicare quelli  da  legname,  e  che  la  pastorizia  si  è 
aumentata  ed  ingentilita  ,  perchè  fatta  compagna  ed 
amica  della  coltivazione  da  nemica  e  rivale,  qual  già 
le  fu  in  altri  tempi.  Facendosi  poi  strada  a  dir  co- 
se di  pubblica  economia  ,  trattovi  dal  desiderio  del 
bene  della  patria,  che  guida  costantemente  la  penna 
di  questo  scrittore,  inculca  die  nell'  adottare  nuove 
manifatture  preferiscansi  le  dozzinali  e  di  uso  più  co- 
mune, avvertendo  che  quivi  le  arti  non  sono  già  con- 
trariate dal  difetto  di  capitali,  di  talenti,  di  attività 
e  di  altri  mezzi,  i  quali  se  credonsi  necessari  da  ta- 
luni scrittori,  per  tali  non  si  riconoscono  da' pratici 
assennati  osservatori,  ma  sì  bene  vi  sono  contrariate 
dalla  concorrenza  di  opere  forestiere.  Se  vogliamo  va- 
lutare il  presente  nostro  stato,  egli  aggiunge  ,  para- 


Coltura  degli  alberi  23 

gemiamolo  col  passato,  e  non  già  con  quello  dì  stra- 
nieri popoli,  i  quali  due  secoli  prima  incamminaron- 
si  sulla  via  delle  industrie  e  de'traffichi ,  e  che  pur 
essi  cominciarono  con  piccoli  mezzi  meschini  intra- 
prese ,  le  quali  poi  col  tempo,  con  leggi  proteggitrici 
e  cogli  stimoli  del  guadagno  crebbero  progressivamen- 
te. Non  dobbiamo  pareggiare  nel  lusso  quelle  nazio- 
ni, cui  non  possiamo  pareggiare  nelle  ricchezze  :  dob- 
biamo tenerci  contenti  de'successivi  graduali  miglio- 
ramenti, e  con  essi  livellare  le  nostre  spese  ,  impe- 
gnandoci concordi  ed  unanimi  per  ottenere  gli  stessi 
miglioramenti.  Allorché  il  possidente  vegga  una  nuo- 
va manifattura  sorta  nella  provincia,  se  ne  allegri  co- 
me di  un  vero  e  nuovo  utile  venutogli  nelle  sue  ren- 
dite: e  quindi  proteggala  quanto  più  egli  può  ,  pre- 
ferendo l'uso  di  essa,  ne  si  rechi  a  vergogna  l'indos- 
sare drappi  nostrali,  perchè  men  belli  degli  stranieri. 
E  riporta  il  dotto  scrittore  altre  sue  utili  osservazio- 
ni, che  nell'angustia  di  questo  articolo  non  mi  è  da- 
to di  tutte  accennare,  talune  delle  quali  tratte   op- 
portunamente dalla  storia.  Noi  grandemente  ci  con- 
gratuliamo col  sig.    Palma  per  questo  suo  pregevole 
scritto  a  lui  dettato  dal  nobilissimo  desiderio  di  gio- 
vare la  patria,  la  quale  dee  sapergliene  grado.  E  rav- 
visiamo ch'egli  vi  dice  cose  non  solamente  meditate 
negli  ozi  del  suo  gabinetto,  ma   verificate  colle  cam- 
pestri esperienze    e   colle    proprie    osservazioni   nella 
pratica  ;   e  si  fa  ad  esporre  i  suoi  precetti  colla  mag- 
giore chiarezza,  perchè  ognuno  possa  trarne  profitto, 
spogliandoli  a  tal  fine  di  ogni  pompa  scientifica.  Sap- 
piamo che  questo  gentile  e  dotto  signore   passa  una 
parte  dell'anno  in  una  sua  campagna  ,  e  quivi  dili- 
gentemente dà  opera  agli   studi   agrari  :  que'gentiluo- 


^4  Scienze 

mini  che  vorranno  imitarlo,  accoppieranno  l'utile  al 
dilettevole.  E  qui  piacemi  di  osservare  come  in  Te- 
ramo, capoluogo  della  provincia  ,   cui  si    riferisce    la 
scrittura  del  sig.   Palma,  non  poche  opere  di  agricol- 
tura a  questi    ultimi   tempi  si  pubblicarono  ;    il  che 
rende  testimonianza  che  in  quella  città  coltivatisi  le 
più  utili  scienze.  L'avvocato  Giovan  Francesco  Nar- 
di vi  stampò  i  Saggi  sulV agricoltura,  arti  e  com- 
mercio della  provincia  di  Teramo:  l'abate  Berardo 
Quartapelle  vi  mise  in  luce  i  suoi  Principii    della 
vegetazione  applicati  alla   vera   arte  di  coltivare 
la  terra  per  raccorre  dalla  medesima  il  maggior 
possibile  fratto  :   vi    scrisse  il  commendatore    Mel- 
chiorre Delfico  Sulla  coltivazione  del  riso  nella  pro- 
vincia di  Teramo  e  su  di  altri  oggetti   spettanti 
alV  agricoltura  :  il  marchese   Gianfilippo  Delfico  vi 
trattò  Della  conservazione  e  riproduzione  de1  bo- 
schi :  1'  avvocato  Giacinto  Armellini  ,  presidente  in 
quella  città  del  tribunale  civile,  vi  pubblicò  he  leg- 
gi protettrici  dell'  agricoltura,  ossia  V  agricoltura 
considerata  sotto  il  rapporto  del  dritto  romano  e 
delle  leggi  del  regno  delle  due  Sicilie:  Ferdinan- 
do Mozzetti  vi  mise  alle  stampe  un    Saggio   d1  in- 
fluenze meteoriche  e  del  clima    sulV  agronomia  , 
sulla  pastorizia  e  su  i  rami  diversi  di  economia; 
ed  ora  il  sig.  Palma  vi  ha  dato  in  luce  il  pregevole 
opuscolo,  che  ha  formato  l'argomento  del  presente  ar- 
ticolo.    Continui  questo  egregio  e  dotto   gentiluomo 
ne'suoi  nobili  studi,  e   con  essi  procaccisi  alcun  con- 
forto al  dolore  venutogli  dalla  morte  accaduta  di  cor- 
to del  suo  chiarissimo  fratello  don  Niccola  Palma,  ca- 
nonico della  cattedrale  aprutina,  dottor  di  leggi,  so- 
io  dell'  instituto   di  corrispondenza    archeologica   di 


Coltura  degli  alberi  25 

Roma  e  del  regale  instituto  d'incoraggiamento  di  Na- 
poli, ed  autore  lodato  di  varie  opere  e  singolarmen- 
te della  eruditissima  Storia  ecclesiastica  e  civile 
della  regione  più  settentrionale  del  regno  di  Na- 
poli: della  quale  storia  io  stesso  ebbi  già  il  piacere 
di  fare  in  questo  medesimo  giornale  meritata  ed  ono- 
revole menzione. 

Giacinto  Cantalamessa  Carboni. 


Il  nuovo  carcere  ed  il  pubblico  macello 
eretti  in  Viterbo. 


Xm.llorcliè  si  ergono  monumenti  di  belle  arti,  e  sta- 
bilimenti di  utilità  pubblica  di  qualche  entità,  è  op- 
portuno di  darne  cognizione  anche  ai  lontani,  acciò 
nelle  contingenze  d'imprese  analoghe  o  profittino  de' 
compensi  artistici  e  morali  in  essi  posti  in  uso  ,  o 
v'introducano  correzioni,  riforme  e  migliorìe;  ed  ac- 
ciò che  gli  autori  si  abbiano  il  plauso  degli  assenti 
come  de'  presenti.  Adesivamente  a  tali  massime  amia- 
mo annunciare  due  monumenti  innalzati  in  Viterbo , 
cioè  il  nuovo  carcere  già  compiuto,  ed  il  macello  pub- 
blico prossimo  ad  esserlo:  i  quali  ci  sembrano  meri- 
tare qualche  osservazione  dalle  persone  intelligenti  di 
tal  sorte  di  opere.  Ne  dissimuleremo  che  a  tali  cau- 
se di  pubblicazione  concorre  pur  anco  quella  specie 
di  ambizione  patria  di  mostrare  che  questa  città  tro- 


25  Scienze 

vasi  nello  stadio  d'emulazione  colle  principali  dello 
stato  pontificio,  per  promovere  ed  accrescere  gli  agi 
de'suoi  abitanti  ed  il  decoro  civico. 

La  forma  delle  prigioni   ed  il  sistema   da  pra- 
ticarsi co'detenuti  è  un  argomento  che  da  più  anni 
occupa    vivamente  i  governi  ed  i  filantropi ,   e  lun- 
ghe discussioni  han  luogo  tuttora  sul  miglior  metodo 
di  amministrazione  morale  da  farsi  in   esse  (*).  L'A- 
merica ha  somministrato  all'Europa    1'  esempio  delle 
case  penitenziarie,  nelle  quali  i  detenuti  sono  con- 
dannati ad  un  perfetto  isolamento  in  apposite  cellu- 
le: e  con  tal  sistema  si  pretende  non  solo  di  evita- 
re la  corruttela  de'costumi  de'buoni  o  men  cattivi,  la 
quale  ha  luogo  quando  essi  si  trovano  in    consorzio 
abituale  coi  viziosi  e  malvagi  ,  ma  pur  anco  di  mo- 
ralizzarne lo  spirito.    L'  Inghilterra   volle    migliorare 
l'asprezza  di  tanta  solitudine:  ma  sostituì  ad  essa  nel 
consorzio  il  silenzio.  In  Francia  non  son  concordi  le 
opinioni  su  i  pretesi  vantaggi  morali  ed  umanitari  di 
tali  metodi:  e  vuoisi  da  alcuni  che  la  salute,  e  per- 
fino le  facoltà  intellettuali  de'detenuti,  sotto   tale  re- 
gime soffrano  considerabilmente.  Frattanto  il  sovrano 
di  Piemonte,  avendo  aperto  un  concorso  pel  disegno  di 
un  carcere  di  tal  natura,  ha  ottenuto  un  numero  con- 
siderabile di  disegni,  fra*i  quali  quello  prescelto,  e  spe- 
cialmente esaminato  ed  approvato  dallo    stesso  sovra- 
no, fu  prontamente  mandato  ad  esecuzione.il  gover- 
no pontificio  ,  in  cui  il  sistema  carcerario  da  lunga 
epoca  stabilito  meritò  già  l'elogio  degli  oltremontani, 


(¥)  In  proposito  è  degua  di  rimarco  l'opera  di  C.  I.  Petitti: 
,,  Della  condizione  attuale  delle  carceri  ec,,  Torino.Pomba  i84o- 


Carcere  e  macello  di  Viterbo  27 

come  quello  che  concilia  l'esigenze  della  giustizia  pu- 
nitiva co'riguardi  dell'umanità,  non  sembra  persuaso 
della  superiorità  de'vantaggi  dell'invenzione  oltrema- 
rina, ed  ama  conservare  i  metodi,  da  tanta  serie  di 
anni  adottati.  E  ben  vero  però  che  non  tutte  ,  anzi 
poche,  sono  le  prigioni  delle  città  subalterne  dello 
stato,  le  quali  per  la  loro  forma,  posizione  ed  am- 
piezza possano  ben  corrispondere  alle  condizioni  preac- 
cennate, e  non  diano  luogo  a  querele  e  ad  inconve- 
nienti di  vario  genere.  Sovente  i  processanti  si  la- 
gnano, perchè  alcuni  inquisiti  non  possono  essere  con- 
venientemente separati  dai  loro  complici,  onde  preve- 
nire fra  essi  i  concerti  che  giungono  ad  eludere  le  fiscali 
investigazioni  :  sovente  reclamano  i  custodi  per  la  po- 
ca sicurezza  di  alcune  prigioni,  e  l'opportunità  che 
queste  presentano  alla  evasione  dei  detenuti  anche 
con  modici  sforzi  ed  artificii  :  altri  reclamano  contro 
l'insalubrità  de'locali,  la  mancanza  di  luce  e  di  aria 
pura,  l'accumulamento  di  gas  e  vapori  perniciosi,  la 
mancanza  di  salubri  infermerie  pe'  maiali.  Queste  e 
più  altre  querimonie  si  elevano  relativamente  alle  ma- 
teriali condizioni  delle  prigioni,  ma  tante  volte  inu- 
tilmente. 

Le  prigioni  della  città  di  Viterbo  presentavano 
forse  tutti  gl'inconvenienti  prodotti  per  l'angustia  e 
l'irregolarità  del  locale  e  per  la  stessa  sua  topogra- 
fica posizione.  Anzi  sotto  tale  rapporto  riuscivano  som- 
mamente indecenti:  poiché  erano  situate  nel  centro, 
nella  più  nobile  e  decorosa  situazione  della  città,  pres- 
so il  palazzo  comunale,  sulla  bella  contrada  di  s  tra- 
da  romana  e  sulla  maestosa  piazza  del  comune,  ove 
han  luogo  d'ordinario  i  pubblici  spettacoli  ed  il  pub- 
blico passeggio:  e  quindi  gli  spettatori  ed  i  passanti 


28  Scienze 

erano  rattristati  dalle  ferree  griglie,  dal  triste  suono 
delle  catene,  dall'aspetto  e  delle  lagnanze  querule  dei 
detenuti,  e  dal  fetore  che  sboccava  da  quelle  sordi- 
de aperture.  La  poca  sicurezza  delle  rinchiuse,  de'mu- 
ri  e  dei  tetti,  i  non  rari  casi  di  sfasci  e  di  evasioni, 
ponevano  in  frequente  apprensione  gli  abitanti  della 
città  e  gl'interessati  nella  parte  fiscale:  e  nell'estiva 
stagione  insorgevano  pur  timori  di  sviluppo  di  ma- 
lattie esiziali,  che  talvolta  si  sono  realizzati.  Da  lun- 
ga epoca  queste  circostanze  eccitavano  querele  ed  in- 
quietudini: ma  senza  alcun  risultamento. 

Era  riserbato  all'eccellenza  di  monsignor  D'An- 
drea, delegato  apostolico  della  provincia  viterbese,  ii 
soddisfare  a  tanti  bisogni  e  porre  un  termine  a  tanti 
inconvenienti.  Si  deve  alla  sua  attività,  genio  e  per- 
severanza, se  ottenute  le  opportune  facoltà  dall'emi- 
nentissimo  pro-prefetto  dell'erario,  in  breve  tempo  fu 
condotta  a  compimento  la  fabbrica  di  uno  stabilimen- 
to che  meno  per  l'ampiezza,  che  per  la  filosofica  di- 
stribuzione degli  ambienti,  secondo  lo  spirito  del  tem- 
po e  del  luogo,  merita  di  esser  dedotto  a  cognizione 
anche  de'meno  prossimi.  A  far   comprendere  però  il 
criterio,  col  quale  si  è  proceduto  nel  metodico  ripar- 
to degli  spazi ,  giova  di  epilogare  lo  scopo  e  la  de- 
stinazione speciale  dell'edificio,   prima  di  presentarne 
una  sommaria  descrizione. 

Le  carceri  de'capo-luoghi  di  provincia  nello  sta- 
to pontificio  sono  destinate  alla  reclusione  di  quei, 
j.°  che  prevenuti  di  crimini  soggiacciono  agli  atti  in- 
quisitorii,  ed  attendono  il  giudizio  del  tribunale  : 
2.0  che  debbono  espiarvi  una  pena  giudizialmente 
pronunciata,  importante  la  detenzione  semplice  a  te- 
nore delle  leggi  penali:  3.°  che  sottostanno  a  misure 


Carcere  e  macello  di  Viterbo  2q 

e  coercizioni  in  linea  di  polizia:  4-°  che  non  possono 
soddisfare  i  debiti  civili  validamente  contratti:  5.°  che 
attendono  di  essere  trasportati  altrove  per  espiare  pene 
più  gravi  del  semplice  carcere,  alle  quali  sono  stati 
condannati.  Ora  in  queste  carceri  conviene  por  men- 
te in  ispecial  modo  alle  seguenti  esigenze  : 

i.°  Che  gli  ambienti  de' detenuti  siano  salubri 
al  più  alto  grado,  e  che  la  salute  non  vi  soffra  al- 
cun detrimento. 

2.0  Che  sopravvenendo  infermità  in  alcuno  dei 
prevenuti  ,  sia  egli  assistilo  e  medicato  con  tali  ri- 
guardi, che  concilino  i  diritti  dell'umanità  con  quelli 
della  giustizia. 

3.o  Che  siano  prestati  a  tutti  i  mezzi  convenien- 
ti per  ricevere  i  conforti  e  le  istruzioni,  ed  adempiere 
i  doveri  di  religione. 

4-°  Che  non  sìa  comunicato  il  mal  costume  e 
le  prave  massime  dall'  un  individuo  all'  altro  ,  o  da 
una  classe  di  detenuti  ad  un'  altra. 

5.°  Che  niun  inquisito  possa  corrispondere  coi 
suoi  complici  od  interessati  ,  ad  eludere  le  indagini 
fiscali  tendenti  allo  scoprimento  de'fatti  criminosi. 

6.°  Che  sia  prevenuta  ogni  possibilità  di  artifi- 
cio o  violenza  per  l'evasione  dei  detenuti  dal  carcere. 

Sarebbe  lunga  opera  1'  esporre  minutamente  le 
parti  amminicolari  della  fabbrica,  praticate  per  sod- 
disfare a  tali  esigenze:  quindi  ci  contenteremo  di  pre- 
sentarne una  breve  descrizione.  La  fabbrica  del  car- 
cere adunque  è  situata  in  un  estremità  della  città 
presso  l'antica  rocca,  ed  è  di  forma  quadrilunga,  cioè 
di  romani  palmi  3 20  (  met.  64  )  sopra  60  (  met.  14  ): 
della  quale  uno  de'maggiori  lati  formante  il  prospetto 
si  estende  sulla  prateria  detta  di  sallupar  a  ,  l'altro 


3o  Scienze 

posteriore  vien  formato  dal  muro  castellano  fiancheg- 
giato da  ampio  barbacane  o  muro  di  precinzione. 
Il  prospetto  presenta  l'idea  della  semplicità,  dell'au- 
sterità e  della  robustezza:  ed  è  diviso  da  otto  gran 
pilastri,  che  dal  suolo  si  elevano  a  sostenere  il  cor- 
nicione del  tetto.  Nel  mezzo  la  porta  vien  formata 
da  un  solido  bugnato  di  peperino  (  pietra  vulcanica 
del  luogo  )  sormontato  da  un'  iscrizione  ,  che  ram- 
menta le  circostanze  che  determinarono  la  fabbrica, 
e  chi  ne  promosse  e  sostenne  l'esecuzione.  Il  rima- 
nente della  superficie  prospettica  è  occupata  da  fi- 
nestre regolarmente  disposte,  e  munite  di  opportune 
inferriate  e  gelosie. 

Penetrando  nell'arabo  (  pai.  io  ),  nel  primo  pia- 
no trovasi  un  robusto  cancello  di  ferro,  per  cui  si  per- 
viene ad  un  corridoio  (palmi  170  X  12)  nel  senso 
della  lunghezza  dell'  edificio ,  dal  quale  volgendosi  a 
destra  vedesi  all'estremità  V altare  pel  culto  divino, 
e  sull'uno  dei  fianchi  due  carceri  segrete,  il  car- 
cere correzionale  e  due  altre  segrete:  e  sulP  altro 
fianco  due  segrete,  il  carcere  pei  ragazzi,  due  al- 
tre segrete,  e  la  porta,  e  la  scala  ascendente  alla 
camera  dei  secondini  corrispoudente  sopra  l'ingresso. 
Posteriormente  poi  all'  altare  ,  ma  senza  comunica- 
zione interna,  esistono  la  cucina  della  fornitura  ed 
altri  ambienti  relativi. 

Volgendosi  dall'arabo  sulla  porta  del  corridoio 
che  prosiegue  a  sinistra,  veggonsi  ai  due  fianchi  due 
segrete*  ed  all'estremità  il  cancello  del  carcere  lar- 
go  o  galeotta  (  palmi  18  X  5o  ).  Questa  da  due  li- 
nee di  quattro  solide  colonne  vien  divisa  in  tre  spa- 
zi longitudinali,  de'quali  i  due  laterali  hanno  murel- 
li  elevati  dal  suolo  palmi  4  Per  collocare  i  paglioni 


Carcere  e  macello  di  Viterbo  3i 

o  stramazzi  pe'detenuti,  ed  in  basso  hanno  i  venti- 
latori per  la  rinnovazione  dell'aria. 

Di  fronte  all'  andito  poi  osservasi  la  scala  di 
ascenso  al  piano  superiore,  nel  quale  a  destra  pre- 
sentasi una  corsìa  avente  in  fondo  una  segreta,  in 
un  fianco  l'abitazione  del  custode  consistente  in  una 
sala,  cucina  e  tre  stanze:  indi  il  carcere  per  le 
donne,  indi  quello  pe*  debitori  civili  insolvibili,  V in- 
fermeria per  gli  uomini  e  la  stanza  per  V  infer- 
miere. 

A  sinistra  presentasi  altra  corsìa,  sull'un  fian- 
co della  quale  apresi  la  stanza  del  secondino  ,  il 
quale  mediante  una  finestra  interna  sorveglia  tutta  la 
galeotta.  Prosiegue  una  segreta,  Yinfermeria  delle 
donne,  Yinfermeria  suppletoria  per  gli  uomini,  la 
sala  della  visita  de' carcerati,  due  camere  pei  mi- 
nistri processanti,  e  due  altre  per  gli  atti  di  reli- 
gione, conforteria  ec. 

Lungo  un  lato  delle  due  corsie  è  praticato  il 
guardaroba  o  i  locali  per  la  fornitura  carceraria,  e 
per  gli  oggetti  de'detenuti  ec.  ec. 

Finalmente  all'estremità  della  corsia  prossima  alle 
stanze  per  gli  atti  di  religione  esiste  uno  speciale 
ingresso  con  cancello  di  ferro  e  scala  esterna,  con 
altri  ambienti  ed  attinenze,  latrine  ec.  (pai.  26x60). 
Or  per  dimostrare  in  qual  guisa  si  è  creduto  sod- 
disfare alle  sopraccennate  esigenze,  osserveremo:  i.°  che 
circa  alla  salubrità  del  locale,  le  segrete  (  nelle  quali 
l'aria  è  d'ordinario  più  stagnante  e  contaminante  )  so- 
no collocate  circa  palmi  4  sopra  il  livello  del  cor- 
ridoio, ed  hanno  una  superficie  di  260  palmi  qua- 
drati almeno,  e  l'altezza  di  oltre  palmi  ì>5:  cosicché 
cadauna  di  esse  contiene  oltre  65oo  palmi  cubici  di 


32  Scienze 

aria,  spazio  ben  sufficiente  alla  respirazione  incolu- 
me di  più  individui.  Sono  esse  pavimentate  di  lastre 
di  peperino  coperte  di  volta,  intonacate  tutte  di  bian- 
ca calce,  ed  illuminate  da  finestre  nella  più  alta  ed 
inaccessibile  parte  delle  pareti  o  volte,  ed  aventi  una 
superficie  lucida  di  circa  20  palmi  quadrati.  Non  so- 
no state  praticate,  come  nelle  anticbe  prigioni,  le  la- 
trine particolari,  delle  quali  si  sono  rilevati  i  grandi 
inconvenienti,  tanto  per  l'opportunità  die  talora  pre- 
sentano all'evasione  dei  detenuti,  quanto  per  le  comu- 
nicazioni verbali  a  danno  delle  inquisizioni,  e  per  le 
mefitiche  esalazioni  perniciose  all'  umana  salute.  Si 
sono  in  vece  posti  in  uso  vasi  esattamente  chiusi,  che 
ogni  giorno  si  sgombrano  e  tergono. 

2.0  Circa  i  riguardi  per  gl'infermi  osserveremo, 
che  speciali  locali  sono  stati  stabiliti  per  essi  nella 
parte  più  elevata  e  salubre  dell'edificio.  L'infermiere 
è  ad  essi  prossimo  per  ogni  occorrenza.  Si  è  stabili- 
ta un'  infermeria  suppletoria  per  gli  uomini,  pel  ca- 
so in  cui  l'inquisizione  non  permettesse  che  compli- 
ci e  cointeressati  in  causa  rimanessero  nello  stesso  lo- 
cale, o  lo  sviluppo  di  malattia  contagiosa  esigesse  una 
cautelata  simile  separazione. 

3.°  Per  l'adempimento  de'doveri  di  religione  si  è 
stabilito  l'altare  in  guisa,  che  tutti  i  detenuti  possa- 
no vedere  od  udire  la  s.  messa  e  le  sacre  funzioni; 
poiché  l'altare  trovasi  in  un  punto  quasi  panoseopi- 
co.  Per  le  confessioni  poi  e  per  le  speciali  istruzio- 
ni spirituali  di  una  parte  dei  detenuti  sonovi  came- 
re, come  dimostrammo,  appositamente  destinate. 

4-°  Quanto  all'isolamento  de'singoli  detenuti,  os- 
sia al  sistema  cellulare  e  penitenziario  tanto  proclama- 
to per  prevenire  la  diffusione  dell'  immoralità  fra  la 


Carcere  e  macello  di  Viterbo  33 

massa  de'prigionieri,  e  per  influire  una  pena  nello  spi- 
rito atta  a  far  ponderare  l'utilità  della  buona  condotta, 
non  si  è  convinta  l'autorità  governativa  che  i  van- 
taggi di  esso  sistema  fossero  evidentemente  maggiori 
degli  inconvenienti  che  pur  produceva.  Quindi,  anche 
adesivamente  all'  uso  fin  qui  mantenuto  nello  stato 
pontificio,  nel  carcere  di  cui  parliamo  si  è  adottata 
solo  una  specie  d'isolamento  dei  detenuti  durante  la 
inquisizione,  alla  quale  vanno  soggetti;  al  quale  og- 
getto son  posti  in  apposite  segrete,  ma  d'ordinario  non 
affatto  soli.  Nel  resto  le  classi  di  varie  specie  di  de- 
tenuti sono  collocate  in  diversi  locali.  Non  si  è  pra- 
ticata una  maggior  suddivisione  e  separazione,  anche 
sul  riflesso  che  la  detenzione  non  è  d'ordinario  assai 
lunga,  e  coloro  che  sono  condannati  a  lunghe  pene 
sono  trasportati  ai  bagni  ed  alle  grandi  case  di  forze. 
In  ogni  modo  i  locali  che  qui  contengono  molti  de- 
tenuti, e  principalmente  la  galeotta,  sono  accurata- 
mente sorvegliati:  ed  i  soggetti  perniciosi  per  le  loro 
massime  e  vizi  sono  all'occorrenza  separati. 

5.°  Si  è  avuto  in  considerazione  particolare,  che 
le  inquisizioni  criminali  non  venissero  impedite  o 
deluse  col  mezzo  di  comunicazioni  o  scritte  o  ver- 
bali fra  complici  od  interessati:  ed  a  tale  oggetto  le 
segrete  sono  state  collocate  in  vari  e  distinti  punti 
dell'edificio,  acciò  neppur  le  voci  de'complici  si  oda- 
no scambievolmente.  Così  le  finestre  delle  segrete,  per 
la  loro  forma  ,  posizione  e  mecanismo,  impediscono 
ogni  specie  di  corrispondenze  cogli   esteri. 

6.°  Finalmente  la  solidità  delle  mura,  delle  vol- 
te, delle  porte,  delle  inferriate,  unite  alla    vigilanza 
de'custodi,  garantiscono  a  sufficienza  l'inevasibilità  dei 
detenuti,  gli  sfasci,  i  rapimenti  delle  chiavi  ec. 
G.A.T.LXXXV1I.  3 


34  Scienze 

Siccome  però  ogni  opera  umana  è  soggetta  ad 
un'  ulteriore  perfezione  ,  e  noi  non  siamo  nudi  en- 
comiatori dello  stabilimento  carcerario  di  Viterbo,  ci 
facciamo  lecito  di  osservare:  Che  il  soverchio  nume- 
ro dei  detenuti  riunito  nella  galeotta  non  è  affatto 
senza  qualche  apprensione:  e  quindi  quel  locale  po- 
trebbe agevolmente  dividersi  con  muro  intermedio  in 
due  o  più  ambienti:  Che  sarebbe  opportuno  qualche 
ventilatore  anche  nelle  segrete,  per  rinnovare  l'aria 
almeno  in  qualche  ora  del  giorno  :  qualora  a  ciò  fa- 
re non  si  opponga  la  riflessione,  che  per  le  canne  di 
essi  possa  comunicarsi  la  voce  dall'esterno  :  Che  sa- 
rebbe opportuno  racchiudere,  come  adiacenza  del  car- 
cere, il  prato  di  sallupara  che  si  estende  innanzi  il 
prospetto,  e  collocarvi  un  corpo  di  guardia  anziché 
una  semplice  sentinella.  Ad  onta  di  queste  addizio- 
ni che  noi  proponiamo,  e  qualche  altra  che  da  altri 
potrebbe  proporsi,  crediamo  che  il  nuovo  carcere  di 
Viterbo  possa  servire  di  modello  e  norma  nella  co- 
struzione di  simili  edilìzi,  e  che  lode  somma  si  deb- 
ba a  S.  E.  monsig.  D'Andrea,  che  ne  meditò  e  ne 
concepì  l'idea,  ed  al  sig.  Vincenzo  Federici  di  Viter- 
bo, ingegnere  in  capo  di  acque  e  strade  della  dele- 
gazione, che  ne  delineò  in  carta,  e  ne  diresse  il  mate- 
riale adempimento. 

La  iscrizione,  di  cui  abbiamo  di  sopra  fatto  cen- 
no, è  la  seguente  : 


Carcere  e  macello  di  Viterbo  35 

TlRTVTI    .    ET     .    HONORI 

GREGORI  .  XVI  .  P  .  M  .  PRINCIPIS  .  CLEMENTISS. 

qvod  .  anno  .  x  .  sac  .  princip. 

Avctore  .  Antonio  .  tosti  .  patre  .  card  .  aer  .  pko  .  praef. 

cvra  .  instant1aq  .  hieronymi  .  db  .  andrea  .  ant1stitis 

praefecti  .  frov  .  viterb  .  praet  .  pot. 

carcerem  •  angvstvm  .  sqvalentem  .  e  .  media  .  vrbe  .  dimoveri 

et  .  ampliorem  .  salvbrioremq  .  heic  .  extrvi  .  ivss1t 

ordo  .  et  .  popvlv3  .  viterb  .  voto  .  svscipto  .  m  .  p. 

Una  grande  turpitudine  esisteva  nella  città  di 
Viterbo  ,  che  più  osservabile  si  rendeva  nelT  attuale 
progresso  della  civiltà  e  decoro  pubblico:  cioè  1'  ar- 
bitraria mattazione  di  buoi,  vacche,  porci,  agnelli  ec. 
in  ogni  luogo  che  restava  comodo  agli  spacciatori  di 
carni  ,  pizzicagnoli  ed  anche  particolari.  Sovente  le 
vie  e  le  piazze  vedevansi  perciò  contaminate  da  san- 
gue ed  immondizie,  ed  ammorbate  col  fetore.  A  por- 
re un  termine  a  tale  inconveniente  si  concepì  l'idea 
di  un  pubblico  ammazzatoio  o  macello  ,  ove  tutti 
gli  animali  suespressi  ed  analoghi  fossero  uccisi  e 
mondati  ,  indi  inviati  ai  luoghi  di  smercio  od  alle 
case  particolari.  Il  locale  per  un  tale  stabilimento 
era  stato  dalla  civica  magistralura  destinato  nel  pia- 
no di  Taule,  posto  fra  la  collina  del  duomo  e  quel- 
la della  Trinità,  e  prossimo  alle  mure  castellane  ed 
alla  porta  della  città  che  apresi  alla  via  di  Tosca- 
nella.  Il  luogo  non  ha  prossime  abitazioni,  ma  è  vi- 
cino alla  parte  più  popolosa  della  città:  e  perciò  con- 
venientissimo  all'uopo.  Ivi  scorre  il  fiumicello  Are- 
ione,  che  nell 'intraprendersi  la  fabbrica  qualche  an- 
no indietro  fu  diviso  in  due  rami,  per  dar  luogo  nel 
mezzo  di  essi  alla  fabbrica.  Appena  però  essa  fu  in- 


30  Scienze 

tra  presa,  venne  interrotta  da  imprevisto  circostanze: 
lincile  la  prelodala  eccellenza  di  monsig.  D'Andrea  non 
eccitò  ed  agevolò  il  proseguimento  ,  che  oggi  si  ap- 
prossima al  compimento,  e  permette  di  annunciarne 
la  descrizione.  Noi  crediamo  che  anche  quest'edificio 
possa  servir  di  norma  per  simili  stabilimenti,  per  la 
giudiziosa  distribuzione  degli  ambienti  ,  per  la  co- 
modità delle  varie  mattazioni ,  e  per  l'eleganza  ed 
euritmìa. 

Consiste  adunque  l'edificio  in  un  rettangolo  e- 
steriore,  o  muro  di  recinto,  di  palmi  280  sopra  140 
(  met.  55,  6  X  3o,  8  )  alto  palmi  i3  (  met.  2,  9  ). 
Il  prospetto  su  di  uno  de'maggiori  lati  presenta  un 
portone  d'ingresso  ed  altro  di  egresso,  posti  nelle 
due  metà  di  esso,  ai  quali  si  perviene  mediante  ponti 
siili'  Areione,  ed  una  iscrizione  intermedia.  Al  lato 
di  cadami  portone  è  una  stanza  pel  custode  o  por- 
tinaio, e  pel  controllo  delle  bollette  per  l'andamen- 
to regolare  dello  stabilimento. 

Entrando  il  portone  d 'ingresso  trovasi  un  cor- 
l'idoio  largo  pai.  12,  ricorrente  tutto  all'intorno  del 
principal  fabbricalo,  che  comprende  tre  distinti  mat- 
tatoi ,  cioè  i.°  quello  del  bestiame  pecorino  e  ca- 
prino :  2.0  quello  del  bestiame  vaccino  :  3.°  quello 
del  bestiame  porcino.  Questi  tre  mattatoi  costituisco- 
no un  edificio  rettangolare  di  266  sopra  u3  palmi, 
di  cui  l'altezza  nel  punto  medio  culminante  è  di  pal- 
mi 4°- 

^ingresso  al  i.°  mattatoio  trovasi  di  fronte  al 
portone  d'ingresso,  e  presenta  una  piazza  quadran- 
golare (  palmi  65  x  54  )  con  una  fontana  di  fac- 
ciata. Nei  due  lati  opposti  di  questa  piazza,  cioè  nel 
lato  dell'ingresso  ed  in  quello  della  fontana,  sono  sta- 


Carcere  e  macello  di  Viterbo  37 

bilite  quattro  rinchiuse  per  le  pecore  e  per  capre  da 
uccidersi  :  e  nel  lato  intermedio  sono  gli  stanzoni 
per  iscannare,  scorticare  e  mondare  gli  animali  pre~ 
detti,  essendovi  all'oggetto  gli  apparati  e  copia  cV 
acqua  occorrenti.  Nel  quarto  lato  poi  delle  piazze 
apresi  il  passaggio  al  2.0  mattatoio. 

E  questo  formato  di  un  ambulacro  con  due  ca- 
nali di  pietra   ai  lati,   ove  scorre  l'acqua  per  aspor- 
tare il  sangue   e   le  immondezze  degli  animali  uccisi. 
Cinque  sono  in  cadaun  lato  i  locali  destinati  alla 
macellazione  coi  respettivi  arnesi,  divisi  da  pilastri 
e  cancelli  :  posteriormente  poi  ,  ad  ogni  locale  evvi 
una  rimessa  per  ritenere  le  bestie  di  cadaun  proprie- 
tario. In  queste  rimesse  poi,  che  hanno  l'ingresso  dal- 
la parte  del  corridoio,  si  fanno  entrare  in  prima  le 
bestie,   sovente  assai  fiere,  con  ispeciale  artificio.   Le 
porte  delle  rimesse  sono  appunto  tanto  larghe,  quan- 
to il  corridoio  (palmi    12):  cosicché    aprendole  a 
metà,  cioè   ad  angolo  retto,  intercettano  il  transito  pel 
corridoio  alla  bestia  sospintavi,  la  quale  perciò  viene 
necessariamente  indotta  ad  entrare  nella  rimessa,  ove 
rimane  fino  all'opportunità  della  mattazione.  Dal  mat- 
tatoio delle  bestie  vaccine,  cioè  dall'ambulacro  pre- 
nominato, si  passa  al  3."  mattatoio  destinato  pei  porci. 
Ha  questo  la  medesima  dimensione,  piazza,  for- 
ma, fontana  ed  ambienti  di  quello  delle  pecore.  L'in- 
gresso corrisponde  di  fronte  al  portone  di  egresso. 
Sono  però  diverse  le  disposizioni  interne  negli  stanzo- 
ni di  mattazione  e  gli  arnesi  :  poiché  i  maiali  non 
si  squoiano,  ma  si  pelano  con  acqua  bollente:  al  qua- 
le   oggetto  vi  sono  praticati  i  fornelli   e  speciali  ap- 
parati. 


38  Scienze 

Mediante  poi  il  portone  di  egi*esso,  le  carni  so- 
no asportate  alla  respettiva  destinazione.  Noi  non  ci 
siamo  occupati  dei  particolari  dettagli  di  questa  fab- 
brica, e  dei  compensi  artificiosi  che  comprende:  ma 
in  genere  ne  annunciamo  la  mirabile  simmetria  e  cor- 
rispondenza delle  singole  parti,  ed  il  vago  spettacolo 
che  presenta  osservata  dall'alto  delle  adiacenti  colli- 
ne, essendo  coronata  di  pioppi  lungo  le  sponde  del- 
XAreione.  Il  disegno  è  dell'architetto  viterbese  sig. 
Pietro  Mascini,  che  ne  dirige  altresì  il  lavoro. 

Questi  due  stabilimenti  pubblici  ,  che  possono 
considerarsi  anche  come  monumenti  d'arte,  indicano 
che  la  città  di  Viterbo  non  è  inerte  nell'abbellirsi  e 
procurarsi  gli  agi  sociali:  e  se  ci  fosse  lecito  far  plau- 
si ai  progetti  o  di  un  nuovo  teatro  ,  o  del  nuovo 
giuoco  di  pallone,  o  del  pubblico  passeggio  nel  pra- 
to-giardini e  simili  altri,  potremmo  porre  questa  cit- 
tà forse  fra  le  più  belle  d'Italia,  od  almeno  dello  sta- 
to pontificio.  Ma  i  progetti  nel  maggior  numero  abor- 
tiscono: e  noi  ci  contentiamo  per  ora  di  averne  espo- 
sti due  che  vennero  felicemente  alla  luce. 

Viterbo  6  novembre   184.0. 

G.   Camilli. 


% 


Dell'ottica  considerata  come  soggetto  di  poesia. 
Discorso  del  P.  Giuseppe  Giacoletti  delle  scuo- 
le pie  ,  professore  di  eloquenza  nel  collegio 
nazareno,  letto  all'accademia  tiberina  nell'adu- 
nanza del  9  di  novembre    1840. 

Di. 
opoche,  per  servire  all'istituto  da  me  professato, 

ebbi  per  molti  anni  secondo  mie  deboli  forze  det- 
tato filosofia  ;  come  poi  a  cagione  di  novella  chia- 
mata de'  miei  superiori  feci  passaggio  alla  scuola  di 
belle  lettere,  tosto  mi  corse  alla  mente  il  pensiero, 
e  neir  animo  il  desiderio  di  non  lasciar  totalmente 
cader  nell'oblio  quelle  scarse  cognizioni  che  mi  era 
procacciato  nelle  discipline  filosofiche  ;  mentre  ad  un 
tempo  doveva  adoperarmi  di  ammaeslrare  la  gioventù 
nell'oratoria  e  nella  poetica,  se  non  con  lode,  alme- 
no con  quella  assiduità  e  lena  di  spirito  che  non  ve- 
nisse interrotta  ed  affievolita  da  studi  troppo  alieni 
da  queste  facoltà.  Quindi  presi  consiglio  di  volger 
l'animo  alla  poesia  didascalica:  congiungendo  così,  co- 
me meglio  per  me  si  potesse,  i  vecchi  insieme  ed  i 
nuovi  studi.  Al  che  pure  fui  mosso  non  solo  da  quei 
vantaggi  che  reca  all'universale  la  poesia  didascalica, 
già  da  molli  scrittori  considerati  ;  ma  eziandio  dalla 
condizione  particolare  de'  nostri  tempi  ,  ne'  quali  le 
menti  nutrite  in  gran  parte  di  cognizioni  scientifi- 
che, solide  e  profonde,  pare  che  cerchino  puranche 
nella  poesia  non  superficie  ma  profondità,  non  solo 
mera  sposizione  di   effetti  ,  ma  ancora  dimostrazione 


4o  Scienze 

di  cause  :  ed  oltre  a  ciò  una  poesia,  che  tolga  le  sue 
immagini  dai  fenomeni  e  dalle  leggi  naturali,  apre 
una  strada  sicura  e  conciliatrice  da  battersi  in  oggi 
Ira  le  sfrenate  e  gigantesche  fantasticherie  de'roman- 
tici,  e  le  superstiziose  ripetizioni  de'  mitologisti.  Mi 
diedi  pertanto  ad  investigar  meco  stesso  qual  parte  di 
fisica  dovessi  togliere  a  subietto  di  poesia  :  ed  in  ta- 
le ricerca  varie  cose  mi  si  affacciarono  alla  mente. 
Mi  sovvenne  di  quella  osservazione  fatta  da  molti , 
e  singolarmente  dal  celebre  gesuita  Roberti,  che  non 
tutti  gli  argomenti,  ond'è  ricca  la  fisica,  possono  con- 
venientemente cantarsi  dalle  muse:  essendovene  talu- 
ni, i  quali  mancano  di  poetica  bellezza  intrinseca,  ed 
altri  che  non  potrebbero  esprimersi  degnamente  per 
carmi  a  cagione  di  loro  astruse  difficoltà.  Mi  schie- 
rai d'innanzi  alla  memoria  diversi  poemi  didascalici 
scritti  da  celebri  autori,  cominciando  da  Lucrezio  fi- 
no all' Arici  ed  al  Ricci;  e  nel  fare  tal  rassegna  vidi 
che  vasti  campi  ed  ubertosi  rimanevansi  tuttora  a  mie- 
tere in  questa  provincia,  anzi  che  quasi  per  tutto  po- 
trebbe farsi  novella  raccolta,  attesa  la  ognor  crescen- 
te e  variabile  cultura,  di  che  tutto  dì  fioriscono  e  frut- 
tificano le  scienze  naturali,  e  per  cui  cangiano  spes- 
so spesso  di  orizzonte  e  di  prodotti.  Presi  a  consi- 
derare varie  parti  di  fisica  più  abbondevole  a  parer 
mio,  d'immagini  poetiche,  cioè  l'acqua,  l'aria,  il  ca- 
lorico, il  fluido  elettrico:  e  tutte  mi  apparivano  gran- 
diose e  leggiadre.  L'  ottica  però  si  è  quella  che  io 
andava  più  d'ogni  altra  mirando  e  vagheggiando:  per- 
ciocché l' intrinseca  bellezza  poetica  della  medesima 
non  polea  non  colpire  la  mia  immaginazione  (e  qua- 
le immaginazione  non  ne  resterebbe  colpita  ?  )  in  gui- 
sa che,  ove  il   tema  si  fosse  potuto  piegare  al  metro 


Ottica  nella  poesia  4i 

poetico,  non  lo  avessi  dovuto  preferire  ad  ogni  altro. 
Ora  Dante  venne  ad  assicurarmi  della  possibilità  di 
vestire  la  luce  con  forme  poetiche.  Rileggendo  la  di- 
vina commedia,  forse  con  alquanto  più  di  studio  che 
non  ci  avessi  posto  altre  volte,  incontrai  sì  frequen- 
ti e  bellissimi  versi  alla  luce  pertinenti,  che  mi  di- 
mostrarono meno  scabroso,  di  quello  che  a  prima  vi- 
sta mi  si  era  presentato,  il  porre  in  poesia  le   leggi 
ed  i  fenomeni  di  esso  fluido.  Inoltre  mi  stavano  an- 
cora presenti  al  pensiero  due  dissertazioni  da  me  pro- 
nunziate ,  son  pochi  anni  ,  all'  accademia  de'  lincei, 
contenenti  alcun  che  di   nuovo    intorno  a'  fenomeni 
ottici  ,  ed  un'  altra  loro  compagna  che  andava  dise- 
gnando e  preparando  ;  le  quali  mi  teneano  la  mente 
in  tal  guisa  legata  all'ottica,  da  non  potermene  così 
di  leggieri  distaccare.  Fermai  dunque  per  queste  ra- 
gioni di  appigliarmi  alla  poesia  della  luce.   Ed    oggi 
che  mi  reco  ad  onore  di  tener  ragionamento  in  mez- 
zo a  voi,  illustri  soci,  coltissimi  uditori,  mi  sono  ap- 
punto proposto  di  svolgere  le  due   principali  di  sif- 
fatte ragioni:  prendendo  a  dimostrare  in  primo  luo- 
go l'intrinseca  poesia  della  luce;  secondariamente  la 
possibilità  ed  agevolezza  di  esprimere    con    poetiche 
forme  questa  poesia  medesima. 

La  poesia  intrinseca  della  luce  si  è  tale  e  tan- 
ta, che  quasi  starei  in  sul  punto  di  affermare,  la  lu- 
ce non  esser  altro  che  vera  poesia,  o  la  vera  poesia 
nuli' altro  che  luce.  Ed  in  vero,  chi  mai  ignora  che 
tra  le  molte  denominazioni  date  a  questa  sublime  fa- 
coltà, quelle  che  più  spesso  ne  suonano  all'orecchio 
sono  di  raggio  celeste,  di  scintilla,  di  fuoco  anima- 
tore che  l'animo  investe,  lo  illustra,  lo  riscalda  ,  lo 
solleva  al  di  sopra  della  bassa  terra ,  siccome  fiamma 


^.2  Scienze 

che  tende  smaniosa  verso  le  alte  regioni  dell'  aere  ? 
Certo  è  che  in  siffatte  espressioni  si  contiene  molto 
di  metaforico.  Ma  oltreché  v'ha  pur  molto  di  reale  e 
proprio,  che  si  manifesta  all'interno  hollore  del  san- 
gue, del  petto  e  del  cerebro  di  un  poeta  inspirato  , 
ed  esternamente  nel  colorirsi  del  viso  ,  nel  lampeg- 
giare degli  occhi,  nello  atteggiarsi  delle  membra  com- 
mosse ;  oltre  a  ciò,  io  diceva  ,  non  vi  sarà  chi  non 
comprenda  esser  già  questo  un  argomento  non  lieve 
dell'intrinseca  poesia  della  luce,  il  prestarsi  cioè  eh' 
ella  fa,  più  di  altro  qualsivoglia  elemento  di  natura, 
a  porgerne  un'idea  vivace  ed  espressiva  dell'estro  poe- 
tico. INon  basterebbe  già  questo  solo  pregio  per  chia- 
marla in  certo  modo  il  fluido  poetico  ? 

Ma  osserviamo  più  addentro  la  natura  della  poe- 
sia e  della  luce,  per  meglio  conoseere  come  elleno 
rassembrino  due  sorelle,  nelle  qualità  e  negli  orna- 
menti somigliantissime.  A  tutti  è  noto  che  il  bello 
è  l'unico  o  almeno  il  primario  obbietto  della  poesia. 
Ora  come  dal  divino  Platone  vien  egli  definito  il  bel- 
lo ?  Lo  splendor  del  vero.  Oh  !  magistrale  ed  am- 
miranda definizione  !  definizione  che  nella  sua  fecon- 
dissima brevità  racchiude  più  sostanza  di  quella  che  si 
trovi  sparsa  in  ben  cento  di  quelle  lezioni  sull'estetica, 
che  si  sogliono  produrre  e  riprodurre  a'nostri  giorni. Ma 
ora  non  è  mio  divisamento  di  mostrare  la  sapienza, 
l'estensione  e  Pubertà  di  cotal  definizione  :  bensì  de- 
durre dalla  medesima  la  poesia  della  luce.  L'  obietto 
della  poesia  è  il  bello  :  il  bello  è  lo  splendor  del  ve- 
ro :  l'ottica  ha  per  obietto  un  vero  splendidissimo  : 
dunque  l'ottica  è  poesia,  poesia  intrinseca,  essenzia- 
le. Che  l'obietto  dell'ottica  sia  splendidissimo,  nel  pu- 
ro senso  ottico,  non  occorrerebbe  dimostrarlo  se  non 


Ottica  nella  poesia  43 

a'ciechi  nati;  ai  quali  però  ove  non  facesse  cotal  di- 
mostrazione un  novello  Cheselden  (  e  molli  Chescl- 
Jen  vanta  il  secol  nostro  ),  inutili  riuscirebbero  tulli 
i  ragionamenti.  Ma  per  questo  splendore  dell'ottùsa 
io  qui  voglio  intendere  ben  altra  cosa  ;  la  quale  or 
ora  andrò  dichiarando  dopo  di  aver  detto  alcun  che 
della  sua  verità. 

Appunto  perchè  la  luce  è  il  solo  fluido  impon- 
derabile percettibile  alla  vista  ;  perciò  di  esso  si  so- 
no scoperte  e   misurale  molte  proprietà,  forze,  leggi 
ed  azioni  più  assai  che  degli  altri  fluidi  sottili,  e  con 
maggior    esattezza.   Si  è  calcolata    appuntino  la  sua 
sorprendente  celerità  ;  si   è  valutata   la  sua  intensità, 
che  scema  in  ragione  dei  quadrati  della  distanza  dal 
corpo  luminoso  ;  la  sua  elasticità  si  è  trovata  perfet- 
ta in  guisa,  che  giammai  non  errano  le  leggi  spettan- 
ti alla  riflessione.  La  teoria  delle  ombre;  la  coslan- 
za  del  rapporto  fra  i  seni  degli  angoli  d'incidenza  e 
di  refrazione  ;  i  vari  gradi  di  questa  refrazione  me- 
desima nelle  varie  sostanze  ;    la   decomposizione    del 
raggio  bianco  solare  nei  setti  primitivi   diversamente 
colorati  e  refrangibili;  le  leggi  della  diffrazione  e  del- 
la polarizzazione;  ed  altre  proprietà  e   fenomeni  del 
fluido  luminoso,  si  sono  spiegate  con  geometrica  cer- 
tezza ed  evidenza.  Nulla  dunque  potrebbe  desiderarsi 
di  più  dal  lato  della  verità  in  questa  disciplina  ;  se 
si  metta  da  parte  l'incertezza  in  cui  ondeggiano  tut- 
tora i  fisici  rispetto  all'intima  natura  della  luce. 

Ma  qui  parmi  udir  taluno  che  rammenti,  per  la 
poesia  non  richiedersi  mica  la  nuda  e  precisa  verità, 
bensì  la  verosimiglianza  delle  cose  ;  che  anzi  spesse 
volte  il  vero  semplice  e  misurato  a  compasso  nuo- 
ce piuttostochè  giovi  all'arte  de' carmi.  Però  a  siffatta 


44  Scienze 

obiezione  è  facile  una  doppia  risposta.  Perciocché,  in 
prima,  la  poesia  didattica  questo  debbe  avere  di  pro- 
prio, che  non  si  contenti  della  verosimiglianza  ;  sib- 
bene  che  esponga  le  verità  dell'  arte  o  scienza  cui 
prende  a  subietto  ;  comechè  non  rifiuti  le  verosimi- 
glianze, ove  queste  siano  inerenti  alle  discipline  me- 
desime ,  oppure  s'  introducano  negli  episodi  e  ne- 
gli altri  ornamenti  accessori.  In  secondo  luogo  certe 
spezie  di  poesia,  come  per  esempio  l'epica  e  la  liri- 
ca, versando  in  gran  parte  intorno  alle  umane  azio- 
ni ed  avventure,  qualora  si  tenessero  ne'limiti  della 
pura  verità,  ben  poco  di  grande,  mirabile  e  patetico 
potrebbero  mettere  in  campo;  sibbene  azioni  malva- 
ge  miste  con  buone  ,  straordinarie  con  indifferenti  , 
forti  e  leggiadre  con  deboli  e  sconce.  Quindi  cotali 
poemi  sarebbero  privi  d'interesse,  non  levando  l'uo- 
mo al  di  sopra  delle  umane  bassezze,  non  illuminando 
la  mente,  ne  commovendo  il  cuore.  Dunque  convie- 
ne che  la  fantasia  vesta  d'immagini  straordinarie  e  su- 
blimi tratte  dal  verosimile  siffatte  opere, acciocché  con- 
seguiscano  il  loro  scopo.  Ma  nell'ottica  la  cosa  va  di 
gran  lunga  altrimenti.  Avvegnaché  l'ottica,  senza  nep- 
pur  escludere  molte  verosimiglianze  che  le  son  proprie, 
principalmente  in  ciò  che  riguarda  la  natura  della  lu- 
ce, i  fenomeni  della  vista  e  le  illusioni  ottiche,  e  molte 
altre  cui  può  trasportare  la  fantasia  nelle  digressioni 
ed  altri  accessori,  siccome  risulterà  da  quanto  sono 
per  favellare  in  appresso  ;  l'ottica,  dissi,  senza  nep- 
pur  escludere  le  verosimiglianze  ,  offre  verità  tutte 
splendide  per  se  stesse;  e  qualsivoglia  immagine  ve- 
risimile, presa  d'altronde,  non  sarebbe  in  loro  con- 
fronto che  un  fioco  barlume  di  domestica  lucerna  di 
fronte  ai  vivi  raggi  del  sole.  Ed  eccomi  alla  seconda 


Ottica  nella  poesia  ^.5 

qualità  del  belio  assegnata  da  Platone,  qualità  che  sì 
ampiamente  e  meravigliosamente  campeggia  nell'ottica. 
Lo  splendor  della  luce  è  di  tanti  generi  ,  che 
tutti  ad  uno  ad  uno  discorrendo  se  ne  potrebbero  for- 
se classificare  molti  generi  di  bellezza  da  adornarne 
un  trattato  di  estetica  con  qualche  novità.  Ma  io,  per 
non  estendere  di  troppo  il  mio  ragionamento,  mi  sta- 
rò contento  ad  alcuni  tra  essi.  E  cominciando  dallo 
splendido  gaio  e  grazioso  ,  chi  è  che  non  ravvisi 
gran  parte  delia  natura  di  questo  informata  e  vesti- 
ta ?  L'oro  della  luce  solare  diviso  dal  prisma  ne' set- 
te raggi  variopinti,  le  brillanti  gemme  del  mare  e  de' 
monti,  i  ridenti  fiori  del  prato ,  gl'insetti  luminosi  , 
le  vaghe  farfalle,  i  diversi  augelli,  il  verde  dell'erba 
e  l'azzurro  del  cielo,  con  cento  e  cento  scene  di  na- 
tura composte  dalla  varia  combinazione  di  tanti  ele- 
menti ,  spirano  per  ogni  parte  gaiezza  e  leggiadria. 
Che  diremo  poi  degli  specchi  o  vitrei  o  metallici  , 
piani  ,  convessi  o  concavi  ,  e  delle  loro  naturali  o 
scherzevoli  dipinture  ?  Che  degli  anelli  colorati,  del- 
le ombre  artificialmente  delineate  e  composte,  de'mi- 
nimi  corpicciuoli  ingranditi  dal  microscopio,  per  cui 
si  svela  un  incognito  regno  di  cose  impercettibili  ad 
occhio  nudo  ?  Ne  meno  del  gaio  e  del  grazioso  cam- 
peggia nell'ottica  il  grande  ed  il  sublime.  Graziose 
insieme  e  sublimi  sono  le  meteore  dell'aurora  sì  diur- 
na e  sì  boreale  e  dell'  arco  baleno.  Idee  sublimi  ri- 
svegliano l'ecclissi  solari  e  lunari.  A  grande  sublimi- 
tà ti  elevano  i  telescopi  collo  avvicinare  ed  ingran- 
dire i  corpi  celesti,  e  discoprirti  stelle  divario  colo- 
re non  pria  vedute,  e  le  nebulose  della  via  lattea, 
ed  un'altra  via  lattea  invisibile  ad  occhio  nudo  ;  in 
somma  coll'aprirti  dinanzi  agli  occhi  l'immenso  tea- 
tro dell'universo  nel  modo  che  meglio  ti  porta  a  co- 


^6  Scienze 

nosóere  la  sapienza  e  l'onnipotenza  di  Dio.  Di  quan- 
ta sublimità  non  è  egli  obbietto  il  sole,  quell'amplis- 
simo globo  di  luce  e  di  calore,  che  spande  i  torren- 
ti del  suo  fluido  per  ogni  dove  ,  e  tutti  illumina  i 
pianeti,  e  riscalda  ed  avviva  e  feconda  la  terra  ?  Al 
sublime  è  compagno  il  mirabile  e  stupendo.  I  fe- 
nomeni della  vista  ,  quelli  particolarmente  che  par- 
tecipano della  fisica  insieme  e  della  metafisica,  han- 
no  sempre  fatto  maravigliare  i  filosofi  ;  le  apparenze 
della  fata  morgana  e  tante  altre  ottiche  illusioni  ti 
trasportano,  per  così  dire,  nel  regno  degl'incantesimi 
e  de1  prodigi.  Gli  effetti  delle  interferenze  ,  per  cui 
luce  aggiunta  a  luce  genera  talvolta  oscurità,  la  stes- 
sa decomposizione  de'  raggi  attraverso  al  prisma  ,  la 
loro  polarizzazione  e  le  loro  chimiche  qualità,  sono 
cose  da  ingenerare  ad  un  tempo  il  più  soave  diletto 
e  la  più  profonda  ammirazione.  Quanto  poi  non  sono 
stupendi,  oltre  ai  microscopi  e  telescopi,  tanti  altri  or» 
digni  e  macchine  ottiche,  inventati  dall'uomo  per  tanti 
usi  nelle  scienze,  nelle  arti,  ne'comodi  e  ne'piaceri 
della  vita  ?  Quanto  non  è  maravigliosa  e  sorprenden- 
te la  recente  scoperta  fatta  dal  sommo  Daguerre? 

Resta  dunque  dimostrato  dal  detto  fin  qui,  che 
il  bello  dell'ottica  riunisce  le  due  qualità  da  Plato- 
ne enunciate  ,  cioè  verità  e  splendore.  Resta  dimo- 
stralo che  questo  splendore  è  di  più  sorti,  principal- 
mente grazioso,  sublime  e  mirabile.  Dunque  non  ri- 
mane dubbio  sulla  poesia  intrinseca  dell'ottica. 

Tuttavia  credo  potersi  entrare  eziandio  più  ad- 
dentro in  questa  materia  ,  guardando  la  poesia  non 
nel  suo  obietto,  ma  nella  sua  cagione  efficiente.  Nes- 
suno ignora  che  l'immaginazione  è  la  prima  causa 
produttrice  di  qualsivoglia  poesia.  Quindi  sarà  giusto 


Ottica  nelt.a  poesia  47 

lo  argomentare  così  :  Le  cose,  che  piii  delle  altre  col- 
piscono la  fantasia  e  vi  durano  impresse  ,  sono  del- 
le altre  più  poetiche  ;  ma  i  fenomeni  della  luce  col- 
piscono più  di  ogni  altra  cosa  la  fantasia,  e  vi  du- 
rano impressi  ;  dunque  essi  fenomeni  ,  e  perciò  an- 
che le  loro  leggi,  sono  più  di  tutte  cose  intrinseca- 
mente poetici.  Ed  invero  le  idee  che  noi  riceviamo 
dai  cinque  sensi  ,  si  differenziano  di  gran  lunga  fra 
loro  rispetto  all'immaginazione.  Quelle  che  si  acqui- 
stano per  mezzo  del  tatto,  costituiscono  l'infima  clas- 
se :  perocché,  cessate  le  impressioni,  ne  svaniscono  le 
immagini,  ed  altro  non  resta  nell'animo  che  la  me- 
moria di  averle  sentite,  l'idea  de' loro  vocaboli,  e  la 
facoltà  di  riconoscerle  quando  si  offrono  novellamen- 
te gli  obbietti  da  cui  derivano.  Abbiamo  tutti  le  no- 
zioni di  durezza  e  mollezza,  di  levigatezza  e  scabro- 
sità, di  caldo  e  freddo,  ed  altre  di  simil  fatta  :  ma 
non  è  mica  in  nostro  potere  il  riprodurre  nell'ani- 
ma le  analoghe  sensazioni  a  nostro  piacimento,  sic- 
ché ci  paia  toccare  e  sentire  corpi  duri  o  molli,  le- 
vigati o  scabrosi,  caldi  o  freddi,  ove  questi  non  agisca- 
no realmente  sugli  organi.  Porrò  in  una  seconda  clas- 
se, ma  molto  prossima  alla  prima,  le  nozioni  acqui- 
site pe'sentimenti  dell'odorato  e  del  gusto  :  giacche  ci 
costa  assai  fatica,  e  il  più  delle  volte  n'è  impossibi- 
le, richiamare  alla  mente  le  impressioni  degli  odori 
e  sapori  altre  fiale  sentiti  ;  e  qualora  ne  riesca  ciò 
fare,  sono  esse  confuse  ,  languide  e  quasi  nulle.  La 
terza  classe  è  delle  idee  de'suoni.  Queste  certamente 
già  differiscono  assai  dalle  precedenti.  Imperocché  di 
leggeri  possiamo  ritenere  e  riprodurre  in  noi  stessi 
e  dai  noi  stessi,  imitandola  colla  nostra  voce  od  ezian- 
dio tacitamente,   una  cadenza,  un'aria,  una  sinfonia. 


48  Scienze 

Tuttavolta  non  è  dubbio  che  coleste  immagini  acu- 
stiche siano  vinte  lungo  tratto  dalle  immagini  otti- 
che ;  delle  quali  perciò  io  formo  la  quarta  classe  , 
molto  superiore  a  tutte  le  altre  e  per  la  sua  esten- 
sione e  per  la  varietà  e  per  la  vivezza.  Infatti  cotali 
immagini  s'improntano  profondamente  nell'animo,  si 
risvegliano  con  assai  prontezza,  puranche  senza  il  con- 
corso della  volontà,  siccome  ne'sogni  e  nel  delirio  , 
e  si  rappresentano  chiare  e  vivaci,  talvolta  anche  trop- 
po. Dunque  la  fantasia  trova  un  vastissimo  campo  e 
fecondissimo  nelle  sensazioni  ottiche;  dunque  la  poe- 
sia del  pari.  E  dove  esisterebbe  mai  vera  poesia  de- 
scrittiva senza  le  idee  dei  colori,  delle  figure  e  del 
moto  per  la  vista  impresse  nell'animo  ?  Scegliete  pu- 
re qualsivoglia  produzione  poetica,  differente, per  quan- 
to vi  aggrada,  da  quelle  didattiche  sulla  luce  :  non  è 
egli  vero  che  tutte  le  scene,  tutti  i  quadri  di  che  si 
compone,  ricevono  da  cotali  idee  il  loro  principale 
effetto  ?  Pitture  di  boschi,  di  campi,  di  colli,  d'ar- 
menti, di  fonti,  di  laghi,  di  viaggi,  di  tempeste  ,  di 
battaglie  ,  che  diverrebbero  ove  le  immagini  ottiche 
non  dessero  loro  vita,  forza  e  leggiadria  ?  E  certo  più 
soave  al  palato  il  sapoi'e  di  un  pomo  squisito  ,  che 
non  sia  gradevole  alla  vista  il  suo  colore  e  la  sua 
forma  :  pure  un  poeta  si  troverebbe  perduto  ad  un 
tratto,  ove  quella  qualità  e  non  queste  volesse  ritrar- 
re. Le  armi,  ond'è  vestito  un  guerriero,  si  spacciano 
con  pochi  epiteti  o  con  qualche  similitudine,  quan- 
do si  parli  di  loro  tempra,  durezza  e  peso^:  ma  nel 
dipingerne  la  diversa  forma  e  grandezza,  lo  svariato 
colore,  il  riflesso  che  operano  sui  raggi  del  sole,  ed 
altre  sensazioni  di  che  imprimono  la  vista,  ne  sbuc- 
cia fuori  un'  ampia  e  gradevolissima  descrizione.  In 


Ottica  nella  poesia  4q 

somma  avviene  in  gran  parte  della  poesia  ciò  che  più 
estesamente  si  avvera  della  pittura,  colla  quale  essa 
ha  tanta  relazione  :  vale  a  dire,  se  le  impressioni  del 
tatto,  del  gusto,  dell'odorato  e  dell'udito  non  si  pos- 
sono dipingere  in  un  quadro,  ma  le  ottiche  solamen- 
te ;  così  queste  in  sommo  grado  si  prestano  alla 
poesia,  senza  però  escludere  all'intutto  le  altre,  mas- 
simamente le  acustiche.  Del  che  porge  anch'esso  una 
prova  manifesta  il  gran  codice  dagli  antichi  poeti,  vo- 
glio dire  la  mitologia,  la  quale  personifica  e  veste  di 
belle  o  strane  forme  corporee  tante  divinità  imma- 
ginarie per  colpire  la  fantasia  in  quel  modo  che  è 
proprio  delle  ottiche  impressioni:  quindi  una  messe 
copiosissima  così  alla  poesia,  come  alla  pittura  ed  al- 
la scultura.  Perciò  è  forza  conchiudere  che  in  qual- 
sivoglia poesia,  la  quale  tratti  di  cose  materiali,  le 
immagini  ottiche  sono  le  precipue,  e  quelle  dedotte 
dagli  altri  sensi  non  sono  che  secondarie  ed  acces- 
sorie. Dai  che  qual  cosa  conseguiti  in  favore  di  un 
poema  che  risguardi  l'ottica  direttamente,  ciascuno  sei 
vede.  Nondimeno  è  d'uopo  confessare,  che  le  idee  mo- 
rali e  religiose  offrono  anch'esse  una  poesia  sublime 
e  celeste,  al  tutto  diversa  dalla  materiale,  e  che  non 
solo  ferisce  la  fantasia,  ma  regna  sul  cuore  ;  poesia 
quindi  più  nobile  e  più  degna  d'esser  coltivata.  Ciò 
non  pertanto  chi  non  vede  che  anche  a  questa  poe- 
sia l'ottica  somministra  grandi  soccorsi  ?  Come  si  rap- 
presenta in  modo  sensibile  la  sapienza  ?  come  gli  an- 
geli ?  come  lo  stesso  spirito  santifìcatore,  e  gran  par- 
te della  gloria  celeste  ?  Quante  similitudini,  metafo- 
re ed  episodi  non  si  traggono  dalla  luce  nelle  opere 
filosofiche,  morali  e  religiose,  massimamente  poetiche  ? 
Anzi  da  questo  io  deduco  un'  altra  prova  a  confer- 
G.A.T.LXXXVII.  4 


5o  Scienze 

mare  la  poesia  intrinseca  dell'ottica  e  la  sua  utilità. 
Siccome  discorrendo  di  religione  e  di  murale  serve 
la  luce  ad  apprestar  similitudini,  digressioni  ed  altri 
ornamenti;  così,  viceversa,  in  un  poema  sulla  luce  si 
potranno  innestare  similitudini  ,  digressioni  ed  altri 
ornamenti  religiosi  e  morali.  In  tal  modo,  oltre  al  di- 
lettar l'animo  e  allo  istruir  l'intelletto,  un'opera  di- 
dascalica sull'ottica  può  eziandio  insinuare  a  quando 
a  quando  la  virtù  e  commuovere  gli  affetti  del  cuore. 
Ma  qui  parmi  udir  bisbiglio  di  taluni,  i  quali 
dicono  esser  indarno  che  io  prosegua  più  innanzi  nel- 
la dimostrazione  di  una  verità,  della  quale  essi  veg- 
gono abbastanza  il  fulgore,  cioè  che  l'intrinseca  poe- 
sia dell'ottica  è  per  se  stessa  evidente  a  chiunque  sa 
d'ottica  e  di  poesia  :  esser  quindi  miglior  partito  che 
io  prenda  a  provare  la  seconda  parte  del  mio  assun- 
to ,  quella  cioè  che  riguarda  V  espressione  di  questa 
poesia;  essendo,  a  loro  giudizio  ,  assai  malagevole  e 
pressoché  impossibile  lo  esprimere  condegnamente  con 
chiaro  linguaggio  poetico  le  geometriche  leggi  ed  i 
moltiplici  fenomeni  della  luce. 

Eccomi  impertanto  a  procurare  di  soddisfarli.  Ed 
in  sulle  prime  mi  fo  a  distinguere  leggi  da  leggi  , 
fenomeni  da  fenomeni.  Perocché  si  presentano  molti 
fenomeni  di  ottica,  a  dichiarar  i  quali  bastano  vivaci 
descrizioni  ;  e  queste  nessuno  dirà  troppo  difficili  al- 
la nostra  volgar  poesia,  che  ad  ogni  genere  di  descri- 
zioni si  acconcia  con  tanta  proprietà  e  vaghezza.  Al- 
tri fenomeni  poi  richieggono  di  essere  interpretati  e 
spiegati  fino  allo  scoprimento  delle  loro  cause;  e  que- 
sti parimente  (  purché  uno  si  limiti  a  scoprirne  le 
cagioni  più  prossime  e  meno  astruse,  ed  i  loro  mo- 
di di  agire  più  semplici  )  non  veggo  perchè  non  ab 


Ottica  nella  poesia  5.i 

biano  a  potersi  esprimere  in  buon  verso,  stante  la  co- 
pia di  nostra  lingua,  e  dappoiché  vengono  da  molti 
autori  con  molta  chiarezza  ed  eleganza  espressi  in 
prosa.  Lo  stesso  direni  delle  leggi.  V'ha  leggi  nell'ot- 
tica riguardanti  sì  la  reflessione,  sì  la  refrazione  e  sì 
tante  altre  qualità  e  forze  della  luce,  piene  di  tanta 
semplicità,  armonia  e  lucentezza,  che  ben  lungi  dal 
rifuggire  la  favella  poetica  precisa,  chiara,  evidente  e 
sublime,  anzi  la  suggeriscono  ,  ed  in  certa  guisa  la 
sforzano  ad  uscir  della  penna.  Né  si  creda  che  sif- 
fatte leggi  al  metro  inchinevoli  sian  poche  ;  sono  al 
contrario  in  gran  numero  :  tutto  consiste  nel  ben  co- 
noscerle, cioè  nel  formarsene  un  chiaro  e  vivo  con- 
cetto, e  con  esse  famigliarizzare  la  mente  e  la  lin- 
gua. Non  è  egli  vero  che  spesse  fiate  il  non  sapersi 
esprimere  su  di  certe  cose,  o  il  non  saper  intendere 
certe  espressioni,  procede,  più  che  d'altronde  ,  dalla 
oscurità  e  confusione  delle  proprie  idee  ?  Però  non 
voglio  impugnare  che  nell'  ottica  non  abbiano  luogo 
fenomeni  e  leggi  inaccessibili  al  linguaggio  poetico. 
E  come  no,  se  il  sono  al  prosaico  ?  Perchè  sieno  di- 
chiarati in  tutta  .  la  loro  profondità  ed  ampiezza  certi 
punti,  è  mestieri  di  siffatti  calcoli  algebrici  e  di  cotali 
figure  e  dimostrazioni  geometriche,  che  sarebbe  a  chia- 
marsi veramente  stolto,  per  non  dir  pazzo  in  lutto, 
chi  presumesse  di  recarli  in  metro  poetico,  non  pur 
elegante  ma  intelligibile.  Nondimeno,  tolti  via  questi 
punti  più  intralciati  ed  astrusi,  tanto  pur  resta  nell' 
ottica  di  possibile  e  spesso  facile  a  porsi  in  carmi  , 
che,  a  tutto  l'accogliere,  se  ne  comporrebbe  un  lun- 
go e  compiuto  poema. 

La  quale  agevolezza  ,  di  vestire  tanta    parte  di 
scienza  della  luce  con  forme  poetiche  ,  potrei  coni- 


5a  Scienze 

provare,  se  bastasse  il   tempo,  con  esempi  pressoché 
innumerabili    tratti  da  molti  poeti  e  particolarmente 
dall'Alighieri.  Imperocché,  restringendomi  solo  a  que- 
st'ultimo, di  600   passi,  che  ho  raccolti  dalla  divina 
commedia  tutti  relativi  a  cose  di  fisica,  ne    trovo  da 
4oo,  la  maggior  parte  nella  cantica  del  paradiso,  spet- 
tanti qual  più  qnal  meno  all'ottica:   e  di  questi  al- 
meno la  metà  belli,  vivi  e  solenni.  Io  qui,  a  cagio- 
ne di  brevità  ,   tralascerò  tutti    quegli  esempi  che  si 
possono  dire  puramente  descrittivi.   Tali  sono  quelli 
in  cui  il  divino  poeta  dipinge  in  vario  modo  ora  Pom- 
bre  de'corpi,  ora  fiamme  di  diversa  forma,  luce  e  mo- 
vimento :  quando  l'aurora,  quando  il  crepuscolo  ve- 
spertino :  spesso  il  sole  o  altro  lume  che  non  si  può 
sostenere  coll'occhio:  spesso  i  fioretti  del  prato  o  le 
stelle  del  cielo:  talvolta  gli  aloni,  i  pareli  e  l'iride: 
talvolta  più  iridi  parallele,  o  fiaccole  simmetricamen- 
te disposte    che  formano  svariate  figure ,  e   muovono 
di  luogo  e  danzano  e  rendono   soave  armonia  :  in  un 
canto  gli  atomi  che  svolazzano  per  mezzo  a'vivi  rag- 
gi solari  introdotti  nella  camera  oscura,  in   un  altro 
fulmini  o  fuochi  fatui  che  strisciano  per  1'  aere  e  si 
dileguano  rapidamente.  Queste  adunque  e  cento  altre 
simili  dipinture  intralasciando  ,  mi  limiterò  a   pochi 
esempi,  come  a  quelli  che  più  tengono  dello    scien- 
tifico. Pertanto  addurrò  dapprima  alcuni  passi  che  ri 
guardano  la  facoltà  e  l'azione  del  vedere.  Nel  canto 
Vili  dell'inferno  così  Dante  esprime   1'  impedimento 
che  pone  alla  vista  l'aria  nera  e  la  nebbia  : 

Attento  si  fermò  com'uom  che  ascolta  : 
Che  l'occhio  noi  potea  menare  a  lunga 
Per  l'aer  nero  e  per  la  nebbia  folta. 


Otttca  netxa  poesia  5>3 

Nel  canto  XXXI  descrive  lo  stesso  difetto  di  vedu- 
ta per  tenebre  e  lontananza  : 

Ed  egli  a  me  :  Però  che  tu  trascorri 
Per  le  tenèbre  troppo  dalla  lungi, 
Avvien  che  poi  nel  maginare  abborri. 

Tu  vedrai  ben,  se  tu   là  ti  congiuugi, 
Quanto  il  senso  s'inganna   di  lontano  : 
Però  alquanto  più  te  stesso  pungi. 

All'incontro  poco  dopo  nel  medesimo  canto  dice  co- 
me l'occhio  raffigura  gli  obietti  al  dissiparsi  della  neb- 
bia, oppure  al  loro  avvicinarsi  : 

Come  quando  la  nebbia  si  dissipa, 
Lo  sguardo  a  poco  a  poco  raffigura 
Ciò  che  cela  il  vapor  che  l'aere  stipa  : 

Cosi  forando  l'aura   grossa  e  scura, 

Più  e  più  appressando  in  ver  la  sponda, 
Fuggimmi  errore  e  crescemmi  paura. 

Ecco  ora  tre  dei  molti  modi,  in  cui  esprime  la  visio- 
ne momentaneamente  smarrita  per  effetto  di  soverchio 
splendore.  Il  primo  è  nel  canto  XXV  del  paradiso  : 

Qual  è  colui  che  adocchia  e  s'argomenta 
Di  vedere  ecclissar  lo  sole  un  poco, 
E  per  veder  non  vedente  diventa  ; 

Tal  mi  fec'io  a  quell'ultimo  fuoco. 

Il  secondo  sta  nel  canto  XXVIII  : 

Un  punto  vidi  che  raggiava  lume 
Acuto  sì,  che  'l  viso  ch'egli  affuoca 
Chiuder  conviensi  per  lo  forte  acume. 


54  Scienze 

Il  terzo  lo  porge  il  canto  XXX  : 

Come  subito  lampo  che  discetti 
Gli  spiriti  visivi,  sì  che  priva 
Dell'atto  l'occhio  di  più  forti  obietti  ; 

Così  mi  circonfulse  luce  viva, 
E  lasciommi  fasciato  di  tal  velo 
Del  suo  splendor,  che  nulla  m'appariva. 

Dal  canto  poi  XXVI  di  esso  paradiso  traggo  un  e- 
sempio  di  risvegliamento  dal  sonno  per  lume  acuto, 
e  di  seguente  incertezza  nel  vedere  : 

E  come  al  lume  acuto  si  disonna 
Per  lo  spirto  visivo  che  ricorre 
Allo  splendor  che  va  di  gonna  in  gonna  ; 

E  lo  svegliato  quel  che  vede  abborre, 
Sì  nescia  è  la  sua  subita  vigilia, 
Fin  che  la  stimativa  noi  soccorre  : 

Così  degli  occhi  miei  ogni  quisquilia 
Fugò  Beatrice  col  raggio  de'suoi, 
Che  rifulgeva  più  di  mille  milia. 

Vogliamo  inoltre  una  pennellata,  che  ritrae  quella  il- 
lusione ottica  sì  frequente,  la  quale  consiste  nell' ap- 
parir mosso  un  corpo  fermo,  quando  è  un  altro  che 
ad  esso  realmente  si  avvicina  o  se  ne  allontana  ?  Ce 
l'offre  il  canto  XXXI  dell'inferno  nella  torre  inchi- 
nata di  Bologna  • 

Qual  pare  a  riguardar  la   Carisenda 

Sotto  il  chinato,  quando  un  nuvol  vada 
Sovr'essa  sì  ch'ella  in  contrario  penda; 

Tal  parve  Anteo  a  me  che  stava  a  bada  ec. 


Ottica  nella  poesia  55 

Ma  è  tempo  di  passare  a  qualche  tratto  riguardante 
la  riflessione.  Quelli  che  reco,  senza  però  chiosarli  , 
ond'esser  più  breve,  sono  ricavati  i.°  dal  canto  XV 
del  purgatorio  : 

Come  quando  dall'acqua  e  dallo  specchio 
Salta  lo  raggio  all'opposi ta  parte, 
Salendo  su  per  lo  modo  parecchio 
A  quel  che  scende,  e  tanto  si  diparte 
Dal  cader  della  pietra  in  egual   tratta, 
Sì  come  mostra  esperienza  ed  arte  ; 
Così  mi  parve  da  luce  rifratta  (i) 
Ivi  dinanzi  a  me  esser  percosso, 
Perchè  a  fuggir  la  mia  vista  fu  ratta. 

a.°  Dal  canto  XXV  dello  stesso  purgatorio  : 

E  se  pensassi  come  al  vostro  guizzo 

Guizza  dentro  allo  specchio  vostra  image  ec. 

3.°  Dal  canto  I  del  paradiso  : 

E  sì  come  secondo  raggio  suole 
Uscir  del  primo  e  risalire  in  suso, 
Pur  come  peregrin  che  tornar  vuole  ; 

Così  dall'atto  suo  per  gli  occhi  infuso  ec. 

4-°  Dal  canto  II  : 

E  indi  l'altrui  raggio  si  rifonde 

Così  come  color  torna  per  vetro  , 

Lo  qual  diretro  a  sé  piombo  nasconde. 

(1)  Qui  ri  fratta  sta  per  riflessa. 


56  Scienze 

f>.°  Da  esso  canto  II  : 

Tre  specchi  prenderai,  e  due  rimuovi 
Da   te  d'un  modo,  e  l'altro  più  rimosso 
Tr'ambo  li  primi  gli  occhi  tuoi  ritrovi. 

Rivolto  ad  essi  fa  che  dopo  il  dosso 

Ti  stea  un  lume  che  i  tre  specchi  accenda, 
E  torni  a  te  da  tutti  ripercosso  : 

Benché  nel  quanto  tanto  non  si  stenda 
La  vista  più  lontana,   lì  vedrai 
Come  convien  ch'egualmente  risplenda. 

Omettendo  altri  luoghi  di  questa  spezie  ,  riportiamo 
pure  alcun  che  intorno  alla  refrazione  dal  canto 
XXXIV  dell'inferno,  dal  II,  XXIX  e  XXXI  del  pa- 
radiso :    i.°   esempio  : 

Già  era  (  e  con   paura  il  metto  in  metro  ) 
Là  dove  l'ombre  tutte   eran  coperte, 
E  trasparean  come  festuca  in  vetro. 

2.°  esempio  : 

Per  entro  sé  l'eterna  margherita 
Ne  ricevette,   come  acqua  recepe 
Raggio  di  luce,  permanendo  unita. 

3.°  esempio  : 

E  come  in  vetro,  in  ambra   ed  in  cristallo 
Raggio  ri  splende  sì  che    dal  venire 
All'esser   tutto  non  è  intervallo  ; 

Così  '1  triforme  effetto   del  suo  sire  ec. 


4-°  Esempio  : 


Ottica  nella  poesia  5  7 


Né  lo  interporsi  tra  '1  di  sopra  e  '1  fiore 
Di  tanta  plenitudine  volante 
Impediva  la  vista  e  lo  splendore  ; 

Che  la  luce  divina  è  penetrante 
Per  l'universo,  secondo  eh' è  degno, 
Sì  che  nulla  le  puote  essere  ostante. 

Terminerò  con  un  passo  del  canto  III  del  paradiso, 
che  abbraccia  insieme  la  reflessione  e  la  rifrazione 
della  luce  in  vetro  od  acqua  : 

Quali  per  vetri  trasparenti  e  tersi, 
Ovver  per  acque  nitide   e   tranquille  , 
Non  sì  profonde  che  i  fondi  sien  persi, 

Tornan  de'nostri  visi  le  postille 

Debili  sì,  che  perla  in  bianca  fronte 
Non  vien  men  tosto  alle  nostre  pupille  ; 

Tali  vid'io  più  facce  a  parlar  pronte  ; 
Perch'io  dentro  all'error  contrario  corsi 
A  quel  che  accese  amor  tra  l'uomo  e  '1  fonte. 

Dagli  addotti  esempi,  i  quali,  ripeto,  son  pochi 
verso  i  molti  che  offre  la  divina  commedia,  abbastan- 
za si  rileva  che  il  favellare  in  metro  e  linguaggio  poe- 
tico della  luce,  delle  sue  leggi  e  de'suoi  effetti  non 
è  poi  fatica  insuperabile  e  disperata.  Che  se  deve  a- 
scri versi  meritamente  alla  superiorità  dell'ingegno  ma- 
raviglioso  di  Dante  lo  aver  saputo  dire  con  tanta  mae- 
stria tante  cose  nuove  ed  astruse  e  ad  altri  inaccessi- 
bili ;  potrà  valere  per  compenso  ad  un  ingegno  quan- 
tunque inferiore  la  maggior  ricchezza  presente  di  no- 
stra lingua,  la  scienza  dell'ottica  a'nostri  giorni  così 
estesa  e  completa  e  trattata  da  molti  autori  con  assai 


58  Scienze 

chiarezza  ed  eleganza  ,  alcuni  parziali  trattati  poe- 
tici o  quasi  poetici  che  di  già  esistono  intorno  ad  ar- 
gomenti ottici,  e  finalmente  l'imitazione  dello  stesso 
Alighieri. 

Contuttociò  non  è  mio  avviso  che  possa  uscir 
della  penna  eziandio  più  magistrale  un  vero  poema 
sull'ottica,  da  leggersi  e  comprendersi  alla  prima  let- 
tura da  ogni  genere  di  persone.  Questo  sarebbe  un 
esiger  soverchio;  e  quelli,  cui  ciò  cadesse  in  mente, 
prendano  di  grazia  in  mano  l'ottica,  non  dico  di  un 
Newton,  di  un  Herscell,  di  un  Canovai,  dove  quasi 
tutto  è  calcolo  e  geometrìa,  ma  sì  quella  del  Poli  o 
dell'Haiiy,  ove  i  calcoli  s'incontrano  pochi  e  facili  , 
anzi  quella  stessa  delPAlgarotti  scritta  in  elegante  e 
nitida  prosa  italiana  e  scritta  per  le  dame;  e  pur  ve- 
dranno quanti  intoppi  ed  intralci  converrà  superare 
non  senza  fatica.  Qual  maraviglia  dunque  se  un'ot- 
tica messa  in  versi  avrà  mestieri  a  quando  a  quando 
di  qualche  studio  per  essere  ben  compresa  in  tutte  le 
sue  parti  ? 

Se  non  che  io  vorrei  qui  domandare  a  qual  fi- 
ne si  compongono  poemi  didascalici.  Forse  per  am- 
maestrare gl'ignoranti  del  tutto  in  quell'arte  o  scien- 
za, e  dar  loro,  a  mo'di  dh*e,  un  corso  di  lezioni  ex 
cathedra  ?  Chi  fosse  di  questo  avviso  errerebbe  lungi 
dal  vero.  Perciocché  a  tal  uopo  si  richieggono  trat- 
tati filosofici,  che  abbraccino  tutte  le  nozioni  anche 
più  elementari  e  disposte  in  ordine  precisamente  lo- 
gico ;  al  che  sarebbe  certo  ridicola  e  pazza  impresa 
voler  torcere  la  poesia.  Si  scrivono  piuttosto  i  poe- 
mi didattici  colla  mira  di  rinfrescar  la  memoria  a  quel- 
li che  già  d'altronde  studiarono  le  materie,  e  farli  su 
queste  a  quando  a  quando  ritornare  coll'allettamen- 
to  della  poesia,  e  far  loro  impiegare  non  senza  uti- 


Ottica  nella  poesia  59 

lira  que'momenti  d'ozio,  i  quali  indarno  si  tentereb- 
be di  occupare  su  libri  puramente  scientifici.  Imper- 
tanto  coloro,  alla  cui  lettura  precipuamente  sono  de- 
stinati siffatti  poemi  ,  non  incespicberanno  ad  ogni 
passo  nelle  picciole  difficoltà  che  abbiano  a  trovare 
in  leggendo,  come  addiviene  a  chi  è  del  tutto  igna- 
ro delle  cose  trattate:  il  quale  forse  accusa  i  libri  che 
legge  dell'  oscurità  e  confusione  propria  soltanto  del 
suo  cervello. 

Ma  si  conceda  pure  che,  trattando  certi  argomen- 
ti, siano  inevitabili  passi  intralciati  e  spinosi  a  leggi- 
tori puranche  versati  in  quelle  dottrine.  Non  si  può 
forse  sopperire  alla  necessaria  difficoltà  del  testo  con 
opportune  annotazioni  ?  Si  niegherà  forse  alla  poesia 
didascalica  quel  soccorso,  il  quale  richiede  ben  anche 
ed  ottiene  la  lirica  e  1'  epopèa  ?  Che  se  la  Natura 
delle  cose  di  Lucrezio,  la  Grorgica  di  Virgilio,  la 
Filosofia  dello  Stay,  VEcclisi  del  Boscovick  e  tante  al- 
tre opere  didattiche  senza  illustrazioni  e  commenti 
non  sarebbono  in  molli  passi  intese  che  da  pochi  di 
già  sapienti  in  quelle  materie,  e  pur  con  disagio;  con 
più  ragione  cotale  aiuto  dovrà  concedersi  ad  un  po^- 
ma  sull'ottica,  come  a  quello  che  più  tiene  per  sua 
natura  dello  scientifico  e  del  nuovo. 

Le  cose  da  me  finora  discorse,  illustri  soci,  udi- 
tori ornatissimi,  sono  le  principali  che  divisava  sot- 
tomettere al  vostro  savio  giudizio  intorno  all'  ottica 
considerata  come  soggetto  di  poesia.  i.°  Poesia  intrin- 
seca dell'  ottica  ,  riposta  segnatamente  nel  suo  vero 
splendido ,  e  nella  sua  efficacia  sull'  immaginazione. 
2.°  Espressione  poetica  applicabile  a  cotal  poesia  in- 
trinseca, mediante  la  chiara  e  precisa  cognizione  delle 
precipue  leggi  e  fenomeni  ottici  ,  le  opere  in  prosa 
degli  autori  che  ne  trattarono,  e  soprattutto  l'imita- 


60  Scienze 

zione  di  Dante.  Quindi  se  i  canti  già  da  me  pub- 
blicati, e  quelli  che  la  Dio  mercè  spero  di  poter  pub- 
blicare in  progresso  di  tempo  su  tale  soggetto,  si  pre- 
sentano agli  ocelli  de'leggitori  con  pecche  e  mancan- 
ze non  poche  né  leggiere  ,  la  colpa  si  è  tutta  dell' 
autore  e  non  dell'  argomento.  Frattanto  però  mi  si 
consenta  di  avvertire,  che  ai  canti  finora  stampati  nel- 
V Album  ho  fatto  subire  parecchie  mutazioni  ,  come 
suol  intervenire  ai  lavori  letterari  di  prima  fattura  , 
in  seguito  di  nuove  riflessioni  o  fatte  da  se  stesso  o 
suggerite  da  dotti  amici  ed  imparziali  ;  che  tra  essi 
canti  ne  ho  inserito  alcun  altro  del  tutto  nuovo  ed 
inedito  ;  e  che  quando  rivedranno  la  luce  raccolti  in. 
sieme  in  un  certo  numero,  saranno  soccorsi  di  anno- 
tazioni dirette  a  rischiarare  i  passi  più  astrusi  ,  op- 
pur  quelli  spettanti  a  novelle  scoperte  che  si  vadano 
facendo  nella  scienza,  o  eziandio  a  qualche  mia  par- 
ticolar  opinione  ed  esperienza  su  di  alcuni  fenomeni. 
Tutta  l'opera  poi,  ove  il  cielo  mi  dia  di  portarla  a 
compimento,  conterrà  per  lo  meno  una  trentina  di 
canti.  Finalmente  dichiaro  che  in  luogo  del  verso 
sciolto  ,  il  quale  suol  giudicarsi  più  acconcio  a  sif- 
fatto genere  di  componimenti,  e  che  mi  sarebbe  per 
avventura  costato  minor  fatica  ,  ho  stimato  bene  di 
scegliere  la  terzina  :  primieramente  perchè  alla  più 
bella  parte,  e  direi  quasi  alla  Venere  delia  fisica,  mi 
parea  convenire  l'ornamento  della  rima;  in  secondo 
luogo  per  seguire  più  d'appresso  le  orme  dell'Alighie- 
ri, accompagnandomi  con  esso  a  cantare,  per  quanto 
è  da  me,  in  uno  stesso  metro,  come 

La  gloria  di  colui  che  tutto  muove, 
Per  l'universo  penetra  e  risplende 
In  una  parte  più  e  meno  altrove. 


Discorso  accademico  intorno  ai  principali  pro- 
gressi della  geologia  ,  ed  allo  stato  presente 
di  questa  scienza:  recitato  nella  sala  dell'ac- 
cademia pontaniana  da  Leopoldo  Pilla.  Na- 
poli, tipografia  jlautina  1840,  in  8.°  difac.  35. 


G, 


Tli  antichi  poco  o  nulla  sapevano  di  geologia,  es- 
sendo guidati  piuttosto  che  dalle  osservazioni,  dalla 
fantasia.  Disputandosi  nel  i5iy  intorno  agli  avanzi 
organici  sepolti  negli  strati  terrestri  ,  Fracastoro  ne 
dichiarava  la  loro  vera  natura,  notando  che  non  tutti 
erano  stati  depositati  nel  medesimo  tempo.  Nel  1669 
lo  Stenone  pel  primo  seppe  distinguere  la  successio- 
ne degli  strati,  e  la  loro  età  relativa.  Vallisnieri,  stu- 
diando i  corpi  marini  che  sono  sui  monti,  dichiara- 
va la  costituzione  fisica  dell'  Italia  settentrionale.  Il 
botanico  Micheli,  scorrendo  le  maremme  ed  i  monti 
senesi  e  quelli  della  campagna  di  Roma,  indagava  la 
natura  de'vulcani.  Sulle  orme  di  questi  due  cammi- 
nando Arduino,  partì  i  terreni  in  primari,  secondari, 
terziari  o  colli,  ed  in  vulcanici:  ed  espose  alcuni  pen- 
sieri sulla  teorica  della  dolomizzazione  (1),  e  su  di 
altre  scoperte  interessanti ,  in  maniera  che  a  lui  si 
debbono  in  gran  parte  gli  avanzamenti  di  tale  scien- 
za. Ma  tali  scoperte  furono  dimenticate,  come  quelle 
di  Fuchsel. 


(1)  Così  dice  Boue,  Guide  de  geologue  voyageur.  Paris  i836, 
tomo  1,  cap.  7. 


6a  Scienze 

Giva  allargandosi  in  Europa  tale  scienza,  ed  i 
viaggi  famosi  eli  Pallas  arrecarono  grandi  lumi.  Saus- 
surre  strinse  in  legame  la  geologia  con  la  fisica.  Laz- 
zaro Spallanzani,  l'abate  Fortis,  Dolomieu,  Faujas  ed 
altri  illustrarono  la  scienza  de'vulcani. 

Werner  con  sommo  accorgimento  ordinò  le  mas- 
se minerali  secondo  il  posto  che  occupano  nel  globo, 
portando  la  geologia  al  grado  di  scienza,  e  fondando 
una  scuola  celeberrima,  i  cui  allievi  si  sparsero  per 
ogni  dove.  Quest'  uomo  solo  forma  il  terzo  periodo. 
Die  egli  molto  potere  all'acqua  nella  formazione  dei 
minerali,  e  pose  così  esca  a  grandi  quistioni,  che  arre- 
starono i  progressi  della  scienza. 

Un  italiano  fu  il  primo  ad  inalberare  il  Vessil- 
lo della  riforma,  Breislak,  pubblicando  i  suoi  «  Viag- 
gi fisici  e  litologici  nella  Campania.  »  Quest'  opera  è 
piena  di  osservazioni  giudiziose  e  nuove  sopra  la  for- 
za del  fuoco  nel  produrre  sostanze  minerali.  Hutton 
in  Scozia  contemporaneamente  faceva  conoscere  i  ma- 
ravigliosi  fatti  di  giacitura  de'filoni  granitici,  e  soste- 
neva la  loro  uscita  di  basso  in  alto  e  l'origine  vul- 
canica. Humboldt  e  Du  Buch  si  recarono  in  Italia  a 
studiare  i  terreni  vulcanici,  comparandoli  con  quelli 
della  Germania.  Il  primo  visitò  quindi  in  America  i 
giganteschi  vulcani  delle  Cordelliere,  e  coi  fatti  rac- 
colti dal  Marzari-Pancati,  dal  Breislak  e  da  altri  si 
stabili  la  origine  ignea  dei  terreni  cristallini. 

Sotto  un  aspetto  tutto  novello  eran  tolti  ad  esa- 
me i  sedimenti  marini,  cioè  studiando  i  corpi  orga- 
nici che  vi  sono  sepolti.  Si  segnalarono  in  ciò  Fra- 
castoro,  Fabio  Colonna,  Stenone,  Scilla,  Vallisnieri, 
Arduino,  Allioni,  Brocchi,  Cortesi  con  altri  in  Ita- 
lia: come  fra  gli  stranieri  Schlotteim,  Cuvier,  Blumem- 
bach,  Smith,  Brogniart,  Buckland,  Conybeare  ec. 


Progressi  della  geologia  63 

Se  prima  le  grandi  formazioni  geologiche  erano 
dedotte  dallo  studio  dei  terreni  della  Germania,  e  di 
pochi  altri  luoghi  di  Europa  ,  ora  lo  sono  da  quasi 
tutto  il   globo. 

La  storia  della  geologia  si  può  dividere  in  due 
grandi  periodi  :  il  primo  comincia  nel  secolo  XVI,  ed 
ha  termine  verso  la  metà  del  secolo  passato:  l'altro 
trae  origine  da  questo  punto  e  giunge  a'  dì  nostri. 
Il  primo  fecondo  di  poche  utili  verità  e  di  molti  va- 
neggiamenti ed  errori:  il  secondo,  molto  più  breve,  ter- 
rà un  seggio  luminoso  nella  storia  di  questa  scienza: 
1'  uno  in  gran  parte  italiano  in  ciò  che  vi  ebbe  di 
buono,  l'altro  di  tutta  Europa. 

Molti  sono  i  geologi  viventi.  Nomineremo  i  prin- 
cipali fra  gl'italiani,  cioè  Sismonda,  La  Marmora,  Da 
Rio,  Pareto,  Catullo,  Pasini,  Savi  ,  Guidoni,  Nesti, 
Repetti,  Maravigna,  Gemellaro  e  più  altri.  Parla  in 
fine  l'A.  dei  grandi  fenomeni  geologici,  e  dell'utilità 
della  geologia. 

Interessantissima  e  molto  dotta  è  la  memoria  del 
eh.  sig.  Pilla,  di  cui  abbiamo  dato  un  breve  cenno. 
Trattò  egli  un  simile  argomento  nel  Progresso ,  ope- 
ra periodica  di  Napoli,  limitandolo  all'Italia  :  ma  il 
fece  molto  più  estesamente.  L'  A.  ha  pubblicato  la 
prima  parte  de'suoi  studi  di  geologia  :  Trattato  mi- 
neralogico delle  rocce.  Napoli  1840,  all'insegna  di 
Aldo  Manuzio,  in  8.° 

Enrico  Castreca  Brunetti. 


61 


Filosofia  della  morale,  delV abate  Antonio  Rosmi- 
ni Serbati  roveretano.  (È  il  voi.  XI I  delle  ope- 
re di  lui.)  Milano  tip.  e  libr.  Pogliani  1837 
in  8.° 

i.  1  on  è  nuova  in  Italia  quest'opera  morale;  giacché 
apparve  la  prima  volta  in  Milano  nel  i83i  nelle 
nozze  Castelbarco-Litla:  avendo  ben  pensato  l'autore, 
che  niuna  gioia  meglio  si  addica  al  monile  dell'imeneo, 
quanto  i  documenti  della  morale,  che  è  la  scienza  della 
vita  e  dei  doveri.  In  questa  seconda  edizione  trovasi 
l'opera  accresciuta  non  poco:  e  tra  l'altre  cose  ti  por- 
ge una  prefazione,  che  è  come  il  germe  del  sistema, 
che  l'autore  ha  scelto  nelle  morali  discipline.  Dalla 
prefazione  adunque  noi  toglieremo  ciò  che  basta  ai  savi 
lettori  per  formare  una  qualche  idea  dell'  opera  :  e 
dobbiamo  restarci  contenti  a  ciò,  quando  la  brevità  pre- 
scritta al  giornale  impone  a  chi  scrive  per  esso  ter- 
mini i  più  angusti,  e  a  noi  conviene  più  accennare  che 
dimostrare. 

L'intento  dell'autore  nella  introduzione  si  è  di  toc- 
care, i.°  l'indole  delle  morali  discipline,  2.0  la  sfera 
entro  cui  si  racchiudono,  3.°  la  loro  naturale  parti- 
zione. 

I.  Poiché  l'uomo  è  un  essere  conoscitivo  ed  at- 
tivo, la  vita  umana  altra  è  teoretica,  altra  pratica. 
Ma  la  filosofia  non  è  azione;  bensì  è  tutta  contem- 
plazione. Se  non  che  avendo  pure  per  oggetto  l'azio- 
ne, cioè  la  pratica,  fu  detta  allora  filosofia  della  pra- 


Filosofia  della  morale  65 

tica,  e  dovea  dirsi  teoria  della  pratica.  Posto  ciò,  pa- 
re all'autore  di  dividere  la  filosofia  in  due  teorie:  l'ima 
a  mostrare  come  stanno  gli  esseri  e  come  operano,  l'al- 
tra ad  ammaestrarci  come  noi  stessi  dobbiamo  ope- 
rare. 

Ponno  considerarsi  le  cose,  oggetto  del  pensie- 
ro, o  come  sono  semplicemente,  o  come  debbono  es- 
sere. E  quanto  alla  morale,  questo  secondo  riguardo 
fa  che  si  limiti  a  determinare,  come  esser  debbano  le 
azioni  umane:  dal  buon  moderamento  delle  quali  vie- 
ne a  noi  la  nostra  perfezione  (i).  Giova  adunque 
raccogliere  in  uno  speciale  trattato  quanto  riguarda  la 
regola  delle  azioni,  di  cui  l'uomo  è  autore  e  signo- 
re; acciocché  egli  possa  valersi  di  questo  quasi  codi- 
ce a  regolare  i  suoi  passi  nel  cammino  della  vita. 

La  scienza  morale  non  è  adunque  soltanto  teo- 
ria della  pratica:  dessa  è  ordinata  ben  anco  alla  pra- 
tica. E  siccome  di  ogni  arte  può  darsi  la  teoria;  que- 
ste teorie  convengono  tutte  alla  morale  dottrina,  in 
quanto  sono  teoria  della  pratica,  ed  ordinate  alla 
pratica  umana  dove  trattasi  di  arti  umane  ;  mentre 
tutte  le  arti  (definita  Varie  un  abito  di  operare  se- 
condo certe  norme  ad  un  fine)  sono  esercitate  dall' 
uomo,  e  per  ciò  sono  in  potere  dell'uomo.  Ma  fra  la 
morale  e  le  arti  p.  es.  del  pittore,  dello  scultore,  e  le 
figurative  in  generale,  vi  ha  differenza;  imperocché  i.° 
la  morale  rende  buone  le  azioni  umane;  le  altre  ar- 
ti non  fanno  che  renderle  atte  ad  ottenere  qualche 
effetto  esterno,  a  produrre  qualche  cosa  di  diverso  dall' 
uomo,  come  una  statua,   una  macchina,  una  manifat- 


(1)  Noi  diremmo  qui  perfezionamento.  D.  V- 

G.A.T.LXXXVII.  5 


66  Scienze 

tura;  2.0  la  morale  abborrisce  le  azioni  in  quanto  so- 
no umane  (bontà  d'intenzione);  le  altre  arti  abboni- 
scono le  azioni  solo  riguardo  all'effetto  cbe  produco- 
no, e  all'industria  del  produrlo;  non  già  riguardo  all' 
intenzione  finale,  colla  quale  si  produce;  3.°  la  bon- 
tà morale  si  stende  per  ciò  a  tutte  le  umane  azioni,  e 
in  tutte  è  essenzialmente  la  stessa:  all'incontro  la  bon- 
tà relativa  delle  azioni  artistiche  stendesi  unicamen- 
te a'singolari  complessi  d'azioni,  che  formano  le  arti 
diverse:  e  in  ciascuna  arte  la  bontà  (0  meglio  Vat- 
titudine  delle  azioni)  è  diversa  secondo  l'oggetto  dell' 
arte. 

II.  Ecco  apparire  l'indole  nativa  delle  scienze  mo- 
rali, e  cominciarsi  a  disegnare  ben  anco  il  loro  quar 
si  perimetro.  Sappia  pur  l'uomo  infinite  cose;  ma  a 
che?  se  quella  infinità  di  cognizioni  non  giova  ad  ab- 
bonirlo. Abbia  virtù  di  contemplare;  contemplare  è  pri-i 
ino  passo  ad  agire  (1);  ma  che?  non  contemplando 
soltanto,  l'uomo  si  migliora  :  il  migliorarsi  consegue 
al  modo  di  operare  volontario  e  l'uomo,  la  persona 
umana  compiesi  nella  volontà;  in  guisa  che  la  bontà 
di  questa  è  la  bontà  di  quella.  Doyeasi  dunque  distin- 
guere dalle  scienze  ed  arti,  che  rimotamente  e  acciden- 
talmente giovano  a  perfezionar  l'uomo,  la  scienza  unica 
e  nobilissima,  che  segna  le  norme  dell'operare  volon- 
tario, giusta  le  quali  operando,  la  volontà  si  fa  buo- 
na e  perfetta,  e  buono  e  perfetto  pur  si  fa  l'uomo. 

Ma  meglio  e  più  precisamente  notiamo  il  peri- 
metro della  morale.  Vuoisi  distinguere  la  dottrina  del- 


(i)  Non  pare  al  tutto  esatta  l'espressione;  perocché  dell'  at- 
tività dell'animo  parlando,  il  contemplare  è  agire,  non  primo 
passo  ad  agire.  D.  V. 


Filosofia  della  morale  67 

la  perfezione  umana  dalla  dottrina  della  morale. 
La  perfezione  umana  vien  dietro  alla  morale,  che  è  da 
se  piena  di  autorità  e  di  potenza:  e  non  riceve  in  pre- 
stanza, ma  dà  ella  sola  splendore  alla  perfezione  uma- 
na. Quindi  due  scienze  affini  ,  ma  al  tutto  distinte 
nella  loro  natura,  V etica  e  la  scienza  della  perfe- 
zione umana.  Quest'ultima  può  quasi  confondersi  col- 
V eudemonologia  (scienza  della  felicità);  giacche  per 
l'autore  uomo  felice  e  uomo  perfetto  sono  modi,  che 
analizzati  riescono  per  poco  al  medesimo. 

La  perfezione  umana  altra  è  àe\Y  individuo,  al- 
tra della  società.  E  può  cercarsi,  1.°  il  concetto  o 
natura,  2.0  i  mezzi  di  conseguire  l'una  e  l'altra,  e  i 
gradi  onde  l'uomo  le  si  appressa  e  la  tocca.  Le  qua- 
li ricerche  fanno  luogo  (oltre  1'  etica  ,  che  pone  la 
causa  della  perfezione  umana)  alle  seguenti  scien- 
ze (1): 

a.  Teletica,  della  perfezione  umana, 
Eudemonologia,  della  felicità  umana: 

ed  espongono  il  concetto,  l'essenza  dell'  umana  per- 
fezione e  felicità,  che  hanno  sede  negl'individui. 

b.  ascetica,  de'mezzi  con  cui  V individuo  può  av- 
vicinarsi ed  educarsi  alla  virtù  e  perfezione. 

e.  Pedagogica  ,  de'mezzi  o  arte  di  avvicinare  o 
educare  alla  perfezione  gli  altri  uomini  individui. 

d.  Jconomia,  del  governo  della  famiglia  od  arte  di 
governare  la  famiglia  in  modo  da  condurre  o  avvi- 
cinare gì' individui  di  lei  all'umana  perfezione  e  fe- 
licità coi  soli  mezzi  dati  alla  società  domestica,  e  coli' 
uso  del  potere  proprio  del  governo  familiare. 


(1)  Diremmo  più  volontieri  rami  di  scienze.  D.  V- 


68  Scienze 

e.  Politica,  del  governo  degli  stati,  o  arte  di  go- 
vernare la  società  civile  in  guisa  di  condurre  o  av- 
vicinare $  individui  di  lei  all'umana  perfezione  e  fe- 
licità, coi  mezzi  dati  all'assodamento  civile  ,  e  coli' 
uso  del  potere  proprio  dal  governo  civile. 

Tre  adunque  sono  le  arti  di  promuovere  in  aZ- 
tri  l'umana  perfezione,  secondo  che  ^'individui  sono 
od  isolatamente  presi,  od  uniti  in  società  familiare, 
od  in  civile  consorzio.  Egli  è  il  vero,  che  la  società  sì 
domestica  e  sì  politica  nulla  sarebbero,  o  sarebbe- 
ro indarno,  se  non  fossero  quasi  due  metodi  di  mi- 
glioramento progressivo  a  prò  de'membri  che  la  com- 
pongono rispettivamente. 

Scienze  affini  all'etica,  ma  che  non  sono  l'etica 
propriamente  detta.  Dessa  sola  sta  da  se  altissima  so- 
pra tutte,  ed  assoluta  ,  non  guarda  1'  uomo  ne  altra 
limitata  natura;  guarda  bensì  le  verità  eterne,  impas- 
sibili, che  esigono  riverenza  e  ubbidienza  incondizio- 
nata, senza  bisogno  di  altra  ragione  estranea;  ma  per 
una  ragione  semplice,  irrepugnabile,  evidente,  che  lu- 
ce in  esse,  e  non  ammette  eccezione,  ignoranza,  con- 
traddizione, né  lotta  di  sorte  alcuna. 

E  qui  nota  l'autore,  come  fin  qui  l'etica  si  con- 
fuse coll'eudemonologia:  ed  anzi  nel  regno  del  sen- 
sismo si  prese  questa  per  quella:  e  il  trono  della  mo- 
rale fu  rovesciato  e  assisa  sulle  ruine  dominò  una  lar- 
va di  felicità.  Non  è  di  questo  luogo  il  tener  dietro 
a  tutti  i  passi  del  saggio  autore:  ne  manca  il  tempo, 
quando  altro  pure  non  ci  mancasse. 

III.  E  veniamo  a  toccare  della  naturale  partizio- 
ne della  morale,  secondo  l'autore.  Egli  definiva  l'eti- 
ca: «  La  scienza  che  ordinatamente  raccoglie  le  norme, 
alle  quali  debbono  aggiustarsi  le  azioni  umane,  e  di- 


Filosofia  della  morale  69 

scorre  la  relazione  che  queste  hanno  a  quelle  nor- 
me. »  Ora  nota,  che  le  azioni  potendosi  considerare 
realizzate,  individualizzate,  o  classificate,  deono  esser- 
vi, i.°  delle  norme  generiche,  le  quali  presiedano  ai 
generi  delle  azioni,  2.0  delle  norme  specifiche,  le  qua- 
li presiedano  alle  specie  delle  azioni,  3.»  un  dettame 
ultimo  e  particolare  che  proibisca  o  permetta  nel  fat- 
to stesso  l'azione  particolare.  L'etica  dunque  è  a  gui- 
sa di  un  codice  ,  il  quale  annunzi  diversi  ordini  di 
legge  gradatamente  più  e  meno  generali;  talché  dalla 
gerarchia  delle  estesissime  discendendo  ad  ordini  di 
leggi  più  ristretti  (cioè  che  si  stendano  a  complessi 
minori  di  azioni)  venga  da  ultimo  a  prescrivere  la  con- 
dotta da  tenersi  ne'casi  particolari.  E  tutte  codeste  nor- 
me essendo  morali,  deono  avere  di  comune  questo,  che 
tendono  a  indicare  e  precisare  ciò  che  nelle  azioni  è 
bene  morale.  Tutta  l'etica  può  in  un  motto  racco- 
gliersi: Opera  il  berte  morale,  e  fuggi  il  male  mo- 
rale. Imperocché  essa  colle  sue  forinole,  colle  sue  leg- 
gi quante  mai  sono,  altro  non  vuole  se  non  prescri- 
vere ciò  che  è  bene  morale  ,  e  vietare  il  contrario. 
Quindi  la  necessità  di  un  principio  universale,  da  cui 
si  deducono  quelle  forinole,  applicazioni  e  corollari  di 
quel  principio.  Se  io  dico  p.  es.  Non  nuocere  al  tuo 
simile,  io  dico  un  corollario,  una  applicazione  della 
norma  universale:  Fuggi  quello  che  è  mal  morale.  La 
quale  norma  ha  in  se  la  ragione  altresì  de'suoi  corol- 
lari, delle  sue  applicazioni;  imperocché  nel  caso  pro- 
posto, se  mi  si  chiede  perchè  io  non  abbia  a  nuoce- 
re al  mio  simile,  io  non  ho  altra  risposta  che  questa: 
Perchè  è  mal  morale.  Ma  qui  si  scorge  che  la  ra- 
gione dell'ultima  e  universal  legge  sta  nel  dichiarare 
Vessenza  della  moralità  (natura  del  bene  e  del  mal 


jo  Scienze 

morale):  conosciuta  la  quale,  sentesi  la  forza  di  ob- 
bligare, clic  ba  la  morale  legislazione,  appunto  perchè 
la  morale  intende  solo  a  indicare  il  bene  morale,  pei: 
se  evidentemente  autorevole. 

L'etica  adunque  vuol  cominciare  di  necessità  dal 
chiari*  l'essenza  della  moralità,  per  poterne  dedurre 
le  leggi  o  norme  morali,  e  fornirle  di  lume  e  di  for- 
za, che  sono  dall'intendere  la  preesistenza  della  evi- 
dente autorità  e  necessità  del  bene  ,  die  tendono  a 
prescrivere  alle  umane  operazioni.  L'essenza  poi  della 
moralità  contemplata  riflessamente  dall'uomo,  e  netta- 
mente pronunciata,  è  ciò  che  dicesi  il  principio  del" 
la  morale. 

Indi  la  divisione  della  morale  in  pura  ed  ap-^ 
plicata.  Quella  tratta  del  principio  morale  ,  e  delle 
condizioni  di  applicarlo;  questa  applica  il  principio  ai 
vari  complessi  di  azioni  umane,  e  ne  trae  le  norme 
morali  compartite  nelle  varie  loro  più  o  meno  am- 
pie categorie. 

La  pura  ha  tre  parti:  ricercando,  1.°  il  principio 
della  morale,  sede  dell'obbligazione  e  generalmente  del- 
le leggi:  2.°  la  condizione  del  soggetto,  a  cui  il  prin- 
cipio dee  applicarsi:  3.°  il  modo  di  applicarlo.  Ecco, 
1.°  la  nomologia  pura,  2.°  Vantropologia  morale, 
3."  la  logica  morale.  La  i.a  intende  a  stabilire  la 
legge  madre,  che  vuole  essere  applicata  nìVuomo,  cui 
la  morale  è  indiritta:  la  2.a  ci  mostra  1'  uomo  qual 
subbietto  dell'obbligazione,  del  merito  del  bene  e  mal 
morale:  la  3.a  prende  dalle  precedenti  il  principio 
da  applicarsi,  ed  il  soggetto  a  cui  applicarlo;  ed  of- 
fre canoni  o  regole  a  dirigere  la  nostra  ragione  in  co- 
siffatta applicazione. 

Quanto  alla  morale  applicata  ,  essa  deduce  ed 


Filosofia  della  morale  71 

ordina  le  leggi  morali,  che  ponno  considerarsi  in  so 
stesse  o  nel  soggetto  che  le  eseguisce  o  trascura. 

Riassumendo,  la  partizione  dell'etica  a  pochi  e 
grandi  tratti,  secondo  l'autore,  è  la  seguente. 

I. 

ETICA    PURA 

Parte  i.a  Nomologia  pura,  della  legge  supre- 
ma o  principio  della  morale. 

2.a  Antropologia  morale,  dell'uomo  morale  nell' 
ordine  della  natura. 

3.a  Logica  morale,  della  maniera  di  applicare 
senza  pericolo  di  errore  il  principio  morale  al  sog- 
getto morale  ,  e  di  dedurne  le  leggi  e  forinole  in- 
feriori. 

II. 

ETICA   APPLICATA 

Parte  I.  Delle  leggi  o  formolo  morali  considera- 
te in  se  stesse. 

Sez.  i.a  Formole  riguardanti  l'essere  inlelligen- 
te  supremo,  doveri  verso  Dio. 

Sez.  2.a  Formole  riguardanti  l'essere  intelligente 
umano,  doveri  verso  l'uomo. 

Gap.  1.°  Doveri  verso  la  natura  umana  in  ge- 
nerale. 

2  .  .  .  .  verso  la  natura  umana  per  ispeciali 
rapporti. 

a  .  .  .  .  nascenti  dal  rapporto  dell'uomo  con  se 
stesso,  doveri  verso  se  stesso. 


72  Scienze 

b  .  .  .  .   nascenti  dai  rapporti  di  famiglia. 

e  .   .   .   .  nascenti  dai  rapporti  di  società  politica. 

d  .  .  .  .  nascenti  dai  rapporti  di  società  mora- 
le,  o  religiosa. 

e  .  .  .  .  nascenti  dai  contratti  o  patti  specia- 
li ec. 

Parte  II.  Delle  leggi  o  formole  morali  conside- 
rate nel  soggetto  che  le  eseguisce. 

Sez.  i.a  Del  principio  attivo  che  eseguisce  le 
formole  morali. 

Cap.  i.°  Atti  morali  (natura  dell'atto  morale, 
imputazione  del  merito  ec). 

Cap,  2.0  Abiti  morali  (virtù  e  vizi). 

Sez.  2.a  De'  mezzi  che  aiutano  il  soggetto  ad 
eseguire  le  leggi. 

Sez.  3.a  Dell'effetto,  che  l'esecuzione  o  non  ese- 
cuzione delle  leggi  morali  reca  nel  soggetto  morale 
(relazione  fra  virtù  e  felicità). 

Chi  non  può  ai  lontani  mostrare  la  basilica  di 
s.  Pietro,  miracolo  delle  arti,  o  quella  risorgente  di 
s.  Paolo  fuor  delle  mura,  che  fa?  Offre  la  pianta,  il 
disegno,  e  lo  spaccato  se  vuoi,  dell'una  e  dell'altra.  Chi 
ha  non  solo  occhi,  ma  ingegno  ed  imaginazione,  può 
farsi  una  qualche  idea  di  que'grandiosi  edifizi  :  così 
noi,  a  dare  qualche  idea  a'savi  nostri  lettori  dell'ope- 
ra morale  del  eh.  Rosmini,  abbiamo  dato  non  più  che 
uno  schizzo.  Voglia  il  cielo,  che  come  s'invogliano  i 
lontani,  dopo  osservato  il  disegno,  di  venire  a  vede- 
re co'propri  occhi  le  basiliche  de'  celebrati  apostoli: 
così  svegliati  spiriti  del  bel  paese  s' invoglino  di  ri- 
correre essi  stessi  tutta  l'opera  del  Rosmini  !  Il  quale 
se  troppo  forse  parrà  che  conceda  alla  sua  teoria 
dell'ente,  mostra  sempre  intelletto  da  volar  come  aqui- 


Ricerche  fisiologiche  sul  fegato  ^3 

la,  e  cuor  buono:  due  cose  rare  a  trovarsi,  più  rare 
a  trovarsi  insieme,  rarissime  in  questo  secolo  che  van- 
tasi di  progresso. 

D.  Vaccolini. 


Continuazione  della  rivista  di  articoli  medici  ec. 
del  doti.  Giuseppe   Tortelli. 


Proseguimento  della  dissertazione  del  sig.  doti. 
Paolini:  Ricerche  fisiologiche  sul  fegato  ec.  (  V. 
pag.  58,  tomo  LXXXI.  ) 


K 


ella  parte  prima  si  tiene  discorso  delle  Diverse 
opinioni  degli  autori  intorno  le  funzioni  del  fe- 
gato. Svariati  pensamenti  si  emisero  su  tal  proposi- 
to da  tanti  sagaci  indagatori  della  natura,  che  ne  for- 
marono subietto  di  ricerche,  di  meditazioni,  di  con- 
troversie. I  seguaci  della  patologia  umorale,  avendo  in 
venerazione  le  autorità  d'Ippocrate,  di  Platone,  di  Ari- 
stotele e  di  Galeno,  vollero  trovare  nella  bile  gialla 
la  sorgente,  e  perciò  la  spiegazione  di  singolarissimi 
effetti:  cosicché  nella  soperchianza  o  nella  degenera- 
zione di  quel  fluido  riposero  la  cagione  fondamenta- 
le e  potissima  di  una  famiglia  quasi  infinita  di  mor» 
bi  sì  acuti  ed  infiammatori,  e  sì  anche  di  croniche  in- 
fermità, come  podagra,  calcoli  e  depravazione  del  san- 


y4  S    C    I    E    N    Z    E 

gue.  L'  uffìzio  però  di  secernersi  nell'  epate  1'  umor 
biliare  non  appagò  la  mente  di  alcuni,  attesa  la  mo- 
le di  quel  viscere  ,  e  la  complicata  sua  struttura  ; 
Venne  perciò  il  fegato  elevato  al  grado  di  compiere 
funzioni  di  assai  maggior  importanza  alla  vita.  L'ope- 
ra gli  si  attribuì  nelle  manifestazioni  che  apparten- 
gono all'anima  ,  e  come  sede  si  contemplò  di  certe 
passioni,  di  determinate  tendenze.  Platone  vi  collocò 
tutti  gl'istinti  animali:  Galeno  la  sede  dell'amore  : 
Areteo  ed  altri  la  facoltà  appetitiva.  I  medici  greci 
ed  arabi  lo  riguardarono  come  l'organo  principale  per 
la  preparazione  del  sangue;  su  tale  avviso  fermaronsi 
Vesalio,  Silvio,  Colombo,  Eustachio,  Falloppio,  Har- 
veio:  ed  a  fronte  di  gravi  insorte  opposizioni,  salda  si 
mantenne  tale  ipotesi  lino   ai  tempi  del  Malpighi. 

Ne  men  discrepanti  e  moltiplici  furono  i  pareri 
e  le  dottrine  professate  dai  moderni  fisiologi  intorno 
l'uso  della  bile.  Philipps4  Elliotson,  Smith,  Kiernan 
ed  altri  gli  negarono  parte  alcuna  nella  chilificazio- 
ne:  e  reputandola  come  un  escremento  separato  dal 
chilo,  allorché  per  1'  azione  del  fegato  sì  supponeva 
trasmutato  in  sangue  ,  la  vogliono  di  natura  escre- 
mentizia al  pari  dell'orina.  Altri  considerandola  sem- 
pre come  un  umore  escretorio,  avvisano  che  la  bile 
tutt'al  più  contribuisca  in  quella  funzione  come  po- 
tenza eccitante ,  risvegliando  cioè  le  contrazioni  de- 
gl'  intestini.  La  giudicarono  altri  recrementizia:  per- 
chè mescolandosi  col  chimo  unitamente  all'  umor 
pancreatico,  opera  chimicamente  nella  chilificazione; 
e  la  sospensione  di  questa  funzione  sotto  la  deficien- 
za della  bile  astrinse  a  professare  una  tal  dottrina,  la 
quale  dopo  Haller  fu  abbracciata  da  vari  recenti  scrit- 
tori, come  Magendie  ,  Richerand  ,  Brodie  ,  Adelon  , 


Ricerche  fisiologiche  sul  fegato  ^5 

Scimi tz  ed  altri.  Venne  finalmente  reputata  la  bile  da 
Tiedemann  e  Gmelin  ,  De  Renzi  ,  Dujardiri  e  Ver- 
ger in  parte  recrementizia  ed  in  parte  escrementizia: 
giacche,  a  sentenza  loro, alcuni  de'materiali  che  la  com- 
pongono concorrono  alla  formazione  del  chilo,  ed  al- 
tri vengono  insieme  colle  fecce  cacciati  fuori  del  corpo. 
L'origine  della  bile  fu  eziandio  il  subietto  del- 
le più  fervide  disputazioni  ,  dopo  che  pei  progressi 
delle  scienze  anatomiche  si  conobbe  il  concorso  al 
fegato  di  due  sistemi  vascolari  sanguigni,  e  perciò  di 
dua  specie  di  sangue,  quello  cioè  dell'arteria  epatica 
e  quello  della  vena  porta.  Si  agitò  pertanto  questio- 
ne, se  il  sangue  del  primo  o  del  secondo  sistema  som- 
ministrasse i  materiali  della  secrezione,  o  se  vi  con- 
tribuissero entrambi.  Con  una  somma  di  prove  ana- 
tomiche, fisiologiche  e  chimiche  giudicarono  recente- 
mente Simon  di  Metz  e  Kiernan  ,  col  Malpighi  , 
Haller  e  Valsalva,  esser  la  bile  un  prodotto  del  san- 
gue della  vena  porta.  A  stabilire  cotale  asserzione  si 
produssero  dal  Malpighi  belle  ed  accurate  investiga- 
zioni sulla  struttura  del  fegato  eseguite:  le  quali  po- 
nendo in  chiaro  i  rapporti  organici  fra  le  reti  capil- 
lari della  vena  porta  e  gli  acini  dei  lobuli,  tolgono 
ogni  dubbietà  per  la  derivazione  della  bile  dal  san- 
gue venoso.  Addimostrava  in  pari  tempo,  potersi  pa- 
ragonare le  attenenze  delle  minime  propagini  della 
vena  porta  cogli  acini  del  fegato  a  quelle  che  passa- 
no fra  le  ultime  diramazioni  dell'  arteria  pulmonare 
e  le  vescichette  bronchiali  :  quantunque  poi,  al  con- 
trario di  quanto  avviene  negli  organi  pneumonici  nel- 
l'officio della  respirazione,  non  siensi  (  siccome  il  N. 
A.  ne  fa  le  maraviglie  )  valutate  le  scoperte  malpi- 
ghiane,  e  siasi  ad  ogni  costo  voluta  assegnare,  se  non 


h6  Scienze 

tutta,  almeno  una  qualche  ingerenza,  al  sangue  dell? 
arteria  epatica  nella  secrezione  della  bile.  Siccome 
negletta  venne  altresì,  o  dimenticata,  la  ben  conclu- 
dentissima  osservazione  del  Valsalva,  il  quale  in  una 
donna,  di  cui  favella  il  Morgagni,  morta  di  anasarca 
dopo  lunga  malattia,  rinvenne  che  il  fegato  interna- 
mente ed  esternamente  componevasi  di  tanti  corpic- 
ciuoli  emulanti  la  forma  e  volarne  di  un  piccolo  cece, 
e  consistenti  in  follicoli  membranosi  racchiusi  da  fi- 
bre carnee,  disposte  a  foggia  di  rete  e  sparse  per  tutto 
il  fegato,  ed  accompagnate  da  vasi  sanguiferi.  L'inie- 
zione di  un  liquido  nero  nell'arteria  epatica  penetrò 
in  tutta  la  sostanza  del  fegato,  ma  non  già  nella  ca- 
vità dei  follicoli  ;  mentre  all'incontro  la  medesima  in- 
iezione, praticata  in  un  ramo  della  vena  porta,  si  vi- 
de estesamente  introdotta  in  tutte  quelle  parti  non 
solo  cui  distribuivasi  questo  ramo,  ma  pur  anco  nel- 
la cavità  dei  follicoli  :  donde  estimò  potersi  ragione- 
volmente dedurre  la  distribuzione  dei  sangue  arterio- 
so a  tutta  la  sostanza  del  fegato,  e  che  «  ex  eo  ta- 
te men  sanguine  tantum,  qui  per  venam  portae  affer- 
«  tur,  bilem  separari.  »  La  terminazione  finalmente 
dell'estremità  della  vena  porta  negli  acini  del  fegato, 
e  di  quelle  dell'arteria  epatica  agli  altri  vasi,  venne 
pur  rimarcata  da  Glissen,  Bianchi,  Walter  ,  Mapper 
e  Cruveilhier,  e  costatata  da  Kiernan.  La  somma  poi 
delle  prove  fisiologiche  risulta  dall'esperienze  fatte  sui 
bruti  pria  dal  Malpighi,  poscia  dal  Simon:  per  le  qua- 
li è  certificato  continuarsi  la  secrezione  della  bile  do- 
po la  legatura  dell'arteria  epatica,  ed  arrestarsi  dopo 
quella  della  vena  porta  ;  sebbene  molto  valore  non 
abbiano  nell'animo  del  N.  A.  siffatti  esperimenti.  Con- 
sistono da  ultimo  le  prove  chimiche  sull'analogia  di 


Ricérche  fisiologiche  sul  fegato  nn 

composizione  fra  il  sangue  della  vena  porta  e  l'umor 
biliare  :  analogia  sospettata  ed  ammessa  dall' Hallero, 
e  confermata  dallo    Schultz. 

Contrario  divisamento  sostennero  Bichat  e  Brous- 
sais  ,  appoggiati  a  plausibili  raziocini  ed  ai  risulta- 
menti  delle  vivi-sezioni.  Fiancheggiati  all'incontro  dal- 
lo studio  delle  anatomiche  ricerche,  e  dalle  iniezioni 
de'vasi  sanguigni  del  fegato,  Magendie,  De  Renzi,  Du- 
jardin  e  Verger  opinano  che  la  bile  derivi  da  amen- 
due  i  mentovati  ordini  di  vasi  anastomizzantisi  fra  lo- 
ro mercè  delle  ultime  propagini:  essendo  probabile  che 
i  primi  sieno  forniti  dal  sangue  dell'  arteria  epatica, 
ed  i  secondi  da  quello  della  vena  porta. 

Ond'  essere  completata  la  storia  fisiologica  del 
fegato,  esigeva  che  si  offrisse  un  conciso  conto  del- 
le diverse  funzioni  che  a  quest'organo  vennero  attri- 
buite dai  moderni,  oltre  la  secrezione  della  bile.  Ci 
rammenta  a  tal  effetto  il  N.  A.  essersi  all'epate  as- 
segnato 1'  officio  di  deflogisticare  il  sangue  in  modo 
analogo  a  quello  nei  pulmoni  operantesi  :  destinato 
alternatosi  il  risguardarono  Elliotson  e  Smith  :  la  mi- 
scela più  intima  col  sangue  di  alcuni  liquidi  inomo- 
genei gli  venne  tribuita  da  Magendie  :  l'opera  della 
intiera  confezione  del  sangue  venne  in  esso  riposta 
da  Prevost  e  Dumas  :  l'acquistare  che  fanno  nel  fe- 
gato i  globe tti  del  chilo  quella  specie  di  vescica  co- 
lorata che  nei  globetti  del  sangue  si  ravvisa  ,  fu  la 
modificazione  portata  da  Milne-Edwards  alla  ipotesi 
degli  ultimi  due  scrittori.  Ma  tutte  l'enunciate  ipo- 
tesi, quantunque  desunte  dai  fatti,  non  persuadono  a 
convinzione  lo  spirito  del  N.  A.,  il  quale  considera 
que'fatti  come  troppo  esclusivi  ed  isolati  da  non  pre- 
stare a  quelle  ipotesi  salde  fondamenta.    Chi    infatti 


«o*  Scienze 

poggiò  la  sua  opinione  sulle  particolarità  anatomiche 
del  fegato  ;  chi  sulla  natura  del  sangue    della    vena 
porta  che  per  entro  vi  scorre,  e  su  quella  della  hi-. 
le  ;  chi  su  i  rapporti  organici  che  ha   cogl'  intestini 
e  colla  milza;  chi  sui  risultamenti  delle  vivi-sezioni  ; 
chi  sulle  osservazioni  procacciate  dalla  embriologia  ; 
chi  su  quelle  dell'anatomia  comparata  ;  chi  finalmen- 
te su  gli  effetti  prodotti  dallo  stato   patologico  di  es- 
so viscere.  Niente  pago  di  tali  pensamenti  il  N.   A. 
fa  stima  doversi  possibilmente    raggiugnere    la  verità 
nella  investigazione  degli  uffizi  del  fegato,  ricavando 
da  tutte  le  predette  fonti  argomenti  di  prove,  e  sul 
complesso  delle  medesime  stabilire  mercè  di  rigorosa  in- 
duzione le  funzioni  probabilmente  dal  prefato  visce^ 
re  operate.  E  dietro  gl'intrapresi  studi  sul  fegato  par- 
ve al  sig.  Paolini  trovarsi  al  grado  di  ricavare  le  se- 
guenti conseguenze:   a    i .   Che  gli  argomenti,  sui  qua- 
(i   li  è  poggiata  l'opinione  di  coloro,  che  ammettono 
«   la  chimica  cooperazione  della  bile   nella   chilifica- 
«   zione,  non  sono  abbastanza  concludenti:   e  che  in 
«   vece  si  danno  osservazioni  e  ragionamenti  tenden- 
ti  ti  a  far  credere  cotesto  umore    puramente    escre-* 
«   mentizio.  2.   Che,  oltre  alla  secrezione  della  bile, 
«   sembra  che  il  fegato  serva  alla  sanguificazione   in 
«   due    modi  :   I.  perchè  in  esso   si   elabora    vieppiù 
«   quel  chilo  bruto  che,  assorbito  dalle  vene   intesti- 
li  nali,  è  stato  introdotto  nella  vena  porta  :    a.  per- 
ii  che  depura  il  sangue  della  vena  porta  stessa  dalle 
«   sostanze   inassimilabili,  che   insieme  al   chilo  sono 
11   state  assorbite  dalle  vene  intestinali  stesse.  » 

A  questi  due  punti  di  disamina  fisiologica  diri- 
gendo il  N.  A.  il  subietto  del  suo  ragionamento,  im- 
prende nella  parte  seconda  a  tener  discorso  dell'ir*- 


Ricerche  fisiologiche  sul  fegato  yg 

(Iole  escrementizia  della  bile.  Per  farsi  strada  allo 
scopo,  incomincia  dal  prender  di  mira  l'analogia  di 
struttura  e  di  disposizione  esistenti  fra  l'apparecchio 
biliare  e  quelli  che  elaborano  e  trasportano  1'  orina 
e  lo  sperma:  umori  senza  alcun  dubbio  escrementizi, 
e  che  debbono  conseguentemente  venir  espulsi  dal 
corpo.  Ed  avverte  erronea  non  doversi  tenere  questa 
maniera  di  ragionamento:  poiché  non  fu  che  per  Fa- 
nalogia  della  organizzazione  del  pancreas  con  quella 
delle  glandole  salivali,  che  furono  condotti  i  fisiolo- 
gi ad  opinare  che  anche  la  detta  ghiandola  satisfa- 
cesse ad  uffìzi  somiglianti.  Or  dunque  il  N.  A.  tro- 
va in  sulle  prime  argomenti  di  analogia  nelle  simi- 
glianze  anatomiche:  osservando,  per  le  affermazioni  di 
Blainville  e  Cuvier,  nel  fegato  del  feto  una  disposi- 
zione lobulare  eguale  a  quella  che  presentano  i  reni, 
transitoria  sì  nella  specie  umana,  ma  permanente  in 
alcuna  specie  di  animali  mammiferi  :  rimarcando  mo- 
strarsi il  fegato  nei  giovani  individui  composto  di 
piccole  cripte  formate  esse  stesse  di  granelli  ,  talché 
dichiarò  il  Blainville  non  potere  un  anatomico  sotto 
questo  punto  di  vista  distinguere  un  pezzo  di  rene 
da  uno  di  fegato  :  avvisando  al  comun  carattere  di 
metter  foce  i  canali  escretori  di  questi  due  organi 
in  una  borsa  formata  da  un  ripiegamento  dell'  invi- 
luppo integumentale  ;  di  essere  ambedue  queste  bor- 
se soggette  alla  medesima  malattia  di  concrezioni  cal- 
colose ;  e  di  offrire  sì  la  bile  e  sì  1'  orina  differenti 
caratteri,  a  norma  o  della  provenienza  immediata  dal 
suo  organo  secernente,  o  dalla  vescichetta  in  cui  ab- 
bia per  qualche  tempo  dimorato. 

All'argomento  delle  anatomiche  somiglianze  ac- 
crescono maggior  peso  le  osservazioni  ed  esperienze, 


80  S    G    I    E    N    55    E 

per  le  quali  è  dimostrato  che  la  secrezione  operata 
nel  fegato  è  in  intime  attinenze  fisiologiche  con  quel- 
le, da  cui  derivano  liquidi  che  vengono  dal  corpo  e- 
spulsi.  Risulta  infatti  per  cotali  attinenze  un  consen- 
so od  antagonismo  di  azione,  in  virtù  del  quale  alla 
deficienza  od  alla  totale  mancanza  dell'opera  di  uno 
di  cotesti  organi  secernenti  umori  escretori  succede 
una  maggior  energia  od  alacrità  di  quella  di  un  al- 
tro. Così  tolti  i  reni  ad  un  animale  ,  ovvero  inter- 
rotta comunque  la  separazione  dell'orina,  rinviensi  il 
fegato  ingorgato  di  sangue,  e  la  bile  sensibilmente  mo- 
dificata ed  anzi  accresciuta  :  così  in  alcune  specie  di 
animali  trovansi  riuniti  il  fegato  ed  i  reni  sotto  una 
stessa  forma  o  in  un  organo  solo.  Viene  altresì  raf- 
forzata l'opinione  dell'indole  escrementizia  della  bile 
dai  suoi  caratteri  microscopici  e  chimici,  simili  a  quel- 
li che  propri  sono  degli  umori  escrementizi.  Taccio- 
no nella  vita  ferale  le  secrezioni  della  saliva,  dei  suc- 
chi gastrici,  dell'umor  pancreatico,  del  succo  intesti- 
nale ;  ma  si  effettuano  bensì  quelle  dell'orina  e  del- 
la bile. 

Non  pochi  son  poi  e  di  molto  maggior  peso  gli 
argomenti  che  concorrono  a  porre  in  dubbio  l'opera 
chimica  della  bile  nella  chilificazione:  o  a  dimostra- 
re almeno  che,  se  pur  vi  contribuisce,  non  vi  si  pre- 
sta che  come  potenza  eccitante  il  tubo  intestinale,  e 
come  involvente  le  materie  non  assimilabili  degli  ali- 
menti, che  nel  crasso  intestino  trasmutansi  in  feccia. 
Così  la  legatura  del  dutto  coledoco  non  si  oppone 
alla  confezione  del  chilo,  come  risultò  dall'esperien- 
ze di  Magendie,  di  Levret,  di  Lassaygne,  di  Tiede- 
mann,  di  Gmelin,  di  Philipps.  E  siccome  risultamen- 
li  affatto  opposti  si  ebbero    dai  cimenti  di  Brodie  e 


Ricerche  fisiologiche    sul  fegato  8i 

di  Hebert-Mayo,  ai  quali  fece  eco  lo  Schultz,  il  quale 
dichiarò  erronei,  inconcludenti  e  non   meritevoli    di 
credenza  tutti  gli  esperimenti  dei  primi;  venne    così 
saggiamente  il  N.  A.  nell'avviso  di  ripetere  le  mede- 
sime esperienze.  Dichiarava  lo  Schultz,  che  tutti  cani, 
cui  viene  legato  il  coledoco,  essendo  presi  da  vomito 
incessante  ,  non  potevano  trattener  gli  alimenti   per 
il  tempo  necessario  alla  digestione  :    di  modo  che  o 
non  avea  luogo   veruna    produzione  di  chilo  ,  oppu- 
re se  veniva  a  rimarcarsene,  dovea  credersi  effettua- 
to pria  che  istituita  fosse  la  legatura.  Il  Paolini  per 
altro  ,  quantunque    ritenga    non    essere  i  suoi  espe- 
rimenti abbastanza  ripetuti  né  abbastanza  concluden- 
ti ,  osserva  contro  lo   Schultz  ,   che  il   vomito    appa- 
rendo soltanto  molte  ore  dopo  la  legatura  del  dutto 
coledoco  ,  devesi  probabilmente   reputare    un    effetto 
della  infiammazione    gastro-enterica    consecutiva  alla 
operazione,  e  non  già  del  laccio  che  stringe  il   det- 
to canale,  siccome  opinava  lo  Schultz;  e  che  il  vomi- 
to non  è  così  continuo  e  tale  da  mantenere  intera- 
mente vuoto   lo  stomaco  da  qualsiasi  alimento.  La  chi- 
lificazione  d'altronde,  indipendentemente    dalla  man- 
canza della  bile,  può  essere  ritardata  o  sospesa  in  con- 
seguenza dei  dolori  e  del  perturbamento  nervoso  in- 
dotti dalla  vivi-sezione.    Ma  oltre  ciò  1'  opportunità 
colse  il  IN.  A.  di  verificare  pienamente  le    sue    spe- 
rienze  mediante  altri  cimenti  da  esso  lui  praticati  col- 
l'assistenza  ed  opera  di  vari  suoi  illuminati  colleghi. 
Venne  a  tal  uopo  in  due  piccoli  gatti  dell'  età 
di  4°  giorni  circa,  e  digiuni  da  16  ore,  legato  il  con- 
dotto coledoco  con  robusto  filo  di  seta  al  più  presso 
all'intestino  duodeno  che  fu  possibile.  Compiuta  l'o- 
perazione della  riunione  delle  ferite   (  in  un  gattino 
G.A.T.LXXXVII.  6 


82  Scienze 

si  praticò  la  gastrorafia  )  mangiarono  ambidue  con  avi- 
dità carne  lessata,  e  bevettero  qualche  sorso  di  bro- 
do e  di  latte;  mostraronsi  quindi  abbattuti,  ne  vol- 
lero prender  cibo  se  non  se  dopo  alquante  ore.  Mo- 
ri l'un  di  essi  dopo  lo  spazio  di  26  ore,  senz'aver  in- 
contrato vomito,  né  scariche  fecali;  non  presentò  co- 
lor giallo  nella  congiuntiva  ,  ed  emise  orina  di  na- 
turale apparenza.  Turgidi  si  rinvennero  la  cistifel- 
lea ed  i  precipui  canali  biliari  ;  vacui  affatto  e  con- 
tratti gl'intestini  tenui  e  grande  porzione  del  crasso; 
materie  dure  e  biancastre  tro  varonsi  in  vicinanza  del- 
l'intestino retto:  disteso  dagli  alimenti  ingeriti  il  ven- 
tricolo ,  e  parte  di  essi  ridotta  in  un  liquido  denso 
grigio  e  di  odore  agro  ;  appena  cangiati  di  colore  ed 
appena  rammolliti  il  fegato  di  bue  da  esso  mangiato , 
ed  una  porzione  di  carne  lessata  presa  nel  giorno  ad-* 
dietro;  parvero  i  reni  avere  un  colore  più  rosso  scu- 
ro del   naturale  per  ingorgo  di  sangue. 

L'altro  gattino  dopo  sei  dì  dai  sofferti  patimen- 
ti tornò  vispo  e  gaio  qual  era  innanzi  alla  operazio-. 
ne:  e  notevole  soltanto  vi  occorse,  che  le  materie  fe- 
cali per  essere  assai  dure  venivano  espulse  con  dif- 
ficoltà dal  corpo  ,  ed  avevano  un  colorito  alquanto 
più  scuro  dell'ordinario  loro  carattere  :  F  orina  poi  , 
cimentata  più  volte  con  la  carta  azzurra  di  tornaso- 
le, non  presentò  che  lieve  arrossamento.  Si  tenne  in 
vita  per  38  giorni:  e  quindi  ucciso  che  fu,  ne  assun- 
se la  dissezione  il  eh.  profess.  Alessandrini  ,  la  cui 
analoga  relazione  dei  trovamenti  necroscopici  viene 
ivi  dal  N.  A.  riferita  colle  parole  istesse  del  celebre 
professore.  Risulla  singolarmente  da  tale  rapporto,  che 
lo  stato  di  nutrizione  di  tutto  il  corpo  era  molto  lo- 
devole ;  i  vasi  sanguiferi  del  fegato  eransi  ingranditi 


Ricerche  fisiologiche  sul,  fegato  83 

soltanto  a  quel  grado  ch'esigerlo  poteva  la  ingrandi- 
ta j^iole  del  fegato  ;  la  musculatura  dell'animale  ave- 
va un  colore  rosso  molto  dilavato  e  tendente  alquan- 
to al  giallognolo,  colore  che  non  appariva  nella  con- 
giuntiva; obliterato  era  il  coledoco  in  tutto  quel  trat- 
to che  percorre  obliquamente  le  tuniche  del  duode- 
no ;  in  questo  era  manifesta  la  pupilla  che  suol  se- 
gnare lo  sbocco  del  coledoco:  ma  spremuta  con  cer- 
ta forza,  tanto  la  cisti  quanto  i  condotti,  non  geme- 
va la  bile  dalla  pupilla,  né  la  faccia  interna  e  del- 
lo stomaco  e  del  duodeno,  o  la    mucosità  di  queste 
parti,  che  pure  era  molto  copiosa,  potè  vedersi  tinta 
del  color  della  bile.    Necessari  anzi  furono    reiterati 
sforzi  di  pressione  per  far  finalmente  uscir  dalla  pu- 
pilla la  bile,  che  sciolta  si  rimarcò  e  di  color  verde 
d'erba  dichiarato  :  il  che  dimostrava  ad  evidenza,  che 
dopo  l'allacciatura  del  canale  non  erasi  più  trasmes- 
sa bile  all'intestino.  Volle  ciò  non  ostante  il  N.  A. 
dissipare  ogni  dubbio  mercè  dell'analisi  chimica,  che 
venne  affidata  al  dott.  Paolo  Muratori:  il  quale  si  as- 
sicurò mancare  negli  escrementi  le  sostanze    proprie 
della  bile  ,  ninna    traccia    esservi  di  soda  e  del  suo 
carbonato,  ne  di  colesterina  e  di  materia  colorante, 
e  solamente  rinvenirvisi  una    resina,  ma  diversa  per 
molti  caratteri  dalla  biliare.  Principali  deduzioni  trae 
da  queste  sperienze  e  risultamenti  il  N.  A.  in  con- 
ferma degli  altri  primitivi  esperimenti  ed  in  sostegno 
del  suo  scopo  :  cioè  ,  che  indispensabile  non  è  alla 
confezione  del  chilo  la  mescolanza  della  bile  col  chi- 
mo, non  avendo  nell'ultimo  esperimento  le  funzioni 
assimilatrici  sofferto  sconcerto  veruno  ;  die    la   diffi- 
coltà nell'espulsione  delle  feci  patita  dall'animale,  la 
durezza  loro,  e  la  diversità  di  colore,  inducono  piut- 


84  Scienze 

tosto  ad  opinare  che  la  bile  sia  un  umore  escremen- 
tizio, e  che  serva  come  stimolo  a  favorire  l'evacua- 
zione di  quelle  eccitando  le  contrazioni  muscolari  de- 
gl'intestini; che  la  niuna  colorazione  in  giallo  della 
congiuntiva  e  dell'orina  dopo  la  legatura  del  coledo- 
co addimostra  non  essersi  la  bile  assorbita,  ma  ben- 
sì accumulata  nella  cistifellea  e  nei  condotti  escreto- 
ri, resi  perciò  smisuratamente  turgidi:  mentre  il  rista- 
gno della  bile,  specialmente  nei  pori  biliari,  si  oppo- 
ne all'opera  secretoria  del  fegato  :  donde  conseguita 
un'  alterazione  del  sangue,  a  cui  forse  potrebbe  tri- 
buirsi  il  color  rosso  molto  dilavato  e  tendente  alquan- 
to al  giallognolo  che  si  osservò  tingere  la  muscula- 
tura  del  secondo  gattino. 

Anche  varie  patologiche  osservazioni  han  fatto, 
conoscere  che  nell'emergenze  di  completa  ostruzione 
del  canal  coledoco,  benché  impedito  il  passaggio  della 
bile  nel  duodeno  per  mescolarsi  col  chimo  ,  non  si 
sospese  la  digestione,  ne  soffrì  nocumento  veruno;  ed 
unicamente  rimarcossi  men  carico  il  color  delle  ma- 
terie fecali,  alquanto  stentato  il  tragitto  di  esse  pel 
tubo  intestinale,  e  più  difficile  la  espulsione  loro  fuo- 
ri del  retto.  Lungamente  sopravvissero  gl'infermi,  dei 
quali  parlano  Morgagni  e  Frank  ;  cosicché  se  la  bi- 
le fosse  veramente  indispensabile  alla  formazione  del 
chilo  ,  non  avrebbe  potuto  sostenersi  la  vita  per  la 
privazione  di  quell'  umore  di  primaria  ed  essenziale 
necessità.  ]Non  ritiene  il  Brodie  come  meritevoli  di 
fede  cotesti  casi:  in  alcuni  dei  quali  opina,  che  me- 
diante la  parte  più  florida  del  chimo  siasi  per  un  cer- 
to tempo  potuta  sostenere  la  vita.  La  quale  ultima  as- 
serzione viene  dal  Paolini   impugnata. 

La  maggior  parte  de'  moderni  fisiologi  conside- 


Ricerche  fisiologiche  sul  fegato  85 

rando  d'altronde  che  il  chimo  è  acido  Dell'uscire  dal. 
lo  stomaco,  salso  poi  ed  alcalino  nel  dutto   toracico, 
avvisano  combinarsi  il  principio  alcalino    della    bile 
con  gli  acidi  idroclorico  ed  acetico  del  chimo,  e  neu- 
tralizzarli. Intorno  alla  quale  opinione,  abbracciata  re- 
centemente dallo  Schultz  e  che  fu  già  di  Boerhaave,  ri- 
piglia il  N.  A.  che  possa  probabilmente  il  chilo  ri- 
cevere i  predetti  caratteri  nelle  glandole  linfatiche  del 
mesenterio  in  virtù  di  successiva  maggior  elaborazione, 
o  dall  umore  separato  dal  pancreas  analogo  per  la  chi- 
mica sua  composizione  all'umor  salivare  e  quindi  al- 
calino. Un  uffizio  più  complicato  assai  nell'opera  del- 
la digestione   venne   affidato  alla  bile  da  Tiedemann 
e  bmelin,  all'opinione  dei  quali  arrisero  De  Renzi 
Dujaidm   e  Verger.   Oltre  la    neutralizzazione   opera- 
ta dalla  bile  di  una  parte  dell'acido  proveniente  dai 
succhi  gastrici,  ritennero  ancora  che  una  gran  parte 
dei  suo!  materiali,  la  resina  cioè,  il  grasso,  il  princi- 
pio colorante,  il  muco  ed  isali,  sieno  espulsi  dal  cor- 
po insieme  cogli  avanzi  non  digeriti  delle  sostanze  ali- 
mentari: mentre  i  principi!  azotati  di  essa  ,   come  il 
picromele,  l'osmazoma  e  l'acido  colico,  unendosi  agli 
alimenti  valgano  a  vieppiù  assimilarli,   e  ravvicinarli 
alla  chimica  animale  composizione  :  ed  in  tal  parere 
confortami ,  perchè  non  si   trovano  negli  escrementi 
quei  principii  assorbiti  insieme  alle  sostanze  alimenta- 
ri disciolte.   Ma  qui  il  N.  A.  oppone  con  Blumenbach, 
non  esser  nell'    economia  animale    alcun  esempio  di 
un  umore  destinato  insieme  ad   essere    espulso    e  ad 
essere  assorbito  e  portato    nell'interno  del  corpo  istes- 
so  :  dubita  se  i  principi!  assimilabili  ed  azotati,  am- 
messi da  Tiedemann  e  Gmelin,  trovinsi  realmente  nel- 
la bile  formati,  o  debbansi  in  vece  tenere  come  nuo- 


86  S    C    I    E    N    %    E 

vi  composti  generati  dai  reagenti  e  dai  processi  chi- 
mici adoperati  ;  tanto  più  che  Thenard,  Berzelius  ed 
altri  esclusero  la  esistenza  delle  indicate  sostanze  , 
opinando  anzi  quest'ultimo  che  la  scomposizione  del- 
la bile  sia  probabilmente  più  semplice  di  quanto  in- 
dicato viene  dai  prelodati  professori  d'  Heidelberga  : 
dubita  con  Burdach,  che  possa  quell'umore  conserva- 
re integri  i  suoi  costituenti  principii  oi^ganici  dopo  le 
diverse  chimiche  operazioni,  e  dopo  l'influenza  di  sva- 
riati ed  attivi  reagenti  :  oppone  che  dalla  mancanza 
delle  sostanze  assimilabili  od  azotate  nella  bile  non 
sia  lecito  dedurne  la  miscela  di  esse  al  chimo  ,  po- 
tendo le  medesime  aver  sofferto  mutamenti  nell'atto 
delle  diverse  composizioni  e  scomposizioni  nel  tubo 
intestinale  senz'  aver  contribuito  alla  formazione  del 
chilo.  Per  questi  e  per  vari  altri  ingegnosi  razioci- 
ni ritiene  in  vece  il  N.  A.  più  probabile,  che  all'  as- 
similazione degli  alimenti  prenda  una  grandissima  par- 
te il  succo  pancreatico  per  la  natura  doviziosamente 
azotata,  di  cui  son  forniti  i  suoi   componenti. 

In  favore  altresì  dell'influenza  della  bile  nell'o- 
pera della  chilificazione  si  riprodusse  da  alcuni  scrit- 
tori l'argomento  dell'Haller:  cioè  che  ove  fosse  la  bi- 
le semplicemente  un  escremento  separato  dal  sangue, 
la  natura  gli  avrebbe  aperta  una  strada,  non  nel  prin- 
cipio dell'intestino,  ma  bensì  nel  retto,  onde  impedi- 
re che  mescolandosi  col  chilo  recasse  a  questo  alte- 
ramente Della  qual  difficoltà  solertemente  si  disbri- 
ga il  N.  A.  con  improntare  l'esempio  dell'umore  del- 
la prostrata  ,  che  sbocca  nello  stesso  condotto  e  pel 
medesimo  trapassa  insieme  allo  sperma,  senza  essersi 
perciò  desunto  che  il  primo  modifichi  l'intima  natu- 
ra del  secondo  e  contribuisca  per  tal  modo  alla  sua 


Ricerche  fisiologiche  sul  fegato  87 

composizione.  E  siccome  analogia  egli  rimarca  tra  le 
attenenze    che  passano   fra  l'umor  della  prostrata  ed 
il  seme,  e  quelle  ch'esistono  fra  la  bile   e  le  materie 
alimentari  entro  l'intestino  contenute  ;   così  analoghi 
a  lui  sembrano  gli  usi  dell'umore  biliare  a  quelli  del 
prostatico.  Dimostrato  per  tal  modo  abbastanza  egli  ri- 
tiene, che   «    la  bile  influisce  bensì  sul  chilo,  ma  piut- 
«   tosto  indirettamente,  e  serve   alla  separazione  del- 
«   le  materie  inassimilabili  dal  succo  nutritivo,  invol- 
te  gendole,  modificandone  alcune  proprietà,  e  coadiu- 
«   vandone  l'escila  fuori  del  corpo,  siccome  appunto 
«   interviene  fra  l'umore  della  prostrata  ed  il  seme.» 
Concludenti  perciò  non  trova  il  sig.  Paolini,  anzi  per 
molte  ragioni  combattuti  ,  gli  argomenti  addotti  dai 
fisiologi  circa  la  necessità  della   bile   nella    chilifica- 
zione;  mentre  da  osservazioni  e   da  fatti  positivi  tro- 
va favoreggiata  1'  opinione  di  coloro   che  tengono    la 
bile  per  un  umore  escrementizio. 

Alla  funzione  per  altro  del  fegato  di  secernere 
la  bile  sembra  al  sig.  Paolini  probabile  di  altra  ag- 
giugnere  ,  che  nella  parte  terza  contempla  :  quella 
cioè  di  contribuire  alla  sanguificazione  con  elaborare 
il  chilo  bruto  od  imperfetto  ch'è  slato  assorbito  dalle 
vene  meseraiche,  e  depurare  il  sangue  della  vena  por- 
ta dalle  materie  inassimilabili  assorbite  dalle  vene 
istesse  nel  tubo  intestinale.  In  conferma  del  suo  as- 
sunto incomincia  dal  discorrere  della  discrepanza  che 
passa  fra  il  sangue  della  vena  porta  e  quello  delle 
altre  vene.  Rammentate  le  indagini  dell'  Haller  sul 
proposito,  tien  parola  dell'esperienze  chimiche  esegui- 
te dallo  Schultz,  il  quale  pose  in  più  chiaro  aspetto 
i  caratteri  fisici  e  chimici  del  sangue  della  vena  por- 
ta e  di  quelle  delle  arterie  e  delle  altre  vene  ,  non 


88  Scienze 

che  quella  rassomiglianza  già  notata  dagli  antichi  fra 
il  sangue  della  prima  e  l'umor  biliare.  Più  nero  egli 
è  questo  dell'altro  sangue  venoso,  non  arrossa  pei  sa- 
li neutri,  nò  pel  contatto  dell'aria  atmosferica,  ne  per 
l'azione  dell'ossigeno:  non  si  coagula,  oppure  si  rap- 
piglia in  grumi  men  tenaci  di  quelli  delle  altre  ve- 
ne: contiene  più  cruore  e  minor  quantità  di  fibrina 
e  di  albumina,  e  meno  di  parti  solide  di  quello  del- 
l'altro sangue  venoso.  Qualità  poi  essenziale  e  carat- 
teristica del  detto  sangue  si  è  di  possedere  il  doppio 
del  principio  grassoso  di  quello  delle  arterie  e  delle 
altre  vene  :  il  quale  principio  è  untuoso  e  di  color 
bruno  nerastro.  Or  di  tali  fisiche  proprietà  ravvisate 
dallo  Schultz  trovò  il  N.  A.  la  conferma  nelle  os- 
servazioni ed  esperienze  comparative  che  instituì  sul 
sangue  umano  e  su  quello  del  cavallo:  le  quali  uni- 
te ai  primi  cimenti,  ed  agli  altri  non  molto  dissimili 
di  Taehervy  e  di  Stoek.es,  guidano  a  credere  essere  il 
sangue  della  vena  porta  dotato  di  una  composizione 
chimica  particolare  diversa  da  quella  dell'  altro  san- 
gue venoso. 

Ma  questi  annotati  caratteri  fisici  e  chimici  del 
sangue  della  vena  porta  propri  sono  ancor  della  bile, 
e  perciò  fondamento  pur  somministrano  di  verosimi- 
glianza dell'  analogia  ammessa  fin  dagli  antichi  fra 
questi  due  umori.  Che  se  risultameli  li  discordi  fra  lo- 
ro, e  principii  moltiplicì  ed  assai  differenti  si  otten- 
nero da  Thenard  e  Berzelius,  da  Tiedemann  e  Gmelin, 
da  "Vogel  e  da  Fourcroy  ,  contrappone  il  N.  A.  al 
genio  di  tali  risultanze  i  ragionamenti  di  Raspail,  1* 
opinione  di  Cadet  dimostrata  ampiamente  dal  Mura- 
tori, risguardanti  molte  delle  rinvenute  sostanze  nel- 
la bile  come  il  prodotto  dei  vari  artifizi  chimici  ,  e 


Ricerche  fisiologiche  sul  fegato  89 

ritenendo  la  bile  come  composta  in  grandissima  par- 
te di  materie  grasse. 

Che  se  della  pren linciata  discrepanza  del  san-» 
gue  della  vena  porta  dal  rimanente  sangue  venoso  vo- 
lesse squittinarsi  la  ragione  ;  non  è  pago  il  sig.  Pao- 
lini  della  spiegazione  adottata  dagli  antichi  ,  che  la 
causa  di  tanti  e  sì  notabili  cangiamenti  operati  nel 
primo  sangue  riposero  nell'influenza  dell'omento  e  del 
mesotolon,  o  nell'  opera  della  milza.  Gli  aggrada  in 
vece  di  affermare,  che  il  sangue  della  vena  porta  ri- 
ceva le  specifiche  proprietà  ed  i  materiali  in  esso  pre- 
valenti da  diverse  sostanze  solide  e  liquide,  non  che 
da  porzione  di  chilo  bruto  od  imperfetto  ad  esso  me- 
scolatosi mercè  dell'assorbimento  operato  dalle  vene 
meseraiche  alla  superficie  interna  degl'intestini;  vero- 
simile essendo  che  il  chilo  intieramente  confezionato 
entri  direttamente  nei  chiliferi  vasi,  mentre  una  por- 
zione dell'imperfetto  si  faccia  strada  per  l'indicato  as- 
sorbimento. Che  anzi  non  solamente  diversi  liquidi 
con  materie  in  essi  disciolte,  ed  una  parte  di  chilo 
non  per  anco  totalmente  assimilato  è  verosimile  che 
vadano  mercè  dell'assorbimento  venoso  a  mescolarsi  col 
sangue  della  vena  porta,  modificandone  la  sua  intima 
composizione  ;  ma  ritiene  anche  il  N.  A.  come  cosa 
molto  probabile,  che  in  esso  s'introducano  alcuni  gaz 
composti  per  la  maggior  parte  d'idrogeno  puro  e  di 
acido  carbonico.  Ne  conseguita  perciò  la  necessità  di 
risguardare  nel  sangue  della  vena  porta  una  riunio- 
ne di  principii  inassimilabili,  i  quali  debbono  venir 
espulsi  dal  corpo,  perchè  mescolandosi  alla  massa  ge- 
nerale del  sangue  non  potrebbero  a  meno  di  altera- 
re la  normale  sua  crasi.  Ne  conseguita  parimenti  non 
essere  del  tutto  ipotetico  l'asserto,  che  nelle  tortuo- 


90  Scienze 

se  diramazioni  della  vena  porta  epatica  patisca  il  chi- 
lo assorbito  dalle  vene  meseraiche  alcune  modifica- 
zioni e  permutamenti,  pei  quali  acquisti  un  maggior 
grado  di  assimilazione  paragonabile  in  un  certo  mo- 
do a  quello^  che  in  maniera  sconosciuta  imprimono 
le  glandole  conglobate  al  chilo  ivi  fluente  pei  vasi 
linfatici.  Spogliasi  per  tal  modo  il  sangue  nel  fegato 
da  quei  principii  inassimilabili  ,  dai  quali  viene  ge- 
nerato un  liquido  escrementizio  (come  pare  che  debba 
tenersi  la  bile  per  virtù  dei  raziocini  nella  parte  se- 
conda discussi  ),  e  così  ne  fluisce  il  perchè  1'  epate 
concorra  in  varia  guisa  all'opera  della  sanguificazio- 
ne. Se  non  che  a  tali  uffizi  soddisfa  l'epate  in  mo- 
do diverso  da  quello  dei  reni  e  del  pulmone.  Che 
di  vero  la  funzione  di  questi  organi  nell'  economia 
animale  ha  per  iscopo  di  depurare  la  massa  generale 
del  sangue  da  molti  principii  inutili  o  nocivi,  i  qua- 
li risultano  o  da  sostanze  straniere  assorbite  dal  cor- 
po umano,  ovvero  da  materie  eliminate  dai  nostri  tes- 
suti mercè  del  processo  nutritivo,  o  che  avanzano  alle 
molteplici  secrezioni  ;  laddove  il  fegato  libera  parzial- 
mente da  principii  inomogenei  il  sangue  refluo  de- 
gl'intestini, e  così  impedisce  che  si  mescano  alla  mas- 
sa del  sangue  e  vi  portino  delle   alterazioni. 

Concorrer  fa  il  signor  Paolini  in  sostegno  della 
sua  ipotesi  due  altri  generi  di  raziocini  e  di  docu- 
menti. Riposa  il  primo  sulla  considerazione  delle  som- 
me attenenze  anatomiche  e  fisiologiche  che  gode  l'e- 
pate coli'  universale  della  macchina  nel  tempo  della 
vita  intra-uterina  :  consiste  il  secondo  nella  conside- 
razione degli  argomenti  tolti  dallo  stato  patologico. 
Legame  di  argomenti  ben  giusto:  poiché  ove  resti  fer- 
ma la  somma  degli  argomenti  fisiologici ,   ne  fluisce 


Ricerche  fisiologiche  sul  fegato  gì 

legittima  la  relazione  dei  patologici  ancora.  E  per 
parlar  dei  primi  rammenta  il  N.  A.  la  precoce  com- 
parsa dell'epate  nell'embrione  degli  animali  ovipari  e 
vivipari,  che  oggetto  fu  di  questione  se  al  cuore  pre- 
cedesse la  formazione  del  fegato.  Rammenta  singolar- 
mente la  costante  direzione  all'epate  della  vena  om- 
bellicale,  che  nata  dalla  placenta  trasporta  la  mate- 
ria nutritiva  al  feto,  quantunque  sul  modo  di  comu- 
nicazione discordi  sieno  i  pareri  degli  autori.  E 
tanta  costanza  egli  stabilisce  della  inserzione  del  tron- 
co della  vena  ombellicale  nel  fegato  ,  e  di  tale  im- 
portanza egli  giudica  una  tale  disposizione  alla  eco- 
nomia animale  del  feto,  che  in  tutte  le  ricerche  da 
lui  instituite  e  da  Geoffroy  Saint-HUaire  attesta  non 
aver  rimarcato  alcun  caso  di  mostruosità,  in  cui  la 
detta  vena  siasi  diretta  ad  altro  punto  del  corpo  da 
questo  diverso.  Dal  che  egli  desume  come  indubita- 
to, che  siccome  natura  nulla  opera  indarno,  così  pro- 
babilmente con  tale  disposizione  di  parti  consista  il 
fine  nel  subire  nel  fegato  l'umore  nutritizio  una  ul- 
teriore elaborazione  ,  e  nel  perdere  principii  inassi- 
milabili. Discende  manifesto  da  tali  contemplazioni, 
come  alterata  o  sospesa  la  funzione  del  fegato,  pas- 
sando immutato  il  sangue  della  vena  porta  nella  mas- 
sa generale  sanguigna,  quanto  dalla  miscela  di  que- 
sto umore  ridondante  di  non  poche  sostanze  inassi- 
milabili e  di  chilo  bruto  ne  debba  patire  la  normale 
sua  crasi  o  la  sua  chimica  composizione.  Tutte  in- 
fatti le  morbosità  dell'epate ,  per  poco  inoltrate  che 
sieno,  contrassegnate  vengono  da  un  peculiare  colo- 
rito che  tinge  la  cute  dell'infermo,  e  dall'  abito  cachet- 
tico che  lo  distingue:  dimostrando  così  essere  accom- 
pagnata la  malattia  da  un  disordine  più  o  men  gra- 


g2  Scienze 

ve  della  sanguificazione.  Non  vuol  negare  il  N.  A., 
che  in  alcune  rare  circostanze  nella  itterizia,  sì  di  so- 
vente congiunta  ai  vizi  del  fegato,  il  color  giallo  del- 
la cute  debba  reputarsi  effetto  del  disperdimento  del- 
la bile  nel  torrente  della  circolazione  in  esso  intro- 
dotta per  opera  dell'assorbimento,  come  quando  forti 
ostacoli  si  oppongano  alla  escrezione  della  bile  nella 
cavità  del  duodeno.  Ma  preferibile  giudica  il  divisa- 
mento  di  altri  scrittori,  pei  quali  nel  maggior  nume- 
ro dei  casi  vuoisi  riconoscere  una  depravazione  del 
sangue  o  una  conseguenza  di  una  scomposizione  dei 
suoi  elementi  venuta  in  seguito  di  una  lesione  dell' 
epate.  Chiarissimi  autori  testificarono  l'esistenza  de- 
gli elementi  della  bile  nel  sangue  degl'itterici:  e  per- 
ciò impugnarla  non  vorrebbe,  potendo  realmente  al- 
cuna rara  volta  avvenire  l'assorbimento  di  essa.  Ma 
d'altronde  non  trovasi  inclinato  ad  entrare  in  questa 
sentenza,  addottrinato  dalle  diligenti  analisi  chimiche 
di  recente  praticate  da  Chevreul,  Collard  de  Marti- 
gny,  Lassaigne,  Kan  di  Dublino  e  Le  Canu,  dimo- 
stranti che  nel  sangue  dei  predetti  infermi  giammai 
si  trovano  tutt'i  principii  della  bile  ;  addottrinato  al- 
tresì dall'esperienze  del  Magendie,  il  quale  iniettan- 
do bile  nelle  vene  di  un  cane,  vide  avvenire  la  mor- 
te dell'animale  senza  indizio  veruno  di  presenza  del- 
la bile  nel  sangue  ne  pel  colore ,  ne  pel  sapore  ,  e 
senza  verun'alterazione  di  colore  della  cute  ;  addot- 
trinato finalmente  dai  molti  fatti  riferiti  dal  Morga- 
gni, dal  Frank,  dal  dottissimo  De  Renzi  ,  e  confer- 
mati in  parte  da  essolui,  di  non  essersi  cioè  manife- 
stata ittexùzia  in  vita  nella  cute  di  alcuni  individui, 
nei  quali  compiutamente  chiusa  si  vide  per  opera  di 
grossi  calcoli  l'apertura  del  dutto  coledoco.  L'itteri- 


Ricerche  fisiologiche  sul  fegato  g3 

irìa  all'incontro  si  trovò  congiunta  per  lo  più  a  le- 
sione più  o  men  grave  dell'epate,  o  a  congerie  di  cal- 
coli o  radunamento  di  bile  concreta,  ne'condotti  escre- 
tori: per  lo  che  opponevansi  gravissime  difficoltà  all' 
azione  secernente  dell'organo  stesso.  E  numerosi  so- 
no i  fatti  comprovanti ,  che  la  impedita  secrezione 
della  bile,  o  per  un  vizio  del  fegato  o  per  un  osta- 
colo al  corso  della  vena  porta,  sia  la  cagione  di  quel 
disordine  particolare  della  crasi  del  sangue  in  che  con- 
siste l'itterizia. 

Non  manca  da  ultimo  la  patologia  di  prestare 
argomenti  in  favore  dell'altra    funzione,  che    sembra 
esercitare  il  fegato  per  ciò  che  riguarda  la  confezio- 
ne del  chilo.   Se  ad  onta  di  completa  ostruzione  e  di 
induramento  delle  glandole  meseraiche,  raggiunsero  al- 
cuni individui  un'  estrema  vecchiezza;  se  si  manten- 
ne per  molti  mesi   la  vita  sotto  il  corso  di  una    ta- 
be glandolare  mesenterica  per  virtù  di  degenerazione 
delle  glandole  linfatiche  rese  inette  a  compiere  le  ri- 
spettive funzioni  ;  non    ripugna    alla  ragione  il  cre- 
dere, che  non  solo  le  vene  intestinali  eseguendo  l'as- 
sorbimento del  chilo  facciano   in   parte  le  veci  de'va- 
si  lattei,  ma  che  anche  in  mancanza  dell'opera  delle 
glandole  suddette  sia  dal  fegato  maggiormente  elabo- 
rato il  chilo,   fino  a  raggiugnere  quel  dato   gi-ado    di 
assimilazione   che  non   ha  ancora    ricevuto    nel   tubo 
digerente,  rendendolo  idoneo  ad  essere    convertito    in 
sangue.   «    Del  rimanente  poi   (  con  tali  espressioni  si 
«    appressa  il  N.  A.  a  dar  compimento  al  presente  suo 
«    lavoro  )   tengo  ferma  credenza  ,   che  la  particolare 
«   morbosa   condizione  del  sangue,  eh'  è  conseguenza 
o   delle  alterazioni  del  fegato,  verrà  vie  maggiormen- 
«  te  convalidata  e  distinta,  a  misura  che  s'instituiran- 


q^  Scienze 

«  no  dai  medici  più  esatte  investigazioni  ,  e  che  si 
«  ripeteranno  dai  chimici  le  analisi  di  quell'  umore 
«  nelle  epatiche  infermità.    » 

Sì,  ben  legittima  troviamo  quest'ultima  espres- 
sione del  eh.  sig.  Paolini:  e  tanto  legittima  ,  che  a 
tutte  le  asserte  tesi  dal  N.  A.  sostenute  diremmo  do- 
versi ella  estendere  ed  applicare.  Con  ingegnosissimi 
raziocini  infatti  si  è  egli  studiato  dimostrare  finquì  la 
cooperazione  dell'epate  nella  funzione  dell' ematosi  e 
l'indole  escrementizia  della  bile  ;  ma  ulteriori  inve- 
stigazioni, ulteriori  chimiche  indagini,  concorrere  uni- 
camente potranno  a  render  più  salde,  ferme  ed  evi- 
denti le  sue  studiate  dimostrazioni  ;  essendo  finquì 
assai  gravi  i  dubbi  che  all'  animo  si  presentano  per 
soscriversi  alle  medesime.  Così  per  dichiarare  suffi- 
cientemente dimostrato  dalla  patologia,  essere  la  se- 
crezione della  bile  in  così  intime  attenenze  con  quel- 
le dell'orina  da  supplitisi  fra  loro  più  o  meno  scam- 
bievolmente, converrebbe  testificare  con  fatti  moltis- 
simi ed  inconcussi  cotesta  vicaria  manifestazione  di 
risultati  ,  cotesto  supplementario  avvicendarsi  di  se- 
crezioni. Converrebbe  che  gli  esempi  d'  inopia  della 
orina  venissero  assistiti  da  documenti  di  eguali  e  con- 
simili circostanze  indicanti  in  pari  tempo  l'aumento 
di  secrezione  e  dì  escrezione  dell'  umor  biliare.  Né 
coli'  impugnare  1'  asserto  della  composizione  chimica 
della  bile  esser  simile  a  quella  ch'è  propria  degli  u- 
mori  escrementizi,  sembra  potersi  ragionevolmente  in- 
correre nella  taccia  di  scetticismo  spinto  tropp' oltre; 
poiché  sul  valor  dei  chimici  argomenti ,  o  ,  per  dir 
meglio,  delle  chimiche  analisi,  ci  porge  lo  stesso  sig. 
Paolini  consiglio  di  ritenutezza.  Quante  sagaci  obie- 
zioni non  ha  egli  accampate  (  alla  pag.  21  e  seg.  ) 
per  conchiudere  sulla  semplicità  della  bile  istessa,  non 


Ricerche  fisiologiche  sul  fegato  g5 

tanto  ricca  di  principii  elementari,  come  da  taluni  si 
è  buccinato  e  ritiensi  !  Le  deduzioni  altresì,  che  trag- 
gonsi  dai  risultamenti  ottenuti  mediante  le  vivi-se- 
zioni, non  sembrano  pienamente  bastevoli  a  stabilire 
una  dottrina  fisiologica  di  gran  peso  ,  qual  è  quella 
su  cui  si  sono  aggirate  le  meditazioni  del  sig.  Pao- 
lini.  Si  lianno  infatti  risultanze  equivoche  ed  anche 
contraddittorie  ;  giacche  alcuno  dei  bruti  cimentati 
presentò  integre  le  sostanze  ingollate,  alcun  altro  le 
offerse  più  o  men  digerite.  Si  dà  peso  in  quegli  e- 
sperimenti  alla  circostanza  dei  dolori  sofferti  dagli  ani- 
mali durante  il  travaglio  dell'operazione  ed  allo  sta- 
to di  depressione  vitale,  che  necessariamente  si  suc- 
cede, per  attribuire  tal  fiata  a  queste  sofferenze  (  co- 
me alla  pag.  35,  nura.  i  )  la  sospensione  delle  fun- 
zioni digerenti  e  della  chilificazione.  Tal  fiata  d'  al- 
tronde la  circostanza  di  tali  sofferenze  perde  ogni  va- 
lore, come  nell'esperimento  del  secondo  gattino;  per- 
chè egli  ebbe  la  fortuna  di  trionfare  dei  suoi  pati- 
menti, e  non  presentare  sconcerti  nelle  sue  funzioni 
assimilatrici.  Né  il  dilemma  contro  1'  asserzione  del 
Brodie  (pag.  Sj  )  sembra  assai  valido  per  infràngerla; 
poiché  contro  la  prima  parte  del  dilemma  potrebbe 
opporsi  il  fatto  del  secondo  gattino  cimentato  dal  sig. 
Paolini  :  potrebbe  opporsi  perciò  non  essere  impos- 
sibile, che  venga  successivamente  compartito  dalle  for- 
ze organiche  un  grado  di  assimilazione  incompleta,  ma 
capace  di  apprestare  un  materiale  abile  alla  nutrizio- 
ne. Assai  più  robuste  difficoltà  finalmente  sono  state 
recentemente  con  somma  avvedutezza  emesse  dal  eh. 
prof.  Metaxà  giuniore  nei  suoi  medico-chirurgici  an- 
nali, ed  a  questi  perciò  rimettiamo  i  nostri  lettori. 

TONELLI. 


96 


Notizie  isteriche  intorno  alV osservatorio 
del  campidoglio. 


JLie  scienze  basate  sull'esperienza  e  sull'osservazio- 
ne sono  quelle  che  addimostrano  la  forza  dell'umana 
mente:  e  noi  in  tanto  avanzamento  di  esse  vediamo 
quante  cose  grandi  si  sono  scoperte  e  poste  in  uso, 
delle  quali  neppure  si  potea  sospettare  lo  svolgimen- 
to. Chi  di  fatti  avrebbe  creduto  dalla  semplice  sperien- 
za  dello  stropicciamento  dell'ambra,  la  quale  attrae  i 
frammenti  di  paglie,  di  carta  e  di  altri  piccoli  ogget- 
ti, poterne  derivare  le  grandi  scoperte  fatte  intorno  al 
fluido  elettrico,  fino  a  fare  scendere  innocuo  ai  piedi 
dell'osservatore  il  tremendo  fulmine,  a  decomporre  i 
corpi  più  refrattari  ,  ed  a  servire  a  mille  utilissime 
cose?  Chi  del  vapore  acqueo  tante  sorprendenti  appli- 
cazioni alle  arti  e  ai  commercio?  E  ciò  dicasi  di  al- 
tri molti  scoprimenti.  E  se  queste  cose  onorano  som- 
mamente lo  spirito  umano,  la  scienza  astronomica  pe- 
rò è  quella  che  ha  mostrato  con  maggior  chiarezza 
quanta  potenza  abbia  il  creatore  infusa  nell'uomo:  il 
quale,  atomo  impercettibile  in  questo  globo,  con  ma- 
tematica certezza  ed  esattezza  misura  e  calcola  i  mo- 
vimenti, le  distanze,  le  masse  e  tutto  ciò  che  è  su- 
scettivo di  esser  sottoposto  a  disamina  :  e  tanti  pro- 
gressi ha  fatti  da  doversi  considerare  l'astronomia  la 
sola  forse  che  abbia  attinto  la  perfezione,  o  che  almeno 
vi  sia  assai  più  prossima  delle  altre  scienze  tutte,  ab- 
benchè  esse  siano  a  portata  de'nostri  sensi,  e  più  su- 


Osservatorio  del,  Campidoglio  97 

scettive  di  esser  sottoposte  ad  esperimenti.  E  ciò  mi 
pare  tratto  stupendo  della  provvidenza,  la  quale  ci  po- 
se innanzi  questa  immensa  mole,  e  fecela  a  noi  co- 
noscere, affinchè  vedessimo  colla  propria  nostra  men- 
te quanto  è  grande  quel  Dio  che  l'ha  creata:  Coeli 
enarrant  gloriam  Dei. 

Essendoci  pertanto  proposti  d'inserire  a  quando 
a  quando  in  queste  carte  le  notizie  degli  osservatorii 
astronomici  che  in  diversi  tempi  si  stahilirono  non 
meno  in  Roma  sede  di  ogni  arte  e  scienza  ,  che 
nelle  altre  città  cospicue  d'  Italia  ,  prenderemo  gra- 
dita occasione  Y  imprendere  a  parlare  dell'  osserva- 
torio che  si  vide  innalzato  a'  giorni  nostri  sul  più  fa- 
moso luogo  del  mondo,  sul  campidoglio,  siccome  di 
quello  che  tanto  splendore  arreca  alle  scienze  ed  a  Ro- 
ma stessa  ,  e  fa  conoscere  principalmente  con  qua- 
le amore  siasi  sempre  fra  noi  coltivato  e  promosso  lo 
studio  del  cielo  e  delle  sue  leggi. 

L'origine  di  questo  stabilimento  si  dee  all'  im- 
mortale Pio  VII  :  il  quale,  esimio  apprezzatore  delle 
scienze,  volle  che  esse  fossero  di  ornamento  e  di  dife- 
sa alla  religione:  sicché  nel  centro  della  medesima  fon- 
dò quel  genere  d'istruzione  che  denominòymca  sa- 
cra, diretto  a  far  conoscere  le  moderne  scoperte  del- 
le scienze,  onde  ingrandire  le  idee  che  ci  offrono  la 
magnificenza  e  l'ordine  di  tutto  il  creato,  ed  affinchè 
tali  cose  non  s'ignorino  da  chi  deve  rispondere  ali' 
abuso  che  fa  di  esse  la  miscredenza.  Volle  pertanto 
che  tal  facoltà  si  aggiungesse  alle  altre  dell'univer- 
sità di  Roma  (1)  e  che  gli  allievi  destinati  al  servigio 
della  chiesa  ne  seguissero  il  corso. 


(1)  Giornale  arcadico  tom.  y4*  Pa8'  I0^>  e  seS"  Centri  intor- 

G.A.T.LXXXVI.  7 


c)8  Scienze 

Non  potremmo  compilare  la  storia  propostaci  sen- 
za parlare  del  prof.  cav.  Scarpellini  non  ha  guari  de- 
funto. Condottosi  egli  nel  1782  dalla  sua  patria  Fo- 
ligno al  collegio  d'Umbria  in  Roma  per  continuare 
il  corso  delle  scienze  naturali,  fu  nel  1794  destina- 
to rettore  per  la  educazione  ed  istruzione  degli  alun- 
ni di  tal  collegio.  Consegui  nell'anno  stesso  la  cat- 
tedra di  scienze  lisico-matematiclie  nel  collegio  roma- 
no: indi  il  duca  di  Sermoneta  D.  Francesco  Caetani 
invitò  graziosamente  il  nostro  professore  ad  assumere  la 
direzione  dell'osservatorio  da  esso  fondato  nel  suo  pa- 
lazzo ai  ginnasi,  che  trovasi  innanzi  al  collegio  stes- 
so. Soppresso  questo  per  le  passate  vicende,  lo  sta- 
bilimento di  macchine  fisico-astronomiche  ,  e  l'acca- 
demia de'lincei  ripristinata  nel  1794»  vennero  sì  l'uno 
e  sì  l'altra  accolte  da  quel  duca  nel  1801,  ed  i  re- 
divivi lincei  per  ben  cinque  anni  tennero  le  loro  adu- 
nanze nel  suo  palazzo,  coltivando  l'astronomia.  Que- 
sti studi  erano  analoghi  a  quelli  che  nel  i6o3  pro- 
pose il  gran  Federico  Cesi  col  fondare  in  Roma  la 
famosa  accademia  de'lincei,  riattivata  dopo  190  anni 
dal  cav.   Scarpellini. 

La  sovrana  munificenza  di  Pio  VII  vedendo  que- 
sto onorevole  stabilimento  ricoverato,  dirò  così,  in  un 
palazzo  privato,  ordinò  che  si  prendessero  le  stanze  del 
collegio  umbro,  e  che  ivi  fosse  ricondotta  l'accademia 
suddetta  colla  raccolta  delle  macchine  di  fisica  ,  di 
chimica,  e  di  astronomia  del  cav.  Scarpellini  (1):  e  così 


no  la  cattedra  di  fi  sica  sacra  nell'archiginnasio  romano  dell'ab. 
Salvatore  Proia. 

(i)  Questa  insigne    raccolta  di  slromenti   fisico-astronomici, 
molti  dei  quali  sono  lavoro  delle  mani  del  dotto   ed   istaucabile 


Osservatorio  del  Campidoglio  99 

nel  1807  accadde  questa  traslazione  nel  luogo  me- 
desimo ove  era  sorta  l'accademia  stessa.  11  giorno  17 
di  agosto  monsig.  Lante  con  dotto  ragionamento  venne 
a  significare  ai  lincei  esser  le  sovrane  disposizioni  pre- 
cisamente le  stesse  dell'immortale  fondatore  dell'ac- 
cademia principe  Federico  Cesi,  e  di  aver  voluto  il 
santo  padre  porre  a  lato  della  propaganda  della  reli- 
gione quella  delle  scienze. 

Nel  giorno  i5  febbraio  1817  il  sopra  lodato  pon- 
tefice si  recò  a  visitare  l'accademia,  e  ad  osservare  le 
macchine  del  prof.  Scarpellini:  e  questo  giorno  me- 
morando nella  storia  dei  lincei  fu  eternato  col  seguen- 
te monumento  innalzato  nello  stesso  luogo  : 

PIO  VII  PONT.  MAX. 

OPTIMO  PRINCIPI 

ANNO  MDCCCXVII 

IN  MEMORIAM  AVSPICATISSIMI  DIEI 

XV  KAL.   MART. 

QVOD  LYNCEORVM  ACADEMIAM 

ET  THEATRVM  PHYSICES 

ADITV  EIVS  NOBILITATA  SINT 

FEL1CIANVS  SCARPELLINIVS  LYNCEORVM 

RESTITVTOR 

D.  N.  M.  Q.  E. 

Al  fine  stesso  dirigendo  le  sue  cure  il  gran  Leo- 
ne XII,  die  all'errante  accademia  de'lincei  il  più  no- 
bile e  grandioso  seggio  che  potea  mai  darsi,  il  cam- 


prof.  Scarpellini,  è  stata  ora  acquistata  dal  governo,  e  trovasi  a 
disposiaioue  del  cardinale  camerlengo  di  s-  Chiesa. 


ioo  Scienze 

pidoglio.  «  Così  (mi  servirò  delle  espressioni  stesse  del 
»  dispaccio  del  primo  ministro)  il  santo  padre  riven- 
»  dica  nel  miglior  modo  possibile  l'onore  di  quella 
»  rupe,  alla  quale  le  scienze,  le  lettere,  le  belle  ar^ 
»  ti,  che  vi  hanno  una  reggia,  danno  uno  splendore  me- 
»  no  abbagliante  dell'antico,  ma  pacifico  e  tale  che 
»   l'umanità  possa  gioirne  senza  ribrezzo.    » 

Così  nel  1825  fu  traslocata  l'accademia  col  ga-< 
binetto  fisico  dal  collegio  umbro,  ove  per  18  anni  con- 
tinuarono i  lincei  le  loro  sedute,  sul  campidoglio.  Il 
cav.  Scarpellini  a  celebrare  la  memoria  di  sì  fausto 
avvenimento  trattò  un  tema  ingegnoso,  esponendo  il  tri^ 
onfo  di  Federico  Cesi  (1),  e  fece  collocare  nella  sa-? 
\à  capitolina  dei  lincei  la  iscrizione  seguente: 

LEONI  XII  PONT.  MAX. 

QVOD  LYNCEORVM  ACADEMIAM 

EIVSQYE  RESTITVTORIS 

THEATRVM  PIIYSICES 

EX  VMBRIAE  COLLEGIO 

IN  QVO  HAEC  IPSE  COMPARAVERAT 

IN  CAPITOLIVI^ 

AD  SCIENTIARVM  ET  ARTIVM  DECVS. 

D1GNI0REMQVE  SEDEM  TRANSTVLERIT 

ANNO  MDCCCXXV 
LYNCEI  BENEMERENTES  POSVERVNT, 


(1)  Scritto  del  duca  Federico  Cesi  fondatore  e  principe  dell' 
accademia  de'lincei,  nel  dì  27  luglio  1826,  giorno  del  suo  trionfo 
in  campidoglio,  letto  e  comentato  dall'ab.  D.Feliciauo  cav.  Scar- 
pellini restauratore  dell'accademia.  Roma  pel  De  Romanis  1826 
in  4-  di  fac.  ai.  / 


Osservatorio  del  Campidoglio  lot 

Per  quanto  cospicuo  fosse  per  celebrità  quel  pa- 
lazzo, abbisognava  però  allora  di  ristauro,  attese  le  de- 
vastazioni subite  in  tempi  tristissimi,  che  giova  non 
rammentare.  La  generosità  del  principe  Altieri,  senato- 
re di  Rema,  cede  gran  parte  del  palagio  onde  con- 
tenere le  macelline  e  la  biblioteca. 

Ed  eccoci  al  punto  di  parlare  dell'origine  dell' 
osservatorio  astronomico  capitolino.  Si  sa  ebe  una  del- 
le predilette  occupazioni  degli  antiebi  lincei  fu  lo  stu- 
dio del  cielo:  il  solo  Galileo  basti  per  tutti.  I  più  glo- 
riosi monumenti  della  scienza  degli    astri  da  questo 
centro  ebber  vita,  e  la  tanto  importante  misura  de'tem- 
pi:  e  moltissime  tra  le  più  cospicue  dignità  della  chie- 
sa  favorirono  e  coltivarono  l'astronomia,  ed  i  più  ce- 
lebri maestri  di  questa  scienza  si  gloriarono  di  appar- 
tenere ai  redivivi  lincei.    Fin  dal  principio    del    suo 
pontificato  Leone  XII ,  dando  nuove  forme  alla  loro  or- 
ganizzazione, rivolse    le  sue  cure  alia    fondazione  di 
un  osservatorio  che  tempio  fosse  di  Urania,  e  qual  con- 
vengasi in  Roma.  Per  sì  grandioso  concetto,  che  tan- 
to onora  la   mente  di  quel  sovrano,  altro  più  ben  ac- 
concio punto  però  di  quello  del  campidoglio  esigevasi, 
perebè  si  trovassero    riunite  in  esso    alla  magnificenza 
tutte  quelle  qualità  e  circostanze,  che  ai  giorni  noslri 
sono  per  tali  edifici  riputate  essenziali  dai  grandi  mae- 
stri della  scienza  astronomica,  e  dai  più  accurati  os- 
servatori. Sicché  sulla  vasta   estensione  di  Roma  doveva 
scegliersi  un'altra  più  opportuna  contrada  che  offrisse 
la  naturale  elevazione  del  luogo  sugli  altri,  ove  a  pian 
terreno  solidamente  basare   gl'istromenti  astronomici; 
e  remota  fosse  da  tutte  le  abitazioni,  e  soprattutto  im- 
mune da  qualunque  brandimento.   Tanto  al  presente 
esigono  i  progressi  della  scienza,  e  tanto  il  perfezio- 
namento a  cui  furon  portati  i  delicatissimi  istromenti. 


102  Scienze 

All'astronomia  dunque  rivolgendo  le  cure  i  lin- 
cei, invece  di  vantare  un  altro  Galileo,  aspirarono  al- 
la gloria  di  sperarne  più  discendenti.  Alla  istruzione 
perciò  degli  alunni  di  Urania,  piuttosto  che  alle  pro- 
prie loro  astruse  contemplazioni,  rivolsero  i  loro  pen- 
sieri i  successori  del  Cesi.  V'ebbe  pertanto  fin  dai  pri- 
mordi della  restaurazione  dei  lincei  in  Roma  chi  fa- 
vorito più  dal  tempo  che  dalle  fortune  impiegò  lun- 
ga età  ,  e  continuo  travaglio  di  cure  e  di  mani,  per 
formare  l'occorrente  per  tale  istruzione.  Questo  ele- 
mento del  tempo,  fuorché  a  Dio  non  necessario,  ba- 
stò per  quanto  fu  necessario  al  conseguimento  dell' 
assunto  intrapreso  dal  benemerito  Scarpellini.  Fu  dei 
luminosi  esempi,  dei  quali  abbonda  Roma,  fu  dello 
zelo  ispii^ato  dalla  religione,  e  della  forza  che  fa  sen- 
tirne i  doveri,  il  merito  di  questa  costanza. 

Inutile  però  sarebbe  stata  per  lo  scopo  senza  il 
potere  e  la  volontà  sovrana.  Sicché  stabilissi  di  co- 
struire sulle  vette  del  campidoglio  una  specola  per  ri- 
dar vita  agli  astronomici  istromenti  allogati  fra  le  mac- 
chine fisiche  o  in  sale  soggette  a  brandimento.  So- 
pra dunque  uno  dei  tre  bastioni,  che  fiancheggiano  il 
sontuoso  palagio  centrale  del  campidoglio,  fu  proget- 
tato di  costruire  il  proposto  osservatorio:  e  venne  pre- 
ferito l'orientale,  che  riguarda  l'antico  foro  romano, 
come  il  più  ben  basato,  il  più  aperto,  ed  il  più  ac- 
cessibile degli  altri  dalle  sottoposte  sale  destinate  al- 
le adunanze  accademiche  de'lincei   (i).  Al  cav.  Scar- 


(i)  Nicolò  V  fece  fortificare  la  parte  del  tabularlo  che  guar- 
da il  foro  romano,  e  nell'angolo  dirimpetto  all'arco  di  Settimio 
Severo  fece  costruire  il  bastione  onde  servisse  di  controforte  a 
tutta  la  fabbrica.  Su  questo  bastione  venne  basato  tutto  l'edifi- 
cio dell'attuale  osservatorio. 


Osservatorio  del  Campidoglio  io3 

pellini  fu  dato  l'incarico  di  sorvegliare  alla  costruzio- 
ne dell'osservatorio.  E  benché  conoscesse  bcn'egli  non 
esser  esso  un  luogo  adattato  per  osservatorio,  pure  vol- 
le trarne  un  partito  nuovo  ed  utilissimo,  quale  si  è 
quello  d'insegnare  il  maneggio  degl'istromenti.  E  non 
sia  discaro  perciò  il  raccontare  il  seguente  annedolo 
avvenuto  al  medesimo.  Stavasi  egli  tracciando  l'im- 
pianto delle  mura  dell'edificio  sul  ripiano  di  quel  ba- 
stióne, secondo  il  suo  disegno:  allorché  uno  dei  più 
famosi  astronomi  inglesi  gli  si  presentò  recandogli  com- 
missioni del  celebre  Herschel  tornato  da'suoi  viaggi. 
Parmi,  egli  disse  l'astronomo,  volersi  qui  piantare  un 
osservatorio.  Altro  impianto,  rispose  egli,  ben  sapete 
esigersi  attualmente  per  ben  fissare  gl'istromenti  astro- 
nomici. Lo  scopo  prefisso  è  di  far  conoscere  come  si 
adoperino:  e  piuttostochè  servire  ad  astronomi,  debbe 
istruire  coloro  che  vogliono  divenir  tali.  Sarà  dunque 
Roma  la  prima,  soggiunse,  a  dar  tal  esempio:  poiché 
osservatorii  son  dapertutto,  ma  non  stabilimenti  ove 
s'insegni  il  maneggio  delle  macchine. 

DESCRIZIONE  DELL'OSSERVATORIO 
ERETTO  SUL    CAMPIDOGLIO. 

Il  vasto  ripiano  del  bastione  destinato  a  servire 
di  base  alla  camera  centrale  di  quest'osservatorio  per- 
metteva potersi  orizzontare  in  guisa,  che  le  sue  pareli 
fossero  esattamente  rivolte  agli  otto  punti  principali 
della  così  detta  rosa  ,  o  bussola  de'  venti.  A  diriger 
quindi  queste  particolarità  alla  simmetria  ed  elegan- 
za dell'edificio,  e  specialmente  allo  scopo  dell'istru- 
zione, fu  prima  di  tutto  fissato  con  ripetute  osserva- 
zioni 1'  esatto  piano  del  meridiano  ,    e  condotta  per 


io^  Scienze 

esso  sul  pavimento  la  linea  meridiana  tracciata  sopra 
fascia  metallica  incastrata  in  lastre  di  marmo.  Su  que- 
sta linea,  descrittosi  l'ottagono,  s'innalzarono  le  otto 
mura  formanti  1'  ottagono  stesso  all'  altezza  di  circa 
quattro  metri  sopra  il  pavimento.  Ai  due  muri  pa- 
ralelli  al  piano  del  meridiano  sono  due  gabinetti  per 
collocarvi,  in  quello  a  ponente  il  quadrante  murale,  e 
la  lunetta  meridiana  in  quello  a  levante.  Sugli  al- 
tri sei  muri  sono  le  porte  d'  ingresso  nel  gran  ter- 
razzo che  circonda  l'osservatorio,  che  è  il  ripiano  del 
bastione. 

Giace  a  ponente  il  bel  telescopio  cato-diottrico 
di  otto  piedi  di  fuoco,  sul  suo  ricco  montante,  tutto 
costruito  in  Roma  per  munificenza  del  duca  D.  Ales- 
sandro Torlonia,  e  da  esso  donato  e  destinato  ad  uso 
dei  lincei  e  della  studiosa  gioventù  romana.  Vi  fece 
anche  erigere  un  gabinetto  per  custodirlo:  e  da  que- 
sto facilmente  si  trasporta  nel  terrazzo,  onde  per  ogni 
parte  si  possa  dirigere  al   cielo  (i). 

L'esterna  parte  del  muro  occidentale  dell'otta- 
gono viene  fiancheggiata  dalla  scala,  per  cui  dalle  sot- 
toposte sale  si  ascende  al  ripiano  del  bastione:  e  so- 
pra questa  scala  ripiegasi  l'altra,  per  cui  si  va  alla  som- 
mità dell'edificio,  o  sopra  la  copertura  dell'ottagono, 
e  dei  due  paralelli  gabinetti.  Tal  copertura  è  forma- 
ta di  lamine  di  piombo,  e  circondala  da  una  ringhie- 
ra di  ferro  ,  ove  tutto  si  gode  il  bel  panorama  di 
Roma. 

Sul  muro  orientale  dell'ottagono,  che  è  il  prin- 
cipale del  bastione,  essendo  largo  ben  14  palmi,  è  ba- 


(i)  Vedi  Giornale  arcadico  tom.  ^4-  P"  2*>  e  sec 


Osservatorio  del  Campidoglio  io5 

sato  il  gabinetto  e  i  pilastri  di  marmo  che  sostengo- 
no la  lunetta  meridiana:  e  su  tal  fondamento,  che 
sporge  dal  piano  del  foro  romano,  riposa  il  pilastro 
prolungato  sopra  la  copertura  per  fissarvi  l'istromento 
a  calotta  ruotante,  che  è  il  punto  più  elevato  di  tut- 
to l'edificio. 

Sopra  le  porte  poi  al  nord  e  al  sud  si  forma- 
rono aperture,  onde  per  opportune  fenditure  introdur- 
re i  raggi  della  luce  nelle  lunette  degl'istromenti  mo- 
bili ad  esse  dirette;  e  lo  stesso  si  praticò  per  quelle 
degl'istromenti  fissi,  e  tutte  munite  e  difese  dai  rispet- 
tivi sportelli  di  ferro. 

Queste  precauzioni  si  ebbero  specialmente  in  ri- 
guardo al  doppio  oggetto  della  pubblica  istruzione  : 
giacche,  oltre  all'esercizio  nell'  uso  e  maneggio  degl' 
istromenti  astronomici,  si  volle  ancora  su  quest'  os- 
servatorio associare  gli  usi  e  gli  esercizi  di  quanto  ap- 
partiene alla  parte  sperimentale  dell'  ottica  istruzio- 
ne, rami  delle  umane  cognizioni  di  stretto  rapporto 
e  legame  tra  loro,  secondo  le  idee  di  Keplero. 

P.  Biolchini, 


io6 


Discorso  intorno  a  Francesco  Stelluti 
da  Fabriano  accademico  linceo. 


AL    CHIARISSIMO 

CA.V.  FELICIANO  SCARPELLINI 

prof,  di  fisica  sagra  nella  romana  università, 

segretario  perpetuo  della  cel.  accademia  de'lincei, 

e  membro  di  alcune  illustri  società  europee  (i). 


1  nome  vostro,  o  signore,  associato  negli  annali  del- 
le scienze  a  quello  degli  uomini  ad  esse  più  bene- 
meriti, suona  da  molto  tempo  chiarissimo  anche  ol- 
tremonti ed  oltremare  per  modo  ,  che  mimo  igno- 
ra quanto  nell'ottica,  nell'astronomia  e  nelle  restan- 
ti fisiche  discipline  abbiate  utilmente  e  sapientemente 
operato.  Siccome  per  altro  non  è  ultima  delle  glorie 
vostre  1'  essere  stato  il  restauratore  ed  amplia tore 
ingegnosissimo  della  celebrata  accademia  de'lincei;  co- 
sì io  divisai  intitolare  a  voi  con  ogni  ragione  uno 
scritto,  il  quale  intorno  le  opere  discorre  di  France- 


(i)  Il  benemerito  prof.  Scarpellini,  che  cessò  di  vivere  la  sera 
del  di  29  novembre  i84o,due  giorni  innanzi  avea  firmato  il  di- 
ploma di  socio  corrispondente  dell'accademia  de'lincei  al  eh-  si- 
gnor prof.  Camillo  Ramelli  di  Fabriano  già  socio  di  varie  acca- 
demie. Esso  fu  l'ultimo  ! 


Memorie  di  F.  Stblluti  107 

sco  Stelluti  da  Fabriano  ,   uno  tra  i  quattro  fon- 
datori di  quella  famosa  società. 

Amor  di  patria,  die  a  mille  in  bocca  ,  a  dieci 
in  petto  risuona,  dettava  a  me  le  poche  incolte  pa- 
role: ed  amore  di  quell'istituto  muova  voi  ad  eccet- 
tarle  benigno:  che  io  colla  più  distinta  stima  mi  rac- 
comando. 

Di  voi,  eh.  sig.  professore, 

Di  Fabriano  3o  agosto   1840. 

Urho  Dmo  serv.  vero 
Camillo  prof.  Ramelli. 


k_yulle  vecchie  rovine  del  peripato  cominciava  già  a 
grandeggiare  nella  prima  aurora  del  secolo  XVII  la 
filosofia  di  osservazione:  e  gì'  italiani  ,  all'  indole  dei 
quali  ha  sempre  convenuto  una  dottrina  positiva,  un 
metodo  certo,  sperimentale,  erano  già  venuti  a  capo 
di  restaurarla  con  mirabile  scoprimento,  quando  l'In- 
ghilterra pel  suo  Bacone,  e  la  Francia  pel  suo  Rena- 
to miravano  appena  da  lungi  con  progetti  e  consigli 
alla  filosofica  riforma.  Né  crediamo  sia  da  tacersi  quan- 
to osservò  non  ha  guari  un  potentissimo  ingegno  , 
che  alle  condizioni  cioè  singolari  della  filosofia  sep- 
pero essi  piegare  tal  metodo  naturale  abilmente  per 
modo,  che  qualunque  savia  determinazione  ed  appli- 
cazione di  esso  possa  venir  oggi  pensata  ,  altro  non 
sarà  che  là  fecondazione  di  alcune  verità    supreme  , 


108  Scienze 

ed  un  seguito  dei  principii  trovati  da  quegli  antichi 
nostri  italiani.  Ora  fra  tante  contrade  della  eulta  pe- 
nisola, in  cui  il  bel  sì  dolcissimo  risuona,  Roma  non 
mosse  certamente  ultima  alle  utili  novità,  sia  perchè 
scossa  dalla  cosentina  accademia  fondata  pel   Telesio 
sul  vicino   Sebeto  ,  sia  perchè  eccitata  da  Francesco 
Patrizi  morto  fra  le  sue  mura.  Imperocché    non  ap- 
pena le  sventure  toccarono  acerbissime  il  famoso  Le- 
to, non   appena  le  fiamme  arsero  il  Bruno  sotto    gli 
occhi  stessi  de'romani,  che  gli  animi  più  ardenti  ven- 
nero ed  ingagliarditi*  siccome  suole  spesso  avvenire: 
e  sorta  poco    appresso  si  vide,  prima  della  difficile  at- 
lantide  inglese,  e  della   fiorentina  accademia  del   ci- 
mento, la  romana  società  de'  lincei,  cui  debbesi  dal 
mondo  civile  la  ricomposizione  degli  studi  sperimen- 
tali, pregio    singolarissimo  e  gloria  tutta  italiana.  Alle 
osservazioni,  agli    esperimenti,  alle  nuove  scoperte  per- 
tanto si  consacravano     interamente   que'  lincei  :  a  se 
stessi  ed  allo    studio     delle  naturali  discipline  i  più 
chiari  ingegni  tiravano:   e  sebbene  nelle  spinose  con- 
troversie delle  razionali  dottrine  si  addentrassero,  tut- 
tavia perchè  le  condizioni  degl'ingegni  sì  prospere  non 
erano  ancora  da  rischiarveli,  studiavano  e   promove- 
vano a  tutto  potere  le  matematiche  piuttosto  e  le  na- 
turali scienze:  e  per  adornarle  di  chiarezza  e  venu- 
stà, non  trascuravano  le  amene  lettere;  pensiero  tan- 
to vantato  oltremonte  ,  e  nato  prima    e    rinato    ap- 
presso nelle  italiche  terre.    E  ciò   fu   per    vero    dire 
opporlunissima  cosa  :  dacché  le  trasmodale   acutezze 
introdottesi  nella  locuzione  de'  poeti  e  degli   oratori 
sedotto   avevano  in  parte  anche  i  professori  delle  scien- 
ze esatte:  ed  in  Roma  specialmente,  ove  l'ingresso 
del  Marini,  principale  corruttore  del  gusto,  rassomi- 


Memorie  di  F.  Stblluti  109 

gliò  ad  un  trionfo  ,  era  più  che  altrove  necessario 
chiarire  la  falsa  luce,  che  cacciata  in  fondo  l'antica 
e  nobile  semplicità  formato  avea  quegli  spiriti  falsi 
ed  affettati,  che  presero  il  gonfio  pel  sublime,  l'an- 
titesi per  l'eloquenza,  «  Nondimeno  in  quei  tempi, 
0  comunque  si  studiasse  non  bene,  si  studiava  mol- 
«  to  e  da  molti:  e,  che  sommamente  importa,  da'si- 
«  gnori.  »  E  tali  erano  coloro,  che  all'  indicata  ac- 
cademia de'lincei  le  fondamenta  gittando  sull'eterna 
città,  potenti  di  mezzi,  si  acquistarono  un  diritto  all' 
ammirazione  de'posteri.  Siccome  peraltro  un  partico- 
lare individuo  seppelliva  allora  per  lo  più  il  proprio 
merito  fra  gli  errori  ch'erano  con  esso  al  contatto  ; 
così  laudabil  cosa  a  me  parve  ritorre  uno  di  quei  va- 
lorosi all'edace  dente  dell'oblìo,  che  poco  più  del  solo 
nome  sembra  aver  rispettato.  Ed  oh  !  fossero  in  me 
le  forze  rispondenti  al  buon  volere.  Come  vedrebbesi 
chiaramente  mostrato,  che  Francesco  Stellati  da  Fa- 
briano fu  letterato  non  volgare  del  secolo  XVII  ,  il 
quale  zelò  sempre  coi  lincei  alla  restaurazione  de- 
gli studi:  poiché  accademico  fondò,  crebbe  ,  difese 
quell'istituto,  filosofo  mirò  agli  scoprimenti  con  istu- 
di  sperimentali,  poeta  si  dilungò  dalla  falsa  barbarica 
eleganza  de' tempi  suoi! 

Da  Bernardino  Stelluti  e  Lucrezia  Corradini  , 
amendue  di  nobili  ed  illustri  fabrianesi  famiglie  (1), 
nato  era  Francesco  nel  1577  (2)-  ^  perchè  cresciu- 
to coi  chiari  ingegni  ,  che  fiorivano  allora  in  patria 
nell'accademia  de'disuniti  (3),  mostrò  sempre  fino  dai 
teneri  anni  pronto  e  perspicace  1'  ingegno  ,  e  facile 
schiuse  il  cuore  a  morigerato  e  generoso  sentire,  ven- 
ne da'  suoi  inviato  a  Roma  sui  finire  del  secolo  XVI 
col  divisamento,  che  desse  opera  alla  giurisprudenza. 


no  Scienze 

Vi  attese  egli  di  fatto  con  molta  lode  di  profondo  sa- 
pere e  di  rara  onestà  anche  oltre  il  settantesimo  anno 
del  viver  suo.  Ma  perchè  io  son  d'avviso  tacer  le  par- 
ticolarità della  vita  di  lui  ,  che  non  comprovano  il 
mio  assunto,  dirò  piuttosto  come  egli  si  acquistasse 
ben  presto  l'amicizia  di  persone  celebrate  per  coltu- 
ra di  mente,  per  disimpegno  di  cariche,  per  chiarez- 
za di  linguaggio,  e  sopra  tutte  del  giovine  Federico 
Cesi  marchese  di  Monticelli.  Non  aveva  questo  com- 
piuto il  diciottesimo  anno,  quando  del  bello  opera- 
re e  delle  scienze  tutte  amantissimo,  religiosi  e  dot- 
ti uomini  in  sua  casa  di  frequente  accoglieva  per  se- 
co loro  negli  sludi  intrattenersi:  e  pia  che  ad  altri 
erasi  affezionato  al  nostro  Francesco,  giovine  stu- 
diosissimo delle  matematiche,  e  non  meno  di  Fe- 
derico saggio  e  virtuoso  (4)-  Stelluti  l'animo  già 
ardente  di  Federico  nell'  amore  delle  naturali  disci- 
pline più  ancora  accendeva  ;  Stelluti  l'amicizia  ed  il 
consorzio  di  altri  svegliati  ingegni  a  lui  procurava  ; 
Stelluti  il  dotto  Gio.  Eckio,  che  nelle  carceri  di  Ro- 
ma sfavasi  a  torto  accusato,  presso  Federico  a  salvamen- 
to traeva.  E  poiché  questo  valente  medico  venne,  do- 
po il  ternano  Anastasio  De-Filiis,  per  opera  di  Stel- 
luti nostro  a  risplender  quarto  fra  il  chiaro  senno  , 
che  nel  xj  agosto  i6o3  metodo  e  leggi  prescrisse  a 
fondare  la  celebre  accademia  de'lincei,  chi  non  vede 
come  la  gloria  della  creazione  di  lei,  attribuita  dalla 
più  parte  al  solo  Cessi,  debba  col  nostro  Francesco 
principalmente  partirsi  ?  Aveva  egli  allora  soli  26  an- 
ni: nò  tuttavia  moveva  1'  animo  alla  ricerca  del  ve^ 
ro  con  giovanile  baldanza  e  smodata  vaghezza  di  no- 
vità: che  sceltosi  anzi  col  motto  Quo  serius  eo  ci- 
tius  ad  insegna  Saturno,  il  più  tardo  nei  movimenti 


Memorie  di  F.  Stelluti  ih 

celesti  tra  i  pianeti  conosciuti  a  quei  giorni,  fu  sem- 
pre nel  divisamente,  che  sul  cammino  delle  scienze 
quegli  sia  più  certo  di  avvicinarsi  alla  meta  ,  che  a 
passi  più  lenti  e  misurati  s'inoltra.  Ben  videro  gli  al- 
tri due  soci  i  meriti  del  fahrianese ,  e  quanto  a  lui 
dovessero  per  l'accademica  istituzione:  talché  un  gra- 
do attribuendogli  eguale  al  Cesi,  venuto  principe  nel 
a5  del  successivo  dicembre  (5)  soltanto,  ambedue  cori' 

sislieri  nominarono  della  nascente  loro  società.  Così 
o 

avessero  dato  ascolto  ai  consigli  di  Francesco!  Si  fos- 
sero così  sepaiali  fra  loro  per  qualche  tempo  al  rom- 
bare di  quel  turbine  ,  che  per  opera  della  cabala  e 
dell'invidia  il  padre,  il  padi-e  is tesso  di  Federico,  chia- 
mò sopra  quell'onorevole  istituto!  Gridav  asi  ai  nova- 
tori, ai  negromanti:  saccheggiavasi  la  sala  accademi- 
ca, ricorrevasi  a'magistrati:  e  con  quel  tuono,  che  si 
adopera  talvolla  ancor  presso  noi,  fra  cui  non  son 
tutti  morti  gli  eredi  di  quella  ignoranza  insolen- 
te e  di  quella  feroce  viltà  ;  s' imprecava  ai  lincei 
come  a'ncmici  della  religione  e  dello  stato.  Fu  così 
per  morire  in  sul  nascere  istesso  quella  celebrata  ac- 
cademia: ma  Stelluti,  accoppiando  fermezza  e  pruden- 
za, stette  immobile  all'urto  e  alle  opposizioni:  e  vin- 
se. Non  movevano  no  ,  non  movevano  quell'  anima 
forte  le  ingiuste  tacce  d'  irreligione,  e  di  occulte  mi- 
steriose cifre  ,  su  cui  tanto  disputarono  :  benché  di 
queste  ,  rese  ancor  più  sospette  dal  giuramento  che 
Ira  lor  si  prestavano  ,  tutta  ne  vedesse  la  giovanile 
imprudenza;  che  pio  era  Francesco ,  religiosa  la  so- 
cietà, innocente  quella  crittografia  a' nostri  giorni  sve- 
lata (6).  Noi  moveva  l'Echio  cacciato  dalle  mura  dei 
Cesi:  che  egli  in  sua  casa,  come  in  sicuro  asilo,  lo  ri- 
parava.  Non  il  duca,  che  di  notte  traeva  con   adu- 


112  S    e    I    E    N    Z    E 

latori  e  scherani  a  cercare  del  figlio:  che  Francesco 
balzato  di  letto,  e  della  sola  vesta  coprendosi,  riman- 
dava cheto  l'iroso,  francamente  rispondendo  esser  il 
giovine  Federico  partito  per  Acquasparta.  Stelluti  an- 
zi pregavano,  perchè  al  figlio  di  tornare  a  Roma  scri- 
vesse: a  Stelluti,  in  modi  però  meno  acerbi  a  quel- 
li usati  col  De-Filiis  ,  che  si  guardasse  bene  di  più 
corrispondere  con  Federico  imponevano.  Non  ristava 
però  egli  a  tale  audace  imperiosità  di  quei  ricchi  po- 
tenti: e  quantunque  sapesse  che  le  sue  lettere  inter- 
cettate venivano  ,  scriveva  al  principe  ,  scriveva  all' 
Eckio,  e  di  quello  che  in  Roma  accadesse,  scriveva  loro 
quanto  bastasse  a  renderli  cauti  e  vigilanti  per  le  in- 
sidie che  venivano  approntate.  Ma  che  non  può  cie- 
co ostinato  spirito  di  parte  !  A  vincere  prudenza  e  fer- 
mezza ,  sì  ben  rare  in  animo  giovanile,  gli  sparsero 
contro  le  accuse  di  fattucchiere:  e  per  tutti  i  cantuc- 
ci ancora  di.  Roma  ne  parlavano  a  modo,  che  dovet- 
te da  se  stesso  ascoltare  essersi  da  lui  per  arte  dia- 
bolica mandata  la  dirottissima  pioggia,  che  impedì  al 
duca  di  raggiungere  il  figlio  nella  notte  in  che  era 
partito.  Vide  egli  allora  come  utile  fosse  serbarsi  a  mi- 
glior  tempo:  e  senza  lasciarsi  stornare  dal  suo  propo- 
sto, con  quella  prudenza,  che  i  malaccorti  chiama- 
rebbon  viltà,  abbandonò  piuttosto  improvvisamente  Ro- 
ma, quasi  astretto  da  impensato  accidente,  e  se  ne 
tornò  alla  sua  Fabriano  (7).  Voi,  voi  solinghi  monti 
dei  palrii  appennini,  ridite  voi  quanta  occulte  insidie 
a  lui  si  tendessero!  Voi  lo  vedeste  come  taciturno  di- 
lungar non  poteasi  dalle  vostre  valli  per  timore  di  es- 
sere assalito!  Né  ciò  bastava  ad  abbattere  la  sua  co- 
stanza: che  le  guardie  date  all'Eddo  nel  bandirlo  da 
Roma,  tennero  nel  ritorno  la  strada  di  Fabriano  per 


Memorie  di  F.  Stelluti  ii3 

cercare,  ma  indarno,  Stelluti,  il  quale  avvisato  della 
venuta  loro,  erasi  già  messo  in  sul  niego.  L'impru- 
denza per  altro,  che  ebbero  coloro  di  millantare  l'or- 
dine avuto  di  bruttamente  oltraggiarlo,  strinsero  il  no- 
stro linceo  a  lasciare  anche  le  sue  native  contrade  , 
nelle  quali  sperato  aveva  un  asilo,  ed  a  trasferirsi  se- 
gretamente a  Parma  (8),  onde  vivervi  tranquillo  fino 
a  che  dato  gli  fosse  di  tornarsene  a  quella  Roma,  a 
cui  T  interesse  e  la  professione  di  legale  lo  chiama- 
vano, ed  a  cui  egli  per  altro  nella  sua  fermezza  tor- 
nar non  sapeva  se  non  linceo.  E  Roma  infatti,  giac- 
che tutto  alla  perfine  non  potevano  gì'  intrighi  ed  i 
cortigiani  del  Cesi,  Roma  nel  fervore  della  persecu- 
zione contro  i  lincei  apprezzando  i  meriti  del  no- 
stro Francesco,  volle,  ed  è  questa  bella  lode  per  lui, 
aggregarlo  nel  7  settembre  i6o5  alla  romana  nobil- 
tà ,  e  per  la  chiarezza  del  suo  lignaggio  e  per  la 
vastità  .ella  sua  dottrina  (9).  Tanta  era  l'opinione, 
che  a  preferenza  de'suoi  colleghi  si  mantenne  Fran- 
cesco !  E  fu  per  essa,  che  dopo  3  anni  dalla  disper- 
sione degli  accademici  tornar  potette  in  Roma,  men*- 
tre  gli  altri  n'erano  in  bando,  onorato  e  riverito;  fu 
per  essa,  cui  dovrebbe  specchiarsi  chi  per  troppo  bol- 
lente amore  rovina  sconsigliatamente  il  progresso,  se 
nel  1609  ^  principe  dei  lincei,  lo  sfortunato  giovi- 
ne Cesi ,  ai  consueti  esercizi  tornò  ed  agli  utili  la- 
vori della  amata  scientifica  sua  società.  Col  solo  Stel- 
luti divise  egli  allora  le  studiose  sue  cure  ,  ed  a 
questo  solo,  ma  fido  compagno,  tutto  il  suo  amo- 
re aveva  rivolto,  e  tutti  apriva  i  pensieri  del  suo 
belV  animo  (10).  E  Stelluti  previde  perchè  non  si 
rinnovassero  le  sofferte  amarezze,  Stelluti  gratificò  i 
Barberini  (11)  perchè  l'accademia  tornasse  in  fama 
G.A.T.LXXXVII.  o 


n4  Scienze 

ed  in  vita.  Chi  se  non  egli  infatti  procuratore  gene- 
rale fu  di  quell'istituto  (ia)  ?  Chi  si  elesse  ordina- 
tore del  liceo  in  Napoli  ?  Chi  sobbarcò  agli  incari- 
chi più  rilevanti  ?  Chiamato  Francesco  nel  3  marzo 
1612  a  trattar  gli  affari  de'  lincei  ,  tutto  si  volse  a 
procurare  per  la  società  ogni  sorta  di  vantaggi:  ed  ora 
un  terreno  comperava  con  iscaturigine  di  acqua  sul- 
furea e  casale  per  farvi  esperienze  ,  ora  curava  per 
ogni  modo  la  stampa  e  la  circolazione  delle  opere 
degli  accademici  (i3).  Ed  il  carico  della  economia  , 
gravoso  ancor  più  per  la  povertà  de'mezzi,  così  res- 
se avveduto,  che  quando  l'accademia  impennate  le  ali 
era  per  levare  franco  il  volo  oltre  le  mura  di  Roma, 
il  dottissimo  Porta  scriveva  da  Napoli,  che  nulla  a- 
vrebbe  senza  lo  Stelluti  nostro  conchiuso.  Vi  andò 
egli  pertanto  nel  27  aprile  i6i3  provveduto  d'istru- 
zioni e  danari,  così  per  cercarvi  un  palagio,  in  cui 
stabilire  il  nuovo  liceo,  come  per  informarsi  dei  sog- 
getti che  meritassero  d'  esser  aggregati.  Frequenti  e 
dotti  abboccamenti  tenne  Francesco  e  col  celebre  Por- 
ta istesso,  che  gli  venne  amicissimo  (14)?  e  coi  più 
valenti  di  quella  capitale  ,  ove  caldo  come  era  sem- 
pre dell'onore  de'lincei  collocar  fece  nella  chiesa  del- 
la carità  un  epigrafico  elogio  ad  Anastasio  De-Filiis 
già  defunto.  Trovò  egli  atti  all'  uopo  tre  dei  molti 
palagi  visitati:  ma  perchè  non  è  a  dirsi  quanta  dili- 
genza poneva  in  tutte  cose,  di  niuno  fece  acquisto, 
rendendo  piuttosto  nel  16  del  successivo  luglio  dei 
letterati  conosciuti  e  delle  cose  operate  conto  il  più 
bello  ai  colleghi  ,  che  lui  vollero  in  pubhlica  ragu- 
nanza  solennemente  commendato.  E  che  non  fece  il 
nostro  accademico,  che  non  zelò  per  quella  società 
a  lui  sì  cara  ?  Partiva  da  Roma  nel   16 14  il  biblio- 


Memorie   di  F.   Stelluti  ii5 

tecario  Angelo  De-Filiis  ,  ed  egli  si  toglieva  ancora 
le  cure  di  quell'ufficio.  Ad  opera  grandiosa,  a  molli 
e  costosi  lavori  con  iscarsezza  di  moneta  miravano  i 
soci  ?  Ed  egli  col  romano  tipografo  Antonio  Rosset- 
ti tal  contratto  a  novennio  statuì  ,  che  lo  scopo  ai 
mezzi  acconciava.  Si  voleva  in  campidoglio  colloca- 
re al  defonto  monsig.  Virginio  Casarini  un'  iscrizio- 
ne ?  Ed  egli  scriveva  al  valente  Cassiano  del  Pozzo, 
che  per  mezzo  del  cardinal  Barberini  curasse  non  il 
titolo  d1  accademico  linceo  tra  gli  altri  del  Cesarmi 
venisse  lasciato.  Né  qui  è  a  tacersi  come  presso  gli 
Stelluti  nostri  serbato  veniva  manoscritto  un  tomo  in 
4-°  intitolato  :  Lynceographum,  quo  norma  studio- 
sae  vitae  lynceorum  philosophorum  exponìtur  a 
Francisco  Stellato  fabrianensi  A.  L.  Poiché  ve- 
niamo da  ciò  assicurati  ,  che  il  linceografo  appunto 
giammai  pubblicato  ,  a  cui  furono  tanto  intorno  gli 
accademici  ed  il  loro  principe,  e  di  cui  il  eh.  Ode- 
scalcbi  dà  il  compendio,  dovette  essere  lavoro  del  no- 
stro Stelluti:  al  quale  pertanto  con  più  ragione  for- 
se che  ad  Angelo  De-Filiis  attribuir  si  possono  an- 
che le  Praescrìptiones  Ljnceae,  a  nome  del  Fabri 
cancelliere  dell'  accademia  nel  1624  stampate  (i5). 
Ma  che  sto  più  a  dire  siffatte  particolarità  ?  Moriva 
nel  2  agosto  i63o  in  Acquasparta  l'infaticabile  e  dot- 
tissimo principe  Cesi:  e  Stelluti,  che  sempre  eragli  a 
fianco,  che  fin  dal  23  dicembre  1626  ottenuto  ave- 
va da  Federico  di  aggiungere  al  proprio  il  cognome 
di  Cesi,  ed  inquartarne  l'arma  perchè  di  lui  paren- 
te (16),  Stelluti,  che  fino  all'ultimo  respiro  fu  sem- 
pre il  suo  amico  verace ,  rendette  non  solo  alla  ve- 
dova di  quel  valente  tutti  i  servigi,  ch'erano  in  po- 
ter suo,  continuando  con  invariabil  costanza  ad  assi- 


1 16  Scienze 

stere  e  difender  lei  e  le  figliuole,  ma  prese  inoltre, 
ciò  che  viene  nel  nostro  scopo,  a  sostener  l'animo  e 
la  perseveranza  de'lincei,  i  quali  dopo  tale  epoca  pos- 
siamo francamente  asserire  non  essere  che  in  lui  e 
per  lui  soltanto  vissuti.  Passati  infatti  appena  i  pri- 
mi giorni  del  dolore  ,  scriveva  a  monsig.  Ciampoli , 
scriveva  a  Cassiano  del  Pozzo  ,  perchè  le  cose  dell' 
accademia  vedovata  del  suo  principe  non  minassero, 
perchè  altro  nuovo  in  qualche  potente  signore,  e  de- 
signava quanto  a  se  il  cardinal  Barberini  ,  n'eleg- 
gessero. Ma  vani  tornavano  i  voti  di  lui  ed  anche 
la  stampa  dell'  Istoria  naturale  del  Messico,  di  cui 
niun  altro  rimasto  era  più  di  lui  informato ,  ed  in- 
torno a  cui  per  benefizio  et  onore  dell 'accademia 
aveva  egli  faticato  tanti  anni  e  con  tanta  spesa 
della  sua  casa  (17),  posta  veniva  in  non  cale  da- 
gli altri  colleghi,  che  andarono  ben  presto  dispersi  ed 
abbietti.  Non  fece  così  per  altro  Stelluti  :  poiché  la 
pubblicazione  di  quell'opera  insigne  e  ben  rara,  eh' 
è  l'unico  fruito  sino  a  noi  pervenuto  de'  lincei  ,  si 
beve  interamente  (18)  allo  zelo  instancabile  di 
Francesco,  il  quale,  non  mai  dimentico  del  suo 
signore  e  delV accademia,  non  depose  mai  il  pen- 
siero di  assicurare  la  gloria  sì  delVuno  come  del- 
Valtra.  Ben  sa  difatto  chiunque  aperto  abbia  quel  li- 
bro, dovuto  primamente  all'Hernandez,  compilato  poi 
dal  Recchi,  ed  arricchito  infine  d'importantissime  no- 
vità ed  aggiunte  dai  lincei,  quante  cure  vi  spendes- 
se attorno  fin  dal  16 12  l'operosissimo  nostro  acca- 
demico: il  quale  non  pago  di  averne  riportato  privi- 
legi di  privativa  per  la  stampa  e  dai  pontefici,  e  dal 
gran-duca  di  Toscana,  e  dall'imperatore,  e  dal  re  di 
Francia,  tanto  adopeiò,  tanto  fece,  allorquando  si  vi- 


Memorie  di  F.  Stellati  117 

de  abbandonato  dai  nostri  italiani,  che  venuto  a  Ro- 
ma per  ambasciatore  del  re  cattolico  Alfonso  Turia- 
no,  e  caricatosene  della  spesa  per  dedicar  quell'ope- 
ra al  suo  monarca  Filippo  IV,  potette  finalmente  ot- 
tenerne la  stampa  in  Roma  nel  i65i  pei  tipi  di  Vi- 
tale Mascardi,  ed  inserirvi  le  celebri  Tabulae  phy- 
tosophicae  del  suo  Federico  Cesi,  alle  quali  Fran- 
cesco premise  una  sua  lettera  dedicatoria  a  D.  Ro- 
drico  De-Mendoza  altro  ambasciatore  del  re  spagnuo- 
lo  al  X  Innocenzo  (19).  Quanto  poi  diremo  che  fos- 
se il  merito  di  lui  siccome  accademico,  se  oltre  al 
già  narrato  ,  ed  alla  pubblicazione  di  questa  grande 
opera  ,  in  cui  la  più  parte  de'  lincei  ed  egli  stesso 
aveva  lavorato,  mostreremo  noi  coli' analisi  delle  sue 
dotte  fatiche,  essersi  da  esso  e  come  filosofo  e  co- 
me poeta  raggiunta  sempre  la  restaurazione  degli  stu- 
di, che  lo  scopo  lodevole  fu  di  quella  società  cele- 
brata ? 

E  toccando  primamente  delle  razionali  scienze, 
dirò  com'egli,  per  agevolarsi  il  cammino  ad  una  ri- 
forma, volle  con  temperanza  veramente  italiana,  an- 
ziché tutto  spregiare  nell'aristotelica  dottrina,  occu- 
parsi piuttosto  a  ritogliere  dal  ginepraio  e  dalla  pro- 
lissità dei  commentatori  le  idee  chiare  e  nitide  del 
profondo  stagirita,  scrivendo  nel  1604  tra  le  tempe- 
ste stesse  accademiche  un  Compendio  di  logica  (20), 
cui  non  saprei  dire  se  precedesse,  ovver  susseguisse 
l'altro  Corso  filosofico  di  logica, fisica  e  metafisi- 
ca con  quindici  corollari  e  compendi  delle  altrettan- 
te dispute  di  tutto  il  corso  suddetto  (21)  :  e  mollo 
meno  precisare,  se  oltre  il  merito  di  aver  sempliciz- 
zato  le  scolastiche  quisquilie,  null'altro  somministras- 
se al   pari  del  primo  in  vantaggio   della   sperimentai 


1 1 8  Scienze 

filosofìa.  Non  fu   però  così  Della  fi  sortomi d  di  tutto 
il  corpo  humano  del  sig.  G.  Bat.  Porta  accademi- 
co linceo,  da  lui  brevemente  in  tavole  sinottiche  ri- 
dotta ed  ordinata,   ed  al  card.  Francesco  Barberino 
intitolata,  che   nel    i63j   pei  tipi  del  Mascardi  in  Ro- 
ma pubblicava.   Poiché  se  i  sommi  Bacone   e  Leibni- 
zio  stimaron  la  scienza  fisonomica  tutt'altro  che   spre- 
gevole e  ridicola:   se  Herder  nel    1778,  e  Lavater  so- 
pra tutti  nel   1781   ebbero  fama  per  lavori  consimili; 
se  nell'attuale  fdosofia  stessa  ne  parlarono  e  l'acutis  - 
simo  Kant ,  ed  il  dott.   Spurzheim  caldo    seguace  di 
quel  Gali,  la  cui  craniologia  riscosse  pure  l'ammira- 
zione d'  Europa  ,   e  rivisse  non  ha  guari  per  Brous- 
sais    e  per    l' italiano    Fossati  ,    come    potremo    noi 
frodare  di    molta    lode  lo   Stelluti  ,   che    precedendo 
per  due  secoli  le    idee  del  giorno  se  ne  occupò  col 
vero  metodo  dell'  osservazione  ,  mentre    tutti   geme- 
vano all'aristotelico   giogo,   ed  approvar  seppe  1'  ope- 
ra del  Porta,  prima  nel  ridurre  a  principii  la  fisio- 
gnomonia  ?    Né  credasi   che    fosse    questo    un    lavoro 
semplicemente  meccanico  :  dacché  nell1  ordinare  eoa 
brevità  e  chiarezza  in  quattro  soli  libri  quello  che  il 
Porta  con  molte  contraddizioni  ed  errori  scrisse  in  sei, 
dovette  egli  e  per  omettere,  e  per  riunire,  e  per  i- 
scegliere  le  opinioni  più  probabili  molta  fatica  e  gra- 
ve senno  adoperarvi  d'intorno.  Vero  è  che  lasciò  con- 
dursi dall'esempio  del  napolitano,  nel  quarto  libro  spe- 
cialmente, a  quelle  fantasticherie  di  correggere  colla 
virtù  di  erbe,  pietre   ed  animali,  i  vizi  e  le  passioni 
umane:  aspetto  puerile,  che  non  vestono  certamente 
gli  studi  dello  svizzero  Lavater  e  del  craniologo  te- 
desco ;   ma  vero   è   altresì   che  non  può  come  a  que- 
sti darsi  al   nostro   SLclìuti  la  brutta   taccia  di  fatali- 


Memorie  di  F.  Stelluti  119 

smo,  dacché  egli  stesso  ai  lettori  sì  bella  dichiarazio- 
ne ne  faceva  (22)  da  chiaramente  mostrare,  come  nel- 
lo stesso  empirismo  fuggisse  con  mente  italiana  gli 
estremi,  e  sviare  non  si  facesse  dai  veri  più  certi  ed 
importanti.  Un  curioso  trattato,  oltre  a  ciò,  della 
mano  dell'Intorno  paragonata  all'i  piedi  di  alcuni 
animali  quadrupedi  e  di  uccelli ,  assicurava  nella 
prefazione  di  venire  approntando  :  e  sebbene  questo 
veduta  più  non  abbia  la  pubblica  luce  ,  ci  appalesa 
tuttavia,  come  di  tal  novella  parte  arricchir  volesse 
le  osservazioni  del  Porta  ,  e  quanto  della  psicologia 
comparata,  ch'era  fio  d'Aristotile  in  oblio,  benemerito 
venisse  egli  prima  che  il  famoso  Cartesio  a  novella 
vita  la  chiamasse.  Né  tacerò  finalmente  intorno  a  ta- 
li studi,  siccome  sponesse  con  molta  chiarezza  ,  se- 
guendo il  Porta,  che  la  visione  in  noi  degli  oggetti 
non  doppi  deriva  dall'indirizzare  un  occhio  solo  alla 
volta  (23)  :  dacché  ciò  mostra  quanto  a  torto  si  at- 
tribuisca al  Gassendi  il  merito  tutto  di  questo  pen- 
samento, apprezzato  pure  da  chi  non  seguendo  i  me- 
tafisici ed  imburghesi  ricusa  di  attribuire  la  spiega- 
zione del  problema  o  al  concorso  degli  assi  ottici  con 
Cartesio,  o  all'identità  dell'impressione  con  Brigg,  o 
per  la  storia  del  cieco  operato  da  Cheselden  all'am- 
maestramento del  tatto.  Non  furono  però  questi  gli 
studi  prediletti  di  Francesco:  che  le  matematiche  pu- 
re ed  applicate  bene  aveva  più  a  cuore,  come  quel- 
lo che  degli  altri  tre  lincei  colleghi  suoi  nella  fon- 
dazione stessa  dell'accademia  incaricato  venne  ad  in- 
segnar la  geometria,  secondo  Euclide,  ad  osservare  e 
calcolare  il  moto  degli  astri,  e  proporre  le  macchine 
e  gli  opportuni  islromenti,  ed  a  fare  su  ciò  la  terza 
tra  le   cinque  lezioni,  che  tener  dovevasi  ne'tre  gior- 


120  Scienze 

ni  di  ciascuna  settimana.  Nella  prima  lezione  infatti, 
data  poco  appresso  ai  i5  di  ottobre  i6o3,  con  molta 
chiarezza  espose  egli,  a  senso  dell'Odcscalchi,  i  prin- 
cipii  ed  i  supposti  della  geometria  ,  e  mostrò  nella 
meccanica  la  costruzione  di  una  maravigliosa  scala 
per  ascendere,  la  quale  con  somma  facilità  poteva  ed 
abbreviarsi  ed  estendersi.  Nella  parte  astronomica  poi 
non  dirò,  che  lasciò  scritto  in  latino  un  opuscolo  Ad 
inveniendum  arcuili  semidiurnum  cuiuscumque  gra- 
dus  eclip tlcae  (24):  non  dirò  che  ogni  cura  ponen- 
do a  raffrontare  le  osservazioni  di  Tolomeo  colle  tico- 
niane,  le  diverse  latitudini  rilevava  delle  stelle  fisse, 
e  le  attuali  posizioni  notava  di  Sirio,  del  minor  ca- 
ne e  di  Venere  ,  dalle  cui  fasi  ben  egli  argomentò 
il  tolemaico  errore  di  averla  nel  terzo  cerchio  collo» 
cala  (25).  Dirò  bensì,  che  venuto  amicissimo  al  som- 
mo Galilei  tutti  gli  scoprimenti  astronomici  di  lui  pre- 
stamente risapeva,  tutti  egli  medesimo  colle  proprie 
osservazioni  raffrontava,  a  calcolar  tornando  dei  sa- 
telliti di  Giove  i  periodici  moti,  le  grandezze,  le  di- 
stanze e  l'ecclisi  col  loro  pianeta  ;  ne  alcuna  del- 
le sue  maravigliose  scoperte  era  dal  fiorentino  filoso- 
fo pubblicata,  che  l'amico  fabrianese  non  ne  accom- 
pagnasse l'edizioni  con  poetiche  lodi,  delle  quali  ap- 
presso diremo  (26).  Né  questo  è  tutto.  Ognun  sa  co- 
me il  celebre  Saggiatore,  che  fruttò  poi  i  terribili  se- 
mi, i  quali  avvolsero  Galileo  nella  più  fatale  sciagu- 
ra, traesse  origine  dalla  Libra  astronomica  e  filoso- 
fica ,  che  sotto  il  finto  nome  di  Lotario  Sarsi  pub- 
blicato aveva  in  acerba  risposta  al  Galilei  il  gesuita 
Grassi,  uno  dei  più  rinomati  fisici  de'tempi  suoi.  Or 
bene  :  Stelluli  ,  che  era  sin  da  principio  informato 
della  controversia,  e  di  tutto  col  fiorentino  linceo  se 


Memorie  di  F.  Stelluti  121 

la  intendeva,  Stelluti  nel  7  settembre  162 1  scrive- 
va da  Acquasparta  ,  che  si  desse  cenno  a  Galilei 
starsi  aspettando  con  desiderio  la  sua  lettera  con- 
tro il  Sarsi,  affinchè  gli  servisse  ancora  per  un 
poco  di  stimolo  ,  essendo  ornai  tempo  ctì  escisse 
fuori  (27).  E  perchè  questi  indugiava  ancora,  ed  il 
nostro  Francesco  caldissimo  era  di  sostenere  l'amico, 
il  socio,  il  luminare  dell'italiana  filosofia,  gl'indiriz- 
zo egli  stesso  in  Firenze  una  risposta  che  aveva  ap- 
prontata perchè  l'esaminasse.  Vergognato  allora  quel 
dolente  della  sua  troppa  lentezza,  inviava  nel  19  ot- 
tobre 1622  a  D.  Virginio  Cesarini,  e  per  esso  al  prin- 
cipe Cesi,  il  manoscritto  del  suo  celebrato  saggiatore 
scrivendo  :  La  risposta  del  sig.  Stelluti  non  è  ar- 
rivata qua  se  non  pochi  giorni  sono,  sicché  ap- 
pena gli  ho  potuto  dare  una.  scorsa.  Che  se  aves- 
si avuto  tempo  di  leggerla  pia  consideratamente, 
non  dubito  che  ne  avrei  cavati  avvertimenti  da 
poter  migliorare  la  mia:  ma  la  rivedrò  e  mi  ser- 
virò dell'avviso.  Intanto  non  mi  è  parso  di  dover 
differire  più  lungamente  il  mandar  la  mia  (28). 
E  qui  più  cose  vengono  a  notarsi.  L'una  è,  che  men- 
tre il  Cesarini  ed  il  Ciampoli  fino  al  22  dicembre  si 
tenevano  l'originale  del  saggiatore,  pubblicato  poi  sul 
finire  dell'anno  venturo,  per  notarvi  alcune  mende,  e 
lo  inviavano  quindi  al  Cesi  perchè  facesse  altrettan- 
to, esciva  in  Terni  nell'istesso  anno  1622  in  4-°  1° 
Scandaglio  sopra  la  libra  astronomica  e  filosofi- 
ca di  Lotario  Sarsi  nella  controversia  delle  co- 
mete di  Gio.  Battista  Stelluti.  Dal  che  argomentasi 
quanto  Galilei  approvasse  la  risposta  del  nostro  Fran- 
cesco, coinè  la  credesse  degna  di  precedere  anche  la 
sua  nella  pubblica  luce,  e  come  vada  errato  l'Ode- 


122  Scienze 

scalchi  nell'asserire  (29)  che  non  venisse  mai  pubbli- 
cata, forse  perchè  dopo  il  saggiatore  ogni  altra  risposta 
era  inutile.  L'altra  è  di  cercare,  come  lo  Scandaglio, 
che  sappiamo  esser  lavoro  di  Francesco  per  attestato 
e  dello  stesso  Galileo  e  dell'  Odescalchi  ,  il  quale 
scrisse,  che  di  lui  esisteva  nella  biblioteca  Albani  an- 
che l'originale  manoscritto,  sia  poi  comparso  alle  stam- 
pe col  nome  di  Gio.  Battista  Stellati,  il  quale  era 
fratello  carnale  di  Francesco  e  matematico  non  vol- 
gare, ed  a  cui  quell'  opera  attribuiscono  non  solo  i 
bibliografi  e  gli  storici  (3o),  ma  fin  anche  una  let- 
tera che  diretta  al  Guiducci,  ed  esistente  tuttora  nel- 
la biblioteca  Albani  medesima  (3r),  palesa  come  Gio. 
Battista  e  non  Francesco  fosse  per  pubblicare  il  ri- 
cordato scandaglio.  Sul  che  ci  sia  lecito  esporre  una 
nostra  congettura  ;  ed  è  ,  che  avendo  per  una  par- 
te velato  fino  allora  ciascuno  il  proprio  nome  nella 
famosa  disputa  sulle  comete,  ed  essendo  per  l'altra 
Francesco  circospetto  sempre,  siccome  abbiamo  vedu- 
to, e  guardingo  di  non  accettar  brighe,  verosimile  è 
essersi  voluto  anch'  esso  occultare  nella  persona  del 
fratello  Gio.  Battista,  il  quale,  lungi  da  lioma  e  non 
occupato  in  pubblici  affari,  aveva  poco  assai  o  nulla 
di  che  temere  i  risentimenti  degli  avversari.  Checche 
sia  per  altro  di  ciò,  certa  cosa  è,  che  sebben  Gali- 
leo e  quindi  Stelluti  avessero  torto  nel  fondo  della 
questione,  riguardando  le  comete  come  esalazioni  del- 
la terra  ammassate  negli  spazi  celesti  ,  ed  illustrate 
dai  raggi  solari  (  errore  per  altro  che  al  dir  di  Fri- 
si (32)  era  ancora  V  errore  de'teinpi  );  lode  tuttavia 
non  poca  tributar  dobbiamo  a  Francesco,  che  accop- 
piando sempre  fermezza  a  prudenza,  sì  bellamente  en- 
trò in  quella  famigerata  conlesa  per  difendere  l'im- 


MKMORIK    DI    F.     STELLUTI  123 

mortai  fondatore  della  sperimentale  filosofia.  Nò  qui 
ebber  termine  gli  studi  suoi  intorno  ad  essa,  che  glo- 
ria può  dirsi  veracemente  italiana,  siccome  diremo  a 
principio:  dacché  a   tutt'  uomo   studiavasi  egli  di  co- 
gliere ogni  buon  destro  per  vantaggiar  la  storia  na- 
turale, che  tanto  aveva  in  amore.  Notammo  già  quan- 
te cure  fossero  da  lui  spese  intorno  alla  naturale  isto- 
ria del  Messico,  estesa  a   tutti  i  tre    rami  di  quella 
disciplina;  ma  per  toccare  di  ognuno,  parlando  della 
mineralogia  ,  ricorderemo    come  avendo  il  principe 
Cesi,  pochi  anni  prima  della  morte,  discoperto  nel  ter- 
ritorio tudertino  presso  il  suo  feudo  di  Acquasparta 
un  legno,  da  lui  chiamato  metallo/ito,  lo  Stelluti  im- 
prese a  scrivervi  un   breve    trattatello  a  penna  ,   che 
nel   1637,  presso  le  molte  ricerche  avutene,   pubbli- 
cò in  Roma    per    imitale    Mascardi   intitolandolo  : 
Trattato  del    legno  fossile  minerale  nuovamente 
scoperto  ;  all'  illustre    cardinal  Francesco    Barberi- 
no intitolandolo.   Credette  egli  (33),  è  vero,  in  quest' 
opera  un  tal  legno  procedere  da  una  spezie  di   ter- 
ra che  ha  assai  dei  cretoso  ,  ed  a  poco  a  poco  tra- 
smutasi in  legno  coll'aiuto  deTuochi  sotterranei   esi- 
stenti in  quei  luoghi,  e  delle  acque  sulfuree  e  mine- 
rali: lo  che  si  oppone  alla  più  parte  degli  odierni  na- 
turalisti, i  quali  lo  ritengono    composto  dagli  avanzi 
de'vegetabili  in  lontane  epoche,   e  nei  grandiosi  cata- 
clismi   seppelliti  ;    ma  chi  non  sa  esser   questo  uno 
fra  i  fenomeni  geologici^  la  cui  spiegazione  riesce 
più  difficile  ai  naturalisti  per  sentimento  del  cele- 
bre Patria  (34)  ?   Chi  non  sa,  che  questo  valentissimo 
mineralogo  ed  il  eh.   Gensanne,  a  gravi  difficoltà  cre- 
dendo soggetta  la  opinione  comune,  dichiararono  piut- 
tosto collo   Stelluti  il  carbon  fossile  (35)    una    terra 


124  Scienze 

semplicemente  argillosa  inzuppata  di  bitume  per  azio- 
ne vulcanica,  da  cui  si  lanciano  particelle  piccolis- 
sime al  pari  delle  molecole  terree  ,  che  simultanea- 
mente erompono  a  formar  dappoi  strati  argillosi  ?  Ma 
lungi  noi  dal  soscriverci  a  tale  opinione  col  nostro 
concittadino,  crediamo  anzi  che  il  minerale  da  lui  de- 
scritto non  sia  il  vero  carbon  fossile  sparso  a  dovi- 
zia dalla  provvida  natura  sotto  le  mani  dell'uomo  ma- 
nifatturiero a  vivificare  l'industria  di  Francia  e  d'In- 
ghilterra, ma  sibbene  una  delle  varie  ligniti,  che  tan- 
to abbondano  nei  terreni  dell'agricola  Italia.  Dapoi- 
chè  ricordando  che  il  nostro  Francesco  si  persuase 
anch'egli  da  principio,  esser  questi  legni  tronchi  o  fru- 
sti di  alberi  sotterrati,  e  formati  poi  con  quell'onde 
dai  fuochi  sotterranei,  ed  acque  minerali  che  ivi  sca- 
turiscono (36):  e  richiamando  il  Planco  (3j),  e  chiun- 
que altro  volesse  censurarlo,  ad  oltre  due  secoli  ad- 
dietro, quando  al  nostro  linceo  era  ignoto  ancora  se 
nascesse  un  tal  legno  in  altre  parti,  e  se  ne  aves- 
se scritto  autore  alcuno  :  crediamo  aver  bastante- 
mente difeso  uno  scritto ,  che  meritò  pure  di  essere 
tradotto  in  latino  dal  bravo  Daniele  Maior,  ed  inse- 
rito appresso  negli  atti  dell'accademia  de'curiosi  (38), 
e  che  alle  i3  stampe,  delle  quali  è  corredato,  uni- 
sce pur  quella  di  alcune  belle  ammoniti,  le  quali  in 
Acquasparta  e  nel  territorio  di  Fabriano  sua  patria 
erano  state  da  Stelluti  fra  i  molti  zooliti,  di  cui  avea 
conoscenza,  diligentemente  osservate.  Venendo  poi  al- 
la botanica,  a  cui  pure  lasciò  scritto  il  Santini  aver 
egli  dato  opera,  dobbiam  confessare,  che  quantunque 
della  cassia,  deìVelleboro,  deWamomo,  del  balano 
e  di  altre  piante  abbia  egli  trattato  (3()),  tuttavia  il 
suo  nome  ricordato  non  sarebbesi  dai  filologi ,  se   il 


Memorie  di  F.  Stelluti  ia5 

ciottissimo  Fabio  Colonna,  tanto  con  esso  in  amici- 
zia congiunto,  non  si  fosse  avvisato,  ad  onore  e  ri- 
cordanza del  fabrianese  per  ogni  genere  di  virtù  e 
varietà  di  scienze  lodatissimo  (4o)  ,  di  cangiare  alla 
messicana  pianta  stolquahvit  o  chilli  ripiena  di  frut- 
ti foggiati  a  stella^  l'equivoco  e  barbaro  suo  nome 
in  quello  di  pianta  stellata.  Che  se  tal  genere  non 
fu  poi  ricevuto  da  Linneo,  ne  da  veruno  dei  bota- 
nici successori  sino  a'  nostri  giorni  (4.1) ,  altrettanto 
avvenne  degli  altri  generi  per  le  piante  cesia  e  bar- 
berina,  che  lo  stesso  celebrato  Colonna,  ad  equiparar 
forse  Stelluti  con  quei  due  splendidi  sostegni  primi 
dei  lincei,  aveva  accortamente  introdotto.  Non  fu  co- 
si per  altro  per  le  zoologiche  scoperte,  nelle  quali  a 
causa  dello  studio  posto  nella  psicologia  comparata  è 
a  collocarsi  fra  i  più  benemeriti.  Si  tacciano  le  ri- 
cerche continue  e  le  osservazioni  esatte,  ch'egli  ra- 
gunava  pe'suoi  colleghi  a  compimento  dell'opera  mes- 
sicana; si  tacciano  le  cose  da  lui  scritte  del  corvo , 
della  murice,  della  seppia,  del  castoro  (42)?  S1  tac~ 
cia  quanto  di  un  lione  tratto  alla  dimestichezza  dal- 
la ferocia  nativa,  ed  in  Parma  per  lui  osservato  ,  ai 
suo  diletto  e  chiaro  Eabri  scriveva  (43).  Non  tacere- 
mo però  noi  ,  che  inventato  appena  dal  suo  amico 
Galileo  1'  utilissimo  istrumento  ,  cui  gli  stessi  lincei 
dettero  il  nome  di  microscopio  ,  stelluti  fu  il 
primo  che  alle  più  belle  scoperte  lo  volse,  in  quelle 
osservazioni  impiegandolo,  che  divennero  poi  sì  fecon- 
de, per  la  insettologia  fra  le  mani  dei  Lenoveck  e  dei 
Reaumur.  Egli  adunque  dette  a  noi  innanzi  lutti  esat- 
tissime microscopiche  osservazioni  suìVape,  che  inci- 
se elegantemente  in  grande  tavola,  e  di  belle  e  dotte 
spiegazioni  corredale,  unite  furono  all'apiario  del  Cesi, 


126  Scienze 

ed  offerte  nel  i6a3  al  pontefice  Urbano  Vili,  già  Maf- 
feo Barberini:  il  quale,  avendo  appunto  l'ape  nel  gen- 
tilizio suo  stemma,  cercava  Francesco  di  rendere  con 
tutta  la  famiglia  benevolo  alla  sua  diletta  accademia. 
E  tanto  furono  lodate  queste  di  lui  osservazioni,  ri- 
petute con  ogni  diligenza  intorno  ai  più  piccoli  mem- 
bretti  ,  e  verificate  poi  non  solo  dal  Colonna  e  dal 
Fontana,  ma  ben  ancbe  dai  posteriori  naturalisti,  die 
Stelluti  stesso  se  ne  compiacque  a  segno  da  riprodur- 
le dopo  più  minuti  confronti  e  miglioramenti  con  al- 
tra incisione  e  con  lunga  nota  nella  sua  traduzione 
di  Persio,  come  nella  grand'opera  messicana  tornò  ad 
inserirle  con  attestazioni  di  lode  il  Colonna  (44)-  Né 
qui  ristava  l'operoso  nostro  fabrianese;  poicbè  col  mi- 
croscopio osservò  anche  il  gorgoglione,  ed  i  risulta- 
ti pregevoli  espose  in  altra  nota  allo  stesso  Persio  , 
corredandoli  di  esatta  incisione.  Perchè  poi  nello  stem- 
ma dell'  accademia  si  avvide  mancare  alla  lince  un 
fiocchetto  di  lunghi  peli  sull'apice  di  ambo  le  orec- 
chie, lo  che  è  il  più  evidente  carattere;  così  egli  la 
dette  nella  medesima  opera  del  satirico  di  Volterra, 
con  Ogni  diligenza  effigiata,  facendola  ritrarre  non  so- 
lo dalle  due  che,  prese  vive  nell'  Abruzzo  ,  aveva  il 
card.  Barberini  spedite  al  principe  Cesi,  ma  giovan- 
dosi anche  di  quelle  che  osservate  aveva  nei  monti 
di  Fabriano  sua  patria,  ove  erano  state  prese  più  vol- 
te (45):  e  correggendo  così  Plinio,  che  nell'India  le 
voleva  soltanto  e  nell'Etiopia.  Tanto  era  adunque  il 
suo  amore  ai  naturali  studi  nel  togliersi  anche  al- 
le gravi  cure  della  giurisprudenza,  col  venire  per  qual- 
che mese  a  diporto  in  seno  della  propria  famiglia  ! 
Fu  qua  diffatti,  che  osservò  con  tutto  agio  Yonocro- 
tato  degli  antichi,  uccello  dell'  ordine  dei  palmipedi, 


Memorie  di  F.   Stellati  127 

detto  oggi  pellicano,  di  cui  non  si  limitò  egli  a  da- 
re i  brevi  ed  esatti  cenni  diretti  tantosto  al  Cesi,  con 
lettera  scritta  in  volgare  da  Fabriano  nel  6  gennaio 
1624,  ma  una  seconda  ne  scriveva  latina  pur  da  Fa- 
briano nel  io  dicembre  1625  all'altro  amico  Fabri, 
e  nelle  annotazioni  fatte  da'lincei  all'opera  del  Mes- 
sico la  inseriva  (46).  La  descrizione  del  quale  ani- 
male, ebe  tanto  trattenne  i  naturalisti,  pare  a  noi  sì 
commendevole  da  cercarne  forse  invano  la  migliore 
dai  moderni  ornitologi,  dacebè  notammo  osservate  con 
precisione  e  certezza  più  cose,  ebe  Buffon  conghiet- 
tura  soltanto  e  sospetta. 

E  cbi  sa  quant'  altro  operato  non  avrebbe  il 
suo  filosofico  genio,  se  la  dispersione  dell'accademia 
colla  persecuzione  di  Galileo  per  un  lato,  e  la  pro- 
tezione ebe  Urbano  Vili  accordava  dall'altro  alla  poe- 
sia ed  ai  suoi  cultori,  fra  i  quali  pur  egli  si  trova- 
va, non  lo  avesser  consigliato  per  la  sua  tranquilli- 
tà di  volgersi  a  questo  studio,  sempre  per  altro  collo 
scopo  della  restaurazione,  che  era  pur  quello  de'suoi 
lincei  !  Perchè  infatti  a  purgare  dalla  corruttela  ,  la 
quale  avea  presso  che  spenta  coll'italiana  ogni  altra 
letteratura  (47)»  il  migliore  avviso  era  quello  di  far 
novellamente  spirare  le  antiche  aure  ateniesi  e  ro- 
mane, richiamando  gl'ingegni  a  quell'antico  bello;  co- 
sì lo  Stelluti  pubblicò  in  Roma  pel  Mascardi  nel 
i63o,  al  suo  card.  Barberino  intitolandolo,  il  Persio 
tradotto  in  verso  sciolto  e  dichiarato.  Che  se  ta- 
luno chiedesse,  perchè  questo,  tanto  inferiore  ad  altri 
poeti  ed  agli  stessi  satirici  latini  Orazio  e  Giovena- 
le, prendesse  egli  a  tradurre,  risponderemo,  che  il  fe- 
ce forse  per  cacciare  dagli  ameni  giardini  dell'ita- 
liane muse  gli  animali  immondi,  che  i  pia  bei  fio- 


128  Scienze 

ri  ne  aveano  cincischiati  e  pesti  ,  senza  accattare 
l'odio  de'oontemporanei:  ai  quali  volgeva  così  lo  sde- 
gno di  Aulo  Fiacco,  che,  non  risparmiandola  a  Ne- 
rone, riprese  nella  prima  sua  satira  i  poeti  romani  di 
stile  affettato  ed  ampolloso.  Né  poco,  oltre  al  merito 
dello  scopo,  sembra  a  noi  che  sia  quello  intrinseco 
del  lavoro,  o  pongasi  mente  alla  molta  fatica  che  du- 
rar dovette  a  rinvenire,  come  egli  stesso  dice,  le  pa- 
role più  proprie  ed  intelligibili  di  nostra  lingua  per 
dare  agl'italiani  senza  sopraccarico  di  ornati  marine- 
schi  un  satirico,  che  per  le  straordinarie  metafore,  le 
frequenti  ellissi,  le  ricercate  allusioni  chiamato  ven- 
ne il  (4$)  Licòfrone  latino:  o  riflettasi,  ch'egli  pri- 
mo ed  in  mezzo  all'  universale  depravamento  donò 
all'Italia  una  vera  traduzione  di  questo  poeta,  tenta- 
ta poi  da  altri  un  secolo  dopo  soltanto,  né  raggiun- 
ta tampoco  dal  classico  autore  di  Basville  ai  giorni 
nostri,  se  credette  utile  tornarvi  sopra  il  napolitano 
Mazzarella  Farao.  Lungi  però  noi  dall'entrare  qui  in 
difficili  ed  odiosi  confronti,  noteremo  che  il  Salvini 
reputò  un  azzardo  il  tradurre  Persio  in  isciolti,  do- 
poché in  tal  genere  di  versi  lo  aveva  elegantemen- 
te, così  egli  dice,  tradotto  il  nostro  Stelluti;  note- 
remmo che  Monti  stesso  quest'una  menda  vi  segnò, 
tranne  altra  di  poco  conto,  di  gettare  cioè  perpetua- 
mente tre  e  quattro  versi  del  proprio  per  empire  le 
lagune  di  Persio:  alle  quali  doveva  supplirsi  sì,  ma 
in  modo,  che  non  isnervasse  la  precisione  del  testo, 
o  ne  tradisse  lo  spirito  (49 )•  Ma  lasciando  che  altri 
dicano,  se  il  eh.  autore  della  mascheroniana  raggiun- 
gesse poi  egli  tale  scopo, rispondeva  già  a  questo  lo  Stel- 
luti medesimo,  che  se  non  avea  interamente  imitato 
il  testo  in  quel  suo  modo  di  dire  così  breve  e  ri- 


! 


Memorie  di  F.  Stelluti  129 

stretto^  era  stato  per  non  esser  pia  oscuro  di  luit 
e  perciò  in  alcune  cose  si  era    un   poco    dilata- 
to (5o):  e  rispondevano  inoltre  per  noi  l'Odescalchi, 
che  (5i)  questa  versione  chiamò   bellissima  e  vera- 
niente  elegante,  l' Adiratali  (52)   che  la  disse  chiara, 
nobile  ed  ingegnosissima,  il   Colonna  che  incuora- 
talo per  onor  dell'accademia  a  pubblicarla,  Cassiano 
Dei-Pozzo  con  altri  amici  che  la  commendarono,  e 
la  vita,  che  campata  all'oblìo,  ha  tuttora    bella  e  fio- 
rente  (53).  Nò  a  questa  soltanto  il  merito  di  lui  per 
la  restaurazione  delle  lettere  si  restrinse:  mentre  se 
yera  è,  come  verissima  ,  1'  opinione  del  Torti  (54) , 
che  dal  genio  per  l'ode  pindarica  nacque  poi  il  nuo- 
vo genere  di  lirica  emulatrice  dei  voli  levati  dai  ci- 
gni di  Grecia  e  di  Roma,  allo  Stelluti  è  dovuta  par- 
te almeno  di  quella  gloria,  eh'  egli  tutta  attribuisce 
all'Adimari  per  l'italiana  traduzione  del  lirico   greco 
pubblicata  soltanto  nel    i63i:   poiché  il  nostro  linceo 
aveane  già  molti  anni  prima  inspirato  il  gusto  con  pa- 
recchie sue  odi  e  canzoni,  per  le  quali  mostrò,  che 
bevendo  alle  fonti  degli  antichi  classici  si  poteva  va^- 
lere  almeno  quanto  i  freddi  petrarchisti  ed  i  turgidi 
mariniani.  Leggasi  infatti  di  grazia  Yode,  che  nel  16 18 
intitolava  a  donna  Olimpia  Aldobrandini    principes- 
sa di  Rossano  e  Medula;  leggasi  l'altra,  che  nel  Sag- 
giatore dell'immortale  suo  amico  Galilei  nel  1623   a 
laude  di  lui  pubblicava;  leggasi  il  Parnaso,  canzone 
che  nel   i632  per  le  nozze  degli  eccellentissimi  Gio. 
Federico   Cesi  duca  d'Acquasparta,  fratello  del  già  de- 
funto suo  amico,  e  Giulia  Veronica  Sforza  Manzoli 
dedicava;  e  poiché  la  negligenza  più  che  l'edace  den- 
te del  tempo  ci  furò  molte  altre  poesie  dello    stesso 
genere,  si  riscontrino  nelle  citate  le  non  poche  ori- 
G.A.T.LXXXVIL  9 


i3o  S    C    I    E    W    Z    E 

ginali  bellezze  sparsevi,  totalmente  opposte  a  quelle 
degli  spiriti  di  allora,  che  nei  concettini  e  nella  va- 
rietà delle  figure  ogni  pregio  ponevano.  Bello  infatti 
a  noi  sembra  lo  scrivere  : 

Ciò  che  quaggiù  si  mira 

Originar  fra  noi, 

Tutto  convien  che  l'ira 

Provi  del  tempo,  e  gli  alti  scherni  suoi; 

Da  i  bei  confini  eoi 

Non  prima  il  giorno  è  sorto, 

Che  lo  miriam  dall'onde  ibere  assorto...  ec. 
Non  ha,  non  ha  fermezza 

Quaggiù  nostra  possanza. 

Stato  di  vasta  ampiezza 

Ha  men  pronta  l'aita,  ha  men  costanza; 

Strale,  che  più  si  avanza 

Per  l'aeree  contrade, 

Con  tracollo  maggior  trabocca  e  cade. 

E  questo  nell'ode  all' Aldobrandino  nelP  altra  poi  a 
Galileo  cantava  : 

Ai  confini  di  Alcide 

Sicuro  altri  le  spalle 

Rivolge,  e  senza  guide 

Su  cavo  legno  per  l'ignoto  calle 

Della  lubrica  valle 

Dell'ocean  profondo 

Vassene,  e  aggiunge  un  nuovo  mondo  al  mondo  ec. 
Novelli  solo  a  noi 

Quei  discoprirò  imperi, 

Non  già  nuovi  agli  eroi, 


Memorie  di  F.  Stelluti  i3i 

Che  là  negli  ondeggianti  lor  sentieri 
Giunti  v'eran  primieri: 
Ma  scopri  tu  più  scaltro 
Orbi  a  ciascun  novelli,  e  pria  d'ogni  altro. 

E  qui  se  dato  mi  fosse  di  toglier  tutte  ad  esa- 
me queste  liriche  poesie,  potremmo  agevolmente  mo- 
strare quanti  veri  filosofici,  e  quanti  belli  pensamenti 
chiudano  senza  cadere  nel   marinesco.     Se    non    che 
noi  toccar  piuttosto  vogliamo  di  altri  lavori  suoi,  coi 
quali  pure  studiavasi  ritrarre  gl'italiani  dalle  lambic- 
cature di  che  tanto   allor  si  piacevano  ,  quantunque 
mezzi    assai    meno  potenti  fossero    delle    traduzioni 
che  richiamavano  ai  classici  latini,  e  delle  liriche  che 
ai  greci  esemplari  si  modellavano.    Serbavansi  cioè  in 
tempi  ancora  a  noi  vicini,  in  parecchi  volumi  serba- 
vansi canzoni,  madrigali,  stanze,  ottave,  sonetti  di 
argomento  sacro  e  profano,  fino  al  notabilissimo  nu- 
mero di  271   componimenti;  serbavansi  in  due  altri 
quadernetti  non  poche  rime  in  lode  di  belle  donne; 
vi  era  una  canzone  eroica  in   morte    della    propria 
madre;  v'era  un  giocoso  capitolo  indiritto  al  colto 
suo  concittadino  Gio.  Vecchi  de  Vecchi ,  descriven- 
dogli la  città  di  Porto   (55).  Ma  o  fosse  la  solita  non 
curanza  ,  che  gì'  italiani  hanno    per  le  belle  cose  di 
cui  sono  forniti  a  dovizia,  o  fosse  la  condizione  in- 
felice de'passati  tempi,  nei  quali  tante  perdite  simili 
toccammo,  di  queste  ed  altre  di  lui  originali  poesie 
pochissime  a  noi  pervennero,  né  possiamo  quindi  dar- 
ne più  ora  che  un  nudo  catalogo.  Fra  quelle  peral- 
tro sopravvissute  all'oblio,  e  che  pur  bastano  a  chia- 
rirci dello  stile  di  Francesco,  il  quale  ne  mandò  al- 
cune alla  luce,  come  i  sonetti  sulle  macchie   osser- 


i3a  Scienze 

vate  nel  sole  dall'amico  Galileo,  e  sulla  carta  da  li- 
no introdotta  in  Italia  da'suoi  fabrianesi,  ed  altre  ri- 
me al  card.  Barberini  inserite  nel  Persio  (56),  me- 
rita distinta  ricordanza  un  poemetto  ài  i32  seste  ri- 
me intitolato  il  Pegaso,  che  nel  1617  pei  tipi  del 
Mascardi  pubblicava  in  Roma  nelle  nozze  del  suo  ca- 
ro amico  principe  Cesi  colla  Isabella  Salviati.  E  ben- 
ché egli  richiamate  le  amiche  muse  nel  mezzo  de1 
suoi  continui  studi  matematici  e  filosofici,  come  si 
esprime  il  Rossetti  che  intitolò  quello  epitalamio  al- 
la sposa,  lo  avesse  come  suol  dirsi  a  penna  cor- 
rente prodotto  ,  ne  volesse  quindi  permetterne  la 
stampa;  pure  ognuno  troverà  in  quei  versi  a  molta 
naturalezza  e  filosofia  congiunta  quasi  sempre  chia- 
rezza e  venustà.  Rechiamone  alcuni  in  comprova. 

E  vide  ancor  con  geminato  corno 

La  dea  più  bella  allor  ,  che  più  riluce, 

Di  macchie  asperso  chi  ne  arreca  il  giorno, 

Scabroso  il  volto  la  notturna  luce, 

E  quel,  che  il  pie  lassù  men  pronto  move, 

Con  due  scorte  girar,  con  quattro  Giove. 

Tu,  Galileo,  che  di  savere  avanzi 

Qualunque  ingegno  a  maggior  pregio  arriva, 
Tu  queste  tutte  non  più  viste  innanzi 
Meraviglie  n'additi,  onde  si  ascriva 
Sol  de'tuoi  sguardi  all'ardimento  altero 
Questo  del  ciel  novello  aspetto  e  vero  .... 

INon  usa  no  di  consumar  sul  dorso 
Di  bel  destriero  inutilmente  il  giorno, 
Poiché  lo  punga  al  salto,  o  sferzi  al  corso, 
Grave  lo  guidi,  oppur  l'aggiri  intorno, 
Nessun  può  trarne  onor,  che  in  gioco  tale 
Viepiù  del  cavaliero  il  destrier  vale .... 


Memorie  di  F.  Stelluti  i33 

Di  sue  virtù  si  chiare  intanto  al  grido 
Di  già  son  corsi  i  più  lodati  ingegni, 
Sin  di  là  tratti  al  suo  famoso  nido 
Dalle  fredd'alpi,  ed  oltre  i  salsi  regni  : 
Tutti  amico  riceve  e   lieto  accoglie 
Del  suo  liceo  ne  l'onorate  soglie. 

Che  se  in  questa  ed  altre  di  lui  poesie  trovansi  qua 
e  là,  io  noi  niego,  parecchi  ricercati  concetti  e  tra- 
lignanti metafore  ,  che  opponendosi  alle  nostre  lodi 
mostrano  non  essersi  raggiunto  lo  scopo  lodevole  del- 
la riforma,  chiamandosi  a  modo  di  esempio  nel  ci- 
tato Pegaso  strepitosi  sputi  di  foco  le  palle  di  ar- 
tiglieria, e  tromba  del  bel  che  dentro  al  cor  na- 
sconde il  nome  della  Salviati  ,  nel  cui  viso  trovò 
accollo 

Quant'han  di  bello  il  ciel,  la  terra  e  il  mare; 
Poiché  v'ha  stelle,  e  perle,  ed  ostri,  e  fiori, 
Che  san  gli  occhi  appagar,  beare  i  cori; 

ricordiamoci,  che  ubi  plura  nitent,  non  ego  paucis 
offendar  maculis.  E  chi  non  sa  oltre  a  ciò,  che  sic- 
come ogni  letteratura  della  propria  nazione,  così  ogni 
uomo  del  proprio  secolo,  necessario  è  che  mostri  la 
impronta,  e  che  il  tipo  per  qualche  modo  ne  renda? 
Chi  non  sa,  che  Claudio  Achillini  e  Girolamo  Pre- 
ti ,  i  primi  fra  la  turba  degl1  imitatori  mariniani  ed 
amicissimi  dello  Stelluti  ,  arrivarono  in  vita  loro  a 
tanta  gloria,  quale  pochi  uomini  possono  vantare  di 
aver  conseguita  ?  E  come  non  sentirne  l'influenza  , 
come  non  lasciarsi  addescare  alcun  che  da  tanta  se- 
duzione e  tanto  fanatismo,  il  quale  giungeva  a  pa- 


i34  Scienze 

gare  in  Francia   14  mila  franchi   i\  versi  dell' Aehil- 
lini  (57)  ?  Aveva  allora  questa  nazione  in   Gugliel- 
mo Bartas,  aveva  la  Spagna  in  Baldassare   Graziano 
due  caldi  ammiratori  e  seguaci  dello  Scrittore  dell'A- 
done, che  non  Italia  sola,  come  blaterano  alcuni,  ma 
tutta  Europa  di  puzzolente  bava  bruttò.  Pm^e  Stelluti 
chiuse  tanta  gagliardia  di  mente  da  resistere  a  stimo- 
li così  efficaci,  quali  sono  l'amicizia  ,  l'interesse  ,  la 
gloria  :  e  se  piegò  talvolta  un  pocolino  all'universa- 
le depravamento,  se  non   giunse  a  compiere  una  ri- 
forma nelle  lettere,  fece  almeno  di  rattenerne  la  foga, 
mostrò  con  petto  forte  un  bellissimo  esempio  di  tem- 
peranza. E  questa  è  alla  perfine  ogni  laude:  dacché 
le  restaurazioni  importanti  sono  sempre  l'opera  lenta 
del  tempo,  e  merita  assai  bene  di  esse  chi   ne  gitta 
i  primi  semi  ,  chi  vi  prepara    gli    animi    scostandosi 
dalla  turba  corrotta,  siccome  fece  Stelluti,  che  non 
si  confuse  tra  quei  freddi  ed  infelici  copisti,  che  l'Ita- 
lia produsse   dall'imprigionamento  del  Tasso  (  i58o) 
alla  maturità  del  Metastasio    (  iy3o):  e   che    meritò 
quindi,  se  il  patrio  amore  non  c'illude  a  considerar- 
lo soltanto  anche  come  poeta,  un  cantuccio  almeno, 
forse  non  molto    lontano  dal   Chiabrera  ,    il  quale  si 
abbandonava  pur  egli  ad  un'   eccessiva  turgidezza  di 
stile,  e  studiavasi  nella  esagerazione  de'tropi  (58),  ne 
demeritò  tuttavia  di    esser  consideralo  fra  i  più  cele- 
bri scrittori  de't  empi  suoi. 

Dopo  le  quali  cose  fin  qui  discorse  pare  a  noi 
dimostrato,  che  se  nell'accademia  de'lincei,  volta  tutta 
nel  secolo  XVII  alla  riforma  de'buoni  studi,  ebbe  Ro- 
ma pel  Cesi,  ebbe  l'Umbria  pel  De-Filiis,  ebbe  l'e- 
stero per  l'Eddo  i  primi  fondatori  chiarissimi  di  tanta 
benemerita  società,  ebbe  anche  il  Piceno  pel  fabria- 


Memorie  di  F.  Stelluti  i35 

nese  Francesco  stelluti  V 'accademico ,  il  filosofo, 
il  poeta  non  volgare:  il  quale,  mirando  sempre  a  rag- 
giungere lo  scopo  di  quella,  il  quarto  ma  non  ulti- 
mo fu,  cui  spetta  tanta  gloria,  e  cui  troppo  ci  duo- 
le, che  uè  marmo,  ne  epigrafe,  né  ritratto,  prodiga- 
ti ora  a  tutta  gente,  sorga  per  laudabile  ricordanza 
o  in  quella  Roma  che,  sua  gloriosa  palestra,  lo  ac- 
colse sempre  fra  l'amore  e  la  stima  de' principi  ,  fra 
il  plauso  e  l'amicizia  de'primi  letterati  di  quel  seco- 
lo fino  alla  più  onorata  vecchiezza  oltre  il  i65i  (5c)): 
o  in  Fabriano  sua  patria,  che  tanto  onorò,  e  che  er- 
gergli pur  dovrebbe  un  monumento,  onde  accendere 
all'imitazione  di  lui  i  cuori  facili  de'giovanetti. 


;36 

NOTE 


(l)  Sulla  cospicua  nobiltà  di  queste  famiglie  vedansi  le  no- 
te 9  e  16.  Gli  Stelluli,un  ramo  dei  quali  ebbe  poi  dagli  Scala  la 
contea  di  Rotorscio,  dettero  nel  i3ii  il  nobile  e  potente  Stelluto 
di  Tinto,  e  nel  i338  Cecco  di  Tinto  podestà  entrambi  di  Arce- 
via  (Le  scienze  ed  arti  nobili  ravvivate  in  Arcevia.  Tesi  pel  Ca» 
prari  J752;:  noverarono  appresso  Giovanni  Battista  fratello  car- 
nale di  Francesco,  di  cui  alle  note  3o  e  3i:  Annibale  loro  nipo- 
te, ch'ebbe  gran  fecondità  nella  poesia,  e  mancò  nel  1682  (An- 
tichità pie-  tom.  17  a  e.  164,  Quadrio  voi.  5,  parte  2,  e.  498).-  Gi- 
rolamo, che  nel  i653  era  uditor  di  rota  in  Geuova  (Fontana,  Bi- 
blioteca legale):  monsig.  Annibale  governatore  in  Benevento  nel 
1727:  monsig.  Ignazio  succedutogli  in  quel  governo,  poi  vesco- 
vo in  Macerata:  Maria,  detta  Teonoe  fra  le  arcadi  pastorelle  del- 
la colonia  Giania,  altra  accademia  fabrianese-  Fra  i  Corradini  si 
contano  un  Giuseppe  giureconsulto  e  poeta  (  Ant.  pie.  tom.  17 
a  e.  170,  Pellini  Epigr.)  vissuto  circa  il  1578:  un  Ruggero  priore 
della  collegiata  nel  i584,  ricordato  anche  dal  nostro  Gilio(Dialog. 
ec.  e.  70.  Camerino  pel  Gioioso);  Antonio  legale  di  qualche  fama 
defonto  in  Roma  nel  i6g3  (Ant.  Pie  tom-  7  a  e.  172,  e  Galletti 
Iscrizioni  Pie.  a  c.g3y,  monsignor  Francesco  Bernardo  vescovo  di 
Marsi  di  Abbruzzo  morto  nel  17 18;  Giovanni  Battista,  che  l'in- 
tero suo  censo  legò  nel  1748  a  pubblica  beneficenza  pei  giovani 
sopra  tutti  studenti  in  Roma  giurisprudenza;  Margherita  detta  fra 
le  slesse  pastorelle  della  colonia  Giania  Egina  Tritonia  ed  altri. 
(2)  Nei  libri  battesimali  non  ci  è  venuto  fatto  trovar  la  na- 
scita di  Francesco  da  Bernardino  figlio  di  Giovanni  Battista  del 
fu  Vincenzo;  ma  la  notizia  desunta  dell'Odescalchi  a  e.  267  cor- 
risponde a  quanto  Stelluti  segnò  di  proprio  pugno  in  un  mano- 
scritto della  biblioteca  Albani.  Vedi  anche  testamento  del  20  apri- 
le 1640,  rogito  Lodovico  Manni. 

(3)  Precedette  questa  per  epoca  l'accademia  stessa  de'lince»,  e 


Memorie  di  F.  Stelluti  137 

nel  i58o  come  già  nota  alla  repubblica  delle  lettere  si  onorava  dei 
valenti  Mambrino  Roseo  scrittore  infaticabile  di  22  opere,  Gio- 
vanni Andrea  Giglio  prosatore  e  poeta  distinto  ,  Durante  Scac- 
chi, Giuseppe  Favorini  medici  chiarissimi,  dei  quali  e  dell'acca- 
demia vedasi  la  biblioteca  picena,  Malatesta  Garuffi  nelP  Italia 
accademica. 

(4)  Odescalchi  D.  Baldassare  duca  di  Ceri.-  Memorie  istorico- 
criticbe  dell'accademia  de'lincei.  Roma  pel  Salvioni  1806  a  e.  io. 
Bellissima  opera,  cui  abbiamo  attinto  più  volte  senza  che  abbia- 
mo per  altro  sempre  a  citarla. 

(5)  Fu  lo  Stellati  stesso,  che  dopo  l'Eddo  disse  al  Cesi  in 
quel  giorno:  ,,  A  voi  diamo  lo  scettro,  e  voi  noi  altri  fratelli  go- 
vernerete ,,.  Odescalchi  op.  cit.  a  e.  28.  In  ogni  accademia  poi 
al  più  potente  e  ricco,  ma  non  per  questo  primo  in  merito,  suole 
spesso  conferirsi  tal  grado. 

(6)  Si  ha  dal  linceografo  a  quant'  opere  dì  pietà  si  consacra- 
vano gli  accademici,  e  quanta  illibatezza  di  costume  si  volesse 
in  loro  che  aveano  a  proteggitore  sGiovanni  Evangelista.  La  ci- 
fra oscurissima,  spiegata  ora  dal  conte  Domenico  Morosoni,  ad 
altro  non  mirava  (Lett.  al  Cancellieri.  Venezia  pel  Picotti  1829) 
che  a  coprire  alcuni  segreti  riguardanti  oggetti  scientifici,  o  ven- 
ne chiarita  per  alcune  lettere  serbate  dai  nostri  Stelluti  e  conse- 
gnate alla  eh.  memoria  dell'ab.  Cancellieri. 

(7)  Copiosa  neve  il  sopraggiunse  per  via,  ed  in  Gualdo  Ta- 
dino dovette  starsene  rifugiato  presso  un  amico  de'lincei. 

(8)  Le  nostre  diligenze  non  ci  hanno  fruttato  fin  qui  alcuna 
notizia  intorno  a  quanto  operasse  egli  colà. 

(9)  Ho  letta  io  stesso  copia  legale  dell'originale  diploma,  in 
cui  dopo  commemorati  i  pregi  di  Francesco,  la  nobiltà  ed  anti- 
chità di  sua  famiglia,  conclude:  „  In  senatorum  ordinem  merito 
,,  cooptandum  esse...  quique  ab  ipso  venient  omnes  cives  patri' 
,,  tiique  romani  . .  .  sint  „  • 

(io)  Odescalchi  op.  cit.  a  e.  87,88. 
,       (11)  Offrendo  le  osservazioni  sulle  api  ad  Urbano  Vili,  scri- 
vendo  in  poesia  tanto  amata  da  quel  pontefice,  e  dedicando  i suoi 
lavori  più  importanti  al  cardinale  Francesco. 

(12)  Fu  eletto  per  5  anni,  e  solenne  procura  ne  rogò  il  fan- 


i38  Scienze 

di  notaro  capitolino;  ma  nel  16  marzo  1617  venne  per  altri  5 
anni  confermato,  come  da  istromento  rogato  dal  notaro  capito- 
lino Forapalti. 

(i3j  Vendette  i  libri  sulla  magìa  del  Porta  in  Venezia:  di  là 
ritirò  600  copie  degli  elementi  dei  curvilinei  scritti  da  quel  fa- 
moso napolitano  onde  cederli  per  poco  al  romano  libraio  Rosset- 
ti, incuorandolo  così  a  pio  de' lincei:  e  propose  di  far  lavorare 
carta  a  conto  dell'accademia  nella  sua  Fabriano- 

(i4)  La  Chiappiuaria,  commedia  del  Porta,  venne  in  Roma  per 
Bartolomeo  Zanetti  nel  1609  dedicata  all'illustre  sig.  Francesco 
Stelluti  T.  (cioè  Tardigrado)  linceo  (come  nel  1614  fu  in  Napoli 
per  io  Scorigio  dedicata  a  Federico  Cesi  la  tragedia  dello  stesso 
Porta  intitolata  Ulisse),  ed  ivi  dicesi  a  e-  3,  che  il  nostro  fab da- 
nese, chiamato  sei  salissimo  ne? matematici  studi  et  filoso fici  esercì* 
tii,  gode  d'una  vera  et  virtuosa  amicizia  con  quel  valente.  Debbo 
alla  gentilezza  dell'illustrissimo  sig.  Niccola  Morlupi,  amante  del- 
la patria,  e  questo  libriccino  ed  altre  notizie  del  nostro  linceo- 

(i5)  I  signori  conti  Stelluti  Cesi,  dai  quali  discende  1'  av- 
vocato coute  Francesco,  attuale  presidente  del  tribunale  di  pri- 
ma istanza  in  Ancona  ov'è  anche  giudice  di  appello  nel  tribunale 
di  commercio,  caro  già  a  quel  flore  di  senno  che  fu  l'eminentis- 
limo  Giuseppe  Albani,  nella  cui  stima  salì  ad  altre  onorevoli  ca- 
riche, membro  di  più  accademie,  e  gentile  scrittore  in  prosa  ed 
in  versi,  serbavano  gli  originali  delle  opere  da  Francesco  publica- 
te,  i  rami  delle  incisioni  tutte  in  quelle  impresse,  l'indicato  lin- 
ceografo,  e  moltissimi  altri  manoscritti,  dei  quali  faremo  ricordan- 
za a'iuoghi  opportuni,  anziché  riportare  l'esteso  catalogo,  uni- 
camente ora  rimasto  presso  i  medesimi:  sendo  il  restante  parte 
smarrito,  parte  inviato  a  Roma  nel  28  novembre  1821  al  defun- 
to chiarissimo  abate  Cancellieri. 

(i6)  Ho  letto  io  stesso  copia  legale  dell'originai  diploma,  in 
cui  il  celebre  Federico  Cesi  scrisse  che  per  autentiche  scritture 
gli  è  noto  discendere  Francesco  per  lato  di  Stelluti  dallo  stes- 
so stipite  della  potente  famiglia  Chiavelli,  la  quale  dominò  la  pa- 
tria nostra;  e  per  banda  della  madre  Corradini,  figlia  di  Maria 
Franchi  dall'Aquila,  da  uno  dei  sig.  Piccolomini  duchi  di  Amai, 
fi  nipoti  di  Pio  II,  da'quali  pur  egli  derivava:  e  ciò  sia  detto  per 


Memorie  di  F.  Stelluti  139 

la  nobiltà  di  tali  famiglie:  aggiungendo  poi  il  principe,  che  Stel- 
luti per  25  anni  si  era  adoperato  nelle  cose  di  lui  con  vero  amo- 
re. Ed  in  fatti  ,,  Caesio  vivo  et  mortuo,  scrive  il  Planco  (Fabii 
Columnae  Phytobasanos,  Medionali  a  e.  3i),  gratus  fuit  Stellu- 
tus,  nam  vivum  ter  ipsum  hospitio  excepit  Fabriani,  et  Neapo- 
lim  eius  graliabis  peliit- .  .,  et  mortuo  in  libris  eumubique  extol- 
lit. ,,  (V-  Odesc.  op.  cit.,  e  DuPelit  Thouars  bibl.  univ.). 

(17)  Stelluti  medesimo  in  una  sua  lettera  del  17  agosto  i63o 
diretta  a  dei-Pozzo,  e  pubblicata  dall'Odescalchi  a  e.  ig6-igg. 

(18)  Odescalcbi  op.  cit.  a  e.  200. 

(io)  Stelluti  aveva  dunque  precedentemente  trovato  anche 
altro  mecenate. 

(20)  Posseggo  io  stesso  l'autografo  di  questo  opuscolo,  che  ha 
la  data  del  1604,  e  su  cui  vedi  anche  Odescalchi  op.  cit.  e.   53. 

(21)  Nell'elenco  degli  Stelluti,  di  cui  alla  nota  i5. 

(22)  ,,  Essendo  questa  professione  conghietturale,  non  sempre 
,,  conseguisce  il  desiderato  fine:  perciocché  i  segni  del  corpo  pos- 
,,  sono  solamente  accennarci  l'inclinazioni,  che  nel  corpo  posso- 
„  no  haver  origine,  ma  non  già  l'azioni  della  nostra  libera  volon- 
„  tài  onde  operando  l'uomo  virtuosamente  mediante  il  suo  libe- 
,,  ro  arbitrio,  . ..  viene  a  spogliarsi  di  quei  vizi,  ai  quali  è  egli 
,,  inclinato  per  il  mal  temperamento  del  suo  corpo  ec.  „ 

(23)  Persio  trad.  ec.  a  e.  26  e  27,  alla  lunga  nota  1. 

(24)  In  volume  segnato  num.  i36g  nella  biblioteca  Albani  di 
Roma,  dalla  quale  mi  ha  tratto  le  poche  notizie  rimastevi  de'lin- 
cei  il  mio  concittadino  ed  amatissimo  discepolo  dottore  Enrico 
Castreca  Brunetti. 

(25)  Persio  tradotto  a  e.  80  n.  7,  a  e.  62   n.  8. 

(26;  Ivi  a  e.  148  n.  1,  ove  ricorda,  che  più  volte  con  Galileo 
in  compagnia  di  Cesi  ed  altri  letterati  ha  ripetute  in  Roma  quel- 
le osservazioni  astronomiche:  e  l'intrinsichezza  con  quel  primo 
doveva  esser  tale,  che  Colonna  nel  1628  volendo  avvertirlo  di 
scrivere  con  prudenza  e  riserva  intorno  le  cose  scritturali,  ne 
incaricava  per  iscritto  Stelluti  (Odescalcbi  op.  cit.  a  e.  191).  E* 
degno  poi  di  esser  notato,  che  il  nostro  Francesco  compilò  anche 
la  vita  di  quel  chiarissimo  luminare,  e  che  il  ms.  autografo  ser- 
bato dagli  Stelluti  venne  inviato  nel  1776  al  sig.  senatore  Nelli 


i^o  Scienze 

in  Firenze.  (Da  lettere  originali  dell'eminentis.  Alessandro  Spada 
del  io  settembre  1776,  e  di  Carlo  Annibale  Stelluti  del  io  sud- 
detto). 

(27)  Bulifon  Antonio,  Lettere  memorabili  istoriche,  politiche, 
ed  erudite.  Napoli  1697,  tomo  4  e-  òi,  e  seg. 

(28)  Aggiungeva  poi;  „  La  supplico  a  scusarmi  appresso  il 
,,  sig.  Francesco  Stelluti  (era  dunque  egli,  e  non  il  fratello  Gio- 
,,  van  Battista,  che  scriveva  lo  Scandaglio)  se  non  gli  scrivo,  non 
„  avendo  io  un  momento  di  tempo:  „  ed  in  altra  del  9  ottobre 
1623,  diretta  pure  al  principe  da  Bellosguardo,  dice  aver  veduto 
il  frontespizio  del  Saggiatore  ,  mandatogli  da  Stelluti  ec,  come 
nel  20  febbraio  1627  satutavalo  di  cuore  promettendo  di  rispon- 
dergli a  bocca.  (Dal  giornale  de'lelterati  di  Roma  1749-  Roma 
pel  Pagliariui  in  8  a  e.  19  e  seg.)  Andarono  poi  smarrite  presso 
gli  Stelluti  le  molte  autografe  lettere  scritte  da  Galileo  al  nostro 
Frauccsco,  che  in  tal  corrispondenza  soltanto  avrebbe  avuto  il 
suo  elogio. 

(29)  Op.  cit.  a  e.  i45. 

(30)  Haym,  Biblioteca  de'libri  rari  italiani,  tom.  4«  a  c«  92  a- 
1.  Milano  1808;  De-Chales,  De  progres  math.  e.  9.  ad  an.  1622; 
Santini,  Picenorum  math.  elogia,  ed  altri. 

(3i)  Al  codice  n.  1369:  ed  è  all'incirca  la  medesima  che  il  ti- 
pografo Tommaso  Guerrieri  indirizzò  nel  citato  Scandaglio  al  sig. 
Mario  Guiducci  stesso:  ed  in  esso  leggesi,  che  Giovanni  Battista 
importunato  dagli  amici ,,  si  compiacque  di  notar  frettolosamente 
,,  per  quiete  di  molti  quello  ch'egli  avea  neila  Libra  del  Sarsi  e 
,,  suo  Bilancio  considerato:  e  ciò  fece  con  occasione  di  trattenersi 
,,  nei  caldi  dell'anno  passato  in  una  sua  villa,  piuttosto  perchè 
„  andasse  per  mano  di  quegli  amici,  che  a  ciò  l'haveano  astret- 
„  to,  che  per  le  stampe:  ma  essendo  per  via  di  questi  capitato 
,,  nelle  mie,  non  ho  voluto  in  alcun  modo  restasse  nascosto;  né 
,,  credo  che  sarà  discaro  ai  studiosi  ,  venendo  da  persona  che 
,,  non  solo  delle  scienze  legali,  che  professa,  ma  anco  filosofiche, 
„  et  delle  historie,  ed  altri  componimenti  di  bella  e  varia  lette- 
,,  ratura  ha  non  ordinaria  cognizione  e  gusto.  „  Tal  mss.  adun- 
que non  esclude  la  mia  congettura,  la  quale  anzi  è  avvalorata  in 
qualche  modo  dall'altra  cautela  di  aver  mostrato  cura  della  pub- 


Memorie  di  F.  Stblluti  14  i 

blicazioné  il  solo  stampatore,  ch'era  pur  quello  di  cui  servivansi 
allora  i  lincei  (  Odescalchi  op.  cit.  a  e.  i5a);  mentre  poi  dalla 
lettera  di  Galileo  sopra  citata  (nota  28)  viene  condotta  al  gra- 
do quasi  di  certezza,  talché  reputo  aver  io  rivendicalo  totalmen- 
te a  Francesco  l'onore  dello  Scandaglio. 

(3a)  Elogio  del  Galileo.  Milano  1778  pel  Galeazzi  a  e.  54- 

(33)  Trattato  suddetto  a  e  6. 

(34)  Storia  naturale  dei  minerali  inserita  nell'edizione  del 
Buffon  fatta  in  Firenze  pel  Bartelli  i833,tomo  XXII  a  e.  575,  in 
cui  a  e.  56?  trovasi  anzi  non  ricevuta  l'opinione  opposta  a  quel- 
la di  Stellati. 

(35)  Opera  e  luogo  citato  a  e.  575  alla  579. 

(36)  Trattato  suddetto  del  legno  fossile  a  e.  6. 

(37)  Planco  Iano,  Fabii  Columnae  lyncei  Phytobasanos,Me- 
dìolani  1744  a  e-  XXXI. 

(38)  Primo  e  terzo  anno  a  e.  523  alla  53 1. 

(3g)  Santini  los:,  Picenorum  mat.  elogia,  Macerata*  1779  ty- 
pis  Capitani;  e  Persio  tradotto  ec.  a  e.  72,  96,    107,   125,  107. 

(4o)  Rerum  medicarum  novae  Hispaniae  thesaurus  etc.  Ro- 
mae  i65i  a  e.  865:  „  Stellutam  arborein  .  .  .  appellaremus,  in 
mutui  amoris  signum,  quo  maxima  devincimur  ab  immensa  erga 
nos  benevolenza,  non  modo  genere,  sed  omni  virtutum  ac  disci- 
plinarum  varietate  clarissimi  viri  d.  Francisci  Stelluti  lyncei  col- 
lcgae  nostri,  cuius  laudes,  quamvis  anobis  hoc  loco  taceantur, ex 
variis  doctissimi  viri  scriptis  iam  omnibus  fere  satis  notae  sunt.  „ 

(40  Cosi  scriveva  il  dottissimo  professore  Antonio  Bertolo- 
ni  al  suo  chiarissimo  amico  nobile  professore  Filippo  dei  baro- 
ni Narducci  di  Macerata,  che  ad  onore  del  nostro  Piceno  leva  di 
se  bella  fama  nella  filologia. 

(42)  Persio  tradotto  ec.  e.  4>  6,  *5,  85,  169. 

(43)  Rerum  medicarum  ec  ut  supra  a  e.  543. 

(44)  "V.  Litta, Famiglie  celebri  italiane  fascicolo  7.  Cesi  di  Ro- 
ma, Milano  1822  pel  Ferrano  con  5  tav.  in  rame,  e  l'estratto  che 
ne  dette  la  biblioteca  italiana  n.  77,  maggio  1822;  Persio  tradot- 
to dallo  Stelluti  stesso  e.  126,  e  127;  Rerum  medicarum  ec.  ex 
Francisci  Hernandez  e.  757  e  8g5. 

(45)  Persio  tradotto  ec.  a  e-  36.  La  stessa  mancanza  del  fioc- 


i4^  Scienze 

chetto  è  anehe  nei  disegni  dell'Odescalchi,  ma  non  già  in  quel- 
lo del  frontespizio  del  Phytobasanos  di  Fabio  Colonna. 

(46)  Rerum  medicarum  ec.  a  e.  680,  e  letta  nella  biblioteca 
Albani  al  codice  n.  3ig  a  e-  i3i  e  seg. ,  donde  avendola  io  trat- 
ta per  l'intero,  ho  letto  che  Stelluti  sarebbe  andato  fra  due  o 
tre  giorni  dal  principe  desiderosissima  di  vedere  non  solo  il  li' 
bro  del  sig.  Rycquio,  ma  anche  le  scritture  del  sig.  Galileo. 

(47)  Botta,  Storia  d'Italia  in  continuazione  al  Guicciardini 
toni.  7  a  e.  i36,  edizione  di  Capolago. 

(48)  Andres,  Dell'origine,  progressi  e  stato  attuale  di  ogni  let- 
teratura, tom.  2  a  e.  645.  Venezia  i83o. 

(4g)  Salvini  Antonio  Maria,  Traduzione  di  Persio,  Firenze  pel 
Manni  1726  in  4-,  e  Satire  di  A.  Persio  Fiacco,  traduzione  di  V- 
Monti.  Piacenza  1804  a  è.  77. 

(5o)  Persio  tradotto  ec.  a  e-  1  della  prefazione  a  quelli  che 
leggono. 

(5i)  Op.  cit.  e.  19S. 

(52)  Traduzione  di  Pindaro.  Pisa  pel  Tenagli  i63i  in  4  a  e 
12!,  e  47*- 

(53)  Odescalchi  op.  cit.  e.  194  e  *98;  Rerum  medicarum  etc. 
C.  719;  Fontanini,  Eloquenza  italiana.  Venezia  1727,  e. 191;  Haym, 
Bibliografia  italiana.  Milano  i8o3  c.ioi  lib.  4;  Paitoni,  Bibliogra- 
fia degli  autori  greci  e  latini  volgarizzali  tom.  3  e.  102.  Venezia 
1774.,  Planco,  Fabii  Columnae  lyncei  Phytobasanos  ec.  Mediola- 
ni  1744  e.  XXXI,  ed  altri  molti. 

(54)  Prospetto  del  Parnaso  italiano  tom.  2  e.  124- 

(55)  Il  fabrianese  De-Vecchi  fu  poeta  giocoso  e  satirico,  che 
mori  nel  1628,  sessagesimo  dell'età  sua.  Vedi  Quadrio,  Storia  e 
ragione  d'ogni  poesia  tom.  2  e.  562.  Il  catalogo,  di  cui  alla  nota 
i5,  attesta  l'esistenza  delle  indicate  poesie:  più  di  un  prologo  in 
4  rima,  in  cui  la  poesia  arringa  la  duchessa  Olimpia  Aldobrandini, 
alla  cui  presenza  uno  stuolo  di  accademici  dovea  recitare  gli  amo- 
ri di  Zeffiro  e  dori:  di  una  selva  per  iscrivere  un  trattato  di 
amicizia,  contenente  dottrine,  esempi,  e  sentenze  di  autori  latini, 
e  di  parecchie  poesie  infine  inviale  a  Francesco  da  valenti  lette- 
rati. 

(56)  Per  le  macchie  solari,  scoperte  da  Galileo,  Stelluti  scris- 


Memorie  di  F.  Stelluti  14.3 

.  prima  e  diresse  al  principe  Cesi  con  lettera  del  i5  febbraio 
l6i3  un  madrigale  (Bulifon,  Lettere  memorabili  ec.  Napoli  1697 
tom.  4i  e.  52),  quindi  nell'edizione  delle  lettere  di  quel  valentis- 
simo pubblicò  uu  sonetto.  Annotando  poi  l'altro  sonetto  sulla  car- 
ta da  lino  (Persio  tradotto  ec.  e.  8o-85  n.  4)  asserì,  che  nella  sua 
Fabriano  cominciò  a  fabbricarvisi  l'anno  990.  Si  veggauo  su  tal 
proposito  Tiraboschi  (Storia  della  letteratura  italiana  moderna 
1789,  t.  5  e.  98),  che  in  Padova  e  in  Trevigi  da  Pace  di  Fabriano 
circa  il  i5jo,  e  Zanti  Giovanni  (Nomi  e  cognomi  delle  strade  e 
borghi  di  Bologna:  mss.  comunicatomi  dal  mio  dotto  amico  cav. 
marchese  Ricci,  il  cui  Dome  stia  per  elogio),  che  in  Bologna  da 
un  maestro  Polese  da  Fabr  ano  prima  del  1200  l'accertano  intro- 
dotta. Noi  poi  aggiungiamo,  che  se  ai  fabrianesi  è  dovuta  la  pro- 
pagazione di  questa  manifattura  in  Italia,  spetta  pur  loro  nel  cor- 
rente secolo  la  gloria  o  di  aver  trattato  i  primi  in  Italia  stessa 
la  sostituzione  di  allre  materie  allo  straccio  ,  siccome  fece  il  mio 
coltissimo  amico  nobile  Carlo  Campioni,  che  trasse  carta  dalla 
paglia,  dalla  malva,  dal  granturco,  e  da  altri  molti  vegetabili,  e 
fin  auco  dalla  segatura  del  legno  misto  ad  un  terzo  di  straccio  (V. 
Giornale  arcadico  tomo  "4  p  5o5j;  o  di  aver  felicemente  imitato 
i  perfezionamenti  stranieri,  siccome  praticarono  i  sigg.  Miliani,  e 
fra  questi  il  peritissimo  giovane  sig.  Giuseppe,  che  ha  dato  non 
ha  guari  una  carta,  la  quale  per  la  bella  lustratura  eguaglia,  e 
per  la  qualità  della  pasta  sorpassa  la  tanta  che  circola  sotto  il 
Come  di  Bath, per  inganuare  coloro  che  fra  gli  esteri  soltanto  tro- 
vano il  bello.  In  quanto  poi  al  poemetto  il  Pegaso,  reso  ora  bea 
raro,  ne  ho  ricevuta  comunicazione  dal  reverendissimo  d.  Anto- 
nio Bracci  canonico  bibliotecario  del  duomo,  già  due  volte  vici- 
rio  capito!  ire  ,  ed  attuale  pro-vicario  generale  in  patria  ,  alla 
cui  gentilezza,  potenza  di  mente,  ed  acutezza  di  raziocinio  vado 
di  ben-altro  debitore  io,  che  ebbi  da  lui  la  seconda  vita  coll't'du- 
Cazione  ai  buoni  studi,  ed  a  cui  piacemi  render  qui  pubblica  te- 
stimonianza dell'amor  mio  riconoscente- 

(57)  V.  Album  di  Roma  1840  a  e-  io5.  L'Achillini  ed  il  Pre- 
ti scambiavansi  sonetti  con  Francesco  ,  alle  cui  premure  deve 
l'Achillini  stesso  l'aggregazione  ai  lincei,  molto  da  lui  desiderata.* 
poiché,  presentato  antecedentemente  da  monsignor  Ciampoli,  non 

era  stato  ricevuto  (Odescalchi  op.  cit.  e.  i/p/ 


i44  Sciènze 

(58J  Così  Corniaut,  Secoli  della  letteratura  italiana  Iota.  7 
e.  42« 

(59)  Non  abbiam  potuto  trovare  il  giorno  certo  della  morte 
di  lui,  che  dovette  però  vivere  oltre  il  i65i  in  cui  si  pubblicò  l'o- 
pera dell'Hernandez.  Parlarono  eoa  lode  di  Stelluli  il  Tiraboschi, 
Storia  della  letteratura  italiana  tom.  8  e.  284  edizione  cit.  Qua- 
drio, Storia  e  ragione  di  ogni  poesia  tom.  2  e.  3o4  .  •  .  Ferrano, 
Costume  antico  e  moderno, edizione  di  Firenze  iSSavol.  8c.*o,5,- 
Biblioteca  universale  antica  e  moderna.  Venezia  pel  Mis-saglia  i832, 
articolo  di  Du  Petit-Thouars,-  tutti  gli  autori  sopra  citati  ed  al- 
tri molli,  fra'quali  B.  Gamba  nella  sua  bell'opera  bibliografica  sui 
testi  di  lingua.  Livia  duchessa  di  Urbino  scrisse  da  s.  Lorenzo  nel 
12  agosto  1640  ad  un  eminentissimo:  „Le  virtuose  qualità  delsig. 
„  Francesco  Stelluti  ...  io  suppongo,  che  siano  molto  ben  no- 
,,  te  a  V.  Eminenza  per  haver  egli  per  lo  spazio  di  4o  e  più  an- 
„  ni  faticato  in  cotesla  corte,  et  in  diverse  occasioni  dato  saggio 
,,  del  suo  valore  ,,.  Nell'opera  dell'Hernandez,  e  lo  ripeteva  il 
cit.  Planco,  scrivevasi  di  lui  a  e.  543:  ,,  Viro,  ut  ob  animi  can- 
,,  dorem  omnibus  est  carissimus,  ita  ob  matheseos  scientiam  tam 
„  Clavio,  Valerio,  et  Magino  olim  amicissimus,  quam  a  Galilaeo 
,,  nunc  estimatissimus  „.  Ebbe  anche  amici  Giovanni  Démisia- 
no  di  Cefalù  in  Sicilia,  filosofo  teologo  e  filologo  insigne  ,  che 
fu  da  esso  fatto  aggregare  ai  lincei:  come  tentò  anche,  ma  inutil- 
mente, per  Mario  Schipani,  medico  e  filosofo  napolitano.,  e  per 
l'altro  medico  fabrianese  Fa  voi  ini,  annunciandolo  per  un  oracolo 
di  filosofìa  e  di  medicina,  nelle  buone  lettere  assai  colto  ,  e  già 
professore  della  sua  arte  in  Ferrara  (Odescalchi  op.  cit  o.  i^?): 
intorno  al  cui  merito  può  vedersi  la  biblioteca  picena  ,  e  la  me- 
moria inserita  nel  Colucci,  Antichità  picene  tom.  240    n3-;i  19. 


^»-S£g&©^a3-e— 


i45 


KnmsR 


Sui  limiti  di  alcune  espressioni  immaginarie. 
Memoria  di  Barnaba  Tortolìni,  professore  di 
calcolo  sublime  nelV archiginnasio  della  Sapien- 
za ,  e  professore  di  fisica  mattematica  nel  colle- 
gio urbano  di  propoganda  fide. 


Sui  limiti  dell'espressioni 


r,  sena 

(  !+«)  *      ,        ■ 

\  /  a 


quando  alV  infinitesimo  oc  reale  si  sostituisca 
V infinitesimo  immaginario  oc  •+■  /3  ^  —  i . 


,.°E 


noto  che  chiamando  a,  un  infinitesimo  rea- 
le, i  limiti»  verso  i  quali  convergono  le  due  espressioni 


{  i+a) 


i 

«  sena 


ce 


quantunque  per  valori  nulli  di  «,  si  presentino  sot- 
to le  forma  indeterminate 


dr  co        o 

i  —, 

'      o 


Contuttocciò  si  verifica 
G.A.T.LXXXVI.  io 


146  Scienze 

i 

v  a*                        sent- 
imi (  i  -+-  a  )       =  e  ,     Zi»j =  i 


a. 


ove  e  denota  la  base  dei  logaritmi  iperbolici.  La  ri- 
cerca di  questi  due  limiti  è  di  somma  importanza  nel 
calcolo  infinitesimale,  e  da  essi  dipende  la  differen- 
ziazione di  qualsisia  funzione.  Conviene  però  accer- 
tarsi, se  questi  limiti  rimangano  invariabili,  quando 
in  luogo  dell'infinitesimo  u  reale  si  sostituisca  l'imma- 
ginario della  solita  forma 

«  +  j3  V  —  i. 

La  presente  breve  memoria  verserà  unicamente  sulla 
ricerca  dei  limiti  verso  i  quali  convergono  le  due 
espressioni 

i 


(I+a  +  ^-)  ' i±pì/—ì 

per  valori  nulli  di  a  e  j3  ,  supponendo  cogniti  x  li- 
miti delle  medesime  espressioni  a  variabile  reale. 

2.°  Un'espressione  qualunque  immaginaria  gode 
della  proprietà  di  potersi  rappresentare  sotto  la  for- 
ma trigonometrica 

r  (  cos  t  ■+■  |/  —  i.  sen  t  ) 

essendo  ;•  una  quantità  reale,  e  t  un  arco  parimenti 
reale,  e  si  avrebbe 


Limiti  di  espress,  immag.  147 

a  •+■  8  V  —  i  =  r  (  cost  ■+■  V  —  i .  seni  ) 
d'onde  necessariamente 

oc  =  rcost  ,  8  =  rsent 
dalle  quali  r,  t  sono  determinati  dalle  condizioni 


r*  =  a2  -+-  82  ,    te/iff*  =  —• 

a 


ed  insieme 


r  =  (  «a  H-  /32  )  t  =  n  ?r  4-  are.  tewg-  i_ 

a 

purché  s'intenda  per  la  notazione  are  tang  v  un  ar- 

co  compreso  fra  — •  ,  e  —  ~«  :  la  quantità  r  dicesi  il 

modulo  dell'espressione  immaginaria,  e  t  V argomen- 
to. Ciò  posto,  una  quantità  immaginaria  dicesi  infini- 
tesima ,  se  infinitesime  sieno  le  variabili  «  e  8  che 
la  compongono,  in  modo  che 

li  m  (  a  -H  8  [/~  —  i)  =  o 

racchiude  necessariamente 

lim  «  =  o  ,  lini  8  =  o 

per  le  quali  anche  il  modulo  r  convergerà  verso  il 
medesimo  limite,  ossia 

lim.  r  =  o. 


i/j.8  Scienze 

All'opposto  l'argomento  t  rimane  di  valore  finito,  men- 
tre si  avrebbe 


,.      J3         ° 
lim  tangt  ==  Zzm.  J-i  ==  -h 

«         ° 


E  chiamando  t  l'angolo  corrispondente  a  questo  li- 
mite, si  dedurrà  semplicemente 


ta72#  T  =:  fotti  — • 


3.°  Si  riprenda  ora  l'espressione  ad  infinitesimo 
reale 


oc 

lim  (  i  -+-  oc  )       =  e 


sarà  fuori  del  limite 


a 
oc)       —  e 


essendo  i  una  quantità  da  svanire  simultaneamente 
ad  a,  quindi  chiamando  x  una  quantità  qualunque  va- 
riabile, ed  indipendente  da  «,  avremo  la  nuova  equa- 
zione 


x 


«  X 

(i+a)      =  (  e,  -4-  i  ) 


e  passando  ai  limiti  si  ottiene 


Limiti  di  espress,  immag.  1^9 


x 


a. 


lini  (  1  -t-  «  )     =  e 

ove  senza  alterarne  il  valore  si  potrà  sostituire  anche 
ux  invece  di  «,  per  cui 


OC  x 

lini  (  1  «f-  a,  x  )       —  e  . 

Quest'ultima  formola,  che  sussiste  per  x  reale,  si  po- 
trà estendere  per  1'  immaginaria  x  \/~  —  1  ,  potendo 
in  quest'  ultimo  caso    servirsene  per   fissare  il  senso 

della  notazione  e  ,  cioè 


oc  x  lr  —  l 

lini  (  1  •+,  «  x[/~  —  1  )     =  e 

e  fuori  del  limite  si  potrà  scrivere 


,  ,«  X   V     *  T 

(i+«X|/'  —  1)     —  e  4-1 

I  rappresenta  un  infinitesimo  con  oc.  Elevando  ades- 
so il  primo,  e  secondo  membro  all'esponente  immagi- 
nario 


e  passando  ai  limiti  otterremo 


i5o  Scienze 

i 


,.      ,  <fiV  —  '  oc 

km  (i  +  «  X[/~  —  i  )  =  e 


che  per  re  =  i   si  riduce  a 

i 


ai/" — i 
km  (  i  -f-  a  ]/~  —  i  )  =  e. 

Fi i mane  pertanto  dimostrato,  che  se  in  vece  di  «  rea- 
le si  sostituisca  l'immaginaria  oc  y/~  —  i  ,  il  limite  del- 
l'indicato binomio  seguita  ad  essere  la  base  dei  lo- 
garitmi iperbolici. 

4.0  Supponiamo  adesso  che  l'immaginaria  risul- 
ti delle  due  parti  a,  e  ]3  (/"  —  1;  in  questo  caso  è    I 
facile  vedere  che  il  trinomio 

porgerà  col  porre  l'infinitesimo  reale 
fi 


,    ,      ,  ^  ,«-+-/3i/"—  1      .    ,    >a-f-/Sl/'-i/       .  _    »a-H3|/ 
(i-hc-r-pl/-l)        rK  =(H-«)        '  (l-j-S^-l) 

nella  quale   i  fattori  del  secondo  membro  si  potran- 
no rappresentare  per 


LIMITI    DI    ESPRESS.    IMMAG.  l5l 

I 


fi       -. 


i-f-at  )  rK  =   f  (l  .+-«)        I 


a 


,.w-.)^:=i=((^-.Fl)(,^^'(,") 

Passando  ai  limiti  col  fare  a  =  o,  /3  =  o,  e  ponen- 
do per  brevità 


v     A 

£  =  Zi/»    — « 


ed  avvertendo  che  per  valori  reali  di  «  e  0 


lini  (  i  •+-  a  )a  =  e  =  fói»  (  i  -+-  ^j/"  —  i  )  * 
si  dedurrà 


Zini  (i  4_a  )  »     ^K  =  e 

T        ,  r,    r        \   «  "t-  jS|/V-   »  I  -+-£/■—   I 


i5a  S  e  i  e  n  a  b 

quindi  il  nuovo  limite  che  si  cerca,  sarà 


e|Ai 


TI.,  a    r  v«H-iSj/"-I  H-Sl^-I  \->rl\/~-\ 

Imi  {i-hort-P[f — *)  =c  'e 

la  quale  si  riduce  evidentemente  a 


z;w(i4-«-H/V'-i)a"H/V~~I==* 

come  si  ha  nel  caso  della  variabile  reale. 

5.°  Perla  determinazione  del  limite  verso,  il  qua- 
le converga  il  rapporto  del  seno  all'  arco  nel  caso 
della  variabile  immaginaria,  cercheremo  prima  il  li- 
mite del  binomio  (#) 


(  i  .*.  «x  y  — •  t.  ) 

per  valori  piccolissimi  di  a,  essendo  x  una  quantità 
reale  ;  chiamando  ora  m  un  numero  convergente  ver- 
so l'infinito,  e  fatto 

1 

a  =  ~-« 
m 

si  supponga  come  al  num.  2.0 


x 
i+^i/"  —  i=r(  cost  -f- 1/*  -~  1.  $en£  ) 


(*)  Gauchy,  Résumès  analytiques; 


Limiti  di  espress,  immag.  i53 

e  si  avrà 


x 

,  tangt  =  *— 
m 


r=    iH--< 

V       ™2J 

quindi  come  già  è  cognito 

/         x  \m         m  ,  . 

f  x  -f-  . — .  |/"  —  il     =  r     (  cosmi -h  \f  —  x.senmt). 


Ora  è  facile  il  vedere  che 


x>\m>Ym         "2liml... 


lim  r    =  Urti.  I/iiLh        >        =  e         2m 


f         x*\m*f' 


tangt  x 

Uni . =  i  =  lini  — 

t  m: 


d'onde  Um  mt  —  x. 

Con  questi  valori  il  significato  dell'esponenziale 

xif    -.  i 
e    v  verrà  definito  dalla  forinola 


oc\/-  —  i 
e  =  cosx  -\-v  —  i.  sen  x 


Questa  dà  immediatamente 


senx=. 


a/"  —  i 


i54  Scienze 

la  quale  sussiste  per  valori  reali  della  x  ,  e  potrà 
estendersi  a  valori  immaginari ,  servendo  il  secondo 
memiro  per  rappresentare  la  notazione 

senx  —  sen  (  a  .+.  fip/*  —  1  ) 

Con  crueste  avvertenze  si  faccia 

2JCL/*  —  2 

e     v  —  1  =  0  ,  ossia  ixy/'  —  1  =  log  (i-h9) 

avremo 

senx  1  1 


*  I 


(14-©)        Zog-  (  i-t-  9  )<> 

0  rappresenti  nella  generalità  un  infinitesimo  imma- 
ginario; e  si  ivrà  per  conseguenza 


senx 

Um a  hm. 

x 


log  (i+6)« 

E  siccome  qualunque  sia  0,  e  reale  ed  immaginario 

1 
Um  log  (  1  4-  $  )•*  __  loge  =  1 

cosi  stabiliremo  in  generale  per  x  =  01  •+■  $\f  —  r 


a,!£Ìf±.y.~».)M, 

«-»-  /3^  —  1 


Limiti  di  espress,  immag.  i55 

come  succede  nel  caso  della  variabile  reale.  Inoltre 
dall'equazione  che  porge  il  rapporto  del  seno  all'ar- 
co in  funzione  della  9  si  ottiene  reciprocamente 


x 


i         *  \0*  (l  -i-Or  senx 


e  pas 


sando  ai  limiti 


1  ,.      oc 

t*  lun< 


lim  (14-©),  =  e 


senx 


cioè  il  limite  di  una  espressione  dipende  dal  limite 
dell'altra. 

6.°  La  ricerca  degli  indicati  due  limiti  si  può 
anche  ottenere  mediante  la  riduzione  dell'espressio- 
ni immaginarie  alla  forma 

A  +  Bi^-i 

e  che  verremo  ad'esporre  brevemente. 

Se  con  le  due  quantità  immaginarie 

a  -f-  j3l/" —  1  »  m  H-  n  \f—  1 
si  formi  la  potenza 

e  si  ritenga 

«  =  rcost ,  8  =a  rsent  ,  tangt  =  — . 


i56  Scienze 

abbiamo  dalla  riduzione  di  queste  espressioni 

(  aH-/3i/v- 1  f+àV— l  „  eG  {cosE  -+-  i/"— i.jctiE  ) 

quando  per  brevità  si  ponga 

E  =  nlogr  •+-  mt  t  G  =  mlogr  —  nt 

Si  sostituisca   i  ■+■  a  invece  di  a,  e  si  chiami  R,  e  T 
il  modulo  e  l'argomento  dell'espressione  immaginaria 

i  -{.  a  -f- 13|/" —  i  =  i+r(  cosi  4-  V — f-sent  ) 

o,  ciò  che  torna  lo  stesso,  pongasi 

x  •+•  r  (cosi  h-  |/*— .  i.  seni)  =  R  (cosT  .+.  j/"— i.wnT) 

si  avrà  con  gran  facilità 

R  =  (i+  xrcost  4-  ra  )    ,  tarcg-  1  = 

v  i  -{-  rcosi 

quindi  risulterà 

(  i^eH-ZSi/-— i  )TO*B^—1  =eG  (cosE  .+-,/■—  i.«/iEl 
ove  in  questo  caso 

E  =  nZo#R  -f.  i»T  ,  G  =  mlog  R  —  nT 
Queste  ultime    formole  ci  daranno  la  riduzione  del 


Limiti  di  espress,  immag.  157 

cognito  binomio  alla  forma  A  -+•  Bl/  —  1;  ed  infatti 
per  l'eguaglianza 

T 

m  -H  n\/~ —  i 


a  -|-  /S|/" —  1 


si 


i  ha 


a  /3 

m=  —  ,  ri  =  — 


ovvero 


a»  -j-  0»  a'  4-  /32 


7w  =  n  =  — 

r  r 


e  perciò  le  quantità  E  e  G  si  trasformano  in 


^       Tcosé      ,sen£Zog-r\     j       Tcosi      5e«tZog-R 

E  = ,  G  = 1 

r  r  r  r 


d'onde  riuscirà 


(n.a^/3^—  i)*W-1  =  eG  (cojEh-i^— i.wnE) 

Nel  prendere  il  limite  di  quest'ultima  espressione  si 
dovrà  fare  nel  secondo  membro  r  =  o,  e  mutare  t  m 
t  ;  non  apparisce  però  immediatamente  il  limite  ver- 
so il  quale  converga  il  secondo  membro,  mentre  per 
r  =  0,  si  verifica 


t58  Scienze 

R=i,     T  =  o,     logR=o 


quando  per  T  si  prenda  l'arco  compreso  fra  — <  ,  e  —  «, 
per  cui  le  due  espressioni 

logR      T 


o 

si  presentano  sotto  una  forma  indeterminata  di   *-"  : 

Facciasi  pertanto 

zrcost  -+-  r2  =  9 
9  convergerà  verso  lo  zero  con  r,  e  si  ricava 


r  __ 


2C0SÌ_f-  r 

quindi 

~  é  „       log  (  i  ■+-  9  \ 


ed 


insieme 


logR 


=  I  cosi  4-  »-i  J  to»  (  i-H 0 J 


T 
Per  la  frazione  ■-«  ponendo  primieramente 


Limiti  di  espress,  immag.  iSg 


T        tangT        T 


tangT 


si  ottiene 


seni 


r         i^-rcost   tangT 

Passando  ora  ai  limiti,  ed  osservando  che  per  valori 
reali  di  Q  e  T 

r  T 

lini  log  (  i  •+•  0  )    =i,  Uni 


tangT 


si  avrà 


lini =  cosx  y  lini  — .  =  senz 

r  r 


dalle  quali 

UniF.  =  o  ,    UmG  =  cos*x  ■+•  $en»r  =  i 
dunque  in  fine 


y.°  Per  la  riduzione  del  seno  di  arco   immagi- 
nario sarà  della  forinola  dell'esponenziale  immaginario 

;en  (oc  -+-  /3|/"-i)  =  Vsen  (  rco^  )  ■+-  Qcos  (  rco,s£  )  |/"-  i 


160  SciKHlE 

quando  per  brevità  pongasi 


rsent  ,     — rsent  rsent        — rsent 

p=e ±1 ; ,  q_  e -e 


quindi  avremo 

sen  (oc  -+-  /3|/* — i)         Vsen  (rcost)  -+.  Qcos  (rcost)  |/" —  i 
«  -H  /Si/" — i  r  (cosi  -4-  |/" —  i.sent) 

Si  ponga 

ricaveremo  con  facilità  i  valori  di  M,  N,  cioè 
-.        P.?<?rc  (  rcost  )  cost      Qcos  (  rcost  )  serci 


Qcos  (  rcost  )  cost      Vsen  (  rcost  )  seni 
r  r 

e  dovrà  verificarsi 

lim  sen(«  +  ^-r)  =  ^  R  f 

Per  conoscere  i  limiti,  verso  i  quali  convergono  le 
quantità  M,  N,  dovremo  fare  al  solito  r  =  o,  e  mu- 
tare t  in  t  ;  conviene  però  prima  eseguire  una  tra- 
sformazione di  variabili  nella  seconda  parte  del  va- 


Limiti  di  espress,  immag.  161 

lore  di  M,  e  nella  prima  di  N  e  che  consiste  a  fare 


irsent 
e  —  i  — . 


6  sarà  un  infinitesimo  con  la  r  convergendo  simul- 
taneamente verso  lo  zero,  e  si  ottiene 

tarscnt 
e  =14-5,     ursent  =  log  (  i  •+■  $  ) 

d'onde  l'espressioni  di  M,  N  si  trasformano  in 

nit       t>        x sen  (rcost)         — rsent  i 

M  =  VcosH ! '  4,  e  senH 

rcost  1 

log  (  i-h  8  )* 
N  =  sentcost  (    C°*  ^rcost  \    L.  P  SJ£f2fÌÌ? 

Di  più  per  r  =  o  si  ha  P  =  1 ,  e  per  conseguenza 


t-   Hit            »•    5CW  {rcost* 
hmm.=cos2uim 


•+•  sen2zlim 


rcost  1 

log  (1  4-  £)9 

7-   Tvr  (  i-  1  ,.     ■sera  (rcost  J  \ 

{  «^  rcost        > 

(     Zo§-  (n-  0)7  ; 

Ma  si  è  dimostrato  che  per  valori  reali  delle  varia- 
bili 

G.A.T.LXXXVII.  „ 


162  Scienze 


sen  (  rcost  )  -- 

lim.  •>  =  i  ,  lim.  log  (  i  "4-  fi  )    =  i 


dunque 

Wi».  M  =  i  ,     Z/w.  N  =  q 
e  si  dedurrà  in  6ne 

sen  (  «  -f.  jSj/"—  i  ) 


Zi/». 


/V- 


come  già  si  è  dimostrato  in  altra  maniera. 

Per  mezzo  della  ricerca  di  questi  due  limiti  fa- 
cilmente si  stabilisce  nel  calcolo  infinitesimale,  che  il 
differenziale  di  qualsisia  funzione  si  mantiene  della 
stessa  forma,  quando  la  variabile  divenisse  immaginaria. 

L'esposte  riflessioni  saranno  apprezzate  da  chiun- 
que giustamente  non  voglia  desumere  il  passaggio  del 
reale  all'immaginario  dalla  generalità  dell'algebra,  ma 
dedurlo  bensì  da  principii  certi  ed  incontrastabili. 


i63 


Estratto  di  alcune  memorie  scientificlie  lette  nel- 
le ordinarie  adunanze  dell'accademia  medi- 
co-chirurgica di  Ferrara  nel  corso  degli  an- 
ni i836,  1837,  1838,  1839.  Bologna  1840, 
tipografia  della   Volpe,  in  8.  di  fac.    123. 


dedicalo  al  magistrato  illustre  di  Ferrara  dagli 
accademici  attivi.  Bella  e  nobile  gara  tra  la  patria 
che  largheggia  sussidi,  ed  i  suoi  figli  che  le  offrono 
i  frutti  dei  loro  sudori.  Quanto  mai  sono  rari  tali 
esempli  !  E  non  ne  conseguita  forse  utilità,  onore  e 
rinomanza  ad  entrambi  ?  Sorgea  quest'inclita  accade- 
mia in  seno  a  domestiche  pareti:  l'aumento  de'mem- 
bri  e  la  celebrità  loro  lece  sì  che  procurassero  di 
renderla  pubblica.  Il  eh.  professore  sig.  dott.  France- 
sco Valori,  membro  dell'accademia  medico-chirurgica 
di  Ferrara ,  operò  sì  fattamente  alla  legale  istalla- 
zione della  medesima,  come  altresì  al  riaprimento  do- 
po le  vicende  del  i83i,  che  ciò  si  deve  quasi  per 
Jo    intero    alla    sua    valevole    cooperazione. 

L'estratto,  di  che  teniamo  parola,  fa  seguito  al  pri- 
mo pubblicato  in  Ferrara  nel  1 83 1  pel  Bresciani: 
ivi  si  dà  conto  delle  memorie  scientifiche  lette  nel- 
le ordinarie  adunanze  degli  anni  1827,  28,  e  29. 
Per  cinque  anni  l'accademia  tacque,  stante  i  travol- 
gimenti  politici  di  alcune  provincie  d'Italia.  Segno  il 
compilatore  1'  ordine  alfabetico,  ed  incomincia  dalla 
memoria  del  dottor  Giuseppe.  Baruffi  di  Crespino. 


j64  Scienze 

i.    Dell'1  azione   del  sistema  nervoso   sul  pro- 
cesso   della    cicatrizzazione    animale.     Enumerate 
alquante  funzioni    morali  e   fisiche   che    si  compiono 
per  1'  influsso    nervoso    arrecando  o  piacere    o    dolo- 
re, dice  èsser  nociva  od  almanco  increscevole  la  ri- 
gogliosa copia  de'nervi  sensitivi  nel  processo  della  ci- 
catrizzazione. Le  piante,  ove  incise  siano  nei  loro  ra- 
mi o  fibre,  in  breve  tempo  ri  vegetano   piene  di  vita: 
la  facoltà  formativa  ne'c  orpi  animali  segue  la  ragio- 
ne inversa  dei  progressi  della  potenza  nervosa.  E  in- 
dispensabile pel  cicati'izzamento  un  certo  grado  di  flo- 
gosi  e  largo  afflusso  di  sangue.  Osserva  negli  indivi- 
dui sensibili  il  processo    cicatrizzante   le    ferite  ado- 
perarsi stentato  e  malagevole;  facile    e  pronto   negli 
atletici.   I   pratici    videro    nella    state    e    nell'inverno 
condursi   le  ferite    più  difficilmente    a  buon    termine 
che  nella   primavera  e    nell'autunno.   Così   nelle  zo- 
ne   equatoriali  il  corso  di  ogni  fei'ila  è  arduo  e  pe- 
ricoloso :    la  indole  dei  climi,  il  genio  delle  meteo- 
re, gl'istantanei  cambiamenti  dell'  aria  ,  gli  squilibri 
elettrici,  ed  altrettali    fenomeni   della   natura,  dispie- 
gano una   valida    influenza    sulle  membra    offese.  Ne 
trae  da  ultimo  conseguenze  utili  alla  pratica:  dover- 
si cioè  attutire  con  adatti  argomenti  la  facoltà  sen- 
sitiva, ed  allontanare  tutto  che  potrebbe  attristare  i 
feriti.  Le  quali  cose,   se  non  sono  del   tutto  nuove  , 
ci  sembrano  trattate  con  molto  studio   e  dottrina,    e 
poste  in  aspetto  molto  belio  ed    interessante. 

2.  Elogio  del  dottore  Gaetano  Zanetti.  Fu 
scritto  dal  dott.  Giuseppe  Benelli.  Nacque  il  Zanetti 
in  Ferrara  il  21  di  ottobre  1763:  laureato  in  medici- 
na, occupò  le  principali  condotte  della  provincia  e 
verie  cariche  municipali  e  sanitarie  con  sodisiazione 


Memorie  scientifiche  i65 

di  tutti.  Ritornato  in  patria,  venne  ascritto  al  colle- 
gio medico  ed  all'accademia  medico-chirurgica.  Avea 
fatto  studio  particolare  di  belle  lettere.  Ci  rimango n 
di  lui  scritti  medici  e  filosofici  che  meriterehbono  la 
pubblicazione. 

3.  Dell'incubo.  Il  dott.  Benetti  dice  esser   mor- 
bo poco  studiato  :   avervi  rivolto   l'attenzione,  perchè 
lo  soffrì  terribile  e  ripetuto  sul  finire  del    1 835.   Vi- 
cende atmosferiche,  salute  mal  ferma,  gravi  alterazio- 
ni morali,  temperamento  oltremodo   nervoso,  digestio- 
ni per  lo  più  imperfette  e  stentate,  furon  le  cause   che 
prepararono  e  determinarono  a  un  tempo  la  malattia, 
alla  quale  forse   eran  forieri  spaventevoli    sogni,  un' 
apatia  per  le  cose  dianzi   carissime,  alternata  da  pre- 
sagi funesti  sulla   sua  esistenza.   Dormiva  una  notte, 
e  pareagli  esser  desto  e  circondato  dalla  famiglia  che 
il  soccorreva,  minacciato  essendo  di  soffocazione  da 
spettri  che  gli  stringe  ano   fortemente  e  petto  e  ven- 
tre: volea  gridare  e  muoversi   e  noi  potea:  si  svegliò 
ansante    e  tutto  il  dì  ebbe  abbattimento  morale  e  di 
forze.  Per  ben  cinque   notti  si  rinnovellò  tal  disastro. 
Purganti,  china- china,   divagamento  il    sanarono;  ri- 
mase però  molestato  da  una  dolorosa  pulsazione  del- 
le carotidi  e  delle    temporali,   che  ridestavasi    al  più 
lieve  turbamento  e  dopo  occupazioni  mentali  alquan- 
to protratte.  Considerando  l'A.  le  cause  che  produsse- 
ro l'incubo,  ed    i  rimedi  che    lo  guarirono,    dichiara 
aver  sede  nei  nervi  che  presiedono  alle  funzioni,  nel- 
lo sconcerto  delle  quali   consiste   appunto  la  genera- 
le forma  dell'incubo. 

4.  Di  alcuni  pregiudizi  volgari  sulla  vacci- 
nazione. Combattuto  vittoriosamente  dal  medesimo 
dott.  Benetti  il  pregiudizio  volgare  del  tramestio  degli 


1G6  Scienze 

umori  viziati  colla  vaccina,  sorto  dagl'insegnamenti 
della  patologia  umorale,  stabilisce  ogni  età  aver  suoi 
morbi:  quindi  tutt'al  più  aversi  a  temere  per  quelli 
proprii  dell'  infanzia.  Discutendo  se  la  vaccinazione 
determini  un  processo  di  genio  specifico  diffusibile  o 
veramente  locale,  egli  si  attiene  a  quest'ultima  sen- 
tenza. Dappoiché  locale  è  l'operazione,  locale  la  svol- 
ta affezione,  locali  le  mutazioni  che  accadono  nei 
diversi  suoi  stadi  e  locale  la  rigenerazione.  Se  vi 
sono  sintomi  di  generale  reazione,  doversi  tribuire 
alla  flemmasia  cutanea,  o  ai  promossi  consensi,  piut- 
tostochè  all'assorbimento  della  materia  introdotta,  ov- 
vero alla  sua  mescolanza  co'fluidi  animali.  E  con  altre 
gravi  sentenze  si  adopera  a  sventare  tali  pregiudizi: 
ed  è  perciò  che  facciam  preghiera  al  coltissimo  autore 
onde  voglia  rendere  di  pubblico  diritto  questa  memoria. 
5.  Fegato  di  una  vaccina  con  lobo  soprannu- 
merario collocato  nel  torace.  E  osservazione  del 
prof,  dì  zooiatria  Tommaso  Bonacciolì.  Questo  vi- 
scere, normale  per  la  posizione,  aveva  un  prolunga- 
mento che  per  un'  apertura  dell' aponevrosi  del  dia- 
framma si  estendeva  sopra  la  faccia  anteriore  del  dia- 
framma stesso:  il  lobo  era  di  figura  ovale,  largo  un 
decimetro,  due  lungo,  grosso  tre  centimetri:  era  vera 
produzione  del  fegato.  La  vaccina  trova  vasi  nell'età 
del  maggior  vigore,  robusta,  e  perfettamente    sana. 

6.  Appendice  ceca  nel  tenue  intestino.  Osser- 
vata dal  medesimo  in  un  bue  sano.  Esisteva  circa  la 
metà  del  digiuno:  era  pieno  delle  malerie  solite  a  tro- 
varsi in  quell'intestino:  lungo  tre  decimetri  e  più:  a- 
vea  movimento  vermicolare  più  pronto  e  deciso  del 
resto  del  tubo  intesi inalc.  L'osservò  aperto  appena  il 
basso  ventre   della  bestia  mattata. 


Memorie  scientifiche  167 

7.  Mummia  nell'utero.  Giunta  una  vacca  all'ot- 
tavo mese  di  pregnezza,  ammalò  di  metrite  da  cui 
guari.  Recò  non  poca  maraviglia  veder  scomparsi  i 
segni  di  gravidanza.  Visse  per  cpuattr'anni  in  florida 
salute:  uccisa,  si  trovò  l'utero  in  istato  normale,  ed 
il  cadavere  del  feto  asciutto  ed  abbronzato  come 
mummia. 

8.  Due  feti  morti  e  secchi  nell  addomine  ed 
un  terzo  fatto  scheletro  nell'utero.  Sezionando  il 
detto  zooiatro  una  pingue  scrofa  di  4-  anni  ,  riscon- 
trò due  feti  aridi  locati  sotto  il  rene  destro  in  pros- 
simità della  corrispondente  ovaia.  Nell'interno  della 
matrice  altro  feto  divenuto  scheletro  con  le  ossa  spol- 
pate e  prive  di  cartilagini  e  tegumenti  naturalmen- 
te disposte.  Questo  fenomeno,  come  anche  dice  l'A., 
non  è  raro. 

9.  Febbre  grave  in  una  cavalla  somigliante 
alla    petecchiale    dell  uomo.   Dopo    aver    sostenuto 
per  vari  giorni    un  esercizio    smodato,  questa   cavalla 
gravemente  infermò.  »  Prostrazione   estrema  di  forze  , 
inappetenza,  orecchie  e  gambe  fredde,  occhi  scintillan- 
ti e  stupidi;  pupilla  dilatata    ed  insensibile:  vasi  del- 
la congiuntiva  alquanto  iniettati:  respirazione:  breve: 
bocca  asciutta:  pelle  meno  morbida  del  naturale  e  pe- 
lo qua  lucido,  colà  fosco   e  sollevato:   deiezioni  alvi- 
ne scarse:  polso   cardiaco  irregolare;  quello  delle  ar- 
terie  or  piccolo  e  frequente,   or  tardo  e  vibrato,  ora 
esilissimo  ».  Questi  erano  i  sintomi  della  prima  gior- 
nata che    si  mantennero    più  0    meno   intensi  fino  al 
ventunesimo   dì.   Si   adoperarono  salassi,   catartici,  be- 
vande nilro-stibiate   e   di  lauro  ceraso,   clisteri  emol- 
lienti e  vescicanti.  Dopo  il    ventesimo   terzo  giorno, 
tornati  in  isccna  con   maggiore  allarme  que' sintomi, 


i68  Scienze 

a  questi  si  accompagnavano  accessi  frenetici,  lingua 
nerastra,  sussulti  continui,  disfagìa,  irregolarità  de'pol- 
si.  Oltre  a  ciò  molte  piccole  macchie  nere  somiglianti 
a  petecchie  umane  mostraronsi  sulla  congiuntiva,  sul- 
la pituitaria  ,  nei  bordi  e  nell'interno  delle  labbra  , 
delia  bocca  e  della  vulva,  e  sulle  superficie  vescica- 
tonale  del  petto  e  delle  cosce.  Allora  si  praticarono 
due  setoni  al  petto  spalmati  con  unguento  di  can- 
taridi: nel  25.°  giorno  al  furore  subentrò  il  letargo,  si 
estrasse  due  volte  sangue,  si  fecer  clistei,  e  si  ammi- 
nistrò un  purgante  composto  di  aloe,  cremor  di  tar- 
taro, e  piccole  dosi  di  digitale  e  di  taxus  bacchetta. 
D'indi  in  poi  volse  al  meglio:  al  3o.°  giorno  era  sa- 
nata. Altro  caso  somigliante,  benché  meno  grave,  ri- 
corda il  Bonaccioli.  Saviamente  quindi  ci  fa  sapere 
esser  tali  cavalli  appartenuti  ad  agricoltori  che  avean 
perduto  buoi  per  carbonchio  ,  e  ci  fa  avvertiti  non 
raramente  trovarsi  simili  macchie  nella  superficie  del- 
la cavità,  nei  visceri  racchiusivi  e  nei  vasi  maggiori, 
quando  dopo  una  febbre  avente  i  caratteri  della  car- 
bonchiosa all'esterno  non  era  apparso  esantema  com- 
burente di  sorta. 

io.  Grossa  iperostosi  negli  antri  della  gana- 
scia anteriore.  Un  bue  fu  colpito  da  altro  colle  cor- 
na nel  punto  centrale  della  guancia  destra.  Non  die- 
de indizio  di  malattia,  tranne  un  mal'  essere  che  si 
manifestava  di  tanto  in  tanto.  Dappoi  la  pelle  esul- 
cerò nel  luogo  offeso,  tramandando  scarsa  quantità  di 
pus  fetido:  la  guancia  era  tumida  e  calda:  stillicidio 
dalle  nari:  febbre  leggiera:  alito  fetido,  bocca  ulcerata 
con  molte  ineguaglianze  soprattutto  nella  destra  parte 
della  volta  palatina:  distrutta  la  gengiva  dei  4  ulti- 
mi molari  destri,  i  quali,  tocchi  appena,  caddero.  Uc- 


Memorie  scientifiche  169 

ciso  il  bue,  la  sezione  mise  allo  scoperto  un  grand' 
ammasso  irregolare  di  sostanza  ossea  che  occupava  il 
centro  della  ganascia  maggiore:  i  tramezzi  erano  can- 
cellati, v  Quel  tumore  osseo,  che  a  prima  giunta  sem- 
brava porzione  di  encefalo  passata  a  putrefazione  , 
occupava  eziandio  molta  parte  della  cavità  nasale  con 
distruzione  dell'  etmoide,  del  palatino,  dei  turbinati, 
estendendosi  fin  quasi  nell'orbita  dell'  occhio  corri- 
spondente «.  Altra  iperostosi  semisferica  era  aderen- 
te alla  mucosa  che  tapezza  l'antro:  la  membrana  pal- 
lida, consistente  e  di  grossa  tessitura.  Macerati  ed 
asciutti  questi   tumori,  pesò  il  primo    i3   libbre,  l'ai— 

i  tro  due.  Le  lamine  ossee  tegumentali  e  palatine  del- 
la  mascella   eran   molto   assottigliate. 

li.  Fecondazioni  straordinarie  di  vacche.  Una  die 
a  luce  quattro  vitelli  in  due  parti  con  circa  rnezz' 
ora  d'intervallo:  una  seconda  5,  l'uno  pochi  minuti 
appresso  l'altro:  una  terza  presentò  il  caso  singolare 
di  un  vitellino  mostruoso  mummia,  tolto  dalla  vagi- 
na colla  mano,  al  quale  dopo  25  giorni  succedette 
un  parto  naturale  di  un  feto  ben  conformato  e  vi- 
goroso. 

12.  Perniciosi  effetti  prodotti  dalla  intempe- 

i  stiva  amministrazione  del  tartaro  slibiato  nei  ca- 
valli. Assoggettati  vari  cavalli  all'uso  del  tartaro  sti- 
biato,  morirono  più  0  men  presto  con  gravi  dolori. 
La  sezione  de'cadaveri  mostrò  in  tutti  ernie  negl'in- 
testini tenui,  ed  in  taluni  gl'intestini  stessi  forati.  Il 

1  cavallo  non  può  vomitare  per  istruttura  sua  partico- 
lare. L'A.  dice  averne  veduto  il  vomito  per  cause 
morbose,  ed  una  volta  anche  per  tartaro  stibiato.  Nel 
corso  di  sua  pratica  l'adoperò  con  successi  felicissi- 
mi in  alcune  morbosità.  Due  cavalli  ne  sopportaro- 


170  Scienze 

no  impunemente  una  quantità  straordinaria:  ed  uno 
in  particolare  affetto  da  gravissimo  trombo,  al  quale 
vennero  per  errore  amministrate  in  una  sola  volta 
sei  once  ,  dopo  non  lieve  disturbo  tornò  alla  pri- 
miera salute,  ed  il  tumore  quasi  per  lo  intero  sva- 
nì. Altro  infermo  per  grave  parafiinosi  ne  tollerò  tre 
once,  senza  evidente  sconcerto:  anzi  le  orine,  che  a 
stento  fluivano,  si  resero  più  spedite,  e  con  inaspet- 
tata prontezza  si  dissipò  la  malattia. 

i3.  Intorno  alle  gravi  circostanze  che  accompa- 
gnarono la  febbre  aftosa  de'' buoi  della  provincia 
di  Ferrara.  (  E  inserita  nel  fase,  io  del  giornale  let- 
terario scientifico  modenese    1840.) 

14.  Descrizione  di  un  utero  unicorne  rinve- 
nuto in  una  a°nella  di  sei  mesi.  Eccone  i  carat- 
teri:  «  Posizione  sulla  linea  media  del  tronco:  figura  di 
cono  allungato  colla  sommità  in  alto  e  ricurva  all'in- 
dietro:  volume  assai  maggiore  di  quello  di  una  me- 
tà di  un  utero  normale  d'individuo  della  stessa  età: 
cavità  unica:  nessuna  traccia  di  preesistita  duplicità: 
ambe  le  ovaia  e  le  tube:  ambi  iligamenti  larghi:  ana- 
logia colPutero  della  specie  umana.  »  Il  prof.  Lio- 
nello Poletti  vi  fece  alcune  riflessioni  :  e  qui  ter- 
minano i  molti  ed  interressanti  lavori  del  sig.  Bo- 
naccioli. 

i5.  Dei  vantaggi  dell'atropa  belladonna  in  di- 
Verse  affezioni  morbose.  Il  prof.  Gregorio  Bononi 
ci  accerta  in  questa  memoria,  che  non  rade  volte  ce- 
de la  uretritide,  particolarmente  se  accompagnata  da 
scolo  gonorroico  acuto,  sotto  l'uso  delle  frizioni  del- 
l'estratto di  belladonna  unito  col  grasso  suino  ro- 
sato: e  vide  più  pronto  e  decisivo  il  miglioramento,  se 
innanzi  a  quelle  frizioni  praticava  sul  luogo  una  fo- 


Memorie  scientifiche  171 

mentazione  fatta  col  decotto  delle  foglie  o  radici  del- 
la stessa  pianta  (1).  L'osservò  opportunissimo  nella 
periostite,  nelle  necrosi  infiammatorie,  nell'artitide  , 
nelle  affezioni  reumatiche  e  nei  cronici  turgori  emor- 
roidali. Tale  utilità  fu  appiriscente,  per  la  prontez- 
za con  cui  i  mali  procedevano  al  loro  fine,  per  l'azio- 
ne sulla  località  e  sul  generale,  minorando  i  sinto- 
mi di  reazione,  e  per  la  leggiera  dose  che  occorre- 
va porre  in  uso.  Detto  di  un'ernia  inguinale  incarce- 
rata che  guarì,  passa   ad  esporre  varie  conchiusioni- 

16.  Storia  di  una  frattura  complicata  della 
gamba  con  enorme  stravaso.  Lo  spirito  di  questa 
memoria  del  dott.  Bononi  si  fu  di  raccomaudare  l'uso 
pratico  del  metodo  controstimolante:  consigliando  non 
venire  con   troppa  prontezza  all'amputazione. 

17.  Della  necessità  di  un  codice  in  medicina. 
Bel  tema  trattato  dal  prof.  Luigi  Buzoni.  È  deside- 
rabile che   questo   codice   si  faccia. 

18.  Induzioni  patologiche  ed  igieniche  trat- 
te dalla  fisiologia  della  traspirazione.  Queste  in- 
duzioni sono  preziosissime  per  la  patologia  e  per  1' 
igiene.  E  un  degno  lavoro   del  prof.    Buzoni. 

19.  Della  necessità  di  un  linguaggio  sciupìi* 
ce  uniforme  e  legale  nella  denunzia  delle  ferite. 
L'argomento  è  ventilato  con  dottrina  dal  medesimo. 
Pare  però  non  avere  aggiunto    felicemente  lo    scopo. 

20.  Della  virtù  della  corteccia  delV  acacia 
virginalis  di  Pohl.  La  storia  di  questa  pianta,  dei 
suoi  caratteri  botanici,  fisici  e   chimici,  la  esposizione 


(1)  Il  eh.  signor  dott.  Francesco  Valori  ci  accerta  aver'  egli 
sperimentato  con  successo  tal  maniera  di  medicare. 


1^2  b    C    I    E    N    Z    E 

delle  pretese  azioni  farmaceutiche,  ed  i  modi  di  pre- 
scrizione, costituiscono  i  punti  principali  della  pri- 
ma parte  di  questa  memoria  del  dott.  Alessandro  Col- 
la. Nella  seconda  si  riportano  vari  casi  di  metrorragia 
curati  felicemente  colla  corteccia  di  acacia  alla  dose 
di  una  dramma,  da  somministrarsi  in  due  o  più  gior- 
ni secondo   la   gravezza  del  morbo. 

21.  Del  gabinetto  di  materia  medica  delV uni- 
versità ferrarese,  della  colutea  arborescens,  e  del- 
la bignonia  radicans  americana.  Il  suddetto  prof. 
Colla,  autore  della  memoria,  ha  cooperato  all'istitu- 
zione di  quel  gabinetto.  Tributa  egli  lode  al  eh. 
monsig.  Peruzzi,  ai  prof.  Folchi,  Crescimbeni,  Giaco- 
mini  ed  altri,  che  arricchironlo  di  sostanze  medicina- 
li. Il  prof.  Colla  die  a  vedere  non  aver  trasandato 
di  studiare  e  fare  sperimenti  sulle  specie  meno  cogni- 
te. Vide  difatti  dotate  di  azione  purgativa  le  foglie 
della  colutea  arborescens  :  e  le  silique  della  bi- 
gnonia radicans  utili  contro  la  dispnea  e  V  asma 
convulsivo 

22.  Sulla  cultura  de* medici.  Non  sembra  mai 
abbastanza  aver  detto  ,  inculcando  questi  principii  : 
moltissimi  medici  antichi  e  recenti  possono  servire  di 
ottimi  esempi.  E  una  memoria  del  medesimo  profes. 
Colla. 

23.  Delle  cause  che  possono  accelerare  la 
vecchiaia.  Amò  il  prof.  Giovanni  Costa  rinnovellar- 
ci  alla  mente  quelle  virtù,  per  le  quali  non  solo  si 
può  prolungare  la  vita  ,  ma  renderla  eziandio  meno 
disagevole  e   dura  :   la  moderazione  sopra  tutte. 

24.  DelV  arte  farmaceutica  in  generale.  La 
farmacia  ha  progredito  evidentemente,  dappoiché  trae 
i  suoi  sostegni  dalle  scienze  chimiche  e  naturali.  Ha 


Memorie  scientifiche  17  3 

progredito  come  arte  ,  perchè  i  metodi  di  composi- 
zione sono  d'assai  perfezionati,  e  semplificati  sono  gì' 
istromenti  d'analisi  e  di  sintesi  chimico-farmaceutica. 
Ha  progredito  come  scienza,  poiché  ha  principii  che 
la  sostengono,  discipline  che  regolano  le  sue  operazio- 
ni ,  leggi  le  quali  altro  non  sono  che  1'  espressione 
dei  risultati  ottenuti  col  metodo  sperimentale.  Sull' 
utilità  sua,  sull'aiuto  che  presta  alla  medicina  ed  a 
varie  arti,  non  è  chi  ne  dubiti.  Memoria  del  mede- 
simo. 

25.  Della  febbre  aftosa  sporadica  delVuomo. 
Lo  stesso  prof.  Costa,  parlando  intorno  ad  alcun  ej  sin- 
golari malattie  osservate  in  Ferrara  nel  i835,  espo- 
neva come  la  febbre  aftosa  dominante  epidemica  nei 
fessipedi  domestici  erbivori  ed  omnivori  si  era  pure 
manifestata,  in  modo  però  sporadico,  nella  specie  uma- 
na; attaccando  di  frequente  i  bambini  ed  assai  rara- 
mente gli  adulti.  Bei  fatti  per  provare  una  verità  non 
posta  ancora  in  piena  luce,  esser  cioè  derivati  a  noi 
molti  morbi  dai  bruti  specialmente  domestici. 

26.  Di  una  straordinaria  affezione  venerea 
curata  col  mercurio.  11  dott.  Giuseppe  Deworski,  in 
una  sua  memoria  diretta  a  convalidare  1'  azione  del 
mercurio  nella  sifilide,  riporta  un  caso  gravissimo,  il 
quale  mediante  bagni  e  frizioni  mercuriali  alle  cosce 
che  si  continuarono  ,  benché  si  presentasse  copiosa 
salivazione,  guarì. 

27.  Delle  principali  classificazioni  mineralo- 
giche. Il  dott.  Alessandro  Pelisi,  parlato  delle  classi- 
ficazioni mineralogiche  di  Hauy  e  di  Berzelius,  dice 
non  potersi  dare  vero  ordinamento  in  mineralogia  se 
non  si  desume  dall'  insieme  di  molti  caratteri  come 
fece  Blumembach.   Si  attenne  egli  ad  un  ordinamento 


174  Scienze 

eclettico  nel  distribuire  i  molti  pezzi,  de'quali  è  com- 
posto il  gabinetto  mineralogico  di  Ferrara. 

28.  Caso  di  assoluta  astinenza  di  un  cavallo. 
Una  lettera  del  sig.  Fauvet  riporta  questo  caso.  Da 
un  branco  smarriti  tre  cavalli  si  credettero  involati: 
dopo  20  giorni  si  avvertì  il  proprietario,  che  in  un 
tugurio  senlivasi  molto  fetore:  atterralo  l'uscio,  si  tro- 
varono i  cadaveri  di  due  cavalli,  il  terzo  corse  ad  un 
fontanile,  ove  tanto  bebbe  quanto  capir  ne  poteva  il 
suo  ventre.  Cominciò  quindi  gradatamente  a  man- 
giare, finché  tornò  ad  uno  stalo  di  salute  floridissi- 
mo. Col  muoversi,  forse  i  cavalli  da  loro  slessi  s'im- 
prigionarono :  l'uscio  era  senza  serratura,  i  cadaveri 
intatti. 

29.  Dell'importanza  del  fegato  nelV  umana 
economia.  Il  dott.  Foschini  rese  questa  memoria  di 
pubblico  diritto  nel   1839. 

30.  Cenni  sulla  scoperta,  uso  ed  utilità  delV 
ascoltazione  nella  medicina  pratica  e  nella  chirur- 
gia. Discorse  il  dott.  Girolamo  Gambali  l'utilità  dello 
stetoscopio,  in  special  modo  di  quello  metallico  perfe- 
zionato dal  dottore  Ulisse  Breventani,  e  ne  convalida 
l'uso  con  vari  sperimenti  inslituiti  nell'  ospedale  ci- 
vile di  Ferrara. 

3i.  Sul  cholera  morbus  indiano.  Non  posso  ac- 
consentire coli'  opinione  del  sig.  dott.  Gambali  ,  il 
quale  dice  esser  miasmatico  il  contagio  di  questo  mor- 
bo, ed  esser  trasferibile  dall' un  luogo  all'altro  per  mez- 
zo dell'aria.  Checché  se  ne  dica,  fa  d'uopo  ritener 
fermo,  l'aria  non  esser  veicolo  del  contagio  cholerico, 
ma  mezzo  validissimo  di  distruzione:  pel  solo  conlat- 
to comunicarsi  da  un  individuo  all'altro  il  cholera:  1 
cordoni  sanitari  e  gV  isolamenti  esser  tornati  utilis- 
simi. Me  ne  appello  alla   vera   storia. 


Memorie  scientifiche  iy5 

3a.  Intorno  la  patologia  dinamica.  Ne  mostra 
il  dott.  Gambari  alcune  utilità  ,  ed  accenna  alcune 
cose  che  non  le  sembrano  convenienti, 

33.  DelVuso  delle  polveri  del  Per  etti  nelle 
febbri  consecutive  alle  cause  tran  orna  tiche  e  alle 
grandi  operazioni  chirurgiche.  Il  medesimo  trovò 
molto  utile  l'amministrazione  di  queste  polveri. 

34.  Dei  pericoli  che  incorrono  coloro  ai  quali 
si  radono  i  capelli  durante  malattie  cerebrali.  Il 
dott.  Gio.  Battista  Grandi  presenta  in  prima  le  sto- 
rie di  due  donne  malate  di  tifo  con  prevalenza  al 
cerebro,  le  quali  essendo  oltremodo  infastidite  da  gran 
numero  d'insetti  sui  capelli,  se  li  raserò  :  sopraggiun- 
se però  fiero  dolor  di  testa,  delirio,  sopore  e  morte. 
La  sezione  mostrò  il  cervello  e  le  meningi  iniettate, 
e  spandimento  di  siero.  Ad  una  terza  inferma  per  si- 
noco  nella  convalescenza  apparvero  flitteni  al  capo: 
si  rase  i  capelli,  ed  egualmente  funesto  fu  il  fine.  La 
sostanza  midollare  del  cervello  indurila  ed  iniettata, 
le  meningi  fra  loro  imbrigliate  con  false  membrane, 
specialmente  in  vicinanza  della  gran  falce  :  nelle  pleu- 
re, negl'intestini  e  più  ancora  nel  peritoneo  una  con- 
siderevole iniezione  di  vasi..  Ad  un  accattone  di  i3 
anni  di  età,  affetto  da  tigna  umida,  il  taglio  de'ca- 
pelli  per  poco  non  costò  la  vita.  Ad  un  contadi- 
no di  anni  5o  cadde  il  cappello  nell'acqua:  per  ricu- 
perarlo dovè  tenere  il  capo  esposto  alla  pioggia,  e  se 
lo  ripose  molle  di  acqua.  Ne  ammalò  di  sinoco-en- 
cefalite,  del  quale  guarì.  Essendo  comparsi  sul  capo 
vari  piccoli  tumori  flemmonosi,  si  tagliò  i  capelli  : 
sopraggiunse  eresipela  flemmonoso  alla  faccia  e  par- 
te capillata,  tremori,  sussulti  e  singhiozzo  :  il  sesto 
giorno  morì  come  apoplelico.  Non  ebbe  luogo  la  se- 


176  Scienze 

zione  del  cadavere.  L'A.  dà  belle  spiegazioni  del  co- 
me vadano  ad  accadere  talvolta  funeste  conseguenze 
dal  taglio  de'capelli,  laddove  altre  volte  non  produ- 
ce alcuno    sconcerto. 

35.  Storia  di  una  perniciosa  cholcrica.  Il 
dott.  Eliodoro  Guitti  curò  con  esito  felice  questa  per- 
niciosa cholerica  complicata  con  emalemesi.  Ricorda 
ancora  due  altre  perniciose  chol eriche  portate  a  gua- 
rigione coll'antiperiodico. 

36.  Della  tosse  convulsa  epidemièo-contagio- 
sa  che  regnò  in  Ferrara  negli  anni  1827,  28  e 
29.  Menò  strage  in  ispecial  modo  de'  bambini  e  fan- 
ciulli. La  malattia  presentavasi  con  tosse  secca  ad 
intervalli,  che  crescendosi  facea  clangosa,  ferina,  con- 
tinua: in  chi  somigliava  il  canto  del  gallo,  in  chi  il 
latrato.  Ora  preceduta  da  mal  ferma  salute,  da  inso- 
lita inquietezza,  dall'abbandono  de'fanciulleschi  tra- 
stulli, da  sospiri,  da  inappetenza:  ora  assaliva  d'un 
tratto,  cosicché  al  principio  sembrava  toccar  l'apice. 
Nulla,  o  poca  e  tenace,  la  separazione  del  muco,  feb- 
bre intermittente  o  sub-continua,  oppure  niuna  rea- 
zione, affanno.  Inoltre  vomito,  faccia  rosso-livida,  oc- 
chi gonfi  o  ingorgati  di  sangue  ,  muscoli  del  collo 
contratti  come  d'uomo  strozzato,  epistassi,  emorragie 
pulmonari,  dolore  di  capo,  ottusione  di  mente,  tur- 
gore cerebrale,  appoplesia,  ernie  intestinali,  minaccia 
di  soffocazione  e  soffocazione.  Malattie  secondarie  di 
lento  corso  furono  la  leuco-flemmasia,  l'idrotorace,  la 
tisi.  Gli  antichi  adoperarono  una  quantità  enorme- 
mente varia  di  farmachi,  per  lo  più  opposti  tra  loro: 
ragione  per  cui  non  si  potè  stabilir  la  diatesi  di  tale 
epidemia.  L'autore  usò  il  tartaro  emetico  unito  allo 
zucchero;  così  preponderando  sintomi  nervosi  la  tin- 


Memorie  scientifiche  xjj 

tura  di  belladonna;  il  salasso,  se  la  febbre  era  ardita, 
o  mostrato  si  fosse  impegno  al  capo  ovvero  al  petto;  le 
frizioni  stibiate  quando  la  malattia  trapassava  lo  stato 
acuto;  il  calomelano  nella  verminazione  e  gastricismo. 
Conchiude  il  eli,  dott.  Guitti  esser  la  tosse  convul- 
siva epidemico-contagiosa  di  natura  infiammatoria  con 
prevalente  elemento  nervoso,  e  l'azione  del  contagio, 
che  la  promoveva,  irritante  o  stimolante  come  vogliasi. 

3j.  Intorno  Varticolo  diatesi  del  dizionario 
delle  scienze  mediche  di  Parigi.  Lettera  del  prof. 
Giovanni  Andrea  Magri.  Ecco  al  solilo  i  francesi,  che 
tutto  fanno  e  nulla  sanno,  non  esser  nemmen  buoni 
ad  illustrare  i  significati  di  una  parola. 

38.  Sulla  teoria  della  Jlogosi  del  prof.  Gio- 
vanni Rasori.  Non  si  fece  il  prof.  Magri  a  rilevarne 
la  giustezza  o  fragilità  de'principii,  ma  sibbene  a  stabi- 
lire esser  quest'opera  di  gran  peso,  né  potersi  abbattere 
che  con  altrettanti  fatti,  quanti  ne  espone  l'autore;  non 
già  alla  spicciolata  e  con  sarcasmi  contro  il  genio  di 
un  uomo  che  si  distinse  sopra  tutti  i  medici  d'Italia. 

3a.  Sugli  empirici  e  sulV  empirismo.  Lo  studio 
delle  opere  di  Celso  die  motivo  allo  stesso  prof.  Magri 
di  scrivere  sei  lettere  intorno  a  quest'  argomento  per 
ammaestrare  in  ispecial  modo  la  medica  gioventù. 

4o.  Storia  di  un  enorme  tumore  sul  parietale 
destro.  Un  villico  di  anni  14,  di  cattiva  costituzione 
fisica,  fu  colpito  dalle  corna  di  una  vacca  nel  parietale 
destro.  Non  patì  sul  momento  alterazione  di  sorta  : 
dopo  alcune  settimane  accusò  un  dolor  fisso  in  quella 
regione  che  il  costrinse  a  chieder  soccorsi.  Invano  si 
adoperò  cura  antiilogistica  generale  e  locale:  la  febbre 
si  fece  ardita,  la  vista  si  offuscò,  e  quindi  si  perdette: 
formicolio  agli  estremi  inferiori  che  ne  impedivano  il 
G.A.T.LXXXVII.  12 


178  Scienze 

moto,  improvvise  e  gravi  convulsioni  epilettiche ,    che 
scomparvero  quando  rimase  emiplegiaco  in  tutta  la  si- 
nistra parte  del  corpo,  marasmo.  Nel  settimo  mese  com- 
parvero due  tumori,  che  cresciuti  di  mole  si  uniron  tra 
loro  :  tumore  dolente  in  guisa  da  farlo  sempre  lamen- 
tare.  Applicossi  sopra  il  medesimo  un  empiastro  risol- 
vente: non  ostante  l'infermo  durò  in  quello  stato  lacri- 
mevole per  più  giorni.  Recò  maraviglia  come  incomin- 
ciasse a  rincarnarsi,  a  rianimarsi  il  volto  ,  a  ricuperar 
le  forze.  L'amaurosi  persisteva,  il  tumore  ingrandiva  , 
la  sinistra  metà  del  corpo   era  priva  di  moto:  una  sen- 
sazione di  freddo  intenso   ora  alla  regione  dorsale,  ora 
a  tutte  le  estremità,  ed    un  senso    come    se   egli  fosse 
irresistibilmente  tratto  a  cadere  all'in  giù.  Inoltre  feb- 
bre, veglia  e  contrazioni   convulse    dell'urto    inferiore 
destro.  Dopo  vari  opinamenti  esposti  da  alcuni  profes- 
sori consultati  all'uopo,  il  prof.  Malagò  incise  il  tumo- 
re, dal  quale  sgorgò  vivo  sangue;  impeditane  l'ulteriore 
uscita,  si  medicò  la  ferita  nel    terzo   giorno,  e  die  mar- 
ce con  odore  di  carie,  senza  stilla  di  sangue:  non  vi 
erano  fungosità.  L'infermo  visse    ancora  io  giorni,  e 
fra  indicibili  angoscie  spirò.  Il   tumore  era  totalmente 
celluioso,  coperto  da  una  membrana  particolare  liscia, 
trasparente  ed  avente  forma  di  segmento   di  sfera:   la 
faccia  corrispondente  al  cranio  concava.    La  cellulare 
disposta  a   laminette  raggianti  dalla  superficie  concava 
alla  convessa:  il   tumore  avea  il  vero  aspetto  di  fungo, 
ed  era  zeppo  di  materia  gelatinosa:  aderiva  al  parietale 
destro   che   era  forato  a  mò  di  cribro:  ne  era  consunta 
la  esterna   lamina  fin  quasi  ai  margini  ;    l'interna   nel 
centro  e  consumata  la  diploe.    La  dura   madre   imbri- 
gliata strettamente  al  tumore  ed  al  cervello,  contenen- 
do fra  i  vani  dei  punti  così  adesi  non  piccola  quantità 


Memorie  scientifiche  iyg 

di  siero  .Nel  lombo  destro  eravi  un  sacco  ripieno  di  mar- 
ce :  sfacciata  e  distrutta  la  parte  media  e  posteriore  del 
medesimo:  i  nervi  ottici  atrofizzati  :  le  altre  parti  del 
cervello  sì  fattamente  disorganizzate  da  non  potersi  de- 
scrivere. I  visceri  dell'  addome  e  torace  sanissimi.  La 
teca  ossea  del  cranio  fu  depositata  nel  gabinetto  patolo- 
gico dell'università  di  Ferrara. 

4-i.  Intorno  i  climi  fisici.  Non  conosconsi  le  al- 
tre maniere  di  climi  :  fu  tema  esposto  dal  prof.  Anto- 
nio Neri. 

42.  Modificazioni  della  blouse  di  Paulin.  Si 
deve  al  detto  prof.  Neri.  Consiste  nella  collocazione 
della  lanterna  al  di  sopra  del  capo,  con  ebe  si  toglie 
la  diretta  comunicazione  tra  l'aria,  che  serve  ad  alimen- 
tare il  lume,  e  quella  della  blouse-.  va  così  meno  sogget- 
ta alla  rottura  il  cristallo  e  spandesi  più  luce. 

43.  Sul  cholera  morbus.  11  dott.  Giuseppe  Leo- 
nida Podrecca  si  mostra  titubante  sulla  sua  vera  natu- 
ra contagiosa. 

44-  Sopra  un  carattere  anormale  offerto  dal- 
la superficie  interna  dell' ' amili os  umano.  Descrive  il 
prof.  Lionello  Poletti  un  uovo  a  due  feti  abortito  da 
una  donna  fra  il  terzo  e  quarto  mese  di  gravidanza. 
Riferisce  come  sulla  faccia  interna  di  ambedue  gli  am- 
nios,  e  soprattutto  nel  sinistro,  avesse  rinvenuto  una 
materia  omogenea  di  colore  giallo  ocraceo  semi-fluida 
deposta  qua  e  là  o  in  grani,  o  in  masse,  oppure  in 
astrati.  Non  la  suppone  ingenerata  dopo  morte:  1.  per- 
chè l'amnios  non  era  punto  alterato  :  2.  perchè  tale 
deposito  non  s'  incontra  in  ova  vicine  a.  putrefarsi,  ed 
era  minore  sull'amnios  del  feto  morto  prima:  3.  per- 
chè non  si  sarebbe  limitato  all'inviluppo,  ma  avrebbe 
investito  l'individuo  che  contenea.  Oltre  a  ciò  la  super- 


180  Scienze 

ficie  interna  dell'amnios  offriva  qua  e  là  filamenti  bian- 
castri, sottili,  terminati  da  un  capolino  alla  membrana 
amniotica  fortemente  aderenti  :  erano  eziandio  elasti- 
ci. Nella  seconda  parte  si  fa  a  riflettere  esser  questa 
innormalità,  condizione  normale  di  alcuni  bruti,  come 
la  pecora  e  la  vacca  a  gravidanza  inoltrata.  E  qui  FA. 
espone  alcune  belle  sperienze  cbe  gli  meriteranno  lo- 
de negli  studi  dell'embriogenesi. 

45.  Della  formazione  del  vomere  nella  specie 
umana.  Sottoponeva  all'accademia  e  quindi  descriveva 
il  suddetto  prof.  Poletti  una  serie  crescente  di  vomeri 
a  diversi  periodi  di  vita  intra-uterina  ed  extra-uterina. 
Con  accuratezza,  cbe  indarno  si  cercberebbe  negli  au- 
tori, ne  seguiva  lo  svolgimento,  ne  divisava  gli  stadi,  e 
di  questi  fissava  le  analogie  con  istati  permanenti  di 
animali  inferiori.  Riporta  alcune  belle  osservazioni  che 
la  brevità  prefissa  toglie  di  accennare. 

46.  Sulla  forza  assimilatrice.  Il  medesimo  prof. 
Poletti  ,  prende  le  mosse  dal  considerare  come  le 
tentate  applicazioni  dell'influsso  elettrico  sulla  cristal- 
lizzazione al  solidifieamento  ed  ordinamento  regolare 
de'materiali,  onde  vengono  risarciti  i  tessuti  organici  e 
il  potere  discoperto  nella  pila  di  condensare  i  globuli 
di  un  liquido  animale  e  disporli  in  fibre,  siano  nuovi 
passi  verso  il  gran  fine  d'identificare  i  fenomeni  della 
natura  vivente  a  quelli  dell  inorganica,  mirando  a  riu- 
nirvi eziandio  l'atto  ultimo  della  nutrizione.  Stimava 
però  prudente  consiglio  il  conchiudere,  non  potersi  an- 
cora propalare,  a  quella  causa  medesima,  da  cui  ven- 
gono determinate  le  forme  cristalline  dei  corpi  mi- 
nerali, tutta  doversi  la  plastica  dei  vivi.  E  così  prose- 
gue ragionando  con  finissimo  discernimento  e  giudizio. 

47.  Sopra  un  caso  di  fusione  dei  frontali  coi 


Memorie  scientifiche  181 

parietali.  Anomalia  rinvenuta  in  un  feto  umano  qua- 
drimestre. La  fusione  si  estende  a  più  che  la  metà  in- 
feriore dei  margini  anteriori  dei  parietali  e  degli  e- 
s terni  coi  frontali.  Nel  resto  fra  un  margine  e  l'altro 
vedesi  uno  spazio  lineare  verticale.  Anche  questo  è 
lavoro  del  eh.  Poletti,  che  arricchì  questo  giornale  di 
sue  dotte  produzioni. 

48.  Sullo  studio  della  natura  nei  reattivi  chi- 
mici. Il  chimico-farmacista  Filippo  Rivani,  considerata 
la  chimica  nelle  affinità  che  ha  colle  altre  scienze  ,  dis- 
se la  sintesi  e  l'analisi  esser  di  molto  ed  esteso  giova- 
mento nelle  disamine  chimiche.  L'uso  dei  reattivi  in- 
correre in  una  difficoltà:  ed  è,  che  sebbene  essi  indi- 
chino ora  le  terre  alcaline  e  metalliche,  ora  gli  acidi 
o  altri  principii,  non  vi  conducono  a  determinare  a 
quale  degli  acidi  l'ima  o  l'altra  base  si  appartenga.  A 
questo  inconveniente  rimedia  la  dottrina  delle  affinità, 
che  fu  paragonata  alla  bussola  de'navigatori.  Con  ciò 
apparisce  il  bisogno  di  conoscere  la  natura  dei  corpi 
e  le  affinità  che  ne  governano  i  loro  vari  stati,  ed  il 
modo  di  essere  prima  di  approfondire  le  analisi  per 
mezzo  dei  reattivi. 

49.  Sulla  natura  delle  febbri  intermittenti  che 
regnarono  in  Ferrara  nella  primavera  dell'anno 
i836.  Le  trattò  il  dott.  Francesco  Trevisiani  col  sa- 
lasso  e  coi  deprimenti  :  le  credè  d'indole  infiamma- 
toria. Non  saprebbesi  acconsentire  generalmente  a  tali 
massime. 

50.  Sopra  un  caso  di  delirium  tremens.  Eb- 
be origine  dal  vapore  dei  liquori  spiritosi,  che  l'in- 
fermo preparava  :  l'accesso  fu  dei  più  terribili.  Il  sud- 
detto Trevisani  fece  istituire  replicati  salassi  dal  brac- 
cio, applicazione  di  sanguisughe  e  ghiaccio  al  verti- 


idi  Scienze 

ce:  amministrò  acqua  di  lauro  ceraso,  drastici  e  be- 
vande nitrate,   e  così  l'infermo  ricuperò  la  salute. 

5i.  DelV insegnamento  della  patologia  gene- 
rale. Il  dott.  Luigi  Bosi  presenta  un  ben  inteso  qua- 
dro di  patologia  :  inculca  che  i  giovani  s'istruiscano 
dei  principii  dell'arte  e  del  valore  del  linguaggio  me- 
dico :  che  si  educhino  i  loro  intelletti  a  ben  osser- 
vare, a  ben  esperimentare  ed  a  ben  usare  della  ra- 
gione critica  delle  cose.  Alla  storia  appartenersi  la 
cognizione  dei  sistemi  e  delle  opinioni  che  formano 
oggi  la  parte  principale  dello  studio  della  patologia, 
ed  intorno  alle  quali  non  dibattersi  quistioni  che  per 
farne  spiccare  alcuna  prediletta.  De'quali  ragionamenti 
e  di  altri  assai  gravi  splende  questa  memoria. 

52.  Necessità  di  una  semiologia  illustrata 
dallo  stato  attuale  della  medicina.  Dimostra  il  me- 
desimo quanto  siano  poche  e  meschine  le  cognizioni 
di  semiologia  che  noi  abbiamo  ,  portando  acuta  di- 
samina sulle  moderne  ed  antiche  opere.  Unisce  il 
suo  voto  a  quello  del  dott.  Giulio  Covoni,  che  nel 
Raccoglitore  medico  di  Fano,  tomo  i,  p.  33,  dimo- 
strò la  necessità  in  che  sono  i  medici  di  una  l'agio- 
nata  semiotica  ,  e  come  debba  esser  questa  giovata 
dalla  patologia ,  dalla  fisiologia  ,  eziologia  ,  anatomia 
patologica   ed  altre  scienze  affini. 

53.  Delle  naturali  cagioni  che  ritardano  e 
ritardar  possono  il  naturale  progredimento  della 
scienza  medica.  Si  mostrano  dal  dott.  Bosi  le  ca- 
gioni del  ritardo  nel  progresso  della  scienza  medica: 
le  quali,  sebben  vere,  non  sono  si  facilmente  supera- 
bili. E  con  questa  memoria  si  dà  fìsse  all'opuscolo  , 
■che  è  stato  compilato  con  molta  dottrina  e  sagacia  dal 
dott.  Luigi  Bosi  segretario  dell'accademia.   Gli  altrui 


Memorie  scientifiche  i83 

pensamenti  intorno  ai  vari  rami  dello  scibile  sono  sta- 
ti trattati  con  molla  verità:  lo  che  ha  reso  più  agevole 
lo  esporre  con  molta  brevità  le  cose  stesse:  e  il  dico  a 
laude  del   signor  Bosi. 

Questo  secondo  estratto  sarà  l'ultimo  :  mentre 
i  processi  delle  ulteriori  sedule  verranno  periodica- 
mente pubblicati  dal  bulletlino  delle  scienze  medi- 
che della  società  di  Bologna  :  la  qual  cosa  mentre 
arricchisce  (se  non  errassi)  la  già  doviziosa  accademia 
bolognese,  mostra  rattiepiditi  gli  animi  de'ferraresi. 

Enrico  Castreca  Brunetti. 


i84 


LETTERATURA 


Intorno  ad  alcune  iscrizioni,  e  ad  una  poesia  inedi- 
ta del  Marcelli.  Lettera  alla  eccellenza  di  mon- 
signor Carlo  Emmanuele  Muzzarelli  uditore 
della  sacra  romana  rota. 

Monsignore  veneratissimo 


JLJl  luce  della  rivelazione  morcelliana,  per  usar 
le  parole  di  Pietro  Giordani  ,  cominciò  a  spandersi 
dalla  città  di  Fermo  per  Italia  tutta  non  meno,  che 
per  le  straniere  nazioni  :  perchè  avendo  essa  città 
avuto  per  buona  ventura  nell'anno  1764  Stefano  An- 
tonio Morcelli  a  pubblico  insegnatore  di  rettorica  nel 
collegio  gesuitico   (1),  zelantissimo  com'era  della  in- 


(i)  11  eh.  Labus  (Gior.  arcad.  voi.  digeriti.  1821)  afferma  essere 
stato  officio  del  Morcclli  insegnar  grammatica  nel  collegio  gesui- 
tico di  Fermo.  Tuttavolta  però  dai  due  saggi  intitolati  AgonFir- 
manus  degli  anni  1^65  e  1766  apparisce  chiaramente  ch'egli  det- 
tava le  lezioni  di  rettorica.il  che  si  conferma  ancora  dal  fu  mon- 
signor Giuseppe  Baraldi  nella  sua  Notizia  biografica  del  Morcel- 
li, il  quale  dice  di  aver  ciò  ricavato  da  alcune  sue  lettere  scrit- 
te al  cugino  Francesco. 


Iscrizioni  del  Morcelli  i85 

contaminata  latinità,  dettava  egli  due  anni  dopo  ai 
suoi  discepoli  un  comentario  di  latine  iscrizioni,  con 
che  veniva  già  preparando  quegli  aurei  suoi  precetti 
del  bene  scrivere  in  epigrafia.  E  saviamente  l'erudito 
avv.  G.  Fracassetti,  annunziando  a  V.  E.  con  lette- 
ra del  27  marzo  i835  il  trovamento  in  Fermo  del 
manoscritto  di  quel  comentario,  opinò  (1)  contenersi 
in  esso  la  primissima  idea,  e  quasi  l'archetipo  della 
grand'opera  De  stilo  inscriptionum  pubblicata  dal 
Morcelli  nel  1781.  E  sebbene  il  dottissimo  cavalier 
Giovanni  Labus  nella  necrologia  del  Morcelli  (2)  af- 
fermi, che  dopo  l'anno  1773,  essendogli  stata  data  in 
cura  dal  cardinale  Alessandro  Albani  la  sua  splen- 
dida biblioteca,  immaginasse  1'  opera  suddetta,  pure 
mediante  quel  bellissimo  comentario  ,  chiaro  appari- 
sce essere  stata  concepita  molti  anni  innanzi.  IN  è  le 
sole  regole  con  che  rettamente  comporre  in  epigra- 
fia ei  dettava,  ma  non  poche  iscrizioni  ancora  dona- 
va a'suoi  scolari  tutte  elegantissime,  come  appare  da- 
gli esperimenti  scolastici  o  saggi,  che  chiamava  jdgon 
Firmanns:  ne'quali  si  legge  che  insegnava  De  stilo 
lapidario  vetere,  e  faceva  anche  recitare  le  iscrizio- 
ni In  urbem  et  monumenta  firmano- ^  che  furono  da- 
te in  luce  prima  dello  stesso  avvocato  Fracassetti  e 
poscia  da  Michele  Ferrucci  ;  come  altresì  quelle  pel 
cardinalato  dell'arcivescovo  Paracciani  (3);  iscrizioni 


(1)  Giorn.  Arcad.  voi.  di  aprile  e  maggio  i834  e  i835. 

(2)  Ivi  voi.  di  gennaio  1821. 

(3)  Nel  voi.  di  dicembre  1822  dello  stesso  giornale  si  riferi- 
scono nove  iscrizioni  in  lode  di  Fermo,  pubblicate  poi  dal  Fer- 
rucci nel  1823  in  Modena  pe' tipi  Soliani.  Nell'arcadico,  marzo 
i823,  leggonsi  quelle  pel  cardinalato  del  Paracciani. 


186  Letteratura 

che  non  si  leggono  nelle  opere  del  Morcelli  pubbli- 
cate in  Roma  e  poscia  in  Padova. 

Altre  però  ve  n'erano  egualmente  inedite  e  sco- 
nosciute in  Fermo;  imperocché  frugando  io  non  ha 
guari  fra  le  vetuste  carte  di  mia  famiglia,  ove  si  con- 
servano alcuni  autografi  di  mio  zio  stato  scolare  del 
Morcelli  nel  1766,  ed  essendomi  anche  venuto  fatto 
d'avere  un  manipolo  d' iscrizioni  di  altro  scolare  di 
quella  cima  d'ingegno,  ne  trovai  alcune  inedite  ,  ed 
altre  con  varianti,  benché  già  stampate  (1).  Ho  per- 
ciò divisato  di  offerirle  all'  E.  V.  come  a  caldissimo 
zelatore  di  ogni  generazione  di  studi:  intendendo  in 
tal  modo  recare  un  qualche  servigio  a  tutti,  che  si 
conoscono  di  tal  fatta  scritture  :  poiché  il  gran  Mor- 
celli è  universalmente  celebrato  qual  principe  de'la- 
tinisti  di  questa  età,  e  creatore  immortale  della  scien- 
za epigrafica.  E,  come  dimostrò  il  celebre  professore 
Schiassi  nel  suo    lessico    morcelliano  ,  ogni  iscrizione 


(1)  Non  solo  iscrizioni  temporanee  dettò  il  Morcelli  in  Fer- 
mo, ma  se  ne  trovan  diverse  incise  ne'marmi;  frale  qualison  de- 
gne di  ricordo  quella  sullo  stradone  che  conduce  alla  chiesa  me- 
tropolitana di  questa  città;  l'altra  pel  cardinale  Stefano  Borgia,  e 
la  terza  che  fu  composta  per  ricordare  le  nozze  della  contessa 
Chiara  Spinucci  col  principe  Saverio  di  Sassonia.  Lesse  al- 
tresì il  Morcelli  varie  dissertazioni  in  questa  accademia  degli  er- 
ranti: tre  delle  quali  furono  già  pubblicate.  La  prima  versa  Sul- 
lo studio  delle  antiche  monete  (Milano  1829,  Bonfanti;  pubblica- 
ta per  cura  del  cav.  Labus:  la  seconda  :  Dell'  arte  critica  diplo- 
matica (Memorie  di  religione,  di  morale  e  di  letteratura.,  giornale 
di  Modena)  pubblicata  per  cura  dell'esimio  conte  A.  Evangelista: 
e  l'ultima:  Delle  arti  e  delle  lettere  degV italiani  prima  della  fon- 
dazione di  Roma  pubblicata  da  Michele  Ferrucci  in  Modena  nel 
1820,  tip.  Solia.ii,  e  poscia  riprodotta  ucl  giornale  di  detta  cit- 
tà toni.  IP,  pag.  4o3  e  seg. 


Iscrizioni  del  Morcelli  187 

formata  secondo  i  precetti  di  quel  grande  maestro, 
cum  optimis  certare  debet. 

Oltre  alle  iscrizioni  ,  monsignore  illustrissimo  , 
tengo  anche  una  poesia  del  Morcelli  tutta  scritta  di 
mano  sua,  e  inedita  per  quanto  io  mi  sappia  (1);  e 
questa  pure  mi  è  dolce  di  presentarle.  Tali  esametri, 
tutto  fiore  di  lingua  e  di  eleganza,  furono  da  lui  det- 
tati allorquando  l'arcivescovo  Paracciani  nel  1766 
venne  decorato  della  romana  porpora. 

Accolga,  monsignore  veneratissimo,  questo  segno 
della  sincera  mia  stima  per  isdebitarmi  almeno  in  par- 
te delle  cortesie  di  che  ella  mi  onorò  nell'ultima  mia 
dimora  in  codesta  metropoli:  e  con  riverente  animo 
me  le  inchino. 

Di  Fermo  3o  luglio   1840. 

Umo  devmo  obb.  ser. 
Avv.  Gaetano  De-Mimcis. 


(1)  Si  crede  inedita  questa  poesia,  poiché  nella  raccolta  del- 
le poesie  latine,  che  col  titolo  Stepìi.  Anton.  Morcelli  electorum 
libri  II  fu  stampato  nel  1818  in  Padova  nella  tipografia  della 
minerva  per  cura  del  retore  Andrea  Andrei,  non  si  trova. 


Fircnanis  adolescentibus  sacra  sollemnia  obeuntibus 
apud  coli.  soc.  Ies.  anno  MD  .  GC  .  LXVL 

Jediculam  ingredientibuSi 

I. 

Mariae  .  Sanctae 

Virgini  .  Dei  .  Parenti 

Sollemnia 

IL 

In  ipsa  aedicula. 

Mariae 

Magnae  .  Dei  .  Matri 

Hieronymus  .  Et  .  Antonius 

Fratres  .  Matteucci 

IH. 

Mariae 

Virgini  .  Optimae  .  Maximae 

Philippus  .  Et  .  Michael 

Fratres  .  Catalani 

IV. 

Mariae 

Reginae  .  Regum 

Filiorum  .  Regum 

Paullus  .  Et  .  Iosephus 

Fratres  .  Guerrieri 


Iscrizioni  del  Morcelu  189 

V. 

Mariae 

Augustae  .  Luci 

Orbis  .  Terrarum 

Iosephus  .  Et  .  Octavius 

Fratres  .  Falconi 

VI. 

Mariae 

Paciferae  .  Adiutrici 

Franciscus  .  Martellus 

Ignatius  .  Montanus 

VII. 

Mariae 

Matri  .  Christianorum 

Ioannes  .  Francolinus 

Ignatius  .  Garullus 

VIII. 

Mariae 

Custodi  .  Iuventutis 

Eugenius  .  Savinus 

Franciscus  .  Guerrierus 


190  Letteratura 

IX. 

Mariae 

Sospitae   .  Tutelari 

Hieronymus  .  Moricius 

Vincentius  .  Paccaronus 

X. 

Mariae 

Munificae  .  Opiferae 

Àntonius  .  Gratianus 

Philippus  .  Riccius 

XI. 

Mariae 
Clementi  .  Exoratae 
Iosephus  .  Riccius 
Philippus  .  Vitalis 


Kotum. 

Mariae 

Virgini  .  Dei  .  Parenti 

Et 

Aloisio   .  Gonzagae 

Optano  .  Patrono 

Hieronymus  .  Matteuccius 

Firmanus 


IsfcRIZIONI    DEL    MORCELLI  igl 

Triennium   .  In  .  Ludo 

Rhetorico 

Ex  .   Sententia  .  Versatus 

Votum  .  Merito 

Anno 

MDGCLXVI 


Donum. 

Senatus  .  Firmanus 

Inopia  .  Frugum  .  Sublata 

Coronam  .  Auream 

Ex  .  Pecunia  .  Publica 

Mariae  .  Adiutrici 

Donum  .  Posuit 

Anno  .  M.D.  C,  C  .  LXVI 


Agon  Firmanus 

Apud  Coli.  Soc.  Ics. 

anno  M.D  .C.C  .LXVL 

Urbano  .  Paracciano 

Archiepiscopo  .  Et  .  Princ  .  Firman. 

Ioan  .  Baptista  .  Aragonio 

Praei'ecto   .  Urbis 

limi   .  Viris   .   Civilibus 

III  .  Viris  .  Aerariis 

Agonem 

Adspectu  .  Suo  .  Decorantibus 


iga  Letteratura 

Adolescentes  .  Rethorici 

De  .  Laboribus  .  Suis  .  Laeti 

Exultant  .  Gestiunt 

E'  stampata  nell'  Agon  Firmanus  del  1766. 


Nuncupatio  libelli  philosophici. 

Urbano  .  Paracciano 

Arcbiepiscopo   .  Et  .  Principi  .   Firman. 

Philosoplricam  .  Disputationem 

Illustri  .  Grada  .  Excipienti 

Theodorus  ,  Ercolanus 

Disceptaturus 

Apud  .  Coli  .   Soc  .  Jes. 

L  .  M  .  D  . 


Urbano  .  Paracciano 
Cardinali  .  Archiepiscopo 

Purpureum  .  Pileura 

In  .  Tempio  .  Maximo 

Rite  .  Tollenti 

Firmanum 

Canonicorum  »  Collegiura 

Principi  .   Suo 

Fausta  .  Omnia 

Precatur 


Iscrizioni  del  Morcelli  ig3 

Gratulatio. 

Urbano  .  Paracciano 

Archiepiscopo  .  Ex  .  Principi  .  Optimo 

In  .  Amplissimum  .  Cardinalium  .  Collegium 

Cooptato 

Senatus  .  Populus  .  Que  .  Firraanus 

Voti  .  Compotes 

Gratulantur 


Granarioduni  in  agro  firmano. 

Cyro  .  Leto 

Antistiti  .  Munificentissimo 

Quod  .  Cives  .  Consiliis  .  Exemplis 

Opibus  .  Iuverit 

Templum  .  Sibi  .  Commissum  .  P  .  S  . 

Amplificaverit 

Aras  .  Ornaverit  .  Sacrarium  .  Locupletaverit 

Patrimonii  .  Bene  .  Collocane!!  .  Documenta  .  Dederit 

Ex  .  Decreto  .  Pontificis  (*) 


(¥)  Di  Ciro  Leti  nell'opera  Inserì pt,  corti,  sub.,  ediz.  pat.  p. 
ioo,  si  ha  una  iscrizione  mortuaria  dello  stesso  Morcelli  ordinala 
dal  card.  Paracciani  arciv.  di  Fermo. 

G.A.T.LXXXV1I.  i3 


x94 


Letteratur  a. 

Epitaphium. 

Sacerdotibus 

Magnae  .  Animae  .  Prodigis 

Quos  .  Aegrorum  .  Saluti 

Ultro  .  Intentos 

Vis  .  Pestis  .  Absumpsit 

Polyandrion 


Epitaphium. 

Septiraio  .  Et  .  Lucillae 

Filiolis  .  Mellitis 

Quos  .  Malae  .  Pustulae 

Peremerunt 

Aurelius  .  Et  .   Claudia  .  Finii 

Valete  .  Animae  .  Carissima^ 


Monumentimi  fwtum  prò  antiquo. 

Genio  (*) 

Socratis  .  Plnlosophiae 

Parentis 

Quem  .  Apollo 

Omnium  .  Mortalium 

Sapienti  ssimum 

Iudicavit 


n  V.  Morcelli,  De  stil.  iuscnpt.,  ed.  pat.  Il,  pag.  53o  e  5cg. 
Sui  geni- 


Iscrizioni  del  Morcbllt  ig5 

Epitaphium. 

D.     M. 

Socratis  .  Philosophorum 

Principis 

Quem  .  Atlienienses  .  Incolumem 

Oderant 

Sublatum  .  Requirunt 

Plato  .  Aristonis 

Civi  .  Et  .  Magistro  .  Suo 


Quod  .  M  .  Pinarius  .  M  .  F  .  Laenas 

Gravem  .  Contumeliam  .  In  .  Patrem 

Iecerit  .  Ob  .  Eam  .  Rem  .  limi  .  Viri 

Civiles  .  M  .  Pinarium  .  M  .  F  .  Laenatem 

Urbe  .  Domo  .   Congressu   .  Aequalium 

Prohibitum  .  Ad  .  Calendas  .  Ianuarias 

Extorrem  .  Esse  .  Iubent 


Pons. 

L  .  Aurelius  .  Capito 

Faciundum  .  Redemit 

limi  .  Viri  .  Civiles 

Probaverunt 


J96  Letteratura 

Fons. 

C  .  Furius  .  Baculus 
A  .  Velino  .  In  »  Urbem 

Perfosso  .  Monte 

Substructis  .  Fornicibus 

Derivavit 


Monumentimi. 

M  .  Valerio  .  Maximo 

Diclatori 

Etruria  .  Pacata 

Seditionibus  .  Arretinorum  .  Compositis 

Licinio  .   Genere  .   Cnm  .  Plebe 

In  .   Gra  tiara  .  Reducto 

S  .  P  .  Q  .  R. 


Le  seguenti  due  iscrizioni  sono  tratte  dallo  stes- 
so autografo  ,  ma  non  è  certo  se  sieno  del 
Morcelli. 

Titulus  imperatoria, 

Laudonio  .  Imp, 
Bello  .  M  .  Theresiae  .  Aug  .  Auspiciis 

Suscepto 

Friderici  .  Borussiae  .  Regis  .  Impetu 

Retardato 


Iscrizioni  del  Morcelu  197 

Scevenitio  .  Nocturna  .  Aggressione 

Capto 

Germaniae  .  Urbes 

Conservatori  .  Suo 


Civi  Ragù  sino. 


Traiano  .  Iacobi  .  F  .  Laliko 

Cora  .   S  .  R  .  I 

Civi .  Optimo  .  Et  .  De  .  R  .  P  .  Optime  .  Merito 

Quod 

Cives  .  Suos  .  In  .  Summa  .  Cantate  .  Annonae 

Frumento  .  Suppeditato  .  Levaverit 

Ex  .  S  .  C. 

A  .  M  .  I)  .  C  .  C  .  LXIV 


De  Urbano  Paracciano  cardinali  amplissimo 

cum  primum  in  purpura  conspiciendum  se  dedita 

Iiexametri. 

Aspice,  sidonio  dudum  qui  clarus  in  ostro 
Par  decori  ipse  suo  graditur;  tamen  omnibus  idem, 
Qui  fuit,  officioque  animoque:  hic  scilicet  ille  est 
Urbanus,  sancto  quem  nuper  romulidarum 
Concilio  inseruit  Clemens  ;  quo  principe  Firmum, 
Maxima  quo  plaudat  sibi  Roma.  An  cernis  euntem 
Virtutum  quantus  sequitur  chorus  ?  ipsa  sed  agmen 
Ducit  ovans  Astraea:  ipsa  nani  purpura  parta  est 
lusdtia,  haud  uuquam  argento  venalis  et  auro. 
1766. 


198 


Apocalisse  di  s.  Giovanni  Evangelista  recata, 
in  versi  italiani  da  Agostino  Pcruzzi,  canonico 
arciprete  della  metropolitana  di  Ferrara.  Edi- 
zione seconda  corretta  dell'autore,  adorna  del 
testo  a  fronte  e  di  nuove  e  pia  ampie  anno- 
tazioni. Ferrara  tipi  Negri  alla  Pace  i6"4oj 
8.  pag.  216. 


Mi 


Lirabile  tra  i  libri  divini  mi  è  parso  sempre  que- 
sto dell'Apocalisse.  Anche  Dionigi  areopagita,  co- 
mechè  lo  noti  d'oscuro  (  io  direi  misterioso  ) ,  ne  fa 
le  maraviglie.  S.  Girolamo  poi  (  giudice  competen- 
te )  lo  dice  libero  sopra  ogni  lode,  e  tale  che  ogni 
parola  comprende  sensi  e  maraviglie  innumerevoli  , 
chi  sappia  trovarle.  Che  dire  degli  stolti,  i  quali 
dannando  ogni  cosa  che  non  intendono,  si  argomen- 
tano in  questo  libro,  certamente  divino  ,  non  esse- 
re né  senso  né  ragione  ?  Quello  che  disse  il  poeta: 

Non    ragioniam   di  lor;    ma  guarda    e   passa. 

Non  che  tutto  per  entro  sia  luce,  che  luca  a  bas- 
se menti  :  e  chi  degli  umani  potrebbe  fissare  il  so- 
le ?  E  pure  ogni  occhio  sicuro  mira  a  suo  agio  le 
stelle  ,  che  smaltano  il  firmamento  !  La  troppa  lu- 
ce di  quella  ci  abbaglia;  la  meno  di  queste  ci  rassi- 
cura. Ma  tra  le  stelle  ed  il  sole  qual  mai  confron- 
to !  Quegli  che  disse:  «  Io  son  chi  sono:  »  quegli  che 
nominar  non    dovremmo  senza    umiliarci  col    cuore 


Apocalisse  ino 

e  colla  persona,  l'eterno  Iddio,  non  nelle  stelle,  ma 
nel  sole  pose  il  suo  tabernacolo;  benché,  come  av- 
visa il  poeta  (  che  meglio  tiene  dall'estatico  di 
Patmos  ), 

La  gloria  di  Colui,  che  tutto  muove, 
Per  l'universo  penetra,  e  risplende 
In  una  parte  più  e  meno  altrove  ! 

Tra  gli  altri  libri  della  scrittura  e  V  Apocalis- 
se sarebbe  mai  la  proporzione  che  è  tra  le  stelle  ed 
il  sole  ?  Non  è  da  me  risolvere  questo  dubbio  ono- 
revole per  la  più  alta  delle  visioni  ;  bensì  parmi  da 
osservare,  che  la  stessa  maggiore  oscurità  dell'Apo- 
calisse è  segno  che  è  più  misterioso;  quando  ai  co- 
rintii  scriveva  l'apostolo:  «  Loquimur  Dei  sapien- 
tiam  in  mysterio>  quae  ab  scondita  est.  »  Per  questo 
mi  parve  più  sopra  dar  titolo  di  misterioso  al  libro 
che  va  sugli  altri  come  aquila,  e  fu  dettato  da  ta- 
le ,  che  fu  veramente  tra  discepoli  quasi  la  pupilla 
di  Gesù   Cristo. 

Dante  solo  finora  avrebbe  potuto  far  nostro  que- 
sto ,  che  dir  si  potrebbe  il  miracolo  de'  libri  santi. 
Ma  dopo  Dante  chi  vale  ?  Il  Tasso  forse  ;  se  non 
che  le  Sette  giornate  non  valgono  un  canto  dell' 
Alighieri  !  Ne  già  mi  si  apponga  a  irriverenza  ver- 
so i  poeti  nostri  il  libero  sentenziare:  io  sono  fran- 
co e  sincero,  e  dirò  colle  parole  dei  Venosino: 

«  et  liane  veniam  petimusque  damusque  vicissim.  » 

Del  resto  il  secolo  passato  potè  gloriarsi  della 
parifrasi  di  questo  misterioso  libro  di  san  Giovanni 


aoo  Letteratura 

fatta  in  versi  italiani  dal  bolognese  Flaminio  Scar~ 
selli  ,  degna  di  venire  al  cospetto  di  quei  fiore  di 
sapienza,  che  fu  Benedetto  XIV',  degnissima  di  es- 
sere accolta  nella  sene  de'testi  di  lingua  italiana  dal 
eh.  Bartolomeo  Gamba,  e  nel  parnaso  straniero  tra 
le  poesie  scritturali  per  cura  dell'  Antonelli  ,  fortu- 
natissimo de' tipografi  a   questa  età  ! 

Il  secolo  nostro  all'incontro  può  essere  superbo 
di  quattro  versioni:  quella  anteriore  alla  altre  di  mon- 
signor Peruzzi  (di  cui  toccai  a'  i5  maggio  1836 
nel  giornale  di  Modena  intitolato  1'  Amico  della 
gioventù  tom.  XV,  num.  89  ,  pag.  52.  e  segg.  ; 
poscia  a'3o  marzo  1837  annunziandone  la  prima  edi- 
zione nell'Arcadico  voi.  172,  pag.  347  e  seg.)  in 
terza  rima:  quella  di  Felice  Bisazza  (  della  quale 
toccò  pure  V  Amico  della  gioventù  nel  precedente 
suo  num.  77  a  Pag-  i55  e  seg.  )  in  versi  sciolti  : 
l'altra  del  Perez  (  uscita  a  Palermo  del  i836  )  in 
quarta  rima:  e  l'altra  finalmente  del  Mancini  (  usci- 
ta a  Siena  del  1 838  )  in  terza  rima.  Questo  me- 
tro io  preferisco,  e  me  ne  appello  all'  Alighieri.  Quan- 
to poi  al  merito  delle  quattro  versioni,  rimetterò 
la  decisione  a  più  sincero  giudizio;  onde  altro  non  mi 
rimproveri  come  già  Apelle  il  calzolaio.  Solamente 
parmi  accennare  ai  benevoli,  che  leggeranno  questo 
articolo,  che  se  amano  vedere  almeno  il  capo  VI  di 
ciascun  traduttore  e  ciò  che  bisogna  a  potere  sen- 
tenziare, veggano  L'Imparziale,  foglio  periodico  di 
scienze,  lettere  ed  arti  che  esce  quasi  nel  centro  del- 
la Romagna,  e  precisamente  in  Faenza  (  Num.  5, 
8,  9  ei  11  del  1840).  In  quanto  a  me  non  pos- 
so non  ringraziare  monsignor  Peruzzi  ,  che  aman- 
domi di  molto  amore  e  stimandomi  colla  misura  del 


Apocalisse  201 

cuore  ,  mi  fece  degno  fino  dal    1826  di   leggere  ad 
uno  ad  uno  i  canti   dell'Apocalisse  da  lui  tradotti  , 
e  di  notarne  le  bellezze  molte  ,  e  quelli  che  a  lui 
parevano  difetti,    ed  a  me  erano  nei  discernibili  ap- 
pena in   tanta  luce    della    versione:    la  quale    fu    da 
lui  incominciata  fino    dal    18 15,   e  da' censori  appro- 
vata poi  per  la  stampa  del  1 836  la  prima  volta.  Deg- 
gio  ringraziarlo  altresì  che  a'  miei   conforti  si  lasciò 
indurre  a  dar  fuori  la  lunga  e  degna  fatica:  e  mi  è 
bello  rammentare,  che  io  primo  ottenni  da  lui  (  che 
nulla  mi  sa    niegare  )   quel  saggio  offertone    neWA- 
mico  della  gioventù  ,  cui  altro  ne  seguì  nelle  Poe- 
sie scelte- date  dal  prof.  Sdorata  in  Bologna,  even- 
ne poi  la  edizione  ferrarese  del  1837   di  tutta  quan- 
ta l'Apocalisse.  Dicevo  allora  nell' Amico    della  gio- 
venta'.  «  Vi  ha  un  genere  di  poesia  che  mai  non  in- 
vecchia:  e  si  è  quella  divina  de'sacri  libri  ,   tra'qua- 
li  è  una  vera  maraviglia  il  libro  dell'Apocalisse.  Da 
simil  fonte,  e  non  d'altronde,  trasse  il    sommo  poe- 
ta italiano,  Dante  Alighieri  >  ciò  che  lo  fa  singola- 
re da  tutti  gli  altri  poeti  antichi  e   nuovi  :  ciò  che 
lo  fa  essere  il  poeta  sovrano  non  pure  dell'Italia  no- 
stra, ma  di  tutto  il  mondo:  non  pure  di  una   età  , 
ma  di  tutti  i  secoli.  A  conservare  questo  vanto,  che 
è  bellissimo  di  tutti  ,  ci  giova  studiare    nelle    carte 
del  sommo  nostro  poeta;  ma   più  giova    studiare  in 
quelle,  ond'egli  tolse   virtù  da  volare  sopra  gli  altri 
come  aquila:  dico  nelle  sacre  carte,  miniera  inesau- 
sta del  sublime  e  del  bello  universale.  »  Ho  ripor- 
tato queste  mie  parole,  non  perchè  mi  piaccia  ripe- 
termi; ma  perchè  quelle  furono  esordio  a    lodare  il 
saggio  offerto  prima,  come  ho  accennato,  della   ver- 
sione in  isciolti  del  Bisazza,  giovane  di  altri  spiri- 


aoa  Letteratura 

ti  e  di  belle  speranze.  E  questa  lode  di  poetico  ar- 
dimento mi  piace  rinnovargli  colle  parole  di  un  nu- 
me al  figliuolo  d'Enea,  generosa  progenie:  -  Macte  ani- 
mo -  sic  itur  ad  astra  !  - 

Ma  questa  lode  al  giovine  siciliano  signor  Bi-* 
sazza  non  dee  detrarre  a  quella  maggiore  dovuta  al 
senno  maturo  di  un  Nestore  de'letterati,  monsignor 
Peruzzi  :  come  il  valore  del  giovine  Darete  non 
dovea  strappare  le  sudate  corone  dal  capo  del  vec- 
chio Entello.  Qui  trattasi  di  una  versione  di  libro 
eminentemente  inspirato  ,  dove  più  che  mai  la  let- 
tera uccide  e  lo  spirito  vivifica;  dove  ogni  verbosità 
frugoniana  è  peccato,  ogni  parsimonia  dantesca  è  vir- 
tù; dove  al  concetto  dee  servire  in  tutto  la  parola, 
non  alla  parola  il  concetto;  dove  lo  studio  profon- 
do de'sacri  libri  dee  guidare  la  penna  del  tradutto- 
re. E  per  questi  speciali  requisiti  del  volgarizzamen- 
to, massime  del  libro  arcano  dell'estatico  di  Patmos, 
niuno  meglio  di  monsignor  Peruzzi  poteva  promet- 
tersi la  palma  incontro  al  Bisazza:  il  quale  dal  Pe- 
rez mi  pare  talvolta  pur  vinto,  senza  che  venga  per- 
ciò meno  la  stima  debita  a  monsignor  Mancini. 

Ed  a  chi  ama  i  confronti,  pur  sempre  odiosi  , 
potrei  indicare  le  carte  dell' Imparziale ,  che  per  tut- 
to il  cap.  VI  dell'Apocalisse,  siccome  ho  detto,  po- 
se quasi  alla  prova  in  campo  glorioso  i  quattro  insi- 
gni volgarizzatori  ,  de'quali  la  mente  si  è  volta  a 
renderne  sulle  orme  di  Dante  tra  i  libri  divini  il  più 
mirabile:  ciò  che  fa  onore  eziandio  al  nostro  secolo, 
non  invano  innamorato  del  sublime  cantore  de'tre 
regni:  il  cui  volo  pur  vince  ogni  altro  volo,  che  sia 
non  più  che  di  terrene  incerte  penne  ! 

Ma  perchè  non  mi  è  piaciuto  mai  farmi   ere- 


Apocalisse  2o3 

dere  sulla  parola  (  come  sanno  quegli  amorevoli,  che 
da  quattro  lustri  non  isdegnano  le  povere  mie  note): 
e  perchè  potrei  io  stesso,  siccome  uomo,  ingannar- 
mi; nò  voglio  che  il  mio  inganno  pregiudichi  comun- 
que alle  lettere  (  che  io  amo  quanto  il  vero  ed  il 
hello  ):  ecco,  mi  risolvo  di  raffrontare  i  quattro  vol- 
garizzatori in  quel  tratto  divino  del  cap.  VI,  dove 
è  descritto  il  terremoto  con  tanta  evidenza,  con  tan- 
ta forza,  da  disgradarne  e  SU  io  Italico  (lib.  6  )  , 
e  Seneca  il  tragico  (  in  Troade  act.  II,  i  )  ;  e 
qual  altro  scrittore  del  Lazio  ,  ancora  più  degno  , 
che  quel  terribile  fenomeno  tolto  avesse  a  descri- 
vere. 

(  PERUZZI  ) 

Cap.  Vl^vers.  12  Edizione  del  1840, 

del  testo  fino  alfine.  tip.  Negri.  Ferrara. 

Tremò  il  mondo  allo  scior  del  sesto  (1),  e  'n  bruna 
Gramaglia  il  sole  si  converse  tutto, 
Tutta  di  sangue  rosseggiò  la  luna. 

Nudo  di  stelle  il  ciel  comparve  in  lutto, 
Qual  dalla  furia  d'aquilon   trovolto 
Perde  il  fico  ogni  onor  di  fronda  e  frutto. 

Sparve,,  come  volume  in  se  l'involto 
Il  cielo,  e  andò  con  orrido  fracasso 
Ogn'isola,  ogni  monte  capovolto. 

Schiavi,  liberi,  re,  superbo  e  basso 

Vulgo,  e  duci,  e  guerrir  che  'n  terra  sono, 
Volser  fuggendo  a'monti  e  agli  antri  il  passo. 


(t)  Suggello. 


2o4  Letteratura 

Su  noi  cadete,  udiansi  in  flebil  suono 
Dir,  ci  ascondete  dell'aspetto  a'iampi 
Del  divo  agnello  e  del  seggente  in   trono. 
Dell'ira  loro  è  il  d'i!   Ahi!   Chi  ne  campi? 

Prego  il  lettore  a  porsi  dinanzi  gli  occhi  il  te- 
sto, e  vegga  la  versione  italiana,  e  pensi  i  miei  dub- 
bi,  che  non  sono   che  dubbi  a  più  sicuro  giudizio! 

Non  è  qui  il  magnus  del  vers.  12,  e  non  è  be- 
ne espresso  il  cader  delle  stelle  dal  cielo  sopra  la. 
terra  del  vers.    i3.  Al  motae  del  vers.  14  non  cor- 
risponde il  capovolto',  potendo  monti  ed  isole  esser 
mossi  di  luogo   senza  essere  capovolti.  Meno  evidente 
nella  versione  torna  quel  vivo  e  vero:  Absconderunt 
se  in  speluncis  et  in  petris  montium:  del  qual  ver- 
bo absconderunt  tanto  si  piace  l'apostolo,  che  ripe- 
ter fa  nel  susseguente  vers.  16  ai  tremebondi:  Abscon- 
dite  nos  a  facie  sedentis;  apostrofando  monti  e  spe- 
lonche. A  proposito  di  che  par  meno  la  bellezza  del 
Volgare,  che  dice  parafrasando:   Ci  assondete  delVa- 
spetto  a'iampi  -  Del  divo    agnello  e  del   seggente 
in  tro?io:  -  dove  il  testo  dice:  «  A  facie  sedentis  super 
thronum,  et  ab  ira  Agni.  »  Sarei  stato  qui  coscen- 
zioso  dell'ordine  stesso  delle  parole  divine;  tutto  che 
una  libertà  onesta  nelle  traduzioni  non  mi  dispiaccia, 
come   altrove   ho   più  volte  manifestato  in  queste  car- 
te.  Del  resto  io  sono,  mi  accorgo,  troppo  esigente:  e 
voglio  essere   creduto  allora  soltanto  che  fo  plauso  al- 
la brevità,  alla  forza,  alla  verità,  che  regnano  in  ge- 
nerale nel  volgarizzamento  di  monsignor    Peruzzi  , 
degnissimo  di  ogni  onore.  Lo  stesso  vincolo  della  ri- 
ma può  tarpar  qualche  ala  all'ingegno,  o  ritenerla,  per 
dir  più  vero.  Ma  vediamo  come  sciolto  da  quel  via- 


Apocalisse  2o5 

colo  abbia  saputo  alzarsi  il  Bisazzal  Egli,  libero  da 
pastoie,  poteva  toccare  più  là  che  le  stelle  ! 

(BISAZZA) 

E  come  si  dischiuse  il  suggel  sesto, 
La  terra  si  crollò  fuor  dell'usato, 
E  il  biondo  capo  doloroso  il  sole 
Scolorò  di  ferrigno  al  par  di  vile 
Cinereo  sacco  di  Cilicia,  e  apparve 
Suffusa  di  sanguigno  in  ciel  la  luna. 
E  del  cielo  le  tremule  fiammelle 
Si  riversaron  giù  per  l'arsa  terra, 
Come  d'albero  levansi  le  foglie 
Quando  un  gran  vento  le  affatica  intorno! 
E  il  ciel  recesse  qual  rivolto  libro, 
E  le  vitree  isolette  e  le  montagne 
Dalle  tacite  lor  sedi  fur  mosse. 
E  quei  che  stringon  la  corona  al  capo 
Ed  i  prenci,  e  i  tribuni,  e  i  ricchi  e  i  servi 
Riparar  tutte  alle  petrose  bocche 
De'cavi  spechi.  Ed  alle  aeree  rupi 
Ed  ai  monti,  che  siedono  alle  valli, 
Gridavano  così:   Su  noi  cadete, 
Dai  volto  difendeteci  di  lui 
Che  calca  il  trono,  e  delfagnel  dalVira. 
Perchè  in  terra  disceso  è  il  dì  tremendo 
Del  divino  furor:  chi  fia  che  regga? 

Così  il  Bisazza  nel  giovanile  suo  volo  !  Ed  io, 
seguendo  il  mio  modo  semplice  e  piano,  noterò  qui 
e  qua  ciò  che  mi  parrà  da  notare  allo  specchio  dell' 
ordine  e  della  ragione,   rinnovando  pur  sempre  veri 


»o6       Letteratura 

sensi  di  stima  a  quel  novello  ingegno    della    fiorita 

Sicilia. 

Al  vers.  12,  doloroso  è  equivoco  se  pertenga  a 
capo,  o  vero  a  sole.  Ferrigno  e  sanguigno  fan- 
no rima  in  versi  non  rimati:  il  che  sta  bene  come 
l'elmo  e  la  spada  ai  non   guerrieri. 

Al  vers.  i3,  stellae  de  cacio  ceciderunt:  le  tre- 
mule fiammelle  del  cielo  si  riversarono.  Secondo  il 
mio  debole  sentire  qui  dovea  dirsi  propriamente  stel- 
le, cioè  i  corpi  splendenti  delle  stelle  ;  non  le  tre- 
mule fiammelle  soltanto,  cioè  le  loro  apparenze  o  qua- 
lità. Del  cielo,  genitivo,  non  rende  quel  de  cacio 
del  testo,  il  quale  oh  quanto  fa  evidente  il  cecide- 
runt tanto  proprio,  che  è  peccato  mutarlo!  Passando 
ad  altro  ,  ficus  emittit  grossos  suos  particolarizza 
l'estatico,  e  generalizza  il  traduttore  a  discapito  dell' 
evidenza,  e  della  forza  altresì. 

Al  vers.  14,  vitree  e  tacite  qui  sono  epiteti  tol- 
ti manifestamente  al  fondaco  del  Frugoni,  buon  ani- 
ma. Se  il  Bisazza  rendesse  Ovidio,  gli  si  potrebbe 
perdonare  la  profusione,  la  ridondanza;  ma  qui  ogni 
apice  aggiunto  toglie  al  sublime,  che  vuole  brevilo- 
quenza. Nò  alia  grave  matrona  si  addicono  nastri,  fet- 
tucce e  fiori  come  alla  svenevole  donzella. 

Al  i5,  Quei  che  stringon  la  corona  al  capo 
sono  i  re  dunque,  va  bene!  ma  perchè  circonlocuzione 
ovidiana?  E  poi:  a'poeti  ancora  ed  a' guerrieri  sta  bene 
la  corona.  La  parola  re  qui  vale  una  gemma  prezio- 
sa: né  mille  pietruzze  volgono  una  tal  gemma!  Pas- 
siamo oltre:  In  speluncis  et  petris  absconderunt  se, 
dice  il  sacro  testo:  il  quale,  ancora  per  esser  sacro, 
meno  vuoisi  mutare.  E  il  Bisazza:  Riparar  tutti  al- 
le petrose  bocche  -  De? cavi  spechi  ...  E  perchè  piut- 


Apocalisse  507 

tosto  non  dire:  S'ascoser  tutti  in  le  petrose  tane: 
e  ad  ogni  modo  non  mai  alle  bocche,  ma  nell'interno 
delle  spelonche  ?  E  qui  ancora  il  volgarizzamento  ha 
troppe  fronde,  e  vide  l'ombra  del  Frugoni,  e  Dan- 
te freme  ! 

Al  i5  e  16,  ab  scondite  ed  absconderunt  vo- 
gliono tali  e  quali  essere  conservati  nella  versione  , 
chi  intende  il  sublime;  che  non  invano  è  da  credere 
li  ripetesse  l'estatico,  che  trovata  un'idea,  la  vagheg- 
gia, se  serve  ad  incarnare  il  suo  concetto.  Ma  proce- 
diamo: Che  calca  il  trono  e  delV agnel  dalV  ira. 
Questo  verso  correggerebbe  Quintilio,  o  m'inganno. 
Il  vers.  1 7  degno  è  palesemente  dell'estatico  ;  quel- 
lo del  traduttore  è  così  fiacco,  che  a  pena  lo  diresti 
uscito  dalla  fervida  vena  del  Bisazza,  al  quale  non 
può  negarsi  il  fuoco  od  estro  della  terra  natale.  Se 
egli  potesse  udirmi:  e  le  mie  parole  giungessero  a  pie- 
di dell'Etna,  gli  direi:  tornasse  sul  suo  lavoro  ,  to- 
gliesse il  troppo  che  nuoce,  riducesse  la  sua  Apocalis- 
se a  brevità  ragionevole,  e  tutta  la  componesse  (quan- 
to è  possibile)  allo  specchio  del  divino  originale.  E  da 
siffatte  parole  non  vorrei  già  che  prendesse  a  sconfi- 
dare di  se:  voli,  sì  voli;  a  questo  è  nato;  ma  come 
Dedalo,  non  come  Icaro  l'ardimentoso.  Né  vorrei  pure 
sospettasse  in  me  altro  sentimento  da  quello  del  ve- 
ro e  del  bello.  Io  lo  stimo  assai:  e  appunto  perchè 
lo  6timo,  e  in  lui  traveggo  una  gloria  d'Italia,  mi  fo 
coscienza  di  dirgli  alla  libera  quello  che  sento:  la  pa- 
rola de' vecchi  volentieri  è  udita  da' giovani  della  sua 
sfera! 

Ma  io  m'avveggo  che  una  pagina  e  un  altra  è 
ingombra,  ed  io  passar  non  deggio  il  segno  imposto 
in  queste  carte.  Né  d'altra  parte  voglio  mancare  air 


2o8  Letteratura 

la  promessa.  Che  fare  adunque?  Mi  resta  a  dare  il  sag- 
gio della  versione  del  Perez  e  di  quella  del  Mancini 
commentandole;  ciò  porterebbe  in  lungo:  dunque  farò 
così,  darò  il  tratto  dell'una  e  dell'altra,  contentando- 
mi di  scrivere  in  corsivo  ciò  che  io  credo  degno  di 
essere  appuntato:  e  porrò  fine  con  poche  parole  mie 
a  questo  articolo.  Il  senno  degl'intelligenti  lettori  sup- 
plirà all'involontario  difetto, 

(PEREZ) 

Ma  non  sì  tosto  il  suggel  sesto  aperse, 
Tutta  tremò  la  terra  ad  una  scossa,', 
Il  sol  d'oscuro  velo  si  coperse, 
Si  fé'  la  luna  come  sangue  rossa. 
E  le  stelle  piombar  dal  firmamento, 
Come  si  levan  d'albero  le  frutta 
Se  l'affatica  impetuoso  vento. 
Del  ciel  la  volta  in  sé  medesma  tutta 
S'avvolse  recedendo,  quasi  fosse 

Volume,  che  in  se  stesso  si  ravvolge  ; 
Tremaro  i  monti,  e  l'isole  commosse 
Givan  pel  mar  che  d'intorno  le  volge. 
E  i  tiranni,  e  i  potenti,  e  il  ricco,  e  il  forte, 
Liberi  e  servi  s'appiattar  veloci 
Sotto  le  rupi  ad  invocar  la  morte, 
E  sì  diceano  in  disperate  voci  : 
Piombate,  o  monti;  a  noi  morir  fia  dono-, 
Dell'  agnello  al  terribile  sembiante 
Deh  !  ne  togliete,  e  del  sedente  in  trono. 
È  il  dì  dell'ira,  e  chi  può  starle  innante  ? 

Volevo  qui  al  tutto  tacermi,  e  non  posso  non  loda- 


Apocalisse  209 

re  lo  spirito  del  volgarizzatore,  il  quale  parmi  s'ac- 
costi bene  allo  spirito  del  sacro  autore. 

(  MANCINI  ) 

Ed  il  sesto  suggello  ornai  schiuderà. 

Gran  tremuoto  shidio:  la  solar  lampa 

Quasi  cilice  sacco  si  fe'nera: 
Di  vivo  sangue  la  luna  si  stampa: 

Ecco  dal  cielo  in  terra  astri  cadenti, 

Di  folgor  d'ignei  globi  ognuno  e  vampa. 

Come  da  ramo  scagliano  i  crescenti 
o 

Teneri  frutti  le  ficaie  scosse 

Da  tempestosa  gagliardìa  di  venti. 

E  come  un  libro  avvolto  raggrupposse 
Il  cielo;  abbandonaro  le  natie 
Lor  sedi  i  monti,  e  l'isole  fur  smosse. 

Ognuno  a  quella  orrenda  traversìa 
Re,  principe,  tribun,  ricco,  possente, 
Libero,  servo,  agli  antri  rif uggia 

Ed  alle  rocce.  E  tal  grido  si  sente  : 
Oh  dirupi,  o  montagne,  oh  !  sovra  noi 
Piombate  !  Ecco  disvelasi  il  sedente, 

Terribil  faccia  !  Ecco  1'  agnel  con  lui  ! 
Giunse  il  magno  lor  dì,  giunse  il  furore  : 
Deh  !  celatene  tosto  ad  ambedui  ! 

Qual  braccio  ornai  resisterà,  qual  core  ? 

Ho  segnato  in  corsivo  alcune  cose,  come  promisi  di 
fare.  Ora  si  mi  è  d'uopo  dire  a  chi  legge:  «  Se' savio 
e  intendi  me'cli'i'non  ragiono  :  »  e  pur  troppo  vo- 
lendo esser  breve,  divenni  oscuro  ! 

Giunto  alla  fine:  Non  per  elez'ion  ma  per  de- 
G.A.TXXXXIVI.  14 


aio  Letteratura 

stino',  io  chieggo  perdono  ai  degnissimi,  che  sulle  po- 
ste di  Dante  volarono  nel  regno  del  rivelato  mondo, 
se  ho  osato  porre  la  lingua  in  cielo  :  mi  ha  mosso 
amore  de'buoni  studi,  ai  quali  non  può  non  tornare 
a  bene  l'aspergerli  della  rugiada  celeste.  Dante,  l'al- 
tìssimo de'poeti  nostri,  ne  fece  nobile  esperimento,  ed 
ai  futuri  diede  esempio  eternamente  imitabile.  Felice 
chi  può  seguire  il  suo  volo  !  Ciò  giova  a  tornare  in 
istato  l'italica  poesia,  ahi  insozzata  ai  fonti  di  Babi- 
lonia e  ne'  fanghi  perpetui  di  chi  si  noma  dal  fan- 
go !  Giova  altresì  alla  morale  ,  ed  all'ossequio  della 
nostra  santa,  vera  ed  unica  religione,  che  come  il  so- 
le abbraccia  e  avviva  1'  universo.  Pel  quale  riguar- 
do io  applaudo  al  mio  onorevole  amico  ,  monsignor 
Peruzzi,  che  ha  fornito  di  note  perpetue  la  sua  ver- 
sione ,  per  questo  ancora  stimabilissima.  Il  pregio 
delle  quali  non  giudicherò  già  io  ,  che  non  mi  arro- 
go di  tanto  :  giudicò  saviamente  un  altro  mio  de- 
gno amico  don  Celestino  Cavedoni,  laddove  nell'ami- 
co della  gioventù  [num.  5,  agosto  i83y,  voi.  2, 
pag.  i36  )  annunziava  la  prima  edizione  dell'Apoca- 
lisse di  monsignor  Peruzzi:  il  quale  ha  migliorato  an- 
cora il  volgarizzamento  e  le  note  in  questa  nuova  e- 
dizione  ,  che  ha  dato  occasione  a  questo  qualunque 
mio  ragionamento.  Di  questo  studio  continuo,  a  bene 
singolarmente  della  gioventù,  si  abbia  pubblica  com- 
mendazione  (1). 

prof.  D.  Vaccolini. 


(1)  Note  sono  le  traduzioni  in  verso,  e  le  prose  originali  dì 
monsignor  Peruzzi,  che  abbiamo  per  un  gioiello  alle  lettere  no- 


Apocalisse  211 

stre  gloriose  sotto  l'insegna  dell'Alighieri  !  Non.  sarà  fuori  di  luo- 
go limitarsi  a  rammentarne  alcune  poche  di  tante  sue:  e  quanto 
alle  Dissertazioni  anconitane  riportarci  a  ciò  che  dissero  le  Effe- 
meridi romane  e  la  Biblioteca  italiana,  per  tacere  di  altri  pur  fa- 
vorevoli giudizi:  quanto  ad  altri  giornali,  indicare  sulla  Storia 
d'Ancona  di  esso  monsignore  ciò  che  ne  disse  1'  autore  del  pre- 
sente articolo  neW  Amico  della  gioventù  (  i5  settembre  i836  a  p. 
97  ed  altrove  ).  Quanto  a  noi,  l'indicare  i  volumi  dell' Arcadico, 
dove  fu  parola  delle  cose  peruzziane,  di  alcune  almeno. 

PAG. 

Voi.  107,  novembre  1827,  De' siculi  italici  fondatori  d' 

Ancona 3^o 

124,  aprile  1829,  Versioni  di  Catullo    .     .     .      .  Ii3 

i3o,  ottobre  1829,  Versioni  di  Properzio  .     .     .  i45 

i34,  marzo  i83o,  Panegirico  di  .5.  Petronio     .     •  25a 

147,  marzo  i83i,  Versione  di  Catullo  ....  352 
184,  novembre  i853  ,  Panegirico  di   s.  Vincenzo 

de'Paoli 222 

10,3,  settembre  i835,  Panegirico  di  3.  Filomena.  376 


212 


Friderici  Schillerii  carmina  nonnulla  a  Fran- 
cisco Philippio  latinitate  donata.  Vcnetiis^  ty- 
pis  losephi  Antonelli   1840. 


E, 


Igli  è  gran  tempo,  che  due  diverse  scuole  insorte 
fra  la  famiglia  de'letterati  italiani,  credendo  provve- 
dere al  maggior  lustro  della  nostra  letteratura,  pre- 
sero a  contendere  fra  loro,  e  per  opposte  vie  si  con- 
fidarono di  conseguire  lo  scopo  de'lor  desiderii.  Chi 
sien  eglino  costoro,  che  per  volgere  d'anni  non  an- 
cor fecero  posa  dalle  loro  discordie,  io  eredo  vano  ri- 
dire ;  perocché  è  ornai  noto  lippis  atque  tonsoribus: 
e  i  nomi  di  classicismo  e  di  romanticismo,  sotto  le 
cui  insegne  militarono  e  militali  tuttavia,  son  passati 
in  proverbio  fra  noi  ,  e  abusati  a  tal  segno  ,  che  il 
dire  a  chicchessia:  Tu  se? classico  o  romantico:  e  dir- 
gli: Tu  sei  uomo  litigioso;  torna  ad  uno  stesso. 

Or  colesti  uomini,  i  quali  al  primo  muovere  della 
questione  aveano  forse  d'ambe  le  parti  intenzioni  lo- 
devoli e  rette,  costoro,  senza  avvedersene,  passo  passo 
inoltrandosi  nella  questione  si  trovarono  talmente  di- 
sviati dal  buon  sentiero,  che  ,  anzi  che  riconoscersi 
dell'errore,  amaron  meglio  di  correre  alla  cicca,  e  riu- 
scire per  contrarie  vie  a  qua!  ch'egli  fosse  il  preci- 
pizio. Ond'  è  che  a  lutto  diritto  il  miglior  fiore  dei 
nostri  letterati  non  mai  si  ristanno  dal  gridar  con 
Orazio:  Vida  in  contraria  currunt:  gli  uni  perchè 
chiuder  vorrebbero  gl'ingegni  in  limiti  troppo  brevi  , 
gli  altri  perchè  s'  argomentano  di  lasciarli  correre  a 
lor  senno   e  non  soggettarli  ad  alcuna  legge. 


F.    SCHILLERII    CARMINA  2l3 

Ne  vogliam  noi  in  queste  brevi  parole  (  a  tutt' 
altro  intese  che  a  prender  parte  in  siffatte  materie  ) 
chiamare  ad  esame  e  dar  sentenza  quàl  di  questi  due 
vizi  debba  dirsi  il  maggiore.  Sì  bene  direni  franca- 
mente, che  il  torto  è  d'ambe  le  parti,  se  non  per  al- 
tro, per  questo  almeno,  che,  senza  recar  giovamento 
di  sorta  alla  nostra  letteratura,  si  trasser  dietro  una 
greggia  di  malaccorti,  e,  il  direm  pure,  dissennati  let- 
teratelli,  i  quali  invece  di  procurar  d' instruirsi  con 
1  ungbi  e  severi  studi,  reputaron  gloria  far  eco  alle  vo- 
ci di  qual  delle  due  scuole  cosi  alla  ventura  seguita- 
rono. E  questo  è  il  bel  frutto,  che  a  danno  gravis- 
simo delle  lettere  ,  e  a  non  minor  detrimento  della 
concordia  de'letterati,  derivò  da  sì  lungo  contrastare. 
Né  altrimenti  doveva  accadere:  dappoiché,  inviperiti 
gli  animi,  invece  di  considerar  freddamente  la  natu- 
ra della  disputa  cui  dato  avean  mano,  si  lasciarono 
piuttosto  abbindolare  dal  lor  amor  proprio:  e,  confon- 
dendo l'utile  vero  della  nostra  letteratura  colla  sma- 
nia d'opprimere  la  parte  contraria,  si  gettarono  alla 
disperata  in  una  lizza,  non  saprei  se  più  indetermi- 
nata o  puerile.  Quindi  è  che  mentre  studiar  doveano 
di  conserva  qual  veramente  fosse  la  via  da  seguirsi 
in  tanta  discordanza  di  sentimenti,  amaron  piuttosto 
durarla  negli  odi,  che  recedere  un  pochissimo  da  ciò 
che  pensavano. 

A  cessare,  se  pur  sarà  possibile,  dagli  animi  ita- 
liani questa  malaugurata  discordia,  e  stabilir  finalmen- 
te in  qual  conto  aver  si  debbano  fra  noi  gli  scritti 
de'letterati  oltramontani,  surse  opportuno  l'egregio  cul- 
tore delle  muse  del  Lazio,  del  quale  annunziamo  ai 
nostri  leggitoiù  un  saggio  di  poesia  alemanna  recato 
da  lui  in   bellissimi  versi  latini. 


214  Letteratura 

Il  sig.  Francesco  Filippi  in  questo  picciolo  vo- 
lumetto ci  presenta  di  alcuni  de'migliori  poetici  com- 
ponimenti di  Federico  Schiller  :  i  quali  avendo  egli 
vestiti  di  forme  latine,  si  è  proposto  dimostrare  più 
a  fatti  che  a  parole,  che  mal  s'appongono  coloro  che 
alzar  vorrebbero  una  barriera  insuperabile  fra  la  no- 
stra letteratura  e  quella  degli  oltramontani,  nulla  di 
bello  volendo  conoscere  nelle  poesie  di  questi,  trat- 
tone una  stemperata  manìa  di  rompere  ogni  regola, 
e  correre  a  seconda  del  loro  genio  tempestoso.  Otti- 
mo divisamento  !  Imperocché  mentre  il  eh.  tradutto- 
re intende  a  vendicare  la  fama  degli  oltramontani  , 
ottiene  ad  un  tempo  di  smascherare  que'  tristi  ,  che 
per  solo  desiderio  d'indurre  novità,  senza  considerare 
fin  dove  sia  lecito  avanzarsi,  gettansi  senza  consiglio 
nel  campo  degli  stranieri,  e,  schifando  le  domestiche 
ricchezze,  ne  colgono  alla  rinfusa  ogni  fiore,  e  con- 
fondono coli'  ottimo  il  pessimo  ,  e  viziano  se  stessi 
ed  altrui. 

Come  e  quanto  il  Filippi  sia  riuscito  nell'  im- 
presa è  facile  giudicarne,  chi  voglia  osservare,  che  ne' 
versi  recati  da  lui  con  tanta  eleganza  e  forbitezza  di 
stile  nella  lingua  di  Virgilio  e  di  Tibullo  ,  non  ha 
frase  o  concetto,  che  non  si  rinvenga  negli  scrittori 
più  idolatrati  declassici.  E  perchè  a  coloro,  che  fi- 
nor  non  lessero  il  volumetto  di  cui  è  discorso,  le  no- 
stre parole  non  sembrino  forse  troppo  ampollose  e 
lanciate  alla  ventura,  noi  non  crediamo  inopportuno 
recar  qui  alcun  brano  di  questa  nobile  versione.  Così 
sarà  facile  a  ciascuno  darne  giudizio  per  se  medesi- 
mo, e  noi  godremo  d'aver  molti  compagni  nel  nostro 
sentimento. 

A  tal  uopo  veggasi  da  prima  come  il  Filippi  re- 


F.    SCHILLERII    CARMINA  2l5 

citi  in  elegantissimi  esametri  e  pentametri  i  contrari 
affetti,  che  lo  Schiller  nel  canto  della  vittoria  desta 
negli  animi  de'greci  e  de' troiani. 

Poeta. 

Pergama  conciderant  bello  expugnata  decenni; 

Flebile  erat,  murus  quod  l'uit  ante,  solum. 
Ebriaque  eventu  graiorum  turba  secundo, 

Ditibus  et  Troiae  praegravis  exuviis, 
Navibus  instructis  illas  radebat  arenas 

Ellespontiaci  qua  fluit  unda  freti, 
Gaudens,  quod  rapidis  turgebant  carbasa  ventis, 

Appulsura  tuis,  Graecia  pulchra,  plagis. 

Chorus. 

Nunc  agedum  laetis  resonet  concentibus  aer, 
Ad  patrios  quoniam  nunc  datur  ire  lares. 

Hos  versus  nostrae  solverunt  vincula  prorae. 
Patria  nos  reduces,  patria  cara  manet. 

Poeta. 

Troades  et  captae  astabant  longo  ordine,  et  aegrum 

Pergebant  tristi  pascere  luctu  animum; 
Lividaque  attonitis  variabant  pectora  palmis, 

Pallentes,  fusis  hirta  per  ora  comis. 
Inter  victorum  laetantia  verba  ferocum 

Fundebant  tetricis  cantica  maestà  modis. 
Quaeque  suos  casus,  et  tristia  damna  gementes, 

Quae  tulerunt,  Priami  dum  ruit  alma  domus. 


2X6  L   ET    TERATURA 

Chorus. 

Troia,  terra  vale:  colles,  valeatis,  amati: 
Nos  procul  a  vobis  sors  inimica  trahit! 

Externos  patimur  dominos  et  barbara  iussa. 
Non  melius  vitam  deposuisse  fuit  ?  e  te. 

Né  men  sublime  è  quel  tratto  in  cui  il  poeta,  volen- 
do descrivere  il  caso  infelice  di  Ero  e  Leandro,  cosi 
apresi  il  campo  alla  descrizione. 

Se  prospectantes  adverso  e  littore  turres 

Cernitis,  annorum  moenia  senta  situ, 
Aureo  flammantis  fulgentia  lumine  solis, 

Hellespontiaci  qua  furit  ira  freti, 
Iinpete  et  borrendo  undarum  se  longa  Propontis 

Volvit  in  euxinum  saxa  per  arcta  salum  ? 
Auditis  magno  resonantem  murmure  fluctum, 

Qui  fervens  altos  rumpitur  ad  scopulos  ? 
Europam  ex  Asia  valuit  divellere  quondam; 

Non  tamen  est  tanta  vi  pavefactus  amor. 
Leandri  atque  Herus  praecordia  fixerat  illis, 

Perlita  quae  multa  gestat  amaritie, 
Divus  amor  telis,  etc. 

Ma  in  questo  nobilissimo  componimento,  che  d' 
ogni  parte  risplende  di  soavi  non  meno  che  di  ro- 
busti pensieri,  ciò  che,  senza  dubbio,  maggiormente 
rapisce  l'animo  de'leggitori  è  là  dove  il  poeta  dipin- 
ge la  misera  Ero  in  atto  di  riconoscere  l'esangue  spo- 
glia del  suo  Leandro  oppresso  dai  flutti,  ed  essa  me- 
desima che   quindi  si  precipita  nel  mare.  Qual  verità 


F.    SCHILLERII    CARMINA  21 7 

di  concetti,  qual  vivezza  di  colori  !  Qual  maestria  di 
espressione  non  si  ammira  in  questi  versi  che  dan 
fine  al  componimento  ? 

Primo  illa  intuiti!  formas  agnoscit  amatas, 

Nec  potis  est  ingens  illacrymare  dolor. 
Frigida,  mentis  inops,  obtutum  figit  in  ipso  ; 

Dein  sibi  ubi  nullam  spem  superesse  videt, 
Nunc  oculos  volvit  caeli  ad  convexa  superni, 

Nunc  ad  deserti  regna  profunda  Èrebi. 
Quasque  ingens  animi  pallere  coegerat  angor, 

Iam  fervent  tenerae  nobili  ab  igne  genae. 
Nunc  manifesta  pates,  austera  potentia  divum  ! 

Exigis  heu  nulla  ius  pietate  tuum, 
Semper  terribilis,  non  exorabilis  unquam! 

Ante  diem  vacua  stat  mihi  parca  colu. 
Mi  tamen  est  actum  plenae  dulcedinis  aevum, 

Ne  sors  sorte  mea  laetior  ulla  fuit. 
Usque  operata  tibi,  donec  mea  fata  tulerunt, 

In  tempio  vixi  fida  ministra  tuo. 
Quod  non  ingatum  est,  tibi  nunc  mea  vita  litabit, 

O  regina  Venus,  o  mihi  sola  dea. 
Dixit,  et  in  verbo  turri  se  mittit  ab  alta. 

Late  diffusos  ventilat  aura  sinus. 
In  mare  praecipitat,  nec  longe  a  corpore  caro 

Optatam  cupido  combibit  ore  necem. 
Per  sua  regna  deus  duo  sancta  cadavera  volvit, 

Immensoque  illis  prò  tumulo  ipse  venit, 
Perfruiturque  suae  contentus  gaudia  praedae, 

Pergit  et  assuetas  sedulus  ire  vias. 
Et  numquam  exbausta  torrentes  fundit  ab  urna 

Idem  qui  semper  tempus  in  omne  fluent. 


ai  8  Letteratura 

E  tanto  basti  a  far  fede,  che  il  fin  qui  detto  intor- 
no a  questa  versione,  e  allo  scopo  del  traduttore,  non 
è  che  una  nuda  e  schietta  verità. 

Quanto  poi  si  spetta  alla  fedeltà  del  traduttore 
nel  trasportare  nell'idioma  del  Lazio  versi  dettati  in 
una  lingua  così  diversa  dall'usata  da  lui,  noi,  perchè 
ignari  di  questa  lingua,  nuli' altro  diremo,  eccetto  che 
avendo  raffrontato  la  versione  latina  del  Filippi  col- 
V  italiana  di  Antonio  Bellati  ,  e  appunto  nel  canto 
della  vittoria  e  nel  vaticinio  di  Cassandra,  ci  abbia- 
mo osservata  non  poca  simiglianza.  Il  che,  senza  dub- 
bio ,  può  bastare  a  farci  credere  che  il  Filippi  non 
siasi  allontanato  dall'originale. 

Sia  dunque  lode  e  gratitudine  all'esimio  tradut- 
tore, il  quale,  come  già  altra  volta,  così  pur  questa 
ha  dimostrato  quanto  sia  il  senno  onde  è  guidato  nei 
compiere  così  nobili  lavori,  e  quanto  in  lui  possa  quel 
lungo  studio  che  ha  fatto  negli  scrittori  latini.  Nò 
minor  lode  e  minori  grazie  gli  sien  rese  per  aver  egli 
con  savio  intendimento  intitolato  questo  suo  lavoro 
al  eh.  sig.  barone  Antonio  Mazzetti,  a  cui  ben  con- 
veniasi  un  sì  degno  tributo  d'onore,  e  perchè  caldo 
favoreggiatore  degli  ottimi  studi  e  de'letterati,  e  per- 
chè buon  cultore  anch'esso  delle  muse  latine,  come 
chiaramente  apparisce  dai  versi  ch'egli  ha  pubblicati 
alcuni  anni  addietro.  Chiuderem  finalmente  queste  no- 
stre parole  esortando  l'egregio  Filippi,  a  non  cessarsi 
da  sì  lodevole  impresa,  qual  è  questa  cui  pose  mano: 
conciossiachè  seguitando  a  vestire  di  poetiche  forme 
latine  altri  componimenti  oltramontani  simili  a  que- 
gli che  meritamente  lodiamo,  farà  cosa  gratissima  al- 
l'Italia, e  piecipuamente  a  coloro  che  sanno  apprez- 


Musaico  Prénestino  2ig 

zare  il  hello  ed  il  buono,  venisse  pur  anco  dalle  più 
interne  regioni  dell'Affrica,  o  dall'ultimo  confin  della 
Cina. 

Tommaso  Borgogno  C.  R.  S. 


Nuove  osservazioni  sul  musaico  prenestino. 

y 

amor  paterno  si  estende    nell'  autore  alle  opere 
che  son  figlie  del  suo  intelletto.  Amando  io  perciò  la 
mia  interpretazione  del  pavimento  in  musaico  rinve- 
nuto nel  tempio  della  fortuna  prenestina,  pubblicata 
in  istampa  del   1827  presso  Giunchi  e  Mordacchini, 
non  posso  più  soffrire  che  sia  stata   mal  indicata,  e 
meno  che  sia  stata  da  qualcuno  contraddetta  indebi- 
tamente. Perchè  presi  occasione  di  occuparmene  nel 
seguente  articolo,  in  cui  rettificar  credo  tutte  le  idee 
che  potrebbero  del  mio  opuscolo  mal  concepirsi,  ed 
in  ispecie  le  esternate    testé  nel    giornale    letterario 
scientifico  modenese  dal  eh.   prof,  don  Celestino  Ca- 
vedoni  contro  V  esistenza  da  me  creduta  della  basili- 
ca emilia  e  fulvia  in  Preneste.    Su    di   che  lessi  una 
mia    dissertazione  il  dì   i5  luglio     1840    nella  pon- 
tificia accademia  di  archeologia  romana,  addimostran- 
dola  unica,  e  giammai  edificata  entro  il  recinto  del 
tempio  della  fortuna. 

Sapendo  io  bene,  che  quel  musaico  fu  rinvenu- 
to nell'  edificio  addossato  alla  sostruzione   primitiva 


220  Letteratura 

del  tempio  della  fortuna,  il  quale  fu  costantemente 
dagli  scrittori  detto  il  delubro  inferiore  (i):  sapendo 
da  Plinio  ,  che  ì  musaici  cominciarono  in  Roma 
sotto  Siila,  de'  quali  a'suoi  tempi  esisteva  uno  che 
questi  aveva  fatto  lavorare,  e  situare  nel  delubro  della 
fortuna  in  Preneste  (2);  lo  credei  quello,  di  cui  Plinio 
parlò;  lo  credei  un  voto  di  Siila  a  quella  dea  che 
tutto  di  riconosceva  origine  delle  sue  fortunate  geste, 
volendo  essere  perciò  detto  fortunato  (3)  ;  lo  credei 
un  voto,  ciò  che  era  costume  di  ogni  credutosi  da 
lei  beneficato   (4)- 

E  nello  specialmente  considerarlo  non  piacquer- 
mi  quelli  effetti  della  fortuna  ,  che  ci  vide  espressi 
il  Kircker,  niuno  apparendone  ai  miei  occhi:  non  il 
viaggio  di  Alessandro  al  dio  Aminone,  che  il  Polignac 
vi  suppose  ordinato  da  quel  Siila  di  se  solo  ambiziosis- 
simo; non  altro  fatto  di  lui  stesso,  che  non  seppe  poi 
esprimere  il  Volpi:  non  il  corso,  anzi  che  la  inonda- 
zione del  IN  ilo  del  Montfaucon  :  non  la  carta  geo- 
grafica di  Dubos:  non  l'incontro  di  Elena  e  di  Mene- 
lao fantasticato  dal  Winckelman:  non  l'imbarco  de' 
grani  di  Chapuy:  non  il  viaggio  di  Adriano  in  Ele- 
fantine con  le  città  Eliopoli  e  Menfi  dal  solo  Bar- 
telemy  vedute:  non  finalmente  1'  Egitto  conquistato 
dall'imperatore  Cesare  Ottaviano  Augusto  sopra  Mar- 
cantonio e  Cleopatra  che  ci  vide  il  Fea.  Giacche  non 
apparendovi  cosa  che  indichi  questo  conquisto,  è  poi 


(i)  Nibby  sul  restauro  del  tempio  della  fortuna  di  Cost. 
Thon,  pag.  11. 

fr)  Plin.  lib.  36  e  25. 

(3)  Plutarc.  ed  Appian.  Alex.,  De  bello  civ.  lib.  I,  e.  18. 

(4)  Volpi,  Lat.  vet,  De  Praeneste  e  26,  p.  129. 


Musaico  Prenestino  221 

mestieri  riflettere  che  qualunque  mediocre  conoscito- 
re delle  arti  nei  diversi  tempi,  e  nel  relativo  diverso 
pregio,  si  avvede  essere  il  musaico  prenestino  assolu- 
tamente di  quelli,  che  sub  Sfila  caeptavere. 

Indi  anche  io  esternare  volendo  il  parer  mio,  lo 
feci,  esattamente  disegnare  sul  monumento  stesso,  lo 
feci  anche  incidere  onde  ne  restasse  sempre  la  me- 
moria: e  confesso  primieramente  che  anche  a  me  sem- 
brò veder  ivi  l'Egitto.  I  mori  intenti  a  scagliar  frec- 
ce contro  le  cicogne  ,  che  dall'  alto  piombano  in 
basso:  le  rupi  con  cunicoli  de'serpenti  :  il  lago  Ar- 
chelao QA.NTEC,  k  sfinge  GMNTIA,  il  cercopiteco 
KPOKTA2}  la  giraffa  in  aspetto  di  bue,  o  di  porco, 
KHIIIENYABOYC  ,  il  mostro  col  viso  umano  ONO_ 
KENTAPA,  il  rinoceronte  PINOKEPOC,  la  lince  AINC, 
e  tanti  altri  bruti  terrestri  mi  additarono  la  parte  su- 
periore: come  la  inferiore  inondata  dal  Nilo  m'ap- 
parve dalle  palme  e  dal  fiore  di  loto,  dagli  anfibii  ippo- 
potami, coccodrilli  e  delfini,  dall'egizie  barche,  e  dal- 
le fabbriche  sulle  colline  scoperte. 

Degli  edifici  poi  i  più  vili  mi  sembraron  alber- 
ghi di  pastori,  o  di  animali;  mi  sembrò  destinato  a 
sepolcri  de'grandi  quello  che  ha  V  effigie  di  quattro 
cadaveri  infasciati  all'egizia:  quello  sostenuto  da  quat- 
tro colonne  con  sacerdoti,  il  tempio  di  Anubi  dal  ca- 
ne ivi  sopra  un'ara  esistente;  quello  con  festoni  di 
lauro,  il  tempio  d'Oro;  quello  con  più  colonne,  innanzi 
al  quale  vedesi  un  edificio  rotondo  accessorio  con  due 
guglie,  ove  persone  supplichevoli  ed  un  marinaio  tri- 
dentifero  sembrano  consecrare  il  volo  a  sacerdotes- 
se che  lo  ricevono,  dette  le  piangenti  d'Iside,  credei 
che  d'Iside  fosse  il  tempio.  Ma  il  più  vasto  e  ricco 
con   tenda  e  vasi  di  libazione,  presso  cui  un  naviglio 


222  Letteratura 

con  soldati,  ed  il  condottiero  vien  da  persona  sacer- 
dotale con  palma  nell'una  mano,  e  nell'altra  il  ne- 
pente,  accolto  qual  vincitore  ed  amico,  mi  parve  il 
tempio  di  Serapide,  ove  Siila  in  quel  condottiero  si 
fosse  fatto  rappresentare  tributante  omaggio  alla  di- 
vinità, della  quale  dicevasi  la  fortuna  ministra. 

Credei  cosi  avere  esternata  chiara  la  mia  opi- 
nione, ed  averla  con  solide  ragioni  fondata:  allorché 
lessi  nel  nostro  Album  del  4  giugno  i836  ,  par- 
landosi del  tempio  della  fortuna  di  Preneste  ,  e  ri- 
ferendosi d'  altri  le  opinioni  tenute  sul  prenestino 
musaico,  che  :  Vi  vide  Cecconi  il  principio  della 
fortuna  immensa  di  Siila'.  «  mentre  non  potevo  aver 
veduto  ciò  che  non  v'era  affatto.  Per  vedervi  il  princi- 
pio della  fortuna  immensa  di  Siila  ,  avrebbe  dovuto 
esservi  espressa  l'Affrica,  ed  i  primi  fortunati  eventi 
di  quello  ivi  accaduti,  e  non  l'alto  e  basso  Egitto  col 
Nilo  fuor  del  suo  letto.  E  siccome  non  piacemi  sem- 
brar privo  di  senno  a  chi  abbia  veduto  il  musaico  , 
e  non  abbia  letta  la  mia  interpretazione;  così  quella 
relazione  del  mio  parere  intendo  sia  erronea  ,  forse 
per  mera  oscitanza  escita  dalla  penna,  d'altronde  dot- 
ta, dell'autore. 

E  giacché  dal  solo  Fea,  opponendosi  anche  alla 
sostanza  della  mia  esternata  opinione,  si  negò  che  Pli- 
nio parlasse  di  questo  musaico;  si  negò  che  il  luogo 
della  sua  reperizione  fosse  un  delubro  ;  si  negò  che 
Siila  vi  si  facesse  rappresentare,  anzi  che  Cesare  Ot- 
taviano Augusto  nella  conquista  d'Egitto:  è  mestieri 
che  brevemente  gli  risponda. 

Avendo  Plinio  detto  :  Lithostrata  caeptavere 
iam  sub  Sylla,  parvulis  certe  crustis  :  tengo  certa 
opinione  che  intese  precisamente  de'inusaici  figurati  co- 


Mosaico  Prenestino  223 

me  quello  prenestino.  Perchè  se  lithostraton  signifi- 
car può  in  genere  qualunque  pavimento  ricoperto  di 
pietre,  di  qualunque  grandezza,  figura  e  colore,  si- 
gnifica poi  in  ispecie  il  musaico  di  che  parlai,  se- 
condo 1'  uso  fatto  di  tal  voce  da  mille  autori  ,  tra' 
quali  Isidoro  dicendo:  Lithostrata  parvulis  crustis 
et  tessellis  iunctis  in  varios  colores  (i):  Crapaldo> 
Furie tti  e  mille  altri. 

Avendo  poi  Plinio  stesso  proseguito:  Extatque 
hodie  quod  in  Fortunae  delubro  Praeneste  fecit: 
vanamente  negasi  che  il  delubro  della  fortuna  non  fosse 
ove  si  rinvenne;  poiché  ciò  sarebbe  contro  la  opinione 
di  quanti  sin  qui  hanno  quel  luogo  definito;  saria  con- 
tro la  sua  struttura,  che  combina  colla  descrizione 
già  da  Cicerone  lasciataci  :  Is  est  hodie  locus  se- 
ptus  religiose  propter  Iovis  pueri,  qui  lactens 
cum  limone  in  gremio  Fortunae  sedens,  mammam 
appetens,  castissime  colitur  a  matribus  (2).  Con- 
chiudevo in  fine:  Che  se,  riprovando  io  la  opinata 
esistenza  della  basilica  emilia  e  fulvia  nel  tempio 
della  fortuna,  non  mi  è  sin  qui  possibile  indica- 
re la  sita  vera  situazione,  possa  altri  pia  di  me 
valente  supplirvi:  ma  non  perciò  sembrami  punto 
indebolirsi  la  dimostrazione  degli  errori  di  chi 
pretese  duplicarla,  e  nel  tempio  esistente  assicu- 
rarla francamente.  D1 altronde  io  ritengo  che  deb- 
ba essere  stata  prossima  al  foro  verso  il  mezzo 
dì,  perchè  ho  sempre  innanzi  gli  ocelli  il  detto 
di  Vitruvio  :  «  Basilicarum   loca  adiuncta  foris, 


(i)  IsJd.,  De  orig.  lib.  i5,  cap.  8. 
(2)  Cic,  De  divin.  lib.  2. 


2a4  Letteratura 

quam  calidissimis  partibus  oportet  constitui.  »  Ed 
a  consolidare  sempre  più  la  opinione  che  questo  mu- 
saico fosse  stato  veramente  ritrovato  nel  delubro  in- 
feriore del  tempio  da  Plinio  indicato,  anziché  voluto 
esistente  in  una  delle  due  basiliche  emilia  e  fulvia 
da  Fea  immaginate  entro  il  tempio  della  fortuna,  im- 
presi ad  esporne  le  ragioni  in  quella  dissertazione, 
che,  come  già  dissi,  circa  la  esistenza  della  basilica  in 
Preneste  da  me  supposta  fu  contraddetta  dal  eh. 
prof.  Cavedoni,  il  quale  soffrirà  ciò  che,  col  dovuto 
rispetto  al  suo  merito,  vengo  a  ridire. 

Dicevo  in  quella  :  Quanto  al  dedursi  da  Gar- 
rone che  due  fossero  da  lui  vedute,  e  non  una 
basilica,  seppure  ho  senno,  io  trovo  che  non  po- 
teva meglio  esprimere  la  unità  della  basilica  nel- 
la quale  esisteva  Vorologio  solare,  che  dicendolo 
fatto  da  Cornelio:  «  In  basilica  aemilia  et  fulvia:  » 
Un  fanciullo  sa  bene  che  «  in  basilica  »  è  ablativo 
singolare.  E  perciò  rivolgendomi  agli  autori  che  cre- 
derono diversamente,  dissi:  Incominci  or  qui  a  per- 
donarmi Suarez,  se  sostengo  aver  egli  errato  al- 
lorché disse:  «  Fuere  quoque  Praeneste  basilicae, 
ut  liquet  ex  Varrone  (i)».  E  degli  altri  storici  prene- 
slini  dissi  :  Cecconi  delle  surriferite  varroniane  e- 
spressioni,  ed  anzi  citandole  in  unico  suo  appoggio 
(  disse  )^ --fi  erano  due  basiliche,  una  delle  quali 
chiamavasi  emilia  e  V altra  fulvia  ,  e  avevano  in 
mezzo  V  oriolo  solare  (2).  Petrini  aggiunge,  che 
furono  erette  dai  consoli  L.  Emilio  Paolo  e  Ful- 


(1)  Suarez,  Praenest.  antiq.  lib.  1,  e.  17. 

(2)  Geccopi,  Stor.  di  Palestrina,  lib.  4>  e.  5,  Jl  7. 


Musaico  Prenestino  225 

vio  Nobiliore:  ed  ancìCegli,  chiamandone  il  solo  te- 
stimone Garrone ,  arriva  ad  indicarne  la  prospet- 
tiva (i).  E  conchiusi  che:  Se  non  saria  permesso 
che  a'  poeti  aggiungere  episodi  interamente  co- 
niati nella  poetica  immaginazione  ,  quanto  mag- 
giormente riprovevole  fu  in  istorici  travolgere  ed 
anche  variare  i  detti  di  altri  autori  ! 

E  siccome  ognuno  degli  antichi  scrittori  delle 
prenestine  cose  aveva  creduto  due  basiliche  prenesti- 
ne  indicate  da  Varrone,  perchè  quegli  la  nominò  con 
due  cognomi,  emilia  cioè  e  fulvia,  così  a  smentire 
questa  duplicità  ricordai:  Che  la  edificazione  di  que- 
sta unica  basilica  essendo  accaduta  sotto  Emilio 
e  Fulvio,  d'entrambi  nella  sua  unità  portasse  il 
nome,  e  perciò  fosse  da  Varrone  detto:  «  In  basi- 
lica aemilia  et  fulvia:  »  ove  soggiunsi  che:  Questo 
mio  modo  di  pensare,  analogo  alla  naturale  per- 
suasiva ,  è  unisono  a  Turnebo  commentatore  di 
quel  preciso  passo  di  Varrone,  esprimendo  egli  : 
«  M.  Aemilius  Lepidus  et  M.  Fulvius  Nobilior  cen- 
suram  una  gesserunt,  e  quibus  Fulvius  post  ar- 
gentar ias  nonas  faciendam  locavit.  Eam  Varo  ae- 
miliam  etfulviam  appellat.  »  È  perciò  evidentissi- 
mo che  Varrone  quando  disse:  «  Eam  aemiliam  et 
fulviam  appellat:  »  nominò  quella  assolutamente 
unica  basilica  coi  due  epiteti  emilia  e  fulvia. 

Perchè  devo  primieramente  ringraziare  il  signor 
professor  Cavedoni,  il  quale  è  con  me  d'accordo  che 
la  basilica  da  Varrone  nominata  emilia  e  fulvia  fos- 
se una  soltanto,  ammettendomi  che  io  dimostri  :  Co- 


(i)  Petrin.,  Annal.  pag.  4o. 

G.A.T.LXXXVII.  ,5 


aa6  Letteratura 

me  queste  parole  di  Vairone  rettamente  intese 
non  indicano  che  una  sola  basilica,  la  quale  ap- 
pellatasi emilia  e  fulvia,  dai.  nomi  dei  due  cen- 
sori delVanno  575  M.  Emilio  Lepido  e  M.  Ful- 
vio Nobiliore  (1).  Ed  essendo  con  me  d'accordo  che 
nello  escludere  la  basilica  dal  recinto  del  tempio,  die- 
tro la  definizione  delie  basiliche  ,  e  gli  usi  a'  quali 
erano  destinate,  conchiusi:  Era  impossibile  affatto 
figurarsi  entro  il  tempio  della  fortuna  esistente  la 
basilica  emilia  e  fulvia  :  si  compiacque  farmi  eco 
in  dicendo  della  mia  opinione:  Come  quella  unica 
basilica  essere  non  poteva  altrimenti  neW interno 
del  tempio  della  fortuna  prenestina  ,  ma  sibbene 
fuori  del  recinto  di  quello  :  e  così  corregge  le 
false  e  strane  opinioni  del  Suarez  ,  del  Petrilli, 
del  Fea,  e  dello  stesso  suo  pro-zio  Cecconi  ve- 
scovo di  Montalto  (a). 

D'  altronde  non  posso  tacermi  se  il  lodato  eh. 
autore  nel  §.  2  di  quel  suo  articolo  così  parla  di  me: 
Vautore  lascia  peraltro  a  desiderare  una  mag- 
giore accuratezza  e  precisione  riguardo  a'  riscon- 
tri degli  scrittori  da  lui  citati.  Ed  entrando  ne'par- 
ticolari  prosiegue:  Egli  adduce  un  passo  di  Turne- 
bo,  che  sembra  fare  una  cosa  sola  della  basilica 
emilia  fulvia  prenestina  ricordata  da  Garrone , 
e  della  basilica  che  Tito  Livio  pone,  XL,  Siffat- 
ta fare  dal  solo  censore  M.  Fulvio  Nobiliore  in 
Roma  «  post  argentarias  nonas  et  forum  piscato- 


(1)  Gioru.  lett.  scent,  modenese  nuin.  x3,  ottobre  1840, pag. 
i3,  5.  1. 

(2)  Ivi  nel  citato  5- 


Musaico  Prenestino  227 

riunì.  »  Ma  se  la  sentenza  del  Turnebo  pongasi  ve~ 
ra,  la  basilica  prenestina  scomparirebbe  dal  passo 
di  Garrone,  Forse  Turnebo  supponeva  che  Voro- 
logio  solare ,  visto  da  Garrone  in  Preneste,  esi- 
stesse prima  in  Preneste  stessa,  e  che  di  là  ve- 
nisse da  Cornelio  Siila  trasportato  in  Roma  e  col- 
locato al  coperto  nella  basilica  emilia  fulvia  :  e 
questa  pare  anche  a  me  la  più  verisimile  inter- 
pretazione di  quel  passo  difficile  di  Varrone  [i). 

Sì,  non  posso  tacermi  nulla  di  quanto  egli  dice: 
non  sembrandomi  atto  a  farmi  ricredere  non  solo,  ma 
né  anche  a  dubitare  di  ciò  cbe  penso  della  esistenza  in 
genere  della  basilica  emilia  e  fulvia  in  Preneste,  tut- 
toché estranea  dal  recinto  del  tempio  della  fortuna. 

Se  uno  scrittore  non  deve  lasciare  a  desiderare 
accuratezza  e  precisione  riguardo  ai  riscontri  degli 
scrittori  da  lui  citati  ,  molto  meno  è  tollerabile  la 
mancanza  dell'accuratezza  e  precisione  in  chi  si  ele- 
va in  suo  critico.  Mi  si  dice  che  addussi  un  passo 
di  Turnebo  ,  che  sembra  fare  una  cosa  sola  del- 
la basilica  emilia  fulvia  prenestina  ricordata  da 
Varrone^  e  della  basilica  che  Tito  Livio  pone  , 
XL,  5 1  ,  fatta  fare  dal  solo  censore  Marco  Ful- 
vio Nobiliore  in  Roma  «  post  argentarias  nonas 
et  forum  piscatorium.  »  Ma  come  ciò,  se  Vairone  da 
me  prima  di  Turnebo  citato  è  testimone  della  esi- 
stenza della  basilica  diversa  dalla  romana,  ed  in  Pale- 
stina assolutamente  esistente,  avendo  detto:  Ut  Prae- 
neste  incisum  in  solario  vidi,  quod  Cornelius  in 
basilica    aemilia  et  fulvia  inumbravit  (2)  ?  E  se 


(1)  Luog.  cit.  §.  2. 

{ a)  Yarron.,  De  ling.  lat.  lib.  5. 


228  Letteratura 

quindi  fu  da  me  citato  il  commentatore  di  questo 
passo  Turnebo,  per  escludere  che  Varrone  (  come  er- 
roneamente da  alcuni  credevasi  )  nel  dire  d'aver  egli 
veduto,  in  Preneste  esistente,  inciso  un  orologio  so- 
lare in  quella  basilica  ,  intendesse  che  due  fossero 
ivi  anzi  che  una  basilica?  Turnebo,  commentando 
quel  preciso  passo  di  Varrone  ,  spiega  che  avendo 
quegli  detto:  In  basilica  aemilia  et  fulvia:  ciò  fu 
perchè  M.  Emilio  Lepido  e  M.  Fulvio  furono  uni- 
tamente censori  quando  fu  fabricata  ,  non  mai  per- 
chè due  fossero  le  basiliche,  l'una  emiiia  cioè,  e  l'al- 
tra fulvia:  perchè,  com'era  costume  ,  ambi  i  censori 
dando  all'unica  basilica  il  loro  rispettivo  nome:  E am 
Varrò  aemiliam  et  fulviam  appellai  (i).  Turnebo 
adunque  escludendo  che  Varrone  intendesse  di  due 
basiliche  ,  ed  ammettendo  che  indicasse  aver  veduta 
una  basilica  in  Preneste,  anziché  furia  scomparire  da 
Preneste,  mi  sembra  confermarne  ivi  la  esistenza.  Con- 
fesso che  non  mi  è  dato  quindi  intendere  come  mi 
si  dica  in  contrario,  che:  Turnebo  faccia  una  cosa 
sola  della  basilica  emiiia  e  fulvia  prenestina  ri- 
cordata da  Varrone  ,  e  la  basilica  che  ricorda 
Tito  Livio  in  Roma.  Né  so  intendere  che:  Se  la  sen- 
tenza di  Turnebo  pongasi  vera,  la  basilica  pre- 
nestina scomparirebbe.  Di  quel  Turnebo  che  asso- 
lutamente, e ongrua  congruis  ref erendo ,non  può  aver 
parlato  dell'altra  esistente  in  Roma,  commentando  chi 
parlò  della  esistente  in  Preneste! 

Che  se,  per  sostenere  ad  ogni  conto  questo  scom- 
parimento  della  basilica  prenestina,  vuoisi  che:   Tur- 


(i)  Turneb.  pag.   i3i. 


Musaico  Prenestino  229 

nebo  supponeva  che  V orologio  solare  visto  da  Gar- 
rone in  Frenesìe  esistesse  da  prima  in  Preneste 
stessa ,  e  che  di  là  venisse  da  Cornelio  Siila  tra- 
sportato in  Roma,  e  collocato  al  coperto  nella  ba- 
silica emilia  e  fulvia  :  se  si  aggiunge  dal  mio  con- 
traddittore :  E  questa  pare  anche  a  me  la  pia  ve- 
risimile interpretazione  di  quel  passo  difficile  di 
Garrone  :  a  me  sembra  ciò  inverisimile  affatto.  La 
gnomonica,  quell'arte  di  fabbricare  orologi  solari,  che 
proviene  dalla  parola  gnomone,  il  quale  negli  orolo- 
gi a  sole  si  appella  l'ago,  o  lo  stile,  quasi  dicasi  distin- 
guitore  delle  ore:  la  gnomonica,  dissi,  assai  chiaramen- 
te si  fa  conoscere  un'arte  di  fabbricare  orologi  nelle 
pareti  di  muro  esposte  al  sole,  e  non  al  coperto,  si- 
tuando prima  il  suddetto  gnomone  fisso  al  muro  che 
vi  segna  la  misura  delle  ore  indicabili  dall'ombra  del 
gnomone  stesso.  Ed  è  perciò  che  Varrone  così  appun- 
to descrisse  l'orologio  solare,  dicendo:  Ut  Praeneste 
incisum  in  solario  vidi,  quod  Cornelius  in  basilica 
aemilia  et  fulvia  inumbravit.  Come  mai  può  essere 
dunque  la  piti  verisimile  interpretazione  di  quel 
passo,  che  questo  orologio  solare,  a  guisa  di  un  ori- 
uolo  da  saccoccia  o  da  tavolino,  fosse  da  Preneste,  tra- 
sportato in  Roma  per  opera  di  Siila  e  collocato  al 
coperto  nella  romana  basilica  emilia  e  fulvia  ?  Se 
Varrone  dice  che  lo  vide  fatto  da  Siila,  in  Preneste: 
Praeneste  incisum  in  solario  vidi  quod  Cornelius 
inumbravit  ;  come  può  idearsi  che  Siila  da  nemico 
divenuto  protettore,  dopo  fattolo  in  Preneste,  lo  tra- 
sportasse in  Roma  ?  Come  idearsi  che  Siila,  il  quale 
tanto  fece  in  beneficio  de'monumenti  prenestini,  vo- 
lesse privarla  di  questo  orologio  per  portarlo  in  Ro- 
ma: e  ciò  facendo  tanto  difficilmente,  quanto  sarebbe 


23o  Letteratura 

stato  da  Preneste  trasportare  in  Roma  un  orologio 
solare,  anzi  che  qui  farne  piuttosto  un  altro  ?  Tanto 
difficilmente,  quanto  che  la  combinazione  del  sole  nel 
locale  prenestino  si  combinasse  essere  la  stessa  in  Ro- 
ma ?  Tanto  incomprensibilmente,  quanto  dovess' essere 
al  coperto  ? 

Dopo  tanti  sin  qui  valenti  storici  delle  prene- 
stine  cose,  i  quali  hanno  tutti  raccolto  da  Varrone, 
testimone  di  vista,  che  in  Preneste  esisteva  una  basi- 
lica con  un  orologio  solare  fabbricatovi,  mi  permetta 
il  chiarissimo  contraddittore  che  anch'io  mi  rimanga 
tranquillo  in  questa  opinione:  io  che  s'ebbi  in  vista 
di  dimostrare  la  reperizione  fatta  del  musaico  prene- 
stino nel  delubro  del  tempio,  anziché  in  una  basili- 
ca, dovrei  essere  più  contento  d'escluderne  la  esisten- 
za nel  recinto  del  tempio,  anziché  escluderla  affatto  da 
Preneste  intiera  ;  ma  che  non  mi  sento  affatto  per- 
suaso dalle  ragioni  in  contrario  addotte  :  ripetendo  , 
che  il  commento  di  Turnebo,  pedissequo  al  passo  di 
Varrone  che  attesta  aver  veduto  in  Preneste  un  oro- 
logio fabbricato  in  una  basilica,  anziché  farla  da  Pre- 
neste scomparire,  vieppiù  ne  conferma  la  esistenza  in 
quella  città. 

avv.  Luigi  Cecconi. 


— »-£g^>©egs«"- 


23l 


Biografia  di  Francesco  Maria  Franceschinis. 


A    MONS.    C.    E.    MuZZARELLI  -  RoMA. 

Monsig.  venera tissimo, 


s, 


'olamente  l'altro  giorno  ricevetti  in  Venezia,  dove 
era  trattenuto  come  membro  di  una  commissione  dell* 
I.  R.  istituto  per  aggiudicare  i  premi  alle  opere  pre- 
sentate al  concorso  risguardanti  arti  e  mestieri  ,  la 
graziosa  sua  lettera  :  e  mi  affretto  a  ringraziarla  della 
per  me  onorificentissima  disposizione  di  V.  E.  a  mio 
riguardo. 

Io  darò  all'  imparziale  persona  tutta  la  storia 
della  mia  carriera  letteraria,  e  delle  mie  qualunque 
siansi  qualificazioni  :  lasciando  eh'  essa  lor  dia  quel 
valore  che  crede  ,  e  che  a  me  non  converrebbe  di 
dare.  Le  manderò  anche  il  nome  del  redattore  delle 
memorie  che  mi  risguardano,  onde  sappia  se  si  potrà 
dar  fede  alla  valutazione  ch'esso  ne  avrà  fatto.  Io  par- 
to oggi  per  Milano  ,  dove  mi  fermerò  sin  verso  il 
24  del  corrente;  poi  prenderò  la  via  di  Parma,  Mo- 
dena e  Ferrara,  patria  fortunata  del  conte  Alfonso  suo 
zio,  e  di  lei  che  ne  segue  sì  degnamente  le  orme  ; 
dovendo  in  essa  passare  alcuni  giorni  presso  sua  emi- 
nenza il  cardinale  Arezzo,  che  da  tanti  anni  mi  onora 


a32  Letteratura 

non  solo  della  sua  grazia  e  del  suo  patrocinio  ,  ma 

della  sua  amicizia. 

Intanto  la  prevengo,  che  le  manderò  1'  articolo 
subito  dopo  il  mio  ritorno  in  Padova,  che  sarà  ver- 
so il  6  del  venturo.  Se  mai  ne  abbisognasse  prima, 
potrà  entro  l'indicato  termine  scrivermi  a  Milano.  Al- 
tro non  mi  resta  che  ringraziarla  di  nuovo  del  suo 
gentile  divisamento  sul  mio  conto,  ed  offerirmi  pie- 
namente e  desiosamente  a'  comandi  suoi,  protestan- 
domele di  essere  con  la  più  alta  stima  e  considera- 
zione quale  ho  l'onore  di  segnarmi. 

Francesco  Maria  Franceschinis. 


Al  medesimo.  -  Roma. 


Ritornato  da'  miei  piccoli  viaggi  mi  affretto  a  rag- 
guagliarla de' cenni  risguardanti  l'esser  mio,  e  lamia 
qualunque  siasi  letteraria  carriera;  obbedendo  al  per  me 
onorificenlissimo  desiderio  di  lei,  monsignore,  di  vo- 
lerli inserire  nelle  sue  memorie  dei  letterati  viventi. 
Eccoli  dunque:  ben  inteso  che  sia  pienamente  in  ar- 
bitrio di  lei  di  mettere  o  non  mettere  i  fatti  che  io 
fedelmente  le  trasmetto  per  intero;  o  come  crede,  e 
nel  punto  di  vista  o  nel  modo  che  a  lei  parrà  più 
conveniente. 

Francesco  Maria  Franceschinis,  il  quale  nel  bat- 
tesimo ebbe  il  nome  di  Giacomo,  che  poi  mutò  in 
quello  di  Francesco  Maria  nella  professione  religiosa 
che  fece  tra  i  cherici  regolari  della  congregazione  di 
s.  Paolo,  detti  volgarmente  bernabiti,  nacque  in  Udi- 
ne, dal  conte  Marzio  Franceschinis  e  dalla  contes- 


Biografia  del  Franceschinis  233 

sa  Lavinia  nata  Caratti  di  lui  consorte,  l'anno  1757, 
di  antica  patrizia  famiglia  oriunda  di  Firenze,  da  do- 
ve al  tempo  delle  fazioni  ivi  dominanti  venne  con 
altre  undici  famiglie  a  stabilirsi  in  Udine,  chiaman- 
dosi in  allora  Belhwilla,  cognome  che  ne'pubblici  re- 
gistri e  negli  atti  notarili  sempre  si  aggiungeva  a 
quello  di  Franceschinis.  Educato  il  nostro  Franceschi- 
nis nella  casa  paterna  sino  alla  morte  della  madre, 
cui  perdette  nell'età  di  tredici  anni,  fu  con  un  fra- 
tello maggiore  posto  nel  collegio  de'nobili  in  Udine 
diretto  dai  padri  bernabiti:  nel  quale  subito  si  distin- 
se, occupando  nelle  scuole  il  primo  posto  di  onore. 
D'anni  14  sostenne  pubblico  esperimento  di  un  lungo 
corso  compito  di  geometria.  Compiuto  il  i5  anno, 
si  dichiarò  di  voler  entrare  nella  congregazione  dei 
bernabiti:  e  dopo  non  molto  passò  a  Monza,  dove  fe- 
ce la  solenne  professione  religiosa  in  quell'istituto;  e 
quindi  in  Milano  continuò  gli  studi  filosofici  e  ma- 
tematici; dei  quali  diede  pubblici  replicati  saggi;  col- 
tivando allo  stesso  tempo  le  belle  lettere  e  singoiar» 
mente  la  poesia,  a  cui  era  grandemente  inclinato  e 
disposto. 

Passato  allo  studio  teologico  in  Roma,  si  acqui- 
stò fin  d'allora  la  singolare  benevolenza  del  non  mai 
abbastanza  lodato  cardinale  Gerdil:  si  fece  molto  am- 
mirare nelle  private  e  nelle  pubbliche  adunanze  degli 
arcadi;  continuò  sotto  il  p.  Jacquier  i  suoi  corsi  ana- 
litici; sostenne  pubbliche  tesi  di  teologia  ;  e  fu  de- 
stinato ad  insegnare  filosofia  in  Bologna.  Nel  primo 
anno  stampò  una  dissertazione  di  filosofia  morale  in 
occasione  che  diede  di  tale  scienza  pubblico  applau- 
ditissimo  saggio  il  conte  Marco  Antonio  Fé  di  Bre- 
scia ,  alunno  del  collegio  de'nobili  di  s.  Saverio  ,  e 


234  Letteratura 

scolare  di  esso  professore,  verso  cui  il  Fé,  specchio 
ch'ogni  domestica  e  pubhlica  virtù,  conservò  sempre 
e  conserva  la  più  alta  stima  e  la  più  viva  amicizia. 
Passato  quindi  ad  insegnare  le  matematiche ,  ebbe  a 
scolare  il  fu  chiarissimo  marchese  Filippo  Ghisilieri, 
che  di  i5  anni  sostenne  pubblico  esperimento  di  un 
intero  corso  di  analisi  finita  ed  infinitesimale  con  am- 
mirazione universale  ;  onde  fu  poi  il  Franceschinis 
nominato  professore  onorario  dell'università  nella  fa- 
coltà matematica.  Stampò  quindi  una  profonda  me- 
moria sulla  tensione  delle  funi  diretta  al  celeberri- 
mo conte  Giordano  Riccati,  nella  quale  si  propose  di 
mostrare  l'erroneità  d'una  nuova  teoria  su  tal  argo- 
mento proposta  dall'  illustre  Frisi  ;  ed  ebbe  la  com- 
piacenza di  avere  in  risposta  dal  Riccati  due  bellissi- 
me lettere,  nelle  quali  conferma  con  nuove  dimostra- 
zioni i  ragionamenti  e  i  calcoli  di  esso.  Altra  forse 
più  interessante  pubblica  prova  de'suoi  progressi  nelle 
matematiche  diede  di  lui  il  giovane  conte  Francesco 
Amalteo,  che  seguitando  poi  a  coltivare  le  scienze  e 
le  lettere  divenne  ed  è  uno  de'più  colti  e  dotti  ca- 
valieri delle  venete  provincie. 

Mentre  alle  scienze  il  professore  attendeva,  col- 
tivava ad  un  tempo  le  lettere:  e  si  distinse  con  va- 
rie orazioni  panegiriche,  e  con  moltissimi  sonetti  e 
canzoni  che  gli  meritarono  grande  estimazione.  Inva^ 
ghitosi  poi  delle  scienze  politiche,  le  insegnò  a  vari 
giovani;  ed  uno  di  essi,  il  fìignami,  espose  pubblica- 
mente molte  tesi  di  quelle  scienze  sotto  gli  auspicii 
dell'  eminentissimo  cardinale  Buoncompagni  allora  se- 
gretario di  stato;  il  quale  nella  sua  legazione  di  Bo- 
logna aveva  preso  il  Franceschinis  in  molta  affezio- 
ne.   All'  occasione    delle    summentovate   conclusioni 


Biografia  del  Frànceschinis  a35 

stampò  in  latino  un  opera  intitolata  Elementa  poli- 
tica che  dal  cardinal  Gerdil  fu  mólto  lodala.  Ritor- 
nato quindi  coll'animo  alle  matematiche  ,  stampò  tre 
opuscoli  dedicati  al  medesimo  cardinale  segretario  di 
stato:  l'uno  sopra  la  celebre  questione  dei  logaritmi 
de'numeri  negativi:  l1  altro  sopra  la  spinta  degli  ar- 
chi e  delle  volle  :  il  terzo  sulla  teoria  delle  paralel- 
le.  Desiderando  poi  i  celebratissimi  cardinali  Buon- 
compagni  segretario  di  stato,  e  Gerdil  della  congre- 
gazione di  s.  Paolo,  di  averlo  in  Roma,  gli  ottennero 
dalla  santità  di  Pio  VI  un  posto  nell'inclita  congre- 
gazione de'  sacri  riti ,  nella  quale  entrò  ,  tuttoché 
giovane  di  3i  anni,  alla  fine  del  1788:  ed  in  essa 
non  tardò  a  distinguersi.  L'anno  susseguente  fu  allo 
stesso  tempo  professore  di  teologia  ai  chierici  del  suo 
istituto:  ma  alla  fine  dell'anno  cessò  per  essere  stato 
nominato  professore  di  metafisica  neli'  archiginnasio 
della  sapienza;  nel  quale  sospese  dopo  sei  mesi  l'in- 
segnamento per  essere  stato  dal  senato  veneto  doman- 
dato al  santo  padre  perchè  si  portasse  a  Venezia  ad 
esaminare,  in  compagnia  di  due  altri  matematici,  un 
progetto  dì  regolazione  del  fiume  Brenta.  Il  che  gli 
venne,  con  onorificentissimo  biglietto  della  segreteria 
di  stato,  accordato.  Tornato  quindi  a  Roma  ,  e  ripi- 
gliate le  sue  funzioni,  siccome  cominciate  erano  le 
novità  politiche  in  Francia,  che  male  auguravano  di 
quel  regno,  intraprese  un'  opera  di  lunga  lena  inti- 
tolata la  Legislazione  dedotta  dai  principii  delV 
ordine,  di  cui  uscì  il  primo  volume  dedicato  a  Pio 
VI  :  del  quale  tutti  i  giornali  parlarono  con  gran 
lode,  e  singolarmente  quello  di  Pisa  più  accredita- 
to di  ogni  altro  e  diretto  da  monsignor  Fabroni. 
Avendo  poi  dopo  il  regicidio  di  Luigi  XVI  pubblicato 


236  Letteratura 

anonime  quattro  lunghe  canzoni  precedute  da  un  di- 
scorso preliminare,  che  furono  in  più  luoghi  ristam- 
pate (per  le  quali,  non  meno  che  per  l'opera  della 
legislazione,  era  sinistramente  riguardato  dal  numero 
sempre  crescente  dei  fautori  della  rivoluzione  fran- 
cese), al  primo  avvicinarsi  dei  francesi  verso  Roma 
chiese  ed  ottenne  il  permesso  di  ritirarsi  a  Venezia. 
Nel  suo  soggiorno  in  Roma  visse  famigliarmente 
col  cardinale  Buoncompagni  di  straordinari  talenti  for- 
nito, e  col  cardinale  Flangini  grande  amico  di  som- 
mi letterati,  e  sommo  letterato  egli  stesso;  del  quale 
era  pure  teologo,  e  con  cui  lo  univa  maggiormente 
la  non  lontana  parentela  che  aveva  col  degnissimo 
di  lui  genero  conte  Giulio  Toppota  Pancieri  vene- 
to patrizio.  Fu  pure  molto  caro  al  rispettabilissimo 
cardinale  Archinto,  che  non  isdegnava  di  veuire  qual- 
che volta  a  passare  qualche  ora  con  lui  nel  suo  col- 
legio di  san  Carlo  a  Catinari.  Ma  fu  egli  singolar- 
mente famigliare  dell' eminentissimo  Gerdil,  che  abi- 
tava nella  stessa  casa,  e  con  cui  passava  qualche  tem- 
po quasi  ogni  sera  :  protestando  poi  sempre  ,  diceva 
egli  ,  che  di  quel  più  che  sapeva  era  debitore  all' 
avere  per  molti  anni  con  esso  quasi  giornalmente  con- 
versato ,  e  alle  opere  dal  medesimo  stampate.  Nella 
sua  dimora  in  Roma  recitò  pure  in  arcadia,  oltre  a  mol- 
ti discorsi  e  poesie  nelle  sedute  semipubbliche,  due  ora- 
zioni nelle  due  pubbliche  adunanze  per  la  festa  dei 
natale  e  per  la  passione,  accolte  con  distinti  applau- 
si: e  prima  di  partire  avendo  riformato  il  disegno  del- 
la sua  opera  della  legislazione,  ne  stampò  un  primo 
volume  delle  Lessi  costitutive  dedicato  al  cardinale 
Roverella.  Stando  in  Venezia  e  continuando  i  peri- 
coli della  guerra  ,  gli  s'  inviò  da  Roma   1'  impetrata 


Biografia  del  Franceschtnis  237 

grazia  di  starsene  presso  il  vescovo  di  Treviso:  e  ca- 
duta Roma  in  poter  de'fvancesi  ,  chiese  al  santo  pa- 
dre, tradotto  a  Firenze,  la  sua  secolarizzazione.  E  do- 
po che  caduto  il  governo  di  Venezia  passarono  con 
molte  venete  provincie,  e  tra  le  altre  Udine  sua  pa- 
tria, sotto  la  dominazione  austriaca,  portossi  a  Vien- 
na: dove  aspettando  l'organizzazione  dell'  università 
di  Padova,  nella  quale  sarebbe  stato  impiegato  come 
professore  di  calcolo  sublime  ,  si  occupò  del  lavoro 
di  un  poema  e  di  una  cantica  intitolata  V Italia  libe- 
rata, di  cui  non  istampò  che  quattro  canti  in  ter- 
za rima;  giacché  le  mutate  guerresche  vicende,  che  fu- 
rono sì  propizie  all'armi  austriache  nell'Italia,  non  gli 
consentirono  di  continuare.  Scrisse  poi  in  francese 
(dovendosi  stampare  in  Vienna)  un'  opera  intitolata 
Le  goiwcrnement,  che  non  vide  la  luce,  avendo  dovu- 
to lasciare  Vienna  per  la  perdita  fatta  nel  cinque  dalle 
armi  austriache  degli  stati  d'Italia,  dove  nel  i8o3  era 
stato  il  Franceschinis  destinato  in  qualità  di  segre- 
tario aulico  ad  accompagnare  in  una  perlustrazione 
idraulica  per  le  provincie  venete  il  chiarissimo  con- 
sigliere aulico  sig.  Wiebeking  ,  nome  europeo,  che 
ora  trovasi  in  eminente  situazione  presso  S.  M.  il  re 
di  Baviera. 

Divenuto  suddito  del  governo  italiano,  portossi 
a  Milano  ed  ottenne  subito  di  essere  nominato  profes- 
sore di  matematica  applicata  nell'università  di  Pado- 
va, e  di  esser  fatto  membro  e  segretario  di  una  gran- 
de commissione  idraulica  per  sistemare  i  fiumi  ed  i 
torrenti  delle  venete  provincie.  In  quella  università 
recitò  un'  orazione  sulle  matematiche  applicate:  indi, 
imitando  il  Zanotti  nell'incontro  della  sua  orazione 
sopra  le  belle  arti  recitata  in  Roma,  altre  due  ne  se- 


238  Letteratura 

risse,  nella  prima  delle  quali  si  finse  un  avversario 
che  confutasse  e  diminuisse  le  lodi  date  da  esso  a 
quella  scienza  nella  sua  orazione:  nella  seconda  difen- 
de le  ragioni  e  le  lodi  esposte  nella  orazione  preceden- 
te, contro  le  obbiezioni  ad  essa  fatte.  Furono  le  suddet- 
te tre  orazioni  insieme  stampate;  e  fruttarono  all'autore 
il  pubblico  concetto  non  solamente  di  profondo  pen- 
satore ,  ma  altresì  di  elegante  ed  eloquente  scritto- 
re. Fatto  membro  attivo  dell1  I.  R.  accademia  delle 
arti  e  delle  scienze,  recitò  in  essa  varie  dissertazio- 
ni :  stampò  pure  24  elegantissime  canzoni  in  me- 
tro anacreontico,  dedicate  a  gentilissima  dama,  di  un 
genere  ,  può  dirsi  ,  nuovo  ;  giacche  non  impiegando 
che  sei  stro fette  di  quattro  versi  l'una,  nelle  prime 
quattro  espone  un  oggetto  fisico,  dal  quale  nelle  due 
ultime  cava  una  massima  morale. 

Fatto  reggente  dell'università  l'anno  1809,  per 
misure  dalla  necessità  suggerite  ,  le  quali  per  altro 
in  niun  modo  opponevansi  a  quella  sommissione  che 
devesi  ad  un  governo  costituito,  fu  sospettato  dal  go- 
verno d'allora  di  affezione  soverchia  per  gli  austria- 
ci ,  in  quei  pochi  giorni  che  restarono  in  Padova  ; 
e  quindi  fu  destituito  dalla  cattedra.  Invitato  due 
anni  dopo  dal  conte  Alessandro  Annoni,  col  quale 
aveva  vissuto  alcuni  mesi  amichevolmente  in  Vien- 
na, a  dirigere  l'educazione  dell'unico  suo  figlio,  vi  an- 
dò: ma  non  vi  restò  che  poco  più  di  due  anni,  giac- 
che gli  austriaci  venuti  al  possesso  delle  provincie 
venete,  non  meno  che  delle  lombarde,  gli  restituirono 
la  sua  lettura  tuttoché  occupata  da  altro  soggetto:  alla 
quale  perciò  ritornò  nella  università  di  Padova.  Pres- 
so i  conti  Annoni  fu  con  somma  nobiltà  ed  ami- 
cizia trattato  ;  e  il  poco  tempo    che  si  occupò  dell' 


Biografia  del  Franceschinis  23g 

educazione  dell'ancor  tenero  loro  figlio  gli  bastò  per 
presagire  che  sarebbe  esso  riuscito  uno  de'  più  savi 
e  più  colti  e  più  amabili  e  benefici  signori  della  sua 
patria.  E  tale  è  certo  il  conte  Francesco  ;  il  quale 
malgrado  del  poco  che  il  Franceschinis  fece  per  lui, 
conservò  e  conserva  per  esso  vivissimi  sentimenti  di 
gratitudine   e  di  amicizia. 

Appena  giunto  in  Padova  fu  incaricato  di  varie 
commissioni  idrauliche,  fu  fatto  reggente  dell'univer- 
sità, e   alla  fine  dell'anno  fu  fatto  presidente  di  una 
commissione  organizzatrice  della  pubblica  istruzione, e 
destinato  in  seguito  a  visitare  tutti  gli  stabilimenti  di 
pubblica  istruzione  sì  civili  e  sì  ecclesiastici,  sì  maschi- 
li e   sì  femminili.  Fu  poi  confermato  con  caso  nuovo 
reggente.   Ebbe  allo  stesso  tempo    ad  esaminare  vari 
piani  di  regolamento   relativi  al  porto  di  Malamocco, 
e  stampò  la  vita  di  Carlo  V,    che    è    la  prima   del- 
la raccolta  degli  uomini  illustri  del  Bettoni.  Fu  no- 
minato segretario  perpetuo  per  le  scienze  dell'  I.  R. 
accademia  di  Padova;  e  fu  insignito  dell'I.  R.  ordi- 
ne austriaco  della  corona  di  ferro,  come  cavaliere  di 
terza  classe.   Cominciò  poi  la  reggenza  dell'università 
anche  per  il  terzo  anno,  sino  che  venne  la  nuova  si- 
stemazione: nella  quale  università  si  adoperò  con  lui 
l'aureo  conte  Goes  governatore,  perchè  fosse  ristabi- 
lita la  facoltà  teologica  :  e  dietro  V  istanza  del  sud- 
detto religiosissimo  conte  governatore,  propose  i  sog- 
getti per  le  rispettive    cattedre,  i  quali  furono    tutti 
da  S.  M.  nominati,  e  i  quali  ben  corrisposero  ai  vo- 
ti del  piissimo  sovrano  ed  alla  pubblica  aspettazione. 
Ebbe  in  seguito  varie  altre    non    facili   commissioni 
idrauliche,  unitamente  al  celebre  ingegnere  Romani: 
ed  ebbero  la  compiacenza  che  i  loro    pareri   fossero 


2^0  Letteratura 

dalle  superiori  autorità  approvati.  Fu  successivamente 
aggregato  a  varie  accademie.  Era  già  stato  sino  dal 
1 796  eletto  membro  dei  quaranta  della  società  italiana 
residente  allora  in  Modena:  ma  cessò  di  appartenere 
alla  medesima,  perchè  nei  cinque  anni  che  si  trat- 
tenne a  Vienna  fu  da  autorevoli  persone  consiglia- 
to a  cessare  ogni  corrispondenza  con  la  Cisalpina. 
Fu  fatto  socio  onorario  dell'accademia  delle  belle  ar- 
ti di  Venezia,  dopo  che  lesse  in  essa  l'elogio  di  Gio- 
vanni di  Udine,  il  quale  stampato  piacque  grande- 
mente. Lesse  e  stampò  varie  dissertazioni  nell'I.  R. 
accademia  delie  scienze,  lettere  ed  arti  di  Padova, 
non  che  nell'ateneo  di  Venezia.  Stampò  un  poema 
in  versi  sciolti  di  diciotto  libri  intitolato  :  La  mor- 
te di  Socrate:  nel  quale  spiegò  tutti  que'precetti  di 
morale,  ai  quali  può  condurci  la  sana  ragione  sen- 
za la  rivelazione;  e  seppe  dare  al  medesimo  un  aspet- 
to e  un  interesse  drammatico,  e  vi  aggiunse  una  dis- 
sertazione sulla  immortalità  dell'  anima  ,  mostrando 
singolarmente,  come  ne  la  morale,  ne  la  politica  po- 
trebbono  reggersi,  ove  quel  dogma  non  fosse  ricevu- 
to e  stabilito  :  la  quale  non  meno  del  poema  fu 
grandemente  commendata. 

Ripigliò  quindi  l'opera  della  legislazione,  e  ne 
stampò  tre  grossi  volumi  in  ottavo  col  titolo  d'in- 
troduzione: ne'quali  si  propose  di  fornire,  ad  uno  che 
dovesse  assumere  l'augusto  carattere  di  dar  leggi  con- 
venienti  ad   una   nazione,    tutti  i    lumi  necessari. 

L'opera  poi  verrà  divisa  in  molte  parti  sepa- 
rate, le  quali  se  la  sua  avanzata  età,  e  le  moltiplici 
sue  occupazioni  e  studi  disparati,  non  gli  conseati- 
ranno  di  terminare ,  ciò  sarà  senza  discapito  delle 
parti  che  saranno  uscite:  giacché  ciascuna  starla  da  se. 


Biografia  del  Franceschinis  241 

Produsse  contemporaneamente  un  poema  in  ot- 
tava rima  di  24  canti,  dedicato  al  S.  E.  monsignor 
Ladislao  Pirker  dilettissimo  in  allora  patriarca  di  Ve- 
nezia, ed  ora  arcivescovo  di  Erlaw  in  Ungheria,  me- 
ritamente stimato  uno  de'più  grandi  poeti  della  Ger- 
mania. 

Porta  detto  poema  per  titolo  1'  Atenaide.  Esso 
è  drammatico-didascalico;  e  come  la  giovane  Atenai- 
de gran  filosofessa  si  fece  di  pagana  cattolica,  e  di- 
venne imperatrice  moglie  di  Teodosio  il  giovane  ; 
così  si  propose  l'autore  in  esso  di  mostrare  l'unio- 
ne della  sua  filosofia  con  la  vera  religione.  Quindi 
può  dirsi  che  comprenda  tutti  i  motivi  di  credibi- 
lità della  religion  nostra  messi  in  azione  nelle  va- 
rie vicende,  per  cui  fece  passare  la  sua  eroina.  Se 
fu  molto  ammirato  in  allora,  il  sarà  assai  più  nel- 
la ristampa,  che  si  sta  preparando  ricca  di  molti  can- 
giamenti  ed  emendazioni. 

Né  mancarono  altri  minori  lavori  poetici.  Vi 
ha  una  serie  di  vaghe  anacreontiche  in  occasione  d'il- 
lustri nozze  padovane  ;  e  vi  sono  cinque  odi  all' 
occasione  del  monumento  di  Canova  dirette  al  con- 
te Cicognara,  che  n'ebbe  tutto  il  merito:  ed  una 
pure  assai  lodata  per  l'ultima  venuta  di  S.  M.  Fran- 
cesco   I   in  Italia. 

Si  distinse  poi  in  modo  singolare  in  una  pro- 
lusione recitata  lo  scorso  anno  nell'aprimento  degli 
studi  all'università;  e  in  altra  recitata  lo  scorso  ot- 
tobre a  Venezia  sul  commercio,  il  giorno  in  cui  fa- 
cevasi  la  solenne  distribuzione  dei  premi  agli  oggetti 
di  arti  e  mestieri. 

Non  credendo  poi  aver  abbastanza  della  religio- 
ne favellato  nel  poema,  scrisse  un'  opera  in  due  vo- 
G.A.T.LXXXVII.  16 


2^.2  Letteratura 

lumi  sopra  la  religione  medesima;  nella  quale  opera  si 
propone  di  dare  della  medesima  quasi  una  dimostra- 
zione, come  dicono  le  scuole,  a  priori,  mostrando  eh' 
ella  è  quale  dovea  essere,  sì  riguardo  a  colui  die  l'ha 
data,  e  sì  riguardo  a  coloro  che  l'hanno  ricevuta. 

Se  occorresse  dire  alcuna  cosa  del  carattere  mo- 
rale dello  stesso  autore,  converrebbe  dire  che  da  quanti 
paesi  il  conobbero  fu  sempre  riputato  di  gentilezza 
e  di  bontà  singolare  ,  e  portato  in  particolar  modo 
alla  beneficenza.  Quindi  fu  sempre  grandemente  ama- 
to; e  si  acquistò  in  ogni  paese  le  più  distinte  rela- 
zioni di  servitù  e  di  amicizia.  Tra  le  quali  illustri 
relazioni  non  nominerò  che  quelle  che  ha  con  gl'in- 
signi porporati,  il  cardinale  Albani  e  il  cardinale  A- 
rezzo,  i  quali  l'onorano  di  singolare  benevolenza. 

Eccole,  monsignore,  la  mia  vita  :  le  qualificazioni 
che  io  do  alle  cose  mie  sono  sinceramente  quelle  che 
sentii  dare  dal  pubblico.  Ella,  il  ripeto,  faccia  di  que- 
sto scritto   tutto  quello  che  crede. 

Se  avrò  occasione  di  poterle  mandare  alcune  mie 
opere  a  Roma,  non  mancherò  sicuramente  di  farlo,  gra- 
to alla  generosità  con  cui  volle  riguardare  la  mia  po- 
vera persona.  Intanto  augurandole  nelle  non  lontane 
santissime  feste  di  Natale  ogni  prosperità,  passo  a  se- 
gnarmi coi  sentimenti  della  più  alta  stima  e  consi- 
derazione, 

Di  lei,  monsignore, 

Padova  8  ottobre   1829. 

Dvmo  obbrfto  serv. 
G,  M.  Frawceschinis. 


Biografia  del  Franceschinis  243 

N.  B.  Questo  illustre  italiano    cessò  di  vivere  in 
Padova  nel  dicembre  dello  scorso  anno   1840. 

OPERE    DEL    FRANCESCHINIS. 

Della  tensione  delle  funi.  Dissertazione  diretta 
al  conte  Giordano  Riccati,  con  due  lettere  del  mede- 
simo all'autore.  Bassano  1764.  Se  ne  legge  un  arti- 
colo nelle  effemeridi  letterarie  di  Roma,  anno  170^, 
num.    i5. 

Institutionum  politicarum  elementa.  Bononiae 
1787,  ex  tipografia  s.  Thom.  A.quin.  Detto  giornale 
anno   1788,  primo  art.  n.    17;  secondo  n.  18. 

Delle  altezze  barometriche.  Dissertazione  geome- 
trico-analitica  presentata  al  sig.  cav.  Lorgna.  Vero- 
na 1790,  in  4-  Intorno  a  questa  dissertazione  si  leg- 
ge un  breve  articolo  nelle  effemeridi  stesse,  num.  4» 

«791- 

In  morte  di  Luigi  XVI  re  di  Francia.  Canzo- 
ni IV,  in  4-°  di  pag.  70 ;  senza  nota  di  luogo  ed  an^ 
no.  Il  luogo  però  fu  Roma  e  forse  nel  1794»  leggen- 
dosene un  articolo  nel  giornale  della  letteratura  ita- 
liana, tomo  4»  a  car-  211.  Mantova   1794- 

Nell'anno  poetico,  ossia  raccolta  annuale  di  poe- 
sie italiane  di  autori  viventi,  opera  periodica  die  si 
pubblicava  inVenezia  sulla  fine  dello  scorso  secolo  dal- 
la tipografia  pepoliana  in  8  ,  si  ritrovano  vari  com- 
ponimenti del  nostro  autore. 

La  legislazione  dedotta  dai  principii  dell'ordine, 
tomo  1.  De'rapporti  e  delle  leggi  generali  dell'uomo, 
dello  stato  di  società  naturale,  e  dei  fondamenti  della 
società  civile,  dai  principii  dell'ordine  dedotti.  Roma 
nella  stamperia  Pagliarini   1792,  in  8. 


244  Letteratura 

Intorno  quest'opera,  che  serve  come  di  proemio 
alla  seguente,  si  trova  un  articolo  nelle  effemeridi  ci- 
tate di  sopra,  num.  5i,  anno  1792;  ed  un  altro  può 
leggersi  nel  giornale  della  letteratura  italiana,  tomo 
1.  Mantova    1793,  a   carte  280. 

Intorno  l'opera  delle  matematiche  applicate  (Pa- 
dova ,  Bettoni  1808),  si  legge  un  articolo  nel  mese 
letterario  di  Roma,  giornale  diretto  da  Felice  Ma- 
riottini,  num.   7,0    1   marzo    1809,  c*  265. 

La  legislazione  dai  principii  dell'ordine  dedotta, 
parte  prima:  Delle  leggi  costitutive.  Roma  nella  stam- 
peria Pagliarini  1795,  tomo  1 ,  in  12.  Nelle  citate 
effemeridi  si  leggono  due  articoli,  il  1  al  num.  1 1  , 
al   12  il  2,  anno    1796. 

Nel  catalogo  ragionato  dei  libri  d'arte  e  d'anti- 
chità posseduti  dal  conte  Cicognara  ,  tomo  secondo 
(Pisa  presso  Niccolò  Cappurro  1 821},  viene  ricordata 
una  lettera  sul  libro  intitolato:  Opere  di  scultura,  e 
di  plastica  di  Antonio  Canova  descritte  da  Isabella 
Albrizzi.  Padova  1810,  in  8.  -  Tolta  dal  giornale  let- 
terario di  Padova. 

La  morte  di  Socrate  ,  poema  ,  2  volumi  in  8. 
Venezia,  Picotti   1820. 

L'Atenaide,  poema,  2  volumi  in  8.  Padova  per 
la  Minerva   1822. 

Di  questi  due  poemi  si  parla  con  lode  nel  li- 
bro: Degli  scrittori  greci  e  delle  italiane  versioni  del- 
le loro  opere,  notizie  raccolte  dall'ab.  Fortunato  Fe- 
derici. Padova  pei  tipi  della  Minerva   1828. 

Discorso  recitato  per  la  distribuzione  de'  premi 
d'industria  il  giorno  4  ottobre  1829.  Venezia,  Anto- 
nelli  i83o. 

Sopra   questo   discorso  è  a  leggersi  un  articolo 


Biografia  del  Francbschinis  245 

dell'illustre  letterato  Giuseppe  Bianchetti  inserito  nel 
Poligrafo,  giornale  di  scienze,  lettere  ed  arti,  tomo 
VI,  a  car.  5i.  Verona   1 83 1. 

Della  religione  cattolica,  la  quale  dimostrasi  ta- 
le essere  quale  esser  doveva  sì  rispetto  a  colui  che 
la  diede,  e  sì  riguardo  a  quelli  a  cui  fu  data.  Pa- 
dova, coi  tipi  della  Minerva   in  8. 

Quest'opera  serve  d'illustrazione  al  poema  dell' Ate- 
naide,  e  ne  uscì  un  primo  volume.  Sospesa  la  conti- 
nuazione por  altri  letterari  lavori,  e  quindi  ripiglia- 
ta, venne  condotta  a  termine  nel  modo  sopraddetto. 
Intorno  la  medesima  si  leggono  3  articoli  nel  Poli- 
grafo sopra  citato,  il  1  nel  tomo  i3,  i833;  il  2  nel 
16,  anno  suddetto;  e  il  terzo  finalmente  nella  nuova 
serie  di  esso  giornale,  tomo    i,   i834« 


La  Georgica  e  V Eneide  di  Virgilio  volgarizzate 
in  ottava  rima  da  Lorenzo  Mancini  accademi- 
co residente  della  crusca ,  tomo  I  e  II.  Firen- 
ze per  Leonardo  Ciardetti   1837.  Articolo  I. 


Xm.vendo  parlato  più  volte  di  volgarizzamenti,  com'è 
a  vedere  qua  e  là  nelle  carte  di  questo  giornale,  e 
particolarmente  nel  voi.  a52  a  pag.  335  e  segg.;  e 
dal  latino  in  ispecial  modo  :  un  rimprovero  si  solle- 
va contro  di  noi,  ed  è  che  abbiamo  taciuto  delle  ver- 
sioni di  Virgilio  del  eh.  Mancini.  A  togliere  pertan- 
to anche  questa  querela,  eccoci  a  dire  colla  usata  in- 
genuità ciò  che  ci  sembra  di  tali  versioni.  E  prima 


246  Letteratura 

vogliamo  rendere  tributo  di  lode  all'indefesso  e  dili- 
gente traduttore,  che  a  giovare  le  nostre  lettere  di- 
sviate dietro  la  moda  di  oltremonte  e  di  oltremare  le 
richiama  di  continuo  allo  specchio  de'  classici  ,  veri 
maestri  di  ogni  bellezza.  Che  se  ci  avverrà  di  nota- 
re qui  o  qua  (  a  maniera  di  dubbio  onesto  )  qualche 
piccolo  neo  nella  luce  delle  sue  carte,  si  attribuisca 
non  a  manco  di  stima  per  lui  (  che  l'onoriamo  anzi 
grandemente  );  ma  all'amore  del  vero,  cui  non  pos- 
siamo mancare  per  l' istituto  nostro:  e  potendo,  noi 
vorremmo.  Qualunque  sia  però  l'opinione  nostra  sulle 
cose  della  elocuzione,  vogliamo  sia  ricevuta  come  un 
invito  al  traduttore  medesimo  per  dubitare  :  lascian- 
do a  lui  ed  ai  più  savi  del  bel  paese  il  sentenziare. 

Se  quella  mente  del  Caro,  mancato  alle  lettere 
del  i566,  avesse  potuto  dare  le  seconde  e  le  terze 
cure  alla  sua  versione  della  Eneide  nell'ozio  campe- 
stre della  deliziosa  Frascati,  noi  che  ad  una  voce  la 
lodiamo,  imperfetta  com'  è,  la  loderemmo  senza  fine 
come  cosa  al  tutto  compiuta  ;  ne  d'  altra  versione 
vorremmo  sapere,  massime  dopo  la  splendida  edizione 
tipografica  e  calcografica  dovuta  al  favore  della  eccel- 
lentissima duchessa  di  Devonshire  (  Roma,  tip.  De- 
Romanis   1819,  voi.  2  infoi.). 

Né  certo  ricorderemo  la  versione  del  p.  Ange- 
lucci  (Napoli  1649,  in  12),  che  altri  direbbe  più 
fedele  ,  e  1'  Algarotti  chiamò  più  servile  :  ne  quella 
magnifica  del  p.  Ambrogi  (  Roma  1763  ,  voi.  3  in 
fol.  ),  magnifica  quanto  alla  edizione,  non  quanto  a 
dare  lo  spirito  di  Virgilio  :  molto  meno  la  letterale 
del  Candido  (  Napoli  1768,  voi.  2  in  8.  ),  e  la  in- 
felice del  Dallebasse  (Venezia  179^,  voi.  2  in  8.): 
né  la  stessa  del  Bondi  (Parma   1790,  voi.  2  in  8.) 


Geougica  ed  Eneide  di  Virg.  volgamzz.  247 
piena  di  frasche  più  che  di  eleganza  :  ne  quella  del 
sommo  tragico  Vittorio  Alfieri  (  Pisa  1808,  in  4-  )» 
che  1'  anima  virgiliana  già  non  avea  :  ne  quelle  del 
languido  Soave,  o  del  Solari  (  che  altri  troppo  seve- 
ramente chiamò  crocifissore  di  Virgilio  ),  né  dello 
stesso  Arici,  ne  del  Leoni,  ne  di  altri  che  in  versi 
sciolti  resero  il  gran  poema  del  mantovano,  che  noi 
salutiamo  come  l'eletto  maestro  dell'Alighieri. 

E  persuasi,  che  le  migliori  traduzioni  di  esame- 
tri latini  vogliano  e  possano  essere  in  versi  sciolti  per 
noi  italiani  (  come  il  Caro  per  la  Eneide,  il  Marchet- 
ti per  Lucrezio,  il  Bentivoglio  per  Stazio  ,  il  Cassi 
per  Lucano  in  fatti  mostrarono,  in  modo  da  toglie- 
re ad  altri  la  speranza  di  superarli  ):  ta  ceremmo  del- 
le versioni  dell'Eneide  in  ottava  rima  (  che  troppi  vin- 
coli pone  a'  traduttori  )  ;  quantunque  assai  lode  co- 
gliessero  ed  il  Beverini  (  Lucca   1680,  in   12  j  imi- 
tatore di  que'due  sommi  Ariosto  e  Tasso,  ed  il  P.  Boz- 
zoli (Cremona   1782,  voi.   2  in  8  );  e  per  tacere  di 
altri  (  come  lo  stesso  Alessandro  Marchetti  e  1'  An- 
guillara,  che  ne  diedero  de' frammenti  ),  il  eh.  Man- 
cini :   al  quale  corre  già  lieto  l'animo  ed  il  pensiero. 
Ma  perchè  non  sarehbe  ne  degno  a  noi  ne  a  ta- 
le illustre  filologo,  né  comportevole  a'  cortesi  nostri 
lettori,  l'andare  con   occhio  di  Aristarco  per  tutti  i 
libri  della  nuova  traduzione  in  brusca  di  frivolezze: 
limitiamoci  ad  alcun  che  del  lib.  II  dell'Eneide,  in- 
cominciando dal  Conticuere  omnes.  Sono   tante    le 
bellezze  in  quel  libro,  che  basterebbero  a  far  cono- 
scere Virgilio  ,  se  il  resto  del  poema   ne   mancasse  : 
e  così  bastano,  se  vengano  quelle  bellezze  ben  recate 
nel  campo  della  lingua  nostra,  a  far  conoscere  un  tra- 
duttore, come  il  eh.  Mancini,  ornamento  degnissimo 


3^8  Letteratura 

della  nobile  accademia  della  crusca  ,  la  quale  tiene 
il  seggio  delle  italiche  muse,  proteggitrici  di  quel  dol- 
cissimo idioma,  che  suona  mai  sempre  dall'  Alpe  al 
Lilibeo.  Ma  fine  a'preamboli,  e  veniamo  a  noi. 

«   Inde  toro  pater  Aeneas  sic  orsus  ab  alto. 
«  Dal  sublime  parlando  e  ricco  letto. 

Udito  del  testo  è  reso  dal  sublime,  che  indica  luo- 
go eminente  degno  a  tal  dicitore:  il  ricco  è  di  più. 

k  Troianas  ut  opes  et  lamentabile  regnum 

a  Eruerint  danai 

« come  Varie  achea, 

«  Non  il  valor,  le  misere  ruine 

«  Della  mia  patria  consumasse  alfine. 

Eruere  viene  da  ruere  e  dalla  prepositiva  e  in- 
dicante altezza.  Eruerint  dà  idea  di  rovesciamento, 
di  ruina.  E  piaciuto  il  consumasse  al  eh.  volgariz- 
zatore :  e  sia  ;  ma  perchè  non  rendere  opes  et  la- 
mentabile regnum,  se  non  colle  misere  ruine  ?  Se 
non  traltavasi  che  di  misere  ruine,  non  era  bisogno 
dell'arte  troiana  a  consumarle:  e  pure  senza  quell'ar- 
te, dice  appresso  il  narratore  Enea  : 

«   Troiaque  nunc  stares,  Priamique  arx  alta  maneres. 

Ben  altro  adunque  rimanea  che  misere  ruine  ! 

Vinfandum  dolorem,  tanto  bello  e  vivo,  è  re- 
cato in  due  volte  quasi  :  memorie  dolorose  oltre 
ogni  detto:  e  perchè  ciò  era  assai  poco  e  come  un'om- 
bra rimpetto  al  sole,  il  volgare  dice  appresso  cose  in- 


Georgica  ed  Eneide  di  Virg.  volgarizz.  249 
fonde,  di  cui  parte  spetta  aWinfandum,  e  parte  al 
miserrima.  Meglio  era  risovvenirsi  come  imitò  l'Ali- 
ghieri, facendo  dire  all'uopo  suo  al  conte  Ugolino  : 
Tu  vuoi  ch'io  rinnovelli  =  Disperato  dolor  che  'l 
cuor  mi  preme.  Non  sapremmo  parola  italiana  atta 
ad  esprimere  Vinfandum,  non  bastando  le  voci  ine- 
sprimibile, inenarrabile  alla  poesia  :  forse  non  ab- 
biamo che  immenso  dolore  all'  uopo  di  Enea  ;  ma 
V immenso  non  è  in  tutto  Vinfandum.  Tant'è:  le  lin- 
gue hanno  parole  e  modi  non  traducibili  dall'una  al- 
l'altra favella  !  e  chi  de'latini  saprebbe  rendere  il  di- 
sperato dolore  di  Ugolino  ? 

«   .     .     .     .Et  iam  nox  numida  caelo 
«   Praecipitat 

Quanto  è  bello  quel  precipitare  della  notte!  Ma  non 
sappiamo  come  il  traduttore  ho  tolto  molta  evidenza, 
e  Virgilio  a  Virgilio,  dicendo  : 

«  E  già  s'affretta  d'occidente  ai  lidi, 
«  Raccogliendo  la  notte  il  nero  manto: 

precisamente  alla  frugoniana.  E  non  è  stato  più  fe- 
lice a  rendere  il  «  suadentque  cadentia  sidera  so- 
mnum  n  quando  cantò  : 

«  E  il  sonno  persuadono  discese 

«   Al  mar  le  stelle ,  che  la  sera  accese. 

Cadentia  significa  cadenti:  dunque  discendendo  vo- 
lea  dirsi,  e  non  discese  :  e  volea  lasciarsi  quell'inu- 
tile erudizione,  che  la  sera  accese.  Brevità  è  sem- 


a5o  Letteratu  r^a 

pre  raccomandata,  e  più  nel  rendere  Virgilio  :  a  cui 
nulla  si  può  aggiungere,  nulla  togliere  senza  danno 
o  pericolo,  chi  vuole  palma  d'onore  traducendone  le 
bellezze.  E  l'ordine  vuoisi  altresì  secondare,  che  ha 
le  parole  allo  specchio  delle  idee.  Diversamente  non 
bene  si  riesce  ,  come  avvenne  al  eh.  volgarizzatore 
in  questo  tratto  : 

«   Instar  montis  equum,  divina  Palladis  arte, 
«   Aedificant  :  sectaque  intexunt  abiete  costas. 
«   Votum  prò  redi  tu  simulant 

La  prima  idea  è  quella  del  cavallo  a  guisa  di  un 
monte  :  poi  1'  arte  divina  a  fabbricarlo  :  poi  la  par- 
ticolarità delle  costole  inteste  di  recisi  abeli:  poi  il  vo- 
to simulato  al  ripatriare.  Veggasi  ora  la  versione,  e 
giudichi  ognuno  che  abbia  fiore  di  senno  ,  se  chia- 
rezza, evidenza,  brevità  ed  altro  di  bello  poetico  non 
si  perda  nel  volgare  ! 

«   Di  travi  incise  nelVidee  foreste 

«   Edificare-,  da  Minerva  istrutti, 

«    Un  cavallo  che  detto  un  monte  avreste; 

«    Come  da  voti  a  dipartirsi  indutti, 

«   E  con  quello  a  placar  Vira  celeste 

«   Simulacro  votivo  anzi  che  a? flutti 

«   /  navigli  affidar  :  di  questa  trama 

«    Tal  vola  intorno  la  bugiarda  fama. 

V  ea  fama  basta  a  Virgilio  ,  ed  al  traduttore  è 
bisogno  di  questa  trama  la  bugiarda  fama. 

Il  votum  prò  reditu  simulant  chi  sa  intenderlo 
nel  volgare  ?  Il  resto  a'eortesi  e  savi  leggitori  ! 


Georgica  ed  Eneide  di  Virg.  volgarizz.       25  i 

«   Huc  se  provecti  deserto  in  litore  condunt, 
«   Nos  abiise  rati,  et  vento  petiisse  Mycenas  ! 

Ciò  basta  a  Virgilio:  ed  il  traduttore,  non  potendo 
rendere  le  idee  coll'ordine  del  testo,  va  dicendo  a  suo 
grado  : 

h     .     .     .     .     Il  greco  stuolo 

«   Solca  tacito  il  mar  per  questo  lido, 

«   E  che  torni  deluso  al  patrio  suolo 

«   Per  noi  si  crede,  come  suona  il  grido', 

«   Che  quel  profondo  sen  tutta  a  chi  guata 

«   Da   Troia  cela  la  pelasga  armata. 

Ben  può  perdonarsi  verbiloquenza  all' Anguilla- 
ra,  che  rende  la  prolissità  ovidiana,  non  a  chi  rende 
la  breviloquenza  virgiliana.  Quasi  pittura  è  poesia  , 
traduzione  è  copia;  ora  chi  patirebbe  un  quadro  di 
Raffaello  copiato  con  aggiunte  d'altro  pennello  e  d'al- 
tro ingegno,  che  non  fu  quello  dell'unico  urbinate  ? 
Dove  tutto  è  semplice  ed  uno,  come  in  Virgilio  pit- 
tore alla  sua  volta  della  natura,  non  cresca  un  iota 
chi  non  vuole  mancare  a  sé  e  all'Italia,  la  quale  aspet- 
ta versioni  da  stare  al  paraggio,  se  non  coll'originale 
inimitabile,  almeno  con  quella  del  Caro,  che  potrà 
vedersi  ne'tratti  notati  di  sopra  come  è  sempre  trion- 
fa tr  ice  !   Sempre  diciamo,   colle  debite  restrizioni  ! 

Il  panduntur  portae  del  verso  27,  che  in  due 
parole  dice  tanto,  cade  nel  volgare  : 

«  Le  disusate  porte  aprono  intere. 


a5a  Letteratura 

E  più  cadono  le  parole,  che  diremmo  inspirate, 
di  Laocoonte  al  v.  42  e  segg'>  rendute  così  ; 

«   O  turba  sciocca,  o  perfido  Timete  ! 

«  Da  lunge  grida  :  che  i  nemici  andranno 

«  Davver  lontani y  o  miseri,  credete  ? 

«  E  che  doni  d1  achei  son  senza  inganno  ! 

«  Così  v'è  noto   Ulisse  ?  O  proverete 

«  Siccome  da  murai  macchina  danno 

«  In  assalto  novel  dà  questa  mole, 

«  0  piene  ha  d'armi  le  profonde  gole  : 

Guardisi  al  latino  : 

« O  miseri,  quae  tanta  insania,  cives  ? 

«  Creditis  avectos  hostes  ?  aut  ulla  putatis 

«  Dona  carere  dolis  danaum  ?  Sic  notus  Ulysses? 

«  Aut  hoc  inclusi  ligno  occultantur  achivi  ; 

«  Aut  haec  in  nostros  fabricata  est  machina  muros, 

«  Inspectura  domos,  venturaque  desuper  urbi, 

«  Aut  aliquis  latet  error 

Basta  il  confronto  ad  ogni  occhio  sicuro  ,  senza  al- 
tra chiosa  ! 

Né  loderemo  queste  parole  di  Sinone  risponden- 
ti al  vers.  ioo  e  segg.  del  testo  ,  che  è  meglio  che 
un  sole  innanzi  al  parelio  : 

« parmi, 

«   Che  de'miei  mali  trattenervi  è  cosa 
«  Importuna  per  voi,  per  me  odiosa. 
«    Voce  si  tronchi  che  pietà  non  desta. 
«   Ove  lingua  pelasga  in  van  qui  gridio 


Georgica  ed  Eneide  di  Virg.  volgarizz.       a53 

«  E  chi  greco  a  troìan  si  manifesta 

«  Si  confessi  nocente,  o  re,  m'uccidi. 

«  Voto  è  d'Ulisse  questa  morte,  questa 

«  A  prezzo  immenso  compreran  gli  atridi, 

E  meno  possiamo  lodare  dove  si  fa  dire  a  Sinone  ri- 
guardo a'figli  di  lui  fuggitivo  : 

« forse  vermigli 

«   D'innocente  faran  sangue  i  penati, 
«   E  'l  fio  paterno  pagheranno  i  nati: 

analogamente  al  v.  i3g  e  seg.  del  testo.  Non  piace 
la  trasposizione,  né  il  far  vermigli  di  sangue  i  pe- 
nati, studiata  espressione  ,  che  ad  animo  commosso 
non  si  conviene  !  La  passione,  che  è  forte,  non  vuo- 
le arte,  ma  natura  ! 

Noi  non  vogliamo,  né  dobbiamo  fermarci  ad  ogni 
passo  ;  ma  non  possiamo  non  arrestarci  a  quel  luo- 
go di  tanta  splendidezza ,  dove  è  descritta  la  morte 
di  Laocoonte.  Quel  luogo  è  sublime,  e  lo  sarà  ad  ogni 
secolo ,  comunque  la  luce  della  vera  religione  ,  che 
atterrò  gl'idoli  ,  lo  abbia  spogliato  del  terror  sacro  , 
che  diffondeva  Al  tempo  degli  dei  falsi  e  bugiardi. 
E  perchè  ognuno  possa  gustare  i  versi  dell'esimio  tra- 
duttore, recheremo  le  ottave  per  intero  se  fia  possi- 
bile seguitamente  ;  pregando  i  cortesi  leggitori  a  por- 
si innanzi  il  testo  dal  vers.  2o3  al  233.  A  qusl  di- 
vino originale  è  da  riferirsi  la  traduzione  ,  che  sarà 
tanto  più  pregevole  quanto  sarà  più  vicina  e  degn' 
copia  di  quello.   Ma  ecco  le  ottave  ! 


254  Letteratura 

«   Quand'ecco  (  in  ripensarvi  inorridisce 
«   La  mente  )  di  ver  Tenedo  alla  proda 
«   Venir  due  grandi  e  mostruose  Lisce, 

a     a   Dall'irta  cresta,  dall'immensa  coda, 

«    Che  sferza  l'onde,  e  spire  alterna  e  strisce  ; 
«   Nell'aria  il  collo  e  il  petto  si  disnoda; 
«   Per  l'Ellesponto  il  resto  si  trascina, 
«   E  rade  la  pacifica  marina. 
«   Nunziale  da  lontan  de'flutti  d'Elle 

«   Il  suon,  la  spuma,  e  già  toccan  la  sabbia. 
«   Scintillan  gli  occhi,  e  triplici  a  vedelle 

b     «   Lambon  le  lingue  le  fischianti  labbia. 
«    Sbigottiti  diam  via,  fugge  l'imbelle 
«   E  il  prò  :  ma  d'ambe  la  guidata  rabbia 
«    Cerca  Laocoonte;  e  prima  ad  esso 
«    Stringe  i  due  figli  di  tenace  amplesso. 
«   E  dilania  e  divora  a  morso  a  morso 
«  Le  tenerelle  membra  ed  innocenti: 
«   Dipoi,  con  dardi  alla  difesa  accorso, 

e      «   Il  genitore  assalgono  i  serpenti. 
«   E  già  del  doppio  tortuoso  dorso 
«   L'avvinghiano  iterati  avvolgimenti. 
«    Squammoso  groppo  d'ogni  intorno  il  veste  ; 
«   Sopravvanzano  i  capi  e  l'irte  creste. 

Giova  al  viandante  alcun  riposo  :  ed  a  noi    gioverà 
soffermarci  per  alcuna  osservazione. 

All'evidenza  dell'azione  descritta  dal  poeta  fanno 
e  V angue s  gemini  dei  vers.  2o3  e  2o4>  e  1'  UH  del 
vers.  212  ,  ed  il  serpens  uterque  del  2i4«  H  tra- 
duttore fa  venire  due  bisce  :  poi  il  concreto  cam- 
biando in  astratto,  togliendo  al  senso  per  condiscen- 


Georgicà  ed  Eneide  di  Virg.  volgarizz.  255 
dere  all'ideale,  e  sminuendo  cosi  la  vivezza  dell'ipo- 
tiposi,  Villi  ed  il  serpens  uterque  rende,  con  clie  ? 
colla  guidata  rabbia  !  Questa  agisce  alla  fine  dell' 
ottava  (  che  abbiamo  seguata  col  b  )  e  sul  principio 
della  seguente  :  poi  meglio  tornano  in  campo  propria- 
mente i  serpenti. 

Ampie  xus  del  vers.  214,  da  amplector,  esprime 
benissimo  1'  idea  dell'  avvinghiare.  Noi  italiani  non 
abbiamo  chela  parola  amplesso ,  cioè  abbracciamen- 
to ,  e  vi  abbiamo  annessa  più  specialmente  idea  di 
benevolenza.  Tutt'altro  qui  che  benevolenza  nel  con- 
cetto dell'autore,  nella  viva  pittura  del  fatto  :  ne  l'ag- 
giunto tenace  giova  a  dare  cupa  tinta  all' amplesso, 
che  doveva  dirsi  funesto,  terribile,  o  meglio  ancora , 
a  significarne  l'orridezza,  che  al  cuore  paterno  e  de- 
gli spettatori  annunziava. 

I  serpenti  non  durano  nell'azione  espressamente 
nell'ottava  e;  poiché  vengono  ad  agire  gViterati  av- 
volgimenti, e  sino  lo  squammoso  groppo,  e  i  capi 
e  Virte  creste',  quando  nell'originale  i  serpenti  reg- 
gono sempre  essi:  e  lo  vedi  dal  vers.  217  e  segg., 
dove  il  corripiunt,  il  ligant,  Vamplexi,  il  terga  da- 
ti, il  superane,  mostrano  e  l'ordine  dell'  idea  domi- 
nante riguardo  alle  associate,  e  la  convenienza  di  os- 
servare 1'  ordine  stesso  nella  versione  ;  se  non  anzi 
la  necessità,  chi  voglia  dare  netto  Virgilio  ! 

Poesia  è  qui  più  che  altrove  viva  e  parlante  pit- 
tura: e  se  i  punti  principali  del  quadro  non  richia- 
mano a  sé  tutto  l'occhio  e  la  mente  dello  spettato- 
re, l'effetto  del  quadro  è  meno  assai,  e  più  la  fatica 
di  chi  guarda  :  e  dove  è  fatica  non  può  essere  il  pia- 
cere, quel  piacere  che  nasce  a  chi  pone  il  guardo  e 
l'animo  in  bella  dipintura  !  Ma  seguitiamo  col  tra- 
duttore : 


2.56       Letteratura 

«   Da'  vivi  nodi,  dalle  strette  orrende 
«    Con  tutta  possa  di  mani  e  di  braccia 
«    Sciogliersi  l'infelice  invan  contende, 

d     «   E  quanto  più  si  sforza,  più  s'allaccia. 

«   Bruite  ha  di  sangue  e  di  velen  le  bende, 
«   Dal  petto  gridi  spaventosi  caccia 
«    Come  toro  che  fugge  al  sacerdote, 
«   E  l'incerto  coltel  dal  capo   scuote. 
«   Ma  i  due  chelidri,  dal  fornito  scempio 
«   Rapidi  distaccandosi,  sen  vanno 
«   All'alta  rocca,  di  Minerva  al  tempio, 

e     «  E  de'  pie  della  dea  schermo  si  fanno: 
«   E  dentro  il  cavo  dello  scudo,  ov'empio 
«   Fora  ogni  oltraggio,  rannicchiati  stanno. 
«   Religioso  allor  novo  terrore 
«   Ogni  faccia  imbiancò,  strinse  ogni  core. 

La  lode  debita  al  traduttore  daranno  gli  spiriti 
cortesi,  che  intendono  la  difficoltà  del  tradurre  ,  e 
massime  in  ottava  rima  dietro  i  nostri  epici  Ariosto 
e  Tasso.  A  noi,  lo  ripetiamo,  sembra  che  il  rende- 
re gli  esametri  latini  in  versi  sciolti  sia  il  meglio. 
Allora  non  il  vincolo  della  rima  e  del  ritmo,  allora 
si  può  dare  cosa  per  cosa,  e  talvolta  parola  per  pa- 
rola, sempre  periodo  per  periodo,  e  tener  più  P  or- 
dine lucido  dell'  autore  :  ordine  che  se  togli  di  un 
iota,  manchi  a  chiarezza,  a  evidenza  ,  a  leggiadria  : 
pregi  perpetui  declassici  latini,  e  di  Virgilio  fra  gli 
epici  singolarmente.  Non  per  questo  dissentiremo  al 
Mancini,  aversi  per  buona  cosa  il  tener  vivo  il  me- 
tro italiano,  nato  fatto  per  l'epopeia  :  ottima  cosa  ci 
basta  sia  riguardata  conservare  ne'versi  sciolti  la  di- 


Georgica  ed  Eneide  di  Virg.  volgarizz.  25 7 
gnità,  la  bellezza  della  poesia  del  Lazio,  come  fece 
il  Caro  o  tentò  :  che  se  impedito  dalla  morte  non 
potè  limare  il  suo  benaugurato  lavoro  ,  profano  ter- 
remo ogni  labbro  che  a  tanto  scrittore  dia  biasimo 
e  mala  voce  col  veleno  del  Castelvetro:  veleno,  il  cui 
effluvio  offender  potrebbe  forse  chi  legge  di  volo  la 
dedica  del  eh.  Mancini  allo  stesso  Annibal  Caro  : 
del  quale  ripeteremo  mai  sempre  a  ragione  con  vo- 
ce presa  dall'Alighieri  : 

«   Onorate  l'altissimo  poeta. 

Ma  troppe  pagine  ,  e  più  che  non  volevamo  , 
dato  abbiamo  alVEneìde.  Torneremo  altra  volta  a  scri- 
vere della  versione  della  Georgica,  onorata  fatica  al- 
tresì dell1  egregio  traduttore  :  col  quale  ci  rallegria- 
mo, che  ami  tanto  le  nostre  lettere,  da  porle  saggia- 
mente allo  specchio  declassici,  per  onore  di  questa 
Italia  : 

«   Di  ogni  altra  cosa  insegnatrice  altrui  ! 

prof.  D.  Vaccolini. 


G.A.T.LXXXVII. 


a58 


Elogio  del  padre  Giuseppe  Pennazza  da  sant' 
Eustachio  ,  sacerdote  delle  scuole  pie  ;  letto 
nella  sala  del  comune  di  Pesaro  per  la  so- 
lenne  distribuzione  dei  premi  delV  anno  sco- 
lastico  184.0  da  Giuseppe  Ignazio  Montanari. 

lY_lentre  coll'animo  andava  cercando  subietto  de- 
gno da  porre  dinanzi  all'attenzion  vostra  in  questo 
giorno  di  premi  e  di  cittadina  allegrezza  ,  o  amica 
fortuna,  o  singoiar  beneficio  di  amicizia,  0  l' una  e 
l'altro  insieme  mi  offersero  persona  di  che  io  parlas- 
si, degna  di  voi  ,  non  meno  che  della  celebrità  di 
questo  giorno  e  di  questo  luogo.  E  certamente  a  gran- 
de ventura  io  mi  reputo  avere  oggi  a  mostrarvi  un 
compagno  di  quel  lume  di  santità  e  di  cristiana  fi- 
lantropia, ehe  fu  Giuseppe  Calasanzio,  in  Giuseppe 
Pennazza  da  saut'Eustachio:  e,  quel  che  più  è,  un  pe- 
sarese in  lui.  Vero  è  che  veggendo  io  che  persona 
del  mondo  non  ne  ha  fin  qui  fatta  parola  fra  voi  , 
ne  quello  stesso  dottissimo  e  diligentissimo  Olivieri 
vostro  ne  ha  pure  conosciuto  il  nome  ,  io  mi  sono 
in  sulle  prime  soffermato,  e  quasi  tolto  giù  dal  pri- 
mo pensiero  :  ma  venutami  a  mano  bastevole  copia 
di  fatti,  della  fede  de'quali  non  è  a  dubitare,  e  co- 
nosciute virtù  grandi  e  sapere  di  quest'uomo,  mi  è 
parso  non  sia  da  lasciar  sotterrato  col  comune  degli 
uomini  ,  ne  si  debba  cessare  alla  vostra  città  una 
bellissima  lode,  quale  è  quella  dell'  aver  dato  mano 
ad  una  delle  più  sante  ed  utili  istituzioni.  Ma  nello 


Elogio  del  Pennazza  25<j 

stesso  farmi  a  scrivere  di  lui  sono  stato  in  forse  se 
tornasse  meglio  serbar  modo  di  elogio,  adempiendo  al- 
le sole  parti  di  lodatore*  o  tener  via  di  semplice  bio- 
grafo narrando  senza  più  qual  fosse  il  corso  della  vi- 
ta di  quest'  uomo  di  Dio  ;  e  mi  stava  in  fra  due  a 
giudicare  se  il  porre  in  piena  luce  tanti  ineriti,  quan- 
ti egli  ebbe,  mettesse  Conto  :  o  il  lasciare  che  dalla 
Sola  esposizione  de'  fatti  nascesse  V  elogio.  Tuttavia 
considerando  che  il  primo  modo  potrebbe  dare  so- 
spetto d'artifiziosa  lode,  al  secondo  potrebbero  man- 
care molte  epoche  necessarie  a  biografo,  ho  riputato 
meglio  venir  narrando  ed  illustrando  insieme  i  fatti, 
perchè  al  difetto  di  alcune  memorie  supplisca  la  chia- 
rezza di  quelle  che  sono  rimaste, 

Dico  adunque  che  nel  primo  di  gennaio  del 
1620  ebbe  nella  città  di  Pesaro  vita  e  battesimo  Giu- 
seppe ,  e  gli  furono  genitori  messer  Giambattista  e 
madonna  Lionora  Pennazza,  famiglia  della  quale  per 
molte  indagini  che  io  mi  abbia  Usate  non  ho  potuto 
trovare  memoria  altra,  se  non  che  aveva  casa  nella 
parrocchia  di  sant'Arcangelo;  e  pare  che  ella  andas- 
se a  spegnersi  in  Giuseppe,  che  n'era  unica  prole  ma- 
schile, Ne  manco  saprei  dire  s'ella  fosse  de'primi  or- 
dini della  città  ;  soltanto  mi  è  agevole  inferire  che 
onesta  assai  fosse  ,  perchè  trovo  che  al  sacro  fonte 
dierono  fede  pel  fanciullo  due  di  nobili  famiglie  pe- 
saresi, messer  Maffeo  Banci  e  Livia  Gatani.  Laonde 
a  chi  faccia  ragione  del  costume  de'vecchi,  egli  è  cer- 
to per  lo  meno  che  la  famiglia  Pennazza  doveva  es- 
sere di  onestà  molta,  e  aver  luogo  fra  le  distinte  cit- 
tadine: perchè  ove  altrimenti  fosse  stato,  due  nobili 
non  n'avrebbero  voluto  il  parentado  spirituale.  An- 
che il  titolo  di  messere  dato  al  padre  mi  è  indizio  di 


a6o  Letteratura 

ciò.  Un'  altra  cagione  poi,  la  quale  mi  conduce  a  cre- 
dere che  la  famiglia  de'Pennazza  fosse  di  molta  one- 
stà, si  è  la  buona  riuscita  che  fe'Giuseppe:  il  quale 
ove  non  fosse  stato  nella  purità  della  fede  cristiana 
nutrito  e  ne'buoni  studi ,  non  sarebbe  salito  certa- 
mente a  quell'altezza  a  cui  lo  vedremo  levarsi  :  ne 
l'avrebbe  degnato  d'amicizia  quel  grande  santo  che 
fu  il  Calasanzio.  Dico  di  più,  ch'egli  doveva  essere 
dotato  d'anima  nobilissima:  perchè  senza  questo  non 
avrebbe  fermato  di  rendersi  non  solo  uomo  di  chie- 
sa, ma  de'compagni  di  san.  Giuseppe.  Vero  è  che  quel- 
la pianta  sublime  aveva  gettate  radici  per  tutta  l'Eu- 
ropa: e  la  Germania  ,  e  i  fioritissimi  regni  di  Polo- 
nia, di  Ungheria,  di  Boemia,  d'Aragona,  e  la  Cata- 
logna, e  l'Austria,  e  le  due  Castiglie,  per  tacere  del- 
l'Italia, s'allegravano  del  vederla  crescere  a  beneNdella 
civile  società  e  della  religione;  ma  pur  vero  è  anco- 
ra che  contro  questa  battagliavano  ferocemente  venti 
gagliardi,  e  le  minacciavano  procelle  fortunose  e  mi- 
na. Che  le  sante  opere  al  mondo,  per  qual  arte  mi- 
rabile di  provvidenza  non  so,  si  sono  dilatate  e  ras- 
sicurate per  opera  della  persecuzione  de'nemici  ;  ne 
alla  mala  razza  degli  scribi  e  de'farisei  bastò  avere  cro- 
cifisso l'Uomo  Dio,  ma  sì  rinovella  i  suoi  furori  con- 
tro ogni  giusto  che  venga  a  ristorare  il  mondo.  E  pe- 
rò se  il  Pennazza  ebbe  innanzi  da  se  (e  come  no?) 
le  calunnie  degli  avversari  artifiziose,  e  perchè  mos- 
so da  finto  zelo  autorevoli  in  apparenza  ,  dovè  es- 
servi guidato  da  lume  di  cielo,  o  da  sicuro  giudizio, 
o,  quel  che  mette  meglio  pensare,  dall'uno  e  dall'al- 
tro. Conciossiacchè  nel  i64*>  cioè  sul  fare  del  ven- 
tunesimo anno,  vestiva  in  Roma  l'abito  delle  scuole 
pie:    e  dopo  avere  date  non  dubbie  prove  di  vocazio- 


Elogio  del  Phnnazza  261 

ne  non  falsata,  nel  1642  agli  otto  di  settembre  si 
giurava  religioso  con  solenne  professione.  E  qui  dop- 
pia è  la  prova  che  io  ho  del  suo  sapere  e  del  suo 
buon  zelo:  perocché  fu  subitamente  posto  a  profes- 
sare rettorica  nelle  più  frequenti  case  dell'ordine,  e 
fu  sempre  in  corrispondenza  di  lettere  col  santo  fon- 
datore ,  a  modo  che  ne  parola  ,  ne  atto  facesse  ,  se 
prima  dal  suo  padre  non  aveva  consiglio  o  comando. 
Ma  in  quella  che  il  nostro  Pennazza  si  dava  a  tutt' 
uomo  ad  ammaestrare  la  gioventù,  cosa  che  in  que' 
tempi  era  più  che  mai  difficile  per  lo  mal  gusto  che 
aveva  depravato  le  scuole  e  le  menti  italiane  ,  e  si 
affaticava  a  fronteggiare  i  deliri  del  secolo  suo  con 
sani  precetti  e  con  esempli  sicuri ,  eccoti  piombare 
sull'ordine  tale  fortuna  che  ad  un  punto  lo  abbattè, 
e  poco  è  che  io  non  dica  lo  annientò.  Conciosiac- 
chè  per  male  arti  di  pessimi  uomini  ,  i  quali  sotto 
maschera  di  pii  ascondevano  la  più  nera  perfìdia,  in- 
dettato il  pontefice  Innocenzo  X  un  breve  del  17 
marzo  1646  abolì  l'ordine  ,  e  lo  ridusse  a  semplice 
congregazione  senza  voti.  Quindi  altri  sedotti  pas- 
sare a  vestire  la  persona  di  altre  lane,  non  dico  can- 
giar ordine,  poiché  a  colai  uomini  non  è  ordine  pro- 
prio, ma  tutti  sono  indifferenti  del  pari:  quindi  al- 
tri più  vigliacchi  ancora  disertare  dalle  insegne  ,  e 
nella  stessa  fuga  imbizzarrire  :  quindi  tolta  ogni  au- 
torità agli  stessi  rimasti  in  congregazione,  ed  assog- 
gettati alla  podestà  de'  vescovi  ,  e  1'  una  casa  disso- 
ciata dall'altra  :  quindi  distrutte  le  leggi  dettate  dallo 
spirito  di  Dio  per  bocca  del  Calasanzio,  ed  abban- 
donato l'arbitrio  del  dettarne  di  nuove  agli  slessi  av- 
versari dell'ordine.  In  tanto  sconvolgimento  di  cose, 
in  tanto  forluneggiare,  il  Pennazza  fissò  gli  occhi  al 


362  Letteratura 

santo  suo  padre:  e  lui  veggeiulo  intrepido  in  mezzo 
le  furie  della  fortuna  ,  senza  cedere  o  abbandonarsi 
dell'animo  ,  ricordevole  del  giuramento  solenne  che 
aveva  fatto  a  Dio  di  vivere  tutta  la  vita  nell'ordine, 
si  governava  continuamente  secondo  le  norme  che  gli 
venivano  dal  Caiasanzio.  Ma  perchè  il  dolce  aere  na- 
tivo ,  e  V  amore  de1  suoi  lo  stimolassero  a  prendere 
stanza  per  sempre  in  patria  ,  ove  erasi  portato  per 
malattia  e  per  assistere  i  genitori,  e  a  sciogliersi,  che 
il  poteva,  da  ogni  pensiero  di  rientrare  all'  ordine  , 
pure  egli  non  volle  né  promettere  a' suoi,  ne  con- 
cedere cosa  alcuna  a  se  stesso,  se  prima  dalla  voce 
del  padre  suo  non  avesse  conforto  di  buon  consiglio. 
Abbiamo  una  lettei-a  di  lui  segnata  da  Pesaro  il  2g 
marzo  del  1646,  cioè  dodici  giorni  dopo  la  pubbli- 
cazione del  breve  di  abolizione  dell'  ordine  ,  diretta 
al  santo  padre  Giuseppe,  la  quale  dice  così  :  «  I  miei 
«  parenti  desiderano  che  io  resti  per  sempre  in  casa: 
«  aderirò  a  ciò,  ogni  qualvolta  vostra  paternità  mi  fa- 
n  rà  certo  che  la  religione  non  sia  più  per  riaversi: 
«  ma  quando  mi  dirà  che  la  religione  non  sarà  di- 
ce strutta,  io  non  farò  altra  risoluzione;  e  starò  aspet- 
«  tando  in  Pesaro  grata  risposta,  p  Alle  quale  pro- 
posta il  santo  rispondeva,  e  profetando  senza  velo  di 
profezia,  ma  con  chiarezza  di  scolpite  parole:  «  V, 
«  R.  stia  di  buon  animo,  e  non  creda  alle  cose  che 
«  scrivessero  alcuni  appassionati  ,  e  tenga  per  certo 
«  che  resterà  in  piedi  l'istituto.  »  E  quindi  in  altra: 
«  Né  si  dia  a  credere  che  la  religione  nostra,  sehbe- 
«  ne  ora  pare  distrutta  ad  istanza  di  chi  Dio  sa,  non 
«  debba  più  risorgere;  ma  bensì  più  che  mai  ampliar- 
«  si  coll'aiuto  del  Signore:  e  penso  non  dobba  pas- 
«   sar  molto.  »   Alle  quali  parole  restò   così   rassicu- 


Elogio  del  Pennazza  263 

rato  dell'animo  il  padre  Pennazza,  che  gli  rispondeva: 
«    La  lettera  di  vostra  paternità  mi  ha  fatto  maggior- 
«   mente  assodare  nella  mia  vocazione  non  senza  di- 
«   sgusto  de'miei,  che  accecati  dogli  interessi  monda- 
te  ni  volevano  che  lasciassi  la  religione.   Le  do  par- 
ti   te   che  questi  signori  pesaresi  desiderano  il  nostro 
«   istituto,  e  mi  dicono  che  vogliono   che  in  tutti  i 
«   modi  ci  venghiamo.    »   E  questo  è  vero:  ed  io  ag- 
giungerò di  più  ,  che  pochi  anni  dappoi  che    fu  re- 
stituita la  religione  delle  scuole  pie  ,  il  comune  di 
Pesaro  entrò  più   volte  a  proporre  que'padri  per  l'e- 
ducazione e  l'istruzione  della  gioventù:   e   trovo  che 
una  persona  pia  esibiva  un  assegnamento    perchè   si 
fondasse  un  collegio  ,  e  il  consiglio  municipale    de- 
cretava che  si  cedesse  a  que'padri  l'emolumento  usa- 
to darsi  per  la  pubblica  istruzione  ,  e  così    con  42 
voti  favorevoli  il  25  ottobre  del  1692  accettava  quei 
religiosi;  i  quali  però  non  vennero,  né  so  io  il  per- 
chè; se  non  vogliam  credere,  come  io  son  di  pensa- 
re, che  essendosi  essi  stabiliti  con  più  agio  nella  vi- 
cina città  d'Urbino,  ed  apertovi  un   collegio,  fin  dal 
suo  nascere  rinomatissimo  ,  cessassero  il  pensiero  di 
stendersi  anche  a  Pesaro.  Alla  qual   cosa  mi  condu- 
ce 1'  aver  trovato  proposto  negli  atti  consigliari   del 
1697,  cioè  cinque  anni  dopo  l'atto  con  che  si  ac- 
cettavano  gli  scolopi,  che  a  spese  pubbliche  si  man- 
tenessero due  giovani  pesaresi  nel  collegio  di  Urbi- 
no,  i  quali  in  fatto  vi  furono  posti.  Queste  cose,  co- 
me ognun  vede,  confermano  ad  evidenza  che  il  Pen- 
nazza scriveva  il   vero,   quando   scriveva   che   l'istitu- 
to del   Calasanzio   era  desiderato  in  questa  nobilissi- 
ma città:  né  il  Bonada  s'ingannava  nell'asserire  che 
Pesaro  faceva  istanze  per  ottenere  i  padri  delle  scuo- 


a64  Letteratura 

le  pie.  E  se  non  era  che  quell'ordine  ebbe  a  soste- 
nere dieci  anni  di  dura  persecuzione,  anzi  a  lottare 
apertamente  per  la  propria  esistenza,  il  Pennazza  a- 
vrebbe  veduto  nella  propria  palria  aver  sede  i  figliuo- 
li del  Calasanzio.  Ma  come  non  fu  fallace  nella  sua 
asserzione  il  religioso  pesarese,  cosi  non  fu  nelle  sue 
promesse  il  santo  istitutore;  conciossiaccbè  dopo  una 
lunga  ed  ostinata  battaglia  combattuta  per  l'una  par- 
te con  tutte  l'armi  più  ree  della  calunnia  e  della  ipo- 
crisia, per  l'altra  rintuzzata  coll'umiltà  più  sincera, 
e  colla  pazienza  più  esemplare  ,  venne  alla  fine  il 
giorno  del  meritato  trionfo  :  e  il  glorioso  pontefice 
Alessandro  VII  nel  dì  24  gennaio  del  iò56  reinte- 
grava e  ripristinava  l'ordine  del  Calasanzio.  Era  sta- 
ta maraviglia  il  vedere  le  prime  corone  d'Europa  in- 
terpoli presso  il  pontefice  per  l'ordine  del  Calasan- 
zio, dal  quale  avevano  avuto  tanto  prò  nei  loro  rea- 
mi :  ma  fu  maraviglia  maggiore  il  vedere,  in  meno 
che  non  dà  volta  un  secolo,  quella  religione  non  so- 
lo tornare  in  fiore  qual  prima,  ma  sì  avanzare  d'as- 
sai ;  conciossiacchè  si  giungessero  a  noverare  nell'Eu- 
ropa stabilite  ed  aperte  all'istruzione  ducento  quat- 
tordici case  delle  scuole  pie.  Della  qual  cosa  non  è 
a  prendere  maraviglia  alcuna  :  perocché  non  può  a 
meno  che  non  prosperi,  e  non  si  distenda  largamente 
nel  mondo  un  istituto  che  tanto  ritrae  dalle  norme 
evangeliche  e  dallo  spirito  della  religione  cattolica  ; 
e  si  mantiene  saldo  ne'  suoi  principii  colle  arti  della 
vera  pietà  e  della  sana  filosofia,  lnfatto  di  quest'or- 
dine vedemmo  uscir  uomini  per  santità  illustri,  e  del 
pari  per  dottrina  celebrati  :  e  tutti  li  vedemmo  in 
ogni  tempo  accesi  in  quella  carità  cristiana  che  è  soc- 
correvole e  pietosa  agli  infelici.   Starà  sempre  in  e- 


Elogio  del  Pennazza  265 

sempio  ed  in  ammirazione  de' posteri  quella  pagina, 
nella  quale  il  Calasanzio  insegnava  che  i  primi  of- 
fici si  denno  alla  virtù  sventurata.  Desideroso  che  tra 
i  suoi  fiorissero  i  buoni  studi,  egli  scrisse  al  superio- 
re della  casa,  che  in  Firenze  fioriva  fino  dal  i63o: 
«  Si  dessero  de'suoi  quanti  volesse  al  Galilei:  se  per 
«  caso  dimandasse  che  per  qualche  notte  restasse  là 
«  il  padre  Settimii,  glielo  permetta:  e  Dio  voglia  che 
«  ne  sappia  cavare  il  profitto  che  doveria.  »  Quindi 
poi  ne  venne  che  la  sapienza  del  Galilei  parve  tra- 
sfondersi ne'padri  delle  scuole  pie  :  e  l'Italia  ebbe  a 
noverare  con  sua  gloria  fra  i  discepoli  di  quel  som- 
mo italiano  i  padri  Angelo  Sesti,  Clemente  Settimii, 
Francesco  Michelini,  successore  al  Galilei  stesso  nel- 
la cattedra  di  Pisa,  uomini  chiarissimi  e  non  ignoti 
a  chi  pur  da  lungi  abbia  venerato  il  sacrario  della 
filosofia.  La  quale  serie  di  grandi  savi  non  fu  mai 
interrotta,  e  potrei  qui  segnare  il  nome  de'  Corsini, 
de'Beccaria,  dei  Fontana,  dei  Canovai,  dei  Del  Ric- 
co,  filosofi,  fisici,  astronomi  ,  matematici  sommi  ,  se 
non  mi  piacesse  rendermi  ,  che  è  tempo  ,  al  nostro 
pesarese.  Il  quale  tosto  che  ebbe,  che  l'ordine  suo  era 
di  nuovo  approvato  dal  sommo  pontefice,  volò  di  Pe- 
saro a  Roma:  e  come  che  vi  lasciasse  vecchi  i  geni- 
tori, pure  in  lui  la  forza  della  vocazione  prevalse  a 
quella  del  sangue.  Io  credo  che  al  suo  primo  rien- 
trare all'ordine  corresse  col  cuore  sulle  labbra,  e  co- 
gli occhi  pieni  eli  lacrime  al  sepolcro  del  santo  suo 
padre,  ed  ivi  abbandonatosi  della  persona  ne  baciasse 
la  pietra,  e  a  lui  e  a  Dio  ringraziasse  delle  avvera- 
te predizioni.  Ma  poco  ebbe  a  rimanersi  in  Roma: 
conciossiacche  piacque  eh'  egli  andasse  a  professare 
lettere  nella  casa  di  Napoli,  ove  certamente  dovette  far 


266  Letteratura 

prova  del  suo  sapere.  Sebbene  il  campo  maggiore 
della  sua  gloria  doveva  essere  Roma,  e  principalmen- 
te il  collegio  nazareno.  Infatti  la  sperimentata  sua 
virtù  congiunta  a  sapere  e  dottrina  grande  per  ogni 
tempo  ,  per  lo  tempo  in  cui  egli  visse  grandissima 
in  fatto  di  belle  lettere  (  perocché  le  erano  guaste 
e  corrotte  ),  gli  offerse  stanza  in  quel  collegio  sul  fa- 
re del  1657;  e  piacque  a' superiori  dargli  incarico  di 
prefetto  degli  studi.  Ivi  egli  si  pose  a  tutto  potere 
alla  educazione  di  quegli  alunni:  e  conoscendo  che 
prima  radice  d'ogni  sapere  è  la  schietta  pietà,  fondò 
la  congregazione  laure  tana  ,  la  quale  sveglierebbe  e 
terrebbe  viva  ne'  teneri  petti  la  devozione  alla  gran 
Madre  di  Dio;  e  quindi  fondò  un'accademia  che  dis- 
se degli  incolti,  e  cui  assegnò  per  impresa  un  giar- 
dino per  l'una  parte  fiorente,  per  l'altra  ancora  im- 
boschito, con  questo  motto  in  culti  prosperàbun- 
tur.  Il  quale  presagio  al  certo  non  andò  a  voto,  per- 
chè di  quella  uscirono  (  per  tacere  di  molti  )  e  l'Al- 
garotti,  e  il  Paradisi,  e  il  celebrato  Labindo,  ed  uno 
de'più  fecondi  poeti  dell'età  nostra  Angelo  M.  Ricci: 
e  quindi  in  tanta  fama  venne,  che  fu  aggregata  con  ti- 
tolo di  colonia  nel  1741  all'arcadia  romana.  E  ben 
si  appose  il  nostro  Pennazza:  perocché  quelle  acca- 
demie, che  agli  occhi  de'mondani  non  offrono  utilità 
alcuna,  se  bene  e  sottilmente  si  guardi  giovano  assai 
all'istruzione  de'giovinetti  :  e  sono  come  la  prima  are- 
na in  cui  essi  discendono  a  provarsi  :  talché  se  rie- 
sca che  aura  di  lode  gli  inanimi,  o  gara  di  studio  ed 
emulazione  li  punga  ai  fianchi,  o  censura  ragionevo- 
le li  metta  al  punto  di  far  meglio,  essi  alla  fine  esco- 
no di  quel  puerile  aringo  maturi  di  forze,  o  per  lo 
meno  si  bene  atteggiati  da  porgere  di  se  grandi  spe- 


Elogio  del  Pennazza  267 

ranze,  e  poi  mantenerle.  Per  la  qual  cosa  io  vorrei, 
o  signori,  che  voi  imitando  questo  illustre  concitta- 
dino, ogni  pensiero  vi  deste  perchè  non  venga  meno 
alla  gioventù  nostra  cotanto  utile  palestra.  Per  que- 
sta forma  il  Pennazza  giovò  di  buon  conforto  le  let- 
tere languenti  e  semivive;  e  precorse  di  molti  anni 
l'istituzione  ,  e  le  prime  non  ignobili  e  non  inutili 
fatiche  degli  arcadi,  i  quali  a  ciò  stesso  miravano  di 
sanare  l'infetta  letteratura,  e  di  cessare  le  matte  stra- 
nezze de' poeti  fi). 

E  buon  aiutatore  sì  nell'  opera  dell'  accademia 
e  sì  in  quella  dell'istruzione  il  nostro  pesarese  trovò 
nel  dotto  ed  indefesso  padre  Camillo  Scasellati  d'Ur- 
bino, uomo  di  molte  lettere  e  di  trascelta  dottrina, 
e  per  que'tempi  più  presto  maraviglioso  che  sommo: 
il  quale  in  uso  delle  scuole  pie  aveva  dettato  isti- 
tuzioni grammaticali,  epistolari,  oratorie  e  poetiche, 
attinte  alla  buona  vena  degli  antichi,  ed  esposte  in 
latina  favella  sempre  nitida,  e  dirò  pure  trascelta  nella 
parte  dell'eleganza,  quantunque  non  così  egualmente 
sicure  in  quella  dello  stile.  Ed  olirà  ciò  scrisse  di 
buone  orazioni  e  poesie  latine,  le  quali  avvegnaché 
nei  concetti  sentano  un  pò  del  l'affinato,  nulladimeno 
non  putono  di  stravaganza,  come  le  più  di  quel  tem- 
po, ed  in  fatto  di  lingua  ritraggono  dall'antico.  Que- 
ste una  colle  istituzioni  avendo  il  Pennazza  provate 
acconce  a  formare  la  mente  e  lo  stile  ne'  giovani, 
volle  pubblicate;  e  fattosene  egli  stesso  editore,  man- 
dò innanzi  alle  medesime  alcune  brevi  prefazioni  as- 


(i)  L'arcadia  fu  fondata  il  5  ottobre  1690,  e  l'accademia  de- 
gli incolli  nel  i65S,  cioè  trentadue  anni  prima. 


268  LETTERATURA 

sai  ingegnose  in  fatto  di  elocuzione  e  di  stile,  se  pe- 
rò ad  alcuno  non  potesse  parere  che  in  quest'ultima 
parte  non  sapessero  al  tutto  di  quella  semplicità  che 
è  il  più  efficace  carattere  degli  scrittori  del  secolo  di 
Augusto.  Da  queste  però  è  facile  a  giudicare  ch'egli 
era  retore,  e  sentiva  molto  innanzi  nelle  cose  della 
lingua  latina  ;  perlocchè  niuno  gli  contenderà  mai 
d'essere  stato  abilissimo  uomo  di  lettere,  e  non  igno- 
bile scrittore  :  tutti  gli  concederanno  titolo  di  risto- 
ratore del  gusto  :  perchè,  quanto  era  da  lui,  adoperò 
a  migliorarlo. 

Considerando  le  quali  cose  non  è  maraviglia  ve- 
dere com'egli  salisse  ai  primi  gradi  nella  sua  religio- 
ne, e  come  ognuno  l'avesse  in  grande  stima  ed  opi- 
nione. Che  la  virtù  si  fa  sempre  strada  agli  onori,  e 
perchè  invidia  o  basse  passioni  le  stiano  incontro  , 
ella  si  leva  gloriosa  ,  e  quasi  a  trionfo  sulla  nebbia 
delle  umane  perversità.  Il  nostro  Pennazza  nel  i65g 
fu  fatto  procuratore  generale  dell'ordine:  incarico  al- 
tissimo e  nobilissimo,  al  quale  si  richiede  somma  co- 
noscenza delle  cose,  avvenga  che  colui,  il  quale  vie- 
ne a  questo  onore,  debba  porre  mano  agli  affari  di 
tutta  quanta  la  religione,  e  trattarne  presso  le  sacre 
congregazioni  ed  innanzi  a'  tribunali  ;  ne  altra  som- 
missione abbia,  che  al  preposito  generale.  Poscia  nel 
i665  fu  eletto  assistente  generale  della  provincia  ro- 
mana, senza  cessare  dall'incarico  di  procuratore  :  ed 
è  a  sapere,  che  per  tutta  la  religione  quattro  soli  so- 
no gli  assistenti,  i  quali  presieduti  dal  preposito  ge- 
nerale hanno  il  reggimento  di  tutte  le  cose  dell'or- 
dine ;  nelle  quali  cariche  il  Pennazza  si  mostrò  qua- 
le ciascuno  sperava,  anzi  1'  aspettazione  stessa  seppe 
d'assai  superare.  Ma  sopra  tutti  gli  uffici  dati  al  no- 


Elogio  del  Pennazza  269 

stro  pesarese,  a  me  piace  quello  che  gli  fu  posto  a 
mano  quando  l'ordine,  anzi  Roma,  l'Italia,  il  mondo, 
cominciarono  a  chiedere  che  il  venerabile  Giuseppe 
Calasanzio  fosse  elevato  all'onor  degli  altari.  Conve- 
niva scegliere  persona  matura  di  senno  ,  ragguarde- 
vole per  dignità,  degna  di  un  ordine  insigne,  d'una 
causa  nobilissima.  A  cotanto  onore  fu  sortito  il  no- 
stro Pennazza  :  era  ben  a  ragione,  che  egli,  il  quale 
era  stato  sì  preso  alle  virtù  di  quel  grande,  e  n'ave- 
va in  se  molta  parte  ritratto,  fosse  eletto  postulato- 
re  della  causa  di  lui,  e  primo  desse  le  mosse,  e  di- 
rei quasi  appianasse  la  via  alla  sua  beatificazione.  Non 
so  quali  cose  egli  facesse,  ne  come  in  ciò  si  adope- 
rasse :  ne  la  brevità  che  mi  è  imposta  patirebbe  che 
io  me  ne  andassi  in  lunghe  indagini  :  ben  so  che  vi 
riuscì  a  sua  somma  lode,  e  nel  1669  ^u  presente  in 
s.  Pantaleo  alla  giuridica  ricognizion  del  cadavere  del 
venerabile  Giuseppe.  E  qui  vorrei  avere  forza  di  stile 
e  colori  di  favella  efficaci  a  descrivere  quale  era  il 
cuore  del  pio  religioso  al  vedersi  dinanzi  dopo  tanti 
anni  intatta,  e  poco  è  che  non  dica  viva,  la  spoglia 
mortale  del  suo  padre,  anzi  più  che  padre  ed  ami- 
co !  Ma  perchè  diffido  di  me,  e  il  dir  poco  più  che 
il  tacere  mi  dorrebbe,  lascio  a  voi  immaginare  i  di- 
versi affetti  che  in  quel  punto/  si  fecero  a  combatte- 
re quella  l'eligiosa  anima.  Ben  fu  avventurato  in  que- 
sto il  Pennazza;  e  avventuratissimo  sarebbe  stato  se 
avesse  potuto  raccogliere  appieno  il  frutto  delle  sue 
fatiche,  e  venerare  sugli  altari  il  suo  santo  istituto- 
re. Ma  passato  di  questa  vita  il  glorioso  pontefice 
Alessandro  VII  il  22  di  maggio  del  1667,  la  causa 
della  beatificazione  del  Calasanzio,  come  che  solleci- 
tata da  tutta  la  cristianità  e  da  tutte  le  corone  d'Eu- 


270  Letteratu   ra 

ropa,  per  alcun  tempo  intiepidì  ;  e  per  nove  interi 
pontificati,  cioè  per  lo  spazio  di  ottantuno  anni  ,  o 
non  se  ne  parlò,  o  poco  si  fece,  perchè  era  riservato 
all'  immortale  Benedetto  XIV  spedire  il  breve  della 
beatificazione  il  f  di  agosto  del  1748.  Perlocchè  il 
Pennazza  non  potè  egli  avere  tanta  consolazione  di 
vedere  quel  desiderato  decreto  ;  e  né  manco  quello, 
con  che  Benedetto  XIII  asseverava  le  virtù  del  Ca- 
lasanzio  essere  chiare  e  paragonate  in  grado  eroico; 
conciossiacchè  ancoi'a  fiorente  degli  anni,  che  non  an- 
davano oltre  i  cinquantacinque,  gli  venne  oltre  la  vi- 
ta. E  vano  che  io  mi  fermi  a  narrare  la  pia  e  reli- 
giosa sua  morte  :  poiché  uomo  vivuto  integramente  e 
santamente  per  tutta  l'età  sua,  non  poteva  non  sug- 
gellare l'ultimo  atto  della  sua  vita  con  tutte  le  cri- 
stiane virtù.  Né  manco  mi  fermerò  a  descrivere  il 
pianto  del  collegio  nazareno,  ov'egli  morì:  né  il  do- 
lore di  tutto  quanto  l'ordine  che  si  vide  privato  di 
un  personaggio,  il  quale  sino  all'  ultimo  aveva  dato 
buona  mano  alla  religione  negli  uffici  onorevoli,  che 
solo  per  morte  in  lui  cessarono  :  ognuno  sei  può  ve- 
dere di  per  se,  considerando  che  i  buoni  lasciano  sem- 
pre desiderio  ,  e  non  manchevole  memoria.  Per  me 
basti  il  recarvi  innanzi  l'elogio,  ch'egli  ebbe  meritato 
al  suo  nome,  elogio  giustissimo  ,  e  per  puro  amore 
di  verità  a  lui  fatto  dall'istorico  delle  scuole  pie,  pa- 
dre Rodolfo  Brasavola;  e  questo  vi  tenga  fede  di  quan- 
to fin  qui  vi  ho  esposto.  «  Il  Pennazza  (  dice  egli  ) 
«  fu  zelantissimo  del  nostro  istituto,  e  pose  ogni  ope- 
«  ra,  ogni  pensiero  per  avanzarlo,  e  tutte  le  sue  fa- 
«  tiche  vi  spese.  »  Nella  quale  brevità  se  voi  ponete 
mente,  troverete  il  compendio  di  quante  lodi  si  pos- 
sono dare  ad  uom  religioso.  Delle  quali   lodi   senza 


Elogio   del   Pennazza  271 

dubbio  una  parte  è  dovuta  a  questa  nobilissima  città; 
che  dando  i  natali  al  Pennazza ,  diede  a  se  lustro  , 
all'ordine  delle  scuole  pie  conforto  e  sostegno,  e  in 
esse  aiutò  l'italiana  civiltà.  Conciossiaccbè  io  non  te- 
ma errare  affermando,  che  di  queste  scuole  gran  prò 
venne  ad  ogni  maniera  di  studi  :  e  che  i  costumi  , 
i  quali  l'avanzar  degli  studi  secondano  ,  ne  trassero 
non  lieve  incremento.  Laonde  mentre  io  congratulo 
con  voi,  concittadini  del  Pennazza,  lui  pongo  ad  e- 
sempio  di  questa  gioventù  studiosa  ;  avventurata  se 
saprà  imitarlo  nel  sapere,  felicissima  se  dalla  pietà  di 
lui  saprà  fare  a  se  specchio  e  ritratto  ! 


Del  ben  tradurre  Orazio,  articolo  III  ed  ultimo. 
(  Vedi  i  precedenti  articoli  nel  tomo  84  a  pag. 
335;  e  nel  tomo  85  a  pag.  273  e  segg.  ) 


xmppartengono  al  nostro  6ecolo,  come  osserva  il  Gam- 
ba diligentissimo  nella  serie  de'tesli  di  lingua,  i  vol- 
garizzamenti della  poetica  di  Orazio  del  Cesari,  del 
Vincenzi  ,  del  Massucco  ,  del  Solari  e  di  altri.  Ma 
levossi  in  grido  singolarmente  la  versione  del  Gargal- 
lo  :  della  quale  tacere  sembrar  potrebbe  per  mia  par- 
te una  quasi  irriverenza.  Ne  dirò,  come  so  e  posso: 
ed  i  savi  e  discreti  uomini  mi  perdoneranno  se  tro- 
vandosi in  Orazio  i  pregi  di  filosofo  e  di  poeta,  pre- 
gi che  il  nostro  secolo  ama  congiunti  secondo  natu- 
ra, io  non  poeta  ma  amante  delle  lettere  e  della  fi- 
losofia mi  attento  uscir  fuori  con  osservazioni,  le  nua- 


171  Letteratura 

li  dimanderebbero  il  senno  dell'acuto  Vannetti.  Io  pef 
mia  parte  ripeto,  che  non  mi  arrogo  alcuna  autorità; 
io  non  pongo  altro  che  qualche  dubbio  al  tribunale 
de'ma estri  dell'arte.  E  dopo  avere  innanzi  toccato  de- 
gli altri  poemi  del  venoaino,  non  avrei  potuto  sen* 
za  taccia  d' idiota  o  d'  inerte  passare  inosservato  il 
codice  del  buon  gusto:  che  tale  ad  una  voce  è  det- 
to e  tenuto  il  poemetto  dell'arte  poetica,  che  ha  for- 
ma di  epistola  ai  Pisoni,  e  in  un  disordine  apparen- 
te insegna  e  insegnei'à  l'ordine  a  tutto  il  mondo,  Fin-' 
che  terran  V usato  corso  i  cieli.  Quell'apparente  di- 
sordine ,  che  non  può  dispiacere  se  già  non  volessi 
condannare  quella  beltà,  di  cui  il  poeta  cantava:  Le 
negligenze  sue  sono  artificii:  fu  motivo  a  molti, 
ed  all'  avvocato  Petrini  singolarmente,  di  scomporre 
l'epistola  ai  Pisoni  e  ricomporla  in  altro  ordine:  ciò 
che  lodarono  lo  stesso  Metastasio,  che  l'avea  per  egli 
tradotta,  ed  i  letterati  di  Pisa  (  1778,  toni.  ag,art. 
4),  e  lo  stesso  Voltaire,  che  dal  castello  di  Ferney 
così  scriveva  a'25  settembre  1777  :  «  Ho  sempre  cre- 
«  duto  che  l'arte  poetica  di  Orazio  era  come  Roma 
«  tutta  scompigliata  dai  barbari:  e  per  questa  ragione 
«  io  teneva  il  Boileau  superiore  a  Fiacco,  perchè  più 
«  regolare.  -  Oggi  preferisco  l'autore  dell'arte  in  ter- 
«  ze  rime  :  havete  latto  ciò  che  hanno  eseguito  i  pon- 
«  tefici,  avete  riedificato  Roma  ec.  »  Anche  il  p.  Soa* 
ve,  il  quale  non  lasciò  nil  intentatimi  nelle  lettere  , 
si  argomentò  di  riordinare  la  poetica;  ma  per  quanto 
sia  da  valutarsi  autorità  di  traduttori  ed  interpreti,  io 
avrò  sempre  per  dappiù  quella  de'codici  ;  anzi  di  Ora- 
zio stesso,  che  ci  diede  l'arte  in  apparenza  senz'  arte. 
Ha  fatto  bene  il  Gargallo  di  lasciarla  tale  quale,  senza 
por  le  mani  dove  non  vanno  poste.  Quanto   alla  fa- 


DEL    BEN    TRADURRE    ORAZIO  2y3 

mosa  versione  di  lui,  seguirò  l'edizione  di  Pesaro 
(  stamperia  Nobili  1839  in  16  per  cura  del  prof. 
Montanari  ).  Quanto  al  testo,  seguirò  l'edizione  di 
Padova  (  tipi  del  seminario  1739  per  cura  e  studio 
dell'egregio  Francesco  Dorighelli  )  non  senza  con- 
sultare anche  le  edizioni  di  Napoli  del  i8i5  con  ver- 
sione di  Eramanuele  Viggiano,  e  del  1822  di  Claudio 
Arezzo;  giacche  ci  trovo  appunto  sul  testo  alcune  in- 
gegnose osservazioni  di  quello  squisito  giudizio  di  Do* 
menico  Martuscelli.  E  perchè  suole  ingenerar  noia  in, 
alcuni  la  critica,  oomechè  ragionevole,  fingerò  un  dia- 
logo tra  quel  maestro  dell'arte,  che  fu  Francesco 
Maria  Zanotti,  ed  un  amico  del  vero  e  del  bello  , 
che  chiamerò  Filotimo.  Questo  modo  di  botte  e  rispo- 
ste con  alcuna  festività  rallegrerà  alcun  poco  il  freddo 
tema. 

Filotimo.  Che  è,  maestro,  questo  bel  codice  del 
buon  gusto,  che  dite  arte  poetica  di  Fiacco  ? 

Z annotti.  Una  pistola  ai  Pisoni,  padre  e  figli  , 
nobili  romani:  i  quali,  Pompilio  sangue,  tenevano 
dall'origine  l'amore  alle  cose  di  belle  lettere,  sempre 
unite  in  antico  alla  vera  filosofia.  Degno  sodalizio  ! 

FU,  Perchè  dite  in  antico  ?  Non  è  egli  sempre 
i  da  aversi,  che  fiori  e  frutti  siano  di  una  pianta  mede- 
sima, e  che  di  questa  sia  una  la  radice  ?  E  il  bello 
non  è  egli  anche  vero,  e  il  bello  e  il  vero  non  sono 
I  ordine  ?  e  l'ordine  nelle  parti  non  ha  specchio  la  na- 
tura, di  cui  è  propria  la  concordia  di  tutte  cose  se- 
condo l'ordine  eterno,  di  cui  immagine  benché  smorta 
si  è  questo  universo  che  noi  ammiriamo?  E  se  è  cosi, 
perchè  la  concordia,  il  sodalizio  di  lettere  e  di  arti 
belle  colla  filosofia,  fu  in  antico,  e  non  al  presente  ? 

Zan.  Chi  ha  voce  e  mano  s'immagina  facilmente 
G.A.T.LXXXVII.  18 


274  Letteratura 

di  loccare  all'eccellenza  delie  lettere  e  delle  arti  senza 
il  soccorso  della  filosofia  :  e  i  più  superando  ad  onta 
del  precetto  del  poeta,  che  disse:  Seguita  i  pocìii  e 
non  la  volgar  gente  :  vuoisi  essere  letterato  ed  arti- 
sta senza  filosofia,  cioè  senza  senno  e  senza  mente.  Da 
ciò  i  capricci  del  Marini  e  dell'Adulimi  nella  poesia, 
e  quelli  del  Bernini  e  del  Borromini  nelle  arti  figura- 
tive :  da  ciò  quella  turba  di  cantafavole  e  di  svenevo- 
li da  fare  compassione.  Certamente  Virgilio  ed  Ora* 
zio  e  Petrarca  furono  prima  filosofi,  eminentemente 
filosofi,  e  poi  volarono  poetando.  E  filosofo  fu  Leonar- 
do da  Vinci,  filosofo  Palladio,  filosofo  Michelangelo: 
e  perchè  tali,  colsero  i  due  primi  nella  pittura,  nell' 
architettura  i  primi  onori;  l'ultimo  nelle  tre  arti  fi- 
gurative tenne  del  divino.  E  con  perpetua  vicenda  si 
videro  lettere  ed  arti  salire  all'apogeo  di  loro  felici- 
tà, poi  precipitare  e  tornar  quindi  in  cima  ;  secon- 
do che  ebbero  compagna  o  no  la  vera  filosofia.  E  ben 
disse  il  venosino  dell'  eloquenza  ; 

«   Scribendi  recte  sapere  est  et  principium  et  fons, 
a  Rem  tibi  socraticae  poterunt  ostendere  chartae  : 
«   Verbaque  provisam  rem  non   invita  sequentur. 

FU.  Lasciatemi,  di  grazia,   tradurre  così  : 

«  Del  ben  compor  fonte  e  principio  è  '1  senno. 

«  Te  le  carte  socratiche  potranno 

«  D'idee  fornir,  e  la  concetta  idea 

«  Ubbidienti  seguiran  le  voci, 

Zan.  Non  è  veramente  il  senno',  ma  il  sapere,  cioè 
la  scienza,  qua!  fonte  e  principio  del  bene  scrivere: 


DEL    BEN    TRADURRE    ORAZIO  2^5 

rem,  (lice  Orazio,  e  iam  ripelc  poco  dopo  ,  e  pare 
intender  debbasi  il  soggetto.  Se  vuoi  idee,  convernati 
dire  poi  similmente  più  appresso  le  idee,  e  non  Videa. 
Ma  seguitiamo  : 

«   Qui  didicit,  patriae  quid  debeat,  et  quid  amicis: 
«  Quo  sit  amore  parens,  quo  frater  amandus  et  hospes; 
«   Quod  sit  conscripti,  quod  iudicis  officium:  quae 
«   Partes  in  bellum  missi  ducis  :  ille  profecto 
«   Reddere  personae  scit  convenientia  cuique. 

FU.  Ecco  la  versione  ; 

«  Uom  che  imparò  quel  che  alla  patria  debba, 

«  Quel  che  agli  amici  :  con  amor  diverso 

«  Come  '1  padre,  il  fratel,  l'ospite  s'ami , 

«  Qual  sia  del  senator,  quale  il  dovere 

«  Del  giudicante,  quai  d'un  duce  in  guerra 

«  Sieno  le  parti  :  affé  questi  a  ciascuno 

«  Render  saprà  ciò  ohe  a  ciascun  conviensi, 

Zan.  Proseguite,  rendendo  il  testo  che  dice  egregia- 
mente ; 

«  Respicere  exemplar  vitae,  morumque  iubebo 
<<  Doctum  imitatorem,  et  vivas  bine  ducere  voces. 

FU.  Ecco  la  versione  bella  e  lampante  : 

a  II  dotto  imitator  vo  che  contempli 
«  L'esemplar  de'costumi  e  della  vita, 
u  E  quindi  tragga  le  animale  voci, 


276  Letteratura 

Zan.  Ma  nota  tanto  Orazio  la  virtù  dell'ordine,  che 
noi  male  faremmo  se  per  gustare  alcun  che  della  poe- 
tica non  ci  facessimo  da  prinoipio,  laddove  appuntò 
col  fingere  pittura  in  disordine  ne  innamora  vieppiù 
dell'ordine  : 

«  Humano  capiti  cervicem  pictor  equinam 

«  Iungere  si  velit,  et  varias  inducere  plurnas, 

«  Undique  collatis  membris;   ut  turpiter  atrura. 

«  Desinat  in  piscem  mulier  formosa  superne  ; 

«  Speclatum  adinissi  risum  teneatis,  amici  ? 

FU.  E  si  può  render  così  : 

«  Cavallina  cervice  a  testa  umana 

«  Pittor  se  appicar  voglia,  e  quindi  a  membri 

«  D'ogni  spezie  accozzali  innestar  piume 

«  D'ogni  color,  talché  di  vaga  donna 

«  Stremisi  '1  capo    d'atro  pesce  in  coda 

«  Deformemente  :  a  simil  mostra  ammessi 

«  Potreste,  amici,  contener  la  risa  ? 

Zan.  Parmi  avreste  potuto  rendere  1'  equinam 
del  testo  colla  simile  parola  usata  dall'Ariosto  e  da 
qualche  antico  :  equina.  Mi  suona  meglio  che  ca- 
vallina :  e  parmi  ancora  che  quel  mulier  formosa 
superne  desinat  in  piscem  non  sia  reso  a  pennello 
col  di  vaga  donna  stremisi  'Z  capo  d1  atro  pesce 
in  coda.  Mulier  non  è  solamente  capo,  e  il  desi- 
nat non  è  solo  coda.  Ma  le  versioni  a  un  bell'in- 
circa  sono  come  fiori  dipinti  a  petto  ai  veri. 

FU.  Come  gemma  in  anello,  sembra  a  me  ca- 
da qui  la  osservazione  di  Domenico   Martuscelli    in 


DEL    BEN    TRADURRE    ORAZIO  277 

quanto  sl\Y amici  ;  che  dai  più  si  tiene  per  vocativo 
e  riferentesi  ai  Pisoni,  ai  quali  è  indiritta  l'epistola: 
ed  invece  il  Martuscelli  la  intende  per  modo  ditti- 
co come  dicesse  :  etiamsi  essetis  amici  pictoris.  Le 
sue  ragioni  sono:  i.°  che  nel  verso  susseguente  Ora- 
zio nomina  a  dirittura  Pisones  al  vocativo,  e  sareb- 
be un  duplicar  vocativi  senza  necessità  :  2.0  troppa 
familiarità  non  può  credersi  avesse  Orazio  coi  nobili 
Pisoni,  che  altrove  chiama  sangue  reale,  Pompilius 
sanguis;  onde  non  è  presumibile  li  chiami  così  alla 
libera,  ed  alla  prima  col  nome  di  amici  senz'  altro. 
E  propone  di  tradurre  così  : 

a  Ammessi  a  riguardar  sìmil  pittura 
«  Il  riso  tratterreste,  ancorché  amici 
«   Voi  del  pittore  ?  O  miei  Pisoni  ec. 

Questa  opinione  ha  contro  il  voto  di  diciotto  secoli, 
in  cui  commentatori  e  traduttori  (  e  spero  ancora 
quelli  che  verranno  poi  )  hanno  tenuto  e  dato  V ami- 
ci vocativo.  Nò  abbastanza  sembrano  le  ragioni  al- 
legate per  persuaderne  contro  tanta  autorità  ;  molto 
più  poi  che  la  prima  ragione  è  smentita  da  tutta  P 
epistola,  in  cui  il  poeta  mostra  tanta  confidenza  coi 
Pisoni  :  e  la  seconda  non  vale ,  perchè  parlando  in 
confidenza,  non  è  fuori  di  luogo  ripetere  Pisones  do- 
po aver  detto  amici  un  verso  innanzi.  Ma  io  vi  di- 
vento un  ciarlone,  e  tacerò  tanto  quanto  ho  parlato. 
FU.  Mai  no,  mai  no  :  voi  siete  savio,  e  le  pa- 
role de'savi  non  sono  mai  troppe  !  Quanto  a  me,  le 
vostre  sono  quasi  aura  di  aprile  ai  fiori  del  prato  , 
che  destansi  e  quasi  gioiscono,  gestiunt,  per  dirlo  con 
M.  Tullio  ! 


278  Letteratura 

Zan.  Davvero  che  mi  fareste  insuperbire,  se  noli 
sapessi  che  amore  move  le  vostre  parole,  siccome  il 
cuore  !  Io  deggio  sempre  avere  in  mira  la  mia  po- 
chezza :  ne  senza  perchè  credere  aver  detto  a  tutti 
il  venosino  : 

«  Sumite  materiam,  vestris,  qui  scribitis,  aeqilam 

«  Viribus,  et  versate  diu  quid  ferre  recusent, 

«  Quid  valeant  numeri.  Cui  lecta  potenter  erit  res, 

«  Non  facundia  deserit  hunc,  nec  lucidus  ordo  ! 

E  qui  lasciate,  di  grazia,  che  io  entri  nelle  lodi  del- 
l'ordine con  quell'amico  dell'ordine,  quale  si  fu  a  ma- 
raviglia il  nostro  Fiacco. 

a  Ordinis  haec  virtus  erit  et  venus,  aut  ego  fallor, 

«  Ut  iam  nunc  dicat  iam  nunc  debentia  dici, 

«  Pleraque  differat,  et  praesens  in  tempus  omittat: 

«  Hoc  amet,  hoc  spernat  promissi  carminis  auctor. 

l?il.  Non  vi  dispiaccia  la  versione  : 

«   Egual  scegliete  a'vostri  omeri  soma 

«   Voi,  ch'opra  a  scriver  date;  e  qual  soverchia, 

«    Qual  tollerabil  sia,  con   lunga  prova 

«   Intendete  a  librar;   non  lìa  che  manchi 

«   Lucid'ordin  d'idee,   copia  di  voci 

a   A  chi  pari  al  poter  scelga  argomento. 

«   De  l'ordine   (p  m'inganno)  ecco  in  che  poggia 

«   Il  bello  e  '1  buon:  autor  d'esteso  carme 

«    Ciò  che  dire  or  si  dee,  pur  or  ei  dica  ; 

«   Più  cose  storni,   ed  or  per  ora  ommctta  : 

«    Questa  cara  gli  sia,  quella  odiosa. 


DEL    BEN    TRADURRE    ORAZIO  279 

Zan.  Appena  appena  io  sento  Orazio  !  Egli  è 
quasi  come  mirare  un  parelio  a  fronte  del  sole  ve- 
ro e  vivo,  l'osservare  codesta  versione  !  Vequam  del 
latino  parmi  corrispondere  al  nostro  proporzionata, 
meglio  che  aN  eguale  della  versione:  così  aWequitas 
corrisponderebbe  meglio  proporzianalità  ,  propor- 
zione, che  eguaglianza.  Bellissimo  il  concetto  ora- 
ziano :  Ordinis  haec  virtus  erit  et  venus,  bellissi- 
ma l'espressione  !  Ma  quanto  perde  il  concetto,  quan- 
to l'espressione  se  dite  volgarizzando:  De  V ordine.... 
ecco  in  che  poggia  il  bello  e  '/  buon  !  Dico  ciò 
che  mi  sento,  e  parole  non  ci  appulcro.  Voi  mi  scu- 
serete. Voleste  che  io  dicessi,  e  dico  schietto  :  Aut 
ego  fallor,  suggiungerò  bensì,  e  con  più  ragione  che 
Orazio  al  luogo  notato  ! 

FU.  Se  qui  fosse  il  coro,  come  sulle  scene,  lo- 
derebbe a  cielo  la  vostra  modestia  ;  ma  io  ,  che  vi 
ascolto,  vi  loderò  facendo  le  parti  e  di  uditore  e  di 
coro  altresì.  E  giacche  siamo  qui,  piacevi  ritocchia- 
mo questo  tasto  ? 

Zan.  Tanto  nCe  bel,  quanto  a  te  piace  ,  ri- 
sponderovvi  coli' Alighieri  :  ed  ecco  i  versi  : 

«   Actoris  partes  chorus  officili  mque  virile 
«   Defendat,  neu   quid  medios  intercinat  actus, 
«    Quod  non  proposito  conducat,  et  haereat  apte. 
«   Ille  bonis  faveatque,   et  concilietur  amice, 
«   Et  regat  iratos,   et  amet  peccare  timentcs: 
«   Ille  dapes  laudet    mensae  brevis,  ille  salubrem 
«    Iustitiam,  legesque,   et  apertis  otia  portis  : 
«   Ille  tegat  commissa,   deosque  precetur  et  oret, 
«   Ut  redeat  miseris,  abeat  fortuna  superbis. 


a8o  Letteratura 

FU.  «  D'attor  le  parti  ed  i  virili  uffici 
«    Sostenga  il  coro,  ne  fra  un  atto  e  l'altro 
«    Canto  frapponga,  che  non  ben  consuoni, 
«    Né  combacisi  adatto  al  fin  proposto. 
«   Di  favor  di  benevoli  consigli 
«    Sia  largo  a'buoni;  i  furibondi  attempri; 
«   L'orgoglio  ami  ammansir;  frugali  mense, 
«    Salubri  leggi  e  la  giustizia  esalti, 
«    E  in  aperta  magion  gli  ozi  securi. 
«   Arcan  commesso  ei  celi,  e  preghi  e  implori 
«    Da'  numi  che  fortuna  amica  rieda 
«   Agl'infelici,  ed  a'superbi  avversa. 

Zan.  L'  apertis  otta  portis  allude  alle  porte 
del  tempio  di  Giano,  che  in  tempo  di  pace  tenevansi 
aperte  dai  romani,  e  non  è  reso  bene  con  quel  verso 

«   E  in  aperta  magion  gli  ozi  securi. 
E  il  prego  tanto  bello  e  giusto  in  latino  : 

«   Ut  redeat  miseris,  abeat  fortuna  superbis: 

non  è  reso  a  pennello  nel  volgare  : 

«    .  che  fortuna  amica  rieda 

«    Agl'infelici,  ed  ai  superbi  avversa. 

Il  redeat  va  bene  col  rieda',  significando  che  la  for- 
tuna, cangiatasi  di  lieta  in  avversa,  torni,  rieda,  ami- 
ca agl'infelici.  Non  va  bene  il  dire  torni,  rieda,  av- 
versa ai  superbi;  dovendo  piuttosto  dire   venga   av- 


DEL    BEN    TRADURRE    ORAZIO  28 1 

versa  di  lieta  die  fu   ai  superbi,  o  si  converta  in  ne- 
mica, avversa,  ai  medesimi. 

FU.  E  che  dite  ,  se  leggasi  nel  testo  et  amet 
pacare  tumentes,  col  Martuscelli  meglio  che  colla 
comune  peccare  limentes  ? 

Zan.  Intendo  meglio  la  gradazione  :  il  coro  fa- 
vorisca i  buoni,  faveat  bonis:  consigli  gli  amici,  con- 
silietur  amicis  (  questa  lezione  preferirei):  regga  gli 
irati,  regat  iratos:  calmi  gli  orgogliosi  tumultuanti, 
amet  pacare  tumentes.  E  mi  ricorda  che  Sofocle 
nel  Filottete  fa  pietoso  il  coro  a  quel  re  di  virtù  e 
potenza  lodato,  che  non  più  tra  gli  agi  della  corte, 
ma  viveasi  allora  misero  in  una  grotta  :  e  fa  che  ag- 
giunga voti,  affinchè  Ulisse  e  Neottolemo  prestingli 
aiuto  a  risorgere.  E  nell'Elettra  fa  il  coro  consiglia- 
re all'  afflitta  di  sommessamente  dolersi  per  non  ir- 
ritare Clitennestra  ed  Egisto,  tanto  nemici  alla  me- 
moria del  tradito  Agamennone.  Ed  Euripide  nell'Ip- 
polito dà  al  coro  di  mitigare  l'ira  di  Teseo  pregan- 
te Nettuno  a  mandare  un  mostro  marino  contro  il 
figliuolo  Ippolito.  E  tutto  mi  porta  ad  ammettere  la 
nuova  lezione  tumentes  in  luogo  di  timentes  ,  ad 
onta  de'codici  bisognosi  di  essere  posti  allo  specchio 
del  bello  e  del  vero  ,  come  avvisò  la  fatica  di  quel 
gran  critico  che  fu  Scali  gero.  Donar  vuoisi  ali'  au- 
torità de'manoscrilti  ;  ma  più  alla  ragione  :  cui  non 
può  essere  che  mancasse  giammai  il  poeta  filosofo. 
Se  non  che  parmi  che  voce  esca,  oltre  la  yostra,  a 
dirmi  col  Menzini  : 

«    Oh  chi  se'tu 

«    Chi  se'tu  che  di  luce  in   tutto  privo 
«  Altrui  vuoi  far  di  luminosa  guida  ? 


282  Letteratura 

FU.  Non  temete  siffatto  rimprovero.  Quest'au- 
torità di  menare  diritto  altrui  per  ogni  calle  delle 
lettere,  vi  dà  non  pure  la  vostra  età  e  il  vostro  sen- 
no ;  ma  quello  studio  che  poneste  sulla  poetica  del 
gran  maestro  di  color  che  sanno,  e  l'uso  che  ave- 
te di  ben  comporre.  E  sentendo  così  innanzi  nelle 
cose  della  bellezza,  sareste  non  pure  scortese;  ma  inet- 
to, se  niegaste  del  lume  vostro  fare  partecipi  gli  spi- 
riti del  bel  paese,  che  da  voi  aspettano  conforto,  sic- 
come i  fiori  chinati  e  chiusi  dal  notturno  gelo. 
Ma  poiché  in  me  ponete  amore  sopra  gli  altri  (  di 
che  vi  so  grado  e  grazia  senza  fine,  e  con  altrettan- 
to amore  vi  corrispondo  ),  lasciate  che  io  senta  da  voi 
ripetermi  quegli  aurei  versi  di  Orazio  ,  dove  audaci 
chiama  coloro  che  schiccherano  versi  senza  favilla  poe- 
tica, e  consiglia  a  chi  vuol  provarsi  al  nobile  cimen- 
to di  slare  a'consigli  di  savi  amici. 

Zan.  Che  posso  io  niegarvi,  cuor  del  mio  cuo- 
re !  Eccovi  i  versi  che  richiedete  : 

«  Ludere  qui  nescit,  campestribus  abstinet  armis; 

«  Indoctusque  pilae  discive  trochive  quiescit, 

«  Ne  spissae  risum  tollant  impune  coronae. 

«  Qui  nescit,  versus  tamen  audet  fingere.  Quid  ni? 

«  Liber  et  ingenuus,  praesertim  census  equestrem 

«  Summam  nummorum,  vitioque  remotus  ab  omni. 

FU.   «    Chi  di  giostre  non  sa,  del  marzio  campo 
«    L'arme  non  tocca;  chi  mai  palla  o  disco 
a    O  paleo  non  trattò,  stassi  'n  disparte; 
«    Onde  non  faccia  l'accerchiata  folla 
«   Impunemente  alto  scrosciar  le  risa. 
«  Versi  osa  far  chi  pur  non  sa.  Chi  '1  vieta  ? 


DEL    BEN    TRADURRE     ORAZIO  283 

«   Libero   ingenuo  e,  quel  eli' è  più,  d'equestre 
«    Censo  è  fornito,  e  d'ogni  taccia  scevro. 

Zan.  Egregiamente  !  Ma  seguitiamo,  e  sia  à  vo- 
stra istruzione  e  mia  ,  o  carissimo  ;  affinchè  non  ci 
poniamo  a  far  cosa  mai  invita  Minerva ,  e  ciò  che 
facciamo  sia  per  noi  dato  a  giudicare  a  chi  sa  e  può 
giudicarne;  ne  ci  esca  così  presto  dallo  scrigno. 

Tu  nihil  invita  dices  faciesve  Minerva  : 
Id  tibi  iudicium  est,  ea  mens.  Si  quid  tamen  olirà 
Scripseris,  in  Meti  descendat  iudicis  aures, 
Et  patris  et  nostras,  nonumque  prematur  in  annum. 
Membranis  intus  positis.  Delere  licebit 
Quod  non  edideris  :  nescit  vox  missa  reverti. 

Fil.  Sentite  la  traduzione;  poiché  la  vostra  bon- 
tà è  come  il  mare,   inesauribile  ! 

«  Tu  di  Minerva  ad  onta  oserai  nulla 

«   Dir,  ne  oprare;   e   cosi   giudichi  e  pensi, 

«    Che  a  scriver  mai  se  alcuna  cosa  imprendi 

«   Talor,  di  Mecio  giudice  a  l'orecchio 

«   La  sottoponi,  ed  al  paterno  e  al  nostro; 

«   E  per  nov'anni  a  maturar  la  lascia 

o    Ne'custoditi  fogli.  Egli  è  permesso 

«    Ciò  cancellar,   che  agli  occhi  altrui  celavi  ; 

«    Lanciato  strai  più  non  ritorna  in  cocca. 

Zan.  Questo  tratto  in  principio  non  mi  pare 
tanto  felice  nella  versione,  quanto  lo  è  nell'ultimo: 
dove  anzi  che  rendere 


284  Letteratura 

«   Parola  detta  mai  non  si  ritira, 

vi  è  piaciuto  discostarvi  dicendo  con  vivacità  senza 
dubbio  : 

«  Lanciato  strai  più  non  ritorna  in  cocca. 

E  la  metafora  è  bella,  e  quadra  bene,  e  può  subito 
essere  inlesa,  e  con  diletto.  Ma  quali  siano  le  parli 
di  un  vero  censore  udiamo  da  Orazio  ! 

«   Quintilio  si  quid  recitares  :  corrige,  sodes, 

«    Hoc  aiebat  et  hoc  :  melius  te  posse  negares, 

«   Bis  terque  expertum  frustra  :  delere  iubebat 

«   Et  male  tornatos  incudi  reddere  versus. 

«    Si  defendere  delictum,  quam  vertere,  malles, 

«  Nullum  ultra  verbum,  aut  operam  insumebat  ina- 

nem  ; 
«    Quin  sine  rivali  teque  et  tua  solus  amares. 

Che  se  io  leggessi  qui  in  vece  di  quin,  crede- 
rei forse  non  meritare  la  frusta  da'pedanti,  sostituen- 
do innanzi  il  pronome  quasi  dicesse  :  Nullum  ver- 
bum aut  operam  amplius  insumebat  prò  te,  qui 
AMAres  ec.  Ma  il  vero  si  rimanga  in  sella  ,  e  voi 
ite  innanzi  liberamente  ! 

JFil.a A  recitar  se  andavi 

«   Tuoi  versi  a  Varo  :  Emenda  un  pò  (  dicea  ) 
«    Questo  e  quell'altro.  Io  non  so  far  di  meglio; 

:cffi  «  Due  volte  e  tre  mi  son  provato  indarno. 

«  Dunque  cancella  e  i  mal  torniti  versi 
i 


DEL    BEL    TRADURRE    ORAZIO  285 

«  Di  nuovo  (  gl'imponea  )  batti  coll'incude. 

«  Se  poi  volevi,  di  mutar  invece, 

«  Scusar  l'errore;  opra  e  parole  invano 

«  Più  non  spendea,  perchè   a  tua  voglia  amassi 

a  Tuoi  parti  e  te,  senza  rivai,  tu  solo. 

Zan.  Ma  seguitiamo:  che  un  fido  censore  è  co- 
me un  amico,  e  ben  disse   Tullio  :  Amicus   certus 
in  re  incerta  cernitur.  Va  bene  che  tu  mi  accarezzi 
nel  porlo  ;  ma  meglio  poi  che  mi  salvi  nella  burra- 
sca ! 
«   Vir  bonus  ac  prudens  versus  reprehendet  inertes, 
«    Culpabit  duros,  incomptis  adlinet  atrum 
«   Transverso  calamo  signum,  ambitiosa  recidet 
«   Ornamenta,  parum  claris  lucem  dare  coget, 
«   Arguet  ambigue  dictum,  mu landa  notabit  : 
«   Fiet  Aristarcbus  :  non  dicet:   Cur  ego  amicum 
«    Offendam  in  nugis  ?  Hae  nugae  seria  ducent 
«  In  mala  derisum  semel  exceptumque  sinistre, 

FU.  «  Uom  saggio  e  onesto  i  dilombati  versi 
«    Condanna;  i  duri  non  risparmia;  i  rozzi 
«    Sgorbia  ad  un  frego  trasversai  di  penna; 
«    Sfronda  '1  fogliame;  a  rischiarar  ti  sforza 
«   I  sensi  alquanto   oscuri;  ambigui  detti 
«   Non  lascia  inavvertiti;  altri,  cui  vuoisi 
«   Novel  contorno,  d'indicar  non  lascia  : 
«    Né  fia  che  volto  in  Aristarco  ei  dica: 
«    Percìiè  V amico  amareggiar  per  ciance  ? 
«    Ciance  son   queste,  che  a  ben  tristi  punti 
«   Riducon  chi  una    volta  a  farsi  giunse 
«   Zimbello  al  riso,  e  fu  fra  scherni  accolto. 


286  Letteratura 

Io  leggerei  parimi  claros  lucem  dare  coget; 
anziché  claris  al  dativo:  e  la  ragione  salta  agli  oc- 
chi. Seguiterei  poi  a  leggere  F'iet  Aristarchus  non 
dicet  ;  perchè  al  modo  che  traducendo  voi  leggete 
non  mi  talenta.  Parmi  leggiate  :  Fiet  Ari 'star •chus; 
non  dicet  ;  così  non  solo  variate  la  punteggiatura  , 
ma  del  nec  fate  non  :  piccole  mutazioni  ;  ma  tali 
che  cambiano  il  senso.  Intendo  Orazio  che  dice:  Il 
fido  censore  sì  farà  un  Aristarco,  non  sarà  un  a- 
dulatore  che  dica  fra  se:  Disgusterò  io  V amico 
per  siffatte  inezie  ?  E  così  corre  la  lezione  comu- 
ne, la  vostra  non  mi  garba;  se  mai  altra  lezione  vi 
piacesse  ,  che  al  tutto  non  voglio  nemmen  credere. 
Andremo  d'  accordo  tuttavia,  se  tradurrete  a  un  di- 
presso così  : 

«    E  volto  in  Aristarco,  ei  già  non  dica: 
«    Perchè  l'amico  amareggiar 


Ma  che  voi  vi  turbate,  mi  fate  il  viso  dell'anno? 

FU.  A  dirvela,  la  versione  non  è  già  mia:  ella 
è  una  maraviglia  piovutaci  quasi  manna  dal  ciclo  ! 

Zan.  Ed  io  l'ho  approvata  in  più  luoghi,  e  par- 
mi  felice  dai  tratti  che  mi  avete  recitati.  Ma  cosa 
perfetta  al  mondo  non  si  dà,  e  la  manna  non  cade 
più  dal  cielo,  come  sapete.  Del  resto  lode  si  abbia 
chi  di  lode  è  degno,  e  il  traduttore  qualsiasi  sia  con- 
tento al  voto  de'savi;  non  cercando  il  mio,  che  non 
vale  se  non  tanto  quanto  un  molle  zeflìro  alle  alte 
querele.  Del  resto  io  ringrazio  voi,  che  mi  abbiate  pro- 
curato il  piacere  di  conoscere  qualche  cosa  di  una 
nuova  versione  :  e  più  vi  ringrazierò,  se  tutta  vorrete 
darmela  a  leggere  ;   imperciocché  come  si  conosce  dal 


DEL    BEN    TRADURRE    ORAZIO  287 

flore  la  pianta,  così  da'poclu  tratti  io  ho  potuto  ar- 
guire che  debba  essere,  se  non  ottima,  buona  alme- 
no  tutta  la  versione.   E  basta:  a  rivederci  ! 

Qui  il  dialogo  si  finì,  e  finisco  anch'io  di  più  te- 
diarvi. 

prof.  D.  Vaccolini. 


Sasrsri  di  traduzioni  delle  orazioni 
di  M.  T.  Cicerone  nel  secolo  XIX. 


"iffìcile  troppo  si  è  ben  tradurre  in  volgar  nostro 
Cicerone  quando  levasi  in  forense  grandiloquenza  ; 
più  assai  d'allora  che  si  aggira  modestamente  in  filo- 
sofiche disquisizioni.  Tutti  gli  uomini  di  senno  ra- 
gionano in  modo  presso  che  uguali ,  non  tutti  gli 
oratori  parlano  a  un  modo;  1'  intelletto  capace  di  ra- 
gione non  si  muta,  perchè  il  vero  è  immutabile  ;  si 
muta  il  cuore,  troppo  libero  campo  alle  passioni,  che 
la  faccia  del  bene  mascherano,  velano  e  mutano  per 
mille  guise.  Quindi  il  filosofo,  che  parla  all'intelletto, 
non  seguirà  un  modo  in  Atene,  un  altro  in  Roma;  non 
uno  sotto  la  repubblica,  un  altro  sotto  l'impero.  Ma 
l'oratore  che  parla  anche  al  cuore,  e  principalmente 
al  cuore,  altro  parla  in  Atene  ed  altro  in  Roma,  altro 
sotto  la  repubblica,  ed  altro  sotto  l'impero.  Dee  mo- 
vere le  volontà  di  molti:  e  per  muoverle  dee  a  quelle 
piegarsi  egli  slesso,  per  poi  piegarle  egli  stesso  con  ar- 
te, che  sembri  natura.  La  lingua  filosofica  e  quasi  uni- 


s88  Letteratura 

versale,  la  lingua  ilei  popolo  è  diversa  pe'diversi  popo- 
li; anzi  pei  popoli  stessi  in  mutate  condizioni  di  reg- 
gimento, di  passioni,  di  fortune,  di  studi.  Cicerone, 
che  seppe  essere  stretto  e  calzante  nelt'esporre  dogmi 
di  filosofìa,  usò  per  conformarsi  al  popolo  ed  alla  cu- 
ria del  suo  tempo  tanta  larghezza,  che  a  noi  italiani 
in  tanta  diffusione  di  lumi  pare  per  poco  soverchia. 
Il  Poerio  oggidì  parla  da  filosofo  meglio  che  da  orato- 
re, e  convince  e  persuade,  senza  quell'apparato  di  qua- 
si vaniloquenza,  che  nella  stessa  orazione  di  Milono 
tradotta  dal  Bonfadio  si  manifesta.  A  che  quella  lun- 
ga  difesa   poggiata   sul    falso  ?  Od  almeno    sopra   un 

equivoco  :  Fé  cerimi  id  servi  Milonis neque 

imperante,  neque  sciente,  neque  pr aesente  domino, 
quod  suos  quisque  servos  in  tali  re  facere  voluis- 
set.  Falso  era  quel  neque  imperante,  neque  sciente, 
e  falso  appariva  dal  processo:  equivoco  era  quel  quod 
suos  quisque  servos  in  tali  re  facere  voluisset. 
Ognuno  vorrebbe  esser  difeso  dai  servi  con  freno  d'in- 
colpata tutela,  niuno  di  sana  mente  potrebbe  volere 
ciò  che  la  natura  non  dà,  perseguitare  il  nemico  che 
fugge,  incalzarlo  nel  suo  ripostiglio,  trucidarlo,  e  per 
mano  de'servi  farsi  d'assalito  assalitore,  di  assassinato 
farsi  assassino.  Fu  dannato  Milone,  e  dovette  man- 
giare i  pesci  a  Marsiglia,  non  pel  timore,  da  cui  so- 
praffatto fu  M.  Tullio  nel  recitare  l'orazione;  ma  per- 
chè il  sangue  di  Clodio  gridava  vendetta  in  faccia  agli 
uomini  ed  agli  dei.  Certamente  dinanzi  all'Areopago 
in  Atene  Cicerone  non  avrebbe  abusato  la  pazienza 
de'giudici  con  tante  e  sì  studiate  parole  :  e  volendo 
pure  difendere  una  causa  non  buona  (  che  al  dire  di 
Ovidio  fassi  peggiore  patrocinandola)  non  avrebbe  tra- 
dito o  mascherato  la  verità  nella  esposizione  del  fatto, 


Orazioni  di  M.  T.  Cicerone  289 

non  avrebbe  tratto  tanto  in  lungo  l'apologia  per  non 
istancare  tutte  le  orecchie,  per  non  indignare  tutti 
gli  amici  col  manifesto  orpello  dell1  eloquenza  :  ed  è 
orpello  mai  sempre,  quando  ancora  ha  bella  scorza,  e 
manca  assai  la  sostanza,  che  è  la  ragione,  la  verità. 

Ma  io  veggo  molti  farmi  il  viso  dell'arme,  i  quali 
giudicano  M.  Tullio  più  dalle  lodi  di  Catullo,  che  dai 
biasimi  di  Tacito  o  Quintiliano  che  siasi.  Lo  giudicano 
dalla  opinione  ereditata  dai  padri:  e  tolgono  al  tempo, 
che  danna  o  assolve  gli  uomini  e  più  gli  scrittori,  di 
decidere  imparzialmente.  Non  si  creda  però,  che  non 
si  possa  scusarlo  attribuendo  al  suo  secolo  quella  dif- 
fusione meglio  asiatica  che  romana,  e  l'essere  in  cor- 
rotta città  fractum  et  elumbem. 

Comecché  siasi  (  che  non  mi  arrogo  di  senten- 
ziare) non  manco  io  stesso  di  porre  gli  occhi  sulle  carte 
di  Cicerone,  e  lodo  che  altri  le  faccia  leggibili  a  tutti 
nella  nobile  lingua  italiana.  E  lasciando  i  passa  ti  vol- 
garizzatori ,  ornai  giudicati  dalla  nazione  ,  porrò  ad 
esame  la  traduzione  data  da  quel  chiaro  spirito  di 
Romagna,  che  fu  Gaspare  Gar atoni  (  M.  Tidlii  Ci- 
ceronis,  Oratio  prò  T.  Annio  Milone  cum  adno- 
tationibus  et  versione  italica.  Bononiae  CIO  '  IO  • 
CCC  .  XVII.  ex  typ.  franceschia  ad  signum  co- 
lumbae  in  8.  )  :  non  che  la  traduzione  dell'Orazio- 
ne a  favore  di  A.  Licinio  Archia  data  dalV  avv. 
Luigi  Borsari  (  che  sento  aver  traslatate  tutte  le 
scelte  )  e  leggesi  nel  voi.  I  del  Solerte  ,  giornale 
letterario  dell'Emilia ,  e  bibliografia  dello  stato 
pontificio )  nuova  serie  (  Bologna,  coi  tipi  delle 
muse  1841  a  pag.  32  e  segg.  ).  Comincio  dalla  MU 
loniana. 

Al  cap.  9  fxssa  l'oratore  lo  stato  della  queslio- 
G.A.T.LXXXYIL  19 


290  Letteratura 
ne.  <(  Rimane  (  egli  dice  ),  che  voi  non  dobbiate,  a 
«  giudici,  altra  cosa  cercare  se  non  quest'una,  quale 
«  de'due  sia  stato  l'insidiatore.  Ed  acciocché  questo 
«  possiate  meglio  per  argomento  comprendere,  il  fatto 
«  io  vi  narrerò  brevemente:  voi  ascoltatemi,  ve  ne 
«  prego,  con  diligente  attenzione.  —  Publio  Clodio 
«  avendo  determinato  di  straziare  la  repubblica  nella 
«  sua  pretura  con  quante  scelleragini  per  lui  si  po- 
«  tesse  ,  e  vedendo  che  per  la  dilazione  de'  comizi 
«  nell'anno  avanti  pochi  mesi  di  quella  gli  sarebbon 
«  rimasi  ;  siccome  quegli  che  non  al  grado  dell'ono- 
«  re  riguardava,  come  gli  altri  fanno,  ma  e  non  vo- 
«  leva  aver  collega  Lucio  Paolo,  cittadino  di  virtù  sin- 
«  golare,  e  voleva  intero  un  anno  per  lacerar  la  re- 
«  pubblica;  d'improvviso  si  ritrasse  dall'anno  suo,  e 
«  nel  prossimo  si  gittò,  non,  come  si  fa,  per  alcun 
v  religioso  rispetto,  ma  per  procacciare,  secondo  eh' 
«  egli  stesso  diceva,  al  suo  magistrato,  cioè  alla  di-r 
«  struzione  della  repubblica,  anno  pieno  e  compiuto. 
«v  Occorrevagli  all'animo,  che  mozza  sarebbe  la  sua 
«  pretura  ed  infralita,  se  Milon  fosse  console:  e  lui 
«  per  1'  appunto  vedeva  per  sommo  consentimento 
«  del  popolo  romano  salire  al  consolato  ....  Anda- 
ti va  egli  puhblicamente  dicendo,  che  rapire  a  Mi- 
ci Ione  il  consolato  non  si  poteva,  la  vita  potevasi. 
«  Questo  significò  sovente  in  senato,  in  parlamento 
«  manifestò.  Disse  ancora  più  avanti  ;  poiché  a  Fa- 
ci vonio,  uom  valentissimo,  domandategli  con  quale 
K  speranza  vinto  Milone  infuriasse,  rispose,  che  fra 
«  tre  o  al  più  quattro  giorni  sarebbe  morto  :  e  di 
«  presente  Favonio  a  Marco  Catone  il  ridisse.  In 
ci  questo  ,  sapendo  Clodio  (  che  agevol  cosa  era  il 
«  saperlo  )  dover  Milone  il  di  tredicesimo  avanti  le 


Orazioni  di  M.  T.  Cicerone  291 

«  calende  di  febbraio  andare  a  Lanuvio  ,  per  ivi 
«  nominare  il  flamine  ;  che  a  lui  ,  siccome  dittato- 
ci re  del  luogo,  andata  era  solenne,  legittima,  neces- 
«  saria  ;  il  giorno  innanzi  partì  egli  stesso  improv- 
«  visamente  di  Roma,  per  porre  insidie  a  Milone  , 
«  come  per  lo  fatto  s'intese,  in  sulla  fronte  di  un 
«  suo  podere.  E  partì  egli,  lasciando  mancare  l'esca 
«  del  suo  furore  ad  una  mal  animata  raunanza,  che 
«  si  tenne  quel  dì  medesimo  :  la  quale  non  avreb- 
«  be  trascurata  giammai,  se  non  fosse  stato  sollecito 
«  di  trovarsi  al  luogo  ed  al  tempo  di  quella  impre- 
«  sa.  Milone  il  dì  seguente  stette  in  senato  insino 
«  al  oongedo,  indi  a  casa  tornò:  vestito  e  calzari  mu- 
ti tò:  alquanto  ancora,  finché  la  sua  donna  si  accon-» 
«  eia,  come  accade,  si  soffermò  :  partì  finalmente  a 
«  cotal  ora  ,  che  se  Clodio  era  per  venire  a  Roma 
«  quel  giorno,  avrebbe  già  potuto  esservi  giunto.  Gli 
«  si  fa  incontro  Clodio  tutto  leggiero  a  cavallo,  sen^ 
«  za  cocchio,  senza  impaccio  veruno ,  senza  i  suoi 
«  soliti  compagni,  e,  ciò  che  quasi  mai  usato  non  era, 
«  senza  la  moglie:  mentre  questo  insidiatore,  che  quel 
«  viaggio  ad  uccisione  aveva  disposto  ,  veniva  colla 
«  moglie  in  cocchio,  involto  con  mantello,  con  inu 
«  pacci  dimolti,  con  grande,  con  delicato,  con  don- 
«  nesco  accompagnamento  di  paggi  e  di  fantesche. 
«  Scontrossi  egli  in  Clodio  dinanzi  al  detto  podere 
«  all'ora  undecima  o  in  quel  torno.  Subitamente  dal- 
«  l'alto  dimolti  armati  gli  fanno  impeto  sopra  :  quei 
«  che  gli  eran  dicontro,  uccidono  il  cocchiere  :  egli 
«  gitta  indietro  il  mantello  e  sbalza  dal  cocchio.  E 
«  mentre  gagliardamente  si  difendeva,  quelli  che  ol- 
«  tre  con  Clodio  erano  andati,  tratte  le  spade,  parte 
<i   si  rivolgono  verso  il  cocchio  per  assalir  Milone  alle 


292  Letteratura 

«  spalle,  parte  credendolo  già  morto  ,  cominciano  a 
«  battere  i  servi  di  lui  che  dietro  venivano,  Fra  i 
«  quali  servi  coloro  che  coraggioso  animo  avevano» 
«  o  fedele  al  padrone,  altri  ci  lasciarono  la  vita,  al- 
ci tri  vedendo  presso  al  cocchio  combattere,  e  vieta- 
ci to  il  recare  al  signor  loro  soccorso  ;  anzi  udendo 
«  ch'egli  era  ucciso,  e  udendolo  da  Clodio  stesso  e 
«  credendolo  :  questi  servi  di  Milone  (  io  noi  dico 
«  per  discarico  ,  ma  come  fu  veramente  )  non  per 
«  comando  di  lui,  non  lui  consapevole  e  non  pre- 
ti sente,  fecero  quello  che  ciascuno  in  simil  caso  vo- 
ci   luto  avrebbe  fatto  dai  servi  suoi. 

«  II.  Queste  cose,  come  io  le  vi  ho  raccontate, 
«  cosi,  o  giudici,  avvennero  appunto  :  1'  insidiatore 
«  fu  superato,  dalla  forza  fu  vinta  la  forza,  o  plut- 
ei  tosto  fu  dal  valore  oppressa  l'audacia.  » 

Non  istarò  a  notare  con  occhio  di  pedante  la 
versione  del  Garatoni  (  del  quale  non  so  chi  più  in- 
nanzi o  meglio  vedesse  nelle  orazioni  il  M.  Tullio 
al  nostro  tempo  )  :  non  dirò  che  le  tronche  parole 
sarebbon,  Milon,  e  forse  anche  agevol,  cotal  non 
le  ama  troppo  la  lingua  nostra,  meno  poi  in  una  ma- 
gnifica orazione  :  non  dirò  che  dimolti  per  molti  è 
addiettivo  del  dialetto  bolognese  ;  poiché  si  potrebbe 
soggiungere  qualche  esempio  del  Segneri  :  non  dirò 
nemmeno  ,  che  in  qualche  tratto  (  rare  volte  però  ) 
amerebbesi  più  fedeltà  nelle  minime  cose  ancora,  di- 
co nell'ordine  lucidissimo  delle  stesse  più  piccole  par- 
ti di  un  periodo:  altrove  mi  piacerebbe  più  accomo- 
data la  versione  all'indole  della  lingua  nostra,  non 
amante  di  trasposizioni;  onde,  a  cagion  d'esempio,  io 
vorrei  reso  il  principio  del  §.  1 1  come  segue:  «  L'in- 
u  sidiatore  fu  superato,  la  forza  fu  vinta  dalla  forza, 


Orazioni  di  M.  T.   Cicerone  293 

((   o  piuttosto  l'audacia  fu  oppressa  dal  valore.  »  Del 
resto  un  senso  di  quiete  e  di  contentezza  ti  si  de- 
sta e  dura  nell'anima  al  leggere  la  versione  del  Ga- 
ratoni,  ed  è  prova  che  è  riuscito  a  maraviglia  ;  aven- 
do osservato  all'incontro  in  tutte  le  altre  che  n'  ab- 
biamo, fosse  pur  quella  del  Bonfadio,   non  avvenire 
così.  E  non  so    come  il  Gamba  diligentissimo    nella 
Serie  dei  testi  di  lingua  italiana,  almeno  nella  pe- 
nultima edizione,  dico  in  quella  di  Venezia   1828  , 
non  facesse  motto  del  Garatoni  frai  volgarizzatori  più 
celebri  di   Cicerone  :  egli,  che  me  tanto  lungi  da  quel 
famoso  volle  pur  nominare  al  §.  884  e  g45  per  va- 
rie annotazioni  critiche,  che  ebbi  occasione  d'inseri- 
ìe  in  questo  reputato  giornale  dell'anno  1825,  sopra 
alcuni  volgarizzamenti  del  buon  secolo  della  lingua  , 
appunto  di  Cicerone.  Ma  più  fa  specie,  che  avendo 
scritto  del  Garatoni  e  lo  Strocchi  nell'elegantissimo 
comentario  latino  riprodotto  in  Faenza   con  caratteri 
bodoniani,  tipografia  Montanari  e  Marcolini  nel  i83o, 
e  qualche  altro  dopo  di  lui,  fra  i  quali  quello  squisi- 
to giudizio  di  Filippo  Mordani,  insigne   nostro   colla- 
boratore, nelle  vite   de'ravegnani   (  Ravenna    tip.  Ro- 
veri );  non  che  tra  le  biografie   di  romagnuoli   (  Forlì 
i835  ):  e  l'instancabile  G.   M.  Bozoli  nella  biografia 
degl'italiani  (Venezia   i834,  V(n-    *•>  a  Pag-   4^2  )  : 
niuno  di  essi  abbia  notato  espressamente,  che   la  ora- 
zione di  Cicerone  a  favore  di  Milone,  con  note  e  con 
volgarizzamento  del  Garatoni  (  il  quale  morì  agl'idi  di 
febbraio  del  18 17  ),  era  già   in  pronto  e   riveduta  per 
la  stampa,  anzi  approvata  dai  censori, fino  dal  7  dicem- 
bre 18 16,   e  uscì  in  Bologna   del    1817   senza  alcuna 
nota,  che  indicasse  di  essere  postuma.   Que'che  hanno 
scritto  del  Garatoni,  que'che  lo  hanno  avvicinato,  que' 


2g4  Letteratura 

che  hanno  a  cuore  le  lettere  e  i  letterati  della  colta 
nostra  Romagna,  prego  che  vogliano  por  l'animo  a  scio- 
gliere il  dubbio  natomi,  che  la  edizione  della  milonia- 
na  uscisse,  vivo  il  Garatoni.  Io  non  amo  che  il  vero: 
e  quanto  amo  il  vero  deggio  amare  che  la  vita  de'chia- 
ri  nostri  scrittori  sia  studiata  appunto  nello  specchio 
del  nudo  vero.  Del  resto  quale  che  siasi  il  giudizio  dei 
savi  e  buoni  su  questo  punto  della  edizione  della  mi- 
loniana,  come  nel  resto  :  io,  che  mi  conosco  da  nulla, 
mi  acquieterò  agevolmente  nella  prudente  loro  sen- 
tenza. Mi  si  perdoni  questa  lunga  dicerìa,  che  non 
bisognava:  né  io  l'avrei  posta  qui  se  lo  stesso  studio 
della  verità  non  mi  si  apponesse  a  colpa  da  taluno, 
che  ama  se  meglio  che  l'onore  delle  lettere  e  il  santo 
vero. 

Vengo  ora  all'orazione  di  Cicerone  a  favore  di 
jérchiaì  volgarizzata  dal  eh.  avv.  Luigi  Borsari.  Ec- 
cone l'esordio.  Farò  andare  di  conserva  le  poche  mie 
osservazioni  tratto  tratto  che  mi  nasceranno;  volendo 
innanzi  essere  scusato  dall'illustre  volgarizzatore,  che 
io  stimo  tanto  da  farlo  giudice  delle  mie  stesse  osser- 
vazioni; le  quali  accolte  da  lui,  che  è  cima  di  lettera- 
to, mi  parrà  acquistare  quel  peso,  che  da  me  non 
ponno  in  alcun  modo  aspettarsi.  I  savi  che  leggeranno 
pongansi  sott'occhio  il  testo  latino  pe' necessari  con- 
fronti :  io  mi  valgo  della  edizione  di  Milano  della  so- 
cietà de' classici,  e  precisamente  dell'antologia  latina 
per  la  classe  di  umanità  superiore  (  Milano  1818,  a 
pag.  69  e  segg.  ),  che  è  nelle  mani  di  lutti  :  questo  ri- 
guardo mi  ha  indotto  a  sceglierla  di  preferenza,  cer- 
to d'altronde  della  correzione  trattandosi  di  un  libro 
fatto  per  le  scuole  e  stampato  con  molta  cura.  Ma 
perchè   trattasi  di  ben  giudicare,  e  ben  giudicare   non 


Orazioni  di  M.  T.  Cicerone  2g5 

si  può  senza  richiamare  l'argomento  dell'orazione:  mi 
si  permetta  ricordare  qui,  che  A.  Licinio  Archia  poe- 
ta, antiocheno  di  origine,  venne  a  Roma  l'anno  della 
fondata  città  648,  e  dagli  eracleesi  fu  donato  della  cit- 
tadinanza in  grazia  di  Lucullo  :  ebbe  altresì  la  citta- 
dinanza di  Roma  in  virtù  della  legge  plauzia  papi- 
ria  l'anno  661.  Ma  passati  28  anni,  un  certo  Gracco 
mosse  lite  ad  Archia  sulla  cittadinanza,  facendosi  for- 
te, come  è  da  creder  e,  sulla  legge  papia  :  Ne  quis  pe- 
regrinus  prò  cive  se  gereret,  cura  civis  non  esset. 
Cicerone  assunse  la  difesa  del  maestro,  e  provò  Ar- 
chia essere  cittadino  in  virtù  delle  leggi,  e  meritare 
di  essere  fatto  cittadino,  se  ancora  non  lo  fosse.  Ma 
ecco  l'esordio,  secondo  la  versione  dell'avv.  Borsari. 
«  Se  punto  è  in  me  d'ingegno  ,  o  giudici  ,  che  io 
«  ben  so  quanto  sia  scarso;  o  alcun'arte  di  favella- 
«  re,  di  cui  per  verità  ho  molt'uso;  e  se  alcun  che 
«  io  vi  possa,  mercè  di  quelle  lettere  e  di  que'studi, 
«  che  io  sempre  amai  :  di  tutte  queste  cose  ,  quali 
«  esse  siano  ,  devesi  giuslamente  il  primo  frutto  ad 
«  Archia.  »  Si  qua  exercitatio  dicendi,  in  qua  me 
non  inficior  mediocriter  esse  versatum:  il  traduttore 
dice  (  ommesso  il  se  )  alcun!  arte  di  favellare,  di 
cui  per  verità  ho  molt'uso.  Io,  subordinatamente  a 
migliore  giudizio,  dubiterei  se  arte  rispondesse  ad  e- 
xercitatio',  l'esercizio  fa  l'arte,  è  un  mezzo  all'arte; 
ma  non  è  l'arte  :  e  qui  la  modestia  di  Cicerone  di- 
ce esercizio,  non  dice  arte.  Ancora  dubiterei  se  di 
favellare  rispondesse  a  coppella  al  dicendi;  l'arie  del 
dire,  del  bel  dire,  è  definita  la  rettorica;  l'arte  à\  fa- 
vellare è  piuttosto  la  grammatica.  Tutti  parlano,  tutti 
favellano  ,  non  tutti  sono  eloquenti  :  e  qui  di  elo- 
quenza intende  M.  Tullio.  Ma  questo  passi;  ciò  che, 


2qG  Letteratura 

non  panni  assolutamente  da  passare  si  è  il  dire  di 
cui  per  verità  ho  molfuso:  dove  è  qui  la  modestia, 
dove  è  il  non  inficior  ,  dove  il  mediocriter  ?  E 
quando  volessi  sofisticare,  chiederei  un  corrispondente 
più  accomodato  al  latino  vel  in  primis  ,  ed  all'  al- 
tro a  me  repetere  :  chiederei  il  periodo  più  sostenu- 
to alla  fine  nella  versione  :  e  se  si  cercasse  eleganza, 
invece  di  cominciare  col  se  punto  è  in  me  l'ingegno, 
direi  se  fiore  è  in  me  d'ingegno.  Ma  non  è  da  guar- 
dare tanto  alla  vernice,  quando  la  forma  e  la  mate- 
ria è  lodevole.  Ora  è  da  seguitare,  lasciando  altri  nei, 
se  vi  fossero,  ad  occhio  più  perspicace. 

«  Perciocché  quanto  può  il  mio  pensiero  riguar- 
«  dar  nel  passato,  e  rivelare  la  memoria  de'miei  più 
«  teneri  anni,  io  veggio  costui  essermi  stato  maestro 
«  e  autore  ;  perchè  io  volgessi  e  ponessi  l'animo  in 
«  quegli  studi.  »  Manca  nel  volgare  il  corrisponden- 
te al  latino  inde  usque  repetens  :  ne  l' evidenza  del 
principali  et  ad  suscipiendam  et  ad  ingredien- 
dam  rationem  horum  studiorum  trovo  nel  volgare  : 
volgare  è  porre  l'animo  a  qualche  studio  (  meglio  che 
in  qualche  studio  ):  non  basta,  trattasi  dell'eloquenza, 
che  vuole  non  pur  l'animo,  ma  e  il  cuore  e  la  lingua 
e  tutto  l'uomo  :  e  Cicerone  a  tutt'  uomo  erasi  dato 
appunto  all'eloquenza,  come  pare  accenni  modesta- 
mente sì,  ma  chiaramente  in  questo  luogo  ;  anche  per 
ciò  che  dice  dopo. 

«  Che  se  questa  voce  informata  dall'esortazione 
«  e  da'precetti  di  lui  valse  al  soccorso  di  alcuni,  egli 
«  è  solenne  mio  debito  giovare,  per  quanto  è  da  me, 
«  e  recar  salute  a  colui  dal  qual  ebbi  di  poter  giova- 
ci re  e  salvar  gli  altri.  »  Non  approverei  in  italiano  la 
frase  informata   dalV esortazione  e  da'  precetti  :  e 


Orazioni  di  M.  T.  Cicerone  297 

confermata  dice  il  latino  ,  non  informata  :  sem- 
pre il  verbo  formare  ;  ma  altrimenti  modificato  dalle 
prepositive  in  e  con.  Debemus  ,  dice  il  latino,  e 
quantum  est  sitam  in  nobis  :  il  plurale  in  luogo  del 
singolare,  non  senza  perchè,  usa  Cicerone;  lo  veggano 
i  savi,  e  primo  di  tutti  il  eh.  volgarizzatore. 

a  Ma  come  troppo  in  noi  è  diversa  la  ragione 
a  dell'arte  e  l'ingegno,  altri  del  mio  dire  non  maravi- 
«  gli.  Ne  io  pure  ho  dato  a  questo  unico  studio  ogni 
«  mia  cura;  imperocché  tutte  insieme  le  umane  arti 
«  stringe,  direi  quasi,  e  congiunge  un  comun  vinco- 
«   lo  di  parentela.    » 

Qui  per  non  riuscire  infinito,  mi  limito  a  deside- 
rare più  fedeltà  nella  versione  ;  quella  fedeltà,  di  cui 
cominciando  dal  1825  ho  toccato  più  volte,  esami- 
nando in  queste  carte  volgarizzamenti  i  più  celebrati. 
Non  credo  ripetere  il  già  detto,  a'eortesi  che  leggono 
volentieri  il  giornale  arcadico:  e  sanno  gli  avvisi  del 
soavissimo  e  giudiziosissimo  Perticari,  e  di  quell'  altro 
onore  di  Romagna,  che  fu  Paolo  Costa,  in  quanto  a 
elocuzione. 

«  Ma  perchè  strano  non  paia,  che  in  civil  pia- 
ci to  e  in  pubblico  giudizio,  innanzi  a  pretore  elettis- 
«  simo  e  severissimi  giudici,  e  nel  convento  di  sì  gran 
«  moltitudine,  io  prenda  una  favella  lontana  del  tut- 
ti to  dalle  consuetudini  e  dai  modi  forensi:  io  vi  chieg- 
«  gio  una  grazia,  o  giudici,  che,  mentre  si  addice  alla 
«  qualità  del  mio  cliente,  a  voi,  spero,  non  sarà  gra- 
«  ve  il  concedere.  All'oratore  che  parla  per  un  poe- 
ti ta  sommo,  per  un  dottissimo,  presenti  tanti  uomini 
«  di  lettere,  ove  tanta  è  la  gentilezza  vostra  e  la  ec- 
«  cellenza  di  questo  preside,  concedete  di  spaziare 
«   più  libero  alquanto   per    le  ragioni  delle   lettere   e 


398  LETTERATURA 

«  degli  studi.  E  permettete  che  difendendo  colui,  che 
«  nel  beato  ozio  di  essi  studi  non  conobbe  i  pericoli 
«  de'giudizi,  io  usi  favella  a  questi  luoghi,  può  dirsi^ 
«  insolita  ed  inaudita.  Che  se  di  tanta  grazia  mi  sa-* 
«  rete  cortesi,  io  farò  di  mostrarvi:  che  non  solamene 
«  te  questo  Licinio,  che  è  cittadino,  non  vuole  sce* 
«  verarsi  dal  ruolo  de'cittadini;  ma  ascriversi  dovreb- 
«   be,  se  non  lo  fosse.  » 

Quel  tanto  consenta  hominum  ac  frequentici , 
non  piacerà  a  tutti  reso  così  nel  convento  di  sì  gran 
moltitudine;  perchè  convento  non  è  oggi  parola  che 
significhi  concorso ,  frequenza  di  persone  :  convento 
è  convento^  e  la  religione  se  ne  è  appropriata  l'uso, 
come  si  sa.  Non  piacerà,  che  Yuti  genere  dicendi 
sia  reso  col  prenda  una  favella.  Questa  benedetta 
favella  (  l'ho  di  sopra  in  parte  accennato  )  è  meglio 
parola  (  e  viene  dal  fare  de'latini),  è  lingua ,  me- 
glio  dico,  che  eloquenza.  Così  in  Dante  Inf.  2  : 

«   Con  angelica  voce  in  sua  favella  : 

ed  Inf  5: 

«   Fu  imperatrice  di  molte  favelle. 

E  Boccaccio ,  nov '.  427:  <(  La  giovane  udendo  la^a- 
vella  latina.  »  E  il  Redi  leti.  1,  18:  «  Metterò  qui 
la  sua  traduzione  dàlia  favella  greca  nella  latina.    » 

Taccio  altri  esempi,  bastandomi  ragione  addotta 
e  autorità,  ed  uso  ancora,  a  concludere,  che  favella 
meglio  si  usa  a  significare  semplice  parola  o  lingua, 
di  quello  che   eloquenza. 

Ma  io  non  voglio,  né  so  essere  quasi  Aristarco; 


Orazioni  di  M.  T.  Cicerone  299 

per  cui  mi  taccio*  contento  a  dare  quale  si  è  il  vol- 
gare della  perorazione.  I  savi  giudicheranno,  e  il  tra- 
duttore vedrà  se  gli  convenga  donare  le  seconde  e 
le  terze  cure  alla  sua  versione  annunciata  delle  ora- 
zioni scelte  di  M.  Tullio;  onde  sia  degna  di  lui  e 
del  secolo  in  cui  viviamo.  Se  i  miei  conforti  voles- 
sero appo  lui,  io  vorrei  di  cuore  confortarlo  a  non 
lasciare  fatica  per  darne  uno  squisito  volgarizzamen- 
to, che  sino  dai  tempi  di  Fausto  da  Longiano,  scrit- 
tore Unto  encomiato,  ci  aspettiamo  con  desiderio. 

«  Laonde,  vostra  mercè,  o  giudici,  sia  salvo  que- 
«  st'uomo,  di  quella  candida  fede  che  vi  attesta  la 
«  lunga  amicizia  di  tanti  egregi,  e  di  quell'ingegno 
«  che  ognuno  estima  in  chi  i  grandi  ingegni  in- 
«  memora  (questi  /  troppo  fanno  cacofonia).  Ecco 
«  sorge  in  favor  suo  il  benefizio  delle  leggi,  l'auto- 
«  rità  di  un  municipio,  il  testimonio  di  Lucullo  ,  i 
«  libri  di  Metello.  Se  valga  adunque  a  sì  gran  cau- 
<(  sa  la  raccomandazione  degli  uomini  e  degl'iddii,  fa- 
«  te,  o  giudici,  io  ve  ne  prego,  che  quell'onesto  al~ 
«  la  fine  nella  vostra  fede  riposi,  ne  lo  fiacchi  il  ri- 
ti gor  vostro,  ma  la  vostra  umanità  lo  conforti.  Egli 
«  è  colui  che  voi  celebrava  e  i  vostri  capitani  e  le 
«  romane  imprese,  e  prometteva  d'illustrare  con  glo- 
«  riosa  istoria  i  tristi  casi,  che  di  recente  ci  afflissero: 
«  egli  è  di  coloro,  che  come  cosa  sacra  furono  appel- 
li lati  ed  onorali  presso  ogni  gente.  Ond'io  porlo  spe- 
«  ranza,  che  le  cose,  le  quali  secondo  mio  stile  con 
«  brevi  e  semplici  parole  vi  esposi,  saranno  nel  vostro 
«  senno  approvate.  E  troverà  grazia  appresso  voi  tut- 
«  ta  questa  diceria,  nella  quale  sono  andato  (#),  di  fo- 
- 

{")  La  stampa  noti  ha  che  sono   ondulo,  e    forse   dovrebbe 


3oo  Letteratura 

«  rensi  consuetudini  e  di  quell'egregio  ingegno  e  de- 
«  gli  studi  di  lui.  Certo  io  ne  sono  da  chi  questo  giù- 
»   dizio  presiede.    » 

Queste  ultime  parole  limpidissime  nel  testo  po- 
trebbero dar  luogo  ad  equivoca  interpretazione  ?  E  un 
mio  dubbio  ;  ma  e  questo  e  ogni  altro,  che  io  taccio, 
vedranno  e  sceglieranno  (  lo  replico  )  i  savi  e  i  di- 
screti, ed  egli  stesso  il  eh.  volgarizzatore. 

prof.  D.  Vaccolini. 


aggiungersi  dicendo  o  parlando;  anzi  senza  forse,  per  corrispon- 
dere al  locutus  sum  del  latino. 


3oi 


I 


Epigrammi  tradotti  dal  greco. 
I. 

CENA   D'UN  AVARO. 

n  vasellame  Dissi  adirato 
D'argento  solido  Co'piatti  fulgidi  : 

Risplendentissimo,  Oh  !  in  piattel  terreo 

Cinna  non  posemi  Bastevol  fossemi 

Altro  che  fame.  Cibo  recato  ! 

II. 

SUPERBO    NELLA    LIETA   FORTUNA. 

Copia  grande  di  tesori 
E  di  onori 
Al  mio  Carmi  intorno  sta: 

Ma  nel  suo  novello  stato 
Ha  obbl*iato 
Ogni  senso  d'amistà. 

Qual  si  fosse  la  sua  storia, 
Di  memoria 
Tuttaquanta  gli  uscì  fuor. 

Né  la  sorte,  che  giuocando 
Va  cambiando, 
In  lui  mette  alcun  timor. 


3oa  Letteratura 

Una  volta  mendicante 
Venia  innante 
Supplicando  colla  man: 

Or  che  siede  a  ricca  mensa 
Non  dispensa 
Né  gli  avanzi  del  suo  pr. 

La  Fortuna,  o  Carmi,  è  lie 
Forse  in  breve 
Testimon  sarai  del  ver. 

Tutto  cambia  di  presente  : 
Te  pezzente 
Torneremo  a  riveder. 

III. 

CONTRO    UN    PUGILATORE. 

Per  ben  vent'anni 
Il  duro  Ulisse 
Tra   mille  affanni 
Pei  mari  errò. 

Giunto  al  suo  tetto 
In  lui  si  affisse 
Il  cagnoletto, 
E  '1  ravvisò. 
O  Stratofonte, 
Dopo  quattr'ore, 
Tai  rechi  impronte 
Dal  colpeggiar, 


Epigrammi  tradotti  dal  greco  3o3 

Che  i  tuoi  ne  fanno 
Alto  stupore, 
Ne  te  più  sanno 
Raffigurar. 
Non  dare  orecchio 
A'detti  miei: 
Fa'  che  lo  specchio 
Sia  testimon. 

Innanzi  ad  esso 
Giurar  tu  dei  : 
Io  quello  stesso 
Di  pria  non  son. 

IV. 

IADRO    CHE   RUBA   MERCURIO, 

Aulo  fra  tenebre, 
Per  vie  secrete, 
Fatta  sacrilega 
Preda  d'Ermete, 
Che  dell'arcadiche 
Piagge  è  signor  ; 

Di  lui  che  aligero 
Figlio  di  Giove, 
Posto  è  per  vigile 
Custode,  dove 
I  forti  addestransi 
Meglio  al  valor; 


3o4  Letteratura 

Di  lui  che  a  tenere 
Vacche  si  piace 
Pur  anco  stendere 
La  man  rapace; 
Aulo  tra  '1  ridere 
Picea  così  : 

Che  tra  i  discepoli 
Non  sia  valore 
Tale  che  superi 
L'insegnatore, 
No,  più  non  dicasi 
Da  questo  dì. 

V. 

CONTRO    UN    MEDICO. 

Cinque  infermi 
Alessi  il  medico 
Ad  un'ora  visitò: 
Cinque  n'unse 
De1  suoi  balsami, 
Cinque  a  Dite  ne  inandò, 

Un  sepolcro, 

Un  sol  becchino 

Ebber  tutti; 

E  giù  per  gl'inferi 

Di  conserto 

Tutti  presero 

Il  medesimo  cammino. 


Epigrambii  tradotti  dal  greco  3o5 

VI. 

l'astrologo  e  il  nocchiero. 

Un  nocchier  venne  tutto  sollecito 
A  ricercare  da  Olimpo  astrologo, 
Se  verso  Rodi  fuor  di  cimento 
Spiegar  potesse  i  bianchi  lini  al  vento. 

Cui  l'indovino  :  Non  troppo  carico 

Muova  il  tuo  legno  :  sciogli  dal  margine 
Quando  le  messi  vedrai  già  bionde, 
Né  t'affidar  di  mezzo  verno  all'onde, 

Ciò  fermo  :  lieto  potrai  ben  correre 
Quell'ampio  tratto  di  pian  ceruleo, 
Ed  approdare  senza  periglio, 
Purché  i  ladroni  non  ti  dian  di"  piglio. 

VII. 

GRAN    NASO. 

Ermocrate  del  naso,  se  fai  senno, 
Non  già  '1  naso  d'Ermocrate  dirai: 
Che  le  piccole  cose  non  si  denno 
Alle  maggiori  attribuir  giammai. 

Vili. 

VECCHIA   AZZIMATA. 

E  crine  e  denti  hai  compero, 
Hai  compro  e  fuco  e  cera: 
Il  prezzo  d'una  maschera 
Forse  minor  non  era  ? 
G.A.T.LXXXVII.  20 


3o6  Letteratura 

IX. 

BENI    DELLA  MORTE. 

Perchè  mai  timidi 
Morte  vi  fa  ? 
Sol  per  lei  trovasi 
Pace  sincera: 
In  fuga  volgesi 
De'morbi  pallidi 
Per  lei  la  schiera: 
Ha  per  lei  termine 
La  povertà. 

La  morte  è  unica, 
Viene  un  sol  di: 
IN  è  più  tormentaci 
Dopo  quel  giorno, 
Sì  come  sogliono 
Le  febbri  squallide 
E  tante  zacchere 
Che  fan  ritorno 
E  ci  dilaniano 
Pur  tuttodì. 


Epigrammi  tradotti  dal  greco  307 

X. 

MORTE    SENZA    LEGGE. 

Ghiri  and  ette  fiorite 
Dà  Nico  vecchierella 
All'urna  di  Melite 
Intatta  verginella, 

La  qnal  meglio  dovria, 
Se  men  bizzarra  fosse 
La  morte,  a  questa  pia 
"Vecchietta  infiorar  l'osse. 

XI. 

CANIZIE. 

Al  sapiente 

Il  crine  candido 
Aggio  gne  onor  ; 
Ma  la  canizie 
Nuda  di  merito 
Fa  il  vecchio  stolido 
Più  stolto  ancor, 

É  venerando 

Ancor  che  tacito 

Un  vecchierel  ; 

Ma  s'egli  parli 

Parole  insipide, 

Non  altro  restagli 

Che  degli  anni  la  soma  e   il  bianco  pel. 


3o8  Letteratura 

XII. 

BELTÀ1    FUGACE. 

Questi  fioretti,  di  mia  mano  or  colti 
Qua  e  là  dove  il  pratel  meglio  ridea, 
Ecco  ti  mando  in   un  bel  serto  accolti, 

O  Rodoclea. 
La  viola  e  il  narciso  qui  pompeggia, 
Qui  la  rosa  dispiega  il  suo  vermiglio, 
Col  rugiadoso  anemone  biancheggia 

L'intatto  giglio. 
Orna  di  questi  il   capo  e  quindi  abbassa 
Di  tua  fiorita  etade  l'alterezza  , 
Dicendo:   Come  il  fior,  cosi  trapassa 

Mortai  bellezza. 

XIII. 

GRAN   NASO. 

Comunque  ch'ei  si  provi  e  ch'ei  si  faccia 
Non  vien  mai  dato  a   Proclo  il  naso  tergere, 
Se  mezzo  naso  men  lunghe  ha  le  braccia. 

Ne  starnutando  può  le  voci  adergere  : 
Salva,  o  Giove;  che  l'udire  è  niente: 
L'alto  fracasso  si  va  tutto  a  spergere 

Pria  che  dal  naso  giunga  ove  si  sente. 


Epigrammi  tradotti  dai-  greco  309 

XIV. 

TRE      SORDI. 

Gran  lite  infra  due  sordi  un  dì  si  mosse, 
E  un   giudice  fu  dato  alla  quistione 
Che  più  de'duo  avea  le  orecchie  grosse. 

Trattosi  il  primo  a  dimandar  ragione  , 
Disse  :   Signor,  costui  pagar  non  vuole 
De'miei  goduti  alberghi  la  pigione. 

E  l'altro  :  Ben  puoi  dir  di  queste  fole  : 
Io  mi  stetti  al  molino  in  fin  l'aurora. 
Ed  il  giudice  :  A  che  tante  parole  ? 

La  vostra  madre  non  è  viva  ancora  ? 
Mantenetela  adunque  :  il  non  sapere 
Sì  giusta  legge  troppo  indegno  fora. 

XV. 

PRIAPO    GUARDIA    D'INCOLTA    VIGNA. 

Cotesta  vigna,  o  mio  bel  Rufo,  dove 
Ponesti  il  dio    Priapo  alle  vedette, 
Contiene,  a  molto  dir,  non  più  di  nove 
O  dieci  viticelle  languidette: 
Tal  che  se  viene  a  far  le  usate  prove 
Il  ladro  con  sue  arti  maledette, 
Mentre  che  il  resto  è  fuor  d'ogni  periglio, 
Forse  al  custode  poria  dar  di  piglio. 


3io  Letteratura 

XVI. 

A    CERBERO   D*  ARCUILO  CO. 

Orribil   Cerbero, 
Ch'alto  latrando, 
L'ombre  dell'Erebo 
Vai  spaventando, 

Poniti  in  guardia 
Contro  la  nera 
Ombra  che  approssima 
Alla  riviera. 

E  morto  Archiloco 
Autor  de'versi 
Del  più  vipereo 
Veneno  aspersi. 

Schermo  qual  siasi 
Nulla  ti  vale, 
Se  col  mortifero 
Giambo  t'assale. 

Qual  poter  abbiasi 
Coll'aspro  accento, 
Licambe  facciane 
Chiaro  argomento. 

A  un  dì  medesimo 
Di  lui  fé'  carca 
E  delle  figlie 
La  stigia  barca. 


EPIGRAMMI  TRADOTTI  DAL  GRECO  3ll 

XVII. 

RINGRAZIAMENTO    DI    CENA. 

Cinna  cortese,  che  mi  credi  degno 
D'avermi  teco  a  nobile  convito, 
Più  che  assai  ti  ringrazio,  ma  non  vegno, 
Se  mei  consenti;  che  pel  dolce  invito 
Vanno  già  le  mie  brame  al  loro  segno, 
Contento  al  molto  onor,  che  m'è  largito  : 
Dommi  pasco  così  lieto  alla  mente, 
Né  grevezza  di  cibo  il  corpo  sente. 

XVIII. 

morte  d'Orfeo. 

Della  tua  cetra  al  suon  le  antiche  selve 
Non  moveransi  più,  né  i  massi  grevi, 
Né  la  famiglia  delle  crude  belve; 

Né  potrai  più  arrestar,  come  solevi, 
Le  grandini  sonore,  il  mare,  i  venti, 
Né  la  caduta  di  fioccate  nevi. 

Veggo  le  muse  all'urna  tua  dolenti 
E  Calliope  tua  madre  da'  bei  lumi 
Di  lagrime  versare  ampi  torrenti. 

All'uom  che  gioverà  che  si  consumi 
Plorando  i  figli  spenti,  se  alla  prole 
De'celesti  non  vai  pianto  di  numi  ? 


3i2       Letteratura 
XIX. 

ARCO    E    FARETRA  AD  APOLLO. 

Come  s'avvisa  Alcon  che  il  dolce  nato 
Miseramente  dalle  spire  orrende 
Di  gran  serpe  nel  corpo  era  aggirato; 

Senza  punto  indugiar  l'arco  protende, 
Vibra  di  salda  man  punta  mortale, 
Che  l'aspe  fiero  nelle  fauci  prende; 

Né  dal  ferro  il  fanciul  s'ebbe  alcun  male, 
Ancor  che  si  paresse  in  quel  momento 
Le  belle  membra  rasentar  lo  strale. 

Sull'elee  or  pone  il  gemino  strumento, 
Faretra  ed  arco,  illustre  di  valore 
Non  men  che  di  fortuna  monumento. 

XX. 

PRIMIZIE  DE* CAMPI  A  CERERE. 

Picciol  dono  di  picciol  campicello 
Un  fastellin  di  spiche  a  te  qui  pone 
Il  tuo   Sosicle,  o   Cerere;  il  più  bello 
Dell'estiva  stagione. 
Madre  benigna,  io  vo'che  mi  conceda 
Che,  dopo  aver  la  mano  mia  stancata. 
Di  nuovi  doni  apporlator  io  rieda 

Colla  falce  spuntata. 


Epigrammi  tradotti  dal  greco  3 1 3 

XXI. 

API   NEI   ROSTRI. 

Trionfale  di  guerra  monumento 
Rostri  già  fissi  alle  vaganti  navi 
Neil'  aziaco  naval  combattimento, 

Or  d'api  denso  stuolo  abbiam  nei  cavi, 
E  ferve  l'opra  lor  sì  che  già  pregni 
Son  de'più  dolci  e  rugiadosi  favi. 

Cesare  augusto,  tu  di  pace  i  segni 
Coll'arti  della  guerra  in  bell'accordo 
Come  giugner  si  ponno  al  mondo  insegni. 

XXII. 

ENEA    IN   ITALIA. 

Le  parche  nei  destini  avean  fissalo 
Del  superbo  Ilion  l'orrenda  clade, 
Come  il  sangue  regal  fosse  versato. 

Ma  il  tuo  navilio,  Enea,  ver  le  contrade 
D'Ausonia  intanto  veleggiando  muove, 
E  colà  fia  che  la  futura  etade 

T'onorerà  qual  tutelar  suo  Giove. 
Felice  Troia  pur  quando  s'adima  ! 
Se  la  città,  che  dee  per  ogni  dove 

Stender  lo  scettro,  il  capo  indi  sublima. 


3i4  Letteratura 

XXIII. 

STATUA   i>'  ALESSANDRO. 

Quanto  dagli  occhi  sfolgora  di  luce, 
O  artefice  preclaro,  il  tuo  lavor  ! 
Miro  nel   bronzo  il  gran  peliaco  duce 
E  sospeso  mi  tiene  alto  stupor  ! 

A'  persiani  pavidi  fuggenti 

Ben  io  concedo  un  facile  perdon  : 
Chi  stupirà  che  fuggano  gli  armenti 
Se  d'improvviso  appar  fulvo  lìon  ? 

XXIV. 

CAPRETTA    DIVORATA    DAL   LUPO. 

Tirsi  mio,  che  giova  il  pianto, 
A  che   giova  oguor  di  stille 
Il  sereno  tutto  quanto 
Irrorar  di  tue  pupille, 

Se  andò  giù  nell'Orco  cupo 
La  vezzosa  caprettina, 
Se   la  cruda  ugna  del  lupo 
Si  ghermì  la  poverina  ? 

Ora  latrano  i  molossi: 

Ma  qual  prò,  se  orribil  pasto 
N'è  già  fatto;  e  fin  degli  ossi 
Né  un  minuzzolo  è  rimasto  ? 


Epigrammi  tradotti  dal  greco  3 1 5 

XXV. 

CONTRA    UN    GRAMMATICO. 

Cinegiro  infelice  e  vivo  e  spento  ! 
O  il  ferro  micidial  ti  rende  monco, 
O  le  lingue  ti  dan  sempre  tormento. 

Teste  pugnando  rimanesti  cionco 
Dell'una  man,  ed  un  grammatic'ora 
Di  netto  l'un  de'piè  ti  fece  tronco. 


Ab.  Domenico  Santucci. 


— *»-^S>0<S§3-«=~ 


3i6 


BELLE   ARTI 


Lettera  sopra  un  antico  paliotto,  lavoro  di  cesel~ 
lo  in  argento  del  secolo  XII,  indritta  al  n.  u. 
sig.  conte  Francesco  Carle schi  membro  della 
congregazione  di  revisione  in  Roma,  dal  cav. 
Giacomo  avvocato  Mancini  di  città  di  Castel- 
lo, accademico  etrusco  della  valle  tiberina  ec. 

PREGIATISSIMO    AMICO, 

Città  di  Castello  il  dì  3  marzo  i84i' 


D, 


acche  io  v'indrizzai  quella  qualunque  siasi  mia 
memoria  intorno  alla  vita  ed  alle  opere  di  Raffael- 
lino  dal  Colle,  non  ebbi  più  l'ardimento  di  distur- 
barvi dalle  vostre  gravi  ed  assidue  occupazioni.  Mi 
lusingo  però  che  voi,  sì  passionato  per  le  scienze  ed 
arti,  non  disdegnerete  ch'io,  quasi  a  vostro  allevia- 
mento, per  poco  ve  ne  distragga  per  parlarvi  di  due 
ben  utili  opere  ,  forse  a  voi  note  ,  le  quali  ad  in- 
defesso studio  e  premura  del  eh.  signor  Francesco 
Gherardi  Dragomanni  di  s.  Sepolcro  slannosi  presen- 
temente sotto  i  tipografici  torchi.  Nella  prima  di  esse 


Antico  paliotto  317 

si  conterrà  una  generale   biografia  di  tutti  gli  uomini 
illustri,  che  a  diverse  età  fiorirono  nella  nostra  bella 
ed  amena  valle  tiberina  :  nell'altra  avran  luogo  sto- 
rie e  cronache,  ed  allre  si  vetuste  e  sì  moderne  pro- 
duzioni di  simil  genere  da'medesimi  utilmente  scrit- 
te. In  quest'ultima  verrà  inserta  un'  inedita  e  dotta 
memoria,  che  presso  di  me  si  serba,    già  scritta  dal 
eh.  mio  fratello  canonico  don  Giulio,  intorno  alla  vi- 
ta e  geste  dell'augusto  nostro  concittadino,  e  massi- 
mo pontefice  papa   Celestino  II,  eletto  fregio  ed  alto 
decoro  di  questa  nostra  patria.  Nella  medesima,  co- 
me si  conveniva,  egli  fa  grata  ricordanza  di  un  ma- 
gnifico paliotto  d'argento,   lavoro  di  cesello,    cui    se- 
condo un'  antica  ed  invariabile    patria   tradizione   il 
laudato   pontefice  donò  generoso  a  questa  sua   tifer- 
nate  canonica,  ove  tuttora  gelosamente  si  custodisce. 
Il  sig.  d'Agincourt,  di  cui  ad  altra  occasione  ci- 
tai le  precise  parole  (  Istruz.  storie a-pittor .  not.  1, 
pag.  45  ),  ragionando  del  medesimo,  estima  franca- 
mente   essere  il  più    rispettabile    monumento    della 
scuola  greca  nel  secolo  XII  (  Suor,  dell1  arte,  toni. 
Ili,  pag.    179.  Ediz.   Giacch.  );  e  quindi    ne  fece 
a  corredo  della  sua  storia  il  disegno  incidere    nella 
tav.  22,  num.    i3.  Non  v'ha  pertanto  dubbio  alcuno, 
che  questo  antico  monumento   pregevolissimo  non  sia 
per  la  storia  delle  arti  sorelle;  e  come  tale  merita  una 
accurata  illustrazione,  eh'  io,  benché  di  deboli  forze 
fornito  ,  oso  qui  intraprendere  :    nutrendo  al  tempo 
stesso  la  più  viva  fiducia,  che  a  voi  sì  caldo  amato- 
re ed  accorto  conoscitore  non   tanto  delle    vetuste  , 
quanto  delle  moderne  loro  produzioni,  sarà  per  avven- 
tura graditissima  ;  e  vieppiù  perchè  essa  tutta    s'ag- 
gira intorno  ad  una  sì  bella  patria  antichità. 


3i8  Belle     Arti 

Sebbene  a  voi,  che  tante  volte  contemplata  l'a- 
vrete, note  in  genere  sieno  le  sue   dimensioni;  con- 
tuttociò  io  con  precisione  vi  dirò,  che  la  medesima 
ha  quattro  palmi  e  mezzo  d'altezza  e  nove  di  lun- 
ghezza. Dividesi  il  suo  prospetto  in  tre  riparti  prin- 
cipali, dove  si  veggono  in   mezzo  rilievo  espresse  di- 
verse saere  rappresentazioni.   Nel  riparto  di  mezzo  è 
inserito  un   grand'ovato  di  sesto  acuto,  nel  campo  di 
cui  senza  apoggiatori,  o  postergale, sta  il  Salvatore  ada- 
giato in  un  sedile,  che  viene  sorretto  da  due  sottili 
colonnette   di  uniforme  grossezza,  poggianti  nel  suo- 
lo con  due  zoccoletti  in  forma  di  capitello  con  foglia- 
mi all'ingiù.   Egli   colla  sinistra  tiene  un  libro  ,  che 
dritto  posa  nel  ginocchio,   e  che  può  credersi  il  li- 
bro della  vita  nominalo  nell'Apocalisse   (  cap.    20  , 
nutrì*   i5  ),  da  cui  soleano  togliere  gli  antichi  fedeli 
le  religiose  figure.    Ha  la  destra  avanti  il  petto,  be- 
nedicendo col  solo  indice  e  medio  alzati.  Questo  mo- 
do di  organizzare  le  dita  non  è  veramente  d'uso  la- 
tino, né   greco;   e  però  il  crederei  una  svista  dell'ar- 
tefice; ma  egli  lo  ha  ripetuto  nella  fuga  in  Egitto  , 
di  cui  or  farò  parola.  Forse   credette,    che   alzandosi 
tre  dita  per  dinotare  il  mistero  della  Trinità  bastas- 
sero anche  due  in  persona  di  Cristo,  che  essendo  egli 
stesso  presente  non  avea  bisogno  di  simboleggiarsi  coli' 
elevazione  del  terzo  dito.  Nell'adorazione  de' magi  pe- 
rò in  appresso   vedremo  ch'ei  figura  il  bambino   che 
benedice  all'  uso  latino  col  pollice ,   indice  e  medio 
eretti.  Ma  tornando  al  Salvatore,  egli    posa  in  uno 
sgabelletto  i  piedi,  che  senza  idea  di  scorcio  si  pre- 
sentano dritti  in  punta;  e  sono  oltremodo  piccoli  più 
che  i  cinesi:  un  diadema  co'raggi  a  croce  greca  gli  de- 
cora il  capo  :  l'attorniano  dall'un  lato  il  sole,  dall'al- 
tro la  luna  e  varie  stelle. 


Antico  paliotto  319 

Nelle  quattro  lunette,  che  riquadrano  lo  sparti- 
mento,  sono  espressi  i  quattro  simboli  degli  evange- 
listi, tutti  alati.  Nel  libro  che  tiene  il  bue  si  scor- 
gono un  C  appresso  un  A  coll'asta  orizzontale  del 
T  posata  nel  suo  vertice,  e  sotto  un  S.  Forse  egli 
è  il  monogramma,  che  ricorda  il  nome  dell'  artefice 
a  chi  l'indovina.  Il  riparto  a  destra  è  diviso  in  due 
paralellogrammi,  l'uno  superiore,  inferiore  l'altro;  ed 
è  pur  così  diviso  quello  della  sinistra.  Il  superiore  a 
destra  rappresenta  tre  fatti  :  un  angelo  che  annuncia 
il  Verbo  alla  vergine  posta  sotto  uno  stretto  taberna- 
colo :  indi  la  vergine  stessa  che  visita  s.  Elisabetta  : 
le  loro  teste  sono  sormontate  da  due  torrette  strana- 
mente terminate  a  sguscio.  Segue  la  natività  :  la  ver- 
gine posa  in  uno  stramazzo  :  indietro  evvi  una  spe- 
cie di  culla  ,  dove  giace  il  bambino  tutto  fasciato  : 
sopra  risplende  una  stella  :  il  bue  e  l'asino  statinosi 
colle  teste  affacciati  alla  culla.  In  alto  si  vede  l'aper- 
to della  campagna,  dove  in  piccolo  si  rappresentano 
due  angeli,  che  manifestano  il  santo  natale  a  due  pa- 
storelli, dietro  i  quali  sbucan  fuori  tre  teste  di  pe- 
corelle :  al  di  sotto  della  vergine  sta  scolpita  in  pic- 
colo una  donna  sedente  ,  che  lava  in  una  conca  il 
bambino  ;  e  poco  discosto  siede  un  vecchietto.  Es- 
sendo quasi  rappresentanza  a  parte,  col  bambino  ri- 
petuto ,  sembra  che  siano  la  vergine  medesima  e  s. 
Giuseppe.  In  ciò  l'artefice  è  stato  attaccato  alla  ve- 
rità della  storia  più  di  colui,  che  fece  la  porta  della 
metropolitana  di  Benevento,  il  quale  decorò  l'azione 
del  natale  con  due  donne  serventi;  errore  giustamen- 
te ripreso  dal  eh.  monsig.  Ciampani  (  Vetera  monu- 
menta ,  tom.  Ili,  cap.  5,  pag.  27  ).  Non  ignoro  poi, 
che  alcuni  eruditi  uomini  da  me  eaiandio  sentiti  pen- 


320  Belle     Arti 

sano,  che  il  rappresentare  l'asino  ed  il  bue  nel  pre- 
sepio fosse  introdotto  da  s.  Francesco  ;  da  che  ne 
verrebbe,  che  1'  età  di  sì  fatto  monumento  non  do- 
vesse riportarsi  all'epoca  di  Celestino  II,  anteriore  di 
oltre  un  secolo  alla  nuova  costumanza.  Dico  però  , 
che  l'opinione  di  questi  signori  è  combattuta  forte- 
mente dai  fatti. 

L'Arringhi  nella  sua  Roma  sotterranea  (  lib.  3, 
Cap.  42  )  ha  pubblicato  la  figura  del  sarcofago  gual- 
diano,  già  nel  portico  della  basilica  liberiana;  ed  ivi 
fra  le  altre  cose  si  osserva  nel  mezzo  il  bambino  in 
culla  coll'asinello  ed  il  bue.  Questo  marmo  era  stato 
trovato  nelle  ricerche  che  si  fecero  de'cimiteri  e  ca- 
tacombe nel  fine  del  i5oo  ,  e  perciò  il  suo  lavo- 
ro fu  opera  de'primi  secoli  della  chiesa.  Nella  porta 
di  s.  Paolo  si  vede  il  presepio,  dove  in  disparte  sta 
giacente  un  bue.  L'età  di  questo  monumento  è  quella 
di  Alessandro  II  (  Ciamp.,  Vet.  moti.  toni.  /,  cap.  4, 
pag.  3 7  ).  In  altra  porta  similmente  di  bronzo  della 
metropolitana  di  Benevento  si  rappresenta  il  s.  na- 
tale, dove  il  bambino  non  è  sulla  culla,  ma  dentro 
una  conca  assistito  da  due  donne,  le  quali  attendono 
a  lavarlo;  non  ostante  però  affacciate  alla  culla  vuo- 
ta sono  due  figure,  che  monsignor  Ciampini,  per  es- 
sere mal' espresse  ,  dice  non  aver  potuto  distinguere 
se  fossero  il  bue  e  l'asinelio  (  Tom.  Ili ,  cap.  5  , 
pag.  48).  Detto  prelato  non  ebbe  che  il  disegno  tras- 
messogli dall'  arcivescovo  di  Benevento  ;  ma  si  può 
credere  che  fosse  accurato;  e  che  però  quelle  figure 
siano  effettivamente  mal  concie  anche  nell'originale. 
Chi  ne  ha  mezzo,  potrà  farvi  più  matura  considera- 
zione. Intanto  sembra  più  probabile,  che  essendo  il 
bue  chiaramente  nella  porta  di  s.  Paolo,   ed  il  bue 


Antico  paltotto  32  i 

e  l'asinelio  nel  sarcofago  gualdìano,  sieno  anche  nel- 
la porta  di  Benevento  le  figure  di  quegli  animali.  E 
che  aveano  di  fatto  a  guardare  due  persone  ripiegate 
al  di  sopra  di  quella  culla  ,  dove  non  era  l'oggetto 
che  dovea  interessare?  L'antichità  di  questo  monu- 
mento si  riferisce  dal  medesimo  monsig.  Ciampini  a 
circa  il  iioo  (  ivi,  pag.  3j  ,  38  ).  Sembra  perciò 
che  l'opinione  di  ripetersi  da  s.  Francesco  l'uso  di 
collocare  il  bue  e  1'  asino  nel  presepio  non  abbia 
fondamento. 

Difatti  s'egli  è  indubitato,  cha  l'opinione  di  es- 
sersi trovati  il  bue  e  1'  asinelio  nel  presepio  è  ben 
antica  presso  i  cristiani;  e  s.  Girolamo  ad  Eustochio 
(  Epist.  27  ),  san  Gregorio  Nazianzeno  (  Ovatto  de 
Christi  nat.  ),  il  Nisseno  (  De  Christi  general.  )  , 
Paolino  a  Severo  (  Epist.  n  ),  Cirillo  (  Chathec. 
12  ),  Prudenzio  (  In  cath.  die  8  )  ,  il  Damasceno 
(  In  car.  de  nat.  Christi  ),  a  sentimento  del  Baro- 
nio,  ne  fanno  la  più  chiara  testimonianza  (  Annali, 
toni.  I,  introduzione  num.  Ili)',  ed  il  Sandini  chia- 
ma sentenza  dei  peggiori  critici  quella  in  cui  si  vuo- 
le ,  che  tutti  abbiano  parlato  in  senso  mistico  anzi 
che  istorico  (  Hist.  fam.  sac.  De  Christo  domino, 
cap.  1  ).  E  perchè  dunque  non  avranno  in  secoli  più 
rozzi  del  XIII  rappresentato  questo  fatto  come  il  cre- 
deano,  avvenuto  secondo  la  più  letterale  credenza  dei 
padri,  che  ne  aveano  parlato   precedentemente  ? 

Seguendo  la  linea  a  sinistra,  nell'alto  del  terzo 
ripartimento  si  vede  la  vergine  seduta  in  un  taber- 
nacolo col  bambino.  Un  re  in  ginocchio  gli  fa  l'of- 
ferta; e  due  in  piedi  sono  per  farla  :  ciascuno  ha  un 
bussolotto  coperchiato,  sul  disegno  delle  lanterne,  do^ 
ve  sono  i  donativi  :  il  bambino  li  benedice  colle  tre 
G.A.T.LXXXVII.  21 


32  2  BelI.eArTI 

dita  erette,  pollice,  indice  e  medio  :  in  alto  splende. 
la  stella.  Dietro  le  figure  occupa  il  prospetto  in  ul- 
tima linea  un  muro  a  larghe  pietre  riquadrate  con 
torri  terminate  a  sguscio;  son  forse  le  mura  di  Bet- 
lemme. Termina  il  paralellogrammo  la  presentazio- 
ne al  tempio:  la  vergine  dall'un  lato  presenta  il  bam- 
bino :  in  mezzo  avanti  un  tabernacolo  sta  il  vecchio 
Simeone,  che  dimentico  di  essere  ebreo  si  sta  lati- 
namente vestito  in  piviale,  sotto  cui  involte  alza  le 
braccia  per  riceverlo  :  dall'altro  lato  un  vecchio,  for- 
se s.  Giuseppe  ,  tiene  le  braccia  ancor  esso  involte 
nel  pallio,  ed  alzate  in  atto  di  offerire  due  colombe. 
Nell'estremo  a  destra  sorge  una  colonna  senza  idea 
alcuna  di  restremazione,  scanellala  sottilmente  a  chioc- 
ciola :  sulla  sommità  di  essa  s'  affaccia  una  picciola 
torretta  :  anche  all'estremo  delia  sinistra  s'innalza  uno 
sconcio  fabbricato   con   torretta  al  di  sopra. 

Tornando  a  destra  del  paliotto,  nella  parte  in- 
feriore la  vergine  sull'  asinelio  va  in  Egitto  :  avanti 
marcia  san  Giuseppe  gravato  di  portare  accavalciato 
sulle  spalle  il  bambino  ,  forse  per  dare  breve  posa 
alle  braccia  della  vergine,  che  ha  le  mani  composte 
a  preghiera  verso  Gesù  ;  e  questi,  volto  colla  faccia 
indietro,  la  benedice  col  solo  indice  e  medio  eretti. 
Vola  al  di  sopra  un  angelo  che  addita  la  strada:  que- 
sto pensiere  ha  un  movimento  che  si  sente  al  cuo- 
re. Appresso  scorgesi  la  presa  di  Gesù  nell'orto:  Giu- 
da lo  abbraccia  seguito  da  una  diecina  di  sgherri  , 
tre  de'  quali  fanno  fronte  nel  primo  piano  del  pro- 
spetto :  degli  altri  posti  indietro  si  veggono  le  teste 
coperte  di  celata  e  barbuta  :  sono  armati  chi  di  lan- 
cia, chi  di  alabarda  e  chi  di  asta  forcata  :  un  altro 
Sgherro  sta  dietro  Gesù  afferrandolo  ,  ed  a  tutte    le 


Antico  paliolto  3a3 

facce  si  è  cercato  dare  una  tinta  di  ferocia  col  te- 
nere il  forame  della  pupilla  più  largo,  specialmente  in 
Giuda. 

Passando  al  paralellogrammo  di  sinistra,  evvi  la 
crocifissione  :  la  croce  presenta  scritto  nella  sommità 
Giesus  :  la  lettera  G  gira  tutta  in  circolo  nel  fondo, 
e  la  lettera  E  è  come  la  C  con  la  gambetta  retta  in 
corpo,  del  gusto  che  suol  dirsi  gotico  :  le  altre  so- 
no maiuscole  romane  ;  mescolanza  tutta  propria  an- 
che di  secoli  anteriori  al  XII,  e  precisamente  osser- 
vabile in  un  antico  marmoreo  titolo  di  Celestino  , 
che  tutt'ora  esiste  presso  la  porta  laterale  di  questo 
nostro  duomo  detta  di  mezzo,  come  eziandio  avverte 
il  canonico  Mancini  nella  di  sopra  enunciata  vita 
del  lodato  pontefice.  L'interposizione  dell'  I  debbe  at- 
tribuirsi alla  barbarie  dell'artefice  probabilmente  gre- 
co. Avvezzo  egli  a  scrivere  Gesù  col  iota  avanti  l'ita; 
e  dovendo  ora  accomodarsi  al  suono  latino  della  G, 
si  è  confuso  col  valore  greco  del  gamma,  che  avanti 
la  epsilòn,  equivalente  la  E  dolce,  fa  ghie  presso  i  la- 
tini ;  e  così  avanti  la  E  gli  venne  interposta  la  I. 
1  Anche  il  sig.  d'  Agincourt  soprallodato  pensa  ,  che 
I  l'opera  sia  di  artista  greco,  che  potea  essere  in  Ro- 
|  ma  (  Sto?\  delVarte^  voi.  Ili,  parte  /,  pag.  179  ). 
\   Gesù  ravvisasi  crocifisso  senza  corona  di  spine  ,  co- 

Ìjj   me  usavasi  negli  antichi  secoli  (  Gori,  Simbole  lett. 
\   voi.  III).  Il  Gori  dice  ,  che  in  tutte  le    pitture    e 
sculture,  in  buon  numero  da  lui  vedute   del  XIII  e 
XIV  secolo,  non  si  trova  espressa  la  corona  di  spine 
I   nel  crocifisso.  Ha  il  capo  un  pocolino  pendente  verso 
I  la  spalla  desti'a  ;  ma  sostiensi  sul  collo  :  dal  che,  seb- 
!   bene  abbia  quasi  chiusi  gli  occhi,  si  deduce   ch'egli 
è  rappresentato  vivo.  Si  vede  però  che  già  incomin- 


324  Belle     Arti 

ciava  a  declinare  l'antico  costume  di  far  Gesù  con 
gli  occhi  aperti  :  cosicché  a  poco  a  poco  al  voltar  del 
secolo  XIV  venne  da  tutti  rappresentato,  come  già 
morto.  Una  croce  da  me  posseduta,  che  gl'intendenti 
tutti,  unitamente  al  fu  sig.  cav.  Wicar,  stimano  di- 
pinta da  Giotto,  di  cui  già  ad  altra  occasione  feci  pa- 
rola (  Istruz.  stor.  pltt.  tom.  /,  pag.  2y3  ),  mostra 
nell'un  lato  il  crocifisso  vivente,  nell'altro  già  morto 
si  scorge.  Ognun  comprende,  che  epoche  di  tal  sor- 
te prima  di  fissare  un  uso  generale  possono  comoda- 
mente ammettere  due  secoli  ,  non  essendo  cosa  più 
difficile  a  cambiarsi,  che  usi  di  religione  adottati  si- 
no dalla  prima  educazione,  e  riguardanti  la  disciplina 
degli  oggetti  più  sacri.  Egli  non  è  vestito,  ma  soltan^ 
to  bendato  ai  fianchi  sin  giù  presso  al  ginocchio.  Le 
immagini  più  antiche  furono  per  lo  meno  tunicate  dal 
petto  fin  presso  il  ginocchio  (  Lami,  Discorso  delle 
sue.  immag.  nelle  novelle  letterarie  del  1767  ). 
Ma  nel  secolo  XII  cominciò  a  dipingersi,  senza  alcun 
dubbio,  la  nudità  soltanto  velata  :  tantoché  Giunta 
pisano,  coetaneo  di  s.  Francesco,  così  rappresentò  il 
crocifisso  messo  alle  stampe  dal  eh.  Alessandro  da 
Morrona  (  Pisa  illustrata ,  tom.  Ili,  tav.  pen.  per 
la  pag.  5 1 7  ).  Ed  in  esso  è  pure  osservabile,  che  sta 
ad  occhi  serrati,  e  capo  affatto  pendente  dal  collo,  co- 
me già  morto  :  dal  che  resta  confermato  quanto  di 
sopra  è  stato  riflettuto  sugli  ocohi  aperti  de'crocifìssi. 

Relativamente  a'piedi,  nel  nostro  sono  separata- 
mente inchiodati,  come  sempre  fecesi  sino  alI'XI  se- 
colo. Nel  XII  cominciaronsi  ad  inchiodare  talvolta 
con  una  punta  sola  :  metodo  che  si  vede  adottato  uni- 
versalmente ai  tempi  di  Cimabue  e  di  Giotto  (  Buo~ 
narroti,  Pietri  cimit.  pag.  264  )•  U  nostro   artefice 


Antico  paliotto  325 

conservando  1'  uso  de'quattro  chiodi,  nel  tempo  che 
adollava  il  cangiamento   negli   occhi  e  nella  veste,    ci 
dà  sicuro  argomento  d'aver  lavorato  per  entro  il  seco- 
lo XII,    in  cui  certamente  incominciò   la   mescolanza 
degli  usi  nuovi  co'vecchi.   I  piedi   sono   affissi    ad   un 
suppedaneo;  uso  antico  che  vedesi  eziandio    espresso 
nella  citata  porta  di  s.  Paolo,  perchè  non  possa  dubi- 
tarsi se  nel   secolo   XII  vi  si  potesse    rappresentare. 
Due  angeli,  uno  per   lato,  decorano   la  sommità  della 
croce;  ed  in  terra  a  destra  di  essa  sta  la  vergine  :  a  si- 
nistra s.  Giovanni,  ambedue  in  atti  dolenti  :  in  ultimo 
sono  espressi  tre  santi,  che  tali  li  fanno  credere  le  am- 
pie e  raggianti  laureole,  che  ne   circondano   le   teste. 
Quello  di  mezzo  è  un  vescovo   con    la  casula  rotonda 
alzata  ai  lati  delle  mani,  in  una    delle  quali   si  vede 
il  loro  per  dove  passava  il  pastorale,  al   presente  man- 
cante; la  cui  punta  era   confitta    in    altro    foro  ,  che 
si  vede  abbasso  nella  figura  di  mano  sinistra  :  con  l'al- 
tra tiene   un  libro.  La  mitra,  che  gli  copre  il  capo,  è 
sì  bassa,  che  le  sue  punte  sormontano  appena  il  ver- 
tice di  esso  :  segno  conveniente  all'età  di  questo  la- 
voro. A  destra  evvi  un  soggetto,  che  sembra  vestito 
di  dalmatica  talare  a  grandi  maniconi,  tenendo  stret- 
to avanti  il  petto  con  ambe  le  mani  un  libro,  forse 
quello  degli  evangeli.  Certamente  tutta  la  sua  figu- 
ra è  conforme  a  quella  di  s.    Agapito    diacono     del 
santo  pontefice  Sisto  II,  che  con  altri  santi  si  vede 
nel  musaico  della  tribuna  di  s.  Marco  in  Roma,  ope- 
ra dell'ottavo  secolo,  come  dimostra   monsig.    Ciani- 
pini  che  ne  pubblicò  il  disegno  (Veter.  monum.  tom. 
II,  tav.  3j).  Il  santo,  posto  a  sinistra,  è  vestito  di  una 
stretta  tonaca  talare,  che  mostrasi  tutta  dalla  gola  al 
piede,  cinto  la  vita  con  una  zona.  Parte  d'un  pallio 


32G  Belle     Arti 

dalla  spalla  destra  gli  scende  sino  al  petto  :  si  vede 
alla  sinistra  l'altra,  che  dalla  spalla  gli  scende  al  pie- 
de, mostrando  di  essere  ampio  per  la  quantità  delle 
pieghe  colle  quali  s'accoglie  :  tiene  la  mano  sinistra 
sopra  il  fianco  stringendo  un  libro  :  la  destra  appiat- 
tata all'alto  del  petto  con  la  palma  di  faccia  al  ri- 
guardante; e  colle  dita  indice  ed  anulare  soli  distesi  , 
come  appunto    tengonsi  a  far  le  corna. 

Il  Certini,  che  ne  parla  nella  vita  di  Celesti- 
no pag.  36,  dice  che  il  vescovo  è  s.  Florido  :  l'altro 
a  destra  s.  Amanzio  suo  diacono;  e  l'altro  a  sinistra 
s.  Donino,  secondo  lui  ambi  sacerdoti  tifernati.  Per 
un  santo  vescovo  ed  un  diacono  santo  i  vestiari  tor- 
nano a  dovere  ;  ma  l'altro  potrà  forse  credersi  che 
abbia  l'alba  e  la  cappa,  o  pluviale,  per  rappresentare 
un  ecclesiastico  ?  Io  veramente  desidererei,  che  fosse 
così  per  coonestare  quell'atto  piccante  della  sua  de- 
stra. Potrebbe  allora  credersi,  che  avesse  voluto  com- 
por  le  sue  dita  a  grecamente  benedire.  Avrebbe  dovu- 
to comparire  il  dito  medio  curvo  ed  inclinato,  e  non 
abassato  affatto.  Ma  l'artefice  se  ne  dimenticò  ;  e  così 
rimasero  eretti  il  solo  indice  ed  auricolare,  il  quale 
pure  dovrebbe  stare  qualche  poco  ricurvo.  In  un  si- 
mile sconcio  incappò  l'artefice  autore  del  musaico, 
che  un  tempo  ornava  la  tribuna  della  basilica  vatica- 
na, di  cui  ha  pubblicato  il  disegno  lo  spesso  citato 
eh.  monsig.  Ciampini  (  toni.  I,  tav.  i3  ).  Ivi  la  ma- 
no, che  si  figura  uscire  di  mezzo  la  luce  splendente 
nel  vertice  della  volta,  forma  le  corna  con  uno  sba- 
glio di  più  sulla  qualità  delle  dita  erette,  che  sono  il 
pollice  e  l'anulare.  Questa  mano  è  certo,  per  tant'altri 
esempi,  che  vi  si  rappresentò  per  simboleggiare  il  no- 
me di  Gesù  Cristo,  come  dottamente  spiega  il  citato 


Antico  paliotto  327 

autore  ;  e  però  è  certo  ancora,  che  essa  dovea  essere 
grecamente  composta  a  benedizione  ;  altro  contrase- 
gno di  greco  autore.  Ma  perchè  al  nostro  santo  si 
dovette  adattare  una  mano  così  fatta  ?  Osservo,  che 
la  corona  clericale  non  è  omessa  dall'  artefice  sul  ca- 
po del  diacono,  che  manca  su  quello  di  questa  figura: 
osservo  ancora  che  la  sua  tonaca  ha  come  una  lista, 
che  va  dalla  gola  al  piede,  e  che  non  ha  del  clericale: 
qui  dunque  s.  Donnino  non  è  sacerdote.  Tuttavolta 
se  fu  romito,  potè  ben  convenirgli  una  mano  che  sim- 
boleggiasse il  nome  di  Gesù,  ed  il  libro  del  vangelo 
indicante  la  perfezione  evangelica  del  suo  stato. 

Da  tutta  l'esposizione  fin  ora  fatta  risulta  abba- 
stanza, che  questo  pezzo  insigne  d'antichità  de'secoli 
di  mezzo  è  convenientissimo  all'epoca  di  Celestino  II. 
Ma  quello,  che  più  ne  convince,  è  lo  stato  dell'arte, 
con  cui  si  vede  condotta  quest'opera  certamente  an- 
teriore ai  primi  sviluppi  della  scuola  pisana.  Le  fac- 
ce sono  goffe,  e  quasi  ovali  vessichette:  gli  occhi  han- 
no una  pupilla  animata  da  un  foro,  che  dilatato  ser- 
ve a  dar  fierezza  :  i  piedi,  che  stanno  di  faccia,  sono 
privi  di  scorcio  e  posano  in  punta:  le  dita  sono  can- 
delette senza  nemmeno  que'piccoli  nodi,  che  ad  esse 
dava  il  disegno  de'piselli  sulla  fine  del  XII  secolo  : 
i  panneggi  sono  duri  e  gretti.  Pur  nondimeno  qual- 
che testa,  come  quelle  de'magi,  quella  di  Gesù  cro- 
cifisso, mostra  alcuna  sufficienza  :  vi  sono  delle  mos- 
se assai  discrete  ;  e  qua  e  là  l'azione  del  fatto  pren- 
de un  certo  movimento.  Il  tutto  insieme  per  quel 
barbaro  tampo  mostra  un'impresa  difficoltosa,  e  for- 
ma uno  spettacolo  che  piace.  Non  vi  è  dubbio,  che 
senza  scapito  della  sana  critica  possa  riputarsi  ono- 
revolissima beneficenza  del  nostro  Celestino.  Dopo  il 


3a«ì  Belle     Arti 

fin  qui  ragionato  altro  a  me  ora  non   resta  ,  che  di 

professarmi  tutto  vostro  colla  solita  distinta  stima  ed 


amicizia. 


Messina  ed  ì  suoi  monumenti,  per  Giuseppe  La 
Farina.  Messina,  stamperia  di  Giuseppe  Fiu- 
mara  1840  in  8.°  di  fac,  172  con  tavole. 


JLia  illustrazione  dei  monumenti  della  grandezza  e 
della  civiltà  italiana  non  può  tornare  che  preziosa. 
Sia  dunque  lode  al  sig.  La  Farina  che  le  patrie  glo- 
rie in  questo  libro  dottamente  addimostra.  Ben  vide 
egli  quanto  meschina  cosa  siano  le  guide  pe'viaggia- 
tori,  i  più  de'quali  ad  osservare  le  materiali  cose  an- 
ziché gli  uomini  qua  son  tratti.  Vuole  con  questo 
lavoro  additarci  il  complesso  degli  studi,  dello  sta- 
to scientifico,  letterario  ed  artistico,  della  società,  del- 
l'industria, dell'agricoltura,  del  commercio. 

Giace  Messina  a  maniera  d'anfiteatro  sul  mare 
rincontro  gli  estremi  apennini  di  Calabria,  avente  a 
destra  il  ricurvo  braccio  di  s.  Raniero,  a  sinistra  lo 
storico  Peloro,  ed  alle  spalle  una  catena  di  amenis- 
sime  colline. 

Le  case,  composte  per  lo  più  di  due  piani,  in- 
vece delle  finestre  hanno  spaziosissimi  balconi  :  de- 
siderano i  messinesi  essere  inondati  dalla  luce.  Le 
acque  potabili  sono  ottime:  l'uso  dell'acqua  gelala 
rimonta  a  circa  due  secoli:  fu  di  tal  giovamento  che, 
secondo  il  Pisanello  ed  il  Reina,  le  febbri  maligne  di 


Monumenti  di  Messina  329 

està  diminuirono  per  modo  die  si  ebbero  mille  morti 
di  meno  ogni  anno.  Erano  in  uso  un  tempo  bagni 
di  acque  dolci,  oggi  si  preferiscon  quelli  di  mare. 

«  Messina  co'suoi  borghi  nel  1674  dava  una  po- 
polazione di  120,  000  anime  :  ma  le  guerre  civili  di 
queir  epoca,  la  peste  del  1743,  ed  i  terremoti  del 
17O3  la  decimarono  in  orribile  guisa.  Da  quell'  ora 
in  poi  Messina  presenta  un  considerevole  aumento. 

«  Nel  1798  la  città  di  Messina  unita  a'  casali 
dava  un  censo  di  46  >  o53  anime.  Alla  fine  dell'an- 
no i83i,  di  83,  772:  un  anno  dopo  era  pergiunto 
ad  84,  49°*  Al  i836  l'aumento  toccava  gli  87,  4*8. 
Oggi  la  popolazione  ammonta  a  90,  000;  delle  quali 
55,  000  dimorano  in  città  e  nei  borghi ,  e  35,  000 
nei  casali. 

«  I  nati  sfanno  nella  città  come  1  :  26,  e  nei 
casali  come  1  :  28.  I  bastardi  stanno  a'iegittimi  co- 
me 1:9  (#).  Il  numero  medio  de'nati  è  di  3,  34^» 
fra  i  quali  22  parti  doppi.  Il  numero  medio  dei  mor- 
ti è  di  2,  i54>  quello  dei  matrimoni  è  di   786.    » 

Il  commercio  d'oggidì  è  nullo  paragonato  all'an- 
tico :  consiste  in  vino,  olio,  seta,  agrumi,  sugo  di 
limone,  spirito  di  vino,  pesce  salato.  Le  campagne  di 
Sicilia  celebri  per  fertilità  non  sono  ben  coltivate  , 
l'industria  e  le  migliorie  agricole  non  vi  sono  intro- 
dotte :  la  pastorizia  è  quasi  interamente  scomparsa 
dall'isola.  Il  mare  è  ricco  di  molto  buon  pesce:  ogni 
anno  se  ne  consumano  175,  000  libbre  circa:  ciò  pro- 


(*)  Si  osservi  che  tra  i  proietti,  che  riceve  l'ospedale  di  Mes- 
sina, vati  compresi  quelli  di  parecchi  comuni  della  provincia,  i 
quali  son  privi  affatto  di  ruote. 


33o  Belle     Arti 

va  i  messinesi  essere  ictiofagi.   La  pesca   del    corallo 

non  è  più  in   uso. 

Il  territorio  del  municipio  si  estende  per  miglia 
quadrate  120  :  esso  ha  l'annua  rendita  di  ducati  121, 
473,  82.  La  stessa  proviene  in  ducati  1,  826,  92  da 
beni  patrimoniali;  in  ducati  1,073,9  da  provv enti 
giurisdizionali:  in  ducati  4?97J  dalla  privativa  della 
neve,  ed  in  ducati  109,  102  dai  dazi  di  consumo  ; 
oltre  a  ciò  ducati  80,  000  circa  sulla  consumazione 
de'frumenti  a  così  detti   campisti. 

Non  meno  di  io  spedali  civili  esistevano  in  Mes- 
sina, i  quali  tutti  furono  riuniti  in  un  solo.  L'  ar- 
chitettura di  questo  grande  ospedale  è  magnifica,  sem- 
plice e  di  buon  gusto.  L'edificio  è  quadrato  ed  oc- 
cupa un'area  di  canne  2730  :  le  sale  per  gl'infermi 
sono  ventilate  e  spaziosissime,  non  così  quelle  delle 
fanciulle  trovate,  che  son  guaste  e  bisognevoli  di  molto. 
Una  porzione  di  quest'ospedale  è  destinata  ai  soldati 
infermi.  Lo  stabilimento  è  fornito  d'una  comoda  far- 
macia e  d'un  vago  orto  botanico.  Accolse  nel  i83g 
1,  811  uomini  ammalati,  e  1,  o5g  femmine:  mantiene 
58  trovatelli.  L'  ospedale  per  gli  storpi  fondato  nel 
1827  ne  ricovera  116.  Messina  ha  quattro  monti  di 
prestanza  :  l'A.  riporta  il  quadro  dei  movimenti  dei 
monti  di  pegnorazione  pel  corso  dell'anno   i838. 

Ebbe  origine  nel  i548  un  collegio  di  studi  di- 
retto dai  gesuiti  :  nel  i5g6  diveniva  università,  dalla 
quale  fiorirono  uomini  celebratissimi.  Dopo  la  rivolta 
dei  1674  fu  chiusa,  e  rinacque  per  volere  del  regnan- 
te Ferdinando  II  il  29  luglio  i838.  »  In  una  vasta 
sala  avvi  la  biblioteca  pubblica  ricca  di  20,000  volu- 
mi. Giacomo  Longo  donava  nel  1728  al  municipio  la 
sua   scelta  e  copiosa  libreria,  che  dopo  morte  si  tenea 


Monumenti  di  Messina  33  i 

aperta  al  pubblico,  e  quindi  si  riuniva  alla  gesuitica, 
della  quale  tenghiamo  parola.  Vi  è  un  museo  iniziato 
fin  dal  1806  per  cura  del  prof.  Carmelo  La  Farina  , 
clic  proponevalo  in  un  suo  discorso  nell'  accademia 
de'pericolanti,  e  nella  quale  onoranda  impresa  venne 
mollo  favoreggiato  dal  p.  priore  don  Gregorio  Cian- 
ciolo cassinese  promotore  dell'accademia  summentova- 
ta.  Oggi  il  museo  racebiude  una  mediocre  collezione 
numismatica  di  monete  urbiebe  ed  imperiali  ed  una 
ragguardevole  galleria  di  quadri  ..;.  E  incominciata  an- 
cora una  collezione  di  vasi  greco-siculi,  di  conchiglio- 
logia,  ebe  col  tempo  speriamo  veder  condotta  a  perfe- 
zionamento. Sonvi  inoltre  due  sarcofagi  in  marmo,  ed 
alcune  iscrizioni  latine,  arabe  e  greebe.   » 

Nel  collegio  delle  scuole  pie  si  educano  3a  alun- 
ni. L'orfanotrofio  dei  dispersi  contiene  26  orfani  ebe 
sì  ammaestrano  nelle  principali  discipline  e  ne'prin- 
cipii  della  musica.  Il  convitto  della  bassa  gente,  de- 
stinato agli  orfani  artigiani,  ne  educa  27  alle  arti  e 
mestieri.  La  casa  di  s.  Angelo  de'  Rossi  istruisce  e 
mantiene  12  giovanetti  e  12  giovanette.  Il  semina- 
rio ne  inizia  agli  studi  sacerdotali  63.  Ha  5  reclu- 
sori per  civili  ed  orfane  donzelle  ,  ebe  in  tutto  ne 
accolgono  i64-  Esistono  ancora  due  scuole  lancaste- 
riane  ne'due  circondari  interni  ,  quella  del  priorato 
con  181  fanciulli,  e  quella  dell'arcivescovato  con  i3o. 

«  Messina  ebbe  ne'passati  secoli  l'accademia  de- 
gli abbarbicati  fiorente  nel  i636  ;  quella  della^- 
cina  fondata  nel  1639;  quella  della  clizia  e  di  teo- 
logia morale  nei  principii  del  XVIII  secolo.  Nel 
1725  fu  istituita  l'accademia  degli  accorti,  e  nel  29 
quella  àé pericolanti  ^  la  quale  tuttora  dura  sotto  il 
titolo  de'peloritani,  associata  per  opera  del  Murato- 


332  Belle     Arti 

ri  a  quella  dei  dissonanti  di  Modena.  Essa  è  fioren- 
te d'illustri  soci  stranieri. 

«  La  stampa  venne  introdotta  in  Messina  da  Er- 
rigo  Scomberg  alemanno.  Nel  1^"]%  vediamo  pubbli- 
cata una  vita  di  s.  Girolamo  pei  torchi  di  lui.  Varie 
sono  state  le  vicende  fra  noi  di  questo  potentissimo 
elemento  della  moderna  civiltà.  Oggi  Messina  ha  sei 
tipografie,  che  imprimono  le  opere  dei  nostri  scritto- 
ri ,  ma  che  in  nulla  a'  impicciano  negli  utili  lavori 
della  ristampa.  Un  gabinetto  di  lettura  fu  aperto  il 
1  gennaio  del  corrente  anno  1840,  ove  convengono 
più  che  cento  soci,  ed  ove  arrivano  quasi  tutti  i  gior- 
nali del  regno,  i  più  accreditati  d'Italia  e  non  pochi 
dell'estero.    » 

Oltre  la  biblioteca  dell'università,  già  ricordata, 
ne  esiste  un'altra  nell'oratorio  unito  alla  chiesa  di 
s.  Gioacchino  ov'è  buona  collezione  di  stampe  anti- 
che, di  scelte  edizioni,  non  che  di  disegni  e  minia- 
ture, fra  le  quali  primeggiano  quelle  dello  Scilla.  Il 
monistero  de'cassinesi  possiede  una  vasta  biblioteca, 
ed  un  archivio  ricco  di  pergamene  importanti  per  la 
siciliana  diplomatica  e  per  la  storia  dell'ordine.  Ric- 
chissima era  altra  volta  la  biblioteca  de'basiliani  di 
manoscritti  greci  e  latini,  che  sventure  ed  avarizie  bar- 
baramente sfiorivano. La  torre  delle  campane,  altre  vol- 
te prezioso  deposito  di  manoscritti,  serbava  gli  antichi 
privilegi  messinesi  con  altre  scritture  reputate  impor- 
tanti alla  franchigia  dei  medesimi.  »  Ivi,  dice  il  Bon- 
fìglio,  era  una  libreria  scritta  a  penna  in  favella  gre- 
ca, legata  alla  città  da  Costantino  Lascari  dottissimo  e 
nobilissimo  greco  costantinopolitano,  ed  i  libri  di  ra- 
gion civile  scritti  in  carta  pecora  e  miniati  d'oro.  » 
Questi  preziosi  monumenti  furono  dal  conte  di  s.  Ste- 


Monumenti  di  Messina  333 

fano  involati    e  trafugati  in  Ispagna,  ove  impinguaro- 
no la  biblioteca  dell'Esctiriale. 

Vari  sono  ancora  i  gabinetti  privati  di  storia  na- 
turale e  di  numismatica  ohe  adornano  questa  delizio- 
sa città.  Il  sig.  Pietro  Campanella  ha  formato  un  ga- 
binetto di  storia  naturale,  ove  va  osservata  una  com- 
pleta collezione  di  solfati  di  strontiana  di  Sicilia  :  una 
collezione  completa  mineralogico-vulcanica  dell'Etna, 
ed  altra  delle  isole  eolie.  Una  raccolta  di  rocce  pri- 
mitive, di  minerali  metallici,  agate,  diaspri  e  marmi 
di  Sicilia,  oltre  due  ricche  collezioni  de'minerali  vul- 
canici del  Vesuvio  ordinati  secondo  Monticelli  e  Co- 
velli:  finalmente  una  collezione  delle  conchiglie  viven- 
ti e  fossili  siciliane,  e  de'minerali  degli  stati  uniti  di 
America  (*).  Il  sig.  Paolo  Smeriglio  ha  raccolto  ed 
ordinato  ,  giusta  il  sistema  di  Lamarck,  ben  più  di 
2,  000  conchiglie  sicule  ed  esotiche.  Oltre  a  ciò  gran 
numero  di  conchiglie  microscopiche  di  que'  mari  e 
dell'  estero.  Una  lunga  serie  di  terrestri  e  fluviatili 
delle  Indie,  dell'America,  dell'Affrica  e  dell'Europa,  ed 
una  raccolta  di  conchiglie  fossili  di  que' dintorni.  Inol- 
tre evvi  una  estesa  collezione  di  marmi  siciliani,  di 
crete  antiche  e  di  buoni  quadri.  Il  sig.  Benoit  ha  una 
collezione  ornitologica  sicula,  intorno  alla  quale  pub- 
blicò pei  tipi  di  Giuseppe  Fiumara  un  catalogo  ra- 
gionato. Possiede  ancora  una  raccolta  di  conchiglie 
terrestri  e  fluviatili  delle  Indie,  dell'America  e  dell'Af- 
frica, non  che  una  numerosissima  d'  Europa  :  final- 
mente bella  è  la  collezione  delle  conchiglie  marine. 


(*)  Ha  pronte  per  comodo  degli  amatori  delle  scienze  varie 
collezioni  classificate  dei  più  belli  esemplari  a  vari  prezzi- 


334  Belle     Arti 

Antichissimo  è  il  diritto  di  Messina  di  batter 
moneta.  Il  sig.  Giuseppe  Grosso  Cacopardi,  uno  dei 
più  generosi  cultori  delle  cose  patrie,  ha  riunito  una 
collezione  di  medaglie  greco-sicule,  Calabre,  consolari 
ed  imperiali  ricca  di  più  che  4,  ooo  tipi  in  oro,  ar- 
gento e  rame  ,  oltre  una  bella  raccolta  di  35o  vasi 
greco-siculi,  un'allra  di  medaglioni  moderni  ,  ed  in 
fine  una  di  conchiglie  di  Sicilia  e  straniere.  Così  il 
Longo  possiede  una  collezione  di  medaglie  siciliane 
in  prima  forma  d'argento  che  è  molto  bella  e  ricca: 
una  non  piccola  serie  di  medaglie  siriache,  egiziane, 
greche  e  Calabre  :  una  stupenda  raccolta  d'imperato- 
rie di  argento  ,  ed  infine  una  di  medaglie  estere  di 
rame  e  di  argento. 

Le  private  raccolte,  di  che  tenemmo  discorso,  for- 
mano il  più  bell'elogio  dell'amor  patrio  de'messinesi. 
Questi  magnanimi  han  prima  reso  il  trihuto  alle  co- 
se patrie,  e  ne  hanno  arricchito  i  loro  musei  a  pre- 
ferenza delle  straniere  :  quelle  spiccano  sopra  tutto. 
Incuoriamo  que'prodi  a  portar  le  loro  cure  sugli  al- 
tri rami  della  storia  naturale,  e  segnatamente  sull'ic- 
tiologia  e  sulla  fitologia. 

Messina  vanta  quattro  epoche  glorio? e  nella  pit- 
tura. Esse  portano  i  nomi  di  Antonello  degli  Anto- 
ni, di  Polidoro  Caldara  da  Caravaggio  ,  di  Antonio 
Barbalonga  e  di  Agostino  Scilla.  Parlando  il  Lanzi 
del  Barbalonga  dicea  :  «  È  tenuto  per  uno  dei  mi- 
gliori pittori  di  quell'isola  (  Sicilia  )  che  ne  è  stata 
abbondante  più  che  non  credesi.  »  Tante  opere  con- 
dussero quei  valenti  ed  i  loro  scolari,  che  le  molte 
chiese  ed  alcuni  palazzi  di  Messina  ne  sono  dovizio- 
samente arricchiti.  Tanto  è  grande  il  numero  dei  di- 
pinti, che  sembrano  cosa  vana  il  poterne  dar  qui  cen- 


Monumenti  di   Messina  335 

ni  anche  brevissimi,  tanto  più  che  il  sig.  La  Farina 
adoperò  brevi  concetti  per  indicarne  i  pregi,  cosicché 
il  lettore  amante  delle  arti  belle  vi  troverà  delizioso 
pascolo. 

Lo  stato  morale  e  scientifico   di  Messina  ha  fat- 
to sempre  bella  mostra  di  se.  Eccone   le   più    veridi- 
che prove.  Die  essa  i  natali  a   Dicearco  lo  storico  t 
al  retore  Aristotile,  ad   Ibico,   al    poeta    Lieo,  al   fa- 
moso medico  Policleto,  e  ad  Evemero  istorico  cele- 
brato. Quale  italiano  non    onora   la    fama   di    Guido 
delle  Colotiue,  di   Stefano  Protonotaro  e  di  Tomma- 
so di  Saxo  progenitori  della  volgare  favella  ?  Famosi 
sono  i  nomi  di  Tommaso  da  Messina,  di  Bartolomeo 
da  Neocastro  giureconsulto,  poeta  ed  istorico  solen- 
ne ,  di  fra  Giovanni  Andrea  Gatto  teologo  e   mate- 
matico, di  Alfonso   Cariddi,  di  Francesco   ed   Anto- 
nino Faraone,  di  Marco  Pagliarino,  dello  storico  Bon- 
figlio,  di  Andrea  Barbazio,  del  grande  Francesco  Mau- 
rolico  ,   e  dei  celebri  medici  Bartolomeo   Castelli   ed 
Alfonso  Borelli.  Nel   bel  sesso  Nina  è  famosa  nei  fasti 
dell'italiana  poesia,   Cameola  Turingo  e  la   Bonfiglio 
che  vien  ricordata  dal  Boccaccio:  famosa  poetessa  fu  la 
moglie  di  Severino  Boezio.  Pina  del  Gallo  comentò 
Euclide  :  Nicoletta  Pasquale  era  peritissima  nella  lin- 
gua italiana,  latina,    greca  ed   ebraica:  ed  Anna  Ar- 
duino, che  parlava  le  lingue  greca,  latina,  francese  e 
spagnuola,   era  cotanto   esperta  nelle  filosofiche  disci- 
pline da  tenere  pubbliche   conclusioni  ,  nelle   quali 
mostrò  erudizione   e   sottigliezza  d'ingegno.  Nel  ma- 
neggio delle  armi   non  v'era  cavaliero  che  la    ugua- 
gliasse, tanto  che    il   principe  di  Piombino,  nipote  di 
Gregorio  XV,  invaghitosi  della  fama  di  lei  la  toglie- 
va in  moglie.  Altri  molti  uomini  e  donne  celebri  con- 
ta Messina:  ma  basti   il  già  detto. 


336  Belle     Arti 

Questa  città  è  caduta  e  risorta  le  mille  volte  : 
la  peste,  la  guerra  ,  la  fame  ,  i  tremuoti  sovente  la 
desolarono,  la  manomisero  e  la  ridussero  meschinis- 
sima.  Novella  fenice  però  è  risorta  sempre  dalle  fu-, 
manti  sue  ceneri  più  bella  e  più  grande,  ed  ora  tro- 
vasi in  tale  stato  da  avvantaggiare  immensamente.  Il 
cielo  avvalori  novella  vita,  e  storni  i  suoi  fulmini  da 
questa  sventurata  città  ! 

E.  C.  B. 


Introduzione  alla  storia  della  pittura  italiana, 
esposta  con  monumenti  da  Giovanni  Rosini. 
Pisa,  presso  Nicolò  Capurro  i838  in  8,  di 
pag.  61  fig. 

Storia  della  pittura  italiana  esposta  con  monu- 
menti da  Giovanni  Rosini.  Epoca  I  da  Giun- 
ta a  Masaccio  ,  tomo  I.  Ivi  ,  idem  i83g  ,  di 
pag.  264;  tomo  II,  idem  di  pag.   1^2. 


1  Cicognara  colla  sua  storia  della  scultura,  di  cui 
il  prò  ed  il  contra  notarono  già  i  più  colli  spiriti 
d'  Italia  e  di  oltremonte  ,  empiva  un  vuoto  che  ri- 
maneva nella  storia  delle  arti  nostre.  Il  Lanzi  col- 
la sua  storia  della  pittura  adempiva  il  desiderio  d'o- 
gni cuore  gentile.  Parve  buono  con  questi  esempi  al 
professore  Rosini  (  che  osservò  a  Parigi  i  monumen- 
ti rapiti  all'  Italia  dalla  superba  delle  conquiste  ,  e 
che  cedendo  alla   forza  la  ragione  furono  poscia  nel 


Istoria  della  pittura  337 

riso  della  pace  restituiti  a  questa  sede  perpetua  del- 
le arti  belle  ,  a  questo  nativo  giardino  del  mondo  ) 
parve  buono  dissi  al  lodato  professore  di  darne  la 
storia  della  pittura  italiana  esposta  con  monumenti: 
e  maturato  il  suo  pensiero,  e  confortato  da  studi  con- 
tinui ,  aprì  l' intendimento  dell'opera  in  questi  ter- 
mini. 

«  Essa  è  preceduta  da  una  introduzione ,  dove 
«  si  espongono  le  vicende  dell'  italiana  pittura  per 
«  cinque  e  più  secoli.  Succede  il  volume,  cbe  dal- 
«  la  sua  origine  conduce  la  storia  sino  alla  morte 
«  di  Masaccio,  e  contiene  intieramente  la  Prima 
«   epoca  ,  illuminata  da  36  tavole  in  rame. 

«  Questa  (  egli  dice  )  è  la  parte  più  difficile  , 
«  non  che  la  più  importante  del  mio  lavoro.  Sarà 
«  in  essa  dimostrato  qual  fosse  veramente  la  culla 
«  delle  arti  italiane;  e  quali  aiuti  la  pittura  riceves- 
«  se  dalla  scultura  ,  quando  ambedue  concorrevano 
«  ad  abbellire  i  monumenti  religiosi,  che  in  ogni  pai> 
<(   te  allora  d'  Italia  si   elevavano. 

«  La  seconda  epoca ,  che  principiando  da  Fi^ 
«  lippo  Lippi  giungerà  sino  a  Raffaello,  sarà  distri- 
«  buita  in  due  tomi,  e  accompagnata  da  44  °  4& 
«   tavole. 

«  La  terza  epoca  da  Giulio  romano  al  Baroccio 
sarà  egualmente  in  due  volumi  distribuita  e  illustra- 
ta da  3a  a  36  tavole. 

«  La  quarta  ed  ultima  epoca  dai  Caracci  ad 
«  Appiani,  oltre  i  due  volumi,  avrà  36  a  ^o  tavo- 
«  le;  le  quali  cominciando  dalla  chiamata  di  s.  Mat- 
te teo  all'apostolato  di  Lodovico,  termineranno  colla 
«  celebre  lunetta  che  del  pittor  milanese  si  amrai-r- 
«  ra  nella  pinacoteca  di  Brera.  » 
G.A.T.LXXXVII.  aa 


338  Belle     Arti 

Quando  agli  etruschi  dona  cotanto  l'età  novel- 
la che  cerca  le  origini  delle  arti  in  Italia  ,  e  dalla 
terra  cortese  aperta  alle  ricerche  degli  eruditi  sorgo- 
no monumenti  da  far  hello  il  museo  gregoriano  (or- 
namento del  secolo  e  delle  arti):  pareva  doversi  me- 
glio guardare  all'avviso  di  Plinio,  che  l'arte  della  pit- 
tura precedesse  in  Italia  la  fondazione  di  Roma  :  e 
non  era  da  passare  il  tempio  della  salute  ornato  d'im- 
magini da  Fabio  pittore  :  ne  la  curia  ostilia  ,  dove 
M.  Valerio  Massimo  Messala  pose  il  quadro  tanto 
famoso  quanto  quello  in  Atene  della  battaglia  di  Ma^ 
ratona  ;  perciocché  rappresentava  dipinta  la  disfatta 
de'cartaginesi  e  di  Ierone  in  Sicilia  operata  da  Mes- 
sala, meglio  che  quella  de'persiani  operata  dal  fiore 
de'capitani  Milziade.  E  seguendo  G.  Cesare,  era  da 
guardare  nel  tempio  di  Venere  genitrice  1'  Aiace  di 
Timomaco  :  e  sotto  Augusto  la  battaglia  d'  Azio  ed 
il  trionfo  di  quell'imperatore.  Ma  come  fare,  se  da 
quelle  ruine  non  iscamparono  i  maravigliosi  dipinti  ? 
Ben  è  a  dolere,  che  le  ingiurie  della  fortuna  e  degli 
stranieri  tanto  potessero  da  privare  l'Italia  di  tali  mo- 
numenti, che  provassero  la  sentenza  pliniana  che  d^ 
ce  :  Hic  multi s  iam  saeculis  summus  animus  in  pi- 
dura.  Senza  rinunziare  alla  gloria  domestica  (  e  sen- 
za perdere  ogni  speranza  di  rischiararla  quando  che 
sia  )  lodiamo  che  il  professore  di  Pisa  dia  tutte  le 
cure  all'opera  divisata,  che  vorremmo  intitolata  Sto- 
ria della  moderna  pittura  italiana  ec. 

Una  ben  ponderata  introduzione  pi-ecede  la  sto- 
ria: della  quale  opera,  finche  non  sia  piena,  non  cre- 
diamo poter  sentenziare.  Bei  principii  annunziano  bei 
progressi  e  fine  felice.  Chi  ben  comincia  ha  la  me- 
tà delV  opra.    Auguriamo  prosperi    eventi  al  degno 


Istoria  della  pittura  33 q 

cultore  delle  gentili  discipline  ,  che  saprà  spogliarsi 
di  ogni  parzialità,  di  ogni  amore  di  municipio,  dan- 
do a  ciascuno  ciò  che  si  dee.  Una  cosa  avremmo  de- 
siderato :  che  non  limitasse  il  fine  della  sua  storia 
all'Appiani  ;  ma  imitando  il  Cicognara,  che  si  riposò 
nel  sommo  Canova,  portasse  l'opera  sua  ad  acquietar- 
si nel  barone  Camuccini,  onore  di  questa  Roma  e  della 
pittura  in  Italia,  come  sa  tutto  il  mondo,  che  lo  sa- 
luta nostro  principe  delle  arti  belle. 

Prof.  D.  Vaccolini. 


*e 


Atti  dell'imperiale  regia  accademia  di  belle  arti 
in  Venezia  per  la  distribuzione  de'premi  dell' 
anno  1839.  Venezia  per  la  erede  Picotti,  ti- 
pografia dell'I.  R.  accademia,  in  8,  di  p.  60. 


Y  i  ha  innanzi  l'elogio  di  fra  Giovanni  Giocondo 
letto  il  dì  11  agosto  i83g  nell'I.  R.  accademia  di 
belle  arti  in  Venezia  dal  nobile  dottor  Emilio  de  Ti- 
paldo  professore  di  storia  geografia  e  diritto  marittimo 
nell'I.  R.  collegio  della  marina,  socio  onorario  della  sud- 
detta accademia  ec.  Uom  degno  d'eterna  memoria, 
dicono  a  buon  diritto  i  domenicani  quel  fra  Giocon- 
do, onore  del  secolo  XVI  e  della  religione  a  cui  ap- 
partenne :  uomo  di  maturo  giudizio,  e  di  acutis- 
simo ingegno,  degli  architetti  corifeo,  di  tutte  le 
buone  arti  antica  e  moderna  biblioteca  ,  lo  disse 
G.  C.  Scaligero  suo  discepolo:  dottissimo  e  di  scien- 


340  Beile     Arti 

za  faconda,  lo  disse  il  Panvini:  di  scienza  univer- 
sale il  Vasari.  Fu  onorato  da  due  pontefici,  da  un 
imperatore,  da  un  re,  da  due  principi  ,  da  una  re- 
pubblica, dai  dotti  e  buoni  del  suo  tempo,  tanto  rie-* 
co  d'ingegni  e  di  mecenati.  Monumenti  del  suo  va- 
lore lasciò  nelle  officine  degli  Aldi  e  de'  Giunti  ,  e 
nella  storia  degli  studi  classici.  E  pure  di  ootant'uomo 
incerti  sono  l'anno  della  morte,  l'età  ,  il  luogo  del 
deposito,  e  le  vicende,  e  la  famiglia  ,  e  poco  meno 
che  il  nome.  Un  secolo,  che  tanto  operò,  ha  questa 
colpa  di  non  avere  eretto  monumento,  che  duri  e  no- 
ti ciò  che  non  s'ignora  degl'  ingegni  minori.  Questa 
colpa  non  è  del  nostro  secolo,  ii  quale  se  meno  ope- 
rar deve  per  iniquità  di  fortuna,  non  lascia  però  ino- 
norati i  benemeriti,  e  riboccano  le  epigrafi,  le  bio- 
grafie, gli  elogi,  i  comentai'i;  e  spesso  le  arti  eterna- 
toci, come  dell'incisione,  della  pittura,  della  scultu- 
ra singolarmente ,  vengono  chiamate  a  conservare  la 
memoria  di  cqloro,  che  per  opere  degne  di  mente  o 
di  cuore  o  di  mano  parer  potrebbero  immeritevoli 
di  morire,  per  dirlo  col  venosino. 

Pieno  di  erudizione  si  è  questo  discorso,  ed  è 
a  proposito  per  lodare  un  religioso  dottissimo  in  ogni 
maniera  di  scibile  ,  e  di  architettura  singolarmente 
maestro,  di  cui  la  varietà  delle  opere  si  accorda  colla 
varietà  de'suoi  studi.  Ma  udiamo  l'elogista  su  questo 
particolare  :  «  Due  ponti  a  Parigi  (  egli  dice  )  ,  un 
«  castello  in  Normandia,  un  ponte  sull'Adige,  un  al- 
te tro  alla  Brenta  ;  un  acquedotto  al  Sile;  un  argi- 
ne ne  alla  Piave  ,  un  argine  al  mare  ;  una  sala  del 
«  consiglio  alla  sua  patria;  a  Venezia  una  intera  cou- 
rt trada  con  ponte ,  chiese  ,  mercati  ;  consolidare  le 
«   fondamenta  di  un  tempio;  distruggere  le  torri  e  le 


Accademia  di  bèlle  arti  in  Venezia  34 1 
«  case  di  una  città;  cavar  fosse,  rizzar  baluardi,  con- 
«  gegnare  trinciere,  levare  terreni  sulle  porte  novel- 
«  le  ,  aprir  feritoie  che  dien  varco  angusto  all'  ani- 
ci pia  strage  dei  cannone  omicida.  E  poiché  siamo 
«  a  questo  della  varietà,  noteremo  come  ad  essa  non 
«  abbia  mancato  Giocondo  fino  nella  qualità  di  an- 
ce tichi  autori  da  se  trascritti,  dati  in  luce,  illustra- 
ci ti.  Catone,  Cesare  ,  Vitruvio  ,  Plinio  il  giovane  , 
«  Frontino,  Aurelio  Vittore,  Ossequente.  Sei  secoli 
«  di  distanza  ;  da  Cartagine  non  anco  distrutta  fin 
«  oltre  a  Costantinopoli  edificata  :  la  lingua  schietta 
«  di  Roma  repubblica,  e  quella  che  viene  più  e  più 
«  intralciandosi  da  Augusto  a  Traiano  ,  da  Traiano 
«  a  Teodosio  :  lo  stile  storico,  il  didascalico,  Pepi- 
te stolare,  l'agricoltura,  l'architettura,  l'idraulica,  la 
«  fisica,  l'antichità,  la  guerra,  i  costumi.  »  Così  par- 
mi  potersi  dire  fra  Giocondo  l'uomo  di  molti  secoli: 
e  degno  era  risuscitarne  le  lodi  nell'insigne  accade- 
mia ,  che  delle  arti  venete  conserva  la  gloria.  Ma 
perchè  non  passi  questo  cenno  senza  qualche  utilità, 
sia  documento  agli  artisti  di  erudirsi  nelle  lettere  e 
nelle  scienze  de'secoli  precedenti  e  di  quello  in  cui 
vivono  ;  giacché  in  essi  dev'esser  mente  a  ben  con- 
cepire ,  cuore  a  ben  volere  ,  mano  a  ben  eseguire. 
Manca  un'  altra  cosa,  la  fortuna  :  e  questa  ponno 
aspettarsi  oggimai  da  principi  di  generoso  ed  alto  ani- 
mo, che  intendono  veramente  alla  prosperità  de'po- 
poli,  che  ricaderebbono  nella  barbarie  ,  se  lettere  e 
scienze  ed  arti  non  fossero  sorrette  e  promosse  da  lu- 
me benefico  di  potenti,  che  è  a  guisa  di  sole  a  ter- 
reno fecondo  di  eletti  germi  !  Felici  noi,  che  fra  tan- 
ti astri  benefici  abbiamo  sui  soglio  di  Pietro  un  lu- 
me maggiore  ,  che  dalla  cella  romita  tratto  in  cima 


342  Belle     Arti 

al  candelabro  illustra  tutto  un  secolo;  talché  dai  set- 
te colli  una  voce  sopra  ogni  voce  s'innalza,  ripeten- 
do con  più  ragione  quel  di  Virgilio  : 

«   Magnus  ab  integro  saeclorum  nascitur  ordo  !  » 

prof.  D.  Vaccolinl 


Collezione  di  manuali  d'arte,  mestieri,  manifat- 
ture, agricoltura  e  commercio  ,  proposta  in 
Bologna  da'1  signori  Amoretti  fonditori  e  tipo- 
grafi, dottor  Sedetti  e  dottor  Evangelisti  ma- 
tematici, e  dottor  Trebbi  medico  li  7  agosto 
184.0. 


K 


ella  città  di  Bologna  meglio  che  altrove  nel  bel 
paese  credo  dovere  allignare  felicemente  la  teorica 
applicata  alla  pratica  in  arti ,  mestieri  ed  industria: 
preso  questo  nome  nel  suo  più  largo ,  onesto  signi- 
ficato. Imperciocché  lasciamo  stare  la  copia  di  dotti 
e  colti  spiriti  ,  di  meccanici  e  chimici  vigilanti  ,  di 
mezzi  e  di  occasioni  a  pensare  e  fare  cosa  degna  al 
progresso  delle  arti  utili  e  delle  buone  discipline,  in 
vincolo  fratellevole  collegata  :  recentemente  il  pro- 
fessore Aldini,  fisico  fortunatissimo,  ha  lasciato  alla 
città  di  Bologna,  sua  patria,  un  gabinetto  fornito  e 
ricco  di  più  e  più  vesti  e  guanti  di  amianto  ad  uso 
degli  spegnitori  d'incendi:  de' quali  ripari  la  Senna  e 
il  Tamigi,  per  tacere  dell'Italia,  videro  le  prove  felici; 


Collezione  di  manuali  ec.  343 

aggiungendo  una  dote  ricchissima  da  mantenere  il  la- 
boratorio, ed  una  scuola  di  chimica  applicata  alle 
arti.  E  già  sino  dal  1828  il  professore  Luigi  Vale- 
riani  Molinari,  economista  di  chiaro  nome  (  che  io 
lodai  e  loderò  come  degno  concittadino),  chiamò  ere- 
de la  città  di  Bologna,  cui  lasciava  un  peculio  di  23 
mila  scudi  da  erogare  parte  negli  archi  e  portici  del- 
la Certosa  ;  parte  in  una  scuola  di  geometria  e  mec- 
canica applicata  alle  arti  ed  ai  mestieri,  con  premi 
agli  artieri  per  incuorarli  all'utile  ed  onorata  fatica, 
che  fa  dalle  spine  germogliare  le  rose  in  questo  eter- 
no giardino  del  mondo,  guardato  dalle  alpi  e  dal  ma- 
re ;  e  non  guardato  mai  abbastanza  dalle  nebbie  di 
oltremare.  I  portici  sono  a  monumento  di  quella  be- 
nefica anima  del  professore  Valeriani  :  la  scuola  di 
lui  ed  i  premi,  come  la  scuola  dell'  Aldini,  avranno 
sede  nel  magnifico  locale  delle  già  scuole  pie,  dove 
è  accolta  la  biblioteca  del  comune  (  che  prima  era 
in  s.  Domenico  ),  e  pe'ristauri  che  si  fanno  a  quelle 
sale  gloriose  pel  favore  dell' eminentissimo  legato  sig. 
cardinale  Vincenzo  Macchi^  mecenate  delle  arti,  e 
per  le  cure  dell'inclito  senatore  marchese  Guidotti, 
e  degli  altri  nobilissimi  e  cortesissimi,  di  cui  abbon- 
da la  città  madre  delle  gravi  ed  utili  discipline.  Af- 
fretto co' voti  l'adempimento  dell'una  e  dell'altra  isti- 
tuzione, di  quella  dico  dell'Aldini  più  recente,  e  di 
quella  del  Valeriani  più  lontana  di  tempo  :  e  tutto 
mi  ia  confidare  il  presto  adempimento,  che  si  avrà, 
assegnando  emolumenti  condegni  a'pi-ofessori  ed  im- 
piegati dello  stabilimento  ;  che  un  solo  stabilimento 
sarebbe  a  farsi  in  due  sezioni  diviso,  l'uno  di  chimi- 
ca, l'altro  di  meccanica  applicata.  Con  questo  soda- 
lizio delle  istituzioni  si  verrebbe  a  secondare  il  voto 


344  Belle     Arti 

«Iella  natura  ,  la  quale  consegnò  all'  arte  le  scienze 
tutte  sorelle  ,  come  le  muse  :  e  tali  che  prosperare 
non  ponno  a  maraviglia  senza  una  più  intima  unio- 
ne, come  il  ramo  dal  ramo  disgiunto  dare  non  può 
suoi  frutti,  non  vegetare;  dovendo  insieme  trar  vita 
e  alimento  dal  tronco  e  stipite  comune. 

L'impresa  di  questi  manuali  dovrebbe  farsi  per 
servire  principalmente  alle  due  istituzioni,  di  cui  ho 
toccato.  11  moto  degli  atomi  dà  vita  alla  chimica,  ai 
suoi  effetti  ed  alle  sue  applicazioni  ;  il  moto  de'cor- 
pi  dà  vita  alla  meccanica,  e  a  quante  sono  macelli- 
ne ed  industrie  umane.  Dammi  un  punto  fuori  della 
terra,  diceva  Archimede,  e  moverò  l'universo.  Date- 
ci, io  dico,  queste  scuole,  ed  alle  scuole  buoni  ma- 
nuali :  ed  avrete  il  progresso  delle  arti,  dell'industria, 
del  commercio,  della  privata  e  pubblica  felicità.  Fa- 
vore di  ricchi  e  potenti,  studio  di  dotti  e  savi,  fer- 
vore di  giovani  accesi  dell'amore  di  gloria,  che  per 
noi  è  negli  studi,  protezione  di  governanti:  tutto, 
tutto  fa  confidare  bella  accoglienza  in  Bologna  sì  alle 
scuole,  di  cui  ho  toccato,  sì  a  questa  collezione  di 
manuali  ordinata  all'uso  di  quelle  scuole.  L'  istitu- 
zione delle  quali  forma  una  gloria  del  nostro  secolo, 
che  deve  operarsi  molto  nel  bene  per  meritare  dai 
secoli  avvenire  quel  nome  ,  che  da  se  si  è  dato  di 
secolo  dei  lumi,  di  secolo  del  progresso  ! 

prof.  D.  Vaccolini. 


— »*§©Q€gS*=»- 


345 


varietà' 


Elogio  della  principessa  Guendalina  Borghese  nata  Talbot,  scrit- 
to dal  principe  D  Pietro  Odescalchi  dei  duchi  del  Sirmio, 
colf  aggiunta  di  alcune  poesie  della  medesima  principessa 
recate  in  versi  italiani  dal  cav.  Angelo  Maria  Ricci-  8.°  Ro- 
ma i84i>  tipografia  delle  belle  arti  (  Sono  pag.  5o  col  ri- 
tratto della  defunta  ). 


XI  principe  Odescalchi  in  tutte  le  sue  opere  mostra  la  sua  no- 
biltà, così  nelle  sentenze  come  nelle  parole  :  stimando  quel  suo 
giudizio,  non  poter  esser  nobile  nelle  cose  chi  prenda  dall'  infi- 
mo uso  del  volgo,  come  fanno  molti  oggidì  ,  il  linguaggio  per 
significarle.  Qui  però  ci  è  sembrato  il  signor  principe  aver  mo- 
strato siffattamente  la  beltà  del  suo  cuore,  che  noi  vogliamo  con- 
gratularcene non  pure  con  lui,  ma  con  Roma  eh'  è  lieta  di  es- 
sergli patria.  E  che  ,  dicendo  queste  cose  dell'  onorando  nostro 
direttore,  noi  male  non  ci  apponiamo,  sia  di  prova  questo  passo, 
dove  con  classica  verità,  semplicità  ed  eleganza,  senza  quel  ger- 
go boriosissimo  de'miserabili  nostri  seguaci  delle  ciance  straniere, 
narrasi  la  beata  morte  della  Borghese. 

,,  La  principessa  Borghese  fu  costretta  a  porsi  in  letto  la 
,,  sera  del  venerdì  di  esso  mese  di  ottobre  con  un  sì  leggiero 
„  riscaldamento  alla  gola,  che  i  professori  dell'arte  non  solo  non 
„  dubitarono  che  riuscir  dovesse  a  mal  fine,  ma  neppure  il  ten- 
,,  nero  in  conto  d'infermità.  Ne'giorni  che  seguitarono  sembra 


346  Varietà' 

„  certo  che  tanto  quel  riscaldamento,  quanto  la  febbre  cresces- 
,,  sero,  benché  dalle  persone  che  non  erano  della  casa  niente 
,,  se  ne  sapesse:  imperocché  i  medici  e  ricorsero  a' salassi  e  ap- 
„  prestarono  farmachi  rifrigeranti  ,  da'  quali  la  inferma  provò 
„  un  grande  alleviamento.  Fu  più  per  metter  fine  a  quel  picco- 
,,  lo  male,  e  per  troncarlo  in  un  subilo,  che  mossi  da  necessità, 
,,  che  i  chirurgi  si  consigliarono,  la  mattina  del  lunedì,  di  scari- 
,,  fìcarle,  come  dicono,  le  tonsille  :  dopo  la  quale  operazione 
,,  ella  da  se  stessa  si  dette  per  affatto  guarita:  tanto  trovossi  me- 
,,  glio  della  gola  e  tutta  ben  rimessa  della  persona.  Le  novelle 
,,  adunque  della  sanità  della  principessa  da5  parenti  e  da'fami- 
,,  gliari  si  ebbero  allora  per  felicissime  :  e  tanto  più,  quanto  che 
,,  seppesi  avere  nella  mattina  del  martedì  27  (  giorno  ahi  troppo 
„  infausto  e  doloroso  !  )  e  ricevuto  graziosamente  in  mezzo  agli 
,,  scherzi  ed  alle  celie  i  chirurgi  ed  i  medici  ,  e  presa  con  gusto 
,,  una  leggera  refezione  in  compagnia  del  principe,  il  quale  non 
,,  può  significarsi  a  parole  quanto  di  quel  bene  stare  di  Guen- 
„  dalina  si  rincorasse.  Misero  sposo!  Infelice  padre!  Quali  acuti 
,,  dardi  stanno  per  trafiggerli  il  cuore  !  Non  appena  era  passala 
„  un'ora,  che  così  care  speranze  si  cangiarono  in  lutto  e  in  af- 
,,  fanno!  Fattosi  di  nuovo  il  medico  a  visitar  Guendalina  :  sen- 
,,  tito  eh'  ebbe  il  polso,  e  secondo  l'arte  guardatala  in  viso, 
,,  videsi  improvvisamente  tutto  turbare;  laonde  col  pallore  sul 
„  volto  e  con  tronche  ed  incerte  parole  richiesele  ,  se  provasse 
,,  per  caso  alcun  nuovo  incomodo  o  al  capo  o  alla  gola.  Di  che 
,,  niente  altro  avuto  in  risposta,  se  non  che  ella  sentivasi  mara- 
„  vigliosamenle  bene  :  quasi  a  se  medesimo  non  desse  fede  ,  si 
,,  rimase  tutto  mutolo  e  pensieroso.  Quindi  sopraggiunto  altro 
«,  medico,  e  fatte  insieme  le  ispezioni  non  che  le  domande  me- 
,,  desime,  e  sempre  con  eguale  risposta  della  malata,  i  due  pro- 
„  fessori  infine  uscirono  della  camera.  Appena  furono  oltre  al 
,,  limitare,  ecco  che  loro  corsero  ansiosamente  incontro  e  mari- 
,,  to  e  domestici  e  famigliari  per  intender  pure  una  volta  quali 
,,  fossero  le  novità  dell'  inferma.  Ai  quali  i  due  medici,  chinan- 
,,  do  afflittissimi  il  viso,  e  gli  occhi  asciugandosi  dalle  lagrime  , 
,,  non  altro  annunziar  poterono  in  affannosi  detti ,  se  non  che 
,,  pur  troppo  la  principessa  era  ornai  agli  estremi  :   e   che  nello 


Varietà'  347 

„  stato  in  cui  trovavasi,  niente  più  giovando  o  virtù  di    medici- 
„  na  o  arte  di  medicanti,  non  rimaneva  che  1'  affrettarsi  a  chie- 
,,  dere  per  essa  gli  ultimi  aiuti    della  religione!   Ciò   che   al  te- 
,,  nero  sposo  ed  a  tutti   furono   queste  parole,  io   non  basto  a 
,,  dirlo  !  L'ambascia  estrema  fu  vinta  per  un  istante  dall'estremo 
,,  stupore  :   ma  abbandonatasi  poscia  ad    un    libero   sfogo,  empi 
„  tutto  di  pianto  e  di  desolazione  il  palazzo.  Mentre  che  queste 
,,  cose  avvenivano, ecco,  più  a  caso  die  richiesto  a  tanto  ufficio, 
,,  presentarsi  il  Confessore  di  Guendalina,  il  quale  sapendola  in- 
,,  ferma  veniva  per  visitarla.   Perchè    dettogli  dai   circostanti  a 
,,  quel  fine  si  trovasse  la  principessa  ,   senza  frapporre   indugio 
,,  lasciò  guidarsi  entro  la  camera  di  lei,  che  ignara  del  pericolo, 
„  nella  pace  della  virtù  riposavasi.  Fattosi  il  buon  padre  d'ap- 
,,  presso  al  letto,  affabilmente  richiesele,  se  posto  ch'era  venuto 
,,  alla  sua  presenza  le  sarebbe  in  grado  di  confessarsi.  Cui  Guen- 
,,  dalina,  niente  sospettando  di  ciò  che  era  ,  tranquillamente  ri- 
,,  spose:  Assai  volentieri,  padre  mio  :  ma  vorrei  rimanermi  sola 
,,  alcun  poco  per  raccogliermi  in  vie  medesima   e  più  diligente— 
,,  mente  ricercare  la  mia  coscienza.Bene  vi  consentì  il  confessore: 
,,  ed  affinchè  a  quel  che  chiedeva  potesse  ella  dare  libero  effet- 
j,  to,  si  uscì  dalla  stanza.  Ma  che  !  i  professori  ch'erano   colà   ri- 
,,  masi,  udito  che  la  principessa  non  erasi  ancora  a  lui  confessa- 
,,  ta,  per  quanto  eragli  cara  quella  bell'anima  lo  scongiurarono 
,,  di  non  tardare:  essendo  che  del  vivere  di  Guendalina  più  non 
,,  restavano  che  minuti.  Ascoltato  questo,  tornò  egli  nuovamen- 
,,  te  alla  inferma,  e  con  parole  più  aperte  che   non  avesse    fatto 
„  la  prima  volta,  le  dette  a  conoscere  che  la   sua    malattia  dava 
„  forte  a  temere  a  quelli  dell'arte  medica:   che   perciò  sarebbe 
,,  stato  bene,  senza  rimandar  le  cose  più  in  là  ,  di  acconciar  su- 
,,  bito  gli  affari  dell'anima.  Né  dell'apparecchiarsi  si  desse  pen- 
,,  siero  alcuno  :  perciocché  avendo  egli  da  alquanti  anni  in  pra- 
,,  tica  ogni  suo  fatto  che  risguardasse  lo  spirito,  avrebbe  saputo 
,,  con  poche    dimande    soddisfare    ogni    suo    desiderio.    Umile 
„  Guendalina  e  sommessa  a  chi  docilissimamente   aveva  sempre 
,,  obbedito,  non  frappose  tempo  e  lasciò  da  lui  confessarsi.  Com- 
,,  piuta  piamente  la  confessione ,  a    lei   rivolto  il   ministro   della 
»,  chiesa  con  gravi  e  sante  parole  le  fece  intendere,    che  essendo 


348  Varietà' 

,,  pur  troppo  venute  meno  tutte  le  umane  speranze  intorno  àl- 
,,  la  sua  guarigione,  era  giunto  il  momento  di  fare  della  sua  vi- 
„  ta  un  generoso  sagrifìzio  a  Dio  :  sicché  non  potendo  confo  r- 
„  tar  l'anima,  impeditane  dal  male,  col  sagramento  dell'  eucari- 
,,  stia  ,  sarebbe  stato  cosa  opportuna  di  confortarla  con  quello 
,,  della  estrema  unzione-  Fu  a  tale  annunzio  che  il  placido  viso 
,,  di  Guendalina  leggerissimamente  si  conturbò  :  ma  vinto  Subì» 
,,  to  quel  primo  e  leggier  sentimento,  non  dirò  di  timore,  ma 
,,  di  umana  fragilità,  avendo  rivolti  con  grande  affetto  gli  oc- 
,,  chi  al  cielo,  quasi  dicesse  :  Fa  di  questa  tua  serva,  o  mio  Dio, 
,,  ciò  che  meglio  ti  piace  !  tutta  ricompostasi  a  calma  ed  a  se- 
,,  renità ,  attese  devotissimamente  che  la  segnassero  del  santo 
,,  olio  de'moribondi.  Ma  il  morbo  micidiale  ad  ogni  istante  cre- 
„  sceva  per  modo,  che  Guendalina,  benché  in  ogni  sua  facoltà 
„  della  mente  fosse  a  se  presentissima,  incominciò  a  provare  gli 
,,  ultimi  aneliti  di  una  vita  ch'è  per  ispegnersi.  Di  che  facilmen- 
,,  te  avvedutosi  il  confessore,  nel  leggere  che  faceva  sopra  di  lei 
„  le  ultime  preghiere  della  chiesa,  le  pose  a  baciare  il  crocifisso.- 
„  il  quale  essendo  riconosciuto  da  essa  per  quelle  stesso,  innan- 
,,  zi  a  cui  pregar  soleva  nel  piccolo  suo  oratorio,  schiuse  lieta- 
,,  mente  le  labbra  ad  un  caro  sorriso  ,  quasi  vedesse  I'  adorato 
,,  confidente  di  tutti  i  pensieri  suoi;  e  con  affetto  baciatolo,  in 
,,  quel  tenerissimo  bacio  spirò.  ,, 


Nuovo  saggio  dell'origine  delle  idee,  volumi  tf.  Roma  tipogra- 
fia. Salviucci,  in  8,  i85o  (  Articolo  ultimo  ). 

vJuando  le  lettere  nostre  piegavano  in  sinistro,  a  salvarle  da 
perdizione  i  savi  nostri  le  richiamarono  allo  specchio  di  Dante  : 
così  quando  la  scienza  delle  scienze  si  perde  o  nel  matto  ideali- 
smo, o  nel  vile  sensualismo,  buono  è  richiamarla  allo  specchio 
dell'angelico  dottore  s.  Tommaso.  Questo  panni  si  faccia  da'pru- 


Varietà  349 

denti  nostri,  fra'quali  il  Rosmini  Serbati  tiene  un  luogo  degno. 
Non  vorrà  egli  vagheggiar  troppo  quella  sua  idea  dell'ente  :  sa- 
prà arrestarsi  dove  la  ragione  abbandona  il  filosofo  e  lo  lascia 
in  balla  dell'immaginazione. 

Ne'primi  volumi ,  de'  quali  altrove  si  è  dato  un  cenno  in 
queste  carte,  scoperse  e  additò  il  nodo  della  questione  in  ordi- 
ne alle  idee,  ne  narrò  la  storia  ,  ne  diede  la  sua  teoria:  trovò 
qualche  cosa  di  concreato  col  nostro  spirito  ,  che  lo  fa  intelli- 
gente.- e  questo  elemento  ingenito  o  concrealo  avvisò  essere  più 
semplice  di  ciò  che  altri  avesse  opinato  o  sospettato.  Si  mise 
quindi  a  ricercare  quale  si  fosse  questo  elemento  semplicissimo 
sfuggito  a  tanti  occhi:  lo  notò  in  una  idea  semplicissima  costi- 
tuente V unica  forma  dell'intelletto  e  della  ragione  :  e  venendo 
alla  pratica  applicazione  in  questo  ultimo  volume,  espone  come 
corollari  della  sua  dottrina  i  discorsi  sul  criterio  della  certezza 
(  che  per  lui  è  la  percezione  dell'ente)  sulla  forza  del  ragiona- 
mento a  priori,  e  sulla  prima  divisione  delle  scienze:  tema  tan- 
te volte  agitalo,  e  da  tanti,  e  sempre  nuovo  ed  intatto. 

La  percezione  adunque  dell'ente  è  pel  Rosmini  fonte  d'ogni 
certezza  :  contro  questa  percezione  non  valgono  dubbi  scettici  , 
che  dessa  sia  una  illusione;  che  è  impossibile,  che  l'uomo  per- 
cepisca una  cosa  diversa  da  sé  :  che  lo  spirito  comunica  alle  co- 
se percepite  le  sue  proprie  forme  :  che  l'idea  dell'essere  è  mezzo 
a  conoscere  tutte  le  cose,  e  perciò  sorgente  d'ogni  verità  :  quin- 
di l'idea  dell'ente  per  lui  è  la  verità  stessa,  il  principio  o  crite- 
rio del  certo  e  del  vero:  quest'idea  dell'ente  bene  applicata  ge- 
neraci quattro  primi  principii  del  ragionamento,  o  le  concezioni 
comuni:  quindi  la  certa  cognizione  de'corpi,  di  noi,  di  Dio:  fi- 
nalmente la  legge  morale  ;  essendo  l'idea  dell'essere  la  suprema 
per  giudicare  del  bene  in  universale  ,  il  principio  dell'  endemo- 
nologia. 

Volendo  stare  col  Rosmini,  diligentissimo  senza  dubbio,  la 
idea  dell'enee  in  universale,  come  semplice  e  pura  possibilità, co- 
me idea  vaga,  indeterminata,  inavvertita  e  unicamente  formale, 
sarebbe  pel  dotto  autore  la  prima  idea  ,  il  primo  principio  in- 
nato della  psicologia  e  dell'ontologia:  il  criterio  de'giudizi  nella 
logica;  il  supremo  principio  del  bene  e  del  dovere  nella  morale; 


35o  Varietà' 

il  fondamento  e  l'anello  del  mondo  ideale  col  reale  ,  ciò  che  le 
ga  la  vita  speculativa  o  teoretica  colla  pratica. 

Del  resto  egli  parte  non  dal  dubbio  metodico  di  Cartesio  ; 
ma  da  uno  stato  d'ignoranza  metodica  :  la  quale  però  non  con- 
siste già  in  un'  assenza  perfetta  di  ogni  cognizione;  ma  bensì  nel- 
l'assenza puramente  della  cognizione  filosofica,  ossia  di  ulterio- 
re riflessione. 

Checché  vogliasi  pensare  delle  dottrine  del  Rosmini  sull'o- 
rigiue  delle  idee  (  che  non  vogliamo  giudicarne  ),  non  potrà  mai 
niegarsi  a  lui  una  forza  d'ingegno  per  ideare  ed  esprimere  i  suoi 
pensieri  allo  specchio  dell'angelico  dottore  e  del  sommo  Alighie- 
ri, vero  poeta  filosofo. 

A  noi  dee  bastare  di  avere  dato  un  breve  cenno  anche  del- 
l'ultimo volume  ;  onde  i  leggitori  nostri  si  facciano  un'  idea  di 
quest'opera  sottilissima  di  uno  de'filosofi,  che  va  certamente  per 
la  maggiore.  E  qui  vogliamo  si  abbia  le  nostre  lodi  ,  le  nostre 
congratulazioni;  perchè  indefesso  studia  alle  cose  della  filosofia 
e  della  morale  ;  e  promuove  quanto  è  da  lui  l'amore  dell'ordine 
e  la  comune  felicità. 

P.  V. 


Progetti  di  sistemazione  del  Po,  del  signori  Giovanni  Gagliardi 
e  Borgnls  (  Bibl.  it.  maggio  1840,  a  pag.  i65) 

X  ra  l'alpi  e  l'  apennino  è  una  famosa  vallata  ,  che  si  stende 
per  trecento  miglia  in  lunghezza,  e  cento  in  larghezza  raggua- 
gliata. Il  Po  co'suoi  trenta  influenti  accoglie  e  porta  all'  adriati- 
co tutte  le  acque  :  giova  una  si  copiosa  ramificazione  d'  acque 
correnti  a  conservare  qui  stesso  il  bel  giardino  del  mondo.  Ma 
ogni  bene  quaggiù  è  accompagnato  da  mali,  e  tanto  buon  ser- 
vigio de'fiumi  non  lascia  di  avere  sovente  i  suoi  malanni.  Le 
passate  alluvioni  lo  hanno  provato  pur  troppo  ;  e  se  non  era  la 


V    A    K    I    E    T    A'  35 I 

carità  che  si  movesse  al  soccorso  delle  infelici  popolazioni,  noi 
piangeremmo  ancora  amaramente  la  sciagura  delle  acque.  Sen- 
tendo dappresso  i  mali  si  pensa  a'rimedi  :  ed  ecco  appunto  ri- 
sorgere nuovi  pensamenti  indiritti  a  garantire  le  popolazioni 
dalle  invasioni  delle  acque  ,  migliorando  eziandio  i  terreni  e  la 
navigazione. 

A  tale  proposito  il  signor  Gagliardi  propone  di  formare  un 
nuovo  alveo  rettilineo,  largo  almeno  come  il  Po  grande  attuale, 
che  cominciasse  a  Serravalle  ed  avesse  foce  nella  sacca  o  rada 
dell'Abate  presso  Goro:  la  sua  lunghezza  sarebbe  di  metri  238oo, 
poco  più  della  metà  dell'  attuale.  E  così  sarebbe  riunita  in  un 
convoglio  tutta  la  copia  d'acqua,  che  ora  si  scarica  in  mare  per 
otto  canali,  compresa  la  diversione  di  Goro. 

Il  sig.  Borgnis  conserverebbe  invece  il  Po  grande  nello  sta- 
to attuale  da  Serravalle  sino  alla  Contarina  .-  lascerebbe  il  Po 
d'Ariano  o  di  Gorp  :  alla  Contarina  poi  il  nuovo  alveo  verreb- 
be in  retta  linea  allo  sbocco  in  Val  Salsa  ,  con  una  larghezza 
non  meno  del  Po  grande  attuale,  ed  una  lunghezza  di  sole  cin- 
que miglia.  Altro  taglio  proporrebbe  da  farsi  a  comodo  di  lun- 
ghezza circa  due  miglia  diretto  a  togliere  la  grande  curvatura 
di  Gorbola.  Fa  conoscere  i  vantaggi  del  suo  progetto  sopra 
quello  del  Gagliardi,  e  dà  molti  cenni  non  nuovi,  ma  giudiziosi, 
sui  provvedimenti  opportuni  per  la  compiuta  sistemazione  del 
Po  e  de'suoi  influenti. 

Se  fosse  lecito  fra  tanto  senno  sorgere  a  dire  la  mia  qua- 
lunque opinione,  vorrei  proporre  una  opinione  quasi  di  mezzo 
fra  i  due  progetti  Gagliardi  e  Borgnis ,  e  sarebbe  di  fare  due 
grandi  rami  del  Po,  partendosi  l'uno  dalla  Contarina  per  iscari- 
carsi  a  retta  linea  in  Val  Salsa  ;  l'altro  partendosi  dallo  stesso 
punto  per  ridursi  parabolicamente  nella  rada  di  Goro,  o  sacca 
dell'Abate.  Si  scanserebbe  un  unico  convoglio  di  tante  acque  , 
quando  la  natura  ha  indicato  sempre  il  suo  voto,  che  il  Po  ab- 
bia più  rami:  si  avrebbe  il  benefizio  delle  acque  correnti  in  più 
località  ad  utile  dell'  aria,  che  dove  sono  acque  correnti  è  più 
sana  :  si  seconderebbe  più  l'attuale  sistemazione,  a  cui  non  pare 
da  opporsi  così  diametralmente.  Le  innovazioni  totali  in  materia 
di  fiumi  non  sono  mai  prudenti:  né  le  passate  furono  poi  coro- 


35a  Varietà' 

nate  da  si  felice  esito,  che  sia  sicuro  l'abbandonarsi  alla  cieca  in 
braccio  a  novità,  delle  quali  vuol  dirsi  a  ragione  pericolosum  est 
credere  et  non  credere. 

Ma  io  non  ho  inteso  certamente,  che  di  esporre  un  mio  dub- 
bio a  chi  sa  e  può  risolvere  in  oggetto  di  tanta  difficoltà  ,  che 
ha  provato  e  prova  i  più  acuti  ingegni  della  beata  penisola.  Il 
desiderio  del  bene  move  le  mie  parole:  e  l'animo  volonteroso  mi 
scuserà  appo  i  benevoli  che  leggeranno. 

P.  V. 


A  santa  Mustiola  comprotettrice  della  città  di  Pesaro  ,  inno  dì 
Francesco  Cassi.  8.  Pesaro  1841  dalla  stamperia  di  Anne- 
sto Nobili  (  Sono  pag.  i5  ). 


v_ihe  peccato  che  questo  nobilissimo  ingegno  non  ci  dia  più 
spesso  delle  sue  cose  in  tanta  vena  di  poesia  ch'egli  ha,  in  tanta 
dignità  di  scrivere  ed  eleganza!  Ma  il  conte  Cassi  sembra  ripo- 
sarsi ora  sugli  allori,  che  a  buon  diritto  gli  fruttarono  da  tutta 
Italia  la  bellissima  sua  traduzione  di  Lucano.  Intanto  lo  ringra- 
zieremo  di  averci  per  questo  nuovo  inno  fatto  conoscere  ch'egli 
non  ha  lasciato  la  dolcezza  delle  muse  :  inno  veramente  degno 
della  santità  del  soggetto  e  della  chiara  fama  dell'autor  suo. 


Della  povertà  in  Lucca,  ragionamento  deW  avv.    Luigi  Forna- 
ciari.  8.  Lucca,  tipografia  Berlini  1841  (Sono  pag.  /±ó). 

Xreziosissimo  volumetto,  nel  quale  con  alta  filosofia  non  meno 
che  con  gentile  eleganza  ragionasi  di  una  delle  più  grandi   pia- 


Varietà'  353 

ghe  della  civiltà  de'popoli,  e  si  avvisano  i  modi  di  curarla,  chia- 
mando insieme  a  soccorso  la  ragione  de'governi  e  la  santità  del- 
la religione.  Noi  l'abbiamo  letto  e  siamo  tornati  a  leggerlo  con 
ammirazione  non  meno,  che  commozione  di  animo  :  e  ci  giova 
consigliare  di  far  altrettanto  coloro  ,  che  in  più  speciale  manie- 
ra sono  deputati  alla  pubblica  beneficenza.  Essi  avranno  in  que- 
st'opera di  che  pascere  ad  un  tempo  la  mente  ed  il  cuore.  Ve- 
ramente questo  signor  Fornaciari  è  un  fior  di  giudizio  e  di  sa- 
pienza in  tutte  le  cose,  alle  quali  pone  l'ingegno:  e  non  sa- 
premmo dire  chi  più  di  lui  in  Italia  sia  benemerito  di  ciò  che 
oggi  dobbiamo  avere  più  a  cuore,  la  morale  pubblica  e  la  di- 
gnità delle  lettere. 


12 arte  di  scriver  lettere,  dedotta  dall'  analisi  de'  classici  scrittoi 
ri  latini  ed  italiani  per  opera  di  Giuseppe  Ignazio  Monta- 
nuri.  8.  Firenze  dalla  tipografia  calasanziana  1840  (Un  voi." 
di  ).ag.  117.  ) 


Xl  dotto  ,  infaticabile  e  benemerito  prof.  Montanari  ha  voluto 
con  questo  libro,  tutto  fior  di  giudizio  e  di  eleganza,  giovare  so- 
prattutto la  gioventù  italiana,  e  riparare  al  guasto  che  le  dottri- 
ne forestiere  hanno  menato  in  ogni  parte  della  nostra  letteratu- 
ra. Ed  egli  v'ò  riuscito ,  come  era  bene  a  supporsi  di  quel  sua 
fino  criterio  :  sicché  noi  caramente  raccomandiamo  quest1  opera 
non  solo  a'giovani  eh'  esser  vogliono  italiani  in  Italia,  ma  sì  ad 
ogni  maniera  di  maestri  che  non  vogliono  tradire  la  fede  che  in, 
essi  hanno  gli  alunni. 


G.A.T.LXXXVII.  23 


354  Varietà' 

Elogio  funebre  alla  memoria  del  chiarissimo  e  reverendissimo 
padre  maestro  Giovanni  Tommaso  Turco  di/ìnitor  generale 
de'minori  conventuali,  consultore  della  santa  romana  ed  uni- 
versale inquisizione,  pronunziato  nella  insigne  basilica  de1 
ss-  XII  apostoli  il  dì  22  dicembre  1840  dal  padre  maestro 
Angelo  Vincenzo  Modena  dei  predicatori ,  professore  di  sa- 
cra teologia  nella  romana  università.  8.  Roma  presso  Ales- 
sandro Monaldi  i84i.(Sono  pag.  29.) 

V  i  si  ragionano  con  calda  eloquenza  e  con  gravità  ecclesiasti- 
ca, da  uno  de'più  dotti  padri  che  oggi  onorano  Pordiue  insigne 
di  s.  Domenico,  le  virtù  e  le  sacre  fatiche  di  un  religioso  de'mi- 
nori conventuali,  il  quale  all'età  nostra  fu  sommo  nella  scienza 
della  divinità,  e  non  meno  esempla  rissimo  per  santità  e  soavità 
di  costumi:  cioè  del  p.  Giovanni  Tommaso  Turco,  che  con  tanto 
rincrescimento  de'buoni  ci  mancò  il  16  di  dicembre  1840. 


Della  utilità  che  si  può  ricavare  dal  latina  arcaico  e  popolare 
memorato  qua  e  colà  dai  grammatici  per  l'istoria  degli  o- 
dierni  volgari  d'Italia.  Lezione  di  Giovanni  Galvani.  8.  Mo- 
dena (  Sono  pag.  4°-  ) 

JL/avoro  assai  dotto  e  pieno  di  avvisi  acutissimi,  come  son  tutti 
gli  scritti  che  fin  qui  ci  ha  donato  il  eh.  signor  Galvani;  né  sa- 
premmo dire  se  più  dimostri  la  sua  perizia  delle  cose  latine  o 
delle  italiane.  • 


Varietà'  355 

Memorie  isteriche  della  santa  grotta,  della  chiesa  e  del  mona- 
stero di  s.  Benedetto  sopra  Subiaco  ,  raccolte  dall'  odierno 
abate  regolare  dell'anzidetto  monastero.  8-  Roma,  tipogra- 
fia delle  belle  arti  i84o  (  Sono  pag.  84  con  un  rame). 


è  autore  l'illustre  padre  abate  D.  Vincenzo  Bini  :  ed  è  co- 


N 

sa  di  non  lieve  importanza  non  solo  per  le  memorie  di  quel  ce- 
leberrimo santuario,  ma  si  per  le  arti  ancora  e  per  l'istoria  ec- 
clesiastica. 


Sulla  moltitudine  degli  amici,  opuscolo  di  Plutarco.  8.  Ferrara 
1841  presso  Domenico  Taddei  co' tipi  Pomatelli.  (  Sono  p. 
16). 

VUosì  monsignore  Agostino  Peruzzi  ,  meglio  cbe  con  quelle 
non  so  se  noie  o  rancide  fanciullaggini  delle  raccolte  poetiche, 
congratulava  in  modo  degno  di  un  sapiente  alle  nozze  Trentini 
e  Costabili.  Deb  non  sia  vano  in  Italia  l'esempio  di  questo  buon 
Veterano  della  nostra  letteratura  ! 


Per  la  solenne  dedicazione  del  busto  di  Luigi  Biondi  nella  vil- 
letta di  Negro  il  dì  28  di  luglio  1840.8.  Genova,  tipografia 
dei  fratelli  Pagano  (  Un  voi.  di  pag.    80). 

Xjcco  una  raccolta  di  poesie,  e  non  diversa  forse  da  tante  altre. 
Che  ne  direbbe  il  Biondi  all'aureo  e  carissimo  suo  Di  Negro,  noi 


336  Varietà' 

so  :  so  bene  che  loderebbe  assai  il  proemio  di  Pietro  Giordani,  e 
l'elogio  scritto  da  Lorenzo  Costa:  e  bacerebbe  la  fronte  al  nobi- 
lissimo genovese  per  la  memoria  si  tenera  che  serba  di  tanta  ami- 
cizia. 


Versi  di  Giuseppe  Gioacchino  Belli  romano-  8.  Roma  i83q,  ti- 
pografia Salviucci.  (Un  voi.  di  pag.  197  ). 


Xl  sig.  Belli  ha  bevuto  ad  assai  limpidi  fonti  in  fatto  di  poesia. 
Egli  ha  studiato  da  senno  i  classici  e  la  lingua  del  bel  paese,  co- 
me hanno  sempre  fatto  i  valentissimi  nostri  :  ed  ecco  da  ciò  il 
piacer  grande  con  che  si  leggano  i  suoi  versi.  Né  quelli  solo 
che  cantano  cose  domestiche,  o  religiose  o  civili:  ma  sì  gli  altri, 
che  imitando  lo  stile  del  Berni,  del  Firenzuola  e  del  Gozzi  ,  ci 
muovono  a  un  ridere  così  lieto  sulle  stoltezze  del  secolo.  E  sì 
che  noi  non  siamo  usati  molto  lodare  un  genere  di  poesia  ,  in 
cui  è  facile  cadere  nelle  scurrilità  e  ne'sozzi  equivoci  del  Gua- 
dagnoli  !  Ma  il  sapore  veramente  attico  che  sì  spesso  hanno  i 
versi  faceti  del  Belli  vuol  che  facciasi  un'eccezione. 


Nel  giorno  delle  augurate  nozze  del  duca  Alessandro  Torlonia 
con  Teresa  Colonna  ,  questi  disegni  originali  di  valentissi- 
mi artisti,  rappresentanti  alcune  glorie  de 'Colonne si ,  con 
dichiarazioni  /'storiche  Ottavio  Gigli  devotamente  offre.  ^. 
Roma,  dalla  tipografia  Salviucci  i84ou 

Xur  beato  che  non  abbiamo  qui  per  nozze  cotanto  illustri  una 
raccolta  di  poesie  !  Ma  il  sig.  Gigli  non  è  degli  stolti  che  ancor 


Varietà1  357 

sognano  in  Italia  queste  vecchie  ciance.  E  quindi  il  lodiamo  di 
avere  anzi  preso  con  eleganza  di  stile  ad  illustrare  quattro  be' 
disegni,  ove  sono  rappresentati  altrettanti  fatti  della  gran  casa 
de'Colonnesi.  Il  primo  è  l'andata  di  papa  Martino  V  al  posses- 
so, disegno  di  Cesare  Masini  :  il  secondo  ,  Stefano  e  Giacomo 
Colonna  che  sono  venuti  incontro  al  Petrarca  presso  Capranica 
per  offrirgli  la  loro  casa,  diseguo  del  cav.  Pietro  Paoletti:  il  ter.' 
zo,  Agabito  Colonna  che  con  rischio  della  vita  viene  a  rivedere 
vestito  da  pellegrino  la  sua  moglie  Mabilia  Savelli,  disegno  del 
prof.  Francesco  Coghettij  il  quarto,  Prospero  e  Pompeo  CoIoa- 
na a  Barletta,  disegno  di  Carlo  Paris. 


Memorie  dei  compositori  di  musica  del  regno  di  Napoli,  rac- 
colte dal  marchese  di  Villarosa.  Napoli ,  dalla  stamperia 
reale  i84o. 

Notizie  di  alcuni  cavalieri  del  sacro  ordine  gerosolimitano  illu- 
stri per  lettere  e  per  belle  arti,  dello  stesso  autore.  Napoli, 
stamperia  del  Fibreno,  i^l\i. 

V_ion  questi  due  bei  lavori  il  marchese  di  Villarosa  ha  recato 
lustro  al  suo  nome  ed  alla  storia  delle  lettere  italiane-  Escono 
in  Napoli  per  le  stampe  biografie,  elogi,  annali,  storie  di  arti  e 
di  artisti,  di  lettere  e  di  letterati,  di  scienziati  e  di  scienze.  An- 
cora Napoli  mancava  di  una  storia  patria  dei  compositori  di  mu- 
sica :  di  quella  potentissima  arte  che  di  tanta  soavità  lusinga  i 
sensi  e  l'animo,  e  che  tanto  regno  oggi  ha  preso  nelle  nazioni 
incivilite.  Napoli  è  il  paradiso  dell'armonia  .•  ed  il  numero  e  la 
eccellenza  de'suoi  cittadini  in  quest'arte  avanzano  ogni  altro 
popolo  del  inondo.  Il  prepotente  imperio  della   moda  travolge, 


358  Varietà' 

o  diversamente  impronta  i  gusti  intorno  al  bello.  E  la  musica 
specialmente  è  corsa  in  questi  dì  a  tale  rivolgimento.  Perchè 
non  tornare  a  vita  nelle  memorie  degli  uomini  i  nomi  di  que' 
grandi,  le  musiche  de'quali  han  sofferto  l'oltraggio  del  tempo, 
ed  ai  nostri  orecchi  raffinati  sono  venute  fioche  :  ma  che  pur 
tuttavia  furono  miracoli  d'ingegno  ai  loro  tempi ,  e  han  dato 
principio  e  vita  alla  presente  civiltà  musicale  ?  Per  tanto  Napoli 
sarà  gratissima,  e  lo  sarà  Italia,  al  buon  marchese  di  Villarosa. 
che  con  ischietta  e  calda  opera  di  scritto  ha  soccorso  a  tanto 
difetto  nella  storia  delle  arti  in  Napoli,  e  si  è  mostrato  pio  alla 
patria,  risuscitandone  i  nomi  che  furono  illustri,  e  che  ingiusta- 
mente erano  seppelliti  dal  tempo. 

Il  secondo  lavoro  del  Villarosa  intorno  ai  cavalieri  geroso- 
limitani illustri  per  lettere  e  per  belle  arti,  oltreché  adempie  un 
vuoto  nella  filologia,  rettifica  od  accresce  il  concetto  che  hanno 
le  menti  dell'antico  ordine  gerosolimitano-  La  storia  delle  sue 
prodezze  in  armi  ha  esaltato  ed  esalta  di  maraviglia  religiosa  i 
cuori  dei  presenti:  e,  quantunque  spenti  quegli  antichi  fatti 
guerreschi,  ancora  lo  splendore  della  loro  gloria  arde  intero  nei 
fasti  della  milizia.  Ma  era  noto  a  pochissimi  eruditi ,  come  al- 
cuni di  que1  vecchi  cavalieri  fossero  prodi  a  maneggiare  colla 
spada  la  penna:  come  al  vigore  delle  membra  accompagnassero 
quello  dell'intelletto  ,  ed  aprendo  l'animo  alla  cultura  che  sola 
porgono  i  buoni  studi,  dessero  anch'eglino  movimento  ed  incre- 
mento al  gran  mondo  della  sapienza.  Così  dimostrarono  che  alla 
forza  delle  membra  si  può  congiungere  finezza  di  spirito  nobile: 
e  che  quelle  fibre,  le  quali  erano  usate  alle  ferree  sansazioni  del- 
la guerra,  erano  ancora  capaci  di  quelle  placide  e  delicate  della 
letteratura. 

S.C. 


Varietà'  389 

Sulla  vera  religione  dalla  ereazione  del  mondo  in/ino  a  Cristo 
Salvatore.  Dissertazione  storico-dogmatica  del  dottore  An- 
tonio Dragoni  primicerio  della  santa  chiesa  cremonese  ec. 
Cremona,  tipografia  di  Giuseppe  Feraboli  i83g. 

Sulla  chiesa  cremonese,  e  sull'antica  ecclesiastica  disciplina  uni-\ 
versale.  Cenni  istorici  del  suddetto-  Dalla  medesima  città  e 
tipografia  1840. 

Xillor quando  monsignor  Bartolomeo  Casati  prendeva  in  Cre- 
mona solenne  possesso  della  sua  cattedra,  monsignor  Antonio 
Dragoni  primicerio  di  quel  capitolo  ,  nella  letizia  di  si  memo- 
rando giorno,  gl'intitolava  quella  sua  dissertazione.  Il  principio 
su  cui  fondasi  tutto  il  ragiouamento  del  dotto  autore,  socio  cor- 
rispondente della  romana  accademia  di  archeologia  ,  si  è,  che 
fuori  della  religione  cristiana  (col  qual  nome  intendesi  la  catto- 
lica, apostolica,  romana)  per  l'uomo  non  vi  è  stata,  né  giammai 
vi  sarà  per  essere  salvezza.  La  credenza  di  un  riparatore,  il  quale 
nella  pienezza  de'  tempi  sarebbe  venuto  nel  mondo  ,  incominciò 
dopo  il  fallo  di  Adamo:  e  però  essa  religione  (a  car.  1):  "  benché 
promulgata  quaranta  secoli  dopo  la  creazione,  nacque  e  continuò 
col  mondo  :  poiché  da  Adamo  fino  a  Giovanni  Battista,  conser- 
vatasi, accresciutasi,  fiorita  nel  cuore  e  nelle  opere  de'giusti  di 
tutti  i  tempi,  umili,  sinceri  e  pii  adoratori  del  vero  Dio  in  ispi- 
rilo e  verità,  i  quali  perchè  credevano,  speravano,  desideravano 
Christi  incarnalionem  futuram  quam  nos  credimus  factam  (  Aug. 
epist.  57  ad  Dard.)  furono  per  lui  salvi  ,,.  Sviluppa  quindi  il  eh. 
Dragoni  questa  proposizione  con  molto  raziocinio  ,  critica  ed 
erudizione.  In  fatti  parla  a  lungo  del  peccato  di  origine  e  dei 
suoi  tristi  effetti:  de'giusti  che  furono  prima  della  vocazione 
di  Abramo,  e  da  questo  patriarca  fino  a  Mosè:  di  quelli  che 
vissero  in  tempo  della  legge  scritta:  come  jlddio  suscitasse  i 
profeti  per  imprimer  viemmeglio  questa  verità  ne'  popoli:  con 
quanta  precisione  fosse  vaticinato  il  messia:  come  nascesse  da 
una  vergine  ,  predicasse  e  morisse  raccomandando  alle  genti 
quella  religione  medesima,  in  cui  aveva    creduto  Adamo  ,  e  la- 


36o  Varietà' 

sciando  alla  sua  chiesa  un  perpetuo  capo  visibile  nella  persona 
di  sau  Pietro  e  de'suoi  successori.  Un  siffatto  raziocinio  uon  è 
certamente  nuovo,  ed  assai  profondamente,  come  accenna  anco 
il  Dragoni,  fu  svolto  dal  celebre  Bossuet  nel  suo  discorso  sulla 
storia  universale.  Nondimeno  anche  questa  dissertazione  è  assai 
pregevole  perla  chiarezza  e  per  l'erudizione  e  pel  metodo;  né  il 
pio  autore  si  rista  dal  premunire  di  continuo  i  fedeli ,  perchè  si 
guardino  da  quelle  strane  dottrine,  che  specialmente  dissemina- 
te con  buon  garbo  in  questi  ultimi  tempi,  mirano  a  sottrarre  i 
fedeli   dal  soavissimo  giogo  di   Gesù  Cristo. 

Questo  breve  scritto  serve  di  base  ai  Discorsi  sulla  storia 
ecclesiastica  cremonese  ne' primi  tre  secoli  del  cristianesimo,  in 
appresso  pubblicata  con  molta  sua  lode  (*),  in  continuazione  de' 
quali  sono  i  Cenni  sulla  chiesa  cremonese,  di  cui  terremo  breve- 
mente parola. 

Incominciano  essi  dal  32o,cioè  da  santo  Stefano  I ,  che  fu 
il  decimo  terzo  vescovo  di  Cremona;  e  distendonsi  fino  alla  mor- 
te di  san  Silvino  trigesimo  primo  vescovo,  il  quale  passò  di  que- 
sta vita  nel  773,  epoca  in  cui  venne  Cremona  sotto  la  domina- 
zione franco-lombarda  per  la  discesa  di  Carlo  Magno  in  Italia. 
Pertanto  trovasi  in  questo  volume,  ugualmente  dedicato  alla  ec- 
cellenza reverendissima  di  monsignor  Casati, l'istoria  di  diciotto 
vescovi  tutti  santi,  tutti  per  dottrina  e  per  zelo  illustri:  vedesi 
continuato  il  sacro  senato  ,  ossia  presbiterio  di  quella  chiesa, 
senza  lasciarsi  mai  alcuna  interruzione:  parlasi  delle  diaconesse, 
delle  vergini,  delle  vedove  ivi  fiorite  io  santità  :  in  una  parola 
di  tutto  ciò  che  in  qualsivoglia  guisa  interessar  possa  non  solo 
l'istoria  della  chiesa  cremonese  ,  ma  bensì  l'universale,  essendo 
tutta  l'opera  fornita  di  non  comune  erudizione  attinta  a  sicure 
fonti.  Ed  invero  il  eh.  autore  ci  racconta  come  avessero  origine 
le  parrocchie  di  campagna,  quale  fosse  la  disciplina  del  battesi- 
mo, della  penitenza,  dell'eucaristia,  il  modo  come  fino  al  secolo 


(*)  Non  essendoci  riuscito  di  procurarci  tale  opera,  ci  rimet- 
tiamo ai  giornali  ecclesiastici  e  scientifici,  che  ne  hanno  con 
mollo  onore  parlato. 


Varietà'  36  i 

IX  si  santificassero  le  feste  ,  qu  ile  (osse  I'  obbligo  di  udire  la 
messa,  l'antichità  degli  oratorii  domestici,  la  fondazione  de'  rao- 
nisteri  e  de'luoghi  pii,  e  mille  altre  pregevolissime  cose  di  ec- 
clasiastica  archeologia. 

Siccome  poi  la  profana  istoria  è  strettamente  collegata  col- 
l'ecclesiastica,  così  monsignor  Dragoni,  qu.indo  gli  è  stato  d'uo- 
po, non  ha  omesso  di  riferire  eziandio  que'  fatti  ,  che  avevano 
strettissimo  legame  colla  sua  opera.  Sono  essi  le  frequenti  e  nu- 
merose irruzioni  di  barbari  tutti  aspri  e  feroci  ,  benché  diversi 
di  nome,  d'indole  e  di  costumi,  e  i  continuati  mutamenti  di  gover- 
no fatti  dai  goti,  dai  longobardi,  dai  franchi,  accompagnati  mai 
sempre  da  devastazioni ,  rapine,  stragi  e  divisioni  di  terre  ope- 
ratesi tra  gl'insaziabili  vincitori. 

L'amore  della  verità  ,  1'  affetto  alla  santa  sede  ,  i  voti  che 
continuamente  fa  l'autore,  perchè  i  cristiani  conoscano  il  be- 
neficio da  Dio  ricevuto,  e  si  mantengano  fidi  alla  loro  vocazio- 
ne, ben  si  manifestano  in  questi  da  lui  per  modestia  chiamati 
cenni,  e  scritti  se  non  con  forbita  eleganza,  certamente  con  mol- 
ta spontaneità  e  chiarezza.  Noi  di  cuore  desideriamo  ,  siccome 
anche  l'autore  ce  lo  fa  sperare,  ch'egli  li  prosegua  almeno  fino 
al  concilio  di  Trento-  Avremo  allora  così  una  piena  e  sicura 
istoria  della  chiesa  cremonese.  Chi  ha  fatto  il  più,  può  fare  an- 
co il  meno.  Dopo  tanta  luce  sparsa  ne'secoli,  i  quali  erano  più 
oscuri  e  mancanti  di  monumenti  sicuri  ,  perchè  arrestarsi  ora 
che  gli  sarà  il  lavoro  certamente  più  facile  a  proseguirsi  ?  Noi 
ce  ne  confidiamo:  ed  il  Signore  sia  quello  che  gliene  accordi 
agio  e  potere. 

F.  Faei  Montani. 


23* 


36a  Varietà' 

Istituzioni   sacro-oratorie  ,   opera   di  F.    Gaudenzio  'da  Brescia 
cappuccino.  Imola  dalla  tipog,  Benucci  1840,  in  i6  difac.  il^ì. 

i3e  la  sacra  eloquenza  dovesse  insegnarsi  col  soccorso  di  auto- 
rità, avremmo  quelle  de'Paoli,  de'GiroIami,  degli  Agostini  ,  che 
vanno  per  la  maggiore  ;  poi  quelle  de'Segneri ,  de'  Fenelon,  dei 
La-Luzerne,  de'Trublet,  de'Gisbert,  de'Muratoii,de'Liguori,  de* 
Ricci,  de'Riccardi  e  sino  de'Blair.  Avremmo  le  osservazioni  (per 
tacere  di  altri  )  del  eh.  monsignor  Peruzzi  sulle  orazioni  quare- 
simali del  prof.  Barbieri  :  e,  se  nulla  valessero,  avremmo  le  no- 
stre uscite  di  mano  in  mano  in  questo  giornale  sulla  biblioteca 
di  panegirici  (  Tom.  35,  3j,  43  e  45).  Ma  più  che  l'autorità,  noi 
stimiamo  doversi  consultare  la  ragione,  la  quale  riconoscendo 
nell'eloquenza  una  espressione  della  morale,  non  puà  dare  altre 
Tegole  per  la  eloquenza  profana,  altre  per  la  sacra;  se  non  ri- 
guardando che  quella  mira  a  persuadere  coi  dettami  della  legge 
naturale,  questa  colla  guida  della  rivelazione  (  compimento  e 
quasi  corona  della  legge  naturale):  quella  si  dà  cura  d'innamo- 
rare della  verità  e  del  pregio  delle  cose  per  lo  più  temporali  , 
questa  delle  eterne  :  quella  varia  di  abito  e  di  maniere  a  secon- 
da delle  diverse  verità  ,  che  vuole  persuadere  questa  non  ha  , 
ne  può  avere  che  l'abito  sempre  maestoso  e  solenne  della  reli- 
gione. Giova  che  i  precetti  dell'oratoria  sì  rendano  più  chiari  a 
tutti  quelli,  che  amano  profittarne  pel  bene  universale;  felicità 
non  può  essere  nel  mondo  se  la  virtù  non  sia  illuminata  e  soste- 
nuta dalla  religione  santissima! 

Egli  è  quindi  a  lodare  il  p.  Gaudenzio  da  Brescia  ,  che  più 
brevemente  del  p.  Gaetano  da  Bergamo  (in  quel  suo  libro  inti- 
tolato VUomo  apostolico  al  pulpito)  ne  ha  dato  queste  Istituzio- 
ni sacro -oratorie  :  alle  quali  se  più  copia  di  esempi,  tolti  dai 
solenni  nostri  oratori  e  da'ss.  padri  singolarmente,  avesse  potuto 
dare,  avrebbe  fatto  opera  ancora  più  proficua  e  commendevole. 
Ma  la  strettezza  de'  precetti  non  toglie  ,  che  i  leggitori  nutriti 
allo  studio  delle  scritture  sante  e  della  sana  morale  non  abbiano 
a  scegliere  e  cercare  ne'predicatori  ed  elogisti  cristiani  quelli,  che 
seppero  dare  non  parole,  ma  cose  ■:  e  cose   degne  del  pergamo  ! 

0.  V. 


Varietà'  363 

La  filanda  a  vapore  in  Fossombrone.  Memoria  del  conte  Giu- 
seppe Mantiani.  Pesaro,  stabilimento  tipografico  di  A.  No- 
bili 1841,  in  8,  di  facce  16. 

.Li  elio  stato  pontificio  Lugo,  Ancona,  e  quasi  contemporanea- 
mente Modigliana  e  Fossombrone,  hanno  eretto  filande  a  vapore 
per  la  trattura  delle  sete-  La  casa  ducale  di  Leuchtenberg  la 
fondava  in  quest'ultimo  luogo,  famoso  per  tale  industria,  colla 
spesa  di  scudi  14  mila.  La  seta  è  oggetto  industrioso  rimarche- 
volissimo in  Italia,  che  ne  dà  ogni  anno  tredici  milioni  di  libre. 

Descrive  l'A.  tutto  ciò  che  v'ha  di  più  notevole  nella  fab- 
brica, e  presenta  il  confronto  dei  due  metodi,  dell'antico  cioè  e 
del  recente  a  vapore.  La  casa  ducale  (per  suo  uso)  consumava 
tredici  libre  di  bozzoli  per  ogni  libra  di  seta  reale.-  col  nuovo 
metodo  ne  consuma  libre  11,  6,  o  al  più  libre  12  se  il  genere 
non  è  di  ottima  qualità ,  trascurando  del  tutto  la  mezza  seta 
ed  i  doppi  ;  poiché  tanto  con  1'  un  metodo  quanto  con  V  altro 
quest'ultimo  prodotto  è  in  relazione  con  la  seta  reale  e  col  peso 
dei  bozzoli.  La  seta  ottenuta  colla  filanda  a  vapore  è  di  miglior 
qualità,  sicché  può  calcolarsi  ragguagliatamente  un  utile  sui 
prezzi  di  bai.  20  per  libra  di  seta  reale  ;  oltre  a  ciò  per  ottene- 
re una  libra  di  seta  coli'  antico  metodo  occorreva  una  spesa  di 
bai.  34,  mentre  ora  ne  occorrono  24-  Chiaro  apparisce  le  mag- 
giori utilità  essere  il  miglioramento  del  prodotto,  poiché  la  qua- 
lità del  filo  è  più  bella  e  più  lucente,  e  le  spese  molto  diminui- 
te. Tale  miglioria  impedirà  che  le  nostre  sete  grezze  vadano  ai 
telari  stranieri.  Questa  memoria  del  sig.  conte  Giuseppe  Mamiani 
è  commendevolissima  tanto  perchè  ci  rende  istruiti  di  un  mi- 
glioramento manifatturiero  che  fra  noi  va  dispiegandosi,  quanto 
per  la  dottrina  e  per  l'amore  delle  cose  patrie  di  cui  rifulge 
tutto  il  suo  scritto. 

fi.  C.  fi. 


364  Varietà' 

Cenni  per  una  nuova  storia  delle  scienze  mediche  di  Giuseppe 
Cervello.  Verona,  tipografia  di  Giuseppe  Antonelli  1841  , 
in  8,  difac.   i[\. 

1.1  è  1'  Italia  uè  altre  colte  nazioni  hanno  una  storia  medica 
universale  e  completa.  I  grandi  uomini  che  si  sono  sobbarcati  a 
tale  impresa  gigantesca,  per  quanto  il  loro  genio  fosse  grande  , 
le  fatiche  e  le  ricerche  immense,  furono  schiacciati  dall'  immen- 
sità dell'opera;  i  loro  scritti  non  riuscirono  che  imperfetti.  Molli 
dotti  occorrono  per  recare  a  termine  opere  di  tanta  lena.  1  fran- 
cesi il  tentarono  per  la  letteratura  in  genere:  ma  al  solito  consi- 
derarono grande  ìa  sola  Francia,  le  altri  nazioni  pigmee.  Errori 
d'ogni  maniera  sono  i  gioielli  che  ornano  quell'operone  ,  che  fa 
inarcare  le  ciglia  agli   stolidi. 

Il  eh.  sig-  Cervetto,  benemerito  già  della  storia  medica  d'Ita- 
lia, propone  in  questo  suo  scritto  (pel  quale  ottenne  una  meda- 
glia d'oro  da  S.  M.  il  re  di  Sardegna)  una  nuova  storia  filosofica 
medico-chirurgica  „  la  quale  provvedendo  dall'uri  lato  all'imper- 
fezione de'posseduti  lavori,  ed  al  naturale  bisogno  del  cronolo- 
gico proseguimento,  si  mostri  dall'altro  fornito  dei  voluti  carat- 
teri ;  d'  offrire  a  gratitudine  ed  esempio  gli  andati  maestri  ,  mo- 
strando anche  le  cause,  le  influenze  e  i  legami  degli  errori  di 
loro;  risparmi  agli  studiosi  prezioso  tempo  e  fatica  per  la  parte 
bibliografica,  la  più  utile  ed  essenziale,  ma  finora  la  meno  cu- 
rata perchè  la  più  esigente  ;  additi  il  cammino  delle  scienze  no- 
stre confrontate  colle  ausiliarie  e  sorelle,  e  più  colla  progredien- 
te civiltà  e  col  genio  della  filosofia  dominante  per  desumerne 
quanto  a  fare  rimanga;  comprenda,  nella  sintetica  sua  tessitura, 
un  ordine  che,  sembra  mancare  tuttora  rispetto  ai  meriti  delle 
varie  nazioni  antiche  e  moderne  e  nel  complesso  e  nel  partico- 
lare; e  meglio  ci  chiarisca  sulle  personali  notizie  dei  più  splen- 
didi artisti  che,  in  relazione  ai  tempi  e  luoghi  in  cui  vissero  e 
fiorirono,  comunque  attivamente  cooperarono  coll'ingegno  e  col 
cuore  allo  scientifico  dilatamento  e  al  benessere  sociale.  ,, 

La  partizione  del  lavoro  necessaria  in  tale  impresa,   seguen- 
do le  divisioni    geografico-topograliche,  consister    dovrebbe   in 


Varietà'  365 

commissioni  o  giunte  locali  civiche  secondarie  che  raccolgano  i 
precipui  materiali  della  relativa  porzione  di  storia  medico-chi- 
rurgica spettante  a  quel  municipio,  e  li  dispongano  in  un  cert' 
ordine  già  convenuto:  e  le  altre  in  comitati  primari  e  nazionali, 
i  quali  radunino  tutti  gli  scritti  e  ne  facciano  lo  spoglio  e  la  fu- 
sione in  un  tutto  omogeneo. 

Riguardo  alla  forma,  preferisce  la  biografica  collegata  colle 
circostanze  ed  i  tempi.  Ritiene  esser  cosa  frustranea  allo  scopo 
lo  incominciare  dalle  prime  età  de'  popoli,  nelle  quali  non  fu 
scienza  medica:  vuol  che  si  travalichino  le  due  più  tremende 
catastrofi  di  cui  fu  scena  la  terra,  la  caduta  dell'impero  ed  il 
medio  evo  colla  sua  lunga  e  tenebrosa  notte  durata  fino  ai  be- 
nemeriti figli  di  Benedetto,  nella  quale  l'arte  salutare  fu  presso- 
ché spenta.  Alla  enunciata  non  remota  epoca  addivenne, che  suc- 
cedute alle  nordiche  le  meridionali  invasioni,  molcirono  queste  il 
servaggio  della  più  tribolata  parte  del  vecchio  mondo,  traducen- 
dovi quel  poco  scibile  campato  dall'universal  naufragio-  La  sto- 
ria medica  anteriore  a  quest'  epoca  ha  avuto  moltiplici  e  dotti 
scrittori.  Il  dott.  Francesco  Freschi  di  Piacenza  ha  intrapreso  a 
Firenze  (  tip.  della  speranza,  tomo  i,  i83g-4o)  la  seconda  edizio- 
ne della  storia  prammatica  della  medicina  di  Curzio  Sprengel  , 
proponendosi  di  correggerla,  illustrarla  e  continuarla  fino  a' 
giorni  nostri.  Nel  i  tomo,  colle  recenti  scoperte  fatte  in  ispecial 
modo  in  Egitto,  pone  in  maggior  chiarezza  la  medicina  antica , 
abbatte  Ippocrate  ed  i  suoi  seguaci,  e  col  eh.  dolt.  Cervetto  sta- 
bilisce l'epoca  della  vera  scienza  medica  al  secolo  XVI  dell'era 
volgare  (  Vedi,  Annali  universali  di  medicina,  voi.  97  ,  p.  5o8, 
marzo  i84«,  Milano). 

Le  norme  per  le  commissioni  sian  poche  e  chiare  ,  affine  di 
ottenere  uniforme  il  lavoro.  Studio  della  vita  e  delle  opere 
degl'illustri  trapassati  senza  gare  municipali:  ricerche  di  docu- 
menti, scioglimento  di  punti  storici  e  scientifici  controversi  con 
disquisizioni  imparziali  e  severe:  ordine  cronologico  il  più  atto  a 
mostrare  il  regolare  cammino  così  della  nostra  come  d'ogni  altra 
arte  e  scienza;  prospetti  sinottici  dei  vari  rami  coltivati  in  tem- 
pi diversi:  raccone  in  line  le  care  immagini  dei  grandi  maestri. 
Die  un  bel  saggio  in  questo  genere  FA.   pubblicando   nel 


366  Varietà' 

i834  i  Cenni  per  una  storia  dei  medici  veronesi  e  loro  antico 
collegio:  come  altresì  un  ottimo  modello  di  filosofica  biografia 
nel  suo  scritto  intorno  a  Giambattista  Da  Monte, intorno  al  qua- 
le tenni  discorso  nel  tomo  84  pag.  g3  di  questo  giornale.  Leg- 
go ora  nel  voi.  4  Pag-  2^9  degli  annali  medico-chirurgici  di  Ro- 
ma, che  il  prof.  Giuli  di  Siena  ha  discoperto  un  documento,  col 
quale  prova  essersi  fondata  a  Siena  la  clinica  fino  dal  i5  otto- 
bre i326  da  un  tal  medico  di  Montepulciano  per  nome  maestro 
Onesti.  Appoggia  in  singoiar  modo  il  suo  opinamento  alle  se- 
guenti parole  del  codice  :  "  Et  praedicta  maxima  fieri  dehent 
,,  per  vos  qui  debetis  curare,  quod  civitas  Senarum  bonis  et  ex- 
„  pertis  medicis  repleatur.  ,,  Tale  controversia  però  ha  duo- 
po  di  essere  ventilata. 

L'A.  ha  promesso  di  pubblicare  la  vita  di  Alessandro  Bene- 
detti di  Legnano  nel  veronese  (intorno  a  cui  mi  propongo  tene- 
re ragionamento  ì,  lume  chiarissimo  della  medicina  italiana  del 
XVI  secolo,  istitutore  di  un  teatro  per  la  istruzione  anatomica, 
ed  il  primo  che  desse  vere  idee  della  contagione  della  peste,  che 
ora  con  isciocchi  argomenti  un  tal  francese  Clot  bey  crede 
non  contagiosa.  Per  tali  inique  massime  in  questi  giorni  stessi 
la  peste  mena  strage  maggior  dell'usato  in  Egitto:  in  Alessandria 
anche  il  quartiere  de'franchi,  che  per  lo  innanzi  n'  era  stato  li- 
bero a  causa  delle  savie  precauzioni,  è  ora  in  preda  del  tremen- 
do morbo:  alcuni  vascelli  mercantili  sono  appestati  :  e  la  spedi- 
zione pontificia,  che  in  Egitto  si  recò  per  trasportare  le  colonne 
di  alabastro  che  ornar  debbono  la  basilica  di  s.  Paolo,  ha  perdu- 
to il  suo  medico  dott.  Ruga,  e  qualche  altro  di  cui  s'ignora  il 
nome.  Ma  lasciati  da  lato  questi  funesti  casi,  che  son  prezzo 
delle  idee  e  de'vaneggiamenti  talora  fatalissimi  che  andiam  nier- 
cando  oltremonte,  porrò  termine  coll'esortare  i  veri  medici  ita- 
liani a  collegarsi  per  cotant'opera  ,  affinchè  poste  in  chiaro  le 
nostre  grandi  e  non  frodate  ricchezze  ,  possiamo  far  argine  alle 
sempre  crescenti  straniere  devastazioni. 

Enrico  Castrici  Brunetti. 


Varietà'  367 

Cenni  sulla  chirurgia  plastica ,e  sopra  Branca  di  Branca  da  Ca- 
tania, deXsdott.  Antonino  Insegna.  Catania,  presso  i  fratelli 
Sciuto  1840,  in  8.  di  fac.  aa. 

VJTaleno,  Cornelio  Celso  e  Paolo  d'Egina  parlarono  della  rino- 
plastica .  i  loro  precetti  dimenticati,  furono  posti  in  opera  da 
Alessandro  Benedetti,  da  Vesalio  e  da  Ambrogio  Pareo.  La  chi- 
rurgia plastica  ebbe  origine  nell'  India.  Dieffenbacb  crede  non 
essersi  eseguita  tale  operazione  in  Europa  prima  del  secolo  XIV 
e  XV:  non  ostante  è  certo  che  in  Sicilia,  in  Abruzzo  ed  in  Ca- 
labria fu  conosciuta  ed  usata. 

Nel  principio  del  XV  secolo  godeva  già  rinomanza  Branca 
di  Branca  in  Catania  per  lo  innestare  che  facea  con  successo  la 
pelle  del  braccio  sulle  deturpanti  ferite  del  naso:  per  cui  Ferdi- 
nando I, allora  re,  lo  ricolmò  di  favori,  ed  accordò  a  lui  ed  a'suoi 
l'ufficio  del  suggello  della  dogana  di  Palermo  nel  dì  n  gennaio 
ind.  VI,  anno  MCCCCXII.  Il  suo  figlio  lo  imitò  perfettamente 
in  quest'arte,  e  ne  rese  migliore  il  metodo,  come  ce  ne  assicura 
Bartolomeo  Fazio,  De  viris  illustr-  pag.  38.  Lodarono  e  parlaro- 
no di  Branca  molli  storici  e  grandi  medici,  cioè  Girolamo  Ren- 
da Ragusa,  Gio.  Battista  De  Grossis,  Vito  Amico  Statella,  Paolo 
Zacchia,  Giovanni  Schenkio,  Gilberto  Cognato,  Pasquale  Gallo 
ed  altri. 

Rimase  in  disuso  questa  cerusica  operazione,  finché  al  na- 
scere del  XVI  secolo  la  ripose  in  voga  un  altro  celebre  italia- 
no, Gaspare  Tagliacozzi  di  Bologna,  allora  professore  in  patria, 
il  quale  stampò  De  curtorum  chirurgia  per  insitionem  :  additis 
cutis  traducis  instrumentnrum  omnium  atque  deligationibus  ico- 
nibus  et  labulis  libri  duo.  Venetiis  i Sgy,  in  fol.  ;  opera  ristam- 
pata col  titolo  che  segue;  Chirurgia  noi'a  de  narium,  aurium  la- 
biorumque  defechi  per  insitionem  cutis  ex  humero,  arte  hactenus 
omnibus  ignota,  sarciendo.  Francofurti ,  ap.  Ioannem  Saurium 
i5g8  ,  in  8.  In  tale  opera  dichiara  essere  stato  il  Branca  egre- 
gio professore  in  quest'arte.  Scrisse  ancora  una  Epistola  ad  Hit' 
ronymum  Mercurialem  de  naribus  multo  ante  abscissis   reficicn* 


368  Varietà' 

dis,  ch'esiste  nell'opera  del  Mercuriale  intitolata  Ite  decoratone 
ivi,   1587.    Finalmente  si  hanno  dal  medesimo  i  Consilia  medica 
nella  raccolta  di  Lautenbach  intitolata  Italiae  medìcorum  ...  Con- 
silia medicinalia,  ivi,  i6o5,  in  4- 

Professori  di  alta  rinomanza  hanno  trattato  in  vari  tempi 
della  maniera  di  rifare  il  naso  :  tali  sono  Mercuriale,  Fallopio, 
Fyens  discepolo  del  Tagliacozzi  ed  altri.  L'  Ughelli  nell'  Italia 
sacra,  tomo  9,  p.  626  dell'edizione  romana  (1662),  dice  che  in 
Tropea  città  della  Calabria  fioriva  Petrus  Vioneus  chirurgus  qui 
labia  et  nasos  mutilos  integritale  donavi l.  Prima  però  di  Pietro 
Vioneo  ne  fu  l'inventore,  secondo  afferma  Gabriello  Barri,  un  al- 
tro "Vioneo  per  nome  Vincenzo  di  Maida  nella  Calabria  che  sem- 
bra vissuto  nel  fine  del  secolo  XV.  „Ex  hoc  oppido  (Maida)  fuit 
Vincentius  Vioneus  medicus  chirurgus  eximius,  qui  labia  et  na- 
sos mutilos  instaurandi  artem  excogitavit.  Fuit  et  Bernardinus 
eius  ex  fratre  nepos  et  huius  artis  baeres:  viget  modo  huius  fì- 
lius,  et  itidem  artis  haeres.  (  De  antiqet  situ  Calabriae.  )  „  Che 
la  rinoplastica  si  esercitasse  ed  anche  per  lungo  tempo  si  mante- 
nesse in  Tropea,  lo  dice  Gio.  battista  Cortesi,  professore  celebre 
di  chirurgia  in  Bologna  e  quindi  in  Messina.  Descrivendo  gl'i- 
stromenti  da  lui  usati  in  quest'operazione,  giudica  grossolani 
quelli  dei  chirurgi  di  Tropea,  che  però  chiama  instauratores  di 
quest'arte. 

Dopo  costoro  la  chirurgia  plastica  migliorò  nei  metodi,  che 
possono  complessivamente  ridursi  a  tre.  I.  Tagliare  le  parti  lon- 
tane, in  ispecie  del  braccio,  per  innestarle  al  membro  perduto.- 
metodo  detto  italiano.  II  Collocare  quanto  prima  si  può  la  par 
te  staccata;  metodo  che  ha  il  nome  di  iuxta  positione.  III.  Ri- 
torre  dalle  altre  parti  vicine  o  lontane  i  pezzi  necessari  all'ope- 
razione: e  tal  uso  fu  detto  metodo  indiano  Gl'indiani  recidon  ta- 
lora dagli  schiavi  i  pezzi  che  vogliono  rimettere  agl'individui 
che  ne  mancano. 

Tale  operazione,  che  sembra  essere  stata  estesissima  in  Ita- 
lia, non  fu  ammessa  nel  rimanente  di  Europa:  e  se  non  vi  fosse 
la  storia  di  un  naso  tagliato  e  rimesso  nel  i5o,2  da  Griffon  in 
Losanna,  non  si  potrebbe  citare  alcuu'esempio  di  tali  operazioni 
fuori    d'Italia,   esclusi   gl'indiani;    poiché    i  chirurgi  degli  altri 


Varietà'  369 

paesi  contentaronsì  di  discutere  intorno  alla  possibilità  del  me- 
todo del  Tagliacozzi,  che  alcuni  attribuirono  a  potere  infernale. 
La  fallacia  forse  dei  risultamenti  di  tale  operazione  ci  dà  conto 
del  perchè  sia  stata  fino  al  declinare  del  passato  secolo  ristretta 
iu  Italia,  e  qui  ancora  spesso  posta  in  dimenticanza. 

Questa  pregevole  memoria  rivendica  a  Branca  di  Branca  di 
Catania  l"uso  di  un'  operazione  in  quei  tempi  nuova.  Era  desi- 
derabile però  che  ci  avesse  dato  maggiori  notizie  intorno  a  quest' 
uomo,  indicando  almeno  l'epoca  della  nascita  e  della  morte  di 
tal  valente  chirurgo  e  del  suo  figlio;  se  si  conservano  suoi  scrit- 
ti o  sono  indicati  dai  bibliografi,  ed  altre  somiglianti  cose.  L'A. 
però  ha  spiegato  bella  e  scelta  erudizione  intorno  alla  chirurgia 
plastica.  Quindi  è  che  non  può  se  non  tributarsi  lodi  al  signor 
dott.  Insenga,  il  quale,  giovane  ancora,  pone  mano  a  lavori  di 
storia  medica,  scopo  a  cui  son  dirette  le  fatiche  di  molti  gravi 
medici  d'Italia.  Ma  per  esser  equo  voglio  soggiungere,  che  le  no- 
tizie dai  dotti  desiderate,  saranno  state  disperse  dal  tremendo 
impero  del  tempo,  il  quale  pur  ci  conserva  intatte  moltissime 
istorie,  che  sono  il  disonore  degli  uomini  e  delle  nazioni,  e  che 
per  un  malaugurato  fanatismo  ogui  dì  si  pongono  a  luce. 

Enrico  Castreca  Brunetti. 


Nuove  osservazioni  sulla  basilica  emilia  efulvia,  delVaw.  Luigi 
Cecconi,  giudice  capitolino  d'appello  e  socio  corrisponden- 
te della  pontificia  accademia  romana  d'archeologia. 

Al  eh.  sig.  profess.  don  Celestino  Cavedoni,  nel  Giorn.  letterar. 
scient.  moden.  num.  16,  in  proposito  della  mia  dissertazione  so- 
pra la  basilica  emilia  e  fulvia  torna  a  dire:  „  Siccome  fui  dolen- 
,,  te  nel  vedermi  costretto  a  contraddire  al  eh.  sig.  Cecconi  e  ad 
„  altri,  che  posero  in  Preneste  la  basilica  emilia  e  fulvia  di  Ro- 
„  ma,  così  sou  ora  lieto  in  vedendo  che  il  mio  parere  confronta 


3yO  V    A    R    I    E    T     A' 

„  con  quello  del  eh.  sig.  Gennarelli,  esposto  nel  tiberino  a8  di- 
,,  cembre  1840.  ,,  Su  di  che  replicherei,  che  egli  sempre  urbano 
non  dovea  dolersi  di  coutraddire  al  mio  parere, ogni  dì  fra  lette- 
rati trattandosi  quistioni,  purché  si  conservino,  com'è  suo  costu- 
me, le  leggi  della  civiltà.  Replicherei  quindi  che  non  trovo  causa 
di  corroborare  la  sua  opinione  in  ciò  che  disse  di  me  il  sig.  Gen- 
narelli nel   tiberino. 

,,  Io  non  posso  (disse)  entrare  a  parlare  in  dettaglio  di  que- 
,,  sta  singolare  e  curiosa  dissertazione  ;  poiché  s'  aggira  in  una 
,,  base  assolutamente  falsa,  supponendo  V  autore  che  la  celebre 
„  basilica  emilia  e  fulvia  fosse  in  Preneste,  mentre,  sappiamo  eh' 
,,  era  in  Roma  ,,.  Ove  pregherei  il  signor  Cavedoni  a  riflettere, 
che  bisogna  non  aver  letto  affatto  questa  mia  singolare  e  curio~ 
sa  dissertazione,  per  dire  che  la  sua  base  fosse  nella  esistenza 
della  basilica  in  Preneste.  Io  ebbi  solo  scopo  di  provare,  che  il 
musaico  fu  rinvenuto  in  un  delubro, anzi  che  in  quella  basilica, 
addimostrandola  perciò  unica  ed  esistente  impossibilmente  nel 
recinto  del  tempio  della    Fortuna. 

Prosiegue  il  Gennarelli:  „  Anzi  mi  giova  credere  ch'ei  non 
„  abbia  letto  quel  passo  di  Varrone  ,  sia  perchè  è  diverso  da 
„  quello  che  leggesi  in  Varrone,  che  cita,  e  che  sta  esattamente 
,,  registrato  in  capo  di  questo  articolo.-  sia  perchè  richiama  il  li- 
,,  bro  5,  mentre  quel  tratto  leggesi  al  paragrafo  quarto  del  sesto 
,,  libro;  sia  infine  perchè  parrebbe  incredibile  che  il  sig.  Cec- 
,,  coni  non  avesse  inteso  un  passo  di  scrittore  latino,  quale  non 
„  offre  certo  difficoltà.  „  E  a  tali  ulteriori  gentili  espressioni  , 
facendomi  falsano  od  ignorante,  m'  è  d' uopo  rispondere,  «he 
mentre  io  né  so  dove,  né  s'egli  abbia  letto  Varrone  ,  io  lo  lessi 
come  lo  riferii  nel  rnio  libro  che  ha  il  frontespizio  :  M.  Terentii 
farronis  pars  librorum  quatuor  et  vigiliti  de  lingua  latina.  Lug- 
duni  apud  haeredes  Seb.  Griphii  »56i.  Al  che  soggiungo  che 
fino  ad  ora  non  m'era  fatto  dubbio  d'intendere  il  latino. 

Ma  giacché  come  10I0  fondamento  del  Gennarelli  in  contrad- 
dire alla  mia  dissertazione,  e  del  Cavedoni  in  divenir  lieto  d'a- 
verla contraddetta,  è  l'annotazione  di  Muller  al  controverso  luo- 
go di  Varrone,  giova  prima  di  parlarne  riferirla:  Basilica  aemi- 
lia  et  fulvia.  Non  duo  sunt,  sed  eadenv.  quod  intelligitur  maxime 


Varietà'  371 

ex  iis  que  Plutarcus  (Caesar  29)  narrat:  extructa  est  ea  basilica 
a  M.  Fulvio  Nobiliore  censore  anno  5^3,  qui  collegatn  habebat 
M.  Aemilium  Lepidum  eie.  E  sin  qui  non  mi  occorre  ridire,  tro- 
vandolo concorde  alla  mia  opinione  sulla  unità.  Indi  prosiegue: 
Varrò,  referente  Plinio  N-  H.  Vili,  60,  primum  solarium,  quod 
diligentius  ornatum  esset,  et  Romae  caelo  congrueret,  iuxta  ro- 
stra  positum  dixerat  a  Q.  Marcio  Philippo  L.  Panili  in  censura 
collega:  et  crediderim  hoc  ipso  tempore  etiam  Paullum  basilicam 
su  aia  ilio  horologio  ornavisse,  de  quo  h-  l.  libro  dici  tur.  Corne- 
lius  tamen  qui  fuerit  in  medium  relinquo,  et  de  universa  quae- 
stio/te aliorum  iudicia  expecto.  Le  quali  espressioni  ponderate , 
non  mi  è  dato  comprendere  come  Muller  abbia  inteso  fare  scom- 
parire la  basilica  prenestina  parlando  della  romana  ,  quasi  che 
non  potessero  essere  in  Preneste  ed  in  Roma  due  basiliche  e- 
gualmente  nominate. 

Opina  Muller  che  nello  stesso  tempo,  in  cui  Q-  M.  Filippo 
costruì  in  Roma  il  primo  orologio  solare,  anche  Paolo  ne  co- 
struisse uno  simile  in  adornamento  della  sua  romana  basilica. Dopo 
ciò,  come  potrà  egli  avere  inteso  parlare  della  basilica  nominata 
da  Varrone,  il  quale  disse  aver  veduto  in  Preneste  un  orologio 
solare:  ut  Praeneste  vidi  incisum  in  solario?  ed  in  Preneste  asso- 
lutamente costruito  nella  basilica,-  poiché  indicandone  anche  l'A. 
coli'  immediato  relativo  quod,  di  necessità  congiunto  all'  orolo- 
gio veduto  in  Preneste,  lo  indica  in  Cornelio  Siila:  Quod  Come- 
lius  in  basilica  aemilia  et  fulvia  inumbravit?  Io  non  saprò  mai 
comprendere  che  Muller  parli  dell'  identifico  orologio  indicatoci 
da  Varrone;  questi  avendolo  indicato  costruito  da  Cornelio  Sii- 
la, quegli  da  Paolo.  Sicché  non  potendo  egli  in  fine  superare  la 
difficoltà  delle  varroniane  espressioni;  Quod  Cornelius  in  basilica 
aemilia  et  fulvia  inumbravit  :  sortinne  dicendo:  Cornelius  tamen 
qui  fuerit  in  medium  relinquo,  et  de  universa  quaestione  aliorum 
iudicia  expecto.  Ora  vò  lusingarmi  che  al  sig.  Gennarelli  non 
riescirà  tanto  arduo,  come  dice  nel  suo  tiberino,  di  spiegare  co- 
me anche  altri  abbiano  pure  inteso  a  ritroso  il  testo  varroniano. 
e  sono  un  Suarez,  un  vescovo  Cecconi  e  un  avv-  Fea. 


NIHIL  OBSTAT 

Fr.  Ioannes  Baptista  Marroco  Min.  Conv.  Censor  Theol. 

IMPRIMATUR 

Fr.  Dom.  Buttaoni  O.  P.  S.  P.  A.  Mag. 

IMPRIMATUR 

N.  Ferrarelli  Archiep.  Myren.  Locumtenens  et  Pro-Vicesg. 


373 


CONTKN     UTE 


NEL   TOMO  LXXXVII  ,   VOLUMI  2S9  ,  860  ,  261 

DEL  GIORNALE  ARCADICO, 


Nota  de1  compilatori  e  collaboratori.     .  pag.      m 

SCIENZE. 

Monti  ,  Leggi  statutarie  pel  nuovo  ospizio 

dei  mentecatti  in  ancona  ec.  «  i 

Palma,  Moltiplicazione  e  coltura  degli  al- 
beri   nella  provincia   di  Abruzzo  ultra 

primo «        12 

Camilli,  Il  nuovo  carcere  ed  il  pubblico  ma- 
cello di   Viterbo ,     ,     «        25 

Giacoletti,  Dell'ottica  considerata  come  og- 
getto di  poesia.     ,  «        39 

|  Pilla,  De' principali  progressi  della  geologia. «  6i 
I  Rosmini  Serbati,  Filosofia  della  morale.  «  64 
:  Paolini ,  Ricerche  fisiologiche   sul  fegato 

(  continuazione  ) «        7  3 

Biolchini,  Notizie  istoriche  intorno  alVos- 

servatorio  del  campidoglio  ....  «  96 
Rametti,  Discorso  intorno  a  F.  Stelluti  .  «  106 
Tortolini,  Su  i  limiti  di  alcune  espressioni 

immaginarie.     ...,....«      \fó 
Castreca-Brunetti ,  Estratto  delle   memorie 
dell' ] accademia  medico-chirurgica  di  Fer- 
rara       «      i63 

G.A.T.LXXXVII.  24 


374 

LETTERATURA. 

De-Minicis,  alcune  iscrizioni  ed  una  poe- 
sia inedita  del  Morcelli «      184 

Peruzzi,   Traduzione  delV Apocalisse     .     «      198 

Schiller ,  Carmina  nonnulla  a  Francisco  Phi- 

lippio  lat alitate  donata «      212 

Cecconi  ,  Nuove    osservazioni  sul  musaico 

prenestino  (con  tav.  in  rame  ).  .     .     «      219 

Franceschinis  ,    Biografia    scrittasi    da    se 

stesso «      23 1 

Mancini^  La  georgica  e  Veneide  di  Virgi- 
lio tradotte «      245 

Montanari ,  Elogio  del  P.    Giuseppe    Pen~ 

nazza «      208 

Vaccolini,  Del  ben  tradurre  Orazio  (  Art. 

Ili  ed  ultimo  ) «      271 

—    Sassi  di  traduzioni   delle    orazioni   di 

Cicerone  nel  secolo  XIX.       .     .     .      «      207 

Santucci,  Epigrammi  tradotti  dal  greco.  «     3oi 

BELLE    ARTI. 

Mancini  ,  Lettera  sopra  un  antico  paliotto 

del  secolo  XII «     3 16 

La  Farina,  Messina  e  i  suoi  monumenti.  «     328 
Bosini,  Istoria  della  pittura  italiana  ,  tomi 

primo  e  secondo «      336 

Atti  delVI.  e  R.  accademia  delle  belle  arti 

di   Venezia «      33g 

Collezione  di  manuali  a"  arte  ec.  da    pub- 
blicarsi in  Bologna  ...,,,«      Z^'i 
Varietà. 
Tavole  meteorologiche. 


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18/ 

Osservazioni  Meteorologiche  )[    Collegio  Ramavo  )(  Genr 

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Osservazioni  Meteorologiche  )(  Collegio  Romano  )[  Marzo  1841 


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GIORNALE 


DI  SCIENZE,  LETTERE  ED  ARTI 

%><>%.   %<ò%,  0,63,   M. 


ROMA 

TIPOGRAFIA    DELLE    BELLE    ARTI 
l84l 


GIORNALE 


ABG  ASIC 


D    I 


TOMO  LXXXVIII 

LUGLIO,  AGOSTO  E  SETTEMBRE 

mi 


ROMA 

TIPOGRAFIA    DELLE    BELLE    ARTI 

1841 


SCIENZE 


Discorso  di  monsignor  Carlo  Luigi  Monchini,  let- 
to alla  pia  società   in  soccorso   de^poveri  or- 
fani pel  colera  nella  terza  generale  sessione 
tenuta  neW  oratorio  del  p.  Car avita   il  23  di 
marzo  1841. 


c 


olio  scorso  anno  compievasi  il  terzo,  da  che  la 
nostra  pia  società  comparte  la  sua  caritativa  assisten- 
za a  que'  miseri  figliuoli  d'  ambo  i  sessi,  che  priva- 
va degli  amati  genitori  la  fiera  pestilenza  colerica.  In 
questo  tempo  essa  ,  protetta  in  ispecial  modo  dalla 
Divina  Provvidenza  che  mai  non  lascia  senza  confor- 
to chi  in  questa  terra  è  ministro  de'suoi  favori,  ado- 
perava quel  più  che  potea,  sia  perchè  avessero  gl'in- 
felici orfanelli  quanto  bastasse  alla  loro  sussistenza, 
sia  perchè  si  educassero  al  bene,  compiendo  in  tal  mo- 
do il  santo  uffizio  che  si  era  imposto  fin  dal  principio 
della  sua  istituzione.  In  questo  luogo  sacro  alla  religio- 
ne, come  alla  religione  che  l'informò  è  sacra  la  nostra 


4  Scienze 

pia  società,  già  due   altre    volte  si  raccolse  quel   nu- 
mero di  benemeriti  soci,  che  vuole  il  regolamento  ri- 
conoscano e  approvino  quanto  fu  adoperato  dal  consi- 
glio che  l'amministra  e  dirige.  A  tal  fine  fu  a  tutti  an- 
tecedentemente mandato  il  conto  del  184°  cne  porge 
al  solito  tre  separate   tavole;   l'una  del  numero  e  col- 
locamento degli   orfani,  l'altra  delle  somme  incassa- 
te e  delle  spese  fatte,  finalmente  la  terza  dell'  anda- 
mento economico   che  si  prevede  per  l'anno  vegnen- 
te. Dovendo,  o  signori,  per  debito  di  mio  ufficio  te- 
nervi in  questo   dì  breve  ragionamento  ,  ho  pensato  di 
schierarvi  sott'  occhio  come  in  un  punto  tuttociò  che 
adoperò  la  nostra  istituzione  ,  tanto  per  ciò  che  ri- 
guarda l'amministrazione,  quanto  per  ciò  che  spetta 
alla  parte  morale  ne'  tre  anni  trascorsi.  Io  dunque  al- 
tro non  farò  che    esporvi  in     semplice  e  piano   stile 
i  fatti,  de'quali  voi  medesimi  foste  gran  parte;  per- 
ciocché essi  sono   eloquenti  per  se  stessi  più  di  quel- 
lo potrebbe  essere  il  più  facondo  discorso;  né  la  ca- 
rità, che    creò  e   regge  la    pia  società   degli   orfani,  si 
piacerebbe  nella  naturale  sua  modestia    di  lunghi    e 
pomposi  ragionamenti. 

La  carità  ispirata  dalla  religione  di  Cristo  era 
la  pietra,  sulla  quale  innalzavasi,  cessata  appena  la 
pestilenza,  la  pia  società  degli  orfani:  la  carità  e  nul- 
l'altro  era  il  mezzo,  con  ch'essa  contava  di  raggiun- 
gere felicemente  lo  scopo  proposto.  Rammenterete,  o 
signori, con  compiacenza  que'primi  giorni  della  sua  isti- 
tuzione, quando  essa  approvata  non  solo  ma  conforta- 
ta dal  comun  padre  e  sovrano,  mise  alla  luce  l'ordina- 
mento, secondo  che  intendeva  stabilirsi.  Vidersi  allo- 
ra in  ogni  parte  della  città  andare  attorno  elette  cop- 
pie di  persone  ancor  del  più  alto  ceto   ed    eccitare 


Poveri  orfani  pel  colera  5 

la  pietà  de'buoni  romani  perchè  dessero  i  loro  soc- 
corsi per  la  sant'opera.  Né  quelle  fatiche  furono  in- 
fruttuose; perchè  questa  nostra  città,  già  usa  ad  ogni 
maniera  di   opere  caritative,  corrispose  volenterosa,  e 
792  nomi  furono  scritti   nel   ruolo    de'  novelli  soci. 
V'ebbe  altresì  chi  non  potendosi  caricare  di  un'an- 
nuale pensione,  donò  un  soccorso  per  una  sola  vol- 
ta; v'ebbe  chi  scarso  di  danaro  diede  cose  o  da  let- 
to o  da  vestire;  poiché  a  quel  bene  tutti  vollero  con- 
correre, e  colle  generose  offerte  del  ricco  si  unì  anche 
l'obolo  della  vedova.  Se  scorri  le  note  de'nostri  so- 
ci, vi  leggi  ogni  condizione  di  persone.   Vedi  innan- 
zi tutti  il  sovrano  pontefice  porre  nella  cassa  della  na- 
scente società  mille   scudi  del   suo   privato    peculio  , 
larghissima  offerta  che,  data  da  principio   qual  dono 
straordinario,  si  ripete  ogni  anno  nel  dì  della  sua  so- 
lenne incoronazione;  tantoché  pare  che  non  gli  tor- 
ni lieto  quel  giorno,  se  non  si  consoli  di  questa  bel- 
l'opera di  carità.  Il  sacro  collegio    de'porporati  seguì 
il  nobile  esempio  del  padre  e  pastore  de'fedeli,  e  mil- 
le scudi  diede  anch'esso  del  suo.  Io  sarei  troppo  lun- 
go, e  dispiacerei  al  certo  alla  virtù  di    molti  grandi 
personaggi,  se  qui  volessi  riferirne  i  nomi  ad  uno  ad 
uno.  Essi   stimarono   di    compiere  un    lor  sacro  do- 
vere essendo  generosi  co'nostri  poveri,  e  si   terrebbe- 
ro offesi  dalla  lode,  seguitatori    come    sono  di  quel 
vangelo   che  vuole  in  simili  cose  non   sappia  la  sini- 
stra ciocché  fa  la    destra.    I    cittadini   di   ogni   grado 
concorsero  altresì  e  i  fabbricanti  e  gli    artieri  ancor 
più  minuti  e  persone  di  chiesa  e  parecchi   moniste- 
ri:  cosicché  io  debbo  confessare,  o  signori,  che  nel- 
lo svolgere   gli  annali  delle  romane  opere    di    benefi- 
cenza, nel   che   mi  piaccio  da  più  anni,  non  ho  Irò- 


6  Scienze 

vato  clie  giammai  pio  istituto  sorgesse  sì  rapido  e  sì 
coadiuvato  da  tutti,  come  avvenne  della  pia  società 
degli  orfani  del  colera,  che  fu  veramente  quel  gra- 
no di  senapa  che  presto  distendesi  in  grand'albero. 
In  cotal  modo  il  Signore,  ricco  nella  sua  misericor- 
dia, confortava  chiesta  città,  nella  quale  spegneasi  quel 
morbo  distruggitore  che  avea  furiosamente  percossa 
tanta  parte  del  mondo.  E  i  molti  stranieri  che  visi- 
tano Roma,  trattivi  o  dalla  magnificenza  de'monumen- 
ti,  o  dalla  grandezza  del  nome  e  delle  memorie,  o  dal- 
la bellezza  de'capolavori  dell'arte,  o  da  devoti  sensi 
di  religione,  concorrevano  altresì  a  quel  bene,  ne  li 
rih'aeva  diversità  di  religiose  credenze.  Nominerò  per 
tutti  quello  che  tutti  vinse  in  larghezza,  l'imperiai 
principe  delle  Russie,  che  mille  scudi  depositò  nelle 
mani  del  nostro  tesoriere. 

Avuti  pertanto  in  pronto  cotesti  soccorsi,  sen- 
za frappor  dimora  si  cominciò  a  compartirli:  e  il  pri- 
mo anno  stesso  si  giunse  a  sussidiare  tutti  que'figliuo- 
li  e  donzellette  eh'  erano  restate  prive  di  ambedue 
i  genitori,  che  sommavano  nullameno  che  a  quattro- 
cento. Ma  il  consiglio,  animato  da'si  bei  principii  e 
desideroso  di  allargare  al  più  possibile  il  bene  intra- 
preso, diede  opera  anche  a  soccorrere  quegli  orfani 
che  aveano  viventi  le  madri,  ma  che  nel  perduto  pa- 
dre avean  perduto  pressoché  ogni  sostegno.  Infelici 
vedove,  cariche  di  prole  numerosa,  come  alimentarla 
se  lo  scarso  guadagno  di  una  donna  giunge  appena 
a  mantenere  se  stessa!  Ma  coli'  aggrandire  il  sussi- 
dio conveniva  aggrandire  le  fonti  delle  limosine.  Due 
accademie  musicali  date  al  teatro,  che  dicono  di  Apollo, 
rendettero  quasi  ottocento  scudi:  prodotto  che  fu  più 
lauto  di  quel  che  suole  avvenire  in  simili  contingen- 


Poveri  orfani  pel  colera  n 

ze,  dappoiché  le  spese  indispensabili  assorbiscono  gran 
parte  dell'  introito.    In  tanto   tutte  le    dame  romane 
si  affaticavano  in   lavori  di  lana  e  di  seta:  ed  era  una 
bella  gara  di  fare  o  il  meglio  o  il  più  curioso  o  il  più 
gradito  in  quelle  opere,  da  cavarne  danaro  anche  da'più 
ritrosi  a  prò  de'poveri  orfanelli.   Giornate  al  certo  dì 
dolce  memoria  saranno  quelle,  in  che  cavavansi  a  sor- 
te nella  villa  Borghese  que'numeri,  che  dovevano  at- 
tribuire i  premi  a  chi  avesse  comprato  le  polizze  del- 
le lotterie  che  facevansi  a  beneficio  degli  orfani  del 
colera.  E  già  que'  vaghissimi  lavori,  e  cento  altre  bel- 
lissime cose    ad  allettare  la  comune    curiosità,  erano 
state  poste  a  solenne  mostra  nella  sala  Argentina  tap- 
pezzata di  variopinti  drappi  ed  ornata  di  splendidis- 
sime lumiere.   Codeste    due    lotterie  diedero  più  che 
ottomila  scudi  di  profitto,  mescendo  al  vantaggio  de'po- 
veri il  diletto  che  suole  venire  da  simili  sollazzi,  se- 
gnatamente a  que'  eh'  ebbero  in  sorte    la   vittoria.  E 
poiché  sono  nel   dire   di   onesti  ricreamenti   volti   al 
bene  degli  orfanelli,  ricorderò  le  feste  date  in  Campi- 
doglio nel  palazzo  accordato  per  gentilezza  de' nobi- 
li   conservatori  ,  le  quali  furono  ricche   e   splendide 
oltremodo  da  onorarne  Roma  in  faccia  ai  molti  stra- 
nieri che  vi  convennero. 

Io  però  non  ho  toccato  fin  qui  fra  i  parecchi 
mezzi  usati  all'introito  della  nostra  amministrazione 
quello  che,  se  non  fu  il  più  largo,  fu  certamente  il 
più  virtuoso  e  il  più  degno  di  una  cristiana  istitu- 
zione. Una  nobilissima  dama  in  compagnia  di  spec- 
chiatissimo  cavaliere  ecco  muovere  del  suo  palagio  e 
gire  attorno  per  più  di  presso  i  ricchi  segnatamente 
stranieri  (  poiché  i  nostri  eran  già  soci  )  e  chiede- 
re ed  ottener  soccorsi  pe'nostri  pupilli.  Non  il   fati- 


8  Scienze 

coso  scendere  e  salire  di  molte  scale  ,  non  qualche 
accoglienza  men  che  cortese,  non  alcune  volte  an- 
cora la  dispiacente  ripulsa  intiepidisce  o  spegne  tan- 
ta carità  :  e  dopo  molte  visite,  si  raccoglie  un  frut- 
to abbastanza  ubertoso.  Ma  io  nel  ricordare  tanta  vir- 
tù sono  forzato,  o  signori,  di  ricordare  anche  un  gran 
dolore:  dolore  di  che  questo  medesimo  sacro  luogo 
conserverà  lungamente  la  memoria:  quando  a  mezzo 
novembre  dello  scorso  anno  luttuosissimo  si  vestiva- 
no di  nere  gramaglie  queste  pareti,  s'immolava  l'ostia 
di  propiziazione  su  quell'altare,  e  s'intendeva  la  vo- 
ce del  sacro  oratore  che  lamentava  la  morte  e  cele- 
brava le  virtù  rare  di  quell'angiolo  che  fu  la  prin- 
cipessa Guendalina  Borghese!  E  quelle  virtù  non  ri- 
manevano senza  nobile  imitazione.  Altre  principesse, 
il  cui  nome  la  loro  virtù  stessa  m'impone  tacere  , 
rinnovellavano  la  pietosa  questua  a  domicilio  e  ne 
raccoglievano  messe  ancor  più  larga.  Ecco,  o  signo- 
ri, come  un  bene  è  generato  da  un  altro:  come  u- 
na  sola  opera  sia  animatrice  di  moltissime  virtù:  co- 
me da  buona  radice  vengano  frutti  migliori:  come  in- 
somma si  apra  e  dilatisi  sempre  il  campo  a  merita- 
re per  la  vita  interminabile. 

Tali  sono  le  fonti,  dalle  quali  si  trassero  i  mez- 
zi del  sussistere  della  nostra  pia  società.  Come  a  lei 
largamente  venivano,  essa  largamente  gli  apriva:  e  de- 
rivandoli fino  a  giungere  a  que'  miserelli  cui  erano 
destinati,  essa  ne  potea  per  tal  modo  soccorrere  fino 
a  seicento.  E  nel  ridire  il  modo  di  distribuire  que' soc- 
corsi io  entro  per  necessità  nella  seconda  parte  del 
mio  discorso,  che  dee  come  in  breve  carta  porre  sot- 
t'occhio  il  lato  morale  e  più  importante  della  istitu- 
zione.  Quantunque,  a  dir  vero,  il  procacciare  di  mez- 


Poveri  orfani  pel  colera  g 

zi  economici  all'opera,  che  vi  ho  indicato  fin  qui  , 
contenga  in  se  principii  di  grande  moralità  nelle  mol- 
te virtù  esercitate  dai  generosi  soci;  nel  che  sembra- 
mi appunto  che  stia  il  più  bello  di  essa  opera  ,  la 
quale  ha  così  immedesimato  l'elemento  economico  al 
morale  da  non  potersi  disgiungere. 

Per  ciò  che  spetta  alla  buona  educazione  dc'no- 
stri  fanciulli  vi  è  ben  noto,  come  l'ordinamento  dà 
loro  un  amorevole  tutore  che  tenga  in  tutto  le  ve- 
ci del  padre.  In  questa  reciprocanza  di  uffici  degli 
orfani  e  de'tutori  è  tutta  l'anima  della  istituzione  , 
la  quale  dà  il  soccorso  non  perchè  sia  pasciuto  l'uo- 
mo, come  il  sarebbe  qualunque  animale,  ma  sì  per- 
chè questi  riconoscendo  la  mano  benefattrice  senta 
per  lei  amore  e  gratitudine;  e  quindi,  profittando  sag- 
giamente di  questi  affetti,  il  benevolo  tutore  guidi  a 
virtù  il  suo  novello  figliuolo,  ne  corregga  i  difetti  , 
ne  temperi  le  passioni  ,  lo  incammini  all'  industria 
operosa,  lo  avvii  sul  buon  sentiero  di  religiosa  pie- 
tà, fuori  del  quale  non  v'ha  che  traviamento  ed  erro- 
re. Il  consiglio,  che  vedea  esser  questo  il  fuoco  ani- 
matore dell'opera,  fece  quanto  per  esso  si  potea  ad 
accenderlo  e  ravvivarlo.  Una  breve  ma  succosa  istru- 
zione ai  tutori  era  messa  a  stampa  fin  dal  1889,  nel- 
la quale  era  toccato  quanto  baslasse  a  dirigere  i  rap- 
porti tanto  economici  quanto  morali  ch'essi  hanno  co'lo- 
ro  pupilli.  Intanto  la  società  traeva  partito  da  tutte 
le  altre  pie  istituzioni,  segnatamente  dalle  scuole,  che 
dal  tempo  in  che  si  tengono  notturne  si  appellano, 
le  quali  ricevono  gran  parte  de'nostri  orfani  occupa- 
ti come  sono  nel  dì  agli  opifici  e  botteghe.  In  co- 
teste  scuole,  nelle  quali  mediante  l'opera  gratuita  di 
buoni  ecclesiastici  e  secolari  l'azione    educativa  pre- 


io  Scienze 

vale  all'istruzione,  anzi  l'istruzione  stessa  non  è  che 
un  mezzo  all'educazione,  i  nostri  orfanelli  traggono 
gran  bene;  laddove  le  altre  scuole,  che  sono  aperte 
il  dì,  gli  toglierebbero  ai  lavori,  cui  è  forza  che  l'uo- 
mo avvezzi  le  mani  fin  dalla  prima  età  della  vita. 
Molte  sono  in  Roma  le  ragunanze  e  congregazioni 
di  religione  che  hanno  luogo  la  domenica  ;  ciò  non 
ostante  si  stimò  bene  stabilire  in  diversi  luoghi  del- 
la città  alcune  chiese,  dove  separatamente  i  maschi 
dalle  femmine  potessero  convenire  per  essere  parzial- 
mente interrogati  sulle  cose  del  catechismo,  indispen- 
sabili a  sapersi  per  chi  di  cristiano  non  voglia  ave- 
re il  solo  nome.  I  PP.  della  compagnia  di  Gesù  , 
che  già  fin  dal  cominciamento  della  nostra  società 
tanto  bene  vi  fecero,  e  le  dame  del  sacro  cuore,  so- 
no i  due  ordini  religiosi  che  con  vero  zelo  si  ado- 
perano a  ciò;  e  veramente  non  poco  vantaggio  si  ca- 
va per  le  anime  de'nostri  orfani  da  quelle  ragunan- 
ze delle  feste,  cui  vigilano  con  singoiar  carità  i  si- 
gnori consiglieri  e  consigliere  secondo  il  loro  tur- 
no. Questi  convegni  tanto  utili  furono  sostituiti  al- 
le visite  domiciliari,  che  si  facevano  da  principio  pe'so- 
li  maschi  con  molta  fatica  e  poco  profitto.  IN  è  già 
impediscono  gli  orfani  dall'andare  al  catechismo  del- 
la parrocchia,  la  quale  è  centro,  da  rispettarsi  assai, 
di  quanto  concerne  le  pratiche  religiose. 

La  società  in  soccorso  degli  orfani  del  colera  , 
per  ragioni  che  altre  volte  ebbi  1'  onore  di  svolgere 
da  questo  luogo  medesimo  ,  volle  costituirsi  in  pia 
opera  a  domicilio;  quindi  non  ebbe  per  se  né  ospi- 
zi ,  ne  ricoveri  di  sorta.  Però  v'ha  giovinetti  e  don- 
zellette  di  tale  indole,  che  sarebbe  malagevole  edu- 
carli convenientemente  nelle  private  case  :   la  socie- 


Poveri  orfani  pel  colera  i  i 

tà  cinese  ed  ottenne  allogarli  ne'  pubblici  ricelti  di 
poveri.  V'ebbe  di  quelli  cbe  si  posero,  a  cura  della 
società,  senz'alcun  suo  dispendio  in  quegli  albergbi 
caritatevoli  ;  ve  n'  ebbe  di  altri  cui  fu  assegnata  la 
pensione  solita  darsi  a  quel  pio  luogo  die  gli  acco- 
glieva. Così  l'ospizio  apostolico  di  S.  Michele  ,  quel- 
lo detto  di  Tata-Giovanni  ,  alcuni  conservatoci  edu- 
cano certi  de'nostri  orfanelli.  Altri  con  savio  divisa- 
mente furono  inviati  fuori  di  Roma,  dove  sono  sta- 
biliti degli  ospizi  di  fanciulli  agricoltori,  o  conser- 
vatorii,  die  locati  in  città  di  provincia  ritengono  for- 
me di  vivere  più  semplice  e  frugale.  I  PP.  della  com- 
pagnia fondarono  un  ricetto  per  venti  de'nostri  or- 
fanelli a  s.  Stefano  rotondo  al  monte  Celio.  Alcu- 
ne delle  nostre  egregie  consigliere  statuirono  scuole, 
dove  raccolgonsi  dui'ante  il  dì  le  donzelle,  e  sotto  a- 
bili  maestre  apprendono  i  lavori  donneschi,  gli  ele- 
menti necessari  del  leggere  ,  scrivere  e  calcolare,  e 
soprattutto  i  rudimenti  del  catechismo.  Coleste  scuo- 
le sono  a  lodarsi  assai,  e  ritraggono  del  bene  dell'e- 
ducazione di  famiglia  e  dell'altra  che  si  ha  ne'pub- 
ci  conservatomi.  E  per  vero  il  buon  avviamento  del- 
le donne  è  del  più  grande  interesse  per  la  civil  con- 
vivenza :  perchè  divenute  madri,  sono  le  prime  edu- 
catrici dell'uomo  e  ne  dirigono  i  primi  passi  nel  cam- 
mino della  vita.  Altre  delle  nostre  donzelle  appren- 
dono V  arte  della  seta  in  una  fabbrica  al  Quirinale, 
che  il  consiglio  stimò  bene  incoraggire  pel  vantaggio 
che  possono  esse  trarne  in  quella  industria  che  me- 
riterebbe fra  noi  essere  aggrandita.  Di  tal  fatta  so- 
no le  cure  prodigate  a  ben  seicento  orfani  pel  cole- 
ra, che  la  società  ha  potuto  soccorrere  e  prendere  a 
tutela.  Né  tante  sollecitudini  sono  tornate  vane:  che 


ia  Scienze 

anzi  se  si  considera  il  picciol  numero  di  quelli  , 
co'quali  si  è  dovuto  usare  di  una  carità  severa  per 
emendarli,  dobbiamo  piuttosto  consolarci. 

Eccovi,  o  signori,  presentato  come  in  iscorcio 
quanto  adoperò  la  nostra  pia  società  sotto  il  rappor- 
to economico  e  morale  in  tre  anni  da  cbe  vive.  La 
sua  opera  però  non  è  ancor  compiuta:  e  per  condur- 
la a  buon  termine  abbisogna  di  validi  soccorsi.  E 
perchè  col  volger  del  tempo  quanto  più  ci  allonta- 
niamo dai  giorni  della  sciagura,  tanto  più  se  ne  affie- 
volisce la  rimembranza,  e  molti  soci  mancarono  sia 
per  morte,  sia  per  partenza  da  Roma,  sia  perchè  com- 
piuto il  tempo  della  loro  obbligazione  ,  il  consiglio 
fé  mettere  a  stampa  un  breve  eccitamento  a  coope- 
rare a  sì  bella  e  caritatevole  intrapresa;  e  fidato  nel- 
la divina  provvidenza,  e  nella  carità  de'romani  che 
non  ha  giammai  smentito  se  stessa,  prosegue  nel  corren- 
te anno  a  compartire  i  soccorsi  medesimi,  nonostan- 
techè  lo  stato  preventivo  delle  rendite,  che  vi  fu  pur 
comunicato  ,  presenti  una  qualche  deficenza.  Unite 
dunque,  o  generosi  signori,  i  vostri  sforzi  a  que'del 
consiglio  onde  s'impingui  l'albo  de'nostri  soci  e  l'e- 
ducazione de'nostri  orfanelli  si  compia.  Rammemori 
ciascuno  di  voi  come  detto  a  se  stesso  da  Dio:  Or- 
phano  tu  eris  adiutor. 


Poveri  orfani  pel  colera  i3 

Rapporto  sopra  lo  stato  attivo  e  passivo  della  cas- 
sa della  società  ih  soccorso  dei  poveri  orfani 
pel  colera  durante  il  1840,  anno  terzo  della 
pia  istituzione  ;  che  il  consigliere  ragioniere 
incaricato  di  questa  amministrazione  ha  pre- 
sentato e  letto  al  consiglio  della  stessa  pia  so- 
cietà il  giorno  9  di  febbraio   i84-i. 

Il  sottoscritto,  nell'  adempiere  uno  degli  inca- 
richi della  onorifica  destinazione  che  gli  si  è  volu- 
ta affidare  ,  quella  cioè  di  far  conoscere  al  termi- 
ne di  ciascun'anno  a  questo  rispettabile  consiglio,  ed 
a  tutti  i  componenti  la  società  in  soccorso  dei  po- 
veri orfani  pel  colera,  lo  stato  finanziere  della  cas- 
sa della  stessa  società;  con  piacere  deve  annunziare, 
che  nel  corso  dell'anno  1840,  e  terzo  della  istituzio- 
ne della  citata  pia  unione,  si  è  verificato  quanto  al- 
la fine  del  1889  in  prevenzione  fu  esposto,  almeno 
per  ciò  che  aveva  relazione  ai  mezzi  necessari:  on- 
de durante  il  passato  esercizio  poter  sostenere  il  man- 
tenimento degli  individui  di  ambedue  i  sessi  rimasti 
orfani  pel  colera  nel  numero  di  4^1. 

In  comprova  di  questo  deve  aggiungersi,  che  i 
fondi  avanzati  dall'  esercizio  1889,  e  quelli  in  varie 
guise  incassati  durante  il  1840,  hanno  offerto  il  mo- 
do in  detta  epoca,  non  solo  di  soddisfare  all'  asse- 
gno fissato  pel  giornaliero  mantenimento  di  ogni  or- 
fano; non  solo  ha  permesso  d'impiegare  a  favore  dei 
medesimi  una  somma  limitata,  onde  sovvenire  ai  par- 
ticolari bisogni  per  generi  di  vestiario  e  di  letto,  e 
di  sostenere  eziandio  qualche  spesa  straordinaria  re- 
lativa all'oggetto  della  istituzione;  ma  dopo  ciò  si  è 


i4  Scienze 

anche  ottenuto  un  avanzo  da  calcolarsi    nell'  introi- 
to del  corrente   184.1. 

Il  sottoscritto  peraltro,  dovendo  esporre  le  co- 
se a  questo  consiglio  ed  alla  intera  società  con  tut- 
ta quella  candidezza  che  si  conviene,  non  può  dispen- 
sarsi dal  fare  osservare,  che  il  decorso  anno  1840  , 
sì  generoso  nello  spargere  in  tutta  la  Europa  ogni 
sorta  di  calamità  ,  pur  troppo  non  ha  voluto  rispar- 
miare in  certo  modo  la  nostra  pia  istituzione.  E  con- 
trariando in  più  maniere  la  medesima,  e  diminuen- 
done quegli  introiti  su'  quali  si  aveva  il  diritto  di 
contare,  ha  impedito  che  si  verificasse  totalmente  quan- 
to nel  preventivo  pel  1840,  redatto  al  principio  del 
passato  anno,  si  credette  di  potere  asserire. 

Quindi  è  avvenuto,  che  gli  t^  4000'  cne  s*  te" 
nevano  depositati  al  sacro  monte  di  pietà,  e  che  nel 
decorso  anno  diedero  un  fruttato  di  -7=%  16^:  44» 
sonosi  dovuti  ritirare  nel  passato  novembre  :  onde 
impiegarli  a  sostegno  delle  spese  dell'infausto  1840; 
e  la  prima  alba  del  quarto  periodo  della  nostra  pia 
istituzione,  ossia  il  primo  del  trascorso  gennaio,  in  ve- 
ce di  trovare  in  cassa  l'avanzo  ,  che  nel  preventivo 
pel  passato  esercizio  su  dati  quasi  certi  si  era  cal- 
colato dover  essere  di  7^  5884:  87,  non  vi  ha  rin- 
venuto che  7^  2729:  62  ;  sebbene  nella  detta  epo- 
ca il  numero  degli  orfani  per  morte  e  per  essere  giun- 
ti all'età  prescritta  siasi  diminuito  di  33  individui  ; 
e  non  ostante  che  i  componenti  questo  consiglio,  a 
fine  di  dimostrare  l'interesse  che  prendono  al  felice 
andamento  di  questa  nobile  opera  di  carità,  abbiano 
voluto  caricarsi  di  non  poche  spese. 

I  prospetti  segnati  coi  numeri  1   e  2,  che  fan- 


Poveri  orfani  i>el  colera  i5 

no  seguito  al  presente  rapporto  (*) ,  offriranno  a  ciascu- 
no i  necessari  dettagli  sopra  quanto  qui  sopra  si  è 
solamente  accennatogli,  facendo  conoscere  il  visto- 
so numero  degli  orfani  pel  colera  che  al  comincia- 
re del  corrente  anno  trovavansi  sussidiati  o  colloca- 
ti per  opera  della  nostra  società,  ascendente  in  com- 
plesso a  602  individui;  ed  il  2,  gì'  introiti  ed  esiti 
della  cassa  della  stessa  società  durante  il  1840,  non 
meno  che  il  residuo  al  3i  dicembre  delle  somme 
incassate,  da  servire  di  base  al  principiato  esercizio. 
Finalmente  il  prospetto  num.  3  porrà  sotto  gli  oc- 
chi di  ogni  socio  il  preventivo  formato  pel  corren- 
te anno  1841  ,  e  redatto  con  la  maggiore  possibi- 
le precisione;  il  quale  se  in  qualche  modo  si  pre- 
senta non  così  rassicurante,  come  si  è  verificato  nei 
preventivi  che  lo  hanno  preceduto,  non  deve  punto 
allarmare,  e  molto  meno  diminuire  il  zelo  di  una  pia 
associazione  ,  piena  di  carità  operosa,  e  che  persua- 
sa che  colui  che  in  Dio  confida  mai  non  resterà  deluso, 
aumenta  di  coraggio  e  di  attività  in  proporzione  de- 
gli ostacoli  che  gli   si  parano  dinanzi. 

Dal  citato  preventivo  infatti  rilevasi,  che  il  fon- 
do di  cassa  esistente  al  decorso  1  gennaio  ed  ascen- 
dente, come  si  è  esposto,  a  7=?  2729:  62,  aumenta- 
to colle  seguenti  partite,  cioè  7=7  1277:  io,  5,  per 
contributi  arretrati,  ma  che  si  calcolano  di  probabi- 
le esigenza;  7=7  3461:  88  per  contributi  da  riscuo- 
tersi durante  l'anno  da  coloro  che  a  ciò  sonosi  ob- 
bligati (  somma  che  dovrebbe  conteggiarsi  per  7=7  5192: 


(*)  Si  è  creduto  inutile  di  recar  qui  questi  prospetti  ,  tro- 
vandosene un  sunto  così  preciso  nel  presente  rapporto  di  S-  E. 
il  sig.  generale  don  Pompeo  de'principi  Gabrielli. 


i6  Scienze 

82,  formando  essa  il  totale  (lei  versamenti  da  farsi 
in  cassa  da  tutti  i  contribuenti,  ma  che  si  diminui- 
sce di  circa  un  terzo,  essendosi  osservato  che  negli 
anni  passati  a  tale  quantitativo  ammontava  appun- 
to la  diminuzione  d'introito,  che  per  varie  cause  si 
verificava  in  dette  riscossioni  )  :  7^7  iooo  generoso 
dono  della  Santità  di  N.  S.  Papa  Gregorio  XVI;  e  7=? 
1280,  che  a  tanto  per  approssimazione  si  valuta  il 
risultato  di  varie  questue,  e  di  più  feste  laicali  già 
attivate,  si  otterrà  nel  presente  esercizio  un  introi- 
to di  circa  t^  97x^:  60.  5.  Calcolando  quindi  le 
spese  da  sostenersi  entro  lo  stesso  periodo  di  tem- 
po, cioè  7^  10696:  82  pel  mantenimento  di  nume- 
ro 410"  orfani  di  ambo  i  sessi:  più  circa  7=^  3oo  per 
istraordinarie  somministrazioni  a  titolo  di  generi  di 
vestiario  e  di  letto:  ed  unita  a  questo  la  somma  di 
7=7  5o5  per  altre  spese  certe,  che  nello  stesso  pre- 
ventivo veggonsi  dettagliate,  si  avrà  un  totale  di  spe- 
sa da  sostenersi  nei  1841  di  t^t  ii5oi:  32,  la  qua- 
le potrà  essere  minorata  di  circa  -p^  5j3:  40,  per 
quel  numero  di  orfani  che  durante  la  detta  epoca 
saranno  forse  diminuiti:  rimanendo  così  la  cifra  del- 
l'esito di  7=7   11027:   92. 

Ora  se  la  spesa  non  oltrepasserà  7^  11027:  92, 
e  l'introito  non  sarà  minore  dei  7=^  9718:  60:  5;  a- 
vreino  la  dispiacente  conseguenza ,  che  alla  fine  del 
corrente  esercizio  1841  la  cassa  della  società  in  soc»- 
corso  dei  poveri  orfani  pel  colera  si  troverà  con  un 
deficit  di  t=£  1309:  3i:  5  ;  vuoto  che  potrebbe  an- 
che aumentarsi  ,  se  le  calcolale  riscossioni  ,  come 
per  più  motivi  è  accaduto  negli  anni  precedenti,  non 
corrispondessero  con  precisione  alle  partite  inscritte 
nell'introito  del  preventivo  suddetto. 


PoVEKl    ORFANI    PEL    COLERA  iy 

Il  sottoscritto  dovrebbe  sottoporre  all'  esame  di 
questo  rispettabile  consiglio  qualche  proposta  ,  onde 
in  antecedenza  suggerire  un  riparo  all'  indicato  dis- 
quilibrio, il  quale  aumentandosi  potrebbe  recare  del- 
le conseguenze  di  maggiore  rammarico.  Crede  egli 
però  di  esimersi  da  questo:  conoscendo  che  lo  stes- 
so consiglio  ,  in  genere  già  istruito  di  quanto  si  è 
esposto,  si  occupa  con  avvedutezza,  con  prudenza  e 
con  ispirito  di  carità,  dell'esame  di  vari  progetti,  non 
disgiunti  dalla  confidenza  in  Dio,  atti  a  riparare  l'an- 
nunziato sbilancio,  e  prevenirne  bene  anche  l'aumen- 
to; il  prestantissimo  consigliere  segretario  di  questo 
nobile  consesso,  con  un  breve  ma  ben  inteso  discor- 
so in  istampa  ,  avendo  eccitata  di  già  in  prevenzio- 
ne la  pietà  e  sensibilità  di  ogni  classe  di  persone  , 
onde  accrescere  il  numero  dei  contribuenti  alla  no- 
stra pia  opera,  ed  aumentati  così  i  mezzi,  poter  giun- 
gere con  maggior  facilità  al  fine  che  forma  lo  sco- 
po di  questa  caritatevole  istituzione. 

Il  consigliere  ragioniere 
Pompeo  Gabrielli. 


G.A.T.LXXXVIII. 


i8 


Continuazione  della  rivista  di  lavori  di  medico 
argomento,  del  dott.  Giuseppe  Tonelli. 


De  galvanismi  acus^puncturae  magneticae  con- 
iuncti  nonnullis  in  nervorum  morbis  praestan- 
tia.  Epistola  ad  D.  Enokhine,  russorum  impe- 
ratoris  a  consiliis  ec.  F.  Cervelleri  auctore. 
Neapoli   1839. 

De  Vemploi  de  V électro-magnetisme  dans  les  ma- 
ladies  des  nerfs,  et  des  dijferens  procédés  d1 
application  des  apparéils  électro-magnétiques 
a  excitation  a  courens  graduels  et  a  soustra- 
ction  dans  les  traitements  des  paralysìes,  de 
la  sciatique,  de  Vamavrose,  de  Vépilepsie  ,  et 
des  plusieurs  autres  névroses,  des  plaies  et 
des  tumeurs  anciènnes  de  differente  nature, 
et  en  particulier  de  certaines  tumeurs  articu- 
laires  et  scrofuleuses.  Par  F.  Cervelleri,  do- 
cteur  ec.  de  Vuniversité  de  Naples  ec.  Naples 
1840. 


resentò  nel  primo  degli  enunciati  lavori  il  eh, 
sig.  Cervelleri  varie  interessanti  osservazioni  di  ma- 
lattie dei  nervi  da  essolui  felicemente  trattate  col 
galvanico  magnetismo  ;  e  sviluppò  le  sue  idee  sulle 
nervose  morbosità  e  sull'influenza  che  1'  elettricismo 
esercita  sulla  economia  animale  nello  stato  sano  e 
morboso.  Torna  ora  sullo  stesso  argomento  nel    suo 


Rivista  medica  io 

secondo  lavoro,  dimostrando  la  ragionevolezza  di  que- 
sto terapeutico  presidio  da  potersi  in  varia  loggia  ap- 
plicare pel  ristabilimento  di  equilibrio  delle  corren- 
ti nerveo-elettriche  or  con  l'uno  or  con  l'altro  dei 
memorati  apparecchi.  Un  breve  e  enno  esporremo  di 
ambedue  questi  lavori, 

Narra  nel  primo  il  N.  A.  come  in  varie  nevral- 
gie e  nelle  paralisi  circoscritte  ridonasse  ai  suoi  in- 
fermi, mercè  delFago-puntura,  la  salute,  ed  in  altri  al- 
meno una  sensibilissima  moderazione  ;  come  utilissi- 
mo siagli  riuscito  questo  mezzo  in  altre  croniche  ir- 
ritazioni dei  nervi;  come  debellato  ne  abbia  invete- 
rati dolori  muscolari  ed  artritici,  benché  promananti 
o  da  meccanica  o  da  reumatica  o  da  sifilitica  cagio- 
ne, e  quantunque  avessero  queste  morbosità  resistito 
ad  altri  farmachi  amministrati.  Tenue  vantaggio  egli 
poi  traendo  in  altr'emergenze  dall'uso  della  elettrici- 
tà, e  vedendo  cogl'infelici  succ  essi  non  corrispondere 
alle  sue  concepite  speranze  i  fausti  predicamene  del- 
l'apparato galvanico,  avvisò  di  associare  l'azione  del 
galvanismo  a  quella  dell'ago-puntura:  istituendo  pre- 
cisamente il  primo  cimento  in  un  infermo,  in  cui  fru- 
stranea era  di  già  tornata  l'azione  della  elettricità  gal- 
vanica, u  Erat  infirmus  (  son  sue  parole  )  paraplegia 
«  diu  post  apoplexiam,  praecordialem  a  I.  P,  Frank 
«  nuncupatam,  ex  diaetae  intemperantia,  vini  praeser- 
«  tini  ortam,  laborans.  Tres  in  partes  acus  illi  hiflxi, 
«  infra  scapulas  videlicet  duas  sibi  parallelas,  et  obli- 
«  que  ac  profunde  in  musculos  ac  nervos  confixas  , 
«  sic  ut  per  tertiam  partem  acus  superna  parte  exter- 
«  ne  remanerent.  Erant  acus  magneticae  ex  chalybe 
«  carburato  constructae,  pollices  tres  longae  ;  aliae 
«  duae  ex  ipsis  inter  lumbos  et  sacrum  infictae  fuere, 


20  Scienze 

«  sed  inversa  ratione,  ut  liberae  extremitates  inferne 
«  essetit;  alias  demura  acus  in  femore  introduxi  sub- 
«  ter  trocanteres  in  directione  plexus  ischiatici  ex  in-. 
«  furia  parte  illas  pellens.  Tu  ne  pilam  paratam  adpro- 
«  pinquari,  polumque  zincum  supernis  acubus,  cu- 
ce preum  mediis  contactu  posui.  Statini  ac  conducto- 
«  res  acus  tetigere  (mirabile  dictu  !  ),  quibnsdam  meis 
«  adstantibus  auditoribus  ac  obstupescentibus,  mu- 
«  sculi  c-mnes  antea  inertes  snbsultarunt  et  sese  agi- 
tarunt  ;  dolores  flammasque  per  spinam  infirmus 
«  sensit,  et  simul  vellicationes  tota  cute  extremitatum 
«  inferiorum  adparuerunt,  anserina  tamquam  in  fe- 
ti bribus  facta.  Paulo  post  polum  zincum  super  sa- 
«  crum,  cupreumque  super  acus  nunc  dexteri,  nunc 
«  sinistri  femoris  transtuli:  et  illice  dolores,  motus 
«  violenti  convulsivi  in  musculis  se  agitantibus  facti 
ci  sunt,  et  sic  per  semihoram.  Binos  post  dies  opera-* 
«  tio  repetita  fuit,  infirmo  alacriter  incitante,  ac  illius 
«  utilitatem  approbante:  et  bene  se  habuit,  nam  sen- 
«  sus  motusque  membris  in  mortuis  iam  reverteban- 
«  tur,  spesque  erat  sanitatem  diu  nequicquam  opta- 
te tam  obtinendi.  Per  menses  duos  alterna  die  reme- 
«  dium  applicando,  scire  sat  erit  quod  aeger  conva- 
«  luit,  ac  demum  in  civitatem  et  officium  reversus  est 
«   suurn.    » 

Sommo  incoraggiamento  fu  pel  sig.  Cervelleri 
un  sì  fausto  risultato  :  cosicché  dando  alacremente 
opera  ad  estendere  il  suo  metodo  alla  cura  di  altri 
malori,  potè  compiacersi  di  vederlo  eoi'onato  di  feli- 
ce successo  in  alcune  ischiadi,  una  delle  quali  ben  in- 
veterata avea  resistito  all'amministrazione  di  molti  far- 
machi ;  in  una  cronica  nevralgia  facciale,  ed  in  una 
invecchiata  cardialgia,  pel  trattamento  della  quale  ap- 


Rivista  medica  21 

plico  egli  due  aghi  magnetici  all'epigaslrio,  ed  altro 
sopra  le  vertebre  dorsali,  onde  stabilirvi  le  polarità 
della  pila.  Dopo  la  narrazione  islorica  dei  divisati 
morbi,  mercè  del  galvanismo  magnetico  risanati,  vol- 
gendosi a  dare  una  qualche  interpretazione  ai  fatti 
rammenta  con  sorpresa  elianto  poco  alla  medica  pras- 
si tornassero  proficue  le  applicazioni  dell'  elettrico  e 
del  galvanico  fluido,  che  tanto  d'altronde  illustrarono 
la  fìsica,  la  chimica,  la  fisiologia.  La  incostanza  in- 
fatti dei  successi  fece  porre  in  oblìo  questa  specie  di 
terapìa,  e  fu  cagione  che  da  molti  recenti  scrittori 
pur  anco  si  proclamasse  infruttuosa.  Ma  sembra  che 
all'elettro-puntura  eziandio  siasi  riservato  il  medesi- 
mo destino  di  oblivione,  tostochè  pochissimi  ne  posse- 
diamo utili  documenti  pratici:  quantunque  abbiano 
alcuni  avvisato  potersi  con  tal  metodo  ridonar  la  vita 
agli  asfittici,  e  siasi  pur  suggerito  di  far  penetrare  fino 
al  cuore  gli  aghi  affìn  di  eccitarvi  un  artificiale  inner- 
vazione. Or  da  due  fisiche  fonti  opina  il  sig.  Cervel- 
leri  doversi  derivare  la  inutilità  del  galvanismo  :  e 
ben  lo  addimostra.  Non  si  è  ,  invero  ,  posta  mente 
dagli  sperimentatori  alla  differenza  delle  parti  che  deb- 
bono porsi  in  contatto,  onde  avvenga  dei  fenomeni 
galvanici  la  manifestazione  :  vennero  bensì  sopra  una 
medesima  parie  applicate  le  polarità  galvaniche.  «  Cur 
«  galvanismi  influentiae  (  esclama  qui  il  N.  A..  )  Car- 
li poris  quamvis  exponendo  regionem,  sensatio  nulla 
«  vel  medica  adverlitur  ,  et  con  tra  super  incisimi 
«  operando  cadaver,  nervosque  musculis  per  condu- 
ci ctorès  filos  aplando  ,  partes  convulsive  moventur, 
«  quamquam  (  quod  mirum  )  vitalitate  careanl  ?  Non- 
«  ne  quia  culis  substantiae  differentiam  non  porri- 
«   gii,  in  cadavere  vero  nervorum  ac  musculorum  te- 


22  Scienze 

«  xtu  differens  ad  phaenomena  excitanda  galvanica 
«  maxime  est  opportunus  ?  »  Altra  condizione,  che 
il  N.  A.  accenna  richiedersi  pel  felice  successo  ,  si 
è  quella  di  spingere  l'azion  diretta  del  metallo  al- 
la parte  offesa  ;  ed  ecco  perchè  nelle  paralisi  p.  e. 
poco  giovi  o  nulla  la  concussione  dei  muscoli:  «  Dira 
«  ita  infirmitas  immunis  intus  recedit,  ac  saevior  ab- 
«   sconditur.    » 

Dal  modo  quindi  più  retto  di  valersi  del  galva- 
nismo viene  a  fluirne  la  vera  cagione  del  profitto  e 
la  costanza  più  sensibile  di  questo  :  il  che  non  po- 
teva conseguirsi  tostochè  non  si  attendeva  alla  de- 
composizione della  naturale  elettricità  per  la  differen- 
za delle  due  sostanze,  a  Cui  negotio  acuum  maxi- 
«  me  magneticarum,  ut  experientia  me  docuit,  fida- 
ti tio  duas  in  partes  textu  diversificantes  ,  convenit 
«  ne  dum,  veruni  et  pilae  voltianae  applicatio  aliis 
«  electricis  machinis  ad  hoc  longe  utilior  et  ad  ner- 
«  vos  musculosque  concutiendos  ac  sanos  reddendos 
«  aptior.  »  Addottrinato  per  tal  foggia  il  N.  A.  dal- 
l'esperienza, ritiene,  che  «  electricitas  agit  non  secus 
«  ac  innervatio  nova  per  illas  partes  earum  vitalita- 
«  tem  sic  affieiens  ,  ut.  totam  per  extensionem  per- 
«  currat  ,  sensumque  exaltatum  interdictum  vel  in- 
«    normalera  corrigat  ». 

A  sanzione  più  dimostrativa  delle  sue  idee  sul 
proposito  s'intertiene  quindi  il  N.  A.  nella  compa- 
razione del  modo  diretto  di  agire  di  alcune  potenze 
medicinali  su  i  nervi,  sulla  spinale  midolla,  ricono- 
scendo l'attività  di  esse  diretta  alla  decomposizione  e 
manifestazione  della  naturale  elettricità  per  riordina- 
re il  sospeso  o  interrotto  circolo  di  questa  nei  luo- 
ghi  infermi.  E  rammentando  l'influenza  della  elettri- 


Rivista  medica  23 

cita  atmosferica  sulla  umana  salute,  nel  pervertimen- 
to di  equilibrio  della  elettricità  nervea  ripone  la  cau- 
sa dei  morbosi  sconcerti  nell'animale  economia,  e  nel- 
l'ordinamento dell'equilibrio  indicato  trova  conferme 
della  maniera  di  agire  dell'apparato  galvanico  e  del- 
l' elettro-galvanico.  E  mentre  futili  sono  pel  N.  A. 
dichiarate  le  tante  ipotesi  e  teorie  immaginate  intor- 
no la  patologia  e  tei'apia  dei  morbi  nervosi,  come  di 
congestione,  d'irritazione,  di  flogosi,  tutto  egli  age- 
volmente spiega  colla  face  della  sua  dottrina  elettri- 
ca. Mancarono,  è  vero,  sotto  le  mani  di  moltissimi 
pratici  i  salutari  effetti  della  elettricità  ;  ma  ciò  av- 
venne perchè  non  si  avvertì  esser  necessario:  «  non 
«  externam  electricitatem,  sed  intimas  naturales  gal- 
li vanicas  positivam  ac  negati vam  extricare  ,  ac  pa- 
ci tentes  reddere.  »  E  sotto  questa  condizione  egli  è, 
che  la  pila  voltiana  rettamente  applicata  ingenera  ma- 
ravigliosi  effetti.  Rende  elogio  per  tal  modo  il  signor 
Cervelleri  alla  dottrina  e  sagacia  dell'egregio  Pucci- 
notti  ;  apprezza  le  portentose  sperienze  dei  eh.  pro- 
fessori Ettingshausen  e  Knolz  negli  apparati  elettro- 
magnetici di  rotazione  e  d'induzione;  quelle  altresì 
del  Matteucci  e  di  altri  prestanti  italiani,  non  che 
la  osservazione   del  dott.  Farini. 

Addottrinato  così  il  N.  A.  dal  lume  delle  sue 
osservazioni,  e  roborato  dal  peso  dei  suoi  ragionamen- 
ti, propone  la  pratica  applicazione  del  galvanismo  in 
tutte  le  dimaniche  affezioni  nervose,  e  specialmente 
nelle  croniche,  come  nelle  paralisi,  nelle  nevralgie, 
nelle  convulsioni,  qualora  semplici  esse  feieno  e  sce- 
vre da  qualsiasi  complicanza.  Mercè  del  fluido  galva- 
nico poi,  col  soccoi'so  degli  aghi  magnetici  trasmes- 
so, congettura  egli  potersi  trattare  molte  topiche  lo- 


24  Scienze 

cali  infermità,  per  ottenere,  a  mo'di  esempio,  che  gì' 
invecchiati  tumori,  indolenti  ed  a  qualche  degenera- 
zione inchinevoli,  i  linfatici  ascessi,  le  artropatie,  le 
distensioni  dei  vasi,  le  anchilosi  ,  si  fondano,  si  as- 
sorbano,  si  correggano,  e  sieno  all'ordine  ricondotte. 
Chiude  questa  prima  memoria  il  sig.  Cervelleri  col- 
l'avvertire  alla  distinzione  dei  casi  pratici,  nei  quali 
abbiasi  o  nell'un  modo  o  nell'altro  ad  eseguire  l'ap- 
plicazione del  galvanismo  nella  cura  dei  morbi. 

Ma  vieppiù  intento  il  N.  A.  ad  accordare  mag- 
gior estensione  al  discusso  argomento,  imprende  nel- 
la seconda  sua  memoria  ad  illustrarlo  con  ulteriori 
raziocini ,  ed  arricchirlo  di  fatti,  di  osservazioni,  di 
esperimenti  ,  siccome  brevemente  fai-cmo  conoscere. 
Premette  in  sulle  prime,  che  vi  ha  entro  l'organismo 
una  sorgente  di  elettricità  ,  che  massima  influenza 
esercita  in  tutte  le  funzioni  della  vita.  Questa  elet- 
tricità sostanziale  o  galvanica  sembra  elaborarsi  dal- 
la natura  nei  centri  nervosi  con  modi  che  sfuggono 
alle  nostre  ricerche  ;  alle  parti  lontane  vien  diretta 
la  medesima,  onde  porle  in  movimento;  dal  centro  al- 
la superficie  del  sistema  nervoso  esistono  sempre  cor- 
renti nerveo-elettriche  dirette  o  inverse,  cosicché  può 
dirsi  che  la  centralizzazione  o  forma  contrattiva  cor- 
risponda al  polo  positivo,  e  la  effusione  o  forma  espan- 
siva al  polo  negativo.  L'antagonismo  e  1'  alternativa 
di  queste  differenti  affezioni  di  correnti  neiveo-elet- 
triche  mantengono  l'equilibrio  nello  stato  di  salute; 
dalla  interruzione  di  tale  antagonismo  vengono  inge- 
nerati i  morbi  dinamici  dei  nervi,  e  perciò  la  indi- 
cazione terapeutica  si  è  in  essi  di  ristabilire  nei  ner- 
vi inverse  correnti. 

Non  vi  ha  che  la   teoria  degl'imponderabili  che 


Rivista  medica.  25 

renda  ragione  dei  disordini  nei  nervi  :  ed  il  N.  A. 
è  di  avviso  non  allontanarsi  dal  vero  nello  stabilire, 
che  il  fluido  nerveo-galvanico  sia  pe'  nervi  quel- 
lo che  l'aria  è  pei  polmoni,  ed  il  sangue  pel  siste- 
ma irrigatore.  Ma  lo  varietà  patologiche  delle  ne- 
vrosi non  si  arrestano  mica  ai  nervi;  ogni  sistema  an- 
zi ed  ogni  fibra  organica  ne  sono  influenzate,  ed  in 
singoiar  modo  il  sistema  irrigatore  unito  intimamen- 
te al  nervoso,  cosicché  sono  questi  due  grandi  siste- 
mi i  depositari  della  vita.  Disse  già  il  valente  Puc- 
cinotti,  essere  officio  del  sistema  irrigatore  d'inalììare 
i  nervi  di  un  vapore  per  mezzo  di  una  continua  esa- 
lazione di  siero  diretto  a  conservare  la  conducibilità 
delle  correnti  elettriche  e  fornire  in  pari  tempo  l'ele- 
mento termico.  In  grazia  di  tale  corrispondenza  le 
correliti  idro-elettriche  che  portansi  dai  centri  all'e- 
sterno, e  le  termometriche  che  volgonsi  dalla  perife- 
ria all'interno,  costituiscono  un  sistema  generale  di 
correnti  termo-idro-elettriche.  Agevolmente  così  si  co- 
nosce ,  che  se  l'imponderabile  trovasi  in  eccesso  su 
qualche  nervo,  il  tessuto  di  cui  non  sia  in  tutta  la 
sua  estensione  umettato,  la  forma  morbosa  in  tal  ca- 
so sarà  una  irritazione  locale,  una  nevralgia,  che  po- 
trà ad  ogni  istante  inasprire  o  dissiparsi  a  norma  della 
interruzione  o  del  ristabilimento  della  conducibilità 
nerveo-galvanica. 

In  conseguenza  di  questi  principii  «  di  altri  per 
brevità  omessi  risulta,  che  la  prima  e  la  più  essen- 
ziale indicazione  nella  terapia  di  un  gran  numero  di 
nevrosi  è  quella  di  riporre  in  equilibrio  le  correnti 
nerveo-elettriche.  Dichiara  a  tal  uopo  il  sig.  Carvel- 
len,  che  1'  uso  dei  suoi  apparecchi  forma  il  più  sem- 
plice  ed  insieme    utile  mezzo  opportuno  a   razionai- 


20  Sciente 

mente  soddisfare  alle  diverse  terapeutiche  indicazio- 
ni, siccome  ampia  fede  ne  somministrano  i  felici  suc- 
cessi da  lui  conseguiti  nel  tempo  che  gli  ha  posti  a 
contribuzione.  L?  aparecchio  a  correnti  magnetiche, 
e  tre  diversi  apparecchi  galvano-magnetici,  ad  ec- 
citamento cioè,  a  correnti  graduate,  ed  a  sottra- 
zione, vengono  dal  N.  A.  descritti  e  raccomandati. 
Per  la  formazione  del  primo  fu  d'uopo  stabilire  due 
polarità  con  quattro  aghi  magnetici  situati  gli  uni  in- 
contro agli  altri,  e  porre  tutti  gli  aghi  in  diretto  rap- 
porto con  barre  magnetiche  ,  di  cui  i  poli  contrari 
sieno  in  perfetta  corrispondenza  con  quelli  del  lato 
opposto:  vengono  in  tal  modo  poste  in  movimento  le 
due  correnti  e  vanno  a  confondersi.  Nel  secondo  ap 
parecchio,  cioè  galvano-magnetico  ad  eccitamento 
situar  conviene  gli  aghi  magnetici  in  molti  punti 
come  alle  braccia,  ai  femori  ,  alle  gambe,  al  dorso 
ligarne  tutte  l'estremità  libere  con  fil  di  ferro  ,  po- 
nendo gli  ultimi  delle  due  estremità  in  rapporto  coi 
poli  della  pila.  L'apparecchio  galvano-magnetico  a 
correnti  graduate  consiste  nel  non  usare,  siccome 
nel  precedente,  il  filo  di  ferro  per  unire  gli  aghi,  ma 
far  restare  i  medesimi  a  qualche  linea  di  distanza  dai 
conduttori  ,  ovvero  di  porre  il  polo  positivo  in  co- 
municazione con  1'  ago  che  ferisce  il  nei'vo,  mentre 
l'altro  conduttore  rimansi  a  piccola  distanza  dal  se- 
condo ago.  Finalmente  V apparecchio  galvano-ma- 
gnetico a  sottrazione  può  in  diversi  modi  formarsi: 
diversi  aghi  magnetizzati  si  applicano  l'ira  dopo  l'al- 
tro, e  riunisconsi  alla  loro  radice  mercè  d'una  catena 
che  si  tuffi  con  la  sua  libera  estremità  nell'  acqua. 
Trovandosi  gli  aghi  sotto  la  pelle  presso  le  parti  af- 
fette, si  precipita  l'imponderabile  sul  conduttore  e  ces- 


TlVISTA    MEDICA  2  7 

sa  il  morboso  disordine.  Può  altresì  adoperarsi  l'ap- 
parecchio a  correnti  graduate  in  modo  da  far  dirige- 
re la  corrente  dall'interno  al  di  fuori;  fissandosi  so- 
pra i  nervi  affetti  un  ago,  cui  si  approssima  il  polo 
positivo,  se  ne  pone  un  allro  che  abbia  appena  fo- 
rato la  cute,  in  rapporto  col  polo  negativo. 

La  varietà  di  questi  apparecchi  viene  dal  N.  A. 
determinata  a  forma  delle  varietà  dei  morbi  che  im- 
prendonsi  con  essi  a  combattere.  La  somma  dei  sor- 
prendenti vantaggi  conseguiti  dall'applicazione  dei  me- 
desimi viene  pur  constatata  da  un  quadro  di  osserva- 
zioni che  lo  stesso  sig.  Cervelleri  vi  aggiunge.  Ap- 
parisce ivi  quan  te  guarigioni  e  salutari  effetti  abbia 
l'imponderabile  operato  anche  nelle  infermità  ribelli 
alle  ordinarie  terapeutiche  amministrazioni,  e  dichia- 
rate insanabili,  come  paralisi  croniche,  nevralgie  osti- 
nate, tumori  articolari  cronici  ed  incurabili,  sia  scro- 
folosi sia  sifditici,  ascessi  freddi,  sciatiche  ribelli  ,  e 
pcrfin  piaghe  di  strumosa  progenie,  si  videro  con  l'at- 
tività di  tal  presidio  condotte  a  cicatrice.  Ma  qual 
dei  menzionati  apparecchi  usar  fia  d'uopo  in  una  o 
in  altra  delle  diverse  morbosità,  non  si  omette  dal 
N.  A.  dichiarare  :  ed  appoggiato  sempre  ai  più  sobri, 
ma  concludenti  raziocini  nella  rispettiva  emergenza 
annessi. 

Delle  quali  cose  e  risultanze  non  pago  il  N.  A. 
tentar  volle  di  più  oltre  estendere  il  dominio  e  le 
mire  di  possanza  del  suo  contemplato  imponderabi- 
le. Spinto  cioè  dall'ardor  di  conoscere,  se  coll'aiuto 
delle  correnti  galvano-magnetiche  giunger  si  poteva 
allo  scopo  di  trasmettere  nell'interno  dell'organismo 
sostanze  medicinali,  volle  sopra  se  medesimo,  ed  in 
alcuni  individui  infermi  intraprenderne  in    varia  for- 


28  Scienze 

ma  i  cimenti:  siccome  all'uopo  riferisce  di  aver  pra- 
ticato con  soluzioni  di  tartaro  stibiato,  di  tintura  di 
cantaridi,  di  estratto  di  bella  donna,  di  stricnina,  e 
con  la  decozione  di  robia.  Desumere  dal  complesso 
delle  istituite  sperienze  si  può,  che  molto  rapido  di- 
viene l'assorbimento  sulle  parti,  nelle  quali  sono  sta- 
ti fissati  gli  aghi  magnetici  e  dopo  le  applicazioni  del 
galvano-magnetismo.  Ma  qualora  la  soluzione  medi- 
cinale pongasi  in  un  bicchiero  di  cristallo,  traversato 
nel  fondo  da  due  fili  di  ferro  da  mettersi  ciascuno 
in  comunicazione  con  un  dei  poli  della  pila  ,  non 
manca  di  appalesarsi  l'effetto  della  trasmissione.  Que- 
sta però  è  più  rapida  e  sensibile  ,  quante  volte  im- 
bevansi  delle  compresse  nella  dissoluzione  medicina- 
le, e  situate  vengano  fra  l'estremità  dei  fili  condut- 
tori e  degli  aghi  che  per  questo  mezzo  comunicano 
colla  pila.  E  poi  tanto  vero,  che  in  grazia  delle  ap- 
plicazioni del  galvano-magnetismo  spiegano  grande  at- 
tività i  vasi  capillari  assorbenti,  che  per  mezzo  del 
suo  processo  è  pervenuto  il  N.  A.  a  condurre  a  ci- 
catrice invecchiate  piaghe,  benché  di  genio  scrofoloso: 
siccome  apparisce  da  una  delle  sue  osservazioni  che 
qui  presceglier  ne  piace   a  trascrivere. 

«  A  un  malade,  qui  souffrait  depuis  quatre  mois 
«  à  cause  des  plaies  scrofoleuses  au  cou,  j'  avais  con- 
«  seillé  1'  application  topique  de  l'onguent  de  mer- 
«  cure.  Un  mois  s'  était  presqu'  éconlé  d'  après  ce 
«  nouveau  traitement,  et  les  plaies  se  trouvaient  dans 
«  le  meme  état,  sans  qu'  aucun  symptome  de  sali- 
ce vation  ni  d'autre  nature  eut  annoncé  l'absorption 
«  du  reméde.  Dan  cet  état,  j'  ai  applique  sur  les  pia- 
te ies  douze  grains  d'onguent  napolitain,  j'  ai  fixè  des 
«   aiguilles  obliquement  autour  des  plaies,  et  j'  y  ai 


Rivista  medica  29 

«  dirìge  dessus  des  couraus  graduels.  l'ai  découvert 
«  les  plaies  aprés  huit  heures,  et  toute  trace  de  mer- 
ci cure  ètait  disparue.  A  la  troisiòme  application  de 
a  l'onguent,  la  salivation  s'est  manifestée.  On  a  su- 
«  spendu  l'application  d'onguent  mercuriel,  tout  en 
«  continuant  les  courans:  et  la  guérison  au  bout  de 
«   quatre  mois  a  été  radicale,    n 

Con  plausibile  modestia  concliiude  il  eh.  prof. 
Cervelleri  di  aver  unicamente  consegnato  al  pubbli- 
co in  queste  sue  produzioni  il  frutto  delle  sue  spe- 
rienze  per  sottometterle  al  giudizio  dei  dotti.  Affine 
però  di  meglio  secondare  le  intenzioni  del  N.  A.,  ed 
anche  (il  che  è  preferibile)  affine  di  cooperare  ai  ve- 
raci e  sodi  progressi  della  scienza,  fa  d'uopo  ripete- 
re con  zelo  ed  esattezza  l'esperienze  medesime  di  lui. 
Con  ciò  assicurarci  potremo  della  energia  non  solo 
di  sì  possente  imponderabile  ,  ma  sibbene  della  co- 
stante energia  ed  attività  di  questo  nella  cura  delle 
umane  infermità.  Impiegato  vedremo  così  agli  usi  te- 
rapeutici quell'agente  istesso,  che  regola  e  compie  le 
funzioni  dell'organismo  e  presiede  quasi  alla  vita. 

TONELLI. 


— «££g5Q^§3?ffB=~- 


3o 


a  ■iiimwiimuwJM 


Risultamenti  delle  grandi  operazioni  di  chirur- 
gia eseguite  nelV  arciospedale  di  s.  Spirito  in 
Sassia  di  Roma  dai  eh.  prof.  Francesco  Rucci 
ed  Antonio  Speroni  chirurgi  primari  di  esso 
stabilimento,  membri  del  collegio  medico-chi- 
rurgico ec.\  e  dai  loro  chirurgi  sostituti  dal- 
l'1 anno   i835  al   1840  (*). 


ngombrati  ognora  da  sistemi,  da  teorie  e  da  mok 
tissime  inezie,  e  stanchi  a  dir  vero  di  tanti  deliri,  go- 
de veramente  1'  animo  di  far  presente  a'  leggitori  di 
fatti  esposti  con  tanta  candidezza  ,  che  credo  dover 
riuscire  di  vera  e  grande  utilità  a'  giovani  non  solo 
ma  eziandio  a'  provetti.  Era  veramente  cosa  vergo- 
gnosa, che  nessuno  de'  tanti  medici  e  chirurgi  dotti 
che  questa  capitale  illustrano  si  fosse  posto  a  raccorli 
e  divulgali  gli  avesse.  Fu  per  le  cure  di  S.  E.  monsig. 
Antonio  Gioia  commendatore  di  s.  Spirito,  che  si  pub- 
blicarono gli  annuali  elenchi,  e  sotto  i  suoi  auspici 
se  ne  continua  la  compilazione.  Volentieri  quindi  mi 
sono  accinto  all'opera,  desideroso  di  far  palese  agli  stra- 
nieri non  solo,  ma  agl'italiani  ancora,  qui  non  istar- 
si  già,  oziando,  ma  operarsi  cose  senza  strepito  e  seri- 


(*)  Questi  cenni  sono  stati  desunti  dagli  elenchi  delle  opera- 
zioni in  due  fogli  atlantici,  che  vider  luce  nel  i856  e  1807  ,  da 
un  volume  in  8.  nel  i838,  e  da  tre  in  4-  del  i83g,  1840  e  1841  ; 
stampati  tutti  nella  tipografia  Pulcinelli  a  Roma. 


Operazioni  di  chirurgia  3i 

za  farsi  strombettare.  Il  ciarlatanismo  letterario  non 
ha  mai  allignato  fra  noi:  anzi,  confessiamolo  pure,  sia- 
mo soventi  volte  caduti  nell'eccesso  opposto. 

Delle  operazioni  eseguite  nel  corso  di  sei  anni 
nell'arcispedale  di  s.  Spinto  io  do  conto:  e  per  rin- 
venire più  facilmente  il  nome  di  esse,  ho  seguito  l'an- 
damento alfabetico. 

Amputazioni.  i835.  In  quest'anno  furono  ese- 
guite due  amputazioni  della  gamba  sinistra,  le  quali 
ebbero  infausta  terminazione  :  la  prima  a  causa  di 
gangrena,  l'altra  pel  riassorbimento  del  pus.  Buono 
però  fu  l'esito  dell'amputazione  del  destro  braccio. 

i836.  In  5o  giorni  guarì  un  giovane,  al  quale 
si  era   amputata  la  gamba  destra. 

i83y.  Presso  a  scoppio  di  fulmine  un  tal  Ghi- 
giotti  di  Terni  sentì  un  avvampante  scuotimento  nel 
mognone  della  spalla  destra  fino  alle  dita  ,  le  quali 
restarono  istupidite  ed  incapaci  di  esercizio.  Dopo  al- 
quanti giorni  svanì  tale  incomodo:  ma  scorsi  tre  me- 
si vide  sollevarsi  nella  mano  una  leggera  tamefazione 
indolente,  non  inerte  alla  pressione.  Progredì  lenta- 
mente, e  dopo  3  anni  era  simile  ad  un  grosso  limo- 
ne: e  sì  vivi  dolori  arrecavagli,  che  erano  causa  di  feb- 
bre. Riconosciuto  il  tumore  per  un  vero  fungo  san- 
guigno, fu  aperto  a  solo  fine  di  aderire  alle  preghiere 
dell'infermo.  Si  dovette  quindi  amputare  l'antibrac- 
cio. Sino  al  settimo  dì  tutto  progrediva  bene  :  ma 
cominciando  la  piaga  ad  impallidire  e  dar  sanie  ,  il 
20  giorno  perì.  I  visceri  del  basso  venire  si  trovaron 
più  o  men  flogosati;  i  polmoni  distrutti  e  natanti  nel- 
le marce;  nessun  sintonia  avea  palesato  tali  alterazio- 
ni. Un'amputazione  dell'omero  destro  sortì  esito  felice. 

1 838.  I  due  amputati  della  coscia,  per  metasta- 
tico riassorbimento  di  pus  ai  polmoni ,  perirono. 


3a  Scienze 

i83g.  L'amputazione  di  una   coscia  riuscì  nel 
modo  più  lusinghiero. 

1840.  Una  vasta  e  profonda  ferita    nella   parte 
interna    della    regione   carpiana    malmenò    vari    ten- 
dini flessori  delle  dita  ,     troncando    quello    attinente 
al    mignolo   e  1'  arteria   radiale  ,    da    cui   infrenabile 
emorragia.   Si  fece  la  compressione  col  torculare  ,  il 
quale  rimosso  dall'infermo  perchè  vedea  la  ferita  pros- 
sima a  cicatrizzare,   sgorgò  nuovo  sangue  dalla  recisa 
arteria  per  modo   che  se  ne  infiltrò  il   tessuto  cellu- 
lare.  Si  praticò   allora  un  taglio  per  rinvenire  1'  ar- 
teria, la  quale  fu  allacciata,  ma  inutilmente  ,  perchè 
dopo  due  giorni  die  altro  sangue.   Si  ebbe  finalmen- 
te ricorso  all'amputazione   dell'antibraccio,  e   così  si 
salvò  la  vita  al  paziente.  -  Una  puntura  di  spino  nel 
dito  medio  sinistro  arrecò  appoco  appoco  una  vasta 
suppurazione  in   tutta   la  mano:  due  aperture  davano 
esito  a  marce  fetentissime.  Il   tendine  dell'  estensore 
di  quel  dito  distrutto  :   la   instituita  disarticolazione 
rendette  più   gravi  i  sintomi,  sicché  amputossi  il  ter- 
zo inferiore  del  braccio  :    ma  la    febbre   e  1'  emana- 
zione, che  da  lungo  tempo   il  cruciavano,  lo    trasse- 
ro alla  tomba   18   giorni  dopo  l'amputazione.  Si  tro- 
vò il  pus  nella  sinistra  cavità  toracica.  -   Un  colpo 
di  scimitarra  sul  dorso   della    mano    sinistra  produs- 
se   una  ferita    complicata    colla   recisione   dei  tendi- 
ni estensori  delle  dita  indice,  medio,  anulare    e   mi- 
gnolo, con  frattura  degli  ossi  del  metatarso  sostenito- 
ri delle  tre  ultime  dita  e  con  divisione  di  vari    ra- 
moscelli arteriosi,  dai  quali  una  rilevante  emorragia. 
Per  rendere  regolare  la  ferita  ,  si  disarticolò  il  dito 
indice  e  si  segarono  le  tre  ultime  ossa  del  metatar- 
so. Un  disordine  dietetico  destò  gagliarda  febbre  e  vi- 


Operazioni  di  chirurgia  33 

vissima  flogosi  alla  mano,  da  cui  gangrena.  Per  ener- 
gica cura  ai  separarono  le  parli  corrotte:  ma  denu- 
dati i  moncherini  in  parte  si  necrosarono,  e  dopo  la 
desquamazione  sursero  novelle  carni  a  base  di  buo- 
na cicatrice,  che  nel  tempo  in  cui  scrivevansi  le  isto- 
rie era  completa  (  febbraio   184.1  )■ 

Aneurismi,  i835.  In  seguito  di  un  salasso  nel- 
la vena  basilica  del  braccio  destro,  si  lese  1'  arteria 
brachiale  ;  sottoposto  l'infermo  al  metodo  del  Guai- 
tani,  ne  ottenne   guarigione. 

1837.  Legatura  della  carotide  primitiva.  Quest" 
operazione  mostra  il  coraggio  dei  professori.  L'infera 
mo  avea  riportato  dieci  ferite,  due  penetranti  nella 
cavità  del  basso  ventre,  sette  in  varie  regioni  del  cor- 
po, tutte  muscolari,  ed  una  con  lesione  della  caroti- 
de primitiva  ,  la  quale  fu  allacciata.  Se  i1  esito  non 
corrispose  alle  speranze,  l'esattezza  dell'atto  operativo 
fu  dimostrata  dalla  sezione  del  cadavere. 

Bubbonocele,  i835.  Due  furono  i  casi  di  bub- 
bonocele  :  esauriti  i  mezzi  che  1'  arte  insegna  affine 
di  schivare  il  taglio,  si  dovette  non  ostante  proceder- 
vi: ma  l'esito  fu  felice. 

i836.  Dopo  aver  posto  in  opera  ogni  tentativo, 
fu  impossibile  riporre  1'  ernia  strozzata  ad  un  tal 
proietto  malsano,  stupido,  in  età  di  70  anni.  Sotto- 
posto all'operazione,  riuscì  facile;  si  sarebbe  portato 
a  guarigione  l'infermo,  se  egli  stesso  togliendosi  l'ap- 
parecchio non  avesse  dato  causa  alla  sua  morte.  L'inte- 
stino strozzato  si  trovò  del  colore  naturale,  l'intero 
omento  cambiato  in  una  massa  d'idatidi.  La  superfi- 
cie delle  intestina  era  ricoperta  in  vari  punii  di  strati 
di  linfa  coagulata,  che  costituivano  false  membrane. 
1837.  Un  caso  di  bubbonocele  riuscì  infausto. 
G.A.T.LXXXVIII.  3 


34  Scienze 

La  sezione  del  cadavere  mostrò  l'omento  e  le  inte- 
stina mortificati,  e  gli  altri  visceri  con  indizi  di  flo- 
gosi. 

i838.  Ad  un  tal  campagnolo  di  anni  71,  affet- 
ta da  ernia  inguinale,  rimase  questa  incarcerata.  Ogni 
sforzo  per  riporla  in  cavità  tornato  inutile,  si  operò. 
L'omento  era  gangrenato,  un'  ansa  d'intestino  tenue 
lividastra.  Nel  giorno  4*  perì.  Il  grande  omento,  tutto 
corrotto,  avea  aderito  alle  parti  vicine  e  specialmente 
intorno  all'annulo  inguinale.  Le  intestina  alterate  per 
inspessimento  di  sostanza  ,  e  la  porzione  dell'  ileon 
prossima  al  ceco  presentò  un'  apertura  avvenuta  per 
gangrena.  L'altro  caso   di  bubhonocele  guarì. 

i83c).  Interessantissime  sono  le  tre  storie  di  er- 
nie incarcerate,  le  quali  si  operarono  con  risultamen- 
ti  così  felici  che  superarono  la  comune  aspettativa. 
Furono  asportati  dei  grossi  pezzi  di  omento  grangre- 
nati,  e  nel  terzo  caso  l'intestino  stesso  mortificato  si 
aprì  spontaneamente,  e  dall'apertura  vennero  fecce: 
una  ben'intesa  medicatura  però  salvò  la  vita  al  pa- 
ziente, e  gli  rese  uno  stato  di  salute  floridissimo. 

1840.  Aperto  il  sacco  erniario,  apparve  un  cor- 
picciuolo  albicante  che  aderiva  ai  muscoli  addomina- 
li :  si  riconobbe  essere  un  testicolo.  L'infermo  guari. 
Ricorso  per  estremo  aiuto  all'operazione,  si  rinvenne 
l'ansa  intestinale  lividastra  ed  una  porzione  di  omen- 
to infiammato.  Nel  rimuovere  l'apparecchio,  si  vide 
che»-  un  piccolo  foro  comunicante  coll'addomine  favo- 
riva uno  stillicidio  di  marce  in  quella  cavità.  Abben- 
chè  si  adoperassero  tutte  le  cautele  per  impedire  tale 
disastro,  l'infermo  soccombette.  Si  trovarono  nella  ca- 
vità addominale  molte  marce  fetide,  l'omento  inaltera- 
to, gl'intestini  di  color  carico,  l'ileon,  nella  porzione  che 


Operazioni  di  chirurgia  35 

avea  formato  l'ernia,  più  colorito.  Aperto  al  terzo  in- 
dividuo il  sacco  erniario,  si  trovò  un  entero-epiploce- 
le,  e  l'omento  per  tal  modo  inviluppava  l'ansa  inte- 
stinale che  si  durò  fatica  a  disgiungerlo.  Sebbene  in 
sul  principio  le  cose  pendesser  buona  piega,  non  o- 
stante  sopraggiunsero  sintomi  d'incarceramento,  e  l'in- 
l'ermo  morì  al  quarto  giorno.  Si  rinvenne  nel  cada- 
vere l'omento  semi-adeso  all'orlo  della  ferita,  e  sot- 
to questo  una  porzione  dell'ileon  molto  ristretto  nel 
diametro  e  prossimo  a  gangrena. 

Castrazione,  i835.  Si  asportò  un  testicolo  sar- 
comatoso  del  peso  di  libbre  sei  romane.  La  suppura- 
zione, in  principio  limitata,  si  dilatò  oltremodo  ,  e 
quindi  la  piaga  si  gangrenò.  L'autopsia  mostrò  il  pro- 
cesso gangrenoso  avere  attaccato  l'intero  cordone  sper- 
matico, 

i836.  Sottoposto  un  faochino  all'estirpazione  del 
destro  testicolo,  era  vicino  a  guarire:  ma  avendo  in- 
cautamente preso  molto  cibo,  sopraggiunse  febbe  ga- 
strica che  lo  privò  di  vita.  Il  peritoneo  si  rinvenne 
flogosato   ,    le  intestina  livide  e  prossime  a  gangrena. 

1837.   Un  caso  di  castrazione  con  esito  felice, 

i838.  Quattro  casi  come  sopra. 

1839.  Ad  un  tal  falegname  di  anni  trenta  si 
estirpò  un  testicolo  divenuto  maggiore  cinque  volte 
del  naturale  e  idatidico.  Mortificato  per  ben  due  vol- 
te il  tralcio  spermatico,  die  causa  ad  abbondante  emor- 
ragia. Sopraggiunse  quindi  un'  eresipela  flemmonoso 
nell'ipocondrio  destro  e  la  prossima  porzione  inferio- 
re del  torace,  che  lo  condusse  a  morte  il  quinto  gior- 
no dopo  l'operazione. 

1840.  Asportato  il  testicolo  sarcomatoso,  l'infer- 
mo andava  migliorando,  quando  per  disordine  diete- 


36  Scienze 

tico  destassi  gagliarda  febbre  e  la  ferita  tendeva  a 
gangrena,  ad  arrestar  la  quale  ed  a  salvar  la  vita  al 
paziente  abbisognarono  tre  mesi  di  cure.  -  Difficilissi- 
ma fu  l'esecuzione  di  asportare  ad  altro  individuo  un 
testicolo  sarcomatoso,  per  essere  esulcerato,  dolentis- 
simo, aderente  ai  setto,  e  l'infermo  malmenato  quan- 
to mai  da  sifilide.  Le  diligenze  adoperate  ebbero  bril- 
lante successo,  tornando  al  quarantesimo  dì  l'infer- 
mo al  militare  servigio. 

Cataratta^  t835.  Operaronsi  col  metodo  della 
depressione  sei  oatarattosi  ;  uno  di  questi  divenuto 
tale  per  causa  traumatica,  cui  sopraggiunse  commo- 
zione cerebrale,  abbenchè  speditamente  operato,  rima- 
se cieco  per  paralisi  dei  nervi  ottici:  gli  altri  più  o 
meno  completamente  riacquistarono  la  vista. 

i836.  Sottoposti  due  catarattosi  alla  depressio-. 
ne  ricuperarono  la  facoltà  visiva. 

1837.   Quattro  operati  come  sopra, 

i838.   Cinque  operati  come  sopra. 

1839.  Più  o  meno  completamente  rividero  la 
luce  quattro  catarattosi  operati,  come  tutti  gli  altri, 
col  metodo  della  depressione. 

1840.  Quattro  casi  come  sopra. 

Cheilo plastica,  1 838.  Un  solo  operato  cori 
buon  successo. 

Cheilorajia,   i838.   Come  sopra. 

Cìstotomia,  i835.  Otto  sono  i  casi  di  cistoto- 
mia  eseguiti  con  appositi  metodi  secondo  il  bisogno: 
sei  ne  guarirono:  eran  tutti  giovanetti,  un  solo  con- 
tava 35  anni  di  età.  La  sezione  dei  due  cadaveri  pre- 
sentò nel  primo  la  vescica  contratta,  ingrossato  il  tes- 
suto, esulcerata  la  mucosa:  nel  secondo  la  vescica  in- 
filtrata con  ulceri  nella  parte  interna,  il  cuore  flac- 
cido, i  suoi   ventricoli  dilatati. 


Operazioni  di  chirurgia  3y 

i836.  Delle  tre  cistotomie  eseguite  col  taglio  la- 
terale, due  ebbero  felice  risultamento,  la  terza  infausto. 
Fu  trovata  in  questi  la  vescica  contratta,  inspessiti  i 
tessuti,  la  mucosa  esulcerata.  Il  rene  sinistro  impic- 
colito e  suppurato  nella  sostanza  tubulosa,  il  corri- 
spondente uretere  sfiancato;  il  suo  lume  era  tre  vol- 
te più  grande   dell'ordinario. 

1837.  ^°^  metoa,°  laterale  si  praticò  spedita- 
mente un'  operazione  di  cistotomia.  Sopraggiunta  al 
quinto  giorno  ardentissima  febbre,  tensione  timpani- 
tica  e  delirio  feroce,  condussero  l'infermo  al  sepolcro. 
La  vescica  orinarla  nella  superficie  interna  avea  per- 
duto la  sua  lucentezza  per  esserne  stata  consunta  la 
mucosa.  Le  maglie  della  sottoposta  carnosa  eran  così 
rilevate,  che  rassembravano  una  rete.  Segata  la  pietra, 
si  trovò  la  striscia  di  cuoio  cbe  l'infermo  si  era  intro- 
dotta per  l'uretra  nella  vescica, 

i838.  Delle  quattro  cistotomie  eseguite  col  me- 
todo laterale,  tre  riuscirono  propizie.  Sezionato  il  ca- 
davere del  quarto  infermo,  si  trovò  il  collo  della  ve- 
scica in  istato  di  suppurazione  ,  le  sue  tuniche  in- 
spessite e  corrugate,  il  diametro  degli  ureteri  quadru- 
plicato, i  reni  atrofizzati. 

1839.  Quattro  casi  come  sopra.  La  sezione  ca- 
daverica mostrò  in  quello  perito,  gli  ureteri  eguali  in 
diametro  agl'intestini  tenui,  la  pelvi  renale  ed  i  ca- 
lici altrettanto  sfiancati:  i  reni  molli.  Fin  da  bambi- 
no avea  molto  sofferto  nelle  vie  orinane  ,  e  sovente 
avea  emesso  orine  miste  a  sangue  :  non  ostante  era 
giunto  ai  21  anni  di  età. 

1840.  Temendo  N.  N.  il  taglio,  si  assoggettò  alla 
litotripsia:  col  qual  metodo  instituiti  molti  vani  ten- 
tativi, determinò   finalmente    sottoporsi  al   taglio,  seb- 


38  Scienze 

bene  martoriato  da  acutissimi  dolori  che  si  esacerba- 
vano nell'orinare,  fino  a  destar  convulsioni  e  deliqui. 
Si  trovò  il  calcolo  diviso  in  due  pezzi  del  peso  di 
un'oncia  e  sei  ottave.  L'infermo,  dopo  aver  molto  sof- 
ferto, soccombette  al  quarto  giorno.  La  vescica  orina- 
ria  ridondava  di  un  umore  gelatinoso  :  il  taglio  ari- 
do e  come  tendente  alla  mortificazione.  -  Riguardano 
il  secondo  e  terzo  caso  due  individui  di  7  in  8  an- 
ni di  età,  che  operati  col  taglio  laterale  guarirono  al 
ventesimo   giorno. 

Disarticolazione ,  1839.  Due  casi  :  uno  riguar- 
da la  disarticolazione  del  dito  medio,  la  quale  si  ese- 
guì nell'articolazione  me  tacarpiana  ;  l'altro  della  fa- 
lange unghiale  del  dito  minimo. 

Estirpazione  delle  tonsille ',  i835.  Tanto  era- 
no ingorgate,  che  rendevano  malagevole  il  deglutire 
ed  il  respirare  :  se  ne  fece  paratamente  1'  ablazio- 
ne, e  così  le  funzioni  lese  tornarono  allo  stato  nor- 
male. 

Del  bulbo  dell'occhio,  i836.  Un  giovinetto  gra- 
cile, in  seguito  di  fungo  midollare,  che  avea  origine 
dalle  pareti  della  cavità  orbitale  destra,  il  bulbo  dell' 
occhio  protruse  e  degenerò.  Morì  al  quinto  giorno  : 
il  pezzo  patologico  esiste  nel  museo  (*). 


(*)  II  museo  anatomie  o  dell'  arciospedale  di  s.  Spirito  in 
Sassia  ebbe  origine  nel  1796. Il  celebre  profess.  Giuseppe  Flaiani 
ne  fu  il  fondatore  non  solo,  ma  l'arricchì  di  molte  ed  eccellenti 
preparazioni.  Fra  queste  rimarcabili  sono  quelle  dei  sistemi  ner- 
voso, arterioso  e  venoso  del  corpo  umano.,  che  i  più  colti  viag- 
giatori medici  di  Europa  ammirano. 

Moltissimi,  e  taluni  di  grande  rarità,  sono  i  pezzi  patologie» 
i  quali  vorrebbero  esser  separati  dai  naturali,  ordinati  e  descrit-; 


Operazioni  di  chirurgia  3g 

Di  wì*  ulcera  della  faccia,  i838.  Un  tal  con- 
tadino, sveltosi  un  neo  dalla  gota,  ne  derivò  piaga  fun- 
gosa che  non  avendo  ceduto  ai  caustici,  i  quali  pri- 
ma di  presentarsi  all'  ospedale  furono  adoperati  ,  si 
venne  alla  demolizione  dell'intera  piaga,  che  occupa- 
va tutta  la  gota  destra  fino  all'angolo  della  bocca:  e 
cosi  al  termine  di  due  mesi  si  ebbe  una  stabile  e  non 
deformante  cicatrice. 

Di  sarcomi,  i83g.  La  gangrena,  cui  preceduto 
avea  copiosa  emorragia  in  seguito  di  estirpazione  del 
sarcoma  della  natica  sinistra,  involò  l'infermo.  Altro 
sarcoma  nella  cavità  della  bocca  si  estirpò  ad  un 
tale,  cui  già  nel  i83y  si  era  in  quest'ospedale  rise- 
cata parte  della  mascella  inferiore.  L'esito  fu  fortu- 
nato. 

1840.  Una  lupia  apertasi  per  suppurazione  avea 
degenerato  in  tumore  sarcomatoso,  il  quale  amputato, 
al  quattordicesimo  dì  l'infermo  rimase  libero.-  Un  neo 
materno  nella  parte  anteriore  superiore  della  coscia 
destra,  forse  irritato,  crescendo  in  volume  arrecava  mo- 
lestia e  dolore  cui  sopraggiunse  febbre.  Screpolata  la 
pelle  che  il  ricuopriva,  die  origine  ad  imponente  emor- 
ragia, per  cui  fu  amputato  :  pesava  5   libre. 


ti.  Il  eh.  sig.  prof.  Francesco  Bucci  die  conto  di  20  di  questi 
pezzi  nel  i835  (  Roma  pel  Boulzaler  in  4,  con  IV  tav-  litograf.  ) 
Magnifico  è  tal  museo  pel  lusso  degli  armari  ,  sopra  i  quali 
in  bella  serie  sono  i  ritratti  dei  più  valenti  medici,  chirnrgi  ed 
anatomici.  Gli  allievi  di  quell'ospedale  gratuitamente  vi  deposi- 
tano i  preparati  (Vedi  la  biografìa  di  Giuseppe  Flaiani  scritta 
da  Luigi  Frank  nel  tomo  26,  pag.  471  degli  annali  universali  di 
medicina  di  Omodei,  ove  si  parla  di  questo  museo). 


4o  Scienze 

Fistole  1 835.  Ve  ne  furono  di  tutte  specie,  si- 
nuose, anfrattuose,  complete  ed  incomplete  in  doppio 
senso;  i  casi  furono  io,  tutti  operati  col  taglio  e  gua- 
rirono ,  tranne  un  militare  impaziente  che  quindi 
tornò. 

i836.  Furono  eseguite  quattro  operazioni  di  fi- 
stola all'ano,  che  furon  portate  a  solida  guarigione. 

1837.  ^e  ^ue  operazioni  di  fistola  all'ano  sor- 
tirono felice  risultamento.  Del  caso  di  seno  fistoloso 
al  mento,  guarito  col  renderlo  completo,  ne  ho  dato 
conto  al  tomo  83,  p.  162  di  questo  giornale,  parlan- 
do Dei  cenni  sa  di  una  malattia  della  faccia,  me- 
todo efficace  per  guarirla,  ed  osservazioni  prati- 
che di  Francesco   Gattei. 

i838.  Due  fistole  all'ano  sanate. 

1839.  Sei  fistole  all'ano,  che  più  o  men  presto 
guarirono. 

1840.  I  due  individui  affetti  da  fistole  all'ano, 
benché  complicatissime,  risanarono. 

Gastrorafia  ,  i836.  Per  ferita  di  basso  ventre 
uscì  porzione  di  omento  e  d'intestino:  si  riposero  in 
cavità,  ma  inutilmente:  per  cui  fu  forza  eseguire  la 
gastrorafia  la  quale  salvò  la  vita  al  paziente. 

1837.  Abbenchè  avvenissero  cose  sinistre  dopo  un' 
operazione  di  gastrorafia,  nulladimeno  il  malato  guarì. 

Idrocele,  3  835.  Dodici  individui  affetti  da  qué- 
sto morbo  si  ricovrarono  all'  ospitale:  vennero  tutti 
operati  giusta  il  metodo  delle  iniezioni.  Due  recidi- 
varono, e  tornati  ad  operarsi  guarirono  :  in  un  terzo 
vi  fu  suppurazione,   ma  risanò. 

i838.  Operati  come  sopra  si  liberarono  da  tale 
malattia:  furono  sei  casi. 

1840.  Come  sopra. 


Operazioni   di  chirurgia  41 

Labbro  leporino,  1840.  Si  procede  alla  cruen- 
tazione dei  bordi  colle  cesoie,  concedendolo  la  poca 
spessezza  del  labbro  :  il  contatto  dei  lembi  si  man- 
tenne fermo  con  due  soli  puuti  di  sutura  staccali,  che 
si  coadiuvarono  con  fasciatura  unitiva.  Dopo  io  gior- 
ni la  cicatrice  era  solida  e  completa. 

Meliceride,  i83g.  Con  trequarti  da  idrocele  vo- 
tossi  un  meliceride,  e  s' iniettò  quindi  per  la  stessa 
cannula  del  vino  allungato.  Chiuso  l'accesso  all'aria, 
suppurò  al  quinto  giorno,  ed  al   14  era  sanato. 

Paracentesi  della  vescica  orinarla,  i835.  Si 
eseguì  la  punzione  a  causa  di  completa  ed  invinci- 
bile iscuria  :  le  orine  sgorgarono  corrotte  e  sangui- 
nolente ,  nulladimeno  il  malato  torna  a'  suoi  lavori 
dopo   i5   giorni. 

i836.  Due  furono  i  casi  di  paracentesi  della  ve- 
scica orinaria:  guarì  l'uno,  nell'altro  la  sezione  del 
cadavere  mostrò  un  voluminoso  tumore  di  consisten- 
za lardacea,  il  quale  riempiva  quasi  la  piccola  cavità 
della  pelvi  ,  e  comprimendo  la  vescica  dava  origine 
ai  sintomi  che  determinarono  la  punzione  di  quel  vi- 
scere. Il  pezzo  patologico  si  conserva  nel  museo. 

i83y.  Una  ritenzione  di  orina  ed  un  infiltra- 
mento di  questo  liquido  minacciava  gangrena  allo  scro- 
to ed  all'involucro  cutaneo  del  pene  di  un  tal  coc- 
chiere di  69  anni  di  età.  Impossibile  l'esecuzione  del 
cateterismo,  si  dovè  necessariamente  eseguire  la  pun- 
zione ipogastrica.  Fluirono  di  fatti  in  copia  le  orine, 
e  l'infermo  ne  fu  grandemente  sollevato:  non  ostan- 
te le  parti  infiltrate  si  gangrenano  e  l'ammalato  muo- 
re. L'autopsia  mostrò  flaccido  ed  attenuato  l'altro  fon- 
do della  vescica:  scendendo  però  il  tessuto  ingrossa- 
va progressivamente.  Il  foro  artificiale  era  ulceralo  in- 


^2  S    C    I    E    N    Z    E 

sieme  ai  tessuti  esterni.  Aperta,  si  trovarono  varie  ul- 
ceri nel  suo  basso  fondo  :  obliterato  era  il  meato  ori- 
nario dal  collo  della  vescica  alla  porzione  corrispon- 
dendente  dell'uretra.  La  prostata  infarcita:  sezionata, 
presentava  vari  follicoli  ripieni  di  marcia. 

Polipi,  i835.  Un  polipo  esistente  nella  sinistra 
narice,  avente  la  sua  stretta  base  nella  parte  alta  del 
tramezzo,  fu  estirpato  colle  pinzette,  e  senz'allra  cu- 
ra si  liberò  l'infermo  da  tale  malanno. 

1837.  Esisteva  questo  polipo  nel  lato  sinistro  del 
setto  nasale,  ove  altre  volte  erasi  manifestata  una  so- 
migliante vegetazione.  Fu  svelto  colla  pinzetta  :  nel 
sesto  giorno  uscì  dall'ospedale. 

Pterigio,  1839.  Eseguita  ad  un  tale  l'escissio- 
ne del  pterigio  in  ambedue  gli  occhi,  risanò. 

Risecazione  della  mascella  inferiore,  i836. 
Due  casi  riuscirono  ottimamente:  si  ebbe  in  uno  de- 
gl'infermi la  riproduzione  della  parte  asportata,  cosic- 
ché ora  può  eseguire  con  facilità  la  masticazione. 

Tracheotomia  ,  i83g.  Col  metodo  di  Fabri- 
zio d'Acquapendente,  usando  la  cannula  di  Buchoz, 
si  operò  la  tracheotomia.  La  sezione  del  cadavere  mo- 
strò l'organo  vocale  tumido  ed  esulcerato  nel  suo  in- 
terno, ed  il  laringe  era  poco  men  che  otturato. 

Trichiasi,  1837.  In  una  trichiasi  nella  palpe- 
bra superiore  dell'  occhio  destro ,  si  fece  l'escissione 
di  porzione  ellittica  trasversale  nella  cute  della  det- 
ta palpebra,  e  riunita  la  ferita  con  due  punti  di  su- 
tura ,  cessarono  tutte  le  molestie  che  soffriva  ;  do- 
po quindici  giorni  tornò  alle  sue  occupazioni. 

Uretrotomia,  i838.  Si  eseguirono  due  opera- 
zioni di  uretrotomia  per  estrarre  dei  calcoli.  Dopo  5 
o  6  giorni  uscirono  dall'ospedale  sanati:  uno  di  co- 
storo era  stato  sottoposto   alla  cistotomia   nel    i836. 


Operazioni  di  chirurgia  4^ 

Il  numero  totale  delle  operazioni  è  di    162  ,  i 
morti  furono  27.  Eccone  l'elenco  : 


OPERATI    MORTI 


Amputazioni 

Aneurismi       ........ 

Bubbonocele 

Castrazione 

Cataratta 

Cheiloplastica 

Cheilorafia 

Cistotomia 

Disarticolazioni 

Estirpazioni  varie 

Fistole        

Gastrorafia 

Idrocele      f 

Labbro  leporino 

Meliceride 

Paracentesi  della  vescica  orinarla     . 

Polipi .     .     . 

Pterigio 

Risecazione  della  mascella  inferiore. 

Tracheotomia.     , 

Trichiasi 

Uretrotomia 


12 

6 

2 

1 

12 

5 

IO 

3 

25 

-   ; 

I 

- 

I 

- 

23 

7 

2 

- 

7 

2 

27 

- 

2 

- 

24 

- 

1 

- 

1 

- 

4 

2 

2 

- 

1 

- 

1 

- 

1 

1 

1 

- 

2 

- 

Totale    162    |  27  fi 

Dopo  aver'esposte  le  cose  principali  intorno  alle 
discorse  operazioni,  converrebbe  che  sul  pregio  loro 
portassi  la  mia  opinione:  ma  avendone  l'infaticabile 
dottor  Tonelli  dato  giudizio  nel  volume  92  degli  an- 
nali universali  di  medicina  compilati  da  A.  Omodei, 
integro  a'iettori  lo  sottoporrò.  «  Siccome  il  titolo  stesso 
«  di  questi  due  volumi  lo  annunzia  (  parlava  delle 


44  SiìiiDzi 

«  operazioni  del  1837  e  1 838  ),  brevi  e  concise  sono 
«  le  istorie,  ma  chiare  abbastanza  per  portare  il  let- 
«  tore  alla  espressiva  conoscenza  dei  fatti.  Vengono 
«  con  ingenuità  riferite  le  infauste  terminazioni  di 
«  alcune  di  esse:  e  ben  si  rileva  che  parto  esse  fu- 
«  rofio  della  gravezza  del  morbo,  o  della  negligenza 
«  dei  pazienti  nell'invocare  con  soverchio  indugio  i 
«  presidii  dell'arte.  Encomiar  però  vi  si  debbono  e  la 
«  scelta  de'raetodi  conosciuti,  e  la  sagacia  nel  richia- 
«  marli  alla  pratica  osservanza,  e  la  dotta  precisione 
«  nell'esporli  »  (*) .  E  sembrando  a  me  giusto  e  con- 
veniente tale  opinamento,  non  posso  non  disapprova- 
re taluno  (  Annali  medico-chirurgici  di  Roma  ),  che 
le  cose  più  serie  e  più  importanti  trattando  con  modi 
faceti  e  scherzevoli,  disprezza  quel  savissimo  precetto, 
doversi  cioè  parlare  di  cose  gravi  con  nobile  e  soda 
dizione,  e  le  gaie  condire  con  ogni  maniera  di  gra- 
zie e  di  amenità. 


(*)  Nel  volume  97  degli  annali  suddetti  alla  pag.  a35  (gen- 
naro  1841  )  il  medesimo  dottor  Touelli  dà  ragguaglio  dell'elenco 
sommario  delle  operazioni  di  alta  chirurgia  eseguite  nel  i83g> 


45 


/.  Di  un  nuovo  (strumento  idrometrico.  Memo- 
ria del  dottor  Quirico  Filopanti.  Bologna  ti- 
pografia Mar  sigli  in  8,  di  pag.  80  fig. 

II,  Memoria  sui  fuochi  fatui>  del  medesimo.  Ivi 
idem  pag.  6>, 


I,  M^À  idrometria,  volendo  determinare  la  quantità  di 
acqua  che  scorre  per  un  dato  alveo  in  tempo  dato, 
ha  dovuto  ricorrere  al  ripiego  di  sperimentare  picco- 
le vene  d'acqua  in  condotti  artificiali;  onde  cosiffat- 
ta misura  fece  dipendere  dalla  ricerca  delle  veloci- 
tà della  corrente  in  un  certo  numero  di  punti  del- 
la sezione,  e  riguardò  il  prodotto  dell'area  delia  se- 
zione per  la  media  delle  velocità,  come  eguale  pros- 
simamente alla  portata.  E  gli  strumenti  idrometrici 
dovettero  limitarsi  a  darne  ,  meglio  che  la  velocità 
della  corrente,  la  resistenza  ad  un  ostacolo.  Ma  dal- 
la resistenza  come  far  dipendere  la  velocità  ?  Dal  mon- 
do della  realtà  trapassiamo  ad  un  mondo  di  conget- 
ture intanto  ,  che  ipotesi  diverse  si  hanno  ;  per  cui 
la  resistenza  de'  fluidi  è  proporzionale  al  quadrato 
della  velocità  per  alcuni,  per  altri  alla  semplice  ve- 
locità, per  altri  poi  al  cuho  di  essa.  La  quale  diver- 
genza di  opinioni  si  fa  più  credibile  se  rammentisi, 
che  la  teoria  idraulica  poggia  su  principii  ipotetici 
del  moto  lineare  de'fluidi,  sulla  perfetta  scioltezza  ed 
incoerenza  dalle  molecole  liquide  ec.  Il  signor  dottor 
Filopanti  ha  pensato  uno  stromento  misuratore  del- 
la portata  e  della    velocità  dell'acqua  ,  che  non  di- 


46  SciKNZE 

penda  dalla  mentovata  teoria  della  resistenza  de'fludi: 
ed  ha  portato  in  questa  materia  sì  l'esattezza  possi- 
bile, si  quella  fecondità  di  conseguenze,  sì  quella  lu- 
cidezza dell'ordine  nell'ideale,  nell' esperimentare,  nel 
dedurre,  che  sono  proprie  di  chi  coli' uso  delle  ma- 
tematiche si  avvezzi  al  rigore  ed  alla  chiarezza  del 
ragionare  :  -di  che  ,  quanto  al  nuovo  stromento  ,  fu 
lodato  e  dal  professore  torinese  ab.  Baruffi  nell'adu- 
nanza dei  dotti  del  1840,  e  dal  bolognese  prof.  Ber- 
telli, mio  onorevolissimo  amico  e  già  collega  di  stu- 
di, il  quale  ha  riferito  con  quel  suo  lino  giudizio  , 
con  quella  sua  ingenuità  all'accademia  delle  scienze 
dell'istituto.  E  meritò  che  la  memoria  con  tali  suf- 
fragi onorata  si  pubblicasse  nei  nuovi  annali  delle 
scienze  naturali,  che  per  cura  di  vari  dotti  della  u- 
niversità  e  del  collegio  e  di  altri  ancora  escono  nel- 
la patria  de'Manfredi,  de'Guglielmini  ,  e  del  viven- 
te eh.  professor  Venturoli,  che  tiene  il  campo  nella 
idraulica,  non  meno  che  nella  meccanica. 

Due  teoremi  premettonsi:  1.  se  la  velocità,  con 
cui  ciascuna  molecola  fluida  incontra  una  superficie, 
s'imagina  decomposta  in  due,  l'una  normale  l'altra  pa- 
rallela: l'acqua,  che  per  lei  passa  in  tempo  dato,  e- 
guaglia  quella  che  vi  passerebbe  se  le  singole  mole- 
cole si  affacciassero  colla  sola  forza  e  direzione  nor- 
male: 2.  immerso  un  piano  o  superficie  qualunque 
in  una  corrente  sino  ad  essere  in  quiete  relativa  rispet- 
to ad  essa:  la  pressione  per  parte  delle  colonne  su- 
periori è  sempre  la  stessa,  purché  il  piano  non  can- 
gi posizione  e  distanza,  rispetto  alla  superficie  supe- 
riore dell'acqua.  Ciò  prova  in  brevi  parole  l'autore, 
e  rimettesi  alla  dimostrazione  analitica  data  dal  eh. 
prof.  Sereni  nella  sua  idrometria. 


NUOVO    ISTROMÉNTO  47 

La  parte  principale  del   nuovo  strumento    è  la 
navicella  di  latta  od  altra  lastra  metallica  abbastan- 
za robusta  :  discendendo  o  salendo  lentamente  nel- 
l'acqua, dove  s'immerge,   in   direzione  rettilinea  dal- 
la superficie  della  corrente  ai  fondo  dell'alveo  e  vice- 
versa ;  dee  mantenersi  appropriatamente  parallela  alla 
dilezione  della  corrente;   facendo  che  non  venga  sen- 
sibilmente alterato  il  corso    dell'acqua  stessa.  Perciò 
la  sua  lunghezza  supera  d'  assai  le  altre  sue  dimen- 
sioni ,  e  la  sezione    massima  traversale     non  eccede 
uno  o  due  decimetri  quadri  :  e  la  prora  è    a  foggia 
di  acuta  cuspide:  due  fori  sono  praticati  opportuna- 
mente. Nell'interno  ha   due  recipienti  parallelepipe- 
di eguali  ad  accogliere  l'acqua  dai  due  orifizi:  que- 
sti due   recipienti  sono  così  disposti,  che  ponno  le- 
varsi a  volontà   e  rimettersi  all'uopo.    Un  piccolo  tu- 
bo, che  si   solleva  verticale  sopra  l'altezza  della  mag- 
gior piena,  dà  comunicazione   tra  l'aria  interna  e  l'e- 
strema; ed  ascende  lungo  una  spranga  dentata  ,  che 
muove  la  navicella  per  farla  ascendere  o  discendere: 
ed  è  graduata  ,  assicurata  e    regolata    in    tutto    con 
quelle  avvertenze,  che  meglio   s'intendono  di  quello 
che  si  possano  spiegare  senza  1'  aiuto  di  una  figura , 
che  qui  non  diamo  ;  potendo  ciascuno  ricorrere  alla 
memoria  dell'autore;  anche  per  vedere  spiegato  l'u- 
so  dell'  istrumento  ,  e  come  egli  abbia  arricchito  di 
quattro  nuove  curve  la  geometria,  e  di  due  utili  as- 
sa   l'idraulica.   La  più  osservabile  sembra  al  prof.  Ber- 
telli quella,  la  cui  equazione  si  è 


R  cotans  .  oc        „  , 
Y  =  —  °  -      -+-  8  A 

sen.  x 


48  S    C    I    E    17    a    E 

la  quale  presenta  tutta  la  somiglianza  ad  una  doppia 
batterìa    di  bottiglie  leggiadrissime  ,  le  une  in   piedi 
sull'asse  delle  x  ,  le  altre    capo  volte  ed  inserite  tra 
i  vani  delle  prime.  La  figura  è  così  elegante,  che  nul- 
la più;  ma  la  curva  si  raccomanda  singolarmente  in 
quanto  ,  che    essa  sodisfa  a  varie  condizioni  utilissi- 
me: per  esempio,  che  la  curva  a  determinata  distan- 
za abbia  due  ordinate  in  un  certo  rapporto  raziona- 
le determinato;  che   fosse  quadrabile,  e  lo  spazio  com- 
preso tra  le  due  ordinate  la  curva  e  l'asse  avesse  un 
determinato  valore:  che  vi  avesse  un   punto  di  fies- 
so  in  un  determinato  luogo:  che  la  convessità  o  con- 
cavità rivolte  fossero  in  un  modo  più  che  in  un  al- 
tro: e  che  il  valore  analitico  della  sua  ordinata  mol- 
tiplicato pel  valore  dell'ordinata  della  prima  curva  e 
per  dx  fosse  integrabile.    Indi  ne  trae  1'  autore  per 
punti  continui,  tracciata  la  scala  delle  portate,  e  quel- 
la delle  velocità;  con  tanta  facilità,  brevità  ed  elegan- 
za, che  è  una  maraviglia.   Quindi  è  chiaro  che  il  Fi- 
lopanti  può  esser  lieto  di  questa  sua  memoria  ,  che 
mostra  ciò  clic   nelle  scienze  dicesi  genio  ,  accompa- 
gnato dall'amore  costante  allo  studio  ed  alla  fatica , 
ed  alla  gloria  altresì  :  che  sono  guide  a    maggiore  e 
più  onorato  trionfo  nel  campo  delle  matematiche.  Ben 
era  degno,  che  la  memoria  stessa  fosse  letta  in  com- 
pendio nell'adunanza  de'dotti  il  26  settembre    1840. 
II.   L'altra  memoria  sui  fuochi  fatui  fu  letta  al- 
l' accademia  delle    scienze  dell'  istituto    di    Bologna 
il  21   maggio   1840  ,  ed  è  estratta  dai  nuovi    anna- 
li delle    scienze  naturali,  tomo    5.    Lo  scopo    è  di 
provare,  che  non  sono  mere  apparenze  di    luce  co- 
tali  fuochi,  ma  sono  di  natura  ignifera  manifestante- 
si  sensibilmente:  e  lo  ha    sperimentato  in    una  imi- 


NUOVO    ISTROMENTO  49 

tazione  artificiale,  coll'immergere  nell'acqua  pezzetti 
di  fosforo,  ottenendo  segni  di  combustione  manife- 
sta allo  sviluppo  del  gas  idrogeno  perfosforato. 
Oltre  i  mezzi  chimici  ,  che  potrebbero  lasciar  dub- 
bio sull'identità  della  materia  e  del  fenomeno  :  ha 
sperimentato  con  mezzi  fisici  correndo  dietro  a  fuo- 
chi fatui  armato  di  una  canna  ,  a  capo  della  quale 
era  disposta  della  stoppa  facilmente  accensibile.  E  gli 
effetti  parvero  nel  senso  suindicato;  e  bastano  alme- 
no a  confortare,  altri  ancora  a  rinnovare  gli  esperi- 
menti per  porre  fuori  dubbio  la  natura  ignifera  di 
cotali  fuochi  ;  ma  per  rendere  altresì  alla  fisica  più 
chiaro  un  fenomeno  ,  di  cui  meglio  che  i  filosofi 
dell'antichità  parlò  il  nostro  Dante,  come  è  a  vede- 
re da  una  mia  sposizione  di  alcune  cose  di  Dante 
toccanti  la  fisica  inserita  in  questo  giornale  (  otto- 
bre 1825,  a  pag.  120  )  ,  e  con  aggiunte  e  corre- 
zioni uscita  ancora  in  Imola  del  i83i  neW  antolo- 
gia di  prose  di  autori  viventi',  com  è  a  vedere  in 
questo  stesso  giornale  [agosto  i832,  a  pag.  233). 
Non  a  caso  abbiamo  indicato  quel  senno  del- 
l'Alighieri, poeta  filosofo:  il  quale  basta  solo  a  pro- 
vare un  vero,  che  da  molto  ci  va  per  la  mente:  che 
un  sodalizio  fra  le  scienze  e  le  lettere  vuol  porsi 
oggimai,  a  volere  che  rifioriscano;  avendo  per  espe- 
rienza, che  ogni  qualvolta  furono  divise  caddero  in 
un  languore,  che  appena  furono  vive:  e  d'altra  par- 
te quando  aiutarono  le  une  le  altre  ,  tornarono  in 
fiore.  Certo  il  pensiero  e  la  parola  sono  legati  da 
natura  :  e  chi  tenta  discioglierli  e  separarli  fa  quasi 

,  come  colui,  che  dal  corpo  l'anima,  l'anima  dal  cor- 
po   volesse    separare    al    lutto    in   un    essere   misto  , 

i  composto  di  corpo  organico  e  di  anima  razionale,  sic- 
G.A.T.LXXXVIII.  4 


gQ  Sciente 

come  è  l'uomo.  Assai  si  tentò  fino  dallo  scorso  seco- 
lo di  separarne  come  i  rami  dell'albero  della  scien- 
za tra  loro  e  dalla  pianta  :  uopo  è  oggimai  torna- 
re a'  principii,  e  dopo  avere  a  parte  a  parte  conside- 
rati i  rami,  il  tronco,  e  le  radici,  ricomporre  l'albe- 
ro a  volere  che  mostri  quella  che  dicono  vita  ve- 
getativa; e  1'  occhio  che  guarda  la  forza  passi  anche 
ai  midollo,  e  viceversa! 

Prof.  D.  Vaccouiu. 


^-a-fig^QSggs-*^ 


5i 


Eziologia  delV intermittente  perniciosa  endemica 
alle  campagne  romane.  Considerazioni  di  Mi- 
chele Santarelli  dirette  al  sig.  conte  Filippo 
Spada,  patrizio  ternano,  rettore  dello  spedale 
civico  di  Macerata,  ingegnere  professore  eme- 
rito del  liceo  di  detta  città. 

INTRODUZIONE 

CAPITOLO  I. 


N. 


on  appena  io  ebbi  pubblicato,  sono  già  sei  lustri 
e  mezzo,  le  mie  Ricerche  intorno  alla  cagione  che 
in  alcuni  anni  occasiona  l'intermittente  perniciosa  in 
Roma  e  nelle  vicine  campagne,  riportai  alle  mie  lun- 
ghe e  pericolose  fatiche  il  premio  dell'  adesione  dei 
più  dotti  medici  di  quella  capitale,  Monchini,  Bom- 
ba, Folchi  e  finalmente  De  Crollis  ,  i  quali  ultimi 
aggiunsero  nuovi  fatti  confermativi  della  mia  dottri- 
na. Ma  il  maggior  guiderdone,  che  da  essa  si  riscos- 
se, fu  quello  di  vedere  adottato  il  suggerimento  che 
ne  proveniva:  cioè  di  difendere  nelle  ore  notturne  e 
nelle  mattutine  la  superficie  del  coi'po  de'sani  dal  fred- 
do atmosferico,  e  nel  coi-so  della  malattia  di  non  per- 
der mai  di  vista  le  prime  ingiurie  morbose  da  detta 
cagione  generate.  Molti  furono  garantiti  dalFaggres- 
sione,  e  molti  più  sicuramente  ristabiliti  sul  decorre- 
re della  febbre.  Era  questo  1'  unico  scopo  a  cui  io 
avea  mirato,  ed  a  cui  solo  penso  che   nell'  esercizio 


5a  Scienze 

della  propria  arte   debba   tendere    ogni    pensiere  del 

medico. 

Ma  qual'è  quel  fatto  che  non  trova  oppositori  ? 
Dopo  un  lasso  di  tempo  sì  lungo  è  stata  combattu- 
ta ia  mia  dottrina  con  osservazioni  manchevoli  e  sup- 
poste, e  da  uomini  non  esercitati  a  vero  dire  nell'ar- 
te salutare.  Ma  la  verità  è  così  pudica,  che  si  lascia 
adombrare  dal  più  leggiero  velo.  Per  questa  ragione 
ho  reputato  indispensabile  chiamare  ad  esame  gh  ar- 
gomenti che  mi  sono  stati  opposti.  Non  tutti  i  miei 
lettori  possederanno  forse  le  mie  Ricerche  ,   per  le 
quali  la  mia  dottrina  è  esposta  in  chiara  luce,  e  di- 
mostrata con  fatti  indubbi.  Per  questo   motivo   darò 
cominciamento  al  presente  mio  lavoro  con  un   pro- 
spetto compendioso  di  tutti  i  fenomeni  in  detta  me- 
moria commemorati  ,  i  quali  riguardano  lo  stato  at- 
mosferico, e  la  succedanea  intermittente.  In  appresso 
mi  farò  a  parlare  delle  obbiezioni  ,  colle   quali  si  è 
cercato  di  contrariarli,   ed  anche  di  negarli.  E  poiché 
ora  le  preconcep'ite  opinioni,  ora  le  avversioni  d'ani- 
mo disviano   la  ragione  umana  dal  retto  sentiero ,  per- 
ciò mi  condurrò  a  rintracciare  le  fondamenta  dell'i- 
potesi de'miasmi  putridi  già  da  Morton  proposta  ,  e 
da  Cullen  difesa,  la  quale  si  è  poi  riportata  in  cam- 
po da'miei  avversari. 

Iq  dirigo  queste  considerazioni  a  voi,  mio  rispet- 
tabile amico  ,  che  nato  e  vissuto  in  Terni  avete  le 
tante  volte  vista  la  perniciosa  indigena  nel  vostro  pae- 
se, e  che  molte  e  molte  fiate  foste  in  mia  casa  spet, 
latore  dell'esattezza  del  mio  osservare. 


Intermittenti  perniciose  53 

CAPITOLO  II. 

Prospetto  termometrico  delle  differenze 
de"1  calori  delle  diverse  parti  dell'anno. 

2.  Nell'anno  1808  si  pubblicarono  per  le  stam- 
pe del  Quercetti  in  Osimo  le  mie  ricerche  intorno 
alla  causa  della  febbre  perniciosa  dominante  nell'agro 
romano:  per  le  quali  mi  sembrò  di  aver  dimostrato* 
essere  la  perniciosa  generata  da  grande  e  Subitanea 
Sottrazione  del  calorico  dalla  superficie  del  corpo  uma- 
no antecedentemente  riscaldato  da  forte  e  per  molti 
giorni  prolungato  calore.  Ripeteva  io  il  riscaldamento 
dai  calori  della  state  nei  mese  di  agosto  <  e  nei  due 
mesi  laterali,  ed  ascriveva  la  diminuzione  del  caloria 
Co  all'allungamento  delle  notti  ,  ed  all'umidità  dell' 
atmosfera. 

3.  Si  dovea  però  per  mezzo  di  osservazioni  nu- 
merose istituite  in  paese  asciutto  ,  e  posto  presso  a 
poco  allo  stesso  grado  di  latitudine  boreale,  in  cui  si 
trovano  le  campagne  romane,  cioè  a  gradi  4.1  e  42  + 
determinare  1'  elevazione  del  calore  ombratile  nelle 
ore  meridiane,  e  la  relazione  di  lui  al  calore  nottur- 
no, a  fine  di  ottenerne  risultato  comparativo.  Questo 
io  eseguii  specialmente  nei  tre  anni  successivi  nella 
provincia  del  Piceno.  Ecco  le  parole,  colle  quali  io 
esprimo  il  risultato  approssimativo  delle  mie  ricerche 
estratto  dai  miei  giornali:  «  Determinando  i  diversi 
«  gradi  di  calore  propri  a  ciascheduno  dei  detti  mesi, 
«  si  rinviene  che  il  calore  medio  meridiano  eonve- 
«  niente  al  mese  di  luglio  è  di  gradi  ai  ;  al  mese 
«   di  agosto  è  di  gradi  22  ;  di  gradi   19  al  mese  di 


54  Scissi  i 

«  settembre;  di  16  al  mese  di  ottobre;  di  12  al  me- 
«  se  di  novembre;  di  8  al  mese  di  dicembre;  di  6 
«  al  mese  di  gennaio.  »  (  Parte  III,  pag.  5a,  lin.  4 
e  seg.  op.  cit.  ) 

4-  In  quanto  ai  mesi  successivi  febbraio,  marzo, 
aprile,  maggio  e  giugno,  il  calore  quotidiano  si  au- 
menta senza  mai  pervenire  all'  altezza  dei  mesi  che 
si  seguono. 

5.  Ciò  rinvenuto,  m'incombeva  rintracciare  la 
causa  della  diversa  durata  dei  calori  diurni  de'sum- 
mentovati  mesi. 

6.  Prima  di  riferirli  fo  avvertire  che  i  mesi  di 
luglio  ,  agosto  ,  settembre  ec.  posseggono  un  calore 
più  intenso  e  più  prolungato  di  quelli  che  ad  essi  in 
lunghezza  corrispondono  per  l'altra  metà  dell'  anno 
giugno,  maggio,  aprile,  marzo  ec,  atteso  il  calore  ac- 
cumulato ,  del  quale  si  trova  imbevuta  la  superficie 
della   terra. 

7.  Ripeto  le  stesse  mie  parole:  «  Essendo  il  sole 
«  la  cagione  del  più  alto  e  sostenuto  calore,  che  sì 
«  sente  sulla  superficie  del  globo,  e  dovendosi  pari- 
ti menti  il  raffreddamento  di  quest'ultimo  all'  occul- 
te tazione  di  quell'astro,  siamo  tentati  di  credere,  che 
«  i  giorni  più  caldi  debbano  esser  quelli,  nei  quali 
«  il  sole  rimane  più  a  lungo  sopra  la  superficie  della 
«  terra  che  noi  abitiamo;  per  l'opposto  i  più  freddi 
«  quelli,  ne'quali  esso  più  rapidamente  se  ne  parte. 
«  Così,  secondo  una  tale  supposizione,  le  più  calde 
«  giornate  sarebbero  quelle  del  solstizio,  del  cancro, 
«  e  le  più  fredde  quelle  del  capricorno.  Abbenchè  la 
a  cosa  a  primo  aspetto  sembri  dovere  essere  così,  pu- 
«  re  non  la  è  assolutamente.  I  giorni  più  caldi  non 
«  sono  quelli  che  e  prima  e  dopo  rimangono  egual- 


Intermittenti  perniciose  55 

«  mente  distinti  dal  solstizio  di  giugno,  ma  sibbene 
«   quelli  che  seguono  per  molti  dì  appresso    un   tal 
«   giorno.  Parimenti  i  più  freddi  giorni  del  verno  non 
«   sono  quelli  delle  tre  ultime    settimane  di   dicem- 
«   bre  ,  ma  sì  veramente  quelli  del  mese  che  segue. 
«   Un  tal  fenomeno  deve  ripetersi  dal   calore    accu- 
li  mulato  nei  lunghi  giorni  sulla  superficie  del   gio- 
ii  bo,  il  quale  unendosi  al  calore  diretto  delia  luce, 
«   accresce  la  di  lui  intensità.  Quindi  è  che  i  giorni 
«   del  mese  di  luglio  e  di  agosto  sono  più   caldi  di 
«   quelli  di  maggio  e  di  aprile  ,  benché    egualmente 
«   lunghi:  ed  è  pure   per  questa  ragione   che  i  mesi 
«   di  novembre  e  di  dicembre  sono  meno  freddi  dei 
«   mesi  di  gennaio  e  di  febbraio.  »   (  Pag.  55,  lin.  2, 
op.  cit.  ) 

8.  Ora  gli  effetti  di  quest'accumulamento  gli  ho 
fatti  conoscere  colle  seguenti  parole. 

o.  «    Quindi  in  quei  sei  primi  mesi  dell'  anno 
«   nel  maggior  numero  delle  ore   diurne    domina    il 
«   fresco,  ed  il  caldo  non  si  fa  sentire  che  sul  mez- 
«   zodì.  Dal  che  ne  deriva,  che  per  la  maggior  parte 
«   del  tempo  di  tali  giorni  gli  uomini  rimangono  ad 
«   una  mediocre  temperatura  *  e  solo  per  poche   ore 
«   vengono  trasportati  ad  una  più  elevata.    »  Per  lo 
contrario  l'andamento  dei  mesi  successivi  è  ben   di- 
verso ;  imperciocché  il  calore  diurno  non  solo  si  au- 
menta di  molti  gradi ,  ma  si  dilata  e  si    estende    al 
maggior  numero  delle    ore.   Ma   quale  e  il   rapporto 
d'estensione  di  questo  calore  diurno   col  freddo  not- 
turno che  gli  tien  dietro  ?  «  Ho  cercato  di  determi- 
«    nare  la  rispettiva  durazione  del  freddo  dei  divisati 
«   mesi,  ed  ho  trovato  non  estendersi  più  di  quattro 
«    ore  nel  luglio,  a  cinque  nell'agosto  e  a  cinque  e 


56  Scienze 

«  mezzo  nel  settembre.  Essendo  così  lunga  la  dura- 
«*  ta  del  caldo,  e  per  l'opposto  così  corta  quella  del 
«  freddo,  gli  uomini  si  trovano  sempre  circondati  da 
«  un  intenso  calore.  »  (  Pag.  61  e  62,  lin.  6  e  seg. 
op.  cit.  ) 

io.  Ma  quale  è  il  grado  del  freddo  nelle  ore 
notturne  dei  mesi  di  luglio ,  agosto  e  settembre  ne' 
suddetti  luoghi,  vale  a  dire  quanto  è  l'abbassamento 
del  termometro  giusta  la  scala  di  Reaumur  ?  Rispon- 
do colle  parole  usate  nella  menzionata  mia  opera  : 
«  Rilevai  dai  medesimi  giornali,  che  nel  corso  dell' 
«  anno  non  vi  è  mai  alcuna  serie  di  giorni,  la  qua- 
«  le  presenti  nel  giro  delle  ventiquattro  ore  maggior 
«  differenza,  fra  i  diversi  abbassamenti  ed  elevazioni 
«  del  termometro  posto  in  luogo  ombroso,  di  gradi 
«  sette  circa.  Tali  risultati  da  me  ottenuti  in  tutte 
«  le  città,  ove  io  mi  era  fino  a  quel  tempo  intrat- 
«  tenuto,  li  vidi  anche  verificati  nell'Umbria  per  le 
«  stagioni  mancanti  della  febbre  perniciosa,  cioè  nei 
«   mesi  di  luglio,  agosto  e  settembre.    » 

11.  Questo  però  non  era  tutto.  Le  leggi  fin  qui 
esposte  riguardano  il  calore  ombratile.  Ma  evvi  un 
altro  calore  che  chiamava  a  se  le  mie  indagini.  Vo- 
glio dire  il  calore  solare  ,  quello  cioè  che  segna  il 
termometro  esposto  direttamente  ai  raggi  del  sole.  Im- 
piego due  paragrafi  per  far  conoscere  la  differenza  che 
passa  nelle  diverse  stagioni  dell'anno  fra  il  calore  om- 
bratile ed  il  solare.  Nella  primavera  il  primo  suole 
essere  eguale  alla  metà  del  secondo.  Nell'inverno  que- 
sto è  quattro  o  cinque  volte  maggiore  del  primo.  Ma 
nella  state  la  differenza  è  ancor  minore  di  quella  del- 
la primavera.  Prendendo  per  termine  medio  il  ter- 
mometro portato  a  gradi  venti,  così  mi   adopero   per 


Intermittenti  perniciose  Bj 

renderlo  sensibile:  «  Se  nella  state  il  calore  nell'om- 
»  bra  è  venti,  sarà  trentasei  quello  del  sole  ;  nella 
»  primavera  se  il  calore  dell'ombra  è  gradi  dieci,  a 
»  gradi  venti  sarà  quello  del  sole:  e  finalmente  se 
»  nell'inverno  il  termometro  posto  all'ombra  sarà  a 
»  gradi  quattro,  quello  esposto  al  sole  ascenderà  a  se- 
»  dici  e  più  ancora  (  pag.  101  lin.  21  )  ».  Se  mai 
potesse  avvenire  che  un  fisico  dimenticasse  questa  no- 
stra animadversione ,  egli  non  apprezzerebbe  quanto 
è  necessaria  la  forza  del  calore  diurno,  e  rispettiva- 
mente quella  del  freddo  notturno. 

12.  Il  presente  prospetto  risultava  dalle  osserva- 
zioni da  me  istituite  nel  Piceno,  vale  a  dire,  in  una 
provincia  costeggiata  dall'  apennino  e  dall'  adriatico: 
questo  la  fiancheggia  all'est,  quello  all'ovest.  Regione 
in  conseguenza  di  clima  temperato.  In  oltre  il  piano 
di  questa  regione  è  assai  inclinato,  giacché  dalla  ci- 
ma di  Colfiorìto,  la  più  elevata  della  catena  adiacen- 
te dell'apennino  ,  fino  alle  sponde  dell'adriatico  non 
evvi  maggior  distanza  di  miglia  56.  Quindi  per  tale 
inclinazione  i  torrenti  vi  corrono  rapidi,  i  venti  vi 
soffiano  impetuosi  ,  ed  il  suolo  è  arido  ed  asciutto. 
Laonde  chi  volesse  ripetere  queste  osservazioni,  do- 
vrebbe eseguirle  in  più  punti  e  per  molti  anni.  Per 
lo  che  ancora  le  cifre  del  calorico  per  le  diverse  ore 
del  giorno  indicano  il  rapporto  generale  dei  diversi 
luoghi  delle  elevazioni  ed  abbassamenti  del  termome- 
tro, anzi  che  lo  specifico  di  uno  o  di  un  altro  luo- 
go; ed  ho  prescelto  un  numero  decimale,  come  più 
atto  a  rappresentare  l'idea  di  questo  rapporto.  Que- 
sto metodo  non  può  evitarsi  allorché  trattasi  deter- 
minare il  calorico  di  una  provincia.  Per  la  stessa  ra- 
gione volendo  far  conoscere  il  rapporto  generale  fra 


58  Scienze 

il  calore  meridiano  ombratile  ed  il  solare,  sono  par- 
tito dal  grado  venti  del  termometro  di  Reaumur,  quan- 
danche  ciò  avvenga  ben  di  rado  dopo  il  corso  di  più 
anni  e  ne'soli  luoghi  montagnosi.  Colla  stessa  dispo- 
sizione e  colla  stessa  intelligenza  devesi  interpretai'e 
quanto  io  asserisco  nelle  pag.  88,  89  delle  mie  ri- 
cerche,  ove  parlando  della  temperatura  delle  campa- 
gne romane  esprimo  col  num.  8  il  maggiore  abbas- 
samento del  termometro  nella  notte,  e  col  num.  24 
la  maggior  elevazione  del  mercurio  nelle  ore  meridia- 
ne. Imperciocché  la  perniciosa  assai  rara  si  riscontra 
in  esse  allorché  il  termometro  segna  nel  mese  di  lu- 
glio e  di  agosto  nelle  ore  meridiane  gradi  a4;  ed  è 
numerosa  poi,  allorché  molto  più  altamente  esso  sale. 
Io  allora  parlava  dei  rapporti  dei  due  calori  e  nulla 
più  ;  giacché  la  più  bassa  discesa  del  termometro  a 
gradi  9,  come  unica  e  singolarissima,  era  stata  da  me 
osservata  il  21  agosto  1798,  e  come  tale  avvertita. 
i3.  Venendo  poi  alla  regione  opposta  ai  Pice- 
no, cioè  alle  campagne  romane,  io  ho  rinvenuto  che 
la  temperatura  di  questi  ultimi  paesi  è  più  calda 
della  temperatura  dell'antecedente  con  rapporto  va- 
rio fra  loro  a  seconda  che  quelli  sono  più  elevati,  o 
più  vicini  ai  piedi  o  alle  ramificazioni  dell'apennino 
ed  agli  alvei  dei  fiumi.  Ponendo  in  relazione  Mace- 
rata centro  dei  Piceno  con  Roma,  il  termometro  all' 
ombra  in  questa  può  elevarsi  a  27  e  29  gradi  nel 
mese  e  nelle  ore,  nelle  quali  nella  prima  città  ap- 
pena ascenderà  a  23  e  24  gradi.  E  questa  differenza 
di  quattro  gradi  circa  può  essere  adottata  per  tutti  i 
mesi  dell'anno.  Io  parlo  di  mesi,  di  stagioni,  di  an- 
ni, e  non  già  di  giorni:  imperciocché  potrebbe  avve- 
nire che  mentre  nel  Piceno  si  gode    un    calore  tem- 


Intermittenti  perniciose  5\) 

perato,  nelle  campagne  romane  regnino  venti  freddi 
e  tempestosi.  Il  mio  discorso  è  diretto  a  determinare 
la  temperatura  media  di  queste  due  porzioni  degli  stati 
romani. 

CAPITOLO  IH. 

Umidità  delle  campagne  romane. 

14.  Per  quello  spetta  all'umidità,  la  quale  nelle 
campagne  romane  è  assai  grande,  ed  in  forza  di  cui 
il  freddo  notturno  dei  mesi  estivi  in  dette  regioni  è 
molto  più  intenso  di  quello  che  si  rinviene  nel  Pi- 
ceno, a  fine  di  conoscere  la  cagione,  mi  è  duopo  ri- 
cordarne la  topografica  conformazione.  Può  l'agro  ro- 
mano rassomigliarsi  ad  una  parabola,  il  cui  asse  dal- 
la cima  degli  apennini  sia  condotto  fino  alle  spon- 
de del  mediterraneo.  Questo  mare  rappresenta  l'or- 
dinata, ed  i  due  lati  della  curva  partendo  dalle  vette 
dei  medesimi  si  prolungano  con  irregolar  forma  l'uno 
a  destra  sui  confini  dell'Etruria,  l'altro  a  sinistra  sui 
confini  napolitani.  La  lunghezza  di  quest'asse  può  es- 
sere espressa  col  num.  160  miglia.  Dalla  quale  con- 
figurazione ognun  vede  che  il  piano  dell'agro  roma- 
no è  quasi  orizzontale,  e  circondato  da  un  vallo  di 
monti:  in  opposizione  a  quanto  abbiamo  osservato  dell' 
agro  piceno,  ed  è  perciò  che  i  fiumi  vi  camminano 
lenti,  ed  i  venti  vi  spirano  moderati  e  placidi.  Tra 
questi,  quelli  che  sorgono  dal  mediterraneo  sono  mol- 
to umidi,  perchè  bagnati  dalle  acque  che  tragittarono 
e  ritenuti  dal  vallo  suddetto.  Laonde,  senza  la  me- 
diazione dell'igrometro,  qualsivoglia  straniero  che  vi 
venga  percepisce  immediatamente  ritrovarsi  in  umida 


60  Scienze 

regione,  e  lo  confermano  in  tale  divisamente  le  an-* 

bondanti  verdi  erbe. 

Il  sig.  Gioia  afferma  che  la  quantità  delle  piog* 
gè  che  cadono  in  Roma  eccede  di  una  decima  parte 
quella  che  bagna  la  città  di  Milano;  stando  il  rap- 
porto della  prima  colla  seconda  come  centimetri  io5 
a  centimetri  g5,  5.  Le  osservazioni  del  prof.  Mon- 
techiari,  istituite  in  Macerata  pel  corso  di  anni  dieci, 
dimostrano  la  copia  delle  acque  cadute  in  detta  città 
anche  molto  minore.  Questo  fatto  accusa  la  sorgente 
della  maggiore  umidità  ,  che  rinveniamo  per  mezzo 
dell'igrometro  nei  paesi  romani.  Imperciocché  mentre 
in  Milano  e  nel  Piceno  coli' abbreviarsi  le  ore  diur- 
ne, e  collo  scemare  del  calore  si  permette  alle  acque, 
le  quali  nella  state  si  erano  sollevate  nell'atmosfera, 
ed  ivi  si  rimanevan  disciolte,  di  riabbassarsi  negli  strati 
inferiori,  e  ritornare  a  versarsi  sopra  la  terra;  nelle 
contrade  romane  a  queste  vanno  a  congiungersi  quel- 
le che  vi  recano  gli  umidi  venti.  Ai  fiumi  ed  ai  mol- 
ti laghi  permanenti  nelle  campagne  romane,  io  ag- 
giungeva le  avventizie  acque  stagnanti  negli  incolti 
terreni. 

i5.  Ma  con  qual  metodo  apprezzare  la  forza 
dell'umidità  sul  corpo  umano,  essendo  a  ciò  inetti  gli 
stronfienti  di  metereologia  ? 

CAPITOLO  IV. 

Apprezzamento  degli  effetti  dell'umidità 
sul  corpo  umano. 

16.  Io  mi  sono  condotto  nella  maniera  seguen- 
te: e  questa  maniera  l'ho  esposta  così:  «  In  un  gior^ 


Intermittenti  perniciose  6i 

»  no  sereno  e  secco,  mentre  il  termometro  segnava 
»  gradi  dieci,  ho  fatto  sì  che  esso  s'innalzasse  a  gradi 
»  venti,  tenendolo  per  pochi  istanti  fra  le  mie  mani. 
»  Giunto  appena  ad  un  tal  grado,  ed  avendo  atteso 
»  scrupolosamente  perchè  non  lo  oltrepassasse,  l'ho 
»  abbandonato,  ed  ho  osservato  esattamente  il  tempo 
»  impiegato  dal  mercurio  per  ritornare  alla  propria 
»  temperatura,  ossia  a  quella  dell'atmosfera  di  gradi 
»  dieci.  In  altro  giorno  segnando  il  termometro  si- 
»  milmente  gradi  dieci,  ma  essendo  umida  Y  atmo- 
»  sfera,  ho  ripetuto  lo  stesso  esperimento:  ed  abban- 
»  donato  il  termometro  dopo  che  era  giunto  a  gradi 
»  venti,  ho  seguito  cogli  occhi  il  mercurio  per  osser- 
»  vare  quanto  tempo  impiegasse  a  ricondursi  a  gradi 
»  dieci,  vale  a  dire  alla  comune  temperatura:  ed  ho 
»  riconosciuto  che  in  quest'ultimo  esperimento  si  era 
»  condotto  a  livello  de'corpi  circostanti  in  un  tem- 
»  pò  molto  minore  del  primo,  cioè  in  due  terze  par- 
»  ti.  Ripetendo  queste  osservazioni,  ho  ritrovato  co- 
»  stantemente  che  ne'giorni  umidi  il  termometro  di- 
»  scendeva  più  prestamente,  che  ne'giorni  secchi,  e 
»  mi  è  sembrato  di  poter  stabilire  che  i  tempi  im- 
»  piegati  in  questa  discesa  fossero  tra  loro  in  ragio- 
»  ne  inversa  dell'umidità.  »  (pag.  82  lin.  2,  op.  cit.) 

17.  Essendo  il  calore  normale  dell'uomo  a  gra- 
di 3o,  ogniqualvolta  non  ben  difeso  da  vestimenta  si 
conduca  in  atmosfera  umida  collocata  a  gradi  dieci 
o  sedici,  immensa  è  la  sottrazione  del  calore  che  ad 
ogni  istante  gli  viene  rapita.  Imperciocché  i  primi  glo- 
betti  acquosi,  che  bevvero  il  calorico  dalla  di  lui  su- 
perficie, restituiti  allo  stato  di  fluido  elastico  si  sol- 
levano e  cedono  il  loro  posto  a  nuovo  vapore,  il  qua- 
le ripete  lo  stesso  processo.  Questo  processo  si  ria- 

/ 


6a  Scienze 

nova  ad  ogni  istante:  e  per  tale  rinnovazione  l'uo- 
mo si  trova  spogliato  di  quella  copia  di  calorico  che 
è  necessaria  allo  stato  di  salute,  giacche  la  secrezio- 
ne del  calorico  animale  non  è  si  copiosa  da  poter 
compensare  tante  successive  sottrazioni. 

18.  Parlando  io  dello  stato  presente  delle  cam- 
pagne romane,  non  lasciava  d'incolpare  per  la  som- 
ministrazione dell'umidità  gli  straripamenti  de'fiumi, 
ed  i  negati  scoli  alle  acque  piovane,  attesa  la  negligente 
coltura  delle  terre  ai  nostri  giorni.  La  conformazio- 
ne geografica  però  di  sopra  accennata  e  la  costituzio- 
ne atmosferica  sono  bastevoli  a  produrre  la  malattia 
di  cui  ci  occupiamo,  e  le  ultime  cagioni  non  hanno 
fatto  altro  che  aggiungere  nuova  forza  alle  preesisten- 
ti. Laonde,  che  un  forte  calore  nelle  ore  meridiane; 
che  un  freddo  intenso  nelle  ore  successive  ;  che  il 
passaggio  rapido  del  primo  al  secondo  ;  che  queste 
condizioni  atmosferiche  effettuantesi  nell'autunno  ren- 
dano questa  stagione  ferace  di  malattie  e  mortali,  sem- 
bra non  potersi  revocare  in  dubbio.  Una  tal  verità 
era  conosciuta,  e  Celso  ce  1'  ha  descritta  nel  modo 
seguente:  «  Corpus  ergo  et  aestate,  et  subinde  me- 
»  ridianis  caloribus  relaxatum  subito  frigore  excipi- 
»  tur.  Quo  fit  ut  autumnus  plurimos  opprimat  :  »  ed 
un  tal  passo  fu  da  me  riferito  nelle  mie  ricerche  pag. 
63.  Che  cosa  dunque  io  ho  fatto  di  più  ?  ho  ricercate 
le  leggi  che  reggono  queste  condizioni.  Queste  leggi  ri- 
conosciute hanno  fugato  le  ipotesi  adottate  in  conse- 
guenza di  poche  ed  incerte  osservazioni.  Se  il  calore 
da  alcuni  era  stato  accusato  per  le  sue  variazioni  oc- 
casione di  malattia,  non  si  era  però  accordato  all'u- 
midiva nell'offendere  l'umana  salute  quella  parte  che 
ha  col  succedere  al  calore  atmosferico;   e  l'altra  più 


Intermittenti  perniciose  63 

importante  che  esercita  direttamente  sopra  le  super- 
ficie de'corpi.  Questa  umidità  è  grande  nelle  campa- 
gne romane,  e  non  limita  la  sua  azione  alla  stagio- 
ne autunnale.  Nel  corso  dei  dodici  mesi  dell'  anno 
spiega  più  o  meno  efficacemente  sugli  abitanti  di  quel- 
le contrade  il  suo  potere.  Dal  che  ne  nasce,  che  in 
dette  regioni  l'aria  è  pestilente,  per  usare  il  linguag- 
gio dei  latini,  o  per  meglio  dire  che  è  generante  la 
febbre, 

CAPITOLO  V. 

Testimonianza  degli  antichi  sulla  insalubrità 
delle  campagne  romane. 

Ed  in  verità,  indietreggiando,  la  storia  ci.  fa  sa- 
pere che  in  tutti  i  tempi  cotesto  paese  fu  soggetto 
a  febbri,  onde  fu  detto  esser  la  febbre  la  dea  di  Roma. 
Allorché  Romolo  gettò  le  fondamenta  di  questa  citta, 
la  collocò,  dice  Cicerone,  in  paese  pestilente.  :  «  Lo- 
«  cumque  delegit  et  fontibus  abundantem,  et  in  re- 
te gione  pestilenti  salubrem  »  (  De  rep.  lib.  II,  cap. 
VI  ).  Io  riportai  un  brano  di  Celso  nelle  mie  ricer- 
che (pag.  i55  ),  e  feci  conoscere  che  nel  discorrere 
egli  della  peste  descrive  la  febbre  periodica,  l'emitri- 
tea  e  la  perniciosa  (  lib.  III,  cap.  VII  ).  11  professor 
De  Matthaeis  molti  anni  appresso  si  occupò  dello  stes- 
so argomento,  e  dimostrò  che  il  vocabolo  peste  pres- 
so i  romani  significava  febbre  deleteria.  Spesso  noi  rin- 
veniamo in  Tito  Livio  afflitta  Roma  da  peste;  il  che 
deve  intendersi  quasi  sempre  da  febbre;  e  questa  non 
di  rado  originata  da  straordinari  intensi  calori  estivi 
susseguiti  nelle  ore  notturne  da  venti  umidi  e  freddi. 


64  Scienze 

19.  I  primi  romani,  addottrinati  dall'esperienza, 
avevano  portate  a  grande  altezza  le  loro  case  e  rese 
anguste  le  vie  (1),  a  fine  di  reprimere  parte  del  ca- 
lore delle  ore  meridiane:  e  questa  costruzione  procac- 
ciava salubrità  alla  loro  città.  Si  ebbe  conferma  di 
questo  vantaggio,  allorché  il  sesto  de'  cesari  Nerone 
abbassò  gli  edifizi  e  dilatò  le  vie    (a). 

20.  Ora  in  periodo  sì  lungo  di  tempo  le  cam- 
pagne romane  sostenevano  comuni  opulenti,  ed  i  cir- 
condari di  Roma  divisi  in  minime  parti  (3)  erano 
coltivati  dalla  possente  tribù  rustica,  che  da  essi  ri- 
traeva ricche  messi  ed  ogni  altro  frutto  terreno.  Tan- 
to era  lo  studio  e  la  gelosia  de'  coloni  romani,  che 
il  danneggiar  le  loro  biade  od  altro  cereale  ec.  por- 
tava seco  pena  capitale  (4).  In  tal  epoca  cade  la  dub- 
biosa ammirazione  di  Plinio,  se  sì  ubertosi  prodotti 
fossero  espressi  da  coltura  maggiormente  industre  e 
curiosa,  o  dal  godere  la  terra  di  essere  esercitata  da 
vomere  laureato  diretto  da  mano  trionfale. 


(1)  Romani  in  montibus  positam,  et  convallibus  cenaculis  su- 
blatam,  atque  suspensam,  non  optimis  vii»,  angustissimis  semitis, 
prò  sua  Capua  pianissimo  in  loco  explicata   ac  prae  illis  semitis 
irridebunt  atque  contemnent.  (Cic,  De  lege  agraria  in  Rullum.) 

(1)  Erant  tarnen  qui  crederent  veterem  illam  formam  sai u bri- 
tati  magis  conduxisse,  quoniam  angustiae  itinerum  ,  et  altitudo 
tectorum  non  perìnde  solis  vapore  perumperentur;  at  nunc  pa- 
tulam  solitudinem,  et  nulla  umbra  defensam  graviore  aestu  arde- 
scere  (Tacit.  lib.  XV,  cap.  43). 

(3j  "  Bina  tunc  iugera  populo  romano  satis  erant:  nulli  quem 
,,maiorem  modum  attribuit  (  Plin.  lib.  XVIII,  cap  II).  „  Ed  in 
alcuni  secoli  appresso:  *«  Quippe  est  lege  Stolonis  Licinii  incluso 
,,  modo  quiuque  iugerum:  ,,  (loc.  cit.)  e  più  tardi  ancora  :  "Per- 
,,  niciosum  intelligi  civem  cui  seplem  iugera  non  esscnt  satis;  ?J 
(idem-  loc.  cit.  ) 

(4)  Vedi    Plinio  lib.  XVIII,  cnp.  III. 


Intermittenti  perniciose  65 

ai.  Ora  questa  tribù  abitava  tutta,  o  quasi  tut- 
ta, entro  le  mura  della  vostra  città,  ove  si  recava  a 
sua  sicurezza  e  delle  proprie  derrate.  Ne  è  esempio 
e  prova  ciò  che  Cicerone  afferma  di  Capua,  non  es- 
sere stata  abbattuta  da'romani  a  simiglianza  di  Car- 
tagine e  Corinto,  affinchè  i  coltivatori  vi  avessero  do- 
micilio ,  e  magazzini  i  loro  frutti  (i).  Pratica  allo- 
ra comune,  oggi  non  interamente  abbandonata,  per- 
chè necessaria.  Fu  questa  necessità  fisica,  e  la  custo- 
dia delle  proprie  persone  e  de' raccolti,  le  quali  rite- 
nendo entro  le  mura  di  Roma  la  tribù  rustica,  la  po- 
se a  parte  delle  pubbliche  deliberazioni,  delle  mag- 
giori magistrature  e  della  più  sicura  difesa  della  cit* 
tà.  Per  le  quali  cose  risulta,  nei  felici  tempi  di  quel* 
la  repubblica  la  febbre  e  la  natura  pestilente  di  quel 
suolo  essere  stata  prodotta  dalla  geografica  conforma- 
zione, e  dalla  condizione  atmosferica.  Non  eravi  al- 
lora da  accusare  abbandono  di  terre,  né  sterpi  ed  in- 
setti commessi  alla  putrefazione. 

CAPITOLO  VI. 

Corrispondenza  della  gravitò  della  febbre  colla 
condizione  geografica  del  terreno ,  e  collo  sta- 
to atmosferico.  Paragone  delle  campagne  ro- 
mane colle  picene. 

22.  E  poi  al  giorno  d'oggi  osservazione  costan- 
te, che  il  numero  e  la  gravezza  delle  febbri  periodi- 


(i)  Ut  esset  locus  comparandis,  contentisque  fructibus;  ut 
aratores  cultu  agrorurn  defessi,  urbis  domiciliis  uterentur  (  Cic. 
in  Rullum  oratio  li,  cap.  8"  ). 

G.A.T.LXXXVI1I.  5 


6(>  Scienze 

che  va  descrescendo  ,  allorché   ci  allontaniamo  dalle 
spiagge  del  mediterraneo,  e  che  pervenuti  alle  cime 
della  catena  degli  apennini  la  febbre  periodica  quasi 
mai  si  riscontra  abbenchè  semplice.  Discendendo  poi 
dalle  vette  dei  detti  monti  verso  l'oriente  perfino  al- 
l' adriatico,  se  ne  va  scorgendo  da  quando  a  quando 
qualcuna  ,  e  sempre  più  facilmente    fra  gli  abitatori 
delle  sponde  de'fiumi  o  delle  spiagge  marittime.  Es- 
se sogliono  essere  rade  anche   nell'autunno.   Ma  ove 
in  questa  stagione  dell'anno  le  giornate  fossero  calde 
ed    umide  le  notti  ,  si  ravvisano    epidemiche   e  non 
mortali.  Nel  corrente  anno    1840  essendo  stato  estre- 
mamente caldo  il  settembre  e  la  prima  metà  di  otto- 
bre in  tutto  il  corso  del  dì,  e  sopravvenendo  ogni  se- 
ra nell'annottare  freddo  umido,  vento  sciroccale,  che 
soffiava  fin  dopo  il  levar  del  sole,  le  febbri  periodiche 
sono  state  per  questa  insolita  cagione  nella  Marca  co- 
sì copiose  ,  che   niuno  de'  medicanti  avea  altrettanto 
giammai  osservato  nel  lungo  corso  del    suo    pratico 
esercizio.  11  clott.   Nisi,  condotto  in  Urbisaglia,  affer- 
ma aver  il  novero  de'suoi  malati  superata  la  somma 
di  quelli  di  molti  e  molti  anni.  Né  fra  queste  perio- 
diche benigne  mancò  ancora  qualcuna  maligna  o  per- 
niciosa, ogni  qualvolta   l'infermo  imprudentemente  e 
troppo  a  lungo,   e  non  difeso  da  atte  vestimenta,  si 
fosse  esposto  al  freddo  notturno   ed  all'umido   vento 
di  scirocco.  Domenico  Marconi   villico  di  professione 
partiva  da  Loreto,  e  nelle  ore  meridiane  cammin   fa- 
cendo giungeva  sull'imbrunir  del  giorno  a  Monte  Cas- 
siano,  e  leggermente  vestito  passava  la  notte  in  agre- 
sti faccende:  fu  collo  da  periodica,  alla  quale  nel  ter- 
zo accesso  si  associò  profondo  sopore.   Il    dott.    l'io- 
retti,  filosofo  e  medico  peritissimo,  lo  assisteva.  Il  doli. 


Intermittenti  perniciose  67 

Belloli,  medico  comprimario  in  Macerala,  fra  le  molte 
l'ebbri  di  accesso  di  benigna  natura,  una  ne  ebbe  a 
combaltere  letargica  in  Agostino  Simoncini.  Similmen- 
te altri,  altre.  Ne'menzionati  casi  non  fu  mestieri  sa- 
lassare gì'  infermi ,  e  la  febbre  dall'  antiperiodico  fu 
vinta. 

a3.  Collazionando  ora  i  luoghi  ,  le  cause  e  le 
malattie  de'  due  opposti  paesi  ,  cioè  delle  marche  e 
dell'agro  romano,  posti  allo  stesso  grado  di  latitudine 
boreale,  noi  veniamo  a  convincerci  che  la  salubrità 
delle  prime  dipende  da  un  più  mite  calore  de'giorni 
estivi  ,  e  dalla  siccità  della  sua  atmosfera.  Vediamo 
ancora,  che  nelle  campagne  romane  la  gravezza  e  la 
frequenza  delle  febbri  siegue  il  rapporto  delle  due 
menzionate  condizioni  atmosferiche.  In  oltre  che  ogni 
qual  volta  nelle  marche  queste  stesse  due  condizioni 
si  avvicinino  alquanto  a  quelle  che  abbiamo  rinve- 
nute nell'  agro  romano  ,  anche  quivi  qualche  febbre 
con  sintomi  di  pernicie  non  lascia  di  farsi  vedere,  In 
regioni  poi  così  lontane  il  maggior  numero  e  gravez- 
za delle  periodiche  segue  il  rapporto  delle  località  a 
seconda  che  queste  possono  contribuire  all'  aumento 
delle  cagioni  da  noi  incolpate.  Per  tal  modo  in  Ter- 
racina  posseggono  un  domicilio  più  esteso.  Molto  for- 
te lo  hanno  in  Terni,  attesa  l'umidità  della  caterat- 
ta del  Velino,  che  si  aggiunge  a  quella  sovramenzio- 
nata,  abbenchè  coli  ivate  ne  siano  le  terre.  E  per  la 
stessa  ragione  nella  Fara  ,  nel  cui  sottoposto  pia- 
no verdeggiano  fino  al  principio  di  dicembre  spon- 
tanee felci  ,  qualora  s'introducano  nella  sua  vallata 
all'agosto  venti  umidi,  le  stragi  sono  frequentissime. 
La  stessa  legge  con  più  miti  effetti  si  eseguisce  nelle 
marche.  Scevro  o  poco  meno  dalle  febbri  periodiche 


68  Scienze 

e  il  dorso  dell'  apennino.  Qualcuna  se  ne  riscontra 
dopo  la  metà  dell'inclinato  piano,  che  forma  questa 
provincia.  E  qualcuna  anche  di  più  nel  littorale  ma- 
rittimo. Che  se  in  alcuna  parte  di  questo  littorale 
marittimo  si  aprono  le  bocche  di  qualche  fiume,  rice- 
vendo l'umidità  atmosferica  nuova  addizione  ,  anche 
qualche  perniciosa  vi  si  riscontra  ,  come  nelle  fauci 
delPEsino,   del   Tronto  ec. 

24.  Le  quali  cose  ben  considerate  si  rileva,  che 
la  perniciosa  endemica  regna  sempre  nella  stessa  sta- 
gione; che  essa  vi  regna  allorché  evvi  calore  sommo 
diurno  ,  ed  umidità  nelle  notti  ;  che  ove  o  questo 
caldo  o  questa  umidità  non  coesistano,  ahbenchè  nella 
stessa  stagione  e  nello  stesso  paese,  la  febbre  non  si 
rinviene  neppur  essa:  che  la  copia  e  l'energia  della 
medesima  siegue  strettamente  l'intensità  delle  due  ca- 
gioni assegnate  ,  con  queste  cresce  ,  con  queste  de- 
cresce: che  se  in  mezzo  al  corso  dell'epidemica  co- 
stituzione sopravvenga  forte  meteora,  che  disturbi  l'ac- 
cennato connubio,  come  piogge  dirotte  e  continuate, 
ed  impetuosi  venti,  eziandio  nelle  campagne  romane 
la  malattia  cessa  anch'essa  di  maniera  che  la  nascita, 
l'infierire  e  lo  spegnersi  di  questa  è  congiunto  colla 
presenza  di  quelle.  Ogni  altra  cagione  può  esistere 
senza  che  appariscano  febbri  perniciose  ;  quella  sola 
è  necessaria  ;  qualunque  altra  può  inframmischiarvisi 
senza  poterne   usurpare  il  diritto  della  genesi. 

25.  Per  lo  che  se  in  un  luogo  rinverrai  melma, 
belletta,  o  altro  deposito,  in  altrettanti  e  più  luoghi 
queste  mancheranno:  ed  esisterà  la  febbre,  purché  si 
riuniscano  calore  ed  umidità.  Se  in  altro  luogo  ti  in- 
contrerai con  vegetabili  di  fetido  odore,  com^  con  la 
cava  putefina  ec.,  in  cento  altri  vi  cercherai  inulil- 


Intermittenti  perniciose  69 

mente  tali  vegetabili,  ma  pure  la  perniciosa  vi  avrà 
stanza.  Se  in  tal  luogo  rinverrai  minerali  vapori,  sol- 
ferei, ammoniacali,  gassosi  fluidi;  in  duecento  essi 
mancheranno,  ma  non  mancherà  la  febbre.  Se  in  qual- 
che regione,  sia  ampia,  sia  angusta,  ti  verrà  fatto  d'im- 
batterti in  sostanze  organiche  consegnate  alla  corru- 
zione, e  non  vi  esisterà  calore  ed  umidità,  la  perni- 
ciosa non  si  svilupperà  giammai.  Finalmente  senza  la 
presenza  di  alcuna  delle  menzionate  cagioni,  siano  so- 
litarie, siano  composte,  tu  troverai  sempre  la  perni- 
ciosa ogni  qual  volta  a  giorni  sereni  prolungati  e 
ealdi  subentrano  fredde  ed  umide  notti. 

CAPITOLO  VII. 

I  fenomeni  morbosi  confermano  V  eguale  natura 
delie  due  febbri  negli  opposti  paesi. 

26.  Pei  rapporti  poi  da  noi  investigati,  che  in- 
tercedono fra  le  marche  e  le  campagne  romane,  ci  tro- 
viamo costretti  a  concludere,  che  da  cause  della  me- 
desima natura,  anzi  dalla  stessa  sola  causa  elevata  a 
maggiore  o  minor  potenza,  se  ne  deve  ripetere  la  pro- 
duzione. I  fenomeni  morbosi  vengono  a  cospirare  nel 
confermarci  in  questa  conseguenza.  Cosi  le  une  co- 
me le  altre  osservano  la  periodicità,  così  le  une  co- 
me le  altre  dan  principio  ai  loro  accessi  col  freddo, 
e  le  une  e  le  altre  danno  fine  ad  essi  col  sudore  ; 
queste  e  quelle  son  fugate  colla  chin«,  abbenchè  le 
prime  necessariamente  e  le  ultime  possono  molte  vol- 
te dispensarsene. 


70  Scienze 

CAPITOLO  Vili. 

Esempi  che  confermano  la  nostra  eziologia. 

27.  Io  mi  sono  limitato  a  porre  a  confronto  que- 
ste due  porzioni  dello  stato  romano  per  chiarire  la 
mia  dottrina  :  e  questo  paragone  sarà  bastevole  per 
comprovare  l'eziologia  da  me  sostenuta.  Ma  non  man- 
cano esempi  lontani  di  febbri  periodiche  gravissime 
senza  la  presenza  né  di  paludi,  ne  di  soslauze  in  pu- 
trefazione ,  per  il  solo  soffiare  di  venti  umidi.  Così 
per  le  rapide  variazioni  nella  temperatura,  e  per  la 
umidità  nella  Carolina  del  sud,  dice  Gioja  (1),  do- 
minano le  febbri  intermittenti,  le  terzane,  le  quarta- 
ne; e  seguendo  lo  stesso  autore  vediamo,  che  a  Ve- 
racruz  per  1'  umidità  prodotta  dalle  continue  piogge 
l'aria  è  molto  insalubre,  e  quest'insalubrità  vien  tolla 
«la  venti,  o  diminuita  almeno,  rendendo  più  asciutta 
1'  atmosfera.  Ma  di  esempi  tali,  o  di  altri  più  uni- 
formi alla  nostra  questione  ,  io  non  fo  cenno  se 
non  perchè  si  vegga  il  gran  potere  dell'umidità  an- 
che sola  a  produrre  disordini  gravissimi  nella  nostra 
macchina. 

CAPITOLO  IX. 

Autorità  e  testimonianza  dei  medici  romani. 

28.  Tali  cose  io  scrivea,  ed  il  mio  scritto   ve- 

(1)  Filosofia  della  statistica  pag.  176,  177. 


Intermittenti  perniciose  7  1 

niva  nello  mani  del  conte  Giovanni  Fiorenza  uno  dei 
letterati  italiani,  ed  ora  vice  delegato  dell'anconitana 
provincia.  Lo  consegnava  egli  nel  cominciar  del  1808 
al  tipografo  Quercetti  in  Osimo  ,  e  a  proprie  spese 
lo  imprimeva.  Si  divulgò  il  mio  lavoro  per  l' Italia, 
ed  io  ebbi  a  consenzienti  non  pochi  medici  romani. 
Due  ne  nominerò,  i  quali  non  nei  loro  discorsi  sol- 
tanto ,  ma  nelle  opere  rese  poi  di  pubblica  ragione, 
mostrarono  di  avere  adottato  la  mia  dottrina.  Il  pri- 
mo di  questi  è  il  dottore  Monchini  medico  e  chi- 
mico insigne  :  il  secondo  il  dottor  Folcili  fisico  e  cli- 
nico primario  nell'arciospedale  di  s.  Spirito.  Ambi  me- 
dici, ambi  professori  nell'università  romana,  ambi  nati 
nel  suolo,  ove  la  perniciosa  si  produce,  ambi  scru- 
tatori della  sua  genesi  nella  città  e  ne1  luoghi  vi- 
cini, ambi  vittoriosi  nel  combatterla.  Il  terzo  è  il  dot- 
tor de  Crollis,  medico  e  letterato  di  alta  fama,  che  im- 
piegò molti  dialoghi  nell'illustrare  questa  malattia  dall' 
aria  romanesca  prodotta.  Or  mentre  io  mi  riposava 
all'ombra  di  tali  maestri,  al  pari  de'quali  niun  me- 
dico straniero  può  venire  al  confronto  nel  conoscerla 
e  nel  trattarla  ,  mi  sono  state  recentemente  opposte 
alcune  difficoltà  ed  argomentazioni,  le  quali  se  po- 
sassero su  salde  fondamenta  dirtruggerebbero  la  mia 
sentenza.  All'esame  di  queste  obbiezioni  e  di  queste 
difficoltà  dall'importanza  dell'argomento  io  son  chia- 
mato. 

CAPITOLO  X. 

Opposizioni  proposte  dal  sig.   dottor 
Puccinotti. 

29.  Il  sig.  Puccinotti,  nella  seconda  parte  della 


72  Scienze 

sua  opera  intitolata   storia  delle  febbri  intermittenti 

ec.  pubblicata  in  Macerata  nell'anno  i836  pei  tipi  di 

Giuseppe  Mancini   Cortesi,  propose  una  sua  ipotesi, 

colla  quale  attribuisce  la  produzione  della  perniciosa 

a  specifico  miasma  generato  nelle    contrade   romane. 

Prima  però  di  provare  l'  esistenza  di  questo  miasma 

si  fa  ad  esaminare  la  mia  dottrina,  che  egli  cerca  di 

rovesciare  per  sostituire  la  propria.  Mi   trovo  quindi 

nella   necessità  di  qui  riferire  paratamente  tutti    gli 

argomenti  da  esso  impiegati  in  questo  suo  tentativo. 

Voglio  rappresentarli  colle   sue  stesse  parole.  «    Àve- 

»   vano  già  e   Celso,  e  il  Doni,  e  Lucantonio  Por- 

»  zio,  e  Zimmermanno  notato  per  una  delle  princi- 

»   pali  cagioni  di  codeste  febbri   il  passaggio  dai   fer- 

»   vidi  calori  diurni  ai  freddi  notturni.  Non  essendo 

»   riuscito  a'  chimici  di  render  coercibile  verun  ele- 

»   mento  dell'aria  palustre,   era  facile  negare  il  mias- 

>»   ma  come  cagione,  e  sostituire  a  questo  l'altra  delle 

»   alternative  di  temperatura.   Così  adoperò  il  Santa- 

»  relli,  che  però  ha  il  merito  d'essere  stato  il  primo 

»   a  sottoporre  a  osservazioni    termometriche  le  sud- 

»   dette  temperature,   e  fissarne  i  gradi  di  differenza. 

«   Egli  ottenne  da'  suoi  esperimenti  fatti  tra  il  finire 

»  d'agosto  ed  il  cominciare  di  settembre  nell'aria  di 

»   Terni,  mentre  dominava  la  perniciosa,  che  il  ter- 

»   mometro  segnava  gradi  26  R.  a  mezzodì,  a  mez- 

»   za  notte   gr.   20,  all'accostarsi  dell'aurora  gr.  9.   Il 

»   perchè  la  differenza  fra  il  calore  diurno  e  quello 

»  della  notte  sarebbe  stato  di  gr.    17:  differenza  im- 

»  ponente  che  farebbe  passare  il   corpo  umano  in  po- 

»   che  ore  dal  calore  della  state  al  freddo  del  verno. 

»   Saviamente,  quindi  egli  domanda  a  se  stesso  ;  se 

»   nel  corso  dell'altre  diverse  stagioni  dell'anno  possa 


Intermittenti  perniciose  y3 

»  l'uomo  mai  trovarsi  circondato  da  un  raffreddamen- 
»  to  così  forte,  come  quello  che  produce  la  perni- 
»  ciosa;  e  se  pure  ci  si  trovasse  qualche  volta,  come 
»  accade  che  la  perniciosa  non  si  vegga  comparire , 
»  fuori  che  ne1  mesi  ultimi  della  state  ,  e  ne'  primi 
»  dell'  autunno.  Conclude  poi  francamente,  che  in 
»  nessun  tempo  e  in  nessuna  circostanza  si  può  pre- 
»  cipitare  da  un  forte  calore  secco  e  veemente,  co- 
»  me  quello  di  gr.  24  per  lo  meno,  ad  una  atmo- 
»  sfera  umida  e  raffreddata  a  gradi  8.  Ora  se  si  di- 
»  mostrasse  ai  sig.  Santarelli  che  codesta  imponente 
»  differenza  termometrica  non  esiste  negli  anni  e  nel- 
»  le  stagioni  e  ne'luoghi,  dove  domina  la  perniciosa, 
»  e  che  al  contrario  dove  si  osserva  anche  più  mar- 
»  cata,  la  perniciosa  non  domina,  saremmo  all'argo- 
»  mento  logico  adoperato  di  sopra  pei  calori  e  1'  u- 
»  nudità  ,  che  distruggerebbe  completamente  la  base 
»  sperimentale  della  sua  teorica.  «  (  Cap.  XXI  pag. 
75   e  76  op.  cit.  ). 

Per  dare  effetto  a  questa  promessa  il  sig.  Puc- 
cinotti  espone  alcune  osservazioni  termometriche  isti- 
tuite a  Roma,  altre  in  Narni,  ed  altre  sue  proprie. 
Per  lo  che  si  scorge  che  egli  sarà  per  porre  le  mie 
colle  altrui  osservazioni  in  confronto.  Noi  le  riferi- 
remo come  egli  stesso  le  descrive.  E  poiché  trattasi 
di  comparazione  tra  fatti  e  fatti  ,  veggo  indispensa- 
bile premettere  l'esposizione  delle  cautele  necessarie 
ad  osservarsi  nell'  uso  del  termometro,  e  nell'  espri- 
mere le  temperature  medie  dei  mesi  ,  degli  anni  ,  e 
dei  luoghi  :  cautele  che  dovranno  esser  sempre  pre- 
senti allo  spirito  di  colui  che  vorrà  costituirsi  giudi- 
ce nell'  attuale  controversia. 


y4  Scienze 

CAPITOLO  XI. 

DelV  apprezzamento  del  calore  medio 
d'un  luogo. 

3o.  Primieramente  colui,  che  vuol  conoscere  il 
grado  della  temperatura  attuale  dell'  atmosfera,  deve 
isolare  il  termometro  ;  imperciocché  ogni  qual  volta 
venga  sostenuto,  ed  appoggiato  ad  un  corpo  qualun- 
que, non  può  non  comunicare  col  calore  che  da  det- 
to corpo  o  gli  yien  tolto,  o  gli   vien  somministrato. 

In  appresso  il  termometro  collocato  o  nel  pri- 
mo piano,  o  nel  secondo  del  fabbricato,  segna  un  ca- 
lore più  elevato  di  quel  termometro  che  è  situalo  ad 
un  piede  sopra  il  suolo  ;  nelle  giornate  umide  o  pio- 
vose io  ho  riscontrato  questa  differenza  di  uno  o  an- 
che due  gradi. 

Terzo,  il  termometro  fissato  nella  parte  orienta- 
le del  fabbricato  sarà  più  elevato  nella  stessa  ora  del 
mattino  dell'  altro  posto  all'  occidente  dello  stesso  lo- 
cale. Viceversa  nelle  ore  pomeridiane  contemporanea- 
mente questo  segna  qualche  grado  di  più  del  pri  - 
mo.  E  ciò  si  avverte  parlando  del  calore  ombratile; 
vale  a  dire  allorché  il  termometro  da  alti  edifizi  sia 
difeso  dall'  azione  diretta  della  luce. 

In  quarto  luogo  questa  differenza  è  anche  mag- 
giore ove  nella  stessa  ora  si  esplorino  due  termome- 
tri, l'uno  al  mezzodì,  l'altro  a  tramontana,  posti  all' 
ombra. 

Quinto  ,  se  il  termometro  sarà  in  prossimità  a 
qualche  muro  o  fabbricato  parteciperà  del  grado  di 
temperatura  di  questo,  e  differirà  da  altro  che  ne  fos- 
se lontano. 


Intermittenti  perniciose  75 

Sesto,  in  ogni  caso  è  mestieri  che  il  termome- 
tro non  possa  ricevere  sopra  di  se  i  raggi  della  luce 
riflessa,  i  quali  innalzerebbero  la  sua  graduazione. 

In  settimo  luogo,  il  termometro  posto  nella  vetta 
di  un  colle  colla  fedele  osservanza  delle  suddette  con- 
dizioni, segna  la  temperatura  più  bassa  nelle  ore  del 
giorno  confrontato  ad  altro  stabilito  ai  piedi  del  col- 
le, il  quale  riceve,  oltre  i  raggi  diretti,  anche  i  ri- 
flessi. Ma  nelle  ore  mattutine  il  termometro,  colloca- 
to ai  piedi  di  detto  colle,  si  rinviene  più  basso  del 
primo,  attesa  l'umidità  che  in  quell'ora  vi  si  trova. 
Questo  abbassamento  è  anche  maggiore,  se  l'osserva- 
zione sia  istituita  in  una  valle. 

Ottavo,  volendo  determinare  la  temperatura  at- 
mosferica di  una  provincia  per  collazionarla  colla  tem- 
peratm-a  di  altra  provincia,  oltre  le  suddette  cautele 
altra  se  ne  richiede,  in  ispecialità  nella  questione  che 
si  agita  presentemente. 

Nelle  marche  le  terre,  che  sono  bagnate  dall'a- 
driatico per  ampia  zona,  sono  più  calde  delle  terre  che 
seguono  più  in  là  nella  metà  di  detta  provincia  :  e 
queste  godono  di  una  temperatura  più  riscaldata  della 
fascia  successiva,  che  si  prolunga  sui  colli  che  appog- 
giano agli  apennini.  Di  fatto  nella  piuma  maturano 
in  antecedenza  e  meglio  i  cercali,  prima  si  raccoglie 
la  messe,  e  molti  alberi  che  in  essa  prosperano,  ma- 
le nella  seconda,  nulla  affatto  nell'ultima  fruttificano. 
Non  pertanto  evvi  a  presentare  la  seguente  eccezio- 
ne. Nelle  giornate  calde  serene  ed  estive  due  ore  prU 
ma  del  mezzodì  sorge  un  vento  di  mare  regolarmen- 
te dall'adriatico,  che  tempra  la  prima  zona,  e  tiene 
per  due  ore  la  di  lei  temperatura  più  bassa  che  nel- 
le zone  successive,  precipuamente  nella  seconda.  Que- 


76  Scienze 

sto  si  verifica  in  Fermo  dalla  parte  di  s.  Caterina  , 
in  Montusano,  in  Montegranaro,  in  Montesanto,  id, 
Recanati,  ove  il  sig.  Puccinotti  fu  medico  condotto; 
e  così  di  seguito.  Dal  che  ognun  vede  quanto  riesca 
difficile  presentare  una  cifra  approssimativa  della  me- 
dia temperatura  di  detta  provincia,  e  specialmente  nel- 
le ore  antimeridiane. 

Nelle  campagne  romane  ne'giorni  summentovati 
si  osserva  la  stessa  legge:  più  intenso  è  il  calore  lun. 
go  il  mediterraneo  per  tutto  il  corso  del  giorno.  Ma 
in  certe  ore,  cioè  nelle  vespertine,  si  solleva  un  ven- 
to di  ovest  dal  mare  che  abbassa  la  temperatura  dei 
luoghi  situati  a  molta  distanza  dal  lido,  la  quale  rie- 
sce intollerabile  agli  abitanti,  e  che  supera  l'abbassa- 
mento del  termometro  osservato  nell'  istessa  ora  in 
Roma. 

Finalmente  la  difficoltà  d'espi'imere  con  nume- 
ro quotuplo  i  gradi  di  calore  medio  delle  diverse  sta- 
gioni e  dei  divei'si  anni  incontra  nuove  difficoltà  a 
seconda  che  l'osservatore  si  colloca  in  città  più  ele- 
vata o  più  bassa.  Colui  che  avesse  posto  stanza  in 
Iesi  non  rinverrebbe  in  accordo  le  proprie  osservazio- 
ni con  quelle  di  fisico  che  avesse  sede  in  Macerata. 
Altrettanto  avverrebbe  a  due  osservatori,  il  primo  re- 
sidente in  Terni,  l'altro  in  Santogemine.  E  mestieri 
allora  d'esprimere  i  risultati  con  numero  di  approssi- 
mazione; ed  eseguir  ciò  esattamente,  trattandosi  di  va- 
sta provìncia,  non  solo  è  difficile,  ma  direi  impossi- 
bile specialmente  ad  uomo  solo  privo  di  associazione. 
Tutte  queste  considerazioni  debbono  esser  ben  fitte 
nella  mente  di  colui  che  pretende  censurare  le  mie 
ricerche,  e  che  il  sig.  Puccinotti  non  poteva  negli- 
gentare. 


Intermittenti  perniciose  77 

3i.  Venendo  ora  al  primo  dubbio  obiettatomi 
dal  sig.  Puccinotti,  se  il  termometro  possa  nel  corso 
d'  un  giorno  discendere  da  gradi  26  a  gradi  9  del 
termometro  reaumuriano,  come  io  ho  asserito  d'avere 
riscontrato:  imperciocché  per  tal  discesa  sarebbe  pas- 
sare ,  sono  sue  parole  ,  il  corpo  umano  in  poche 
ore  dal  calore  della  state  al  freddo  del  verno. 
Lo  pregherò  a  ricordarsi  che  ciò  non  solo  è  possibi- 
le, ma  quotidianamente  avviene  ogni  qualvolta  si  os- 
servi il  termometro  nelle  ore  prime  del  giorno  ali* 
ombra  ,  e  si  continui  a  tenergli  dietro  nel  mezzodì 
all'ombra,  e  quindi  contemporaneamente  al  sole.  Di 
fatto  mentre  nella  primavera  l'istromento  all'  ombra 
nella  mattina  segna  gradi  i3,  sul  mezzo  giorno  all' 
ombra  si  troverà  a  gradi  20,  e  contemporaneamente 
al  sole  salirà  a  gradi  35  e  36.  Veggasi  la  parte  IV, 
pag.  100  e  seguenti  delle  mie  ricerche,  ove  parlo  del- 
le differenze  del  calore  ombratile  e  del  solare  nelle  di- 
verse stagioni  e  giorni  dell'anno,  a  cui  l'uomo  si  tro- 
va esposto.  E  ciò  sia  detto  per  rispetto  ad  una  tale 
possibilità  assoluta,  e  fatta  astrazione  a  tutte  le  al- 
tre circostanze  del  calore  diurno  alla  durata  del  me- 
desimo, ed  alla  mancanza  dell'  umidità.  Non  dovea 
adunque  il  mio  avversario  allarmarsi  ,  e  non  si  sa- 
rebbe allarmato,  se  si  fosse  esercitato  in  questo  gene- 
re di  esperimenti.  Ma  veniamo  al  caso  concreto  con- 
tro cui  egli  ha  mosso  le  sue  obiezioni.  «  Nel  gior- 
«  no  21  agosto  1798  sul  mezzodì  il  termometro  era 
«  asceso  sopra  i  gradi  26  di  Reaumur;  si  tenne  fer- 
«  mo  a  quest'elevazione  fino  all'approssimarsi  del  tra- 
«  montar  del  sole.  Quindi  cominciò  dolcemente  a 
«  discendere,  ed  era  a  gradi  20  dopo  la  mezzanotte. 
«  Riosseryato  non  mollo  dopo,  si  ritrovò  di  aver  fat- 


78  Scienze 

»  lo  maggior  cammino  ancora,  ed  all'accostarsi  del 
»  nuovo  giorno  pervenne  frettolosamente  fino  a  gra- 
»  di  9.  In  seguito  sull'apparire  del  sole  nell'orizzon- 
»  te  ritornò  a  salire:  ed  a  seconda  che  quest'  astro 
»  sferzava  più  direttamente  co1  suoi  raggi  la  super- 
»  ficie  della  terra,  rapidamente  ascendea;  di  modo 
»  che  all'ore  12  d'Italia  già  segnava  gradi  18;  e  26 
»  poco  dopo  il  mezzodì  »  (  Parte  II  delle  mie  ricer- 
che pag.  41    e  42  )• 

Questo  taano  indicava  un  fatto  singolare.  Esa- 
miniamo con  ispirito  di  verità  e  sinceramente  tutto 
questo  passo.  Dopo  d'aver  narrato  ciò  che  io  riscon- 
trai ai  21  agosto  del  detto  anno,  così  proseguo.  «  Io 
»  non  starò  qui  a  narrare  la  mia  sorpresa.  Il  letto- 
»  re  può  immaginarsela  al  considerare  che  non  già 
»  a  gradi  7  fra  il  calore  notturno  e  diurno  di  dif- 
»  ferenza,  come  presso  a  poco  in  altri  luoghi  io  avea 
»  riscontrato;  ma  bensì  gradi  17  passavano  fra  il 
»  calore  del  giorno  e  quello  della  notte  nel  tempo 
n  che  la  perniciosa  dominava  (  idem  loco  cit.  )  »  Io 
adunque  fui  sorpreso  dalla  novità  dell'  osservazione. 
Ma  fin  dall'anno  1792  osservava  in  Orvieto  la  per- 
niciosa, e  la  ripetea  dal  raffreddamento  notturno,  come 
asserisco  nelle  pag.  35  e  36  parte  seconda  ,  di  cui 
mi  giova  riportare  l'intero  frammento.  «  Nel  1792 
»  io  mi  ritrovava  in  Orvieto  per  osservare  la  febbre 
»  perniciosa  dal  principio  della  state  fino  alla  fine 
»  dell'autunno.  Tutti  gli  infermi  dell'ospedale  rima- 
»  nevano  sotto  la  mia  direzione,  e  quasi  tutti  quelli 
»  della  città:  onde  io  poteva  contare  sulla  totalità  del 
»  numero.  Fu  secchissimo  il  luglio  di  quell'  anno, 
»  ed  affatto  priva  di  pioggia  la  prima  metà  del  mese 
»  di  agosto:  e  per  tutto  questo  tempo  non  si  vide  com 


Intermittenti  perniciose  79 

»  padre  veruna  perniciosa.  Nel  giorno  i5  di  que- 
»  st'ultimo  mese  cadde  una  pioggia  abbondante,  che 
»  dalle  ore  21  durò  fino  all'imbrunire  della  sera.  Di- 
»  sparvero  in  seguito  prontamente  le  nubi,  e  si  ras- 
»  serenò  il  cielo:  onde  calde  divennero  le  ore  me- 
»  ridiane,  e  quelle  che  il  sole  impiega  per  declina- 
»  re,  ma  fresche  le  notturne,  e  le  mattutine  dei  dì 
»  che  seguirono.  Dopo  alcuni  giorni  si  videro  appari- 
»  re  nell'ospedale  infermi  di  febbre  perniciosa,  i  qua- 
»  li  di  mano  in  mano  aumentandosi  in  numero,  tal- 
»  niente  si  moltiplicarono  in  appresso  nella  città  e 
»  nell'ospedale,  che  io  ed  altri  due  medici  eravamo 
»  incapaci  d'assisterli  interamente.  Ecco  pertanto  in 
»  una  regione,  ed  in  una  stagione  in  cui  la  perni- 
»  ciosa  suole  essere  epidemica,  mentre  esistono  tutte 
«  le  altre  cagioni,  cui  è  stata  da  tanti  autori  attri- 
»  buita,  non  riscontrarsene  però  veruna  se  non  do- 
»  pò  il  cadere  delle  piogge,  ed  a  tal  epoca  germoglia- 
»  re  frequentissima,  e  produrre  mali  infiniti.  In  ap- 
»  presso  io  rinnovai  e  confermai  le  stesse  osserva- 
»  zioni  in  altre  città  dello  stato  romano  feraci  an- 
»  ch'esse  di  tali  malattie.  La  febbre  perniciosa  com- 
»  pariva  tanto  più  prestamente,  o  tanto  più  tarda  , 
»   quanto  prima  o  dopo  cadevano  le   piogge.    » 

Dunque  a  mio  avviso,  e  di  chiunque  ha  letto 
la  mia  opera,  in  quell'epoca  io  non  attribuiva  al  gra- 
do nove  sopra  lo  zero  del  termometro  la  condizione 
necessaria  per  dare  occasione  alla  febbre  perniciosa: 
giacche  se  così  avessi  pensato  non  avrei  esternate  le 
maraviglie  sopra  un  fenomeno  che  non  sarebbe  stato 
per  me  nuovo,  allorché  la  perniciosa  dominava  ne- 
gli anni  antecedenti.  Seguitiamo  il  resto  del  paragra- 
fo a  pag.  43,  il  quale  è  stato  così  da  me  espresso. 


8o  Scienze 

»   Se  la  differenza  del  calore   diurno  e  notturno  era 
»  grandissima,  allora  numerosissime  e  gravissime   si 
0  presentavano  tali  malattie:  ma  se  questa  differen- 
»   za  era  minore  ,    allora  anche  la  perniciosa  si  ri- 
»  scontrava  più  rara  e  meno  feroce*,  e  finalmente  quan- 
»  to  prima  cessava  una  tal  differenza,  tanto  più  pre- 
»   sto  dispariva  la  perniciosa    ».  Dunque  per  le  mie 
parole  la  perniciosa  era  stata  da  me  rinvenuta  a  di- 
versi gradi  di  differenza  del  calore  notturno  col  diur- 
no. Ma  qual  era,  giusta  il  mio  avviso,  e  quanta  quel- 
la differenza  dei  suddetti  gradi  di  calore  in  cui  in- 
cominciasi a  vedere  la  perniciosa?  Io  Tavea  afferma- 
to poco  prima,  e  l'ho  quindi  ripetuto  allorché  ho  pre- 
sentalo i  prospetti  delle  differenze  di  detti  due  calo- 
ri nel  mese  d'agosto   e  nei  laterali  nell'arie  saluhri. 
Questa  differenza,  uso  le  stesse  parole,  era  di  gra- 
dì 7   circa   (pag.   4*    linea  1 1).  Dunque  la  pernicio- 
sa era  stata  da  me  rinvenuta  ogni  qualvolta  fra  il  ca- 
lore   notturno    ed  il  diurno  vi  fosse  una  differenza 
maggiore  dei  n   od  8   gradi.  Il  numero   17  di  diffe- 
renza indicava  il  maximum  da  me  segnato  in  tutto  il 
lungo  corso  delle  mie  ricerche.  Per  lo  che  a  gradi  11, 
12,   i3   ec.  del  termometro  si  dovea  rinvenire,  e  s'era 
da  me  rinvenuta,  la  perniciosa  ogni  qual  volta  lo  stes- 
so grado  di  raffreddamento  notturno  si  fosse  congiun- 
to all'umidità  atmosferica   sine  qua  ?io?i,  condizione 
affatto  indispensabile.  Con  qual  ragione  adunque,  an- 
zi con  qual  lealtà  il  sig.  Puccinotti  vuole  attribuir- 
mi il  grado  9  di  abbassamento  nella  scala  di  Reaumur 
qual  unico  e  necessario  termine  di  raffreddamento  per- 
chè possa  sorgere  la  perniciosa?  In  seguito   di  que- 
sta falsa  supposizione  egli  si  fa  poi  strada  a  parago- 
nare le  mie  osservazioni  con  quelle  di  altri  osserva- 


Intermittenti  perniciose  8i 

tori.  Questi  soli  rilievi  sono  sufficienti  a  capovolta- 
re tutto  il  suo  ragionamento.  Io  però  non  isfuggo 
questa  comparazione,  quantunque  non  necessaria  al 
nostro  caso. 

CAPITOLO  XIL 

Osservazioni  del  naturalista  Brocchi,  e  prima 
obiezione  del  sig.  Puccinotti 

32.  La  prima  di  queste  è  la  relazione  di  quat- 
tro osservazioni  istituite  dal  chiarissimo  natui'alista 
Brocchi.  Voglio  qui  trascrivere  il  passo  del  Puccinotti. 
«  Nell'anno  1818,  nel  quale  il  chiarissimo  Brocchi 
»  istituì  le  sue  esperienze  sull'aria  palustre  di  s.  Lo- 
»  renzo  fuori  delle  mura  di  Roma,  la  febbre  ende- 
»  mica  malmenò  così  fattamente  la  campagna  roma- 
»  na^  che  tra  luglio  agosto,  e  settembre  furono  ac- 
»  colti  nell'ospedale  di  sj  Spirito  intorno  a  6000  feb- 
»  bncitanti.  Le  notti  destinate  alle  sperienze  furo- 
»  no  nel  2,  4>  7>  25  settembre.  Il  chiarissimo  pro- 
»  fessore  Barlocci,  compagno  del  Brocchi,  segnava  la 
»  temperatura.  Nella  prima  notte  presa  la  media  del 
»  maggior  caldo  diurno  a  gradi  25  Reaumur,  e  aven- 
»  do  avuto  a  mezza  notte  gradi  19,  la  differenza  sa- 
»  rebbe  stata  di  6.  Nella  seconda  notte  avendo  avu- 
»  to  alla  stessa  ora  gradi  i3,  la  differenza  sarebbe  sta- 
»  ta  di  12.  Nella  terza  avendo  avuto  gradi  16,  la  dif- 
»  ferenza  sarebbe  stata  di  g.  Nella  quarta  avendo 
»  avuto  gradi  17,  la  differenza  sarebbe  stata  di  8. 
9  In  codest'  anno  adunque  non  a  Terni,  ma  ne'  sob- 
»  borghi  di  Roma  stessa,  non  si  è  mai  notata  la  dif- 
»  ferenza  stabilita  dal  Santarelli  di  gradi  16  o  17 
G.A.T.LXXXVIII.  6 


82  Scienze 

»  tra  i  calori  diurni  e  i  freddi  notturni  :  e  ciò  non 
»  ostante  la  febbre  romanesca  infieriva  massimamen- 
»  te  »  (  Opera  cit.  cap.  XXI  pag.  17  ).  E  neces- 
sario premettere  che  lo  scopo  del  naturalista  Brocchi 
era  quello  di  riconoscere,  se  nell'  atmosfera  romana, 
mentre  regna  la  perniciosa,  esista  alcun  miasma  ,  a 
cui  tal  malattia  possa  attribuirsi.  In  tal  ricerca  era 
stato  preceduto  dal  fisico  Carradori  ,  il  quale  non 
avea  potuto  scoprire  alcun  principio  settico  nelle  arie 
mal  sane  :  del  che  avea  dato  contezza  nel  giornale 
del  Brugnatelli.  Erasi  il  Brocchi  provveduto  di  alcuni 
vasi  contenenti  il  ghiaccio,  per  mezzo  de'  quali  rac- 
coglieva 1'  umidità  dell'  atmosfera  ridotta  a  fluido 
acquoso  ,  e  quindi  sottoponendola  a  diversi  cimenti 
ne  rintracciava  i  principii.  A  s.  Lorenzo  fuori  delle 
mura,  lungi  da  Roma  poco  più  di  mezzo  miglio,  si 
eseguirono  questi  tentativi.  Fia  or  bene  trascrivere 
originalmente  le  parole  di  lui. 

»  Preparati  e  riempiuti  con  questa  cautela  i  re- 
»  cipienti,  gli  esposi  all'  aria  libera  nel  campo  delle 
»  sepolture  contiguo  al  portico  della  basilica.  Ma 
»  tuttoché  questo  luogo  sia  così  chiamato,  non  sono 
»  stati  mai  ivi  sepolti  i  cadaveri  :  poiché  altrimenti 
»  non  avrei  scelto  un  sito,  da  cui  potevano  sorgere 
»  particolari  e  meramente  locali  esalazioni. 

»  Gli  esperimenti  furono  falli  nelle  giornate  2,  ! 
»  4»  7  e  25  di  settembre,  essendo  colà  rimasto  nelle 
»  tre  prime  dall'  imbrunir  della  sera  fino  a  due  ore 
»  dopo  la  mezza  notte,  e  nell'  ultima  passai  la  not- 
»  te  intera  fino  allo  spuntar  del  sole.  Ecco  le  os- 
»  sensazioni  meteorologiche  istituite  dal  sig.  Barlocci. 

a  Nella  notte  del  giorno  due  il  termometro  di 
»  Reaumur  segnò  alle  ore  dodici  gradi   19  sopra  lo 


Intermittènti  perniciose  83 

t>  zero,  e  l'igrometro  di  Sausure  gradi  gì,  7^:  cal- 
»  ma,  e  cielo  sereno.  In  quella  del  giorno  4  il  ter- 
»  mometro  fu  a  gradi  i3  ,  l'igrometro  agli  86,  18, 
»  e  1'  elettrometro  di  Sausure  indicò  elettricità  po- 
»  sitiva  dalla  divergenza  di  un  mezzo  grado ,  senza 
»  il  soccorso  dell'  addensatore  :  cielo  sereno  e  ven- 
n  ticello  di  ponente.  IN  eli'  altra  del  giorno  7  il  ter- 
»  mometro  passò  ai  gradi  i5,  l'igrometro  ai  gì,  74, 
»  1'  elettrometro  die  lievi  indizi  di  elettricità  nega- 
»  tiva  :  nubi  interrotte  e  lampi  in  distanza.  Nella 
»  notte  del  giorno  25  il  termometro  segnò  gradi  17, 
»  e  l'igrometro  86:  calma,  e  cielo  sereno  fino  all'  al- 
»  ba,  indi  pioggia  »  (  BibL  Ital.  num.  XXXV,  no- 
vembre  1818  pag.   221  ). 

33.  Facciamo  alcuni  rilievi  su  questo  passo  del 
Brocchi ,  perchè  esso  costituisce  il  principale  e  più 
valido  argomento,  con  cui  il  Puccinotti  volle  rove- 
sciare la  mia  opinione.  Le  prove  negative  nulla  va- 
gliono  contro  le  positive,  giusta  i  precetti  della  buo- 
na logica.  Con  osservazioni  di  4  notti  si  pretende  di- 
struggere le  osservazioni  di  tanti  anni  ?  Ma  vediamo 
il  valore  di  ciascuna  di  queste  osservazioni.  Nella  not- 
te del  giorno  2  il  termometro  discese  a  gradi  ig:  nel- 
la notte  del  giorno  i5  agosto  i7g8  anche  il  mio  ter- 
mometro s'abbassò  fino  ai  gradi  ig,  o  20.  Dai  pro- 
spetti da  me  presentati  nelle  mie  ricerche  parte  IV 
risulta,  che  nella  mezzanotte  anche  dei  dì  sereni  cal- 
dissimi della  state,  il  termometro  rimane  frequente- 
mente fra  il  180  e  20"  grado  fino  alla  mezza  notte, 
e  che  1'  abbassamento  successivo  non  si  avvera  che 
sull'aggiornare:  e  la  ragione  si  è,  perchè  suU'albeggiare 
del  giorno  il  raffreddamento  della  terra  si  è  fatto  mag- 
giore per  la  protrazione  della  notte,   e  per  la  soprav- 


34  Scienze 

venienza  dell'  umidità.  Se  si  fosse  accompagnato  il 
termometro  fino  al  mattino,  si  sarebbe  certamente  ri- 
trovato più  vicino  allo  zero. 

Nella  seconda  notte,  malgrado  dell'agitazione  del- 
l'atmosfera, il  sig.  Broccbi  alle  due  ore  dopo  la  mez- 
zanotte rinviene  il  termometro  a  gradi  i3.  Ognun 
vede,  che  se  l'osservazione  fosse  stata  prolungata  fino 
al  mattino  si  sarebbe  riscontrato  molto  più  al  basso. 
Non  pertanto  in  questa  notte  alla  stessa  ora  si  rinvie- 
ne di  sei  gradi  più  vicino  allo  zero  il  termometro  pa- 
ragonato all'  abbassamento  della  prima  notte.  Qual  fu 
la  cagione  di  questa  differenza  ?  Il  venticello  di  po- 
nente, che  conduceva  sopra  la  stazione  del  naturalista 
il  freddo  della  parte  marittima  della  campagna  romana. 

Nella  terza,  nubi  interrotte  e  lampi  in  distan- 
za. Vale  a  dire  era  quel  turbamento  nell'  atmosfe- 
ra ,  che  o  distrugge,  o  menoma  infinitamente  le  forze 
dei  due  coefficienti  ;  il  freddo  da  me  rinvenuto  ,  e 
l'umidità.  Ma  anche  in  questo  terzo  caso  non  si  per- 
venne ad  osservare  il  termometro  nell'  ora  del  suo 
maggiore  abbassamento,  cioè  nella  mattutina.  Nella 
quarta  il  sig.  Brocchi  dopo  la  serenità  della  notte  se- 
gna nellr  alba  pioggia. 

In  questa  notte  adunque  non  poteva  conservare 
l'atmosfera  quella  placidità  che  io  ho  sempre  richie- 
sta, e  sempre  osservata.  Queste  osservazioni  adunque 
erano  insufficienti  a  stabilire  veruna  massima  tanto  af- 
fermativa quanto  negativa.  E  di  fatto  non  se  ne  preval- 
se il  Brocchi  contro  la  mia  opinione.  E  neppure  il 
Monchini  ed  il  Folcili,  il  primo  de'quali  somministrò 
al  Brocchi  tutti  i  reattivi  nel  laboratorio  chimico  ro- 
mano per  esplorare  le  acque  raccolte  dall'  umidità,  ed 
assistè  alle  operazioni  chimiche.  Ed  il  secondo  ,    che 


Intermittenti  perniciose  85 

contemporaneamente  teneva  dietro  al  termometro  nel 
collegio  romano,  non  ne  fu  scosso,  e  non  disertò  dalla 
mia  sentenza. 

34.  Mentre  il  Brocchi  faceva  le  sue  osservazioni 
altrettante  ne  istituiva  il  prof.  Folchi,  il  quale  così  ne 
scrisse  nei  giornale  arcadico  tom.   XXXIX  pag.    i5  : 
«   Io  ho  consultato  le  tavole  metereologiche  della  spe- 
»   cola  gregoriana  del  mese   di  settembre  1818,  e  pre- 
»  osamente  di  que' giorni  ne' quali  il  Brocchi  esegui- 
»  va  1  suoi  sperimenti  sulla  mal'  aria:  ho  fatto  il  con- 
»  fronto    della  temperatura  del  mezzo    giorno  ,    con 
»  quella   della  mezzanotte  notata  da  questo  fisico,  ed 
»  ho  rilevato  una  differenza  di  i3  verso  lo  zero  del 
»   termometro  di  Reaumur  ;  e  son  ben  persuaso  che 
»   la  differenza  sarà  stata  maggiore   nel  mese   prece- 
»   dente  di   agosto.  »  Di  questo  maggiore  abbassamen- 
to dobbiamo  esser  certi  pel  detto  mese.   Ma  dobbia- 
mo  essere  ancora  più  certi  di  ulteriore  abbassamen- 
to,  se   l'osservatore  avesse  esplorato  il  termometro  al- 
lo   spuntar  del  giorno. 

Inoltre  le  suddette  osservazioni  sono  state  isti- 
tuite nel  mese  di  settembre  ;  cioè  le  prime  tre  nei 
primi  gmrni  2,  4,  ?j  e  la  quarta  nel  giorno  25  del- 
lo stesso  mese.  Ma  egli  è  certo  per  le  mie  tavole 
metereologiche,  che  in  detto  mese  la  differenza  del 
calore  diurno  relativamente  al  notturno  è  molto  mi- 
noie  di  quella  che  si  riscontra  costantemente  ne' mesi 
di  luglio  ed  agosto,  mesi  pericolosi  ed  infami,  giusta 
il  consentimento  di  tutti  gli  scrittori,  e  di  tutte  le  po- 
polazioni delle  campagne  romane.  Ancora  un'  altra 
considerazione.  Le  osservazioni  dal  sig.  Brocchi  isti- 
tuite si  eseguirono  nel  campo  delle  sepolture  con- 
tiguo al  portico  della  basilica  di  s.  Lorenzo.  Ora  pò- 


86  Scienze 

teva  il  termometro  non  risentirsi  della  temperatura 
di  quel  fabbricato  ?  Volendo  rilevare  il  grado  del  ca- 
lore dell'  atmosfera  era  mestieri  allontanarsene.  Non 
lo  fece  il  Brocchi  perchè  le  sue  ricerche  a  rinvenirlo 
non  erano  dirette. 

Non  negligentiamo  un  importantissimo  riflesso. 
I  malati  ricevuti  nelP  ospedale  di  s.  Spirito  provenir 
vano  tutti  dal  luogo  ove  il  Brocchi  si  era  colloca- 
to ?  Essi  derivavano  da  tutta  la  campagna  romana, 
Si  sa  che  il  maggior  numero  ed  i  più  gravemente 
infermi  sono  somministrati  da  quella  parte  ch'è  più 
vicina  al  mediterraneo  ,  dove  l'umidità  è  maggiore  , 
ed  il  freddo  matti.) lino  insoffribile.  Se  in  questa  par- 
te,  nei  giorni  del  maggior  affollamento  degli  infermi, 
nelle  ore  mattutine  fosse  stato  consultato  il  termo- 
metro ,  non  possiamo  dubitare  che  quest'istrumento 
avrebbe  presentato  le  differenze  da  me  notate  ;  im- 
perciocché le  condizioni  atmosferiche  di  quei  luoghi 
s'avvicinano  moltissimo  a  quelle  di  Terni,  in  cui  io 
istituii  le  mie  ricerche. 

35,  Concludiamo  colla  maggior  buona  fede,  ed 
appoggiati  a  logica  severa  ,  che  le  osservazioni  del 
Brocchi  non  si  oppongono  alle  mie:  anziché  esse,  per 
quanto  lo  permettono  il  mese,  il  giorno,  le  ore,  nel- 
le quali  furono  eseguite,  in  qualche  modo  assodano 
quanto  da  me  è  stato  stabilito.  Volere  con  esse  op- 
pugnare la  mia  sentenza,  è  un  mancare  d'analisi  ri- 
gorosa, e  prevalersi  d'erronea  induzione.  Il  Puccinotti 
avrebbe  potuto  recarsi  nei  mesi  di  luglio  ed  agosto 
nei  luoghi,  ne'quali  gli  uomini  venivano  colpiti  dalla 
perniciosa  ,  e  ripetere  le  mie  osservazioni  nelle  ore 
da  me  accusate,  per  poter  trarne  legittima  conseguen- 
za, o  a  conferma,  o  ad  esclusione  di  quanto  io  ho 


Intermittenti  perniciose  87 

scrìtto.  Allora  sì  il  suo  argomento  non  sarebbe  sta- 
to antilogico. 

CAPITOLO  XIII. 

Osservazioni  di  Folchi  e  di  De  Crollis 
che  sussidiano  la  mia  teorica. 

36.  Abbenchè  le  considerazioni  esposte  fin  qui 
sieno  bastanti  a  respingere  l'obiezione  del  sig.  Puc- 
cinotti  ,  e  che  quindi  io  potrei  passare  innanzi  ad 
esaminare  le  successive  :  non  pertanto  esse  mi  chia- 
mano ad  aggiungere  qualche  nuovo  fatto  confermati- 
vo della  mia  dottrina.  Il  primo  di  questi  fatti  mi 
viene  somministrato  dal  dottissimo  Folchi.  Riferisco 
le  di  lui  parole  :  «  Una  state  uniformemente  calda 
»  e  secca  è  la  più  scarsa  di  febbri;  e  la  più  ferace 
»  è  quella  in  cui  vanno  cadendo  le  piogge,  e  suc- 
»  cedono  vicende  di  temperatura  nell'  atmosfera.  Que- 
»  sto  fatto  non  avea  bisogno  di  ulteriore  conferma, 
»  perchè  osservato  più  volte,  e  generalmente  ricono- 
»  sciuto  dai  pratici  romani  ;  pur  tuttavia  è  bene  sa- 
»  pere,  che  dal  1826  in  qua  abbiamo  avuto  maggior 
»  numero  di  febbricitanti  ,  e  si  sono  dovute  aprire 
»  nuove  sale  in  s.  Spirito,  essendo  cessata  nei  mesi 
»  estivi  quella  siccità,  che  dominato  avea  nei  cinque 
»  anni  precedenti  »  (  Giornale  Arcadico  To.  XXXIV 
pag.   14). 

Io  raccomando  a  lettori  imparziali  di  leggere 
tutt'  intera  la  memoria  del  prof.  Folchi  ;  impercioc- 
ché troveranno  in  essa  nuovi  fatti  ,  ed  ulteriori  os- 
servazioni confermative  della  mia  sentenza. 

37.  L'elegante  e  giudizioso  dottor  De  Crollis  ne' 


88  Scienze 

suoi  ragionamenti,   alla  parte  2.a  del  3.°  pag.  io,  di- 
ceva:  «    L'improvviso  freddo,  aiutalo  forse  dalla  cra- 
»   pula  e  dal  disordinato  vivere,  è  la  vera  cagione  , 
»  onde  così  spesso  qui   (  in  Roma  )   nell'autunno   si 
»   cade  infermi.    »   E  volendo  egli   suggerire  il  riparo 
a  queste  malattie,  scriveva  nella    pag.   9  della  stessa 
opera  (toc.  cit.):   «    Se  in  ciascuno  di  questi  (luoghi) 
»  formeranno  un  rustico  albergo  ,  dove  nel  piovoso 
»   tempo  e  nel    freddo    della  notte  i  loro  lavoratori 
»   possano  ripararsi;  se  li  provvederanno  di  grossi  pan- 
»   ni  che  dall'improvviso  freddo  li  difendano,  più  non 
»  vedranno  a  molti  di  quei  meschini  nel  vigor  della 
»  febbre  cader  di  mano  la  falce;  più  non  vedranno 
»  sparirne  molti,  condotti  negli  spedali  con  grave  dan- 
»>  no  delle  loro  incolte.   »  Ma  è  indispensabile  a  co- 
lui che  ama  istruirsi  del  nostro  argomento  leggere  tutt' 
intera  la  suddetta  opera  pubblicata  nel  i834  e  1 836 
per  i  tipi  del  Boulzaler.   Il  diligente  autore  va  ricer- 
cando tutte  le  contrade  di  Roma  ed  i  luoghi  vicini; 
e  le  rinviene  tanto  più  pestilenti  ,   quanto  maggior- 
mente umidi  e  freddi  nelle  ore  notturne,  e  caldi  nel- 
le diurne. 

38.  Alle  suddette  testimonianze  non  posso  a  me- 
no di  non  aggiungerne  altra  di  non  minor  peso.  Men- 
tre il  maggior  numero  degli  infermi  ricevuti  in  s.  Spi- 
rito sono  somministrati  dalle  vicinanze  dei  fiumi,  dei 
laghi  e  del  mare;  quest'infelici  mettono  querele  con- 
tro il  freddo  notturno,  e  più  fortemente  contro  il  fred^ 
do  delle  ore  mattutine.  I  men  disagiati  dormono  entro 
baracche,  le  cui  pareti  sono  di  lenzuola;  altri  si  ag- 
grottano al  ridosso  degli  acervi  formati  dalle  mietu- 
te biade.  Alcuni  di  essi  ,  volendo  esprimere  il  raf- 
freddamento dell'atmosfera,  mi  dicevano  che  gli  steli 


Intermittenti  perniciose  89 

del  frumento,  allorché  all'incominciar  dell'  opera  da 
essi  si  abbrancavano,  eccitavano  nelle  loro  mani  la  sen- 
sazione della  brina.  Uso  le  loro  parole.  Ed  intanto 
seminudo  nel  giorno  aveano  esposto  il  loro  corpo  ai 
raggi  solari.  E  qual'è  f gli  il  grado  di  calore  in  cui 
si  trovavano  immersi  per  tante  ore  ?  36  e  4°  della 
scala  di  Reaumur. 

3 9.  Nelle  mie  ricerche  sulla  causa  della  febbre 
perniciosa  io  avea  affermato,  che  il  calore  ombratile 
de'giorni  estivi  era  di  gr.  25  circa  sulle  ore  del  mez- 
zodì ne'luoghi  feraci  di  tal  malattia.  Ma  in  altra  par- 
te della  mia  detta  opera  io  aveva  fatto  parola  del  ca- 
lore solare  corrispondente  all'ombratile  nelle  varie  sta- 
gioni dell'anno,  come  di  sopra  ho  riferito.  Parlando 
poi  della  state  io  avea  affermato,  che  essendo  il  ca- 
lore ombratile  a  gr.  21  nelle  ore  meridiane  e  ne' 
luoghi  salubri  ,  nelle  stesse  ore  esso  saliva  a  gr.  36 
del  termometro  di  Reaumur.  Questo  rapporto  non 
poteva  venire  dimenticato  da  qualsivoglia  scrittore  che 
di  tali  cose  discorrere  volesse.  Dopo  ciò  potrà  do- 
mandarsi, qual  sia  la  maggior  differenza  de' calori  not- 
turni e  diurni  nelle  nostre  regioni  :  se  questa  possa 
giungere  a  gradi  17;  e  se  questa  differenza,  dall'umi- 
dità dell'atmosfera  resa  più  intensa,  e  più  sottraente 
il  calore  animale  J  possa  recar  nocumento  a  quegli  in- 
felici che  ne  debbono  risentire  l'azione  ?  Allorché  10 
mi  occupai  della  mia  questione,  non  mi  rinserrai  già 
in  un  gabinetto;  ma  percorsi  le  contrade  ed  i  luo- 
ghi pestilenti,  perchè  mio  scopo  era  rinvenire  il  vero. 


90  Scienze 

CAPITOLO  XIV. 

Seconda  obiezione  del  Puccinotti. 

4o.  Il  secondo  argomento  logico  del  sig.  Puc- 
cinotti è  stato  da  esso  così  esposto:  «  Finalmente  tra 
»  vari  medici  delle  città  della  provincia  di  Roma  af- 
»  fetti  dalla  stessa  febbre  ,  che  per  alcuni  anni  mi 
»  sono  stati  cortesi  di  loro  notizie  su  coteste  diffe- 
»  renze  di  temperatura,  nessuno  è  giunto  mai  a  ve- 
»  rificare  i  gradi  santarelliani   »    (  idem  loc.   cit.  ). 

4i.  Qui  il  sig.  Puccinotti  produce  la  testimo- 
nianza di  medici  ignoti,  e,  quel  che  è  peggio,  affetti 
dalla  perniciosa,  cioè  incapaci  in  tale  stato  di  osserva- 
re. In  questione  così  grave  non  si  potevano  omettere  i 
nomi  degli  osservatori,  e  tanto  più  perchè  si  trattava 
di  distruggere  le  osservazioni  dei  più  dotti  medici  ro- 
mani, Monchini,  Folcili,  De  Crollis,  tutti  seguaci  del- 
la mia  opinione.  E  dove  si  ritrovavano  que'  medici 
fisici  indagatori  della  natura  ?  Mi  permetta  il  sig.  Puc- 
cinotti di  rispondergli,  che  io  soia  persuaso  non  ave- 
re eglino  mai  esistito.  Qui  non  posso  accordare  ad 
esso  quella  cortesia,  che  egli  vanta  aver  ritrovata  da 
quei  sognati  medici.  Molti  pratici  ,  a  vero  dire,  so- 
no già  33  anni  allorché  la  mia  opera  si  pubblicava, 
mi  dichiaravano  uniformarsi  al  mio  sentimento.  Non 
disprezzai  il  loro  assenso,  ma  non  mi  parve  di  tale 
autorità  da  produrlo  al  pubblico.  Diano  alla  luce  i 
corrispondenti  del  Puccinotti  le  tavole  delle  loro  os- 
servazioni, nelle  quali  siano  controsegnati  gli  anni, 
1  mesi,  i  giorni,  le  ore,  le  temperature.  L'esamine- 
remo allora  scrupolosamente;  la  verità  sarà  il  guider- 
done delle  nostre  indagini. 


Intermittenti  perniciose  gì 

Pone  poi  il  Puccinotti  termine  a  questa  sua  ma- 
niera di  ragionare  col  seguente  racconto:  a  Uno  de' 
»  più  distinti  tra  questi,  il  dottor  Sorgoni  medico  a 
»  Narni,  luogo  prossimo  ali1  osservatorio  del  Santa- 
»  relli,  scrivevami  (4  luglio  i833  ),  che  un  illustre 
»  fisico  della  sua  città  avea  tenuto  conto  per  i5  an- 
»  ni  delle  variazioni  termometriche  de'mesi  d'agosto 
»  e  settembre,  durante  il  corso  delle  febbri.  In  tutto 
»  questo  periodo  di  tempo,  la  differenza  della  tem- 
»  peratura  atmosferica  tra  le  ore  diurne  e  le  not- 
»  turne  è  slata  per  ordinario  di  gr.  7  di  Reaumur, 
»  ed  in  qualche  raro  caso  di  gr.  io  ;  imperciocché 
»  ordinariamente  ne'mesi  di  agosto  e  settembre,  os- 
»  servato  il  termometro  nella  mezza  notte,  si  notò  se» 
»  gnare  gr.  i5,  nel  mezzo  giorno  gr.  22;  ed  in  al- 
»  cuni  dì  anche  il  grado  25,  ne  mai  si  è  osservato 
»  attingere  grado  alcuno  sotto  il  i5  nelle  notti  de' 
»  suddetti  mesi   »   (Idem  loc.  cit.  pag.   77). 

42.  Prima  di  esaminare  1'  autenticità  di  queste 
osservazioni  facciamoci  a  riconoscere  le  circostanze 
delle  medesime.  Narni  ,  picciola  città  fabbricata  sul 
fianco  di  un  monte,  che  va  a  congiungersi  con  una 
branca  dell'  apennino,  è  a  io  miglia  di  distanza  all' 
ovest  di  Terni.  La  Nera,  fiume  proveniente  dal  som- 
mo giogo  dei  detti  monti  ,  dopo  di  aver  lambite  le 
mura  di  questa  ultima  città  placidamente  fluisce  ri- 
stretta in  angusto  alveo  nel  piano  sottoposto  a  Nar- 
ni. Per  lo  che,  mentre  questo  piano  risente  gli  effetti 
dell'  umidità  del  fiume,  la  città  in  eminentissimo  luo- 
go collocata  gode  di  puro  aere  ed  asciutto.  Nella  mia 
lunga  dimora  in  Terni  io  non  di  rado  era  chiamato  in 
Narni  a  visitare  infermi;  ma  non  ricordo  di  essere  mai 
stato   consultato   per  febbri   perniciose  dagli   abitanti 


92  Scienze 

dell'  interno  circondario.  Per  lo  contrario  la  città  di 
Temi  è  edificata  nel  piano,  che  si  presenta  al  viag- 
giatore dopo  che  discendendo  da  Somma  ebbe  attra- 
versata la  catena  degli  apennini,  ed  i  gioghi  de'  suc- 
cedenti colli.  Questi  colli,  rialzandosi  verso  il  nord, 
diventano  monti,  e  sono  chiamati  piedi  monti.  Dalla 
parte  del  sud  si  sollevano  anche  gli  opposti,  e  co- 
stituiscono la  montagna  delle  Marmore.  Questa  geo- 
grafica conformazione  ritiene  la  città  come  entro  cul- 
la. Intanto  la  Nera,  dopo  aver  ricevuto  il  Velino  a 
tre  miglia  di  distanza  verso  1'  est  fra  monti  e  sco- 
gli, viene  a  bagnare  le  mura  di  Terni  per  tutta  la 
di  lei  lunghezza  dall'  est  all'  ovest.  Qui  il  fiume  vien 
diviso  in  più  canali,  che  servono  ad  esercitare  tren- 
tasei pistrini  d'olio,  ed  ad  inaffiare  le  terre.  Umido 
quindi  è  il  suolo  di  Terni  per  queste  condizioni  ;  e 
maggiormente  umido  ancora,  perchè  la  gran  cataratta 
del  Velino,  la  più  alta  del  globo  terrestre,  cadendo  a 
piombo  sulla  Nera  in  forma  di  gigantesca  e  biana  co- 
lonna, umida  rende  la  vallata,  in  cui  succede  la  lo- 
ro congiunzione  ;  ed  iride  perpetua,  allorché  il  sole 
non  si  elevò  tanto  alto,  ne'giorni  sereni  corona  il 
capo  di  essa.  Umido  è  l'aere  circostante.  Spalleggia- 
to da  due  opposti  monti  e  colli,  e  ricevuto  dalla  Nera 
nella  sua  precipitosa  discesa  fino  a  Terni,  conduce 
in  questa  città  nuovi  acquosi  vapori.  Colui  che  stra- 
niero si  avvicina  alla  città  di  Terni,  anche  nel  caldo 
estate  e  ne'  dì  sereni,  non  riesce  a  discoprirla  col- 
l'occhio,  perchè  coperta  da  intenso  vapore.  Penetrato 
in  essa  nelle  ore  notturne,  sperimenta  molesta  sensa- 
zione alla  cute  di  umidità,  che  lo  invita  a  difendersi 
con  maggiori  vestimenta.  Niun  vento  può  agevolmente 
penetrare  nella  città  a   nettarla  dalla  sua  umidità,  in 


Intermittenti  perniciose  g3 

fuori  del  vento  d'ovest  ;  ma  i  soffi  di  questo  vento 
incontrandosi  coll'opposta  Nera  ne  rispingono   indie- 
tro i  vapori,   e    li  versano  nella   città   e  valle  terna- 
na. Ora  doveasi  ragionevolmente  di  buona  fede  porsi 
a  confronto  l'atmosfera  narnese  con  la  ternana  ?  Que~ 
sto   è   quello  che   ha   preteso  suggerire   il  sig.  Pucci- 
notti  con   le  parole,  parlando  di  Narni,  luogo  pros- 
simo aW  osservatorio  del  Santarelli;  cioè,  io  sog- 
giungo, distante  miglia    io   mediante    larga  pianura. 
Non  solo   Narni,  ma  Strongone,  Cesi,  Santogemine, 
Collescipoli  ec,  posti  in  colli  eminenti,  godono  aria 
salubre,  mentre    ne'  loro  piani  sottoposti  bagnati  dalla 
Nera  germoglia    non  rara   la  perniciosa.  Si  conduca 
il  sig.   Puccinotti  in  Terni,   ponga  ivi  stanza  per  più 
anni ,  ripeta  le  mie  osservazioni  ,   e  successivamente 
le  collazioni  colle  sue.  Sappia  intanto  che  il  mio  do- 
micilio era  a  i5o  passi  dall'  alveo  del  fiume,  e  nel- 
la casa  dei  sigg.  Censi.  Ritorniamo  al  fisico  narnese. 
Egli,  per  quanto  scrive  il  sig.  Puccinotti,  istituì   le 
osservazioni  nella  mezza  notte,  nel  mezzo  giorno, 
e  ne  segnò  le  differenze,  le  quali  furono  ordinaria- 
mente di  sette  gradi,   ed  in  qualche  raro  caso  di  gra- 
di io  ;   né  mai  osservò    attingere    grado    alcuno 
sotto  il  i5  nelle  notti  dei  suddetti  mesi.  I  miei  pro- 
spetti   presentano   eguali    risultati   ne'  luoghi  asciutti 
per    la    provincia  del  Piceno    nella    mezzanotte  ;  di 
modo  che  non  sarebbe  sospetto  ardito  l'opinare,  che 
da'  miei  risultati  sia  stata  espilata  una  tale  relazione. 
Ma  qui  trattasi  non  già  della  mezzanotte  ,  ma  dell' 
albeggiar  del  giorno.  Può  essere  anche  minore  la  dif- 
ferenza del  calore  meridiano    posto  a   confronto  con 
quello  della  mezzanotte.  E  che?  per  questo  sarà  for- 
se legittima  conseguenza  affermare  altrettanto  dell'  ore 


g4  Scienze 

mattutine?  Dal  che  risulta  che  il  mentito  illustre  fi- 
sico narnese  volendo  infrapporsi  nella  soluzione  del 
problema,  di  cui  io  mi  era  occupato,  ha  errato  per 
quindici  anni  nella  scelta  del  luogo  e  del  tempo. 
Ma  è  poi  vera  l'esistenza  di  questo  fisico  in  Narni  ? 
Perchè  non  farne  conoscere  il  nome  ?  In  contesta- 
zione di  fatto,  a  testimonio  che  si  presenta  allo  sco- 
perto come  son  io,  può  contrapporsi  testimonio  occul- 
to e  velato  ?  Ho  cercato  io  di  supplire  a  questa  de- 
ficienza. Ho  scritto  e  fatto  scrivere  in  Narni  per  ria-- 
tracciare  codesto  illustre  fisico,  che  riposa  sulla  fede 
di  Puccinotti  e  di  Sorgoni  ;  e  non  mi  è  riuscito  di 
rinvenirlo.  Finalmente  mi  son  diretto  all'  autorità  lo- 
cale: ed  ecco  ciò  che  il  sig.  Francesco  marchese  E- 
roli  gonfaloniere  attuale,  personaggio  di  altissima  sti- 
ma, mi  scrive  con  sua  lettera  dei  22  ottobre  184.0: 
«  E  vero  che  il  sig.  dottor  Sorgoni  ha  esercitato  in 
»  questa  città  la  medicina  in  qualità  di  medico  com- 
»  primario  condotto,  e  riscosse  un  qualche  credito. 
»  Mi  è  ignoto  però  che  esso  con  altro  dotto  fisico 
»  si  esercitasse  in  termometriche  osservazioni  diur- 
»  ne  e  notturne  ,  giacché  su  ciò  non  ne  ho  sentito 
»  fare  parola  da  alcuno.    » 

In  quanto  alla  qualifica  di  medico  distinto,  pro- 
fusa generosamente  dal  sig.  Puccinotti  al  suo  corri- 
spondente, io  mi  conterrò  per  ora  nel  più  profondo 
silenzio.  Ma  se  codesto  leale  corrispondente  venisse 
provocato  a  dichiarare  il  nome  del  sapiente  fisico,  che 
per  i5  anni  tenne  dietro  alle  variazioni  termome- 
triche  in  Narni  ;  si  può  scommettere  cento  contro 
uno,  che  egli  si  troverebbe  nella  necessità  di  nomi- 
nare o  testimone  morto,  o  anche  peggiore.  Né  que- 
sta mia  affermazione  è  vana,  ma  sorge  da  conoscen- 


Intermittenti  perniciose  g5 

za  Je'personaggi  venuti  in  iscena  a  figurare  in  argo- 
mento che  eglino  non  conoscono. 

CAPITOLO  XV. 

Osservazioni  del  sìg.  Puccinotti. 

44-  Malgrado  della  voglia  del  sig.  Puccinotti  di 
offendermi,  giusta  la  sua  consuetudine  che  non  rispar- 
miò evocare  dal  regno  de'  morti  l1  ombra  di  ftasori  , 
egli  si  avvide  che  l'osservazione  del  Brocchi,  non  de- 
stinata a  rintracciare  i  calori  notturni,  è  soltanto  ac- 
cessoria in  tempi  non  opportuni  ;  e  che  le  testimo- 
nianze d'ignoti  medici  e  d'un  fisico  anonimo  non  basta- 
vano a  cancellare  i  risultati  d'osservazioni   che    pre- 
sentavansi  in  accordo  colla  teoria  del  moto  della  ter- 
ra  e    colle  leggi    meteorologiche  ,   e  che  erano   state 
confermate  da  medici  dottissimi  e  di  fede  degni.   Si 
decise  di  comparire  egli  stesso,  e  così  rinvenire  luo- 
go e  tempo  aventi  forme  atte  alla  questione  che  agi- 
tava. Avrebbe  potuto,  dopo  sì  numerosi  anni  trascorsi 
dalla  pubblicazione  delle  mie  ricerche  a  quella  della 
sua  opera,  ripetere  egli  stesso  le  mie  indagini,  o  in- 
vitare dotti  medici  ad  eseguire    altrettanto.    Le    ope- 
re però  di  Monchini,  di  Folcili,  di  De   Crollis,  che 
successivamente  si  venivano  pubblicando   tutte    con- 
fermative della  mia  sentenza,  lo  ammaestravano  bastan- 
temente di  non  potersi  attendere  da  ulteriori    nuovi 
cimenti  i  risultamenti  da  esso  desiderati.  Avrebbe   po- 
tuto dopo  il  Brocchi,  cioè  negli  anni   1B19,  20,21, 
nei  quali  dimorò  in  Roma,  e  ne'  quali  infierì  la  per- 
niciosa, tener  dietro  al  termometro  reaurnuriano:  ma 
in  quegli  stessi    anni  il  prof.    Folchi  si  occupava   e 


96  S    d    I    E    N    {    C 

scriveva  di   questo    argomento  ,  e  forse    contempora- 
neamente altri  fisici  e  medici  ripetevano  le  mie  os- 
servazioni. Nella  tema  di  ritrovarsi  in  contraddizione 
con  questi,  respinse  un'occasione  tanto  opportuna  per 
lo  scioglimento  della  questione.  Non  gli  era  permes- 
so   rintracciare    tertimonianze  nel    1817  ,  perchè   in 
quell'anno  e  negli  anni  antecedenti  la  perniciosa  non 
si  fece  vedere.  Si  trovò  dunque  nella  necessità  di  ri- 
correre all'anno   18 18,  anticipando  le  sue  osservazio- 
ni di  un  mese  a  quello  in  cui  il  Brocchi  ed  il  Fol- 
cili tenevano  dietro  al  mercurio.  Il  Folcili  avea  per 
tutto  quel  settembre  ritrovato  il  mercurio  a   i3  gra- 
di verso  lo  zero,  quand'anche  non  avesse  prolungato 
le  sue  osservazioni  che  alla  mezzanotte;  ed  avea  di- 
chiarato persuadersi  che  pel  mese  antecedente  ,  cioè 
per  l'agosto,  sarebbe  stato  rinvenuto  più  vicino  allo 
zero.  Da  Roma  adunque  era  mestieri  sottrarsi  e  con- 
dursi ad  altro  luogo   scevro  da  contestazioni.    Se  ne 
venne  egli  in  Ferentino  di  Campagna,  e  così  ci  de- 
scrive i  suoi  ritrovati  :   «    Tra  il  finir  dell'agosto  ed 
»  il  principio  di  settembre  la  massima  differenza  che 
»  io  notassi  tra  il  calore  de'giorni,  ed  i  freddi  della 
»  mezzanotte  ed  i  mattutini,  non  giunse  mai  al  di 
»   sopra  di  gradi  dieci  di  Reaumur    »   (  Storia    delle 
febbri  intermittenti  §.  32,  cap.  XXI,  pag.   76  ). 

45.  Qui  mi  conceda  il  mio  avversario  ,  che  io 
alle  sue  preferisca  le  osservazioni  del  dotto  ed  inge- 
nuo prof.  Folcili.  Ma  il  luogo  prescelto  dal  sig.  Puc- 
cinotti  era  egli  atto  a  sciogliere  il  problema?  Feren- 
tino è  edificato  sopra  ameno  ed  elevato  colle;  e  noi 
abbiamo  suggerito,  che  le  città  in  tal  modo  collocate 
sono  esenti  dalla  perniciosa,  abbenchè  il  piano  ne  sia 
ingombro;  come  in  Strongone,  in  Collescipoli,  in  San- 


Intermittenti  perniciose  97 

togemlne  ec.  Splendidissimo  esempio  mi  suggerisce  il 
suolo  di  Farfa,  fertilissimo  più  che  altro  mai  di  per- 
niciose. Gli  abitanti  dimorano  nel  corso  dell'anno  nel- 
le sottoposte  campagne:  ma  appena  si  avvicina  il  tem- 
po delle  perniciose,  tutti  salgono  nella  città  ;  ed  in 
essa  si  riparano  dalla  febbre.  Nei  piani  sottoposti  a 
Ferentino  dovea  condursi  il  nostro  avversario,  ed  al- 
lora avrebbe  per  lo  meno  ritrovato  la  possibilità  di 
raccogliere  osservazioni  comparabili  colle  mie  e  con 
quelle  degli  scrittori  sopraccennati  ;  imperciocché  da 
quei  piani  dovevano  provenire  gì'  individui  infermi. 
Questi  leggeri  cenni  fan  diffidare  assai  sull'esattezza  e 
corrispondenza  dell'asserto  del  Puccinotti  colla  natura 
delle  cose.  In  quanto  a  me,  tengo  per  nullo  quanto 
egli  ha  scritto.  La  testimonianza  d'  uomo  prevenuto 
non  può  contrabilanciare  quella  di  tanti  professori 
dotti  e  veritieri  e  spogli  di  basse  passioni.  Una  osser- 
vazione passeggiera  non  può  contrastare  fatti  nume- 
rosi e  per  più  anni  ripetuti.  Intanto  mi  giova  chia- 
mare 1'  attenzione  del  lettore  su  di  una  espressione 
del  Puccinotti.  Scrive  egli  che  il  Folchi  rinvenne  il 
termometro  abbassato  verso  lo  zero,  partendo  dal  ca- 
lore meridiano  per  gradi  12,  ed  anche  i3.  Perchè 
questa  infedele  inesattezza  ?  Folchi  lo  ha  rinvenuto 
al  grado  i3  assolutamente:  ed  ha  reputato  esser  di- 
sceso nel  mese  anteriore  più  bassamente,  come  costa 
dal  suo  passaggio  da  noi  di  sopra  riferito.  Allorché 
parleremo  degli  esperimenti  istituiti  dal  Brocchi  per 
rinvenire  il  miasma  pernicioso,  e  riferiti  dal  Puccinot- 
ti, ci  si  presenterà  una  prova  ineluttabile  della  sua 
meschina  lealtà.  Ciò  basta  per  chi  sinceramente  ricer- 
ca il  vero. 

46.  Si  era  obbligato  il    sig.  Puccinotti  di  mo- 
G.A.T.LXXXVIII.  7 


9B  Scienze 

strare:  primo,  che  può  esistere  epidemica  la  pernicio- 
sa senza  abbassamento  del  termometro  ai  gradi  da  lui 
richiesti  :  in  secondo  luogo  di  mostrare,  che  può  esi- 
stere 1'  abbassamento  di  termometro  ai  gradi  da  me 
rinvenuti  senza  comparsa  di  perniciosa.  In  quanto  al- 
la prima  parte,  mi  persuado  di  aver  fatto  conoscere, 
ehe  le  prove  di  lui  ,  o  non  sono  sufficienti  al  pro- 
posto suo  scopo,  o  sono  false,  e  mancanti  d'autori- 
tà. Ci  rimane  dunque  ad  esaminare  la  seconda  par- 
te del  logico   di  lui  argomento. 

CAPITOLO  XVI. 

Continuazione  dello  stesso  esame. 

47-  Due  sono  le  osservazioni  dal  Puccinotti 
prodotte.  La  prima  fu  da  esso  eseguita  nella  vetta 
del  monte  di  Trisulli  ,  ove  si  trattenne  tre  giorni. 
«  In  uno  di  questi  tra  il  calore  meridiano,  e  quello 
»  dell'  alba  notai  una  differenza  di  gr.  i3.  »  (Cap. 
XXI  pag.  78  op.  cit.  ).  Sono  sue  parole.  La  secon- 
da ebbe  luogo  in  Urbino.  Riportiamo  il  passo  inte- 
ro: «  Pesaro  e  Urbino  mi  hanno  offerto  la  medesima 
»  osservazione.  Pesaro,  situato  in  bassa  pianura  sul 
»  littorale  adriatico,  già  una  volta  molestato  da  feb- 
»  brili  endemie  perchè  palustre,  oggi  risanato  in  gran 
»  parte  ,  non  lo  è  tanto  che  ogni  anno  d1  estate  e 
i>  d'autunno  non  presenti  parecchi  esempi  di  fèbbri 
»  miasmatiche  :  ora  in  Pesaro  tra  l'agosto  ed  il  set- 
»  tembre  del  182/j.  io  non  notai  una  differenza  ter- 
»  mometrica  tra  il  giorno  e  le  notti  maggiore  dei 
»  9  gradi.  In  Urbino,  dove  l'aere  purissimo  rende  af- 
»  fatto  sconosciute  le  febbri  di  mefitismo,  nello  stes- 


Intermittenti  perniciose  gg 

»  so  anno  nel  dì  12,  16,  e  24  «1'  agosto  tra  i  ca- 
»  lori  asciutti  ed  eccessivi  del  mezzo  giorno  ,  ed  i 
»  freddi  dell'  alba  susseguente,  il  termometro  mi  at- 
»  tinse  i  gradi  12,  ed  anche  i3  di  differenza.  »  (Id. 
loc.  cit.  ) 

E  veramente  cosa  maravigliosa  che  il  fisico  di 
Narni,  non  avendo  in  i5  anni  osservato  mai  il  ter- 
mometro disceso  nella  notte  più  in  là  di  gradi  sette, 
ed  alcune  rare  volte  di  gradi  dieci,  il  sig.  Puccinot- 
ti  in  una  rapida  escursione  eseguita  a  Trisulti  ed  Ur- 
bino lo  abbia  ritrovato  a  gradi  tredici.  Non  è  que- 
sto un  fatto  escogitato?  Pure  liberamente  voglio  am- 
metterlo, 

48.  Qui  debbo  ricordargli,  che  a  tre  condizio- 
ni fisiche  io  ascrivea  la  genesi  della  febbre  pernicio- 
sa a  calori  lunghi  e  prolungali  di  molti  giorni  ,  ed 
elevati  a  certo  grado  di  altezza,  come  25,  26  ed  an- 
che più,  seguiti  da  freddi  mattutini  indicati  dalla  di- 
scesa del  termometro  a  gradi  12  e  i3,  ed  anche  più, 
in  alcuni  casi  accompagnati  poi  da  umidità  formata- 
si nelle  ore  notturne,  e  pervenuta  alla  maggiore  in- 
tensità nelle  ore  mattutine.  Ne'  due  così  sopraccen- 
nati per  di  lui  confessione  mancava  quest'ultimo  ele- 
mento, il  quale  è  di  tanta  forza,  che  non  esistendo, 
la  febbre  perniciosa  non  può  generarsi.  Io  mostrai 
quanto  sia  grande  e  rapida  la  sottrazione  del  calo- 
re animale  nella  superficie  del  corpo  operata  dall'u- 
midità, 

49.  Che  un  freddo  asciutto  delle  ore  notturne,  suc- 
cedaneo al  calore  del  mezzo  giorno,  con  forte  abbas- 
samento del  calorico  potesse  incontrarsi  in  diverse 
stagioni  ed  in  vari  giorni,  io  non  solo  lo  avevo  ri- 
conosciuto, ma  ne  avevo  presentato  il  prospetto  gè- 


100  S    C    I    E    IT    Z    K 

aerale  per    le  mie  osservazioni.    Nella  parte  quarta* 
pag.   ioo  e  seguenti,  avevo  anche  fatto  riflettere  che 
il  calore  solare  si  rinviene  a  gradi  3 7;  mentre  l'om- 
bratile è  a  gradi  21    sulle  ore  del  mezzo  dì,   ed  a 
i3   su  quel  torno  nelle  ore  notturne,  senza  che  per 
questo  ne  sorga  la  perniciosa  nelle  regioni  prive  d'u- 
midità. E  qual  è  quell'uomo,  che  a  tali  passaggi  non- 
si  trevi  esposto  frequentissime  volte?  Allorché  si  vuo- 
le sciogliere   un   problema,  non  si  deve  trascurare  al- 
cuno dei    dati    coi    quali     esso  è  presentato.    Nella 
nostra   questione,  calore  sommo  in  istagione  caldissi- 
ma e  prolungato  ;  freddo  mattutino    per    1'  allunga- 
mento delle  notti  ;  maggior  freddo  operante,  come  di 
sopra  abbiamo  dichiarato,  per  la  presenza  dell'  umi- 
dità ,    mancanza  di  riparo  per    difìcienza   di  conve- 
nienti vestimenta.  Una  sola  di  queste  condizioni  ora- 
messa  ,   la  perniciosa  o  non  si  genera,  o  non   ci  of- 
fende.   Con  questo  ultimo  sussidio  poi  io  ho    potu- 
to difendermi   dalla  perniciosa  nelle  moltiplici  occa- 
sioni, nelle  quali  ho  percorso  le   regioni  che  ne  era- 
no feraci.  Rifletta  bene  il  sig.   Puccinotti  a  quest'ul- 
timo riparo  rinvenuto  utile  dagli  abitanti  di    Terni 
nelle  campagne  rom  ane  ,  e  testificato  da  De  Crollis 
e  dal  Folcili. 

5o.  Nella  Barberia,  sulla  testimonianza  di  Gioia, 
rinviene  il  sig.  Puccinotti  una  differenza  ancor  mag- 
giore di  quella  da  me  rinvenuta  nelle  campagne  ro- 
mane. E  supponendo  che  colà  non  esistano  febbri 
perniciose,  ne  trae  subito  la  conseguenza:  Dunque  la 
differenza  de'  calori  non  è  la  cagione  della  genera- 
zione della  medesima.  Esaminando  però  con  maggio- 
re diligenza,  e  senza  prevenzione,  la  condizione  geo- 
logica e  meteorologica  di  quelle  regioni  rinverremo  che 


Intermittenti  perniciose  io* 

ove  esista  umidità  per  acque  stagnanti,  anche  colà  re- 
gnano tali  febbri.  Legga  egli  il  rapporto  inviato  al- 
l'accademia reale  di  Parigi  dalla  commissione  scien- 
tifica di  Algieri  presieduta  dal  sig.  Bory-de  S.  Vin- 
cent, e  vedrà  che  anche  in  quel  paese  esercita  la  sua 
azione  deleteria,  mi  prevalgo  delle  parole  della  rela- 
zione, copiose  febbri  periodiche  (  Vedi  atti  dell'accad. 
di  Parigi   i83g  ). 

5i.  È  per  non  lasciare  alcuna  difficoltà  propo- 
stami dal  Puccinotti  risponderò  a  quanto  egli  affer- 
ma intorno  a  Pesaro,  ove  egli  ,  mentre  o  si  recava 
o  ritornava  fugacemente  da  Urbino,  cioè  tra  l'agosto 
ed  il  settembre  dello  stesso  anno  1824,  non  rinve- 
niva la  differenza  termometrica  tra  il  giorno  e 
le  notti  maggiore  di  9  gradi  (  pag.  78  loc.  cit.  ). 

52.  Osservazioni  così  frettolose  ,  e  senza  il 
confronto  delle  febbri  nella  stessa  epoca  dominanti , 
non  danno  dritto  ad  alcuna  logica  conclusione.  Co- 
me mai  in  uno  spazio  di  pochi  dì,  venendo  da  Re- 
canati, pò  tea  in  Urbino  ed  in  Pesaro  istituire  osser- 
vazioni esatte  e  numerose  di  meteorologia  ,  porle  in 
relazione  colle  malattie  dominanti  ,  e  con  sicurezza 
trarne  rigorose  conclusioni?  Pesaro  era  una  volta  seg- 
gio di  gravissime  malattie;  e  lo  dovea  tanto  alla  con- 
formazione geografica  del  suo  suolo,  quanto  all'impa- 
ludamento delle  sue  campagne.  Queste  sono  state 
asciugate;  ma  pur  qualche  volta  la  febbre  vi  si  fa  ve- 
dere ,  cioè  allorché  dominano  i  venti  sciroccali.  Ri- 
mane la  città  di  Pesaro  fabbricata  fra  due  monti  l'uno 
al  nord,  1'  altro  al  mezzodì.  Un  anfiteatro  di  colli- 
ne che  parte  dal  primo,  e  circolarmente  perviene  al 
secondo  monte,  racchiude  un  piano  del  diametro,  mi- 
surandolo daW  adriatico,  di  poco  più  di  due  miglia. 


102  S    G    I    E    N    Z    K 

L'Isauro  lo  scinde  pel  mezzo.  Ed  il  mare  forma  una 
sottesa  dall'uno  all'altro  monte.  Se  spirino  venti  sci- 
roccali, l'umidità  da  questi  recata,  e  quella  del  ma- 
re con  essa  congiunta,  rendono  umidissima  quella  città. 
Il  territorio  di  Pesaro  rappresenta  in  miniatura  la 
campagna  romana.  Simili  dunque  ne  sono  le  condi- 
zioni ;  simili  gli  effetti.  E  fino  a  tanto  che  la  con- 
formazione di  quel  paese  sarà  la  medesima,  le  perni- 
ciose non  potranno  giammai  essere  pienamente  fugate. 
Il  volgo  ignaro,  a  vero  dire,  ripete  dalle  immondez- 
ze di  un  canale  che  attraversa  la  città,  e  da  cui  esa- 
la ribultevole  odore,  la  nascita  delle  suddette  febbri: 
non  riflettendo  che  benché  il  canale  vi  esista  colle 
menzionate  qualità  costantemente  in  ogni  mese  ed  in 
ogni  anno,  pur  non  ostante  non  in  ogni  mese  nò  in 
ogni  anno  comparisce  ivi  la  febbre  :  e  non  facendo 
conto  che  gli  abitanti  delle  campagne  ,  quand'anche 
da  esso  lontani,  ne  sono  più  facilmente  aggrediti  de' 
con  ladini.  Ma  l'esempio  di  Pesaro  non  era  opportu- 
no in  questo  luogo:  perchè  il  mio  avversario  s'era  pro- 
posto di  provare,  che  può  darsi  forte  discesa  da  ca- 
lore di  22  o  23  gradi  ,  a  quello  di  12  o  i3  sen- 
za generazione  d'intermittente  perniciosa.  Pesaro,  la 
sua  aria,  le  sue  febbri  potevano  ricordarsi  ,  allorché 
presentava  la  prima  obiezione  ;  cioè  allorché  voleva 
dimostrare  coll'autorità  di  Brocchi,  del  fisico  narnese 
e  degli  ignoti  medici  distinti,  che  può  esistere  la  per- 
niciosa senza  abbassamento  di  calore.  Presentemen- 
te questo  esempio  era  straniero  al  suo  raziocinio  ; 
e  forse  si  è  compiaciuto  di  aggiungerlo  per  porlo  a 
paralello  colle  contemporanee  osservazioni  d'Urbino. 
Io  penso  che  egli  abbia  sentita  l'inefficacia  di  questa 
sua    narrazione  al  controbilanciare  i  fatti  da  me    e- 


Intermittenti  perniciose  io3 

sposti  ;  giacche  poco  appresso  così   prosiegue:   «    Ma 

»  quand'anche  si  verificasse   questa  causa  nel    modo 

»  sostenuto  dal  Santarelli,  e  messa  a  contatto   coll'ef- 

»  fetto,  questo  si  notasse  comparire  e  scomparire  ,  ac- 

»  crescere  e  sminuire  in  ragione  di  essa,  senza   l'e- 

»  sistenza  de'  rapporti  fra  la  natura  dell'effetto  e  la 

»  causa  stessa,  non  sarebbe  ancor  dimostrato  clinica- 

»  mente  che  essa  ne  fosse  l'esclusiva  produttrice.  Im- 

»  perocché  molti  vari  effetti  possono  seguire  le    ra- 

»  gioni  di  tempo   e   di  grado  d'una  medesima  causa, 

»  senza  che  tutti  stieno  a  pari  grado  di  relazione  in- 

»  trinseca,  quanto  alla  loro  natura  colla  causa  asse- 

)>  gnata.   Cosa  faceva  il  gran   freddo    notturno    sugli 

»  abitatori   dell'agro  romano,    secondo  il   Santarelli? 

»  Sottraea  uno  de'principali  stimoli  vitali,  il   calore 

»  animale.  Quindi  ne  dovea  seguire  una   gravissima 

»  ipostenia',  ed  in  questa  condizione  patologica   ri- 

»  poneva  l'autore,  probabilmente  allora  browniano,  la 

»  natura  della  perniciosa.  La  china  come  agiva?  Sti- 

»  molando  l'eccitamento  illanguidito  e  restituendolo 

»  ad  una  energia  sufficiente  per  elaborare  di  nuovo 
»   il  calorico  perduto  e  rimettere  la  sanità  »  (  op.  cit. 

PagS-   79  e  8o  )• 

53.  Qui  il  Puccinotti  esce  dall'  argomento  che 

io  mi  era  proposto.  Mio  assunto  fu  di  ritrovare  qual 
sia  la  causa  occasionale  della  febbre  perniciosa  ro- 
mana. Egli  mi  vuol  trasportare  a  discutere  sulla  cau- 
sa prossima.  I  pratici,  i  veri  pratici  ,  fuggono  da  tali 
trascendenti  questioni.  Così  Ippocrate  ,  allorché  nel 
primo  libro  de'  morbi  popolari  alla  sezione  2.a  pag. 
126  narra  ,  che  regnarono  febbri  continue  diurne  e 
notturne  ,  semiterzane  ,  terzane,  quartane  ,  erronee: 
allorché  dice  ,  che  fu  da  esso  riscontrate  nell'autun- 


104  Scienze 

no  ec,  allorché  descrive  la  condizione  della  stagione 
acquosa,  umida  e  la  pertinacia  de'venti  etesii,  e  que- 
sti ne  incolpa;  si  dovea  ad  esso  domandare  in  qual 
modo  tali  cagioni  hanno  operato  ?  Ed  il  suo  silen- 
zio a  questa  domanda  ci  avrebbe  dato  il  diritto  di 
negare  il  potere  de'menzionati  agenti  ?  Similmente , 
allorché  Lieutaud  nella  sua  Sjnopsis  (  parte  prima 
pag.  36  )  afferma  che  le  febbri  intermittenti  regnano 
quando  soffiano  venti  umidi,  si  dovea  rigettare  que- 
sta eziologia  perchè  non  si  è  impegnato  a  dimostra- 
re in  qual  modo  opera  la  suddetta  meteora  ?  Noi  ab- 
bandoniamo alle  scuole  questo  genere  di  ricerche  spes- 
so trascendenti. 

54-  Io  ammisi  alcune  verità  proclamate  da'Brown, 
ed  ebbi  per  soci  in  tale  ammissione  i  più  grandi  pra- 
tici dell'Europa,  fra  i  quali  1'  immortale  Giampietro 
Frank.  Ma  non  adottai  il  sistema  dello  scozzese.  Mi 
prevalsi  della  parola  eccitamento,  nel  modo  stesso  con 
cui  il  legislatore  della  medicina  disse  :  Rara  vcnus 
corpus  excitat:  colla  protesta  d'ignorare  in  che  esso 
consista.  Nell'usare  questo  vocabolo  non  bastava  che 
io  dichiarassi,  nelle  mie  ricerche  pag.  187  lin.  24,  non 
appiccarglisi  da  me  alcuna  idea  sistematica,  ed  im- 
piegarlo perchè  da  molti  pratici  usato.  Sydhenam  chia- 
mò anch'esso  la  febbre  una  fermentazione,  una  de- 
spumazione  :  avvertendo  però  il  lettore,  adoprare  tal 
vocabolo  per  accomodarsi  al  comun  linguaggio,  e  non 
già  perchè  egli  la  reputasse  un  movimento  fermen- 
tativo o  di  despumazione.  Il  sig.  Puccinotti  non  igno- 
rava, allorché  quella  taccia  calunniosa  mi  rimprove- 
rava, non  ignorava,  dissi,  la  mia  memoria  (sull'inse- 
gnamento medico)  pubblicata  in  Macerata  nel  i3o5 
pe'tipi  del  Capitani,  e  nella  quale  provai    la    do  Uri- 


Intermittenti  perniciose  io5 

Ma  browniana  essere  una  vera  ipolesi.  Se  dissi  la 
sottrazione  del  calorico  trarsi  dietro  concidenza,  di- 
minuzione di  forze  vitali,  ripetei  un  fatto  espresso  da 
tutti  i  pratici.  Di  fatto  Mercato  riconosce  nella  perni- 
ciosa una  mancanza  di  calore.  Morton  vi  rinviene  spe- 
gnimento della  fiamma  vitale;  Torti  chiama  principio 
congelatilo  la  causa  di  queste  febbri.  Mi  si  dovea 
quindi  rimproverare  l'impiego  della  parola  eccitamen- 
to diminuito,  cui  io  facea  seguire  dietro  il  seguente 
brano:  «  Ma  io  non  propongo  questa  spiegazione  , 
»  perchè  venga  da  me  indubitatamente  adottata;  giac- 
»  che  mi  sono  prefissa  la  legge  di  non  appoggiare  ve- 
»  run  ragionamento  sopra  qualsivoglia  ipotesi,  ma  sol- 
»  tanto  per  soddisfare  gli  animi  di  coloro  ,  che  ad 
»  essa  aderissero  »  (  Pag.  i56,  i5j,  i53  delle  mie 
ricerche ,  loc.  cit.). 

55.  Ogni  qualvolta  poi  avessi  sostenuto  codesta 
patologia,  sarei  stato  meritevole  di  censura:  costando 
per  l'esperienza  dell'illustre  Franck  e  di  pratici  eser- 
citatissimi,  che  il  vino  e  l'oppio  accordano  alla  china 
maggior  forza  e  sicurezza  di  vittoria  nel  trattamento 
delle  perniciose  ?  In  quanto  poi  al  passaggio  di  varia 
temperatura,  ed  a  quello  dell'umidità,  queste  meteore 
operano  diversamente  giusta  la  maniera  con  cui  tale 
assodamento  si  effettua.  Si  legga  la  filosofia  statistica 
di  Gioia  al  lib.  3.°,  e  si  vedrà  a  quante  diverse  ma- 
lattie sono  sorgente  (i).  Ma  il  mio  avversario  tiene 
ben  diversa  sentenza  ;  cioè  le  alternative  di   caldo 


(l)  Vedi  infra  gli  altri  Brtinner  ,  Osservazioni  medico-fisi' 
che  »ul  clima  ili  Seucgarnbia. 


io6  Scienze 

e  freddo  portano  da  per  tutto  malattie  di  comu- 
ne diatesi  reumatica  o  infiammatoria  (  pag.  80 
loc.  cit.  ). 

56.  Lascio  a'  periti  nell'  arte  il  portar  giudizio 
su  questa  restrizione.  In  quanto  a  me,  non  volendo 
escire  dal  perimetro  della  mia  questione,  affermo,  non 
esservi  condizione  esterna  che  più  frequentemente  oc- 
casioni la  febbre,  quanto  tali  vicissitudini.  L'  effime- 
ra più  o  meno  prolungata  dal  transito  del  caldo  ai 
freddo  il  più  delle  volte  è  prodotta.  11  popolo  ne  è 
persuaso,  e  perciò  suole  chiamarla  febbre  di  raffred- 
damento. L'intensità,  la  durata,  la  rapidità,  con  cui 
vicendevolmente  si  succedono  questi  due  stati  ,  im- 
partiscono alla  febbre  forme  diverse  e  diverso  anda- 
mento. 

57.  Prosegue  poi  egli  il  suo  discorso  col  doman- 
darmi: «  Quale  è  la  causa  che  toglie  all'organismo  la  ca- 
»  pacità  di  mantenere  la  propria  temperatura?  l'uo- 
»  mo  regge  non  solo  a  1 7  gradi  di  differenza  di  que- 
»  sta  che  seguano  in  poche  ore;  ma  passa  impune- 
»  mente  da  un  bagno  a  vapore  in  pochi  minuti  ad 
»  un  bagno  freddo,  e  da  un  caldissimo  teatro  ad  una 
»  strada  coperta  di  neve,  da  un  desco  di  calde  vivan- 
»  de  e  vini  più  eccitanti  agli  agghiacciati  sorbetti,  e 
»  quindi  ad  un  bollente  caffè.  Sappiamo  che  la  spe- 
»  eie  umana  vive  anche  tra  il  trenta  ed  i  trentu- 
»  no  gradi  di  calore  del  termometro  di  Reaumur  , 
»  come  al  Senegal,  e  dai  35  sotto  lo  zero  come  più 
»  volte  in  Siberia:  il  che  forma  una  scala  di  66  gr.  » 
(  pag.  54  loc.  cit.  ) 

58.  Se  queste  posizioni,  in  cui  l'uomo  può  ri- 
trovarsi, sieno  equiparabili  anzi  identiche  con  quella 
che  è  stata  il  soggetto  della  nostra  discussione,  aspet- 


Intermittenti  perniciose  107 

to  che  lo  decidano  i  dotti  nell'arte.  Darò  termine  a 
questo  paragrafo  col  trascrivere  lo  scioglimento  pro- 
gettato dal  Puccinotti.  Sentiamolo:  «  Quale  è  code- 
»  sta  causa?  Il  Santarelli  non  vi  ha  pensato;  e  per 
»  le  cose  avvertite  il  suo  libro  diventa  una  prova 
»  indiretta  delle  più  luminose  dell'esistenza  di  quel 
»  principio  etiologico  medesimo  (  il  miasma  palustre  ) 
)>  che  egli  si  è  adoprato  a  combattere  »  (p.  81  loc.  cit.  ). 
5q.  Non  mi  tratterrò  su  questa  metafisica  pato- 
logia: ma  farò  avvertire  a  chi  legge  la  contraddizio*- 
ne  che  racchiude  un  sì  breve  paragrafo.  Io  non  avea 
pensato  a  questa  causa.  E  poco  dopo  afferma,  che 
io  mi  era  adoprato  a  combatterla.  Questa  contrad- 
dizione è  una  evidentissima  prova  del  livore  del  suo 
animo.  Non  solo  io  l'aveva  conosciuta,  perchè  spet- 
tava a  Morton  ed  a  Cullen,  ma  l'aveva  anche  com- 
battuta e  con  qualche  estensione  nella  prima  parte 
delle  mie  ricerche.  Il  sig.  Puccinotti  ce  la  presenta 
come  sua,  e  come  cosa  di  gran  valore.  Lo  abbando- 
nerei in  tal  felice  discoperta,  giacche  mi  astenni  sem- 
pre dal  sindacare  il  machinismo  de'  cervelli  che  vo- 
gliono figurare  nel  mondo  come  inventori.  Egli  però 
nel  discuoprirla  e  nel  dimostrarla  si  prevale  di  que- 
gli elementi  che  fin  qui  ha  contro  di  me  oppugnati, 
cioè  calore,  freddo  ed  umidità.  Se  ne  prevale  con  ra- 
gionamenti artificiosi,  con  fatti  non  provati. 

CAPITOLO  XVII. 

Generazione    del  miasma, 
secondo  il  Puccinotti. 

60.   Guglielmo   Cullen  avea  attribuita  la  genesi 


I08  S    C    t    E    R    Z    E 

della  febbre  intermittente  ai  miasmi.  Questa  esala- 
zione^ dice  egli,  si  solleva  mediante  il  calore  del- 
le terre  umide  ,  o  luoghi  paludosi  (  Elementi  e  e. 
tomo  I,  55,  84  ). 

Il  sig.  Puccinotti  però  riguarda  incompleta  l'e- 
ziologia di  coloro,  i  quali  non  s'appigliano  che  all' 
influenza  delle  paludi.  Egli  richiede  maggiore  esten- 
sione di  cause  ,  vale  a  dire  ,  l'ammarcimento  di  so- 
stanze organiche  esistenti  in  terreni  umidi  o  palu- 
dosi. Chi  somministra  queste  sostanze  ?  Sentiamo  co- 
me egli  si  esprime  :  «  L'alternativa  di  caldo  ed  umi- 
»  do  eccita  il  processo  putrefattivo  delle  sostanze 
»  vegeto-animali,  di  che  è  impregnata  la  belletta  de' 
»  margini  suddetti  (  delle  paludi  )  e  si  produce  il  mi- 
»  asma.  Cosa  si  effettua  nelle  incolte  pianure  ,  ed 
»  erbose,  o  coperte  eli  avanzi  di  steli  ,  o  radici  ce- 
»  reali  recisi  ?  Non  esiste  anche  su  queste  superficie 
»  una  materia  organica,  che  passa  all'  ammarcimen- 
»  to,  se  le  condizioni  fisiche  del  calore  e  dell'  umi- 
»  dita  la  favoriscono  ?  »  (  cap.  XXIV  pag.  99,  op.  cit.) 

Egli  dunque  aggiunge  alla  prima  cagione  ,  cioè 
alle  paludi,  questa  seconda,  perchè  è  di  fatto  che  nei 
vasti  campi  dell'  agro  romano  non  esistono  paludi  sì 
numerose  da  somministrare  elementi  putrefattivi,  co- 
me io  avea  dimostrato  nelle  mie  ricerche  :  ed  egli 
era  convenuto  nelle  campagne  romane  generarsi  la 
febbre  perniciosa  ,  abbenchè  nella  maggior  parte  di 
esse  non  siano  paludi  ,  venendo  somministrate  le 
sostanze  acquose,  o  dall'  umidità  delle  terre,  o  dalle 
piogge  per  mancanza  di  coltura. 

61.  Ma  esiste  poi  questa  putrefazione  delle  ra- 
dici e  degli  steli  delle  recise  biade,  e  dell'erbose  pia- 
nure ?  Egli  non  si  è  data  pena  di  dimostrarlo.  E  pu- 


Intermittenti  perniciose  109 

re  avrebbe  dovuto  farlo  ;  imperciocché  questa  era  la 
prima  ,  e  la  più  indispensabile  ricerca  che  doveasi 
istituire.  Io  potrei  rispondere,  che  gratuita  essendo  la 
sua  osservazione  ,  la  mia  negativa  abbenchè  gratui- 
ta basterebbe  a  minare  il  suo  edilìzio.  Quello  però 
che  egli  non  ha  fatto  in  senso  affermativo,  io  voglio 
eseguirlo  in  senso  negativo. 

i.  Nel  tempo  della  messe  molti  coloni,  come  di 
sopra  abbiamo  dimostrato,  sono  aggrediti  dalla  febbre 
perniciosa,  abbenchè  gli  steli  delle  recise  biade  non 
abbiano  ancora  avuto  tempo  di  putrefarsi. 

2.  In  molti  campi  estesissimi,  dopo  recise  le  bia- 
de, gli  steli,  o  siano  stoppie,  sono  consegnate  al  foco, 
e  non  ponno  perciò  cadere  in  marcimento;  pur  non 
ostante  la  perniciosa  vi  si  genera  senza  alcuna  eccezione. 

3.  Nelle  terre  poi,  ove  alle  stoppie  si  permette 
di  sussistere  ,  si  riscontra  in  esse  veramente  alcun 
segno  di  putrefazione  ?  Io  non  ho  potuto  riconoscer- 
Velo;  abbenchè  addetto  all'  agricoltura  ,  e  possessore 
per  quasi  quarant'  anni  di  vasto  predio  in  detti  luo- 
ghi, mi  sia  adoperato  per  rinvenirlo.  Verdeggianti  si 
rimangono  i  residui  vegetabili,  e  gli  armenti  vi  rin- 
vengono gradito  pascolo. 

4-  I  prati  erbosi  poi  non  si  disseccano,  e  molto 
meno  s'infradiciano  ne'  mesi,  ne'  quali  regna  la  per- 
niciosa ,  ma  molto  più  tardi  ed  al  sopravvenire  dei 
freddi  dell'  autunno.  Si  squarci  col  ferro  il  suolo  di 
detti  prati,  allorché  la  perniciosa  è  più  che  mai  fre- 
quente, e  non  si  ritroverà  in  essi  alcun  processo  pu- 
trefattivo,  per  quanta  diligenza  s'impieghi  in  tale  ri- 
cerca. 

5.  La  valle  di  Farfa  è  coperta  di  felci,  che  ver- 
deggiano per  tutta  la  state,  e  per  tutto  l'autunno:  ma 


^i'io  Scienze 

la  perniciosa  vi  è  gravissima  ,  ed  allora  gli  abitanti 
di  quella  valle  si  riparano  nella  vetta  del  colle,  ove 
esistono  le  loro  abitazioni. 

62.  In  appresso  il  sig.   Puccinotti  riferisce  l'o- 
pinione di  William  Addisson  e  di  Daniel    sulla  ra- 
diazione terrestre.  Nulla  ho  io  da  opporre  alla  tem- 
peratura discordante  delle    terre  nude,  paragonate  a 
quelle  che  sono  coperte  d'alberi  da  essi  voluta.  Ma 
il  sollevamento    di    molecole    organiche  in  islato  di 
putrefazione  non  è  però  dall'autorità  di  delti  scrittori 
dimostrato.  E  questa  una  ipotesi  ingegnosa,  che  abbi- 
sognava di  fatti  chiari   ed  autentici    per  potersi  sol- 
levare al  rango  delle  verità.  Il  nostro  autore  la  ven- 
de per  sicura:   e  nel  capitolo  susseguente  con  piena 
fiducia  ci  descrive  il  processo  fisico,  mediante  il  quale 
la  perniciosa  si  genera.  «  Piiunite,  dice  egli,  sopra  un 
»  tratto  esteso  di  terreno    in    pianura  una  quantità 
»  di  grandi  e  piccoli  ristagni  d'acqua,  dove  materie 
»  vegetabili    ed    animali  si  trovino  immerse  ,  o  fate 
»   che  molti   residui  di  vegetabili  restino  sparsi  sulla 
»   superficie  di  uno    slesso    suolo  non  paluslre  ,  ma 
»  incolto,  e  senza  alte  piantagioni,   o   edifìzj:  sotto- 
»  ponete   cotesto  terreno  per    un'  intera  stagione  ad 
j>   una   temperatura  diurna  di  24  e   26    gradi  di  Pi., 
»   attendete  che  dirotte,  ma  brevi,  e  fra  loro  inter- 
»   vallate  lo  inaffino  le  piogge  ;   questo  suolo  vi  di- 
»   venterà  sotto  l'azione  evaporante  del  sole  un  cen- 
»  tro  di  esalazioni,  che  si  mescoleranno    accessoria- 
»  mente  colla  sua  atmosfera,  le  quali  saranno  tenute 
»   combinate,  sospese,  ed  innocue  finché  durerà  un' 
»  alta  temperatura.  Ma  colla  notte  incominciando  la 
»  terrestre  radiazione,  il  vapore  disciolto  ,  e  combi- 
»   nato  coli'  atmosfera  se  ne  disgrega,  si  condensa,  e 


Intermittenti  perniciose  ih 

»  si  precipita.  Ne  questo  vapore,  che  si  precipita,  è 
»  solamente  un  vapore  umido,  ma  esso  deve  conte- 
»  nere  con  se  combinata  una  parte  di  queste  sottili 
»  sostanze  che  esalarono  dalla  tetra  per  l'azione  del 
»  sole  diurno.  V  è  dunque  indubitatamente  nell'  at- 
»  mosfera  di  tali  luoghi  disciolta  una  materia,  qua- 
»  lunque  ella  sia,  che  dal  suolo  elevata,  dal  calori- 
»  co  si  combina  con  questo,  e  rimane  innocua  fin- 
»  che  la  radiazione  tellurica  della  notte  non  la  con- 
»  densa  e  precipita  »  (  Cap.  25  pagg.  102  e  io3  , 
op.  cit.  ).  Esaminiamo  partitamente  questo  brano  , 
che  in  un  sol  gruppo  riunisce  l'intero  sistema  puc- 
cinottiano.  «  Riunite  sopra  un  tratto  esteso  di  ter- 
»  reno  in  pianura  una  quantità  di  grandi  e  pic- 
)>  coli  ristagni  d'  acqua  ,  dove  materie  vegetabili  ed 
»  animali  si  trovino  immerse.  »  Se  questi  piccoli  ri- 
stagni sono  di  origine  recente  ,  i  vegetabili  manca- 
rono di  tempo  per  venire  a  morte,  e  per  imputridi- 
re: mentre  intanto  già  la  febbre  periodica  si  mostra 
ed  abbatte  i  men  cauti.  Vidi,  dopo  alcuni  giorni  che 
le  piogge  erano  cadute  ,  e  qualche  volta  anche  due 
giorni  appresso,  entrare  negli  spedali  infermi  di  per- 
niciosa: e  questa  osservazione  consuona  con  quanto 
di  sopra  abbiamo  avvertito  e  comprovato  colla  te- 
stimonianza di  scrittori   gravissimi. 

E  questo  rilievo  comprende  i  residui  de'  vege- 
tabili, i  quali  dovrebbero  appartenere  alle  stoppie  del 
frumento,  secondo  l'autore:  giacche  in  essi  non  rin- 
verrete putrefazione  alcuna  o  incominciata  ,  o  con- 
dotta a  fine,  mentre    la  perniciosa  già  domina. 

63.  Tn  quanto  alle  matei'ie  animali,  esse  apparter- 
ranno o  alle  numerose  specie  delle  falene  o  degli  sca- 
rabei; giacche  alcune  di  queste  vivono  ,  e  si  molti- 


uà  Scienze 

plicano  nei  campi  ove  furono  seminali  il  frumento, 
o  qualche  allro  cereale.  Ma  gli  individui  di  queste 
specie  si  sottraggono  dall'  acque  stagnanti  o  col  vo- 
lo o  fuggendo  co'  loro  piedi.  Il  sig.  Puccinotti  avreb- 
be dovuto  tener  loro  dietro  ,  sorprenderle  nella  loro 
decomposizione,  e  presentarle  al  pubblico  o  moribon- 
de o  disfatte.  In  quanto  a  me,  non  sono  stato  così 
fortunato  di  rinvenirveli;  e  se  alcuni  individui  talo- 
ra in  qualche  avvallamento  si  trovano  ,  così  scarso 
ne  è  il  numero  da  non  potersi  loro  attribuire  il  gi- 
gantesco  fenomeno  richiesto  dal  nostro  avversario. 

64.  Proseguiamo,  u  O   fate   che    molti  residui  di 
11   vegetabili  restino  sparsi  sulla  superficie  di  uno  stes- 
»  so  suolo   non  palustre  ,  ma  incolto  ,  e  senza  alte 
»  piantagioni   o   edilìzi  :  sottoponete    cotesto  terreno 
»  per  una  intera  stagione  ad  una  temperatura  diur- 
w  na  di  24  e  26   gr.  di  R.  ,  attendete   che  dirotte  , 
»  ma  brevi,  e  tra  loro  intervallate  lo  inaffino  le  piog- 
»   gè;  questo   suolo  vi  diventerà   sotto  l'azione  evapo- 
»  rante  del  sole  un  centro  di  esalazioni,  che  si  me- 
»   scoleranno  necessariamente  colla  sua  atmosfera,  le 
»   quali  saranno  tenute  combinate  ec.  »  Qui  mi  sia  per- 
messo avvertire  il  nostro  avversario  ,  che  nelle  cam- 
pagne romane,  prive  di  alte  piantagioni   e  di  edifìci, 
nelle  ore  meridiane  il  calore  non  ascende  a   gr.   24 
o  26,  ma  a  36  ed  a  4°  del  termometro  di  lleaumur. 
Quest'errore  sarebbe  stato  suggerito  o  da   inesperien- 
za nelle  meteorologiche  osservazioni,  o  dalla  tema  di 
mettere  allo   scoperto    1'  ingiustizia  del   suo   rimpro- 
vero antecedentemente  obiettato  contro  di  me  ,   che 
l'uomo  cioè  non  possa  nel  giro  di  poche  ore  discen- 
dere a  differenza  di  gradi    17     del  calore  atmosferi- 
co ?  Giacche  potendo  essere,    come  egli  conviene,  il 


Intermittenti  perniciose  ii3 

calore  notturno  a  gradi  i3,  per  giungere  a  gradi  40 
evvi  la  differenza  di  gradi  27.  La  qual  differenza  se 
è  vera,  come  è  verissima,  noi  intendiamo  la  ragione 
per  cui  mentre  fra  centomila  uomini  racchiusi  entro 
le  mura  di  una  città  duecentocinquanta  soltanto  ca- 
dono infermi  per  perniciosa;  di  diecimila  abitanti  all' 
opposto,  sparsi  nelle  esteriori  campagne,  cinquecento 
contemporaneamente  ne  sono  almeno  colpiti. 

65.  Continua:  ci  Ma  colla  notte  incominciando 
»  la  terrestre  radiazione,  il  vapore  disciolto  e  com- 
»  binato  coll'atmosfera  se  ne  disgrega,  si  condensa  e 
»  si  precipita.  Ne  questo  vapore  che  si  precipita  è 
»  solamente  un  vapore  umido,  ma  esso  deve  conte- 
»  nere  con  se  combinata  una  parte  di  quelle  sottili 
»  sostanze  che  esalarono  dalla  terra  per  l'azione  del 
»  sole  diurno.  »  Due  schiarimenti  io  bramerei  otte- 
nere dall'  autore  di  questa  dottrina.  Primieramente 
perchè  le  sottili  sostanze,  ossia  il  miasma,  nel  solle- 
varsi dalla  terra  e  ealire.in  alto  non  offende  gli  uo- 
mini che  ivi  si  ritrovano  ?  Mentre  nel  discendere  li 
rende  infermi  ed  anche  uccide  ?  Questi  vapori  sono 
più  condensati  nel  tempo  della  loro  ascensione,  più 
radi  e  meno  intensi,  dopo  che  dal  calore  del  sole  fu- 
rono sollevali  e  rarefatti.  Nella  discesa  debbono  con- 
servare la  diradazione  a  cui  dal  calore  furono  condot- 
ti. In  secondo  luogo  queste  sottili  sostanze,  associate 
ed  avvolte  dall'umidità,  non  dovrebbero  perdere  gran 
parte  della  loro  virulenza  per  tale  inviluppamento  ? 
Non  è  egli  una  legge  fisica  che  i  miasmi  dalle  acquo- 
se particelle   contornati  diventano   men  deleteri? 

66.  Qui  domando  a'miei  lettori  attenzione  su  di 
un  esperimento  atto  a  confermare  il  presente  mio  di- 
scorso,  ed  il   quale   in   oltre  potrebbe;    essere  all'urna- 

G.A.T.LXXXV1II.  8 


ii  ^  Scienze 

jiità  utile  in  qualche  circostanza:  mi  lusingo  che  mi 
perdoneranno  la  breve  digressione  a  cui  mi  abban-* 
dono.  Sul  finir  del  passato  secolo  venne  recato  l'a- 
rabo vaiolo  nella  città  di  Terni:  grave  e  spesso  mor- 
tale  era  la  malattia.  Io  avea  suggerita  l'inoculazione, 
perchè  la  discoperta  di  Ienner  ,  atteso  lo  stato  bel- 
licoso dell'Italia,  non  era  ancora  a  me  nota.  A  fine 
di  acquistare  a  quest'operazione  maggior  accoglienza 
ideai  il  seguente  temperamento.  In  un  cucchiaio  di 
limpidissima  acqua  io  scioglieva  due  o  tre  gocce  di 
pus  vaioloso.  Immergevo  l'ago  in  questa  mescolanza, 
e  superficialmente  lo  introducevo  sotto  l'epidermide. 
Non  di  rado  l'operazione  andava  a  vuoto,  ed  era  me- 
stieri rinnovarla.  Ma  ove  essa  prosperamente  proce^ 
deva ,  il  fanciullo  soggiaceva  a  vainolo  benignissimo 
risultante  da  poche  e  ben  formate  pustule  ;  mitissi- 
ma  n'era  la  febbre  e  l'esito  felicissimo.  Posso  ricor- 
dare fra  i  molti  due  ancor  viventi  individui  a  testi- 
monio del  vero.  Il  primo  il  sig.  Nicoletti  patrizio  ter^ 
nano.  Il  secondo  il  marchese  Luigi  Sciamanna  uffU 
ciale  oggi  nelle  truppe  pontificie.  Posto  ciò,  per  ra- 
gionamento di  somiglianza  non  ne  dovrebbe  fluire  la 
seguente  conseguenza  ?  Cioè,  che  il  miasma  pernicio- 
so, nel  discendere  dagli  alti  strati  atmosferici  nella 
superficie  della  terra  associato  ed  avvolto  dall'umidi- 
tà, deve  essere  men  feroce  da  quando  ascendeva,  od 
almeno  di  egual  virulenza  ?  Più  mite,  perchè  dirada- 
to; di  minor  forza  deleteria,  perchè  avvolto  da  par*- 
ticelle  acquose. 

Ma  io  non  voglio  lasciare  passar  franca  l'accusa 
data  alla  belletta  delle  paludi  e  de'  pantani.  Accor- 
diamo per  un  momento  che  questa  belletta  strascini 
seco  avvolte  molte  sostanze    organiche    animali.  Ma 


Intermittenti  perniciose  it5 

poiché  collo  straripare  delle  paludi  le  acque  inonda- 
rono alcuna  parte  del  lembo  delle  terre  che  le  rac- 
chiudono ;  due  dubbi  ne  sorgono.  Furono  le  sostan- 
ze animali  imputridite  che  diedero  nascita  alla  feb- 
bre, o  piuttosto  la  maggiore  evaporazione  delle  acque 
atteso  il  loro  debordamento  dalla  circonferenza  delle 
paludi  ?  Lo  scioglimento  non  è  difficile,  se  si  consi- 
deri che  nelle  campagne  romane  si  vede  sorgere  la 
perniciosa,  abbenchè  non  vi  esistano  materie  organi- 
che in  disfacimento.  E  stato  chiamato  a  testimone  il 
lago  Trasimeno,  ma  infedelmente.  Quaranta  sono  le 
miglia  che  circondano  quel  lago.  In  parecchi  luoghi 
si  disse  ,  il  suo  fondo  sottrarsi  allo  scandaglio  ;  ed 
alcuni  rimasero  dubbiosi  d'onde  provenga  tanta  copia 
di  acque.  Comunque  ciò  sia,  essa  è  limpida,  e  non 
abitata  da  insetti.  Allorché  placide  sono  le  acque  e 
tranquilla  1'  atmosfera ,  cioè  allorquando  nella  calda 
stagione  l'evaporazione  è  grande,  e  l'umidità  non  è 
discacciata  da  venti ,  allora  la  perniciosa  è  più  co- 
mune e  più  grave. 

67.  Mi  sembra  non  inopportuno  in  questo  ca- 
pitolo ricordare  i  due  seguenti  esempi.  Francesco  A- 
mici  patrizio  maceratese,  attesi  i  grandi  calori  della 
state,  discese  nel  Musone  torrente  di  limpidissime  ac- 
que, non  interlineato  da  vegetabili  in  putrefazione  ; 
ed  ivi  si  trattenne  per  lungo  tempo.  Fu  preso  da  per- 
niciosa. Il  sig.  Giuseppe  Rinaldini,  ispettore  presen- 
temente del  censo  delle  due  provincie  di  Macerata  ed 
Ancona,  per  la  stessa  ragione  de'forti  calori  estivi  ce- 
lebrò un  prolungato  bagno  nel  torrente  Chiento,  a- 
vente  le  condizioni  del  Musone,  e  non  molto  lungi 
da  Montolmo;  soggiacque  alla  stessa  febbre.  Il  dott. 
Boccanera  restituì  entrambi  in  salute  colla  corteccia 


ii6  Scienze 

peruviana.  In  ambidue  questi  casi  la  putrefazione  di 
sostanze  organiche  siano  animali,  siano  vegetabili,  non 
poteva  accusarsi,  perchè  non  esistevano  né  animali, 
ne  vegetabili  nelle  sponde  de'suddetti  torrenti;  per- 
chè in  quei  luoghi  niun  individuo  era  stato  aggredi- 
to da  perniciosa.  La  sottrazione  del  calore  dalla  su- 
perficie del  corpo  dei  due  menzionati  individui,  ope- 
rata dalle  fresche  acque  ,  che  ad  ogni  istante  e  col 
rinnovarsi,  maggior  quantità  ne  rapivano,  si  presenta 
sola  e  potente  all'occhio  dell'osservatore.  Fu  uno  de* 
principii  del  gran  Newton,  di  non  ammettere  nella 
ricerca  delle  verità  più  cause  di  quelle  che  bastano 
alla  produzione  de'fenomeni   (  Reg.  Ili  ). 

CAPITOLO  XVIII. 

Continuazione  dello  stesso  argomento. 

68.  Ci  rimane  finalmente  di  esaminare  l'ultimo 
argomento  proposto  dal  sig.  Puccinotli.  Facciamo  che 
parli  egli  stesso:  «  I  vapori  infetti  che  esalano  dalle 
»  risaie  della  Lombardia,  condensati  in  tubi  di  vetro, 
»  dettero  al  Moscati  sulla  loro  superficie  una  mate- 
»  ria  organica  fioccosa  e  fetida.  Il  Brocchi,  avendo  ri- 
»  petuta  la  stessa  esperienza  sull'aria  di  Roma,  otten- 
»  ne  in  fondo  alla  storta  di  vetro  un  liquore  torbi- 
»  diccio,  con  abbondanti  fiocchi  biancastri  di  sostan- 
»  za  apparentemente  gelatinosa,  la  più  parte  de'qua- 
»  li  erano  sotto  sembianza  di  tenuissime  e  traspa- 
ia retiti  pellicole.  Che  sebbene  per  un  istante  egli  re- 
»  putasse  colesta  materia  non  essere  altro  che  la  fel- 
)>  ce  istessa  del  vetro,  dichiara  però  in  fine  della  sua 
ì>   memoria:  I.   Che  molti  sono  i   fatti    che    provano 


Intermittenti  perniciose  i  i  n 

»  l'esistenza  del  miasma  e  inducono  nella  opinione 
»  che  esso  si  svolga  da  sostanze  organiche  putrefatte. 
»  II.  Che  di  grande  peso  debba  reputarsi  l'esperimen- 
»  to  del  prof.  Moscati.  III.  Che  infondendo  nel  va- 
li pore  atmosferico  da  lui  cimentato  dell'acido  muria- 
»  tico  ossigenato,  trovò  in  capo  ad  alcuni  giorni  nel 
»  fondo  delia  caraffa  un  piccolo  sedimento  di  polve- 
»  re  biancastra  ,  o  piuttosto  di  leggeri  fiocchetti,  di 
»  cui  non  avendo  potuto  eseminare  la  natura,  racco- 
»  manda  che  a  preferenza  di  qualunque  altro  fosse 
»  ripetuto  da'  fisici  questo  esperimento.  Invitato  da 
»  tale  consiglio  il  eh.  prof.  De  Renzi,  replicò  l'espe- 
»  rienza  in  Napoli  co'vapori  atmosferici  dell'  infetto 
»  lago  d'Agnano.  Ottenne  anch'egli  de'iiocchetti  lat- 
ti tiginosi,  che  dopo  decantato  il  liquore  in  che  nuo- 
ti tavano,  eseminati  sopra  una  carta,  presentarono  leg- 
»  giere  pellicole,  e  un  intreccio  di  delicatissime  fila, 
ti  Raccolti  sopra  una  lamina  di  platino,  e  fatta  ar- 
»  roventare,  emanarono  un  tanfo  empireumatico,  co- 
ti me  allorché  si  bruciano  peli  ,  unghie  o  altre  so- 
li stanze  animali;  quindi  si  carbonizzarono  ed  ince- 
»  nerirono,  e  dopo  le  sue  diligenti  esperienze  potè 
»  asserire  :  Di  essere  intimamente  persuaso  dell'esi- 
ti stenza  dell'amoniaca  e  della  sostanza  estrattiva  ve- 
li getale  ed  animale  nell'acqua  evaporata  dagli  stagni 
(  Cap.  XXV,  pag.    io3,    104  op.  cit.  ). 

Gq.  Analizziamo  scrupolosamente  questo  passag- 
gio. I  vapori  rinvenuti  dal  Moscati  esalavano  dalle 
risaie  della  Lombardia.  Ma  nelle  campagne  romane 
non  vi  sono  risaie.  Dunque  il  paragone  non  è  esal- 
to. Di  fatto  il  naturalista  Brocchi  si  esprime  nel  mo- 
do seguente,  parlando  degli  esperimenti  tanto  del  Mo- 
scati, quanto  dell'Ozanam;  e  ponendoli   in   confron- 


n8  Scienze 

to  con  quelli  diligentemente  eseguiti  da  esso  sull'a- 
ria delle  campagne  romane  ,  coi  quali  non  vanno 
d'  accordo  :  «  Forse  la  condizione  dell'aria  dell'  a- 
»  grò  romano  è  diversa  da  quella  che  fu  cimenta- 
»  ta  nelle  risaie  di  Lombardia  :  e  la  cosa  è  anzi 
»  molto  probabile,  poiché  questa  doveva  esser  pre- 
»  gna  d'effluvi  esalati  da  un  terreno  inondato,  ove 
»  infradiciano  vermi  ,  insetti,  rettili  ed  altri  siffatti 
»  animali;  laonde  le  locali  circostanze  son  ben  dif- 
»  ferenti.  »  (  Brev.  saggio  d'esperienze  sull'aria  cat- 
tiva de'contorni  di  Roma  pag.  229,  23o  della  Bib, 
ital.  tom.  XXXV,  novembre   18 18.  ) 

70.  Io  poi  escludo  assolutamente  il  vocabolo 
forse  impiegato  dal  Brocchi,  attesi  i  riguardi  che  vol- 
le praticare  verso  il  suo  amico  Moscati.  Ad  eguali 
eccezioni  soggiacciono  gli  esperimenti  istituiti  dal  De- 
Renzi sull'aria  del  lago  d'Agnano.  Come  paragonare 
l'atmosfera  sovrastante  ad  un  lago  ove  esistono  ani- 
mali, ed  altre  sostanze  putrefattibili ,  coll'aria  roma- 
na in  quelle  regioni  ove  tu  non  puoi  rinvenire  nò 
alcun  lago  avente  materiali  da  corrompersi,  e  neppu- 
re steli  di  piante  al  marcimento  assoggettate?  In  al- 
cune stagioni  la  perniciosa  previene  il  taglio  della  mes- 
se, e  mentre  ancora  biondeggiano  le  spighe  del  fru- 
mento. Di  questo  ultimo  fatto  ce  ne  dà  testimonian- 
za lo  stesso  Brocchi,  di  cui  trascrivo  il  passo:  «  Gli 
»  operai  della  campagna,  correndo  la  stagione  della 
»  mietitura  del  grano,  non  potevansi  procciare  a  ca- 
li ro  prezzo  ,  sì  per  essere  tanto  scemato  il  numero 
»  di  quegli  atti  al  travaglio,  si  perchè  quelli  che  rima- 
»  nevano  sani  non  volevano  senza  un  buon  compen- 
»   so  risicare  la  propria  salute   (  pag.   209   op.   cit.  ). 

71.  Ci  riinane   ora  di  consultare  l'istesso  Broc- 


<        Intermittenti  perniciose  ng 

felli  originalmente.  E  mestieri  leggere  la  sua  memo- 
ria interamente  per  ravvisare  con  quali  e  quante 
cautele  egli  siasi  adoperato  per  evitare  l'ingresso  ne'suoi 
esperimenti  di  materie  straniere.  La  traspirazione  del- 
le mani  dell'operatore  compartiva  all'acqua  risultan- 
te dai  Vapori  umidi  condensati  odore  fetido  *  che 
con  facilità  sarebbe  stato  attribuito  da  men  cauto  fi- 
sico all'  aria  stessa.  Anche  i  pannolini,  siano  di  li- 
no ,  siano  di  cottone*  furono  da  esso  ritrovati  pro- 
ducenti lo  stesso  effetto,  e  quindi  tenuti  lontani.  Co- 
sì ogni  altra  sostanza  esterna  che  potesse  nuotare  nel- 
l'atmosfera; e  tutte  queste  diligenze  non  solo  acqui- 
stano piena  fede  allo  sperimentatore,  ma  costituisco- 
no un  rimprovero  a  quelli  che  non  le  avvertirono  e 
non  le  praticarono.  Ora  quali  sono  i  risultamenti 
del  Brocchi? 

72.  Primieramente  che  i  vapori  provenienti  dal- 
le acque,  nelle  quali  furono  infuse  o  sostanze  organi- 
co-animali, o  vegetabili,  mostrarono  aver  con  essi  av- 
volta una  sostanza  organica  fetida,  e  nel  primo  caso 
congiunta  ad  ammoniaca.  Le  acque  per  lo  contrario  ri- 
sultanti dal  condensamento  de'vapori  dell'aria  roma- 
na non  solo  si  trovarono  scevre  dall'associazione  di 
simili  fenomeni,  ma  presentarono  quegli  stessi  che  si 
ottengono  sottoponendo  al  medesimo  cimento  l'acqua 
purissima  e  distillata.  Riferiamo  le  stesse  di  lui  pa- 
role. «  Una  porzione  di  acqua  ,  ma  diligentemente 
»  raccolta,  dalla  sera  fino  alla  mezza  notte  fu  posta 
»  in  due  separati  bicchieri.  Versai  in  uno  con  certo 
»  intervallo  di  tempo  alcune  gocciole  di  soluzione 
»  di  ossi-muriato  di  mercurio,  che  per  le  infusioni 
»  putride  animali  è  un  delicato  reattivo:  ne  adocchiai 
»>  verun  cambiamento.  Nell'altro  bicchiere  ne  lasciai 


120  Scienze 

»  cadere  due  o  tre  di  nitrato  di  argento,  affine  di 
»  scoprire  se  esistevano  almeno  insensibili  quantità 
»  di  materia  estrattiva  vegetabile:  e  non  conseguii  ve- 
»  run  risultato.  E  superfluo  di  notare  die  se  l'acqua 
»  non  è  affatto  scevra  da  muriato  di  soda  ,  si  avrà 
»  in  tale  circostanza  un  precipitato  di  muriato  d'ar- 
»  gente  Pesai  inoltre  cinque  once  di  acqua  atmosfe- 
»  rica:  e  siccome  sperata  alla  luce  e  spiata  con  len- 
»  te  manifestava  alcuni  peluzzi  ed  altre  molecole  stra- 
»  niere,  giudicai  opportuno,  per  averla  purissima,  di 
»  passarla  per  un  filtro  di  fina  carta,  in  cui  feci  per 
»  più  fiate  trapelare  dell'acqua  stillata  comune.  L'in- 
»  tradussi  poscia  in  una  fiala  pulitissima  ,  e  vi  ag- 
ii giunsi  buona  copia  di  acido  muriatico  ossigenato, 
»  con  l'avvertenza  di  agitar  ben  bene  la  miscela,  af- 
»  fincbè  esso  si  unisse  all'acqua.  Dopo  quattro  gior- 
»  ni  vidi  nel  fondo  una  polvere  biancastra  ,  ma  in 
»  così  tenue  quantità  che  sarebbe  stato  impossibile 
»  d'istituire  su  di  essa  alcun' esperimento.  Altre  otto 
»  once  furono  abbandonate  all'aria  libera  in  una  sco- 
»  della  di  vetro  guernita  di  un  velo.  Poiché  il  flui- 
»  do  fu  ridotto  alla  quantità  di  alcuni  grani,  fiuta- 
»  to  non  palesò  odore  di  sorta:  e  per  intero  svapo- 
»  rato,  non  lasciò  che  poche  molecole  che  sembraro- 
»  no  straniere  e  fortuite. 

»  Poco  lume  seppi  finora  ritrarre  relativamente 
»  al  principale  mio  scopo.  Mi  rimaneva  ancora  una 
»  buona  quantità  di  acqua  ,  equivalente  al  peso  di 
j)  una  libbra.  Ne  presi  otto  once,  e  pensai  di  sot- 
»  tometterle  a  una  lentissima  distillazione  a  bagno 
»  di  sabbia  per  avere  il  residuo  ,  se  pur  rimaneva, 
»  e  in  pari  tempo  raccogliere  il  liquore  distillato. 
»  L'acqua  fu   prima  filtrata,  indi  messa  in  una  stor- 


Intermittenti  perniciose  121 

»  ta  nuova  di  vetro  esattamente  lavata,  a  cui  si  adat- 
»  tò  un  recipiente  lutato  intorno  al  collo.  Poiché  fu 
»  ridotta  a  pochi  grani,  rimossi  l'apparato  dal  fuoco, 
»  e  la  porzione  stillala  fu  trasfusa  in  una  caraffa  a 
»  turacciolo  smerigliato.  Contro  la  mia  aspettativa, 
»  e  non  senza  compiacenza,  trovai  che  il  poco  li- 
n  quore  rimasto  nella  storta  era  torhidiccio,  e  mo- 
»  strava  abbondanti  fiocchi  biancastri  di  sostanza  ap- 
»  parentemente  gelatinosa,  la  più  parte  de1  quali  era- 
»  no  sotto  sembianza  di  tenuissime  e  trasparenti  pel- 
»    licole. 

»  Prima  di  istituire  alcun  saggio  su  quella  ma- 
»  teria  volli  chiarirmi  se  per  avventura  derivasse  dal 
»  vetro  della  storta:  essendo  già  noto,  che  usando  la 
»  distillazione  in  simili  arnesi  si  ha  un  pò  di  selce. 
»  Mi  accinsi  ad  eseguire  per  mero  scrupolo  l'espe- 
»  rimento,  essendo  già  persuaso  che  questa  selce  do- 
»  vesse  provenire  in  dose  assai  piccola  da  una  stor- 
»  ta  di  così  poca  capacità,  quale  fu  quella  messa  in  ope- 
»  ra.  Vi  distillai  adunque  una  quantità  eguale  di  pu- 
»  rissima  acqua  già  distillata  in  altra  simile  storta  , 
»  e  con  mia  sorpresa  ottenni  la  stessa  materia  fioc- 
»  cosa,  ed  in  egual  dose  all'incirca,  come  era  pari- 
»  mente  torbido  il  liquore  residuo.  Volli  distillare 
»  di  bel  nuovo  l'acqua  già  stillata,  e  ciò  fino  alla  ter- 
»  za  volta,  e  sempre  col  medesimo  esito. 

»  Non  mi  rimane  alcun  dubbio  che  la  sostan- 
»  za  avuta  dall'acqua  atmosferica  non  fosse  la  selce 
»  del  vetro.  Avendola  separata  colla  decantazione, 
»  lavata  e  seccata  ,  ne  gettai  una  porzione  su  una 
»  lamina  rovente  di  platino:  e  non  presentò  veruna 
»  mutazione ,  se  non,  che  acquistò  una  tinta  più  gri- 
»  già.  Lasciai  la  lamina  sui  carboni  ardenti  per  un  trat- 


122  Scienze 

»   to  di  tempo,  e  accanto  ad  essa  riposi  altra  lamina" 
»  con  una  presa  di  vetro  finamente  polverizzato:  que- 
»  sto  si  fuse,  configurandosi  in  globetti  ,  l'altra  die 
»   un  lieve  indizio  di  essersi  agglutinata,  e  si  mostrò 
»  rafrattaria.  Né  la  cosa  deve  recar  maraviglia:  im- 
»   perocché  la  sostanza  del   vetro  sciolta   nell'  acqua 
»   calda  dovea  aver  perduto  la  maggior  parte  di  quel- 
n   la  porzione  di  soda,  che  la  rende  fusibile,  la  qua- 
»   le  rimane  nell'acqua.  L'altra  quantità,  che  mi  avan- 
»   zò   della  stessa  polvere,  fu  trattata  al  cannello  con 
»   un   pò  di  soda,   e  si  ridusse  in   un  vetro  limpido 
»   e  permanente.   La  sostanza    estrattiva    all'  opposto 
»   così  dello  zafferano,   come  dell'acqua  putrida,  pre- 
»   cipitata  coll'acido  muriatico  ossigenato,  ed  ottenu- 
»   ta  con  altri  espedienti  ,   e    che    ha    essa    pure    un 
»   aspetto  fioccoso,  incarbonisce  al  fuoco,  indi  si  ri- 
»   solve  in  cenere.  Deggio  aggiungere   che  se  in  cam- 
»  bio  di  adoperare   recipienti  di  velro  vogliasi  evapo-  , 
»  rare  l'acqua  pura  in  quelli  di   porcellana,  non  va 
»   esente  questa  medesima  dall'essere  intaccata  con  la 
»   lunga  digestione  a  caldo,  segnatamente  se  è  inver- 
»  niciata.   Di  fatto  se  si  vorrà  esplorare  con  la  len- 
»   te,  e   fatto  con   favorevole   riflesso    di  luce  la  su- 
»   perficie  dell'  acqua  ridotta  con  la   svaporazione   a 
»   piccola  quantità,  si  scorgerà  galleggiarvi  delle  sot- 
»   tili  pellicole:  e  versando  quel  pò  di  fluido,  ed  asciu- 
»   gando  all'aria  il  recipiente,  se  ne  adocchierà   con 
»   la  lente  in  maggior  copia   aderente   al  fondo,   ma. 
»  nifestamente  apparendo  che  provengono  dalla   so- 
»   stanza  del  vaso.  »   (Bibl.  italiana,  fascicolo  XXXV 
novembre   i8i3,  pagg.  227,  228,  229.  Memoria  del 
Brocchi,  Saggio  d'esperienze  sull'aria  cattiva  de' con- 
torni di  Roma.  ) 


Intermittenti  perniciose  120 

73.  Ponga  ora  a  paralello  il   lettore  questa  se- 
rie di  sperimenti  col    ragguaglio    che  ne  ha  dato   il 
Puccinotti,  e  vedrà  che  questi  ha  omesso   di  riferire 
gli  ultimi  risultati  della  distillazione  dell'acqua  distil- 
lata purissima  ,   i   quali  per  tre  volte   presentarono   i 
medesimi  prodotti;  cioè  una  sostanza  fioccosa  in  forma 
di  pellicole,  e  nella  slessa  quantità  che  si  era  otte- 
nuta con   l'acqua  proveniente  dai  vapori  raccolti  dal- 
l'atmosfera. Questa  omissione  importava    nella    men- 
te di  chi  legge  che  dette  pellicole  provenissero  dalle 
sostanze  organiche  in  putrefazione  natanti  nell'atmo- 
sfera; se  lo   lasciava  nella  persuasione  che  ad  esse  so- 
le  appartenessero  ;  mentre    all'opposto  pe'  susseguen- 
ti cimenti  era  dimostrato  derivare  esse  dalla  sostan- 
za del  vaso.  Egli  è  vero  che  il  sig.  Brocchi,  per  quel- 
la sua  connaturale  modestia  notissima,  dichiara  di  non 
sapere  se  ha  rettamente  sperimentato,  e  che  protesta 
la  più  alta  stima  al  professore  Moscati.  Ma   mentre 
egli  parla  così  di  Moscati,  ricorda  la  differenza    che 
ha  dovuto  intercedere  fra  l'aria  romana  e  quella  delle 
risaie  di  Lombardia  pregne  di  vermi,  insetti  ,  rettili 
ed  altri  sì  fatti  animali.   Questa  protesta  non  basta- 
va per  discoprire  l'animo  del  naturalista  ?  Egli  dà  fi- 
ne alla  sua  memoria  col  proporre  il  modesto  dubbio, 
se   gli  sperimenti  da  esso  istituiti  fossero  stati  capaci 
di  appalesare  la  materia  fugace  del  miasma.    Ma  se 
gli  esperimenti  del  Brocchi,  i  più  esatti  fino  ad  ora 
praticati  ,  non  l'arrestarono   e  non  la  discoprirono  , 
quali  prove  sono  state  prodotte  per  farla  conoscere  ? 
11  chiarissimo  Barlocci,   che  indefessamente   assistè  a 
tutte  le  operazioni  del  Brocchi,  volle  che  io  fossi  cer- 
to aver  quel  naturalista   portata    sentenza   del  tutto 
uniforme    ai  risultali    de'  suoi    esperimenti  :  e  tutto 


124  Scienze 

ciò  mi  partecipava  per  mezzo  del  professor  Fol- 
cili suo  e  mio  amico,  il  quale  me  ne  rendeva  inte- 
ro con  sua  lettera  dei  7  aprile  1841.  Ora  parlano 
altamente  i  fatti  :  con  qual  convincimento  possiamo 
appellare  a  frasi  e  maniere  di  dire,  che  i  primi  non 
annullano,  e  che  soltanto  mostrano  la  modestia  del- 
lo scrivente  ? 

7 4*  Ma  ciò  che  toglierà  ogni  dubhio  dalla  men- 
te di  qualsivoglia  medico  si  è  il  considerare,  che  noi 
siamo  tutto  giorno  esposti  agli  effluvi  delle  sostanze 
organiche  in  putrefazione,  siano  vegetabili,  siano  ani- 
mali, siano  miste  :  senza  che  per  questo  da  alcuno 
ne  sia  stata  mai  contratta  la  perniciosa.  Sostanze  or- 
ganiche in  putrefazione  s'innalzano  tutto  giorno  da'le- 
tamai,  dalle  latrine,  dai  chiassetti,  dai  ghetti  ,  dalle 
stalle,  dai  sepolcri;  e  niuno  fu  mai  preso  da  perni- 
ciosa. I  bifolchi  in  quegli  stabulari  non  solo  dimo- 
rano ,  ma  dormono  illesi  dalla  febbre.  E  come  mai 
mentre  tutte  queste  esalazioni  disgustose  all'odorato, 
e  ributtevoli,  e  di  tanta  densità  e  di  tanta  forza  rie- 
scono innocue  tutto  giorno  ;  allorché  sono  diradate, 
fuggitive,  incoercibili,  potranno  godere  un  potere  tan- 
to delle  prime  maggiore  ?  Il  prof.  Monchini,  gran  chi- 
mico e  medico  sperimentatissimo,  che  agli  esperimen- 
ti del  sig.  Brocchi  fu  presente,  riconobbe  immediata- 
mente l'inesistenza  di  quel  sognato  miasma:  e  pochi 
anni  appresso,  venuto  per  ordine  della  s.  consulta  ad 
esaminare  l'insalubrità  dell'aria  di  Campofilone  pro- 
vincia di  Fermo,  basò  il  suo  giudizio  nella  dottrina 
da  me  sostenuta. 

7.5.  Dopo  le  quali  cose  io  invito  il  lettore  a  con- 
siderare in  breve  prospetto  l'orditura  dell'opera  puc- 
cinottiana.  Le  osservazioni  del  Moscati  e  dell'  Oza- 


Intermittenti  perniciose  12S 

tiara  istitute  nelle  risaie  della  Lombardia,  abbencbè 
non  esatte,  somministrano  i  materiali  fondamentali  al 
suo  sistema.  Ma  in  Roma  non  vi  sono  risaie.  Era 
mestieri  dunque  rinvenire  altri  elementi  di  putrefa- 
zione ;  e  questi  furono  gì'  insetti  ed  i  residui  delle 
mietute  biade.  L'autore  però  si  dispensò  dal  provare 
1'  esistenza  di  queste  sostanze  in  istato  di  disorga- 
nizzazione. Lo  suppose  gratuitamente.  Nelle  campa- 
gne romane  molti  infermavano  contemporaneamente 
alla  messe.  Questo  fatto  non  fu  ricordato.  Le  osser- 
vazioni del  Broccbi,  lette  da  capo  ad  imo,  non  pro- 
vano l'esistenza  di  un  miasma.  Se  ne  riferirono  tan- 
te ,  quante  bastavano  a  farlo  dubitare.  Era  mestieri 
annullare  le  numerose  mie  osservazioni.  Si  oppose- 
ro ad  esse  quelle  di  quattro  giorni  istituite  nel  me- 
se, di  settembre,  come  se  la  temperatura  di  quei  so- 
li quattro  giorni  fosse  stata  limite  a  quella  di  tutto 
il  resto  della  stagione.  Le  mie  osservazioni  sono  d'ac- 
cordo con  quelle  di  Folcivi  e  di  De-Crollis,  e  si  vo- 
gliono distruggere  con  quelle  di  un  fisico  anonimo 
e  di  medici  innominati.  Si  confina  il  potere  del  cal- 
do e  del  freddo  umido  a  generare  infiammazioni  e 
reuma,  senza  por  mente  agli  effetti  vari ,  a  seconda 
della  loro  intensità  e  diverso  modo  di  succedere.  Si 
sostituisce  ad  esso  una  sostanza  del  tutto  immagi- 
naria; perebè  si  volle  supporre  ebe  la  corteccia  pe- 
ruviana possegga  contro  di  essa  una  specifica  azione. 
E  non  si  riflette,  ebe  non  solo  detta  corteccia  gio- 
va nella  stagione,  ebe  si  crede  generante  il  miasma, 
ma  in  tutte  le  stagioni,  in  tutti  i  luogbi,  ove  esista 
periodicità  semplice,  e  non  complicala  con  altra  affe- 
zione morbosa.  Sarebbe  ora  stravagante  problema  do- 
mandare se  il  sig.  Puccinolti  abbia   combattuto  la  mia 


126  Scienze 

opinione  per  sostituirle  la  sua,  ovvero  se  abbia  richia- 
mata l'ipotesi  de' miasmi  per  aprirsi  la  via  ad  oppu- 
gnarmi? Ma  ritorniamo  a  contemplar  la  natura. 

CAPITOLO  XIX. 

Degli  effetti  àelVaria  romana  sugli  abitanti 
delle  campagne. 

76.  Al  forastiere,  che  viene  nell'ampio  spazio 
delle  campagne  romane,  si  presentano  uomini  di  a- 
spetto  ben  diverso  dagli  abitatori  delle  regioni  circon- 
vicine. Non  rinviene  quivi  né  la  civiltà,  né  la  gen- 
tilezza toscana;  non  la  franchezza  de'piceni;  qui  non 
ode  il  clamoroso  lagno  del  napolitano.  Uomini  silen- 
ziosi e  seri  si  fanno  ad  esso  innanzi.  Pallido  e  tenden- 
te al  giallo  è  il  colorito  della  loro  pelle  ;  tardo  e 
grave  é  il  loro  passo;  poco  curiosi,  non  pongon  men- 
te al  passeggiero:  interrogati,  gli  danno  breve,  o  niu- 
na  risposta.  Non  ti  fissano  gli  occhi  nel  volto  ;  ma 
fugacemente  ti  riguardano  piegando  il  collo  nell'op- 
posto lato,  e  quindi  ti  squadrano  tutto  il  corpo.  Sem- 
brano orgogliosi  di  se  stessi,  disprezzare  ogni  altra 
cosa  :  cantilene  sono  da  essi  intonate  con  noia  e 
stucchevolezza.  Cupi  sentimenti  nascondono  nel  lo- 
ro animo.  Se  hanno  torti  a  vendicare,  ciò  fanno  pro- 
ditoriamente e  col  ferro.  La  gelosia  è  la  passione  lo- 
ro dominante.  Le  donne  posseggono  un  miglior  co- 
lorito ed  animo  mite.  Gli  abitanti  nelle  terre  e  ca- 
stella murate,  edificate  nella  cima  di  alti  colli,  si  al- 
lontanano molto  da'loro  modi,  ed  hanno  maniere  somi- 
glianti a  quelle  de'  popoli  circostanti. 

Viaggiando  in  quei  piani  s'incontrano  qua  e  là 


Intermittenti  perniciose  127 

individui  panciuti;  ed  esplorando  il  loro  addome,  in 
alcuni  si  rinviene  ostrutto  il  fegato,  in  altri  la  mil- 
za. Ma  nel  maggior  numero  di  essi  la  gonfiezza  è 
primaria;  cioè  non  prodotta  dalle  menzionate  ostru- 
zioni: sono  i  primi,  ma  più  i  secondi,  sottoposti  spes- 
so a  parecchi  accessi  febbrili.  La  febbre  ,  che  come 
dicemmo  ,  fu  sempre  indigena  in  tutto  il  paese  ro- 
mano ,  anche  in  quelli  che  dalle  suddette  affezioni 
morbose  non  sono  afflitti,  si  fa  frequentemente  vede- 
re. Gli  stranieri,  che  quivi  vengono  a  prendere  domici- 
lio, dopo  pochi  anni  cambiano  colorito,  costituzione 
e  carattere  morale,  e  risentono  più  fortemente  de'na- 
tivi  l'azione  morbosa  di  quell'atmosfera.  Generalmen- 
te parlando  quegli  che  sono  affetti  dagli  accennati  di- 
sordini vanno  spesso  tottoposti  a  profluvio  di  ventre, 
che  cessa  e  facilmente  si  rinnova.  Lambendo  colla 
lingua  alcuna  parte  della  superficie  del  loro  corpo  , 
essi  la  rinvengono  qualche  fiata  di  salso  sapore. 

Il  medico,  che  assiste  agli  infermi  di  qualsivoglia 
malattia,  si  avvede  ben  presto  che  la  traspirazione  , 
le  orine,  le  fecce  de'suoi  malati  emettono  un  odore 
più  molesto  di  quello,  che  incontrava  negl'  infermi 
abitanti  in  altra  lontana  regione.  Anche  ne'cadaveri 
de'defonti  per  qualunque  morbo  scorge  qualche  cosa 
di  vario  nelle  tinte,  nell'odore,  nel  tessuto  de'visceri, 
paragonalo  a  quello  da  esso  osservato  nelle  adiacenti 
Provincie.  Ma  noi  dobbiamo  presentare  con  compen- 
diosa descrizione  ciò  che  la  natura  ci  ha  mostralo 
nella  lunga  nostra  pratica.  L'ordine,  che  mi  condurrà, 
sarà  quello  stesso,  col  quale  le  malattie  mi  si  offrirono, 
a  fine  di  escludere  qualsivoglia  pensiero  dalla  natu- 
ra non  suggerito. 

1  cache  liei,  quegli  che  avevano  edematose  l'estre- 


123  Scienze 

mità  inferiori,  e  tumido  il  ventre,  sono  stati  da  me 
trattati  utilmente  co'purgativi.  Le  pillole  del  signor 
Fordice  furono  da  me  prima  usate  preferentemente. 
Ma  la  tintura  acquosa  di  rabarbaro  congiunta  col  sa- 
le mirabile  di  Glaubero,  e  ripetuta  quotidianamente, 
ha  più  spesso  soddisfatto  i  miei  desiderii.  Proibisco  in- 
tanto all'infermo  di  esporsi  all'aria  mattutina  e  ves- 
pertina, e  suggerisco  una  dieta  temperante,  escluden- 
do rigorosamente  la  cena.  Esigo  che  indossi  vesti- 
menta  piuttosto  grevi.  Le  camicie  di  lana  sottilissi- 
ma, ove  indigenza  noi  vieti,  somministrano  efficacis- 
simo sussidio  ad  un  tale  trattamento.  Se,  tali  cose 
praticate,  nulla  in  sanità  si  lucri,  consiglio  l'infermo 
di  fuggire  quel  cielo,  e  di  ripararsi  o  in  altri  colli,' 
o-  in  lontana  provincia.  Impedisco  così  che  si  formi 
l'idrope  tanto  ascitica,  quanto  anasarcatica.  Ogni  qual 
volta  l'infermo  a  quest'  ultimo  malore  fosse  giunto  , 
gli  prescrivo  da  quando  a  quando  un  forte  drastico, 
e  contemporaneamente  istituisco  frizioni  nel  basso 
ventre  con  mano  spalmata  di  olio.  Il  resto  della  cu- 
ra non  differisce  dall'  antecedentemente  esposta.  In 
tutti  i  suddetti  casi  è  ben  cosa  rara  che  io  possa  di- 
spensarmi dal  prescrivere   l'emetico. 

Se  questi  infermi,  prima  di  divenire  cachetiei  o 
ascitici,  soggiacquero  a  febbre  periodica,  e  come  suo- 
le essere  erratica  o  poco  avvertita  (sulla  quale  pree- 
sistenza io  istituisco  diligenti  e  ripetute  ricerche),  ese- 
guile le  summenzionate  prescrizioni,  passo  finalmente 
all'uso  della  corteccia  peruviana. 

In  quanto  agli  infermi  affetti  da  fisconia,  ne  par- 
lerò in  appresso. 

Veniamo  alla  perniciosa  semplice.  Non  ritorne- 
rò a  descriverla.    Fu  dipinta  da  Mercato  e  da   altri 


Intermittenti  perniciose  i2() 

osservatori,  e  da  me  delineata  su  di  un  numero  as- 
sai esteso  d'infermi  (i),  e  prego  il  lettore  di  consul- 
tare le  mie  ricerche.  La  perniciosa  semplice  aggredi- 
sce a  preferenza  i  deboli,  i  vecchi:  ma  non  risparmia 
alcuno,  se  la  causa  occasionale  fu  assai  poderosa.  Pal- 
lido è  il  loro  volto,  fredde  le  membra  degli  aggredi- 
ti, piccolo  il  polso  prima  anche  dell'  ingresso  della 
febbre.  Brividi  di  freddo  gli  assalgono  sempre  crescen- 
ti. Diventano  stupidi,  non  odono,  non  rispondono  , 
ed  un  sudore  freddo  bagna  la  superficie  della  pelle. 
Dopo  alcune  ore  di  un  tale  slato  i  polsi  incomin- 
ciano a  rialzarsi,  leggermente  si  riscalda  la  pelle,  ri- 
tornano a  poco  a  poco  i  sensi,  ed  il  parosismo  cessa. 
Alcune  volte  questi  infelici  mancanti  di  sussidio  muo- 
iono nel  terzo  giorno,  molti  nel  quinto,  il  minor  nu- 
mero nel  settimo.  So  che  qualcuno  non  potè  sfuggi- 
re la  morte  anche  al  primo  accesso  ;  di  modo  che 
senza  la  cognizione  della  causa  e  dell'ordine  succes- 
sivamente tenuto  dai  sintomi,  si  cadrebbe  nell'errore 
di  reputarlo  morto  per  appoplesia. 

La  sezione  de'cadaveri  di  quest'infelici  non  pa- 
lesa alcuna  infiammazione  in  verun  viscere.  Echima- 
toso  è  il  dorso  dei  loro  cadaveri;  oscura  è  la  parte 
posteriore  del  polmone  ,  ed  alcune  echimosi  si  rin- 
vengono ora  in  questa,  ed  ora  in  quella  parte  di  qual- 
sivoglia viscere,  non  escluso  il  cervello;  ma  cedevoli 
si  presentano  tali  parti.  L'addome  alcune  volte  infos- 
sato e  le  intestina  come  vuote  ,  altre  volte  elevato 
il  primo,  e  gonfie  di  aria  le  seconde.  In  generale  tutte 
le  carni  dei  defonti  sono  pallide,  lasse  e  come  sfibrate. 


(i)  Parte  V. 

G.A.T.LXXXVIII. 


i3o  Scienze 

A  quest'infermi  la  corteccia  peruviana,  ammini- 
strata senza  mora,  indubitatamente  giova.  In  alcuni  di 
essi  mi  sono  trovato  nella  necessità  di  associarle  o  il 
vino  o  il  laudano.  E  mestieri  ritrovarsi  nella  faccia 
del  luogo  per  convincersi  di  quanto  ho   esposto. 

Ma  molti  individui,  specialmente  agricoltori,  al- 
lorché la  febbre  gli  aggredisce  covano  già  interna- 
mente altre  indisposizioni  ,  o  morbose  affezioni  che 
gioverà  esporre,  incominciando  dalle  più  semplici,  e 
come  io   le  ho  rinvenute. 

Alcune  fiate,  allorché  io  ho  visitato  l'infermo,  ho 
ritrovato  molti  segni  che  accusavano  zavorra  delle  pri- 
me vie.  Se  gli  accessi  antecedenti,  per  le  indagini  da 
me  istituite,  non  mi  si  presentavano  tanto  forti  da  te- 
mere il  di  lui  spegnimento  al  nuovo  accesso;  io  ap- 
pena trascorso  il  parosismo  prescrivevo  l'emetico:  e, 
dopo  terminata  l'azione  di  questo,  un  clistere  purga- 
tivo. Ed  intanto  prima  dell'  aggressione  della  nuova 
febbre  cercavo  di  rendere  meno  dubbiosa  la  sorte  del- 
l'infermo, facendogli  prendere  qualche  porzione  del 
febbrifugo. 

Più  e  più  volte  sono  stato  chiamato  mentre  l'an- 
tecedente accesso  era  stato  gravissimo,  e  mentre  mol- 
ta colluvie  biliosa  e  gastrica  infarciva  le  prime  vie. 
Era  mestieri  opporsi  contemporaneamente  a  due  di- 
sordini, ed  il  trascurare  alcuno  di  essi  importava  gra- 
vissimo pericolo.  Io  prescrivevo  allora  la  corteccia  pe- 
ruviana unila  al  diagridio,  e  non  risparmiavo  qualche 
clistere  purgativo;  per  tal  modo  evacuavo  le  materie 
impure,  e  vietavo  alla  febbre  divenir  mortale. 

È  stata  discritta  da  altri  la  perniciosa  emetica. 
Non  recherò  noia  al  lettore  se  brevemente  narrerò  il 


Intermittenti  perniciose  i3i 

risultato  delle  mie  osservazioni.  La  perniciosa  emeti- 
ca può  essere  indotta  da  due  condizioni:  o  da  impu- 
rità delle  prime  vie,  o  da  flogosi  dello  stomaco.  Prima 
indagine  del  medico  deve  esser  quella  di  rinvenire, 
da  quali  dei  due  summentovati  disordini  sia  generato 
il  vomito  :  questa  ricerca  diverrebbe  infruttuosa  ogni 
guai  volta  non  si  riuscisse  a  discoprire  quale  ne  fu, 
la  causa  e  la  successione  de'sintomi.  Se  l'infermo  pri- 
ma di  essere  aggredito  dalla  febbre  si  sarà  satollato 
con  cibi  soverchi,  di  difficile  digestione,  o  abbia  in-? 
gurgitato  bevande  acquose  impure;  se  il  vomito,  pre- 
ceduto da  leggiere  nausee  coli' espellere  parti  delle  za- 
vorre, sarà  divenuto  men  frequente  ;  se  questo  vomir 
to  si  sarà  rinnovato  nel  tempo  della  piressia,  senza 
aumento  di  frequenza  e  d'intensità;  finalmente  se  fra 
un  parosismo  e  l'altro  i  polsi  siansi  mostrati  non  feb- 
brili, ma  normali  :  verificandosi  tutte  le  testé  men- 
zionate circostanze,  si  potrà  conchiudere  essere  il  vo- 
mito prodotto  da  colluvie  gastriche.  Allora  l'emetico 
o  l'emetico-catartico  dovrà  dar  cominciamento  alla 
cura.  Noi  siamo  confermati  in  questa  diagnosi  dai 
buoni  effetti  che  sieguono  P  espulsione  delle  nocive 
materie.  Per  l'opposto  se  1'  infermo  prima  di  essere 
colpito  dalla  febbre,  o  nel  tempo  della  di  lei  aggres- 
sione, bevve  vino  o  liquori  alcoolici  (il  che  tra  i  vil- 
lici non  è  infrequente):  se  il  vomito  e  le  nausee  con- 
tinuarono  senza  tregua  anche  nell'intervallo  de'diver- 
si  parosismi;  se  le  bevande  specialmente  calde  accre- 
scono il  vomito  ed  il  dolore  dello  stomaco  ;  se  nel 
tempo  infrapposto  ai  parosismi,  aqche  nel  principio 
della  malattia,  si  rinvenga  il  polso  febbrile  e  concen- 
trato, il  che  non  avviene  nell'antecedente  caso  :  al- 
lora siamo  bastantemente  cèrti  coesistere  unitamente 


i32  Scienze 

alla  febbre  la  fiogosi  dello  stomaco.  Lo  ripeto:  senza 
la  storia  esatta  degli  errori  che  hanno  preceduto,  e 
dei  sintomi  che  hanno  accompagnato  la  malattia  ,  è 
impossibile  raggiungere  la  soluzione  del  problema.  Ove 
esiste  infiammazione,  è  necessario  combatter  questa  pri- 
ma col  salasso  generale,  quindi  col  locale.  Non  dob- 
biamo farei  imporre  allora  dal  timore,  che  la  febbre 
spenga  l'infermò.  H  maggior  pericolo  nasce  dall'infiam- 
mazione. Ho  visti  alcuni  villici  all'ingresso  del  pri- 
mo parosismo,  e  nel  tempo  del  freddo,  ingollare  re- 
plicatamene l'acquavite  o  vini  gagliardi.  E  in  tal  ca- 
so che  lo  stomaco  facilmente  s'  infiamma.  Ciò  ben 
s'intende,  se  si  convenga  meco,  le  varie  parti  del  si- 
stema umano  poter  soggiacere  contemporaneamente  a 
diverse  e  contrarie  azioni,  e  quindi  cadere  in  oppo- 
sti stati. 

La  perniciosa  alcune  volte  è  accompagnata  da 
diarrea.  Ma  la  cagione  della  diarrea  non  è  sempre  la 
stessa.  Può  esser  prodotta  da  innormali  digestioni 
rese  note  dalla,  storia  della  malattia.  In  tal  caso  de- 
ve precedere  qualche  purgativo  e  qualche  clistere 
alla  china.  Altre  volte  la  diarrea  è  l'effetto  del  fred- 
do, o  perchè  l'infermo  bevve  acqua  gelata,  o  perchè 
non  difese  l'addome  con  bastevoli  vestimenta.  Le  cal- 
de pozioni  ,  e  fra  queste  l'infuso  di  tè,  le  calde  fo- 
menta al  basso  ventre,  i  tiepidi  lavativi,  recano  pronto 
sollievo.  Ma  la  diarrea  può  essere  anche  generata  da 
fiogosi  di  qualche  parte  del  canale  alimentare.  In  ta- 
li ipolesi  ha  dovuto  precedere  alla  febbre  l'azione  di 
qualche  agente  stimolante:  il  bassoventre  non  può  sof- 
frire o  in  questa  o  in  quella  parte  la  più  leggiera 
pigiatura.  Esaminandolo  colla  maggior  circospezio- 
ne e  delicatezza,  sperimentasi  pure  in  qualche  pun- 


Intermittenti  pekmctose  i  33 

to  maggior  resistenza  che  altrove  :  finalmente  anclie 
nell'intervallo  che  intercede  fra   i    parosismi  febbrili, 
il  polso  non  è  interamente  apiretico,  e    l'arteria  con- 
serva o  durezza  o  ristringimento  del  suo   diametro. 

Ciò  che  ho  dello  della  diarrea  si  osserva  anche 
nella  dissenteria.  Stoll  ha  descritto  la  dissenteria  reu- 
matica, cioè  quella  prodotta  da  perfrigerazione.  Il  più 
spesso  però  è  l'effetto  dell'infiammazione  del  retto.  Il 
trattamento  deve  soggiacere  alle  regole  di  sopra  espo- 
ste. Allorché  1'  infiammazione  di  qualsivoglia  par- 
te delle  intestina  si  unisce  alla  febbre  periodica;  do- 
po spenta  la  prima,  io  somministro  la  corteccia  pe- 
ruviana unita  allo  sciroppo  semplice,  a  quello  di  al- 
tea o  di  viole. 

Il  sintoma  più  grave  e  più  frequente,  perchè  ac- 
compagna sempre,  o  quasi  sempre  la  perniciosa,  è  il 
sopore:  ragion  per  cui  dal  più  antico  de'nosologi  fu 
la  perniciosa  appellata  soporosa.  Il  sopore  mostrasi 
nel  tempo  degli  accessi,  e  diviene  più  prolungato,  e 
più  grave  ne'  successivi.  La  sua  maggior  intensità 
diede  allora  il  sinonimo  di  comatosa,  e  finalmente  di 
letargica  alla  febbre.  Si  avvidero  ben  presto  i  medi- 
ci che  questo  sopore  era  l'effetto  di  condizione  adina- 
mica,  perchè  dal  salasso  ricevea  accrescimento,  perchè 
veniva  fugato  dalla  china,  e  dalla  medesima  marita- 
ta al  vino  o  al  laudano.  Si  credettero  eglino  auto- 
rizzati chiamare  periodiche,  nervose,  maligne  tali  feb- 
bri: colla  quale  parafrasi  comprendevano  anche  quel- 
le associate  da  altri  sintomi  ,  ma  provenienti  dalla 
stessa  diatesi. 

Questo  sopore  è  sempre  ed  invariabilmente  l'ef- 
fetto della  medesima  condizione  morbosa?  Appellasi 
ella  o  adinamica,  o  di  anestesia,  o   di  collapso,  o  ner- 


i34  S  e  t  te  n  z  te 

vosa,  o  con  qnal  si  voglia  altro  nome  venga  dalle  op- 
poste scole  indicata  ?  Esigerà  in  ogni  caso  lo  stesso 
trattamento?  Indubitatamente  la  febbre  soporosa  pe- 
riodica alcune  volte  viene  peggiorata  dal  metodo  ec- 
citante. Ed  in  molti  luttuosi  casi  la  notomia  ha  rinve- 
nuta flogosi  .o  in  questa  o  in  quella  parte  del  Cervello, 
mentre  in  altri  niuna  ve  ne  potei  discoprire.  Non  si 
deve  già  confondere  la  raccolta  di  sangue  venoso  oscuro 
o  nei  seni,  o  nella  parte  posteriore  del  cervello  t  o 
nei  plessi  de'  ventricoli,  coll'infiammazione.  Le  men- 
zionate raccolte  di  sangue  possono  essere  il  risulta-* 
to  dell'illanguidita,  e  successivamente  spenta  vitalità* 
e  quindi  dell'obbedienza  di  detto  fluido  alle  leggi  del 
peso. 

Possono  dunque  rinvenirsi  dei  casi*  nei  quali  si 
trovino  combinate  fra  loro  l' infiammazione  di  qualche 
parte  del  cervello  e  la  diatesi  febbrosa.  Ora  allorquan- 
do coesiste  la  febbre  periodica  e  l'infiammazione,  è 
mestieri  combattere  quest'ultima  col  salasso  generale, 
in  appresso  col  locale  ;  qualche  volta  ripetere  l'ante- 
cedente* Se  il  medico  si  fa  imporre  dal  timore  della 
periodicità,  può  esser  sicuro  della  perdita  dell'infer- 
mo. Debbo  però  confessare  che  ho  sempre  rinvenuto 
queste  flogosi  più  docili  al  salasso,  poste  al  paragone 
colle  infiammazioni  solitarie  e  non  congiunte  alla  pe- 
riodica. E  questo  un  fatto  che  non  può  essere  igno- 
rato da  medico  di  prolungata  ed  estesa  pratica  ,  e 
tale  da  non  doversi  dimenticare  da  quegli  scrittori,  che 
di  patologiche  affezioni  sogliono  discorrere.  Io  adun- 
que, fino  a  tanto  che  non  sono  persuaso  di  avere  spen- 
ta l'associata  infiammazione,  non  discendo  al  febbri- 
fugo. 

Ma  con  quali  indizi  ed  argomenti  siamo  noi  resi 


Intermittenti  perniciose  i35 

certi  della  coesistenza  dell'infiammazione  colla  febbre 
periodica  ?  Qui  più  che  mai  è  necessaria  la  storia 
delle  cagioni  molteplici  che  hanno  preceduto  la  ma- 
lattia: e  senza  una  storia  circostanziata  ed  esatta,  io 
ignoro,  come  un  abile  esercente  possa  fare  acquisto 
dell'indicazione  prima,  a  cui  deve  soddisfare. 

Le  cagioni  morbose  che  hanno  preceduto,  o  si 
sono  associate  alla  febbre,  pongono  il  medico  nella 
via  a  bene  sciogliere  il  problema  seguente  : 

«  Se  il  malato  era  pletorico,  se  prima  d'infer- 
mare, o  nel  primo  corso  della  malattia  usò  liquori, 
bevve  il  vino  ;  se  dopo  alcuni  accessi  febbrili,  atte- 
sa la  loro  tenuità,  li  trascurò,  e  si  espose  al  sole  nel- 
le ore  meridiane,  e  curvo  persistè  nel  travaglio  ru- 
stico ».  Siamo  avvertiti  che  un  qualche  viscere  ha 
potuto  esser  disposto  alla  flogosi.  Ho  assistiti  alcuni 
infermi  in  questo  spedale  maceratese  ,  che  venivano 
dalle  campagne  romane,  dopo  aver  sostenuti  parecchi 
parosismi  febbrili  non  molto  gravi  ,  e  che  seguendo 
un  sì  lungo  viaggio  a  piedi  tanto  nelle  ore  nottur- 
ne, quanto  sul  mezzo  giorno,  erano  rimasti  esposti  agli 
infocati  raggi  del  sole  per  lunga  pezza.  Appena  ri- 
patriati,  il  nuovo  accesso  si  svilluppò  con  grave  so- 
pore. In  tutte  queste  ipotesi  i  seguenti  sintomi  met- 
tono allo  scoperto  la  questione.  Il  dolore  e  la  gra- 
vezza del  capo  non  cessa  dopo  i  parosismi  ,  ma  si 
mantiene  abbenchè  men  grave.  L'albuginea  degli  occhi 
è  alquanto  rossiccia,  ma  più  spesso  gli  angoli  de'me- 
desimi.  La  faccia  dell'infermo  non  è  coperta  intera- 
mente di  quel  pallore  che  si  riscontra  nella  perni- 
ciosa semplice;  le  carni,  spento  il  parosismo,  non  di- 
scendono pienamente  a  quella  freschezza  che  io  ho 
rinvenuta  e  descritta,  allorché  non  vi  è  complicalo- 


i36  Scienze 

ne  di  socia  affezione.  I  polsi  esaminali  con  troppa 
fretta,  abbenchè  sembrino  apiretici  ,  pure  paragonati 
a  quelli  degli  accessi  febbrili  non  lo  sono  interamen- 
te: e  se  lo  sembrano  essere,  non  pertanto  bene  esplo- 
rati, l'arteria  si  rinviene  ristretta,  e  non  adagiantesi 
sulle  dita  esploratrici.  Allora  io  non  dubito  punto 
che  all'intermittente  sia  congiunta  l'infiammazione 
del  cervello.  Istituisco  quindi  un  salasso  generale,  e 
dopo  di  esso  applico  le  sanguisughe  all'occipite.  Ge- 
neralmente parlando  queste  due  flebotomie  sono  suf- 
ficienti a  spegnere  l' infiammazione.  Ma  se  ciò  non 
avvenisse  ,  ed  interamente  o  in  molta  parte  i  sinto- 
mi teste  descritti  esistessero,  io  non  mi  ricuso  di  ce- 
lebrar nuovo  salasso.  Mentre  ciò  faccio,  ordino  che 
sia  iniettalo  lavativo  emoliente  e  purgativo:  e  se  do- 
po tutto  ciò  o  contemporaneamente  sintomi  gastrici 
si  facessero  vedere,  vado  somministrando  qualche  so- 
luzione ecoprottica.  Le  quali  cose  eseguite,  do  subi- 
to di  mano  al  febbrifugo. 

La  verità  fu  sempre  il  mio  scopo  :  per  lo  che 
non  rifuggo  confessare,  che  due  infermi  ricevuti  mol- 
ti anni  in  dietro  in  questo  ospedale  maceratese  ri- 
masero spenti  per  avere  io  trascurato  queste  ultime 
diligenze.  E  qual  è  quel  pratico  che  possa  gloriarsi 
di  non  essersi  mai  ingannato  ?  Quante  sono  le  circo- 
stanze della  vita  che  turbano  l'attenzione  dell'uomo 
il  più  avveduto,  e  che  gli  fanno  dimenticare  quelle 
stesse  massime  che  furono  il  frutto  di  lunga  prnl:- 
ca  e  di  profonde  meditazioni  ?  Potrei  nelle  opere  che 
tutto  giorno  si  vanno  pubblicando  sul  nostro  argo- 
mento discoprire  non  uno  o  due  casi  somiglianti  ai 
miei,  ma  molti  e  molti;  ne'quali  si  trascurarono  od 
ignorarono  tutte  quelle  precauzioni,  di  cui  io  ho  da- 
to 05  ora  un  breve  quadro. 


Intermittenti  perniciose  187 

Abbenchè  non  di  raro  ,  dopo  che  fu  pe1  salas- 
si risoluta  l'infiammazione,  si  appalesi  l'intermitten- 
te gravissima  ;  ciò  però  non  è  sempre.  Il  più  delle 
volte  la  periodica  non  è  sì  grave  da  non  potersi  dif- 
ferire la  prescrizione  del  febbrifugo  per  qualche  gior- 
no. Circostanza  non  rara  nel  caso  di  associazione  del- 
le due  malattie.  Temo  che  molti  medicanti  in  tale 
apprezzamento  non  siano  stati  circospetti,  quanto  era 
mestieri  esserlo.  Ma  dobbiamo  ricordarci,  che  la  slessa 
appoplesia  pletorica  nell'inverno,  cioè  allorquando  non 
può  temersi  riunione  con  essa  di  febbre  periodica  , 
non  pertanto  più  spesso  che  non  si  crede  suole  do- 
po le  venti  quattro  ore,  o  anche  dopo  tempo  dop- 
pio, rinnovare  suoi  colpi.  Questa  specie  di  periodi- 
cità non  ha  potuto  sottrarsi  agli  occhi  de'  dotti  os- 
servatori ,  e  non  deve  restare  inavvertita  nel  tempo 
che  domina  1'  intermittente.  Mentre  tali  cose  narro, 
non  voglio  dar  credito  alla  pratica,  oggi  anche  trop- 
po comune  presso  alcuni  medici,  di  prescrivere  pre- 
cipitosamente il  salasso  al  primo  accesso  febbrile,  ed 
anche  di  ripeterlo  perchè  accompagnato  da  alcuni  sin- 
tomi fallaci  di  orgasmo,  e,  come  essi  dicono,  di  rea- 
zione. Deplorai  molti  infermi  da  questa  falsa  dottri- 
na perduti;  ed  è  per  l'opposto  sentenza  comunemen- 
te ricevuta  da  coloro  che  a  tali  malattie  spesso  furon 
presenti,  che  un'intempestiva  flebotomia  uccide  irre- 
parabilmente l'infermo,  in  ispecialità  se  sia  pervenu- 
to alla  vecchiezza. 

Un  emiplegia,  che  col  cessare  del  parosismo  com- 
pletamente con  essa  cessi,  a  me  non  fu  dato  mai  di 
riscontrare.  Altri  la  descrissero,  ne  io  voglio  ad  es- 
si negar  fede.  Ma  se  l'emiplegia  è  costante,  se  essa 
persiste  anche  nel  tempo  dell'apiressia;  non  vi  è  ogni 


i38  Scienze 

ragione  per  credere  che  l'infiammazione  del  cervello 
e  della  midolla  oblongata  ec.  sia  la  primaria  affezio- 
ne ?  L'esacerbazione  febbrile  può  in  molti  casi  esser 
l'effetto  di  connubio  dell'  intermittente  colla  flogosi 
delle  menzionate  viscere;  e  può  ancora  in  altri  casi 
spettare  al  gastricismo,  da  cui  è  influenzato  il  siste- 
ma circolatorio.  Se  si  esaminassero  con  rigore  chi- 
mico molte  storie  rese  di  pubblico  diritto  intorno  a 
questa  malattia,  sarebbe  facile  dagli  stessi  sintomi, 
che  in  esse  si  trovano  ricordate,  rinvenire  conferma  a 
questo  mio  dubbio;  abbenchè  gli  scrittori  delle  me- 
desime siano  stati  molto  generosi  nel  dipingere  a  for- 
ti caratteri  qu e' propri  della  sola  periodicità. 

Fra  gli  effetti  più  frequenti  dell'aria  romana  so- 
pra gli  abitanti  delle  sue  campagne  evvi  l'ostruzione 
della  milza.  Quelli  che  soggiacquero  alla  perniciosa, 
ove  furono  ben  trattati  nel  corso  della  malattia  ,  e 
che  in  appresso  si  allontanarono  da  quella  pestilente 
regione,  non  si  videro  mai  affetti  da  vizio  del  sud- 
detto viscere.  Ma  se  precipuamente  nel  decorso  del- 
la febbre  non  furono  purgati,  mentre  esistevano  za- 
vorre addominali,  non  è  cosa  rara  che  si  vadano  ri- 
petendo con  inegual  periodo  accessi  febbrili  benché 
miti,  e  che  dopo  un  qualche  tempo  la  milza  appa- 
risca tumida  all'ipocondrio  sinistro.  Ma  anche  la  pe- 
riodica non  perniciosa,  ove  siasi  prolungata  per  molti 
mesi  in  quel  paese,  è  seguita  da  sì  fatta  tumescen- 
za.  I  cadaveri  di  coloro,  che  per  essa  periscono,  mo- 
strano il  liene  aumentato  quasi  sempre  di  volume. 
In  alcuni  una  teca,  dura  più  della  sostanza  del  vi- 
scere, ne  circonda  l'esterna  superficie,  mentre  il  re- 
sto del  parenchima  si  mostra  molle  e  di  colore  più 
oscuro  del  naturale.  In  altri,  invece  della  teca  sud- 


Intermittenti  perniciose  i3g 

detta,  ho  ritrovata  qualche  porzione  centrale  della  mil- 
za indurita,  e  molle  il  rimanente.  Aprimmo  in  que- 
sto teatro  anatomico  il  cadavere  di  un  villico  ,  la 
cui  milza  elevata  a  grande  volume  era  però  molle  più 
del  consueto,  e  come  vicina  a  spappolare.  Qual'è  la 
natura  di  questo  disordine  ?  E  inutile  che  io  lo  di- 
chiari. Ma  se  una  tal  lesione  è  una  vera  flogosi  colle 
sue  varie  terminazioni ,  questa  flogosi  è  essa  prima- 
ria, e  cagione  della  febbre?  0  piuttosto  un  prodotto 
della  preceduta  piresia  ?  Ecco  come  io  m' industrio 
per  risolvere  un  tal  problema.  La  corteccia  peruvia- 
na, che  in  sull'incominciamento  della  febbre  è  effica- 
cissima nel  distruggerla  ,  riesce  inutile  a  debellarla 
ogni  qual  volta  siasi  stabilita  la  lesione  di  cui  tenia- 
mo discorso.  Questa  stessa  lesione  per  lo  contrario, 
dopo  che  esistette  per  lungo  tempo  ,  si  rende  sotto 
l'uso  della  medesima  più  caparbia,  e  più  difficile  quin- 
di ad  esser  fugata.  L' induramento  della  milza  non 
apparisce  ordinariamente  nei  primi  giorni  della  feb- 
bre, anche  allorché  questa  è  gravissima  ed  uccide  i* 
infermo.  La  sezione  de'cadaveri  di  quegl'individui,  che 
furono  spenti  ne'primi  accessi,  non  mostra  l'indura- 
mento di  detto  organo.  Sono  noti  i  sintomi  della  sple- 
nite: ma  tanto  nel  primo  corso  della  perniciosa,  quan- 
to di  altra  semplice  intermittente,  niuno  di  essi  fu 
riscontrato  e  commemorato  come  essenziale  dai  no- 
sologi.  Non  è  quindi  ragionevole  concludere,  che  la 
cronica  infiammazione  della  milza  sia  una  termina- 
zione delle  febbri  periodiche  generate  in  arie  umide, 
nel  modo  stesso  come  nelle  febbri  continue,  dopo  la 
prima  o  seconda  settimana  ,  alcune  volte  o  le  fauci 
s'infiammano  o  le  parotidi  o  qualsivoglia  altra  parte. 
Mi  rimane  ora  esporre  succintamente  con  qua- 
li mezzi  pel  corso  di  molti    anni  abbia  io  combat- 


i4o  Scienze 

tuto  con  felice  successo  un  tal  disordine.  Sono  ri- 
cevuti in  quest'ospizio  clinico  agricoltori  prevenien- 
ti dalle  campagne  romane,  ed  alcune  volle  qualche 
militare  che  ebbe  stazione  nelle  contrade  pivi  basse 
delle  Romagne:  i  quali  dopo  aver  soggiaciuto  per  mol-> 
to  tempo  a  febbri  intermittenti  ,  sparuti  e  cachetici 
qui  se  ne  vengono.  Alcuni  di  essi  portano  seco  il 
solfato  di  chinina,  altri  pillole  di  estratti  amarican- 
ti. Tutte  queste  cose  sospese,  io  istituisco  subito  un 
salasso  dal  piede  sinistro  ;  il  giorno  appresso  faccio 
applicare  le  irudini  al  podice.  In  seguito  io  purgo  l'in- 
fermo. Ma  se  febbrile  fosse  il  polso,  o  dura  l'arteria, 
rinnovo  il  secondo  salasso  dal  piede.  Tali  cose  ese- 
guite, prescrivo  ogni  mattina  all'ammalato  un'  oncia 
e  mezza  ed  anche  più  di  tintura  forte  acquosa  di  ra- 
barbaro, nella  quale  ho  sciolto  un'ottava  ,  od  anche 
due  di  sale  mirabile  di  glaubero  (solfato  di  soda).  Non 
abbandono  questa  tintura,  la  ripeto  quotidianamen- 
te, e  la  sospendo  qualche  volta  per  un  giorno  se  le 
evacuazioni  alvine  fossero  soverchie.  Applico  poi  so- 
pra l'ipocondrio  sinistro  il  ceroto  di  cicuta.  Se  il  bi- 
sogno lo  richieda,  dopo  la  seconda  e  terza  settima- 
na discendo  al  terzo  salasso.  La  dieta  è  sempre  se- 
vera ,  ed  è  negata  la  refezione  della  sarà.  Spenta 
la  febbre,  ed  abbisognando  l'infermo  di  maggior  nu- 
trimento ,  alla  zuppa  della  mattina  aggiungo  in  sul 
principio  un  qualche  frutto,  ed  in  appresso  qualche 
vegetabile  cotto  od  ovo  sorbile  con  frustolo  di  pa- 
ne. Ho  ricondotto  a  sanità  molti  e  molti  infermi,  do- 
po aver  fatto  inutilmente  uso  di  altri  metodi. 

Tali  cose  io  dirigeva  a  voi,  rispettabilissimo  sig. 
conte,  a  voi  che  ben  conoscete  unico  mio  studio  es- 
sere stato  mai  sempre  quello  di  :  «  Kitam  impen- 
dere vero.   » 


i4i 


niwvMmanrai 


Praelectiones  theologicae  quas  in  collegio  ro- 
mano S.  I.  habebat  Ioannes  Perrone  e  soc. 
lesiti  in  eoclem  collegio  theol.  professor.  Ro- 
vine i83g.  Ex  collegio  urbano  de  propagan- 
da fide.   Voi,   VI  et  VII. 

&L  compiere  l'analisi  del  VI  volume  (*),  altro  non 
ci  resta  che  il  parlare  del  trattato  della  penitenza. 
Definita  questa  dal  eh.  autore  come  virtù  ,  e  come 
sagramento,  riparte  egli  tutta  la  materia  in  cinque  ca- 
pitoli suddivisi  in  varie  proposizioni. 

Il  primo  capo,  in  cui  trattasi  della  verità  di  que- 
sto sagramento,  lo  divide  in  due  proposizioni.  Dimo- 
stra nella  prima  esser  la  penitenza  un  vero  e  pro- 
prio sagramento  della  nuova  legge  istituito  da 
Mostro  Signore,  per  cancellare  i  peccati  commes- 
si dopo  il  battesimo.  Siccome  però  i  protestanti,  pel 
falso  principio  da  loro  adottato  della  giustificazione 
e  delle  manifestazioni  del  peccato  originale,  attribui- 
scono al  battesimo  tutti  gli  effetti  della  penitenza; 
così  i  cattolici,  i  quali  professano  la  genuina  dottri- 
na del  tutto  contraria  ai  principii  di  essi,  ne  traggo- 
no una  conseguenza  del  tutto  opposta.  La  differenza 
si  è  questa:  che  i  protestanti,  per  così  dire  a  priori, 
si  fingono  i  dogmi,  li  adattano  alle  loro  teorie,  o  al- 
meno da  esse  li  deducono:  i  cattolici  all'incontro  sta,n- 


(")  Vedi  il  tomo  LXXX1V  a  «art.  ùg  e  segg. 


i4^  Scienze 

no  immobilmente  fermi  alla  costante  e  perpetua  dot- 
trina e  prassi  della  chiesa.  Pertanto  avendo  la  chiesa 
riconosciuto  sempre  in  essa  un  distinto  ministro,  un 
distinto  soggetto,  una  distinta  materia,  una  distinta  for- 
ma, distinti  effetti,  distinta  istituzione  ,  distinte  pro- 
prietà, il  p.  Perrone  nell'altra  proposizione  sostiene 
essere  la  penitenza  un  sagramento  dal  battesimo 
distinto. 

Il  secondo  capo  è  della  contrizione.  Dopo  aver- 
ne data  col  concilio  di  Trento  la  definizione,  a  mag-, 
gior  chiarezza  stabilisce:  I.  Esser  di  fede  che  la  con- 
trizione imperfetta,  chiamata  attrizione,  è  un  dono  di 
Dio,  e  che  quantunque  per  se  non  giustifichi  il  pec-» 
catore,  tuttavolta  lo  dispone  ad  impetrare  la  grazia  di 
Dio  nel  sagramento.  II.  Esser  prossimo  alla  fede,  che 
questa  contrizione,  la  quale  può  talvolta  essere  per-, 
fetta  per  la  carità,  riconcili  1'  uomo  a  Dio  prima  an- 
cora di  ricevere  il  sagramento;  non  doversi  però  aU 
tribuir  questa  riconciliazione  alla  sola  contrizione  sen- 
za il  voto  in  essa  incluso  di  ricevere  il  sagramento. 
Dal  che  giustamente  deducesi,  esser  dottrina  ricevuta, 
specialmente  dopo  il  concilio  di  Trento,  che  non  sia 
necessaria  per  ricevere  questo  sagramento  la  contri-a- 
zione perfetta,  siccome  insegnano  taluni,  ed  in  par- 
ticolar  modo  i  giansenisti.  Passando  poi  alle  questio- 
ni scolastiche,  brevemente  esamina:  i.  Se  nell'attri- 
zione ricerchisi  un  gualche  amore  iniziale,  ovvero 
basti  il  solo  timor  delle  pene:  a.  Se  questo  amor  ini- 
ziale consista  nel  solo  amor  di  speranza,  o  come  di- 
cesi di  concupiscenza,  ovvero  in  amore  di  amicizia 
e  benevolenza:  3.  Che  secondo  altri  quella  carità  teo- 
logica presa  nel  proprio  senso  ,  la  quale  ricercasi 
per  la  giustificazione,  non  consiste  nell'amore  di  he- 


Teologia  del  Perrone  i43 

nevolenza  e  di  amicizia,  ma  nel  solo  amor  di  con- 
cupiscenza. Premesse  queste  brevi  osservazioni,  ed  ac- 
cennata la  controversia  circa  il  timore  con  cui  si  con- 
cepisce l'attrizione,  ossia  se  per  la  giustificazione  nel 
sagramento  della  penitenza  basti  quel  timore,  che  na- 
sce da  una  soprannaturale  minaccia  delle  pene  tempo- 
rali ,  ovvero  vi  si  debba  includere  anche  quello  delle 
pene  eterne  ,  nella  I.a  proposizione  sostiene  il  cano- 
ne V  del  concilio  di  Trento  ;  e  nella  II.a  contro  i 
giansenisti,  che  la  contrizione  perfetta  riconcilia 
V  uomo  a  Dio  prima  che  riceva  II  sagramento 
della  penitenza,  purché  però  slavi  Incluso  II  voto 
di  riceverlo.  Nella  III.a  proposizione  finalmente  dimo- 
stra non  essere  necessaria  la  contrizione  perfet- 
ta a  ben  riceverlo. 

Il  capo  III  riguarda  l'auricolar  confessione  ne- 
cessaria a  rimetter  i  peccati  dopo  il  battesimo.  Il  eh. 
autore  prova  questa  verità  con  tre  distinte  proposizioni: 
ricavandola,  I.  Dalla  sacra  scrittura,  in  cui  Cristo  a 
forma  di  giudizio  istituì  il  sagramento  :  II.  Dall'an- 
tica e  costante  tradizione  de'padri  :  HI.  Dalla  eresia 
de'montanisti  e  de'novaziani,  i  quali  ammettendo  la  di- 
vina istituzione  della  confessione,  restringevano  solo 
ad  alcuni  peccati  la  facoltà  generale  concessa  di  as- 
solvere: e  però  dal  sostenere  in  questa  III  proposi- 
zione, non  esservi  alcun  peccato  che  non  possa  ri- 
mettersi a  coloro,  i  quali  sono  disposti ,  viensi  sem- 
pre più  a  confermare  il  salutevole  dogma  della  ne- 
cessità dell'auricolar  confessione. 

Se  la  contrizione  e  la  confessione  costituiscono 
l'essenza  del  sagramento  della  penitenza  ,  e  giovano 
a  rimettere  la  pena  eterna  ;  la  soddisfazione  ne  co- 
stituisce la  integrità  e  vale  a  rimettere  quella  parte 


i/i4  Scienze 

di  pena  tempoi'ale,  che  ordinariamente  dopo  ricevuto 
il  sacramento  resta  a  scontarsi  o  in  questa  o  nell'al- 
tra vita.  Siccome  peraltro  i  protestanti  rigettano  ogni 
necessità  di  soddisfazione,  come  ingiuriosa  alla  croce 
di  Cristo:  imperocché  nei  loro  sistema  Dio  c'imputa  i 
meriti  di  Gesù  Cristo  in  modo,  che  più  egli  da  noi  non 
ricerchi  alcuna  espiazione  de'falli;  così  il  p.  Perrone 
nel  cap.  IV  discorrendo  della  soddisfazione,  nella  pri- 
ma proposizione  addimostra,  che  insieme  colla  col- 
pa non  si  rimette  sempre  tutta  la  pena,  ma  che 
ordinariamente,  tolta  per  la  potestà  delle  chiavi 
la  pena  eterna,  resta  la  tempora!  pena  a  pagar- 
si :  e  nella  seconda,  la  quale  è  un  corollario  della 
prima,  che  i  ministri  della  penitenza  possono  e  de- 
vono ingiungere  delle  soddisfazioni  salutari  e  con- 
venevoli ai  penitenti. 

A  questa  proposizione  aggiunge  egli  alcuni  bre- 
vi ed  utilissimi  scolii  sulla  penitenza  pubblica,  i  quali 
assai  bene  valgono  a  far  conoscere  la  consuetudine 
della  chiesa  in  infliggere  le  pene,  a  ribattere  le  pazze 
opinioni  de'giansenisli,  ed  a  mettere  in  guardia  gl'in- 
cauti, ai  quali  così  belle  e  così  utili  si  dipingono  le 
antiche  pene  canoniche. 

Lasciati  a  parte  i  gradi  dei  penitenti,  cioè  de* 
piangenti,  degli  udienti,  de 'prò strati  e  de7 consi- 
stenti, le  loro  stazioni  e  le  loro  opere,  osserva:  I.  Che 
non  devono  confondersi  insieme,  siccome  ordì  nana- 
mente far  sogliono  i  giansenisti  ,  la  penitenza  sa- 
gramentale  ordinata  da  Gesù  Cristo  e  necessaria  a 
tutti,  colla  penitenza  canonica,  che  per  l'ordinario  e 
più  rettamente  i  teologi  chiamano  ceremoniale,  e  che 
appunto,  perchè  tale,  non  fu  ne  costante  nò  uguale, 
ma  varia  secondo  i  luoghi,  i  tempi  e  le  circostanze, 
finché  a  poco  a  poco  andò  interamente  in  disuso. 


Teologia  del  Pekrone  i45 

TI.  Che  neppur  si  debbono  tra  loro  confonde- 
re ,  siccome  fanno  i  novatori  e  i  seguaci  del  sino- 
do pistoiese  ,  la  penitenza  canonica  colla  penitenza 
pubblica,  la  quale  sotto  qualche  aspetto  fu  in  vigo- 
re fin  dal  tempo  degli  apostoli:  quantunque,  siccome 
osserva  il  Petavio,  per  deficienza  de'monumenti  siamo 
in  grande  oscurità  sul  metodo  tenuto  dai  sacerdoti 
ne'primi  due  secoli.  In  fatti  non  senza  frode  e  ma- 
lizia il  sinodo  di  Pistoia  confondendo  queste  due  pe- 
nitenze ne  dedusse,  che  l'ordine  della  penitenza  ca- 
nonica era  stato  dalla  chiesa  stabilito  sull'esempio  de- 
gli apostoli,  né  arrossì  di  attribuire  a  delitto  alla  chie- 
sa di  averla  cambiata:  dicendo  di  riconoscere  in  quel 
mirabile  ordine  ed  augusto  tutta  la  dignità  di  un 
sagramento  così  necessario, sceverata  da  quelle  sot- 
tigliezze che  nel  processo  di  tempo  vi  si  aggiun- 
sero. Questa  sentenza  però  fu,  come  ognun  sa,  con- 
dannata da  Pio  VI  (  Prop.  XXXIV  della  notissima 
costituzione  Auctorem  fidei)  come  temeraria,  scan- 
dalosa, conducente  al  disprezzo  della  dignità  del 
sagramento,  come  in  tutta  la  chiesa  usò  di  am- 
ministrarsi, ingiuriosa  alla  chiesa  medesima. 

III.  Che  la  penitenza  canonica  non  fu  istituita, 
se  non  nel  finire  del  secolo  III  ,  in  occasione  della 
eresia  de'novaziani,  e  ch'essa  restringevasi  solo  alla  pu- 
nizione di  tre  delitti,  l'idolatria  cioè,  l'adulterio  e  l'o- 
micidio. Inoltre  che  queste  pene  non  imponevansi  in- 
differentemente a  tutti  i  fedeli,  ma  ad  alcuni  sola- 
mente, anzi  ad  una  determinata  classe  d'individui.  Ed 
invero  n'erano  eccettuati  i  cherici  maggiori,  ordina- 
riamente le  donne,  e  i  figli  di  famiglia.  Dovevano  es- 
sere colpevoli  di  pubblici  delitti:  e  perciò  non  astrin- 
gevansi  ad  essa  penitenza  ,  se  non  coloro  eh'  erano 
G.A.T.LXXXVIII.  ,o 


,i46  Scienze 

siali  chiamati  in  giudizio  ,  e  convinti  innanzi  alla 
legge,  siccome  attesta  più  volte  sant'Agostino.  Impo- 
nevasi  poi  questa  penitenza  una  sola  volta:  e  quei  die 
fossero  tornati  novellamente  a  cadere  erano  per  sem- 
pre allontanali  dalla  eucaristica  mensa,  alla  quale  solo 
nel  punto  della  morte  venivano   riammessi, 

IV.  Osserva  coll'illustre  arcivescovo  Marchetti  di 
eh.  mem.,  doversi  distinguere  la  prassi  e  la  discipli- 
na della  chiesa  universale  circa  la  penitenza  canoni- 
ca, da  quella  delle  chiese  particolari  :  ed  in  conse- 
guenza i  canoni  e  i  decreti  della  chiesa  universale  dai 
canoni  e  decreti  di  qualche  vescovo  ,  o  concilio  ,  o 
chiesa  particolare,  avendosi  eziandio  riguardo  alla  va- 
rietà de'  tempi  :  nò  doversi  queste  cose  tra  loro 
scambiare,  siccome  molti  fanno  per  dedurne  poi  la 
così  detta  disciplina  dell'  antica  chiesa.  Imperocché 
eccettuato  il  concilio  I  niceno  ,  che  fece  tre  canoni 
penitenziali  pe'soli  apostati  e  pe'caduli  nell'idolatria, 
niun  altro  concilio  ecumenico  stabilì  canoni  peniten- 
ziali, ed  in  conseguenza  praticossi  nella  chiesa  quella 
varietà  di  punizioni,  che  più  si  credeva  opportuna. 

V.  Finalmente  fa  rimarcare  col  più  volte  nomi- 
nato Petavio,  esser  la  penitenza;  che  oggidì  si  costu- 
ma, più  analoga  e  conveniente  ai  tempi  degli  aposto- 
li e  della  primitiva  chiesa,  di  quello  che  sia  l'altra  in- 
trodotta poi  da'santi  vescovi  e  da'eanoni  più  o  meno 
severi,  a  seconda  che  richiedevano  i  tempi  ed  i  luoghi. 

Le  quali  cose  (  giustamente  conclude  il  p.  Per- 
rone  )  se  si  abbiano  ognora  presenti,  facilmente  si  ripa- 
rerà alle  declamazioni  de' giansenisti ,  che  sospirano 
quell'aurea  ed  intemerata  disciplina  dell'antica  chiesa 
in  modo  da  dispregiare  quella  che  di  presente  è  in 
vigore.  Imperocché   operando  così  più  agevolmente  si 


Teologia  del  Perrone  147 

dispensano  dall'una  e  dall'altra  penitenza:  dall'antica, 
perchè  più  non  costumasi:  e  dalla  moderna,  perchè 
ad  essi  non  talenta. 

Esaurita  così  la  dottrina  della  soddisfazione,  nel 
quinto  ,  ossia  ultimo  capo  del  trattato  ,  parla  della 
materia.)  della  forma  e  del  ministro  di  questo  sa- 
gramento.  Fatte  le  solite  osservazioni  sulla  materia 
prossima  e  remota,  necessaria  0  libera  ec,  viene  alla 
forma,  che  i  protestanti,  per  essere  ragionevoli  ai  loro 
principi!,  sostengono  esser  dichiarativa  e  non  già  ef- 
fettiva. Ribatte  egli  nella  prima  proposizione  così  em- 
pia sentenza;  nella  seconda  confuta  1'  altro  loro  er- 
rore, cioè  che  qualsiasi  fedele  abbia  da  Cristo  ri- 
cevuta la  potestà  delle  chiavi:  nella  terza  che,  per 
validamente  assolvere  nel  sacramento  della  peni- 
tenza, oltre  la  potestà  di  ordine  ricercasi  ezian- 
dio quella  di  giurisdizione:  e  però  V approvazione 
del  vescovo  non  esser  una  mera  testimonianza  d'i- 
doneità, come  pretenderebbero  i  giansenisti  ,  ma 
una  vera  collazione  di  potestà  e  di  giurisdizione: 
il  perchè  senza  tale  approvazione  i  sacerdoti  in- 
validamente ed  illecitamente  amministrare  cotesto 
sagramento;  finalmente  nella  quarta  ed  ultima  pro- 
posizione dimostra,  che  i  vescovi  hanno  il  diritto  di 
riservarsi  i  casi,  non  solo  quanto  alV esterna  po- 
lizia, ma  anche  innanzi  a  Dio  :  e  però  i  sacer- 
doti, eccetto  V articolo  di  morte,  invalidamente  as- 
solvere i  penitenti  dai  casi  riservati. 

Per  corona  di  questo  trattato  tanto  breve,  quan- 
to succoso  ,  in  cui  1'  autore  seguendo  il  suo  solito 
metodo  nel  confutare  i  novatori,  ed  in  ispecie  i  gian- 
senisti ed  il  sinodo  di  Pistoia,  ha  sempre  sostenuto 
la  dottrina  del  concilio  di  Trento,  aggiunge  due  bel- 


148  Scienze 

lissimi  tratti,  il  primo  di  s.  Gregorio  magno,  con  cui 
insegnasi  ai  ministri  il  modo  di  usare  co'  penitenti  : 
l'altro  di  san  Paciano,  col  quale  vengono  i  penitenti 
ammaestrati  a  ben  ricevere  questo  sagramento.  Appo- 
sitamente poi  e  con  molt'avvedutezza  nell'ultima  no- 
ta si  fa  a  discorrere  della  morale  teologia  di  sant'Al- 
fonso de'Liguori,  e  della  sana  dottrina  in  essa  con- 
tenuta. In  latti  non  manca  di  riportare  gli  autentici 
decreti  del  sacro  tribunale  della  penitenzieria,  i  qua- 
li ancor  noi  riferiremo  a  parola  :  se  mai  taluni  ,  il 
che  sarà  ben  difficile,  non  ne  avessero  la  giusta  con- 
tezza. 

Dubitando  alcuni  confessori,  anche  dopo  i  de- 
creti della  santa  sede,  ne'quali  si  dichiarava  che  nulla 
degno  di  censura  era  nelle  opere  di  questo  santo  , 
se  nell'amministrazione  del  sagramento  della  peniten- 
za si  potesse  tenere  sicuramente  il  metodo  usato  da 
quell'espertissimo  e  savissimo  vescovo,  il  zelante  cardi- 
nale De 'Rohan-Chabot,  arcivescovo  di  Besanzone  di 
eh.  meni.,  nel  1 83 1  propose  questi  dubbi  alla  sacra 
penitenzieria:  «  I.  Utrum  sacrae  theologiae  professor 
»  opiniones,  quas  in  sua  theologia  morali  profitetur 
»  B.  Alphonsus  Maria  De-Ligorio,  tuto  sequi  ac  pro- 
»  fiteri  possit  ?  II.  An  sit  inquietandus  confessa- 
»  rius  ,  qui  ornnes  B.  Alphonsi  Mariae  De-Ligorio 
»  sequitur  opiniones  in  praxi  sacrae  poenitentiae  tri- 
»  bunalis,  hac  sola  ratione,  quod  a  sancta  sede  apo- 
»  stolica  nihil  in  eius  operibus  censura  dignum  re- 
»  pertum  fuerit  ?  »  Ai  quali  la  stessa  sacra  peniten- 
zieria il  5  luglio  i83i  cosi  rispose  :  «  Ad  l  affir- 
»  matwe  :  quin  tamen  inde  reprehendi  censeantur, 
»  qui  opiniones  ab  aliis  probatis  auctoribus  traditas 
»  sequuntur.  Ad  II  negative  :  habita  ratione  mentis 


Teologia  del  Perronk  i^g 

a  san-etae  sedis  circa  approbationem  scriptorum  ger- 
ii voruiri  Dei  ad  effectum  canonizaliunis.  »  Dalle  qua- 
li risposte  conclude  il  Perrone,  non  doversi  commen- 
dare la  disobbedieuza  di  coloro,  che  ancora  incolpa- 
no, come  meno  sicura,  la  dottrina  di  un  santissimo 
e  dotlissimo  prelato,  di  cui  Pio  VII  nel  decreto  Art 
tuta  ec.  in  data  de*2i  dicembre  iHi^-  disse:  «  Apo- 
»  stolo  dignas  virtutes  quasi  iubar  emisit,  cura  voce 
»  et  scripto  in  media  saeculi  nocte  errantibus  viam 
»  ostendit,  tjua  eruti  de  potestate  tenebrarum  tran- 
»   sire  possent  in  Dei  lumen   et  gloriam.    » 

I  trattati  delle  indulgenze,  dell'estrema  unzione, 
dell'ordine  e  del  matrimonio  conlengonsi  nel  settimo 
volume.   Seguiremo  ad  analizzare  solo  i   due  primi. 

Tutta  la  materia  delle  indulgenze  è  divisa,  o  per 
dir  meglio  ristretta,  in  cinque  proposizioni  precedute 
da  un  compendioso  proemio.  Fatto  il  novero  de'suoi 
avversari  ,  e  definita  l' indulgenza  «  la  remissione 
»  della  pena  temporale  che  dopo  la  sagramentale  as- 
»  soluzione  è  dovuta  al  peccato,  valida  nel  foro  in- 
»  terno  innanzi  a  Dio,  fatta  per  mezzo  dell'applica- 
»  zione  del  tesoro  della  chiesa  da  legittimo  superio- 
»  re:  »  si  fa  egli  ad  esaminare  le  parole  tutte  di  ta- 
le definizione,  dicendo  che  da  essa  ben  si  rileva:  1.  Qua- 
le sia  la  vera  e  principale  natura  e  nozione  della  in- 
dulgenza, che  soltanto  si  aggira  circa  la  pena  tem- 
porale dovuta  ai  nostri  peccati:  la  qual  pena  deve  ri- 
mettersi extra  forum  con'scientiae,  supposte  però  le 
necessarie  disposizioni  nel  soggetto,  e  la  necessaria  au- 
torità in  chi  le  dispensa.  11.  Che  tale  remissione  di 
pena  non  esclude  le  nostre  soddisfazioni,  ma  le  sup- 
pone :  e  però  le  indulgenze  doversi  considerare  co- 
me un   supplemenìo  alle  nostre  soddisfazioni,  alme- 


i5o  Scienze 

no  sagramentali,  e  a  quelle  che  in  noi  eccita  l'inter- 
na nostra  disposizione  di  animo  inclinata  ad  una  sin- 
cera conversione.  Che  poi  tale  sia  la  mente  della  chie- 
sa, ben  lo  chiarisce  in  una  nota  riportando  l'autorità 
del  santo  pontefice  Gregorio  VII,  e  de'cardinali  Ba- 
ronio,  Gaetano  ,  Bellarmino  e  Pallavicino.  III.  Che 
l'indulgenza  non  è  un  semplice  rilasciamento  della 
pena  canonica  valida  solamente  nel  foro  esterno,  ma 
anche  nel  foro  interno  ed  innanzi  a  Dio,  ossia  ch'è 
una  remissione  parziale  o  totale  di  quella  soddisfa- 
zione, che  per  le  commesse  colpe  o  in  questa  o  nel- 
l'altra vita  debhonsi  pagare  alla  giustizia  divina.  IV. 
Che  non  solo  errarono  turpemente  i  valdesi,  i  wiclef- 
fif.i,  i  luterani,  i  calvinisti  e  i  loro  seguaci,  i  quali 
negarono  questa  facoltà  alla  chiesa  :  ma  cogli  stessi 
eretici  essere  gravemente  caduti  in  errore  i  giansenisti, 
i  pistoiesi  ed  altri  scrittori  neoterici,  tanto  circa  la  no- 
zione delle  indulgenze,  restringendole  al  solo  rilascia- 
mento della  pena  canonica  ,  quanto  circa  il  tesoro 
della  chiesa  ,  che  vorrebbero  essere  una  invenzione 
degli  scolastici,  e  circa  il  valore  delle  indulgenze,  che 
credono  esser  nulle  per  le  anime  de'trapassati.  V.  Fi- 
nalmente l'autore,  chiosando  sempre  la  sua  definizione, 
dimostra  a  che  cosa  riducansi  tutte  quelle  calunnie  e 
voci,  con  cui  anche  oggi  giorno  dagli  eretici  e  dagl' 
increduli  si  maltrattano  le  indulgenze,  e  si  censura 
la  dispensazione  di  esse,  come  eversive  di  ogni  mo- 
ralità ,  quasi  che  dieno  licenza  al  peccare  :  ed  in 
ultimo  a  che  cosa  riducansi  quelle  indulgenze  per 
anticipazione,  che  continuamente  i  protestanti  han- 
no in  bocca. 

La  prova  di  queste  verità,  che  naturalmente  discen- 
dono dalla  data  definizione,  costituiscono  tutto  il  trat- 


Teologia  del  Perrone  i5r 

tato.  In  fatti  nella  prima  proposizione  ,  secondo  la 
dottrina  del  concilio  di  Trento  ,  sostiene  che  nella 
chiesa  è  la  potestà  di  conferir  V indulgenza  data 
da  Gesù  Cristo ,  e  che  fuso  di  esse  fu  sempre  salu- 
tevolissimo ai  cristiani.  E  qui  nel  ribattere  le  obbie- 
zioni de'protestanti  e  degl'increduli,  che  le  chiamano 
abusive,  perchè  ingiunte  al  bacio  di  una  croce,  e  per- 
chè con  tanta  facilità  rilasciate,  sottilmente  osserva: 
I.  Che  gli  avversari  in  questo  caso,  chiamando  l'ec- 
cesso delle  indulgenze  contrario  ai  principii  di  mo- 
ralità, ci  danno  non  volendo  essi  stessi  una  bellissi- 
ma testimonianza  della  dottrina  della  chiesa  circa  la 
necessità  della  soddisfazione,  di  cui  l'indulgenza  al- 
tro non  è  se  non  una  diminuzione.  II.  Che  non  ci 
si  può  opporre  questo  medesimo  abuso  senza  gitta- 
re  a  terra  tutto  il  principio  del  protestantismo,  ossia 
della  riforma  della  sola  fede  giustificante,  senza  la  ne- 
cessità delle  buone  opere.  III.  Che  anche  un'amplis- 
sima indulgenza  concessa  per  una  piccolissima  opera 
di  pietà  ingiunta  può  egregiamente  conciliarsi  co' 
principii  di  moralità,  imperocché  la  giustizia  di  Dio 
si  concilia  colla  remissione  delle  pene,  ottenuta  se- 
condo le  condizioni  richieste.  IV.  Che  l'eccesso  delle 
indulgenze,  se  alcuno  mai  ve  ne  fosse,  non  attacca 
la  cosa  stessa,  ma  la  facilità  o  il  modo  di  concederle. 
In  fatti  ,  lasciate  le  testimonianze  degli  antichi  pa- 
dri, e  specialmente  di  s.  Cipriano,  i  quali  si  scagliava- 
no contro  la  troppa  facilità  delle  indulgenze,  omesse 
le  sanzioni  de'concili  e  de'romani  pontefici,  che  cer- 
carono di  riparare  all'abuso  ,  è  chiarissimo  il  decre- 
to del  concilio  di  Trento  nella  sessione  XXV  ,  in 
cui  dicesi  che  si  desidera  la  moderazione  nel  con- 
cederle,  secondo  Vantica  ed  approvata  consuetu- 


l52  S    C    I    E    N    Z    Z 

dine  della  chiesa,  affinchè  per  la  troppa  facilità 
V ecclesiastica  disciplina  non  si  snervi. 

Sostenuta  la  cattolica  dottrina  con  validissimi 
argomenti,  e  ribattute  le  opposizioni  degli  avversari  , 
passa  il  N.  A.  a  quella  che  non  è  di  fede,  ma  pros- 
sima alla  fede,  dimostrando  nella  II  proposizione,  che 
le  indulgenze  liberano  l'uomo  dalla  pena  del  rea- 
to  non  solo  innanzi  alla  chiesa  ,  ma  ancora  m- 
nanzi  a  Dio;  e  nella  III,  che  nella  chiesa  si  dà  il 
tesoro  delle  indulgenze  composto  dei  meriti  di 
Cristo  e  dei  santi.  Siccome  però  non  solo  hanno 
negato  questa  proposizione  Lutero,  Calvino  ed  i  lo- 
ro seguaci,  ma  eziandio  taluni  neoterici,  che  tuttavia 
si  professano  per  cattolici,  affinchè  costoro  non  ol'i'en- 
dansi  del  vocabolo  tesoro,  a  maggior  chiarezza  della 
cattolica  dottrina  fa  egli  le  seguenti  premesse;  I.  Che 
questo  tesoro,  fonte  delle  indulgenze,  in  tanto  è  com- 
posto de'meriti  di  Cristo  e  de'  santi,  in  quanto  che 
sono  soddisfattorii:  sapendosi  da  tutti  i  teologi  es- 
sere le  opere  buone  meritorie,  impetratole  e  sod- 
disfattorie,  cioè  meritorie  per  se,  impetratone  per  se 
e  per  gli  altri,  e  soddisfattone,  se  si  parli  de' santi, 
pe'debiti  loro  e  degli  altri:  pe'debiti  loro,  cioè  per 
quello  che  attese  le  proprie  colpe  devono  a  Dio:  pe' 
debiti  degli  altri,  atteso  il  soprabbondante  prezzo  da 
loro  sborsato  in  compenso  de'  loro  falli.  Il  perchè 
quando  dicesi  essere  il  tesoro  composto  di  meriti,  il 
nome  di  merito  prendesi  in  senso  più  lato,  cioè  per 
soddisfazioni,  o  come  ad  altri  piace  per  impetrazioni. 
II.  Che  all'essenza  della  indulgenza,  e  però  al- 
l' applicazione  del  tesoro,  non  si  ricercano  i  meriti 
dei  santi  :  i  quali  meriti  non  si  aggiungono  se  non 
a  modo  di  un   tal  quale  amminicolo  o  cumulo,  co- 


Teologia  del  Perrone  i53 

me  parla  Clemente  VI,  afiìnchè  venga  onore  e  glo- 
ria ai  meriti  di  Cristo,  e  non  si  rimangono  oziose  le 
soprabbondevoli  soddisfazioni  de'santi. 

III.  Che  questo  tesoro  non  solo  è  composto  de' 
meriti  de'santi  che  dimorano  in  cielo,  ma  anche  di 
quelli  che  tuttora  vivono  in  terra:  i  quali  certamen- 
te, come  insegna  il  catechismo  romano,  possono  sod- 
disfare alla  divina  giustizia  tanto  pe'loro  quanto  per  gli 
altrui  debiti. 

IV.  Finalmente  che  dalla  chiesa  mediante  la  con- 
cessione delle  indulgenze  ci  si  applicano  i  meriti  di 
Cristo  in  quella  stessa  guisa,  in  cui  fuori  del  sagra- 
mento  ci  si  applicano  i  meriti  dello  stesso  Cristo,  il 
quale  comunica  la  dignità  ai  meriti  de'  santi  colla 
grazia  santificante,  per  cui  a  Dio  sono  uniti.  Dal  che 
avviene  che  Iddio  a  riguardo  dei  meriti  di  Cristo  e 
dei  santi,  col  ministero  della  chiesa  e  colle  condizio- 
ni da  essa  volute,  rimetta  le  pene  temporali  ,  ossia 
le  soddisfazioni  che  richiederebbero  i  nostri  peccati. 
Dalle  quali  cose  si  conclude,  che  il  tesoro  delle  in- 
dulgenze sono  gli  stessi  meriti  di  Cristo  e  de'  santi, 
in  quanto  che  sono  o  soddisfattorii,  o  impetratorii,  o 
soprabbondanti,  e  che  l'applicazione  di  essi  dipende 
interamente  dalla  chiesa. 

Finalmente  nella  IV  proposizione,  la  quale  è  cer- 
ta, ne  può  senza  nota  di  temerità  mettersi  in  dubbio, 
sostiene  il  N.  A.  che  possono  le  indulgenze ,  a  mo- 
do però  di  suffragio i  applicarsi  alle  anime  del 
purgatorio.  Le  quali  indulgenze  a  modo  di  suffragio 
assai  differiscono  dalla  semplice  orazione  e  preghiera: 
imperocché,  oltre  la  ragione  della  impetrazione,  quel- 
la largizione  ha  in  se  l'oblazione  del  prezzo,  ossia  là 
soddisfazione,  la  quale  dassi  a  Dio  col   tesoro   della 


i54  Scienze 

chiesa.  Altrimenti  dovrebbe  dirsi  che  ugualmente  pre- 
sterebbe il  suo  officio  presso  il  giudice  quegli  che  lo 
pregasse  a  dimettere  un  carcerato  per  debiti,  e  co- 
lui che  gli  offerisse  quanto  è  d'uopo  a  pagarli,  spe- 
cialmente se  chi  offre  fosse  costituito  in  dignità,  e  a 
tale  officio  eletto  dal  principe,  siccome  nel  caso  no- 
stro è  la  chiesa. 

Restandogli  poi  a  parlare  del  ministro  e  del  sog- 
getto succintamente,  il  p.  Perrone  se  ne  spedisce  per 
mezzo  di  alcuni  scolii.  L  Ricerca  se  l'indulgenza  sia 
assoluzione  o  soluzione,  e  risponde  esser  assoluzio- 
ne e  soluzione  rispetto  ai  viventi,  soluzione  rispetto 
ai  defunti.  Assoluzione  per  chi  dà,  soluzione  per  chi 
riceve.  In  appresso  definisce  e  distingue  l'indulgenza 
plenaria  dalla  parziale  e  da  quelle  altre  dette  qua- 
rantene. 

IL  Quanto  al  ministro,  dice  che  il  solo  ponte- 
fice, perchè  capo  di  tutta  la  chiesa,  e  primate  in  es- 
sa di  vera  giurisdizione,  può  concederle  a  suo  bene- 
placito, e  che  i  vescovi  solo  le  possono  dare  secon- 
do la  limitazione  fatta  dal  concilio  lateranense  quarto 
sotto  Innocenzo  III,  cioè  non  più  di  un  anno  nella 
consecrazione  della  chiesa,  e  non  più  di  ^o  giorni 
negli  altri  casi.  Col  qual  decreto,  come  dichiarò  già 
Pio  VI  nel  suo  breve  Super  soliditate,  vengono  con- 
futati Eybel  e  Palmieri  ,  i  quali  avevano  insegnato 
poter  i  vescovi  almeno  ai  proprii  sudditi  compartir 
la  plenaria  indulgenza,  deducendolo  da  tre  falsi  prin- 
cipii  da  loro  adottati:  1  cioè,  che  l'indulgenza  altro 
non  sia  che  la  remissione  della  pena  canonica  nel 
foro  esterno;  2,  che  il  romano  pontefice  come  par- 
ticolare vescovo  della  chiesa  di  Roma  possa  conceder- 
la ai  suoi  sudditi  immediati,  come  tutti  gli  altri  ve- 


Teologia  del  Perrone  i55 

scovi  nelle  loro  diocesi;  3,  che  non  possa  esso  coar- 
tare la  facoltà  de'vescovi,  senza  invadere  i  loro  di- 
ritti. 

III.  Quanto  al  soggetto,  sostiene  che  ai  defunti 
non  valgono  se  non  a  modo  di  suffragio,  di  preghiera, 
di  oblazione  ec,  o,  come  dice  s.  Tommaso,  seconda- 
riamente ed  indirettamente:,  imperocché  non  posso- 
no essi  far  quell'opera  ingiunta  per  cui  si  concede  l'in- 
dulgenza, siccome  possono  farlo  i  viventi,  che  però 
possono  primariamente  e  direttamente  lucrarle;  ne 
manca  di  fare  osservare,  che  pe' defunti  non  avendo 
un  infallibile  effetto,  ma  dipendendo  dal  beneplacito 
di  Dio  V  accettazione  di  esse,  svanisce  quel  preteso 
calcolo  matematico  degl'increduli,  con  cui  millanta- 
no, che  atteso  il  gran  numero  delle  indulgenze  con- 
cesse ai  defunti,  più  non  dovrebbe  rimanere  alcun' a- 
nima  nel  purgatorio.  Finalmente  chiude  il  trattato 
colle  condizioni  che  si  richiedono  per  parte  del  re- 
cipiente. 

Assai  più  breve  è  il  trattato  che  segue  della 
estrema  unzione.  Lo  divide  l'autore  in  due  soli  ca- 
pi. Nel  I  parla  della  verità  del  sagramento  della  estre- 
ma unzione:  e  con  una  sola  proposizione  dimostra, 
che  la  estrema  unzione  è  un  vero  e  proprio  sa- 
gramento istituito  da  Gesù  Cristo ,  e  promulgato 
dall'apostolo  san  Giacomo,  ricavandolo  dalle  paro- 
le di  quell'apostolo,  dal  senso  con  cui  perpetuamen- 
te e  costantemente  fu  tal  passo  interpretato,  dalla  con- 
tinuata consuetudine  dell'una  e  dell'altra  chiesa,  cioè 
orientale  ed  occidentale  nell'amministrazione  di  que- 
sto sagramento,  e  dalla  confutazione  di  tutte  le  ob- 
biezioni che  dagli  avversari  si  fanno. 

Il  II  capo  contiene  importantissimi  scolii  sa  tut. 


l56  S    C    I    R    N    Z    K 

te  le  parti  del  sagramento  della  estrema  unzione.  Di- 
mostra, I  sulla  istituzione  di  questo  sagramento  non 
esservi  alcuna  quistione  presso  gli  antichi  ,  e  so- 
lo in  appresso  gli  scolastici  aver  incominciato  a  ri- 
cercare, se  fosse  istituito  da  Gesù  Cristo,  ovvero  dal- 
l'apostolo ricevutone  particolare  autorità  da  Cristo  o 
dallo  Spirito  Santo,  che  internamente  glielo  insegna- 
va :  il  che  riducesi  a  ricercare,  se  Gesù  Cristo  sia  sta- 
to il  mediato  o  immediato  autore  del  sagramento  : 
della  quale  ultima  cosa,  dopo  il  concilio  di  Trento, 
può  appena  più  dubitarsi. 

II.  Che  la  materia  detta  remota  secondo  san 
Giacomo  è  1'  olio  di  olivo.  Quanto  alla  benedizione 
del  vescovo,  se  sia  di  necessità  di  precetto  divino  o 
di  sagramento,  o  solo  di  precetto  ecclesiastico,  sicco- 
me vorrebbero  alcuni  teologi,  insegna  doversi  tenere 
nell'amministrazione  di  questo  sagramento  la  parte 
tuziare.  Certo  è  però,  come  osserva  Benedetto  XIV, 
che  l'oiio  degl'  infermi  può  anche  dai  semplici  preti 
benedirsi  con  tacita  o  espi'essa  licenza  del  sommo 
pontefice,  e  che  i  preti  orientali  1'  hanno  spesso  fin 
dai  più  rimoti  tempi  benedetto  ,  senza  essere  stati 
per  ciò  rimproverati  giammai. 

Nel  III  e  nel  IV  parla  della  varietà  delle  parti 
del  corpo  da  ungersi,  e  delle  formole  praticate,  aven- 
do per  lungo  tempo  la  chiesa  latina  adoperata  la  in- 
dicativa; dal  che  si  deduce  non  esser  di  essenza  la 
forma  deprecativa,  come  opinarono  alcuni  scolastici. 

Nel  V  tratta  del  ministro,  il  quale  deve  essere 
il  solo  sacerdote,  ne  già  gli  anziani  del  popolo,  come 
pretendevano  gli  antichi  protestanti:  o  gli  uomini  pii, 
probi,  prudenti,  come  voleva  Carpzovio:  e  che  giam- 
mai in  caso  di  necessità  fu  amministrato  dai  laici  o 


Teologia  del  Perronk  157 

dai  diaconi,  come  dicono  Basnagio  e  Launoio  :  ben 
rilevandosi  il  contrario  da  tutto  il  contesto,  dall'ar- 
gomentazione del  pontefice  Innocenzo  I,  e  dall'assur- 
do die  ne  seguirebbe,  se  in  altro  modo  si  potessero 
prendere  le  parole  del  suddetto  santo  pontefice.  Ne 
manca  in  appresso  il  N.  A.  di  spiegare  il  senso  in 
cui  si  debbono  interpretare  le  parole  di  Beda  al  cap. 
V  dell'epistola  di  san  Giacomo  ,  ne  di  far  rilevare 
che  gli  ecclesiastici  monumenti  raccolti  dai  suddetti 
Basnagio  e  Launoio  riguardano  l'unzione  cerimoniale, 
e  che  l'autorità  di  Tommaso  Waldese  non  è  sì  gran- 
de da  doversi  anteporre  a  quella  del  tridentino.  Quan- 
to all'essenza  di  questo  sagramento,  se  debbasi  con- 
ferire da  uno  o  da  più  sacerdoti,  dichiara  non  man- 
car antichi  esempi  dell'estrema  unzione  amministrata 
da  un  sol  sacerdote. 

INel  VI  mostra,  che  i  soli  adulti  battezzati  e  gra- 
vemente infermi  debbonsi  ungere,  e  non  già  i  fanciulli, 
i  sani,  come  voleva  Dalleo  ;  che  se  presso  i  greci  ed 
altri  orientali  venivano  unti  i  vecchi,  non  si  propo- 
nevano essi  al  certo  un'unzione  sagramentale,ma  bensì 
una  meramente  cerimoniale,  e  che  questo  sagramento 
soleva  amministrarsi  or  prima,  or  dopo  il  viatico,  co- 
me anche  in  oggi  per  varie  cause  si  costuma. 

Finalmente  nel  VII  parla  degli  effetti,  tra' qua- 
li è  la  remissione  de'  peccati  veniali  per  se,  come 
dicono  i  teologi,  e  mortali  secondariamente,  ossia 
per  accidente  contro  la  opinione  di  Sambovio,  che 
attribuiva  a  questo  sagramento  il  potere  di  rimette- 
re anche  i  peccati  mortali.  Che  se  ciò  si  volesse  con- 
cedere, dovrebbe  dirsi  essere  ordinato  direttamente  a 
rimettere  i  peccati  mortali  in  questo  senso,  cioè  che 


i58  Scienze 

rimette  quelli,  di  cui  non  ha  il  penitente  coscienza, 

da  qualunque  cagione  sia  ciò  per  provenire. 

Gli  altri  due  trattati,  dell'ordine  cioè  e  del  ma- 
trimonio, li  riserbiamo  ad  altri  articoli,  ne'quali  ezian- 
dio parleremo  del  trattato  de'  luoghi  teologici  ,  di 
cui  ha  già  il  p.  Perrone  pubblicata  la  prima  parte;  il 
qual  trattato  è  preso  in  un  punto  di  vista  veramente 
nuovo,  e  scritto  con  quella  profondità  di  dottrina  e 
vastità  di  erudizione,  che  tutti  giustamente  ammira- 
no nel  eh.  autore  superiore  ad  ogui  elogio. 

F.  Fabi  Montani. 


Statistica  medica  di  Milano  dal  secolo  XV  fi- 
no ai  giorni  nostri  ,  escluso  il  militare  ,  del 
dottore  Giuseppe  Ferrarlo.  Milano  ,  presso 
Giuseppe  Bernardoni  1 838-1  840.  Volume  It 
in  8,  di  fac.  658. 


& 


'e  degno  di  lode  è  colui  che  rende  la  vita  di  un 
solo  individuo  più  lunga  e  florida,  quanto  maggior- 
mente lo  sarà  chi  dà  norme  ai  governi  ,  affinchè  la 
esistenza  di  popoli  sia  più  lunga  e  meno  disagiata  ! 
Fra  costoro  debbono  collocarsi  quei  grandi  che  di 
statistica  si  occuparono  ,  ed  in  ispecial  modo  della 
parte  medica.  Quindi  è  che  l'utilità  e  dignità  stes- 
sa dell'  impresa  forma  elogio  bellissimo  ,  ed  intesse 
corona  di  non  caduchi  allori  a  Giuseppe  Ferrano  , 
il  quale  in  Italia  ed  in  Europa   siede  fra  i  più  illu- 


Statistica  medica  di  Milano  i5g 

stri  ed  indefessi  coltivatori  e  propagatori  di  sì  utile 
scienza.  Già  die  opere  di  statistica  medica  accuratis- 
sime :  continua  ora  la  compilazione  di  quella  di 
Milano,  intorno  alla  quale  terrò  ragionamento. 

Nella  prima  parate  si  espongono  dall'A.  i  con- 
cetti filosofici  sull'ordinamento  della  statistica.  Al 
principio  del  secolo  XIX  surse  la  scienza  statistica, 
ed  il  più  grande  filosofo  statista  fu  Melchiorre  Gioia. 
Si  die  vanto  agli  stranieri,  cioè  ad  Achenwal  profes- 
sore a  Gottinga  (  17^  ),  di  avere  inventato  la  pa- 
rola statistica.  Questo  vocabolo  derivando  forse  dalle 
voci  latine  status  o  statutus,  o  dalle  italiane  stato, 
stabile,  statuito,  fu  per  la  prima  volta  adoperato  da 
Girolamo  Ghilini  nella  sua  opera  intitolata  Teatro 
degli  uomini  letterati  alla  pag.  235  e  362  del  pri- 
mo volume.  Il  Segneri  usò  statisti  in  senso  di  per- 
sonaggio di  governo,  consigliere  o  ministro  che  re- 
gola affari  di  stato. 

Achenwal  definisce  la  statistica:  «  Profonda  co- 
»  gnizione  di  cose  rimarchevoli  e  veramente  esisten- 
»  ti  in  uno  stato  ».  Gioia  nella  sua  logica  statisti- 
ca: «  Arte  di  descrivere,  calcolare,  classificare  tutti  gli 
»  oggetti  in  ragione  delle  loro  qualità  costanti  e  va- 
»  riabili:  »  ed  altrove:  «  La  scienza  che  descrive  un 
»  paese  in  modo  da  presentarne  i  vantaggi  e  i  dan- 
»  ni  di  ciascun'oggetto  per  norma  di  tutti  i  cittadi- 
»  ni,  di  ciascuna  professione,  del  governo,  degli  e- 
»  sieri  »  (  Indole,  estenzione  e  vantaggi  della  sta- 
tistica. Milano  i83o  ).  Secondo  Gian  Domenico  Ro- 
magnosi  significa:  «  Esposizione  dei  modi  di  essere  e 
»  delle  produzioni  interessanti  delle  cose  e  degli  uo- 
»  mini  presso  di  un  dato  popolo  ».  In  un  articolo 
segnato  P.  M.  inserito  nella  biblioteca  italiana  (  gen- 


l6f>  ScTtWZE 

naio  1838)  si  definiva  la  statistica.,  indicandone  l'u- 
tile scopo,  ce'seguenti  termini:  «  Riteniamo  che  la 
»  statistica  di  un  paese  non  debba  esser  altro,  che  la 
»  fedele  ed  ordinata  esposizione  di  tutto  ciò  che  es- 
»  so  contiene  di  notabile  e  giovevole  a  sapersi  ,  e 
»  che  può  esprimersi  in  quantità  determinate.  Egua- 
»  le  incarico,  per  vero  dire,  ha  pure  il  geografo  :  ma 
»  fra  esso  e  lo  statista  v'è  questa  differenza,  che  al 
»  primo  incumbe  di  somministrare  le  nozioni  gene- 
»  rali  degli  oggetti  che  il  paese  presenta  ,  e  che  il 
»  secondo  deve  decomporre  tali  nozioni,  f  porgerle 
ì)  suddivise  in  quegli  elementi,  che  imporla  di  cono- 
»  scere  e  di  apprezzare.  Così,  per  esempio,  il  geo- 
»  grafo  indica  la  popolazione  di  un  regno,  d'una  cit- 
»  tà,  d'un  luogo  qualunque  :  lo  statista  non  si  ac- 
»  contenta  di  ciò,  ma  distingue  i  maschi  dalle  femmi- 
»  ne,  i  fanciulli  dagli  adulti,  i  nubili  dagli  ammo- 
»  gliati  ec.  Queste  nozioni  cosi  decomposte,  dovendo 
»  esprimersi  in  quantità  numeriche,  vengono  ordina- 
»  riamente  presentate  in  forma  di  tabelle  o  prospetti, 
»  non  solo  per  abbreviare  la  descrizione  di  tanta  co- 
»  pia  e  minutezza  di  oggetti,  ma  per  facilitare  ezian- 
»  dio  i  confronti,  che  occorre  spesse  volte  d'istituire 
»  fra  le  condizioni  di  un  paese  e  quelle  di  un  al- 
»  tro.  Taluni  poi  credono  le  statistiche  soltanto  fat- 
»  te  per  appagare  la  dotta  curiosità  dei  coltivatori 
»  delle  scienze  politiche  ed  economiche:  altri  prelen- 
»  dono  invece  che  non  debban  servire  che  ai  biso- 
»  gni  dell'amministrazione  pubblica  e  dei  governi. 
»  Noi  crediamo  che  esse  giovar  possano  a  questo  du- 
»  plice  fine,  semprechè  le  notizie  che  porgono  siano 
»  sicure,  ed  in  qualche  modo  autentiche  ed  officiali  ». 
Il  eh.  dott.  Ferrano  passa  ad    esporre  i  princi- 


Statistica  medica  di  Milano  ,6i 

pn  statistici  di  Gioia,  Romagnosi  e  di  Tommasini,  i 
qual,  sebbene  di  grandissima  utilità  ,  per  esser  bre- 
ve, tralascio.  In  questi  capitoli  si  presentano  con  mol- 
ta chiarezza  e  giudizio  le  sentenze  principali  riguar- 
dane la  scienza  statistica  (dalla  pag.  ?  alla  p.  58  ) 
Propone  quindi  un  registro  degli  ammalati,  ed  una 
tavola  statistica  ad  uso  degli  spedali  ed  anche  delle 
case  private. 

È  un  vero  bisogno  che  gli  stabilimenti  sanitari 
abbiano  un  registro  in  forma  di  tavola  con  apposite 
divisioni  contenenti  gli  elementi  statistici  nece  sari  per 
potere  dalle  loro  somme  e  medii  settimanali,  mensi- 
li ed  annuali,  dedurre  corollari  per  comune  norma  di- 
rettrice Lna  tavola  si  redigerà  per  le  infermerie  me- 
diche, altra  per  le  chirurgiche,  l'una  pe'maschi,  l'al- 
tra per  le  femmine,  Queste  notizie  in  compendio  sa- 
ranno possdnlmente,  secondo  1'  A.,  le  seguenti  così 
ordinate   (  pag.   5o,  ). 

I.  Relative  alla  località  dell'infermeria  N.  N 
ordinaria  o  straordinaria. 

Situata  a  piano  terreno,   o  al  primo  piano,  se- 
condo ec,   esposta  a  settentrione,  levante,  mezzodì 
ponente  e  e.  ' 

Altezza,  lunghezza,  larghezza  del  locale:  a  voi 
ta  di  muro,  o  a  soffitta  di  legno,  con  pareti  imbian- 
cate  dalla  calce,  o  no. 

Avente  N.  porte,  N.  finestre,  N.         ven- 

tilatori ec,  le  cui  aperture,  tutte  comprese,  som- 
mano N.  braccia  in  quadro. 

Ambiente  suo  molto  o  poco  ventilato;  vicino  o 
no  ad  acque  stagnanti. 

Elevazione  barometrica,  temperatura  ed  umidità 
interna  dell'infermeria. 
G.A.T.LXXXVIII. 


i6a  Scienze 

Confronto  col  massimo  e  minimo  del  barome- 
tro, termometro  ed  igrometro  esterno  ;  osservazioni 
aggiunte  sul  vento  dominante,  ago  magnetico,  stato 
del  cielo,  ec. 

II.  Relative  alla  persona  ammalata. 
Sesso,  età,  quale  temperamento  ed  abito  di  cor- 
po, slato,  se  celibe,  coniugato  o  vedovo,  professione, 
abitudini  buone  o  cattive:  per  esempio,  si  ubriaca  ? 
fuma  molto  tabacco?  è  dedito  ad  eccessiva  venere?  ec. 
Soggetto  o  no  a  malattie  o  vizi  organici  eredi- 
tari, congeniti  od  acquisiti:  per  esempio,  è  affetto  da 
rachitide,  scrofola,  scorbuto,  sifilide  ?  ec;  con  quan- 
ti salassi  o  sanguisughe,  e  con  quali  rimedi,  per  es. 
la  digitale,  ec,  furono  curati  i  precedenti  suoi  in- 
comodi o  malattie,  e  se  v'ha  palpitazione  di  cuore  od 
altri  fenomeni  morbosi  ,  in  chi  soggiacque  lungo  il 
corso  della  vita  all'abuso  del  salasso  o  d'altre  gene- 
rali sottrazioni  sanguigne  ec  ;  proveniente  da  qual 
paese,  secco  od  umido;  notizie  straordinarie  spettanti 
al  caso,  ec 

Causa  della  malattia  presente,  se  è  nota,  dub- 
bia od  ignota;  giorno  in  cui  cominciò  il  male;  se  sia 
stato  curato  subito  o  no,  e  con  quali  rimedi. 

III.  Relative  alla  durata  ed  all' 'esito  della  cu- 
ra medica  nelV  infermeria. 

Giorno  d'ingresso  del  malato  nell'  infermeria  e 
nome  della  sua  malattia. 

Se  è  morto  nelle  prime  ventiquattr'ore  del  suo 
ingresso. 

Giorno  in  cui  è  guarito  o  morto  dopo  normale 
trattamento  curativo  ,  ovvero  passato  in  qualche  al- 
tra infermeria,  o  dimesso  cronico  od  insanabile. 


Statistica  medica  di  Milano  i63 

Numero  dei  giorni  che  rimase  in  cura  nell'in- 
fermeria. 

Totale  numero  dei  giorni  che  durò  dal  princi- 
pio al  fine  la  malattia. 

Se  dimesso  guarito  è  ricaduto,  o  fu  colpito  da 
altra,  e  quale  malattia,  nel  corso  del  primo  mese  dal- 
la partenza  dell'infermeria. 

IV.  Relative  ai  rimedi  usati  pel  malato. 

Numero  dei  salassi  e  quantità  del  sangue  cava- 
to, delle  sanguisughe,  delle  ventose,  dei  vescicanti  , 
dei  clisteri  ec.  od  altre  operazioni  chirurgiche. 

Quali  e  quanti  i  rimedi  interni  ed  esterni  far- 
maceutici e  loro  costo. 

V.  Relative  al  vitto  prestato  al  malato. 
Quale  e  quanto;  suo  costo. 

VI.  Relative  al  servizio  particolare  e  gene- 
rale. 

Numero  dei  medici  e  dei  chirurgi,  compresi  il 
direttore,  l'ispettore  e  gli  aggiunti  medici  o  chirurghi, 
e  loro  costo. 

Numero  dei  sacerdoti  e  loro  costo,  comprese  le 
spese  per  l'esercizio  del  culto. 

Costo  dei  portantini,  infermieri,  portinai,  lavan- 
dai, cuochi,   facchini  ec.  ec. 

Costo  per  acquisto  e  consumo  di  attrezzi  e  stru- 
menti medico -chirurgici;  cinti,  ventriere,  sospensori, 
calze  espulsive  ec. 

Idem  pel  dissettore  e  pel  gabinetto  anatomico. 

Idem  per  biancheria  ,  materassi  e  cuscini  ,  co- 
perte di  lana,  vesti,  fasce,  pezze,  filacce  ec. 

Idem  pel  mobigliare  necessario  all'infermeria  ed 
alle  persone  addette  al  servizio. 

Idem  pei  combustibili,  legna,  carbone,  cera,  can- 
dele, olio  ec. 


i64  Scienze 

Idem  per  uso  dei  locali,  riparazioni,  imbianca- 
ture annuali,  espurghi  anticontagiosi  ec. 

Idem  per  la  cancelleria,  ragionateria  ed  ammi- 
nistrazione interna  ec. 

L'A..  fa  quindi  rilevare  l'utilità  di  questo  spec- 
chio. Il  confronto  delle  osservazioni  meteorologiche 
dell'interno  dell'infermeria  coll'esterno  servirà  al  me- 
dico per  conoscere  quali  variazioni  sono  più  a  meno 
fauste,  sotto  quali  di  queste  si  svolgono  le  malattie 
asteniche  o  steniche,  leggiere  o  gravi ,  e  somiglianti 
cose.  La  somma  di  tutte  le  età  dei  malati  di  un  mese, 
divisa  pel  numero  dei  malati,  farà  conoscere  l'età  me- 
dia che  a  preferenza  infermò  in  quel  mese.  Egual- 
mente dalla  somma  mensile  si  avrà  il  sesso,  il  tem- 
peramento, stato,  professione  e  tutt'altro  nella  tavo- 
la indicato.  Discorse  tali  cose,  che  formano  un  dot- 
tissimo proemio,  incomincia  la  storia  della  statistica. 

Epoca  I.  Nozioni  statistiche  presso  gli  ari" 
fichi  popoli  fino  alV E.  V.  Non  esiste  alcun'  opera 
antica  che  tratti  della  scienza  statistica,  seppure  non 
vogliasi  riguardare  come  tale  l'opera  di  Senofonte  de 
redditibus  (*).  Le  antichissime  nazioni  col  dividere 
la  popolazione  in  caste  e  tribù,  mostrano  aver  ado- 
perato una  maniera  di  statistica  partizione.  Non  si 
applicò  alla  medicina,  che  altro  non  era  che  un'arte 
empirica  esercitata  per  lo  più  dai  sacerdoti.  Fiorirono 
due  grandi  personaggi,  Mosè  grande  statista-politico, 
ed  Ippocrate  primiero  statista-medico.  Servio  Tullio 
534  anni  avanti  l'È.  V.  istituì  il  censo  non  ancora  noto 
al  mondo. 

(*)  In  questo  giornale  al  ionio  12,  pag.  112  si  legge  un  fa- 
vorevolissimo giudizio  dato  intorno  1'  opera  di  Senofonte  delle 
finanze  di  Atene  ,  tradotta  ed  illustrata  da  Antonio  Padovani 
prof,  ordinario  di  statistica  in  Pavia,  ove  fu  stampata  nel  i8at 
col  testo  a  fronte. 


Statistica  medica  di  Milano  iC5 

Epoca  IL  Dal  princìpio  delVE.  V.  sino  al- 
l''anno  iooo.  Decadenza  in  Italia  della  statistica, 
e  d'ogni  scienza  per  la  successa  invasione  delle 
orde  barbare  del  nord  di  Europa.  Augusto  fu  il 
primo  che  estese  il  censo  a  tutte  le  provincie  28  an- 
ni avanti  l'È.  V.  Visse  in  quest'  epoca  Claudio  Ga- 
leno di  Pergamo,  genio  sublime  e  brillante,  al  dire 
di  Sprengel,  il  quale  comentò  ed  illustrò  Ippocrate. 
Tra  i  lavori  statistici  sulla  popolazione  deesi  ricordare 
la  tavola  della  vita  futura  di  Ulpiano,  che  è  la  più 
antica  tavola  della  mortalità  che  si  conosca.  Eccola. 


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i66  Scienze 

Nell'opera  Corpus  iuris  civilis  romani  :  dige- 
storum  lib.  XXXV,  tit.  II  ad  le  geni  falcidiami  evvi 
un  regolamento  che  dimostra,  come  avessero  gli  an- 
tichi romani  già  fatto  studi  statistici,  affine  di  calco- 
lare la  durata  probabile  della  vita.  Alla  filantropia  di 
alcuni  personaggi  devesi  la  erezione  de'lazzaretti,  de- 
gli ospedali  e  delle  case  di  ricovero  pe' trovatelli. 

Epoca  III.  DalVanno  iooo  delV  E.  V.  fino 
al  1 7 5 o.  Elementi  della  moderna  scienza  di  sta- 
to denominata  anche  col  suo  vocabolo  tecnico  di 
statistica,  dapprima  in  Italia,  poscia  in  altre  na- 
zioni europee,  e  principio  del  reale  di  lei  risor- 
gimento contemporaneo  a  quello  delle  altre  scien- 
ze ed  arti  belle.  In  Milano  fu  proposto  un  censo 
generale  che  compievasi  nel  1248.  Il  risorgimento 
della  notomia  nel  XIV  secolo  operò  assaissimo  pei 
futuri  progressi  della  medicina.  La  repubblica  veneta 
fino  dal  XII  secolo  die  ordine  per  la  prima  a  tutti 
i  suoi  registri  con  tanta  diligenza  e  con  forma  sì  ac- 
curata e  magnifica,  che  quelle  pergamene  vergate  in 
tempo,  in  cui  le  altre  nazioni  d'Europa  non  sapeva- 
no quasi  scrivere,  costituiscono  anche  al  dì  d'oggi  un 
venerabile  monumento.  Oltre  a  ciò  colle  leggi  9  di- 
cembre 1268,  e  24  luglio  1296  prescrivonsi  regole 
e  forinole,  secondo  le  quali  dovevano  i  suoi  diplo- 
matici 0  governatori  raccogliere,  ordinare  e  presen- 
tare al  senato  la  descrizione  di  quegli  stati  e  paesi, 
in  cui  venivano  destinati  a  risiedere.  Saggio  ben  lu- 
minoso di  studi  statistici  fatti  a  Venezia  è  quello  che 
diede  nel  i3o6  Marino  Sanudo  il  vecchio,  sopran- 
nominato Torsello,  nell'opera  da  lui  composta  col  ti- 
tolo :  Liber  secretorum  fidelium  crucis ,  la  quale 
nella  raccolta  Gesta  Dei  per  francos  è  uscita  dai 


Statistica  medica  di  Milano  167 

tipi  vecheliani  in  Annover  nel  161 1  ,  tratta  da  un 
codice  di  Paolo  Petavio.  Questo  grand1  uomo,  delinea- 
ta la  topografia  dell'Europa,  dell'Asia  e  dell'Affrica, 
la  scena  cioè,  come  dice  Gioia,  ove  devono  compa- 
rire gli  attori ,  nella  quale  egli  fece  agire  flotte  ed 
eserciti,  passa  ad  enumerare  i  diversi  rami  di  com- 
mercio elle  uniscono  l'occidente  all'oriente,  e  con- 
cepisce l'alto  disegno  di  proclamare  quel  sistema  con- 
tinentale, che  abbiamo  veduto  praticarsi  da  Napoleo- 
ne, al  grande  oggetto  di  troncare  ogni  relazione  fra 
l'Europa  e  le  altre  parti  del  mondo  dagl'infedeli  oc- 
cupate. Così  altre  importantissime  materie  statistiche 
va  ordinando  e  discutendo,  per  riunirle  nel  fine  in  ta- 
vola sinottica  che  diresti  tracciata  dalla  mano  mae- 
stra di  un  Gioia. 

Forse  nel  1171  fu  compilato  nella  medesima  re- 
pubblica il  Catasto  delle  case,  che  venne  rinnovel- 
lato nel  i425.  Migliore  erane  l'ordinamento  di  quel- 
lo, che  il  duca  Carlo  di  Calabria  nel  1 32 7  fece  com- 
porre da  un  giudice,  e  di  quelli  che  ai  tempi  di  Car- 
lo V  erano  in  vigore  nella  Lombardia.  »  Altro  lumi- 
noso monumento  delle  statistiche  cognizioni  fu  pre- 
sentato al  senato  veneto  nel  1421  dal  suo  doge  Tom- 
maso Mocenigo,  il  quale  espose  con  somma  precisio- 
ne la  bilancia  del  commercio  marittimo  e  terre- 
stre attivo  e  passivo  fra  i  veneti  stati  e  le  straniere 
regioni.  Quel  doge  descrisse  minutamente  la  qualità 
e  quantità  delle  droghe,  medicine,  lane,  sete,  coto- 
ni, metalli,  colori  ec,  che  dall'Asia  e  dall'Affrica  ve- 
nivano trasportate  in  Venezia;  ed  anche  ciò  che  ave* 
rapporto  col  debito  pubblico  e  modo  di  ammortizzar- 
lo, col  commercio,  colla  navigazione,  colle  forze  dello 
stato  ec.  era  da  lui  investigato,  fino  la  potenza  na- 


i68  Scienze 

vale  della  stessa  repubblica  ».  Gli  altri   stati   d'Italia 

giaceano  in  molta  oscurità  rapporto  alla  statistica. 

Il  Lastri  nelle  sue  Ricerche  sull'antica  e  mo- 
derna popolazione  della  città  di  Firenze  per  mez- 
zo dei  registri  del  battistero  di  s.  Giovanni  ne  fa 
conoscere  le  nascite  di  detta  città  dall'anno  1^-5 1  al 
177/1-5  e  ricorda  un  antico  libro  di  battesimi  dell'an- 
no 1370  esistente  in  Siena.  I  registri  di  tal  sorta 
nel  nord  di  Europa  toccano  appena  il  i5°  e  160  se- 
colo. Prima  del  concilio  di  Trento  (  i545  )  i  parro- 
chi  non  erano  obbligati  a  formare  i  registri  di  bat- 
tesimo. 

Ciovanni  Graunt  pubblicò  nel  1661  le  sue  Osser- 
vazioni sopra  le  tavole  della  mortalità.  Nel  1666 
Galeazzo  Gualdo  Priorato  compilò  la  Relatione  del- 
la città  e  stato  di  Milano  ,  e  quindi  molte  altre 
relazioni  riguardanti  diversi  stati  d'Italia  e  d'Europa. 
I.  Isaac  Quatroux  o  Quintroux  nel  1671  pubblicò  a 
Parigi  lo  stato  generale  dei  battesimi  ,  matrimoni  e 
morti  di  Parigi  degli  anni  1670  e  167  1.  Dopo  que- 
sti l'inglese  W.  Petty  stampò  nel  i683  le  Osserva- 
zioni sulle  tavole  di  Dublino  ,  e  nel  1691  die  a 
luce  in  Londra  l' Aritmetica  polìtica,  in  cui  istitui- 
sce confronti  tra  l'Inghilterra  e  la  Francia.  Edmon- 
do Halley  esaminò  le  tavole  mortuarie  di  Breslavia 
nelle  transazioni  filosofiche    dell'anno    i6g3. 

Lo  studio  dell'anatomia  umana  ampliatosi  e  dif- 
fuso arrecò  grandi  vantaggi  alla  medicina,  come  in- 
signi furono  quei  ritratti  dalle  osservazioni  intorno 
all'epidemie  fatte  da  Baillou  detto  Ballonio,  da  Syd- 
henam,  da  Baglivi,  da  Lancisi,  da  Torti  e  da  Val- 
carenghi. 

La  polizia  medica  e  la  istituzione  dei  lazzaret- 


Statistica  medica  ni  Milano  1O9 

ti  resero  meno  feroci  e  meno  frequenti  le  posti.  Ve- 
nezia nel  i4o3  e  i/^BS  avea  dato  primiera  l'esempio 
Pisolare  i  malati  di  peste  e  di  sottoporre  le  merci 
alla  depurazione.  Ferrara  nel  141  o,  come  asserisce  il 
dott.  Luigi  Buzoni  nel  suo  opuscolo  Di  alcune  di 
quelle  più  giravi  pestilenze  che  in  diverse  epocìie 
afflissero  V umanità  (  Ferrara  pel  Bresciani  1829 
in  4*  )•>  avea  anch'essa  un  ben'ordinato  lazzaretto. 

In  Francia  ed  in  Germania   sul    declinare    del 
XVII    secolo   fu  creduta  la  statistica    studio    nuovo. 
Achenwal,  che  dopo  qualche   tempo  ne  ordinò  le  va- 
rie nozioni,  fu  proclamato  fondatore.    Niemann    co- 
mincia l'era  statistica  da   Francesco  Sansovino  vene- 
to, il  quale  coi  materiali  che  per  le  citate   leggi  del 
12Gb  e    120,6   gli  ambasciatori  ed  i  consoli  raccoglie- 
vano  nelle  varie  parti  del  mondo,  pubblicò  nel  1 567 
in  Venezia  Del  governo   dei   diversi    regni   e  re- 
pubbliche  così   antiche  come  moderne.  Butte  inco- 
mincia  lo  studio  statistico   da   Vito    Luigi  di   Seken- 
dorf,  che  ne  tracciò  l'idea  nel    i656,  e  da  Ermanno 
Konring  che  ne  diede  lezioni  accademiche  in   Helm- 
stadt  verso  il    1660.  Il  nostro  Gioia  nomina  esso  pu- 
re  tra  primi  il   Sansovino,  e  dopo   lui  Giovanni    Bo- 
terò piemontese  ,  che    stampò    in  Venezia  nel    i6o5 
sotto   gli  auspici  del  doge  e  del  senato  la  sua  Rela- 
zione della  repubblica.  In  essa  espone  la    topogra- 
fia, la  popolazione,   le  ricchezze  ,  le  rendite  pubbli- 
che, le  forze  navali  e  terrestri,  l'amministrazione  ci- 
vile, il  clero   ed  altre  cose   che  porgono  1'  idea  pre- 
cisa del  veneto  dominio  in   quell'età  :  al  quale  pro- 
spetto ne  aggiunse  un  altro  consimile  intorno  allo  sta- 
to della  chiesa;  e  fino  dal    i5g2  avea  dato  a  luce  in 
Roma  le  sue   Relazioni  universali,  in  cui  descrive- 
va le  tre  parti  dell'antico  mondo  da  accurato  statista. 


170  Scienze 

Al  sorgere  del  XVII  secolo  lo  studio  della  sta- 
tistica cominciò  a  svolgersi  sul  Reno  ed  in  Francia, 
e  se  ne  han  prove  nei  saggi  dì  Gaspare  Ens  a  Co- 
lonia nel  1609  e  1611,  di  Pietro  d'Avitry  a  Parigi 
nel  1622,  di  Sully  sotto  il  titolo  di  Economie  reali, 
e  nelle  Repubbliche  degli  Elzeviri  in  Olanda  intor- 
no al  i63o  ,  nelle  quali  furono  inserite  alcune  di 
quelle  de'veneti  e  di  altri  italiani.  Questo  studio  si 
dilatò  moltissimo  in  Germania:  così  in  Francia  nella 
prima  metà  del  secolo  XVIII  si  fecero  noti  parecchi 
saggi  sul  calcolo  di  ogni  specie,  e  si  distinsero  De 
Parcieux,  De  Massence,  Moheau,  Saint-Cyr  ,  Pom- 
meles,   Cordorcet,  Buffon,  Neker  con  altri. 

Epoca  IV.  Dall'anno  1750  al  1800  delFE.  V. 
Lezioni  ed  opere  pubbliche  intorno  alla  moder- 
na scienza  statistica  presso  le  varie  nazioni  di 
Europa.  Il  nuovo  ed  ultimo  censimento  di  Milano 
fu  ordinato  nel  17 18  e  compito  nel  1757:  può  pro- 
porsi a  modello  per  tutti  i  governi  dell'universo.  Le 
statistiche  e  le  scienze  economiche  primeggiavano  in 
Italia  :  venerandi  sono  i  nomi  di  Pietro  Verri ,  di 
Pompeo  Neri,  di  Rinaldo  Carli  e  di  Cesare  Becca- 
ria ;  le  loro  opere  classiche  ed  immortali.  Nel  regno 
di  Napoli  il  Galanti  compilò  nel  1789  la  Descri- 
zione del  regno  delle  due  Sicilie  ,  opera  che  ot- 
tenne plausi  in  Italia  ed  altrove. 

La  parola  statistica  nel  1789  fu  usata  in  In- 
ghilterra, ed  in  quel  torno  anche  in  Francia.  Schlò- 
tzer  e  Busching  raccolsero  in  copia  nelle  loro  opere 
geografiche  preziosi  materiali  statistici  ,  sehhene  mal 
digeriti.  Il  senato  di  Venezia  nel  1764  ordinò  che 
allo  spirare  di  ogni  lustro  si  rifacesse  la  statistica  ; 
i  magistrati  lo   eseguirono  da    inesperti  ,    celando  i 


Statistica  medica  di  Milano  171 

rlsultamenti  di  quei  lavori,  e  col  loro  inopportuno 
silenzio  trassero  forse  in  rovina  la  patria.  Questa  fa- 
mosa repubblica  fino  dai  suoi  primordi  fu  guidata 
nelle  sue  colossali  imprese  dalle  cognizioni  statisti- 
che :  e  quando  le  coprirono  di  tenebre  ,  apparvero 
i  primi  segnali  della  sua  caduta,  la  quale  dopo  non 
molto  si  verificò. 

Eulero  nel  1760,  Lambert  nel  iy65  e  Bernoul- 
li  nel  1771  diedero  nelle  memorie  dell'accademia  di 
Berlino  alcune  belle  dissertazioni  sui  vari  rami  del 
calcolo  di  probabilità.  Il  barone  Bienfeld  nelle  sue 
Istituzioni  politiche  al  capo  14  presenta  con  bre- 
vità la  Storia  dell1  aritmetica  politica  dal  secolo 
XVI  fino  al  1760,  anno  in  cui  stampava.  Secondo 
lui  ,  P  aritmetica  politica  era  stata  ridotta  a  scien- 
za particolare  appena  da  70  anni  in  poi.  Hensler  e 
Tetens  nel  1767,  Chassetdi  Florimont  nel  T781,  ed 
in  seguito  Mohsen,  Crome,  Schrader,  Budde,  Mul- 
ler  ed  altri  si  applicarono  al  calcolo  delle  rendite  ed 
ai  quadri  statistici.  W.  H.  Mùller  pubblicò  nel  1799 
vari  prospetti  sul  Brandeburgo.  Le  scienze  di  stati- 
stica fecero  grandi  progressi  in  Alemagna  e  soprat- 
tutto in  Prussia  dopo  Federigo  il  grande. 

La  Danimarca,  avida  di  tutto  ciò  che  ha  rappor- 
to colla  polizia  medica,  offre  pei  tempi  moderni  in- 
numerevoli materiali.  La  Russia,  che  cominciò  ad  oc- 
cuparsene nel  1764»  ci  fornì  le  sue  osservazioni  nel- 
le memorie  dell'accademia  di  Pietroburgo  ,  e  sono 
ben  ricordevoli  quelle  di  Kraft  raccolte  nel  volume 
dell'anno   1782. 

Franklin  negli  Stati-uniti  avea  pubblicato  nel 
1785  un  articolo  sull'aumento  della  specie  umana. 
Malthus  ed  altri  scrissero  sopra  i  vantaggi  ed  i  dan- 


172  Scienze 

ni  delP  accrescimento  della  popolazione.  Gli  ameri- 
cani per  il  loro  stesso  regime  si  trovarono  obbli- 
gati di  tenere  i  registri  della  popolazione  e  rinnovar- 
ne la  numerazione  ogni  dieci  anni.  Nei  loro  medi- 
ci Mitchel  a  New- York,  Rush  a  Filadelfia  ed  altri, 
ebbero  uomini  atti  a  secondare  le  proprie  utilissime 
vedute. 

Fiorirono  in  quest'epoca  grandi  medici,  tali  so- 
no Borsieri,  G.  Pietro  Frank,  Stoll,  Zimmermann  , 
Brown  ed  altri.  Molte  e  grandi  furono  le  scoperte  : 
e  si  pose  la  base  di  alcune  scienze. 

Epoca  V.  Dall'anno  1800  al  1840  delVE.  V. 
Pubblico  insegnamento  teorico  e  pratico  della 
statistica  presso  tutte  le  nazioni,  anche  applicata 
alV arte  medica.  L'imperatore  Leopoldo,  che  nel  1795 
avea  prescritto  l'insegnamento  della  statistica  in  tut- 
te le  università,  fece  coprire  la  nuova  cattedra  di  sta- 
tistica in  Vienna  da  Ignazio  De  Lucca.  I  suoi  succes- 
sori favoreggiarono  sì  bella  intrapresa,  e  al  giorno  d' 
oggi  s'insegna  la  statistica  generale  delle  nazioni  nel- 
le università  di  Pavia,  Padova,  Vienna,  Praga  ec.  Nel 
regno  lombardo-veneto  da  parecchi  anni  si  pubblica- 
no annualmente  colle  stampe  i  prospetti  statistici  del- 
la popolazione,  dei  nati,  dei  morti  e  dei  matrimoni 
delle  singole  provincie.  Nel  regno  sardo  v'ha  un  il- 
lustre società  di  dotti  intenta  a  favorire  la  statistica 
in  ogni  suo  territorio,  non  meno  che  in  altri  prin- 
cipati d'Italia. 

In  Francia  il  ministro  Neker  istituì  un  dicaste- 
ro statistico  ,  che  fu  conservato  in  mezzo  alle  più 
strane  vicissitudini  di  quella  nazione  :  fu  poi  aggiun- 
to al  ministero  dell'interno.  Si  formò  altresì  in  Pa- 
rigi una  società,  che  die  a  luce  nel   1804  un'opera 


Statistica  medica  di  Milano  178 

sullo  stato  della  Francia  :  e  negli  anni  prossimi  fu- 
rono pubblicati  molti  prospetti  statistici  degli  ospe- 
dali e  luoghi  pii.  Arago  a  Parigi,  Quetelet  a  Brussel- 
les  coi  loro  annuari  presentano  già  da  parecchi  an- 
ni estesi  elementi  di  statistica.  A  Ginevra  si  ha  da 
molto  tempo  una  particolare  predilezione  pei  lavori 
di  statistica,  come  ci  dimostra  la  sua  Bibliotéque  uni- 
verselle. 

Nell'Inghilterra  la  pubblicità  del  suo  sistema  go- 
vernativo ne  facilitò  la  coltivazione.  Fra  le  più  re- 
centi opere  statistico-civili  devesi  ricordare  il  qua- 
dro della  gran  Brettagna  di  Beart. 

In  Russia  si  adottarono  nel  1802  efficaci  misu- 
re per  la  raccolta  e  l'ordinamento  dei  materiali  ne- 
cessari alla  compilazione  di  un  prospetto  generale  sta- 
tistico, di  cui  comparirono  alcuni  saggi  nel  1804. 

La  Prussia  eresse  nel  i8o5  un  apposito  officio 
pei  lavori  statistici,  che  nel  1809  fu  aggregato  al  mi- 
nistero dell'interno. 

Nel  1802,  scrive  Balbi,  e  prima  che  a  Parigi, 
a  Londra  ed  a  Berlino  si  dessero  alle  stampe  quei 
scientifici  giornali,  che  trattano  esclusivamente  della 
geografia  e  della  statistica,  Genova  ebbe  i  suoi  An- 
nali di  geografia  e  di  statistica  compilati  dal  ce- 
lebre Gràberg  di  Hemso,  che  sebbene  per  nascita  ap- 
partenga alla  Svezia,  pure  vuol  essere  annoverato  fra 
i  dotti  italiani,  avendo  nella  nostra  favella  pubblica- 
to la  maggior  parte  delle  sue  opere,  ed  essendo  egli 
collaboratore  di  più  riputati  scritti  periodici  d'Italia. 

In  Lombardia  primeggiò  Gioia,  quindi  Romagno- 
si  qual  principale  scrittore  degli  Annali  di  statìstica 
pubblicati  in  Milano  dal  1824  in  poi:  e  per  la  sta- 
tistica applicata  alle  venete  provincie  (  1824  )  ricor- 


iy4  Scienze 

derassi  ognora  il  eh.  Antonio  Quadri.  Adriano  Balbi 
da  più  di  3o  anni  si  occupa  delle  scienze  geografia 
che  e  statistiche. 

Il  dott.  Giorgio  Norb.  Schnabel  professore  di  sta- 
tistica a  Praga  pubblicò,  non  ha  guari,  la  statistica 
generale  di  Europa.  L'ultima  edizione  è  del  i833  ; 
e  fu  tradotta  a  Pavia  nel   1 835. 

«  La  prima  compilazione  delle  effemeridi,  secon- 
do l'illustre  astronomo  di  Milano  cav.  Carlini,  fu  di 
pochi  anni  posteriore  all'invenzione  della  stampa,  e 
devesi  a  Giovanni  Mùller  di  Conisberga,  conosciuto 
comunemente  sotto  il  nome  di  Regiomontano  deri- 
vatogli da  quello  della  sua  patria  ,  il  quale  le  pub- 
blicò per  tutta  la  serie  degli  anni  compresi  fra  il  i^jS 
ed  il  i53i.  Le  riprese  Stoffler  di  Tubinga  nel  1482, 
conducendole  fino  al  i55o.  Questo  lavoro  fu  conti- 
nuato per  opera  principalmente  degli  astronomi  ita- 
liani Cavalli,  Magini,  Argoli,  Mezzavacca,  Manfredi, 
Capelli  e  Zanotti,  ne  fu  più  interrotto  fino  a'giorni 
nostri,  vedendo  noi  pubblicarsi  regolarmente  il  Nati- 
tical  almanac  a  Londra,  la  Connaissance  des  tetris 
a  Parigi,  V^stronomisches  iahrbuc  a  Berlino,  e  le 
Effemeridi  astronomiche  a  Milano  ed  a  Bologna  ». 
Gl'italiani  furono  i  primi  a  dare  ragionate  e  pub- 
bliche norme  di  statistica  medica  con  pratica  appli- 
cazione: e  l'antesignano  fu  Giovanni  Rasori,  dando  il 
prospetto  di  un  semestre,  cioè  dal  dicembre  1807  al 
maggio  1808,  della  sua  clinica  regia  militare ,  che 
era  posta  nell'  ospedale  militare  di  s.  Ambrogio  :  il 
quale  prospetto  rimase  adora  poco  attendibile,  perchè 
scoprironsi  in  esso  sbagliate  o  trascurate  delle  im- 
portanti cifre  ,  come  mostrarono  Cerri  e  Giannini. 
Rasori  applicò  pure  il  metodo  numerico  per  conosce. 


Statistica  medica  di  Milano  175 

re  qual  fosse  l'esito  delle  peripneumonie  dietro  l'uso 
del  tartaro  stibiato,  e  la  quantità  dei  salassi  stati  fat- 
ti nelle  singole  infiammazioni  del  polmone,  e  ne  ab- 
biamo convincente  prova  nella  sua  memoria  Delle 
peripneumonie  infiammatorie  e  del  curarle  prin- 
cipalmente col  tartaro  stibiato,  da  esso  pubblicata 
fin  dall'anno  181 1.  Così  nel  1819  die  un  nudo  e 
preciso  ragionamento  sulla  Mortalità  comparativa 
delle  sale  mediche  e  della  clinica  medica  dello 
spedale  civico  di  Milano  negli  anni  1811,  1813 
e   1814. 

Dal  prof.  Valeriano  Luigi  Brera  nell'anno  i8ia 
fu  stampato  in  Padova  il  Prospetto  dei  risultati  ot- 
tenuti nella  clinica  medica  regia  di  Padova,  e  si 
continuò  fino  al  1826.  Il  metodo  statistico  del  prof. 
Brera  fu  migliorato  negli  anni    18 12   e  seguenti. 

Il  dott.  Tiene  dava  alle  stampe  nel  181 1  in  Pa- 
dova un  Saggio  nosograjico,  ossia  le  risultanze  ot- 
tenute sopra  556  infermi  curati  nell'ospedale  grande 
di  Vicenza  nell'  anno  18 io.  Corredò  questo  saggio 
di  una  tavola  meteorologica,  in  cui  egli  pose  i  medii 
mensili  del  barometro,  termometro,  igrometro  ed  ane- 
moscopio.  Così  nel  18 18  die  il  Bilancio  medico  del 
tifo  contagioso  che  regnò  epidemico  sulla  provin- 
cia vicentina  nel  181 7I,  nel  quale  presentò  savissi- 
me riflessioni  medico-praticbe  riguardanti  l'abuso  che 
solea  farsi  dei  salassi  e  dei  controstimolanti. 

Pubblicò  il  dott.  Enrico  Acerbi  nel  18 19  le  An- 
notazioni di  medicina  pratica  fatta  nelf  ospedale 
maggiore  di  Milano  nel  18 16.  Si  proponeva  con- 
tinuarle, ma  la  morte  immaturamente  lo  colse. 

Pregevoli  tavole  statistico-cliniche  veggonsi  nel- 
l'opera del  dott.  Annibale  Omodei  Del  governo  pò- 


176  Scienze 

litico -me  dico  del  morbo  petecchiale  con  un  pro- 
spetto nosografico-statistico-comparativo  della  feb- 
bre petecchiale  che  ha  regnato  epidemicamente 
nella  Lombardia  negli  anni  18 17  e. 181 8  per  uso 
dei  medici  e  dei  magistrati  (  Milano  1822-24,  voi. 
2  ).  In  questo  trattato  inserì  moltissime  tavole  stati- 
stiche spettanti  alle  varie  provincie  e  comunità  lom- 
barde. 

Il  dott.  G.  M.  Zecchinelli  die  a  luce  una  Nar- 
razione dell'origine,  propagazione,  andamento,  cu- 
ra ed  esito  del  tifo  contagioso  ,  che  ha  regnato 
epidemico  nella  R.  città  di  Padova  nei  primi  ot- 
to mesi  del  18 17.  E  un  rapporto  all'ufficio  della  con- 
gregazione municipale  della  detta  città,  nel  quale  tro- 
vasi il  prospetto  de'petecchiosi,  distinti  secondo  l'età 
e  la  professione. 

11  prof.  Mantovani,  destinato  a  dirigere  la  cli- 
nica medica  pe'chirurgi  in  Pavia,  pubblicò  nel  1820 
le  Lezioni  di  terapia  speciale  sulle  infiammazioni 
e  rendiconto  clinico  dalVanno  scolastico  1818  al 
1819.  Il  cav.  Carlo  Speranza,  prof,  di  clinica  medi- 
ca nella  ducale  università  di  Parma,  oltre  uNAnno 
clinico-medico  degli  anni  1822  e  1823  fatto  di  pub- 
blica ragione  nel  1825  in  Parma,  die  1'  altro  anno 
clinico-medico  pel  1823  e  1824:  eruditissimo  lavoro, 
al  quale  unì  un  comentario  sul  tetano. 

Francesco  d'Hildebrand,  prof,  di  clinica  medica 
a  Pavia,  pubblicò  gli  Annales  scholae  clinicae  me- 
diacae  ticinensis pars  prima.  Papiae  iftib^pars  al- 
tera, Papiae  i83o  :  opera  in  cui  dispiega  un  vastis- 
simo sapere,  e  che  correda  di  eccellenti  quadri  sta- 
tistici degli  infermi  in  essa  clinica  da  lui  curati  dal 
18 17  al   1821.  Pubblicava  in  Milano  il  prof.  Giaco- 


Statistica  medica  di  Milano  177 

mo  Tommasini  nel  i83o  il  Prospetto  dei  risulta  - 
menti  ottenuti  nella  clinica  medica  di  Bologna 
dalVanno  1823  a  tutto  il  1828.  Il  numero  degl'in- 
fermi è  diviso  secondo  la  varia  gravezza  e  qualità  di 
malattia  colla  rispettiva  mortalità  per  100.  Il  eh.  G. 
B.  Fantonetti  dava  alle  stampe  a  Milano  nel  i832  i 
suoi  risultamenti  statistici  nella  memoria  Ratio  me- 
dendi  in  clinico  instituto  medico  ticinensi  anno 
i83o-3i.  Il  quadro  statistico  per  gli  anni  i83i-32 
fu  dal  prof,  medesimo  gentilmente  donato  all' A.  col 
permesso  di  pubblicarlo:  e  ciò  egli  ha  fatto  a  pag. 
3x2.  Anche  1'  illustre  Gaspare  Federigo  compilò  il 
Rendiconto  generale  degli  ammalati  ricevuti  nella 
clinica  medica  delV  I.  R.  università  di  Padova 
(  ivi  i837  ). 

Dal  i83o  in  poi,  dacché  il  cholera  morbus  asia- 
tico s'introdusse  nell'impero  russo,  da  cui  si  diffu- 
se per  l'Europa,  l'Affrica  e  l'America,  i  quadri  sta- 
tistici e  topografici  si  aumentarono  oltremodo:  e  vano 
sarebbe  il  volere  enumerare  tutti  quelli  che  riguar- 
dano tal  contagio. 

Il  eh.  dott.  Giuseppe  Ferrario  nel  i834  die  la 
Statistica  delle  morti  improvvise  di  Milano,  opera 
che  fu  premiata  e  pubblicata  dall'I.  R.  governo  au- 
striaco. Questa  produzione  abbraccia  il  considerevole 
periodo  di  84  anni,  cioè  dal  1780  al  1 834  »  e^  G 
corredata  di  io3  tavole  statistiche.  Si  continuò  es- 
sa nei  due  annuari  di  Milano  per  gli  anni  1 834» 
i835  e  i836.  Proponendosi  nella  suddetta  opera 
l'applicazione  in  grande  della  statìstica  alla  pratica 
dei  vari  sistemi  dominanti  di  medicina,  per  avvantag- 
giare, o  almeno  dimostrare  quale  fosse  di  essi  il  mi- 
gliore, torna  ad  insistere  sul  bisogno  di  un  sì  utile 
G.A.T.LXXXVIII.  12 


1^8  Scienze 

sperimento  nella  Statistica  giornaliera,  ed  in  quella 
del  cholera  avutosi  in  Milano  e  nel  regno  lombar- 
do-veneto nel  i836,  lavoro  inserito  nelle  Effemeri- 
di mediche  di  Fantonetti. 

Giacomo  Locatelli,  al  quale  i  riconoscenti  cit- 
tadini milanesi  stanno  ora  erigendo  un  monumento 
nel  civico  spedale,  compilò  il  Prospetto  della  cli- 
nica medica  dello  spedale  maggiore  in  Milano  per 
Vanno  1816.  -  I  Riassunti  numerici  annuali  delVi- 
stituto  clinico  di  medicina  pei  chirurgi  presso  V 
I.  R.  università  di  Pavia  dall'anno  1820  al  i834, 
furono  scritti  dal  prof.  G.  Del  Chiappa.  Gli  annuali 
ragguagli  si  pubblicarono  negli  annali  universali  di 
medicina  di  Omodei. 

La  clinica  medica  pei  chirurgi  nelVI.  R.  u- 
niversità  di  Padova,  alla  quale  supplisce  dalVan- 
no  scolastico  i83o-3i  al  1 833-34  il  doti.  Giaco- 
moandrea  Giacomini  :  esposizione  compendiata  per 
opera  di  Gio.  Battista  Muglia.  Padova  i836.  In 
tale  scritto  è  aggiunto  altresì  ,  sotto  forma  di  qua- 
dro sinottico,  un  saggio  di  ordinamento  e  denomina- 
zione delle  malattie,  secondo  la  loro  indole  e  sede, 
giusta  le  vedute  dello  stesso  Giacomini. 

Il  prof.  Carlo  Giacinto  Sachero  al  Rendiconto 
clinico  per  gli  anni  accademici  1 835-3 7  (Torino 
i838  )  unì  un  quadro  nosologico,  secondo  1'  ordine 
anatomico-fisiologico  da  lui  adottato  nell'  insegna- 
mento. Nella  medesima  Torino  il  dott.  Bernardino 
Bertini  pubblicava  nel  i835  la  statistica  nosologica 
dal  1821-34  dello  spedale  de'ss.  Maurizio  e  Lazzaro, 
distinguendone  i  malati  secondo  i  mesi  dell'anno,  la 
loro  età,  professione  ec.  Il  Saggio  di  statistica  del 
regio  manico/nio  di   Torino    dal  1  gennaio   i83i 


Statistica  medica  di  Milano  179 

al  3i  dicembre  i836  del  dott.  Giovanni  Stefano 
Bonacossa  (  Torino  1837  )  raer^a  di  essere  propo- 
sto a  modello  in  opere  di  simil  genere,  avendo  egli 
adoperato  una  minutezza  ed  una  precisione  mirabile. 
Anche  il  Longaretti  stampò  nel  i833  un  Quadro 
statistico  dei  mentecatti  incorrati  negli  asili  di 
Bergamo  dall'anno   1823  al  i833. 

Il  dott.  A.  Bosi,  medico  provvisorio  dello  spedai 
le  di  Faenza,  compilava  nel  1 887  la  statistica  medica 
di  quello  spedale  dal  luglio  i836  al  fine  di  giugno 
i837. 

Passando  alle  statistiche  chirurgiche,  incomincia 
FA.  da  quella  del  prof.  Bartolomeo  Signoroni  come 
la  migliore.  Pubblicò  questi  nel  1825  i  Risultameli- 
ti  avuti  nella  clinica  chirurgica  dell' 1.  R.  univer- 
sità di  Pavia  in  quell'anno  ,  esponendoli  con  can- 
dore e  verità.  Passato  il  Signoroni  nel  i83o  alla  cat- 
tedra chirurgica  di  Padova,  die  molti  articoli  di  chi- 
rurgia teorico-pratica,  epilogati  in  un  libro,  affinchè 
servir  potesse  di  testo  per  le  sue  lezioni  di  chirur- 
gia pratica.  Vi  unì  le  risultanze  ottenute  nel  trien- 
nio scolastico  i83o-33  della  medesima  clinica  chi- 
rurgica di  Padova.  //  prospetto  delle  malattie  ed 
operazioni  avute  nell'istituto  chirurgico  di  perfe- 
zionamento in  Vienna  durante  l'anno  1821-22,  sot- 
to la  direzione  del  prof.  Kern,  fu  riportato  dall'  A. 
per  confrontare  questi  risultamenti  con  quelli  del  prof. 
Signoroni:  e  da  ambedue  le  opere  ha  formato  i  ri- 
spettivi quadri  statistici,  la  materia  dei  quali  era  fusa 
in  quegli  scritti. 

Il  prof.  Frank  a  Lipsia  nel  1808  dava  i  risul- 
tamenti della  sua  clinica  di  Wilna  capitale  della  Li- 
tuania: Acta  instituti  clinici  caesareae  università- 


ilio  Scienze 

tis  vilnensis  annus  primus  et  secundus  1805-1807: 
nel  18 12  Annus  tertius,  quartus,  quintus  et  sextus, 
cioè  lo  stato  della  sua  clinica  dall'anno  1808  al  181 1. 
Dei  ridicoli  omiopatici  mi  taccio  :  mentre,  più 
tosto  che  meritare  l'occuparsi  di  loro,  son  degni  di 
esser  fischiati  dalla  più  vile  plebaglia. 

L'A.  parla  quindi  dei  computi  fatti  dagli  arit- 
metici politici  sul  numero  degli  abitanti,  matrimoni, 
nati  e  morti,  sulle  loro  proporzioni,  sulla  vita  media 
e  probabile  in  generale  ,  e  sopra  la  mortalità  degli 
spedali.  F,  tutti  questi  gravissimi  argomenti  di  sto- 
ria statistica  svolge  egli  con  grande  erudizione  e  mae- 
stria ,  appoggiando  le  sue  idee  a  quelle  dei  sommi 
maestri,  a  tavole  statistiche  di  ogni  maniera  ,  tratte 
dalle  varie  nazioni  del  globo.  Presenta  quindi  le  pro- 
poste, le  discussioni  e  le  determinazioni  di  alcuni  prin- 
cipali corpi  scientifici  di  Europa  sulla  statistica  medi- 
ca, i  giudizi  intorno  alle  sue  opere  statistiche,  ed  in 
fine  riporta  per  intero  la  memoria  che  lesse  a  Pisa 
nel  giorno  7  ottobre  i83q  intitolata:  «  Ragionamenti 
n  sull'utilità  e  necessità  della  statistica  patologica  , 
»  terapeutica  e  clinica  ;  pensamenti  sull'  istituzione 
»  pubblica  di  una  statistica  medica  nazionale  e  ma- 
il gistrale,  consentanea  alla  filosofia  del  secolo  XIX.» 
Fu  inserita  nel  volume  92  pag.  249  degli  annali 
universali  di  medicina  di  A.  Omodei,  qui  riprodotta 
con  l'aggiunta  di  alcune  note,  e  di  un  modello  di 
tavola  nosografica. 

Le  opere  di  statistica  pubblicate  dal  eh.  dottor 
Ferrano  sono  di  tale  importanza,  che  meritano  es- 
sere profondamente  studiate  dai  governi  e  dai  dotti. 
La  diligenza  e  l'esattezza,  pregi  necessari  nella  stati- 
stica, spiccano  soprattutto  nei  suoi  scritti.  Cento  ot- 


Statistica  medica  di  Milano  i8r 

tantasei  tavole  impaginate  economicamente  dispose 
nel  primo  tomo  dell'opera  in  discorso,  la  quale  con- 
tiene la  storia  della  statistica  fino  a'nostri  giorni.  Si 
sobbarcò  egli  all'  enorme  fatica  di  porre  a  disamina 
tutti  i  calcoli  presentati  dagli  statistici,  intorno  ai  qua- 
li  ragiona:  e  molti  di  questi  che  trovò  errati  ,  pre- 
senta correttissimi  :  altri  ne  creò  egli  stesso  col  mi- 
nutissimo studio  di  opere  che  ne  mancavano.  Oltre 
a  ciò  arricchì  quest'opera  delle  vedute  teorico-prati- 
che dei  diversi  autori  medici  ,  le  quali  servono  per 
mostrare  i  rapporti  tra  le  seguite  norme  e  le  risul- 
tanze statistiche  che  si  ebbero  :  il  che  è  metodo  uti- 
lissimo e  sommamente  commendevole,  perchè  mostra, 
e  meglio  lo  mostrerà  coll'aumento  dei  fatti,  quali  so- 
no i  sistemi  medici  preferibili. 

L'angustia  di  un  giornale  mi  ha  limitato  in  tanta 
ricchezza  di  dottrine,  di  erudizione  e  di  fatti,  a  spor- 
re soltanto  le  più  importanti  cose  trattate  dall' A., 
ed  a  presentare  una  maniera  di  bibliografia  statistica, 
dalla  quale  chiaro  apparisce  ciò  che  gì'  italiani  han- 
no operato  tanto  nei  tempi  antichi  quanto  nei  mo- 
derni, prima  per  fondare,  e  quindi  per  rendere  grande 
e  filosofica  la  scienza  statistica. 

(  sarà  continuato.  ) 
Enrico  Castrecà  Brunetti. 


Ili2 


LETTERATURA 


L'illustre  Italia. 
Dialoghi  di  Salvatore  Betti. 


DIALOGO  PRIMO. 


i.N« 


on  sono  molti  mesi  passati  che  stando  io,  co- 
inè soglio,  atteso  di  buon  mattino  a'miei  studi,  venne 
a  me  un  pittore  non  solo  degli  amicissimi ,  ma  de'pri- 
mi  che  a  questo  tempo  fioriscano  le  nostre  arti:  impe- 
rocché tutto  dato  nobilmente  a  seguire  le  divine  scuole 
di  Leonardo  e  di  Raffaello,  gloriasi  di  non  avere  in- 
chinato giammai  l'altezza  dell'ingegno  italiano  ad  al- 
cuna viltà  forestiera.  Di  che  non  può  credersi  quan- 
to mi  sia  caro  anche  per  questo  :  considerando  esse- 
re così  tepido  a*  nostri  giorni  ,  per  non  dir  mezzo 
spento,  l'amor  della  patria  :  e  chi  gittarsi  qua  e  chi 
là  scapestratamente  non  meno  nelle  arti,  che  nelle 
lettere  :  quasi  tutto    sia    eccellente ,    che  non   porti 


l'illustre  ITALIA  i83 

seco  alcuna  sembianza  di  cosa  nataci  di  qua  dall'al- 
pe. Grand'esempio  della  sazietà,  che  anche  l'abbon- 
danza del  gentile  e  del  bello  suol  generare  in  anime 
non  bene  educate  a  niuna  vera  beltà  e  gentilezza  ! 
Anzi  esempio  dello  stretto  vincolo  che  fra  loro  han- 
no i  disordini  degli  stati  e  quelli  dell'intelletto.  Oh, 
diss'io  appena  vidilo  entrare,  sii  tu  il  ben  venuto,  o 
Guglielmo  !  Qual  mia  fortuna,  o  carissimo ,  ti  con- 
duce sì  di  buon'ora  a  consolar  di  una  visita  l'amico 
tuo  ?  M'è  bisogno,  egli  rispose,  il  tuo  consiglio  in 
cosa  che  da  molti  giorni  ha  voluto,  non  che  ogni  mia 
opera  ,  ma  dirò  quasi  tutti  i  pensieri  miei.  Affé  ,  o 
Guglielmo,  io  soggiunsi,  che  a  ben  povero  senno  tu 
ti  rivolgi  se  t'è  bisogno  di  aver  consiglio  !  Ma  se  a 
questo  difetto  può  sovvenire  la  lealtà  e  1'  amicizia  , 
parla  pure  :  che  io  sarò  in  ascoltarti  tutt'anima,  non 
che  tutt'orecchi. 

Egli  allora  prese  a  narrare  così  :  Io  non  ti  dirò 
di  un  signore  cortese,  di  cui  non  so  se  il  più  magnifico 
si  sappia  in  Italia  e  fuori:  di  un  signore,  che  per  amor 
vero  alle  belle  arti  sembra  quasi  voler  rifiorire  l'età  glo- 
riosa de'Medici  e  degli  Estensi.  Noi  ne  abbiamo  spesse 
volte  parlato  :  ne  qui  vale  ridire  le  lodi  sue.  Or  questo 
signore,  fattomi  a  se  un  giorno  richiedere  siccome  suo- 
le, desiderò  ch'io  vedessi  una  sua  gran  sala,  a  cui  non 
saprei  dirti  qual'altra  in  Roma  sia  da  ugualiarsi,  così  per 
la  luce  che  d'ogni  parte  v'entra  bellissima  e  per  la  va- 
stità, come  per  la  forma  che  ha  di  un  perfetto  quadrato. 
Puoi  tu  immaginarti  se  colle  parole  più  belle  che  io 
avessi  gli  lodai  quella  nuova  sontuosità  principesca: 
tanto  più  che  in  Italia  (  e,  ciò  ch'è  più  indegno,  in 
Roma  stessa  )  colle  altre  corruzioni  straniere  si  è  pu- 
re introdotto  da  alquanti  anni  un  certo  far  sì  tacca- 


184  Letteratura 

gno  eziandio  nelle  fabbriche,  che  giureresti  i  presen- 
ti signori  non  vagheggiare  più  altro  che  la  meschini- 
tà e  la  grettezza  così  nelle  vesti,  come  nelle  aule  di 
loro  gentile  ricreazione.  Quanto  diversi,  o  Betti,  dal- 
la grandezza  de'nostri  avi  e  dall'antica  dignità  delle 
arti  !  Ma  vuoisi  essere  in  tutto  o  francesi  o  britan- 
ni :  con  cento  varietà  di  sete  e  di  nastri  e  di  veli, 
e  talor  anche  di  carte,  scusare  la  più  eccellente  pom- 
pa della  pittura  :  colla  gala  degli  arredi,  cosa  che  sì 
presto  passa,  supplir  la  mancanza  della  decorosa  am- 
piezza del  luogo  :  sicché  ci  è  venuta  quasi  a  dispetto 
quella  romana  magnificenza  del  secolo  XVI  emula 
della  maestà  de'  cesari  !  Con  viso  assai  lieto  accol- 
se il  nobilissimo  quelle  mie  congratulazioni  :  il  per- 
chè con  maggiore  benignità  ristrettosi  meco  ,  dopo 
avermi  un  poco  guardato,  con  un  tal  sorriso  mi  dis- 
se, ch'essendomi  la  bella  sala  così  piaciuta,  a  lui  pu- 
re piaceva  che  io  dovessi  trovare  il  modo  di  ornar- 
la. Ma  di  ornarla,  soggiunsemi,  all'italiana  :  percioc- 
ché nato  e  cresciuto,  per  divino  favore,  in  questo 
giardino  dell'universo  ,  non  ho  maggior  pensiero  in 
ogni  mia  opera  che  di  mostrarmene  buon  cittadino. 
Sia  dunque  cura  del  vostro  valore  nell'arte  il  dipin- 
gervi quante  più  glorie  potete  de'  nostri  avi  :  sicché 
andandovi  poi  a  diporto,  io  possa  almeno  tra  le  pa- 
reti domestiche  sollevai*e  lo  spirito;  e  coli' alterezza,  che 
dà  una  illustre  patria,  additarle  non  che  agli  stranie- 
ri ,  ma  sì  agl'italiani  perchè  meglio  si  conoscano  e 
si  rispettino.  E  di  quali  glorie  intende  vostra  eccel- 
lenza, io  risposi  ?  Perchè  molte  ne  abbiamo,  e  fiori- 
teci in  tutti  i  secoli ,  così  religiose  e  civili ,  come 
guerriere,  letterarie  ed  artiste.  In  voi  rimetto  lo  sce- 
gliere, egli  riprese  :  né  altro  per  ora  vi  chieggo,  che 


L'ILLUSTRE    ITALIA  l85 

di  porgervi  degno,  non  pur  di  questa  fiducia,  ma  del- 
l'italiana grandezza.  Chinai  a  tali  parole  il  capo,  non 
saprei  affermarti  se  più  per  modestia  ,  o  per  timore 
che  avessi  :  considerando  ,  come  Dante  direbbe,  II 
ponderoso  tema  -  E  V  omero  mortai  che  se  ne  car- 
ca.  E  poco  stante  presi  ed  ottenni  licenza  da  quel 
gentile, promettendogli  di  tornar  quanto  prima  co'miei 
disegni. 

Ora  non  sai  tu,  Salvatore,  che  cosa  mi  sia  pro- 
posto ?  Egli  vuol  solo  rappresentate   alquante   glorie 
italiane  :  ed  io  intendo  invece  di  ritrargliele  presso- 
ché tutte.  E  come,  io  soggiunsi  ?  In  una  vasta  cam- 
pagna, diss'egli,  rallegrata  qua  e  là  da  be'poggi  e  bo- 
schetti e  ruscelli,  ove  credasi  che  fra  l'erbe  ed  i  fio- 
ri, o  presso  il  zampillar  d'una  fonte,  o  sotto  l'om- 
bra di  un  albero,  vivano  i  piaceri  dell'antica  vita  gli 
spiriti  più  famosi  di  quante  sono  mai  state  le  gene- 
razioni dell'italica  civiltà.   Credi  tu  che  troppo  senta 
di  mitologico  questo  concetto  ?  A  cui  io  :  Noi  cre- 
do ;  perchè  consolazione  non  più  moderna  che  anti- 
ca dell'umana  miseria,  in  questo  sogno  di  una  notte 
eh' è  il  nostro  vivere,  non  è  forse  l'immortalità  delle 
anime  ?  Ed  oh  benedetta  anche  per  questo  la  religio- 
ne del  vangelo,  che  predicando  la  certezza  di  un'al- 
tra vita,  ci  dà  tanta  speranza  di  dover   essere   nuo- 
vamente co'nostri  più  cari  là  dove  tutto  è  sempiter- 
no e  beato  !  Ti  so  dir  anzi,  che  non  saprei  pensar 
cosa  che  meglio  di  questa  tua  finzione  confacciasi  al- 
la ragione  di  tutti  i  tempi,  dovendo  tu  rappresenta- 
re un  consorzio  di  celebri  estinti.  Qual    poema  in- 
fatti meno  mitologico  della  divina  commedia  ?  E  pu- 
re l'eccellenza  di  quell'unica  mente  ci  porse  a  vede- 
re, sopra  quel  suo  prato  di  fresca  verdura,  tanti  spi- 


i86  Letteratura 

riti  magni  e  donne  e  cavalieri  d'ogni  credenza  reli- 
giosa e  nazione.  E  tenne  forse  altro  modo  il  divino 
urbinate,  quando  nelle  stesse  camere  de'pontefici  di- 
pinse il  Parnaso  e  la  scuola  d'Atene  ?  Ma  dimmi  in- 
tanto alcun  che  delle  precise  ragioni  dell'opera  tua  ; 
perciocché  appena  so  immaginare  come  tu  ci  abbia 
potuto  convenientemente  ritrarre,  non  dirò  tutti,  ma 
sì  almeno  la  maggior  parte  de'sommi  ingegni  che  ono- 
rarono l'Italia. 

E  Guglielmo  :  Ho  io  ritratti  qui  tutti  coloro  co- 
si dell'antica  come  della  novella  Italia,  i  quali,  per 
quanto  la  mia  poca  dottrina  ha  saputo  trovare,  fiori- 
rono massimamente  per  fama  di  scienze,  di  lettere  e 
di  arti:  non  attendendo  in  ciò  ad  alcune  loro  opi- 
nioni, le  quali  non  perchè  furono  meno  rette  ebbe- 
ro perciò  meno  rinomanza  e  seguito  fra  le  genti,  e 
meno  mostrarono  l'inventiva  e  l'altezza  dell'ingegno 
italiano:  se  non  vogliasi  dir  piuttosto  la  libertà  che 
richiedesi  così  a  creare  come  a  combattere  un  gran 
pensiero.  Oltreché  in  certi  alti  spiriti  non  tutto  può 
essere  sì  riprovevole,  che  anche  vaneggiando  essi  in 
gravissimi  errori  non  ti  rivelino  sovente,  come  lampi 
di  una  mente  creatrice  ,  verità  non  pur  grandi  ma 
spesso  feconde  di  utilissimi  insegnamenti.  Aggiungi  la 
varietà  de'giudizi  :  e  le  sentenze  quanto  discordi  in- 
torno alla  virtù  ed  al  vizio  (cose  talor  mutabili  secon- 
do il  mutarsi  de'governi  e  de' tempi  ),  altrettanto  con- 
cordi inforno  alla  celebrità.  Qual  uomo  di  stato  nel- 
1'  istoria  francese  salì  in  maggior  grido  di  quell'Ar- 
mando di  Richelieu,  che  per  tanto  tempo  ebbe  in 
mano  la  volontà  del  re  e  la  fortuna  della  nazione? 
E  pure  quanta  diversità  di  sentenze  sulla  sua  vita  ! 
Intantochè  chi   l'alza  fino  alle  stelle,  chi  lo  deprime 


L  ILLUSTRE    ITALIA  IO  7 

fino  agli  abissi  :  ed  il  Montesquieu  non  lia  dubitato 
chiamarlo  il  pessimo  de'  francesi.  Ora  chiunque  egli 
si  fosse  ,  certo  è  che    tutti    in    Francia  il    porranno 
sempre  fra  i  famosissimi  per  fatti  e  di  guerra  e  di  pa- 
ce :  sicché  se  anche  l'autore  dello  spirito  delle  leggi 
avesse  dovuto  fare  pe'suoi  questo  lavoro  che  ho  fatto 
io  per  gl'italiani,  non  sarebbesi   già   passato  del  Ri- 
chelieu,  anche  disapprovando,  o  per  dir  meglio  ma- 
ledicendo, cotanta  parte  delle  sue  imprese  :   oltre  al 
non  perdonargli   (  superbia  francese  !  )   d'essersi  alzato 
a  si  gran  potestà  pel  favore  di  due  de'nostri,  cioè  del 
maresciallo   Concini  e  della  regina  Maria  de'Medici. 
Due  sole  condizioni  d'illustri  ho  io  tralasciato  : 
quella  cioè  de'fortunati  ch'eroicamente  essendo  vissuti 
in  ogni  perfezione  di  virtù,  non  consente  il  culto  ve- 
nerabile de'nostri  padri  che  senza  profanazione  possa- 
no mai  esser  posti  in  altro  luogo  che  in  cielo.  Perchè  tu 
non  vedrai  qui  niun  dottore  o  padre  della  chiesa,  e 
niuno  pure  di  que'  patriarchi  che  furono  tanta  luce  di 
carità  e  d'amor  santo  in  mezzo  gli  orrori  de'secoli  del 
ferro  e  dell'odio.  L'altra   condizione  ,  che  altresì  ho 
tralascialo,  è  di  coloro  che    un'  augustissima    dignità 
fa  soprattutto  degni  di  gran  riverenza  alle  genti  cri- 
stiane.  Ciò  sono  i  romani  pontefici.  Ed  oh  ,   Betti  , 
quali  nomi  famosi  mi  è  stato  mestieri  di   omettere  ! 
Certo,  rispos'io,  famosissimi    e   d'alto    ossequio    così 
nel  magistero  delle  cose  divine,  come  nella  civile  sa- 
pienza ;  e  nell'aver  poi  sotto  il   gran  manto    accolte 
a  patrocinio  e  lettere  e  arti,  voluto  a  tutta  Europa  farsi 
autori  di  pubblica  beneficenza,  e   preso  cotanta  cura 
della  grandezza  e  dignità  italiana.  Imperocché  lascia- 
mo parlare  gli  stolti  :  ed  a  noi  sia  certissimo,  che  sca- 
duta Italia  da  ogni  antica  maestà  d'impero  :  fatta  vi- 


188  Letteratura 

le  di  opere,  feroce  di  leggi,  superstiziosissima  di  co- 
stumi :  ridotta  infine  a  non  aver  altra  forza,  che  la 
barbarica  della  vendetta  :  guai  se  al  grand'uopo  non 
fosse  occorsa  la  santità  della  mente  e  del  petto  de' 
romani  pontefici,  i  soli  che  onorande  e  maestose  fi- 
gure (  se  talor  ne  togli  quel  consesso  di  savi  che  gui- 
dò la  repubblica  veneta  )  si  sollevassero  in  mezzo  al- 
l'universale abbiezione  colle  virtù  dell'animo,  quan- 
do più  non  potevasi  colle  armi  :  tenesser  fede  al  no- 
me romano  :  ed  a'piè  si  vedessero  e  cesari  e  re,  non 
so  se  con  gloria  maggiore  della  religione  o  dell'  al- 
tezza italiana.  Così  è  ,  riprese  Guglielmo  :  sì  eh'  io 
spesso  rido  la  presunzione  di  chi  le  cose  leggermen- 
te considerando  ,  non  avverte  la  maraviglia  di  una 
gran  successione  di  principi,  la  quale,  benché  com- 
battuta da  odii  fierissimi,  ha  nondimeno  veduto  tanti 
strani  rivolgimenti  d'imperi,  e  lo  spegnersi  di  tanti  re- 
gni che  per  fortuna  e  per  armi  parevano  d'ogni  parte 
sì  fiorenti  di  vita  e  quasi  sfidare  i  secoli  !  Una  succes- 
sione di  principi  che,  con  tutta  l'antichità  sua,  osserva, 
o  Betti,  come  non  pur  si  mostra  piena  di  nervi  e  vigore, 
ma  sì  parla  ancora  intrepida  ed  autorevole,  circondata 
da  quasi  ducento  milioni  de'suoi  fedeli,  il  sacro  linguag- 
gio che  già  tuonò  sulle  labbra  de'Gregori,  degli  Ales- 
sandri, degl'  Innocenzi  !  Oh  ben  puoi  credere  quante 
volte  in  quest'  opera  abbia  io  dovuto  far  forza  alla 
mente,  e  quasi  alla  mano  !  Ma  la  riverenza  delle  som- 
me chiavi  mi  ha  trattenuto. 

II.  Eccoti  pertanto  il  disegno  che  sembrami  do- 
ver proporre  per  la  prima  delle  quattro  pareti.  Ho  in- 
teso di  "voler  qui  ciò  ch'ebbero  di  più  illustre  le  scien- 
ze :  incominciando  da  quelle  che  le  altre  più  avan- 
zano di  nobiltà  e  sublimità,  dico  le  morali  e  le  me- 


l'illustre  ITALIA  jgq 

tafisiche.  Sicché  signore  della  grande  schiera  ho  po- 
sto  Pittagora,  il  grandissimo,  a  chi  fra'gentili  dobbiamo 
primieramente  il  gran  dettato:  Che  gli   dei   ci  hanno 
conceduto  due  cose  bellissime  fra  tante  altre,  la  be- 
neficenza e  la  verità.  Perciocché  ricordami  che  da  te 
mi  fu  detto  (  anzi  non  so  in  quale  tua  opera  scri- 
vesti ),  essere  stato  quel  savio  assolutamente  italiano. 
Non  sono  stato  io,  risposi  ,  o  Guglielmo  ,  il  primo 
ad  attribuire  alla  nostra  gente  questa  gloria  dell'an- 
tica filosofia,  anzi  fonte  principale  del  sapere  italico  e 
greco  :  ma  sì  furono  Aristosseno,  Teopompo  ed  Ari- 
starco, il  cui  testimonio  ci  rapportano  Clemente   ales- 
sandrino ed  Eusebio  :  seguiti  poi  fra' moderni  dal  Da- 
ti, dal  Maffei  e  dal  Macri.  Anzi   quest'  ultimo   con 
assai    dottrina    difese    teste  1'  opinione  ,  che  già  pu- 
re ne  aveva  uno  de'più  sublimi  nostri  intelletti,  san 
Tommaso  d'  Aquino  :  che  foss'  egli  cioè  della  Samo 
italica,  confusa  poi  dalla  greca  boria  coli' isola  dell' 
Egeo.  E  chi  sa  che  quel  Neante,  il  quale  in  Clemen- 
te alessandrino  si  dà  per   sirio,  non  fosse  anzi  di  Siri 
città  celebratissima  ed  antichissima  della  magna  Gre- 
cia ?  D'onde  probabilmente  venne  pur  quel  Ferecide, 
figliuolo  di  Badi,  da  cui  ebbe  Pittagora  i  primi  in- 
segnamenti della  sapienza.   Certo  è  che    della  patria 
di  questo  famoso  non  ebbero  i  greci  una  cognizione, 
che  potessero  dir    sicura  :  e  che  1'  isola  di  Samo  si 
trasse  innanzi  ad  appropriarsela  più  per  caso  di  no- 
me, che  per  altra  fondata  ragione.    Perciocché  quel- 
l'isola non  può  di  Pittagora  vantar  altro  precisamen- 
te ,  che  l'autorità  di  chi  lo  disse  di  origine   samia  : 
là  dove  l'Italia  ti  mostra  il  luogo  della  sua  stanza  , 
della  sua  grandezza,  della  sua  morte  :  ti    mostra  la 
sua  filosofia,  cui  diede  il  nome  d'italica:  infine  ti  mo- 


190  Letteratura 

stra  ciò  che  imprese  a  fare  con  tanto  amore  di  cit- 
tadino ne'governi  della  nazione.  E  chi  vorrà  inoltre, 
soprattutto  nell'istoria  italiana,  giurar  più  sulla  fede 
di  que'greci  di  là  dal  mare,  i  quali  con  vanità  incredi- 
bile e  con  propria  sentenza  attribuendosi  il  princi- 
pio ed  il  fiore  di  tutte  le  civiltà  della  terra,  mentre 
oltraggiavano  col  nome  di  barbare  le  altre  genti,  era- 
no poi  essi  stessi  chiamati  fanciulli  dagli  egiziani  ? 
E  veramente  gran  senno  dobbiamo  ravvisare  ogni  gior- 
no in  quella  loro  licenza  di  antichità  !  Gran  sen- 
no veramente  ci  mostrano  in  questa  nuova  luce  di 
studi,  in  questo  percorrere  che  si  è  fatto  e  si  fa  dal- 
l'un  canto  all'altro  la  terra  con  tanti  aiuti  di  lingue, 
e  più  di  filosofia  ,  e  con  tanti  nuovi  confronti  delle 
opere  d'ogni  popolo  e  generazione  ! 

Hai  ben  ragione,  disse  Guglielmo  :  e  mi  sovvie- 
ne del  nostro  Girolamo  Amati,  quando  pur  difende- 
va che  Zeusi,  fiorito  sempre  in  Italia,  e  discepolo  di 
Demofilo  d'Imera,  era  dell'italiana  Eraclea.  Al  che  io: 
Né  l'Amati  errava  :  e  prima  di  lui  avevano  tenuta 
quella  sentenza,  non  solo  gli  altri  italiani  Giambati- 
sta  Bianconi  e  Vincenzo  Cuoco,  ma  sì  pure  i  fran- 
cesi Hardouin  e  Brizard.  Laonde  spero  che  avrai  po- 
sto con  gran  sicurtà  fra'  nostri  artefici  anche  quell' 
immortale  maestro.  E  puoi  tu  dubitarne,  rispose  Gu- 
glielmo ?  Attendi,  e  il  vedrai  fra  quegli  altri  che  più 
onorarono  le  antiche  arti  di  questa  madre  comune  , 
cioè  fra  i  due  scultori  celehratissimi  di  Reggio  e  di 
Leontini.  Or  eccoti  Pittagora:  ed  è  colui  che  sedendo 
su  bianca  pietra  e  all'ombra  di  un  faggio,  vedi  in  aspet- 
to pieno  di  certa  dignità  misteriosa,  che  ben  si  affa, 
se  non  erro,  alla  ragione  della  sua  filosofia  :  essen- 
doché egli  stimasse,  come  testimonia  Giamblico,  i  se- 


L'ILLUSTRE    ITALIA  IQI 

greti  della  sapienza  non  doversi  aprire  che  ai  degni: 
cosa  che  forse  apprese  da  quelle  arcanissime    dottri- 
ne de'caldei  e  degli  egiziani.  Ed  io  :  Bene  hai  detto, 
forse:  perchè  ad  alcuni  dottissimi  ,  e    soprattutto  al 
Vico  ,  non  sembrano  possibili  ad  una   età  sì  remota 
i  viaggi  di  Pittagora  né  in  Egitto,  ne  in  Tracia,  né 
in  Asia  :  e  quanto  a  quelli  nelle  Indie,  l'acuto  giu- 
dizio del  Romagnosi  già  pose  in  gran  dubbio  la  sa- 
pienza   antichissima    de'  brahmani  :    benché    Plutar- 
co,  Origene,   Clemente  alessandrino   ed  altri  di  quel- 
l'età, in  cui  sì  facilmente  giuravasi  sulle  vecchie  fa- 
vole, non  pur  gli  abbiamo  per  veri  ,  ma    ci  narrino 
perfino,  avere  il  filosofo  voluto  in  se  sostenere  il  ri- 
to della  circoncisione,  perchè  non  gli  fossero  vietati 
in  Egitto  gli  arcani  del  suo  maestro  Sonchide   arci- 
profeta.  E   Guglielmo  :  Tempi  veramente  sciaguratis- 
simi,  quando  è  bisogno  che  la  verità  sia  un  arcano  ! 
Ma  pur  troppo,  diss'io,  è  talor  necessario,  se  non  ce- 
larla del  tutto  al  volgo,  almeno  temperarne  a  quella 
infermità  d'occhi  la  luce  sfolgorantissima  !  E  ciò  fe- 
cero pure  i  romani  :  ed  è  sentenza  di   Varrone  ,  in 
un  passo  conservatoci  da  sant'Agostino  nella  città  di 
Dio,  doversi  molte  cose  anche  importantissime  igno- 
rare dal  popolo,  che  sono  vere,  e  molte  altre  lascian- 
gli  credere  che  sono  false  :  in  ciò  stare  dicendo   egli 
il  segreto  della  sapienza,  con  cui  si  reggono  le  città 
e  gli  stati.  Sentenza  ch'egli  prese  forse  da  Parmeni- 
de, il  quale  oltre  a  tutti  i  pitagorici  parve  convinto  di 
quel  gran  vero,  che  pur  troppo  ciò  che  ai  saggi  sem- 
bra ridicolo,  è  necessario  agli  stolti  !  Imperocché,  se 
non  erro,   Simplicio  racconta  aver  egli  composto  due 
opere  di  filosofia  :  l'una  pe'dotti,  nella  quale  con  su- 
blimità di  pensieri  esponeva  le  sue   dottrine  :  l'altra 


iqa  Letteratura 

pel  volgo,  ove  degli  dei  parlava  secondo  le  comunali 
opinioni.  E  che   altro   intendeva    Socrate    quando  a 
tutti  gli  uomini  faceva  colpa  della  menzogna^  salvo 
a  quelli  che  seggono  al  timone  della  repubblica  ?  Co- 
munque ciò  sia,  riprese  Guglielmo  (  giacche  io  non 
mi  pregio  molto  d'iniziato  ne'  misteri  del    governare 
gli  stati  )  ,  a  me  bello  è  il  pensare  che  i  tempi  di 
Pittagora,  la  Dio  mercè,  non  torneranno  mai  più:  né 
avremo  quindi  mestieri  di  ritagliarci  col  ferro  niuna 
parte  del  corpo  per  apprendere  la    perfezione    della 
virtù.  Perciocché  l'immensa  luce,  che  al  mondo  è  ve- 
nuta dall'essersi  trovata  la  stampa,  ha  trionfato  di  tut- 
ti gli  arcani  e  tolto  per  sempre  l'ombra  che  offuscava 
il  vero.  Ed  alla  stampa  è  poi  seguitato  1'  altro  non 
meno  utile  provvedimento,  introdotto  forse  prima  d' 
ogni  altro  fra  noi  (benché  in  mezzo  le  ire  di  chi  gridava 
alla  profanazione  della  sapienza)  da  Alessandro  Pic- 
colomini  arcivescovo    dottissimo  di  Patrasso  :  di    di- 
scorrere cioè  nella  lingua  viva  le  cose  della  ragione, 
perchè  sia  così  reso  universale,  come  Dante  direbbe, 
il  lume  ch'è  fra  la  verità  e  l'intelletto  ,  senza  biso- 
gno alcuno  di  saper  greco  o  latino.  Ma  di  ciò  se  ti 
piace,  disputeremo  altra  volta.  Prosiegui  intanto  a  dir- 
mi ciò  che  con  franchezza  ti  pare  di   quella    imma- 
gine di  Pittagora.  Egregiamente,  io  dissi,  hai  tu  fatto 
ponendolo  a  sedere,  siccome  principe  ch'egli  fu  vera- 
mente dell'antico  sapere  :   essendoché  la  filosofia  non 
abbia  preso  precisamente  condizione  di  scienza,  che 
per  opera  di  Talete  e  di  Pittagora  :  con  questo  pe- 
rò che  la  setta  italica  ebbe  alcun  che  di  maggior  fon- 
damento, che  non  ebbe  l'ionica.  Imperocché,  o  Gu- 
glielmo, debbesi  ad  essa  principalmente  non  pur  tut- 
to ciò  che  di  più  spirituale  ed  alto  filosofarono  So- 


L'ILLUSTRE    ITALIA  Iq3 

crate  e  Platone,  ma  quanto  di  più  ragionevole  dispu- 
tarono poscia  e  greci  e  romani  intorno  la  scienza  ci- 
vile, di  cui  a  Pittagora  dà  Giamblico  la  gran  lode 
non  solo  di  primo  maestro,  ma  di  ritrovatore.  Che 
veramente,  o  mio  caro,  ebbe  ragione  quel  nostro  Vi- 
co allorché  disse,  la  Grecia  non  avere  avuto  altro  a' 
tempi  del  savio  di  Samo,  che  la  sapienza  poetica,  la 
quale  non  è  che  la  filosofia  de'popoli  ancora  barba- 
ri. E  chi  non  sa  infatti  che  fosse  fino  all'età  del  fi- 
gliuolo di  Sofronisco  la  greca  filosofia,  che  ne  pure 
aveva  per  farsi  intendere  un  filosofico  linguaggio  ?  E 
Guglielmo  :  Piacemi,  o  Betti,  questo  giudizio  tuo:  e 
desidero  che  cosi  mi  approvi  anche  il  modo,  onde  ho 
voluto  che  si  conosca  il  filosofo  al  solo  primo  guar- 
darlo. Vedi  infatti  che  ho  scelto  fra  le  tre  immagi- 
ni, che  di  Pittagora  ci  dà  Ennio  Quirino  Visconti, 
quella  più  grave  e  dirò  pur  pittoresca  del  rarissimo 
conformato  del  reale  museo  di  Parigi  :  perciocché  al 
romano  archeologo  quel  volto  dignitosamente  barbato 
sembrò  più  confarsi  all'opinione  che  gli  antichi  ave- 
vano delle  sembianze  del  sapientissimo.  Oltreché 
quella  foggia  di  vestire,  senza  mostrare  ignuda  tanta 
parte  della  persona,  è  a  me  sembrata  non  solo  più 
decorosa  a  chi  primo  fra'gentili  usò  la  morale  a  di- 
mostrare la  religione,  ma  sì  più  istorica  :  e  tale  che 
bene  convengasi  col  candore  della  veste  di  lino,  che 
secondo  Giamblico  e  Filostrato  indossavasi  così  da 
Pittagora,  come  da'suoi  discepoli:  per  adoperar  cosa, 
dicevamo,  data  loro  dalla  terra,  anziché  tolta  alle  spo- 
glie di  alcun  vivente.  Avrei  anche,  sulla  fede  di  Elia- 
no,  potuto  cingergli  il  capo  d'una  corona  d'oro.  Ma 
io  non  credo  in  Pittagora  quella  superbia  :  e  certo 
male  si  affa,  se  non  erro,  ad  un  savio  non  pure  di 
G.A.T.LXXXVIII.  i3 


ic)4  Letteratura 

sì  gran  sentimento,  ma  modestissima:  per  non  di- 
re che  invano  se  ne  cercherebbe  esempio  in  veru- 
na delle  immagini  sue.  Gli  ho  posto  in  mano  le  se- 
ste :  essendoché,  filosofo  delle  proporzioni  e  dell'ar- 
monìa, ordine  principalissimo  del  suo  insegnare  fosse 
la  geometria,  che  sì  acutamente  chiamava  istoria  del- 
le cose  sensibili  e  materiali.  Quanto  in  ciò  diverso, 
o  Beili,  dagli  epicurei  e  dagli  stoici  ?  E  vedigli  a' 
pie  la  lira  ed  un  abaco,  come  a  colui  che  le  verità 
intellettuali  soleva  far  comprendere  e  co'  numeri  e 
colla  musica  ,  eh'  egli  diceva  purgatrice  efficacissima 
delle  passioni  dell'animo.  Credi  tu  che  subito  si  co- 
nosca esser  egli  Pittagora  ?  Chi  non  è  al  tutto  ignaro, 
io  risposi,  delle  cose  filosofiche,  penso  che  veramente 
non  possa  in  questa  effigie  non  ravvisare  incontanen- 
te il  fondatore  della  scuola  italica. 

A  lui  presso,  seguitò  Guglielmo,  è  Parmenide, 
quasi  di  alcuna  cosa  interrogandolo  :  al  quale  vedi 
in  mano  un  Amorino,  siccome  a  chi  diceva,  non  al- 
tro che  amore  avere  insieme  composti  tutti  i  prin- 
cipii  degli  esseri,  e  così  formato  a  quest'armonia  gli 
elementi  e  le  sfere.  Perciocché  di  Parmenide  non  ho 
potuto  trovare  immagine,  non  che  genuina  ,  ma  né 
pur  di  dubbia  opinione.  Ed  io  :  A  me,  s'ho  a  dirti  il 
candido  vero,  non  sa  in  tutto  piacere  questo  modo  tuo 
di  ritrarlo  :  pensando  che  il  filosofo,  in  ciò  che  nomi- 
nò Amore,  ebbe  in  mente  più  alta  idea  ed  intellet- 
tuale che  la  greca  divinità  di  Cupido.  Or  non  po- 
trebbe, o  Guglielmo,  abbandonarsi  questa,  dirò  così, 
troppo  volgare  rappresentanza  di  una  mitologia  ,  a 
cui  non  pare  che  l'alto  senno  del  sapiente  di  Elea  pre- 
stasse veruna  fede  ,  e  porre  invece  eh'  egli  col  dito 
indicasse  quel  suo  famoso  uno>  ai  quale,  sceverando 


L'ILLUSTRE    ITALIA  Iq5 

ciò  che  è  da  ciò  che  appare,  intendeva  ridurre  tutte 
le  cose  dell'intelletto  ?  Fa  inoltre  che  assai  venerabile 
sia  di  aspetto,  e  con  bianche  la  chioma  e  la  barba, 
come  ce  lo  descrive  Platone  nel  dialogo  che  intitolò 
da  lui,  Nò  saresti  forse  ripreso  se  anche  lo  incoronassi 
dell'  alloro  poetico  :  essendo  stato  anch'  ei  di  que' 
vecchi,  che  al  modo  di  Senofane  e  di  Empedocle  scris- 
sero in  versi  le  filosofiche  loro  dottrine,  e  perciò  po- 
sero con  Esiodo  i  principii  della  poesia  didascalica. 

Certo  è  migliore,  disse  Guglielmo,  l'avviso  tuo: 
ed  io  lo  seguirò  volentieri.  Vicino  a  Parmenide  sono 
Ippaso,  Alcmeone,  e  quel  Filolao,  di  cui  (oltre  ad  es- 
sere stato  il  primo  a  rivelare  agi'  italici  ed  a1  greci 
il  segreto  pittagorico  del  muoversi  della  terra)  niuno 
con  maggior  fondamento  aveva  mai  disputato  la  na- 
tura dell'anima,  e  mostratane  l'immortalità  :  sicché  il 
suo  libro,  come  sai,  giunse  a  Socrate  così  caro,  che 
fino  ricordavalo  in  queli'  istante  ,  che  vittima  ,  non 
so  se  più  della  malvagità  o  dell'ignoranza,  dovette  ber 
la  cicuta.  E  lui  e  quegli  altri  intentissimamente  ri- 
guardano Marsilio  Ficino  e  Pico  dalla  Mirandola,  lie- 
tissimi in  vista  di  trovarsi  innanzi  a'famosi,  che  già 
invaghirono  Platone  di  venir  fra  noi,  e  il  fecero  quin- 
di tornare  in  Atene  sì  ricco  de'tesori  della  nostra  sa- 
pienza. L'uomo  che  dietro  a  Parmenide  osservi  in  quel- 
l'atto  d'inspirarsi  quasi  ne'sublimi  ragionamenti  del  fi- 
losofo samio  e  de'suoi  seguaci,  è  Vincenzo  Cuoco:  di 
cui  l'antica  dottrina  italica,  e  soprattutto  le  scuole  di 
Crotone  e  di  Elea,  non  ebbero  né  più  eloquente  né 
più  dotto  investigatore  :  benché,  lasciatosi  anch'  egli 
trarre  alle  sottilità  metafisiche  di  quel  sublime  so- 
gnatore che  talvolta  fu  il  Vico,  movesse  alcun  dub- 
bio suir esser  vissuto  mai  questo  grande,  ch'ora  egli 


196  Letteratura 

contempla  con  tanto  amore  :  quasi  che  Pittagora,  se- 
condo quel  suo  parere,  non  fosse  stato  veramente  che 
un'idea  trovata  dagli  antichi  ad  indicare  un  famoso 
collegio  italico  di  sapienti.  Opinione  ben  diversa  dal- 
l' altra  che  avuto  ne  aveva  il  Dodwello  ,  che  anzi 
volle  supporne  due  :  l'uno  greco  ,  e  l'altro  tirreno. 
Ma  tuttavia  ,  diss'  io  ,  eccellente  è  il  suo  libro  de* 
viaggi  di  Platone  in  Italia  :  nel  quale  se  non  è  la 
purità  della  lingua  ,  è  certo  la  purità  del  pensiero  : 
e  soprattutto  1'  amore  della  patria  e  della  sapienza. 
Sicché  con  giudizio  italiano  seguite  vi  sono  le  dot- 
trine più  ragionevoli  sulle  nostre  antichità;  alle  quali 
diede  anch'egli  più  alta  origine  che  non  le  favole  ome-. 
riche  e  i  sogni  de' greci:  erudizione  ornai  da  collegio. 

Zenone  di  Elea,  proseguì  a  dire  l'artista,  secon- 
do l'immagine  che  ci  è  difesa  del  grande  Visconti  y 
è  quell'altro  che  là  ti  si  porge  in  atto  di  chi  disputa: 
sendo  stato  egli  il  primo,  come  sai,  a  trovare,  o  se  vo- 
gliasi  perfezionare,  quella  deduzione  naturale  di  prin- 
cipii  e  di  conseguenze,  onde  formò  l'arte  della  dialet- 
tica :  arte  che  con  esso  Zenone,  il  quale  insegnò  a  Pe- 
ricle filosofia  in  Atene,  essendo  passata  d'Italia  in  Gre- 
cia, fece  poi  le  supreme  delizie  di  Socrate.  Ed  ag- 
giungi, diss'io,  la  gloria  di  Platone  :  il  quale  da  al- 
tri non  apprese,  che  da  questo  nostro,  l'arte  del  dia- 
logo, che  niuno  scrivendo  usò  innanzi  a  Zenone.  E 
sia  con  lui  (  prosegui  Guglielmo  )  e  con  Dicearco  eh' 
è  ivi,  sia  fra  loro  stessi,  mostrano,  siccome  vedi,  piut- 
tosto con  certa  licenza  che  con  libertà  quistionare, 
quinci  il  Pomponazzi,  il  Telesio,  il  Cardano,  il  Bru- 
no; quindi  il  Patrizi  ,  il  Porzio  ed  il  Campanella  : 
ascoltanti  Iacopo  Sleilini,  Francesco  Maria  Zanotti  e 
il  Soave  ed  il  Costa,  sul  volto  de'quali  bene   scorgi 


L    ILLUSTRE    ITALIA  I97 

la  maraviglia  di  quelle  audacie  di  una  filosofia,  che 
uscendo  allora  di  sotto  il  giogo  di  Aristotele,  troppo 
parea  tripudiare  di  sfrenatezza,  com'è  l'uso  talora  di 
chi  lungamente  è  vissuto  schiavo.  E  nondimeno,  di- 
ce lo  Stellini  al  Costa,  non  fu  quella  vulcanica  men- 
te del  Bruno  che  insegnò  al  Cartesio  non  solo  il  prin- 
cipio dell'universale  dubitazione,  ma  sì  il  sistema  de' 
vortici,  eh'  indi  il  francese  fdosofo  si  fece  suoi  con 
quella  medesima  sicurtà,  con  che  a  sant'Anselmo  ar- 
civescovo di  Cantorbery,  ma  italiano,  tolse  in  tulto 
la  famosa  dimostrazione  dell'esistenza  di  Dio  ?  E  da 
chi  il  Gassendi,  risponde  il  Costa,  trasse  1'  opinione 
degli  atomi,  da  chi  trasse  il  Leibnizio  quella  sua  fan- 
tasia dell'ottimismo  ? 

Oh,  io  esclamai,  il  mio  Paolo  Costa  !  Egli  è  ve- 
ramente desso  quel  caro  spirito  ,  eh'  io  tanto  amai  ! 
Egli  è  desso  quello  stupendo  intelletto,  che  invaghi- 
to supremamente  del  sommo  bello,  eli' è  la  sapienza, 
non  ebbe  forse  chi  più  all'  età  nostra  meritasse  se- 
dersi allato  al  Galluppi  ,  al  Mamiani  ,  al  Rosmini. 
E  l'altro  è  dunque  Francesco  Maria  Zanotti  !  Il  gran- 
de, a  chi  l'autore  della  Zaira  scriveva,  desiderare  che 
fosse  inciso  sul  suo  sepolcro  :  Qui  giace  un  uomo 
che  veder  voleva  V Italia  e  il  Zanotti  ?  Al  che  Gu- 
glielmo con  un  certo  maligno  sorriso  :  Veramente  , 
disse,  doveva  il  Voltaire  assai  desiderare  di  veder  l'I- 
talia. E  forse  per  altro  che  per  curiosità  di  fdosofo 
e  di  poeta.  Oh!  per  quale  dunque,  risposi  ?  Ed  egli: 
Pel  sangue.  Come,  replicai,  pel  sangue  ?  Sì  certo  , 
riprese,  pel  sangue  :  e  se  vuoi  più  saperne,  leggi  il 
secondo  tomo  delle  memorie  di  Luigi  XVIII  (  vedi 
che  ti  do  testimonio  un  re  di  Erancia  )  ,  e  trove- 
rai che  alla  corte  di  Versaglies  era  certo  a  tutti,  ed 


198  Letteratura 

il  Voltaire  stesso  affermavalo,  essere  stato  lui  il  frut« 
lo  degli  amori  l'urtivi  dell'autrice  de'suoi  giorni  con 
un  principe  Canalunga  napolitano.  Laonde  chiamava 
poi  suo  fratello  Caino  il  duca  di  Richelieu,  la  cui  na- 
scita volevasi  macchiata  d'una  eguale  bruttura.  Oh  dav- 
vero, diss'io,  che  m'era  ignota  questa  novella  !   Ed  ho 
piacere  di  averla  appresa  per  dare,  come  fo,  qualche 
volta  la  berta  a'miei  amici  di  Francia.  Ma  tu  avevi 
certo  disegnato,  o  io  m'inganno,  un'  altra  figura  fra 
il   Cardano  ed  il  Bruno  ,  e  1'  hai  poi  cancellata!  E 
Guglielmo  :   Sì,  tei  confesso  :  aveva  io  posto  fra  que' 
due  disputando  Lucilio  Vanini.  Ma  quando    sovven- 
nemi  dell'accusa  che  gli  fu  data  di  ateo  ,  sentii  per 
1'  ossa  corrermi  un  brivido,  sì  che  la  mano  non  po- 
tè seguitare,  e  quasi  mi  si  agghiacciò.  Perchè,  preso 
da  ira  per  tanta  perversità  d'intelletto,  cancellai  in- 
contanente quell'effigie  di  un  empio.  Ed  io  :  Siali  lo- 
de, o  Guglielmo  :  essendoché  l'ateo  in  quella  mali- 
zia di  voler  distruggere  l'idea  consolatrice  d'una  bon- 
tà sapientissima  ,  che  governa   1'  ordine   dell'  univer- 
so, distrugge  ad  un  tempo  fino  dalle  fondamenta  l'u- 
mano consorzio  !   Colpa  che  niuna  legge  civile  ha  mai 
lasciata  impunita,  e  su  cui  tutte  le  religioni   hanno 
con  orrore     invocato  il  folgore  del  cielo.     Senonchè 
io  non  credo  la  natura    umana    così  perversa  ,  anzi 
piuttosto  sì  cieca  ,  che  con  retta  considerazione  ,    o 
per  meglio  dire  coscienza,  possa  negare  Iddio.  Impe- 
rocché se  l'uomo  ha  mente,  come  tutto  non  gli  par- 
la intorno  d'una  onnipossente  cagione  di  ciò  che  è  ? 
Ma  forse  ne  pure  il   Vanini,  benché  di  pensieri  au- 
dacissimi, fu  tinto  egli  stesso  di  tanta  macchia:  nar- 
randoci gli  scrittori  delle  sue  memorie,  come  tratto 
innanzi  al  parlamento  di  Tolosa,  ed  ivi  appostogli  di 


L    ILLUSTRE    ITALIA  igg 

negar  fede  alla  divinità,  tolse  subito  di  terra  un  fu- 
scello di  paglia  e  gridò  a'  giudici,  che  anche  quella 
cosa  sì  piccola  e  vile  bastava  a  persuader  1'  uomo 
della  esistenza  di  un  Dio.  Vero  è  che  i  giudici  noi 
credettero,  e  secondo  la  severità  del  secolo  il  con- 
dannarono ad  esser  arso  :  ma  è  vero  altresì  che  non 
tutti  tennero  giustissima  quella  sentenza:  di  che,  non 
volendoti  parlare  dell'  Arpe  e  del  Bayle  ,  ti  addurrò 
l'autorità  del  Brouckero.  Anche  però  sul  dubbio  (così 
modestamente  il  dirò  )  che  potesse  il  Vanini  essere 
colpevole  di  sì  orribil  peccato  ,  egregiamente  hai  fat- 
to a  non  lasciarti  sedurre  da  quella  troppa  sua  fa- 
ma, e  a  toglier  costui  d'  un  luogo,  dove  certo  nes- 
suno se  l'avrebbe  volentieri  sofferto  compagno.  Deh 
cuopra  sempre  l'oblìo,  che  un  uomo  italiano  abbia  po- 
tuto solo  cadere  in  sospetto  di  esser   ateo  ! 

III.  Guardando  però  più  oltre  :  Hai  voluto  là  , 
diss' io  ,  ritrai-ci  ,  se  non  erro,  l'imperatore  filosofo 
M.  Aurelio,  ed  al  suo  fianco  quelle  felicità  de'  loro 
tempi  Tito  ,  Nerva  ed  Antonino.  Sono  essi  ,  rispose 
Guglielmo  :  e  m'  è  piaciuto  die  presso  loro  si  stes- 
sero i  due  Bruti ,  Servilio  Ala,  M.  Gatone  ,  Trasea 
ed  Elvidio,  non  solo  pacificati  col  nome  di  re  ,  ma 
sì  maravigliati  che  sul  trono  de'cesari  abbia  indi  se- 
duto tanta  mansuetudine  e  tanta  giustizia.  Oh  questi 
(  dice  ivi  Elvidio  al  suocero  suo  )  questi  non  credet- 
tero di  regnare  il  dì  che  fatto  non  avessero  alcun  be- 
neficio !  Ne  seppero  gli  eccelsi  spiriti,  che  niun  be- 
neficio a'mortali  fecero  più  magnifico  del  pronuncia- 
to appunto  quella  sì  virtuosa  sentenza  !  Qual  varietà 
da  questi  pastori  de'popoli  a'  tiranni  che  imperaro- 
no all'età  nostra  !  Qual  varietà  pure  da  questi  a  que' 
tempi  ,    in  cui  pur  troppo  a  niuno  più  consenlivasi 


200  Letteratura 

d'essere  innocente,  se  il  principe  noi  voleva  !  In  cui 
le  atrocità  del  regnante  ,  come  ho  qui  spesso  inteso 
narrare  da  Tacito,  erano  per  paura  seguitate  anche 
da'buoni  '  Essendoché  opera  regia  e  grandezza  impe- 
riale si  reputasse  l'ucciderli. 

Vedi  anzi,  o  Betti,  stender  loro  Marco  Bruto  la 
mano  in  atto  di  amistà  cittadina,  magnificandoli  che 
in  tanta  altezza  di  potestà  fossero  stimati  degni  di 
udir  la  voce  del  vero,  e  grandissima  maestà  di  prin- 
cipe credessero  quella  benignità  eh'  è  la  consolazio- 
ne degl'infelici.  E  Trasea,  l'anima  generosa  che  osò 
vagheggiar  la  virtù  (  sì  bella  gli  parve  )  in  tempo  che 
solo  dal  vizio  traevasi  ed  oro  e  possanza  ed  onori , 
recare  innanzi  ai  venerandi  augusti,  che  sono  per  sor- 
gere da  pietà  e  da  ossequio  commossi  ,  quell'  Arria 
che  donna  fortissima  ha  tuttavia  in  mano  il  pugnale, 
come  se  pur  dicesse  il  sublime  :  Peto  ,  non  duole. 
Poco  lungi  è  il  tarentino  Lisia  ,  vecchio  severo  eh' 
educò  alla  Grecia  la  virtù  di  Epaminonda:  e  così  egli, 
come  Burro,  Boezio  e  Simmaco  appena  diresti  che  ab- 
biamo altro  pensiero,  dall'altezza  in  fuori  di  quella 
femminile  magnanimità.  Alla  quale  altresì  sono  inten- 
te, con  non  so  che  d'orgoglio  del  sesso,  qua  Porzia, 
e  Cornelia  di  Pompeo,  e  Agrippina  di  Germanico,  e 
Pompea  Paolina,  e  Gisilla  di  Berengario  :  e  più  oltre 
sotto  quel  salice  Isabella  Sforza,  che  ancor  piacesi  del 
libro  ch'ella  compose  sulla  tranquillità  dell'  animo  , 
come  Battista  di  Montefeltro  piacesi  pur  del  suo  in- 
torno alla  umana  fragilità  ;  e  quella  Vittoria  Colon- 
na, che  altri  ammiri  per  l'ingegno  gentile,  nel  quale 
però  non  fiorì  sola  fra  le  italiane  :  io  ammirerò  per 
l'animo  invitto  conlra  l'insaziabile  e  crudelissima  del- 
le cupidità,  l'ambizione  :  sicché  rifiutando  un  trono, 


L    ILLUSTRE    ITALIA  201 

die  solo  colla  colpa  potea  guadagnarsi ,  disse  altera- 
mente allo  sposo:  «  Esaltarlo  la  sua  virtù  sopra  ogni 
fortuna  e  gloria  delle  più  famose  corone  :  una  roma- 
na bramare,  non  esser  regina,  ma  sì  chiamarsi  sposa 
di  tal  capitano,  che  per  coraggio  e  grandezza  d'ani- 
mo seppe  vincere  i  re  più  possenti.  »  Né  te  ho  qui 
dimenticata,  virtuosa  e  bella  Maria  Teresa  di  Savoia 
Carignano,  principessa  di  Lamballe,  la  quale  allo  stra- 
zio disonesto  che  vollero  della  tua  vita  le  belve  del- 
la francese  libertà  ,  solo  conforto  avesti  il  pensie- 
ro di  serbar  fede  alla  sventura  della  tua  Maria  An- 
tonietta ! 

IV.  A'  più  insigni,  che  fra  noi  o  filosofarono  di 
cose  intellettuali,  o  coll'esempio  e  colle  opere  furo- 
no specchio  delle  morali  ,  ho  voluto  far  seguitare  co- 
loro, che  con  maggior  fama  di  prudenza  governarono 
gli  stati  ,  e  delle  leggi  e  della  ragione  economica  dis- 
sero le  più  alte  sentenze  così  nell'  antica  come  nel- 
la rinnovata  civiltà  di  Europa.  Per  la  qual  cosa  ec- 
coti qua  tre  famosissimi  legislatori,  che  l'Italia  diede 
a  quella  prisca  umanità  e  giustizia  :  Zaleuco  ,  Ca- 
ronda  e  Numa.  Favellano  essi ,  come  tu  vedi  ,  con 
gravità  di  modi,  indizio  dell'  altezza  delle  cose  ,  in- 
torno la  sapienza  con  cui  si  porsero  così  concordi  al 
bisogno  de'popoli,  ch'è  quello  principalmente  d'esser 
felici.  E  veramente,  diss'io,  tutti  e  tre  difesero,  quan- 
to è  cosa  umana,  la  pubblica  felicità  :  tutti  e  tre  fe- 
cero sacro  ne'cittadini  il  beneficio  dell'innocenza  cen- 
tra il  mal  talento  o  la  temerità  del  più  forte  :  tutti  e 
tre  infine  resero  utile  agli  uomini  il  maggior  favore 
del  cielo,  l'esser  disposti  a  virtù.  Imperocché  niente 
v'ha  nell'umana  sapienza  che  sia  forse  più  savio  e  su- 
blime di  que'brani  delle  leggi  di  Zaleuco  e  di  Caronda, 


202  Letteratura 

che  ci  ha  conservati  Diodoro  :  lasciando  star  Noma, 
che  primo  ai  nostri  mostrò,  uomo  di  prestantissima  sag- 
gezza ,  il  gran  fondamento  di  una  civiltà  vera  :  cioè 
colla  sola  guerra  non  viversi.  Oh  quegli  è  dunque,  o 
Guglielmo,  il  legislator  de'locresi  !  0  Zaleuco,  io  non 
so  se  veramente  tu  precedesti  ogni  altro  a  dar  leggi  : 
certo  è  però  che  fosti  gran  tempo  innanzi  a  Licurgo  e 
a  Solone.  Io  non  so  se  prima  di  te,  come  afferma  Giu- 
seppe Flavio,  avessero  ancora  i  greci  nella  loro  favella 
il  vocabolo  Icsrsre  :  certo  è  però  che  tu  le  scrivesti  as- 

DO  h 

sai  prima  di  loro.  Né  mai  senza  diletto  ne  leggo  in 
Diodoro  il  proemio  :  là  dove  anzi  tratto  volesti  che 
fosse  certa  al  popolo  la  verità  che  v'ha  un  Dio:  ed  ogni 
condizione  di  cittadini  consigliasti  a  innalzare  spes- 
so lo  sguardo  e  il  pensiero  al  cielo  per  maravigliare  e 
benedire  il  miracolo  di  un  ordine  così  stupendo.  Né 
Caronda  tenne  meno  alla  prudenza  italiana.  Imperoc- 
ché, per  non  entrarti  a  dire  di  altre  sue  cose  ,  non 
fu  egli  il  primo  fra  tutti  i  legislatori  a  volere  che  i 
figliuoli  dovessero  a  spese  pubbliche  essere  ammae- 
strati delle  lettere  ?  Giudicando  che  dalla  natura  si 
ha  il  vivere,  dice  Diodoro,  ma  non  da  altro  si  ha  ,  che 
da  una  mente  bene  disciplinata  ,  il  vivere  felicemen- 
te. E  che  poi  non  ordinò  sull'  onore  dovuto  agli 
dei  ed  ai  magistrati  ?  Che  sugli  ospiti  e  su'poveri  ? 
Che  infine  sulla  patria  ?  Morir  per  la  patria  (  si  ha  in 
una  sua  legge  )  si  reputi  più  onesto,  che  abbandonare 
onestà  e  patria  per  desiderio  di  vita.  Meglio  è  da  for- 
te morire,  che  vivere  con  vergogna  ed  obbrobrio. 

Senni  sublimi,  qui  m'interruppe  l'amico  mio!  Ed 
oh  di  questi  si  fosse  sempre  piaciuta  Italia,  anziché 
andare  con  viltà  sì  studiosa  in  traccia  di  tante  ciance 
straniere  !  E  che  ci  mancava  in   questo  giardino  dell' 


l'  ILLUSTRE    ITALIA  203 

Universo  ?  Forse  la  virtù   militare  ?   Forse  le  arti  ?  La 
libertà  forse,  la  fortezza  dell'animo  e  la  sapienza?  Noi 
ne  avemmo  anzi  da  insegnarne  le  altre  genti,  fino  a  ri- 
scattare per  ben  due  volte  l'Europa  dalla  vergogna  della 
barbarie.  Ma  noi  volemmo  troppo    spesso  dimenticare 
la  dignità  nostra  :  e  reputare  gran  dono  quello  che  ci 
si  faceva   d'alcun  ignoto  piacere  !   Ed  ecco  da  prima  la 
Grecia  far   molli   con   ogni  maniera  di  voluttà  questi 
petti  virili,  e  spegnere  a  poco  a  poco,  non  ch'altro,  la 
gravità  romana  :   ecco   molti  secoli  appresso  operare  il 
medesimo  (che  è  maggior  onta)  l'Inghilterra  e  la  Fran- 
cia !  Sicché   sempre,  o  Betti,  noi  rovinammo,  quando 
appunto  cessammo  d'essere  noi  medesimi  :  né  solo  ne' 
costumi,  ma  sì  nelle  lettere  e  nelle  arti.  Oh  noi  schiavi, 
e  degni  quasi  di  esserlo  !  Deh,  Guglielmo,  diss'io,  non 
accrescere  colla  tua  generosa  bile  la  mìa  !  Che  ben  sai 
il  mio  animo  in  tutto  ciò  che  nelle  cose  nostre  sa  di 
straniero.  Così  non  avessimo  mai  reso  vano  il  beneficio 
fattoci  dalla  provvidenza  d'essere  circondati  dall'alpe  e 
dal  mare  !  Ma  perchè  segregarci  non  è  possibile  dagli 
altri  popoli,  procaccisi  almeno  di  là  da'monti  alcuna 
cosa  di  meglio,  se  v'ha  ,  di  quelle  baie    o   scioperag- 
gini  di  una  civiltà  chimerica  :  di  quelle  ridicole  sman- 
cerie, di  che  si  fa  gala  :  di  quell'aver  tutto  a  passeg- 
giera  usanza,  incominciando  dalle  ragioni  del  decen- 
te e  del  bello  :  e   cerchisi   soprattutto  di  non  dimen- 
ticare   giammai   l' utile   e    virtuoso  rispetto    che   a   se 
debbono  le  nazioni.  Oh  lascia  intanto,  carissimo,    che 
io  t'abbracci  e  ti  baci  pel  tuo  nobile  sdegno,  e   ti    ri- 
peta quel  dantesco:  Benedetta  colei  che  in  te  s'in- 
cinse !  E  tu  segui  avanti  a  parlarmi   di  questi  grandi. 
E  Guglielmo  :  Quanto  all'effigie  di  Numa,  io  mi  son. 
giovato   di  quella  che  il  Visconti  approvò  nelle  monete 


ào4  Letteratura 

romane,  soprattutto  delle  genti  Marcia  e  Calpumia» 
Di  Caronda  credevasi  aver  l'immagine  in  una  meda- 
glia di  Catania,  dov'è  un  uomo  colle  corna  in  fronte 
e  coronato  d'alloro.  Ma  reputo  anch'io  collo  Spane- 
mio  essere  ciò  un  errore,  e  quel  capo  doversi  anzi  at- 
tribuire a  Bacco  o  a  Sileno  :  nò  infatti  il  Visconti  ne 
tenne  conto  nell'iconografia.  Perchè  dunque  conoscasi 
senza  più  questo  nostro  famoso»  ho  stimato  porgli  in 
mano  la  spada,  siccome  a  chi  vendicò  sopra  di  se,  per 
quanto  recaci  un'antica  opinione,  la  negligenza  di  una 
stessa  sua  legge,  la  quale  condannava  che  niuno  do- 
vesse ne'pubblici  parlamenti  presentarsi  coll'arme.  Ed 
avviso  pressoché  uguale  ho  avuto  quanto  a  Zaleuco  : 
avviso  che  lunga  pezza  ho  però  dovuto  considerare  , 
prima  di  risolvermi  a  posporre  la  bellezza  dell'arte  al- 
la ragione  del  vero.  Imperocché  mi  è  sembrato,  che  co- 
lui il  quale  dipinse  vVntigono  di  profilo,  per  celare  il 
difetto  dell'occhio  che  gli  mancava,  aveva  sopra  di  me 
il  vantaggio  (  oltre  al  voler  adulare  un  potente  )  di 
ritrarre  una  fisonomia  che  da  tutti  già  conoscevasi, 
qual  di  principe  vivente  e  chiarissimo.  Ma  io  come  fare 
a  mostrar  Zaleuco  con  alcun  segno  particolare  che  age- 
volmente faccialo  riconoscere  in  si  grande  antichità  di 
tempo,  che  fuvvi  infino  Timeo  da  Tauromenio  (  repu- 
gnanti però  tutti  gli  altri  antichi  e  principalmente  Pla- 
tone, Aristotele  e  Cicerone  )  che  negò  essere  mai  vis- 
suto ?  L'ho  dunque  effigiato  cieco  d'un  occhio  ;  se- 
guendo Eraclide  Pontico,  Ebano  e  Valerio  Massimo, 
i  quali  a  questo  severo  dator  di  leggi  assegnarono  tal 
riverenza  agli  ordini  della  giustizia,  che  dissero  aver 
sentenziato  se  medesimo  ad  esser  privato  d'un  occhio 
per  salvare  dall'estrema  infelicità  umana  il  figliuolo, 
cui  una  colpa  dannava  a  perderli  ambidue. 


L*  ILLUSTRE    ITALIA  3o5 

Ed  io:  Ne  in  un  rilratto  oserò  condannarti:  non 
dovendo  ivi  la  bellezza  soprastare  come  tiranna,  ma 
sì  farsi  unicamente  compagna  alla  verità.  Intanto  io 
considero,  o  Guglielmo,  per  l'esempio  di  questo  Ca- 
ronda  e  di  questo  Zaleuco  ,  essere  stato  frutto  del 
grand'albero  italiano  quella  inflessibile  severità  delle 
leggi,  che  fece  si  rigidi  e  Bruto  e  Manlio  nel  punire 
i  figliuoli,  benché  si  abbia  da  molti  per  una  special 
durezza  del  popol  romano.  E  quanti  altri  fatti  da 
questi  non  diversi  noi  non  sapremmo  ,  se  rimase  ci 
fossero  le  memorie  di  que'secoli  antichissimi  dell'ita- 
liana fortezza  !  Così  credo  io  pure,  soggiunse  il  pit- 
tore. Que'due  che  attenti  sembrano  ad  ascoltarli  so- 
no Sulpizio  e  Scevola  ;  dopo  i  quali  vedi  Atteio  Ca- 
pitone ed  Antistio  Labeone,  fondatori  all'età  di  Augu- 
sto delle  due  grandi  sette  de'nostri  giureconsulti.  Qua- 
si m'incresce,  diss'io  ,  di  veder  qui  Capitone  !  Che 
niuno  più  di  costui  bruttò  e  tradì  la  dignità  delle 
leggi  :  intantocbè,  vilissimo  d'animo  com'egli  fu,  ap- 
pena mi  si  fa  credere  che  avesse  quella  tanta  scien- 
za di  diritto  che  gli  si  attribuisce.  Uomo  veramente 
rotto  ad  ogni  vergogna  di  adulazione  ,  che  per  gra- 
dire a  Tiberio  dichiarò  in  pien  senato  doversi  co- 
me fior  di  latino  ricevere  le  parole  ch'uscissero  a  ca- 
priccio di  bocca  al  regnante  !  Quanto  da  lui  diverso  fu 
Labeone  !  Il  quale,  per  non  parere  che  la  virtù  sua  do- 
vesse nulla  al  favore  di  Cesare,  volle,  personaggio  di 
libertà  incorrotta  come  chiamalo  Tacito,  rimanersi 
nella  pretura,  anziché  per  grazia  dell'imperadore  se- 
der console  come  ambì  Capitone.  Vuoi  dunque,  sog- 
giunse Guglielmo,  ch'io  tolga  costui  ?  No,  lascialo,  io 
risposi  :  che  già  m'hai  detto  avere  in  quest'opera  vo- 
luto spesso  considerare  la  fama  dell'ingegno,  piuttosto 
che  la  virtù  dell'animo. 


206  Letteratura 

Quell'altro  è  Salvio  Giuliano  autore  dell'editto 
perpetuo:  e  presso  ha  Giulio  Paolo  :  e  vedi  come  lie- 
tamente accolgono  que'due,  che  dopo  le  tenebre  di 
tanti  secoli  rifiorirono  d'una  prima  luce  la  scienza,  e 
ne  furono  sì  benemeriti,  Irnerio  e  Bartolo  !  Uomini  , 
diss'io,  veramente  preclari  e  da  nominarsi  in  esem- 
pio :  che  1'  antica  eredità  degli  avi  non  soffersero 
di  veder  più  oltre  vilipesa  e  giacente.  Sì,  amico,  ere- 
dità degli  avi  :  perciocché  la  giurisprudenza  è  tutta 
senno  italiano  ,  senza  concederne  parte  alcuna  né 
agli  egizi,  ne  a'greci.  Sicché  oramai  da  tutti  i  più  savi 
è  stimata  solenne  favola,  che  noi  un  tempo  cercammo 
di  là  dal  mare  la  prudenza  delle  dodici  tavole;  noi 
concittadini  di  Zaleuco,  di  Caronda  e  di  Numa  non 
pure,  ma  di  cjuell'Onomacrito  da  Locri  che  ordinò  alle 
leggi  i  cretesi,  e  di  quell'Àndromada  da  Reggio  che  fe- 
ce il  medesimo  coi  calcidesi.  Così,  riprese  Guglielmo, 
ho  pure  inteso  ragionar  altri  pratichissimi  delle  isto- 
rie e  delle  cose  politiche:  i  quali  inoltre  considerava- 
no, che  alquante  di  quelle  leggi  né  mai  ebbero  i  greci 
di  là  dal  mare,  né  potevano  averle. 

Ora  ti  volgi  a  quel  gruppo.  Quello  che  vedi  in 
mezzo  è  Cesare  Beccaria,  che  per  mano  tenendo  il 
Filangieri  è  sul  rispondere  ad  una  quistione  mossagli 
da  Giandomenico  Bomagnosi,  presenti  l'Alciati  ,  il 
Gentili,  l'Averani,  il  Martini,  il  Lampredi,  i  quali 
pongono  sì  gran  mente  a  udir  quella  voce  che  alta 
suonò  in  tutta  Europa.  E  quell'antico  chi  è,  diss'io, 
che  sì  animoso  favella  al  Gravina  con  tanta  maravi- 
glia dello  Spedalieri  e  del  Pagano  ?  E  l'amico  mio  : 
Egli  è  il  virtuoso  Guido  da  Suzzara  legista  chiarissimo 
del  secolo  XIII,  il  quale  di  minacce  non  pauroso,  né 
da  lusinghe  corrotto,  osò  in  mezzo  all'universale  viltà 


Li'  ILLUSTRE    ITALIA  207 

innalzare  una  voce  generosa  per  Corradino  di  Svevia 
e  Federico  d'Austria  :  dicendo  a  quell'atrocità  di  Car- 
lo, che  del  suo  voto  il  chiedeva:  Non  dovere  un  prin- 
cipe maguanimo  levarsi  sopra  gli  atterrati  e  gementi  : 
la  morte  di  quegli  sventurati  giovani  essere  un  abu- 
sare scelleratamente  della  vittoria.  Le  quali  cose  così 
pur  movono  ad  ammirazione  quelle  due  venerande 
presenze,  che  più  oltre  scorgete,  cioè  il  Renazzi  ed  il 
Nani,  che  sonosi  per  un  istante  cessati  dal  leggere, 
come  attentamente  facevano,  l'istoria  della  legislazio- 
ne dataci  a  questi  giorni  da  Federico  Sclopis.  E  que' 
cinque,  che  osservi  quasi  provocarsi  a  parlare  1'  un 
l'altro,  sai  tu  che  dicono  ?  Dicono  non  doversi,  secon- 
do una  gravissima  sentenza  di  Tullio,  risguardar  gli 
uomini  come  si  risguardan  gli  armenti  :  per  quanto 
è  1'  utile  cioè  che  unicamente  può  ricavarsene,  E 
l'uno  è  il  Genovesi,  l'allro  il  Verri  ,  indi  il  Galia- 
ni,  il  Carli  ed  il  Gioia  ,  principi  degli  economisti 
italiani  :  l'ultimo  de'quali  è  in  quell'atto,  che  vedi, 
di  disputare  sulle  statistiche  con  Marino  Sanuto  il 
vecchio,  maravigliando  la  veneziana  sapienza,  che  la 
prima  fu  ad  indicare  all'Europa  uno  studio,  ch'è  oggi 
così  gran  parte  della  scienza  politica  ed  economica  del- 
le nazioni.  Or  questi  sembrali  solleciti  solo  degli  sta- 
ti e  delle  città  :  là  dove  Angelo  Pandolfini  in  dispar- 
te non  pare  che  d'altro  curi  che  del  governo  della  fa- 
miglia. Ed  io  :  Ben  dici  che  questi  furono  i  principi 
de'nostri  economisti  :  ma  presso  a  tanto  senno  posso- 
no collocarsi  anche  altri  di  bella  fama,  i  quali  pari- 
mente si  mostrarono  degni  di  una  nazione,  che  creò 
la  scienza  e  così  1'  avanzò  :  dico  il  Bandini  ,  il 
Mengotti,  lo  Scrofani,  il  Palmieri,  il  Delfico,  il  Va- 
leriani.  E  perchè  poi  tralascerai  il  genovese  Corvet- 


208  Letteratura 

to,  che  in  mezzo  alle  maggiori  calamità  che  mai  ag- 
gravassero la  monarchia  francese,  eletto  da  Luigi  XVIII 
ad  amministrare  le  rendite  dello  stato,  non  solo  re- 
staurò per  quanto  gli  fu  possibile  la  cosa  pubblica  , 
ma  con  tanta  virtù  antica  potè  indi  tornarsene  alle  sue 
case  poverissimo  d'ogni  altra  dovizia,  fuorché  dell'ono- 
re ?  Ben  volentieri,  disse  Guglielmo  ,  farò  di  trovar 
modo  che  qui  non  manchino  né  pure  le  loro  imma- 
gini. 

V.  Guarda  poi  là  in  quella  valle,  quasi  da  tutti 
divisi,  ragionar  fra  loro  i  più  grandi  uomini  di  stato, 
che  l'Italia  abbia  dati  al  governo  così  della  patria  , 
come  d'alquanti  regni  d'Europa.  Que'  primi  che  av- 
volti maestosamente  nella  loro  toga  applaudono  all' 
antica  severità  ed  integrità  di  Brancaleone  d'Andalò, 
l'uno  è  Valerio  Poplicola,  l'altro  è  Catone  censore: 
nomo  così  principale  nel  reggimento  della  repubbli- 
ca ,  che  i  suoi  concittadini  gli  alzarono  in  città  li- 
bera una  statua ,  non  perchè  invitto  capitano  aves- 
se trionfato  ,  ma  perchè  le  cose  dello  stato,  che  già 
pendevano  al  peggio,  egli  austero  magistrato  raddriz- 
zasse con  ottimi  ordini  ,  e  più  colla  gravità  dell'  e- 
sempio.  JNoi  non  conosciamo  veramente  la  sua  effi- 
gie, se  non  per  le  parole  di  Plutarco,  che  cel  ritrae 
rubicondo  del  volto,  d'occhi  azzurri,  e  robusto  della 
persona.  E  tale  farò  che  sia  nel  dipinto.  Gli  altri  so- 
no i  due  Cassiodori  ,  che  in  tempi  all'  Italia  infeli- 
cissimi provvidero  che  al  tutto  non  si  spegnesse  la 
civiltà  romana,  ne  passassero  affatto  nel  ferro  i  re- 
gni di  Odoacre,  di  Teodorico  e  di  Amalasunta.  E  con 
essi  è  Pier  delle  Vigne,  gran  cancelliere  dell'impera- 
dor  Federico  II  :  e  narra  al  minor  Cassiodoro  le  pro- 
prie sciagure,  non  per  sua  colpa ,  ma  per  malvagità 
della  meretrice 


L'  ILLUSTRE    ITALIA  209 

a    Che  mai  dall'ospizio 
»  Di  Cesare  non  torse  gli  occhi  putti, 
i>  Morie  comune  e  delle  corti  vizio  : 

dolendosi  ahi  troppo  tardi  di  non  averlo  pure  imita- 
to nel  dar  le  spalle  alla  reggia,  come  imitollo  nella 
sì  breve  fortuna  e  nell'amor  delle  lettere  ! 

Seguono  i  dogi  di  Venezia  Andrea  Dandolo,  Pietro 
Gradenigo  ed  Andrea  Gritti:  i  quali  vedi  quasi  attoniti 
nell'aspetto  di  Paolo  Paruta,  gran  lume  della  repubbli- 
ca e  grand'onore  dell'italiana  prudenza.  Cosi  è  vera- 
mente, diss'  io  :  ne  credo  che  più  forte  intelletto  e 
più  grave  giudizio,  e,  ciò  eh' è  maggior  cosa,  animo 
più  incorrotto,  abbia  avuto  mai  in  Italia,  e  forse  in 
Europa,  quella  scienza  che  dicesi  della  ragion  di  sta- 
to :  la  quale  è  bene  indegno  che  si  spesso  cercasse 
gli  esempi  in  Lodovico  Sforza  ed  in  Cesare  Borgia. 
Ma  non  conosco,  o  Guglielmo  ,  quegli  altri  due  che 
non  men  venerabili  in  vista  gli  sono  quasi  alle  spal- 
le, Il  crederesti,  rispose  egli  ?  E  a  me  sembralo  che 
uno  de'senni  più  saggi  della  repubblica  veneta  (  che 
tanti  pur  n'  ebbe  )  sia  quel  Pantaleone  Barbo  ,  il 
quale  a  Costantinopoli,  quando  fu  presa  dalle  armi 
latine,  anteponendo  l'utile  della  patria  all'invidia  di 
una  gran  pompa,  dissuase  i  crociati  di  porre  la  co- 
rona dell'impero  greco  sull'onorando  capo  del  Dan- 
dolo, anzi  della  regina  dell'Adriatico  :  la  quale  ma- 
gnanimamente mostrò  di  non  averne  bisogno.  L'  al- 
tro è  il  prudentissimo  Giorgio  Cornaro.  Prudentissi- 
mo  il  dissi  f  e  doveva  anzi  dirlo  maestro  solenne  a' 
popoli,  che  seguono  la  religion  del  vangelo  ,  di  ciò 
che  le  leggi  di  una  civiltà  vera  debbono  aver  santo 
G.A.T.LXXXVIII.  14 


210  Letteratura 

eziandio  fra  le  ferocità  della  guerra.  Imperocché  i  di- 
ritti del  guerreggiare  non  vogliono  più  oltre  allargar- 
si che  richiegga  l'opprimere  il  nemico  armato,  e  l'as- 
saltarlo o  nel  campo  aperto  o  nelle  sue  rocche.  Laon- 
de il  vituperare  che  spesso  i  vincitori  fanno  le  spo- 
se e  le  figlie  de'vinti,  e  il  non  arrestare  i  lor  furo- 
ri ne  pure  appiè  degli  altari,  è  cosa  non  dirò  inde- 
gna di  una  gentil  milizia,  ma  iniqua,  sozza,  selvag- 
gia. Per  la  qual  cosa  il  Cornaro,  desideroso  che  la 
sua  Venezia  desse  all'  Europa  anche  questo  esempio 
di  cristiana  virtù,  essendo  in  ufficio  di  provveditore 
nella  guerra  che  la  repubblica  nel  millecinquecento 
otto  ebbe  con  Massimiliano  imperadore, ordinò  che  pre- 
sa la  terra  di  Cremons  tutte  le  donne  si  riducessero 
in  una  chiesa,  guardate  severamente  da  ogni  milita- 
re licenza;  e  volle  inoltre  che  restituite  fossero  a'sa- 
cerdoti  l'ecclesiastiche  suppellettili,  da  alcuni  scorret- 
ti soldati  tolte  ne'templi  di  Dio:  non  cessando  l'uomo 
venerabile  di  gridare,  che  la  guerra  de'veneziani  era 
conira  l'esercito  di  cesare,  non  contra  la  pudicizia  e 
la  religione.  Ed  io  :  Egregio  cittadino,  e  degno  della 
Roma  de'Fabrizi  e  de' Curi  !  E  bene  sta  che  ce  ne  ab- 
bi qui  fatto  ammirare  1'  immagine.  Ma  parmi  là  il 
re  Roberto  quegli  che,  posato  familiarmente  il  destro 
braccio  sulla  spalla  di  un  suo  confidente,  tanto  pia- 
cesi  ne'discorsi  di  que'due  che  gli  sono  dintorno.  E 
Guglielmo  :  Gli  è  desso  :  e  il  canuto,  a  cui  il  re  mo- 
stra quel  grande  atto  di  dimestico  affetto,  è  il  gran 
siniscalco  Nicolò  Acciaiuoli.  Negli  altri  due  ravvisa 
Domenico   Caracciolo  e  Rernardo  Tanucci. 

E  sì  che  vorrai  sgridarmi,  continuò  egli,  di  aver  qui 
posto  anche  due  donne  ?  T'  inganni  ,  io  risposi  :  per- 
ciocché non  ho  mai  stimato,  avere  la  bontà  celeste  di- 


L    ILLUSTRE    ITALIA  211 

schiuso  a  noi  soli  tutto  il  tesoro  della  saggezza  :  ben- 
ché creda  che  meglio  si  addicano  al  bel  sesso  le  cure 
che  recano  a  prosperità  e  santità  le  famiglie:  e  più 
gli  si  convenga  di  usare  con  gentilezza  e  modestia  il 
dono  di  quelle  grazie,  delle  quali  certo  la  provviden- 
za gli  è  stato  largo  per  consolare  l'umana  vita  e  ren- 
derla più  leggiadra.  Ma  nondimeno  io  non  sq  chi  de- 
gli uomini  più  famosi  non  sarebbesi  tenuto  grande  (  la- 
sciamo stare  le  antichissime  )  della  prudenza  di  stato 
che  apparve  in  Elisabetta  d'Inghilterra,  in  Maria  Te- 
resa d'Austria  ed  in  Caterina  di  Russia.  F<  poco  mino- 
ri, ripigliò  Guglielmo,  furono  a  quelle  valorosissime, 
non  pure  Adelaide  marchesana  di  Susa  e  la  contessa 
Matilde,  che  là  sono  con  Ermengarda  marchesana  d' 
Ivrea,  ma  le  due  che  vedi  più  presso,  cioè  Caterina  de' 
Medici  ed  Elisabetta  Farnese  ;  l'una  delle  quali  essendo 
regina  di  Francia,  e  l'altra  di  Spagna,  sostennero  vi- 
rilmente lo  scettro  di  quelle  nazioni  venuto  a  mani 
0  giovanili  o  inesperte.  Or  guarda  Caterina,  veneranda 
matrona,  che  sembra  in  quella  vecchiezza  ravvivar  tut~ 
ti  gli  spiriti  per  ributtare  da  se  1'  accusa  d' aver 
meditata  la  strage  del  giorno  di  san  Bartolomeo.  E 
la  vedova  di  Filippo  V  già  mostra  di  persuadersene: 
tanta  è  efficacia  d'ogni  atto  e  la  possanza  d'ogni  parola 
della  figliuola  di  Lorenzo  de'  Medici.  E  cosi  fu  ve- 
ramente la  cosa  ,  com'  ella  dice  :  e  così  la  stimerà 
chiunque  vorrà  senza  studio  di  parte  considerare  ornai 
le  memorie  più  certe  di  quell'età  :  ne  più  oltre  por- 
gersi schiavo  d'  ingiustissime  prevenzioni  ,  alle  qua-? 
li  sì  l'ira  delle  fazioni  e  sì  1'  odio  d'una  principes- 
sa italiana  hanno  troppo  leggermente  dato  credito  nel- 
l'istoria francese.  Ed  io:  Se  la  riputazione  di  una  gran 
donna  deesi  giustamente  difendere  e  purgar  d'ogni  mac- 


2i2  Letteratura 

chia,  ella  è  certamente  quella  di  Caterina  de'Medici  : 
e  godemi  il  cuore  che  già  non  manchino  generosi  che 
si  sieno  accinti  a  farlo. 

Non  ho  poi  duopo,  continuò  l'amico  mio,  di  dir- 
ti chi  sieno  quegli  altri  due,  che  poco  lungi  ,  assisi 
sotto  quel  platano,  osservi  ornati  il  petto  delle  inse- 
gne dell'  Annunziata  :  perchè  le  note  sembianze  ,  e 
l'abito  men  di  principi  che  di  soldati,  abbastanza  t'in- 
dicano Vittorio  Arnadeo  II  e  Carlo  Emmanuele  III. 
Oh  quali  re  di  Sardegna  !  Perciocché  usarono  così  la 
saggezza  della  mente  in  dar  leggi  a'ioro  popoli,  co- 
me il  potere  della  spada  in  difenderli:  grandi  politici 
che  furono  e  capitani  e  fondatori  d'ogni  bene  e  pos- 
sanza della  monai-chia.  Non  è  egli  così ,  mio  Betti  ? 
Egli  è  così,  diss'io  :  e  piacemi  che  Carlo  Emmanue- 
le sia  in  quell'atto  modesto  di  scusarsi  al  padre  :  il 
quale  generoso  e  benevolo  gli  stende  la  mano  ,  più 
non  dubitando  che  ad  usar  que'rigori  contro  di  lui 
non  fosse  indotto  un  tal  figlio,  anzi  da  ragion  severa, 
che  da  animo  irriverente.  E  bene  gli  hai  posto  allato 
il  maggior  uomo,  e  certo  il  più  saggio  ed  accorto,  che 
mai  amministrasse  le  cose  del  regno,  Giambatista  Bo- 
gino.  E  così  fosse  stato  in  lui  nel  millesettecento  qua- 
rantacinque di  tener  fermo  il  suo  signore  nel  trattato 
colla  corona  di  Francia  !  Che  gloria  di  Carlo  Emma- 
nuele sarebbe  stato  di  aver  dato  finalmente  effetto  ad 
un  pensiero  magnanimo  del  gran  Giulio  II. 

Senonchè  in  altri  ragionamenti  si  è  messo  Mer- 
curino  Arborio  di  Gattinara,  che  resse  gran  cancel- 
liere i  consigli  di  Carlo  V  ,  ed  a  cui  più  quistioni 
indirizzano  intorno  ad  alquanti  fatti  di  quel  poten- 
tissimo, così  Carlo  del  Carretto  ed  Ippolito  d'Este,  co- 
me Renato  Birago  e  Giovanni  Morone  :  intanto  che 


L'ILLUSTRE    ITALIA  2l3 

dall'altra  parte  il  Consalvi,  tratto  al  dir  suo  l'attenzio- 
ne di  Ottaviano  Ubaldini,  di  Oliviero  Carafa,  di  Gian- 
francesco   Commendone  e  di  Marino  Caracciolo,  nar- 
ra con  vivacità  al  Mazzarino  ed  all'Alberoni  i  terri- 
bili rivolgimenti  che  a'suoi  anni  arrivarono  non  me- 
no in  Italia,  che  in  Francia  e  in   Ispagna  :    e  come 
fu  presso  a  spegnersi  e  poi  risorse  la  casa  d'Ugo  Ca- 
poto :  e  come  tentossi  invano  di  abbattere  la  sede  del 
vaticano,  e  di  sbigottire  il  santo  petto  di  Pio:  e  co- 
me infine  a  nuovi  patti  si  strinsero  in  Vienna  ,   lui 
presente,  i  potentati  di  Europa.  Discorsi  gravissimi  di 
gravissimi  avvenimenti  :  di  falli  or  mirabili  di  valo- 
re, or  santi  di  virtù,  or  infami  di  colpe.  De'quali  so- 
no pure  per    entrare    autorevoli  testimoni  Francesco 
Melzi  duca  di  Lodi  e  Girolamo  Lucchini,  l'amico 
del  gran  Federigo  di  Prussia,  il  ministro  de'  re  che 
seguirono,  l'autore  dell'opera  sulla  confederazione  del 
Reno  :  comechè    egli    guardi   intorno  se  ancor  vegga 
giungere  Orazio    Sebastiani  e   Carlo  Andrea  Pozzodi- 
borgo.  E  vorrei  esser  da   tanto,  che  l'arte  mi  bastas- 
se ad  esprimere  lo  stupore,  onde  pendono  dalle  lab- 
bra del  cardinale   e  quell'animo  liberissimo  di  Dona- 
to Giannotti,  ed   Ottavio  Sammarco,  e  Scipione  Am- 
mirato :  mentre  Giovanni  Boterò  e  Lodovico  Settala 
con  certa  curiosità  osservano  il  Boccalini,  ingegno  vi- 
vissimo, che  con  satirico  ghigno  è  intento  a  scrivere 
non  so  quali  cose  in  un   libro. 

Compiesi  questa  parte  del  quadro  con  Luiduar- 
do  vescovo  di  Vercelli  ed  arcicancelliere  e  primo  con- 
siglio di  Carlo  il  grosso  :  il  quale  a  Ferrico  Cassi- 
nelli  ,  arcivescovo  di  Reims  e  segretario  del  re  Car- 
lo V  di  Francia  ,  narra  con  quella  franchezza  tut- 
te le  vicende  della  sua  vita  ,  e    le    ragioni    del    ri- 


2i/h  Letteratura 

pudio  che  della  regina  Riccarda  fece  l'inetto  suo  prin- 
cipe, quando  imbecille  affrettava  la  mina  de'carolin- 
si  colle  opere  stesse  $  onde  innanzi  a  lui  altri  re  af- 
frettarono quella  de'merovingi. 

Qui  io  dissi  :  Or  deh,   Guglielmo,  aprimi  deh  la 
ragione  perchè  io  qui  non  veggo  i  tre  solennissimi, 
anzi  forse  i  maggiori  che  mai  per   giudizio    di  espe- 
rienza avesse  l'Italia,  Cesare  Augusto  e  Cosimo  e  Lo- 
renzo il  magnifico  !  Ed  egli  :  Egregiamente,  rispose, 
li  chiami  tu  solennissimi  :  né  v'ha  dubbio    che   non 
potessero  con  dignità  qui  sedersi  fra'primi  e  per  gra- 
vità di  consiglio  e  per  magnanimità.  Senonchò  mi  è 
sembrato  che  a  molti  sarebbe  meglio  piaciuto  veder- 
li fra  quegli  altri  preclari  spiriti,  che  con  rara  libe- 
ralità e  cortesìa  non  pur  favorirono,  ma  nobilitarono 
fra  noi  quanto  ha  di  bene  l'umano  ingegno.  Perciocché, 
o  Betti,  passato  è  l'impero  de'cesari,  passata  è  la  repub- 
blica fiorentina  :  ne  più  sente  l'Italia  o  il    beneficio 
o  il  peso   di  quella  superiorità  maggiore  che  di    cit- 
tadini, e  di  que'famosi  governi.  Ma  duraci  ancora,  e 
ci  vive  e  fiorisce  bellissimo,  ciò  eh'  essi  operarono  a 
ringentilirci   l' ingegno,  e  per  grazia  d'arti  e  di  lette- 
re farci  principi  di  tutte  le  fantasie  :  e  lasciamo  a  lor 
senno  cianciarne  l'ignoranza  o  il  bestiale  animo  degli 
ammiratori  degli  Ugo  e  dei  Lamartine.  Tantoché  non 
saprebbe  pensar  l'Europa  un'altezza  di  secoli  maggio- 
re di  quella  che  prima  onorossi  di  Augusto  ,  poscia 
de'Medici  :  altezza  che  più    non  teme  o  l'ira  di  Cin- 
na,  o  l'emulazione  di  Rinaldo  degli  Albizi,  o  il  pu- 
gnale di  Francesco  de'  Pazzi  :  altezza  infine    che   le 
menti  degli  uomini  venereranno,  o   a    libertà   inchi- 
nino o  a  signoria,  finché  rimanga  pur   loro    un    con- 
cetto di  nobiltà  e  di  leggiadria.  Ed  io  :  T'approvo  in 


L'ILLUSTRE    ITALIA  2l5 

tutto,  o  Guglielmo  ,  cotesto  avviso  :  e  tanto  più  di 
buon  grado  ,  quanto  che  mostra  chiarissimo  il  mag- 
gior potere  che  a  fare  immortali  le  umane  cose,  secon- 
do eh' è  dato  quaggiù,  ha  la  sapienza,  che  il  principa- 
to: e  come  dalle  opere  degli  eletti  ingegni,  meglio  che 
dalle  spade  de'soldati,  possono  a  se  promettere  i  gran- 
di re  una  più  durabile  vita  e  una  gloria  più  sincera 
ne'posteri.  E  certo  ove  sono  gl'imperi  famosi  di  Ciro, 
di  Alessandro,  di  Cesare?  Ove  sono,  o  Guglielmo  , 
se  non  solo  nella  memoria  che  agli  avvenire  degna- 
rono tramandarne  i  nobili  scrittori  antichi  ?  Più  de- 
gno adunque,  perchè  richiamaci  a  più  gentil  merito 
e  saldo,  è  il  luogo  che  nel  tuo  dipinto  intendi  dare 
a  quell'imperadore  del  mondo  ed  a  qu e' principi  della 
loro  patria  :  e  ben  sarà  che  non  potendo  allogarvi  la 
maestà  pontificia  di  Leone  X,  non  vi  manchino  al- 
meno il  padre  ed  il  bisavolo  incomparabili.  Ti  lode- 
rò tuttavia  se  in  ultimo,  benché  non  ultimi  d'animo, 
tu  qui  ponga  Cerchio  de'Cerchi  ,  Giano  della  Bella 
e  Michele  di  Landò  ,  che  in  quella  loro  saviezza 
provvidero  di  leggi  eccellentissime  la  repubblica  di 
Firenze  :  benché  poi  Giano  e  Michele  n'avessero  per 
degno  merito  il  bando,  secondo  la  natura  ingratissi- 
ma  de'governi  che  si  reggono  a  popolo. 

VI.  Il  qual  desiderio  consentitomi  da  Guglielmo, 
riprese  egli  :  Chi  non  sa  quale  stretto  vincolo  con- 
giunga fra  loro  le  leggi,  la  ragione  di  stato,  e  l'isto- 
ria ?  Chi  non  sa  che  il  più  degli  errori,  ne'quali  of- 
fendono gli  scrittori  che  partitamente  trattano  dell'una 
o  dell'altra  di  queste  scienze,  provengono  appunto  dal 
non  volerle  sufficientemente  conoscere  tutte  e  tre  ? 
Perciocché  qual  più  intima  e  ragionevole  corrispon- 
denza fra  gli  statuti  e  i  governi  di  un  paese,  ed  i  co- 


216  Letteratura 

stumi  del  popolo  che  gli  ha  ricevuti  ?  Tanl'  è,  diss'io, 
o  Guglielmo:  e  quindi  si  pare  la  temerità  ch'è  in  molti 
di  voler  giudicare  le  varie  leggi  delle  nazioni,  e  ripu- 
tarle sovente  o  crudeli  o  frivole,  senza  avvertire  a  cui 
servir  debbano,  o  quali  avvenimenti  politici  le  consi- 
gliarono :  tacciando  così  di  stolte  le  menti  meglio  sa- 
gaci, che  preso  ad  educare  o  a  mantenere  un  popo- 
lo alla  religione,  alla  quiete,  alla  temperanza,  ad  al- 
tro non  attesero  più  sottilmente  che  all'esperienza:  la 
quale  per  la  voce  appunto  dell'  istoria  ti  dice  quali 
ne  sieno  sempre  stati  i  più  forti  affetti ,  e  quali  le 
più  ostinate  abitudini.  Se  tale  temerità  non  fosse  in 
loro,  oltraggerebbero  così  come  fanno  (  e  duolmi  di 
porre  in  questo  numero  il  Delfico  ,  non  saprei  dire 
se  perchè  veramente  così  pensasse,  o  perchè  non  fu 
uomo  più  grande  di  lui  ne'paradossi  ),  non  oltragge- 
rebbero, ripeto,  tante  leggi  perfino  del  popol  romano, 
il  più  savio  in  ragion  pubblica  che  mai  fiorisse  al 
mondo.  Or  dunque  tu  agli  uomini  di  stato  e  di  legge 
hai  fatto  seguire  in  questi  tuoi  disegni  gl'istorici  :  ed 
hai  fatto  savissimamente  :  ed  io  non  so  dirti  con  qual 
diletto  contemplerò  tante  immagini  di  famosissimi  , 
che  nell'antica  Italia  emularono  i  primi  ingegni  della 
Grecia,  e  nella  moderna  furono  padri  e  maestri  agli 
altri  lutti  che  indi  vollero,  con  gravità  giudicando, 
tramandare  a'posteri  eloquentemente  i  fatti  di  un  gran 
popolo. 

Primi,  allor  prese  a  dire  l'artista,  ho  posto  fra 
gl'istorici  Fi  listo  da  Siracusa  e  Timeo  da  Taurome- 
nio,  delle  cui  opere,  sì  spesso  dagli  antichi  e  rammen- 
tate e  lodate,  non  può  la  perdita  deplorarsi  abbastan- 
za. Conciossiachè  Cicerone,  come  sai,  chiamasse  Fili- 
sto  per  virtù  di  sentenze  e  per  nervo  di  stile  il  picco- 


L'ILLUSTRE    ITALIA  217 

lo  Tucidide  :  e  Plutarco  tenesse  in  sì  gran  conto  Ti- 
meo, che  nella  vita  di  Nicia  sembra  quasi  anteporlo 
al  magno  istorico  della  guerra  del  Peloponneso.  So- 
no essi  que'due,  che  hanno  là  messo  a  dotto  ragiona- 
mento ,  e  certo  delle  cose  della  bella  loro  Sicilia  , 
Diodoro  di  Agirio  detto  comunemente  il  siculo,  istori- 
co ad  essi  minore,  ma  pieno  d'industrie,  ed  a  noi  per 
sorte  rimaso  qual  tesoro  fortuito  di  notizie,  se  ben  con- 
fuse, spesse  volte  però  sceverate  dalle  tante  follie  de' 
greci  intorno  al  favoleggiare  6ulle  antichità  e  stille  ori- 
gini delle  nazioni.  A  Filisto,  come  a  prode  che  fu  e 
capitano  degli  eserciti  del  suo  amico  Dionigi,  ho  dato 
un  vestir  militare  :  Timeo,  che  fu  sì  rotto  alla  maldi- 
cenza e  alla  satira,  ha  i  segni  di  quest'acerbità  di  na- 
tura anche  sul  volto  :  a  Diodoro  mi  è  sembrato  con- 
venir meglio  la  tranquillità  dell'animo  in  una  vene- 
randa vecchiezza.  Ma  i  tre  massimi  storici  de'latini  ho 
posti  insieme  a  sedere  su  quell'erboso  rialto  :  ed  ec- 
co là  Sallustio,  in  cui  con  ossequio  si  affisano  Dino 
Compagni  e  Camillo  Porzio,  che  tanto  ritrassero  a 
quella  sua  brevità  e  forza  :  ecco  Livio  ,  ecco  Ta- 
cito ,  a  chi  presso  inchinasi  il  Davanzali  ,  come  ad 
ascoltare  le  sue  parole  ,  mentre  i  due  primi  sono 
in  atto  di  sorgere  incontro  al  Machiavelli,  al  Guic- 
ciardini ed  al  Botta,  tratti  loro  dinanzi  dal  Murato- 
ri. Stupiscono  di  tant'arte  di  scrivere,  di  tanta  facon- 
dia, di  tanta  eleganza  Paolo  Diacono  e  Liutprando, 
i  quali  ben  fanno  comparazione  fra  questa  gran  ve- 
na d'oro  ed  il  fango  ed  il  ferro  che  menava  il  loro 
secolo  di  vituperata  memoria.  Ne  vi  mancano ,  ben- 
ché più  addietro,  Velleio  Patercolo  e  Quinto  Curzio: 
e  in  quel  caldo  quistionare  che  fanno  ho  inteso  che 
Curzio  riprenda  l1  altro  non  pure   della   gonfiezza  sì 


218  Letteratura 

spesso  eccedente  de'suoi  concetti,  ma  dell'odiosa  adu- 
lazione al  tiranno  :  e  adducagli  se  stesso  in  esempio 
di  dignità  :  il  quale  più  non  potendo  esaltare  le  virtù 
nostre,  ne  avendo  baldanza  di  maledire  apertamente 
il  vizio  che  regnava,  prese  anzi  a  narrare  le  geste  di 
un  grandissimo  della  Grecia.  A  cui  voglio  che  ri- 
sponda Velieio  :  a  Male  io  feci  pur  troppo,  lascia- 
tomi abbagliare  all'ornamento  della  pretura,  ch'am- 
bii ed  ottenni  da  Tiberio,  intercedente  Seiano  !  Ma 
non  avevi  tu,  volendo  pure  con  quella  pompa  e  con 
que'fiori  di  retore  descrivere  alcuna  segnalata  impresa 
degli  antichi,  non  avevi  tu  niun  fatto  glorioso  de'no- 
stri,  senza  procacciartelo  dalla  Grecia  ?  Spento  adun- 
que in  Italia  era  il  nome  di  chi  vinse  Annibale,  ne- 
mico ben  più  tremendo  che  non  fossero  Dario  e  Poro? 
Spento  il  nome  di  chi  tutta  rovesciò  la  possanza  di 
Antioco  e  di  Mitridate  ?  Di  chi  o  trasse  Perseo  in  ca- 
tene, o  sconfisse  i  cimbri,  o  conquistò  la  Gallia  ?  E 
dimmi,  trattarono  forse  di  altre  cose  che  di  patrie  i 
più  solenni  italiani  che  ti  precedettero,  e  che  là  vedi 
oggetti  immortali  della  riverenza  de'posteri  ?  »  Alle 
quali  parole  rivolti,  come  a  lode  anche  propria  delle 
opere  loro,  si  mostrano  in  vista  si  paghi  que'due,  che 
hanno  pur  or  lasciato  di  riandare  insieme  le  malvage 
parti  che  ruinarono  la  repubblica  fiorentina,  Bernardo 
Segni  e  Benedetto   Valichi. 

Quegli  altri,  che  indi  osservi,  e  che  in  alquan- 
ti fatti  e  nelle  loro  cagioni  non  sembran  concordi  , 
sono  il  Denina  e  il  Giannone,  che  ha  per  mano  il 
Colletta.  Seguono  il  Davila  ed  il  Bentivoglio.  E  ben 
J)armi,  io  lo  interruppi,  a  quell'atto  del  lor  favellare, 
che  inorridiscano  ambedue  al  tanto  sangue  sparso  e 
alle  tante  colpe,  di  cui  si  fecero  narratori,  ringrazian- 


L'ILLUSTRE    ITALIA  219 

<ìo  il  cielo  che  almeno  ne  fosse  esente  l'Italia»  E  Gu- 
glielmo :  Bene  hai  detto  :  e  tale  appunto  è  stato  in 
ciò  il  mio  pensiero.  Ma  il  Giambullari  elegantissimo, 
in  mezzo  qui  al  Giovio,  al  Sigonio,  al  Foglietta,  al 
Bonfandio,  allo  Strada  ed  al  Bonamici,  è  tutto,  come 
vorrei  che  si  conoscesse,  in  non  volere  ammetter  per 
buone  le  ragioni  che  essi  recano  d'avere  scritte  in  latino 
le  loro  istorie  :  benché  in  que'padri  del  nuovo  nostro 
volgare,  ne'quali  studiarono  il  Machiavelli  ed  il  Guic- 
ciardini, aver  potessero,  com'  ebbero  appunto  coloro, 
uno  specchio  magnifico  dell'eccellenza  della  lingua  del 
sì  anche  a  trattar  cose  dell'altissima  gravità  di  Livio 
e  di  Tacito.   »    Oltreché,  aggiunge  Giambatista  Adria- 
ni, era  mai  possibile  che  valeste  ad  emulare  per  in- 
genua purità  ed  eleganza  nessuno  di  que'sommi  del 
Lazio,  che  i  loro  scritti   dettarono  in  una  lingua  non 
già,  come  avete   fatto  voi,  del  tutto  morta    nell'  uso 
del  popolo,  ma  sì  fiorente  di  vita,  di  ricchezza,  di  no- 
biltà ?  E  che  n'è  avvenuto  ?  Questo,  o  concittadini, 
n'è  avvenuto  :  che  siete  stati  imitatori,  comechè  va- 
lenti, e  non  altro  :  là  dove  se,  piuttosto  che  scrivere 
con  parole  e  frasi  cercate  a  studio  nell'  altrui  favel- 
la, aveste  scelto  di  esprimervi  liberamente  nella  vostra, 
vi  sarebbe  ora  onorevole  d'esser  detti  signori  delle  vo- 
stre cose,  e  non  servì.  E  credevate  che  i  posteri  do- 
vessero egualmente  o  meglio  studiare  nelle  opere  vo- 
stre latine  ,   che  in  quelle   che     avevano  di    Cesare  , 
di  Cicerone  e  di  Livio  ?  Quale  stoltezza  a  non  vo- 
ler   essere  ,  direi  quasi ,    scrittore  di  niuna  età  !   Di 
che  più  d'ogni  altro  m'hai  tu  fatto  maraviglia,  o  Bon- 
fadio  :  il  quale  fosti  di  tanta  grazia  nel  parlare  mo- 
derno, che  non  è  chi  non  voglia  leggere  le  tue  let- 
tere leggiadrissime  ed  il  tuo  volgarizzamento  della  mi- 


220  Letteratura 

loniana.  »  Nella  quale  sentenza  volentieri  consento- 
no que'tre,  che  già  non  accade  doverti  dire  essere  il 
Costanzo,  il  Capecelatro  e  il  Mascardi.  Anzi  Giam- 
pietro Maffei,  ch'è  pur  con  loro,  rivoltosi  al  Serdo- 
nati  gli  protesta  grand'obbligo  dell'avere  con  favella 
sì  candida  volgarizzato  i  sedici  libri  della  sua  storia 
delle  indie  orientali  :  e  pentesi  quasi  di  non  averlo 
fatto  egli  medesimo  con  quella  semplicità  gentilissima 
con  cui  dettò  le  vite.  Un  luogo  ho  pur  dato  fra  essi 
al  maggior  de' Villani,  benemerito  sopra  tutti  dell'età 
sua  d'averci  serbato  tante  preziose  memorie  in  quell* 
aurea  cronaca,  che  sì  spesso  t' ho  inteso  lodare  non 
so  se  più  per  rettitudine  di  giudizio  (tranne  un  poco 
di  credulità)  o  per  soavità  e  leggiadria  di  lingua.  Ma 
doveva  io  poi  lasciare  l'istorico  della  nostra  letteratura? 
Doveva  lasciare  chi  l'uguagliò  nell'amor  patrio,  e  sì 
dottamente  scrisse  gli  elogi  de'nostri  primi  letterati  e 
filosofi  ?  Ecco  dunque  là  il  Tiraboschi,  che  seduto  a 
quel  ceppo  fronzuto  di  faggio  ha  sulle  ginocchia  un 
libro,  in  cui  sta  scrivendo  :  ed  ecco  là  pure  Angelo 
Fabbroni,  tutto  inteso  al  Vico,  che  dell'antica  ragio- 
ne dell'  istoria  disputa  vivacemente  con  Francesco 
Bianchini  e  con  Iacopo  Martorelli  :  i  quali  non  tut- 
te però  gli  consentono  quelle  sue  tante  sottilità  me- 
tafisiche, benché  maraviglino  l'altezza  di  sì  gran  men- 
te, ed  il  nuovo  cammino  per  essa  dischiuso  a  chi  me- 
glio che  colla  vista  di  una  spanna  intenda  giudicare 
delle  origini  e  della  primitiva  sapienza  delle  nazioni. 
Segregati  da  tutti  gli  altri,  e  cose  più  alte  con- 
siderando, come  sono  le  vicende  ora  prospere  ed  ora 
fiere  della  religione,  ho  posto  finalmente  in  quell'a- 
mena valletta  il  padre  dell'istoria  ecclesiastica  Cesare 
Baronio,  e  con  esso  il  Pallavicino  e  l'Orsi:  sì  umili 


L'ILLUSTRE    ITALIA  321 

lutti  e  tre  in  tanto  splendore  di  dignità  e  di  dottri- 
na, che  hannosi  tolto  in  mezzo  quel  Daniello  Bar- 
tolo rnaraviglioso  in  ogni  maniera  di  scrivere;  nelle 
istorie  però  della  sua  compagnia,  inarrivabile. 

VII.  L'anello,  dirò  così,  che  insieme  congiunge 
l'istoria  civile  e  religiosa  colle  scienze  della  natura, 
io  stii.io  escere  le  onere  de'viaggiatori.  Perciocché  se 
questi  ardili  non  sieno  nell'una  e  nelle  altre  versati 
più  che  mezzanamente,  percorreranno  il  mondo  per 
sola  curiosità  ,  o  per  farsi  prendere  alle  favole  del 
volg'^  :  noi*  mai  ner  accrescere  il  tesoro  delle  verità 
umane.  Laonde  in  quello  spazio  ,  che  sì  opportuno 
mi  si  porge-  nella  sala  fra  l'una  e  l'altra  finestra  del- 
la parete,  ho  appunto  allogati  i  più  solenni  de' nostri 
viaggiatori,  de'quali  uVè  sovvenuto.  E  vedili  tutti  in- 
torno a  Cristoforo  Colombo,  che  seduto  in  mezzo  ad 
Antonio  Zeno  e  ad  Americo  Vespucci  ha  spiegato  so- 
pra quella  gran  pietra  una  carta  geografica,  e  mostra 
i  vasii  imperi  di  là  dall'Atlantico  da  lui  primiera- 
mente restituiti  alla  notizia  ed  al  consorzio  delle  al- 
tre parti  della  terra.  Uomo  grandissimo  così  per  vir- 
tù, come  per  infelicità  :  alle  cui  ceneri  non  sembra 
né  pur  oggi  volersi  conceder  pace  ed  onore,  sollevata- 
si contra  lui  l'invidia  scandinava  con  tutte  le  iattan- 
ze e  le  stoltizie  di  un  Rafn  !  Quelli  che  al  genove- 
se più  vicini  ,  con  atti  chi  di  stupore  e  chi  di  giu- 
bilo ,  pendono  da' suoi  discorsi  sono  Marco  Polo  , 
Nicolò  Zeno  ,  il  Gabato  ,  i  Cadamosto  ,  1'  Usodima- 
re  e  il  Di  Negro  :  ai  quale  ultimo  però  Giovanni 
Cobotto  dice  modestamente  all'orecchio,  come  tu  ve- 
di ,  eh'  egli  col  figliuol  suo  Sebastiano  ,  navigando 
per  ordine  di  Enrico  VII  re  d'Inghilterra,  già  visita- 
to aveva  un  anno  e  più  innanzi  al  viaggio  del  Co- 


222  LBTf   BR    ATDIIA 

lombo  le  coste  che  sono  dallo  stretto  di  Baffin  fino 
alla  Florida.  Vedi  quindi  il  Della  Valle  e  il  Pisani: 
e  più  oltre  il  Belzoni,  che  tratto  in  disparte  da  Pie- 
tro di  Covigliano,  ascolta  le  ragioni  che  questo  viag- 
giatore illustre  del  secolo  decimoquinto  adduce  con- 
tra  l'inglese  Bruce  ,  perchè  siagli  reso  il  merito  di 
aver  primo  fra  gli  europei,  non  pur  viaggiato  nell'A- 
bissinia,  ma  veduto  le  fonti  del  Nilo.  Alle  quali  cose 
se  non  pare  ivi  aver  mente  fra  Mauro  camaldolese,  egli 
è  perchè  non  può  rimanersi  di  congratulare  al  por- 
porato suo  confratello  Placido  Zurla,  che  con  belle 
sposizioni  illustrò  non  solo  quel  famoso  suo  plani- 
sferi©, ma  sì  dottissimo  tutti  i  viaggi  de'veneziani  :  e 
che  dopo  avergli  parlato  del  sommo  geografo  amico 
suo  Adriano  Balbi,  presente  onore  d'Italia,  addila  al 
buon  religioso  il  Sanuto,  il  Ramusio,  il  Coronelli  , 
il  Canovai,  il  Napione,  il  Baldelli  ,  e  quel  Lazzaro 
Papi  ,  a  chi  pochi  altri  de'  moderni  sono  da  ugua- 
gliarsi per  la  sagacità  e  la  saviezza  delle  sue  lettere 
sulle  indie  orientali.  E  que'due,  diss'io,  che  là  posa- 
no all'ombra,  erro  forse  o  sono  Simone  Stratico  e  Do- 
menico Alberto  Azuni  ?  E  Guglielmo  ;  Son  dessi  :  e 
credo  che  ognuno  vedrà  qui  volentieri  gl'insigni  au- 
tori del  dizionario  nautico  e  del  sistema  universale 
del  diritto  marittimo  in  Europa.  Osservi  anzi  come 
lo  Stratico  è  caldamente  sul  quistionare  ?  Egli  confu- 
ta all?  Azuni  quell'opinione,  che  ritrovatori  della  busso- 
la sieno  stati  i  francesi:  e  mostragli  un  libro  di  Fla- 
minio Venanson,  ove  questo  errore,  dopo  il  Napoli  Si- 
gnorelli, vittoriosamente  riprovasi  come  contrario  a  tut- 
te le  certe  notizie  e  ragioni  de'  tempi.  Ne  tace  del 
milanese  Hager,  che  tutte  le  cose  volendo  esserci  ve- 
nute dalla  Cina,  pretese  anche  difendere  che  l'inven- 


L'  ILLUSTRE    ITALIA  223 

zion  della  bussola  tragga  origine  dall'impero  celeste. 
Infine  ,  o  Betti  ,  non  doveva  desiderarsi  qui  la  pre- 
senza di  chi  alla  gloria  delle  leggi  marittime  ,  eh'  è 
sì  antica  in  Italia  per  l'opera  delle  tavole  amalfitane 
(  lasciamo  a'  barcellonesi  l'onore  di  quelle  sul  con- 
solato di  mare  ),  aggiunse  l'altra  forse  maggiore  del 
perfezionamento  della  nautica  ,  Flavio  Gioia,  1'  in- 
ventore certissimo  di  essa  bussola.  Ed  eccolo  là  , 
che  guarda  quell'uomo  tirreno,  il  quale  su  quel  pog- 
gio è  per  dar  fiato  alla  tromba  marina  ,  pur  nostro 
trovato. 

Vili.  Senonchè  mi  par  tempo  infine  di  venire 
alle  scienze  sì  fisiche  e  sì  matematiche  :  nelle  quali 
senza  niun  dubbio  gl'italiani  furono  maestri  a  quan- 
ti altri  da  poi  levarono  grido  nell'  Europa  moderna. 
Egli  è  il  vero,  diss'io  :  né  pare  che  fra  tante  cose  , 
che  dall'orgoglio  e  dall'ingratitudine  degli  stranieri  ci 
si  contrastano,  abbiaci  mai  alcuno  voluto  togliere  que- 
sta lode.  Anzi  leggo  nel  discorso,  che  il  d'Alembert 
ha  fatto  precedere  all'enciclopedia,  queste  precise  pa- 
role, delle  quali  ho  ben  tenuto  memoria  :  Noi  sa- 
remmo ingiusti  a  non  conoscere  tutto  ciò  che  dob- 
biamo alfltalia  :  perciocché  di  là  ci  son  venute 
le  scienze  ,  le  quali  poi  hanno  portato  sì  ricco 
frutto  in  ogni  altra  parte  di  Europa.  Né  diversa- 
mente aveva  detto  il  Voltaire  nella  ventesimaseconda 
delle  lettere  filosofiche  :  Noi  francesi  ed  inglesi  non 
siamo  venuti  nelle  scienze  che  dopo  gl'italiani.  Or 
bene,  seguitò  Guglielmo  :  ecco  qua  dunque  coloro 
che  fra  noi  le  trattarono  con  maggior  fama  :  impe- 
rocché ben  vedi  che  porli  qui  stutti,  in  tanta  ricchez- 
za ed  antichità  di  sapere,  sarebbe  cosa  a  cui  non  ba- 
sterebbero tutte  e  quattro  le  pareti,  non  che  questa 
sola  parte  di  una  di  esse,  benché  sì  ampia. 


224  Letteratura 

Ed  incominciando  da' fisici,  quegli  è  Alessandro 
Volta,  che  mostra  sperimentando  le  maraviglie  del  più 
portentoso  strumento,  dice  l'Arago,  che  Fumana  in- 
telligenza abbia  giammai  creato  ,  la  pila:  d'  onde  si 
derivarono  ,  dopo  il  Galileo  ed  il  Torricelli,  le  più 
stupende  rivelazioni  che  strappammo,  per  così  espri- 
mermi, al  segreto  della  natura,  e  che  fecero  salir  sì 
alto  la  scienza.  Ed  a  lui  presso  appunto  è  il  Torri- 
celli, non  cosi  sollecito  del  suo  baromelro,  che  più 
noi  sia  di  que'nuovi  trovati  dei  gran,  comasco  ,  de' 
quali  ragiona  ad  Ocello  e  ad  Empedocle.  Quasi  a  se 
stessi  non  credono  ciò  che  pur  veggono  i  due  filo- 
sofi di  Lucania  e  di  Siracusa  :  e  gli  ho  in  tale  atto 
rappresentali,  che  dicano  con  altissimo  stupore:  «  Noi 
solo  congetturando  immaginavamo  i  misteri  della  na- 
tura :  e  questi  sperimentando  ne  hanno  arditamente 
afferrato  il  vero  !  Qual  mai  piccola  idea  con  tante 
nostre  teoriche  avevamo  noi  dall'  universo  !  Quanti 
erano  i  sogni  che  noi  chiamavamo  scienza  dell'esse- 
re !  »  Sì,  Guglielmo,  io  risposi:  molti  furono  i  sogni 
di  que'  nostri  vecchi  :  ma  non  vorremo  per  questo 
considerarli  con  minor  gratitudine  che  riverenza.  Es- 
si spesso  sognarono,  guidali  com'esser  poterono  uni- 
camente dal  lume  dell'induzione.  Ma  senza  que'so- 
gni  di  menti  sagacissime  (  parlo  soprattutto  de'pitta- 
gorici  )  credi  tu  che  ora  non  sogneremmo  anche  noi  ? 
Essi  dissero  molte  cose  di  là  dal  vero  :  benché  sia 
fuor  di  dubbio  che  grandissime  verità  fisiche  (  lasciamo 
stare  le  astronomiche  ,  nelle  quali  è  mirabile  come 
tanto  e  sì  profondamente  sapessero,  che  ben  poco  i 
posteri  ebbero  ad  aggiungere  a  ciò  che  que'maggiori 
conobbero  )  che  grandissime  verità  fisiche,  dissi,  non 
pur  travedessero,  ma  sì  anche  trovassero,  come  fece- 


L'  ILLUSTRE    ITALIA  225 

ro  principalmente  questo  Empedocle  nostro  e  Demo- 
crito ed  Anassagora.  Ma  que'  loro  sì  scusabili   erro- 
ri quanti  altri  non    ne  risparmiarono    a  noi  !   Furon 
essi,  o  Guglielmo,  che  ci  resero  più  cauti  al  filoso- 
fare :  furono  quelle  audacie  di  pensieri,  che  sovente 
innalzarono  il  nostro  intelletto  ad  altrettante  audacie: 
alle  quali  poi  seguitò,  prima  con  un  certo  barlume , 
indi  felicissimamente  con  sì  piena  luce  la  verità  !   Oh 
sì  veramente  (  ed  in  ciò  mi  rallegro  colla  novella  età  ) 
la  scienza  delle  cose  naturali  ha    maggiormente  avan- 
zato in  due  secoli  dal  Galilei  al  Volta,  che  non  a- 
vanzasse  in  ventidue  da  Talete  e  da  Pittagora  al  Ga- 
lilei :  ed  a  tale  noi  siamo  giunti,  dirò  così,  col  pas- 
so dell'omerico  Nettuno,  che  se  l'essenza   delle  cose 
toccar  potesse  i  nostri  sensi,  d'onde  tutte  ci  proven- 
gono le  cognizioni,  a  noi  già  quest'arcano    sarebbesi 
rivelato.  Ma  rimaso  esso  nascosto  a  tutte  le  specula- 
zioni degli  antichi,  che  pur  n'ebbero  sì  gran  presunzio- 
ne (principalmente  nelle  scuole  di  Mileto  e  di  Elea), 
rimarrà  del  pari  nascosto   alle  dimostrazioni  delle  no- 
stre sperienze.  E  sempre  sarà  un  mistero,  che  a  se  stesso 
riserbò  Iddio,  forse  per  farcene  gioire    là    dove   tutta 
ci  verrà  svelata  questa  oscurità  sublime  della  sua  sa- 
pienza ! 

E  Guglielmo  :  Ocello  non  ho  saputo  far  cono- 
scere in  altro  modo  ,  che  ritraendolo  vestito  di  lino, 
come  conveuivasi  a  pitagorico:  e  barbato  e  scalzo , 
secondo  eh'  era  pur  uso  di  quella  scuola  :  e  sotto 
il  braccio  gli  ho  posto  la  famosa  sua  opera  della  na- 
tura dell'universo.  Quanto  ad  Empedocle,  la  dignità 
dell'aspetto,  la  porpora  ond'egli  è  adorno,  i  calzaretti 
color  di  rame,  e  la  corona  dell'alloro  poetico,  di  cui 
ha  cinto  le  chiome,  abbastanza  indicano,  secondo  le 
G.A.T.LXXXVIU.  i5 


226  Letteratura 

notizie  che  ce  ne  porge  Eliano,  questo  sommo  filo- 
sofo e  poeta  e  cittadino  ,  non  so  se  più  benemerito 
dell'antica  sapienza,  o  della  civiltà  italica,  della  qua- 
le umanissimo  e  benignissimo  diede  esempio  con  in- 
cliti fatti  anziché  con  ippocrite  parole.  Ed  io,  con- 
templando quelle  venerande  sembianze:  Oh  salve,  dis- 
si, Agrigento,  che  andar  puoi  fra  le  altre  città  glo- 
riosissima non  pure  della  sublimità  della  mente,  ma 
della  rettitudine  del  consiglio  di  un  generoso,  che 
sì  nobile  noncuranza  mostrò  dell'uni  suo  nello  spe- 
gnere le  ree  fazioni  fra'  tuoi  cittadini  ,  come  palesa 
chi  rifiutò  il  premio  spontaneo  del  principiato  che 
glie  ne  venne  profferto  !  Questo  gran  precursore,  ri- 
pigliò Guglielmo,  della  moderna  fisica,  il  quale  pri- 
ma di  ogni  altro  greco  ed  italico  pose  la  dottrina; 
de'quattro  elementi  onde  si  compongono  i  corpi  ,  e 
coll'esposizione  della  clessidra  antivenne  in  qualche 
modo  il  ritrovato  mirabile  del  Torricelli,  ha  dietro  a 
se,  che  gli  si  affissa  cogli  occhi  e  più  coli'  intendi- 
mento, quel  Domenico  Scinà  ,  che  tutta  la  filosofia 
del  magno  agrigentino,  non  che  la  vita  e  le  opere, 
illustrò  con  dottrina  degna  della  sua  fama  :  e  vedi 
uno  stuolo  d'altri  rinomatissimi  che  a  quella  tanta  sa- 
pienza fanno  corona.  Non  ravvisi  il  Lana  ,  il  Frisi, 
il  Beccaria  ?  Non  il  Galvani,  che  accennando  al  suo 
nipote  Aldini  ed  al  Vassalli-Eandi:  «  Pur  troppo,  di- 
ce, senza  il  senno  del  gran  comasco  e  senza  la  pila 
non  avrebbe  la  mia  si  celebrata  scoperta  avuto  quel- 
l'immensa importanza  ch'ebbe  poi  nella  fisica,  nella 
chimica,  nella  fisiologia  !  »  E  quell'altro  è  Tiberio  Ca- 
vallo, che  al  Cigna  e  all'  inventore  del  termomolti- 
plicatore, della  metallocromia,  della  pila  termoelettri- 
ca, Leopoldo  JNobili,  mostra  il  suo  micrometro;  né 


L    ILLUSTRE    ITALIA  22  7 

tace  i  vantaggi  recati  alla  scienza  per  le  altre  sue  in- 
venzioni dell'elettrometro  e  del  direttore  :  e  vuol  sa- 
pere se  l'alta  successione  del  Volta  mantengasi  tut- 
tavia con  onore  fra  gl'italiani.  Sì  certo  ,  rispondegli 
il  Nobili  :  ne  sa  finir  di  lodargli  i  lavori  insigni  del 
Confiliachi,  del  Melloni,  del  Marianini,  delPÀntinori, 
del  Zamboni  e  di  tanti  altri  che  dal  Lilibeo  alla  Dora 
fanno  cotanto  illustre  il  nome  d'Italia.  Né  addietro  si  ri- 
mangono il  Beccari  ,  il  Gardini,  il  Delia-Torre:  se- 
nonchè  li  vedi  più  attesi  a  Salvatore  dal  Negro,  che 
loro  narra  come  Gian-Domenico  Romagnosi,  non  così 
grande  filosofo  e  giureconsulto  che  non  fosse  anche 
gran  fisico  ,  avvisò  il  primo  l'azione  che  la  corrente 
elettrica  della  pila  esercita  sull'ago  calamitato  :  e  non- 
dimeno dopo  venti  anni  l'Oersted  divulgò  come  suo 
quel  ritrovato  fra  '1  plauso  dell'  Europa  ,  e  1'  eroica 
nostra  pazienza.  Quegli  ch'è  poi  là  fra  il  Galvani  e 
1'  Aldini  non  è  mestieri  eh'  io  ti  dica  chi  sia  :  che 
ben  riconosci  1'  amico  tuo  Domenico  Monchini  ,  il 
quale  cortesissimo,  come  fu  sempre  ,  vedi  trarsi  al- 
quanto da  parte  perchè  non  rimangasi  indietro  quel 
lume  del  sesso  gentile,  Laura  Bassi.  Degna  compagnia, 
diss'io,  d'italiani  :  a'quali  quante  mai  cose  non  invo- 
larono gli  stranieri  !  Ma  grave  omissione  (  scusami 
deh  !  )  parmi  avere  tu  fatto  di  un  sapiente,  che  man- 
cato a'vivi  ne'trentacinque  anni,  fu  degno  di  succe- 
dere al  Castelli  nella  cattedra  di  Pisa  ,  e  di  esser 
proposto  a  quella  di  Padova  dall'  immortai  Galileo. 
Intendo  dire  di  Nicolò  Aggiunti  dal  borgo  a  s.  Se- 
polcro: il  quale  in  queste  cose  della  fisica  fu  sì  acuto 
sperimentatore,  che  a  lui  debbesi  di  avere  innanzi  a 
tutti  osservato  il  salir  dell'acqua  ne'tubi  capillari,  e 
attribuito  ad  una  egual  cagione  1'  ascendere    che    fa 


228  Letteratura 

il  chilo  negli  angusti  meati  degl'intestini.  Ne  ciò  ba- 
sta: ma  il  primo  pure  immaginò  colla  velocità  de'pen- 
doli  il  modo  di  trovare  la  proporzione  delle  resisten- 
ze de'mezzi  dell'aria  e  dell'acqua.  So  che  la  Francia, 
si  arroga  di  aver  preceduto  ogni  altra  nazione  nelle 
sperienze  de'tuhi  capillari,  attribuendola  al  Rho  :  ma 
so  pure  che  il  Rho  visse  dopo  l'Aggiunti,  e  che  niun 
dubbio  v'ha  più  sul  primato  dell'illustre  toscano,  appres- 
so ciò  che  ne  ha  trattato  il  Nelli  nel  saggio  sull'istoria 
fiorentina  del  secolo  decimosettimo.  E  perchè  non  po- 
trebbe star  qui  anche  quell'altro  eccellente  giovane, 
accademico  del  cimento,  a  cui  il  Viviani  dà  il  merito 
d'avere  inventato  la  preziosa  macchina  per  conoscere 
se  l'acqua  possa  comprimersi,  cioè  Paolo  del  Buono  ? 
Anzi  perchè  a  decoro  chiarissimo  di  questi  studi  non 
vi  starà  pure  ,  in  un  luogo  degno  di  tanta  altezza  , 
il  granduca  Ferdinando  II  ,  che  fondata  avendo  in 
Firenze  una  particolare  accademia  di  naturali  sperien- 
ze, inventò,  secondo  le  testimonianze  di  esso  Viviani, 
alquanti  utilissimi  strumenti  di  fisica  ?  Sono  sì  rari 
i  grandi  principi,  che  amano  farsi  cittadini  della  re- 
pubblica delle  lettere  e  delle  scienze,  che  non  parmi 
certo  doversi  obliar  coloro  che  in  ciò  si  partono  dal 
costume  degli  altri.  E  Guglielmo:  Oh  certo,  disse, 
questi  valenti  non  voglion  essere  dimenticati  !  E  puoi 
tu  credere  con  qual'arte  mi  adoprerò  a  riparar  l'omis- 
sione, soprattutto  di  quel  principe  sì  benemerito  che 
fu  Ferdinando  de'Medici. 

IX.  Attendi  intanto  a  quell'altro  bel  numero  : 
e  già  subito  conoscerai  esser  de'nostri  che  con  mag- 
gior grido  si  diedero  alle  scienze  chimiche.  Oh  guar- 
da il  Segato,  che  al  Dandolo,  al  Brugnatelli,  al  Gio- 
bert   rivela   il  segreto  di    quello    stupendo    pelrificare 


L    ILLUSTRE    ITALIA  32Q 

che  fece  tante  parti  animali  !  Perchè  si  a  lungo  tar- 
dò, che  poi  glie  lo  impedisse  la  morte,  a  dichiarar- 
celo ne'suoi  scritti  !  E  guarda  pure  come  ad  Angelo 
Sala,  cui  l'Haller  dà  lode  d'  avere  il  primo  lasciato 
in  Europa  le  inezie  e  i  deliri ,  e  trattato  la  chimica 
qual  vera  dottrina,  fanno  grazie  1'  Andria,  il  Saluz- 
zo,  il  Covelli,  il  Fabhroni,  il  Morozzo,  il  Sementi- 
ni, e  quel  napolitano  Carlo  Giovanni  Laubert,  che 
l'emula  Francia  reputò  degno  di  succedere  al  suo  Par- 
mentìer  !  Or  se  non  era  che  il  Guglielmini  fu  uno 
de'più  grandi  legislatori  delle  acque,  qui  avresti  ve- 
duto lui  pure  :  essendo  egli  stato  di  tal  sapere  e  pra- 
tica anche  in  queste  cose,  che  il  Fontenelle  con  un 
colai  motto  sì  spiritoso,  che  se  fosse  stato  negli  scritti 
di  un  italiano  sarebbesi  senza  più  gridato  al  secento, 
disse  che  a  purgare  la  chimica  dalle  sue  fecce  l'illu- 
stre bolognese  fece  scorrervi  sopra  la  geometria. 

DIALOGO  SECONDO. 

I.  Mentre  queste  cose  Guglielmo  diceva  ,  ecco 
dal  servo  annunciarsi  il  venir  di  Fernando,  giovane 
di  molte  lettere  e  d'ingegno  vivace,  ed  a  me  dilettis- 
simo anche  quando  non  sappiamo  concordarci  insie- 
me in  alcuna  quistione.  Perchè  chiesto  a  Guglielmo 
se  gli  fosse  grave  di  averlo  terzo  nei  nostri  ragiona- 
menti :  Anzi  no,  rispose  :  che  io  pure  l'ho  caro  as- 
sai, e  spesso  viene  a  visitarmi  là  dove  io  dipingo.  E 
che  calde  dispute  abbiamo  talor  fra  noi  !  Inclinato 
com'è,  giovane  ancora  di  non  matura  esperienza  ben- 
ché di  bontà  egregia,  a  certe  novelle  idee,  o  meglio 
dirò  forestiere,  intorno  alle  cose  dell'arte.  E  così  pur 
delie  lettere,  io  soggiunsi,  non  eccettuate  le  istorie. 


23o  Letteratura 

Sicché  fatto  cenno  al  servo  che  facesse  entrare  Fernan- 
do :  Oh,  quando  il  vidi,  tu  vieni  certo,  dissi,  in  huon 
punto  !  Perciocché  vogliamo  dircene  delle  fierissime; 
anzi  arrovellarci  peggio  di  Filippo  Argenti  e  di  quegli 
altri  del  quinto  cerchio  :  essendo  gran  tempo,  panni, 
che  tacciono  fra  noi  le  risse  e  non  ci  diamo  hen  hene 
a  capelli.  Rise  Fernando  alla  celia  :  e  stesa  cosi  a  me 
affettuosissimamente,  come  a  Guglielmo,  la  mano:  Sa- 
mtà,  disse,  ed  allegrezza,  o  amici.  Il  parlar  faceto  del 
nostro  Betti  mi  dà  ch'egli  è  al  solito  di  buona  vena, 
e  eh'  io  senza  recarvi  molto  fastidio  posso  un  poco 
trattenermi  con  voi.  Fastidio  !  rispose  Guglielmo.  Tu 
ci  dai  anzi  piacere ,  e  sempre  se'  il  ben  venuto.  Or 
pregoti  di  sedere,  e  d'essermi  tu  pure  consiglio  e  giu- 
dice in  quest'ampio  disegno  che  ti  vedi  innanzi. 

E  così  dettogli  in  brevi  parole  ciò  ch'egli  inten- 
deva rappresentare:  Noi  eravamo  ,  continuò,  in  sul 
parlare  degli  scienziati  ,  che  ho  qui  posti  :  ed  ap- 
punto avevamo  già  toccato  de'chimici.  Sicché,  se  tu  il 
credi,  proseguirò.  E  Fernando  :  Anzi  l'avrò  in  grazia, 
soggiunse  :  solo  che  qua  il  nostro  Betti  non  voglia 
anche  in  queste  cose  delle  scienze  giudicare  per  mo- 
do, che  mostri  sempre  la  sua  grande  avversione  a  ciò 
die  sa  di  straniero.  T'inganni,  diss'io,  o  Fernando,  se 
cosi  stimi  :  perciocché  non  v'ha  dubbio  (  e  teco  vorrò 
pregiarmene)  ch'io  non  sia  molto  più  tenero  della  mia 
patria,  che  dell'altrui  :  ma  sono  altresì  amico  del  ve- 
ro :  nò  v'ha  chi  più  di  me  s'inchini  sincero  anche  a 
quegli  stranieri  ,  che  hanno  veramente  lode  di  ec- 
cellenza. Ed  oh  se  vedessi  come  sempre  ch'io  penso 
a  quel  Bacone,  a  quel  Cartesio,  a  quel  Keplero  ,  a 
quel  Newton  e  a  tali  altri  sommi,  il  mio  cuore  lie- 
tamente salutali  !   Oh  se  dirli  potessi  l'ammirazione  e 


*  L    ILLUSTRE    ITALIA  23 1 

il  piacere  ,  onde  si  spesso  leggo  ora  questa  ed  ora 
quell'  opera  insigne  di  scrittori  eziandio  più  moder- 
ni di  tante  dotte  e  gentili  nazioni  !  E  chi  è  poi  che 
mi  vinca  nell'  essere,  non  dirò  affettuoso  ,  ma  quasi 
devoto  alla  cortesia  di  que'valentissimi  che  di  là  da' 
monti  mi  son  graziosi  della  loro  benevolenza  ?  Se- 
nonchè  l'ossequio  e  l'amore  che  ho  per  essi  non  sa- 
rà mai  tale,  che  io  vegga  tutto  risplendentissimo  ne' 
forestieri,  e  sia  poi  cieco  alle  virtù  de'miei  concittadini 
per  questo  solo  che  nacquero  di  qua  dal  mare  e  dall' 
alpe.  Sì,  caro  amico,  il  dico  e  il  ripeto:  sono  grandi 
quegli  stranieri  :  ma  noi  lo  siamo  al  pari  di  loro  :  e 
certo  il  fummo  da  prima.  Ed  è  per  noi  massimamen- 
te se  oggi  veggasi  la  maraviglia  ,  che  certo  né  que' 
greci  nò  que'  romani  avrebbero  né  pur  potuto  imma- 
ginare giammai  :  cioè  il  nobil  contendere  di  sapienza 
e  di  gentilezza  che  fa  con  noi,  non  solo  quell'antica 
barbarie  de'britanni  e  de'galli  ,  ma  quella  dirò  quasi 
bestialità  de'eimbri  e  de'sarmati,  e  fin  l'ultima  gente 
del  settentrione,  già  irta  e  selvaggia,  ed  ora  si  pulita 
e  civile.  Ed  ecco,  gridò  Fernando,  le  usate  iattanze  ! 
Ecco  le  solite  vanità  patrie!  Ma  dimmi  tu,  di  grazia, 
fummo  noi,  o  piuttosto  non  fu  Carlo  magno  co'suoi 
francesi,  che  le  arti  e  le  scienze  quasi  morte  richia- 
mò a  vita  novella,  non  che  in  Italia,  ma  in  tutta  Eu- 
ropa ? 

Oh!  anche  tu,  giovinetto,  diss'io,  anche  tu  se" 
di  coloro  che  qua  ci  recano  Carlo  come  luce  a  dira- 
dare le  nostre  tenebre  !  Deh  eh'  io  non  rida  di  te  , 
come  ho  riso  pur  d'altri,  che  anche  questa  millanteria 
vollero  gridarci  sul  viso,  non  so  se  per  dileggiarci,  o 
provar  meglio  la  loro  ignoranza  !  E  Fernando  :  A  me 
però  non  par  cosa  molto  da  ridere.  E  come  no,  io  ri- 


23a  Letteratura 

presi,  se  quel  Carlo  visse  in  Francia  a'tempi  per  le  let- 
tere così  felici,  che  non  potè  avere  nel  regno  ne  pure 
chi  fosse  mezzanamente  atto  a  dirozzarlo  in  grammati- 
co, e  dovette  reputar  gran  dono  del  cielo,  venuto  già 
ne'trent'anni  ed  ignorantissimo,  d'esserglisi  presentato 
a  Pavia  quel  buon  vecchio  di  Pietro  da  Pisa  ?  Come 
no,  se  fra'suoi  più  cari  ebbe  due  altri  dotti  italiani, 
che  certo  non  avevano  mai  studiato  in  Francia,  Pao- 
lo diacono  e  Paolino  poi  patriarca  di  Aquileia  ?  E 
Alcuino,  m'interruppe  l'amico,  dove  tu  lasci  Alcuino, 
che  fu  il  vero  maestro  di  quel  grandissimo  !  Ed  io  : 
Già  non  voleva  tacere  di  Alcuino.  Ma  non  so  di  qual 
gloria  sia  alle  lettere  francesi  questo  famoso  monaco, 
il  quale  non  pur  ebbe  origine  inglese,  ma  da  giova- 
ne viaggiò  in  Italia  ,  e  venne  a  Roma  dove  la  reli- 
gione non  soffrì  mai  che  le  dottrine  al  tutto  giaces- 
sero; e  di  qua  si  condusse  a  Pavia,  che  già  incominciava 
ad  essere  città  di  scienze  ;  e  ciò  prima  che  aprisse 
la  sua  scuola  a  Yorck  ,  e  levasse  di  se  quel  grido 
che  mosse  Carlo  a  chiamarlo  in  Francia  ,  ed  a  vo- 
lerlo, sebbene  per  quattro  soli  anni  ,  al  suo  fianco. 
Deh  lascia  queste  beffe,  o  Fernando,  a'perpetui  ne- 
mici del  nostro  nome  :  i  quali,  senza  ossequio  veruno 
alla  vecchiezza  negli  uomini  venerabile,  e  sacra  nelle 
nazioni  ,  ardiscono  morder  le  poppe  che  dieder  loro 
il  nutrire  per  sì  lunghi  anni  di  fanciullezza  !  Que' 
francesi  di  Carlo  non  avevano  ne  arti  proprie,  ne  let- 
tere :  altro  non  sapendo  che  al  modo  de'barbari  usar 
le  armi. 

Qui  Fernando  chinati  gli  occhi  stette  alquanto 
sopra  di  se  :  poi  ripreso  quasi  baldanza  :  Checché  sia 
di  questo,  continuò  (  che  io  non  voglio  tanto  osti- 
narmi nel  contraddirti  ),  non  potrai  almeno  contende- 


l'  ILLUSTRE    ITALIA  233 

re  ,  ch'essendo  finalmente  divenuto  languido  il  nostro 
braccio,  come  direbbe  Vincenzo   Cuoco,  per  l'abuso 
dell'energia,  noi  stemmo  allora  sotto   il  giogo  di  que' 
francesi,  presso  i  quali  fu  l'impero,  non  meno  dell'Ita- 
lia, che  di  quasi  tutta  l'Europa.  E  da  chi  ebbe  Car- 
lo, diss'io,  questo  impero  se  non  da  noi  stessi  ?   Com' 
egli  calò  in   Italia,  se  non  chiamato  da'nostri  ponte- 
fici, i  quali  stanchi    di    sopportar   più    oltre    le    per- 
fidie dei  re  longobardi,   e  soprattutto  di  Desiderio  in- 
gratissimo,  si  mossero  a  chiedergli  il  merito  dell'ave- 
re legittimata  del  regno  la  famiglia  di  Carlo  Martel- 
lo ?  Perciocché  que'tempi  così  correvano  :  che  senza 
la  saggezza  e  1'  autorità  di   papa   Zaccaria   (   checche 
oggi  ne  cicalino    alcuni    scrittori   di  là  da'  monti  )  , 
certo  è  che  i  francesi,   in  quell'antichissima  loro  ri- 
verenza alle  ragioni  dei  re,  non  si  sarebbero  mai  pie- 
gati a  veder  Pepino  sul   trono  di  Childerico.  Fu  gra- 
to  Carlo  a'  pontefici  del  beneficio    del   regno    pater- 
no e  suo  :  e  ciò  vuoisi  riputar  lode  di    un   animo  , 
a  cui  non  mancarono  veramente   molte  virtù  precla- 
re.   E  dico   anche    del   regno    suo  :   perchè    chi    non 
sa,  che  per  la  sola  ragion  del  più  forte  aveva  egli  cac- 
ciati i  legittimi  eredi  della  corona  d'Austrasia   (  i  due 
figli  cioè  del  re   Carlomanno  suo  fratello  )   e  riunito 
quello  stato  alla  Neustria  ed  alla  Borgogna,  che  so- 
le gli  erano   toccate  in   parte  alla  morte  del  padre  ? 
Or    che   sarebbe  avvenuto  di    Carlo  ,    se    Adriano  I 
ivesse  unti  del  regno  di   Carlomanno  que'due  pupil- 
i,  come  venivane  stimolato  dal  re  Desiderio  loro  avo 
ricovero  nella  sventura,  e  dal   vecchio  Unoldo  du- 
a  di  Aquitania  ?  Ricusò  Adriano  di  porgersi  a  quel- 
ntto  ;  e  salvò  per  tal  prudenza  la  Francia   da    una 
gerra  civile  :   la  quale  infine  terminata  sarebbesi  per 


234  Letteratura 

l'autorità  della  chiesa,  in  un  regno  ove  potentissimo 
era  il  sacerdozio,  ed  i  vescovi,  come  dice  il  Gibbon, 
creato  avevano  il  polere  dei  re.  Senzadio  Carlo,  aven- 
do inimico  Adriano  principe  di  sì  grandi  spiriti,  ed 
in  armi  i  due  innocenti  nipoti  dal  pontefice  coronati, 
era  egli  sicuro  di  escir  trionfante  da  una  usurpazio- 
ne sì  manifesta  ?  Cessi  dunque  chi  tanto  innalza  i 
meriti  di  quel  fortunato  verso  la  sede  romana  e  l'I- 
talia :  e  creda  ch'egli  volle  in  alcun  modo  rimeritare 
colla  sua  spada  i  favori  eh'  ebbe  segnalatissimi  dalla 
tiara.  Ne  quella  sua  guerra  longobarda,  o  Fernando, 
fu  poi  cosa  da  onorarsene  molto  un  re  grande  e  guer- 
riero. Perciocché  giunto  Carlo  alle  alpi,  e  veduto  il 
longobardo  contrastargliene  animoso  il  passo,  fu  su- 
bito pien  di  spavento;  memore,  ancora  delle  terribili 
stragi  che  già  de'suoi  franchi  commisero  in  aperta  cam- 
pagna i  re  Autari  e  Grimoaldo,  senz'averne  cancel- 
lato la  fama  le  brevi  scorrerie  che,  favorito  sempre 
dall'  autorità  de'  papi ,  esercitò  il  re  Pepino  in  Ita- 
lia contra  il  malvagio  Astolfo.  Sicché,  dicono  il  Da- 
niel e  il  Deuina,  era  egli  in  punto  di  fuggirsene  ver- 
gognosamente co'suoi  ,  se  nell'  estremo  pericolo  non 
gli  avessero  sgombrato  dinanzi  ogni  ostacolo  la  reli- 
gione ed  il  senno,  così  di  esso  Adriano,  come  di  An- 
selmo abate  di  Nonantola.  Quindi  l'esercito  francese 
non  trovò  poi  a  combattere  che  a  Pavia  un  nemico, 
ch'estenuato  dalla  pestilenza  e  dalla  fame,  poco  stan 
te  se  gli  die  prigioniero. 

Dunque,  m'interruppe  allora  Fernando,  seconD 
l'opinion  tua  Carlo  non  ebbe  il  regno  di  Desidero 
che  dalla  munificenza  de' papi.  Tant'è,  io  risposi  i_  ni- 
na  cagione  avendo  egli  avuta  di  calare  in  Italiane 
non  quella  di  rendersi  alla  chiamata  di  Adriano: il 


l'  ILLUSTRE    ITALIA  235 

quale  risoluto  di  abbattere  al  tutto  la  possanza  de'lon- 
gobardi,  stimò  saviezza  di  gratificare  del  loro  regno  un 
fortissimo,  la  cui  famiglia,  da  esso  e  da1  suoi  antecessori 
raffermata  sul  trono,  avrebbe  sempre  dovuto  di  buona 
ragion  di  stato,  non  solo  rimanersi  nell'ossequio  della 
sede  apostolica,  ma  sì  procacciarne  l'esaltazione  e  di- 
fenderla. Certo  è  poi  che  il  re  Carlo  ebbe  animo  così 
alieno  dal  volerci  umiliare  e  far  servi  alla  Francia,  che 
non  pure  fondò  fra  noi  un  regno  d'Italia  senz'alcuna 
superiorità  forestiera,  ma  costantemente  mostrò  qui  d' 
onorare  la  maestà  dell'impero  e  del  sacerdozio.  Perchè 
preso  modestamente  il  solo  titolo  di  patrizio,  appena 
osava  levare   un  pensiero  a  quello  di  augusto  ,    con 
che  di  proprio  moto  ed  affetto    salutollo    Leone    III. 
E  potresti  tu  dirmi  s'egli  altrove  che  in  Roma  si  con- 
dusse a  prendere  la  corona  de'cesari  ?  Potresti  dirmi 
se  indi  con  altro  titolo  si  chiamasse  che  con  quello 
glorioso  d'imperador  de'romani  ?  Per  la  qual  cosa  non 
so  d'onde  alcuni   traggano  il  nome  d' un  impero  de' 
franchi  fondato  da   Carlo  magno  :  essendoché    niuno 
degli  antichi  nominasse  mai  altrimenti  quella  vastis- 
sima sua  monarchia,  che  impero  romano  o  d'occiden- 
te. Ben  fuvvi  un  impero  francese  :  e  il  vedemmo  na- 
scere e  perire  a'dì  nostri  per  la  spada  e  per  la  men- 
te di  un  italiano  :  impero  che  non  durò   (per  così  di- 
re)  che  pochi  romorosissiini  giorni,  seguendo  la  neces- 
sità d'una   nazione  che  di  tutto  si  stanca  presto,  anche 
della  maestà  e  della  gloria.   Che   più  ?  V'ha   chi  sa- 
rebbe indotto   quasi  a  pensare  ,  che    Carlo   (  per  ciò 
ch'indi  mostrò  )   non  tenesse  in  quell'onor  grande,  che 
dicesi,  l'esser  nato  francese:  avendo  tolto  perfino  alla 
sua  patria,  non  ch'altro,  la  sede  del  regno,  e  recatala 
in  Alemagna:  là  dove   pur  volle  vecchissimo  che  in 


236  Letteratura 

Aquisgrana  giacessero  le  sue  ossa:  dopo  avere  però  som- 
messo (  fatto  gravissimo  )  alla  potestà  di  papa  Leone 
III  il  suo  testamento,  perchè,  come  dicono  gli  annali 
de'franchi  ,  approvandolo  il  soscrivesse. 

Qui  Guglielmo,  che  più  volte  era  stato  quasi  sul- 
l'interromperci  le  parole,  presomi  finalmente  con  amo- 
re per  mano  :  Deh,  disse,  non  sembrati  ch'ornai  que- 
sta quistione  sia  trapassata  ogni  termine  !  Se  vi  pia- 
cesse, amici,  finirla,  o  rimetterla  a  miglior  tempo  (che 
non  voglio  già  interdire  al  nostro  Fernando  di  far  le 
risposte  ),  io  seguiterei  volentieri  a  parlarvi  de' miei 
disegni.  Ed  io  :  Hai  ragione  ,  o  Guglielmo  :  e  di 
grazia  scusaci  di  questo  svagarci  che  abbiamo  fatto, 
se  non  per  amore  di  Carlo  magno,  per  quello  alme- 
no d'Italia.  Sì  sì  ,  soggiunse  pure  Fernando  :  e  me 
scusa  principalmente,  cosi  per  giovinezza  inesperto  :  e 
prosegui  intanto  a  farci  conoscere  i  personaggi  del  tuo 
gran   dramma  pittorico. 

II.  E  Guglielmo:  Noi  eravamo  a'chimici  :  or  ecco 
qua  i  botanici,  la  cui  scienza  in  Europa  dee  pur  tan- 
to all'  Italia  ,  che  diedele  perfino  l'instituzione  degli 
orti,  mostrando  ad  esempio  quelli  di  Padova  e  di  Pisa. 
E  primo  fra  essi  è  Sestio  Nigro,  nominato  da  Gale- 
no subito  dopo  Dioscoride,  ed  anche  notoci  per  l'ef- 
figie che  ne  ha  pubblicato  il  Visconti.  Ed  io  :  Se  il 
primo  non  fu  Sestio  ,  certo  fu  il  principale  ,  o  io 
m'inganno,  che  meritasse  fra  gl'italiani  d'esser  chia- 
mato botanico  :  benché  innanzi  a  lui  ponesse  uno  stu- 
dio grandissimo  in  questa  scienza  il  portentoso  inge- 
gno di  Empedocle,  il  quale  può  dirsi  d'averne  quasi 
poste  le  fondamenta  col  trovare  che  fece  il  sesso  del- 
le piante.  Oh,  soggiunse  allora  Fernando,  quelli  che 
con  Sestio  favellano  sono  certo  l'Alpino  ed  il  Cesai- 


i/  ILLUSTRE    ITALIA  287 

pino  !  Ma  non  era  forse  quell'aretino  allogato  meglio 
fra'medici  o  fra  gli  anatomici  ?  E  Guglielmo  :  Un  uo- 
mo così  solenne  nelle  scienze,  come  fu  il  Cesalpino, 
allogavasi  bene  non  pur  fra  gli  anotomici  e  i  medi- 
ci, ma  fra'primi  sapienti  che  scossero  il  giogo  della 
servitù  scolastica  ,  e  vollero  filosofando  esser  liberi. 
lo  l'ho  però  voluto  qui  porre,  perchè  credo  che  aves- 
se altri  anatomici  e  medici  e  filosofi  che  l'uguagliasse- 
ro :  ma  che  niun  botanico  gli  fosse  pari  al  suo  tem- 
po. Sicché  veramente  il  reputeremo  del  numero  de' 
fondatori  chiarissimi  della  scienza  pe'sedici  suoi  libri 
intorno  alle  piante  :  ne'quali  questo  è  J  soprattutto  a 
considerarsi,  eh'  egli  primo  indicò  il  metodo  di  par- 
tizione per  le  fruite  e  pel  luogo  del  ricettacolo,  a- 
vanzando  così  di  un  secolo  e  mezzo  il  Iussieu.  Lo- 
de assai  più  certa,  che  non  sia  1'  altra  così  contra- 
stagli dell'assoluta  scoperta  della  circolazione  del  san- 
gue :  la  quale  nondimeno  avvisò  per  modo  ,  che  il 
Freind  dissela  conseguire  con  facile  e  necessaria  de- 
duzione dalle  dottrine  di  questo  nostro  italiano.  E 
veramente  poco  ebbe  a  fare  l'Arveio  dopo  di  lui,  do- 
po il  suo  maestro  Acquapendente  famoso  ritrovato- 
re delle  valvole  delle  vene  ,  e  dopo  il  bellunese  Eu- 
stachio Rudio,  da  chi  precisamente  imparò  a  Padova, 
come  ha  ben  provato  a'dì  nostri  Giammaria  Zecchi- 
nelli,  le  cose  più  essenziali  sulla  struttura  e  sull'uf- 
ficio del  cuore.  Anzi,  diss'io,  il  Senac  (  vedi,  o  Fer- 
nando, non  ti  adduco  uno  de' nostri)  dichiarò  alta- 
mente ehe  appresso  il  Cesalpino  niuno  può  veramen- 
te pretendere  il  titolo  di  scopritore  della  circolazio- 
ne del  sangue,  non  essendo  andato  l'inglese  che  pro- 
priamente sulle  orme  dell'italiano,  come  un  viaggia- 
tore che  visiti  una  regione  già  indicatagli  da  un  al- 


238  Letteratura 

tro.  Comunque  sia,  potendo  stare  questo  nostro  gran- 
de in  più  luoghi  del  tuo  dipinto,  come  bene  avver- 
ti, o  Guglielmo,  stia  pur  qui  fra'botanici. 

Allora  Guglielmo:  Piacemi  questa  tua  approvazione. 
Ed  il  Cesalpino  parla  appunto  con  Sestio  dell'avanza- 
mento ch'egli  procacciò  il  primo  alla  botanica  de'moder- 
ni:  e  tiene  intanto  per  mano  il  Mattioli,  gran  tradutto- 
re e  fomentatore  di  Dioscoride.  E  perchè  non  ho  po- 
tuto qui  darvi  anche  il  Malpighi,  l'autore  immortale 
dell'anatomia  delle  piante  !  Ma  ho  stimato  quel  lu- 
me chiarissimo  delle  scienze,  comechè  fosse  pur  som- 
mo nella  botanica,  non  dover  mancare  alla  compagnia 
degli  altri  principi  degli  anatomici  ,  i  quali  certo  si 
sarebbero  mal  contentati  di  non  averlo  vicino. 

I  due  che  dopo  il  Mattioli  si  mostrano  in  quel- 
la gran  fede  di  amicizia,  sono  i  lincei  Federico  Cesi 
e  Fabio  Colonna,  ingegni  acutissimi  :  imperocché  dal- 
le tavole  filosofiche  di  Federico,  uice  Giovanni  Bri- 
gnoli, trassero  e  il  Iunius  e  il  Linneo  e  il  Iussieu  e 
l'Adanson,  ciò  che  con  maggiore  filosofia  disputarono 
sulla  botanica.  E  senza  Fabio,  che  avrebbe  mai  fatto 
il  Tournefort  ?  E  bene  il  confessò  l'illustre  francese,, 
riprese  Fernando.  SI  confessollo,  io  risposi:  e  confes- 
sollo  con  candida  lealtà  :  ed  è  veramente  da  recar  ma- 
raviglia che  sì  rado  ne  seguisser  l'esempio  i  dotti  della 
sua  nazione.  E  quell'altro,  o  Guglielmo,  parmi  essere 
il  Tozzi.  Egli  è  desso,  rispose  l'artista:  ed  in  tanta  mo- 
nastica semplicità  ho  voluto  che  pur  mostrasse  il  buon 
vecchio  alcuna  onesta  alterezza  dvaver  datò  alla  bo- 
tanica uno  de'più  splendidi  lumi  in  quel  suo  discepolo 
Pietro  Antonio  Micheli.  Qui  surto  in  pie  ,  per  un 
subito  moto,  esclamò  sdegnoso  Fernando  :  E  dopo  que- 
sta sì  grande  sagacità    e  potenza  d'ingegni  ebbe  pur 


L'ILLUSTRE    ITALIA  23() 

coraggio  il  Decandolle  di  parlare  sì  Lassamente  de- 
gl'italiani quanto  alla  filosofia  della  scienza  !  Ed  io  : 
Sì,  amico  :  ebbe  questo  coraggio  !  E  l'ebbe  all'età  dei 
Viviani,  dei  Nocca,  dei  Bertoloni,  dei  Gussone  ,  dei 
Savi  ,  dei  Brignoli  ,  dei  Tenore,  dei  Moris  !  E  vol- 
le perfino  far  sembiante  di  non  conoscere  il  più  bel- 
lo e  eompiuto  lavoro,  che  sia  escito  giammai  intor- 
no all'anatomia  e  fisiologia  de' vegetabili,  l'opera  cioè 
di  esso  Viviani  Sulla  struttura  degli  organi  ele- 
mentari delle  piante  e  sulle  loro  funzioni  della 
vita  vegetale  !  Gran  che  ,  o  Fernando  ,  che  voglia- 
ai  perpetuamente  di  là  da'monti  tener  cattedra  d'er- 
rore sulle  cose  de'  nostri ,  ed  imputarci  a  colpa  se 
in  Francia  o  in  Inghilterra  o  in  Germania  ignorisi  ciò 
che  fassi  in  Italia  !  Ma  quella  non  so  s'io  dica  simu- 
lazione o  scortesia  del  professor  ginevrino  (  che  igno- 
ranza non  oso  chiamarla  )  non  si  volle  senza  nota  la- 
sciar passare  dal  Brignoli.  Ed  oh  pur  benedetta  quel- 
la sua  opera  veramente  di  carità  patria  !  Non  V  hai 
tu  veduta  ?  Bispose  egli  :  Sappi  anzi  che  mi  è  stata  di 
gran  consiglio  ed  utile  in  questa  parte  del  mio  lavoro. 
Vedete  qui  intanto  al  Micheli  congratulare  il 
Trionfetti  ,  il  Tillio,  il  Zannoni  :  mentre  a  Vitalia- 
no Donati  sono  più  particolarmente  attesi  il  Monti, 
lo  Scopoli,  Giovanni  ed  Ottaviano  Torgioni  e  il  Pe- 
tagna,  ammirando  la  narrazione  di  que'suoi  viaggi  in 
Asia  e  in  Egitto,  e  commiserando  la  morte  che  l'uo- 
mo egregio  trovò  sulle  coste  del  Malabar.  Seguono 
1'  Allioni  e  Pietro  Arduino  ,  a'  quali  il  Pontadera 
presenta  1'  opera  sua  sulla  natura  del  fiore.  «  E  tu, 
dice  là  il  Comparetli  al  Corti  ,  tu  il  primo  trova- 
sti, che  il  succo  de'vegetabili  ascende  e  discende  pe'me- 
desiini  vasi.   «    Gli  è  vero,  a  lui  risponde  il  botanico 


240  Letteratura 

di  Viano  :  ma  non  considerasti  tu  innanzi  a  tutti  la 
particolare  struttura  del  collaretto  della  radice,  o  sia 
il  nodo  vitale  ?  »  Quindi  una  gara  gentile  di  testimo- 
niarsi l'un  l'altro  la  propria  ammirazione  è  fra  il  Gan- 
dhi! e  il  Pollini,  autori  d'importantissimi  sperimenti, 
quegli  sull'azione  dell'  elettrico  nelle  piante  ,  questi 
sulla  vegetazione  degli  alberi  :  a  ciò  partecipando  al- 
tresì il  Cavolini,  che  avvisò  il  primo  la  maniera  on- 
de fioriscono  le  fucagrostidi  di  Teofrasto  e  la  zoste- 
ra :  ed  il  Vandelli,  l'illustratore  principalissimo  della 
dracena,  la  quale  il  Linneo  non  volle  in  Europa  con 
altro  titolo  onorare  che  di  vandellia.  Allora  Fernando, 
non  senza  gran  commozione  di  animo  :  0,  disse,  Gu- 
glielmo, non  è  mestieri  che  tu  ci  dica  chi  è  l' altro 
che  viene  appresso  :  che  io  ben  riconosco  l'immagine 
di  tale  ,  che  al  Betti  fu  amico  ,  ed  io  sommamente 
amai  come  maestro  che  mi  fu  carissimo  nella  romana 
università  !  Certo  egli  è  desso,  riprese  Guglielmo,  egli 
è  desso  quell'  Ernesto  Mauri ,  che  sì  giovane  e  non 
men  famoso  mancò  in  questi  anni  all'onore  italiano. 
Perdita  gravissima,  e  di  qua  e  di  là  dall'alpe  meri- 
tamente compianta  !  Ed  egli,  come  vedete,  è  col  Bai- 
bis,  col  Bivona  e  col  Sebastiani,  a  chi  mostra  le  ope- 
re di  quella  Elisabetta  Fiorini  Mazzanti,  ch'è  tanto 
decoro  non  pur  della  scienza  ,  ma  della  mente  del 
gentil  sesso,  il  quale  in  Italia  più  che  in  altra  regio- 
ne, la  Dio  mercè,  sembra  inteso  a  più  nobili  studi  che 
a  follie  di  romanzi. 

III.  In  questi  altri  poi  non  dovrebbe  esser  dif- 
ficile il  ravvisare  coloro  che  principalissimi  scrissero 
di  quell'arte,  che  gl'italiani  non  profanarono  mai,  co- 
me i  greci,  abbandonandola  a  mani  servili  :  dico  l'a- 
gricoltura a'nostri  avi  sì  veneranda,  che  ancor  si   ri- 


L'  ILLUSTRE    ITALIA  24» 

cordano  quelle  mani  trionfali  che  fra  noi  guidavano 
il  vomere  laureato.  E  sono  essi  (  lasciando  stare  Var- 
rone,  che  come  dottissimo  de'  romani  porrò  fra'  som- 
mi eruditi  )  Pier  Crescenzi,  Francesco  Ginanni,  Giam- 
batista  da  s.  Martino,  il  Gagliardo  ed  il  Re.  E  cui 
cerca,  disse  Fernando,  cui  cerca  egli  il  reggiano  geor- 
gico,  che  il  veggo  con  tanta  sollecitudine  volgersi  in- 
dietro ?  E  Guglielmo  :  Cerca  il  bolognese  Giovanni 
Cavallina:  e  intende  restituirgli  l' invenzione  del  se- 
minatore ,  con  incredibile  impudenza  involatagli  dal 
Duhamel.  Come  pure  vuol  rendere  a  quel  buon  mi- 
nore conventuale,  che  fu  Agostino  dalla  Mirandola, 
il  merito  della  prima  sperienza  fatta  di  moltiplicare 
gli  agrumi  per  sola  opera  delle  foglie  :  sperienza  che 
parimente  si  attribuirono  poi  a  vicenda  (  usata  inso- 
lenza !  )  il  Beclcero  e  1'  Hobbergio.  Gli  altri  sono 
piuttosto  intesi  a  bearsi  ne'versi  che  loro  canta  Luigi 
Alamanni.  Gentile  immaginazione,  disse  Fernando  !  E 
cosi  qui  panni  veder  l'autore  elegantissimo  della  col- 
tivazione, coma  immagino  che  fosse  alla  corte  di  Fran- 
cesco e  di  Enrico  di  Francia  ,  quando  colla  dolcez- 
za del  patrio  verso  consolava  gli  ozi  di  Caterina  de' 
Medici.  E  bene  hai  posto  con  essolui  il  Rucellai  : 
che  veramente  non  so  qual  più  grazioso  libro  e  soa- 
ve di  quelle  sue  Api  abbia  il  nostro  Parnaso  :  e  la- 
scisi cianciare  uno  stolto  di  questi  giorni,  che  colle 
zampe 

«   Sciupa  il  fien  di  Parnaso  e  lo  scompiglia:  » 

non  vergognatosi  di  stamparci  sul  viso  ,   che    quella 
semplicità  carissima  di  poesia,  tutta  fior  virgiliano,    è 
dagl'italiani  sopportata  ornai  nimium  patienter  !  Ma 
G.A.T.LXXXVIII.  16 


242  Letteratura 

vorrà  menartìsi  buono  di  aver  poi  trascurato  il  Tan- 
sillo,  autore  anch'esso  de'più  leggiadri  di  un  poemet- 
to intitolato  il  Podere:  e  trascurato  insieme  tanti  altri, 
che  pure  con  bella  lode  fra'  moderni  cantarono  co- 
se georgiche,  come  per  esempio  lo  Spolverini,  il  Ba- 
ruffaci, Zaccaria  Betti,  il  Lorenzi,  l'Arici?  Ma  se 
io  doveva,  soggiunse  Guglielmo,  effigiar  qui  tutti  quan- 
ti, o  Fernando,  e  non  i  soli  maggiori,  penso  che  a 
tanto  numero  appena  sarebbero  bastate,  non  dico  le 
pareti  di  quella  gran  sala,  ma  sì  le  muraglie  dell' 
intero  palazzo.  Ho  posto  adunque  i  due  più  famosi, 
che  dopo  Virgilio  poetarono  di  cose  campestri:  i  due  che 
sono  non  pur  delizia  di  quanti  hanno  cara  la  scienza, 
ma  si  studio  e  diletto  di  chi  sa  intendere  quella  sin- 
golare eleganza  e  purità  di  favella,  onde  vengono  me- 
ritamente allegati  in  esempio  sì  autorevole.  Se  così  è, 
diss'io,  poni  anche  senza  alcun  dubbio  il  Tansillo:  per- 
ciocché affermerei  quasi  per  certo,  che  il  fiorentino  con- 
sesso non  ha  onorato  ancora  fra' testi  del  parlar  gen- 
tile il  Podere  del  poeta  napolitano,  se  non  solo  perla 
ragione  che  quella  sì  graziosa  operetta,  trovata  a  caso, 
non  ci  si  è  fatta  conoscere  che  a  questi  ultimi  anni. 
E  Guglielmo  :  Sarà  dunque  terzo  il  Tansillo  nel  mio 
disegno  fra  quel  senno  elegantissimo  dell'  Alamanni 
e  del  Rucellai. 

IV.  Ma  intanto,  amici,  quali  avete  voi  che  fra 
gl'italiani  siano  principi  della  scienza  che  più  propria- 
mente ha  nome  di  naturale  ?  Ho  sentito  dir  sempre, 
rispose  Fernando,  che  siane  padre  in  onore  il  vecchio 
Plinio,  e  che  veri  principi  se  ne  vogliano  salutare  Er- 
molao Barbaro,  a  chi  Ermenegildo  Pini  dà  veramente 
lode  di  primissimo  ristoratore,  poi  l'Aldrovandi  fon- 
datore della  zoologia,  indi  il  Redi,  il  Vallisnieri,  lo 


l'  ILLUSTRE    ITALIA  243 

Spallanzani  e  Felice  Fontana.  E  cosi,  rispose  Gugliel- 
mo, ho  sempre  creduto  anch'io.  E  perciò  vedeteli  par- 
titi in  vari  gruppi,  e  chi  in  pie  e  chi  seduto,  là  pres- 
so quell'erboso  antro,  su  cui  una  gran  rovere    span- 
de ombra  così  gradevole.  Ed  io  :   Cosa  veramente  cu- 
riosa quell'uomo  sì  grave  d'anni,  che  curvo  sul  suo 
bastone  rimira  Plinio  sì  arditamente!  E  sì  ch'egli  è  il 
medico  Leoniceno,  che  piùmo  ne'libri  del  veronese  av- 
visò molti  errori  Dall'animo  libero  di  un  sapiente,  che 
jion  offuscato  da  cieca  riverenza  per    niuna    vecchia 
opinione,  non  contempla  che  il  vero,  ne  altro  cerca, 
ne  altro  vuole,  e  ride  sul  volto  a'  pedanti  ogni   lor 
servile  arroganza  ?  E  Guglielmo  :  Appunto  egli  è  des- 
so :  ne  ho  stimato  dover  passare  uno  de'più  forti  in- 
telletti del  secolo  decimoquinto,  il  quale  se  non  recò 
a  niun'altezza  la  scienza,  vide  però  in  quel  primissimo 
albore,  che  la  natura  poteva  e  doveva  in  altro  modo, 
che  non  si  era  fatto,  studiarsi   ed  interpretarsi.  Ora 
osservate  il  Vallisnieri,  ch'è  surto  incontro  a  quell'in- 
gegno stupendo  di  Giacinto  Cestoni,  che  tanto  egli  eb- 
be in  onore  fino  a  chiamar  la  sua  morte    una  sciagura 
pubblica  del  suo  tempo.  Ma  il  Redi,  che  sarebbe  for- 
se venuto  anch'egli  a  far  festa  a  quel  suo  amicissimo, 
n'è  ritenuto  dal  narrare  che  gli  fa  Ferdinando  Lui- 
gi Marsili  non  pur  quanto  opeiò  ad  avanzar  l'uma- 
no sapere,  soprattutto  nelle  sue  opere  sul  Danubio  e 
sulla  storia  fisica  dei  mare  ,  ma  e  le  sue  imprese  di 
guerra,  e  i  suoi  viaggi,  e  i  casi  della  sua  schiavitù, 
e  i  morsi  infine  con  che  l'invidia  prese  invano  a  brut-* 
targli  l'onore, 

Qui  Fernando,  facendo  un  cenno  cortese  colla 
mano  destra  a  Guglielmo  perchè  dovesse  alquanto  re- 
starsi, a  me  rivoltosi  disse  :  Ecco,  o  Betti,  un  nostro 


244  Letteratura 

infelice,  a  chi  un  re  grandissimo  riparò  i  danni  che 
fecegli  un  grandissimo  imperadore.  E  chi  fu  egli  quel 
re  ?  Fu  Luigi  XIV,  io  risposi,  che  con  nuovi  onori 
compensò  in  Francia  al  Marsili  gli  onori  perduti  in 
Germania  :  lode  veramente  egregia  di  un  principe  , 
eh'  emulando  ciò  che  Francesco  primo  operò  per  le 
arti,  andava  del  pari  invitando  dall'Italia  a  Parigi  i 
più  ciotti  ed  illustri  che  ammaestrar  potessero  alle  scien- 
ze la  sua  nazione:  tantoché  dopo  averci  tolto  e  il  Cas- 
sini e  il  Maraldi  e  il  Poli,  volle  avere  altresì  quel  no- 
bilissimo bolognese-,  E  quando  ho  io  negata  mai  la  ge- 
nerosità dell'animo  di  Luigi,  che  certo  in  ogni  cosa  fu 
somma  ?  Ma  vorrei  che  tu  pure  considerasti,  se  nell'a- 
ver  tratto  in  Francia  così  il  Marsili,  come  quegli  altri 
italiani,  abbia  egli  avuto  mente  soltanto  alla  propria 
benignità,  o  non  seguito  piuttosto  un  senso  di  quel- 
l'ambizione che  fu  in  lui  sì  possente  ,  e  provveduto 
a'bisogni  della  crescente  civiltà  del  regno.  Vero  è  che 
presto  a  Ferdinando  Luigi  fu  a  noia  quello  star  sì 
lontano  dalla  ddetta  patria  :  ne  la  corte  ebbe  nel  gra- 
ve suo  animo  bastanti  lusinghe  a  fargli  dimenticare 
d'essere  italiano  :  ne  sopra  il  dovere  di  cittadino  po- 
se l'ammirazione  e  la  gratitudine  verso  quel  princi- 
pe, che  anche  dopo  la  vergogna  de'patti  in  suo  no- 
me proposti  a  Gertrudemberga  (certo  era  morto  il  Maz- 
zarino )  dal  maresciallo  d'Uxelles  e  dall'abate  di  Po- 
lignac  i  poeti  ed  i  pratici  del  mestier  delle  corti  chia- 
mavano il  gran  re.  Gran  re  (  oh  mi  sia  lecito  ,  co- 
munque sia,  pensar  col  mio  capo  !  )  gran  re  chi  dopo 
quel  suo  tanto  delirio  di  signoreggiar  1'  Europa  ,  se 
non  al  tutto  cadde,  anzi  non  precipitò,  dovette  solo 
reputarlo  all'essersi  da'suoi  doni  lasciata  sedurre,  di- 
ce Orazio  Walpole,  l'amica  e  dama  d'abbigliamento 


l'  ILLUSTRE    ITALIA  2/^5 

della  regina  Anna  cT  Inghilterra  ,  ed  al  mutarsi  del 
ministero  britannico  eh'  indi  ne  avvenne  !  Deh  se  il 
Marsili  non  avesse  avuto,  o  Fernando,  quella  carità 
di  patria,  guarda  il  gran  lustro  che  coll'instituto  di 
Bologna  sarebbe  mancato  all'Italia  ! 

Chinò  il  capo  Fernando  a  queste  parole  :  sicché 
proseguì  Guglielmo  :  Ecco  il  Breislack  che  ancor  qui- 
stiona  con  Ermenegildo  Pini  tutto  caldo  in  voler  di- 
fendere, presente  il  Fortis,  esser  acquea  la  fluidità  pri- 
mitiva della  terra,  anziché  ignea.  Ecco  il  Vianelli,  che 
col  Bonanni  e  coll'Olivi  richiamasi  del  Nollet  ,  che 
osò  involargli  il  trovato  di  que'piccoli  insetti  di  ma- 
re, ch'egli  denominò  lucciolette  notturne  :  trovato  pe- 
rò che  all'italiano  rivendicò  il  grande  Linneo.  Chi  poi 
non  conosce  le  immagini  del  Gis mondi,  del  Marza- 
ri  ,  del  Tondi  ,  di  Giovanni  Arduino  ?  Quello  che 
vedete  più  oltre  è  il  Mangili,  che  seduto  sur  un  tron- 
co d'acero  ha  dinanzi  aperte  le  opere  di  Carlo  Bo- 
naparte  principe  di  Canino:  ma  rivolto  ha  gli  occhi 
al  Gioeni,  tutto  inteso  a  lodargli  i  lavori  degl'illustri 
suoi  siciliani  Gemellaro  e  Maraviglia,  ed  a  parlargli 
delle  scoperte  ittiologiche  di  Anastasio  Cocco,  a  cui 
ultimamente  il  fiammingo  Contraine  (  ed  osservate 
sdegnarsene  il  Ranzani  j  osò  contrastargli  quella  del 
rovetto  prezioso.  Tu  poi,  Betti,  devi  senza  dubbio  rav- 
visare il  filosofo  che  ho  là  ritratto  con  alcune  con- 
chiglie in  mano,  in  atto  di  farne  disputa  con  quegli 
altri  che  sì  attentamente  gli  sono  intorno.  Il  ravviso 
certo,  io  risposi  :  egli  è  desso  appunto  Giovanni  Broc- 
chi. Ma  vorrei  che  tu,  nel  parlare  che  fa  ,  gli  dessi 
qualche  maggiore  vivacità:  essendoché  fosse  tale,  che 
le  eloquenti  parole  escivangli  del  petto  più  come  fiam- 
ma di  un  vulcano,  che  come  onda  di  un    gran  fìu- 


246  Letteratura. 

me.  Uomo  veramente  d'ingegno  preclaro,  e  di  cildì1 
pari  all'ingegno  !  Io  l'ho  sempre  presente  all'anima  ì 
e  tu,  amico,  mei  fai  oggi  presente  anche  àgli  occhi. 
Quelli,  che  ha  seco  a  ragionare,  sono,  se  non  erro, 
il  Gualtieri,  il  Poli  e  il  Renier  :  perciocché  altri  non 
potrebbero  stare  più  opportunamente  con  Ambrogio 
Soldani,  ch'io  pur  conobbi 4  essendo  tuttavia  giovinet- 
to. E  Guglielmo  :  Veramente  sono  essi.  E  Con  sì  bel 
numero  ha  fine  nel  mio  disegno  la  parte  che  dar  do- 
vevasi all'istoria  naturale  :  scienza  in  cui  gl'italiani  * 
come  vedete,  possono  star  bene  a  fronte  di  qualsiasi 
più  dotto  popolo  dell'  Europa.  Ma  credo  poi  che  i 
grandissimi  delle  altre  tre  classi  scientifiche  ,  che  or 
succedono,  tali  debbano  stimarsi,  che  non  sia  chi  più 
di  essi  meriti  lode  di  avere  insegnato  a  tutte  le  mo- 
derne nazioni  :  essendoché  originalmente  sia  nostra 
la  medicina,  nostra  l'anatomia,  nostra  gran  parte  del- 
la  matematica  :  quantunque  gli  stranieri  ,  fattisi  pef 
tempo  alla  nostra  scuola,  salissero  poi  anch'essi  a  tan- 
ta e  sì  giusta  altezza  di  fama.  Senonchè  i  maestri  do- 
vranno sempre  dirsi  maestri  :  discepoli  i  discepoli.  Sa- 
rebbe vano,  soggiunse  Fernando,  l'entrar  teco  a  con- 
trasto per  questa  verissima  nostra  gloria:  anzi  ho  udi- 
to spesso  io  medesimo  molti  gentili  stranieri,  non  so- 
lo non  disputarcela,  ma  sì  rendercene  onore  e  merito. 
Donde  vedi,  o  Betti,  che  non  è  in  me  alcun  animo 
d'offendere  la  comun  patria.  E  t'amerei  io  ,  risposi , 
se  tu  l'avessi  ?  Primo  dovere  a  chi  vuol  essermi  ami- 
co (  se  nulla  vale  la  mia  amicizia  )  e  l'essere  italia- 
no :  italiano  anzi  tutto  !  Perciocché  chi  è  tale,  egli 
è  anche  pio,  egli  è  generoso,  egli  è  fedele,  egli  è  cor- 
tese: egli  sente  inoltre  la  dignità  di  quest'umiliarsi  , 
che  fa  il  savio  fra  noi,  ad  un  solo  tremendo  destino 


l'  ILLUSTRE    ITALIA  247 

c  maggior  delle  cose ,  il  quale  vietagli  anche  ne'fatti 
civili  ti'  innalzare  autorevole  quella  voce,  che  già  fu 
riverenza  e  legge  dell'universo. 

Levossi  a  quesli  detti  Fernando,  e  non  senza  al- 
cuna lagrima  mi  si  lasciò  cadere  colle  braccia  sul  col- 
lo :  sì  ch'io,  con  pari  tenerezza  di  amore  accoltolo  fra 
le  mie,  il  baciai  sulla  fronte.  Poi  rivolto  a  Gugliel- 
mo ,  che  affettuosamente  guardavaci  :  Tu  dei  certo  , 
gli  dissi,  esserti  trovato  in  assai  strette  avendo  qui  a 
collocare  tante  persone.  Imperocché  quale  artificio  non 
dev'  esserti  stato  bisogno  a  dare  un  fior  di  possibile 
varietà  agli  atti  ed  alle  positure,  non  che  ai  gruppi  de" 
personaggi  che  compongono  si  vasto  dramma  ?  Tu  sai, 
egli  rispose,  che  qui  trattasi  di  scienze  e  lettere,  non 
di  battaglie  o  palestre  :  qui  è  società  di  sapienti,  per 
lo  più  vecchi  e  gravi,  non  di  persone  che  fanno  mo- 
stra di  lor  bellezza  ed  agilità.  Poco  diversa  general- 
mente è  la  maniera  di  vivere,  per  lo  più  a  caso,  in 
tutti  gli  uomini  dati  agli  sludi  :  contemplare,  cioè, 
osservare,  scrivere,  e  non  so  che  altro  :  se  pur  non 
fosse  alcun  che  di  disputa,  spesso  veramente  un  pò  acre 
e  superba,  infermità  della  nostra  natura.  Ne  Raffaello 
stesso,  non  ch'altri  ,  mi  è  sembrato  aver  potuto  supe- 
rare questa  necessità  :  che  nella  sua  scuola  di  Atene, 
la  quale  ha  molto  della  ragione  del  mio  disegno,  tutte 
le  persone,  salvo  due  o  tre  gruppi,  sono  a  un  dipresso 
in  uno  stato  di  ragionare  tranquillo  con  pochissima 
diversità  di  azione.  E  certo  non  ho  io  voluto,  come 
ne  pur  volle  nel  suo  dipinto  quel  grande,  rappresen- 
tare alcun  fatto  o  mirabile  o  strepitoso  :  ma  si  dare 
unicamente,  con  qualche  connession  ragionevole,  una 
continuazione  d'immagini  d'uomini  celebra  rissimi  in 
ogni  maniera  di  dottrina:   ove  credo  che  altro  dilet- 


248  Letteratura 

to  non  sì  desideri  ,  che  veder  tanta  potenza  d'  in* 
'jegni  riunita  insieme,  e  poter  quasi  conversare  con 
que'famosissimi ,  come  se  ancor  ci  vivessero  :  ingan* 
nando  così  il  tristo  pensier  del  sepolcro.  Tal  è  sta- 
to il  mio  verissimo  intendimento:  e  tale  forse  fu  quel* 
lo  del  signore  cortese,  il  quale  nell'allogarmi  l'opera 
non  d'  altro  parlommi  che  del  diletto  di  potere  spa- 
ziarsi  in  mezzo  a  queste  glorie  d'  Italia,  e  mostrar- 
le a'foreslieri  ed  a'nostri.  Sicché,  amici,  non  v'aspet- 
tate ne  pur  qui  un  gran  movimento  di  affetti,  o  una 
straordinaria  varietà  di  azioni,  ne'pacifici  sapienti  che 
sarò  ancora  per  dimostrarvi  :  riserbando  qualche  mag- 
gior  ardore  di  spiriti  ad  un'  altra  parte  del  mio  la- 
voro, ove  porrò  tali  uomini ,  che  non  già  fra  le  pa- 
reti d'una  segreta  stanza  o  di  un  liceo  si  procaccia- 
rono l'ammirazione  de'posteri. 

V.  Or  mirate  i  più  illustri  medici  che  onora- 
rono l'antica  nostra  dottrina  :  Eraclide  da  Taranto  , 
Acrone  da  Agrigento,  Democede  da  Crotone,  Celso  e 
Scribonio  Largo  :  co'quali  vanno  quasi  del  pari  que* 
due  buoni  vecchi  della  rinnovata  Italia,  Antonio  Be- 
nivieni  e  Benedetto  da  Legnano,  uomini  assai  bene- 
meriti e  all'età  loro  chiarissimi  :  essendo  stato  il  pri- 
mo, come  ben  avvisa  1'  esimio  De-fìenzi,  il  fondatore 
dell'anatomica  patologia,  di  cui  fu  poscia  immortale 
perfezionatore  il  Morgagni  :  e  potendo  il  secondo  chia- 
marsi il  Sydenham  del  secolo  XV.  Vaga  e  nuova  » 
disse  Fernando,  quella  figura  del  crotoniate  così  ve- 
stita mezzo  fra  il  persiano  ed  il  greco  !  E  bene  sta: 
che  tutti  così  riconoscono  a  quella  tiara,  ch'egli  si  è 
già  tolta  di  capo,  ed  a  quella  catena  d'oro  che  ador- 
nagli il  collo  e  il  petto  ,  il  medico  famosissimo  chà 
guarì  Dario  dTstaspe  ed  Atossa.  E  sì  che  a  quei  tar- 


L*  ILLUSTRE    ITALIA  2^ 

dì  e  sfavi  egli  narra  le  sue  avventure  in  Atene  e  alle 
reggie  di  Samo  e  di  Susa  ,  la  sua  schiavitù  ,  le  sue 
fortune,  e  la  carità  della  patria  ond'elesse  di  rifiuta- 
re tutte  le  sontuosità  che  gli  offriva  il  gran   re.  Tu 
hai  indovinato  il  concetto  mio,  rispose  Guglielmo:  ben- 
ché  Celso,  cui  vedi  in  mano  le  lettere  dottissime  del 
Bianconi ,  attenda  piuttosto  a  Leonardo  Targa  ,  che 
ricercalo  di  alquanti  dubbi  sulla  sua  opera  della  me- 
dicina, della  quale  quel  veronese  ci  porse  la  più  cri- 
tica insieme  e  compiuta  e  bella  ristampa.  Edio:  Non 
fa  poi  che  tu  mi  dica  chi  è  quell'  altro ,  che  primo 
è  là  della  schiera   di  coloro  che  fiorirono  al  tempo  del 
rinnovarsi  delle  scienze,  e  più  possentemente  giova- 
rono a  mondarle    dalla   brutta   scoria  della  barbarie. 
Egli  è  Girolamo  Eracastoro,  l'onor  di  Verona  :  la  cui 
anima  del  pari  informarono  i  geni  di  Timeo,  d'Ippo- 
crate  e  di  Virgilio  :  non  sapendo  dire  fra  matemati- 
co medico  e  poeta  qual  fosse  più  :  certo  però  in  tut- 
to fu  grande.  Ed  al  fianco  ha  il  Manardo  ,  il  Mer- 
curiale, l'Argenterò,  il  Brasavola,  il  Botallo  ,  il  Be- 
nedetti :  e  quell'uomo  di  massimo   e  quasi  divino  in- 
gegno, come  chiamollo  il  Vesalio  ,  cioè    Giambatista 
da  Monte  :  il  quale  più    risolutamente    sequestratosi 
da  coloro,  che  quasi  in  altro  non  facevano  consiste- 
re la  medicina,  salvo  in  interpretare  e  chiosare  gli  an- 
tichi testi   (senza  volere  aprir  gli  occhi  a  niuna  luce 
d'osservazione  o  sperienza),  pose  il  primo  in  Europa 
le  fondamenta  della  clinica,  e  fece   cotanto  avanzare 
dopo  il  Benivieni  ed  in  compagnia  del  sommo  Ingras- 
sia  (  l'Ippocrate  siculo  )  l'anatomia  patologica.  E  pure, 
m  interruppe  Fernando,  questa  lode  concedesi  comu- 
nemente a  Silvio  de  la  Boe  olandese  !  Da  chi,  rispo- 
si io,  poco  sa  dell'istoria  medica,  e  niente  delle  cose 


a5o  Letteratura 

nostre,  ne  mai  ha  letto  i  consulti  medici  del  Da  Mon- 
te. Anzi  da  chi  non  considera  ,  che  1'  università  di 
Padova  era  nel  secolo  XVI  la  celebre  scuola,  ove  tutti 
i  settentrionali  convenivano  a  studiar  medicina:  e  che 
le  opere  del  Da  Monte,  morto  forse  nel  millecinque- 
cento cinquantuno,  precedettero  d'oltre  a  cent'anni 
quelle  di  Silvio  :  le  quali  non  escirono  precisamen- 
te se  non  dopo  ch'ebbe  l'Heurnio  (che  fu  scolare  in 
Padova)  recata  seco  in  Olanda  questa  parte  della  no- 
stra sapienza  medica.  Or  se  a  Silvio  darai  il  titolo 
di  sommo  restauratore  della  clinica,  gli  darai  ciò  che 
veramente  gli  si  conviene  :  ma  quanto  al  senno  di 
averne  poste  il  primo  le  fondamenta,  sarebbe  inde- 
gnità e  sconoscenza  chi  ne  volesse  involar  la  gloria 
all'italiano  filosofo.  Oh  quanti  poi  Veggo,  o  Guglielmo, 
seguire  il  glorioso  numero!  E  che  eccellenza  d'ingegni, 
e  che  celebrità  di  fama  di  qua  e  di  là  da'monti  e  da' 
mari  !  Ben  fra  essi  riconosco  alla  nota  effigie  e  il  Zac- 
chia  fondatore  della  medicina  legale,  e  il  Bellini  crea- 
tore della  medicina  meccanica,  e  il  Cocchi  e  il  Tor- 
ti e  il  Lancisi.  Indi  il  Ramazzini ,  il  Macoppe  ,  il 
Dei-Papa,  il  Lanzoni,  il  Borsieri,  il  Pasta,  il  Brera, 
l'Acerbi.  E  quell'altro  chi  è,  che  con  siffatto  ardore 
sembra  difendere  la  sua  ragione  in  mezzo  a  que'due, 
i  quali  per  tal  modo  lo  ascoltano,  che  ben  mostrano 
dargli  vinta  la  causa  ?  E  come  in  altra  maniera  rap- 
presentare, soggiunse  Guglielmo,  il  cosentino  Tom- 
maso Cornelio  ,  il  quale  fin  dal  secolo  XVII  aveva 
chiaramente  osservata  quella  che  la  ingrata  posterità 
ha  poi  chiamata  irritabilità  halleriana  ?  0  Haller,  tu 
facesti  pure  un  gran  furto  !  Ne  tu  ne  facesti,  Hun- 
ter,  uno  minore  appropriandoti  le  sperienze  di  que- 
sto nostro  sul  succo  latteo,  di  che  i  colombi  nutriscono 


L'ILLUSTRE    ITALIA  2^1 

1  propri  figli  !  I  quali  farli  stranieri  (  tal1  è  la  tra- 
scutaggine che  abbiamo  delle  cose  nostre  !  )  sarebbe- 
ro più  oltre  rimasi  nascosti,  se  due  generosi  italiani, 
il  Signorclli  ed  il  Macri,  non  gli  avessero  innanzi  a 
tutta  l'Europa  gridando  manifestati.  Quelli  ch'indi  os- 
servi assentire  al  Cornelio  sono  il  Sarcone,  il  Serao, 
il  Cirillo,  gran  decoro  tutti  e  tre  del  regno  di  Napoli. 
Sventurato  Cirillo,  esclamò  Fernando;  non  pos- 
so che  versar  lagrime  tenerissime,  sempre  ch'io  ricor- 
do la  trista  istoria  della  tua  fine  !  E  ben  pare  che 
con  pietà  ti  riguardino  il  Rubini,  il  Iacopi,  lo  Scu- 
deri,  il  Carminati  ,  il  Giannini  ,  e  quel  Rasori  che 
tranquillo  in  tanta  animosità  di  contese,  onde  fu  accol- 
ta la  Sua  dottrina,  attende  forse  per  rinnovarle  che  col 
Tommasini  qua  vengano  (ed  oh  sia  ben  tardi  !)  quegli 
altri  tre  sommi  che  oggi  si  onorano  la  medicina  italiana, 
il  Bufalini,  il  Puccinotti  ed  il  Medici.  La  fine,  diss'io, 
del  Cirillo  ha  fatto  spesso  a  me  pure  battere  il  cuore  di 
compassione»  Tal  uomo  egli  fu,  e  tal  fiore  di  mente 
italica,  e  soprattutto  benevolo  alla  cara  memoria  del 
padre  mio,  quando  giovinetto  e  Vago  d'ammaestrarsi 
volle  per  alquanti  anni  dimorare  in  Napoli.  Ma  ella 
pur  troppo,  o  Fernando,  fu  pari  alla  maravigliosa  stol- 
tizia di  chi  potè  credere,  che  una  libertà  saggia  dovesse 
mai  venirci  di  là,  dove  come  tiranno  essendo  stato  trat- 
to al  supplizio  un  re  benignissimo,  e  condannali  nel 
Capo  i  Maleshcrbes,  i  Lavoisier,  i  Bailly  ed  i  mag- 
giori per  virtù,  per  dignità  ,  per  sapienza  ,  sostenne 
poi  tutt'un  popolo  per  tanto  tempo  d'esser  posto  al 
taglio  della  mannaia,  come  vii  torma,  da  tali  svergo- 
gnatissimi  in  ogni  licenza  e  scelleratezza  !  Ho  ribrez- 
zo a  solo  pronunciare  que'  nomi  !  E  quasi  ciò  non 
bastasse  ,   eccolo  tollerare  d'  essere    taglieggiato    d.dla 


a5a  Letteratura 

dappocaggine  insolente  di  un  Barras  :  ed  infine,  già 
reso  oggetto  universale  di  orrore,  eccolo  messo  al  gio- 
go da  un  soldato  fortunatissimo,  di  cui  fu  tanto  l'os- 
sequio verso  quella  nuova  maestà  di  repubblica,  fino 
a  farne  un  giorno  sbalzare  i  legislatori  dalle  finestre 
della  loro  grand'  aula.  Deh  Dio  ,  che  più  non  torni 
un'  età,  di  cui  certo  niun  altro  secolo  e  niun  altro 
popolo  saprebbero  mostrarci  ne  la  più  crudele,  ne  la 
più  ignominiosa  !  Deh  che  nessuno  di  là  da'inonti  c'in- 
viti più  ad  oltraggiare  sì  turpemente  l'umanità,  ed  a 
prender  norma  da'  fatti  abbominevoli  di  settembre  ! 
Deh  che  più  non  dobbiamo  veder  fra  noi,  imitatori 
di  que-' ribaldi,  gli  Speziale  ed  i  Vanni  ! 

Ma  lasciamo  un  discorso  che  già  mi  fa  rizzar  d'or- 
rore i  capelli:  e  dimmi  piuttosto,  o  Guglielmo,  non 
è  quegli  Stefano  Gallino  ?  E  sì  che  anch'egli  ha  qual- 
che cosa  che  lo  contrista  nel  mostrare  che  fa  con 
quell'atto  all'Araldi,  al  Zeviani  ed  al  Rosa  la  sua  ce- 
lebre opera  delle  osservazioni  su'nuovi  progressi  della 
fisica  del  corpo  umano  !  E  come  no,  rispose  Gugliel- 
mo, se  questo  principe  degl'italiani  fisiologi  lu  il  pri- 
mo a  fare  in  Europa  la  gran  divisione  dell'uomo  sen- 
ziente e  dell'uomo  vegetante,  e  dieci  anni  e  più  do- 
po se  la  usurpò  il  francese  Bichat  ?  Ed  il  Bosa  così 
paziente  l'ascolta,  io  soggiunsi  ?  Il  Rosa  a  cui  tanti 
bellissimi  esperimenti  involò  pure  ,  coli'  usata  impu- 
denza, il  Bichat  medesimo  a  provar  propria  del  san- 
gue la  virtù-  pulsifica  delle  arterie?  Ma  ben  surse 
a  strappar  di  viso  la  maschera  al  ladro  il  sommo  suo 
discepolo  Bufalini  :  ed  è  ciò  forse  che  rende  ivi  l'o- 
norando vecchio  sì  tranquillo  di  sua  ragione.  Più  oltre, 
seguitò  Guglielmo,  è  Giovanni  de  Garro,  che  con  Lui- 
gi Sacco  non  così  gloriasi  di  aver  propagato,  soprat- 


L'ILLUSTRE    ITALIA  253 

tutto  nelle  parti  settentrionali  di  Europa  e  nella  Tur- 
chia e  nelle  Indie,  il  beneficio  della  vaccinazione,  che 
più  non  rallegrisi  alla  novella  d'essere  state  per  sen- 
no di  due  italiani  (prima  di  Agostino  Cappello  e  poi 
di  Luigi  Toffoli)  conosciute  alfine  con  sagaci  sperien- 
ze  le  cagioni  della  rabbia  canina,  indicando  i  certis- 
simi provvedimenti,  perchè  il  mondo  preservisi  anche 
da  quest'altro  sì  terribil  flagello.  E  così  l'Italia,  sem- 
bra dire  Angelo  Gatti  ,  non  sia  tarda  ad  accogliere 
quel  vero  dono  di  umanità!  ]Nè  in  questo  pure  imiti 
la  Francia  dell'età  mia;  là  dove  io,  benché  medico 
del  re,  tante  ebbi  a  comportare  e  persecuzioni  ed  in- 
giurie perchè,  o  Carro,  dovesse  farsi  buon  viso  al  tro- 
vato maraviglioso  di  lenner. 

Quegli,  ch'è  là  ristrettosi  col  Moscati,  è  il  Zu- 
liani  :  e  l'altro  che  vedi  sì  famigliami  ente  mosso  in- 
contro al  Fanzago  ,  il  quale  con  tanta  benevolenza 
l'accoglie,  è  Antonio  Testa.  Oh  certo  è  desso,  io  dis- 
si subito,  il  grande  autore  dell'  opera  sulle  malattie 
del  cuore  !  Io  giovinetto  il  conobbi  a  Pesaro,  quand' 
egli  andava  pel  regno  italico  visitando  le  università 
ed  i  licei  :  e  ben  ricordami  di  quella  sua  patriarca- 
le benignità,  e  di  quelle  parole  che  standomi  a'fianchi 
del  mio  Giulio  Perticari  n'ebbi  di  conforto  agli  studi. 
Io  ho  sempre  presente  quella  sua  persona:  e  tu  me  l'hai 
egregiamente  rappresentata,  o  Guglielmo,  in  tutta  la 
mansuetudine  e  semplicità  di  filosofo.  Ed  egregiamen- 
te altresì,  riprese  Fernando,  m'hai  rappresentato  l'au- 
tor classico  dell'opera  sulla  struttura,  sulle  funzioni 
e  sulle  malattie  della  midolla  spinale,  Vincenzo  Ra- 
chetti  :  che  scarno  del  corpo,  rubicondo  del  viso,  e 
sommamente  piegando  al  serio,  è  in  alta  meditazio- 
ne: e  pare  ancor  qui  fuggire  la  compagnia  degli  ami- 


^54  Letteratura 

ci,  che  fu  sì  tristo  presagio  della  fine  che  attendeva 
nel  fior  degli  anni  un  ingegno  così  fervido  e  cosi 
acuto.  Qual  danno  alle  scienze  e  all'  Italia  !  Ma  oh 
il  venerando  vecchio  che  là  scerno  assiso  a  pie  di 
quel  verde  poggio,  ed  atteso  per  modo  alle  cose  che 
con  viso  lietissimo  va  leggendo  in  un  picciol  libro  , 
sì  che  non  par  sollecito  d'  altro  !  Lascia  eh'  io  veg- 
ga che  libro  è  desso  ;  giacché  v'  hai  scritto  il  tito- 
lo ,  quantunque  in  carattere  così  minuto.  Oh  ve'  ! 
Egli  è  Luigi  Cornaro,  l'autore  dell'  eccellente  opera 
della  vita  sobria  !  E  veramente  hai  ragione,  o  Gugliel- 
mo :  che  sebbene  egli  non  professasse  arte  medica  , 
anzi  sentisse  sì  avanti  nella  matematica  e  nell'idrau- 
lica, nondimeno  si  ha  per  tanto  benemerito  della  sanità 
umana,  che  chi  segue  i  suoi  insegnamenti,  non  pure 
ha  speranza  di  protrarre  felicemente  il  vivere  per  lun- 
ghi anni  ,  come  lo  protrasse  egli  fin  quasi  ai  cento, 
ma  poco  o  niente  ha  bisogno  di  aver  ricorso  a  far- 
machi ed   a  medici. 

VI.  Sicché  m'approvate,  o  carissimi,  ciò  che  fin 
qui  ho  rappresentato  ?  E  chi  non  l'approverebbe,  ri- 
spose Fernando  ?  E  Guglielmo  :  Deh  così  pure  mi 
approvaste  quello  che  segue  !  Perciocché  siamo  a  mas- 
sime nostre  glorie  :  e  tali  che  per  giubilo  e  maravi- 
glia ,  italiano  eh'  io  sono  ,  spesso  nel  disegnare  tre- 
mavano non  pur  la  mano,  ma  quasi  l'anima.  Or  ve- 
dete gli  anatomici  :  schiera  famosissima  e  numerosa  : 
per  la  quale  noi  fummo  i  primi  a  scuotere  il  giogo 
della  presunzione  araba,  ed  a  distruggere  al  tutta  l'er- 
ror  galenico.  E  che  notabile  avanzamento  ha  fatto 
dopo  noi  la  scienza  nelle  altre  parti  di  Europa  ?  Im- 
perocché quegli  è  il  vecchio  Mondino  che  incominciò 
a  restaurarla  nella  prim'alba,  per  così  dire,  che  bian- 


L'  ILLUSTRE    ITALIA  2 55 

cheggiò  all'umano  intelletto  nel  secolo  XIV:  ed  intor- 
no ha  l'Achillini,  il  Colombo,  il  Massa  e  l'Asellio. 
Indi  è  quel  senno  di  Gabriele  Fallopio,  che  data  lo- 
de a  Berengario  da  Carpi  di  tanti  suoi  trovamenti  e 
soprattutto  dei  due  piccioli  ossi  dell'  udito  ,  afferma 
che  del  terzo  osso  fu  assolutamente  ritrovatore  l'In- 
grassia  ;  il  quale  più  là  scorgete  col  Carcano  ,  col 
Casserio,  col  Canani,  col  Iasolino  e  coll'Aranzi,  attesi 
a  Costanzo  Varali  che  loro  narra  com'egli  scoperse  l'ori- 
gine de'nervi  ottici  dalla  midolla  allungata,  e  come  il 
Dodard  si  appropriò  (  col  solito  vezzo  di  ne  pur  nomi- 
narlo )  le  osservazioni  sue  intorno  alla  voce.  Oh,  scla- 
mò allora  Fernando,  ecco  ecco  qua  due  grandissimi  ! 
Io  li  riconosco  !  Sono  essi  l'Eustachio  e  Fabrizio  d'A- 
cquapendente !  Ed  io  ;  Basterebbe  un  solo  di  questi 
all'eternità  della  fama  di  qualunque  più  altera  nazione. 
All'Italia  però,  disse  Guglielmo,  non  bastano  :  e  la  ma- 
dre delle  scienze  vuol  dare  alla  riverenza  di  Europa 
anche  quel  sublime  gruppo  che  più  oltre  osservate  , 
del  Malpighi  cioè,  del  Morgagni,  dello  Scarpa,  del 
Cotugno  e  del  Mascagni.  E  come  se  fosse  ancor  po- 
co, aggiungete  il  Bianchi,  che  ravveduto  di  alcuni  suoi 
abbagli  stende  volentieri  la  destra  ad  esso  Morgagni 
per  testimonianza  di  non  amar  le  contese  più  oltre 
che  richiegga  1'  amore  del  vero  :  ed  indi  il  Santori- 
ni  ,  il  Valsalva  ,  il  Molinetti  ,  il  Fattori,  il  Rolan- 
do ,  e  quel  Malacarne  che  sì  confidentemente  parla 
al  Brugnone  già  caldo  emulo  suo.  E  perchè  fra  tanti 
nomi  prestantissimi  non  abbia  a  desiderarsene  uno 
anche  del  gentil  sesso  ,  eccovi  pure  fra  il  Pacchioni 
e  il  Girardi  il  portento  forse  unico  di  una  donna, 
Anna  Morandi,  che  a  grande  onore  chiamata  a  se- 
dere nell'instituto  delie  scienze  di  Bologna  ,  fu  indi 


256  Letteratura 

eletta  ad  insegnare  anatomia  dalla  cattedra  in  quella 

illustre  università. 

Altissimo    senno  (  così  Fernando  )  !  Ma    credo 
nondimeno    che  anche  altri    di    bella  fama  avrebbeci 
qui  potuto   il  nostro   Guglielmo  rappresentare.  Certo, 
rispose  egli,  l'avrei  potuto  :  ma,  a  dir  vero,  non  l'ho 
voluto  :  che,  come  ho  detto  altra  volta,  a  me  basta 
(  salvo  il  poco  che  può  saperne  un  artista  )  a  me  basta 
solo  di   mostrare   le  più  celebri  rinomanze   della  na- 
zione.  Così  fra'chirurgi,  che  succedono  agli  anatomi- 
ci, non  vedrete  pure  che  i  più  nominati  :    ancorché 
per  tutti  potesse  bastare  il  solo  immortale  Scarpa.  E 
chi  hai  tu  posto  della  eccellente  schiera,  diss'io  ?  Per- 
ciocché non  riconosco    fra   essi  che  il  Vacca  Berlin- 
ghieri  ,  il  Palletta  ,  il  Monteggia  e  il  Flaiani  :  e  se 
pure  non   erro,  il  Forlenzi  che  forse  delle  mirabili  sue 
operazioni  degli  occhi  parmi  che    ragionar    vorrebbe 
coli' assalirli,  se  noi  vedesse  più  attento  alle  dotte  au- 
dacie dell'Atti,  che  anche  gli  parla  dell'operarsi  che 
fece  di  recare  a  maggior  perfezione  la  sua  celebre   for- 
bice. Or  bene,  riprese  Guglielmo  :  attendete  più  oltre, 
e  sì  vedrete   Cesare  Magati,  a  cui  ne  pure  il  Portai 
ha  potuto   toglier  l'onore  d'  essere  stato  il  restaurato- 
re della  vera  chirurgia  in  Europa  :  benché  prima  di 
lui  abbia  avuto  l'Italia  (  e  mirateli  al  fianco  suo  )  que* 
padri  antichissimi  e  benemeriti  che  furono  Guglielmo 
da  Saliceto  e  Lanfranco  da  Milano  ;  ed  indi  Giovan- 
ni de  Romani  e  Mariano   Santo,  de' quali  è  disputa 
ancora  a  chi  debba  assegnarsi  il  merito  di  aver   in- 
ventato il  grande  apparecchio  :  quantunque  al  De  Ro- 
mani tutti  concedano  1'  invenzione    dello   sciringone 
scanellato  e  della  tanaglia  :  ed  indi  il  Ferro,  che  ci 
diede  poi  l'alto  apparecchio;  ed  il  Tagliacozzi  il  qua- 


L*  ILLUSTRE    ITALIA.  2,^7 

le  perfezionò  quell'  italiano  trovato  del  secolo  XV 
(  non  so  se  del  Vioneo  o  del  Branca  )  di  rifare  perfet- 
tamente qualunque  parte  del  volto  a  chi  per  male 
l'avesse  perduta.  E  doveva  io  poi  tralasciare  il  Polo- 
ni inventore  dell'apparecchio  laterale,  insegnato  da  lui 
medesimo  a  frate  Giacomo,  che  ne  portò  la  notizia  in 
Francia  ?  Doveva  tralasciare  il  Ciucci,  a  cui  il  fran- 
cese Civiale  involò  al  tutto  l'invenzione  della  tenacula, 
o  sia  pinzetta  a  tre  hranche  ,  per  l'operazione  della 
litotrizia  ?  Oh  oh,  diss'io,  ancor  questo  furto  !  E  l'ar- 
tista :  Si,  ancor  questo  furto  :  e  hasla  a  chiarirsene 
il  veder  l'opera  dei  Ciucci  stampata  nel  milleseicento 
settantanove.  Donde  non  pur  evidente,  ma  irrepugna- 
bile si  fa  la  prova,  che  l'estrazione  della  pietra  senza 
usare  il  taglio  deesi  all'Italia,  anziché  alla  Baviera  o 
alla  Francia:  come  ultimamente  ha  preso  a  mostrare 
un  tenerissimo  della  patria,  il  professor  Cittadini  di 
Arezzo.  Doveva  tralasciare  il  Severino  ,  il  Da  Vigo, 
il  Guattani,  il  Molinelli,  il  Brambilla,  il  Bertrandi,  il 
Nannoni,  il  Sisco  e  quel  principe  de'litotomi  di  Eu- 
ropa Francesco  Paiola  ?  Tralasciare  infine  i  valentis- 
simi ostetrici  Reyneri  ed  Asdruhali  ? 

Intanto  che  ciò  ragionava,  volgevasi  a  noi  l'arte- 
fice p.er  intendere  il  parere  di  ambedue.  Perchè  il  gio- 
vane amico  nostro  :  Caro  Guglielmo,  disse,  mi  darai 
licenza  che  io  ti  parli  colla  franchezza  di  chi  t'ama  ed 
onora  ?  Anzi  le  ne  prego,  rispose  Guglielmo  :  e  tanto 
più  di  cuore,  quanto  che  vorrei  che  mi  facessi  accorto 
di  alcun  errore.  E  Fernando  :  Tu  m'hai  mostrato  fin 
qui  tanti  sommi  :  e  di  due  soli  non  ho  ancora  né 
udito  il  nome,  ne  veduto  i  sembianti  :  cioè  di  San- 
torio  Santorio  e  di  Gianalfonso  Borelli.  Io  non  te  li  ho 
mostrati  finora,  riprese  Guglielmo,  perchè  ho  stimato 
G.A.T.LXXXVIII.  17 


258  Letteratura 

la  statica  animale,  di  cui  que'due  furono  fondatori,  po- 
ter essere  quasi  nodo  che  stringa  nel  mio  disegno  le 
scienze  mediche  alle  matematiche.  Ma  vedili  1'  uno 
e  l'altro  star  come  nel  mezzo  appunto  fra  i  medici  e 
i  matematici. 

Allora  io  :  Quanta  diversità  di  fortuna  fra  que- 
sti due  italiani  !  Ecco  là  il  Sanlorio  ,  che  ricevuto 
in  grazia  da  una  possente  repubblica,  ebbe  agi  d'ogni 
maniera,  e  stipendi  larghissimi  e  protezioni  per  illu- 
strare tranquillamente  se  stesso  e  la  scienza  !  Ed  ec- 
co il  Borelli,  mente  forse  più  acuta,  andar  per  Ita- 
lia quasi  sempre  ramingo,  e  pasciuto  di  sole  sterili 
onorificenze  :  poi  esule  da  Messina,  sua  seconda  pa- 
tria, finire  i  suoi  giorni  in  Roma  raccolto  dalla  mi- 
sericordia de'padri  delle  scuole  pie,  che  oggi  tanto  si 
onorano  delle  sue  ceneri  !  E  d'  onde  provenne  mai  , 
disse  Fernando,  quell'esilio  suo  da  Messina  ?  Proven- 
ne, io  risposi,  dalla  maledetta  fidanza  che  gl'italiani 
hanno  sempre  avuto  nelle  armi  forestiere  per  mutar 
signore  sotto  nome  di  libertà.  Insorsero  i  messinesi 
nel  milleseicento  settantaquattro  contro  agli  spagnuoli, 
i  quali  dominando  l'isola  di  Sicilia  avevano  con  gio- 
go di  ferro  abusata  la  pazienza  pubblica  ,  e  violala 
superbamente  ogni  franchigia.  Fomentava  quella  com- 
mozione Luigi  XIV:  e  tale  sicurtà,  secondo  il  solito, 
aveva  egli  dato  della  sua  fede  in  proteggerla  ,  che  i 
messinesi  in  quella  gran  fiamma  d'ira  contra  l'autori- 
tà di  Carlo  II,  e  in  quelle  tribolazioni  in  cui  si  tro- 
vavano di  estrema  carestia,  lo  elessero  re  di  Sicilia. 
Ed  infatti  parve  in  sui  primi  che  all'  ambizione  ed 
avidità  di  Luigi  piacesse  assai  di  assicurarsi  la  bel- 
la preda  :  sicché  avendo  presa  la  guerra  con  qual- 
che ardire,  le  sue  squadre  tennero  per  alcun  tempo 


l'  ILLC3TRE    ITALIA  2 59 

il  mare  in  favore  de'  siciliani  contra  tutte  le  forze 
della  Spagna  e  dell'Olanda  confederate.  Ma  non  tar- 
dò molto  il  francese  a  dimenticar  tutto  ,  e  prima  la 
regia  fede,  a  Nimega  :  là  dove  più  sollecito  di  se  stes- 
so ,  che  dell'  umanità  (  non  dico  della  sua  fama  )  , 
per  primo  patto  di  pace  stipulò  il  libero  abbandono 
di  Messina  alle  armi  spagnuole.  E  sì  che  Luigi  potè 
forse  a  Nimega  dirsi  l'unica  volta  veramente  grande 
ne'consigli  di  Europa  !  Ed  ecco  adunque  in  un  bel 
mattino  il  maresciallo  Lafeuillade,  governator  di  Mes- 
sina ,  improvvisamente  annunziare  ai  magistrati  del- 
la città  ,  com'  egli  con  tutte  le  soldatesche  francesi 
era  comandato  dal  suo  re  di  escire  della  Sicilia  nel 
termine  di  quattr'  ore  :  quindi  provvedesse  ognuno 
alla  propria  sicurezza.  Vedi  ,  o  Fernando  ,  come 
al  solo  ricordare  tanta  scelleratezza  ,  mi  tremano  e 
voce  e  polsi  ,  e  mi  si  rizzano  i  capelli  per  racca- 
priccio !  Sette  mila  sciagurati  corsero  subito  precipi- 
tosamente a  gittarsi  sulle  navi  del  maresciallo,  fra  le 
lagrime,  fra  i  singulti,  fra  le  grida,  fra  gli  ultimi  sa- 
luti che  allri  davano  alle  mogli  ed  ai  figli,  altri  al- 
le madri,  allri  infine  alla  patria  :  intantochè  due  al- 
tri mila,  a' quali  fu  anche  negata  quella  pietà,  inva- 
no stendevano  dalla  riva  le  braccia  per  esser  raccol- 
ti, Entrato  poco  dopo  il  pretore  di  Spagna,  alzò  in- 
contanente il  suo  tribunale:  e  tale  strage  commise  di 
chiunque  avesse  congiurato  per  1'  infedeltà  francese 
contra  la  potestà  spagnuola  ,  che  tra  per  gli  uccisi 
e  per  coloro  ch'ebbero  scampo  al  fuggire  ,  l' infelice 
Messina,  ch'era  in  fiore  di  ben  sessantamila  e  più  abi- 
tanti, fu  ridotta  ad  averne  appena  undici  mila.  Tra 
i  fuggiti  trovossi  il  Borelli,  che  dalla  cattedra  aveva 
in  quel  tumultuare  osato  dire  agli  alunni  qualche  pa- 


260  Letteratura 

fola  d'odio  conlia  il  principato  di  Carlo.  Impuden- 
tissimo, gridò  Guglielmo!  Ma  intanto,  ripigliò  Fer- 
nando, Luigi  XIV  il  magnifico  dovette  almeno  ai  mi- 
seri, che  aveva  il  maresciallo  condotti  seco,  mostra- 
re in  Francia  gli  effetti  della  sua  liberalità.  Il  ma- 
gnifico, soggiunsi  io,  fece  ai  miseri  la  grandissima  li- 
beralità di  gittar  loro  un  tozzo  e  pochi  soldi  per  un 
anno  e  mezzo  :  avendoli  prima  dispersi  per  tutte  le 
terre  del  regno.  Credette  poi  che  ciò  fosse  troppo  : 
e  tolto  loro  ogni  soccorso,  gli  obbligò  infine,  per  gra- 
dire alla  corona  di  Spagna,  a  partirsi  tutti  dagli  sla- 
ti francesi.  Veduto  avreste  allora  tanti  uomini  per 
gentilezza  di  sangue  ,  per  antiche  dovizie  e  per  di- 
gnità illustri  mendicare  sulle  pubbliche  vie  un  pane 
e  un  asilo  :  altri  stimare  più  ospitale  la  terra  decur- 
tili, e  colà  condursi  in  numero  di  forse  duemila:  ai- 
tri  da  ultimo  (e  furono  cinquecento),  presi  all'  esca 
delle  parole  ch'ebbero  in  apparenza  benigne  dall'  o- 
ralore  spaglinolo  a  Parigi,  ardire  di  far  ritorno  alla 
patria.  Ma  giunti  appena,  il  viceré  non  intese  far  gra- 
zia che  a  soli  quattro  fra  essi,  e  gli  altri  tutti  con- 
dannò al  capestro  od  al  remo.  Tal  fine  ebbe  quella 
fallace  intenzione  de'messinesi  di  rivoltare  lo  stato  ! 
Ma  il  riandare  le  nostre  sciagure  non  faccia  traviarmi 
più  oltre  :  e  piuttosto  ,  o  Fernando  ,  giacche  tu  se' 
ancor  giovanetto  ,  prendine  esempio,  e  registralo  fra 
i  cento  altri,  onci'  è  piena  l'istoria  patria.  E  qui 
tacqui. 

VII.  Oh  si  !  tolse  a  dire  Guglielmo  :  cessiamo 
questo  discorso,  e  la  tristezza  che  n'abbiamo  presa  si 
muti  in  letizia  all'  osservar  che  faremo  tante  altre 
sfolgorantissime  nostre  glorie  ,  le  quali  non  soggette 
a  legge  di  niuna  volontà  forestiera,   sono  e  saranno 


l'  ILLUSTRE    ITALIA  2G1 

sempre  patrimonio  eccelso  di  questa  comune  patria.  Vo- 
lete gloria  infatti  maggiore  della  geometria,  dell'idrauli- 
ca, della  meccanica,  dell'astronomia  italiana  ?  Ma  pri- 
ma levatevi  su  ed  inchinate  questo  gran  vecchio,  di  cui 
non  so  se  mai  altro  sorgesse  a  veder  tanto  nell'universo: 
intelletto  potentissimo,  che  siede  in  cima  qual  re  non 
pure  della  novella  fisica,  ma  d'ogni  parte  della  matema- 
tica. Egli  è  Galileo  Galilei  !  Egli  è  il  padre  veneran- 
do della  rinnovata  filosofia  !  E  guardate  come  :  Tutti 
Vammlran,  tutti  onor  gli  fanno  :  e  non  solo  i  mo- 
derni, ma  gli  antichissimi  ,  pregiandosi  di  tanto  po- 
stero. Imperocché  quelli  che  ivi  seduti,  con  sì  rive- 
rente affetto  se  l'hanno  recato  in  mezzo,  l'uno  è  Ti- 
meo da  Locri  ,  massimo  astronomo  ,  come  il  chia- 
ma Platone  :  anzi  principe  degli  astronomi  antichi, 
secondo  che  Porfirio  salutalo  :  e  miratelo  all'aspetto  e 
alle  vesti  palesare  la  nobiltà  della  sua  stirpe  e  la  sua 
ricchezza.  Gli  altri  due  sono  Archita  da  Taranto  ed 
Archimede  da  Siracusa,  che  tennero  un  egual  seg- 
gio nel  regno  della  meccanica  :  e  il  quinto  è  Iceta, 
di  cui  afferma  il  Bailly,  niuna  cosa  più  diligente  aver 
saputo  dire  il  Copernico  sul  moversi  della  terra.  Ha 
in  mano  Archita  quella  tal  lettera  che  gli  scrisse  Pla- 
tone e  che  ci  ha  conservata  Laerzio  :  ed  Archimede 
posa  l'un  de'piè  sopra  una  bianca  pietra,  ov'è  dise- 
gnata la  celebre  figura  della  proporzione  del  cilindro 
colla  sfera  :  cosa  di  che  pare  il  sommo  siracusano 
essersi  compiaciuto  più  d'ogni  altro  suo  ritrovato,  se 
ordinò  che  fino  fosse  scolpita  sul  suo  sepolcro  ,  con 
quella  stessa  amorosa  sollecitudine  onde  scolpita  fu 
Antigone  sul  sepolcro  di  Sofocle.  Egli  è  quasi,  come 
vedete,  sull'inchinarsi   per  delineare  col  dito  sopra  la 


362  Letteratura 

polvere  alcuna  figura  geometrica,  secondo  die  usava 
fare  sovente,  se  Plutarco  ci  narra  il  vero  :  non  po- 
tendo qui  delinearla  sulle  sue  carni  medesime,  umi- 
de di  unguenti,  com'era  pur  solito  nell'uscir  del  ba- 
gno. Ma,  disse  Fernando,  è  propriamente  sua  quell' 
effigie  ?  E  l'artista  :  Io  mi  son  valuto  di  una  meda- 
glia che  così  il  Gronovio  come  l'Avercampio  suppo- 
nevano aver  l'immagine  di  Archimede,  e  che  dal  mu- 
seo del  principe  di  Butera  pubblicò  il  Partita.  Ma  non 
se  ne  persuase  il  giudizio  del  gran  Visconti  nell'ico- 
nografia greca  :  al  quale  non  parve  meno  da  dubita- 
re del  bassorilievo  del  museo  capitolino. 

Intanto  chi  poteva  io  porre  vicini  al  Galilei  se  non 
il  Sarpi  suo  famoso  amico,  ed  il  caro  e  fedel  discepolo 
Vincenzo  Viviani?  Ed  ho  fatto  appunto  che  dal  Viviani 
al  suo  maestro  presentisi  Giuseppe  Luigi  Lagrange,  il 
maggior  matematico  de'nostri  tempi:  il  quale  con  amore 
stendendo  al  Galilei  la  mano,  protestasi  d'aver  gra- 
zie al  suo  gran  principio  delle  velocità  virtuali,  s'egli 
ebbe  aperto  sì  largo  campo  a  dedurne,  siccome  fece, 
tutta  la  meccanica  de'corpi  solidi  e  de'fluidi.  Da  lato 
al  torinese  abbia  poi  i  vostri  sguardi  Bonaventura  Ca- 
valieri, l'autore  del  metodo  degl'indivisibili:  che  lieto 
di  quell'atto  di  gratitudine  affettuosa  verso  il  sapiente, 
accennalo  al  Comandino  :  a  cui  sembra  però  esser  più 
caro  il  contemplare  Archimede.  Ma  di  niente  altro  di- 
reste vaghi,  che  solo  di  conversare  fra  loro,  quei  tre 
che  indi  vi  si  mostrano  alquanto  più  indietro.  Rara 
e  fortunata  famiglia  !  E  già  credo  che  conosciate  chi 
sono.  Sono,  diss'  io  ,  i  Riccati  :  e  quegli  è  Iacopo  , 
che  co'due  figli  Vincenzo  e  Giordano  va  certo  ricor- 
dando ciò  che  di  più  acuto  e  sublime   trovarono   in 


*.'  ILLUSTRE    ITALIA  2G3 

ogni  qualità  di  analisi.  E  il  Grandi  e  il  Fagnani  e 
il  Paoli  ,  posata  la  lettura  di  un'  opera  del  sommo 
Giovanni  Plana,  la  quale  quest'ultimo  recasi  in  ma- 
no, ve',  o  Fernando,  che  in  disparte  gli  osservano  : 
e  comechè  desiderosi  di  trarsi  più  innanzi,  pare  che 
tuttavia  non  ardiscano,  quasi  temano  di  turbare  quel- 
la contentezza  domestica. 

Tal  è  stato  appunto,  continuò  Guglielmo,  l'avviso 
mio  :  e  piacemi  d'  averlo  esposto  con  quella  facili  là, 
che  vi  ha  reso  agevole,  come  veggo,  d'intenderlo  sì 
chiaramente.  Non  so  però  se  per  quest'altro  gruppo  m 
arriderà  la  fortuna  medesima.  Imperocché  ho  immagi- 
nato qui  un'adunanza  de'primi  fra'nostri  algebristi,  do- 
po l'immenso  Lagrange:  ho  figurato  cioè  il  conventuale 
Paccioli  che  primo  fu  in  Europa  a  risolvere  le  equa- 
zioni del  secondo  grado,  il  Tartaglia  che  pure  il  pri- 
mo ci  porse  la  soluzione  di  quelle  del  terzo,  e  Lodo- 
vico Ferrari  che  in  fine  antivenne  tutti  nello  sciogliere 
le  altre  del  quarto.  Ed  essi  sono  intorno  al  Rufini,  d'au- 
torità famosa,  a  lui  chiedendo  se  alcuno  in  queste  su- 
blimità sia  passato  più  oltre.  «  No,  Paolo  risponde 
loi'o  :  la  scienza  sta  tuttavia  in  Europa  dove  gl'italiani 
l'hanno  lasciata  :  ne  io  ho  potuto  lodar  la  prova,  che 
a  sciogliere  le  equazioni  del  quinto  grado  fecero  pur 
due  valenti,  il  Casella  e  il  Malfatti.  E  che  non  male 
io  mi  apponessi,  ne  sia  qua  il  giudizio  al  Fergola  ed 
al  Frullani.  »  E  Fernando  :  Chiaro  qui  pure  è  il  tuo 
concetto:  e  forse  il  sarà  maggiormente,  se  allato  al 
Rufini  porrai  anche  il  Cossali  e  il  Franchini,  altri  in- 
signi maestri,  oltreché  istorici  dell'algebra  :  e  se  un 
luogo  altresì  concederai  a  Leonardo  da  Pisa,  sì  bene- 
merito della  scienza  pe'numeri  volgarmente  chiamati 
arabici,  che  nel  secolo  decimoterzo  recò  in  Italia  dall' 


264  Letteratura 

Affrica.  Oli  sì,  rispose  Guglielmo  :  e  veramente  fallo 
che  non  sieno  qui  lutti  e  tre!  E  ti  ringrazio,  carissimo, 
di  avermene  avvisato.  Ma  tri  non  mi  dicesti  una  volta, 
o  Betti,  di  aver  conosciuto  il  Brunacci  ?  Si  certo,  io 
risposi,  il  conobbi  quand'egli,  come  avvertii  d'Antonio 
Testa,  percorreva  con  ufficio  pubblico  le  provinole  del 
regno  italico  :  e  mi  ricordo  ancora  di  quella  sua  bella 
persona  e  di  quella  gentile  favella.  Or  eccolo  là  :  e 
par  mi,  se  non  m'appongo,  di  non  so  che  querelarsi.  E 
Guglielmo:  Querelasi  del  matematico  Diot,  che  noi 
milleseltecento  novantotto  si  appropriò  come  sua  la 
soluzione  delle  equazioni  a  differenze  finite  a  coeffi- 
cienti variabili  del  second'ordine,  benché  l'avesse  già 
egli  non  pur  trovata,  ma  pubblicata  fin  dal  milleselte- 
cento novantuno.  E  quelli,  ond'  è  attorniato  ,  sono 
Gregorio  Fontana,  il  Canterzani,  il  Pessuti  ,  il  Sa- 
ladini,  il  Venturi  e  l'amico  suo  Mascheroni  ;  che  di 
ben  altro  furto  straniero,  rispondegli,  mi  dolgo  io,  cioè 
delle  note  al  calcolo  differenziale  di  Eulero  !  Se  non 
che  con  quella  soavità  d'animo,  che  tanto  illustroila  in 
vita,  vedete  metter  parole  di  conforto  fra  loro  l'esimia 
autrice  delle  instituzioni  analitiche  Maria  Gaetana 
Agnesi:  la  quale  di  tutti  lodandosi,  parimente  lodasi 
della  Francia,  che  per  l'accademia  delle  scienze  fece 
della  sua  opera  un  sì  splendido  elogio,  e  pel  Bossut 
la  tradusse:  né  manca  di  ricordar  l'onore,  con  che  sul- 
le rive  della  Senna  ultimamente  fu  accolto  Gugliel- 
mo Libri,  geometra  eccellentissimo,  e  dato  per  suc- 
cessore nell'università  di  Parigi  al  Legendre  :  intan- 
to che  Pellegrino  Rossi,  gran  maestro  di  ragion  pub- 
blica, veniva  eletto  a  sedere  co'pari  del  regno.  Don- 
na rara  ,  sclamò  Fernando,  ed  intelletto  a  chi  non 
so  quale    altro  per  altezza  eli  meditazione   possa   nel 


l'  ILLUSTRE    ITALIA  265 

suo  sesso  uguagliarsi!  E  tu  attendi,  o  Guglielmo,  a 
ritirarla  per  modo  che  dimostri  in  tutto  la  singolare 
sua  religione  e  modestia.  Così  farò,  soggiunse  l'arte- 
fice :  e  porrò  in  questa  figura  uno  studio  particolare: 
sicché  ne  tu  né  il  bel  sesso  troviate  poi  di  che  la- 
mentarvi. 

Ma  seguitiamo  di  grazia  :  e  chieggasi  all'Europa 
intera  s'  ella  ha  uomini  maggiori  di  questi  da  porre 
allato  al  Keplero  ed  al  Newton.  Dico  di  Giandome- 
nico Cassini  e  di  Giuseppe  Piazzi,  i  nomi  de'  quali 
congiunti  con  quello  del  Galilei  dureranno  immor- 
tali fra  i  grandissimi  conquistatori  del  cielo.  Accan- 
to al  Cassini  è  il  suo  scolare  e  nipote  Maraldi  :  ne 
vi  avreste  desiderato  l'amico  Francesco  Bianchini,  se 
una  svia  maggior  gloria  non  mi  avesse  consigliato  a 
porlo  fra  gl'istorici:  siccome  quegli  che  da'simholi  de- 
gli antichi  osò  dedurre  una  istoria  universale,  di  cui 
1'  Italia  (  il  vero  dice  Ugo  Foscolo  !  )  non  seppe  in 
cent'  anni  ne  profittare  ne  gloriarsi,  ma  che  fu  seme 
in  terra  straniera  ad  una  troppo  famosa  opera.  Dal 
Piazzi  è  poco  lungi  1'  Oriani  ,  che  in  quel  conver- 
sare tiene  per  mano  il  suo  caro  De-Cesaris,  il  qua- 
le vedete  volto  amorevolmente  al  Gagnoli  ed  al  Reg- 
gio. E  tu  pur  grande  ,  diss'  io  ,  o  virtuoso  Oriani  ! 
Sì  che  già  ringraziai  di  cuore  Vincenzo  Monti  di 
quello  che  nella  sua  celebre  orazione,  umiliando 
l'arroganza  di  un  Lalande,  disse  di  te  e  del  Piazzi: 
che  avrebbe  cioè  mandato  all'insolente  francese  le  pia- 
nelle di  ambidue,  perchè  ben  dovesse  considerarle  pri- 
ma di  parlare  o  scrivere  de'matematici  dell'Italia.  Pia- 
cquemi  anche  in  te  quell'altezza  d'animo  e  gratitudine 
così  degna  di  un  sapiente  :  che  richiesto  da  coloro  , 
che  in  que'tempi  reggevano  a  repubblica  la  Lombardia, 


a66  Letteratura 

di  dover  dare  come  professore  di  Brera  il  giuramento  di 
odiare  i  re,  ti  levasti  con  indignazione  e  rispondesti: 
«  Una  regia  benignità  averti  sollevato  dal  volgo  de- 
gli uomini:  non  saper  comprendere  come  ad  osser- 
vare le  stelle  fosse  bisogno  di  giurar  odio  ai  re.  » 
Ne  giurasti.  Or  lascia,  m'interruppe  Fernando,  lascia 
ch'io  meglio  contempli  il  volto  di  questo  savio,  che 
in  mezzo  alla  comune  viltà  ebbe  animo  cosi  franco, 
in  mezzo  all'ingratitudine  fu  si  grato  ,  e  veramente 
fu  libero  in  mezzo  a  quel  nuovo  servaggio.  Deh  per- 
chè sì  rari  ci  dà  il  mondo  gli  esempi  di  tali  uomi- 
ni che  all'utile  antepongano  volentieri  l'onore,  lave- 
rà vita  de'grandi  popoli  !  Così  Fernando  diceva  con 
bellissimo  sentimento  di  carità  patria.  Ond'io  ripresi: 
Ma  il  Reggio,  o  Guglielmo,  ha  tal  vicino  ch'io  ben 
conobbi  non  solo  ,  ma  tanto  ammirai  ed  amai  per 
quella  sua  bontà  piuttosto  maravigliosa  che  grande  , 
e  per  la  eccellente  dottrina  che  ornavalo  in  ogni  ma- 
niera di  scienze  e  di  lettere.  No,  eh'  io  non  m' in- 
ganno :  egli  è  Domenico  Testa  :  e  dal  suo  libro  che 
ha  in  mano  intorno  a'zodiaci,  già  immagino  eh'  egli 
narri  all'amico  gli  strani  vaneggiamenti  di  alcuni  fi- 
losofi di  là  da'monti  sull'antichità  de'zodiaei  di  En- 
ne e  di  Dendera.  Non  doveva,  rispose  Guglielmo,  non 
doveva  io  dunque  qui  ritrarre  un  dottissimo,  a  cui  an- 
zi la  modestia,  che  l'ufficio  che  tenne  alla  corte  di 
quattro  papi,  vietò  di  prender  seggio  fra'primi  ?  Un 
dottissimo,  che  com'ebbe  la  dignità,  così  pur  ebbe  la 
mente  di  Francesco  Bianchini  ? 

Volgetevi  ora  a  quegli  altri  che  seguono  :  e  so- 
no il  Riccioli,  il  Magini,  il  Montanari,  il  Marinoni: 
ne  vi  manca  il  Toaldo  ,  il  padre  della  meteorologia 
moderna,  non  altrimenti  che    il  fosse  Empedocle  del- 


l'  ILLUSTRE    ITALIA  267 

l'antica.  Se  pure  ,  diss'  io  ,  potrà  mai  la  meteorolo- 
gia innalzarsi  ad  altezza  alcuna  di  scienza  :  quistio- 
ne  che  appunto  crederei  aver  risoluta  in  contra- 
rio questo  benemerito  nostro.  Nondimeno,  continuò 
Guglielmo,  sarà  sempre  lode  al  Toaldo  di  aver  fatto 
nella  meteorologia  tutto  ciò  ch'era  mai  a  farsi  da  un 
fisico  e  da  un  astronomo  :  sicché  se  alcuno  vorrà 
quind'innanzi  provarsi  a  render  possibile  quello  che 
tu  ora  slimi  impossibile,  dovrà  di  là  incominciare  ove 
arrestossi  il  Toaldo. 

Gli  tien  presso  Luigi  Lili  :  e  miratelo  colà  se- 
duto ,  e  tutto  inteso  a  far  calcoli  matematici  ,  ed  a 
scriverli  in  un  suo  libro.  Ed  allato  ha  Ignazio  Danti, 
che  qui  pure  salutalo  novello  Sosigene,  avendo  il  Ca- 
labrese proposto  a  Gregorio  XIII  ciò  che  1'  egiziano 
propose  a  Cesare:  quella  riforma  del  calendario,  cnd'og- 
gi  governansi  l'Europa  civile  e  l'America,  anzi  tutta 
cristianità.  Eccetto  però  la  Russia,  ripigliò  Fernando: 
la  quale  di  una  disputa  religiosa  intende  ancor  fare 
una  contesa  di  fisica  e  di  astronomia  :  e  con  qual 
grido,  se  non  d'idiotaggine,  certo  di  ostinazione,  noi 
voglio  dire  !  Quasi  il  vero  de'movimenti  celesti  e  de' 
fenomeni  della  natura  non  possa  pe'seguaci  di  Fozio 
esser  più  vero  (  miseria  umana  !  )  quando  sia  trovato 
da  tale  ,  che  da  loro  discordi  in  alcuna  cosa  di  fe- 
de !  Così  per  sola  caparbietà  di  setta  l'impero  dei  czar 
rimansi  tuttavia  separalo  dalla  gran  famiglia  della  no- 
bile Europa  :  e  ciò  contra  1'  esempio  che  glie  ne  ha 
dato,  tardi  sì,  ma  pur  glie  ne  ha  dato  la  Gran  Bre- 
tagna. E  perchè  dunque  i  russi ,  soggiunse  Gugliel- 
mo, non  recansi  del  pari  ad  onta  di  usare  gli  occhia- 
li, e  non  hanno  ribrezzo  d'inforcarseli  al  naso,  essen- 
doché questo  Salvino  degli  Armati,  che  qui  vedete  e 


268  Letteratura 

che  fu  buon  cattolico,  gli  abbia  inventali  senza  volerne 
prima  chieder  licenza  al  patriarca  di  Mosca  ?  Guai  se 
in  Isacco  Newton  fossero  stali  sì  fatti  scrupoli  !  Che 
non  avrebbe  egli  così  studiato  negl'italiani,  come  stu- 
diò: e  soprattutto  nel  Galilei,  nel  Cavalieri  e  nel  Tor- 
ricelli :  anzi  in  questi  due  gesuiti,  che  qui  parimen- 
te scorgete,  il  Zucchi  e  il  Grimaldi.  Perciocché  non 
v'ha  dubbio,  che  dal  Grimaldi  non  togliesse  il  som- 
mo britanno  (  ne  già  egli  il  nega  )  quanto  scrisse  non 
pure  sulla  diffrazione  della  luce,  ma  sulla  dilatazio- 
ne de'  raggi  solari  nel  prisma  :  e  che  il  Zucchi  non 
gli  porgesse  il  primo  vero  concetto  del  suo  telescopio 
di  riflessione. 

Ed  io  :  Saviamente  hai  tu  chiamato,  Fernando, 
quella  protervia  de'russi  una  miseria  umana  :  di  che 
pur  troppo  non  sanno  abbastanza  guardarsi  ne  pure 
le  più  possenti  e  gloriose  nazioni,  com'è  certo  quel- 
la che  può  alla  terra  mostrare  il  gran  Pietro  e  Ca- 
terina seconda  !  Giovami  intanto  ,  o  Guglielmo  ,  fra 
questi  rinomati  ottici  vedere  anche  il  Maurolico  (  e 
potevasi  tralasciare  ?  )  che  fisico,  geometra  e  mecca- 
nico de'  primi  dell'  età  sua  ,  non  così  scoprì  1'  uso 
dell'umor  cristallino  nell'occhio,  che  tutto  non  avvi- 
sasse magistralmente  1'  artifìcio  della  visione  :  e  con 
esso  il  De-Dominis,  sì  benemerito  della  teorica  geo- 
metria dell'iride,  di  cui  scrisse  prima  assai  del  Car- 
tesio: il  quale,  non  volendo  certo  far  contra  ciò  che 
hanno  fatto  sì  spesso  gli  altri  filosofi  di  sua  nazio- 
ne, credette  meglio  di  neppur  nominarlo.  Ma  gran 
curiosità  moverà  in  tutti,  che  qui  guarderanno,  l' im- 
magine di  Giambatista  Porta  inventore  della  camera 
oscura,  senza  cui  non  avrebbe  certo  il  Daguerre  pen- 
sato mai  all'ingegno  mirabilissimo  di  quella  sua  mac- 


L'ILLUSTRE    ITALIA  269 

dimetta.  Or  non  avrai  tu,  disse  allora  Fernando,  non 
avrai  di  grazia,  o  Guglielmo,  uno  spazio  qui  intorno, 
che  possa    empirsi    delle    persone  di  quattro    artefici 
principalissimi  di  canocchiali  :    artefici   onde   tanto   si 
onora  non  pur  l'Italia,  ma  l'istoria  delle  scienze,  emu- 
li come  furono  di  questa  presente  gloria  di  Giamba- 
tisla  Amici  ?   Intendo  dire  del  Divini  ,  che  verso    la 
metà  del  seicento  ne  fabbricò  uno  diottrico  di  settan- 
tadue  palmi:  del  Campani,   da  cui  se  n'ebbe  un  al- 
tro di  duecento  e  dieci,  il  quale  fu  portento  a  quel 
tempo,  e  comperato  dal  re  di    Francia   valse    poi   al 
Cassini  le  sue  maggiori  scoperte  :  come  pur  dèi  Gual- 
tieri, che  uno  ce  ne  diede   catadiottrico  nel   milleot- 
tocento  undici,  e  più  grande  di  quello  dell'Herschel  : 
ed  infine  d'Alberto  Gatti,  teste  morto  fra   noi  pove- 
rissimo, benché  aprisse  nuove  vie  alla  perfezione  dell' 
ottica  ,  per  ispingere  (  come  diceva  lo   Scarpelhni  ) 
con  pia  potenza  lo   sguardo  nelV  immensità  dello 
spazio,  inventando  e  costruendo  per  uso  de'telescopi 
que'suoi  mirabili  riflettori  di  levigatissimo  marmo  ne- 
ro, o  tenario,  da  gareggiare  non  solo  co'metallici  del 
medesimo  liei  schei  ,  ma  da  superarli.  E  Guglielmo  : 
Povero  Gatti,  no  io  non  dimenticherò  ne  il  tuo  va- 
lore, ne  la  disagiata  vita  a  cui  la  sorte  ti  condannò 
fino  all'estrema   vecchiezza,  ne  la  tua  modestia  !  E  tu 
pure  starai  fra  questi  famosi,  ed  onorerai  tal  luogo, 
ove  certo  e  italiani  e  stranieri  trarranno  spesso  alla 
splendidezza  ed  al  nome  del  gentile  signore.   E  così 
mi  concedesse    fortuna   (  pur  mi   giova    ripeterlo  )   di 
non  mostrarmi  al  tutto  minore  dell'alta   impresa  !   Ne 
lascerò  indietro,   se  io  lo  possa   (  e  farò  di  poterlo  per 
quante  industrie  avrà  l'arte),  il  Divini,  il  Campani  e 
il  Gualtieri. 


0  Letteratura 

Ma  non  è  ella,   o   Fernando,  la  prospettiva  una 
parte  così  principale  dell'ottica,  che  non  dubitò  un 
nostro  grande  di  chiamarla  geometria  di  questa  scien- 
za ?  E  Fernando  :  Tal  è  veramente.  Or  credo,  con- 
tinuò Guglielmo  ,  di  aver  dunque  ben  fatto  a  porre 
qui  gl'italiani  che  con   maggior  fama  la  recarono   ad 
ammaestramento  di  Europa.  Senonchè  darò  solo  fra  essi 
i  tre  padri  verissimi  della  scienza,  che  non  dubito  es- 
sere stati  Pietro  della  Francesca  ,  il  quale    se    trattò 
innanzi  a  tutti  :  e  poi  Daniello  Barbaro  ,   che  d'  un 
passo  da  gigante  fece   avanzarla,  sottoponendola   alle 
regole  della  geometria  :  indi  l'onor  di  Pesaro,  l'amia 
co"  di  Galileo,  quel  Guidubaldo  del  Monte,  a  chi  fra 
le  altre  lodi  di  meccanico  sommo  e  d'inventore  degli 
orologi  solari  a  raggi  rifratti,  deesi  pur  quella  (  colla 
stessa  autorità  del  Montucla  )  d'essere  stato  il  più  so- 
lenne de'  veri  prospettici  onde  si  pregi  la   matema- 
tica :  a  lui  attribuendosi  l'aver  trovato  per   primo  il 
modo  di  prospettare  una  linea,  da  cui  poi  trasse  cosi 
agevolmente  le  maniere  diverse  di  mettere  in  prospet- 
tiva qualsiasi  punto.   Se  poi  avrò  luogo  che  basti,  vi 
porrò  anche  altri.    Che  invero  questa    parete  (  e  ne 
glorierò  l'Italia  )  mi  pare  ben  carica  :  e  si  che  anco- 
ra mi  resta  un'abbondanza  tale  di  cose,  che  non  solo 
non  vuoisi  lasciare  indietro  ,   ma  diremo  anzi  essere 
di  non  men  grande  che  principalissima  importanza. 
Vili.   Certo  un  assai  decoroso   spazio  m'è  forza 
lasciare  all'idraulica,  ch'è  tutta  pianta  del  terren  no- 
stro scientifico,  da  niuno.  grazie  a  Dio,   contrastata- 
ci :  qui  avendo  avuta  le  prime  sue  leggi ,  qui  i  più 
celebrati  maestri.  Veramente  avrei  potuto  spedirmene 
co'soli  due  padri  grandissimi  della  scienza,  il  Castel- 
li ed  il  Guglielmini.  Ma  essi  ebbero  cotal  seguito  di 


L    ILLUSTRE    ITALIA  2J  l 

rinomatissimi,  che  qui  ognuno  ne  cercherà  le  immi- 
gini,  ognuno  con  desiderio  vorrà  vederle.  E  però  se 
chiederassi  dei  due  Manfredi  (Eustachio  e  Gabriello), 
io  qua  mostrerolli  a  fianco  del  Guglielmiui  loro  con- 
cittadino, maestro  ed  amico.  Se  del  Michetini,  del  Po- 
leni,  del  Zendrini,  del  Michelotti  :  eccoli  là  ,  dirò  , 
che  attendono  ciò  che  ragiona  loro  quel  Bartolomeo 
Ferracino,  il  quale  a  nessuno  sì  degli  antichi  e  sì  de' 
moderni  fu  secondo  nell'architettura  idraulica. Oh  certo 
stupendo  ingegno  e  mente  creatrice  !  Alla  descrizio- 
ne delle  cui  macchine,  di  sì  maravigliosa  invenzione, 
hanno  pur  mente  il  Bonati  e  il  Ximenes  :  mentre  al 
Lorgna  fanno  il  Regi,  l'Avanzini,  il  Bidone  le  più  ca- 
re congratulazioni  per  la  palestra  che  aprì  sì  nobile 
alle  nostre  scienze  fondando  la  società  de'quaranta  ita- 
liani. Ravvisate  indi  da  presso  il  Lecchi,  che  il  suo 
libro  dell'idrostatica  mostra  al  Perelli  e  al  Fantoni:  i 
quali  stupiscono  d'ammirazione  al  magistero,  onde  il 
sagacissimo  gesuita  arginò  il  Po  e  fece  entrarlo  nel 
Reno, 

Quanto  in  fine  a' meccanici  ,  il  mancar  qui  il 
Galilei,  il  Torricelli,  il  Lagrange,  che  ne  furono  prin- 
cipi, e  che  altrove  ho  dovuto  porre,  farà  parer  forse 
agl'indotti,  che  l'Italia  non  abbia  saputo  serbare  l'ere- 
dità di  Archita  e  di  Archimede.  Ma  i  pratici  della 
scienza  ne  rideranno.  Intanto  ne  avete  qui  alquanti, 
e  di  rara  eccellenza  :  Muzio  Oddi,  Angelo  Marchet- 
ti, Gianantonio  Stancari,  Eustachio  Zanotti ,  Maria- 
no Fontana  :  a'quali  i  posteri  (  e  sia  ben  tardi  )  por- 
ranno allato  questo  nostro  venerando  Giuseppe  Ven- 
turoli.  Né  vi  desiderate  Giuseppe  Torelli  :  a  cui  dee 
l'Europa  la  diligcntissima  delle  traduzioni  latine  non 
che  delle  sposizioni  di  Archimede  ,    insieme   coi  co- 


272  Letteratura 

menti  di  Eutocio  ascalonita  ,  la  quale  dopo  la  sua 
morte  fu  pubblicala  in  Oxford.  E  volete  sapere,  se 
mai  di  sembianze  non  li  conosceste  ,  chi  son  questi 
altri  ?  Sono  essi  Gaspare  Nardi  ed  Aristotele  Fiora- 
vanti, che  nel  millequaltrocento  cinquantacinque  tra- 
sportarono co'loro  ingegni  dall'uà  luogo  all'altro  in 
Bologna  la  così  detta  torre  della  magione,  alta  ottanta 
piedi:  e  quegli  che  segue  è  il  Zabaglia,  l'allievo  porten- 
toso della  natura,  che  de'  suoi  ritrovati,  così  rozzo  ed 
a  caso  come  fu  sempre,  è  in  ragionamento  con  Picco- 
la Fortis  e  con  Giuseppe  Morosi  :  indi  è  Giovanni 
Dondi,  l'autore  dello  stupendo  orologio,  che  poi  die 
il  nome  alla  sua  famiglia.  E  sì  che  non  meno  d'ogni 
altra  piaceravvi  di  contemplare  l'immagine  di  Giovan- 
ni Branca  da  Santangelo  nel  pesarese  !  Imperocché  fu 
egli  che  primo  lento  la  grand'esperienza  di  applicare, 
siccome  forza  motrice,  la  potenza  del  vapore  dell'acqua 
all'  uso  della  meccanica.  Tìtolo  immenso  alla  bene- 
merenza di  un  secolo,  che  per  tale  sperienza  ha  ve- 
duto sì  grande  e  subila  trasformazione  in  ogni  parte 
della  meccanica,  della  navigazione,  della  statica,  del 
commercio,  anzi  dirò  meglio  di  tutte  le  arti  :  titolo 
che  a  questo  poderoso  ingegno  italiano  già  concedo- 
no i  posteri  anche  oltremonte,  più  non  potendo  ne- 
garsi fede  al  testimonio  della  sua  opera  sulle  macchi- 
ne stampata  in  Boma,  se  la  memoria  non  fallami  , 
nel  milleseicento  ventinove. 

Qui  Guglielmo  tacevasi  :  ed  io  sorto  in  piedi  , 
pregai  l'artista  ed  il  giovine  amico  a  ricrearsi  alquan- 
to e  darsi  sollievo,  prima  di  ripigliare  il  discorso  sul- 
l'altra parte  dell'  opera  :  avendo  intanto  ordinato  al 
servo  che  ci  confortasse  un  poco  di  qualche  con- 
fetto o  bevanda. 


L'ILLUSTRE    ITALIA  273 

DIALOGO  TERZO. 

I.  Quando  appresso  quel  riposarci  tornammo  di 
nuovo  ad  osservar  l'opera  del  nostro  artista  :   Che  è 
questo,  gridò  ammirato  Fernando  !  Tu  da  tanta  pace 
scientifica,  o  se  vogliamo  dire,  da  un  nobil  dramma, 
fai  repentinamente  passarci  ad    una    tragedia  :    tante 
armi  io   veggo   e   tanta    faccia  di    guerra  !    Ne   trage- 
dia ne  guerra  avremo,  rispose  Guglielmo:  perchè  san- 
gue non  si  verserà  :  molto  meno  si  porrà  nessuno,  lo- 
dato Dio,  al  fil  della  spada   ed   al  disonore  :  e  salvo 
un  poco  di  sdegno   (effetto  di  questi  animi  pieni  di 
patria  e  di  ardire  )    tu,  Betti,  potrai  lieto   e  tranquil- 
lo rimanertene  in  casa,  e  noi  alle  nostre  tornarcene 
non  pur  senza  orrore,  ma  parimente  tranquilli  e  lie- 
ti. Ho  qui  posto,  come  già  v'  è  chiaro,  i  più  eccel- 
lenti e  famosi  capitani  d' Italia  :  stimando   essere  an- 
ch'essa la  milizia  una  grande  scienza,   ed  avere  nelle 
matematiche  il  suo  principalissimo  fondamento.  Anzi 
pur  nella  fisica  ,  diss'io  :   e  soprattutto  poi  nell'  isto- 
ria. E  Platone,   che   tanto  le  concedette    ne'libri  del- 
la repubblica,  l'annoverò  fra  le   filosofiche.    E    certo 
beatissimi  dirò  gli  stati ,    ove  a  chi  ha  in    mano    la 
spada    è    pur  sempre  in  mente  di  non  avere    perciò 
spogliata  la  qualità  d'  uomo   e  di   cittadino  !    Fortu- 
nati i  popoli,  che  strascinati  a  guerre  disastrosissime, 
delle  cui  cagioni  sono  spesso  innocenti,  e  più  spesso 
ignari,  trovano  ne'vincitori  la  mansuetudine  e  l'uma- 
nità !  Il  che  daremo  a  Platone,  che  sia  effetto    pre- 
clarissimo  della  filosofia  ;  s'egli  però  non  ci  neghi  che 
anche  v'abbia  gran  parte  la  religione. 

Ma  tu,  ripigliò  Fernando  ,  ci  mostri   qui    vera- 
G.A.TXXXXVI1I.  18 


2  74  L    E    Y    T    S    R    A    T    U    R   A 

mente  tulli  i  sommi  grandi  guerrieri?  Tutti  que'gi- 
ganti,  non   già  della  favola  greca,  ma  dell'  istoria  di 
una  eia  immortale  ?  Tu  qui  troverai,  rispose  Gugliel- 
mo, i  soli  uomini  più  famosi  che  fecero  esperimento 
del  valore  italiano,  non  già  distruggendosi  fra  loro  , 
ina  sì  combattendo  contra  1'  armi    straniere.    Donde 
comprendete,  amici,  ch'io  mi  son  passato  di  tutti  que* 
capitani  di  ventura,  che  nell'età  di  mezzo,  senza  niun 
ordine  di  vera  milizia,  furono  vergogna  e  flagello  del- 
le città  italiane.   Sciagurati  !    Che  altro   non   fecero  , 
che    sventuratamente    mostrare  il  vigore  del   petto  e 
del  braccio   (  e  spesso  con  quella   maschia    gagliardia 
degli  antichi  )   in   mezzo  le  furie  di  una  continua  e 
gran  sedizione  !  Egregiamente,  diss'io.  Lasciamo  pure 
ad  una  selvaggia  letteratura  il  narrare,  non  che  quel- 
le civili  abbominazioni,  ma  quel  ludibrio  di  pensieri 
e  di  cose   (  che  dico  narrare,  quando  dovrei  dir    ce- 
lebrare ?  )   si  lasciamo  narrarle    e  celebrarle  a  coloro, 
cui   tanto  gode  1'  animo  di  rimestare  le  patrie    brut- 
ture:  aitando  gl'italiani,  dimentichi  affatto   del  mag- 
gior grido  che   vada  per  l'universo,  a  tal  si  ridussero 
che  la  servitù  sdegnando,  né  sapendo  tollerare  la  li- 
bertà (la  libertà  cioè  delle  leggi  e  della  ragione  che  a 
nessun  consente  d'essere  impunemente  vizioso),  si  ge- 
larono con  vili  armi  a  dilaniarsi  a  vicenda,  quasi  non 
fossero   più  nati  d'un  sangue.  E  pure  il  nome  della  re- 
gina delle  nazioni  viveva  allora,  siccome  vive  oggidì  ! 
E  pure  avevamo  fuggita  quell'ultima  umiliazione,  che 
già  ebbero  a  sostenere  da'f ranchi  la  Gallia,  dagli  an- 
gli la  Britannia,  la  Pannonia  dagli  unni  :  quando  su- 
perbissimi vincitori  ,    perduta   in  tutto  la  ricordanza 
della  romana  benignità,  rapirono  per  fino  a  quelle  in- 
felici rejrioui  l'antico   nome  degli  avi  !   Sì,  o  Gugliel- 


L'ILLUSTRE    ITALIA  87$ 

mo  :  siano  come  morii  alla  memoria  nostra  coloro  , 
ch'ebbero  per  morta  l'Italia  !  SI  la  vergogna  de'  po- 
steri e  la  maledizione  dell'Alighieri  ricoprano,  non  so- 
lo quelle  sempre  cadenti  e  risorgenti  tirannidi  ,  ma 
e  l'insolenza  e  la  beffa  di  quelle  repubbliche,  che  in 
tante  atrocità  d'odi  precipitarono  la  patria  :  e  che  in 
tutto  orgogliose  ,  salvo  nel  parlar  dell'  Italia  (  alte- 
rezza di  que' famosi  antichi  ),  non  pare  che  avessero 
altro  fine ,  se  non  ardendo  e  guastando  rompere  af- 
fatto il  gran  vincolo  ,  che  tien  salda  ogni  nazione 
perchè  non  precipiti  e  non  si  dissolva  !  Oh  per  quan- 
ti e  quanti  secoli  aiTestaron  coloro  il  risorgere  di 
questa  novella  luce  di  civiltà  ! 

Ma  furono  pure,  disse  Fernando  ,  furono  pure 
que'tempi  in  Italia.  Sì  certo  furono  ,  continuai  :  ed 
è  ciò  grande  onta  per  uomini,  che  fra  quanti  fiori- 
rono sulla  terra  erano  saliti  ad  altezza  sì  memorabi- 
le. Ma  perchè  cancellarsi  non  possono,  vorremo  noi 
compiacercene,  ed  antipodi  ad  un'età  imperatrice,  in 
cui  fummo  i  primi  e  potentissimi  di  tutte  le  genti  ? 
Né  mai  contra  la  riverenza  degli  avi  finiremo  di  ri- 
cantarci ,  che  indi  per  molti  secoli  ,  sfolgorati  dalla 
fortuna  ad  esser  preda  d'ogni  generazione  di  barbari, 
cademmo  così  d'animo  e  di  virtù,  che  il  nostro  va- 
lore non  fu  quasi  più  altro  che  una  rabbia  di  met- 
terci l'un  l'altro  il  coltello  al  petto  gridando  :  «  Di 
chi  vuoi  tu  essere  schiavo  !  »  Oh,  dunque,  ripigliò 
Fernando,  stimi  tu  dunque  essere  stata  una  gran  di- 
versità fra  quelle  nostre  guerre  de'tempi  di  mezzo,  e 
le  altre  che  in  questo  suolo  medesimo  combatterono 
gli  antichi  romani  !  Non  erano  del  pari  italiani  e  gli 
ernici,  e  i  latini,  e  i  volsci,  e  i  sanniti,  e  gli  etru- 
sci  ?  Non  erano  italiani  que'di  Taranto  e  di  Siracu- 


2-jG  Letteratura 

sa  ?  Erano,  io  risposi,  italiani  :  ma  tanta  diversità  cor- 
se ira  le  une  e  le  altre  guerre,  o  Fernando,  quanto 
dalla  parte  de'romani  fu  grande  il  pensiero  di  voler 
que'piccoli  stati  ,  quasi  membra  sparse  di  un  corpo 
medesimo  ,  ricoti  giungere  insieme  a  formarne  un  po- 
polo che  slesse  invittissimo  con  tra  ogni  barbaro  :  e 
quanto,  dalla  parie  delle  signorie  e  delle  repubbliche 
del  medio  evo,  fu  malvagio  il  consiglio  di  voler  anzi 
rompere  violentemente  sì  magnanima  unione,  per  ces- 
sare, se  fosse  stato  possibile,  ogni  nome  ed  autorità 
di  nazione.  Ed  a  che  altro  infatti  mirarono  costan- 
temente, se  non  al  nobilissimo  fine  di  un  impero  ila- 
lieo,  tutti  i  gloriosi  sforzi  di  Roma,  dopo  ch'ebbe  ve- 
duto lo  strazio  che  di  se  slesse  facevano  quelle  om- 
bre di  libertà  plebee,  quinci  tiranneggiate  dai  Fala- 
ridi,  dai  Dionigi,  dai  Geronimi,  quindi  oppresse  dai 
Calippi,  dagli  Agatocli,  dagli  Aristodemi  :  e,  quel  eh' 
è  più,  messe  al  giogo  or  dai  fenici  e  dai  greci  ,  or 
dai  cartaginesi  e  dai  galli  ?  Sicché  può  tenersi  per 
cosa  certa,  che  ove  quell'alto  pensiero  fosse  manca- 
to, sarebbe  stata  al  tutto  perduta  l'Italia.  E  puoi  di 
grazia  tu  dirmi  a  qual  segno  precisamente  tirassero 
gli  uomini  di  stato  e  di  guerra  de'secoli  di  mezzo  , 
là  dove  niuno  di  que'  governi  vedemmo  fermi  giam- 
mai in  un  medesimo  politico  proponimento  ?  Là 
dove  capitani  e  soldati  non  d'altro  più  si  mostraron 
solleciti,  che  di  vendere  le  loro  spade  ed  i  loro  sde- 
gni a  chi  meglio  offerisse  ,  oggi  per  danaro  combat- 
tendo colui,  che  altresì  per  danaro  avevano  difeso  ieri  ? 
Imperocché  chiederei  se  questo  appunto  non  fecero  i 
Malatesti,  i  Bracci,  i  Piccinini,  gli  Sforza,  i  Gatta- 
melata,  i  Baglioni,  i  Vitelli,  per  tacere  di  quanti  al- 
tri furono  veri  obbrobrii  di  una  onorata  milizia,  eia 


l'iU.USTRE    ITALIA  277 

sì  turpemente  vituperarono  l'arte  teste  restaurata  (e  non 
senza  alcuna  virtù)  per  Alberico  Balbiano.  E  cbe  si 
ciancia  di  servii  condizione  ?  Perchè  anzi  non  lodasi 
quella  romana  o  generosità  o  sapienza,  che  a  tutti  la- 
sciò libere  le  proprie  leggi,  e  primo  ai  municipii  d'I- 
talia, da'quali  altro  non  volle  che  le  spade  per  tute- 
lare   la  patria  ? 

Mi  chiedi  qual'eravi  diversità?  La  diversità  e' è 
abbastanza  mostrata  da  ciò  cbe  poi  n'è  seguito  :  im- 
perocché le  guerre  romane  partorirono  la  libertà  in 
casa  e  la  nostra  grandezza  per  1'  universo  :  mentre 
quelle  de'secoli  barbali  altro  effetto  non  ebbero  che 
la  necessità  del  servaggio  e  l'umiliazione.  Oh  siati  in 
mente,  o  Fernando  ,  che  le  brutture  de'  popoli  non 
traggono  diversa  cagione  da  quelle  degli  uomini  :  cioè 
dall'abbandono  che  si  è  fatto  della  virtù  !  E  virtù  ab- 
bandonarono i  nostri  italiani  del  medio  evo  :  i  qua- 
li inetti  a  levarsi  a  niun  grande  concetto  antico,  non 
solo  in  quel  perpetuo  contrastarsi  non  ebbero  alcun 
pensiero  di  patria  e  di  onore,  ma  sì  non  cercarono 
altro  che  di  sfogare  nel  sangue  l'insolente  loro  am- 
bizione :  d'ogni  affetto  umano,  dirò  così,  non  conser- 
vando quasi  più  che  lo  sdegno.  E  che  ?  Oserei  trop- 
po affermando  ,  che  mai  fra  que'  feroci  non  alzossi 
squillo  di  tomba,  che  non  fosse  per  provocarsi  l'un 
l'altro  cittadino  alla  sconfìtta  e  alla  morte  ?  Indi  gior- 
ni d'iniquità  seguiti  da  giorni  d'iniquità  :  indi  dispe- 
razioni codarde  di  vinti,  tripudi  lagrimevoli  di  vin- 
citori. E  sì  che  forse  cessarono  ,  o  non  piuttosto  si 
accrebbero  sciaguratamente  le  nostre  ire  dopo  la  pa- 
ce che  s'ebbe  a  Costanza,  quando  pareva  appunto  che 
Italia,  ornai  libera  da  Federico,  dovesse  tutta  in  una 
gran  volontà  riunirsi  e   rifiorire  di  concordia  e  di  for- 


278  Letteratura 

za  ?  Bene,  o  Guglielmo  ,  bai  chiamato  quell'eia  una 
continua  e  gran  sedizione  !  Una  sedizione,  fra  le  cui 
fiamme  tutto  in  Italia  fu  rissa  ed  insidia  ed  arme  di 
provincie  contro  provincie,  di  città  contro  città,  an- 
zi di  padri  contro  figli,  di  fratelli  contro  fratelli  !  Una 
sedizione,  che  senza  niun  prò  (  e  poteva  averne  la 
bassezza  od  atrocità  di  quel  vivere  ?  )  scelleratamen- 
te ci  bruttò  il  ferro  così  a  Montaperti  come  a  Cam- 
paldino,  così  alla  Meloria  come  a  Chioggia  ,  così  a 
Maclò  come  a  Caravaggio,  ed  a  quante  altre  batta- 
glie da  mani  italiane  fa  sparso  il  sangue  italiano  !  E 
v'ha  pur  peggio  :  che  di  quelle  esequie  tristissime  del- 
la patria,  uomini  di  corrottissimo  animo  si  facevano 
pompa  ed  onore,  anzi  non  arrossivano  di  ricever  pre- 
mi da  chi  anche  non  arrossiva  di  darli  ! 

Veramente,  disse  Guglielmo  ,  spaventosa  imma- 
gine, ma  pur  troppo  vera,  delle  nostre  sciagure  !  E 
durò  tanti  secoli  !  Là  dove  quella  delle  discordie  de' 
tempi  romani  (  che  destino  dell'umana  natura  non  è 
l'esser  perfetto  )  appena  bastò  il  corso  della  vita  di 
un  uomo.  Ed  aggiungi,  io  ripigliai,  che  se  per  quelle 
terribili  gare  di  Siila  e  di  Mario,  di  Cesare  e  di  Pom- 
peo, d'Augusto  e  d'Antonio  ,  e  s'altre  mai  ve  ne  fu- 
rono ,  dovemmo  sovente  raccapricciarci,  mai  non  do- 
vemmo arrossir  di  vergogna.  Dividevansi,  è  vero,  con 
avversa  volontà  i  cittadini,  mai  però  non  si  spegneva 
la  patria  :  solo  ella  pendeva  incerta  a  qual  de'  suoi 
figli  dovesse  commettere  l'autorità  di  guidare  le  sue 
aquile  alla  vittoria  e  di  reggere  cotanto  impero.  Deh, 
amici ,  deh  onorevole  e  grato  vi  sia  di  richiamare 
spesso  alla  memoria  de'posteri  la  dignità  di  que' tem- 
pi (  ne  per  questo  siate  sì  cattivi  filosofi,  che  ravvi- 
sar non  vogliate  la  necessità  delle  seguenti  fortune, 


~— ~"l  fc>  ILLUSTRE   ITALIA  279 

alla  cui  potenza  non  fu  mai  ch'uomo  savio  ricusasse 
di  sottomettersi  )  :  la  dignità,  dissi,  di  que' tempi  in 
cui  il  nome  di  romano  s'ebbe  al  mondo  piuttosto 
per  quello  di  una  specie  umana ,  che  di  un  gran 
popolo  !  In  cui  quegli  uomini  sommamente  uomini 
posero  il  fondamento  a  tutte  le  civiltà  de'secoli  colle 
lor  leggi  !  In  cui  sul  campidoglio  stava  la  potestà 
della  terra  ,  che  imponeva  il  nostro  volere  ,  e  dava 
e  toglieva  i  re  alle  nazioni  !  In  cui  la  patria  due 
suoi  cittadini  chiamava  col  titolo  d'affricani,  uno  con 
quello  d'  asiatico  :  e  chi  di  ci'etico  ,  di  acaico  ,  di 
macedonico  :  e  citi  d'isaurico,  di  dalmatico  ,  di  nu- 
midico  !  In  cui  non  pur  la  Spagna,  la  Britannia,  la 
Germania,  la  Gallia,  ma  sì  gl'imperi  di  Sesostri  ,  di 
Ciro  e  di  Alessandro  non  furon  più  che  nostre  Pro- 
vincie !  In  cui  infine  levato  in  ammirazione  potè  Ovi- 
dio  cantare  ,  che  allorché  Giove  dall'  alto  inchinava 
lo  sguardo  alla  terra,  altro  non  trovava  a  dover  tu- 
telare che  non  fosse  romano  ! 

Tacevami  ciò  detto  :  timoroso  di  abusare  più  ol- 
tre la  bontà  dell'  uno  e  dell'  altro  amico.  Ma  sor- 
to ad  abbracciarmi  Fernando  :  Sì  ,  sì ,  gridò  ,  io  ti 
do  fede  non  solo  di  riandar  sovente  quel  tempo,  ma 
sì  di  non  voler  d'altro  parlare  a'miei  figli,  se  mai  io 
n'abbia  ,  ed  ai  figli  de'miei  figli ,  s'io  pur  li  vegga  ! 
Tolga  Dio  che  perciò  intenda  sediziosamente  incita- 
re que'teneri  animi  contra  i  legittimi  principati  ,  ai 
quali  è  poi  piaciuto  alla  provvidenza  di  affidarci  in 
governo  !  Ma  certo  è  che  dovendo  loro  porgere  uno 
specchio  di  nazional  dignità  e  grandezza, li  trarrò  ad  am- 
mirare il  bellissimo  dell'età  romana,  anziché  l'altro  sì 
rugginoso  che  ci  vien  proposto  da  questi  gretti  magni- 
ficatori  del  medio  evo,  i  quali  non  rifinano  di  dirci: 


280  Letteratura 

«  Studiate  in  que'feudi,  in  quelle  repubbliche,  d'onde 
ci  derivò  quest'orditi  civile.  »  Stoltissimi  !  Da  que'feudi 
e  da  quelle  repubbliche  (  meglio  chiamarle  tirannie  e 
licenze  )  non  altro  ci  derivò  che  il  rossore  :  il  quale 
come  infine  ci  potemmo  torre  dal  volto,  se  non  ap- 
punto dimenticando  ciò  che  per  otto  e  più  secoli  si 
era  fatto  e  pensato  da  un'ignoranza  che  fino  andò  umi- 
liandosi alle  balordaggini  boriose  degli  arabi  ?  Certo, 
o  Betti,  se  io  a'miei  figli  e  nipoti  potrò  mai  narra- 
re i  falli  di  quell'  età  ,  il  farò  solo  per  ammaestrarli 
come  niun'  altezza  è  così  sublime  ,  che  le  fazioni  e 
V  ignavia  non  facciano  precipitarla  :  e  per  indurli  a 
benedire  il  cielo,  che  ci  dà  vivere  finalmente  in  un 
secolo,  in  cui  niun  male  può  esser  mai  tanto  gran- 
de ,  che  incomparabilmente  noi  passi  quella  vecchia 
fierezza  di  non  avere  avuto  più  sacro,  in  questo  suolo 
medesimo,  niun  vincolo  di  sangue  e  di  cittadino. 

Allora  Guglielmo  :  Or  pensi  tu  dunque,  o  Betti, 
che  di  nessuno  spirito  di  gloria  possiamo  noi  conso- 
larci fra  quelle  viltà  ?  Ed  io  :  Consoliamoci  (  perchè 
non  credasi  la  virtù  italiana  potersi  mai  al  tutto  spe- 
gnere )  consoliamoci  pure,  che  ben  si  conviene,  nelle 
imprese  magnanime  di  Gregorio  VII  e  d'Innocenzo  III, 
gl'italici  massimi  di  quell'età  :  andiamo  a  venerare  le 
ossa  di  Giovanni  Vili,  che  a  Carlo  il  calvo  impera- 
dore,  il  quale  chiedeva  sfatichi  della  fedeltà  nostra, 
alteramente  rispose:  «  Non  esser  mai  nato  sotto  il  cie- 
lo romano  chi  desse  in  ostaggio  i  suoi  figli:  »  non  che 
di  Alessandro  III  (del  gran  Bandinelli)  per  la  cui  sacra 
mente  fu  abolita  la  schiavitù.  Parla  loro  di  Farinata 
degli  Uberti,  che  alla  sua  patria,  a  Firenze  bellissi- 
ma, riparò  il  danno  di  dover  essere  diroccata  e  abbat- 
tuta :  ma  non  dire  chi  erano  i  malvagi  che  sofferse- 


L'ILLUSTRE    ITALIA  28l 

to  di  congiurarsi  a  tanta  scelleratezza.  Parla  loro  de' 
prodigi  di  fortezza  e  di  amor  patrio,  onde  Ancona  si 
rese  mirabile  all'assedio,  di  cui  la  cinse  il  gran  can- 
celliere dell'imperador  Federico   Barbarossa,  ministro 
così   empio    come    il  suo   principe  :  ma  non  dire  che 
il  senato  veneto  non  vergognossi  di  aggiungere  le  sue 
nobili  armi  alle   barbare  per  oppugnare  e  distruggere 
(  se  stato  fosse  possibile  )  una  sì  fiorente  città  d'Ita- 
lia. Parla  loro  del  popolo  di  Siena,  quando  condotto 
da  Matteino  Menzano  levossi  fieramente  a  difendere 
la  sua  libertà  contra  l'imperador  Carlo  IV,  il  quale, 
con  estrema  onta  violando  la   santità  dell'ospizio,  fu 
audace  d'escire  in  piazza  co' Suoi  baroni  ed  armati  a 
combattere  i  cittadini  :  senonchè  preso,  rinchiuso,  tre- 
mante, non  dovette  ad  altro  la  vita  che  alla  grandez- 
za d'animo  de'vincitori.  Parla  loro  di  Costanza  figliuo- 
la del  re  Manfredi,  e  spdsa  di  Pietro  d'Aragona,  la 
quale  avendo    avuto  in  mano   Carlo  II  d'Angiò,  e  po- 
tendo pubblicamente  spegnerlo  per  vendetta  di  Corra- 
dino   (  com'era  la  sentenza  de" giudici),  virtuosissima  lo 
salvò  ,  mostrando  quanto  un  cuore  italiano  vincesse 
in  generosità  un  malvagio  Angioino.  E  se  ciò  non  ba- 
sta, recali  a  baciar  le  zolle  de'campi  di  Legnano,  ad 
onorar  le  mura  dell'abadia  di  Pontidio,  ad  ammirare 
a  Venezia,  a  Genova,  a  Pisa  i  trofei,  non  de'propri 
fratelli,  ma  de'barbari  così  dell'oriente  come  dell'oc- 
cidente. 

Fine  però  al  ragionare  più  oltre  di  un  tema,  in- 
torno a  cui  ogni  più  tardo  ingegno,  se  lo  scaldi  una 
sola  favilla  di  virtù  e  di  patria,  diverrebbe  faeondo: 
e  piuttosto,  o  Guglielmo,  giacche  questo  bel  sole  di 
aprile  invitaci  ornai  ad  andare  per  qualche  villa  a  di- 
porto, entraci  a  dichiarare  il   disegno    di  questa,   che 


282  Letteratura 

non  tragedia  chiamerò  eoll'amico  nostro,  ma  forse  non 
male  una  specie  di  epopea.  Son  pronto,  rispose  Gu- 
glielmo: ed  oli  s'io  desidero  che  qui  più  che  altrove  il 
mio  lavoro  ritragga  degli  affetti  arditi  e  gagliardi  e 
della  maestà  del  subietto!  Perchè  quanto  so  caramente 
vi  prego  di  non  essermi  scarsi  della  vostra  attenzione, 
e  soprattutto  di  franche  correzioni  e  di  avvisi. 

IL  Ponete  mente  per  prima  cosa  a  quel  grup- 
po, intorno  a  cui  confesserò  d'essermi  adoperato  con 
più  particolare  studio  ed  amore.  Quegli  (  e  chi  noi 
conosce  ?)  è  Napoleone,  che  in  piedi,  e  l'una  mano 
avendo  posata  sul  destro  braccio  di  Andrea  Massena 
(  che  appunto  suo  destro  braccio  soleva  egli  chiama- 
re questo  immortai  guerriero,  quando  non  chiamava- 
lo  figlio  della  vittoria  )  narra  come  ancor  giovanetto 
e  di  piccola  condizione,  dataglisi  grande  ogni  cosa  , 
si  cinse  la  corona  dell'impero  francese  e  del  regno 
italico  :  e  come  fattosi  capitano  non  pur  degli  eserci- 
ti di  Francia  e  d'Italia,  ma  e  di  quelli  di  Polonia  , 
d'Olanda,  e  di  gran  parte  della  Germania,  tutto  fio- 
re sceltissimo  di  combattenti,  recò  per  Europa  sì  fat- 
tamente il  terrore  della  sua  possanza  ,  che  potè  dir- 
si niun  altro,  dopo  que' gloriosi  greci  e  romani,  aver 
combattuto  battaglie  più  sanguinose  :  niuno  dopo  Au- 
gusto avere  avuto  in  mano  con  maggiore  arbitrio  le 
sorti  delle  nazioni  e  dei  re.  Vantinsi  pure  Alessan- 
dro di  Arbella,  Scipione  di  Zama,  Cesare  di  Farsa- 
glia  :  ed  egli  si  vanterà  di  Marengo  e  di  Austerliz- 
za.  Il  riguardano  quasi  immoti  ,  tutto  ponendogli 
mente,  e  il  vincitore  de'cartaginesi  ad  Imera,  e  Dio- 
ne, e  Coriolano,  e  Sertorio  ,  pieni  l'animo  di  tante 
stupende  imprese.  Mentre  allato  al  Massena,  in  vari 
atti  di  maraviglia  ,  ma  lieti   principalmente   che  ita- 


l'  ILLUSTRE    ITALIA  283 

liano,  per  svia  virtù,  sia  il  ricordo  de' più  splendidi 
fatti  delle  armi  francesi  ,  vedete  qua  Luigi  Gonzaga 
duca  di  ISevers,  e  Tommaso  di  Savoia  che  succedette 
al  Condè  nella  dignità  di  gran  maestro  di  Francia  : 
là  i  due  Trivulzi,  il  Caraccioli,  lo  Strozzi,  l'Ornano 
ed  il  Concini, che  nostri  concittadini  come  fu  il  sommo 
nizzardo  ,  tennero  parimente  sugli  eserciti  di  quel  re- 
gno nome  e  potere  di  marescialli  :  e  più  addietro  , 
ma  per  valore  principalissimi,  Lorenzo  Orsini  signor 
di  Ceri  e  Giovanni  de'  Medici  capitano  delle  hande 
nere.  Ne  ho  voluto  passarmi  di  Sforza  Sforza  conte 
di  Santafiora,  che  condottiero  delle  milizie  ecclesia- 
stiche, e  animosissimo,  fu  autor  principale  della  vit- 
toria che  Carlo  IX  ebbe  sull'ammiraglio  di  Colignì  a 
JVIontcontour. 

Ma  Cesare  dittatore,  che  gravemente  innanzi  a 
Napoleone  è  seduto  con  M.  Antonio  accanto  ,  ap- 
piè della  statua  di  Quirino,  osservate  come  ha  volto 
il  guardo  a  Camillo  che  gli  sta  presso:  presi  ambi- 
due  da  sdegno  che  un  uomo  italiano,  spogliata  tutta 
Italia  de'suoi  più  belli  e  ricchi  ornamenti,  osasse  far 
serva  la  loro  Roma,  comechè  per  brevissimi  anni,  ai 
discendenti  di  Brenno  e  di  Vercingentorige.  Del  quale 
sdegno  entra  altresì  partecipe  Vespasiano  ,  che  poco 
lungi,  seduto  anch'esso  a'fianchi  di  Galha,  di  Pertinace, 
di  Gordiano  terzo  e  di  Tacito  augusti,  ben  è  memo- 
re di  quel  vilissimo  Giulio  Sabino,  che  sì  orgoglioso 
andava  per  tutta  Gallia  colla  porpora  de'  cesari  in- 
dosso, vantandosi  dell'esser  giaciuta  col  dittatore  l'a- 
vola sua,  e  di  quella  sozzura  nato  suo  padre.  Né  fre- 
mono d'ira  minore  ,  quinci  Cincinnato  e  Curio  e  i 
Deci,  quindi  Papirio  Cursore  e  il  distruttor  di  Car- 
tagine e  il  vincitore  di  Perseo  :  e  soprattutto  quella 


284  Lbtteratura 

grande  spada  della  repubblica  Claudio  Marcello,  che 
ancor  gloriasi  a  Fabio  Massimo  ed  a  Flaminino  di  re- 
care appese  ad  un'  asta  le  spoglie  di  Viridomaro  :  e 
Manlio  Torquato  che  ,  avendone  in  vista  cotal  di- 
letto Valerio  Corvino,  con  gioia  così  feroce  guardasi 
al  petto  la  collana  da  lui  tolta  all'  abbattuto  gallo. 
Deh  pur  così,  come  sembra  che  queste  cose  mi  ap- 
proviate, avess'io  bene  espresso  colà  l'incorrotto  ani- 
mo di  Fabrizio,  e  seco  insieme  e  Lutazio,  e  Levino, 
e  gli  eroi  del  Metauro,  e  Mummio,  ed  Appio  Clau- 
dio Caudiee  ,  che  ha  presso  a  se  Calatino  in  quel!' 
atto  che  vedete  di  rendere  ancor  mercè  alla  sublime 
fortezza  del  suo  tribuno  Calpurnio  !  A'quali  intendo 
che  Regolo,  con  un  gesto  d'orrore,  compiangasi  de' 
tempi  così  mutati:  che  là  dove  egli  con  tanta  magna- 
nimità sostenne  anzi  morire,  che  vedere  sciolte  sen- 
za prò  di  Roma  le  sue  catene,  oggi  anche  ne' gran- 
dissimi (come  fu  certo  quest'  uomo  di  Corsica)  non 
viva  più,  salvo  in  cose  inette,  una  scintilla  non  dico 
di  carità,  ma  d'onore  di  patria  !  Sicché  il  maggiore  Af- 
fricano,  già  raccoltasi  sulle  spalle  la  toga,  è  per  al- 
zarsi a  dimandargli  ragione,  come  con  opera  sì  perver- 
sa abbia  potuto  macchiare  cotanta  sua  gloria.  Ma  trat- 
tenuto è  da  Mario,  così  rabbuffato  ed  irsuto  com'è, 
secondo  il  ritratto  che  ce  ne  fa  Velleio;  e  quasi  al- 
legro in  cuore  che  sole  non  si  narrino  ornai  le  sven- 
ture sue  sulle  ruine  di  Cartagine,  essendo  venute  a 
pareggiarle  quelle  di  Napoleone  sugli  scogli  di  Sant' 
Elena.  «Ed  ob  ben  gli  sta,  esclama  d'altra  parte  Lucullo 
ai  due  grandi  Metelli,  ben  gli  sta  se  dato  essendosi 
agli  stranieri,  dagli  stranieri  n'abbia  avuto  quella  meri- 
to !  Sebbene  poi  con  tardo  ravvedimento,  dopo  essersi 
tutto  perduto  il  prezzo  delle  sue  vittorie,  se  ne  sie- 


L.*  ILLUSTRE    ITALIA  fl85 

no  dall'inimico  implorate  le  ceneri.  »  Che  pensi  Cor- 
nelio Siila,  lascio  che  meglio  s'immagini  :  il  quale 
del  sinistro  braccio  fattosi  al  mento  colonna,  è  anzi 
immerso  in  profonde  considerazioni  :  benché  Pompeo 
non  so  qual  parola  gli  sussurri  all'orecchio.  Atto  cui 
bene  considera  Alessandro  Verri,  che  in  disparte  ritrat- 
tosi, è  qui  pure  osservatore  attentissimo  di  ciò  che 
valga  a  rammentargli  alcun  fatto  famoso  di  que'romani. 
Oh  Germanico,  disse  allora  Fernando  !  Come  hai 
perduta,  o  Germanico,  quella  dolcezza  e  serenità  di 
viso ,  che  coli'  odio  di  Tiberio  ti  valse  l'amore  degli 
uomini  !  E  tu,  Agrippa,  e  tu,  Corbulone,  come  com- 
mossi avete  que'vostri  aspetti  severi  anche  a  maggio- 
re severità  !  E  dico  di  te  il  medesimo,  o  Petilio  Ce- 
nale :  e  di  te,  fortissimo  Dillio  Vocula  ,  che  volesti 
anzi  cadere  sotto  il  ferro  di  un  traditore,  che  inchi- 
nare la  romana  tua  fronte  dinanzi  a  barbara  potestà: 
e  gridasti  alle  legioni  quelle  sì  generose  parole  :  «  Non 
fate  dire  (  uso  un  passo  di  Tacito  volgarizzato  dal 
Davanzati  )  non  fate  dire  per  tutto  il  mondo  sì  mo- 
struosa cosa  ,  che  voi  siate  cagnotti  di  Civile  e  di 
Classico  ad  assalire  Italia  !  E  se  germani  e  galli  vi 
condurranno  alle  mura  di  Roma,  vostra  patria,  com- 
battere tele  voi  ?  Mi  raccapriccio  a  pensarvi  !  Farete 
per  Tutore  treviro  le  sentinelle  ?  Daravvi  un  batavo 
il  segno  della  battaglia  ?  Rifornirete  le  schiere  de'ger- 
mani  ?  »  Ed  io  :  Nobile  ,  grave  ,  e  vivace  del  pari 
sembrami,  o  Guglielmo,  fin  qui,  non  che  degnissima 
d  italiano,  tutta  questa  immaginazione.  Imperocché  a 
Napoleone  non  togli  (  siccom'è  il  vezzo  di  alcuni  pic- 
coli spiriti  )  ciò  che  nella  memoria  de'posteri  il  farà 
sempre  di  fama  chiarissima  :  lasciando  anche  stare 
l'aver  in  Francia  con  senno  veramente  italico  cessa- 


2BG  Letteratura 

ta  quella  furia  d'atrocità,  che  per  tanto  tempo  segre- 
gò una  sì  nobi!  nazione  dall'umanità  piuttosto  che  dal- 
la civiltà  di  Europa:  ma  solo  con  austera  giustizia  non 
vuoi  reputargli  in  lode  (  e  chi  l'ardirà  in  Italia?  )  ciò 
che  quell'  alto  vedere  di  capitano  e  quegli  animi  e 
concetti  regi  vituperò,  così  dinanzi  a  questi  suoi  con- 
cittadini, come  nella  coscienza  d'ogn"  uomo  religioso 
e  gentile. 

III.  Né  qui  ha  fine,  seguitò  l'artefice,  il  richia- 
marsi de'nostri  :  ma  perciocché  Napoleone  anche  in 
altre  cose  non  meno  gravi  fece  fallo  alla  rettitudine 
e  grandezza  sua,  sebbene  poi  tardi  se  ne  pentisse  » 
mirate  qua  nuova  scena.  Ecco  Emmanuel  Filiberto  , 
il  vincitore  di  s.  Quintino,  che  ristrettosi  col  suo  Eu- 
genio, appena  sa  porger  fede  al  l'acconto  che  un  ita- 
liano così  abusasse  il  favore  della  fortuna  ,  che  in- 
sieme colla  patria  volesse  abbassare  le  loro  stirpi  rea- 
li fino  a'  piò  di  coloro  ,  che  ancor  tremano  il  no- 
me della  casa  di  Savoia,  posti  in  rotta,  siccome  fu- 
rono ,  in  tante  battaglie  e  dispersi.  «  Torino  dive- 
nuta città  di  Francia  !  E  per  cui  opera,  dice  Euge- 
nio ?  Non  già  di  Filippo  d'Orleans  o  de'  marescialli 
Marsin  e  Lafeuillade,  de'quali  sotto  quelle  mura  io  vi- 
di il  dorso  alia  memorabil  giornata  degli  otto  di  set- 
tembre. Non  già  dei  Calinat,  dei  Villeroi,  dei  Vii— 
lars,  dei  Vendome,  ch'io  pur  disfeci.  Ed  oh  fossi  giun- 
to per  tempo  a  Denain  !  »  E  venuta  pure  città  di 
Francia  la  mia  nobile  Parma,  grida  Alessandro  Far- 
nese, colle  mani  coprendosi  il  viso  per  la  vergogna  ! 
E  non  già  per  le  armi  di  quell'  Enrico  IV,  che  mi 
chiamò  il  maggior  capitano  del  secolo,  e  che  io  scac- 
ciai dall'assedio  di  Parigi  e  di  Rouen.  «  Anzi  la  stes- 
sa tua  casa  d'Este  ,  o  mio  prode  e  magnifico  Fraa- 


L"  ILLUSTRE    ITALIA  387 

cesco  primo,  la  stessa  gloriosa  tua  casa  andò  esule  da 
una  terra,  che  d'ogni  bellezza  d'arti  adornò  e  d'ogni 
gravità  di  sapere  !   esclama  Raimondo   Montecuccoli. 
E  non  già  pel  Turrena,  a  cui  dopo  l'immortal   con- 
flitto di   san  Gottardo  io  tenni  fronte  per  modo,  che 
ancor  fra'posteri  pende  incerto  il  giudizio  a  qual  si 
debba  di  noi  un  più  bello  alloro.    »    Ma  più  d'ogni 
altro  non  che  turbato,  ma  preso  da  un  religioso  rac- 
capriccio vi  si  presenta  Marc' Antonio  Colonna,  il  guer- 
rier  delle  Echinadi,  che  piissimo  innalza  gli  occhi  e 
le  mani  a  pregare  il  cielo,  che    ad  uomo   di  sì  pre- 
stante valore  perdoni  clemente  l'ingratitudine  e  i  tan- 
ti oltraggi  ,  onde    ahi   troppo   macchiossi  verso   1'  uf- 
ficio santo  e  la  veneranda    canizie  di  Pio  VII  !   Se- 
nonchè  con  diverso  animo,  e  quasi  ardendo  negli  sguar- 
di ferocemente,  il  rimirano  e  Bartolomeo  Colleoni  e 
Prospero   Colonna  e  Ferdinando   Davalos,  gli  eroi  del 
Bosco,  di  Milano  e  di  Pavia.  Ne   serbano  altro   con- 
tegno Gian  Iacopo  Medici  marchese   di    Marignano, 
e  più  Francesco    Gonzaga  :  il   quale   al  venturier  te- 
merario che  mosse  a  volerci  opprimere  ,    confidando 
nelle  discordie  nostre  e  nella  perfidia  di  un  Lodovico 
Sforza,  anziché  nelle  proprie  armi,  fece  parer  fortu- 
na l'essersi  potuto  aprire  a  Fornovo  un  varco  dispe- 
rato al  ritorno  ed  alle  sue  antiche  libidini  :  dopo  a- 
vere  però  cosi  al  Taro  come  a  Rapallo  dovuto   ren- 
derci a  forza  tutte  le  sue  rapine,  non  pur  d'oro  e  di 
bronzo,  ma,  come  dice  il  Bembo  ,  d' innocenti  fan- 
ciulle e  fin  di  vergini  a  Dio  consacrate.    Tornarono 
però  quelle  armi,    soggiunse  Fernando,  e  conquista- 
rono nuovamente  il  regno  di   Napoli.  Tornarono,  ri- 
spose Guglielmo,  ma  non  per  proprio  valore  :  sì  be- 
ne per  tradimento  di  quel  doppissimo  animo  di  Jfer- 


2fift  Letteratura 

limando  di  Spagna,  il  quale  inviò  il  Consalvo  ad  aia 
tare  L'impresa,  con  accordo  però  che  dovesse  fra  i  due 
re  partirsi  il  dominio  dell'  infelice  paese.  Or  poco 
durò  quel  patto  :  né  mollo  si  stette  dalla  contesa  a 
venire  al  sangue  :  ed  essendo  quindi  mestieri  che  ad 
uno  de' contendenti  fosse  pur  forza  di  soggiacere,  que- 
sto, siccome  sempre  è  stato  in  Italia,  toccò  a'francesi. 
Vero  è  che  se  insoffribile  fu  chi  n'andò,  chi  rimase 
non  fu  migliore  di  lui  :  salvo  l'essere  men  rotto  alle 
ingiurie  ed  all'arroganza. 

IV.  Qui  diss'io  :  E  quegli  chi  è  che  sì  venera- 
bile in  vista,  bianco  delle  chiome,  e  pressoché  cieco, 
è  in  quell'atto  generosissimo  di  mutare  giovanilmente 
i  passi  col  vessillo  di  san  Marco  in  mano  ?  Noi  co- 
nosci, rispose  Guglielmo  ?  E  pur  famosissima  è  la  sua 
immagine.  Enrico  Dandolo  egli  è,  che  ancor  si  ricor- 
da di  aver  vecchio  di  ben  novanlaquattr'anni,  ma  tut- 
to caldo  di  spirili  di  fede^  e  di  patria,  piantato  il  pri- 
mo quella  gloriosa  insegna  sulle  mura  di  Costanti- 
nopoli. E  negli  altri,  che  intorno  gli  fanno  corona, 
riconoscete  Francesco  Morosini  peloponnensiaco  ed 
Angelo  Emo,  stupefatti  (  come  con  ogni  industria  farò 
che  palesino  ai  lor  sembianti  )  stupefatti,  dico,  che  il 
veneto  leone  abbia  così  cessato  dopo  tredici  secoli  di 
ruggire.  E  sì  che  a  crederlo  ha  duopo  di  quasi  tut- 
ta l'autorità  dell'istoria  Sebastiano  Ziani,  che  tratti  a 
se  Pietro  Orseolo  ed  il  vincitore  di  Tiro  Domenico 
Michiel  ,  mostra  loro  con  onesta  alterezza  l'  anello 
dell'  oro  ,  onde  Alessandro  III  pontefice  privi legiol- 
lo  di  sposar  l' Adriatico  ,  allorché  fu  alfine  costretta 
l'imperiale  superbia  di  Eederico  Barbarossa  d'  adora- 
re per  capo  della  chiesa  chi  aveva  avuto  per  se  la 
fede  della  repubblica.  Anzi  vorrei  che  tanto     potesse 


L'ILLUSTRE    ITALIA  20*9 

l'arte  ,  die  mi  fosse  agevole  rappresentare  come  qua 
a  questi  altri  invitti  capi  di  guerra  sembra  fin  dub- 
bia la  testimonianza  stessa  de'  fatti  :  cotanto  supera 
ogni  lor  credere,  cbe  alla  regina  de'mari,  là  dove  nes- 
suno mai  nacque  e  morì  se  non  libero,  possa  un  gior- 
no essere  stato  fatale  di  venire  in  altrui  signoria  !  E 
sono  essi  Ordelaffo  Faliero  che  all'impero  veneto  ag- 
giunse la  Dalmazia,  Lazzaro  e  Pietro  Mocenigo,  Ber- 
nardo Con  tari  ni  e  Benedetto  Pesaro:  il  quale  ultimo 
voltosi  inoltre  pietosamente  a  mirare  Marc'  Antonio 
Bragadiao:«  0  veneziano  Regolo,  dice,  a  die  giovò  coa- 
tra l'ardir  di  colui  l'aver  tu  mostrato  fin  dove  mai  possa 
giungere  la  maggior  virtù  di  un  grand'animo  :  sicché, 
commessa  avendo  la  strage  di  ottantamila  ottomani  al- 
l' assedio  di  Cipro  ,  preso  poi  con  perfida  fede  dai 
barbari,  lasciasti  farti  (  e  né  pur  si  mosse  quella  tua 
imperterrita  fronte  )  uno  scempio  sì  orribile  della  tua 
vita  !  «  A  che  giovò,  rispondegli  il  Bragadino  ?  A  far 
vera  prova  d'esser  sangue  italiano,  a  mostrare  ancor 
possibili  i  grandi  esempi  anticbi,  ad  accendere  di  ver- 
gogna i  posteri  ?  Il  che  pur  ebbe  a  cuore,  soggiun- 
ge, questo  Lodovico  Flangini  che  mi  vedi  al  fianco: 
il  quale  per  non  esser  minore  di  virtù  a  niun  gre- 
co o  romano,  volle,  benché  mortalmente  passatogli  d' 
una  lancia  il  petto,  farsi  vestir  l'arme  e  condurre  sul 
cassero  della  nave,  in  mezzo  all'armata  ch'egli  contro 
a'turchi  capitanava,  dicendo  agli  amici  che  d'altro  lo 
consigliavano  :  «  Così  ad  un  patrizio  veneto  si  con- 
viene morire  !  »  E  Fernando  :  Tu  m'hai  sì  fattamen- 
te esaltato  l'animo,  ch'io  ti  prego,  o  Guglielmo,  d'ar- 
restarti alquanto  ,  finché  meglio  consideri  o  piutto- 
sto veneri  queste  eccelse  presenze.  Guardate  aspetti 
d'impero  !  Guardate  intrepidezza  e  tranquillità  d'eroi  ! 
G.A.T.LXXXVIII.  19 


2f  o  Letteratura 

Cerio  appena  per  fortezza  valgono  a  pareggiarli  quei 
tre,  che  d'altra  parte  sono  in  sì  grandi  ragionamenti  , 
Carlo  Zeno  ,  Vettor  Pisani  ed  Andrea  Contarmi  ,  i 
quali  veramente  col  caldo  affetto  di  Temistocle  e  di 
Camillo  amarono  la  patria  loro.  Felicissimi,  se  non 
avessero  mai  dovuto  bruttarsi  di  sangue  italiano  !  Con 
questi  invitti  dovea  la  repubblica  alzarsi  in  Europa 
a  sì  gran  nome  ed  autorità  !  Con  questi  sfidare  ani- 
mosa l'odio  e  l'invidia  delle  rivali  !  Con  questi  trion- 
far di  Cambrai,  non  altrimenti  che  i  romani  trionfa- 
rono della  guerra  sociale  e  di  Annibale  !  Con  questi 
infine  rendersi  degna  d'aver  propizia  la  provvidenza, 
quando  contra  la  santità  dell'ospizio  e  la  ragion  delle 
genti  uno  scelleratissimo  marchese  di  Bedmar  con- 
giurò di  mandarla  tutta  a  fiamme  ed  a  sacco  !  Né 
mancavi  Nicolò  Orsini,  conte  di  Pitiglhmo,  che  ca- 
pi iau  generale  delle  genti  di  terra  ancor  sembra  co- 
gli occhi  e  col  braccio  minacciare  Massimiliano  ce- 
sare, e  con  formidabile  atto  di  valor  romano  difen- 
dere dalle  artiglierie  tedesche  il  rotto  muro  di  Pado- 
va; e  non  pur  contrastare  all'inimico  l'entrata  della 
città,  ma  costringerlo  disperato  a  lasciar  l'impresa. 

V.  Ed  or  dove  ,  diss'io,  dove  mai  sono  que'pos- 
senti  di  Genova  ,  che  pur  fecero  sì  gran  testimonio 
d'essere  anch'essi  del  nostro  sangue  ?  E  che  dunque, 
rispose  Guglielmo,  non  t'è  dinanzi  Andrea  Doria  in 
quell'atteggiamento  che  ancor  mostra  pentirsi  d'esse- 
re stato  in  armi  tanti  anni  a  prò  di  Francesco  I,  per 
averne  poi  premio  di  sì  odiosa  dislealtà  ?  Vendicossi 
però  :  e  nobilissima,  e  quale  da  quell'alto  spirito  po- 
teva attendersi,  fu  la  vendetta  :  che  per  sempre  aven- 
do abbattuta  in  patria  l'insegna  de'gigli,  volle  infine 
(  e  ben  poteva  far  legge  d'ogni  sua    volontà  )   essere 


L'ILLUSTRE    ITALIA  2QI 

anzi  uguale  che  principe  a'suoi  concittadini.  Nobile  e 
bravo  Andrea,  esclamò  Fernando,  e  gran  ricordo  del 
valore  e  del  senno  de'nostri  avi,  tranquille  riposino  le 
onorate  tue  ossa  !  No,  non  siati  d'affanno  che  la  geno- 
vese libertà  cadesse  sotto  i  colpi  di  un  corso.  Percioc- 
ché se  calamità  d'ogni  popolo  fu  quell'audacia  di  un 
italiano  fattosi  forestiero,  godi  invece  ch'ella  men  che 
ad  ogni  altro  nocque  al  popolo  genovese  :  fiorendo 
oggi  la  patria  tua,  posata  ogni  setta,  fra  quante  sono 
più  doviziose  e  forti  ed  ornate  d'Italia  :  e  sicura  in- 
viando al  traffico  le  sue  navi  per  tutti  i  mari,  fatta 
una  delle  regine  del  mediterraneo  sotto  lo  scettro  di 
tale  casa  ,  cui  aggiunge  benevolenza  e  maestà  così 
l'essere  come  il  voler  comparire  di  stirpe  italica  !  E 
Guglielmo  :  Bene  ,  o  Fernando  ,  ti  sei  apposto.  Tu 
senti  in  tutto,  intorno  alla  presente  condizione  della 
donna  della  Liguria,  ciò  che  ne  sento  io.  E  questa  è 
stata  appunto  cagione  perchè  nel  mio  lavoro  abbia  volu- 
to in  que'valorosi  mostrare  minor  apparenza  d'ira  verso 
Napoleone.  Ond'è,  come  vedi,  che  appena  a  tanti  sdegni 
qui  pongono  attenzione  e  Prospero  Adorno  e  Paolo 
Eregoso,  nel  riandare  che  fanno  la  sanguinosa  battaglia, 
in  cui  sconfissero  l'armata  francese  condotta  da  Re- 
nato d'Angiò  :  e  Filippo  e  Giannettino  Doria  :  que- 
gli capitano  illustre  della  vittoria  di  Capo  d'Orco,  là 
dove  videsi  morto  a'  piedi  il  viceré  Ugo  Moncada  : 
questi  in  sembiante  di  accennare  allo  zio  il  feroce 
Dragutte  stretto  in  catene  e  prostrato  vilmente  in  ter- 
ra, così  com'egli  giovinetto  fortissimo  il  prese  con  tut- 
te le  sue  navi  e  dannollo  al  remo.  Ed  oh  questo  fos- 
se stato  il  fine  di  quel  terribil  corsale,  ne  Andrea  gli 
avesse  poi  conceduto  il  riscatto  con  tanto  guasto  del- 
la cristianità  ! 


ac)2  L    B    T    T    E    H    A    T    U     R    A 

Ma  che  guardi,  o  Fernando,  che  guardi  colà  si 
fisso  l'occhio  e  la  mente  ?  Guardo,  diss'egli,  quel  guer- 
riero, che  dopo  il  supremo  aspetto  d'Andrea  sembra- 
mi quasi  il  più  nutrito  nell'arme  ed  il  maggiore  fra 
tanti  grandi.  Quegli,  rispose  l'artista,  è  Biagio  Asse- 
reto,  che  alla  giornata  di  Ponza  disfece  gli  aragonesi 
ed  ebbe  prigioni  i  re  Alfonso  V  di  Aragona  e  Gio- 
vanni di  Navarra.  E  cosi  due  famose  azioni  compi  ad 
un   tempo  :   l'una  di  mostrare  agli  stranieri  la  geno- 
vese potenza  :   l'altra  di  far  palese  anche  in  quel  fie- 
ro ed  orrido  secolo  l' ilaliana  generosità»    Perciocché 
dati  i  due  sommi  principi  in   potestà  di  Filippo  Ma- 
ria, Visconti  ,  il  quale    allora   signoreggiava   Genova  , 
furono  dal  duca  di  Milano  accolti  coll'ossequio  degli 
animi   nobili  verso   una  grandezza  infelice,  e  riman- 
dati  liberi  senz'altra  richiesta  del  vincitore,  che  di  vo- 
ler soprattutto  l'amistà  di  Alfonso  il  magnanimo.   Nò 
tacerò  di  quest'altro  che  gli  è  vicino,  cioè   Damiano 
Caiani  :  del  quale  è  noto  come  non  volle  che   nella 
fama  delle  il  aliane  virtù  andasse  sola  la    continenza 
di   Scipione  in  Ispagna.  Essendoché  inviato  della  re- 
pubblica a  trar  vendetta  del  grave  oltraggio,  che  ri- 
cevuto aveva  dal  re  di  Cipro   (    il  quale  fu  poi    de- 
bellalo da  quel  Pietro  da   Campofregoso,  ch'è  più  là 
con    Paganino   Doria  )  ,   ebbe   per  forza  d'armi  prima 
Nicosìa  e  poi  Palo  :  dove  essendogli  un  giorno  con- 
dotte innanzi  settanta  vaghissime  giovinette,  cadute  in 
mano  de'suoi  soldati  ,  non   soffri  ,  uomo  gravissimo  , 
che  lor  si  recasse  veruna  vergogna  :  anzi  a' rapitori  se- 
veramente gi'idando  ,  che  già    non    aveali   spediti    la 
patria  con.  tante  navi  in  que'mari  perchè  facessero  di 
tali  prede,  e  se  stessi  e  il  nome  ligure  colle  lascivie 
disonorassero,  ordinò  che   intatte  si  restituissero    alle 
braccia  de'loro  padri  o  mariti. 


L*  IT.UJSTRE    ItALTA       -  893 

Se  però  non  vi  pare  che  questi  genovesi  diano 
vista  d'aver  gran  mente  alle  cose  che  quivi  narra  l'im- 
perador  de'francesi  :  salvo  il  rammentarsi  le  calamità 
dell'assedio,  onde  furono  stretti  ;  all'incontro  v'ho  nn' 
altra  gente  più  oltre  che  ben  dimostra  avervi  inlen- 
tissimo, non  che  il  guardo  e  l'orecchio,  ma  tutto  l'a- 
nimo. Perciocché  vedete  il  valoroso  Ermocrate  ,  che 
rese  a  Nicia  così  funesta  l'impresa  contro  le  mura  e 
la  libertà  di  Siracusa  :  e  gli  è  accanto  quella  virtù 
di  Nicolao,  che  benché  vecchio  ed  orbato  di  due  cari 
figli  caduti  in  battaglia  sotto  il  ferro  ateniese,  gridò 
magnanimamente  a'suoi  concittadini  :  «  Avessero  per 
iniqua  la  sentenza  di  Dioele  !  Dovessero  nel  capita- 
no di  Atene,  misero  e  prigioniero,  rispettare  la  mae- 
stà sempre  venerabile  della  sciagura  !  »  E  la  fronte 
imperterrita,  che  indi  vi  scerno,  è  Giovanni  da  Pro- 
eida,  che  levali  gli  occhi  per  un  istante  dal  libro  che 
ha  in  mano  (  ed  è  la  nobilissima  tragedia,  o  Betti  , 
del  tuo  Niccolini  )  direste,  voltosi  com'è  a  Palmieri 
dell'Abate,  già  già  consolare  di  un  sorriso  quel  volto 
austero  all'intendere  ,  esser  1'  isola  di  Sicilia  andata 
immune  dall'  umiliazione  novella  :  sicché  al  concul- 
cato popolo  non  fosse  più  necessaria  l'estrema  ragione 
di  un  altro  vespro.  Terzo  fra  essi  è  Ruggeri  di  Lo- 
ria, quell'emulo  di  quanti  maggiori  capitani  di  mare, 
dice  il  Giannone,  vantar  possano  le  istorie  greche  e 
romane  :  e  qui  cerca  ad  ambidue  gl'inesorabili  spiriti 
far  sue  scuse  dell'essersi  (  dopo  avere  in  tante  batta- 
glie umiliata  la  casa  d'Angiò  )  piegato  infine  a  ren- 
dere infruttuosa  colla  giornata  di  Capo-Orlando  la 
vendetta  della  siciliana  oppressione. 

IV.   Che  se  piacciavi   saper  degli  altri   (  e  vedete 
numeroso   stuolo  !  )   cha  indistintamente   poi  seguono 


2q4  Letteratura 

e  sono  insieme  in  quel  caldissimo  ragionare,  dicóvi 
che  in  essi  avete  le  immagini  di  coloro  che,  ne'secolì. 
che  corser  da  poi*  ressero  con  sommo  impero  esèrciti  pò* 
tentissimi,  soprattutto  d'Austria  e  di  Spagna  :  e  spes- 
so li  guidarono  alla  vittoria,  e  sempre  all'  onore.  E 
come  potrebbero  con  animo  indifferente  udir  non  solo 
di  tanti  casi  italiani,  ma  sì  della  sorte  di  principi  che 
in  così  ostinate  e  sanguinose  guerre  si  travagliarono 
contro  la  Francia  ed  il  suo  imperatore  ?  Certo  noi 
possono  Ferdinando  Gonzaga,  Alfonso  DaValos,  Giam- 
batista  Castaldo,  Ottavio  Piccolomini,  Enea  Caprara, 
Ernesto  Monteenccoli  :  noi  possono  Ambrogio  Spino- 
la, Federico  "Veterani,  Antonio  Carafa,  e  i  due  Ser- 
belloni  :  noi  possono  infine  Fabrizio  Colonna,  Matteo 
Galasso  ,  Gian-Carlo  Caracciolo  ,  Antoniotto  Botta 
Adorno,  Gian-Luca  Pallavicino.  E  che  dirò  di  Scipio- 
ne Brancacci,  che  a  Filippo  V  difese  Cadice  contra 
l'armata  inglese  guidata  dal  duca  d'Ormortd  ?  E  d'An- 
tonio Galeani  iSapione,  che  rarissimo  ingegno,  gover- 
nando con  potestà  suprema  gli  eserciti  portoghesi  di 
mare  e  di  terra,  riformò  secondo  i  novelli  ordini  alla 
casa  di  Braganza  le  sue  soldatesche,  quante  ne  avea  di 
qua  e  di   là  dall'Atlantico  ? 

E  quali  altri  bellicosissimi  avrei  anche  potuto  rap- 
presentarvi ,  che  tanto  alla  nostra  età  gareggiarono 
coll'antico  ardire,  quanto  era  degno  ad  un  nome  co- 
sì principale  ne'fasti  della  bravura  e  dell'intrepidez- 
za ?  E  molti  ne  vivono  tuttavia,  egregi  vecchi,  cam- 
pati a  sì  grandi  eccidi  e  disagi,  e  mostrati  a  dito  quasi 
esempio  e  maestri  di  mirabil  fortezza  ai  nipoti.  Ma 
intanto  onorate  qua  il  Fontanelli,  il  Pino,  il  Serras, 
il  Fiorella,  il  Fresia  :  colà  il  Teuliè  ,  il  Severoli  ,  il 
Ferino  ,  il  Lecchi  ,  le  cui  ceneri  sono  ancor  calde. 


l'  illustre  italu  29S 

Onorate  questo  mantovano  De-Pegri  ,  che  sdegnoso 
d'essere  minor  di  cuore  ad  alcuno,  anche  al  suo  Mas- 
sena  in  Wagram,  fece  infermo  com'era  di  corpo,  ma 
vigorosissimo  d'animo,  condursi  in  seggiola  tra  le  pri- 
me fde  della  sua  divisione  ne'cornbattimenti  della  guer- 
ra sassone  del  milleottocento  tredici.  Valorosissimi,  che 
ridursi  non  potendo  all? abbietta  virtù  del  non  fare  , 
e  da  lina  prepotente  neccssilà  sospinti  a  dover  pure 
pugnar  per  altri  che  per  la  patria,  vollero  almeno  di 
gloria  contendere  con  una  nazione,  che  poi  in  ogni 
incontro  doveva  esserne  loro  sì  poco  grata  !  Ma  quan- 
do un  uomo  d'Italia  ha  comunque  le  armi  in  mano, 
niente  più  al  mondo  considera  che  l'onore.  E  sì  che  nel 
solo  anno  milleottocento  tredici,  mentre  lui  t'ardeva  di 
guerra  l'Europa,  ben  ducentoquindici  mila  de'nostri 
erano  in  campo  a  combattere  per  l'impero  napoleonico! 
Eccoli  là  quegli  alunni  e  concittadini  del  gran  capita- 
no, eccoli  là  rammentando  le  giornate  più  memorabili 
d'Italia,  di  Spagna,  di  Germania,  di  Russia.  Ne  pen- 
sate che  lor  cada  dell'animo  alcuna  di  quelle  sfortu- 
nate prodezze.  Non  pensate  che  il  Pino  non  ricordi 
il  conflitto  di  Maloiaroslewitz,  là  dove  sedici  mila  ita- 
liani, usciti  contro  a  novanta  mila  russi,  parte  ne  uc- 
cisero, parte  ne  sbaragliarono  :  e  la  fazione  di  Ples- 
zcenice,  quando  dieci  de'nostri  tennero  fronte  ad  una 
numerosa  schiera,  parimente  di  russi,  guidata  dal  ge- 
nerale Lanskoi,  e  salvarono  alla  Erancia  il  suo  ma- 
resciallo Oudinot,  che  ferito  avea  chiesto  difesa  alle 
nostre  spade.  Non  pensale  che  il  Fontanelli  taccia  del 
Zucchi  (  il  gigante  di  Lahn  ),  del  Villata,  del  Nar- 
toni,  del  Palombini,  del  Mazzucchelli  :  ne  il  Seve- 
roli  delle  stupende  prove  del  Bertoletti  all'assedio  di 
Tarragona,   e  di  que'leoni  di  Napoli  che  con  Flore- 


20,6  L    B    T    T    É    E    A   t    II    U 

stano  Pepe  una  fama  immortale  si  acquistarono  Sul* 
le  mura  di  Danzica.  Sì  tutti ,  o  generosi  ,  tutti  qui 
siete  presenti  così  alla  memoria  de'vostri  estinti  com- 
pagni d'arme  ,  come  alla  lode  !  E  voi  pure  il  siete 
con  essi,  Sebastiani,  Arrighi  ed  Ornano,  cui  il  pre* 
sente  dominio  ,  cosa  spessissimo  passeggiera  ,  non 
potrebbe  mai  togliere  al  grembo  della  grande  fami- 
glia italica,  della  quale  i  vostri  corsi  perennemente 
saranno  parte,  sotto  qualsiasi  scettro  d'Europa  voglia 
ancor  porli  la  provvidenza.  Sì,  dico,  perennemente  il 
saranno,  finche  quella  ferma  ed  invariabil  ragione  non 
mutisi,  che  la  che  Algeri  sia  sempre  Affrica,  Macao 
sempre  Asia,  e  Quebec  sempre  America  :  la  ragione 
cioè  della   geografia  naturale. 

Ottimamente,  diss'io,  o  Guglielmo.  Sicché  il  pre- 
tendere (  come  per  l'orgoglio  della  nascita  di  Napo- 
leone osano  alcuni  di  là  dall'alpe  )  che  i  popoli  della 
Corsica  non  sieno  più  italiani,  percliè  nati  in  paese 
da  non  molti  anni  soggiogato  alla  Francia,  sarebbe  il 
medesimo  che  dir  francesi  que' fiorentini,  torinesi  e  ro- 
mani, i  quali  ci  nacquero  nella  breve  insolenza  che 
cambiò  Firenze,  Torino  e  Roma  in  città  dell'impero 
francese.  Oh  ardì  forse  niuno  di  noi  chiamare  italia- 
ni quelli  di  Avignone  e  di  Carpentrasso,  quando  la 
patria  loro  ,  né  già  per  pochi  anni  ,  fu  provincia  del 
governo  civile  di  Roma  !  Ma  di  tutti,  continuò  Gu- 
glielmo, di  tutti  i  bravi  di  quella  famosa  isola  (  do- 
po la  suprema  altezza  di  Napoleone)  nessuno  uguagliò 
costui  che  qui  vedete.  Lo  conoscete  voi  ?  Egli  è  il 
guerriero,  a  chi  Vittorio  Alfieri  die  il  titolo  del  suo 
Timoleone,  dicendolo  più  degno  di  nascere  ed  ope- 
rare in  secolo  meno  molle  :  egli  è  il  capitano  che  il 
gran  Federico  salutò  per  la  prima  spada  di   Europa. 


.L'ILLUSTRE   ITALIA  297 

Oli,  gridò  Fernando,  egli  è  dunque  Pasquale  de'Pao- 
lì  ?  Sì,  riprese  l'artista  :  e  posato  l'uà  braccio  sulla 
sinistra  spalla  del  suo  Mario  Peraldi,  e  l'altro  alte- 
ramente tenendosi  al  fianco,  riguarda  quell'alto  con- 
quistatore, cui  mostragli  a  dito   il   Cervoni,  cli'è  ivi 
fra  il  Casabianca,  i  due  Abatucci,  il  Gentili  e  il  Ca- 
salta.  Né  solo  il  riguarda  :  ma  non  saprei  dirvi  se  più 
lo  esalti  il  pensiero  che  un   suo    concittadino    sotto- 
ponesse al  giogo  la  Francia,  o  più  il  crucci  l'ira  che 
una  nazione,  da  lui  sopra  tutte  abborrita,  facesse  fi- 
nalmente suo  prò  del  tanto  sangue  versato  per  la  li- 
bertà dell'isola  contra  la  superiorità  genovese.  Onde- 
che  al  fiero  spirito  rivoltosi  non  senz'acerbità  Fran- 
cesco Caracciolo  :   «   Ma  tu,  gli  dice ,  provvedesti  tu 
poi  alla  gloria  tua   (  vano  è  parlare  di  libertà  )    con 
quel  sì  disperato  operarti  perchè  dalle   forze  galliche 
cadesse  la   Corsica  nelle  britanniche  ?   Oh  il  ben  tri- 
sto cambio   (  se  ciò  fosse  avvenuto  )   sarebbe    toccato 
a'tuoi  concittadini  !   Imperocché  ninno  al  pari  di  me 
conobbe  pur  troppo  la  generosità  de'figli  di  Albione  ! 
Ma  questo   Carlo  duca  di  Gravina,  che  è  qui  meco* 
terribilmente  vendicò  a  Trafalgar  col  suo  il  mio  sangue 
con  sì  enorme  perfidia  sparso  da  chi  in  campo  aperto 
essendomi  stato  sempre  inferior  di  prodezza,  amò  poi 
essermi  superiore  ,  ne  glie  lo  invidio  ,  in  quante  mai 
arti  sa  usare  il  livore  e  la  fraude.  Certo  nessuna  glo- 
ria guerriera  potrà  mai  lavare  all'ammiraglio  Nelson 
1'  onta  della  mia  morte.    Ed   oh     quasi    duolmi    che 
in  troppo  onorato  arringo  egli  spirasse  ,  ferito  come 
fu  di  un  gran  colpo  in  tal  famosa  battaglia,  ove  un 
eroe  sì  nobile  napolitano  guidava  l'armata  di  Spagna  !  » 
E  quel  fiorentino   (  tal  mi   par^  alla   foggia  )  chi 
è,  diss'io,  che  pieno  d'animo,  ma  contristato  di  cuore, 


298  Letteratura 

levasi  con  sì  mala  sofferenza  in  sui  pie,  e  sembra  co- 
gli occhi  cercare  alcuno  ?  Tu  vedi  in  esso,  soggiun- 
se Guglielmo  ,  il  Ferruccio  :  il  quale  udendo  come 
anche  la  sua  Firenze  (  e  per  un  uomo  d'aulico  san- 
gue toscano  !  )  fosse  aggiunta  al  dominio  di  Francia, 
guarda  se  inai  ritrovi  Lorenzino  de'Medici  o  Filippo 
Strozzi.  E  l'intrepido  finalmente  che  capo  di  dodici 
bravi  osservate  fra  essi  interporsi  perchè  non  facciano 
impeto  contra  l'imperatore,  già  non  dirovvi  che  sia  Et- 
tore Fieramosca  :  e  vorrei  che  bene  avvisaste  la  for- 
za ch'adopra  a  frenare  quella  impetuosità  di  ferocia  : 
pieni  come  sono  di  mal  talento  i  compagni  suoi,  e 
soprattutto  i  romani  Ettore  Giovenale  e  Giovanni 
Brancaleoni,  che  siavi  stato  chi  un  giorno  assogget- 
tasse la  patria  ar  posteri  di  coloro,  ch'essi  con  ardire 
sì  memorando  prostrarono  nella  disfida  di  Barletta.  E 
qui  compiesi,  amici,  la  parte  del  mio  disegno  ,  ove 
principal  personaggio  è  Napoleone ,  e  sono  maggiori 
affetti  la  maraviglia  o  l'ira  di  ciò  ch'egli  fece  in  quel 
funesto  sogno  d'impero  francese:  essendoché  troppo  di 
là  discosti  sieno  questi  altri  che  seguono,  perchè  pos- 
sano ben  raccogliere   le   parole  del  massimo  capitano. 

VII.  Il  seniore  de'Berengari  ed  Arduino  sono  in- 
di que'  primi  che  a  se  chiamano  i  vostri  sguardi  :  e 
vedeteli  al  viso  ed  agli  atti  lamentar  la  tristizia  e  ma- 
ledizione de'loro  tempi  italiani  e  l'ingratitudine  di  chi 
ci  viveva.  Seguono  altri  due  coronati  :  l'un  de'quali  è 
Manfredi  :  e  certo  il  ravvisate  alle  note  sembianze  de- 
scritteci dall'Alighieri  :  perciocché 

«   Biondo  era,  e  bello,  e  di  gentile  aspetto, 
»  Ma  l'un  de'cigli  un  colpo  avea  diviso  : 


L*  ILLUSTRE    ITALIA  299 

V  altro  è  Bonifacio  marchese  di  Monferrato  ,  che  fa 
principe  delle  armi  cristiane  alla  seconda  crociata,  e 
poi  ehbe  il  regno    di    Macedonia.    Capitani  secondo 
quelle  loro  età  gloriosissimi,  che  qui  ora  si  narran  le 
imprese  che  in  tanta  fierezza    di    guerre  ebbero  a  so- 
stenere, e  le  proprie  sventure.   Se  sventura  dee  dirsi 
di  Un  re  il  morire  in  campo  della  morte  de'valorosi. 
Oh  quanto  invidiato  avrebbeti,  o  Bonifacio,  quell'ul- 
tima fine  il  fratel  tuo   Corrado  e   l'amico   Balduino  ! 
Ma  niun  generoso,  disse  Fernando  ,  invidierà  molto 
la  fine  del  re  Manfredi  :  perchè  se  costui  morì  combat- 
tendo da  forte,  morì  però  tinto  di  una  gran  colpa  : 
di  quella  cioè  d'avere,  per  insaziabile  cupidigia  di  re- 
gno, rotto  fede  al  proprio  nipote  (  infelicissimo    gio- 
vinetto !  )   ed  usurpatogli  lo  stato.  Senzachè  qual' altra 
difesa  ,  sospettosissimo  come  fu  de'suoi  popoli,  aveva 
egli  voluto  sempre  dintorno  a  se,  che  non  fosse  d'ale- 
manni e  di  saracini  !  Egli    regnante  in  Italia  ,   e  itt 
Italia  nato,  e  di  madre  italiana  !   Anzi  pur  di  padre, 
io  risposi  :  essendoché  Federico  II  nascesse  a  Iesi  città 
della  Marca.   Certo  io  non  so,  Fernando,  come  scu- 
sare a  Manfredi  tanta  perfidia  :  e  sì  che  il  vorrei  per 
gli  alti  beneficii  che  in  quel  restaurarsi  ed  escire  dal- 
l'orridezza della  barbarie  del  mio  evo  ebbero  da  lui 
le  nostre  lettere  :  le  quali  pur  coltivò  colla  gentilez-* 
za  che  meglio  potevasi  all'età  sua.  Ma  egli,  mal  co-* 
noscendo  la  condizione  de'tempi,  parve  seguir  da  cie- 
co i   destini  che  ornai  incalzavano  alla  ruina  la  casa 
di  Svevia  :  ostinossi,  picciol  principe  d'una  parte  d'Ita- 
lia, a  levar  capo   con  tra  chi  allora  faceva  tremar  sul 
trono  le  più  possenti  e  gloriose  corone  :  né  volle  cre- 
dere che  in  Italia  la  più  formidal  fazione  fosse  la  guel- 
fa ,  quella  cioè  de'  popoli  mal  sofferenti  di  più  per- 


3oo  Letteratura 

mettere  all'Imperiale  arroganza  d'oltraggiare  la  religio- 
ne e  il  venerando  suo  capo,  e  di  correre  e  calpestare 
qual  proprio  campo  queste  provincie,  senz'altro  titolo 
che  di  un  nome,  né  altro  credito  che  l'ignoranza  o 
piuttosto  il  vendersi  di  alcune  genti  di  curia.  Se  ciò 
stato  non  fosse  :  se  le  armi  guelfe  non  si  congiuravano 
contra  la  schiatta  degli  Enrici,  de' Corradi  e  de' Federici: 
e  più,  se  l'autorità  de'pontefici  non  tonava  e  folgorava 
dal  valicano:  avrebbe  mai  quella  crudele  anima  di  Car- 
lo d'Angiò  passato  le  alpi  al  conquisto  del  regno  di  Pu- 
glia ?  Certo  no,  soggiunse  Guglielmo  :  ed  oso  affer- 
marlo, benché  dovessi  avere  avverso  il  giudizio  di  un 
italiano  dottissimo,  di  Giuseppe  de  Cesare.  Ed  a  ra- 
gione hai  chiamala  crudele  anima  quella  di  Carlo  : 
e  potevi  anche  dirla  scelleratissima  :  contro  la  quale 
non  giovò  ch'indi  levassero  una  voce  di  pietà  e  reli- 
gione, non  solo  Gregorio  X,  ma  lo  stesso  Clemente  IV 
6uo  benefattore  :  anzi  san  Tommaso  d'Aquino,  di  cui 
forse  (  se  narra  la  fama  il  vero  )  ahi  qual  vendetta 
prese  l'atroce  tiranno  ! 

Che  dite  poi  di  quel  terzo,  che  l'uno  e  l'altro 
re  mira  ascoltando,  nò  vuol  quasi  reputarsi  minore  ? 
Ho  inteso  ritrarre  in  esso  Ranieri  Acciaiuoli,  che  per 
virtù  d'armi  fece  suo  il  principato  di  Atene,  di  Co- 
rinto e  di  una  parte  della  Beozia  con  Tebe.  In  niun 
luogo  ho  però  messo  cotanto  amore,  quanto  in  questa 
valletta  ch'indi  vedete  :  nel  dipinger  la  quale  farò  che 
non  siavi  parte  che  non  rida  d'erbe  e  di  fiori  :  e  gli 
arboscelli  ad  un  zefiretto  agiteranno  le  molli  frondi  : 
e  quella  fonte  scaturirà  con  acqua  sì  limpida  e  viva, 
che  parrà  quasi  <T  argento  :  e  raccorrassi  poi  in  un 
canaletto,  che  andrà  serpeggiando  per  la  verdura.  E 
come  no,  se  ivi  di  tanti  travagli  hanno  riposo,  e  pren- 


L*  ILLUSTRE    ITALIA  3oi 

doti  letizia  coll'antica  Clelia,  quelle  più  moderne  lu- 
ci del  gentil  sesso,  Marzia  TJbaldini,  Orsina  Viscon- 
ti e  Caterina  Sforza  ?  Imperocché  può  avervi  alcuno, 
che  non  sia  nuovo  nelle  nostre  istorie,  ed  ignori  l'a- 
nimosità della  prima,  anzi  le  maraviglie  del  suo  co- 
raggio a  Cesena  ?  Ignori  l'intrepidezza  della  seconda 
a  fronte  dell'  esercito  veneziano  a  Brescello  ?  Ignori 
la  risoluzione  ed  il  cuore  della  terza  a  Forlì  ?  De- 
gnissime di  altri  tempi,  anziché  de'crudeli  ed  igno- 
bili in  cui  fiorì  tanto  animo  !  Che  se  fosse  loro  toc- 
cato d'essere  in  quell'antico  vivere  de'romani,  chi  può 
dire  di  quali  corone  d'alloro  e  di  quali  statue  non  le 
avrebbe  onorate  la  gratitudine  della  patria  !  Ma  me- 
moria che  giammai  non  perirà,  diss'io,  hanno  elleno 
nelle  istorie  :  le  quali  più  bastano  al  mondo  contra 
ogni  forza  di  tempo ,  che  non  il  bronzo  ed  il  mar- 
mo, di  cui  ha  spesso  fatto  così  mal  uso  talor  l'avari- 
zia ,  e  talor  pure  1'  ignoranza  de'  posteri.  Ed  infatti 
una  slalua  ebbe  appunto  da'  pisani  Chinzica  de'  Si- 
smondi,  che  la  patria  salvò  dal  furore  de'seracini  ve- 
nuti a  dare  la  città  illustre  alle  fiamme.  Ma  ora  dov'è 
quell'opera  ?  E  chi  più  serberebbe  memoria  di  Chin- 
zica, se  fatta  non  l'avessero  eterna  gli  scrittori  di  quel- 
l'età ?  In  proposito  di  che  dirotti,  o  Guglielmo,  che 
anche  quest'onor  de'pisani  vorrei  che  fosse  qui  del  bel 
numero  :  e  che  con  alcune  altre  (  che  altresì  ne  son 
degne  )  le  dessi  pure  compagna  Bianca  Maria  Viscon- 
ti, moglie  a  Francesco  Sforza,  della  quale  si  narrano 
sì  gran  valentie  nel  fatto  d'arme  combattuto  a  Cre- 
mona. 

Veramente,  disse  Fernando,  con  incredibil  pia- 
cere veggo  quelle  eroine  !  E  con  pari  veggo  Piero 
Capponi ,  che  se  non  ebbe  eccellente  animo  di  ca- 


3oa  Letteratura 

pitano  ,  uguagliò  nondimeno  per  invitto  ardire  qual 
cittadino  più  generoso  ebbero  Atene  e  Roma  :  e  quella 
sua  fiera  risposta  al  re  Carlo  Vili,  nell'atto  di  lace- 
rargli in  sul  viso  la  carta  dell'ignominioso  trattato  , 
vivi'-,  eterna  quanto  il  nome  dell'italiana  virtù.  E  bene 
liai  posto  con  lui  Q.  Fabio,  che  ai  cartaginesi  con 
fierezza  non  minore  gridò,  in  grembo  alla  sua  toga 
recar  loro  o  la  guerra  o  la  pace  :  e  quel  C.  Popilio, 

«   Che  il  re  di  Siria  cinse 
»  D'un  magnanimo  cerchio,  e  colla  fronte 
»  E  colla  lingua  a  suo  voler  lo  strinse, 

Allora  io  :  Conosco  agli  atti  questi  animosi,  ma 
non  così  l'altro  che  vien  da  poi.  Chi  egli  è  mai  ?  E 
Guglielmo  :  Mi  parve  bene  di  non  lasciare  Pietro  di 
Albitone  cavaliere  pisano,  il  quale  a  Maiorica  ruppe 
sì  generosamente  gli  accordi  fra  il  re  moro  e  i  capitani 
dell'armata  cristiana,  gridando  che  già  i  suoi  concit-. 
ladini,  ardendo  di  vendicare  la  patria  altre  volte  pre- 
sa e  guasta  dagl'infedeli,  s'erano  dalle  navi  gittati  ornai 
alla  riva  ,  e  furiosi  movevano  a  far  giornata.  E  fu 
ciò  vero,  soggiunse  Fernando  ?  Non  pur  fu  vero,  con^ 
tinuò  Guglielmo  :  ma  non  altri  che  il  gran  cuor  de' 
pisani  s'affrontò  allora  co'barbari,  aftinché  l'averne  uc^ 
cisi  cinquantamila,  e  trentamila  schiavi  aver  liberati, 
ed  acquistata  l'isola,  e  fatto  prigione  il  re,  fosse  glo- 
ria di  una  sola  città  italiana.  Ma  come  poteva  non 
esser  da  tanto  un  popolo  che  avea  tuttavia  dinanzi  agli 
occhi  i  trofei  d'Affrica  e  di  Sardegna  ,  e  rammentava 
Cesarea  e  Gerusalemme  espugnate  principalmente  per 
la  virtù  de'suoi  ? 

Vili.  Non  ho  finalmente  dimenticato  (  e  il  pò- 


L'ILLUSTRE    ITALIA  3o3 

teva  io  ?  )  gli  eroi  di  Rodi  e  di  Malta,  che  de'  loro 
petti  fecero  scudo  per  tanto  tempo  alla  civiltà  di  Eu- 
ropa contra  gl'impeti  della  barbarie  d'Affrica  e  d'Asia: 
e  difesero  che  quell'atroce  ignoranza,  armata  di  ferro 
e  di  quante  ha  furie  la  superstizione,  non  ruinasse 
quasi  rupe  di  Tantalo  (  per  dirla  con  Pindaro  )  sul 
capo  di  tutta  cristianità.  Ond'è  che  de'selte  gran  mae- 
stri dell'ordine,  che  furon  de'nostri,  ho  scelto  Fabri- 
zio del  Carretto,  il  quale  fra  gli  altri  prudenti  e  va- 
lorosi  fu,  se  non  erro,  il  più  valoroso  e  prudente.  E 
posata  la  mano  sull'elsa  della  spada  statinogli  di  co- 
sta Giovanni  Diandra  ,  1'  espugnatore  di  Smirne  ,  il 
vincitore  della  giornata  d'Imbro  :  ed  Aurelio  Bottigel- 
la,  cli'ebbe  grido  del  maggior  capitano  di  mare  che 
avessero  i  cavalieri  nel  secolo  XVI.  E  così  il  gran 
maestro,  come  que'due  gagliardi,  e  con  essi  Gabriel- 
lo Tadino  di  Martinengo,  ingegnere  grandissimo,  per 
cui  Rodi  durò  contra  le  forze  di  Solimano  finché  du- 
rar potè  per  opera  d'uomo  in  mezzo  al  folgorare  di 
tante  armi  ,  porgonsi  attenti  alla  narrazione  che  fa 
delle  sue  prodezze  il  torinese  Paolo  Simeoni  prior 
di  Barletta.  Oh,  disse  Fernando,  mi  conteresti  in  gra- 
zia ,  o  Guglielmo  ,  alcuna  cosa  di  queste  prodezze  , 
giacche  ora  non  sanno  tornarmi  a  mente  ?  E  Gu- 
glielmo :  Assai  di  buon  grado  ,  amico  :  essendoché 
il  Simeoni  fu  di  coraggio  così  indomabile,  che  non 
so  s'abbia  esempio  maggiore  ne  pur  fra'  romani.  Chi 
più  intrepido,  chi  più  scaltro  in  guerra,  chi  più  ar- 
dito ,  chi  più  in  tutte  le  opere  sue  italiano  !  E  di- 
rovvi  che  in  lui  la  sventura  (  come  accade  ne'forti  ) 
fu  quasi  più  grande  gloria  della  prosperità.  Imperoc- 
ché nel  combattere  sull'armata  dell'ordine  essendo  ca- 
duto prigione  ,  fu  da  quell'  Ariadeno  ,    che  più  co- 


3o4  Letteratura 

munemente  dicono  Barbarossa,  non  solo  tratto  a  Tu- 
nisi e  gittato  schiavo  in  un  carcere,  ma  dato  a  guar- 
dare ,  per  accrescergli  la  miseria,  a  due  rinegati.  Non 
cx'ediate  però  che  Paolo  di  ciò  sbigottisse  :  e  molto 
meno  che  vile  si  consumasse  in  inutili  lagrime.  Non 
aveva  egli  più  la  sua  spada  :  ma  bene  aveva  il  suo 
cuore,  aveva  la  fede  sua  ,  aveva  infine  le  sue  stesse 
catene  :  e  voi  sapete  come  all'uomo ,  che  prende  fi- 
ducia in  Dio  e  nella  propria  virtù,  ogni  cosa  può  di 
leggieri  farsi  strumento  di  libertà  e  di  salute.  E  tale 
appunto  fu  il  caso  di  questo  gran  cavaliere  :  l'ardir 
suo,  la  sua  fede,  ed  insieme  le  sue  catene,  mirabil- 
mente sovvennero  al  difetto  della  sua  spada.  Or  co- 
me ,  riprese  Fernando  ?  Deh  segui  !  che  già  sento 
alla  sorte  del  vaioloso  tremarmi  ogni  spirito.  E  Gu- 
glielmo :  Slavano  un  giorno  i  due  disertori  di  Cri- 
sto ,  eh'  erano  a  guardia  di  Paolo  ,  nel  carcere  con 
essolui,  non  so  se  per  godere  della  sua  sciagura  ,  o 
per  certificarsi  della  tenacità  de'suoi  ceppi.  Quando 
con  un  seminante  fra  sereno  e  nobile  non  so  qual 
più  (  certo  avevalo  Iddio  degnato  d'  un  raggio  della 
sua  misericordia  !  )  rivoltosi  il  cavaliere  a  quegli  sciau- 
rati,  mostrò  loro  alteramente  i  suoi  ferri ,  quasi  bel 
trionfo  che  fossero  di  un  campion  della  croce.  «  E 
guardate,  disse,  guardate  la  sicura  quiete  dell'animo 
con  cui  li  sopporto.  Guardateli  ,  infelici  fratelli  ,  e 
considerate  se  la  coscienza  vostra  è  sì  quieta  in  co- 
desta misera  libertà.  »  Una  favilla  dell'antica  fede  ar- 
deva in  que'petti  :  e  bene  se  ne  accorse  Paolo  :  che 
levati  subito  gli  occhi  al  cielo  (  giacche  non  poteva 
le  mani  )  orò  umilmente  all'altissimo  che  deh  !  non 
gli  rigettasse  la  sua  preghiera. 

E  certo  non  fu  da  Dio  rigettata,  io  soggiunsi  ! 


i/  ILLUSTRE    ITALIA  3()5 

E  puoi  tu  dubitarne,  rispose  Guglielmo  ?  Rigettò  mai 
Dio  ad  alcuno  un  vero  prego  del  cuore  ?  Donde  Pao- 
lo colle  parole  che  sa  più  sante  inspirare  la  religione 
della  carità  e  del  perdono,  avendo  prima  tratto  alle 
lagrime,  poi  al  pentirsi  i  due  rinegati,  poco  andò  che 
se  li  vide  non  solo  a'piedi,  ma  risolutissimi  di  vestir 
nuovamente  le  armi  di  soldati  di  Cristo,  e  così  fare 
ammenda  col  proprio  sangue  al  delitto.  Spezzati  al- 
lora i  suoi  lacci  ,  corsero  immantinente  a  schiudere 
le  altre  prigioni,  ove  (orrore  a  dirlo  !  }  quasi  belve  gia- 
cevano sei  mila  e  più  schiavi  cristiani.  Pensi  ognuno 
il  grido  di  gioia  che  gl'infelici  levarono  tostochè  vi- 
dero il  lor  Simeoni  !  Pensi  come  tutti  gli  furono  in- 
torno salutandolo  qual  angelo  liberatore  !  Senonchè 
quello  non  era  tempo  di  molli  ed  oziosi  affetti  :  tem- 
po era  quello  di  fortemente  operare,  d'usare  il  braccio, 
e  principalmente  di  rompere  ogni  dimora:  stando  a  tut- 
ti ancora  sul  capo  l'ira  e  la  scimitarra  del  Barbarossa. 
«  Su  via,  compagni,  esclamò  Paolo ,  speranza  e  co- 
raggio :  coraggio  e  speranza,  o  prodi  :  che  in  noi,  sta 
in  noi  la  gloria  o  di  un  illustre  morire  o  della  vit- 
toria. Si  rinfranchi  1'  antica  virtù  ,  se  pur  giace  :  si 
rinfranchi  soprattutto  lo  spirito  della  fede  :  ed  io  vi 
sarò,  io  fino  all'ultimo  sangue,  capitano  e  padre  qual 
più  mi  vorrete.  «  Sì  capitano,  sì  padre,  sì  quasi  id- 
dio :  gridarono  tutti  a  una  voce  !  a  E  così  mezzo 
ignudi  comperano,  condotti  da  Paolo,  si  gittarono  fe- 
rocissimi fuori  della  lor  tana  ,  e  per  prima  cosa  ir- 
ruppero nell'  armeria.  Perchè  ad  un  tratto  armatisi 
de'ferri  e  d'ogni  arnese  di  guerra  ch'ivi  trovarono,  mos- 
sero con  grande  animo  ad  assaltare  la  rocca. 

Aveva  poco  innanzi  il  governatore  avuto  avviso 
di  quel  tumulto  :  laonde  ordinate  subito  le  sue  genti 
G.A.T.LXXXVIII.  20 


3o6  Letteratura 

su'merli  e  sulle  bertesche,  non  parve  che  in  sì  grande 
sorpresa  si  abbandonasse  al  tutto  di  fidanza  e  di  ardire; 
o  disperasse  almeno  di  poterai  per  alcun  tempo  difen- 
dere. Vano  pensiero  !  Aveva  a  far  egli  con  sei  mila 
esciti  di  schiavitù,  soldati  di  prova,  e  pronti  a'cenni 
di  un  Simeoni  ,  che  qua  e  là  qual  folgore  scorreva 
fra'  suoi,  e  già  colla  voce  e  coli'  esempio  anima  vali 
a  dar  la  scalata.  INon  tardò  quindi  il  barbaro  ad  av- 
vedersi dell'estrema  gravità  del  pericolo,  e  poco  stan- 
te a  perdersi  d'animo  :  sicché  non  pensando  più  ad 
altro  in  quello  spavento  che  a  salvarsi,  stimò  final- 
mente fortuna,  abbandonando  la  rocca,  d'aver  trovato 
pure  uno  scampo  alla  fuga. 

Era  allora  a  vedersi  l'anima  sublime  di  Paolo  ! 
Salì  egli  incontanente  la  maggior  torre  a  dispiegarvi 
al  vento  la  bandiera  cristiana,  così  per  letizia  del  fat- 
to, come  per  avvisarne  l'armata  di  Carlo  V,  che  in- 
nanzi stava  sull'ancore.  Se  qual  da  fulmine  restasse 
di  ciò  atterrito  Ariadeno,  ognun  se  lo  immagini.  Qua- 
si fuori  di  se,  tratto  al  romore,  precipitò  colui  a'piè 
della  rocca  con  nove  mila  de' suoi  ,  ne  tacque  pro- 
messa alcuna  o  minaccia  :  ma  vana  tornò  in  que'petti 
ogni  sua  minaccia  o  promessa.  Sicché  bestemmiando 
e  fremendo,  e  della  sua  sciagura  accusando  il  cielo 
e  la  terra  :  poiché  già  sentivasi  alle  spalle  i  soldati 
di  Carlo  ,  che  con  acclamazioni  festose  usciano  nel 
lido,  dovette  infine,  venutogli  meno  ogni  altro  con- 
siglio, lasciarsi  strascinare  anch'egli  al  terrore  e  alla 
calca  de'suoi,  e  fuggire  a  Bona. 

Così  per  cuore  e  prudenza  di  questo  nostro  aper- 
tesi alle  soldatesche  cristiane  inopinatamente  le  porte 
di  Tunisi,  dopo  tanti  disagi,  v'entrò  Carlo  in  trion- 
fo e  ricevette  la  sommissione.  Trionfo  magnifico  e  d' 


l'  ILLUSTRE    ITALIA  307 

antica  maestà  :  ove  però  tutti  gli  ocelli  palavano  me- 
glio cercare  il  rozzo  saio  di  Paolo,  che  non  la  porpora 
e  il  diadema  di  Cesare  :  il  quale  allor  generoso,  anzi- 
ché prenderne  invidia,  avendo  raccolto  ad  onore  gran- 
dissimo il  cavaliere  e  levata  a  cielo  la  virtù  sua,  affer- 
mò innanzi  a  tutto  l'esercito  doversi  principalmente  a 
Paolo  Simeoni  la  fortuna  di  tanta  impresa.  Eccelso 
animo  ebbe  certo  costui,  diss'io  :  e  ben  merita  per  la 
memoria  di  sì  gran  fatto  vivere  famoso  ne'posteri  ! 

Tacevami  ciò  detto  :  e  tra  per  la  tenerezza  e  la 
maraviglia  taceva  pure  Fernando.  Perchè  dopo  alcu- 
na pausa  Guglielmo  continuò  :  Sendo  qui  all'estremo 
della  parete ,  ho  voluto  finir  le  scienze  col  Sammi- 
cheli  e  con  Francesco  de  Marchi,  principi  dell'archi- 
tettura militare  :  e  ritrarre  per  forma  quest'  ultimo  , 
che  al  Castriotto,  ad  Antonio  da  Sangallo,  al  Zan- 
chi,  al  Paciotto  ed  al  Papacino  ragioni  i  turpissimi 
furti,  che  delle  sue  invenzioni  fece  in  Francia  il  ma- 
resciallo Vauhan  :  e  dica  insieme  degli  obblighi  che 
lo  stringono  a  Luigi  Marini,  e  soprattutto  alla  virtù 
patria  di  quel  Francesco  Melzi,  che  non  avendo  in 
tempi  iniquissimi  potuto  far  quanto  bene  desiderava 
all'Italia,  volle  almeno  essere  soddisfatto  di  vedere  nel- 
le opere  del  Marchi  arrossir  lo  straniero,  che  con  su- 
perbia ci  calcava  ad  un  tratto  e  predava.  Indi  è  Fe- 
derico Giambelli,  il  terribile  ingegno,  l'Archimede  di 
Anversa,  come  il  chiama  lo  Schiller  :  ne  ho  voluto 
che  alcuno  vi  desideri  o  Giulio  Frontino,  che  fra'suoi 
stratagemmi  registri  cotanti  stupendi  fatti;  o  Giuseppe 
Grassi,  che  il  suo  gran  vocabolario  militare  accresca 
di  nuove  voci. 

Fin  qui  il  primo  giorno.  Donde   essendo  ben  al- 


3o8  Letteratura 

to  il  sole,  e  la  stagione  ridente,  ci  levammo  insieme 
per  andare  alquanto  a  diporto.  Dandoci  però  fede  l'un 
l'altro  di  rivederci  nel  dì  seguente. 

(  Sarà  continuato.  ) 


N.  B.  Essendo  occorsi  alquanti  errori  in  questi  dialoghi,  si 
darà  V errata- corrige  de'più  essenziali  a  pie  del  volume;  avver- 
tendo che  sono  stati  tutti  emendati  nelle  copie  tirate  a  parte- 


3<>9 


La  georgica  e  Veneide  di  Virgilio  volgarizzate 
in  ottava  rima  da  Lorenzo  Mancini,  accade- 
mico residente  della  crusca.  Firenze  per  Lo- 
renzo Ciardetti  1837  ec.  (Articolo  II  ed  ultimo). 


M.\  più  compiuto  de'poemi  di  Virgilio,  quello  che  eb- 
besi  e  le  seconde  e  le  terze  cure  del  poeta,  si  è  la 
georgica  :  vero  gioiello  della  lingua  latina,  della  poe- 
sia e  dell'  agricoltura  ,  che  è  madre  e  nutrice  delle 
arti.  Peccato,  che  noi  tardi  nipoti  non  possiamo  pie- 
gare la  fronte  ne  l'animo  a  quelle  innumerevoli  di- 
vinità, che  ad  ogni  pie  sospinto  ti  facevano  come  fun- 
ghi sorgere  i  gentili;  i  quali  ad  ogni  zolla  di  culto 
terreno  davano  quasi  il  suo  dio  custode  o  proteggi- 
tore  !  Cicerone  istesso,  benché  ministro  di  falsa  reli- 
gione, ne  poneva  in  deriso  quella  immensa  copia  di 
divinità,  tra  le  quali  ne  lo  sterco  ,  né  la  cloaca  ne 
mancavano.  Noi  scorti  da  lume  veramente  celeste  dan- 
niamo non  pure  il  dio  Stercuzio  e  la  dea  Cloacina; 
ma  e  la  Venere  impudica,  e  il  Giove  adultero,  e  la 
vendicativa  Giunone,  e  quanta  è  mai  quella  turba  di 
bugiardi  dei  ,  che  eccitano  oggimai  compassione  ,  e 
meriterebbero  in  realtà  le  onde  di  Lete;  se  già  a  mo- 
do di  simboli  non  servissero  ancora  in  parte  a'pittori  e 
agli  scultori,  per  verità  non  assennati  abbastanza  per 
rinunciare  al  culto  della  mitologia  nelle  opere  di  pen- 
nello e  di  scarpello.  Quanto  a'poeti,  il  nostro  secolo 
può  essere  contento,  che  ha  veduto  a  terra  gl'idoli, 
e  trionfare  ne' versi  la  religione  vera,  e  gli  enti   so- 


3io  Letteratura 

prannaturali  di  lei,  dannati  avendo  all'oblio  que'fal- 
si  e  stolti  del  gentilesimo.  Questa  condizione  della 
italiana  poesia  fa  che  stucchevole  si  renda  quella  fi- 
latessa di  nomi,  divini  agli  antichi,  ridicoli  a  noi,  di 
Bacco  e  di  Cerere,  di  Pane  e  di  Silvano  ,  e  quegli 
altri  mille  che  ti  vengono  innanzi  nella  georgica  di 
Virgilio  :  la  quale  non  può  essere  spogliata  di  essi 
senza  perdere  il  suggello,  per  cosi  dire,  della  origi- 
nalità; e  per  altra  parte  a  noi  riescono  insopportabili. 
Non  intendiamo  con  ciò  sminuire  il  pregio  all'opera 
veramente  perfetta  del  mantovano  poeta  ;  chi  vuole 
giudicarla,  dee  portarsi  al  tempo  dell'autore  :  solo  in- 
tendiamo dire,  che  le  versioni  della  georgica  non  pon- 
no  essere  accolte  oggidì  con  quella  benevolenza,  che 
l'autore  istesso  ed  i  volgarizzatori  meritano  senza  dub- 
bio, quale  per  fedeltà,  quale  per  eleganza,  quale  per 
altra  prerogativa  ! 

Più  fortunata  l'eneide,  che  per  la  qualità  di  e- 
popeia  meglio  ammette  ciò  che  dicesi  macchina,  o  sia 
intervento  di  esseri  soprannaturali,  che  tali  siano  ve- 
ramente, o   finti  almeno   dalla  fantasia  del  poeta  ! 

Dal  eh.  Bartolomeo  Gamba  avemmo  la  bibliogra- 
fia de'  traduttori  di  Virgilio  nel  Poligrafo  di  Verona 
sino  dal  r  83  r .  Egli  notò  anche  ne'primi  tempi  della 
gentilissima  lingua  nostra  quattro  versioni  in  prosa, 
ed  una  in  terza  rima  per  lo  meno  dell'  eneide.  Una 
nel  secolo  XV.  Nel  susseguente  poi,  che  fu  il  sor- 
riso delle  lettere,  notò  la  versione  dei  12  perle  stam- 
pe di  Giunta  (  1 556  )  colla  sentenza  dell'  Algarotti 
giudiziosissimo,  che  in  tutti  questi  volgarizzamenti 
V eneide  i>'è  di  tanto  inferiore  a  quella  del  Caro, 
quanto  questi  è  a  Virgilio.  E  per  tacere  di  altri, 
noteremo   con  lui  que'che  in  ottava  rima  trasportare*- 


Opere  di  Virgilio  3if 

rio  il  divino  poema  del  Lazio,  come  il  Cerretani  sa- 
nese  (  i56o  ),  il  Dolce  veneto  ,  il  cui  lavoro  senza 
nervi  e  senza  sangue  postumo  apparve  (  i5G^  ),  e  1' 
Udine  concittadino  a  Virgilio  (  i5o,7  ).  Più  altri  fe- 
cero italiana  l'eneide,  come  accennammo  nell'artico- 
lo I  parlando  di  queste  versioni  del  eh.  Mancini. 

Ma  non  si  creda  che  alla  georgica  mancassero 
traduttori.  Tra'primi  merita  encomio  di  fedeltà  il  fer- 
rarese Antonio  Maria  Nigrisoli,  che  diede  in  versi  la 
sua  versione  stampata  la  prima  volta  in  Vinegia  (i543). 
Poi  è  a  ricordare  il  più  fortunato  Bernardino  Daniel- 
lo (  i545  )  :  e  meschini  prosatori  il  Venuti  e  il  Fa- 
brini  (  i58i,88). 

Venuto  al  secolo  XVIII  passar  vuoisi  il  Cantati 
modenese  per  la  sua  traduzione  in  versi  sdruccioli  en- 
decasillabi (  1757  ),  e  l'Àmbrogì  minore  di  se  nella 
versione  (  iy58  )  :  ancora  vuoisi  passare  il  Soave,  co- 
munque nella  sua  soprabbondanza  non  affatto  infe- 
lice (  iy65  ).  Ma  non  può  passarsi  il  conte  Alessan- 
dro Biancoli,  del  quale  il  Gamba  accennando  il  la- 
voro poco  noto  (  e  che  meritava  di  esserlo  )  e  la  edi- 
zione di  Pesaro  1 768  in  fol.  dedicata  a  S.  A.  il  du- 
ca di  Toscana,  dice  il  verseggiare  ben  sostenuto.  Di 
questo  illustre  spirito  di  Romagna  ,  che  fu  il  Bian- 
coli, scrivemmo  nel  tomo  XXX,  voi.  go,  giugno  1826 
a  pag.  36 1  e  segg.  di  questo  giornale,  annunziando 
la  ristampa  della  georgica  tradotta  in  versi  italiani  dal 
medesimo  :  ristampa  dovuta  alle  cure  del  concittadi- 
no prof.  G.  Ignazio  Montanari  di  Bagnacavallo.  Ag- 
giungemmo, che  lo  statuto  agrario  di  s.  Mai'ino  (  Pii- 
mino  18 13  )  volendo  dare  il  vero  succo  de'  precetti 
virgiliani  per  la  coltura  de'campi,  scelse  appunto  e  ri- 
portò in  parte  la  versione  del  Biancoli;  tanto  fedele, 


3i2  Letteratura 

che  niente  più.  Si  usa  ancora  nelle  souole  di  Roma- 
gna con  molto  onore,  comechè  qualche  incenso  all' 
idolo  frugoniano  (  che  ora  è  caduto  )  recar  dovesse 
il  Biancoli  :  e  fu  peccato  del  secolo  e  della  fortuna, 
meglio  che  suo  !  Rileggasi  di  grazia  quel  nostro  ar- 
ticolo, che  risparmia  a  noi  ora  di  molte  parole  in  lo- 
de di  tale,  il  cui  poemetto  delle  Maioliche ,  rinvenu- 
tosi ultimamente,  risusciterà  la  sua  fama  nella  edizio- 
ne, che  ne  sta  preparando  in  Bologna  il  nipote  con- 
te Oreste  Biancoli  bagnacavallese  (  Vedasi  V  Impar- 
ziale di  Faenza,  num.   16  e  24  del   1840). 

Seguitando,  non  passeremo  il  Tornieri,  che  sa- 
crificò alla  rima  di  troppo,  avendo  dato  in  ottave  la 
georgica  (  1780  )  :  né  il  Bondi,  che  in  versi  sciolti 
non  senza  qualche  riuscita  diede  la  sua  (  1800  ):  ne 
il  Vincenzi  lodato  per  lo  stile  e  fidatezza  (1800,  1816): 
né  (  per  tacere  di  altri  già  troppi  )  un  Benedetto  dei 
Bene  (  1809  ),  ed  un  Arici  (  1822  )  uomini  lodatis- 
simi. 

Le  prime  palme  daremo  al  nostro  marchese  Bion- 
di (  sempre  pulito  scrittore  in  terza  rima  ),  ed  al  ca- 
valiere Strocchi  (  sempre  trionfante  in  versi  sciolti  ). 
11  poligrafo  di  Verona  pose  a  fronte  nel  i838  I  toni. 
/X,  pcig.  233  e  segg.  )  le  versioni  del  Biondi  e  del 
Mancini  sul  principio  col  testo  :  noi  porremo  a  fron- 
te la  versione  dello  Strocchi  con  quella  del  Man- 
cini. Qualche  osservazioncella  al  bisogno  soggiunge- 
remo, secondo  l'istituto  nostro,  che  è  di  aprire  schiet- 
tamente i  nostri  dubbi,  al  giudizio  de'savi  sottomet- 
tendoli per  amore  del  vero  e  per  la  gloria  delle  let- 
tere ;  rimosso  mai  sempre  ogni  spirito  di  parte  o  di 
presunzione,  da  cui  siamo  alieni.  E  potremo  ingan- 
narci ;   ma  volontariamente  non  vorremo  altri  ingan- 


Opere  di  Virgilio  3i3 

Tiare  !  Il  che  vogliamo  sia  detto  e  ridetto   una  volta 
per  sempre. 

Ogni  savia  e  gentile  persona  pongasi  innanzi  il 
testo  del  libro  I  della  georgica  virgiliana  sino  al  ver- 
so 42  inclusivamente  ,  i  quali  contengono  non  più 
che  la  proposizione  e  l'invocazione.  E  legga  i  seguen- 
ti versi  dello  Strocchi,  secondo  la  splendida  edizione 
'di  Prato  in  8,   i83i,  con  rami. 

I 
«   Che  cosa  giovi  a  fecondar  le  biade, 
»  A  quel  segno  di  stelle  aprir  la  terra, 
»  Viti  ed  olmi  accoppiar,  reggere  armenti, 
D  Lanuti  custodire,  e  con  qual  arte 
»  Le  frugali  educar  pecchie  convegna, 
»   Mecena,  a  dir  comincerò.  Voi  chiari 
»  Occhi  del  mondo,  che  il  volubil  anno 
»   Governate  dal  ciel,   Cerere  e  Bacco, 
»   Se  la  vostra  mercede  in  miglior  esca 
»   Si  trasmutò  di  Caone  la  ghianda, 
»  E  la  nuova  vendemmia  i  schietti  rivi 
»   Colorò  di  Acheloo,  driadi  e  fauni, 
»  Divinità  di  pio  cultore  amiche 
»   A  me  venite,  i  vostri  doni  io  canto. 
»   Tu  che  nel  sen  della  percossa  terra 
»   Col  poter  del  tridente  apristi  al  primo 
»  Animoso  corsier,  Nettuno,  il  varco; 
»   Tu  nume  di  Tegèa  selvosa,  a  cui 
»   Innumerevol  numero  di  armenti 
»   Pasce  l'erba  di  Cea,  se  non  assonna 
»  Del  tuo  Menalo  in  te  l'affetto  antico, 
»  Pane  maestro  di  lanuta  greggia, 
»   Del  materno  Liceo  lascia  le  selve, 
»  E  qua  vieni  da  me.  Tu  degli  olivi 


3i4  Letteratura 

»  Prima  inventrice  dea,  tu  giovinetto 

»  Trovator  dell'aratro,  e  tu,   Silvano, 
»   Che  a  man  ti  rechi  un  tenero  cipresso 

»  Da  radice  divelto,  o   tutti  o   tutte 
»  Divi  e  dive,  che  i  campi  in  guardia  avete, 

»  E  la  poca  semenza  in  pingue  messe 

»  Accrescendo  nudrite,  e  voi  che  ai  solchi 

»  Giù  mandate  dal  ciel  gran  copia  umori. 
»   Cesare,  te  massimamente  invoco, 

»  Te,  Cesare,  per  cui  s'inforsa  il  mondo 

»  Qual  collegio  de'numi  a  se  ti  scriva 

»  Quando  che  sia  ;  se  a  cittadine  mura 

»  Appressando  vorrai  regger  la   terra, 

»  La  terra  a  te  dator-  delle  ricolte 

»  A  te  signor  delle  stagioni  adori 

»  Velata  il  crin  del  tuo  materno  mirto  ; 

»  O  ti  piaccia  esser  dio  dell'ampio  mare, 

»  Te  sol  ne'voti  il  navigante  invochi, 

»  Inchini  a  te  l'ultima  Tuie,  e  Teti 

»  Con  quanto  ha  d'acque  a  genero  ti  compri; 

»  O   ti  piaccia  salir  novello  agli  astri 

»  Astro  de'giorni  estivi,  e  tu  nel  mezzo 

»  Fra  la  vergine  vieni  e  le  seguaci 

»  Braccia  dello  scorpion,  che  le  ritira 

»  E  più  spazio  di  cielo  a  te  rassegna. 

»  In  qual  che  nume  convertir  ti  deggia, 

»  (  Ne  già  te  rege  tuo  l'inferno  aspetti  ; 

»  Lungi  da  te  di  tal  regno  la  sete, 

))  E  lascia  dir  che  del  giardini  di  Eliso 

»  Grecia  si  ammira,  e  la  chiamata  indietro 

»  Fanciulla  nega  di  seguir  la  madre  ) 

»  Aspira  al  corso  di  animosa  prora  , 

»  E  passion  comportando  all'ignoranza, 


Opere  di  Virgilio  3 i5 

»  •  Che  offende  il  pio  cultor,  vien  meco  in  via, 
»  E  a  lasciarti  chiamar  ne' voti  impara.  » 

La  versione  dello  Stronchi;  maestro  di  ogni  ele- 
ganza, fu  giudicata  da'savi  come  l'altra  sua  degl'inni 
di  Callimaco  :  e  noi  non  aggiungeremo  parola,  rive- 
renti a  tale,  che  Italia  saluta  come  il  Nestore  de'let- 
terati,  che  vantansi  e  sono  amici  della  gloria  di  Dan- 
te; tanto  più  che  professando  eloquenza  in  Ravenna 
egli  sparge  di   fiori   perpetuamente  la  tomba  di  quel 
divino.  Bensì  loderemo  lo   Strocchi,  il  quale  se  su- 
però ogni  altro  recando  in  terza  rima  gl'inni  di  Cal- 
limaco ed  alcuni  di  Omero:  prescelse  di  dare  in  versi 
sciolti  la  georgica.  Noi  lo  ripetiamo  ,   non   ha  metro 
più  degno  agli  esametri  latini  la  lingua  nostra  :  ogni 
altro,  massime  col  vincolo  della  rima,  sarà  con  dan- 
no della  fedeltà  o  con  pericolo  certamente,  fosse  pu- 
re opera  del  tersissimo  marchese  Biondi    (  la  cui  pen- 
na dava  oro  continuamente  ).  Ne  toccammo  altra  vol- 
ta le  ragioni,   che  sono  singolarmente  della  maggiore 
libertà  che  lasciano  gli  sciolti   al  traduttore,  e   della 
facilità  pur  maggiore  a  conformarsi  al  testo    in  ogni 
minima  cosa  :  il  che  è  essenziale  rendendo  Virgilio, 
perfetto  scrittore  che  vuoisi  rispettare  in  tutto,  come 
colui  che  fino  a  un  capello  foggiò  a  maraviglia  il  suo 
poema;  non  altrimenti  che  Raffaello  un  suo  quadro  , 
Canova  un  suo   gruppo,  Bassi  un  suo  paese,  togliere 
o  mutare  un  apice  al  quadro,  al  gruppo,  al  paese  di 
que'maeslri  sarebbe  peccato  !    Ora  chi  potrebbe  patir- 
lo riguardo  alla  pupilla  di  Augusto,  Virgilio  ?  Ma  con 
ciò  non  s'intenda  spregiarsi  da  noi    questa  o  quella 
versione  rimata,  e  meno  quella  del  eh.  Mancini:  del- 
la quale  anzi  riporteremo  il  tratto,  che  risponde  al 
tratto  recato  dello  Strocchi. 


3i6  Letteratura 


i. 


«   Quel  che  fecondi  l'alma  terra  e  pieno 
»  Faccia  il  ricolto;  qual  de' segni  additi 
»  L'ora  d'aprirle  coll'aratro  il  seno, 
»  E  agli  olmi  adulti  maritar  le  viti  ; 
»   Come  da  mandrian  provido  sieno 
)>  Moltiplicati  i  greggi  e  custoditi; 
»  E  intorno  all'api  quali  cure  e  quanto 
»  Studio  convenga,  o  Mecenate,  io  canto. 

Una  certa  larghezza  si  permette  all'ottava,  e  a 
buona  ragione  la  si  consente  il  eh.  Mancini  :  al  qua- 
le potrebbe  chiedersi  però  come  non  abbia  reso  di- 
stintamente Quae  cura  boum,  qui  cultus  habendo 
sit  pecorì,  come  nel  testo  ;  ma  in  quella  vece  abbia 
confuse  per  così  dire  le  gregge  e  date  in  cura  al  man- 
driano ;  quando  altra  è  la  cura  che  vuoisi  alle  Dian- 
dre, altra  quella  che  vuoisi  ai  buoi,  che  arano  la  ter- 
ra. Al  mandriano  basta  custodire,  moltiplicare  le  raz- 
ze in  branco;  al  contadino  bisogna  tenere  grassi  e  for- 
ti i  bestiami  in  ben  guardate  stalle,  affinchè  servano 
alla  coltura  de'campi.  Ma  seguitiamo  col  eh.  Manci- 
ni, il  quale  vince  se  stesso  vincendo  le  difficoltà  del 
metro  per  rendere  francamente  Virgilio. 


2. 


«   Voi,  Bacco  ed  alma  Cerere,  del  mondo 
»  Lumi,  che  l'anno  per  lo  ciel  guidate, 
»  Se  l'uom,  vostra  mercè,  volse  nel  biondo 
»  Frutto  le  ghiande  della  prima  etate, 


Opere  di  Virgilio  3 17 

»  E  mescolò  dell'uve  il  rubicondo 
»  Succo  all'onde  acheloe,  me  vostro  vate 
»  Udite  :  e  driadi  e  fauni  odano  ancora, 
»   Che  dei  presenti  la  campagna  adora. 

Ferie  simul  faunique  pedem  dryadesque 
puellae,  munera  vestra  cano.  Invita  il  poeta  e  Bac- 
co e  Cerere  e  fauni  e  driadi  :  Venite  insieme ,  dice 
loro  (ad  ascoltare  s'intende  )  :  il  traduttore  audite , 
dice,  ed  odano;  manca  dunque  il  venire  in  compa- 
gnia, segno  di  concorde  animo,  ad  ascoltare.  Quan- 
to all'ordine,  non  è  al  tutto  conforme  al  latino,  ed 
è  peccato  :  di  che  le  ragioni  mostra  il  Costa  nella 
elocuzione;  tanto  che  non  è  uopo  ripeterle.  E  un  cen- 
no basta  a'savi  nostri  leggitori  ! 


3. 


«  E  tu,  gran  nume,  la  cui  destra  afferra 
»  11  tridente  del  mondo  scotitore, 
»  Dal  qual  percossa  la  novella  terra 
»  Partoriva  un  fremente  corridore  ; 
»   Tu  pur,  cui  mandra  innumerabil  erra 
»   Per  le  balze  di  Cea,  divo  pastore, 
»   Cultor  de'boschi  di  Saturno  antico, 
»  A  me  venite,  i  vostri  doni  io  dico. 

Ecco  finalmente,  benché  tardi,  reso  il  ferie  pe- 
dem; se  non  che  manca  il  simul  espresso,  E  tardi 
diciamo  ,  perciocché  dopo  aver  detto  prima  udite  o 
odano,  l'invito  a  venire  per  ascoltare  diventa  fuori 
di  luogo,  contro  la  virtù  dell'ordine  lucido,  del  qua- 
le parla  a  maraviglia  Orazio  nel  codice  del  buon  gu- 


3i8  Letteratura 

sto.  Anche  il  viunera  vestra  cario  è  posto  tardi,  e 
il  dico  non  rende  abbastanza  il  canto  ,  come  qui 
vuole  propriamente  il  poeta.  Ma  continuiamo. 


«   Il  paterno  Liceo  lassa  e  la  cima 

»  Del  tuo  Menalo,  o  Pane,  e  vieni  o  dotto* 
»  D?agne  custode  :  né  il  fanciul  che  prima 
»   Co'curvi  aratri  il  suol  vergine  ha  rotto, 
»  Ne  l'inventrice  dell'oliva  opima 
»  Pallade  manchi,  ne  Silvan  che  sotto 
»   Umane  forme  fra  gli  agresti  è  spesso, 
»   Svelto  portando  un  tenero  cipresso. 

Bella  dottrina  saper  custodire  le  agnelle  !  Ma 
Pane  era  un  dio  e  sapeva  Varie  per  eccellenza.  Del 
resto  Virgilio  si  contenta  dire  Pan  ovium  custos  , 
ne  aggiunge  idea  di  dottrina  qui  non  bene  a  propo- 
sito. Ruppe  dovea  dirsi  qui,  e  non  ha  rotto,  aven- 
do riguardo  al  tempo.  Svelto  capiamo  dovere  stare  per 
divelto',  ma  così  alla  prima  chi  legge  è  tentato  a  ri- 
tenere svelto  per  agile',  e  sì  che  Silvano  (  prima  idea 
che  subito  presenta  il  traduttore  )  dovea  essere  agilis- 
simo. 


5. 


«   Accorrete  benigni,  o  numi  tutti, 

»   Quanti  questo  educate  o  quello  stolo 
»   Con  propria  cura,   e  sovra  i  semi  o  i  frutti 
w   Diffondete  opportune  acque  dal  cielo. 
»  E  tu  che  non  vedrai  d'Erebo  i  flutti, 


Opere  di  Virgilio  319 

»   Ma  pur  nasconde  del  futuro  il  velo 
»   In  qual  coro  entrerai  degl'immortali, 
»   M'arridi,  Augusto,  ed  al  mio  voi  dà  l'ali. 

Al  mio  voi  dà  Vali,  e  ni  arridi  vengono  dop- 
piamente a  dire  ciò  che  nel  testo  detto  è  verso  la  fi- 
ne dell'invocazione  : 

Da  facilem  cursum,  atque  audacibus  adnue 
caeptis. 

Questa  anticipazione  interrompe  le  idee,  che  si 
legano  ad  Augusto,  e  che  è  forza  al  traduttore  con» 
tinuare  nella  ottava  seguente. 


6. 


«    0  Roma  anco  vegliar  dalle  stellanti 
»   Sedi  tu  voglia;  e  far  l'orbe  felice, 
»   Che  te  dalle  stagioni  arbitro  canti 
»  E  d'ampie  messi  deità  datrice  ; 
»   O  dio  del  mar  divenga,  e  i  naviganti 
»   Te  invochin  solo,  e  in  te  la  genitrice 
»  Delle  cerulee  vergini  profonde 
»   Compri  il  genero  suo  con  tutte  l'onde. 

Il  cingens  materna  tempora  myrto  del  vers.  28 
di  Virgilio  manca  al  volgare.  Tethys  all'incontro  è 
reso  con  una  circonlocuzione  delle  cerulee  vergini 
profonde  ne  bella,  nò  opportuna. 


32G  Letteratura. 


»  Od  astro  novo  nella  calda  zona 

a  Armi  dell'anno  fra  gli  alterni  eredi 

«   Brillar  dov'ampio  sito  infra  Erigona 

»  E  lo  scorpion  ti  s'apre  :  il  mostro*  oh  vedi  ! 

»   Già  le  branche  ritira,  e  t'abbandona 

»  Dell'infiammato  ciel  più  che  non  chiedi. 

»   Che  né  l'ombre  da  te  sperin  la  legge, 

»  Né  tu  il  fren  desiar  che  Pluto  regge. 

Tardis  mensibus  dice  il  testo  al  vers.  3a:  ora  i  tar- 
di mesi  sono  essi  adunque  alterni  eredi  delVanno  2' 
o  lo  sono  essi  soli  ? 


8. 


»  Sebben  d'Eliso  maraviglie  attesti 
»  Il  tebano  cantor,  né  Prose rpina 
»  Alla  madre  tornar  curi.  Tu  questi 
»  Principii  audaci  al  termine  incammina,. 
»  E  per  pietade  degl'ignari  agresti 
»  Avvalora  colui  che  gli  addottrina; 
»  Terrestre  ancora,  i  bei  sudor  ne  apprezza,. 
»  E  i  voti  umani  ad  ascoltar  ti  avvezza. 

E  superbo  il  dire  colui  che  gli  addottrina:  più  mo- 
desto è  Virgilio  dicendo  ad  Augusto:  Mecum  mise- 
ratus  agreste^  ignares'y  come  meglio  al  vers*  4 J  del 
testo. 

Conchiuderemo,  che  ogni  cielo  ha  le  sue  nubi, 
ed  ogni  versione  i  suoi  nei.  Del  resto  a  volere  esse- 


Opere  di  Virgilio  3ai 

re  imparziali,  come  sempre,  diamo  il  giudizio  del  Po- 
ligrafo (  nel  luogo  citato  )  sulla  traduzione  della  geor- 
gica  del  eh.  Mancini  :  egli  è  di  questo  tenore  :  «  Il 
»  verseggiare  è  per  dir  vero  felice,  commendevole  ci 
»  sembra  il  linguaggio  poetico  :  e  risguardando  alla 
»  difficoltà  delle  rime  obbligate,  noi  possiamo  affer- 
»  mare  essere  questo  uno  tra  i  più  felici  volgarizza- 
»  menti  della  georgica.  »  Al  che  aggiungiamo  ,  che 
se  il  eh.  volgarizzatore  con  quell'animo  suo  sempre 
inteso  agli  studi  porrassi  a  limare  la  versione,  quan- 
to fece  Virgilio  stesso  il  bellissimo  originale,  acqui- 
sterà sempre  più  lode  di  pulito  scrittore,  come  è  de- 
gno a  chi  siede  maestro  di  gentilezza  nella  beata  Fi- 
renze ! 

prof.  D.  Vaccolini. 


Saggio  di  epigrammi  dell'antologia  tradotti 
dalVab.  Domenico  Santucci. 


I. 

VACCHERELLA    DI    MJRONE. 


M 


iron  dall'opra  sua  fuor  di  se  tratto, 
Sì  cara  vaccherella  è  viva,  disse  : 
E  l'altra  ov'è,  che  a  lei  simile  ho  fatto  ? 

G.A.T.LXXXVIII.  ai 


323  Letteratura 

IL 

PIE    VELOCE. 

Aria,  vaghissimo  figliuol  di  Meneclo, 

Certo,  tarsensi,  vien  con  laude  a  Perseo 

Autor  di  vostre  mura: 

Tanto  in  vista  e  in  valor  lo  raffigura. 

Tutto  avvampante  con  pie  alato  correre 
Il  vedi  sì,  che  non  poriagli  l'omero 
Perseo  mostrar  per  quante 
Forze  accogliesse  ad  affrettar  le  piante. 

Mirar  ben  puossi  al  primo  uscir  del  carcere, 
O  quando  già  a  toccar  la  meta  è  prossimo: 
Ma  l'occhio  il  cerca  invano 
In  tutto  quanto  l'interposto  piano. 

III. 

LADRO    FAMOSO. 

Trasse  dal  tempio  dell'alme  esperidi 
Menisco  ladro  tre  pomi  d'auro, 
A  quanti  die  di  piglio 
Furtivo  già  d'Anfitrione  il  figlio. 

Come  poi  diede  vivo  spettacolo 

D'esser  combusto  dinanzi  al  popolo, 

In  questo  pur  si  vide 

Non  dissimile  punto  al  grande  Alcide. 


Epigrammi  tradotti  3a3 

IV. 

1SOLETTA    FERACE. 

Isoletta  mi  son  di  piccol  giro  : 

Ma  lio  viti  e  terebinti  e  pingue  terra 
E  belle  lande  ovunque  mi  raggiro. 

D'altre  più  vaste  un  circolo  mi  serra  : 
E  qualunque  lodar  voglia  l'ampiezza, 
E  dir  ch'io  perdo  al  paragon,  non  erra. 

Ma  prive  di  vigor,  senza  adornezza, 
Da  tutte  parti  il  nudo  aspro  terreno 
Per  se  fa  Lestimon  di  lor  magrezza. 

Prove  di  ricco  suolo  i  frutti  sieno  : 

Non  vale  il  dir  :  A  stadi  i'son  più  grande. 
Un  solchetto  del  Nil  può  l'arso  seno 

Invidiar  dell'affricane  lande  ? 

V. 

MENSA    DELL 'AVARO. 

Una  cena  a  chi  non  basta  ? 
Ma  chi  accetta  il  dolce  invito 
Del  convito 
Che  prepara  Salammo, 
Vede  a  prova 
Che  conviene 
Far  due  cene. 


3a4  LfiTTXRATCKA 

VI. 

iMMERltEfOLE    TRIONFANTr. 

Ier  la  Vittoria 

Da  un  tal  fu  vista 
Per  le  vie  muovere 
Pensosa  e  trista. 

Di  che  ammiratosi, 
Quegli  a  lei  vólto  : 
O  dea,  perdonami, 
Che  mal  t'ha  colto  ? 

Che  mal  ?  Sei  l'unico, 
La  dea  riprese, 
Che  di  me  misera 
Non  sai  le  offese  ? 

Aristo  è  origine 
Delle  mie  pene, 
Che  immeritevole 
Per  sua  mi  tiene. 

Poria  non  piangere 
Or  la  Vittoria, 
Che  ad  uom  la  cessero 
Privo  di  gloria  ! 

Aristo  presemi 
Non  altrimenti 
Che  i  nocchier  sogliono 
Prendere  i  venti. 


Epigrammi  tradotti  3aS 

VII. 

SEPOLCRO    D'UN    CONTADINO. 

Benignamente  accogli,  o  madre  antica, 
Entro  al  tuo  seno  Eucralida  il  colono, 
L'util  memorando  della  sua  fatica; 

Che  di  sua  mano  induslre  il  frutto  sono 
Queste  piante   d'olivi  e  queste  viti, 
Onde  ne  viene  umor  più  assai  che  huono. 

Ben  ei  le  folte  messi,  e  gl'infiniti 

Arbor  di  frutti  ch'ombrano  il  terreno, 
E  gli  erbaggi  piantò  sì  saporiti. 

E,  solchi  aprendo,  facea  poi  che  pieno 
Scorresse  un  rivo  a  nutricar  le  piante, 
Che  messi  i  germi  nel  tuo  grembo  avieno. 

Fa'  dunque  d'esser  lieve  e  verdeggiante 
Per  largo  tratto  dove  il  veglio  posa  : 
Ivi  di  sua  beltà  tutta  s'animante 

La  famiglia  de'fior  vaga  e  odorosa. 

Vili. 

1NFIDIOSO. 

Era  Acete  d'invìdia  sì  riarso, 

Che,  visto  il  sozio  in  maggior  croce   appeso, 
Tutto  comparve  di  livore  sparso. 


326  Letteratura 

IX. 

IL    MEDICO   E   IL    POETA. 

Cotante  morti  al  mondo  non  addussero 
L'acque  tutte  che  giù  si  riversarono 
A'dì  deucalionei,  o  quando  il  misero 
Fetonte  mal  guidò  le  rote   fervide, 
Quante  reconne  verseggiando   Potamo 
Ed  il  medicator  ben  noto  Ermogene. 
Sicché  quattro  saran  le  stragi  orribili 
Da  trapassar  famose  in  ogni  secolo  : 
Fetonte,  Deucalion,  Potamo,  Ermogene. 

X. 

CONTRO    UN   PVGILATORE. 

Un  chiaro  pugile 
Del  ludo  olimpico  , 
Di  nome  Stratofonte, 
Ebbe  mento  ed  orecchie  e  naso  e  fronte. 

Contuso  il  misero 
Da  colpi  orribili 
Fece  cotal  visaggio, 
Che  nulla  potè  aver  del  suo  retaggio. 

In  fatti  a' giudici 
La  pinta  immagine 
Recata  dal  fratello, 
Fé  di  presente  dir:  No  ,  non  è  quello. 


Epigrammi  tradotti  3a; 

XI. 

TUMULO    DI   MIBA. 

Vestita  in  bronzo  vergine 
Qui  resto,  o  viator, 
Di  Micia  sovra  il  tumulo 
Immersa  nel  dolor  ; 

Finché  l'onde  discorrano, 
Finche  germogli  il  suol, 
Finché   viaggi  candida 
La  luna  e  splenda  il  sol. 

Sopra  quest'urna  in  lagrime 
Io  sempre  mi  starò, 
E  qui   Mida  rinchiudersi, 
Tacente  accennerò. 

XII. 

TUMULO    D'UN    FANCIULLO. 

Niente  ancor  non  mi  sapea  d'affanni, 
Quando  mi  dipartii  da  questa  vita 
Callimaco  fanciul  sol  di  cinque  anni. 

Non  lamentar,  se  sai,  la  mia  partita  : 
Cui  poco   tempo  a  viver  fu    concesso, 
Ben  dei  saper  siccom'egli  in  sua  vita 

Videsi  ancor  da  pochi  mali  oppresso. 


3a8  LETTERATURA 

XIII. 

QUERELA   DEL   NOCE. 

Povero  noce  !  lungo  il  sentier  nato, 

Ahi  !  quanti  sassi  a  me  per  giuoco  vibrano 
I  protervi  ragazzi  d'ogni  lato. 

Tutte  quasi  rendendo  al  suol  le  foglie, 
E  i  tanti  germi  che  si  rinnovellano, 
In  fine  io  lascerò  le  intere  spoglie. 

Io  fruttifero  :  e  in  ciò  mio  sommo  danno  : 
Val  meglio  isterilir,  che  in  gran  dovizia 
Patir  d'oltraggi  sì  gran  copia  ogn'anno. 

XIV. 

CUPIDO   IN    GEMMA. 

i 

Io  vidi  in  una  gemma  Amor  che  il  dorso 
Preme  d'afro  lion;  vidi  l'impero, 
Onde  a  sua  voglia  ne  governa  il  morso  ; 

E  domo  ir  vidi  sotto  lui  quel  fiero, 
E  come  col  flagello  anche  il  molesta: 
A  tal  veduta  mi  tremò  il  pensiero. 

Ahi  !  di  me  debil  che  faria  cotesta 
Possanza  di  sì  barbaro  fanciullo, 
Che  sgagliarda  il  signor  della  foresta 

E  di  lui  prende  così  vii  trastullo  ? 


Epigrammi  tradotti  3  29 

XV. 

RVINE    DI   MICENE, 

Degli  eroi  le  patrie  antiche 
Non  son  più  per  alcun  loco, 
O  se  sono,  un  cotal  poco 
Di  rottami  solo  appar. 

Ne  fai  tu  fede,  o  Micene  : 
Nel  passarti  or  ora  innante 
Mi  ti  offristi  oh  !  in  qual  sembiante 
Miserabile  a  mirar. 

Non  che  ad  altro,  solamente 
A  una  rupe  che  nell'aria 
S'erga  alpestre  e  solitaria 
Ti  vedea  fatta  simil. 

Anzi  tal  mi  venne  al  guardo 
Piaggia  inospite  e  diserta, 
Che  sembianza  offriami  l'erta 
Di  spregevole  capril. 

In  quel  mezzo,  per  ventura 
Mentre  guardo  il  tetro  ostello, 
Sentii  dir  da  un  vecchierello 
Che  passava  per  colà  : 

Una  volta  per  le  mani 
De'  ciclopi  qui  sublime 
Erse  al  ciel  le  altere  cime 
Tutta  d'oro  una  città  ! 


33ò  Letteratura 

XVI. 

CATTIVO    CANTORE. 

Canta  e  ricanta  il  gufo 
Canzon  di  trista  sorte, 
Ma  il  canto  di  Dcmofilo 
Anche  al  gufo  dà  morte. 

XVII. 

PIGRO. 

Vide  Marco  nel  sogno,  ahi  !  trista  idea» 
Marco  vide  se  stesso  che  correa. 
A  non  rinnovellar  più  tal  cimento 
Prese  pel  sonno  eterno  ahorrimento. 

XVIII. 

SÀTIRO   DI   MUSAICO. 

Viatore  e  Satiro» 

Vìat.  Ben  mi  so  io  -  siccome  facili 

I  satirelli  -  sono  a  deridere  ; 
Ed  or  qual  è  il  tuo  avviso 
Mettendo,  come  fai,  cotanto  riso  ? 

Sat.     Rido  mirando  -  io  me  medesimo 

Come  di  varie  -  giunte  petruzzole 

Fatto  fui  di  presente 

Nume,  e  per  tale  m'adorò  la  gente. 


Epigrammi  tradotti  33  i 

XIX. 

TUMULO    DI    VECCIUERELLA    BEVITRICE. 

Nell'arca  sepolcral,  ov'è  sepulta 

La  vecchietta  Maronide,  da  un  lato 
Larga  tazza  da  ber  l'autore  ha  scalta  ; 

Però  ch'ella  non  pur  di  tutto  fiato 
I  calici  votava,  ma  e  garriva 
Sì  che  noiava  tutto  il  vicinato. 

Un  nonnulla  cinguetta  ancor  non  viva 
Là  di  sotto  al  coperchio;  e  non  lamenta 
Già  la  sua  prole  di  soccorso  priva, 

Che  vive  in  un  col  padre  macilenta; 

Ma  il  calicion,  che  sopra  le  sta  asciutto, 
Dica  che  più  d'ogn'altro  la  tormenta: 

Che  di  buon  vino  il  vorria  colmo  tutto. 

XX. 

trist'uomo  al  magistrato. 

Non  la  virtù,  ma  la  fortuna,  o  Cadmo, 
Te  in  alto  a  levar  prese, 
Vaga  di  far  palese, 
Che  dessa  veramente 
E  diva  onnipossente. 


33a  Letteratura 

XXI. 

PERNICE   MORTA   DAL    GATTO. 

O  delle  rupi  aeree 
Antica  abitatrice  , 
Or  non  hai  più  di  vimini 
Né  un  tetto,  o  mia  pernice 

Ne,  quando  al  roseo  margine 
Appar  la  nuova  aurora, 
Potrai  le  alette  scuotere 
Al  sol  che  te  l'indora. 

Ahi  !  che  il  gatto  venefico 
Ti  smozzò  il  capo;  e  tutto 
Il  resto,  oh  !  scelleragine, 
Co'denti  ebbe  distrutto. 

Se  parte  di  te  misera 
Alcuna  ancor  ne  avanza, 
Di  sotto  a  questo  cespite 
Abbia  secreta  stanza. 

Non  io  farò  mai  suppliche 
Che  siati  il  terren  lieve, 
Anzi  un  terreno  pregoti 
Qual  è  più  duro  e  greve; 

Non  foi-se  l'avversario 

Un  dì  qua  pur  s'avventi, 

E  sperda  crudelissimo 

Fin  anco  i  tuoi  frammenti. 


Epigrammi  tradotti  333 

XXII. 

MERCURIO   DI   SE  E  DI  ERCOLE. 

Io  mi  sono,  o  pastori,  il  vostro  Ermete  : 
Per  poco  mei  di  quercia  e  poco  latte, 
Meschini  doni,  facile  m'avete. 

Alcide  non  si  placa  per  sì  fatte 

Tenui  offerte  :  di  sangue  una  fiumana 
Chiede  di  capri  e  di  agnelline  intatte. 

Si  dice  poi  com'egli  ne  allontana 

Dal  gregge  i  lupi.  In  fin  però  che  importa 
O  sia  il  lupo  che  il  gregge  vi  dishrana, 

O  sia  il  custode  che  a  morir  lo  porta  ? 

XXIII, 

A    CERBERO   DELLA    TENUTA   D*ARCHILOCO. 

0  tu,  che  i  regni  di  Cocito  immane 
Assordi  con  altissimo  latrar, 
Più  ch'altra  volta  mai,  trifauce  cane, 
Or  veglia  ben  sull'atro  limitar. 

Se  al  suon  de'giamhi  di  veneno  aspersi 
Licambe   colle  figlie  il  sol  fuggì, 
Poria  l'accento  di  que'crudi  versi 
Dar  volta  all'ombre  e  ricondurle  al  di. 


334  LiTtÈ  rat  d  n 

XXIV. 

LA    NIOBE    DI   PRASSITELE. 

Son  Niobe  :  fui  da'superi 
In  sasso  convertita  : 
Poi  per  man  di  Prassitele 
Tornai  dal  sasso  in  vita  : 

XXV. 

MERCURIO    DI    SE   E   DI    ERCOLE. 

Qual  sii  die  t'incammini 
Alla  città  più  prossima, 
O  a'floridi  giardini 
Che  son  d'intorno,  sostati, 
E  ascolta  quanto  Ermete  or  ti  dirà. 

Duo  siam  gì' iddii  presenti, 
Ambo  custodi  a'termini, 
Me  che  parlar  tu  senti 
Benigno  ed  amorevole, 
Ed  Ercol  che  accigliato  ivi  si  sta. 

Venne,  pocli'è,  di  pere 
Dovizia  ;«!»  offerirnesi  : 
Egli  le  più  sincere 
A  se  trasse  di  subito, 
E  l'altre  amare  e  guaste  a  me  serbò. 


Epigrammi  tradotti  335 

Così  dell'uve  avvenne  : 
Le  più  gustose  e  tenere 
Tutte  per  sé  ritenne: 
E  i  duri  e  acerbi  grappoli, 
Che  non  potean  piacergli,  a  me  lasciò. 

Tal  sozio  non  mi  piace  : 
E  dura  cosa  vivere 
Con  chi  non  vuol  la  pace  : 
Però  le  offese  cessino, 
E  quando  a  noi  farassi  il  pio  cultor 

Onusto  del  suo  dono, 

Non  metta  tutto  in  cumulo, 

Ma  dica  :   Queste  sono 

Le  offerte  sacre  ad  Ercole  : 

Con  quest'altre  ad  Ermete  io  rendo  onor. 


Compendio  della  storia  romana  di  monsignore 
Pellegrino  Farini.  Lugo  ,  per  Vincenzo  Me- 
landri in  8.  Voi.  /,  i838;  voi.  II  e  III,  1839; 
voi.  IV,  1840. 


^o  veduto  quasi  nascere,  crescere,  prosperare  que- 
st'opera data  a  vantaggio  della  gioventù  studiosa  :  ne 
ho  scritto  qua  e  cobi  alcuna  parola  di  lode  all'usci- 
re de'primi  volumi.  Ora  che  il  quarto  irò  apparso  , 
dopo  averne  veduto,  per  singolare  bontà  del  chiaris- 
simo autore,  il  manoscritto  :  panni  non  debba  esser- 
mi disdetto,  che  di  tutta  l'opera  io  parli  più  a  lun- 
go ;  dico  più  a  lungo;  non  degnamente  quanto  me- 


336  LiTTiUTon 

rita  un  lavoro  condotto  con  molta  cura  delle  cose  e 
della  lingua,  ed  accolta  con  plauso  di  tutta  Italia. 
Finisce  alla  caduta  della  repubblica,  e  lascia  in  de- 
siderio di  vederne  la  continuazione  sotto  l' impero. 
Di  che,  se  agio  non  manchi  al  dotto  autore,  merite- 
vole di  ogni  favore,  credo  poter  promettere  alle  let- 
tere, che  vogliono  intera  la  storia  romana  in  un  or- 
dinato compendio  da  porre  nelle  mani  de'principian- 
ti,  e  tale  che  risponda  al  bisogno  ed  alla  convenien- 
za altresì,  giusta  la  mente  di  Tacito,  che  si  propose 
narrare:  «  Qualis  status  urbis,  quae  mens  exercituum, 
»  quis  habitus  provinciarum,  quid  in  toto  terrarum 
»  orbe  validum,  quid  agrum  fuerit;  ut  non  modo  ca- 
»  sus  eventusque  rerum,  aed  ratio  edam  causaeque 
»  noscantur.  »  Egli  è  ben  vero,  che  prima  vuoisi  la 
nuda  narrazione  dei  fatti,  poi  quella  de'costumi  e  del- 
le leggi,  e  allora  spaziando  per  la  regione  delle  co- 
se apprestare  il  lume  della  filosofia,  che  è  come  il  so- 
le al  creato.  Tuttavia  qualche  lampo  di  quella,  che 
dicono  metafisica  della  storia,  si  può  far  tralucere  a 
quando  a  quando;  in  modo  però  che  non  abbagli  i 
giovinetti,  pei  quali  è  fatto  1'  andare  non  al  fulgore 
di  pieno  giorno  ;  ma  alla  luce  riposata  del  mattino  : 
farebbe  altrimenti  mancare  al  lucido  ordine,  e  dimen- 
ticare che  la  virtù  visiva  sì  degli  occhi,  si  della  men- 
te vuole  essere  non  isforzata,  ma  esercitata  con  mo- 
derazione :  il  continuo  esempio  la  fa  più  forte  a  pro- 
ve sempre  maggiori  :  anche  la  natura  va  per  gradi  , 
e  non  per  salti,  nel  6U0  corso  ordinario  :  quella  è  la 
maestra  che  non  inganna  ,  se  bene  si  seconda,  e  si 
ascolta  con  amore. 

Intanto  quei  due  occhi  della  storia  ,    che  sono 
geografia  e  cronologia,  non  deono  mancare  chi  vuole 


Storia  romana  337 

dal  compendio  di  monsignor  Farmi  trarre  tutto  l'u- 
tile, che  egli  si  propone  ed  a  ragione  può  aspettarsi 
nelle  nostre  scuole  di  umanità  e  di  rettorica.  Non  dee 
mancare  il  buon  senso,  ossia  la  logica  pratica,  negli 
apprendisti  :  non  la  buona  filosofia  a'precettori;  senza 
ciò  l'opera  aver  non  potrebbe  pieno  successo  a  bene 
de'nostri  studi.  Tutto  l'agir  cleono  lasciare  i  parenti 
ai  loro  figliuoli  di  attendere  alla  istruzione  dello  spi- 
rito, invigilando  sopra  loro  continuamente  :  cleono  i 
maestri  essere  provveduti  di  tali  emolumenti  da  po- 
tere donare  se  stessi  senza  stento  e  senza  vergogna 
al  loro  ufficio  ,  che  è  nobilissimo  ;  comunque  non 
manchino  gl'insipienti  di  avvilirlo,  non  per  altro  che 
per  matta  superbia  e  per  ispiri to  di  egoismo  da  do- 
versi sbandire  oggimai  sotto  il  paterno  regime  di  prin- 
cipe santissimo  e  sapientissimo.  Al  quale  il  nostro  se- 
colo è  debitore  per  la  protezione  concessa  alle  let- 
tere ed  alle  arti,  e  molto  più  per  avere  agli  autori 
garantiti  i  frutti  dell'  ingegno  e  della  mano  in  cose 
letterarie  ed  artistiche  per  l'appunto,  con  un  consen- 
so tra  i  potentati  fra  l'alpi  e  il  mare,  che  move  da 
concordia  conservatrice  dell'ordine  e  della  gloria;  on- 
de la  felicità  de'popoli,  che  il  cielo  privilegia  ponen- 
doli in  mano  di  tali  governanti  !  Questo  cenno  mi 
si  permetta  a  cagione  di  onore  e  di  grato  animo  pel 
novo  segnalato  beneficio.  Proprie  erano  cla'secoli  a  cia- 
scuno la  casa,  il  campo,  le  suppellettili;  non  proprie 
le  opere  dell'ingegno  e  della  mano.  Questo  è  trionfo 
dell'ordine:  tardo,  ma  degno  !  Ed  infinita  conviene  che 
sia  negli  autori  la  gratitudine  a  tanta  sapienza  e  pre- 
videnza, che  i  secoli  di  Pericle,  di  Augusto  e  di  Leo- 
ne cotanto  in  grido  giammai  non  videro  !  Ecco  un 
vero  progresso  !  Al  quale  seguiranno  altri  beni,  per- 
G.A.T.LXXXY1II.  22 


338  Letteratura 

clic  da  cosa  nasce  cosa  :  ed,  a  cagione  di  esempio,  più 
giusti  onorari  saranno  assegnati  ne'  comuni  ai  mae- 
stri :  i  quali  se  costretti  a  lottare  col  bisogno  ,  che 
opprime  ,  non  ponno  venire  con  alacrità  alla  prova 
dello  insegnare,  dura  e  difficile  quant'altra  mai.  Dis- 
sodare un  terreno  è  grave  cosa,  più  grave  dirozzare 
le  menti,  e  spargervi  semi,  che  fruttino  a  bene  delle 
famiglie,  delle  città  e  dello  stato  :  chi  presiede  alle 
cose  degli  studi  non  è  possibile  che  consenta  difetto 
di  emolumenti  dove  è  larghezza  di  fatiche  :  e  quali 
fatiche  !  Il  sudore  del  corpo  è  il  meno,  se  si  valuti 
l'opera  della  mente,  che  per  umana  debolezza  sente 
stanchezza  e  tutti  gì'  incomodi  delle  vita.  Ora  come 
può  prestarsi  all'esempio  dell'istruire  una  mente  do- 
ma dalla  necessità  e  da  quell'avvilimento,  che  gl'igna- 
ri doviziosi  spargano  sulla  turba  de'maestri,  cui  man- 
ca non  pure  un  tozzo  di  pane,  ma  quell'onore  che 
sarebbe  almeno  un  conforto  nell'indigenza?  Qui  la  pa- 
rola farebbesi  acerba;  ma  buono  è  mitigarla  nella  spe- 
ranza di  un  dolce  avvenire,  che  non  mancherà  dopo 
l'aurora  annunciatrice  di  chiaro  giorno,  e  di  certa  e 
lunga  serenità.  Onore  a  chi  ha,  più  onore  a  chi  sa: 
ed  è  in  tale  ufficio  singolarmente  sa  insegnare  ai  no- 
velli il  sapere,  onde  l'avere  e  il  potere  :  che  sono  i 
primi  elementi  della  privata  e  pubblica  felicità  !  Buo- 
no è  che  a  mani  degne  venga  dato  di  spargere  i  se- 
mi della  dottrina  ;  ma  queste  mani  siano  mosse  da 
forza  animatrice  di  ogni  pubblica  cosa,  e  sicure  da- 
gli assalti  dell'invidia  e  della  fortuna,  nemiche  eter- 
ne dell'ordine  e  della  comune  prosperità  ! 

Tornando  a  noi,  lieti  di  care  speranze,  applau- 
diamo: che  un  buon  compendio  come  di  storia  sacra, 
così  di  storia  romana  ci  abbiamo,  e  tutto  italiano,  da 


Storia  romana  33g 

quel  fiore  di  sapiente,  che  è  monsignor  Farini,  lume 
(Mia  Romagna  e  delle  lettere  :  a  cui  auguriamo  non 
lodi  (  che  abhondano  meritamente  ) ,  ma  premi  a  tan- 
ta virtù  convenienti. 

D.  Vaccolini. 


Serie  cronologica  storico-critica  de\>escovi  faen- 
tini compilata  dal  canonico  Andrea  Strocchi 
faentino.  Faenza  tipografia  Montanari  e  Ma- 
rabini   iB/j-O^  in  4»  di  fac.  XII  e  3o8. 


É 


innanzi  il  ritratto  di  quel  chiarissimo  D.  Placi- 
do Zurla  cardinale,  che  fu  finche  visse,  ed  è  tutta- 
via ornamento  dell'ordine  camaldolese,  delle  scienze 
e  della  religione  universale.  E  vi  ha  la  dedica  al 
medesimo  :  vi  ha  la  prelazione,  dove  l'autore  ricorda 
la  sua  promessa  latta  tre  anni  fa  al  pubblicarsi  delle 
sue  memorie  istoriehc  del  duomo  di  Faenza  (  Giorn. 
are.  toni.  70,  pag.  98  )  di  dare  la  serie  cronologica 
de'vcscovi,  per  supplire  alPUghelli,  il  quale,  a  senti- 
mento dello  stesso  padre  di  ogni  erudizione  Lodovi- 
co Muratori, avendo  bisogno  di  gran  riforma,  que- 
sta non  se  gli  può  dare,  se  non  da  chi  del  pae- 
se si  mette  con  tutte  le  braccia  a  coltivare  quella 
parte  di  terreno  che  a  lui  tocca.  Nella  storia  de' 
vescovi  d'Italia  l'Ughelli  omette,  a  parere  dell'auto- 
re della  sili  chiesa  e  della  patria  zelantissimo,  8  ve- 
scovi faentini,  e  \  che  non  lo  sono  aggiunge  ad  essi. 


340  Letteratura 

Da  croniche  manoscritte,  e  da  altre  memorie  di  Faen- 
za e  di  città  vicine,  congetturando  talvolta,  ha  tratto 
l'autore  istesso  di  che  comporre  la  cronologia  de've- 
scovi  della  chiesa  faentina  dai  secolo  III,  sino  all'an- 
no di  Cristo  i832:  cominciando  da  s.  Savino  vesco- 
vo e  martire  del  780  sino  al  presente  monsignor  Gio- 
vanni Benedetto  de'conti  Folicaldi  bagnacavallese,  che 
fu  promosso  appunto  alla  sede  episcopale  il  2  luglio 
i83fl.  Avendo  io  stesso  avuto  occasione  di  sommini- 
strare notizie  di  chiese  e  luoghi  pii  della  città  di  Ba- 
gnacavallo  dal  1270  in  poi,  oltre  quelle  che  ha  po- 
tuto accogliere  dagli  storici  hagnacavallesi,  miei  con- 
cittadini, l'autore  ha  inserito  in  quest'  opera  alcuna 
di  tali  notizie  ,  essendo  la  città  di  Bagnacavallo  ora 
soggetta  al  vescovo  di  Faenza,  della  cui  diocesi  è  par- 
te nobilissima. 

In  prima  col  favore  del  celebre  Muratori  non 
dubita  porre  in  serie  un  DeoJato  all'anno  di  Cristo 
783,  deducendolo  da  una  iscrizione  in  marmo,  esisten- 
te ancora  ne  II'  antica  Pieve  di  s.  Pietro  in  Sjlois 
presso  Bagnacavallo,  che  dee  leggersi,  secondo  lui,  co- 
me appresso  ; 

«  De  donis  Dei  et  sancti  Petri  apostoli  temporibus 
»  Domini  Deus  Dedit  Vb  episcopi  Iohannes  hu- 
»  milis  presbyter  fecit  per  indictionem  quintam.  » 

E  nel  documento  I  presenta  incisa  tale  iscrizione  nel- 
la forma  che  vedesi  in  quel  marino  :  iscrizione,  che 
esercitò  lungamente  l'ingegno  degli  eruditi  ;  tra'quali 
l'abate  Pinzi,  nelle  Addende  alla  pregiata  sua  disser- 
tazione De  nummis  ravennatibus  ,  appropriolta  al 
pontefice  s.  Deodalo  I  ,  che  fu  al  principio  del  VII 


Vescovi  di  Faenza  341 

secolo  ;  fondandosi  sulle  sigle  VB  .  EPC  .  che  spie- 
ga urbis  episcopus:  e  non  sarebbe  fuori  di  luogo  la 
osservazione  dell'  indizione  5  ,  se  nelle  discordanze 
cronologiche  volle  starsi  alle  Tabi  e  s  chronologicqu.es 
de  John  Blair,  tr  adulte  $  de  Vanglois  par  Chan- 
Ireau  (  Paris  1795  ),  che  quel  Deodato  pone  dall' 
anno  di  C.  61/j.  al  617  inclusive:  al  qual  anno  617 
corrisponde  appunto  l'indizione  V,  portata  dalla  iscri- 
zione bagnacavallese  (  di  cui  altra  simile,  se  non  è 
la  medesima,  sull'autorità  di  anonimo  ne  cita  il  Friz- 
zi nelle  memorie  di  Ferrara,  toni.  I  a  pag.  &44i  co~ 
me  esistente  in  marmo  bianco  al  muro  della  casa  del 
rettore  di  s.  Vito,  villa  del  ferrarese  territorio  }.  Al- 
tra opinione  sul  nostro  Deodato  si  è  quella  del  Ros- 
si, che  lo  fa  arcivescovo  di  Ravenna  dall'  anno  847 
al  85o,  a  cui  consente  l'Amadesi.  Ed  un'altra  soste- 
nuta dal  canonico  Scalabrini  ,  che  fosse  vescovo  di 
Yaghenza  per  la  sigla  suddetta,  che  spiega  vico  ha- 
bentini.  Ed  altra  di  chi  lo  pose  tra' vescovi  d'Imola: 
altra  finalmente  di  chi  lo  vuole  vescovo  di  Faenza. 
Diversità  di  pareri  fra  tali  e  tanti  eruditi  fa  dubitare 
chi  ama  la  chiara  luce  del  vero  ;  ma  come  sperarla 
in  quella  lontananza  di  tempi  ,  che  non  lasciarono 
.memoria  di  un  vescovo  sia  di  Ravenna,  sia  d'Imola, 
sia  di  Faenza  (  come  piace  all'  autore  )  fuorché  una 
lapide  bagnacavallese  :  della  quale  sono  a  vedere  le 
opinioni  discusse  nelle  Notizie  istoricìie  della  chie- 
sa arcipretale  di  s.  Pietro  in  Sjlvis  dì  Bagnaca- 
v allo  pubblicate  sui  manoscritti  del  canonico  Igna- 
zio Guglielmo  Graziarti  dal  p.  Coleti  (  Venezia 
1772  al  cap.  V,  VI,  VIIs  FUI).  Ma  e  che,  si 
dirà  ?  Bagnaca vallo  a  qual  diocesi  apparteneva  ne'pri- 
mi  secoli,  a  quale  ne'susseguenli  ?  Io  non  saprei  ac- 


342  Letteratura 

certarlo  con  giuramento,  stante  le  opinioni  ventilate 
nelle   istorie  patrie:  dovendosi  fare  alcun  caso  altresì 
di  quanto  scriveva  l'emidi tissimo   Passeri  del  1770  da 
Pesaro  al  p.   Coleti  sul  dubbio  se  quel  Deodato  do- 
vesse darsi  alla  chiesa  faentina  od  alla  ravennatense: 
(  rW,  cap.   V ,  a  pag.  3o  in  nota.  )    «    Ma  chi    sa 
»   quali  erano  allora  i  confini  delle  due   diocesi  ?    » 
Sia  che  mutassero  il  corso  i  Burnì   Senio  e  Lamone, 
tra'quali  è  Bagnacavallo  ,  e  più  o  meno  variassero  ì 
confini  delle  diocesi:  sia  più  veramente,   che  il  do- 
minio temporale  d'allora  variando   così  spesso,  secon- 
do che  le  città  vicine  sempre  in  guerra  tra  loro  e  con 
la  stessa  Bagnacavallo   la  soverchiavano,  lo   spirituale 
altresì  più  o  meno  si  allargasse  :  sia  per  altra  ignota 
cagione,  certo  pare  potersi  dai  documenti  arguire,  che 
que'confini  delle  diocesi  di  Ravenna  e  di  Faenza,  e 
d'Imola  altresì,  andassero  variando   sensibilmente.  Ma 
non  vorrei  oppormi  all'autore,   che  viene  sostenendo 
con  buone  ragioni  il  suo  asserto,  e  dona  il  vescovo 
Deodato  a  Faenza,  se  già  il  Muratori  sentenziò:  Fa- 
ventinìs  liccat  cimi  sibi  tribucre.    Che  se  amore  di 
verità  togliesse  ad  alcuno  di  sottomettersi  all'autorità 
di  taì  nomi,  si  consigli  colla    ragione  :    e    dove  ella 
manca,  o  la  sua  luce  è  annebbiata  od  oscura,  chiegga 
lume  dagli  eruditi,  che   sono  da  tanto  di    trarre   dal 
fumo  splendore,  come  ha  tentalo  di  fare  il   sig.   ca- 
nonico Strocchi,  benemerito  della  sua  chiesa  e  della 
diocesi,  che  egli  onora  colle  sue  illustrazioni.  E  ono- 
ra anche  Bagnacavallo,  quando  dice  le  lodi  del   ve- 
scovo nostro   monsignor  Folicaldi,  che   regge  presen- 
temente la  diocesi  faentina  :   tra  le  quali  poteva,    an- 
zi doveva  aggiungere,  che  sotto  gli  auspici  di  lui  fu 
aperto  in  Bagnacavallo  a'  26  settembre  1840  il  nuo- 


Vescovi  di  Faenza  343 

vo  ospitale  degl'infermi  nel  locale  già  de'  pp.  girola- 
mini  ,  che  fu  acquistato  reggendo  la  chiesa  faentina 
il  chiaro  monsig.  iNicolò  de1  marchesi  Tanari  a'20  no- 
vembre 1820:  e  nella  fabbrica  cominciata  del  i83o, 
poi  ritardata  per  le  vicende  de'tempi,  finalmente  com- 
piuta dal  1840,  furono  posti  gì'  infermi  ,  siccome  è 
noto  per  averne  parlato  sì  la  gazzetta  di  Bologna  , 
e  sì  quella  di  Lugano  :  la  quale  nomina  eziandio  l'ar- 
chitetto, di  origine  da  quel  cantone,  cav.  Magistretti  in- 
gegnere di  bella  fama.  Delle  lodi  giustamente  iribui- 
te  all'  odierno  vescovo  Folicaldi  ben  può  allegrarsi 
Bagnaeavallo:  non  così  del  regalo  fattone  dall'autore 
della  serie  cronologica,  il  quale  a  pag.  41  v^Q  esegg. 
attribuisce  un  prete  di  nome  Costantino  alla  pieve 
di  s.  Pietro  in  Sylvis,  ne'rcmoti  tempi  matrice  di  Ba- 
gnaeavallo. Egli  si  fonda  sopra  una  lettera  (  che  ri- 
porta fra'  documenti  )  del  pontefice  Giovanni  Vili  , 
dell'anno  881,  indiritta  al  così  detto  Constanti  no  sa- 
cerdoti ecclesiae  faventinae  de  plebe  sancti  Pe- 
tri  tran  silvani.  Di  che  io  dubiterei;  poiché  leggendo 
nelle  istorie  patrie  e  ne'momimenti,  trovar  parmi,  che 
in  Sylvis  od  intra  Sylvas  fosse  denominata  preci- 
samente la  chiesa  della  pieve  di  Bagnaeavallo  :  non 
già  senza  equivoco  trans  sylvas\  poiché  se  era  den- 
tro, m,  intra ,  certamente  rispetto  al  papa  Giovanni 
Vili,  che  scomunica  il  prete  Costantino  per  essere  sta- 
to promosso  dall'arcivescovo  di  Ravenna  senza  licen- 
za apostolica  alla  chiesa  vescovile  di  Faenza,  la  no- 
stra pieve  non  poteva  essere  al  di  là,  trans  sylvas. 
Ma  qui  verrebbe  una  indagine  a  fare  sulla  selva  o 
selve  ,  di  cui  si  tratta  :  e  sulle  pievi  di  s.  Pietro  ; 
imperocché  egli  è  ben  vero,  che  gli  storici  eruditi  ne 
parlano  ;  ma  o  che  io  non   l'intendo  o  che  essi  con- 


344  Letteratura 

fondono  troppo  agevolmente  luoglii  con  luoghi  ;  in- 
tanto die  non  distinguono  abbastanza  almeno  il  den- 
tro dal  fuori  dall'ocre.  E  paravi  pure  dovesse  la  cri- 
tica camminare  eziandio  fra  le  tenebre  col  lume  del- 
la ragione,  anzi  della  lingua,  che  ad  indicare  la  po- 
sizione rispettiva  dc'luoghi  ha  preposizioni  non  sog- 
gette a  tali  e  tanti  equivoci,  quali  fanno  nascere  so- 
vente gli  eruditi  per  tirare  alla  loro  opinione  qual- 
che cifra  od  iscrizione  ,  che  donano  ad  un  luogo  e 
forse  spetta  ad  un  altro.  Del  resto  io  non  porrò  la 
voce  in  cielo:  troppo  contento  a  radere  la  terra  se- 
minata dei  fiori  delle  lettere  e  dei  frutti  delle  scien- 
ze esatte.  Lascerò  ad  altri  di  volare  come  conviensi 
chi  vuol  trovare  il  sole  oltre  le  nubi,  che  ascondono 
ai  bassi  mortali  il  vivo  splendore.  Ma  non  lascerò  di 
ammirare  il  degno  autore,  che  pieno  di  zelo  dissipò 
molte  ombre  dalla  notte  ,  che  copre  le  antiche  me- 
morie della  chiesa  faentina.  Ed  incuorandolo  a  non 
cessare,  lo  ringrazierò  senza  fine  di  avermi  nominato 
con  tanto  onore  alla  pag.  s63  per  quella  iscrizione 
bagnacavallese,  che  accenna  il  vescovo  Iacopo,  al  tem- 
po del  quale  furono  poste  del  1278  le  prime  pietre 
della  chiesa  de'pp.  minori  conventuali  in  Bagnacaval-» 
lo  ,  della  quale  io  gli  diedi  copia  con  altre  notizie 
patrie  che  conservo  manoscritte.  E  trovandomi  avere 
una  cronica  faentina,  traduzione  manoscritta  da  quel- 
le di  Gregorio  Zuccoli,  non  lascerò  qui  di  notare  ciò 
che  io  vi  leggo  del  vescovo  di  Eaenza,  che  fu  Gio. 
Francesco  di  s.  Giorgio  de'conti  di  Blandrata  l'anno 
i6o3,  regnante  Clemente|  Vili.  Nella  cronica  è  chia- 
mato cardinale  di  s.  Clemente:  ed  ebbe  si  questo  ti- 
tolo, come  è  a  vedere  di  seguito  alle  vite  del  Plati- 
na, in  quella  di  Clemente  Vili,  scritta  da  Giovanni 


Vescovi  di  Faenza  345 

Stringa  (pdg-  856  edizione  di  Venezia  i643  )  :  e 
nota  essere  stato  proposto  papa  all'  ultimo  conclave 
esso  cardinale;  ma  non  essendo  riuscito,  pare  si  ac- 
corasse; onde  poi  potrebbe  arguirsi  una  causa  motri- 
ce o  concomitante  della  di  lai  malattia  e  morte.  Ma 
ecco  le  parole  del  cronista,  clie  accenna  altresì  qual- 
che beneficenza  del  cardinale  vescovo,  non  riferita  dal- 
lo Strocclii  d'altronde  diligentissimo.  Il  cronista  con- 
chiude adunque  cosi  :  «  Compita  1'  operazione  del 
»  conclave,  il  cardinal  s.  Clemente  determinò,  per  con- 
»  siglio  de'medici  e  per  indisposizione  che  si  senti- 
»  va,  di  andare  ai  bagni  di  Lucca,  ove  s'aggravò  il 
»  male,  e  finalmente  li  tolse  la  vita.  Fece  testamen- 
»  to,  e  lasciò  molte  cose  alla  sua  chiesa,  et  una  gran 
»  quantità  di  denari  alla  compagnia  della  morte  per 
»  maritar  donzelle.  »  Ma  basti  oggimai,  ed  abbia  di 
nuovo  l'autore  soprallodato  commendazione. 

D.  Vaccouni. 


-=a-Sgg&©g§§S-=— 


346 


L'arte  di  scriver  lettere,  dedotta  dalV analisi  de1 
classici  scrittori  latini  ed  italiani  per  opera 
di  Giuseppe  Ignazio  Montanari.  Firenze  dalla 
tipografia  calasanziana  1840  ,  in  12,  di  pag. 
120.  Intitolato  ai  giovanetti  studiosi  dal  p.  Sta- 
nislao Gatteschi  delle  scuole  pie,  editore. 


esideroso  di  giovare  alla  tenera  età  io  diedi  fuori 
nel  i83i:  Dello  scriver  lettere,  prima  istruzione 
pe ''fanciulli  in  cinque  lezioni.  Lugo  per  Melandri 
in  8,  di  pag.  36;  che  uscì  di  nuovo  in  Firenze  del 
i834  nel  Giornale  defanciulli,  tipografia  Ciardet- 
ti  in  8  gr.  dalla  pag.  355  alla  365  inclusive,  con 
allre  cose  mie  adatte  all'  intelligenza  delle  piccole 
menti.  Parve  al  mio  onorevole  amico  e  concittadino 
prof.  Montanari  di  scrivermi  sul  proposito  di  quelle 
mie  Lezioni  alcune  osservazioni,  che  sono  a  vedersi 
in  questo  giornale  {marzo  i83i,  a  pag.  222  e  segg.): 
e  vi  aggiunse  colle  lodi,  che  io  non  credevo  di  me- 
ritare, la  promessa  di  dar  fuori  appo  le  ferie  autun- 
nali un  suo  trattatello  per  bene  scrivere  lettere  la- 
tine e  italiane.  Intanto  il  professor  G.  F.  Rambelli 
dava  fuori  1'  Istruzione  epistolare  pe1  giovanetti 
(  Imola  i83i  )  confessando  di  avere  tolto  e  dal  Vi- 
centini ,  e  dal  Giardini ,  e  dalle  mie  prime  lezioni 
stesse.  Ne  parlò  il  prof.  Montanari  in  questo  gior- 
nale  [luglio   i83i  a  pag.  80). 

Una  seconda  edizione  diede  il  Rambelli  [Pesa- 
ro   i833  per  Nobili,  in   16,  di  fac.  64  );  ed  io  ne 


Arte  di  scriver  lettere  347 

toccai  in  questo  stesso  giornale  [luglio  i832,  usci- 
to soltanto  del  i833  ,  a  pag-  238  e  segg.  )  Altre 
edizioni  si  successero  a  confermare  il  pregio  e  l'uti- 
lità della  Istruzione  epistolare  del  Rambelli  (*).  Ma 
come  ai  giovanetti  di  poca  età  o  ignari  di  latino 
giova  il  bel  trattatello  del  prof.  Gianfrancesco 
Rambelli  ,  così  confido  (  dice  il  prof.  Montanari  ) 
che  non  torni  inutile  questo  ai  pia  provetti  ,  e 
specialmente  a  coloro  che  allo  studio  della  lin- 
gua toscana  accoppiali  quello  della  latina  ;  seb- 
bene anche  chi  nulla  sa  di  latino  (aggiunge  egli) 
può  apprender  benissimo  dal  trattatello  mio,  aven- 
do io  recato  gli  esempi  tolti  dai  latini  nei  volga- 
rizzamenti pia  pregiati.  »  Sono  a  lodare  le  nuove 
cure  del  prof.  Montanari  ;  perchè  egli  è  verissimo  ciò 
che  il  Gozzi  (  Gaspare  )  saviamente  notava  :  Nessu- 
na parte  ha  V eloquenza  pia  necessaria  da  esser 
saputa  convenientemente,  quanto  quella  che  allo 
scriver  lettere  s'appartiene. 

E  pare  che  quanto  egli  è  condiscendente  a'mo- 
derni,  altrettanto  voglia  un  freno  dall'  ossequio  agi' 
antichi,  con  una  certa  temperanza  e  moderazione;  che 
è  sempre  prudente  e  ragionevole  :  e  scrivendo  latino 
vuole  si  abbia  riguardo  a  costumi  liberi,  franchi,  schiet- 
ti; scrivendo  italiano,  vuole  più  larghezza  come  è  del- 
l'uso.  Gicerone  solo  fra'  latini  vuole  si  sludi  dai  gio- 


(")  Io  conosco  le  edizioni  seguenti  per  dono  del  prof.  Ram- 
belli. Quarta  edizione:  Pesaro  i853,  in  16,  di  fac.  78,  approvata 
da'censori  il  i5  gennaio  iS54-  Quinta  edizione:  Bologna  i855,  in 
16,  di  fac.  70.  Settima  edizione:  Perugia  1887,  in  12,  di  fac.  100, 
ampliata  di  una  breve  raccolta  di  lettere  moderne  del  Monti, 
del  Perticare  del  Costa,  del  Giordani  ec 


348  Letteratura. 

vani,  cui  permette  di  leggere  anche  Plinio  :  del  qua- 
le forse  più  esempi  che  non  bisogna  qui  diede,  se  so- 
lo Cicerone  vuole  si  studi.  Caro,  Bonfadio,  Tasso  (Tor- 
quato )  ed  il  Redi  propone  loro  de'nostri;  ma  e  dei 
Bembo  dà  esempi  :  dal  Monti  e  dal  Perticar!  e  con- 
sorti vuole  appararsi  la  parte  de'convenevoli  di  più  con- 
facenti ai  nostro  tempo  :  poco  accenna  di  pregio  in 
questi  nostri  maestri  ;  ma  egli  sa  bene  potersi  da  lo- 
ro apprendere  più  che  i  convenevoli.  Del  resto  egli 
secondo  i  diversi  generi  delle  lettere  ne  prende  una 
da  Cicerone  o  da  Plinio,  ed  una  da  un  classico  ita- 
liano ,  facendovi  sopra  quello  studio  di  analisi  ,  che 
tanto  giova  a  conoscere  ed  apprendere  lo  stile  epi- 
stolare. Anche  da  Seneca  prende  qualche  cosa:  e  quan- 
to a  Cicerone  si  vale  della  traduzione  del  Cesari,  che 
è  uno  stento  comparato  singolarmente  a  quella  spon- 
taneità dell'originale.*;  quanto  a  Plinio  si  vale  della 
traduzione  del  Paravia,  e  mollo  bene;  quanto  a  Se- 
neca si  vale  di  quella  del  Gozzi,  tanto  degno  scrit- 
tore, che  il  solo  suo  nome  vale  un  elogio.  Da  ulti- 
mo ha  un  appendice  sulle  qualità  esterne  di  una  let- 
tera. Potrà  parere  a  taluno  che  troppo  severo  io  por- 
ti eiudizio  sulla  versione  delle  epistole  di  Cicerone 
di  quel  toscanissimo  p.  Cesari  ,  in  cui  se  fu  molto 
lo  studio  fu  poca  la  favilla  che  dà  vita  alle  carte.  E 
perchè  io  non  voglio  essere  creduto  sulla  parola,  da- 
rò qui  la  traduzione  di  una  lettera  di  raccomanda- 
zione offèrta  dal  prof.  Montanari  subito  alla  pag.  7, 
rimettendo  i  leggitori  a  ciò  che  notai  sino  dal  1827  nel 
voi.  di  aprile  a  pag.  i35  di  questo  giornale,  sulla  ver- 
sione delle  epistole  appunto  di  Cicerone  fatta  dal  Ce- 
sari. Ivi  si  vedranno  pure  le  lodi  che  io  dava  al  Goz- 


Arte  di  scriver  lettere  349 

zi  per  la  sua  Scelta  di  lettere  ,  dalla  quale  panni 
togliesse  alcun  che  lo  stesso  prof.  Montanari. 

Cicero  S.  D.  Memmio  (  lib.  i3,  ep.  3  ).  Au- 
lum  Fusium  unum  ex  meis  intimis,  observantis- 
simum  studiosissimumque  nostri,  eruditimi  homi- 
nem, et  summa  humanitate  ,  tuaque  amicitia  di- 
gnissimum,  velini  ita  tractes,  ut  mihi  corani  re- 
cepisti. Tarn  mihi  grattini  id  erit,  quam  quod  gra- 
ti ssimum.  Jpsum  praelerea  summo  officio  et  sum- 
ma observantia  Ubi  in  perpetuimi  devinxeris.  Vale. 

«  M.  T.  C.  a  C.  Memmio  salute.  Io  ho  que- 
»  sto  Aulo  Fusio,  che  è  de'miei  intimi,  uno  che  più 
»  mi  onora,  e  di  me  tenerissimo  ;  persona  di  tutta 
»  umanità  e  degnissimo  della  tua  amicizia.  Vorrei 
»  che  tu  mei  trattassi  secondo  che  di  presenza  mi  li 
»  sei  obhligato.  Questo  mi  sarà  la  più  cara  cosa  che 
)>  tu  possa  farmi:  ed  oltre  a  ciò,  lui  medesimo  ti  sa- 
»  rai  obhligato  di  somma  cortesia  e  riverenza  per  tut- 
»   ta  la  vita.   Addio.    » 

Il  traduttore  parla  di  Aulo  Fusio,  come  si  par- 
lerebbe di  una  masserizia,  o  come  dicono  mobile  di 
casa  :  Io  ho  questo  Aulo  Fusio.  Certo  ognuno  a- 
vrebbe  detto:  Aulo  Fusio  è  dermici  intimi  :  quel  te- 
nerissimo sa  di  lezioso  ,  e  basterebbe  tenero  :  non 
so  poi  perchè,  dove  il  padre  della  romana  eloquenza 
ha  ob  servanti  ssimum  studiosissimumque,  il  tradut- 
tore dalla  polvere,  in  cui  si  avvolge  ,  ci  regali  uno 
che  più  mi  onora  e  di  me  tenerissimo,  potendosi  ri- 
tenere meglio  due  addietlivi  propriamente  superlativi: 
eruditimi  hominem  dice  il  lesto,  e  La  traduzione  uni- 
camente persona.  Povero  Fusio,  la  tua  erudizione  e 


35o  Letteratura 

sfumata  sotto  la  penna  del  Cesari  toscanissimo  !  Ve- 
lini ita  traete s:  Vorrei  che  tu  mei  trattassi:  ecco 
di  nuovo  il  povero  Fusio  messo  a  paro  di  un  mo- 
bile di  casa,  mei  trattassi,  e  dovea  dire  lo  trattassi, 
o  se  è  persona  dovea  dire  la  trattassi.  Ma  basti  a 
non  parere  che  io  voglia  farla  da  Aristarco;  lascio  il 
giudicare  a'più  savi;  non  senza  manifestare  un  desi- 
derio, che  il  prof.  Montanari  in  una  nuova  edizione 
ci  traduca  egli  stesso  (  e  potrà  farlo  da  suo  pari  )  le 
epistole,  che  qui  ci  regala  di  M.  Tullio. 

Meglio  mi  sembra  valersi  del  Paravia  per  la  tra- 
duzione di  Plinio:  il  quale  scrittore,  che  troppo  tiene 
del  secolo  d'argento  e  di  una  cotale  cortigianeria,  vor- 
rei però  offerto  men  di  frequente  all'esempio  de' gio- 
vani in  un  trattato  magistrale,  siccome  è  questo  del- 
l' Arte  di  scriver  lettere.  Qualora  non  credesse  il 
prof.  Montanari  di  tradurre  egli  stesso  anche  le  epi- 
stole di  Plinio,  riducendole  qui  a  minor  numero  (e 
sarebbe  miglior  consiglio  per  una  certa  uniformità  e 
per  la  sua  molta  perizia  di  queste  cose  )  :  potrà  a 
mio  giudizio  valersi  della  versione  del  Paravia  ;  po- 
nendo il  testo  pei'ò  in  relazione  colla  versione.  Di- 
co questo  ,  perchè  dove  a  pag.  g  ,  C.  Plinio  scri- 
ve a  Traiano  raccomandandogli  Rosiano  Gemino,  il 
testo  dice:  Mei  summe  obscrvantissimum  expertus^ 
la  versione  che  è  appiedi  del  Paravia  dice:  Lo  tro- 
vai pieno  di  rispetto  per  te  :  e  ciò  può  derivare  da 
diversità  di  lezione  ;  ma  bisogna  sia  consono  il  testo 
alla  versione  in  ogni  anche  menoma  cosa. 

Quanto  alle  traduzioni  del  Gozzi,  ripeto  che  non 
si  potrebbe  desiderare  di  meglio:  ma  se,  non  si  vuole 
un'opera  di  musaico,  starebbe  forse  bene  in  una  nuo- 
va edizione,  che  il  prof.  Monlauari  ci  (lasse  egli  tut- 


Arte  di  scriver  lettere  35  i 

te  le  traduzioni  :  cosi  il  suo  libro  sarà  tutto  di  que- 
sto secolo  e  degno  del  cedro. 

Del  resto  io  lascio  ai  savi  e  discreti  di  senten- 
ziare, contento  a  palesare  alcun  dubbio,  clic  risoluto 
sarà  occasione  a  migliorare,  come  è  possibile,  questo 
trattatello  dell'esimio  prof.  Montanari  :  cui  si  dee  lo- 
de altresì  per  le  continue  sue  cure  a  profitto  della 
studiosa  gioventù  :  di  che  gli  rende  merito  lo  stesso 
p.  Gatteschi  delle  scuole  pie  ,  editore  diligentissimo 
di  questo  trattatello  àcWArte  di  scriver  lettere,  di 
cui  il  fin  qui  detto  è  abbastanza,  se  non  anzi  sover- 
chio a'giudiziosi  nostri  leggitori  :  nella  cui  cortesìa  io 
confido,  siccome  soglio. 

D.  Yaccolini. 


35a 


VARIETÀ* 


Lettere  di  Carlo  Botta,  colVaggiunta  del  ragionamento  sulle  me- 
morie risguardanti  la  vita  e  il  secolo  di  Salvator  Rosa.  To- 
rino 1841  presso  P.  Magagni. 

lion  si  leggeranno  senza  curiosità  le  lettere  familiari  d'un  uo- 
mo di  tanto  nome  nella  nostra  letteratura.  Attendendo  che  alcu- 
no prenda  fra  noi  a  ragionarne  da  senno, ci  piace  perora  di  re- 
car qui  una  di  esse,  perchè  sappiasi  quale  opinione  quel  famo- 
so scrittore  avesse  di  chi  con  tanto  piacer  d'odorato  va  oggi  fru- 
gando per  le  cloache  del  medio  evo  a  trarne  fuori  un  diluvio  di 
stO''iacce}  di  romanzacci,  di  tragediacce,  e  di  poemacci.  Eccola. 

Al  sig.  conte  Nomis  di  Cossilla. 

,,  Parigi  3o  dicembre  i833. 

,,  La  mia  opiuionc  concorda  con  la  sua  circa  gli  sforzi  che 
,,  si  fanno  per  illustrare  la  storia  patria,  non  solo  in  Piemonte  , 
,,  ma  ancora  in  altri  luoghi.  la  questo  tempo  si  può  piuttosto 
,,  rispigolare  che  mietere  :  né  quanto  vi  si  potrà  scoprire  sarà 
,,  mai  tauto,  che  cambiar  possa  i  caratteri  già  conoscimi  de'  se- 
,,  coli.  Forse  iti  qualche  Ieggeudaccia  ,  od  in  qualche  lalinaccio 
,,  di  notaio  ignorante,  si  potrà  rinvenire  quanti  soldi  di  pedag- 
j>  g'O  s*  pagavano  nel  passate  un  fiume,  o  di  dazio  per  transita- 


Varietà'  353 

j,  re  una  merce,  o  quante  genuine  una  comunità    era    obbligata 
,,  di  pagare  al  signor   feudatario  prò   alendo  cane   mastino   sub 
,,  turri  :  o  che  UH  de  scindo  Georgia  tagliaverunt  vineas  et  bla- 
,,  das,  sul  territorio  di  Caluso,  cuoi  centum  barbutis:  o  che  pure 
,,  UH  de   Scindo   Georgia  pissare   non   poterant,    quin  a  Castro 
„  Montalenghae  viderentur;  alcune,  dico,  di  questo  o  simili  cose 
„  si  potranno  forse  rinvenire;  ma  ciò  che  importa,  o  che  momen- 
„  to  reca  nel  carattere  già  conosciuto  di  certi  secoli  ,  no.  Qual- 
,,  che  insulsaggine  di  più  ,    qualche   goffaggine    di    più   si  potrà 
,,  raggranellare  ,   e    nulla    più.    Gran    cosa  è  nei  nostri  tempi  lo 
,,  spirito  servilmente  pedissequo  !    Siamo    veramente   le   pecore 
,,  cantate  dall'Alighieri.  Nacque  in  Edimburgo  un  uomo  di  raro 
,,  ingegno,  the  scrisse  con  bella  ipotiposi  dei  castelli,  delle  stal- 
,,  le,  e  dei  conventi  del  medio  evo.   Subito  alzossi  un  grido  dal- 
,,  l'isola  del  Ferro  sino  a  Reggio  in  Calabria,  medio  evo,   medio 
„  evo,  medio  evo-  A  sentir  gli  eutelechisti,  quella    età   fu   la  più 
„  fiorita  ed  eroica  del  genere  umano  :    e   dàlia  ,  dàlia,  dàlia,  me- 
,,  dio  eco,  medio  evo,  medio  evo:  ed  ecco  uscir  fuori  un  diluvio 
„  di  storiacce,  di  romanzacci,  di  tragediacce  ,    di    poemacci   sul 
,,  medio  evo.  lo  conosco  un  dottore  che,   tutta    volta    che  sente 
„  nominare  medio  evo,  si  leva  il  cappello  per  riverenza.  In  som- 
,,  ma  io  non  so  che  diamine  d'alchimia  ci  abbiano   trovalo:  e  ve- 
,,  dono  tutte  le  perfezioni  iu  un  mare  d'ignoranza,  di   goffaggi- 
,,  ne,  di  barbarie.  Odo  che  un  certo  Albertazzo,o  Albertone  che 
,,  sia,  di  Bologna,  cui  nessuno  conosce,  sia  uomo  più    grande  di 
„  Temistocle  e  di  Giunio  Bruto.  Dicono  che  il  medio  evo  ci  ha 
,,  fatti  e  covati.  Certo  sì  che  sono  gli  uomini  e  le  donne  di  quel- 
,,  l'età  che  ci  hanno    generati  :    ma  1'  educazione    dell'  intelletto 
„  non  l'abbiamo  ricevuta  da  quelle  bestie,  bensì  da   coloro  che, 
,,  dando  loro  sulle  corna  ,    rimisero  in  luce  la    civiltà  greca  e  la 
,,  civiltà  romana.    Veramente    i    lambicchi  e  gli  stillicidi    dei  si- 
„  gnori    Thierry,   Cousin,  Barante  e  Lerminier  sulla  storia  dei 
,,  bassi  tempi,  sono   cose    stupende  e  da  far  voltare  il  cervello  a 
,,  chi  ne  ha.  Fatto  sta  poi,  che  nemmeno  in  ciò  evvi  nei  lodato- 
,,  ri  e  distillatori  di  quei  tempi  infelicissimi  una  opinione  ferma, 
,,  frutto   di   attenta   considerazione   o  ragione  ;   anzi  non  è  altro 
,,  che  un  metodo  pecorino  suscitato  da  un  vento    venuto  da   E- 

G.A.T.LXXXVII1.  a3 


354  Varietà' 

ditnlmrgo,  e  per  parer  nuovi  diventano  assurdi.  Staremo  a  ve- 
,,  fiere  che  nascerà.  Sinora  non  si  vede  altro,  che  -   Ulrum  chi— 

maera  bombicans  in  vacuo  boileano  possit  coinedere  secwulas 
,,  intenliones.  Ciò  poi,  di  che  io  non  posso  restar  capace,  è  che 
,,  nulla  patria  di  Machiavelli,  dico  nell'  Italia  ,  si  corra  dietro  a 
„  sì  ridicole  chimere.  Certo  l'era  è  molto  eunuca  e  pecorina!  ,, 

B. 


Orazione  pé1  defonti  associati  alfa  propagazione  della  fede,  letta 
da  monsignore  Stefano  Rossi  ligure  addì  i">.  gennaio  i84'  in 
s-  Maria  della  pace,  ne  funerali  celebrali  dalle  romane  chi- 
lìarchie.  Roma  presso  Giuseppe  Gismondi  tipografo  della 
propagazione  della  fede,  in  8,  di  fac.  20. 

vJuando  l'eloquenza  del  pergamo  avea  perduto  in  Italia  della 
sua  dignità,  quella  mente  di  Prospero  Lambertini  arcivescovo  di 
Bologna,  che  fu  poi  papa  gloriosissimo,  ammirato  alle  doti  degli 
oratori  francesi  l'accomandò  fossero  tradotti  de'brani  di  que'sacri 
dicitori  per  esempio  «'giovani  religiosi;  ma  aggiunse  cosa  neces- 
sarissima :  che  non  fosse  alterato  il  carattere  dell'eloquenza  ita- 
liana. Intanto  che  ne  seguì  ?  Quello  che  sempre  avviene  a  chi 
troppo  conversa  cogli  stranieri:  che  i  modi  nativi  si  alterano,  si 
perdono  in  fine  per  vestire  gli  strani.  Perchè  fu  giuoco  forza  a' 
prudenti  richiamare  gli  studiosi  d'Italia  a'principii  :  allo  studio 
de'padri  greci  e  latini,  del  Schieri  unico  ancora,  e  di  Dante  che 
tolse  a'iibri  santi  ed  alla  misteriosa  apocalisse  singolarmente  ciò 
che  Io  fa  singolare  da  tutti  poeti  antichi  e  nuovi.  In  lui  forza  , 
evidenza  ed  affetto,  in  lui  que'pregi  che  s,  Basilio  notava  ne'poe- 
ti  dell'antichità. 

A  questi  fonti  diremmo  avere  attinto  monsig.  Stefano  Rossi, 
che  nuova  lode  si  è  acquistalo  con  questa  orazione  di  requie  ai 
defunti  della  propagazione  della  fede:  orazione,  in  cui  non  sap- 
piamo   che    sia  da  ammirar  più   o  il  giudizio  o  l'affetto  o  Telo- 


Varietà'  355 

quio.  I  suffragi  resi  da'legiouari  di  Roma  ai  defonti  associati  al- 
la santa  opera  della  propagazione  della  fede  :  sono  I,  il  miglior 
compimento  di  siffatta  propagazione  :  2,  e  saranno  nel  dì  del  fi- 
nale giudizio  una  delle  glorie  più  belle  a'romani  legionari  mede- 
simi. Ecco  i  punti  dell'orazione,  la  quale  andrà  per  le  bocche  di 
quanti  sono  pel  mondo  cattolico  soci  della  propagazione  della 
fede.  Continui  monsignore  come  Io  studio,  così  l'uso  della  sacra 
eloquenza,  e  cessi  all'Italia  il  bisogno  di  farsi  bella  allo  specchio 
dello  straniero  ■  dessa  che  ha  in  se  pur  tanto  da  ornare  tutto  il 
mondo  ,  se  vuole  e  sa  conoscere  le  proprie  dovizie  ne'tesori  de' 
classici,  e  nella  mente  e  nel  cuore  di  quanti  zelano  con  amore 
le  cose  dell'evangelico  ministero. 

D.V. 


Osservazioni  dell'abate  Giuseppe  Manuzzì  sulle  voci  e  locuzioni 
italiane  derivate  dalla  lingua  provenzale,  opera  del  profes- 
sore Vincenzo  Nan'nudci-  Firenze,  pvesso  David  Passigli  e 
soci,  i84ij  in  8  [fase,  lei  sino  alla  pag.  8o.  ) 

U  na  bella  lode  si  è  acquistata  il  sig.  abate  Giuseppe  Manuzzi 
da  Forlì,  pubblicando  in  Firenze  il  Vocabolario  della  lingua  ita- 
liana, già  compilato  dagli  accademici  della  crusca,  e  da  esso  lui 
nuovamente  corretto  ed  accresciuto.  Egli  è  già  alla  lettera  S,  ed 
ha  iu  pronto  la  lettera  T  :  sua  mercè,  le  giunte  alla  quarta  im- 
pressione oltrepassano  a  quest'ora  le  100  mila.  Al  che  se  aggiun- 
gasi le  correzioni  fatte  da  lui  con  quel  giudizio  ereditato  in  par- 
te dal  p.  Cesari,  del  quale  fu  amicissimo  ;  in  parte  acquistatosi 
da  lui  medesimo  nel  sacrario  della  vera  filosofia:  potrà  aversi 
buono  argomento  da  estimare  per  quello  che  vale  la  sua  fatica, 
che  da  più  omeri  sarebbe  ;  ed  egli  ,  emulando  il  Mombelli  suo 
concittadino,  l'ha  sostenuta  da  sé  pazientemente  e  degnamente. 
E  così  pare  in  Italia  e  fuori  ai  savi  e  discreti  uomini,  i  quali  (sé 


356  V    A    R    I    E    T    A' 

mai  nulla  fosse  slato  da  apporre  al  M'anuzzi  )  detto  avrebbero 
lui  avere  dato  assai  più  del  bisognevole  al  comune  delle  perso- 
ne. Il  contrario  si  studia  mostrare  questo  sig.  Nannuccì,  che  spo- 
gliando senza  dirlo  le  osservazioni  del  eh.  Giovanni  Galvani,  ed" 
il  dizionario  del  Raynouard,  si  è  fatto  bello  delle  penne  altrui, 
e  si>  mostra  pavoneggiandosi  di  qualche  voce  pescata  qui  o  qua 
tra  gli  scrittorelli  della  lingua  provenzale,  anzi  in  qualche  dizio- 
nario di  essa,  e  la  ti  regala  in  onta  al  Manuzzi,  il  quale  osserva 
a  ragione  ni  un  utile  alla  lingua  nobile  potersi  per  avventura 
sperare  da  quelle  spazzature  da  mondezzaio  ,  che  quasi  gemme 
ci-  tragge  in  mezzo  il  Nannucci.  Mostra  ben  egli  il  Manuzzi,  che 
con  quelle  sole  opere  del  Galvani  e  del  Raynouard  alla  mano 
avrebbe  potuto  di  quel  fango  trarre  in  poco  d'ora  di  molte  pre- 
ziosità :  delle  quali  parole  per  saggio  nota  le  seguenti  :  Angeli- 
cale; Baratta  per  inganno,  fraude;  Bello  leziosaggine  ad  accat- 
tare benivoglieiiza  ;  Breve  per  corto,  relativamente  a  cose  mate- 
riali; Cominciaglia,  cominciamento,  voce  che  manca  alla  crusca; 
Consiroso  per  mesto  e  pensoso  (od  angoscioso, travagliato,  giusta 
il  vocabolario)  ;  Cristianare  per  farsi  cristiano;  FalUgione  pei" 
fallo;  Folleare  per  folleggiare;  guerrera  e  guerriera  per  nemica; 
penalo  per  compassione,  pietà  :  e  qualche  altra  che  non  merita 
la  pena  .-  né  questa  pena  sarebbesi  data  il  Manuzzi,  se  non  per 
iscoprire  il  segreto  della  scienza  del  suo  avversario  ,  che  a  talu- 
no pute  di  plagio  Non  già  che  non  si  confessi  egli  stesso,  quel 
bennato  spirito  di  Romagna,  di  avere  in  opera  erculea  e  quasi 
infinita  dato  qualche  rara  volta  piede  in  fallo  :  non  già  che  si 
creda,  od  abbia  promesso  mai  di  nettare  quasi  le  stalle  di  Augia. 
Egli  per  bene  della  lingua  (  bisognosa  tuttavia  di  più  compiuto 
vocabolario  )  ha  tolto  sopra  di  sé  una  fatica  degna  a  chi  del  Ce- 
sari tiene  poco  meno  che  l'anima  con  più  finezza  d'intendimen- 
to. Di  che  vogliamo  abbiasi  da  noi  pure  commendazione:  e  se 
consentendo  alle  dottrine  del  Monti  e  del  Perticali  dove  la  luco 
del  vero  sfavilla,  e  non  ormeggiando  sempre  quella  beata  memo- 
ria del  Cesari,  tiene  la  via  di  mezzo,  che  è  quella  della  ragione.- 
chi  bene  osservandolo  noi  pregierà  e  loderà  quanto  è  degno  ? 
Ma  all'incontro  buttando  gli  occhi  sulle  Osservazioni  uannuccia- 
net  chi  non  compiangerà  alle  lettere  di  usare   ancora    talvolta  il 


Varietà'  35; 

■modo  delle  trecche  e  deJ  bettolieri  e  peggio,  lanciando  peggio 
che  sassi  a  clu  meriterebbe  poco  meno  ebe  l'ovazione  colà  dove 
della  Ungila 'il  più  bel  fior  si  coglie?  Sarebbe  inai  invidia  numi 
cipale,  die  fa  scordare  la  gentilezza  natia  del  bel  paese  tosco  al 
sig.  Nannucci  e  consorti?  Ai  quali  chiederebbesi,  se  non  altro, 
più  buona  fede  nel  riportare  o  chiosare  ciò  che  appuntano  del 
Vocabolario  del  Manuzzi.  Il  quale  vocabolario  (  chi  sa?)  avreb- 
bero forse  voluto  intitolarsi  della  Lingua  toscana  anzi  che  dell' 
italiana,  come  ha  fatto  il  degno  forlivese  !  Come  clic  sia  non  do- 
vrebbe la  fatica  del  bravo  Manuzzi  essere  disconosciuta  dove  la 
lingua  d'Italia  ha  suo  trono:  uè  per  una  parola  si  dovrebbe 
scomunicare  tutto  un  vocabolario  cosi  grande  e  grosso;  se  già 
non  vogliasi  per  una  spica  di  loglio  maledire  tu  Ita  la  messe,  co- 
piosa e  bella  a  maraviglia.  Ci  guarderemo  di  risuscitare  quistio- 
»i  sui  diritti  e  sulle  origini  della  lingua,  per  non  ritoccare  le 
slesse  corde,  che  a  tutti  non  garbano:  e  solo  verremo  gridando 
»1  Nannucci,  ed  al  Manuzzi  altresì,  pace,  pace,  pace.  Che  fanno 
le  misere  guerre  de'letterati  ?  Da  concordia  nasce  il  bene,  dal  suo 
contrario  nasce  ogni  male  :  chi  vuole  adunque  il  bene,  ricordisi 
che  siamo  tutti  uomini  e  possiamo  errare  ,  siamo  tutti  fratelli  e 
dobbiamo  perdonarci  a  vicenda  ;  dobbiamo  amarci  scambievol- 
mente ! 


D.  V. 


Regolamenti  ed  alti  preliminari  per  la  cassa  di  risparmio  in  Ra- 
gnacavallo-  Bagnacavallo  dalla  tipografia  Bellucci  184 1,  in 
8,  di  pag.  24- 


vJome  prima  la  S.  di  Nostro  Signore  accolse  nella  capitale  l'i- 
stituzione della  cassa  di  risparmio,  fu  del  r85tì,  alla  sovrana  sa- 
pienza facemmo  plauso  in  queste  carte;  sì  per  rendere  all'ottimo 
principe  e  più  che  padre  tributo  di  riconoscenza;  come  per  age- 
volare ad  ogni  intelletto  la  cognizione,  ad  ogni  cuore  l'amore  di 
cosiffatta  istituzione,  diretta   a   prevenire  le  miserie  del  povero; 


358  Varietà' 

contribuendo  altresì  a  farlo  industrioso,  previdente  ed  economo, 
e  quindi  ancora  costumato.  E  lo  nostre  parole  furono  seme,  che 
fruttò  forse  ancora  la  pronta  e  felice  propagazione  di  tale  stabi- 
limento nelle  provincie.  Bologna  e  Spoleto,  Ferrara  e  Forlì,  Ra- 
venna e  Faenza  vollero  averne  subito,  né  tardi  almanco,  nel  loro 
seno.  E  non  era  a  maravigliare  di  Bologna,  la  quale  da'secoli 
vantare  ben  può  il  Monte  matrimonio,  vera  cassa  di  risparmio  , 
che  riceve  dai  cinque  sino  ai  trecento  e  più  scudi,  pagando  il 
frutto  e  frutto  de'frutti,  oltre  gli  utili,  che  cedouo  a  favore  del- 
lo stabilimento  quando  non  si  verifichino  le  condizioni  o  di  ma- 
trimonio, o  di  laurea,  o  di  altro  fine  onorevole  propostosi  depo- 
sitando, o  quando  la  morte  intervenga,  come  meglio  appare  dai 
regolamenti,  de'quali  un  estratto  uscì  in  Bologna  per  le  stampe 
Gamberini  e  Parnieggiani  nel  1822;  i  quali  utili  si  ripartono  a! 
depositanti  in  proporzione.  Ecco  il  vero  raocMIo  delle  casse  di 
risparmio,  delle  quali  alcune  troviamo  da  gran  Ic'tnpo  in  Isviz— 
zera  singolarmente  :  come  troviamo  tracciato  il  progetto  di  uno 
Stabilimento  di  una  cassa  generale  dei  risparmi  del  popolo,  ese~ 
guibili  presso  i  principali  governi  di  Europa,  del  signor  della. 
Rocca  in  S,  pag.  1  ic)  (Brusselles,  in  luglio  i-jSGJ  {*)  nelle  ope- 
re del  Vasco  torinese,  che  ne  chiarì  l'idea,  e  l'applicò  al  fine  di 
opporsi  alle  usure  e  concorrere  alla  prosperità  del  popolo.  Più 
lungi  cercando  ,  troviamo  nelle  consorterie  di  arti  e  mestieri  ed 
in  pie  congregazioni  qualche  cosa  di  simile,  quanto  al  porre  in 
comune  colla  mira  di  previdenza  di  bisogni  ed  apprestamento 
di  soccorsi. 

Ma  che  alligni  nelle  grandi  città  una  così  benefica  istituzio- 
ne, che  abbisogna  di  molti  generosi  spiriti  associati  e  della  faci- 
lità di  fare  investimenti,  non  è  da  farne  le  maraviglie:  i  contrari 
ad  ogni  opera  buona  opponevano  non  potere  dessa  aver  luogo 
in  piccole  città,  in  ristretti   comuni.  A  cotestoro   abbiamo  qua  e 


(")  INe  parla  Giambattista  Vasco  torinese,  economista  del  se- 
colo passato,  com'è  a  vedere  nella  raccolta  di  Scrittori  italiani 
di  economia  politica,  lom,  35,  a  p.  190  e  segg.  Milano,  1804, 
stamperia  Destefanis. 


Varietà'  359 

colà  da  contropporre  la  risposta  de'falti  :  un  fatto  singolare  ab- 
biamo a  segnalare  in  Bagnacavallo,  città  della  Romagnuola  fer- 
rarese, che  conta  nell'interno  anime  4  mila,  e  ti  8  in  g  mila  nel- 
l'esterno: 4o  generosi  e  cospicui  soci  hanno  posto  9.0  scudi  per 
ogni  azione,  e  formata  la  dote  di  se  ottocento  hanno  aperta  il 
27  giugno  1841  la  cassa  di  risparmio,  dopo  averne  riportata  be- 
nignissima  approvazione  sovrana  sino  dal  23  dicembre  passato. 
La  prima  domenica  indicata  fu  l'incasso  in  60  nuovi  libretti  di 
credito  di  se.  122.01;  la  seconda,  cioè  il  4  luglio, fu  di  se.  245.- 
concorso  avendo  artieri,  domestici,  fanciulli  ,  e  parecchi  ti ì  con- 
tado, i  quali  alla  stagione  de'ricolti  profittano  dello  stabilimen- 
to, che  si  regge  assai  bene,  e  va  prosperando  contro  i  presagi 
sinistri  de'bassi  spiriti.  Ad  inanimare  e  confortare  valsero  mol- 
tissimo le  savie  e  calde  parole  del  presidente  sig.  conte  commen- 
datine Filippo  Foli  caldi,  che  in  veste  di  gonfaloniere  installò  la 
società  il  20  aprile  passalo,  per  incarico  avutone  dalle  Eni.  TjIj. 
reverendissime  il  sig.  cardinale  Malici  segretario  di  stato,  ed  il 
sig-  cardinale  Ugolini  legato  della  provincia. 

L'allocuzione  è  qui  stampata  col  regolamento  ,  col  tenore 
delle  approvazioni,  e  colla  nota  dc'soci  Dei  premi  sono  propo- 
sti annualmente  ai  più  operosi  ed  assidui  depositanti,  da  dispen- 
sarsi nelle  feste  ed  allegrezze  pubbliche:  e  yli  utili  tutti  essendo 
per  la  cassa,  erogar  devesi  il  netto  in  opere  di  beneficenza,  pre- 
standosi gratuitamente  i  soci  a  reggere  e  sostenere  la  cura  e  l'e- 
sempio dell'amministrazione.  E  contemporaneo  uscì  un  avviso 
con  istruzioni  diramate  alle  parrocchie  ed  ai  notabili  della  città. 
Buono  che  il  popolo  ha  compreso  facilmente  le  parole,  onde  si 
chiude  l'avviso  dei  7  giugno,  che  sono  le  appresso:  "  Ma  una 
gara  onorala  uopo  è  che  sorga  tra  beneficati  e  benefattori  ,  a 
volere  da  questa  istituzione  i  più  bei  fruiti  :  concordia  nel  be- 
ne, agiatezza  comune,  felicita  !  ,,  Io  mi  applaudo  di  potere  al 
meno  con  alacrità  rendere  alla  cassa  di  risparmio  la  qualun- 
que opera  mia  in  veste  di  segretario,  dopo  avere  di  simili  isti- 
tuzioni dichiaralo  ili  istampa  la  utilità  sino  dal  suo  nascere 
nella  capitale  e  in  Bologna  singolarmente.  Così  le  mie  parole 
bene  accolte  acquistarono  per  l'argomento  alcun  valore! 

D.  V- 


36o  Varietà' 

L'invito  di  Da/ni  Orobiano  a  Lesbia.  Cidonia,  con  note  del  cav. 
Antonio  Bertoloni.  Bologna  1840. 

il  chi  non  vengono  conosciuti  ed  ammirati  cosiffatti  versi?  Chi 
non  sa  che  l'arcadico  nome  di  Dafni  Orobiano  nasconde  quello 
del  gran  concittadino  di  Torquato  ,  Lorenzo  Mascheroni  ?  Ma- 
tematico e  poeta:  vero  miracolo  d'ingegno,  che  seppe  maritare 
due  opposti  ,  e  tanto  felicemente  ,  da  sembrare  due  parti  con- 
giunti di  amicizia  da  una  natura  medesima.  Il  suo  poemetto  co- 
me prima  si  mostrò,  riscosse  i  plausi  dei  letterati  contemporanei, 
e,  quello  ch'è  meglio,  maggiori  ne  riscuote  da  quelli  che  vennero 
dopo.  Parlò  la  voce  dei  giornali  più  riputali,  e  fra'primi  l'effeme- 
ridi letterarie  di  Roraa,tom.  22,num.  47;  ed  in  tutte  le  raccolte 
poetiche  v'inserirono  come  gemma  quei  versi.  Così  il  sommo  Vin- 
cenzo Monti  consacrò  un  suo  riputatissimo  poemetto  in  cinque 
canti  ed  in  terza  rima  alla  memoria  dell'illustre  bergamasco. 
E  a  questo  proposito  non  saprei  trapassarmi  senza  riferire  le 
parole  stesse,  che  il  fu  Defendente  Sacchi  poneva  a  ciò  in  un 
suo  bell'articolo  biografico,  al  quarto  volume  della  biografia  de- 
gl'italiani illustri  del  secolo  18  e  de'contcmporanei,  pubblicata 
per  cura   di   Emilio  Tipaldo  (Venezia   1837). 

,,  Il  suono  più  gentile  che  mandasse  la  cetra  del  Mascheroni 
fu  senza  dubbio  1'  Invito  a  Lesbia  Cidonia.  Non  accade  parla- 
re a  lungo  de'suoi  pregi;  solo  varrà  il  dire  che  quegli  cui  pun- 
ge amore  per  la  patria  letteratura,  scorgendo  in  questo  poemet- 
to un  verso  elegante  e  grave,  tanta  diligenza  oraziana  nella  scel- 
ta degli  epiteti,  tanta  bellezza  e  novità  d'idee,  tanto  nitore  e 
soavità  nelle  immagini  e  venustà  nello  stile  ,  sente  una  segreta 
dispiacenza  che  l'autore  non  siasi  tutto  consacrato  alla  poesia  : 
che  certo  avrebbe  colti  i  più  belli  allori  sull'italiano  parnaso. 
Eppure  questo  si  squisito  poemetto  non  è  che  la  descrizione 
de'musei  di  Pavia;  ma  l'aridezza  dell'argomento  era  nulla, ove, 
come  disse  il  Monti,  le  grazie  parlano  profonda  filosofia.  „ 

Il  Mascheroni  diresse  il  suo  invito  poetico  alla   gentile  ed 
elegantissima  poetessa  Grismondi  :  donna  che  fra  le  rare  si  me- 


Varietà.'  36  i 

vitò  il  tributo  di  un  grande,  e  le  lodi  infinite  che  i  letterati 
più  insigni  dell'età  sua  diedero  spontanei  al  suo  sapere.  Chi  poi 
avesse  desiderio  d'intendere  i  particolari  della  vita  di  lei,  se  ne 
faccia  a  leggere  l'elogio  pronunciato  nella  inaugurazione  del 
suo  busto  nell'ateneo  di  Bergamo,  il  giorno  Si  gennaio  i83g, 
dal  conte  Pietro  Moroni,  e  pubblicato  in  quella  città  nello  stes- 
so anno.  Ai  ebe  si  aggiunga  la  biografia  dettata  dalla  elegan- 
tissima rimatrice  vivente,  Elena  Monleccbia;  inserita  nell'album 
di  Roma. 

Vorremo  che  il  poemetto  di  Lorenzo  Mascheroni,  matema- 
tico insigne,  fosse  esempio  di  saviezza  agli  scienziati,  special- 
mente di  cose  naturali:  quando  essi  tengono  in  conto  di  nulla 
la  divina  arte  della  poesia:  non  ripensando  il  profitto  che  le 
scienze  tutte  possono  derivarsene  per  manifestarsi  agli  occhi  non 
acuti  del  popolo. 

NOTE. 

Crediamo  opportuno  di  aggiungere  alcun  che  alle  annota- 
zioni dell'  illustre  botanico  ,  a  maggiore  schiarimento  del  poe- 
metto. 

Vers.  2.  Inclito  ciglio.  D.  Baldassare  Odescalchi  duca  di 
Ceri,  mecenate  de'poeti,  e  poeta  egli  stesso;  del  quale  scrisse  un 
elogio  il  cognato  suo  Giacomo  de'principi  Giustiniani,  eminen- 
tissimo  cardinale,  stampato  nel  giornale  arcadico  tom.  12,  giugno 
183^;  ed  un  articolo  il  cav.  Francesco  Fabi  Montani,  inserito  fra 
quelli  della  ricordata  Biografia  del  Tipaldo.  L'Odescalchi  invi- 
tava la  Grismondi  a  recarsi  in  Roma  con  una  sua  canzone  che 
comincia:  —  Lesbo  fu  lieto  un  giorno  —  D'una  gentil  donzella 
ec.  — Alla  quale  essa  rispondeva  con  le  ben  note  terzine:  —  D' 
alto  incendio  di  guerra  arde  gran  parte  —  D'Europa  ce Poe- 
sie, delle  quali  fu  parlato  con  molta  lode  nell'Antologia  rom.  t.  ir). 

Vers.  67  e  68.  —  Che  si  ami  più  dell'eritrea  marina:  —  Le 
torniate  conchiglie  ec  —  Intorno  questo  argomento  il  chiaro 
poeta  vivente  A.  M.  Ricci  pubblicò  nel  i83o  in  Roma  un  poe- 
ma in  versi  sciolti  in  8,  intitolato  :  Le  conchiglie. 

Vers.  117.  -Manda  dal  Bolca.  -  Intorno  a  questo  monte  scrisse 


362  Varietà' 

alcune  lettere  eruditissime  monsignor  Domenico  Testa,  inserite 
nel  giornale  della  letteratura  italiana  die  si  pubblicava  in  Man- 
tova sul  fine  dello  scorso  secolo. 

Vers.  i34-  -  Stromboli.  -Intorno  al  vulcano  di  quest'isola 
abbiamo  un'assai  erudita  lettera  del  celeb.  Ippolito  Pindemon te, 
inserita  nell'Antologia  toni.  6. 

Vers.  146.  -  Ricco  di  corona.  -  Merita  di  andar  ricordato  e 
letto  il  bellissimo  inno  agli  uccelli  del  eh.  P.  Antonio  Buonli- 
glio,  inserito  fra  quelli  da  lui  pubblicati  in  Roma. 

Vers.  i55.  -Le  occhiute  leggerissime  farfalle-  -  Il  poeta  fer- 
rarese Lorenzo  Rondinetli  pubblicò  un  suo  poema,  dedicato  al- 
la celebre  Bandettini,  che  ha  per  titolo  i  Bruchi  (  Modena  1829, 
in  8). 

Vers.  427  e  428.  -  Riconosci  il  gentil  candido  baco.  -  Cura  de' 
ricchi  sericani.  -Alessandro  Tesauro  pubblicò  un  suo  poema  die 
ha  per  titolo  la  Sereide.  Torino  1 585.  Vercelli  1777,  in  8. 

Vers.  478-  -  Il  legume  d'Aleppo.  -  Il  caffè,  sul  quale  argo- 
mento abbiamo  un  elegante  poemetto  in  ottava  rima  del  gesuita 
Lorenzo  Baratti,  ed  un  bel  sonetto  di  Clemente  Bondi  ,  inserito 
fra  le  «uè  rime. 

Vers.  4^9-  "  Clizia  amorosa.  -  Il  cav.  Ricci  diede  al  parnaso 
un  suo  poema  in  terza  rima  intitolato,  Le  georgiche  de  fiori. 

Vers.  5o4-  -  Che  nozze  han  pur  le  piante.-  Il  celebre  medico 
e  poeta  Erasmo  Darwin  pubblicò  un  poema  che  ha  per  titolo 
gli  Amori  delle  piante ,\\  quale  è  stato  maestrevolmente  tradotto 
da  quel  Gio.  Gberardini,  di  cui  sarebbe  assai  a  dolersi  ,  se  non 
dovesse  proseguire  la  sua  bell'opera  intorno  i  futuri  vocabolaristi. 

Vers.  4q^-  -  Q11'  pure  il  sonno.  -  Il  cav.  Ricci  ha  reso  di 
pubblica  ragione  il  suo  orologio  di  Flora,  nel  quale  sono  anche 
comprese  le  piante,  che  col  loro  chiudersi,  diconsi  dormire. 

S.  C. 


Varietà'  363 

Carlo  Botta,  che  nìuno  oserà  tacciar  di  pedante,  diceva  nel  1802 
questo  sdegnoso  sonetto  (se  non  bello  in  tutto)  nell'  accade- 
mia subalpina  contro  alcune  barbare  parole  ,  che  leggevansi 
nel  messaggio  di  Francesco  Melzì  al  corpo  legislativo  in. 
Milano. 

Atalia  mia,  chi  t'ha  il  parlar  tuo  guasto, 

SI  chiaro  un  dì,  che  andar  per  lui  men    letti 

D'Atene  e  Roma  i  nobili  dialetti, 

Onde  muove  Arno  ancor  sì  altero  fasto? 
Vili  istrioni  con  servile  impasto 

Hau  di  Certaldo  i  puri  fonti  infetti, 

E  con  massacri,  mozion,  regretti 

Storpi  danno  al  cantor  del  fiero  pasto. 
Ah  vegg'io  ben,  che  la  straniera  verga, 

Che  ti  percuote,  fa  che  stranio  accento 

De'servi  figli  sulle  labbra  alberga  ! 
Né  spero  io  già,  che  il  mio  lungo  lamento 

Dirizzar  possa  le  curvate  terga, 

Né  ch'altri  faccia  al  parlar  dolce  intento.' 

Questo  sonetto  fu  pubblicato  nella  gazzetta  privilegiata   di  Ve- 
nezia degli  8  di  aprile  184»- 


Di  un  nuovo  testo  del  Giorno  di  Giuseppe  Parini,  lettera  al  sig. 
Salvatore  Betti  di  Cesare  Canta  8.  Milano  1841,  tipografia 
Bemardoni.  (  Sono  carte  23). 

J.1  Parini,  che  curava  molto  la  proprietà  della  lingua,  e  mollo 
altresì  l'eleganza  dello  stile  e  l'armonia  de'versi,non  credeva  che 
l'immortale  poema  del  Giorno  ,  nelle  edizioni  che  andavano  in- 


364  Varietà' 

torno,  fosse  ancor  giunto  a  tal  perfezione,  che  se  ne  potesse  con- 
tentare la  gran  madre  della  vera  poesia,  l'Italia.  Perciò  non  re* 
stando  mai  d'usare  la  lima,  alquante  cose  aggiunse,  altre  variò, 
altre  infine  riprovò  del  tutto.  Trovato  fra  le  sue  carte  questo  te- 
soro di  seconde  cure,  fu  pubblicato  dal  Reina,  ma  solo  a  pie 
delle  opere  del  Parini:  essendosi  voluto  egli  tenere  nel  testo  del 
Giorno  ,  senza  molta  ragione ,  all'autorità  delle  stampe  che  ne 
correvano.  Ma  diversamente  ha  pensalo  il  sig.  ab.  Mauro  Colo- 
netti  :  il  quale  ha  preso  finalmente  a  darcene  un'edizione,  dove 
tutte  sono  poste  per  entro  il  testo  medesimo  e  le  varianti  e  le 
aggiunte  fattevi  dal  grand'uomo  con  giudizio  così  eccellente.  E- 
dizione  quindi  da  preferirsi  ad  ogni  altra,  che  finor  si  conosca. 
Della  ragione  de'più  notabili  cambiamenti  operati  dal  Pari- 
ni nel  suo  poema  parla  qui  da  suo  pari,  ad  un  caro  amico  di 
Roma,  il  sig.  Cesare  Cantù,  letterato,  come  ognun  sa,  di  si  bella 
fama  in  Italia  e  fuori. 


Memoria  di  archeologia  cristiana  per  la  invenzione  del  corpo 
e  pel  culto  di  s.  Sabiniano  martire,  che  si  veliera  nella  con- 
gregazione delire  scuole  minori  in  collegio  romano  ,  scritta 
dal  P.  Giampietro  Secchi  della  compagnia  di  Gesù,  e  pub- 
blicata nella  solenne  accademia  di  poesia  tenuta  in  onore 
del  santo  giovanetto  nel  giorno  28  di  maggio  dell'anno  1 8  4 1  • 
8.  Roma  184*,  presso  Alessandro  Monaldi.  (  Sono  carte  4^.  ) 

v^hi  dirà  questo  libretto  un  tesoro  di  antichità  cristiane,  dirà 
ciò  di' è  vero:  e  niuno  certo  Vorrà  dubitarne,  quando  pensi  ch'è 
opera  d'uu  letterato,  qual  è  il  padre  Secchi,  così  principale  per 
celebrità  di  dottrina  in  Italia  e  fuori.  Quante  nuove  cose  vi  si 
ragionan  su' nomi,  quante  sulle  acclamazioni,  e  soprattutto  di 
quella  in  pace,  quante  sulla  paleografia  delle  lapidi  cristiane, 
quante  sui  segni  del  martirio,  che  sono  indicati  nelle  catacom- 


Varietà1  365 

be  !  Ma  nluno  assolutamente  con  maggior  magistero  ha  trattato 
de'vasetti  del  sangue,  che  sogliono  trovarsi  ne'sepolcri  degli  anti- 
chi fedeli,  e  confutato  ciò  che  n'hanno  fin  qui  vaneggiato  gli  ete 
rodossi. 


Di  una  strana  opinione  del  signor  Sismondo  Sismondi  nella  sua 
storia  delle  repubbliche  italiane  intorno  al  popolo  di  Roma- 
gna. Apologia  composta  da  Antonio  Vesi  cesenate.  8.  Faen- 
za presso  Montanari  e  Marabini  i84i.  (Sono  carte  83.) 

jj{  on  v'ha  quasi  ingiuria  che  qua  e  là  nella  sua  opera  non  si 
permetta  il  Sismondi  contro  a'popoli  della  Romagna  :  e  soprat- 
tutto non  cessa  di  ricantarci  che  sono  essi  e  crudeli  e  perfidi. 
Tanti  oltraggi  d'uno  straniero  hanno  giustamente  commosso  lo 
sdegno  del  signor  Vesi:  il  quale  pieno  il  petto  d'una  lodevolis- 
sima  carità  patria  (così  tutti  in  simili  casi  lo  imitassero!)  mostra 
in  questa  erudita  e  calda  operetta  quanto  lo  scrittor  ginevrino, 
con  siffatte  calunnie,  abusato  abbia  il  dovere  d'istorico. 


Versi  di  Giuseppe  Corsi.  8.  Pisa  presso  Ranieri  Prosperi  i84i- 
(  Un  voi.  di  carte  23.  ) 

JLj  autore  di  questi  versi  è  un  giovanetto  toscano  di  diciolto 
anni  d'età,  e  tutto  caldo  delle  italiane  glorie.  Egli  studia  di  forza 
la  bella  lingua  del  sì  ed  i  suoi  classici:  e  quindi  ognun  può  cre- 
dere di  quali  speranze  consoli  la  presente  misera  condizione  del- 
la poesia  de'nipoti  di  Virgilio  e  dell'Alighieri.  Segua  il  sig.  Corsi 
a  percorrere  la  nobilissima  via,  guardandosi  sempre  da   questa 


366  Varietà1 

contaminazione  straniera,  cbe  tanto  brutta  ed  avvilisce  a'  nostri 
giorni  l'Italia  .•  e  faccia  soprattutto  d'avere  spesso  il  consiglio  e 
l'approvazione  dell'uomo  illustre,  a  cui  ha  intitolato  queste  pri- 
mizie :  intendiamo  dire  del  cavaliere  Giovanni  Rosini. 


Elogio  storico  di  Luigi   Camoens,  scritto  da    Filippo  Mordani 
ravennate.  8.  Bologna  co? tipi  delle  muse  i84i-  (Sonocar.  iS.) 

.Cicco  l'elogio  che  ci  dà  di  un  grande  il  signor  Mordani,  da  cui 
ne  abbiamo  avuti  tanti  altri  bellissimi.  Ed  esso  è  degno  del  pa- 
ri di  quel  suo  grave  giudizio  e  di  quella  sua  eleganza. 


Istruzione  epistolare  pe' giovanetti  compilata  da  Gianfrancesco 
Rambelli  lughese.  Edizione  ottava  ricorretta  dall'  autore  ec. 
8.  Bologna  1841  dalla  tipografia  di  Giuseppe  Tiocchi  e 
comp.  (  Un  voi.  di  carte  i47-) 

VJonoscevasi  già  in  Italia  questo  bel  trattato  dell'egregio  signor 
Rambelli  :  e  da  lutti  sommamente  e  meritamente  lodavasi.  Que- 
sta ottava  edizione,  che  noi  soprattutto  raccomandiamo  a  mae- 
stri ed  alunni,  è  stata  dall'autore  non  pur  ricorretta,  ma  si  ar- 
ricchita di  un  appendice  di  lettere  di  alquanti  de'  moderni  più 
illustri  in  quest'arte  di  scrivere  con  eleganza  :  come  a  dire  di 
Gasparo  Gozzi,  dementino  Vanuetti,  Vincenzo  Monti,  Giulio 
Perticari,  Paolo  Costa,  Pietro  Giordani,  Antonio  Cesari  ,  Luigi 
Biondi,  Salvatore  Betti,  Pellegrino  Farini,  Michele  Colombo, 
Fortunato  Cavazzoui  Paderzini  e  Francesco  Federighi. 


Varietà'  367 

Congetture  sopra  un'iscrizione  sannitica,  lette  all'  accademia  er- 
colanese  dal  cav.  F.  M.  Avellino  segretario  perpetuo.  4-  Na- 
poli dalla  stamperia  reale  1841.  (Sono  carte  26.  ) 


^Annunziare  un'opera  del  cav-  Avellino  è  annunziare  un  vero 
dono  agli  eruditi  di  Europa.  Qui  l'autore  dottissimo  mostra  so- 
prattutto il  gran  magistero  che  La  delle  antichissime  lingue  che 
parlarono  i  nostri  avi,  e  delle  loro  paleografie:  sicché  bene  in- 
terpretata l'iscrizione  sannitica,  procede  con  egual  perizia  a  da- 
re una  sua  divinazione  sul  senso  della  celebre  iscrizione  osca 
pompeiana  di  Adirano. 


Discorso  intorno  ai  mezzi  più  probabilmente  valevoli  a  preser- 
vare i  prodotti  agricoli  dai  danni  recali  dalle  locuste ,  che 
nel  1839-40  hanno  infestato  diversi  territori  della  delega- 
zione maceratese ,  e  sul  modo  di  diminuire  d'assai  i  perni'- 
dosi  effetti  che  i  succiameli  (  orobanche  bot.  )  producono 
alle  piante  leguminose,  recitalo  nell'  accademia  de'  e  alenati 
di  Macerata  dal  dol.t,  Filippo  Narducci  prof,  di  botanica 
nella  pubblica  università  di  Macerata,  socio  ec-  Loreto  tipo- 
grafia dei  fratelli  Rossi,  1841,  in  8,  difac.  27. 

LI  uè  interessanti  cose  intorno  all'agricoltura  tratta  il  sig.  doli. 
Narducci.  Spone  nel  primo  il  metodo  di  estirpare  le  locuste  , 
come  già  stabilirono  Doria  e  Metaxà  ,  sterminandole  col  fuoco 
allorché  sono  in  istato  di  larva:  poiché  accaduta  la  metamorfosi, 
riesce  impossibile  distruggerle,  il  loro  numero  essendo  prodigioso. 
Propone  quindi  snidare  da'eampi,  in  cui  si  seminano  pian- 
te leguminose  ed  in  ispecie  le  fave,  l' orobanche  (succiamele 
fiamma,  fiammina,  fiorone, fuoco  sabatico,  malocchio,  angine  dei 
francesi  ),  per  non  veder  più  rinnovellato  nei  nostri  campi,  dice 


368  Varietà' 

FA.,  il  favicidlo.  Vuole  che  si  sbarbichi  questo  parassito  prima 
della  fioritura,  per  impedir  che  si  svolgano  e  maturino  novelle" 
semenze.  Micheli,  Lapi  con  altri  (  che  opinarono  come  il  Nar- 
tlucci  )  proposero,  per  adescare  i  contadini  ,  mangiarli  allessi  o 
fritti:  hanno  essi  un  sapore  amarognolo  per  alcuni  non  ingrato. 
„  Tutto  ciò,  egli  dice,  non  è  novità,  ma  applicazione  in  piccolo 
di  metodo  conosciutissimo.  „  Sembra  di  fatti  dover  ciò  riuscire 
molto  utile  e  proficuo,  se  con  diligenza  ed  instancabilità  venga 
applicato  alle  campagne  della  delegazione  maceratese,  che  nel 
i83c;-4o  ebbero  a  soffrire  moltissimo  dalle  locuste  (acridium  ita- 
licuni  ),  e  che  in  quasi  tutte  le  annate  isteriliscono  per  l'oroban- 
che.  —  Reca  piacere  che  si  occupino  i  dotti  di  materie  cotanto 
utili  all'agricoltura,  ed  è  a  lodarsi  il  signor  prof.  JNarducci  che 
nella  maceratese  accademia  dei  catenati  ricorda  istruzioni  agri- 
cole di  grave  interesse. 

E.  C.  B. 


Della  origine,  progresso  e  stato  del  museo  di  anatomia  fisiologi- 
ca e  patologica  umano-comparata  delVI.  e  R.  università  di 
Pisa  nell'anno  i83c;.  Storia  del  dott.  Filippo  Civinini  pisto- 
iese, pubblico  prof,  d'anatomia  umana,  direttore  degli  sta- 
bilimenti anatomici  di  detta  università  ce-  Pisa  presso  Ra- 
nieri Prosperi  1841,  in  8,  di  facce  5a. 

X.  ino  dal  declinare  del  secolo  passato,  e  più  manifestamente 
nell'anno  accademico  1818-19,  il  governo  toscano  potiea  niente, 
affinchè  si  erigesse  un  musco  anatomico  in  Pisa,  il  quale  non  fu 
posto  in  essere  che  undici  anni  dopo.  Tommaso  Biancini  di  Ca- 
stel Bolognese  con  diligentissime  ed  efficaci  cure  dava  incomin- 
ciamento  al  medesimo,  allorché  còlto  da  un  grave  morbo ,  che 
lo  trasse  al  sepolcro,  abbandonar  dovette  la  onoranda  impresa. 


Varietà'  369 

Succeduto  l'A.  allo  infelice  Biancini  nell'anno  1 834-35,  tro- 
vò molte  preparazioni  rese  affatto  inservibili.  Sole  60  se  ne  po- 
terono ricuperare:  più  di  altrettante  graziosamente  egli  donò. 
Con  poco  più  di  120  pezzi  cominciava  ad  avere  esistenza  reale 
questo  museo.  La  moltiplicità  dei  presenti  ed  i  lavori  riguardanti 
pezzi  organici  sani  e  morbosi,  e  prodotti  dalle  malattie  sì  dell' 
uomo  e  sì  degli  animali,  in  parte  eseguiti  dal  eh.  prof  Civinini, 
arricchirono  questo  gabinetto  di  i3oo  oggetti:  numero  rilevan- 
tissimo, per  la  infanzia  del  medesimo. 

A  lode  ed  onore  de'generosi,  che  furono  coitesi  di  donativi 
al  museo  pisano,  noteremo  che  il  prof.  Regnoli  dava  numerosa 
serie  di  calcoli  orinari  ed  alcuni  pregevoli  pezzi,  ottenuti  da  fa- 
mose operazioni  del  suo  particolare  esercizio.  I  professori  padre 
e  figlio  cavalieri  Gaetano  e  Paolo  Savi  disponevano  ,  che  dal 
museo  di  storia  naturale  passassero  nel  fisio-patologico  alcuni 
calcoli,  stupendi  anche  per  la  nobilissima  derivazione  loro  dal 
museo  mediceo,  con  alcune  mostruosità  animali  egregiamente  pre- 
parate. 11  prof.  Giambatista  Mazzoni  di  Firenze  facea  presente 
di  pezzi  bellissimi  e  rarissimi  ereditati  dal  grande  Lorenzo  Nan- 
noni,  e  ne  aggiungeva  dei  propri.  Importantissimi  doni  fece  il 
prof.  Pietro  Vannoni:  altri,  riguardanti  in  ispecie  calcoli  orina- 
ri, il  prof.  Menici  :  così  i  dottori  Simone  Notari  e  Leopoldo  Fe- 
di, il  prof.  Barzellotti,  il  prof.  Carlo  Biagini  di  Pistoia,  l'archia- 
tro  Del  Punta,  il  dott.  Cartoni  ed  altri  molti  (*).  Insigniva  il 
prof.  Panizza  il  gabinetto  di  Pisa  di  alcuni  eccellenti  preparati 
che  servirono  di  tipo  alle  tavole  di  quel  lavoro  sui  vasi  linfatici, 
che  è  quanto  in  proposito  vanta  di  meglio  l'odierna  anatomia. 
„  Il  prof.  Alessandrini,  preclaro  non  meno  per  gl'interessanti  suoi 
lavori,  che  per  il  nobilissimo  museo  d'anatomia  comparata,  di 
che  per  lui  va  superba  la  sempre  dotta  Bologna,  consentì  vo- 
lentieri arricchirlo,  oltre  di  eletti  articoli  di  elmintologia  e  litiasi, 
anche  di    pezzi  di   sue  superbe  iniezioni  del  sistema  branchiale 


f*J  Nel  fine  dell'opuscolo,  del  quale  ragionasi,   evvi  l'elenco 
di  tutti  quei  gentili  che  fecero  presenti  al    gabinetto    anatomico 

G.A.TXXXXV1II.  24 


370  Varietà' 

dei  pesci  ultimamente  da  esso  illustrato,  e  di  belle  ed  utilissime 
scoperte  arricchito.  ,,  Il  venerando  prof.  Catullo  di  Padova  si 
fece  un  pregio  donare  i  verni!  più  rari  da  esso  posseduti,  i  qua- 
li se  non  compiono  la  collezione  elmintologica,  la  estendono  e 
rendono  ragguardevolissima,  sia  per  la  rarità  degli  oggetti,  sia 
perchè  della  viennese  raccolta  di  Bremser  facessero  parte,  sia 
perchè  posti  insieme  da   Malacarne,  da  Renier  e  da  Brera. 

Né  solamente  i  privati  mostrarono  generosità,  ma  i  pubbli- 
ci stabilim  nti  eziandio  :  tali  furono  il  museo  di  s.  Maria  Nuova 
di  Firenze,  quello  di  Pavia,  quello  di  storia  naturale  di  Pisa, 
l'altro  di  Padova,  non  che  quello  di  anatomia  comparata  di  Bo- 
logna per  cooperazione  dei  loro  direttori-  ,,  Al  gran  duca  Leo- 
poldo II  piacque  disporre,  che  tutti  gli  articoli  di  mostruosità  sì 
umane  che  di  animali  cessassero  di  appartenere  al  suo  I.  e  R. 
museo,  e  che  da  questo  passassero  al  nuovo  gabinetto  pisano,  il 
quale  così  coll'acquisto  di  circa  80  bellissimi  ed  utilissimi  pezzi 
venne  arricchito  considerabilmente  ed  ottenne  splendidissimo  ti- 
tolo d'onore  e  di  gloria.  ,, 

Il  museo  è  diviso  in  tre  classi,  cioè  I  fisiologica  ;  II  terato- 
logica ;  III  patologica.-  ed  in  sei  generi  :  1  osteologia,  1  neolo- 
gia, 3  splancnologia.  4  angeologia  ,  5  nevrologia,  6  embriologia. 
Ogni  classe  ha  cartelli  di  diverso  colore;  in  ogni  oggetto  evvi  la 
sua  denominazione  in  cartelli  di  colore  eguale  alle  classi,  cui 
appartengono,  ed  il  numero  d'ordine  che  richiama  il  catalogo  , 
il  quale  è  un  indice  sommario  degli  articoli  esisteuti  nel  museo. 
Ivi,  additata  la  classe  ed  il  genere, si  dà  qualche  notizia  scientifi- 
ca e  brevissima  osservazione  intorno  a  ciascun  pezzo,  e  si  citano 
articoli  stampati  o  manoscritti,  i  quali  contengono  le  descrizioni 
ed  illustrazioni  di  alcuni  pezzi  fatte  dal  direttore  o  da  qualche 
collaboratore.  A  tal'uopo  il  museo  è  fornito  di  apposita  libreria, 
per  la  quale  vi  è  un'indice  separato,  in  cui,  oltre  il  titolo  del 
libro,  è  posto  il  numero  corrispondente  a  quello  del  cartello  e 
del  catalogo.  La  qual  cosa  ci  sembra  di  tanta  utilità  e  con  tanta 
sapienza  disposta,  che  iion  possiamo  che  ammirare  il  eh.  prof. 
Civiuini.  Questo  valente  italiano  colTopera  e  cogli  scritti  ha 
sommamente  giovato  alla  notomia,  ed  a  buon  dritto  merita  di 
esserne  proclamato  benemerito. 

E.  C.  B. 


Varietà'  37  r 

Malattie  predominanti  in  Civita  Castellana,  e  razionali  mezzi 
onde  possibilmente  guarentirsene,  opuscolo  del  dott.  Mauro 
Leonardi  medico  primario  di  detta  città-  Fuligno,  tipogra- 
fia Tomassini  184 1  >  in  8,  difac.  48. 

vJuest'operetta,  dedicata  alla  magistratura  ed  ai  primati  di  Ci- 
vita Castellana,  viene  divisa  dall'autore  in  due  capitoli.  Nel  pri- 
mo trattasi  delle  malattie  d'inverno  e  di  primavera,  stagioni  nel- 
le quali  a  preferenza  dominano  le  infiammazioni  acutissime  e  ge- 
nuine ,  che  prediligono  il  capo,  le  fauci  ,  gli  apparali  pneu- 
monico  e  gastro-enterico  ed  il  sistema  fibroso  delle  articolazio- 
ni. Nel  secondo  si  ragiona  delle  malattie  estive  ed  autunnali,  che 
sono:  1  le  esantematiche,  come  i  morbilli,  il  zoster,  la  scarlatti- 
na, la  miliare,  il  vaiolo  ec.  2.  Le  gastriche,  che  di  leggieri  ve- 
stono caratteri  nervosi.  3.  Le  periodiche  di  ogni  tipo,  non  rara- 
mente al  grado  di  perniciose. 

Il  eh.  dott.  Leonardi,  allievo  del  celebre  Tommasini,  dispie- 
ga con  tutta  forza  le  dottrine  di  quel  valente  italiano  ,  senza 
però  invilirle,  contraffacendole,  come  molti  proseliti  usarono  a 
discapito  della  medica  rinomanza  del  Nestore  dei  clinici  italiani. 
Nello  insinuare  agli  abitanti  di  Civita  Castellana  le  più  adatte 
misure  igieniche  per  evadere  possibilmente  dall'azione  delle  cau- 
le morbose  (ragionando  in  fine  anche  sui  funghi),  si  fa  a  com- 
battere virilmente  i  pregiudizi  ivi  regnanti  intorno  ad  alcune  ma- 
niere di  medicare,  i  quali  per  lo  più  riconoscono  la  loro  origine 
dalla  ignoranza  e  caparbia  di  coloro,  che  acquistaronsi  ,  Dio  sa 
come,  qualche  riputazione  tra  quei  popoli  che  ebbero  a  curare. 
Qui  parmi  non  fuor  di  luogo  il  raccomandare  a' medici  somma 
prudenza  per  non  porre  eglino  stessi  altre  basi  a  novelli  pregiu- 
dizi, e  per  non  far  parere  all'occhio  del  volgo  inutili  e  dannosi 
gli  stessi  farmachi  più  preziosi,  solo  perchè  se  ne  fece  insolente 
abuso. 

Di  altro  pregevolissimo  scritto  del  dott.  Leonardi  ne  die  conto 
il  prof.  Ceccarini  al  toni.  66,  p.  20""  di  questo  girnalc,  facendo- 
ne ben  meritati  elogi,   e   noi   pure    nel  presentare  questa  eenuo 


372  Varietà' 

intorno  alle  Malattie  predominanti  iti  Ch'ita  Castellana,  altamen- 
te lodiamo  l'A.  che  si  è  dedicato  a  studi  di  pratica  medica  i  piò 
utili,  mostrandosi  avverso  a  quelle  sottigliezze  metafisiche,  che 
invece  di  arrecar  luce,  spandono  densissimo  fumo  innanzi  al  pie- 
no meriggio  dei  veri  fatti,  dei  quali  dee  essere  contesto  l'edificio 
della  medicina  (*). 

E.  C.  B. 


Rapporto  del  consiglio  d'amministrazione  della  cassa  di  rispar- 
mio sulla  gestione  dell'anno  1840  col  reso-conto  ec.  Bologna 
dai  tipi  governativi  della  Volpe  1841  '"  4>  &  PaS-  24- 


G; 


iova  tener  dietro  a  queste  benefiche  istituzioni,  come  facem- 
mo sino  dal  loro  nascere.  Quella  di  Bologna,  di  cui  ora  annun- 
ziamo gli  atti  posti  innanzi  alla  seduta  degli  azionisti  del  1  feb- 
braio 184 1,  procede  prosperamente.  La  serie  di  questi  atti  è  la 
seguente:  i-  Rapporto  del  consiglio  di  amministrazione.  1.  Di- 
spacci del  i4  luglio  1840  dell'eminentissimo  segretario  di  stato  per 
gli  affari  interni  e  del  ì  giugno  1840  dell'eminentissimo  sig.  car- 
dinale Lambruschini,  da  cui  si  rileva  la  superiore  sodisfazione  al- 
la cassa  di  risparmio  di  Bologna.  3.  Rendiconto  e  bilancio  in 
modo  riassunto  per  tutto  l'anno  1840.  4-  Rapporto  de' sindaci 
revisori. 

La  morte  avvenuta  del  benemerito  presidente  del    consiglio 
di  amministrazione  sig.  conte  commendatore  Vincenzo  Brunetti 


(*)  Compilato  il  presente  articolo,  abbiamo  con  molto  pia- 
cere letto  gli  elogi  di  questa  operetta  nel  bullettaio  delle  scien- 
ze mediche  di  Bologna  volume  XII,  serie  II,  p.  72;  e  nel  racco- 
glitore medico  di  Fano  num.  809  del  23  e  5o  agosto  1841, 
pag.   144. 


Varietà'  373 

non  ha  portato  alcun  danno  allo  stabilimento,  essendo  succedu- 
to il  degnissimo  sig.  conte  Lodovico  Isolani  nella  carica.  Si  nota- 
no   anzi  felici  risultamene,  e    come  gli    assegnati  premi  hanno 
sempre  più  incoraggiato  le  classi  minori  a  prevalersi  del   benefi- 
cio della  cassa.  Notasi  ancora  l'aggiunta  dell'atto  e  regolamento 
speciale  pei  depositi  vincolati  ,    ed   il  vantaggio    apprezzato  di 
succursali  ricevitorie.  Del   resto    furono  6/f68    i  depositanti,  che 
nel  1840  portarono  i  loro  risparmi,  532   in    più  degli  anni 'pre- 
cedenti. E  nell'esercizio  del  1840  entrarono  in  cassa  se    124,677: 80 
provenienti  da  26,  821  deposili,  e  più  che  se  27o,736:56  ;  8  da 
estinzione  di  somme  sovvenute:  onde  insieme  se.  3g5, 4 14 .- 36.-  8. 
I  ritiri  furono  4o48  per  se   6g,  992.54   compresivi  i   frutti. 
S'impiegarono  se.  323,2i3:62  in  crediti  sulla  provincia,  chiro- 
grafari    verso   stabilimenti,    comuni    e    consorzi:  in    sovvenzioni 
con  ipoteche  e  crediti  ben  garantiti  contro  privati    E  si    è  fatto 
fronte  alle  spese  d'amministrazione  e  d'impiegati,  ottenendo  tut- 
tavia una  rimanenza  in  cassa  di  se.  i,566:  27.4.  La  rendita  net- 
ta a  tutto  il  1840  risulta  di  se  2,991  :  ^.-5;  la  quale,  cumulata 
agli  avanzi  degli  anni  precedenti,  costituisce  a  prò   dell'azienda 
un  attività  di  se.  6,  5 1 6 .-  46  :  8. 

La  parte  più  difficile  degl'investimenti  è  stata  agevole  ed 
immune  da  ogni  sinistro  nelle  sue  conseguenze.-  ed  ogni  ramo 
dell'amministrazione,  tanto  ardua  quanto  beneficala  prosperato 
per  le  vigili  cure  del  consiglio,  e  per  la  esattezza  e  diligenza  de- 
gl'impiegati operatori.  Ai  quali  tutti  vuoisi  commendazione, 
tanto  a  quelli  che  sono  come  anima  e  mente;  quanto  a  quelli 
che  sono  braccia  per  mantenere  e  promovere  uno  stabilimento 
di  tanta  utilità  materiale  e  morale  per  le  classi  minori,  il  cui 
buon  costume  e  l'amore  al  lavoro  onesto  ed  utile  vengono  ecci- 
tati dalla  cassa  di  risparmio  :  ciò  che  influisce  cotanto  sulla  pri- 
vala e  pubblica  felicità! 

D.  V. 


—> =»-^9©<^^-<=»— ■ 


NIHILJOBSTAT 

Fr.  Ioannes  B.  Marrocu  M-  C.  Censor  Theologui. 

IMPRIMATUR 

Fr.  Dom.  Buttaoni  O.  P.  S.  P.  A.  Mag. 

IMPRIMATUR 

J.  M.  Vespignani  Archiep.  Tyaneus  Vicesg. 


375 

BSllMtW  ©SIILI  smtus® 


CONTENUTE 


NEL  TOMO  LXXXVIII,  VOLUMI  262 ,  263  ,  2G4 

DEL  GIORNALE  ARCADICO. 


SCIENZE. 

Morichini,  Discorso  alla  società  pel  soc- 
corso de'poveri  orfani  ec.       .     .      pag.         3 

Tortelli,  Continuazione  de'lavori  di  medico 

argomento »        18 

Bucci  e  Speroni,  Risultamenti  delle  grandi 
operazioni  di  chirurgia  in  s.  Spirito  in 
Sassia »       3o 

Filopanti,  Nuovo  istromento  idrometrico,  e 

Fuochi  fatui »       4^ 

Santarelli,  Eziologia  del V intermittente  per- 
niciosa delle  campagne  romane  »       5i 

Terrone,  Praelectiones  theologicae  .     .      »      141 

Ferrarlo,  Statistica  medica  di  Milano.      »      i58 

LETTERATURA. 

Betti,  V illustre  Italia   [paiate  prima)  .     »      182 
Mancini ,  Georgica    ed  Eneide  di  Virgilio 

volgarizzate »     3og 


3y6 

Santucci ,  Saggio  di  epigrammi  tradotti  dal- 
l'antologia    ))     321 

Farini,  Compendio  della  storia  romana.    »     335 

Strocchi,  Serie  storico-critica  de*  ve  scovi  dì 

faenza »     33g 

Montanari^  L'arte  di  scriver  lettere.     .     »     346 

Varietà. 

Tavole  meteorologiche. 


377 


Alcuni  errori  occorsi  nell'articolo  del  sig.  prof.  Santarelli. 


PAG. 

1IN. 

ERRORI 

CORREZIONI 

55 

I 

distinti 

distanti 

65 

2 

vostra 

vasta 

76 

2 

Montasano 

Monturono 

77 

5 

sarebbe 

farebbe 

102 

*9 

contadini 

cittadini 

III 

i 

tetra 

terre 

1^4 

3 

Ora 

Ove 

i3o 

3o 

divenire 

di  diventare 

i38 

7 

chimico 

clinico 

378 


Variaxioni  od  Errori  principali  occorsi  nei  Dialoghi 
del  prof.  Betti. 


VkO. 

LIN. 

ERRORI 

CORREZIONI 

186 

x7 

l'inventiva 

la  novità 

188 

12 

altezza  italiana 

altezza  italiana! 

J9' 

24 

lasciangli 

lasciargli 

196 

16 

del  grande 

dal  grande 

199 

29 

del  pronunciato 

dell'aver  pronunciato 

200 

21 

abbiamo 

abbiano 

211 

6 

stato  largo 

stala  larga 

2l3 

16 

Federigo 

Federico 

216 

IO 

ti  dice 

ci  dice 

221 

3o 

Cobotto 

Cabotto 

224 

5 

il  Galileo 

il  Galilei 

ivi 

18 

dall'universo 

dell'universo 

226 

12 

principiato 

principato 

232 

3 

grammatico 

grammatica 

234 

6 

da  una 

di  una 

235 

24 

nascere  e  perire  a'  di 

nostri 

nascere  a'dì  nostri 

237 

16 

contrastagli 

contrastatagli 

24o 

26 

più 

meglio 

244 

3i 

non  al  tutto  cadde 

al  lutto  non  cadde 

255 

9 

scoperse 

scoprì 

269 

IO 

duecento 

ducento 

270 

9 

se  trattò 

ne  trattò 

274 

1 

i  sommi  grandi 

i  nostri  grandi 

277 

i5 

de'popoli 

delle  nazioni 

280 

28 

non  che 

e  così 

284 

3i 

quella  merito 

quel  merito 

294 

26 

ad  un  nome 

d'un  nome 

299 

8 

avrebbeti 

ti  avi  ebbero 

ivi 

23 

dalla  orridezza  della 
barbarie 

dell'  orridezza  barbarica 

ivi 

32 

formidal 

formidabil 

3o4 

26 

Guardateli 

Guardatela 

3o6 

21 

de'suoi 

combattenti 

Osservazioni  Meteorologiche  )(  Collegio  Romano  )(  aprile  ìB^ì. 


Vento        -P'Ogg'3   I  Evapor- !  Stato  del  Cielo 


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Stato  del  Cielo' 


sereno 
nuv.  sp. 
coperto 


coperto 

nuvoloso 

sereno 


nuvoloso 
sereno 

chiarissimo 

nuvoloso 

sereno 


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chiarissimo 


sereno 
nuvoloso 


chiarissime 


sereno 
chiarissimo 


nuv.  sp. 
sereno 


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sereno 

chiarissimo 
nuv.  sp. 
chiarissimo 


sereno 
nuv.  sp. 


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Osservazioni  Meteorologiche  )(  Collegio  Romano  )(  Maggio  i84>- 


Ore 

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Vento 


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E  vapor.    Stato  del  Cielo 


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vaporoso 


sereno 

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3     5 


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nuvoloso 
sereno 


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nuvoloso 

nuvoloso 


chiarissimo 
nuv.  sp. 
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nuv.  sp. 


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nuvoloso 
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chiarissimo 

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Igrom. 

Vento 

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